Skip to main content

Full text of "Atti della Societa Pontaniana di Napoli"

See other formats


iiiiiiaiìiSpifei!! 

lì!'!!!;  l'IiiiifeiilRlIfeì 
iiRJi;j!l!ili!!ì;!!!ll;i!!!Ì!iìi!! 


ii:!:i;lKiajll  S|!!y:ji:!lì  iij)ipiljl;l;fei|;!i;:iyi-iiS 
!lllllP;frjl  i  ì'«i  !!:ì!  I!  jiP|w;il!;^!?'!f;  Jf'iHD'i'n'i; 


^ji5ì>.h.l' 


DELLA 

SOCIETÀ'   PONTAKIANA 

DI  NAPOLI. 


VOLUME   PRIMO. 

NELLA  STAMPERIA  REALE, 
1810, 


INTRODUZIONE 

DI 

VINCENZIO  DE  MURO 

SEGRETARIO  PERPETUO. 


JLL  riforgiraettto  felice  delle  lettere  e  del  gufto  in  Ita- 
lia a  quella  bella  ornatiffima  patria  è  in  gran  parte  do- 
Yuto  .  Appena  in  volgar  favella  fi  fchiccheravano  frot- 
tole, flrambotti,  ed  altre  baje  :  appena  cominciavafi  a 
leggere  e  a  guftare  v  vezzi  dell'  eloquenza  e  dello  rtile 
de'  fommi  uomini  del  fecol  beato  di  Augufto  :  appena 
avea  l'Alighieri  colla  divina  Commedia  data  una  forma 
fissa  e  permanente  alia  lingua ,  ed  imprellb  alla  nafcente 
poesìa  l'impronta  del  fuo  carattere  afpro,  fiero,  e  Ai- 
blime  ;  allorché  due  rari  ingegni ,  nello  fludio  degli  an- 
tichi nutriti,  e  nella  Corte  del  buon  Roberto  accolti  , 
accarezzati,  onorati,  tolfero  ad  arricchire  la  materna  lin- 
gua l'un  di  tutte  le  grazie  dell'  eloquenza  ,  1'  altro  di 
tutte  le  dolcezze  della  poesìa.  E  sì  il  fecero  così  beue, 
che  r  uno  fu  con  indicibile  avidità  afcoltato  nella  regal 
corte,  e  l'altro  riportò  dal  re  un  diploma,  con  cui  gli 
fu  decretala  la  corona  d'  alloro  (i)  .    Le    loro  maniere 

al  per 

(i)    Confervafi  il  pipiotua  uei  regio  AtaUirio  detto  della  Zecca . 
lù 


IV 

per  volger  di  /ècoll  non"  fono  mica  invecchiate  :  fecero- 
la  delizia  della  corte  di  Roberto;  e  furono  in  ogni  tem- 
po  e   faranno   la   delizia   delle   colte   e  gentili   perfone  . 

Jl  favore ,  e  la  munificenza  del  re  ,  1'  efempio  e  la 
gloria,  del  Petrarca,  e  del  Boccaccio  deflarono  i  fervidi 
ingegni  del  paefe  ,  e  crebbero  rigogliofe  le  lettere  ,  e 
per  tal  modo  fiorirono,  che  frutti  fpontanei  parvero  di 
lui  fuolo  naturalmente  ubertofo  e  felice  .  Ma,  quel  nu- 
golo di  mali  ,  che  alla  morte  di  Roberto  qu.efio  cielo 
ingombrò,  fpenfe  ogni  ardore  negli  animi  ,  e  minacciò 
d' introdurvi  le  tenebre  antiche  .  In  mezz,o  alle  tempe- 
flofe  vicende  del  regno  di  Giovanna ,  e  di  Carlo  della 
Pace;  in  mezzo  alle  perpetue  coutefe  per  la  fucceffione 
al  trono  ;  in  mezzo  alle  turbolenz-e  fufcitate  dal  genio 
bellicofo  e  feroce  di  Ladislao,  dall'ambizione  e  prepo- 
tenza de' Papi,  dalla  debolezza  di  Giovannella ,  e  dagl' 
intrighi  di  fua  corte,  ebbero  il  bando  le  fcienze ,  e  quafl 
temeflèro  T afpetto  del  pubblico,  fi  chiufero  fparute ,  e 
inonorate  ne'  chioftri ,  o  tra  le  domeftiche  mura  di  qual- 
che amatore  . 

Alla  fine  però  un  genio  tutelare  fece  montare  sul 
trono  il  magixanimo  Alfonfo ,  e  pofegli  affianco  un  uom 
d' alto  affare ,  riguarde-^'ole  e  chiaro  di  fangue  ,  di  co- 
flumi,  di  dottrina,  e  di  fenno,  Antonio  Beccadelli;  co- 
nofciuto  viemeglio  fotto  il  nome  di  Panormita  .  Seppe 
quefti  ispirare  al  re  il  gufto  de'  buoni  fìudj ,  /ìcchè  coi 
fuoi  ammactìramenti  non  fu  malagevole  Jid  Alfonfo  pe- 
aetrar   ne'  fegreti  de\U  fi,lofolÌuUt  «  teologiche  difcipline;; 

e- 


y 

e'  della  bella  letteratura  s'invaghì  sì  forte,  che  tenendo 
fenipre  in  mano  gli  antichi  ,  e  lor  dando  tutte  quelle 
ore,  che  gli  lafciavano  libere  i  grandi  affari  ^el  regno, 
ebbe  in  gran  pregio  tutti  coloro  ,  che  folTero  flati  in 
grado  di  conofcerne  ,  e  di  ritrarne  negli  fcritti  lor  le 
bellezze,  o  di  trasfonderle  nel  patrio  idioma,  ed  arric- 
chirne la  profa  e  la  poesìa  italiana  . 

Kon  è  da  dire,  qual  acuto  fprone  aggiungefle  il  fa- 
vore del  re  alla  naturale  vtvacità  de' napolitani  ingegni, 
e  quanti  uomini  illulki  richiamafTe  in  quefta  metropoli 
da  tutte  le  parti  d'Italia,  e  d'oltramare  ancora.  Napoli 
e  Firenze  erano  allora  V  asilo  delle  lettere  ,  e  di  colo- 
ro, che  le  coltivavano  :  e  fi.  divifero  quefla  gloria  Co- 
fimo"  il  vecchio,  che  con  munificenza  fuperiore  ad  ogni 
privata  fortuna  i  favj  e  letterati  uomini  in  Tua  cafa  ac- 
coglieva, ed  Alfonfo,  che  indegni  non  gli  flimò  di  avere 
albergo  tra  le  dovizie  ,  le  magnificenze  ,  e  lo  fplendor 
della   reggia  . 

Infi-a  i  molti  però ,  che  qui  vennero  a  godere  del  fa- 
vore del  re,  e  ad  acquiiìar  fama  di  letterati,  merita  il 
primo  luogo  Giovanni,  o,  come  giulìa  l'ufo  di  qut-I  tem- 
po amò  meglio  di  efler  chiamato  ,  Gioviano  Fontano  , 
uomo  ftraniero  d'origine,  noflro  per  privilegio,  per  af- 
fezione ,  e  per  fortuna  .  Dalle  domeniche  difawenture" 
irritato,  il  fuol  natio  abbandona  delf  Umbria  il  gio^3- 
netto  Fontano,  e  va  a  prefentarfi  ad  Alfonfo  in  Tofca- 
na.  Il  re,  che  di  fino  difcernìmento  era.  »"  l"i  ^<^"0" 
pre-  nott  ordinar j   calcini  ,    e   gì'  impone  di  feguirlo  nel 


VI 

regno.  Amato  <Ial  re,  non  potea  non  cattivare  la  Ai- 
ma  e  r affetto  dell'ottimo  Beccadelli  ,  q  in  lui  dettare 
il  defiderio  e  1"  impegno  di  fvilupparne  T  indole  generO" 
fa,  e  le  forze  dell' anima  non  ancora  da  falfe  illituzio- 
ni  inceppate,  o  infievolite,  e  di  condurlo  a  quel  pun- 
to di  vera  e  folida  fcienza  ,  al  quale  poteafi  giungere 
a  que'dì,  e  a  quel  gufto  dilicato  e  squifito,  che  è  di 
ogni  fapere  la  perfezione,  e  il  piìi  preziofo  ornamento. 
Il  re  di  egregj  precettori  il  provvide  ,  e  d'  ogni  altro 
mezzo  il  fornì  ,  onde  poter  liberamente  il  fuo  tempo 
nella  lettura  e  nello  iludio  impiegare  :  ma  il  Beccadelli 
v.oUe  egli  fteflb  effere  il  fuo  iflitutore,  il  fuo  Mentore. 
Circondato  mai  fempre  da  dotti ,  confiderò  il  valentuo- 
mo ,  doverfi  preftar  loro  qpportunità  da  poter  la  fapien- 
za  da  i  loro  petti ,  e  la  dottrina ,  e  l'eloquenza  diffon- 
dere, e  così  recar  gloria  a  iè,  altrui  giovamento,  ono- 
re alU  patria  ;  e  perchè  foffe  più  agevole ,  più  rapida , 
e  più  fruttifera  la  comunicazione  de'  lumi  ,  e  fi  accen»- 
defle  nobil  gara  ,  e  gli  sforzi  riuniti  di  moki  confe- 
guiflero  quel  fine,  al  quale  i  lumi,  le  oflervazioni  ,  la 
Critica  di  ciafcuno  feparatamente ,  o  non  mai,  o  troppo 
di  rado  pervengono  ;  vennegli  in  mente  di  porre  a  ci- 
mento, ed  in  contatto  gl'ingegni,  radunando  in  un  por- 
tico di  fua  pertinenza  il  fior  degli  uomini  di  quella  ecà. 
In  quefta  dotta  affemblea  or  fi  fpiegavano  ,  e  fi  l'otto- 
meitevano  a  rigido  efame  le  dottrine  degli  apii'chi  sulla 
natura  delle  cofe,  sulle  leggi,  che  regolano  il  fisico  del 
mondo ,  ed  il  modale  degli  uomhii ,  «a  ogni  altr^  filo» 

fo 


fofia,  e  coni  nobile  libertà  non  quello,  cbe  gli  antichi 
avean  detto ,  adottavafi ,  ma  quel  che  aveano  con  ragion 
chiara  e  luminofa  provato;  or  mettevanfì  in  comunanza 
le  riflelfioni,  le  oflèrvazioni,  e  i  ritrovati  di  ciafcuno  ; 
or  fi  comentavano  que'  tratti  di  antichi  fcrittori ,  che  o 
per  difetto  di  fedeltà  ed  efattezza  nelle  copie  ,  o  per 
cagion  d'inufitate  forme,  o  d'intralciata  teflura  fembra- 
vano  più  difficili  ad  intenderfl  ;  or  prefentava  alcun  le 
foe  idee  rilevando  le  più  rare  ed  afcofe  bellezze  ,  che 
ingegni  avvezzi  al  fentimento  del  bello  fcuoprivano  nei 
gran  modelli  dell'antichità;  or  fi  fpiegavano  le  arti  re- 
condite dell'  eloquenza  ,  e  il  fegrcto  incantelìmo  delk 
poesìa  ,  la  proprietà  delle  frafi  ,  la  convenienza  dello 
ilile ,  r  armonìa ,  la  fceltezza  ,  e  la  leggiadria  della  lo- 
cuzione :  e  faceanfi  intanto  cuore  a  vicenda  d'imitare  ed 
emulare  gli  antichi,  e  qual  nella  profa,  qual  nella  poe-- 
sìa,  faceva  opera  ciafcuno,  o  di  far  fue  le  vaghezze  e  i 
fiori  della  più  pura  latinità ,  e  di  metterfi  a  paro  di  quei 
beati  del  fecol  d'oro;  o  di  acquillare ,  fpecchiandofi  co- 
ftantemente  in  quelli,  fama  di  foknni  fcrittori  nella  ma- 
terna lingtfa  .  Quello  difegno  concepito  la  prima  volta 
dal  Panormita,  pria  che  nulla  di  fomigliante  s  immagi- 
Bafle  in  Firenze,  in  Roma,  o'  in  altra  Città  d  Italia  , 
tìoa  ha  efempio  nell'antichità,  e  forma  nuovo  vanto  e 
fìngo^qr   lode   di   quella   patria  . 

Brillala  fotto  gli  occhi  del  Panormita  ,  in  mezzo  a 
^anti  erano  in  quella  llagione  uomini  per  lettere  inli- 
gni ,  il  giovane  Pontanr. ,   •  delie  do^'^ie  altrui   teforo 


-vili 

in  fuo  cuore  facendo,  corfe  sì  grande  fpazio  in  picciol' 
ora  ,  che  dell'  illuLlre  brigata  .diventò  tra  poco  V  orna- 
mento maggiore,  e  in  età  di  24  anni  fu  giudicato,  che 
tutti  quelli  il  lafciafle  di  lunga  mano  indietro,  che  era- 
no già  vecchi,  o  nelle  lettere  invecchiati  (i)  .  Né  fo- 
lamente  tutti  i  moderni  fi  lafciò  dietro,  ma,  a  giudizio 
de' più  grandi  uomini,  nella  purità  della  lingua,  nel  dir 
terfo  ed  elegante,  in  quel  fapore  di  latina  proprietà  rag- 
giunfe  gli  antichi.  Imperciocché,  che  che  dicand  il  Boi- 
leau  ,  e  l'Alembert  ,  e  tutti  quelli,  che  vogliono  eoa 
fofismi  combatter  fatti ,  e  dar  fentenza  anche  di  ciò ,  che 
non  fanno,  a  lungo  fludio,  a  meditata  lettura,  a  continuo 
efercizio,  a  vivo  naturai  fentimento  dell' ottimo,  e  ad  ita- 
liani foprattutto  ciò  non  è  ne'impoffibile,  ne  malagevole. 

Ferdinando,  che  avea  ricevuto  in  retaggio  da  Alfoa- 
fo  r  amor  delle  lettere  ,  e  la  llima  di  quelli  ,  che  le 
profefrano ,  ebbe  in  tanta  confiderazione  il  Fontano ,  che 
non  folo  del  poflo  di  fuo  Segretario  l' onorò ,  ma  l' o- 
pera  usò  del  valentuomo,  e  l'accorgimento,  e  l'eloquen- 
za nel  maneggio  di  altiffimi  affari  ,  e  in  orrevolilTime 
ambafcerìe.  Ma  io  taccio  la  vita  pubblica  del  Fontano, 
benché  gloriofa  per  lui ,  e  di  troppo  alta  fperanza  nutrice 
per  r  ambizione  de'  dotti ,  e  torno   all'  Accademia  . 

Fra  ornai  fianco  il  Panormita  dalle  lunghe,  gravis- 
finie,  e  non  ingloriofe  fatiche  ,  e  fopracciò  di  età  ca- 
dente, e  cagionevole  di  falute.  11  Fontano,  ber^hè  dalle 

ri- 

(,1)    Veggafi  lo  ft^o  Fontano  iraa.  ^.  P'^^nùa, 


I-X 


rilevanti  cure  delle  f»?  carìcbe  diciatto,  non  comportò, 
che  r  opera  si  ben  comiuciata  dal  venerando  vecchio 
andafle  a  itiale,  e  fodero  gli  accademici  efcrciz.),  o  ab- 
bandonati ,  o  interrotti  .  Anzi  tclfe  fopra  fé  di  fìrin- 
gcre  in  un  corpo  regolare  e  ben  cofìituito  coloro,  che 
r onorata  compagnia  frequentavano;  e  per  dargli  dure- 
vole vita,  gli  diede  fìatuti  e  leggi,  con  le  quali  a  gui- 
fa  di  ben  ordinata  repubblica  fi  reggefle  in  nobil  gara 
d' onore  ,  ma  fenza  fìizza ,  fenza  baffe  gelofie ,  fenza  o- 
diofe  contefe .  In  guifa  che  quella ,  che  per  1  ifìituzio- 
ne  del  Panormita  non  era,  fé  non  femplice  adunanza  di 
virtuoll  amici  ,  prefe  con  gli  ftabilimenti  del  Fontano 
vera  forma  di  accademica  focietà .  Per  la  qual  cofa  era 
ben  giullo,  che  e'  ne  foife  vero  fondator  riputato,  co- 
me il  fu  fempre ,  e' ,  che  ne  fu  il  legislatore  ed  il  pa- 
dre .  Nel  mezzo  di  un  ameno  giardino  di  fua  ragione 
aveva  egli  innalzato  un  tempietto  :  volle  ,  che  queito 
fofle  il  tempio  delle  mufe,  e  la  fede  dell'  accademia  . 
Ivi  egli  raccolfe  parecchi  giovani  ,  che  aveano  comune 
il  defìdcrio  di  apprendere,  e  l'inclinazione  a' buoni  fì^adj: 
ivi  efponeva  ciafcuno  alla  fevera  critica  de'  colieghi  i 
parti  del  proprio  ingegno  :  ivi  egli  prefedeva  da  mae- 
llro  e  da  padre  ,  e  con  ragionamenti  pieni  di  grazia  e 
di  venufta ,  con  impareggiabile  giocondità  ,  e  con  elo- 
quenza incantatrice  verfava  i  tefori  del  fuo  profondo  fa- 
pere  ,  e  teneva  le  intere  giornate  pendente  «^^'^a  fua 
bocca  la  fcelia  e    vlnuoiu   brigata  (t).  Que- 

(0    Son  parole  di  Aleffandro  d'  Aleflandro  Gii,  Din.  lib.  iv.  Egli  era 
della  compagaia . 


Quefta  è  1'  accademia  ,    (Ji  cui  fu  padre  e  fondatore 
il  Fontano  .    Ella  fu  di  tanta  utilità  ai  progreflì   delle 
fcienze  e  delle  belle  arti ,  che  dal  fuo  feno ,  quali ,  co- 
me  fi  suol  dire,  dal  cavallo  trojano  una  fchiera  ufcì  di 
grandi  uomini  ,  de'  quali  farebbe  per  avventura  badato 
un  folo  ad  illuiìrare  il  fuo  fecolo  (i).  Non  11  può  ne 
ammirare  abbaftanza  il  numero,  ne  pronunziar  fenza  ri- 
fpetto  il  nome  degl'illuflri  filofofi,  degli  eloquenti  ora- 
tori, de'giudiziofi  illorici,  degli  eleganti  poeti,  di  let- 
terati di  varia  e  profonda  erudizione,  di  fcrittori  d'ogni 
genere  pient  di  venurtà  e  di  eleganza  ,    che  furono  al- 
lievi di  quefìa  fcuola.  Perfone  della  più  alta  nobiltà  non 
isdegnarono  di  cingerfi   il  capo  dell'accademico  alloro  , 
di   venire  ad  afcoltare  le  lezioni  della  fapienza  del  nuo- 
To  Platone,  e  a  coltivare  lo  fpirito  co'letterarj  efercizj. 
E  riufcirono  di  fatti  affai  più  per  dottrina ,  per  eloquen- 
za, per  erudizione  chiari  e  famofi,  che  per   natali   non 
erano ,   per  dignità ,  per  ricchezze  i  due  Acquaviva ,  un 
Davalos ,  un  Sangro ,  un  Marchefe ,  un  Poderico ,    un 
S^ripando^  un  Gravina,  un  d"  Alejfandra ,  un  Caraccio- 
lo ^  un   Cavaniglia,  un  Carbone.  Ma  che  diremo  di  tutti 
gli  altri?  Che  di  un  Altilio ,  chs  accoppiò  così  bene  al- 
la linda   femplicità  di  Catullo  V  eleganza  di    Orazio,    e 
la   feconda   facilità  di  Ovidio?  Che  d'un  Galateo,  le  cui 
opere   fono  ancor  ricercate    dagli  fludiofi  ,    e  tenute  in 
gran  c«.nto  dai  dotri?  Che  d'un  Cotta  Veronefe,  d'un 

(i)    Cosi  il  Varchi  neirZrcoL 


iti 

Zanchi  <3a  Lucca  ]  d' un  Ecìdio  da  Viterbo  ]  d'un  Mon- 
talto  da  Siracufa ,  d' un  Albino ,  e  d'  un  Michiclì  Ve- 
neziani ?  Che  d'  un  Caleii'^LO  ,  d'  un  Sadoleto  ,  di  cui 
niuno  efpreflè  meglio  lo  fpirito  di  Cicerone  nelle  lette- 
re ?  Che  d' un  Iacopo  Sannazaro ,  di  quel  si  degno  ri- 
vai di  Virgilio ,  che  cercò  di  pareggiarlo  nell'  epica  gran- 
deiia  non  meno ,  che  nella  pailorale  femplicità  ,  e  un 
«uovo  genere  tentando,  ignoto  ai  Greci  e  ai  latini  ,  i 
codumi  dipinfe,  e  le  maniere  de'pefcatori  con  tanta  ve- 
rità e  leggiadria ,  che  le  fue  Pefcatorie  fono  fìate  1  am- 
mirazione ,  e  lo  fpavento  di  tutti  quelli ,  che  han  voluto 
imitarlo?  Che  finalmente  di  un  Angiolo  di  Cofian\o  , 
grave  ed  elegante  iftorico  ,  e  chiariffimo  poeta,  che  fde- 
giiando  il'leziofo  e  svenevole  fìile  de'  Petrarchilli  del 
fuo  fecolo ,  e  nuovo  flile  foggiando  pieno  di  foftanza  e 
di  nerbo ,  ottenne  sì  diftinto  luogo  tra  i  più  rinomati 
poeti  ?  Tanti  uomini  illuftri ,  e  di  tanto  polfo ,  fi  fpar- 
fero  per  l' Italia ,  ed  oltremonte ,  e  portarono  dapertutto 
lo  fplendore  e  la  gloria  dell'  Accademia  del  Fontano  ; 
Da  quelli  chiariflìmi  lumi  di  dottrina  e  di  eloquenza 
fi  rideftò  r  antico  brio  degl'  ingegni  italiani ,  e  le  belle 
arti,  e  le  fcienze  comparvero  di  bel  nuovo  de'  lor  na- 
tivi ornamenti  veflite,  e  quafi  certe  di  non  dover  effe- 
re  un'  altra  volta  dal  feno  d' Italia  difcacciate .  Uno  fia- 
bilimento  sì  faggio  e  sì  facile  parea  garante  ^tlla  loro 
flabile  fortuna  .  Le  più  rinomate  d'tci  d' Italia  vollero 
avere  un'  Accademia  sul  modello  di  quella  di  Napoli  : 
ebbe  fubito  la  fua  Firenze,  ebbe  Roma  la  fua.  Ma  im- 

b   »  proV; 


jttt 

provvifa  tempera  a  daano  loro  fcoppiò,  e  mancò  poco, 
e  non  le  affogò  nella  culla  .  Avea  per  un  cotal  ghiri- 
bizzo fatto  legge  il  Fontano  ,  che  i  nuovi  Accademici 
al  primo  loro  ingreflo  doveflèro  cambiar  nome.  Quello 
ufo ,  che  è  flato  in  tutte  le  Accademie  quafi  fino  a  dì 
notiti  feguito,  fece  venir  in  Roma  Paolo  IL  in  fofpet- 
to  y  non  intendeflèro  così  gli  Accademici  dì  sbattezzarli, 
e  di  rinegare  il  criflianelìmo,  o  nafcondelfero  fotto  quel- 
la finzione  difegni  di  fedizione  e  dì  rivolta  .  Tutti  i  mezzi 
furono  meilì  in  opera  ,  che  la  barbarie  inventò  per  e- 
llorquere  dagli  Accademici  la  confeffione  del  fuppofto 
misfatto  ;  e  fé  non  veniva  in  buon  punto  la  morte  a 
tor  di  mezzo  il  fofpettofo  Papa ,  farebbero  e  il  Valla , 
e  il  Leto,  e  gli  altri  fra  i  più  atroci  tormenti  raifera- 
mente  periti  « 

Da  queir  epoca  in  poi  fi  fparle  per  ogni  angolo  d'Ita- 
lia ,  e  per  T  Europa  altresì  sfavillante  luce  di  fcienza  , 
fi  appigliò  per  ogni  dove  V  amor  delle  lettere ,  fi  risve- 
gliò in  tutti  la  curiofità  di  conofcere  davvicino  gli  an- 
tichi ,  che  sì  gran  nome  aveano  lafciato  :  V  invenzion 
della  fìampa  ,  che  avea  cominciato  a  rendere  più  gene- 
rale e  pia  facile  1'  illruzione,  il  siftema  politico  d'  Eu- 
ropa,  e  il  libero  commercio  delle  nazioni  fra  loro  ,  e 
foprattutto  la  moltitudine  degl'ingegni,  che  folo  per  na- 
turai vagW>z,za  alle  lettere  ìi  conlàcrano  ,  render  dove- 
va impoffibile  11  ritorno  della  barbarie  ,  e  indipenden- 
te dalle  vicende  de""  tempi  la  loro  forte  .  E  in  quello 
regno  principalmente,  che  è  flato  più  d^ogni  altro  paefe 

tea- 


XIII 

teatro  di  luttuofi  e  flrani  rivolgimenti  ,  non  vi  è  fiata 
Città ,  che  non  abbia  avuta  un  Accademia  ,  dove  una 
folla  d'uomini  ftudioll  coltivavano  a  gara  i  loro  talenti. 

Egli  è  vero  bensì ,  che  han  dovuto  lottar  lungo  tem- 
po le  fcienze  colla  fuperllizione  ,  T  ignoranza ,  e  l' orgo- 
glio di  quelli ,  che  han  pretefo  di  tener  la  ragione  tra 
ferri,  ed  eflèr  padroni  dell'opinione.  Ma  non  mancaro- 
no mai  tra  noi  nomini  di  tefta  e  di  coraggio ,  che  le- 
vandofi  di  lunga  mano  sul  volgo  ,  ofarono  entrare  ia 
lizza ,  ed  intraprendere  or  a  purgare  del  fudiciume  fco- 
laftico  le  filofofie,  e  a  fottomettere  alla  ragione  l'auto- 
rità di  gran  nomi  ;  or  ad  alzare  il  manto  ad  Ifide  ,  e 
forprendere  i  fuoi  fegreti  ,  e  prevenire  le  più  folenni 
fcoperte  del  Galileo ,  e  del  Newton  ;  e  mentre  nel  fon- 
do delle  Calabrie ,  pria  che  fofle  al  mondo  il  Bacone  , 
sbalzava  dal  trono  Ariflotile,  e  nuovi  fìftemi  fabbricava 
il  Telefìo  y  in  Napoli  cantava  i  principj  delle  cofe  il 
Capece  in  verfi  degni  di  Lucrezio ,  il  Colonna  e  Tira- 
parato  (pianavano  la  ftrada  al  Tournefort,  e  al  Linneo, 
deferi  ve  va  i  telescop)  il  Fontana  ,  e  fpiegava  1'  origine 
de'  colori  il  Porta ,  fcoperte ,  delle  quali  ci  han  per  fom- 
roa   ingiuria  involata   la  gloria  gli  ftranieri . 

Era  egli  giufto,  che  la  coltura  tra  noi  feguiflè  ne'fuoì 
progreflì  l'andamento  naturai  delle  cofe  .  Per  conofcere 
e  giudicare  gli  antichi',  uopo  p»-»  «»ver  contesa-»  degli  ufi, 
de' governi,  delle  opinioni,  del  fapcie,  e  de' pregiudizj 
loro:  e  le  fatiche  degli  eruditi  da  Aleflandro  d' Alelfan- 
dro  fino  al  Mazzocchi  niuna  cofa  han  lalciata  indietro, 

che 


XIV 

che  avefle  potuto  giovare  all'intelligenza  delle  opere  de- 
gli antichi,  fino  a  perderfi  tal  fiata  in  ricerche  quanto 
laboriofe  ,  altrettanto  frivole  e  vane  .  Hanno  elfi  cosi 
dato  luogo  alla  critica,  e  ci  han  pofto  ìq  illato  di  {In- 
diar con  difcern-imento  ,  e  d' imitar  le  bellezze  de'  gran 
modelli  lafciati  dalla  Grecia  ,  e  dal  Lazio  .  E  noi  in 
quella  parte ,  dall'  Accademia  Pontaiiiana  partendo  ,  ab- 
biamo avuto  in  ogni  genere  fcrittori  eccellenti  ,  e  fiam 
giunti  mano  mano  ad  un  punto  ,  il  quale  niuna  forfè 
delle  antiche  nazioni,  niuna  certo  delle  moderne  ha  mai 
tocco,  e  di  la  dal  quale  non  è  per  avventura  poflìbile 
sudare  più  innanzi,  fiara  giunti,  io  dico,'  fino  al  gran 
Torquato,  che  chiude  la  bocca  all'  invidia,  ed  aflecura 
a  quella  patria  il  vanto,  che  fi  difputarono  le  più  fa- 
mofe  città  della  Grecia,  il  vanto  di  aver  dato  al  mon- 
do il  principe  de'  poeti  . 

Difperando  di  afferrare  lo  flefìò  punto  di  perfezione, 
ne  potendoli  impunemente  okrepaffare  ,  ne  rimanere  al 
sì  fotto  con  gloria ,  il  rivolfero  gì'  ingegni  alla  contem- 
plazione della  natura  per  trovare  nelle  di  lei  opere  nuo- 
ve bellezze  a  delcrivere  ,  e  nuovi  argomenti  a  creare  . 
Da  quello  fìudio  nacque  lo  fpirito  filofofico,  e  lo  fpi- 
rito  di  analifi ,  quello  fpirito  di  lume ,  che  sa  scomporre 
i  più  complicati  oggetti  ,  penetrare  fino  ai  primi  loro 
elementi  ,  q  giungere  fino  ai  principj  generali  ,  che  la 
loro  forza  ed  uiflu^nza  a  tutti  i  rami  difendono  dell'u- 
xrano  fapere  . 

Fornito  di  quello  fpirito  l'ingegno,  fé  non  fi  e  tro- 
vato 


xt 

vato  più  atto  a  concepire  ed  efeguire  grandi  opere  d'im- 
maginazione ;  fé  ha  veduto  come  da  micidial  vento  diC- 
feccato  e  ifterilito  il  campo  della  fantasia,  fé  non  può 
lufingarfi  di  uguagliare  la  gloria  del  Sincero  e  del  Taflb, 
e  refta  tanto  da  quefli  lontano,  quanto  dall' eftro  imma- 
ginofo  e  ardente  è  la  fottile  e  fredda  analifi  lontana'; 
ha  in  contraccambio  però  il  vantaggio  di  viemeglio  co- 
nofcere ,  e  di  giudicare  a  ragion  veduta  de'  loro  pregi , 
come  quello,  che  sa  fcovrire  fin  nella  loro  forgente  le 
cagioni  di  quelle  foavi ,  e  deliziofe  fenfazionì  ,  che  in 
noi  defilano  le  belle  opere  dell'  immaginazione . 

Oltrecchè  non  può  egli  novella  carriera  aprirfi ,  e  con 
non  minor  lode  percorrerla?  Egli  non  reputa  inutile  pefo 
della  memoria  la  più  vafla  e  ricercata  filologia  ;  non  difprez- 
2a  come  vano  lo  fìudio  della  proprietà  e  dell'eleganza, 
non  isdegna  come  fuperftuo  il  ricco  e  pompofo  abbiglia- 
mento dell' eloquenza .  Se  colpifcono  1'  immaginazione  la 
grandezza  di  Roma,  e  il  deflino  del  primo  popolo  della 
terra,  e'  ravvifa  fotto  la  penna  del  non  men  eloquen- 
te ,  che  profondo  Gravina  i  fondamenti  politici ,  su  cui 
poggia  ciafcuna  forma  di  Governo,  e  lo  fpirito-^che  guidò' 
quello  di  Roma  per  giungere  all'auge  della  fortuna,  e 
i  materiali  apparecchia  allo  Spirito  delle  leggi  ,  e  alle 
Cagioni  della  grande\\a  dei  Romani .  E'  coli'  ajuto  della 
più  vera  e  folida  erudizione  ha  faputo  fra  le  tenebre 
della  più  rimota  antichità  rintrancWe  Torigin»  delle  So- 
cietà, delle  lingue,  delle  religioni,  de' governi,  de' co- 
fiumi  ,  delle  leggi ,  degli  ufi  delle  nazioni ,  ed  ha  dato 

alla 


XVI 

alla  luce  la  Scienza  nuova  opera  immortale  del  noflro 
Vico,  che  non  farà  mai  ne  fìudiata  ,  ne  ammirata  ab' 
baldanza.  L'erudizione  con  giudizio  fcelta  giova  ad  inaf- 
iìare  l'aridità  delle  materie  afìratte,  e  ad  ingentilire  la 
ruvida  afprezza  delle  fìlofofiche  dottrine.  Lo  fpirito  fi- 
lofofico,  che  fé  ne  para,  la  fa  fervire  utilmente  a'fuoi 
difegni  :  è  il  condimento ,  col  quale  adatta  ad  ogni  pa- 
lato quel  ,  che  prefentato  nella  fua  natia  femplicità  fa- 
rebbe per  avventura  da  flomachi  troppo  deboli  rigetta- 
to. Adorno  delle  più  belle  cognizioni  della  lloria,  della 
filologia ,  della  critica ,  ovunque  ponga  le  mani ,  lo  fpi- 
rito filofofico  -vi  porta  l'ordine,  e  tutto  fparge  di  luce. 
Se  faffi  a  confiderare  il  iìilema  delle  leggi  dallo  flato 
di  natura  allo  flato  di  focietà,  produce  T  Efame  anali- 
tico del  iìflema  legale;  e  contemplando  i  progreflì  del 
fifleraa  civile  dall' efillenza  perfettibile  fino  alla  perfetta 
confìflenza ,  dà  fuori  V  Efame  economico  del  fiftema  ci' 
yile,  opere  entrambe  del  noflro  Briganti^  che  lo  pon- 
gono in  un  de'  primi  polli  allato  ai  Montesquieu  ,  ai 
Mably  ,  ai  Smith  ,  quando  dietro  a  pericolofe  novità 
non  delirano.  Se  gli  vien  dato  d'occhio  all'orrendo  caos 
delle  leggi,  che  han  governato,  e  governano  i  popoli, 
egli ,  che  fcorge  di  lancio  le  più  lontane  €  impercetti- 
bili relazioni  delle  <:ore ,  e  fempre  ai  principj  rimonta  , 
che  il  germe  contengono  d'  ogni  utile  verità  ,  da  una 
immenlu  indigena  mole ,  per  fé  iìefTa ,  e  vieppiù  pe'di- 
fpareri  rltiui  intrigata,  difTonante ,  e  confufa ,  fa  forge- 
xe  un  iillema  maravigliofo ,  in  tutte  le  parti  ordinato  e 

bea 


xvu 
ben  commeflo,  fa  nafcere  la  Scienza  della  Legislazione, 
e  colloca  il  fenfibile  ed  eloquente  Filangieri  tra  i  primi 
luminari  del  fecolo.  Se  tutte  finalmente  abbraccia  le  parti 
della  filorofia  ,  gli  antichi  e  i  moderni  fiftemi  chiama 
con  nobile  libertà,  e  con  fevero  giudizio  ad  efarae,  gli 
svolge  da  tutti  i  lati ,  fcevera  ciò  che  v'  ha  di  vero  da 
ciò  che  havvi  di  falfo  e  d'aflurdo,  ne  fabbrica  egli  uno, 
in  cui  l'energìa  della  verità  sfolgoreggia  ,  difcendendo 
dai  primi  e  più  univerfali  principj  alle  leggi  fisiche ,  che 
reggono  il  mondo ,  e  alle  morali ,  che  reggono  gli  uo- 
mini e  le  focietà ,  alla  religione ,  che  ne  indirizza  a  più 
fublime  fine  le  opere,  ai  dritti  e  doveri  ,  che  ad  enti 
forniti  di  ragione  competono,  a  tutto  ciò,  che  il  viver 
ipcievole  può  rendere  agli  uomini  caro  ,  e  a  quel  che 
può  degli  Stati  lìabilir  la  grandezza  ,  la  profperità  ,  la 
■potenza,  verfando  su  di  ciafcuna  parte  viviffimo  lume, 
che  fenza  abbacinare  rifchiara  ,  e  fpargendo  dapertutto 
fiori  di  bella  e  squifita  erudizione,  che  l'animo,  fenza 
opprimerlo  ,  e  dilettando  tien  defto  .  Tal  è  lo  fpirito 
deli' illuftre  Genovefi,  di  quel  filofofo  sì  benemerito  del- 
la patria  ,  e  che  più  di  tutti  ha  contribuito  alla  vera 
coltura  della  nazione .  Nella  fcuola  di  lui  fi  formò  quella 
folla  di  giovani-filofofi ,  che  verfo  il  dechinar  del  feColo 
XVIII  portarono  in  tutte  le  profeffioni  lo  fpirito  d'indagine, 
di  critica,  e  di  verità,  e  fparfero  per  le  provincie  il 
gudo  del  vero  e  folido  fapere.  Taccio  un'  altra  molti- 
tudine di  grandi  uomini,  che  h^"no  il  caduta  ^colo  u- 
lulìrato  in  ogu»  genere  di  fapere j,  e  che  meritano  fenza 

e  con'» 


xvin 

contrago  di  federe  tra  ì  primi:  taccio  i  nomi  fimolì  de- 
gli Aloisj ,  de'  Majelli ,  de'  Sangro  ,  de'  Martino  ,  de'Gen- 
naro,  de' Cavallari ,  de'Matteì^  de*  Cirillo,  de' Conforti, 
de' Pagano,  e  di  tanti,  e  tanti  altri,  che  lungo  fareb- 
be il  rammentare,  e  de' quali  vivrà  eterna  ne' farti  della, 
noiba  letteratura  la  rimembranza  .. 

In  quello  flato  erano  le  cofe,  in  tanta  ricchezza  era- 
vamo di  letteratura  e  di  fcienza  ,  non  avevamo  che  in* 
vidiare  agli  flranieri  ,  allorché  1'  orrenda  e  per  fempre 
metrioranfla  cataftrofe ,  che  chiufe  il  fecolo.  xvni.  ,  met- 
tendo tutto  a  foqquadro.  ,  avvolfe  come  in  un  turbine 
devaflatore  e  lettere  e  fcienze  e  virtù  ,  e  da  tanta  ca- 
lamità rimafero  sbalorditi  gì'  ingegni  e  come  intronati  . 
Cominciammo  però  a  rideftarci,  e  a  refpirare  fotto  l'alt 
dell'aquila  vittoriofa.  un'aria  fereni  e  tranquilla  di  civile: 
libertà  :  ma  non  potemmo  rimirar  fenza  lagrime  l'orribile: 
gualìo,  che  vandaliche  mani   avean  fatto- 

Allora  fu ,  che  per  rifare  in  qualche  modo  la  patria 
delle  gravi  e  dolorofe  perdite,  e  per  rianimare  i  talenti 
a  fare  ogni  sforzo  per  confervarle  T antico  onore,  furfe 
in  mente  al  benemerito  noftro  e  coltitlìmo  Signor  j-Vice- 
prefidente  un  penfiero,  fc  lì  poteffero  unire  e  legare  iti 
focietà  uomini  noa  volgari  ,  ma  fcelti  ,  non  con  altro 
legame ,  che  con  quello  fortiflìmo  e  foaviffimo  dell'  af- 
fezione a' comuni  fìudj ,  pe' quali  mantenere  ed  accrefce- 
re  ciafcuno  giulh  fui  pofla  fi  afFaticafle  ;  poter  quello 
le  frefcht  piaghe  rammarginare ,  e  le  fcienze  e  le  belle 
arti  nel  priftino  fplendore  rimettere  con  fomma  lor  lo- 
de» 


de ,  e  con  fomma  riputaz,ion2  della  patria .  Comunicò  egli 
a  pochi  amici  il  difegno;  piacque,  ed  abbracciatolo  con 
calore  dicron  principio  a  quello  nobile  liìituto.  Si  pro- 
pofero  in  eflb  di  ricercar  materie  da  trar  fuori ,  e  por- 
re in  bella  e  laboriofa  carriera  le  forze  delf anima;  di 
lludiar  la  natura  nelle  più  elevate  ed  utili  contemplazio-» 
ni  ;  di  fchierarfi  dinanzi  tutte  l' età ,  e  da  quelle  racco- 
gliere il  migliore;  d' intrattenerfi  affiduamente  con  gli  an- 
tichi fapienti ,  che  nelle  -venerande  lor  carte  fpirano  an- 
cora; di  ammirarli,  ma  fenza  cieca  e  fuperftiziofa  defe- 
renza ;  d' imitarne  il  gufto ,  ma  fenza  copiarne  i  difetti; 
di  mettere  a  profitto  le  antiche  invenzioni ,  e  di  arric- 
chire, fé  fia  polTibile,  il  general  patrimonio  dell'umano 
fapere  di  nuove ,  e  fode ,  e  pellegrine  creazioni  d'ingegno. 
Appena  corfe  la  fama  del  virtuofo  progetto,  e  videfì 
concorrere  a  gara  in  queda  lega  la  gente,  ne  quella  già 
da  dozzina,  ma  uomini  nutriti  ne' buoni  fìudj,  e  pronti 
tutti  a  contribuire  colle  loro  vigilie  al  ben  effere  e  all' 
ornamento  delle  lettere .  Si  entrò  allora  nella  giuda  fpe- 
ranza  ,  che  ,  ficcome  dopo  le  turbolenze  e  le  fciagure 
de' tempi  fcorfi  da  Roberto  fino  ad  Alfonfo  avea  l'Ac- 
cademia del  Fontano  non  folo  riftabilito  1'  onore  e  la 
riputazione  delle  lettere  e  delle  fcienze  in  Napoli  ,  ma 
àveale  portate  benanche  al  più  elevato  punto  di  perfe- 
zione, e  di  gloria,  che  in  quell'età  fi  potea;  così  una 
Società  formata  su  di  cotanto  illuflre  domelìico  efempro 
avrebbe,  fp  non  f^tto  Jiuicntìcare ,  almen  renduto  meno 
fenfibili  le  paflàte  perdite,  avrebbe  mantenuto  e  fparfo 

e  z  il 


il  gufto  delle  utili  cognizioni,  ed  avrebbe  alla  barbane, 
che  ci  fovraflava,   raofla  fiera  e  irreconciliabile  guerra  . 
Si  cominciarono  adunque  le  letterarie  adunanze  .   Ma 
per  andar  dritto  al  noftro  fcopo  ,    e  perchè  qualunque 
itìituzione  è   vana  ,     ove  fopra   faggi  e  fiffi  regolamenti 
non  poggi ,  ed   ogni  compagnia   tumultuariamente  compo- 
fla  ,  e  che  proprie  leggi  non  abbia  ,    o  valli  a  fciorre 
da   fé,  o  in  confufìone    e  difcordanza  degenera  ;    uopo 
era,  che   fi  ftabiliflero  le  leggi,  le  quali  regolar  doves- 
fero  di  ciafcuno  i  carichi  ,   i  vicendevoli  doveri  ,    e  le 
fatiche.   Furono  quefte  propofte,  difcufle,  e  di  comune 
confentimento  adottate .   Uno  però   de'  principali  regola- 
menti è  fiato;  che  a  ninna  legge  foflero  i  noflri   fìudj 
fottopofii ,  e  ninno  foflè  a  determinata   occupazione  ob- 
bligato.  Le  più  felici  produzioni  dell'ingegno  fono  fem- 
pre  figlie  della  liberta ,  fon  opera  di  quello  fpirito ,  che 
fpira  ove  gli  aggrada  ,    fon  parto  di  quel  genio  ,    che 
crea  ciò  che  vuole  ,  e  quando  ,  e  come  il   vuole  ;  e  i 
lavori  forzati ,   e  contra   filomaco   fi   abbracciano ,  e   a  di- 
fpetto  di   Minerva  fi  efeguono  ,    e  benché  regolarmente 
condotti ,  ben  si  pajono   alla   maniera  ilentata ,   e  rotta , 
e  non  di   vena.   Vogliamo,  che   piena   facultà   abbia  cia- 
fcuno  di   fpaziarfi   nel   vafio   campo   dell'  umano   fapere   , 
e  di  fermarfi  a  quel  punto,   ove  il  fuo  genio  ,  le  fue 
abitudini ,  e  gli  fìudj   fuoi  prediletti  lo  chiamano  .    Su' 
quello  mediti ,  di  quello  favelli ,  prenda  il  momento  dell' 
ifpiraiione,  o  feriva  :  e  i  lanvpi   ael  genio  sfavilleranno 
ia  mezio  alle  fue  trea7Ìoni . 

Al. 


Allora  fi  pofe  mano  air  opera.  Ma  ficcome  efler  dee 
la  nortra  cortituzione  tutta  di  carità ,  di  benovoleuza ,  e 
di  falda  e  leale  amicizia  comporta ,  e  sulla  bafe  fonda- 
ta del  coraggio  nell'  intraprendere ,  della  coftanza  in  prò- 
fcguire  le  opere  incominciate,  ed  aver  per  compagne  e 
per  guida  la  pace ,  T  amorevolezza ,  e  la  decenza  ;  così 
conveniva  innanzi  ad  ogni  altra  cofa  premunirli  contro 
a  quelle  peftilenze  d'ogni  bene  diflruggitrici ,  l'invidia, 
la  gelosìa,  la  falfa  modeflia ,  e  la  critica  fcortefe  ed  a- 
mara .  Lungi  da  noi ,  dicemmo  Y  uno  alf  altro ,  lungi  da 
noi  cotelta  nemica  d'ogni  virtù,  l'invidia,  che  con  cento 
arti  maligne  cerca  di  nuocere ,  e  chiunque  tocca  ,  avve- 
lena .  Lafciara  ,  che  roda  fé  fteffa  ;  troverem  fempre  i 
più  ,  che  generofi  e  benevoli  daranno  mano  alla  virtù 
lodandola  e  confortandola  .  Lungi  da  noi  le  baffe  gelo- 
sìe, che  con  occhio  trillo  e  dolente  la  nafcente  riputa- 
zion  risguardando  fi  fìudiano  di  foppiatto  di  ferirla  ,  o 
di  affogarla .  Comuni  fon  tra  noi  le  fatiche ,  comuni  gli 
fìudj  ,  comune,  fé  ve  n'abbia,  la  gloria.  Lungi  la  falfa 
modeflia,  che  all'ozio  ne  invita,  ed  una  infinità  di  ta- 
lenti invola  alla  fama .  Evvi  mai  da  fperar  gloria  nelle 
cofe  facili  e  piane  ?  Ma  fé  le  belle  cofe  fono  difficili  , 
come  per  maniera  di  proverbio  dicevano  i  Greci,  in  que- 
lle è  fempre  degno  di  lode  un  generofo  ardimento^  men- 
tre la  foverchia  timidezza  col  manto  di  virtù  in  vitupe- 
revole infingarderìa  riefce.  Difprezziamo  con  magnanir^o 
filenzio  le  tronche  voci  e  i  iufurri  ,  che  j^  fanno  da 
tjuella  rea  gente  e  malvaggia  ,    la  quale    tutte  le  belle 


XXlì 

ed  onorate  imprefe  ,  e  tutto  ciò  ,  che  non  le  va  a  ta- 
lento, per  maniera  fconcia  e  villana  difonefla  e  beffeg- 
gia. Non  curiamo  la  vana  alterigia  di  coloro,  che  pre- 
tendono di  governare  da  dittatori  la  repubblica  delle  let- 
tere,  e  tiranneggiare  T opinione  del  pubblico;  che  tutto 
credono  al  di  fotto  di  fé  ,  e  tutto  guardano  con  aria 
di  disdegno  e  di  fcherno.  Non  ci  fgoinenti  ne  la  futile 
garrulità  degli  uni  ,  ne  la  grave  e  profuntuofa  albagìa 
degli  altri  .  Ma  alle  difcrete  e  corted  cenfure  prefìiam 
facile  orecchio ,  €  docil  cuore ,  ed ,  anzicchè  dolercene  , 
mettiamo  a  profitto  gli  avvertimenti  altrui  ,  e  a  chi  li 
dà  cortefemente ,  fnppiamne  buon  grado.  Ponghiamci  in 
cuore  di  far  tacere  ogni  altro  riguardo ,  di  tener  fempre 
fiso  l'occhio  suir eccellente  modello,  che  ci  abbiam  pro- 
poflo  d'imitare,  di  farci  degni  del  nome,  che  abbiamo 
adottato ,  di  meritare  la  ftima  de'  noftri  concittadini  ,  e 
la  protezione  d'uà  Governo  faggio,  illuminato  ,  e  ma- 
gnanimo ,  -d' un  Monarca ,  che  allevato  alla  fcuola  dell 
ìmmortal  Napoleone  ,  ed  emulator  fedele  della  fua  glo- 
ria ,  è  perfuafo  ,  non  contribuir  meno  alla  felicità  della 
nazione,  ed  alla  gloria  del  fuo  Regno-le  arti  pacifiche 
di  Minerva,  che  gli  lìudj  rumorofi  di  Marte,  e  le  une 
e  gli  altri,  meritevoli  reputa  egualmente  del  fuo  favo- 
re ,  e  della  fua  munificenza  » 

Con  quefto  fpirito,  e  con  tale  proponimento  s'intra- 
p^efero  gli  accademici  efercizj ,  e  frutto  delle  noftre  pri- 
me fatiche  o  il  faggio,  che  ni  cniro  pubblico  in  quefto 
primo  volume  prelemìamo  .    Io  non  debbo  prevenire  il 

Tuo 


xxn 


fuo  giudizio  .  Egli  ci  giudicherà  fovranamente  ;  ma  fé 
non  potrà  del  notìro  lavoro  dichiararli  pienamente  con- 
tento; iìam  certi  però,  che  non  potrà  non  commendare 
altamente  i  generoll  sforzi  d'  uomini,  i  quali  ritirati  in 
feno  alle  Mufe  ,  vigilie ,  fudori ,  e  talenti  ,  qualunque 
e  lìanfi,  confacrano  volonterolì  al  bea  delle  lettere  ,  e 
alla  gloria  della  patria  ^ 


XXV 

STATUTI 

DELLA   SOCIETÀ'   PONTANIANA 

■_.'» 

Sanzionati  nell'adunanza  de' 21.  Dicembre  1809. 

jDt  natura,  magis  magifque  detegatur,   et   artes  promoveaniur  human» 
generi  utiles  .  Bacon  de  Verul. 

ART.  I.  ,^a  Società   Pontaniana  fi  propone   efclufiva- 
«lente  di  coltivare  i  feguenti  oggetti  : 

I.  Le  matematiche  ,    e  tutte  le  parti    della  fifica 
prefe  nella   loro  più  grande  eflenfìone  . 

1.  Le  fcienze  morali ,  e  le  politiche  . 
3.    La  letteratura  ,  e  le  belle  arti . 
Sarà  perciò  la  Società  divifa   in  tre  claflì . 
ART.  a.  E'  compofla  di  un  numero  determinato  d' in- 
dividui   dimoranti    in  Napoli  ,    che  hanno    il  nome    di 
Socj  rejidenti  ;  e  queflo   numero   è   di   ottanta  .  Avrà   in- 
oltre un  numero  indeterminato  di  aflbciati  dimoranti   nelle 
Provincie  del  regno  ,    e    fuori  .  I  primi  faranno    detti 
non  refidenti,  ed  i  fecondi  corrifpondetitì .  Ed  avrà    al- 
tresì un    numero  determinato  di  Socj  onorar) . 

I  foli  focj    rendenti    hanno    il  diritto    del  voto  per 
le  cariche . 

ART.  3.  Gli  Officiali  che  la  diriggono  fono: 
1 .   Un   Prefìdente 
1.  Un  Vice-Prefidente 
3.   Un   Segretario 
4-   Un  Vice-Segretario 
5«  Un  Teforiere . 


XXVI 

ART.  4-  Il  Prefidente ,  fra  le  fue  attribuzioni,  ha  quella 
di  accordar  la  parola  a'  focj  ,  che  la  dimandano  ;  di  confer- 
var  Tordine  nelle  adunanze  ;  di  differire  le  queftioni ,  quan- 
do lo  ftimi  a  propofito  ;  e  di  annuziare  il  rifultato  de'  voti. 
•'ART:  5.  In  affenza  del  Prefidente  farà  il  Vice  Prefi' 
dente  riverito  dalla,  fleffa  autorità  ^ 

ART.  6.  In  aflenza  del  Prefidente  ,  e  del  Vice-Prefi- 
dente diriggerà.  Y  adunanze  il  focio  più  anziano  in  età . 
ART.  7.  11  Segretario  è  incaricata  della  compilazione  del 
proceflb  verbale.  Sarà  obbligato  ad  annunziare  con  arti- 
colo necrologico  la  morte  de'  focj  di  qualunque  claffe  , 
benché  vi  foflè  chi  volefTe  fcrivcrne  un  più  eftefo  elogio. 
Sottofcriverà.  dopo  del  Prefidente  gli  atti  della  So- 
cietà,  le  patenti,  il  procefTo  verbale,  e  qualunque  al- 
tra carta  ,  a  cui  apporrà  il  fuggello  della  Società ,  di  cui 
è  efclufivamente  confervatore . 

Manterrà  la  corrifpondenza  con  i  fòcj  flranieri ,  ed 
affenti ,  ed  anche  colle  altre  focietà  ,  e  ftabilimenti  letterarj.' 
Sarà  rirponfabile  de' regiiìri ,  de' titoli,  e  di  tutte 
le  carte  riguardanti  la  Società  ,  e  ne  rimetterà,  in  ogni 
iémeftre  al  Prefidente  un  hotaraento  da  lui  fottofcritto  , 
che  verrà  ccmunTt'ato  all' intera  afl^mblea . 

Sarà  incaricato  della  cuftodia  della  bibliotecai-,  e- 
dell*  archivio  . 

E  finalmente  farà  un'  analifi  ragionata ,  colP  inter- 
vento dell'autore,  di  quelle  memorie"  ^  che  11  ffimano 
non  poter  fi   tutte   intere  inferire  nfé^lr  àttr .  '    '    ■ 

ART,  8.   In   affenza  del  Segì:etirio  '  ne- ftrà*- le  Veci  il 
Vice-Segretario.  ■"       .- 

ART. 


XXV  II 

ART.  9.  Il  Teforiere  è  incaricato  di  tutti  gì'  intereffi, 
e  di  tutte  le  fpefe  della  Società  . 

ART,  IO.  La  durata  delle  cariche  di  Prefidente,  di  Vi-' 
ce-Prelìdente ,  di  Teforiere  ,  e  di  Vice-Segretario  farà 
di  un  anno  .  La  nomina  ne  farà  fatta  dalla  Società  a 
maggioranza  di  voti .  Potranno  effere  confermati  per  una 
fola  volta  col  beneficio  di  due  terzi  di  voti  de'  foci 
intervenuti . 

Il  Segretario ,  eletto  nelfiflefix)  modo ,  farà  perpetuo. 
ART.  1 1.  Vi  fiirà  un  configlio  di  amminillrazione,  com- 
pofto  di  tre  focj  ,  il  quale  riceverà  i  conti  dal  Tefo- 
riere ,  e  ne  darà  parte  alla  Società  in  adunanza  pubbli- 
ca .  L' elezione  ne  farà  fatta  a  maggioranza  di  voti  , 
come  quella  di  tutti  gli  altri  officiali  ,  e  la  durata  fa. 
rà  di  un  anno  . 

ART.  12.  Il  Teforiere  non  potrà  fare  alcuna  fpefa 
fìraordinaria  fenza  averne  ottenuto  il  permefTo  della  Società. 
ART.  13.  Ogni  clafle  avrà  un  Prefidente,  ed  un  Segre- 
tario ,  eh'  efTì  eleggerà  nel  modo  medefimo  degli  altri  offi- 
ciali .  ElTa  efaminerà  le  memorie  ,  che  i  focj  leggeranno, 
o  prefenteranno ,  e  ne  darà  quindi  Ìl  parere  in  ifcritto  ! 
ART.  14.  I  fccj  refidenti,  ed  i  non  refidenti  fon  te- 
nuti di  dare  una  memoria  almeno  ia  ogni   biennio. 

ART.  15.  Tofto  che  una  memoria  farà  llata  letta  ,  ver- 
rà rimefi^a  dal  Segretario  perpetuo  al  Segretario  della 
clafl'e  ,  cui  appartiene  ;  la  quale  intefo  1'  autore  della 
memoria  su' cambiamenti ,  e  fulle  modificazioni,  che  cre- 
derà di  proporgli ,  darà  il  fuo  parere  con  un  rapporto  in 
ifcntto ,  fé   la  memoria  meriti ,  o  nò  di  effere  inferita  negli 

^  i  atti. 


XXVIII 


atti .  La  Società  riunita  darà  poi  il  fuo  giudizio  a  voti  fegretì. 

ART.  i6.  Delle  memorie  approvate  ,  che  gli  autori  vo 
lefTero  flampare  feparatamente  ,  la  Società  noa  garantifce, 
che  l'importanza,  T utilità,  e  la  novità,  non  tutte  le 
opinioni  o  dottrine  particolari  degli  autori  :  ne  efla  fi  ren- 
de punto  garante  di  quelle  memorie  ,  che  fieno  llate  fem- 
pliceraente  lette  ,  e   non  fottopofte  alla  fua   approvaziones. 

ART.  I  7.  Le  deliberazioni  della  Società  faranno  fanziona- 
te  a  maggioranza  di  voti  fegreti  per  buflola .  In  cafo  di 
parità  ne  farà  rimelTa  la  difciillìone  ad  un'altra  adunanza. 
In  una  feconda  parità  la  propofizione  farà  rigettata  .  Per 
le  deliberazioni  bailia  un  numero  competente  di  fbcj  . 

ART.  1 8,  L'  elezione  de'  nuovi  focj  fi  farà  a  voti  fe- 
greti per  buffola  .  Sarà  il  candidato  annunziato  neir 
adunanza  ,  che  precede  quella  dell'  elezione ,  da  uno  de 
focj  refidenti  .  Non  farà  ricevuto  fenza  aver  riportata 
due  terzi  di  voti  inclufivi .  Ed  appena  amraelTo  dichiarerà 
a  qual  clafle  voglia  appartenere  . 

ART.  19.  La  Società  terrà  le  fue  adunanze  di  obbli- 
go ne' giorni  io.,  ao.,  ed  ultimo  di  ciafcun  mefe.  Se 
un  cafo  particolare  efiga  un'  adunanza  ftraordinaria ,  o  la 
variazione  de' giorni  fifTati,  il  Prefidente  ne  farà  palTas 
r  avvifo  a'  focj   per  mezzo  del    Segretario . 

fei  Prendente  aflente 

Il  Vice-Prefidente 
GIUSEPPE    DE   CESARE. 

Il  Segretario  Perpetuo 
Viatcn/.iy  de  Muro. 


ELENCO 

DF  MEMBRI  DELLA  SOCIETÀ  PONTANLVNA. 


50CJ   RESIDENTI. 

De  Angelìs  Pietro ,  Profetare  della  fcuola  militare  . 

Avellino  Francesco  Maria  ,  IJlitutore   di    S.  A.  R.    il  Priaci/fe 

Ereditario  . 
Berio  Marchese  Francesco  . 
Bianchi  Giovanni ,  Dottore  di  medicina  • 
Boccanera  Angelo ,  P/ofeJfore  di  chirurgia  nella  regia  univerfiih 

di  Napoli ,  <■ 

Brunetti  Lazzaro ,  Segretario  della  legatone  de    regno  italico .' 
Cagnazzi  Luca  de  Samuele,  Arcidiacono  di  Alcaniura,  e  pro-^ 
fejfore  di  economia  politica  nella  regia  uniyerjìtà  di  Napoli» 
Carfora  Agnello,  Avvocato^ 
De  Ccfare  Giufeppe,    Capo  di  divi/ione    nel  minijlero   delle  fi' 

nan-{e  ,    Vice-Prefidente  attuale  della  Società , 
Ciampi  Angelo ,  Profeffore  di  filofofia  . 
Coco  Vincenzio ,  Qonfigliere  di  Stato . 
De  Coaciliis  Gennaro  ,    Profeffore  di  fijlca    nella,  regia  univer- 

fìtà  di  Napoli  5  e  di  matematiche  nella  fcuola  militare  , 
Coflanzo  Francefco ,  Colonnello  del  corpo  del  Genio . 
Diana  Francesco . 
Gagliardo  Gio:  Batrifta  ,  Direttor  generale  de' beni    della    corona 

di  S.  M.  il  RE  delle  due  Sicilie . 
Galanti  Luigi,  Profcffore  di  geografia. 
Gervafio  Agoftino,   Vice-Segretario  attuale  della  Società. 
De  Horatiis  Cofimo  ,  Dottore  di  medicina ,  e  di  chirurgia . 
Lamparelli  Michele ,    Chirurgo    maggiore    dell.i  Guardia  Munt. 
cipale  f  e  membro   dei  comitato  di  vaccinaiione  di  Napoli  . 


Lauria  Francefco,  Avvocato  del  Configli^  di  Stato  ;  e  Trofejfo- 
re  di  dritto  criminale  nella  regia  univerjìià  di  Napoli . 

Marinelli  iìngelo  ,  Vrojejjore  di  letteratura  nella  regia  uni' 
ver/ità  di  Nufoli^ 

Marruncelli  Giuflirio  ,.  Dottore  di  medicina  . 

Micheroux   Aleirandro,   Uditore  del  Cò:ifiglio  di  Stato. 

Miglietta  Antonio  ,  Segretario  perpetuo  del  comitato  di  vacci- 
tun^ione  .        | 

Monticelli  Teodoro  ,  Segretario  perpetuo  delP  Accademia  delle 
fetente,  /iella  focittà  reale  di  Napoli. 

Mosbourg   Conte  dì,  Mini/lro  delle  Finanr^e  . 

De  Muro  Vincenzio  ,  Direttore  delk  clajji  di  belle  lettere  ,  e 
filojhfia  nella  fcuola  militare  ,  Segretario  perpetuo  della 
Società . 

Nanula  Antonio  ,  P.  Profetare  di  notomia  umana  nello  Spedale 
di  S.  Francefco  , 

Navarro  Pafquale  ,  Capitano ,  e  Profejforc  di  artiglieria  nella  fcuo- 
la militare. 

Nicolini   Nicola,  Prefidentc  della  corte  criminale  di  Napoli. 

Pa-rrilli   Felice  ,   Giudice  della   G.   Corte  dt  caffar^ione .. 

Petiuccelii   Francefco ,  Dottore  di  medicina  , 

Petrucci   Aleffandro,  Giudice  nella  corte  dC  appello  di  Napoli. 

Piccinni  Domenico  . 

Puoti   Marchefe   Fafilio  . 

Puoti  Gio:   Maria   Avvocato.  .  ^     .   r  h'3 

Sanfoni  Domenico,  Giudice  della  G.  Corte  di  ca([ay.0Tm ,'  ^  ,_. ., 

Santoro  Leonardo,  Dottore  dì  chirurgia.  ,     .' 

Savare/ì  Antonio,  Primo  medico  deWarmata  francefe  . 

Sementini  Luigi,  Profejfore  di  chimica  nella  regia^  u^ver/ìtà^di^ 

Signoreili  Pietro  Napoli  ,    Profeffore  emerito    di    diplomatica  »^ 

Bologna  . 
Sonni   Domenico  ,  Profeffore  di  matematiche . 
Tafuri   p^ichelc,   Capo  di  divifìone  nel  rnimflcro  del  culto. 
Taffoni   G:  Ctfare,   Minijlro  del  regno  £  Italia . 
Tenore   Michele,  Direttore  del  re  al  giardino  delle  piante  ,  Pro- 

fcfj'ore  di  botanica  nel  primo  collegio  di  Napoli . 


Vargis  Macciucca    Marclief^.   Tomniafo  ,'.  Giudice  della    coree 

>■ 'i    .d' appeUo  ■  dr .NàfoU- . 

Vulpes  Gio:   Battifta  . 

Winlpeare  Davide,  Relatore  al  Confidilo  di  Staio,  So/linito"-ttÌ 

Procuratore  generale  del  UE  prcjjo  la  G.  Corre  di  cajj'à'^ione. 
Zurlo  Giufeppe  ,  Minijiio  dell' Irtrerno  y    P ri-/ident&  attuale  '  delkt 

Società.  •-'-  -'^  '^  -^'    :■} 

SOCJ    ONORARI.  -  '' 

Andres  Giovanni,  Prefetto-  della  biblioteca  reale. 
Manli  Tito,  Segretario  geàerale  del  Configlio^dl  Stato\  - 

Ricci    Angelo  Maria  ,   Capo  di  divi/ione  neda  Segreteri:^   di  Stato. _ 
■  De  Rita  Gic:   BatriQa  ,    Profefjore    di  filojoftji    nètla  fci:(é/C  rtl'-': 
liiare ,  JjlituiOre  di-  S.  A.  il  Prirxife  Luciano  .  '         : 

Valletta  Nicola  .  ,     "  ' 

SOGJ  NON. RESIDENTI. 

D'Ambrofio  Angelo,    ColorMello   dd   terreo    re^i/fi'è'htò  di  Ittica 

Navol'tano  . 
Aracri   Grc;gorio  ,   a   Catat:-^aro  . 
Bciiclli   Michelangelo  . 
Bifccglia   Vito,  a   Terli^-i . 
Bi-undifìni  G  letano  ,    a  Cofe:2^a  ,    Prefidetite    del  tribunale     di 

prima  ijìant^a . 
CafTitto  Giovanni,  a  Bonito, 
Caflltto  Federigo,  a  Bonito. 

Caftaldi   Giufeppe,  a   Trani ,  Pre/ìdente  della   corte   criminale. 
Cianciulli  Carlo  ,  ad  Avellino  ,    Segretario  generale  di  queil'  In- 

tcndem^a  . 
Cicala  Berardino  ,  a  Lecce  . 

Colletta  Pietro  ,  a  Monteleone ,  Intendente  di  Calabria  ulteriore. 
Domanico  Rocco,    a    Cofen^a  ,    Giudice  del  tribunale  di  prima 

i(ìanr^a  . 
Caldi  Matteo  ,  a  Cofen^a  ,  Intendente  di  Calabria  citeriore . 
Galiano  Bruno  ,  a  Salerno  ,  Giudice  della  corte  criminale . 


Giovine  Gìufeppe  Maria  ',  a  Lecce . 

Lamannis  Gabri-sle  ,  a  Salerno ^  Camme jfa.rio  dille  polveri  -e  del 

falnitro  . 
Lapira  <jaetano ,  a  Foggia ,    Commejfurio    delle  polveri   e    del 

falnitro . 
Lupis  Orazio,  a  Catam^aro . 

Milano  Conte  Michele ,  a  Lecce ,  Intendente  di  quella  Provincia^ 
Montaigne  Camillo ,  ufii^iale  di  fanità  nelle  Guardie  reali . 
Mofchettini  Cosn:)o  ,  a  Martano,  Profejfore  di  agricoltura. 
Papadia  BaldafTarre  ,  a  Galatina ,  Giudice  di  pace  . 
Pasquali  Samuele,  a  Lecce,  Dottore  di  medicina. 
Pelufìo  Domenico ,  a  Teramo ,    Giudice  del   tribunale  di  primd 

ijìan-^a  . 
Peffolano  Marco ,  a  Rionero . 
Pignatelli  Francesco,  General  di  divi/ione  ^  a  Spagna, 
Tempone  Domenico ,  a  Moliterno . 

SOCJ  CORJIISPONDENTI. 

Monti,  a  Milano. 
Muftoxidj ,  a  Corfà . 
Re  ,  fl  Bologna . 


INVOCAZIONE    A    SOFIA 

Recitata  nella  folenne  apertura  della  Società 
DAL  SOCIO  RESIDENTE 

SIGNOR  DUCA  DI  VENTIGNANO  . 


alle  Celefii  radianti  sfere 
Onde  gemmato  il  Divin   Trono  splende  , 
Onde   virtute  in  multiforme  affetto 
Sulfuom  rifulge^   e  V alme^  e  i  cuor  penetra^ 
Deh,  tu,  propizia  il  tuo  tranquillo  volo 
Spiega  ver  noi ,  che  'rz  fuppUchevol  cenno 
A  te  volgiam  lo  sguardo ,  alma  Sofìa . 
Mira  de''  tuoi  devoti  eletta  fchiera , 
Cui  per  molta  Jlagioii   Tartarea  Erinni 
Lungi  fofpinfe  dal  tuo  facro   OJiello  , 
Or ,   che  più  fauflo   omai  defiin  le  arride , 
lÀeta  accerchiarf  aW ara  tua  d'intorno: 
Ara  novella  (i),  cui  non  or,  non  gemme 
Fan  vano  fregio,  ma  cui  folo  infiora 
Santa  amiftade  ,  emula^ion  fublime  . 
T' e  facro  il  fuol  :  Fu  la  tua  reggia  un  tempo  : 
Ed  in  tenèbre  involta  ancor^  gran  parte 
Giacca  deW  Univerfo ,  allorché  in  quejle 

Ognor 

(>)    Si  allude  alla  nuova  Società  Pontanima. 

I 


Ogfiof  sì  chiare  i  e  celebrate  sponde 
Splendeva  in  pien  meriggio  il  tuo  bel  Sole. 
Volgi  lo  /guardo  in  cerchio ,  augufia  Diva  , 
JE  VJppulo,  e'/  Sannite,  eH  Bru'^io  intorno 
Mira  fuperhi  in  le  fuperbe  fronti 
Sculta  recar  de"" figli  tuoi  V imago. 
Mirane  i  campi  ancor  cofperfi,  adorni 
Di  cune  illuftri^  e  di  famofe  tombe. 
Fìggi  ver  r  Aufiro  il  ciglio  in  sulle  rive 
Ch  or  giaccion  brune  di  fraterno  fangue. 
Ivi  tua  prima  ftirpe  avea  ricetto  :  (i) 
Cola  £  AJlrea  le  prime  voci  udiva 
V  attonito  mortai:  {i)  cola  d'Orfeo  (3) 
Le  dolci  note  rifuonar  nelt  alma 
Città,  cui  refer  poi  sì  chiara  un  giorno 
Del  gran  Saggio  di  Samo  i  detti  e  V  opre  .    (4) 
Ed  ivi  alfin,  poiché  sul  Mondo   emerfe , 
Dopo  lunga  fiagion,.  turbo  di  Marte,, 
Alma  fublime  in  folitaria  cella 
Suir  Italo  fplendea  cieco  Ori^onte 
Come  lucida  fella  in  notte  buja .  (5)' 
Inclina  ad  Euro  il  guardo ,  e  ve'  £  Alcide  (6) 

La 

0)     I  primi  Fi  lofofi  cìie  ("tìrfero  ìa  Italia  furono  cfi  Mapna  Grecia. 
(2)    Zaleuco  di    Locri  fu  il  primo  a  dar  lepgi  fcritte  a' Cuoi  Concittadini. 
U)    Orfeo   Grotoniate,  diverfo  da  quello  diTracia,  ed  Autore  del  Poema  de* 
gfi  Argonauti  . 

(4)  Pitago  ra  flabilì  la  fua  fcuola  principalment'é  in  Crotone. 

(5)  Il  Gran  CsfTiodoro,  cui  dobbiamo  eterna  riconofcenza  per  aver  ccn  tanta 
accutate27a  confervato  alla  j-cflerilà  gran  copia  di  rranofcritti  ,  accrefcendone  an- 
cora il  Rumerò  per  nje22o  de'  luci  infaticabili  ccmraEni  di  travaglio  j  e  di  foli» 

tucrine. 

{,6)    La  diflrutta  Città  di  Eraclea  ,  o  Erculea . 


La  già  famofa^  ed  or  negletta  fponday 

Che  la  prirn  alba ,  e  poi  V  ultima  fera 

Del  prifco  Italo   Apelle  (  i  )  accolje  un  tempo  . 

Quindi  non  lunge  altera  ancor  torreggia 

Citta  divina  (a) ,  di  celejle  ingegno 

Madre ^  ed  albergo.  (^)  Al  magno  augujlo  nome 

Applaude  r  Univerfo ,  e  f  noni  fi  tace . 

Val  mar  deW  Oriente  (4)  ancor  tu  afcolti 

Gemer  t  Adriaco  flutto  in  suW  eftremo 

Fato  immaturo  del  Cantor  di  Enea. 

Là  £  Appennin  sul  declinante  dorfo 

Del  triforme  cantor  la  cuna  antica  (5) 

Sfida  il  furor  del  tempo  edace  ancora  . 

Dal  nevofo  Aquilon  (6)   V  altera  fronte 

Erger  Sulmo  tu  miri,  e  t onor  primo 

Aie  altra  difputar ,  ne  forfè  invano; 

Poiché  7    Vate  d' Amor  là  vide  il  giorno . 

Le  luci  or  china,   <s7  vaflo  faol   Campano 

Guarda,   e  forridi.   In  quefle  fiacre  arene 

Parte  non  havvi  al  Nume  tuo  firaniera  . 

L'ultimo  quivi  difenfior  tonante 

Della  cadente  libertà  Latina 

Libero  nacque  e  libero  fu  fpento  .  (7) 

1)  Zeufi  celebre  pittore  di  Magna  Creda. 

2)  Taranto  edificata  da  Tare,  o  Taranto  figlio  di  Nettuno. 
•,)     Archita. 

4)     Brindifi   ijiace  all'Oriente  di  Taranto. 
0     Venofa  Patria  di  Or,i7Ìo. 

6)  Sulmona  è  fita  al  lettentrione  di  Venofa. 

7)  Cicerone  . 

« 


4 

Vittima  ^uì  delt  ignito  Vefevo 
Giacque  il  fuhlìme  indagator  de  muti 
Arcani  di  Natura  ;  e  alla  fua  fpoglia 
Ampio  rogo  appresto  natura  ifiejfa . 
Gemina  tomba  in  sulle  falde  apriche 
Ofienta  Mergellina ,  e  chiude  in  quelle 
Il  cener  facro  di  più  facri  ingegni . 
Echeggia  ancor  la.  vedovella  fponda 
De'  lor  [davi  accenti:  e  'ti  fuoii  conforme 
V  oppofia  riva   Orientai  rifponde  .  (  i  ) 
Qui  delt  ire  fraterne  il  buon  Cantore  :  (a) 
Qui   di  dottrine  ignote  il  fabbro  audace  :  (3) 
Qui  di  fcien-^a  novella  il  Maflro  ofcuro  :  (4) 
E'  quivi  alfin  quel  multiforme  ingegno  (5) 
Cui  fin  de''  Regi  il  disdegnofo  orgoglio 
Porgea  d""  onor  tributo  ,   e  7  cui  gran  nome 
Di  nuova  Gloria  e  a  noi  pegno  fecuro  ; 
Videro  un  tempo  ,  e  i  detti  lor  vivranno 
Ter  man  di  Fama  in  adamante  fculti. 
Ahi ,  che  tanto  faver ,  gloria  cotanta  : 
Cadde  qual  fior  dal  vomere  recifo  ! 
Notte  di  fangue  ad  ofcurar  qui  venne 
Tua  dolce  luce  :  atra  bipenne  fpenfe 

Di 

(0    La  riva  di  Sorrenttr  pofta  all'  oriente  di  quella  di  Mergellina. 
Cj)     Stazio  Autore  delia  Tebaide  . 

(;)_    Giordano  Bruno   di  Nola    nelle    di  cui  opere  C  riconofcono   i  germi  delle 
dottrine  di  Cartefio ,  di  Gaflendo,  di  Leibnitz ,  e  di  Copernico. 

(4)  Gianibattifta  Vico. 

(5)  Il  celebre    Fontano    alle   di    cui   cure   T  Accademia  Letteraria  Napoletan* 
del  XVL  ftcolo  dovè  tutto  il  fuo  fplendore . 


Vi  tua  prole  Divina  i  'fardi  avvatiii.' 
Sdegno/a  allor  tua  profanata  Reggia 
Fremendo  abbandonajii  ;  e  nel  partirne 
jy  alta  pietade  a  noi  volgefli  un  guardo  . 
Quindi  al  Seggio  Vivin  tuo  volo  ergendo , 
Appiè  del  foglio  e  lagrimofa,  e  muta 
Il  tuo  duol  depone/li  ,  e  7  tuo  difpetto  . 
Sorrife  il  Nume  :  e  V  Univerfo  in  lui . 
E  'n  quejie  a  te  sì  care  piagge  allora 
Alba  tranquilla  di  fereno  giorno 
Surfe  ridendo  ,   e  7  cieco  orror  difparve . 
Rieder  dunque  a  te  lice  ,  e  i  già  tuoi  figli 
Quafi  tenera  Madre  al  feno  accorre  : 
Rieder  dunque  a  te  lice  ,  ed  alle  sfere 
Spinger  con  eflro  animator  gt  ingegni  : 
Rieder  dunque  a  te  lice  ;  e  qui  fedendo  , 
Qual  neir  Olimpo   il  Genitor  de"  Numi , 
Far  che  d""  alto  Jlupor  comprefo  il  Mondo/ 
In  quejìo  tuo  novello   Tempio  ammiri 
Di  Partenope  appien  rifurto  il  vanto  ^ 


[>IS    CORSO 

DEL  CAVALIER  SANSONI 

SOCIO  RESIDENTE 

Sulla  Storia  dell'Umana  Ragione 

'Pronunciato-  nella  fiejfx  folenne  apertura-I 


Tuit  JovianM  rsvhefcentis- natura?  fpecimin-. 
Pietro  Summoiue» 


SICMORI 


l!L  L  titolo  dìfiintìvo  della  voflra  Società  non  e  putito 
ufurpato.  Egli  è  di  vofira  competew^a  .  Uomini  di  let- 
tere, i  quali  kanno'  dalf  amicìzia  la  prima  occafione  di 
unirjl:  che  neW  unione  trattano  le  fcien^e  e  le  belle  arti 
come  abituale  fuggetio  di  lor  converf airone-,  che,  dallo 
fperiniento'  deW  milita  di  fa'  congreffl  s' inducono  a  fijfarli 
colle  regole'  d-una  flabilefocieta:  che  nel  darfì  un  re- 
golamento fociale  fervono  alla  neceffita  deW  ordine ,  non 
air  ollenta\ione  <£  un  pompofo  i/ìituto  :  uomini  tali ,  Ji 
tardajfero  effi  ad  ajfumere  un  titolo  ,  V  altrui  difarnl' 
mento  farebbe  foUecito  ad  additarli  Poncaniani . 

Né 


Né  t  opera  che  intraprendete  è  meno  degna  del  Ge- 
nio di  Fontano:  an-(i  fé  fojfe  mai  vero^  che  per  ejfo 
e  per  le  fue  iJiitay.oni  fi  foJfe  già  preffo  noi  la  ragio- 
ne elevata  al  più  alto  grado  deW umana  condizione ,  la 
vcfira  intraprefa  farebbe  onorata  da  difficolta  maggiore. 
'  Colui  che  travaglia  al  progrejfo  d''  una  facoltà  eccita- 
ta ,  ha  nel  fuo  travaglio  compagna  la  natura ,  che  per 
fé  tende  allo  fcopo  ;  ma  e  d'  uopo  qua/i  colla  natura 
combattere  ,  quando  fi  cerca  eliminare  o  fofpendere  il 
fatale  periodo  della  decadenza  .  Quefta  farebbe  allora 
r  opera  vojtra;  opera  tanto  più  giovevole^  della  prima, 
quanto  la  corruzione  della  fcienza  perniciofa  e  più  delV 
'ignoranza  . 

Tali  cofe  nelt  animo  rivolgendo  ,  mi  fi  fono  offerte 
fpontanee  offervazioni  sul  fiflema  della  Ragione:  in  pri- 
ma suir  indole  fua  primitiva  ;  dappoi  sugli  accidenti  del 
fuo  fviluppo  .  Portando  rapido  lo  fguardo  sulla  fioria 
di  tali  accidenti  ,  mi  ha  trattenuto  in.  una  particolare 
offervay.one  il  genio  di  Fontano  ;  ed  in  un  altra  tifii- 
tu^ione  delle  focieta  fcientifiche^,  che  riconofce  Fontano 
autore ,  e  voi  rifìoratori . 

Quejle  vedute  compongono  V  argomento  che  mi  ho 
propofio;  ma  non  vi  afpettate,  ch'io  lo  tratti  in  tutta 
la  fua  efìenfione  .  Non  può  contenerlo  la  brevità  d'  un 
di/corfo .  Temo  forte  d'altronde  che  della  brevità  fi  offenda 
la  degnila  del  fuggetto  ;  ma  io  non  pretendo  che  dar  ec- 
cÌLamemo  ad  un  opera  nella  quale  ciafcuno  di  voi  potrà 
meglio  occuparne  V amputa ,  e  foddisfarne  la  degnila. 

CA- 


CAPO       I. 

Primitiva  Ragione  Umana. 

i 

J(L  Stile  di  molti  oflervatori  della  natura  diffinire  il 
genere  colla  limitata  idea  della  fpecie ,  fenza  incaricarfi 
di  ciò  ,  per  cui  V  uno  dall'  altra  fi  diftingue  .  Per 
tal  modo  han  confiderato  il  genere  degli  uomini  nella 
flefla  condizione  dell'  uomo  Angolare  :  in  confeguenza 
gli  hanno  aflegnato  ne' diverfi  periodi  dell'età  gradi  di- 
verfi  di  ragione  ;  e  ficcome  nell'  uomo  fano  la  ragione 
non  da  paffi  retrogradi  ,  nel  Genere  Umano  fi  è  figu- 
rato altrettanto  ,  e  fiiblimi  talenti  1'  han   foflenuto  . 

Lepida  immagine  è  quella  dell'  infanzia  dell'  Uman 
Genere  durata  fino  al  tempo  di  Pitagora .  La  più  anti- 
ca geometria  degli  Egizj  ,  l' agronomia  degli  Affirj  ,  la 
nautica  de'  Fenicj  fi  fon  dette  fperimenti  di  fenfo  ,  pri- 
vo di  ragionamento  .  Mercurio  Trifmegifto ,  Ojfco  ,  Zo- 
roafiro  ,  Vulcano  diconfi  nomi  favolofi  .  L'opera  di  Trifmc- 
gifio  fi  afferma  già  da'  dotti  difcoperta  fiippofla  .  Per 
le  oflervazioni  del  P.  Rapino  gli  uomini  non  han  co- 
minciato a  ragionare,  che  nella  fcuola  di  Pitagora  e  di 
Talete  .  In  confeguenza  la  divina  Poefia  di  Omero, 
e  molto  pili  la  lingua  comune  de'  Greci  di  quel  tem- 
po ,  dalla  quale  prendiamo  tuttora  a  preftito  le  parole, 
per  diftinguere  con  efattezza  i  penfieri  ,  erano  vngùi  di 
bambino  in  culla  •,    e  meno  che  puerili  uaftulli    erano 

»  le 


IO 

le  magnificenze  di  Tebe  ,  e  di  Babilonia  ,  gli  argini 
flupendi  dell'  Eufrate  ,  i  portentofi  aquedotti  fotterranei 
della  Media ,  e  tante  del  pari  antiche  opere  del  genio  , 
e  dell'  induftria  ,  fegnalate  da'  ruderi  a  recenti  viaggia- 
tori. La  marcia  della  Ragione  procede  nel  genere  degli 
uomini  altrimenti  che  neli'  uomo  fingolare .  Oilèrviaraolo 
da  capo. 

Fiffiamo  Tidea  della  Ragione  ;  ma  fi  badi  che  non 
il  può  con  regolare  diffinizione  difegnare  ciò  che  non 
ha  genere  proffimo ,  nel  quale  fi  comprenda  ,  ne  fpecie 
compagne  ,  colle  quali  fia  comparato  a  notarne  la  dif- 
ferenza .  In  quefto  cafo  debbo  contentarmi  di  additare 
quello  che  io  fento  .  Se  lo  farò  per  modo  che  ,  come 
me  ,  altri  fenta  la  diftinzione  dell'  oggetto  ,  avrò  fod- 
disfatto  il  bifogno  della  diffinizione  . 

Quello  metodo  è  flato  riconofciuto  giuflo  da  tutti 
coloro  che  han  tenuto  difcorfo  della  Ragione  .  Così 
r  hanno  additata  nelle  principali  fue  funzioni  .  Hanno 
comunemente  detto  efler  tefercì-yìo  di  quella  facoltà,  per 
la  quale  conofciamo  i  rapporti  delle  cofe ,  e  giudichia- 
mo della  loro  convenieny^a  .  Ma  fi  è  oppofto  che  i  Bru- 
ti fanno  altrettanto ,  moftrandofi  per  forprendenti  ope- 
razioni eh' e  fi  1  conofcono,  e  giudicano  de*  rapporti  delle 
cofe  .  Quindi  è  parfo  feguire  o  che  i  Bruti  abbiano 
con  noi  comune  la  -facoltà  di  ragionare  ,  o  che  altron- 
de debba  il  concetto  della  ragione  ripeterfi  .  Ecco  il 
fondo  delle  eterne  quiftioni  ,  che  hanno  tanto  agitato 
i  talenti  metafisici . 

Una 


II 


Una  novella  filofofia,  rlftorando,  ó  svolgendo  alcu- 
ne antiche  idee  ,  ha  sgombrato  tutti  gV  imbarazzi .  Ha 
affermato  non  effervi  altra  facoltà,  che  quella  del  fen- 
fo  ,  il  quale  col  miniftero  della  fantafia  conofce  ,  col 
foccorfo  della  memoria  ragiona.  Una  miglior  coftituzìo. 
ne  fa  che  il  fenfo  adempia  nell'uomo,  più  efattamente 
che  ne' Bruti,  le  additate  operazioni.  Ultimamente  fi  è 
avuta  per  dimoftrata  la  cofa  con  una  fpecle  di  fperien- 
za  .  Con  ingegnofa  fantafia  fi  è  invertita  di  fenfo  una 
fìatua,  e  fi  è  felicemente  educata  fino  all'alta  filofofia. 

A  confolare  la  propria  ignoranza  ,  e  dar  termine  alle 
penofe  meditazioni,  colle  quali  tenta  l'uomo  di  ufcirne, 
abbraccia  con  facilità  le  idee  che  ne  io  poffono  lufin- 
gare.  Da  quella  umana  debolezza  è  derivato  il  traspor- 
to, col  quale  fi  è  abbracciata  la  ftatua  animata  dall'Aba- 
te di  Condillac  .  Io  riconofco  il  pregio  di  quell'  ope- 
ra .  Lo  riconofco  in  ciò  ,  che  vi  fono  con  beli'  ordine 
difpoile  le  operazioni  dello  fpirito  ;  ma  il  neffo  fra  loro 
parmi  tutto  fuppofio ,  fenza  ragion  fufficiente.  Freniamo 
la  fantafia:   moderiamo  la  metafisica:  offerviamo  la  natura. 

E'  un  fatto  della  natura  la  differenza  di  due  modi, 
ne' quali  dal  fenfo  riceviamo  l'impulfo  ad  operare.  Senza 
accorgimento  in  un  modo:  con  accorgimento  nell  altro. 
CU  atti  Angolari  interrotti,  ne' quali  le  noftre  operazio- 
ni mancano  di  accorgimento ,  fono  di  frequentiffimo  fpe- 
rimento  .  Se  tutti  li  raccoglielfimo  ,  ne  comporremmo 
la  maggior  parte  della  nollra  vita.  Ma  ciò  che  la  na- 
tura opera  in  un  atto,  può  ben  continuarlo  ia  acti  fuc- 


■I» 

cefllvi.  Può  bene  dunque  ftare  nella  natura  una  catena 
di  non  avvertite  fenfazioni  :  in  confeguenza  una  ferie 
d' impulfi  di  tal  coadizione ,  donde  rirtilti  un  iifccma  di 
operazioni  fenz' accorgimento  fentite.  Quello  fillema  ab- 
bonderebbe di  tutti  que' fenomeni ,  a' quali  da  luogo  la 
moltiplico  combinazione  delle  fenfazioni  e  degl'  impubi  : 
farebbe  nella  fua  sfera  confeguente  ,  com'è  nella  fera- 
plice  natura  la  catena  delle  cagioni  e  degli  effetti  ;  ma 
farebbe  limitato  a  certa  sfera  ,  perpetuamente  uniforme 
ed  invariabile ,  come  il  fisico  fiftema  »  Ecco  V  iftinto  che 
co'  Bruti  abbiamo  comune . 

Ma  noi  non  diciamo  conolcere,  fé  non  che  ciò  che 
con  accorgimento  fentiamo  :  e  queft'accorgimento  non  può 
provenire  dalla  fantafia ,  o  dalla  memoria ,  perchè  fi  con- 
"viene  co'  fettarj  medefimi  del  fenfo ,  che  l' ofiìcio  di  tali 
facoltà  lìa  femplicemente  quello  di  ferbare,  o  rinnovare 
le  forme  delle  fenfazioni  nel  proprio  loro  flato  fenz'  al- 
tro aggiungervi  ;  e  dallo  fperimento  fappiarao  ,  che  ne- 
gli atti  operati  fenz'  accorgimento  noi  non  manchiamo 
aè  di  memoria ,  né  di  fantafia .  E'  dunque  facoltà  diver- 
fa  quella  che  fomminiflra  1'  accorgimento  .  Intelletto  e 
la  voce  comunemente  ufata  a  dillinguerla  :  Mente  è  chia- 
mata nel  principio  attivo:  Ragione  nel  progreflìvo  efet- 
cizio  . 

Ad  indicare  dunque  l'indole  della  ragione  baflerebbe 
diffinirla  /'  eferciiio  di  quella  facoltà  per  la  quale  ci 
accorgiamo  di  fentire  .  Se  alcuno  di  nuovo  dimandafle 
in  the  confifta  l'accorgimento,  io  ricercherei  che  innanzi 


mi  fi  fpiegafte  in  che  conHl^a  il  moto:  in  ciré  confida 
il  fenfo.  Quelle  cofe  fingolari  con-iunemcnte  intefe  ad  uà 
modo,  fono  jibbalìanza  difEnite  dal  nome.  Moto,  fen- 
fo accorgimento  noi  chiamra^mo  alcuni  fatti  della  natu- 
ra ,  li  quali ,  come  fingolari ,  per  loro  lleffi  da  ogni  al- 
tro fi  diiìinguono  ;  ciò  che   vuol  dire   fi   diEnifcono. 

Nel  diffinirc  la  ragione  per  le  fue  funzioni  io  ho  fo- 
lo  notato  l'accorgimento  .  Le  diftinte  operazioni  ,  che 
altri  notano ,  non  fono  che  rifultati ,  li  quali  fervono  a 
defcrivere ,  non  a  diffinire  . 

In  fatti  è  r  accorgimento  che  cangia  le  fenfazioni  e 
le  loro  forme  in  conofcenze  :  e  ficcome  la  natura  pro- 
cede dal  femplice  al  comporto  ,  dal  facile  al  difficile 
con  perpetuo  progreflb  ,  così  sulla  più  femplice  fenfa- 
zione,  e  fui  più  facile  accorgimento  ^\  erge  tutto  inte- 
ro r  alto  edificio  della  ragione  .  La  fenfazione  del  fi- 
mile  e  del  diverfo  è  riconofciuta  per  la  più  fem.phcc  : 
così  r  accorgimento  di  queda  fenfazione  e  il  più  faci- 
le .  Or  la  conofcenza  del  firn  ile  e  del  diverfo  contiene 
^dirò  megho)  è  la  fìefla  che  la  cognizione  del  genere 
e  della  differenza  ;  nel  fimile  è  il  genere  :  la  differenza 
nel  diverfo  .  Ciò  vuol  dire  eh'  effa  contiene  la  diffini- 
zione  delle  cofe  fentite  ;  ed  è  noto  come  per  la  diffi- 
nizione  fi  erga  lo  fpirito  da  un  genere  all' altro  lino 
a  comprendervi  tutta  1' efiUenza  fentita  (  pregio  dell  an- 
tica Filofofia  )  ;  e  come  per  lo  fleffo  mezzo  difcenda 
allji  più  femplice  cognizione  fpecifica  o  individuale  (  pre- 
gio della  Filofofia  moderna  )  . 

Sen- 


t4 

Sentirono  quella  verità  gli  antichi  ;  iìcchè  la  diftin- 
zione  del  limile  e  del  diverfo  ,  avvertita  coli'  efattezza 
de' numeri,  fervi  a  Pitagora  per  fiflare  le  reg-ole  dell' ar- 
monia univerfale  :  a  Platone  per  comporre  la  fabbrica 
dell'  Univerfo  . 

Come  neir  uomo  11  fviluppi  :  come  dia  paffl  progref- 
£vi  :  come  li  dia  retrogradi  ,  farà  argomento  del  fe- 
gucnte  capitolo . 

CAPO       II. 

Sviluppo  della  Ragione ." 

La  natura  ha  dotato  gli  efleri  di  facoltà  corrlfpon- 
denti  agli  officj,  che  ha  loro  desinato  nell'ordine  uni- 
verfale; ma  è  notabile  l'economia,  colla  quale  fviluppa 
ed  efercita  tali  facoltà  ,  fecondo  V  efigenza  dello  flato 
attuale.  Ha  pollo  nella  coftituzione  dell'uomo  la  facol- 
tà di  ragionare  non  meno  che  quella  di  fentire  ;  ma 
nel  felvaggio  non  riconofciamo  che  la  feconda  ,  cioè 
1  illinto  ,  perchè  a  foddisfare  gli  officj  di  tal  genere  di 
\'ita  balìa  l' impulfo  del  fenfo  . 

Allora  quando  gli  accidenti  del  primo  flato  avranno 
dato  luogo  a  novelle  fenfazioni ,  e  quindi  a  nuovi  bi- 
fogni  :  allora  quando  per  tal  modo  il  piano  dell'  efigen- 
za lì  troverà  eflefo  oltra  i  confini  dell  iflinto  ;  e  quin- 
di ad  ordinarlo  infufficienti  o  fallaci  diverranno  le  re- 
gole che  r  iflinto  ha  nel  limitato ,  invariabile  ,  fempre 


uniforme  fuo  lìftemà  :  è  allora  che  11  fenfo ,-  agitato  dalla 
neceffita  d'  una  guida  ,  fviluppa  1'  attività  della  mente  . 

Si  oflervi  che  ogni  elTere  tende  perpetuamente  ad 
efercitare  le  fue  facoltà  :  fpiega  con  quella  tendenza  il 
fuo  dedino  nell'ordine  .  Avviene  così ,  che  la  mente  de- 
fìinata  a  conofcere  ,  tende  perpetuamente  a  tal  opera  , 
ed  è  quella  tendenza  illimitata ,  che  chiamiamo  curiofità: 
operazione  che  non  porta  ad  alcuna:  conofcenza,  fé  un 
bifogno  non  ne  determina  T  oggetto  .  Di  quello  feno- 
meno abbiamo  una  viva  immagine  nella  defcrizione  che 
fa  Robertfon  dell'indole  di  alcuni  felvaggi  dell' Ameri- 
ca ,  li  quali  palTano  una  gran  parte  del  giorno  sdrajati 
fulla  ripa  di  un  fiumicello  in  apparenza  di  profonda 
meditazione  sugiuochi  dell'acqua  corrente ,  fenz'apprendcre 
alcuna  cofa .  E'  quella  fatua  curiofità ,  che  incontrandofi  in 
un'oggetto  di  bifogno  ,  vi  trattiene  la  mente ,  ed  in  tal 
guifa  fi  cangia  in  attenzione .  E'  figlio  dell'attenzione  quell 
accorgimento  ,   che  ponemmo  nella  bafe  della  ragione . 

Da  quella  pofizione  deriva ,  che  il  piano  della  ragio- 
ne fia  in  perpetuo  rapporto  col  piano  de'  bifogni  ,  per 
modo  che  ne  fegua  tutte  le  condizioni .  I  Greci  fenti- 
rono  intimamente  l'efficacia  di  quello  rapporto ,  onde  mife- 
ro  fomma  cura  alla  regolarità  del  piano  de' loro  bifogni. 
Alterarlo  era  attentato  all'  ordine  pubblico  ;  e  temettero 
iìffitta  alterazione  fin  nel  fuono  delle  corde  armoniche. 
Alla  regolarità  ,  all'  unità  di  fiftema  pollo  nel  piano 
de'  bifogni  fu  corri fpondente  la  regolarità  e  l'unità  del 
fiUema  nell'  cfcrcizio  della  ragione  ,    per  la  quale  tanto 

pre- 


IO 

prevalfero  ad  ogni  popolo.  Se  nfànze  elbtiche  ,  fé  di- 
\erfi  o  difcrepanti  principj  di  Legislazione ,  di  Governo, 
di  Religione  inducono  nel  piano  elìgenze  repugnanti , 
incompatibili ,  incapaci  d'  ordinato  fiiìema  j  1'  attenzione 
farà  dagl'  impulfi  difcordi  paralizata ,  1'  accorgimento  farà 
perpetuamente  incerto  ,  e  la  ragione  incontrerà  in  ogni 
confeguenza  V  aflurdo  . 

Ecco  la  degradazione  della  ragione  .  La  floria  la  mo- 
flra  in  Grecia  proporzionata  alla  depravazione ,  che  da 
tempo  in  tempo  mifero  nel  piano  de'  bifogni  le  addita- 
te  cagioni  . 

La  Greca  Filofofia  fu  nella  decadenza  richiamata  da 
Tolomeo  nelF  Egitto ,  quali  efule  alla  patria  ;  ma  fera- 
brò  ch'ella  amaffe  ftabilirfì  nella  Capitale  del  mondo . 
Il  ceto  de'  dotti  1'  accolfe  con  trafporto  :  i  più  gravi  , 
come  i  Giureconfulti  ,  le  rinnovarono  i  Portici  di  Ze- 
none :  i  cultori  del  g-ufto  dilicato  i  giardini  di  Epicu- 
ro .  Fu  vana  la  cura  .  Pianta  di  Grecia  non  poteva  al- 
lignare in  Roma  .  La  filofofia  Greca  fu  rifpettata  per 
riputazione  ,  fu  profetata  per  vanità  ,  fu  derifa  per 
r  inopportuna  applicazione  al  piano  de'  bifogni  che  {en- 
tivano  i  Romani  .  Il  più  rifpettabile  rtoico  di  Roma 
nieriiò  di  efler  chiamato  fatuo  :  la  virtuofa  fetta  di  Epi- 
curo fu  detta  in  Roma  gregge  di  porci  .  Scorrete  co- 
munque con  rapido  fguardo  la  feguente  floria  del  Po- 
polo Romano  :  voi  quali  cogli  occhi  vedrete  marciare 
a  paflo  eguale  il  difordine  dell'  efigenze  del  fuo  flato 
colla  degradazione  della  comune  ragione.  Giunfe  cotefla 

mar- 


ftiarcia  a  tal  grado,  che  parve  neceffario  tutto  diftrug- 
gerll  innanzi  che  fi  poteflè  l' ordine  riftabilire  .  Soddis- 
fecero i  Barbari  quefto  bifogno  della  natura  univerfale. 
Tutto  fu  diltrutto  nella  loro  invafione  ;  ma  non  fu  il 
ferro  o  il  fuoco  che  diflruflè  la  ragione:  ella  fu  fpen- 
ta  nel  convivere  i  Barbari  con  noi . 

Noi  avevamo  da  gran  tempo  trafcorfo  tutt'  i  periodi 
della  civilizzazione  ,  quando  i  Barbari  vennero  ad  in- 
cominciarla in  continuazione  della  no<lra .  Strana  unione 
di  difparate  efigenze  !  I  Barbari  medefimi  ne  fentirono 
r  aflurdo  ,  e  fu  rifultato  di  quello  naturai  fentimento 
r  aver  accordato  licenza  a<l  ogni  uomo  dello  fìato  di 
deftinarfi  la  legge ,  nazionale  o  flraniera ,  ibtto  la  quale 
volefle  vivere  .  Malgrado  ciò  ,  come  potea  fcanfarfi  la 
confufione  delle  altre  infinite  efigenze  d'una  vita  comu- 
ne F  Gli  ufi  ,  i  cofiumi  :  le  pratiche  civili ,  le  urbane, 
le  religiofe:  la  favella  ,  i  concetti  ?  Infine  caddero  ia 
confufione  le  fiefle  leggi  civili  mal  feparate  da  princi- 
pio .  I  nofiri  Re  dettarono  leggi  comuni  a  tutt'  i  fud- 
diti ,  e  le  pofero  in  fifiema  col  dritto  Romano  ,  e  col 
Longobardo,  prout  qualitas  lìtìgantìum  exigebat  ;  fifie- 
ma  di  principj  repugnanti .  Con  pm  aperta  contraddi- 
zione di  fentimento  i  Beneventani  negli  ftatuti ,  che  fi 
formarono  nel  principio  del  fecolo  decimoterzo  ,  mifero 
in  ordinata  ferie  le  confuetudini  locali  ,  le  leggi  Lon- 
gobarde ,  e  il  dritto  Romano.  Nell'adattarfi  all' efigen- 
ze di  t:ii  fifiemi  poteva  aver  luogo  l' officio  della  ra- 
gione? Fu  neceffità  rinunciarvi.   Noi  fummo  da  Barbari 

j  de- 


li 

depravati  ;  ma  pure  tali  oflèrvazioni  fi  fon  fatte  da  gra- 
vi fcrittori  intorno  all'  eccellente  indole  natia  de'  Bar- 
"bari ,  ed  alla  regolarità  della  corta  loro  ragione  ,  che 
fé  ne  vuol  inferire  d'  efler  noi  flati  loro  corruttori  . 
Se  nou  fono  fallaci  le  offervazioni  da  me  fatte  finora, 
la  quiflione  a  colpo  d'  occhio  fi  rifolve  .  Noi  ci  cor- 
rompemmo a  \icenda  ,  quando  a  vicenda  ci  comuni- 
cammo il  piano  de'  bifogni ,  e  ponemmo  in  confeguen- 
za  in  ambi  i  fiftemi  la  contraddizione  .  Fu  quefia  con- 
traddizione di  bifogni  ,  che  fofibcò  la  nafcente  ragione 
de'Barbari ,  ed  eftinfe  la  noflra  già  depravata  .  Ma  nul- 
la muore  nella  natura  :  la  morte  llefla  ha  virtù  pro- 
duttrice .   Si  rigenerò  la   noftra  ragione  . 

Quando  fi  tratti  dì  eriggere  la  ragione  full'  ignoran- 
za del  primo  flato  di  natura  altro  non  fi  ricerca  ,  fé 
non  che  eccitarla  eoa  ampliare  il  piano  de'  bifogni , 
e  contenerli  nell'  unità  del  fiftema  colla  regolarità  dell' 
eccitamento  .  Nulla  vi  è  che  pofià  far  remora  alle  ope- 
razioni di  un  Governo  dirette  a  tal  fine  .  Ma  quando 
e  d  uopo  riprodurre  la  ragione  dalla  corruzione ,  l'ope- 
ra del  Governo  dev'  effere  preceduta  dall'  iflruzione  dei 
filofofi,  che  difpongano  gli  animi  pregiudicati  da'fattizj 
bifogni  delle  corrotte  abitudini . 

Ti;!'  era  il  noflro  flato .  Non  mancavamo  già  di  fen- 
fazloni  eccitanti  ;  per  contrario  ne  avevamo  foprabbon- 
danti ,  mu  difordinate  ,  contradittorie ,  incapaci  di  fom- 
miniflrare  all'ofiìcio  dell' intelletto  regola  di  accorgimen- 
to, e  fiftema  di  ragione.  Avevamo  bifogno  d'iftruzione 

a  di- 


19 

a  diftinguere  gli  oggetti,  ed  in  cfTì  le  proprietà  dì  va- 
ria natura  ;  occorreva  che  ci  foflcro  additati  gli  elementi 
del  giudizio  per  metterli  in  regola  ,  e  che  folfe  fezio- 
nato  il  fiUogismo  a  poter  diftinguere  dove  giacelTe  la 
fallacia  .  Avevamo  bifogno  d'  una  filolbfia  di  dettaglio 
a  manodurci  . 

PofTedevano  gli  Arabi  queflo  genere  di  filofofia  ,  la 
quale  nieriterebbe  d'eflcre  avvertita  alquanto  pi^i  efatta- 
niente  che  non  fi  è  fatto,  per  lo  rapporto  che  ha  con 
efla,pii:i  che  colla  Greco-latina ,  la  filufofìa  de'nolìri  tem- 
pi. La  chimica,  di  cui  tanto  fi  onora  f  età  nollra  ,  vicii 
dall'  Arabia , 

A  foddisfar  fefigenia  dell'ordine  univcrfale ,  gH  Arabi 
penetrarono  nell'  Europa  ,  e  vi  fparfero  la  loro  dottri- 
na.  Noi  ne  traemmo  i  primi  rudimenti  della  ragione  . 
Quanta  ingiuftizia  ,  quanta  ingratitudine  è  nel  ridicolo 
che  i  dotti  recenti  han  verfato  sulle  forme  delT  argo- 
mento fcolaftico,  e  sulT  efprefiloni ,  che  han  chiamato  mi- 
ferabile  gergo  !  Fu  V  argomento  in  barbara  che  guidò 
quali  per  mano  lo  fpirito  degli  uomini  all'ufo  della  fmar- 
rita  ragione:  fu  il  concetto  contenuto  nelfemità,  quidduà, 
e  negli  altri  fimili  gerghi,  che  fece  ditlinguere  nella  con- 
fufione  gli  oggetti  del  difcorfo,  ed  aificurò  l'incerto  accorgi- 
mento. Fu  la  fcolaflica  ,  che  ci  mife  a  portata  della  fu- 
blime  dialettica,  e  per  efTa  delle  alte  fcienze,  e  belle  arti. 
La  natura  fi  accorfo ,  che  era  maturo  il  tempo  di  me- 
narci allo  lludio  de'Greci,  ed  opportunamente  ci  prov- 
vide di  abili  maeflri  .    L'ordine  utiiverfale  aveva  pollo 

*  ia 


in  tei   epoca  la  caduta  dell'Imperio  Greco,  la  fuccefllo- 
ne  dell'  Imperio  Turco  ;    ed  in  confeguenza  l'efilio  dei 
dotti   da   Coftantinopoli .   Quanta  previdenza  è  nella   na- 
tura !   Ella  aveva  preparato  l' albergo  de'  dotti  nella  cafa 
de'  Medici .  Le  lettere  Greche  rinalcono  in  Firenze  ,    e 
rapidamente  fi  fpandono  per  tutta  l'Italia,   nella  quale 
era  in  fremita  il  hìCogno  di  migliori  cognizioni:  abbrac- 
ciate con  cupidigia    vi  fecero  portentofo  progreflb  .    Le 
parole,  il  ferraone  fono  pure  iramagini  delle  cogni»joni: 
polle  quefVe  a  coltura ,  menano  la  coltura  della  favellar 
I   primi  maeflri  credettero  di  poter  riftorare  ad  ufo  co- 
mune la  natia  lingua  latina  ;  proteftano  ne'  loro  fcritti , 
che  in  tal  opera    avevano  porta  la  fperanza   della  loro 
riputazione  5   ma  la  lingua  comune   è  inalienabile  regalia 
,  del  popolo  j    e  gli  ufi  del  popolo  italiano  altra  n'  ed- 
gevano.   Bifogjib  conformarfi  alla  legge;  ma  ciò  facendo 
la  eulta  gente  col  gufto  della  fua  dottrina,  alla  lingua 
del  popolo  diede  belle  forme  latine,  greca  precifione   , 
ed  araba  abbondanza  e  concento . 

Eccoci  nel  fecolo  deciraoquinto  poflèflòri  d'  una  lin- 
gua nazionale  ,  che  farà  eterno  monumento  della  chia- 
rezza del  noftro  accorgimento,  della  rettitudine  della  no- 
■ftra  ragione,  e  dell'eleganza  del  noflro  fpirito  ;  eccoci 
poflèflTori  d'  una  poefia  che  caratterizz:a  la  delicatezza  , 
1  energia ,  e  1'  aggiulìatezza  delle  noftre  fenfazioni  .  La 
mufica  e  le  altre  belle  arti,  che  pur  fono  efpreflìoni  del 
fenfo ,  furono  corrette  a  feguir  la  condizione  del  loro  prin- 
cipio .    Ma  nelle  fcienze  la  ragione    non  ardiva  ancora 

dar 


ir 

dar  Uberi  paffi.  Si  ftudìavaflo  come  oggetto  dì  lettera- 
cura,  faGendofi  confiftere  nel  fapere  ciò  che  intorno  ad 
effe  avevan  penfato  gli  antichi  favj:  .  Ad  emancipar  la 
ragione  era  neceffario  un  Genio,  che  ponendo  fermo 
piede  suir  ultimo  grado  della  letteratura  ,  s' inoltraffe  a 
proprie  cognizioni  fcientifiche,  e  ne  appianaffe  ad  altri 

il  camino . 

GIOVIANO  FONTANO  fu  il  Genio  benefica  eletta 

dalla  Natura^ 

CAPO       IIL 

Tornano  l 

Giovanni  Fontano^  amò  Ghiamarfi^  Gioviano  :  Joanni  l 
feu  podus  Joviano  (  fic  énim  mavuh  appellali  )  fon  pa- 
role d'  un  raanofcmto  rapportato  da  A  portolo  Zeno  . 
Se  femplice  Vaghezza  lo  mofle,  o  accademico  iftituto  , 
come  pur  fi  prefume,  altri  lo  cerchi.  Egli  nacque  nel 
1416  in  una  illulìre,  e  htvi  agiata  famiglia  di  Cereto 
neir  Umbria  .  Le  lettere  ,  la  toga ,  e  k  armi  onorano 
la  memoria  di  Giacomo  fuo  padre  v  Altri  congiunti  fo- 
no a  varj  titoli  celebrati  ^  Tutto  perde  al  tempo  della 
foa  puerizia  nelk  civili  difcordie.  La  famiglia  diUrutta: 
le  fortune  faccheggiate  e'  difperfe  .  Gli  rimafe  il  mag- 
gior bene:  l'ottima  madre  per  nome  Crifliana. 

La  faggia  matrona ,  ad  afficurare  la  vita ,  e  1  educa- 
zione del  figliuolo,  lo  menò  in  Perugia,  ed  ivi  gh  die 

inae« 


jnaeflro  il  Grammatico  Vido,  o  Vito  Trafimeno.  L' o- 
fcuro  nome  di  coflui ,  e  le  cognizioni  che  fpiegò  Fon- 
tano in  efito  degli  lludj  han  fatto  fupporre ,  ed  invano 
ricercare  la  notizia  di  altri  maellri  .  Ma  a  dar  raeiooe 
deir evento  ballano  l'acre  ingegno,  la  memoria  del  de- 
coro paterno ,  V  aiiidua  prefenza  del  bifogno ,  e  la  ma- 
terna direzione . 

All'anno  "vìgefimo  della  fua  età  aveva  già  fatto. acqui- 
llo  d'alta  riputazione  nella  Tofcana .  Ivi  era  permanente 
foftenitore  de' letterati  Cofmo  de'  Medici  ;  ma  egli  nell' 
urgenza  del  bifogno.  amò  ,piuttorìo  prefentarti  al  pafTag- 
giero  Alfonfo  I.  noflro  Re,  emulatore  del  generofo  cuo- 
re di  Colmo.  Erano  nell'ordine  univerfale  diilribuite  le 
Provincie  agli  apofloli  della  ragione.  Al  fcguito  d' Al- 
fonfo venne  in  Napoli  Fontano.  Quivi  il  Regio  erario, 
amminiflrato  dal  virtuofo  Meflinefe  Giulio  Forte,  lo  fornì 
d'agio  a' fludj  fublimi  ,  e  lo  refe  degno  della  llima  e 
dell'intima  amicizia  d'Antonio  Beccadelli  il  Panormita , 
centro  della  letteratura  Napolitana ,  ornamento  e  decoro 
del   trono   di    Alfonfo. 

Già  maturo  all'anno  vigcfimoquinto  della  fua  età  co- 
minciò la  luminofa  carriera  della  pubblica  vita  .  Servi 
d  inau2,iirazione  la  compagnia  che  tenne  al  Fanormita 
nella  legazione  alla  Pvepubblica  di  Venezia,  e  l'applau- 
fo  che  rifcofle  nelle  Città  del  paflaggio.  Cofmo  de'Me- 
dici  ebbe  verifimilmente  a  dolerfi  di  non  averlo  abba- 
llanza  conofciuto  da  prima  .  II  fuo  ritorno  "lo  mife  in 
più  vantaggiofa  conlìdcrazione  prefTo  il  Re  Alfonfo,  dal 

qUale 


quale  fu  desinato  Precettore  al  Principe  Carlo-  figliuolo 
di'  Giovanni  di  Navarra  di  lui  fratello . 

Ferdinando  I.  che  ad  Alfonfo  fuo  padre  fuccefle  nel 
1458  tolfe  Fontano  al  cugino,  e  lo  die  Precettore  al 
fuo  figliuolo  Duca  di  Calabria.  Fu  quello  il  primo  a- 
fcenfo  all'alta  e  rapida  fua  fortuna.  11  Pe  Ferdinando 
ne  fanzionò  il  progreflb  donandogli  la  Cittadinanza  Na- 
politana ,  che  proccurò  fìabilire  irrevocabilmente ,  legan- 
dolo per  nozze  ad  Adriana,  o  Arianna  Saflbnia  ,  gio- 
vane Dama  Napolitana ,  dillinta  per  nobile-  e  doviziofa 
condizione ,   e  per  bellezza  congiunta  ad   efimia  virtù . 

Non   fu  dappoi   preflb   il  Re    pari   alcuno  a  Fontano 
per   meritare  qualunque   importante  officio  in  ogni  ramo 
del  Governo  .    L'afTunfe  fuo  Configliere  e   Commeflario 
di  Guerra   nella  fpedizione    contra   Giovanni  d'  Angiò   . 
Lo   deLlinò   Direttore    al   Duca   di  Calabria    nelle  guerre 
eh'  ebbero   luogo  coTiorentini ,  co' Veneziani ,  e  col  Papa. 
Fontano   fu  Plenipotenziario   del  Re  Ferdinando   nel  trat- 
tato di  concordia    con  Innocenzo   Vili.    Non    altri    che 
Fontano   potè  meritare  di  fuccedere  al  Panormita   trapaf- 
fato  nell'impiego  di   Frefidente   della  Regia  Camera.  Fa 
dnppoi  elevato   alla  carica  di  Luogotenente,   e'  per  col- 
mo di  degnità ,   e  di   potere  fuccefle  al  riromato   Anto- 
nello  Petrucci    nel  fublime  porto    di  primo   Segretario  , 
che  valeva  primo   Miniftro  di  Stato.   Frequenti   e  gene-  . 
rofe  gratificazioni   fi   aggiunfero  a'  (oidi ,   per  fervire  ab- 
bondevolmente  all'agio,   ed   alla   decenza   del    fuo   flato. 
Ma  qui    dove  finifce  la  pubblica   vita    di  Fontano  , 

co- 


*4^ 

<jorovncia  un  dirplacevole  Sviluppo  di  caTattere  morale  . 
A  prefentar  fenza  macchie  il  ritratto  d' un  grand'^iomo, 
converrebbe  trafcorrere  in  Silenzio  queflo  capo  .  Come 
giuftificheremo  il  fuo  malcontento?  Qual  colore  darema 
alla  fmania  d'occupare  la  Contea  di  Carinola,  o  di  Po- 
licalìro?  Il  luttuofo  retaggio  dun  fuo  protettore,  Anto- 
nello Petrucci  ,  crudelmente  immolato  :  retaggio  che  i 
figli  di  Antonello  avevano  perduto  ancor  éfli  colla  vita 
sul  palco  ?  Come  gi unificheremo  il  fuo  difpetto  ?  La 
mordace  faiira  fcritta  nel  Dialogo  ,  AJlnus  ,  feu  de  in- 
gratitudine contra  il  proprio  alunno  Duca  di  Calabria , 
ch'egli  credette  avverfo  all'ardita  pretenfione?  Potremo 
icufarlo  coir  idea  dell'  ingratitudine  imputata  a'  Principi 
fuoi  Sovrani  ?  La  ferie  de'  fervizj ,  eh'  egli  vantava  ,  era 
nel  fondo  la  ferie  de'  ricevuti  beneficj . 

In  quella  nota  io  non  pongo  l'aver  egli  ridotto  all' 
ubbidienza  i  Baroni  del  Regno .  Ne  dalla  ftoria ,  ne  da 
lui  medefimo  abbiamo  idea  precifa  d'  alcuna  operazione 
di  queflo  genere  ;  ed  è  fervire  all'  onor  fuo  contrailar- 
gliene  il  vanto ,  perchè  la  floria  ci  raoftra  i  Baroni  al- 
lora ridotti  alla  pazienza  del  fupplizio  ,  non  all'  ubbi- 
dienza del  fentiraento  :  cofe  affai  diverfe  fra  loro .  Non 
poifiamo  neppure  fupporre  che  dal  Duca  di  Calabria  egli 
foflè  flato  con  alcuna  ingiuria  provocato  ,  perchè  il  ri- 
fpetto  di  quello  Principe  verfo  lui  nella  lloria  giunge 
alla  fuperlìizione  .  Fece  egli  ritrarre  in  bronzo  l' effigie 
di  Gioviano,  e  collocata  nel  recinto  della  Regia  ch'egli 
edificò  sulla  flrada  Nolana,  l'additava  come  la  più  cara 

delle 


delle  delizie  ,    e  la  più  ammirabile  delle  magnificenze  , 
che   muovevano  la  pubblica  curiofità . 

Io  non  trovo  fcufa  che  nella  violenza  del  fuo  natu- 
rale temperamento.  Di  Fontano  il  Giovio  avvi  fa,  ch'egli 
fofle  aujiero  fupercilio ,  <5  toto  oris  habitu  agreflis  .... 
mordax  in  cenfura.  E'  concorde  il  Capaccio  in  diffinirlo 
acutijfimo  vìr  ingenio,  fed  amarulento,  qui  nemine  lin- 
gua parceret  .....  optime  dices ,  ji  mordacem  dixeris  . 
Queir  acre  talento ,  che  io  da  principio  notai  come  folle- 
tico  aTuoi  progrefll  ,  nocque  alla  moderazione  che  ab- 
bifognava  nello  flato  deirottenuta  grandezza  .  Avviene  or- 
dinariamente così ,  che  le  cagioni  deiracquiilo  turbino  il 
poireflb . 

Con  quefto  carattere  è  ragionevole  fupporre  eh'  egli 
avefle  molti  difguftato  :  in  conièguenza  che  molti  avef- 
fero  amato  l'occafione  di  accufarlo.  Ecco  la  forgente  dell 
immaginato  a  fuo  carico  maggior  fallo  .  Ch'egli  avefle 
recato  le  chiavi  della  Citta  Metropoli  a  Carlo  Vili.  Re 
di  Francia,  e  gli  aveffe  nel  Duomo  pronunciata  un  ora- 
zione panegirica  ,  fu  neceflìtà  del  pollo  eh'  egli  teneva 
nel  Regno,  da  Ferdinando  II.  abbandonato  alla  difcrezio- 
ne  del  nemico.  Al  ritorno  di  Ferdinando  fé  gì' imputò 
a  fellonia  ,  e  per  aggravarla  fi  efagerarono  i  tratti  di 
adulazione  al  novello  Signore,  e  di  difcredito  agli  an- 
tichi Sovrani  .  Il  P.  Sarno ,  il  Sig.  Soria ,  ed  altri ,  che 
suil'  avvifo  del  Guicciardino  han  lafciato  fermo  queilo 
capo  di  accufa,  non  han  calcolato  gli  effetti  dell'invi- 
dia provocata  dal  carattere,  e  dalla  fortuna  di  Fontano; 

4  ed 


t6 

ed  il  facile  luogo  che  trovano  le  falfe  voci  ,  le  mali- 
gne interpretazioni  fra  le  vicende  delle  Dinaftie.  Quella 
criminofa  orazione  non  fu  mai  letta  da  alcuno  ;  e  noi 
fventuratamente  fappiamo  quanto  vaglia  il  rapporto  del- 
la fama  in  iìmili  circollanze  . 

Del  redo  Fontano  ,  fuori  le  additate  funzioni,  non 
ebbe  nel  Governo  alcuna  ingerenza  fotto  Carlo  Vili. 
Non  la  riebbe  al  ritorno  di  Ferdinando  (  ciò  è  vero  )  ; 
ma  alla  rimozione  ballava  l'odio  folo  delle  funzioni ,  co- 
munque neceflàriamente  efercitate.  Se  oltre  a  ciò  avefle 
avuto  luogo  ragionevole  fofpetto  di  perfidia,  non  avreb- 
be potuto  rimanere  in  vita  tranquilla  fra  le  mufe  e  gli 
amici  .  In  tale  foave  vita  durò  fino  all'anno  1503 
dell'  era ,  fettantefimo  fettimo  della  fua  età  . 

Da  Adriana  egli  ebbe  figliuoli  dell'uno  e  dell'altro 
feflò  :  n'ebbe  pure  alcuno  da  Stella  ,  donna  Ferrarefe 
d  ignota  condizione  .  V  è  luogo  a  dubitare  fé  coflei ,  che 
il  vecchio  Fontano  amò  ,  come  de'  vecchi  è  coflume  , 
perdutamente ,  fìata  fofle  moglie  o  concubina  ;  ma  non 
ci  occupiamo  d' una  rifoluzione  che  non  ha  rifultati .  Le 
mogli,  e' figli  furon  tutti  polli  da  Fontano  al  fepolcro, 
fenza  ulteriore  fucceffione. 

L' eterna  fucceffione  di  Fontano  è  nell'  opere  fue ,  ed 
in  queir  iltituzione ,  alla  quale  voi  fiete  con  titolo  par- 
ticolare chiamati.  Delle  opere  non  può  qui  darfi  detta- 
glio. Nel  quadro  che  ne  prefenta  il  Signor  Soria  fono 
2-3  trattati  in  profa,  1 3  in  verfi  ;  ma  in  varie  colle- 
zioni 5  ed  altrimenti  sparfi  s'  incontrano  altri  componi- 
menti 


menti 


17 
„,cu.. .  Le  materie  fono  del  talento  ,  che  a  voìontà  fi 
fpazia  sul  vado  campo  dello  fcibile  .  Ve  n'ha  filofofi^ 
che,  morali,  politiche,  {loriche,  critiche,  aftronomiche , 
geni'aU.  Sul  valore  degli  argomenti,  o  sul  metodo  non 
mancano  cenfori ,  li  quali  rendono  qualche  volta  dubbia 
la  ragion  di  Fontano  ;  ma  intorno  all'  eleganza  ,  allo 
flile ,  alla  forza  oratoria ,  al  gufto  poetico  ,  ed  in  ge- 
nerale a' pregi  della  letteratura,  e  dell'erudizione  non  è 
contradetto  eh'  egli  abbia  toccato  1'  ultimo  fegno  della 
perfezione.  Il  giudizio  è  de' fuoi  avverfarj  .  Mariangelo 
Accurfio  nella  fua  Tefludo  afferma  effervi  fìata  fama  , 
che  Fontano  abbia  fatto  fuoi  alcuni  fcritti  di  Cicerone 
ritrovati  in  Montecafino ;  ed  il  Moreto  l'accufò  d'aver 
mefcolato  in  Catullo  alcune  fue  fantafie:  tanto  Fontano 
fomiglia  a  Catullo  ed  a  Cicerone.  Ch'egli  abbia  smal- 
tite per  antiche  delle  ifcrizioni  da  lui  compone ,  è  ordina- 
ria imputazione;  ma  quello  che  maffimamente  mi  ha  for- 
prefo  è,  che  il  chiariffimo  Barnaba  BriiTonio  abbia  cre- 
duto d' antico  conio  ,  ed  abbia  come  tale  inferita  nella 
fua  grand'  opera  la  formola  di  vendita  immaginata  da 
Fontano  nel  principio  del  Dialogo  Acìius  .  Quanto  do- 
vea  queft'uomo  valere  in  letteratura!  Mal  non  mi  ap- 
pofi  affermando,  che  Fontano  fu  dalla  natura  deftinato 
a  rinnovare  la  buona  ragione.  In  quello  fentimento  fo- 
no flato  prevenuto  dal  Summonte  nell'Epiftola  ad  Nea- 
politanos.  Fuit  enim  revera  Jovìanus  non  horum  tem- 
porwn  foetiis  ,  fed  tanquam  revìrefcends  jam  naturae 
fpecimen ,  <5  i/2  re  litteraria  quidam  quafi  heros . 


il 

CAPO       IV. 

Società  Scientifiche  '. 

La  Natura  procede  dal  facile  al  difficile  .  Avviene 
così  che  r  umana  ragione  ,  innanzi  di  efcrcitarfì  all'  in- 
venzione, vuole  addeftrarfì  all'imitazione  •,  ed  in  prin>a 
fi  procaccia  i  modelli  da  imitare.  Ciò  vuol  dire,  che  il 
primo  paflb  regolare  della  coltura  della  ragione  è  la  let- 
teratura ,  o  r  erudizione  ,  la  quale  appreiìa  i  modelli  : 
il  fecondo  le  belle ,  arti  ,  nelle  quali  è  T  efercizio  dell' 
imitazione  :  il  terzo  le  fcienze  ,  ofTia  la  libera  iìlofofìa 
inventrice  di   novelle  verità,  fabra  di  nuovi   modelli. 

E'  fiata  quella  la  marcia    della    noftra    riftorata  cul- 
tura .   11   metodo   fcolaftico ,  menando   quali   per   mano   la 
fmarrita   ragione ,   l' aveva   polla   a   portata  di   un   confe- 
guente  efercizio  ,    quando  gli  ultimi   Greci    ci  recarono 
gli  antichi  loro  modelli,   ed  eccitarono  in  noi  la   ricer- 
ca de'proprj   noflri  modelli  latini  .   Eccoci  occupati  alla 
letteratura,  ed   alla  erudizione  .  Eccoci  rapidamente  tra- 
fcorlì  allo  fìudio  dell'  imitazione ,    cioè  alle  belle  arti  . 
Fu  rapido  in  quelli  periodi  il  nolìro  progreffo,  per- 
chè le  reliquie  de'  coflumi  ,    degli  ufi  ,    delle  leggi  ,  e 
tanti  permanenti  fcgnali  del  vetullo  ingegno ,  e  delle  arti, 
mantennero  preifo   noi  nell'involucro  della  barbarie  feni- 
pre  vive  le  faville  dell'antica  coltura,   le  quali  al  pri- 
mo agitamento  divamparono  .    Ma  quello    che  maffima- 
mente  giovò  a  fpandere  la  chiarezza  della  ragione  ,  ed 

a  per- 


a  perfezionarne  le  operazioni,  fìi  riflltuzione  delle  So- 
cietà letterarie.  Iflituzione  tutta  nuova ,  ignota  agli  anti- 
chi ,  provvidamente  fuggerita  dalla  natura  nelF  efigenza 
delle  circoftanze . 

A  raccogliere  i  modelli  della  ragione  ebbero  bifogno 
gli  antichi  favj  d'una  lunga  peregrinazione  prefTo  le  più 
rimote  Nazioni  flraniere.  1  viaggi  tennero  luogo  di  let- 
teratura: le  tradizioni  e  le  ofTervazioni  locali  coftituiro- 
no  r erudizione.  Voi  conofcete  i  falli  di  queflo  metodo; 
ma  vi  è  noto  egualmente  qua' vantaggi  haii  tratto  dall 
ufarne  anche  i  favj  recenti  .  Socrate  il  maggiore  degdi 
antichi  favj  potè  aftenerfene  (  ciò  è  Vero  ) ,  ma  fu  perciò 
che  la  fua  filofofia  fi  tenne  flretta  ne'  confini  della  fem- 
plice  morale  ,  alla  quale  ballava  nel  fuo  tempo  la  ri- 
cerca de' modelli  nella  patria,  e  nel  proprio  cuore,  che 
non  femiva  bifogno  di  fapienza ,  fuori  quella  dell' one- 
fta   della   vita . 

La  noftra  ragione  rinacque  nel  feno  della  barbane  , 
che  ricopriva  tutta  la  fuperficie  della  terra  per  commer- 
cio conofciuta  ,  ogni  acceffibile  regione  .  Il  metodo  dei 
viaggi  non  poteva  aver  luogo.  D'altronde  i  modelh  del 
fapere  erano  nelle  memorie  di  quegli  antichi  dotti ,  che 
non  avevano  lafciato  fuperfliti  fucceflbri  in  alcuna  parte 
del  mondo  :  eravamo  noi  poflelfori  di  cotefte  memorie  . 
L'Ordine  della  natura  aveva  nella  noftra  Patria  dellinato 
il  depofito  del  fapere  .  OfTervaile  con  quale  induftria  , 
or  per  invafione,  or  per  afilo  vi  fece  penetrare  gli  ap- 
portatori de'  modelli  che  mancavano .  Conofcerli  era  pn- 


mo  pafTo  della  coltura;  e  l'acqulfto  di  quefta  conofcen-? 
za  era  faccenda  della  vita  comune . 

Egli  è  così  che  tutte  le  umane  iftituzioni,  egualmente 
che  le  femplici  idee  ,  fon  formate  dalla  natura  prima 
che  fieno  dall'  uomo  avvertite .  Cofmo  il  magnanimo  eb- 
be preflb  fé  il  confeflb  platonico  prima  d'  immaginare 
r  irtituzione  d' un  Accademia  fotto  la  prelìdenza  di  Mar- 
fìlio  Ficino  .  Il  Cardinal  Beffarione  non  fece  che  dar 
tuono  di  Accademia  alla  fua  converfazione  :  e  quella  di 
Antonio  Bcccadelli  il  Panormita  prefe  così  il  nome  di 
Portico  Antoniano  . 

Ad  ogni  modo  non  credo  ingannarmi  fofpettando ,  che 
alle  iftituzioni  delle  Società  letterarie  abbia  fervilo  di 
efempio,  o  di  fomento  il  circolo  fcolaflico.  Queflo  fo- 
fpetto  il  accomoda  bene  all'idea  del  Signor  Tirabofchi, 
il  quale  alle  tre  indicate  Società  fa  precedere  l'adunan- 
za tenuta  nel  Convento  di  S.  Spirito  de' Frati  Agoiìinia- 
ni  di  Firenze;  mentre  altronde  fappiamo  ,  che  quell'adu- 
nanza verfava  in  difpute  fcolafìiche ,  come  tutte  le  al- 
tre tempo  innanzi  iftituite  in  ogni  convento  di  Religiofì. 

DifFi  tutto  nuovo  il  gufto  delle  unioni  letterarie  ;  ne 
il  titolo  prefo  dalle  Greche  iftituzioni  deve  con  quelle 
confonderle.  Nell'Accademia,  nel  Portico,  nel  Liceo  un 
Savio  fpiegava  a  difcepoli  la  dottrina  ch'egli  aveva  An- 
golarmente tratta  dalle  fue  oflervazioni .  In  quelle  fi  a- 
dunano  gli  oflervatori  :  fi  comunicano  le  notizie  delle 
altrui  dottrine  ;  e  sul  calcolo  del  loro  valore  fi  fonda 
la  propria ,  rettificata  dall'  gmichevole  cenfura  de'  Socj  . 

Un 


Un  colpo  d'  occhio  difcopre  1'  enorme  differenza  eh'  è 
tra  l'antica  e  la  nuova  iftituzione.  Difterenza  che  giu- 
flifica  la  dilicatezza  del  voftro  guflo  nel  rigettare  il  ti- 
tolo di  Accademici  ,  ed  ogni  altra  di  antico  colìu- 
me ,  ritenendo  quello  di  Socj ,  che  nella  femplicità  dell' 
efprefllone  perpetuamente  rimembra  il  bel  principio  che 


5 


E'  poi  pregevole  foggetto  di  orazione  ad  encomiare, 
non    di  difcorfo  a  dimofìrare,   la  prefìanza  della  nuova 
iftituzione  fopra  1'  antica  .    Si  prefenta  allo  fguardo  di 
ogn'  uno  il  vafto  campo ,  che  per  efla  fi  apre  all'  efer- 
cizio  della  ragione ,  ed  alla  celerità  della  fua  coltura .  In 
fatti  letteratura  ,    erudizione  ,    belle  arti    unirono    nelle 
noftre  Società  quafì  fenza  intervallo  all' intraprefà  la  per- 
fezione .   Ma  è  d' uopo  confeflarlo ,  il  gufto  dell'  erudi- 
zione alimentato  oltre  il  bifogno  dal  comodo  della  ftam- 
pa   (  bella  produzione  della  ragione  imitatrice  )  portò  qual- 
che remora   alla  ragione  inventrice,  difFerì  l'acquifto  del- 
la libera  filofofia.   Avvezzi  a   non  difcernere,   che  coli' 
altrui  veduta,  ci   formammo  all'affldua  meditazione  reftii. 
E  parve  per  verità  prudenza  efler  tali  .    Ne'  greci  e 
latini  papiri    noi  trovammo  uomini  a  noi  fuperiori  fen- 
za mifura .  Nel  di/porci  a  ricercare  dappoi  per  noi  me- 
defimi  qualche   verità,   abbiamo  trovato  fempre  nel  tra- 
vaglio   d'  un  libro   ftampato    una    migliore    difpofizione 
didee,  che  non  fentivamo  in  noi  nell'accoftarci  alla  let- 
tura.  Abbiamo   preferito  un   libro  ad  un  altro,  ma  fia- 
mo  flati  aftretti  a  pofporre  perpetuamente  l'informe  no- 

flro 


'31 

ilro  embrione.  Se  qualche  volta  con  raro  ardimento  ci 
lìamo  riputati  fuperiori  all'  autore  del  libro  :  come  ciò 
non  è  avvenuto  che  dal  ripruovarlo  ,  il  corfo  naturale 
delle  idee  ha  riftretto  l'opera  noflra  a  femplici  modifi- 
cazioni dell'  altrui  iìflema  ,  ed  ha  rimoflb  fempre  V  in- 
^venzione  • 

Lo  fpirito  d'erudizione  troppo  innoltrato  ha  danneg- 
giato pure  le  belle  arti  in  quella  parte  ,  che  richiede 
modelli  tolti  direttamente  dalla  natura .  Nel  celebre  trat- 
tato dello  Stile  fublime  1'  Oratore  Iperide  è  comparato 
a  Demoflene.  Iperide  è  il  modello  del  perfetto  Oratore: 
egU  ha  improntato  da  Demoflene  tutto  il  bello,  depu- 
rato dalle  brutture  :  le  regole  dell'  orazione  fono  cfT'r- 
vate  con  efattezza ,  che  non  lafcia  alcuna  prcfa  a  mali- 
gno cenfore.  Demoflene  ha  molte  cofe  a  riprenderli,  e 
Longino  le  nota .  Malgrado  ciò ,  Longino  riconofce  giu- 
Ho  il  comune  fentimento  ,  che  preferifce  Demoflene  ad 
Iperide .  Come  può  avvenire  che  fi  pofponga  il  perfet- 
to al  difettofo ,  comunque  pure  {limabile  ?  Per  me  non 
efito  rifpondere  ,  Demoflene  cercò  i  modelli  nella  Na- 
tura: Iperide  li  prcfe  da  Demoflene.  Sia  pur  dotto  quan- 
to chiunque  fi  voglia  nella  cognizione  del  triplice  ordi- 
ne dell'  architettura  ,  colui  che  primo  l' efibì  nell'  opera 
fua ,   farà   eternamente   maeftro  d' ogni  fagace  imitatore . 

Nel   principio   del   fecolo   decimofeflo    i   talenti   faziati 
dalla  perfetta  imitazione  fentirono   il  bifogno  dell'inven- 
zione  .   La  provvida  natura   portava  la   marcia  sull'  ulti- 
mo periodo  della  cultura  della  ragione.  11  Signor  Tho- 
mas 


35 
mas  nel  coronato  elogio  di  Cartefio,  ufando  di  queirelo- 
qucnza  che  tanto  lo  diftingue  nel!' inclita  fua  Nazione, 
con  vive  immagini  rileva  il  fermento  dello  fpirlto  d'in- 
venzione ,  che  in  quel  tempo  agitò  l'Europa ,  e  fviluppò 
come  cofpiraii  i  talenti  di  Vafco  Gama  ,  Colombo  ,  e 
Magellano  :  di  Copernico  ,  Ticone  ,  Galileo,  Bacone  , 
Cartefio  .  Stia  ferma  la  lode  dovuta  all'  invenzione  di 
cotefti  fublimi  talenti  del  fecolo  decimofeflo .  Innanzi  a 
coftoro  ,  nel  fecolo  decimoquinto  marciava  già  T  ardito 
genio  di  Gioviano  Fontano  . 

Io  non  so,  ne  ni'interella  fa  pere  ,  con  quanta  giù- 
flizia  l'Accademia  Romana,  ed  il  Portico  Napolitano  con- 
trarino r  anteriorità  dell'  iftituzione  all'  Accademia  Fio- 
rentina .  Certa  cofa  è ,  che  cotefte  Società  non  tentaro- 
no paflare  il  confine  dell'  imitazione .  Letteratura  ,  erudi- 
zione, belle  arti,  ed  in  ilpecie  l'oratoria,  e  la  poetica 
furono  gli  oggetti ,  che  fi  propofero .  Fontano ,  che  nel 
Portico  aveva  tenuto  il  luogo  del  veterano  Panormita 
ancor  vivente ,  in  morte  fuccedendogli  con  pieno  dritto, 
cangiò  il  piano  dell'  iftituzione  ,  ed  in  fegno  del  graa 
cangiamento,  abolito  l'antico  titolo,  fu  furrogato  quel- 
lo di  Accademia  Pontanìana;  ex  qua  (piacerai  di  tra- 
Icrivere  il  luogo  di  Giacinto  di  Cridofaro  rapportato  dal 
P.  de  Sarno  )  Ikterati  viri ,  velut  ex  equo  Trojano  excun- 
tes,  undique  honas  artes  propagarum  ;  adeo  ut  per  eain 
Poejìs^  Reihorica,  Hijioria  ,  Jur'fprudentia,  Grammatica, 
Critica ,  &  deinceps  Philofophia  ,  Medicina  ,  Geometria, 
Ajìronomia ,  ceteraeque  liberales  difcipUnae  perfecìiores, 

5  6 


34 

&  cuìtiores  evaferint  '.  In  quefto  piano  di  facoltà  non 
riconofcete  voi  Signori  il  primo  articolo  de'  voftri  fta- 
tuti  ?   Non  è  deffo  il  piano  della  libera  Filofofia  ? 

Se  non  è  incorante  la  regola  di  natura  ,  che  ogni 
facoltà  eccitata  ama  di  efercitarfl  con  perpetuo  progref- 
fo;  Fontano,  il  quale  aveva  in  giovane  età  fcorfo  fino 
agli  eflremi  il  Regno  dell' imitazione ,  come  mofìrano  le 
incomparabili  opere  fue  d'erudizione,  di  eloquenza,  e  dì 
poefia  ;  per  forza  di  natura  dovea  tentare  il  paflaggio 
al  regno  dell'invenzione.  Nelle  opere  filofofiche  è  ma- 
nifefto  il  conato  (a):  l'Accademia  n'efièttuì  la  riufcita  . 
L'efercito  che  lo  feguì  quafi  difcefo  ,  fecondo  la  bella 
immagine  di  Criflofaro,  dal  Cavalla  Trojano  ,  è  porto 
in  ordinata  raflègna  e  diflinto  in  corpi  Acccademici  dall' 
egregio  Signor  Giufliniani  nell'  erudita  operetta  :  breve 
contei^ii  deW  Accademie  ìftituite  nel  Regno  di  Napoli. 
Inutile  farebbe  ripetere  cofe  già  dette,  ed  al  compimen- 
to dell'opera  mia  bada  fegnare,  che  Gioviano  Fontano 
aprì  la  breccia  ,  e  sull'  alta  rocca  deir  invenzione  pofc 
Io  stendardo  della  vittoria ,  e  vi  annunciò  l' ingreflo  del 
Genio  Napolitano  .  Voi  militate  fotto  quella  bandiera  .. 

ME- 


(a)  Il  Fontano  nelle  morali,  e  nelle  fisiche  fcienze  introdulTe  idee  nuove  ,  ed 
anche  oggi  lieneralmente  applaudite.  Egli  è  flato  il  primo  a  proporre  il  (ìftemi, 
che  fa  confiftere  il  piacere  nella  diftanza  da  due  contrari  eflremi;  e  nelle  cofe  fisi- 
che, il  primo  tra  moderni  ha  fatto  parola  della  così  celebre  les^ije  di  continuità  , 
parlandone  come  di'cofa  già  comunemente  adottata.  Veggafi  il  libro  rie  fortitudine 
nel  capo  intitolato  :  Fortitudinsnt  in  mediocritate  effe  pofìtam  .  Vesjqafi  anche  il  Dra- 
£hettt  nelle  fue  DifTertazioiu  Pficolosicbe  DifTetr.  i.  e'I  Tirabofchi  tom.  VI.  p.  u 
«ap.  II. 


ÌS 


MEMORIA 

SULLA.  VITA  DI  DANTE 
DEL  SIGNOR  GIUSEPPE  DE  CESARE 

SOCIO  RESIDENTE 

letta  nella  Seduta  del  di  31   Luglio   1808 


Cbt  f  anima  di  quel ,  cJ' oie ■,  non  pofa , 
Ni  ferma  feJe  per  exemplo  eh''  haja 
La  fua  radice  incognita    e  nafcofji  , 

Né  per  altro  argomento  che  non  paja 

Daiit.  Farad.  Cant.  XV  II. 


RISPETTABILI    COLLEGHI . 


V  ella  memoria  che  mi  pregio  di  prefentarvi ,  la  vita 
contienfi  del  primo  Poeta  delV  Italia  no/Ira ,  del  divino 
Alighieri.  Avvegnacchè  Boccaccio^  Leonardo  Aretino, 
Crejcimbeni ,  Fabroni ,  ed  altri  ancora  abbiano  dijfufa- 
mente  fcritto  su  quejlo  oggetto  interejfante ,  pure  un  nuo- 


36 

vo  lavoro  sul  medefìmo  femhrarvi  non  deve  una  lette- 
raria fdpcrfetaiione .  Tutte  le  Vite  di  quel  Poeta  foin- 
mo  comparfe  finora  fon  piene  di  lunghe  e  fuperflue 
digrejjloni  ,  e  de''  pregiudiy  de  luoghi  e  tempi  in 
cui  furono  fcritte  .  Niuna  e  difpojìa  e  compilata  sui 
grandi  modelli  delt  Antichità  ,  poiché  niuno  degli  au- 
tori di  quelle  camminar  ha  voluto  sulle  immortali  tracce 
di  Tacito ,  e  di  Plutarco .  Ma  avrò  io  feguìto  degna- 
mente quefle  tracce  onorate  ?  non  ardifco  al  certo  di 
ciò  lufingarmi  :  ho  fol  procurato  di  allontanarmene  il 
meno  che  le  mie  deboli  for\e  mi  ahhian  permejfo  . 

Gradite  pertanto^  a  miei  Colleghi,  in  atteftato  della 
filma  che  nutro  pei  talenti  ,    e  per  le  virtù  vofìre  ,  e 
del  nodo  fi  aterno  che  a  voi  mi  lega,  gradite  T  omag- 
gio che  ora  ho  t  onor  di  farvi  di  quejla  mia  quaìfiajl 
memoria  sulla  VITA  DI  DANTE. 


ÀUor. 


37 


^allorquando  i  degeneri  difcendenti  d'  illuftri  ante- 
nati con  turpi  e  vili  opre  la  gloria  di  quelli  ofcura- 
no  ,  e  le  onorevoli  gefte  ,  di  gran  lode  degno  al  certo 
è  quegli  tra  effi  ,  che  ,  libero  ancora  dal  comune  con- 
tagio, di  allontanar  tenta  dall'erroneo  fentiero  i  traviati 
fuoi  congiunti  col  prefentar  loro  alla  naente  quella  glo- 
ria pallata  ,  e  quelle  nobili  gefte  .  Così  nell'  attuai  de- 
cadenza dell'Italia  nofira ,  è  da  commendarli  lo  zelo  di 
quel  cittadino  di  ciTa ,  che  a  rammentar  imprende  la  vi- 
ta luminofa  di  qualche  uomo  infìgne  ,  il  quale  con  le 
file  opre  ,  e  col  fuo  ingegno  onor  grande  arrecato  abbia 
all'Italico  nome,  ora  foprattutto  che  quello  nome  Tonor 
fuo  primiero  rivendicar  fembra,   e  l'antica  fua  gloria. 

Né  folamente  alla  brillantiflìma  epoca  della  romana 
potenza  ricorrer  dobbiamo  per  rinvenire  uomini  forami 
di  ogni  genere  ;  potendo  noi  volger  anche  lo  fguardo 
verfo  quel  medio  evo  tenebrofo  tanto  pel  refto  dell'Eu- 
ropa ,  e  chiaro   fbl  per  l' Italia  . 

Nel  mentre ,  infatti ,  che  la  fuperftizione ,  la  feodali- 
tà ,  la  tirannia  giorni  d'ignoranza,  e  di  fangue  fcorrer 
facevano  per  tutte  le  altre  parti  dello  fquarciato  roma- 
no imperio  ,  nel  noftro  felice  fuolo  foltanto  con  libera- 
lifllme  forme  di  governo  riforgevano  il  patriotifmo  , 
il  valor  militare,  le  fcienze  ,  il  commercio,  e  le  arti.- 
Bello  era  il  vedervi  piccioli  repubblicani  flati  relìfter 
non  folo  alla  potenza  politica  de'  più  gran  Sovrani  dell' 
Europa,  ma  benanche  alla  più  ellefa  e  più  temuta  mo- 
rale 


3^ 

rale  potenza  de'  romani  pontefici  ,  e  gV  ingiufii  anate- 
mi ,  che  non  pel  ben  della  Chieia  ,  ma  per  isfrenata 
ambizion  di  potere,  da  taluni  di  cofìoro  eran  lanciati, 
e  che  la  corona  flrappavan  dal  crine  agi'  imperadori 
alemanni  ,  ai  monarchi  franced  ,  venir  difprezzati  e 
fcherniti  da  Venezia  ,  da  Genova  ,  da  Fifa  ,  da  Firenze^ 
da  Siena  ,  e  da  altre  indipendenti  città  del F  Italia  ,  ove 
r  amor  della  libertà  ,  e  della  patria  ben  più  alto  par- 
lava di  qualunque  umano  affetto  ,  e  della  flefla  reli- 
gione (i)  .  Bello  era  il  vedervi,  a  cagion  di  efempio,^ 
in  fulla  fine  del  fecol  decimoterzo  ,  quando  il  rello  delF 
Europa  altro  uomo  celebere  prefentar  non  poteva  all'  a- 
fpetto  del  mondo  che  Alberto  Magno  ,  S.  Tominiafo 
d'  Aquino  dar  preffo  noi  un  tanto  lurtro  alla  metafili- 
ca ,  e  alla  teologia  colle  dotte  fae  opere  ;  Cimabuc ,  e 
Giotto  far  riforgere  la  fierduta  pittura  ,•  Fra  Guittor.e  di 
Arezzo  inventar  la  fcala  della  mufica  ;  Guido  Guinicclll 
da  Bologna  ,  Guido  Cavalcanti  da  Firenze  ,  e  Cjno  da. 
Piftoja  non  indegnamente  verfeggiare  in  volgar  poeda  ;. 
ed  il  creator  del  bello  e  foave  noftro  idioma,  il  fom- 
mo  Dante  portarla  a  quel  grado  di  fplendore  ,  e  di 
altezza  ,  d'ande  ninno  de'  poeti  fuoi  fuGcelFori  ha  mai  più 
potuto  rimuoverla  ,  e  lafciarci  nella  veramente  divina. 
fui  Commedia  un  opra  profondifTima  di  filofofia  ,  di 
floria  ,  di  teologia  ,  e  di  morale  ,  da  formar  per  fempre 
r  ammirazione  ,  e  l' incanto  de'  meravigliati  fuoi  poderi. 
Or  di  quefto  grand'  Uomo  a  narrar  mi  accingo  li 
vita ,  affiu  di  ergere  un  fecondo  ,   benché  rozzo    monu- 

mea* 


39 
mento  (i)  alla  fua  gloria  ;  e  quello  mio  forfè  ardito 
tentativo  fcufato  elTcr  dovrà  certamente,  fé  noti  laudato 
per  r  amor  della  patria ,  e  dell'  Italica  gloria  ,  che  me 
ne   ha  dellata  V  idea  . 

Dante  (3)  Alighieri  nacque  in  Firenze  nel  1^65.  da; 
nobili  genitori  .  Il  fuo  Padre  Aldighierì  ,  fé  dobbiara 
credere  al  Boccaccio ,  l' origin  traeva  da  un  Elifeo ,  del- 
la nobiliflìma  famiglia  Frangipane,  venuto  da  Roma  (4) 
in  Firenze  .  Ma  fia  pur  qual  vuolfì  una  tale  origin 
della  fua  famiglia ,  certo  è  che  Cacciaguida  di  lui  tri- 
tavolo  perde  la  vita  pugnando  contro  i  Mufulmani  fot- 
to  le  infegne  di  Corrado  di  Svevia  Alemanno  Impera- 
tore (5)  .  Di  fua  madre  a  noftra  memoria  altro  non 
giunfe  che  il  nome  :  fappiamo  che  fu  elTa  chiamata  Ma- 
donna Bella . 

Quantunque  perduto  egli  aveflè  il  padre  nella  fua 
puerizia  ,  pur  fu  allevato  nella  coltura  di  tutt'  i  buoni 
Hudj  per  V  opra ,  e  diligenza  della  faggia  ed  amorevo- 
le madre.  Brunetto  Latini,  gran  filofofo  e  letterato ,  per 
quanto  il  comportava  quel  tempo  ,  fu  fuo  maeftro  in 
tali  ffudj,  infegnandogli ,  fecondochè  dice  Io  fleffo  Ali- 
ghieri ,  con"  dolci  e  paterni  modi  come  t  uom  fi  eter- 
na colle  fue  opre  onorate,  e  coi  belli  prodotti  del  fuo 
ingegno .  Leggefi  benanche  nel  rinnomato  commento  di 
Benvenuto  da  Imola  ,  che  non  folamente  in  Firenze  , 
ma  eziandio  in  Bologna  ,  ed  in  Padova  attefe  Dante 
ad  ammaeflrarfi  nella  naturale  e  moral  filofofia  .  A 
preferenza  egli  però  applicoffi    a   guftar  le  bellezze  dei 

poe- 


poeti  claiKìci  del  Lazio,  e  principalmente  di  Virgilio  , 
le  quali  pofcia  trasfufe  tutte  nel  Tuo  Poema  ,  perchè 
con  nuovo  vi  brillaffero  ,  e  con   più   vivo  fplendore  . 

Dotato  di  un  cuor  fenfibile  ,  e  di  un  umor  malin- 
conico e  lilenziofo  doveva  elìer  egli  neceflariamente  av- 
volto negli  amorofi  lacci  ,  ove  non  cadon  facilmente 
gì'  infenfibili ,  i  loquaci  ,  e  gii  allegri  .  Narraci  in  «-f- 
fetto  il  Boccaccio  che  fin  dalla  fanciullefca  età  di  anni 
nove  fu  Dante  prcfo  da  un  caldo  affetto  per  Beatrice  figlia 
di  Folco  Portinari,  nobil  fanciulla  Fiorentina ,  e  bella  al 
<li  fopra  di  ogni  altra  j  la  qua!  da  lui  vifta  per  la  prima 
volta, in  un  gran  convito  gli  parve  non  figliuola  di  uomo 
mortale.,  ma  di  Dio,  come  enfaticamente,  e  colle  fer- 
vide efpreffloni  dell'  amore  egli  fleflb  ne  dice  in  una 
delle  fue  opere  .  Da  quefla  fua  amorofa  e  fenfibile 
tempra  ripete  aflolutamentc  l' Alighieri  il  fuo  genio  poe- 
tico ,  e  r  efl'erfi  tanto  elevato  su  quelli  che  a  tempi 
fuoi  di  afcender  tentavano  la  fcofcefa  e  diflìciliffima 
via  del  Parnafo.  E,  a  dir  vero,  che  di  bello  e  di  gran- 
de potrà  mai  immaginare  ,  o  tentar  colui  che  non  ha 
■mai  amato?  Gli  uomini  tutte  le  lor'  azioni  rivolgendo 
a  due  oggetti  ,  alcune  a  procuraifi  V  amore  e  la  flima 
de'  loro  firaili  ,  altre  ad  incuter  agli  fìefli  riverenza  e 
terrore,  nafcon  neceflariamente  da  quelle  la  pace,  il  ben 
elTere ,  e  la  felicità  della  razza  umana;  da  quefte  la  di- 
fcordia ,  la  miferia ,  le  guerre  ,  e  tutt'  i  mali  figli  dell 
odio  ,  e  dell'ambizione  .  Benediciam  dunque  altamente 
l'amore,  e  rendiani  grazie  all'Autor  della  Natura  ,  che 

ha 


41 
ha  impreflb  nel  cuore  umano    quefto  iftinto  focievole  , 
forgente  di  tutt""  i  beni  ,    di  tutte  le   virtù  ,    e  di  ogni 
grande  e  bella  cofa  ;  il  quale  tanto  contribuì  a  sviluppa- 
re il  genio  fecondo  e   luminofo  del   noftro   Alighieri. 

Ma  r  animo  di  quefto  grand'  Uomo ,  formato  per  tutte 
le  nobili  e  fublimi  padloni ,  non  lafciò  talmente  vincerli 
dair  amore ,  che  la  voce  della  patria  non  fi  facefle  an- 
che a  lui  fentire ,  e  non  lo  menafle  in  campo  contro  i 
nemici  del  fuo  paefe  alla  famofa  battaglia  di  Campaldi- 
no,  vinta  da' Fiorentini  su  quei  di  Arezzo  nel  12 85. 
Ivi  died'  egli  alte  pruove  di  quel  patriotismo  ,  e  di 
quel  valore  ,  che  formavan  allora  la  caratteriftica  degli 
Italiani  ,  e  che  avrebbero  portata  di  nuovo  V  Italia  a 
queir  alto  punto  di  gloria ,  e  di  potenza ,  cui  innalzata 
r  avevano  i  Romani ,  fé  i  cittadini  di  efla ,  in  vece  di 
puntar  le  parricide  lor  armi  contro  di  fé  raedefimi ,  ri- 
volte le  aveflero  piuttoflo  contro  lo  flraniero  ,  avido 
fempre  delle   fue   ricchezze,   e  del   fuo  fargue  . 

Nel  I  290.  grave  e  profonda  ferita  fofFrì  il  fuo  cuo- 
re ,  involata  eflcndogli  da  immatura  morte  la  fua  vez- 
zofa  Beatrice.  Amariffima,  come  fi  dee  credere,  gli  fu 
quefìa  perdita  ;  e  qual'  altra  invero  effervene  può  mag- 
giore per  un'anima  afFettuofa  e  ben  formata,  che  quel- 
la del  vago  oggetto  di  un  tenero  amore?  11  tempo  con- 
folatore  dei  cuori  volgari  non  fa  che  inafprir  la  di  lei 
piaga,  né  in  altro  può  trovar  efla  un  follievo  che  nel- 
la ragione,  e  nella  filofofìa  ;  la  imponente  di  cui  vece 
di  fottoHietterfi  le  ingiunge    alle  leggi  eterne    ed  iaimu- 

6  ta- 


42 

tabili  dell'  Autor  della  Natura ,  il  quale  a  tutte  le  co- 
fe,  che  hanno  avuto  un  principio,  ha  importo  un  fine. 
Quindi  nella  filofofia  Dante  cercò  ,  e  rinvenne  il  fuo 
riftoro;  ed  ottenuto  pienamente  ei  l'avrebbe,  fé  Tamor 
della  patria ,  che  Tempre  altamente  in  lui  parlava ,  get- 
tato non  lo  aveffe  nell'  amminiftrazione  de'pubblici  affa- 
ri, forgente  infaulla  di  tutt'i  mali  che  precipitaron  sul 
fuo  capo ,  e  che  lo  afFUiTero  coftan temente  per  tutto  il 
reito  della  fua   vita. 

Prima  di  parlar  peraltro  delle  Tue  fventure  politiche, 
fa  d'uopo  rammentar  benanche  le  fue  domelliche  fven- 
ture .  I  congiunti  di  lui ,  per  follevarlo  dalFangofcia  in 
che  immerfo  avealo  la  morte  di  Beatrice ,  il  maritarono 
a  Madonna  Gemma  de'Donati ,  dalla  quale  ebbe  più  figliuo- 
li .  Tuttavolta  fia  per  le  fisiche ,  fia  per  le  morali  imper- 
fezioni di  coftei ,  r  Alighieri  non  fu  fpofo  contento ,  e 
appena  che  il  potette  ,  lì  allontanò  dalla  moglie  ,  ne 
ào[K)  il  fuo  efilio  mai  più  la  rivide  .  Il  Boccaccio  da 
ciò  conchiude  che  ai  filofofi  non  fi  convien  punto  la 
accafarfi ,  e  forfè  non  a  torto  il  dice  ,  ove  con  donne 
effi  noi  facciano  di  temperamento  faggio  ,  di  condotta 
onefta,  e  di  piacevole  umore. 

Nell'anno  1300  per  di  lui  fatale  fciagura  fu  egli 
eletto  un  dei  Priori  della  fua  Repubblica  j  raagiftratura 
preifo  la  quale  propriamente  rifedeva  il  governo  del  Fio- 
rentino Stato  (6).  Ma  per  minutamente  efpor  le  vicen- 
de di  quella  funefta,  febben  intereffantiffima  epoca  del- 
la vita  di  Dante  ,  convien  dir  prima  qualche  cofa   sulla 

pò- 


4J 
politica  fituazion  di  Firenze  ,  allorquando  fu  eg  li  chia- 
mato a  governarla. 

Dopo  lunga  tenzone  fra'fuoì  cittadini  Guelfi,  e  Ghi- 
bellini ,  quefta  Repubblica  reftata  era  in  arbitrio  de'Guelfi, 
e  già  di  qualche  calma  ella  godeva,  quando  una  nuo- 
va pefìifera  fciffione  venne  dalla  vicina  Piftoja  a  lace- 
rarle il  feno  .  Era  quella  Città  divifa  allora  tra  le 
fazioni  dei  Neri,  e  dei  Bianchi,  forte  in  feguito  di  fan- 
guinofe  riffe  tra  i  membri  di  una  delle  prime  e  più  po- 
tenti fue  famiglie  (7).  EiTendo  in  quel  tempo  dominata 
Pilìoja  da'Fiorentini ,  ordinato  fu  da  coftoro ,  che  i  capi 
delle  due  fette  in  Firenze  veniflero  ,  onde  torre  ogni 
cagion  di  fcandalo^  e  di  difordìne  nella  foggetta  Città. 
Ma.  avendo  quefti  capi  in  Firenze  amicizie,  e  parentele 
grandiffime  ,  fecer  partecipare  ai  Fiorentini  gli  odj  ,  ed 
il  rancor  loro;  e  forger  \i  fecero  Bianchi,  e  Neri  più 
furenti  e  più  alìiofi  di  quelli  fleffi  eh'  elidevano  in  Pi- 
floja .  Mentre  V  Alighieri  dunque  fedeva  in  governo ,  la 
parte  Nera  tenne  una  clandellina  adunanza ,  nella  quale 
macchinò  di  pregar  Bonifacio  Vili  in  allora  regnante 
a  mandar  in  Firenze ,  aifin  di  pacificare  i  cittadini ,  Car- 
lo di  Valois  della  Cafa  di  Francia ,  chiamato  in  fegui- 
to Carlo  fenza  terra  per  effer  vani  riufciti  tutti  li  ten- 
tativi fuùi  onde  procurarfi  il  dominio  di  un  qualche 
Stato .  I  Bianchi  faputo  avendo  quelle  tenebrofe  macchi- 
nazioni,  fi  armarono,  e  fortificaronfi  foUecitamente  nelle 
lor  cafe  ;  i  Neri  dal  canto  loro  fecer  lo  {ìeCCo  :  e  sì 
gli  uni,  che  gli  altri  affordavano  delle  lor  lagnanze  il 

*  Go- 


44 

Governo,  e  già  già  minacciavano  dì  venire  alle  mani; 
allorché  i  Priori  per  configlio  veramente  faggio  ,  e  pa- 
triotico  di   Dante  armarono  il  Popolo ,  e ,  munitifì  dell' 
affiftenza  di  quefto ,  confinarono  i  capi  delle  due  parti,  s 
T^eri  in  Caflel  della   Pieve  verfo  Perugia,  ed  in  Serez- 
zana  i  Bianchi,  fra  i  quali  fu  il  celebre  Guido  Caval- 
canti, tanto  tenero  amico  dell' Alighierr.  Poco  dopo  fa 
permeflo  a  quefti  ultimi  di  ritornare  in  patria  ;    locchè 
indifpettì  tanto  acremente  il  partito  Nero ,  che  lo  ftefla 
indufle  Bonifacio  a  mandar  Carlo  in  Firenze  ;    il  quale 
richiamar  fece  fubito  i  Neri ,  e  cacciar  in  feguito  i  Bian- 
chi ,  col  pretefto  che  gli  avefl^er  coftoro  promeflb  il  pof- 
feflb  di  Prato,  fé  li  reftava  padroni  del  governo.  Dante 
che  trovavafil   in  miffione   a  Roma,  inviato   ambafciator 
(8)  preflb  il  Papa  per  procurar  la  concordia    de"  citta- 
dini ,  fu  nel  numero  dei  banditi .  Confiscati  furono  i  fuoi 
beni,  faccheggiate  le  fue  cafe,  e  malmenata,  e  diftrutto 
o»ni  fuo  avere  .    E  così  quell'  ingrato  Popolo  maligno 
ricompensò    il    patriotisrao  ,    e    le    cure    di  un  sì  gran 
Cittadino  .    Non  io  diffimulerò  peraltro  che  lo  aecufan 
taluni  di  favor  fegreto  per  la  parte  Bianca;  ma  ciò  non 
è  ficuro  affatto;  e  fé  pur  fofTe  fiato,  chi   mai  condan- 
narlo potrebbe  di  elTerfi  mofìrato  avverfo  a  quei  citta- 
dini sleali  ,   che  metter  volevano  la  libertà  pubblica  in 
balìa  dello  ftraniero  per  foddisfare  il  cieco  lor  livore  , 
e  di  aver  per  quegli  altri   inclinato  nel  numero  dei  quali 
trovavafi  il  virtuofo  e  tenero  amico  del  fuo  cuore.'  Se 
■vorrà  tuttavolta  confiderarfi    che  il  favore  accordato  ai 

Bian- 


4^5 
Eiancbi  ài  ritornare  in  patria ,  a  preferenza  dei  Neri  , 
avvenne  quando  egli  più  non  era  in  governo;  che  Gui- 
do Cavalcanti  era  già  morto  nel  luogo  del  fuo  cfilio  j 
e  che  anzi  la  perdita  di  un  uomo  sì  celebre  cagionata 
dair  aria  infetta  di  quel  luogo  ,  fervi  di  prctello  al  ri- 
torno dei  Bianchi ,  Dante  refterà  purgato  ancora  di  que- 
lla ingiufta  taccia  ,  e  refterà  del  tutto  cancellata  que- 
lla ben  leggiera   macchia  alla   immenfa  fua   gloria . 

Ma  di  tante  veflazioni  non  anche  fazj  i  furibondi 
fuoi  nemici ,  pochi  meli  dopo  contro  lui  emanar  fecero 
una  nuova  fentenza  ,  nella  quale  il  condannavano  ad  ef- 
fer  vivo  abbruciato,  fé  in  potere  veniva  de' Fiorentini, 
e  rimproveravangli  grandiffime  baratterie  ,  eflorfioni ,  ed 
illeciti  guadagni  (9)  :  accufe  impudenti  e  mal  fondate  , 
che  non  imprenderò  a  dileguare,  per  non  oltraggiar  le 
virtù  di  un  sì  grande  Uomo  (io)  .  Ma  non  allor  la 
prima  volta  un  furente  partito  vincitore  edefe  la  fua 
rabbia  fino  a  denigrar  con  calunnie  ,  non  so  fé  più  pue- 
rili che  infami  ,  il  chiaro  ed  illibato  nome  delle  inno- 
centi fue  vittime  ;  e  dolorofa  efperienza  quafi  1'  Europa 
intera  ne  ha  fatta  in  quelli  infaufìi  ultimi  tempi  ,  '  nei 
quali  la  nobiltà ,  le  rìcche^r^e ,  gli  avuti ,  o  rifiutati  onori 
eran  delitti  ,  e  le  virtù  ruina  certa  ,  come  Tacito  con 
tanta  verità,  ed  eloquenza  de'' fuoi  tempi  diceva  (il)» 
Saputo  avendo  in  Roma  la  fua  difgrazia  ,  che  in  gran 
parte  dal  Papa  egli  ripeteva  ,  Dante  ne  part^  pieno  di 
quello  fdegno  ,  che  fcoppiar  poi  fece ,  con  tanto  dan- 
no del  nome    di  Bonifacio,  in  uno  dei  più  intereflanti 

fquar-. 


46 

fquarci  della  Divina  Commedia  (la) .  Fermatofi  alquanto 
in  Siena  ,  indi  in  Arezzo ,   un  abboccamento  in  queiVul- 
tima  città    egli    ebbe  coi  capi  dell'  efpulfa   parte  ,    nel 
quale  rifolvetter  coderò  di  tentar    con  la   forza  il  loro 
ritorno   in   patria  .   Redo  ivi   in  compagnia   di  effi  ,  tra  le 
fperanze  ,  ed   i   varj  configli  ,  fino  al  1304,  epoca  nelle 
quale  i   Bianchi  radunato  avendo   molta  gente  ,    e  reca-   1 
till   ad  attaccar  Firenze ,   già  fi  erano   impadroniti  di  una 
delle  fue  porte  ,    allorché    ne  furono  da  quei  cittadini 
erpulfi  con  gravifiimo  lor  danno  .  Puufcito  vano  un  tal  ten- 
tativo ,  altri  confeffi  ebber  luogo  tra   i  capi  della  vinta 
parte  ,    e  fingolarmente    uno  in   Mugello  ;    donde  niurx 
vantaggio  eflcndoiì   ottenuto  ,  FAlighieri  fi  ritirò  preflb 
Alboino  della  Scala ,  Signor  di  Verona  ,  da   lui  chiamato 
per  riconofcenza  il  Gran  Lombardo  ,  che  generofamente 
il  trattò ,  e  foccorfe  .   Reflò  egli  pofcia   per  qualche  tem- 
po in   Lunigiana  prcffo  il   Marchefe  Maroello  ,  o   Mar- 
cello  Malafpina  ,  da  cui  fu  anche  accolto  benignamente, 
ed  impiegato  in  rilevanti  coramiffioni  (13)  •    In  ricom- 
penfa  de'  quai  beneficj   mandò  egli    alla   immortalità  la 
munificenza  ,  ed  il  valore  di  quella  illustre  famiglia  nell' 
aureo  paflaggio  relativo  alla  medefima,che  incontrafi  nella 
cantica  II  del  fuo  poema  .     Avvi    luogo    a  credere  ciò 
non  ottante  ,  eh'  egli  provato  avefle  un  qualche  dirgufto 
in  quello  fecondo   (  1 4)   fuo  ofpizio  ,     poiché   nel    I  3  1 1 
portofii   di  nuovo  in  Verona  preflb  Cangrande  della  Scala 
fucceduto  al  fuo  fratello  Alboino  nel  dominio  di  quel- 
la città  ,    ed  uno  dei  più  valorofi    e    più  munifici  Si- 
gio- 


47 

gnorotti  dell'Italia .  Fu  Dante  dallo  fleflb  pure  con  afTa- 
bilita  fomma  ricevuto ,  non  meno  che  foccorfo  ,  protetto, 
ed  onorato;  come  ne  fa  fede  Tentufiasmo  col  quale  egli 
efprimefi  sulle  virtù  di  quefto  Principe  nella  terza  Cantica 
del  fuo  Poema  ,  al  medefimo  dedicata .  Diverfi  viaggi  egli 
fece  eziandio  in  Bologna ,  h\  Padova ,  ed  in  altre  prin- 
cipali Città  Italiche,  e  fi  recò  per  fino  in  Parigi,  ove 
principalmente  la  teologia ,  e  la  filofofia  occupoiri  a  flu- 
diare,  e  foftenne  in  quelle  facoltà  alcune  folenni  e  dot- 
te difpute.  Da  Verona  procurò  egli  d'impietofir  gli  ani- 
mi degP  ingrati  fuoi  concittadini  ,  con  una  lunga  e  pa- 
tetica lettera  ,  che  cominciava  con  quelle  affettucfe  pa- 
role del  Nazareno  Popule  meus  quid  feci  ubi  !  Ma  l'ani- 
mo difdegnofo  ed  elevato  di  un  tanto  Uomo  ricusò  per 
altro  di  fottoporfi  ad  una  vii'  ammenda  di  colpe  non 
commeIle,che  da  taluni  fuoi  amici ,  i  quali  intereflàvanfi 
al  fuo  richiamo  nella  Patria  ,  gli  venne  propolìa  come 
la   principal  condizione  del  richiamo   medefimo , 

Del  rollo  Errico  VII  di  Luxembourg  efièndo  ver- 
fo  quella  epoca  fcefo  in  Italia  con  olle  numerofiflì- 
nia ,  e  già  afl'ediando  Brefcia ,  l'Alighieri  fianco  delPinu- 
tilità  delle  fue  preghiere  ,  e  del  fuo  viver  ritirato  ,  e 
tranquillo  fi  unì  di  nuovo  ai  capi  della  parte  Bianca , 
ed  a  tutt'i  Ghibellini  dell'Italia  affin  di  fpinger  l'Im- 
peradore  a  domare  i  Guelfi ,  ed  a  render  la  pace  a  que- 
lla bella  e  floridifiìma  parte  dell'  Europa  .  Ma  tanto 
potette  suir  animo  fuo  la  riverenza  della  patria  ,  ed  il 
rimorfo  di  afioggettarla  allo  llraniero,  che  ilando  Arri- 
go 


4*8 

go  accampato  preflo  le  mura  di  Firenze  ,  egli ,  benché 
chiamato ,  non  volle  recarli  nel  fuo  campo ,  quad  arrof- 
fendo  di  un  trionfo  che  arrecar  doveva  Servitù  ,  e  ca- 
tene alla   fua  patria. 

11  cattivo  efito  della  fpedizione  di  Arrigo  feguito  ef- 
fendo  dalla  morte  di  effo  avvenuta  in  Buonconven- 
to,  Dante  perdette  ogni  fperanza  di  ritorno,  per  aver 
colla  fua  condotta  maggiormente  aizzato  contro  lui  i  Fio- 
rentini; e  nel  13 19,  in  feguito  di  preffanti  inviti  fat- 
tigli dal  Conte  Guido  Novello  di  Polenta  in  allor  re- 
gnante a  Ravenna  uno  de'  più  colti  e  più  gentili  Si- 
gnori Italiani  ,  e  padre  della  bella  ed  infelice  France- 
fca  d' Arimino  (l  5) ,  fi  recò  egli  alla  corte  di  quel  Prin- 
cipe, e  vi  fu  pregiato,  foccorfo ,  ed  incaricato  di  varie 
importanti  miffioni ,  fpecialmente  di  un'  ambafciata  prefTb 
i  Veneziani  .  Ma  1'  efito  di  quella  effendo  flato  infeli- 
ciffimo  (16),  egli  fé  ne  tornò  oltremodo  afflitto  in  Pl£- 
■venna,ove  ai  14  Settembre  del  132,1  lafciò  la  mortale 
fua  fpoglia  con  dolore  fbmmo  di  Guido  ,  e  di  tutt'  i 
buoni,  e  dotti  dell'Italia.  Fece  quel  magnifico  Signore 
deporre  il  cadavere  dell'  Efule  illuflre  su  di  un  feretro 
decorato  di  poetici  ornamenti ,  e  portato  sugli  omeri  dei 
primarj  cittadini  chiuder  lo  fece  in  un'arca  lapidea  preflo 
la  Chiefa  de'  Frati  minori  ove  fi  elevò  pofcia  un  più 
pompofo  e  più  degno  monumento  per  1'  opra  di  un 
dotto  Signore  Veneziano,  e  di  due  illuftri  Porporati  (17) 
tanto  delle  lettere  benemeriti  e  dell'Italia.  Accompngnò 
il  Conte    il  funebre  corteggio  del  Poeta    fino    al  luogo 

del 


4^ 

del  fuo  fepolcro ,  e  quindi  tornato  nella  cafa  ove  quefti 
abitato  avca  ,  vi  recitò,  fecondo  il  Ravegnano  coftume  , 
l'elogio  de'fuoi  talenti,  e  delle  virtù  fue ,  a  gloria  eterna 
de' Grandi   del  fuo  tempo,   e   a   difonore  dei   nodri  . 

La  fama  di  un  tanto  Uomo  grandilFima  nella  fua  vita, 
ma  fatta  gigante  dopo  la  fua  morte,  già  riempiuta  avca 
ritalia  tutta.  Nel  1350  Giovanni  Vifconti  Arcivefco- 
vo  di  Milano  riunì  fei  dotti  uomini  per  fpiegar  ,  e 
commentar  1'  Alighieri  ,  cioè  due  filofofi  ,  due  teologi  , 
e  due  Fiorentini ,  con  felice  idea  da  apportar  non  lieve 
onore  a  quel  colto  Prelato .  Boldgna ,  Fifa ,  Venezia ,  e 
Piacenza  ebbero  eziandio  pubblici  efpofitori  del  fommo 
Poeta  ;  e  Firenze  flelFa ,  piena  di  rolTore  ,  e  di  rimorfl 
per  le  ingiufte  perfecuzioni  fatte  a  un  sì  grande  fuo  Cit- 
tadino, nel  1373.  falariò  un  pubblico  lettore  per  illu- 
llrare  ,  e  commentar  le  di  lui  opere  ;  onor  Angolare 
che  toccò  per  la  prima  volta  all'  illuflre  Boccaccio .  Efla 
decretògli  inoltre  nel  1396  un  cenotafio  nella  Cattedra- 
le ,  e  più  volte  in  appreffo  ne  reclamò  da  Ravennati 
le  ceneri.  Ma  ne  fu  efeguito  il  fuo  decreto  ,  ne  efau- 
dita  la  fua  domanda;  ed  a  vergogna  indelebile  di  quella 
Città,  e  di  coloro  che  per  cinque  fecoli  1'  han  gover- 
nata (18)  altra  memoria  ella  non  conferva  di  un  così 
illuftre  fuo  figlio  ,  che  un  vecchio  e  polverofo  di  lui 
ritratto  in  una  delle  pareti   interne  del   Duomo. 

Ebbe  Dante  la  flatura  mezzana,  il  volto  lungo,  gli 
occhi  piuttoflo  groflì,  il  nafo  aquilino,  le  gote  grandi, 
il  labbro  fuperiore  rilevato,  il  color  bruno,    la  barba. 


50 

ed  i  capelli  neri    folti  e  crefpi ,    V  afpetto  grave  infìe- 
tne  e   piacevole.   Parlava  rado,  ma  bene,  ed  anche  elo- 
quentemente ove   n'avea  l'occalione.  11  fuo  tratto  benché 
fcrio ,  era  cortefe .   ModeratUrimo  egli  era  ael  cibo  ;   nel 
veflire  pulito  in  uno  e   modefto .   La  mufica,  che  tanto 
alletta  le  belle  anime  ,  amò  egli  eziandio  con  trafpor- 
to  ,    e  r  ebbe    tra  le  più    foavi    delizie    della  fua  vi- 
ta    (19)   '    Vero    è    per    altro    che    tante    pregevoli    e 
brillanti  qualità ,  per  la  imperfezione  intrinfeca  alle  mon- 
dane colè ,  da  talune  leggiere   macchie  furono  ofTufcate. 
Vien   egli  quindi  tacciato  di   foverchia  pendenza    per  li 
amorolì  piaceri,  di  ecceflìva  fete  di  gloria  ,    e  di   efler 
Hato  ambiziofo  e   fuperbo  oltre  il  dovere.   Ma  fé  Dante 
necetTariamente  dovette  avere  alcuni  di  quei  difetti ,  da 
quali  niun  de'  mortali   può  intera:mente  trovarli   libero  , 
quelli  però  egli  ebbe  delle   anime  fenfibili,  e  dei  carat- 
teri nobili  e  dignitofi,-  e  fé   molto  fé  fletro  llimava,  ben 
ragione  ei  n'  aveva  ,   poicchè  tanto  grande  e  tanto  fu- 
periore  ai  contemporanei  fuoi  egli  fentivafi .  Altri  anco- 
ra chiamato  V  hanno  mordace  troppo ,  ed  aftiofo  contro 
i  fuoi  nemici,  ne  a  dir  vero  ciò  può  del  tutto  negarlL 
Ma  fé  pur  fi  riflette  ch'ei  fu  barbaramente  fpogliato  di 
ogni  fuo  avere,  che  fu  ridotto  non  folamente  a   mendi- 
care un   pane    onde  protrarre    la  penofa    fua  efiitenza  j 
Hia  a  provar  benanche,  come  egregiamente  dice  egli  ael 
canto  primo  del  Paradifo  ,  a  provar 
......  siccome  sa  di  fate 

Lo  pane  altrui ,  e  come  è  duro  calle 

Lo  fcender,  e  falir  per  altrui  fcale,  ^ 


fi  troverà  che  il  carattere  di  quefto  Uomo  fornaio ,  ben- 
ché moderato  e  piacevole  di  fua  natura  ,  pure  dovette 
neceflariamente  alterarli ,  e  prendere  quell'  intolleranza  , 
e  queir  impeto ,  che  dalle  perfecuzioni  ,  e  dalle  difgra- 
2Ìe  fopratutto  immeritate  vengon  per  l'ordinario  prodotti . 
Molte  e  varie  opere  egli  compofe  in  profa  ,  ed  ia 
v€rfi .  Contanfì  tra  le  prime  la  Vita,  nuova  ^  il  Convito^ 
il  trattato  de  Monarchia ,  quello  de  vulgari  eloquentiay 
e  quattro  epilìole .  Contien  la  Vita  nuova  un  ingenui 
iftoria  de'giovanili  fuoi  amori  con  Beatrice ,  frammifchia- 
ta  puranche  di  non  pochi  verfi  .  Il  Convito  fi  è  un  mi- 
nuto ed  ellefo  commento,  ch'egli  ideato  avea  di  fare  a 
quattordici  delle  fue  canzoni,  ma  che  non  fece  effettiva- 
mente fé  non  a  tre  delle  medcfime,fia  che  la  morte  ne  lo 
aveffe  impedito ,  fia  che  rifoluto  egli  aveile  di  non  ter- 
minarlo .  Quello  commento  pien  di  dottrina ,  e  d' inge- 
gno dà  grandi  lumi  per  l'intelligenza  della  Divina  Comme- 
dia ,  e  meritò  di  eilcre  illudrato  da  Torquato  Taffo .  Nel 
trattato  de  Monarchia  fi  fcaglia  contro  le  ufurpazioni 
d^lla  fpirituale  sulla  temporale  potenza ,  con  quello  flef- 
fo  fpirito  di  regalismo  che  fcorgefi  in  tutto  il  corfo  del 
fuo  Poema,  e  che  animato  ha  fempre  tutt'i  grandi  Uo- 
mini dell'Italia  (2,0);  e  difende  da  irritato  Ghibellino  l'au- 
torità imperiale  :  ma  fotto  quefto  ultimo  afpctto  più 
dal  fuo  fdegno,  e  dalle  circollanze  in  cui  trovoffi ,  che 
dall'interno  penfier  del  fuo  cuore  fu  certamente  qucll' 
opera  occafionata .  Nel  trattato  de  vulgari  eloqueriiia{i\), 
che  la  morte  gV impedì  di  terminare,  parla  Dante  dcl- 

*  la 


5* 

la  lingua  comune  dell'  Italia  ,  de'  diverfi  dialetti  della 
medefima  ,  e  della  forma  e  natura  de'  verll  e  compo- 
nimenti volgari .  Finalmente  quanto  alle  quattro  fue  epi- 
fìole  fappiam  che  la  prima  fu  quella  da  lui  fcritta  al 
Popolo,  ed  al  Governo  di  Firenze,  della  quale  abbiam 
parlato  di  fopra  ;  che  la  feconda  ei  direfle  ai  Princi- 
pi Italiani,  ed  ai  Senatori  di  Roma  per  invitarli  a  fe- 
condar la  fpedizione  di  Arrigo;  che  la  terza  fu  da  elio 
inviata  a  quello  Imperadore  medefimo  per  muoverlo  alla 
conquifta  dell'Italia,  ed  al  foccorfo  del  Ghibellino  par- 
tito; e  che  colla  quarta  infine  dedicò  egli  a  Cangran- 
de  della  Scala  la  fua  cantica  del  Paradifo  .  Son  quelle 
profe  di  maggiore  o  minor  merito ,  di  maggiore  o  mi- 
nor bellezza  ,  ma  tutte  non  indegne  di  efler  tramanda- 
te alla   pofterità . 

Fra  le  poetiche  compofizloni  di  Dante  annoverar  deg- 
gionfi  trenta  e  più  fonetti ,  e  circa  altrettante  canzoni ,  le 
rime  facre ,  e  finalmente  la  Divina  Commedia .  I  fonetti, 
le  canzoni  ,  e  le  rime  fono  fparfe  di  grandi  e  variate 
bellezze ,  e  ben  vi  fi  fcorge  il  creator  della  lingua  ,  e 
poefia  dell'Italia;  ma  il  genio  profondo  di  quello  Uo- 
mo flraordinario  moftrafi  veramente  in  tutta  la  fua  pom- 
pa ,  e  nel  fuo  pieno  fplendore  in  quell'  ingegnofo  Poema. 

Ei  par  che  Dante  anche  prima  del  fuo  efilio  con- 
cepita aveffe  l'idea  di  lafciar  ai  poderi  un  opra  ,  che 
fotto  le  attrattive  del  patetico,  e  del  meravigliofo  poe- 
tico contenefle  lezioni  fublimi  sulle  fcienze  filofofiche 
teologiche    e  morali  ;    ma  certo  è    che  quella  dolor ofa 

vi- 


n 

vicenda  della  Tua  vita  occafion  gli  diede  di  fervird  del 
fuo  Poema,  come  di  un  arma  contro  i  fuoi  nemici  ,  e 
di  un  nobil  guiderdone  peTuoi  genero(ì  benefattori,  non 
meno  che  di  un  mezzo  da  rammentar  molti  rilevanti  fatti 
pubblici  e  privati,  e  molti  perfonaggi  famod  del  fuo  tempo; 
laonde  una  interelTantilIìma  memoria  iftorica  può  anche 
la  Divina  Commedia  reputare .  Del  refio  ho  io  abbaflan- 
za  fatto  conofcere  altrove  quanto  grande  lia  quello  mo- 
numenta del  fapere,  e  dello  ingegno  Italico,  ne  ciò  può 
efler  giammai  ignoto  a  chi  è  a  cuore  la  maeftà,  ed  il 
luftro  del  nome  Italiano.  Giovami  foltanto  pria  di  por 
fine  alla  mia  opra  di  riferir  una  bella ,  e  fagace  cflerva- 
zione  di  un  colto  Tofcano  ,  che  potrà  farci  conofcer  piena- 
mente qual  Ik  flato  l'Autore  altiffimo  di  queflo  immortale 
Poema.  Dante  al  fuo  tempo  era  in  poefia  quel  che  Giot- 
to era  in  pittura;  Leonardo  da  Vinci,  e  Raffaello  han 
fatto  obliare  Giotto  ;  il  Taflb  ,  e  1'  Arioflo  non  hanno 
fatto  obliar  Dante,  ne  han  potuto  nella  menoma  gui- 
fa  rimuoverlo  da  quell'  alto  feggio  di  onore  ,  ov'  egli 
trionfa ,  e  trionferà  fempre  alla  tefla  di  tutti  gli  Epici 
Italiani;  imperocché  il  bello  delle  circoflanze,e  dei  tem- 
pi fparifce  coi  tempi ,  e  colle  circoflanze  ;  il  bello  aflb- 
luto  refifle  al  rapido  corfo  de'fecoli,  per  effer  fondato 
sulla  Natura  ,  ed  indipendente  affatto  dalle  umane  opi- 
nioni .  Opinionum  commenta  delet  dìes  ,  con  ragione 
efclama  il  gran  Tullio,  opinionum  commenta  delet  dies, 
naturae  judicia  confirmat . 

PolTa 


Pofla  intanto  quefta  mia  debol  narrazione  della  vita  , 
e  delie  opre  onorate  di  un  sì  grande  Uomo  eflèr  di 
fprone  a  belle  e  dotte  intraprefe  dei  figli  dell'  Italia  , 
e  pofla  r  Ombra  di  quel  divo  Ingegno  bandire  T  igno- 
ranza, e  romper  lo  vile  letargo,  in  cui  a  giorni  noflri 
la  più  gran  parte  di  eflì  fi  giace  vergognofamente ,  im- 
memore della  gloria  dei  maggiori  j  e  non  curante  della 
pofterità  . 


AN- 


fi 

ANNOTAZIONI 

(i)  Nella  guerra  che  i  Fiorentini  fotlenner  contro  fJregorio  XI  > 
e  i-he  cominciò  P  anno  131V  ?  crejrono  efTì  una  iMagiftratura  di  ot- 
to cittadini  ptrchc  quella  amminiflrafle  con  ampli  poteri  .  Or  ebbe- 
ne quefti  delegati  del  l'opolo  aveffero  fpogliate  le  chiefe  de'  loro  be» 
ni  ,  dilprezzate  le  cenfure  Pontificie  ,  e  sforzato  il  clero  alla  celebra- 
zione de'  Divini  Offìcj  ad  onta  deli'  interdetto  del  Papa  ,  pure  furono 
circondati  Tempre  dalla  confidenza  nazionale  ,  ed  ottennero  perfino  il 
foprannome  di  Santi:  tanto,  al  dir  di  Macchiavelli,  quelli  cittadini  li- 
mavano allora  più  la  patria,  che  l'anima. 

(i)  Nell'i/a/ne  della  Divina  Commedia  da  me  ptibblicato  il  1807.  ho 
trattato  del  piano  e  della  condotta,  dello  ftile,  e  della  filofofia  profon- 
da di  queir  impareggiabil  Poema  .  Qucfto  opufcolo  pili  utile  che  bril- 
lante ha  meritata  l'indulgenza  di  tutti  i  buoni  Italiani ,  e  fpecialmente 
dell'  illurtre  Monti  ,  il  quale  onoromrai  della  fua  approvazione  in  ter- 
mini oltremodo  affcttuofi  e  lufinghieri . 

•  (3)  11  nome  proprio  del  Poeta  era  quello  di  Durante  »  del  qualff 
Dante  è  uno  di  quelli  accorciativi  ,  e  vezzeggiativi  tanto  ufati  in  Fi- 
renze .  Il  nome  di  Aldighieri  prefelo  fuo  padre  per  parte  materna  da 
una  f:imiglia  di  Ferrara  , 

(4)     Coloro  che  foflengono  quefta  antica  origine  della  cafa  di  Dante,, 
principalmente    (ì  appoggiano  a  ciò  che    nel    canto    XII.   dell'   Inferno 
Brunetto  Latini  maeftro  del  Poeta  ,    predicendogli  gli   eccedi    ai  quali 
i  Fiorentini  contro  lui  portati  iarebbonfi,  gli  dice  ne' fegusnti  verii  :; 
Faccian  le  bejtie  Fief alane  (ìrame 

Di  lor  mede/me ,  e  non  t'occKin  la  pianta  , 
S'' alcuna  /urge  ancor  nel  lor  letame,, 
la  cui  riviva  la  Jemertta  [anta 

Di  quei  Roman  ,  che  vi  rimaftr  quando 
Fa  fatto  il  nidto  di  malizia  tanta  . 
(0  Nel  canto  XV  de!  Paradifo  finge  il  Poeta  che  dallo  fteflb  di 
Itii  tritavolo  narrata  gli  venga  quella  gloriofa  fua  morte,  io  credo  pre- 
f;io  dell'  opra  di  qui  riportar  quefto  bello  fquarcio  ,  il  quale  interef- 
lar  deve  eziandio  pel  frizzo  che  contiene  contro  le  ufurpazioni  dei  Pa- 
pi ,  e  per  le  morali  oflervazioni  che  vi  s'  incontrano  .  Dice  dunque 
Cacciaguidà  al  fuo  nipote  : 

Fot  feguitai  lo  Jmperjtor  Currado,- 
Fd  ei  mi  cinfe  della  /uà  milizia  y 
Tanto  per  bene  oprar  gli  venni  in  grado , 
Dietro  gli  andai    incontro  alla  nequi^u. 
Di  quella  legge,  il  cui  popolo  ufurpa  , 
Per  colpa  del  Paftor  y  vofira  giujìi^ia.  Quivi 


i6 

Quivi  fu^  io  da.  quella  genie  tarpa 

Difviluppato  dal  mondo  fallace  , 

li  cui  amor  molte  anime  deturpa  , 
E  venni  dal  martirio  a  quefta  pace  , 

(6)  La  magiftratura  de'  Priori  cominciò  in  Firenze  alla  metà  di 
giugno  del  1282.  Da  prima  fu  di  tre,  quindi  di  fei,  prefi  indiftinta- 
nieate  tra  i  popolani  ,  ed  i  grandi  ;  e  la  fua  durata  era  di  mefi  due  . 
Dovevano  i  componenti  Tuoi  eflere  afcritti  ad  un  arte  ,  giacché  il  go- 
verno di  Firenze  eflcndo  meramente  democratico,  la  ibvranità  rifedeva 
nelle  corporazioni  degli  artigiani  ;  e  Dante ,  benché  di  nobil  famiglia , 
pure  per  entrar  nel  governo  afcriver  fi  dovette  nella  fella  arte  della 
Città  ,  quella  cioè  degli  fpeziali,  e  dei  medici.  Pare  tuttavolta  che 
anche  prima  dell'  indicata  epoca  i  capi  delle  arti  in  Firenze  il  chiamaf- 
fer  Priori ,  e  che  allorquando  la  democrazia  trionfò  del  tutto  in  quella 
Città  i  fuoi  governanti  prendeffero  una  tal  denominazione  per  fare  la 
coite  al  Popolo  .  Comunque  ciò  fìa  ,  certo  è  che  quefta  magiftratura 
ben  prefto  pervenne  a  fchiacciare  i  grandi  ,  e  con  elfo  loro  il  partito 
Ghibellino  (  vedi  il  Villani  lib.VlI  cayj.Si.,  Melchiorre  di  Coppo  Stefani 
Uh.  111.  cap.  ló/,  e  /38.  ,  l'Ammirato  il  (Giovine  lib.  I.  pag.  (>y.\  il 
Dottor  Targioni  nei  fuoi  viaggi  ediyone  II.  tom,  I.  pag.  60. ,  il  Ca- 
valiere dal  Borgo  dijfert.  VII.  tom.  II.  pag.  /j.  in  not..,  ed  il  Bor- 
ghini  nel  difcorfo  fé  Firenze  ricomprò  la  liberta.,  tom,  II.  pag.^i^^.  ). 

(7)  11  racconto  del  crudele  attentato ,  che  diede  origine  alle  fette 
de'  Bianchi ,  e  dei  Neri  può  vederfi  nel  lih.  II.  delle  Iftorie  Fiorenti- 
ne di  Nicolò  Macchiavelli  ,  edizione  Romana  di  Antonio  di  Biade  pa. 
gin  a  ì8. 

(8)  Se  meritale  fede  Francefco  Filelfo  in  quel  che  fcrilTe  di  Dan- 
te,  dovremmo  dir  che,  in  nome  de'Fiorentini ,  fol^lenne  quefti  fino  a 
quattordici  ambafciate,  a  Sanefi  ,  a  Perugini,  a  Veneziani,  a  Genove- 
fi  ,  al  Marchefe  di  Ferrara ,  al  Re  di  Francia  ,  due  al  Re  di  Napoli  , 
altrettante  al  Re  di  Ungheria  ,  e  quattro  al  Papa  ;  ma  di  tre  fole  , 
cioè  di  quelle  al  Re  di  Napoli  ,  e  di  una  a  Bonifazio  Vili  fi  poffo- 
ro  addurre  o  probabili  congetture  ,  o'  certe  teftimonianze  .  Ciocché 
leggefi  nel  canto  ottavo  del  Paradifo  relativamente  alla  grande  amicizia 
che  Carlo  Martello  Re  di  Ungheria  ebbe  per  l' Alighieri  potrebbe  por- 
tarci anche  a  credere  ad  una  fua  legazione  preOTo  quel  Principe  ,  am- 
nienocchè  non  l'  aveffe  egli  conofciuto  alla  Corte  di  Napoli  ,  effendo 
Carlo  Martello  figlio  di  Carlo  il  Zoppo,  e  fratello  del  Re  Roberto  di 
Angiò . 

(9)  L'  autentico  documento  di  quefta  feconda  condanna  di  Dante 
è  ftato  per  la  prima  volta  pubblicato  dal  Tirabofchi,  e  leggefi  nella  fua 
Storia  della  Letteratura  Italiana  tom.  V.  pag.  ^8S, 

Come 


S7 
(io)    Come  mai  potrebbe  crederfi  reo  di  tante  ribalderie  T  autore 
di  quella  immortale  terzina  : 

Se  non  che  cofcien^ia  rri' affé  cura, 

La  buona    compagnia  che  V  uom  francheggia 

Sotto  r  ufbergo  del  fentirfi  pura  ? 
E'  vero  che  fi  può  anche  predicar  virtù  col  cuore  corrotto ,  e  né  fono 
una  prova  Salluftio ,  e  Seneca  ;  ma  è  vero  altresì  che  fonovi  certe  ef- 
preflìoni  le  quali  vengono  affolutamente  dall'  interno  dell'  animo  ,  C 
ne  dimoftrano  i  più  fegreti  fentimenti .  Tale  fi  è  appunto  la  citata  ter- 
zina del  nortro  Dante;  ed  io  fon  del  tutto  convinto  che  fé  non  avef- 
fimo  altre  irrefragabili  pruove  della  probità  fua ,  baderebbe  fol  quefta 
a  non  farcene  punto  dubitare  ,  ed  a  diftrugger  tutte  le  calunniofe  in- 
venzioni de'  fuoi  nemici  . 

(li)  Nel  magnifico  proemio  delle  Storie  di  Tacito  trovafì  un  int2- 
TefTantiffimo  fquarcio  che  ci  rammenta  gli  orrori  ,  cui  la  Francia  ,  e 
r  Italia  furono  in  preda  in  fui  finir  del  fecol  decimottavo  .  Chi  non 
crederà  infatti  di  udirne  il  racconto  da  quell'egregio  Storico  allorché  fclama 
egli:  plenum  exiliis  mare,  infecli  cxdihus  /copuli:  atrocius  in  urbe  fx- 
vitum  ,  NohiUtas ,  opa  ,  ornici  gefÌLque  honorem  prò  crimine  ,  &  oh  vìr- 
tutes  certljjimum  exitium ,  Nec  minus  premia  delatorun  invifa  quam  [ce- 
lerà ,  cum  aia  facerdotia  &  confulatus  ut  fpolia  adepti  ,  procuratìones 
ahi  &  interiorem  potentiam  ,  agcrent  ftrreiit  ctincta  .  Odio  ,  &  terróre 
corrupti  in  dominos  fervi ,  in  patronos  liberti ,  &  qiiibits  deerat  inimicus 
per  c.micos  oppreffi .  l\Ia  come  a  confolar  l'Uman  Genere  di  tante  fcel- 
leratezze ,  anche  nei  tempi  più  trilli  la  Provvidenza  fa  forger  anime  pure 
intrepide  e  virtuofe  ,  perchè  colle  onorate  lor  opre  arroflìr  facciano, 
e  tremar  fin  nella  fua  potenza  T  iniquità  trionfante ,  così  nel  meh  fu- 
nefto  anzi  ridente  quadro  delio  fleffo  immortale  Scrittore  ,  che  fegtie 
appena  dopo,  delineate  trovanfi  quelle  medefime  belle  e  coraggiofe  a- 
zioni  di  cui  fummo  noi  pur  fpectatori  nella  fuddetta  funeftiflìma  epoca. 
Non  tamen  ,  foggiunge  egli  ,  non  Carnea  adeo  virtutis  jìerile  feculun  , 
ut  non  &  bona  exempla  prodiderit .  Comitatce  profugos  liberos  matres  , 
fecutx  maritos  in  exilia  conjuges ,  propinqui  audentes  ,  conftantss  gene- 
ri ,  contumax  ctiam  adverfus  tormenta  fervorum  fides  ;  fupremx  clarorum 
virorum  neceffttates ,  ipfa  neceffitas  foriiter  tollerata  ,  &  liudatis  anti- 
quorum monibus  pares  exitus  .  Tutti  i  tempi  dunque  fi  fomigiiano  , 
ed  i  popoli  cadon  fempre  lìei  medefimi  ecceflì  ogni  volta  che  i  Gover- 
ni abbandonando  il  retto  fentier  della  giuilizia  lafcianfi  foltanto  trafpor- 
tare  dagli  sfrenati  impeti  dell'ambizione,  e  della  vendetta .  Ma  in  turtì 
i  tempi  eziandio  la  virtù  riceve  l'omaggio,  che  l'è  dovuto,  acciò  gli 
'uomini  non  mai  poffan  perder  di  mira  quella  unica  via  delia  lor  feli- 
cità ,  fuor  della  quale  non  havvi  che  rimorfi  ,  pianto,  tniferie  ,  e  de- 
'olazione .  S  Nel 


58 

(i2)  Nel  canto  XIX  dell'  Infimo  fìnge  il  Poets,  che  il  Papa  Ni- 
colò IH,  da  lui  trovato  in  una  di  quelle  foffe  ,  fentendolo  a  fé  avvici- 
nare lo  prenda  per  Bonifazio  Vili  ,  e  prorompa  in  atroci  invettive  coa- 
ira  quello  Pontefice  .  Si  è  in  quefìo  rteffo  canto  che  1'  Alighieri  fca- 
glicifi  con  tanta  eloquenza,  e  con  tanta  forza  contro  il  dominio  tempo- 
rale de'fucceffori  di  Pietro» 

(13X  Nell'ottobre  del  1306,  fu  Dante  mandato  dai  fratelli  FraHce>. 
fchino,  Maroello  ,  e  Corradino  Malafpina  ambafciatore  preffo  Antonio 
Vcfcovo  di  Luni  per  ottenere  una  pace  ,  che  lunghi  odj  ,  e  crudeli 
delitti  avevano  da  quelle  contrade  infelicemente  allontanata. 

(14)   Io  non  comprendo,  perchè  Monlìgnor  Fabroni  foftener  voglia 
nel    fuo  elogio  di   Dante    che  i  primi  Signori   prelTo    i    quali  fi   rifugiò 
queft'Uomo  celebre  ,  dopo  il  fuo  efilio ,  furono  i  M.ilafpina .  Come  mai 
ha  potuto  CIÒ  combinar  egli  con  quello  fquarcio  del  canto  XVII.    del 
Paradifo,  ove  finge  il  Poeta  che  deito  g'i  venga  dal  fuo  antenato  Cac- 
ciaguidaj  alludendo  alla  generofa  accoglienza  fattagli  dal  Signor  di  Veronas 
Lo  primo  tuo  rifugio  ,  e  il  primo  o/lello 
Sarà  la  cortef.a  del  gran   Lombardo  , 
Che  porta,  in.  Julia  fenici,  il  fanto  uccello? 
E  come    mai    afferir  ha  potuto  il  dotto  Biografo  che   per   quel    Gran 
Lombardo  intender  dovevafi  Cangrande  y  e  non  già  Alboiiio  della  Scala, 
quando  poco  dopo  foggiunge  il   Poeta  fteffo  : 
Con  lui  vedrai  colui  che  impreco  fue  ^ 
Nafcendo ,  s\  da  q-uefla  flellu  forte  , 
Ch€  notabili  fien  l'  opere  fue  ; 
facendo    allufione  al  valor    militare  ,   ed  alle  belliche    imprefe  di   Can- 
grande  ,   alla  cui  naftita  ,    fecondo  il  fifiema  allrologico   dominante  in 
quei  tempi,  influir  dovette  il  pianeta  di  Marte,    ove  Cacciaguìda  ,  co- 
me buon  guerriero,  e  morto  in  battaglia,  godeva  la  celefle  beatitudine? 
Se  dunque  dopo  aver  parlato  del  Gran  Lombardo^  lo  ftelfo  Cacciaguida 
dice  al  Poeta  con  lui  vedrai  colui...  è  chiaro,  eh' eifendo  quelli  Can- 
grande,  quel  Gran  Lombardo  non  può  efl'er  che   Alboino  di  lui  t'ratello. 
Ecco  gli  errori ,  e  le  contradizioni  in  cui  cadono  i  più  grandi  eruditi- 
per  una  mal'  intefa   fmania  di  novità  .  Gredad    quindi    che    vai  meglio- 
dir  bene,  che  dir  nuovo,  e  che  ^\  può  anche  ottener  quell'ultimo  fco^ 
pò  con  olTervazioni    fagge  e  non  da  altri    prefentate  fui  fatti  che  nar- 
rai) fi  ,  fenza  punto  alterarne  la  natura.   Ho  voluto  confutar  un  pò  lun- 
gamente quefla  pretefa  filologica  fcoperta,  perchè  quella  di  un  dotto  uo- 
mo, e  perchè  annunciata  ancora   con  una  ficurezza  tale  da  far  effettO' 
sull'animo  di  chiunque,  come  fatto  aveane  fui  mio. 

(i^)     Taluni  han  prefo  motivo  di  tacciar  d'ingrato  1'  Alighieri  per 
aver  egli  collocata  uell'  inferno  quelb  intereilanie  fi-^ha  del  fao  prin- 


J9 

■cipal  benefattore  .  To  però  credo  di  foftener  con  ragione  ,  che ,  per  la 
jrrefirtibile  forza  delle  idee  del  fuo  tempo.  Dante  non  poteva  altrimenti 
■trovar  Francefca  nel  purgatorio,  o  ntl  paradifo  ,  ma  nell'inferno  foU 
•tanto,  a  motivo  del  p;enere  di  morte  violenta  di  cui  era  perita.  Pote- 
va egli  bensì  non  mentovarla  ;  ma  forfè  queflo  ofcuro  filenzio  pii 
fpiaciuto  farebbe  al  padre  di  effa,  che  il  modo  patetico  rifpettofo  ed 
•intereffante  nel  qual  fa  parola  il  Poeta  di  quella  Bella  infelice,  allor- 
ché ne  racconta  il  crudele  infortunio.  Ed  una  prova  ficura  di  querto^ 
mio  penfiero  fi  è ,  che  il  Conte  Guido  non  ne  prefe  alcun  rancore 
contro  Dante,  anzi  continuò  ad  ainfterlo,  e  ad  onorarlo  fino  alla  fua 
morte,  e  perfiii  dopo  quefla  refe  alla  memoria  fua  tutti  quelli  omaj^-- 
si  ,  dei  quali  ho  io  parlato  nel  corfo  dell'  opera  .  In  generale  pref- 
io  i  popoli  o  barbari  primitivi  ,  o  ricaduti  nella  barbarie  la  mancanza 
di  fama,  e  l'oblio  è  più  dolorofo  e  fpiacente  che  una  fteffa  sfavore- 
vole rimembranza  ;  come  far  ne  poffono  un'  ampia  fede  le  poefie  di  OC- 
■fian ,  le  quali,  fiano  o  no  di  queflo  Bardo  famofo ,  fono  pure  una  vi- 
vace dipintura  dei  cortami  ,  e  delle  idee  di  tali  popoli .  A  tempi  dell' 
Alighieri  poi  l'aver  ottenuto  una  commemorazione  nel  fuo  celebrato  Poe- 
ma riputavafi  a  così  grande  onore  da  far  dire  a  Vincenzo  Acciajuoli ,  che 
•avrebbe  egli  pagata  una  grofla  fomma  di  danaro,  fé  Dante  avelTe  fatta 
menzione  di  alcuno  della  fua  cafa,  ancorché  cacciato  l'aveffe  nella  più 
cupa  bolgia  dell'inferno. 

(i6)  Franccfco  Doni  tra  le  profe  dell'  Alighieri  da  lui  pubblicate 
riporta  una  lettera  dello  fteflb  al  Signor  di  Ravenna,  la  quale  prove- 
rebbe che  quefta  ambafciata  ai  Veneziani  ebbe  luogo  nel  1313*  ^"* 
tal  lettera  piena  di  farcafmi  ,  e  di  amarezza  contro  quella  Repubblica 
vien  però  generalmente  riputata  apocrifa  ,  ed  una  folenne  impoftura 
del  Doni. 

(17)  Bernardo  Bembo  padre  dell'illuftre  Cardinale  di  tal  nome,feo- 
-do  governator  di  Ravenna,  erger  fece  quel  monumento  sì  accetto  alle 
Italiane  Mufe  che  ora  fi  venera  in  quella  Città  .  11  Cardinal  Corfi  nel 
1691.,  ed  il  Cardinal  Valenti  nel  1780,  Legati  nella  Romagna,  ripararon 
poi  le  ingiurie  cagionate  dal  tempo  n  quel  fagro  depofito  ;  e  queft'  ul- 
■tiino  eziandio  incider  fece  in  rame  il  difegno  dello  flefib  .  Ecco  le 
opre  che  tramandano  alla  tarda  poflerità  ,  e  benedir  fanno  il  nome 
de' grvernatori  dei  popoli. 

(18)  Nel  1804.,  effendo  io  in  Firenze  ,  nna  di  quelle  letterarie  So- 
cietà detta  del/a  Stona  Patria  ,  cui  ho  !'  onor  di  appartenere  ,  ideò 
di  elevare  un  cenot.ifio  all'Alighieri  a  fpefe  de'Socj,  e  di  tutti  gì'  Ita- 
liani che  concorrer  voleflero  alla  beli'  opra  .  EiTa  non  chiefe  al  Go- 
verno che  alcuni  pezzi  di  marmo  giacenti  inutili  in  un  de'  publici  ma- 
gazzini.  E  pur,  chi '1  crederebbe ,  difprezzò  quello  la  difcreta  domanda, 

*  C 


6o 

e  rife  su  coloro  che  fatta  1'  aveano  !  !  !  Un  efemplare  del  difegno  del 
monumento  reflò  in  mio  potere,  ed  è  quello  che  ho  prefentato  all'Ac- 
cademia :  il  giovane  Signor  Digny  verfatiffirao  nell'  architettura  ne  fu 
r  autore  .  L'  epigrafe  : 

Onorate  V  altijfimo  Posta  , 

Z'  Ombra  fua  torna  eh''  era  dipartita  ', 
che  fi  legge  in  fuUa  bafe ,  venne  da  me  prefcelta  tra  i  verfi  deH'iftefTo 
Dante ,  ed  opportunamente  efprimea ,  che  la  fua  grand'  Ombra  finallor 
giuftamente  fdegnata  contro  la  patria  pei  ricevuti'torti ,  veniva  di  bel 
nuovo  ad  aggirarfi  nel  di  lei  feno  placata  per  l'onore ,  ancorché  tardi ,. 
ma  pur  una  volta  refo  alla  fua  memoria. 

('19)     La  prova    della   paffione   che  1'  Alighieri  ebbe   per  la  mufica 
trovali  nel  canto  II.  del  Purgatorio  ,    allorquando   rivolto    egli   ad  un 
tal  Cafella,  celebre  cantore  del  fuo  tempo,  e  molto  a  lui  caro,,   dices-, 
<.  ,  ,  se  nuova  legge  non  ti  toglie 

Memoria ,  0  ujo  all'  amorofo  canto 

Che  mi  folea  qustar  tutte  mie  voglie  ; 
Di  ciò  ti  piaccia  confolar  alquanto 

L'  anima  mia  ,  cha  con  la  fua  perfona  2 

Venendo  qua  ,  è  affannata  tanto  . 
Quindi  foggiunge ,  che  moffo  effendo  quel  fuo  amico  dall'invito  grazìofoj 
Amor  che  nella  mente  mi  ragiona 

Comincio  egli  allor  sì  dolcemente  , 

Che  la  dolce  Xx'^  ancor  dentro  mi  fv.ona% 
cioè    che    cantò    quella    amorofa    canzone    di  Dante,    la  qual    comin- 
cia col  primo  verfo  della  citata  terzina  ,  e  la  qual  forfè  Ca'fella  ,   men- 
tre  era  in  vita  ,  fpeffo  cantar  foleva  all'  amico  fuo,  come  quello,  che 
più  di  ogni  altra  lo  dilettafle  . 

/20)  Figuran  pompofamente  tra  coloro  ,  oltre  Dante  ,  anche  Pe- 
trarca, Fra  Paolo  Sarpi  ,  Giannone  ,  ed  a  giorni  noflri  Conforti  ,  So= 
lari ,  e  Ricci . 

(il)  Qualcuno  pretende  che  il  trattato  de  vulgati  eloquentia  non 
iìa  del  Poeta  noflro  ;  e  potrebbe  ciò  effer  vero  :  ma  come  la  gran  mag- 
gioranza dei  dotti  glie  Io  ha  pure  attribuito  ,  così  ho  creduto  di  fé- 
guir  su  quefla  credenza  la  comune  opinione. 


6-r 
DELLE 

F  A V  OLE    ATELLANE 

E  DE'  LORO  ESODI 
DEL  SIGNOR  VINCENZIO  DE  MURO 

SEGRETARIO  PERPETUO 

letta  iielt  adunanza   del  dì  io  Agojìo  18^08' 


4  tutti  i  moderni  critici,  che  E  antico  teatro  fi  fo- 
no fludiati  d' illuflrare  ,  niuno  è,  che  io  fappia  ,  che 
abbia  di  propofito  tolto  fopra  se  di  fpiegarci  la  natura, 
le  leggi ,  ed  il  carattere  di  quel  genere  di  antichiffima 
poefia  drammatica  ,  che  è  conofciuto  fotto  il  nome  di 
Favola  Atellana  .  Eglino  non  han  fatto  altro  ,  che  ri- 
petere quel  poco  ,  che  a  primo  incontro  han  trovato 
detto  dagli  antichi ,  ed  han  creduto ,  che  ballafTe  fape- 
re,  che  fu  un  genere  giocofo,  e  fcherzevole.  Io  penfo 
però  ,  che  facendo  più  diligenti  ricerche  tra  le  fparfe 
memorie  dell'  antichità ,  raccor  potremo  di  che  appagare 
su  di  ciò  la  noflra  curiofità  .  Io  ho  abbracciata  l' im» 
prefa ,  e  tanto  più  di  buon  cuore  V  ho  fatto ,  che  que- 
iìa  fpecie  di  dramma  è  nata  fra  noi ,  e  porta  ancora  il 
nome  della  mia  patria.  Efaminerò  dunque  in  primo  luo- 
go ,  qual  ila   flato  il  carattere  dell'Atellana ,  quali  i  lo- 


i-o  efodj  ,  e  donde  finalmente  traeflero  quel  ridìcolo  , 
onde  divennero  così  rinomate  ,  ed  ai  Teveri  Romani  sì 
■care  . 

Gli  antichi  Gramatici ,  Diomede,  e  Mario  Vittorino 
fono  i  foli ,  che  ce  ne  abbiano  data  qualche  idea  .  Dio- 
niede  afferma ,  elfervi  una  terza  fpecie  di  favole  latine, 
da  Atella  citta  degli  Ofchi ,  ove  nacquero ,  dette  Atella- 
ne ,  le  quali  nell'  argomento  ,  e  nel  burlefco  delle  fen- 
tenze  fomigliano  le  favole  fatiriche  de' Greci  (i)  .  Ma 
in  quello  folo  differiva ,  foggiunge  Diomede  ,  l' Atella- 
iia  dalla  Satirica  Greca  ,  che  in  querta  gl'interlocutori 
d'ordinario  fono  fatiri ,  o  altri  perfonaggi  ridicoli  a'  fa- 
tili fomiglianti ,  come  Autolieo  ,  Bufiride  ,  ed  altri  ; 
in  quella  erano  perfonaggi  Ofchi  (a)  .  Ma  vi  ha  po- 
ca efattezza  in  quefìo  gitidizio,  e  mi  pare,  che  egli  non 
conofceffe  a  fondo  ne  l' una  ,  né  1'  altra  ,  tanto  più  , 
che  e'  conchiude  ,  che  la  Satirica  Greca  è  un  genere 
dello  'ntutto  ignoto  ai  latini  .  Non  fu  ignoto  ai  lati- 
ni lo  fpettacolo  de'  Satiri  ;  e  Vittorino  al  contrario  ci 
afficura,  dopo  aver  favellato  della  Satirica  Greca  ,  che 
lian  quello  genere,  cioè  le  Satiriche,  i  latini  nelle  K- 
tellane  (3)  .  Or  1'  autorità  di  quello  dotto  ed  accurato 

Gra- 
(O     Tertia  fpecies  eft   fabularum  latinarum  ,    quae    a  civitare  Ofcorum 
Atelia  ,  in  qua  primum  caeptae ,  Atellanae  diftae  lunt,  argumeiitis  diftis- 
que  jocularibus  fimiles  fatyricis  fabulis  graecis  .  Lib.  III. 

(2)  Latinìs  jitelLma  a  Gtaeca  fatynca  cliffert ,  quod  in  fatyùca  fere  SatytO' 
rum  perfonae  inducutitur ,  ai'.t  fi  quae  fv.nt  r'iàuidae  fim'des  Satyris  ^  Autolicm  •, 
Biifiris,  in  AtellanaOfcae  (così  dee  leggerfi,  in  vece  A'  obfcenae .,  cht  è  nel- 
le ftimpe,  ficcome  olferva  il  Salmafio  in  Exerc.  Pliniar,.  p.  jf.  )  peffome  ^ 
■ut  Maccus  . 

<3)  (iuod  genus  ^oftri  in  Atellaais  habeat .  ViUor.  lib.  IL 


«3 

Gramatico  ha  nelf  animo  mio  tanto  pe(b ,  perchè  non  è 
difficile  dimoflrare  col  latto,  che  la  comparfa  de' Sa  tiri 
sulle  fcene  in  Roma  non  fu  negli  antichiirimi  tempi  co- 
fa  lìrana  ,  che  Satiriche  furono  talvolta  anche  dette  le 
Atellane  ,  e  che  quelle  furono  interamente  lo  ftcflb  , 
che  le  Satiriche  de' Greci. 

Non  furono  di  fatti  fìranieri  al  Lazio  i  giuochi,  gli 
fpcttacoh  ,  e  le  cicalate  de' Satiri  .  Nella  pompa  ,  che 
accompagnava  il  trionfo  de'  Generali  Romani  ,  fa  fe- 
de Dionifio  d'  Alicarnallb  che  dopo  i  cori  de'  faltatorì 
armati  feguivano  i  cori  de' Satirifti ,  o  piuttofto  Satìrìfci, 
o  lìaa  Satìretti^  che  ballavano  la  greca  ficìnni  ,  fpecie 
di  danza  fatirica  concitatiffima  (i).  Quelli,  foggi  unge  , 
imitavano  ferie  danze  con  gelìiculazioni  ridìcole  ,  gua- 
ilandole  per  ludibrio  ,  e  per  far  ridere  gli  fj>cttatori  . 
Or  gli  accompagnamenti  de' trionfi  dimoflrano  ,  fegue  a 
dire  Dionifio  ,  che  quelìi  giucchi  burlefchi  ,  e  fatirici 
erano  da  antichiffimi  tempi  in  ufo  preflb  i  Romani  (2). 
Ma  Dionifio  ,  uom  greco  ,  è  così  certo  ,  che  una  tal 
ifiituzione  abbiano  i  Romani  apprefa  dai  Greci,  che  te- 
me di  recar  noja  ai  lettori,  fé  imprenda  a  dimolìrarlo. 
Quella  vanità,  ordinaria  ne' Greci,  è  fomma  in  Dioni- 
iìo  .  Appiano  Alelfandrino  al  contrario  ,  defcrivendo  il 
trionfo  di  Scipione  ,  fa  precedere  i  cori  de'  citarilli  ,   e 

de'Sa- 

(1)  MiT«  rxf  e'j'airXxf  Jt"/"*'  "''  ''"'''"'  '^«TupKay  t-jrojj.'ìrwìy  X'poi ,  Tvy  fXXiii'iKii' 
tiS'ofopus'Ta  iny.ivvni/  .  Aritìqu.   lib.  VII.   in  fin. 

(2)  Ai^Bffi   (Te   al  TU'V  ^pMfjL^av   tiaoS'oi  iraKotuiv   xxi   fTi;)fi>ipiay  i^ctv  Fai/.ctiSI( 

VHP  KipTonKn  Kui  SaTupiKHf  vaiìiiccp .  Dm.  ib. 


-64 

de'  Satiri ,  vefliti  all'  etrufca  maniera ,  che  marciavano  or- 
dinati cantando  e  danzando  ,  ed  aggiunge  ,  che  quelli 
erano  ludii  appellati ,  perchè  a  fuo  credere  gli  etrufchi 
erano  colonia  de'Lidj  inventori  di  siffatti  giuochi  (i)  • 
La  qual  originazione  vien  confermata  da  Erodoto ,  e  da 
Tertulliano  (2) .  I  Lidj  erano  Fenicj  :  quefti  li  portaro- 
no in  Grecia  ,  quelli  li  portarono  colle  loro  colonie 
nella  Tirrenia ,  o  iìa  nell'  Etruria .  Atella  fu  colonia, 
etrufca,  come -ho  altrove  dimollrato  ,  e  da  Atella  paf- 
farono  a  Roma  le  favole  ,  e  i  giuochi  Atellani ,  e  ciò 
in  tempi  antjchillìmi  ,  cioè  nei  principj  del  IV  fecolo 
^i  Roma  in  occafione  di  contagio  ,  come  Livio  dilte- 
famente  racconta  (3).  Ebbero  dunque  comune  origine  e 
le  favole  Atellane ,  e  le  fatiriche  de' Greci,  e  la  fatirica 
de'  Greci  non  fu  ,  come  pretendeva  Diomede  ,  ignota 
a'  latini ,  e  fu  lo  fìeflb  ,  che  1'  Atellana . 

Maggior  forza  però  acquilleranno  quefte  rifleffioni,  le 
vogliam  la  cofa  nella  fua  vera  origine  confiderare  .  11 
regno  animale  non  ha  fatiri:  quelli  non  furono  mai  ne 
mezz'  uomini ,  né  bellie  felvagge  .  Satiri  non  furono  ,  che 
mafchcre,  colle  quali  fi  cuoprivano  coloro,  che  celebra- 
vano fpecialmente    in  tempo    di  vendemmia    le  felle   di 

Bac- 
co Ipfum  Imperatorem  praecedunt  liàores  paludati  ,    &  chorus  cithan- 
■ftarum  &  fatyrorum  etrufco  more  cinfìorum ,  ornatorumque  coroive  aureis, 
qui  pariter  incedunt  ordine  cum  canru  &  tripudio  .  ^pP.  in  Pioitcìs  p.  'ì<.. 

(2)  Lydii  ipfi  ajunt  fé  ludos  inveriifle ,  qui  eriamnum  apud  Gr.iecos  cum 
illis  communes  fuiit  :  fimul  autem  haet  inveii i(Te  ,  &  in  Tyrreniam  colo- 
«OS  deduxiffe  .  Her.  lib.  IL  v.  Tertidl,  de  Speiìac.  e,  V. 

(3)  Liv.  lib.  VII. 


«5 

Bacco .  Come  queft'  ufo  venne  d*  oriente ,  cosi  di  la  ven- 
ne ancor  nella  Grecia  il  loro  nome  (i).  Lordi  il  vifo 
di  feccia,  rabuftati  i  capelli,  fi  cuoprivano  di  pelle  di 
capra  :  ubbriachi  divenivano  loquaci ,  licenzio'fi  ,  e  con 
quelle  fconce  gefticulazioni  ,  che  negli  uomini  avvinaz- 
zati fi  veggono ,  moveano  a  rifo .  I  poeti  ne  fecero  femi- 
iiomini  e  femicaproni  .  Or  V  ufo  di  quefte  mafchere  fu 
dagli  Etrufchi  portato  tra  gli  Ofchi ,  e  dagli  Ofchi  in  Ro- 
ma .  Ed  oflervilì ,  che  gli  Atellani ,  cioè  gli  Ofchi  foli  eb- 
bero il  dritto  di  portar  fempre  la  mafchera ,  e  di  non  to- 
glierfela  mai,  perchè  eflènziale  al  loro  carattere  era  la  ma- 
fchera ,  vale  a  dire  ,  che  le  loro  rapprefentazioni  erano 
Satiriche.  Si  cambiò  la  mafchera  col  tempo,  ma  non  fi 
abbandonò  giammai  dal  mimo  Atellano  ;  perchè  nuovi 
caratteri  s' introdufTero  sulle  fcene ,  ai  quali  non  conve- 
niva Tabito  degli  ubbriachi  feguaci  di  Bacco  .  Se  dunque 
i  Latini  ebbero  le  mafchere  Atellane,  fegue,  che  -ebbe- 
ro le  Satiriche  Greche. 

E  per  verità  che  vuol  dire  Ateneo ,  quando  raccon- 
ta ,  che  L.  Siila  fcrifTe  commedie  fatiriche  nella  patria 
lingua?  (i)  ed  io  non  intendo,  perchè  fi  dovefièro,  co- 
me il  pretende  il  Cafaubon  (3)  ,  le  commedie  di  Siila 
creder  chiamate  metaforicamente  Satiriche,  e  che  avefle 

9  vo- 

ci)    Difcende  quefta  voce  da  Satar^  latititi  e  abfcondit . 

(2)  ^ukKav  ifKcrt  'Niy.^Xxo;  rav  VaiJtaMir  ^pccTiiyoy  «Voi  ^«ipfi^  fii(À,iis  ,  xiti 
;f\(ciT3  ■3-5/5IS  ifih.oyt'Kay  ytvoinivoi' y  «j  x«/  noWa  yiti  (itiit  a'j'rois  )(^upi(^(àai  Tilt 
éitfiojixi  '  ([/.^xii^aa ir  ^a'jru  rn  nrtpi  T»VTtt  iKapit  «'(  vif  «W«  ypitipti7eit  SaTC-" 
fiXKi   xa'/ji.wìiai  TU  rrar pitia  (pdiVft .  jith.  Hi.  VI. 

(.3)     De  Sasy'r.  Craercr.  Poefi  III:  II.  e.  4. 


66 

voluto  dir  foltanto  Ateneo,  che  Silìa  abbia  fcritto  cotn- 
niedie  piene  d'ilarità,  e   poco  onede,  e   non   già   favole 
fatiriche  compolle    sul   modello    de'  Greci  .     Perchè   mai 
avrebbe   notato   artitamente   Plutarco   la   circoilaiiza ,   che 
le   fcrillè   nella   patria   lingua  ?   Era   f<jrre   una   novità  ,   o 
una   fingolarità  ,  che   in   Roma   da   un  Romano   fi  fcrive{^ 
fero  commedie  latine?   Ma   dovea   fembrar   ben   coQ   ra- 
ra ,     che  Siila   avelie   fcritto    in'  latino    quella    fpjcie   di 
commedia ,  che  fi  chiamava   fatirica  dai  Greci ,  e  chi  ia 
Ofca   favella  erano  ilate  in   Roma   introdotte  .  E   poiché 
non  troviamo  in  tutta  la   ftoria  d>il!a   pocfia   e  del  tea- 
tro latino  quella  fona  di  fàvole  ,    che  abbiano  portato- 
la  Roma  il  nome  di  Satiriche;  perchè  non  diremo,  che 
furono  conofciute  in  Roma   fotto  il   nome  di    Atcllane  , 
dacché  gli   Atellani   ve  le  introdaflero  ;    e  che  ,    come 
efprimevafi  poco  fa  Vittorino  ,   nelle  Atellane  ebbero   i 
latini  le  fatiriche  de' Greci? 

Orazio  finalmente  ,  allorché  indirizzava  la  fua  arte 
poetica  ai  Fifoni ,  non  avea  certamente  difegno  di  dar 
precetti  intorno  ai  generi  di  poelra  ,  che  foffero  Ila  ti 
ignoti  ai  latini .  E'  parlava  a'  fuoi  coiicittadini  ,  par- 
lava di  ciò  ,  che  era  in  ufo  prelfo  di  loro  ,  e  cerca- 
va di  fpjrgere  in  Roma  il  buon  gullo  ,  di  cui  era 
eccellente  maeftro.  Or  perchè  mai  far^bbefi  egli  avvifa- 
to  di  favellare  a  pirte  delle  fatiriche,  diadicaib  a  un 
di  preffo  con  quello  nome,  di  raccoatarne  l'origine,  e 
di  efporne  le  regole,  fé  la  poefia  fatirica  era  un  genere 
proprio  de'  Greci ,  Uraniero  affatìo  al  Lazio ,  e  non  co- 
no- 


nofcluto  in  nefTun  modo?  (i)  Il  Dacier,  e  il  Sanadon, 
fomentatori  di  Orazio  ,  ban  molto  bene  oflervato  ,  che 
Orario  dando  precetti  della  Satirica ,  intendeva  darli  dell* 
Atellana  ,  che  a  quella  fpecie  di  greca  drammatica  poe- 
fia  era  fomigliante  .  Doveano  dire  ,  che  era  la  fìefla 
Pocfia  fatirica  de' Greci,  e  che  preffo  i  latini  prefe  da' 
fuui  attori  il   nome  di  Atellana . 

K  da  qnelìo  fìeffo  luogo  di  Orazio  apprendiamo ,  che 
nelle  Atcllane  comparvero,  come  nelle  fatiriche  greche» 
i  Satiri  ;  giacche  comanda  ,  che  quelli  fiano  sì  motteg- 
gevoli  e  ciarlieri ,  che  l' eroe  della  tragedia  ,  poc'  anzi 
veffito  d'oro  e  di  porpora,  non  paflì  a  parlare  un  lin- 
guaggio convenevole  alle  più  vili  commedie  (a,)  .  Ma 
s'intenderà  meglio  quello  luogo  d'Orazio,  quando  par- 
leremo degl'interlocutori,  e  dello  llile  delle  Atellane  , 
ed  avremo  nuovo  argomento  per  diraoflrare  ,  che  Dio- 
mede non  conobbe  l' indole  ne  della  Satirica  ,  ne  dell 
Atellana.  Da  una  di  quelle  favole  trafle  Mario  Vitto- 
rino quel  verfo,  che  nel    iv.  libro  riporta: 

Jgite,  fugite  ^  quatìte^  Satyri. 
Forfè    vi    fu  tempo  ,    in    cui  furono  banditi  dalla   fce- 
iia  i  Satiri  ,    e  furono  ad  eflì   foftituiti  altri   perfonaggi 
ridicoli.   Ma   fembra  indubitato,  che  vi   furono  un  tem- 
po, e  che  in  confeguenza  in  nulla  differivano  le  Atel- 

*  la- 

(0  Carmine  <qui  tragico  vilem  certavit  ob  liircum 
Mox  etiam  agreftes  Satyros  nudavit ,  &  afper 
Incolumi  gravitate  jocum  tentavit  &c.  de  Art.  220.  O"  /«/• 

(2)    Verum  ita  rifores,  ita  commeadare  dicaces 
Conveniat  Satyros  &c. 


^ 


68 

lane  dalle  Satiriche ,  fuorché  nel  nome  .  Quando  affer- 
mo però,  che  la  Satirica  ,  e  TAtellana  furono  la  me- 
defima  cofa  ,  non  credafi  già,  che  io  vogha  dire,  che 
abbiano  gli  Ofchi  copiata  nella  natia  favella  la  Satirica 
de' Greci.  Qual  comunicazione  aver  poteano  con  i  Greci 
in  sì  rimota  età  popoli  antichiffimi  d'Italia?  Ma  egre-, 
ci,  e  italiani  da  un  fonte  comune  le  traflero:  dall'oriente, 
come  ho  già  accennato  le  portarono  le  colonie  fericie  in 
Grecia,  dall'oriente  le  portò  in  Italia  la  colonia  fenicia, 
che  fu  chiamata  tirrenica,  ed  etrufca:  e  i  Tirreni  flabi- 
liti  nella  Campania  ,  e  divenuti  uno  fteflo  popolo  con 
gli  Ofchi ,  diedero  nafcimento  a  queile   favole . 

Noi  non  abbiamo  alcuna  delle  favole  Atellane  ,  da 
cui  ravvifar  poteffimo  la  vera  loro  natura  .  Ma  poiché 
abbiam  dimofìrato,  che  le  Atellane  furono  lo  fìefTo  che 
le  Satiriche ,  non  ci  rimane  a  far  altro ,  che  determina- 
re sull'efempio  di  quelle  il  carattere  delle  Atellane  per 
ifcuoprire  la  fpecie  di  ridicolo  ,  che   contenevano . 

La  primitiva  ancor  informe  tragedia  ebbe  1'  accompa- 
gnanjento  di  un  coro  di  Satiri,  i  quali  colla  loro  l1:ra- 
na  figura,  e  colla  sfrontata  e  proterva  loquacità  ricrea- 
vano gli  animi  abbattuti  dalla  fierezza  delle  tragiche  a- 
zioni .  Ma  quando  fu  portata  alla  fua  perfezione  la  tra- 
gedia ,  e  fu  di  tutta  la  convenevole  feverita  riveflita  , 
fu  chiufo  l'adito  ai  Satiri,  e  bandita  la  primitiva  lafci- 
"via  .  Gli  fpettatori  però  non  furono  contenti  appieno 
di  tal  cangiamento.  Cercarono  qualche  follievo  dalla  tra- 
gica afprezza,  ed  una  diveriìone  alle  lagrime,  che  loro 

ftrap- 


69 

fìrappavano  le  tragiche  difavvcntiire  :  fi  lagnarono ,  che  non 
vi  era  nulla  per  Bacco,  le  cui  lodi  avean  dato  nafcimcnto 
alla  tragedia  (  i  )  .  I  Poeti  allora  ritornarono  a'  Satiri  , 
non  per  dare  ad  effi  luogo  nella  tragedia  ,  ma  per  for- 
mare con  cffi  un  dramma  feparato,  e  produrli  a  fcher- 
zare  e  mot;teggiar  sulla  fcena ,  dopo  che  foffe  terminata 
la  tragedia ,  per  dileguar  la  mellizia ,  che  quefta  lafcia- 
va  ne'  cuori  .  Quella  fu  la  cagione  ,  che  fece  nafcere 
preflb  i  Greci  la  Satirica,  come  atteftano  Orazio,  Dio- 
mede, e  Vittorino  (a).  Rapprefentavafi  d'ordinario  do- 
po la  tragedia ,  ovvero  dopo  le  trilogie ,  o  tetralogie  . 
Intendevanfi.  con  quefli  nomi  le  tre  ,  o  quattro  trage- 
die, che  i  Poeti  erano  coiìretti  a  dare  ne'folenni  agoni 
nelle  fede  di  Bacco.  Uno  fleflb  Eroe  doveva  effer  l'og- 
getto di  tutte  e  tre  ,  o  di  tutte  e  quattro  ,  come  fu 
Pandione  l'eroe  della  Pandìonide,  o  fia  della  tetralogia, 
comporta  da  Filocle ,  e  Orette  1'  eroe  dell'  Oreftiade ,  o 
fìa  delle  quattro  tragedie  di  Efchilo ,  che  fi  aggiravano 
sulle  fventure  di  Orette.  Ma  non  furono  fempre  aflretti 
a  quetta  legge  i  poeti  ,  e  fi  citano  come  tetralogie  di 
Efchilo  tteffo  ,  e  di  Euripide  ,  le  quattro  tragedie  del 
primo  intitolate,  i  Finei,  i  Pcrfiani,  il  Glauco,  il  Pro- 

(1)  v^tv    T/lOi    TOH    AlOI>U(TOf  . 

(2)  Carmine  qui  tragico  vilem  certavit  ob  Iiircum  , 

Mox  etiam  agreftes  Satyros  nudavit,  &  afpsr 
Incolumi  gravitate  jocum  tentnvit ,  eo  quod 
Inlecebris  erat ,  &  grata  novftate  morandus 
Spectator.  Hcrat.  de  Jyt.  v.  220.  veggafi  Diomede  ìiL  II.  e  Mar. 
Viftorin.  de  Metris  2. 


ineteò',  e  del  fecondo  la  Medea  ^  il  Fiìottete ,  il  T>ìm^ 
■e  i  Mietitori  .  L'ultima  delle  quattro  tragedie  era  una 
Satirica . 

Vogliono  alcuni ,  clie  Tefpi  inventore  della  tragedia, 
il  foffe  della  Satirica  altresì  .  Ma  Orazio  afferma  ,  che 
il  primo  ad  introdurre  sulle  fcene  i  Satiri  fu  colui ,  che 
il  primo  difputò  ne'  folenni  agoni  della  Grecia  il  premio 
della  tragedia  (i).  Or  quefti  pubblici  giuochi  della  Gre- 
cia ,  in  cui  il  popolo  dava  in  premio  un  caprone  al  tra- 
gico ,  al  quale  aggiudicava  la  vittoria  ,  non  erano  an- 
cora in  ufo  a' tempi  di  Tefpi,  teftimone  Plutarco  (a)  , 
Sembra  dunque,  che  Orazio  intenderli  debba  di  Fratina, 
che  fiorì  verfo  la  fettantefima  Olimpiade,  e  fu  fucceila- 
re  di  Tefpi  .  Di  coftui  afferma  nettamente  Suida  ,  che 
fu  il  primo  inventore  della  Satirica,  e  che  fino  a  tren- 
tadue ne  compofe  (3)  . 

Compagna  dunque  indivifibile  della  tragedia  partecipò 
la  fatirica  della  di  lei  natura  ,  giacche  i  perfonaggi  in 
effa  introdotti  erano  quegli  lleffi ,  che  comparivano  nel- 
la tragedia-,  e  talvolta  più  flraordinarj  ,  e  raaravigliofi 
ancora ,  come  i  Centauri ,  i  Ciclopi ,  e  qualche  Dio  ben- 
anche. E  per  quefla  ragione  vuol  Orazio,  che  lo  dio, 
o  r  eroe ,  che  moiìrafi  sulla  fcena  nella  fatirica ,  confer- 
vi una  certa  dignità  nel  fuo  linguaggio,  effendo  quello 
fìeffo,  che  fu  poc'anzi  veduto  ricuoperto  d'oro  ,    e  di 

por- 
co   Horat.  ib. 

(2)  «Va  yap  ùs  eèfiiKXttp  ìfaydinov  i]v  i%iiy'.(iivòv  ro  'irpoiyfut.  Pht.wS clone. 

(3)  Shìd.  V,  vpsCTiyecs  . 


porpora ,  vale  a  dire  ,  quello  flefìo  ,  che  fi  è  veduto 
nella  tragedia  (i).  Ma  ogni  materia  di  rifo  era  profcrit- 
ta  dalla  tragedia ,  e  i  peiTonaggi  della  fatirica  non  avea- 
no  a  fare,  fé  non  colla  famiglia  de'Satiri,  irrifori  e  mot- 
teggiatori perpetui .  E,ficcorae  oflerva  Ifacco  Tzeze  {i)y, 
mentre  la  tragedia  ron  avea  che  lagrime  e  lamenti;  la 
fatirica  accoppiava  alle  ferie  azioni  la  lepidezza  ,  e  l'ila- 
rità, e  p:iirava  in  un  iflante  dalle  lagrime  all' allegrez- 
za .  Perciò  Demetrio  Falereo  la  chiama  fcher'^evole  tra- 
gedia (3).  Avea  ciò  di  comune  colla  commedia ,  che  do- 
vca  Tuna  e  l'altra  efTer  follazzevole ,  dar  diletto ,  e  far^ 
ridere.  Ma  gli  argomenti,  e  i  perfonaggi  della  comme- 
dia dalle  private  fortune  prendevanfi  ,  e  dal  viver  co- 
mune ,  e  dagli  andamenti  ordinar]  della  focietà  ;  e  i  per- 
fonaggi ,  e  le  azioni  della  fatirica  erano  ben  lontani  dal 
comico   focco ,   e   i   cori   erano   fempre  di   Satiri  . 

Sembra  dunque ,  che  non  fenza  ragione  poffiarao  af- 
fermare ,  che  la  Satirica  era  un  genere  di  drammatica 
poeiìa  mezzo  tra  la  tragedia  ^e  la  commedia .  Ma  paiTiam 
la  cofa  per  lo  minuto  .  La  favola  ,  o  fia  1'  argomento 
della  Satirica  femplice  e  breve  procedeva  fenza  invilup- 
po,  e  fenza  intrigo,  animato  foltanto ,  e  continuamente 
dalla  dicacità  de'Satiri:   laddove  la  tragedia  avea  meftieri 

(i)    Ne,  quicunque  deus,  quicumque  adhibebitur  heros 
Regali  codfpeftus  in  .nuro  nuper  &  oftro , 
Migret  in  obicur.is  huimli  (ermone  tabernas.    Hor.  de  Art. 

(2)      Aii/{5e,'»J(  nrfii    a\Ki>\ii'   ;/'   Tf^aytk'ìix  ,   xat  a   ^vrupii ,    òri  (liv  Tptiya^iàt 

X«i   «710   S'ax'uay  tu   xataf  xaTavray   (l'uS'e . 
(ìì    vu^vaar  ifayaiictv .  Demetr.  -min  ìpinr. 


di  grandezza  e  d'  inviluppo  ,  da  cui  sbucciar  poteffero 
quegli  accidenti  inafpettati ,  quelle  iinprovvife  agnizioni, 
e  peripezie,  che  ne  formano  il  maravigliofo  e  il  bello. 
L'efito  della  favola  nella  fatirica  è  Tempre  lieto,  come 
nella  tragedia  è  fempre  compaffionevole  e  funvcllo  .  II 
fine  di  qiiefla  è  generare  la  pietà  e  il  terrore;  T ogget- 
to di  quella  è  aprire  all'  allegria  il  cuore  ferrata  dalle 
tragiche   atrocità . 

Lo  fìile  della  tragedia  grave  e  fublime,-  lo  lìile  del- 
la commedia  umile ,  difadorno ,  e  volgare  ;  quel  della 
fatirica  men  fublime  del  tragico  ,  più  fcelto  ed  ornato 
del  comico  .  Quella  è  la  differenza  ,  che  mette  Orazio 
nel  carattere  di  ciafcuna  (  i  ) .  La  commedia  non  sa  di- 
fcoflarll  da  un  parlar  triviale,  e  fcevro  d'ogni  ornamen- 
to .  La  Satirica  è  più  corretta ,  ama  lo  fìil  figurato ,  e 
nella  favella  de'fuoi  perfonaggi  non  dimentica  affatto  la 
lor  dignità .  Ella  cader  non  dee  nella  baflèzza  delle  com- 
medie tabernarie,  in  cui,  a  dir  di  Feflo,  fi  adunavano, 
come  far  fogliono  nelle  bettole,  fervi,  accattoni,  e  pal- 
tonieri ,  ladri ,  ruffiani  ,  e  tavernieri  (a)  .  E  fèbbene  lo 
flile  della  Satirica  debba  effer  men  grave  e  fublime  di 
quello  della  tragedia;  vuole  Orazio  però,  che  non  deb- 
ba allontanarfene  tanto  ,  che  non  fi  ravvifi  divario  tra 
la  favella  di  Davo,  fervo  in  una  commedia  di  Menan- 

dro, 

(i)    Non  ego  inornata  &  dominantia  ■nomina  folum, 

Verbaque ,  Pifones,  Satyrorum  fcriptor  amabo  .  Hor.  li- 
(2)    Migret  iti  obfcuras  humili  fermone  tabernas .  Horar.  ib.  V.  Feftum 
y.  tabernariae  . 


7ì 

^ro ,  o  di  Pizia ,  fervetta ,  che  pelava  il  vecchio  Simone 
in  una  commedia  di  Lucilio,  e  la  favella  di  Sileno  cu- 
fìode  e  familiare  di  Bacco .  Ella  dee  avvicinarfi  alla  tra- 
gedia  più,   che   dalla   commedia   non   fi   difcolìa   (i). 

Il  metro  finalmente  della  fatirica  non  era  sì  regolare 
ed  efatto  ,  come  quello  della  tragedia  ,  ne  così  libero 
e  liceiiz.iofo  ,  come  quello  della  commedia  ;  e  proprio 
della  fatirica  ,  è  fpezialmente  de'  cori  fu  il  piede  detto 
dagli  antichi  Gramatici  Trocaico  tetrametro,  e  proceleus' 
matico  dimetro  catalettico,  come  il  meglio  adattato  al- 
la concitata  allegra  danza  de' Satiri  (a)  ;  laddove  la  tra- 
gedia non  poteva  ufcire  dal  giambico  ,  e  sì  libero  era 
il  verfo  della  commedia  ,  che  non  fé  ne  potè  mai  de- 
terminar  fida    e   collante   la   mi  fura  . 

Cone  diffcrifcono  nella  natura  quefle  tre  fpecie  di 
drammatica  poefia  ,  così  differivano  ancora  nelT  efterno 
appurato  ,  e  negli  ornamenti  della  fcena  .  Nelle  fcene 
tragiche,  dice  Vitruvio  (3) ,  fi  vedevano  colonne,  fafligi, 

IO  e  fta- 

0)     Nec  fic  eni^tar  tragico  differre  colori. 

Ut  nihii   interfit  ,  Davusne  loquatur,  an  audax 
Pyrias,  prnun£>o  lucrata  Simone  talentuin, 
An  cuftos  famulusque  Dei  Silenus  alumni. 
(z)     Exemplum  prnceleusmatici    dimetri  cataie£^ici  ,    ut    a^'ite   juvenes  . 
Hoc  metro  vefres  fatyricos  choros  modulabautur ,  quod  Graece  e'/crjj^»^  ab 
inerclfu  chori  fatyrici  adpellabant,  metrumque  iprum  nao^tt,  dixeruut .  Mar. 
yiticr.   d'  Mftrif  in  fin. 

(V  Genera  funt  fcenarum  tria  ,  unum  quod  dicifur  traE;icum  ,  alterutn 
comicum,  tertium  faryricum  .  Horum  autem  ornatus  funt  inter  fé  diflimi- 
Jes,  dispsriqiie  ratione  ;  quod  tragicae  d<-formantur  columTis  ,  f-lligiis,  & 
lianis,  rel.quisque  rrgalibus  rebus  .  Comicae  autem  aedificiorum  priv,.to- 
rum,  &  msenianorum  liabent  fpeciem  .  S^fyricae  vero  ornanfur  arbonbus, 
ipciunris  ,  m.  nnbus,  reliquisque  agre(hbus  rebus  ,  in  topiaru  opcris  fpe- 
ciem  detormatis.  l^iiruv.  tiù.  v.  <•.  viii. 


f4 

e  fìatue,  ed  altre  infegne  regali  .  te  comiche  hanno  1* 
afpetto  di  privati  edifizj  ,  e  il  prolpetto  delle  fìnellre 
difpoflo  a  modo  delle  comuni  fabbriche.  Le  fatiriche  poi 
vengono  adornate  di  alberi,  di  fpelonche ,  di  monti,  e 
d'aftri  camperecci  oggetti. 

Ogni  poelìa  drammatica  finalmente,  che  avea  cori,  ave- 
va altresì  la  fua  danza  particolare  .  E  però  tre  fpecie 
di  danze  vi  fono ,  dice  Ateneo ,  di  fcenica  poefìa ,  fic- 
corae  tre  ve  ne  fono  di  poefia  lirica  ,  la  pirrica  ,  la 
gimnopedica,  e  V  iporchematica  (i).  La  danza  propria 
però  della  fatirica  dicevafì  ficinne  ,  o  ficinni  ,  che  era 
pur  quella  de'fatiri  nel  trionfo  romano,  come  da  Dio- 
nifio  Alicarnaflèo  abbiamo  intefo  ;  e  v'  ha  chi  crede  , 
Ibggiunge  Ateneo  ,  che  fu  Jìcinne  chiamata  dal  movi- 
mento concitatiffimo  della  danza  de'  fatiri  ;  perchè  quella 
danza ,  die'  egli ,  è  fenza  affetto  ,  e  però  noa  ammette 
lentezza  veruna  (a) .  Ma  io  qui  non  intendo  ,  perchè 
Ateneo  affermi ,  eflèr  così  celere  e  concitata  la  ficinni , 
dacché  non  ha  affetto,  e  però  non  può  foffrire  lentez- 
za alcuna.  Credeva  egli  dunque,  che  qualfivoglia  aflèt- 
to efiga  lentezza  nell'  efpreffione  ?  Non  fono  anzi  ne- 
miche della  lentezza  le  focofe  e  violente  paffioni  F  La 
danza  de'  fatiri  era  il  ballo  dell'  allegria ,  della  briachez- 
za, e  dell'  amore:    or  non  fono  quelli  fentimenti ,  che 

pon- 

(i)    jithen.  lìb.  XIV. 

(2)     E(i7i  S'i  Ticic  o't  xai  ^aft  ITU»  eiKiH'iv  còvo/iccatti  ùir»  Kiyi/<ria< y  fif  oi  ^ct- 

^fu^-jftty  figcome  qui  legge  il  Cafaubon,  e  non  già  «««■T'"'»'»  <*>«  ^  'i^^^* 
pampe . 


pongono  in  fiamme  il  fangue  ,  e  comunicano  al  corpo 
la  violenza  e  la  celerità  de' movimenti ,  che  refprimono 
così  bene  ?  Chi  sa ,  fé  la  tarantella  de'  nodri  contadini, 
danza  certamente  tra  noi  antichiOima ,  e  nazionale ,  e  pie- 
na di  fuoco  e  di  efprefllone  ,  non  è  la  fidane  dei  fa* 
tiri  nelle  Atellane .  Ella  al  certo  ha  nome  dalla  celerità 
delle  mofTe ,  come  la  ficìnne . 

Di  tutte  le  favole  fatiriche  de' Greci,  di  cui  appena 
ci  han  confervato  i  titoli  gli  antichi,  folo  il  Ciclope  di 
Euripide  è  campato  dal  generale  naufragio.  Euripide  ne 
prefe  l'argomento  da  Omero.  UliiTe  sbattuto  dalla  tem^ 
pefta  approda  ai  lidi  della  Sicilia,  e  falvo  dai  pericoli 
del  mare,  l'altro  peggiore  incontra  di  eifere  divorato  da 
Polifemo.  Già  alcuni  de'fuoi  compagni  gli  danno  delle 
lor  carni  faporofo  fìravizzo.  Ulifle  cerca  di  trarre  al  fuo 
partito  i  fatiri ,  che  fono  nel  medelimo  rikhio  ,  e  che 
il  Cicli  pe  ha  deteinati  per  ora  a  guardar  le  fue  pecore. 
Concerta  con  efll  la  maniera  di  abbattere  quel  moUro . 
Ma  i  fatiri  han  paura,  promettono  aflai  ,  e  nulla  fan- 
no .  Alla  fine  riefce  alla  fua  prudenza  ed  avvedutezza 
di  ficcare  una  trave  infuocata  nell'occhio  di  Polifemo  , 
e  lieto  della  fua  vittoria  ritorna  alla  nave  .  E  con  ciò 
reftano   liberi  da  ogni  pericolo   ì  fatiri  ancora  . 

La  favola  non  può  efler  più  femplice.  Elh,  come  la 
tragica ,  contiene  perfonaggi ,  ed  azioni  conofciute ,  men- 
tre la  comica  le  finge  a  talento  .  Difavventure  a  prin- 
cipio, che  han  lieto  fine.  I  caratteri  fono  la  prudenza 
e  la  virtù  forama  di  Ulifle,  l'empietà  e  la  crudeltà  or- 


y6 

ribile  del  Ciclope .  I  Satiri  ferbano  un  carattere  mezzo 
tra  i  due  eftremi ,  non  hanno  ne  la  virtù  di  Ulifle ,  ne 
la  fceileratezza  di  Polifemo  .  Per  effl  ancora  ha  buon 
fuccefTo  l'azione  ,  ma  per  opera  altrui  ,  non  per  virtù 
loro  .  La  fcena  è  il  lido  del  mar  di  Sicilia  ,  da  una 
banda  V  antro  di  Polifemo  ,  dall'  altra  colline  e  pafcoli 
con  gregge,  e  fatiri,  che  le  guardano.  Il  fuolo  è  tut- 
to ricuoperto  di   verzura  . 

Tutto  poi  il  corfo  dell'  azione  è  rallegrato  dalla  vi- 
vacità ,  e  dalla  fempre  feftevole  loquacità  de'  fatiri ,  che 
nella  lor  fervitù  non  dimenticano  V  indole  proterva  ,  e 
le  lor  libere  baje .  Graziofa  è  la  maniera  di  menare  al 
pafcolo  il  gregge  di  Polifemo .  Non  men  graziofo  è  l'in- 
contro, e  il  mercato  di  Sileno  con  UlifTe  ,  e  lo  fcuo- 
primento  de'  novelli  ofpiti  fatto  da  Sileno  al  Ciclope  , 
e  lepidiffima  è  la  mentita,  che  i  fatiri  gli  danno.  Ri- 
dicolo è  foprammodo  il  coraggio  ,  che  dimoflrano  i 
fatiri  in  voler  concorrere  con  Ulifle  all' acciecamento  di 
Polifemo  ;  mentre  poi  ,  quando  fono  al  fatto  ,  gli  uni 
non  vogliono  entrare  uell' antro,  e  reflano  all'ufcio ,  al- 
tri diventano  zoppi  dalla  paura,  altri  non  veggono  più, 
altri  confefl^ano  il  timore  e  l'ignavia  loro  ,  e  alla  fine 
promettono  di  cantare  una  nenia  incantevole  ,  onde  il 
tizzone  entri  da  fé  nell'occhio  di  Polifemo.  Fefliviflìmo 
è  in  fine  il  modo,  onde  all'ottenebrato  Ciclope  infulta- 
no .  Niun  tratto  però  difonefto  e  fconcio  ne'  fatiri  fi  of- 
ferva ,  ninna  frafe ,  che  pofla  far  fremere  il  pudore .  So- 
lo a  Sileno  fcappa  un  motto,  che  farebbe  arrolfire,  fé 


non 


non  folTe  la  cofa  fotto  il  velo  delle  metafore  afcofa ,  e 
non  fi  dovefle  condonare  ad  un  briaco.  Ma  fé  vi  è  lai- 
dezza ,  o  empietà   fpiattellata ,   è  del  Ciclope . 

Quarto  è  il  carattere,  e  l'andamento,  e  la  teflura  è 
quefta  del  Ciclope  di  Euripide  .  Di  qui  dunque  argo- 
mentar poffiamo ,  qual  fofle  il  carattere  delle  Atellane  e  ' 
per  gli  argomenti ,  e  per  lo  ftile ,  e  per  lo  burlefco  e 
il  ridicolo .  I  fatiri  ,  che  diedero  il  loro  nome  alla  fa- 
tirica  greca ,  furono  anche  attori  nell'  Atellana ,  e  l' una 
dall'  altra  non  differì ,  che  nel  nome ,  come  abbiam  di- 
moftrato .  Che  fé  ne  furono  pofcia  banditi  ,  vi  fotten- 
trarono  gl'iflrioni  e  i  mimi,  perfonaggi  ugualmente  ri- 
dicoli .  L' argomento  delle  favole  era  tragico  piuttofto  , 
che  comico ,  ed  eroici  i  principali  perfonaggi  dell'  azio- 
ne. Per  queflo  lato  le  Atellane,  come  le  Satiriche,  fi 
avvicinavano  più  alla  tragedia ,  che  alla  commedia .  Così 
1  Atellana,  di  cui  fa  menzione  Giovenale  ,  intitolata  T 
Autonoe  ,  rapprefentava  le  avventure  di  quella  princi- 
pefTa  figlia  di  Cadmo  re  di  Tebe,  e  madre  di  Atteone, 
che  fu  da  Diana  trasformato  in  cervo  ,  e  da'  fuoi  cani 
divorato  (i)  .  E  un' Atellana  fu  Paride  ed  Enone,  di 
cui  fa  parola  Suetonio  nella  vita  di  Domiziano,  il  qua- 
le mandò  a  morte  Elvidio  il  figlio ,  autore  di  quefta  fa- 
vola, come  fé  nella  feparazione  di  Enone  da  Paride  a- 
vefTe  voluto  defcrivere  il  fuo  divorzio  dalla  moglie  (2). 

Gli 

(0    Urbicus  exodio  rifum  mov.t  Atellanae 

Geftibus  Autonoes.  i'jfyr. /f/. 
(i)     y.  Suet.  in  Domttian.  e.  io. 


T8 

Gli  avvenimenti  funefti  rifvegliavano  il  terrore  e  le  la- 
grime; e  il  mimo  Atellano  ,  il  quale  con  quella  ma- 
fchera ,  che  avea  Tempre  qualche  cofa  di  ilrano ,  di  ter- 
ribile, di  ridicolo  ,  come  quella  ,  che  facea  fpiritare  t 
fanciulli,  come  attefta  Giovenale  (i),  col  fuo  abbiglia- 
mento, che  non  era  molto  diflomigliante  da  quello  del 
noflro  Pulcinella ,  e  foprattutto  co'  fuoi  geiti ,  e  co'  fuoi 
movimenti ,  col  metro  adattato  alle  giocofe  fue  mofTe  , 
e  ai  fuoi  gefti  (2)  ,  col  fale  finalmente  ,  e  col  frizzo 
de' fuoi  motti,  con  allufioni  ingegnofe,  e  col  far  inten- 
der co'gefti  a  chi  fi  voleano  applicar  le  parole  ,  che 
fi  pronunziavano  ,  dileguavano  dagli  animi  il  terrore  , 
e  tutte  le  maninconofe  impreflìoni  ,  che  la  tragedia  vi 
lafciava.  E  ferbava  in  tutto  ciò  l'antica  eleganza,  co- 
me attefta  Donato  (3)  ,  vale  a  dire  femplicità  e  natu- 
ralezza  fenza   lifci,   e  fenza   belletti. 

Ecco  dunque  la  vera  natura  delle  Favole  Atellane  , 
di  quefla  terza  fpecie  di  drammatica  poefia  .  Veggiamo 
adelTo,  che  fiano  mai  flati  gli  efodj  .  L'anno  di  Roma 
309.  nel  confolato  di  Gajo  Sulpizio  Petico,  e  di  Gajo 
Licinio  Stolone,  la  pelle,  che  1'  anno  antecedente  avea 
cominciato  a  fare  fìrage  del  popolo,  non  celTava  d'in- 
crudelire orribilmente.  Nella  general  collernazione  la  ti- 
mida 

(0  .  :  .  tandemque  redit  ad  palpita  notum 
Exodium  ,  cum  perfoiiae  pallentis  hiatum 
In  gremio  matris  formidat  rufticus  infans  .  Jiiv.  Sat.  VI. 

(2)  Salibus  &  jocis  erat  compofita ,  &  in  fé  noa  habebat,aifi  vetuftara 
elegantiam  . 

(3)  Denat.  di  TtagceL  &  Cmctd.  p,  m.  a. 


79 
mida  fuperfìizione  del  popolo  inventò  nuove  maniere  di 
placare  lo  fdegno  degli  Dei.  Ma  non  ifceniando  ne  per 
umano  provvedimento,  ne  per  divin  foccorfo  la  violen- 
za del  male  ,  è  fama  ,  che  tra  l' altre  cofe  furono  an- 
che i  giuochi  fcenici  ifìituiii ,  cofa  affatto  nuova  per  uà 
popolo  bcllicofo  ,  che  fino  allora  erafi  dello  fpettacolo 
circenfe  appagato.  Si  fecero  venir  dall' Etruria  gli  attori, 
dice  Livio  lib.  VII.  e.  1.  i  quali  fenza  verfi  ,  fenza 
gefti,  che  imitaffero  l'efpreffione  de' verfi  ,  al  fuono  di 
una  tromba  fallando  facevano  alla  maniera  tofcana  non 
difpiacevoli  movimenti  .  Era  dunque  una  fpecie  di  pan- 
tomimica il  ballo  e  il  geflir  degli  etrufchi .  Cominciarono 
i  giovanetti  romani  ad  imitarli  ,  lanciandofi  però  a  vi- 
cenda fcherzevoli  frizzi  in  verfi  difadornì  e  tefluti  alla 
fciamannata;  ne  difcordì  dalla  voce  erano  i  gefti.  Piac- 
que la  cofa  ,  e  agli  attori  del  paefe  fu  dato  il  nome 
d'iflrioni  ,  poiché  hìfler  in  etrufca  fivella  il  giocoliere 
dinota.  Ma  quelli  non  più,  come  per  l' addietro  avea- 
no  fatto ,  rozzi  ed  incolti  verfi ,  fimili  ai  fefcennini ,  re- 
citavano alla  rinfufa  alternamente;  ma  fatire  ben  piene 
di  cofè,  col  canto  adattato  al  fuon  delle  trombe,  e  colla 
convenevole  gefticulazione  .  Andronico  ,  uom  greco  ,  il 
quale  affrancato  da  M.  Livio  Salinatore,  i  cui  figli  ave- 
va ammaeilrati ,  prefe  il  nome  di  Livio  Andronico ,  fu 
il  primo,  che  dalle  fatire ^  le  quali  così,  o  faturae  era- 
no dette  ,  perchè  erano  un  mifcugliò  di  varie  dicerie 
fenza  ordine,  e  fenza  legamento  accozzate,  ebbe  il  co- 
laggio di  paffare  a  compor  favole  di  regolare  argomen- 
to. 


80 

to.  Egli  fìi,  come  tutti  allora,  attor  de'fuoi  verfi .  Ma 
richiamato  più  volte  alla  fcena ,  perde  la  voce  .  Per  lo 
che  chiedane  licenza,  pofe  un  giovinetto  fervo  a  canta- 
re preflb  al  tibicine  ,  mentre  egli  faceva  i  gelH  confa- 
centi al  canto,  con  movimenti  tanto  più  vigorofi  e  snel- 
li ,  qu.into  che  non  erano  dall'  ufo  della  voce  impediti. 
Quella  è  la  minuta  narrazione  di  Livio ,  dalla  quale 
rileviamo,  che  tre  allora  erano  le  perfone ,  le  quali  ad 
una  medehma  cofa  concorrevano.  Uno  cantava;  cioè  pro- 
nunziava con  una  certa  modulazione  i  verfi  :  vicino  al 
cantore  era  il  tibicine,  col  cui  fuono  era  il  canto  d'ac- 
cordo; ed  un  altro  finahnente  co' movimenti  delle  mani 
e  de  piedi  quello  efprimeva  ,  che  col  fuono  e  colla 
voce  efprimevano  gli  altri  .  11  primo  era  quello  ,  che 
da  Suetonio  (i)  è  detto  tragcdo  ,  il  fecondo  il  d- 
hicìne  ,  il  terzo  1'  ifirione  ,  che  da  Suetonio  lieilb  (2) 
ipocrita  %ien  chiamato.  Allora  s'  introdufle  l'ufo,  fe- 
gaie  a  dir  Livio  ,  che  un  cantafTe  ,  mentre  1'  iflrione 
gelliva  ;  e  quello  appunto  vuol  dire  il  cantare  ad 
manus  ,  che  è  la  frafe  qui  adoperata  da  Livio  :  in 
de  ad  manum  cantari  hiflrionibns  coeptum  :  frafe  non 
ben  capita  dal  Salmafio  nelle  note  a  FI.  Vopifco  in 
Carino,  ove  pretende,  che  nel  teflo  di  Livio  legger  lì 
debba  /altari ,  in  vece  di  cantari  ;  ne  dal  Turuebo  ,  il 
quale  fpiega  il  cantare  ad  manus  per  cantare  in  prefen- 
za  d'altri.  La  lloria  di  Livio  Andronico  ci  fa  vedere, 

che 

(0      If  Cali^.  e.  54.  .        ,       , 

irì     in  Nemie  e.  24. 


8r 
che  il  giovane  fervo  che  cantava,  era  ben  dìftìnto  dal 
tibicinc,  e  dall' iftrione  ,  che  faltando  facea  geili  corrt- 
fpondenti  al  canto  .  Quel  fervo  adunque  cantabat  ad 
manus ^  cantava,  mentre  affianco  a  lui  T  iflrionc  imita- 
va col  geflo  r  cfprellìone  della  di  lui  voce  .  Leggafl  il 
Gronovio  su  quello  luogo  di  Livio  . 

Così  a  poco  a  poco  diventò  arte  lo  fcherzo .  Allora, 
foggiunge  Livio,  i  giovani  romani  abbandonando  agl'i- 
fìrioni  la  rapprefentazione  delle  favole  ,  tolfero  fecondo 
l'antico  coftume  a  pronunziare  a  vicenda  verfì ,  che  con- 
tenevano motti  fpiritofi  e  ridicoli  ,  verfi ,  che  pofcia  fi 
chiamarono  Efodj .,  e  furono  particolarmente  alle  Favole 
Atellane  inframmezzati.  Il  qual  genere  di  giuochi ,  fegue 
a  dire  lo  llorico  di  Roma ,  ricevuto  dagli  Ofchi  la  gio- 
ventù per  fé  ritenne,  ne  comportò  più  ,  che  foffe  da- 
gV  iftrioni  contaminato  .  Dal  che  avvenne  poi  ,  che  gli 
attori  delle  Atellane  non  furono  mai  dalla  tribù  rimoilì, 
e  militar  poteano  fotto  le  bandiere  romane  ,  come  fé 
giocolieri  non  fofTero  flati .   Fin  qui  Livio . 

Or  da  quanto  colle  fleffe  parole  dello  llorico  latino 
abbiam  raccontato  finora,  apparifce,  che  gl'iflrioni  ve- 
nuti dalla  Tofcana  non  erano  altro  che  pantomimi  .  I 
giovani  romani  vi  aggiunfero  in  verfi ,  che  non  aveano 
regolar  mifura,  de' motti  licenziofi  e  fcherzevoli.  Ma  di- 
rozzandofi  a  poco  a  poco  il  guflo,  prefero  miglior  for- 
ma i  verfi ,  e  furono  ripieni  di  concetti ,  di  giuochi  dì 
fpirito  d'ogni  forta,  e  di  motteggevole  vivacità. 

Di  qui  ebbe  origine  la  Satira,  genere  di  Poefia  pro- 

1 1  prio 


prio  de'  latini  ,  e  non  mai  conofcluto  dai  Greci  .  Eli» 
di  origine,  e  di  nome  è  latina,  detta  Satura  da  priit- 
cipio  dall'abbondanza  e  varietà  de' concetti.  Livio  An- 
dronica  abbandonò  la  fatira  ,.  e  cominciò  a  comporre  , 
e  rapprefentac  delle  favole  .  Ma  i  giovani  romani  non 
Tollero  abbandonare  l'ufo  di  quelle  facete  e  folkzzevoli 
cicalate ,  che  furono  pofcia  chiamate  EfodJ  ,  ed  inferite 
particolarmente  nelle  favole  Atellane,  vale  a  dire  ,  ri- 
pigliarono Tufo  delle  fatire,  le  quali  poi  fi.  chiamarono 
Efodj-,  quando  alle  favole  Atellane  furono  aggiunte- 
si vogliono  dunque  diftinguere  le  favole  Atellane  da- 
gli efodj  ,  che  ad  efie ,  e  forfè  ad  effe  fole  fi  aggiun- 
gevano :  e  dal  racconto  di  Livio  fi  può  ben  intendere^, 
che  mai  fi  foffero  gli  efodj.  Erano  ridicula  intexta  ver- 
fibuSy  che  fi  cantavano  in  fi-ne  d'ogni  atto  ,  o  in  fine 
della  favola  intera .  Imperciocché  era  propriamente  Te/ò- 
dio,  o  V  efoda,  una  fuonata  ,  che  dava  avvifo  ai  cort 
di  ritirarfi ,  ed  ai  fuonatori  di  far  filenzio .  Così  lo  de- 
finifcono  Snida,  ed  Efichio  (i).  Al  ritirarfi  delle  per- 
fons  ,  che  erano  in  ifcena,  cantavafi  quella,  che  canzo-^ 
ne  Atellanica  chiama  Suetonio  (a)  ,  e  che  dal  ritirarfi 
degli  attori  della  favola  prefe  il  nome  di  efodio.  Ben- 
€hè  creda  il  Sigonio  (3),  che  gli  efod^  fìano  lo  fieffo, 

«he 


(i)     In  Neron. 

^)     In  N.er.  ad  Lìxu. 


cìie  gli  epifoclj  di  Annotile  ,  e  che  fiano  fìati  det> 
ti  epifodj  ,  perchè  erano  fuori  dell'  argomento  della 
favola ,  ed  efodj ,  qaafi  siaoSix ,  perchè  nella  favola  in- 
neftati . 

Nacquero  eHl  fenza  dubbio  dalla  fatira  primitiva  d^ei 
latini,  quantunque  abbiano  pofcia  cangiato  nome  .  Ma 
fìccome  la  fatira  dall' eflere  un  teflìito  informe  di  motti 
fcherzevoU  e  frizzanti ,  in  verfi  rozzi  ,  e  di  niuna  ,  o 
di  capricciofa  e  difugual  mifura ,  diventò  poi  una  fpecie 
di  poefia  regolare,  che  fi  propofe  d' infegnare  agli  utj^ 
mini  la  verità  ,  e  la  moral  filofofia  ridendo  ,  e  fcher- 
zando ,  e  di  combattere  or  colla  derìfione ,  or  col  rim- 
provero il  mal  coftume  e  i  vizj  della  focietà  ;  così  non 
poflo  indurmi  a  credere,  che  gli  efodj  in  tutte  l'epo- 
che de'  progredì  e  della  perfezione  della  fatira  latina 
fiano  flati  a  qnella  fomiglianti  nella  forma ,  e  nella  ma- 
niera di  poefia  .  Almeno  da  quelle  poche  reliquie  di 
motti  tolti  dagli  efodj  delle  Atcllane  ,  che  fparfamente 
troviam  negli  antichi,  fi  fa  chiaro,  che  quelli  non  eb- 
bero mai  quel  metro  regolare  e  coftante  ,  che  fu  dato 
alla  fatira,  ne  abbiamo  argomento  da  credere  ,  che  la 
flefla  forma,  lo  fleffo  andamento,  e  lo  fleflb  fine  con- 
fèrvaffero  .  Saranno  flati  per  avventura  fimili  alla  fati- 
la di  Pacuvio ,  di  L.  Pomponio ,  di  Ennio  ,  p^effo  i 
quali  fa  un  mifcuglio  di  verfi  di  ogni  genere;  e  forfè 
ancora  alla  fatira  Varroniana,  nella  quale  anche  la  pro- 
fa  fu  co'  verfi  mifchiata ,  il  burlefco  col  ferio  ,  e  fino 
il  latino  col  greco,  come  da' frammenti  apparifcc,  e  fu 

*  da 


jr4 

da  Quintiliano  oflervato  (i).  Ma  non  è  credibile,  che 
abbiano  avuto  mai  nulla  di  comune  con  quella  poeda 
maledica,  comporta  per  riprendere  i  vizj  degli  uomini, 
col  carattere  delF  antica  commedia ,  col  carattere  cioè  li- 
cenziofo  e  mordace,  e  pieno  di  liberta,  giutla  la  defi- 
nizione di  Diomede  (2),  nella  quale  ebbero  il  piimato 
per  l'invenzione  Lucilio,  per  l' eleganza ,  per  la  mode- 
razione,  e  per  la  iìnezza  della  critica  Orazio. 

Gli  efodj  adunque  erano  farfe,  o  piuttollo  canzoni, 
elle  fi  cantavano  come  intermezzi  tra  gli  atti  delle  Atei- 
lane,  o  in  fine  di  effe;  non  altrimenti  che  le  Atellane 
niedefime  dopo  la  tragedia  fi  rapprefentavano . 

Ma  qual  era  la  forgente  di  quel  ridicolo  ,  per  cui 
e  le  Atellane,  e  i  fiaoi  efodj  furono  tanto  commendati 
dagli  antichi  ?  Ecco  1'  ultima  parte  del  foggetto  ,  che 
mi  ho  propoflo  .  Io  non  comprendo  ,  su  qual  fonda- 
mento han  fatto  alcuni  difcendere  il  ridicolo  delle  Atel- 
lane o  dalla  lingua  ,  o  da  certo  contorcimento  di  boc- 
ca proprio  degli  Ofcbi,  o  dalla  impudenza,  ed  ofcenr- 
tà  delle  loro  gefticulazioni  ,  e  delle  loro  frafi  .  E  mi 
duole,  che,  non  che  altri,  lo  Ileflo  diligenti  ili  ino  Pel- 
legrini (3)  fia  in  quello  errore  inciampato.  Infatti  dir, 
che  la  lingua  Ofca  rendeva  ridicole  le  favole  Atellane 
e  parlare  fenza  intendere  quel  che  fi  dice  .  Come  mai 
«na  favella,  che  può  efprimere  i  penfieri  della  mente, 

e 

(1)  ì'ìSìh.  Or.  Vtb.  X.  e.  I. 

(2)  Uh.  2. 

(3)  Appar.  alle  Aat.  Camp.  Dìjf.  iv.  r.  r. 


8y 

e  ì  movimenti  del  cuore  ,  una  favella  ,  e  fuppongafi 
pure ,  quanto  fi  vuole  barbara  e  rozza ,  come  mai  può, 
come  tale,  eflcr  ridicola?  La  lingua  Ofca  non  era  af- 
folutamcnte  fVraniera  in  Rona  ,  era  1'  antica  lingua  dei 
più  antichi  italiani;  e  nel  fecolo,  in  cui  furono  quelle 
favole  ili  Poma  introdotte,  non  era  la  lingua  de' Ro- 
mani affli  più  linda  ,  ed  elegante  dell'  Ofca  .  Qual  ra- 
gione adunque  aver  poteano  di  ridere  ,  e  di  cotanto  ri- 
dere in  afcoltare  per  cagion  d' cfempio  ,  Mceflus  ,  in 
vece  di  Majus  ,  famul  per  famulus  ,  pitpìt ,  per  quid- 
quid  ,  ed  altre  limili  voci  degli  antichiffimi  italiani  ? 
La  lingua ,  qualunque  ella  fia  ,  come  femplice  idruniento 
da  appilefare  i  fecreti  fentimenti  delf  animo  ,  non  può 
mai  clTcr  ridicola ,  fé  i  penfieri ,  che  efprime ,  non  con- 
tengono una  ragione  ,  ed  un  eccitamento  al  rifo  .  01- 
trecchè  non  è  vero ,  che  feti'pre  in  dialetto  Ofco  iìano 
Hate  le  Atellane  rapprefentate ,  ficcome  dimoftrano  quei 
pochi  motti  Atellanici,  che  ci  han  confervato  gli  anti- 
chi ,  e  che  fono  della  più  pura  lingua  del  Lazio  .  E 
fé  è  vero,  che  alcune  ne  fcrifle  Siila  nella  patria  lin- 
gua ,  come  racconta  Ateneo  da  noi  di  fopra  allegato  , 
non  nel  r  Ofca  certamente,  ma  nella  romana  lingua  le 
foriflè  .  Or  dove  poteva  eflere  allora  il  ridicolo  della 
lingua  . 

Molto  meno  intendo  poi  ,  qual  torcer  di  bocca  ,  o 
di  labbra  fofle  d'  uopo ,  per  pronunziare  le  parole  Of- 
che  ,  e  come  abbia  potuto  fognare  Giufeppe  Scaligero , 
eifer  quello  iìato  il  coiìume  ,  o  il  difetto    naturale  di 


S6 

quel  popolo  in  profferir  le  parole  di  fua  favella  (i)  . 
Aprire  più  o  meno  la  bocca ,  lìringere  più  o  meno  le 
labbra ,  come  è  di  meflieri  nel  diflinguere  il  Tuono  dellV, 
o  del  dittongo  ce  dal  fuono  dell'  a  ,  chiamaiì  ridicolo 
contorcimento  della  bocca  ?  Noi  viviamo  su  lo  lleflo 
fuolo,  e  fotto  lo  flefìb  cielo,  che  gli  antichiflìmi  Ofchi; 
uè  in  tanto  trafandare  di  fecoli  alcun  cangiamento  fi  è 
fatto  nella  bruttura  dell'  organo  della  voce  .  Or  qual 
torcer  di  bocca  fi  oflerva  tra  noi ,  anche  prelR)  T  infi- 
ma plebe  e  la  più  incolta ,  o  credefi  naturale  e  necef- 
fario  a  pronunziare  le  voci  del  noftro  dialetto.  Dunque 
uè  la  lingua  Ofca  ,  ne  la  maniera  diflorta  e  guada  di 
pronunziar  le  parole,  pofTono  effere  Hate  la  forgente  di 
quel  ridicolo ,  che  andava  si  bene  incontro  al  genio  dei 
Romani.  Ma  che  giova  in  un  affare  di  sì  alta  antichi- 
tà combattere  i  fogni  de' moderni  ,  quando  chiaramente 
gli  antichi ,  que'  che  ne  furono  telìimoni ,  fecero  confi- 
flere  il  ridicolo  delle  favole  Atellane  negli  argomenti  , 
ne'  motti  fcherzevoli  e  fpiritofi  ,  nella  maniera  di  dan- 
zare,  e  di  geflire,  come  atteftano  Livio,  Orazio,  Va- 
lerio Maffimo,  Diomede,   e   Donato  (2)? 

Ma  forfè  la  laidezza  degli  argomenti,  l'ofcenità  delle 
frafi ,  la  fconcezza  de'gefti  faranno  ftate  la  fonte  di  quel 
ridicolo ,  che  tanto  divertiva  i  Romani  ?  So  bene  ,  che 

pa- 
co   Maefnis  maìorem  fignificat  Ofca  lingua  ,  diftorfione  oris  ,    ut  mos 
«jus  gentis  erat ,  quafi  Majus  :    qaare  Majus  meofis  apud^eos  Maefius  di- 
cebatur.  Scali ^.  ad  Varron.  da  L.  L.  liù.  vi. 

(^)     Liv.  lib.  VII.   e.  ^    Horat.  di  Art.  V.  Zio.  Val.  Max.   Uè.  VI.    e.  i. 
Dim.  t.  (.  DQrì0iiis  Ae  Trag.  &  Cm, 


»? 

parecchi  han  così  penfato  ,  perchè  laida  oTtremodo  ed 
ofcena  ci  dipingono  l' indole  degli  Olchi ,  in  guifa  che 
non  ha  avuto  ritegno  Ginfeppe  Scaligero  colla  folita  ma- 
giftrale  franchezza  di  affermare ,  che  fìccome  Cimbro  fi- 
gnilìca  un  ladro,  come  Ifàuro  un  pirata,  come  Ambro- 
ne  un  dilToluto  ,  e  un  ghiottone  ,  così  Opico  ,  o  fia 
Ofco  un  ofceno,  giacché,  foggiunge,  talf  furono  quelle 
nazioni ,  e  noi  col  loro  nome  appelliam  quelli ,  che  fo- 
no tali  (i)  .  Ed  evvi  ancora  chi  crede  ,  che  la  flefla 
voce  ofceno  dagli  Ofchl  derivò  .  Ma  quefto  è  far  in- 
fulto  alle  nazioni,  alla  critica,  e  al  buon  feafo.  In  qual 
de' latini  fcrittori  trovò  la  Scaligero,  opico  eflèr  finoni- 
mo  di  ofceno?  E'  chiaro,  che  ei  dipinge  a  capriccio  , 
e  non  dietro  la  natura  e  la  verità.  Gli  Opici,  che  fon 
pur  lo  flelfo,  che  gli  Ofchi ,  ci  vengono-  dagli  antichi 
defcritti  come  barbari,  falvatichi,  rullici,  fudici  ancora, 
e  privi  di  quel  ritegno  e  di  quella  dilicatezza  ,  che  fi 
of&rva  nella  perfezione  della  focietà,  come  era  natura- 
le ,  che  foflero  uomini ,  i  quali  non-  erano  ancora  al  vi- 
ver focievoTe  avvezzi,  ne  dalla  pratica  di  ciò,  che  chia- 
mali mondo,  e  focieta,  ingentiliti.  Ma  che  il  loro  ca- 
rattere Ila  flato  una  brutale  e  sfrenata  ofcenità  ne'  co- 
ftumi,  nelle  parole ,  ne' gefli ,  ninno  è  degli  antichi ,  che 
io  fappia-,  che  il  dica.  Né  e  pollibile  intendere,  quan- 
do 

(i)  Non  ma^isCimber  làtronem  flgnifìcat,  quam  Tfaurus  r'Mtam ,  Am- 
bro  diffolutum  &  voracem,  Opicus  obfcenum  .  Sed  quii  tales  fuerunt  eae 
nationes,  de  eoxum  nomine  vocamus  qui  tales  lunt.  Seal,  in  Not.  ad  Fé-- 
Jfum  .9 


88 

do  così  fofle  flato ,  come  cofl:oro  pretendono ,  come  avel^ 
fero  potuto  ottener  le  Atellane  sì  coftante  e  sì  grande 
applaufo  in  Roma  .  Le  laide  cofe  laidamente  fpicgate  , 
anzicchè  deflar  rifo,  agli  uomini  più  corrotti  fanno  nau- 
fea ,  ed  orrore  agli  onefli ,  e  fanno  ridere  folamente ,  fé 
non  apparifcono ,  quali  fono  in  loro  fleflè ,  laide  e  fchi- 
fofe,  ma  col  velo  di  onefle,  o  almeno  ambigue  parole 
vengono  ricoperte  .  Ma  non  fono  le  cofe  allora  ,  che 
fanno  ridere  :  è  sibbene  la  maniera  ingegnofa  di  efpri- 
merle ,  o  piuttoflo  il  ripiego  ufato  per  cuoprirne  la  fcon- 
cezza  e  la  difbneftà  . 

Oltrecchè  nel  fecolo ,  in  cui  furono  le  Atellane  in  Ro- 
ma introdotte ,  la  gravità  de'  coflumi  era  tale  ,  tale  lo 
fpirito  pubblico,  tale  la  pubblica  oneflà,  che  non  avreb- 
bero mai  patito  orecchi  romani  di  afcoltare  ofcenità  sì 
fpacciate,  come  quelle  ,  che  fi  fuppongono  nelle  Atel- 
lane .  Ma  i  Romani  all'  incontro  non  folo  le  riceverono 
con  piacere  e  le  applaudirono ,  ma  ne  onorarono  a  tal 
fegno  gli  attori,  che  non  permifero  ,  che  gli  Atellani 
foflèro  con  gì'  iitrioni ,  e  con  altri  giocolieri  confufi ,  e 
trattati  del  pari.  Vollero,  che  gli  attori  delle  Atellane 
confervaflero  il  privilegiò  di  cittadini  romani ,  non  fof- 
fero  dalla  tribù  rimoffi,  alla  quale  erano  afcritti,  e  mi- 
litar poteiTero  nelle  legioni,  ficcome  Livio  ,  e  Valerio 
Maffimo  atteflano  (i).  Anzi  crebbe  cotanto  la  flima  e 
la  pafflone  loro  per  le  Atellane ,  che  non  ebbero  a  fde- 

(0    Liv.  m.  VII.  Val.  Ma%,  Vib.  V.  ^ 


gno ,   mentre  erano  sì  fchlfiltoil  e  reflii  per  tutto  ciò  , 
che  r  onore   e  la  dignità  di  cittadini  romani  avelTe  po- 
tuto  in   menoma  parte    adombrare  ;    e  mentre  in  tanto 
difprezzo  aveano  quelli,  che  fi  davano  in  ifpettacolo  sul 
teatro;   non  ebbero  a   fdegno,  io  dico,  di  montarvi   elfi 
fltffi  per   rapprcfentarc   le  Atellane,  riputanflolo  un  efcr- 
cizio  oncfto  ,  liberale ,  ed   ingenuo .   Or  come  mai  avreb- 
bero que' vecchi   romani   fofferto  ,    che   la   gioventù  ,   la 
fperaiiza  della   puciia  ,    deftìnata  a  proteggere  e  a   dila- 
tare coir  armi,   e  col   fenno  T  imperio  della   repubblica, 
fi   fbfle   per   tal   modo  involta   in   quel  lezzo,  che  ayelTe 
fi:elto  di   rapprefentare  ella  fiefla   quelle   laidezze  ,    che 
vituperevole   e   fconcio  era   intendere  dalla  bocca  altrui  ? 
Come   mai  avrebbe  chiufi   gli  occhi    su  qucfto   fcandalo 
pubblico  ,    su  quella   nefanda  fcuola   di  corruzione  ,    fé 
tal   era   la   favola   Atellana,  quel  Senato,  che  proibì  con 
tanta  feverità  i  baccanali  ,    che  pur   nafcondevano   nelle 
tenebre  il  libertinaggio ,  la  licenza  ,  il  difordine  ?   Avreb- 
be egli   mai  tollerato  ,  che  in  un  infame   bordello  tea- 
trale fi   fofTe    snervato  ed  infranto  quel    vigore  di  fpf- 
rito  e  di  corpo  ,   che  con   sì  faggia  educazione  ,   e  con 
sì  frequenti  efercizj   fi  fludiava  di   mantenere ,   e  di   ac- 
crefcer  ne'giovani?  Ma   io   mi   affanno  indarno   a  cercare 
argomenti    di  una    verità   ,    che  dai   più   folenni  Storici 
di   Roma  ci   e  contéflata .    Valerio  Malfimo ,  dopo  aver 
raccontato  colle  fìefle  circoftanze  di 'Livio  T  introduzio- 
ne de'  giuochi  fcenici  in   Roma ,  foggiunge ,  che  fi   fece- 
ro venir  d'Atclla   gli  attori,    e  che  il  divertimento  da 

12  elfi 


90 

eflì  dato  a'Homani  era  coli' italica  feverità  temperato ,  e 
perciò  efente  da  ogni  macchia  ed  infamia (i).  Piacque- 
ro dunque,  e  furono  onorate  in  Roma  le  Atellane,  non 
perchè  foiTero  fcuola  d' imraoderata  lafcivia ,  e  di  ftoma- 
chevok  ofcenità  ,,  ma  perchè  accoppiavano  felicemente 
il  dilettevole  ■cuirantica  aufterità  degl'  italiani  coflumi  . 
JJou  debbo  dilfimulare  però,  che  ficcome  col  cadere 
della  repubblica  cadde  ancora  il  rigore  dell'antica  difci- 
plina ,  e  la  più  generale  e  la  più  grande  depravazione 
fuccedette  alla  feverità  de'  coftumi  repubblicani  ;  così  il 
libertHiaggio ,  che  trionfava  in  tutti  gli  ordini  delle  per- 
sone, in  una  città  dai  vizj  di  tutte  le  nazioni  corrotta, 
del  teatro  benanche  s'impadronì.  I  vizj  lleilì  degl'  Im- 
peradori,  gli  efempj  d'ogni  lafcivia,  che  davano  al  po- 
polo ,  la  diiTolutezza ,  e  la  vigliaccheria  de'  grandi ,  die- 
dero incitamento  alla  profìituzione  de'  teatri  ;  e  la  per- 
dita della  libertà  ,  e  le  crudeltà  ,  e  le  oppreffioni  del 
governo  furono  uno  fprone  alla  licenza  del  dileggio,  e 
della  fatira .  Si  videro  applaudite  le  ofcene  buffonerie  , 
perchè  Itìfingavano  il  gufto  generale,  e  i  pungenti  frizzi 
degli  Atellani ,  che  ferivano  anche  i  padroni  del  mon- 
do, perchè  almen  colle  beffe  credevafi  vendicare  il  po- 
polo della  vergognofa  fervitìi,  in  cui  gemeva.  Tale  fu 
quel  verfo  Atellanico,  che  pafsò  in  proverbio  preffo  il 
popolo,  col  quale  fu  fotto  il  velo  d'una  metafora  ,  e 

d'  una  voce  a  doppio  fenfo  'rinfacciata  al  vecchio  Tibe- 
rio 

(t)     Atellani  autem  ab  Ofcis  acciti  funt  ,   quod  §enus  deleftationis  ita- 
lica feveritate  temperatimi ,  ideoque  vacuum  nota  eft .  Vel.  Max,  Ub.U.  cj,,. 


9ì 
fb  la  più  fozza  é  flomachevole  libidine:   Hlrcuin  vetu- 
lutn  capreis  naturam  ligurìre  ,    alludendod    alla  dimora 
dell' Impcradore  in  Capri,  dove   avea   ftabilito   l'albergo 
di  tutte  le  ofcenità ,  e  alla  coftanza  della  generofa  Mal- 
Ionia  ,    la  quale  amò   meglio  piantarli  in  petto    un  pu- 
gnale ,  cbe  piegarfl  alla  fchifofa  ,    e  fìrana  lulfutia  del 
vecchio  Tiberio  (i)  .    Così  Dato  ,    attore  dell'  Atellane 
nelTcfodio,  che  Suctunlu  chiama  cantico,    il  quale  in- 
cominciava uyixivs  TTXjsp  ,  Cyixiys  [xTìTsp,  osb  rapprefentare 
co'geUi  Claudio,   che  tracannava  il   veleno,  ed   Aarip- 
pina  ,    che  falvavafì  a  nuoto    dalla  morte  orditagli  dal 
figlio  ;    e  all'ultime  parole  della  canzone  ,    orcus  vobis 
ducet  pedes ,  accennò  col  gcdo  il  Senato,  volendo  dir, 
che  Nerone  ,    dopo  aver  uccifo  Claudio  ,    e   tentata  la 
morte  della   madre,   avrebbe   mandato  in   malora  l'ordi- 
ne intero  de' Senatori  .    Per  la  quale  audacia   1'  Impcra- 
dore fi  contentò  di  bandirlo  dall'Italia,   o  perchè,  co- 
me oflerva  Suetonio  (2),   difprezzaflc  oramai  qualunque 
infamia  ,    o  perchè  con  moflrarne  rifentimento  non  ve- 
nifle    ad  aizzare  viemaggiormente    gi'  ingegni  .    Non   fu 
tale  però    la  pazienza  ,    o    la    politica  di  Caligola  ,    il 
quale  fece  bruciar  vivo  il  poeta  di  un'Atellana  per  uà 
fol  motto  ambiguo,  che  potevafi  contro  di  lui  interpe- 
trare  (3).  Molte  novelle  della  crudeltà,  e  dell'avarizia 
di  Galba  aveano  preceduto  il  di  lui  arrivo  in  Roma  . 

*  Quin- 

(0  Sueton.  in  Tiùer.  e,  45. 
(i)  Siictcn.  in  Nero»,  e.  ^g. 
(.3)     Sutton,  in  Caḷ.  e.  27. 


Quindi  avendo  gli  Atellani  incominciata  la  nota  canzo- 
ne :  venit  io  funus  e  villa,  gli  fpettatori  ne  cantarono 
ad  alta  voce  il  reflo  ,  e  1'  accompagnarono  con  gefti  , 
che  additavano  Galba  fotta  il  nome  di  Simo,  come  fé 
aveffero  volato  dire  ,  V  uom  dal  nafo  fchiacciato  ,  e  lo 
fpilorcio  ,  poiché  quefto  carattere  ha  Simo  nelF  antica 
commedia  (i)  . 

Da  quelli  piccioli  faggi  ,  ^^Iic  delle  Atellane  ci  ha 
confervati  Suetonio ,  fi  può  ben  comprendere ,  che  avea- 
no  degenerato  dalla  primiera  innocente  giovialità  .  E  li 
può  comprendere  ancora  ,  che  non  tanto  le  ofcenità  , 
quanto  V  audacia  nel  motteggiare  e  ferire  anche  quelli , 
che  difponevano  della  vita  e  della  morte ,  obbligarono 
il  Senato  a  porvi  freno ,  e  a  difcacciare  gl'iftrioni  d'Ita- 
lia .  Tacito  fembra  parlarne  con  difprezzo  ,  allorché 
racconta  la  loro  efptilfione  (a) .  Ma  le  fue  fteflè  parole 
dimoi1:rano  ,  che  fé  delle  Atellane  favella  ,  nominando 
uno  fpettacolo  Ofco  di  leggerifllmo  divertimento  della 
plebe,  favella  delle  Atellane  de' tempi  fuoi,  di  quel  che 
erano  divenute  allora,  non  di  quelle  ,  che  erano  Hate 
tin  genere  burlefco  sì ,  ma  temperato  dall'  Italica  feverì- 
tà ,  che  avea  per  più  fecoli ,  e  con  tanto  applaufo  eil- 
larati  gli  animi  de'  fieri  e  rigidi  repubblicani . 


(0    Sueton.  in  Galba  r.  25. 

(2)  Ofcum  quoddam  ludicrum  leviflìmse  apud  vulgus  obisflrationis  ,  eo 
flagitiorum  &  vitium  venifle ,  ut  auftoritate  patrum  coercendum  fit  :  pulfi 
tum  hiftricnes  Italia.  Tac,  Annal.  Ut.  IV. 


9S 

C     A     O     I     O     N     I 

DE'  PROGRESSI    STRAORDINARI    DE'  GRECI 
NELLA  LETTERATURA  E  NELLE  BELLE  ARTI, 

Ze(ta  ai  20.  Dicembre  iS^g^ 
'^  DAL  SOCIO  RESIDENTE 

ANGELO    MARINELLI 

Profcjjore  di  Letteratura  antica  c  moderna  nelV  Univer- 
Jlta  de  Regj   Studj  di   Napoli . 

JL   Greci  che  hanno  fidata  l'epoca  la  più  brillante  della 
letteratura,   e  che,  in  materia   di  buon   guflo,   han   mai 
fempre   fornito  i   modelli    più  perfetti    alle  nazioni  civi- 
lizzate ,  sul  principio  furono  felvaggi ,   a  fegno  che  non 
avevano  d'uomo  che  la  fola  figura.   Le  loro  prime  fco- 
verte,   al  dir  di  Paufania  ,    confiltettero   nelP apprendere 
ad   alimentarfi   di  ghiande ,   a   covrirli   di   pelli ,  ed   a  co- 
Ilruire   delle  capanne.  In   una  parola,  ignorando  fin'an- 
che  i   dolci   vincoli  dell'  imeneo ,  vivevano  ed   erravano 
pe'bofchi,  a  guifa   di  beftie   feroci.   Un  sì  fiuto  fpetta- 
colo  è  certamente  umiliante  pel  genere  umano;   ma   eflb 
per  altro  ci  dimoftra  ad  evidenza   di  quanto  tenuti   fia- 
mo  alle  lettere  ,     fenza   le  quali    faremmo  ancora   nello 
flato  di  falvatichezza  . 

Fama  è  che  Cecrope,  Danao,  entrambi  Egizi,  ed  il 
Fenicio  Cadmo,  trafportando  delle  colonie  nella  Grecia, 
vi  abbiano  introdotta   la  civilizzazione  . 

Cecrope  fondò  la  città  di  Atene ,  e  fece ,  per  la  prl- 


ma  volta ,  fentire  ai  Greci  il  nome  deir  altitonante  Gio- 
ve. Cadmo  innalzò  delle  are  in  Tebe  ;  ed  Orfeo  pre- 
ferire in  tutta  la  Grecia  i  riti,  onde  tributar  fi  dovef- 
fero  gli  omaggi  alle  divinità  .  La  Religione  fu  dunque 
il  primo  fentir"cnto  cbe  fu  loro  infpirato .  All'  idea  di 
un  D'o  terribile  fi  fecero  fuccedere  le  inipreffioni  pia- 
cevoli ;  e  finalmente  1"  incantefimo  nafcente  dalle  belle 
arti,  fu  chiamato  in  foccorfo  della  politica,  per  addol- 
cire i  coflumi  ,  e  difporre  infenfibilmente  gli  animi  a 
ricevere  il  giogo  delle  leggi. 

Ma  la  Religione  non  penetra  in  una  contrada ,  fenza 
condurre  dietro  di  fé  un  lungo  corteggio  di  cognizioni. 
Appena  che  efla  Ci  moftra  ,  gli  organi  desinati  ad  in- 
vocare gli  Dei,  fi  fciolgono  ;  la  lingua  (ì  perfeziona  ; 
i  primi  accenti  della  poefia  e  della  mufica  fanno  rim- 
bombare r  aere  d' ogni  intorno  ,  e  la   morale  fi  forma  . 

Ciò  che,  per  altro,  contribuì  moltiflìmo  alla  pronta 
civilizzazione  della  Grecia ,  fi  fu  che  que'  fuoi  legislatori, 
illuminandola ,  non  le  propofero  dapprinìa  dottrine  aftrat- 
te  ed  intralciate .  Poiché  chi  non  vede  che  quegli  fpi- 
riti  inculti  trovandole  fuperiori  alla  loro  intelligenza  , 
le  avrebbero  rigettate  ?  Pel  contrario ,  ficuri  che  la  virtù 
s'  infpirerebbe  meglio  per  via  del  fentimento  che  dei 
precetti  ,  fi  diedero  a  parlare  all'  immaginazione  ;  e  le 
verità  che  annunziarono ,  furono  mai  fempre  abbellite  dalle 
grazie  della  poefia  e  della  mufica  .  Tali  mezzi  cattiva- 
rono gli  fpiriti  di  quegli  uomini  agrefii  ,  e  ,  mercè  il 
canto  e  le  danze    traendoli  dall'  alto  delle  montagne  e 

dal 


9-5 

dal  fondo  delle  fpelonche,  li  trattennero  nelle  pianure, 
palcendoli  di   favole,   di  fefle   e   di   fpettacoli. 

Per  tal  modo  i  Greci  cominciarono  a  ripulirli ,  ed  a 
diftendere  la  sfera  delle  loro  idee.  Ma  il  maggior  nu- 
mero delle  cognizioni ,  di  cui  andarono  in  appreflb  gra- 
datamente corredandoli  ,  loro  venne  dal  commercio  coi 
popoli  culti,  non  meno  che  dalle  guerre  di  leW  e  di 
Troja.  Quella  ultima  particolarmente  ch'era  fiata  fecon- 
da di  giaudi  avvenimenti,  efaltò  in  modo  la  loro  im- 
maginazione ,  che  ,  volendo  trafraetterne  ai  pofteri  la 
memoria  ,  non  fi  contentarono  di  teflere  una  floria  fe- 
dele, ma,  adornandola  di  racconti  romanzeschi,  compo- 
fero  altrettanti  poemi.  In  tale  occafione  furfe  una  gran- 
de folla  di  vati ,  i  quali  celebrando  in  verfi  le  vicende 
di  Troja ,  formarono  Omero ,  il  primo  raaeflro  del  ge- 
nere umano  ;  il  primo  ,  da  che  il  tempo  edace  a  noi 
forfè  rapì  le  produzioni  di  altri  più  antichi ,  e  valenti 
fcrittori . 

Per  riguardo  poi  alle  nazioni  eulte  che  in  quella  Ca- 
gione per  mezzo  del  commercio  fparfero  la  luce  fcien- 
tifica  nella  Grecia ,  chi  non  sa  che  i  Perfiani  erano  ver- 
fati  nella  politica ,  i  Caldei  nell'  afìronomia  ,  gli  Egizj 
neir  ailronomia  ,  del  pari  che  nelle  fcienze  fublimi  ,  i 
Fenicj  nella  navigazione,  e  tutti  generalmente  nella  teo- 
logia ,  nella  guerra  ,  nell'  agricoltura ,  nella  metallurgia  , 
e  nelle  arti  meccaniche/'  Quelli  popoli  adunque  che  la 
Grecia  in  apprelfo  appellò  barbari  ,  furono  quelli  che 
gettarono    nel  fuo  fuolo    il  primo  fé  me    delle  fcienze  . 

E 


9<5 

E'  vero  per  altro  ch'effe  cader  non  poteva  in  un  ter- 
reno più  fecondo  :  poiché  fi  vide  totlo  germogliare,  e 
mettere  fuori  un  arbore  immenfo  ,  i  cui  rami  ftenden- 
dofi   a  poco  a  poco  ,  coprirono  tutta  la  fuperficie  della 

terra . 

Vaglia  pp'-ò  l'onor  del  vero  :  le  cognizioni  che  gli 
altri  popoli  vi  trafportarono ,  non  erano  che  un  germe 
grolTolano  ,  il  quale  cambiò  di  natura  e  di  forma  in 
quel  terreno  feliciffimo  .  Minerva  ftc/Ti  ,  al  dir  degli 
antichi,  fcelfe  quella  contrada  pel  foggiorno  de' Greci, 
poiché  la  temperatura  del  clima  riguardar  a  lei  la  fece 
come  il  fuolo  il  più  acconcio  a  produrre  grandi  inge- 
gni. Quell'elogio  ,  come  ognun  vede,  non  è  che  una 
finzion  poetica  ;  ma  pure  efla  dimoltra  perfettamente  Tin- 
fluenza  grandlfnma  che  il  clima  efercitava  su  i  talenti 
di  quella  nazione.  Si  confideri  in  fatti  il  gufto  fquifito 
che  regna  nelle  opere  Greche,  e  trovcraflì  ch'eflb  non 
aveva  folamente  il  fuo  carattere  diftintivo ,  ma  che  tra- 
fportar  non  potevafì  altrove,  fenza  foffrir  un'alterazione 
fenfibiliflima  .  Un  argomento  irrefragabile  ne  fiano  le 
llatue  che  nella  Grecia  ,  e  quelle  che  in  Roma  dagli 
artifti  medelinii  furono  lavorate  .  Qual  differenza  nota- 
bile tra  loro!  Di  quanto  lungo  tratto  quelle  ultime  fo- 
no al  difotto  dei  primi   modelli  ! 

Quel  cielo  ridente  e  puro  contribuiva  altresì ,  in  una 
maniera  prodigiofa ,  alla  perfetta  organizzazione  de' loro 
corpi,  ed  immaginar  non  puoffi  in  quante  guife  ,  per 
aver  fanciulli  ben  fatti ,  effi  ajutaffero  l' influenza  naturale. 

Su- 


Subito  che  a  Sparfa  una  donna  fcovrìvafi  incinta  ,  in^ 
troducevaniì  nel  fuo  appartamento  le  immagini  ài  Ebe, 
xJi  Caftorc,  di  Polluce  e  di  Apollo,  affinchè  la  di  lei 
fantafia  fcofla  da  quegli  oggetti  vaghi  e  leggiadri  ,  ne 
trafraetteiTe  al  fuo  feto  i  lineamenti.  Nato  il  fanciullo 
qual  cura  non  prendevafì  dello  fviluppo  ^1  fuo  cor- 
picciuolo  ,  della   fua  fisica  e  morale   educazione  ! 

Quindi  i  Greci  vivendo  fotto  un  ciel  fèreno  ed  all' 
ombra  di  un  governo  temperato ,  foccorfi ,  d' altronde 
dall' iftituzione,  fi  formarono  al  fuono  della  lira  di  Li- 
no e  di  Orfeo  una  lingua  sì  bella  -che  con  efla  dipìn- 
gevano tutto  ciò  che  loro  cadeva   nell'  animo .   Ma  don- 
de mai  quello   vantaggio  ?    I  loro  fenfi    operando    per 
mezzo  de' nervi  agili  e  fottili  su  di  un  cervello  dilica- 
tamente  teffiito ,  e  perciò  concependo  di  leggieri  ed  ali* 
iftante  le  differenti  qualità  degli  oggetti ,   le  rendevano 
nella  maniera  la  più  nobile   e  pittorefca .   Qual  dolcezza 
infarti  !    Qual   abbondanza  !    Qual  armonia    in    quel  lin- 
guaggio divino  !    Fedele    interprete    dello  fpirito    e  del 
cuore,  nel  tempo  fìeflò  che  per  la  dovizia  e  per  l'ar- 
ditezza delle  fue  efpreffioni,  manifellava  chiaramente  tut- 
te le  idee,  e  fapeva   adornarle,  al  bifogno,  di  vivi  co 
lori,  la  fua  melodìa  rapiva  altresì  e  foggiogava  l'altrui 
volontà.  Tale  era  la  lingua  del  popolo  il  più  fenfibile 
;he  fia  giammai  efiftito.  EfTo  lafciava  di  leggieri  impu- 
lita Toffefa  che  gli  oratori  potevangli  fare  ,  opponen- 
lofi  ai  fuoi  voleri,  ma  era  però  con  eflo  loro  inefora- 
^ile,  fé  permettevanfi  d'infultare  il  fuo  orecchio.  L'at- 

i|  te» 


98 

tefti  Pericle ,,  quel  domina tor  di  Atene .  Coflui ,  tutte  le 
volte  che  montar  doveva  sulla  tribuna ,  faceva  a  Giove 
la  feguente  preghiera  :  Io  non  ti  domando ,  o  padre  de- 
gli Dei  e  degli  uomini,  lumi  e  faggeta ,  ma  bensì  un 
linguaggio  puro  ed  fì^g^te  ;  fa  dunque  ,■  ten  prego  , 
che  dalla  ^•-ca  mia  non  efca  parola  alcuna  che  ferir 
pojja  gli  orecchi  delicatijjimi  degli  Atenìefl . 

Or  fé  i  Greci  erano  tanto  fenfibili  per  la  fempUce 
melodìa  della  parola ,  e  fé  i  fìlofofi  fteflì  ,  ove  giun- 
geflèro  a  cattivarli  l'orecchio,  erano  lìcuri  di  efpugnare 
il  cuore,  qual  effetto  su  di  loro  produr  doveva  la  poe- 
iìa  fecondata  dalla  raufìca  e  da  una  voce  armoniofa  ? 
Sembra  certamente  che  gli  fcrittori  vogliano  indurci  in 
errore  ,  allorché  narrano  che  quel  governo  con  ferieta 
difcuteva ,  fé  una  corda  aggiunger  dovevafi  alla  lira ,  e 
le  un'aria  rauficale  era  da  araraetterfl  o  da  rigettarli  , 
poiché,  per  sì  fatte  innovazioni,  paventava  ,  che,  co- 
niunicandofi  al  popolo  emozioni  molto  violente  ,  fi  fa- 
rebbe rifchiato  di  fpinger  troppo  lungi  i  fuoi  vizj  e  le 
fue  virtii;  e  pure  niente  è  più  vero  ,  ne  più  naturale 
di  ciò  preffo  di  un  popolo  ch'era  dominato  dai  fenfi  . 
Chi  non  sa  che  allorquando  sul  teatro  di  Atene  rap- 
prefentoffi  la  tragedia  delle  Eumenidi  di  Efchilo ,  il  po- 
polo fu  prefo  da  tale  terrore  ,  che  più  di  una  donna 
incinta  abortì ,  ed  alcuni  fanciulli  vi  perirono  ? 

Quefta  loro  fenfibilità  naturale  era  eziandio  maggior- 
mente eccitata  dalla  mufica.  Imperciocché  eifa,  fempli- 
ce  nella  fua  origine  ,    ed  infeparabile  dalla  poefia  ,   ne 


99 

accattava  le  grazie,  o  pluttoflo  le  predava  le  Aie;  men- 
tre tutta  l'ambizione  eh' effa  nutriva,  altro  fcopo  jion 
aveva  che  di  abbellir  la  fua  compagna .  Qual  impreflio- 
ne  dunque  non  doveva  fare  fopra  di  un  uditore  fenfi- 
bile  una  poefia  eccellente,  ed  in  tal  modo  efpreffa  ?  Se 
la  femplice  declamazione  ci  flrappa  le  lagrime  ,  quale 
forza  non  debbe  aggiungervi  tutto  l'incantefimo  delfar- 
monia  ,  quando  effix  V  adorna  fenza  foffogarla  ?  Perchè  la 
vecchia  niuiìca  di  Lulli  ci  va  sì  bene  al  cuore  ?  Perchè 
tutti  i  fuoi  emuli  fono  rimalli  sì  al  di  fotto  di  lui  ? 
La  ragione  fi  è  che  nelTua  tra  loro  ha  intefo  ,  al  par 
di  effo,  l'arte  di  accoppiare  la  mufica  alle  parole  ,  e 
perchè  il  fuo  recitativo  fi  avvicina  maggiormente  al  tuo- 
no della  natura  ed  alla  buona  declamazione.  Non  giù. 
dichiamo  dunque  degli  effetti  della  mufica  Greca  da 
quelli  che  produce  la  noftra ,  poiché  efla  nulla  ci  ofìre 
di  fomigliante  a   tempi  noflri . 

Prefib  gli  antichi  Romani  Orazio  ,  e  tra  noi  ancora 
Chiabrera  e  Malherbe  fingevano  di  cantare  sulla  lira  . 
Ma  Orfeo  ed  Anfione,  per  ammanfare  i  popoli  feroci, 
per  riunirli  in  fociet'a ,  per  determinarli  a  vivere  ali-om- 
bra delle  leggi  ;  ma  Terprandro ,  per  diffipare  le  difcor- 
die  che  laceravano  la  Repubblica  Spartana  ;  Tirteo ,  per 
animarla  ai  combattimenti  ;  Alceo  infine  ,  per  fufcitare 
la  guerra  alla  tirannia ,  e  riaccendere  negli  animi  de'Les- 
biani  r  amor  della  hbertà ,  non  fingevano ,  ma  cantava- 
no realmente  al  concento  di  sì  portentofa  mufica  . 
Se  credito  prefiar  vogliamo  ad  Omero ,  la  lira ,  nel- 

*  la 


roo 

la  corte  de'  Greci  Monarchi ,  faceva  la  delizra  de'  batti- 
chetti  .  Il  cantore  eravi  riguardato  come  V  amico  delle 
mufe  ,  ed  il  favorito  di  Apollo  .  Quindi  1'  entufiasmo 
de'  popoli  e.  dei  Re  accendeva  quello  dei  poeti ,  ed  il 
genio  che  aaima-**  Ja  Grecia  tutta  ,  dovevafi  in  parte 
a  queft'  arte  prodigiofa. 

Ma  ciò  che  contribuì  a  rendere  la  poeiìa  lirica,  vie 
più  grave  ed  importante  ,  si  fu  1'  ufo  che  ne  fece  la 
politica,  chiamandola  in  fxio  ajuto  per  formare  i  colìu- 
nii   e  la   morale. 

Non  dobbiamo  quindi  efìère  forprefi  ,  che  il  poeta 
©norato  nella  corte  de'  Sovrani  ,  ne'  tempj  degli  Dei  , 
nelle  folennità  della  Grecia  infiem  raccolta  ,  fia  fiato 
afcoltato  ben' anche  ne' configli  ed  alla  t^efla  degli  efer- 
eiti ,  allora  particolarmente  eh'  egli  lleflb  elettrizzato  dal 
fuono  della  lira  ,  paflar  faceva  nelle  anime  altrui  ,  ai 
dolci  nomi  di  libertà  ,  di  gloria  e  di  patria  ,  i  fenti- 
Hienti  profondi  di  cui  era  penetrato-. 

Oltracciò  il  carattere  diftintivo  de'  Greci  ,  fonte  di 
gran  prodigj  nelle  belle  arti  e  nella  letteratura ,  fu  l'im- 
portanza ch'effi  attaccavano  ai  loro  piaceri  .  Tutto  ciò 
che  aveva  il  dono  di  lufingare  i  fenfi  di  quel  popolo 
idolatra  della  bellezza  e  della  voluttà ,  era  da  elio  di- 
vinizzato .  Uno  fcultore ,  un  pittore ,  un  poeta  lo  riem- 
piva di  ammirazione .  Una  cortegiana  celebre  per  le  va- 
ghe fattezze  del  fuo  corpo ,  è  incinta  :  ecco  un  modello 
di  beltà  perduto:  Atene  è  immerfa  nel  duolo  e  nel  lut- 
to: fin  da  Coo  fafFi  venire  Ippocrate  ,    per  procurarne 

l'abcr- 


i.0< 


r aborto:  quefli  la  lafcia  cadere:  la  leggiadra  donna  a- 
bortifce:  il  modello  di  Venere  è  falvato:  la  città  fi  ve- 
de al  colmo  deir  allegrezza  .  La  vezzofa  Frine  è  acca- 
fata  d' empietà  avanti  il  tribunale  degli  Eliafd  :  l'oratore 
Iperide  ,  vedendola  convinta,  le  Urappa  11  velo  che  la 
copriva,  e  rivolto  a  quei  vecchioni  efclama  :  Efi  bene 
avrete  voi  il  coraggio  di  far  perire  una  beltà  sì  rara  ? 
I  Giudici  ne  fono  tocchi,  e  Frine  è  a  pieni  voti  aflbluta. 

Non  fia  dunque  meraviglia,  fé,  al  dir  di  Teofrafto^ 
furono  a  Tenedo  ed  a  Lesbo  flabiliti  i  tribunali  ,  per 
decidere  della  venuflà  delle  donne  ;  e ,  fé  in  una  città 
del  Peloponnefo ,  tutti  gli  anni  effe  efponevanfi  al  eon- 
corfo,  e  colei  che  le  fue  rivali  forpaffava  ia  beltà,  ric- 
chi prefenti  otteneva  in  ricompenfa.  Molto  fìrano  fera- 
brami  però  che  gli  uomini  ancora  fi  abbiano  queflo  pre- 
mio difputato;  e  pure,  fecondo  il  rapporto  dello  fteflo 
Scrittore  ,  ciò  pratica vafi  ad  Elea  .  Alcibiade  nel  fior 
della  fua  età  apprefe  a  fuonar  il  flauto  ;  ma  cffendofi 
avveduto  che  gU  sforzi  i  quali  faceva  per  trarne  i  fuo- 
ni  ,  sfiguravano  le  regolarità  del  fuo  fembiante  ,  mife 
r  iftrumento  in  pezzi ,  ed  a  fua  imitazione  tutta  la  wio 
ventù  Ateniefe  riguardò  fpregevole  quel  divertimento  che 
alterava  le  leggiadre  forme  della   loro  figura  . 

Malgrado  però  V  entufiasmo  e  la  fenfibilità  eftrema 
dei  Greci,  il  carattere  del  loro  gufto  esa  fempliciffimo. 
Nella  fcultura  ,  nella  pittura ,  nel!'  architettura  ,  nella  poe- 
Ca,  nella  roufica,  le  loro  compofizioni ,  le  loro  forme, 
i  loro  ornamenti  raedefinii  erano  femplici  :  non  vi  fi  ve- 
de- 


tot 

deva  niente  di  complicato,  niente  di  confufo,  niente  dì 
fìentamente  compofto  ,  foprattutto  niente  che  non  fofTe 
ben  legato,  e  che  ne' rapporti  della  caufa  all'  effetto  , 
ridotto  non  foffe  all'nnità: 

Deniq'-''^  fit  quodvis  fimplex  dumtaxat  &  unum. 
Ecco  la  divi  fa ,  la  regola,   e  la  magìa  delle  loro   arti. 

Ma  quello  carattere  di  femplicità  tanto  vantata ,  non 
fu  fé  non  effetto  dei  coftumi,  poiché  1  colìumi  dei  Gre- 
ci ,  fé  in  paragone  lì  mettano  coi  nofìri  ,  erano  fem- 
plicifllmi,  per  la  ragione  ch'effendo  repubblicani,  effer 
dovevano  più  liberi  e  generalmente  popolari . 

Sì,  quella  libertà  ch'eleva  l'anima  dei  cittadini,  fu 
la  prima  cagione  che  contribuì  allo  sviluppo  di  quel  po- 
polo claffico ,  poiché  la  forma  del  governo  influifce  ef- 
fenzialraente  sulle  arti  e  sulle  fcienze  di  tutte  le  nazio- 
ni .  I  Sovrani  che  ,  rifpettando  il  codice  eterno  della 
natura ,  lafciano  ai  fudditi  la  porzione  della  libertà  ch'è 
loro  neceffaria  per  illuminarfi  ,  bifogno  non  hanno  di 
minacce  e  di  catene  per  tenerli  a  freno  ,  ne  innalzar 
debbono  baluardi  sulle  frontiere,  per  garantire  lo  flato 
dagl'infuki  fìranievi.  Il  genio,  il  valore,  i  lumi  e  la 
virtù  fono  i  figli   della  libertà  . 

Ma  confidiriamo  di  grazia  più  da  vicino  la  città  di 
Atene,  e  troveremo  che  ivi  tutto  è  moto,  tutto  è  at- 
tività ,  tutto  confpira  alla  propagazione  de'  lumi . 

Vedete  da  nna  parte  que'  giovanetti  ,  che  abbando- 
nati alla  fuperftizione  ed  al  piacere  fi  slacciano  di  buon 
mattino  dalle  braccia  delle  più  avvenenti  cortiggiane ,  e 

riem_ 


103 

flempiono  i  licei,  i  teatri  ed  i  templi.  Dall'altro  can- 
to mirate  i  capi  della  repubblica ,  che  quantunque  efpo- 
m  al  pericolo  di  effere  immolati  alla  gelofìa  di  un  po- 
polaccio inquieto  ,  pure  fono  rutti  intenti  al  maneggio 
degli  affari  pubblici ,  e  meditano  delle  grandi  imprefe  , 
egualmente  che  de'  gran  delitti  .  Più  in  là  guardate  i 
Retori  ed  i  poeti  ,  che  immerfi  in  una  meditazione 
profondiffima ,  paflano  il  loro  tempo  a  comporre  trage- 
die,, commedie,  difcorfi  eloquenti  e  canzoni  immortali  . 
Quindi  in  un  angolo  appartato  fi  oflèrvino  quegli  ucK 
mini  trilli  e  queruli,  che  fcreditano  gli  Dei,  rampogna- 
no i  coftumi  della  nazione ,  mettono-  in  veduta  le  fcioc- 
chezze  de'  grandi  e  fi  lacerano  tra  loro  :  coftoro  ,  fé 
noi  fapete,  fono  i  filofofi  che  di  tratto  in  tratto  il  fa- 
natifmo  dei  preti  e  la  fuperchierìa  de'  magidrati  perfe- 
guita  e  caccia  di  città.  Paffiamo  alla  piazza  pubblica  , 
ed  entriamo  in  quelle  botteghe  che  la  circondano  .  In 
una  fi  difcutono  gli  affari  della  Repubblica  ,  gli  aned- 
doti delle  famiglie,  ed  i  difetti  dei  particolari.  Più  a- 
vanti  fi  parl-d  di  notizie  e  di  fpedizioni  militari. 

Da  qualunque  lato  adunque  fi  gettino  gli  fguardi  , 
vi  fi  vede  f  impronta  del  genio ,  il  movimento ,  1'  atti- 
viù  dello  fpirito,  ed  il   vizio   a  fianco  della  virtù.. 

A  quelli  vantaggi  fé  n'aggiunga  un'altro  non  meno 
effenzialc  e  rimarchevole .  Preffo  i  Greci ,  lo  fiudio  delle 
lettere  abbelliva  quello  delle  fcienze  ,  e  lo  fìudio  delle 
fcienze  dava  alle  lettere  maggior  lufìro  ,  e  splendore  . 
Poiché  avendo  eflì  comprefo  che  tutte  le  facoltà  hanno 

tra 


tra  loro  i  legami  ed  i  rapporti  i  più  intimi  e  jdrettì  , 
le  fecero  mai  Tempre  marciare  di  conferva  ,  in  modo  che 
fervir  fi  doveffero  fcambievolmente  di  appoggio  .  In  fatti, 
quantunque  le  raufe  prefedeffero  le  une  alla  poefia  ed 
alla  ftoria  .  !<:  altre  alla  dialettica  ,  alla  geometria  ed 
air  aflronomia ,  nondimeno  efiè  erano  nella  Grecia  riguar- 
date come  forelle  infeparabili .  Omero  ed  Efiodo  le  in- 
vocano tutte  ne' loro  poemi  ,  e  Pittagora  ad  effe  indi- 
Aintamente  facrificò  un'  acatombe  filofofica  quando  ebbe 
fatta  li  fcoperta  che  il  quadrato  dell'  Ippotenufa  nel  trian- 
golo rettangolo  è  eg-uale  ai  quadrati  degli  altri  lati  . 
Quindi  Empedocle,  Epicarmo,  Parmenide,  Archelao  fu- 
rono egualmente  celebri  tra  i  poeti  che  tra  i  filofofi  . 
Socrate  coltivava  nel  tempo  fleflb  la  filofofia ,  l' eloquen- 
za e  la  poefia .  Senofonte  fuo  difcepolo  fu  oratore ,  flo- 
rico  ,  uomo  di  flato  ,  guerriere  e  politico  .  Platone  ed 
Ariflotele  gran  rifalto  dettero  alle  fcienze,  il  primo  per 
uno  flile  fiorito,  l'altro  con  precetti  pieni  di  un  guilo 
raffinato  .  A  dirla  in  uno  ,  fé  i  Greci  unirono  al  me- 
rito il  più  folido  la  più  brillante  riputazione  ,  effi  lo 
dovettero  a  quella  felice  affociazione  delle  belle  lettere 
colle  fcienze  efatte. 

Ma  di  tutti  i  loro  ritrovati  fpiritofi  ,  un  luogo  di- 
ilintiffimo  occupa  certamente  quello  del  fiftema  filofofi- 
co  e  religiofo .  Oh  quanto  è  effo  ingegnofo  !  Oh  quanto 
riefce  acconcio  alle  belle  arti,  non  meno  che  alla  poe- 
sìa !  I  vati  Greci  eh'  erano  nel  tempo  fleffo  i  filofofi  ed 
i  teologi  della  nazione,  ignorando  le  leggi  della  natu- 
ra, 


Ì05 

■n  ,  ed  eflendo  dall'  altro  canto  dotati  di  una  Curiofità 
grande  sì  ,  ma  incapace  di  penetrarne  i  fenomeni  ,  ri- 
duiTero  la  filofofia  all'  invenzione  del  maravigliofo .  Tut- 
te le  caufe  feconde  divennero  per  elTi ,  come  fuccede  a 
tutti  i  popoli  fanciulli  ed  immaginoiì ,  altrettante  intel- 
ligenze attive.  Gli  elementi  furono  quindi  popolati .  La 
luce,  il  fuoco,  l'aria,  l'acqua,  i  venti,  le  procelle  , 
tutte  le  meteore ,  i  bofchi ,  i  fiumi ,  le  campagne ,  i  fiori, 
e  le  frutta  ebbero  le  loro  divinità  particolari.  In  cam- 
bio d'indagare  ,  come  mai  il  fulmine  lì  accenda  nella 
nube  ,  donde  procedano  i  tremuoti  e  que'  venti  furiofl 
il  di  cui  urto  fconvolge  le  onde  del  mar'e,  differo  che 
la  folgore  è  fcagliata  da  Giove;  che  il  gigante  Encela- 
do  fottopofto  air  Etna  ,  agitandofi  ,  fcuote  la  terra  ,  e 
vomita  torrenti  di  fiamme  ;  che  Eolo  fcatcna  i  venti  , 
e  che  Nettano  mette  folTopra  i  mari  col  fuo  tridente  . 
Una  fisica  di  tal  natura ,  quantunque  poco  foddisfacefle 
la  ragione,  pure  lufingando  l'immaginazione  di  quel  po- 
polo eftremamente  vago  de'  prodigj  ,  entrò  nel  fiftcma 
teologico  ,  e  dopo  aver  efTa  perduta  la  fua  autorità  , 
conferva  tuttavoka  a  giorni  nollri  le  fue  grazie  e  le 
fue  bellezze. 

La  morale  ,  come  la  fisica  ,  è  infiorata  di  finzioni 
maravigliofe .  Agli  Dei ,  alle  anime  virtuofe  ed  ai  mal- 
vaggi,  differenti  luoghi  fi   aflegnarono   nell'altro  mondo. 

L' Olimpo  era  il  foggiorno  degli  Dei .  Là ,  in  mezzo 
all'allegrezza,  agli  amori,  ad  una  pace  imperturbabile 
ed  a  lauti  noa  interrotti  conviti ,  la  veziofa  Ebe  diflri- 

14  bui* 


buiva  il  nettare  e  l'ambrofia,  ed  Apollo  circondatx)  dalle 
mufe  cantava  inni  divini  al  fuono  della  fua  lira  armoniofa. 

Gli  Elisj  erano  la  dimora  degli  uomini  giudi  .  Co- 
floro  afilli  sulle  zolle  fiorite  ivi  paflavano: dolcemente  i 
loro  giorni  fereni  all'ombra  degli  alberi  fronzuti.  Mille 
rufcelietti  ferpeggiavano  in  mezzo  a  quelle  campagne  ri- 
denti ,  ed  innumerevoli  rufcelli  le  facevano  ecbeooiare 
del  loro  canto  .  Da  per  tutto  regnava  la  pace  e  la 
tranquillità  . 

Il  Tartaro  era  la  fede  del  pianto  e  della  defolazio- 
ne  ;  i  ribaldi  vi  fi  vedevano  abbandonati  ai  fupplicj  i 
più  fquiiìti.  Là ,  Sififo  rotolava  continuamente  uno  srai- 
furato  faifo  dal  pie  alia  vetta  di  una  montagna  fcofce- 
fa ,  donde  alf  iftante  ricadeva .  Ivi ,  il  fitibondo  Tanta- 
lo ,  immerfo  in  un  lago ,  bere  non  ne  poteva  1'  acqua 
che,  alfavvicinarfi  del  fuo  labbro,  fi  ritirava  ,  ed  un 
ramo  carico  di  frutta  ,  flando  curvato  davanti  la  fua 
bocca  famelica  ,  raddrizzavafi  tofto  eh'  ei  voleva  raan- 
gian\e.  Il  Tartaro  fu  in  fomma  per  loro  il  terrore  dei 
malvaggi,  {ìccom.e  gli  Elisj  furono  la  fperanza  dei  virtuofi. 

La  metafisica,  al  pari  della  fisica  e  della  morale,  fi 
getto  nel  maravigliofo .  Da  ciò  la  filofofia  trafTe  un  van- 
taggio egualmente  rimarchevole,  e  fi  fu  quello  di  ren- 
dere fenfibili  le  idee  aftratte  ,  elevandole  al  rango  di 
divinità.  I  vlz),  le  virtù,  le  paffioni  umane  non  furono 
pui,  fecondo  il  loro  fiftema,  nozioni  vane  e  chimeriche. 
Tutto  acquifiò  vita  e  movimento  .  La  faggezza ,  la  giuflizia, 
la  verità,  l'amicizia,  la  pace,  la  concordia,  la  beltà  , 

le 


107 
le  grazie,  il  tempo  fìefTo,  in  una  parola,  tutte  le  idee 
fattizie  e  compolle  ,   furono  perlonificate  . 

Qual  cofa  puollì  efcogitare  più  di  quella ,  favorevole 
alle  belle  arti  e  fegnatamente  alla  poefia  ?  La  mitologìa, 
confiderata  fctto  quello  punto  di  veduta  ,  è  la  produ- 
zione la  più  ingegnofa  e  bella  dello  fpirito  umano;  ed 
anche  oggidì  ad  efla  abbiam  ricorfo,  tutte  le  volte  che 
infiorar  vogliamo  di  vaghe  immagini  i  poetici  compo^ 
cimenti  . 

La  iloria  nazionale  non  era  men  fingolare  del  filìe- 
ma  religiofo  e  filofofico. 

La  Grecia  era  Hata  popolata    da  una  folla    di  colo- 
nie ,  a  ciafcuna  delle  quali   toccato  era  per  duce  un  ven- 
turiere  coraggiofo .  La  rivalità  di  quelli  fondatori  ,   nei 
tempi   di  barbarie  ,    produfle    difcordie    ed  effufione    di 
fangue .   Quindi  la  gelofia  e  V  ambizione  dei  popoli ,  efa- 
gerando  i  delitti  dei  vicini ,  ed  efaltando  gli  eroismi  dei 
loro  proprj   antenati ,  alterarono  la  Iloria  patria .  Da  ciò 
venne  quel   mefcuglio  di  fcelleraggini  e  di  virtù   ne'mc- 
defimi   eroi .   Ciafcuna  famiglia  era  imbrattata  t^i  misfatti 
ereditar] .   Il  ratto ,   l' adulterio  ,  V  incerto  ,    il  parricidio 
formavano  gli  annali  di  que' primi  briganti.   Le   Danai- 
di,  gli   Atridi  ,  le  favole  di  Meleagro    e  di  Minoffe  , 
quella  Medea   che  Giafone   menò  dalla  Colchide ,  la  guer- 
ra di  Tebe  e  di  Troja,  fono  il  terrore  dell'umanità  ed 
il  teforo  delia  poefia . 

Che  diremo  di  quell'ebbrezza  di  gloria  che  riportata 
avevano  da  Maratona  ,    da  Salamina  ,    da  Platea   e  da 

'^  Mi- 


FO'8' 

Micak  ?  Quefle  profpentà  ,  del  pnri  che  il'  loro  orge*- 
glio  continuamente  irritato  dalle  rainaccie  della  monar- 
chia Perfiana  ,  e  dal  pericolo  di  cadere  fotto  il  di  lei  di- 
fpotismo,  diedero  una  fcofla  sì  rapida  e  gagliarda  al  gG- 
nio  loro,  che,  nello  fpazio  di  un  mezzo  fecolo,  effi  fecero 
nella  poefia  drammatica  progreffi  incredibili  e  prodigiofi. 
Ma  donde  mai  derivò  quel  patetico  forte  e  terribile, 
il'  quale  nelle  tragedie  Greche  fìrappa  a  forza  le  lagri- 
me dagli  occhi  ?  I  Greci  erano  fatalifti .  Secondo  il  lo- 
ro filìema  ,  gli  Dei  dirigevano  le  azioni  degli  uomini 
e  gli  fpingevano  al  delitto  .  Venere  liefla  accende  nel 
cuore  di  Paride  quel  fuoco  criminofo  che  produce  tan- 
ta ftrage  e  defolazione .  Gli  Dei  nemici  feminano  l'odio 
e  la  difcordia  tra  Achille  ed  Agamennone.  Minerva,  di 
concerto  con  Giunone ,  regola  la  freccia  disleale  di  Pan-- 
daro ,  per  rompere  una  tregua  {biennemente  giurata .  Ore- 
ile,  per  ubbidire  ad  un  Dio  ,  aflaflìna  fua  madre  Cli- 
temneflra  ,  e,  per  quefto  delitto  inevitabile,  è  abban- 
donato alle  flirie  vendicatrici  .  Qual  cola  dunque  aver 
può  forza  di  eccitar  negli  fpiriti  maggior  compaflìone  e 
terrore,  che  il  veder  l'uomo,  fchiavo  di  un  potere  in- 
giuflo,  capricciofo,  ineforabile,  sforzare  invano  di  fchi- 
"vare  il  delitto  che  l'attende,  e  la  disgrazia  che  Io  pcr- 
feguita?  L'antro  di  Polifemo  ,  in  cui  Ulifle  ed  i  fuoi 
compagni  vedevano  da  quel  moftro  tutti  i  giorni  divo- 
rarli qualcheduno  de' loro  amici,  e  fremendo  afpettava- 
no  la  loro  forte  fatale,  è  1'  immagia  vera  della  trage- 
dia Ateniefe. 


ro9 
Per  rapporto  alla  commedia ,  ì  coftumi  Greci  aveva- 
no anche   alcuni   vantaggi  incalcolabili    e  che   facilmente 
non  fi  rinvengono  predo  le  altre   nazioni  .   Si  confideri 
sulle   prime   un   popolo   repubblicano  ,   fpiritofo ,   attivo  , 
allegro,   naturalmente  fatirico,   e  portato   per   le  facezie. 
S'immagini  quindi   un  teatro  in  cui   fi   trattavano  gli  af- 
fari di   flato  ,    la  pace  ,    la  guerra  ;   un   teatro  in  cui  i 
comici  ed  i  tragici  erano  in  emulazione ,  e  continuamente 
alle   prefe  ;  un   teatro  in  cui   era   permeflb  di  abbando- 
nare  alle  rifate  della   Grecia   intera  ,    non  folamente   uà 
cittadino  ridicolo  o  viziofo ,  ma  altresì  un  giudice  ingiufto 
o   venale;   un  a  uminilìratore  dell'azienda   pubblica  ,  ofci- 
tante,   rapace  ,   ingordo  ;    un   magiftrato   fciocco   o   imo- 
rale  ;    un  general  di  armata  fenza  talenti    e  vigliacco-  . 
S'immaginino  quelli  perfonaggi   primieramente  efpofti  sul- 
le  fcene   e  difcgnati   pel   loro  nome;^  pofcia   (  quando   fu 
proibito   il   nominarli  )   così  ben  caratterizzati  e  rallbmi- 
glianti,  che,   al  vederli  comparire  ,    erano  incontanente 
riconofciuti ,  e   da   ciò   fi   giudichi   qual   vafliflimo   campo 
era   aperio  al  genio  comico  di  Eupoli  e  di  A"rtofane  . 
In   una  parola ,  la   necellkà  portava  che   Atene  favorilfe 
la  commedia  ,  perche   un   popolo  nemico  di  ogni  domih 
nazione,   paventar   doveva  la   fuperiorità  del  merito.   La 
iàtira  dunque  la  più   fanguinofa    e  cauftica  ,    era  ficura 
di  piacere  ad   un  popolo  fofpettofo ,  foprattutto  quando 
efla  cadeva  sull'oggetto  della   Tua   gelofia . 

L'arte   oratoria,    al   pari   della   pocfia   drammatica,    fu 
promoffa  e  favoreggiata  in  Atene .. 

Le 


no 

Le  leggi  ,  avendo  Segregati  gli  oratori  .dalla  minuta 
plebe  ,  formato  ne  avevano  un  corpo  rifpettabile ,  che 
fcnza  interruzione  vegliafTe  alla  cuftodia  della  libertà  , 
ed  alla  floridezza  dello  flato .  Nelle  deliberazioni  impor- 
tanti, un  araldo,  a  nome  della  patria,  invitavali  a  di- 
re il  loro  fentimento ,  ed  a  rifpondere  agli  ambafciadori 
dell' efiere  nazioni  .  Sovente  ad  effi  principalmente  affi- 
davafi  il  piano  degli  affari  fcabroiì  ,  con  ampio  potere 
di  efeguirli  a  feconda  de' loro  lumi.  In  fomma,  gli  ora- 
tori ,  quali  fovrani ,  fignoreggiavano  gli  fpiriti  con  im- 
pero affoluto-sì  ,  ma  fondato  sulla  loro  vafìa  capacità 
e  rettitudine  . 

Tal  fu  durante  il  governo  di  quaranta  anni  quel  fa- 
mofo  Pericle  che  ,  mercè  la  Tua  facondia  ,  il  foftenne 
contra  tutti  gli  sforzi  di  una  turba  di  rivali  ,  la  mag- 
gior parte  di  un  merito  e  di  un  rango  diftinto  .  Egli 
feppe  guadagnarli  V  inltabile  moltitudine  ,  e  rendere  il 
fuo  nome  formidabile  agli  flranieri .  Fu  Re ,  fenz'  aver- 
Ile  il  titolo .  Finanze ,  piazze ,  alleati  ,  ifole  ,  truppe  , 
flotta ,  tutto  obbediva  agli  ordini  fuoi .  Tal  potere  im- 
menfo  fu  il  frutto  di  quella  mafchia  eloquenza ,  che  dar 
gli  fece  il  cognome  di  Olimpico . 

Xe  ricompenfe  che  agli  oratori  compartivanfi  ,  erano 
anche  di  un  forte  incentivo  per  animarli  a  calcare  co- 
raggiofam.ente  quell'onorevol  carriera.  E,  per  vero  di- 
re ,  il  bifogno  continuo  die  avevaii  de'  loro  talenti ,  pic- 
car doveva  la  riconofcenza  de' particolari ,  ed  impegnare 
lo  fiato  a  rimunerarli  largamente  . 

Gli 


ut 

Gli  onori  che  ad  efTì  profondevan(ì  in  vita  e  dopo 
la  morte  ancora  ,  dovevano ,  più  che  remolumeuto,  fol- 
leticare  la  loro  ambizione  .  Allorché  eglino  pronunciato 
aveffcro  degli  oracoli  alla  patria  falutari ,  venivano ,  nell' 
aflomblea  del  popolo  o  sul  teatro,  pubblicamente  coro- 
nati .  Demoitene  a  cui  tal  alta  ricompenfa  fu  più  volte 
compartita  ,  ci  afficura  nella  fua  aringa  a  prò  di  Tcfl- 
fonte,  che  sì  fatto  onore  non  accordavafì  che  ai  fovra- 
ni  potentiffimi .  Quindi  Atene  ,  mettendo  gli  oratori  al 
livello  dei  Re  ,  e  donando  delle  corone  di  oro  ai  cit- 
tadini eloquenti  ,  mentre  rifiuta  vane  una  di  olivo  al 
gran  Milziade  ,  dava  chiaramente  a  conofcere  ch'ella, 
fopra  ogn' altra  cofa ,  avevali  in  eftimazione. 

Vi  ha  di  più;  vecchi,  erano  alimentati  nel  Pritaneo, 
e  trapaflati,  per  eternarne  la  memoria  ,  loro  ergevanfl 
monumenti  magnifici  sulle  pubbliche  piazze  . 

Di  una  grande  emulazione  furono  altresì  per  la  gen- 
te di  lettere  ,  i  certami  di  poefia  che  fi  dettero  nelle 
folennità   Dionifiache  e   Panatenaiche  . 

In  quelle  ftfte  i  poeti  fi  difputavano  il  primato  tra- 
gico ,  e  ciafcun  di  loro  al  fuo  competitore-  opponeva 
una  tetralogìa . 

Il  premio  non  era  aggiudicato  dal  capriccio  di  un'af- 
femblea  tumultuofa  .  L'  Arconte  che  prefedeva  ai  con- 
corfi  ,  tirava  a  forte  i  giudici  che  con  giuramento  ob- 
bligavanfi  a  decidere  fenza  parzialità  »  In  quelle  afiem- 
blee  (  e  chi  noi  sa  ?  )  Pindaro  entrò  in  lizza  letteraria 
con  la  bella  Corinna  da  Tanagra  che  ben  cinque  volte 

Io 


li» 

lo  Tuperò.  In  efle  Erodoto  lefTe  la  fua  Horia  fa  quale 
fu  sì  ben  accolta  che  li  nove  libri  in  cui  efla  era  di- 
vifa,  riportarono  i  nomi  delle  nove  Mufe  ;  ed  il  gio- 
vinetto Tucidide  ne  fu  talmente  commoflb  che  fparfe 
lagrime  di  tenerezza  ,  lagrime  le  quali  forfè  quel  mo- 
dello compiutiffimo  ci  produlTero  della  floria  del  Pelo- 
ponnefo . 

E  vero ,  noi  nego  ,  che  le  corone  le  quali  in  quei 
concorfl  letterarj  fi  diftribuivano ,  teflute  non  erano  che 
di  foglie  di  albero .  Ma  qual  altra  ricompenfa  potevafi 
ai  vincitori  proporre ,  fé  fi  confìderi  la  qualità  de'con- 
correnti  che  alle  fiate  erano  Sovrani  ,  Generali  di  ar- 
mata ,  o  i  primi  magiftrati  delle  Repubbliche?  Ne'giuo- 
chi  Ginnici  che  comprendevano  tutti  gli  efercizj  del  cor- 
po ,  la  corfa  a  piedi ,  a  cavallo ,  su  i  carri ,  la  lotta  , 
il  falto ,  il  difco ,  il  pugilato  ;  in  que'  giuochi  che  fi  ce- 
.  lebravano  con  tanta  magnificenza  ,  e  che  attiravano  da 
tutte  le  parti  del  mondo  una  sì  prodigiofa  moltitudine 
di  fpettatori  e  di  combattenti  ;  in  que'  giuochi ,  io  dico, 
ai  quali  dobbiamo  le  odi  immortali  di  Pindaro ,  non  iì 
dava  per  guiderdone  che  una  corona  di  frondi  di  albe- 
ro o  d'erba.  La  Grecia  volle  in  quella  maniera  ai  fuoi 
figli  infegnare  che  1'  onore  efler  doveva  1'  unico  fcopo 
delle  loro  azioni. 

Riufcì  ella ,  infatti ,  nel  fuo  intento .  Poiché  eglino  at- 
taccarono fomnia  importanza  a  sì  fatte  ricompenfe  ,  e 
1  avCTle  ottenute  ,  loro  cagionò  talora  sì  gran  piacere 
che  alcuni  di  efll  vi  lafciarono  la  vita .   Chilone  che  fu 

URO 


11} 

uno  dei  fette  favj  della  Grecia,  fpirò  di  gioja  nell'ab- 
bracciare  il  fuo  figliuolo  che  aveva  riportata  la  palma 
ne'  giuochi  Olimpici  .  Diagora  da  Rodi  avendo  a  quei 
combattimenti  efpolli  due  fuoi  figli  ,  efli  meritarono  la 
corona  .  Appena  che  Y  ebbero  ricevuta  ,  ne  fregiarono 
la  teda  del  padre ,  e  prendendolo  sulle  loro  fpalle ,  lo 
menarono  in  trionfo  nel  mezzo  dell'  aflemblea  che ,  co- 
vrendolo di  fiori,  feco  lui  congratulavafi  .  Quel  vene- 
rabil  vecchio  ,  non  potendo  reggere  alla  piena  di  una 
sì  grande  felicità,  efalò  gli  ultimi  aneliti  fotto  gli  oc- 
chi della  Grecia  fpettatrice  ,  afpcrfo  delle  Ugrime  dei 
fuoi  figli   che  teneramente   lo  fìringevano  al  loro  feno  . 

Quindi  leggiamo  che  ,  durante  la  guerra  di  Perfia  , 
Tigrane  fentendo  parlare  de' tenui  guiderdoni  che  davanfi 
dai  Greci,  e  dell'importanza  grandiffima  che  elfi  vi  at- 
taccavano ,  fi  volfe  a  Mardonio  ,  e ,  prefo  da  maravi- 
glia,  efclamò:  Dei,  con  quali  uomini  ci  fate  voi  guer^ 
reggiare!  Ivfenfibili  altinterejfe ,  effi.  non  combattono  che 
per  la  gloria  • 

Sì  ,  la  gloria  era  la  paffione  dominante  dei  Greci  ; 
e  non  fembrerà  affatto  fìrano  che  i  più  faggi  di  quella 
nazione  1'  abbiano  confiderata  come  la  più  bella  e  no- 
bile mercede  delle  loro  azioni ,  ciuando  fi  porrà  mente 
che  il  più  gran  numero  di  eOTi  ,  la  minima,  idea  non 
avevafi  formata  di  alcun' altra  ricompenfa .  Se  ve  n'era- 
no di  quelli  che  gufavano  la  fperanza  di  una  felicita 
futura  ,  eglino  fé  la  figuravano  come  una  cofa  defide- 
revolc  ,  piuttofto  che  come  un  dogma  ben  fondato  . 
Quindi  fludiavanfi   di  confeguir  la  loro  immortalità    dai 

i;  fuf- 


414 

fufTragj  dei  pofteri ,  e  per  un  infingimento  aggradevole 
ravvifavano  quella  rinomanza  onorata  ,  come  una  pro- 
pagazione delk  vita  ed  un  prolungamento  della  loro 
efifìenza.  A  fìringere  in  uno ,  efll  confìderavano  le  loro 
azioni  come:  tinti  femi  fparfi,  ne'  campi  immend  dell* 
univerfo,  che  loro  produrrebbero  il  frutto  dell'immor- 
talità attraverfo  U  fucceffione  de'fecoli. 

Le  belle  arti  preflo  i  Greci»  ebbero  un'intima  rela- 
zione con  la  letteratura .  Il  medefimo  genio  ,  k  mede- 
fima  forma  di  governo  che  forger  fecero  un  sì  gran  nu- 
mero di  oratori  e  di  poeti,  produflero  una  moltitudine 
prodiglofa  di  artifti  inimitabili.  Pericle  portò  al  più  alto 
grado  di  perfezione  le  beile  arti  in  Atene  ,  elevando 
tempi  •>  ^  teatri ,  proteggendo  gli  llatuarj  ed  i  pittori  . 
A  chi  noti  non  fono  i  prodigj  operati  dagli  fcalpelli 
di  Fidia  ,^  di  Mirone,  di  Alcamene,  di  Agoracrito,  di 
Ctefilao,  di  Praffitele,  e  da' pennelli  di  Zeufi ,  di  Par- 
rafio,  di  Timante,   di  Apollodoro? 

Il  Regno  di  Aleflàndro  il  Grande  fu ,  egualmente  che 
la  ugnoria  di  Pericle,  favorevole  alle  belle  arti.  Quefto 
eroe  ^  divorato  dalla  paffione  della  gloria  ,  e  vago  di 
moltiplicare  le  immagini  delle  fue  imprefe,  ebbe  de'Li- 
fippi,  de' Protogeni ,  degli  Apelli  ;  ma  fu  delufo  nella 
Speranza  di  veder  rinafcere  un'  altro  Omero . 

Stabilita  per  univerfal  confenfo  la  preminenza  che  la 
Grecia,  in  fatto  di  buon  gufto,  vanta  su  tutti  gli  al- 
tri popoli  ,  vediamo  per  quali  vie  i  fuoi  artifli  fiano 
pervenuti  all'apice  della  perfezione. 

I  Greci  5  dotati  di  un  genio  felice  ,    non  (blamente 


•eLbero  il  talento  di  ritrarre  al  vivo  la  natura,  ma  com- 
prefero  altresì ,  che  volendo  imitare  le  cofe ,   far  fé  ne 
doveva  una   fcelta  efatta  e  giudiziofa .   Prima   di    quefta 
epoca  fortunata ,  le  loro  produzioni  non  lì  diftinfero  che 
per  r  enormità  della  mafla   e  per   l'audacia  delFintrapre- 
fa .   Effe  erano   le  opere  <le'  rozzi   figli  della  terra  .   Ma 
dappoi  meglio  rifchiarati    fi   avvidero,    ch'egli  farebbe 
flato  più  bello  appagar  lo  fpirito  ,  che  forprendere  ed 
abbagliar  lo  fguardo .   Allora  dunque  convennero  che  la 
femplicità  ,    l'unità,   la   varietà  ,  la   proporzione   foflèro 
la  bafe  delle  arti  ;  e  su  quedo  fondo  sì  bello ,  sì  giu- 
fto ,   e  sì  conforme  alle  leggi  del  buon  fenfo  ,   fi   vide 
la   tela  prendere   i   colori  della  natura ,  ed  il  marmo  ani- 
niarfi   fotto   lo  fcalpello.   Ond'  è  che  nulla  di   più  per- 
fetto,  per   riguardo   fpecialmente   all'architettura   ed   alla 
fcultura ,  eflendofi   immaginato  dopo   il   fecolo  di  Pericle, 
tutti   fi   accordano   nel  dire   che  coloro  i  quali   fi  fcofta- 
no  da   quegli  originali  divini  ,    non  fanno  che  alterare 
le  bellezze  della   natura .  Quindi  non  rechi  forprefa  che 
effi   fi  propongano  nelle  belle  arti    per  modelli  a  tutte 
le  nazioni  incivilite,  e  che  il  dare  regole  di  buon  gu- 
iìo  ,    altro  non  fia  che  ridurre  il  loro  metodo  in  pre- 
cetti ,  e  generalizzare   i  loro  efemp] . 

Ma  come  mai  ,  eflendofi  i  Greci  dati  ad  imitare  la 
bella  natura  ,  egualmente  che  gli  altri  popoli  dopo  di 
loro  han  tentato  di  fare ,  efll  "vi  fono  meglio  di  colo- 
ro  e   più  felicemente  TÌa(citi  ? 

Primieramente  gli  uomini  e  le  donne  che  fpcfllssime 
tìate  fono  l'oggetto  dell'imitazione,  in  maggior  numero 

*  e 


ii6 

e  nel  più  vago  afpetto  prefentandofi  agli  fguadì  dei 
Greci  nelle  folennità  pubbliche,  ne' giuochi,  ne' bagni , 
nelle  danze,  ne'ginnasj  ,  ne' teatri  ,  td  avendo  effi  da 
per  tutto  l'occafione  di  vedere  a  fcoperto  quegli  origi- 
nali incomparabili,  non  e  maraviglia  che  gli  abbiano  si 
perfettamente   efpreiTi   ed   imitati  . 

Predo  i  Greci  i  vantaggi  della  llruttura  fisica  erano 
più  rimarchevoli  e  fuperiori  ai  noftri  .  La  bellezza  era 
il  loro  retaggio  particolare.  Chi  non  sa  che  il  bel  fan- 
gue  degli  abitanti  di  alcune  città  Greche  ,  quantunque 
mifchiato  dopo  tanti  fecoli  a  quello  di  altri  popoli ,  fi 
diftiugua  anche  a  giorni  noftri  ?  Valgano  per  tutte  le 
donne  di  Scio  e  di  Pafo. 

Gli  efercizj  gìnnaftici  ai  quali  eflì  avvezzavano  fin 
dalla  fanciullezza ,  davano  alle  loro  perfone  una  forma 
nobile  ed  elegante  .  S'  immagini  uno  Spartano  nato  da 
genitori  robufti,  il  di  cui  corpo  non  ha  IbfFerto  giam- 
mai la  tortura  delle  fafce  ;  che  fino  al  fettimo  anno  fi 
e  coricato  sul  nudo  fuolo ,  e  che,  dopo  quefta  età  in- 
fantile ,  efercitato  fi  è  ora  alla  lotta  ,  ora  alla  corfa  . 
ed  ora  al  nuoto  ;  fi  metta  colìui  a  fianco  di  un  Siba- 
rita de  giorni  noftri,  e  fi  giudichi  pofcia  quale  de' due 
1  artifla  fcerrebbe  per  proporfelo  come  modello  di  un 
Achille   o  di  un  Tefeo . 

I  Greci  erano  altresì  veftiti  in  guìfa  che  la  natura 
non  era  punto  ritardala  nel  fuo  {"viluppo.  Impacci  no- 
jofi  non  iftringevano  ad  effi  ,  ficcome  a  noi ,  il  collo , 
i  fianchi  e  le  cofcie.  Il  bel  feflo  medefimo  non  affog- 
gettavafi  a  faftidiofi  imbarazzi  negli  ornamenti.  In  una 

pa- 


117 

parola  ,  gli  sfx)rzi  della  natura  e  dell'  arte  tendevano 
prcflò  quel  popolo  a  favoreggiare  ed  a  garantire  in  tutte 
le  maniere  la  vegetazione  dell'  uomo  fisico .  Quindi ,  ef- 
fendo  più   apparilcente,  meglio  lì  predava  airimitaxione. 

Mille  altre  cagioni  concorfero  a  promuovere  le  belle 
arti  in  quel  paefe  fortunato .  Ma  tra  le  altre ,  i  premj 
decretati  ai  cittadini  morti  per  la  patria  ,  i  monumenti 
deftinati  a  confervare  la  memoria  delle  grandi  azioni  , 
le  continue  folcnnità  religiofe  che  celebravanfì  con  tan- 
ta magnificenza  ,  in  fine  gli  fpettacoli  drammatici  che 
colavano  ai  magiftrati  cure  e  fpefe  fìraordinarie ,  erano 
un  vallo  campo  aperto   al   genio   degli   artifti  . 

I  Greci  non  contenti  di  far  tutti  i  loro  sforzi  per 
fomentare  T  emulazione  nel  grande ,  penfarono  ancora  di 
eccitarla  univerfahnente.  Effi  dunque  flabilirono  ogn  an- 
no de'  concorfi  di  belle  arti .  Folla  immenfa  vi  accorre- 
va da  ogni  intorno ,  e  colui  che  riportava  la  pluralità 
de'  voti  ,  era  in  mezzo  agli  evviva  ed  in  prefenza  di 
tutta  la  nazione  coronato  ,  e  l'opera  fua  a  prezzo  ec- 
ceffivo   comperavafi   dalla   Repubblica  . 

Si  defiderano  forfè  altri  atteftati  di  fìima  in  favore 
degli  artifti  ?  E  bene  ,  davanfi  agli  edificj  pubblici  i 
«orni  degli  architetti  che  gli  avevano  codruìti  ;  onde  una 
piazza  di  Atene  portava  il  nome  di  Metico ,  ed  un  por- 
tico di  Elea,  al  dir  di  Paufania,  fu  cognominato  Aga- 
pto  .  La  lloria  richiama  alla  noilra  memoria  un'  altri 
forta  di  riconofcenza ,  che  per  quanto  fia  llrana  e  biz- 
zarra ,  pure  moftra  ad  evidenza  il  gran  conto  che  i  Greci 
facevano  delle  belle  arti .  Gli  Agrigentini  ,  bramofi  di 

avec 


Ìi8 

aver  un  bel  quadro  di  Elena  ,  fecero  a  grandi  fpefe 
venire  in  Sicilia  il  celebre  Zeufi .  Coftui  loro  chiefe  un 
certo  numero  di  giovanette  le  meglio  organizzate  che  in 
tal  lavoro  fervir  gli  <loveirero  di  modelli  .  Il  popolo 
di  Agrigento  gliele  dette  ,  e  pregollo  di  accettare  in 
dono  le  cinque,  ch'eflò,  per  la  loro  leggiadria^  aveva 
alle  altre  preferite. 

Sì  grande  era  poi  il  pregio  in  cui  gli  artifli  fi   ave- 
vano nella  Grecia,  che  gli  oratori,  gli  fiorici,  i  filo- 
fofi  ed  i  poeti,  lungi  dall' elTerne  gelofi ,  penetrati  anzi 
del  loro  merito ,  a  tutto  potere  li  celebravano  .    Quali 
quadri  ,    quali  ftatue    di  eccellenti  maeftri    non   furono 
rendute  chiare  con  le  lodi  della  poefia  ?  Ognun  sa  che 
la   fola   vacca  di   Mirone    luogo  diede    ad  una  quantità 
grande   di   componimenti   ingegnofi .   L'antologia  n' è  pie- 
na .    Cinque    ne   furono   lavorati    sul   quadro    di    Apelle 
rapprefontaute    Venere    nell'  atto  che  ufciva    dalle    onde 
del   mare  ;    e  ventidue  epigrammi    fecero  gli   elogj    del 
Cupido   di  Prallìtele .   Tanto   zelo   per  levare   le  belle  arti 
ad  un  grado  fublime  ,    tanta  gloria  ,  tant'  onore ,  tante 
ricchezze   e   dillinzioni  impiegate    per   la   loro   felice   riu-   ■ 
fcita   in   un   paefe   ove   i   talenti   erano  sì   comuni  ,    pro- 
duffero  una   fquifitezza  di  cui  noi  non  polliamo  oggi  com- 
pletamente giudicare,  poiché  i  monumenti  che  han  me- 
ritato tanti  encomj ,  ci   fono  flati  rapiti  dal  tempo  eda- 
ce, e  quelli  che  rifvegliano  oggidì   il   noflro    entufiasmo, 
non  erano  da  tanto  che  Plinio  e  Paufania   ne  faceffero 
S:ommemorazionè  . 

Eppure  que'  gran  maeflri  dell'  arte  dopo  aver  termi- 
nati . 


nati  i  capi  d'  opera  di  fcultura  ,  che  noi  non  poffiamo 
faziarci  di  ammirare,  e  che  formano  oggidì  la  difpera- 
zione  degli  artiUi  moderni ,  altr'  ifcrizione  non  vi  appo- 
nevano fé  non  k  feguente:  Apelle  e  Praffitele  ciò  fa- 
cevano .  Per  tal  modo  quegli  uomini  modeftiffimi ,  pro- 
ponendo le  loro  opere  come  imperfette  ,  e  ,  per  così 
dire  ,  abbozzate ,  il  rifervavano  il  dritto  di  ritoccare  e 
di  correggere  ciò  che  trovar  vi  ii  poteva  di  difettofo. 
Più  :  in  tal  guifa  mettevanfi  al  coperto  d*  ogni  critica , 
perche  fé  non  giungevano  a  dar  loro  V  ultima  mano  , 
incolpar  fol  se  ne  poteva  la  Parca  crudele ,  come  quel- 
la che  troncando  lo  Ilame  vitale  dell'  attilla  ,  impedito 
avefle  di   efeguirlo . 

Quindi  fi  raccoglie  che  i  Greci  s'  avevano  formata 
delle  belle  arti  un'  idea  giuda  e  vantaggiofa  .  Effi  le 
riguardavano  come  mezzi  acconciffimi  a  formare  i  co- 
llumi ,  e  ad  appoggiare  le  maffime  della  filofofia  e  della 
Religione  .  Ond'  è  che  nulla  trafcuravano  per  incorag- 
giare gli  artifti:  onori,  clogj ,  guiderdoni,  nulla  fi  ri- 
fparmiava  .  In  Atene  gli  oratori  occupavano  le  prime 
dignità  dello  fìato.  Gli  attori  erano  in  tanta  riputazion 
venuti  ,  che  Arilìodemo  fu  fpedito  ambafciatore  a  Fi- 
lippo il  Macedone  .  Licurgo  raccoglieva  nell'  Ifola  di 
Creta  le  rapsodie  di  Omero,  ed  impegnava  Talete  a  fe- 
guirlo  a  Sparta ,  per  facilitarvi ,  cantando  dei  verfi ,  la 
fua  legislazione.  Archelao,  Re  di  Macedonia,  chiama- 
va nella  fua  corte  tutti  coloro  che  diflinguevanfi  nelle 
lettere  e  nelle  arti.  Euripide,  Zeufi  e  Timoteo  erano  i 
fuoi  amici  e  configlieri  .    La  poefia  tenevafi    nella  piìi 

gran. 


420 

grande  eflimazione  .    Effa  fin  dall'  infanzia  moflrava    il 
cammin  di  una  vita  regolata ,  e   per  via  di  lezioni  ag- 
gradevoli  infpirava  1'  amore    delle  grandi  imprefe  .    La 
niufica  raddolciva   i  coftumi  ,    e  formava    il   cuore    alla 
virtù.   Il  teatro  era  la  fcuola  della  libertà  e   della  mo- 
rale .  In  fomma ,  tutto  nella  Grecia  cofpirava  a  promuo- 
vere le  arti  e  1'  amena  letteratura.  Non  faccia  dunque 
forprefa   che  per  tali  mezzi  efficaciflìmi   il   più  idiota  dei 
popoli   fia  divenuto   il  più  illuminato,  e  dalTellrema  fal- 
vatichezza   fia   paffato   alla   più   fquilìta   urbanità .    I    fuoi 
primi   legislatori,   quei   che   la   nazione   mife   nel   numero 
degli  Dei,  e  le  di  cui  flatue  decoravano   le  piazze  pub- 
bliche ,    avrebbero   al  certo  incontrato  difficoltà  a  rico- 
nofcere   nei  bei   tempi   di   Pericle ,   i   difcendenti   di   quei 
felvaggi  fpaventevoli  eh'  effi   avevano   per   1'  innanzi   ti- 
Jati   dal   fondo  delle   forefte   e   delle  taverne  . 

Ma  oh  trillo  effetto  delle  vicende  umane  !  I  barbari 
•oggidì  calpeflano  fenza  rifpetto  quella  terra  beata .  Quei 
xnaeftri  del  buon  guflo  fono  di  bel  nuovo  caduti  nella 
lattarie .  La  loro  imbecillità  fembra  finanche  impoverire  dì 
frutta  e  di  fiori  quel  fuolo  un  tempo  sì  ricco  di  produzioni. 
Voglia  il  gran  Genio  che  riempie  del  fuo  nome  l'Eu- 
ropa tutta ,  porgere  la  mano  amica  a  quella  nazione  sven- 
turata, fpezzare  i  ceppi  che  l'opprimono,  e  reflituirle 
i  bei  fecoli  di  Omero ,  di  Tucidide  ,  di  Demoflene  ,  € 
^i  Epaminonda. 


12^ 

S     A     O     ۥ     1     O 

SULLA    CORRUZIONE    DE'  POPOLI. 

Letta  nella  feduta  de""  io.   Ottobre 

DAL  SOCIO  RESIDENTE 

rRANCESCO  LAURIA. 


Uefla  mafla  di  onefli,  e  d'immorali  ,  di  virtuofi    -, 
e  di   malvagi  ,    che  popolo  fi  chiama ,  quefta  mafla  ha 
i  fuoi  beni ,  ed  i  fuoi   mali .   Chi   negherebbe  elogi  ,    e 
plaufi    alle  arti  ,    alle   fcienze  ,    ed   ai  trionfi    di   Atene 
fotto   gli   Arconti  ?   Chi   non   torcerebbe   il   guardo   indi- 
gnato   da  efia    tanto    corrotta  fotto  Falarco  ?  L'  epoche 
però   de'  mali   politici   de'  popoli   fono  più   lunghe  ,   e   di 
funeiìi   effetti   più  feconde.    Le  iilorie   di  tutte   le   nazioni 
luttuofamente   il   ripetono  .   Perchè   intanto   non   occupar/ì 
di   effi    ed   efcogitarne    i   ripari  ?    Mille   valentuomini    o 
tracciarono  legislazioni  per  le  quali  nel  popolo ,  ordine, 
e  tranquillità   fi   ferbafle  ,    o  dettarono  ai   Principi    non 
fempre  bene  augtirati  precetti  per  tenerlo  mifero,  e  bailo. 
Pochi  gettarono  ne'  loro  fcritti    qualche    avvertenza    del 
come  reggere  il  popolo  ne'fuoi  mali  politici ,  e  riordinarlo. 
Primo  fra  quelli  mali  (  io  credo  )  è  la  corruzione  dei 
cofìumi,   e   de' fentimenti .   Quale   n'è   l'origine,  quale  il 
progreflb ,  quale  il  rimedio ,  ecco  l'oggetto  del  mio  faggio. 

ló  Nel 


122 

Nel  cominciare  le  mie  oflervazioni  io  fentii  il  mio 
poco;  ma  fcrivendo  per  una  Società  di  bell'ingegni  mi 
venne  fubito  alla  mente  ,  eh'  io  avrei  almeno  indicata 
una  traccia  ,  che  poi  molti  de'  miei  Socj  avrebbero 
colla  robuftezza  de'  loro  talenti  coverta  di  fiori  ,  e  di 
gloria  .  In  isviluppando  adunque  le  mie  idee  ,  io  fon, 
l'imitato   a   quefla   fola   intraprefa  . 

Non  è  qui  il  popolo  il  ceto  folo  degli  artieri ,  o  de- 
gli opera] ;  è  mio  intendimento,  che  quello  nome  fi  e- 
fìenda  fopra  tutta  una  Nazione  ,  efolufo  il  Governo  : 
tuttocciò  che  ubbidifoe  è  popolo  ;  è  Governo  tuttocciò 
che  comanda .  Or  con  quella  demarcazione  vediamo  quale 
in  un  regolare  corfo  politico  è  il  primo  male  di  un  po- 
polo dopo  la  fua  civilizazione  ;  inveftighiamone  tutte  le 
vicende ,  e  1'  eftenfione  ;  e  cerchiamone  ,  per  quanta  è 
forza  in  noi ,  i  rimedj .  Mal  cerca  il  dittamo ,  chi  pria 
non  conofoe  la  piaga  . 

Comunque  mai  folTe  avvenuto  che  un  condottiere  di 
popolo  ,  o  un  capo  di  colonia  fermaffe  Aia  dimora  ,  e 
piantafle  i  principj  di  una  Città ,  o  d' una  Nazione ,  co- 
me Mosè  ,  Tefeo  ,  ed  i  figli  di  Rea  ,  certo  è  che  la 
virtù  guidò  i  primi  paffi ,  il  valore  atterrì  i  vicini  in- 
toleranti ,  alfociò  i  limitrofi  generofi ,  ed  una  legislazio- 
ne di  collumi  ,  piucchè  di  fanzioni  fondò  V  impero  . 
Scorrafi  d'un  rapido  ricordo  l'ara  della  miforicordia  che 
Tefeo  alzò  in  mezzo  alle  mura,  della  fua  rinafcente  Ate- 
ne ,  il  facro  legame  di  benevoglienza  fra  clienti ,  e  pa- 
troni ,  donde  B,omolo  cinfe  ed  afforzò  il  fuo  popolo  ; 

il 


Ili 

il  trono  (li  un  Dio  parlante,  che  alzò  Mosè,  non  che 
le  loro  prime  atletiche  battaglie ,  e  fi  vedrà  che  le  bafì 
di  quefli  popoli  nafcenti  furon  Tempre  virtù ,  religione, 
codume,  e  gagliardia  .  E  per  verità  un  popolo  di  Fi- 
libuflieri  male  aflortito  fra  efli  ,  odiofo  all'  interno  ,  e 
vivente  di  delitti ,  non  palfa  alla  feconda  età .  Può  una 
borgata  viver  fenza  legge ,  purché  viva  di  cofìumi  ;  le 
torme  dcTelvaggi  ne  fono  una  prova .  Ma  fé  i  coflumi 
mancano,  la  legge  inutilmente  efecra ,  e  punifce ;  il  po- 
polo fi  deprava,  e  dispare. 

Ora  i  coftumi  puri ,  che  formano  fempre  le  belle  ifli- 
tuzioni  de'  popoli  nuovi  ,  producono  quel  mondo  di  a- 
zioni  eroiche ,  che  propagandone  V  ammirazione  ne  rin- 
novellano  gli  efempj  .  11  figlio  teftimonio  della  gloria 
del  padre  teme  degenerarne,  fé  non  il  forpaflì.  Il  fra- 
tello è  il  rivale  del  germano.  Il  Maglfìrato  conta  frai 
fuoi  doveri  efempj  di  virtù  ;  e  mentre  il  Generale  fi 
affanna  pel  trionfo  ,  il  foldato  va  intrepido  pel  difficil 
cammino  ch'il  conduce  al  comando.  In  fomma  la  virtù 
produce  emulazione  :  entrambi  accendono  1'  entufiasmo  : 
quello  efegue  grandiofe  operazioni  ,  e  1'  onore  quindi 
applaude  al  cittadino  nel  foro  ,  la  gloria  il  corona  sul 
campo  . 

Le  due  Nazioni  ,  i  di  cui  falli  abbia  meglio  a  noi 
tramandato  l' iftoria ,  fono  la  Greca  e  la  Romana .  Que- 
fìe  offrono  amendue  il  medefimo  eorfo  ,  e  1'  età  delle 
loro  grandezze  fegue  quella  delle  loro  virtù  .  I  Greci 
furon  più  che  uomini  ne'  loro  faggi  flabilimenti  j  furon 


'■^  più 


114 

più  eh'  eroi  nelle  Toro  intraprefe  ,  e  ne'  felici  fuccessi  ► 
Il  potente  braccio  alzato  in  barriera  all' inondazione  Per-^ 
£ana  ;  i  trofei  di  tutti ,  e  F  onor  concelTo  al  migliore  ; 
i  gran  giochi  ,  di  cui  le  Nazioni  non  feppero  mai  piìi 
imitare  la  feftofa  allegria ,  non  che  il  nobile  oggetto  : 
le  luminofe  colonie ,  di  cui  popolarono  il  Bosforo  Tra- 
cio, e '1  lato  orientale  d'Italia;  le  pacifiche ,  e  le  guer- 
riere arti  efaltate  quanto  ovunque  giammai  ;  in  fine  Tedu- 
cazione  avea  riempiuto  i  cuori  di  virtù .  Quefla  germo- 
gliò come  in  fuo  terreno ,  e  la  Grecia  tanto  fi  alzò  sa 
tutt'i  barbari,  che  anche  a  dì  noflri  la  fua  voce  è  fo- 
nerà ,  le  fue  azioni  modelli. ,  i  fuoi  detti  precetti  ,  t 
fuoi  ruderi  facri  . 

Roma  corfe  più  ampia  carriera  .  I  Greci  difcefero  a 
Maratona ,  a  Salàmina ,  ed  a  Platea  per  neceffità  :  bifo- 
gnò  difendere  i  tetti ,  e  le  are .  I  Romani  corfero  alla 
guerra  per  iftituiro  .  Uniti  da  Romolo  al  fuono  delf  ar- 
mi; condotti  ad  ogni  momento  a  fronte  d'  un  nemico , 
e  nutriti  dal  Senato  nella  guerra  ,  effi  fi  arricchirono 
delle  fpogiie  de'  vinti ,  ìì  ornarono  di  trionfi ,  e  porta- 
rono i  confini  del  loro  impero  ai  Parti,  all'Oceano  , 
ed  ali  Etiopia .  In  mezzo  a  questa  grandezza  i  vasti  Re- 
gni eran  fue  Provincie,  i  Re  venivano  ad  implorar  sulf 
la  porta  del  Senato  grazia,  o  pietà.  Quanto  natura,  o 
ingegno  avea  fparfo  fra  le  Nazioni ,  i  trionfatori  mena- 
rono a  Roma  ;  ed  il  circo ,  gli  archi ,  i  tempj  mostrano 
fino  a  noi  qual  grandezza  di  cuore,  di  virtù,  di  gesta, 
di  ricchezze  fi  ebbero  quegli  uomini  non  già ,  ma  giganti. 

IL 


II  tempo  intanto  rode ,  e  guasta  non  folo  le  opere , 
che  un  popolo  alza  alla  fua  fuperba  immoralità  ,  ma 
jt  altera  ,  e  cangia  ancora  i  costumi  .  Come  infenfibil- 
mente  curva  ,  e  svolge  fuo  cammino  uom  che  va  peu 
largo  viale  ,  così  ,  fenza  che  fé  n'  avvegga  ,  il  figlio 
parte  dall'  ufanze  paterne  ,  ed  i  nipoti  ne  f^on  per  duo 
gradi  allontanati ,  mentre  che  pure  ciafcun  di  loro  terrà 
fermo  ch'egli  fiegue  le  pratiche  avite.  Chi  de' Romani 
non  credea  profefTare  la  religione  di  Numa  ?  E  puro 
re'fecoli  fuccessivi  rinvenuto  uno  fcritto  liturgico  di  quel 
Ke ,  fu  per  Senatoconfulto  nafcosto  al  popolo ,  acciò  non 
conofcefTe  che  il  corfo  degli  anni  tanto  l' avea  da  quella 
allontanato,  che  ormai  la  rehgione  ed  il  culto  era  tutt' 
altro  . 

Per  questa  infenfibile  alterazione  de'  costumi  il  poli- 
tico d' Italia  raccomanda  così  fpeflb  il  ripristinare  gli  an>- 
tichi  ordini,  che  come  cerchi  di  vafo  per  tempo  si  slar- 
gano .  Se  beir  ingegno  voIelTe  indagare  quando  le  armi, 
la  difciplina,  i  comizj ,  i  magistrati,  lo  Stato  di  Roma 
al  finir  del  fettimo  fecolo  folTero  tanto  cangiati  da  quel- 
Io  che  i  primi  Confolati  vi  stabilirono,  dovrebbe  a  col- 
po ficuro  unir  molte,  lente,  fuccessive  ,  e  quafi  inav- 
vertite caufe  che  Iene  Iene  il  cangiamento  produflero  . 
Chi  e  che  fappia  fissare  un'epoca,  nella  quale  gli  Ate- 
niefi  vincitori  dell' Afia,  maestri  delle  belle  arti,  istan- 
cabili  ricercatori  del  vero  nelle  fcienze,  fuperbi  del  lor 
libero  stato  ,  operatori  di  tante  illustri  cofc,  che  appo 
fecoli  ne  vive  ancora  fra  noi  la  memoria  ,  e  la  mera- 

vi- 


126 

viglia;  chi  è  che  valga  a  preeifare  il  momento,  quan- 
do vani  folo  delle  cofe  andate,  vendevan  per  tre  obo- 
li i  loro  dritti  che  gli  fcappavano  dalle  mani  ,  co- 
me già  gli  erano  ufciti  dal  cuore  ?  Ninno  il  potrà  : 
ne  basterà  fermarfì  a  Pericle,  e  ad  Afpafia:  già  il  tem- 
po avea  rallentata  la  legislazione  :  i  padri  avean  rilafcia- 
ta  r educazione  degli  avi;  fortuna  avea  annighittite  quelle 
virtù,  che  la  fventura  avea  fatto  brillare,  ed  alla  età 
di  Temistocle,  ed  Aristide  era  fuccefla  quella  di  Peri- 
cle, ed  a  questa  l'età  di  Alcibiade,  e  de' Trenta;  ed  a 
ciafcuna  di  queste  la  degradazione  era  crefciuta  ;  il  tem- 
po ,  e  le  fuccessive  combinazioni  avean  depravati  quei 
cuori.  II  tempo  tutto  corrompe,  ed  i  più  belli  stabili- 
menti fisici  e  morali    ne  fon  rofi  e  sfigurati . 

E  per  verità  il  tempo  apportando  nuove  fortune  , 
nuovi  rapporti  ,  bifogni  nuovi  ,  non  che  nuove  idee  -, 
trafcina  infenfibil mente  i  cuori  a  nuovi  ufi  ,  ad  altri 
■fentimenti. 

E  vero ,  che  i  tanti  che  le  Greche  ,  e  le  Romane 
cofe  fcriffero  ,  ed  oflervarono  ,  portaron  parere  che  le 
ricchezze  ne  corruppero  i  costumi;  ma  cosa  è  un  muc- 
chio d'oro,  e  di  gemme  ,  fé  non  fi  lafcia  al  tempo  , 
che  per  l'ufo  di  eflè  introduca  nuovi  defiderj,  alimenti 
r  infingardagine ,  ifpiri  il  luflb  e  la  turba  de'vizj  com- 
pagni? Chi  più  ricchi  degli  abitatori  delle  coste  di  Ame- 
rica in  metalli,  e  pietre  preziofe -^  Eppure  il  poco  \^Co 
.che  ne  facevano  ,  non  aveva  alterati  i  loro  costumi  . 
Quando  Poflumio  portò  le  fpoglie  di  Grecia,  Marcello 

quelle 


12  7- 
quclle  di  Sicilia,  Roma  ne  fu  ornata,  ma  non  corrotta. 
Quando  Milziade,  Temiftocle ,  Cinione  arrecarono  le  ric- 
che fpoglie  dell'armate  Perfiane,  Atene  fu  gloriofa  ,  ma 
noa  depravata  .  A  poco  ,  a  poco  ,  quando  i  Cittadini 
vollero  un  vafellame  d'argento  per  gii  ufi  privati,  una 
vcfte  di  lana  pellita,  una  fervitù  numerofa,  lauti  pran- 
zi, cibi  ricercati;  e  per  un  feguito  neceffario  i  più  ric- 
chi vollero  in  preferenza  gli  onori,  le  cariche  ,  i  co- 
mandi ,  allora  furfe,  infenfibilmente  il  fafto  degli  avi  , 
l'orgoglio  delle  ricchezze,  la  boria  del  luflb  ;  allora  fo- 
pratutto  l'invidia,  l'odio,  la  gara,  l'oppreflìone,  le  di- 
fcordie  civili  fopravvennero .  Ecco  il  primo  male  politico 
di  un   popolo  ;   vediamone  il  corfo  . 

La  corruiione  di  un  popolo  ha  i  fuoi  gradi.  Il  pri- 
mo è  r  egoismo  ;  il  fecondo  è  la  depravazione  de'  coftu- 
mi  ;  il  terzo  la  degradazione  de'  fentimenti .  Si  comincia 
dal  ritrarre  fopra  di  fé  tutte  le  cure  ,  che  pria  fi  da- 
vano al  pubblico  bene  ,  ifolandofi  gli  affetti  ,  e  le  fa- 
miglie; fi  difcende  quindi  al  traffico  di  tutte  le  nequi- 
zie per  gara  di  luffo,  di  onore  ,  e  di  preponderanza  . 
Infin  confufi  i  limiti  del  giufto,  e  dell' onefto,  mal  co- 
nofciute  le  velli  del  vizio,  e  delle  virtù,  e  cangiate  fin 
l'idee  delle  cofe,  tal  fucchia  e  porta  via  il  patrimonio 
altrui  ,  e  dicefi  induftriofo  :  tal  su  i  figli  fcannati  falò 
in  grandezza,  e  chiamafi  uom  di  carattere;  tale  infine 
impudentemente  vende  facri  doveri ,  compra  dritti  fcel- 
lerati,  immola  i  timidi  onelìi,  palpeggia  gli  audaci  mal- 
vagi ,    e    di  tanta    sfacciata  baldanza  le  fue  infamie  ri- 

COr- 


1 28 

copre,  ed  ammanta  ,  che  fin  plaufo  e  rifpetto  sul  pa- 
vido corrotto  popolo  ufurpa ,  e  ritiene .  E'  allora  la  cor- 
ruzione nel  fuo  colmo  :  il  Governo  incoraggia  ,  e  da 
Tefempio  del  vizio  fra  '1  popolo:  il  popolo  alimenta, 
e  dà  l'opportunità  del  vizio  al  Governo,  e  nella  uui- 
verfal  corruzione  entrambi  fon  perduti  .  Scorriamo  leg- 
giermente quefti  tre  gradi . 

Egoismo  è  il  primo  grado  della  corruzione  :  tiene  que- 
llo fua  origine  nella  natura  :  ognuno  in  nafcendo  porta 
feco  il  fentimento  del  fuo  meglio  .  Quella  è  la  focietà, 
che  cangia  con  efTo  parte  de'fuei  dritti  colla  garanzia 
che  gli  offre  degli  altri.  Or  così  uniti  i  popoli  pianta- 
no in  mezzo  a  loro  alta  colonna,  a  cui  tirano  le  linee 
d' ogni  cuore .  E'  quello  il  pubblico  bene  :  per  cfTo  uniti 
corrono  fopra  nemici  che  tentano  attaccare  le  loro  mu- 
ra :  per  efiò  congregati  confultano  le  migliori  leggi  : 
per  eflb  accettano  le  pubbliche  cariche:  e  poiché  il  ben 
privato  dal  pubblico  emerge  e  dipende  ,  così  ognuno 
concorrendo  colle  fue  cure  alla  comune  tranquillità,  la 
-fua  parimente  forma,  e  fofliene.  Se  crolla  la  pubblica, 
la  privata  fortuna  è  in  ruina  .  Ma  quello  concentrico 
amore,  queflo  cofpirare  airifleflb  oggetto  va  per  gradi 
freddando  .  Subitochè  fi  fproporzionano  i  patrìmonj  ,  fi 
-accumulano  in  un  fol  ordine  gli  onori  ,  ne  gli  avvan- 
'taggi  fono  uguali  ,  allora  ciafcuno  comincia  a  ritrarre 
quelle  cure  ,  che  avea  dirette  al  pubblico  bene  .  Se  i 
Patrizi  (  diceva  la  plebe  sul  monte  facro  )  dividono  fra 
■loro  i  .campi  de' vinti,  fé  effi  efcrcitano  i  Confukti ,  e 

le 


129 

le  Preture  :  fé  effi  comandaflo  in  Città ,  e  n^l  campo  , 
che  vadano  efll  pure  all'inimico,  che  minaccia.  Quefto 
pubblico  bene  refo  parola  per  tutti  ,  slaccia  infenfibil- 
mente  i  nodi  de' popoli  .  Quel  che  non  giova  non  in- 
terefla  ,  e  fatalmente  1'  uomo  è  indolente  sugV  inutili 
rapporti . 

Fu  quefto  il  cominciamento  della  corruzione  di  Roma, 
e  di  Atene  .  Sparve  a  poco  a  poco  agli  occhi  di  tutti 
queir  alta  colonna  centrale ,  che  amor  di  patria  nomoffi, 
e  furfe  nel  cuore  d'  ognuno  l' egoismo .  Atene  confcriveva 
galee  per  la  guerra  del  Peloponnefo  ,  ed  i  mercatanti 
trafugavano,  e  nafcondevano  le  loro. 

11  popolo  inorgoglito  sulle  gefta  degli  avi ,  quafi  for- 
tuna fofle  catenata  al  Pireo ,  Sciagurata  mente  fìcuro ,  fan- 
zionava  pena  di  morte  a  chi  proponefle  altro  ufo  sul 
teforo  de'fpettacoli  :  fi  annojava  delle  pubbliche  adunanze, 
ove  il  pubblico  bene  efaminavafl  ,  e  bifognò  che  Peri- 
cle facefle  pagare  tre  oboli  ad  ogni  cittadino,  che  vo- 
leile  darfi  la  pena  di  andare  a  rifolvere  ,  fé  doveflè 
fard  la  pace,  o  la  guerra,  formarfi ,  o  fpezzarlì  le  le- 
ghe: dovea  Demollene  ricorrere  all'ombra  delfafino  non 
affittata  per  richiamare  l'attenzione  d'uomini  che  con  Fi- 
lippo alle  fpalle  ,  anziché  metter  mente  ai  pericoli  che 
r  accerchiavano ,  amavan  ,  sdrajati  sulle  panche  della  loro 
cara  commedia,  rider  de'frizzi  arrotati  su  de' loro  capi  , 
e  su  de'  loro  filofofi  . 

L'egoifmo  intanto  che  allontanava  il  popolo  dai  pub- 
blici affari,  facilitava  gli  ambiziofi  a  prenderne  il  tiroo- 

17  ne,- 


ne;  ed  a  quefto  piuccliè  ad  altre  ragioni  devefi  la  lun- 
ga dominazione  di  Pericle  ,  la  balorda  amminiftrazione 
di  Cleone .  II  Governo  era  una  pena  ,  una  diftrazione 
alle  private  cure:  volentieri  il  popolo  ne  lafciava  il  pe- 
fo  a  colui  che  gli  faceva  la  grazia  di  comandarlo. 

Che  più  ?  L' egoismo ,  e  V  abbandono  delle  pubbliche 
cofe  arrivò  al  fogno  ,  che  eflendoil  radunato  il  popolo 
per  difcutere  una  faccenda  sulle  propofìe  di  Cleone  , 
coflui  fi  lafciò  afpettare  lungo  tempo  ,  ed  arrivato  in 
fine  pregò  di  posporfi  Y  adunanza  air  indimani ,  giacche 
eflendo  arrivati  preflb  lui  degli  ofpiti ,  dovea  curare  , 
che  s' inibandilTe  loro  buon  pranzo .  Il  popolo  l'applaudì, 
e  la  cura  di  un  brodo   fu  preferita  a  quella  delio  Stato. 

Qual  fu  l'effetto  di  quefto  egoismo  F  Le  affemblee  in- 
frequenti ,  od  inconclufe  ;  le  rifoluzioni  deboli ,  o  allun- 
gate :  i  Magiflrati  vili ,  o  perfidi  :  le  leggi  impotenti  , 
o  ingiuile  :  il  timone  pubblico  abbandonato  a  mani  in- 
fedeli ,  o  inefperte  ;  ed  aperto  così  largo  il  cammino  al 
fecondo  periodo  della  corruzione ,  cioè  alla  depravazio- 
sie  dc'coflumi . 

Subitochè  una  famiglia  ritira  dalla  focieta,  ove  vive, 
i  fuoi  doveri ,  e  circofcrive  i  fuoi  travagli  e  le  fue  cu- 
re intorno  a  fé  fìefla ,  allora  l' idea  di  migliorazione  refa 
individuale  fpingee  trafcina  a  tutte  le  azioni  che  a  que- 
lle han  rapporto .  Lucullo  depreda  Y  Afia ,  e  fé  ne  ap- 
propria le  fpoglie:  Craflb  va  ad  attaccare  i  Parti  a  fue 
fpefe  ,  perchè  fuo  foffe  il  faccheggio  .  Siila  e  Mario 
immolano  mezza  Roma  per  gara  di  lor  principato.  Ce- 

fa- 


ni 

fare  ripudia ,  ed  impalma  fpofe  ,  per  far  partito  .    An- 
tonio cabala  fra  i  congiurati  ,    e  '1  popolo  per  elevarli 
alla  tefta  di  tutti .  Tutti  in  fomma ,  ellinta  ogni  idea  di 
tltrui,  non  che  di  pubblico  bene,  facrificano  al  privato 
interefle.  Altri  è  povero,  e  vuol  ricchezza  ?  Briga  una 
carica  ,    e   va  a  fpogliare  una  Provincia    come  Verre  : 
mefce  alla  fua  mercatura  qualunque  fraude  ;  infidia  gli 
altrui  patrimonj  o  con  calunnie  applaudite,  o  con  varj 
ravvolgimenti;  fparge   ufure;  macchina,  ed  efeguc  tutte 
le  peffime  infami  arti  .    Altri  avvampa    di  ambizione   ? 
Egli  difcende  all'adulazione  de'  grandi  ,    mentifce  fenti- 
menti ,   inviluppa  intrighi ,  diflrugge  rivali ,  ogni  vii  arte 
per  lui  è  in  opera  ed  in  pregio  .    L'  ambizione  infpira 
la  manìa  di  grandeggiare  ;  quefta  fi  nutre  di  luiTo  .  Il 
fallo,  che  figlio  della   nobiltà,  fi  pafce  di  grandiofità  , 
ed  informa  gli  ambiziofi  ,    genera    il  dispregio    per    gli 
altri ,  e  la  infulfa   vanità  per  fé   (leflb  :  ciafcuno  mette 
fua  forte  nel  deprimere,  e  nell' offufcare  l'altrui   merto. 
Quindi  fvanita  ogn'  idea  di  fcambievole  benevoglienza  ; 
refo  nojofo  ,  e  ridevole  ogni  precetto  dì  giufto   ed  one- 
fio  j    la  gioventù  leggiera  fi  alimenta  ,    e  bea  di  vane 
opere,  e  cofe:  l'età  virile  debacca  nelle   fue  intraprefe, 
e  ne'vizj  4    e  la  vecchiaja  langue  infipida  fotto  il  pefo 
d' ignobili  anni .   La   morale  è  fpenta  :    i  doveri  pel  co- 
niun  bene  fono  refi   ignoti  :  la  verecondia  che  abbelliva 
tutti  gli  atti ,  la  moderazione  che  ornava  la  virtù ,  tutte 
cedono  il  luogo  all'  impudenza ,  ed  all'  audacia ,  che  met- 
tono il  colmo  alle  corruzioni  de'  coftumi  .  Roma  fu  in 

*  que- 


IJ2 

quello  flato  quando  il  Mondo  muliebre  ingofava  ì  tri- 
buti di  una  Provincia  ,  quando  k  famiglia  Claudia  co- 
vriva i  fuoi  immenfi  latifundj  di  cinquantamila  fervi,  e 
quando  non  gloria  ed  onore ,  ma  fallo  e  tracotanza  fpie- 
gava  in  pompa  i  tefort  di  un  trionfo,  la  profulìone  di 
un  pranzo  popolare,  e  la  prodigalità  di  un  rogo  inau- 
rato •  Quando  le  applaudite  comedie  rapprefentarono  le 
giovanili  lufliirie  ;  i  poeti  efecrarono  gì'  inventori  delle 
armi,  e  cantarono  amori,  amanti,  ed  arte  di  amare  : 
le  matrone  profanarono  i  facri  miflcri  ,  e  fin  la  Reli- 
gione fervi  all'ingegno  di  Mundo  per  corrompere  il  pu- 
dor  di  Paolina  .  Santa  oneflà  tu  folli  allora  virtù  sol 
perchè  rara  !  Quando  il  Confolato  non  più  meta  delle 
Magillrature,  premio  d<;ll-e  virtù  ,  difefa  ,  e  governo  del- 
lo Stato,  addivenne  o  compra  de' ricchi,  o  trionfo  delle 
fazioni  ,  o  violenza  del  forte  .  Quando  i  Cavalieri  fé- 
deano  a  proferire  la  venduta  fentenza ,  il  Senato  incer- 
to ,  o  vile  innanzi  ai  potenti  bilanciava  idee  ,  e  prov- 
vedimenti mezzaiii,  ed  i  Tribuni  male  eletti  e  tacendo, 
ed  arringando  moveano  gli  ondeggiamenti ,  e  le  fedizioni 
della  plebe ,  per  pattuirvi  o  la  protezione  de'  Grandi  , 
o  il  loro  potere ,  Quando  in  fine  fa  la  Pieligione  degli 
avi  inculta ,  o  derifa ,  gli  onefli  modi  irrifi  o  cangiati  , 
i  doveri  ed  i  dritti  fprezzati  ,  o  negletti  ,  e  '1  popolo 
intiero  ,  zeppo  di  liberti  ,  e  vivendo  delle  carni  delle 
are,  di  tumulti,  e  di  fuffragj ,  trovava  infoffribile  Ca- 
tone ,   Clodio  ammirabile  . 

Ma  è  queflo  l' ellremo  della  corruzione  del  popolo  f 

Che 


Che  nò  .  I  coftumi  poflbno  ancora  depravarfi  dippiù  : 
può  mancare  il  fentimento  :  è  corrotto  quel  popolo  che 
-vive  ne'  vizj ,  abbenchè  ne  conofca  il  danno  ;  ma  è  cor- 
rottiifimo  quello  che  ne  perde  anche  quella  conofcenza. 

I  Sibariti  non  folo  amavan  V  inerzia  ,  ma  la  crede- 
van  nobile  virtù  ;  non  folo  eliininavano  le  arti  laboriofe, 
ma  premiavano  gì'  inventori  di'  ben  condite  vivande  - 
Atene  demoralizzata  per  non  efferne  corretta,  d'una  ma- 
no toglieva  air  Areopago  la  poteftà  d'  invigilare  su  t 
coltumi,.  coir  altra  facrificava  ad  Anito,  e  Melito  il  mo- 
dello ,  e  il  propagatore  della  morale  Socrate  ;  e  quegli 
Ateniesi  che  rigettarono  dopo  la  battaglia  di  Salamina 
il  progetto  di  Temiftocle  ,  perchè  ingiufto  ,  abbenchè 
utile;  quelli  Ileffi  approvarono  la  domanda  de'  Samj  di 
•violarli  un  articolo  della  generale,  alleanza,  perchè  uti- 
le ,  febbene  ingiuftiffimo  ^ 

Roma  dichiarò  facri  i  Tribuni,  e  nell'  cfhremo  della' 
'corruzione  fu  creduta  onefla  cofa  il  farli  a  pezzi  .  Un- 
Confole  era  intangibile ,  e  '1  popolo  applaudì  a  Cefare, 
che  fece  battere,  e  cacciare  dalla  bigoncia  Bibulo.  Per 
le  leggi  Valeria,  ,  e  Porcia  era  reo  di  morte  il  Magi- 
ilrato  che  facefle  battere ,  o  uccidere,  dai  littori  im  Ro- 
mano, e  fi  vide  accordato  il  trionfo'  a  chi  ne  avea  fat* 
to  Ilrage  in  una  battaglia  civile  ;  l' adulterio  era  in  or- 
rore ,  e  Clodio  fu  afloluto  ,  e  quafi  in  premio  creato 
Edile.  Allora  fu  che  niente  vi  era  di  peflimo,  cui  noa 
fi  cftendcffe  V  impudenza  ,  niente  delle  antiche  virtù  , 
cui  non  fi  dafle  spregio  ,    o  nome  di  antica  rozzezza  : 

fi» 


«34 

fu  tale  in  fomma  il  rovefciameato  delle  idee ,  e  de*  prìn- 
cipj ,  che  le  parole  più  comuni  cangiarono  di  fignifica- 
to .  Fu  chiamata  femplicità  la  buona  fede ,  deprezza  la 
callidità  ,  debolezza ,  pufìllanimità  la  prudenza ,  e  la  mo- 
derazione; mentre  che  i  tratti  di  audacia,  e  di  violen- 
za pafTarono  per  colpi  di  un'anima  forte.  In  altri  tempi 
fi  danno  colpi  alle  virtù  ,  ma  fé  ne  riconofce  ancora 
l'autorità  ;  ma  quando  fi  va  fino  a  fpogliarla  del  fuo 
nome ,  ella  non  ha  più  dritto  al  Trono ,  il  vizio  fé  ne 
impadronifce  ,  e  vi  fi  tiene  tranquillamente  ;  allora  la 
corruzione  è  giunta  al  terzo  ed  eftremo  fuo  grado  . 

Quali  intanto  darà  provvedimenti ,  quali  precetti  fe- 
guirà  il  Governo  in  così  deplorabile  flato  del  fuo  po- 
polo ?  Ecco  quello  che  io  vado  ad  accennare  . 

La  corruzione  di  un  popolo  può  attaccarfi  o  diretta- 
«lente  ed  a  vifiera  calata  ,  o  indirettamente  .  Licurgo 
tenne  il  primo  modo .  Egli  mercè  T  influenza  dell'  Ora- 
colo Delfico  sugli  Spartani ,  la  fua  qualità  regale ,  non 
che  il  lungo  efercizio  delle  fue  virtù  ,  era  già  a  tutti 
cofpìcuo  e  venerando  .  Si  aggiunfe  che  i  poveri  eran 
molti,  i  ricchi  pochi,  e  tutti  fianchi  delle  loro  ruinofè 
divifioni,  ed  egli  fi  tenne  dal  canto  de' primi  .  Forma 
il  piano  della  fua  riforma ,  il  mofira  a  pochi  amici ,  che 
ne  fpargono  le  bellezze  fra'l  popolo:  il  manda  alla  Pi- 
zia: quefìa  in  nome  di  Apollo  l'elogia.  Licurgo  allora 
Io  pubblica ,  e  Sparta  l'abbraccia .  Ma  quale  fu  quefia 
riforma  ?  Tale  ,  che  nel  profieguo  de'  fecoli  non  fuvvi 
wn  fecondo  efempio.  Licurgo  dillruflè  le  antiche  leggi, 


I 


i  vecchi  codurai ,  è  non  fu  limitato  a  rimpiazzarli  eoa 
nuove  ordinanze  .  Egli  volle  che  gli  Spartani  fi  aveflero 
fin  nuove  idee  delle  cofe.  La  loro  virtù  era  diverfa  da 
quella  degli  altri  Greci ,  come  n'  era  diverfa  V  educazio- 
ne. I  bifogni  ben  altri,  come  ben  altre  le  cure.  Que- 
lla riforma  ebbe  un  fuccelTo  feliciifimo  .  Sparta  riforfe 
dalla  fua  corruzione  :  fiorì  fopra  tutta  la  Grecia ,  e  vive 
ancora  ammirabile  preflb  di  noi . 

Colui  però  che  volefle  correre  su  i  pafli  di  Licurgo; 
dovrebbe  unire  infieme  autorità  di  natali,  e  di  virtù  , 
tutta  la  forza  della  religione  ,  un  momento  di  general 
disgufio  per  le  antiche  forme  ,  ed  un  gran  feguito  nel 
popolo .  Un  folo  di  quefti  accidenti  che  mancafle ,  l'in- 
traprefa  fora  inutile.  Il  vizio  è  un  moftro ,  e  tante  of- 
fre refiflenze ,  ed  offe  fé  a  chi  l' attacca ,  eh'  è  più  facile 
efferne  la  vittima ,  che  il   vincitore . 

Quefta  riforma  violenta  può  bene  efeguirfi  da  un  va- 
lente uomo ,  quando  il  popolo  corrotto  fi  avvegga  eflerc 
a  due  dita  dalla  fua  perdita  .  L' ingegno  dell'  uno  che 
richiama  ogni  fiducia  in  se,  la  cofternazione  dell'altro, 
che  il  rende  docile  ,  e  pronto  ,  pofibn  combinare  un» 
depurazione  di  coftumi .  Fu  tale  lo  flato  di  Crotona  do- 
po la  fcoraggiante  disfatta  ricevuta  da  Sibari  ,  e  tale 
apparve  Pitagora,  cui  diede  attente  le  orecchie.  Quefto 
uòmo  divino  riportò  in  mezzo  a  loro  la  morale,  e  tutte 
le  virtù  che  producono  il  valore.  Avvenne  1'  ifleflx>  ai 
Tebani,  ed  agli  Achei,  quando  oppreffi  da  mali,  Epa- 
Biinonda  iflruì  gli  uni ,  Arato  prefe  a  guidare  gli  altri- 


Il  popolo  vedeva  la  riforma  come  un  'bene:  un  uom 
di  genio  la  diede ,  e  la  corruzione  fu  vinta .  Quefìe  ri- 
forme però ,  opera  dell'  uomo ,  e  delle  angaflie  del  mo- 
mento più  che  delle  iftituzioni  ,  fono  pafTaggiere  come 
i  grandi  uomini.  Caddero  Epaminonda  ed  Arato;  ed  i 
Tebani  e  gli  Achei  ripiombarono  nel  lor  lezzo  . 

Può  un  popolo  eflèr  migliorato  da  un  conquiilatore . 
E  ben  fovvente  ,  che  il  vincitore  importa  coli'  armi 
nuovi  coftumi  :  il  vinto  atterrito  teme  violarli ,  e  l' efe- 
gue  ;  e  tratto  tratto  vi  fi  accofluraa ,  e  fcorda  gli  anti- 
chi .  La  Perlìa ,  la  Siria  viliffime  fotto  Dario ,  addiven- 
nero guerriere  fotto  i  fucceflbri  d' Aleflandro  ,•  Italia  mi- 
gliorò moltiffimo  fotto  i  Goti . 

In  fine  opera  un  immediata  correzione  de' coftumi  po- 
polari un  qualche  grande  avvenimento  che  ne  cangia  la 
collituzione  :  allora  tutti  gli  fpiriti  eccitati  dalla  novità ,  ed 
ardentemente  attaccati  al  nuovo  ordine  di  cofe  ,  forma- 
no, e  feguono  \olontarj,  novelli  e  più  fenfati  fiilemi . 
La  corte  di  Servio  Tullio  corrotta  refe  incapaci  i  Ro- 
mani delle  liberali  riforme,  che  quel  gran  Principe  pro- 
poneva. La  corte  de'Tarquinj  intrattenendo  gli  fpiriti  o 
nelle  elevazioni  di  grandi  edificj ,  o  nelle  guerre ,  appe- 
fantiva  lo  fcettro  fopra  uomini  che  non  ancora  conofce- 
•yano  fé  fìeffi,  quando  1'  improvifo  attentato  su  di  Lu- 
crezia ,  la  fimulata  follìa  di  Bruto ,  1'  opportuna  aflènza 
della  famiglia  regnante  ,  e  le  rumorofe  querele  di  Col- 
latino produffero  1'  inopinata  vicenda  .  I  Romani  fcofll 
dal  coraggio  de' capi,  dall' efaltate  virtù  di  Coclite,  Mu- 
zio, 


1J7 
zio,  e  Clelia,  dalla  neceffità  della  dìfefa,  quafì  volon- 
tari e  nel   momento  fi  rigenerarono . 

11  Confolato  richiamò  al  fuo  fianco  1'  amor  della  Pa- 
tria ,  il  Senato  prepofe  alle  fue  deliberazioni  la  pruden- 
za ,  e  il  popolo  amò  e  feguì  le  virtù  che  vide  brillar 
ne'  Grandi . 

Or  queile  Aibite  riforme  de'  popoli  corrotti  tengono 
più  alla  fortuna ,  che  all'  umana  prudenza .  Eflè  abbifo- 
gnano  di  grandi  avvenimenti  improvifi ,  de' quali  l'uomo 
d' ingegno  può  ben  profittare ,  ma  non  mai  procurarne , 
o  prevederne  1'  arrivo  . 

Le  riforme  intanto  indirette,  o  che  vanno  più  lent:*- 
mente  al  loro  fine ,  fon  quelle  che  figlie  delle  rifleffio.  i 
fono  regolate  dalla  coflanza  dell'uomo  faggio  ,  e  con- 
dottiere  del  popolo.  E'  effo,  che  fcandaglia,  ed  analizza 
il  male  :  è  eflo  che  efcogita ,  e  prepara  i  farmaci  :  è  efib 
che  li  prefcrive ,  e  ne  foftiene  la  forza  :  è  eflb  in  fine, 
che  ne  regola,  e  dirige  gli  effetti. 

I  coflumi  non  s' impongono ,  s' introducono .  I  fenti-» 
menti  non  fi  comandano,  s'  ispirano  ;  quindi  la  prima 
bafe  di  quello  diffìcile  edificio  è  l' efempio ,  e  Tefempio 
delle  virtù  .  I  ricchi  di  Sparta  fi  alzarono  in  tumulto 
ad  una  delle  fevere  leggi  di  Licurgo  :  un  giovine  fra 
efll  ardì  ferirlo  suU'  occhio  :  il  popolo  furiofo  pel  ten- 
tato parricidio  prende  il  reo  ,  e  '1  confegna  a  Licur- 
go .  Coftui  gli  ordina  di  feguirlo  a  cafa  :  ivi  fi  fa 
medicare  da  effo  fìeffo  :  niun  rimproccio  ,  niuna  do- 
glianza :    per  ogni  pena  vuol  che  lo  fegua  dovunque  ; 

i8  il 


138 

il  giovine  ubbldifce  in  iìlenzio  ,  e  tefìinionio  a  cia- 
fcuno  iftante  della  benignità,  della  paxienza,  delle  virtù 
di  Licurgo,  arrossì  del  fuo  delitto,  e  vicino  ad  un  cosi 
bel  modello  egli  reprefle  la  violenza  del  fuo  carattere, 
e  addis'enne  faggio.  Socrate,  Confucio,  fparfero  la  mo- 
rale più  coir  efempio  delle  loro  intemerate  vite  ,  che 
colla  purità  de'  loro  precetti .  I  gran  Capitani  riportaro- 
no la  vittoria  nelle  più  dubbie  imprefe  ,  più  col  met- 
terfi  innanzi  alle  linee  delle  loro  armate  ,  che  col  co- 
mando, e  coir  ingegno  .  Ha  noi  così  formati  natura  , 
che  o  fofle  beli'  emulazione ,  o  moto  fpontaneo ,  noi  fe- 
guiamo  l'altrui  efempio,  come  altri  in  notte  bruna  ile- 
gue  una  face.  Spinge,  anima,  accende  la  voce  eloquen- 
te di  un'uomo,  ma  come  fragorofo  tuono,  che  ci  fcuo- 
te ,  pafla  ,  e  non  dura  :  l' efempio  intanto  è  permanente: 
ci  è  fotto  gli  occhi  :  ci  è  sul  cuore  :  ci  è  sulla  lingua: 
r  efempio  vai  più  che  il  collume  (a)  .  Voi  vanamente 
ricorderete  al  giovine  infingardo ,  che  alla  fua  età  fi  con- 
•\'iene  il  travaglio/:  indarno  raccomanderete  il  pubblico 
coftume  al  viziofo  :  entrambi  correranno  alle  loro  lor- 
dure ;  ma  fa  Palemone  coronato  di  fiori  ,  ed  olezzante 
profumi  entrerà  fra  gli  allievi  di  Socrate,  il  di  cofloro 
efempio  il  farà  prender  vergogna  di  fé  ftefTo ,  e  lo  svol- 
gerà  dalla   difcefd.   de'  vizj  . 

La   forza  di  (juello  efempio  però  è  raddoppiata,  quan- 


do. 


00    Dlutlus  durant  exempla  ?  quain  mores  ■,.   Tacit.  IK  biftor,  .  i  •  •• 


'39 
do  legislazione  il  fofliene ,  e  l'applaude .  L'eroismo  degli 
Spartani  premiato  dalla  legge  allettava,  ed  obbligava  k 
gioventù.  Il  Sannio  era  virtuofo  per  iftituzioni  ,  e  pet 
cortami;  bifogna  però  che  quefte  fieguauo,  o  coadjnvino: 
fole  fono  inefficaci  .  Inutilmente  fi  proclaman  leggi  ,  e 
fanzioni  fra  uu  popolo  corrotto:  efiè  fono  male  efegul- 
tc  da' Giudici  ,  derife  da'  potenti  ,  ed  illufe  da  tutti  . 
Siavi  legge,  ma  fianvi  efempj  :  fon  querte  inutili  quan- 
do fole ,  come  tronchi  in  arida  terreno  :  ma  fono  que- 
lle giovevoli ,  quando  efirtono  i  cortunii ,  come  piova  sul 
prato.  Era  legge  di  Roma,  che  il  Senato,  i  Coraizj  non. 
vedeffero  armi.  Ne' tumulti  di  Coriolano  i  giovani  Pa- 
trizj  cacciarono  a  pugni  dal  Foro  un  popolo  ,  che  a 
pugni  fi  difefe:  non  fuvvi  una  fola  daga:  ma  nella  cor- 
ruzzione ,  Gracco  fu  uccifo  dalle  Tribù ,  il  Foro  fu  co- 
verto di  cadaveri  ,  ed  in  ogni  lato  delia  Città  balena- 
rono daghe  ,  e  fpade  .  Spettacolo  ,  che  fra  le  vicende 
di  Siila ,  e  Mario ,  Cefare ,  e  Pompeo  fu  fovventi  fiate 
rinnovellato .  Si  tacquero  le  leggi ,  perchè  eran  mancati 
i   cofiumi . 

Chi  intanto  darà  querti  efempj  di  virtù  per  la  riforma 
de  coftumi  ?  Evvi  chi  crede ,  che  debba  farlo  il  capò  del 
Governo;  è  vero,  perchè  è  tal  la  condizione  de'Principi, 
che  fembrano  comandare  ad  altri  ciò  che  efll  fanno  (a); 
e  tale  è  de'fudditi  il  carattere,  che  la  voglia  di  aggra- 

*  dirli  ; 

(")    Hsc  conditio  principum ,  ut  quldquid  faciant,  praectpere  vidMtitur .  Quin* 
'II.  Ueclam,  4, 


140 

dirli  ,  e  di  emularli  gli  trafcina  più  che  la  pena  della 
]egge  (a)  ,  e  tali  in  fine  efler  fogliono  gli  abitanti  di 
■un  regno ,  quali  i  Re  fono  (b) .  Ma  per  quanto  un  capo 
cofpicuo  s' ingegni ,  ed  addeflri  a  farlo ,  egli  non  balìa. 
Né  Antonino  ,  ne  Marco  Aurelio  correlTero  Roma  ,  e 
pure  fcritti ,  leggi ,  ed  efempj  a  larga  mano  difFufero  . 
Devono  cofpirar  col  Governo  i  Miniftri  della  Religio- 
ne, ed  i  primati  del  popolo  .  Un  cittadino  corrotto  , 
che  dovefle  arroffire  innanzi  a  tutti  quefti ,  farebbe  co- 
me catenato  alla  -virtù  ;  e  fé  la  di  coftei  bellezza  non 
gii  va  fino  al  core ,  egli  almeno  ne  dovrà  fimular  Ta- 
more ,  ammantando  il  più  che  fappia  la  fua  corruzzione^ 
«d  intanto  è  già  sul  cammino  delle  virtù  chi  fente  ver- 
gogna del  vizio» 

La  Religione  figlia  del  Cielo,  alimento  degli  uomini, 
freno  del  popolo,  e  bafe  de' Governi  ,  la  Religione  è 
indispenfabilmente  la  prima  molla  della  riforma .  Minos 
in  Creta,  Mosè  ne' deferti  d'Arabia,  Numa  in  Kcma  , 
Maomet  nell'  Afia  alzarono  lo  ilendardo  della  Religione, 
ed  a  nome  di  un  Dio  alto  buccinarono  premj ,  e  pene, 
tartaro ,  ed  elisj  :  il  popolo  die  lor  credenza ,  e  li  feguì. 
Ciò  che  ci  fpa venta  ottien  fempre  fede  appo  noi  :  mai 
riforma  fenza  il  nome  di  un  Dio.  I  Sacerdoti  adunque 
debbono  concorrere    col  Governo  ,    ed    ambi    cominciar 

dal- 

_(«)     Obfequium  in  principem,  &  zmulandi  amor  validiora  ,  quam  poena  ex  le- 

gibus  .    Tucit.   J.  /Irina/. 

(i)    Qi-iales  de  republica  principes  funt ,  tales  reliquos  lolere  effe  cives-  Cicir.  ia 


MI 
dallo  flrakiare  la  religione  da  tutte  quelle  pratiche  fu- 
perlliziofe ,  o  vane  ,  che  ne  avean  bruttata  la  purità  , 
e  refe  fprezzevole  il  culto.  Devou  d'avanzo  imporla  al 
popolo  coU'eferclzio  di  tutte  le  virtù  di  quella  religio- 
ne che  profeflano . 

Ma  non  balla  ancora  .  Bifogna  che  ai  Miniflri  del 
Tempio  corrifpondano  eziandio  i  Primati  ,  la  voce  dei 
quali  è   Tempre  la   norma  della  plebe  • 

Se  mai  un  Governo  unirà  la  cooperazione  di  quefle 
due  elafll  ;  allora  fia  che  il  giovine  corrotto  rattenuto 
da  facro  tremore  innanzi  Tara  dalla  veneranda  autorità 
di  un  minill.ro  del  culto ,  frenato  nella  Città  dall'  impo- 
nente efempio  de'  Grandi ,  contenuto  dalla  legge ,  che  ne 
minaccia  i  vizj ,  e  guardato  dal  Governo  ,  che  gli  ac- 
cenna col  fuo  efempio  l'efercizio  delle  virtù,  allora  que- 
Ao  giovine  quafl  llretto  fra  tanti,  deve  o  mondar  fua 
fcoria,  o  a  colpo  lìcuro  migliorare  ne' figli. 

Quefta  rigenerazione  però  non  e  l'opera  di  un  gior- 
no :  abbifognano  anni  ,  e  coilanza  .  Se  la  legge  perdo- 
na talvolta  ,  fé  il  Governo  permette  qualche  ecceflò  r 
fé  i  facerdoti  rallentano  la  loro  influenza  ,  e  danno 
i  capi  qualche  efempio  di  vizj  ,  la  corruzione  riprende- 
forza  ,  e  rinafce  .  Così  erba  infelice  non  sbarbata 
fino  all'  ultimo  flerpo  rigogliofa  ripullula  ,  e  rinver- 
difce  . 

Finalmente  può  il  Governo  folo  ,  mettendo  in  una 
linea  Grandi,  Sacerdoti,  e  Popolo  ,  corrigger  tutti,  fé 
tenendo  con  una  mano  ferma  le  redini  della  Nazione  , 

ir- 


142 

irrimiTibilmente    fa  piovere  le  pene  ,    ed  il  ridicolo  sul 
vizio ,   i  premj   e  la  lode  sulla  virtù . 

L'  Areopago  per  frenare  il  luflb  delle  donne  foleva 
•di  volta  in  volta  ordinare  ,  che  quei  pezzi  ruinofi  ,  dì 
cui  avean  prefo  ad  ornarfi  ,  foifero  il  distintivo  delle 
cortigiane  ;  sul  momento  quel  ludo  era  svilito  dal  ri- 
dicolo ,  e  dall'infamia.  L'Areopago  steflb,  penetrando 
neir  interno  delle  cafe ,  condannava  i  Cittadini  oziofi ,  o 
diOoluti ,  nel  momento  che  faceva  fpargere  delle  ricom- 
penfe  fin  su  i  Cittadini ,  che  nel  fegreto  delle  loro  pa- 
reti efercitavano  la  virtù  (a)  .  Dippiù ,  distribuendo  dei 
premj  al  valore  nelle  statue  che  decretava  ,  e  metten- 
do nella  pubblicità  delle  corone  ,  una  viva  gara  fra 
i  giovani  ,  eccitava  ,  e  nutriva  la  virtù  ;  ma  tuttocciò 
era  con  tal  fevera  mano  efeguito  ,  che  vizio  non  is- 
fuggiva  air  infamia  ,  non  virtù  alla  lode .  L' infleffibi- 
lità  di  questi  Giudici  era  un  talismano  della  virtù  ,  e 
questo  fu  alla  riforma  di  tal  Magistrato,  che  cominciò 
per  Pericle  la  corruzione .  Oh  !  fé  un  Governo  fi  met- 
teffe  alla  testa  di  un  Areopago  !  Quali  felici  rifultati  per 
i  costumi  !  Il  Governo  può  tutto  preffo  il  fuo  popolo, 
quando  decifamente  vuol  formarne  la  felicità  .  Ch'  Egli 
■costante  cerchi  il  virtuofo ,  e  V  innalzi  ;  rintracci  il  ri- 
baldo, e  Tabbaffi:  che  amando  l'uno,  odiando  l'altro, 
istancabilmente  divida  prenij,  e  pene.  Che  fenza  rallen- 
tar/! 


(«)    Meeurs,  Areop.  f,  5; 


145 
tarfi  giammai  fiegua  per  anni  tal  defiderato  iìstema  ,  e 
fia  allora  corretto  il  popolo  ,  felice  la  Nazione  ,  forte 
ed  amato  il  Governo  ,  la  pubblica,  vita  dignitofa  ,  la 
privata   tranquilla  . 

Ille  Keipuhlicae  status  optdbìlìs  &  firmvs  efl^  in  quo 
&  privatìm  fancìe  ^  ìnnoxìeque  vivìtur ,  &  publice  jujll^ 
tia ,  ù  clementìa  vì^ent .  Polyb.  lib.  IX. 


NO^ 


NOTIZIE 

DEI  PREZZI  DI  ALCUNE  DERRATE  DI  ALIMENTO 
PER  PIÙ'  DI  DUE  SECOLI 

Raccoltele  lette  nella  Società  ai  ^o.  Gennaro   1809. 

DALL'  ARCIDIACONO 

LUCA  DE  SAMUELE  CAGNAZZI . 


Facilius  per  partes  in  cogiiitiOnem  totius  adduci tnt« 
Scaec.  Ep-f.  LXXXIX. 


^^Lttacca  ciafcuno  alle  cofe  quel  valore ,  che  il  fuo  bì- 
fogno  fuggerifce ,  ma  fìccotne  variano  all'  infinito  i  bi- 
fogni  predo  degli  uomini  nella  fpccie  e  nel  vigore ,  che 
da  tante  circolìanze  dipendono  ,  così  uniformità  alcuna 
e  collanza  ne' valori  aflblutamente  non  può  eflervi  .  Il 
prezzo  poi  delle  cofe,  che  è  il  compenfo  che  dailì  co- 
munemenre  per  ottenerle  ,  nafcendo  dal  mutuo  bifogno 
nel  cambio,  molto  meno  fervir  può  di  fedele  norma  ad 
indicare  i  valori.  Per  rimediare  a  ciò  fi  è  dagli  Econo- 
milti  creduto  poterfi  prendere  in  pratica ,  come  campio- 
ne de'  valori  ,  il  puro  bifognevole  alla  fuflìflenza  del 
baflo  operajo ,  e  per  campione  de'  prezzi  il  falario  con- 
veniente . 

i^  Suo 


14<5 

Suole  alle  volte  però  il  prezzo  del  giornaliero  trava- 
glio di  un  operajo  non  eflere  corrifpondente  alla  fua 
ruffiftenza,  e  ciò  facilmente  fuccede  ne' tempi  di  fcarfez- 
za ,  in  cui  ciafcun  poffldente  rellringe  le  fue  fpefe  ,  ed 
ove  abbondano  oltre  mifura  i  non  poffidenti ,  e  con  ciò 
quelli  che  offrono  travaglio  ;  ed  al  contrario ,  elìèndo  po- 
chi i  poffidenti ,  può  con  facilta  avvenire  il  monopolio 
contro  quella  mefchina  clafle  .  Per  rendere  più  collante 
quefto  calcolo  lì  è  dagli  Economici  foftituito  al  predet- 
to falario  il  prc/.zo  delle  derrate  di  alimento ,  che  pro- 
porzionale è  ìli  confegjiienza  a  quello  di  fuffiflenza .  Anzi 
ove  il  pane ,  che  è  il  cibo  il  più  analogo  al  nofìro  fìo- 
maco,  forma  il  principale  e  comune  alimento,  suol  pren- 
derli il  prezzo  del  grano  come  unica  bafe  ;  ma  più  ac- 
curato riefce  il  travaglio  accoppiandovi  i  prezzi  di  altri 
neceffarj   prodotti   commeilibili . 

11  valor  monetario  poi  è  foggetto  a  molte  variazioni, 
non  folo  pe  '1  pefo ,  che  per  la  qualità  di  ellraneo  me- 
tallo che  fi  allega  con  quello  preziofo ,  ma  per  l' incre- 
mento o  decremento  che  aver  pofibno  i  preziofi  metalli 
preffo  la  nazione .  Per  femplificare  quefto  ..ragguaglio  ri- 
conofcer  conviene  il  preziofo  metallo  contenuto  nelle  mo- 
nete, che  è  il  loro  valor  reale  y  a  differenza  di  quello 
nominale  che  loro  può  darli  ,  e  ridurre  i  detti  prezzi 
delle  derrate  di  alimento  prefi  per  campione,  a  pefo  dì 
puro  metallo  contenuto  nelle  monete  corrispondenti.  In 
quello  cafo  vienfl  a  rilevare  altresì  la  proporzione  dei 
preziofì  metalli  riguardo  allo  ftabile  campione  de'valori. 


«47 
e  ciò  molto  giova  efeguirlo  pe'l  progreflb  di  più  tem- 
po  fino   a   noi   in  ciafcuiia    nazione . 

Inoltre  ha  ciafcun  prodotto  due  prezzi,  uno  naturale^ 
che  è  quello  rifultante  dalle  fpefe  opportune  alla  fua 
produzione ,  e  V  altro  corrente  o  cangiabile ,  che  è  quel- 
lo che  daffi.  o  ricevefi  in  compenfo  di  eflb  prodotto  . 
Quando  il  prezzo  corrente  di  un  prodotto  è  maggiore 
del  naturale,  la  produzione  vien  attivata;  come  al  con- 
trario ^\  paralizza  fubito  che  faffi  minore  :  ma  ficcome 
il  prezzo  naturale  varia  a  norma  del  campione  predetto, 
per  cui  avvenir  fogliono  delle  alterazioni  fcambievoli  tra 
quelli  duplici  prezzi  progrefTivamente ,  quindi  il  ramo  di 
lor  produzione  fpeciale  vien  a  foffrire  delle  vicende  , 
che  nella  Storia  Economica  di  ciafcun  paefe  meritar  dee 
il   primo  luogo  . 

L'  Arte  Statidica  intenta  a  fissare  lo  flato  attuale  ia 
tutt' i  rami,  e  con  ifpecialità  l'economico ,  rivangandone 
però  fempre  le  caufe  che  han  contribuito  ,  comincia  il 
fijo  travaglio  dallo  flabilire  il  progredivo  campione  lo- 
cale de' valori  reali ,  da  quel  tempo  che  opportuno  fem- 
Lri  ad  aprire  la  traccia  nell'importante  analifi  della  pro- 
duzione, confumazione  delle  rendite  e  foldi ,  e  dei  pub- 
blici tributi  (a) .  Prima  che  quefta  fcienza  ottenuto  avelTe 
quella  regolarità  e  fiftema  che  oggidì  veggiamo  ,  già  il 
Vefcovo  Fletwood  in  Inghilterra  occupato  fi  era  a  rac- 
cogliere i  prezzi  per  qualche  fecolo  delle  derrate  le  più 

*  ne- 

(«)    Si  veggano  i  miei  Elimtmi  dtW  Arte  Swijiica  Part.  II. 


14-8 

necenàrie  all'  alimento  da  molte  memorie  di  comunità  ; 
ed  il  Signor  Duprè  de  Saint-Maur  in  Parigi  fece  lo  fìei^» 
In  feguito  i  due  inilgni  Economilìi  Arturo  Young  ,  e 
Smith  profeguirono  quelle  ricerche,  e  furon  loro  di  gran- 
de lume  neir  indagine  di  molte  difficili  teorìe  di  pub- 
blica Economia  .  Quello  intereflante  travaglio  intentato 
tra  noi ,  come  preiTo  molte  nazioni ,  ho  voluto  efeguire, 
ed  ho  creduto  doverlo  deportare  in  quella  nollra  So- 
cietà Pontaniana ,  intenta  con  ispirilo  di  pura  filantropìa 
al   nazionale   vantaggio . 

Per  rendere  più  efatta  la  determinazione  de'  predetti 
prezzi ,  sulle  tracce  dei  menzionati  autori  ,  ho  creduto 
doverli  ragguagliare  folamente  a  pefo  di  puro  argento  , 
per  elTere  il  fuo  llilema  monetario  piìi  collante ,  e  me- 
no foggetto  a  vicende  ,  fpecialmente  tra  noi  ,  mentre 
quello  dell'  oro  ,  oltre  di  trovarli  in  balTa  proporzione 
di  valore  con  l' argento  ,  per  cui  è  Hata  la  moneta  di 
oro  foggetta  ad  elTere  portata  fuori  del  Regno  ,  tante 
alterazioni  ha  fofterte  colla  lega ,  che  rendono  oltremo- 
do  irregolare   il   fuo   fillema   (a) . 

Per  proceder  poi  con  regolarità  mi  conviene  efporre 
^na  fuccinta   iloria  di  tutte  le  operazioni    efeguite  sulla 

no- 

(3)  Colla  Pramniatica  del  1744  fi  flabill  tra  noi  la  bafTa  proporzione  di  valore 
tla  l'arqenro  e  l'oro  nel  monetarti,  come  i  a  14  e  mezzo.  Dopo  qualche  anno  fi 
conobbe  l'errore  commeffb  ,  siacche  eflendo  preiTn  le  altre  nazioni  ,  come  1  a  15 
e  mezzo  circa,  pran  profitto  fi  faceva  da  fpecuhtori  coninrando  la  noflra  moneta 
d'oro  nel  Regna,  e  vendendola  fuori.  Per  rifarcirfi  in  parte  a  quello  male  fi  vol- 
le aumenrare  la  leua  prudenzialmente,  ma  fenza  formile  dichiarazione.  L'  irretjo- 
lantà  della  noftra  Zecca,  e  molto  piti  della  Zecca  di  Palermo ,  diede  quindi  luoq» 
a  molte  frodi  ,  per  cui  ora  fi  trovano  delle  monete  in  oro  di  m.i^qi'ir  valore  (^ 
quello  che  ioro  ii  affissa,  altre  preflb  a  paco  di  eguale,  ed  ai:r«  di  minore , 


noAra  moneta  di  argento  fin  dall'' origine  del  fiflema  at- 
tuale, quale  è  un  riafluiito  di  ciocche  fcrifle  Giandona- 
to  Turbolo  nel  1629  (a)  ,  dei  regolamenti  progreffìvi 
di  Zecca  ,  e  di  ciocche  dall'  efame  delle  monete  iftelTe 
mi  è   riufcito  rilevare  . 

Neiranno  1442,  fi  cominciarono  a  coniare  nella  Zec- 
ca di  qucdo  Regno  delle  monete  di  argento  colla:  pro- 
gredlone  decimale  di  ducati,  carlini,  e  grana,  chiaman- 
dofi  tari  i  carlini  due,  denominazione  che  molto  prima 
efilleva  ,  come  ci  attefta  il  Summonte  (b)  .  Al  carlino 
fi  diede  allora  il  pefo  di  acini  81  e  mezzo,  col  titolo 
di  undeci  danari  di  fino ,  ed  uno  di  lega  (e) ,  ofTia  coti 
916  millefimi  di  fina,  ed  il  reflo  lega ,  fecondo  il  nuo- 
vo fillema  Francefe ,  onde  ciafcun  carlino  conteneva  di 
puro  argento  74  acini  e-^,ed  il  ducato  in  confeguen- 
za  un  oncia  ,  fette  trappefi  ,  e  fette  acini  .  Con  ogni 
libbra  (d)  di  lega  dunque  ,  contenente  oncie  undici  di 
puro  argento  ,  ed  uno  di  rame ,  fi  venivano  a  coniare 
ducati  otto,  e  grana  83  e  mezzo,  ma  non  è  che  tanto 
coftafle  allora  una  libbra  di  argento  non  lavorato  del 
titolo  di  undeci  danari,  ma  bensì,  come  dalle  memorie 

che 

(a)     Difcorfo  fotra  la  monetit  del  R'!;ko  di  Njpoli . 

{i)  l^ol.  ìli.  /a.  5.  C.1».  j.  Trovafi  anche  menzionato  il  tari  fin  dal  loop,  in 
moire  fcritturc.  liid.  i>..r't.   i.  G.!/j.   (3. 

U)  Secondo  i  resolanienti  della  Zecca  Najwletana, per  valutarfi  il  titolo  di  eia* 
fcuiia  mafTa  di  arseino  intendefi  divifa  in  dodici  parti  ,  chiamate  oiae ,  ed  altro- 
ve danari,  e  ciafcr.n  oncia  in  venri  flerlini.  Col  nnovo  Clìema  Francefe  fi  confide-» 
ra  tutta  la  in'Oa  divil'i  in  mille  parti. 

id)  La  libbra  Napoletana,  che  equivale  a  gramme  520.  760.  ,  fidivide  i"  '2- 
WKie  ,  l'onciii  in  ^o.  trafpefi  ,  ed  il  trappefi)'in  i».  acini-,  laiche  la  libbrae  di 
7100.  acini'. 


IJO 

che  abbiamo,  ducati  8.  65.  e  mezzo,  giacche  il  dippiù 
era  per  dritto  di  conio  e  iìgnoria  • 
•  Nel  1510  fi  fece  a  ciafcun  carlino  la  diminuzione 
di  un  acino  di  pefo,  recando  di  ottanta  acini  e  mezzo, 
e  permanendo  lo  Iteflò  titolo  di  undeci  danari,  venne  a 
contenere  acini  7  3  -^  di  puro  argento .  La  libbra  di  ar- 
gento non  monetato  del  predetto  titolo  montò  allora  a 
ducati    8.   73.  e   mezzo, 

Neir  anno  1533  fi  diminuì  il  pefo  del  carlino  di 
acini  4.  e  un  quarto,  facendofi  di  acini  76.  2.,  onde 
ciafcun  carlino  venne  a  contenere  di  puro  argento  aci- 
ni 6g.  8.,  e  l'argento  ad  undeci  danari  di  titolo  moa- 
tò  a  ducati  g.    23.  e  mezzo  la  libbra  . 

Neir  anno  1542,  fi  diminuì  il  pefo  del  carlino  di 
acini  5.  7.  ,  e  divenne  di  acini  jo.  5.  ,  contenendo 
acini  64.  6.  di  puro  argento  ,  onde  quello  col  titolo 
predetto  venne  a  coflare  ducati  dieci  la  libbra  . 

Nell'anno  1552  fi  coniò  nuova  moneta  colla  dimi- 
nuzione al  carlino  di  acini  2.  5. ,  riducendolo  collo  fleflo 
titolo  ad  acini  68.  ad  oggetto  di  far  elevare  tutta  la 
moneta  del  cinque  per  cento,  ed  il  prezzo  delfargento 
dello  fìelfo  titolo  di  undeci  danari,  che  fi  vendeva  du- 
cati dieci  la  libbra ,  fu  taifato  ducati  dieci  e  mezzo,-  ma 
tale  fpeculazione  poggiata  fopra  inefatti  calcoli  non  pro- 
duce il  ragguaglio  che  fi  delìderava  colf  edere  monete. 
Il  carlino  venne  a  contenere  allora  di  fino  argento  aci- 
ni  Gì.    3. 

Nelfanno   1554,  per  ripararfi  all'errore,  fi  volle  ri- 

foa- 


fondere  detta  moneta,  diminuendo  il  carlino  di  un  mez- 
zo acino,  facendolo  di  acini  6j.  5.,  e  contenea  di  pu- 
ro argento   6 I .   9. 

Nell'anno  1572  la  critica  pofizione  delle  finanze  di 
quello  Regno  fotto  il  governo  del  Cardinale  Granuele 
fuggerl  la  formazione  di  una  moneta  plateale  di  ballò 
titolo  ,  e  propriamente  di  danari  due  e  flerlini  tre  di 
fino  argento  ,  e  danari  nove  e  llerlini  1 7.  di  rame  , 
olììa  di  177  roillefimi  di  argento.  Vedendofi  immedia- 
tamente r  inconveniente  inevitabile  da  una  moneta  priva 
di  giuiìo  valore  ,  riparar  fi  volle  ritirandola  per  rifon- 
derla con  altro  titolo .  Facendo  reflare  lo  fteflb  pefo  dar 
fi  volle  alla  nuova  moneta  il  titolo  di  danari  dieci  e 
fìerlini  dieci,  vale  a  dire  di  879.  millefimi,  fenza  pe- 
rò abolir  la  prima  coniata  con  undeci  danari  di  titolo. 
Ciafcun  carlino  venne  a  contenere  in  quella  nuova  mo- 
neta acini  59.  6.  di  puro  argento.  Cominciò  allora  ad 
introdurfi  V  aggio  tra  quelle  due  monete  di  argento  , 
giacche  ogni  qualvolta  un  Governo  in  vece  di  ricono- 
fcere  i  valori  vuol  fiflarli  arbitrariamente,  il  commercio 
ne  rifente   diilèflo  . 

Negli  anni  1582  ed  83  fi  batterono  monete  di  gra- 
na due  e  mezzo,  dette  cinquine  ,  e  di  grana  cinque  , 
col  titolo  antico ,  diminuendofi  però  ciafcun  pezzo  a  rag- 
guaglio di  acini  5.  e  mezzo  per  ciafcun  carlino  ,  e  fu 
ridotto  ad  acini  6a.,  che-perciò  contenevano  quelle  mo- 
nete per  ciafcan   carlino  acini   56.    8.  di  puro  argento. 

Ne  furono  coniate  in  feguito  da  tempo  in  tempo,  fino 

al 


15» 

al   1 6 1 7 ,  di  cinquine  e  mezzi  carlini  J  con  titolo  alle 

Tolte  inferiore  . 

Sotto  il  governo  del  Viceré  Cardinal  Zapata  dal  pre- 
detto anno  1617  fino  al  1625  varie  monete  furono 
battute,  ma  eoa  titolo  incerto  e  variabile  ,  perfilìendo 
nel  tempo  fleflb  l'antecedente  moneta,  e  fi  alterò  allora 
il  dritto  di  conio  e  fignoria  al  cinque   per  cento  . 

Quello  produfTe  grandiffimo  ditlurbo  al  commercio  , 
giacche  ogni  venditore  contrattar  volea  colla  moneta  mi- 
gliore ,  che  fi  eflraeva  dal  Regno  ,  tanto  più  che  era 
alquanto  piìi  fina  di  quella  del  vicino  Stato  Pontificio. 
Altri  inconvenienti  a  ciò  fi  aggiunfero,  come  vedremo, 
per  cui  fi  pensò  nel  1683  dal  Viceré  Marchefe  del 
Carpio  rifonderla  tutta ,  e  ragguagliarla  con  quella  del- 
le altre  nazioni  .  Si  diede  a  detta  moneta  il  titolo  co- 
lante di  danari  II.  ,  offìa  di  gì 6.  millefimi  di  fino 
argento,  ed  il  pefo  del  ducato  fu  di  acini  635.  ,  per 
cui  contener  dovea ,  a  ragion  di  titolo  legale  ,  di  fino 
argento  acini  582-.,  e  così  corrifpondentemente  le  altre 
monete . 

Quefla  operazione  fi  vide  poco  valevole  ad  impedire 
i  difordini  ,  e  fi  fuppofe  che  trovandofi  la  nuova  mo- 
neta per  poca  accortezza  di  maggior  valore  di  quella 
delle  altre  nazioni,  e  fpecialmente  del  vicino  Stato  Pon- 
tificio ,  veniflè  eftratta  ,  onde  penuria  di  efla  in  quefio 
Regno  fi  vedeflè  .  Dal  Viceré  Conte  di  S.  Stefano  nel 
1689  ^  credè  poterfi  a  ciò  riparare,  elevando  detta  mo- 
neta del  dieci  per  cento  fenza  rifonderla .  Il  ducato  fin 
^  al- 


allora  coniato  divenne  di  carlini  undeci  ,  il  mezzo  du- 
cato di  grana  55-,  il  tari  di  grana  0,2,.,  ed  il  carlino 
di  grana  1 1 .  Nuova  moneta  intanto  comincioffi  a  bat- 
tere di  ducati,  mezzi  ducati,  tari,  e  carlini  a  raggua- 
glio della  precedente ,  già  alterata  nel  pefo ,  ferbando  lo 
fìeflò  titolo  .  Il  ducato  venne  a  pefare  acini  570.  ,  e 
ne  dovea  contenere  52,2.  5.  di  puro  argento,  ma  qual- 
che cofa  di  meno  vi  fu,  come  da  faggi  fatti  fé  ne  av- 
vide il  Signor  Newton,  e  così  in  feguito  li  è  praticato. 

Il  carlino  fi  fece  in  confeguenza  del  pefo  di  acini 
57.,  contener  dovendo,  come  fopa,per  titolo  legale  di 
puro  argento  acini   52.   a. 

Siccome  poi  il  valor  reale  della  moneta  nafce  dalla 
quantità  del  metallo  preziofo  che  contiene ,  e  1'  elevare 
il  prezzo  nominale  non  è  che  una  cofa  illuforia  da  fer- 
vire  al  momento  per  favorire  i  debitori ,  minorare  i  fol- 
di,  e  le  impofte,  cofa  in  quel  tempo  necefTaria  ,  come 
vedremo,  così  con  l'alterazione  predetta  non  fi  venne 
ad  ottenere  alcun  profitto ,  e  riparo  all'  eftrazione  della 
moneta ,  nafcente  da  altre  caufc ,  che  in  feguito  efpor- 
remo  ,  giacche  gli  efteri  non  curano  nella  moneta  altro 
che  il  valor  reale .  Non  abbaflanza  illuminato  il  Gover- 
no di  quel  tempo  a  comprendere  tal  verità ,  credè  per 
lo  contrario  che  a  confegulre  l'intento  dlppiù  convenif- 
fe  elevarfi  il  valor  nominale  .  Fu  ordinato  dunque  con 
Prammatica  nel  1691  di  confiderarfi  elevata  tutta  la 
moneta  fin  allora  coniata  del  venti  per  cento ,  onde  il 
ducato  coniato  prima  del   1689  divenne  carlini    13.,  e 

20  gra- 


154 

grana  due  ,  il  mezzo  ducato  grana  66.  ^  il  tari  grana 
a6.,  ed  il  carlino  grana  13.,  come  ora  vediamo.  Il 
ducato  poi  coniato  dopo  il  1689  divenne  carlini  dodi- 
ci,  il  mezzo  ducato  carlini  fei,  il  tari  grana  24.,  ed 
il  carlino  grana  12.  ,  come  anche  vediamo  .  Si  battè 
intanto  altra  moneta  collo  flefTo  titolo  ed  in  pefo  cor- 
rifpondente ,  e  furono  il  ducato  del  pefo  di  acini  475., 
che  per  legge  avrebbe  dovuto  contenere  acini  435.  5. 
di  puro  argento,  e  così  proporzionalmente  il  mezzo  du- 
cato, il  tari  ed  il  carlino.  Quello  è  il  firtema  moneta- 
rio di  argento  che  tuttavia  fufTifte  ,  a  riferba  di  qual- 
che piccola  diminuzione  fuccefla  in  feguito  sul  titolo  per 
quelle  folite  frodi  degli  appaldatori  ,  che  per  imperizia 
dei   faggiatori  fi  è  tollerata  . 

Da  tale  epoca  fino  all'  ingreffo  del  Governo  Borbo- 
aoico,  che  fu  nel  1734  ,  ninna  variazione  fuvvi  circa 
la  moneta  di  argento  ,  come  ci  afficura  il  Galiani  nel- 
la fua  dotta  opera  sulla  moneta  .  Il  nuovo  titolo  poi 
che  prefe  la  moneta  fotto  il  Re  Carlo  fu  di  dieci  da- 
nari e  18  llerlini,  o  fia  di  908.  millefimi  di  fino  ar- 
gento ,  con  aumentarfi  proporzionalmente  il  pefo ,  in  mo- 
do che  ferapre  venne  a  contenere  la  flefla  quantità  di 
puro  argento.  Similmente  nel  1784,  ed  in  feguito,  fi  è 
fatta  la  moneta  col  titolo  di  danari  io.  e  fterlini  I.  e 
mezzo,  vale  a  dire  con  839.  millefimi  di  fino  argento, 
e  con  la  fleifa  proporzione  fi  è  aumentato  il  pefo,  talché 
fempre  viene  a  trovarfi  in  effe  la  fleffa  quantità  di  pu- 
ro argento  . 

Gio- 


Giova  qui  oflcrvare  che  nel  darfl  prezzo  alla  lega 
dell'argento  ,  di  cui  lì  conofce  il  titolo  ,  porto  il  già 
detto  fiftema  dì  noftra  monetazione  ,  fi  valuta  alla  ra- 
gione del  contenuto  di  puro  argento  ,  dando  il  prezzo 
di  ducati  16.  32,.  a  ciafcuna  libbra  di  qucfto  ;  ma  fa 
alcuno  voglia  avere  una  libbra  di  puro  argento  libero 
da  altro  metallo ,  detto  tra  noi  di  coppella  ,  pagar  U 
dee  un  altro  ducato  circa  di  più  ,  e  ciò  per  la  fpefa 
che  vi  occorre  di  raffinazione.  Efièndo  l'argento  un  pre- 
zìofo  metallo  di  molto  ufo  per  le  fue  qualità  ,  e  fpe- 
cialmente  in  ragion  della  Aaa  purezza  ,  fa  che  venga 
pregiato  in  quefta  fleffa  proporzione  :  perchè  è  ben  fa- 
cile allegarlo  con  altri  metalli ,  ma  difpendiofo  a  fepa- 
rarlo  .  Da  ciò  avviene  che  non  oflante  la  ftefla  quan- 
tità dì  argento  che  pofTa  contenerfi  nelle  monete  di  di- 
verfi  titoli  ,  pure  fono  più  pregiate  quelle  di  fuperior 
titolo  nelle  piazze  elìere  di  quelle  d'inferiore,  e  trova- 
no maggior  corfo ,  confiderandoll  la  moneta  come  fempli- 
ce  metallo  pronto  ad  efTere  convertito  ad  altro  ufo  . 
Eflendo  poi  tutt'  altra  la  condizione  della  moneta  nel 
proprio  paefe ,  ove  niuno  la  fonde  per  non  perderci  il 
valor  di  fignoria  e  conio ,  non  molto  fi  confiderà  que- 
flo  pregio  relativo,  e  fuol  valutarfi  la  fola  quantità  di 
preziofo  metallo  contenuto  fenza  curar  la  lega  . 

Vengo  ora  ai  prezzi  delle  principali  derrate  di  ali- 
mento. La  tavola  qui  anneflà  contiene  in  fei  principali 
colonne  il  prezzo  di  ciafcuna  in  moneta  noftra  ,  ed  a 
cauto  il  puro  argento  contenuto  in  efla    in  pefo  napo- 

*        ^  le- 


I  j6 

letano ,  e  fecondo  il  nuovo  fidema  Francefe ,  affinctè  fè» 
die  fi  renda  diftinguere  a  colpo  d'occhio  le  varie  pro- 
porzioni di  elli  prezzi  intrinfeci  .  In  fine  di  qucfte  fei 
colonne  ve  n'è  un'  altra,  la  quale  indica  i  libri  o  re- 
giflri  di  contabilità  de'Religiofi  ,  da  cui  fono  fiate  de- 
funte Is  notizie  de'  prezzi  predetti ,  quali  fi  confervano 
ora  nel  generale   Archivio  . 

PofTono  le  vicende  delle  ftagionl  ,  e  quelle  dell'  in- 
duflria,  e  del  commercio  rendere  meno  abbondante  u.i 
genere  di  fufTiflenza  da  farne  alterare  fenfibilmente  ,  o 
nbafTare  il  prezzo ,  ma  fé  ciò  avvenga ,  per  efempio ,  sul 
grano ,  che  è  il  noftro  principale  alimento  ,  le  notizie 
degli  altri  prezii  non  proporzionalmente  elevati ,  o  ribas- 
sati nello  fleflb  anno  indicar,  pofibno  1'  accidentale  cau- 
fa ,  per  cui  ho  creduto  utile  nel  fifTare  il  campione  dei 
valori  di  prendere  in  confiderazione  più  di  efTì  generi, 
oltre   delle   altre   ofièrvazioni  che   ne  rifultano  . 

I  libri  o  regifìri  già  detti  non  contenendo  le  minu- 
te fpefe  giornali  da  cucina,  ma  bensì  il  loro  totale,  e 
2e  provifle ,  non  han  potuto  fomminiflrarmi  i  prezzi  del- 
la carne  frefca ,  uno  de'principali  noflri  alimenti ,  ma  cre<- 
do  aver  rifarcito  rapportando  quelli  del  lardo,  che  co^ 
xne  è  ben  noto  corrifpondono  alla,  carne  frefca  proflàma- 
mente  come   3.  a   i- 

Veio  è  poi  che  i  carboni  non  fono  un  oggetto  di 
prima  necelfità ,  ma  i  loro  prezzi  fucceflìvi  indicar  po- 
tendo lo  flato  progreflìvo  di.  aumento  ,  o  diminuzione 
1^'  bofchi  5,  che  ora  richiamano  1'  attenzione  di  tutti,  gli 

Eco? 


Economifti ,  meritano  perciò  non  effere  trafcurati'.  Vedefì 
in  fatti  che  eflTi  prezzi  fi  van  aumentando  nel  decorno 
dell'ultimo  fccolo  in  maggior  ragione  di  quegli  degli  al- 
tri generi  ,  che  perciò  è  chiaro  che  lo  fiato  de'  bofchi 
ya  deteriorando  . 

Benché    fufficienti'   foflèro    alle  noftre  vifle  flatifìiche 
le  notizie    dei  prezzi  delle  derrate    di  alimento    da  due 
fecoli  circa ,  nondimeno  ho  creduto  non  trafcurare  i  prez- 
zi dell'anno    1509,   che  fi  rilevano  da  una  antica  affi- 
la  {a) ,  tempo  in  cui ,  benché  conofciuta  fi  foflè  l'Ame- 
rica ,   non  ancora  ci  avea  dato  tanti  preziofi  metalli ,  ed 
anteriore  anche  al  governo  di  Carlo   V. ,  i  di  cui  fafìi 
molto  intereflano  la  floria  economica  di  quello  Regno  , 
oltre   alla  permanenza  che  per  qualche  tempo  vi  fece  , 
quale  dovè  accrefcere  la  maffa  del  numerario .  Con  gran- 
de meraviglia    in  fatti    oflervafi    da  detta  tavola    che  i 
prezzi   del   vino   e  dell'olio  ,     giacche   manca   quella  del 
grano,   nell'anno    1600   fi  trovano  importare  il  feftuplc 
del   pefo  dell'argento  puro,  da  quelli  dell'anno  1509. 
L'infigne  Economifta  Serra,  che  fcrifle   nel  161  3    sul- 
la moneta   {b) ,  ci  aflìcura ,   che  pe  '1  grande  traffico  cha 
quefto  Regno  avea  in  tale  tempo,  eflraendo  molti  pro- 
dotti  più   di   quelli   che   ritraeva   annualmente   dagli   efie- 
ri ,  oflìa  che  k  bilancia  del  commercio  era  favorevole  ,' 
la  moneta  veniva  ad  aumentarfi  in  quelli  luoghi.  Di  più 

dal' 

(«)    Vien  rapportata  dal  Diodat!  nella  fua  memoria  sulla  monet»  di  queno  Re^ 

Sno     Voi.    l.  Atti  dfllg   R.  Ac.  d,   Napoli. 

VY    Reccolt»  degli  Evorfomifii  Ittlitmi .  Milana;. 


Ij8 

dalle  grandi  rendite  che  avea  qui  il  Re  di  Spagna ,  allori 
dominante  di  quefto  Regno ,  venivano  qui  fpefe  tutte  , 
oltre  più  milioni  che  ritraeva  dal  nuovo  mondo ,  per  cui 
molto  folca  immettere  in  quefìo  Regno  per  le  fpefe  del- 
le truppe .  Per  avere  i  dati  politivi  ed  efatti  su  di  quan- 
do rapporta  il  citato  Serra  del  fuo  tempo ,  ho  creduto 
interefTante  rapportare  nella  tavola  i  prezzi  del  1614, 
che  può  averli  come  il  raaflìmo  della  floridezza  in  quel 
fecole  . 

La  quantità  de'  preziolì  metalli  potendo  crefcere  ,  al 
dire  del  Sig.  Smith  (a) ,  per  l' abbondanza  delle  minie- 
re preflb  lo  ftefTo  Sovrano ,  o  per  l' aumento  delle  ric- 
chezze preflb  del  popolo  per  la  fua  induflria ,  pare  che 
in  quefto  Regno  ambi  fienfi  combinate  nel  principio  del 
decimofettimo  fecolo  ,  e  crefciuta  oltremodo  farebbe  la 
quantità  delf  argento  fé  le  circoftanze  così  favorevoli  non 
a  fofTero  air  intutto  cambiate .  Diamo  dunque  uno  sguar- 
do sulla  fìoria  noftra  di  quel  tempo,  per  quanto  Taf- 
funto  richiede  . 

Benché  quefle  Provincie  dopo  l'epoca  predetta  godu- 
ta aveffero  nel  loro  feno  la  pace  ,  e  chete  foflèro  Ha- 
te da  ogni  invafione  ,  la  loro  floridezza  nondimeno  a 
gran  paflì  fi  diminuì  e  diftrufle  .  Le  continue  leve  mi- 
litari che  fi  facevano,  non  per  la  cuftodia  e  buon  or- 
dine del  Regno  ,  che  molto  poco  farebbero  fiate  ,  ma 
per  fupplire  alle  guerre  di  Lombardia  ,  di  Fiandra  ,  di 

Ca- 

0»)    Rì»Ttbi  Sull*  »«tm  t  h  tashfi  itlìi  BJHbczze,  W.  I.  Cap.  Xl. 


159 
Catalogna ,  ove  grande  era  il  bifogno  per  fedare  i  po- 
poli tumultuofì ,  ed  opporli  a'  nemici  eflerni ,  non  pochi, 
quelle  noftre  popolazioni  venivano  a  fcemare  in  modo  che 
mancavan  le  braccia  all'agricoltura  ed  alle  arti  ,  onde 
la  miferia  ne  rifultava.  Più  di  tutto  defolava  le  noftre 
Provincie  un  arbitrario  e  peflìmo  fillema  di  governo  dei 
Viceré  di  quel  tempo,  e  l'enormità  delle  impofizioni  , 
che  fotto  nome  di  donativi  fi  efìgevano  con  tutta  la 
fierezza  ,  a  fegno  che  molti  per  isfuggire  queflo  flato 
defolante ,  andavano  a  rifugiarli  ne'paeli  Turchi .  Nel  go* 
Terno  folaniente  dei  due  Viceré  Monterei,  e  Medina  de 
las  Torres,  che  durarono  anni  tredici  ,  cioè  dal  1631 
fino  al  1644,  fi  conta  efTerfl  eflratta  dal  Regno  di  Na- 
poli fopra  cento  milioni  di  ducati  (a) .  Di  tali  donativi 
ed  ordinarie  impofle  non  più  del  quinto  pafTava  nel  re- 
gio erario ,  rellando  il  dippiù  nelle  mani  degli  efattori, 
de' miniflri ,  dei  grandi,  e  dei  favoriti  della  Corte  fotto 
varj  pretefti  .  Per  maggior  rovina  di  effe  Provincie  il 
pefo  delle  gabelle  e  di  altre  gravezze  piombava  con  fo- 
verchiofì  fìftemi  folamente  sul  baflb  popolo  ,  che  è  la 
claflè  operativa  ed  indufìriofa  ,  e  propriamente  quella 
che  produce  la  vera  ricchezza  nazionale.  I  baroni  e  gli 
ecclefiaflici  refìavano  per  lo  più  immuni  all'intuito  per 
raggiri  e  prepotenze ,  anzi  i  primi  affumendo  a  loro  ca- 
rico r  efazione  dai  loro  vafTalli  ne  abufavano  in  modo 
d'attirare  molto  più  della  taffa  da  quelli. 

Dai 

(«)     Brufonì  Hi.  15. 


Ii66 

Dai  Miniflri  in  Madrid  fi  reputavano  i  nortri  luoghi 
come  forgenti  inefauribili  di  monete  ,  onde  fenza  com- 
paffione  s'imponevano  tributi.  Dopo  il  governo  del  Vi- 
ceré Medina  venuto  ellèndo  D.  Alfonfo  Enriquez  Am- 
miraglio di  Cartiglia  nell'anno  1644  vide  lo  flato  de- 
plorabile di  quefto  Regno  ,  e  1'  impofllbilita  di  venirli 
a  nuove  gravezze,  non  potendoli  foftenere  quelle  che  vi 
erano  ;  ma  le  fue  rimoftranze  furono  fchernite  e  derifè 
da'  cortigiani  in  Madrid  ,  onde  a  fua  petizione  ne  fu 
fubito  richiamato,  ed  -in  fuo  luogo  venne  il  Duca  d'Ar- 
cos .  Quello  uomo  crudele  fi  pofe  a  tiranneggiare  il  Re- 
gno con  gabelle  le  più  gravofe ,  e  fpecialmente  con  quella 
sulle  frutta  in  quella  Capitale  ,  che  fu  caufa  della  fa- 
mofa  rivoluzione ,  in  cui  fu  capo  Tommafo  Aniello ,  vol- 
garmente detto  Mafaniello .  E'  ben  noto  il  feguito  che 
portò  quella  popolare  moffa  ,  e  le  vicende  fempre  più 
lagrimevoli  del  Regno  fino  alla  venuta  del  Viceré  Mar- 
chefe  del  Carpio  nell'anno  1683  .  Que^o  faggio  Mi- 
niftro  il  accinfe  a  rimettere  V  ordine  ,  e  la  tranquillità 
fra  i  popoli  ,  ed  a  far  rifiorire  la  pubblica  induilria  , 
onde  pria  di  tutto  rifufe  come  fi  è  detto  la  moneta  , 
die  in  feguito  fu  elevata  dal  Conte  di  S.  Stefano  fuo 
fùcceffore  fin  al  30.  per  cento  in  due  volte  ,  e  fé  ciò 
poco  opportuno  fu  per  impedire  l' eilrazione  della  mo- 
neta ,  come  ho  moftrato ,  fervi  opportunamente  a  mino- 
rare i  dazj  del  30.  per  cento  ,  da  cui  non  poco  van- 
taggio ai  popoli  rifultonne. 

E'  ben  noto  poi    che    nello    fcoprimento    del  nuovo 


i6i 
■mondo,  gran  quantità  di  preziofi  metalli  eflendovifì  tro- 
vata, fu  mano  mano  in  Europa  trafportata  ,  e  le  loro 
miniere  fotto  la  direzione  degli  Spagnuoli,  e  Portoglieli 
diedero  sulle  prime  un  profitto  conGderabile  ;  ma  in  fe- 
guito  i  ricchi  filoni  eflendofi  efauriti  cominciò  a  mino- 
rarfi  l'annua  quantità  di  effi  metalli,  che  veniva  immefla 
nel  noftro  continente  .  D''altronde  eflendofi  l'argento  ,  e 
r  oro  impiegati  in  Europa  a  molti  ufi  ,  e  fpecialmente 
alle  filature ,  alle  indorature  ed  inargentature ,  che  gran- 
de confiamo  fiarmano  ,  e  fommamente  da  un  fecolo  in 
qua  che  quello  luflb  in  tutte  le  claffì  fi  è  difFufo,  quin- 
di r  iramifllone,  che  quafi  privativa  degli  Spagnuoli  era 
divenuta,  e  per  circollanze  belligeranti  diminuita  oltre- 
modo ,  non  è  fiata  fufficiente  a  rifarcire  annualmente  , 
onde  le  mafie  di  preziofi  metalli  a  calcolo  fatto  ,  pare 
che  fienfi  diminuite  sul  noflro  continente  da  un  mezzo 
fecolo,  e  la  proporzione  tra  efll  metalli  fi  è  in  confe- 
guenza  alterata  nel  valore  . 

Su  di  ciò  avvertir  bifogna ,  che  non  equabilmente  Ei- 
nerte  mafia  de' preziofi  metalli  fi  diffonde  sul  continente 
come  un  fluido  ,  ma  a  mifura  della  pubblica  indullrii 
che  Eanima  ed  attira  co'fuoi  prodotti;  quindi  le  nazio- 
ni ne  contengono  in  proporzione  del  vantaggio  che  la 
loro  bilancia  commerciale  ha  sulle  altre.  Da  ciò  conclu- 
desi  che  E  aumento  o  diminuzione  de'preziofi  metalli  pres- 
so una  nazione,  dipende  da  quelle  già  dette  circoflanze 
generali ,  e  dalle  fue  particolari  . 

Con  quella  prevenzione  diamo  uno  fguardo  alla  no- 
ti Ars 


ì6'2 

lira  tavola ,  e  ritroveremo  che  ad  onta  delle  turborenze 
e  veflazioni  fofFerte  da  quefto  Regno  nel  fecolo  decimofet- 
timo  ,  r  incremento  dell'  argento  in  generale  durò  fino 
al  principio  del  paflato  fecolo  deeioiottavo ,  e  fu  quin- 
di ^azionario  fino  al  1740,  per  la  poc' attività  indu»- 
fìriale,e  per  le  politiche  circoflanze  ;  ma  in  feguito  eflèn- 
do  divenata  queda  Capitale  fede  di  un  Regnante  ,  ed  il 
filo  governo  avendo  prefa  miglior  forma  ,  la  fua  indù- 
Uria  ,  propriamente  rurale ,  cominciò  a  fiorire ,  ed  i  fuoi 
prodotti  con  un  libero  commercio  andiedero  acquiltando 
maggior  prezzo .  E'  qui  da  notarfi  però  che  quefìa  na- 
zione fé  ha  goduto  un  commercio  vantag'giofo  circa  ai 
prodotti  grezzi  ,  è  lì:ato  però  fommamente  fvantaggiofo 
circa  le  manifatture-,  quindi  è  avvenuto  che  i  prezzi  di 
q.uefte  fonofl  elevati  adai  di  più  in  proporzione  di  queiH 
de'  uollri  prodotti  ,  come  ciafcuno  partitamente  può  n^- 
levare  (a)  * 

Altre  intereflanti  ofTervazioni  offrir  può  quefla  nollria 
tavola  fpecialmentc  su  particolari  rami  di  produzione  dei 
rapportati  generi,  oltre  quelle  già   menzionate  innanzi  . 


PREZ- 

(a)  Stimo  fiiperfTuo  far  qliì  notare  il  ben  noto  effetto  d-;'!.-!  bilancia  commercia- 
h  fvanta^i^Tufe ,  quale  efaurifce  la  moneta,  e  ti  nel  tempo  fteflo  elevare  i  pre2;-a 
de'  generi  che  fi  ricevono,  potendofi  vedere  ciocche  ho  detto  nella  mia  Arti.  St'iti- 
Am   P  *;.  IL   5.»,3.  III.  C-if.  IX. 


ì 


pag.  i5) 

PREZZI     ©I     ALCUNE     DERRATE     Bl     ALIMENTO 
BA     PiU'     DI     BUE     SECOLI. 

Anni 

1                 Grano 
Tomolo 
Ettolitri  0.  505 

Vino 
Barile 

Litri  45.  660 

Olio 
Sraro  di  tot.   10  -, 
Decagramme  920.   7 

Formaggio 

Rotolo 
Gramme   891. 

Lardo 

Rotolo 

Gramme  891. 

Carboni 

Can  t  ajo 

Ettagramme    891. 

Ducati 

Argento    puro 
contenuto 

Peso 

Ducati 

Argento   puro 
contenuto 

Peso 

Ducati 

Argento    puro 
contenuto 

Peso 

\ 
Ducati 

Argento  puro 
contenuto 

Peso 

Ducati 

Argeito   puro 
cottenuto 

Peso 

Ducati 

Argento   puro 
contenuto 

Peso 

Di  Nap. 
Acini 

Di  Frane. 
Gramme 

Di  Nap.      Di  Frane. 
Acini          Gramme 

Di   Nap. 
Acini 

Di  Frane. 
Gramme 

Di  Nap. 
Acini 

Di  Frane. 
Gramme 

Di  Nap. 
Acini 

Di  Frane. 
Gramme 

Di  Nip 
Acini 

Di    Frane. 

Gomme 

Documenti 

1509 

0.  167 

124-  2 

J-  531 

0.  21 

156.  8 

7.  028 

0.  047 

34-4 

I-  535 

0.  04 

29.  6 

I.   317 

Atti  della  Real  AcciHemia  Napoletana 
Voi.    1.    Mm.  drl  DiaJ^n  . 

1600 

I.  50 

8)2 

37-  9<56     I.  30 

738.  4 

32.894 

I.  80 

1022.  4 

45-  547 

0.  15 

85.2 

3-  794 

0.  14 

79.  6 

3-  544 

Regiflro  de'PP.  Domenicani  di  S.  Spirito. 

1614 

■•  35 

766.  8 

34.  i6d 

1.  00 

568. 

25.  303 

1.  25 

710. 

31.630 

0.  IO 

56.  8 

2.  J29 

0.  11  -j 

65.2 

2.903 

I.    IO 

624.  8 

27-  833 

"'-"• 

1650 

I.  jo 

85» 

37.966 

I.  00 

568. 

25.  303 

1.  25 

7 1 0. 

31.  630 

0.  1 1 

62.  4 

2-779 

0.  lo 

56.  8 

2.  529 

Rei-inro  detto  y^tibitta  di  S.  Benedetto 
a  Chi.lja  . 

1700 

0.  9J 

413-  3 

18.  430 

I.    IO 

479- 

21.  341 

1.  :o 

522.6 

23.  341 

0.  14 

60.  9 

2.  716 

0.  I  2 

52.  2 

2.  334 

0.  70 

304.  6 

13.   580 

Reginro  dc'PP.  di  S.  Nicola  di  Toledo. 

1710 

■•  55 

674-8 

30.  071 

0.  83 

361.  I 

i6.  102 

I.  25 

544'  3 

24.  251 

0.  14 

60.  9 

2.  716 

0.  ij 

65.2 

2.  910 

UiJrm  . 

1720 

I.  so 

652.6 

29.  lOI 

I.  00 

435-  5 

19.401 

I.  00 

435'  5 

19.  401 

0.  IO 

43-  5 

I.  940 

0.  I3i 

58.6 

1.  619 

Vacchetta  di  S.  Benedetto  a  Ghiaia. 

I7JO 
1740 
1750 

0.  9j 

404.  6 

iS.  041 

0.  90 

391.  6 

17.  460 

0.  94 

409.  0 

18.  236 

0.  14 

60.  9 

2.  716 

0.  13 

56.6 

2.  522 

0.  72Ì 

315-  4 

14-  063 

RceìAro  de'PP.  di  S.  Nicola  di  Toledo. 

I.  17 

553-  0 

24.  639 

0.  98 

426.  4 

19.  012 

I.  17 

509-4 

22.  699      0.  15 

65.2 

2.  910 

0.  14 

60.  9 

2.  716 

IbAem . 

..65 

7i8.  3 

3  2.  01 1 

1.05 

457-  2 

20.  371 

1.   3D 

566.  I 

25.  221      0.  14 

60.  9 

2.  716 

0.  14 

60.  9 

2.  716 

0.  76 

3  3°-  7 

14-  744 

UiJfm  . 

1760 

2.   IO 

914.  i 

40-  74  3 

I.  10 

479-  0 

21.  341 

"•  35 

587-8 

26.  191      0.  16 

69.6 

3.   104 

0.  16 

69.6 

3-  104 



Vacchetta  de'  PP.  Benedettini  di  S.Sevetim  j 

1770 
1780 

••  55 

I.  90 

674.  8 
827.  1 

30.  071 
36.  861 

I.  30 
"•  35 

)66.  I 
587.8 

25.  221 

26.  191 

1.50 
1.  66 

652.6 

722.  7 

29.  101 

0.  15 

62.  2 

1.  910 

0.  I7i 

73.9 

3-  298 

Regidro  de'PP.  di  S.Nicola  di  Toledo. 

32.  205 

0.   20 

87.  I 

3.  880 

0.  20 

87.1 

3.  880 

lt:itm . 

1790 

2.  12 

923.  2 

41.  131 

I.  20 

522.  6 

23.  341 

1-70 

740.  I 

32.  981 

0.    20t 

89.  2 

3-977 

0.  26 

113.  2 

5.  044 

ItiJem  . 

iSoo 

3.  07 

■336.9 

59.562      1.45       631.  3  1 

28.  :3i      2.  18 

949-  3 

42.  295 

0.  24 

104.  5 

4.650 

0.  28 

121.9 

5-  432 

Uidim  . 

■= 

1859 

2.  50 

08S.  6 

48.  503  1  I.  80      783.  6  j 

34.9:1 

2.  5: 

1097.  3 

A'i.  891      0.  36 

156.  7 

6.984 

0.  30 

130.  6      5.  820 

I.  60 

696.  6 

31.  041 

*6j 
RELAZIONE 

DELLA  PIOGGIA  DI  CENERE 
Avvenuta  in  Calabria  ulteriore  nel  dì  2,7  Marzo  1809 

DI 

BERNARDO  DE   RISO 

Prefentata  dal  Socio 
SIGNOR   ALESSANDRO   PETRUCCI  ; 


on  farà  difcaro  a  codefìa  Società  Poiitaniana  un  bre- 
ve racconto  dei  fenomeni ,  che  accompagnarono  la  piog- 
gia di  cenere  vulcanica  avvenuta  in  quella  Provincia  po- 
chi dì  fono  ,  avendo  prefente  che  T  improvifo  avveni- 
mento, e  la  folla  delle  occupazioni  della  mia  carica  di 
Giudice  non  permifero  un  più  attento  efame. 

La  caduta  di  detta  cenere  Ci  refe  vifibile  dalle  otto 
ore  di  Francia  della  mattina  fino  alle  ore  dieci  del  dì 
2,7.  del  p.  p.  marzo  ;  ma  ho  ragione  di  credere  che 
dovette  incominciare  molto  prima,  perchè  d'alcune  don- 
ne de'  contadi  ,    che  foglionfi  portare  qui  in  Catanzaro 

*  sul 


j:64 

sul.  far  del  giorno,  intefi  le  doglianze  che  ftrada  facen- 
do, la  cenere  avea  recato  loro  molto  faftidio  negli  oc- 
chi, fpecialmente  nel  luogo  chiamato  Falco  ^  che  è  ap- 
punto nello  flrettifllnio  Iltmo  tra  i  due  golfi,  di  Squil- 
lace,   e  S.  Eufemia  . 

Nella,  notte  precedente ,  il  tempo  fu  vario  tra  il  ven- 
to di.  mezzogiorno  ,  ed  il  libeccio  :  però  quefl:'  ultimo 
fu  dominante. 

Nella  mattina  poi  vi  fu  una  calmeria  di  venti  ,  ed 
il  caldo  era  flraordinario . 

La  parte  dell'  orizzonte  frappofta  tra  il  detto  mezzo- 
giorno e  libeccio,  era  ingombra  di  una  denfa  caligine, 
che  rapiva  il  mare-  alla  noftra  veduta  ,  e  fi  avvicinava 
fino  al  littorale.  Le  notizie  ricevute  da  Reggio  e  Scil- 
la ,  fono  che  in  tale  tempo  tutta  la  Sicilia  fi  vide  ia- 
volta  tra  un  denfo  velo  di  caligine. 

L' arena  poi  ,  che  cadde  nella  riviera  di  Reggio  ,  e 
Scilla,  fti  forfè  fette  volte  più  voluminofa.  ne'fuoi  gra- 
nelli di.  quella  che  cadde  nelle  ncftre  contrade ..  Da  ciò 
fi  vede  che  la  forza'  di  projezione  del  vulcani  nulla  con- 
tribuifce  in  fimili  pioggie- ,  ma  nella  medefima  foltanto 
operano  V  aria  ed  i  venti  ,  giacche  in  contrario  la  più 
minuta   e  leggiera  dovrebbe  cader  prima  della  più  pefante. 

Nelle  ore  dopo  il  mezzo  giorno  incominciò;  ad  inga- 
gliardire il  libeccio  ed  a  foffiare  anche  il  ponente,  per 
cui  da  quel  gruppo  di  denfa  caligine  fi  fchiufe  una  or- 
ribile tempefta  a  guifv  di  un  turbine  con  acqua,,  tuoni. 
*•  venti   isnpetuofi . 

Vi. 


i65 
Il  termometro  nella  mattina,  dorante  la  pioggia  dell' 
arena  vulcanica ,  fegnava   il  grado  1 4  di  Reaumur ,  ed  il 
barometro  montò  fino  ai  pollici   27,  e   6   linee. 

E'  da  notarfi  ancora  che  le  arene  cadute ,  almeno  nei 
primi  giorni  che  fi  raccolfero ,  venivano  attratte  dalla  ca- 
lamita ,  benché  a  granelli  folitar j  e  non  in  fi^rma  di  fili. 
Quello  conferma  ciocche  da  naturalifti  fi  è  ofTervato  , 
che  tali  ceneri  vulcaniche,  oltre  delle  varie  terre,  con- 
tengono anche  del   ferro  che  le  colora . 

Finalmente  fi  ofièrvò  che  le  teneri  foglie,  ed  i  fiori 
di  quegli  alberi  già  fchiufi,  come  gli  albicocchi  ec,  che 
fi  trovarono  airafpetto  ed  azione  maggiore  del  libeccio, 
e  con  ciò  furono  invefìite  da  molta  arena  ,,  divennero- 
appaffiti ,  e  fecchi ., 


AL' 


ALTRA    RELAZIONE 

DELLA  PIOGGIA  DI  CENERE 

> 
Avvenuta  ia  Calabria  ulteriore  nel  detto  giorno 

DEL   CANONICO 

SIGNOR  GREGORIO  ARACRI 

Prefentata  parimenti  dallo  ftejfo 
SIGNOR  ALESSANDRO   PETRUCCI,- 


uT^bbeuche  le  ben  note  peripezìe  di  quefti  luoghi  mi 
abbiano  fatto  perdere  tutti  i  libri  ed  ordigni  fisici  ,  e 
ritirato  mi  fia  dalle  oflervazioni  naturali,  nondimeno  la- 
fciar  ora  non  voglio  di  rapportare  a  codefta  dotta  So- 
cietà Pontariiana  ciocche  mi  riufcì  oiTervare  della  detta' 
cenere   vulcanica   in   quelli   luoghi  . 

11  dì  a 6  marzo  che  precedette  al  fenomeno,  di  cui 
parliamo,  il  tempo  fu  vario,  nuvolofo,  fecco  e  freddo^ 
anzi  che  nò  .  Nella  notte  feguente  il  vento  fu  vano  , 
ma  fempre  occidentale  ,  che  poi  verfo  le  fette  in  otto 
dopo  mezza  rotte  fpirò  tra  Sud-Ovefl: ,  e  Sud ,  che  fu 
durante  la   pioggia,  e  Paria  divenne  caliginofa. 


ì6i 

YerCo  le  ore  9  e  mezza  della  mattina  del  giorno  47 
cominciò  a  cadere  in  quella  Cittì,  di  Catanzaro  ,  e  nei 
fuoi  contorni  della  cenere  vulcanica  ,  ed  in  un  quarto 
d'  ora  già  fi  dillingueva  molto  bene  sulle  tegole  delle 
cafe,  sulle  foglie  delle  piante,  sulle  flrade  ec.  Era  ella 
di  un  colore  nericcio  ,  e  fimile  all'  arena  che  noi  ufia- 
mo  sulle  carte  fcritte,  vale  a  dire  fottile  ,  non  molto 
dura,  fecca ,  ruvida  al  tatto,  e  di  colore  inclinante  a 
quello  di  piombo  non  levigato:  colore  che  in  feguito  il 
refe  quafi  nero  .  La  pioggia  era  ben  rara  ,  ficchè  per 
lo  fpazio  di  circa  due  ore  che  durò  ,  non  giunfe  a  co- 
prire intieramente ,  o  con  qualche  fpefièzza  la  fuperficie 
de' corpi,  su  quali  cadde  ,  fé  non  ove  venia  radunata 
dall'  azione  del  vento .  L' aria  come  ho  detto  era  ingom- 
bra da  denfa  caligine  fopra  di  noi ,  e  per  tutto  l' oriz- 
zonte verfo  il  Sud,  e  Sud-Oveiì,  e  nel  redo  era  cali- 
ginofa  bensì ,  ma  non  molto  ,  e  verfo  il  Nord  vi  era 
una  tale  rarità  di  nuvole  che  lafciava  di  tratto  in  trat- 
to vedere  il  ciel  fereno.  Verfo  l'Ovelì  1'  aria  era  nu- 
"volofa  anche ,  e  poco  caliginofa ,  e  fi  aumentava  la  ca- 
ligine a  norma  che  fi  avvicinava  al  Sud-Oveft .  Il  ven- 
to fpirava  non  molto  forte  tra  il  Sud  ,  e  Sud-OveO:  . 
L'aria  era  fccca  e  molto  temperata  ,  anzi  inclinante  ad 
un  caldo  tra  noi  fuori  ftagione  ,  giacche  il  termometro 
fi  manteneva  tra  i  gradi  la  e  13  di  Reaumur,e  quin- 
di fi  elevò  anche  di  poco  ,  in  modo  che  già  fentivafi 
incomodo  da  quelli  che  paffeggiavano ,  a  fegno  che  co- 
minciofll    a  promuover  loro    del  fudore  .    Tale  durò  la 

tem- 


169 
temperatura  dell'aria,  e  tali  furono  le  fuc  affezioni  già 
descritte  per  lo  fpazio  di  circa  due  ore ,  per  quanto  du- 
rò la   caduta  del  polverìo  . 

Ceffata  verfo  le  1 1  e  mezza  della  mattina  la  caduta 
della  cenere  ,  efTendo  già  poco  tratto  di  tempo  prima 
cominciato  a  foftlare  il  vento  Sud-Oveft,  ed  Ovefl,  Tana 
sMrrigidì  a  fegno,  che  il  termometro  fegnò  i  gradi  no- 
ve di  Reaumur  ,  e  fopravvenne  una  pioggia  di  acqua 
ben  forte,  con  vento  gagliardo  ,  che  a  diverfe  riprefe 
durò  fino  a  fera .  La  pioggia  continuò  durante  la  notte 
con  qualche  intermiffione  ,  ed  il  vento  feguitò  ad  efle- 
re  impetuofo  ,  e  freddo  . 

La  detta  cenere  vulcanica  nel  principio  del  fuo  ca- 
dere era  in  certo  modo  friabile  tra  le  dita  ,  reftando 
quelle  imbrattate ,  come  fé  aveflero  fregato  piombo .  Do- 
po qualche  tempo,  e  fpecialmente  col  contatto  dell'aria 
è  divenuta  più  dura  e  ruvida  al  tatto  .  I  fuoi  granelli 
immediatamente  dopo  la  caduta  fentivano ,  benché  debol- 
mente,  r  azione  della  calamita  ,  ma  in  feguito  poco  o 
nulla  venivano  attratti . 

Codefti  dotti  Naturalifti  dicano  ora  ciocche  su  di  es- 
sa cenere  penfano  ,  giacche  io  folamente  ho  potuto  ad- 
^ditare  i  fenomeni  che  immediatamente  precedettero  ,  ac- 
compagnarono ,  e  feguirono  la  fua  caduta  . 

Oltre  a  queflo  da  me  oflcrvato ,  unir  voglio  ciocche 
da   veridiche  relazioni  di  miei  amici  ho  rilevato  . 

In  Reggio  e  nelle  fue  riviere  la  steffa  mattina  dei 
27   cominciò  la  caduta  della  cenere  un  poco  più  presto 

a  z  che 


170 

che  qui  in  Catanzaro  ,  accompagnata  però  dallo  fleflb' 
vento  Sud,  e  Sud-Oveft  ,  e  dalla  fìefTa  caligine  fecca  , 
e  calda ,  e  durò  più  tempo ,  eflendo  ceffata  all'ora  di  mez- 
zogiorno .  La  quantità  di  cenere  ivi  caduta  fu  maggior 
della  noftra;  la  qualità  la  fteffa ,  ma  i  granelli  un  po- 
co più  grolìì.  Seguì  la  fleffa  mutazione  di  vento  nella 
prima  ora  pomeridiana ,  e  quindi  la  pioggia  di  acqua  . 
La  temperatura  atmosferica  fa  anche  più  calda  dell'  or- 
dinario ,   ma   non   mi   fi  dice  fino  a.  quale  grado  . 

Lo  ftellò  preffo  a  poco  mi  fcrivono  effer  avvenuto  nella 
regione  che  da  Reggio  va  pe'l  Capo  delle  Armi,  e  per 
quello  di  Spartivento ,  e  nei  paefi  mediterranei ,  che  guar- 
dano il  littorale  dal  Ionio  fino  a  Cotrone  j  e  nelle  ri- 
viere e  paefi  mediterranei  della  Calabria  Occidentale ,  che 
guardano  il  Tirreno  fino  quafi  al  fiume  Angitola,  e  ne- 
gli altri  paefi  ,  che  fono  al  Nord  di  quella  Città  fino 
a  Gimigliano  foltanto.  In  Nicaflro  ,  e  nei  paefi  fiti  al 
fuo  Nord ,  ed  al  Nord-Est ,  non  vi  fu  pioggia  di  pol- 
vere ,  ma  folo   di   acqua   alla   fì;effa   ora  pomeridiana  . 

In  generale  fi  offervò  poi  che  quanto  più  il  paefe  fi  allon- 
tanava da  Reggio  in  qua ,  vale  a  dire  verfo  la  parte  del  Nord 
e  Nord  Est,  la  polvere  era  più  rara,  più  fini  erano  i  fuoi 
granelli ,  e  la   caduta   cominciò  più  tardi ,  e  finì  più  predo. 

Quando  anche  non  vi  fo fiero  pofi:eriori  notizie  delle 
contemporanee  eruzioni  dell' Etna ,  quelle  offervazioni  ba- 
flerehbero  a  mollrare ,  che  detta  cenere  appartenga  a  que- 
llo Vulcano  ,  e  fia  fiata  trafportata  in  aria  nel  modo 
lleflb ,   che  altre  volte  ci  è  venuta  dal  Vefuvio . 

DI- 


171 

DISCORSO 

SULLE  CAUSE  DELLA  SOSPENSIONE  DELLE  TERRE 
NELL'  ATMOSFERA . 

DELU  ARCIDIACONO 

LUCA  DE  SAMUELE  CAGNAZZI 

SOCIO  RESIDENTE 

Letta  nella  fediita  del  iz  30.  Aprile   1809 


Qii^fo  ,  ne  noflra  ìe^cntes  (  quoniam  ex  bis  fpermntur  multa  )  ttiarn 
relata  falìidio  Jumnent-,  mm  in  contenipìatione  natura  mhil  pojjit  vi- 
4eri  fupcrvitcuu/n  . 

Plin.  Hift.  lib.  XL  Cap.  II. 


.SLlìc  oflèrvazioiii  sulla  caduta  della  cenere  vulcanica  nel- 
la Calabria  ulteriore  ,  cortefeniente  comunicate  a  quella 
Società  Pontaniana  dai  Signori  Giudice  de  Rifo,  e  chia- 
rifllmo  Ab.  Aracri  ,  mi  dan  motivo  ad  efporre  ciocche 
mi  trovo  aver  riconofciuto  nelle  mie  annofe  oflervazioni 
meteorologiche  efeguite  nella  mia  patria  ,  e  ciocche  io 
penfo  sulla  caufa  della  durevole  fofpenflone  delle  polve- 
rofe  terre  nell'  atmosfera  . 

Nel    difcorfo    meteorologico     dell'    anno     1794'     da 
me  pubblicato  ,    come  periodicamente  far  folea  ,    trovo 

*  aver 


37* 

aver  detto   „  Merita  qualche  efame  la  pioggia  di  polve- 

„  re  vulcanica  ,  che  fi  ebbe  nelle  ore  di  mezzogiorno  nel 

„  dì   IO  Giugno.   L'antecedente  efplofione  del  Vefuvio, 

5,  dittante  da  Altamura  circa  cento  miglia  direttamente  , 

5,  avvenuta  nella  fera  del  dì    17,  avendo  fatto  elevare 

5,  tale  polverìo  ,    fi  vide  approifiniare  dalla  fua  parte  , 

),  che  è  rOveft,  nei  due  giorni   precedenti  alla  fua  ca- 

„  duta  in  forma  di  sfumata  nube  temporalefca  .    Subito 

„  che   mi   avvidi    della    precipitazione     di    tale    polverìo 

3,  efpofi  de'  puliti  piani  fui  mio  terrazzo  ,    e  mi  riufcì 

„  raccoglierne  un  pochette  femplice  .   La  piccioli  quan- 

„  tità   non   mi  permifc   un   efatta   e   precifa   analifì ,  come 

„  defiderava  ,    ma   folo   potei   fcorgere   eflère   a   bafe    di 

,,  terra   argillofa ,   con   poca   iìlice,  tinta  dal   ferro   di  un 

5,  colore   medio  tra   quello   di   terra  ed   il  cinericcio  ;  ru- 

„  vìda  al  tatto    per  la  fofFerta  azione  del   fuoco  .   Con 

,,  gli  acidi  non  fermentò.   Coli' acqua  tramandò  Y  odor 

„  terrofo,   proprio  dell'argilla ,  e   la   palìa   che   rifultou- 

„  ne   fu  friabile   umida  ^  e  friabililfuna   fecca .   Non  agi- 

3,  va   in   modo   alcuno   sull'ago   magnetico  ,   ma   tinfe   di 

„  turchino   verfata   nel   pruffiato  di   potaffa  .    All'  azione 

5,  della   lucerna   animata   col   tubo   ferruminatorio  fi   con- 

,,  vertì  coli'  unione    del   muriato   di  ammoniaca    in   uno 

„  smalto   bruno  .    La   caduta    di   tale   polverìo    produce 

„  fenfibilmente   un  certo   ammortimento   alle   piante ,   dal 

j,  quale  ne   rifultò   anche   del   danno   al   beftiame .   " 

Altra  volta   in  feguito ,   dir   non   faprei   fé   nel    1797 

°  9^  ?    giacché  le  mie  olTervazioni  di  quelli    due  anni 

re= 


1 


17$ 
reftarono  inedite  e  diftrutte  nella  funeda  catafìrofe  della 
mia  patria  ,  mentre  un  polverofo  nembo  trafportato  dal 
Sud-Oveft ,  incerto  fé  dallo  lleflb  Vefuvio  perveniente  , 
o  da  vulcani  delle  Eolie  ifole  ,  su  di  noi  fi  precipita- 
va, oflervai  che  il  mio  delicato  elettrofcopio  atmosferi- 
co di  Volta  dava  fegni  non  equivoci  di  elettricismo  po- 
iìtivo  in  gradi  avanzati  nell'  atmosfera  .  Al  vedere  che 
r  igrometro  di  SaufTure  mi  fegnava  un  fecco  inoltrato 
nella  baffa  atmosfera-,  fofpettai  che  T  elettricifmo  vagan- 
te pofitivo  r  effetto  non  era  delia  converfione  del  va- 
pore fottihflìmo  ed  elaftico  in  vefcicolare  o  concreto ,  ma 
aderente  folFe  al  polverìo  cadente  .  Immaginai  sul  mo- 
mento fofpendere  un  piatto  metallico  con  quattro  fili  di 
feta  da  rellare  in  poiìzione  orizzontale  ed  elettricamente 
ifolato,  facendolo  comunicare  con  altro  elettrofcopio ,  per 
vedere  fé  redava  elettrizzato  dalla  cenere  cadente .  Con 
foddisfazioue  trovai  verificato  il  mio  fofpetto . 

Quefìa  bella  fcoperta  dovuta  al  cafo  ,  che  vale  più 
di  ogni  profondo  genio,  largo  campo  di  riflefììoni  ven- 
ne ad  aprirmi  sul  forprendente  fenomeno  della  cenere 
predetta,  che  fuol  foflenerfi  nell'atmosfera,  attribuendolo 
all'elettricismo.  Chi  non  conofce  le  tante  anomalie,  chs 
le  meteore' ci  prefèntano ,  dovute  tutte  alla  fua  attività! 
Quanti  fenomeni  inefplicabili  colle  teorìe  iìatiche ,  e  cre- 
duti dipendenti  da  altre  forze  meccaniche,  fi  fono  quindi 
ravvifati  effetti  dell'elettrico  fluido,  che  qual  Proteo  in 
mille  modi  fi  trasforma  nella  vafla  regione  che  ci  fo- 
vrafta ,  e  grandi  illufioni  ci  produce  ! 

Sta.^ 


174 

Stabilito  però  che  il  polverìo  cadente  contenga  dell'* 
elettricismo,  indagar  ci  conviene  fé  così  lanciato  venga 
dal  vulcano,  o  pure  fé  ne  imbeva  fcorrendo  a  feconda 
del  vento  nell'  atmosfera  .  E'  ben  noto  che  nelle  vefu- 
■viane  eruzioni  di  ceneri ,  dei  baleni  ferpeggiar  fi  veggo- 
no nell'atro  nembo  che  sul  cratere  fi  eleva.  Chi  sa  fé 
i  fluidi  aeriformi  ,  che  nell'  interno  del  vulcano  fi  fvi- 
luppano,  quali  è  da  crederfi  che  contengono  elettricismo 
a  dovizia  ,  urtando  alle  pareti  del  cratere  ,  e  facendo 
faitare  in  aria  quel  polverìo  diflaccato,  non  lo  elettrtz- 
zino  benanche/'  Nell'eruzione  di  cenere  fatta  nel  dì  7. 
Giugno  del  1806  dal  noftro  Vefuvio  ,  trovandomi  in 
quella  Capitale  mi  accinfi  ad  oflervare  il  fuo  elettricismo 
nella  caduta ,  ma  l' improvifa  pioggia  che  prima  di  que- 
lla Tenne ,  mi  tolfe  un  tal  piacere  (a)  ,  giacche  folle- 
citò  la  precipitazione  di  efla  cenere ,  togliendo  lo  squili- 
brio elettrico  .  Molto  lume  arrecato  mi  avrebbero  tali 
oflervazioni ,  perchè  fé  più  elettricismo  contenuta  aveflè 
nel  cadere  qui  che  in  Puglia  ,  con  fondamento  creduto 
avrei ,  che  tutte  lo  ricevono  nell'  efière  eruttate ,  e  nel 
cafo  oppofìo  d' imbeverfene  nella  regione  atmosferica  fcor- 
rendo a  feconda  del  vento . 

Perchè  poffa  con  precifione  efporre  le  mie  idee  suU 
aflunto  ,    fiami  permeffo  richiamare    i  ben   noti  principj 
suir  elettricismo  atmosferico  .  Nella  formazione  delle  va- 
rie 


(.a)    Si   vegga  la  mia  Letttra  suìP elettricismo  della  ceneve  lanciata  dal  Vefuvio ,  diret'' 
ìa  al  P.  Taddei,  Ciornale  Encicl,  di  Napoli  Giugno  1806, 


175 

rie  qualità  de' vapori  oltre  l'acqua  ed  il  calore  vi  con- 
corre il  fluido  elettrico,  quale  nel  modo  ifteflb  faffx  la- 
tente, e  ferba  anche  la  lìefTa  gradazione  di  quantità  nei 
pafTaggi,  vale  a  dire  che  dei  vapori  quello  invifibile  ne 
contiene  la  maffinia  quantità ,  come  ne  contiene  di  calo- 
re, e  pallàndo  a  farli  apparente,  offia  vefcicolare  lo  svi- 
luppa e  rende  libero  ,  e  quindi  di  vefcicolare  paflando 
ad  elll-re  concreto ,  che  colla  caduta  coftituifce  la  piog- 
gia ,  anche  di  più  ne  sviluppa .  Il  contrario  fuccede  nei 
paffaggi  inveri!.  Se  dunque  l'elettrico  fluido  sviluppato 
venga  in  tale  fatta  nell'alta  regione  dell'atmosfera,  re- 
fta  quefta  elettrizzata  pofitivatnente ,  e  cerca  eflb  fluido 
fottiliflìmo  per  la  fua  indole  fcorrere  verfo  del  fuolo  , 
per  riftabilire  l'equilibrio.  Similmente  fé  quantità  di  va- 
pore dallo  flato  vefcicolare  palla  a  quello  elaftico ,  ren- 
dendo latente  con  se  l' elettrico  fluido ,  in  meno  elettriz- 
za la  fuperiore  regione  dell'atmosfera,  quindi  dal  fuolo 
all'  atmosfera  cerca  darli  paffaggio  1'  elettricismo  .  Soii 
quefle  le  circoflanze  e  caufe,  che  tanti  variati  fenomeni 
meteorologici  producono  . 

Qualunque  foftanza  capace  d'impregnarli  d'elettricismo 
per  comunicazione ,  almeno  in  parte ,  trovandoli  in  qual- 
che ambiente  por  lì  dee  nello  flato  ifteflò  ,  e  renderfl 
giuoco  di  queflo  agente  il  più  poderofo.  Non  faccia  ma- 
raviglia dunque  fé  il  polverofo  nembo,  che  da  vulcanica 
eruzione  fi  elevi  ,  fofpefo  rimanga  per  quella  elettrica 
azione ,  che  dall'  effetto  repulfione  fi  appella  ,  come  per 
i  vapori  concreti  e  per  la  grandine  iflefla  fuccede.  Non 


't7^ 

è  certamente  come  altri  han  fognato  ,  l' azion  dell'  aria 
(  parole  vuote  di  precifìone  ) ,  che  mantenga  durevolmea- 
te  fofpefe  nell'atmosfera  foftanze  di  maggior  gravità  fpe- 
cifica  ,  e  fpecialmeate  poi  in  altezza  tale  ove  1'  aria  è 
tre  o  quattro  volte  più  rara . 

Oflervai  nel  1806  (a)  la  cenere  lanciata  dal  Vefuvio 
s  guifa  di  denfa  nube ,  non  a  molta  altezza ,  che  orizzon- 
talmente ftendevafi  verfo  Caflellamare  feguendo  la  cor- 
re'rite  del  vento  ,  ma  ad  un  tratto  rarefacendofì  fi  ele- 
vava molto  al  difopra  .  La  forza  di  projezione  anche  di 
un  vulcano,  l'azione  meccanica  qualunque  fìa  dell'atmo- 
sfera non  potevano  produrre  quedo  cambiamento  tutto 
contrario  alla  direzione  che  confervava  ,  ed  alle  leggi 
pneumo  ftatiche ,  e  ci  conviene  ricorrere  alla  fola  azione 
elettrica  per  darne  la  fpiegazione.  Mi  avvidi  inoltre  che 
una  picciola  nube  vagante,  proffima  al  nembo  che  fi  ele- 
vava ,  fi  tracciava  e  prolungava  per  raetterfi  a  contatto 
di  elfo,  come  appunto  fa  il  cotone  fofpefo  nell'efler  vi- 
cino  ad  altro  corpo  elettrizzato  in  più  o  meno  . 

Che  i  turbini  elevar  pofTano  del  polverìo  fott'  occhio 
lo  veggiamo,  ma  terminato  il  vorticofo  moto  va  cadendo. 
Non  così  fé  un  gran  turbine  ecciti  la  corrente  elettri- 
ca colla  immediata  precipitazione  de' vapori  fofpefi  nell' 
atmosfera,  che  fa  l'un  sull'altro  urtare  ,  o  rarefacendo 
l'aria,  inatta  la  rende  a  foftenere  effi  vapori  ,  o  final- 
mente lo  fteflò  elettricismo  atmosferico  squilibrato  fia  cau- 

fa 

(«)    Si  vegga  la  citata  mia  Itttera.' 


^77 
la  degriftefli  uragani,  come  altri  penfano  ,  allora  non 
folo  il  polverìo  ,  ma  corpi  i  più  pefanti  vengono  dall'aere 
trafportati ,  ed  a  lunghe  dillanze  gittati .  Lungo  farei  fé 
maravigliofì  fatti  rapportar  vokfli,  che  giornalmente  avven- 
gono in  altre  regioni,  ove  quefte  meteore  fono  frequenti. 
Non  altrimenti  fpicgafi  h.  caduta  di  alcuni  corpi  dall'atmo- 
sfera, e  fpccialmente  delle  pietre,  ma  ciò  non  elTer  dee  una 
regola  generale,  ripetendo  alcune  di  quefte  la  loro  iftanta- 
nca  formazione  nell'  atmosfera  ,  che  dalle  circoftanze  concor- 
renti e  loro  analid  ben  fi  diftinguono,  come  farò  rimarcare. 
Lo  squilibrio  elettrico  tra  l' alta  regione  dell'  atmos- 
fera ed  il  fùolo  regna,  finche  la  bafla  regione  atmosfe- 
rica fia  inefiìcace  a  fare  fcorrere  quello  fluido.  Il  va- 
pore nello  ftato  di  perfetta  diifoluzione  nell',  aria ,  olila 
nello  flato  di  maffima  fottigliezza ,  e  trafparenza ,  talché 
niuna  fenfazionc  arreca  all'  igrometro ,  è  una  foftanza  quafi 
coibente  dell'  elettricismo ,  quindi  la  bafla  atmosfera  de- 
ve coftantemente  moftrare  un  fecco  igrometrico  allorché 
regna  squilibrio  elettrico  tra  1'  alta  regione  atmosferica 
ed  il  fuolo  .  E'  ben  noto  poi  che  V  elettricismo  niuna 
malìa  fa  a  traverfo  le  follanze  coibenti,  ed  a  traverlb 
di  quelle  deferenti  fi  propaga  e  riftabilifce  nel  fuo  equi- 
librio fenza  fosforiti  e  rumore  .^  Non  così  avviene  a  tra^ 
verfo  delle  foftanze  femicoibenti ,  al  paflar  le  quali ,  ftre- 
pito,  fosforiti  ed  altre  apparenze  in  variati  modi  pro- 
duce. A  mifura  dunque  che  il  vapore  nella  bafià  atmo- 
sfera rendefi  fenfibile  ,  odia  igrometrico  ,  iì  moftrano 
1   elettriche  meteore  ,    finche  giugne  1'  umido  ad  ellère 

2  3  foni- 


17^ 

fomraamente  fenfibile ,  e  molto  più  fé  convertefi  in  piog- 
gia ,  giacche  le  gocce  fucceffivamente  cadendo  ilabilifco- 
no  in  ogni  fenfo  una  catena  deferente .. 

Suole  alle  volte  aggiugnerll  la  combuftione  del  gas 
idrogeno  nell'  alta  atmosfera  ,  ove  per  la  fua  minor  gra- 
vità fpecifica  va  a  prender  fede' ,  ed  allora  i  fenomeni 
elettrici  rendonfi.  più  complicati . 

Per  quello  che  ho  detto  non  farà  meraviglia  il  Cea~ 
tire  coftantemente ,  che  mentre  il  nembo-  di  cenere  sul!' 
atmosfera  percorre  in  forza  dell'  elettrico  fluido  squili- 
brato ,  un  fecco  il  più  inoltrato  fi  moftri  nella  bafla.  at- 
mosfera .  In  fecondo  luogo  che  terminar  fogliono  le  ca- 
dute di  quefto  polverìo  che  ingombra  V  atmosfera  ,  o 
con  le  piogge  fpeiTo  temporalesche  ,  o  con  tremuoti 
elettrici ,  per  cui  il  volgo  fpaventar  fi  fuole  nel  vedere 
r  atmosfera  caliginofa  e  fecca  . 

PafTo  ora  a  delle  confiderazionl  sull'  arena  vulcanica 
caduta    in  Calabria  . 

Il  Signor  de  Rifo  dice ,  che  nella  notte  precedente  al- 
la caduta  „  il  vento  fu  vario  tra  'l  mezzogiorno  ed  il 
„  libeccio  ,  però  qued"'  ultimo  fu  il  vento  dominante  . 
,,  Nella  mattina  poi  vi  fu  una  calmerìa  di  venti  ,  ma 
„  r  atmosfera  era  urente,  ed  il  caldo  eftraordinario .  " 
Anche  il  Signor  Aracri  attefla  che  fpirava  lo  fieflo  vento 
„  e  Taria  era  fecca  e  molto  temperata,  anzi  inclinata 
„  ad  un  caldo  fu  ori  flagione  "  .  Quefto  vento  ho  al- 
trove  dimollrato  (  a)  che  nel  pervenire  all'  Italia  percor- 

■"  re 

(a)     D.'/h  valutaz'oie  li;  Ile  ismperatu/e  loca/i ..  Saggi  lii  Scienze  nuturali  delU  Reil 
Soderà  d"  IncDtjg.  di  N-ipoH     Fu/,,  IL. 


179 
re  un  grande  fpazio  delle  adufte  terre  dell'Africa,  on- 
de non  folo  porta  feco  la  temperatura  la  più  calda  dell' 
Atlantico,  ma  deponendo  qualunque  umido,  che  sulle 
acque  abbia  contratto,  ferobra  più  caldo  sulla  nolìra  pel- 
le del  fuo  grado  termometrico .  E'  oflervabile  che  a  quali 
tutti  i  fenomeni  elettrici  atmosferici  di  molta  ccmfidera- 
zione  preceda  quefto  vento ,  giacche  è  il  più  atto  a  ren- 
dere fecca  la  baffa  atmosfera ,   e  con  ciò  coibente  . 

Caduta  1'  arena  in  Catanzaro  nella  mattina  del  27. 
marzo,  foggiugne  il  Sig.  de  Oifo,  che  „  nel  dopo  pran- 
„  zo  incominciò  ad  ingagliardire  il  libeccio  ed  a  fpira- 
„  re  anche  il  ponente ,  per  cui  da  quel  gruppo  di  den- 
„  fa  caligine  fi  fchiufe  una  orribile  tempclTia  a  guifa  di 
„  turbine  con  acqua,  baleni,  e  venti  impetuofi  .  "  II 
Sig.  Aracri  racconta  la  flefla  pioggia  temporalefca  avve- 
nuta per  tutto  il  tratto  di  Calabria  ulteriore  ,  in  cui 
cadde  la  detta  cenere ,  e  ciò  maggiormente  conferma  l'uni- 
formità della  caufa  di  efTo   fenomeno . 

Dice  inoltre  il  Sig.  de  Rifo  .  „  V  arena  che  cadde 
„  nella  riviera  di  Reggio  ,  e  Scilla  è  forfè  fette  volte 
,,  più  voluminofa  ne'  fuoi  granelli  di  quella  che  cadde 
„  nelle  noflre  contrade,  come  dalla  picciola  moftra  che 
,,  fi  rimette.  Da  ciò  fi  conofce  che  la  forza  di  proje- 
„  zione  de'  vulcani  nulla  contribuifce  in  fimili  piogge  , 
„  ma  nella  medefima  foltanto  opera  1'  aria  ed  i  venti , 
„  giacche  in  contrario  la  più  minuta  e  leggiera  dovreb- 
„  he  cader  prima  della  più  voluminofa  e  pefante .  "  Se 
egli  non  giunfe  a  conofcere  la  caufa  pofitiva  del  feno- 

*  me- 


1^0 

meno  per  mancanza  di  altre  oflèrvazioni  ,  è  degno  di 
lode  di  averne  rimarcata  1' impoffibilità  dalla  fempliee 
proiezione . 

Giova  notar  poi  ciocche  quefìi  degni  uomini  ci  rife- 
rifcono  circa  V  effetto  della  cenere  predetta  su'  vegetabili, 
uniforme  a  quello  da  me  oflervato  in  Puglia  ,  vale  a 
dire  che  le  tenere  foglie  e  fiori  rellarono  diseccate .  Se 
il  contatto  della  polvere  vulcanica  faceiTe  da  per  fé  que^ 
fìo  male  a'  vegetabili ,  certamente  che  poco  o  nulla  pro- 
fperar  dovrebbero  le  piante  nei  fuoli  profllmi  ai  vulca- 
ni ,  ove  il  vento  di  continuo  elevando  quefìo  polverìo 
lo  fa  ricadere  sa  di  e& .  Ben  poi  mi  ricordo ,  che  of- 
fervato  avendo  in  Puglia  un  tale  funefìo  effetto  sulle 
tenere  cime  delle  piante  ,  fofpettai  sulle  prime  che  la 
cenere  caduta  pregna  foffe  di  qualche  acido  o  alcali  , 
capace  a  produrre  su  delle  fibre  o  su  gli  umori  qual- 
che impreflione,  ma  ponendola  sulla  lingua  ne  relìai  dr- 
fingannato  non  provandone  alcuna  difgaftofa  fenfazione. 
Per  non  effere  precipitofo  a  concludere  ,  fparger  volli 
delicatamente  la  detta  cenere  raccolta  su  di  alcune  te- 
nere piantoline  di  bafilico,  e  su  di  altre  che  erano  ai- 
lev  ate  in  un  vafe ,  ma  nulla  ne  soffrirono ,  e  ciò  può 
da  chiunque  replicarfi  con  della  cenere  del  nofìro  Ve- 
fuvio .  Come  dunque  nafce  il  danno  alle  tene  re  foglie , 
e  fiori  dalla  pioggia  di  cenere  ? 

E'  di  ricordarfi  che  volendo  r  fisici  fpiegare  il  dan- 
no delle  caligini ,  nebbie  e  brinate  su'  vegetabili ,  haniK) 
immaginato  formarle   artifizialraente ,  ma  dò  pò  averle  all' 

in- 


infutfo  imitate  lioti  hanno  prodotti  gli  fteffi  effetti  di 
quelle  cadenti  dall' atmosfera  ,  per  cui  fi  è  creduto  do* 
verfì  tutto  attribuire  al  paflaggio  elettrico  promoflò  ec- 
ceffivamentc ,  o  impedito  con  tali  meteore  dalle  loro  te- 
nere cime  ,  che  fono  i  veicoli  più  opportuni  a  quello 
attiviffimo  fluido.  Lungo  ed  eftraneo  farebbe  al  mio  af- 
funto  rapportare  quanto  su  di  ciò  fi  è  detto,  e  quanto 
fi  è  immaginato  per  impedire  quelli  dannofi  effetti ,  ma 
ommetter  non  devo  che  lo  fìimolo  replicato  prodotto 
sulle  tenere  fibre  vegetabili  caufando  loro  del  male ,  cer_ 
taraente  che  la  cenere  elettrizzata  cadendo  sulle  tenere 
cime  e  fiori ,  produr  deve  lo  lleflo ,  per  cui  ne  avvie- 
ne il  patimento  già  detto,  eflendo  per  ogni  altro  innocente. 

Dicono  inoltre  i  Signori  de  Rifo  ed  Aracri ,  che  elfa 
cenere  ne'  primi  glurni  Uopo  la  caduta  veniva  attirata 
dalla  calamita ,  e  quindi  mano  mano  perde  quefla  facoltà. 
E'  déffa  la  malTima  prova  che  tale  cenere  o  arena ,  con- 
tenente del  ferro  ofiìdato ,  ha  dovuto  fubire  una  forte 
azione  elettrica .  Chi  non  sa  che  il  feiTo  toccato  dal  ful- 
mine, o  da  lunga  azione  elettrica,  acquifla  la  magnetica 
attività ,  e  che  alcuni  offldi  ferruginofi  col  mezzo  illeifo 
fogliono  renderli  in  qualche  modo  attirabili  dalla  cala- 
mita ,  quali  che  un  principio  di  riduzione  o  decombu- 
fiione  rifentano,  quale  coli' azione  dell'  offigeno  van  di 
nuovo  perdendo  .'* 

Conofciuto  ,  che  la  lunga  fofpenfione  del  polverìo 
vulcanico  nell'atmosfera,  non  fia  che  un  fenomeno  elet- 
trico-atmosferico ,  ci  fi  apre  la  traccia  a  delle  congetture 

sul-^ 


sulla  formazione  degli  aeroliti  ]  o  meteoroUd  ,  di  cui 
tanto  se  n'è  parlato  (a). 

Fin  da  remoti  tempi  vi  fono  flati  de' racconti  di  pie- 
tre cadute  dal  cielo ,  come  fopranaturali  prodigi ,  a  cui 
molti  non  predarono  credenza .  Che  da'  vulcani  fieno  (late 
lanciate  delle  pietre ,  che  da'turbini  fieno  fiate  altre  fol- 
levate  e  gittate  altrove,  e  così  altri  pefanti  corpi,  concor- 
rendovi anche  l'elettricismo,  non  vi  è  chi  rignora.  Ma 
che  fi  pctefTero  generare  nell'atmosfera  iftefla  ninno  lo 
fofpcttò  prima  del  chiariffinio  Ab.  Soldani  noflro  Italia- 
no (b) ,  richiamando  per  altro  V  opinione  gittata  fenza 
prove  dal  Cartefio  (e) .  Gran  contrago  su  di  ciò  tra  fi- 
sici fuccefi"e  ,  e  lo  fleffo  illuftre  Spallanzani  la  maffima 
difficoltà  incontrò  nell' ammettere  delle  fofìanze  minerali, 
anche  polverofe  nell'atmosfera,  eccetto  che  per  qualche 
turbine,  e  per  breve  tempo,  da  dar  luogo  a  tali  con- 
crezioni {d).  Il  fofpetto  del  P.  Soldani  pare  ora  confer- 
mato dalle  mie  ofTervazioni ,  tanto  più  che  egli  ad  elettrica 
accenfione  credè  doverfi  attribuire  la  loro  generazione . 

La  pioggia  di  fafll  <:aduta  nell'  agro  Senefe  nella  fera 

de' 


{a)    Si  vegga   una  mìa  lettera   diretta  a,  S.  E.  Reverend.  Monfiqnor  Capecelatro 

Arcivefcovo  di  Taranto  &c.   dor/i/ìle  Encidop.  di  Napoli,  Ceanaio  1S07. 

(i)  Si  vegga  il  Traiilunto  della  difTerrazione  del  P.  D.  Ambrogio  Soldani  Ab. 
CamalJolcfe.  Opuf.  di  Milano,  voi.   XVIII  ,  an.  1795. 

(e)  Qu(,n'urni  vatdt  varia  ejì  &  multiplex  exhalattonum  natura  )  mihi  facile  perfiia- 
dea  fieri  pojje  in!srdu»7,  ut  a  nubihus  compreff.r  materiam  quamdam  comportam  ,  quie  co- 
fare  ac  fpecie  cxterna  iac  ,  cameni  aut  Jangmnem    aliquo  modo  referant  ^    vel  qute  fuhitò 

eccenfa  6"  combufla  fiat  talis,  ut  prò  ferro  aut  lapìdibus  fumi  poffìt &  i>iter 

frodigia  fiepe  tegimus  ferro,  Jangiune ,  aut  aliis  fimilibus  pluiffe.   Cap.  ".  de  Meteor. 

{d)    Si  vessa  la  lettera  del  detto  Spallanzani .  Opuf.  di  Milano  voi.  XVIII.  an. 


i?3 
de'  1 6  Giugno  1794,  che  da  queflo  dotto  fisico ,  e  da 
tanti  accreditati  ed  iftruiti  uomini  fu  oflervata  ,  accom- 
pagnata {i  vide  da  notabili  Tcopp]  ed  accenfioni  elettri- 
che, che  tra  aride  nubi  fi  facevano,  e  le  pietre  cadde- 
ro infocate ,  e  fi  profondarono  nella  terra ,  fenomeni  che 
codantemente  fi^  oflervano  in  tutte  le  cadute  degli  aero- 
liti. Ecco  poi  ciocché  lo  Itcfix)  Soldani  (a)  ne  dice  di 
quelle  pietre  „  Efteriormente  quefte  pietre  fon  tutte  co- 
„  porte  di  una  patina  nera ,  che  fi  riconofce  efTere  una 
,,  vetrina  a  fuoco .  Interiormente  fon  tutte  di  una  pa- 
„  fta  uniforme  di  materia  neraflra  in  forma  di  criilal- 
„  letti  di  figura  diverfa ,  ma  fpecialmente  cubica ,  e  di 
„  varia  mole  fecondo  la  maggiore  ,  o  minor  grandezza 
„  della  pietra.  Di  tre  foiìianze  fon  efle  tutte  compofle, 
„  una  fempre  lucida  e  rifplendente ,  forfè  metallica  ,  o 
„  femimetallica ,  la  feconda  nera  forfè  fulfurea  minera- 
„  lizzata,  o  anche  ferreo-bituminofa ,  e  la  terza  una  ce- 
„  nere  quafi  impalpabile  fottiliflìma,  conglutinata  firet- 
„  tamente  con  quelle  due  fofìanze,  la  quale  dal  cine- 
„  reo  fi  muta  in  color  ofcuro  ,  quando  la  pietra  viea 
„  pulita   e  luftrata  "  . 

Fu  in  feguito  offèrvato  che  coli' andar  del  tempo  notr 
perdevano  tali  pietre  la  loro  coefione ,  e  così  con'  for- 
prefa  ofTervai  in  pochi  raefi  nella  fuperficie  di  un  pez- 
zetto quanto  una  fava ,  che  potei  averne  ,^  fiaccato  da 

al- 
e-i)   UiJ,m  : 


184 

altro  più  grande,  a  rlferba  però  della  crofla  vetrificata 

che  reflò   intatta . 

Quefte  pietre  fconofciute  a'  Litologi  cominciarono  ad 
eccitare  la  curiofità  de' chimici.  Il  Sig.  Howard  Inglefe, 
dall' analili  di  alcuni  aeroliti  caduti  in  varj  luoghi  ,  e 
tempi  riconobbe  per  loro  collanti  componenti  la  filice, 
il  ferro,  la  magnefia ,  lo  zolfo,  il  nikel  ed  accidental- 
mente qualche  poco  di  calce  ed  allumina .  Il  Sig.  ProuQ: 
vide  in  feguito  effervi  del  manganefe ,  e  ciò  confermato 
venne  da  altri  chimici  .  Il  Sig.  Langier  incaricato  per 
Tanalifì  del  mufco  di  ftoria  natiurale  in  Parigi,  in  una 
fua  memoria  ,  letta  nell'  Ijlituto  nazionale  nel  dì  i  o. 
marzo  1806,  annunziò  eflervi  anche  del  cromio .  Final- 
mente nel  dì  15  marzo  del  1806  caduto  efTendo  nel 
territorio  di  Valenza  ,  dopo  gran  fragore  elettrico  un 
aerolito  infocato  ,  che  fu  trovato  del  pefo  di  quattro 
libbre  francefi  circa  ,  quale  profondoffi  per  la  caduta 
mezzo  piede  nel  terreno  ,  fu  in  feguito  completamente 
analizzato  da  tre  infigni  chimici  Monge  ,  Fourcroy  ,  e 
Berthollet .  Ritrovaron  effi  che  contenea  di  ferro  oflida- 
to  al  minimum  38  centefimi,  di  filice  30,  di  magne- 
fia  1 4 ,  di  nikel  1 ,  di  cromio  1 ,  di  carbone  14,2 
di   zolfo   quantità   inapprezzabile   (a) . 

L'uni- 

{a)  Devo  qui  richiamare, che  le  pietre  cadute  nel  Coatado  di  Molife  nell'anno 
fcorso  ,  alcune  delle  quali  furono  a  quefta  Società  Pontaniana  prefentate  dal  fu» 
Chiariflìmo  Socio  Sig.  Giampaolo  Gonlìgliere  di  Stato  ,  furono  riconofciute  a  bafe 
di  allumina,  di  teflìtura,  e  componenti  differenti, dalle  predette,  e  fimiliffìme  per 
r  oppofto  ad  altre  di  quel  fuolo,  che  perciò  fi  crederono  follevate  in  aria  da  qual- 
che turbine,  e  non  già  nell'atmosfera  generate,  tanto  più  che  la  loro  caduta  non 
f»  accempagnata  da  fragore  ed  accenfione  elettrica ,  n^  caddero  infocate . 


18,- 
L'uniformità  de' componenti  ,  e  teflìtura  riconofciuta 
ne<>li  aeroliti  ,  e  nelle  altre  circofìanzc  che  concorrono 
alla  loro  caduta,  mollrano  T uniformiti  di  loro  genera- 
zione .  A  ben  intenderla  però  due  eflenziali  confidera- 
zioni  aver  fi  devono  .  La  prima  riguarda  la  forza ,  ri- 
peto,  che  foftener  pofTa  nell'  atmosfera  foperiore  contro 
le  leggi  pneumo-ilatiche  le  foftanze  minerali  componenti , 
da  cfl'cre  richiamate  al  momento  della  concrezione ,  e  la 
feconda ,   come   venga   querta   efeguita . 

L'elettrico  fluido,  mantenendo  in  illato  di  rarefazio- 
ne ,  olfia  di  repulilone  ,  le  folknze  minerali  a  fegno 
di  vincere  la  loro  gravità,  fé  per  qualche  accidente,  non 
raro  a  fuccedere  nell'  atmosfera  ,  un  volume  di  quella 
da  uno  lìato  elettrico  all'altro  oppoflo  vada  a  palfare, 
allora  la  repuliiune  in  attrazione  fi  converte  ,  come  è 
ben  noto,  e  richiama  ad  un  tratto  tutte  le  di^perfe  fo- 
fìanze  in  un  sol  punto .  Aggiunta  a  ciò  1'  infiammazio- 
ne elettrica  ,  che  vi  concorre  ,  un  principio  di  fufione 
fubifcono,  con;e  alla  fuperficie  patentemente  moftrano  . 
E'  d'avvcrtirfi  che  all'attrazione  elettrica  par  che  vi  fi 
combini  anche  la  chimica  affinità  de'  componenti  fopra 
veduti,  da  prevalere  anche  per  la  prefenza  del  calore, 
per  cui  la  coflanza  nella  proporzione  di  eiTi  componen- 
ti ,   e   nella   teffitura   rifulta . 

E'  anche  rimarchevole  la  perdita  di  coefione  che  col 
tempo  suol  avvenire  agli  aeroliti,  fpecialmente  fé  efpo- 
fli  fieno  all'azione  della  pioggia ,  ed  alle  altre  atmosfe- 
riche intemperie  ,    per  la  quale    non  fé  ne  trovano  di 

24  que? 


15C) 

quefte  pietre  confufe  con  altre  nella  fuper  ficie  della  ter- 
ra da  poter  eflère  foUevate  da  turbini  come  le  altre,  e 
quefto  t'orma  la  maffima,  prova  della,  loro- precipitofi  for- 
mazione ueir  atmosfera . 


DE' 


187 

DE'  PRIMI  ABITATORI   DELLA  CAMPANIA. 

E 

DELLA  OPICIA  PROPRIAMENTE  DETTA 
MEMORIA 

DI 

VINCENZIO  DE  MURO 

SEGRETARIO  GENERALE   E  PERPETUO  DELLA  SOCIETÀ' 

Letta  neWadunam^a  de' io.  di  Maggio   1809 


J]^"  on  vi  ha  cofa  nella  floria  delle  nazioni  sì  ofcura  , 
come  le  origini,  le  antiche  emigraziooi,  e  i  primi  loro 
flalilimenti.  Siccome  siffatti  avvenimenti  rifalgono  a  tempi, 
de' quali  non  giunfero  fino  a  noi  memorie  coeve,  ficure, 
e  parlanti;  così  grandi  sforzi  d'ingegno  fan  di  melHeri 
a  camminar  tentone  in  mezzo  al  bujo  delle  favole  ,  e 
delle  volgari  tradizioni  dalla  vanità  de' Greci  maraviglio- 
faraente  guade ,  e  {travolte  ,  per  ifcoprire  qualche  pic- 
ciol  tratto  di  luce,  che  condur  ne  pofla  al  ritrovamen- 
to del  vero ,  o  di  quello  almeno ,  che  più  avvicina/i  al 
vero .  Di  qui  è  addivenuto ,  che  tante  fono  e  sì  varie, 
e  fpeiTe  fiate  sì  oppofle  fra  loro  le  opinioni   degli  an- 

*  ti- 


i88 

tichi  ,  e  de' moderni  altresì^  sulle  primitive  popolazioni 
d'  Italia  ,  che  fcbbene  abbiano  la  più  parte  per  appog- 
gio gran  nomi,  e  grandi  autorità  ,  non  è  tuttavia  ma- 
lagevole ravvifar  V  incertezza  di  ciafcuna ,  e  forza  è  re- 
fìare  in  bilico,  per  non  poterne  abbracciare  alcuna  fca- 
za   timor   d'ingannarli. 

Poco  di  fatti,  o  nulla  giova  l'autorità  degli  antichi, 
quando  dell'  origine  fi  tratta  di  popolazioni  ,  che  furon 
le  prime  a  metter  piede  in  un  paefe  ,  ed  a  gettar  ivi 
le  fcHida  menta  delle  grandi  focieta .  Pbteano,  per  cagioa 
d'eferapio,  Erodoto,  Diodoro  Siciliano,  Dionifio  d'A.li- 
carii.dìo,  Paufania,  A pollodoro ,  venuti  più  iecoli  dopoj 
poteano  ,  io  dico  ,  raccontar  altro  ,  che  fole  ,  quando  non 
aveano  alla  niano  documenti  autentici  per  favellarne  con. 
ficurezza  ?  Poteano  far  altro ,  che  ripetere  le  vecchie  ba- 
loccherie  popolari?  Ferecide  fu  il  primo  ,  che  tolfe  di 
proponto^  a  teflere  genealogie  di  principi,  e  di  nazioni. 
Ed  ei  feppe  lufingar  così  bene  la  lìolta  ambizione  dei 
Greci  ,  che  fi  millantavano  di  aver  colle  loi'o  colonie 
popolata  la  terra  ,  e  di  eflere  i  padri  e  progenitori  di 
tutte  le  nazioni'  ,  che  meritò  per  quelita  piaccenteria  il 
danQ  della  cittadinanza  di  Atene  .  Gli  altri  o  animati 
dallo  ileffo  fpirito  lo  copiarono ,  o  arroffirono  di  quel- 
le  baje ,   e   li  tacquero . 

Per  la  qual  cofa  io   fon   d' avvifo ,  che  a  troppo  fot- 
tìi filo   fi    attennero   quei   tra' moderni ,  i   quali   ripofando 
ai-la   cieca  sulT  autorità   degli  antichi    ripeterono    le  loro 
follìe,,  e  lafciaron  la  cofa   nella  flefia  ofcurità  ed  incer- 
te z- 


189 
tezza.  Quefte  tracce  féguì  il  volgo  degli  eruditi',  mentre 
altri  per  altre  ftrade  s' incaminavaiio.  Alcuni  su  qualche 
leggici-  cenno,  su  qualche  notizia  monca  ed  ifolata,  fpef- 
fo  sulla  raflbmiglianza  di  un  -vocabolo  levandoli  a  volo 
fabbricarono  in  aria  lìlliemi  maravigliofi ,  e  videro  nella 
lor  fantafia  nafcere  i  popoli ,  e  moltiplicarfi ,  e  cambiar 
cielo,  e  nome,  e  confonderfi  con  altri,  e  fparire.  Al- 
tri più  ardimentolj..,  per  una  certa  boria  di  diftinguerfl 
dalla  folla  ,  ii  sforzarono  di  torre  all'oriente  il  vanto 
di  aver  popolata  la  terra,  e  fecero  sboccare  dal  Setten- 
trione gli  fciami  d'uomini,  che  a  poco  a  poco  riempie- 
rono il  globo.  Altri,  nulla  intendendo  di  quefto  erudi- 
to cicaleccio ,  fi  diedero  a  credere  ,  che  tutti  i  popoli 
iiano  indigeni  ,  sbucciati  cioè  dal  fuolo  ,  che  calcano  , 
non  altramente  che  forgono  nelle  paludi  le  rane,  e  sul- 
la terra  i  fonghr. 

In  quanto  a  me ,  pare ,  che  la  difperfione  delie  gen- 
ti ,  e  r  emigrazioni  de'  popoli  ,  la  fpedizione  di  colonie 
in  paefi  difabitati ,  o  dagli  antichi  abitatori  abbandonati, 
e  le  afpre  guerre  a  que'  popoli  fatte ,  che  non  voleano 
Jafciare  il  lor  nido,  fieno  avvenimenti  ,  di  cui  è  piena 
k  floria^ ,  e  di  cui  relìano  ancora  negli  antichi  monu- 
menti, e  foprattutto  nelle  loro  lingue  le  tracce.  Sicché 
a  mio  giudizio  non  minore  iìolti^ia  farebbe  a  porre  in 
dubbio  siffatte  cofe,  che  a  predar  fede  alle  minute  cir- 
coftanze,  di  cui  le  ha  riveftitc  la  fantafia  de' Greci,  o 
alle  favole ,  onde  le  hanno ,  non  faprei  dire  ,  fé  illeg- 
giadrite ,   o  contraffatte  i  poeti  . 

Le 


I9Ó' 

Le  idee  fingolari  poi  del  'Rudbeck,  e  del  Bailly,clié 
han  pollo  nel  None  la  culla  degli  uomini,  benché  non 
disgiunte  dalla  lode  di  raro  ingegno  ,  fono  sì  contrarie 
a  quanto  v'ha  di  più  collante  ,  e  di  meglio  avverato 
nelle  tradizioni  e  negli  annali  del  genere  u.nano  ,  che 
le  poffiam  fenza  fcrupolo  flringere  in  un  fafcio  colle 
più  flrane  produzioni  dell'  umano  ingegno  . 

Voi  già  prevedete  quel  che  io  vado  a  penfare  dei 
primi  abitatori  della  Campania  ,  e  della  Italia  tutta  . 
Cerchiam  dunque  di  fcuoprire  ,  chi  furono  i  primi  ad 
occuparle,  o  almeno  i  più  antichi,  di  cui  il  abbia  me- 
moria, e  donde  vennero,  ed  ingegniamci  di  fcorgere  in 
mezzo  agli   errori,  ed  alle  favole   il   vero. 

I.  Dioniiìo  d' Alicarnaflò  ,  inveiligator  diligentiflìmo 
delle  romane  antichità ,  ammirando  lo  fpirito  fecondo  di 
Ferecide  ,  le  frottole  da  lui  elegantemente  ordite  fenza 
efame,,  e  fenza  ribrezzo  adottò  (i).  Secondo  lui  dun- 
que una  colonia  di  Pelasgi  fotto  la  condotta  di  Enotro, 
figliuolo  di  Licaone  re  di  Arcadia,  nipote  di  Pelasgo  II , 
valicato  l'Ionio,  diede  fondo  in  Italia.  Pria  di  quefta 
fpedizione,  foggiunge  Dionifio,non  vi  è  memoria,  che 
l'Italia  fia  ilata  da  altri  abitata.  Ma  chi  furono  cotefti 
Pelasgi  venuti  in  Italia  con  Enotro?  dopo  queflo  efame 
ci   faremo  a  rintracciar  memorie  di  fpediziioni  più  antiche. 

La  genealogia  di  Pel.isgo  ,  def^:ritta  con  eflrema  pre- 
cifione  da  Ferecide,  appartienfi  a  tempi  ,  in  cui  giufta 
l'efpreiHone  di  Macrobio  (2),  la  floria  è  muta.    Non 

aven* 
(l)     Ant'iqu.  Uè,  i.  (z)    S^fi^f'  li^'  !• 


i9r 

avendo  <3unq;ue  fondamento-  in  inorici  monumenti,  è  da 
dire,  che  pretta  ioìmaginazione  fia  di  queflo  ftorico  adu- 
latore .  La  denominazione  di  Pelasgi  non  viene  già  da 
un  re,  che  l'ignoranza  e  la  fantafia  de' Greci  lor  diede. 
Quando  quelli  non  intendevano  V  origine  del  nome  di 
un  popolo,  erano  ufi  di  trarli  d'  impaccio  con  mettere 
in  campo  un  condottiero,  o  un  re,  che  avelTe  lor  dato 
il  fuo  nome.  S'inventò  un  re  Pelasgo ,  come  un  re  Ita- 
lo ,  un  re  Siculo ,  perchè  s' ignorava  l' origine  delle  na- 
zioni,  che  un  tal  nome  portarono .  Oggi  è  noto  fra  gli 
eruditi,  che  quefta  voce  difcende  dalla  radice  ebraica  l'jQ 
phaleg  ,  che  difperfione  e  fper  pera  mento  dinota  .  Dee 
riputarli  adunque  come  appellazione  comune  a  tutte  le 
nazioni  infìabili,  erranti,  e  apparecchiate  Tempre  a  mu- 
tar cielo,  come   appunto  defcrive  i  Pelasgi  Strabone  ( i ). 

l  Pe- 

(l)  TloWirXxyop  ì'i  xoci  Ttf,^u  lo  iSyo<  rrpit  iirxVaT-xtriti .  Strab.  lib.  XUI 
Ma  i  Greci  medefimi  ,  che  ignoravano  la  vera  origine  di  quefto  nome, 
ed  avea'io  dei  buon  fenfo,  né  lo  ftemma  di  Pelasgo  credevano,  né  la  ge- 
nealogia de'  Pelasgi  ,  e  quefto  nome  ai  più  popoli  attribuirono.  Mirfiio 
preflb  Dionifio  fteflb  voleva  ,  che  foffero  flati  così  chiamati  dai  Greci  , 
quafi  iTiXapyoi ,  o  fìano  cicogne  ,  perchè  a  guifa  di  quefti  uccelli  andavano 
a  dormi  vagando.  Dal  qual  fentimento  fembra  non  elfere  ftito  alieno 
l'accuratiflìmo  Strabone  Itb.V.  A-rii^a  aurypapai/Tn  i^opisii  ':Tipi  tuv  Tr«.«5- 
yav  ,   Sia  S'f  To  irKaiiinm  nfat  ,    xai  S'tx.ìiv  opiniDH  tir t<fOiTay  ìip   ns   ''"■'X*  TOinti  , 

Più  ridicola  forfè  è  1"  etimolonia ,  che  ne  dà  l'Autore  del  Grand' Eti- 
mologico :  TliKaiiyix.011  ro  Cito  Tuppiivav  x«t«JX«9£;'  tei^s;  '  m  xcti  Sata/jitrot 
Ttvii  ■jiXapyiis  ùvofiacxv  S'ta  auvìoms  às  ìipopuv  ,  vale  a  dire,  che  in  vederli 
alcuni  li  chiamarono  pelargi,  o  fia  cicogne,  per  le  vefti  a  due  colori,  che 
port.iTano,  cioè  bianco  e  nero,  colori  della  cicogna.  Si  offervi  però ,  che 
quefto  autore  chiama  Pelasgi  i  Tirreni:  tanto  è  vero,  che  Pelasgi  anche 
«ella  mente  de'  Greci  erano  tutti  j  popoli  facili  a  cambiar  cielo  :  e  Dio- 
nifio ha  il  torto  di  crederlo  un  errore  .  Era  quefta  1'  opinione  comune  de- 
gli antichi.  Hyghmi  dixit ,  Pelasgos  effe  fui  Tyrrhenì  flint .  Hoc  tùam  Varrà 
evmmemorat .  Serv.  in  II.  Xneid.  8. 


19* 

I  Pelasgi  dunque  di  Enotro  fono  fenza  dubbio  i  Fé- 
nicj ,  conofciuti  dagli  antichi  per  famolì  naviganti ,  e  come 
gente  avvezza  ed  inclinata  a  cambiar  cielo,  e  a  fpedire 
colonie  in  lontane  regioni  .  E  non  farà  per  avventura 
lontano  dal  vero  ,  che  in  parte  que'  Cananei  fiano  flati, 
che  fuggendo  dall' afpetto  del  figlio  di  Nave  abbando- 
narono agi'  Israeliti  la  terra  di  Canaan  .  Poiché  sbigot- 
titi dair  arrivo  di  quefti  ,  e  dalla  fama  di  Giosuè  loro 
capo ,  fi  fparpagliarono  in  modo ,  che  alcuni  nella  Gre- 
cia fi  fermarono;  altri  paflarono  in  Africa  ,  diedero  il 
loro  nome  alla  nazione  punica ,  e  pofero  nella  Numidia 
Tingitana  la  famofa  ifcrizione  in  caratteri  fenicj  ;  Noi 
fiamo  quelli  che  fuggimmo  dalla  preferita  di  Giofue  la- 
drone ,  figliuolo  di  Nave ,  rome  vien  riportata  nella  ilo- 
ria  delle  cofe  Vandaliche  da  Procopio  (  i  )  ;  altri  prefe- 
ro  la  volta  d'Italia,  e  di  quelli  alcuni,  che  portavano 
il  nome  di  Tirreni,  o  Tirfcni ,  approdarono  nel  paefe , 
che  da  effi  fu  chiamato  Tirrenia-,  e  pofcia  Etruria;  al- 
tri ,  e  propriamente  i  Filiftei  andarono  ad  appiattarfi 
nelle  lagune  del  paefe,  che  fu  poi  detto  Venezia ^  ove 
divennero  celebri  gli  fcavamenti  ,  e  le  folle  Fililline  , 
rammeniate  da  Plinio  (2).  Altti,  detti  del  culto  di  Sa- 
turno, o  fia  di  Chiun  Coni,  o  fiano  Saturnini,  fi  get- 
tarono nella  prima  terraferma  ,    che  incontrarono  ,    nel 

pae- 


(1)  HjU£/«     ìafiiv    0/     ifuyoi'Tti    diro  'irpaiau'ìri    liias    tu    >.iìtìì    Oiis    r»  Navi/ 
Proc.   in   Vandalic. 

(2)  H.   N.   tiÙ.  IL   <:.  12. 


paefe  de'  Bruzj  ,  e  ài  là  fi  ftefera  verfo  le  maremme 
orientali  d'  Italia  . 

La  venuta  de'  Pelasgi  Enotrj  in  Italia  fecondo  il  com- 
puto dell' Alicarnafleo  medefimo  appartiene  al  fecolo  14, 
del  mondo  gialla  la  cronologia  UlTcriana.  Imperciocché 
venne,  a  dir  di  Dionilìo,  al  mondo  Enotro  nella  diciaf- 
fcttefima  età  prima  della  guerra  di  Treja.  Quindici  età 
computate  alla  maniera  di  Erodoto  (i)  vagliono  cinque 
fccoli  ;  ma  fecondo  il  calcolo  di  Efichio  (2,)  ,  e  di  altri 
Greci  computandoiì  l'età  per  2,0,  2-5,  o  30  anni ,  le 
diciaffctte  età  fcorfe  dalla  nafcita  dei  favolofo  Enotro 
(fino  alla  guerra  di  Troja  giungono  a  quattro  fecoli ,  o 
a  quel  torno  .  Ma  la  guerra  di  Troja  cade  nel  dodice- 
iìmo  fecolo  prima  di  Augufto,  vale  a  dire  nel  ig  del 
mondo .  Dunque  la  fpedizionc  di  Enotro  in  que^e  re- 
gioni nou  è  anteriore  agli  anni  2500  del  mondo.  Qucflo 
calcolo  è  fondato  sulle  favnlofc  genealogie  inventate  dai 
Greci.  Intanto  combaciali  perfettamente  con  quello,  che 
de'Cananei  abbiam  detto.  Cade  la  loro  fuo-a  verfo  la  metà 
del  fecolo  XV.  prima  di  Grido  circa  gli  anni  2,500  del 
n>ondo ,  otto  fecoli  e  più  dopo  il  diluvio .  Nuovo  argo- 
mento ,  che  i  Pelasgi  Enotrj ,  e  Coni  non  furono  altri , 
che  i  Pelasgi  Fenicj ,  o  fiano  i  Cananei  commercianti  , 
o  i  Cananei  fuggitivi ,  e  difperfi  . 

Or  neir  ipotefì  Dionilìana ,  che   gli  Enotrj  fiano  flati 

45  i  pri- 

(0     Herod.  lìb.  IL  n.  4^ 

Ct)    Hefych,  V.  ytytcc.  Vedi  Ryckii  D>ff-  Jc  primis  Italia  cokniis^ 


r94 

i  primi  a  por  piede  in  Italia,  farà  egli  mai  credibile, 
che  nello  fpazio  di  otto  fecoli  dopo  il  diluvio  fia  ri- 
mafo  queflo  bel  paefe  un  deferto.^  Sarà  egli  credibile, 
che  le  popolazioni  erranti  ,  e  T  una  dall'  altra  incalzate 
e  fofpinte  abbiano  tanto  tempo  perduto-  pria  di  trovare 
la.  ilrada  da  penetrare  in  Italia ,  paefe  sì  vicino  alTorien- 
te?  Abhiam  forfè  meflieri  de' calcoli  del  Petavio  per  cre- 
dere in  otto  fecoli  sì  popolata  T  Alia,  che  abbia  a\u- 
to  bifogno  in  quello  intervallo  di  sgravarli  più  volte 
del  pefo  d' una  fenipre  crefccnte  popolazione  ?  Tutto  dun- 
que par  che  porti  a  credere,  che  colonie  molto  più  an- 
tiche fi  fiano  da  più  fecoli  flabilite  in-  Italia  ;  che  in 
eonfeguenza  febben  fia  vero  ,  che  in  tutte  le  città  ma- 
rittime del  mezzogiorno  d'  Europa ,  e  sulle  coftiere  Afri- 
cane,  bagnate  dal  mediterraneo,  s'incontrino  velb'gie  di 
flabilimenti  Fenicj  ,  penfar  tuttavia  ,  che  i  Fenicj  fiano 
fiati  i  primi  abitatori  d' Italia ,  e  della  Campania  parti- 
colarmente, è  fogno  d'infermi,,  che  confonde,  e  tempi, 
e,  nazioni  . 

Una  tradizione  antlchiffima,  confervataci  dà  quafi  tutti 
gli  Storici  latini ,  e  da  Dionifio.  fieflb  ,  nomina  Abori- 
gini  i  primi  popoli  ,  che  abbiano  pofTeduto  il  Lazio  , 
ed  Opici  qudli,  che  i  primi  tennero  la  Campania.  A 
quefìi  fon  compagni  i  Sicoli ,  i-  quali  venuti  poi  a  guer- 
ra con  gli  Opici  e  gli  Aborigini,  furon  da  quefli  cac- 
ciati d' Italia  ,  e  coilretti  a  fuggire  nella  vicina  Ifola  , 
che  da  elfi  prefe  il  noQie  di  Sicilia .  Quefli  tre  popoli 
erano  neli'  antico  linguaggio  del  Lazio  chiamati   Cafci  , 

vale 


19) 
•vale  a  dire ,  i  vecchi ,  gli  antichi  .  Si  pofTono  leggere 
su  di  ciò  Dionifio  Alicarnafleo,  DioJoro  Sicolo,  Livio, 
Giullino,  Aurelio  Vittore  (i).  Ma  meglio  di  tutti,  e 
con  maggior  diftinzione  ne  fa  parola  Arillotile  nelT  vm 
libro  delle  Cofe  Politiche .  Mentre  quefll  (  i  Coni  e  gli 
Enotri  )  e' dice,  nella  Japigia  ,  e  lungo  il  mare  Ionio 
abitavano  il  paefe,  che  fi  appella  Siriti;  quella  parte, 
che  J porge  sul  mar  Tirreno  ,  occupavano  gli  Opici  ,  i 
quali  anche  Aufoni  fon  chiamati  (a). 

Abongini  dunque  furono  i  primi  popoli,  che  abita- 
rono il  paefe,  che  in  tempi  polleriori  fu  Lazio  appel- 
lato; e  gli  Opici  furono  quelli,  che  abitavano  intorno 
al  cratere  ,  e  nel  paefe  ,  che  più  fecoli  apprefTo  dalla 
bontà  delle  fue  terre  chiamofh  Campania .  Ed  erano  di 
tanta  antichità  in  Italia  ,  che  fmarritad  og"i  memoria 
della  loro  venuta ,  le  popolazioni ,  che  vi  vennero  do- 
po ,  ignorando ,  donde  fofler  partiti ,  e  come  qui  avef- 
fero  approdato ,   li   crederono   indigeni ,   e  fi  perfuafero  , 

*  che 

(i)  Tìionyf.  Jntìqu'it.  Uè.  I.  Dìod.  Bibl.  ì'tb.  IV.  Liv.  l'tb.  I.  in  pr.  jujììn. 
Hi/i  or.  iib.  45. 

(2)  llr/.oìsv  S'è  riiv  (nv  ct/ws  riiv  ruppiivivn  Oirir.Ot  ,  x«i  irponpv  km  v'Jv  x.a- 
Knfiiyoi  r»v  tvayui^iay  Autroyis  '  Tuy  St  irpot  my  lcti:ijyiav  ,  Kxt  roy  l'ayioy  x'a- 
pxy  Tiiv  KaKuixsyi/y  'S.vpnv  :  MOav  «Te  01  )^ai'ts  aivaipiot  To  yeyis .  yfri/t.  Polie. 
ttb.  Vili.  e.  10.  Sul  qual  luogo  coafessò  nel  Tuo  cemento  il  dittiffi'nr)  Pier 
Vettori  di  non  fapere  ,  e  di  non  aver  niii  letto  ,  quii  foffe  il  paefe  chia- 
mato Sirti  da  Anftotile  ,  ed  abitato  ài  Coni .  Ma  offervò  bene  il  Cafau- 
bnn  ,  e  pofcia  il  Mazzocchi  eflervi  error  di  copiib  ,  i  quali  in  vce  di 
1vf.(iTiy  v'intrufero  'Supn-uy .  Poiché  Siritide  era  il  p.iefe  bagnato  d<l  Siri, 
fiume  celebre  in  quella  contrada  .  Non  altrimenti  è  sbaglio  di  amanuenfi 
ì\'2npiivi'T,Sos,  che  fi  legge  in  Strabene,  allorché  dice,  che  il  nome  d'Ita- 
li», »  di  Enotria  fi  ftefe  /u£^pi  t»<  M£rr«n-5,T.x«i  kui  tih  '^upiiytriS'oi ,  Stri'. 
ho  lib.  in.  Vedi  H'acco  Caiaubon  su  qucfto  luogo . 


ì^6 

che  follerò  generazione  di  uomini  ,  che  non  traevano 
origine  da  altri  popoli ,  ma  che  erano  nati  da  loro  fteffi. 
Non  altrimenti  la  colonia  di  Cadmo  giudicò  e  chiamò 
autocLoni  i  Lelegi  ,  e  gli  Aoni  ,  che  trovò  fparlì  per 
1  Attica  ,  e  di  cui  non  conofceva  V  origine  .  Secondo 
quella  idea  li  defcrive  Dionifio. ,  come  indigeni  d'  Ita- 
lia,  e  generazione  nata  da.  fé  medefìma  (i)  .  Effi  fleffi 
per  avventura  ,  la  propria  difcendenza  ignorando  ,  ven- 
nero in  quella  opinione  di  (e  ,  ed  avendo  già  formata 
una  lingua  lor  propria ,  che  fu  la  culla  della  latina ,  li 
chiamarono  Aborigini.,  q-uall  non  aventi  origine  da  altri, 
ma  fol  da  fé  ileffi .  Imperciocché  non  è  da  cercar  l'ori- 
gine di  quella  voce  in  v^eruna  lingua  flraniera  ;  e  il 
credere  ,  come  preflb  Dionilìo  fecero  alcuni ,  che  poffa 
derivarfi  oal  Greco  ,  e  dinotare  abitatori  de  monti ,  o 
Jìgli  delle  montagne ,  è  sforzare  l' analogia ,  la  quale  efi- 
gerebbe  che  foflèro  chiamati  Aborigeni  ■,  e  non  già  Abo- 
rigini (a)  ,  e  farebbe  difcendere  quella  voce  da  quell' 
alta  antichità ,  che  fembra  avere  ,  fupponendola  inven^- 
tata  dai  Greci.  Ripeterla  poi  da  aberrare^  quali  aber- 
TÌgini  ,  come  fognarono  altri  prefTo  lo  fleflb  Dionifio-  , 
e  un'  afTurdità  fenza  pari  :  refifte  all'  analogia  infieme  , 
ed  al  fatto  .  Ne  vi  è  come  giuHificare  il  cambiamento 
dell  e  in  o,  il  troncamento  di  un  r,  e  la  giunta  del- 
la definenza  in  ìgine .   Ne  è  vero,  ,  che  foffero  popola- 

zio- 

(1)  lei  oiutop^^oiixi   Irahiuc ,  ycos  «uro  ro  KxSi'  ìaUTH  y^youn'ov  ,    Antiquii'- 
V.b.    I.  /      .  :/ 

(2)  A',ro  TJ(  (tp  òfidiv  ytti^ai  „. 


;^97 

zionì  erranti,  fé  avevano  fegglo  fiffo  sulle  montagne  del 
Lazio .  Egli  è  vifibile  ,  che  il  verbo  ahoriri  diede  na- 
flimento  a  quefto  vocabolo;  poiché  è  noto,  che  la  pre- 
pofizione  ab  in  congiunzione  dà  fpefTo  al  verbo  una  11- 
gniiìcazione  contraria  a  quella  del  fcmplice  ,  come  av- 
viene in  abrogare,  abdicare,  abortus  ;  in  guifa  che  la 
vera  lignificazione  di  Aborigini,  è  d'uomini  ,  che  non 
traggono  origine  da  altri  .  Aborigini  dunque  non  fon 
quelli,  che  ab  origine  tennero  il  Lazio,  come  T inten- 
de il  dotto  Marchefe  de  Attellis  ,  ma  quelli  ,  che  da 
altri  non  traevano  origine .  Infatti  fecondo  l'antico  Sto- 
rico Saufeo  preflb  Servio  ,  i  primi  abitatori  del  Lazio 
furono  chiamati  Cafchi  ;  ma  poi  fu  quello  nome  fcam- 
biato  in  quello  di  Aborigini ,  e  di  latini  dalle  poftenori 
genti ,  le  quali  da  altri  genitori  erano  difcefl  -  Quell  ul- 
tima  circoftanza  dimoftra  ,  che  fecondo  il  fentimento  di 
Saufeo  le  genti ,  che  arcano  contezza  della  propria  di- 
fcendenza  chiamarono  Aborigini  quelli  ,  di  cui  ignora- 
vano l'origine,  e  che  fupponevano  non  averla  da  altri, 
ma  eflcr  gente,  come  fi  efprime  T  Alicarnafleo ,  nata  da 
fe  niedefima  . 

Gli  Opici  furono  gli  fìefiì ,  che  gli  Aborigini  ,  abi- 
tavano la  Campania  finitima  al  Lazio  ,  e  il  loro  nome 
non  fu  altro,  che  una  feraplice  verfione  dell' altro .  Gli 
antichi  filologi,  che  non  fentivano  molto  innanzi  nella 
fcienza  etimologica,  cercarono  nella  favella  de'  Greci  la 
radice  della  voce  Opici,  e  come  niun' altra  ne  trovaro- 
no,  che   meglio   le   fi    avvicinuITe  nel   fuono ,  che    oC^iq,   la 


198 

Jerpe ,  finfero  ^  che  grati  moltitudine  aveflero  qui  ritro- 
vato gli  Opici  di  quelli  rettili  velenofi,  e  tiratone  au- 
gurio ne  aveflèro  prefo  il  nome .  Così  Servio  (  i  ) ,  così 
Stefano  Bizantino  (2.) ,  e  quel  che  è  più ,  così  il  Maz- 
zocchi ,  il  quale  crede  di  dar  pefo  a  quella  opinione 
con  oflervare  ,  che  ancor  oggi  nelle  anni  di  Capua  , 
Città  opica ,  lì  veggono  cinque  bifce  ritte  su  di  un  ba- 
cino (3).  Ma  come  non  ifcorgere,  che  quefte  fono  chi- 
mere nate  più  fecoli  dopo  V  origine  di  <|uel  popolo  nel- 
la mente  de'gramatici?  Donde  mai  trar  poterono  la  no- 
vella delle  ferpi  colà  trovate  ?  Ed  è  poffibile ,  che  i  più 
antichi  popoli  d'  Italia  abbiano  prefo  il  nome  da  uiu 
lingua  ,  che  non  potè  eflere ,  fé  non  col  volger  de'  fe- 
coli qui  conofciuta  ?  Creder  poi  col  Martorelli  (4) ,  che 
gli  Opicl  lìano  gli  Etiopici  di  Omero  fuppolli  in  Poz- 
zuoli, e  non  si  sa  perchè  dimezzati,  è  un  vero  delirio. 
Mal  non  fi  appofe  però  il  Marchefe  de  Attellis  ., 
quando  giudicò  dietro  le  orme  del  Voffio ,  che  da  Ope 
aveffero  prefo  nome  gli  Opici  .  Ma  egli  fedele  al  lùo 
fìftema  di  veder  fempre  nel  nome  delle  Città  ,  e  dei 
popoli  antichi  una  deità  Fenicia,  fuppone,  che  alla  vi- 
fla  di  quelle  belle  campagne  le  abbiano  polle  fotto  la 
tutela  di  Ope,  dea  delT abbondanza ,  e  V abbiano  chia- 
mata  Opìcia .   Sarebbe  ciò  verifiroile  ,   fé  gli  Opici  fof- 

fero 

(l)  Sfrv,  in   W.   JEmid. 

(1)  Steph.  -mpi  ToXiaf  V.   omxoi  . 

(?)  Mazoch.  in  _Mm:1.  C^m:,.  Amt>h.  tìtiil. 

{4)  Fenicj  primi  abitatori  di  Napoli. 


199 

ftro  Fenicj,  e  non  precedeflero  di  più  fecoH  la  venuta 
de'  Fenicj   in  Italia  . 

Io  dunque  fuppongo,  che  quelli  popoli  abbiano  avu- ■ 
ta  una  lingua  :  chi  oferebbe  negarlo  ?  che  quella  lingua 
fu  quella,  che  (ì  parlò  in  tutta  l'Italia  dalle  nazioni, 
che  vedremo  difcender  dagli  Opici;  e  che  fi  confervò, 
anche  quando  \inta  la  nazione  opica  fi  mifchiò,  fi  con- 
fufe,  e  formò  un  fol  popolo  con  gli  Etrufchi  ,  e  che 
quella  lingua  fu  la  madre  della  latina.  In  quella  lingua 
antichiflìma  d'Italia,  e  compofla  la  più  parte  di  toono- 
fillabi ,  come  tutte  le  lingue  di  popoli  barbari ,  e  rozzi, 
ops  fignificò  la  terra  ,  come  dimollra  il  noflro  profon- 
difilìmo  Vico  (i)  .  Vennero  dunque  Opici  chiamati 
quelli  noUri  antichiflìmi  progenitori  ,  quafi  figli  della 
terra,  che  abitavano,  per  quella  llefia  ragione,  io  fJ'Co, 
per  cui  gli  abitatori  delle  montagne  del  l^do  furono 
detti  Aborigini  .  Furono  letteralmente  gli  autoctoni  dei 
Greci ,   gente   nata   da   fé  ,   e  non   da   altri  . 

Conferma  quello  mio  penfiero  quel  che  racconta  Dio- 
doro Sicolo  degli  abitanti  delle  vicinanze  di  Cuma  ,  i 
quali  per  la  grandilTima  riputazione  di  fortezza  e  di  ga- 
gliardia,  e  per  l'eccelli  va  grandezza  della  loro  corpora- 
tura furono  chiamati  giganti  ,  e  giudicati  terrigeni  ,  o 
fiano  figli  della  terra  (2)  .  Di  ciò  avremo  più  innanzi 
occufi  ne  di   favellare  . 

Ma 

(i)     Sciama  N'wva . 

(z)     ^vb:)\nyiir'r<ti    ì' oi  yiyai"Tti  yHytyUi  ytyoyai  «Tia  T»»  ùirtpffo>^«<-  "^^  x"''"'* 
•»H«  fivyi^v!.  Dud.  Sic.  B'ibl.  lib.lV.  p.zój.m.  apitd  iV^rJhnks .  E'  qui  de- 


Ma  chi  dunque  furono  cotefli  Opid  ,  cotefti  Atori- 
gini ,  che  precedettero  di  più  di  quattro  fecoli  le  colonie 
de'  Pelasgi  Fenicj  ?  Variano  all'  infinito  le  opinioni  dei 
dotti .  Alcuni  diranno ,  che  in  una  interminabile  fuccef- 
fione  di  nazioni  gli  Opici  fono  una  delle  prime  popo- 
lazioni ,  di  cui  abbiano  fatto  motto  gli  fiorici  a  noi 
pervenuti .  Ma  in  quelli  giucca  più  T  audacia  ,  che  la 
ragione.  Altri  diranno,  che  fono  di  que"" primi,  che  di- 
fcefero  dalle  montagne ,  dacché  fi  cominciarono  a  ritirare  le 
acque ,  che  aveano  ricuoperta  V  Italia ,  come  degli  Umbri 
affermano  alcuni  per  render  ragione  del  nome .  Ma  quefla 
ofcura  tradizione  di  diluvio  italico  proverebbe  al  più,  che 
vi  fiano  flati  popoli  più  antichi  ancora ,  ma  del  tutto  ignoti; 
e  mio  difegno  è  di  provare  foltanto ,  che  gli  Opici  fono 
in  Italia  più  antichi  de'Fenicj ,  e  di  tutte  le  colonie  Gre- 
che, e  i  j>r;mi,  che  ci  faccia  conofcere  f  ifloria .  Altri 
forprefi  della  ralToniiglianza ,  che  fcorgefi  tra  alcune  voci 
latine ,  ed  alcune  della  favella  teutonica  ,  o  celtica  ,  fi 
fanno  a  credere,  che  i  primi  itaUani  fiano  flati  figli  di 

p0. 

gna  di  rifo  l' oflfervaiione  del  Weffelingio  su  quefto  luogo  di  Diodoro  . 
Egli  li  vuole  chiamati  yitytnn ,  o  fia  terrigeni  per  l'ofcurità  de'  loro  nat.i" 
li.,  in  quel  modo  che  inteade  il  Poliziano  Mi/celi.  e.  i8.  il  (mterculum  gì-_ 
gantìs  di  Giovenale  Sat.  IV.  ,  come  fé  tra  i  rozzi  antichilfimi  Opici  vi 
aveffe  potuto  efler  quiftione  di  nobiltà  di  natali.  Se  altri  poi  voleffe  ,  che 
un  tal  nome  portato  abbiano  dall'  Oriente  ,  o  piuttofto  1'  abbiano  lor  dato 
le  popolazioni  venute  qualche  fecolo  dopo  in  quefte  contrade  per  la  lle(Ta 
ragione  della  opinione  ,  che  aveaf:  della  lor  robnftezza  ,  io  non  mi  op- 
pongo. Veggo  bene  ,  che  potrebbefi  ripetere  il  nome  di  Òpir/  dalla  radice 
DQK  <i/>ac- ,  roboravìt  ,  da  cui  difcende  D»3'3>{  apicìm ,  robufli .  Forfè  per 
quella  riputazione  furono  chiamati  giganti  ,  che  figli  della  terra  erano  detti 
dai  Greci . 


20I 

popolo  fettentrionale ,  fenza  tiflettere ,  che  quando  alcu- 
na cofa  provar  potcfTc  sifFatta  raflbmiglianza ,  proverebbe 
con  egual  forza  ,  che  i  fettentrionali  popoli  fiano  fìati 
colonie  venute  d' Italia .  Pretenderanno  altri ,  che  i  pri- 
mitivi italiani  abbiano  dall'  ultimo  oriente  emigrato  ;  poi- 
ché fi  racconta ,  che  il  poco  fa  trapaflato  Sig.  Hageman 
avefle  contato  nel  linguaggio  fanscreto  fino  a  60 co. 
voci ,  che  fi  trovano  tali  quali  nella  favella  del  Lazio. 
Ma  fé  non  errò  nel  fuo  conto  l'erudito  Tedefco ,  di  che 
poffiam  dubitare  ,  non  elTendo  a  ftampa  i  fuoi  MSS.  ; 
egli  non  avrà  intefo  al  certo  di  additar  con  quello  no- 
me la  lingua ,  in  cui  fono  fcritti  i  Bedas  ,  lingua  in- 
ventata dai  bramini  per  avvolgere  in  un  midero  impe- 
netrabile i  dogmi  della  loro  religione,  e  della  loro  fi- 
lofofia.  I  fuoi  flud)  adunque,  e  i  fuoi  calcoli  faraunofi 
aggirati  sulla  lingua  volgare  antica  dei  Gentous  ,  o  fia 
degl'  Indi  :  e  che  fi  può  inferii-ne  allora  ?  Nò  ,  non  è 
neccflario  di  far  venire  dall'  Indoflan  gì'  italiani  ,  e 
rifparmiando  loro  un  sì  lungo  viaggio  ,  non  potreb- 
befi  dire  ,  che  tanta  raflomiglianza  dimoftra  in  ogni 
lingua  gli  avanzi  di  una  favella  primitiva  e  comune 
del  genere  umano  ,  modificata  pofcia  e  cambiata  dal- 
le variazioni  portate  nella  maniera  di  fentire  ,  nella 
maniera  di  penfare  ,  e  nella  leggerezza  ,  o  rigidezza 
dell'  organo  dalla  differenza  de'  climi  ?  Rifponderanno 
finalmente  i  Greci  ,  e  i  Latini  ,  che  furono  audax  la- 
pethi  genus:  e  verrà  loro  in  appoggio  il  primo  ùorko 
del  mondo  ,    fecondo  il  quale    furono  le  prime  colonie 

26  ita- 


tot 

italiane  de' difcendenti  di  laphet  .  Imperciocché  lavan  , 
il  quale  fecondo  la  proprietà  ebraica  può  pronunziarli 
anche  laon,  e  lon^  diede  il  fuo  nome  all'Ionia,  e  al 
mar ,  che  la  bagna .  Tra  i  fuoi  figli  vi  fu  Ceth ,  i  cui 
difcendenti  detti  Cetthim  occuparono  le  maremme  della 
Cilicia ,  o  fìa  la  Cilicia  montuofa ,  detta  perciò  Ceti  da 
Tolommeo,  la  Macedonia,  Cipri,  e  l'Italia.  E'  naturale, 
che  quelli  aveifero  adorato  come  dei  i  capi  della  nazione, 
e  Giano ,  che  fenza  dubbio  è  il  lavan  dello  florico  ebreo, 
fu  ne'  verfì  faliari  chiamato  padre  degli  uomini ,  e  degli 
dei  ,  dio  degl'  iddj  ;  e  a  lui  fecondo  Dracene  Corei- 
reo  preffo  Ateneo  (i)  fi  attribuiva  1'  invenzione  delle 
corone,  de' foderi,  o  fiano  zattere,  e  de'navili;  e  per- 
ciò, foggiunge,  molte  Città  e  in  Grecia,  e  in  Italia  , 
e  in  Sicilia  nell'  impronto  delle  monete  effigiarono  un 
perfonaggio  a  due  facce,  e  dall'altra  parte  una  zattera, 
o  una  nave,  o  una  corona  (2.)  .  E  ciò  non  fenza  ra- 
gione :  lavan  ,  o  fia  Giano  dovea  confiderarfi  come  uà 
de' primi  navigatori,  che  abbia  ofato  tragittare  il  mare, 
e  flabilirfi  nelle  ifole,  o  in  altro  continente,  e  il  pri- 
mo condottiero  e  capo  di  numerofa  colonia,  che  appro- 
dò in  quedi  lidi . 

Giova  fenza  dubbio  a  conciliare  autorità  alla  narrazio- 
ne  Mofaica   queft'  analogia    colle    tradizioni  mitologiche 

de' 

(l)     ^th.  Deìpnofoph.  lib.  15.  p.6<)2.  Tupavoi/  eupiiir  ,  xat  ^e<r/«j  ,  xat  "irKoia , 

{'2-J     Aio    Kai    THìy  xara  ruv  iì^aS'x  iroWaf  iraXiis  ,    x«/  tu»  xxtx  tk"   It«- 

■Aia;*,  xai  S/xtKiar  i-a-i  tb  l'oSiaf^iuTos  iy^f^apxTTHv  nrpocariov  SixitfaKoy  ,  x«i  fx- 


de' poeti  greci,  e  latini.  Ma  cìie  diremo,  se  le  memo- 
rie boriche  della  nazione  fi  combaciano  col  racconto  del- 
lo fìorico  ebreo?  Suida  ,  Cedreno  ,  ed  Eufebio  ci  haa 
confcrvato  la  notizia  importantiflìma  ,  che  quelli  ,  che 
furono  chiamati  Latini,  portarono  da  principio  il  nome 
di  Cetano  Cet'n{i).  Or  quefti  non  fono  i  Cetthim  di 
Moisè?  Ne  lafcio  il  giudizio  a'  critici  di  buon  fenfo  . 
Si  poflono  leggere  su  queflo  punto  il  Bochart  ,  ed  il 
Mazzocchi  (2.) .  Torno  dunque  ai   miei  Opici . 

Si  divifero  quefti  in  varj  rami ,  i  quali ,  come  diverfi 
luoghi  occuparono  ,  così  prefero  divertì  nomi  ,  benché 
avelfero  comune  l' origine .  Tutti  però  ugualmente  ci  ven- 
gono come  giganti  defcritti ,  e  come  gente  falvatica  ,  e 
feroce.  Quelli  ,  che  le  maremme  abitarono  tra  Cuma  e 
le  foci  del  Volturno,  furono  chiamati  Leuternj ,  ed  era 
fama,  dice  Strabone,  che  furono  giganti  da  Ercole  ab- 
battuti ,  e  cacciati  fotterra  ,  e  che  dal  loro  nome  Leu- 
ternia  fi  chiamò  quella  fpiaggia  (3).  E  chi  potrà  dire, 

*  che 

(0    Suid.  V.  haritm  ,   ove  racconta  ,  che  Telefo ,  il  quale  aveva  il  fo- 

prannome   di   Latino   ,     fjLtravoiJt.xa i  rm   irxKai   Kitriin   Kiys^ims  ,   l'Uv   A«T(;'ss  , 

chiamò  Latini  quelli,  che  anticamente  chiamavanfi  Cetii .  Lo  fteflb  ripete 
Cedreno  ,  ed  Eufebio  in  Chron.  afferma ,  che  da  quefti  difcefero  i  Latini  > 
e  dai  Latini  i  Romani  :    Kinoi  «g  »  AuTim ,  oi  xxi  Poi/ukio)  . 

(2)     Mazoch.  Spie.  Bibl.  Au^.  de  Cetthim  t.  \.  p.  25 ^  &  feq. 

(5)  ATiz-SeiKT!  <r'  ori  rm  'ìTipi'Kitip^trras  Tav  ytyavruv  ey  tu  K*r«  YLafiTavict) 
p^-iypa  As^Tepyini  y.aXxfnyiii  '  HpaKKns  ì^iXairiv  xxTctipivyoi'-Tx!  ìft^po  ,  utto  yit! 
iTtpi^a\ini>  tK  (Te  t)(^af,av  ròinTai'  i^oi  piu/jia ,  ;;'  ti/;;»  .  A/«  tuto  i'i  y.cei  ritr 
•7rccpaKixi>  TauTHv  iXivripvicty  "^Tpoaayofin^iy  .  Strab.  lib.VI.  E'  difficile  decidere, 
fé  la  Leucemia  epica  di  Strabone  fia  la  ftefla  della  Leiitarnia  del  tenebrofo 
Licofrone ,  che  fembra  unirla  col  Siri  : 

TìoKKoi  cTf  2ipiv  «i/fi  XXI  Aivrxpyix!/ 
AfKfoey  oiKiixitaiy  ,  v.  978. 


204 

che  non  ebi)e  di  qui  nome  Literno,  Citta  in  quel  me- 
delìmo  luogo  edificata  ? 

Un  altro  ramo  degli  Opici  furono  i  Leflrigoni  che 
abitavano  di  là  dal  Liri,  dove  fu  Formia,  i  quali  Ome- 
ro defcrive  iìmili  non  ad  uomini,  ma  a  giganti  (i).  La 
moglie  di  Antifate  lor  capo  parve  ai  compagni  di  Ulif- 
fe,  come  il  vertice  d'un  monte  (a)  .  Effi  non  pianta- 
vano ,  non  aravano  ^  ma  viveano  su  gli  alti  monti  den- 
tro le  caverne  vita  anzi  ferina ,  che  umana  . 

Gli  Aurunci,  che  tennero  quella  parte  della  Campa- 
nia, che  flendevafi  dal  Volturno  al  Liri,  furono  un'al- 
tra generazione  di  Opici ,  de'  noftri  antichiffimi  giganti . 
Da  efli  SueJJa  prefe  il  nome  di  Aurunca .  Dioniiìo  di 
Alicarnaflb  li  dipinge  come  uomini  d' indole  bellicofa  , 
1  quali  tra  per  la  grandezza  e  la  robuftezza  delle  mem- 
bra ,  e  per  cotal  ceffo  barbaro  e  fiero  un  afpetto  pre- 
fentavano   crudele   oltremodo   e  terribile   (3)  . 

Altra  razza  di  Opici  furono  i  Sidicini ,  ì  quali  abi- 
tarono là ,  dove  è  Teano ,  detto  perciò  Sidìcino .  Que- 
lli furono  gli  ultimi  ,  che  fopravvifTero  all'  efìinzione 
della  lor  nazione ,  la  quale  non  ebbe  più  nome ,  quan^ 
do  furfe  quello  di  Campani  (4)  . 

Gli 

(i)  •  .  .  .  i(x  av^Hffaiv  hi>:0Te< ,  ccWet  yf^acri  .     Honi.  Ocìyff.  ìtb,  X.  v.  I2Q. 

'^/  ....  Tiiv  «Te  yji'xfjiix. 

'E.ueot  òattii  T  opioi  >iopU(p:iy  .  Ib.  1».  112. 

(J-)'     ViXiTTOKifji.ji'    ytifi    Sii  to  toij  Apvv/MV  iSi'Oi   i!   y.at  Tii  [/.eyeSii  ti  xcei  /n>- 
f-ri  i  xai  o^-fO!  SiivoTuri  "ìtoXu  xm  SiipiuS'i;  ey^ntri  (polSipoTxrov  .   D'tonyf.  Uè.  PI. 

(4)  Ovm  offKoi    (  parla  de'  Sidicini  Strabene  )   K-awìia^uy  lòyn  ixxixomos . 
StraL  l.V. 


105 
Gli  Aufonì  finalmente,  che  poflèdettero  gran  terre  di 
là  dal  Volturno ,  e  fopra  entrambe  le  fponde  del  Liri, 
non  furono  nazione  diverfa  dagli  Opici.  Abitavano ,  di- 
ce Arilìotile,  quella  parte  che  fporge  sul  mar  tirreno, 
gli  Opici  e  pria  ed  al  prefente  Aufoni  cognominati  (i). 
Parla  allo  iìefTo  modo  preflb  Strabone  1'  accuratìffimo 
Antioco  (a)  .  Che  fé  Polibio  preflo  lo  flelTo  Geogra- 
fo (3)  fenibra  averli  giudicati  due  nazioni  diiìinte,  eb- 
be riguardo  alla  dillinzione  delle  terre  ,  che  abitarono 
feparatamente  quelli ,  cui  reflò  il  nome  di  Opici ,  e  quelli, 
che  prefero  il  cognome  di  Aufoni ,  diflinzione ,  che  dur 
rò  fino  alla   loro  diftruzione  . 

Della  medefima  flirpe  furono  i  Sanniti  ,  i  Lucani ,  i 
Bruzj ,  i  quali  fecondo  che  varj  luoghi  occuparono ,  quan- 
do fi  fparfero  per  Y  interno  d' Italia ,  diverfi  nomi  an- 
cora adottarono'.  Imperciocché  la  ilefìà  favella  parlava- 
no sì  gli  Opici  della  Campania ,  come  i  vicini  Sanniti-, 
e  i  Lucani ,  che  difcendevano  da'  Sanniti ,  e  i  Bruzj  ,  che 
dai  Lucani  erano  nati.  Di  qui  avvenne ,  che  il  confolo 
L.  Volunnio  prellb  Livio  per  indagare  ,  quali  foflèro  i 
difcgni  de' nemici,  mandò  nel  loro  campo  fpie,  che  in- 
tendevano la  lingua  Ofca ,   vale  a  dire,  la  lingua,  che 

L  San- 


ti) lìxtii'  J'e  TO  i^tv  rrpos  TVppiiVMii  Oviy.ct  ^  xat  rrpuTiptiv  ^  xm  r^f  x.ttXni/.H'Cl 
fiutoni  .     Arìfl.   Polh.  lib.  Vili.  e.  io. 

(2)  Aprio)^ii  f/,111  HI,  ^^a-i  rni:  X'^i"-"  Tawr»;'  O-ar/.m  oixno-m  ,  tktik  S'i  xxi 
Aj3oya<  x«\i$ai.      Strab.   l'ib.V. 

(?)  TloWjffai  J-e  (jj,i^,vi,  Im  iii'it  !'Ou:(ù>y  Taura  .  Otikus  yp  pi"  3  '-«'  ^'^'" 
ro,ui  oiKiiy  ri/y  x'^P"'  TavTìie  iripi  Toy  xpccmpce  ,     Strab.  ib. 


to6 

ì  Sanniti  parlavano  (i).  Ed  Ennio,  il  quale  dì  fé  fo- 
lca dire ,  che  avea  tre  cuori ,  perchè  tre  lingue  parla- 
va, la  latina,  la  greca,  che  era  la  favella  della  Magna 
Grecia ,  e  V  Ofca ,  che  era  la  lingua  di  Rudia  ,  vale  a 
dire  de' Pugliefì  (2),  chiamava  bilingui  i  Bruzj^  perchè 
parlar  foleano  or  ofca,  or  greca   favella   (3). 

Cade  qui  in  acconcio  ofTervare  ,  che  quelli,  i  quali 
nella  più  alta  antichità  furono  Opici  appellati ,  vennero 
in  tempi  pofleriori  ad  avere  il  nome  di  Ofci .  I  Latini 
additar  volendo  i  difcendenti  degli  Opici,  lor  diflero  al- 
la maniera  del  paefe  Opiscl  dapprima  ,  ed  accorciando 
poi  in  due  fillabe  quello  nome,  Opsci  li  chiamarono  , 
e  finalmente  Osci  .  Poiché  per  teftimonianza  di  Fello 
Opsci  leggevafl  in  tutti  gli  antichi  libri,  ed  ei  lo  pruo- 
va  coir  autorità  di  Titinnio ,  e  d'  Ennio  (4) .  E  Servio 
comentando  un  luogo  di  Virgilio  ,  ove  degli  Ofci  fi 
parla ,  facendo  falfamente  difcendere  quello  nome  dalla 
greca  voce  ,  che  dinota  la  ferpe  ,  motlra  di  ellèr  per- 
fuafo,  elfere  Opici,  ed  Ofci  una  niedefiraa  cofa  ,  giac- 
che r  oji  de'  Greci  può  ben  avere  qualche  relazione  con 
Opici ,  ma  con  Ofci  non  già ,  fé  Ofci  non  è  un  accor- 
cia- 
ci) Gnarosgue  Ofcs  l'inguic  exploratum  quid  agatut ,  mìtili.  Liv.  ìib.  X. 
(2)  Quod  loqu't  grxce  &  ofee  &  Ialine  farei . 

(?)  BUingues  Brutates  Ennius  dìx'tt ,  quod  Brutil  &  o/ce  &  grxce  loqui  fo- 
litì  fmt.    Feft.  V.  Ofci. 

(4)  In  omnibus  fere  antiqui!  commentariis  fcribitur  Opfcum  prò  Ofco  ,  ut  in 
Titìnnii  fabula  Qiùnto  :  Qui  Opfce  ,  &  Voìfce  fabulantur  ,  nani  latine  nefciunt. 
E  poco  dopo  :  Ofcos  quos  dicimus  ,  ait  Verrius  Opfcos  antea  dicìos ,  tejìe  En- 
nio ,  quum  dicat  :  de  muro  rem  gerit  Opfcv.s  .  Leggaafi  le  aaaotazioui  dello 
Scaligero  su  quefto  luogo  di  Fefto. 


207 
ciamento  di  Opìci  (i)  •  Infatti  Stefano  Bizantino  dall' 
Ofi  racconta,  che  alcuni  il  nome  di  Ofci  traevano  (a). 
Keftringendonii  intanto  agli  Opici  foli  della  Campa- 
nia ,  confinando  quefti  col  paefe  de'  Volsci  di  là  dal 
Liri ,  ebber  tutte  le  terre  ,  che  fono  di  qua  ,  e  di  là 
dal  Volturno  ,  inoltrandofi  lungo  la  riviera  fino  alla 
fpiaggia,  ove  furono  edificate  Cuma,  Partenope  ,  Erco- 
lano,  e  Pompei.  Infatti  Cuma  è  negli  Opici,  o  fia  nell 
Opicia  pofla  da  Tucidide  (3)  ,  da  Dionifio  Alicarnas- 
seo  (4),  e  da  Paufania  (5),  e  negli  Opici  ripofe  il  va- 
go e  profondo  porto  di  Mifeno  lo  fleffo  Dionifio  (6)  ; 
e  di  Ercolano ,  e  di  Pompei  afferma  Strabene ,  che  i  pri- 


(0  Capuenfes  d'tcit  ,  qui  ante  Ofc't  adpellatì  funt  ,  gitod  illìc  plurimi  aHuri' 
davere  ferpentes  .     Serv.  in  VII.  iEaeid. 

Ci)    Steph.    ■jnpi  'TToXiUf  V.   Ocry.oi   :     ì^vi;  Itx\i«ì  '   yK^sat/!  a'JVi}j.ii,K9'   oìS'i., 

ori  optMi ,  cmo  tav  opfuv .  Il  Cluverio  vide  qui  una  laguaa .  Alcuni  volle- 
ro riempierla  così:  oì  y.ey ,  ori  yKcirous  auyeyA'^xy  ,  ot  ìe  ec.  Ma  donde  dun- 
que dilcenderà  la  voce  Ofci  ,  fé  la  ragione  del  nome  è  il  mefcolamento 
delle  lingue?  II  Betchelio  vide  la  difficoltà  ,  e  cercò  di  dileguarla  leg- 
gendo:  0/  //£!',  ori  yXaaoa.;   a-Jt'ifjii'^x/ y  octto  m  oiro;  '  oì  S'i  e.  Ma   derivandofi 

quefto  nome  wjo  tv  o'jof ,  o  fia  dalla  voce,  dov'è  l'idea  del  mefcolamen- 
to, che  Ci  fuppone  la  cagione  del  nome?  E  bifognava  oltracciò  far  inten- 
dere, in  che  modo  fi  fuppone,  che  gli  Opici  mifchiaflero  le  lingue  .  Mi- 
fchiarono  la  lingua  loro  con  quella  degli  Aufoni ,  e  degli  Aurunci  ,  ri- 
fponde  il  Berchelio.  Ciance  :  erano  tutti  e  tre  la  fteffa  nazione,  e  parla- 
vano la  medefima  lingua . 

(0  Z«j'x\)/  S'i  rit/  (/Alt  apolli'  «Va  Kufun  Tvr  fv  omxia  ^/^a^x.iS'txiii  •^oKtas 
Mi-ay  eèifiKO[iiyuy   axiòai  .      Thucyd.    lìb.  VI. 

(4)  i^>Jf/.mi  <r;;j'  ìv  Ottixois  Ewiii'ii'x  woKiy  ,  iiv  'Efirpuii  ti  xxI  ^«Xi<(<res 
'xriaar  .     Dionyf.  lìb.  VII. 

(5)  Tfirixf  S'i  ol-KiTiiv  oì  (iiv  KiK/Siìay  fttfiZxt  yiyaaiy  ,  à<piy.o(iivov  «Ts  e» 
Ki/^»j  T»f  fV  o'!Tix.ois .     Pau.fan.  liò.VII.Jn  ^chaicis^. 

(ó)  ExeiSs/  S'i  y-xiaùccnei  m  hifin'u  xuKoy  x.cti  /SaSuy  ìy  Otixji.- ,  rsKfJTi- 
<r«yro<  x«/  auToit  Mianyit  TtfJ  ìwKcayay  Tivos  ,  «tt'  (Httyii  tov  My.(iK  (>!vvj.xcuy  • 
Dionj/f.  HO.  VII, 


2  08 

mi  ad  occupare  que' luoghi  furono  gli  Ofci  (i).  Il  qua- 
le accuratiffimo  geografo  le  iinprefe  narrando  ,  che  dei 
Rodiotti  fi  fpacciavano  ,  riferifce  fra  le  altre  di  aver 
fondato  Partenope  negli  Opici  ,  ed  Elpis  nel  paefe  dei 
Daunj,  coll'ajuto  de' Coi  (2).  Il  che  fu  da  Stefano  Bi- 
zantino  qua  fi   colle   fteffe   parole   ripetuto   (3)  . 

Ma  poiché  le  popolazioni  ,  che  diramate  dagli  Opici 
fi  erano  in  varj  luoghi  flabilite  ,  aveano  prefo  diverfì 
nomi  :  quindi  a  parlare  con  proprietà  venne  a  reilrin- 
gerlì  rOpicia  di  qua  dal  paefe,  ov' erano  i  Leflrigoni, 
gli  A«fonj,  gli  Aurunci^  e  i  Sidicini.  Imperciocché  ri- 
tenendo il  nome ,  che  era  flato  generico  da  principio  , 
gli  Opici  foli  ,  che  dal  ponte  campano  sul  fiume  Sao- 
ne  fino  al  mare  ftendevafi  ,  tranne  folo  la  fpiaggia  di 
Leuternìa  ,  il  nome  di  Opicia  diventò  proprio  di  que- 
fla  fola  regione  . 

Non  goderono  però  gli  Opici  lungo  tempo  in  pace 
le  terre  al  mar  più  vicine.  La  colonia  Calcidefe  ,  che 
venne  a  piantar  fede  sulla  noftra  maremma ,  non  potè  al 
certo  fenza  contratto ,  difcacciarne ,  ma  ne  difcacciò  finalmen- 
te gli  antichi  abitanti ,  e  fondò  Cuma ,  che  è  a  giudizio 
di  Strabene  la  più  antica  delle  colonie  Greche  venute  in 

Si- 


(l)  OiTKOf  Si   tìycl'  TaVTiiV  {Hctcuìantum')  xxt  thv  ìfi^iK  TOiiirccmV  ^  vV  'ira* 
f-appti  0  '2v.pi/os  -TTOTafiO!  .     Strab.  lìb.  V.  pag.  ^78. 

foy  mceas-xKiaTeti   y.uTi^^oy  '    in  Si  toh  O'ùikois  .tiiv   Ylaprivoinit  ,    ir  Si  Aauyioi' 
(iiraxrooy   Exir/«<  .     Srrab.  Uè.  XI(^. 

(3)  Steph,  V.   Tlcep^iyoiri!  :  itoKa  sr  Qwmoti  rm  lT«\<«f,  XT/uft»  foSiayt 


209 

Sicilia,  e  in  Italia  (i).  Crebbe  poi  quefta  Citta  in  ricchez- 
za e  potenza  col  commercio  del  mare ,  e  cercò  di  llen- 
dcre  dentro  terra    il  fuo  imperio  ,    e  di  difcacciare  gli 
Opici  dal  poffeilb  delle  più  belle  e  fertili  terre  dcirOpi- 
cia  .    Non  poterono  però    fenza  verfar  molto  langue    i 
Cumani  forzare  quegli  uomini  famofì  per  la  lor  gagliar- 
dìa  ad  abbandonare  in  balla    de'  novelli  ofpiti    il  natio 
fuolo:  ma  vinfero  alla  fine  uomini,  che  non  àveano  ne 
arte ,  ne  difciplina ,  ne  fortificate  Città ,  ma  viveano  fparu, 
come  ne   afllcura   Dionifio  di  Alicarnaflo   (2)  qua.    e   là 
in  piccioli   villaggi ,  ed  altro  oppor  non  fapeano  all'arte 
bellica  de'Fenicj ,  o  Greci ,  fé  non  i  petti  loro ,  ed  un  indo- 
mabile coraggio.    Da  quefta  guerra,  che  non  dovette  ef- 
fere   né  leggiera ,   ne  breve ,  e  dovette  anzi  più  volte  , 
e  fenipre  con  maggior  rabbia  rinafcefe,   fiirfe  nella  fan- 
tafia   de'  Greci   la  favola  de'  giganti   domati  da  Ercole ,  i 
quali  fcuotono  di  continuo  la  fovrappofta   terra  ,  e  col 
loro  fiato  le  vicine   campagne  abbronzano  (3)  . 

I  poeti  confufero  gli  avvenimenti  della  guerra  ,  che 
vollero  rendere  maravigliofi,  con  i  fenomeni  delle  vul- 
caniche  eruzioni,   che  in  quc' contorni  offervarono  .   Ma 

27  la 

(t)  T[x7CùV  yxp  fri  'rpiclìvraTit  Tav  re  ^r/.=Kiy.(x:y ,  /.ut  tiiv  iTay.nnri^xy  , 
Strjb.  liù.  V. 

(2)  Koui/^oy  XXI  ciripxS't--  .     Dìonyf.   Hi.  I, 

(?)  Abbiam  veduro  di  fopra  quefto  racconto  di  DioJoro  Sicolo .  Si  pub 
leggere  ancora  ApoUodoro  liù.].,  Ovidio  nelle  Metamorfofi  Hi.  I. ,  eClau- 
diano  neUi  Gigantomachia ,  Silio  Italico  reca  in  quefli  tetiiiini  l'antica  tra- 
dizione : 

Tradi'.nt  Herctilea  proflratos  mole  j;i^^aiìtes 
Tellarem  injfSam  quatere ,  &  (piram'in;  anhelo 
Torreri  late  campos  .  .  .     Lib.  XII. 


210 

la  verità  è,  come  oilècvò  faggiamente  anche  Strabene  (iL 
che  la  favola  degli  ard  campi  ,  e  della  fconfitta.  de'oi- 
ganti  non  ad  altro  fi  vuol  riportare  ,  che  alle  lunghe 
contefe  eli  confinanti  popoli  ,  che  il  pofleflb  fi  contra,- 
flarona  a  vicenda  di  un  Aiolo  sì  ubertofo. ,  e  felice  .  I 
contrafiati  campi  fi  difiero  flegrei  dai  Greci ,  o  fiano  ar^ 
denti  a  cagione  de'  fotterranci  fuochi ,  che  nelle  vicinaa- 
ze  ancora  fi  fcorgono  :  ma  furon  pofcia  in  man  de'  Cu- 
mani  conofciuti  fotto  il  nome  di  agro,  o  campo  cuma- 
no .  I  Latini  lo  chiamarono  Lahorie  ,  e  campi  Labori- 
nf ,  o  Leborinì  (2)  . 

Or  eiTendo  il  campo  flcgreo^  e  il  campo  cwnano  una 
mcdefima  cofa ,  che  le  Laborie  ,  non  è  diflicile  indovi- 
nare,  qual  fofle  il  territorio  in  quella  parte  dall'Opicia 
fl:acca$o,  ed  occupato  dai  Cumani.  Imperciocché  le  ia- 
borìe  ^  ficcoire  Fhnio,  (3)  attefla ,  erano  terminate  da  lui 
lato  dalla  via  confclare,  che  da  Pozzuoli  a  Capua  coa- 
duceva  .,  e  dall'  altro  da  quella  ,  che  alla  fl:eflà  Capua 
conduceva  da  Cuma .  La  qual  confinazione  aflegnata  alle 
Laborie  da  Plinio,  e  in  confeguenza  al  campo  flegreo , 
è  fiata   ben  a   torto  di  poca  accuratezza   accagionata  dil 

Clu- 


(1)  K«/  TO  tpKeyfa:ov  xaKtutuor  "ritùtov  ,  ty  a  tu  ':npi  Tt«  yiyavTus  f^i/iiiiatr >■ 
àx.  à\>.!>iiv  ,  US  tixos  ,  hK\' ìx.  tu  ■:Tepiux,vi:To:'  TUf  jJ-iv  iivxi  ìi  apiiay  .  Strab- 
Ijb.  V.  pag.  378. 

(i)  Quantum  autem  e  ampia  circum  campanai  un'tverfas  tenas  aniectà'it ,  tan- 
tum ipfum  pars  eji'.s ,  qux  Labona  vocantnt ,  quem  Phlegrxu.m  Gr.xci  adpellanr. 
Plin.  Hift.  Nat.  lib.  XVIIL 

(3)  Finìnntur  Labattcc  via  ab  utroqae  ìatere  con/alari ,  ^nx  a  Puleclir,  &" 
qus  a  Cum'ts  Capuam  ductt,     Plin.  ib. 


tir 
Cluverio  (i),"  e  clal  fagaciffimo  indagatore  delle  antichità 
Campane  Cammillo  Pellegrini  (a)  pienamente  illuftrata, 
e  difefa  .  Riftretto  così  tra  le  due  flrade  confolari  il 
territorio  Cumano ,  da  quel  lato ,  che  il  mare  risguarda, 
rOpicia  tutto  il  refto  abbracciò  fino  al  ponte  Campano, 
toltane  la  picciola  fpiaggia  de'  Leuternj  ,  e  quella  ove 
fu  dagli  fleffi  Calcidefi  di  Curaa  edificata  Parteoope  (3). 


(i)   Gecgf.  Ant.  lìb.  ÌV.  e.  2. 

(2)    jipparat.  Diff.  IL  e.  19. 

(5)  Quefto  era  precifameate  il  (ito  de"  Campi  Flegrei ,  e  delle  Laborie, 
come  lo  ha  Plinio  circofcritto.  Ma  una  tal  denomiaazione  fi  ftefe  a  poco 
a  poco  a  tutte  le  terre  vulcaniche ,  e  di  Angolare  fertilità .  Così  Pulibio 
chiama  Campi  Flegrei  le  terre  ,  che  fono  intorno  a  Capua  ,  e  a  Nola  : 
<r«  (f,\iyf>aix  Tori  Kv.K>:[/.iyx  Tct  mfi  K«-yj;i' ,  -/.ai  NsK»//  TreS'ia  .  Hilì.  tiù.IJ.c.17. 
E  campo  flegreo  è  chiamato  1'  agro  vefuviano  da  Diodoro  Siciliano  lib.lV. 
e.  21.,  e  per  lo  vulcano,  che  vi  è  ,  e  per  la  fertilità,  di  cui  gli  è  cjgio- 
ne  .  Non  altrimenti  il  nome  di  Laborie,  e  di  campo  Laborìno  fu  trafporta- 
to  a  tutte  le  terre,  che  fono  di  qua  dal  Clanio,  e  che  da  Acerra  fi  ften- 
dono  fino  al  mare  >  chiamate  pofcia  coftantemenre  Liburia  ,  di  cui  fa  co- 
me capo  Atella  ,  e  che  il  foggetto  fu  di  tante ,  e  sì  oliinate  contele  ne' 
fecoli  balTi. 


215 

ORIGINE    E   PROGRESSI 

DELLA  LETTERATURA  E  DELLE  BELLE  ARTI 
PRESSO  I  ROMANI. 

MEMORIA 

DI 

ANGELO  MARINELLI 

Profcflòre  di  Letteratura  antica  e  moderna  nell' Univerfita. 

degli  Studj   di  Napoli  . 

Letta  nella  Seduta  de'  30..  Maggio   1809 


y^ppcna  che  i  Greci  tratti  dalle  fpelonche ,  furono  ri- 
dotti in  Società  ed  iftruiti  nella  Religione  ,  il  videro 
fenfibilmente  fiorire  tra  loro  le  Eelle  Arti ,  e  da  un  luo- 
go air  altro  di  quella  terra  beata,  fpanderfi.  i  lumi  in 
modo  prodigiofo  .  I  Romani,  al  contrario,  quantunque 
profittar  poteflero,per  incivilirfi  ,  della  coltura  dell' Etru- 
ria ,  delle  Colonie  Italo-Greche,  e  della  Sicilia,  pure, 
occupati  delle  conquifte ,  ed  intenti  a  portare  il  ferro  , 
il  fuoco ,  il  terrore  ,  e  lo  fterminio  tra  le  popolazioni 
circonvicine,  recarono,  per  lo  fpuzio  di  cinque  fecoli, 
involti  nelle  tenebre  dell'  ignoranza  . 

Ad 


214 

Ad  onta  tuttavolta  di  tal  verità  irrefragabile,  il  Si- 
gnor Abate  ]e  Moine  d'Orgival  in  un  fuo  opufcolo  fi 
sforza  di  perfuaderci  clie  i  Romani,  fin  dalla  fondazio- 
ne della  loro  monarchia  ,  fi  difìinfero  per  le  fcienze  e 
per  l'atfe  oratoria.  Se  evvi  chimera,  o  paradofTo  ,  V  è 
queflo  certamente  .  Poiché  Cicerone  che  ci  ha  ìafciato 
una  floria  compiuta  di  coloro  che  fino  al  quinto  fecole 
montarono  sulla  tribuna  tlelle  arringhe ,  non  trova  in  eflì 
alcun  vefligio  di  quel!'  eloquenza ,  che ,  regolata  dall'arte, 
domina  su  i  cuori,  e  coflituifce  il  perfetto  oratore.  la 
fatti,  un  popolo  ch'era  foldato  per  neceffità  ,  per  edu- 
cazione, per  fiQema  di  governo  ,  per  pofìzione  di  fla- 
to ,  per  efempio  dei  vicini  ;  un  popolo  cui  più  grato 
riufciva  lo  squillo  fragorofb  della  tromba  guerriera ,  che 
il  dolce  fuono  della  lira  di  Apollo  ;  un  popolo  prefTo 
il  quale  la  nobiltà,  gli  onori,  le  magiftrature ,  i  titoli, 
le  flatue  ,  i  trionfi  ,  le  ricchezze  non  accordavanfi  che 
all'arte  militare;  un  popolo  finalmente  nel  cui  petto  fa 
sx  bollente  V  amor  della  rapina  ,  che  per  afferzione  di 
Servio,  il  commentator  di  Virgilio,  un  tempio  innalzò  a 
Giove  Predatore,  come  mai  coltivar  poteva  una  facoltà 
che  e  ftudio,  e  tempo,  e  molti  lumi  ricercar'  In  oltre 
affinchè  la  vera  eloquenza  fiorifca ,  evvi  bifogno  di  una 
lingua  già  formata,  ricca,  fleffibib,  e  mclodiofa  .  Or 
chi  non  sa  che  a  Roma  fino  alla  feconda  guerra  Puni- 
ca ,  non  parlavafi  ne  Greco  ,  ne  Latino  ,  e  che  vi  fi 
cinquettava  folamente  l'antico  dialetto  italo,  o  fia  ofco, 
dialetto  barbaro,   tronco,  e  difìulatto  all'armonia  dell' e- 

lo- 


Zlf 

locuzione?  Quindi  Polibio  ci  h  fovvcnire,  che  nel  tem- 
po in  cui  cfib  era  occupato  a  tcffère  la  Storia  Romana, 
molta  diftlcultà  incontrò  a  trovare  in  quella  capitale  un^ 
o  due  pcrfone,  le  qu.^li ,  quantunque  verfatininie  negli 
annali  del  loro  piclè  ,  foflero  in  iftato  di  fpiegare  al- 
cuni trattati  che  i  Romani  avevano  conchiufi  con  Car- 
tagine ,  e  che  erano  {lati  per  confeguenza  da  loro  fcrittt 
nel  patrio  linguaggio .  Ed  in  conferma  del  mio  aminto^ 
giova  ricordare  che  avendo  clll  bifogno  di  leggi  ,  non 
folamente  furono  corretti  ad  inviare  Deputati  nella  Gre- 
cia per  farne  raccolta  (i),  ma,  aflìn  d'  interpretarle  , 
fu  loro  meflieri  di  aver  ricorfo  ad  un  certo  Er modero 
uom  Greco  ,  al  quale  in  ricompenfa  una  llatua  innal- 
zoflì  nel  foro  .  Fuic ,  dice  Plinio ,  et  Herinodori  Ephe/ìi 
(  Jiatua  )  legum ,  quas  Decemviri  fcribcbivit ,  interprcds 
puhLice  dicala  .  Ma  per  rapporto  alla  loro  rozzezza  , 
qual  argomento  addur  puoftl  maggiore  di  quei  chiodi 
che  per  fare  la  numerazione  degli  anni,  o  per  fegnare 
gli  avvenimenti  più  flrepitofi  dell?  Repubblica ,  fi  con- 
ficcavano folennemente  d;il  Pontefice  o  dal  Dittatore  , 
nelle  pareti  del  tempio  di  Giove  Ottimo  Maffimo.'  Che 
diremo  di  quell'uomo  zotico,  e  grofTolano  del  Confole 
Mummio  ,  il  quale  dovendo  far  trafportare  da  Corinto 
,  a  Ro- 


(i)  Non  s' ignon»  che  Giimbatrifta  Vico  lulli  fai  ScL-ìiza  nuova  inumo 
a'.ì.r  ìi.iturj  d:l!c  cefi  lia  mcfTo  in  forfè  quello  fatto  ;  ma  il  dotto  Avvocato 
Antonio  Terraffon  in  una  delle  fue  memorie  inferita  negli  atti  dell'Acca- 
demia delle  Ifcrizioni  Tcr,i.  XII.  l' lia  dj'sfo  v.i  modo,  che  fembra  non  pa- 
MrfsQc  più  dubitare . 


Ì1&  > 

a   Roma  i  capi  d'opera  di   Ariflide,  di  Zeufi,   di   Par- 
rafio,  di  Timante,  di   Fidia,  di   Mirone,  e  di  Prafllte- 
le,  minacciò  i   noleggiatori,  che   fé   alcune  di  quelle  fla- 
tue  e  pitture  fi   foflero  difperfe  o  guadate,  obbligati  gli 
avrebbe  a  farne  lavorare  un  numero  eguale  a  loro  fpefe  ? 
Che  diraffi   dell'ignoranza  afibluta   in  cui  effi  furono  in- 
torno alla   divilìone  delle  ore  del  giorno  e  della  notte, 
e  della   mancanza   ancora  d'  ogni   iiìrumento  per  la  mi- 
fura  del   tempo?  Giacche,  fìccome  ognun  sa,  l'orologio 
folare  e  la   cleflldra ,  non  furono  che  dopo   la  conquida 
della  Sicilia  e  della  Grecia ,  T  uno  da  Valerio  Meifala , 
e  r  altra  da  Scipion  Nafica  ,   in   Roma  introdotti   .    In 
fomma,  egli  e  fuor  di  dubbio,  che  per   500   anni,e{ri 
ron  conobbero  ne  grammatica  ,   ne  poefia ,  ne  floria ,  ne 
eloquenza,   ne  filofofia ,  he  divilìone  di  tempo.    Alcune 
canzoni   ruflicane,   i   libri   fibillini   opera   dell' impollura  , 
gli   annali   dei   Pontefici   fcritti  in   uno   ftile   fcabro    e  di- 
giuno, la   fcienza   militare  ,    finalmente  1'  arte  di  prefa- 
gire   il    futuro   dal   volo   degli   uccelli  ,   e  dalle   interiora 
delle  vittime,  arte  ch'apparata  avevano  dagli   Etruschi, 
formarono  tutta  l'Enciclopedia  de'  primi  Romani  .   Non 
fia    dunque   maraviglia ,   {<i   attefa   la   loro   idiotaggine ,   e 
la    mnncanza   degli   fcrittori  ,    la   floria   dei   primi   cinque 
fecolì  di   Roma   fia  incerta,   romanzesca,  e   favolofa  .  In 
effetto,   il   ratto   delle   Sabine,   il   prodigio   operato   dall 
augure  Nevio  ,    1'  eroismo  di   Clelia  ,    1'  afTedio  tolto  a 
Roma   da   Porfenna    per   1'  audace   intrepidezza   di   Muzio 
Scevola ,  i  trecento  Fabj ,  che   trucidati   nello  fteflb  gior- 
no 


217 

no  a  Cremerà^  non  avevano  tlclla  loro  numerofa  fimi- 
glia  lafciato  in  Citta  che  un  fole  fanciullo,  il  fatto  di 
Attilio  Regolo  chiufo  dai  Cartagine^  in  una  gabbia  guar- 
nita di  ferri  acuti,  fono  forfè  tratti  di  lloria  abbaftan- 
7.a  iìcuri  ? 

Vaglia  però  V  onor  del  vero  :  dopo  efièrfi  da  loro 
domata  T  Etruria ,  la  Magna  Grecia ,  e  la  Sicilia ,  molti 
uomini  culti  di  quelle  regioni,  abbandonati  i  loro  vinti 
focolari ,  eflendofl  trasferiti  in  Roma  ,  incominciarono  a 
deftare  negli  animi  dei  vincitori  il  defiderio  delle  lettere. 
Quefta  fa  l'epoca  nella  quale  i  Romani  prefero  in  qual- 
che modo  a  dirozzarli .  Poiché  que'  fieri  conquiflatori  ve- 
dendo che  i  popoli  foggiogati  ,  erano  da  più  di  loro 
nelle  fcienze  e  nelle  arti  ,  fé  lo  recarono  a  fcoriio  ,  e 
per  quella  ragione  fi  dettero  a  favoreggiarle  .  A  quel 
tempo  adunque  fu  che  la  Poefia  ,  la  quale  figlia  dell' 
immaginazione  ,  fi  vide  fempre  fiorire  la  prima  innanzi 
nd  ogni  altra  coltura,  ammirar  fece  su  i  teatri  di  Ro- 
ma le  favole  di  Livio  Andronico,  di  Nevio,  di  Ennio, 
di  Cecilio  ,  di  Pacuvio ,  e  di  Accio .  Ma  quefli  Poeti 
erano  tutti  flranieri,  Infubri,  cioè ,  Calabri ,  o  Siciliani. 
Quindi  fi  rileva  ad  evidenza  che  i  Quiriti  non  furono 
dei  loro  primi  lumi  ad  altre  genti  debitori ,  che  all'  Ita- 
lia debellata  » 

Maggior  corredo  di  cognizioni  penetrò  tutta  volta  in 
Roma,  dopo  la  conquifta  della  Macetlonia .  Poiché,  da- 
tiCi  per  tale  vittoria  l'indipendenza  ai  Greci,  molti  di 
ooftoro,  premurofi  di  corteggiare   da  vicino   i  loro  pre- 

28  refi 


tefi  liberatori  ,    a   Roma  fi  trasferirono  .  E  già  i  belli- 
cofi   figli  di  Quirino,  eccitati  da  quefti  ofpiti  novelli   , 
fi   accingevano  ad  emularli    nella  coltura  dello  fpirito  , 
quando  ecco  che  alla  fine  del  quinto   fecolo,  il  Senato 
un  decreto  emanò    in  forza    del  quale  i  filofofi  ,    ed  i 
Jletori  furono  cacciati  dalla  Citta .   Poiché  temevan  forte 
quei  Padri   Cofcritti ,  che  lo  fìudio  delle   lettere  dillor- 
naffe  la  gioventù  dall'amor  delle   armi,  e  delle  conqui- 
de .    Ma  quefta  nafcente  paffione  delle  fcienze  ,    lungi 
dall' intiepidire  per  tale  feverità,   quindi  a  poco  crebbe 
maggiormente  all'  arrivo  di  Cameade ,  di   Diogene ,  e  di 
Critolao.   Quefìi  tre  Filofofi  venuti  a  Roma   per  implo- 
rare dal  Senato    la  diminuzione    della  multa    alla  quale 
Atene  era  fiata  condannata    pel    faccheggio    da   lei  dato 
alla  Città   di  Oropo  ,    produffero  una  fpecie  di  rivolu- 
zione  negl'animi  dei  Romani.   Si  corfe  da  tutte   le  parti 
per  afcokarli.   Si  diitinfero  nella  folla  Lelio,   Furio,  e 
Scipione,   quello   fìeflb    che   fa   in   appreflb  cognominato 
1    Africano  .     La   luce   fcientifica   già   sfolgoreggiava   agli 
occhi  di  tutti ,  allorché   M.   Porcio  Catone   il  Cenfore  , 
temendo   per   la   patria ,   raccolfe   il   Senato ,   e   così   a  un 
di  prefTo  gli   parlò: 

„  Padri  Cofcritti,  i  Deputati  che  Atene  ha  qui  fpe- 
„  diti ,  minacciano  grave  danno  alla  noflra  Repubblica . 
,,  Poiché  nel  tempo  che  fono  in  quella  Città  rimafi  , 
„  hanno  con  i  loro  sofismi,  e  con  un  parlar  prefìigio- 
„  fo  fìravolta  la  mente  della  gioventù  Romana .  La  mo- 
,.,  rale  ,    e  la  coflituzione    dei  noilri  antenati    fono    in 


zip 
,,  pericolo  .  Io  fìeflb  ho  intefo  Cameade  far  gli  elogj 
„  della  giuftizia  ,  e  quindi  a  poco  vituperarla  come 
„  perniciofa  alla  Società  .  Da  per  tutto  Ci  eleva  agli 
„  aftri  l'eloquenza  di  Cameade.  I  Greci  filofofi,  inlx- 
„  nuandofi  artificiofamente  nei  cuori  de' giovani,  gli  ac- 
„  cendono  all'amor  delle  lettere  ;  e  coftoro  ,  preiì  da 
„  entufiasmo  ,  fono  già  per  abbandonare  le  cure  mili- 
„  tari ,  e  volgerli  allo  Audio  della  filofofia .  Ditemi  di 
,,  grazia ,  o  Padri  Cofcritti ,  i  noQri  maggiori  s'  impa- 
„  dronirono  forfè  dell'Italia,  apprendendo  le  fcieuze  , 
„  o  battendoli  colle  armi  alla  mano?  Hanno  elTi  trion- 
„  fato  degli  Equi ,  dei  Volsci ,  degli  Etrufchi ,  dei  Marll , 
,,  dei  Sanniti ,  dei  Lucani ,  e  dei  Siculi ,  coli'  infievolirli 
„  su  i  papiri ,  o  col  combattere  e  coli'  efercitare  i  mu- 
„  fcoli  i  foli  garanti  della  libertà  ?  La  guerra  ci  fece 
„  potenti.  Quella  ha  renduto  il  noftro  nome  formida- 
„  bile  a  tutti  i  popoli .  Quella  è  la  profeflìone  degna 
„  dei  Romani  .  Per  legge  del  noftro  Padre  Quirino  le 
„  arti  liberali  fi  lafciarono  agli  fchiavi  ,  perchè  furono 
„  da  eflb  riguardate  come  indegne  di  uu  popolo  libero 
„  e  foldato .  Qual  vergogna  dunque  è  mai  quella ,  che 
„  i  difcendenti  de'  Camilli ,  de' Cincinnati,  de'Curj,  e 
„  de'  Fabrizj  che  fi  videro  dall'  aratro  pafiare  al  coman- 
„  do  delle  legioni  ,  fi  ammollifcano  collo  iludio  delle 
„  fcienze  ?  Cacciate  dunque  dalla  Città  ,  o  Padri  Coscritti , 
„  i  filoCbfi  che  cercano  d'introdurre  tra  di  noi  le  loro 
„  fette,  e  per  confcguenza  la  divifione  ,  e  la  debolez- 
„  za  .    Cacciate   via   i  Retori   che  diftraggono  i  giovani 

*  „  daU'e- 


220 

,,  datr  efercizfo  delle  armi  ,  e  deprìmono  i  fentimentì 
„  fublimi  e  feroci  ,  che  formano  il  carattere  della  na- 
„  zione  .  Imitiamo  i  nolìri  antenati  che  colle  armi  ci 
„  rendettero  Sovrani,  piuttofìro  che  quei  popoli  che  col- 
t^5  le  lettere  divennero  nollri  fchiaAi.   Bandita  con  Ìcqoq 

DO- 

„  i  filofofi  ed  i  Retori ,  e  quelìa  legge  figlia  della  vo- 
„  lira  faggia  politica,  deciderà  per  feiiipre  della  gran- 
„  dezza  del  nome   Romano . 

Il  difcorfo  di  Catone  produfTe  negli  animi  dell'  As- 
semblea un' impreflìone  sì  forte,  che  disbrigato  in  fretta 
1  affare  di  Oropo ,  furono  gli  Ambafciadori  congedati  . 
Quindi  ordinoffi  al  Pretore  Pomponio  di  vegliare  che 
Jie  fllafbfì ,  ne  Retori  in  Roma  efifteflèro ,  e  contro  di 
loro  fi  emanò  quel  famofo  decreto  confervatoci  da  Aulo 
Gelilo  ad  eterna   memoria  della  cofa . 

Coloro  che  fottofcrilTero  quel  Senatusconfulto  ,  erano 
Bea  lungi  dal  fofpettare  che  on  giorno  le  opere  di  Ci- 
cerone ,  il  poema  di  Lucrezio  Caro  ,  le  poefie  di  Ora- 
zia  e  di  Virgilio ,  le  elegie  di  Tibullo ,  le  metamorfofì 
di  Ovidio,  gli  epigrammi  di  Catullo,  le  illorie  di  Tito. 
JLivio,  di  Salluftio,  e  di  Tacito,  avrebbero,  più  chg 
le  ampie  conquide,  fatto  onore  al  nojiie  Romano.  Che 
anzi  la  pofterith  non  avrebbe  potuto  dillaccare  gli  oc- 
chi attoniti  dalle  opere  immortali  degli  autori  fuoi  ,  e 
gli  avrebbe  con  raccapriccio  rivolti  altrove  al  leggere 
tante  carnificine,  tanti  faccheggi  ,  tante  rapine  ,  tante 
defolazioni  da  quel  popolo  ambiziofo  cagionate  al  ge- 
aere  umano  .. 

Ma 


212 

Ma  donde  mai  derivò  un  sì  grande  accanimento  del 
Senato  contro  le  lettere?  L'  eloquenza  poteva  tutto  in 
Atene .  I  Patrizj  che  comandavano  in  Roma  ,  temero- 
no che  efla  vi  efercitafle ,  con  loro  discapito  ,  la  me- 
defima  influenza.  Loro  dunque  parve  più  facile  lo  fcac- 
ciare  i  Retori  ed  i  Filofofi  ,  che  il  divenirlo  .  Ma  la 
prima  imprefl'ione  era  già  fatta  ,  ed  ali'  indarno  iì  rin- 
novellò  il  decreto  di  profcrizione  contro  i  letterati.  Lo 
fliidio  delle  fcienze,  perchè  proibito  ,  fu  con  maggiore 
ardore  coltivato  dalla  gioventù  .  Il  tempo  moftrò  che 
Catone  ed  i  Padri  Cofcritti  aveflero  mancato  di  previa 
denza .  Elfi  trapaiTarono ,  ed  i  giovani  che  fi  erano  fo- 
gretamente  illniiti,  loro  fuccedendo  nelle  pr.in:ie  cariche , 
fi   dichiararono  a  prò  delle  lettere... 

Ma  fopratutto,  allorché  al  principio  del  feilo  fccolo 
Cartagine  cadde;  allorché,  al  cader  di  quella  orgog^ioia 
dominatrice  det  mari,  tutte  le  altre  potenze  furono  co- 
rrette a  piegare  il  collo  al  giogo  Romano  ;  allorché  fi 
fece  la  conquifla  di  tutta  la  Grecia;  allorché  fi  depofe 
ogni  timore  di  pericolo  eflerno ,  i  Quiriti  fi  videro  bril- 
lare nel  mondo  letterario  coirilìcfTa  pompa  che  brillato 
aveano  nel  mondo  politico.  Allora  la  grammatica,  la  poc- 
fia ,  le  fcieJize,  la  fìlofoiìa,  la  rettorica ,  tutto  corrifpo- 
fe  alla  grandezza  dell'  impero  di  Roma  .  Allora  tra  la 
fpoglie  delle  Provincie  conquillate  ,  fi  videro  con  for- 
prefa  i  retori  e  gli  artiflì  entrare  trionfanti  nella  Città 
di  Marte,  affisi,  per  così  dire,  sul  medeflmo  carro  del 
vincitore .   Allora   nuove  fcuole  il  aprirono  ;  la  lingua  fi 

for- 


formò  ;  fi  svilupparono  le  finezze  della  Rettorica  ;  fi  po- 
fero  in  luniinofa  veduta  le  bellezze  di  Omero,  e  fi  ri- 
accefero  gli  eftinti  fulmini  di  Demoftene ,  quei  fulmini , 
che  aveano  fatto  tante  volte  impallidire  sul  trono  Fi- 
lippo di  Macedonia .  In  forama  i  Romani  fcofll  dal  le- 
targo dell'ignoranza  in  cui  giacquero  per  lunga  pezza  di 
tempo ,  divennero  difcepoli  dei  Greci ,  ed  entrarono  con 
loro  in  gara  fcientifica  ,  dopo  efferfene  renduti  padroni 
colla  forza  delle  armi .  AlefTandro  il  Grande  metteva  fol- 
to il  fuo  origliere  i  poemi  di  Omero;  Scipione  vi  mile 
le  opere  di  Senofonte  . 

Graecia  capta  fcruni   vìciorem  cepk 

et  artes 
Intulit  agrefti  Latio  . 

Non  bifogna  però  darfi  a  credere  che  le  lettere  fia- 
no  Hate  in  Roma ,  egualmente  che  nella  Grecia ,  garan- 
tite e  protette  dal  Governo  .  Colà  il  principal  favore 
che  compartir  fi  potè  alle  mufe  ,  fi  fu  quello  di  loro 
accordare  un  asilo  pacifico  in  mezzo  al  fragor  delle  ar- 
mi .  Ma ,  per  quel  che  riguarda  la  loro  coltura  ,  efla 
fu  totalmente  abbandonata  alla  difpofizione  ,  ed  alla  li- 
bertà dei  Cittadini. 

A  molti  fcmbra  nulladimeno  che  Ottaviano  ,  raoflb 
da  idee  liberali  avefle  immaginato  di  fare  entrare  le 
lettere  nel  fuo  piano  di  governo  .  Ma ,  a  parer  mio  , 
bifogna  affatto  ignorare  la  furba  politica  ,  e  V  egoismo 
di  queir  uomo  fanguinario  ,  per  crederlo  capace  di  si 
fatta  generofità .  In  efi^etto ,  come  mai  afpettar  poievafi 


2Ì  j 

tal  dono  preziofo  dalla  tirannica  mano  di  Augudo ,  che 
fumante  ancora  del  fangue  di   tante  migliaja   di  Cittadi- 
ni, fegnato  avea  la   morte  di  Cicerone,  che  coi   fuoi  ta- 
lenti eguagliato  avea  la  grandezza  dell' impero  Romano, 
di  quel  Cicerone  che  poco  fa  tratto  Tavea  dalla  polvere 
delle  fcuole  Ateniefi,  ed  avealo  collocato  alla  teda  delle 
falangi  repubblicane  ?  Come  mai  tal  eroismo  fperar  po- 
tevafi  da  colui,  che,  mettendo  nei  ceppi  la  patria  fua , 
rapito  le  avea   la   libertà  ,  alma  nutrice  delle  produzioni 
di  genio  ?  E  poi  come  mai  in  generale  la  mafia  de'  Cit- 
tadini occupar  fi  potea  delle   lettere,   fé  ia  quel   tempo 
cffa  era  tutta  rivolta  ad  altri  oggetti?  In  fatti  il  parti- 
to Ccfareo  ogni  cura   metteva  nel  far  rifp'^ttare  Tufur- 
pata   Signoria ,   per   via  della   forza  aperta  ,   e  dello   mi- 
nacce .   I   ben  intenzionati,  fopportando  impazientemente 
il   giogo,  erano  tutti   intenti  a  dar  crollo,  di  fcppiatto,  A 
potere  che  gli  opprimeva.  Dall'  altro  canto,   il  partito 
neutro  ,  fpettatore  di  quella  lotta  pericolofa ,  cercava  in 
mezzo   ai  torbidi ,  il  modo  di  procacciarli  ,    per  quanto 
le  circoflanze  permetter  lo  poteffero,  ripofo  e  fìcurezza. 
Tra  le  mani  di  queflo  partito  il  genio  divenne  arte,  e 
fi  vendè  a   prezzo  d'oro.   Mecenate,  il  gran  favorito  di 
Ottaviano ,   pafcendo  ,   ed  onorilìcando   gli  fcrittori   mer- 
cenarj  che  fi  erano  già   formati  ai   tempi  della  repubbli- 
ca,  impiegò  le  opere  loro,  per  accreditare  la  nuova  do- 
minazione ,   e  renderla   amabile   agli  occhi  dei  Cittadini  . 
Per   tal  modo   fi  procurò  che  la  parte  del  popolo  la  quale 
foffriva   il   fcrvaggio ,  occupata  delle  lettere   e  delle  lodi 

di 


224 

di  Ottaviano  ,  perdefle  di  vifta  ogni  idea  di  liberta  . 
Quindi  impropriamente  e  per  adulazione  fecolo  di  Au- 
guro fi  appellò  il  fecolo  d'  oro  di  quegli  fcrittori  che 
air  ultima  epoca  brilhntiflìma  della  repubblica  Romana 
fi  appartenevano  .  Onde  puoffi  francamente  conchiudere 
che  Augufto,  in  luogo  di  giovare,  nocque  piuttoflo  al- 
le lettere;  poiché  efle  non  eflèndo  alimentate  e  foftenute 
dalla  libertà ,  mancarono  di  quella  parte  divina  che  ha 
per  bafe  la  verit'i ,  e  la  robulìezza  del  penfare  ,  e  del 
fentire .  Sccrriamo  rapidamente  la  letteratura  latina  ;  ed 
il  quadro  che  ne  faremo ,  e'  indicherà  il  grado  di  per- 
fezione a  cui  ella  pervenne;  più,  ci  moftrerà  chiaramen- 
te in  quali  rami  letterarj  i  bellicofi  Quiriti  forpaflàrono 
la  Grecia ,  in  quali  l' eguagliarono  ,  ed  in  quali  final- 
mente  a   lei  rimafero   di  gran   lunga   inferiori  . 

Korna  -modellò ,  è  vero ,  la  fua  profodia  fopra  quella 
dei  Greci .  Ma  i  fiioi  poeti  non  eflendo  mufici ,  e  per 
confepuenza  non  cantando,  ne  componendo  al  fuono  del- 
la lira;  inoltre,  non  eflendo  tenuti ,  come  nella  Grecia 
in  confiderazione  di  minifiri  pubblici ,  religiofi ,  politici , 
o  morali,  la  pocfia  lirica  non  fu  colà  che  una  Aerile, 
e   fredda   imitazione. 

D'altronde  ,  la  gravità  dei  fuoi  cofiuroi  marziali  ef- 
fendofi  comunicata  anche  alla  Religione,  una  maeftà  fe- 
riofa  fi  vide  regnare  nelle  fue  fefte .  I  giuochi  pubblici 
non  erano  in  quell'impero  che  efercizj  militari,  o  fpet- 
tacoli  fanguinofi  .  Dove  mai  fi  ammirarono  in  Roma 
quelle  folennità  pompofe    in  cui   venti  popoli  venivano 

in 


22  J 

in  folla  a  veder  difputare  la  corona  Olimpica  ?  Un  poe- 
ta, che  colla  cetra  al  collo  ,  li  foflè,  come  Pindaro  , 
prefentato  nel  Circo  per  lodare  il  pugile  ,  1'  atleta  ,  il 
gladiatore ,  avrebbe  fatto  fcrosciar  dalle  rifa  quei  fuperbi 
dominatori  dell'  Univerfo  .  Roma  troppo  <x:cupata  dei 
grandi  affari  ,  non  attaccò  giammai  dell'  importanza  ai 
divertimenti  frivoli,  o  dilicati . 

Il  vate  che  colà  celebrava  le  lodi  di  qualche  perfo- 
naggio,o  le  vittorie  riportate,  non  fi  riputava  giammai 
nomo  infpirato  dagli  Dei,  o  a  ciò  dalla  patria  deftina- 
to  ;  ma ,  al  più  ,  nel  conto  fi  teneva  di  un  foggetto  , 
che,  adulando  ,  procacciar  lì  volea  la  benevolenza  ,  o 
la  protezione  di  qualche  magnata  ■. 

Quindi  fi  vede  che  quantunque  Roma  foflè  fiata  fe- 
conda di  grand' ingegni  lirici;  pure,  mancaiado  le  caufe 
morali ,  non  fi  poterono  eflì  fviluppare  a  perfezione ,  e 
farvi  progrcfll  gigantefchi . 

La  poefia  epica  trovò  nell'Italia  una  parte  dei  van- 
taggi che  ebbe  tra  Greci.  Nulladimeno  la  mitologia  di 
quefio  paefe  eflèndo  men  brillante  di  quella  della  Gre- 
cia ,  e  la  fua  fioria  non  trovandofi  coperta ,  al  pari  che 
i  tempi  eroici  di  quella  nazione ,  di  un  velo  tenebrofo , 
i  poeti  epici  del  Lazio  mancarono  e  di  ricchi  abbelli- 
menti per  le  defcrizioni,  e  di  menfogne,  per  amplifica- 
re maravigliofamente  i  racconti.  I  fatti  i  quali  entrano 
nella  compofizione  dell'Epopea,  abbifognano,  per  eficre 
inaggranditi  agli  occhi  dell'immaginazione,  non  folamente 
di  una  difianza  enormiffima  di  tempo ,  ma  altresì  di  un. 

29  cer- 


220 

certo  vapore  caliginofo  che  debbe  di  tratto  in  tratta  co- 
prire gli  avvenimenti  principali .  Come  mai  può  il  poe- 
ta,  fingendo,  efagerare,  fé   il  tutto  è  pienamente  cono- 
fciutor*  Or,  quantunque  per  cinquecento  anni  la  ftoria 
Romana  non  fufle  fiata  che  un   tefluto  di  favole;  pure 
U  tradizione  avendo  loro  dato  un'aria  di  verità,  e  quel 
che  fucceife  polleriorraente ,  effendo  flato  confegnato  al- 
la fedeltà  della  floria,  non  rellava  più  in  balìa  del  poe- 
ta il  mentire,  o  T  efagerare.  Ond' è  che  Lucano,   mal- 
grado il  fuoco  del  fuo  genio,  ed  avvegnaché  aveflè  pre- 
fo   per  foggetto  del  fuo  poema,  un  avveniniento  da  per 
fé  lleflò  grandiofo  ,    e  tale  che  la  fua  importanza   fèm- 
brava  giuftificare  l' intervento  degli  Dei ,  tuttavia  le  par- 
ticolarità di  quel   fatto   eflendo   da   tutti  conofciute,  non 
potè  arricchirle  di  finzioni  maravigliofe;  e  gli  Dei,  lungi 
dall  entrare  nella  contefa  dei  fuoi  eroi ,  non  furono  da 
lui  raoflrati  che  in  lontananza .  Ciò  poflo  ,  qual  mara- 
viglia è  fé  la  Farfalia  di  Lucano    in  conto  Ìì   tenga  di 
floria,  piuttoflo  che  di  poema r*    Il  folo  foggetto   vera- 
mente epico  ,  perchè  uno  degli  ultimi  rami  della  floria 
fàvolofa   dei  Greci  ,   è   quello  che   Virgilio   ha   giudizio- 
famente  tratto  dalFofcurità  degli  annali  del  Lazio. 

Neffuno  ignora  le  fpefe  ecceffive  che  i  Romani  face- 
vano per  innalzare  de'  teatri  .  Alcuni  di  quegli  edificj 
che  fuflìllono  ancora  in  parte  a  tempi  noftri  ,  fono  i 
monumenti  i  più  preziofi  dell'architettura  antica.  Si  am- 
mirano pur  anche  le  mine  di  quelli  che  fono  già  crol- 
lati.  Che  dirò  degli  emolumenti  degli  attori  ?    Efopo    , 

con- 


227 

contemporaneo  di  Cicerone,  lafciò,  morendo,  al  Tuo  fi- 
gliuolo un'  eredità  di  due  milioni  e  mezzo  di  feudi  , 
fomma  ch'egli  ammafTata  aveva,  rapprefentando  sul  tea- 
tro. Rofcio  il  comedo,  quello  ùeffo  che  infognò  la  de- 
clamazione al  principe  degli  oratori  latini  ,  percepiva  , 
per  teilimonianza  di  Macrobio  ,  trecento  feudi  al  gior- 
no dal  pubblico  teforo  .  Tito  Livio  ci  afficura  che  il 
divertimento  drammatico  ,  i  di  cui  cominciamenti  fu- 
rono affai  mcfchini ,  era  degenerato  in  ispettacoli  sì  son- 
tuofi  ,  che  i  regni  i  più  opulenti  avrebbero  potuto  a 
pena  foflenerne  la  fpefa  . 

Per  rapporto  alle  belle  arti  che  contribuifcono  a  pre- 
parare le  fcene,  i  Romani  erano  profusiffimi .  I  luoghi 
dopo  eflere  fiati  formati  dall'architettura,  venivano  ele- 
gantemente abbelliti  coi  foccorfi  della  pittura  ,  e  della 
fcultura  .  E  febbene  le  Nazioni  Europee  vadano  molto 
fuperbe  de'  moderni  fpettacoli ,  pure  bifogna  ingenuamen- 
te confcifare  che  le  nolìre  decorazioni,  a  fronte  di  quel- 
le dei  Romani ,  fiano  molto  tapine  ,  e  che  le  fale  dei 
noftri  teatri ,  i  di  cui  ingreffi  ralTomigliano  a  quelli  de- 
gli  ergaftoli ,   offrano  un'  ignobile  profpettiva  . 

Malgrado  però  quelle  profufìoni  sì  grandi,  la  trage- 
dia e  la  comedia  furono  flraniere  in  Roma .  Orazio  che 
accorda  alla  fua  nazione  molto  talento  per  la  poefia 
drammatica,  lagnali  tuttavolta  amaramente,  che  i  giovani 
romani  non  foffero  fcniìbili ,  che  al  vano  piacere  della 
decorazione  teatrale,  fegno  ììcuro  e-coftante  della  poca 
coltura  delle   nazioni.   Per  quanto  grandi  folTero  gli  sfor- 

^  zi 


zzi 

zi  che  fàceanfì  per  dare  alla  pompa  dello  fpettacolo  tut- 
ta  la   magnificenza  poffibile  ,    non  fi  riufd   giammai    a 
givadagnarfi  T attenzione  del  pubblico.   Le  cabale  del  po- 
polo e  de' cavalieri,  che  prendevano  partito  in  favore, 
o  contra   il  dramma,  l'interrompevano  ad  ogni  iftante. 
Gli  attori  potevano  pure   alzar  la  voce  ,    e   fcongiurare 
gli  fpettatori    a-   predar    loro    benigno  1'  orecchio,    tut- 
to riufciva  inutile;   efll  non  erano   afcoltati.   Alle  fiate, 
nel   mezzo  delle  fcene  le  più  patetiche,  dòmandavafi  il 
combattimento   delle   beftie   feroci  ,    o  degli   atleti  .   Chi 
non  sa  che   la   rapprefcntazione  della  Suocera   di  Tereri- 
zio  fu  abbandonata    per  andar    a  vedere  i  ballerini    da 
corda ,   ed  i  gladiatori  ?    In   fine   fi   videro   i   pantomimi 
cacciar   di   Città   i   commedianti  :   tanto  è  vero   che   preffo 
i   Romani  il  gùfto  della  poefia  drammatica  non  fu   che 
un  gufto  di  vanita ,  di  oftentazione ,  un  gufto  leggiero , 
capricciofo ,   di   qual   fatta   Cono  tutti   i   gufti  fattizj .   Ma 
donde  ciò  derivò?  I  Latini  non  ebbero  giammai  ne  tra- 
gedie," nà  commedie  che  dir  fi  poteflero- veramente  pro- 
duzioni del  loro  paefe .   Efu   non  fecero  che  tradurre   o 
imitare   i   Greci.   Quindi   ed   argomenti,  e   fcene,  ed   at- 
tori non  eccitavano  in  loro  che  le  idee  di   Atene;  an- 
zi, della  lingua  in  fuori,  eglino  immaginar  fi  doveva- 
no  di   affiltère   alle   rapprefentazioni   di   Sofocle ,   di   Eu- 
ripide ,   di   Gratino  ,   o   di   Monandro  .     Non   oftèrendofi- 
dunque   ai  loro   sguardi   che   oggetti   flranieri ,   qual   ma- 
raviglia è   che   in   Roma   non   iì  potè   giammai  avere  per 
la  poefia  drammatica  un  gufto  fi-ncero ,  e  naturale?   Ma- 

fe 


229 

fé  cTiieggafi,  perchè,  affili  di  vantaggiare  il  teatro,  non 
traHero  cfTì  dal  fondo  della  fìoria  ,  e  dei  coftumi  loro- 
i  fòggctti  per  la  tragedia  ,  e  per  la  commedia  ;  il  ri- 
fponde  che  noi   poterono,  ed   eccone  le  ragioni  .' 

Per  rapporto  alla  tragedia  ,  gli  efempj  di  coftanza  , 
di  generofità  ,  e  d'eroismo  che  noi  tanto  ammiriamo  nei 
Komani ,  eflendo  fpontanei  ,  deftar  non  potevano  ne  il 
terrore,,  ne  la  compaflìone.  Più:  le  due  forgenti  di  di- 
sgrazie, il  fatalismo,  e  l'impero  delle  paffioai,  non  tro- 
vando luogo  alcuno  nei  fatti  fanguiuoll  di  cui  è  ricca 
la  Storia  Pv.omana;  anzi  quegli  uomini  intrepidi,  e  co- 
raggiofi,  gli  Scevola,  i  Coriolani,  i  Regoli  ,  i  Decj  ,. 
ed  i  Catoni  Uticenfi  opponendo  alle  loro  calamità  una 
freddezza  ftoica,  lungi  dal  prefentare  nelle  loro  perfono 
un  oggetto  compaflìone vole  ,  o  terribile  ,  elevavano  al 
contrario  ,  V  anima  dei  loro  concittadini  ,  e  gli  accen- 
devano al  patriotisir.o  . 

In  Poma  la  fola  epoca  favorevole  alla  tragedia  fu 
quella  della  tirannia  ,  della  fchiavitù  ,  e  della  profcri- 
zione  .  Allora  un  quadro  al:  naturale  erpreflò  di  tante 
vittime  innocenti  ,  che  rifuggiatefi  nelle  tombe  de'  loro 
antenati,  erano  da  colà  tratte  a  forza  ,  per  eflere  ab- 
bandonate alla  fcure  de'  littori  ,  o  ridotte  al  miferabile 
vantaggio  della  fcelta  del  fupplicio;  quell'  abbattimento 
inconcepibile  di  un  popolo  che  avea  tante  volte  disprez- 
zata la  morte ,  che  la  difprezzava  tutt'  ora ,  e  tremava , 
ciò  non  odante,  avanti  agli  fcellerati  ;  quella  vifta  fpa- 
v^ntevole  di  Roma,  non   ha   guari   libera   e  padrona  del 

Mon- 


Mondo,  caduta  allora  vituparofamente  fotte  il  giogo  di 
uomini  codardi,  indegni  di  vivere,  e  di  regnare,  di  qual 
fatta  erano  un  Tiberio ,  un  Caligola  ,  un  Claudio  ,  un 
Nerone,  un  Domiziano;  tutto  ciò  avrebbe  fenza  dubbio 
prodotto  sul  teatro  gli  effetti  i  più  terribili  .  Ma  quei 
molìri  coronati  temendo  che  un'efpofizione  sì  lugubre  , 
strappando  le  lagrime  dagl' occhi  dell'avvilito  popolo  , 
e  facendolo  fremere  alla  vifta  dei  fuoi  mali ,  aveflè  ri- 
animato il  di  lui  coraggio,  furono  fempre  guardinghi  , 
che  i  poeti  non  gli  prefentaflero  sulle  fcene  tal  quadro 
truce,  ed  orribile.  Ond'è,  che  regnando  Tiberio,  Emi- 
lio Scauro ,  per  aver  fatto  dire ,  forfè  innocentemente  , 
rella  tragedia  di  Atrco,  quelle  parole  di  Euripide,  fop- 
portar  conviene  la  Jlolte':{j^a  di  chi  comanda  ,  fu  con- 
dannato a  darli  la  morte  .  Ma  quel  che  eccita  maggior 
forprefa  in  un  foggetto  di  tal  natura  fi  è  ,  che  quan- 
tunque Nerva ,  Trajano ,  e  gli  Antonini  permeflb  avef- 
fero  ai  filofoiì ,  ed  agli  dorici  di  efporre  in  ifcritto  li- 
beramente i  loro  peniìeri  ,  e  di  pennelleggiare  al  vivo 
le  ribalderie  de' loro  predeceflori  ;  pure  non  eflendo  fino 
a  noi  pervenuto  alcun  componimento  tragico  fcritto  con 
franchezza  filorcfica  ,  e  portante  l'impronta  nazionale  , 
bifogna  confelTare  ,  che  o  neflun  poeta  di  genio  fia  a 
qiie'  tempi  cfiftito  ,  o  che  fempre  e  fotto  tutti  i  Prin- 
cipi la  libertà  teatrale  fiafi  dai  Quiriti  all'  indarno  de- 
fi  derata  . 

Quindi  fi  deduce  evidentemente ,  che  durante  la   Re- 
pubblica  i  Romani   non  ebbero   niente  di  tragico ,  e  fot- 
to 


231 

to  grimperadori  ,  efll  furono  men  che  liberi  uell'  arte 
del  comporre  . 

I  coflumi  della  bellicofa  Roma  non  fomminiflrarono 
tampoco  materia  al  ridicolo  della  commedia.  Poiché,  nei 
primi  tempi ,  elfi  furono  troppo  rigidi  ed  aufteri  ;  e  , 
quando  la  corruzione  s'introduUè  nello  fiato,  i  medefi- 
mi  divennero  sì  deformi  e  viziofi,  che  in  luogo  di  ef- 
fere  rneffi  in  caricatura  ,  meritarono  anzi  la  fatira  piìi 
cauflica,  ed  amara.  Ecco  perchè  Plauto,  e  Terenzio  co- 
fìretti  furono  ad  attingere  il  ridicolo  comico  dai  fonti 
Greci,  e  ad  imitare  fervilmente  Epicarmo  ,  Gratino,  e 
Menandro ,  autori  della  commedia  nuova  .  Ecco  perchè 
sul  teatro  latino  con  una  riftucchevole  monotonìa  non 
fi  vedevano  che  caratteri  Greci ,  vai  quanto  dire,  fervi 
fcaltriti,  giovani  creduli,  fcialacquatori,  libertini,  vecchi 
fofpettofi ,  avari,  queruli;  in  fine  cortigiane  artificiofe , 
lenoni  sfrontati  ,  e  parafiti  pronti  a  preftariì  a  qualun- 
que cenno  di  chi  gli  sfamava  . 

L'impudenza  di  Arifiofane,  ed  i  dardi  da  lui  vibrati 
centra  gli  amminiftratori  del  pubblico  teforo  ,  contra  i 
Generali  di  armata ,  coatra  Cleone ,  Lamaco  ,  Demofte- 
ne,  Euripide,  in  una  parola,  la  fatira  politica  che  sfer- 
za i  vizj  del  governo ,  non  trovarono  imitatori  in  Ro- 
ma .  Il  popolo  Ateniefe  è  il  folo  che  abbia  adottata 
quella  fotta  di  dramma  ,  utiliflimo  agli  fiati  democratici. 
Eflo  non  folamente  pcrmife  alla  commedia  di  cenfurare 
i  cofiumi  pubblici  in  generale,  ma  di  efporre  altresì  in 
pieno  teatro  i  fatti  vituperevoli,  e  di  nominare,  anzi  di 

met- 


.232 

mettere  in  iscena  coloro  che  n' erano  bruttati .  In  Roma, 
al  contrario,  tal  facoltà  non  fu  giammai  accordata  agli 
fcrittori  comici.  11  poeta  che  colà  avefle  offefo  l'orgo- 
glio di  quei  boriofi  ed  accigliati  patrie]  ,  e  che  ofato 
avefle  di  dire  al  popolo  ch'eiTo  era  il  traflullo  ,  e  la 
•vittima  dei  Senatori;  che  cofloro  impinguati  del  fuo  fan- 
•gue,  e  flraricchiti  per  le  fiie  conquilìe,  nuotavano  nell' 
•opulenza,  mentre  che  a  lui  tutto  iricufa vano;  che  lo  te- 
nevano a  bada  con  delle  vane  promeffe  ;  che  le  guerre 
perpetue  nelle  quali  fi  cercava  di  occuparlo  al  di  fuo- 
ri, non  erano  che  un  mezzo  di  diilrarlo  dai  fuoi  mali 
<3ometlici;  che,  chiamandolo  il  padrone  dell' univerfo  , 
aion  gli  lafciavano  nulla  poflcdere  nel  mondo  da  lui  fog- 
giogato:  un  poeta  in  fine  che  ofato  avefl"e  di  parlare  il 
linguaggio  de' Gracchi,  avrebbe,  come  coftoro ,  incontra- 
ta ficuramente  la  morte  .  Anzi  tanto  non  fi  richiedeva 
per  cadere  in  disgrazia  del  Senato  ;  il  folo  delitto  di  ef- 
fer  popolare ,  perdeva  per  fempre  un  confole  ;  quefli  o 
prefto  ,  o  tardi  pagava  colla  perdita  della  fua  vita  un 
atto  di  compaffione  manifeftato  a  prò  di  quel  popolo  , 
che  fi  voleva  oppreflò ,  ed  avvilito .  Ecco  perchè  neflùn 
poeta  latino  ebbe  coraggio  d'imitare  Arilìofane .  Il  folo 
Nevio ,  avendo  voluto  farne  la  pruova ,  fervi  agli  altri 
di  funefio  efempio  .  Per  aver  detto  in  fatti  nell'  una 
■delle  fue  commedie,  che  il  Confolato  di  Metello  fareb- 
be la  Sciagura  di  "Roma 

Fato  Romce  fiunt  Metellì   Confuìes 
fu  raefTo  nei  ferri  ,    e  quindi   venne  efiliato  ,   per  aver 

la 


*J3 

la  feconda  volta  incorfo  l'indignazione  de' nòbili . 

Le  matematiche  e  le  fcienze  in  generale  non  furono 
rincora  in  molto  pregio  preflb  quel  popolo  guerriero ,  e 
conquiflatore  .  Quindi  venne  eh'  eflb  non  fece  fcoperta 
alcuna  in  filofofia,  e  limitoffi  folamente  ad  apprendere 
quel  che  i  Greci  avevano  fin  allora  escogitato.  Le  dot- 
trine di  Epicuro,  di  Platone,  di  Pitagora,  di  Ariftote- 
le ,  le  fette  Cinica ,  Stoica  ,  ed  Accademica  ebbero  dei 
feguaci  tra  i  grandi,  egualmente  che  tra  i  cittadini,  gli 
fchiavi,  ed  i  liberti  di  Roma.  In  filofofia  ,  i  padroni 
del  Mondo  non  furono  che  difcepoli  de'  Greci .  E  che 
che  dica  Cicerone  della  fcienza,  e  del  talento  di  Archi- 
mede, la  fua  opinione  in  queflo  genere  non  è  che  una 
pruova  di  più  della  di  lui  imperizia  in  fatto  di  mate- 
matiche .  In  fomma  i  Quiriti  furono  sì  addietro  colle 
fcienze  efatte,  che  da  efiì  davafi  generalmente  il  titolo 
di  matematici  ,  come  veder  puoffi  ia  Tacito  ,  e  nelle 
leggi  Romane  ,  a  tutti  coloro  che  fi  piccavano  di  pre- 
sagire il  futuro,  quantunque  dai  ghiribizzi  della  divina- 
zione e  dell' aerologia  giudiziaria  alle  matematiche,  mag- 
gior diftanza  vi  fia,  che  dalla  pietra  filofofale  alla  chi- 
mica de'  Lavoifier,  de'Chaptal,  e  de' Fourcroy  . 

Nulla  dirò  del  disprezzo  in  cui  effi  avevano  la  me- 
dicina ,  ed  i  fuoi  profeflbri .  Coftoro ,  eflendo  flati  mai 
fempre  tenuti  per  inutili,  o  perniciofi,  furono  alla  fine 
del  fello  fecolo  ,  in  forza  di  un  decreto  del  Senato  , 
cacciati  di  Città  . 

Finalmente  i  Romani ,  in  confronto  de'  Greci  ,    poco 

30  fi 


234 

fi  compiacquero  delle  belle  arti ,  e  ad  éfle  folamente  per 
fafto,   rivolfero  la  loro  paflaggicra  attenzione.   Anzi,   a 
dir  il  vero,   sì  poco  conto   ne   fecero  ,   che  la  cura  ne 
abbandonarono  agli  Ichiavi,  ed  agli  ilranieri.   In  fatti, 
tutto   ciò   che   per   rapporto   all' architettura  ,     ritrovavafi 
di   beilo   e  di   grandiofo   in  Roma  ,  dovevaiì   alf  Etruria  . 
Le  cloache  di  Tarquinio  Prisco  ,    il   Tempia    di  Giove 
Capitolino,  la   via   Appia  ,    la   Flamminia  ,    V  aquidotto 
Claudiano   furono   opera  degli  architetti  Tofcani .   Un  cer- 
to  Fabio,   cognominato   //  Pittore,  fu  il   primo   che   alla 
metà  del  quinto  fecolo ,  pinfe   grolfolanamente  le  mura  del 
tempio  della  Salute  .     Codui  e  Pacuvió  fono  i   foli  che 
abbiano  rozziffimamente  efercitata  la  pittura  preflo  quella 
nazione.   Donde  ciò?  Perchè  quefta  facoltà  ,     al   dir  di 
Cicerone',   fu  fempre  confiderata  come  -un  raefìiere  pro- 
prio  di  un   popolo   molle,   ed   effeminato.    In   una   paro- 
la,  non  il   vide  prcflx)   i  Promani   ne   quella  nobile  emu- 
lazione che  animava  i  Greci ,   ne  11   ammirarono  le  pro- 
duzioni fublimi  di  quei  gran  maeftri  dell'arte,  tanto  ap- 
prezzate dalla   pofterità  ,    e  che   fervono  ,    e    ferviranno 
mai   fjmpre  di   modelli   alle  nazioni   incivilite.    Malgrado 
però   la    negligenza   da   quei   fieri  conquillatori   manifella- 
ta   per   la   cultura   delle   arti,   eiìl   al   pari  de' Brittanni    , 
e  de'  moderni   popoli  del   Nord ,  nulla   omifero   per   pro- 
cacciarli  i  pezzi   più  rari ,  e  pregevoli .   Chi  non  sa  che 
Mummio    riempiè   Roma'  ddle  opere   le  più  diilinte  della 
fola   Acaj  a   depredata,   e   che,   per   teftimonianza   di   Plu- 
tarco,  Paolo    Emilio   tre   giorni   impiegò   alla   pompa   del 


tnon- 


235 
trionfo  della  Macedonia,  de' quali  il  primo  appena  ba- 
ilo per  far  molìra  dei  quadri  ,  e  delle  flatue  prefc  ai 
nemici ,  e  portate  fopra  dugento  cinquanta  carri  ?  L' in- 
gordigia de  Romani  per  le  belle  opere  dell'arte,  giun- 
fe  a  tanto ,  che  per  confeffione  di  Vitruvio  ,  gli  Edili 
Murena  ,  e  Varrone  ,  avendo  ammirate  sulle  mura  di 
Sparta  alcune  leggiadre  pitture  ,  impofero  che  le  pareti 
le  quali  aerano  fregiate,  fi  tagliaflero  d' ogn' interno  , 
e  pofle  in  calle  di   legno,  a  Roma  lì   tra fpor tallero  .. 

D'altronde,  la  mohitudinc  delle  Ilatue  che  lì  lavo- 
ravano continuamente  nella  Citta  dai  Greci  artifli  ,  era 
sì  grande  che  alla  fine  del  quinto  fecolo,  i  Cenfori  P. 
-Cornelio  Scipione,  e  M.  Popilio  nell' obbligo  H  videro 
di  sbarazzare  le  piazze  pubbliche  delle  fìatue  de'  parti- 
colari ,  e  de'  magifìrati  ordinar)  che  le  ingombravano  . 
Eppure  ,  lafciando  folamente  quelle  dei  Cittadini  che  n'  ave- 
vano ottenuto  il  privilegio  in  forza  dei  decreti  del  po- 
polo ,  e  del  Senato ,  affai  ne  refiarono  per  abbellire  do- 
vizioKimente   la   Capitale . 

Dal  fin  qui  detto  qual  induzione  dobbiam  trarre  ? 
Che  i  Piomani  i  quali  ,  dopo  l'abbattimento  delle  Re- 
pubbliche Greche  ,  dominarono  lungamente  sul  mondo 
conofciuto,  avevano  un  genio  ruvido,  ed  afpro  per  man- 
tenere le  arti  nel  loro  fplendore ,  benché  nel  mezzo  del 
loro  impero  trapiantati  iì  foffero  gli  artifti  Greci,  ed  i 
capi  d' opera  di  quel  popolo  claffico  :  Che  i  Romani  , 
all'  infuori  di  una  Aerile  oflentazione  per  le  belle  pro- 
duzioni ,  non  polTederono  giammai ,  nel   medefimo  grado 

*  che 


2^6 

che  i  Greci  e  gli  Etrufchi ,  quella  libertà  di  fpirito  che 
lafcia  agire  la  ragione  :  Che  finalmente  la  cupidigia  di 
iìgnoreggiare  fu  mai  fempre  il  termometro  del  loro  ca- 
rattere nazionale ,  e  tra(ci»ati  da  quella  paifione ,  la  col- 
tura delle  arti  loro  parve  un  occupazione  eterogenea  al 
piano  che  fi-  avevano   prefcritto . 

I  foli  rami  letterarj  che  nafcere ,  e  fiorir  poterono  in 
Roma ,  come  analoghi  al  fuo  genio ,  furono  l' arte  ora- 
toria ,  la  fatira ,  la  floria  ,  la  poefia  erotica  ,  la  dida- 
scalica ,  e  la  paflrorale . 

Le  fedizioni  e  le  gelofie  reciproche  de'  due  corpi ,  che 
agitarono  fpeffe  volte  lo  flato,  produlTerOjè  vero,  fin 
dai  primi  tempi  della  Repubblica  alcune  arringhe  tribù-* 
nizie  piene  di  forza ,  e  di  vigore .  Poiché  chi  non  sa  , 
che  in  mezzo  alle  gare ,  ed  alle  fazioni  popolari ,  l' ani- 
mo de' cittadini  s'irrita^  fi  elettrizza,  s'infiamma?  Ma  i 
Romani  non  arvendo  ancora  ripulita  la  loro-  lingui  ;  di 
più,  non  conofcendo  l'arte  di  collocare  le  parole ,  e  di 
telTere  periodi  armoniofi ,  mezzi  tutti  necefTarj  per  catti- 
varfi  l'orecchio  ,  onde  giungere  al  cuore  ,  1'  eloquenza 
non  potè  fare  preflb  di  loro  progreflì  rapidi ,  e  ftraor- 
dinarj .  L'affare  però  non  andò  così  nel  fettimo  fecoloj 
poiché  allora  perfezionata  effendofi  la  lingua  ,  e  Roma 
trovandofi  al  colmo  della  fua  grandezza,  l'eloquenza  che 
fiegue  fempre  la  forte  degl'  imperi  ,  fpiegò  tutta  la  fua 
magnificenza  ,  onde  fi  videro  pompofamente  brillare  gli 
Anton],  i  Crafìì ,  i  Sulpizj ,  i  Callid] ,  i  Cotta,  gli  Or- 
tensj,  i  Tulljv  i  Cefiri,   i  Salluitj .   E,  a  dir   il   vero  , 

(lua- 


lirr 

qivali  fentimenti  non  dovea  infpirare  ad  un  oratore  ,  in 
quei  tempi  potcntillìmi  della  Repubblica  ,  la  vifta  di 
DO  popolo  intero,  che  diftribuiva  le  grazie  e  gli  onori; 
di  un  Senato ,  che  decideva  ,  in  modo  inappellabile ,  del 
deflino  di  tutte  le  nazioni  ;  di  una  folla  di  perfone  con- 
folari  coperte  d' innumerabili  allori;  di  una  turba  di  clien- 
ti che  lo  corteggiavano  da  per  tutto;  di  un  feguito  nu- 
merofo  di  Ambafciatori,  di  Sovrani,  di  foreftieri  ,  che 
imploravano  il  fuo  patrocinio?  Come  mai  era  poflibile, 
che  r  anima  la  più  fredda  non  fi  rifcaldafle  alla,  veduta 
di   uno   fpettacolo  così   imponente? 

D'altronde  in  un  governo  misto,  di  q^ial  fatta  era. 
quello  di  Roma,  Tarte  della  parola  era  importantiffima ,. 
Poiché  tutti  i  Cittadini  avendo  dritto  agi'  impieghi ,  per 
mezzo  di  efla  più  facilmente  vi  pervenivano .  Ecco  dun- 
que la  ragione  per  la  quale  i  militari  plebei  che  la  na- 
fcita ,  e  la  povertà  condannava  a  languire  nei  gradi  o- 
fcuri  di  una  legione  ,  moitravanfi  fpeflò  su  i  roftri  al 
popolo ,  ed  arringavano .  Dall'  altra  parte  i  Patrizj ,  ge- 
lo(ì  del  loro  potere ,  fi  sforzavano  di  confervare  nel  lo- 
ro ordine  quella  facoltà  ch'era  fiata  la  molla  la  più  ef- 
ficace della  loro  influenza  politica  .  Onde  non  contenti 
di  foggiogare  coli' arte  militare  l'eftere  nazioni,  voleva- 
no ancora,  mercè  l'eloquenza  ,  fottomettere  quei  cuori, 
repubblicani ,  e  feroci  .  La.  floridezza  dunque  dello  Sta- 
to,  l'ambizione  dei  due  ordini,  e  l'attrito  delle,  palfio- 
ni ,  dovevano  neceflariamente  produrre ,  come  produflcro 
in  fatti  ^  neir  ultimo   fecolo  della   Repubblica ,  una   follx 

di 


23S 

di   Oratori,  i  quali,  se  non  pel  numero,  pel  valore  pe- 
rò, gareggiarono  con  quei  di   Atene. 

La  fatira  fu  una  poefia  puramente  Romana  ,  ed  af- 
fatto fconofciuta  ai  Greci .  Lucilio  che  ne  fu  V  invento- 
re ,  prefentolla ,  febben  rozza ,  ai  Quiriti ,  in  quella  for- 
ma che  ce  T  hanno  trafmefla  Orazio  ,  Perfio  ,  e  Giove- 
nale ,  e  qual  noi  la  conofcìamo  a'  giorni  noftri  .  Ella  , 
altro  non  fìgnificando  da  principio  che  un  bacino  in  cui 
alla  rinfufa  il  offrivano  agli  Dei  tutte  forte  di  frutta  , 
tal  nome  affunfe  ,  perchè  ella  è  realmente  un  araraaflo 
indiftinto  d' invettive  contra  gli  uomini  ,  centra  i  loro 
defiderj ,  i  loro  timori,  i  loro  fdegni  ,  le  loro  efimere 
allegrezze  ,   ed   i   loro   intrighi  : 

Qindquid  agiint  homìnes ,  votum^  timor  ^  ira  ^  voluptas  ^ 
Gaudia ,   difcurfiis ,   noflri   eft  farrago  libelli . 

Juvenalis  Sat.  L 
_  Or  un  componimento  di  tal  natura  differiva  di  gran 
lunga  dai  poemi  (atirici  de'  Greci  ,  poiché  quello  non 
era,  al  par  di  quelli,  drammatico,  ne  accompagnato  dai 
fatiri ,  e  dalle  loro  danze.  In  oltre,  lo  fcopo  della  poe- 
fia fatirica  de' Greci  era  quello  di  mettere  in  ridicolo  le 
azioni  feriofe ,  di  traveflire  perciò  i  loro  Dei ,  o  i  loro 
Eroi ,  di  cambiare  al  bifogno  il  carattere  ,  affin  di  ri- 
dere,  e  di  cianciare.  All' oppofto  le  fatire  Romane  ,  co- 
me tefìimonianza  ce  ne  fanno  quelle  che  fono  a  noi 
pervenute,  erano  dirette  ad  eccitare  l'odio,  l'indigna- 
zione ,  o  il  difprezzo  ;  in  una  parola  ,  effe  tendendo  più 
a  riprendere ,   ed   a   mordere ,  che  a  far  ridere  ed  a  tra- 

ftul- 


2J9 

lìullare  ;  punto  non  raflomigliavano  alle  fatire  Greche  , 
e  per  confeguenza  un  patrimonio  furono  puramente  efclu- 
fivo  della  letteratura  latina  . 

Finalmente  mettendo  a  fronte  del  poema  di  Lucrezio 
Caro,  e  delle  Georgiche  di  Virgilio,  le  opere  di  lilìo- 
do  ,  e  di  Arato  ,  chi  non  vede  che  nella  poeiia  dida- 
scalica i  Greci  ceder  debbano  la  palma  ai  latini  ? 

Per  rapporto  poi  allo  fìile  epiftolare,  chi  mai,  con- 
frontando le  lettere,  familiari  dell'una,  e  dell' altra  na- 
zione, quelle  lettere,  io  dico,  che  campate  all'univerfal 
naufragio,  fono  fino,  a  noi  pervenute,  non  mette  i  Ro- 
mani molto  al   di  fopra  dei  Greci  ? 

Nella  fìoria,  Salluftio  ,  Tito  Livio,  Tacito  a  fianco 
flar  podono  certamente  di  Erodoto  ,  di  Tucidide  ,  di 
Senofonte  . 

Chi  non  ammira  le  ricchezze  infinite ,  le  quali  in  ma- 
teria di  poefia.  paftorale ,  e  di  elegia  amorofa ,  introdus- 
fero  nella  Repubblica  letteraria  del  Lazio  un  Virgilio  , 
un   Catullo,   un   Tibullo,   un   Properzio,   un   Ovidio? 

Quindi  fi  raccoglie  ad  evidenza,  che,  quantunque  mer- 
cè i  lumi  venuti  dalla  Grecia  ,  i  Romani  ufciti  folfero 
dall'  ignoranza  nella  quale  erano  giaciuti  per  lo  fpu.io 
di  500  anni,  e  quantunque,  della  lingua  in  fuori,  gre- 
ca totalmente  fofle  la  loro  letteratura  ,  pure  alle  volte 
emulando  ardimentofamente  i  loro  maeitri  ,  marciarono 
di  egual  paflb  con  loro  ,  o  in  alcuni  rami  letterari  , 
ficcome  vedemmo,  dietro  ad  efiì  certamente  non  rimafero, 
nel  percorrere  il  dilficile  arringo  dell'arte  di  ben  comporre. 

ME- 


241 

MEMORIA 

Sopra  una  nuova  fpecie  di  SQUADR.0    pefcato  nelle 

acque  della  riviera  di  Chiaja  del  littorale 

di  Napoli. 

DEL    DOTTOR 

MICHELE  TENORE 

Letta  alla  Società  nella  Sejjlone  de*  io  A^ojlo   1809. 

I       " riiHi'i  I  ~       I 

INTRODUZIONE 

'Uando  fi  riflette  allo  fìato  di  mafllmo  fplendore 
cui  preflo  le  colte  nazioni  fono  flati  portati  tutt'  i  ra- 
mi delle  fcienze  naturali  ,  e  quando  fi  gitta  una  rapi- 
da occhiata  sulla  fìoria  delle  ardue  fatiche  con  sì  gran 
fuccefro  foftenute  dai  dotti  per  conofcere  ed  illuflrare 
le  produzioni  naturali  delle  più  ingrate  ed  inacceflibili 
regioni  della  terra ,  non  fi  può  non  efler  prefo  da  una 
giutìa  indignazione  oflervando  in  quale  profondo  obblìo 
giaccia  fepolta  la  fcienza  fisica  di  quella  bella  parte 
deiritalia .  Strano  certamente  ed  inefcufabile  dovrà  fera- 
brare  sulle  prime  ,  il  vederfi  meno  conofciute  le  pro- 
duzioni naturali  di  un  paefe  ove  fi  riunifcono  le  più 
favorevoli  circoftanze  per  renderne  le  ricerche  propizie 
oltremodo  e  fruttuofe .  Una  pofizione  geografica  che  fa- 
cendoci   pofledere    tutt'  i  climi   ,    ci  mette    in  una  im- 

31  me- 


i4t 

mediata  corrlfpondenza  coll'Afia  e  coli' Africa  che  quafi 
tocchiamo.  Una  prodigiofa  diverfita  di  fuoli  ove,  men- 
tre   da  una  parte    fi  elevano    delle  montagne    primitive 
di  un'  afpetto  sì   vario  ,    fi  diramano  dall'  altro  de'  ra- 
mi cofpicui  degli  Appennini  di  feconda    e  terza  forma- 
zione, tra  quali  fi  fìende  una  regione  dominata   da  vul- 
cani eftinti  ,    femieftinti  e  tuttavia  brucianti  .    Una  ric- 
chezza di  piante  di  tutte  le  regioni  ;    una    quantità    di 
animali  di  ogni  genere  ;  un  littorale  di    1500   miglia  , 
popolato  dalle  più  rare  marine  produzioni  ;  tutto  in  real- 
tà concorre  a  flabilire    tra  noi    il   più  nobile  foggiorno 
delle  fcienze  naturali;  ma  intanto  fiamo  cofiretti  a  con- 
felTare  nofiro   malgrado  che  tutti   quefli  tefori  fono  fco- 
nofciuti   a   noi  flefll   che   ci   viviamo   in   mezzo.   In    fatti 
fé  ne  eccettuino  i  pochi  tratti  di  luce  ,  che  taluni  no- 
fìri   benemeriti  concittadini  han  cercato  fpargere  su  i  pro- 
dotti foflìli   di  qualche  nofira   provincia,  da  chi  mai  s'i- 
gnora   che  tutta  la  iìoria  geologica    ed  orittologica   del 
nollro  regno,  di  cui  pochi  fuperficiali  faggi  han  ballato 
ad  annunziare   la  ricchezza ,   è   un   lavoro  ancora  intatto 
|>er  noi?    Tutta  la   bella  ferie  delle  piante  che  nafcono 
tra  le  nevi  perpetue  delle   nodre  più  alpine  montagne  , 
di  quelle    che  vegetano    tra  le  aride  fabbie    del  nortro 
littorale,  che  adornano  e   livefìono  i  uofiri  campi   e  le 
noftre  colline,   o  che  lulTLii-eggiano  nel   fondo  de'  nofiri 
bofchi  ,    manca  tuttavia    di  una    completa  defcrizione  . 
Oltre   alla   doviziofa  peregrinazione    iilituita   nelle   noflre 
contrade  dal  Tofcano  Pietro  Antonio  Micheli,  noi  non 

ci 


243 
ci  fianchiamo  di  ammirare  le  belle  raccolte  fatte  dai  noftri 
celebri  concittadini  Fabio  Colonna  e  Ferrante  Imperato .  I 
Botanici  fono  forprefi  di  riconofcervi  la  maggior  parte 
delle  piante  Europee,  oltre  ad  una  ricca  ferie  di  piante 
affatto  proprie  del  noflro  fuolo,  ed  a  quelle  che  divi- 
diamo colle  cofle  dell'  Afia  e  delF  Africa  .  Ma  intanto 
non  poflìamo  negare  che  la  noflra  fìoria  botanica  non 
vanta  che  quella  fola  coppia  di  nomi  infigni,  e  che  la 
ileffa  fuperiorità  de'  loro  progreffi  accrefce  la  forza  dei 
rimproveri  che  fi  lanciano  contro  di  noi.  GÌ' intereffanti 
lavori  del  roflro  celebre  Cirillo  ,  rimafli  in  gran  parte 
inediti  per  le  vicende  de'  tempi ,  e  le  nuove  piante  de- 
fcritte  dall' illuftre  Petagna  ballano  appena  ad  inteffere  un 
ferto  induilriofo  sul  negletto  capo  della  Flora  Partenopea. 

Che  diremo  della  Zoologia  ?  Dopo  le  poche  imper- 
fette offervazioni  che  ce  ne  fono  fiate  trasmeilè  dagli 
flcflì  noftri  Colonna  ed  Imperato  ,  il  più  profondo  fi- 
lenzio  regna  su  quella  parte  della  floria  naturale.  I  la- 
vori sugl'infetti  degli  flefll  Signori  Cirillo,  e  Petagna, 
quelli  sulle  conchiglie  del  Signor  Poli,  e  le  curiofe  of- 
fervazioni del  Signor  Cavolini  fopra  alcuni  altri  prodotti 
marini ,  non  fanno  che  gittare  una  macchia  ^ul  maeflofo 
quadro  zoologico  che  potrebbe  vantare  la  noflra  Fauna. 
Pefci ,  Uccelli ,  Quadrupedi ,  Vermi  ;  tutto  giace  fepolto 
nella  più  compiuta   dimenticanza  . 

Se  ci  fermiamo  intanto  per  poco  a  fcorrere  la  floria 
de  noflri  falli  letterari  noi  troviamo  abbornlantemente  di 
che  giuflificare  la  noftra  negligenza  per   lo  Audio  delle 

*  fcien- 


M4 

fcienze  naturali.  Noi  ci  convinceremo  allora  che  per  più 
di  due  fecoli  i  genj  partenopei ,  dallo  fpirito  della  edu- 
cazione predominante  diretti  verfo  altre  dotte  applicazio- 
ni,  mentre  hanno  debolmente  coltivate  le  fcienze  fisiche, 
fi  fono  refi  celebri  nella  filofofia ,  nella  legislazione ,  nella 
fìoria ,  nella  numismatica ,  nell'antiquaria  e  nelle  fcienze 
politiche  e  morali .  Quindi  avviene  che  fé  fiamo  collrctti 
a  cedere  il  primato  alle  altre  nazioni  quando  ci  fanno 
pompa  de'  loro  copiofi  fcrittori  di  fcienze  fisiche  ,  noi 
fiamo  fuperbi  di  opporre  loro  i  nomi  veramente  immor- 
tali de' Vigo,  de' Filangieri,  de'Giannoni,  de' Mazzocchi, 
de'Genovefi,  de' Pagani,  de' Conforti ,  e  di  altri  moltis- 
fimi  che  lungo  di  troppo  farebbe  il  voler  qui  tutti  men- 
tovare .  D' altronde  fé  ci  fermiamo  a  dare  un  rapido  col- 
po d'occhio  ai  più  antichi  tempi  della  ftoria  delle  fcien- 
ze ,  noi  ofl!èrvererao  con  foddisfazione ,  che  quando  il 
gufto  delle  fcienze  naturali  fi  dettava  appena  in  Europa, 
noi  già  potevamo  vantare  nella  fine  del  XVI  fecolo 
Fabio  Colonna,  Ferrante  Imperato,  Giovanni  Maranta, 
Giambatifta  della  Porta  che  fiorirono  quafi  contempora- 
neamente ,  e  fi  rivolfero  i  primi  a  ricercare  i  naturali 
prodotti  del  noflro  fuolo  ,  interpetrando  gli  ofcuri  tedi 
fino  allora  negletti  di  Plinio,  di  Teofrafio,  di  Diofco- 
ride,  di  Averroe,  e  formando  1'  ammirazione  di  tutt'  i 
dotti  di  quell'epoca.  Ma  quefìi  propizj  raggi  di  un  aflro 
rigeneratore  del  noftro  genio  fcientifìco ,  non  fecero  che 
balenare  appena  sul  noflro  orizzonte ,  per  disperderfi  ben 
prefto    nel  vortice    delle  filofofiche  difcuflìoni  ,    e  delle 

let- 


letterarie  ricerche  che  ne  inviluppavano  tutte  le  monti; 
cosicché  malgrado  refempio  di  quefti  dotti  naturalilìi  , 
e  le  feduccnti  attrattive  delle  fcienze  che  li  refero  ce- 
lebri ,  effi  non  ebbero  feguaci .  E'  da  fperarlì  che  per- 
fualì  una  volta  delle  fruttuofe  applicazioni  che  di  que- 
lle fcienze  può  farli  ai  bifogni  della  vita  ,  e  fpronati 
dalla  forza  delle  pubbliche  idituzioni  attualmente  in  vi- 
gore, i  fervidi  talenti  partenopei  non  tarderanno  a  rac- 
cogHere  nuove  palme  in  quella  carriera  sì  gloriofamente 
calcata  da  quei  primi  noilri  benemeriti  concittadini ,  riem- 
piendo r  umiliante  lacuna  che  folFriarao  in  quella  parte 
di  fa  pere  . 

Al  prefente  che  a  rideftare  tra  noi  il  guflo  delle  fcien- 
ze naturali,  concorrono  ugualmente  i  nobili  sforzi  della 
dotta  adunanza  a  cui  ho  l' onore  di  appartenere  ,  pub- 
blicando le  offervazioni  che  il  mio  bravo  collega  Signor 
Sementini  (  Luigi  )  ed  io ,  abbiamo  avuto  occaflone  di  fa- 
re su  di  una  nuova  fpecie  di  pefce  pefcato  prellb  il 
nollro  lido,  io  prenderò  argomento  di  dimollrare  ai  no- 
flri  concittadini  da  quanto  profitto  potrebbero  effer  co- 
ronate le  ricerche  intraprcfe  su  quello  ramo  di  zoolo- 
gia. Io  debbo  prevenire  i  mici  lettori  che  quella  confi- 
derazione  ha  influito  maggiormente  a  farmi  render  pub- 
blica una  defcrizione  in  gran  parte  imperfetta  ,  perchè 
compilata  quando  già  il  pefce  di  cui  fi  tratta  era  llato 
ridotto  in  pezzi  ,  e  fgravato  di  tutti  i  fuoi  vifccri  dai 
marinari  che  lo  avevano  pefcato  ,  nel  momento  fteiro 
che  lo   avevano  tirato  sul  lido  . 

Rac 


J46 

Racconto  della  pefca  del  pefce  . 

JLL  di   a  5   Luglio    alle   6   pomeridiane    taluni    pefcato- 
ri    foliti  a  gittare  le  reti    nelle    vicinanze    della    riviera 
di    Chiaja  ,    furono    forprefì    al  tempo  fleflb  ,    e  ralle- 
grati   dello  flraordinario    pefo    che    mofìravano    le    reti 
gittate  da   effi  in  quel   giorno  .   La  loro  forprefa  fi  ac- 
crebbe oltremodo,   ma  la  loro  gioja  fi  cangiò  in  lutto, 
quando  eflendo  riufciti  a  tirare  le  reti  sul  lido,  fi  av- 
videro che  invece    della  gran  quantità  di  pefce    che   vi 
credevano  raccolta  ,  le  reti  erano  riempiute  da   un  folo 
pefce  di   una   fmifurata  mole  ,  che  prefentava  tutt'  i  ca- 
ratteri  di   una  fiera  marina  .    Dopo  averlo  ammazzato  , 
offervandolo  più  agiatamente  ,  lo  credettero  sulle  prime 
una  canefca ,  ma   vi  fu  tra  loro  chi  fi  dichiarò  altamen- 
te contro  quella  opinione  ,    ed  aflìcura  che  quel   pefce 
non  era  il  primo  a  vederfi  ne'  noftri  mari  ,  additandolo 
col  nome  di  capochiatta,  o  capopiatto.  Così  tra  il  vol- 
go de'  marinari   medefimi  già  fembrava  efi"erfi  definito  che 
mentre  quql  pefce  non  era  una  canefca,  fi  meritava  egli 
una  particolare  attenzione  per  parte  de'  naturaliili .   Efll 
fi  occuparono   ben  tofio  a  vuotarlo  de'  vifceri ,    e  dopo 
averlo  fatto  in  pezzi  lo  trovarono  pefare  due  cantaja  , 
e   fettanta  rotoli . 

Incaricati  dalla  prefettura  di  Polizia ,  il  Signor  Semen- 
tini ed  io ,  di  recarci  ad  ofTervare  quello  pefce  per  de- 
cidere fé  potefle  permetterfi  lo  fpaccio  della  fua  carne , 
noi  ci  fermammo    a  rintracciarne    diligentemente    tutt    i 


247 
caratteri  zoologici  .  Noi  avvalorammo  allora  il  giudizio 
de'pefcatori  che  non  lo  avevano  creduto  una  canesca  , 
ma  non  tardammo  a  riconofcervi  tutt'  i  caratteri  dello 
fleflb  genere  Squadro  (  Squalus  ) .  Dopo  varj  faggi  efe- 
guiti  sulla  carne  di  eflb  per  afficurarci  deUe  fue  quali- 
tà ,  determinammo  non  poter  ella  nuocere  alla  falute ,  e 
ne  permettemmo  lo  fpaccio.  Quindi  m'incaricai  particolar- 
mente d' intraprendere  un  lavoro  sulla  determinazione  del- 
la fua  ipecie  . 

Defcriiione  del  pefce  » 

Qucfto  Squadro  è  lungo  otto  piedi  e  due  pollici ,  ed 
ha  fei  piedi  e  fei  pollici  di  maffima  larghezza  in  giro, 
offia  un  maffimo  diametro  di  due  piedi  in  circa ,  egli  è 
perciò  molto  più  lungo  che  largo,  onde  prende  la  for- 
ma di  un  cono  allungato .  La  fua  pelle  e  di  color  gri- 
gio fofco  al  di  fopra ,  ruvida  al  tatto ,  fpecialmente  por- 
tandoli la  mano  dalla  coda  verfo  la  teda  ,  il  di  fotto 
del  corpo  e  di  color  bianco  fporco .  Tagliato  trasverfal- 
mente  il  prefenta  la  fua  carne  fibrofa  ,  mediocremente 
compatta ,  di  color  bianco  rofeo  ;  la  fua  fpina  del  dia- 
metro di  tre  pollici  ,  formata  di  grofTe  vertebre  carci- 
laglnofe ,  facili  a  tagliarli  in  fette  col  coltello  ;  ed  il  fuo 
cuojo  della  groflezza  di  due  terzi  di  pollici,  di  un  color 
bianco  latteo  ,  e  di   una  confidenza  quafi  cartllaginofa  . 

La  tcfta  di  qucfta  nuova  fpecie  di  Squadro  ne  oflre 
i  caratteri  più  rimarchevoli.  Ella  è  una  volta  più  larga 
di   tutto  il  rcflo  del  corpo ,  e  fchiacciata ,  di  figura  rom- 

boi- 


248 

boidale,  terminata  anteriormente  da  un  gran  mufo  coni- 
co, che  sul  piano  intero  della  teda  obbliquamente  s'in- 
nalza per  circa  due  terzi  di  piede,  ed  inferiormente  da 
una  larghiflxma  apertura  femicircolare  di  due  piedi  e  mez- 
zo che  ne  forma  la  bocca  ;  a  dritta  e  finiftra  del  mufo 
fi  oflèrvano  gli  occhi  che  ferbano  tra  loro  la  diftanza 
di  circa  un  piede  e  mezzo  mifurata  fecondo  la  linea  del- 
la maffima  elevazione  del  mufo  ;  effi  fono  rotondi  del 
diametro  di  un  pollice  e  mezzo  ;  la  parte  inferiore  del 
mufo  ifleflb  è  lateralmente  traforata  dalle  fue  narici  con- 
tigue tra  loro ,  che  in  quella  razza  di  pefci  fono  la  fede 
di  un  odorato  finiffimo  e  molto  dilicato .  Dietro  agli  occhi, 
ed  alquanto  più  fotto  fono  difpofte  le  orecchie  fornite 
di  fette  aperture  per  ogni  lato ,  e  formate  di  membra- 
ne coriacee  addoffate  le  une  alle  altre  ,  la  diftanza  tra 
eflc  mifurata  dalla  parte  fuperiore  della  teda  è  di  due 
piedi  e  dieci  pollici  .  Aprendoli  la  bocca  dell'  animale 
fé  ne  poflono  a  beli'  agio  confiderare  le  malcelle ,  nelle 
quali  merita  di  efière  particolarmente  rimarcata  la  brut- 
tura de'  denti  che  fomminiftrano  i  caratteri  più  impor- 
tanti di  quello  genere  di  pefce  .  La  mafcella  inferiore 
del  noflro  squadro  prefenta  nel  fuo  bordo  una  ferie  di 
denti  fchiacciati  ,  duriffimi  e  più  bianchi  del  più  fino 
avorio;  ognuno  di  elfi  è  di  figura  triangolare  non  dis- 
fimile  da  una  falce  piatta ,  della  quale  il  lato  inferiore 
iiicallrato  nel  bordo  cartilaginofb  della  mafcella  è  lun- 
go circa  1 5  linee ,  il  lato  più  corto  difpoflo  ad  angolo 
di  45  gradi  col  primo  rapprefenta  la  maffima  larghezza  del 

dente 


2  49 
dente,  ed  è  lungo  circa  5  linee;  il  terzo  lato  che  va 
obbliquamente  a  terminare  nell'altra  ellremità  della  ba- 
fe,  lungo  circa  un  pollice,  prcfenta  una  ferie  di  punte 
aguzze  al  numero  di  1 1  che  decrefcono  infenlibilmentc, 
finche  l'ultima  fi  confonde  coli' angolo  alla  bafe  del  den- 
te medefimo.  Di  quelli  denti  l'animale  ne  ha  al  nume- 
ro di  14.  In  mezzo  ai  due  primi  oiTervafi  un  picciol 
dente  femplice  di  forma  conica  molto  aguzzo  e  di  fo- 
flanza  affatto  cartilaginofa .  I  denti  della  mafcella  fupe- 
riore  hanno  una  llruttura  ben  divcrfa  da  quelli  della 
mafcella  inferiore .  Di  elfi  in  una  prominenza  lìtuata  in 
mezzo  al  fornice  della  bocca  fé  ne  oflervano  dieci  che 
hanno  la  forma  de' denti  delle  fiere,  effi  fono  femplici, 
uncinati,  dilaniatori;  quefti  fono  fituati  in  tre  ferie,  due 
anteriormente,  quattro  dopo  di  quefti,  e  quattro  in  una 
terza  ferie  pofleriore  .  Dai  due  lati  della  prima  ferie 
traggono  origine  le  due  ferie  dei  denti  feghettati ,  piatti 
di  quella  mafcella,  de' quali  i  più  vicini  ad  eflì  prefen- 
tano  appena  una  o  due  punte,  e  quindi  negli  altri  fé 
ne  accrefcc  il  numero  di  mano  in  mano,  finche  diven- 
tano fimili  a  quelli  della  mafcella  inferiore  ,  io  ne  ho 
contati   fette  per  ciafcun  lato  della  bocca . 

Nel  fondo  della  bocca  giace  la  lingua  maflìccia ,  lar- 
ga ,  cartilaginofa  ,  bianca  e  coverta  di  fcabrofità  come 
quella  del   gatto  . 

Le  pinne  fono  poco  confiderevoli  relativamente  alla 
mole  dell'animale.  A  fomiglianza  degli  altri  fquadri  efiè 
fono  di  forma  triangolare ,  rigide  e  cartilaginofe  con  del- 
le oflature  raggiate.   Di  quelle   ve  n'è  una  dorfale,  due 

3  i  pet- 


2  JO 

pettorali ,  due  ventrali ,  ed  una  della  coda .  La  mancanza 
di  una  pinna  dorfale  e  della  pinna  dell'ano  nel  noflro 
squadro  ne  forma  uno  deTuoi  principali  caratteri .  L'unica 
pinna  dorfale ,  ch'egli  ha ,  è  fituata  immediatamente  pres- 
so la  coda  .  Le  pinne  pettorali  e  ventrali  non  offrono 
alcuna  particolarità  .  Il  lato  fuperiore  della  coda  lunga 
circa  tre  piedi  prefenta  una  pinna  continuata  duriffima , 
e  molto  robufta ,  a  cui  bifogna  rifondere  tutte  la  forza 
che  fi  comunica  all'  animale  agitandofi  nell'  acqua .  Que- 
lla pinna  termina  dividendoli  in  due  lobi  ineguali  trian- 
golari ,  de'  quali  il  fuperiore  è  più   lungo  dell'  inferiore. 

Il  noilro  squadro  manca  affatto  della  linea  laterale , 
offia  di  quella  linea  longitudinale  elevata ,  più  o  meno  fen- 
lìbile  riguardata  da  Lacépéde  come  un  indizio  dei  princi- 
pali vafl  desinati  a  fpandere  sulla  fuperficie  del  corpo 
de'  pefci  un'  umore  vifchiofo  neceffario  ai  movimenti  ,  e 
alla  confervazione  di  effi  . 

Il  noflro  squalo  manca  tuttavìa  de'  due  fpiragli  che 
i  fuoi  congeneri  fogliono  avere  nella  vicinanza  degli  oc- 
chi ,  e  che  fono  deftinati  a  fpinger  fuori  con  forza 
r  acqua  che  effi  ingozzano  ;  delle  due  appendici  peni- 
formi  ,  offia  di  quelle  produzioni  lunghe  circa  il  dodi- 
cefimo  della  lunghezza  totale  del  corpo,  che  i  squali  ma- 
fchi  hanno  preffo  la  coda,  e  di  cui  fi  fervono  per  avvitic- 
chiarfi  al  corpo  della  femmina  nell'atto  dell'accoppiamento, 
ciò  fa  conchiudere  che  egli  appartenga  al  fefio  femmineo. 

Clajffificaiione  degli  Squadri . 

Defiderando    afficurarmi    della  metodica    claflìficazione 

del 


del  pefce  da  me  efaminato,  io  ebbi  sulle  prime  ricorfo 
a  quella  immaginata  dal  Cavalier  Linneo ,  che  diftribuen- 
do  i  pefci  in  quattro  ordini,  non  vi  comprende  i  pefci 
cartilaginofi  ,  ma  li  riporta  nell'  ultimo  ordine  de'  fuoi 
amfibj,  caratterizzati  dalla  prefenza  delle  pinne,  e  delle 
branchie  laterali.  In  realta  non  mancò  di  eccitare  in  me 
una  \iva  forprefa  il  vedere  claflìficati  tra  gli  amfibj  in- 
sieme col  pefce  da  me  oflervato  ,  un'  altra  lunga  ferie 
di  veri  pefci  diftinti  in  circa  14  generi  .  Come  mai  il 
celebre  Plinio  della  Svezia  potette  indurfi  a  riportare  tra 
gli  amfibj  animali  che  al  primo  afpetto  di  già  annun- 
ziano tutt'  i  caratteri  de'  veri  pefci ,  fra  quali  quelli  fpe- 
cialmente  ben  Angolari  delle  pinne  ,  delle  branchie  ,  e 
della  impofiìbilità  di  poter  vivere  fuori  dell'  acqua  ?  Ma 
non  è  quello  il  folo  errore  che  nella  claflìficazione  de- 
gli animali  fu  obbligato  a  commettere  quefto  fommo  uo- 
mo ,  perchè  Y  immenfità  degli  oggetti  comprefi  nel  fuo 
gran  h^•oro  del  Siftema  della  natura  non  gli  permifero 
di  profondare  le  fue  ricerche  sulla  fìoria  particolare  di 
eflì .  Del  reflo  bifogna  confeflare  che  la  confiderazione 
di  taluni  caratteri  poco  ben  conofciuti  poterono  indurre 
quel  gran  naturalifta  a  far  claflìficare  quelli  animali  fra 
gli  amfibj .  Tali  fono  ,  per  efempio  ,  la  prefenza  delle 
appendici  peniformi  di  fopra  defcritte  ,  che  da  eflb  fu- 
rono prefi  per  veri  membri  genitali ,  e  la  forma  di  ac- 
coppiamento propria  di  quelli  pefci ,  che  fi  difcofta  dal 
meccanismo  della  generazione  di  tutti  gli  altri  che  non 
fi  accoppiano  affatto,  ma  foltanto  il  mafchio  di  elTi  ncU' 
infeguire  la  femmina  che  fi  fcarica  delle  fue  uova,  non 

*  fa 


fa  che  afpergerle  del  fuo  umore  femlnale.  ConorcendoH 
perciò  che  in  quelli  creduti  amfìbj  il  mafchio  il  corica 
sul  ventre  della  femmina  che  giace  fupina  ,  fu  creduto 
che  quelle  appendici  peniformi  faceflero  T  ufficio  di  veri 
organi  fefluali  ;  ma  iu  feguito  delle  più  diligenti  ofTer- 
vazioni  de'  moderni  naturalisti  è  flato  dìmoflrato  che  quel- 
le appendici  non  fervono  che  ad  abbracciare  il  corpo 
della  femmina ,  mentre  effa  fcaricandoll  delie  uova  ,  il 
mafchio  le  afperge  del  fuo  liquor  feminale .  Linneo  cre- 
dette altresì  che ,  oltre  alle  branchie  ,  quefti  pefci  fof- 
fero  forniti  di  veri  pulmoni ,  ficcome  ferabrava  apparire 
dalla  dilezione  di  qualche  fpecie  di  quella  clafTe,  e  fpe- 
cialmente  del  facco  aereo  che  hanno  i  tetrodonti  che  si 
può  vuotare  e  riempire  a  volontà  dell'  animale  ;  ma  que- 
lli creduti  pulmoni  fono  fimilmente  fcomparfì  fotto  le 
diligenti  indagini  de'  moderni  fctiologi ,  non  potendofi  ac- 
cordare un  tal  nome  a  qualche  prolungamento  delle  bran- 
chie flefle  che  fuol  riconofcerfì  in  alcuni  di  quelli  pe- 
fcir.  Meritamente  il  Signor  Gmelin  nella  fua  ultima  com- 
pilazione del  Siflema  della  natura  di  Linneo,  feguendo 
le  tracce  de' moderni  naturalifli  ha  portato  via  dagli  a m- 
lìbj  X  ordine  dei  nuotanti  di  Linneo  ,  e  ne  ha  aggiunto 
due  altri  fotto  dei  pefci ,  coi  nomi  di  brdnchiopterygii  , 
e  ckondropterygii  ^  dei  quali  i  primi  fono  caratterizzati 
dalle  branchie  olTee  e  le  offe  cartilaginofe  ,  ed  i  fecon- 
di dall' efTer  cartilaginofi  in  tutte  le  parti  che  fono  offee 
negli  altri   pefci . 

Il  Signor  la  Cépéde    nel  '  fuo    efìmio  lavoro    fopra  i 
pefci  fomminiflra  tutti  gli  opportuni  dettagli  per  claffi- 

fica= 


453 
ficare  il  pefce  defcritto.  Nella  fua  claflìficazione ,  i  pe- 
fci  condropterigj  formano  la  prima  fotto-clafle  che  com- 
prende i  pefci  cartilaginofi ,  odiano  quelli  che  hanno  le 
parti  folide  dell'interno  del  loro  corpo  tenere  quanto  le 
cartilagini  degli  altri  animali  .  In  quefta  fotto-cIafTe  il 
IV  ordine  comprende  i  pefci  addominali,  offiano  quelli 
che  hanno  delle  pinne  fituate  fotto  l'addome.  I  Squa- 
dri coftituifcono  il  terzo  genere  di  queft'  ordine  caratteriz- 
zati dal  numero  delle  aperture  branchiali  di  ciafcun  la- 
to del  corpo.  Tutti  quelli  caratteri  trovando^  conveni- 
re al  pefce  che  ho  defcritto  ,  non  efitai  a  confermarmi 
nel  giudizio  che  ne  avea  portato  nel  principio,  creden- 
dolo una  fpecie  di  fquadro.  Il  genere  degli  Squadri  dal 
Signor  la  Cépéde  è  fuddivifo  in  tre  fotto-generi;  il  pri- 
mo comprende  quelli  che  hanno  una  pinna  all'  ano  ,  e 
fono  privi  di  fpiragli;  quelli  che  hanno  la  pinna  all'ano 
ed  i  fpiragli  fi  riportano  nel  fecondo  ;  e  quelli  che 
hanno  i  fpiragli  e  mancano  della  pinna  all'  ano  fi  ri- 
ducono al  terzo .  Oflervando  quefta  divifione  io  conobbi 
ben  predo,  che  il  nollro  squadro,  eflendo  privo  ugual- 
mente di  Ipiragli  e  della  pinna  all'ano,  non  poteva  ripor- 
tarfi  fotto  alcuna  di  quelli  tre  fotto-generi .  Malgrado  ciò  io 
mi  applicai  ad  efaminare  fé  mai  avelie  potuto  avvicinarli 
ad  alcuna  delle  fpecie  defcritte  fotto  quelle  tre  fuddivifioni . 

Differen'^a  tra  il  nuovo  Squadro ,  e  gli  altri 
a  cui  più  fi  fomiglia . 

Confultando  attentamente    tutte  h  defcrizioni  partico- 
lari riportate    dal  Signor  Lacépéde    fotto  la  Itoria  degli 

SqUH- 


aj4 

squadri ,  io  mi  fono  fermato  a  quelle  (bltanto  che  per  la 
forma  del  corpo  ed  i  caratteri  zoologici  offrivano  una  mag- 
giore analogia  col  noftro .  Quefte  fono  :  il  vero  pefce  cane^ 
lo  [quadro  majjlmo ,  lo  /quadro  cinerino  ed  il  milandro. 
Il  pefce  cane  (  Squalus  carcharias  ;  Lin. ,  réquin  de'Fran- 
cefi  )  conviene  col  nuovo  squadro  nella  mole  del  cor- 
po, nel  colore,  nella  qualità  della  fua  pelle  e  nelfef- 
fer  privo  degli  fpiragli  preflb  gli  occhi  ;  ne  difconviene 
poi  perchè  mentre  egli  ha  il  mufo  rotondo  e  fchi  accia- 
io nella  medefima  direzione  del  dorfb,  due  pinne  dorfali, 
una  pinna  all'ano  e  cinque  branchie;  il  noilro  ha  il  mu- 
fo conico  e  rilevato  sul  piano  del  dorfo,  una  fola  pin- 
na dorfale  ,  e  privo  della  pinna  all'  ano  ,  ed  ha  fette 
branchie ,  Oltre  a  ciò  la  più  rimarchevole  differenza  tra 
quelli  due  fquadri  viene  flabillta  dalla  diverfa  flruttura 
de'  loro  denti .  Il  pefce  cane  ha  fino  a  fei  ferie  di  denti 
triangolari  quafi  equilateri  e  tutti  uniformi  ;  il  noftro 
non  ha  che  una  fola  ferie  di  denti  falciformi,  ed  oltre 
a  quelli  ne  ha  dieci  altri  conici  ,  uncinati  ,  e  ben  di- 
verfi  da  quefli ,  fituati  nella  mafcella  fuperiore .  Intorno 
la  mancanza  delle  moltiplici  ferie  di  denti  ,  potrebbefi 
intanto  fofpettare  che  nel  nolìro  squadro  esse  non  erano 
del  tutto  fviluppate  a  cagione  della  fua  giovanile  età  , 
mentre  fi  sa  che  anche  nelle  canesche  molto  giovani  non 
fé  ne  oflerva  che  una  fola  ferie.  Ma  a  diflìpare  quello 
fofpetto  balta  far  riflettere  alla  forma  de'  denti  medefi- 
mi ,  abbaflanza  diverfa  anche  nella  più  giovanile  età  di 
quelle  due  fpecie  di  squadri .  Il  Signor  Lacépéde  ,  de- 
fcrivendo  la  forma  de'  denti  di  uno  squadro    lungo  fei 

piedi 


251 

piedi,  ed  in  confeguenza  molto  più  giovine  del  nofìro, 
ne  dà  le  particolari  dimenfioni  che  non  lafciano  verun 
luogo  a  dubitare  della  loro  diverfa  bruttura.  Quefti  den- 
ti ,  fecondo  lui ,  hanno  la  bafe  lunga  fei  linee ,  ed  i  lati 
lunghi  fei  linee  ,  e  tre  quarti  ,  cosicché  rapprefentano 
quali  de'  triangoli  equilateri .  Nel  noiìro  squadro  al  con- 
trario effi  hanno  15  linee  di  bafe,  e  de' due  lati,  uno 
è  privo  di  punte ,  ed  è  lungo  appena  5  linee ,  e  l'al- 
tro armato  di  1 1  punte  aguzze  è  lungo  un  pollice ,  e 
qualche  linea  ,  prendendo  così  la  forma  di  una  falce  , 
offia  la  figura  di  un  triangolo  fcaleno  baffissimo  . 

Lo  Squadro  mafjimo  (  Squalus  maxiraus  ;  Lin. ,  Squale 
trés-grand  ;  Lacépéde  )  conviene  col  noftro  nella  grandez- 
za del  corpo,  e  nella  mancanza  degli  fpiragli  predò  gli 
occhi  i  fé  ne  allontana  poi  moltìflìmo  perchè  ha  cinque 
branchie,  due  pinne  dorfali,  ed  una  all'ano,  mentre  il 
nodro  ha  fette  branchie,  una  fola  pinna  dorfale ,  e  man- 
ca affitto  della  pinna  all'ano.  Dippiù  la  forma  de'denti 
di  quefle  due  fpccie  di  squadri  è  notabilmente  diverfa, 
cflendo  nel  niaffiino  non  già  fchiacciati ,  falciformi  e  fc- 
ghettati ,  ma  conici,  uncinati  e  femplici,  fìmili  quafì  ai 
dieci  denti  femplici  che  il  nofìro  squadro  prefenta  nella 
protuberanza  della   mafcella  fuperiore  . 

Lo  Squadro  cinerino  (  Squalus  cinereus  ;  Lin. ,  Squale 
feriali-^  Lacépcde  )  conviene  col  noftro  perchè  ha  fette 
branchie ,  manca  degli  fpiragh  ed  è  il  folo  tra  gii  squa- 
dri finora  deferirti  che  manca  di  una  pinna  dorfale;  ma 
fé  ne  difcofta  moltiflìmo  perchè  non  è  più  grande  di  tre 
piedi  in  circa ,  perchè  è  fornito  della  pinna  alfano,  e  di 

una 


ij6 

una  linea  laterale  molto  sviluppata  ,  che  mancano  nel  no- 
Itro .  Egli  è  dippiìi  di  color  cinerino ,  e  non  grigio  fofco ,  ed 
i  fuoi  denti  fono  fchiacciati ,  feraplici  ed  alquanto  uncinati. 

Lo  Squadro  milandro  (  Squalus  galeus  ;  Lin. ,  Squale 
mìlandre  ;  Lacépéde  )  è  armato  di  denti  triangolari ,  fchiac- 
ciati fimili  a  quelli  del  pefce  cane,  ma  effi  hanno  dip- 
piìi  in  uno  de'  lati  un  grande  angolo  rientrante  ,  guer- 
nito  di  punte  aguzze  ,  la  qual  cofa  non  fi  oflerva  nel 
nofiro  squadro.  EfTo  ha  fimilmente  due  pinne  dorfali  , 
una  pinna  air  ano  ,  e  due  fpiragli,  caratteri  che  man- 
cano in  quell'ultimo.  Del  refto  quelìi  due  squadri  con- 
vengono nella  grandezza ,  e  nella  forma  del  mufo  allun- 
gato  e   fchiacciato. 

Non  fono  fìate  più  felici  le  ricerche  che  ho  ifìituite 
sugli  antichi  fcrittori ,  sul  dubbio  che  nelle  classificazio- 
ni fatte  dai  moderni  fofle  sfuggita  qualche  fpecie  che 
potefle  convenire  allo  squadro  da  me  efaminato .  Arifto- 
tile,  Plinio,  Rondelct,  Jonfìon ,  Gesner,  Altrovando  fo- 
no fìati  da  me  confultati  in  vano.  Tra  le  figure  ripor- 
tate da  quest'  ultimo  ,  io  ne  ho  rimarcata  una  col  no- 
me di  squalus  carcharias  alius  che  nella  forma  del  mu- 
fo e  nell'efler  privo  della  pinna  all'ano  conviene  efat- 
t:imente  col  noftro,  ma  egli  mentre  manca  di  una  pin- 
na al  dorfo  ha  in  vece  di  efTa  una  fega  cartilaginofa  fi- 
mile  a  quella  di  cui  è  armato  il  mufo  dello  squalus 
trìftis ,  ed  oltre  a  ciò  ha  cinque  branchie  ,  e  denti  ben 
diverfi  dallo  squadro  che  deferivo  .  Un'  altra  figura 
che  per  la  forma  del  mufo  raffomiglia  paranco  al  no- 
ilro  squadro,  ed  e   indicata  collo  Ikflb  nome  di  squalus 

car- 


2J7 
carcharlas  alìus ,  appartiene  ficuraniente  allo  squadro  mi- 
landro  già  mentovato  di  fopra  . 

Forma\ione  della  nuova  specie  di  Squadro  : 

Dimoflrata  in  quefto  modo  la  fìngolarità  dello  squa- 
dro che  ho  defcfitto  ,  fembra  non  eflèrvi  più  luogo  a 
dubitare  che  egli  non  fia  una  nuova  fpecie  finora  non 
oflèrvata  da  verun  naturalifta  .  Il  noflro  squadro  cofli- 
tuifce  anzi  un  nuovo  fottogencre,  oltre  ai  tre  già  rico- 
nofciuti  dal  Signor  Lacépéde  .  Quefti  eflendo  caratteriz- 
zati dalla  diverfa  combinazione  dell'alternativa  prefenza, 
o  mancanza  della  pinna  all'  ano ,  e  degli  fpiragli  preflb 
agli  occhi ,  ed  il  nuovo  dalla  totale  mancanza  dell'  una 
e  degli  altri.  Il  genere  degli  squadri  farà  allora  divifo 
we'  feguenti  quattro  fotto  generi . 

I .   Pinna  anali ,  foraminibus  ad  oculos   nullis  . 

a.  Pinna  anali ^  foraminibus  ad  oculos. 

3.  Pinna  anali  nulla ^  foraminibus  ad  oculos. 

4.  Pinna  anali  nulla ^  foraminibus  ad  oculos  nullis. 
Delle  quattro   fpecie  di  squadri  mentovate  di   fopra, 

il  carcharias ,  il  maximus ,  ed  il  cinereus  appartengono 
al  primo  fotto  genere ,  il  galeus  al  fecondo ,  ed  il  no- 
flro  al  quarto  . 

Dovendo  dare  un  nome  a  quefla  nuova  fpecie  di 
squadro ,  ho  penfato  defumerlo  da  uno  de'  fuoi  caratteri 
più  apparenti ,  e  propriamente  dalla  forma  fchiacciata  e 
grande  della  fua  tefla  ,  l'ho  chiamato  perciò  Squalus  platy- 
cephalus  dal  greco  nMrug  latus  ^  aniplus,  e  Kf^aZ)?  caput. 


33 


Re- 


258 

Recandone  il  nome  in  italiano  amerei  ritenere  in  par- 
te quello  che  gli  fi  dà    dai  noflri  pefcatori  ,    e  perciò 
lo  direi  Squadro  tefta  piatta ,  o  capo  piatta  . 
Ecco  la  Aia  frafe  caratteriftica  fpecifìca  : 

Sqimlus  platycephalus  ^  capite  maximo  deprejfo ,  rojlro 
conico  obtufo ,  obhlique  porrigenti ,  pinna  dorfali  unica, 
branchiis  feptem  ,  dentibus  variis  ,  aliis  falciformibus 
ferratis  y  aliis  conicìs  uncinatis  . 

Eccone  la  defcrizione  naturale  fillematica  : 

Squalus  platycephalus .  Corpus  longe  conicum  ,  lon- 
gitudine octo  pedurn  &  duorum  pollicum  ,  amplitudine 
maxima  fex  pedum  ,  feu  diameter  maxhnus  bipedalis  . 
Color  corporis  fupra  grifeo-fujcus  ,  fubtus  defedato  ai- 
bus  .  Cutis  fcabritie  infignis ,  compacia ,  femipollicaris  craf- 
fitieì  .  OJfa  cartilaginofa  teretiufcula  .  Caput  maximum 
deprejfum ,  rhomboidale  ,  roftro  conico  obtufo  ,  oblique 
porrigenti^  antice  munitum.  Os  fub  roftrwn  femicircula- 
re  duos  pedes  (5  dimidium  latwn .  Oculi  duo  ad  roftri 
latera  ,  Jubrotundi  .  Nares  fub  roJIro  approximatce  cri- 
briformes.  Branchie^  feptem  pone  oculos  ,  cartìlagineo- 
membrana<:cie^  imbricatcc..  Mandibula  inferior ,  dentibus 
qudtuordecim  compreffis  fesquipotlicis  tatis  ^  falciformibus, 
lateri  unico  verticali  ferrato,  in  medio  dente  unico  re- 
cio  cartilagìneo ,  annata .  Superior  prominentia  interme- 
dia dentibus  decem  triplici  ferie  di/pojìtis,  necnon  late- 
ribus  dentibus  ferratis  magnitudine  variis,  fenjlmque  cre- 
fceniibus .  horrida .  Pinnce  pecl:)rales  bince ,  triangulares, 
radiis  cartilagineis  ;  pinna  dorfalis  unica  prope  caudam. 
Pinna  caudalis  tertii  corporis  longitudine,  biloba,  lobi s 


259 
incequalihus ,  fuperiore  majore  ;  pinna  analìs  nulla .  Li- 
nea lateralìs  nulla  .  Nulla  foramina  temporum  .  Nullce. 
appendìces  peniformes . 

Notizie  relative  alla  floria  naturale  degli  Squadri . 

Quefta  famiglia  di  fiere  marine  e  fpecialmente  le  fpc- 
cie  più  coloflali  di  efla  fono  fiate  note  agli  antichi  fi- 
no dai  più  rimoti  tempi  della  fìoria  .  Teofrafto  ne  fa 
diftinta  menzione  defcrivendo  particolarmente  il  pefce  ca- 
ne che  egli  difegnò  il  primo  col  nome  di  carcharias 
dall'acutezza  de'fuoi  denti  (i).  Egli  aflerifce  dippiù  vc- 
derfi  queiìo  pefce  frequentemente  nel  mare  roflb.  Stra- 
bone  lo  defcrive  anch' egli  come  abitatore  de'maridelli 
Sicilia .  Eliano  ed  Ariftotile  nelle  loro  ftorie  degli  ani- 
mali trattano  di  parecchie  fpecie  di  squadri  .  Queft'  ul- 
timo fcrittore  che  deve  ai  fuoi  libri  di  zoologia  ,  1'  a- 
versi  confervato  un  dritto  all'  immortalità  ,  facendo 
la  ftoria  del  carcharias  ,  lo  difegna  fempre  col  folo  no- 
me di  canis .  Ne  manca  tra  i  moderni  chi  è  di  avvifo 
che  di  quefta  fpecie  di  squadro  abbiano  iutefo  parlare 
Omero  quando  fa  dimorare  il  fuo  Ercole  per  tre  notti 
nel  ventre  di  un  pefce  ;  e  le  fagre  carte  che  e'  infegna- 
no  efler  accaduto  lo  fteflb  al   Profeta  Giona . 

Le  più  grandi  fpecie  di  squadri  s'incontrano  ordina- 
riamente nel  più  alto  oceano  ,  e  ne'  mari  della  zona 
torrida .   Effi  fono   voraclffimi ,  e  cercano  col  più   grande 

.*  ar- 

co    Dal  GrtCO  A«/>x«;:Jr,  acutl'.s  ,  afper  . 


a6o 

ardore  di  pafcerfi  de' corpi  de' grandi  animali.  In  confe- 
guenza  della  perfezione  del  loro  odorato  e  della  prefe- 
renza che  efla  gli  dà  per  le  foftanze  il  di  cui  odore  e 
più  efaltato,  elfi  fi  danno   gran  premura  di  correre  da- 
pertutto  ove  li  richiamano  i  corpi  morti  de'  pefci  o  dei 
quadrupedi  e  de'  cadaveri  umani  .    Effi  fi  rendono    così 
capaci  d'intraprendere  de' lunghi  viaggi  feguitando  le  fpe- 
dizioni   marittime  colla  fperanza  di  divorare  i  cadaveri , 
che  ne  fono  gittati.   E'  rimarchevole  ciò  che  hanno  of- 
fervato    i  viaggiatori    circa    la    coftanza    colla    quale  le 
canelche  fcortano  le  imbarcazioni  de'  negri  delle  code  dell' 
Africa  che  accompagnano  fino  alle  colonie   Americane  , 
mollrandofi  di  continuo  intorno  ai  baftimenti ,  agitandofi 
alla  fuperficie  dell'  acqua ,  ed  avendo  per  così  dire   l'im- 
menfa   voragine    della   loro  gola    fempre   aperta    per  in- 
ghiottire  i  cadaveri  di  quelle  infelici  vittime  di  un  traf- 
fico  il   più   umiliante    per  1'  umanità  ,    che  fuccombono 
fotto  il   pefo  della   fchiavitù  e  delle   fatiche  di  una  du- 
ra  navigazione.   Commerfon  riferifce  che  efTendo  uno  di 
quefti  cadaveri    fofpefo    ad   una   trave    elevata    di  venti 
piedi   fuori   dell'  acqua,   fi   e   vifto   lo   squadro   slanciarfi 
a   molte   riprefe   fuori   dell'  acqua   fopra  di  queda  fpoglia, 
raggiungerla   finalmente  e  farla  a  brani .   Quefla  immen- 
fa   forza  che  fa  slanciare  come   un  dardo  ad  una  sì  gran- 
de altezza  un   pefce  di   mole  così  smifurata  è  dovuta  ai 
mufcoli  della   fua  coda ,  efTendofi  ofTervato  che  un'  ani- 
male di  quella  fpecie ,  quantunque   molto  giovine  è  lun- 
go  appena   fei   piedi  ,     con   un   fol   colpo   della  fua   coda 
ha  fpezzato   la  gamba   ad   un'  uomo  molto  robuflo .   Que- 

fto 


26l 

fio  traffico  ha  contribuito  talmente  a  popolare  di  quefli 
pefci  il  mare  delle  colonie,  che  ficcome  attedano  tutt'i 
viaggiatori ,  tra  i  quali  il  noflro  dotto  collega  Sig.  Sava- 
re(l,è  diventato  colà  pericolofo  anche  l'andare  in  piccole 
barche  di  diporto  nelle  vicinanze  del  lido;  cosicché  quei 
marinari  avvertono  i  foralìieri  di  "non  tener  né  anche 
le  mani  fofpefe  fuori  della  barca  per  timore  che  il  pe- 
fce  cane  non  fi  slanci  a  divorarle  ,  eflèndo  colà  molto 
frequente  il  vederfì  delle  perfone  che  fono  fiate  così  mu- 
tilate di  una  mano  o  di  un  braccio .  Quello  pericolo  , 
fìccome  fa  oflèrvare  il  Signor  Lacépéde,  e  fempre  mag- 
giore per  i  negri ,  che  per  i  bianchi ,  attefo  il  più  for- 
te odore  che  effi  efalano  dal  loro  corpo  .  Speflb  i  ne- 
gri ed  i  bianchi  bagnandofi  infieme ,  i  negri  fono  immo- 
lati i  primi  alla  ferocia  di  quelli  animali ,  e  danno  così 
ai  bianchi  il  tempo  di  falvarfi  colla  fuga.  I  viaggiatori 
riferifcono,  a  fcorno  dell'umanità,  che  talvolta  i  bian- 
chi hanno  portato  la  loro  snaturalezza  fino  al  punto  di 
obbligare  quelli  fventurati  a  formarli  una  barriera  im- 
penetrabile agli  attacchi  di  quelli  animali ,  circondandoli 
nelle  acque   mentre  fi  bagnavano  . 

A  quefl'  iilinto  di  tener  dietro  alle  fpedizioni  marit- 
time noi  dobbiamo  intanto  rifondere  la  cagione  della 
comparfa  ne'  nollri  mari  del  pefce  ,  che  ha  formato  il 
foggetto  di  quefla  memoria.  Dalle  vicine  code  dell'Afri- 
ca irafportati  dalle  correnti  s  imboccano  frequentemente 
nello  ilretto  di  Meflìna  varie  fpccie  di  squadri,  tra  qua- 
li ,  il  cane  e  la  ■:i^igena  fi  fono  refi  noti  ai  noflri  ma- 
rinari.   In  un  nortro  foglio  politico   del  mefe  di  Luglio 

deb 


i6i 

tlello  fcorfo  anno,  noi  deplorammo  il  trillo  avvenimento 
che  ebbe  luogo  nelle  acque  delle  Calabrie ,  ove  bagnan- 
doli due  foldati  francefì  ,  fi  avventò  ad  uno  di  effi  la 
canefca ,  che  divorandogli  una  gamba  lo  avrebbe  mife- 
ramente  ingojato  fé  alla  coraggiofa  deflrezza  del  fuo  ca- 
merata non  fofle  riufcito  di  tirarlo  a  viva  forza  sul  li- 
do .  Da  quei  mari  avendo  fatto  vela  la  flotta  anglo- 
sicula  per  portarfi  all'attacco  delle  noftre  Ifole,  è  pre- 
fumibile  che  fia  flata  feguita  dal  noftro  squadro  ,  che 
ilabilendofi  nel  noilro  golfo  fu  fpinto  ad  avvicinarfi  al 
lido  dalla  fperanza  di  potervi  predare  qualche  infelice 
nuotatore  .  Forfè  l'ecceffivo  calore  che  provammo  in  quell' 
epoca  potè  fìmilmente  contribuire  a  farlo  avvicinare  al 
lido  .  Ne  può  fervire  di  conferma  il  feguente  paflb  di 
Eliano.  Canìculae  &  alta  maris  alumna  ammalia,  qui- 
hiis  audaciam  naturae  infevk ,  cum  fummus  per  aeflatem 
calor  viget  ad  litora  fé  recìpiunt,  &  verjus  praecìpìtìa 
natant  &  expo/ita  fluciibus  promontorìa  fubeunt ,  &  an- 
guflis  profundisque  fretìs  fefe  infinuant  (i).  In  fatti  gli 
ultimi  giorni  di  Luglio  fono  flati  per  noi  quelli  del  maffimo 
calore  eftivo  di  queQ'anno;  in  quelli  giorni  il  mio  ter- 
mometro fituato  allombra  e  rivolto  al  nord ,  alle  quattro  po- 
meridiane ha  fegnato  fino  a  a6  gradi  della  fcala  di  Reaumur. 
La  carne  degli  squadri  è  dura  coriacea ,  e  di  fapore 
non  buono;  e(Ki  però  è  del  tutto  innocua  alla  falute  . 
Gli  abitatori  della  Guinea  ,  della  coda  d'  oro  ,  e  delle 
code  del  Mediterraneo ,  la  mangiano  impunemente ,  e  ne 

ri- 

l'i)     Lib.  4.  cap.  24. 


i6i 
ricercano  a  preferenza  la  ventrefca .  Se  il  fegato  di  qual- 
che fpecie  di  squadro  fia  fornito  di  qualità  perniziofe  , 
come  hanno  avanzato  taluni  naturalifti  io  non  poffo  af- 
ferirlo  .  Quello  del  te/ia  piatta  non  lo  era  certamente, 
perchè  prima  che  noi  ci  foffimo  portati  ad  efaminarlo 
già  il  fuo  fegato  era  flato  nraogiato  da  moltiffime  per- 
fone  di  que' contorni,  ne  alcuna  di  effe  potè  dolerli  di 
averne  provato  qualche  finiftro  effetto. 

Delle  fpoglie  di  squadri  petrificati  s'  incontrano  fre- 
quentemente nelle  montagne  di  feconda  formazione  .  Il 
monte  Bolca  preffo  Verona  lì  è  refo  celebre  per  ciò  . 
I  denti  petrificati  dello  squalus  carcharias  fi  offervano 
in  tutte  le  collezioni  di  prodotti  follili.  I  mineralogilli 
gli  hanno  impropriamente  chiamati  gloffopetri  ,  giacche 
la  loro  forma  triangolare  li  fa  raffomigliare  piuttorto  a 
lingue  di  uccelli;  del  reflo  fono  in  effi  tuttavia  ricono- 
fcibili  i  margini  fcghettati  che  ne  formano  il  principale 
carattere .  Gli  antichi  di  quefti  denti  fpeffo  li  fono  fer- 
viti per  amuleti;  nelfifola  di  Malta  efii  fono  più  fre- 
quenti che  altrove  . 

Io  chiudo  quella  mia  memoria  riportando  per  intero 
uno  squarcio  della  Storia  degli  squadri  del  Sig.  Lacé- 
pcde  che  riguarda   la   loro   maniera  di  accoppiarli . 

„  Il  tempo  in  cui  il  mafchio  e  la  femmina  fi  ricercaìio, 
dice  quello  celebre  naturalifta ,  varia  fecondo  i  climi  ;  ma 
egli  e  fempre  quando  la  llagione  calda  "dell'  anno  ha 
incominciato  a  farfi  fentire  che  elìì  provano  il  bi fogno 
imperiofo  di  sbarazzarfi ,  1'  una  delle  uova  che  porta  , 
r  altro  del  liquore   dellinato  a  f:condarle.   Efli  fi  avvan- 

zar.o 


264 

zano  allora  v'erfo  il  lido  ,  e  Ci  ravvicinano  ,'  e  fpeflò 
quando  il  mafchio  ha  foftenuto  contro  un  rivale  un 
combattimento  pericolofo  e  fanguinolento  ,  efll  fi  appli- 
cano l'uno  contro  l'altro  in  modo  da  far  toccare  i  lo- 
ro ani.  Soilenuti  in  quefla  pofizione  dalle  appendici  un- 
cinate del  mafchio  con  i  loro  sforzi  fcambievoli ,  e  con 
una  fotta  d' incrociamento  di  molte  pinne  e  dell'  eftre- 
mità  della  loro  coda ,  effi  vogano  in  quefta  sforzata  fi- 
tuazione,  ma  che  dev'eflere  piena  di  godimento  per  effi 
finche  il  liquore  vivificante  del  mafchio  abbia  animato 
gli  uovi  giunti  di  già  al  grado  di  sviluppo  atto  a  farli 
ricevere  la  vita,  ed  è  tale  la  potenza  di  quella  fiamma 
sì  attiva  che  fi  accende  anche  in  mezzo  delle  acque  , 
ed  il  di  cui  calore  penetra  fino  nel  più  profondo  degli 
abifll  del  mare  ,  che  quefio  mafchio  e  quella  femmina 
che  in  altre  llagioni  farebbero  sì  terribili  1'  uno  per  l'al- 
tro, e  non  cercherebbero  che  a  divorarfi  fcambievolmen- 
te,  fé  fulTero  ftimolati  da  una  fame  violenta  ,  raddol- 
citi al  contrario  e  cedendo  ad  affezioni  molto  diverfe  da 
un  fentimento  disruttore,  mifchiano  fenza  tema  le  loro 
armi  micidiali ,  ravvicinano  le  loro  gole  enormi  ,  e  le 
loro  terribili  code  ,  e  ben  lungi  dal  darfi  la  morte  , 
piuttofio  fi  efporrebbero  a  riceverla  che  a  fepararfi  ,  e 
non  celTerebbero  di  difendere  con  furore  1'  oggetto  dei 
loro  vivi  godimenti .  Spellb  le  uova  di  cui  la  femmina 
fi  fcarica  fchiudono  i  figliuolini  vivi  poco  tempo  dopo 
che  effa  l'ha  refi;  di  quell'uova  fé  ne  fono  contati  fino 
a  quaranta  in  uno  squadro  femmina  di   10.  piedi." 


t6f 


SAGGIO 


Sullo  stato  imperfetto,  nel  quale  è  ancora  la  Geografia 
antica 

DI 

DOMENICO  FORGES  DAVANZATr 

PRELATO  DI  CANOSA 

Letto  alla  Società  nella  Sezione  de""  io  Settembre  iSop* 


S9ooee^eoeee« 


^-i/E  rivoluzioni  fisiche  avvenute  al  noflro  pianeta  nel- 
la ferie  lunghlffima  de'  fccoli  ,  hanno  fatto  prendere  di 
tempo  in  tempo  novelli  afpetti  alla  fua  fuperficie  .  le 
rivoluzioni  politiche  fia  per  lo  forgimento,  o  per  la  ca- 
duta  de' grandi   imperi,  o   per   l'emigrazioni  de' popoli  da 

kiin  luogo  ad  un  altro  ,  hanno  parimente  con  efle  can- 
giato la  geografia  delle  nazioni  nell' epoche ,  nelle  quali 
fono  accadute.   L'impero  Romano  per  le  conquilT:e  fatte 

fà\  quafi  tutti  i  luoghi  della  terra  allora  conofciuta ,  mutò 
incora  l' afpetto  di  quella  ,  che  l' avea  preceduta  ;  ma  per 
§;li  annali  delle  fue  vittorie  ne  ferbò  la  memoria  di  effa. 
Caduto  queilo   vado  impero    per  1'  invafione    di    un 

^popolo  barbaro,   il  quale  diftruggendo  in  gran  parte  le 

|antiche   popolazioni ,  e  le  città   infieme  ,    e  fovra  tutto 

34  eflin- 


i66 

eftinguendo  ogni  lume  di  Tapere,  immerfè  in  quella  prò» 
fonda  ignoranza ,  che  feco  portava ,  V  avanzo  di  que'  po- 
poli ,  che  infelicemente  veniva  da  domare ,  e  la  geogra- 
fìa antica  divenne  in  quel!' epoca  di  barbarie,  un  mon- 
do del  tutto  fconofciuto  da  doverli  difcovrire  .  I  primi 
che  nel  forgimento  delle  lettere  tentarono  di  riconofcerlo, 
privi  di  libri  in  parte  diftrutti ,  o  fepelliti  ne'  chiollri , 
fanciulli  nella  fìoria  de'  tempi  antichi  ,  non  fecero  , 
che  cataloghi  molto  imperfetti  delle  città  ,  e  de  po- 
poli ,  che  vi  erano  itati  ,  e  quelli  fondati  per  lo  più 
fovra  le   noa  Tempre  ficure  tradizioni . 

Gli  OrtelJ,  i  Cluerj ,  i  Cellarj,  i  dell' Isle,  i  Dan- 
ville  ,  e  tanti  altri  compilatori  di  dizionarj  geografici  , 
che  fucceflero  a  quelli ,  hanno  fatto  de'  nobili  sforzi  per 
illuflrare,  e  rettificare  la  geografia  antica,  e  nelle  tene- 
bre in  cui  fi  trovava  iramerfa  ,  le  apportarono  una  lu- 
cida aurora  ,  che  in  gran  parte  la  veniva  a  rifchiarare. 
Ma  cofloro  benché  verfatifllmi  nella  ftoria,  e  nell'eru- 
dizione antica  ,  ma  altronde  (  mi  fi  permetta  il  dirlo- 
eon  lor  pace  )  poco  filofofi  ,  e  per  la  maggior  parte 
chiufi  ne' loro  gabinetti  letterarj ,  fenza  aver  giammai  of- 
fervato  i  luoghi ,  de'  quali  doveano  parlare  ,  non  face- 
vano che  delle  congetture  molto  lungi  dal  vero.  E  fé 
alcuni  viaggiarono  a  quello  effetto,  ti-afcorfero  i  luoghi 
eon  un  guardo  raoko  rapido  ,  per  cui  o  poco  ,  o 
aulla  fi  è  da  effi  giovato  al  loro  fcopo.  E  come  egli- 
no hanno  voluto  imprendere  ad  illuflrare  tutta  la  geo- 
grafia antica  del  noflro  globo ,  lavora  a  cui  facea  d'uo- 
po 


s<5r 

pò  di  moltiflìme  braccia  per  efeguirlo ,  fono  flati  quindi 
obbligati  di   fervirfi   delle  relazioni  altrui  ,    o  di  quelle 
de' viaggiatori   per  lo  più  romanzieri  ,  e  fon  caduti  sul 
la  fede  di  coiloro    oltre   a'  proprj  ,    in    nuovi   errori 
i  quali  da  quelli  che  fono  loro  fucceduti ,  fono  (lati  ab 
bracciali  fenza  alcuno  efame  ,   e  fi  fono  così  perpetuati 
infino  a  noi . 

Non  balta ,   io  mi  penfo  ,   il   volgere  gli  fiorici  , 
geografi,  e  gfitinerarj   antichi;  fa  meflieri  di  confrontar 
li  infieroe  ,  e  pefare  ancora  il  grado  della  loro  accura 
tezza  ,  e  fovra  tutto  oflervare    i  locali    di  quelle  città 
delle  quali  fanno  ricordanza .   Poiché  talvolta  gli  antich 
fcrittori  hanno  fituato  una  flefTa   città   in  diverfi  luoghi 
come  è  avvenuto  alla  noflra  Metaponto  ,    ad  Eraclea 
ed  al  tempio  di  Minerva  della  nofira  Japigia .  Gli  er- 
rori corfi   ne' loro  tedi  per  1'  ignoranza  ,  o  per  la   ne- 
gligenza de'copifti  ,   hanno  alterato  i  nomi  delle  città  , 
le  fituazioni ,  e  le  diflanze ,  le  une   dalle  altre ,  ed  hanno 
prodotto  ne'  moderni  ,  per  poco  efame  ,  un  numero  gran- 
de di  errori  :    quindi  è  fucceduto,   che  per  lo  fcambio 
di   una   vocale   in   un'altra  nel  nome  d'una  fleiTa  città, 
efll   ne  hanno  fatto  due ,  ed  hanno  avanzato  delle  llra- 
vaganze  :    al  contrario  di  due  città  diverfe  ,    ma  poco 
dilfcmiglianti  nel   nome  ,   ne  hanno  formata  una  fola . 

La  mancanza  dell'  ifpezione  de' luoghi  ne' moderni,  è 
flata  un  altra  forgcnte  di  errori  .  Il  Buonacciuoli  nella 
fua  traduzione  di  Strabene  ha  creduto  Sora  diftrutta ,  ed 
hz  detto  che  effa  era  dove  è  Poutecorvo,  e  Locri  ove 

*  è  ora 


»68 

è  ora  la  Roccella ,  mentre  le  rovine  di  quefta  fono  al 
di  là   di  Ceraci.   Gli.  Enciclopediihi  hanno  avuto   Paler- 
mo  per  non  efiftente,   mentre  è  ancora  in  piedi.  Le  ro- 
vine  di   Caulonia    citta   marittima    fi   oflervano    al   di   là 
del  fiume  Allaro;  intanto  alcuni  hanno  fcritto,   che  Zìa 
la  prefente  Caftelvetere,  la  quale  è  mediterranea.   Il  Pe- 
ripolio  di  Tucidide  era  nella  noftra  Locride  preiTo  il  fiu- 
me  Alece.   11  Cluerio,   il  Cellario,  ed   il  Mazzocchi  ne 
hanno  fatto  una  città  ;  e   chi  l' ha  fituata  in  Bova ,  chi 
in  Mandolia ,   ed  altri  in  Pagìiopoli  ;  e  quello  che  for- 
prende   piti  è,  che  il  Petavio  la  fìtua  in  Sicilia  colla  Lo- 
eride .   11  Canonico  Macrì  ha  provato ,  che  il  Peripolio 
era  una  fortezza  avanzata  de'  Locrefi ,  come  fcrivono  Tu- 
cidide ,  e  Diodoro  di  Sicilia ,   e  non   una  città ,  che  nef- 
fbno  geografo  ,    o  altro  fcrittore  antico    abbia  chiamata 
col  nome  di  Peripolio  ;    ed  ei  creù'e  ,    che  quello  fofie 
nel  luogo  detto  Lainmana ,  àove  fi   veggono  degli  anti- 
chi  edificj   al   di   qua   dell' Alece. 

Le  rivoluzioni  fisiche  hanno  cangiato  di  tempo  in  tem- 
po la  faccia  del  noflro  pianeta .  I  geografi  moderni  han- 
no creduto  ,  che  eflo  fia  fiato  fempre  tale  quale  ufcì 
dalle  mani  <lcl  fuo  creatore  ;  e  tutto  ciò  che  trovano 
fcritto  preflb  gli  antichi ,  che  non  fia  uniforme  alfafpet- 
to  prefente  del  noflro  globo ,  o  da  efll  è  tenuto  per  favo- 
lofo,  o  credono  che  quelli  fiano  incorfi  in  errore.  I  più 
moderati  tra  cofloro  fi  contentano ,  ma  con  un'aria  di  or- 
gogliofa  pedanteria ,  di  correggere  i  tefli  di  quelli  fecon- 
do le  loro  opinioni  ,  o  pure  cercano  di  dar  loro  delle 

più 


269 
più  fìrane  interpretazioni.  In  fatti  Polibio,  e  Livio  ci 
hanno  lafciato  fcritto,  che  Minturno  ,  e  Pompea  erano 
città  marittime  y  Tolomeo  all'  incontro  mette  Minturno 
tra  le  mediterranee .  I  geografi  moderni ,  vedendo  quelle 
due  città  alcune  miglia  lontane  dal  mar  Tirreno  ,  hanno 
tacciato  quelli  due  grandi  fiorici  di  poco  diligenti.  Ma 
fé  cflTi  foflero  flati  fìlofofi  un  poco  ,  avrebbero  avuto 
occhi  da  leggere  i  monumenti  ,  che  la  natura  ci  lafcia 
efpofti  in  que'  luoghi ,  per  difcernere  il  vero  ;  avrebbero 
veduto  ,  che  il  fuolo  frappollo  tra  le  rovine  di  Min- 
turno  ,  ed  il  mare  ,  è  un  opera  della  belletta  del  Li- 
ri ,  o  lìa  Garigliano;  e  che  quello  accrefcimento  non-  fi 
è  andato  facendo,  che  dal  tempo  di  Polibio,  e  di  Li- 
vio in  poi ,  e  che  all'  età  di  Tolomeo  era  quella  cit- 
tà divenuta  mediterranea .  Così  che  quelli  fcrittori  lungi 
dall'  efière  in  contradizione  tra  loro  ,  dicono  il  vero  cia- 
fcuno  neir  epoca  in  cui  è  vivuto  .  Similmente  Pompea 
non  è  cominciata  ad  efiere  mediterranea  ,  fé  non  dopo 
che  il  Vefuvio  riaccefo  fotto  Tito  ,  la  fepellì  con  quella 
fua  prima  eruzione ,  e  colle  fue  lave  n'  è  andato  quindi  di 
giorno  in  giorno  allontanando  il  mare  dalle  fue  rovijie: 
allontanamento  per  lo  quale  un  tempo  non  potendo  eflb 
ricevere  più  pabolo  per  ardere  dalle  acque  del  mare,  fi 
ellinguerà  ,  come  è  avvenuto  a  tutti  i  volcani ,  che  brucia- 
rono un  tempo ,  ed  ora  fono  fpenti .  Nella  medefima  guifa 
i  moderni  geografi  non  avrebbero  tacciato  di  favolofi  que- 
gli autichi  fcrittori ,  i  quali  ne  raccontano ,  che  Padova, 

Spina  , 


■S.J-0 

Spina  ,  ed  Adria  j  furono  un  tempo  marittime,  e  che 
alle  loro  eù.  erano  undici  miglia  dall'Adriatico  lon- 
tane. Ma  gli  occhi  ofièrvatori  de' due  grandi  naturalifti 
Dolomicu ,  e  du  Lue  hanno  riconofciuto ,  che  quello  ac- 
crefclmento  di  fuolo  all'  Italia  non  è  flato  prodotto ,  che 
dall'atterramento  del  Pò,  e  degli  altri  fiumi  .  Oflerva- 
zicni  che  confermano  ciò  ,  che  ci  avea  lafciato  fcritto 
Plinio,  il  quale  dice,  che  quefìi  medefimi  fiumi  aveano 
formato  a  pie  delle  Alpi  un  delta  di  due  mila  fiadj 
non  diffimile  a  quello,  che  avea  fatto  il  Nilo  nell'  E- 
gitto .  Un  fimile  accrefcimento  di  fuolo ,  era  flato  cagiona- 
to dal  fiume  Piramo  colla  fua  belletta  alla  Cataonia,  ed 
alla^Cilicia;  di  modo  che  fi  dicea  eflervi  un  oracolo, 
che  queflo  fiume  unirebbe  un  giorno  a  quefle  Provincie 
r  Ifola  di  Cipro. 

Queflo  flefiò  geografo  parlando  del  mar  Cafpio ,  nar- 
ra ,  che  queflo  era  un  golfo  ,  che  dall'  Oceano  fetten- 
trionale  s' inoltrava  verfo  il  mezzogiorno ,  che  nel  prin- 
cipio era  molto  flretto,  ma  che  andando  innanzi  fi  gi- 
va allargando ,  maffimaraente  verfo  l'ultimo  del  feno,per 
Torfi  cinquemila  ftadj,  o  fieno  feicento  venticinque  mi- 
glia; ed  egli  ne  parla  in  modo,  che  fembra  effer  flato 
tale  a  fuo  tempo.  Ora  non  folo  non  ha  nelfuna  communi- 
cazione  coli' Oceano,  ma  la  fua  vafta  eflenzione  è  gran- 
demente diminuita.  Lo  flato  prefente  di  quello  mare  non 
potea  efentare  Strabone  dalla  critica  di  favolofo  preflb  al- 
cuni fcrittoti  moderni;  ma  i  monumenti,  che  la  natura 
ci  lafcia  vedere ,  al  riferire  del  Sig.  dell'  Isle  nella  fua 

(lo. 


171 
/Iona  del  mondo  primitivo ,  dimoflrano  abballanza  la  ve- 
racità di  Strabene  ,  e  quanto  quefli  fcrlttori  fi  fieno  ingan- 
nati .  Non  è  da  ftupirfi  del  ritiro  del  mare  da  quel  gol- 
fo, la  cui  foce  era  ilretta,  e  nel  quale  molti  gran  fiu- 
mi vanno  a  deporre  le  lor  acque .  Cirene ,  ed  il  tempia 
di  Giove  Ammone  erano  sul  mare  ,  e  queft'  ultimo  a' tem- 
pi di  Strabene  era  tremila  fladj ,  cioè  trecento  fettanta- 
cinque  miglia  da  efTo  lontano;  ma  i  laghi  di  acque  ma- 
rine, le  conchiglie,  onde  fono  feminati  que  luoghi,  di- 
moflrano,  che  il  mare  gli  ricoprì  un  giorno.  Tutta  l'an- 
tichità aflìcura ,  che  Ravenna  era  marittima ,  e  che  nel  fuo 
porto  i  Romani  tenevano  la  lor  flotta:  quefla  città  ora  è 
mediterranea.  I  dotti  difcepoli  del  Linnea  su  monumenti 
certiflìmi  han  calcolato  quanto  il  mar  Baltico  da  due  fe- 
coli  in  qua  fi  fia  ritirato .  Io  ho  veduto  ,  egli  ha  cin- 
quanta anni ,  che  T  Adriatico  bagnava  le  mura  del  Ca- 
ftello  di  Barletta;  nel  1794  che"  il  rividi,  n'era  50 
e  più  pafli  lontano. 

Gli  antichi  fcrittori  e  fovratutto  Strabene  geografo  ,. 
e  filofofo  infieme  ,  per  le  fue  oflervazioni  ,  e  per  ciò^ 
che  vedea  accadere  fotto  i  fiioi  occhi ,  aveva  fcritto ,  che 
tutte  k  Ifole ,  che  fono  predo  i  continenti ,  faceano  par- 
te di  effi,  divelte  da  quelli  ,  o  per  ifcofTe  di  terremo- 
to ,  o  per  V  urtare ,  e  riurtare  continuo  del  mare  :  e  tra 
le  altre  nomina  la  Sicilia ,  la  Leucafia ,  Capri ,  ed  altret 
ma  coloro  tra  moderni ,  che  credono ,  che  la  faccia  del 
noftro  globo  non  fia  foggetta  a  quedi  cangiamenti  tac- 
ciano per  infuflOiìienti  quefli  racconti .   Ma  fé  elfi  avefiè- 

r» 
» 


ro  oflervati  gli  fìrati  di  breccia  ,  e  di  granito  nel  lido 
della  Calabria  che  e  sul  Faro  ,  corrifpondere  a  quegli 
oppofìi  nelle  fponde  di  quell'  Ifola  ;  fa  avelTero  pofto 
niente  agli  ftrati  della  Lucania  uniformi  a  quelli  della 
Leucafia  ,  che  le  fiede  incontro  ;  fé  le  fteffe  oiTerva- 
zioni  aveifero  fatto  sugli  fìrati  calcarei  del  promontorio 
Ateneo  corrispondenti  a  quelli  dell' Ifola  di  Capri;  egli- 
no non  avrebbero  tacciato  Strabene,  nu  avrebbero  <:o- 
nofciuto  da  que'  monumenti  infallibili  della  natura  ,  che 
quell'  Ifole  fecero  parte  vin  tempo  de'  continenti  vicini  : 
fé  pure  T  olìinatezza ,  che  è  propria  di  coloro ,  ai  quali 
lume  alcuno  di  filofofia  non  riluce  ,  permetterebbe  loro 
di  conofcere  il  vero  . 

Coloro  poi  ,  <:he  non  fon  perfuafi  di  quefti  cangia- 
menti fisici ,  ma  che  non  ofano  di  dare  una  mentita  agli 
fcrittori  ,  che  1'  antichità  ha  fìimati  degni  di  fede  ^ 
e  che  raccontano  tali  cangiamenti ,  fi  contentano ,  come 
ho  detto  ,  di  emendare  i  loro  tefti .  Plinio  fcrive  ,  che 
1  Ifola  di  Capri  avea  quaranta  miglia  di  giro ,  V  Abate 
Troylo  non  trovandola  ora  di  quella  eflenzions,  ma  di 
quattordici  miglia  foltanto ,  vuole  che  fi  corregga  quello 
luogo  di  Plinio ,  fecondo  il  numero  prefente  delle  miglia. 
Se  coftui  avelie  oflervato  quella  Ifola  da  vicino,  avrebbe 
veduto,  che  elfa  non  forma  lido,  ma  cade  quafi  da  per 
tutto  a  picco  sul  mare,  e  che  in  quella  parte ,  la  quale 
e  volta  verfo  Napoli ,  fi  fcorgono  nel  fondo  del  mare 
de'  pavimenti  di  antiche  cafe  ;  avrebbe  riconofciuto  le 
perdite  fatte  da  quella  Ifola ,  e  che  non  vi  era  d'  uo- 
po 


»7J 
pò  di  emendare  il  tcfto  di  Plinio.  L'Ifola  di  Megaride 
sulla  quale  fìcdc  il  caflello  dell'  Uovo ,  per  le  carte  dei 
tempi  di  mezzo  fappiarao ,  che  era  d' una  più  grande  e- 
lìenfionc  .  In  efTa  era  un  villaggio  detto  Melai^-s^o  ,  un 
colle,  de'vigneti ,  ed  un  monillero  fotto  il  nome  di  fan 
Salvatore:  ora  non  è  che  uno  fcoglio.  Il  Fontano,  del 
nome  del  quale  va  fuperba  quella  noftra  Società  ,  ne  ha 
lafciato  fcritto,  che  nella  terribile  tempefta  avvenuta  in 
Napoli  a  tempo  della  Reina  Giovanna  ,  l' orror  della 
quale  ci  vien  defcritta  in  una  lettera  dal  Petrarca ,  que- 
lla Ifola  rimafe  tutta  corrofa  quale  ora  la  veggiamo , 
e  chi  sa  ancora  quanto  fuolo  in  quella  occafione  Capri 
non  avelie  perduto/ 

Licofrone  ,  e  Dionigi  Aleflandrino  ci  hanno  detto  ,' 
che  le  Ifole  Sirenufe ,  che  fono  preflb  il  noflro  promon- 
torio Ateneo,  non  erano  che  una  fola.  Apollonio  fe- 
guendo  1'  antica  tradizione,  non  folo  dà  un'  Ifola  per 
dimora  alle  Sirene  ,  ma  ce  la  dipinge  per  ameniffima 
ancora.  Queflo  ha  fatto  credere  al  Cluerio,  vedendo  que- 
lla Ifula  eflere  ora  tre  fcogli ,  che  queili  fcrittori  abbia- 
no intcfo  parlare  del  vicino  promontorio  Ateneo,  sul  qua- 
le le  Sirene  aveano  un  tempio.  Ma  poteano  quefti  poeti, 
e  fovra  tutto  Licofrone ,  che  avea  tanta  cognizione  dei 
luoghi  d'Italia,  chiamar  Ifola  un  promontorio?  Il  Clue*= 
rio  ha  confiderato  lo  ilato  prefente  di  efle  ,  fenza  ri- 
flettere a' cangiamenti  fisici,  a' quali  potevano  eflcre  llate 
foggctte .  Ma  la  geografia  prefente  non  è  quella  di  Stra- 

3  y  bone 


2  74' 

bone ,   ne  quella  di  quefto  geografo  era  la  flefTa  di  co- 
loro ,  che  lo   aveano  preceduto . 

Egli  farebbe  dunque  da  delìderare ,  che  le  nazioni  di 
Europa  almeno  per  quello ,  che  loro  appartiene ,  invias- 
fero  degli  uomini  dotti,  e  filofofi,  i  quali  cogli  Itori- 
ci ,  co' geografi,  e  cogli  itinerarj  antichi  alla  mano,  of- 
fervafleio  i  luoghi,  e  verificafTero  ciò,  che  fi  è  detto 
da' moderni  ;  efaminaflero  le  rovine  di  quelle  città  ,  delle 
quali  s' ignora  il  nome  ,  per  poter  fifTarvi  quelle  ,  che 
gli  antichi  nominano  fenza  faperne  il  fito  precifo  .  Efil 
dovrebbero  ricercare  ancora ,  fé  fi  fieno  difcoverte  delle 
antichità  in  quelle  città ,  che  fi  credono  di  nuova  da- 
ta ;  poiché  molte  di  effe  dillrutte  per  le  rivoluzioni  po- 
litiche, fono  forte  fotto  altro  nome;  come  pare  che  fia 
la  nofìra  Converfano,  ove  negli  fcavi,che  vi  Ci  prati- 
cano, fi  fono  fcoverte  delle  antichità  ,  e  moltiffimi  fe- 
polcri  pieni  di  vafi  eccellenti  .  Eglino  non  dovrebbero 
trafandare  negli  fcavi  ,  che  intraprenderebbero  in  co- 
telli  luoghi  ,  di  oflervare  fotto  quanti  firati  di  terre- 
no vegetale  fi  rincontrano  antichi  edificj  ,  o  fepol- 
cri  ;  perciocché  come  fi  sa  ,  preflb  a  poco  ,  quanti 
anni  il  tempo  impiega  per  le  vie  ordinarie  a  formare 
ciafcuno  di  quegli  fìrati  ,  noi  avremmo  per  mezzo  di 
efll  de' dati  da  calcolare  l'epoche  delle  loro  fondazioni, 
e  delle  loro  diflruzioni  ;  e  ficcome  molte  città  fi 
fanno  dagli  antichi  fcrittori  di  origine  Greca  ,  Eno- 
tra  ,  o  Aufona  ,  ed  alcuni  moderni  per  via  di  vane 
etimologie  loro  danno  una  fondazione  Fenicia;  così  cal- 
co- 


27J 
colando  le  quantità  degli  (Irati ,  fotto  i  quali  giaccioao 
fepolte,  noi  avremmo  a  poter  cfTcr  in  chiaro^  fé  la  fom- 
ma  de' fccoli  ,  che  ci  darebbero,  corrifponde  «  quelle 
antichità,  che  ciafcuno  di  effi  loro  afcrive  ;  ed  avrem- 
mo con  ciò  pili  ragione  di  deridere  gli  etimologici  .  Egli- 
no dovrebbero  fare  le  medefime  oflervazioni  su  que'luo- 
ghi  un  tempo  marittimi,  e  poi  divenuti  mediterranei  pe'I 
ritiro  del  mare;  poiché  cfaminando  quanti  flrati  di  ter- 
reno fono  preflb  quelle  Città  un  dì  marittime,  coli'  ul- 
timo furato,  che  ora  vien  bagnato  dal  mare  ,  noi  per 
lo  numero  di  efll  avremmo  de' dati  da  calcolare  quando 
quelle  aveflèro  cominciato  ad  efler  mediterranee  :  ciocche 
tra  due  fcrittori  antichi  uno  ,  che  rapporta  una  Città 
eflèr  mediterranea,  e  l'altro  polla  sul  mare,  ci  potreb- 
be far  certi  quale  de'  due  non  fi  fia  ingannato ,  o  che 
tutti  e  due  ,  riguardo  a'  diverfi  tempi  ,  in  cui  viflero  , 
hanno  detto  il  vero  :  per  quella  via  noi  verremmo  an- 
cora ad  afficurarci ,  fé  quelle  Citta  ,  che  ne'  tipi  delle 
loro  monete  fanno  i  delfini ,  i  pefci  ,  il  granchio ,  e  che 
gli  antiquarj  credono,  per  quelli  fegni,  eflere  fiate  ma- 
rittime ,  fieno  fiate  veramente  tali .  Oflervazioni ,  che  po- 
trebbero altresì  molto  fervlre  a'  geologifti  per  la  fioria 
del   nofiro   globo . 

Senza  quefie  mire  ed  operazioni  la  geografia  antica 
farà  fempre  incerta  ed  imperfetta ,  ed  i  geografi  moder- 
ni ,  che  fi  occupano  d' illuflrarla  ,  non  faranno  ,  che 
copiaifi ,  per  la  mancanza  dell'  ifpezione  de'  luoghi  ;  per 
cui  fono  difcordi  tra  loro  nel  fidare  una  città    nel  me- 

*  de- 


J7^ 

defimo  fito:  onde  è,  che  non  fi  faprebbe  a  quale  delle 
loro  opinioni  gir  dietro,  come  è  manifefto  dalle  opere 
ultimamente  pubblicate  su  quefto  oggetto  .  Io  andrò  a 
darvene  un  faggio  fopra  una  piccola  parte  del  noftro 
Regno,  che  è  la  Puglia;  perchè  reggiate  gli  errori  com- 
meffi  su  tutti  que' punti,  che  ho  accennati  ,  e  fi  com- 
prenda quanti  eglino  ne  avranno  fatti  su  quelle  parti 
del  nofìro  globo  meno  conofciute  ,  e  vifitate  ,  che 
non  è  la  noftra  Italia  .  Io  comincerò  dalla  Daunia  , 
quindi  fcorrerò  la  Peucezia ,  ed  in  fine  la  Japigia,  che 
fono  le  tre  Provincie,  ond' ella  è  comporta. 

Il  Padre  Arduino,  e  V  anonimo  traduttore  di  Plinio 
m  francefe ,.  nelle  loro  note  su  queflo  autore  ,  credono 
che  r  antica  città  di  Cliternia  fia  fiata  là  ,  dove  è  ora 
Campomarìno  :  ma  quefio  luogo  fu  un  tempo  occupato 
dal  mare,  il  quale  retrocedendo  a  poco  a  poco  dal  fuo 
antico  letto  ,  e  rcftato  a  fecco  ,  fu  quello  nomato  Campo- 
marino,  e  k  città,  che  vi  iì  fondò  prefe  lo  fteflb  no- 
me. Io  ho  dimoilrato  ciò  nella  mia  opera  su  i  cangia- 
menti fisici  arrivati  al  reame  di  Napoli  fia  nella  fua 
■fuperficie,  fia  nel  fuo  littorale,  con  monumenti  che  k 
natura  quivi  ancora  lafcia  vedere .  Per  confeguenza  que- 
fli  dotti  fcrittori  iì  fono  su  quefio  punto  ingannati  :  er- 
rore  nato  dall'  ignoranza  della  qualità  di  quel  fuolo  . 

Teano  Apulo    era    fecondo  Strabene    una  città  medi- 
terranea pofta  preffo  quel  lago  detto  ora  di  Lefina,nel 
.  qual    contorno    egli     dice  ,    che    la     larghezza     dell  Ita- 
lia fi  riftringeva    aflai    bene   verfo  i  luoghi  vicino   Poz- 
zuoli f 


i77 
xuoli,  rimanendo  flretta  in  mille  fladj  ,  o  fiano  cento 
venticinque  miglia .  Intanto  il  Buonacciuoli  nella  fua  tra- 
duzione di  quel  geografo  ha  creduto  ,  che  efla  era  polla 
a  Lacedonia ,  che  è  su  di  una  delle  forgenti  dell'Aufido, 
jnoltiffime  miglia  da  quel  lago  lontana.  Io  debbo  av- 
vertire ancora  qui,  che  ora  l'Italia  ne' fopracennati  luo- 
ghi ,  fi  è  di  alquante  miglia  più  riftretta  . 

Gerunnio  ,  o  Gerione  Città  ben  nota  nella  feconda 
guerra  punica  ,  è  fiata  fìflata  da  moderni  fcrittori  in  dif- 
ferenti luoghi.  11  Nardi  nella  fua  traduzione  di  Livio, 
erede  che  iìa  la  prefente  Cafacalenda  ,  il  Cluerio  Dra- 
gonara  ,  ed  ultimamente  il  fu  medico  Kiriatti  di  Ciri- 
gnola,  ^\  è  sforzato  di  provare  nella  fua  operetta  sulla 
antichità  di  quefta  fua  patria  ,  eh' efla  iìa  l' antica  Gerione. 
Ma  un  paflb  del  grande  iftorico  Polibio  ci  fa  vedere 
quanto  effi  fieno  andati  lungi  dal  vero  ;  e  ci  dà  luogo 
di  fiflàrne  il  fito  .  Egli  racconta,  che  Annibale  aven- 
do lafciata  la  Campania,  per  \o  Sannio  fi  condufle 
nella  Puglia ,  e  ^ì  accampò  fotto  quefta  Città ,  che  era 
venticinque  migh'a  difcoila  da  Lucerà  .  Come  egli  vi 
giunfe  intimolle  la  refa ,  ma  moflratafi  coftante  a' Roma^ 
ni  vi  pofe  l'afledio,  e  avendola  prefa  uccife  i  fuoi  abi- 
tatori ,  e  da  pochi  edificj  in  fuori  per  ufo  di  magazzi- 
ni,  diftrufle  la  città,  e  fotto  le  mura  di  efia  ftabilì  gli 
alloggiamenti  ertivi.  Il  Dittatore  Fabio  Mafiimo,  che  lo 
Seguiva  fempre  dappreflb ,  fa  richiamato  a  Roma  ,  e  M. 
Ininucio  fuo  maeflro  di  cavalleria  gli  andò  dietro,  e  u 
accampò  fecondo  Livio  nel  contado  di  Larina  .  Co- 
me 


278 

me  Annibale  mandava  parte  del  fiio  efercito  a  forag- 
giare, e  far  frumento  ,  avendo  faputo  non  efler  mol- 
to lungi  le  truppe  Romane ,  per  effer  più  a  tiro  di  foc- 
correre  i  fuoi  ,  andò  ad  attcndarli  due  miglia  lonta- 
no da  Gerione ,  più  prelTo  agii  alloggiamenti  de' nemici. 
Da  tutto  ciò,  che  narra  Polibio,  e  Livio  appare  mani- 
fedo,  che  quella  Citta  era  fituata  tra  Larino ,  e  Luce- 
la  .  Ora  ellendo  Gerione  venticinque  miglia  da  quella 
difcolìa  ,  cfTa  non  può  edere  ne  Cafacalenda ,  ne  Dra- 
gonara,come  ha  pretefo  il  Cluerio,  la  quale  è  a  quin- 
dici miglia  da  Lucerà  .  Ma  come  la  distanza  di  venti- 
cinque miglia  verfo  Larino ,  viene  a  coincidere  prelfo  a 
poco  là  dove  è  Montorio ,  io  fono  inclinato  a  fuppor- 
re ,  che  quivi  era  Gerione;  tanto  più  che  predo  di  effo 
fi  veggono  quelle  colline,  che  PoUbio  ricorda  eder  sul 
cammino  che  menava  a  Larino ,  per  1'  occupazione  di  una 
delle  quali  avvenne  il  fatto  d'armi  tra  M.  Minucio  ,  ed 
Annibale ,  nel  quale  quest'  ultimo  restò  perditore  .  Egli 
e  vero ,  che  in  questo  luogo  non  lì  odervano  ruderi  di 
antichi  edificj ,  che  poteflero  avvalorare  la  mia  conget- 
tura ,  ma  questo  non  è  fempre  un  argomento  valevole 
a  dimostrare  l' inefiflenza  di  una  città ,  quando  fi  ha  la 
certezza  della  distanza  di  una  ad  un'  altra .  Ma  chi  ofe- 
rebbe  pretendere  di  trovare  de' vestigi  di  Gerione  distrut- 
ta da  più  di  ventidue  fecoli?  Non  troviamo  noi  tutto 
dì  delle  reliquie  delle  antiche  Città  fepellite ,  a  gran  pro- 
fondità nel  feno  della  terra  ,  di  cui  non  fé  ne  vedca 
vestigio  alcuno  ?  Canne ,  che  è  ceflàta  di  efi^ere  nel  XVI 

fé- 


i79 
fccolo  appena  ferba  nel  fuo  Cuoio  qualche  piccolo  fegno, 
che  ce  l' additi  .  Io  ho  veduto  in  Canofa  trovarfi  alla 
profondità  di  fcdici  a  diciotto  palmi  gli  antichi  pavimenti 
delle  cafe,  e  delle  strade,  e  fotto  a  ventiquattro  palmi 
fi  rinvenne  il  più  bello  ipocausto  da  me  offervato .  Da 
tutto  ciò  che  ho  detto  fi  rileva  ancora ,  che  Cirignok , 
che  è  a  trentatre  miglia  all'oriente  di  Lucerà ,  non  può 
elTere  T  antica  Gerione  ,  che  era  a  venticinque  miglia  all' 
occidente  di  quella  fìefla  città .  Il  delflsle,  nella  fua  carta 
dell'antica  Italia,  pone  Gerione,  alla  finistra  del  fiume 
Tiferno ,  e  Larino  alla  dritta  ;  quando  dovea  fituare  La- 
tino,  e  Teano  alla  dritta  di  quel  fiume,  come  £x  ofler- 
\a  nelle  tavole   Peuttingerane  » 

Licofrone  antico  poeta  greco  ha  lafciato  fcritto  ,  che 
nella  nostra  Daunia  fcorreva  un  fiumicello  nomato  Althe^ 
na  ,  le  acque  del  quale  guarivano  gli  animali  da'  loro 
morbi .  Strabene  dice ,  eh'  elio  forgeva  a  pie  di  un  colle 
detto  Drio  ,  che  era  nel  promontorio  Gargano  cento 
stadj  lungi  dal  mare .  II  Bario  ,  che  non  volea  che  la 
fua  Calabria  foflè  priva  di  un  rufcello  sì  falutare  ,  ha 
pretefo  che  con  quel  nome  di  Althena  eflì  abbiano  chia- 
mato il  fuo  fiume  Grati.  Ma  Licofrone,  e  Strabone  di- 
cono chiaramente ,  eh'  eflò  fcorreva  nella  Daunia  ,  e  non 
nella  Calabria;  che  era  un  rufcello,  e  non  già  un  fiume. 
Egli  è  vero,  che  il  P.  Manicone  nella  fua  fisica  Appula  ha 
fatto  ogni  sforzo  per  ritrovare  questo  fiumicello;  ma  fé  i 
fuoi  sforzi  fono  stati  vani ,  non  per  questo  si  dee  dare  una 
mentita  a  Licofrone ,  ed  a  Strabone ,  come  fogliono  fare  al- 
cuni 


Clini  de'  geografi  moderni ,  quando  liotl  trovatiò  esìstenti 
alcuni  luoghi  ,  fecondo  gli  antichi  ce  gli  hanno  de- 
ferirti.  Chi  non  sa  che  molti  rufcelli,  molte  fonti  fo- 
no cedati  di  fcorrere  per  molte  cagioni  fisiche  .  Lucre- 
zio ,  e  Columella,  fanno  menzione  di  alcune  fonti  di 
acqua  calda  preflb  Pompea ,  le  quali  fon  mancate .  Nel 
Falerno  ne  forgea  una  detta  (S'cfi.'2:^za ,  dalle  cui  acque, 
fecondo  racconta  Plinio,  ufciva  della  fiamma,  che  noa 
avea  forza  sulle  materie  per  le  quali  pafTava ,  ne  vi  fi 
attaccava  ;  e  che  fi  vedea  sulla  fponda  di  questa  forgen- 
te  un  fraffino  fempre  verde ,  malgrado  la  proprietà  di 
quelle  acque .  Questa  fonte  effendo  mancata ,  Plinio  paf- 
fava  per  un  bugiardo;  ma  il  celebre  Caffini  ristabilì  la 
riputazione  di  questo  grande  naturalista  :  egli  afficura  , 
che  nel  Bolognefe  vi  è  una  fonte  di  fimile  proprietà  :  e 
fé  ne  fono  difcoverte  altre  a  nostri  tempi  in  Francia  . 
Ma  torniamo  al  nostro  oggetto. 

Il  Chierio  sul  paflb  di  Plinio  ,  ove  fcrive  Salapia.  ^ 
Slpontum ,  Uria  ,  Amnìs  Cerbalus ,  fi  fcaglia  contro  que- 
sto fcrittore  per  avere  stranamente  turbato  tutto  l'ordi- 
ne di  quel  lido ,  perchè  dovea  far  precedere  il  Cerbalo 
a  Siponto,  a  cui  è  congiunto.  Ma  fé  avefle  egli  avu- 
to avanti  gli  occhi  quel!'  altro  paffo  di  Plinio  dove  è 
fcritto  Pedicolorum.  Rudia,  et  Egnada^  Barion,  Amnìs 
Paetiuf ,  Aufidus ,  avrebbe  veduto ,  che  quello  fcrittore 
prima  nomina  le  città  ,  che  appartenevano  a  qualche 
regione  ,  e  poi  i  fiumi  ,  che  vi  fcorrevano  .  Parlando 
poi   il  Cluerìo  di  Uria  ove  efla  era  ,    porta  opinione  , 

che 


iti 
eh'  era  posta  tra  '1  Monte  Gargano  ^  e  Siponto  :  ma 
Strabene  dice ,  che  innanzi  al  golfo  Sipontino  è  pojlo 
il  promontorio  Gargano  ,  il  quale  per  trecento  ftadj  fi 
caccia  nel  mare  verfo  levante  ;  verfo  il  promontorio 
e  Uria  picciolo  caflelletto  ^'  innany.  a  lui  le  ìfole  Dio- 
medec  .  Da  questo  paflb  appare  ,  eh'  era  questa  citta 
alla  volta  del  promontorio,  e  non  già  tra  '1  monte  Gar- 
gano ,  e  Siponto ,  come  pretende  il  Cluerio  ,  ^he  con  tal 
iltuazione  ne  ha  fatta  una  città  mediterranea  ,  quando 
Dionigi  di  Alicarnaflb,  e  T  AlelFandrino  le  danno  rag- 
giunto di  marittima  . 

Io  credo,  che  a  questa  Uria  marittima  appartengano 
quelle  medaglie ,  che  portano  il  fuo  nome ,  e  che  fan- 
no per  tipo  il  delfino;  fegno  certo  preflo  gli  antiquari 
di  città  marittima .  11  Signor  Avellino  nostro  focio ,  nel 
fuo  giornale  numismatico,  fecondo  femeftre  n.  IV.  ^  ove 
porta  le  medaglie  di  Uria,  riferifce ,  che  il  Caffìtti,  an- 
che nostro  focio  ,  in  una  lettera  a  lui  indirizzata  ,  gli 
avea  fcritto ,  che  in  un  piccolo  villaggio  prelTo  Larino 
chiamato  Ururi ,  fi  trovavano  in  gran  copia  meduglie  di 
Uria;  onde  egli  crede,  che  in  quel  luogo  fofle  stata  la 
città  di  Uria  :  ma  a  quefta  fua  opinione  è  contrario 
il  pafTo  rapportato  di  Strabone  ,  che  la  mette  alla  vol- 
ta del  promontorio  Gargano,  e  l'autorità  de' due  Dio- 
nigi ,  che   la  fanno  marittima  . 

Ma  vcggiamo  fé  il  fiume  Cerbalo  ,  di  cui  Plinio  fa 
meuMone,  fia  il  fiume  Cervaro ,  o  pure  il  Candclaro . 
Strabone  ricorda  dopo  TAufido  un  altro  fiume  navigabile, 

36  che 


che  fcorreva  in  tutta  quella  parte  della  Puglia  ,  eh'  è 
porta  tra  Salpi  e  Siponto  ,  ed  un  gran  lago ,  per  le 
bocche  de'  quali  da  Siponto  fi  portavano-  le  merci  , 
e  fpecialniente  il  grano,  altrove.  Plinio  fa  ricordanza  di 
un  fol  fiume  in  quefia  fìefla  parte  ,  a  cui  dà  il  no- 
me di  Cerhalo  ,  e  pone  queflo  per  confine  della  Dau- 
nia  ,  dicendo  nel  libro  III.  amnis  Cerbalus  Dauniorunt 
finis  ;  così  che  pare ,  che  il  fiume  navigabile  di  Stra- 
bene fia  il  Ccrbalo  di  Plinio.  Da  Pomponio  Mela  Tap- 
piamo, che  i  Dauni  tenevano  il  folo  monte  Gargano, 
e  che  il  feno  era  circondato  dal  lido  Appulo  .  Ora 
benché  gli  antichi  fiicciano  menzione  di  un  fol  fiume  , 
al  prefente  vi  fcorrono  e  il  Candelaro ,  e  '1  Cervaro  ,  e 
la  Carapella  ,  che  è  più  torto  un  torrente  ,  che  un  fiu- 
me .  Nel  lago  falfo ,  fecondo  il  P.  Manicone  ,  va  a  met- 
ter foce  tanto  il  Candelaro,  che  il  Ccrvaro^.  Quindi  i 
D'oderni  geografi ,  ingannati  dalla  fomiglianza  del  nome 
Cerbalo,  han  creduto  che  il  Cervaro  fia  il  fiume  navi- 
gabile ,  di  cui  parla  Strabene  :  ma  effi  non  han  ben 
riflettuto  a  quello,  che  ci  ha  lafciato  fcritto  Pomponio 
Mela  cioè  ,  che  il  monte  Gargano  era  abitato  da  Dau^ 
ni  ,  e  che  Siponto  era  fuori  del  Gargano  ;  ne  tampoco 
a  ciò  che  ne  dice  Plinio  ,  che  il  Cerbalo  era  il  confine 
de'  popoli  Dauni .  Ora  abitando  i  Dauni  quel  monte  ,  il 
giufto  confine  di  erti  è  il  Candelaro,  il  quale  nafcendo  fca 
le  ahure  di  Civitate,  di  San  Paolo  ,  e  di  Torre  Mag- 
giore, per  l'intero  fuo  corfo,  rade  le  falde  del  Gar- 
gano ,  e  va  a  metter  foce  nel  lago  falfo .  AH'  incontro  il 

Cer- 


283 
Cervaro  ha  la   fua  origine    negl'  Irpìni  ,    alle  alture  di 
Campo    Reale  ,     ed    accrefciuto    di    altre   acque ,   pafTa 
fotto    il   ponte    di    Bovino ,    rade    la  Caftelluccia  delli 
Sauri  ,    va    fotto    il  ponte    dell'  Incoronata ,    e    come 
perviene  alle  vicinanze  di  Siponto  ,   Ci  parte  in  due  ra- 
mi ,     uno    de'  quali    sbocca    nel  lago  falfo  ,    e  T  altro 
nel  fiume  Rivoli  .    Or  non  eflendo  il  Cerbalo  il  con- 
fine de'  Dauni  ,    che    abitarono    nel  Gargano  ,    perchè 
fcorreva    per     un  terreno    allora   appartenente    alla   Pu- 
glia  ,     il    Cervaro    non     può    eflere    1'  antico    Cerba- 
lo ,    ne    può    eflere    quel    fiume    navigabile    per  cui , 
fecondo  Strabene  ,    le    derrate  ,    e    particolarmente    il 
grano  ,  fi   portavano  al   mare  ;     ma  dev'  eflere    il  Can- 
<lelaro  ,  che   fcorre  quafi   radente   Siponto   .    Si  fono   in- 
gannati i  geografi   moderni    nella  fomiglianza    del   nome 
di  Cerbalo  ,    e  Cervaro  ,  e  per  non  aver  fatto  troppa 
riflefllone  a  ciò ,  che  ne  hanno  lafciato  fcritto  di  Cerba- 
lo gli   antichi . 

Livio  ricorda  una  citta  nella  Daunia  nomata  Ac- 
cua.  Nefluno  de' geografi  moderni,  per  quel  che  io  fappia, 
ha  tentato  d' invefligarne  la  fituazione  .  Io  vado  a  pro- 
porre le  mie  congetture  .  Quefto  fl:orico  racconta  ,  che 
Q.  Fabio  Pretore ,  il  quale  avea  fotto  la  fua  giurisdizione 
Lucerà ,  prefe  per  forza  Accua ,  ed  indi  andò  a  prende- 
re gli  alloggiamenti  eftivi  pel  fuo  efercito  preflx)  Ar- 
donia .  Or  fembra  ,  che  quella  città  dovea  eflere  tri 
Lucerà  ed  Ardonia  ,  e  che  per  jion  lafciarfi  dietro  aHe 
fpalle  una  citta  nemica  ,    pensò  di  prenderla  per  aflal-» 


to 


284 

to  .  Per  quante  ricerche  io  abbia  fatto  in  qua' luoghi, 
non  ho  potuto  trovare  veftigio  alcuno  di  antichi  editì- 
cj  :  folamente  da  tre  in  quattro  miglia  lungi  dalie  ro- 
vine di  Argirippa  ,  o  fia  Arpi ,  su  quella  via  che  me- 
na verfo  Troja  ,  s'  incontrano  molti  fepolcri  antichi . 
Quelli  ci  dimoflrano  ,  che  quivi  fu  un  tempo  qualche 
popolazione  ,  e  perciò  non  farebbe  irragionevole  il  ri- 
porre Accua  in  quello  luogo,  eh'  è  dodici  migha  lun- 
gi da  Lucerà ,  e  tredici  da  Ardonia  . 

Arpi  ,  o  Argirippa  li  vuole  fondata  da  Diomede: 
fette  miglia  difcorto  da  Foggia  11  veggono  ancora  le 
fue  rovine  ,  dove  tutto  dì  lì  dilcovrono  delle  antichi- 
tà ,  e  de'  fepolcri  pieni  di  va!ì  eccellenti  .  Or  il  Euo- 
nacciuolì  nella  fua  traduzione  di  Strabone  ,  ha  creduto 
che  Ila  Afcoli  :  ma  la  prefente  Afcoli  è  quella  fìelfa  , 
dove  tanti  fatti  fono  avvenuti  a  tempo  degli  antichi 
iloniani  .  Il  Nardi  all'  incontro  nelle  note  marginali 
polle  alla  fua  traduzione  di  Tito  Livio  ,  vuole  che 
Arpi  fia  Manfredonia  :  ma  ognun  sa  ,  che  quella  fu 
edificata  dal  nollro  buon  re  Manfredi  ;  e  '1  Buonac- 
ciuoli  pretende  ,  che  quivi  era  l' antica  città  di  Meta- 
ponto ,  le  cui  rovine  lì  veggono  ancora  pref/b  Torre  di 
mare  nel  golfo  Tarantino  . 

Troja  è  una  città  della  Daunia  edificata  da  Bugia- 
no Catapano  di  Michele  Ltiperatore  di  Oriente  in  Puglia; 
o  pure  ,  come  altri  pretendono  ,  innalzata  fulle  rovi- 
ne dell'  antica  Eca  da  lui  riftaurata  ,  e  chiamata  in  fe- 
guito  col  nome    di  Troja  ,  che  l' impofe  .    Quella  città 

è  circa 


28y 
è  circa  quaranta  miglia  lungi  dal  mare  Adriatico .  Intanto 
il  prete  di  Ravenna  ,  e  il  Biondo  vogliono  che  fìa  V  an- 
tico  Cajìrum  Annìbalìs  col  fuo  porto  ,  non  oflante  che  |.i- 
vio  feriva  ,  che  quefto  era  podo  nel  promontorio  Lacinio . 
Le  tavole  ,  che  vanno  sotto   il   nome    del  Peutin- 
gcro  che  le  pubblicò  ,   ma  il  cui  autore  fi   vuole  viva- 
lo   fotto  Tcodofio  il  grande,  notano  òuq  Anxanum^   uno 
negli  Abruzzi ,  eh'  è  la  prefente  Lanciano  ,  e  V  altro  tra 
Siponto  ,  e  le  faline  che    ora  portano  il  nome  di  Bar- 
letta .   Nefluno   fcrittore    moderno    fi  è  dato  a  ricercare , 
dove    quelV  ultimo    fi    fofle  .    Io    credo    eh'  eflò     era 
pollo  là ,  dov'    è  la  torre   di  guardia  detta    di   Rivoli  : 
I.  perchè  quivi  preflo  a  poco  coincide   la   didanza ,  che 
fegnano  quelle  tavole  da  Siponto   alle  faline  ;     i.   per- 
chè   quivi    nel    lido  ,     e     nel    fondo    del    mare   ,    fi 
oflèrvano    avanzi  di    fabbriche   antiche  ;    3.  perchè    qui- 
vi il   rinvengono   delle   monete  ,   ed   altre   antichità  .   Tra 
quelle  Ci  trovò  una  bella  tavoletta    di  bronzo  di  quat- 
tro pollici   quadra  ,    da  me  più  volte    veduta   a  Parigi 
predo   il  General  Carra  Saint  Cyr  ,  il  quale  1'  ebbe  nella 
lunga  dimora  ,     che   anni   fono   fece  in    Puglia  ,     donde 
riportò    un    gran     numero  di  vafi   ,    di   monete ,    e    di 
gemme    incife  .      Queda    tavoletta    rapprefenta    in  bado 
rilievo    un   carro    a  due  cavalli   ,     ma    fermo  ,     perchè 
tino    di    cffi    lambifce    con     la  lingua    il    ginocchio    Ci- 
nidro  .    Dentro    il   carro    fiede  a  man   dritta   un  giovi- 
ne ,  cKe  ha  le  redini  in   mano  :    al   fuo  fianco  fi   vede 
una    giovine  .donna  ,    che    col    braccio    finidro    cinge 

il 


■.i86 

>jl  collo  di  una  femmina  dolente  ^.che  fb  in  piedi 
preflb  il  carro  ,  e  che  tiene  per  mano  un  fanciulletto  . 
La  memoria  non  mi  foraminiftra  al  prefente  alcun  fatto 
iitorico  ,  o  fàvolofo  ,  che  potefle  riferire  a  quefto  baf- 
fo rilievo  ,  e  quando  anche  1'  avelli  il  trafanderei ,  per- 
chè farebbe  fuori  del  mio  fcopo  .  Lafciamo  dunque  agli 
antiquarj  lo  fcrivervi  fopra  un  volume ,  e  torniamo  noi  - 
al  noftro  oggetto  . 

In  Tito  Livio  fi  trova  mentovata  una  città  col  no- 
me di  Herdonia  ,  ed  un'altra  con  quello  di  Ardonia  ,  e 
piuttoflo  che  fupporfi  un  error  di  copilla  ,  e  che  fi 
parlaiTe  d'  una  fteffa  città  ,  fi  è  creduto  dal  Cellario  , 
eh'  effe  foffero  due  ben  diverfe  tra  loro  ;  cioè  la  Herdonia 
ne  confini  degl'  Irpini  ,  e  propriamente  dov'  è  Lacedo- 
nia  ,  e  la  Ardonia  nella  Daunia  preflb  il  fiume  Cer^ 
baio  .  Ma  fé  per  sì  lieve  cangiamento  nel  nome  di 
quefla  città  ,  egli  aveffe  dovuto  moltiplicarla  ,  in  vece 
di  due  dovea  farne  quattro  ,  cioè  una  in  Herdonia  -, 
r  altra  in  Ardonia  ,  la  terza  in  Cerdonia  ,  come  la  chia- 
ma Strabone  ,  e  la  quarta  in  Serdonis  ,  come  vien  no- 
mata neir  itinerario  Gerofolimitano  .  Ma  quello  geogra-  TI 
fo  moderno  fi  è  ingannato  .  Egli  fitua  la  Herdonia 
ne'  confini  degli  Irpini  ,  e  propriamente  in  Lacedonia  j 
e  collo  fìeflb  nome  Tolomeo  chiama  quella ,  che  da  lui 
è  pofta  nella  Daunia  .  Se  avefle  ben  riflettuto  a 
due  paffi  di  Livio  ,  dove  iì  parla  di  Herdonia  ,  e*- 
gli  avrebbe  veduto  chiaramente  che  queila  era  nella 
Daunia .    Il  primo  è  nella  deca  III.  libro  V.  ,    in  cui 

a 


287 
fi  legge  ,  clie  Annibale  eflèndo  flato  avvifato  da  alcuni 
ambafciatori  Pugliefi  ,  che  il  Pretore  Gneo  Fulvio  , 
per  le  cofc  favorevoli  a  lui  fuccedute  ,  e  per  le  prede 
fatte-,  era  incorfo  colle  fue  truppe  in  tanta  licenza  ,  e 
trafcuraggiue  ,  che  non  vi  era  più  alcuna  difciplina  ,  fi 
inoffe  colle  fue  genti ,  fono  le  formali  parole  di  Livio, 
alla  volta  della  Puglia.  Le  romane  legioni,  e 'l  Pre- 
tore Fulvio  erano  intorno  alla  citta  di  Herdonia  ,  ove 
battè  le  legioni  romane .  Da  ciò  fi  vede  ,  che  Herdo- 
nia era  nella  Puglia  .  V  altro  paflb  di  Livio  è  nella  me- 
defima  deca  lib.  VIL  ,  dove  fi  fa  anche  menzione  di  Her- 
donia .  Egli  narra ,  che  il  Proconfolo  Gneo  Fulvio  fi  era 
portato  fotto  quella  città  per  riprenderla  ,  per  eflèrfi 
ribellata  da'  Romani  dopo  la  battaglia  di  Canne  •  An- 
nibale ,  per  meflaggi  ricevuti  da  Herdonia  ,  fi  affrettò 
col  fuo  efercito  a  foccorrerla  .  Al  fuo  arrivo  il  Pro- 
confolo fchierò  le  fue  truppe  in  battaglia  ,  ed  attaccò 
la  zuffa  ,  ovei  refiò  perditore  .  Quefto  ftorico  dice , 
che  Annibale  il  motteggiò  per  la  fomiglianza  del  no- 
me ,  avendo  vinto  già  due  anni  innanzi  Gneo  Ful- 
vio Pretore  in  quefti  medefimi  luoghi  :  dal  che  appare  ,' 
che  quefta  Herdonia  era  quella  fìeflà.  ,  dove  il  Pre- 
tore Fulvio  fu  vinto  ,  la  quale  per  1'  antecedente 
paffo  di  queflo  fìorico  ,  {{  è  veduto  cffer  nella  Pu- 
glia ,  e  non  già  negP  Irpini  ,  ove  erroneamente  la  fi- 
tua  il  Cellario  .  Di  più  la  Herdonia  dell'  itinerario  di 
Antonino  è  ventifei  miglia  lungi  da  Canofa  ,  la  qua- 
le ,  per    cffer  e    il  miglio  romano  minore     del    prefente 

jni- 


2^8 

miglio  italiano  (  perchè  il  grado  preffo  i  Ptomanì  era  di 
fettanta    miglia   ,    ed    il    noftro    è    di    fefTanta   )     ver- 
rebbe 'ad  eflerne  preflb  a  poco  ventiquattro  miglia  diico- 
fto  ,    e  Lacedonia  n'  è    più  di   trentadue  miglia    lonta- 
no .    Vede    ognun  bene  ,    che    1'  tlerdonia    non    pub 
jituarfi  ,     ov'  è   Lacedonia  .     Or    in  quefta    fìefla    icittà 
l' Olftenio  ha  fiflato  V  antica  Aquilonia  ,   ma   ha  travia- 
to dal  vero  ;    poiché  V  itinerario   Gero  foli  mitano     nove- 
rando i   paefi  ,    eh'  erano  sulla    fìrada  ,    che    ^a    Otran- 
to  menava    a  Roma ,    mette   Herdonia    dopo    Canofa  , 
quindi  Eca  ,  ed  indi   Aquilonia  .   Da  quella  numerazio- 
ne di  luoghi  è  manifefto    che  Lacedonia   ,    la    quale  e 
poda    preflo    una    delle  forgenti    dell'  Aufido  ,    e    che 
viene     ad  el'iere  tra   gì'   Irpini   ,     e    alla  iiniilra     di   Ca- 
nofa ,     non     può  effere   Y  antica   Aquilonia  <,    eh'   era   fi- 
tuata    dopo   Eca   ,    la  quale ,    fecondo  V  OUìenio  ,    era 
ov'  è  Troja  ,  che  come  ognun  sa ,  è  nella  Daunia  .   Da 
tutto  ciò  che  abbiamo  detto  appare  ,  che  tanto  Herdo- 
nia ,    che  Ardonia    fono  una  fola  ,    e  fìeflà   citta   .   Il 
Cellario    erra   ancora    quando    pone    Ardonia    vicino  al 
Ccrbalo   :    eiTa    è  lungo  la  Carapella   ,    e  propriamente 
prelTo  il   pubblico   albergo  ,    che    dal   fuo   nome   è  detto 
di   Ardona   ,    ove    fi    veggono  ancora   molti    avanzi    di 
antichi   edificj  . 

Afcoli  ,  che  dagli  antichi  fcrittori  ,  è  annoverata 
tra  le  città  della  Daunia  ,  vien  fituata  nella  Peucezia 
dal  Signor  Romano  Joly  nella  fua  geografia  antica  ,  e 
moderna  non  guari  pubblicata  a  Parigi  .   Un  fimìle  sba- 


i89 
glio  prende  ancora  allorché  mette  Metaponto  nella  Ja- 
pigia ,  mentre  ,  come  ognun  sa  ,  apparteneva  alla  Lu- 
cania .  Ma  fé  voleflì  rapportar  qui  tutti  gli  errori  com- 
meffi  da  quello  geografo  francefe  nella  fua  opera  ,  ol- 
trepaiferei  di  molto  i  limiti  proprj  d'  un  faggio  . 

Le  rovine  della  città  di  Salapia  ,  tanto  di  quella 
che  fi  vuole  fondata  da  Diomede  fui  mare  Adriatico  , 
quanto  dell'  altra  ,  che  i  Romani  a  cagione  dell'  aere  ma- 
ligno fabbricarono  cinque  miglia  lungi  dalla  prima  , 
preflb  il  lago ,  che  porta  lo  fleflb  nome  ,  fi  ofTervano 
ancora  in  ambedue  quelli  luoghi  .  Intanto  il  Ferrari 
nel  fuo  dizionario  geografico  ,  ed  il  Boutrand  fuo  an- 
notatore hanno  fituata  quella  città  alla  foce  dell'  Aufi- 
do  ,  dieci  miglia  da  elle  difcollo  .  Quell'  antica  città , 
una  delle  autonome  della  nollra  Puglia  ,  celebre  ,  fecon- 
do Plinio  ,  per  gli  amori  di  Annibale  ,  e  pe'  fatti  di 
quello  gran  duce  quivi  accaduti ,  forte  per  le  fue  mu- 
ra ,  polla  vantaggiofaraente  fui  lago  che ,  per  la  foce' 
apertavi  da' Romani,  divenne  ancora  un  porto  degli  Ar- 
giropani  ,  non  meritava  di  elTer  chiamata  dal  nollro 
dotto  Mazzocchi,  non  so  su  quale  appoggio  ,  Salapia 
obfcuri  nominis  oppidum. 

Licofrone    nella    fua  Caflàndra  ,    facendo    parlare 
profeticamente  collei  del  culto  divino ,    che   le    farebbe 
fiato  renduto  nella   Puglia ,    dice  : 
à,xv'Ji(iìva^i 

ÌSramai   Thyìvyiì    tX'-y/.ilS^  '/jOveg    710TUV 

37  cioè 


3C)0 

cioè  a  dire ,  che  i  princìpi  della  Daunia  Le  fabbriche- 
rebbero de"  tempi  falle  fponde  di  Salpe  ,  ed  anche  gli 
abitanti  di  Dardano  vicino  alle  acque  palu/iri . 

L'  Ollìeiiio ,  nelle  fue  note  all'  Ortelio ,  dice  fera-' 
plicemente  che  quefta  città  era  nel  promontorio  Gar- 
gano, fenza  fpecificarne  il  fito  .  Io  vado  a  proporvi  le 
mie  congetture  fulla  fituazionc  di  effa  .  Nel  1790  an- 
dando io  da  Cirignola  alle  rovine  della  Salapia  fonda- 
ta da'  Romani  ,  un  miglio  prima  di  arrivarvi ,  ed  al- 
trettanto dal  fuo  lago  ,  mi  abbattei  in  una  grande 
aja  tutta  feminata  di  frantumi  di  mattoni  di  antichi 
vali  di  un  colorito  nero  brillante  ,  e  di  avanzi  di  an- 
tichi edificj  .  Quella  villa  mi  forprefe-  ,  ed  io  vi  ten- 
tai uno  fcavo  .  Alla  profondita  di  fette  palmi  vi  di- 
fcovrii  un  fepolcro  di  figura  paralellogramma ,  formato  da 
fei  pezzi  di  tufo  podi  a  calce  .  Dentro  vi  fi  rinvenne 
uno  fcheletro  di  non  ordinaria  flatura  ,  il  quale  avea  la 
faccia  volta  all'  oriente  ,  come  ho  oflervato  trovarfi  fem- 
pre  ne'  fepolcri  delle  noftre  città  italogreche  ,  ed  intorno 
a  lui  erano  fituati  molti  vafi .  Quella  fcoverta  mi  fpin- 
fé  a  tentare  un  altro  fcavo  ,  trenta  pafll  dal  primo  lon- 
tano .  Dopo  uno  flrato  di  terreno  vegetale  di  poca 
fpefièzza  ,  ne  trovai  uno  di  calcinaccio  mifto  a'  fran- 
tumi di  tubi  di  terra  cotta  appartenenti  ad  antico  acqui- 
dotto  :    in  un  rottame    di   quelli    fi  leggeva    in   greco 

quella    parola    dimezzata  àapScc Da  tutto  ciò  ,  che 

ho  detto    è    evidente   ,    che    quivi    ha    dovuto   eflervi 
in    tempi  antichi    una  popolazione  .    Or  ciò  pollo  ,    e 

flaado 


291 

fìando  alla  defcrizione  di  Licofrone  ,  che  fìtua  quelk 
citta  preflb  alle  acque  paluflri  ,  è  più  che  ragionevole 
il  pretendere ,  che  quivi  debba  collocarli  la  città  di  Dar- 
dano  .  E' vero  ,  che  quello  lago  non  è  palufìre,ma  tale 
era  prima  che  i  Romani  vi  avellerò  aperta  una  foce  per 
farlo  comunicare  col  mare .  Per  confermare  quella  mia  fup- 
pofizione  ,  io  ho  portato  le  raie  oflervazioni  fogli  altri 
laghi  della  Daunia  ,  cioè  su  quello  detto  Lago  Salfo  , 
fui  Brifentino  ,  e  su  quelli  di  Lefìna  ,  e  di  Vara- 
no ,  ma  non  vi  ho  oflèrvato  fegno  alcuno  di  an- 
tico edificio  per  poter  fofpettare  ,  che  preflb  uno  di 
elfi  fi  potefle  riporre  la  città  di  Dardano  .  Da  tutto 
ciò  che  ho  detto  ,  mi  fembra  ,  che  in  quell'  aja  di 
cui  ho  parlato  ,  fia  Hata  Dardano  ;  e  la  parola  dimez- 
zata Aa^Jit  ^  die  fi  leggeva  full'  avanzo  di  quel  tubo 
da  me  trovato  ,  iniziale  al  certo  di  Dardano  ,  il  con- 
ferma ancora  abballanza  .  L'Ollìenio  dunque  fi  è  ingan- 
nato nel  riporlo  nel  promontorio  Gargano  . 

Paflìamo  ora  alla  Peucezia  .  Molti  fcrittori  hanno 
confufo  Canne  con  Canofa  ,  e  di  due  città  ne  hanno 
fatto  una  :  ma  quello  errore  groflblano  è  un  prodot- 
to dell'  ignoranza  de'  luoghi  .  Canofa  ,  una  delle  più 
grandi  città  italogreche  della  Puglia ,  efifte  ancora ,  e 
non  è  diftrutta  ,  come  fcrivono  il  Nardi  ,  ed  il  Buo- 
none  nelle  note  full'  introduzione  alla  geografia  del 
Cluerio  . 

Sette  miglia  lungi  da  Canofa,  e  non  già  venticin- 
que (ladj ,  come  fcrive  Procopio  ,    fi  ollèrvano    le  rovi- 

*  ne 


ne  di  Canne  ,  che  portano  ancora  il  fuo  nome  .  Quivi 
negli  fcavi  clic  fi  praticano ,  il  trovano  de'  fepolcri  , 
de'  vafi  ,  e  delle  monete  antiche  .  In  quelli  da  me  fat- 
ti ho  difcoverte  alcune  ifcrizioni ,  di  cui  mi  fi  permetta 
che  qui  ne  rapporti  una  ,  che  può  fervire  ad  illuftra- 
re  la  fìoria  letteraria  .  Il  Volfio  in  quella  de'  poe- 
ti latini  ha  fcritto  ,  che  fotto  V  Impera tor  Domiziano 
folfe  fiorito  uà  tal  Voconio  Vittore  poeta  ,  fenza  faperfi 
di  quale  nazione  fi  foiTe  ,  ne  qual  patria  avelie  .  0.v 
neir  ifcrizione  da  me  fcoverta  a  Canne  fi  legge 

D.  M 

P.  VOCONIO  .  VICTORI 

P.  VOCONIVS  .  RVFVS 

PATRI  .  B.  MERENTI 

Il  nome  di  P,  Voconio  Vittore  dell'  ifcrizione 
cannenfe  ,  come  è  del  tutto  fimile  a  quello  del  poeta, 
ci  può  fare  a  giuda  ragione  fupporre  ,  che  fia  la  fief- 
fa  perfona  ,  ed  allora  noi  fapreramo ,  che  Canne  abbia 
dato   a   quel   poeta   il   natale  . 

Ai  mezzodì  di  Canofa  ,  e  più  di  venti  miglia  da  effa 
difcoflo  ,  fi  efiolle  a  grande  altezza  il  monte  Vulture  ce- 
lebrato dal  noftro  Pindaro  latina .  Quefto  monte ,  ben- 
ché gli  annali  degli  uomini  ci  tacciano,  che  foflè  fia- 
to un  volcàno  ,  quelli  della  natura  però  ci  fanno  ve- 
dere ,  che  ha  arfo  in  epoca  remotiffima  ,  e  benché  e- 
flinto  da  gran  tempo  ,  come  dimoflrano  le  lave  in  par- 
te 


293 
te  decompone  ,  pure  conferva  del  fuoco  nel  fuo  fono  , 
e  di  tempo  in  tempo  fa  fentire  de'  cupi  boati ,  e  delle 
brevi  ofcillazioni  di  terremoto  ,  le  quali  per  lo  fpazio 
di  molti  anni  ,  che  ho  dimorato  a  Canofa  in  qualità 
di  prelato  di  quella  real  chiefa  ,  ho  fpciTe  volte  ikn~ 
tito  .  Or  il  Cluerio  ha  fcritto  ,  che  il  monte  Vulture 
s' innalza  tra  Venofa  ,  Forenza  ,  e  Banzi ,  quando  effo 
e  pollo  tra  Venofa  ,   Atella ,  e   Melfi  . 

Il  Nardi  ha  creduto  che  Barletta  fia  1'  antica 
Canne  ;  ma  noi  abbiam  veduto  ov'  erano  le  fue  rovi- 
ne ,  e  quella  città  era  diftrutta  nel  XVI.  fecolo  ,  men- 
tre Barletta  cfifteva  più  fecoli  prima  .  Alcuni  fcrit- 
tori  delle  cofe  del  noflro  regno  hanno  detto  ,  eh'  ella 
non  fia  cominciata  ad  elfere  ,  fé  non  alla  metà  del  XI. 
fecolo  ,  e  che  dov'  è  ora  quella  città  vi  era  un  olleria, 
che  facea  per  infogna  una  bariletta  ,  da  cui  quella  trai- 
fc  il  fuo  nome  .  Fole  !  Guglielmo  il  Puglicfe  nella 
fua  floria  metrica  delle  gelle  fatte  in  Puglia  da'  Nor- 
manni ,  racconta  che  Petrone  I.  Conte  di  Trani  avelie 
edificata  Barletta  più  prellb  al  mare  dell'  antico  fuo 
fito  ;  onde  pare  che  quefra  città  non  folo  era  polla  più 
dentro  terra  ,  ma  che  efifteva  di  già  prima  del  XI. 
fecolo  .  Ed  infatti  in  una  carta  notarcfea  del  IX.  feco- 
lo efillente  nell'  archivio  della  metropolitana  chiefa  di 
Trani  ,  parlandofi  di  un  villaggio  nominato  Giugiaricllo, 
io  ho  letto  :  &  Jujanellum  in  finibus  BaruLetanorum  -  11 
fu  medico  Fiauccfco  Paolo  Lione  nella  fua  opera  fui 
monte    di  futa  di  Barletta    fua  patria  ha  fcritto ,  che 

eira 


£94 

efTa  era  1'  antico  porto  di  Canofa  ,  di  cui  StraLone  fa 
ricordanza  ,  e  che  trae  il  fuo  nome  dal  greco  Bacpsa'/j^r/i, 
che  lignifica  porto  nel  mare  .  Ma  Strabone  dice  che 
il  porto  de'  Canolìni  eia  nella  foce  delf  Aufido  ,  tre 
miglia  lungi  da  Barletta  .  Barletta  è  il  Barduli  delle 
tavole  del  Peutingero  ,  come  fi  vede  chiaro  dalla  di- 
fìanza  ,  che  mettono  tra  l' Aufido ,  e  Barduli  ,  diflanza, 
che  coincidendo  a  quella  che  vi  lia  tra  quefio  fiume  ,  e  la 
prefente  Barletta  ,  dimoftra  chiaramente  eh'  elfa  fia  1'  an- 
tico Barduli .  EiTo  non  perde  dell'  antico  fuo  nome  ne'  tem- 
pi di  mezzo  ,  che  il  fole  D  ,  ed  in  luogo  di  Barduli 
il  difiè  Barulum  .  Io  non  poiTo  tralafciare  di  avverti- 
re ,  che  il  Signor  Romano  Joly  nella  fiia  geografia  an- 
tica e  moderna  ,  dice  che  Plinio  fa  menzione  di  Bar- 
duli ,  e  di  Turenum  ,  mentre  le  fole  tavole  Peutinge- 
rane    fon   quelle  ,  che   ne  parlano . 

Trani  è  l' antico  Turenum  di  quefte  tavole  ,  e  le 
ifcrizioni  ,  i  fepolcri ,  le  monete  ,  ed  altre  antichità  , 
che  vi  fi  difcovrono ,  lo  dimofirano  ahbaftanza  .  AH'  o- 
riente  di  efTa  fi  trova  fatta  menzione  nelle  pubbliche 
carte  del  IX.  ,  e  X.  fecolo  di  un'  ifoletta  nomata  Colon- 
na .  Il  fu  Filippo  Fefta  avvocato  de' poveri  nel  tribuna- 
le provinciale  di  Trani  ,  nello  fcrivere  le  memorie  di  que- 
lla città ,  non  avendola  trovata  ne'  fuoi  mari  ,  ha  credu- 
to che  fofle  fiata  difirutta  da'  flutti  ,  o  ingojata  da  qual- 
che terremoto  .  Ma  fé  quefio  fcrittore  avefle  fatto  of- 
fervazione  a  quella  penifola  ,  che  porta  anche  il  nome 
di  Colonna  ,    avrebbe  veduto    che    quefta  ifoletta    era 


»95 
reftata  congiunta  all'  appulo  continente  per  mezzo  di  un 
breve  iftmo  di  arena  ricoperto  da  uno  llrato  di  ter- 
reno vegetale  .  Quefta  è  una  pruova  ,  o  che  il  mare 
fi  fia  ritirato  ,  o  che  vi  abbia  accumulato  della  fabbia 
nel  fuo  piccolo  euripo  .  Moltiffimi  efempj  conlìmili  .ne 
fomminiftrano  gli  fcrittori .  Demetrio  di  Scepfi ,  fecondo 
riferifce  Strabene  ,  avea  rapportato  nelle  fue  opere  ,  che 
Artemia,  una  dell' ifole  Echinadi,fi  era  unita  al  conti- 
nente nel  tempo  eh'  egli  fcriveva .  Plinio  ci  fa  fapere  che 
il  mare ,  per  mezzo  della  fabbia ,  avea  congiunta  Antifla  a 
Lesbo ,  Zeffiro  ad  AlicarnaiTo  ,  Ecufa  a  Minto ,  Drani- 
fcone  ,  e  Perna  a  Mileto ,  Nertecufa  al  promontorio 
Partenio  ,  Dorofide  ,  e  Sofonia  a  Magnefia  ,  e  T  ifola 
di  Siro  ad  Efefo  .  La  penifola  di  Leucade  famofa  per  efler- 
fì  Saffo  precipitata  dalla  fua  fommità  ,  per  rifanarfì  dall 
amore  del  fuo  Faone ,  tagliata  un  tempo  dagli  abitanti ,  fi 
era  unita  di  nuovo  al  continente  .  Ma  lafciamo  gli  efempj 
fìranieri .  L' ifoletta  di  Terìna  ,  di  cui  fauno  ricordanza 
Licofrone  ,  e  Plinio  ,  facea  parte  della  Calabria  fin 
da*  tempi  del  Bario  .  L' ifoletta  di  S.  Vincenzo  detta 
ne'tempi  di  mezzo  Ifola  minore  ,  per  diftinguerla  ali  i- 
fcla  maggiore,  o  iìa  Megaride  ,  ov'è  poflo  ora  il  ca- 
fiello  deir  Uovo  ,  è  unita  a  Napoli ,  e  fa  parte  della 
Darfena .  Queft'  ifoletta  è  quella  ,  che  Stazio  chiama 
Limon,  e  che  il  Cluerio,  ignaro  del  fuo  flato  attuale, 
ha  fituata  preffo  Nifida  . 

Alcuni  fcrittori    hanno    opinato    che    Bifceglia    fia 
fiata  fondata  da  Diomede  .    Il  Signor  Pviedefel  nel  fuo 

viaggio 


t9^ 

viaggio  in  Sicilia  ]  è  nella  Magna-grecia  ftima    che    fia 
opera  de'  Romani ,  e  che  fi  nomava  Vigilice  ;  e  su  que- 
fìa   fuppofizione    ha  creduto    di  vedere  le  mura     di   Bi- 
fceglia  efler  di  mattoni  ,    mentre    fono  di  pietra  calca-  . 
rea  ,   i  palmenti  dove  fi  pigiano  le  uve  li  ha  prefi  per 
antichi  bagni ,  e  tante  altre  fole ,  per  le  quali  quel  fuo 
viaggio  fi  può  dire  un  vero  romanzo  .   Ma    quello    che 
abbatte  queft'  opinione,  è  ciò,  die  narra  Guglielmo  il 
Pugliefe  ,  il    quale  ha  lafciato  fcritto  ,    che  Patrone  I, 
Conte  di  Trani ,  avendo  radunato  gli  abitatori    di  alcuni 
villaggi    nomati  Boxilìce  ,  andò  a  fondare  con  effi  una 
città   preflo  il  mare  ,    che  dall'  antico  fuo  nome  chiamò 
Bifceglia  .  Il  Signor  dell'  Isle  ,  nella  fua  carta  delF  Ita- 
lia antica ,  ha  fituato  i  popoli  Vefcellani  di  Plinio  nello 
fìeflb  luogo  ,  ov'  è  ora  Bifceglia  ,  e  l' ha  chiamata  Ve' 
fcellae .  Il  Signor  Danville  lo  ha  feguito  non  fenza  qual- 
che dubbio  .    Ma  Plinio    non  folo    ha  pollo    i   popoli 
Vefcellani    tra'  popoli    mediterranei  ,    ma   dalla  nume- 
razione ,    che  fa  de'  luoghi  dentro  terra    della  feconda 
regione  d' Italia    formata    dagl'  Irpini  ,    dagli  Appuli  , 
da'  Calabri  ,    e  da'  Salentini ,    fembra    che     li  abbia  fi- 
tuati  tra  gì'  Irpini  .    Il  Signor  dell'  Isle    fi  è    dunque 
ingannato    in    collocare     Vefulle    fui    mare    tra     TurC' 
num    e  Uefpa  ,    mentre  i  Vefcellani  erano  popoli  me- 
diterranei . 

Il  Cluerio  ha  creduto  che  Giovinazzo  fia  l'anti- 
co "Natiolum  ,  fenza  darne  alcuna  pruova  :  altri  V  hanno 
feguito ,  ma  piuttofìo  perchè  dell'  Isle  ha  fituato    Ture- 


197 
num  dopo  Refpa  ,  ecì  Indi  Natìolum:  ma  V  opinione  di 
colloro  e  del  tutto  oppofta  alle  tavole  dei  Pe  utingc- 
lo,  dove  Nacioimn  vieii  portato  fei  miglia  dilbmte  da 
Turemim  ,  e  nove  da  Bari  .  Benché  fia  evidente  1'  erro- 
re corfo  nella  numerazione  delle  fuddctté  tavulc  ,  per 
ecfore  Turenum  ,  cioè  Trani  ,  ventiquattro  miglia  lon- 
tano ài  Bari,  e  non  già  quindeci  quante  effe  ne  fegna- 
no  ,  nuUadimeno  volendo  confervare  a  Naiiulo  Li  di- 
Jlanza  di  fei  miglia  da  Trani  ,  e  quella  di  nove  di  Ba- 
ri, non  mai  Giovenazzo  ,  dodici  miglia  ditlante  da  cia- 
feiina  di  queiìe  due  città  ,  pub  efler  prefa  por  V  anti- 
co Naziolo  .  E'  chiaro  dunque  che  Naziolo  era  fei  mi- 
glia lontano  da  Trani  ,  e  che  dopo  di  eflb  fia  corfo 
errore  in  quelle  tavole  .  Ed  ecco  le  ragioni ,  che  m' in- 
ducono   a   crederlo. 

Ninno  ignora  che  il  nome  ,  e  la  diftanza  delle 
città  ,  fono  in  quelle  tavole  indicate  fopra  picciole  liuee 
gradatamente  tkate  le  une  dopo  le  altre  .  Or  la  linea 
che  fuccede  a  quella,  falla  quale  è  icritto  Naziolo ,  non 
ha  veruna  indicazione  né  di  paefe  ,  ne  di  miglia  ,  e 
dopo  quefla  viene  la  terza ,  fulla  quale  fi  L'gge  Bari  . 
Quella  linea  fenza  nome  è  unico  efempio  in  tutte 
quelle  tavole  ;  ed  a  me  pare  ,  che  quarta  mancanza  11 
debba  attribuire,  o  a  negligenza  del  empiita  che  hi  tra- 
lafciato  il  nome  della  città  ,  che  vi  era  fcritto  ,  o  pure 
al  teiDpo  ,  che  colle  fue  ingiurie  l'ha  fenduto  impercetti- 
bile air  acume  clsirocchio  .  Ora  attefo  la  ditlanza  di  ven- 
tiquattro   miglia  ,    che  pafla  tra  Tureno  ,  o  Ha  Trani  , 

38  e  Bari , 


e  Bari,  e  quella  di  quattcrdeci  che  1" itinerario  di  An- 
tonino pone  da  Refpa  a  quella  flefla  città  ,  io  fono  in- 
clinato a  credere  ,  che  il  nome  fegnato  su  quella  li- 
neetta vuota  fofle  flato  quello  di  Refpa  :  coficchè  su  di 
efla  dovrebbero^"  notarfi  quattro  miglia  da  Naziolo  a  que»- 
fta  eittà  .  Fgli  è  vero  che  il  Signor  dell'  Isle  nella  fua 
carta  dell'  Italia  antica  pare  che  fi  opponga  a  quel  eh'  io 
ho  detto  ,  coir  aver  ri  pedo  Refpa  tra  Tureno  ,  e  Na*- 
ziolo  ;  ma  debbo  dir  con  fua  pace,  ch'egli  fi  è  ingan- 
nato :  imperciocché  fé  avefFe  pollo  mente  a  quella  linea 
vuota  ,  che  nelle  ta^'ole  del  Peutingero  vi  è  tra  Naz.iolo, 
e  Bari  ,  avrebbe  fofpettato  che  tra  quelle  due  città  ve 
ne  folTe  dovuto  eflere  uà  altra  .  Egli  dovea  inoltre  ri- 
flettere ,  che  benché  la  diilanza  in  linea  retta  dall'  Au^ 
fido  a  Bari  fia  di  trenta  miglia  ^  e  paja  in  apparen- 
za uguale  a  quella  ,  che  per  cammin  tortuofo  fegnano 
le  tavole  tra  quelli  due  luoghi,  pure  ficcome  il  prefen- 
te  miglio  è  più  lungo  dell'  antico  miglio  romano  ,  per 
le  ragioni  dette  di  fopra  ,  la  diilanza  fegnata  dalle 
tavole  pcutingerane  ,  è  fificamente  mancante  di  cin- 
que miglia.  E  poiché  oggi  la  diilanza,  che  vi  è  dall 
Aufido  a  Bari  per  la  ilrada  regia  ,  è  di  trentaquat- 
tro miglia  ,  per  quanto  diritta  voglia  fupporfene  l' an^ 
tica  via  ,  non  fi  piK»  fare  a  meno  di  credere  ,  che 
per  le  circo  ila  nze  locali  folTe  Hata  in  qualche  parte 
tortuofa  ,  e  per  confeguenza  di  un'  ellenzione  mag- 
giore delle  trenta  miglia  ,  che  fegnano  quelle  tavo- 
le    tra    quelli  due  luoghi  .    Ed  infatti  conferma   quan- 


299 
to    io   dico     r  itinerario     di    Antonino  ,    il    quale    fe- 
condo alcuni  tclli    pone   ventitre  ,  e   fecondo   altri   ven- 
tiquattro    miglia     tra    1'  Aufido     e   Refpa   ,     e   tredici   da 
Refpa    a   Bari   ;    le  quali  diftanze    unite    infieme   fanno 
la    fomma    di  trentafei    in  trentafette     miglia  :    ciò    che 
fa   vedere    non  folo  ,    che    la    diftanza    di  trenta     mi- 
glia ,    che    quelle  tavole    mettono    tra  l' Aufido    e   Ba- 
ri,  fia   mancante,  ma   viene  ancora  a  confermare   la   mia 
fuppofizione  ,    che    fulla  lineetta   vuota  ,    che    fi    offer- 
va    dopo    Naziolo  ,    vi    era   il  nome  di   un'   altra  città 
e  che  quefia  non  poteva  efi"ere  ,  che  Refpa  .   E  ficcome 
fi  è  provato  poco  innanzi  ,  che  Trani  fia  1'  antico  Ture- 
man  ,  ed  efiendo  quefia   città  per  la  flrada  regia   venti- 
quattro   miglia   lungi   da   Bari  ,   da   quefii   due   dati ,   cioè 
che   Naziolo   era   fei   miglia   difcofto   da   Trani  ,   e    Refpa 
tredici     da   Bari  ,     ne     viene     in  confcguenza   che    Refpa 
non   poteva  effcre  prima  di  Naziolo  ,  come   ha  creduto  il 
deir  isle   ,     ma   bensì    tre   miglia   dopo   :     e   fi   potrebbe 
da  ciò  inferire  ,  che  la  dilìanza  fiflata  dalle  tavole  pcu- 
tingerane    tra   T  Aufido  e   Bari  fia  di  trentafette   migha, 
come  fegna   V  itinerario  di  Antonino  .    Da   queHo   efame 
appare     manifefto    1'  errore  di   alcuni  teili  di   Strabone  , 
-che    mettono  tra   Bari    e    T  Aufido  la  dilìanza  di  quat- 
trocento fiadj ,  cioè  di  cinquanta  miglia  ;  dilìanza   fifica- 
iriente  impofiibile,  e  che  per   le  antecedenti   ragioni   par 
che  debba  ridurfi   a   trecento   fiadj  ,  vale   a   dire  a  trenta- 
fette   miglia  e   increto  ,     le  quali    corri fpondono  alla  di- 
fìanza   fifliìita  dall' itinerario  di   Antonino. 

*  Or 


300 

Oc  fé  Hiai  fi  vuol  fupporre  Giovinazzo  forta  Jaf- 
le  rovine  di  una  città  antica  ,  fi  dee  credere  piuttofto. 
forta  da  Refpa  ,  che  da  Naziolo  .  Primo  ,  perchè, 
1  attuale  dilìanza  di  dodici  migUa  fra  Giovinazzo 
e  Bari,  coincide  a  quella  ,  che  vi  era  tra  Refpa  e 
Bari  ,  avuto  riguardo  alla  minore  eiìenzione  dell'an- 
tico miglio  romano  relativamente  al  nolìro  .  Secondo  ,. 
perche  ìa  Giovinazzo  fi  difcovrono  molte  ifcrizionl 
fcp  Icrali  ,  una  delle  quali  fu  pubblicata  dal  Mura^ 
tcri  .  Giovinazzo  efill:eva  di  già  nel  993.  col  nome  di 
CaJIrum  Juvena^ip^amim ,  come  fi  rileva  dal  diploma  gre>^ 
co  di  Gregorio  Tarcagnota  Catapano  di  Puglia  a  fave- 
re  di  Rodortamo  vefcovo  di  Irani  ,  il  cui  originale 
cfille  neir  archivio  arcivefcovile  di  quefla  città  ,  che 
il  mio  prozio  Monfignor  Davanzali  arcivefcovo  di  Tra-? 
ni  y  e  patriarca  d'  Alexandria  niandò  a  far  tradurre  al 
fuo  aniico  il  dotto  Monfignor  AlTemanni  ,  che  pubbli-r 
collo   nelle   fue  opere  . 

U  dotto  canonico  Mazzocchi  ne'  fuoi  commentar] 
fulle  tavole  di  Eraclea  fpinto  dalla  fua  paffione  predo-» 
n.inante  per  T  etimologie  non  fempreficure,  parlando  di 
Bitento  dice  ,  che  il  nome  di  quella  città  trae  la  fua  ori* 
gine  dalla  voce  ebraica  heten.,  che  dinota  ventre  ,  proe- 
niinenza  :  e  ficcome  le  fue  monete  fanno  anche  per  ti-» 
pò  il  delfino  fegno  non  equivoco  di  città  marittima  ;.  co- 
sì ha  fuppofto  ,  che  Bitonto  era  pofta  fopra  un  pror 
monto! io  in  riva  al  miare  Adriatico  ,  e  che  poi  nel 
foudarfi  in  gÌ^-4.  la  fede  vefcovile   fu  trafportata ,  ove  ora 

giace 


giace  quattro  ,  o  cinque  miglia  lungi  dal  lido  .  Ma  que- 
ito  dotto  antiquario  lì  è  lafciato  trafportare  dalla  fua 
palFione  .  Nella  marina  di  Bitonto  non  vi  e  f^gno  di 
promontorio  ,  ne  veftigio  alcuno  che  vi  lìa  flato  ,  per 
«Otero  ammettere  la  fua  etimologia  riguardo  al  nome  , 
e  la  fua  ipotcil  fuUa  fituazione  marittima  .  L'  ifpezions 
fola  di  quella  riva  gli  avrebbe  fatto  vedere  quanto  era 
vana  la  fua  etimologia  .  Quanto  poi  alla  fua  affortiva, 
cbe  Bitonto  colla  fondazione  della  fede  vefcovile  fofl'e 
fiata  traslatata  dentro  terra ,  non  eflèndovi  fcrittore  alcu- 
no che  '1  dica  ,  la  fua  autorità  non  può  imporre  a  chi  che 
iìa  .  Anzi  è  da  riflettere  ,  che  Plinio  fin  da'  fuoi  tem- 
pi ripone  Bitonto  tra  le  città  mediterranee  dell'  antica 
Calabria  ,  dicendo  :  Calabrorurn  mediterranei  Mgctini , 
Àpameflini ,  Argentini ,  Eutuntinenfes  ,  Deciani ,  Rube- 
jìini ,  Narbonenfes  ,  Falionenfcs  ,  Sturnini ,  Tutini  : 
tempi  ,  in  cui  non  vi  è  memoria  di  flabilimento  al- 
cuno di  fede  vefcovile  in  quelle  parti.  Si  aggiunga  di 
più  ,  che  il  luogo  ove  ora  lìede  Bitonto  è  appunto 
quello,  in  cui  fi  trovano  le  antiche  fue  monete  coli' epi- 
grafe greca  'BoLTomva-j  :  ciò  che  prova  ,  che  quella  cit- 
tà non  abbia  affatto  cangiato  il  fuo  fiìo.  Egli-  è  vero, 
che  il  tipo  del  delfino  fìa  per  gli  antiquari  argo- 
Hiento  certo  di  città  marittima  :  ma  per  non  affollare 
tante  fuppofizioni  ,  quante  il  Mazzocchi  ne  ha  immagi- 
nate per  la  fpieguzione  di  quello  tipa  ,  creando  uà 
promoT\torio ,  su  di  cui  era  Birontu  da  prima,  e  aven- 
dola in  lèguko  trafportata  dove  ora   e  ,  avrebbe  potato 

eoa 


30J 

con  un  poco  di  fìlorofia  dire  ,  che  il  mare  col  volgere 
de'  fecoli  fi  è  ritirato  da  Bitonto  .  Un  infinito  numero  di 
efempj  a  lui  certamente  non  ignoti  avrebbe  garantita  que- 
lla opinione .  Noi  ne  abbiamo  addotti  poc'anzi  alcuni ,  « 
ve  ne  farebbero  ancora  nioltilfimi  da  addurre  ,  che  io 
■tralafcio  per  non  defaticare   i   miei  lettori  . 

Alcuni  fcrittori  poco  accurati  hanno  confufo  la 
città  di  Ka/7i/a  ,  che  Strabone  fitua  nella  Peucezia  , 
col  Ccelium  ,  che  Plinio  pone  nella  Japigia  .  Tra  que- 
fti  è  il  Cluverio  ,  e  del  fuo  avvifo  è  il  Mazzoc- 
chi ne'  fuoi  commentar]  fui  le  tavole  di  Eraclea .  Nifi, 
quod.)  dice  egli,  prope  Egnatìani  haud  longì{fime  a  ma- 
ri Codia  ^  feu  potius  Ccelium  fuit .  Egli  rapporta  per  ap- 
poggio di  ciò  una  medaglia  coli'  epigrafe  greca  K.cci?i.i!/&}V, 
col  dittongo  ai  ;  e  perchè  ha  creduto  ,  che  la  termi- 
nazione in  inus  derivi  fempre  dal  fingolare  in  um  ,  non 
ha  dubitato  di  avanzare  ,  che  la  fua  medaglia  appar- 
tenga al  Coclium  di  Plinio  ,  benché  fcritto  col  ditton- 
go cs  .  Ed  avendo  trovato  che  Frontino  faceva  menzio- 
ne dell'  agro  Celino  nella  Calabria  antica  tra  Butrintì- 
nus  ,  Cailinus  ,  Genufinus  ,  Lupienfis  ,  ha  ancora  fijppo- 
fto  ,  che  Frontino  in  querto  paflo  abbia  parlato  del 
Cttliwn  di  Plinio  :  e  ficcome  il  dittongo  che  leggefi  nel- 
la fila  medaglia  è  formato  da  «/  ,  e  così  trovafi  anche  in 
Frontino,  ha  pretefo  ancora  che  in  Plinio  invece  di  Cxlium. 
col  dittongo  ce  ,  {{  doveffè  leggere  Cailium  col  dittongo 
at'  Ma  fembra  che  querto  dptto  uomo  fia  andato  lungi 
dal  vero  .  Primo  ,  perchè  ha  obliata  la  medaglia  pubbli- 
cata 


303 
cata  dall'Arduino,  in  cai  fi  legge  AEL.  MUNIC.  C(EL. 
A  NT.  cioè  a  dire  JElium  municìpìum  ,  Ccelìwn ,  Antoni- 
nìanum  .  Secondo ,  perchè  Frontino  notando  fempre  topo- 
gratìcaniente    i  luoghi ,  de' quali  parla,   fé  avefle    voluto 
defignare  Tagro  Celino   appartenente  al  Ctzliuin  di  Plinio, 
r  avrebbe   poflo    tra    T  agro  di  Egnazia  ,   e  di  I  upia  , 
e  non  già     tra  '1  Bitontino  ,    e  il  Genofino  ,  come  li 
legge  nel  fuo  teOo.   Frontino  dunque  ha  intefo  di   par- 
lare in  quel  luogo  della  Celia    di    Strabone   fituata    tra 
Bitonto  ,  e   Bari  ,    dove  viene  ancor  collocata   dalle  ta- 
vole   peutingerane  .    E'  chiaro    da  ciò    che  la   medaglia 
del  Mazzocchi    non    appartiene    al   Ccelium    di  Plinio  , 
ma  alla   Cailia    di   Strabone  ,     in  cui   il  dittongo  è  ^' , 
e  non   oe  .    La   Celia  di  Strabone  è   differente  dal   Ca^ 
lium    di  Plinio  ,    il  quale     era    fituato    tra   Brindili  ,  e 
Balelìo  ,    come    appare  dal-   feguente    paffo    di   Plinio, 
che  dice  ah  Ilydronte  .  .  .    Lupìoe  ,    Baleflum ,   Coe~ 
lium  ,  Brundufmm  :   da  cui  fi  rileva  ,  che  il   Mazzocchi 
fi    è    ingannato  collocando  il  Celio    vicino  ad    Egnazia 
quando  quello  autore  lo  ripone  tra   Brindili ,  e  Valefìo. 
La  Celia  ,  che  Strabone  mette  nella  Peucezia ,  è  quel 
villaggio  al  prefente  chiamato  Ceglia  cinque  miglia  dilìan- 
te  da  Bari,  dove  ogni  dì  fi  trovano  vali  eccellenti,  e  gran 
numero   di    monete  colTepigrafe   greca    ^xiT^tvcov ,    col    dit- 
tongo   ai   limile   a    quclU   del    Mazzocchi  .    L'origine   di 
quefla  citta    fi   perde   nella    più   alta  antichità  .  1  (cpolcri, 
che   VI   Ti   cliTcovrono    Cy.'^<:>   nlUi   profondità   di   trenta  pal- 
»i ,  Tetto  una  gran  quantità  di  ilrati ,  ccl  dimollrano  ab- 

ba- 


504 

baldanza  .  Quefba  città  ha  dovuto  efTere  molto  florida, 
e  potente  .  Il  gran  numero  di  vail  egregiamente  di- 
pinti ,  e  con  epigrafi  greche  ,  che  tuttodì  fi  difcovrono 
ne'  fuoi  fcpolcri  ,  le  gemme  fuperbamente  incife  ,  il 
gran  numero  di  medaglie  ,  che  ha  coniate  ,  e  di  cui 
fon  pieni  i  gabinetti  di  Europa  ,  i  loro  difierenti 
tipi  rapprefentanti  da  -una.  parte  la  teda  di  Minerva, 
e  dair  altra  i  fulmini  ,  V  aquila  ,  la  clava  di  Ercole  , 
e  talora  un  trofeo  foften^ito  da  una  vittoria  alata ,  ci 
dimoftrano  chiaramente  che  effa  fu  una  repubblica  della 
nollra  Puglia  ,  ricca  ,  guerriera  ,  e  vittoriofa  .  Ma  ia- 
felicemente  noi  non  fappiamo  delle  nortre  repubbl'che 
italogreche ,  fé  non  quel  poco  che  hanno  avuto  che  fare 
co' Greci  ,  e  co' Romani  ;  tutto  il  reflo  e  fcpolto  nell' 
oblio  . 

L' itinerario  gerofolimitano  mette  la  Torre  Giulia- 
na undeci  miglia  lungi  da  Bari  :  i  geografi  moderni 
hanno  tralafciato ,  come  luogo  di  poco  momento  ,  d'  in- 
velìigarne  il  iìto  .  Io  non  temo  di  avanzare  che  eiTa  fia 
Hata  là,  dov'è  oggi  la  torre  di  guardia  militare  detta  la 
Pellafa  .  Non  nego  che  quefta  fia  nove  miglia  dinan- 
te da  Bari  ,  mentre  1'  itinerario  gerofolimitano  la  iìtua 
ad  «ndeci  ;  ma  avuto  mira  all'  antico  miglio  romano 
eh'  era  più  corto  del  noilro  ,  è  chiaro  che  quel1:a  di- 
fìanxa  corrifpondc  benifilmo  coli'  attuale  .  Ma  ciò  che 
toglie  ogni  dubbio  ,  e  che  conferma  la  mia  conget- 
tura ,  e  che  lungo  quel  lido,  fecnrirlo  rìfcnTce  1  eru- 
dito  Signor  Emmanuele   Mola  ,    il  oflervano  avanzi  di 


antichi  edificj ,  ed  antri  artefatti  con  fedili  intorno  ,  che 
vengono  bagnati  dal  mare,  e  che  forfè  han  fervilo  per 
ufo  di  bagni  marini  :  e  vi  fi  fcovrono  ancora  fcpolcri  pie- 
ni di  vafi  eccellenti .  Anni  fono  nel  farfi  quivi  uno  fca- 
vo  ,  fotto  un  mucchio  di  pietre  ben  alto ,  che  i  Puglie- 
fi  chiamano  [pecchia  ,  e  che  dagli  antichi  erano  detti 
tumuli  ,  fi  rinvenne  una  quantità  di  vafi  di  belle  for- 
me con  egregie  dipinture  .  E  qual  maggiore  argomento 
per  credere  ,  che   quivi  fia  fiata   la  Torre  Giuliana  ? 

Le  tavole  del  Peutingero  mettono  la  Turrìs  CX' 
faris  venti  miglia  lungi  da  Bari  ;  i  geografi  moder- 
ni ,  come  luogo  di  poco  rilievo ,  non  han  curato  di  ri- 
cercarne la  fituaziwie  .  Io  vado  ad  eiporvi  le  mie  con- 
getture ,  che  potrebbero  forfè  indicarcela  .  Nella  badia 
di  S.  Vito  di  Polignano  un  miglio  e  più  prima  di  ar- 
rivare a  quefìa  città  ,  fi  oflervano  fegni  manifefti  di  un 
antico  porto  ,  dal  quale  effendo  retroceduto  il  mare , 
fuir  antico  fuo  letto  fi  vede  ora  fiorire  un  ameno  giar- 
dino .  Quivi  preflb  fi  fcorgono  avanzi  di  antichi  edin- 
cj ,  e  tra  gli  oliveti  ,  che  lo  circondano  ,  fi  difcovrono 
He  fepolcri  ,  che  in  vece  di  coperchi  di  tufo  ,  o  di 
pietra ,  fono  chiufi  da  mattoni  polii  a  fchiena  d'  afino , 
firaili  a  quelli  ,  che  s'  incontrano  a  gran  profondità 
a  Nola  .  Quefte  antichità  dimofirano  che  queflo  luogo  fu 
un  tempo  abitato  :  e  ficcome  quefìa  badia  è  quafi  venti 
«biglia  difìante  da  Bari  ,  quante  appunto  le  tavole  del 
Peutingero  ne  fegnann  ,  così  fi  può  con  qualche  fondamen- 
to avanzare  ,  che  quivi  foflè   fiata    la    torre    di  Cefare . 

39  '  L''"* 


3o6 

L' itinerario  di  Antonino  pone  Arnefto  Yentidue 
miglia  lungi  da  Bari  :  alcuni  moderni  geografi  ,  coma 
luogo  appena  noto ,  hanno  tralafciato  di  ricercarne  il 
iìto  .  Il  Cluerio  folo  aflerifce  effcre  la  prefente  Poli- 
gnano  .  Io  nell'  unirmi,  alla  fua  opinione  ,  la  fortifico 
eoa  dire;  i.  che  quivi  coincide  predo  a  poco  la  di- 
fcanza  ,  che  1'  itinerario  di  Antonino  mette  fra.  Arnefto 
e  Bari  ;  2.  che  anni  fono  in  quefto  luogo  fi  fcovrì 
un  antico  fepolcreto  ,  ed  in  efTo  un  fepolcro  fuperbo  , 
dentro  al  quale  iì  trovarono  de'  vafi  eccellentiflìmi  ,  di 
cui  monfignor  Santoro  vefcovo  di  Polignano  fece  dono 
al  Re  dell'  ultima  dinaftia  .  Ma  quando  anche  non  i\ 
volefle  ammettere  ■>  che  quivi  sia  flato  Arnefto  ,  quefto 
fepolcro  pieno  di  vafi  ,  ufo  delle  noftre  città  italogre- 
che  ,  ci  fa  chiaramente  vedere  ,  o  che  Polignano  fia  una 
citta  antica,  o  pure  che  fia  forta  dalle  rovine,  di  qual- 
che altra  .. 

Jl  Signor-  dell' Isle  nella  fua  carta  dell'Italia  an- 
tica ha.  pofto  Decia  tra  Amelio  ed  Egnazia  fai  mare- 
Adriatico  .  Io  non  so  ,  come  quello  dotto  uomo  non. 
abbia  riflettuto,  che  Plinio  ha  annoverato  i  popoli  De-  , 
ciani  tra'  mediterranei  dell'  antica  Calabria.  .  Egli  dice 
Calabrorum  mediterranei  JEgedni ,  Apameflini ,  Argenti- 
ni^ Butunìneiifes  y  Deciani ,  Rubefiini^  Narbonenfes  ,  Pa- 
lìones  ,  Sturnini ,  Tutiiii  .  Io  fofpetto  inoltre  che  nel  lud- 
detto  paflb  di  PU«io  fia  corfo  errore  ,  e  che  in  vece 
de'  popoli  Tutini  ,  fi  deliba  leggere  Turi  ni  ,  cioè  po- 
;polL   di  Ture    piccolo,  villaggio    ancora,   efiftente.- ...    Ciò 

che 


307 
che  mei  fa  fofpcttare  fi  è ,  che  di  tempo  in  tempo  Vi  il 
trovano  delle  medaglie  imperiali ,  tra  cui  merita  di  effere 
rapportata  una  piccola  jnoneta  della  deificazione  di  Colìan- 
tino,chc  io  ebbi  nel  1793;  la  quale  da  una  parte  rap- 
prefcnta  la  teil;a  di  quello  imperatore  coirefergo:  DV. 
COxNSTANTINVS.  PT.  AYGVSTVS  :  nel  rovefcio  di 
cfla  fi  Tede  la  figura  di  Coftantino  elevarfi  al  cielo  fopra 
un  carro  tirato  da  quattro  cavalli  colla  mano  dritta  al- 
zata :  fotto  il  carro  fi  leggono  le  feguenti  lettere  S.M.A.R. 
vale  a  dire  :  fìgnata  moneta  apud  Romam .  Quella  mo- 
neta è  notabile  per  efler  tutta  differente  dalle  altre  co- 
niate in  occafione  delle  deificazioni  di  altri  imperatori 
romani  :  poiché  qui  è  il  carro  ,  e  non  già  1'  aquila-, 
che  porta  al  cielo  Coftantino  .  Ma  i  fuoi  figli  criftia- 
ni  come  lui  ,  potevano  feguire  1'  antica  deificazione  de- 
gl' imperatori  pagani?  Efli  prefero  forfè  T  idea  del  carro 
da   qucìlo  di  Elia  ,  fui  quale  quelli  fall  al  ciclo . 

Alcuni  fcrittori  (  e  tra  quelli  il  Wolart  nel  fuo 
leffico  geografico  di  tutti  que'  paefi  ,  di  cui  fa  menzio- 
ne Orazio  nelle  fue  poefie  ,  e  che  va  ad  effe  appoflo  ) 
parlando  di  Egnazia  ,  della  quale  quel  poeta  fa  ricor- 
danza ,  dicono  che  queila  città  era  mediterranea  ,  e  re- 
flava  tra  Bari ,  e  Brindifi  ,  e  propriamente  nel  luogo  , 
ov'è  ora  un  piccolo  villaggio  chiamato  Gna:(:[i  :  ma  efli 
fi  fono  ingannati;  poiché  Strabone  la  mette  tra  le  citta 
marittime  della  Peucezia  :  e  quando  anche  l'opera  di  quello 
geografo  ci  fofie  mancata  ,  le  fuc  jovine  preflò  al  mare  ,  tra 
le  quali  se  ne   veggono  alcune  attualmente  da  cffo  ba- 

*  gnate-. 


'30  8 

gnate  ,  cel  dimoftrerebbefo  abbaftanza  per  marittima  . 
Tra  quelle  rovine  fi  offerva  ancora  il  lato  di  un  tem- 
pio ,  che  alcuni  antiquarj  hanno  creduto  appartenere 
a  quello  ,  in  cai  era  T  ara  rairacolofa  ,  la  quale  fenza 
fuoco  ardeva  l' incenfo ,  e  di  cui  Orazio  ,  e  Plinio  fan- 
no menzione  .  Il  Bayle  ha  podo  a  tortura  il  fuo  ta- 
lento ,  per  ifpiegare  quelto  prodigio  .  Intanto  Ari- 
Itotele  ci  ha  lalciato  fcritto  ,  che  nella  Tracia  fi  trova- 
va una  pietra  nomata  fmarille  ,  che  bagnata  colf  acqua 
s  infiammava  ;  e  parla  ancora  di  un'  altra  pietra  ,  che 
fi  rinveniva  nelle  vicinanze  di  Atilanea  ,  la  quale  ftrofi- 
nata  coli' olio  bruciava.  Della  fìefla  natura  era  quella, 
che  fecondo  Plinio ,  s' incontrava  nel  territorio  della  Sa- 
bina ,  ed  in  quello  di  Sedicino .  Se  mai  folTe  vero  tut- 
to ciò ,  che  quefii  autori  ci  dicono  della  natura  di  quefte 
pietre ,  farebbe  del  tutto  fpiegato  il  miracolo  dell'  ara 
di  Egnazia  :  effa  era  formata  da  una  di  queue  pie- 
tre .  1  Sacerdoti  antichi  hanno  faputo  in  tutti  i  tempi 
mettere  a  profitto  i  regni  della  natura  ,  ed  i  Tuoi  fe- 
nomeni per  ingannare  ,  ed  imporre  a  popoli  ignoranti, 
e  mantenere  in  effì  la  fuperiìizione .  Ma  ripigliamo  il 
filo  delle  noftre  ricerche  . 

La  Peucezia  ,  benché  oggi  bagnata  dal  folo  Au- 
fidor,  il  quale  la  divide  dalla  Daunia  ,  pur  tuttavia 
avea  QQ  altro  fiume  ,  che  l' irrigava  .  Le  tavole  pèu- 
tingerane  pongono  tra  Barduli  ,  e  Turenuni  un  fiume 
nomato  Aveldium  .  Neffuno  Je'geogm  fi  n-vodcnii  fi  ha 
prefa    la  pena  d'  invefligare    il   luogo    per    dove    fcor- 

reva  . 


309 
reva .  Io  vado  ad  interrogare  la  natura  in  que'  luoghi, 
per  ritrovare  il  fuo  letto  .  Prefìo  il  moniftero  della  ba- 
dia cafinefe  di  Andria  vi  ha  un  torrente  ,  il  cui  letto 
fembra  affatto  un  alveo  di  fiume  .  Quello  torrente 
dopo  eiTere  fcorfo  tortuofamente  per  più  miglia  va  a  fi- 
nire nel  mare  Adriatico ,  e  propriamente  nelle  paludi  che 
fono  tra  Barletta  ,  e  Trani ,  dove  fi  vede  un  rufcelletto 
nomato  Arafciano  .  Non  fi  può  dubitare  ,  che  quello 
torrente  fia  llato  un  letto  di  fiume  ;  fopra  tutto  dopo  che 
su  di  elTo  fi  è  gettato  un  ponte  per  farvi  palTare  la 
flrada  regia  di  Puglia  ;  poiché  eflendofi  dovuto  fare  i 
pilaftri  per  il  ponte ,  alla  profondità  di  circa  tre  palmi  di 
terreno,  ù  trovò  della  fabbia  fluviale  miila  a  ciottoli  ro- 
tondaflri  .  Si  aggiunga  a  ciò  che  iu  una  carta  notarefca, 
che  fi  conferva  nelP  archivio  del  monillero  di  Monteca- 
fino  colla  data  del  ioai.,  fi-  trova  farfi  menzione  di 
un  rufcelletto ,  che  fcorreva  per  una  vigna  deferta  ap- 
partenente a  quei  monillero  nel  territorio  d'Andria;  for- 
fè un  avanzo  dell'  antico  Aveldio  .  Le  fcofie  di  terre- 
moto ,  o  qualche  altra  cagion  fifica  hantfo  probabilmen- 
[te  deviate  le  acque  di  quel  fiume  ,  ed  han  fatto  rima'- 
tnere  a  fecco  il  fuo  letto,  o  pure  divife  percorrono  per 
[canali  fotterranei  ,  e  vanno  ora  ad  ufcire  poco  lungi 
[dal  mare  in  due  rufcelli  ,  V  uno  ,  come  ho  detto  ,  di 
^Arafciano  ,  e  1'  altro  di  Boccadoro  ,  che  poco  difendo 
lai  primo  va  a  metter  foce  nel  mare  .  Noa  è  quello 
kil  folo  cC-mpio  di  fiumi ,  lf>  «"»  acque  fieno  diminuite  ; 
(o  che  prima  fcorrevano    per  la  fuperficie    della  terra  , 

e  poi 


310 

e  poi  per  fotterranei  meati    vanno  a  sboccare    nel  ma- 
re .    Lo   Scamandro    era  un  fiume  ben  grande  a    tempi 
di    Omero  ,     il    quale    racconta    che  avea   -due  forgen- 
ti  l'una  di   acque  calde,   e  l'altra  di  acque  fredde .  La 
prima  ,  al  dir  di  Strabene  ,  non  efilleva  più  fin  dal  tem- 
po   di  Demetrio  di  Scepfi  .    Il  Grellet    fcrittore  degno 
di   fede ,   nel  fuo  viaggio  di  Coftautinopoli  ci    ailìcura , 
che  al  prefente  lo  Scamandro  non  è    che  un  piccioliffi- 
mo  rufcelio  ,    che    fi  perde    nel   mare    a  poca    diftanza 
dalla  fij3   forgente  .    Sono  diminuite  le   acque  al  Cerba- 
lo  ,  air  Aufido  ,   ed   a  tanti  altri  fiumi  del  noilro  regno, 
the   Strabone  ,  e   Plinio  rapportano  come  fiumi  navigabi- 
li ,  e  che   ora  più  noi   fono  . 

Chiudlaiuo  le  noftre  ricerche  col  dare  uno  fguar- 
do  paflaggiero  fulla  Japigia  .  Plinio  il  naturalifta  ,  fecon- 
do quafi  tutte  le  edizioni  della  fua  opera ,  fa  non  fo- 
lamente  menzione  dell'  Aufido  ,  ma  anche  di  un  fiume 
chiamato  Pazzie ,  dicendo  :  Pcdiculoriim  oppida  ,  Rudia, 
Egnatla  ,  Barìon  ,  ante  Japìx  a  Dedali  filio  ,  a  quo 
Yapìgìa  ;  Amnes  PaBius  ,  Aufidus  .  Ma  il  dotto  ano- 
nimo traduttore  di  Plinio  in  francefe  legge  quello  paflb 
nella  feguente  guifa  :  F edicidorum  Oppida  ,  Riidia ,, 
Egnatia  ,  Barìon ,  Amnes  Yapix  a  Dedali  filio ,  a  quo 
.Yapigia  ,  Faclius  ,  Aufidus  ,  e  non  già  Barìon  an- 
le  Yapix  ,  che  dice  eflère  lezione  falfiffima  adottata 
da  quali  tutti  gli  editori,  liiente  conforme  a  quella 
de'  migliori  manorcriui  <la  lui  offervati  .  S©  ciò  folle 
vero  ,    bifognerebbe    dire    che    nella  Puglia    fcorrevano 

■quattro 


3U 
quattro  fiumi  ,  cioè  il  Japige  ,  il  Pazzie  ,  l'Aveldio  ,  e 
TAufido,  de' quali  non  relìa-,  che  l'ultimo.  Ma  dove 
fcorreva  il  Pazzie  ?  Noi  ora  anderenio  a   vederlo . 

Lo  fìeflb  traduttore  in  una  fua  nota  su  quello  paf- 
fo  del  naturalità  latino,  avendo  olTervato  che  l'Aulido 
formava  due  rami  nella  fua  forgente  ,  percui  forfè  Ora- 
zio diede  con  più  ragione  a  cjuefto  fiume  1'  aggiunto  di 
tauriforme  ,  ha  fuppofto  che  il  Pazzio  fia  quel  ramo 
deir  Aufido  ,  che  Icorrendo  preflb  Lioni  ,  e  paflando 
davanti  Calitri ,  fi  iinifce  quindi  a  quello  fiume  .  Ma 
egli  il  e  ingannato,  poiché  Polibio  fcrive  ,  che  T  Aufi- 
do è  il  (blo  fiume  ,  che  nafce  al  di  là  degli.  A  penni- 
ni ,  e  va  a  fcaricarfi  nell'Adriatico  :  e  ficcoms  q>^el  ra- 
mo ,  il  quale  palla  per  Calitri  è  quello  appunto  ,  che 
ha  r  origine  al  di  là  degli  Appennini  ,  così  è  chiaro 
che  quefto  non  può  cflerc  il  Pazzio  ,  eflendo  il  fondo 
principale  dell'  Auiìdo  . 

Le  tavole  peutingerane  tra  Bnindufium  ,  e  Bale- 
fium  mettono  un  fiume  col  nome  di  Pajiium  .  11  Cella- 
rio ha  creduto  ,  che  fofie  il  Pacììus  di  Plinio  .  Ma 
10  non  so  unirmi  alla  fua  opinione  ,  eflendo  del  tutto 
contraria  alla  ragione  ,  ed  all'  autorità  degli  antichi  fcrit- 
tori .  Ne  vale  l'ofl'ervazione ,  che  i\  potrebbe  fare  d'  al- 
cuni ,  che  Plinio  nel  noverare  le  città  comprefe  tra  i 
Pedicoli  ,  nomini  immediatamente  il  fiume  Pazzio  ,  e  f-'^ li- 
fido  V  poiché  da  ciò  fi  dovrebbe  piuttorto  ro«chiudere  che 
il  Pazzio  frorreva  neir  agro  Fedicolano  ,  e  non  già 
tra:  Brindifi ,  e  Balefio ,   che  erano  nelf  antica  Calabria. 

Mi. 


Jlt 

jMa  fi  rifletta  che  Plinio  dopo  aver  detto  in  particola- 
re ,  che  Rudia  ,  Egnazia  ,  e  Bari  erano  nella  regione 
de'Pedicoli ,  nomina  in  generale  i  fiumi ,  che  fcorrevano 
nella  Puglia.  Ed  in  fatti  nefluno  degli  antichi  fcrittori 
ha  eftefa  la  regione  de'  Pedicoli  fino  all'  Aufido  ,  che 
tutti  mettono  nella  Peucezia . 

Ma  mi  .fi  domanderà  ancora  dove  fcorreva  il  fiu- 
me Japige  ,  di  cui  i  migliori  manofcritti  fanno  menzio- 
ne ?  Eccovi  ciò  che  io  ne  penfo  .  Le  tavole  peutin- 
gerane  fegnano  tra  Lupia  ,  ed  Otranto  un  fiume,  di 
cui  non  è  notato  nome .  Io  credo  che  quello  fiume  ano- 
J^imo  Ca  appunto  il  Japige,  sì  perchè  bagnava  la  Japi- 
gia ,  SI  perchè  è  uniforme  al  paflb  di  Plinio  amnes  Yapix 
a  Dedali  filio  ,   a  ^uo    Yapìgia  ,   Paciius  ,  Aufidus  . 

Quefti  due  fiumi  or  più  non  elìltono;  \i  ha  però 
qualcheduno  ,  che  poco  verfato  nella  fìoria  delle  rivo- 
luzioni fifiche  avvenute  nei  noftro  pianeta  ,  avendo 
veduto  in  alcune  carte  geografiche  del  XVI.  fecolo 
fegnarfi  preflo  Brindifi  un  piccolo  rufcello,  e  non  po- 
tendo indurfi  a  credere  ,  che  il  Pazzio  per  una  di 
quefte  rivoluzioni  fifiche  fofìè  ceflato  di  fcorrere,  ha  cre- 
duto in  quel  rufcello  veder  quefto  fiume  ;  andando  con- 
tra  le  tavole  del  Peutingero,  che '1  pongono  nove  mi- 
lia  da  Brindifi  lontano  .  Ne  quefii  è  il  folo  che  fi  fia 
lii  tal  guifa  ingannato.  A  tal  propofito  mi  fi  permetta 
che  io ,  fcnra  allontanarvi  dalle  patrie  cofe ,  rilevi  ac- 
cora  gli  erroii   di  quakVic   altrn   fcrittore  . 

Il  fiume   Veferis  ,  che  fecondo  Livio  era  prefib  il 

Ve- 


Vefuvioi  ha  fatto  dire  all' erudito  Cafnillo  Pellegrini  , 
che  noi  vedeva  più  fcorrere  ,  eflère  il  Sebeto ,  il  qut<^ 
le  paflando  p^r  la  città  di  Veferis  ne  prendeva  il  no(i.e, 
che  lafciava  poi  preflb  Napoli  cv'  era  detto  Sebeto  :  in 
conferma  di  che  porta  l'efempio  del  fiume  Liri ,  che  fi  chit* 
mava  Minturno  fcorrendo  per  quella  città  ;  e  del  Voltur- 
no che  prendeva  il  nome  di  Cafilino  quando  paflava  qui- 
vi d'  appreflb  .  Ma  il  Sebeto  non  è  il  Veferis  ,  perchè 
quello  fcorreva  a  canto  il  Vefuvio,  dove  avea  la  fua  for- 
gente  ,  mentre  il  Stbeto  ha  la  fua  a  poca  disianza  da 
Napoli .  Un  paflo  ài  Sifenna  rapportato  da  Nonio  Mar- 
cello dice ,  che  la  città  di  Ercolano  era  polla  fopra  una 
eminenza  a  pie  del  Vefiavio  in  mezzo  a  due  fiumi  ;  ed  il 
Pellegrini  ha  fuppofto  ,  che  quelli  due  fiumi  foflèro  « 
uno  il  Veferis  ,  e  1'  altro  il  Sarno .  Io  fon  d'  accordo  col 
Pellegrini  fui  primo  ,  ma  non  poflci  mJufmi  a  crede- 
re ,  che  r  altro  folle  il  Sarno  :  poiché  fcorrendo  que— 
fto  fiume  al  di  là  di  Pompei ,  e  ben  lungi  da  Ercolano, 
Sifenna  non  avrebbe  defcritta  topograficamente  ,  come  fi 
conveniva,  la  fituazìone  di  quella  città,  dicendo  ch'era 
in  me7.zo  a  due  fiumi.  Bifogna  dunque  fupporre,  che  fcor- 
reva un'altro  fiume  tra  Ercolano,  e  Pompea.  E  qual  era 
onai  quefto  fiume?  Io  fon  portato  a  credere  che  foflè  il 
Dragone  ,  la  cui  forgente  ,  fecondo  Procopio,  era  a  pie  del 
Vefuvio  .  Il  Cluerio  ha  creduto  ,  che  quefto  fiume  andava 
ad  unirfi  al  S.uno  fotto  Nocerai  ciò  che  farebbe  contra- 
rio alla  mia  foppofizione:  ma  quello  geografo  non  fi  e 
avveduto,  che  il  Dragone  per  paifare  dal  Vefuvio,  ♦'^^ 

40  *r5» 


àvea  la  fua  fonte,  ed  andare  a  Nocerà  ,  dóvèa  prim» 
attrayerfare  il  Sarno  .  Io  non  ignoro  che  V  abate  Troy- 
jp  neU4\_^fua  florià  del  regno  di  Napoli,  non  trovando 
più  il  Dragone  ;  ha  opin-ito  che  fofle  lo  ftefTo  Sarno, 
ma  egli  fi.  e  ingannato:  i.  perchè  il  fiume  Sarno  noa 
ha  la  forgente  a  pie  del  Vefiivio  ,  come  fcrive  Procopio 
del  Dragone;  a.  perchè  quello  florico  dice,  che  quefto 
fiume  benché  «oa  aveile  molta  acqua  ,  pure  avea  le 
fponde  molto  alte ,  e  non  guadabili  :  nel  mentre  fin  da' 
tempi  di  Strabene  il  Sarno  era  navigabile,  e  lo  è  tut- 
tayia  . 

»(  E'pcp,  in  quante  erronee  fuppofizioni  vanno  a  ca- 
dere colorp  ,.  i  quali  credendo  che  la  fiiperficie  del  no- 
ti''^ globo,  npn  fia  foggetta  a  verun  cangiamento,  vo- 
gliono rp'icg'ire  r  inefilìenza  di  que'  fiumi ,  di  que'  monti  , 
e.  di  quelle  ifole  ,  di  cui  gli  *niaoh;  fanno  men7Ìone .  Ma 
;!pl^re  alle  cagioni  generali ,  .la  Horia  de'yolcanji ,  e  de'  teV' 
xemoti  ci  fomminiftra  infiniti  efempj  .de'  cangiamenti  che 
cffi  producono.  Potevano  efi<iere  pia  il  Veferis  ,  ed  il 
Dragone ,  dopo  eiTerfi  riaccefo  fotto  Tito  il  nofìro  Véfii- 
.yip  ?  Così  del  pari  i  terremoti,  o  altre  cagioni  naturali 
.iianno  fatto  .forfè  mancare  nella  Japigia  il  Pazzip  ,  ed  il 
^'^P'g^  ,  jdlj cui- ^abbiamo  parlato.  Or.  le  tavole  dèi  Peu^ 
tingerò  fognando  quattro  fiumi  nella  Puglia  ,  due  nelfa 
Peucezia  ,  cioè  V  Aufido  e  l' Aveldio  ,  e  due  nella  Ja- 
pigia ,  cioè  il  Pazzio ,  che  fcorreva  tra  Brindifi  ,  e 
Balefio  ,,  e  r  altro  anonimo  tra  Lupia  ,  ed  Otranto  ; 
pare     che    la    v«ca     lezione    del    paifo    di    Plinio    fi» 

(^uelU 


quella,  che.il  traduttor  fran<;efe  dice  trQvarfi  xi  e' mi- 
gliori manofcritti  ,  cioè  Radia  ,  Egnada  ,  Barìon . 
Amncs  Japìx  a  Dedali  filio  ,  a  quo  Yapigia  ,  Paciììlfn 
Aufidus ,  e  non  già  Barion  ante  Yapìx  :  lezione ,  la 
quale  ci  fa  vedere  ,  che  il  nome  ,  che  manca  al  quar- 
to fiume  riportato  nelle  tavole  ,  fia  quello  di  Japige: 
ma  che  toglie  però  alla  città  di  Bari  la  gloria  di  un' 
antichità  ben  remota,  che  le  dava  per  fondatore  Japige 
^glio  ,di   Dedalo  . 

Nove  miglia  lungi  da  Brindifi  alla  foce  del 
Pazzie  le  tavole  del  Peutingero  fegnano  una  città  no- 
mata Balenfiwn ,  che  nell'  itinerario  gerofolimitano  è  fcrit- 
ta  Valentia  .  Pomponio  Mela  le  dà  il  nome  dì  Vale- 
tium^  e  Plinio  quello  di  Bale/ìum ,  dicendo  a  Hy^run- 
te  .  .  .  LupiiX  ,  Balefmm  ,  Cxliuin  ,  riponendola  tra  le  cit- 
tà marittime .  Ifacco  Tollio  pretende  che  il  Valetium 
dì  Mela  fia  I'APdjt/ov  di  Tolomeo  :  ma  egli  è  andato  lun- 
gi dal  vero.  11  Valetium  era  pofto  fui  mare,  eVAxyjrio;' 
è  fituato  da  Tolomeo  ne  luoghi  mediterranei  ,  trà^  quali 
inette  anche  Plinio  i  popoli  Aletini  .  Si  è  ingaiinato 
egualmente  il  Cluerio  in  fìtuare  quella  città  alla  fponda 
finiftra  del  Pazzlo  ,  mentre  le  tavole  peutingcrane  la 
collocano  alla  delira .  Io  credo  che  quefta  città  era  in 
quel  luogo  oggi  chiamato  Valejìo  ,  ove  Ci  veggono 
avanzi  di  antichi  edificj  ,  e  dove  fi  difcovrono  fepolcri 
pieni  di  vafi  eccellenti.  Il  nome  di  Yalefio  ,  che  con- 
ferva quello   luogo  ,  conferma  ancora  quefta  ipotefi  »  e 

*  fa' 


fa  vedere    che    il  vero  fuo  nome  era  quello    di  Bale^ 
fum ,  con   cui  Plinio  la  chiama  . 

Gli  antichi  fcrittori  fanno  menzione  della  citta  di 
Bafìa  nella  Japigia  .  I  geografi  moderni  difcordano  fra 
loro  intorno  alla  fua  fìtuazione:  altri  la  pongono  al  dì 
qua  di  Caftro  ,  altri  al  di  là  .  Plinio ,  che  ne  parla ,  ci 
fa  fapere  che  tanto  Otranto  ,  che  Bafta  erano  diecino- 
ve miglia  lontane  dal  promontorio  Japigio ,  e  per  con- 
feguenza  al  di  qua  di  Cadrò:  e  ciò  viene  confermato  dal 
picciolo  villaggio  detto  Vajie ,  che  è  al  certo  Balla ,  sì 
perchè  è  diecinove  miglia  dilìante  dal  promontorio  Japi- 
gio ,  sì  perchè  in  efiò  fi  rinvengono  delle  antichità  ,  e 
dc'fepolcri  con  vafi  eccellenti. 

Incontro  il  porto  di  Taranto  vi  fono  alcune  ifolette, 
e  fon  quelle  ,  che  Tucidide  chiama  Coerades  ,  vale  a  dire 
fcogli  .  II  Cafaubono  al  lib.  V.  di  Strabone  le  ha  pre- 
te per  li  tria  Japygum  promontoria  .  Ma  può  mai  cre- 
derli che  l'efatto ,  e  giudiziofo  Tucidide  abbia  dato  il  no- 
me di  ifole  a  quelli  promontorj  F  Dalla  narrazione  ifteflEi 
di  quello  ftorico  ù  vede  chiaramente  che  non  ha  intefo 
affatto  parlare  di  quelli  promontorj  .  Egli  rapporta 
che  la  flotta  Ateniefe  diretta  per  la  Sicilia  ,  fcioglienda 
da  Corfù  ,  approdò  al  promontorio  Japigio;  e  di  qn» 
mettendofi  di  bel  nuovo  alla  vela ,  pervenne  alle  Coe- 
radi ,  dove  prefi  alcuni  arcieri  Meflapi  ,  pafsò  a  Me- 
taponto ,  indi  a  Turio  ,  finalmente  a  Cotronj?  ,  dove 
frano  i  tre   promontoc]   Japigi .  Le  Coeradi  duaque  noD 


VJ7; 

pievano  eflère,  che  le  iCoìe  dì  cui  parliamo.  Il  Clue* 
no  ha  creduto  ,  che  foflèro  ftate  uà  tempo  incontro 
al  porto  di  Taranto  ,  ma  ha  dubitato  fé  efifìelTero  • 
(Quello  che  è  più  forprendente  è  ,  che  il  nofìro  dotto 
canonico  Mazzocchi  ne'  fuoi  commentar]  fulle  tavoi?  di 
Traclea  ,  fi  molìra  ancora  incerto  della  loro  efifìenza  Ari 
vero  ,  dice  egli ,  ibi  hodìe  fint  incolae  nobis  edìdermt . 
IVla  prima  di  formar  queflo  dubbio  avrebbe  dovuto  in- 
teri ogare  i  Tarantini,  fé  eflè  erano  ancora  innanzi  al  lor 
porto . 

Servio    nelle    fue    note  a  Virgilio    ci    fa    fapere , 
che  nel  golfo  di  Taranto  eravi   un'  ifola  nomata  Febra  ^ 
o  Eletride  .     11   Boutrand  crede    che  efla    fia  il  Monte 
Sardo    da     molti  geografi     moderni    fegnato    «die    loro 
carte  in  mezzf»  a   <juo{ìo  golfo  ;  e  foggiunge    eh'  è   pic- 
cola ,  e  raontuofa  ,  e  che  fi  vede  in  efla  una  torre  con 
alquante    cafe  .    Il    Signor  dell'  Isle    ha   creduto    queflo 
geografo  .    Intanto   V  ifola  di    Monte  Sardo  non  efìfleva 
a'  tempi  di  quefti  fcrittori .  Ed  ecco  come  i  geografi  ì  piiì 
■dotti    fi  copiano  V  un  l*a!tro  ,  lenza  efaminare  le  fonti, 
la  cui  attingono  le  loro  notizie  !  ed  è  in  tal   modo  che 
ifi  perpetuano  gli  errori  ;  fopratutto  quando    fono  adottati 
[da'  fcrittori  noti  pe  '1  loro  fapere  .  Se  mai    l' ifola  di  Fe- 
llra  è  fiata  veramente  in  quel  feno ,  bifogna  dire  o  che 
Ifia  fiata  rofa  dal   mare ,  o  che   i  terremoti   1'  abbiano  in- 
Ighiottita  .   Molte  ifole  foiio  difparite  per    sì   fatte  cagio- 
Itii  .     Tale  è  fiata  la   forte  dell'  ifol»   ^i  Calipfo   celebre 
\f^t  hjtIì  amori  di  HìiiSi  wu  ^uefia  Dea ,    di  Diofcuro , 

ài 


5lf 

ài  Tiris,  di  Eranufle  ,  e  di  Meloefla  ;  ifole  tutte  che 
erano  incontro  al  promontorio  Lacinio  famofo  pe  1  gran 
tempio  di  Giunone  ,  in  cui  fi  ammirava  il  quadro  di 
quella  dea  dipinto  da  Zeufi  ,  e  1'  arco  innalzatovi  da 
Annibale  ,  ove  lafciò  fcritto  in  caratteri  punici  la  fìo- 
lia  delle  fue  gefìe  fatte  in  Italia  centra  ì  Romani  . 

Ed  ecco  in  quanti  errori  fono  caduti  i  geografi 
moderni  circa  i  luoghi  antichi  cornprefi  nell'  anguftiffi- 
mo  fpazio  della  noftra  Puglia  .  Pofla  queflo  piccolo  fag- 
gio eflèr  di  fprone  a'  noflri  concittadini  ad  intrapren- 
dere 1'  utile  fatica  di  rettificare  la  geografia  antica  del 
noflro  regno,  e  render  con  ciò  più  chiara  l'intelligenza 
di  quella  parte  dell'  ifioria  ,  che  appartiene  a'  nofiri  po- 
poli ,  to'  quali  per  molti  fecoli  combatterono  i  Romani 
per  farli  lor  cittadini. 


^•9^«* 


OSSER; 


?»9 

OSSERVAZIONI 

Sul  tipo  del  bue  a  volto  umano  ,  ovvio  nelle  Medaglie 
della  Italia  ,  e  della  Sicilia 

D  I 
KM.   AVELLINO 

Lette  alla  Società  nella  SeJJlone  de' ^o  Settembre  1809. 

m}  ralle  moltiplici  opinioni  degli  eruditi  falla  fpiega- 
zione  del  bue  a  volto  umano  ,  tipo  ovvio  nelle  me- 
daglie della  Italia,  e  della  Sicilia ,  l'ultima  del  eh. 
fignor    Eckhel ,    il   quale   ha   creduto   riconofcer   con  eflb 

'indicato  Bacco,  ha  giutlamente  riuniri  i  fuffragj  di  mol- 
ti de' pia  illultri  antiquarj  moderni  (0.  Quella  opinio- 
ne,  che   nel    tondo   è  la   ftelFa   di  quella  ,   che  molti  let- 

"terati  napoletani  portarono  fin  dal  lecolo  XVI  C^)  ,  ha 
indi  ricevuto,  grazie  precifamente  alla  diligenza  dell' il- 
luftre   Lanzi   (-'),    T  appoggio   di   monumenti   indubitabili, 

'e   lìcuri  .     Trovanfx  inoltre  ne'   Dionilìaci  di  Nònno  ta- 

"luni  verfi  ,  i  quali  mi  fon  fembrati  ancora  atti  a  fo- 
ftenerla  ,  ed  appoggiarla  di  pruove  novelle  ,  ed  a  po- 
terci   in  confeguenza    far  aderire ,    con    maggior  fiducia 

an- 

(i)    Veagafi    U  dKTertazione    inTfrita   nel    primo  volume  dell*  Df. 
Brina  Niimmnrum  Veterum  pag.   129.  feqq. 

(2)     V.  Capaccio  hijìur^  NeapoL  lib.   I.  C^p-   14. 
(i)    Diffefiawni  tre  sufa/i-etr   fdg.  172.  173. 


Ito' 

ancora  di  quel    che  fece  V  Fcthel ,    che  il  bue  a  vol- 
to umano  ila  ud  iìmbolo  dionìiìaco  . 

Per  quel ,  che  riguarda  i  monumenti  ,  che  il  fi- 
gnor  Lanzi  ha  felicemente  riconofciuti  ,  e  pubblicati  ; 
noi  ci  rimettiamo  a  quel  eh'  egli  ftelTo  ne  ha  detto  ; 
aggiungendo  follanto  ,  che  due  di  effi  furono  conofciuti 
dairtckhel  llt-fTo,  il  quale  però  non  feppe  tirarne  tut- 
to r  avvantaggio  ,  che  potea  per  la  fua  caul'a  .11  primo  è 
una  gemma,  pubblicata  dal  GoriCO,  in  cui  fui  bue  a  vol- 
to umano  mirafi  in  atteggiamento  capricciofo  una  donna, 
che  nella  fua  deftra  pare  che  abbia  un'  afta  .  L'  Eckhel 
fuUe  tracce  del  Gori  la  prefe  per  un'Europa  rapita  da 
Giove  ;  il  che  le  fi  ammetta  ,  perchè  non  riconofcer 
Giove  piuttofto  che  Bacco ,  nelle  medaglie  col  bue  a 
■voho  umano?  E  Giove  infatti  volea  riconofcervi  il  con- 
te di  Caylus  (i).  Ma  quel  che  pare  un'afta  nel  dife- 
gno  del  Gori ,  è  un  tirlò  nell'  originale ,  come  il  Lan- 
zi lo  attefta  fu! la  fede  dtl  eh.  fignor  cavai ier  Pucci- 
ni >  che  ha  fotto  gli  occhi  la  gemma  .  lo  aggiungo , 
che  il  Gori  aveva  già  detto  ,  che  la  figura  di  donna 
avea  un  tirfo  nella  fua  mano  ,  quantunque  1'  avefle  poi 
fpiegata  per  Europa  .  In  quanto  all'  altro  monumento  , 
r  Fckhel  lo  avea  prefo  dalla  raccolta  del  Gravelle  0). 
•fc.  ancor  eflo  una  gemma  fiinile  per  l' argomento  alla 
prima  ;  ma  invece  di  tirfo  la  donna  ha  in  effa  nella 
finiftra  qualche  altra  cofa  ,  su  cui  1'  Eckhel  non  ha  fat- 
ta 

(i)     Muf.  EtruT.  Tom.  T.  taB.  "^f.  num.  j. 
(i)     I^«.  ^  Anti^.  tniTj.   IV.   pag.    164. 
(i>    t\f(Htil  dt  firn.  grav.  \.  li",  n.  45. 


ta  alcuna  attenzione  '.  Si  guardi  il  difegno  ,  e  non  fi 
tarderà  a  riconofcere  ,  che  queila  non  altro  fia  che 
un  grappolo  di  uva  ,  fimbolo  ,  che  come  il  tirfo  può 
convenir  folamente  ad  una  Baccante  ,  ed  a  Bacco  ,  e 
non   già  ad  Europa  ,  ne   a  Giove  . 

Quefti  monumenti  ,  che  fono  indubitatamente  per 
Bacco  ,  fono  appoggiati  da  Nonno  ,  de'  cui  Dionilia- 
ci  non  veggo  ,  che  fiafi  fatto  nella  queftion  prefente 
tutto  V  ufo  ,  che  fi  potea  .  Si  sa  ,  che  queflo  accurato, 
e  diligente  fcrittore  ,  che  ha  riunite  nella  fua  opera 
tante  notizie  fulla  teologia  bacchica ,  è  fiato  finora  im- 
meritevolmente in  certo  modo  negletto  dagli  eruditi  , 
ed  il  eh.  fìgnor  Show  fé  ne  lagna  con  ragione  in 
una  difTertazione  particolare  ,  in  cui  ha  moflrato  di 
qual  vantaggio  efTer  pofla  per  gli  fludj  archeologici 
un'' attenta  lettura  del  di  lui  poema  (0.  Noi  fappiamo 
adefTo  con  piacere  dagli  annunzj  letterarj  ,  che  il  fi- 
gnor  Creuzer  in  Alemagna  ne  tira  infiniti  lumi  per  le  in- 
tereffanti  fue  ricerche  s^  Bacco  ,  delle  quali  il  primo 
volume  pubblicato  in  Heidelberga  nel  1809  non  è  fi- 
no a  noi  ancor  pervenuto  (0. 

Noi  fcegliamo  due  luoghi  de'  Dionifiaci  ,  i  quali 
meritano  a  noflro  credere  tutta  1'  attenzione  nell'  efa- 
me  prefente  .  Il  primo  è  prefo  dal  libro  XXI.  v.  ali. 

41  feqq. 

(0    Nella  di{rertazione  intitolata  :  Mo>i/ìrata  ìndole  carm'm'is  Nomii  Dio- 


BaccrirarKm  urpnicartimque  cri^inibiis  et  cc'JJ'i  ■   foii.men  t.   netai-'urrg 

Veggafi  il  Magafm  Encj/clopftii'jue  An.  ibi09.  tom.  2.  fag.  199.  ieqq. 


Ili  ^ 

feqq.  ^').  Erafi  creduto  finora  ,  che  di  un  bue  a. vol- 
to umano  alcuna  menzione  non  efifleflè  preflb  gli  anti- 
chi fcrittori  .  Cui  non  mirum  videatur  ,  avea  detto 
r  Eckhel  (^)  ,  hujus  helluae  ,  quam  in  his  civitatibus 
ìlliijlrem  fuijfe  tot  praeconiis  numorum  tenemus  ,  nul- 
latn  a  veteribus ,  Jlve  hìfioricis  ,  jive  mythologis  ,  five 
poetis  fieri  mentionem  ?  E  vero  ,  che  1'  Ignarra  (3) 
avea  creduto  riconofcer  nella  defcrizione  fatta  da  Sofo- 
cle (4)  della  metamorfofì  di  Acheloo  ,  efprefTo  un  bue 
a  volto  umano  colle  efpreffioni  Booxp^vc^  avSpsiu  tvnq; 
e  eh  Empedocle  in  un  frammento  ,  confervato  da  Elia- 
nò  CO,  e  citato  dall'  Eckhel,  ha  ,  parlando  di  taluni 
moftri  ,  fatta  menzione  di  uomini  a  volto  di  bue  ,  e  di 
buoi  ad  umano  .  Ma  il  primo  di  quefti  luoghi  è  per 
lo  meno  incertiffimo  ,  e  '1  fecondo  di  un  fifico  fenome- 
no ci  ragiona  ,  che  non  può  aver  alcuna  relazione  col 
moftro  delle  medaglie .  All'  incontro  le  parole  di  Non- 
no ,  che  foggiungeremo  ,  non  folamente  ci  parlano  col- 
la maffima  chiarezza  di  buoi  '  volto  umano  ,  ma  ci 
moftrano  ancora  ,  che  quello  fia  un  (imbolo  dionifiaco  . 
Infatti  quando  a  Deriade  fovrano  delle  Indie  ,  e  figliuol 
dell'  Idafpc  fi  prefentano  per  combatterlo  i  compagni 
di  Bacco  ,  il  poeta  ce  li  rapprefenta  precifamente  na- 
fcofìi  fotto  quella  forma  .  Ecco  le  parole  che  al  loro 
afpetto  fa  egli  pronunziare  a  Deriade  ; 

(1)  Pag.  444.   'in  colleSl.   I.  Lecl'iì . 

(2)  Doilr'in.    Tom.    [.   Pag.    129.    1 50. 

(3)  D^  Palxft.  N^apol.  pag,   240. 

(4)  T/-«;);il/.    in'll. 

(5)     Dt  Ne  tur.  Animai.  lil>.  XFL  cap.  15. 


3Ì3 

Oioug  Ayj^icc^Y]  SiSuixoypooig  avSpccg  ix7J\.si 
Taupotfvrig  àioi/vaog ,  aSupixocTa  Sn'ioTYjTog  t 
A'À7io(f:usig  ,  ou  ifcoTScg  ÒAyiv  ^pOTOsiS&x  (j.op-^y]9 , 
eY;pi3<^  siSog  sx^^'^'^i'^'^^i  AIATMAONI  MOP$H/ 
E121 NO0OI TATPOITE  KAl  ANEPES .  AM<50TEPON  TAF 
KAI  B002  EIA02  EX0T2L,  KAI  ANAPOMEOIO  nPOS- 
fìnOT. 

I  quali  verfi  vengono  così  tradotti  dal  Lubino  : 

Quales  Dcrìadi  bìcolores  viros  mìttit 

Taurifonnis  Bacchus  ,  lufus  belli  ! 

Àkcrìus  naturae  ;    noJi  homines  qiioad  totani  humanam 

formam. , 
Ferarum  ìmagìnem  habentes;  cum  gemina  forma 
Sunt  adulterini   taurique   et  viri  ;   utrumque  enim 
Et  bovis  formam  habent ,  et  humanae  faciei  . 

Leggendo  queftx  verfi  con  attenzione  ,    farà   facile 
1'  oflervare  ,  eh'  effi  cor^tengono  colla  maggior  precifione, 
che  defiderar   fi   pofTa  ,  il  ritratto  del   moftro   delle  me- 
daglie .  Tutte  le  circoflanze    della  defcrizion  di   Deriade 
gli  convengono    infatti   meravigliofamente  ,    e  1'  ultimo 
Verfo  ,  in  cui  fi  dice  che  Boof  siSog  syQi>(7i,v.xi  x'jSpoyiSoia 
-  irpoauTTOU  (  bovis  formam  habent ,   et  humanae  faciei  ) , 
è  tale  ,    che  bafia  a  dileguar  ogni  dubbio  ,    anche  de' 
più  difficili  .   Abbiam   dunque  di  ficuro  ,    che  a'  compa- 
•gni  di   Bacco    cambiati    in    toro    fi    accordava  ,    come 
|una    diftinzione    ed    un    fegno    non    equivoco    di    una 
più  nobile  natura  ,    un    \olto  umano  ;    e    quella    cer- 

*  tezz  a 


324 

tezza  e'  invita  a  farci  riconofcer  nel  bue  a  volto  uma- 
no delle  medaglie  un  fìmbolo  dionifiaco  ,  per  non  dir 
Bacco  itefTo ,  al  quale  non  è  credibile  ,  che  iìefì  ne- 
gata una  diftinzione  ,  che  veniva  accordata  ancora  a'  fuoi 
feguaci . 

L'  altro  luogo  di  Nonno  non  folo  appoggia  il  no- 
ftro  fentimento  ,  ma  dilegua  ancora  una  obbjezione  gra- 
viffima  ,  che  fuol  farfegli  comunemente  ,  ed  alla  quale 
veggo  che  1'  Eckhel  non  abbia  data  rifpofta  .  Suol 
efTa  tirarfi  dalle  medaglie  di  Alonzio  ,  in  molte  delle 
quali ,  pubblicate  da  varj  autori  ,  ed  in  ultimo  luogo 
dal  Torremuzza  CO  ,  rimir?»a  per  fervirmi  delle  efpref- 
fioni  dell'  Eckhel  Bos  cura  facìe  hwnana  ,  ìs  in  non- 
nullìs  cruciare  aquam  yidetur  (^)  .  Si  è  creduto  quello 
un  argomento  indubitabile  in  favor  di  coloro  ,  che  ne' 
buoi  a  volto  umano  hanno  voluto  riconofcere  il  fimbo- 
lo  di  un  fiume .  ì^wn  clarius ,  dicea  il  fignor  Neu- 
mann  (3)  ,  defìderari  potejl  fluminis  ìndicìuml  Vel  fo- 
li hi  numi  dirimere  videntur  diu  agitatam  inter  eruditos- 
litem  &c.  L'  Eckhel ,  che  non  ha  parlato  per  niente  di 
quefte  medaglie  nella  fua  difTertazione  ,  ha  detto  però 
con  modella  ingenuità  nel  parlar  delle  medaglie  ficule: 
typum    bovis  aquam  vomentis  explicare  non    tento    C4). 

Farmi  che  Nonno    dia  la  foluzione  di   quella  dif- 
ficoltà   nel    libro    XI.  de'  fuoi  Dionifiaci    CO  ,    ov'  ei 

rar 

(1)  Sicil.  veter'is  Numi/m. 

(2)  DaEìr.   Tom.   I.  pag.    igj. 

{■()     Num.  popul.  tom.  11.  pa^.  117, 
(4)     DoBr.  1.  e. 
;        Cs)    ^-  15Ó. /«^^.  pag.  379.  in  Colisa.  Le^iì. 


3M 
ragiona  della  favola  di  Ampelo  .  Queflo  giovine  amico 
di  Bacco  ,  die'  egli  ,  che  venne  poi  trasformato  nella 
vigna  ,  cui  diede  il  nome  ,  avea  intefo  ripeterfi  dagli 
oracoli  di  guardarli  da'  tori .  La  malefica  Are ,  fecondo 
il  poeta ,  fé  gli  prefentò  un  giorno  per  rinfacciarli  l'ozio 
in  cui  lì  giacca  ,  e  per  ifpronarlo  a  mollrar  qualche 
pruova  del  fuo  valore  ,  eccitandolo  cogli  efempj  di  al- 
tre divinità  ,  e  di  Diana  in  particolare  ,  domatrice  de' 
tori  .  Il  giovine  Ampelo  fente  allora  nafcere  nel  fuo 
cuore  un  vivo  defiderio  di  fegnalarfi  ,  quando  vede  ia 
un  fubito  prefentarfegli  un  toro  .  Parca  quello  manfue- 
■to  fui  principio,  e  riguardava,  come  dice  Nonno ,  quel 
giovinetto,  come  fé  flato  fofle  il  fuo  paftore.  Or  qui- 
vi è  che  il  poeta  aggiunge  ,  parlando  di  quefto  toro  , 
una  particolarità  ,  che  fpiega  ,  a  creder  mio  ,  mirabil- 
mente le  medaglie  di  Alonzio  ;  giacche  il  redo  della 
favola  ,  eh'  egli  continua  a  narrar  diftefamente  ,  non  dee 
per  ora  intereflarci .  Qucfto  toro  fitibondo  ,  dice  dun- 
que Nonno  ,  eifendoll  accodato  ad  una  fontana  ,  dopo 
efferviil  largamente  abbeverato  ,  cominciò  a  verfar  co- 
piofo  umor  dalla  fua  bocca  ,  che  vale  a  dire  a  far 
quello,  che  fa  il  toro  nelle  medaglie  di  Alonzio;  quafi, 
aggiunge  il  poeta  ,  profeta  di  quel ,  che  farebbero  un 
giorno  i  tori  mortali  ,  aprendo  co' loro  folchi  il  cammino 
alle  acque  per  inaffiare ,  e  fecondar  le  vigne  .  Ecco 
i   fuoi    verfi   medeliini  : 

Ka/  T/f  ano  ayioniMio  yctTS^pecfis  tm^oq  ocTì-^tyi^ 
Anpoi3y]gj  Kdi  y?MCicciìf  irji  eniuciùTvpot,  Si^/jg 


3»^ 

XsiTiSGiìf  ciyofisvoiot  apoì(iyot)/sì>  ai/Ss^sòms , 
Kxi  nisv .  aix(j!i  Ss  Koupoi/  oCnsp  Tixpsonx  vo[x'/^x 
IsTccro  yivijay.ont  TtoLVSixsT^OQ ,  ovSs  fj.innou 
ho'^ov  sov  xs^ccg  eiysì^ .  a^oct/xonisroio  Ss  ravpou 
Ylvuvov   spsvyojxsmo  noTOV  TtoXiy^OLvSs'i  TiOci^of 
W^'OV/ìv   eSiYì'js  xecTtxp^bTOQ  sxfxag  sspayjg. 
BaaoiJ.smi>  ars  [j.ccvT(g,  òri  yi^ovicg  jiosg  é?\.m 
Afxi^i  iJAVj   jxoysonsg  ocTspfjiOvi  xvxÀccSt  Kioaou 
tòccaiv  annsÀosaaw  snap^svovaiv  07rcop'/]v. 

che   vengono  così  tradotti  nella  verfione  del  Lublno  : 

Et  aliquìs  ex  [copulo  decurrehat  taiirus  vagus 
Iniprovifus  ,  et  lìnguam  fuae  tefiem  fitis 
Labris  apertis  proiendebat  ex  ore  ; 
Et  hìh'w.cìrca  puerum  vero  tanquam  prefentem  pajlorem 
Stahat  intelligenti  fnnilis  ,   neque  in  fronte 
Curviim  fuum  cornu  habebat  ;  indomabilis  vero  tauri 
Crebro  eruclanti  potum  capaci  gutture 
Juvenein   madefaciebat  defuens  humor  roris  ; 
Futurorwn  tanquam  vates ,  quod  terrefiri  boves  tracìu 
Circa  unum  lahorantes  interminum  circulum  hederae 
Aquis  vileum  irrigant  frucìum  . 

Or  dopo  aver  letti  quelti  verlì  ,  parci  di  riconofcec 
qual  fia  il  vero  fenfo  del  copiofo  umore  ,  che  fortir  fi 
vede  dalla  bocca  del  bue  a  volto  umano  delle  medaglie 
di  Alonzio.  Non  è  forfè  ancora  in  effe  Bacco  taurifor-; 
me  ,  che  indica  come  il  toro  di-  Ampelo  ,  i  vantaggi  , 
che   rifente  la  cultura  delle  vigne  dal  travaglio  di  quell' 

ani- 


3*7 
animale  appunto ,  dì  cui  egli  vede  le  fpoglie  ?  Giacche 
quantunque  qui  rintracciar  non  voglia  qual  (ìa  precifa- 
mente  il  miiìico  fenfo  celato  in  quefta  fua  metamorfofì , 
io  non  dubito  ,  che  T  Eckhel  (0  non  abbia  con  mol- 
ta ragiono  riconofciuto  anche  nel  Bacco  tauriforme  un 
fimbolo  dell'  agricoltura  .  E'  tanto  dunque  a  mio  crede- 
re lungi  dal  vero ,  che  le  medaglie  di  Alonzio  nuoccia- 
no al  fentimento  di  quefto  autore  ,  che  debbono  anzi  , 
rifchiarate  dalle  parole  di  Nonno  ,  fervìre  a  maggior- 
mente confermarlo  . 

Il  folo  efempio  di  quefle  medaglie  può  provarci 
quanto  iìa  vero  ciocche  T  Eckhel  lleflb  diflè  altra  vol- 
ta ,  con  ragione  (^)  ,  che  fpello  quelle  cofe,  che  ci  fem- 
braflo  le  più  certe  ,  e  le  meno  foggette  a  difficoltà  , 
trovanfi  poi  lontaniffime  dal  vero  .  Una  fola  parola  di 
un  antico  autore  ,  o  un  fol  monumento  nuovamente 
fcoverto  ,  fconvolge  un  intero  fiftema .  Sul  qual  propo- 
sto ,  giacche  abbiamo  confermato  Bacco  nelle  medaglie 
di  Alonzio  contra  il  par  t-s.  comune  ,  ci  fia  permeflb  di 
efìliarlo  da  quelle  di  Nocera ,  in  cui  parrai  che  con 
poco  fondamento  fé  gli  faccia  occupare  una  fede  .  Mi- 
rafl  in  effe  una  tefia  giovanile  ornata  di  corna  arieti- 
ne ,  e  dair  altra  parte  un  eroe  nudo  alP  impiedi  accan- 
to al  fuo  cavallo  .  Fra  coloro  ,  che  le  pubblicarono , 
fuvvi  alcuno  ,  che  credette  riconofcervi  la  telìa  di  Alef- 
fandro    Magno  .     V  Eckhel  ,     non    contento    a  ragione 

di 

(i)    DrSIr.  Toni.I.  pag.  139.  Veggafi  11  luogo  di  Diodoro  ,  ch'eglicit». 
(z)     Silloge  1,  pa3-   to. 


ài  tale  fpiegazione  ^  profufe  molta  erudizione  a  pro- 
var ,  che  quella  tefta  dovefle  crederli  di  Bacco  (O  . 
Io  ne  feguii  il  fentimento  ,  quando  nella  prima  edizio- 
ne del  mio  catalogo  delle  medaglie  Italiche  parlai  di 
tali  medaglie  di  Nocera  (0  .  Ma  un  luogo  di  Sueto- 
nio ,  in  cui  mi  fon  poi  imbattuto  ,  mi  ha  mollrata  la 
vera  lignificazione  di  quella  teda  .  Parlando  nelle  vite 
de' retori  (3)  di  un  certo  Epidio  ,  che  fu  fecondo  lui, 
maeflro  di  Marco  Antonio,  e  di  Augnilo,  dice  che  fi 
credea  quelli  difcefo  ab  Epidio  Nunciono  ,  quem ,  fog- 
giunge  ,  ferunt  olini  praecipitatum  in  fontem  fluminis 
Sarni,  paulo  pojì  cum  cornibus  exfiitijfe ,  ac flatim  non 
comparuijfe  ,  in  numeroque  deorum  habitum  .  Bada  per 
poco  ricordarci ,  che  Nuceria  era  bagnata  per  1'  appun- 
to dal  fiume  Sarno  ,  che  diede  a'  fuoi  popoli  il  nome 
di  Sarrafles  ,  che  trovafi  preflb  Virgilio  C4)  ,  o  di 
S amine r ,  come  leggiamo  nelle  medaglie  ofche  di  quel- 
la città  (0,  per  non  tardare  a  riconofcer  quell'eroe  indi- 
geno efprellb  nel  dritto  ;  il  quale  forfè  dee  anche  nel 
rovefcio  crederfi  rapprefentato  invece  di  uno  de'  Diofcu- 
ri  ,  o  di  Marte  ,  come  erroneamente  altri  ,  ed  un  tem- 
po fulle  lor  tracce  io  fleflb  avevamo  creduto  altra  volta. 
Ne  avrà  Bacco,  a  vero  dire,  molta  ragion  di  do- 
lerfi  fé  fui  teflimonio  di  Suetonio  fi  vede  efiliato  dalle 

me-. 

(1)  Nt'.m.  vetef.  Anecd.  pag.  22.  25. 

(2)  Pag.  46.  Ciornal.   'Num'ifm,  num.  HI. 

(3)  De  Rhetor.  Cap.    14.  . 

(4)  JEnejd.  Uè.  C/'H.  v.  7^8.  ed  ivi  Servio.     _  |l 

(5)  Seftini  defcri'2..  pag.  13.  Lanzi  Saggio  di  lingua  Ettufctt  tom.  II.      J 
pag-  399-  Il 


329 

medaglie  di  Nocera  ,  quando  in  tanti  altri  indubitabili 
monumenti  le  parole  di  Nonno  ce  lo  han  fatto  ricono- 
fcere  .  Nel  che  mi  riputerò  precifamente  futtunato  ,  fé 
farò  giunto  a  dimoftrare  ,  che  i  miei  dotti  nazionali  , 
a'  lavori  de'  quali  non  veggo  fempre  renderli  la  merita- 
ta lode  ,  aveano  i  primi  riconofciuta  felicemente  la  ve- 
rità .  Quando  elfi  in  fatti  fpicgarono  per  Cbone  il  bue 
a  volto  umano  delle  medaglie  ,  quello  lleflb  diflero , 
che  molto  tempo  dopo  follenne  l' lickhel  ;  giacche  Ebo- 
ne, co  ne  Microbio  0)  chiaramente  lo  afferma  ,  noa 
fu  che  un  cognome  di  Bacco  .  Ne  pare  che  dalla  de- 
fcri/jon  di  Macrobio  fi  rilevi  ,  come  lo  ha  creduto 
r  Eckhel  (')  ,  che  T  Ebone,  non  come  un  bue  a  teda 
umana  ,  ma  come  un  uomo  in  forma  fenile  fia  flato 
TappraCentìto  :  fenili  fpecie  in  Campania  ÌS  eapolitani  cele- 
hrant  Hehona  cognominantes  :  giacche  le  parole  fenili /'pe- 
eie  non  vanno  intefe  a  mio  credere  che  del  volto  o  al 
più  della  teda  ,  come  in  quel  luogo  di  Fedro  ,  in  cui  egli 
fa  dire  ad  una  volpe,  ragionando  di  una  mafchera  (3)  : 
O  quanta  fpecies .,  inquit,  cerehrwn  non  habet  !  11  bue 
dunque  a  volto  umano  è  certamente  ,  come  Macrobio 
dicea  parlando  dell'  Ebone  ,  fenili  specie  ,  quantunque 
non  abbia  il  corpo  umano  .  Del  refto  bifogna  confef- 
fare  altresì ,  che  qualche  volta  Ebóne  fenza  alcuna  for- 
ma di  toro ,  ma  femplicemente  ,  come  quel  Bacco  , 
che  fogliam  chiamare  Indiano  ,  venne  effigiato  .  Tale  al- 
.    42  meno 

(0     Saturnali,  lib.  I.  Cap.   18. 
(2)     Inc.  cit.  pag.  159- 
(J)     Lìb.  J.  faù.  7. 


330 

meno  lo  fapprefentano  due  Ermi ,  che  nell'  anno  i  S07 
oflervai  in  Roma  in  un  illuflre  Mufeo  ,  e  su  i  quali 
attendiamo  con  impazienza  le  dotte  iilullrazioni  del  eh» 
lìgnor  Filippo  Vifconti  .  A  poter  più  facilmente  tavvi- 
fare  il  nume  in  effi  rapprefentato  ,  Io  Tenitore  ne  ha 
fcritto  il  nome  in  greci  caratteri  :  BAKX02  HBr2ì^ . 
Nefluna  differenza  lì  offerva  fra  efll  per  quei  che  ri- 
guarda la  forma  del  nume  ornato  di  lunga  barba ,  va- 
riando foltanto  un  poco  V  acconciatura  de'  capelli  ,  ed 
altre  circollanze  di  minor  confeguenza .  Ma  tanto  in  elll 
quanto  nel  bue  a  volto  umano  ,  e  barbato  delle  me- 
daglie ,  fi  ravvifa  ugualmente  V  Ebone  ,  fenili  fpecie  ^ 
da  JVIacrobio  defcritto . 

Per  finir  di  ragionare  di  tutt'  i  monumenti  di  Ebo- 
ne  ,  non  ci  refterebbe  che  a  dir  qualche  cofa  delle 
ifcriiioni  a  quello  nume  indirizzate  .  Una  ne  fu  pub- 
blicata dal  Capaccio  CO  ,  che  la  dice  efilìente  già  il 
Napoli ,  in  aedibus  Sanctìnor'm  ,  ma  aggiunge  che  già 
al  fuo  tempo  avea  rofiferto  il  fato  comune  a  tanti  altri 
belli  monumenti  .  E  effa  dedicata  al  nume  da  Giulio 
aquila  il  più  giovane.  Un'altra  ifcrizione  diretta  allo 
fleflo  dio  in  nome  del  fenato  ,  e  del  popolo  di  Ca- 
lazia  ,  è  pubblicata  dall'Egizio  C^)  ,  dall' Ignarra  (3)  , 
e  ripetuta  dall' Eckhel  C4.J.  A  quelle  potrei  aggiunger- 
ne una  terza  ,  preffo  me  efilìente  ,    che  porta  il  nome 

di 

(i)  Wftor.  Neapol.  lib.  I.  Cap.   i^, 

(2)  ^J  S.   C.  de  Bacch.  pag.   33. 

(5)  De  paìaeftr.  pag.l^"^. 

(4)  /oc.  cit.  pag.  11^, 


331 
di  P.  Plozio  Gllcero  ,  e  che  mi  riufcì  per  (ingoiar  for- 
tuna ,  negli  anni  fcorfi  ,  di  falvar  dalle  mani  di  un  la- 
picida ,  fé  non  teme  dì ,  che  le  molte  ofrervazìonì ,  del- 
le quali  bifognerebbe  accompagnarla  ,  non  mi  dilungaf- 
fero  molto  più  di  quel  che  mi  fon  propoflo  .  Ma  for- 
fè in  una  particolar  diflèrtazione  procureremo  un  gior- 
no d' illuftrare  ,  il  meglio  che  per  noi  fi  potrà ,  que- 
llo iuterelTante  monumento  d' iftoria  patria . 


FINE. 


TAVOLA 

DELLE     MEMORIE 

Contenute  nel  prefente  volume  . 

Introduzione    di   Vincenzio    de    Muro    Segretario 

perpetuo .  pag.       ni 

Statuti   della   Società  .  xxv 

Elenco   de'  membri   della   Società  .  xxjX 

Invocazione    a    Sofia  ,    del  Duca    di   Ventignano 

Socio   refidente .  I 

Difcorfo  fulla   iToria   dell'umana  ragione,  del  Cav. 

Sanfoni   Socio   refidente  .  7 

Vita  di   Dante ,   di   Giujcppe  de  Cefare    Vice  pre- 
fidente .  3  5 
Delle  favole   Atcllane,   e   de' loro  cfùdj ,  di    Vin- 

cen\io   de   Muro   Segretario  perpetuo .  6  I 

Cagioni  de'  progredì  liiaordinarj  de'  Greci  nella 
letteratura  ,  e  "elle  belle  arti ,  di  Angelo 
Marinelli   Socio   refidente  .  93 

Saggio  fulla  corruzione  de'  popoli   ,    di  Francefco 

Lauria   Socio   rcfidente .  i  2. 1 

Notizie  de' prezzi  di  alcune  derrate  per  più  di  due 
fecoli ,  di  Luca  de  Samuele  Cugna\yj.  So- 
cio refidente.  145 
Difcorfo  fuUc  caufe  della  forpenfìone  delle  terre 
neir  atmosfera  ,  di  Luca  de  Samuele  Ca- 
gnaiy.  Socio  refidente .  i  7 1 


334 

De' primi  abitatori  della  Campania,  e  dell' Opicia 

propriamente  detta  ,  di  VinceriT^o  de  Mu- 
ro Segretario  perpetuo  .  187 

Origine  «  progreffi  della  letteratura,  e  delle  belle 
arti  preflò  i  Romani  ,  di  Angelo  Mari- 
nelli Socio  refidente .  2. 1 3 

Sopra  una  nuova  fpecie  <ii  fquadro  pefcato  nel  lit- 
torale  di  Napoli,  di  Michele  Tenore  So- 
cio  refidente.  2,41 

Sullo  flato  imperfetto  nel  quale  è  ancora  la  Geo- 
grafia antica  ,  di  Domenico  Forges  Da- 
van's^ati  Socio  refidente  .  ci  6  5 

Oflèrvazioni   fui   tipo  del   bue  a   volto  umano  ,  di 

Francefco  Maria  Avellino  Socio  refidente.  3^^ 


ERRORI. 

CORREZIONI. 

Introd.  pag.  21 

cheunque 

cliiunque 

lo 

aquedotti 

acquidotii 

18 

eriggere 

erigere 

3i 

Reihorica 

Rketorica 

46  Coxnedia 

Commedia 

102 

confidiriamo 

confideriamo 

ivi  cortiggiane 

cortigiane 

104 

acatombe 

ecatombe 

128 

confulati 

confolati 

ivi  annighittito 

anneghittito 

I48 

in  parte  a  quefto 

in  parte  di  quefto  male 

male 

iP 

Granuelé 

GranveJa 

154 

appaldatori 

appaltatori 

158 

V.  I.  quando 

quanto 

ivi  ambi 

ambe 

161 

teneri 

tenere 

^7i 

perveniente 

proveniente 

j8o 

incaminavano 

incamminavano 

193 

fuggitivi 

fugitivi 

197 

Sanfeo 

Saufeo 

199 

antoctoni 

autoctoni 

208 

ftendevas. 

flendevanli 

218 

negl'  anirn 

negli  animi 

Ì2J 

menfogne 

menzogne 

ajo 

dagl'  occhi 

dagli  occhi 

i34 

r  aquidotto 

r  acquidottO 

244 

Vigo 

Vico 

258 

capo  piatta 

Capo  piatto 

262 

naturae  injevit 

natura  injevit 

277 

Larina 

Latino 

292 

il  Volfio 

il  VolTio 

303 

ab   Hydronte 

ab  Hydrume 

308  cel  dimoftrerebberc 

ce  la  dimoftrerebbero 

312 

nove  milia 

nove  miglia 

\  //uoT^ 

li 

%    ■        ' 

ATTI 

DELLA  ^ 

SOCIETÀ'  PONTANIANA 

DI    NAPOLI 
dell'  anno    1811^ 


VOLUMESECONDO. 


$.IISD.K 


nella'stamperia^ 


01   VINCENZO   OllSINQ 
«8  12, 


I 


ELENCO 

DEGLI  ACCADEMICI 

OEU.A  società'   fontani ANa    NEI    l8l2« 


tmmu^mmu^ 


PRESIDENTE  ATTUALE 

5^  urlo  Conte  Giuseppe  Ministro  deW  Interno 

VICE  PRESIDENTE  ATTUALE 

Sansoni  Caf.  Domenico  Giudice  della  G.C.  di  Cas&aziont 

SEGRETARIO  GENERALE  PERPETUO 

I^fapoli    Sìgnorelli    Pietro    Professore   ^merito  della    i?. 
Univei'sità  di  Bologna 


ì^mmmm 


SOCII  RESIDENTI 

Agar  CoTigfc  di  3'Ioshourg  Ministro  delle  Finanze 
Avellino   Cav.  Francesco  Maria  Istruttore    di  S.  A.  /?. 

//  Principe  Achille 
Avena  Giovanni  Battista  Uditore  al   Consiglio  di  Stato 
Berio  Marchese  Francesco  Maria 
Bianchi  Giovanni 
Boccanera  Angelo  P.  Professore  di  Chirurgia 

«  2  Bru- 


1* 

Brunetti    Lazaro   Segretario    di    LfigaÙQm   del    Regno 
Italico 

Buonsanto  Yito 

Caracciolo  Arena  Francesco 

Carf'ora  Aaiello  Maria   Giudice  di  prima  istanza 

Castaldi  Giuseppe     Giudice  nella   Corte    di  Appello    in 
Napoli 

Cagnazzi  Luca  di  Samuele  Professore  di  economia  pubblica 

de  Cesare  Giuseppe  Ispettofe  generale  de^  diritti  risentati 

Ciampi  Angelo 

Colccrlii  Ottavio    Professore  di  Ccdcolo    sublime   nella 
Scuola   Politecnica 

<le  Conciliis  Gennaro  Professore    di  Fisica  nelV  Univer- 
sità di  Napoli 

Còco  Vincenzo   Consigliere  di  Stato^ 

f/ostanzo  Francesco  M.  Direttore  della  Scuola.  Politecnica) 

Colonna  Antonio  Professore  di  Fisica 

Diana  Francesco  Ispettore  delle  contribuzioni  dirette 

Farina  Giacomo    Giudice  della   G.    C.  di   Cassa-^ione 

Filioli  Giacomo   Uditore  del  Consiglio  di  Stato 

Fi  ani   Onofrio 

Filomarino  Duca  della   Torre  Direttore  genera* 

le  de'  B.  Demanii 

Folinea  Francesco   Professore  di   Chirurgia 

Gagliardo  Gio.  Ballista    Ispettore  generale  delle    acque 
e  foreste 

Galanti  Luigi  Professore  di  Geografa  nelle  Scuole  Po- 
litecniche 

Galdi   Cav.  Matteo    Direttore    generale    della    pubblica 
istruzione 

Gcrvasio  Agostino  Vice-Segretario  attuale  della  Società 

Gùij\-jJdi  Raimondo 

de 


r 
de  Horatils  Cosimo  Ifìedìco  in  capo    dell'  Ospedale  mi. 

litare  della  Trinità 
LampaioUi  Micliele    Chirurgo    in   capo    del  VI'    Megi-^ 

mento  di  linea 
Lancellotti  Francesco  Professore  di  Farmacia 
Lamia  Fiaucesco  Professore    di  Dritto    Criminale   nell* 

Uni  versila  di  Napoli 
Lilietta  Nicola  Presidente  della  C.  di  appello 
Liiigiiili  Giovanni 

(le  Liso  Tommaso   Giudice  della  C.  di  appello  in  ^apolli 
Marinelli  Angelo  Professore  di  Cronologi^:!, 
Marnili   Conte   Trojano- 

Marrnncelli  Ginstino  Professore  di  Medicina 
Mtlfllo  Vito.  Ispettore  generale  delle  Poste 
Micheronx:  Alessandro    Uditore  nel   Consiglio  di  Stato 
Miglieita  Antoiiio  Segretario  perpetuo  del  Protomcdica^ 

to  e  della  T'accinazione 
Mon/icelli  della  Valle  Cesare  Duca  di  Ventignarto 
Moniicelli  Teodoro  Professore  di  filosofia  morale 
Montagne    Camillo    Chirurgo    maggiore    de'  Granatieri 

della   Guardia  Reale 
T^Ioriioue  Domejjico   Commissario  di  Polizia'  ' 
iVanula  Antonio  Professore  di  chirurgia 
Navarro  Pasqnale  Professore  di  matematica 
Nicolini  Nicola  Procuratore  R.  nella  G.  C.di  Cassazione 
Oliva  Giacomo   Uditore  del   Consiglio  di  Stato 
]^irilìi  Felice   Giudice  della  G.   C.  di   Cassazione 
X^ctrucci  Alessandro   Giudice  della   C.  di  Appellò 
J'ttrn cecili  Francesco  Professore  di  medicina 
Tiguitlli  Francesco  Principe  di  Strongoli    Generale  di 

divisione 
Postiglione  Prospero  Professore  di  medicina 

Può 


VI 

Puoti  Marchese  Basilio 

Piloti  Giovanni  Maria 

Puoti  Luca  Uditore  nel  Consiglio  di  Stati» 

Quattromani  Luigi 

Regnier  Consigliere  di  Stato 

de  Ritis  Vincenao 

Rogondini  Domenico 

Santoro  Leonardo  P.  Professore  di  Chirurgia 

Savaresi  Antonio  Ispettore  degli  Ospedali  militari 

Scatigna  Vito  Professore  di  medicina 

Sementini  Luigi  Professore  di  chimica  nelV  Università 

Sonni  Domenico  Professore  di  matematica  nella  R.  Ac- 
cademia di  marina 

di  Stefano  Vincenzo  Sostituto  del  Procuratore  della  C 
di  appello 

Tafuri  Michele  Capo  di  Divisione  nel  ministero  del  culto 

Tartaglia  Domenico  Avvocato 

Tenore  Michele  Direttore  del  giardino  hotanic& 

Tucci  Francesco  Paolo 

Vulpes  Gio:  Battista 

Vulpes  Benedetto  Professore  di  chimica 

Wispeare  Davide  Relatore  nel  Consigtio  di  Staio 

Zuccari  Federico  Professore  di  astronomia  jielV università 

SOCJ  NON  RESIDENTI 

Betti  Benedetto  del  Vas^to 

Cassitto  Federico  Segretario  perpetuo  della  Società  Agra- 
ria in  Avellino 
Cassitto  Gio:  Antonio  in  Bonito 
Cicala  Bamne  Francesc(^  Bernardino  in  Lecce 
Cha^■roll  Giuseppe  Intendente  in  Capitanata 


Bomanico  Rocco  Giudice  di  prima  istanza  in  Cosenzc^ 

.Ferrara  Pasquale  Avvocato  in  Trani 

Galiani  Bruno   Giudice  criminale  in  Salerno 

Gatti  Serafino  Segretario  pei-petuo  della  Società  Agra-^ 

ria  in  Foggia 
Gioveue  Monsignore  Giuseppe  M.  Vicario  generale  Apo^ 

stolico  in  Lecce 
Liberatore  Giuseppe  Professore  di  medicina    nel  Colle- 
gio dell'  Aquila 
^jiberatore  Pasquale    Procuratore    R.  nel  tribunale  cri-^ 

minale  dell'  Aquila . 
de  Leouafdis  Sante  Professoi'e  nel  Collegio  dell'  Aquila 
La  Pira  Gaetano  Commissario    delle  polveri   e  salnitri 

in  Foggia 
Marugj  Gior  Leonardo  Professore  di  medicina  in  Mail- 

duri  a 
Micheletti  GIo:  Battista  Segretario  perpetuo  della  Socie-^ 

tà  Agraria  nelV  Aquila 
Moschettini  Cosimo  Professore   di  medicina  e  Segreta,-. 

rio  della  Società  ytgraria  in  Lecce 
Pessolano  Marco  in  Rionero 
Tempone  Domeiaico  in  Moliterno 
Montejasi  Duca  Intendente  in  Chiett 

SOCJ  GORRISPONDENTI 

Monti  Vincenzo  Cav.  della  Corona  di  Ferro  in  3Iìlan<i 
Wuxstoxidi  Andiea  in  Corfii 
Paroisse  Medico  di  S.  M.   Cattolica  in  Madrid 
Millin  A.  L.  Presidente   del  Gabinetto   delle  medaglie 
neUa  Biblioteca  Imperiale  in  Parigi 


..     '  ONORARI 

0- 

Andres  Giovanni  Prefetto  della  Biblioteca  Reale 
Boudus  .Commendatore  Sotta-Governatore  di  S.  A.  R. 

il  Principe  Achille 
Delfico  Melchiorre  Consigliere  di  Stato 
Manzi  Tito  Segretario  generale  del  Consiglio  di  Stato 
Ricci  Angelo  M.  Professore   di  eloquenza   neìV  Univer-' 

rità  di  Napoli 
de  Rita   Gio:  Battista   Istruttore   di    S,  A.   il    Principe 

Luciano  Segretario  emerito  della  Società. 
Valletta  Nicola  Professore  di  dritto   romano   e  Decano 

neir  università  di  Napoli 


SULLA  SCRITTURA 

PENSIERO 

DI  PIETRO  NAPOLI  SIG^JORELLI 

Segretario  perpetuo  dslla  società' 

PoNTANIANA    (i;. 

V^Ualora  col  penfiero  m'Innolfro  entro  I  lavori  dell' 'nge- 
gno  umano,  non  polTo  non  ammirare  tante  e  si  varie  ed 
acute  ricerche  degli  eruditi  ,  i  quali  di  avvifij  difcordi  o  Ja 
Greca  nazione  per  maeltra  riconolcono  delle  altre, o  all'Etra» 
fca  02  attribuiscono  il  bel  vanto  ,  o  trag':;ono  dalla  Fenicia 
i  rulim-nti  deli"  uinaoitk,  o  dalla  Caldea  vollero  che  la  lì  e  f- 
ù  Fenicia  con  l'  Ebr.-a  apprendo'e  ;  per  nulla  dire  di  chi 
a?li  Etiopi  ,  ac;li  Egizii  ,  agli  Sciti  ,  ai  Cinefi  e  fin  anco  al 
fetttnt'ione  Europeo  tuao  rapporta  il  fapere  e  gli  umani  ri- 
trov.'.ti  .  Non  pertanto  le  di  tali  imirenfe  famiglie  io  laicio 
di  o  cuparmi  e  p  ù  indeiro  rifalgo  ali' Uomo  Hello  poco  me- 
no che  ilol  to,  per  quanto  divtrli  fienfi  i  punti  di  villa  on- 
de prt-ndo  a  coiliderario  ,  in  rutt'ahra  fp-cie  di  (lupore  tro- 
vomi  allòrto  ,  e  dimentico  di  Greci  ,  di  Fetii.i  ,  di  Caldei, 
di  Lindi ,  di  Etru'thi,e  di  tutu  gli  aliri,nH  umilio  e  pro- 
firo  al  colpetto  delia  D;vin  ta  Creatr'ce  increata  che  gitid 
l'Uomo  nelle  d^.izie  di  Eden  ,  e  crimpofe  (.ii  pop'Jar  la' 
terra,  di  con-emplar  l'aitificio  d  11' univerfo  ,  n'invelHgar  la 
mano  onnipjflente  che  dal  nulla  lui  traJe  e  da  infiniti  pof- 
fibili  univerli   J'eliUenje   prekclie  . 

Tom./!.  I  Per 

(i)  Si  IffTe  nei:'adunan7a  éi'  21   di  Inolio  i8ti  ,    ma  li  Società  concorde 
Je.linò  ci  piemetterfi  al  il  volun.e  de' tuoi   Atti. 


z 

Per  qual  via  ,  dico  a  me  d'afro  ,  intraprefe  V  uomo  a  for- 
niar(i  un  mondo  civile  e  ad  indagare  1'  arcano  m.igiftero  dei 
materiale?  Per  qua!  via  neile  contrade  dell' AfUjO  dovunque 
fi  tiene  ch'egli  incominciaffe  ad  efiltere  ,  prefe  a  riflertere 
che  li  fito  dove  dimorava  ,  era  conficcato  fu  di  un  punto 
nella  rnnù  di  uno  de'  piccioliflimi  globi  che  nuotano  nello 
fpazio  ,  e  che  un'altra  metta,  quanJo  che  fofle,  a  lui  rima- 
neva a  fcqpriine  e  percorrere?  Per  qual  via  imbattè  a  rro- 
vare,  refpediente  ficuto  di  congiungere  quefte  due  grandi  por- 
zioni divife  dd  un  Oceano  interminabilj  ?  Per  quale  fi  affi- 
curò  che  quel  g'-an  corpo  luminofo  cut  fi  di.'de  il  nome  di 
■  Sole  né  unico  riluce  e  divampa  nelT  attuab  uiiverfo  ,  né 
forfè  il  maggior  (ìefi  de'compofU  della  fteffa  materia  che  per 
fé  fplende?  Ond' è-ch' egli  co ii prefe  che  tanti  aiìri  e'  viiìbili 
ed  impercettibili  che  popo'ano  i  cieli ,  libranfi  cofìanti  e  gi- 
rano con  c-rte  leggi  nell' immenfita  dello  fpazio,  mal  grado 
delle  apparenti  aberraz'oni  di  que' gran  corpi  fiiri  rifplenJen- 
ti?  Per  quali  gradi  pervenne  a  calcolarne  il  corfo  ,  dividerli 
in  luc-nti  ed  opachi  ,  in  erranti  e  permanenti  ,  in  foli  e 
lu;;e  ,  in  primarii  e.  fatelliti  ;  a  fcoprir  macchie  nel  noflro 
Sole  ed  in  Mai  te  ,  un  anello  in  Saturno,  fafce  in  Giove  e 
Venere,  fafi  ed  ecclilTi  ia  Urano,  in  Ve  ila ,  in  Pallade  ,  iti 
Cerere  ;  a  prevedere  di  tante  comete  il  ritorno  e  valutarne 
le  i'Vimenfe  elliflì  o  parabole,  le  quali  diftruffjro  il  pieno  e 
i  dilettofi  vortici  di  Giordano  Bruno  aJottati  dal  maggior 
geometra  del  fec  lo  XVII?  Per  qual  paziente  induriria  ,  e 
per  quanti  efperiinenti  fi  aggirò  per  ifcorgere  dapertutto 
queir  effetto  univerfale  onde  i  corpi  fi  attirano  e  manifelìa- 
no  le  proprie  forze?  Onde  fu  fpinto  a  rilevare  le  diverle  di- 
reiioai  che  a  noi  fcendcndo  prende  li  luce  fecondo  la  varia- 
ta de' me^ii  ?  Come  appreie  ad  ingrandir  gli  ogg  tti  le  mi- 
gliaja  di  volte  prà  di' loro,  diametri,  aJ  approiìiuar  i  lonta- 
ni^ 


i 

DÌ,  à  veder  chiari  i  corpi  fofchi  ,  a  mirurare  >  a  pefare  ,  a 
calcolare  ,  ad  analizzare  filile  tracce  or  d;;gli  antichi  or  de* 
moderni  geometri?  a  varcar  mercè  di  un  ago  nell'ofcurita 
delle  notti  e  de' nembi  un  abilfo  d'acque  ignote?  a  forpaflar 
per  l'attivitli  di  un  fluido  aeriforme  il  volo  delle  aquile  e 
a  navigar  per  le  vie  de' venti  ?  Mirabili  lavori  cha  nierita' 
niente  acclamanfi  come  protiigioll  ,  che  hamrb  riempiute  le 
biblioteche  di  prezioli  volumi ,  le  univerf-ta  di  profeflbri  elì- 
niii ,  le  accademie  più  chiare  di  genii  fublimi,il  mondo  tut- 
to di  ammiratori! 

Nonpertanto  a  riguardar  le  cofe  create  con  occhio  attento, 
fi  troverà  che  tanti  predigli  precedette  una  operazione  pri- 
mitiva che  gli  fopravvanza  ,  e  che  fervi  di  bafe  infierae  e 
di  fcala  per  gir  rant'aito  ,  fulla  quale  però  o  poco  o  di  ra- 
do o  non  mai  fogliono  altieri  arreftarfi  i  moderni  penfatori. 

E  qual  fu  mai  quella  primitiva  operazione  che  noi  repu- 
tiamo COSI  attiva  e  teconìa  da  tutto  produrre  il  teforo  delle 
fcientifiche  cognizioni   nella  valla  fua  eltenfionej 

Ciò  che  fé  didiriguere  l'uomo  di  mille  e  mille  elTeri  che 
riempiono  l'aria,  la  terra  e  le  acque,  fu  la  felice  articolazio- 
ne dsi'fuoni,  che  in  forza  della  propria  org\nizz.ìz  oae  dove 
l'uon-.o  mandar  fuori  dalla  bocca  fin  da' primi  momenti  de^la 
Tua  efiflt-nza  ,  la  qual  cofi  fi  nominò  p/irol^  .  Fu  verame  ne 
quefla  parola  un  gran  paff'i  deciiìvo  dell' umnira  che  col 
tempo  ridotta  a  metodo  artificioio  fervi  à  difvilupjare  i  peo- 
iìeri.  Ma  la  parola  che  cominciò  co' primi  paffi  dati  alla  vi- 
ta dall'uomo  ufcito  dal  nulla,  mn  fu  una  fua  invenzione  ma 
s\  bene  ui  attributo  diftintivo  della  fua  organizzazione  na- 
turale ,  pel  cui  m  zzo  il  Creatore  volle  mo.^rargli  ,  che  a 
diffrenza  di  ogni  altro  elfere  animato  era  egli  d-ftinato  alla 
focialifà  .  Imperocché  la  parola  non  abbifogna  all'oomo  per 
indirizzare  i  luoi  voti  all'eterno    Amor  del  tutto  ,   non   per 

*  racr 


4 

racco manc^arfi   alle  foftanze    incorporee   di  lui  miniflre  ,    noti 

per  coir.andire  agli  efferi  non  ragionevoli  a  lui  l'oggetti, non 
per  cont.ibaIar  con  fé  fteflb.  Finché  egli  fi  vide  nella  prima 
fua  deliziofa  dimora  tutto  folo  fra'  quadrupedi  a'  Tuoi  piedi 
fottopoiH  e  fra' canori  volatili  che  gli  fefteggiavano  fui  Capo, 
dovette  con  niecivig'ia  e  diletto  fé  ibflb  e  gli  altri  contem- 
plare e  notar  .che  alcjna/cofa  particolarmente  da  quelli  lo 
dilt'ngu'va,  giacché  non  fi  udì  corrifpofto  allorché  verfo  di 
loru  qualche  fuono  profferiva  .  Ma  come  ad  un  cenno  del 
fupremo  Ente  vi-leli  dappreffo  un  nuovo  oggetto  che  lo  raf- 
fomigliava  nella  fjrma  e  lo  fuperava  in  delicatezza  ,  è  da 
erederfi  che  attonito  miroUo  e  con  voce  di  lieta  meraviglia 
mofle  ad  incontrarlo,  voce  che  altra  fimile  per  avventura  m 
traile  dalla  vaga  fi;^m'a  che  gli  fi  po^e  accanto,  ed  aprila  un 
diilogo  di  fuini  articolati  che  disvilupparono  le  novità  de-' 
moti  interni   e  de' primi  penlieri    di   s'i   mirabil  coppia. 

N 'n  a-T  ftaroafi  certamenre  a  que' olloquii  della  prima 
coppia  de'noltri  progenitori  i  prjgiJIl  Jella  parola,  e  fi  tras- 
fufe  ai  figliuoli  e  r'  nipoti  f}  j' fanuli  foprawenuti  nella 
forraizion;  delle,  famiglie  patriarcali  antidiluviane  .  E  non 
può  dubitarli  eh  va  feconla  de'bifoj^ni  della  vita  la  parola 
fi  arri^thì  di  vy,  o  di  nomi  che  dir  fi  vog'iano  ,  che  gli 
oggetti  efprelTéro  ,  neceflarie  a  fuffiftere  e  a  confìftere  CJti 
agio  ,  e  fucceffivamente  a  disviluppar  regole  ,  ronfigli  ,  pre- 
cetti e  doveri  ,  che  form-irono  li  (jpienza  volpare  nafceate. 
Co-'i  nacquero  di  mano  in  mano  i  vocaboli  che  dinotarono 
le^cofe,  I  movimenti  di  rincref.imento  o  di  gi'.)ja  ,  d'ira  o 
di  affezione  ,  e  quinto  pjtè  occorrere  ai  primi  ragionevoli 
abitatori  della  terra  ;  e  la  parola  con  acconce  inflelììoni  di- 
venne fentenza  ,  r^iziocinio  ,  giudizio,  dif.orfo  ;  e  colle  etni- 
grazioni  d-lle  famiglie  che  li  fparfero  p.-r  la  gran  felvadeJ.'a 
terra  prefe  andamenti  a  ciaf».uaa  peculiari  negli  abituri  ,   al- 

ber- 


bergoli  ,  recinti  ò\  qualunque  fl:nomlnaz'one  ne' quali  filTaro- 
no  la  prop  ia  dimora  . 

Occorfe  inranto  all'uomo  dì  fovvenirfi  de'paflati  nomi  dati 
alle  cofe  ,  e  tanto  ne  feppe  quanto  la  memoria  ne  ritenne, 
e  rparvero  come  quefta  venne  meno.  Occorfe  a'tres'i  di  con- 
ferire alcjiia  cofa  con  qulli  f'ella  propria  fpecie  eh.'  in  lori-, 
tane  ri-gijtii  eraifi  ftabiliti,nè  potè  in  alrri  foggia  fupplirvi 
che  con  m.'fl'iggi  che  per  la  voce  parte;ipairjro  e  Is  duman» 
d-  e  le  tifpvlte  ,  Tempre  col  dubbio  o  che  mal  fi  rifeiilfe  o 
che  fi  traJiife  l'arcano.  Oltreacc  ò  ben  potevano  gli  a  tidt-« 
luviani  longevi  non  aver  b  fogno  che  della  propria  v  ce  col- 
le generazioni  alle  quali  furono  coevi-  Ma  comi  l'età  dell'' 
uomo  divenne  di  più  corta  durata  ,  almeno  dopo  l'univerfdl 
diluvio  ,  mancata  h  viva  voce  e  ilorie  e  fc  )perte  e  leugi  e 
m^norie ,  tutto  giva  a'  perire,  né  altro  ne  rmaoeva  che  una 
poco  particolare.'giata  tradizione  che  con  gli  anoi  di  giorno 
in   giorno  s'indeboH   ed  al   fine    totalmeire   difparvt?  . 

Tutte  quelle  orcorrenze  fugerirono  all'  uomo  ia  necefiltk 
alToluta  di  foccorrer  la  memoria,  di  conimunicar  co'kntan, 
di  premunirli  contro  b  rapine  d'Ila  morte  e  del  'empo.  Ed 
ecco  donde  a  lui  provennero  gl'impulfi  ad  aguzzare  l'inge- 
gno per  Mniracciar  la  guifa  di  fiflar  fu  mute  inerti  materie, 
lu  pietre  e  metr.lli  e  fo9lie  e  pelli  di  cgni  fpecie,  la  mira- 
bile proprietà    umana   delia    parola. 

Nato  quello  pr'mo  penfiero  fe^^uir  ne  dovette  un  altro  , 
quello  di  «lare  a' Tuoni  della  nropr  a  voce  una  nota,  un  fegno 
che  gli  dift'nguefie  e  n' confai  vafle  alle  occorrenze  e  ne  ram- 
ment-ifle  i'u'o.  Or  cunii  e  quali  sforzi  coltar  non  dovete? 
all'uomo  il  Tublim??  d  fegno  di  convertre  in  note  non  lo- 
quaci e  i  p'nfi-iri  e  i  fjoni  delli  propria  voce,  e  fare  in  fe- 
^u  to  che  queite  note  o  fegni  acconciamente  aianodati  /crif' 
tuta  divenifiero? 


s 

E'  quefta,  pregiatiffimi  Colleghi  ,  la  primitiva  prodiglofa 
operazione  dell'  umano  ingegno  che  non  ha  guari  enunciai  e 
che  confiderò  qjal  primo  Itabile  fondamento  di  ogni  Icienza 
e  di  ogni  arte.  Una  idea  che  all'uomo  fopravvenga  ma  che 
non  fi  cotifervi ,  può  averli  in  conto  di  non  disviluppata  to- 
fìo  che  la  memoria  Te  ne  in  lebolifca  e  fi  dilegui .  Ren  luta 
ftabile  col  fottoporfi  alla  villa  p.T  la  fcrittura,  può  effer  le- 
condata  e  f^gu'ta  e  divenire  f.-rtile  fcaturigme  di  pen!ìeri  ul- 
tciiori,  di  de-iuzioni  vìe  più  importanti,  di  nuove  fcoperte, 
di  quanto  in  fomma  racchiule  il  teforo  delle  fcienze  e  del- 
le arti.  Mnemofine  madre  delle  mufe,  fenza  il  foccorfo  del- 
la fcrittura  ,  farebbe  obbligata  a  non  ceflar  mai  dal  far  mi- 
racoli ;  ma  la  natura  (  voi  vel  fapete  )  quanto  è  difpolta  a 
produrre  opere  mirabili  ,  altrettanto  è  lontana  da'  miracoli  . 
Adunque  fenza  quefto  gran  mez^o  della  fcrittura  ,  ritrov:Uo 
rutto  umano  (  poicchè  il  Creatore  non  l'ha  rivelato  )  l'uo- 
mo da  lui  creato  a  fua  iinmagine  fi  elevò  ad  arricchir  la 
terra  di  prodigi! .  Per  quedo  mezzo  da  agricoltore,  cacciato- 
re, pallore,  artifta  ,  raarin.ija  s'innalzò  alla  contemplazione, 
tenendo  conto  di  tutti  i  paTi  che  dava,  e  fé  de' peniieri  fuoì 
conferva  e  gli  fottopofe  alla  villa  ,  per  ripeterli  a  fé  (leflb 
ad  ogni  occorrenza  con  una  occhiata. 

Io  mi  figuro  io  Crotone  fiorente,  e  non  già  folinga  e  fpa- 
ruta  quale  ora  fi  ravvifa  ,  Pitagora  circondato  da  (ìlenzofo 
duolo  di  afcoltatori  Italogreci  di  entrambi  i  feffi  ,  il  quale 
apparecchiatane  con-  la  mulìca  V  attenzione  e  la  pacatezza 
dello  fpirito  e  del  cuore,  profonde  in  copia  le  ricchezze  del- 
le fue  meditazioni  ,  mentre  che  i  piii  chiari  Pitagorici  Te- 
lauge  ,  Filolao  ,  Timeo  ,  Archita  ,  Epicarmo,  e  le  crebri 
•Pita^orine  Alia,  Eri<jone  e  Damo  Crotonefi  ,  e  la  Tarenti- 
na  Biforronda,  e  la  Lucana  Biodace  ,  e  la  Sibarita  Tirlene, 
in  atto  di  raccorle  aviuamente  pendono    dalla  fua  bocca  ,    e 

ne 


7 

ne  fanno  conferva  nella  fcrittura  per  foccorrere  lì  memoria. 
Che  fé  Telauge  fuo  figliuolo,  non.  U  trafcriveva  nel  fuo  libro 
de  Tctrade  :  fé  Bifc.Ua  tua.  n.ipote  non  paifava  quell'opera  al 
marito  Filolao  ,  e  qaelti  non  la  yen  leva  per  quaranta  mine 
a  Piatone  ,  che  già  in  Atene  nella  fteifa  guifa.  avea  fcriven- 
cbia  afficurata  alla  pollen'ta  la  dottrina  di  Socrate  ,  non  fa- 
rebbero i  placiti  filufofici  che  Plutarco  e  Diogene  Laerzio 
ci  confervarono  ,  foggiaci uti  dopo  la  morte  degli  autori  ad 
una  dolorofa  obblivione  :"  E  come  i  matemat  ci  fi  farebbero 
innoltrati  fino  agli  Archirn'.'di ,  agli  Architi,  agli  Apollonii 
(eoza  aver  prefenti  i  lavori  de' primi  geometri  fin  àx  che  Pi- 
tagora dimoiirò  il  qua  Irato  d^ll' ipotenufa  d.4  triangolo  ret- 
laigolo  uguale  a  quelli  degli  altri  due  lati  prefi  inlieme  ? 
Coine  farebbe  Archimede  tornato  in  vita  a  converfare  coi 
Galilei  e  i  Viviani  fenza  foccorfo  della  fcrittura  ?  E  fé  que- 
lla non  confervava  i  problemi  di  Apollonio  Pergeo  almeno 
nell'araba  verfìone  della  Laurenziana,  avrebbe  il  fagace  Gio- 
vanni Alonfo  Borelli  dalle  figure  geonietriche  indovinata  la 
•materia  del  libro  e  fatto  rivivere.  1'  originale  del  Greco  geo- 
metra i  Senza  la  fcrittura  che  di  tanti  prefidii  fornillo  ,  fi^ 
farebbe  1'  uoino  elevato  alla  geometria  degl'  indivi  libili  del 
Cavalieri  per  cui  fi  fpianò  il  fentiero  al  calcolo  differcnziab 
o  delle  fluffioni;?  Come  le  tìfiche  avrebbero  progredito,  e  da 
Empedocle,  da  Parmenide, da  Zenone,  da  Epicuro,  da  Ari- 
.ftoti  e  ,  da  Ocello  e  Dicearco  farebbero  pallate  e  difcefe  a 
Lucrezio,  al  Porta,  al  Sarpi,  al  Telefio ,  a  Bacone,  al  Ca- 
(fìeili  ,  al  Keiil  ,  al  Jaquier,  al  Boscowich  ,  al  Xinienes  ,  e 
aiU  Ardinghelli,  alle  Agneiì  ?  Si  farebbero  lenza  la  fcrittura 
Q'jnlervate  le  offervazioni  allronomiche  di  Pitagora  Hello  ,  di 
Timeo  da  Locri  y  di  Mjtope  ,  di  Anafiiman.lro  mae'tro  di 
Anaffini'ne  e  di  Anallas^ora?  Si  farebbe  pervenuto  a  I  icune, 
al  K.'pierj,  al  Bjrelli ,  al  Newton,  all' Oisberg  ,  all' Or. a.a? 

Se, 


6 

Se  cos^  neceflacio  ritrovato  nftti  veniva  in  foccorro  c?e'  Rapfo* 
di  foli  confervatori  dcile  Omeriche  invenzioni,  farebbero  vjfls 
pervenute  ad  mfia^nmar  di  bella  invidia  il  gra.i  Maioiie  ,  e 
dilceie  pocia  ad  ammaelirar  la  gioventù  per  opera  del  Pope, 
del  Marrorelii ,  dil  Salvjni  ,  delh  Tambroni  edeli'efimio  Pa- 
gnini  ?  O  iKro  ftellb  ,  Jj  Itelfj  Marone  farebbero  paflati  ad 
eccitare  l'e.uuiainij  del  ioiniii'j  poeta  Aligliieri  ,  la  ledu- 
cente  le 'giadria  del  Petrarca,  il   v-iilo  genio  di 

GMiel  g'-ande  che  canto  l'arme  e  gli  amori ^ 
là  maei.i,  l'eleganza,  la  fubHmità  dell' imirurtala  Torquato 
Tafla?  E  fé  le  im  >refe  di  Fing..il,fe  i  canti  di  Selma  rinialfa 
fniìVio  confinate  ne' monti  Scozz-fi  e  abbandonate  ad  una  foh- 
taria  trdizione,  fenza  paflare  per  opera  di  Macferfon  ,  in- 
vei'f^re  o  tr^iduttor  che  fi  folTe  ,  al  continente  dell'Europa, 
fi  f  r  be  cunjf.iuto  il  Bardo  OlTian  nella  nobile  verfioce 
dei  GeLntti  ì  Se  la  mufica  fi  rimaneva  ai  primi  fooni  for- 
mati da'  colpi  di  martelli  fabrili  lafciati  cadete  ia  cena  ca- 
denza fuUe  iacudini:  (e  non  paflava  dal  Pitagorico  Aridofle- 
no  all' ini'enzior.e  della  mano  di  Guido  Aretino  per  mezzo 
.della  fcrittura  ,  quando  quell'arte  divina  che  partecipa  dell' 
armonia  delle  sfere,  avrebbe  coln^ato  Napoli  di  gloria  e  l'Eu- 
ropa di  dolcezza  per  le  note  immortali  palTite  dal  cembali 
alla  fcrittura  del  Pergolefe,  del  Jommelli ,  del  Pai fielloi' Cef- 
fo dall' efemplificare  in  un  confedo  di  tanto  fenno  ,  che  la- 
P'à  veder  da  fé  quel  che  io  balbettando  aggiugner  potrei , 
e  palfo  ad  un'altra  ricerca. 

Jl  gran  pafla-:gio  dal  lavoro  delle  braccia  agli  slanci  dello 
fpirito  ,  dalla  parola  alla  fcrittura  che  gii  conferva  ,  gli  fu- 
gerifce  ad  ogni  incontro  e  gli  tramanda  alla  pdler'tà,  fecefi 
per  gradi  ovvero  ad  un  tratto  ?  La  natura  che  no.i  ama  i 
miracoli  ,  fapete  che  abborrifce  uG;ualmente  i  falti  .  Per  evi- 
tarli e  per  feguir  l'uomo  alla  pefta  ne' fuoi  ritrovati  ,    bilo 


ne» 


p 

gnerebbe  ce«ven!r  prima  ful^e  mìgliaja  di  fecoli  di  cfiftenza 
di  quello  pianeta  che  abitiamo  ,  ed  in  tan'a  notte  cercar  le 
prir»!e  v»ftigia  della  fcrittura  .  Se  afcoltiamo  gii  Egizii  ,  i 
Frigi»  ,  i  Caldei,  i  Ginefi ,  gli  Sciti  ,  luui  cootano  a  cen- 
tinaia di  migliaja  ,  non  che  a  decine  ,  i  (ecoli  ,  e  coiitef;ro 
accaijitamente  per  l'antichità.  Nund.nieno  le  riduzioni  allro- 
I)  m  che  della  voce  anno  chs  da  pruiu  li^iifi:^  rivoluzione^ 
la  cietinaroHO  infine  ad  indicare  il  giro  lolars  di  tijdci  tnetì, 
e  le  ceinioaja  di  migltaja  di  fecoii  difparvero  ,  e  nelle  co- 
nolog'e  iperboliche  s' intefe  ragione  , -jd  i  computi  fi  approi» 
Cmarono  all'ebrea.  Cosi  la  Conaca  Egi^fiaia  diede  all'era 
volgare  óiiZ  anni,  Diogene  f^aerzio  6158,  Diodoro  di  Si- 
cilia ^081,  la  cronologia  babilonica  6x58,  1' Indiana  6204, 
Je  tradizioni  Gin  fi  dico  o  poco  pù  .  A  quelle  moderate 
riduzioni  attenendoci  ancora,  privi  pur  ci  vediamo  di  ioccor- 
fo,  e  non  ci  rimangono  ù  non  congetture  per  rifalire  all'e- 
poca dell'invenzione  della  fcrittura  ,  Avventuriamo  qualche 
conato . 

Quali  furono  le  prime  note  Indicanti  i  Tuoni  della  voce 
umana  deftinate  a  confervare  le  m.'morie  paifate  ?  Stranezza 
farebbe  affermare  che  primi  folTero  i  caratteri  che  oggi  no- 
miniamo Fenici,  Caldei,  Siriaci,  Etrufchi,  Grr-ci  e  Luinij 
e  pure  quelta  fìranezza  fi  è  avanzata  da  un  gran  numero  di 
fcrittori.  A  me  pare  che  paiTar  dal  fiato  che  rompendo  l'a- 
ria produca  un  fuono,  che  di  fé  non  laici  imprelTione  alcuna 
vifibile ,  all' invenzione  artificiofa  di  caratteri  dalla  mano  trat- 
teggiati ,  farebbe  la  cofa  ftefla  che  di  un  falto  volar  da  un 
remore  non  apparente  ad  un  fegno  che  fi  tocchi  o  fi  veda  . 
In  qualunque  epoca  dell' efiftenza  dell'umano  genere  av- 
venifle,  convien  pcnfare,  che  come  l'uomo  ebbe  affcgnati  i 
nomi  alle  cofe  che  vedeva,  per  richiamarne  a  fé  o  agli  al- 
tri le  idee,  dovè  mollrare  le  cc^fe  ftelfe.  Come  efprime  il 
Toni.ll.  2  Un- 


IO 

fa.iciullo.  un  pomo,  che  defi^eri  ?  lo.  cerca  con  gli  ocelli  e  f 
ad  lira;  come  uà  animale  fhe  lo  (paventi  ?  1' accenna  ,  e  (ì 
aTiira  .  Come  manifella  il  mutolo  il  fuo  concetto  fé  non 
pei:  atti  o  corpi  ciie  fpiegliino  i  rapporti  naturali  che  elTi 
hanno  alla  idee?  E  dove  fé  non  in  queflo  è  fondato  il  prin- 
cipio dd  naturai  parlare  primitivo  riconofciuto  da  Platone 
nel  Cratilo  e  da  Giamblico,  ne  Mtfterl  degli  Egizii  (i  ?  Qaz- 
fti  furono  indubitatamente  i  primi  caratteri ^  de^qualL  l'uomo^ 
fi.  valfe  a  rapprefentare  i  fuoi  penfieri,  qjefla  la  prima  fcrit- 
tura  nella  fua  fanciullezza  ,  le  Co/^-  ..  La  ftoria  na  fornifce 
efempli  .  Lo  Scita  Idantura  volle-  rirpondere  al  Perfiano  Da- 
rio che  gì' intimava  la  puerra ,  eff^re  i  (uoi  popoli  non  ric- 
chi ma  che  fapevano  coltivando  la  terra  fufliitere,  e  mane^- 
gianda  le  anni  difenJerfi .  Ciò  ia:licò  con^  cinque  parole  jW/, 
inviandogli  una  ranocchia  un  tono  un  uccella-  un  dente  di  un 
arairo  un  arco  da  faetrare  ,  che  da'coafiglieri  del  Perfiano 
male  s'interpretarono.  Tarquìnio  coir  una  bacchetta  troncan- 
do i  capi  de' papaveri  efpri.ne  per  cofe  il  fuo  penfiero  al  li» 
gliuolo  che  era  in  Gabii»Una  folia.  di  peJao.ti  trapaflaii  con 
erudizione  fenza  modo  e  con  niuna  filofofia  folleiinero  che 
le  lingua  cominciarono  prima  delle  lettere.  Il  gran  Vico  il 
maggiore  de'noftri  filofo^  con  merafifica  eJ  erudizione  uguil- 
tnente  folide  e  ftringenti  che  gli  mette  in  rotta  ^  prova  che 
le  lin=?u3  e  le  lettere  nacquero  gemelle  ;  paradolTa  apparen- 
te chi  è  una  verità  eh?  fi  palpa.  Oflervare  una  cofa  >  è  di- 
notarla e  dillinguerla  dalle  altre;  indicarla  con  un  motto,  è 
defcriverla.  Come  fepayare  la  parola  da  quella  prima  fcrittu- 
ra  d?lle  cofe,' 

Pollo  Tuomo  in  via  per  l'efirenìone  vifibile  de' fuor    pen^ 
fieri,  pafsò  dalla  fcrictura  reale,  alla  feconda  che  è  la  gerjgli' 

JÌCA 
(i)  Offervifi  Di^Principa  di  una-  Scienza  Nuovi  del   Vico  la  degniti  53. 


n 
fca,  vide  egli  il  bifogno  di  j-appeìlaffi  le  cofe  allcrchè  noti 
le  avea  prefenti,  e  ritenendone  nell' jmniaginazionè  le  forme 
«d  i  fegni  diHintivi,  <;hi  fa  che  da   priaia  non   ne  tratteggiò 
col  dito  nelU  polvere  i  contorni  e  \à  grandezza?  Chi   fa  che 
,  non  cominciò  da  l'abbozzar  f^cch;  figure  di  una    pianta,    dì 
un  uccello,    di  un  infetto^   di  un  psfce  per  richiimire    alla 
memoria  fimili  produzioni  naturali?  Chi   fa  che  per  elle  non 
pafsò  come  per  muta  comparazione  ad  efprìniere  in  akri  og- 
getti qualità  rafllirtiiglianti ,    e  colla  figua'di  un  tigre  o   di 
altro  animale  non  volle  indicare  la  fiarezza?  Hj  ardto  addi- 
tarvi come  confettura  ciò  che  elTer  •dovette  ft'^ria  .    I  popoli 
remoti  che  mag-^iormente  ambirono  di  eiHjr    tniuti    come    i 
più  antichi  d-Ua  t^-rra ,    altra  manica  da  prima  non    elibero 
di   fcrivere  i  penfìeri  che  per  geroglifici .  Gli    Egìzi!  o' ebbera 
nelle  loro  due  prime  età  dette  degli   Dei  z  de^li   £>-o/ ,    che 
fecondo  il   loro  avvifo  precèdettero  qujMa   degli    uomini   (i)» 
Fede  ne  'f.moo  le  loro  pìramdi  ed  obeiirrh' ;    e  n'ebbero    di 
diverfe  fpe.ie.  Geroglifici  naturali  e  parla  ni  fi  dilf  ro  quelli 
che  ind'cawnio  pianie,  fiori,  animali;    altri  erprélT.'rL»  per  la 
forma   fei'nalata  l'oggetto,  cime  un  circj'o  il  S  Az  rappella» 
va  imitandone  la  roionJiià;  ebbero  altri  un  rapo jitj  di  con- 
venienza, e  per  l'ippotaino  additirotio  l' impa  ie  izi ,  p  1  coc- 
codrillo l'infidia  o  la  crooiltà  ,    delle    qmli    eoe    ii    occupò 
Porfirio     2  .Prr  Herogiitìci   voglio.io  gli  fiorici  naz  onali  che 
fcrivell'ero  anticamenie  gli  Scozz'fi  remiti  abitatori  dcUuhi- 
ma  Tuie.  G  roglifica  fu  la  fvrittura  Meflicàfia  i'  é  qu  i    che 
reggevano  le   popolazioni,  facevani  all' imperaJore  le  loro  re» 
lazioni  dipingendone  le  pariicolautà  più  figoifi^anti  (jj.Di- 

*  Ititi'. 

(')  Legpafì  i1  Canone  Cronico   'Egiziano  del  civ.  Ciov^.nni   Marfam  . 
(2)   V?d<irene  !a  fiu  di  filatera. 

(?)  Si  vep-jno    le  Memorie   dj'Bétnal  iJliz  idei  Òriiilo  ,   e  V  Iftcrìa  dtl 
Jkfj'ifij  di  ^litonio  ò«hs.  '""-•      '•'''■'    ""     ■  *  ■■  ' 


12 

ftinfero  ancora  gli   Americani  le  famiojìe  con  tefte  di  drago- 
ni, di  quadrupedi,  con  piante,  fiori  ecc.  (i). 

La  fcrittura  geroglifici  de'Ginefi   è  ancor   più    nota.    Efla 
formava  e  forma  una  lin^^ua  che  parla  agli   occhi,    e  non  s' 
intende  né  per  la  voce  né  per  l'udito,  ma  fi  comprende  ge- 
neralmente da  diverfi  popoli  Orientali   varii  di  lingue ,  coms 
Tunkinefi,  Cochinchinefi,  Siam^fi  ,  Coreani,  Giappoiefi.  Una 
linea  recta,  una  curva  ,  un  punto  o  solo  o    ripetuto   in   di- 
verfe  direzioni ,  compongono  quella  muta  lingua  generale  de' 
Cinefi  ,    e    forma    dugentoquattordici    caratteri     radicali    che 
iniìeme  combinandofi  giungono  ad  ottantamila  fecondo  le  te* 
fìimonianzc   addotte    dal  Du  Halde    o   a   centoventimila    fe- 
condo il  Vico.  Ma  qujfti  geroglifici   Cinefi  fono  fegni  arbi- 
trarli che  né  rapporto  hanno  alle  cofe  fignificate  né  raffomi- 
gliano  alle  lettere  alfab  tiche  .    Da    quarta    differenza  che    fi 
offerva  tra' geroglifici  de'Ginefi  e  degli    Egizii  ,    come    pure 
tra  le  lettere  portsriori ,  Shuckf  rd  vuol  dedurre  che  la  fcrit- 
tura Cìncfe  rifaie  ai   primi  feculi  del  Mondo  ( 2 j .  Quefta  fpe- 
cie  di  fcrittura  generale  famigliare  a    tanti    popoli   Orientali 
chi  hanno  lingue  particolari  ,  indica  che  col  crefcer  la  cop  a 
de' geroglifici    fi  diffonderebbe  ognora  più    tra    que' popoli,    e 
paflsrebbe  anche  agli  altri  che  co' Cinefi  commerciano.  E  ciò 
rooflra  (  dicafi  di  paflaggio  )  certa  probabiliik   di    realizzarli 
i'  idea  di   una  lingua  generale  qual  fi  defiderò  da  i  dotti  ,    e 
s'immaginò  dal  vefcovo    di    Cheller   Wilkins   e   ài\    fommo 
matematico  e  letterato  Leiboitz  (3) .    Può  offervarfi  col  fig. 

Fre- 

(1)  Giovanni  ài  Laet  nella  De/crh'ione  della  Nuova  India,  e  Gaftìiaflb  de 
la   Vega   Hìjìoria  de  loJ  Incas  del  Perii  , 

(j>  Hijìoire  du  Monde  fiurìe  &  profane  tom.    i.  iiv.  4. 

(J)  Potrebbe  intorno  a  ciò  o/Tervarii  il  tomo  U  pag.  6j  delia  noflra  Cri" 
tua  Diplomaitta  pubblicala  in  Milano  l'aano  iSj5- 


'3 

Frcret  che  effa  provenne  da  una  invei^zione  precedente  che 
n\h  fcrittura  flefla  equivaleva,  c'oè  dal T  ufo  di  alcune  cordel- 
line legate  infìeme  come  leganfi  le  parole  ferii  te  che  forma- 
vatio  una  fpecie  di  1  bro  che  difviluppava  i  peofieri  (i).  Ne 
inverifimile  parrìj  ne'Cinefi  l'ufo  di  fmili  cord;  atTerito  dai 
Freret,  trovandoQ  ia  gjia  parte  oppofta  del  globo  tra' Perù- 
viatii  fiffaJta  fcrittura  ne' loro  ^<ipU ,  Quefli  ,  fecondochè  il 
bifogna  richiedeva  ,  fi  annodavano  per  manifeftare  le  idee, 
e  formavano  oltreacciò  una  fpecie  di  aritmetica  ,  nella  qua. 
le  i  colori  fegnaUvanp  )e  unit^  ,  Jc  decine  ,  le  centina;» 
ecc.  (2). 

Ma  dalla  fcritturi  geroglifica,  per  cui  l'uomo  trovò  la 
maniera  naturale  di  esprimere  con  fegni  i  penfteri ^  àovè  paf- 
fare  a  rinvenire  altri  fegni  arbitrarii  onda  i  fuoni  s'indica- 
rono. Andar  dalla  fv.ritrura  geroglifica  all' fp/Z^o/o^^^-^^f?  che  di- 
cefi,  fu  pur  r  inoegnofo  ar.ìuo  paffaggio  che  potremmo  raflb- 
migliare  alla  difficoltà  di  formontare  il  Capo  delle  Tempefìe 
prima  di  Vafco  di  Gama.  Indicar  per  una  figura  un  oggetto 
ed  efternar  per  elTa  il  proprio  penficro  ,  fu  ben  mirabii  e  fa 
ma  alla  fin  fine  naturale.  PafTare  ad  analizzar  la  parola  e  con- 
tarne gli  elementi  che  la  compongono,  aflegnare  a  ciafcuno 
di  eflì  pel  fuono  un  fogno  per  renderla  vifibile  fenza  artico* 
larla,  ha  del  prodigiofo;  e  tanto  che  piià  di  un  dotto  ha  ri- 
ferito al  Creatore  fleflb  l'averne  all'uomo  comunicata  la 
guifa  fjì.  Ma  fé  il  Creatore  l'aveffj  rivelata  (  né  iralafciai 
di  notarlo  negli  Elementi  di  Dirlomatira  )  aA^ebbero  tante 
nazioni  abbandonate  lettere  $\  comode    e   dal  ciel  provenute, 

per 

(1)  Memeires  de  f  ^taàetùt  det  ìfcr'tpùons  fora.  III. 

(2)  CarcilafTb  de  la  Ve?a  nel  libro  II,  e.  8. 

(?)  Veggafi  quin'o  ne  aTerma  Bernardo  de  Melinckror  T>e  ^rte  Typagrif 
fhìta  ^  td  anche  logevoaldo  Elingio  De  Hijitria  Lin^utt  Grtuét. 


per  applicarfi  p.  e.  alla  fcrittura  Cinefe  ed  a'  geroglifici  delle 
altre,  the  hanno  apparenza  più  di  enigmi  che  di    caratteri? 

E  fa  l'uoTio  le  s'inveaiò,ed  in  tantvi  guife  i  fuui  difceà* 
denti  le  alterarono,  rimane  ad  offeTvare  eJ  indicare,  fé  pof- 
fibil  fia,  I  per  qual  via  egli  poiè  rinvenire- i  caratteri  de' jTuO' 
ni  ;  2  quali  popoli  ci  la/ciaro'io  i  piti  antf^bi  monunfinti  di  si 
mirabile  op -razione;  3  qui^l  nazione  Europea  fé  ne  approfitta 
prima  di  ogni  altra.  Ad  ogni  paffo  anJreoio  incontro  ad  un 
pericolo;  ma  in  un  campo  inceflantemfiate  fmolfo  e  lavora- 
to e  non  ancora  diflbdato  appieno;,  farà  permcflb  aprir  qual- 
che folco . 

Neil' inveftigare  in  qual  maniera  potè  l'uomo  con  pochi 
caratteri  induftriarfi  di  elprimt:re  tutti  i  fuoni  da  eftrinfecar 
per  le  parole  i  penfieri  ,  confifte  furfs  la  p.ù  fcabrofa  delle 
ricerche  che  intraprendiamo.  Ne  fatò  come  po'To  alcun  cen- 
no; e  fé  riefcirò  ad  intravedere  la  poffibilità  fola  delli  guifa 
OH' e  vi  fi  giuiife,  4ni  riconcilìerò  coli' ardaitk  che  mi  lgo« 
menta. 

l'ore  (  ofo  dire)  la  natura  fv?gliare 'neli' uomo  collo  ftrì- 
fciar  della  folgore  l'idea  di  un  Giove  fulminante,  e  fu^erir 
per  ronn,nat>pea  la  voce  Z  yr  per  indicarlo;    e    prefeutargli 

f»oi  l'altra  idea  d'imitarne  par  geroglifico  la  poffanza  fegna- 
ando  una  rapida  fiamrna  che  rerpeg^i(i).  Quelle  idee  poteva- 
no deter.ninario  a  cerca.e  i  f^goi  da  in.^icar  gli  elementi  di 
^ueiU  parola.  In  tal  ca'o  il  ferp^ogiar  d-Ua  fiamma  nell'at- 
n>osfera  col  faono  eh?  forctia  fcoppiando  fimile  a  quello  che 
fi  fa  nel  prifF-ririi  Z.;r,pjtè  foTi.n  aiilrare  il  primu  elemen- 
to di  qu,'lla  parola,  ed  ine  na-"  alla  mano  ad  im  car  la  li- 
nea che  corre  la  fiam.na  ferpendo  ed  andar  dalia  finiiira  alla 
delira  i.rizoufalinenie  \z) ,  indi  dal  punto  che  termina  quella 

(•)  T.;vrtfàT'R?u'-a  T  ,  lettera  a 
(»)  Tav.  I  fi^.  »  )  leiiera  5 


*5 

fetta  alta  clanra,  fcencf.'re  obliquamente  alla  dm  (ira  formando  un 
an3olo  acuto  fi),  e  tornar  dal  punto  eftremo  di  queft' altra  linea 
alla  d-'Rra  alla  maniera  bufìrofedonn  grcca  ed  etrufca  tirandola 
parallela  alla  retta,  fuperioie  fcos'i  (i)  .  Niuna  cofa  parmi  che 
ripugni   a  tener  probabili  quefte  ide^  e  ad  influire  a  trovare 
i  fegni,  7n;j.xTx^  de'  fuoni  .    Con    fimile  indullria    potrebbero 
rinvenirfi,  altri  fegni.ll  verbo  <!■<?<'  che  indica  lo  ftridere  del 
ferro  rovente-    nell'elìinguerfi    in  qualche  liq^uido  ,.    ufato  da 
Omero  riQÌYOdìJfca  per  efprimere  lo  ftridore  dell' umore  dell' 
occhio  di    Polifemo    perforato    dall'aguzzo    palo  adafto ,  potè 
fugerire  T  imitazione  del  fuono   che  manda  il  ferro    arroven- 
tato ed  il  bollor  dell'  umore  colla  nota  o  lettera  o.  elemento 
che  dir  fi  voglia  ^ ,.  La  voce  2»;4<  nome  di  ferpente  potè  fve- 
gliare    a  un  tempo  la  parola  che    dinota    un    femovente  che 
ftrifcia  pel  fuolo,  e  la  figura  o  il  primo  dementa  di  efla  2. 
L'  onomatopea  che  appreflò   la  voce  Bojx    pel    rimbombo   del 
tuona,  potè  fornire  l'elemento  B  coli'  imitazione  del  fuono, 
e  forfè  fugerire  quel  tratto  dal  congiungerfi  le    labbra  nell* 
ufcir  dalla  bocca  ^ 

Se  non  temefifi  di  fiancarvi ,  efemplifi^cheret  ancor  più  ,  ed 
anche  in  qualche  altra  lingua.  Solo  a^giung,-)  che  l'uomo  ha 
potuto  ricavai  e  fegni  de*  fuoni  dal  notare  le  maggiori  o  mi- 
nori aperture  di  bocca  che  fa  nel  proferire  le  vocali  a,  e, 
j,  o,  u  ,  e  desinar  loro,  tal  figura  arbitraria,  e  che  col 
foccorfo  dell;  libbra,  de  i  denti ,  della  lineai  ne  ha  formato 
que' fegii  che  chiamò  confonanti,  e  che  furono  fempre  nella 
poxeilà  del  popolo  che  le  fi  eleife,e  che  né  da  principi  né  da 
61  fofì  fi  conandano  ;  e  bene  lo  fperimentò.  Claudio  impara- 
dorè  fra'  Romani,  et  Giorgio  Trifìiuo  fra    moderni   Italiani, 

i  qua- 

(.;)  T»v^  I  fig^  I  ,  lettera  e 
(i)  Tav.  I  fig.  I  f.  lettera  4 


i  quali  ottener  no»  poterono  die  le  nuove  loro  lettere  fi  am- 
mcttcFcro  benché  utili  e  neceflarie. 

Il  Vico  nel  pa  lar  dell'  invenzioie  de'  fegni  de'  Tuoni  ac- 
cennò che  le  Iutiere  da  prima  efl^r  dovettero  caraLteri  mate- 
m  tivi  o  figure  geometàche  dj' Caldei,  e  fervire  ad  ufo  di 
nuireri;ca  Jggiunfe  chi  i  Greci  le  trafportaiono  alle  forme 
de'luoni  artic  lari ,  ed  i  Latini  da  effi  l'acprefero,  e  ad  ea- 
ttambi  querti  popoli  le  lettere  majufcole  rimalero  ad  indica- 
re i  nuneri.  Ma  l'uomo  efimio,  la  cui  ioarrivabi'e  m.'tafifì- 
ca  mi  larà  ad  ogni  incontro  di  fcorta ,  non  ra'imp*dirà  fui 
puno  che  eraminiamo,  ch'io  non  domandi:  Di  grazia  i  ca- 
ratteri rrafematici ,  che  pu-  vuole  che  firviiT.*ro  di  aumeri  , 
non  prefentano  la  llella  d  fficohk  a4  volerfi  rintracciar  la 
guifa  onde  fi  pervenne  ad  inventarli  ?  Quelto  farcibbe  portar 
pù  fu  la  difficolta  ed  accrefcerla  in  vece  di  dileguarla.  Ag- 
giungerò che  cos'i  fé  ne  fa  nafcere  va  altra  ,  ciuè ,  fé  nella 
Caldea  trovate  fienfi  prima  le  figure  matematiche  e  i  nume- 
li,  che  le  lettere  alfabetiche,  e  fé  i  Caldei  apprefero  prima 
ad  effer  matematici,  cakolatori  ed  agronomi  ,  che  a  faper 
formar  le  lettere.  Intanto  che  voi,  GoUeghi  illudri,  penfere- 
te  fra  voi ,  fé  abbia  io  latto  o  no  un  paflb  di  più  coli'  indi- 
care cjme  fi  potè  fvegliar  nell'uomo  il  penfiero  di  efpnm?- 
re  per  <ni^9.rx  \  fuoni,  fingolarmente  per  l' onomatopea ,  paf- 
fcrò  all'altra  ricerca . 

Quali  fono  i  più  antichi  monumenti  a  noi  pervenuti  della 
feriti ura  epilìolografica? 

Fra  tutte  le  antiche  nazioni  la  fola  Egizia  usò  ne!  tempo 
fteflb,  cioè  neir  ultimo  (u3  periodo  detto  degli,  uomini  ,  la 
fcrittura  i^eroglifica  che  efpretfe  i  penGeri  ,  e  la  piftolare  che 
che  indicò  i  fuoni.  Shuckford  appoggiandoli  ad  un  gran  numero 
ài  autori  foUiene  che  fra  gli  EgiziI  bea  di  buon'eira  s' in tro- 

duf- 


i7 
caflero  le  lettere  Ti),  e  Tciit  o  Thnyt  ("u  il  pr-mo  che  agli 
altri  le  communkò  .  Volle  indi  il  Kivker  lulingarfi  di  poter 
determinare  la  figura  delle  lettere  di  'l  hoyt  e  ricooofceile 
nell'alfabeto  de'Cofti  '2'  ;  rra  Renaudat  gli  fi  oppo'e  con 
vigori.  Noi  intanto  fuUa  fede  di  molti  ciurliti  afficuriamo 
che  nelle  ifcriziooi  Egizi»  pìi  antiche  recate  t\t\V Auttcbìtà 
/piegata  del  Montfaucoii ,  e  nelle  due  addotte  dal  Calmst  fi 
oflervano  caratteri  ben  diffcrenri  da' geroglifici  non  meno  che 
dalle  lettere   Fenicie  e  deche,  ad  eccezione  di  alcun». 

La  fola  nazione  che  può  contendere  con  1' Egiza  per  l'in- 
venzione delle  lettere  è  1' Adirla,  benché  non  ifcarfeggi  diri* 
vali  nella  Fenicia,  nella  Siriaca  e  n  ll'Ebtea  ,  ciafcu  la  delle 
qu.ili  vanta  i  proprii  fautori  .  Nondimeno  a  mirarle  per  la 
loro  pofizione  e  per  certa  promiRuita  che  provenne  da' loro 
intereflì  che  anticamente  le  avvicinarono  ,  ed  in  a'cune  cofe 
ne  produffcfro  una  fpecie  di  attìniià  :  in  tanta  lontananza  po- 
tremo alla  groffa  fui  punto  delle  lettere  confiJerarle  come 
una  fola  nazione.  Imperocché  gl'Israeliti  conficcati  nella  Pa- 
lellina  fi  hanno  come  limitrofi  della  Fenicia,  ed  Erovioto  gli 
tjene  come  Fenici  circoncifi,  e  da  quefti  non  fi  riguardano 
gran  fatto  diigiunti  per  alcune  ufanze  i  Siriani  ed  in  feguiio 
gli  Aflirii. 

La  Caldea  dunque  riconofciura  traile  prime  nazioni  ,  che 
ben  per  tempo  fi  rivolfero  a  leggere  ne' cieli,  e  s'ingegnaro- 
no di  verfar  fu  i  fogli  le  proprie  contemplazioni  accompa- 
gnate di  figure  geometriche  ,  o  fu  la  prima  o  contemporanea 
con  qualche  altra  nazione  nell'  ufare  la  fcrittuva  piltul^re  . 
Quando  Callifteae  a' tempi  di  Aleflandro  vide  B-ib'lonia  ,  vi 
trovò  olTervazioni  aftronomiche  di  1^04  anni  ,  le  quali  egli 
Tom  II.  3  in- 

1)    H  ifìche  du  Mondi  /aeree  &  profane  liv.  I. 
(i)  Neil'  Edipo  Egiziano, 


j8 

inviò  ad  Ariftotile  Tuo,  fuocero  ,  ficcome  riferifce  Simplicia 
commentatore  del  filofofo  di  Stagira  (j)  .  Ed  in  quale  fcrit- 
tura  dovettero  trovarfi  reg  ftrare  quelle  oflervazioni  s"!  che- 
agevol  folle  allo  firaniere  Giliiftene  il  trafcriverle  fé  noti 
nell'alfabetica  ?  Plinio  in  fatti  ,  dopo  avere  efitato  full' anti- 
chii'a  d<;lle  lettere  ,  fi  dichiara  a  favore  degli  Alììrii  ,  o  Ba* 
bilonefi  .  Ne  lieve  indizio  di  ciò  fi  rileva  dal  fatto  indubi-v 
tabile  che  gli  Ebrei  nella  loro  cattività  babilonica  coinincia- 
rono  a  negligentare  la  loro  antica  fcrittura  ed  a  valerfi  ne 
libri   facri  della  caldaica  de' vincitori,. 

Ebbero  però  gli  Ebrei  prima  della  cattività  altri  caratteri 
proprii  che  non  Jafciarono  del  tutto  di  ufare.  Ed  in  tali  an- 
tichi caratteri  ebraici  rimafe  fcritto  il  Pentateuco  Samarita- 
ro  libro  anteriore  a  Cadmo  Fenicio;  ed  è  opinione  de' dotti 
che  quefto  libro,  fi  confervi  da  duemila  anni  ,  e  che  fia  il 
più.  antico  di  quanti  libri  Ci  conofcano .  I  Guteni  lo  ricevet- 
tero prima  della  cattività  degP Israeliti  e  de' Giudei.  Quelli 
però  non  lafciarono  di  ufare  i  caratteri  del  Pentateuco  di  Sa- 
maria tanto  nelle  lettere  che  compongono  il  nome  di  Dio 
(  Jehovah  )  quanto  nelle  monete^ .  Nelle  dodici  gqmme  dell' 
Ephod  del  Gran  Sacerdote-  erano  fcojpiti  in  que'  primi  carat- 
teri ebraici  i  nomi  delle  Tribù  d'  Israele  ,  ed  in  altre  due 
più  grandi  erano  replicati  i  medefimi  nomi  fei  per  ciafcuna 
di  effe  (2) .,  Anche  le  medaglie  coniate  fotto  Simone  Maca- 
beo  convincono  cl^e  l'ufj  degli  antichi  caratteri  ebraici  (i 
mantenne  lungo  tempo  dopo  il;  ritorno  degli  Ebrei  dalla  cat«s 
i;ività  . 

OfTrrvano  intanto    i  dotti   che  quali    tutti   i   ca'atteri  del 
Pentateuco.  Samaritano  raffomigliano  alle  lettere  grechi,,  ci<.è 

all^ 

(i)  Nel'  eomnvenro.  46  fui  di  lui  FF  libro  De  Crefo  , 
(ij  S,.  Epifanio,  nel  trattato.  De  Xll  Gcinmìt  iib..  Il  ^ 


.IP 

all«  Fenicie  Cadmee  adottate  in  Grecia .  La  figura  ed  il  va- 
lore de*  più  vecchi  monumenti    e  delle  antiche   memorie  de*. 
Samaritani  fono  manitellamente  uniformi  ;  la  qual  cofa  pale- 
fa  la  loro  origine  commune  •    Renaudot  crede    una  tempriti, 
negare  che  i  caratteri  famaritani  fieno  le  vere  lettere  Feni- 
cie, giacché  per  confenfo  di  tutti  gli  autori  eli.;  hanno  gran- 
diflima  uniformità   colle  antiche  Jooiche    e  colle  Latine  che 
fu  quelle  fi  formarono  ,   e  1'  Ecrufche  ancora  eh?  tanta  rela- 
zione hanno  colle  nuflre  ,  mollranfi  parimente  uniformi  alle 
Greche  e  alle  Samaritane.  Tutta  duique  l'antichità  conviene. 
in  alTicurarci    che  gli    Erru'chi  ,  gli   ÀrcaJi  ,    i   Pelasgi  ed   i 
Greci  tirano    le  loro    lettere  da'  Fenici  ,  tra' quali  ,  ripeto  , 
Erudjto  conta  i  Giuiei  da  lui  chiamati  Fenici  ci rconci fi    i).. 
Per  ved.-re  la  conform'th  de'caritteri  d.-lle  quattro  nominate 
razioni  con  quelli  de' Samaritani,  fono  da  confultarfi  gli  Al' 
fahett  generalt  de' Samaritani  e  degli  altri  che  trovanfi   uniti 
nella  Tavola  X  colonna    1  del  N"uveau  Trahè  de  Dipt-onai' 
que  de' Maurini  .    A   favore  dunque  de' Samaritani  fi   mifcono 
le    tefìinonianz'?    degli    antichi    ed  i  rapporii    di    conformità 
della  fcrittura  Ebra.ca  quadrata  e  Fenicia  .   Egli  è  vero    che 
Stefano  Morin  ,   lo  Spanheim  ,   il  Meier  ,   il   Buxtorf    ed  il 
Conrmgio    fono  di  avvifo    che    le   Greche    lettere    prendono 
l'erigine  da'caratteri  ebraici  o  caldaici.   Mala  maggior  parte 
de'dotti  (oltiene   che  vengono  dalle  Fmicie    e  fingolarmenta 
da' Samaritani   (2).   Né  può  crederfi  effetto  del  cafo  la  mani- 
fefta  conformità  ne'nami  ^  nella  difpoiizione  ,  nella  figura  e 
n-^l   valore  de' caratteri  Samaritani,  Pelasgi  >  Arcadi,  Greci, 
Etruschi  e  Latini  .    Non  vo'  lafciare  di  ricordarvi  in  fine  la 

*  pre- 

ci) Mei  libro  V  delle  fue  Storie  . 

(i)  Nl>  additiamo  una  parte,  Cknebrardo  ,  Bellarmino,  Arias  Mintano, 
H'jet,  Ca  mer ,  ivlontlaucon  .  Renaudot,  Giufeppe  Scaligero  Giozi',  H  >t- 
tinger,  Catjiibon,  Druiio  ,  Wa;er,  Cspella  ,  Walton  ,  Bothard ,  Voffio ,  Pri« 
éiì\ì\  ,  òhuckford ,  £eiaard  ecc.  ecc. 


40 

pr^tenzione  dì  alcuni  dotti  boreali,  a' quali  è  piaciuto  di  afle» 
lire  che  non  altr mda  che  n^'  loro  paefi  fiefi  trovata  la  ferir» 
tura  alfabetica-  Ma  Giovanni  ed  Olao  Masni  cIt;  foftennero 
che  i  Goti  fin  dal  principio  del  mondo  coofervarono  le  ler- 
tere  travate  divinamente  da  Adiino:  Goropio  Bacano  che  fi 
venire  la  fua  lingua  Cimbrica  dal  Paradifo  Terrjfire  :  Olao 
Budb-ciiio  che  v  iole  che  le  lettere  Greche  fieno  figliuole 
<Jeile  Rune  trova  e  dal  Goto  M-iJrcuruman  nel  quale  ricano- 
fce  il  M<  rcuno  de^li  K':;'zii  ;  tutti  quefti  fcrittori  vengono 
àsTÌfì  dal  Camerario^  dal  Brecman  ,  da  Martino  Schoockio  , 
da  Giufeppe  Scaligero  e  da  Giambattifta  Vico. 

Oli-'Otale  è  per  noi  l'origine  dell' immemorabile  ritrovato 
delle  lettere,  e  dn'^ola'' mente  F-n^cia  o  Sam.iritana.  Ma  qual 
nazione  Europea  fu  b  prima  ad  approfìttarfene  ,  la  Greca, 
l' ttruVa ,  Q  la  Latina  ?  La  tradizione  avval  irata  da  fuccef- 
fivi  ducu'Tienti  iftorici  porta  Dan  lO  Egizio  e  Cecrope  e 
Ca.!ma  F-nicio  eJ  i  P;la-;;:;i  a  co-n  rjunicare  i  caratteri  da' 
fuoni  da  t-fli  rinvenuti  alle  t  rre  che  indi  prefero  il  nome  di 
Grecia  .  C'ò  ne  fomninift^a  le  quattro  forgenti  della  lingua 
grci-a,  che  furono  l'Egizia,  la  Punica  o  la  Tiriaja  Caldea, 
e  b  Fenicia  o  Samirita  a  .  Stefano  Morin  ,  e  Chifull  pre- 
tendono che  Cadmo  r-cato  avefle  ai  Greci  ventidue  lettere 
fenicie,  ma  che  pjiteri  )r  nente  recarono  a  feJici, delle  quali 
in  feguito  fei  fi  aloperjrono  qjafi  unicamente  a  rapprefenta- 
re  i  nuniri.  Coloro  che  ravvifano  identità  nelle  lettere  gre- 
che ed  egizie  ;i),  ci  ranmentano  un  racconto  di  Plutarco, 
Egli  narra  (2)  che  a  tempo  di  Agefilao  in  Tebe  nella  tom- 
ba di  Alcmena  fi  trovò  una  tavola  di  bronzo  con  caratteri 
che  parv-ro  fimili  agli  Egizii  ,  e  che  effendofi  inviata  in 
Ejj  tto  per  u.'irne  l'avvilo  di  un  antiquario  di  quella  nazio- 
ne 

b)  Si  lepoa  il  CaÌT.tt   D-Tirt.  LI. 

m  Oi\  Qtni»  o  Demone  di  Socrate  I.  II, 


21 

ne,  quefti  afficurò  che  di  fìmUi  fa  ne  ufarono  in  Egitto  al 
tempo  del  re  Proteo  Jugento  anni  dopo  di  Mese .  Lafcio  a 
voi,  preclari  Colleghi,  il  giudicare,  (e  a  ciò  aflerire  fi  mofle 
r  Ei^izio  per  propria  credulità,  p-T  parzialità  nazionale, o  per 
jmpoltura  di  profellione  .  Ceno  è  che  Erodoto  rapporta  una 
ir  rizione  più  «ntica  in  caratteri  Calmei  fimili  agli  Jonici 
incifa  in  un  tripode  donato  da  Amfitricne  al  tempio  di  A  poi- 
lo  Ismfnio  della  1  eozia ,  e  quefta  ifcrizione  ,  che  non  era 
Egizia,  fu  più  antica  .li  Alcineia  che  allo  fpofo  fopravvilV?. 
L'ilteffo  f^rittore  attefta  (i)  di  aver  vedute  tre  altre  iT-r/zio* 
ni  nel  tempio  della  flelfa  diviniti  ,  delle  quali  le  lettera 
r.iflbmigliavdno  alle  Jonìche  tx  voAKx  oj^iTa  ìoyra  reisr'  lonxÌKrt, 
in  foli  gao  del  paiire  della  ftor'a  vengono  Diodoro  di  Sici- 
lia che  afferma  '.2)  che  le  greche  lettere  chiamanfi  fenicie 
perchè  dalla  Fenicia  recaronfi  in  Grecia  ,  e  Plutarco  che 
narra  Io  (iefTo  (3Ì. 

Ma  r  Etruria  eJ  il  Lazio  che  hanno  lettere  fomiglianti 
alle  fenicie  Cadmee,  l'ebbero  da' Gr-^ci  o  direttamente  dagli 
Orientali  ?  E'  una  curiofitk  tanto  poco  imporrante  quanto 
difficile  ad  appagare;  per  quanto  mohip'ichinfi  i  libri  l'un 
l'altro  copiandofi  i  detti  eruditi  fino  a' r.odri  ultimi  tempi, 
i  quali  portano  per  mano  un  popolo  a  un  altro  acomn  u  i- 
car  1' umaniiH  all'Italia  ,  all'Europa  ,  ali  univerfo  ,  non  fa* 
pendo  efeguirlo  in  altra  guifa,e  non  avvifAndofi  di  cooofcer 
mai  auiottoni  in  luogo  veruno  che  non  ibbiano  ut  fondato- 
re nraiiero  .  E  quindi  avviene  che  tutre  le  loro  ricerche, 
fpecialmene  le  ultime,  oltre  di  elfere  copie  di  rancidi  cica- 
J'^cci ,  riduconfi  a  pure  nugae  più  o  meno  nule  fcrirte.  Noi 
falla  domanda  propofta  noa  faremo  che  pochi  moiti. 

5t 

(i)  Nel  Uhro  V  . 

(j)  N-'i  libro  nr . 

(3)  Sjimpo/.  lib,  IV,  probi  *, 


22 

Se  terremo  dietro  a  Virgilio  Marone  acclamato  come  dot. 
tiflTimo  nelle  antichità  Italiane ,  troveremo  nelle  italiche  con- 
trade flabiliti  reami  de'Tofcani  e  de' Latini  prima  della  guer- 
ra di  Troja  ,  tielle  qU;Ui  gli  Orientali  poteronij  anche  in;li. 
pendentemente  da' Greci  aver  recate  le  lettere  fenìcie.  Pli- 
DÌO  (i)  alTicura  che  i  Pelasgi  portarono  nel  Lazio  le  loro 
lettere  prima  che  vi  fi  fiabiliflero  gli  Arcadi  con  Evanir» 
che  ci  venne  feflanta  anni  prima  della  guerra  Trojana  ,  Ciò 
come  (crive  anche  Dionigi  d'Alicarnaflb  (2).  Tacito  (3  di- 
vide la  gloria  di  avere  iftruiti  gli  Aborigini  e  gli  Etrufchi 
tra  Evandro  e  Demarato.  Plinio  adduce  parimente  una  tavo- 
la di  bronzo  della  prima  et^  trafportata  da  Delfo  a  Roma . 
Comunque  poffi  effere  avvenuto  il  paflaggio  ,  gì' io  eli  genti 
convengono  della  uniformità  de'  caratteri  orientali  Fenici  , 
Samaritani  ,  Pelasgi  ,  e  Greci  con  gli  Etrufchi  e  co' Latini 
primitivi  ,  la  quale  fingjlarmente  appare  dalle  fette  Tavole 
Eugub'ne  che  contengono  ,  come  oramai  tutti  fanno  ,  ifcri- 
zioni  etrufche  (4).  In  due  di  qu'^fte  trovanfi  caratteri  diverfi 
dagli  etrufchi  ,  cioè  latini  benché  di  lingua  ignota  ;  ed  io 
una  di  effe  fi  vede  un  atto  errufco  mi  (ottofcritto  da  quattro 
perfone  diverfamente  ,  e  può  col  marchefe  Scipioiie  Maffei 
affermarfi  che  fia  un  contratto  palTato  tra' Etrufchi  con  qual- 
che aliro  popolo  ''5), 

In  fniil  gLiifa  la  meravigliofa  invenzione  della  fcrittura 
reale  ,  grrnglìfjca  ed  epi/ì  l&gmfica  furfe  per  tutto  e  percorfe 
ia  t'rra  dall'oriente  all'occidente,  conferve  le  gella  ,  i  con- 
trae- 


(j-)  M»t  vrr  libro. 

Ci)  N.''    libro   I      e.  14 . 

(^1  l  or  tue  liieì-is  ifuae  veterrlmh  Graeciìfum  ,  Hb.  XI ,  n.  4  degli   annali, 

(if)  '^i  veggano  le  oD?re  del  Dempliero  e  del  Gori  . 

(5)  l^twa  Diploma-.ica  p.  1 1 . 


*5" 

tratti,  le  nj?more,  e  le  pafsò  alla  pofleiìth  ,,  e  di  mano  in 
mano  coniribu'i  al.  narcimenio  di  tutto  il  mondo  civile  ,  far-' 
tura  dell'  uomo  .  In  funil  gu  fi  nacqiero  e  progredirono  age- 
volmente Je  arti,  le  leggi ,  le  fcienze  tutte  da  che  comincia- 
rono intorno  al  Nilo  le  gecmetriche  diraenfioni  e  ver'ol'Eu» 
frate  le  oflervazioni  agronomiche  ,  e  nella  Magna-Grecia  i 
generofi  conati  de' Pitagorici  ,  fino  a  che  fi  fublimarono  ai 
Galilei,  ai  Leibnitz  ,  ai  Newton. 

Jn  fimil  guifa  i  Latini  alle  glorie  della  fcrittura  che  eb« 
bero  commune  colle  altre  nazioni,  fi  elevarono  ad  un  vanto 
che  tutto  all'Italia  fi  appartiene,  cioè  che  la  fcrittura  latina 
divenne  il  fondamento  della  fcienza  infieme  ed  arte  Diplo- 
malica  critica  e  politica  ,  la  quale  non  conferva  folo  la  pro- 
prietà, e  i  diritti  de' particolari  fidati  agli  archivi  faettando 
inevitabilmente  i  falfarii  di  rutti  i  tempi  ,  ma  ofa  frapporft 
tra' fulmini  del  cannone,  obbligandolo  a  tacere  colle  negozia- 
zioni e  i  trattati.  Non  abbifogna  di  prov^  un  fai  roche  parla 
dapertutto.  Chi  ignora  che  la  lingua  e  l'alfabeto  latino,  nel 
bel  mezzo  della  barbarie  ritornata  e  nel  gloriofo  riforgimen* 
to  della  cultura  ,  fia  paflato  ad  eflere  feriti ura  generale  de 
Francefi  ,  degli  Alemanni,  de' Polacchi ,  de' Boemi,  de' Dan?* 
fi,  degli  Svedefi,  della  Graa  Brettagna  ,  delle  Sp.;gne  ?  Que- 
fìa  \critk  manifefta  non  fi  nega  dagli  fieflì  Oltramontani  .  I 
celebri  Bened^tti-ni  del 'a  Congr-gazione  ili  s.-.n  Mauro  di 
Francia,  cui  (dopo  di  Giovanni  Mabillon  che  ne  fa  .1  crea- 
tore }  t'nto  dee  la  (toria  e  la  legislaz'one  e  la  diplomatica 
de' mezz.ini  tempi,  rendono  giuflizia  asl*  Italiani  j  e  .:ch'.ira- 
no  il  g-ni  amT-nte  che  le  f.riiture  comtnuui  nizioiaii  ricuno- 
fcono  dalla  fc  ittura  latina  l'origine, la  f  rma  e  iahguii    i). 

E.' 

(i)  Vee-'afì  il  tomo  II  del  Nuova  Tirattai<^  /)ì  Pìplcmitìr/  pr-ziofo  mon«:<- 
^HLiKo  fingo, armente.  delie,  vaile  cognuioni  di.  Touftaitj  e  Tilùa  . 


E'  poca  gloria  per  l' Italia  ?  Ciò  non  aumehta  femprtf  pift 
la  nolìra  ammirazione  cagionata  da' vantaggi  sii  paiefi  del  pro- 
digiufo  ritrovato  della  fcnttura? 

Ma  ,  preftanti  Aocademici  Pontaniani  ,  ci  arrederemo  ié 
un'arida  amiriraziooe  fulle  glorie  che  ridondano  alla  mente 
liniana  per  1'  invenzione  della  (crittura  ?  Piacciavi  in  grazia 
che  prima  di  conchiudere  un  corollario  aggiunga  al  mio  pen- 
fi' ro  ,  e  che  v'inviti  a  pallar  me^o  dà  sì  gioconde  idee  ad 
un'altra  non  cus'i  grata  die  mi  prefenta  l'abufo  della  fcrìt- 
tura  in  detrimento  della  virtìj,  della  Capienza,  della  patria. 
L'  ingegno-  umano  che  tanto  fi  follevò  ,  con  qual  ribrezzo 
con  quanta  indignazione  mirar  non  dee  la  fcriitura  produt- 
trice di  tanti  b:ni  non  folo  convertita  ad  ufi  indegni  e  vili, 
tna  p:ull!tu;ta  a  r:icrir  con  eleganza  le  fchifofe  laidezze  da 
non  nominarfi  neppure  fenza  impudenza  or  de' Tiberii  e 
de'  Neroni  ed  Eliogabali  ,  of  d^Ua  Celejìina  cafh'gliana  ,  or 
de' Kabi-'lais  e  eie' Marini?  No;  la  fcrittura  fcala  primaria  alla 
fapienza  e  fua  perenne  ccnfervatrice  dee  confacrarli  alla  be* 
n  fica  filufofid,  alla  lanta  giuilizia  ,  a  loftenere  non  a  depri- 
mere 1  virtuoii  meritevoli.  Malvagità  e  fapere  albergano  di- 
fagiatamente  fono  di  un  medefirao  tetto  .  Pera  il  perverfb 
mal  cittadino,  l'uomo  che  ha  vinti  i  rimorfi  ,  l'egoilìa  rag- 
giratore infidiofo,  l'ingordo  Euclione  che  telaurizza  da  tanti 
luftri  co'  mis'atti  ,  il  Satiro  brutale  idolatra  impudente  di 
Coniche  e  Frini  di  compre  refe  si  maleolenti  impia(fricciate. 
Volgano  per  lunga  ferie  gli  anni  ,  corrano  i  fecoli  fempre 
ad  ouore  della  fapienza  alia  probità  congiunta  ,  e  confervino 
i  nomi  iliuliri  di  Marco  Tuilio  che  dedica  il  fuo  Tufcolo 
alle  utili  invefiigazioni  accademiche  :  di  Attico  che  le  fo- 
menta e  promuove  in  Atene:  di  Alfredo  che  fa  amar  la  fcien- 
za  e  la  coltura  nell'Ifole  Britanniche  mentre  altrove  fpazia 
la  barbarie  :  del  X  Alfonfo  che  ncll'  ultima  Efperia  fi  eleva 

alla 


ai 
alla  contftpplazione  degli  aflrl  :  bell'altro  Alfonfo  di  Arago- 
na che  apre  a' fubliroi  cultori  delle  fcienze  la  Reegia  Napo- 
letana., chiudendola  alla  perverfiih  dc'Sejani  e  de  Majoni  , 
pefte  di  tutti  i  regni  che  hanno  la  disgrazia  di  produrne. 
Eterno  viva  il  noioe  di  Antonio  Panormiia  che  Iten'le  la 
mano  al  merito  negletto  ,  e  folleva  un  l-'ontano  ,  e  (ecolui 
dà  vita  alla  famofa  Accademia  Napolitana  .  Viva  quel  Fon- 
tano figlio  verace  di  Apollo  che  ad  ella  tutto  fi  confacra , 
che  tutta  la  riempie  ,  che  fa  rivivere  Marone  in  Jacopo  San- 
jnaz^aro ,  Lucrezio  in  Scipione  Cap-.ce  ,  SalluiHo  in  Giovan- 
ni Albino  ,  e  tanti  Varroni  in  Giuliano  Magio  ,  in  Elio 
Marchefe,  nel  Carbone,  n-^gli  Acquaviva  ,  in  Egidio  Viter- 
biefe  ,  in  Girolamo  Seripando  .  Vivano  con  quelli  gli  altri 
Pontaniani  ,  ne'  qua'i  rinacqu-ro  a  mio  avvifo  gli  antichiflì. 
Oli  utili  congiefli  Ptagorici^e  donde  prefero  norma  ed  e  fé  ni» 
pio  i  Secreti  col  Porta,  i  Platonici  col  Ficino  ,  i  G:)rentini 
ci  Tilefio,  i  Roflanefi  col  Gimma  ,  il  Cimento  di  Firenze 
col  Galilei,  col  Bercili  e  col  Viviani  ,  1' Illituto  di  Bjiogn» 
col  Manfredi,  coi  Zanetti,  col  Salatiini  ,  cui  Canterzani ,  la 
Società  di  Londra  col  Newton  ,  col  Gre?,ori,col  Maclaurirr^ 
la  Società  Regia  di  Parigi  col  Cartefio  ,  col  Fontanelle,  con 
Feimat  ,  con  la  Place,  e  con  la  Grange  ,  l'Accademia  di 
B  rlino  col  Leibnitz  e  col  V/l1  ,o,  e  di  Pietroburgo  co' Ber- 
oulli  e  con  gli   Fuieri. 

A  voi,  ornatifliaii  Colleghi  ,  chi  può  negare  il  vanto  di 
aver  penfato  a  far  Tihrf.tre  in  Napoli  l'onorato  immortale 
jìUoro  Pontanttmo  ?  Un  faggio  del  voliro  ardore  pel  fapere  e 
per  la  gloria  nella  Patria  delle  nrl!^  fcorfo  anno  1811  nel  I 
volume  d-'noitri  A'tl  arcademci.  Gii  altri  du-:  volumi  che 
vi  vedo  accinti  a  dar  fuori  man:feltano  la  continuazione  del 
nobile  patriotjsmo  che  vi  anima,  e  l' uf j  lìelf!)  che  far  Tape- 
te  della  fcriitura  e  dell'eleganza  che  vi  prelìgste  ne'  voftri 
Tom.ll.  A  vir« 


viru'fì  e  geniali  lavori'.  Secondata  pure-  queflo.  fecondo  ac". 
dorè  che  ferve-  Tempre  ne' petti  de' veri  non  degeneri  Vefu= 
viani  .  Voi  avete  conno  di  voi  la  ma.ccli.natrica  malignità 
■che  vorrebbe  di|{ruj;g,.  rvi  ;  non  è  per  voi  ouelo  un  novello, 
trionfo,  l'eflervi  renduti  formida.bili  agli  Egoifti  onta  perpe- 
tua, de'  noltri  tempi  ?■  Avete  anche  intorno,  degli  emoli  mol- 
ti ;  tanro  meglio;  eHì  colle  loro  g'orie  vi  ferviranno  di  co- 
te. Vedere  la  gloriosi  Triplice  Società  Reale  di  Napoli ,  che 
non  Tono,  paflati  ancora,  anni-  fei  e  già  m'ete,  per  dir  così, 
una.  felva.  di  pilme  ,  già  aduaa  p^r  o^ni  lato  invi  liabili  tro- 
fei ,  già  co' mpltipl'ci  lavori  per  numero  e  per  fulidità  prò» 
digiofi.  fianca  i  lettori  dapertutto  .  Vedetela ,  feguitela.  alme- 
no da  lontano  ,,  e  adoratene  le.  veftigia.  erculee  ;  ma.  non  ve- 
ne atterrite.. 

Pofla  quedo  mio  Penfiero.  fulla  Scrittura  confeguir  da  voi 
un  guardo  amichevole,  ed  impetrar  dalla  Buona  Fortuna  tan- 
to favore  che  ferbi  al  voflro  annofo  Segretario  agio,  e  vita 
almeno  per  qualche  nuovo  conato  ad  onore  della  noftra  adu. 
nanza-,  onde  fi  convincano  i  poderi  che  dove  il  Vefuvio  fol-- 
•goreggia  e  tuona  ,.  ancor  fralìo  flrepito  marziale  galleggiano. 
fuU'obbliviofo  Lete  e  volano,  fublimi  e  liberi,  i  Genii.  cha 
trio  Q  fano.  deli'  i  n  v  id  la  o. 


I1?0 


EPOCA 

DELL'ARRIVO  DELLE  COLONIE  TIRRENICHE, 
O  SIANO  ETRUSCHE  NELL'  OPICIA. 


M  n  M  0  K  I  ji 

LETTA   ALLA    SOCIETÀ'  Ì'OMTANIANA  NELL' ADUNANZA 
de'  31  iUGLIO    l8iO  (1), 


N< 


On  aveatro  giammai  penfato  gli  abitatori  ^ell'Opicfa,' 
come  dietro  Ja  teltimonianza  di  Dionifio  d'  Alicarnaffb  ho 
altrove  accennato  (2),  a  formare  grandi  aflbciazioni  ,a  riunirfi 
in  que'corpi  politici,  che  chiamiamo  r/V//),  ed  a  rinchiudere 
deniro  mura  fortificate.  In  uno  fìato  quafi  filvaggio  ,  si  po- 
co favorevole  ai  progrefli  della  popolazione  e  della  coltura, 
doveano  preflo  o  tardi  divenir  preda  di  nazioni,  che  aveano 
e  leggi,  ed  arti,  e  governo.  In  fatti  non  poterono  far  fronte, 
€  refpingere  le  nuove  colonie,  che  qu^  vennero  dall' Etruria, 
ed  è  coftante  tradizione  tra  gli  antichi,  che  dai  Tirreni,  o 
fiano  Etrufchi  fu  invafa  ed  occupata  l'Opicia  ,  e  de'  vinti 
Opicj  ,  o  fiano  Ofclii  ,  e  de'  vincitori  Etrufchi  fi  formò  ufi 
popolo. 

*  ba- 

(i)  Si  dimofira  che  non  vennero  dalie  vicinanze  del  Po, da  qu-^IIe  terre  dif- 
tacciati  dai  Galli,  cnme  foona  il  Chiverio  ,  ma  molto  innanzi  dilla  Tofcana: 
Quali  furono  le  dodici  città  da  lor  fondate  nell' Opicia  :  Si  confuta  T  opinione 
del  Capaccio,  e  del  fìg.  de  Attellis:  Si  dileoiiam  i  dubSii  del  Pell?gria.)  :  Si 
rilponde   in   fine  ad  una  quiliione  crelura  info'ubile  dal   fi,:nnr   Din'c'?"- 

(2)  Vedi  la  Memoria  full'  Opicia  fiammata  ùel  i-  voi.  dille  Memorie  <iel- 
la^Società  Pontaniana . 


2S 

I  Tirreni  ,  che  in  Italia  ebbero  il  nome  di  Eti-ufciù  ,  e 
di  To/cani  y  di  origine  ofcua,  ma  orientale  al  certo,  e  pro- 
babilmente Ftnicj  ,  occuparono  prima  d'ogni  altro  il  paefe  , 
che  dal-TiTàre  interiore  è  bagnato  ,  il  quale  dal  nome  loro 
Tirreno  ,  e  Tcyfcano  appellah  ,  e  dalla  Liguria  ,  e  dal  fiume 
Macra  fino  al  Tevere  fi  Rendeva.  La  loro  emigrazione  dall' 
oriente  è  al  certo  di  tanta  antichità,  che  alcuni  li  crederono 
indigeni  dell'Italia  (:).  Tìrrcnia  fu  il  primo  noins  del  pae. 

.<i)  Fu  di  quefìo  fentimento  il  Cluverio  Geogr.  Ant.  lib.  12.0.4.  I'  Maz- 
7occhi  nelle  annotazioni  a  Cammillo  Pellegrino  li  confonde  con  gli  Ofchi  . 
Ciò  è  vero  ,  dopo  che  i  Tolcani  vennero  con  gli.  Opici  ad  unirli,  ed  a  for- 
mare un  fol  popolo;  ma  è  falfo,  quando  fi  ponga  mente  a'  tempi  anteriori, 
allorché  viveano  in  quefle  contrade  gli  antichiflimi  Opici  ,  figli  di  quello  fuo- 
lo ,  e  i  Tirreni  nella  Tofcana  approdavano.  L' erudito  fig.  Fabbroni  in  una 
memoria  letta  nella  Società  degli  amatori  della  Storia  patria  ,  fulla  derivi' 
zio'je  e  coltura  degli  amichi  abitatori  d' Italia  ,  confonde  i  Tufci  con  gli 
O/chi,  i  e  vuole  che  fiano  notni  di  uno  fiefifo  popolo  ,  del  quale  parte  ri- 
tennero il  femplice  nome  aggettivo  C/c  ,  che  viaggi^toreàìaoiì  in  favella  cel- 
tica ,  ed  altri  vi  prepofero  l'articolo  ,  e  fi  didero  r'  O/c  :  così  reftò  agli  uni 
il  nome  di  O/ci  ,  agli  altri  quello  di  Tu/ci  ,  o  To/cani  .  La  novella  però 
dell'  articolo  non  é  ,  che  nella  fantafia  dell'autore.  Or  non  è  defTa  la  bella 
maniera  di  rattoppar  ciabatte?  Che  farem  noi  degli  antichi  ,  che  fcrivevano 
Cp/ci  per  Ofci  ?  Con  Op/ci  fparifce  la  celtica  derivazione  .  E  poi  perché  gì» 
uni  prefero  P  artico'o  ,  lo  rigettarono  gli  altri?  come  C  O/c  prendendo  l  arti- 
colo cambioffi  in  T' ufc  ?  E  che  rifponderemo  a  Strabene,  a  Dionifio  d  A- 
licarnafro,a  Livio,  che  fan  degli  Ofchi  gli  antichi  abitatori  della  Campani»} 
e  fan  venire  dall'  Etruria  1  Tufci  a  dillruggerli  ?  Gli  antichi  chiamano  i  con- 
quirtatori  della  Campania  Tirreni,  Etrufci ,  e  Tufci.  Donde  ha  potuto  rile- 
vare il  Tg.  Fabbroni  ,  che  i  Tirreni  della  Campania  fi  chiamarono  Tu/ci  ■,* 
i  Tirreni  deli' Etruria  Etrofei?  Egli  ha  trovato  nella  lingua  celtica  ,  che  «#- 
ter  fignifica  padre,  e  gli  i  parfo,  che  la  voce  Etru/ci  fia  lo  fteflb  cheAittt'^ 
O/c  ,  padri  degli  O/ci  ,  e  come  i  Tufci  fono  lo  liedo   che  gli  Ofci  ,   ecco  i 

Tufci  della  Campania  fgli  degli  Etrufci  della  Tofcana.  Ma  fé  a  forza  di 
etimologie  e  di  rafTomiglianze  di  vocaboli  vogliamo  flabilire  la  ftoiia  ,  con- 
verrà fconvolgerne  da  capo  a  fondo  i  fatti  meglio  avverati  .  Lo  fpirito  di  Ci-' 
flema  ,  che  fi  fludia  di  riportare  ogni  cofa  ,  che  per  via  s'  incontra  ,  all'idea 
favorita,  ntn  ha  ritegno  di  travolger  l'ordine  de' tempi  ,  di  confonder  cole, 
che  fono  di  pei  fé  ben  diilince  .  e  di  ribattere  T  autorità  deeli  antichi  t  che 

tto. 


25» 

fé,  che  occuparorio ,  Il  quale  poi  cambloffi  in  Etrurìa, 

I  Tirreni  panarono    in  Italia    l'induftria    e    lo    fpirito  di 
commejcio  ,  che  animava  ed  arricchiva  i    Fenic;  .   Pria  che 

na- 

ftud'ati  con  fevera  e  non  capricciofa   critica  fon  per  l'unica    guida  per    non 
incelpare  ad  ogni  pafTo  nel  buio  di  sì  rimota  antichità. 

II  (ìt^.  Fabbrooi,  come  il  Hg.  Bardeiti  ,  ci  vuol  tutti  Celti  .  Se  crediamo 
al  (ìg.  Martorelli,  e  al  fisj.  de  Attellis  ,  fiarro  Fenici.  Gii  uni  trovano  nella 
lingua  de' Celti  Porit;ine  di  irolte  vnci  italiane,  gli  altri  in  quella  de' Fenic;. 
Io  non  duh'to  ,  che  i  Celti  Gallile  i  Celti  Germani  fìano  penetrati  fpezial- 
irente  nell'alia  Italia,  e  vi  abbiano  Iridato  tracce  della  loro  fai'ella  .  Ma 
come  perluaderfi  ,  che  fpiccatifi  dall' ellremo  Oriente  abbiano  prefa  la  volta 
del  fettentrione  di  Europa  .  E  dopo  averlo  in  tutte  le  fue  parti  ripieno  dt 
popolo,  dopo  un  giro  sì  tortuofo  e  sì  luneo  fiano  giunti  in  Italia  ,  e  vi  ab- 
biano trovato  un  deferto  ?  I  Fenici  fcorfero  le  maremme  del  Mediterraneo, 
e  flahilirono  dapertutto  le  loro  Colonie  .  Ma  vi  trovarono  popolazioni  piti 
antiche  ,  vi  trovarono  felvacp.i  al  credere  del  fp.  de  Attellis  :  vi  trovarono 
al  certo  ,  fpeziaimente  nel  me^zo  giorno  d'  Italia  uomini  indigeni  ,  figli  ài 
quello  funlo,  detti  nel  l^ro  italico  linguaegio  Opici  figli  della  terra  ,  e  ^'iO' 
rìginì ,   che  è  l'equivalente  dell' altro  nome. 

Sembra  perJ>  ,  che  il  (ìg.  Fabbroni  creda  efere  uno  ftenb  popolo  i  Celti  e 
e  i  Pelafgi.  Se  per  Pelafgi  intende  popokiioni  erranti,  come  li  defcrive  Stra- 
bone  ,  i  Celti  furono  fen7a  dubbio  Pelafei  •  Ma  fiano  flati  pure  una  ite'fa 
gente  in  origine,  abbiano  molTo  doncfe  che  (ìa  ,  egli  t)  certo,  che  gli  antichi 
h:n  dato  il  nome  di  Cel'i  e  di  Galli  a  quelli  ,  che  per  la  Scilia  entrarono 
in  Germania,  popolarono  tutto  il  Notte  .  occuparono  le  G^'lie  ,  e  le  itole 
vicine  ;  e  han  dato  quel  di  Pelafi^i  a  quelli  che  sboccati  dai.'  Af's  fi  liabili- 
Tono  nella  Grecia  ,  fi  fparfero  rer  le  if.-le  dell'  Arcipelago  ,  e  del  Jod'o  ,  C 
afferrarono  terra  nella  parte  piCi  meridionale  dt'l'  Italia  .  Ma  anche  quelli 
(  quando  non  Cì:>  nome  comune  delle  più  antiche  popolazioni  erranti  )  co- 
me trovarono  i  Lelegi  ,  e  gli  Aoni  nella  Grecia  ,  così  trovarcno  gli  Opici 
e  gli  Aborigini  in  Italia  ,  a  que'li  fecero  da  orincipio  la  guerra  ,  e  alta  fine 
eon  cfTì  fi  mifchiarono  e  coniufero  .  Così  può  efTer  vero  ,  che  nell'alta  Ita- 
lia, e  appiè  delie  Alpi  s'incontrino  veftiqie  della  celtica  lingua  ;  e  i  Fenici 
nelle  maremme  orientali  e  meridionali  ,  e  in  quella,  che  fu  pr  pr  amente  Ita- 
lia ,  introduHero  vocaboli  e  forme  della  materna  lor  lingua  .  Del  redo  la  fo- 
migliania  de' termini  nelle  lingue  non  fa  maraviglia  a  chi  riflette  alla  lorco- 
roune  origine;  e  quanto  piti  alto  fi  fale  nell'antichità,  quanto  piìi  all' origi- 
ne loro  ci  appreffiamo,  tanto  maggiori  argomenti  di  affinità  ,  e  di  raflomi- 
glianza  vi  fcnrgercmo  .  Noi  abbiamo  in  altra  Memoria  determinato  ad  uà 
dipreflo  il  tempo, in  cui  penetrarono  in  Italia  i  Fenicj,e  traquefli  i  Tureoi» 


3©  ,.        .       ,  ... 

nafceffe  l'imperio  di  Roma,  dice  Livio  (i),  fìendevafi  grati- 

demente  ,  e  (ul  mare  ,  e  in  terraferma  la  potenza  de'  Fo- 
fcani  .  tffi  avcano  dodici  città  nell'  ^truria  .  Ma  crefciu- 
ti  oltremodo  di  ricchezza ,  di  popolazione ,  e  di  forza  ,  fpe- 
direno  dodici  colonie  di  là  dagli  Appennini  ,  le  quali  di 
tutti  que'luoghi  s'impadronirono,  che  erano  di  Ih  dal  Po, 
tranne  queil' angolo  ov' erano  i  Veneti, che  intorno  al  golfo 
abitavano.  Ivi  altre  dodici  città  a\eano  iabbricate  ^  che  fui 
modello  reggevano  delle  dodici  dell'  Etruna  .  Le  ricchezze 
però,  e  gli  agi,  che  le  accompagnano,  fecero  dimenticare  i 
mezzi,  onde  aveano  quelle  fertili  contrade  acquiflace  ,  e  li 
riduffero  a  doverle  cedere  ad  un  nemico  più  povero  -,  e  pifi 
bellicofo.  I  Galli  sboccati  con  impeto  dalle  ftrette  dell'Alpi, 
entrarono  in  gran  numeio  nel  paele  ,  che  giace  tra  gli  Ap- 
pennini ,  e  le  Alpi  ,  e  dopo  varie  e  fanguinofe  battaglie  , 
finalmente  dalle  terre  circumpadane  difcacciarono  i  Tirreni . 
Pretende  il  Cluverio  C2},  che  i  Tirreni  difcacciati  dal  Po 
vennero  a  fermarli  neli'  Opicia  ,  o  iìa  nella  primitiva  Cam* 
pania  .  Vediamo  fé  regga  a  martello  la  fencenza  di  quello- 
erudito  Geografo  .  Diodoro  Siciliano  (3;  riporta  la  fuga  de' 
Tirreni  dal  J'o  al  tempo  ,  che  DioniOo  tiranno  di  Siracufa 
cingeva  di  Rretto  aifledio  Regio  .■  Or  1' afledio  di  Regio  ac* 
cadde  verfo  la  fine  del  IV  fecolo  di  Roma,  e  intorno  atre 
fecoli  e  mezzo  prima  di  Crifto  ;  gi-ìcchè  Dionifio  dopo  uà 
rtgno  di  38  anni  mori  l'anno  dell'Olimpiade  105,  358  an- 
ni 

(1)  Tufcorum  'ante  Romanum  ìrrtperìitm  terra  marìque  cpes  patuefe-  E  po- 
co appreflo  :  Si  in  utrumijue  mare  'oergeates  inccluere  urbibia  d:wHe>ì's  terras 
p'-us  eis  ^penniium  ad  infentm  mìve  (  quefta  è  1' Etruria  )  ;  poflea  trans 
^ipinnintim  totidem  ,  fjuot  capita  originis  erant  coloniis  mijjis  ^  qii.e  trais 
F'idinn  ornila  Joca  ,  excepto  Ve^ietorum  an^ulo  -y  ^ui  fin:tm  circunicolunt  nti- 
ris  ,  ufque  ad  Alpes  teiuere .  Liv.  Lib.  V.  33.  SiSt,  tranfalp. 

(2)  Strab.  Geogr.  Anr.  lib.   1.  e,  zz. 
<3j  Biblioth.  lib.  XVI. 


3'' 

BJ  prima  di,  Cnf^o  ,  l'anno  di  Roma  395  (i)  .  Ma  i  Galli 
prelero  Roma  dulia  di  ki  fonJazione  353  ,  e  non  è  da  cre- 
dere ,  che  ufciti  dal  patrio  nido  fi  fiano  portati  dirittamente 
a  Roma,,  fenza  impadronirlì  prima  di'  luoghi  ,  per  li  qjali 
doveano  paflare  .  Dunque  e  l'ingrelVo  de' Galli-  in  Italia  ,  e 
la  caccia  data  ai  Tirreni  dai  contorni  del  Po  ,  dee  riferirli 
ad  un'  epoca,  anteriore  di  molto  a  quella  ,  che  le  ha.  Diodo- 
ro affegnata .  E  però  fembra ,  che  confervata.  ci  abb'a-  Livio 
la  vera,  data  di  quello  avvenimento.  1  Galli  ,  die' egli  (2), 
entrarono  in  Italia  dugento  anni  prima  che  efpugnafTerQ 
•Chiufi  ,  e  prendeflero  Roma  ,.  e  molto  innanzi  che  a  lare 
aveffero  con  coiefti  Tofcani  (  parla  di  que'  di  Chiufi  )  che 
erano  nell' Etruria  ,,  ebbero  a  combattere  più  fiate  con  quel- 
li che  abitarono  tra  l'Appennino,  e  le  Alpi..  Or  la  prefa  di 
Roma  accadde  1'  anno  363  dalla  Tua  fondazione  ,  come  ho 
poc'anzi  accennato  .  Uopo  è  dunque  di  dire  ,  che  fiano  iti 
Italia  entrati  i  Galli  l'anno  163  di  Roma  ,  e  non  gaari 
dopo  abbiano  forzato  i  Tirreni  a  ripafìare  gli  Appennini. 

I  Tirreni  ,  fe^ue  a  dire  il  Cluverio  ,  difcacciati  dal  Po 
paiTarono  nell'Opicia,  e- fatta  lega  con  gli  Umbri  e  i  Dau- 
nj  la  più  fiera  ed  oftinata  guerra  fecero  ai  Cumani  ,  e  ciò 
folo  per  glofu  d.'Ua  di  coltoro  m,'rav!g'iofa  fortuna  .  la 
foftegio  di  quefla  fujpoGzions-  reca,  ut  luigo  di  Dicn  fn  d' 
Alic'.rnalTo  ,  nel,  qual  fi  racconta  la  gJerra  fatta  a' C  ma- 
ni dagli  Etru'chi  collegati  con  gì'  U.nbri  e  i  Diunj  '3Ì  . 
Viene   quindi  a.  conchiudere  ,   eh?  l'arrivo    de' Tirreni  n.-ll' 

Opi" 

(1)  D'ai.  SIcu'.  !ib.  XV.  Cic.  Tufc.  §;  Veggafi  il  Petavi»,  nel  Rjiìo'?,, 
Temp.  P.  r.  lib.  nr..c.   I.   IO. 

(2)  Diirenih  tfu'tppe  ann's  ■,  avlequam  Clufii/nt  oppugiareit  ,  nrbsmque  fif. 
raa'n  caperint  i  »</  Iialiam  Galli  tfanfcrviìeram  ,  ntc  ciim  h:s  pihiium  E  ru- 
fcnrum  ,  fai  mul'o  ante  fim  iis  ,  rjui  i>ìter  ylpsnnìnum  AìpiJ'jut  ''""'l'^ant t 
fiipe  ex'fciiut  G  iHici  r>ri^n''tre  t   Liv.  lib.    V. 

(^;  Djonyf.  Halic.  lib..  VII.. 


5»    . 

Opic'a    ca^e   treil'olKnpiade   64  y   regnanc^o   in    Roma   Tar. 
quinia    Pni'co  »   che  è  i'epjca    della    loro  tugi  dal  Po  ,   co- 
me  le    dedur    fi  pjteffe    dalle  pirole    di   Diomlìo  ,     che    fof- 
fero   venuti  dal   l'o  gli  EtruLbi  alleati    degli   Umbri  ,  e  de' 
Daunj   .    lo  fon   perfua  0    al  contrario  ,    che  fé    è  vero     qu^I 
che  delia  guerra  concia  i   Romaiii  racconta  Dionifij,  il  Clu- 
verio  favella  in  aria  ,  e  ,   come   uom  dice  ,    e'  non  annoda; 
perciocché  anzi   dal   racconto    di  Dionifio    il  fa  chi.fro  ,    che 
a-in  1u  queJa    la    prima  volta    che  entrarono     nell'  Opicia  i 
Tirreni,  e  da  graa  tempo  dominavano   quelle  contrade.  Ve. 
dremo  pjco  appreffj  ,  cjms  l'autorità  dell'  AlicanuiVeo  ,    di 
cui  G  fj.  fchermo  il  Gluverio  ,    ie  di  lui  prerenfiooi    aperta- 
mente dillrugge.  Bafta  ricordarfi   per  ora  ,  che  i  Tirreni ,  giù- 
fla  la  narrazione  di  Livio,  molto  innanzi  che  Roma   forgef- 
fe,  aveano  diihfo  l'imperio  loro  dall'uno  all'altro  mare  ,  e 
tutta  i'iialji  av-eano  della  fama  del  loro  nome  riempiuta .  Ed 
io  non  fo  il  tendere ,  come  abbia  potuto  reftar  Caramillo  Pel- 
legrino in  bilico    tra  l'opinione    del  Cluverio   a  troppo  leg- 
ger foniiamenio  appoggiata  ,   e  la  fpecchiata  autorità  di  Li« 
vio  ,  e  molto  più  di  PoLbio  .    Quefii  ?.vea    prima  di  Livio 
chiaiamente  detto  ,   che  quando    poflcdtfvano    gli    Etrufchi  le. 
pianure  intorno  al  Po  ,    pofledevano  ancora    i  campi   Flegrei 
all'interno  di  Capua  e  di  Nola;    e  perchè    faceano  fronte  a 
tutte  le  altrui    inalvagge  intraprefe  ,    erano  venuti   preflb  gli 
fìranieri  in  grandilTjma  riourazion  di  valore  .  Ed  e'  vuole  al- 
tres'i ,  che  quando  delle  imprefe  fi  p^rla^e  delle  fìgnorie  de* 
Tirreni  ,    non  fi  debbano  intendere  del  paefe  ,   che  a  tempi 
fuoi  abitavano  ,    ma  di  tutti  i  luoghi  da  lui  accennati  ,  che 
da  i  Tirreni   nella  Campania  principalmente  fi  erano  pofiedu- 
ti  (i).  Or  non  combatte  egli  di  fronte  l'opinione  Cluveria-. 

na , 

(i)  Tlvn/  fKJTo.  y%   ijairsT'i*  ta  TaXniav  IvvMVTt)  Tuppiivii  xar  n;  y_p;/os  x-xt  Ter, 
fMypf.M  TTirt  x«^sf/.i>•«  Ttt  irifi  YLairuiiii   x«j    No^v*    mìia,    E    poco  appreiio  ,» 


na,  quando  afferma  ,  che  i  Tirreni  eranrj  gi^  nelPOpìcia, 
quando  pofledevano  lungo  il  Po  quelle  terre,  dalle  quali  fu- 
rono poicia  difcacciati  dai  Galli?  E'  dunque  fuor  di  dubbio, 
che  la  venuta  de  Tirreni  ncll'Opicia  fia  anteriore  ancora  all' 
ingreflb  de' Galli  in  Italia;  e  però  quelli  ,  che  vi  vennero, 
non  furono  gik  i  Tirreni  del  Po,  ma  dall' Etruria  immedia- 
tamente fpiccaronfi.  Debbo  condurvi  tra  quelli  gineprai,  va- 
lorofi  colleghi,  per  potere  colla  face  della  critica  alla  mano, 
in  mezzo  a  contrarie  autorità  ,  e  tutte  di  gran  pefo  ,  deter- 
minar quello  ,  che  fi  convenga  credere  fenza  temenza  di  er- 
rare. Quella  ricerca  vi  porterìi  a  ravvifar  ne' Tirreni  i  fon- 
datori delle  più  antiche  citta  della  Campania,  e  a  fcuoprire 
l'epoca  del  lor  nafcimento. 

Convengono  tutti,  ed  è  cofa  oramai  pofia  fuor  di  eontra- 
Ho,  che  Capua  fu  opera  de' Tirreni.  Livio,  Strabone,  Pom- 
ponio Mela  (i)  la  chiamano  citta  de'Tofcani.  Servio  (2)  di- 
chiara,eflere  fiata  fenza  dubbio  da'Tofcani  edificata.  Lo  con- 
feflava  Catone  nelle  Origini  delle  citta  Italiche  (3),  e  lo  con- 
tesa Velico  Patercolo,  antico  ftorico  Capuano,  ed  altri  ancora 
preffo  di  lui  (/^).  Ma  non  fono  tutti  d'accordo  fui  tempo  della 
di  lei  fondazione.  Catone, il  quale  a  giudizio  di  Dionifio  d'A- 
licarnafib  (5)  avea  con  fomma  diligenza  raccolto  le  Origini 
delle  Italiche  citta, pretendeva, che  ella  era  ftata  dai  Tofcanì 
edificata  circa  260  anni  prima  che  foife  prefadai  Romani .  Ma 
Tom.  II.  5  fu 

ilo  xiti  T»f  Ì!-ipiPTcti  Tuppnvu»  S'irafUtif  nX!"'  Tisiu^ui  tok  ayaptpicy  tiri  TX.i>  yi/u 
xaTtyoiitviiii  wr  etvnur  \Kptii  ,  aK\  tiri  tu  nrpitipiifiita  ■rrtS'itt  x«(  Tas  ix  tutui' 
Tk<t  roTor  afopuat .    Polyb.   Hift.  L.  II.  e.    17. 

CO  LW.  lib.  IV.  Sirab.   l.  V.  Mela  lib.   11.  e  4. 

(2)  Serv.  in  X.  ^neid. 

ti)  Caro  in  Orig.  apud  Velie;.  Patere.  I.  i. 

U)  Veli.  Par.  I.   5. 

(5"!  Ec  o'if  eri  rij.cxis/  re  Karat  ,  e  t«,-  ytttit\eyitt<  ruv  tv  IraXix  fioMm 
iViftiKcrxTtc  cvvaya-juv,   Dionys.  Lib.   I.  cap.  p. 


fu  prefa  nel  confotato  dr  Gn.  Fulvio  Centamato  ,  e  dì  Pi»^ 
blio  Sulpizio  Galba  l'anno  di  Roma  542  .  Se  dunque  ne 
torremo  260  ,  (eguira,  ,  cjie  fu.  edificata  a  parer  di  Catone 
l'anno  di  Roma  282.  E  in  quella  ipotjfi  potrebbe  ben  eff.;r 
vero  ,  che  i  Tirreni  non  abbiano  molto  pria  di  quel  rempo 
occupata  l'Opicia.  Ma  noi  giudicar  non  polTiamo,  della  dili- 
genza di  Catone  neh' inriagare  le  ofcure  oiigini  delle  città 
d'Italia,  fé  non  dall'elogio,  che  ne  fa  Dionifio.  Qualunque 
però  iia  Hata  la  fua  difgioza  ,  non  fark  al  certo  gran  fallo, 
dubitar  del  buon  efìto  di  una  imprefa  tentata  in  tempo  ,  ia 
cui  la  coltura  de' Romani  era  ben  lontana  dal  punto,  al  qua- 
le giunfe  un  fecolo,  appreflb  ,  e  s'i  radi  ,  e  sY  poco  accu- 
rati erano  gli  fiorici  monumenti  ^  che  la  ftefla  ftoria  de"" 
primi  cinque  fecoli  di  Roma  è  a  griviffimi  dubbj  foggetta  ^ 
Or  che  farà  (lata  per  un  Romano  ,  affai  p  ù  per  repubblica- 
no orgoglio  ,  che  per  lett.'ratura  fainofo,  per  Un  Romano  ne- 
mico di  ogni  letteratura  flraniera  ,  per  un  Romano  del  VU 
fecolo.  di  Roma  ,  che  farà  fiata  ,  io  dico  ,  la  (toria  ofcurilfi- 
ma  di  tutte  l'altre  città  Italiane? 

Ben  polTiamo  airincont-^o  giudicare  da  noi  flefU  della  di- 
ligenza ed  efattezza  di  Dioniiìo  d' Alicarnaflo,  il  quale, ben- 
ché greco,  merita  a  giudizio  di  tutti  i  dotti  dilHnto  luogo 
tra  i  più  infgni  fiorici  di  Roma,  lo  dunque  oppongo  a  Ca- 
tone l'autor  del  'uo  elogio..  Quello,  che  quefli  racconta  di 
Capua,  diiìrug::;e  ad  un  tempo  l'opinione  Catoniana,  e  l'ipo- 
tefi  del  Cluverio  .  Aveano  j-  Cumani  riportata  fegnalata  vit- 
tòria degli  Etrufchi  ^  degli  Umbri,  e  de' Daunj  collegati  con- 
tro di  loro  nell'Olimpìade  6^.  Vept'anni  apprefTo  Ariflo- 
demo  s'impadronì  della  S'gnoria  di  Cuma  ,  e  rJteoevaU  an- 
cora ni  coniolato  di  T».  Geganio  Macerino ,  e^  di  Publio  Mi« 
nuzioyche  c.ide  nell'anno  261  di  Roma.  Le  indicibili  cru- 
deltà di  Axiilodimo    fecero  fuggite  di  Cuma  i  figli  de'  pria- 

c.ir 


35 

cìpali  perfonaogì  del  pae^e  ,  che  li  tiranno  aveva  facrihcaio 
alla  Tua  ficurezza  .  Gli  eluli  trovarono  in  Capua  un  afih)  ,  e 
tratti  nel  loro  partito  nulti  d.-gli  abitanti  ,  prafero  l'armi  , 
e  col  fuccorfo  de' Capuani  rientrarono  in  Cuma,  dove  in  un^ 
notte  fdtra  granìifTiiia  (trage  de' partegiani  dil  tiraino  ,  e  lui 
meJelìi-no  con  tutta  la  fua  famiglia  trucidato  ,  fciolfero  da' 
ferri  la  patria  .  Or  da  qu-fta  narrazione  polFiamo  intendere 
di  leggieri  due  cofi .  La  priaia  è,  che  gli  Etrufciii,  i  qaali 
avcano  fatta  alleanza  con  gli  U  nbri  ,  e  i  Daunj  conrra  i 
Cumani ,  non  furono  quelli,  che  venivano  allora  dal  Po  di- 
fcacciati  dai  Galli  ,  il  che  Di-»nirio  non  fi  è  avvifato  di  di- 
re,  ma  libbene  gli  Etrufchi  di  Capua  ,  i  quali  come  ricchi 
e  potenti  aveano  potuto  concepir  g^lofia  della  fortuna  di  Cu- 
ma,  e  come  nemici  di  lei,  e  del  fuo  tiranno,  ed  accolfero 
gli  e'"uli  Cumani ,  e  di>'dero  loro  ajuto  per  fottrarre  all' odia- 
to giogo  la  patria  .  Cade  dunque  la  fu^ipofizione  del  Cluve 
rio,  il  quale  da  quello  racconto  di  Dionifio  vuol  dedurre, 
che  gli  P.trufchi  congiurati  con  gli  Umbri  e  con  i  Paunj 
furono  quelli  del  Po  ,  e  che  quelli  fiano  (lati  i  fondaiori  di 
Capua.  L'altra  è,  che  Capua  eTifteva  prima  dall'anno  lói 
di  Koma  ,  quan  lo  accolfe  i  banditi  Cumani  :  or  come  fup* 
pone,  che  fu  edificata  l'anno  282,  come  pretendeva  Cato- 
ne? E  dove  trovar  ragione  di  dubitare  del  racconto  di  uw* 
ftorico  di  tanto  pefo ,  come  Dioni.'ìo  d' AlicarnaflTo  ?  Forza  è 
dunque  di  conff::ir;re,  che  la  fondazione  di  Capua  è  di  qual- 
che fecolo  più  antica,  che  non  creJea  Caton.? ,  e  che  non  fu 
digli  Errufchi  del  Po  eretta,  ma  da  colonie  venute  di  propo- 
sto dall'  Etruria  . 

Non  farà  dunque  fuor  dì  ragione  abbracciare  il  fentimento, 
chea  tempo  di  Velleo  Patercolo  era  comune,  ed  altra  oppofi- 
zion  non  a^ èva,  che  l' autorità  di  Catone.  Velleo  medefimo, 
che  come  Ilorico   e  Capuano    doveva    efler  nelle  patrie  anti- 

*  chi- 


^6  .,      ,        . 

chitk  verfato  più  d  ogni  altro  ftraniero,  confuta  l'opinion  di 
Catone  con  un  argomento  bens'ijche  al  Pellegrino  non  fem- 
bra  efficace ,  e  a  quella  adcrifce  ,  che  era  de'  più  degli  fcrit- 
tori  (i).  La  fentenza  de' più  era,  che  Capua  fu  da'Tofcani 
edificata  ottocentotrent' anni  prima  del  tempo  ,  in  cui  Vel- 
ico quelle  fue  memorie  itioricha  diftendeva  .  Or  egli  le  in- 
dirizza al  Confolo  M.  Vicinio  ,  il  cui  confolato  cade  nelT 
anno  di  Rome  782  .  Non  v'ha  dubbio  adunque  ,  che  intor- 
no  a  quell'anno  egli  fcrivefle.  Se  dunque  Capua  fu  edificata 
ottocentotrent' anni  prima  ,  fegue  ,  che  l'epoca  della  di  lei 
fondazione  va  di  48  anni  innanzi  a  quella  della  fondazione 
di  Roma  fecondo  la  comune  cronologia  .  In  quefta  guifa  tro- 
var poffiamo  fi'jridiflimo  l'imperio  de'  Tofcani  in  quafi  tutta 
l'Italia,  anche  pria  che  Roma  nafcefle  ,  come  Livio  il  de- 
fcrive,  e  pjffiam  credere  con  Polibio,  che  le  grandi  impre- 
fe,  che  in  s'i  rimota  antichità  fi  raccontano  de' Tofcani ,  nos 
fi  debbono  intender  folo  di  quelli  ,  eh:  fignoreggiavano  1'  E- 
truria,  ma  di  quelli  altres'i,che  erano  nell'Opicia  trapianta- 
ti ;  e  poffiamo  giudicar  finalmente,  che  non  dal  Po ,  ma  dall' 
Etiuria  molto  prima  fiano  qui  vetiute  colonie  tirreuiche  a 
fìabilirfi  . 

Ma 

(0  Dopo  aver  favetlato  Velleo  tib.  i.  dell'età  di  Efìodo  ,  foggiunge  ; 
Dwn  in  e^teriis  moro-y  incidi  in  rem  dome'ì'icam  ,  mjximijue  errori^  ,&  mul~ 
tun  difc-eoiniem  da'orum  opìnìonbiis  .  Num  ^aida/ii  hujus  temporis  traan 
ajuyit  a  fu^ci!  C::>'iayn  ,  Nolamtj'ie  conditam  ante  an'ios  fere  DCCCXXX  , 
guibiis  e^'iiien  adfen/erim .  ^ed  M.  Cato  fuoniam  dìffert  ,  gui  dicat  Ca- 
puani ab  eifie'n  Tiifcis  conditam,  ac  fubindt  Nolam  :  Jìetilfe  aittem  Capuam, 
anteqtiam  ì  Roman'ts  capire'uf  enn'is  circiter  CCXX  .  Qj(od  fi  ita  efl ,  quum 
fi-it  a  C.ipud  CCXL  ^ut  cnndha  efì  ,  anni  funt  fere  D.  Ego  (pace  diligenti^ 
Ca'oriit  diterim  )  vix  crediderim  tam  miture  tantam  urbem  crevi[fe  ,  floruiffey 
concidiljfe ,  re/iirrexijfe.  U  Pellegrino  trova  debole  qiierto  ragionarnento  di  Velr 
leo,  il  quale  non  poteva  indurii  a  credere, che  aveffe  potuto  una  città  in  sì  po- 
co tempo  fin  cinquecento  anni)  innalzarfi  ad  un  grrindezza  ,  che  la  rendeva 
cmola  di  Roma,  ed  una  delle -tre  più  poffenti  città  dsì  mando,  e  cader    poi 

e  for^ 


37 

Ma  non  fu  Capua  fola  traile  coloiiie  etrufche  ,  come 
•  qui  giunfero  ,  edificata  .  Doccici  citta  aveano  nel!' Etruria  ì 
Tirreni ,  dodici  ne  fondarono  vicino  al  Po  ,  tefiimone  Li- 
vio (i),ff  dodici  ne  piantarono  nclfOpicia  ^  dice  Strabene  (2), 
delle  (j»di  quella^  cbc  n  era  come  il  cnpo ^Cnpua  nppdlarofio. 
Nel  fe«?ro,  fjogiung«  (j)»  ^  Capu.i  toro  Metropoli  ^  capo  vera- 
mente  dell'altre  feconda  l'origine  del  nome  ;  poi,  he  l' altre  po- 
trebbonfi  in  confronto  riputare  piccioli  ca/ì:lli  ,  anzi  (he  no  , 
tranne  Teano  Sidicim  .  Al  qual  luogo  del  greco  Geografo  al- 
lude Euftazio  nel  cemento  fopra  Dionifio  Pc-riegera,  ripeten- 
do a  un  diprefTo  le  Relìe  parole  .  Dodici,  à^  t^W  ^ejfenda  le 
cittJ  de'  Campani  ,  nel  centro  giace  Capua  ,  capo  'veramente 
dell'  altre  giujìa  l'orìgine  del   nome   nella  lingua   latina  (4^*. 

Qua- 
e  forger  di  nuovo  ,  e  giugnfre  a  qusl  grado  di  riccfiez7a  e  di  fplendnre ,  in 
cui  la  defcrive  Cicerou»  in  più  luoghi  .  Certamente  il  corfo  ordinario  delle 
eofe  umane  non  foffre  quelìe  quali  fufaitanse  efìremità  ;  e  Roma  crefcend» 
fempre  e  Tempre  favorita  dalla  fortuna,  di  quanti  fecoli  di  vittorie  ebbe  me- 
ftieri  per  pareggiare  la  grandezza  di  Capua?  A  me  fembra , e  il  dirò  con  buo- 
na pace  di  quello  egregio  Critico  ,  molto  più  frivola  la  confutazione,  che 
egli  ne  fa  ,  dedotta  dai  luogo  comune  della  illabilità  della  fortuna  .  Non  è 
già  ,  che  io  creda  valevole  la  ragion  di  Velleo  a  rtabilire  la  verità  dell'  opi- 
nione contraria  a  quella  di  Catone  ;  ma  pub  ben  edere  un  motivo  di  cam- 
minar per  la  poita ,  di  co-.fi.-ntire  piuttollo  ali^autorità  de'  più,  che  a  quella 
di  un  folo  ,  il  tener  dietro  -ai  progrelTi  ordinar)  delle  cofe  umane  • 

(i)  Incoluere  uràihui  d.-io-lenis  priiis  cis  .^p^nninuna  ad  iaftrum  mareifo- 
Jìe.7  irai'  -^peinintm   toti.lem.  Liv.  V.   e.    ^7. 

(:)  Ajtixa  l'i  rroxit!  tyxxToixia  avru  (  cos";  legge  il  Calaubon  )  rit»  oioy  x«- 
ipt'Kjif  iìyitix<n  Yianryiii/ .   Strab.   lib.   V.   p.   ^7". 

(})  E»  (Ts  ^ì-iyairt  KaTuy  f/.ty  «ri»  C  jjitrpoTiK'J!  ,  XipxKn  ra  o/ti  x«t«  tkS" 
ìt'j [t'ir ■ITU  T»  oyofiaiTOs  .  Tot  yupaWu  Toyi^yia  yiii^ìiT  «»•  ««Ta  TiiyJVii(,pi<n>  y 
ir\ny  T%oevs  Eii^iXJim  .  Strab.   Lib.  V.   p.    milli   ?7-;. 

(4)  Asftxx  <ri  Toif  Y^uiAiràìVoif  v^ay  voXiiiry  ,  (y  (/.(iroytia  i7iy  'n  Koiryi;  xtfochi» 
T»)  oyn ,  af  p>t<ny  ò  ytoffK^os  xxTa  m  fi-j/xcriiTa  oyoiAXTos  yXoTTn  AaTivuy  • 

Io  non  fo  quanto  vaglia  quella  etimologia,  t'  mai  polTibile,  che  i  Tirreni 
abbiano  prefo  dalla  lingua  latina  il  nome  di  una  città  da  loro  fondata  ?  So 
bene  guanto  han  detto  gli  antichi  ed  han  ripetuto  i  moderni  fnlla  origine 
dì  quella  voce  .    Vogliono  gli  uni  ,   che  le  disde  il  Tuo  nooie  Capi ,  che  fi 

fup- 


3^ 

Quali   dunque   furono   le    <!o(3ici    citt^  tlrr?nnlche  ,    tlelk 

quali  era  capo  e  metropoli  Capua?  Niuno  degli  antichi  le  ha 
eiprelfamente  nominate ,  o  piuttollo  moltiQinie  citth  della 
Campania  han  detto  avere  gli  Etrufchi  abitato ,  in  guifa  che 

trop- 

Tuppone  condottiere  della  colonia  etruOia  .  A'tri  pretendono  ,  che  Capi  fu 
un  degli  antenati  del  condotriere  ,  un  Capi  Tro/ino,  e  Re  dì  Troja  ,  e  chi 
«luerti  in  o.ior  di  fuo  avolo  l' abbia  cjsl  nomimta  .  A'fri  dicono  ,  che  Cipi 
fu  il  condottiere  de'  Sanniti,  i  quali  di  venati  padroni  di  Cipua  le  diedi^ro  U 
nome  del  lor  generale,  e  credono,  che  pria  fi  eh  a  in 'fé  Volturno.  A  que- 
lla opinione  diede  pefo  la  voce  fparfa  in  Roma  da  Cornelio  Balbo  ,  che  fi 
folTe  travato  il  fepolcro  di  Capi  fondatore  di  Cipja  ,  come  narra  Suetonio 
in  Celare, con  una  ilcritione  in  lettere  greche,  la  quale  portava,  rhi  quan- 
do fi  fodero  fcoverte  le  ofTa  di  Capi,  farebbe  ikto  uccilo  un  dir:?nienre  di 
•Giulo,  e  r  Italia  farebbe  (lata  afflitta  da  grandi  calamiti.  La  fcoverta  fi  dif- 
fe  fatta  nc?lla  deduzione  della  colonia  ivi  mandata  da  Giilio  Cjlare  ,  e  la 
pretefa  ifcnzione  fu  interp?trata  della  morte  di  Giulia  C-.'fire ,  e  della  guer- 
ra civile  ,  che  la  fe^uì  .  Noi  pofTHmo  fenia  fcnipolo  rinundar  turra  q'ie.la 
narrazione  tra  le  tante  fole,  che  ne''  grandi  e  ihepitoiì  avvenimanti  fi  fpac- 
ciano  .  Altri  la  derivano  dall'aii'^urio  de"'  falconi,  chia.-niti  ceffi  m  linguag- 
gio etrufco  ;  altri  dalle  torte  gambe  del  primo  condottiere  deila  colonia.  Il 
certo  è  ,xhe  ficcorae  rrovaniì  monete  antichilTime  col  m:n?  Capta  icritto  iti 
car^itreri  etrufchi  ,  ed  alla  miniera  orientale  dilla  dritta  alla  finiitra  -,  cioè 
3nn3  Kapb,  o  Kipba  come  le{ige  il  Mazzocchi  ,  o  Kapu  ,  come  legge  P  Oli- 
vieri (,  poiché  il  Kanp  ,  o  Kamp,  che  vi  fcopre  il  Muchele  de  Attellis  po- 
trebbe ben  aver  dato  origine  ai  Campani,  ma  a  Capua  non  già  J;  co5Ì  non 
v"*  ha  dubbio  ,  che  quello  fia  llato  il  nome ,  che  gli  E"-ufchi  le  impofero  . 
Ma  per  falvare  in  qualche  modo  il  rifpetto  dovuto  alT  autorità  graviffimi 
dì  Strabone,  fareSbe  mii  ver'.limile ,  che  avendo  intefo  pronunziare  dagli  Upi- 
ci  ,  cìjc  dagli  aitxhiirmi  Italiani,  alla  vi  la  di  quella  cut.i,  la  voce  cup.  che 
fu  certamente  della  orim'ti'^a  l'n:^ua  ita'iana  ,  e  capo  dimt?)  ,  abbiano  gli 
Etrufchi  così  chiamato  il  luo^o  ,  che  doveva  e(Te-e  metropoli  d«!r  altre  co- 
lerne i"  io  lafcio  al  giudizio  de-"-'!  ei-:iditi  q  leh  ^iT^ettura  N.ii  fenza  dub- 
bio per  tal  modo  chiamiamo  M.td  {alani  ,  e  B.'folafi  ,  o  Birolal  ,  e  volgar- 
mente l^irlafcì  col  nome  ,  che  i  no  ìri  miggiori  inr-fero  oroninz  are  di  Sa- 
ra-.-n;  a.'la  vita  dell»  torre  ,  o  rocca  ,  che  a  MadJiloni  fopra  tii  ancora,  e 
de  famofì  ruderi  delT  Anfi-eatro  Capuano  ,  conlervando  le  l'abiche  deiio.ni- 
na/ÌTn- .  Perciocché  r./'^ia',  e  '■ti  arabica  defineiza  mì^Jliln'i  ,  torre  ,  O 
rncc.i  dinota  ,  com'  orferva  il  Mwzocchi  nelle  fue  annotazioni  all'*  apparato 
de!  Pellegrino;  e  Berolafti  dal  Sariceiiico  B'rr ^  n  B;r.i  difcenle,  che  dino- 
ta cofa  rotonda  ,  recinto  ,  anfiteatro ,  ed  alhas  forte ,  fijcome  infegna  i"*  Af- 
fé- 


troppo  cliffi.:il?  (il  ri:Kl-)v*nir?  ,    quali    fimo    le    dodici  ,    di 
c.i   parlano  S'rabjne  e.l    Eu'Uiin  ,mMtre  d.'lle  altre  converrìi, 
dire,    eli'  in  tempi   pf)llrri.)ri ,    quan  i.>   cercarono    gli    Etru- 
fchi  d'ingrandirli,  furino  da  loro  o  conqjiltate  ,  o  edificate. 
Aff';rma  con  f>verthia   fraache^.za    il    Capaccio    (i)    effire 
ftate  le  prime  do.iici  ,.   o  p'uttolto  le  fola  dodici    città,    degli 
Etrufchi   n.'lla  Campania   :  Capua,  Cuma ,    Pozzuoli  ^    Erco* 
Jano,  Pompei,  Atella,  Ca'azia  ,  Caferra  ,.  Cafilino^  Voltur- 
no, e  SJdicino.  Kel  che  es)'\  fi  è  manifvllai-Hente,   e  in    va- 
rie guile  allontanato  dai  vero.  E' parla,  delle  città,  che  abi- 
tarono gli  Etrufchi  y    fenza  vcuna  dilHnzjone    di.  tempo  ,    e 
^uefie  furono  fenza  dubbio  aflai   più'  delle  accennate    da    lui: 
poiché  fé  furono  città  etrufche  un  tempo  Ercolano,P  mpei, 
Pozzuoli,  e  Cuma,  lo  furono  lenza  dubbio  ancora  e  Teaoa, 
e  Nola,  e  Velila,  e  Marcina  ,  e  Stabia,  e  Sorrento,    e  No- 
eera.    Ma  noi  andiamo  in   traccia  delle  piime  ,   che  entrardo 
EcU'Opicia  fonc'a'ono.  Oltracchè  non  fono  poi  dodici  le  cit- 
tà che  nomina;  e  Caferta,che  tra  le  aniich'fliine  città  etru- 
fche  annovera  ,  non  può  vantare  si  ahi  fiatali  ,   effendo  fiata 
aella  mezza  età  edificata.. 

Il  Ma'chefe  de  Ar  ellis,il  quale  non  ha  voluto  feguire  il 
filo  cronologico  degli  avvenimeiJti ,  né  riflettere,  quali  Etru- 

fCG- 

femani  Irai.  H'/fcr.  Script-,  tcm..r.  cap-.  XIL.  p.  ?4?. ,  eiacchè  queflo  nome 
S^  intele  la  prima  vclra  ,  allorché  il  fianiofo  anfiteatro  convertito  dsi  Princi- 
pi di  Cspua  in  CrlVilo  fii  dai  Saraceni  occupate  e  'eriuo  per  lei  anni  in- 
fi(-m  colle  tiuppe  Napolir^ne  di  Atranafo  ,  cio»^  da')' arno  Ìs82  fino  ali  óHS. 

Non  parlo  dell' oricine  celtica  datale  dal  Sii..  Bsrdert' .  Egl  la  F'e' de  dalia 
voce  ccl'ica  h:ppv  ,  o  hnpDy  ^  eie  din(  ta  profperc  yfelhe  :  frn'bbe  Oato  UB 
nome  di  buon  augurio,  (e  po-enTi  perfuadermi  ,  cHe  i  noOri  pmicniti'ti  ,  gli 
O^'ici  ,  o  gli  Etrufclii  fiano  (lati  Galli  ,  o  Tedel'chi  .  Quello  fìiiema  rit\i?rdo- 
a;ia  Campania  ,  ed  ali*  Etrur.a  fa  a  calci  con  tutte  le  memorie  inconiraiiabj.-- 
U:  dell*  ant-chitì  . 

(^i)  H'tjlon.  Neaj>,  lib.  i^  e.  2.. 


40  .... 

fco-Fefiicj  ,   e  doa:{e   fiano  venuti  nelT  Opìcia  ,   creda  ,  che 

fiano  itace  Vefcia,  Volturno,  che  egli  tien  per  fermo,  che 
poi  fu  detta  Gapua  ,  Guma,  Pozzuoli,  Falera,  detta  poi  Par- 
tenope  e  Napoli  ,  Acerra,  Ercolano,  Nola,  Pompei  ,  Noce- 
ra  ,  Stabia,  Sorrento.  Mi  ve  ne  ha  tant' altre,  ugualmente 
dagli  Etrufchi  fondate  in  quelle  contrada  :  perchè  danq  ui  fce- 
glier  quelle  per  crederle  L-  più  antiche,  e  le  prime?  Se  Ja 
ragione,  che  induffe  il  Marchefe  a  qjefta  fcelta  ,  fu  perchè 
creuè  naturale,  che  i  Fenicj  mercatanti,  o  corfari  dovelTero 
ftabilirfi  fulle  maremme,  perchè  nominarvi  Acerra,  Nola  ,  e 
jNocera,  che  fono  medherranee?  Perchè  avrebbero  piantata 
la  loro  metropoli  entro  terra,  beo  dieci  miglia  lontana  dal 
mare? 

In  mezzo  a  tante  difficolta,  il  Pellegrino  difparò  di  rag. 
gìugn:;re  il  vero  .  Io  però  fenza  attaccarmi  ad  alcun  filte- 
ma,  lenza  dar  libero  corfo  ad  ingegnofe,  ma  deboli  conget- 
ture, ed  in  cofe  di  si  rimota  antichità  rifpettando  più  l'auto- 
lira  degli  antichi,  che  i  lìitemi  fabbricati  da  noi  medeiìmi, 
cfpo  rò  il  mio  fentimento  colla  lufinga  ,  che  fé  non  avrò 
colpito  nel  vero  ,  mi  vi  farò  almeno  più  dappreflb  avvicina- 
to. Vedian^o  dunque,  fé  gli  antichi  ci  poflbno  fu  di  ciò  por- 
gere qualche  lume.  Strabene,  ed  Euftazio  affermano,  come 
abbiam  poc'anzi  offer\ato,  che  Capua  giaceva  nel  centro,  nel 
bel  mezzo  del  paefe  da' Tirreni  occupato,  in  modo  che  fi  poffa 
dire, che  le  undici  altre  le  facean  corona  dintorno  ,  e  forma- 
vano tutte  inr;eme  l' agr»  che  fu  detto  pofcia  Campano,  o  fia  il 
primitivo  tertiiorio  Capuano  .  Quefla  è  la  forza  dtlla  voce 
jAiToycnx  ,  di  cui  fa  ufo  Strabene  ,  e  ixuoyxiov  ,  che  adopera 
Euftazio.  Dunque  pare,  che  dobbiamo  andare  in  trrccia  dell' 
altre  undici  in  un  fito  non  molto  lontano  da  Capua ,  e  rav- 
vifarle  nel  di  lei  contorno,  e  non  ifcorrere  fino  a  Stabia,  e 
S&rrento,  per  ritrovarvi  citta  tirreniche.    Or  di  quelle    che 

foiìo 


41 
fono  intorno  a  Capua,  Cuma  fu  opera  de'Calcidffi  ,  che  da 
«ju.lla  fpiaggia  di  cacciarono  gli  Op  ci  ,  ed  è  la  pili  antica 
delle  colonie  greche  venute  in  Italia,  teftimone  Strabune  (i). 
Pozzuoli,  o  lia  la  Dicearchia,  come  tu  da  princpo  chiama- 
ta, riconofce  per  fondatori  i  Greci  di  bamo.e  non  oltrepafia 
nella  fua  antichità  l'annj  232  ai  Roma  (2)  .  Falero ,  b  fia 
Parienope  »  citt^  greca,  nou  fu  mai  n.l  territorio  Capuano. 
Stabia,  Sorrento,  Nocera  ,  e  Marcina  fono  troppo  lontane 
dal  centro,  ove  era  Capua,  e  convien  dire  ,  che  fi  ftefero 
fin  Ik  gli  Etrufchi ,  quando  crefciuti  di  popolazione  e  di  for- 
za giudicarono  troppo  riltretta  per  loro  la  Caupania  Capua- 
na. Ercolino  f  e  Pompei  furono  un  t^-mpo  abitazione  degli 
Ofchi  ,  indi  tolte  Lr  dagli  Etrufc'ii  .  Ma  neppur  è  da  cre- 
dere ,  ch«  ciò  fia  nella  prima  fpedizione -avvenuto  ;  e  i  loro 
nomi  fopracciò  dimollrano  origine  gr<;ca  piuttofio,che  etruTca. 
Ma  (e  vogliamo  volger  lo  fguardo  all'  antica  topografi* 
del  contado  Capuano,  fé  vogliamo  attenerci  all'idea,  che  ci 
foniminiRrano  Strabona  ed  Euftazio  ,  fé  non  vogliamo  ufcir 
dai  confini  deli'Opicia  propriamente  detta  ,  o  fia  della  Campa- 
nia Capuana  ,  farem  non  lenza  ragione  portati  a  credere ,  che 
le  undici  cittìl  ,  che  cingevano  Capua,  furono  Cafilino,  Larif- 
fa,  Volturno,  Literno,  Atella,  Acerra ,  Trebola  ,  Sueflo'a , 
Saiicola,  Combultsria,  Calazia.  Qucfte  furono  fuor  di  dubbio 
po(!e  tutte  nella  Campania  Capuana;  fono  le  fole,  che  nell' 
antica  geografia  in  quel  contorno  fi  veggono  ;  formano  un 
fcmìcerchio  intorno  a  Capua  ,  che  é  nel  centro  ;  e  fono  di 
Ton.il.  6  tan- 

(i)  Strab.  L.  V.  Ki/a»  yk\v.i^(i)v  ,  Xrfi  Yiufi:tia9  iruyutUTctroi'  nrirfict:  ira- 
ut/  >«/>  eri  Tfne (SuTiem  <mr  'n  Sdif^ixac  x«i  niay  liecKiùiTiìùip  .  Di  qui  conchiu- 
de il  Salmafio  che  lìaanteruTe  aila  t;uerra  di  Troja  la  lua  fondazione  .  Crff. 
ti:  St.l'in.  n.  77.  Ma  chi  gli  ha  indicato  il  tempo  della  navigazione  de' Cal- 
cidefi  e  de"' Cornei  ? 

(2)  Htifeb.  in  Chron.  ad    ann.  Abraham!  259(5.    Veggafi  Jo  Scaligero    fu 
quetlo  luogo,  e  Stefano  Bizanrtino  v.  HcnroKji. 


4». 

tanra  antichità,  che  poche  n'erano  in  piedi,  a'^tcmpi  di  DJo*. 
nifio  d'  Alicarnaflb,  ed  og^i  una  fola  n' elifte  ,  che  abbia  i' 
antico  nome  ritenuto ,  ei  è  Acerta  .. 

Lari(Ta,che  Dionilio  Alicarnaffco  chiama  citta  Pelaf^'ca  (i), 
è  fenza  dubbio  Fenicio— Etrufca  .  Efla  era  non  raot-.j  lun- 
gi dal  Ponte  Capuano  fui  fiume,  Savone  ,  donde  coniiaciava 
il  territorio  Capuano.,  A' tempi  di  Dionifio,  non,  van  era  più 
memoria  ,  ed  appena  era  noto,  a  pochi  dotti  il  fuo  nome  , 
come  egli  medeiimo  atrefta  .  Non  molto  lontano,  era  il  Fo- 
rum Popilii,  0.  Poptii:  ma  qu'fta  denominazione  mi  fa  fofpec- 
tare ,  che  non  fia  di  tanta  antichità ,  ne  fia  opera  primitiva, 
degli    Etrufchio 

La  ftoria.  d-ella-  feconda  guerra  punica  ci  fa  veder  chiaro, 
che  AteJia,  Sueffjla,  e  Calazia.  feguivano  d'ordinario  l'impul- 
fo  della  metropoli,  e  ne  decreti  del  Senato,  con  i  quali  fu- 
rono puniti;  della  loro,  rivolta  ,  vengono  fempre  citta  cam- 
pane appellate  (2)..  E  Fello  le,  città  noverando ,  che  in  pen3; 
di  aver  abbracciato  il  partito  cartaginefe,  furono  ridotte  alla 
condizione  di  Prefetture,  nomina  tra  quelle,  che  erano  nel- 
la Campania  Capuana ,  Capua  ,  Cafilino,  Volturno,,  Literno, 
Acerra ,  Sueffola  ,  Atella,  e  C.alazia.  E' vero,  ,  che  vi  nomi- 
na anche  Cuma,  e  Pozzuoli,  ma.  quelle  non.  appartenevano 
alla  Campania  primitiva  ,  ma  le  appartenevano  ,  quando  gli 
JE^trufchi  Campani,  ebbero,  d'ogni  parte  dilatato  il  loro,  domi- 
nio,  e  la  Campania  fi  ftefe  da  i  confini,  de' Volfci  fino,  al  Selo. 
Ho  porto  con  Atella,  Acerta,  Sueffbla,  e  Saticola  anche 
Trebola  ,  e  Combulteria  di  qu^  dal  Volturno,.  Il  Pellegrino 
sj  ingegna  di  far  nafcer  de.'dubbj  lulla  pofizione  geografica  di, 

que- 


(0  Antiq.  Lib.  V. 

{^l  Veggaf»  iiv.  !..  XXVI..  C,  34.. 


+5 

•tjuefte  Jue.  Le  crede  di  Ik  dal  Volturno  fuori  -delia  Campania 
Capuana,  ed  attacca  perciò  lunghifTima  briga  coi  Sanfelice,e 
col  Ciuver  o.In  quanto  a  Treboia  non  ad  altro  fondamento  s' 
appoggia  ciie  ad  una  troppo  debole  fuppori2Ìone,fli  efler  guafto 
un  celio  di  Polibio,  il  quale  medicandofi  a  modo  Tuo  verreb- 
be a  darci  Treboia  di  Va,  dal  Volturno  in  un  luogo  detto 
le  Treglie,  che  egli  crede  una  corruzione  di  Treboia.  Irn> 
perciocché  favellando  lo  dorico  greco  della  marcia  di  Anni- 
bale, le  tre  vie  defcrive  difallrofe  ed  anguRe  ,  per  le  quali 
cotidur  poteva  l'armata  dalle  vicinanze  di  Roma  nella  Gara- 
pania  Capuana,  e  l'una  dice  venire  dal  Sannio,  la  feconda 
dall' £»;^<7Ko ,  e  dal  paefe  des-li  Irpini  la  terza  (i).  Il  noa 
trovarfi  motto  di  coteflo  Eribano  in  alcun  altro  autore  antì- 
co  fece  venire  in  penfiero  al  Pellegrino,  che  Polibio  avefle 
fcritto  Trebiano, ove  legGefi  Eribano  (2).  L'Olftcnio  appro- 
vò la  correzione  del  Pellegrino  ,  e  Merico  Cafaubon  cadde 
fer.z' altro  efame  nello  Iteflo  folpetto-  Ma  quando  fupp^r  (i 
debba  quefta  magagna  nel  tefto  di  Polibio  ,  e  vog'iafi  (ofti- 
tuire  Trebiano  ad  Eribano,  non  è  egli  evidente,  chi  fiam» 
ancor  lontani  dal  trovar  Treboia^  dove  abbiam  porto  Treb'ta' 
noi  Qual  fomiglianza  tra  Treboia,  e  Trebia  per  fupporre, 
che  follerò  lo  Iti (fo  luogo  ?  Ne  potrà  f.-guir  lola^nente  ,  cha 
vi  fu  un  luogo  chiamato  Trtbia  per  cui  poteva  palfare  An- 
nibale: ma  Trebia  non  è  Tribola. 

Su  quella  fuppofizione  pertanto  e'  viene  a  guerra  finita 
con  Livio,  e  lo  accagiona  nientemeno  che  d'ignjranza,  di 
ccxjfufione ,  di  gelolia ,  e  d'ingratitudine  ,    per  aver  pollo  di 

*  qui 

(0     M;tf  (Hf  tiro  riis  "Saunn^if  ,  S'ivrira  ìt  V  aira   w  ^ruPam    '*  ^t  x«- 
r«XmM5  oiVj  tu»  /.etri  ih <  'Ifirivaf-rairav  .   Pi   yb.   Hlltor.    Llb>  3«  J. 

(2j    «Tra  Td  "TfifSictyTu ,  la  vece  di  ^piiScty»  • 


44 

qua  dal  Volturno  Trebo^a  in  Jefcrivendo  il  cammfn  tenuto 
da  Marcello,  e  da  Fabio.  Di  Marcello,  dice  Liuo  fi), che 
tragittato  il  Volturno,  per  lo  contido  di  Saticola,e  di  Tri- 
bola fopra  Sueflòla,  giunfe  pe' monti  a  Nola.  Di  Fabio  poi 
racconta  ,  che  paflato  il  Volturno  entrambi  i  confuli  erano 
in  fazione.  Fabio  prefe  d'affalio  Combulterla ,  Trebola  ,  ed 
AufTicola  ,  o  fia  Saticola  ,  città  ,  die  avean  feguito  te  parti 
di  Annibale  .  Or  ri.9:ettare  !a  fpe:chiaM  autorità  di  ù  grave 
*  ?^bg-'2'''^'^''0^2  Iffoiico,coma  Livio  è,  perchè  fi  fuppone  un 
errore  r.el  tello  di  Pdihio  ,  e  per;hè  queflo  fi  vuol  correg- 
gere, come  ha  potuto  venirci  in  mente,  o  come  meglio  fi 
confa  al  rofiio  proi-onimento  ,  quefio  è,  lo  dirò  con  buona 
pac^  di  Pellegrino,  un  volerfi  far  beffe  della  buona  fede  di 
chi   le^ge,  e  far  abufo  troppo  ftrano  della  critica. 

Né  vai  punto  il  dire,  che  la  ftraJa  ,  che  Livio  fa  tenere 
a  M  r:ello  a  traverfo  de' monti,  non  potea  condurlo  a  Na- 
ia, che  egli  anjla^a  a  foccorrere.  Imperciocché  effen.^o  NoU 
afleciiata  da  Annibale,  il  quale  ritornando  dalla  corfa  fatta 
a  Fai  poli  avea  piantato  il  carneo  al  mezzogiorno  di  Nola; 
Marcello,  che  avea  tragittato  il  Volturno,  dovea  paffare  per 
Su'ffola  ,  S'aticola  ,  e  Trebola,  e  pe  tnonti  di  S.  Mariano  e 
Rocca  Rainola  diQ;endere  al  fettentrione  di  Noia  per  far  pe- 
retrare  agevolmente  il  foccorfo  nella  piazza .  Ecco  la  llrada , 
che  Livio  defcrive  ,  e  che  il  Pellegrino  non  ha  veduta  .  E* 
vorrebbe  f.ir  nafc -re  il  nodo  nel  giunco  per  indebolire  in 
qu  (la  parte  l'auioFità  del  padre  della  lloria  ronaana. 

Ma 

(i)  Voltirryjn  amie  trnnfacìo  per  agrurA  Sar'etilanum  Tre&ulanumqtte  fuper 
Suefìolum  pur  moie!  NJim   perven'it.    Li",    lii).  XXIH  e.    17. 

Tra'it;relfo  l''ùliuriiim  Fitb'io  poft  erpìma  ta-id.-m  protìtqia  ,  ambo  confutes 
rem  ^ercòint  .  Combiiheria'n  &  Tnbul.fn  ,  &  A'ijicolam  (  fi  vuo!  leg°;re 
Saticalan  }  urbes ,  qitod  ad  Foenun   defccerant ,  Faiins  vi  cep'it .  Lu>.  ib. 


,45 
Ma  Io  voglio  efTer  pur  liberale  .  Sia  quanto  e' vuole  di- 
fordinato  e  confufo  il  racconto  di  Livio  :  che  direme  della 
Si  cliiara  ed  orportLuia  telHmonianza  di  Plinio  ,  il  quale  an- 
noveraiido  i  vini  d  Ila  Campania,  nomina  particolarmente  i 
viai  Tribolani  nel  teritoro  Capuano  (i)  ?  Tutte  le  foli- 
llerie  del  Pellegrino  non  f. ranno  mai  ,  che  i  vini  Trebo- 
la  li  ,  e  però  Trebula  Ifelfa ,  non  fumo  ftari  a  fentimento  di 
Plinio  nella  Campania  Capuana  ,  n'-  che  le  parole  in  fm  agroy 
nel  contado  di  C^pua  non  omotino  ,  che  i  vini  Trcbolani 
nafcevano  nel  territorio  Capuano .  Or  non  è  egli  ragione- 
vole atitnerfi  ,  trattai^lofi  di  cf'fe  antiche  ,  alla  chiara  lelli- 
monianza  di  qualcha  antico  e  non  ignobile  Ccrittore,  che  al- 
le fonili  o  fhtiche  interpretazioni,  o  immi^tnazioni  de' mo- 
derni? Ma  io  voglio  pur  impattarla  col  Pellegrino  ;  ^-Oichè 
m'increfce  oltremodo  di  dare  fpiattellat.nnenre  il  torto  ad 
uti'  uomo  SI  giullamente  rifpettato  ,  e  delie  patrie  anti^-hirk 
benemerito  aliai.  Sia  sbaglio  di  ananuenfi  \  Er'ibana  d;  Poli- 
bio ,  e  ripongane  in  vece  Tr^bìaììo  ,  o  fé  (ì  vuole  ancora  , 
Trebbiano.  Ma  non  facciam  neppur  onta,  o  violenta  ai  due 
«grandi  Storici  della  Natura,  e  di  Roma.  Direm">,  che  furo- 
no due  Trebole  ,  una  di  là  dal  Volturno,  per  la  <jiiale  paf- 
far  poteva  Annibale  venendo  a  Capua  ,  l'altra  di  qua  ,  pef 
la  quale  pjfsò  Marcello  andando  a  Nola  .  Q_'iella  non  farà 
mai  una  ereHa  :  non  vi  furono  due  Calazie  ?  I:  Mazzocchi 
non  è  da  quello  penfiero  alieno  (2  .  Cos'i  metterem  fine  ad 
un   tal  piato;  poiché  di  Gorabulieria  non  pofl'o  dir  altro,  fé 

non 

(1)  Campania  nnptr    excìiavit  tiavh    ttomin'rSur   ùti^oritatem  frue  cura  >    /»■" 
f«/«  .  JÌd  quartum  a  Neapolì  lapidem  Trebelliàs  ,  juxta  dipuam  Cauli'iis  & 
hi  fiio  e^ro  TreóiiUiit  ,  alìoqui  femper  imer  plelnìu  >   &  Trifelims  ^Iettata  » 
Piin.  Hi!l.   Nat.  lib.  XIV  e»  f> . 

U)  Neiie  ADBot.  a  Caaimillo  Pellegrioo. 


4<S 

non  che  II  Pellegrino  la  vuole  «di  là  dal  Voltarno  fuori  della 

Campania  Capuana,  e  Livio  l' uriifce  con  Sueffola  di  qua  lial 
Volturno . -Laìcio  adii  mi  afcolta  i' arbitrio  di  giudicare,  a 
qual  de'due  debbafi  prelìar  fede ,  e  lenza  tenervi  più  a  difa- 
gio,  torno  al  mio  aigomento. 

Un  nuovo  dubbio  qui  inforger  potrebbe  ,  meglio  in  appa* 
ronza  fondato,  riguardo  a  Teano,  e  a  Nola,  che  dal  nume» 
ro  delle  prime  dodici  città  etrufco— campane  ho  efclufe  ,  mea- 
tre  ipar  che  Strabene  vi  abbia  efpreHamente  inclufa  Teano,, 
e  Velico  Patercolo  accoppia  apertamente  Nola  con  Gapua  . 
Ed  io  fon  pur  certo,  che  che  fi  dica  il  Pellegrino,  che  Tea- 
no, benché  portap  abbia  l'aggiunto  di  Sidicino  ,  di  origine 
«trufca  fia,  e  dai  Tirreni  ftabiliri  nell' Opicia  fia  ftata  edifi- 
«ata  nel  luogo,  ove  i  Sidicini,  popolazione  opica,  dimorava- 
no .  Efla  fu  detta  Stdicìno .,  come  Capua  Ofca .  Ne  fegui- 
r'a  ,  che  Capua  fu  fondata  dagli  Opici  ?  Ma  egli  è  incon- 
traftabile ,  che  Teano  non  fu  nell'Opicia  propriamente  det- 
ta ,  vaie  a  dire  ,  non  fu  nella  Campania  Capuana  .  Il  di- 
Hiofìrano  le  parole  degli  ambafciadori  Capuani  al  Sena- 
to di  Roma  .  Tu  poco  ,  dicevano  ,  che  le  nollre  legioni 
furono  una  volta  nel  contado  Sidicino  ,  un'altra  nella  Cam- 
pania ftefia  fconfirte  (i).  La  diflinzione  del  luogo  delle  due 
rotte  fa  veder  chiaro  la  feparazione  dell'  agro  Sidicino  dalla 
primitiva  Campania  .  E  poiché  i  Sidicmi  furono  f  unico  ra- 
mo degli  Opici  ,  che  fopravviffe  al  diftruggi mento  della  na- 
zione, come  attefta  Strabone  (2)  ;  forza  è  di  penfare  -,  che 
Teano  furfe  lunga  Itagione  dopo  che  i  Tirreni  fi  furono 
dell'  Opicia  impadroniti  .  E  quando  lo  fleflb  Geografo  affer- 
ma , 

(i)  Parum  fuìt  ,  quod  femel  in  Sld'rcìno  a£ro  ,  Iterum  in  Campania  ipja  le- 
giones  lojìrae  cecidere .   Liv.   Ilb.    V\l. 

(i)   Lib.   Ve.   I   n.  7.  'sTSj  (Te  Osku   Kainramr  «•Se»;   ii<.Xt\oi'!ros . 


4T 

m^ì.  che  Capua  è  realmente:  capo  dell'altre  ,  perchè  quefte 
fono,  anzi  che  no,  picei  li,  callelli  in  confronto  di  efla,  fal- 
Yo  Teano,  Sidicino  ;  ciò  fi  vuol,  inr^indere  del  rein^jo,  in  cui 
Capua  lu  la  prima  cir:h  tiella.  Gampjm'a  in  lignificazione  più 
larga,  nel  qual  tempo  erano  l'altre  a  fronte  di.  ki  picciole 
affai;,  e  T(.'ano  Sidicino  era  citià  di  gran  nome  (i). 

Di  Nola  è  molto  vario  il  parlar  degli  antichi:  chi  la  dà  ai 
Sanniti,  chi  ai  Campani.  Ma  fé  fi  ponga  occhio  alla  diffe- 
renza de'  tempi ,  fi  potrebbero  di  leggieri  conciliare  le  oppo- 
fìe  opinioni .  Ella,  è  di  origine  etrufca  ,  ma  fuori  della  pri._. 
witiva  Campania  ;  è  nella  Campania,  allorché  quella  fi  di-~ 
Iato  da  tutti  i  lati.  Agli  Etrufchi  fu  tolta  dai  Sanniti.  Del 
refto  Velleo  medefimo  dimpflra,  che  non  fu  da' Tirreni  fon- 
data nel  medefimo  tempo  che  Capua,  almeno  fecondo  il  dir 
•di  Catone  ;  Capua  fu  da  Tofcani  edificata  ,  e  qualche  temp» 
dopo  anche  Nola  (2)., 

Spero  ,  che  a  temerità  non  mi  fi  aferiva  di  aver  voluto 
entrare  in  lizza  col  Capaccio  ,  e  col  Sig.  de  Attcllis  ;  e  dì 
aver  ofato  far  quello  ,  che  non  osò  il  celebre  Pellegri- 
no .  Egli  dopo  aver  rifiutata  l'opinione  del  Capaccio  ,  non 
volle  in  mezzo  a  tanta  ofcurità  tor  fopra  fé  di  decidere,  quali 
fiano  ftate  veramente  le  prime  dodici  colonie  Tofcane  .  Io 
però  nel  proporre  le  mie  congetture  non  mi  fono  di  lunga 
«ano  dalle  lue  idee  appartato  fulla  confinazione  dell' Opicia, 
o  fia  della  Campania  Capuana.  Era  inutile  in  confeguenza, 
che  ivi  cercaffi  ,  e  non.  altrove  ,  le  undici  città ,  di  cui  Ca- 

pua. 

(0  Efia  è  veramente  capo  dell' altre ,  dice  ii  Geografo  nel  luogo  citatodi: 
fopra,  fecondo  l'or  gine  del  nome,  poiché  l'altre  riputar  fi  potrebbero  pic- 
cioli callelli,  anzi  che  no  .  in  confronto  di  lei  ,  tranne,  Teano  Sidicino  ,  è 
è;vidente  che  favella  di  ciò  che  erano  a'  tempi   fuoi . 

C.^),  CppuarH:  ab  eisdem.  conditam  >  ac  fubinde  Nolam , 


4« 

pua  eia  capo.   Or  in  qael  contorno   non  altre  clttk  fi  ritto. 

vano  nominate  dagli  antichi  ,  e  antichiffime  riputate  ,  fuori 
di  quelle,  che  vi  ho  poite.  Se  la  confinazìone  dell'Opicia  è 
qua!  altrove  hu  diivoikaro  eff,;re  (lata  ,  Te  la  Campania  Capua- 
tu  era  in  origine  tra  tjui'  confini  rinchiufa  ,  che  io  le  ho 
dati ,  lenza  aver  gli  oc^hi  di  lince,  fi  potemo  in  qu^-Iie  ter- 
re ra^'vifirs  ie  prima  Citta  piantate  dajli  Etrufchi  ,  fenza 
wa  portarli  di  primo  lancio  fino  a  Nocera  e  Sorrento,  come 
ha.  t-itto  il  Sig.  eie  Attellis  ,  e  fenza  ri^nanerfene  fenza  ra- 
g'one  in   furi»;,  cum?    ha  creduto  dover  tare  il  Pellegrino. 

Furono  l'.unqne  dodici  le  prime  Coionie  Etrufchc  cui  fta- 
bi  ite,  perchè  il  d.jd  ci  era  preflb  i  Tofcani  nuinero  facro  ed 
augurale  .  Ciafcuna  di  effe  vivea  da  fé  con  proprie  leggi  ,  e 
da  proprj  magiiìrati  governata  in  quanto  all'interna  ammì- 
nilirazioae.  Ma  erano  fra  loro  unite  da  i  legami  di  una  con- 
fedeiazione  ù  llreita,  che  formavano  un  popolo  folo,  la  cui 
falvezza  era  nella  falvezza  di  ciafcuna  ri  polla,  e  la  caufa  e  T 
interelVe  di  ciafcuna  era  caufa  ed  intereffe  di  tutti  .  Quindi  a 
tutta  la  nazione  prefeJeva  un  Supremo  Maiiilfrato  col  nome  di 
Meddidutico,  il  qu.de  eleggevafi  a  voti  comuni  niella  dieta  ge- 
neiaiii  della  nazione,  la  quale  co<Tventu$  Can-pAnorum  vien  ap- 
pallata da  Ci  erone  ,  e  da  Cefare  .  Poteva  il  Meddiltutico 
ekggrn,  tra  personaggi  pù  illuilri  di  cadauna  delle  dodici 
ciità  ,  e  teneva  fua  fede  in  Capua  ,  metropoli  della  nazione 
ctrufcc — campana.  Gli  affari  politici  e  militari, che  rifguar- 
davano  i!  ben  eflere  e  la  falute  di  tutta  la  nazione  ,  e  le 
fue  relaz  oni  colle  nazioni  vicine,  erano  nella  generale  affem- 
blea  dilculTi  e  riroluti,e  l'efecuzione  ne  apparteneva  al  Med- 
diflut'co,  e  in  Capui  rifcdeva  ,  allorché  fu  da' Romani  pollo 
l'alfed  o  a  Cafi'.ino. 

Pofliamo  di  qui  render  ragione  della  differenza,  che  fi  of- 
ferva  tra  le  antiche  monete  delie    città  Campane  ,   che  fono 

di 


49 

dì  Hi  dal  Volturno  ,  e  quella  delle  citt^  campane  che  foi.o 
di  qu^  .  Oflerva  il  Sig.  Daniele  (il,  che  nelle  monete  ami- 
che delie  città  campane  irasvolturnine  ,  come  di  Calvi  ,  di 
Teano,  di  SclTa  non  (1  vede  uniformith  di  fnnbali  colle  mo- 
nete di  Capua  ;  laddove  nelle  monete  delle  cifth  trasvoltur- 
nine  ,  come  di  Acerra  ,  e  di  Galazia  ,  e  for'e  a^  cera  di 
Suell'ola  ,  di  Atella  ,  e  dell'altre  ,  le  monete  di  qu'lte  efi- 
fteflero  tuttavia  .  Ed  e'  confeffa  ing^nuimeite  dj  non  pote- 
re all'ignar  la  rag'on-  di  qu.-fto  divario  .  Ma  non  è  difficile 
a  paier  trio  d' intenderla,  fé  fi  rifl'tte  all'origine  ed  alla  pò- 
litica  cond.zione  delle  città  cisvolturnine.  L:;  prime  dod'ci  cit- 
tà etruf^he  della  Campania  formavano,  com  ;  abb'an  detto, 
un  fol  popolo,  eJ  ubbidivano  ad  un  capo  ,  che  a  tu'ta  la 
razione  lopraflava.  Era  dunque  naturale,  che  i  medefimifiin- 
boli  adoperaflfero  nelle  monete.  Or  abbiani  dimollrato  ,  cha 
Acerra  ,  Cjlaz-a  ,  Su^ffola  ,  ed  Atell.i,  citta  trasvolturnioe , 
furono  delle  prime  dodici  colonie  eiru^ch^  ,  ubbidivano  al 
Meddiftutico  ,  e  riconofcevano  per  metropoli  <'apua  .  All'op- 
pollo  Sefla  ,  Calvi  ,  Teano,  pofte  di  là  dil  Volturno,  erano 
fuori  della  Campania  Cipuana,non  era  io  del'e  prime  dodici, 
e  furono  o  conquilie,  o  fondazioni  poH^riori  degli  Erru^clii, 
come  furono  tante  altre  città  di  qua  dal  VoUu'no  .  Quelle 
dunque  non  formavano  un  fol  p' polo  con  gli  Eirufco— Cm- 
pani;  e  non  entrav.mo  n;l  ffte.na  federativo  di  Capua.  Ec- 
co per.hè  u'arono  fimboli  p.irticolari  e  pr'p'j  ndle  monete. 
Ben  è  p.»rtanto  ,  che  queOa  d  fF?renza  cflrer\ata  d.J  big.  Da- 
niele è  U'i  novello  argomento  a  prò  delli  fentenza  ,  che  ho 
efpofla  ,  intorno  alle  prime  dodici  colonie  tirraiichi  nell' 
Opjcia. 


Tonj.Il.  7  SULL' 

0)  Numi/m.  Camp. 


♦■^ 


SULL'   INVENZIONE 

DELLA  BUSSOLA  NAUTICA 

RAGIONAMENTO 
DI  PIETRO  NAPOLI-SIGNORELLI 

Segretario  perpetuo  della  soc. 

PONTANINANA    (i)^ 

Dal  cuor  dell'  una  delle  Itili  nuove 
St  mojje  v'ce  chs  /'  ago  alla  fts  Ila 
Tarer  mi  fece  in  vol.:ier>ni  al  fuo  dove  ^ 
Dante"  Farad.  Xil. 

Sic!)Ovpnti  fiate,  Colleghi  illufori,  di  lafciar  mi  occorfefdl 
buon  grado  più  voice  e  non  volendo  talora  )  qjelta  patria 
diletta  e  di  ri  ed -ria  pofcia  Tempre  mai  con  nuova  gioja  e 
con  nuu.o  trafporro  di  filial  tenerezza.  Vidi  in  fimili  oc- 
correnze a  più  r  prefe  ]?  primarie  cit'h  d-U'Ital'a  e  dell' 
liitima  EipC'ia  e  ce  la  Francia,  e  mi  toccò  fovente  d'in- 
rarcar  le  ciglia  rngol..rmente  in  Roma,  in  Milano,  in  Fi- 
renze, in  Venezia,  in  Madrid  e  nel  grjn  Parigi  .  Né  po- 
tei nel  perconerne  le  parti  più  imperlanti  n^n  illupire  di 
tanti  predigli  d-Ue  arti  che  rinferr.in'j,  d' innu  n  ^rabli  ef(»- 
ticha  e  dom'vì.'tich?  dovizie,  di  che  fa;r.-.o  i  1  )ro  Mu'-i  tef)- 
ro  ,  (li  cento  in 'egnole  m.icciiine  e  il'-imenti  fifìci  ed  aftro- 
nomici  ,  onde  abbondano  tar-te  Biblioteche,  Gabiu^nti  ,  Tea- 


tri 


(0  Letto  nella  feduta  de'  jo  fettembre  1810, 


52 

tri  anatomici,  Tflìtutì  nazionali  ed  Oflervatorii .  Mifìo  al  du 
letto  che  me  ne  ridondava,  mi   fi  prefentò  talora  ala  man- 
te, quafi  noa  volendo,  la  nuditk  e  la  raiferia  d-ella  vita  Tel - 
valigia  fofpirata  ed   elaltata  per  filofofica  oltentazione  dal  ce» 
lebre  Ginevrino  ,  e  la  comparai    di   volo    colle    meraviglie  , 
co' ritrovati  e  colle  dolcezze  della  fjc:al3 .    E.   di  p^nfiere  in 
penfiere  quindi  elevandomi,  avvennemi  fpeflb  di  rifiutere  tut- 
to folo  full'  Uomo,  e  di  efclam.ir  con   islancio    non    volon- 
tario, l'Uomo!  .  .  .  Quanti   prodigi!  quella  voce   in  fé  non 
raccoglie!  .  .  .  Grande,  Tublìme,  ammirando  fpsttacplo  Tem- 
pre agli  offervatori  'Helle  meraviglie   che  ne  circon  'ano!  Pro- 
duzione di   poco  fango  di   uno  de'  più  piccioli    globi    vagami 
ài[  noftro  (clare  (li'ema  :   nato  nuio,    debole,,   inerme  nella 
claOTe  degli  animali,,  alleìiato  da    moli'plici   bif'^ni,    iniidia- 
to  da  ceato  e  cento  poderofe    razze    ferine  ;    1'  Uomo   vince 
ogM  oftacolo  che  gli   rjfilte,  e  Io   refpinge  ,  p'ovvede  alla  fua 
fudi'lenza,  dima  i^li  avver'ani  ,  O-cupa  campi,    edifica,  po- 
pila.,  reg-a,  e  corti uifce   la  ftupen-la  mole  del   mondo  civile 
delle  nazioni ,  che  forma  i' eteno  fuo  elogio  e  l' ellafi  de'fe- 
c  li   ammiratori  ►  Alza  queft'eff^re   prodigiofo    lo  sguardo   fa- 
gce  verfo  i  cielr,    e  vi  contempla    e  adora    una    fapienza  e 
una  po'enza    infinita    e  una    provvidenza    incomprenfibile,    e 
v'  incravvede    !e  perenni   leggi  che  contengono  nelle  orbite  le 
5ram,enfe   moli     che  rotano   nelio   fpazio  ,  e  vi  fcorge  le  co- 
fianti  rivoluzio.ni  delle  Ragioni    e  deg'i  anni  ,    e    le    ofcura- 
zioni    per  o.nche  e   le   prodigi  fé  de'  grandi    e    de'  piccioli   lu- 
minaci,,  e  gli  apparenti   errori  di  altri  corpi   per  lonian  ffime 
cllilfi  o  paiabole  da    noi  divifi  ,    antivendendone    il    ritorno 
dooo  p  ù  centinaia  di   anni,  attendendolo    con  fcurezza  fulla 
fede  di  cilcolo  ,    rived>'ndoli  lenza  ftupirne    e  con  di'etto  . 
Sc-nde  colla  corten^plazione    entro    T  ombrofo     gren~bo  della 
terra  che  io  ioitiene  ,  e    ne  divifa    fcortamente    gli   ftrati  di 

tex- 


terfnì,  ^\  arjj'lle,  di  f-'dfpati,  di  pietre  calcaree,  cìi  grani- 
ti ,  di  felci  ciie  ne  cornpo.T?&no  la  mafla  ,  e  vi  ravvila  in- 
tepido  folfi  ,  fall,  piriri,  nitri,  nafte  che  vi  fi  accendono, 
e  metal!  e  balanite  e  cnitalli  e  gemme  che  vi  luccicano  , 
e  me  aicora  voluaii  immcii!:  di  inaeftolì  fiuni  che  ihcL-ffan- 
te  ente  .ip-p-jrtano,  può  dirli,  anzi  che  tributo,  guerra  all' 
O  .ano.  Jn  vano  la  natura  rinferia  i  fuoi  mill'.riofi  arcani 
n'=:ile  vifcere  djlli  terra  ,  quafi  involar  gli  volefle  all'umatia 
f.i.a  ith,  ovvero  fluzzicarna  1'  induliria  p-rchè  più  cari  gli 
rjnda  la  fatica  di  rintracciarli.  Invano  afiCoia  la  natura  con» 
gegna  i  corpi  di  parti  eterogenee,  e  di  tenebrofi  involucri 
gli  ricopre.  Franco  e  coraggiofo  l'Uomo  gli  affronta,  gli 
efamina  per  ogni  banda,  vi  s'interna,  gli  decompone  ,  ne 
rileva  le  bafi  e  gli  elementi,  ne  diftingue  le  particelle,  ne 
deduce  le  proprietà  ,  e  ne  manifefla  il  veleno  che  uccide  e 
l'antidoto  che  rifana  e  conferva  la  vita.  Gli  Stahal  alcua 
tempo  e  i  Boeraavi  e  i  Prieifley  ,  finché  durò  il  flogifto  , 
indi  i  Morveau,  i  Lavoifìer,  i  Fourcroy,  i  Ghaptal  ,i  Bru- 
gnarelli,  inclita  progenie  dell'uomo  invefi'gatore  indefelTo  , 
fottopongono  ai  loro  chimici  Javoratoni  i  tre  gran  corpi,  e 
{cernano  ad  ogni  palfo  che  danno  il  numero  de  mille  i  na» 
turali, ed  aumentano  i  vantaggi  che  procacciano  alla  propria 
ra'zi  le  loro  feliLiffup.e  fccpirte.  Armoto  pqfcia  l'uomo  di 
fé  Delfo  e  delle  a.quiflate  cognizioni  foddisfarto  benché  non 
faz'o  e  ricco  d'ingjunofi  ritrovati  corre  prima  con  lo  sguar- 
do fin  dove  giugne  fui  mare  ,  indi  con  pini  audici  apre  in 
ogni  fenfo  dovunque  fpaz;a  tjuelto  inieiminabile  elemento 
che  la  terra  circonda  e  loveote  imperiofo  dis'?iunge  e  fre- 
mente ad  ogni  iftante  minaccia. Ed  in  fitti  allorché  cre'ciu' 
ta  l'ard  ta  razza  umana  fi  divile  in  tante  ord;  v.4g>nti  ,  e 
col  nome  or  di  Peiasgi  .  or  di  Tirri?ni  ,  or  di  Fenici  e  di 
Tufci  ed  Etrufd  e  Greiefi,  corfe  per  le  colte  bagnate  dal  Me- 

di' 


1* 

diterraneo  ,  quale  effer  non  dovette  la  Tua  baldanza  o  ca-" 
raggio  che  dir  fi  voglia?  Qual  petto  cinto  e  ncitito  d' ac- 
Ciajo  non  palesarono  quegli  argonauti  che  valicarono  l'En- 
fino diligendoli  alla  ColchiJe  in  traccia  di  lontani  tefori  che 
favoleggiando  comprefero  fotto  l'immagine  di  un  vello  d* 
oro?  Le  Cicladi  ft-mpre  fonanti,  gli  Ar£"pelig'ii  procellofi  , 
i  vortici  del  Siculo  mare  ,  non  isbigottirono  gli  Anten  ri  , 
gli  Evandri ,  gli  Uliffi.  E  qual  coftanza,o  fortezza  nan  ma- 
;nifeflcirono  ìi  fchiatte  Fenicie  della  Giudea  e  di  Tiro  che  gi- 
rono in  traccia  dille  m  ni^re  di  Ofir  e  di  Tan'o  ?  Che  feb- 
berte  ulteriori  meno  lontane  cognizioni  abbiano  diftrutta  l'an- 
tica credenza,  che  tali  contrade  collocate  folfero  verfo  l'eftre- 
mita  dell'Indie  Orientali;  pur  non  dovette  il  ricercarle  co- 
flare  a  que' naviganti  fatica  leggiera, an  orche  lituate, come  or 
a  reputaoo,nel  reame  di  Sofala  in  Africa  oggi  ancora  iici,adi 
abbondanti  miniere,  giacché  impiegavanfi  in  tal  viaggio  ben  tre 
anni  (i).  Ma  qual.  meraviglia  recar  mai  dee  che  si  gran  tempo 
e  tali  'perimenti  e  diligenze  et  Zafferò  fimiii  viaggi,  se  Iacea 
m<JÌtiere  pt-rcoirerfi  tutti  i  feni, tutti  gii  pngoli  entranti  e  fa- 
llenti d'Ile  maritime  pendici,?  Qual  meraviglia  che  tanti  fe- 
coli  di  ricerche  e  di  vifite  occorr.flero  per  conofcerfi  il  vec- 
Ciiu  n>oado  ,  mentre  cominciava  a  pre  entirfi  l'ehftenza  di 
un  nuovo  continente?  Si  fprfero  anni  ed  anni  a  ceniinaja  a 
irisliaja  nelle  Tuccs-irue  inveiriga.'zioni  ;  ed  ora  apparve  una 
punta  ,  ora  un  (eno  nel  m.onte  chve  s'  incurva,  ora  ifolato  (1 
icoperfe  un  grande  fcoglio ,  quando  gittofTì  l'anc'jra  in  una 
radi,  quando  fi  afferrò  un  bei  porto,  una  colonia  Oabilitìi  in 
•unj  contrada  atta  a  nudrirla  ,  altr.^  (e  ne  fpedirono  in  bu- 
fca  di  nuove  terre  ,  di  rifugio  e  di  ricchezze  in  altro  cielo. 

Ed 

(i)  Legger  vito!(l  la  navigazione  di  Salomone  pteCfa  Huet  vefcovo  d'Avran- 
ches  cap.  vjjj  ,  n,  j  . 


55 

J.Ì  allora  che  Abila  e  Calpe  coftrìnfero  gli  antichi  nocchie- 
ri ad  arr.miirar  le  vele, ad  attaccar  le  gomene  a  quelle  ter- 
re ,  efitar  dovettero  per  anni  molti  prima    di    tentar  la  fco* 
pena  dell'Atlantide  che  per  vaghe  notizie    e    dubbie  conget- 
ture prefentavafi  all'avida  loro  fantafia  (i).Ofarono  p^r  av- 
%entura  taluni  falpar  con  mal  fjfidato  arliinento  e  fidarli  ali*' 
intentato  mare,  e  perir  vi  dovettero;  mentre  si  tri  meno  audaci 
o  meno  ingordi  arreltaronfi   fulle  (pende    bagnate  dallo  ftret- 
to  Gaditano  e  fondarono  Tartefo    o   Ca-teia    (2);    e  quindi 
colla   (coperta  non  pericolofa  delle  ubeiiofe  miniere    d'i'  Pire- 
nei corfero  altrove  a  dare  i   propri!    nomi    ed    a   confonderli 
in  altre  regioni  con  coloro  che  fé  ne  credettero  gl'indigeni- 
A  forza  di  tentativi  iniruttuofi  ben  dovette  l'antichicà  av- 
vederfi  dell'  infifficienza    de'  prcprii  -Jegni    per  ifparg.rfi    in 
mezzo  all'  Oceano  :  ben  fentir  dovette  la  mancanza  de'  mez. 
2i  per  gire  oltre  fenza  smarrì rH  .  Affirurato  talvolta  qualche 
nocchiero  da'  venti  etefii  che  fpiravano  coffantemente    da  al- 
cune fpiagge  fenza  cangiarfi ,  ardi  abbandonar  le  cofle  e  cor- 
rer pel  golfo  Arabico,  ceno,  per  la  lunga  efperienza,  della 
collanza  di  que' venti.  Mentre    gareggiavano    naviganti   Egi- 
zi! e  Siriani  per  difendere  nell'Indi-;    il    loro    commercio  , 
Ippalo  che  comandava  un  legno    dell'  Egitto  ,    fu    il    primo 
(  dice  Ariano  di  Nicomedia   )    che    efaminato    il    fito    degli 
tmporii  e  la  figura  di  qu:lle  acque,   fi  fpinfe    in    alto  mare 
fpirando  dall'occidente  il  vento  periodico    eh?    vi    domina  « 
pervenne  a  Mufiri  oggi  detta  Coda    del  Malabar  ''3);    e    fu 
talmente  notabile  e  quafi  fing. ìlare  qucrto  felice  trafitto  che 
il  nome  del  nocchiero   pafsò  all'ifleilb  vento,    che  da  allora 
Jppalo  appelloflTi  (4j .    Ma   qualunque   altro  forfè   nien  deftr© 

cui 

(0  Ne  fecero  motto  Pla'one  ed  Eliano. 

(2)  Strabene.   Pomponio  Mela,   Plinio. 

(5)   Robertlon   ''ùfrjuts.   Hifì.  (nucemìrms  the  ancìeiis  India,  not.  Il- 

{4)  il  citato  Ariano  nel  ttriplo  del  Mar  RojJ'o ,_ 


cui  ùlh  tal  foccorfo,non  ardi  avvanzarfì  veì-fo  eli  una  meta, 
di  cui  ignorava  la  diftaoza,  allorché  folcili  nembi  involavan- 
gli  ogni  Itella  e  correva  manifefto  rilchio  di  torcere  dal  cam- 
jnin  dritto  o  di  girar  deviando  da' lati  o  di  tornar  indietro 
in  vece  di  gir  oltre. 

L'uomo  adunque  benclrè  al  fommo  iotraprendenre  circai 
ferine  la  fua  navigazione  ad  una  parte  ^  né  multo  eftefa,per 
lo  più  littorale,  del  noflro  emisfero,  rifoluto  di  non  paflTare 
all'altro,  Te  di  Icona  fida  e  di  più  confifìeoti  navi^ij  non  fi 
foraifle.  E  pur  di  quello  al  fine  venne  l'uomo  a  capo!  E 
lo  fulcò  al  fine  fenza  ribrezzo  e  con  tuira  fidanza  queft'  in- 
domabile Oceano;  e  più  volte  girò  intorno  all'  intero  glo- 
bo ;  ed  ora  e  va  e  riede  a  fua  polla,  e  dorme  fonni  tran- 
quilli non  vedendo  che  cielo  ed  acqua  ,  e  traffica  e  cambia 
i  prodotti  de' iuoi  talenti  e  delle  terre  che  conobbe  prima, 
con  quegli  antipodi  che  Agoftino  fuppofa  immaginarli  . 

Ma  chi  tanto  fece?  ed  in  qual  guila?  e  quando?  Non 
venne  a  noi  verun  Mogollo,  Indiano,  Arabo,  Cinefe,  Caf- 
fro,  P.-ruano  o  llafcalteia,  ad  iftruirci  del  redo  del  nollro 
globo.  L'anima  baldanzosa  che  intravide  un  altro  mondo 
che  tentò  dlfcoprirlo,  che  impavido  pa'sò  la  linea,  nacque 
in  Europa,  in  ItaUa,  tra' Liguri  ;  ed  attoniti  co' proprii  oc- 
chi lei  videro  i  Tifi  d.lla  Gran  Brettagna,  del  Portogallo  , 
delle  Spagne,  della  Francia.  E  qual  degli  aTtichi  e  de' mo- 
derni navigatori  i^ra  dimenticare  il  nome  di  Crilloforo  Co- 
lomSo,  fpirito  raro  incomparabile  che  lottando  con  un  ma- 
re che  aitri  g!an^«idi  non  corfe  e  coli' ignoranza  e  coil' in- 
vid'a,  dopo  aver  previfta  1  efillenza  di  un  nuovo  m  ndo  , 
avventurò  fé  ftv-ffo  all'  aib'trio  di  un  abifìo  di  acque  e  per 
mezzo  di  effe  guidò  l'audacìffimo  vafcello  colla  ferenita  del 
fa?g'o,  colli  coliànza  del  torte,  colla  iuhìimir'a  del  gen.o  . 
Né  a  lui  dobbiamo  meno,  fé  dietro  alla  fua  fcorta  correndo 

la 


S7 
la  ftefla  via  girono  ancor  più  innanzi  i  Cabottr,  i  Verazza- 
ni,  i  Vefpucci  Italiani  anch' effi ,  e  quindi  i  Magellani,  i 
Cook,  i  La — Peroufe,  e  tanti  altri  Portugheli  ,  Francefi ,  Ba- 
ravi, Ingleli ,  ai  quali  famigliare  divenne  il  nujvo  emisfero, 
ed  innoitrandoli  nel  Mar  Pacifico  difliparono  mille  «rrori  ,  e 
colla  fcoperta  della  nuova  Olanda  che  trovarono  effir  divifa 
in  due  gran  parti  ,  rendettero  evidente  la  continuazione  del 
mare  dove  fuppooevafi  uaa  nuova  terra  ,  e  la  continuazione 
poi  della  terra  rinvennero  dove  credevafi  che  un  nuovo  ma- 
re  efifleffe. 

Quella  ferie  di  fatti  lumìnolì  faguiti,  può  dirli,  io  poco  pii 
di  circa  tre  fecoli  ,  non  im^'icciolifce  i  tenutivi  dell'antica 
navigazione  agli  occhi,  non  che  de' volgari,  del  filofofo  im- 
parziale, ad  onta  di  chi  tutto  rifonder  vorrebbe  agli  antichi? 
Non  mortra  che  un  mezzo  ignoto  all'  antichitìi  predò  i  van- 
ni agli  abeti  Europei  per  efeguire  in  un  periodo  non  eftefo 
di  anni  quel  che  in  più  ceiitinaja  di  fecoli  non  feppe  effet- 
tuire  l'antichità  remota? 

E  come  fi  pervenne  a  difcoprire  quel  gran  m^z^o  oide  (i 
menò  a  capo  il  memorabile  pairiggio  ?  Ln  rivelazione  non 
r  inlegnò  ,  perchè  l'Autore  d.li' univerfo  co' fu  .i  oracoli  fu- 
'  premi  foccorfe  l'umanità  ,  pir>;hè  nulla  le  mancafle  per  tro- 
vare il  cammino  dell'eterna  falute  ;  ma  lafciò  all'attivitìi 
dell'uomo  lo  fcoprimento  degli  arcani  naturali. 

Adunque  appellan.Io  l'uomo  a  ("e  flMlo  e  alle  forze  onde 
l'Bnte  fupremo  lo  forni,  provvide  a' Tuoi  bifogni  e  ai  como- 
di ed  ai  piaceri  eziandio  .  E  quanto  alla  navigazione  (  mi 
fi  permetta  di  far  qualche  momento  da  indovino  )  parmi  ch2 
r  uomo  trafficante  dovette  avvifarfi  d'interpellar  l' uomo  filo- 
fofo  ,  in  prima  full'efìftenza  di  un  mondo  ulteriore  al  di  là 
delle  Colonne  dette  di  Alcide  ;  e  1'  uomo  filofofo  rifalendo 
a' primi  paffi  dell' aflronomia  fatti  nell'Egitto  e  nella  Caldea, 
Tom.  II.  8  affi. 


1^ 

afficurato  della  sféricitti  della  terra ,  affermò  che  efirter  certa-- 
mente  dovea  un  continente  forfè  molto  più  eftefo  di  quello- 
che  conobbero  i  Fenici  ,  i  Pelasgi  y.  ed  i  Tirreni .  Il  traffi- 
cante paffando  innanzi  faper  volle  ancora  ,  fé  modo  efTer  vi 
poteife  di  condurre  un  legno  per  mezzo  d-jli*  aperto  Oceano^ 
fino  a,,  fcoprire  il  rimanente  del  globo  con  probabilità  di  ri- 
torno; e  l'uomo  filofofo  dovè  indicargli  la  neceflita  di  propor- 
zionare: innanzi  altro  la  folida  confidenza  del  legno  all'im- 
petuòlha,  delle  acque  che  givanfi  ad  affrontare  ;  ed  indagar 
poi  qualche  via  da  tragittar  quello,  mare  ,  e  gir  diritto  allo. 
Ìqo  pò  ancor  quando  le  ftelle  fi  occultano,  e  tutto  è  notte  ed 
acqua..  Ardua,  imprefa!  .  .•  Ardua  pur  troppo,  ma  neceffa- 
ria  ,. .  .  .  Ma  poffibile?  .  .  ..  Chi  fa  !.  Tante  fono  le  occul- 
te  proprie:a  delle  materie  componen.i.  il  nolfro  globo  ,  cha 
potrebbe  accadere  di  rinvenirfL  qua'che  analogia  tra  alcuna 
produz  un-  terrena,  già  nota  e  le  celefU  ignote..  Da  che  fi 
disviluppò  l'antica  confufione  d-lle  cofe  (  diceva  un  poeta 
che  fìlolofava  )  la.  terra  ritiene  cognati  femina  codi  :  accol- 
gonfi  in  tonta  diftanza.  i  raggi  della,  luce  folare  che  in  fette- 
foli  minuti  a  noi  difcende,  fino  a  produrre  un  incendio  :  la 
luna  ed  il  fole  infljifcono  potentemente  full' eflo  del  mare  :  non 
è  ornai  dubbia  l'analogia  dell' elettricità  col  fulmine  che  iix 
aria,  fi  accende,  e  col.  tremuoto  che  fcuote  le  città  e  le  mi- 
naccia dal  feno.  de'monti  e  dil  fondo  de' mari  (i):  non  fo- 
]p  vegeta,  negli  orti  un'erba  che  par  che  fenta  e  che  rifug- 
ge djl  contatto,  della,  mano  che  al  fine  non  l'è  lontana  ,  ma 
un  fi^re  volgefi  al  fole  dovunque-  la  terra  rotando-  fel  condu- 
ca: qu  Ila  nera  piatta  chi  da  molti  tienfi  per  una  fpecie  di 
diamante  ,  con.  meravigliofa  affezione  tira  a  fé  il  ferro,  ej  ad 

elfo. 

Ci)  Uri    eccelletite    defcrizione    fé    n?.   ha    nella   quedione  IH' dell' Ottica, 
C  ilacco.  Newton  ». 


'eflb  comunica  la  propria  forza  attraente.  E  chi  fa  che  il  tem- 
po ed  un'aflldua  oflervazione  non  difcopra  un  giorno  in  s\ 
attivo  produtio  dell'India  o  di  altro  paefe  ancora  ,  qualche 
proprietà  novella  onde  il  marinajo  poffa  giovarfi  ?  .  .  .  . 

SiiTiili  cenni  che  il  navigante  potè  trarre  dalla  naturai  fi- 
lolofia  ,  Huzzicarne  vie  più  dovettero  la  curiofuàj.e  nel  cor- 
fo  di  tanti  fecoli  a  forza  di  fpiare  e  fperimentare  dovè  con- 
durfi  a  icopr  re  nella  IlelTa  calamita  la  proprietà  collante  di 
voigerfi  al  Polo  ignota  al  certo  fino  a' baffi  tempi,  che  l'affi- 
curò  di  un  punto  del  cielo  da  regolare  il  fuo  corfo  anche 
ncir  ofcurita  .  Gli  antichi  naturaliiti  Ariftotile  ,  Teofralto  , 
Eliano ,  Plinio,  nulla  ne  feppero;  niuna  traccia  ne  conferva- 
XiO  i  libri  che  ce  ne  rimangono  ;  la  qua!  cofa  obbligò  gli 
antichi  naviganti  a  lim  tare  i  loro  viaggi  dentro  del  Medi- 
terraneo fenza  abbandonar  le  code  .  Il  desino  del  Trojano 
condottiero  de'inileri  avanzi  dell'ira  di  Achille  ,  fu  quello 
degli  antichi  nocchieri  che  trovavanfi  fmarriti  toflo  che  gli 
iitìri  loro  lì  occultarono  : 

Jpfe  (Item  >2.ìHtmque  negat   dìfcernere  coelo , 
Nec  memitiijjfc  viae   media   PaHuurus   in  u'ida . 
Torto  dunque  non  ebbe   l'erudito   Abate  Trombelli  nel.'a  fui 
d;liertazione  in  cu-i  fi  oppofe  al  dottiffimo  camalJoL'fe  Anto- 
nio Collina,  il  quale   folteneva  che  la  bullola  nautica  non  fu 
ignota  agli  antichi  (i). 

Pr  ma  però  che  dall'ignoranza  dell' antichità  intorno  alla 
polarità  della  calamita  fi  palla  Ile  a  faperla  applicare  alla  na- 
vigazione, e  che  fi  maiuralVe,  ed  accertafle  per  l' efperienza 
il  grande  eifetio,  corfervi  fuor  di  dubbio  di  mola  anni  .- Ne 
volò  <ii  voce  in  voce  la  notizia  come  un  arcano  ,  e  dovun- 
'^-^  *  <3"e 

(ij   Lcaeonfi  le  due  diffcrtazicni   ne'  Commentirii  dell'  .'Iccaiìmia    dell'-ifti- 
luto  di  Bologna  voi.  JI  pan.  Ili , 


6o 

<|U2  fi  udì  fvigliò  la  boria  dì  appropriarfene  la  fcoperta , 
Ma  quando  ?  Dopo  che  qualche  abile  nocchiero  fi  avvisò  dì 
valerlene  navigando  col  porre  fu  di  una  feliuca  o  di  un  fu- 
gherò l'ago  calamitato  e  farlo  nuotare  in  un  vafo  di  acqua, 
per  cui  fé  ne  accertò  la  collante  direzione  indicata  dal  Dan- 
te. In  mezzo  a  varii  efperirnenti  infrutcuofi  alcuno  potè  ri u- 
fcire  ,  e  fu  quello  abbozzo  un  uomo  di  genio  giunfe  a  de- 
terminar la  forma  di  una  vera  bu'JoIa  agevole  al  trafporro 
fìtuando  1'  ago  fu  di  ur»  perno  ,  e  fofpendcndo  la  caffetca  in 
cui  lo  chiule.  E'  quelta  la  vera  buflbla  venuta  infrno  a  noi 
che  ba  cangiata  la  faccia  della  terra  congiungendo  all'  antico 
il  I3U0V0  continente. 

Ma  qudl  popolo  orodufTe  queft'ooino  di  g?nIo  cui  può  con 
foni^amento  e  gìultizia  attribuirfi  il  vanto  dell'invenzione, 
giacché  gli  antichi  non  po{fono  prerentfervi  ?  Lo  cercheremo 
per  avventura  traile  nazioni  che  i:i  que' tempi  bdlTi  giacevan- 
n  tuttavia  n;lla  barbarie  inefpei-te  n^il'  arte  di  commerciare, 
di  Cuftruir  legni  e  di  navigare?  Fa  medieri  trovare  un  po- 
polo che  a  que' d'i  m-glo  nwigò  ,  che  maglio  coftruì  ,  che 
ellele  pel  motido  conofciuco  il  (no  tnfììco  ,  che  dal  IX  al 
XlII  ecolo  inclufivamente  feppe  procurarfi  (ìabi.'i menti  lon- 
tani, e  farli  legislatori  de'n^viganti  ;  e  fi  avrà  la  foluzioie 
del  problema,  fé  non  con  iielunabile  eviienza  ^  almein  colla 
probnbilttà  w-ig^tore  di  qualunque  altro.  E  poiché  la  più  fi- 
na Europa  è  convenuta  in  efcludere  gli  antichi  da  fìmil  glo- 
ria,  vedia  no  in  prima  fé  la  China  o  1' Arab'a  abbianvi  giù- 
fto  diriao  ,  e  pafleremo  ouindi  a  cercare  qual  degli  Europei 
pr  tendavi  con    maggior  fondamento. 

La  China  certamente  che  oftenta  un'  antichità  fuperiore  ai 
Caldei,  agli  Afiìri  ,  agli  Egizii,agli  Sciti, e  trentamila  anni  di 
oflervazio'ii  .t(lrononiiche,e  fi  arro'i^a  la  fcoperta  di  taiti  ritro- 
vati,  e  1' efercizio  di  cento  arti  prima  di  ogni  altro  popolo;  la 

Chi- 


6t 

China  avrebbe  potu'o  conofcere  tutte  le  proprietà  della  calami- 
ta, e  vaKrfene  per  abbreviare  i  fuoi  vidggi  maritimi .  Con- 
tuttociò  niuno  mette  in  dubbio  che  abbia  coftantemente  na- 
vigato fer)za  per'er  mai  di  villa  le  corte  al  pari  degli  anti- 
chi .  Vaglia  per  tutti  il  celebra  Robertfon  .  „  EHì  non  han- 
„  no  (  er  dice  )  n!>tizie  fjperìori  a  quelle  de' Greci  e  de' 
,,  Romani  ,  o  degli  Arabi  .  Nel  viaggio  che  erano  avvezzi 
jy  a  fare  da  Canton  a  Siras  ,  feguivano  la  corta  per  arrivare 
j,  a  Ceilan  ;  prenlevao)  pofcia  il  Capo  Gom  ?rin  ,  e  profe- 
„  guivano  lungo  la  cofla  occidenra'e  fino  all'  imboccatura 
,,  dell'Indo,  e  di  Ih  fi  dirigevano  Tempre  corteggiando  "  (i)» 
Contutrociò  una  folla  di  autori  ci  lì  fi  incontra  dichTaran- 
dofi  pe'Cinefi.  Martino  Marini  (  tralafcio  Menagìo  ,  Huer, 
Le  Gendre,  Vcrtìo,  Fournier  )  facenJo  l'ertratro  dilla  rela- 
zione di  Maiila  (2)  ,  allerifce  che  tremila  anni  prima  degli 
Europei  i  Cinefi  trovarono  la  buffola  nautica  Cj)  .  Domaa- 
diamo  però  quale  sì  remotamente  fu  coderta  loro  bufloìa  nau* 
tica  ?  Certo  curro  (  aggiugne  )  eflì  ebbero  che  additava  il 
meriggia  da  qualunque  parte  fi  volgeffe  ''4'.  Kmi  K'  i.npe- 
radore  cinefe  del  XVljI  fecole  favellando  della  butlbla  con 
Ismiiloff  ambafciadore  di  Pietro  il  grande  d  flegli  chi  1* 
direzione  dell'ago  calamitato  conofcevafi  pella  Choi  da  ben 
duemila  anni.  LuJovico  Le  Ccmte  affarmi  eh;  da  gran  tem- 
po (ì  conofcuno  nella  China  la  polvere  da  carinone^  la  /iaitì' 
p/j  e  l'  ^go   calamitato  y  arti   novi  Ile   in   Europn   ''g'. 

Ma  che  mai  rifpondono  i  patrocinatori  de' Cinefi  alle  opno- 

fizio- 

(I)   Dl/juìx.  Hi/},  toncernigs  the  Krnnoesdge  w'uh  the  ancitnt  hjve  of  IndÌHf 
tiot.   57. 

il)  Hìlhìr.  pìnìral  de  la  Chine  Paris  ^777,  lib.  IV. 

(j)   Mani-.ius  Hiiior.   Sinic.  lib.    IV. 

{4)  L' iileflb  nel  luogo  citato. 

(J)  Mimoires  fur  l' itat  prifent  de  U  Chin*  Paris  Ì696. 


6z 

Jìzionl  del  cel'-bre  Buffon  ?"  Se  i  Clnefifegn  dice  ì  conobbe* 
5,  ro  la  bufloia,  perchè  non  1' ufarono?.  Perchè  ne'  loro  viaggi 
„  alla  Cochinchina  prendevano  una  Itrada  piìì  lunga  ".  ?  E 
quando  ancor  11  conceda  che  conofcefTero  1'  ago  calamitato  , 
diremo  perciò  che  ne  comprefero  il  vero  pri.nario  vantaggio, 
quello  che  apporta  alla  navigazione  ?  Cièi  non  fanno  prefu- 
mere  le  notizie  più  accurate  venuteci  de' Cinefi  .  EfTì  lafcia- 
rono  fempre  imperfette  le  arti  che  inventarono,  o  che  forfè 
tla  altri  ricevettero  da  tempo  immemorabile.  Dipinfero  pri- 
ma di  noi  ,  e  la  pittura  è  nell'infanzia  e  goffa  p^'r  lo  più: 
Itamparooo  prima  di  noi,  ed  i  loro  libri  fono  ben  male  im- 
prcffi  :  amavano  in  tutti  i  tempi  con  predilezione  la  mufica 
che  a  fronte  dell'  Europea  dicefi  che  fembri  un  fr^ftuonj  : 
vantano  dramaii  da  tanti  fecoli  ,  e  fono  i  più  inond.ti  e 
Jrregulati  delia  terra  :  offervano  gli  aflri  (  fecondochè  oflen- 
lano  )  da  decine  di  migliaja  di  anni  ,  e  fon  tuiravia  deboli 
aOronomi  (x).  Altronde  convengono  forfè  tutti  in  credere  che  i 
Cinefi  adoperino  l'ago  calamitato?  L'infigne  Girolamo  Ti- 
rabo'chi  adduce  contro  di  ciò  la  teftimonianza  del  mi.fllanario 
Entrecolles  citato  dagli  autori  Inglefi  della  Storia  UnivsrfnL'^ 
il  quale  afferma  che  i  Cinefi  in  vece  dell'  ago  calamitato 
ufano  per  la  loro  buflbla  il  ferro  unto  di  certo  empiallro  do- 
tato della  fteffa  pola'rità  della  calamita  .  Or  come  poteva  o 
Marco  Polo  o  altro  viaggiatore  di  Venezia  recarci  ,  come 
avventurò  taluio  ,  l'invenzione  di  un  agi  calamitato  dalla 
China  .che  non  l'adoperava?  Altronde  è  provato  ,  né  il  Ti- 
rabofchi  lafciò  di  dirlo  ,  che  Marco  no»  venne  in  Europa 
prima  del  1295  ,  ed  allóra  già  vi  fi  conofceva  e  fi  ufa^a 
quafi  dapertutto  . 

Ciò    ballerebbe    per    efcludere    i    Cinefi  dal  pretendere  al 

pri- 

0)  Barrovv  Pieflo  ilirna  pochi OTioio  le  cognizioni  -afìronoiniclie  ii  Cinefi ■• 


Brimato   dell'invenzione'  della    baflbla  ,    ancor  quando   noa 
ij  volelle  tener  conto    deli'aiferzio  i;    del    rniflionario    Enire- 
coUes  che  avrebbe  bifogno  di  nuove   prove  .    Ma    un    nuovo 
campione   è    apparfo   nella    lizza    a    foflenerli  ,    cioè  il  pro- 
feffore  di  lingue    orientali    nell'  univerfivà   di  Pavia    Giul'ep- 
pe    Hager  .    Egli  aflerifce  che  la     buflola    nautica    è  di  ori- 
gine orientale  ed  ufata  anteriormente  n^lla,  China  ..  Da    più 
di  duemila,  anni  (  egli  ripete  )  i  Cinefi  hanno  un  carro  che 
addita  il   meriggio  da  qualunque  parte  fi  rivolga,   e  1' qfano 
viaggiando  pe'  deferti   della  Scizia .    Ma  fé  è  un  carro  ,    noti 
è  la    noRra    buflola  ;    hanno    forfè    gli    Europei  trasfoimaro 
in  buffala  il  carro  cinefe  ?   E    fé  quello  carro   fi  ufa    da'  Ci- 
nefi   per  terra  ,   end'  è  che    gli    Europei    1'  ufarono    per    ma- 
re ?   Ha   inoltre    quello    carro   fimiglian:?a  veruna    colla  buf- 
fola  europea  ?    E  qual  fondamento  poi  fi  adduce  per  foftene- 
re  quefto  carro  che  pure  i  Cinefi    in  tante  migliaja    di  anni 
non   hanno    faputo    adattare  alla    navigazione  ?    Il    profeffore 
Hager  fi  appoggia     fu  gli  Annali  Cinefi    nell'  atto    fìeffo  eh» 
non  ofa  negare  ciò  che  dinioftrano    ed  il  miflTionario    Cibot 
e  l'accademico  Des  Guignes,cioè  che  quegli  ^/;;W;  abbonda- 
no di  racconti  fnvoloft  ^Q  perciò  fono  pochiflimo  accredit.iti .  Di 
elfi  il  mero"  foipetto  di  ciarle  ,    favole  e  menzogne    è  quel- 
lo    che    chiamafi    Scìng    King  ,   come    egli    nello    attefla  , 
ed  in  quefto  punto    non  fi  fa  motto  di  ago  calamitato  o  di 
buflola  ,    e  folo  vi  fi  accenna   che  i  Cinefi   hanno   due  carri 
'Velli  al    mezzogiorno  .    Ofl'irva  di    piìi    il  fign.  Hager  ,    che 
la  buffola  europea  fi  volge  al  fettentrione  ,  ed  il  carro  cine- 
fe   al    mezzogiorno  ,,  dal    che   conchiude    che    i    Cinefi  non 
hanno    dagli    Europei    ricevuta    la    buflola-  .    Ma    come  non 
fi  avvide  che  con  tale  offe; vazione  egli  fuggerifce  agli  huro- 
pei  la   maniera  di  diftruggerla  contro  di  lui ,  e  di  conchiudere 
ger,  la  fua  ragione  che  gli  Europei  non  hanno  ricevuta  la  lo- 
ro 


ro  bufìola    c'a  Cinedi  ?    Una  buflbla,  dice  un  moderno  viag* 
giarore  ,•  haano  oggi  i  Cinefi  (  che  non  è  gih  l' antico  Joro 
c.rro,  e  perciò  cofa  moderna  )  ed  in  affa  fi   trova   congiun- 
ta la  loro  mitologia  antica  ,    il  cielo  ,    le  codellazioni  ,    gli 
elementi,  uo,  eihatto  della  loro  fcienza  adronomica  ed  aflro- 
logica  e  magica    ancora  ,   giacché   il  (ìg.   Hager  (leflTo  prova 
che  r  ufauo  pe' loro     fortilegii  (i)  .     Or  tutto  ciò   che  altro 
pruova  le  non   che  i   Ciaeu    non  conofcono  il  vero    utile  di 
si  preziofo  ritrovato  ?  Se  il  conolceirero  1'  empirebbero  di  fa- 
vole, di  fogni,  d'inezie   divinatorie?  Il  fìg.  Hager  fi  ferifce 
con  le  proprie  armi  .   La  buffola  cinefe  (  egli  dice  ancora  ) 
rfljjom'i^ita  all'  Europea  ,  e  quelta  che  oggi  in  oriente  fi   ufa, 
nun  è  l'an'ico    cairo  cinefe   che  egli    ha  detto    non   raflbmi» 
gliarfi  alla  noflra  ;    di   piti  egli  no:i  negi  che  ad  eflà  preda. 
DO  i  Cinefi  un  culto  firn  le  a  quello  che  i  Greci  e  i  Roma- 
ni  preltarono    ai  loro    Genii    Tutelari  (2) .    Ora    chi  da  ciò 
non  r.ivvifa  che  elfi  la  confiderano  coma  miracolafa  ,  e  n  )a 
per  la  fua  importanza    (  giacché  non  fanno  l'.Tvirfene  p^r  la 
navigazione  j    ma  bensj  perchè    1'  acquillarono  per  cafj  ,    e 
non   per  raziocinio?   Avvedendofi  l'erudito  profeffbr  di  Pavia 
di  mal  poter  reggere  ,  fé  fi  limitafle  a  proteggere  i  foli  Ci- 
nefi ,  pe' quali   non  poteva  addurre  che  i  loro  Annali    accre- 
ditati come  favolofi  ,  e  trovandofi  sfornito  di  ogni  prova  nel 
difteniere  a' baili  tempi, prefe  il  partito  nella  fua  memoria  di 
d'iend^ri  la  bulfola  coitiì  orie^ittile  ingenerale;  e  cos^  fi  vale 
della  teft'monianza  di  Bailak  Al  Kiptehaki ,  il  qu,ile    nel  fuo 
Tejoro  de  Mdrcatanti  inedito  dice  che  i  padroni  di  vaicela  ne' 

ma- 

(0  -^cH  magnat'ica  etiam  ìi/lruilur  PJx'is  Sìnenfìun  fortUtga  ubi  fcrtto  tfeu 
titciio  facieid'i  ejufmodì  acii  iadicatur .  Hyde  de  Relìg.  vet.  Per  farmi  . 

(2)  Egli  allef^a  non  folo  il  volume  !  di  Barrow  ma  l'opera  di  Srauton 
jìicohat  of  an  Embaff)/  to  Chìaa,  London   1797. 


mari  dell'  India  „  in  vece  den'ano  calamitato  ac3oper?.no  nn 
„  piccìol  pefce  di  ferro  vuoto  al  di  dentro  che  fi  fa  nuotare 
„  nell'acqua  in  un  vaio,,.  Ma  che  può  giovae  queft' autore 
iiied  to  del  Xlfl  fecolo  ,  giacché  ninno  diforda  che  verfo 
que' tempi  {i>\  in  diverfi  luo'^hi  fi  parlava  della  poIititH  del- 
la calimi ra  ,  e  f'gnatamenti  da  Brune  to  Latini  ,  e  da!  car- 
dinal di  Vitri,  e  da  Boivais,  quando  g'a  facevanfi  varie  efpe-^ 
rienze  dell'ago  piantato  in  una  lelluca  o  in  un  pezz-tto  dt 
fugherò  ?  Ognun  vede  che  ciò  qiova  pur  meno  di  quel  che 
rillclfo  Ha^er  dice  nella  pagina  7  di  Vafco  di  Garna  il  qua- 
le fi  valfc  nel  1498  di  un  piloto  Indiano  che  fi  abbandonò 
alla  Vidi  eneofjone  dell'Oceano,  fatto  fegato  poco  meno 
di  dug-nro  anni  dopo  dell'  invenzione  della  buffola  amalfita- 
na (i)  .  E  che  giova  il  filenzio  che  l'itteffo  H.iger  all-^ga 
di  Ebn  Junis  agronomo  arabo  del  fecok)  Xf  ,  il  quale  noa 
fa  menzione  dell'ago  calami  iato  nelle  fue  Tabla  Haf^emites?, 
Quefio  argomento  negativo  al  più  non  ferve  che  ad  efclu- 
dere  gli  Arabi  di  lui  patrioiti  ;  ma  alla  fin  fine  feirpre  è  li» 
argomento  negativo  inconcludente.  Inconcludente  argomento 
negativo  è  pur  quello  dell  gnoranza  di  Polidoto  Virgilio 
full' autore  dell'invenzione  della  buflola .  Forfè  Polidoro  tut- 
ti feppe  gì* inventori  delle  cofe  (ino  a'  fuoi  giorni  ritrovate? 
Hager  dice  ancora  che  Polidoro  eia  vicino  ai  tempi  della 
flnpitofa  fcoperta .  La  Cadetta  nautica  s'inventò  fecondo  un 
centinaio  di  croniche  e  di  fcrittrri  noa  volgari  il  fecondo 
anno  del  feculo  XIV;  Polidoro  fior'i  tra  il  XV  e  XVl,c'oè 
un  pajo  di  fecoli  diliante  dalla  fcoperta  ;  fi  chiama  quefta 
.vicinanza}  Allega  ancora  il  fi;;nor  Hager  il  filenzio  di  Ma- 
[rino  Sanuto  intorno  all'invenzione  del  Gioja.  Dalla  f:op?r- 
Ita  di  lui  all'epoca  del  libro  del  Sasuto  (  AB  rum  Dà  per 
Tom.II.  p'  Fran' 

(i)  Farla  y  Scjm  a  Lisboa  .4Jì*  Pcrtaguef.  \è6i 


66 

Franco!  )  fcrìtto  nel  i^o6  pafTano  tre  o  quattro  anni  ;  or 
farebbe,  meraviglia  che  egli  in  si  pochi  anni  ignorale  in  Ve- 
nezia il  ritrovato  di  un  nocchiero  amalfitano  attivo  che  for- 
fè navigava  in  Oriente  mentre  Sanuto  componev^a  nel  Tuo 
fcrittojo?Di  fimili  argomenti  è  piena  la  memoria  del  fignoc 
Hager,  il  quale  (  mi  fi,  permetta  il  dirlo  )  fecondochè  il 
vento  fpira  or  fi  dichiara  pe' Cinefi  fidando  ne' loro  Aitnual}^ 
or  per  gl'Indiani  fu  i  fatti  di  Vafco  di  Gama ,  'or  per  gli 
■Arabi  per  far  che  da.  efli  venga  la  fcoperta  di  Amalfi  ,  ora 
fcredita.  gli  Arabi  col  loro  patriotta.  Ebn.  lunis,  or  torna  a 
Cinefi,   coi  quali  cenchiude. 

Ed  in  iatti  per  conchiudere  ficcome  ha  cominciato  l'eru- 
dito profeffore  va  incontro  all'oppofizione  di  chi  non  crede 
;.all3  bbAbla  cinefe,  perchè  que' popoli  non.  fanno  col  foccor- 
fo  di.  efla  difcodarfi  dalle  code  navigando  .  La  ragione  di 
ciò  (  egli  dice  )  è  perchè  le-  loro  navi  atte  non  fa  o  a  re- 
filiere  in  alto  mare,  efli;ndo  troppo  alte  e  troppo  m^.l  co- 
ftruite,  ond'è  che  noa  poflbno.  follenere  L'impeto  degli  ura- 
cani  colà  chiamati  tifoni  che  rendono  pericolofiffimi  i  m.iri 
delli  China  ;  e  ne  allega  la.  teftirnonianza  di  Birrow  .  Ma. 
ciò.  dimollra  ad.  evidenza,  quanto  noi  abbiamo  detto, cioè  che 
i Cinefi  o  hanno  formata  a  cafo  o  copiata  fetiza  ogg.^tco  una 
bi;liola  (traniera  nelle  loro  mani  divenuta  infruttuosi  ..  Stra- 
na co  fa  !  Temendo  i  Cinefi  di  smarrirfi  ne' deferti  fa' brica- 
lono  un  carro  eoa  onori  di  buflbla.  per  non  perdere  di  vida. 
il  meriggio,  intanto,  che.  o,  inventano  o  adottano  una.  vera 
bufl'ola  lenza  fervirfene  a  migliorare  la  propria  navigazione; 
la  qu,il  c.ofa  fubito  loro  avrebbe  fugerita  una  corruzione  più 
folida  ,  meno  alta  e  conveniente  pe' loro  pericoloiìlfimi  ma- 
ri. Se  l'oggetto,  priiridrjo  della  navigazione  e.  tra  elfi  e  da 
perrutto  è  il  commercfo,fe  il  raddoppiar  il  profitto  dtl  traf- 
fico difende  lìngolarmente  dall' abbre-.iar  la  aavigaz.one  ,ond' 

è  che. 


...       .     .  .  -^7 

'é  che  ì  CìneiEi  manufatturien  ed  agricoltori  e  trafficanti  tion 
1)  curano,  conofcendo  la  bulTola,  di  abbreviare  i  loro  viag- 
gi, e  navigando  fiequentemente  alla  Cochinchina,  a  Giava, 
al  Giappone,  non  comprendono  il  guadagno  del  tempo  che 
]^a  bufìola  luro  preferita  r  Ond' è  che  benché  vedelTero  che  per 
elfa  pon'ano  intiohrarfi  con  fiducia  in  que' mari,  trafcuiano  la 
cura  che  dovea  la  bufìola  fugerir  foro  di  ccflruire  navigli 
più  perfetti?  Se  quelfa  non  curanza  de' Cinefi  per  l'ufo  del- 
la buffbla  che  potrebbe  ctntiibuire  al  vantaggio  de'  loro  af- 
fari maritimi ,  ridondi  ad  onere  di  una  n.izione  che  un  tem- 
po volle  averli  in  conto  della  più  coita  della  terra,  il  pen- 
li,  non  che  altri,  l' iffeffo  erudito  H-ger.  E  fé  le  offi.rva- 
zioni  di  lui  poflano  valere  a  difìruogere  la  convizione  cha 
rifulia  contro  la  biffola  oiicnnle^  ):er  rimuovere  i  Cinefi  dal 
pretenderne  il  piimato,  ne  giudichi  chi  legg^;  ed  ama  l'ar- 
te di  penfare  . 

Ma  l'Arabia  che  coltivò  lungamenre  le  fcienz:;,  a  ^  ri  mag- 
gior difitto  ad  arrogaifi  1' in\  elisione  d  Ila  bullola  ?  Mi  veg^ 
go  incontro  due  Commi  critici  filn'otì,  due  riputati  '.Si^ofuiii, 
il  cnvalicr  Girolair.o  TiraboLhi  ]ta'iaiio,e  l'a'^ate  Giovanni 
Andres  Valenziano  .  Soifenitori  invitti  dell'  .uabd  letteratura 
danno  elh  agii  Arabi  l'ulto  onore  dJla  ionorceoza  de. 1' ago 
calamit-ito    e  dell'  invenziui)e  della  butìola. 

Il  Tirabochi  tutti  aftale  e  fcoiifig^e  gli  avvrrfarii,  e  pre- 
ferifce  g4  Arabi  .  Desume  il  primo  arguiiento  a  lor  favore 
da  un  paflb  di  un  libro  artyibuito  ad  jìnfìoiile  citato  da  Al- 
berto magno  mi  trattato  de  M'tnerM  ,  Che  il  greco  fi'ofofo 
fcritto  aveffe  un  libro  intitolato  irepi  t;;^  ^iS^y  ^  de  In'-'-de  ) 
fi  afferma  da  D;og.^iie  Laerzio  (r).  No't  v'  ha  però  quefl'' 
opera  né  in  greco  n-^  in   htiaj;  b;*ns"t  il  p.  Labb^    cita    ufj 

*  co» 

(l)  Nelle  File  d,' Filo/ufi  al   libro   V. 


tf8  ^ 

codice  ms  di  un'  opera  de  gemnùs  tradotta  in  li'ngua  ara- 
ba (ij.  Se  quetV  opera  è  la  Uelià  de  lapide^  forfè  gli  Arabi 
Ja  trafportarono  alla  loro  lingua,  ficcome  fecero  delle  altre 
opere  di  Ariihuile.  E  perchè  nel  XIII  fecolo  frequenti  fu- 
rono fi.nili  traduzioni  che  dall'arabo  recaronfi  r)el  latino  idio- 
ma,  è  probabile  (  dice  il  dotriffimo  idoneo  della  LetteratU' 
ra  Italiana  )  die  1'  opera  di  Ariliotile  citata  da  Alberto  , 
ovvero  da  chi   ne  prefe  il  nome  ,  lofle  venuta  dagli  Arabi  . 

Non  è  ft.uo  folo  il  Tirabolthi  a  penfare  che  un  tradutto- 
re arabo  polTa  avere  iafcnta  nel  libro  attribuito  ad  Arifloti- 
le  la  notizia  dfU'ago  cala'iiitato ,  mentre  il  Cabeo  1'  avea 
già  prop  Ito  nel  l'bro  de  Magnete.  Ma  di  grazia  riflettia:Tio 
fu  di  co.  Ariliotile  noi  ditf;,  e  l'Arabo  che  ne  traduce  I' 
opera,  gliel  fé  dire;  dunque  (  da  ciò  fi  conch'ude  )  la  co- 
Dorienza  della  polaiità  della  calamita  e  la  buflbla  viene  dall' 
Arabia  .  E  perchè  mai  (  domandiamo  )  quel  buon  traduttore 
fdliificò  il  tello  a  proprio  svantaggio  e  degli  Arabi  ,  e  ne 
diede  l'onore  ad  un  Greco  almeno  dodici  o  tredici  fecoli  di 
lui  p  ij  antico?  Qu'l  ne  avrebbe  potuto  eflere  l'oggetto?  Un 
eroismo  letterario  ovvero  un  iitinto  falfario?  il  penfiero  del 
Cabeo  adottato  dal  Tirabofchi  fcarfeggia  di  verifimiglianza  . 
Può  aggiug.ierfi  che  il  Tirabofchi  Dell'adottarlo  o  dovia  ne- 
gare che  tal  libro  veniffe  da  un  originale  greco  di  Ariiioii- 
le  o  combattere  contro  fé  (telfo  che  avu'a  negata  agli  anti- 
chi ogni  cunofcen^a  dibufTola  e  della  polarità  della  calami- 
ta .  Ma  avrebbe  potuto  difenderfi  con  affermare  che  non  il 
diffe  in  <ffetto  A.riftotile  ,  ma  l'Arabo  volte  col  di  lui  no- 
me dar  pefo  alla  raod-irna  invenzione  de' fiK>i  paefani .  Era 
dunque  per  lui  una  f^-mplice  opinione  che  abbifognava  accre- 
ditarli con  un  gran  nome,  mentre  altronde  li  ricava  che  af- 
fai 

(0  Biblkmb.  MSS  p.  25J. 


_^9 

fai  prima  «li  quel  fecolo  più  di  uti  popolo  ne  avea  noiizia 
e  lungi  dal  dubitarne,  ciafcuno  fi  ne  appropriava  la  fcoper- 
ta  .  Ma  infine  che  altro  potrebbe  ri'illtare  dall'  artificio 
dell'Arabo  tradu  ture  fé  non  che  ei;li  come  altri  nel  XIII 
fecolo  ebbe  njtiza  de\U  pulariia  della  cal.<mta?  Ma  il  li- 
bro di  cui  parla  il  Labbs  quan.io  fi  fcritto?E'  credibile  che 
l'autore  non  per  altro  att  ibu^  tal  conofcenza  ad  Ariflotile  , 
fé  non  per  toglic-rne  la  gloria  ai  veri  fcoorifori  .  Seo?a  ciò 
perchè  darla  a  credere  come  una  cono.'croza  aatichiffima  ? 
Che  poi  l'Arabo  non  fu  molto  antico,  lo  d'modrano  le  T/t- 
vale  Hackemite  àA  citato  Ebn— Junis  aurore  dell' XI  fecola, 
Infatti  il  mentovato  Baildk  Al  •  Riptehaki  che  pai  la  del  pe- 
fce  di  ferro  che  per  la  direzione  drlla  teda  e  della  coda  in- 
dica il  fetrentrione  ed  il  mezzogiorno  ,  è  autore  aiabo  del 
XIII  fecolo  ,  né  fé  l'arroga  come  inven/^ione  araba  .  Paf- 
fa  poi  il  Tirabofchi  ad   un  altro  argomenio. 

Potremmo  noi  credere  (di  e)  eie  gli  j^rabi fojjero  flati  i pri- 
mi a  /coprire  la  polarità   della   C/iìnmitay  perchè  efsi  coltivarono 
gli  Pudii  di  ogni  maniera ,  Quello  argomento  tratto  dalla  dottri- 
na poffeduta  dcigli  Arati  è  tanto  venerale  zhc  prova  troppo^  e 
perciò  nulla  per  la  fcoperia  della  builoln  .  Le  Biblioteche  Orien- 
tali   (  fingolarmeme  l' Arabo- Matritcufe  dell' Efcoriale  )  nulla 
ci  prefentano  che  diaci  indizio  neppor  remoro  ed  efclufivo  in 
prò  degli  Arabi  per  tale  fcoperta.  ÀW  X  fecciose  nell' XI  (afle- 
rifce  in  oltre  il  prelcdaro  infigne  fciiitore  )    la  fìofufia  fra 
noi    cpper/i  fi   (oncjciva   di   ntv.c ^e  jra  gli  Arabi  al  centrano 
era  affai  echi-tata  .  Quell'altra   generalità    potth  far  conchiu- 
dere che  gli   Aiabi  inventarono  la  bufibla?    In  prima  fi  può 
opporre  che  non  cgrii  fcoperta     debba    erclufivamente    aitti- 
buirfi  agli   fcienziati  di  prima  fila.  Sarebbe  quefto  l'argometl- 
o  di    Pinrda  in  prò  di    Salomone    per    attribuirgli    T  inveti- 
zione  del'a  buffuU.  ^uefto  dorti/simo    Ebreo  (  diceva  il  Pi- 
neta 


70 

reda  )  fnpeva  tutto ^fapeva  la  forza  attraente  della  caf:tmìra' 
dunque  Japeva  ancora  la  converfivd  perchè  vanno .inftcme .  Ma 
r  iltelTo  iirabofchi  aon  efclude  gli  anrichi  dalla  conofcenza 
della  polarità  della  calamita  fenza  che  loro  g'ovafie  la  dot- 
trina die  p'jfleJevano  ?  Or  perchè  a  favor  degli  Arabi  egli 
fteflb  vuol  far  valere  l'argometiCo  della  dottrina  che  ha  ri- 
gettato efcludetido  gli  atitichi? 

Nel  paflo  citato  dall'autore  del  trattato  de  Minerali  fi  di- 
ce :  /Ingiilus  ni  agile  tis  cujnfdam  ejì  cujus  virtus  ejì  converten- 
ti ferrum  ad  Zoron  (  /epremtrionem  )  &  hoc  utuntur  nautae^ 
ungulus  vero  alitis  trahit  ad  aphron  { polutn  nurìdionale'n) .  Se 
però  non  fi  crede  che  ciò  Ariiiotile  fcrivefle  ,  ma  che  uà 
traduttore  Arabo  l'avefie  nel  di  lui  libro  inferito,  può  altro 
al  pili  dedurfene  fé  non  che  gli  Arabi  non  ignorarono  la 
polarità  delia  calamita  già  nota  ancora  ad  altri  popoli?  Per 
giugnere  però  all'invenzione  Jella  buifula  dovea  prucederfi  a 
novelle  dedu-jioni  ,  e  ciò  non  apoare  che  abbiano  fatto  gli 
Arabi.  Le  voci  Zoron  ed  aphron^  dice  il  Tiiabofchi ,  noa 
fono  r;è  greche  né  latine,  fono  dunque  arabe,  o  almeno  da- 
gli Arab:  ufate.  Noi  tanto  più  volontieri  ciò  gli  conc'd  a- 
mo  ,  quanto  che  l'ab.  Andres  le  riconofce  ancora  per  arabi- 
che, dicendo  che  gli  Arabi  hanno  gmrum  che  figiifica  ven- 
to caldo^  ed  aurtim  fettenirione  ;  benché  il  preludato  profef- 
for  di  Pavia  neghi  che  gtarum  adoprifi  in  lingua  araba  per 
meriggio.  Sienfi  però  termini  arabici  inco  itraftati  ,  di  gra- 
zia z\\t  aitrj  può  conchiud.;rfene  fé  non  che  gli  Arabi  nel 
XIlJ  fecolo  fpiigavano  il  mezzudj  ed  il  fettentiione  con 
quelle  voci   parlando  deli'a^^o  calamitato? 

I-injlmetue  il  cav.  Tirabofchi  ,  perdendo  terreno  ad  ogni 
paflb  ,  non  la'cia  di  aggiu:;nere  che  forfè  potè  avvenire  eòe 
la  bvj]^lt:  fi  fcotìy.fje  dcgji  /Irabi  ni  rei^m  di  Napoli  ,  e 
the    i   primi    ad   vjarne   nella    ìiavi^ai:.'ioae  f"JJS''o  gli  A'nalfi- 

tam  , 


7t 

tfini  ,  i  qual'i  perciò  ne  foffero  creduti  vitrov/itori  .  Tre  ri- 
fl^-H'ioui  rifpettofj  proponilo  fu  queft'  ultimo  afilo  del  cele- 
bre noflro  iftorico  .  I  rifledione  .  Non  v'  è  maggior  prò- 
babilitk  nel  dir  col  Tirabofchi  che  gli  Arabi  nel  noflro 
regno  ("coprirono  la  buflbla  e  gli  Amaliìtani  l'ufarono  i  pri- 
mi, che  nel  dire  che  gli  Amalfitani  fcoprlrono  e  gli  Arabi 
da  effi  l'appref.-ro  .  II  rifljflìoiie.  Ufando  ancora  noi  quefta 
volta  una  formola  dubitativa, proporremo  che  poteva  la  buf- 
fola  trovarfi  ancora  dagli  Arabi  ,  ma  da  quegli  Arabi  già 
nel  Principato  naturalizzati  foccord  dagli  fperimenti  degli 
Amalfitani  ;  ed  in  tal  pofizione  il  ritrovato  della  buflbla  pu- 
re rimarrebbe  nella  Cofta  di  Amalfi  e  nel  recinto  dell'Ita- 
lia .  Ili  ultima  rifleflìone  fulla  quale  invito  ad  arreHarfi  uà 
momento  con  noi  anche  il  fignor  Hag.'r.  Se  gli  Arabi  pri- 
ma di  venir  fra  noi  aveflero  inventata  la  bufllbla,  e  quindi 
a'  nofiri  communicata  l' aveflero  ,  ogni  ragion  perfua  e  che 
prima  che  fra  gli  Amalfitani  fé  ne  dovrebbe  rinvenir  pefta 
in  Sicilia,  0  nelle  Spagne,  o  nel!' Affatica  ,  di  che  niuno  m- 
dizio   pur  minimo  ci   fi   prcfenta. 

Del  refio  l'opinione  agli  Arabi  favorevole  non  è  nuova. 
Nel  Compendio  della  Storta  de'  Sarr.cini  di  Bergeron  fi  rap- 
porta che  gli  Arabi  aveano  inventata  labjflbla,e  fé  ne  fer* 
vivano  molto  prima  di  noi  nel  mar  delle  Indie  e  nelle  co- 
fle  Cìnefi  .  Ma  ecco  ciò  che  a  tale  affrzione  oppone  il  Pli- 
nio Fran.efe  Buflfbn  :  „  Q_uefla  opinione  (  dice  )  mi  è  pa- 
„  ruta  fempre  inverifimile.  affatto  ,.  non  trovmdofi  neppure 
„  nell'arabo  ,  nel  turco  ,  e  nel  perfiano  linguaggio  parola 
„  a'.cuna  equivalente  al  fif^nificato  di  buflbla:  el  ora  quelle 
„  na7Ìuni  adoprano  la  ftefla.  voce  ital'ana  buffo' a.  "  RenaJ- 
dot  verfato  nella  letteratura  degli  Arabi  affv-'ri-na  pofitiva- 
m.nte  di  non  aver  trovato  nelle  loro  op^^re   indizio    veruno 

^  deli: 


7i 

d^il'u'b  della  buffata  fra  di  efli  (i)  .  Il  pììi  volte  Iodato 
Robenfon  non  ne  favella  altrimenti  .  EgU  afferma  nella 
preciiata  difquifizione  full' India  antica  che  „  le  lin^^ue  de' 
„  Turchi,  degli  Arabi  ,  de'Perfiani  non  hanno  oiigiiiaria- 
„  mente  alcun  termine  proprio  che  dinoti  il  coiipailb  di 
„  mare,  end' è  che  quelli  popoli  fervonll  del  vocabolo  ira- 
„  liano  bujfola  ;  e  ciò  convince  che  ad  elh  è  la  cofa  ftra- 
,,  riiera  come  la  parola  '' . 

Ha  bene  il  Signore  Azmi  in  queRi  ultimi  anni  adottato  an- 
cora taleavvifojma  gli  li  è  oppoflo  il  precitato  profelTo'-e  di 
Pavia.  Egli  adduce  I4  teRimonianza  di  Meninski  autore  del 
Lejjico  Turcico  ,  Arabo  e  Perftano  ,  nel  quale  trovafi  che  la 
bulìola  ora  fi  nomina  Kiblh  namè  ora  Kufub-numà  .  Ma  ciò 
che  cofa  può  provare  co.uro  di  uomini  del  valore  di  Buf- 
fon ,  Kenaudot  e  Robertfon  ?  Non  altro  fé  non  che  l' au- 
tor di  quel  Lefsìco  ha  creduto  trovare  in  quella  lingua  le 
due  riferite  voci  native  per  equivalenti  della  noRra  italiana 
da  prima  adottata  colla  cofa .  Ma  quelle  voci  orientali  quan- 
do fono  falcate  in  mezzo  ,  prima  0  dopo  deli'  invenzione 
della  biiflblaf  Se  fono  poReriori ,  l'oppofizione  dell' Hager  è 
affatto  inutile  .  Se  vennero  prima  che  la  buRbla  s'  inventaf- 
fe,  perchè  non  la  nominarono  Kiblè  0  Kutub  in  vece  di 
ch'amarla  bijjolaì  Egli  avrebbe  dovuto  provare  che  gli  Ara- 
bi e  gli  altri  urit^nrali  non  fervironfi  mai  della  voce  italia- 
na, bensì  delle  riferite  voci  native.  Ma  fé  viaggiatori ,  m il- 
fionarii  e  ftonci  ,  fé  Buffjn  ,  Renaudot  ,  Robertion  hanno 
trovtito  fra  gli  Arabi  la  v  'ce  italiana  bujfola^e  non  le  orien- 
tali K'tub  ■  fìHwà  e  Kiblè  -  namè ^  che  il  fignor  Hager  è 
itu  col  fufiellino  pefcando  nel  Lifsico  allegato,  è  maaileRo 
jnJiz'o  che  gli  Arabi  ricevendo  dall'  Italia  la  buffula  ne 
adottarono  la  voce.  Do* 

(j)  Dijj'ertatìfiì  fnr  les  S.ìencts  lies  Chìwìt . 


73 
Dovrei   ora  alcuna    cofa  accennare   full'  avviTo    dèi  riputa- 
to autore    deli'  Origine   di    ogni    Letteratura    decifo     patroci- 
natore degli    Arabi    in    ogni  incoutro  ;    ma  arredato  dal  rif- 
petto   dovuto   ad    un    celebre    focio    onorario    Pontaniano  ap- 
pena   ne  avvetuurerò   alcun    motto  .    Softiene    il   lìgnor  An- 
dres    la  Tua    opinione  (  dicati  colle  parole  dell'.egrt-gio  fìgnor 
Flaminio  Venanfon  )  „  rijnenJo  tutti  gli  argDmsn;i  che  una 
„  protonda  eruviiz:one  gli  furnilce,  ed  accennando  una  fpedi- 
„  zione  mariti  ma  antica  degl:  A.abi  che  potrebbe  far  Juppor- 
„  re  la  cono  cenza  della  budoia  "  i  i).  Se  non  all^fga    veru- 
na prova  pofitiva,  veruna  prubabilith  almeno,  che  né  fu  ca- 
fo,  né  qualche   vento  periodico  che  fecondò  fortuitamente  1' 
indicata  fpedizione,  ma  che  fu  fcienza  nautica  ed  ufo  di  una 
budola  da  quegli  Aiabi   poffwduta  e    fconolcijta    a    tutti    gli 
altri;  che  cofa  mai  puh  farci  Jupporre  in  quagli  Arabi   la  co» 
nofcenza  della  buflbla  ?    Forfè    l'aver  gli  Arabi   fovente  in- 
traprefe  di  grandi  fped.ziuni   maritime?  Ma  forfè  navigarona 
meno  Fenici,  Cartaginefì,   Tirreni   e  Greci?  L'aver  gli  Ara- 
bi   polfedute  tante  cognizioni  Icientifiche?  Mri  ne  polfeJ;'rono 
meno  Egizii,  Cald.-i,  indiani,    Greci    e  Labini  ì    SWomona 
poc'anzi  allegato  che  tutto  fcr'pe  non  p  né  col  ritrovato  del- 
la  bulfola  abbreviare  il  viagg  o  di  tre  an  li  ch>;  ficevaio   la 
fu;  navi  ad  Ofir.  Del   rimanente  fé  volelfi  anch'io  far  val-f- 
re  di  fiinili  generalità,  trattanduli  di   (coperta    sì  rileva.ne   , 
potrei  citare  contro  la  dottrina  degli  Arabi    non  pxlie   pue- 
rili o  ftravaganti  produzioni   arabiche,    quando  anchi    volefli 
fcltanto  ricorrere  a  qu'lle  che  ci   fornifce  la   Bibliot..ca  Ara- 
bo-iMatritenfe  ,    che    minorano    il    credito    delle    cognizioni 
vantate  degli  Arabi  ed   in  confeguenza    la  prefunzione  a  loc 
favore  che  ne  deduce  l'abate  Andres  .    Solo  aggiug.ieiò    che 
Tom. II.  jo  non 

(i)  Venanfoa  Invcntlon  di  la  BouJJ'uh  Njmìgue  pa  5,.  49. 


74         . 

non  tutti  e  Tempra  ebtero  degli  Afa'ol    s'i   vantaggiofa    opì- 

nione ,  E,  ricorderò  a!  miei  leggitori  ciò  che  degli  Arabi 
fcri0e  nelle  Senili  V  immortale  Francefco  Petrarca,  nel  feco- 
lo  XIV  appunto  quando  la  bulTola  s'  inventò  .  Eccone  uno 
squarcio  colla  traduzione  deli!  infigne  Tirabofchi  .  ,,  Io  fo- 
„  (  diceva,  il  noflro  principe  de'  Lirici  al  medico  Giovanni 
5,  Dondi  )  „  che  fono  fiati  tr.^'Gieci  duttiflìmi  ed  eloquen- 
jj.  tilTimi  uomini,  molti  filofofi  ...  ma  quali  (iano  i  medi- 
„.  ci  Arabi,  tu  bene  il  fai  .  Io  fo  qiali  fono  i  poeti  .  .  . 
„  Appena  poflb  perfuadermi  che  dagl'Arabia  ci  pofla  venire 
j,  alcuna-  cofa.  di  buono  '*  -  OlT-Tvifi  anche  ciò  che  dice  lo 
Spagnuolo  illuRre  Ludovico  Vives:  Avenois  docìiifia^Ù'  me- 
t/ipèyfira  Avice>>nae ,  omnia  rleviqtte  illa  A,nbica  mihi  "viden- 
tur  refip-re  cìtlirtimenta  Alcorani  ;  nihd  fieri  potejì  illis  in' 
fulfius ,  fngidiufque  {ly, 

E. ciuf]  gii  antichi,  i  Cinefi  e  gli  Arabi  ,  pafTiamo  a  cer- 
car tra  gli  Europe  i  Ja  nazione  che  per  la  buffola  meriia. 
gli  ettrni  encomi!'  della  polleriià. 

Gli  Spagnuoli  dotti  ed  acuii  ,  a' quali  tante  fcoperte  pur 
debbonfi  nell'antico  e  nel  nuovo  mondo, e  fegnatamente  nel 
Mar  del  Sud,  non  parmi  che  abbiano  mai  afpirato  ad  arro- 
gare l'invenzione  della,  buflbla  .  Ed  il  fignor  Gapmany  in 
una  memoria  pubblicata  in  Madrid  col  titolo  ,  ^aefìiones 
criticns  fobre  varios  punios  de  Hi/ìoria^  entra  a  parlarne  uni- 
ca ;  ente  per  ricettar  l'avvifo  dell' Azuni  che  fi  era  a  favor 
de'  Francefi  dichiarato.  Rimangono  gl'Iaglefi  e  gli  Aleman- 
ni ed  altri  uomini  boreali  rifpettab'li  per  tutt' altro  oggetto, 
i  quali  nel  voler  comparire  in  lizza  credettero  poterli  lode- 
nere  L'nza  traballare  full'  arenofo.  fondamento  deli'  etimolo- 
gie ,   ficcome  può  vederti  da  ciò  che  ne    affermò    il  cdebra.- 

illQ^ 
(0.  Vedafi  il  libro  V   de  Cauf.  corrupu  ^Irtium , 


.   .       .      "^s 

ìnorico  delle  Matematiche  fi).  Se  nt  disbriga  parimente  ia 
•poche  linee  il  preiodato  profefTore  Hager  ,  oifervando  folo 
-che    la  voce    alemanna  ,    bikhfe    ed    il    diminuitivo    bmhjele 

raeolio  convengono  all'italiana  buffala. 

Non  r-Ra  nell'arena  che  T  erudito  Azuni ,  il  quale  milita  pé' 
Francefi.),  Sin  dalla  metta  del  Xll  fecole  (dice  nella  Tua  dif- 
j,  fertazione  )  trovafi  l'ago  calaiiiitato  mentovato  da  Guyot  de 
„  Provins  col  nome  ài  tnarhihre  ;  dunque  affai  prima  che 
,,  Flavio  Gioja  inventalTe  la  buffola  ''  .  E  cita  i  verfi  di 
quel  poeta  tratti  (  dice  )  da  un  codice  ms  della  biblioteca  impe- 
riale di  Parigi.  Senza  andare  a  frugar  si  tardi  ne' manofcrit- 
ti  dell'imperiai  biblioteca  parigina  ,  io  fin  dalla  mia  giova, 
nezza  Kfli  tali  verfi  in  Madrid  nella  biblioteca  r.'ale  belli  e 
flampati  nel  1  bro  del  prefidente  Claudio  Fauchet  (2)  ,  nel 
qual  libro  ben  xio'o  alla  cala-Tiita  (ì  dà  il  nome  di  iniihef- 
te,  Vujlfi  che  Guyot  vivefle  circa  la  metta  del  lecolo  XII, 
{giacché  r.inno  1181  egli  trovavafi  in  Magonza  in  corte  di 
Federico  1.  Qualche  altro  francefe  però  attribjifce  que' verft 
al  monaco  Ugo  di  Bercy  contemporaneo  del  re  fan  Lugi 
circa  la  metta  del  fei-oh)  XIII  .  Gli  Enciclopedilli  vogliono 
che  fi  leggono  nel  romanzo  della  Rofa  ,  e  pur  ne  ciedjno 
autore  Guyot.  Ma  un  Ginevino  anonimo  in  uia  lertera  pub- 
blicata dal  Formey  (3)  riprende  gli  Encicloped  fti  p.r  tale 
aflerzione ,  negando  che  gi' indicati  verfi  legg^ifi  in  quel  ro- 
manzo, ed  afl'^rma  che  appartengino  ad  un  altro  componi- 
mento più  antico  dove  la  calamita  è  drtta  farinette .  Le 
Geodre  poi  relìituifce  que' verfi  al  monaco  di  Bercy ,  ma  cre- 
de che  quello  monaco  lia  la  perfona  Ileffa  di  Guyot,  il  qua- 

*  ie 

(i)  Monfucla  Part.  ».  p.  4?(5, 

(2)  De  la   Laipue  C  Pefie  Franp'tff  . 

(3)  Nei.veUe  Biblìoth.  (Strm.  corti.  XV. 


7<J    . 

ie  vivea  ,  non  verfo  la  meth  del  XH  ,  ma  nel  XIII  fotto 
Filippo  Auguro.  Che  più  ?  Le  Grand  non  vuole  che  qua' 
verfi  legganfi  nel  romanzo  della  R-^fa  ^  ma  si  b^ne  in  una 
fatira  chiamata  Bihle  Guyot  .  Sfido  i  più  fcorti  critici  a  de- 
cidere in  tanti  difpareri  dell'  anteriorità  del  ritrovato  della 
buffola  pe'  Fraucefi  cos'i  fra  loro  difcordi  full'  autore  di  que' 
verfi  ,  full'  epoca  in  cui  vifle  ,  e  fui  coraponimeoto  dove  (i 
leggono.  Noi  dunque  fulle  tracce  del  Tirabofchi  artendere- 
mo  che  elTi  prima  li  accordino  intorno  a  tutto  ciò  che  con- 
cerne i  verfi  o^lenrati .  Ma  quando  fi  faraino  accordati  ,  ter- 
minerà la  lite?  iVon  fi  tratta  di  verificare  fé  i  Francefi  verfo 
il  XII  e  XIII  fecolo  abbia.no  prima  di  ogni  altro  mentova- 
ta la  mai'fiette  o  mannierc  ;  ma  si  bene  di  trovare  il  prin^o 
Joventore  della  buflijja  nautica  .  E  per  tale  ricerca  poflbnii) 
nulla  ipfljire  i  verfi  giu'efi  di  Gjyot  di  Provins  o  di  Uii^a 
di    Bercy   o    del    ro;nanzo   della    Rifa    o  della    fatira    Bibli 

La  diflertazione  del  fi^g.  Azunì  imprefia  due  volte  in  ita- 
iiano  e  la  terza  in  francefe  ,  ancorché  il  tre  multiplicaflfe 
il  trena  ,  acquifera  maggior  forza  di  quella  che  ebbe  da 
prima  ?  Fara  mai  fparire  la  difcordanza  degli  autori  francefi 
rilevata  dal  Tirabofchi?  Varrà  di  monumento  imoortant;  da 
prep'jnd-rare  fui  vero  flato  della  qjiftione  ?  Il  prelodato  lìg» 
Flaminio  Venanfon  nel  iSoS  con  un  l.bro  bene  fcritto  ha 
modrato  in  Napoli  l'iiifurtlftenza  de'la  cKfertazione  de!  Niz- 
zardo Azuni  .  Ne  percorrerò  qualche  tratto  per  affrettarmi 
tollo  allo  fcopo  prillarlo  del  mio  ragionamento.  Voi  ,  pre- 
giati Colleghi  ,  goierete  anticipatamente  di  una  contefa  let- 
teraria, in  cui  un  Nizzardo  ^iolìra  con  brio  pe' Francefi  ,  ed 
un  altro  in  foflegno  degl' Italaai  vittariofainente  l'incalza. 
Eccovi   i  colpi   vibrati  d-tU'Azuiiì    e   nbittutì    dal    Venanhn  . 

1  Azuui    Itima    decifivi    per  lui    gi'iudxati   verfi  gaulefi  . 

Ve. 


77 
Venanfoi  rende  vano  quefto  primo  avii:;»-)  con  fare  offsrvàre 
co^  Tirabofchi   le  incene,  ze  onde  fono  efii   ravvolti. 

II  Azuni  alK'ga  il  prillo  del  fioreniino  Brunetto  Latini 
imnìaginando  che  flivorlfca  i  Fr.incefi  ,  perchè  nel  di  lui  Te- 
foro  che  fcrlfle  in  fraocefe  fra  loro  prima  del  1294  ì  parlò 
delli  proprietà  d,;!!' ago  calamitato  di  volgerf)  al  polo.  Ve* 
nanfon  gli  fa  riflettere  che  il  Latini  italiano  produfle  quel 
libro  giunto  appena  in  Francia  ,  libro  perciò  piìi  atto  a  mo- 
iirare  ciò  che  allora  fapevafi  in  Italia  donde  egli  veniva , 
che  le  cognizioni  della  Francia  ,  la  cui  aria  cominciava  a 
refpirare.  Aggiugne  altres'i  che  Brunetto  nel  parlar  dell'ago 
calamitato  è  ben  lontano  dah' attribuirne  la  conofcenza  efcla- 
fìva  a'Franceiì. 

HI  Azuni  fuppone  a  fé  vantagglofo  che  il  cardinal  òi 
Vitry  che  vivea  nel  1200  faccia  menzione  dell'ago  calami- 
tato e  dica  efler  neceflario  a' naviganti  .  E  perchè  (  dice  il 
Venanfon  )  cita  egli  il  Vitry  a  fuo  fivore  ?  Un  altro  fcrii- 
tore  l'adduce  appunto  in  prò  degl' Italiani  (i).  Reca  in  ol- 
tre le  medefime  pa'ole  del  Vitry,  e  mettendole  fotto  gli 
occhi  di  c!)i  le,:ge  dimoflra  che  nulla  egli  dica  che  fecondi 
il  difegno  dell'erudito  fautor  de'Francefì. 

iV  Azuni  feguendo  gli  autori  della  Storia  Letteraria  di 
Francia  ,  tira  un  argomento  p^Tuoi  favoriti  dal  g'g^'o  che 
ii  dipinge  nella  rofa  della  bulfola  dalla  parte  borea  e  come 
arma  dell'antica  cafa  di  Francia.  Venanfjn  offerva  (  dopo  la 
Storia  ijelh  L-'tieratura  lialinna  e  le  Vtcenàc  àdla  Colturit 
delle  due  Sicilie  )  che  ap.iunto  il  giglio  che  fulla  buffola  in- 
«iica  la  direzione  della  calamita  ,  è  ai  teftimone  di  più  a 
favore  di  Flavio  Gioja  che  fioriva  fotto  il  regnato  della  Ca- 
fa francefe  di  Angiò.    Azuni  contro  quel  debole    argomento 

del 

(1)  Guberg  Aniali  dì  Gi"gr,:fii  e  di  Staiijììca. 


78 

del  giglio  trova  un  nuovo  oppofìtora  oel  fig.  Hager  che  a^Ja- 

ce  varii  efempli  dell'  ufo  de' gigli  di  altre  regioni  ,  onde  ci 
reude  vie  p^ù  inrufficiónte  i'  argomento  tratto  dal  giglio  del- 
la bulTola  (i). 

V  Azuni  volendo  dì  ogni  maniera  rimuovere  dal  giudi- 
zio gl'Italiani,  produce  i  diritti  de' naviganti  Portogli:!!  at- 
tribu.'ndu  loro  la  buffola  perfezionata.  Alla  quale  aflai  (Ira- 
na  alTerzione  Venanfon  reRa  ben  meravigliato  che  Azuni  do- 
po di  aver  pretefo  elevar  l'invenzione  della  buflola  due  fe- 
coli  prima  del  Gioja  ,  di  botto  ,  perchè  a  codui  fi  tolga, 
precipiti  giù.  e  l'approffimi  a  noi  un  altro  fecolo  dopo  di 
quello   in  cui  fioriva  l'Amalfitano. 

Vuolfi  oltteacciò  riflettere  al  colpo  pienamente  decifivo  con- 
tro l'avvifo  dell'Azuiii.  Proviene  quefto  colpo  dal  co.nparar- 
fi  Iodato  della  marina  e  della  collruzione  francefe  diil'XIal 
XIII  fecolo  con  quella  degl'  Iraliani  notata  fingobrmence 
dall' infigne  Roberifun.  I  foli  Italiani  (dice  il  celebre  SvOf. 
2efe  )  ccmmerciavano  ed  abbondavano  di  basimenti,  e  traf- 
portavino  i  crocefignati  in  Afia  -  Approfittandofi  effi  allura 
della  loiO  perizia  nel  navigare,  e  della  copia  de' legni  ,  pre- 
fero tale  afcendente  fuperiore  alle  altre  nazioni,  che  dupo  di 
aver  per  fé  confervati  li  fiabilimenti  migliori  ,  preTentarono 
ali  Europa  attonita  lo  ipettacolo  mirabile  de'navigli  armati 
de' Veneziani  ,  Genovefi  e  Napolitani,  i  quali  difpofero  del 
deftino  dell'Impero  Occidentale  .  Sovvenghiamoci  altres'i  d.'l 
contratto  dipolato  tra  la  repubblica  di  Venezia   e  San  Luigi 

re 

(0  In  prima  (  dice  Hfger  )  lo  flemma  francefe  enfi/leva  h  tre  gi^lì  ,  e 
non  in  uno  ;  cflerva  poi  che  più  gigli  lìaiifi  trovati  nella  croce  de"  Criiìiani  di 
Oriente:  ctie  in  India  )a  croce  dei  Sei'olcro  di  San  Tommalo  teirrinava  ia 
gii;li  .'  che  s'g'i  fi  rinvennero  nel  monumento  Nelloriano  dell' VIH  kcolo 
nella  China  :    che  in  Euio.a  la  croce  dell'ordine  di  Portoga.Io   termina  in 


^19 

«e-  di  Francia  .  Eda  gli  forn'i  quinJici  vaf^elli  da  tragittare 
in  A(ia  quattromila  cavaUi,  e  dieciitiii.i  faldati,  ciò  chs  pa- 
lefa  la  c.ipacna  di  quei  legni  ,  de'qu.ili  alcuno  av^-'a  di  lun- 
ghezza centodiciotto  piedi  veneziani.  E  quali  erano  allora  i 
legni  frunceli  ?  Fin  fot'o  Filippo  Augufto  ne  fcarfeggia- 
rono  foinrnamsnte  ,  ed  i  loro  bailimenri  da  gu-rra  fregiati 
erano  nella  poppa  e  nella  prora  di  torri  con  merli  alla  gui- 
fa  d.-Ue  mura  delle  citti  (i)„. 

Ciiaro  dunque  dall'  efpofto  apparifce  i  che  l'antichitìi  iafciò- 
a'fuoi  Joniani  pofteri,  a  un  Italiano,  la  gloria  di  aprir  1' O- 
cea:io  ai  vafcelli  Europei  :  2  che  i  Cinefi  vani  di  una  fo- 
gnata antichità  òX  molte  decine  di  migliaja  di  anni  di  efi- 
ftenza  non  ebbero  una  buìToIa  qualunque  nativa  ma  al  pù 
un  covro  da  valicar  deferti  finché  non  ne  prefero  un  modello 
dagli  Arabi  quando  trafficarono  nelle  corte  cinefi:  3  che  gli 
Arabi  non  nelle  Arabie,  non  nelle  Spagne,  non  nelle  Sici- 
lie traccia  veruna,  lafciarono  di  qualunque  bulTola  finché  da 
noi  non  l' ebbero  :  4  che  i  Francefi  appena  verfo  il  XIII  fe- 
colo  ebbero  da'  Trovatori  una  magra  notizia  di  una  m.ninie- 
re  0  mnr'niette ^  e  ricorfero  agl'Italiani  per  valicare  il  mare. 
A  chi  dunque  atrribuiremo  l'onore  dell'invenzione  della  buf- 
foia  nautica  fé  non  agi' Iialiani  attivi  cos'i  di  buon'ora,  ar- 
diti ,  fagaci  ,  commercianti  ,  coflrutcori  di  legni  grandi  e  na- 
vigatori? Mi  affretto  al  porto,. 

Amalfi  la  cui  non  favolofa  fondazione  fi  fifa  al  riforgere 
del  Greco  donoinio  in  Italia  per  opera  di  Belifario  e  Narfe- 
tB  ed    altti  generali  ,.   avea    gih    fotto  San  Gregorio    magne 
un  vefcovo  chiamato  Pigmenio  nell'anno  5p4  ,  ficcome  no- 
te 

(0  Cu  art  ne!!' Moria  di  San  Luigi  preflo  il  Venanfon: 
Or  de  gente  mtrreìUeufe  joule 
Strreement  amonceìer- 

£1  d'ivits  zeiJJ'cau»  a ìnìtez  ^ 


So 

ta  la  Cronaca  Amalfitana  (i);  e  l'Anonimo  Salernifanonoa 
inverifiaiilmente  la  crede  fonJara  dì  alcune  famiglie  fuggite 
da  Roma  ,  e  del  fu3  racconto  tra  gli  altri  fi  valfo  Scipione 
Ammirato.  Ben  per  tempo  queRa  citta  florida,  e  trafficante 
divenne,  e  quando  con  Napoli  e  Gaeta  cadde  fotto  it  g^oga 
de' Greci  ,  formò  con  effe  ì'u.idecimo  d'i  Temi  polfc.iuti  in 
Europa  dagl'  Imperadori  d' Oriente  ne'  baffi  rem  jì  .  Soggiacque 
alcun  tratto  al  Ducato  Napoletano;  ma  al  declinar  dit  tiono 
fecolo  veggiamo  che  Amalfi  fpiegando  i  proprii  veffiili  muo- 
ve coatro  Sergio  du;a  di  Napoli  in  difefa  del  vefco.'o  Atta- 
nafio,  ed  acquiila  l'ifole  di  Capri  e  de' Galli  adonta  de' Na- 
poletani e  dell' imperador  B-ifilio  .  Ne  crebbe  ia  potenza  iti 
ragione  dell' indultria  e  della  navigazione, e  ben  prelio  acqui- 
fìò  celebrità  in  OrieHte  e  nella  Sicilia  dove  fpeJiva  i  propri! 
legni  ben  coflruiti  e  di  merci  ben  foniti.  Lab^niiera  Amal- 
fitana fi  rendette  tanto  chiara  ne' tempi  balTi  quanto  ne' re- 
moti la  Fenicia  .  Le  ufanze  fue  maritime  parvero  talmente 
equa  e  fagge  che  convertironfi  in  leggi,  e  la  Tavola  Amai- 
fiiana  in  occidente  fé  porre  in  obblio  le  leg'^i  Rodie  .  Il  Tuo 
valore  e  la  marina  armata  gareggiarono  colla  fua  ioduftria 
e  io' legni  mercantili  che  ne  trafficarono  i  prodotti.  La  cit- 
ta di  Roma  invafa  da'  Saracini  dovette  la  libertà  e  la  fal- 
vezza  all'  arra-ua  combinata  de'  noilri  tre  du  ati  di  Amalfi-, 
di  Napoli  e  di  Gaeta,  la  qujle  raggiunta  la  nemica  preflo  la 
bocca  del  Tevere  la  ruppe,  e  ritolle  all'  Arabo  predatore  la 
preda;  vittoria  encomiata  concordemente,  non  che  da'nollri, 
dal  Sigonio  ed  altri  accreditari  inorici  2  .  Cefario  prode  fi- 
gliuolo   di    Sergio    comandava    le  forze    combinate    e  vinfe 

neli' 

(')  Si   vegga  l'epiflo'a  2:j  del  lihro  TV  di  San  Gregorio. 
(0  Vix  rierno  memorali  po-efl  res  vel  eve/ìtu  vel  extmplo    hi   toì.i  antjjutta- 
ts  nubi  t  tir.   Di  Rf^'io  Ica  Une. 


8t 

lieir84p  quando  la  barbarie  fpaziava  oltramonti.  EgH  è  pur 
dolce  c>U  a  chi   ama  l'Italia  e  li   verità  iltoiica    il    trovar 
flìridj  CQmiti'rcio  ,    artnate  navali,    vittorie    Itrcpitofe,    ri- 
nomati comandanti  di   mare   in  quell'  ofcuro    periodo, in    cjÌ 
un  gran  Ltterato  esgefuita  di    Mantova  non   fèppe  rinvenire 
f§  non  che   un   campo  di  jlfa^i  e  d' ignoranza  ^  te nn  pnlude  ,un 
d-cferto  ^  fenza  indù  fina  ^  Jenz.'  arti^  fe-izn  popolo^  faza  l-:g],e 
e  fenza  rnoione  (i)  .   Ma  qual  era  Amalti  alla  venuti  de'  tMor- 
Qianai   può  vederli  dallo  dorico  ooeca  Gu<^lielmo  Pugliefe  (2): 
Urb'i   hac  dives  opum  ^  populique  referta  'vtdetur  ^ 
Nulla   mngis  locuples  argento  ^  vejltbus^  auro  ^ 
Peirfibus  innumcris  oc  plurinius  Orh^  moratur 
Nanfa   marii  cxlique  viat  numerare  perieus , 
Hic  &   yJlexaniiri  diverfa  feruntur  ab  urbe 
Rcgts  &  Antiochi  ,  hisc  freta  plurima  tranfìf  »  "  ' 

Hic  Arabes^   Indi ^    Stcuh   nofcunrur  (y  Afri; 
Hjc   eens  ejì  totum  pr'^pe  nobilitata  per  orbem 
Et  mercanda  ferens^  &  anians  mercata  re f erre . 
Or  r  iltorica.  dipintura    che    ci    tornifce    Guglielmo    fcrlttore 
del  fecole  XI  ch;^  vedeva  co'propni  occhi  quel  die    narrava, 
non  è  più  confolante  per  gì' Italiani  della  fopraccennata  fattane 
nel  decimottavo  da  una  immagina/Jone  po-;tica  che  fenza  leg- 
gere o  leggendo  male  volle  mixhiarfi  a  narrare  iftorie?  E  pur 
fenza  rilalire  fino  all'  XI  secolo  poteva  giuftizia  e  verità  iftorica 
imparare  dal  Muratori  noftro  contemporan'o,  il  qjale  gli  a- 
vea  infegnato  che  Amalfi  qjando'  li  diede  a  Roberto  Guifcar- 
ao  era  città  mercantile  al  fommo ,  piena  d'  oro ,  piena  di  popol» 
e  di  ntvì  (3).  Poteva  imparar  le  Itorie    di  que' tempi  dall' ar- 
TomJl  II  el- 

eo Saverio  Bettinelli  nel  R'iforgimento  èP  Italia  prima  di  Mille. 
(z)  Nella  raccolta  de!   Mutitnri  Rer.  Italie,    Script,  tona.  V.  pajj.  2,6^ 
Vi)  -Annali  d' Italia  ann.  1077 


f?2: 

civefcovo  Gu5;!iei'mo  il  Tiro  il  quale-  difle  degli  Amalfitanu- 
Hifjms  regionts  habifaPores..  (^  dlBi  Amalfitani^  primi  mercei- pS'- 
regrinas  quas.  Onens  non  noverai  ,  ad  fupradiBas  parta  irt' 
ferre  tentaverunr  fi).  Adunque  gli  Amalfitani  prima  del  sa-- 
colo  XI,  erano  già.  celebri  naviganti,  coltruttori  eOerti ,  dc- 
ftri  ofll-rvatorl  del  mare  e  degli  aftri;  e  lungi  dali' ar  enda- 
re  lozioni  di  n,)vigare  e  di  trafficare  dagli  Arabi ,  come  altri 
fognò,  correvano  initancab.lmente  dalle  vicinanze  di  Laodicea 
in-  Siria  .fino  ad.  x^leffandria,  e.  co.T3-Tiercia.vano.  con, -Arabi, 
Indiani,,  ed'  Africani .. 

Un  popob  COSI,  cofpicuo  che  tanto   lungi  trafcurfe  n-'  ma- 
ri orie Itali,  ed  occidentali,  chj    ricco  d'oro,   non    meno    che 
benefico    e    fagace    fondò  in.  Gerufalemme    un  famofo  or  iinc. 
militare  con  un  ofp3d.ile  e-  due  conventi  ,  che  pili   che  altri 
f".  ammirare  in.  Alia  i  prolotti  dell'   induRria  amalfitana  e  la. 
perizia  nel    navigare:   (ìfFatto  popolo  non   raccoglie  in  fé  tut- 
te, le  probabilità,  che  ad  altri   mancacio,  di  eiìere  flato  nella 
nautica  anzi  maellro  che  fcolare  de'  barbari?     di   aver  prima 
e  meglio  di   ogni  a'tro,  comp  efo    ciò  che  facea  meflieri    al 
nocchiero  per  abbreviare  il  tragitto,    correndo  una    retta    iri 
vece-  di  uia,  curva  ben.  tortuora?    Se  non  fu  allora  da   meno, 
di  veruno  degl' Italiani ,  fé  più  degli  altri  operò  e  fi  difìinfe,. 
fé-  gli  oltramontani   fuperò.  fenza  contrafto  negli  affari  mariti- 
mi-;, elfer  non  dovè'  de^li   ultimi    ad  approfittarfi  della    noti- 
zia che  dal  fcecolo;  XI  al  XIII    corfe   per  l'Europa   della  pò- 
larità  della,  calamita  .    Che   Te  forfè  non  fu  folo  a.  fperimen- 
rame   la  co'danza.  lìtuando.  1'  ago  calamitato  fu  di  una  fejìuca 
o  di  un  pezzetto  di   fugherò  e  tacendolo-  nuotare  in  un  vafo 
di  acqua;  do\è  alnieiio  pù  felicemente    riufcirvi  e  coticepirne- 
più;  pielto  e  più:  fondatamente  migliori  iperanze.  Ed  in  fatti, 

fpun=^ 
0)  Se  ne  vegga  la  ftoria  della  Guerra  di  G:f:<fa'e,rìme  ^ 


.83 

fpuntà  appena  11  fecolo  XIV  che  la  tradizione  getiTile  at- 
tribuì unicamente  ad  un  Amalfitano  1'  invenzione  delia  -vera 
bujfola  nautica^  ed  Amalfi  gongolandone  di  g'ojd  coli' intera 
colla  nel  corfo  di  Quel  fecolo  in  memoria  del  fatto  ne  prefe 
giuda  l'ufinza  lo  ftem'na  che  la  fegnala.  Q-nnJi  è  che  An- 
tonio Beccadelli  Bologna  nato  in  Palermo  nel  13P4.  ,  cioè 
nel  fecolo  fèelfo  della   fcoperta,  cantò, 

Pi'tma  dedtt  naut'tì  u[um  nìngnet'is  Amalphn , 
Onci'  è  che  Arrigo  Bacco  diire  :  Provincia  qux  Prinripatus 
cttra  dicitur  .....  prò  ìnfigni  babct  pixìrj  Natt'tcam  .  Hoc 
infigni  gnudet  ,  quft'iinm  in  hac  p^'ovnicia  oit-m  fuie  anno 
dvinini  1300  nobilijjtinum  hoc  tnve'uttm  per  Flavtwn  doja 
civem  Amalphitavurn .  Con  pari  aflt>veranza  rpioj^ànfì  lui!' in- 
ventor  della  bufl'ula  e  fullo  ftemma  di  Ama'fi  è  del  Prinr 
cipaio  Flavio  Bii/ndj  ,  Tommalo  Pofi-j- ,  Fili-po  Bn'ezio  ^ 
Ortelio  ,  Filandro  ,  Purcb/io  ,  Gilberto  e  cento  altri  ferino- 
ri  deli' ifteflb  XV  fecolo  ,  de'  quali  le  teftirndnianze  lì  rap- 
portano colle  proprie  loro  parole  dall'  er  dito  napoletano 
Grcfiorio  Grimaldi  ,  che  pofsouo  rfcontrarfi  nUa  diflertjzio- 
ne    regi  (irata  ne' i'tfi^^/   deli'  /Icc'ademin  di    Cr.rto^a  -l)- 

Cont.fla  r  iniigne  Girolamo  Tiraboi'chi  la  concorrenza 
di  m  liifTimi  autori  che  acclamano  il  Git^ia  e  me  inven- 
tore della  bufsola  ed  attelfano  che  Amalfi  ne  pr-fe  \'i  flem- 
ma ;  e^  afferma  che  provata  l'cfinenza  'dello  f'emma  prefo 
da  Amalfi,  l'invenzioae  della  bufTbla  ad  elfi  è  sflÌDrara. 
Se  un  tal  valentuomo  non  fi  full'  arrogato  furo  1  araba 
bandiera  -,  avrebbe  quefto  c-jncor'^o  di  tanti  in  un  folo  av- 
vifo  riconofciuto  come  un  conf-n'b  un'v  rfile  dell'  Enr^^pa  . 
Ma  per  bilanciar  \à  forza  di  s'i  folta  fchicra  oppone    che  tut- 

*  ti 

(r)  Molte  altre  fé  ne  leggano  nell'opera  del  Brenckman  àt  Repui.'ka  À- 
fnalphìiaria  . 


^4 

ti  quefti  poffano  confìcìerariì  ref:ts  «n   autor  foto   eff^ndafì   T 

un  l'altro    copiati  fen^a  produrne    documsnto  veruno.    In    pri- 
ma fi  può  replicare  chi  e:;ii  non  d  moltrò  che  effi  fi  copiarono; 
ed  egli  eccellente  accurata  fcrittore  fapea  per    prova  cha  notv 
femore  che  d  ripete  ma  Ibria  nota  vuol  dire  die  fi  copi!  ; 
p.Tchè  gli   feritori  obbìi^ati  adir  lo  ftjifo,  le  non  TjaG  doz- 
zina'}, ma  abili  e  zelanti  del  proprio  onore  ,    fempre  al  ri- 
petere il  fatto  aggi  jogonj  uri  nuovo  efame,  e  perciò  nwlti- 
plicandulì  gli  ferii  tori  concordi  v.'ngJtic»  a  molti plicarfene  gli 
cfa  ni  o    All'exfzioie  cbe  alie-»a  eh*  tali  (crittori  non   han- 
no di  ciò  che   iffetuiario  recato   docttme'ito  veruno,  Ci  può  do- 
manJare  ,    fi  il  celebre    o^p  «fitore  Ikflo    nel    patrocinar  gli 
Arabi  abbia  della  fua    opinione  recato    a!cu>t  documf.nto  ?    fé 
nel  parrocioare  i   Francefi  Azuni  ,    ed  i  Cin.'G   Hager  dcint 
docmne'ìto   proJuflera?    EiTi    tutti  altro   non   adducono  che   re- 
mote concettare,  annali   icreditafi  ,  fcrittori  incerti   ed  ofcuri. 
Ma  chi   ftà  p^r  gli  Amalfit.'iii    Ichiera  un  valido  drappello  di 
vicini  fcrittori   i  <j.iali  per  lo  /lenona   parlano  di  ciò  che  ve- 
dcvanoy  e   per   l'iaveizion'  d.'il.i  buifila   poffbno    dirfi    quali 
co'tanei.  Ed  a  colerti  tertiiTunii ,  quale  altro  autore  fi  oppo- 
fé  ?    chi  gli   fnient'i    in  quel  medefimo   secolo  XV  sV    vicino 
al   XiV  ì    Crramjute  niuio.   E  piacciivi  odar^ar  fu  di  ciò 
che  non  pochi  anni   p:ffar  dovettero  dal   punto  della  manifeiìa 
inve  .zioti^;  di   punto  in  cui  fi  pensò  a   llabilirfene  lo  ftjmma» 
ìic  /ffino    i:?02    (  difle   Filippo    Briezio   )    inventa    ejl    Piais 
Nau  ira  a  Flivio  cfuodam   A^nalphltano    (i).     Ma    prima    che 
Flavio  ne  ripetede  le  fperienze  oe'varii  fuoi    viaggi    mariti- 
mi ,  e  che  gl'I-aliini  e  gli  elK-ri  ne  udiffero  e  rrovaffero  i 
benefki  effeitt,e  che  Amalfi  lii^ta  della    gloria  clic  gliene  ri- 
dondava,  pensafle  ad  afTumerne  lo  ftemma  per  confervarne  la 

me- 

Ifi)  jlmaUi  Mundi i  Chtanieon  miver/alt  ad  ann.  1302,    tom.  VI 


«1 

memoria,  prima,  dico, di  tutto  ciò  dovettero  correre  alcune 
decine  di  anni  lei  no:n  nato  lecoio,  e  forfè  avvicinarfcoc  il 
termine,  e  lo  ftemma  non  dovè  efifere  da  gran  tcmoo  vilìbile 
quan  lo  il  X(V  terminò  e  cominciarono  a  contarfj  gli  anni 
del  XV.  Adinque  gli  aut  )ri  Hi  «juefìj  videro  lo  ftemma,  « 
fé  dirfi  non  p.^Àbno  rigorofam^nte  contemporanei  all'inven- 
zione di  Flavio,  ben  potrà  la  giufta  cricica  allegarli  (con  pa- 
ce del  Tirabofchije  ejme  vkuiì  al  fauo  memotabil:  e  quali 
coetanei,  e  come  oculari  tel'limoni  dello  Itemma  di  Amilfi  e 
del  Principato  .  Or  quii  altro  monumenta  fi  pretende  da 
quegli  autori  di  avere  Amalfi  ufato  ai  cofpetto  dell'  Euro- 
pa uno  (te lima  in  memoria  dell'invenzione  tutta  fua  delU 
buflMa  nautica  ? 

E  chi  può  dirci  in  qua!  periodo  de'tre  fecoli  fe^uentl  fpari- 
ta  f  jfle  e  rofa  dal  tempo  queli'  imprefa  che  fi  de'crilTe  dal 
nobile  uomo  e  giureconfulto  Francefco  Panf.*  che  efiilevi 
nel  fuppor-ico  della  poita  piccola  deiU  marina  di  Amalfi? 
Eravi  (  egli  dice  )  u  la  figura  di  donna  con  u;!  pomo  al- 
la delira,  un  l.'one  fono  il  finillro  briccio  appog^-'ato  al 
fianco,  un  moaJo  ed  un  coiipalTo  ed  un  libro  a*  piedi,  ed 
allato  una  croce  di  Malta  e  uni  Bulfola .  La  Iteffi  fig  ra  co' 
dc'critti  emblemi  afìTicura  il  Panfa  che  ancor  fi  vedeva  a' fu»» 
à\  ricamtita  iu  un  vecchia  parato  di  Chìefa\Q  perchè  egli  non 
a  torto  temette  che  tal  parato  djvcffe  confurarfi  .  volle  con- 
fervarne  la  memoria.  Tutto  difp.ir'e  in  effetto, e  la  cittk  per 
ravvivar  la  memoria  dello  ft  mmajdifpofe  che  nel  coflitjirli 
nella  piazza  la  fantasia  marmorea  (  forfè  feffanta  o  fettanta 
anni  fa  ;  colla  flatua  dell' apoftoio  S.  Andrea,  nel  mezzo  fi 
fcolpifle  fjl  piediiftallo  l'antica  infegna  di  Amalfi  con  quefto 
motto  (i)  : 

lo. 

(l)  Figura  4. 


^6 

Invfntr'm  fraclara  futt  magneti!  ^tìaìpb'n  (i)." 

li  Pria  ipato  Citeriore  nella  gaila  erte  ^li  aJdotti  autori 
fcriflero,  ritenne  1  iofegna  delia  bjlTola  colle  otto  partizioni 
per  indicare  i  venti  principali  delcritti  dal  Bren:k.nan  (e  ,e 
fi  fé  iacideri  dal  Pacicchelli  nella  (tifTa  maniera ,  ci  oè  divifa 
in  una  parte  fuperior;  bia-ira  e  nell' ìnferiofé  »?'■<«  ad  ogg't- 
to  di  dinioftrare  l'ufo  delia  bolTola  nel  giorno  e  nella  notte 
(q).  OJtreac>.iò  l'attuai  governo  neli'imprifa  decretata  per  le 
Scili*  L'anno  1807  '^-^  P^it  anco  dinotara  qa;lla  provincia 
«oU'infegna  della  buflbia  naut.ca. 

Avverfo  di  tale  ftemma  forgono  due  potenti  avve'-farii,. 
An.^res  ed  Hager ,  partigiano  degli  Arabi  il  primo,  d;' Cinefi. 
il  fecondo.  Elli  fi  lufingano  poterlo  ricettare  in  due  manie- 
re,  fcreditando  il  Pan  fa  ,  e  raoftrando  di  non  trovarli  nel  fu- 
gello  del  comune  di  Aruallì  gli  otto  venti  indicati  dal  Breick- 
man  .  Il  profelTof  di  Pavia  fé  richiedere  refgrfuita  pre- 
fetto della  Biblioteca  di  Napoli  del  fao  avvifo  fu  tali  affare, 
e  ne  ricevè  in  rifpofta  clie  l'opinione  favorevole  ad  Amalfi 
è  priva  di  ogni  f'^nàa'mnto  ed  uno  ie  rùcc-^nti  f.'.-jolift  c'js  ab- 
bondano nella  /ìorij  di  Fr.i?jcsfco   Pan/a    0    Lanfa    compilcfìrè 

in- 
(i)  Anche  og^i  !a  Città  conferra  nna  barca  astica  i\  fm  proprietà ,  in  cui 
vedeC  dipinta  io  oao  scjìo  la  croce  di  Malta  e   la  BjiToia. 

(j)  Std  -mI  atfer:e  i-ìeiì  c-^mpr^bit  (  ciaf  C3e!  che  Aqss!o  del.'a  Nocj  t 
Camillo  Borreilo  affermano  )  :  Iijl^ne  Crvhjth  jinta'.phitinx  ,  torìufjits,  ni  fjl- 
Itr  ,  dricì-.ui  qucA  fymly.licim  p'ix'tàis  njuritjt  diliifttioiem  exhrbet  .  Di  R:- 
ftiè.  ^ta.'prÌ!.  C.  XXri.  Benché  però  a;cenoi  le  otto  ale  deii'  infegna  dice 
nella  nota  ó,  Plerìcue  vetires  oSo  vi-.tcs  Jijìiixerunt  meAh  wia  ima  quaintr 
cjrdtnj!!!  SittrJfHj  ,  ciranjo  Csliario  Ge;^.  vet. 

(?)  Il  Pacicch?i;i  nelia  carta  che  aidtice  de!  Principato  ne!  ruo  Regf 
ài  Njpcii  in  pr:'pis:rji .  Si  regga  in  q-jelo  Ragio-am.e"fo  la  Figii'-a  ?,  do- 
rè è  da  avvertirti  che  bea  orto  punti  vi  fi  notano,  cioè  q;3ttro  a!e  nei  pri- 
mo   cerchio   eiìeriore    e  quattro  punti    segnalati    fui     cerchio    inscritto  così  ^ 

Oj^^o  che  equivalgono    ad  altri    qcattro  venti   e  compiono  il  njmero   ieWt 

«tto  alette  defcricte  ca!  Breackman. 


87 

v'felke  .  Aq°iinfe  che  nel  ru?g2llo  ricavato  .V.la  comune  di 
JÌmaih  trovanft  dui  ali,e»v;  g'à  0//0, come  fcriir^  il  -Brenk- 
mai.  In  prima  njci  avvertiDtio  co-i^fti  due  fili  oppoGto- 
ri  eh."  qjella  freon  fa  oppoQzioa;  diilrug^e  la  prima.  Nel^a 
prima  dice  o  Andres  o  Hd^-r  eh?  in  Amalfi  }n>t  fi  trova 
tno>iur,7et:t3  nlcuao  di  B'iJJola  ^  &  Q^lla  fcccti.la  fi  affarraa  cha 
TJil  fugelh  fi.veggì'io  due  alt.  par  due  veriti.  Grazie  al  Cielo 
già  comincia  dunq  le  a-  fpun'ar  qualche  traccia  di  bafTaia  . 
Ma  eUminiamo  L'importanza  di  entrambe.  E  poiché  i' abate 
Andres  le  ha  imboccate  al  prjfeiTbr  di  Pavia  ,  ofo  in  prima 
a  lui  domandare,  fé  Ga  la  fteiTa  cofa  effere  ^;<^/;7//o,eJ  elTire 
fcrtttore  i'.felia  ?  fé  vale  lo  lìeffo  rmntire  ,  e  narrare  infi- 
l'tamsnte  ?  Per  me  .fono  quefle  due  imputazioni  ben  dicia- 
te ,  e  credo  che  fi  polla,  elfcre  ftorico  acche  m;.'c'i:no  ed 
intanto  non  nemico  della  verità,  con  r'frrir  ciò  che  fi  ve« 
de  .  Accorderò  di  buon  grado  a  chi  il  prete.ida  che  do- 
ve fi  tratta  d-i  erudizione,  di  fcienze,  o  di  buona  cr'tica  non 
fia  (lato  il  Panfi  r  uomo,  più  illruito  della  terra.  Ma  nel  ri- 
ferire fé  una  infegna  eiiiìeva  nella  propria  Città,  non  fi  trat- 
tava di  decidere  fj  qualche  telio  arabico,  cin?fe,  ebra'co  o 
greco,  o  di  arcani  di  ftoria  natufa'e,  o  del  calcolo  delle  fljf 
Coni .  Si  trattava  di  aver  occhi  per  -jedere  óò  che  i  fuoi  con 
temporanei  pur  vedevano  con  lui  .  In  fnccia  a  quelli  avr^b 
be  egli  ofato  defcrivere  come  efiUente  uno  lìemma  immagi 
njrio?  Altronde  gli  oppofitori  hanno  forfè  alli.  mano  docu 
meati  che  quel  nobile  amalfitano,  quel  giure:orifulto.  onora 
to  ,  ancor  dopo  morto  tenuto  in  pregio  ,  folfe  flato  a  tal 
fegno  impud^ate  e  menfognero  per  figgere  quello  llemma 
delli  pirta  della  città  e  del  parato?  Ed  i  compatriocti  tali 
anch' efll  Itati  larebbero  '^3.  concorrer  tutti  con  un  co'pevole. 
filenzio  alla  di  lui  iiipoHura?  E  la  città  eoa  pari  impuden- 
3iiL  cciminoU  ratin:aca  avrebb;  la    favjla  dello  fte.nma  colla. 

but- 


buflbla  innalzando  la  fontana  marmorea  nella  fua  pìaiza?  Stra- 
na, colpevole  maniera  di  ragionate  è  ceno  qutlia  che  ufano 
i  due  brivi  oppafitori  . 

Conrinuj  a  damanJare  alla  coppia  rifpetrabile  che  ho  a 
fronte,  fi  dorati  come  entrambi  fono  di  tanra  dottrina  e  di 
s«  fine- Ciifcernimenro,  polla  10  etìcr  fu-uri  chi  p.r  diitruggere 
ciò  eh?  tanti  fcrittori  afi  riruno  ,  e  forfè  non  pjchi  per  a* 
verlo  villo,  chi  il  Paufa  induiiiatinieoie  vide  mi  parato,e 
che  avea  fotto  gli  occhi  i  tratti  ro!ì  deli'  effigie  coMa  buffala 
e  la  croce  di  !Ma!ra  della  porta  della  marina;  fo,dicj,  adi- 
firuggcre  tutto  co  b.^fìercbbe  il  fugello  attuile  dato  che  nul- 
la in  qucRo  fievi  eh--  l'antico  rteinma  conreaL'fle  ?  Se  gli  op- 
polltori  non  fi  foio  p^r  altra  via  accurati  delLi  falfìta  alfe, 
rita  ftira-tico  flemma  (  mi  permettano  che  il  dica)  e{fi  fab- 
bricano fu  di  un  bel  fofisma  .  Imperocché  potrebbe  il  fugeU 
lo  pr-feute  n  dia  contenere  dell' antico  fìeiTima,  ed  intanto 
n(  n  eif.r  p.i-.-'namentc  diRiutta  1' aiferzione  di  tanti  feri i tori  , 
de' qujli  b  ona  parte  po'terono  aver  veduto  1' antico  .flemma. 
Md  ie  qualche  difcendente  del  Panfa  rapprifentafife  loro  chs 
A  nalfi  ha  ben  potuto  penfare  a  riparar  le  ingiurie  del  .tem- 
po e  fuppliie  alia  p^Tdira  dello  flemma  che  vedevafi  nella 
porta  indicata  coU'a'tUil  fusello  di  minor  grandezza  e  per- 
ciò riflretto  a  fegrialar  niù  pochi  emblemi  ma  i  più  necefla- 
rii  a  rapprefentar  l'antico  H-emma,a  c:ò  (di  buona  fede)  che 
replichercfbbero  s'i   infgiii   oopoiìrori  ? 

L'  infegna  defcritta  dal  Brenckiran  (  fi  oppone  in  fecondo 
luogo  }  cuiitiene  otto  aletta  per  ind  care  otto  venti,  e  nel  fu- 
gello del  cummune  di  Amiilfi  ve  ne  fono  due;  dunque  que- 
tìo  fiig  Ilo  fa  fparire  la  defcrizione  del  Brenckmao  ed  in 
C'  niesuenza  ogni  monunento  di  buffola  in  Amalfi .  Temo 
per  gli  oppofirnri  che  ancor  quefti  potranno  fembr.ir  lonsmi 
a  chi  bcc  ragiona.  Tutto  quello  che  col  fugello  alla  mano 

fi  pò- 


fi  pitteffe  Opporre  al  Brenckman  (quindo  pur  dritfnmcnfe  fi 
ragiotialTe  )  non  nocer<bbe  alla  caua  d.llo  !iemm,i  antico, 
pon  dipendendo  da  quell'autore  de.  XVi II  fec;>l)  tutto  ciò  che 
può  adJurfi  dell' antico  fteinma  di  Amalfi,  Ma  ciò  lalciando 
ancora  vediamo  che  cofa  intrÌDlecimente  nuoce  ailo  llemma 
l'elfi-T  due  le  alette  indicanti  i  venti.  Per  buona  ventura  il 
/ugello  attuale  che  Andres  fé  pervenire  ad  Hager  è  quella 
lìelTo  die  io  lo  fcorfo  anno  1810  ho  fatto  rimettermi  dal  co- 
mune di  Am.ilfi.  Il  lettor  cuiofo  può  vederne  l'identità 
ticlLi  merKorìa  dell'Hager  ed  in  quefto  no^-lro  ragionamento  fi). 
In  tal  fugello  fi  vede  uno  fcuuo  di  forma  ovale  centinata 
intorno  alla  quale  fi  \z^it  ^^dAijJtma  c'fu'ttas  jimnlpèh  ^  fut 
quale  feudo  è  una  corona  ;  tutto  è  divifo  dà  una  linea  in  due 
parti  ,  in  quella  eh'  è  alla  (ìniltra  di  chi  lo  guarda  è  un» 
zona,  ed  alia  delira  fi  vede  la  croce  di  Malta  di  fopra  ,  ed 
una  BulTola  legnata  in  <]t;atrro  punti  ,  cioè  da  due  dette  da 
lati  oppofli  e  ^i.  due  altre  accennate  foltanto  àà  lu  in  giù  . 
Se  quella  non  è  una  buflbla  come  le  altre  che  altros/e  li  ve- 
dono, che  cofa  fembra  che  fia  agli  eruditi  oppositori?  Con- 
feflano  cffi  che  qu^  fi  veggono  quattro  punti  tra  quali  due 
alette  mirate  ancor  fenza  occhiali?  offervano  che  etìe  accom- 
pagnano la  Croce  di  Malta  che  fi  vede  nelle  altre?  Or  per- 
chè non  vogliono  rav'figurjxvi  gli  emblemi  drillo  flemma  amaU 
fitano?  Ma  perchè  (ripeteranno)  non  fono  otto  le  alette  co- 
me nell'altre  del  Brenckmanno?  Rifpondo:  perchè  non  li 
trova  filfato  nell'  arte  del  Blasone  un  canone  che  vieti  di  ri- 
conofcerfi  per  buflola  una  ijnprefa  che  non  abbia  una  rofa 
con  otto  venti,  pi  grazia  donde  ellì  deJicono  che  non  po*^» 
fono  eflere  né  più  né  meno?  E  fé  taluno  s' intalentalfe  di  f.« 
gnarne  feJici  ?  ventiquattro?  trexitadu.:?  trentafei  ?  fé  sole  qua^- 

Ji  tfCì? 

♦i)  Tavola  I  Figura  2 


5°' 

iror  fé  due  come  i'n'queft''ultima  dì  Amalfi 'Saranno  tali  caflTefte 
o  impiefe  rimolfe  dall'onore  d' intitoiarii  bulFole  ?  Md  lurfa 
pure  diranno  elìrando,  psrcKè  quegli  altri  du^  pjnti  ft?g  iati 
di  fopra  in  giù  non  fi  fono  pur  anco  convertiti  in  ale  te  ?• 
Potrebbe  replicarli  che  il  diiegnatorì  non  cavillofo  le  avefle  (ti- 
mate  fuperflue  ad  indicare  di  vantaggio  i.  quattro  venti  car- 
dinali bafiando  accennarle..  Pure  dicaft  qualche  cofa  di  più. 
Lo  feudo  del  (ugello  è  centinaio  e  fi  ftringe  alquanto  verfo 
la.  parte  inferiore  per  dar  luo^o  alle  lettere  dell'accennata  i- 
fcrizione  che  °irano  per  tutta  la  periferia  del  fugello;  e  iorfe 
appunto  perciò  non  vi  hanno  luogo  fé  non  due  ioli  lati  che 
formano  uno  degli   angoli  del  rettangolo  che  accenn^po. 

Aggimgo  qualche  efmpip.  di  fimili  arbitrii  (  lafcianda 
per  ora  da.  parte  i  pittori  che  ne  prefentano  per  ogni  ban- 
da )  ben  conti  a  coloro  che  svolgono  i  libri  delle  imprefe. 
la  famiglia  del  noftro  poeta  Bernardino  Kota  ha  per  infe- 
gna  una  rota  d'oro  con  otto  raggi  ;  fr:a  nel!' efecuzione  non 
ie  ne  contano,  vifibili  che  fei;  diremo  perciò  che  quefia  im- 
preca non  appartenefle  al  Rota  :  Il  celebre  Antonio  Epicuro. 
p'T  alludere  al  nome  Feigilia  di  certadama  invernò  una  im- 
prefa  fulle  fette  itelle  Vtrgilie  ,  ma.  neli' efecuzjone  fé  n'ef- 
preflero  fèi  foltanto,  e  voi  e  fare  intendere  che  la  dama  fof- 
fe  la  fettima  Feigilia;  or  perciò  non  fi  riconobbero  ne'ie  fei 
manifelte  le  llflle  Vergilie  lette  di  cutne^o?  Una  figura  con 
alcuni  occhi  chiufi,  ed  altri  aperti  in  una  imprefa  fpa^nuola 
aijimaia  col  motto 

Los  Jerrndos  por  no   mirar  y, 

Los  avterto'!  por  llorar, 
ben  manifefla  nella  fii^ura  di  molti  occhi  l'Argo  della  m'tc- 
lo;iia  greca,  benché  il  burino  o  il  pennello  non  pocè  efpri- 
mervi  tutti  i  fuoi  cento  occhi  .  Infinite  bande  ,  zone  ,  o  ia- 
fce  d'cfcritte  come  eguali  di  lungli?zz.i  vegjjonfi  negli  feudi 
-^  uri- 


ineguali  eflendo  alcune  o  più  lunghe  o  più  ampie   delle -altre 
a  cagif^ne    delle  forme    e  delle   centinature  di  effi  feudi  .    Si 
cffcrvino  in  prova  di  ciò  le  armi  delle  famiglie  Loria,  Toc- 
co, Aragona.  Una  teda  chiufa  in  un  elmo  che  pur   non  ap- 
pare, fuole  indicare  un  guerriero  tutto  intero,   come    quella 
della  famiglia  Gallucci.    Un  braccio  che  tiene  una  daga  che 
efce  fuori  di  una  torre  nell'imprefa  di  Medina-Sid' nia,  potrk 
ridurrli  in   mente  all'  iipano  Andres  la  grandezza  d'  animo  di 
Gu'^man  el   Bueno  governadore  di  Tariffa  che  getta  al  Moro 
aflalitore  qu^'l   ferro    perchè  ferva  a  fvenare    il  proprio   figlio 
pripioni>.^ro, anziché  violar  egli  ofaffe  la  fede  rendendo  la  piaz- 
za.  Ma  in  sì  chiaro  argomento  ho  foverchio  efemplificato.  La- 
fcio  ancora  di  ricercar  più  oltre    dietro  ad  ogni  altra  fofilH- 
cheria  che  potrebbe  opporfi  ,    difpolto  per  altro    ad   un  bifo- 
gno  di   ritornar  full'alfunto.  Non   vo   però  Lifciar  di  fare  of- 
fervare  che  Andres  in   Napoli  ed  Ha^^er  in  Pavia  non  videro 
o  veder  non  vollero  nel  ("ugello  di   Amalfi    per  cui   credeva- 
no di  trionfare  ,  la  buffola  nelle  due  ahtte  ^    e  nt  due  punti 
accennati,  e  nzWdL  croce  di  Malta  che  ad  effa  fempre  fi  con- 
giunge, nell'atto  poi  che  elfi  beono  sV  groflb ,  e  formano  pu- 
ri atti  di  fede  ad  ogni  (tante*  in  prò  deg'i   Arabi  e  de'Cin;fi. 
Rirulta,s'io  m'appongo, da  quanto  s' è  detto  ,  che  gì' Italia- 
ni ,  e  fingolarmente  quegli  di   Amalfi  ,  ne'  baffi  tempi   navi- 
garono, cofiruirono  ,  trafficarono  ,    e  tra(rero  a  fé  lo  ((upore 
e  le. ricchezze  delle   nazioni:  che  alla  loro  fagacith  p^r  tem- 
po fi  manifedò  la  p-'Iarità  della  calamita  e  l'utile  che  appor- 
tar poteva  alia  navigazione:   che  quella  fcoperca  maturò  lull' 
aprir  del  fecolo  XIV   l'invenzione  della  bu(rola   nautica   mer- 
cè  degli   fperimenti  diU'induftre   nocchiero  amalfitano   Flavio 
Gioja  o  Goya  o   Geri  che  voglia  dirli:  che    Amalfi   ne   prefe 
lo    (lemma:  che  una  folla    di  non  volgari  fcrittori     del     XV 
fc  colo  proffimi  al  gran  ritrovato  e  coetan-à  allo  Itabdimento 

*  dello 


9' 

dello  flemma,  l'aneftano:  che  appofizìonì  di  poco  momento 
A  quefta  gloria  italiana  al  noRro  regno  peculiare  fi  fono  fi» 
nora  addotte  da'patrociadtori  degli  Arabi  ,  degli  Orientali  e 
de'  Francefi . 

Termino  eoa  indicare  per  epilogo  i  primarii  contradittori 
e  j  difeofori  degli  Amalfitani  ,  perchè  il  leggitore  imparzia- 
le tragga  qualunque  confeguenza  gli  piaccia  dal  numero  e 
dalla  qualità  degli   uni  e  degli  altri  ► 

Stauiio  coatra   Amalfi  i  leguenti  ;    il  fig.  Glufeppe  Hngar 
coprendo  del  proprio  fcjdo  gli  Orientali  tjtti  ,    e  trionfando^ 
ia   i  Catri  da  fortilegii   folìenuti  dagli  accreditati   Annali  Ci- 
neft  ;    il  cav.  Girolamo    Tirabufchi    che    lì  dichiarò    per  gli 
Arabi  fu  mere  congetture  e   Tulle   voci   Zomn  ed   Aphton  pe> 
fcate  ia  uà  libro  che  non  efifts  o  che  non   efiftè  mai;  il  (ìg^ 
Giovanni   Andres  che   cangia   %o;-Dyi    ed   aphroft    in  giarun  ,    e 
auran^e  che  accula  come  falio  un   teltimone-  oculare  de' fatti 
di    Amalfi  che  fl  veggoiio  neiriiteflo  fugelio    ch'egli  prefen- 
ta  in  g'udizio;  il   Ggnor  Domenico  Azuni  dichiarato  fautore 
de' Francefi    fulla  fece    di    pochi    verfi  gaulefi    che-  non    fi  fa 
ar-cora  quando  (i  compofero,e  che,  purché  efcluda  gli  Amal- 
fitani,, ora  fd   r'falire  la  fcov-rtJ  della   buiflbla    due   (ecoli   p  ù' 
fu,,  ora   la  fa   piombar  giù  quafi  due  fecali  fino  ai  Portoghe» 
fi.   La  cauTa  degli   Amalfitani  meglio  foiienuta    che  oppugna- 
ta conta  i  leguenii  p^irtigiaoì  .    In   prima  vien  difefa  da    una 
sradizione  generale  e  criucorde  che  riconofìze  Flavio  Gioja  per 
inventore  ,  e   lo  flemma    della,  buffola    in   Amalfi  »    Appreflb 
è  per  l'invenzione   e  per  lo  fiemiiaa    fi   fono  dichiarati  quali 
iu;ti  gli  au-Lori  del  XV  e  XVì  fecolo  .  In  feguito  il  geogra- 
iij  Guthrie    nelle   Tavle  Cictiologichti    riconolce    Flavio    per 
verO'  inventore  della  buflbla.  Il  Kirker  rigetta  ogni  alrra  opi- 
nione,  e  (i   uuifce  a  chi  lalliet:e  Flavio  (ij.  L' iilglefe  De?. 

htam 

(i)  jlrt.  Maga,  lib.  I  par.  r. 


9i 

ham  allottò  ravvlfo  del  Gilbert  ^i),  e  fi  ilicbiarè  anch' egli 
per  Gioja  (2).  Il  Kicciuli  conviene  con  Filippo  Briet  fopral- 
legato  circa  l'aver  poruto  ceno  Giovanni  Goya  pure  amal- 
fitano incominciar  la  f  operta  e  fnirla  Flavio  ,  e  diftribuire 
nella  bullula  fedci  e  p>i  treiualei  veuri  ,  e  adattarne  cnlybi 
magfierico  la  rufa  in  una  carta  rotonda  (3)  .  Nell'opera  tur- 
chefca  ftampata  in  Coltantinopoli  io  cui  fi  tratta  della  cala- 
mita e  d'Ila  baflr>>la  ,  fé  ne  attribuilce  l'invenzioni  alla 
citt'a  di  Amal'i ,  ed  il  Tolerini  amore  non  ignoto  all'Hager, 
la  cita  nella  Letteratura  Tmcbefca  ft.impata  in  Venez'a  nel 
Ì787.  Il  furano  illorico  Robercfon  dimollra  vit'oriofamente 
l'infulfiltenza  d;lle  pretenfioni  alla  bulTola  e  degli  Arabi  ,  e 
de'Cinefi,  e  le  probabilità  che  concorrono  a  favore  degi  Ita- 
liani ,  e  foftieoe  al  fine  con  fermezza  che  al  folo  Flavio 
Gioja  fi  appartiene  l'onore  della  grande  fcrperra  (4".  Per 
finirla  l'eruditilTimo  Flaminio  Venanfon,  tutto  difculfo  (5), 
conchiude  i  che  la  fur^a  direttrice  della  calamita  e  l'a^'pl'ca* 
zione  di  effa  alla  marina  appartiene  agl'Italiani  ,  z  che  tra 
quelli  gli  Amaltìtani  poffono  in  preferenza  rclan.rne  la 
gloria,  3  che  Flavio  Gioja  è  il  folo  inventore  dtlla  vera 
buffola . 

li  Napoli   Sij'^norelli   raccoglie  le  v°Ie    e    ravvifa  reglì   A- 
inalfitani  gl'inventori  della  bulTola  nautica  ed  i  pofleflari  deif 
antico  flemma  che   la  dinota  al   pari   ézW attuale  fugdla. 
J.ertor  nlorofo  tocca  a  te  a  giudicarne; 
MeJ[o  i  ha  imianù  or  tu  per  te  ti  ab». 


SUL 

CO   Vie  Ma^n, 

(Z)    Ffl'ent,  &■   JllrìB     De!  Uè.  V. 

(jl    Geo-r.   &    Hydro^T.    lib     X   C.    ? , 

(4)   Nelle  ricerche  fu  1' i"oria  dell'  Indie,  e  nelfa  ftoria  à\  America. 
(3)    De  flnveniim  de  /«  Bouffolt  Nauti 'j ne  ,  in  Mapoii  od  iSo8. 


lav  I. 


'^al  letterd  a  ^^    LctLera  l)  — ,  UUcra.  C  /^  letL.d    Z_ 


SUL  GERUNDIO  FRANCESE 

M  E  M  0  R  I  J: 

DEL     SOCIO 

ALESSANDRO  PETRUCCI 

GiUDiCE  qj;lla  c.  di  appello 

LETTA    nell'adunanza    TìNUTA    IN    ACOSTO    l8ir. 


9% 


I 


_L  mio  onorato  efilio  in  Francia  mi  fics-  una.  piacevole 
necenTità  ,  per  poter  ivi  parlar  e  feri  vere  correttam^nra  ,  di 
applicarmi  con  mo'to  ftudio  a  conofcer  ,  quella  Jingua  d  ffici- 
le  a  maneggìa'Ti  d.igli  itninieri  ,  perchè  ha  minor  numero 
di  regole  generali  che  di  «tezioni  particolari  ,  perchè  poco 
pieghevole  alle  circonlocuz;oni ,  ed  alle  inverfioni ,  e  perche 
mai  Lffre,  che  per  analogia  11  tragga  argomento  alcuno  ne 
modi  del  d're .. 

Or  nella  lettura  degli  fcritiori ,  e  nell'ufo,  coftantc  di  par. 
lare  mi  avvidi  di  una  cena  confufiune  rifpetto  all'  impie- 
go de' participi  dei  piefente  e  de'gerundj.  Anzi-  fuHa  difini- 
zione di  quarti  ultimi  trovanfi  fcifù  i  pareri  de' grammatici,, 
ne  parvemi  /oddisfacente  l'articolo  c'el  Dizionario  dell'Ac- 
cademia che  ne  tratta»  Infinita  peiò  iu  la  mia  f.  rprefa ,  al» 
lurcbè  ra"  imbattei  in  una  nota  al  cap  2J.  della  parte  2. 
de'piincipi  generali  di  grammatica  del  f'g.  di  Condiilac  ,  il 
quale  fnfHene  „  che  Ja  lua  lingua  non  ha  gerundj  ,  e  che 
„  per  eflerfi  voluto  in  ella  rinvenir  verbi  foftanti.vi,  ag°et!Ìvi, 
>,  aitivi  ,  paflivi  ,  participj  ,  ge-un'j,  era'ene  complicafa  la, 
jj,  grammatica    come  quella    che  li  era  tcmpilaia    lui  fiftertra 

,.  d:l. 


„  della  grammatica  latina.  Noi  la  reideremo  tanto  più  fem- 
„  plxe  (  egli  foggiunge  )  quanto  più  ne  richiaaijrejio  le 
5,  efpreffioni  agli  elementi  del  dilcorfo  .  E  ficco.n.-  non  mi 
fembrò  che  fiftarta  fua  opinione  reggede  a  marcellu  ,  t-^mei 
forte  ,  che  poteff;  indurre  in  errore  l'autoruà  di  un  illuftre 
e  fublime  irutafilico  ;  foprai tutto  in  quel  momanro  ,  in  cui 
era  fama  ,  che  1  Iftituto  Lriperiale  li  occupafle  di  riprodurre 
miglicrato  ed  accrefciato  il  Vocabolario  della  liiigua  .  Vo:li 
quindi  meditare  fopra  fifF^tco  puucj  grammaticale  non  bene 
ancor  fiflato  preflo  quelia  nazione.  £  dei  fietto  delle  mie 
meditazioni  fattone  il  logge  to  di  una  riizcnoru  fcritta  io 
Francia  ,  ma  letta  in  un  confeflo  jetterarjo  ,  al  quale  ave- 
va, ed  ho  l'onore  di  appartener  come  Socio  ,  i  m'ei  «ol- 
leg!ii  non  trovarono  prive  di  fonJamenco  le  mie  oflervazio- 
ni  ,  ed  io  mi  animai  a  pubblicarle  p:r  le  llarnp^  ,  anche 
per  un  certo  orgoglio  nazionale,  e  per  imitar  It  bifce  ,  che 
iafciano  la  lor   traccia  io  tutt' i  luog'hi  dove  p:iffano. 

Ora  voi,  ornuiffimi  Accademici,  nel  concadermi  il  per- 
mefl'o  di  pTefentarvele  recate  in  Italiano  mi  date  on  nuovo 
pegno  di  benevolenza;  e  Te  potranno  efie  nel  vcfìro  impar- 
ziale e  fopraflino  giudizio  non  fembrare  indegne  di  attenzio- 
ne, io  avrà  riportato  il   pai  bel  premio  dei  mio  arido  lavoro- 

Il  Dizionario  dell'  Accademia  Francefe  ecco  come  fi  efpri- 
me  nell'art.  Gerundio.  „  Gérondif:  terme  de  Grammaire  . 
„  En  notre  lan2ue ,  e' eft  une  efpèce  de  f^articipe  indeclina- 
„  ble  ,  a-uquei  on  join-r  fouvent  la  prépofition  f«,par  exenv 
„  pie,  en  allant  ,  en  faifant  ,  il  allait  courant  „  .  Voi  già 
vedete  che  n  una  idea  aHeguara  vi  C  fa  prefente  cen  una  co- 
tal  rronca  ed  inefjrtta  definizione^ 

Egli  è  vero  ,  che  avendo  in  francefe  il  gerundio  -4a  fìeffa 
terminazione  del  participio  del  prefente  ,  tie  è  derivato  che 
foffio  icno  l'ati  .confufi  e  fcani'biaii  l' un  per  l'altro  ,  come 
ti  cocfondono  ,    e  fcambjano    nella   giornaliera    abitudine  di 


57 
parlare  e  di  fcrivcre .  Nondimeno  il  fenfo  della  frafe  dovreb- 
be naturalmente  farne  diftinguere  l'ufo  e  la  fignificazione. 

Intanto  1'  Abate  di  Condillac  credendo  di  richiamar  l'  e- 
fpreirioni  agli  elementi  del  difcorfo,  mentrcciiè  conviene  con 
gli  altri  grammatici,  die  i  participi  fien  veri  aggettivi,  af- 
ferma che  i  gerundi  fieno  per  1' oppoRo  foiìantivi  ,  dopo  di 
aver  aflunto  ciie  la  lingua  francefe  non  abbia  gerundi  (i) . 

Io  dunque  mi  propongo  di  dimofirarvi,  che,  (e  I  articolo 
del  Dizionario  è  infufficiente,!!  fig.  di  Condiilac  non  fi  è  ne- 
anche apporto  al  vero.;  e  che  tutt' altra  effer  debba  la  difi- 
nizione  de'Gerundj,  de'quali  non  può  negarfi  l'efiftenza  nel- 
la lingua  francefe.  Egli  (ieflb  me  ne  fomminifira  le  pruove 
che  mi  fembrano  evidenti  ,  e  che  io  fottometto  al  voflro 
difcerniraento  .  I  foftantivi  in  fatti  ,  fecondo  i  fuoi  princi- 
pi (z)  che  fon  comunemente  ricevuti  fra  i  dotti^  efprimona 
(  per  fervirmi  delle  fue  flefle  parole  )  „  touta-la  fois  cef- 
.„  taines  qualités,&  le  foutien  fur  le  quel  nous  les  reuniflbns, 
„  ks  adjeftifs  au  contraire  n'expriment  que  certaines  qua- 
„  lités  ,  8c  nous  aurons  befoin  de  les  joindre  h  des  fubffan- 
„  tifi  pour  trouver  le  foutien,  que  ces  qualités  doivent  mo- 
„  difier  .,^  _  ...     1 

Intanto  i  participj  fono  fenza  contraflo  asgettìvi  ,  poiché 
«ffi  non  fanno  altro  ufficio  che  quello  di  modificar  i  foflan- 
livi  efprein  o  fotiointeri  ,  defignandone  le  qualità  .  Se  non 
che  diffetifcono  dagli  altri  nomi  aggettivi  in  quanto  che 
confervano  lo  fteffo  reggimento  affoluto  o  relativo  de' verbi, 
ai  quali  efii  appartengono. 

Or  fé  i   participj  dei   prefente  a  fentlmento  del  Condiilac 

fono  aggettivi  ,  non  altrimenti  che  quelli  del  paifato  ,  non 

Tom.If.  J3  veg- 

(0  Loc.  cit. 

W)  Princjpes  generaus  de  gramnialre  chap.  i,  deuxe  panie. 


veggo  poi  il  perchè  egli  neghi  generalmente  i  generi  ed  t 
numeri  al  primi ,  allorché  gli  concede  ai  fecondi  .  L'auro  in- 
tanto della  lingua  francefe  ammette  indiftintamente  la  de- 
clinazione digli  uni  e  degli  altri  .. 

Une  ìiante  y  perforine^  obl'tgeantes y  ftxe  frèvsnnnT  ^  hommes 
vaili am  ^  jeunes  /imanfs  ^(oao  frafi  ricevute  per  buone  preflo 
i  Francefi,  e  fi  veggono  compofte  di  un  foftantìvo    e  di  uà 
participio  del  prefente  accordati  infieme  nel  genere,  nel  nu- 
mero ,  e  nel  cafo  .    Ed  i  Signori   di  Porto  Reale  avvertono, 
che   anticamente  quefto.  participio    era  Tempre  ,    e    non  folo 
nel  nominativo,  ma  anche  ne'cafì  obliqui  fufcettibile  di  ge- 
^oeri  e  di  numeri,  citandone   gli  efempj  feguenti  .,vLes  g?ns 
tenants  notre  cjur  de  parleiient,  h    renJante  compte  (ij„- 
Ma  pofleriormentc.  è    in.valfo.    l' u'b    che  bene    fpeflb    il  par- 
ticipio del  prefente  fi.  riguardi    come  indeclinabile  ,    e  s'im-. 
pieghi  avverbialmente   qualunque  fofle    il  genere  ,   il  nume- 
ro ,.  e'L  cafo  del  foftanrivo  efprefib.   o  foitointefo  ,   a  cui  fi. 
jiferifce .  Quindi  eflTi  dicono:  „  les    jeunes  gens    bien  elèvés. 
„  font  tous  piévenans.  „  .  E,  per    contrario    dee  dirli  :  „  La. 
„  Claufe  partant  que  les   epoux  fé    marient    fans  comunautéy 
5,  ne  donne   poinr   à   la  f^mme  le  droit    d'adminiftrer  .    Le. 
,,  gouvernement  a  pris.  une  mefure,   oppure  des  mefures  con. 
^ycernnnt  les  émigrés  „.  E.  non   folo  farebbe  ridere,  ma^  mo- 
nterebbe d'ignorar  affitto  la  lingua  chi   fi  avvifatfe  di  dire, 
j,.  le  gouvernement  a  pris  une  mefure  fo»rer.??««ri?  les  etriigrès,. 
ovvero  des  mefures  concernantes.  les  ém'tgrés  .  Eppure  chi  noa 
vede  che  in,  quella  frate     la.  parola  concernane    altro  non    fia. 
che  il  participio,  del   prefente    del:  verbo    concerner    il  quala 
come    aggettivo,    che  modifica  mefure ^  dovrebbe  egualment-e- 
che  ogni  altro  aggettivo  accoppiarfi   al  fuo-  foftantivo.  in  ge- 
nere 

(0  Grammaire  generale  &  raifontie'g  chap.  21.  {  remar^ues  ) 


nere,  numero  e  cafo.  In  fatti  le  in  vece  elei  participio  con- 
<ceinant  fi  foftiruiffe  l'aggettivo  f^/rrAi/,  npn  potrebbe  altrimenti 
utiirfi  a  mejure  ie  non  col  feminmo  rélncive  nux  émigri's. 

Or  quefta  bizzarra  varietà  o  che  Ha  nata  per  l'immaturo 
paffaggio  della  lingua  francefe  dalla  barbarie  alle  Icienze 
più  luitili  (i),  o  clie  fiafi  in  effa  introdotta  a  poco  a  poco 
e  confegrata  Jall'ufo,  fenza  che  fé  ne  pofla  render  ragione, 
non  meno  che  la  uiuforme  definenza  in-  «"/■,  han  lingolar. 
mente  imbarazzati  e  nì.fli  a  tortura  i  Grammatici  e  gli  Ac- 
cademici Francefi  fuUa  differenza  che  palTa  tra  i  pjrt'cipj  d.'l 
prefentc  ed  i  gerundj .  Certamente  però  una  grati  pane  d>.'I- 
]e  dirp..te  ceflerebbe  ove  l' liiituto  Imperiale  e  gli  fcritturi 
di  qucILi  ndzione  rìconuiceriJo  nil  participio  del  .prelente 
un  vero  aggettivo,  fi  unlfero  a  dich".irar  co' precetti  ,  e  ad 
u fare  col  fatto  ,  eh'  n^n  polfa  altrimenti  adopj  arfi  nel  di- 
fworfo  lia  n^l  nominativo,  fia  negli  altri  cafi ,  ii  noi  accor- 
dandu'o  in  g:nere  e  numero  col  (olLintivo  e'pre(fj  o  fottin- 
tefo  di  cui  deve  indicare  lo  Rato  e  !:•  qui'ira  .  fn  lomma 
far  SI  che  il  paiiicipio  del  prefcnte  fofle  tome  qu-llo  del 
paflato  declinao  le  lempre  ed  in  tutti  i  cali  ,  prclcrivendo 
l'ufo  contrario  e  me  un  grave  ciror  granmatirale  . 

Kè  poi  dovr.bj'efllr  dilhcile  per  la  fcrittor--  di  fcorgere, 
fé  è  un  participio  d-;!  prefen'e  il  nome  verbale  di  cu  vuoi 
fervirfi,  ficcome  fan'bbe  molto  fac'le  p;r  chi  legge  il  ricn- 
nofcere,  che  un  participio  appunto  d<el  prafente  fi  trova  nel-. 
la  frafe  che  ha  fotto  gli  occhi  .  In  fatti  fé  la  parola  che 
finifce  in  anf  efprime  uno  llary  abituaK*  di  core,e  'e  è  pof- 
fibilc  di  fcomporre  la  frafe  lenza  alt.^ra'^iie  il  fenf>,  tra-ìfor- 
mandola  col  relativo  ejtii ,  e  col  prefeniC  del  verbo  da  cui 
quel  nome  deriva  ,   è  indubitato  allora   che  la  parola    flelfi 

*  al- 

ci) Vedi  la  Scienza  Nuova  del  Vico  ,  affioma  XIX  pag.  140  éell'eilr.o- 
ne  Napoletana . 


lOO 

altro  non  fìa  che  un  partrcipio    dt-I  prefente  .    Cos'i  allorché 
effi    dicono     ^cnnne  obligetint  ,  fcmme   prévcntiute  ,    les  hu- 
dìitm  en  droit ^  ognuno  ravvifa  chiaramente  che  vuol  parlarli- 
di  un   uomo    che  ha   l'abitudine-  di  obligare  ,    oITia   di  effer 
cortefe  ,  di  una  donna  che  ama  di  prevenire,  di  giovani  ap- 
plicati allo  ftudio  del  diritto,  ed' è  altronde  ficuro  di  poteri! 
dire  egualmente  bene  ,    bmrime  qui  oblige  ,  femme  qui  pré- 
•vient-  ,  èlévts  qui  è:u(iicnt  en  d)oip  ,  fetrza  nuocere    né  alta 
chì<irezza,  né  al  fenfo  deila  frafe.  Or  perchè  non   vorranno 
efll  ahresi  convenire,  che  concemant  è  un  participio  del  pre- 
fen-e  quando  fi-  dice,  „  le  gouvernerHent  a  pris  telle  mefure 
concemant  lev  éinigrés  \    Conccmnnt  regga  1' accufativo  émi- 
grés^  perche-  il   verbo  da  cui   deriva  è  MÙVQ'^crsicerna^t  può 
letiza  caaibi.ir  l'idea  che-  fi  è  voluta  erprimere  fcomporfi  eoa 
le  parole   qi4Ì  concerna-;  coyicernnnt    finalmente   nìodifica   il  fo- 
ll^niivo  mefure ^  che  altrimenti   remerebbe  vano  ed  indefinito, 
né  li   rapporterebbe  ad  alcun  oggetto.  Quella  parola  dunqua 
che  termina  in  ant  riunifce  tutte  le  condizioni   neceflarie    a 
cofiituire   un   p^irticipio  del   prefente,  offla  un  aggettivo  ,  né 
CH'ndi    è  divepfa    da   ohligeant^,  préijenanps  ,  etudinns  .   Per  la. 
qual  cofa  fìccome  quelli  ultimi    fi  veggono  accordati    in  gè-- 
nere  e  numero    co'loro    roflantivi  tacit-i  o  efpreflj  ,    cosi    do- 
vi ebbe  anch' effa  acccrdarfi   nel  genere  feminino  con  mefure y 
t   farebbe  in  effetti  più  naturale  e  più  analogo  all'  ufo  gene- 
ralinen'e  acbttato  nella  lingua  fl-efla  per  tutti  gli  aggettivi  , 
che   fi   dicefie    mefure    coneernante  .    Par   nondimeno    tal' è   la. 
forza  dell'abitudine  ,    che  le  orecchie   de'francefi  mal  foffri- 
Ti  bbe'O  Quefta   frafe  ,    la  quale    intanto    non   può    negarfi  di 
ciTere   nelle  firette  regole  grammaticali,  ed  a  cui  dovrebbero 
i  buoni  fcrittcri  andarle  ornai  affuefacenclo. 

Ma  fé  per  l'oppofto  una  parola  ,  che  ha  benanche  la  Tua 
iefinenza  io  aat  d^OQti  fempre  (  p^i;  fervirmi  della  efpreflìo- 

ne 


ne  rteffa  de' Signori  d'i  Po-rtO-Reale  (ri  ),  denoti  un'azione 
paffiiggiera  ,  la  maniera,  il  mezzo  ,  il  tempo  d'un' azione- 
fubordinata  ad  un'altra,  fé  non  potrebbe  de..omporfi,  meno- 
che  con  gli  avverbj  lorfque^  camme ^  p/irceqae ^  non  Ci  direb- 
be a  giulio  titolo  che  fia  un  pa-rticipio  ,  n;a  dovrebbe  affo- 
lue.imetite  cai'atteriz^arfi    per  un  geiundio. 

Ed  io  mi  avvalgo  tantoppui  volentieri  delle  definizioni 
de'Sig.di  Porto-Reale,  <^uantochè  l'Abate  di  Conviillac  nella 
prefazione  alla  Tua  grammatica  ingenuametie  confefla  eflfere 
ftati  que'  valentuomini  i  primi  a  portar  chiarezza,  e  metodo 
Ite' libri  elementari. 

Malgrado  ciò  fembra  ch'egli  itiifo  rimproveri  loro  ,  po- 
fkichè  ne  accufa  indiitintamente  ture'  i  grammatici  ,  di  aver' 
complicata  la  grammatica  francefe  ,  compcneodola  Tulle  trac- 
ce-di quella  formata  già  per  la  lingua  latina. Quanto  a  me- 
io  non  gli  credo  meritt-voii  di  un  tal  rimprovero,  i  a  lingua' 
fr.mcefe  ,  come  molte  altre  viventi,  airro  non  fono,  che  urr 
rnefcuglio  dell'  idioma  del  paefe ,  e  della  lingua  che  i  Roma- 
ni vi  inrrodufiero,  e  di  quelle,  che  nelle  loro  invali jni  i' 
barbari  vi  apportarono .  Gli  fcrittori  che  dopo  il  rinafcimen- 
to  delle  lettere  le  han  mano  mano  perfezionate,  hanno  attin- 
to negli  autori  latini  foprattutro  le  conju<^azioni  de' verbi ,  le 
iorrae  ,  le  fra  fi ,  i  modi ,  la  fintalTi .  Or  dopo  qucfti  due  fat- 
ti inconrrafìabili  farebbe  mai  poffibiie  di  non  ricorrere  alle 
grammatiche  latine,  allorché  fi  dee  trattare  creila  origine  , 
dell'impiego,  del  valore ,  della  denominazione  rnedefima  del- 
le voci,  che  altronde  fono  fpeflb  una  traduzione  letterale  del: 
latino?  Eccone  un  efempio  fra  le  migliaja  ,  che  potrebberof 
produrfene  in  mezzo  .  Auder.do  /ìgenàcqite  refpublìca  aefc'tt  » 
In  quefta  frafc  latina  le.  due  prime  parole  fono  fenza  dubbiii^ 

ge- 
co Loc.  cit. 


^02 

gerund)  .  Ch2  fs  io  trovi  iti  'fraticefe  ì  loro  equlvalenii  nel- 
le  voci  ofaììt  ^  "è'JF^^f  y  come  dir  non  dovrò  ch'efle  fieno, 
egualmente  gerund)'?  E  perchè  non  dovrò  io  deiermioar  il 
loro  impiego  con  gli  ftefTì  principj  già  nlTari  nelle  gramma- 
tiche latine,  poiché  l'ufo  non  ne  h\  in  menoma  pdrci  can- 
giato il  valore?  Ciò  che  ho  decco  de'g.^run.lj  è  applicabile  a' 
participi  altresì,  ed  io  non  credo  di  dovermi  p'ù  lungamen- 
te  eftendere  a  provare  eh' è  impoPùbile  di  non  ricono:cere  la 
perfetta  raflomiglianza  fra  la  riù  gran  parte  de't^mpi,  de' 
modi,  delie  infì'efrioni,  delle  forme,  e  dJh  fra'i  d.-ila  iin- 
gua  latina  ,  e  quelli  che  l'ufo  ha  fatto  adottare  in  Francia. 
Or  trovando  noi  già  determinato  il  loro  impiego  da'^^ram- 
inatici  latini ,  non  veggo  qual  inconveniente  vi  fia  a  feguirne 
i  precettinelie  grammatiche  delle  lingue  moderne,  Non  vo- 
glio dir  già  che  1  abufo  ,  il  quale  tutto  corrompe,  non  ab» 
bia  foventl  fiate  indotti  i  Grammatici  Francefi  a  cercar  trop- 
po fervilmente  nella  lingua  latina  un  num2ro  infinito  di  di- 
fiinzioni ,  divifioni,  fuJdivifiorii,  definizioni  ed  or'gini  eh;  il 
buon  fenfo  no^n  per-mette  al  certo  di  adattare  alla  ior  Jmgui. 
Ma  chi  impedifce  mai  di  efìirpare  tut'.o  ciò  eh  è  abulo, 
confervando  folo  quel  che  non  può  dubitai  fi  di  efler  comune 
alle  due  lingue  ? 

In  fatti  il  medefirno  fi;7n.  di  Con;Iìnac  non  ha  potuto  fa- 
re a  meno  di  ammettere  1'  antica  differenza  tra  '1  verbo  fu- 
flanrivo  ed  i  verbi  aggertivi.I  verbi  aggettivi ,  egli  dice(i', 
5,  fono  e'"prefrioni  abbreviate  che  equivalgono  a  due  elemen- 
„  ti  del  difcorfo.,  ad  un  nome  aggettivo  cioè,  ed  al  verbo 
„  e(rere,un'co  e  folo  verbo  io^Anùvo-,  Amare  è  per  efempio 
„  l'equivalente  dì  ejjer  amante  d<.c  Se  dunque  i  verbi  ag- 
gettivi fono ^ flati  con  tal   nome  defignati    da  Gondillac,    fol 

per- 

(O    Cap.  21.  2.  parte. 


perchè  comporti  del  verbo  softantivo  ejfere .,  e  dì  un  agget- 
tivo, che  altra  cofa  non  è,  com'egli  ItefiTo  afferma  ,  fé  non 
il  participio  djl  prefente;    queRo  aggettivo    non  dovrb,    effer 
poi  come  tutti  gli  altri  d.icIioabile,    ed  accordarfi  mai    Tem- 
pre in  genere,  e  numero  col  foftantivo   efpreflb  o  fottointefo 
a  cui  indispenfabilmente  fi  rapporta?  Io  dunque  pcrfilìo  a  pen- 
fare,  che  Condillac  conformandofi  alla  ragione  ed  all'ufo    ha. 
ben  clanTificati  i  participi  del  prefente  che    terminano  in  ant 
tra  i.  veri  nomi  aggettivi.  Ma  per  gli   fleffi  fuoi  principi,  e 
per  la  definizione   da  lui  data    del  participio  ,    io  noii  poffo 
concedergli  che.  fiffarti    aggettivi  non    debb.ino    eflere ,    coni' 
egli  pretende,  ne'  generi  ne' numeri ,    poiché  io  veggo  chia- 
ramente che  in    ciò  l'ufo  volgare    dipartendofi  dalla    filofofi' 
dilla  lingua  ne  ha  depravata  l'abitudine,  e  gli  fcrittori  1' han 
legi^ermente- fegulco.  Diciam  dunqu::  piuttofto  ,  che  il  gerundio 
di  cui  Condillac  non  vuol  riconofcere  la  efiflenza,il  gerundio 
è  quello,  che  non  foffre  variazione  alcuna  nella  fua  de.finenza. 
eh' è  a.i  un  tratto  del  genere  mafcolino  e  feminino,,  fingola- 
re  plurale,,  eh' è  in.  fomma  indeclinabile,    e  tal' è    appunto, 
perchè  non  è  né  una  fpecie  di  participio  indeclinabile  coinè 
lo   ha  definito  il  Dizionario  con  una  manifi;fla  e  chiara   con- 
tradi-iione-  ne' termini  ,  né  un  follanti vo,   fecondochè.  afferma, 
il  Hgn..  di  Condillac. 

E  pria  di  tutt'  altro  volendo,  noi  attenerci  alia  definizione 
che  quefto  inrig.ne  mitafifico  ha  dato  del  foflantivo,  ci  farà 
molto,  difficile,  di  ravvifarne  la  bi'nchè  menoma  traccia  nel 
gerundio.  Il  fuflantivo  prefenta  ognora  un  fog^etto  qualun- 
que più  o  meno  determinato  da  se  fleflo;è  inoltr,"  capace  di 
ricevere  taiune  modificazioni,  ma  non  può  modificarne  uà 
altro,  né  efprimeie  di  per  le  folo  un  atto  o  uii  giudi  zio  su? 
bordinati  fenza.  l'^juio  di   una  prepofuione.. 

CoA  nel  dirfi  Uomo,  libro,  pietra,  albero,   pera,    Fraa- 

ce.- 


cefco,  fi  pronunzia  -una  voce  xhe  (^efigna  a  fQfficIenza  un  et 
Tere,  il  quale  moralmente  o  fificamence  efifte,  e  .non  è  ne- 
jceffario  di  agginnger  altro  .  Ma  le  parole  jugeant  ^  lìfant  ^  fai- 
fam^ayant parie ^  et ant  alltr ^chs  efprimon  elle  mai  di  per  loro 
lìeflb  nelle  feguenti  frafi?  Les  hommes  ne  jugent  ^ue  d'  aprés 
le!  ^pparsficeSy  fofìf  fujcts  a  je  t romper.  Vai  he  ce  tnathi  ten- 
drement  èmu  ^  en  lifant  une  è.égte  à' Ovide .  En  faifant  ce  que 
U  lo't  pre/erlt  on  s  ac quitte  des  devoirs  de  bon  cttoyen  .  C'tce- 
vm  (lynnt  pluf.curs  fois  parie  de  Joi-mème ^ne  l'  a  pas  toujoMS 
fait  avec  la  mode/iie  convenable  ,  Etant  alle  dernìérement  à 
Rome  ,  j  ai  apprts  que  les  trovaua  des  marais  Fontins  étaìent 
fufper.dus . 

Or  le  indicate  parole  fuppongono  di  necelTità  una  parte  del 
difcorfb,  che  dee  precederle  o  feguirle,  la  quale  ne  è  fern- 
pre  la  principale.,  non  potendo  le  idee  efprelTe  da  quelle  vo- 
ci eflere  fé  non  accelìbrie  e  di  pendenti,  atte  fo'o  a  modificar 
la  propofizione  principale.  Quelle  parole  meddìme  allorché 
fi  trovano  nel  cenna^o  modo  adoperate,  non  poflbno  mai  ef- 
fera  moJiScate  dall'arricolo,  che  Gondillac  ha  con  molta  ra- 
gione confiderato  cora»  un  aggettivo,  il  che  forma,  fé  non  m' 
inganno,  un'altra  d.ffjrenza  cararteriftica  fra  i  participi  del 
prefente  ed  i  gerundii  .  Or  fiffitti  participi  egualmente  che 
^li  altri  aggettivi  fono  adoperati  (uflantivamente  quante  volte 
il  foftantivo  è  fottintefo,  ed  iti  tal  cafo  fi  unifce  loro  l'arti- 
colo per  deternrinargli ,  Cos'i  nell'efenipio  recato  da'Sign.  ài 
Porto-Reale  voi  avete  veJuto  che  ben  può  dirfi  in  francefe 
ìa  Tendame  compie^  cosi  dicefi  frequentemente  les  allans^  & 
venam .,  dovendofi  in  cotai  frafi  fupplire  i  follantivi  donna  , 
iiomini. 

Altronde  efaminate  quanto  vi  piace  tutti  gli  efempli  che 
potete  richiamare  alla  voftra  memoria,  o  che  potete  voi  ftef- 
fi  formare  colia  immaginazione,  e  vi  convincerete  meco  fi- 

cu- 


103 

curainelite  che  fé  le  voci  terminate  in  ant  vi  fono  impiega^ 
te  non  come  participj,  ma  come  gemndj ,  non  potran  mai 
portar  fecoloro  l'articolo.  Abuferei  del  volìro  tempo  e  del- 
la vuftra  conpiacenza ,   fé  volefll  citarcene  alcuno. 

Se  dunqie  all' infuori  dc'nomi  proprj  tutti  gli  altri  loRan- 
tivi ,  e  gli  aggettivi  ancora ,  allorché  fon  prefi  foltantivamen- 
le,,  amcnettono  l'articolo  che  gli  modifichi,  e  gli  determini, 
ed  io  vi  ho  fatto  vedere  che  i  participi  del  prefente^i  qua- 
li fnifcono  in  ant ^  poflibno  ricevere  iiffatta  modificazione  ; 
credo  di  avervi  al  tempo  fleflb  dimoRrato  evideiTtem'nte,che 
diew-o  i  principj  del  medefimo  fig.  di  Condillac,  efiilono  nel- 
la li-ngua  francefe  altre  parole  terminate  in  ant  ^  che  non  ef- 
fendo  capaci  di  efl'er  modificate  e  determinate  dall'articolo  , 
non  poffono  elTer  né  foflantivi,  né  aggettivi,  e  fono  appun- 
to quelle  che  ordinariamente  fi  chiamano  gerundi),  de' quali 
jrii  rimane  ora  a  determinar  la  natura.  Ho  gih  premeffo,che 
ì  Signori  di  Porto  Reale,  non  che  altri  grammatici,  han  pen- 
fato,  che  i  gerundj  fervano  a  fignificare  un'azione  iubordina- 
ta  ad  uu' altra.  Or  vediamo,  fé  la  definizione  data  da  Con- 
dillac  delle  propofizioni  fubordinate ,  e  V  \x\o  aUres'i  ch'egli 
lia  fatto  de' gerundj,  poflbno  autorizzarci  a  conchiudere,  che 
a  torto  gli  abbia  eliminati  dalla  grammatica  francefe  ,  ci  if- 
lìficandogli  indifiintamerne  tra'  foOamivi  .  Imperciocché  allo- 
ra io  potiòcon  fondamento  ftjbilire,che  i  gerun  ij  fono  mo. 
di  de' verbi,  deflinati  nella  lingua  francefe,  come  nella  lati- 
na ,  a  car.itterizzare  piìì  brevemente  e  fenza  circonljcuzions 
le  propofizioni   fubordinate  del  difcorfo. 

L'Abate  di  Condillac  nel  voler  infegnare    al   Tuo    difcepo- 

lo  in  qual  modo  fi  dovefle  analizzar  il   pen(ìere,gli   moRra, 

che  un  difcorfo  contiene  una   fola  propofizione ,    o  una  iene 

di  propofizioni  ,  vai  quanto  dire,  un  giudizio  o  una  ferie  di 

Ti^rn  IL  14  giù- 


m6- 

giiuìizj.  (i).  O^uindl  fcegli'e  un  efeniplo.  nella  Orazione  prcjv^ 
nunziata  da  Racine,  allorché  Tomafo  Cornelio  che  fuccede-. 
va  a  Pietro  fuo  germano ,  fu.  ricevuto  nell.'  Accademia  Fran». 
cefe  (2);.  ma  poiché  non  era  pienamente  ada.tto  al  fuo.  fco^. 
pò  ,  lo  riduffa  in  quella,  forma  ch'era,  neceflaria:  nella,  circo-- 
ftanza,  in  cui  volea  fervirfene.. 

Or  nell'  andarne  (componendo  le  parti  ,  vi  ravvifa,  a  ra? 
gione  il  fignor  di  Condillac  propofiaioni  principali-,,  fubor-- 
dinate ,  incidenti  &c. 

Ricordatevi  che  le-  propofizioni  fubordinate  fono  a  fuo  pa-- 
rere  '3)  quella,  il  fenfo  delle  quali  non  è  completo  ,  ma. 
rimane  fofpsfo  ,  perchè  non.  può  intenderli  fenza  la  propofi-- 
zion  principile  che  pr.^:cede   o  fuffegue. 

Ecco,  il  tratto  di.  Rari  ne.  .  Daf2s  cett.e  enfance  ^  ou  pour 
mieuK:  (ine  dnns  ce  cahos  du  poeme  dramtnatique  ,  parmt 
nous  ,.  votre  ìll'uftre:  fière  ,  aprés  azeir  quelque  tems  cber- 
ché  le  chem'tn  &€.  ìnfpirè  d'  un  genie  extraordinaire  (7c.. 
ff  voir  fur  la  /céne  la  raifon  ,  mais  la  rnifon  accompagnée,\ 
de  tonte  l.a  pompe  ,,  de  tous.  les  orne.mens  do7ìt  notre  lan-. 
gue  e  fi  capablé^  aecordant  hemeufement  la  vaifemblance  ^  &' 
le  mer'veìUetix.  ,,  &  IniJJatit:  bien.  loin  derriere  lui.-  tous  ce-. 
qu  il.  avait  de  rivau».  .,  Condillsc  trova,  una.  propofizione.'. 
fubordinara:  in  q:uefte  parole  ,  aprés  avoir  quelque  tems  cher- 
che'  le  boti  chemin  ,  perchè;  voi  non  potete  arreflarvici  ,. 
dovendo  neceffariaraente  attendere  qualche  altra  cofa  ;,  ed  in. 
fatti  dovete  continuare-  a  leggere  fino,  a.  Ut  voir  fur.  la  fcéne 
la  raifon  ,  frafe  che  termina  la  propofizion  principale,  co- 
minciata dal  nominativo  iwtre  ilhjìre  frere  fenza  della  qua- 
le rcflerebbe  incompleto  ed    ininielligibile  il  fenfo  dell'anzi- 

det.- 

(1)  Cap.  X.  r.  parte  .. 

(2)  Cap.  IX  ibid. 

(j)  Cap^  X,  i^  parte  ,. 


^etta  propofizlone  fubordlnatàl  In  tanto  lo  fìeflb  fcrittore  op- 
portunamente aggiunge,  che  le  propofizioni  fubordinate  allor- 
ché s'incontrano  mi  principio  del  difcorfo,  fanao  afpettare 
la  propofizion  principale,  ma  la  fuppongono  ove  fìan  polle 
in  ultimo  luogo.  Racine  poteva  terminare  con  quilte  paro- 
le fif  voir  fur  la  fcè^e  ìa  raìfon  ;  ma  per  ifviluppar  cutte 
le  idee  che  U  offrivano  alla  fua  mente,  continuò  a  diri  : 
tna'ti  la  vai  fon  ■accompag}iée  de  tonte  la  ponile  &::.  accorda'it 
ia  vta'.fmblance^  (fT  le  inerveilU'ua  ,  &  la'tjjant  denièt'e  -lui 
fout  ce  qu  il  avait  de  rivaux . 

Quin.Ii  il  fignor  Condillac  richiama  l'attenzione  del  fuo 
alunno  ad  ofl'ervare  ,  che  forfè  nella  fine  di  quello  periodo 
non  avr.bb:  egli  facilmente  fcorto  le  due  propolizioai  fubjr- 
dinate,  che  pur  vi  elidevano,  delle  quali  la  prima  comiuia 
da  accora ant  ^  la  feconda  da  la'tjjant ^  perciocché  quelle  due 
frafi  corrifponiono  prelTo  a  poco  alle  feguenti  par  ce  cju  il 
flccordait  &c.  &  par  ce  moyen  il  laiffait  &c.  nelle  quali  lì 
veggono  apertamente  due  propofizioni  fubordinate  che  fi  rap- 
portano alla,  principale  iileila  -uotre  illufìre  fière  fit  voir  fur 
te  [céne  la  raìfon  .  E'  duique  indub'tato  che  il  lìgnor  Con- 
'dilhc  riconofce  due  propofizioni  fubordmate  ne*  due  fenfi ,  <»c- 
•tordant   &  lajfant. 

Per  la  qual  cofa  mi  è  lecito  di  affermare  fenza  efirazìone; 
■  xhe  quelle  due  voci  derivate  evidentemente  dai  verbi  accor- 
'àer  (y  laiffer  non  fon  punto  follantivi,  molto  n-eno  prepo- 
-lìzioni ,  tome  la  prepofizione  aprhi  adoperata  nell'altra  fpe- 
•  eie  di  prepofiz'one  fubordinaia  ,  di  cui  poco  innalzi  abbiarn 
|:"fatto  cenno.  E  poiché  effe  denatan.)  li  anioni  med.'fime  de' 
"verbi  accorder  &  laijf.r^  ai  quali  appart 'ngono  ,  non  poffo- 
[^o  efltr  quindi  fuorché  modi  de' verbi  lìeffi.  Or  io  trovan- 
10  che  i  Signori  di  Porto  Reale,  ed  i  più  accurati ,  e  nìigliori 
•rammatici  gli   hanno  chiamati  gerundj  ,    e  gli    hanno  deh- 

*  niti 


icrS 

fliti  come  atti  'ni  efprimere  un  oiudìzio  fubordlnato  •  e  fr- 
nalmente  non  vedendo  alcune  diiferenze  per  lo  di  ioro  i[r.> 
p'ego  nelle  due  lingue  francefe  e  latina  ,  aon  vi  farà  chi 
non  dehba  convenir  meco  ,  che  la  lingua  francefe  abbia  t 
fuoi  gerundj  ,  e  propriamente  quelli  che  ccrrifpondono  int«-- 
ramente  ai   gerundj  in  do  de' Latini. 

Ma  quel  che  darà  maggior  pefo  fenza  dubbio  ai  miei  ar- 
gomenti, farà  l'avvertirvi  ,  chi  le  parole  /ictord^mt  e  laìf- 
jitnt  che  il  fignor  dì  Condillac  indica  al  fuo  difcepolo  ,  cò- 
me foRantivi  di  due  propofizicni  fubordioate  ^  non  fi  legga- 
no nel  dircorfo  di  Racine,e'  fono  quelle  appunto  da  lui  IleP 
fo  a  bella  pofla  foflituire  ad  altre  ,  del  che  egli  ne  rende 
informati'  colla  feguente  nota  (i).  „.  '^2,z\x\t.  d'i t.  accorda  <&  lai/- 
fa^  mais  j'ai  cru  pouvoir  me  permettre  ce  changemenr, 
pour  trouver  dans  cet  exemple  un  tour  donr  J'avais  befoin  „« 
Or  fé  per  formare  delle  propofizioni  fubordinate  Condillac 
ha  dovuto  fervirfi  di  accordant  C  /«/^^«f  j',  perchè  mai  .ci 
vuol  dare  ad  intendere,  che  per  femplificar  la  'grammatica 
francefe  convenga  cancellarne  la  deno  minazior.e-  di  gerundio, 
e  chiamarlo  foftantivo  ?  Certamente  un  foftantivo  non  pb- 
irebbe  efiere  impiegato  per  efprimere  un  giudizio  fubordina- 
to  ,  o  incidente  ,  fenza  che  foffe  preceduto  da  una  proposi- 
zione .  Intanto  i  gerundj  non  debbono  di  neceffità  eflerne- 
accompagnati.  E  Condillac  nell'efempio  che  abbiamo  efami- 
rato  non  ha  voluto  né  anche  aggiungere-  ad  accorda-n  ,  & 
laìjjant  la  prepofi?ione  e;j,  la>  fola  che  non  indifp.'nfabilmefl- 
te  ,  ma  per  vezzo  o  per  maggior  armonia  1'  ufo  permette 
a'  Franceiì  di  congiungere  alle  voci  che  hanno  fimigliante; 
natura. 

Che  fé  poi  mi   fi  voglia  opporre  aver  gli  ftefll  Signor!  di 

Por- 
co Note  (i)  ai)  cliap.,  X. 


L. 


Porbo-Reale  J  ci  alcuni  altri  Grammatici  riguartlati  i  gerua- 
<ìj  cotie  foftaiitivi,  io  lifponderò  che  coftoro  ne  iianno  alme- 
no ammefla  la  efiftenza  nella  loro  lijpgua  ,  ladJove  Gondil- 
lac  l'ha  del  tutto  negata  ;  ch'efll  fono  flati  trafcinaii  in  in- 
ganno dalla  uniformiti  della  defìn^nza  de'  gerundj  e  de' 
participi  ,  e  che  ficcome  era  evidente  che  quelli  follerò 
ag:^ettivi  ,  fi  fon  dati  per  contrario  a  credere  che  fof- 
fer  quelli  foRantivi  ;  e  che  la  incertezza  che  regna  tutta- 
via in  quefto  punto  grammaticale  della  lingua  francefe  mi 
ha  fpinto  a  diflendere  la  prefente  memoria  nella  quale  mi 
fembra  ,  fé  mal  non  mi  appongo  ,  di  aver  provato  centra 
l'opinione  di  un  s'i  grande  Metafilico ,  che  vi  fono  in  quel- 
la lingua  i  gerundj  ,  di  averne  fidata  la  differenza  che  gli 
diftingue  da'  participi  in  anf  ,  e  di  aver  dimollrato  ,  che  non 
fono   foftantivi . 

Finalmente  contraporrò  all'autorità  l'autorità.  Il  trattato 
della  Grammatica  Francefe  di  Regni er  des  Marais  è  certa- 
mente una  delle  opere  le  pìià  riputate  che  abbia  la  Franci.:. 
in  quello  genere  . 

Or  ecco  come  vi  fi  definifce  il  gerundio  (i)  .  Le  geron- 
drf  efì  parmì  nous  une  pnrt'te  invnr'ttible  du  verbe  qui  a  le 
vnème  regime  que  fon  'uerbc  ,  mais  qui  n  a  d'  elle  mème  ìit 
tems  ,  ni  nombve  ,  vi  pevfonne  .  ...  La  principale  niar^ue  à 
quoi  on  pitiJJ.e  connoìtre  un  gèi ondif  fnv? rais  efì  tirée  de  fa 
nature  mèmc  qui  efì  de  ne  fcrvir  jnmais  qu  a  defigner  ou  une 
/i6iio>i  p^/l^gère ,'  &  fubordofinée  à  une  nutre  cxpriniée  p^>'  le 
verbe  ,  qui  le  ròsbif  ,  ou  wte  circojìance  ,  &  une  ìnanière  de 
t  a&ion  principa'e  m^vq-ié"  par  le  mème  verbe  ^  ou  enfi»  un 
moyen   tendant   à  ce  qui  efì  fìgnifié  par  ce  verbe . 

Quella  deBaizione  mi  fembra  efatca  ,  fi.:ofcnca  ,  e  chiara  , 

non 

^1.)  .'\rr..  des  gèrondifs. 


non  che  conforme  all'ufo  ed  al  genio  delle  lingue  ,  dj  ma, 
niera  che  farebbe  a  defiderarfi  -,  che  fofle  in  preferenza  di 
ogni  altra  adottata  nel-  novello  Dizionario  Francefe,  che  do- 
vrà certamenie  pubblicarli  corretto  ed  aumentato  per  le  cu- 
re dell' Iftituto  Imperiale  ,  onde  veder  principalmente  emen. 
'dato  quell'  articolo  dell'antico  Vocabolario  deli'  Accademia-. 


ÌAE- 


ELOGIO 

ALLA     MEMORIA     >V 

DEL    SACERDOTE 

VINCENZIO  DE  MURO 

DAL  SEGRETARIO  PERPETUO 

PIETRO  NAPOLI-SIGNORELLI 

Letto  nel   i8ll.  (a) 

JL  Er  onorarmi,  ornatiflìmi  CoIIeghI  ,  coti  uà  pefo  glorio 
lo  voi  mi  chiamale  ad  occupare  una  fede  che  mi  obbliga  a 
ravvivarvi  Ja  memoria  dell'  Uomo  degno  che  non  ha  guari 
perdemmo .  Quefto  incarico  efigerebbe  che  alimentaffi  con 
irifti  modi  il  voftro  cordoglio  par  la  perdita  di  chi  con  taa- 
IO  plaafo  corfe  la  carriera  della  filofofia  e  delle  amene  let- 
tere .  Nondimeno  (  e  permettetemi  che  vel  manifefli  )  o  fia 
che  trovifi  talora  1'  uomo  meno  atto  a  rattriftarfi  che  a  me- 
ditare; o  fia  che  un  oggetto  Oefib  fecondo  il  punto  profpi- 
tico  ,  che  fi  prefceglie  ,  prefenti  diverfi  afpetti  ;  o  fia  che 
r  uomo  goda  più  di  buon  grado  di  trattenerfi  fu  ciò  che  ci 
rimane  del  foggetto  perduto  che  fu  ciò  che  ne  perdemmo, 
a  guifa  di  chi  efce  da  un  naufrjgio  o  da  un  incendio  ;  fia- 
ne,  dico,  qualunque  la  forgente,  io  in  quello  punto  non 
Tem.ll.  15  rai 

(a)    Fu  qiieflo  accompagnato  da  varie  felici  rime  a  lui  tributare  da  di» 
vkG  r«oi  Colleghi . 


"4 

mi  trovo   tanto  difpoflo  a  fentire    e^    efprlmere    l'amarezza 

della  per  ita,  (guanto  a  rifl:ttere    fi;!.' imporranza  del  merito 
che  la  cas^iona  ;  e  ciò  tanto  poi    che  mi  accordo  che  in  fif- 
fatta  lizzrt    corfa  da.  tanti  filol'-fi    ed   orarori    di   prima  nota  , 
uUimo    mi   ritnarrei  .    Ed  in  fatti    come   ron    ifcoraggrfi  in 
raiiiment:r  gli  elogii  tributati  agli  uomini  illultri   ed  a' tìfici 
e    matemuci   dal  Gimma  ,  dal   Gioviu  ,  dal    F  ntenelle,  dal 
Capaccio,  dal  Thomas,  ovvero  le  inimitabili  f inebri  arin- 
ghe di  un   Boffnet ,    cU  un   Fieary  ,    di     un   Giicchi  ,   di  un 
Vanaliiii  ,  di  aa  Gh.ra'do  de   Ang.'lis  ,  onde  tommoffero  e 
trafportarono  gli  afcolta'ori  profondendo  melliflui   fiumi  d'in- 
finuante  animata  elacjuenza  che  refe   immortali    i   lodatori   e 
i   lodati'?  Io   non  fo   vincertni ,  Pootaniani  ,  in-ntre  alla  me» 
ftizia  fon   preflb  ad  abbandonarmi  ,     fento   rapirmi   ali' ammi- 
rare,  fento  fui  ciglio  inaridir  le   lagrime  vicine    a  Igorgare  , 
fofpendeifi   entro  il  cuore    il  dolorofo    fentimento  ,    e   riem- 
pierfi  la   mente  del  fulgore  de' lami   fcieniifici  del  nofìro  Se- 
greario,  dili'aur^o  ftiie  onde  la  dottrina  illeggiadriva,  della 
ripofta  univeifale  erudizionj  onde    condiva    l'eloquenza  e  la 
filofofia  ..    11  dolore  è  fovente  un  affetto  che  in  gentil  cuore 
e  fenfibile  ratto    fi  appiglia  ,    ma   generalmente  è  una  fpecie 
di  debolj?zi  che  male  alligna  o  fi  disdice  in  animi  mafchi- 
li  come  i  voflri  fono,    ed  è  piìi    di  una    volta    mezzo  anzi 
di  difacerbir  la  pana  che  di   rappelLirfi  le  glorie  dell'  eftinto, 
ed  i  vantaggi  che  ne  traemmo.  S'incitenano,  è  vero,  van- 
no infieme    qu.fti   fentimenti    diverfi  ;    rè  può    ammirarfi    il 
perduto  fenza  fofpirarC  per  la   mancanza  .   Ma   fé  da  prima  il 
dolor  preponderi  all'ammira-zione ,    potrà    quella    arriva;'  fuor 
^i  tempo  dopo   che  ci  faremo  fpoffati    in  lamenti  ,    dopo  di 
aver  tutte  fpiegate  le  vele  ai   fofpiri  ed  agli  omei  .  Comun^ 
-^ue  fia ,    accordatemi  in  grazia  alcuni    iflanti    onde  vi   addita 
Te  ihi  che  ora  mi  occupano  nel  ftlar  il  pen.lero  luli'  efiraia 

no-- 


"5 

ìBoftro  Segretario,  e  fulle  opere  che  ce  ne  rimangono; 

Volgendo  lo  sguardo  alle  andate  cofe  da  che  1'  Autor  del 
Tutto  diede  l' efifteoza  a  quefto  LJniveifo  fra  gì' innumera- 
bili  poffibili  prefcelto  ;  alerò  fatto  più  univerfale  non  ifcor- 
'giamo  fe  non  che  una  guerra  perenne  mofla  dal  Tempo  di- 
voratore alle  cofe  create,  le  qu<ili  abbattere  ed  ingojirc  fti- 
ma  egli  di  proprio  diritto .  Avverfo  di  sì  edace  nemico  la 
fpecie  umana  tutta  di  gen^rofo  or^oalio  infiainmata  feco  dal 
nafcere  alti  fpiriti  portando  intenti  ognora  a  protrarre  co' fat- 
ti il  momento  delU  propria  efiltenza  ,  cerca  in  diverfe  gui- 
Je  di  fcanfarne  i  colpi  niortali  .  E  l'ofa  e  io  tenta  e  l'ottie- 
ne fovente  ,  e  contro  1'  invafoie  univerfale  mille  e  mille  di- 
fefe  innalza ,  mentre  il  nemico  rig  do  e  duro  ferva  cofiante 
un  fol  tenore;  urtare,  fcuot^re,  annientar  quanto  incontra. 
Quan 'o  l'Uomo  eleva  fui  Nilo  malte  immenfe  di  piramidi; 
quando  full'  Eufrate  mando  a  pcdefi  ir^Ue  nubi  i  penfili 
giardini  e  le  valide  fublimi  muiagiie  di  Babilonia  ;  quando 
erge  a  Diana  s'i  v..iio  e  foniuoTo  i?mpìo  che  ne  riceve  ri- 
nomanza di  una  àAìì  più  magnifiche  maraviglie  del  noflro 
glob  )  :  il  Tempo  volando  iricparabilm-ote  contro  di  effe  e 
fecoli  a  fenoli  e  fcuotimenti  a  fcuot;menti  accumulando,  le 
affronta  tu'te,  le  crolla,  le  fnvverte,e  di  si  (terminate  mo- 
li ora  non  fi  additano  ah'  attonito  vidg^^iators  che  fcarfi  in- 
formi  avanzi   in    Efefo  ,  in   Bagdat  ed  io    Memfi. 

NobiMiiene  crucciofo  l'Uomo  a  tali  ruine  non  defifte  dal- 
la rragnanima  ''mpefa  ,  e  novelle  armi  impugnando)  muove 
in  danno  di  lui  Ichiera  folti  di  eroi  da  non  perir  giamiiìai, 
fé  poffono  i  grandi  fatti  vincerla  fu  gli  anni.  Ciro  educa  alla 
gloria  nella  Media  ,  e  Sefoftri  ed  Ofin  dal  Nilo  mena  ai  trionfi 
verfo  l'Aurora,  ed  una  ferie  di  Faraoni  e  di  Tolom^i  fortie- 
re fui  irono  dell' Egitto,  e  fa  in  Afia  rifplendere  i  Seleuci  e 
gli  Eumeni  e  ì  Mitridati,e  Maometto  tra  gli  Arabi  la  che 

*  ifpiri 


liS  / 

ifpiti  fanatismo  e  valore ,  e  che  Gengiskaa  porri  la  fede  fu!  tro^ 
noCinefe,e  foggetti  ai  Tamerlani  ed  aiiri  feroci  guerrieri  le 
più  bellicofe  nazioni  dell'Oriente.  Formano  s'i   prodi  conqui- 
liatori    di  mille    citià  e  provinole   valtiffiine     monarchie  ,    e 
grand'  imperi  di  cento  e  cento  regni ,  a  fronte  de'  quali  non 
apparendo,  allorché  fion  ciafcuno  di  elfi,  potenza  veruna  equi- 
valente a  contr.idarne  la  faperioritu ,   ne  fecero  prefumere  la 
perpetuità  ed  una  eterna  catena  di  fucceflbri  .    Lufinga  vana 
di  Itarniinata  ambizione!  Il  finito  cominciò  per  finire.    Ira- 
pcrverfa  a  iìffitti  nuovi  attentati  il  Tempo  ,    e  non    folo  a 
<]ue' grandi  che  appellaronfi  immortali  1' un  dopo    l'altro  to- 
glie  per  man  di  morte  fua  micidiale  alleata  la  vita,  ma  ri- 
duce ad  un    mucchio    di   macerie    le    loro    conquide ,    ed  in 
minor  tempo  che  non  tolgora ,  le  diffipa ,  le  fovverte ,  e  ne 
confonde  fio  anco  la   polvere   che  fu  già  campo   di  tante  ge- 
fla  marziali,  e  di  vittorie  ilrepitofe;  talché  né  orma  veruna 
rel'ti  dell'antico  afpetto  che  le  faccia  indovinare,  né  i   nomi 
flefli  cangiati    dagli  anni  ,   e  dalle    vicenda  guidar    poìfano  a 
rinnovarne  la  memoria.  Ed  in  farti  chi  più  fi  fovviene  delle 
gravi  difcuflioni  politiche  che  agitaronfi  nelle  ftraniere  inva- 
ilcnì  entro  i  gabinetti    degli  A  (Ti  ri  ,    de' Medi,    de' Perfiani  ^ 
de'Parti?  Chi  detrattati  e  delle  negoziazioni    e  de'congrefiì 
di' capitani  e  de' configlieri  di  Rato  del  gran   Macedone  ,    or 
co'  primori  ed  ottimati  di   Sidone  e  di  Tiro,  or  co' generali 
di  Poro  LI  Gdnge   e  di    Talellri    full'Oroote?    Tutto    fpar- 
ve  al    pari  dell' efitnero    fplendore    delle  loro  g.-mme  ,    delio 
:iioggio  delle  porpore  ,    delle    clamidi  ,   delle  piume  de'  loro 
cimieri,  de' veli  e  de' biffi  attorti  ne' loro  turbanti  e  de'  lau- 
ri e  de' trofei    alla  loro  memoria  innalzati  !    Ben     fi  avvide 
1'  Uomo  che  i  propri!  sforzi  non  fervono  che  a  moltiplicare 
i  trionfi  del  fuo  gran  nemico.  Pure  il  magnanimo  non  cef- 
ia  di  ì'.aJiar  fé  fleflb ,  d'iaveiligar  nuo/i  modi    di  refillere  , 

e  fi 


11-; 

e  fi  eccita  e  fi  fcuote  e  sferzar  tenta,  qual  generofo  leone ^ 
l'acutezza  e  la  polla  della  parte  divina  che  forti  dal  cielo 
fra  gli  attributi  del  proprio  ingegno  .  No  (  dir  Jovette  per 
avventura  in  fé  (ìelVo  )  a  pugnar  col  Tijmpo  con  uguaglian- 
za maggiore  ,  più  che  alle  opere  della  m.iDO  fidar  coiiviend 
a  quelle  che  fono  più  proprie  della  mente  .  E  b:a  ne  fpe- 
ri mento  la  poflanza  iin  da  che  cominciò  la  fua  profapia  a 
raccorli  in  tribù  famigliari^,  a  conofcer  connubii  certi,  ed  uà 
pio  riguardo  pur  verfo  gli  elHnti  con  feppellirli ,  ed  un  cul- 
to religiofo.  Gli  oggetti  che  fi  vedeva  intorno  efpreffbro  da' 
fuoi  labbri  de  fuotiì  per  indicarli  a  feconda  dell' afpetto  che 
ne  contemplava  ;  e  quelli  (uoni  ripetuti  con  altri  della  prò 
fili  fpecie  adoprarcnfi  a  rappelJar  quegli  oggetti  .  Quind 
naccuj  una  copia  di  voci  articolate  che  regolate  dalle  inflif- 
fioni  che  e^figeva  1'  interno  movimento  che  ciafcuno  di  tal" 
cg'^etti  lisvcgliava,  prcdufiero  una  ferie  di  parole  che  chia 
fi  a  ronfi  lììigua  ^  e  1' ufo.  coftante  la  cangia  in  arte  in  ogni 
famiglia  o  tribù;  e  fu  quefto  il  primo  dono  diviso  della  no- 
ftra  mente  da  non  teaier  gli  aflalti  del  Tempo.  E  che  può 
egli  contro  quella  umana  invenzione  che  ha  tanto  del  fo- 
vrumatio?  Diltrug^era  egli  (  fi  dirà  )  la  favella  col  far  pe- 
rire folto  della  fua  falce  il  popolo  che  la  parla.  Si  ;  ma 
tante  ne  rimarranno  quanti  foi30  i  popoli  che  ricoprono  la 
terra.  E  fé  vorrà  che  tutte  fi  tacciano,  converrà  che  l'u- 
mano genere  cac^a  atterrato  ^3^  fuoi  colpi  infieme  coU'  intero 
mondo.  Ma  moren.lo  le  cofe  create  ,  il  Tempo  che  n'è  la 
mifura,  diftruj?gerà  fé  fleflb  e  finirà  col  tutto.  Ecco  la  pri- 
ma ficura  vittoria  dell'  Uonio. 

Progredi  l'Uomo  vittorioso  oltre  dell' iiìeJo  fuo  ritrovato 
delle  lingue  provato  iivulnerabile  ;  e  que'fuoni  fiefii  divenu- 
ti lingue  con  articalarfi  ed  infletrerfi  a  feconda  delle  azioni, 
cercò  di  tendere  permanenti  aucov^  fei7za  l'ufo  dd la  voce  ed 

atti 


ii8 

atti  a  trafmetterfi  a' lontani  ed  a'pof!eri,  *d  inventa  l'arte 
di  efp  imeni  con  muti  fegii  fenfibili  fa  pietiFe,  offa,  pelli, 
Iquame  Hi  pcfci ,  cortecce  d'alberi,  membrane,  papiri,  ftrac- 
ci,  gemme,  marmi,  bronzi,  oro  ed  argento.  Il  primo  gra- 
do di  quella  riuova  invenzione  fu  certamente  de^no  di  ant- 
mirarli,  perchè  cominciò  dall' aflegoare  un  lignificato  mut» 
alla  freccia  ed  al  pugno  di  terra  mandato  al  fuo  nemico  dal- 
lo Scita  4dantura,  ed  alle  immagini  fcolpite  celle  piramidi 
Egi^ie,  e  ne'geroglifiy  Cinefi.  Ma  perchè  la  copia  de' segni 
equivalenti  alle  cole  opprimeva ,  pafsò  l'Uomo  ad  un  nuovo 
ritrovato  affai  più  prodigiofo ,  ed  inventò  tra'  Fenici  venti- 
quattro foli  carai.eri  di  tutte  le  parole  neceflarie  alle  genti 
Caldee,  Ebraiche,  Samaritane,  Arabe,  Turche  ,  Perfiane,  Si- 
riache ,  Illiriche,  Etrufche,  Celtiche,  Runiche,  Greche ,  La- 
tine primitive,  ed  Italiane  ed  Oltramonrane  d'  ultima  darà. 
Ed  ecco  un'altra  divina  fcoperta  dell' ing.-gno  umano,  qu>illa 
della  Scrittura ,  che  rintuzza  1'  SCuio  taglio  all'  adunco  ferro 
dell'alato  veglio  fenza  rifcatro. 

E  fermoffi  qui  l'Uomo  immagine  mirabile  di  Chi  diegli 
l'effere?  Divenuto  vie  p  ù  coragsiofo  nelle  vittorie  e  nel  ve- 
der la  rabbia  che  divorava  il  fi^nore  delle  ftagioni,corfe  più 
oltre  ancora . 

Il  parlare  e  lo  scrìvere  (  egli  diffe  alla  Tua  audace  proge- 
nie )  finifce  con  chi  fé  ne  vale.  Se  ciò  ch^  lo  fcrirto  e  la 
favella  erfvrime,non  fuperi  l' inteUigen?»  de' volgari ,  non  fac- 
cia inarcar  le  ciglia  ,  non  meriti  che  fi  ripeta  tra'  noftri  li- 
mili ,  che  fi  confervi  ,  che  palfi  di  lingua  in  lingua  p'r  tut- 
ti i  terricoli, avremo  in  vano  inventata  la  favella  e  la  fcrit- 
tura. 

Meditare  al  certo  folidamenre  importa  ;  ma  ciò  non  bafla. 
La  meditazione  che  non  pafTì  di  mano  in  mano,  muore  col 
peofatore .  Bìfogna  che  alla  meditazione  giuHa  e    profonda  - 

con 


congiuoga  la  v.ioherza  nel  disvilupparla  che  fiffi  1  attenzione 
di  chi  ai'colta  ,  la  delicatezza  che  mujva  le  anime  feafibili  , 
la  grirJa  che  la  innamori,  e  non  di  rado  la  tnaerta ,  la  gran- 
dezza ,    la  fubliaiitk   che  incanti    e  forprenda  ..    Bilbgna    che 
quanto  patte  dall'intimo  del  cuore    e  dalla  mente    più  efer- 
cirata,^  e  per  l'organo  della  parola  (catta  o  profferita  altrui, 
fi  cornmunichi  ,    fpoglio  n' eica  di  ogni    terrea  fcoria    e  fra- 
lez^a,.  ch'è  ia    nodo  indiir^lubile  a'ie  animi  umana    accom. 
pagnata.:  che  fenta  quanto    dir  fi  polla  della  divinità    che  il 
Creator  del  ru  ro  in   efl"-'  deg.ò  tra.';fo:i  lere  :  bilogna  chj  fem- 
bri  da  un  nu'ne  talmente  accefo  e  commoff^  che  rapifca  chi>^ 
lo  circonda  e  rafcolta,e  rapprefenti  i'eftro,  il  fuoco,  l'eti-^ 
tufiasmo  d'un  ifpirato  ^ 

Per  quanto  debolmente  è  a  me  conceflb  d' immaginare',  in 
fimil  gui fa  (  benché- con  intenfuh  infinitamente  maggiore  )  mi 
èguro  che  in  Grecia  favellafle  il  buon  fenno  ed  il  gudo  nel 
irrido  petto  di  Omero,  di  Pindaro,  di  Piantone,  di  Demoftene, 
di  Teofraflo,  ed  in  Arguito  di  qu;lla  immortale  fchiera  che  gì' 
ingegni  Greci  emu'ò  nel  Lazio,  delle  opere  de'quali ,  voi,erimii 
l'ontaniani,  vi  padelle  e  nuirifte  convertendola  in,  fucco.  ed  in 
fangue.  Con.  fi  mi  li  efpedien'i  que"  fonimi  ingegni  incantarono 
i  contemporanei  ne'  giuochi  fingolarmente  di  Olimpia  e  di 
Atene  e  ne' Capitolini  di  Roma  e-  ne'Sebafli  di  Napoli ,  ed  in 
~-~fèguito  i  pofteri  di  tante  eulte  nazioni  ;  ed  oggi  fono  per 
fc  noi  l'organa  per  cui  i  ncftri  petti  conccpifcono  il  nume  che 
ci  rifcalJa  .  Le  loro  opere  vivono  tuttavia,  quafi  pur  cnò  ver* 
[  gite  e  profferite.  Morda  pur  dunque  il  Tempo  l'impotente 
(ila  falce;  feco  frema  digiignando  i  denti  fcarni  ed  ambe  le 
mani  per  furor  fi  morda  la  pallida  fua  compagna  che  osò 
troncare  vite  sì  care  e  preziofe..  E  che  traflero  dalla  loro  a- 
trocità  l'uno  e  l'ahra  ?  I  lavori  dall'ingegno  efenti  fono  da. 
Ogni  ofTisa,  fonj  perenni  oraameoti  del  tempio  dell' Iraaior- 


X2Ò 

talita;  effi  sfidano  U  rabbia  llvorofa  de' divoratori  de'bronzi 
e  degli  eroi  ;  effi  non  moriranno  finché  il  genere  umano  fuf- 
fifta,  finché  Libitina  infetti  la  terra,  finché  il  Tempo  noa 
precipiti  neir  abiflb  dell'  eternità  . 

Per  cordoglio  del  Tempo  che  già  minaccia  e  medita  col- 
tro di  me  le  vicine  fue  vendette,  aggiugnerò  che  i  trionfi 
dell'Uomo  non  fi  fono  limitati  agl'ingegni  Greci  e  Latini, 
e  le  perdite  del  suo  nemico  fi  foao  fuccedute  nella  moderna 
Europa.  Ne  trionfarono  in  Italia  i  lavori  immortali  del  Por- 
ta, del  Borelli ,  del  Galilei,  del  Tilefio,  dell'Arioso  e  di 
Torquato;  in  Francia  quelli  di  DesCartes  ,  di  Buffon,  di 
La  Grange  e  di  Racine  e  di  Voltaire.;  ìù  Alemagna  di  Ke- 
plero, di  Ticone  ,  d;;gli  Euleri  ,  e  di  Leibnirz  e  di  Klops- 
to:h;  nelle  SpagTe  di  Jorga  Juan,  di  Antonio  Ulloa ,  di 
Uflariz  e  di  Camoens;  fui  Tamigi  del  gran  Newron,  ài 
Locke,  e  di   Milton  e  di  Pope. 

L'Uomo  continua  a  vincere  per  quefia    gloriofa    infallibil 
via,  ed  il  Tempo  nulla  potendo  falle  produzioni  dell'ingegno 
continua  a  vendicarfene  fui  frale  de'grandi  uomini  che  rendo- 
no il  terreno  foggiorno  vie  più  vago  e    dilettevole  .    E    che' 
ahro  potè  egli  full' antica  adunanza  Pontaniana  ?  Voi   fvolge- 
te  ancor  come  oggi  nate  e  con  iftupore  e  piacere  ognor  piiì 
vivo  le  opere  eterne  di  Gloriano  Pontano  ,    di  Az2Ìo  Since- 
ro, di  Scipione  Cipeci,di  Girolamo  Seripando ,  degli  Acqua- 
riva.  Voi  di  bella  invidia  infiammati  avete  intraprefo  a  con-' 
tinuare  le  vittorie  dell'ingegno  calcanda  le  loro  veftigia;  ne' 
avete  dato  un  faggio  nel    volune   che    pubblicaRe    lo    fcorf» 
anno;  ed  in  quello  che  vi  accingete  a  produrre  .    Il    tempo' 
fremendone  in  vano  ed  altro  non  potendo  ha  vibrato  un   col- 
po per  noi  mortale  fu  colui  che  ebbe  cura  di  raccorre  in  quel- 
le cane  le  voftre  ingegnofe  ricchezze  e  di  farne  unite  allefae 
al  pubblica  un  dono  preziofo.  Egli  giace,  è  vero,   preda  di' 

mor- 


morte;  tra  egli  vive  pe'veri  filofofì,  pe' filologi  di  prima  no- 
ta, per  gli  aratori  egrcgii. 

Vincenzio  de  Muro  Arpinate  nato  nel  1758  non  viffe  af- 
fai lunga  vita,  m?>"  l'allungò  colle  op  re .  Li  meno  di  tre 
luftri  nel  fei«iniTÌo  della  Città  fjndata  da' vi uoriofi  Norman- 
ni diede  opera  ad  imernarfi  ne' mifteri  d  11^  ebraiche  ,  greche 
e  latine  lettere  in  guifa  che  perv^jnne  tutta  a  guftaroe  1'  ulù- 
ma  b.llezza  ,  la  proprietà  e  l'eleganza.  Furono  i  progress 
lapidi  a  fegno  che  dove  fiudiato  avea  divenne  precettore  di 
froria  e  delle  lingue  dotte  che  pofledeva  e  maneggiava  eoa 
perfezione  e  nitore.  In  Napoli  per  buona  ventura  dell'Ac- 
ca lemia  Militare  egli  infegnòalla  g'oveniù  gli  elementi  gra- 
rnaticali  d,'ile  lingue  latina,  italiana  e  fraucefe  ,  imprfifa  ma- 
Jagevole  per  gli  fcrittori  non  filofofì  e  non  eccellenti;  perchè 
in  elfi  fvolgendo  la  piìi  profonda  filofofia  Teppe  proporli  in  fa- 
cile afpetto  alla  prima  gioventù  per  avvezzaria  ,  non  avve- 
dendofene,  a  meditar  drittamente  intorno  al  veicolo  delle 
idee,  vale  a  dire  alle  parole.  Il  Muro  con  tale  arte  fulle 
Tracce  del  CondilJac  pubblicò  le  tre  ben  ragionate  gramatiche^ 
Letina^  Italiana   e    Francefe . 

Con  pari  profonditli  di  penfare  e  con  metafifica  più  folida  e 
iuminofa  coprendo  fcorramente  1'  a'tificio  con  un  titolo  fcm- 
piice  di  j^rte  di  jcrivere  -pe  giovavctti  fpiegò  gli  arcani  at- 
irattivi  dello  flile  e  dell' eloquenza,  che  trafcende  la  medio- 
crità. Tuita  l'educazione  indifpenfabile  neli' ingreflb  al  mon- 
ÒQ  difviluppata  dal  prelodat»  Condillacwf/  Cor/o  dì  /ìndio  ^n- 
p:irato  per  Ferdinando  Borbone  di  Parma  epilogò  con  origi- 
Kàl  maeftria  tuua  fua  il  Muro  neW  Jntroduzione  che  vi  pre- 
mife  traducendofi  in  Napoli  nel  1788.  Splende  in  effa  la  più 
fana  e  la  piìj  utile  filofofia  fenza  nebbie  fenza  fottigliezze 
diretta  a  rifchiarar  l'ingegno  ed  a  rettificar  il  cuore,  condita 
di  tutta  l'energia  dell' elotjuenza ,  di  tutta  la  purezza  della 
Tom. 11.  16  lin- 


Ì2% 

lingua-,  dì  tutta  la  dottrina,  l'erudizione  e  ring?gno  del  Mu- 
ro. Q_u;ft' ingegno  ,  queft<i  eru.lizione,  quell-i  dottrina  ,  c^us Ila; 
nitidezza  di   itile, qj^ila  mariiia  eloquenza, che  voi  ben,  lapete 
che  regnano  in   tutti  i  Tuoi  lavori,  fi.  ammi  a  nelle  0»*(Jzìomì  >,he- 
ne  conoscale  jfingolanncnre  in  quelia  che  compofe  pel  ritcno 
della  palTatd    corre  in    Napoli    nel    I7pi  ,  e  nelì'uhiiua.  fune» 
bre    pei   Vefccva  Agoftino  Golino  di  cui   pochi  giorni  prima 
del  fa'al  colpo  che  a  noi   il  loKe  ,  egli  ci  fé  parte.  Voi   ri- 
conofcete  le  medefìme  indicate  pr^roguive  eminenti  in  tante 
altre  Tue   fatiche-  leiterarie,  per  le    quali   l'Accademia  Jonica. 
lo   prefcelfe  tra' fu  ai   ornatifllmi    individui  ►  Voi    le    ravvifate 
dapertutto,  e  vi  determinaft?  ad  eleggerlo  per  vcllro  Segreta- 
rio perpetuo;  e  b'n  vedefte  con  quan;a  ufura  egli  corrifpofa 
alle  voitre  ben  fondat;  fperanze  sì  ns\['  htfoduz'to-ic  ch'i  prepo- 
fe  al  voftro  volume  come  nelle  due  eruditiffime  Memorie  fulle 
Favol'g  Ateila7je  e  {aW Opicin  che  ne  fanno  11  degna  parte... 
Voi  forp.'rate?  Vi   fovvenite  eh' egli  non  è  piìivoftro  ?  E' vero!: 
Vincen'io  de  M.jro  non  è  più   nofìro,  è  vero;  ma  della  glo- 
ria e  della  ben.  meritata  immortalità  !  Non  è  più  noiiro,  è  vero; 
ma  noftre.  fono  le  fudate-  opere  che  come-  teloro  ne  ferbiamo, 
che  faettano  con  tanso  fuccefla    it    Tempo  ..    Q_uefto-  tiranno- 
non   fi  confolirk  mai  dell'oltraggio  che   ne  riceve  mal  grado^ 
della   vittoria  riportala  fulla   mutria-  chi    in  fé  chiuJeva  ani- 
ma fi  degna-   Egli   freme  al  vederlo  coHocafo  in    un  fegg^o 
rifplendeoce  in   m^zzo  a  un   Vico  ,  a  un  Genoved,   ai   Mar- 
tini, al   Maz-tocchi  ,    al  Sabatelli  ,    ai  Ci  ri  Ili  ,   al    Serao  ,    aL 
Filangieri ,  al  Palmieri ,  tutti  abbigliati  della  divifa  di   Pirte- 
nope  ,  i  quali   fiedono  ridenti    accanto    ai    grand' ingegni    chs 
refero  eterne  Roma  ed   Atene.    Non    i'^figgi    all'  acuta    vidi 
dell' livido    nemico  delle  cofe  creite    confelìb   fi  gloriofo  ,    e- 
f)   difpv-ra    vedendofi  debelhto    a  fjrza  unicamente  di    puole 
ch-e  fono  non  pertaata  cjntro  di    lui  aliai  piià.  di    acuta    fol« 

.  gore. 


'  :  1 

^are  penerranii,  e  raddjpplando  il  volo  precipitofo  fi  rplnge 
tra"  barbari  ed  incolti  popoli  d' entrambi  gli  emisferi  ,  e  fu 
elU  e  delli  cofe  che  gli  circondano  fi  vendica  de'  fuoi  ran- 
cori, (ì  vendica  fu  di  coloro  che  non  danno  fegni  d-lla  pro- 
pria e(ilìen?a  fé  non  per  le  vefti  ricamale  e  pt  diamanti  di 
Golconda  lavorati  in  Olanda  e  in   Inghilterra. 

S'i,  è  chiaro,  muoiono  le  Cittb ,  mjojono  i  regni  ,  ma  nott 
é  vanità  di  cupida  e  fuperba  mente  che  coprendo  i  falli  e 
le  pompe  arena  ed  e;,ba  ,  per  nobil  desio  di  cofa  nun  mor- 
tale cerchi  l'Uomo  uu  glonofo  compenfo  di  ciò  che  p^rdc 
ne' lavori  dell'ingegno  che  du'-ariJ  col  mondo.  In  Atene  ab- 
bacata dagli  anni  al  borgo  negUtto  di  Setine  piega  il  ti- 
ranno  vorace  a  fuo  dtfperto  la  fronte  a' carmi  eterni  di 
Omero  €  alle  divine  meditazioni  di  Platone  .  In  Palmira 
cangiata  in  ruine  fi  onora  e  (i  onorerai  Tempre  il  Sublims  del 
Miniftro  di  Zenobia .  Pet^  l'antica  Siracufa  ,  ma  non  mai 
p.'rirono  i  libri  di  Archimede  e  di  Teocrito.  Il  Tempo  per 
mezzo  del  Vefuvio  fotterrò  Ercoluno  ,  e  gli  adufti  papiri  di 
Epicuro  forgono  di  fotterra  a  firfi  ammirare'  ancora  .  Peri 
•  Roma  antica  ,  e  Giulio  Cefare  ,  ma  i  fuoi  Commeniarii  do- 
po quafi  venti  fecoli  ce  ne  rammentano  le  gelta  e  la  fcien- 
za.  Peri  tutto  il  Romana  Impero,  ma  non  i  poemi  eterni 
di  Marone  ,  di  Orazio  ,  di  Ovid  o  ,  e  le  ftorie  immarcefci- 
bili  di  Salluflio  ,  di  Livio  ,  di  Taciro  .  Trionfino  pure  gì: 
anni  di  tutto  che  deg  i  anni  trionferanno  eternam.nte  le  let- 
tere.  Vincenzio  de  Muro  che  trasfufe  nelle  fue  opere  tutto 
il  bello  e  tutto  il  fapere  greco,  latino  ,  italiano  ,  fi  leggerà 
fempre,  e  fi  dirh  con  gioja  ed  ammirazione  : /w  t]uefìi  i' in- 
fig*is  Segret/irio  perpetuo  de  Pontaiiiam  del  primo  decennio  del 
\Jecolo  XIX ;  t  la  ferie  de' vollri  fuccelTori  fulle  di  lui  tra:ce, 
e  fulle  voftre  fermi  camminando  continueranno  a  iricnfar 
Wel  Tempo.  E  voi  fofpirate?  Ho  detto. 


"*  MEMORIAE 

NVNQVAM  PERITVRAE 

VINCENTII  A  MVRO  PRESBITERI 

PII  PROBI  SCIENTISSIMI 

PRAEMATVRO  FATO 

GRAECIS  LATINISQVE  LITTERIS  AC 

SEVERIORIBVS  DISCIPLINIS 

ABREPTI 

OPTIME  DVM  PONTANIANAE  SOCIETATIS 

MVNERE  PERPETVO  A  SEGRETIS 

PERFVNGERETVR 

STYLIQVE  AMABILITER  VENERES 

PHILOSOPHIAE  LAVDABILITER  PLACITA 

VNDIQ.VE  SCITISSIME  DIFFVNDERET 

HOC 

MAERENTES  GRATIQVE 

ATRATI 

CONTRA  VOTVM 

PONTANIANI 

P 
MDCGCXI. 


DISCORSO 

RECITATO    X»  MORTE    DEL   SOCIO    PONTAJilANQ 

VINCENZO    GAETANI 

D   A    L      S   O    e    I   O  I 

OTTAVIO  COLECCHI  nel  iSii.  ' 

V  Iticenzo  Gaetani,  nato  ^at  dottor  Fifico  Gefualdo  Gat- 
lani  di  Civita  Situangelo,  provitjcia  del  primo  Abruzzo  ul- 
teriore, Profeffore  di  geografìa  s  itoria  nelU  Rea]  Paggeri», 
ornamento  della  Pontaniana  Società  ,  lume  e  fplendor  delle 
lettere  ,  nel  più  bel  fiore  degli  anni  fuoi  è  ft.ito  il  dV4  Giugno 
di  immatura  morte  colpito.  La  fua  perdita,  miei  ornatiffimi 
Colleghi ,  merita  ben  che  fi  compianga  t)on  folo  da  ogni  fpi- 
rlto  penetrante  e  rublìme,ma  da  ogni  cuore  altresì  b^n  fjr- 
mato-e  virtuofo.  CoDciofiachè  e  l'elevatezza  ile' Tuoi  1  uniti ,  e 
la  purità  di  fua  morale  il  rendeano  tanio  più  pregevole  e  ca- 
ro all'uom  di  lettere,  all' uom  faciale,  quantoppiù  ardua  e 
difficil  colà  parmi  che  fia  oggidì  il  poter  rinvenire  chi  q  e- 
Q'i  due  pregi  aSìcm  riuniti  in  un  grado  s\  eminente,  come 
il  noRro  Gaetani,  in  fé  fteffb  accoli^a  .  Voi  che '1  conofcefle, 
e  Sigaori  ,  ed  una  ben  degna  e  giulia  idea  di  lui  concepire; 
Voi  che  ài  alto  fiupor  comprefi  avete  meco  più  volte  fa- 
vellato della  fublimità  dalie  fue  idee  ,  e  della  rettitudine 
delle  lue  azioni,  fateini  giuflizia  e  garentite  i  detti  miei  ora 
che '1  dover  dell'amicizia  a  rimembrar  m'ingiunge  qual  fi 
folle  ftato  lo  fpirito  che  faceva  si  ben  penfire  ,  e'I  cuore 
che  induceva  a  si  ben  agire  il  mio  Gaetani  :  fpirito  e  cuo- 
re 


US 

re  da  cui  traeva  origine  il  noSife  treno  sdente  fpecolative  t 
pratiche  virtù  che  l'adornavano.  Ed  è  ben  giufto  che  fi 
tramandin  q-iefte  alla  fucata  memoria  de'pofteri  ,  acciò  ne 
godano  i  buoni,  i  malvagi  ne  frettano  ,  e  gl'invìdi  ne  at- 
trillino  e  addolorino.  Santa  verità,  tu  che  profanata  fovente 
dal  labbro  reo  di  vii  adulatore,  anzi  elierlo  in  qu.-fto  dì  dal 
labbro  mio,  l'omaggio  accogli  del  mio  favellar  fincero  che 
più  nitida  e  bella  fpiccar  ti  far'a  nei  fulgido  tuo  lume.  Co- 
minciam  dapprima  .delle  quaiii'a  del  luo  fpiriio. 

I.  E  chi  mai  potrebbe  i  pregi  conten'ergli    di  una  men- 
te perfpicace  e  fublime  ?    Pareva  egli  fatto  dalla  natura  per 
la  meditaziotie  .e  per  produrre  i  pemieri  più  vaili  ed  elevati. 
La  ragion  eragli  Tempre  compagna,    e  la  vivacità  e  la  gra- 
zia, il  vigor,  la  chiarezza,  rendeaa  si  brillanti  ed  ingegnofe 
le  letterarie  Lue  produzioni  che  non  fenza    un'  ellrema  mera- 
viglia.,   non  fenza  un  vivo  interno   convincimento  fi  poffoa 
.leggergli  fcritti  fuoi.  Anche  nell'eileriore  fui  forma  efpref- 
fi  vedeanfi  i  caratteri  dell'interna    fua  difpofizione  .    L'aria 
fua  penfante  e  mfilancolica-,  Jl  volto    macilente    e  pieno  di 
fpirito,  gli  occhi  Tuoi  penetranti  e  vivaci-,   la  dolce    ed  ar- 
rendevole fifonomia  ,    raollravano  ad  evidenza    la  profondità 
e  folidezza  del  fuo  intelletto,  la  fecondità  e  fottigliez^a  del 
fuo  ingegno,  Ja  forza  e '1  brio  del  fuo  immaginare.    E  per 
darvi  più  dilUnta  idea  e   particolar  notizia    di  fua  non  ordi- 
naria letteratura:  era  egli  dotato  di   ut   talento,  a  cos'i  dir, 
univerfaie,  di  una  perfpicacia  non  comune,  di  un  genio  il- 
limitato, penetrante  ,  attivo  ,  si  e  p;r  tal  modo  che  Ipaziar 
potè.,  fenza  f;iiarrirfi  ,   nel  vafto  campo  dello  fcibile  ,  fegre- 
gando  però  fempre  con  avveduto  difcernimento ,  ciò  che  può 
lo  fpirito  umano  conofcere   da  ciò  che  tenta  indarno    di  fa- 
pere  .  Il  perchè  non  fi  udiva  mai  foftenere  o  promulgar  dot- 
trine che  xion  potellero^  alle  umane  ricerche  convenire  ,    ed 

in 


h  querto  faceva  rirpl?ncler  Tempre  un  ingegno  màravigUófo, 
un  giudizio  fevero  ,  un  gullo  alfai  fquifito  e  dilicato  .  Coti 
quelta  moderazione-,  con  quefte  ragionevoli  vedute  s'avviò 
egli  nella  nobìl  carriera  delie  fcienze  e  maeftro  ne  divenne; 
che  anzi  non  volle  folo  de'lunghi  ftuJii  e  delle  fagge.fue 
fpecolazioiii  pifcce  ed  allettare  il  p?netr<in;e  fuo  intelletto, 
ma  volle  puranche  farne  copia  altrui  ,  quando-  in  fervizio 
del;  fuo  ordine  ,.  detto  della  Madre  di  Dio  ,  Tponendo  coti 
lomma  fua  lode  e  gran  vantaggio  de' (uoi  all'evi  l'ccclefia- 
fiiche  dottrine:  nelle  più- cofpicue  Citta  di  Abruzzo,  e  in  fe- 
gyito  anche  nella.  Capitale,  vennegli  l' iftruzion  de'giovani 
da' Tuoi  Superiori  affidata-  Ma  lafcinfì  ornai  in  difparte  gli 
fludii  di  teologia  e  di  ecclefiaftica  erudizione,  a  quali  egli 
(  cosi  convenendo  al  facerdotale  Tuo  (lato  )  principalmente 
e  con  particolar  cura  impiegofTì ,  e  veggiam  qual  (i  fofle  la 
fcienza  eh-  egli  aveva  delle  cofe  umane.  Era  il  nofiro  Gae- 
lani  un  Filofofo  ,  ma  un  faggio  e  ben  avveduto  Fiiofofo ,. 
conciofiachè  non  dallo  fpirito  di  partito-,  non  dal  pelo  dell' 
autorità  ,  ma  c'alia  fua  fola  ragion  guidato ,  tutto  di  tutti 
leggi  ndo  ,  tutto  di  tutti  meditando,-  feppe  di  tutti  fccglier 
'il  vero,  e '1  falfo.  di  tutti  feppe- avvedutamente  fchivare  .  Si 
con  che  lo  fìudio  di  tanti  Filofcfi  s)  antichi  che  moderni  ,. 
1' e^ame  di  tante  si  fvariate  ed.  rppffte  opinioni,  la  cono, 
fcenza  di  un  gran  numero  di  (ìftemi ,  anzicchè  una  vile  con- 
«iifcendenza  apli  altrui  pendmenti  ,  non  altro  effetro  in  lui 
produflero  che  un  pieno  convincimenti  dei  troppo  angufli  e 
ricreiti  limiti  dello  fpirito  umano  .  Meco  fpeffo  dir  foleva 
che  malgrado  i  lumi  òA  fecolo  ,  uopo  (-ra  che  nelle  fcien- 
ze lì  L-lilfe  ancora  unar  riforma  ^  Ah,  rifpettabili  Colleghi, 
non  potrei  farvi  meglio  il  merito  conofcere  del  degna  focio 
che  morte  crud  le  ha-  voluto  a  noi  rapire,  fé  non  coli' efpor- 
vi  qual  fi  toffs  la  fui  maniera  di  penfare  inlorno  alto  Itato 

at.« 


12»  ,  ,  '  " 

attuale  (3©ll«  timahe  conofcenze,  giacché  egli  meco  più  vof* 
i«  difcorrendo  ,  compiacevafi  di  mettermi  a  parte  de'  fooi 
concepimenti  . 

Ridurrei ,  diceva,  la  logica  al  foto  Audio  dello  Spirito  uma- 
no, non  per  ifcovrirne  Ja  natura,  ma  per  conoicerne  le  ope- 
razioni .  li  neffo  delle  idviC  tra  loro  e  coi  fegni  che  le  cipri- 
mono,  dev' efler  il  fondamento  di  quefta  fcienza.  E'  di  me- 
ftieri  cominciar  dalla  percezione,  e  veder  in  quii  modo  e  con 
qual  ordine  fa  effa  oafcere  tutte  le  altre  idee  che  acquilliam 
coll'efercizio.  Bifogna  pallar  poi  al  linguaggio  dell'adone  e 
vedere  cctne  quefto  ha  trutte  Je  arti  prodotte,    che  fon  prò- 
prie  ad  eCprimere  le  noftre  cogitazioni  ;    l'arte  di'gefti  ,    la 
parola,  la  declamazione,  la  mufica,  la  d-infa  ,  la  poefia  ,  1' 
eloquenza,  la  fcriitura  £Ò   i  caratteri  diff.renti  delle  lingue. 
Ecco  la  fua  logica.    Vorrei,   feguiva,  che  la  metafiiìca  fof- 
fe  non  altro  che  l'ontologia.  La  metafifica  è  Ja  fcienza  del- 
la ragion  delle  cofe.  Interrogate  un  pittore  ,    un   poeta  ,  un 
mufico,  e  l'obbligarete  a  darvi  conto  di  ciò  che  (&:  ecco  la 
metafifica  dell'arte  fua .  Q_uando  l'oggetto  della  metafifica  fi 
limita  alle  vuote  ed  firtratte  ronfi  derazioni  del  tempo,  dello 
fpazio, della  materia,  dello  fpirito,effa  diventa  una   fcienza  di 
parole, e  percò  una  fcienza  vana  e  difpregt^evole  ;  ma  quando 
Il  confiderà  folto  il  vero  (uo  punto  di  veduta,  è  bei  altra  co'» 
la  metafifica.  Solo  chi  ha  poca  penetrazione, potrà  allora  dirne 
male.  La  Filofofia  politica  ,  diceva  ,  dovrebbe  rrartarfi   un'altra 
volta,  come  fu  trattala  da  Arifiotile.  Quello  Filofcfo  allevato 
alla  Corte  di  Filippo  e  teftimon  oculare  dei  gran  colpi  di  poli- 
tica che  refero  così  celebre  quel  Monarca  gloriofo,  feppe  af- 
fai ben  profittare  dell'  occafion  favorevole  di  penetrar  i  fecre- 
ti  di  quella  fcienza,  utile  e  pericolofa  nell' ift^flb  tempo;  raa 
non  fi  trattenne  già  ,   ad  efempio  di  Platone    ru3    maeftro  a 
fr«ar  una  Repubblica  immaginaria, ed  a  far  leggi  per  uomi- 
ni 


1^9 

ni  che  non  efilìonoi   volle  al  contrarlo  v»lerfi    de*  lumi  che 
feppe  tirar  dal  commercio  familiare  ch'ebbe    con    Aleflàndro 
il  granJe,   con  Antipatro  ed  Antioco,    per  prefcriver    leggi 
conformi  allo  (lato  degli  uomini  ed  alla   natura    di  ogni  go- 
verno. Pure  febben  pregevoli  foffero    i   precetti    che  ne'  prc- 
ziofi   fcritti  fi  trovano    di  queflo    gran  Filofofo  ,    la  maggiar 
parte  di  efli  farebbero  poco  proprj  a  governar  gli  flati  che  di- 
vidon  ora    la  terra.    Il  coftume   è   cao2Ìato  ,    e    ciocché  er» 
piucché  ottimo,  quando  Ariflotile  fcriveva ,  non  farebbe  si  fa. 
cile  a  metterfi  in  pratica  oggidu  Or   mi  diceva:    che  conto 
fate  voi   de'Politici    a  fiflema  ?    Ma  almen    le  matematiche 
gli  drfs'  io  .  .  ,  Amico  ,  riprefe  fubito  ,    troncandomi  la   pa- 
rola, l'odierno  fpirito  analitico  che  ha  introdotto  in  quefte 
fcienze  un  luflTo  s\  grande  ,    temo  che  un  giorno  non   debba 
efler  loro  di  nocumento.    In  qaanto  a  me,  dopo  di  avermi 
ferbata  la  meccanica  analitica  e  la  celefte  ,    vorrei  che  tutti 
gli  altri  libri ,  che  dopo  T  epoca    di   Eulero  trattan    di  que- 
lle fcienze,  foffero  adunati  in  una  fola  Biblioteca  ,  e  che  la 
forre  di  quella  foffe  quella  fleffa  della  gran  Biblioteca  di  Ale- 
fandria  .  Come  ?  difs' io  ....  Come?  ci  riprefe  ;€  non  fai  che 
Tiift  utile  e/ì  quod  jr.cimus^pulta  efl  gloria?  D'  Alembert ,  profe-' 
guì,  integrò  l'equazioni  a  differenze  parziali  delle  corde  vi- 
branti.  V^enne  Eulero  e  ne  diffe  quan-o  poteva  badare .  Do- 
po di   Eulero  fi  è  voluto  andar  più  oltre,  fi  è  fcrirta  un'in- 
finità di   memorie,  fi  è  comporto  un  gran  nutnero  di  tratta- 
ri. Gafpare  Monge  per  l'iftefs' oggetto  ha  immortalato  il  fuo 
nome.  Ma,  domando,  la  fua  analifi  applicata  alla  geotnetria, 
opera  veramente  coloffale  e  che  caratterizza  il  fuo  genio ,  è 
deffa  forfè  per  gli  ufi  pratici  e  per  l'utile  della  focietk   piii 
pregevole  della  fua  geometria  defcrittiva  ?  Inoltre  l' inte^ra- 
zion  dell'equazioni  a  differenze  parziali    fuppone  che  fi    fap- 
pian  integrar  tutte  quelle  a  differenze  ordinarie,  perchè  fu p- 


(»30 

pone  Tempre  che  fappiafì.  trovar  uà  fattore  che  le  renda»  fife 

iegrabili  .    E  chi  ha  mai  rifoiuto.  ia  tutta   la  fua  eftenfion& 
quefto  problema  ? 

Ecco, ornaci lìl.ni  Galleghi, ecco  qual' era  if  carattere  fi lofo- 
fico  del  noltro  Ga^tani.  Che  favieiza  !  chs  penetrazion  !  che 
difcernimento.'  Eppure, chi. 1  crederebbe? non  era  egli  di  m^a 
valore  e;men  pronto  negli  ftudii  ameni,  che  dlconfi  belle  lette- 
re dai  Tolcani,  e  che  infe°nano  a  ben  dip  ogere  e  colorir  il 
penfiere,.  V'ha  chi  crewis  inutili  ftadii  fìffaiti,  perchè  fprov- 
vifto- di  un  ben  armonizzato  intelletto .,   .privò  di  quel  cele- 
fte  fuoco  che  rifcalda  ed  accende  l'anima  y    scevro  affatto  di 
quell'ingegno  di  cui  naPce  l' invenzìioe  ,   fi  limita  (olo  alle 
fterili   ed  allratte   cognizioni  che    e  duramente   concepifce    ed 
enimmatica'.nente  fuole  altrui:  communi  care  .  N'n  cosV  il  no- 
flro  Gaetani.  Conolcendo  bjn    egli  le  arti    che  perfezionano 
l'intelletto,^  voile  coltivar  .quelle  ancoraché   i' inimaginazioii 
diriggono  -a  bea  rapprefentare  le  idee  tutte  che  a  noi  vengo- 
no dagli    cbjetti  elterni ,    oppur    (i   formano    dentro    di  noi» 
Non  (i  ritenne  dunque^    febben  dedicato  a   pia  ferie  occupa-- 
atipni,  di  conceder  alcuna  parte    dtl  preziofo    fuo  tempo  all' 
eloquenza   ed  alla  poefia  ..    Era    tgli    vergato    neil'  eloquenza 
della  cattedra  e  del  pulpito  ^    né    folo  Ci  dilettava  di  leggere 
1   piij  rinomali  poeti    delle  lingue    p:ìi  colte  ,    ma  era   anch'' 
egli  un   poeta.  Acroppiava  alla  precifione  e  fublimità  filofo- 
fÌQa  la  qraziofa  ,    la  geotil  maniera    di   efprimere    i  fuoi  eie?' 
vati   penfier) ,  ed  io  che  ho  letto  alcuni  fuoi  poetici  compo- 
nimenti ,  tra  quali  un'elegante  traduzione   di  alcune    odi  di: 
Orazio  ,    poffo  far  fede  che   anche  in  poef'a    aveva  egli   uà 
godo  affui  '  rquifìto  edilicato.  Ed  oh  fir.golar  merito  del  mio 
Gaetain  ,  e- perchè  non  pofs.' io  con  più  vivi  colori  di  maichia 
vittoripra  eloquenza  innalzarti  ?  Ma   tu  fei  da  per  te  si  gran- 
de ciie'i  tuo  nome  da  per  ogni  dove  ,    da  per  le  flefla  alta 


n» 


»3t 

rifuona.  Or  ditemi,  degniffimi  CoUeghì  ,  s'el  vi  par  mera- 
viglia che  ad  un'intelletto  fublime  cotanto  ed  illuminato, 
fi  fofler  poi  accoppiati  coltami  s\  amabili  e  lòciali,  che  ren- 
devano il  carattere  morale  del  nolìro  Gaetani  la  delizia  di 
tutti  quei  che  l'avvicinavano? 

II.  Ho  me  o  più  volta  p;.'nfato  che  (ìccome  noi  per  uti 
interno  lentimenio  ci  aliettiam  del  bello  ,  toflocchè  queflo 
per  la  via  de' fenlì  a  noi  prefentali ,  fenza  fapere  per  qua!  ra- 
gione fia  efla  l'objetto  dal  noltro  piacere,  così  nnlce  in  noi 
uà  certo  improvvifo  diletto  alla  vilia  del  buono  che  a  pre- 
f.'tir  ne  impone  h  belle  azioni  ali-;  turpi ,  ed  a  fceglier  quel- 
Je  ed  amarle,  a  fusgir  quefie  ed  abborrirle . 

La  viriù  n  f'.tti  non  può  alrri,nenti  conofcerfi  che  per 
feniimcntti ,  Se*  fofl'evi  iìaco  un  milero  fulla  terra,  per  cui 
ncn  fi  fofle  mai  intenerico  a'cnn  uomo,  e  niun  provato  avef- 
fe  il  dolce  pi.icerc  di  far  il  bene,  tutt' i  nolM  iazi"cinj  fu 
tal  ri^'uardo,  farebbero  così  inutili,  coinè  intrtrl  fa  ebb;  l' 
iinpegnufi  di  iar  rilevare  ad  un  ciefo  le  bellezze  di  un  qua- 
dro, o  le  va^he  apparifcenze  di  una  incantante  p  rfpertiva  . 
Il  fentimenti'  noti  fi  con-jlce  che  p:l  fentiniento.  Piacevi  di 
fapeie  che  cofa  lìa  umanità?  Chiudete  i  libri  e  p-^rtaievi  co- 
gli occhi  Toora  i  miferi.  Chi  ha  provato  le  dolci  attrattive 
della  vi"'i!i,  rientri  in  fé  iieffo  e  traverà  la  definizione  del- 
la virtù  nel  Tuo  cuore . 

Or  io  non  credo  che  pofs' avervi  tra  gli  uomini  un  folo 
che  ofi  rivucar  in  dubbio  quelta  verjià  ,  ma  fé  mai  fofì'evi 
chi  ne  dubirafle,  m'impegiTcì  a  dinioftrarj^iiela  col  latto. 
Sovvengali  del  carattere  mora'e  di  Vincenzo  Gaetani  ,  e  mi 
neghi  poi,  fé  può  che  queft  uom  non  con^^fc^'ffe  per  fenti- 
mento  la  b^Uez^-.a  della  vi^tù  e  per  fentim^nto  non  h  i'eguif- 
fé .  Oh  qui  sì  vo^zlio  che  Gaetani  comp  a  da  p.^r  fé  lloffo  il 
fuo  elogio.  Qui  piuccheraai  è  duopo  lapere  qual   fi   foife  la 

*  fua 


fua  maniera  df  penrare,in  confeguenza  della  quale  anche-  chi 
noi  conobbe  potrà  agevolmente  rilevare  la  fua  maniera  dì  a- 
gire.  La  virtù, rni  diceva,  ha  un  non  fo.  che  di  grande  e  degno 
dell' uoitiQ  che  fi  fa  tanto  meglio  feptire ,  quanroppiu  profon- 
damente fé  ne  medita  il  fubjitto  .  Il  do.vece  e  l'utile  fono 
due  idee  alfii  diitinte  per  chiuaque  vuol  riOettere  ,  ma  il 
.sentimento  naturale  bJla  anche  folo.  a  ta!  riguardo.  Quanjo 
TeariiJocU  a:mua2'ò  a' Tuoi  concittadini  che '1  progetta  eh'  e- 
gii  iormato  av>.'va  era  per  rijndir  in  un  iftante  ferva  di  Ate- 
ne la  Grecia  intera»  fappian  l'ordine  che  gli  fa  dato  di  co- 
municarla  ad  Ariitide ,.  a  quell' Aridiie  la  cui  favie22a  e  vir» 
tìi  eran  fi  conte  e  riaomate.  Q_iefti  avendo  dichiarato  al  po- 
polo che 'l  progetto  in  quiftione  era  veramente  uiile,  ma  e. 
flremamenta  iagiufto  ,  all' ilfante  gli  Ateoiefi ,,  per  bocca  d-j' 
quali  fpiegavalì  allora  l'umanità,  proibirono  a  Temiftocle  di 
andar  più  oltre.  Ecca,  aaiico,  l'impero  della  virtù.  Tutto 
un  popolo  rigetta  fenz,' altro  efame  un  vantaggio  io  finito  ,  per 
la  fjla  ragione  che  non  può  ottenerfi  fetiza  ingiuiliiia  .  Oi.e 
mi  Danno  duaque  adire  alcuni  de'raoderni  Fiiofofi  che  la  vir- 
tù, non  è  per  fé  amabile,, fé  non  quaaJo  concorre  al  prefente 
noftro  intereffe  ?  E  noa  è  forfè  vero  ch'ella  fovente  nel  mon- 
da fj  oppone  al  nofiro  bene,  e  mentre  il  vizio  coli' arte  fua 
snaiigna  fionfce  e  profpera  ,.la  feraplice  virtù  foccorabe  e  geme? 
ma  che  perciò  diventa  effa  allora  men  amabile,  raen  bella?  e 
.non  femb-a  anzi  che  ne' rovefci  e  ne'giand' infortunii  fi  fa 
la  virtù,  più.  cara  ed  interelfante  ?  anzicchè  nulla  perdere  di 
fua  gloria  effa  brilla  di  un  più  nitido  fplendore  fotto  gli  ora- 
gani  e  le  tempefle .  Ah  chi  può  refiftere  a°li  afcendenti  del- 
la virtù,  quando  è  perfeguitaia  e  profcritta!  Qual  cer  feroce 
non  s'inteosrifce  ai  fofpici  di  un  uom  dabbene:*  Ma  il  vizio 
coronato,  può  far  tanta  impre/Gon  fopra  di  noi  ?  Io  ti  fcon- 
giurp  (  dicea.aii  )    o  amico:   dim.Qi   «eli' iii.ie^riti  del.   tuo 

cuo- 


^uorc,  fé  con  maggior  entuGaimo  tu  vedi  Regolo  di  ritorno 
.A  Cartagine,  o  Siila  che  profcrive  la  Tua  patria?  Catone  cha 
piange  fopra  i  fuoi  concittadini,  o  Gufare  che  trionfante  dk 
a  Roma  la  catene?  Ariftide  che  prega  i  Numi  per  gl'ingrati 
Ateniefi,  o '1  fuperbo  Gonolano  iufenllbile  ai  gemiti  de' fuoi 
concittadini?  Nella  venerazion  the  Sociale  moribondo  m' i("pi- 
ra ,  qual'interefle  prender  pofs  ìj,  fé  non  l' interefle  della 
virtù?  Qual'è  il  ben  che  mi  vieiie  dall'  eroifmo  di  Catont- o 
dalla  bonik  di  Tito?  Che  timore  aver  pois'  io  degli  attenta- 
ti di  un  Catilina  o  delia  barbarie  di  un  Nerune?  Eppure  io 
detefto  gli  uni,  e  mentre  amo  ed  ammiro  gli  altri  ,  (ento  chfi 
l'anima  mi  s'  infiamma,  s'ingraridifce  e  con  effilor  fi  edolie. 
Amico,  io  ne  appello  a  te  fteflb,  quando  aprendo  i  fifti  del- 
ia ftoria  tu  vedi  paffart' innanzi  gii  uomini  dabbene  ed  i  mal- 
vagi, hai  tu  invidiato  mai  l'apparente  f.-licita  de' colpevoli, 
o  non  piuttoflo  il  loro  trionfo  ha  eccitata  la  tua  indignazio- 
ne? Nei  diverfi  perfonaggi  cbe  la  nostra  fantafia  ci  ta  rap- 
prefentar  talvolta,  hai  tu  defiderato  un  fol  iftante  di  effer 
Tiberio  con  tutta,  la  fua  gloria,  o  non  avredi  mille  voice 
voluto  fpirar  come  Germanico, coaipianto  da.  tutto  l'impero, 
aozicchè  regnare,  come  il  fuo  uccifori  fopra  tutto  l'univerfo? 
Eccovi,,  rifpettabili  miei  Colleghi,  eccovi  i  fentimeoti  di 
morale,  e '1  carattere  fpecoiativo  di  vittii-  che  adornava  il 
mio  Gaetani.  Veggiam  adeflò  qual  fofie  la  fua  maniera  di 
agire  io  confegucnza  della  fua  luatiieia  di  penrare'.  Sfbben 
ira'pi^eti  regolari  della  Madre  di  Dio  kUcù  egli  riiiraio  dal 
mondo,  pure  non  feppa  mai  dimcnticafu  di  elTer  nato  uomo 
e  cittadino,  ed  in  confeguenza.  tenuto  a  que'doveri  fociali  che 
fendon  più  dolce  il  viver  nofìro  e  meno  i'jcomado  il  noftro 
flato.  Ed  oh  potefs'io,  fenza  temer  di  troppo  fiancar  la  fof- 
ferenza  voftra,  qui  dipingervi  in  tutta  la  fua  eftenfione  il  fuo 
carattere  fociale .  Animato  egli  diì  l'tiotimeiiii  della  più. dolce 

filau' 


»34. 

fiiaatropia  era  bsti  pjrsuif"-)  della  perfetta  eguaglianza  di  lut- 
ti gli  uomini-,  e  chi  i  diritti  di  fupjriorith  ,  di  preminenza 
aver  noa  poffaao  il  lor  f)i1amjaco  falla  coitituzioa  natura- 
le, mi  dipenloa  folo  da  un  certo  artifiziala  inflituto ,  invea- 
tato  dall'uomo,  e  con  difegno  forfè  apporto  al  difegoo  gene- 
rale della  natura  .  Quindi  non  mai  di  fa  o  del  fuj  (lato  vi- 
des'infuperbire  ,  ma  fempre  docile,  sempre  affibile  ,  fempre 
umano  ,  con  tutti  urbinimenre  fi  tratt-neva,  tutti  con  pia - 
cevoi  volto  careggiava,  tutti  umanamente  foftViva  ;  che  anzi 
era  talmente  di' doveri  di  umanità  e  di  comp.iHij>a  convinto 
che  ne' loro  attentati  i  malvagi  ftelfi  compativa.  Voi,  mi 
diceva  ,  avete  pietà  Hi  un  cieco,  e  che  altro  è  un  malvagio, 
fé  non  un  uom  di  corta  viita  che  non  vede  al  di  la  del  mo- 
mento in  cui  agifce  ■.  Gh;i  fentiminti!  Chi  nobiltà  di  pen- 
fare  j  Diceva  che  la  focietà  deve  alla  biaefìcenza  i  legami 
p'.ù  dolci  e  pili  forti,  e  chi'l  mezzo  principale  di  cui  er^ifi 
fervilo  l'autor  della  natura  pjr  iftabilirU  e  confervarla  quel- 
lo era  flato  di  render  comuni  tra  gli  uomini  ì  beni  eJ  i 
mali.  Che  fé  v'ha  tra  quarti  chi  par  anbiiion,  p?r  interef- 
fé  è  incapace  di  provar  nel  cuore  i  teneri  fentim^oti  di  be- 
neficenza,  non  può  effervi  però  alcuno  che  non  ne  porti  i 
ferai  nell'animo,  vicini  a  fchiadeifi  in  favo'e  dell'umanità 
e  della  virtù,  purché  un  fentinento  fuperiore  non  v^-nga  a 
mettervi  ortacolo  .  Che  fé  mai  qualche  uom  fi  trovafle  che 
non  aveflTe  ricevuto  dalla  natura  quc-fti  prezioi;  germi,  ciò  fa- 
rebbe ut)  difetto  di  conformazione,  fimile  a  quello  che  rende 
gli  orecchi  di  alcuni  infenfibili  al  grato  e  dolce  piacere  di 
Mti  armoniofo  canto.  Or  che  ne  dite  ,  Signori, poteva  darfi  di 
quefto,  animo  meglio  formato  e  più  ben  fatto?  Che  fé  verfo 
tutti  gli  uomini  eran  quefti  i  fentimenti  d'I  mio  Gaerani , 
s' egli  era  con  tutti  fi  virtuofo  ,  penfate  qual'  effer  poi  dove- 
va coi  fuoi  amici?    Qui  dovrei  allegarvi  l'efperienza  che  n' 

ebbi 


ebbi  Copra  me  ftefTo;  ma  come  contener  le  lagrime  nel  fov- 
venirmi  della  lincerità  dell'amicizia  di  colui  ch'era  al  mia 
male  aifai  pili  lenlibiie  che  al  fuo  ?  Che  cuore  amabile!  Che 
anima  benfurmat)!  Ma  oimè  cha  queft' uom  fingolare,  quefl' 
uom  s'i  retto  di  Ipirito  e  di  cuore  y  nel  più  bel  fiore  degli 
anni  fuoi,  nel  maggior  colmo  di  fua  gloria,  mtntr'era  di 
tanto  ornamento  e  vantaggio  alla  Società,  è  egli  inafpettata- 
mente  già  morto  ..  Ed  oiniè  eh'  io  non  poflb  rammentarlo 
fenza  verfar  dagli  occhi  un  amaro  dirotifTimo  pianto.  Io  ch3 
feco  comunicava  tuit'  i  miei  penfieri  ,  io  che  si  avidamente 
de'ìuoi  confioli  e  delle  fue  cognizioni  la  mia  mente  pafceva, 
io  che  prendeva  tanto  diletto  di  converfir  con  lui  ,  perchè 
eratnt  .1  caro,  io  che  s'I  mi  pregiava  della  fua  amicizia,  io.. 
ahi  di  mer  Io  l'ho  miferamente  perduto  !  Morte,  ineforabil 
morte,  e  perchè  non  ufare  maggior  riguardo  coli' uom  dab- 
bene ?  perchè  vibrar  cosi  indidintamente  il  dardo  fatale  e 
contro  il  vizio  che  dovrebbe  pteRo  morire,  e  contro  la  vir- 
tù che  dovrebbe  fempre  vivere  e  trionfare?  Ma  poiché  for- 
da  è  la  morte  alle  mie  giufte  querele,  a  voi  mi  rivolgo, 
viftuori  colleghi,  che  si  degnamente  afpirate  a  far  il  bene, 
e  pretendete  con  ragione  di  aver  diritto  alla  virtù.  Ram- 
mentatevi rpeffo  dell' uonr  rilpettabile  che  ha  camminato  in* 
nanzi  a  voi  in  quella  brillante  carriera,  e  ficcome  aH'afper- 
fo  de' capi  d'opera  de' Michelang.*  li  e  de'Raffaelli  i  giovani 
pittori  s'infiammano  e  fiupifcono  di  ammirazione,  cos'i  voi 
fenza  mai  ceffare  di  contemplare  edamnirar  il  modello  eh" 
vi  ho  prefentato,  vi  l'entirite  bruciar  il  cuore  del  vivo  de- 
fiderio  d'imitarlo.  Diceva. 


tDSSIERVAZlONl 

S13L1.X   MEDAGLIE,  CHE  SOGLIONO    ATTRIBUIRSI  A 
TERONE   SOVRANO   DI    AG&IGENTO, 

E  SU  TALUNE  MEDAGLIE  DELLA  CITTA*  DI  TERINA^ 

DEL 

Cay.  F.  M.  AVELLINO 

t.etft  nella  feduta  de  i$  dicembre  18  XI-. 


N. 


El  terzo  numero  d;l  mio  Giornale  Namìsmatico  {1% 
ragionando  di  un  medaglione  di  argent'j  appartenente  a  Ge- 
Tonc  r  re  di  Siracufa  ,  efpofi  di  paflaggio  il  mio  fentimen- 
to  fulle  medaglie  ,  nelle  quali  fi  è  pritefo  leggere  il  nome 
di  Terone  fovrano  di  Agrigento.  Come  intanto  s'incontra 
quefto  principe  in  tutti  i  cataloghi  ,  ed  in  tutte  le  opere 
di  numismatica -regiftrato  fra  quelli,  di  cai  efitVono  realmen- 
te medaglie,  e  come  qu  ile,  che  fé  gli  artribuifcono  ,  fono 
f^ate,  e  poflono  effere  ancora  cagione  di  gravi  dubbj,  o  di 
falfe  confeguenze  nella  ftoria  delle  belle  arti  ,  e  della  pa- 
leografia ,  COSI  ho  creduto  ora  non  inutil  cofa  confermare 
f\h  a  lungo  in  ^uefte  ^flervazìeni  il  ^e^t^meoto,  che  allora 
propofi  , 

Terone  figliuolo  di  Enefidamo  fi  diftinfe  fra  gli  Agrigen- 
tini ugualmente  pe  '1  porto  eminente  ,  cfhe  occupò  preffo  di 
loro  per  lo  fpazio  di  fedicì  anni  >  che  per  ie  qualità  illufiri^ 
che  ne  lo  refero  degno  (2).  H  fuo  governo  fu  avveniurofo, 
e  fegna'ato  dalla  cooquifta  d'lmera,da  cui  egli  difcacciòTe- 
tìHo  fuocero  di  Anaffilao  ('3)  ,  dandole  Tralideo  fuo  figlio 
per  fovrano  (4) ,  dalla  parentela  contratu  col  celebre  Gero- 
Tom.II,  ly  DC 


ne  re  di  Slracufa  y  a  cui  dieJe  in  moglie  fua  fìgl/a  Dama^ 
reta  ,  dalh  infigne  vitro-ia  riportata  da  quelli  due  principi 
cnlleg.iti  prefl'o  ad  Imera  lui  Carta 'inefi,  ed  altri  popoli  al 
numero  di  trecentomila.  coinbaiteiin  (5)  ,  nel  giorno  ftcflb , 
in  cui  i  Greci  vinfero  i  Pe;fi  in  Salamina  (6)  ,  e  da  due 
vittorie  Olimpiche,  che  Pindaro  h»  ceLb  are  (7)  .  Appren- 
diani  da  Diodoro,  che.  Terone  mor'i  l'anno  I  lell' Olimpia- 
de 77  folto  l'Artontato  di  Carete  [^)  ;  per  cui  avenJo  ei 
regnato,  come  ii  è  già.  detto ,  l'editi  aini^  bifogoerk  fiflare  il 
principio  del  fuo  impero  circa  l'anno  I  delTOlimpiade  73. 
Gli  Agrig:intini  refero  onori  divini  al  loro  Principe  ;  e  gli 
erfero  un  magnifico,  fepolcro  che  venne  in  feguito  diftrutta 
da  up  fulmine  (9)  :  ma  Traddeo  fjo  figlio  erede  del  di  lui 
(lato  noA  lo  fu  delle  di  lui  q;ial:ta  ,  e  perdette  ia  breve 
il  dominio  (ic).. 

Filippo  Paruta  è,  per  quanta  fi  fappia  ,  il  primo,  che- 
alibia  pubblicate  medaglie  col  nome  di  Terone  .^.  Se  ne  ia.- 
contrano  due  nelle  [w-  tavole  (11),  e  quelle  fi  raffomigliano. 
preflo  die  interamente  fra  loro,  avendo  ambedue  dalia  parte 
del  dritto  una  tefia  ,  che  nella  prima  di  effe  fi  riconofce 
chiaramente  per  muliebre,,  e  par  covrta  nell'altra  da  una 
fpecie  di  pileo  ,  e  nel  rovefcio  uà  grancbio  fralle  cui  bran- 
che faperiori  fi  mira  una  luaa  crefcente  coli' epigrafe  GEPO.. 
QueSe  medaglie  fono  di  bronzo,,  e  di  terza  grandezza.. 

Dall' op>.'ra  del  Pa'Uta  hanno  copiate  neUe  loro  le  meda- 
glie di  Terone,  o  la  defcrizione  dimeno  di  elle,,  il  Qsflner  (iz'>, 
r  Arduino  (13»  ,  il  Froe'icli  (14),  il  Principe  di  Torre- 
muzza  (15),  il  Rafcha  (ló.),  1' Eckhel  (i8) ,  il  Sefiini  (18V 
ed  il  i\jinnnet  (19).  E'  intano  da  oflcrvarfi ,  che  niuno  di 
^U'^fti  auiori  ha  vift.i  oriainalmente  alcuna  medjglia  ,  che 
a  qislle  del  Paru'a  famialiaffe  ,  aia  che  tuli  le  citano  fui 
h  fola  di  lui  fede  .  la  aelfua  laafso  inoltre  ,  di  cui  fia  fia- 
to 


10  puMlicato  il  catalogo  ,  ìncontfafi  citata  cowe  efftente 
alcuna  medaglia  di  Terone.  E'  vero,  come  ha  oflervato 
rEckhel,che  il  Pellerin  notò  di  averne  ben  quattro  nella  di 
lui  collezione  {io);  ma  lo  fteflb  diligente  antiquario  ci  av- 
verte che  a  Tua  premura  il  (ìg.  Abate  le  Blond  pregatons 
<Jal  eh.  Neumann  volle  farne  ricerca  ,  e  non  avendol*  rin- 
venute in  neflun  conro,  lo  adìcurò  horum  (  numorum  )  nul- 
lum  in  Pcller'wii  thcfnuro  contweri^  &  Tbervnem  quocumque 
àcmtim  errore  in  catdcgum  irrepftjfe  {il),  infatti  nel  Mu- 
feo  Imperiale  di  Parigi  ,  in  cui  palsò  ,  come  è  noto,  la  col- 
■lezione  del  Pellerin  ,  iielTuria  medaglia  di  Terone  ha  linvc- 
tinto  il  /ìg.  Mionnet,  per  poterne  dare  ,  come  ha  fatto  del- 
le altre  ,  un'  impronta  in  foUo  ;  per  cui  fi  è  contentato  di 
citarne  folo  fulla  fede  degli  altri  fcrittori  .  Nefiuna  inoltre 
fé  ne  incontra  ne'  mufei  più  celebri  ,  quali  fono  quello  di 
Vienna,  del  Conte  di  Pembrock,  dell' Arigoni,  del  Tiepo- 
ì\  ,  ed  aliri  ,  come  ciafcuno  può  afficurariene  coniultando  i 
cataloghi  pubblicatine . 

Il  Principe  di  T orremuzza  ch2  ha  impiegati  tanti  anni  a 
.Tacc^'gliere  in  Sicilia  le  medaglie  di  queH'i!Ò!a  iliuRre,  fen- 
■za  rifparmiar  cura  né  Ipefa  ,  non  ha  mai  potuto  acquinarne 
xina  di  Terone.  E'  vero  ch'egli  a'tc-fta  di  efl'e  g'iene  palla- 
te talune  per  le  mani,  ma  nuellj  certezza  ,  com^  vedremo 
anche  nel  feguito,  non  potrebbe.  a'ToKprc  da  ogni  fofp-tro  le 
medaglie  del  Paruta,  fé  non  q  lando  l'erudito  Principe  aveffe 
afiicurato  nel  tempo  fleflb,  che  le  medaglie  ch'ei  v'de,  fof- 
fero  di  peifetta  conferva  ione,  e  che  l'epigrafe  OEPO  vi  li 
Jeggeffe  con  tutta  la  chiarezza  (22). 

Si  veJe  dunque  chiaramente  che  la  fele  tutta  delle  me- 
daglie di  Terone  poggia  fulii  teftimon-anzi  fola  <SA  Paruta, 
cujus  ,  per  fervirnii  dell'  efprellioni  del  cel.  Eckhjl  ,  nofìra 
htic  4(Tate  auiioritas  ,    &  fides  patii' atim  einori  tur  ,  ftve  if»'"t 

*  Golf' 


Coltzimos  hobet  admiatos  ,  ftve  majorem  numorar»  fariim  "m^ 
fio/e  depifìam  &c.  (»3).  E  quefta  fola  farebbe  a  mìo  giudi*^ 
2Ìo  una  poieoie  ragione  per  farci  fofpettar  con  fondamemo,, 
che  tali  medaglie,  viRe  (ioora  dal  folo:  Parata,  (ìano  dacoo)- 
prenderfi  nel  non  ifcarfo  numero  di  «juelle  che  o  viziate  o 
falfe  s'  iacoQtrano  così  foveate    nelle  di  lui  tavole  . 

Ma  oltre  di  un  tal  fofpetto^altre  confiderazioni  ancora- deb- 
bono risvegliare,  i  noflri  dubbj  fulle  medaglie  in  quiftione.  L! 
£ckhel.,  e  prima  diluì  \o  Spanhemio,  hanno  già  oifervato  eoo. 
lagione, e  dimoftrato  con  argomenti  tratti  dalla  più  fana  cri- 
tica e  conafcenza  delle  belle  arti, della  paleografia, e  della  fio- 
jia,che  le  medaglie  attribuite  aTeronc,  come  anche  quelle  che.- 
fi  danno  a  Cerone  primo  ed  a  Gelone,  r.on  pofiano  in  vs- 
lun  conto,  tiputarfi  fincrooe  a  tai  principi  (24).  Il  fentimen- 
to  di  qusfti  eccellenti  antiqujrj  è  fufienuto  dall'  aflenfo  di; 
due  eCmj  eruditi  ,  giudamente  ammirati  e  pel  loro  fapere, 
«  per  la  gtande  perizia,  che  hanno  de' monumenti  dell'aaiì- 
chità;  che  vale  a  dire  dell'abate  Luigi  Lanzi  (25),  e  delr 
J.'  immortale  ,  ed  inarrivabile  Ennio  Quirino  Vifcontì  {76),. 
Rimettendoci  interamente  a  quanto  quelli  fcrittori  e  T  Eck- 
hel  in  particolare  ,  hanno  fcritto  diftefamente  fu  tale  alTul- 
to,  per  convincere  maggiormente  i  coftri  lettori  della  veri- 
tà di  eflb  ,  gì' inviteremo  per  poco  ad  un  confronto  cui 
pare  che  le  medaglie  attribuite  a  Terone  diano  opporttina- 
mente  luogo  .  Abbiamo  offervato  che  queflo  Principe  fu  coe- 
taneo di  Anaflllao.  fovrano  di  Reggio  (27).  Sotto  quello  ul- 
timo, come  fi  raccoglie  da  Giulio  Polluce  (28),furon  battUr 
te  le  medaglie  Rei^ine  co'tlpi  di  un  lepre  e  di  un  cocchio» 
Tali  medaglie  eilfìono  ancora,  ed  una  di  efle  fu  pubblicata 
per  la  prima  volta  dell'  Eckhel  che  la  trafle  djl  celebre  mu- 
feo  dal  Conte  di  W  tzay  (29).  Effa  efifte  pure  nella  colle- 
zione  del  eh.  fjs.  Micali   di   Livorno  cui  n«,  dobbiamo   il 

di- 


133 

diftgBp  (^o)  .  Un'  altra  pìccola  fullo  ftefTo  gufto  fi  confer- 
va  odia  mìa  piccola  collezione  ,  e  noi  ne  abbiamo  pure  il 
difagno  nell'opera  del  fig.  Mionnet  (n)  .  Si'  paragonino  dì 
grafia  tali  medaglie  con  quelle  dal  Parma  attribuite  a  Te- 
lone, e  fi  foftenga  poi,  fé  è  poflibilcche  debbano  ripatarfi 
coetanee.  Le  arti  erano  forfè  gik  adulte  in  Agrigento,  quan- 
do in  Reggio  ufcivano  appena  dall'infanzia?  L'ortografia 
variava  forfè  tanto  in  due  città  cos'i  vicine  >che  mentre  l'una 
feivivafi  ancora  de' più  antichi  caraiteri  Greci  ,  e  della  pù 
vetuOa  ntanicra  di  fìtuarli  ,  l'altra  aveva  gih  adottate  le 
nuove  forme  e  la  nuova  maniera  di  fcrivere  (32)? 

Le  ftefle  confiderazioni  forgono  ancora  a  convalidare  il 
noftro  aflunto  ,  quando  fi  paragonino  le  fiefle  medaglie  di 
Terone  con  quelle  incufe  di  Buflento  Cittadella  Lucania,  in 
cui  mirafi  ne'piìi  vetufti  caratteri  il  n'irne  di  quella  titti 
niSOIZ  dall'una  parte  coli' epigrafe  MIPINOM  dall'altra. 
I  tipi  di  quefla  medaglia  che  (ono  un  bue  clT  una  parte, 
e  dall'altra  ,  appartengono  allo  fti!e  più  antico  e  più  rozzo^ 
Efia  efifleva  altra  volta  n?!  nofìro  Regal  Mufeo  di  Capodi- 
monte,  dove  la  vide  il  Winckelmann  (33),  ed  ha  corfa  fin  da 
piuaani  la  fventurata  forte  di  tante  altre  ricchszze  ^34!.  Lo 
fleffo  o  altro  efemplare  fé  ne  ha  ora  nel  Mufeo  Imp  riale 
di  Parigi  ;  e  il  benemerito  mio  smico  fig.  Miornet  ne  ha^ 
data  ultimamerite  un'  improntai  in  folfo.  eJ  un  difegno  '35). 
Tal  medaglia  fenza  contradire  a'  diti  fiorici^  più  ficuri  y 
■on  puè  riputarfi  anteriore  a  quelle  di  Terone  e  di  Anaffi. 
lao',  effindo  fiata,  come  fi  fa,  fabbricata  BulTenco  d;)po  la 
morte  di  quell'ultimo  principe  dal  tutor  de- di  lui  figli  Mi- 
tilo nell'Olimpiade  76  (36).  Qiidl  differenza  intanto  non- 
pafla  fra  eCa  e  quella  coM' epigrafe  ©EPfl  e  p?r  ragion  del- 
lo Itile,  e  per  ragion  dell'ortografìa;  e  come  potrebbero  ere- 
ilcrfi  ambedue  opere  di  uq'  epoca  médeliuui  ì. 

Bi- 


Bifognerk  duhque  in  ogni  conto,  flippOBendo  che  le  epi. 
grafi  delle  medaglie  del  Paruta  fiano  fedeli,  riputarle,  come 
ha  fatto  r  Eckhel ,  pofteriori  ali'etk  di  Terone  :  ma  in  que- 
fto  calo,  come  offcrva  lo  fteflb  erutito,  niente  obbliga  a  cre- 
dere che  il  nome  di  Terone  in  effe  impreffo  fia  quello  del 
fignor  di  Agrigento  piuttodo  che  di  qualunque  altra  perfo. 
na  .  Si  aggiunga  a  ciò  una  oflervazione  sfuggita  alla  fagaci- 
tà  di  queir  antiquario  .  L'epigrafe  delle  medaglie  del  Paru- 
ta  è  0EPÌ2 .  Or  fé  in  vece  di  quella  epigrafe  per  riputar 
la,  medaglia  coeva  a  Terone  egli  avrebbe  con  ragiófi«  defi- 
derato  vedervi  ferino  all'antica  maniera  THERO  ,  fecondo 
le  leggi  della  paleografia  ,  e  l'analogia  delle  altre  meiaglie 
di  quell'età  ,  ne' tempi  più' recenti  avrebbe  dovuto  fenza 
alcun  dubbio  fcriverfi  ©HPfìN  coU'H,  come  il  nome  del 
fovrano  d'  Agrigento  s'  incontra  collantemente  fcritto  preffo 
tutti  gli  fcrittori  greci,  Pindaro,  Erodoto,  Diadoro  &c.  l'au- 
torità de'  quali  vieo  confermata  pure  da  Virgilio  che  allun- 
ga  la  prima  (illaba  dello  fieflb  nome  ,  dandolo  ad  uno  de' 
feguaci  di  Turno  :  /iravìrijue  Latinos,,  Occifo  Tberone  (37), 
e  da  Ovidio  che  l'al'unga  pure  dandolo  ad  uno  de'cani  di 
Atteone.*  Nebrop&onofcjue  v/iUns  O*  trt^x  cum  Laelnpe  Theron. 
Ma  nella  medaglia,  in  cui  per  altro  s' incontra,  per  non  par- 
lar del  0  ,  la  nuova  lettera  fì,  l'È  mirafi  occupar  tuttavia 
il  luogo  dell'H;  chiaro  indizio,  a  mio  credere,  che  fpuria 
ne  fia  1'  epigrafe. 

Se  a  tante  ragioni  di  dubitar  della  lezione  delle  medaglie 
in  quiftione,  fi  aggiunga  ancora  la  confiderazione  ,  che  me- 
daglie affatto  fimili  e  fenza  dubbio  antiche  elìftano  in  molti 
mufei,  l'epigrafe  delle  quali  leggermente  alterata  ha  potuto 
facilmente  far  nafcere  quella  che  il  Paruta  credette  rinvenir 
neile  fue  ,  parmi  che  non  pofla  più  riguardarli  come  poco 
fondato  il  fofpcti^  che  quelle  uliime    fiano  viziate  .    Infatti 


me- 


meJagHe  in  bronza  di  terzo  modulo  col  tipo  dì  un  prckh»» 
(ralle  cui  branche  rimirali  una  luta  cre'centii,  e  con  quello 
di  una  t  Ila  di  donna  nel  dritto  ^efiflono  fenza  alcun  dubbio; 
ed  oltre  agli  originali  che  in  Italia,  e  nel  Regno  di  Napoli 
in  particolare, non  è  difficile  incontrarne  in  gran  copia,  tro- 
vanfi  o  incife  o  defcritte  nelle  opere  del  Magnan  (39),del> 
1' Arigoni  (40)  ,  del  Geffner  (41)  ,  dell' Hunrer  (42)  ,  del 
Rafche  f-fj),  del  Mionnec  (44)  ,  e  di  altri  .  L' epig'afe  di 
tali  niedaol  e  TEPI  ,  ha  ficilm?nte  potuto  alterarli  in  quel- 
la delle  medaglie  del  Parma  GEPfl  ;  dd  che  tanto  nxeno  è  da 
maravigliufi , quanto  più  è  ormai  noto,  con  quanta  faciltà  nella 
età  di  collui  il  celtbra  Golzio, e  taluni  altri  antiqnuj  ancora, 
che  calcarono  le  Tue  orme-,  fi  permettevano  di  alterar  le 
legge  ide  ed  i  tipi  delle  medaglie  che  avevano  per  le  mani, 
lìa  perchè  veramente  per  la  loro  poca  coniervazione  s'  in- 
gannafl'ero  efTì  (ìefli  nel  difcifrarle  ,  fia  perchè  volelfero  im- 
porre alla  credula  pofterità .  Vegganiì  fu  tal  particolare  le 
giufle  r  fleflloni  dell' Eckhel,  dettate  dalla  più  Tana  critica  e 
perizia  numismatica  ,  e  dopo  i  tanti  en?mpj  prodotti  da  lui 
non  parrà  punto  temerario  il  dubbio  che  noi  pro-puniamo  fuir 
epigrafe  del'e  medaglie  date  dal  Paruta  a.  Terone  (45).. 

Q_ueRo  dubbio  fi  è  in  me  maggiormente  confermato  quan« 
do  neli'oflervar  taluni  dilegni  di  medaglie  rimeflTi  anni  fono 
di  Sicilia  da  un  ben  conofciuto  erudito  di  quell"  ifula  ad  un 
fta  corri  ponJente  che  trovavafi  in  Napoli,  incontrai  fra  elfi 
la  prerefa  medaglia  di  Terone  ,  l' epigrafe  della  quale  era 
per  altro  non  già  GEPfìl,  qual  è  in  quella  del  Paruta  ,  ma 
be.')sV  TEPI,  come  in  qaelia  di  Terina,fe  non  cha  l'ultimo 
l  veniva  confideraw  da',  podeflbre  come  una  delle  afiedell'fì, 
di  CUI  l'altra  metà  p?r-nag'i  fvanita,di  mo:!o  che  l'epigrafe 
intera  lecondo  lui  elìerd-jvea  TEPn.Noi  the  abbiamo  lotta 
g;U  o^du  og.ii  giorno   medaglie  firaili  ,   poffiama   aflicurare  , 

che. 


^;he  gl'ultima  lettera  in  effe  fia  fempre  un  I,  e  non  mal  un 
il.;  per  cui  di  Terina  ragionevoiraente ,  e  non  già  di  Tera- 
«e  -^debbono  riputarlL  ClTerviamo  intcìmo  che  tali  medaglie, 
in  particolare  quando  fono  poco  conlervate,  a  chi  fi  lafcia 
prevenir  foverchio  dall'autorità  dei  Paruta , fembrano  appar- 
tenere a  Terone  ,  ed  ellsr  le  rtefle  dì  quell«  che  pubblicò 
quell'autore.  Così  fi  capi fce  come  il  Principe  di  Torremuzza 
potè  afferir  di  averne  oflervate  talune  :  lurono  fecondo  ogni 
probabilità  delle  me.^aglie  mal  co.'.fervate  di  Terina  quelle 
che  egli  prefe  per  medaglie  di  Tero.ne  ,  fulla  fede  del  Para- 
ta.; e  c'invita  a  ciò  credere  1'  oflervar  pure  eh'  egli  non  ha 
già  ^afo  alcun  nuovo  difegno  ditali  medaglie,  contentandofi 
di  copiarle  dall'opera  del  Paruta  ;  il  che  non  avrebbe  ficu- 
rameote  fatto,  fé  le  medaglie  da  lui  ville  foffero  (fate  di  ot- 
tima confervazione  ,  e  tali  in  confeguenza  che  poteff;ro  fer- 
vire  a  confermar  la  dubbia  o  mal  fondata  lezione  delle  altre 
due .  Simili  medaglie  ancora  per  un  fimile  fallo  dovette  il 
Pellerin  credere  di  Terone;  e  la  cagione  per  cui  l'abate  Le- 
blcnd  non  le  rinvenne  mai  nel  di  lui  Mufeo ,  e  per  cui 
non  fi  trovano  oggi  nell'  Imperiai  Gabinetto  di  Parigi ,  che 
conferva  tutte  le  medaglie  del  Pellerin  ,  farà  flato  appunto, 
perchè  efaminandole  fenza  prevenzione, vi  fi  farà  letta  1'  epi- 
grafe TEPI  invece  di  0EPn ,  e  tolte  cosi  a  Terone  fi  fa- 
ranno claflificate  fotto  Terina  ,  cui  realmente  -appartengono. 
F>no  a  che  dunque  non  vi  fia  alcuno  il  quale  citi  come 
efiflente  una  medaglia  fimile  a  quella  del  Paruta  ,  di  fede 
fuperiore  ad  ogni  eccezione,  ed  in  cui  l'epigrafe  GEPfi  ÌB> 
contraflabilmente  fi  legga  ,  parmi  che  'quelie  non  fenza  ra- 
gton«  debbano  riputarfi  fefpette. 

.Noi  non  diremo  certamente  lo  fteflb  delle  altre  medaglie 
che  fi  fono  ancora  volute  attribuir  da  taluni  a  Terone.  Ef- 
fe fono  veranunte  antiche,  e  di  ottima  fed«  ,  quantunque 

mal- 


'37 
molto  (^ubbìofo  Ha  ecl  Incsrto,  {jcr  non  dir  falfo,  che  appar. 
tengano  a  Terone.  L'una  di  quefte  ,  pubblicata  dal  Principe 
di  Tonemuzzd  (45)  ,  ha  nel  Tuo  dritto  uria  teiìa  giovanile 
laureata  ,  ed  un'aqu'la  nel  rovefcio  coli' epìgrafe  AKPAFAN- 
TINfiN-  L'  editore  ha  leggermente  fofpettato  che  la  teda 
.  del  dritto  pofla  appartenere  a  Terone,  fondato  fulla  figla  ©E, 
che  gli  parve  ofiervarvi  nel  campo  del  rovefcio;  fé  non  che 
invece  di  0E  il  Neumann  (47),  e  l' Eckhel  (48;, che  han- 
no  fotto  gli  occhi  la  medaglia  originale,  attedano  che  in  ef- 
fa  fi  legge  ©K  ;  per  cui  il  fentiniento  dell'  erudito  Principe, 
che  venne  pur  legLi'to  dall' illuflre  fig.  Sellini  ('49),  qui  tan- 
to dee  la  numismatica,  quanto  è  ben  noto  a  ciafcuno^,  vie- 
fi'e  a  mancar  dell'appoggio  fuo  più  confiderevole  . 

Un'  altra  medaglia  a  Terone  ancora  ha  voluto  riferir 
l'egregio  Spanhemio  (50);  ma  anciie  quella  come  sfornita  di 
■epigrafe  o  di  effigie  che  difegni  un  tal  principe  ,  non  può 
elier  conlìderata  come  fua  fcnza  alcun  dubbio. 

Oltre  delle  medaglie  rammentate  al  di  fopra  non  trovo 
che  fé  ne  fiatio  altre  pure  a  Terone  attribuite  ,  e  come  mi 
hufingo  aver  dimoftrato  quanto  poca  fede  meritino  quelle 
del  Paruta  ,  ed  è  ben  chiaro  d'altra  parte  quanto  dubb'o  fia 
che  a  Terone  appartengano  quelle  dal  Torremuzza  ,  e  dallo 
Spanhemio  attriba!te<ili ,  cos'i  pacmi  che  poffa  dirli  non  ù  za 
fund:imento  di  un  tal  principe  quello  fielVo  che  dille  1'  Eck- 
hel r.igionando  delle  medaglie  attribuite  a'due  D)oni<^i  :  Er- 
go  hailenus  certnm  (  ejus  )  monetam  ?ion  hnbemus  .  Si  qnnni 
ìqui  cupiant^  illi  aut  jn.niif  fufpiitis  dubiifque  ejuos  modo  de- 
fcripfi  ouRor'ìtate  fua  fidem  conditene ^  auf  novcs^  qu'tbus  pdem 
hr.be-.-e  pojjimus^   rtpcriant   ,51). 

Prima  di  lafciare  interamente  di  parlar    delle  m.edaglie  di 

Terone,  ci  (ìa  permeflb  di   ritornar    per  p'^co    a  d-r  qualche 

CfSh  intorno  al  tipo  di  quelle  che  il  Paruta  attribuì   a  qt'e- 

TcmJl.  18  fio 


i3S 

fto  principe,  e  che  fecondo  la  noflra;  opinione  ,  appartenga» 
no  realmente  alla  città  di  Terina  .  Ho  già  detto  che  effe 
rapprefenta.no  nel  rovefcio  un  granchio  ,,  fui  quale  fi  mira, 
una  luna  crefcente,.  Non  trovo  iliuitrato  un  tal  tipo  ,  quan- 
tunque f< irfe  pofld  farfi  facilmente  col.  rammentar  quello  che 
hanno  pai  volte  ripetuto  gli  antichi.,  full' influenza  che  efer- 
cita  la  luna  fulle  produzioni  marine  ,  le  quali  nel  periodo 
del  di  lei  incremento  molto,  più  guitofe  e  piene  riefcono  di 
quel  che  fono  poi  nel  drcrefcimento  .  Orazio  gran  maefiro. 
in  tutto  quello  che  rigjarja  la  bjyna  tavola  ,  non  ignorava, 
una   tal  particolarità;. 

Lubrica  nnfcente%  tmplent  conchyl'ia  luncs  ^52); 
ed  oltre  di  Orazio  l'atteltano,  per  tacer  di  altri,  pure  Ate- 
Oeo  (5]),  Plinio.  r54,),ed  Oppiano  (55).  Eliano  ha  anzi  confa- 
Crato  un  intero  capitolo  della,  {ni.  Natura  degli  anim,4i  ì  q\ì  fta. 
oflervazione ,  ed  ivi  fralle  produzioni ,  che  rifeiuon  gl'inflaffi 
della  luna,  vengono  con  ifpecialità  rammentati  i  granchi  x.a.p- 
^Kii'ot  '55.J  .  D-1  refto  il  tipo,  del  granchio  non  è  folamente 
pariicolare  a'Terinei.  Le  medaglie  di  Crotone  (57),  e  quil« 
ie  de'  Bruzzj  (58)  lo.  prefentano  fimilmente  ;  in  quelle  ulti- 
me anzi  fi  mira  pure  nel  dritto  una  tefta  di  donna,  probabil- 
mente di  Amfitrite',  capricciofamente  ornata  del  gufcio  di  uà 
granchio,  Similmenie  n?lle  medjg'ie  di  Adria  fi  oiTerva  una. 
tella  pur  muliebre  coverta,  dà  una  conchiglia  (59)>  Pare  che 
con  tai  tipi  (ìafi  voluto  dinotar  la  poiizion  maricima.  delle. 
Città  che  ne  fecero  ufo  (60). 

L'occafione  che  abbiamo  avuta  di  ragionar  del  fignificato 
di  quello  tipo,  delle  meda:?lie  in  bronzo  di  Terina,  c'invita, 
ad  aggiunger  talune  ffl-ffioni  fulie  altre  in  argento  di  que.- 
lìa  (lelTa  città,  i  tipi  de' quali  non  ci  fembrano  ancor  piena,- 
mente  fpiegati, 

Que. 


139 
1C>ueRa  rcbll  citt^  della  Bruzzia  pofta  nel  lato  occidentale 
■di  eHa,  :ul  mar  Tirreno,  venne  fondata  da'Crotoniani  (di). 
Licoirone  e' infegna  eh' efìa  era  funata  preflb  il  fiume  Ocena- 
ro ,  e  die  vi  lì  mirava  il  Sepolcro  della  Sirena  Ligea  trafpor- 
taravi  dopo  la  lua   morte  dalle   onde  del  mare  {62). 

La   maggior  parte  delli  di  lei  medaglie  d'argento  ,  fralle 
quali  fé  ne   contano  talune    molto  antiche  ,    ptelentano    una 
teita  di  donna  nel  dritto,  affai  limile  a  quella  che  fi  offerva 
nelle  medaglie  di  Napoli;  ed  una  figura  di  donni  alata  nel 
rovefcio  in   vatj  atteggiamenti  ,  or  fedente  ,  or  all'  erta  ,  or 
con  un  caduceo  m  mano,  or  con  un  globo,  or  con   un  au- 
gello, or  con  una  corona  ec.  L' Eckhel  (6^)  ha  creduto  con 
ragione  che  la  telta  del  drr.to  doveffe  riputarli  quella  ddìà  Sire- 
ra  Ligea,  come  la  teOa  (ìmile  deih  /medaglie  di  Napoli  fecon- 
do Io   HeTIo  autore  ,  e,  non  g:a  quella  di  Diana  ,  come  han- 
■no  lu'igo  tempo  creduto  colori>  che  fi  facevano  ingannar  dal 
"Golzio  (54j,ma  qu'tlia  Dens'i  dell'altra  Sirena  Parteaope,  ivi 
fepolta  nel   modo  iìeffo  che  Lig:a    lo  era  a  Terina  ^    Prima 
dell' Eckh-'l  il   Maj-ro  (55)  aveva  pur  riconofciuta  n ^11  j  me- 
daglie di  qu-ib  ciaa  la   tei'la  di  Lig-'a  ,    né  meritava  di  «f- 
ferne  rip'-efo  dal   Liebe    66:  ^    che  con  minor  ragiona  volle 
vedervi  invece  la  teftì  di  Giunone   Lacinia  molto  altriinenci 
effigiata,  coms  è  noto,  lollt:  medaglie  di  Crotone. 

In  quanto  alla  fi^^ura  di  donni  a'ata  ,  che  fi  mira  nel  ro- 
vefcio ,  non  è  a  mia  notizia  eh;  efli  fia  fiata  fpiegin  fod- 
disfacentem.^nte  da  a'cuno  de'numologi  .  il  Conibe  (Ó7) ,  e 
primi  di  lui  lo  fteflb  Liebe  (ó8),  l' hanno  pre^a  per  una  Vic- 
toria ;  mi  il  lor  feutim  nto  non  e  po'^giato  fupa  altro  fon- 
damento che  fulle  ali,  le  quali  non  ijlo,  come  è  noto  ,  a 
moltiffjme  altre  divinità  convengono  ,  mi  anc  ra  non  fempre 
accordaronfi  alle  immagini  delia  Vittoria  '69)  .  Per  effetto 
della  Aelfa  prevenzione  fu  creduta  pure  fulle  medaglie  di  Ca- 

*  ma- 


I4a 

marina  una  Vittoria  quei'a  donna  afata  che  1' EckheF  p'ù  felt- 
cernente  ha  riconolciuta  pjì  per  una  Nemefi  (70  .  S'imiimen* 
te  parmi  che  n  11  meda^li^  di  Terina  Ja  (teffa  Li^ea  fìa 
iìata  con  p  ca  ragione  tia>fjrmara  in  una ,  Vinoria .  E'  vero 
che  ordin<iri.imenre  vengon  rapprefcniate  le  Sirene  non  folo 
eolle  ali,  ma  co' pi^di  ez'andjo  di  ucceUo  ,  come  Ovidio  Je 
defcrifle  'yc):  vobis  /Ichdoides ^  nude  Piuma  pcdc^'que  avium 
^uum  •virginis  ora  geracis  ?  -e  quelìa  è  a  vero  dire  Ttrtiigie 
che  ad  elle  Tuoi  darli  piìi  fovente  .  Non  man. ano  peto  Icrii- 
ton  fra  gli  antichi,  che  ad  efle  le  fole  aJi  afttibaicon)  ,  e 
il  reflo  di  corpo  di  donzella .-.  Il  vecchio,  fcolidda  diii'Od  f- 
fea  iji)  ne  pula  cume  di  verj^ini  alate  ,  le  quali  avendo 
prefcelo  di  viv-r  calte  ,.  incori  ero  nello  sdegno  di  Venere, 
e  fi  rifug-iarjno  per.iò  nel  1' i  o'a  chiamata  AnThemo'éjJa , 
Decifivo  è  pu:e  un  luugo  di  Euripide  ,  io  cui  vengono  efle- 
invocate  col  nome  di  inTiftoxopoi  via^/t'èis  {aUte  Dofize^le)(yz\ 
Gli  altri  molti  auruM  1  quali  le  chiamano  or  dee  udeUi- 
eiM:.'ou?  Bixs  '74',  or  vergini  ed  uccelli  nel  tempo  fie(rj(75), 
non  debbono  crederà  poi  tutti  favore/oli  al  f^ntimento  più^ 
generalmente  ricevuto  che  dh  loro  i  piedi  pure  di  uccello  . 
Anche  l'Amo'-e  rappre  entat-o  ,  cone  fanciullo  alato  ,  vieti 
detto  Dio  ucc  Uo  ,  opui?  btos  da  Oppiano  (76),  ed  ales  Deus 
dà'Larini-  fu-  detto  M^rcuno  a  cagion  di  quel  fiiO  petafo ,  e 
calzari  alati . 

Degna  di  paif'colar  confi  Jerazione  frallé  medaglie  di  Terina 
ne  è  una  reilara  inexiita  finché  per  la  prima  volta  il  eh.  fig. 
I-.'lionnet  non  l'avelfe  defcritta  nA  fuo  copiofo  catalogo  (27)' 
Ella  efiUe  pure  nella  mia  picciola  collezione,  ed  hi  da  una 
parte  la  teda  muliebre  in  mezzo  ad  una  cori^na  di  alloro, 
e  djll'altra  la  donna  alata  /èJefK^,  che  Tjftiene  Tulle  fue  gi- 
nocchia un  vnfo  ,  n^l  quale  riceve  l'acqua  che  sgorga  dalla 
btìcca  aperta  della.  lelhi  di  un  leoae  attaccata  al  m.ura.  di.  UA 

edi- 


/4I 
ecl'lìzio  ,  di  cui  fi  ©{fervano  difììita'Tietne  erpreffe  le  pietre 
la' ghi  0  quadrate  ;  a  pieJi  della  danna  mirali  un  cigno  . 
Mo  1  vi  è  dubbio  c'ie  non  fiafi  voluto  erpr'mere  con  tal  ti- 
po, un  fonte  ,  eh*  dove.i  eliiter  prelfo  le  mura  delia  Città-, 
e  i.lie  noi  fuU'ajioiità  de  verlì  di  Li-olro'ie  citati  al  di  lo- 
pra  alT-Tir  poiliama  con  franchezza  elfcr  quello  dell' Ocenaro. 
La  faccia  di  leone,  CJIU'  è  ben  noto  in  nuaiismarica  ,  è 
fovente  deiiiuata  ad  indicare  ut  fonte  Dille  m-ddglie  d  1  ne- 
ra, di  Cor  ino,  di  Fera,  di  Lirilfa,  e  di  Metaponto;  e  :?a 
un  epigramma  d.'H'  Antologia  (78)  ii  appren  le  pur^  ,  cht: 
la  figura  di  cjuelj'  animale  era  lealmente  fpc^flb  inapiegara 
3irorn.)tn.into  del.'e  fontana.  Anche  la  telta- di  un  bue  f.'rvi, 
qualche  volta,  a  queff' ufo  ,  come  riniica  il  nonve  di  B^ry''- 
na ^  che  fu  perciò  da  o  ad  un  fjntc  dell'Italia  rammentato 
da  Teocrito,  e  da  Euftazio  (7^)  .  L'atto  poi  di  attinger 
l'acqua  dal  fonte  nel:  vafo,  ch'era  ufficio  proprio  delle  don- 
ne,ome  fembiano  indicar  taluni  verfi  di  Callimaco  (8o,',de« 
fign  ficar  l'ufo  che  facea  di  tal  fintela  Città  di  Terina  fin:- 
bol^sijfa  dall.i  Sirena.  Anche  in  una  bella  medaglia  di  La* 
riiia  fi  ((ferva,  una  donna  con  un  vafo  rii'nile,che  fembra  ri- 
tirarG  dop'j  averlo  riempito  al  fonte  indicato  parimenti  da 
una  tefìa  di  leone  .  L' Eckhel  fSj)  crede  che  fianlì  avuti 
in  mira  nel  battere  una  tal  medaglia  taluni  verfi  di  Ome- 
ro (Vi),  in  cui  fi  dice  di  Andromaca,  ch'ella  un  giorno  di- 
venuta prigioniera  de' Greci  andrà  ad  attingere  l'acqua  rei 
fonte  d'Iperea  che  efifer  dee  quello  efprefio.  nella  medagliao 
Traile  mediche  in  bronzo  di  Terina  ne  trovo  due  de- 
gne di  panie  larmente  raramentarfi  .  La  prima  di  elTe  , 
di  cui  diamo  qui  il  dif  gno  y  fig.  2  y  è  inedita  ,  e  por- 
ta una  teda  di  donna  iia  una  parte  ,  ed  ui  lepre  corren- 
te dall'altra  coU'epg'-afe  TEPI  .  Quefli  tipi  fono  nuovi 
inxciamente   o^^ile  lueuaghe   di  Terinà  .    Frulis  C.ttà  vicine 

la 


14^ 

la  fola  Reggio  è  quulla  che  usò  il  lepre  nelle  antiche  mo- 
nete di  argento  .5  delle  quali  abbiam  parlato  -al  di  fopra  . 
Forfè  i  Terinei  copiarono  da  effe  un  tal  tipo .  Quella  con- 
gettura può  acquiftare  un  maggior  grado  di  probabilità  dal 
confronto  dell'altra  medaglia  dj  bronzi  pubblicata  già  nelle 
tavole  àA  Magnan  (83)  ,  ma  fenza  indicazione  di  modulo, 
e  ch'efille  nella  mia  piccola  Collezione.  La  fola  epigrafe 
TEPINAjnN  forma  la  differenza  fra  qnefìa  ,  e  1'  altre  fimi- 
li  di  Reggio,  che  prefentano,  come  effa  ,  una  teila  di  Apol- 
lo nel  dritto  ed  il  volto  di  U)  kone  dirimpetto  nel  ro- 
vefcio.  I  tipi  di' Regini  furono  adunque  imitati  da' Teri- 
X5ei, quantunque  quefti  per  altro  non  foff  ro  lor  colonia,  ma 
bensì  de'Crotoniat' .  In  quanto  al  tipo  della  tefla  di  leone, 
e  da  rimarcarfi  che  anche  i  Leontini  della  Sicilia  1'  ufaro- 
no  nelle  loro  medaglie  ,  e  che  quelli  furono  come  i  Re- 
gini  ,  colonia  de'Calcidefi  (84)  ,  e  confederati  cogli  ffe/U 
Jlegini  (85J. 


I3R 


AN. 


«45 
ANNOTAZIONI. 

40  Tomo  I.  pag.  57. 

(i)  Dìtdur.  Bibl.  I.  XI.  p.  4c.  Sylòurg,.  Egli  Io  chiamsi,  ìvyetcnii  (  ib.  p.. 
17.  )  ed  altrove  Tufaryof  {  p.  37.  ) 

(5)  Herod.  lib.   VII.  e.   lóz- 

(4)  Diodor.  ib.  p.  37. 

(5)  He, od.  ibid., 
\  )  D'odor.  1.  e. 

(7)  Oì^uiiitta  uS:  /?'.  &  v'-  Veggafì  to  fcoliafla.  di  queflo,  lirico . 

(8)  Diodor.  I.  e.    p.  3C.  40. 

(9)  Diodor.  ibid.  llb.'XIir.  p..  20<J. 
(io)   Diodor.   ib.   p.   39.  4C. 

(il)  Sicil.  T<ib.  91.  fig.  ;.  6.  7. 

(12;  Num.  Regum  tab.  1.  fig.  28.  29.  3O0 

(i?)  Op.  lei,  pag.   154. 

(14;  Nùtit-  Elem.  psg.  152.  tab.  J.  f.  5. 

(15)  Sicil.  Numism.  tab.   IC7.  fig.   i.  2. 

(lój  Lexic.  numar.  voce  Thero. 

(17)  Dnftrina  Num.  veter.  toni.   i.  pag.  266. 

(i8J  Glaffes  ^ener.  geogr.  numism.  p.   ij. 

(19)  Dsfcriptioa  d'une  CoUeftion  &.C.  tara.   i.  p.  339. 

(.20)   i'tl/erin  tom,  i.   p.   210. 

(21)  Doiftrina  num.  ver.  I.  e.  p.   ^66. 

(22)  L'  noto  come  l'impegno,  lodevole  per  altro ,  die  avea  queHo  bene- 
B-,erito  ed  illuflre  foRgeito  ,  di  arricchir  la  Serie  Sicula  del  maggior  numero 
<ii  medaglie  che  folle  po/Tibile,  lo  illufe  a  fei;no  alira  volta  che  eli  fere  pub- 
blicare il  dilegno  di  una  medaglia  Punica,  coli' ep'e.r^t'e  intera  AIONISIOT  , 
di  cui,  come  ccnfefsb  poi  egli  fìeflo  al  ^  eumann , appena  le  tre.lettere  lOT 
tCilivano  neir  orÌ£Ìrale .  /'.  Eckhel..  PoBr.  tom.   i.  pag.  251. 

(2?)   Fr<:/W  Dc^r.  1    e.   pag.  CLIV. 

(24Ì  VcKgafi  la  diflertazicne  inferita  nel  primo  Volume,  della  DoSrina  nu- 
^orum   veterum   pag.   i%i,  feqq. 

(2«-)  Dilfertazioni  tre  fui  vafi  &c..  Ivi  egli  confefTa  che  niente  di  foddf- 
facente  oppor  fi  pofTa  aeli  argomenti  prodotti  dall'' Eckhel  .. 

(26)  Icorogr.  Grecq.  pap.  [04.&  feqq.  Nop  debbo  però  tacere  fu  tal  partico- 
bre,che  il  fent  mento  contrario  a  quello  dell' Eckhcl  ha  trovato  u'timamente 
*on  ii^iiace  nel  r.  io  dottiflimo  ed  eg'eeio  amico  fg.  abate  Sanclerr.erti ,  il  qua'e 
O.'l  ptiruo  tomo  della  fua  ultima  opera  :  Rlu/ei  SuncUmcitìa-ii  numìsmaia 
fj-j.  285. /?'/.  fi  attiene  p'uttolìo  ah' opiricn  di  coloro,  che  (limano  le  me- 
dab",!ie  di  Gelone,  e  di  Cerone  ad  clTi  conten^poranee .  Per  Ciuan'o  erande 
Oa  il  rilpeito  che  io  ho  per  le  opinioni  di  quello   illulìre  ttudito  ,  non  pof- 

fo 


1-44.  .       , 

io  diflìmulare  che  gli  afgomentl  dell  Eckhel ,  anche  6opO  quanto  egli  ne  Ti» 
fcritto  ,    parmi   che  reftino    in  tutto    il  loro  vigore  . 

(27)  Diodoro  tib.  XI.  p.  57.  fiffa  la  morte  di  AnaflTiIao  ,  e'I  principio  .del 
■governo  di  Mcito  tutor  de' di  lui  figli  neiPanno  r.  dell' Oli  rnp.  76.  i  anno 
it»  cui  Polfzelo  fratello  di  C-erone  fi  rifugò  in  Agrigento  prelìo  T«rone  ,  e 
TrafìJeo  tìglio  di  coftui  opprimendo  gì'  Imerefi  ,  quelli  ebbero  ricorfo  , 
quantunque  invano,  a  Terone. 

(28)  Lib,  V.  cap.   12.  §.  75. 

(29)  Doftr.  tom.  i.  p.  177. 

{50)  V  Italia  &.C.  tav.  59.  fig.  12..  II  Si'?.  Mionnet  ne  ha  pubblicate  tre 
crgli  Ueffi  tipi,  alquanto  varianti  fra  loro,  Defcript.  tom.  r.  p.  200.  rab.  JJ. 
f,  60.,  e  prima  di  lui  pure  il  Barthéiemy  ne  avea  dato  il  difegno  nel  fecoti- 
do  faCi;io  di  Paleografia  numismatica,  inlerito  nel  LVIL  tomo  delle  Memo- 
rie dell'  Accademia  d'  Ifcrizioni  e  Belle  Lettere. 

(5;)  Ta-/.  ^2.  fig.  58.  

(52)  Non  ripetiamo  qui  i  difegni  di  quefìe  medaglie  di  Reggio  ,  giacché 
pub  ogmino  confultarli  nelle  opere  citate  .  Crediamo  però  non  inutile  dare 
almeno  la  dsfcrizione  di  una  fra  effe  colle  parole  dell'  Eckhel  :  RECINON 
{retrograde)  Upin  ciirreisXVir  vecliii  in  rheda  lenta  junHo  unico  equo;  in 
imo  foliuKt  .  yir.  i.  V  tckhel  la  comprende  fotto  il  titolo  di  Numi  anti~ 
quijfimi . 

(53)  Storia  delie  arti  &c.  totn.   l.  pag.   i'(54.  _    _ 

(54)  Veggafi  r  Illurtrazione  di  un  Vafo  di  Locri  &c.  del  mio  chiariffimo 
amico  fig.  CUV.  Arditi  pag.   64. 

(35)  Tom.  I.  pag.  i^r.  rab.  32.  f.  19.  20.  Anche  il  Barthéiemy  ne  ha 
dato  il  difegno  nel  citato  Saggio  . 

(56)  Dìodor.   Bibl.  lib.  XI.  p.  45.  V.  pure  Strabone  Geogr.  lib.  VF. 

Ò7)  Mneid.  lib.  X.  v.  :!i2.,  ove  Servio  :  Hoc  nomen  tantum  in  t'induro 
leEìum  eli  .  EfFo  però  fi  trova  pure  in  più  epigrammi  di  Meleagro  ,  inleriti 
negli  jlnaleRa  del  Brunck  tom.  i.  pag.  4.  12.  is-  &c.  e  fempre  colla  pri- 
ma lunoa  Qiifa>v  .  Anche  Silio  Italico  allunga  quefta  fteffa  fillaba  nel  nome 
df  Ter;n  che  s'incontra  nel  fecondo  libro  De  bello  Punico  v.   149.  e  feqq. 

(jSÌ  Metam.  lib.    3.   v.   211. 

(39)  Bnittia  numis.   tab.  81.  fig.  2.  &  tab.  82.  fig.  6. 

(40)  Muf.   Arigop.   num.  urb.  tab.  21.  fig.  209.  ; 

(41)  Num.  urb.   p.   539. 

(42)  Pag.   r-^- 

(4?)  Lexicon  Rei  NumarÌE  V.  Terina  . 

(44)  Defcription  &c.  tom.   i.  p?a.  'n/^. 

(4^)  Ccà  veeeijfT,  reri'^^fe  OBOA02  fcAmbi''ta  in  0EOAO2  nel'e  me- 
dael'P  ^i  Met-ipr  nto  vreft'^  !'  Hunter  :  *LIPENSE  per  ILIPENSK  ,  AKTIfiN 
-per  ATTTmN  ,  ASTAIÌN  per  AESILLAS  incontranfi'  pieffo  il  Golzio . 
V.  Eck/el  tom.   I.   p.CXLVIir. 

(4<5j  -Sicil.  num.  tab.  107.  fig.  3. 

(47) 


145 

(^y)  Num,  popul.  tom.  i.  p.  40." 

(48)  Doti.  lom.  I.  p.  26Ó.  ...  .  • 

(49)  Leit.  Numìfm.  lom.  II.  p.  4.  Il  fig.  Seftinì  è  moìfo  lungi  del  reflo 
•dair  accordar  fede  alle  medaglie  di  Terone  pubblicate  dal  Paruta  .  Ecco  co- 
me quello  infigne  numografo  mi  ha  fatto  l' onore  di  fcrivermi  riguardo  a 
•quefte,  in  data  de' 29.  Noirembre  181 1.:  La  medaglia  dtfcr'itta  dal  Paruta 
e  i'Golziana  ,  0  fu  malamente  letta  dal  medefimo  .  Pelìerin  fcamhio  nel  fu» 
fommario  nelP  accennare  che  ne  aveva  tre  :  tutte  guelle  che  ho  vedute  nel  M, 
Imp.  d'i  Parigi  hanno  TEPI  ptr  Terina .  lì  (ìg.  Mionnet  mi  ha  pure  afTicu- 
rato  gentilmente  in  una  fua  lettera  che  la  medaglia  csll' epigrafe  ©EPIinoH 
ha  mai  efiftito  nel  M.  Imp.  Hi  Parigi  . 

(50)  De  ufu  Ù"  prie!]ant;a  ver.  numi/m-  tom.  I.  p'»^»55>* 

(51)  D08.  tom.    I.  pag.  2C;oo 

Avea  già  dillefe  le  prefcnti  offervaiioni  quando  nelT  ultima  applauditiflfimìi 
opera  del  celebre  erudito  /ìg.  Abate  Ennio  Quirino  Vifconti  intitolata  Ico- 
nographie  Grecque  &  Romaine  pirt.  II,  pag.  187  feqrj.  ho  incontrato  una 
medaglia  anepigrafa  ,  che  l'autore  crede  appartenente  ad  Agrigento,  e  pre- 
l'entar  nel  dritto  la  teda  di  Terone.  Effa  ha  in  fatti  dalP  un  desiati  una  te- 
da diadt-m.ua  ,  e  dall'" altro  un  granchio,  tipo  che  fecondo  il  fit^-  Vifconti  ci 
forza  a  richiamar  U  medaglia  indub'tatamente  ad  Agrigento  .  Paragonandola 
poi  con  quelle  dal  Paruta  date  a  Terone,  fulPautenticiti  ddle  quali  par 
che  il  dotto  A.  non  abbia  concepito  alcun  dubbio,  e^li  fofpetfa  che  la  fella 
Jfia  polla  nella  fua  medaglia  invece  delP  epigrafe  ©EPfl  che  s'' incontra  in 
quelle.  Una  tal  congettura  appoggiata  da  fcelta  erudizione  ,  e  da  molti  efem- 
pi  analoghi  ovvj  in  numismatica  ,  farebbe  cetamente  di  mallimo  pefo  fé  per 
tutte  quelle  ragioni  che  abbiamo  erpolle  nelle  noftre  elfervazioni -,  non  foffe 
permeilo  il  dubitare  d;lla  verità  delle  medaglie  del  Paruta  ,  fulP  analogia  deile 
quali  fi  fonda  intanto  ,  come  abbiam  detto,  la  congettura  del  fìp.  Vifconti. 
Del  rello  fé  a  Terone  nei^arfi  dovrà  forfè  una  fede  neìP  Iconologia  Greca,  una 
cerramen'?  Oimo  che  accordar  vi  fi  debba  a  Leucippo  Acheo  ,  il  cui  nome 
AETKinnOS  li  legge  intorno  ad  una  teda  barbata  e  gaieata  ,  eh"' è  fenza 
dubbio  il  luo  ritratto,  in  molte  medaglie  Metapontine  (  V.  i  nollri  Italia 
Veteris  ìitimifmata  tom.  ^.  paq.  14.  feqq.  Viiim.  50.  ad  S»  70-  ad  7;.  %é. 
92. ,  ove  per  errore  ieggefi  Martis  ,  io?.  J'.i.  )  L' Eckhe!  non  P  avrebbe 
prefo  per  un  femplice  nome  di  Migilnto  ,  fé  fi  folTc  ricordato  de'le  fegienti 
parole  di  StraSrm?  (  f7»/)(ii-. /.-i. /■//.  )  h-,  S'i  tu  -K-ei  Ti>nuT:>!  Myo; 'à;  ò  1nl^pill! 
Ciro  Tov  auviiy.iffii.iv  '^ryj  MeTraTs/riay  ^  AET'C  10(102  eii;  x^,:'<Tit  f/.iv^!  ^i  trxfin 
Tfflf  T«  a-jTiwv  TOf  rmov  m  ii(itpìti>  '/^  vuìltx  f/.ii  aT  S'oli/.  fjLif  iifitpxv  ft.f'  t^iyar 
Trpof  Toi/f  ccraiTo.'yras  ,  òri  ugu  (ts  T»v  t<pi\iii  rjx,Tx  curiiirctiTO  !^3«  \«/?i)( ,  fuKraf 
S'  in  ufft  irpi  irnr  (^ns  ii(iipav  .  S^j  dice  p.ir  che  Leucippo  Jìa  fiato  l  i'iviatn 
dagli  (lei  per  lo  Jìaéili'nento  (  ài  Meta'potti  )  ;  e  (he  cojìui  rich'efìo  da 
Tarantini  di  ceder  lors  il  locale  fra  un  dì  ed  una  notte  ,  noi  fece  ,  dicendt 
nel  giorno  a  chi  gliel  domandava ,  che  nt^  'ichiedelfe  la  notte  fegiiente  fé  iiir~ 
tea  riceverlo  ,  e  nella  notte  che  il  richiedejfe  il  domani . 

Torridi,  ip  (50 


24,(5 

Uz)  Salir.   77.  lìb.  n.  V.  ?o. 

(5-7)  Deìprios.lìb.  III.  p.SS,  C.  Vahch.  ìtXhv  vtov  t^'ony  rvn  itutifitay.  wrn 
it  ij.a\i-a  i^n  iv  rauTius  rati  cipais  ati  Tt  kx^oucì  vigi^To  irKa^  ly  irayaiKnvais 
H^  Ttui  ahiiifais  nuifutf  . 

(54)  H'jior-^  naiur.-,',  liB.  II.  Cip.  102.  tom.  r.  pag.  195.  Biponf.  Qs<9 
vera  con/eÈlatìo  exì/lìt,,  hiud  frtiflra  fpiritus  fìdus  Imam  «xiflimari  .  ,  Idto 
cum  Incremento  e/us  auqeri  covchjilia  . 

(55)  Orpiap.  A'\ifvr.  lib.  V.  v.   ■i8(?.  féqq. 

TlapTa  ipar'i  fin'^m  [mp  ai'^oi/.uns  xxrtc  xjx.\(ìi/  , 

^apxi  ■jrt'iv\itSitif  ,  i(3«  TrKiioyTt  «cutfj.iv  ontav . 

H'Sivoucntf  <r  sJouTif  efpa'jfOTipoLs  fjtiKHaai 

r  ixi/o: affxi ,  tsi»  ti;  ih  a(tita\y  ìtiv  aeayxn. 
(^6)  Lib.  IX.  cap.  6,  T»y  S'è  OTpa-Mt/uTav  T£  v^gz  orptmiìS'tpiJ.aìh  lya  rrJTfl 
iSton  .  )^tPaTipttiru<  TxVT»  ^gi  KiupoTipcC' ùiriWyiuTus  itit  tnKrrynf  9i\u  yin7$tti  abà- 
Tay  fity  orpaxoyroTay  iKurp^jim"  0  \e)'«  ir^op'jptu  v^gt  xjipuxn  ,  >[cftT«  toio'jtìis 
eiioia.  qr-ip  Si  ÌTtpup  rrayoupit  Ti  ■ASixapx.ffiìi  ,  /^  «Tctxoi.  ,  )(j(4- Ji  xa/JXiwt  ,  njK 
fi.  Tt  rjyiouToy  crvyyivn  x.    r.   A.. 

(57)  t  Terinci.  preleto  forl'e.  uà  tal  tipo  dalle  medaglie  dslla  lor  metro- 
poli Crotone  . 

i^'y  àl^ghar.  Brutf.  numifm.  tab.  19.  20.  8cc. 

(59)  Pembrock.  par.  ?.  tab.  j  17.  Zelada  de  numis  aer.  unciar.  tab.  i.  fig. 
J.  p.  25.  Fajferi  Paralig..  tab.  5.  f.  5,  p.  178.  V.  haìi.e  veterìs  mmismate 
tom.   1.  p.    15. 

fi^o;  Il  m;o  ciiliiffìmo  amico  e  collega  S's..  G.  de  Cefsre,  noro  pev  vari? 
opere  meritamente  applaudite,  ha  avuta  la  bcni.'i  di  farmi  o.Tervare  ciie  non- 
avrei  dovuto  omettere  di  ragionare  in  quefto  luogo  di  un  altro  fenfo  clic 
potrebns  ricevere  il  ripo  del  granchia  e  della  luna  crefceiTie  ,  che  fi  olTerva 
nelle  medseiic  ,  delle  quali  favelliamo  .  E'  noto  the  gli  antichi  affegn-ì-rono 
a  cialcun  dt'pianeti  il  fuo  domicilio  in  uno  de' fegni  del  zodiaco  ,  ch'era 
quello,  in  cui  fecondo  I.t  loro  credenza  fi  ritrovava  quel  pianeta  ne' ft'ncip.) 
del  mondo.  Or  fra  queiii  la  luna  fecondo  il  più  comun  fetitimento  ,.occtipiva 
il  fegno  de!  Ci7Wi-o  ,  come  può  leggerli  preffb  Macrobio  de  Somn.Scip.  i.:f. 
Sejlo  Er»pn-icn  aàv.  ^ftra!.  p.- 11^.  Por^r/o  de  Antr.  Nymph.  F/rw.Vo  Maieno  l 
3.prxf.  &.C.  eà  ahri  autori  ,  che  trovanfì  più  pienamente  indiati  in  una  diHer- 
tazione  del  eh.  Barthe'Iemy  inferita  nelle  memorie  dell'Accademia  d"  Ifcrizio- 
ni  e  B»  L.  voi.  XZ7.  p.^oi  e  citati  pure  dal  Zoegì  Nun,i  Mgyptii  pag.  181.. 
e  182.  e  dai;'Ec'?hel  DoR.tom.  4.  p.ig.yc.y  i.  Il  fo'o  Manilio  (l'b.n.v.^^g.) 
attribuilce  la  fede  del  Cancro  a  Mercurio  :  ira  le  monete  Ei^izie  deli''anno 
8.  di  Antonino  Pio,  che  pofToro  confultarfi  preflfo  i  lodati  Scrittori,  fono  per 
t&  pritna  opinione,  riunendo  Tempre  la  luna  al  Cancro  ;  tipo  che  IT  trova  pure 
in  altre  medaglie  preffo  il  /'fZ/fr/'/jC  tav.  77.  f.  27.  e  ta\,79.  f.5^  &c.)  ^-^r'^o- 
vi  (  tom.  ;,.  tav.  15.  fig.  187.  )  &c.  L'analogia  di  quelli  monumenti  dia  cer- 
tamente non  poco  pefo  alla  fpiegazione  ,  che  il:  fig.  d?  Csfare  lia  preferita . 

Mi 


Hi 

Mi  fi  permetta  poi  d!  nptare  in  tal»  occalìone  un  luogo  di  CsnrorÌDb,   if 
^uale  panni  che  dia  la  fpiegaziooe  di  talune  medaglie   pur  Egizie  di  Antonia» 
Pio,  e  che  è  non  oftante, sfuggito  alla  diligenia  de''  fonimi  eruditi    Zoega  eà 
Eckhel .   Eidicev,  De  die  Njtali  cap.  it.pag.  i^S.  Haverkamp.  )clie  nel  fecondo 
Coofolato  di  AnfOfitffo  Pio,  in  cui  ebbe  per  Collega    Biuti'io  Prefente,  che 
vale  a  dire  neli''anno  892.  di  Roma  ijiJ.  dopo  G.  C  ,  la  Canicola  forfè  ia 
Egitto  y^'tte  diem  XII.  (o  come  più  correttameme  leggerli  dee  XIII.)  Ka- 
It'idas  Augujìi ,  E"  noto  che  quella  particolarità  coilituiva  1'  anno  canicolare, 
olfia  il  periodo  di  1461.  anni,  che  Cenforino  mn  diitingue  dalP  al  rro  perio- 
do, cui  davano  gli  antichi  il   nom^  di  anno  grand:  ^    di  anno  di  Dio  &c.  In 
/atti  egli  foggiugne  ;  Quare  fcire  etìam  licit ,  anni  illius  magni  ,    gui  ut  fu- 
fra  àiìium  eft  ,  &  fohris  &  caniculari!  ,  &  Dei  annui  vocatur  ,  nune^cioi 
nell'  anno  di  Roma  992.  dopo  G-  C.  ijS.     fotto  il  confolato  di   Ulpio   e  di 
Ponziano,  come  fi  apprende  dallo  llelTo  autore  un  poco  avanti  p.    1  1  j.  )  agi 
vertentem  anmtm  centefimum  .  Or  che  al  ritorno  di  quello  qrand'' anno  (ì  at- 
taccane pure  l'idea  dell' appariiion  dell.i  fenice,  e  <!he  fi  fofle  pur  creduta  in 
confeguenza  comparfa  le  fenice  in  Egitto   nell'' anno  indicato    da  Cenforino, 
io  mi  allerrò  dal  provarlo,  potendofi  didefamente  tali 'notiìie  ripeter  dall'"  ec- 
cellente memoria  del  cel.   Larcher  intitolata  :  Mémoire  fur  le  Phoenix  ou  Re- 
cherches  fur  les  Periodes  aflronomir/ues  &  chronologiques  des  Xgypiiens ,  in- 
ferita   fra    quelle    d'' Iiloria    e    di    letteratura  deli' Iilituto    francefe    pag.   157. 
e  feqq.    Veggafi    precilamente    quel    che    quello  illulìre    Neflore   della  erudi- 
zione   in    Francia    ha  Icritto    pag.  251.  &  feqq.  ^  p.   28&.  Co  pollo  ,    ci 
farà  or  facile  di  offervare    a  quale  avvenimento    abbia  relaziotre     a  feguente 
medaglia  Aleffandrina  ,  che  il  Zoega  cita  dal  Mufeo  di  Ennery  .  LB.  ÀKÌN 
Phoenix  avii  jìans  caput  nimbo  radiato  cÌYcurnfufus  .  .^r.  (   Num.  JEgypt.  p. 
\66.  )  Io  non  dubito  che  fé  quello    efimio  erudito,  tolto  troppo  prematura- 
mente alle  lettere  ed  agli  amici,  fra^  quali  egli  per  qualche  tempo  mi  ha  par 
fatto  P onore  di  annoverarmi  ,    fi  foffe  ricordato  del  racconto    di  Cenforino, 
ed  aveffe  inoltre  confiderato  che  la  medaglia   non  folo  è  battuta  nell'  Egitto. 
ma  è  battuta  pure  nell'' anno  2.  di  Antonino,  che  vale  a  dire  in  quello  (leffo 
di  cui  ha  parlato  quello  Scrittore,  non  avrebbe  fcrttto  che  typus  ideo  monetar 
videiur  ìnfertiis ,  qtiod  accitis  in  imperatoriam  familìam  ylnloninis  Tito  ,  Mar^» 
co,  &  Lucio  ,  /ucceljio  firmata   elfet  ,  &   imperium  flabilitum  (  I.  e.   p.    178.  ) 
Anchj    P  Eckhel  ha  fpiegate  fulle  ftenfe  idee  fimili  medaglie. 

((5t)  Scymn.  Chius  Perle»,  v.  905.  r<o6.  Ptin.  lib.  [II.  cap.  y.  Stilin. 
Polyhifl.  cap.  2.  Stephan.  V.  Tipivtt.  Non  bifo^na  prestar  fede  a  quello  gra- 
matico  quando  full' autorità  di  ApoUonidedi  Nicea  dà  alla  Città  fola  di  Te- 
tina  il    nome  di  Magna  Grecia  ,  che  conveniva  ad  un  intero  tratto  di  paefe. 

(62)    Alexandre  v.  726.  &  feqn. 

^.Xx/S'ava  ^iWuaaoufce  ^  Tiiy  fi  yavecTu 
KfOKtum    Ttefi^virou(ny   ly  irufaxTiai 
ilxvtitpou    ìii^ny  ityx'TtpyLuyti. 


(>,  »'i.!Vi;i,ut>.    u^liM  fji/}.,>^MV  Virili 

Ilo  traCciiid  iiiicMincmc  t|iiolli  vfili  \>et(M  mi  fpiiiHr»  ,  che  i  iliie  ultimi.  H.. 
Iiiilriiio  ii)ir.iliiliiiciiii;  laimil^t^lia  di  arijpiito  Hi  Terin.i  ,   di  cui  l<nm  piT  fii- 
vrlliiir    <r  I    poco  ,    e    iiclU  t\\\n\e    fi   mnt    nnpnnto    rappK'K'niaio    un  fonte- 
(  /  <),t>i,nii  )  predo  u\  un  rdil'cio  (  nftAwM^n  «r/u»  )  ,  il  Sepolcro  della  Si- 
tcnu ,  tol  uiiul  nome  »ori'e  il  poeta  iiiicndc  1«  ciiià  iiiedeCm.i  . 

(cij)   lUiU».  tPfii.   I    p,    iHj. 

{6^)  V.  /.'«(•*.  /.  /.  ^.  li;,  iij.  ed  1  nollri  iMlìatFutilt  I\,Mmì/m«t» voK. 
1.  /».  41. 

(ft.^j  (.  .. 

(f^7)  Vrdi  l«  dlllcTt«»!one  di  F.  Ci.  DojrlnR  Df  ahrt  Tìftim-n  Imt^ìiìhtit 

(l.iiiip.uti  III  Cr^ih.»  uri  ,.,H,r  Aiilnotonte  pittor  di  T.ifo  .  o  iVcondo  :iltri  il 
|>..lic-  di  Uo,.rtlo  di  (  h;„  f„  il  p,i,„o  »A  :l,•^ìol;^<<r  le  «li  allj  Vittoiia  »  fenr 
tliiicuti.  dfllo  Scolirtile  di  Aiiilot'ane  (  t.i  Jvtt  v.  574.  ) 

(fol     /Vl7r.     (O'M.     I,    B,,^.,     J(M). 

(7<)  Vy^M..«.  /-,'.  V.  f.  55J.  jsi'. 

(7»)  M  /»/.  A/.  V.  jy. 

(7»')  //*/#■*.  »'.   Irto. 

('•♦J  hi«f>l>t\<>t,  Jtfìt.  n  "ji,  (^r.  e*>'r. 

(7S)  .iVrt'.  «,V  ,?:»«;,<.    IH,   y,  .,,   Rrf^.   p  rf»  vUrìna  futtuit  ,    p<»rre  t>(ift*r 

tfft.,^Pi>tUH.  Kk'J,  .^rM...  /;a  rr.  ,..  808. /r^; 

Llcofronr  nel  In,»;,!  clfjtn  chiama  l.ii>ra  (./'r.?»»«Mr*  .rrtlU-ihvKeth  .  Po», 
prini»  pjildndij  di  l'utenopc  chIì  I.1  .h!;<on  n.i.»!-  /,/hì  x//^  V  e  pochi  ver- 
(1  dopo  le  dA  il  (olilo  rpitrto  di  »,vr'f  ?»nr  *  ffJ  \.<fll«  ^  Dei  ^f'l>  v  f  !j- 
|{»li  lolle  Niiriie  (jiiel  che  dott«meiue    lu  lenito    lo  S^v^nhemio  .    I^f  t-fn  f'r 

Jt^!Ì4Hi>ii  C»..  ioti,.  I.  p<B.  15,.  (Vqo.  Vi  <^  pure  iin'npe'»  di  G.  Biiberg 
'#  .iity»-.»»  ^i^u-Y(|«  U,\ìm,    irS?.,  tìts  io  non   ne  fo  oltra  il  titolo., 

[jt    AXm'*.  Iih.   iv/.  V,   ;•».  V,   i"<'e  Mofoo  Id.  t  v.  i<<. 

IT»)  l\l,„nts  W%i,r  C,<//W.  Je  A/^/.7.'.  M'.n  i.  )»?f.  i.:.^.  \l  fi-.,  Mion- 
Wi  dvreMje  dovii'o  not«r  p».e  t'ie  U  fé  ?.«  del  dntto  è  cintj  da  vi  in»  coi^^ns, 
«  che  \a  fìmir»  dW  rovefcio  h«  nell.1  fini  Ir*,  uo  c»(^il«^>.  Vepij.iK  il  diiegne 
the   noi  iir  di.imo  fif,  i, 

e 'SO  l.if..  I,  ciiv  4«.  ,«t^,  -.  T'  MxItn  dv*l  If  ne  Indie;»  pure  iin  frntc  nel 
M(  vaio  dì  hi«mrt  d,«l  NtDfe*^  K  V-funo,  che  «pprefent»  U  fpeditione  de- 
gli Ar^on,•^^ln,   V.  /if^  ;  ^;,f    ,\, . ;    .?>^  ...^,  ,, 

Col  /v».//.  ;•/).  ;v,;,,;^,,  v/,,»^|,  ,•  v  Ro'»hAt.  -.d  DìonvP.  ^eriei;.  )  U 
t>>n.)  del  le«iim»-nti»  de I.' H 'mv'o'  ,  !'  qiMle  caom»  l*.-iT,>'i.on  dello  iV.^'ìa  !s 
«be  vi»o|  jiiii,  u  ,'„„j  j,  ^m,i^  idillitì' R^Un'*!»lK  41v9j??  \,  fo|Kea,e  ch'e-r» 

d»l>,' 


4«Wha  fituarfì  nrtricalia.  Oltra,  il  nome  di  qurfla  fontana  ,ch  EuAazio  ehm- 
ni.i  folle  iteli  Irali.i  ,  il  fiinTie^  Alfnie ,  dì  cui  vi  Ci  ragiona  ,  é  certamente 
c|U(?llo  lidio  tìiimc  della  Lucania,  il  cui  nomi.'  s'incontra  puri-  in  altri  idilli 
delio  Hello  puc(.\  (  Id.  V.  V.  11^)  A  qiieili  indi']  locali  io  ne  aggiungo  un 
•Uro  elle  ravvilo  nel  v.  i  ;o.  di  qm.-ll'' idillio .  Il  poeta  vi  parla  di  un  luoga 
che  chiama  Tìu^^t  nome  che  mette  a  tortura  il  povero  l'eolia. la  ,  il  quale  per 
elTcr  fedele  al  Ino  (iilenia  ,  non  manca  di  darne  intanto  varie  l'piega^ioni  tut- 
te cnntradidorie  ,  e  che  tulle  in  cnnlcmienia  vicendfi  olmente  (i  dilìru£;gono. 
A  me  pare  che  il  poeta  abbia  voluto  indicar  con  tal  nome  la  citti  di  Buf- 
fenio  pur  nella  Liicuvi  non  lungi  dal  fiume  Alcnie  ,  cosi  denom  nata  dalia 
quantiii\  dc'^bolli  (  Uu^oi  .  h*  vero  che  gli  al'ri  fcrittori  greci  la  chiama- 
no rii/^au»  r  noi)  t-u  riu'i»  come  Tcciciiio  ,  ma  é  noto  pure  che  i  poeti  preo- 
dcvand  ipelliliimo  la  libi'rtà  d'inflettere  altrimenti  le  dcfinen7e  de' nomi  pro- 
prj  delle  Cina  per  Icrvire  al  verlo  .  .S'irabunc  lidio  infctjna  che  molti  di  lai 
nomi  promircuamtnte  .-idopravanli  al  lìni;o!.UL'  ed  al  plurale  ,  e  al  mafcolino 
come  al  fiiuinino  ed  al  neutro  (  Geogr.  Iib.  IX.  p.  m  554.  ).  Qiieflo  fleC- 
fp  Reof^rafo  ci  dA  «lirove  (  lih..  Vllf.  p.  m.  ;v"^.  )  molti  altri  efempj  di 
nomi  proprj  abbreviati  da' poeti ,  fia'tiuali  cwer.'ino  Mtjfj  per  Alefj't'ie  puf- 
fo Omero,  .'llcimo  invece  di  ^■lliime.h'iie  ,  5^/-«xiv  per  Syracii/ji  prelTo  Epi- 
carmo  ,  e  ^aiS'u  per  Du,j'o''*  predo  Simmia  .  Cosi  pure  una  llelfa  Cittù  ven-^ 
ne  detto  l'hryos  e  l'h-yorlft  da  Omero  (  S'trab.  ih.   p.   955.    ) 

(So)  Nel   bell'inno  lii'^la\'»cri  di   Pallade  v.   4^.  e  feqq. 
SajUi-o»    CffOftftì  fin   ffit^Ttri  ,  ertfttpy  Afyoi 

riinr'   «Ita  Xfttraur     (jii^^  ats  iny  rr^n/iAny  , 
Sarjui.^:>i>  ai  >r«A«i   t«v    xt(\wiS'as   t<  ^iaafiieif 
H    II    Afnfit'H'y  013ITI  Ttty  Acttxi»., 
E*"  niato  inoltre  il  collume  de' tempi  painafcali  ,  di  cui  la  S.  Scrittura  ci  of- 
fre molti  efempi   Gon.  rap.   24.   Exod.  cap.   2.  i!tc.  Vegganfene  altri  ne' libr\. 
X,  e  XX.  dei' O.lilfea  «Stc, 

(81)   Niim.   vef;   Pag.  Xfi,  feqq.  faK   ^.  fi".   1?. 

(81'  Ktti   xty  ùfvp  <f>pfi'  Mi<ro»i5»t   »<   Tt«,-ii»>  ,    II.   2.    V.  458., 

(8,0   M.i.n.ui    Bruii.    Numi'sm.    lab.  8;.  tìn.  4. 

(K4)  Tbnry,).  liS.    VI.   e.    ?.   Scymn.   v.    ?><?. 

(85)  Thucydi,  de  Bello  Pclopoaa.  p.  i}ì,.Sii^hu 


ME- 


MEMORIA 

DEL    SOCIO 
FRANCESCO  LAN'CELLOTTI 

sull'  analisi  e  sintesi  dell'acclua  solfurea 

DI    NAPuLI 


Letta  TuUa  feduta  de  j  di  dicembre   l8i  l 


F. 


Ra  i  raedicamentr,  che  la  natura-  fporitaneamente  d  of- 
fre ,  devono  fenza  dubbio  deftare  la  noflra  aiTimirazione  la 
acque  minerali.  La  di  loro,  portenro/i  efficacia  n-jlle  m.ilat- 
tie  ;  l'energii  con  la  quale  fono  dnJla  provviJa  natjra  for- 
cate; la.  di  loro  compo(\':)ne  ;  e  fi  i  anche  la  foluzio.ie  ia 
effe  di  quei  principi,  che  per  mez?o  dell'arte  farebbe  diffi- 
ciliflìiTio  il  difciogliete  ;  devp  interellàre  la  curiofita.  non  fola 
de' chimici,  ma  di  tutti  gli   uomini   eruditi. 

Gli  abitanti  preflb  le  fotgenti  delle  acque  mintrali  ,  con- 
viene ,  che  fieno  appieno  informati  de'  principi  cornponenti 
di  elfe  ,  e  della  rlfpeitiva  quantità  de'  medefimi  .  La  cogni- 
zione efatta  di  ciò  ,  chj  in  un'acqui  mlDer..il-e  fi  contiene  , 
è  neceffaria  non  folo  per  calcolare  con  maggiore  eftenfione 
gli  effetti  della  medefima  ,  ma  anche  per  formarla  artificiale 
mtniQ  ne'bifogni  in  mancanza  della  naturale  ►  Ma  fé  l'aoa- 
liGl  delle  acque  minerali  è  tanto  utile  ed  rncereffante  ,  bifo- 
gna  convenire  ,  che  effa  non  folo  richiede  una  fopraffina  at- 
tenzione ,  ma  precifamence  reiterari  faggi  fui  fuo  conto  » 
Donde  fegue  ,  che  frbbene  di  una  tale  acqua,,  per  efempio  , 
fi  fiano  occupati  uomini  di  fenno ,  e  di  alte  vedute ,  non  fa- 
rà nwi  difatile  ,  o  raincante  di  gloria  ,   che  altri    inEllano 

fu 


^5^  ...  .      .• 

iu  Io  fteflo  cammino,  replichino  ,  modifichino  ,  diverfifichin* 

gli  fperim^nti,  ed  i  lentativi  analitici. 

La  neceffua  di  reiterare  in  virie  epoche  i  faggj  fu  le 
;Kque  minerali  non  folo  è  appor;giita  alla  ragione  ,  ma  è 
bensì  foflenuta  dal  fatto,  che  inalterabilmente  è  rimaflo  coa- 
teiiato.  Per  ciò  che  riguirda  la  ragione,  conviene  aver  pre- 
fente ,  che  una  p.cciola  deviazione  di  cmmino  di  quelle 
acque  ne' vifceri  dr-ila  te  fra  ,  folita  ad  avt/erarfi  ,  venendo 
ad  offrire  diverfi  ftrati  di  materiale  alia  foluzione  in  effì ,  va- 
ria la  loro  mineralizzazione.  Oppure  ,  fupponendo  benanche, 
che  r  acqua  trafcorra  inalterabilmente  per  lo  (teffb  cammino, 
può  accadere,  che  variino  i  fuoi  principj  mineralizzanti,  \a 
quanto  che  dopo  efferfi  difciolti  in  e((a  i  primi  ffrati  di  ma. 
teria  folubile  ,  fuccìedano  a  quelli  ultimi  degli  altri  Itrati , 
varianti  o  di  natura,©  di  proporzione  rimpetto  a  quei ,  che 
fi  fono  già  confumati  .  Per  ciò  cks  riguarda  il  fatto  ,  mi' 
giova  riportarmi  a  quanto  hanno  offsrvato  gì'  iiluflri  chimi- 
ci Bergman  ,  e  Scopoli  ,  il  primo  de' quali  nettamente  con- 
fefla  nella  fua  diflenazione  fuUe  acquR  minerali  ,  che  1'  ana- 
lifi  di  quelle  è  foggetta  a  mille  fa  fi  ;  ed  il  fecondo  commen- 
tando il  primo,  foggiunge  ,  che  le  analìft  delle  acque  mine- 
rali ,  fatte  da  qu/ilche  tempo  ^  fono  quaft  f empì  e  in  contrad' 
dizione  delle  analìft  moderne. 

La  celebrità  delle  noftre  acque  minerali,  eruditiflìmi  foc;; 
le  ragioni  di  fopra  addotte  in  ordine  a  i  loro  cangiamenti  ; 
e  molto  più  il  vedere  ne'paefi  ftranieri  fìfTati  degli  Habili- 
menti  per  farle  ad  arte,  mi  han  fatto  credere  non  eflere  un 
travaglio  del  tutto  svantaggiófo  ripetere  la  loro  analifi,e  la 
fintefi .  Ciò  avendo  efeguito  per  una  di  effe  ,  che  noi  rico- 
nofciamo  meritamente  col  nome  di  folfurea  ,  ofo  prefen- 
tarmi  alla  voftra  adunanza  per  intrattenervi  de' miei  rifu  Itati, 

ANA- 


L 


A    N    A     L     I    S    r 

Diir  Acqua  Solfare  a  à\  Napoli.  * 

3  Acqua  folfurea,   che  sgorga  con    molriplìce  ,    e   vàrio 

.j, ^    zampillo  relia  tiolha   riviera  ,    in    ifhada  S.  Lucia    a 

mare  appiè  del  noto  promonTor:o  di  Ectia  detto  Pizzofalco- 
ne,ha  occupato  lamie  indagini  nel^  di  15  del  mefe  di  sgo- 
Ho  dd  i8ii  ,  iftifuendone  i  'àggi  fullo  ftelfó  zampillo 
ad  ore  17  e  minuti  35.  Il  [(.'rmoaietro  di  Rè.ìumur  fo- 
gnava O  4-  I5r  )  effeodo  U  T^-fnpcratura  dal  luogo  ,  dove 
l'acqua  sorgeva,  a  O  +  23  del  medelimo  t<-rmomstro. 
Jl  barometro  indicava  la  prelfione  deTaria  a  pollici  zj-. 
Il  pefo  fpecifico  di  quedacqoa,  cooofciuco  col  aerometro 
di  Beatiinè  (  pefo  fpecifico  comparato  all'  acqua  dilMla- 
ta  )  f.gnò  O  -f-   I  • 

Efla  mi  cff^  un  fapore  piccante  ed  ac'dulo  ,  ed  m 
odore  di  urva  f  adice  ,  ciocché  corri fponde  propriamente  al 
fapore  dell'acido  carbonico,  ed  al  fapore  ed  o.lore  del  gas 
idrogeno  ftlfurato. 

Al  faggio  della  tintura  di  tornafjle  qucRa  fu  a^rofTita , 
Ta'e  fenomeno  mi  parve  dovuto  aJa  fola  acidiih  del  gas 
carbonico  libero,  in  quanto  che  quel  colore  col  tratto  del: 
tempo  da  mano  in  mano  fi  dffipavaje  adoperando  allo  fteOTo 
faggio  Lin'  acqua  folfurea  evaporata  per  meta  ,  ella  più  non 
fi  arioffiva  .  Quella  rifl-flione  è  analoga  a  ciò  che  han  detto 
vilenti  chimici  per  alTegnare  un  carattere  diftintiso  della 
prefenza  di  quell'acido  libero  (i). 

Tratirta  con  l'acque   di   calce  ,    queft' ultima   s'intofb'Jà 
Tom.ìl,  20  liti- 

ci) Thcmfon.  Syftem:  de  XThitn.  lem.  V.  pag.  377.  Lagraoge.  Efl'ai  fur 
Ics  eai'x  mineial.  pag.  60.  "" 


»54  ,.  . 

imbianchendofi ,  Un.  pezzo,  d  argentOv  vi  reflò- annento  ;  e 
ineicolaadovi,  la  foluzione  di  nitrato;  di  qudlo:  mtta'Io  ,  fr 
ebbe  un  precipitato,  che  diven  ne  lubito  neroj^nolo.  L  an- 
nerimento dell'argento  ,  ed  il.  fuo;  odore  particolare  non 
lafcUno  dubbio,  alcuno  fuila  prefen^a  del  gas  idrrgeno  sol- 
forato . 

L'acqua,  che  io.  fagliava  ,  non.  rcfiò.  alterata,  dall'acido 
gallico;  bensì  itnbianch^  con  T  ammonaca,  e  con  l'acido  os- 
salico, reattivi:  idonei  a  far.  conoTcere.  la.  prcfenza.  della,  cal- 
ce: e  de' Tali  calcarei  (i).. 

Avend.i.  evaporata,  di  tal  acqua  la  q  uantiia  di  due  libbre 
ufando  l'apparecchio  pneumar.o-chim  co  ,  armato  con  la  ftefs' 
acqua.  (  atrefo  chs,  mi  rioLiva,  impjfiGbile  trafporcare  l'appa- 
recchio a  mercurio  fui  Ijog)  djv.:  l'acqja  fgorgava  j  ha 
dato  di.  fofta;iza.  gi'Tof;  per  quattro  volte,,  e.  tre  quarti  circa, 
il  volume  (iell'acqua  impi;rgata  ;.  ciò  che  corrifponde.  a  circa: 
153  P'jllici  cubici  di  fluidi  elaliici .  Da  quello  volume  detratti- 
5)6  poli,  cubici  di  a:ii  efiftente  nella,  librila  ,  rimane  afficurato^. 
che  efilte.  in  ogni  due  libo,  dell'acqua,  folfurea  ,  di  cui  è. 
queftiooe ,.  circa,  57   poli.  cub.  di   gas. 

Mi  fono  impegnato  in  feguito  di  mifurare  fpecialraente 
la  quantità  rifpJttiva.  de'principj  galfoG,  eCftentl  nell'acqua- 
soliurea  „. 

prima  di  ogni  altro  ho.  cercato  3i'  metiere  in  conratto  il 
mefcuglio  de' r  cavati  03$  coi  1  acqua,  di-  calce  ,  p.r.  co.sì.  mi- 
furare;  dall'  dflorbiniento.  la.  quanuta.  di  g.is  acido  carboni:©' 
in  elfa.  rfìdente  ;  ma  ho  trovato-  fjiu;  ifica'o  col-  fatto-  ciò 
che  Fou'cruy  t-fiìcbra  nel  fuo  Sijìema.  dille  corìofrenze  ch'f 
nuche  ^  cioè  che  quello  metodo  conduce,  a  riiultatt  ben:  po- 
co 

(i)  Ber-irtian  Analifi  delle  acque  miner.,  Biu§nat£lii  Elémeati  dj  Chif 
mka  (um.  /.  pa^.  112,. 


co  efattl .  Quindi  mi  fono  fervito  del  metoclo  di  Gioann<jt- 
ti  per  calcolare  la  quantitìi  dell*  aedo  carbonico  . 

A  tale  effetto  ho  unito  due  libbre  di  acqua  (òlfurea  ,  aì- 
Iota  /"gorgata  dalla  fo'g.?otc  ,  con  nove  libbre  di  acqua  di 
calce:  ho  chiufo  efrttamente  il  vaTe  ,  e  da  tempo  in  tem- 
po non. ho  tralafciato  di  agitarlo  .  Ho  raccolto  quindi  il 
precipitato,  che  fi  è  formato,  e  dopo  averlo  ben  afciu^ato, 
pefandolo  con  diligenzi  ho  trovato  edere  di  gr.  8p.  Ha 
prefo  da  un'alrra  part^  dui  lib.  della  ftefs' acqua,  l'hj  priva- 
ta de'piincipj  gaifofi  mediante  1' ebuUizione,  e  l'ho  un'te 
con  nove  altre  libbre  di  acqja  di  calce  ,  efegiaendo  J'iltelfa 
pratica,  ed  il  precipitato  b?ne  afciutto  ho  trovato  effjre  gr: 
20  .Ho  iTottratto  quella  quantità  dagli  89  acini  del  primo 
precipitato  ,  ed  ho  veduto  con  ciò,  che  n-1  primo  faggio  fi 
erano  formati  <Jp  gr.  di  carbonato  di  calce,  cb'e  giultaTafia- 
Jifi  di  Kirwan  contiene  circa  gr.  ^i  e  ^^  di  acido  carboni- 
co; ciò  che  corrifpoade  a  circa  35  poli.  cub.  di  gas  acido 
carbonico  per  ogni  due  libbre. 

Conofciuta  la  quantità  del  gas  aci.^o  carbonico  fono  paf. 
fato  a  determin  ire  quella  del  gas  i  irogeno  iulfjrato  neh' 
acqua ,  che  fi  analiza  . 

A  qu-:(lo  propoli to  poflb  afficurare  ci  .ivr  melTi  a  partito 
varj  metodi,  de'quali   ho  avuto  fé  npre  motivo  di  elLrpico 
■conte no.  Quindi  mi  fono  attaccato  a  qu  Ilo  di  W.^dromb. 

Propone  quelt' abUe  chimico  li  determinale  la  quancità  del 
gas  idiog'no  folgorato,  efidenrj  nelle  a:qai  per  mezio  d^ll* 
acetato  di  piombo  .  'E?li  a  tal  uopo  introduce  una  quantità 
determinata  di  acqua  mineralein  un  mitracelo;  vi  adatta  i' 
apparechio  piieumatochimico  ,  e  fa  paHare  il  gas  ,  che  ft 
fviluppa  a  traverlb  la'foluzioni  di  acerato  di  piombo  :  fi. 
forma  allora  un  precipitato,  che  è  un  folfuro  di  piombo,  il 
■quAi  bene  afciutto  e  pefato,  per  ogni  ip.  acini  fa  conofcc- 

*  re 


15^ 

re  nella  acque  la  prefenza  di  io  poli  cab.  di   gas  ìdrogeno- 

fol  forato. 

Priini&ramente  ho  voluto  accertanxii, che  il  gas,  acido  car- 
bonico Ubero  non  deconvponsva  i'.acetato  di  piombo  col  far- 
lo paflare  a  traverfo  della  di  lui  foluzlone  ;  affinchè  foflì  (ta- 
to fic.uro  ,.  che  tutto  il  precipitato,  che  fi  aveva  dalia  de- 
con:ipofizione  dell'acetato  di  piombo  mercè  i  gas  efiflenti 
liell'acq,ua  folfurea,  noji  folle  che  folfuro  di  piombo..  Il  fat- 
to mi  ha  aHicuraro  di  quanto  fofpettava. 

Ho  prefo  di  poi  due  libbre  della  fopraddert' acqua, l'ho  in- 
trodotta in  un  matraccio  lutato-,  vi  ho  a  lattato  l'apparec- 
chio pneumato  chimico  ,  ed  ho  fatto  paliate  taui  i  gai,  che 
fi  '^ono  fviluppati  fuffecutivamente ,  per  dae  bottiglie  piene 
di  acetato  di  piombo  liquido.  Ho  raccolto  tutto  il  precipi- 
tato formato,  t'ho  bene  afciugata,,  ed  indi  pelatolo  efatta- 
mente,  ho  trovato  efferé  di  gr.  40  circa.  In  ogni  due  llb: 
di  acqua  folfurea  dunque  efiftono  circa  21  poli  oub.  di .  gas 
idrogeno  fclforato. 

Queft' analifi  in  dettaglio  della  quantirà  de'principj  gaffo- 
fi  di  quell'acqua  i«i  è  fea)brati,  anche  più  veridica,  p:rche: 
lì  trova,  che  corrifponde  con  la  quantità  de'principj  galTofì 
da  me  ricavati  da  prima  in  coofufo  dalla  fiefla  quantità  di  acqui, 
poiché,  come  ho  efpoftOidue  libbre  della  dett' acqua  mi  han- 
no dato  circa  57  poi.  cub.  di  principi  aer  formi  ;  e  li  rap- 
portati efpiriraenti  mi  hanno  dato  26  poi.  cub.  di  gas  aci- 
do carbonico  ,^  e  31  di  gas  idrogeno  fu  [forato ,  die  formano 
anche  il  volume  di   37   poi.  cub.  in  tutto  . 

Mi  fono  in.  feguito  r  volto  a  fcovrire  i  principj  fiflTi  con.-- 
ìenuti  in  Queft' acqua,  e  dererminarne  le   proporzioni. 

Ho  evaporato  perciò  a  fecche^/a  due  libbre  di  acqua  fol- 
furea^  e  pefato  eiattameate  il  celidw,o  ,  l'  ho  trovato  efere 
gr:  2d|-.       • 

Ho 


n 


.157 

H)  trattato  quefto  relìduo  con    l'alcool  e  ,    ed    ho   fciolto 

tutto  ciò,  eh' è  in  elfo  folubiIe,e  che  afcende  a  circa  gr.  ^~. 

Ciò  che  è  rimado  infolubile  nello  fpirito  di  vino  ,   l'ho 

boilit,o    in   una    quantità    fufficiente    di  acqua  diftillata,  e  ne 

ho.  formato  la  foluzione  acquofa  ,   mìh  quale  fi   fono  fciolti 

la  fine  ciò  che  è  rimado  iiifolubile  nell'acqua,  e  nel  al- 
coole,  che  è  afcefo  a  gr.  jy,  l'ho  trattato  con  l'acido  ace» 
fico,  e  fi  è  con  efFervefcen^a  quafi  intieramente  in  eflb  di- 
tciolto. 

Ho  cjuindi  incominciato  ad  efaminarè  la  foluzione  alcoolica 
con  tirarla  afecchezza.  La  medefima  (giufia  B^rgmanjLagran-. 
gè,  ed  altri  )  non  può  concenere  che  muriati  di  calce  ,  di 
magnefia,  o  di  barite  ,  oppure  nitrati  di  mjgneGa  ,  o  di 
calce.  Ma  la  foluzione,  che  io  ho  analizzata-,  era  fuori  de' 
cafi  avvertiti  da  mentovati  illuftri  chimici  pji  fatti  che'  fe« 
guono. 

1.°  ElT!i  non  conterreva  de' nitrati,  perchè- evaporata  a  fec- 
chezza  ,  e  fasgiata  fopra  i  carboni  accefi,  non  ha  deflagrate^. 
come  avrebbe  dovuto  avvenire  nill'affirmativa. 

2."  Non  conteneva  de'n>uriati  terrofi- ,  e  partico!arn:ente 
calcarei,  e  di  magnefia,  poiché  verfando  l'acido  folforico 
diluto  fu  la  Ilefla  foluzione  difl\'ccata  ,  non  ha  formato  rè 
folfito  di  calce,  né  folfato  dì  magnefia;  fali ,  le  di  cui  ca- 
ratteriftiche  fi  diftinguono  beniffni  o  fra  i  redenti. 

Pit  coBvaliiiare  la  mia  affertiva  fu  1'  inefiftenza  de' muriati, 
e  nitrati  nell'acqua  faggiati  ,  giovami  far  oflervare  ,  che 
verfando  dell'acido  folforico  fui  fale  ricavato  dalla  foluzione 
alccolira  lion  fi  è  fviluppato  alcun  vapore  di  acido  nirrico, 
muriatico,  o  nitro  muriatco  .  Efciufi  i  fali  fummentovati 
daf'a  fuluziono  alcoolica  fui  refiduo  fiflb  dell' acqua  foifurea, 
non  dovremo  ommettere,  chi  avuto  riguardo  alle  affinith,  e 

quia- 


^5»  . 

quindi  alla  folubilita  de' materiali  nell'alcoole^  (ìffatta  folu* 
zione  poteva  contenere  beniffimo  due  alcali,  la  ;  foda  ,  e  la 
potafl'a.  Or  queft'ultima,  e  non  la  prima  fi  contìen-  di  lat- 
to nella  noftra  folu^ione.  Ciò  fi  prova  in  quanto  che  trai*, 
tato  il  rifukato "dell' anzidetta  evaporata  folu  ione  ton  l'aci- 
do folforico,  non  fomminirtra  per  criltalliza-iune  'oifato  lii 
foda  ,  bensì  folfato  di  potafla,  fali  laciliffiu.i  a  CiUmquerfi 
per  la  varieth  della  figura  ,  pel  fapore  ,  per  effere  il  tojfaio 
di  potafia  inalterabile  all'aria  atmosferica  ,  ed  il  fulfaro  di 
(oda  efflortfcepte  &c. 

In  feguito  all' aver  cimentato  il  reTiduo  fiiTo,  chi  ci  occu' 
pa ,  col  folvente  alcoolico,  fono  piffato  a  scioglierò  nell'ac- 
qua. Ciò  facendo, 'mi  fono  alficurato  ,  che  quella  foluzione 
evaporata  a  fecchezza 

1°  Non  contiene  de' folfati  ,  poiché  trattata  col  mariato 
di  barite  non  dk  alcun  fegno  di   precipitato. 

2.°.  Ella  non  contiene  de' nitrati ,  poiché  non  deflagra . 
3.°  Non  ha  muriati  di  calce,  e  di   magnefia ,  poich."  fé  ne 
foffe  f  .rnita,  quefti  farebbero  rimafti  anticipatamente  fciolti 
dall' alcoole. 

4.°  E' iniiiile  di  far  offe r vare  ,  che  carbonati  terrei  non 
ne  può  avere,  attefo  che  quefti  fono  infolubili  nell'acqua. 

Debbo  conchiudere  da  ciò,  che  in  effa  non  poffono  ritro- 
varfi  difciolte  ,  che  muriati  ,  e  carbonati  alcalini.  Per  giu- 
dicare fondatamente  della  loro  efiftenza  ho  evaporato  a  fec- 
chezza  uia  me,tà  'della  foluzione  indicata,  e  1' ho  trattato 
con  l'acido  dell'aceto,  che  mi  ha  prodotto  una  viva  eff;r- 
vefcenza  ,  .propria  de' carbonati  .Salutando  ad  evaporare  a 
fecchezza  h  fìelfa  foluzione  acetica  mi  ha  "prodotto  un  ace- 
tato alcalino,  che  dall' eirerfi  interamente  liqu  fatto  ,  fi  <3i- 
fl'ngue  beniffimo  eflere  l' acetato  di  potafla.  L'aitila  metà 
i'  ho  ricornata  a   fciogliere    eoa  1'  acqua   dillillata ,  e  vi  ho 

ver- 


i5i? 
verfatojla.folùzione.di  nitrato  d'argento, che  dall'  abbondan- 
te preeipirato  bianco  mi  ha  fatto  chiaramente  olTervare  h 
prefenza  di  un  muriate  di  poiaffa . 

XelUva,  dopo  ciò,  a  determinare  la  quantità  di  muriate, 
e  carbonato,  di  pota{ra,.che  nella  foluzione  acqujfa  efil^cnc. 
Ho.prefo  una  egual  quantità  di  fali  avuti  dalla  foluzione 
acquofa  evaporata  a  ftcchezza  ,  ed  ho  faturato  il  carbonat» 
di  po'aflk  per  Tacido  nitrico  perfettanTiCnte  puro  ;  indi  vi  ho 
verfato  a  gocciai  a  goccia  la  foluzione  di  nitiato  d'argento 
fino  a  quando  non  fi  è  formato  più  precipitato.  Ho  fepara' 
to  diligentemente  qu-Qo  precipitato  ,  eh*  ho  trovato  effire 
del  muriato  di  argento,  e  bene  aTciurto  l'ho  pefaro  per  gr.  5. 

Da  ciò  fono  venuto  in  cognizioni  immediatamente  dslia 
quantità  di  muriato  di  potaffa ,  e  di  carbonuo  della  medelì- 
ma  efiftenti  nell'acqua,  la  di  cui  analifi  ora  vi   pre'^ento  . 

SeconJo  le  piiì  recenti  analifi  rapportate  da  Thomfon  nel 
toni.  4.  del  fuo  Sìjì-ina  di  chimica  ^  il  muriato  d' a  gento  è 
compolto  di  75.  parti  di  quello  m'itane,  e  25  d'acido  mu- 
riatico: in  confegu^nza  in  cinque-acini  di  murato  d'argenta 
efiite  un  acino  ed  un  quarto,  d'acido  muriatico.. 

Lo  iK'lfo  Autore  rapporta,  che  il  muriato  di  piulT*  è  com- 
poi!o  di  :55  farti  di  acido  muriatico,  e  65  di  j  oca'Ja  ;  quindi 
un  acino  e  un  quar'o  di  acido  muriatico  efìge  circa  dje  aci- 
ni e  ui>  cua  tu  A\  potatra;e  perciò  n  Ila  fclujioneacqujfa,  che 
fi  elamina  ,  vi  foio  circa  tre  scini  e  mezzo  di  mutiato  di 
potalla ,,  e   or.    ij.  %\    di   carbonato,  dallo   lleiTo.  alcrili  .. 

Ho  finlmente-  trattata,  la  (olu^ione-  aceti  a  p?r-  l'acido  fol- 
forico  allung  to,  il' q:  ale  in  formar.dj  il  (olfato  di  calce  mi 
ha  farro  apertame.n  e  difcetnere-  la  preltnza  di  «r  53-  circa 
di  cabotato  di  cakc  in.ciò.  che  era;  rimafto  iufolab  le  allo, 
fpuitu  di  vino  rettificato ,  ed  all'ac^^ua. 

Se? 


ì6o 

Secondo  dunque  la  efpofta  analifi  'm  ogni  due  lib.  dell'-acT 
qua  folfurea  di  Napoli  vi  fono  difciolti 

i'  Gas  acido  carbonico  ^5  pjl.  cub. ,cioè  circa  4  poi.  cub. 
di  più  del  volume  dell'acqua  impiegata. 

2°  G35  idrogeno  folforato  21.  poi.  cub. , cioè  circa  4  poi, 
c-ub.  meno  i  |  del  volume  dell'acqua  impiegata. 

3°  Pot.flk  gr.  5I 

4°  Muriato  di  potaffa  gr.  .^~; 

5.  Carbon.Tio  di  potafla  gr.    li.  8-j 

6.  Carboiicito  di  calce  gr.  5^ 

Mi  (i  permetta  di  far  qui  oflervare  che  la  prefenza  della 
potafli^;  pura  nell'acqua  analizzata  ,  è  dovuta  alli  decompoli. 
z-ion-e  di  una  parte  del  carbonato  di  potafla  avvenuta  duran- 
te -l'evaporazione  ;  non  potendo  effa  eiilìervi  nello  fiato  di 
libertà  per  eflere  avidifTima  di  gais  acido  carbonico  ,  che 
tanto  sbbDflda  nell'acqua  minerale  fottopofte  alle  noRre  li- 
cere he. 

Un'altra  oflervazione .  Io  ho  ripetuto  per  più  volte  i 
miei  faggi  analitici  fu  i  'principj  filli  :  la  loro  prelenza  non 
e  Hata  mai  alterata,  ma  la  proporzione  de' loro  componenti 
io  è  fiata  fibbene  per  qualche  acino  di  differenza  .  Quarta 
varieià  non  forprende  gli  avveduti  :  effi  conofcono  ,  che  ciò 
può  dipendere  direttamente  dal  diverfo  ^rado  di  attrazione., 
che  il  mertruo  eferciia  con  quei  principi  in  grazia  della  tcm* 
peratura,  con  la  quale  gì' invefte  ;  dalla  diverfa  attività  im- 
piegata nella  evaporazione,  e  quindi  dall' efferfi  diffipata  al- 
cuna parte  degli  ftefiì  principj  fiffi,  &c. 
-Accurati  dell' analifi  dell'acqua  folfurea  paffiamo  alla  fintefi. 


SIN- 


SINTESI  } 

t)clt  arijua  SOLFÙREA  di  N/ip-)H  efeguìta  in  prefeniut     ' 
(iella  clnffe  delle  faenze  fjvbe  e  mediche  delta 

Joóctà  Pomonima  in    •'»  congr.jfo  • 

tenuto  a  tal  uòpo. 

P£r  cfcgulre  ficilmenfe,  eJ  efattam^nte  li  fintefr  (bell'ani 
ziddetta  acqua   fulfurea  ho  prefo  ilieci   libbre  di  acqua   di- 
fiiliata,  e  vi 'ho  Icio'to  ì  fopr.icdecii   p'iticipj  hlfi  nslf  iodica*- 


ta  proporzione,  al  di  fuori  del  carbonaro  di  calce,  che  lot 
tiliflìmaniente  polverato  bo  ben  bene  unirò  ali  accjua  ;  dops 
ciò  ho  filtrato  la  détta  foluzione,  che  non  hi  laici jio  alcun 
refiduo  fui  filtro.  Ho  pien-i  una  bottiglia  di  cri  U-llo  di  que- 
(ìa  foluzione  ac^uofa  ,  nella  quale  ha  fegnto  diftintam;iite 
la  mifura  di  una  libbra  di  acqua,  eflendo  la  bottiglia  capo- 
volta, ed  anche  quella  di  28  ^  poH  cub.  al  di  fopra  dell 
acqua  ,  ed  il  dippiù  della  foluzione  l'ho  meffa  in  un  bacile 
per  lervirmi  di  apparecchio   pneumato-chimico  . 

Ciò  fatto,  ho  introdorto  in  una  bottiglia  tubolata  tre  once 
■e  fei  dramme  di  carbonato  di  calce,  e  due  once,  ed  una  dram- 
ma di  folfuro  di  ferro  ben  polverizzati ,  e  mcfudaii  infieme: 
io-li  vi  ho  unito  i>n  poco  di  acqua,  e  pi  vi  ho  verfito  al  de 
fopra  dell'acido  folforico  ;  fubito  fi  è  incominciato  a  fvilup* 
pare  il  mefcuglio  di  gas  acido  carbonico  ,  e  gas  idrogeno  fol- 
gorato nella  debita  proporzione  ,  che  ho  fatto  paflare  nella 
bottiglia  capovolta  all'accennato  apparecchio  fino  a  circa  il 
doppio  della  fopraindicata  mifura  di  28  7  poli.  cub.  per  ogni 
libbra,  ho  ben  bene  agitato  quefto  mifcuglio  ,  ed  ho  in  tal 
maniera  ottenuta  l'acqua  folfurea  artefatta,  fimile  alla  vera 
appena  fgorgata  dalla  forgente. 

Erudiiiflìmi  Socj,  il  mio  travaglio  (che  altro  non  è  che 
Tom, li.  n  i'efpo- 


iefpofizìone  de  fatti  )  è  timafto  efaurita  per  quanta  le  mie- 
deboli  forze:  potevano,  permetterlo  .  Io,  non  ho  ofato  fpaziar- 
mi  in  veruna  ipotefijQ,  foggiar  teorie  >  si  per-hè.  cooofco  ab- 
baftanza>  quanto  poco  valgino  i  miei  omeri  ,  s'i  perchè  la 
materia  non  ne  farà  fufci;itibile .  Lad  love  ft  tratta  di  cono- 
fcere  11.  fatto  ,  niente  p  ù  congruo  quanto  il  folo  linguaggio 
del  fatto,  medefimo.  Pel  bene  delle  noftr'.  contrade, e  pe' pro- 
grefli  dtlla,  fcienza ,  io,  mi  auguro  ,  eh;  altri  calchi  più  glo- 
riofamente-  quefte  pedate.  In  quanto  a  me  farò  contento  ab- 
baftanza  fé;  in.  uà  articolo  di  cotanta  utiliik  fmgar  vice  cotisc.. 


A  chi 


^  eh  Ugge: 

I  ^A  Società  l'ontanlana  che  nel  secondo  lustro  de) 
secolo  XIX  ha  preso  il  nome  dell'Accademia  Napo- 
letana del  XV  già  norma  ed  esempio  alle  posteriori 
adunanze  letterarie  Oltramontane  ed  Italiane  ;  non 
contenta  d.'gli  esercizi!  particolari  di  ciascuno  *,  ha 
proposto  per  ogni  anno  quattro  pubblici  certami  al- 
ia concorrenza  de' suoi  più  zelanti  indivìdui .  Il  pri- 
mo di  essi  per  l'  anno  i8ri  si  è  consacrato  all'  in- 
teresse eccnomico  dello  stato,  li  premio  che  i  con- 
correnti sì  prefissero  fu  di  manifestare  unicamente 
lo  zelo  che  gli  anima ^  lasciando  agli  ambiziosi  qua- 
lunque altro  vantaggio  fisico  o  morale  .  Sette  Socii 
se  ne  sono  occupati  ,  e  le  loro  Memorie  sono  state 
esaminate  da  una  Commissione  zelante  e  chiaroveg- 
gente ,  ed  approvate  dalla  Società ,  come  appare  da- 
gli originali  Processi  Verbali  firmati  ed  approvati  . 
La  Corona  si  è  conceduta  alla  memoria  che  porta 
per  epigrafe  il  detto  di  Orazio, 

Jilter'tui  sic 
^ìteira  poicìt  'opem  res  ^  &  conjurat  amìcì . 
Si  è  in  seguito    reputata   pregevole    quella   contrast- 
gnata  col  motto  di  Tacito,  Non  modo  caius  eveiuus' 
que  rerum ,  seà  ratio  etiam  cauf^cque  noscantur  .    Meri- 
tò in  terzo  luogo   la  pubblica  considerazione  quella 

••  ìa- 


indicata  dalla  legge   di  Solone  tov   api^ov   cvTà  Tisi 
fauTou    aiv    rsxvav   at  rn&iv   tv  ljpurcii,vu:^    Xot/ut/Soo'Ws^ 

I  biglietti  sugellati  che  se  ne  aprirono  il  dì  del 
Concorso  5  di  gennaro  181 2,  sQ^prirono  gK  aut<^ri 
(Qhe  si  premettono  alle  tre  Memorie  se^uenti^ 


1.  LE- 


'^5 

LEZIONE  ECONOMICA 

CORONATA 
DI  P.  NAPOLI SIGNORELLI 

-     .  S  U'L    P  R  O  G  R.  A  M  M  A. 

PROPOSTO  PEL.  PRIMO  CONCORSO  ECONOMICa 
PONTANIANO 

CHE   PORTA   l'  EEIGJIAFC 

Aheriys  Jtc 
Altera  pofcif  openi  rtfy  &  conjurat  amnì, 

I  Orto  che  la  Società  Pontaniana  Invitò  i  fuoi  vaIbroS 
Accademici  ad  efercitar  la  propria  attività  e  fapere  fui  prò* 
pollo  programma  ,  "  Sino  a  qual  punto  debbana  proteggerli 
le  manifatture  in  un  paefe  agricola  '*  ,  commendando  il  bel. 
difigno  di  rendere  le  cure  letterarie  del  noftro  Confeffo  uti- 
li allo  Stato,  ed  aliene  dalla  rancida  fenlpre  Aerile  pedante- 
ria ;  vennemi  in  mente  che  a  bene  incammiaarfi  alla  folu- 
2Ìone  di  queflo  problema  farebbe  innanzi  altro  da  penfàre  a. 
disviluppar  l'intento  della  Società  nel  dèfiderarla. 

Domandare  fino  a  qual  fegno  convenga  proteggere  le  ma- 
nifatture in  un  paefe  agricola  ,  dir  non  vuol  certamente  che 
il  peofator  che  fé  ne  occupi  ,  debba  unicamente  riempierli 
de'iolidi  pregi  dell'agricoltura  in  pregiudizio  delle  manifat- 
ture, o  degli  oftentati  vantai^gj  di  quefte  a>  danni  di  quelle.. 
No;  chi  s' iateonafle  nell'ana  o  lisli' altra,  difcufiione  efclufi- 

va- 


\amente  ,  perderebbe  di  vìfta  l'oggetto  della  Società  .  E  fé 

prendeflè  ad  afferire  che  un  paefe  agricola  poffa  fufliliere  per- 
petuamente feti /a  attendere  io  verun  modo  alle  "manifatture, 
ficcome  efageraado  taluni  foventi  date  fuppofero,  o  che  pof* 
fd  fiorire  per  le  fole  arti  ieaza  gran  fatto  impacciarli  dell' 
agricoltura  ,  come  da  altri  entudaHi  fì  pretefe  in  Francia 
fotto  Colbert,  anderebbe  ugualmetite  fuor  di  ftrada. 

Quando  la  Sccieth  domanda  ,  fino  a  qua)  puntj  il  paefe 
agricola  debba  occuparfi  delle  manifacture,credj  cha  Suppon- 
ga, an^i  che  a  chiare  note  maoifelli^ 'ch;  uà  popolo  agrico- 
la, per  ricco  che  lì  dica  in  prodotti  rurali,  non  può  d  1  tut- 
to dirpenfarlì  dal  promuovere  in  alcun  mo 'o  le  manifatture, 
le  quali  utilmente  fi  trafficano,  quando  non  altro-,  al  pari 
almeno  de'  frutti  villefchi  ,  per  comprar  oro  ed  argento  fe- 
gaì  delle  cofe,e  per  non  efl&r  foggetto  a  venderne  per  acqui- 
ftaile. 

Antivede  nonpertanto  la  Società  ,  die  per  effere  una  "ve- 
rità luminofa  facile  a  fallare  agli  occhi,  che  l'indadria  ma- 
nifattrice  innalza  l'utile  ^elle  materie  prime  affai  pù  fu  del 
loro  valor  naturale,  potrebbe  la  popolazione  talmente  inna» 
morarfene^che  minor  cura  poneflfe  di  qu'^l  che  h  uopo  alla 
coltivazione  bafe  del  traffico  (i)  ,  che  caratterizza  le  terre 
agricole.  'Ora  per  evitar  -quello  non  lieve  perniciofo  errore 
la  Società  avvertita  e  zelante  domanda  che  diffinifcanfi  i  li- 
miti ,  oltre  de^ quali  non  debbono  proteggerli  le  arti  ,  per- 
chè non  ne  rrdondi  detrimento  alla  coltivazione  .  E  qu-ft» 
lignifica  che  fi  vuol  Colrivazione  ed  ^rW ,  ma  con  certa  fog- 
gia proporzione  fugerita  dalla  natura  delle  terre.  Adunque  la- 
fcioglimento  tende  a  rintracciar  quella  faggia  proporzione. 

Su 

(i)  V  agrìcoìture  tjì  la  laft  du  commerce^  Cette  maxime  «/?  iT  une  telle 
ìmpnrtance  <  qi^  il  ne  faut  jamais  crainàre  de  la  ripeter.  Vedanfi  s'i  •£/*'"*'»- 
ti  del  Commertio  nel  libro  1  e.  j.  Per  altro  queftc  fono  verità  che  non  ab- 
bifugnaoG  di  citazioni . 


i<J7 

Su  quefto  fondamento  io  mi  acclnlì  ^  ad  onta  della  mia 
debolezza,  allo  fchglimento  del  problema  iatefo  nella  ma« 
riera  che  ho  ftimato  diciferare  .  E  non  s'i  toflo  da  buon 
fenno  il  volli  ,  che  mi  fi  affollarono  in  mente  diverfe  civi- 
li focietk  d'indole,  di  pofizioni ,  di  climi  diftinti  ,,  e  ne  per- 
corfi  le  vicende  nelle  memorie  che  fé  ne  incontrano  ,  noa 
per  rinunziare  alla  facoltà  di  penfare  e  trafcrivere  le  altrui  pa- 
role y_  ficcarne  gli.  uomini  nuovi  fanno  ,  ma  per  confrontar  le 
altrui  colle  proprie  meditazioni  .. 

Vidi  dunque  che  tutte  le  focieta  Ci  occuparono  a  fuffiftere 
eoa  agio  ,  e  potendo  ,.  con  luftro  e  con  indipendenza  a  fe- 
conda della  fifica  cofticuzione  delle  terre,  dell'energia,  de' fo- 
ci! che  le  compofero  ,,  delle  circoftanze  de'  popoli  limitroti 
e  delle  fperanze  lontane..  Un  interelTe  rutte  le  pofe  in  mo- 
to, e  in  fermento:  fuji fiere ^  fiorire^  difìinguerft  ^  fovraftare  ; 
ma  quello  interefle  cominciò  fempre  da  uà  bifogno  in.  ognu- 
na delle  loro  fafi . 

Nell'infanzia  delle  focietà  vagarono,  gì*  individui  in  traccia 
rfi  alimento,  e  divennero  cacciatori  ;  con  un  paflb  di  pii!»  ad- 
dinieQicarono  gli  animali  deboli  ,  e  fursero  i  partorì  ;  e  col 
poffeflb  di  un  territorio  fiflb  cui  arrife  il  cielo ,  e  che  le  ac- 
que pingue  refero  e  lieto  e  verdeggiante,  nacquero  gli  agri- 
coltori. 

La  caccia  e  la  paflorizia  provvidero  ben  per  tempo  al  quo- 
tidiano nutrimento  ;  l'agricoltura  affai  più,  pienamente  con- 
corfe  a  prevenire  i  bifogni  futuri  ,  e  giunfe  infino  a  confe^ 
guir  beotofto  un  fuperfljo  che  fvegliò  l' idea  di  perrautarld 
con  altre  cofe  o  neceffarie  o  commode  o  sfo^giole  che  la 
propria  terra  non  dava.  Surfe  in  altro  clima  altra  focieta  ìi) 
più  ingrato  fuolo ,  per  cui  fenti  più  foni  e  più  urgenti  bi- 
fogni che  l'agricola;  ond'è  che  ricorfe  alla  permuta  di  po- 
chi frutti  peculiari  del  fuo  clima  «della  propria  indufl ria  ma- 
ni- 


i58 

nifattrice  .  lo  paéfe  ancor  meli  felice  arido  e  nu:?o  conven- 
ne che  un'altra  locicth  ricorrefle  per  non  perire  a  conver- 
riffi  in  agente  e  faccendiera  ,  ed  approfittandoli  ócì  mare  non 
lontano  locafle  1'  opera  ed  i  navjgii  proprii  per  trafportar  da 
una  contrada  all'altra  e  mamtarrure  ^e  derrate,  e  trarne  per 
fé 'flefla  il  bifognevòle  per  iuffidere.  Que(te  tr2  focieià  rìàu'. 
conci  a  mente  l'idea  ipoisrica  deirifoiedel  f;gnor  Melon  (i  ì. 
Ora  mi  (ì  permeitera  che  iuile  tracce  di  Cratilo  preflb 
Platone  inccminci  dal  diviiare  le  giuHe  idee  de' vocaboli  che 
converrà  ufare  di  nazione  agricola  ^  manijatty'tce ^  navigatrice  . 
Chiama'fi  //gricci.}  la  nazione  che  alberga  in  terreno  ferace 
per  naturai  pofizione  e  circonanze  vantaggiofe  alla  coltiva- 
zione,  nazione  che  non  può  non  obbedire  alla  natura  che  le 
impone  di  inetterio  al  pofllbile  a  profirto,  feoza  foggiacere 
alla  pena  minacciatale  dalla  lìefia  natura  di  languire  nella 
miferia  ;  ^uale  m'immagino  che  farebbe  il  desino  delle  ter- 
re delle  due  Sicilie  ,  le  gli  abitanti  illufi  o  av.elenati  dalla 
mollezza  o  dalla  vanità  o  da  una  matta  abiezione  di  animo 
D'eli' opprefTione  o  vera  o  immaginaria  (  che  fono  le  cagio- 
ni primarie  che  convertirono  in  mine  le  magnificenze  di 
Menfi  ,  di  Ninive  ,  di  Palmira  )  divenlifero  neghittofi  ed 
inerti  ài  pari  de'Groenlandi  e  degli  Otentotti. 

Chiamafi  popolazione  dedicata  all'  indudria  manifattrice  quel- 
la che  avendo  fortiro  un  fuolo  arido  o  montuofo  ó  pantanofo 
avverfo  all'aratro  benefico,  è  ricorfa  ad  ingrandire  il  vaf  re 
de' Tuoi  fcarfi  prodotti  o  naturali  o  comprati  coli' indullrià 
delle  fue  m<jni  per  uguagliare  il  pefo  della  propria  fuffiften- 
23 ;  di  qual  popolazione  poflbno  fervir  di  efempio  Ginevra, 
Lucca ,  Francfort  che  non  hanno  territorio  ,  o  Genova  ,  'f 
Olanda,  la  Bifcaglia  che  poco  ne  hanno  e  poco  grato. 

fo- 
co Edai  politique  fur  le'Comraerce. 


Popò  la-zione  navigatrice  nomafi  quella  che  porta  in  paefe 
alpeftre  o  arenofo  ancor  meno  atto  a  produrre  ,  approfittan-. 
«lofi  del  mare  che  ne  bagna  le  colle,  «e  tira  il  Luegoo  e  , 
per  mancanza  di  generi  da  permutare,  traffica  l'op-'ra  delle 
proprie  braccia  e  de' legni  che  s'  ingegnò  di  collruire,  indu- 
ftria  che  altrove  appeliafi  cabotaggio^  e  che  può  da  aoi  dirfi 
vetturare  o  vettureggiare  ,  che  rendè  ricchi  nelle  Crociate 
Veneziani,  Genoveli ,  Napoletani  ,  Amalfitani .  Or  quaL  di 
quelle  tre  fpecie  di  popolazioni  pofliedc  ciò  che  fi  acclama  col 
<ito!o  di  ricchezza?  Per  faperlì  bifogna  conveniTe  nell'idea 
che  rilvegliar  vuoili  con  dire  ricche%-z.a  delle  ni:-x.\ont. 

f  forfè  ricchezza  l'oro  e  l'argento  dietro  di  cui  correfi  a 
for?»  d' induflria  ,  di  €0le  ,  di  lavori ,  e  di  ridicole  impudenze 
e  di  misfatti?  Dimandifi  a  Bernal  Diaz  del  Laltiilo,  a  Gar- 
cilaflb  de  la  Vega ,  a  Gomara,a  Solis,  agli  florici  tutri  delle 
cofe  delle  Americhe  ,  le  quali  pofledcndone  copione  miniere 
pofpofero  que' metalli  al  ferro  che  trovarono  più  uule  e  confa- 
centc ai  bilogoi  della  vita.  L'oro  e  l'argento  altroi'e, ma  in 
diverfe  epoche  ,  variò  di  valore.  Negletti  nel  Mcffico  e  nel 
Perù  come  inutili  lufingarono  pofcia  la  rapaci'à  e  1'  ingordi- 
gia degli  Europei ,  fra'  quali  da  gran  tempo  erano  in  predio 
e  come  merce  e  come  rapprefentanti  più  {limabili  perchè 
più  confiftenii  del  fale,  dei  caffè  ,  del  cacao,  del  pepe,  delle 
conchiglie,  che  prima  di  que' metalli  adspraroniì  per  fegni  , 
o  pegni  che  dirfi  vogliano,  delle  cofe,  e  più  uaiverfalmen» 
le  fi  rifcattarono  .  Indi  tanto  fé  ne  traffe  dalle  vifcere  del 
Chili,  del  Potcsi-^da  Sonora,  da  Cinaloa  ,  ed  in  tanta  copia 
fi  trafportarono  in  Europa,  che  fenza  lo  fcolo ,  che  riceve- 
rono inceffantemente  neir  Indie  Orientali ,  e  fenza  il  luflb  che 
s'ingegnò  di  convertirli  infili  e  ricoprirne  la  fera  e  ne  telbè 
e  ricamò  clamidi,  paludamenti,  manti,  vedi,  tapezz  rie,,  e 
ne  diftefe  mirabilmente  le  duttili  luperficie  perchè  ne  fplen- 
TomM,  22  dcf- 


170, 

deflero  fuppellettill  ,  fcraiine  ,.  foft,  armadi!  ,  gabinetti,  car- 
rozze, portantine,  farebbero  caduti  in  Europa  nell'avvilimen- 
to, del  tempo  dilla,  fcoperta  dell' America,  ed  obbligati  avreb- 
bero i  pofleflbri  di  quel  gran  continente  novello  a  chiuderne 
le  vene  ,  come  fegui  prima  colle  miniere  de' Pirenei  che, 
diiTetarono  l'avidità  de'Cretefi,  de' Fenici,  de' Cartaginefi  . 

Non  eflendo  ricchezza  perenne  l'oro  e  l'argento,  interro- 
ghiamo le  nazioni  ftefl'e  per  fapere  che  cofa  intendano  per. 
ricchezza .  Ricchezza  (  rifponderanno  )  è  pofledere  ciò  che 
forma,  la  (labile  fufliflenza  e  confiftenza  della  nazione,  e  può- 
appagare  le  richiell9_  di  chi  ne  fcarfeggia  col  proprio,  fuper- 
iluo.  Specificate  di.  grazia  (  dico  io  )  qual  Ila  codefto  fup  r- 
ftuo  che  reputate  ricchezza...  Significa  (  dice  la  focietà  ngri- 
cola.  )  abbondar  di  prv  dotti  naturali  per  fé  e  per  altri.  Sono, 
io  dunque  la.  ricca  che  di  tante  fpecie  ne  produco  .  Ric- 
chezza (  dice  la  manifattrice  )  è  l'abbo^Tdanza.  de'  miei  la- 
vori, pc' quali  m'impoffcflb  de' prodotti  degli  agricoli  ad  onta, 
dell' ing-^ato  mio  terreno.  A.  me  (  ripiglia  l'audace  nazione 
navigante  )  che  né  produco  né  lavoro  ,  nulla  manca  ,  parche 
altre  abbìaofi  derrate  e  manifatture  da  fmaltire  .  I  miei  uo- 
mini i  miei  legni  fono  le  mie  ricchezze  ,  e  per  eflì ,  fenza 
altro  f  >ndo  da  avventurare  ,  col  trafportar  ciò  che  'le  altre 
prifleg^ono  ,  le  pongo  a  contribuzione  ,  e  mie  diventano,  Is. 
loro    ricchezze  .. 

Qual  di  effe  vanta  ragione  meglio  fondata?  Per  rilevarlo,, 
neir  iporefi  che  ognuna  fcarleggi  di  alcuna  co^a  ed  abbondi 
di  un'altra,  pongh.iamo  un.i  fiepe  intorno  a  ciafcuna  .  Q_ual 
di  loro  fuflìfterà  da  fé?  Non  fi  dirh  che  la  manifattrice  pof- 
fa  fuffillere  fé  la  chiu/lete  ,  perché  e{!C:i  non  ha  fondo  onde 
attinga  i  mezzi  di  alimentarfi  .  Uti  moderno  ottimo  ragio- 
natore, il  fig^.  Mengotti,  aggiungerà  in  vece  mia  che  un  pò- 
t'io  privo  di  territorio  e  di  darrar^- ,  e  compoflo  di  foli  mani- 

fitt-i 


.  '7t 

f attor)  ,  i  coflretto  a  dipendere  d/iglt  flranìert  ,  da  quali  fico- 
nofce  1(1  fuJplìeriTia  (i).  Un'ifola  di  altro  non  fornita  che  di 
uomini  e  di  iegni^  farh  tanto  più  povera,  fé  Ja  guerra,  uti 
blocco,  o  un  contagio  la  chiuJa,  o  la  renda  nemica  di  alrri 
popoli  ,  quanto  far^  più  di  navi  '  e  di  uomini  provveduta; 
tjuedi  p;r  mancanza  di  nutrimento  ,  quelli  di  mezzi  da  raf- 
fettarfi  o  corredarfi,  p2riranno.  Adunque  la  fola  popolazione 
agrico'a  che  per  alimentarli  non  abbifogna  che  di  fé  (ìefla, 
fcnza  d  pendere  da  veruno,  è  pofledirrice  della  vera  ricchez- 
za .  Chiudete  p.  e.  le  Calabrie  o  la  Sicilia  per  qualunque 
ragioni  con  recinto  infuperabile,  ìa.  Sicilia  e  le  Calabrie  ric- 
che di  frumento  ,  dì  vino,  di  olio,  di  cottone,  di  canape, 
di  lino,  di  feta  ,  di  lana,  di  ogni  fpezie  di  prodotti  ,  e  di 
alveari  e  di  pafcoli ,  fulFifteranno  e  riprodurrà  ino  felicemen- 
te. Pur  troppo  è  vero.  La  nazione  agricola  non  manca  ài 
foflenramento ,  e  ad  ogii  altra  per  quelto  capo  fo v ralla . 

Pure  arrediamoci  di  grazia  un  momento  ,  e  foffrite  una 
domanda.  Sarà  perciò  tanto  ricca  da  procacciarfi  compiuta- 
mente e  fjmpre  quanto  riihiede  uà' agiata  fuflìllen za  ?  Voi 
la  fupponete  priva  delle  arri,  e  taluno,  fé  alcune  glene  ac- 
corda ,  app-'na  quelle  fole  arti  le  permette  che  fon  di  prefi- 
dio  alla  coltivazione  perchè  fiorifca  .  Voi  non  le  darete  né 
anche  commercio  ,  o  almeno  non  gliene  date  uno  attivo . 
Suflifterà  ,  vivrà,  è  v?ro  ,  in  preferenza  delle  altre  .  Ma  a 
qual   patto  ?  ma  fino  a  quando  ? 

Udite  fé  vi  par  giufto  .  Suffifterk  r  purché  mi  afficuriate 
che  la  riproduzione  lia  fempre  felice  e  coftante  ,  e  non  g  k 
che  ad  una,  a  dui ,  a  tre  tertili  annate,  ne  fuccedano  altre 
in  pari  o  in   maggior    numero  infelici  .    Suflifterà   2    purché 

*  mi 

(O  Francefco  Menijotti  nel  tomo  II  pag.  90  del  Colbertifmo    dell'edizio- 
ne Milanefe  del  i8o8j 


'7* 

mi  aflìcuriate  che  non  foggiacela  a  guerre ,  blocchi  o  ad  al- 

tri  flagelli  che  le  divietino  di  tirare  a  fé  i  metalli  Qra- 
nieri  rapprefetitami  delie  cofe  che  le  mancano  .  Sulfiflerà  3 
purché  il  bifogno  di  derrate  continui  fra  vicini  o  lontani 
per  difonerarf»  del  fuperfluo .  4  Purché  non  crefcano  eforbi- 
tantemente  di  prezzo  le  altrui  manifatture  ,  e  le  altre  cofe 
che  le  bifogaino ,  e  non  venga  aftretta  ad  un  eccedente  dif- 
borfo  di  prodotti  che  oltrepaffi  il  proprio  fuperfluo  peracqui- 
ilarle .  5  Purché  abbia  fempre  alla  mano  legni  o  proprii  Q 
locati  (  che  talvolta  può  avvenire  che  manchino  )  per  tra- 
fportare  a  tempo  i  fuoi  prodotti  a  chi  ne  fcarfeggia.  6  Pur- 
ché non  fia  prevenuta  nell'efitargli  da  altra  nazione  agrico- 
la più  diligente  e  più  accinta  a  foflenere  fenza  fvantaggiy 
la  concorrenza  ;  perchè  niuno  ignora  che  non  fono  pochi  i 
paefi  agricoli  nel  noftro  emisfero.  7  Purché  le  cavallette  non 
invadano  e  non  divorino  con  l' erbe  e  le  piante  le  fue  fpe-  < 
ranze.  8  Purché  conio  fmaltimento  del  fuperfluo  poflàugua-^^4 
gliare  fé  non  forpafl'are  la  pro{)ria  neceffita  di  armarfi  ,  di 
cingerfi  di  rocche  ,  di  alzar  argini  ,  di  aprire  ed  appianare 
ftrade  ai  trafporti,  di  gittar  ponti  fu' fiumi,  di  coprir  la  nu- 
diti de' coloni  e  de  foidati ,  di  foddisfare  a  tutti  i  peQ  dello 
flato  .  p  Purché  ,  per  finirla  ,  inondazioni  ,  ficcita ,  eruzioni 
vulcaniche,  diluvii,  tremuoti  non  interrompano  il  corfo  na- 
turale delle  produzioni. 

Ma  fé  tali  condizioni  non  Ci  verifichino  almeno  in  gran 
parte,  fé  la  coltivazione  o  diminuifca  o  fi  tenda  inutile  per 
uaa  abbonianza  fovente  micidiale  nella  penuria  delle  fpccie 
e  di  fmercio:  che  cofà  addiverrà  della  nazione  puramente  a« 
gricola?  Oirbè  .'  come  faprete  indicarmi  di  quanto  l'abbon- 
danza precederne  infruttuofa  e  la  mancanza  delle  fpecie  abbia 
intepidito  1' arder  fucceflìvo  per  la  coltivazione,  o  di  quanto 
i  prodotti  faranno   riefciti  infsrioti  alla  copia  de'  bifogni_,   io 

vi 


.'73 
vi  dirò  fubito  fra  quanti  anni,  ne'quali  verr^  da  narrati  di- 
faftri  percofla  »  d<:clinerà  e  quindi  fallirà  perfettamente  la 
nazione  agricola  la  più  feconda  produttrice  di  frutti  rinafcea- 
ti  (i).  Abbiamo  qui  bifogno  di  accurauLir  citazbni?  Diaft 
un'occhiata  alla  (ioria. 

Concediamo  però  che  le  derrate  fieno  vera  ricchezza  delle 
nazioni  >  e  ricchezza  permanente,  immancabile,  più  che  fuf- 
ficiente  a'bifogni,  e  che  vi  gettino  innanzi  un  teforo  incal- 
colabile per  me-jza  del  loro  fuperfluo  .  Degnatevi  però  in- 
fegnarmi  che  cofa  dir  fi  voglia  fuperfluo  di  una  nazio- 
ne .  S'  io  mi  appongo  ,  fuperfluo  fi^nifica  quella  maffa  di 
prodotti  che  non  può  confumarfi  in  cafa.  E  perchè  ciò?  Per- 
chè la  popolazione  far^  minore  di  quel  che  potrebbe  nudri- 
re  r  eftcjnlione  del  territorio  e  l'abbondanza  de' prodotti .  Ma 
fé  la  popolazione ,  fecon^io  i  voti  e  lo  fcopo  de'  fag^i  gover- 
ni, fi  aumenterà,  forza  è  che  il  fuperfluo  diminuifca.  Nò, 
mi  fi  dira;  perchè  colla  popoJazione  crelceranno  anche  i  pro- 
dotti ,  diffodanJori  le  terre  che  rimanevano  tuttavia  in.oue. 
Ortiniamenie;  anzi  quella  faià  la  più  gloriofa  onorata  cjd- 
quilfa  che  far  pofla  un  popolo  fenza  ingiuOizia,  fe.iza  fpar- 
gimento  di  fangue,  fenza  fufcitar  gelofia  ne' vicini.  Ma  com- 
piuta la  beila  operazione  di  aver  ridotto  tutto  il  territorio 
a  coltura,  crefcerh  a  proporzione  la  popolazione,  ed  allora, 
ed  in  appreflb,  g.li  refteranno  terre  da  diflbdare  per  ottenere 
un  fuperfluo?  Se  crefcera  la  popolazione  a  fe^no  che-  tutta 
giung.a  a  confumare  la  domeftica  ricchezza ,  e  più  non  riman- 
ga fpanna  di  terra  da  coltivare  per  aumentare  i  prodotti  , 
converrete  meco  che  non  fi  avrà  più  fuperfluo  di  forra  veru- 
na .  Allora  come  foddisferà  a'bifogni  ulteriori,  come  compre- 
rà le  maniiauuce  che  gH  mancano,   come    fupplirà  a  i    pefi 

COG- 

(0  Per  fimili  confidera^ioni  ftrfe  Feri^iaando  Gnliani  chiama  il  paefe  agri- 
ola  H  pia  infilici  (iti  mondo.  Vedi  i  fuoi  pregiad  piah^iitt  dts  iledr . 


174 

continui  e  contingenti  ^deIIo  fiato?  S' indebiterà . Ecco  un  nua- 
vo  motivo  d'impoverire.  Il  danaro  che  avrà  accumulato ,  cor- 
rerà dietro  alle  cofe,  puiìerà  agli  efteri  ,  lo  (bto  li  fpjlfetà, 
e  forgerà  una  nuova  malattia,  il  debito  nazionale.  Tutto  in 
feguitofi  compreià  a  crediro.  Le  nazioni  iaduUriofe  fi  ap- 
profitteranno delle  circoftanze  dolorofe  del  paefe  puramente 
agricola;  e  mentre  lo  nudrifcono,  l'abb-gliano ,  lo  tornifcono 
di  quanto  abbifogna  (co. ne  ix-ro  per  gran  tempo  gl'Jnglefi 
liei  Portogallo  malgrado  degli  sforzi  di  Pombal  )  gli  coni- 
municheranno  nuovi  blfogni,  nuovi  deiiderii,  i  coftumi  pria 
ma  d' ingentilirfi  fi  corromperanno  :  il  lufl'o  vi  penetrerai  pri- 
ma delle  arti  ;  gli  agiati  faranno  nelle  vendite  defraudati ,  i 
bifognofi  oppredi  dalle  ufure .  Sparito  il  danaro  languirà  la 
coltivazione,  le  impofizioni  aumenteranno  ,  la  popolazione 
numeroia  diventerà  pefo  e  non  follievo,  come  nella  Nigri- 
zia  e  nella  China,  e  comincerà  paflb  palTo  a  divenir  minore 
o  fuccombendo  al'a  miferia  o  difertandu;  la  rendita 'naziona- 
le diminuirà  di  giorno  in  giorno,  e  lo  fiato  oppreffo  dal  pro- 
prio pefo  cadetk  ad  alienare  il  demanio  tanto  di  terre  quanto 
di  diritti,  e  ne  proverranno  anarchie  e  difpotifmi .  In  tal  po- 
fizione  quale  fcampo  avrà  l'agricoltore  addetto  alle  glebe  ,  at- 
taccato come  Prometeo  al  Caucafo?  Potrebbe  trafporiar  feco 
alfove  i  fuoi  campi  ,  come  farebbe  il  manifattore  degli  ftro- 
menti  della  fua  arte  ?  Egli  fi -rimai rà  inchiodato  allo  flato  a 
rodere  le  fue  catene.  La  Turchia,  Ja  Polonia  prima  degli 
ulteriori  ftrepitofi  eventi,  e  qualche  altro  paefe  anche  pura- 
mente agrario,  in  fimili  difaiirofe  congiunture  poflbno  addi- 
tarci l'immagine  de'paefi  che  altro  non  fanno  che  coltivare. 
Simifi  paefi  fi  troveranno  abbandonati  alla  ferviiù  ,  all'indì- 
g-nza,  agli  orrori  non  infrequenti  delle  carelHe,  ridotti  a'Ie 
fole  produzioni  delle  terre,  le  quali  in  tal  fortuiolb  fiato  (1 
coltiveranno  ancor  male.  Dipingetevi, Tulle  tracce  dei  preci- 
tato 


,  '75 
tato  Mengotti,  o  de'feguaci  di  Quefnay,  quanto  volete  in 
bello  il  paele  agrario  allorché  fiorifce,  chi  lo  folleverà,  ca- 
duto che  fia  una  volta  in  tanta.  opprefTione,  in  tale  avvili- 
naento?  Quella  ferie  di  confeguenze  manifefte  a  chi  medita, 
con  principii ,  5/à^^tf  deplorabilmente  a  chi  è  condannato  a  cO'. 
piare .. 

Allontaniamo  da  noi  sV  trifìe  idee.  Rimangafi  il  paefe  a-- 
•ricola  nella  fua  floridezza  maggiore,  rinafcano  ognor  più 
copiofi  per  lunga  ferie  di  anni  i  moltiplici  fuoi  prodotti,  il 
fuo  fuperfluo  fupplifca.  pienamente  ai  bifogni  della  popolazio- 
ne e  dello  flato.  Per  qual  via,  ditemi, efl'o  tira  a  fé  le  ric- 
chezze firaniere?  Pel  traffico,  mi  fi.  rifpondera.  Compariamo 
dunque  per  un  momento  ii,  commercio,  de' frutti  della  colti- 
vazione e  delle  manifatture  .  Qualche-  noftro  illufìre  fcrittore 
gli  ha  pur  comparati  (i),  volgiamoci  ancor  noi  uno  fguardo. 

Vuolfi  in  prima  offervare  che  il  maggior  vantaggio  di  ua^ 
genere  deftinaio  al  commercio  confifte  nel!' ottenere  il  mag- 
gior prezzo  fotto  il  minor  volume.  I  frutti  del  campo  in 
natura,  fpecialmente  il  frumento, che  n'èil  vello  d'oro  del- 
la greca,  mitologia  e  l'aurea  mefle  della  poefia  latina,  varrà 
meno  di,  ogni  altra  cofa  in  proporzione  del  pefo  e  del  luogo 
che  occupa.  L  preziofi  metalli  del  Nuovo  Mondo  ,  le  pene 
dell'Eritreo,  le  gemme  di  Gomorin,  di  Golconda,.  del  Bra- 
ille, le  mofelline  di  Bengala,  occu'.iano  affai  minor  luogo  de 
frumenti,  della  Sicilia,  delle  lane:  della  Puglia ,, degli,  olii  delle 
Calabrie  e  di  Maffa.  e.  di  Valenza,  de' vini  di  Somma,  di  Gra- 
gnano,  di  Siracufa,  e  di  Malaga,  di  Chianti  &c..  e  tirano  in 
feno  di  chi  gli.  poffiede  copia  mirabilmente  maggiore  de' pro- 
dotti della  coltivazione  di  gran  pefo  e  di  gran  volume.  Pre- 
zi  ofo.,  è  un  carico  di  fera  delle  Calabrie,  d'Ila  Sicilia,  di  Va- 
lenza, ma  tutta  occuperà  una  gran  pjlacca,ra  dove  fé  fi  la- 
vo,. 

(^1)  Dii'.o^uts  dti  bleds.. 


17^ 

vorerà  ne'  telai  di  Firenze ,  di  Genova  ,  di  San-Leucio  ,  di 
Francia,  di  Olanda  in  velluti,  rafi  ,  zendadi,  fanpareglie  , 
baiavie.,  levantine,  ne  occupeik  là  (dh  parte,  e  produnk  il 
decuplo  di  guadagno.  La  lana  di  Spigna,  d' Inghilterra,  delle 
pecora  gentili  della  Pugiia,  riampia  un  groflb  naviglio  di  Ra- 
jju^a  che  la  trafparti  a'  miriifittoa  ,  e  produca  al  proprietaria 
p.  e.  feimila  piatire;  fé  tal  carico  fi  convertirà  in  panni  di 
Segovia  e  di  San-Fernando,  in  ca'^tori  di  Olanda,  d'Inghilter- 
ra, di  Sedan  ,  di  Abeviile, arricchirà  i  raanifattori  di  venti- 
mila almeno,  ed  occupe.à  fjrfe  la  quarta  parte  de-1  naviglio. 
Una  libbra  di  lino  che  (i  merca  con  tjn  nolho  tari,  divenu- 
ta merletto  in  Fiandra,  in  Val-ncieone,  in  Alanfon  ,acqui(la 
il  valore  di  cento  piaftre  (l).  -Un  rotolo  di  ferro  al  più  ca- 
ro .prezzo  fi  venderà  mezza  pialtra  ,  lavorato  in  uaa  ferratu- 
ra da  mano  Jnglefe  ,  può  cangiarli  in  una  produzione  d*  ia- 
duRria  di  fgi  zecchini,  temperato  l'itletTo  pefo  di  ferro  per 
formarfene  una  canna  da  schioppo  in  Napoli  o  in  Barcellona 
varrà  poco  più  di  uno  zecchino  ,  crefcendo  di  pregio  in  Bi- 
fcaglia  fi  venderà  dieci  ,  perfezionata  all'eccellenza  in  Ma- 
drid frutterà  all'armiere  felTanta  dobble.Qual  difproporzione 
fralle  materie  prime  e  le  manifatture  che  ne  rifultano? 

Ma  qui  (  malgrado  di  una  folla  di  etìmii  ragionatori  di- 
chiarati p'r  le  manifatture  ,  quando  trattafi  di  guadagno  à 
fronte  de'femplici  prodotti  campeftri  )  ci  attraverfa  il  cam- 
mino il  [-relodato  valorofo  fcrirtore  Mengotti.  E  vool  dimo- 
flrarci  che  la  d  fferenza  di  prezzo  e  di  guadagno  tra  mani- 
fatture e  materie  prime  fia  una  pura  ìllufione^  e  che  non  è 
vero  che  le  arti  moltiplichino  il  valore  delle  materie  prime, 

co- 

(i)"  Le  materie  prime,  dice  Mélon,  aumentano  proJi^iofamente  paffando 
in  potere  del  manifattore  ".  t/»je  livre  de  Un  divenne  denteile  faìt  plus  ^ue  cen- 
jupler .  Così  avea  già  detto  Bernardo  Ulloa  ,  Tommafo  Uiìarit,  loht»  Cary, 
H  «a  feguito  Antonio  Genovefi  &c.  &c. 


'77 
come  vero  non  è  (  notate    lllufirl  afcoltatorì  )  che  una  im- 
magine sola  veduta  in  uno  fpeccbio  a  cento  facce  ft  mohiplicbi 
in  realtà  come  appare  (i).    Ciò  vuol  d're,  s'io  m'appongo, 
che  fc  una  libbra  di  lino  che  vale  un   ducato,  divenuta  mer- 
letto ne  vale  cento,  sarà  una  illufione  ,  ai  fuo  dire,  e  quell' 
««0    è    moltiplicato    folo    in    apparenza   in  cento  ,    e  noti  in 
realth?  Ma  quali  prove  ne  adduce?   Eccole.  "  Perchè  (   dice 
il  fignor  Mengotti  )    il    manifattore    noi    è   folo   a    lucrare 
que'cento  feudi,  lavorando  iecoiui  chi   fila,  chi    fcardaffa  ,  chi 
teflè  ":  di  più  perchè  n.'ila  maniattura  li  contien;  il    prezzo 
delia  materia  prima,  ed  il  tonlumo  dell'artefice  per  foltenerli  ". 
Analizziamo  fiffatte  prove  .  Non  potrà  egli   negare  in    prima 
cflere  inutile  contare    il    prezzo  della    materia    prima    perchè 
fé  ne  ha  ragione  nell'ipoteli,  ed  è  liquidato,  e  fi  conta  p.-r 
uno,    e  fi  contuplica  nelle  mani  del    manifattore.     Vuol    to- 
glierfi  in  oltr«  il  confumo  di  eflo  manifattore,  il  cjuale  an- 
cr,r  non  manifatrurando  consumerebbe,    e  la  It.'lTa  cofa  dicali 
di  quei  che  conLorrono  al  lavoro,    e    la  focietk  dee   contare 
il  confumo  per  ifpefa  e  non   per  rendita  ,  e  quando  pure  vo- 
leffe  toglierfi  alcuna  cofa   pel  confumo,  farebbe   una   fpecie  di 
frazione  a  petto  di  cento  scudi  di   prezzo  e  guadagno.  Final- 
mente dee  toqlierfj  dal  conto  dfll'oppofitore  l'opera    di    chi 
fila,  di  chi   fcardaffa  e  di   chi  tefls ,   perchè  qucfle  msni  non 
fanno  parte  della  coltivazione,    ma  fono  fezioni  della    mani- 
fattura .  Or  che  cofa  rimane  da  compars rfi    fé  non  il    valor 
proprio  della  materia  prima,  e  quello  della  manifattura  ?  Di 
grazia  diremo  lanamente  illufione  che  cento  fieno  piij  di  u:o? 
Trovate  voI,illullri  colleghi  e  aftoltatcri,  raffomiglianza  ra- 
gionata di  quella  evidente  realità  con  una  inirnagitte  fola  re- 
plicata in  apparenza  in  \ì\\o  fpecchio  a  cento  facceì 

Tonj.ll.  2  3  or- 

co Mengotti  nel  capo  V  dtllt  Manifétture  nella  fua  differiaxione  ielC*!- 
bercifmo . 


178 

O^rerv'o  poi  con  pena  eh'?  fifFitta  pretefa  illurione  pofla  ìa 
ca  npo  venga  accom.agnau  Ha  altri  noo  dkffunili  raiiocinii 
del  va'oruto  avv^erlariu  Jel  Colber tifino.  Suppone  che  il  me- 
r'to  eh?  dinj  «li  artUÌi  alle  maiititrure  .non  in  altro  con- 
futa ciie  ntW  alto  lori  pr;; zzi  ^  ed  argoraema  dall' afl'urdo  che 
ne  rifalta  p  r  ne^aroè  ■!  prezzj  e.\  il  gu.idagoo  .  Vi  pire 
chj  fiborichi  fopra  fjliJo  tonJameoto  ?  Al  centrarlo  egli  do- 
vei poitare  la  propria  acu'e^za  ad  avvertire  che  non  il  me- 
rito del  lavoro  cou^ilta  nell'alta  prezzo,  ma  sj  bene  che  l' 
alto  prezo  neceinriamente  di'^c^nla  dal  merito  ,  Il  valore 
della  mioif  ttura  non  ri  ulta  punto  dal  farla  coftar  più  che 
fi  polfa,  ma  beisi  dalla  necelTita  che  fé  ne  ha,  dall' importan- 
za di  eda,  dalla  dilicatezzi  ed  eccellenza  e  dalla  preltezza 
di  lavorarla  cosi  perfetta  che  non  pofifa  cadere  di  pregio  ve- 
nendo al  paragone  di  un'altra  fatta  con  ugual  maeiiria  nia 
in  più  lungo  tempo.  In  tale  ipot-'fi,  a  tutt'altra  cosa  ugui- 
li  ,  chi  fatica  pù  lentamente  d.;rk  luogo  al  manifa'tore  p  ìi 
follfcito  di  condurne  a  capi  due,  e  nella  concorrenza  il  ;;;  ii 
attivo  venderà  a  mii^lior  mercato  del  più  lento,  pT;hè  rif- 
parmia  tempo  e  fpefa  nel  Tuo  confurao,  fenza  Icemar  punto 
il  merito  del  fuo  lavoro  (i^\ 

Vi 

(i)  Né  anche  femSrami  giuda  la  di  lui  afTeriione  generale  che  ^Vi /chiavi 
ahborrìfca'io  ogni  indu/iria  .  Veri)  è  che  chi  nai'ceva  in  fervitù  ,  ed  era  con- 
tato in  Roma  traile  cole  più  che  tra  gli  uomini,  non  poteva  non  abborrire 
il  pidrino  ,  ed  i  lavori  rurali  a""  quali  erano  i  fervi  condannati.  Ma  i  padro- 
ni, pe' quali  gli  Ichiavi  acquillavano  ,  molti  ne  educarono  con  maggior  cura 
desinandoli  ad  ufficii  non  vili,  ed  alle  arti  ed  alla  letteratura  ;  e  quedi  vi 
fi  didinlero  non  rare  volte,  e  divennero  utili  e  cari  ai  padroni  ,  e  ne  otte- 
nevano la  libertà,  end' è  che  tra  effi  conraronfi  letterati,  filofofi  ,  uomini  di 
fiato  afcefi  alle  prime  dignità  della  repubblica,  non  che  mariitattori  pregevo- 
li. GP  ingenui  coltivavano  le  arti  e  le  fcienze  dimolati  dalia  gloria  (  honot 
elU  artes  ,  diceva  Cicerone  );  gli  fchiavi  in  Roma,  quando  non  mancavano 
d'ingegno  ,  le  coltivavano  eccitati  da  doppio  rtimolo,  amor  di  gloria  e  deflo 

di  libeità  .  . , 

AI- 


*7P 

Vi  Mancherei  foverchlo  ,  fé  infifteffi  ancora  fu  altri  firn. li 
ragionai'  del  ciotto  Mengotti .  PalTo  dutiijue  a  continuare  la 
compdrazione  delle  matilature  co'pr^>dotti  campeliri. 

Chiude  il  maoifattore  in  cafa  i  fuoi  lavori  e  ripofa  tran- 
quillo: il  coltivatore  laf.ia  i  prodotti  all' ap-rto  efpolti  aio- 
culle,  a  Torci  campagnuoli,  ad  uccelli,  a  bufere,  a  rempefìe, 
ad  uomini  rapaci  .  Il  manifattore  lavora  ugualmente  in  fac- 
eia  al  fole  ed  al  lume  della  lucerna  ,  e  raddoppia  il  valore 
dei  fuo  profitto  giornaliere:  l'agricoltore  al  cader  fui  campo 
alte  li  ombre  del  monte  fofpende  l'aratro.  Il  manifattore  an- 

*  cor 

Altro  paralogismo  par  che  contenga  ciò  che  egli  dice  delle  filatric'i  di  Coo, 
e  delle  manfatrure  di  piz7.i .  Le  feirmine  di  Coo  filavano  con  fufi  di  gun- 
gn  loitiliinmi,  e  con  q-iel  filo  teirei'aiill  ll^'fF.-  voluttuofe  ,  legoe-iruTie  e  tra- 
Iparenri  che  valevano  moltiflTimo ,  come  Plinio  racconta  (  lib.  VI,  e.  17.  ); 
ma  quefte  filatrici  non  erano  piìi  ricche  di  quelle  di  Samo  ,  di  Delfo  ,  di 
Lesbo.  E  da  ciò  che  vuol  conchìudfre  ?  Che  il  lavoro  di  quelle  ftofTe  di 
Coo  valeva  poco?  Egli  smentirebbe  le  meJefi:Ti?  fue  citazioni  Hi  Ovidio;  i/e- 
yìrie  ani.  )  e  di  Properzio  .  Delle  merlettaie  dice  :  le  una  danna  con  un 
.paolo  di  lino  ta  un  lavoro  di  mille  feudi  ,  perch'  la  della  donna  non  è  ric- 
ch'llìmj  ?  Altri  può  domandare  a  lui  :  perchè  chi  lavora  nelle  ricche  miniere 
e  ne  Iciva  tanti  telbri  ,  lucra  appena  il  Tuo  fcarfo  vitto?  Se  rifpondelTe  che 
chi  laverà  nelle  miniere,  Ilenia  pier  altri  e  non  per  fé,  a  lui  fi  replichereb- 
be ancora  fuUe  merlettaie  che  effe  locano  la  loro  giornata  al  minifirtore  , 
e  non  lavorano  per  fé,  e  f  opera  loro  non  è  che  una  parte  di  un  finimento 
di  pÌ7?'  . 

AnC'ir  più  Urano  mi  fembra  ciN  che  apsiiigne  intorno  a'  merletti  feriamen- 
te .  Se  l'arte  di  lavorarli  t^  si  ricca,  perchè  gli  uomini  compatriotti  delie 
inani'attrici  di  pizzi  non  fi  applicano  a  lavorarne,  eà  e'eg^o>io  il  mr'ìiere  di 
cariotain^  e  di  purqator  di  foq'ie  '  E  che  ne  coTchiiideremo  ?  Che  i  aite  di 
far  merletti  non  è  ricca  ?  Che  il  carbonaio  ed  1  purgator  di  fo^ne  fceglie 
sì  Vili  immondi  meftieri  come  più  lucroli?  G'i  fcel^ono  anzi  come  pi'i  faci- 
Ji  per  efl'i  dotati  di  forza  di  corpo  ,  e  difficili  a  piegarfi  ad  altro  lavoro  pili 
dlhcato  che  moftra  in  lontananza  il  guadagno,  e  dapineffo  lomma  fatica  ,  ed 
efii^e  pazienza,  induilria  ,  e  certo  sforzo  d'ingegno  che  mn  conofcmo ,  In- 
tarro  il  Mengotti  da  tali  premeffe  tira  quella  confeguenu  ,  che  le  cencnTt 
gamie  delle  merlettaie  fanno  chiara  fede ,  che  la  loro  arte  nsn  vale  a  moluplt' 
ccT  U  ricchez.ze , 


i8o 

cor  mancante  di  un  pleds  zoppicancJo  come  Vulcano  o  Fì- 
Jottete,  o  dall'etri  affievolito,  incapace  di  vagare,  non  cef- 
fa  di  giovare  a  fé  ed  alla  nazione,  e  lavora  ledendo;  il  cul- 
tore infermiccio  gemendo  fotto  il  pefo  degli  anni, 
Che  il  curva  e  preme  sì  che  porgli  un  monte  y 
incapace  di  levar  la  zappa,  di  menar  la  falce,  di  trattar  la 
fcure  e  la  ronca,  di  guidar  l'aratro,  di  fa'chiars,  inneRare, 
potare,  rimane  a  vegtar  preffo  al  focolare  ioutil  pefo  della 
gioventù  fana  e  vigorofa.  il  manifattore  ripone  il  lavoro 
in  un  armadio  o  in  un  gabinetto  ,  ed  attende  i  compratoci 
fenza  temer  che  marciTca  o  fcemi  di  quantità  o  di  frefchez- 
za:  il  cultore  fempre  incerto  per  li  fuoi  prodotti  gli  confer- 
va a  forza  di  una  cura  continuata.  Il  manifattore  lavora  e 
vende  in  ogni  tempo  :  l'agricoltore  non  può  lavorare  che  a 
feconda  d-lle  liagioni  ,  e  tutte  gli  fono  neceflarie  fino  alla 
vendita;  il  frumento  p.  e.  richiede  che  la  terra  fi  diflodi  e 
il  folchi  nel  ffeddoifi  femini  quando  il  tempo  lo  pprmetta, 
fi  raccolga  nella  ftjts,  fi  batta  e  fi  ftritoli  nell'aja  ,  fi  ri- 
ponga ne' granai,  fi  fmjova,  fi  cangi  di  fito,  fi  faccia  ven- 
tilare, attendendo  l'equinozio  di  autunno  ,  e  che  fi  ponga 
in  <Lommercio  nell'equinozio  di  primavera,  vale  a  dire  nel- 
la Cagione  meno  acconcia  a  traffijirs  per  le  tempere  nel 
mare  e  pe' ghiacci  ne' fiumi.  Ne  di  minor  cura  abbifogna  ia 
formazione,  la  confervazione  e  lo  fmaltimento  de' vini  ,  de- 
gli olii,  dilla  canape,  del  lino  e  della  seta.  Il  manifattore 
fa  correre  fenza  temer  di  fcapito  il  fao  lavoro  dal  vecchio 
al  nuovo  continente  :  il  coltivatore  non  ardifce  avventurare 
il  fuo  grano  o  la  farina  all'ecceffivo  calore  che  fotto  la  li- 
nea imputridirebbe.  Il  manifattore  fé  trova  competitori  in 
un  paefe,  aguzza  l'ingegno,  e  fi  ftudia  di  far  pendere  nel- 
la concorrenza  a  Tuo  prò  la  bilancia  con  la  fcelta  delle  mate- 
/ie  prime,  eoa  maeftria  e  delicatezza  affinando   l'opera,  con 

re- 


i8t 

recarla  con  preftezza  a  perfezione  :  Ik  dove  il  cultore  erpor- 
tanJo  il  fuo  prodotto  teme  ferapre  che  un  trafficante  più 
cìilig-'nte  lo  foppianti  col  prevenirlo  ;  ed  allora  il  prezzo, 
che  fpeffo  dipen'e  più  dalle  circolhoze  che  dalla  boota  del 
prodotto,  minoreik,  dovendofi  vendere  a  miglior  mercato  e 
forfè  con  ilvantaggio  per  non  accrsfcero  le  fpele  del  traffi- 
co riportandolo  in  cafa . 

Rifulta  da  quando  fi  è  detto  che  la  nazione  anche  pura- 
mente agraria  porta  in  circonanze  difaftrofe  fufTifteta ,  è  ve- 
ro ,  per  le  fae  produiloni ,  mentre  la  manifattrice  e  la  na- 
vigante forza  è  eh;  peran<> ,  fé  non  poflano  efll'r  provvedu- 
te del  fuperfl  jo  delle  agricole  .  Per  fupplire  però  l'agricola 
a  ciò  che  le  manca  ed  a'  p-^fi  dello  llato,  abb  fogna  delle  ar- 
ti. Ed  in  fatti  la  Società  Pootaniana  nel  fuo  progranfima 
prefuppone  che  debba  p^flederne,  e  l'iiìeffo  prelodato  autore 
del  Colbettisnio  non  pref^rifce  l'a-^rico'a  alla  mnifattrice  fa 
non  oujndo  nel  tempo  (lefTo  e  mamfarturi  e  rmjfi^hi .  S^  pe- 
rò l'ag'icola  s' intalentalTe  per  qualunque  motivo  in  detri- 
«unto  de*  proprj  doni  naturali,  di  convertirfi  in  manifatiri- 
ce  o  navigante  ,  perderebbe  la  propria  ricchezza  ^  che  da 
^uel  puntu  gli  tugi^irebbe  davanti  come  Itaca  ad  Ulifle  ,  o 
per  meglio  dire  a  foraiglian-'.a  del  cane  femplicione  fi  Lfce- 
lebbe  fcappar  di  bocca  il  pane  per  tener  dietro  ali'  ombra  più 
grande. 

Goardifi  dunque  il  paefe  agricola  dal  disnaturare  i  fuoi 
terreni!  Confervi  il  coltivatore  ni  nativo  carattere  tutta  la 
parte  capace  di  coltivazione  perchè  annualmente  riproduca  . 
Vegga  fenza  intermiffijne  ridere  i  prati,  biondeggiar  l'ajo 
di  grano,  verdeggiar  di  vici  e  di  ulivi  le  colline,  i  granili, 
i  magazzini,  le  cifteroe ,  i  ferbatoi  elevati  o  fottcrranei  ri- 
dondar colmi  di  frumenti  ,  di  olii  ,  di  vini  ,  e  di  tutti  gli 
altri  [efori  naturali.  Ma  perchè,  come  fi  è  olJsrv4io,in  con- 

gion» 


l82 

giunture  mcn  fel'ci  potrebbero  quèfti  teTori  naturali  frovar- 
fi  inferiori  ai  bi fogni  ,  s'ingegni  di  minorar  Cjueiii  b'fogni 
provvedenJofi  neiJa  propria  regione  anche  ài  n-ianifatture 
mij;lioratrici . 

A  tale  oggetto  protegganfi  le  inanifattu:e  fecondo  eire 
nel  programma  fi  efpone.  Ma  che  fignifica  proteggere  ?  Det- 
tar leggi  forfè  da  cagionare  itjvidia  re"  ccliivatori  pt;r  ec- 
citare il  guiio  delti  arti  r  Spiegar  per  cjuefte  una  deferenza 
eftlufiva?d  ftinare  i  foli  man. fattori  ?gU  opori  ?  Nulla  di  que- 
llo. Proteggere  le  arti  nel  pregiaiv.ma  vujI  dire  approvarne 
i  conati,  fecondarne  benignamet,te  le  indufine,  lafciarle  fa- 
re mettendofi  da' lati  ad  olTervarne  il  cor'o  ,  fchivar  di  ag- 
gravarle, accenderne  l'emulazione  perchè  tendano  alla  per. 
lezione,  ufarfi  da' migliori  del  popolo  domeiiici  lavori  per- 
chè tutti  gli  altri  ne  ufino  ancora,  facilitane  1' efportazio- 
ne  per  agevolarne  lo  fmercio  nella  concorrenza ,  non  avvilir 
la  coltivazione  in  grazia  d.^Ue  manifatture,  ma  applaudir  le 
inanifatture  come  prodotti  indultiioli  della  mano  e  dell'  in- 
gegno. 

Ma  quali  arti  in  un  paefe  agrario  vogliono  proteggerli  ? 
Taluno  ha  creduto  che  le  fole  arti  neceflarie  alla  coltiva- 
zione debbano  ammetterfi  e  fomentarli  ,  p.rchè  ha  fuppolto 
che  la  coltivazione  fenza  altro  prefidio  bafli  fempre  alla  pro- 
fperita  della  nazione.  Nò;  quello  farebbe  lo  fteflb  che  lanciar- 
la  puramente  agricola.  Tutte  le  arti,  a  mio  avvilo,  poflb- 
no  contribuire  a  fcemarne  i  pefi  ed  i  bifo.ni  ;  tutte  le  arti 
che,  indipendentemente  da' prodotti  rurali,  attirino  nel  pae- 
fe o  i  generi  che  vi  fi  defiderino  o  i  metalli  che  gli  rap- 
prefentino,  tutte  meritano  il  favore  indiretto  de' governi  . 
Nonpertanto  alcuna  ve  ne  avrà  che  trovi  nel  paefe  ag'-ario 
facilità  dì  fornirli  di  materie  prime  colla  perfezione  che  l* 
arte  richiede,  di  br4ccia  cooperatrici   eferciiate  ,   di    maefìri 

in- 


iooegoofì  e  idonei  al  lavoro  al  paefe  confacente.  Or  quelt 
ane  conviene  che  fi  pref^rif-a;  vale  a  dire  l'orologeria  in 
Ginevra,  la  fab-rica  di  freccili  e  crift^lH  in  Venezia,  in 
Bjemid  ,  in  fan  iKiefonfu  ,  in  fonderie  nella  Svezia  ed  in 
Binniiga.n,  g'i  a^lii  e  le  fpille  in  Germania  ,  le  telerie 
njlle  Siìen.;,  i  piizi  nelle  Fiandre,  i  lavori  di  tartaruga  in 
Napoli,  le  porcelane  nella  China  ,  in  Dresda,  in  Napoli, 
ed  :n  Madrid  ,  i  lavori  di  ventioelie  ,  di  feta  vegetabile, 
di   lana-peltc   in  Terra  d'Otranto. 

Tutti  coav:*nPono  che  nel  temoo  fteflb  che  l'agricoltura 
fi  confiderà  come  la  bafe  d.'lia  ricchezza  nazionale,  fia  pi- 
rimente  la  genitrice  delle  ani  (i)  .  Ma  fi  avverta  che  ab- 
bonda'i.lo  in  un  paefe  le  materie  prime  ugualmente  che  i 
panegirici  en'ufiafti  de' lavori  dell' iodafìria  può  faciliflTima- 
m^nte  awenre  ciie  la  voglia  di  manifatrurare  fecondata  dai 
fucceffb  prendelTe  foverchia  voga  :  che  cohivandofi  le  arti 
prima  per  foriegn)  d -U' a'^ricolrura  ,  indi  per  commodo  del 
reftj  della  (lato,  in  file  perchè  celli  li  ,rrib,^ta  che  fi  paga 
per  ignoranza  agli  efteri ,  le  arti  tutte  fi  efercitaflero  di  ma- 
no in  mano  con  pericoloso  eccenfivo  trarporio :  che  l'agricol- 
tore s' inna-noralfe  di  un  m.'lliere  mno  laboriofo  e  di  mag- 
gi'jr  guadagno,  e  palTafle  tra  gli  artieri  che  lucrano  feden- 
do, e  coir  efempio  creafle  d^'profditi  ,  ed  involale  troppe 
braccia  alla  coltivazione.  Ora  quelli  è  appunro  il  cafo  io 
cui  le  ani  foverchio  protette  nocerebbero  al  paefe  agrario; 
quello  è  il  calo  in  cui  il  legislatore  dietro  i  fu^erimenti 
della  fazgezza  interporrebbe  lo  fvjettro ,  non  del  rigore  e 
della  forza  raa  della  oen  fica  infinuizione  ,  perchè  le  arti 
Don  trafcenddoo  i  limiti  che  elìge  la  natura  delle  terre  agri- 
cole j 

(0  mio»,  Urtarii,  M  lon,  Genovelì,  Du  Tor ,  Vèrri  &c.  .  Mi  quaa- 
do  pure  niuao  l' avelie  detto ,  non  farebbe  ciò  vero  i 


2^4 

cole;  quefto  è  il  cafo  che  rìcliiecle  che  s'Indaghi  quanta 
parte  delle  terre  e  delle  braccia  potrà  toglierfi  alla  coltiva- 
zione per  confagrarfi  alle  manifatture  . 

Iti  urrà  vada  regione  agraria  che  avefl*e  (  fingafi  )  fei  mi- 
lioni  di  abitanti,  ne'quali  fi  concenefle  una  decima  pafte  di 
più  della  mena  di  donne  rreno  atte  alla  zappa  che  alle  arti, 
dovrbbe  drditarlì  la  meith  almeno  di  tutta  ia  popoiazioas 
air?gricoliura  eoo  tutte  le  fue  parti  ,  comprefì  i  paf.oli , 
gli  alveari  e  le  b'>lcai;lie.  Il  rimanente  potrebbe  tolerarft 
che  fi  rj,pan;ffe  tra' manifattori  e  naviganti,  fecondochè  il 
paefe  (  è  da  notarli  )  conterrà  più  o  meno  porti ,  rade,  ifole 
e  fiumi  fpecialmente  navigabili.  Che  Idreraj  in  prima  di 
tante  danne?  Le  impiegheremo  tutte  alle  campagne  a  tra- 
fpo:tar  uve  nelle  vendemmie,  biade  nella  fiate,  fardelli  in 
ogni  tempo?  Ci  contenteremo  -che  tutte  le  più  abjette  la- 
vino al  fi 'me,  attendano  alle  pentole,  preparino  il  defco  , 
xaccoliano  farmenti  ed  erbe  pe' campi  ,  fpii;olino  dopo  la 
raiGolta ,  fervano  In  citti  o  vendano  ceci ,  fave ,  e  frumen- 
tone abbraltolito,^  Ecco  utia  folla  di  braccia  da  togliere  alla 
Hiiferia  fcemandone  la  calca  e  popolasdone  i  telai  di  ftofie 
e  di  panni,  e  convertendole  in  ricamatrici,  in  merletta)?, 
in  filatrici  dil'care,  in  manifanrici  di  naftri  ,  in  farte  ,  in 
crrfiaje,  in  modifte.  Che  faremo  ancora  de"  noftri  fanciulli 
che  cammin^iao  verfo  l'adolefc^nzi,  non  atti  ai  duri  lavori 
campefiri?Le  ani  poflflino  iti  molti  di  effi  educare  i  miglio- 
ri tironi ,  i  quali  mentre  lucrano  in  ragione  dell'  eih  e  del- 
le fo'ze ,  progredifcono  nelle  arti  apprendendole  foodatamea- 
te.  L'agricoltura  nulla  perderà  fé  co' fuoi  prodotti  e  colle 
materie  prime  occuperà  e  natrirà  tanta  parte  della  popolazio- 
ne, che  farà  il  femenzajo  de' manifattori  confumati .  Quan- 
to agli  adulti  e  maturi ,  la  fteffa  natura  aflegna  loro  le  ri- 
spettive applicazioni  a  feconda  de'  talenti  più  o  meno   difvi- 

Jup- 


lappati  e  della  loro  (5(icft  eoftitnzione.  Gli  organi  interiori 
di  uaa  graa  parte  di  codeiti  eflari  telTjtì  di  fibtjre,  di  mufco- 
li  e  di  nervi  vigorofi,  pefanti ,  di  afpetto  truce  o  fatirefco, 
«e  formano  tanti  Ercoli  roroli  e  membruti  atti  ad  improbe 
fatiche  materiali;  or  perchè  togliere  quefle  robufte  macchine 
ai  campo  che  le  attende?  perchè  fperarne  artieri  che  abbi- 
fognano  d'ingegno, di  agilità, di  acutezza  di  vifla  e  di  delica- 
tezza di  tatto?  Ecco  la  parte  chi  fenza  p.-rdira  dell'agricol- 
tura può  l'erbarfi  alle  arti  .  Io  ora  non  ofa  dire  ,  fi  quella 
parte  prefceita  debba  comprendere  la  decima  o  dodicefima  o 
vigefima  degli  adulti  e  matuii  ;  perchè  una  fina  organizza- 
zione, un  talento  fleifìbile  ed  una  m  *nte  acuta  ,  fono  prero- 
gative che  non  fi  accoppiano  fpefliffimo  ed  in  molti  ,  olire 
di  trovaifcne  più  in  alcuni  popoii  che  in  altri  .  Ma  fé  per 
o^ni  migliujo  che  fi  dedichi  alle  arti  ,  la  nazione  potrà  for- 
nire un  c;;ntinajo  di  maeftri  primarii ,  può  elevare  le  (uè 
fperanze . 

.  Qi'anto  al  territorio  da  efentarfi  dagli  efe-rcizii  rurali  , 
convien  parimente  confuhar  la  natura  .  Che  farà  il  paefe 
'agricola  delle  fue  alpelìri  montagne  ?  Che  d^'lle  terre  crcto- 
fe  ?  Che  delle  rade  arenofe  ?  Clie  de'fiti  paluihi  ?  Che  de' 
porti  che  la  natura  gli  -oncefle  fponfaneamenre?  Rimarranno 
tali  parti  del  fuo  territorio  infrutiuofe  per  fervir  di  ombra  e 
di  chiarofcuro  al  verde  quadro  delle  ridenti  campagne?  Q^uefte 
ineguaglianze  eh?  pur  le  abhellano  colla  varietà  che  ne  dilirug- 
ge  la  monotonia,  fé  vengono  per  neceffiià  abbandonate  da' col- 
tivatori,  non  poffbno  ricettar  fabbriche  proficue  e  manifat- 
tori indù 'riofi  e  c:)ncorrere  anch'effe  alla  floridezza  del  pae- 
fe? Q.ue' porti,  quelle  code  fcofcefe  in  faccia  al  mar-  rion 
poffono  .  .  .  che  dico  ?  non  debbono  anzi  eccirar  i'uiilfi 
brama  di  navigare  ed  invitar  con  moli,  torri,  fanali  e  ma- 
gazzini i  naviganti  ad  approdarvi?  Que'bolchi  anaofi  ,  le 
Tom.  IL  24  fel- 


lS5 

felve  qual  fu  un  tèmpo  1' £1*01011,  o    ^^^^  ^  1*    Sila  -del/* 

Cdlabra ,  non  invitaoj  iiicaffaDte.nenre  i  n).iritìcni  coPruito 
ri?  Pcr.hè  liflatta  terri  refilt mo  alla  b^n^fi.a  agricoltura, 
le  lafceremo  «.o'ioro  pantani,  colle  macchie,  co' canneti  ia 
preda  agl'infetti,  a'ierpenti,  ad  upupe,  a  gufi,  a  lupi,  a 
mafoaJieri  cha  vi  fi  appiattano  ,  in  vece  di  conlacrarle  alle 
manifatture  e  alla  navigazione  ?  P-^rchè  le  fponde  petro* 
fc  e  le  pendici  battute  dal  mare  G  abbandonano  in  potere  di 
alc^uanti  Glauci  e  Tritoni  fcalzi  ,  difcinti  e  mal  nutriti  che 
fienrano  a  folientarlì  per  mezzo  di  un  amo  ,  di  un  tridente, 
di  un  fardello  di  reti  e  di  una  filza  di  nalTe  ?  E  perché  non 
ifcuoterne  la  detid  a  che  dal  meJefimo  lor  melHere  pefJie- 
rc^cio  d  riva ,  convertendoli  in  tanti  fucceflbri  corasgiolì  ed 
attivi  de'Tirii,  de'  Pelafgi,  degli  Eìleni?  Le  colte  Afiti- 
cane  non  pra.^utfero  Annibale  terrore  dei  Campidoglio,  Gin. 
ba  i!'orico  filofufo,  Magone  agronomo  ed  Amilcari  ed  Afdru- 
bali  rocchieri  audci  che  insalerò  e  fvitcerarono  le  miniere 
Ifpane  pnma  che  la  Buflola  Nautica  Amalfitana  apriffe  quel- 
le dell' oppollo  emisfero  ?  L'Inghilterra  non  è  compolU  di 
agricoli,  di  manifattori  ,  di  commercianti  e  di  guerrieri? 
Le  Spagne  pofleditrici  di  ricche  miniere  e  di  fertili  terreni 
non  diitelero  ne*  primi  tempi  u  previdenza  a  chiu.lerne  i 
loro  preziofi  filoni,  per  approfirtariì  della  feracira  rurale,  ed 
intanto  videro  in  Siviglia  molte  migliaja  di  telai  che  te>fls- 
vano  u  a  q^antuà  prodigiofa  di  Ùoffe  pompofe  ,  e  corfero 
il  mare  oltre  la  linea  dietro  la.  fcorta  del  gran  Lisu'-e  ? 

In  fomma  finché  una  vera  (ìatilHca  icalt.a  ,  inJu;triora  , 
chiaroveggente  non  ci  additi  con  efattezza  la  qua.t:i  delle 
noftre  terre  che  indocili  refilbao  al  e  provvide  ferite  del 
vomere,  e  lì  ri.uaia  alla  falce  di'raettori ,  fon  di  avvi'o 
che  a  chi  doma  idi  qujnta  parte  del  noiìro  p-iefe  cjnlacrar 
fi  potrebbe  alle  maoifacture ,   e  6n   dovi  fecjadarle,   e    ooa 

p;ù 


187 

p'ìt  in  la  ;  potrebbe  rirponderR  che  /jueUs  t>aytf  'p5,Ta  detrar- 
fi  alia  cultivaz  one  che  per  natura  raffomiglia  alh  rtrre  ma' 
ntfattrUi  male  atte  a  produzioni  rurali^  q  .  quella  parte 
della  popolazione  che  fovrabbìndì  aW  agricoltura  ed  abbonda, 
d'ingegno  e  di  tale'iti  più  che  di  forza,  Efpri inaiò  Ja  ftefT^ 
foluzione  del  ploblema  in  termini  differemi-  Re/li  agraria  il, 
paefe  che  lo  è  tenacemente  fino  al  punto  in  cui  il  suo  terri- 
torio Jì  cllontana  del  proprio  carattere  agrario;  e  diventi  nid' 
nifntturiere  dove  non  può  prevalere  la  coltivaxione  ,  e  navi' 
gante  zerso  le  cojie .  E'  li  natura,  che  p^r  noi  oecide  ,  e 
Ifciuglie  il  problema:  è  la  filo.oha  che  lafcia  fcappar  Jal  iuo 
fcno  le  facre  icintilie  del  vero  che  ne  fcorgouj  v.rfo  il 
pubblico  be;ie  :  è  la  previd.nzt  le^'slatrice  chi  fega^nii- 
ne  il  lume  può  prot^g^ere  iodiretiam'nte  le  arti  f^nza 
pr-giuJizio  del  paefe  agricola  .  Ma  in  qual  maniera  polF» 
ciò  pia  acconciamente  confeguirfi ,  potrebbe  elTere  argomen- 
to di  un  nuovo  programma  .  lo  prendo  da  voi  commiato 
con  un  epilogo  che  mena   feco  un 

COROLLARIO. 

UN  pa?fe  puramente  agrìcola  efpofto  a  contìng-^nze  infinU 
te  non  è  ficuro  di  piter  fempre  agiatam -nte  fuTi  fere, 
ftgnipre  fiorire,  Tempra  fupplire  col  fuo  fupe.flji  a'b^fjgni 
ed  ai  pel  dello  ftato;  ma  intanto  può  da  f;  fuGllere  ancor- 
ché chiufj  a  tutti  ;  e  per  quefta  parte  f)vr^fta  a  i  paefi  che 
manifatturaao  .  Alcuni  franchi  econom'lli  p^rò  decifi  per  l' 
agricoltura  veggono  rutto  in  bello,  e  fchivan^  di  ravvifars 
che  il  mondo  ci  prefenta  un  continu")  m  rabil  contrapofto  Ji 
lume,  di  ombre,  e  di  riflelTi  bizzarramente  va'iati  che  por- 
gano mueria  inefauribile  di  offirvaziini  al  filofofj ,  e  di  ar- 
tificiofe  tele  alla  pittura  loquace, ed  alla  muta  poeTia,  Se  ia 

*  coni" 


i88 

competenza  col  manifatturiere  vince  il  paefe  agricola  fiorer?- 
te  ,  il  bifogno  che  pur  cflb  ha  indubitatamenre  àdk  arti  , 
afforbirk  tutto  il  fuo  fuperfluo  ;  e  fé  la  Tua  popolazione  au- 
menterh  ,  gradatamente  diminuirà  il  fuo  fuperfluo  ,  ed  ove 
altre  terre  norv  rimangano  da  diffodarfi  ,  mentre  Ja  popola- 
zione non  ceflà  e  pur  crefce ,  fparira  il  fuperfluo  .  L'  oro  e 
r  argento  corrono  dietro  alle  cofe  ,  si  betie  ,  ma  cofe  fono 
tanto  i  prodotti  campeftri  quanto  gli  artificiali  .  Altronde 
tali  metalli  correndo  verfo  le  cofe  non  ne  troveranno  mai  i 
canali  oftrutti?  le  cofe  and:'ranno  fempre  incontro  ai  metalli 
con  ugual  profitto  fenza  mancare  ?  Non  nuoce  al  corfo  dell' 
oro  e  dell'  argento  il  furor  di  Marte  ,  di  Nettuno  ,  di  Vul- 
cano ?  Penurie,  careftie  ,  tremuoti ,  inondazioni ,  lave  di  Mon- 
gibelli  e  di  Vefuvii  nel  noftro,e  nell' oppofto  einisfero,  non 
fanno  di  tempo  in  tempo  riftagnare  e  fparir  non  di  rado  le 
cofe?  Le  guerre  non  obbligano  le  arti  a  rimpiattarfi  ed  a 
languir  nell'ozio?  Non  defolano  le  campagne?  Non  ne  fchiaa- 
tano  gli  abitanti  ?  I  flutti  marini  col  loro  impeto  non  uurpano 
le  terre,  fé  non  vi  s'internano  e  ne  (laccano  intere  regioni, 
e  le  convertono  in  ifole  ?  Contro  fimili  fconcerti  niturali  e 
veniiicci,  contro  i  fatali  rirulrati  delle  umane  pafTioni  eccef- 
^ve  la  prudenza  non  infegna  a  prevenirfi?  Non  ci  rammen- 
ta che  a  penfar  dritto  vere  ricchezze  non  debbono  aifoluta- 
mence  fupporfi  né  i  metalli  preziolì ,  né  i  prodotti  della  coltiva- 
zione, né  le  m^nifittue,  né  il  commercio  (leflb  ,  v  lendoltf 
fep^rare  e  ifolare  ,  g'acchè  tutte  poflbno  foggiacere  a  cireo- 
ftaiiie  variabili  non  fempre  previde  ?  Non  dee  ogni  focietk 
apparecchiarli  e  premunirli  contro  i  difaftri  ?  Ora  ciò  fi  ot- 
tiene col  minorare  i  bifogni  e  i  pefi  del  popolo  agricola  mer- 
cè delle  arti  fenzi  nuocere  alla  natura  delle  terre  agricole. 
Coltìvifi  dunque  e  fi  raanifatturi  in  ogni  focietk  ,  ma  T 
agricola  più  coltivi  che  manifatturi  feguendo  il  pendio  della 

prò» 


i8j> 

propria  natura  con  quella  proporzione  che  fenza  denaturar' 
la  la  foftengi.  Singolarmente  abbia  cura  di  non  opporfi  all', 
aumento  della  Popolazione  che  è  l'unica  invariabile  ricchez- 
za degli  ftati  ,  fé  ben  s  intenda  la  pubblica  eco'jomiay  fé  ben 
fi  diriga  e  fi  adopri  con  fenno,  /t?  no»  fi  opprima.  Sia  que- 
lla vera  ricchezza  operofa  relativamente  alle  proprie  forze  ; 
fi  confacri  per  la  maggior  parta  alla  coltivazione  ,  e  non 
ometta  di  dividere  ciò  che  rella  alle  arti  ,  aILt  navisazione 
ed  al  commarcio  .  Cos'i  non  reOando  in  verun  angolo  del 
paefe  infruttuofa  ,  fornirà  di  braccia  le  diverfe  m.aaifdtture, 
di  remiganti  i  bgni  mercantili  e  gli  armati  dello  (lato  > 
di  difeolori  le  fortezze  ,  e  di  eforciti  i  confini  .  Tutto  ciò 
come  potrebbe  fperirfi,  fé  prevale(^^J  la  fingolare  ftrav;iginte 
infinuazione  di  non  dover ft  far  nulla  a  fomlgliaaza  degl'iner- 
ti Groenlandi  ? 

Gli  uomini  adunque  ricchezza  fenza  eccezione  degli  flati 
fono  le  braccia  robuHe  del  Moderatore  della  nazione  ,  fono 
quelli  che  nazione  la  codituifcono  ;  quelli  che  accorrono  a 
tutto;  che  coltivano,  manifatturano  ,  trafficano  ,  navigano, 
guerreggiano  ,  coftruifcono  in  mare  ed  in  terra  ;  che  mercè 
de' prodotti  del  campo  e  dell' inJulìria  attirano  in  cafa  l'oro 
e  l'argento,  bandifcono  i  b  fogni,  efigono  rifpetto  dagli  au- 
daci, contengono  gl'intraprend-nti  ,  dilfipano  gli  aggreffori , 
«  rendono  cofpicuo  lo  flato  e  temuto    ed  augufto  il  Trono . 


III. 


II.     MEMORIA 

APPROVATA  PEL  CONCORSO 
COLL'  EPIGRAFE 

Uort  modo  cafus  evetitufque  rtrum  ,  fei  ratto  eaitjcfquf 
pofcatìtur  « 

DELSOCIO 

CESARE  DELLA  VALLE 

DUCA   DI   VENTIGNANO. 

»>  XN  Ogni  paefe,  dove  più,  dove  meno,  i  Legislitori  fo' 
no  Itati  fedotti  da  uno  fpirito  mal  penfato  di  ordine  e  firn- 
metria,ed  haa  ricercato  di  compaffare  e  modellare  quel  mo- 
to fpontaneo  della  Società,  di  cui  le  leggi  poffono  bensì  co- 
nofcerfi  con  un'attento  efama  fu  de' fsnoraeai  politici  ,  non 
mai  anticipatamente  prefcriverfi  ", 

(  Meditazioni  full'Econ.  Pollt.  ) 

IL  quelito  propofto  dalla  Società  Pontanìana  in  Programma 
di  quello  concorfo  di  Scienze  Politiche  e  Morali  riguarda 
un'articolo  di  s'i  grande  impi^rtanza  ,  che  già  venne  dai  più 
gravi  ed  inligni  fcrirtori  di  civile  economia,  ed  ampiamente 
difcuffo  ,  e  talor  pienamente  efaurito  ;  cosi  che  fcmbrar  po- 
trebbe a  prima  villa  ^u^erflao  il  difcorrernc  di  vantaggio  . 
Ma  può  mai  rag'onarfi  abballanza  intorno  la  pubblica  felici- 
tà? Ed  i  Governi  fa  orifGono  efìTi  forfè  gl'intceffi  tielle  genti 
con  fiffaita  avvedutezza    e  colìanza  ,    che  iuutilc  riefca  il  ri. 

por- 


portarli  eli  tempo  in  tempo  fotto  k  dì  loro  attenzione  ?  La- 
fciando  che  ciafcuoo  rifponda  per  fé  Oelfo  a  quefte  mie  di- 
mande  ,  mi  contenterò  di  ripeter  foltatKo  ,  che  non  furono 
mai  foverchi  gli  oratori  del  genere  umsfio  ,  e  che  degni  fa- 
raano  pur  fenipre  della  di  lui  riconofcenza  coioro  ,  i  quali 
avranno  tentato  almeno  di  renderne  meno  trifta  la  condizione. 

Grazie  foienni  fi  rendano  intanto  al  noftio  infigne  Colle- 
ga e  Segretario  perpetuo  ,  il  quale  con  fommo  accorgimen- 
to nii^i'iorando  il  progetto  de' quattro  annuali  conLOrfi  ,  e 
proponendoci  di  addirne  ciafcuno  ad  una  fcienza  diverfa,  ab- 
biaci bcliamente  invitati  ad  otfrirne  le  pritnizie  alla  Umani- 
tk,  alla  Patria.  Grati  doppiamente  ce  ne  faranno  al  certo  i 
noltri  concittadini  afcoltatori  ;e  la  gran  Madre  Italia,  rivoU 
gendo  lo  fguardo  ai  fuoi  figli  Partenopei  >  avrà  campo  di  fcor- 
gere  con  una  dolce  compiacenza  ,  che  pur  fra  quefli  havvì 
di  qudli  ,  i  quali  nell' ingegnarti  di  ferbar  fra  l'inondante 
neologismo  pura  ed  intatta  la  materna  favella  ,  non  ad  ina- 
zie  canore  ,  ma  alle  più  nobili  ed  importami  difculTioni  ne 
confacrano  reTercizio, 

Sino  a  qual  punto  debbanfi  dai  Governi  proteggere  le  Artj 
preffo  un  popolo  agricoltore:  ecco  il  tema  propolto,  rilevan- 
tiffimo  per  fi?.fte!ro,e  doppiamente  per  noi,  che  fra  i  popoli 
agricoltori   dobbiamo  principalmente  annoverarci , 

E  qui  incomincio  dal  chiedere  di  quali  arti  ragionar  ci 
convenga,  imperocché  il  noliro  Genovefi  nelle  fue  pregiata 
Lezioni  di  Commercio  le  divide  in  tre  clalTi  ,  cotne  quelle 
chi  da  tre  varie  forgenti  fcaturifcono  ;  dal  bifogno  cioè  ,  dal 
commodo  ,  e  dal  diletto  ,  chiamando  le  prime  fondamentali 
(  e  conta  fra  quelle  anche  l'  agricoltura  ,  la  quale  anzi  può 
dirli  la  prima  fralle  arti  tutte  )  ,  le  feconde  mirglioratrici , 
le  terze  di  luflb.  Sembrami  quindi  ,  che  il  quefito  fi  aggiri 
fopra  tutto  intorno  a  quelle  ,   che  alla    feconda  claffe  appar- 

te- 


tctieodo,contrlbuìfcono  alla  più  facile  efercitazion  delle  primi- 
tive, e  vengono  meglio  r^vvifate  folto  i!  Bcme  di  manitanure. 

Df-tnandandofi  inoltre  nel  Programma  *  fino  a  qu^l  fegno 
le  arti  vadano  protette;  par  che  lì  voglia  Uxó  credere,  che 
un  ecceflb  di  prcitezione  riufcir  potrebbi  parnictolo  o  alle 
arti  naedefime,  o  ad  altro  ramo  di  pubblica  pro'iperitìi  ,.  Ma 
poiché  uti  tal  dubbio  cader  non  potrebbe  giammai  fu  tjueli. 
uaiverfale,  ed  imparzial  favore,  ch^  ogni  ben' ordinato  Go' 
verno  conceder  deve  alle  più  utili  e  Lboriofe  dalli  della 
Società  .  così  conviene  credere,  che  nel  Programma  intendali 
parlare  di  quella  diretta  ed  immed  ara  protezione,  la  quale 
confilie  in  un  cerco  fpirito  d'imp.crioio  patrocinio  tendente 
non  folo  a  promuoverne  il  progrclTo ,  ma  a  prefcriverne  pur 
anche  il  corfo,  a  regnlarne  T  economia  .  Tale  infatti  è  la  na- 
tura delle  cofe  ,  che  in  quilfiafi  forra  di  protezione  va  fem- 
pre  inclufa  una  maggiore  o  minor  dofe  di  ferviiù  p::i  protet- 
to, di  dominio  pel  protettore  .  Per  vie  meglio  dunqne  farmi 
flrada  alla  folozione  del  quelito,  mi  fi  permetta  per  poco  di 
bipartirlo  ,  e  confiderar  prima  fé  ed  in  qual  modo  i  Gover- 
ni debbano  proteggere  le  arti  ,  per  difcendere  dappoi  ad  inda- 
gare quali   modificazinni  efiga  un   popolo  cgricohore  . 

Neceffario  a  tal' oggetto  parmi  dapprima  conofcere  la  natura 
delle  ani  ,  le  caule  del  di  loro  nafcimento  e  fviluppo  ,  i  di 
loro  rapporti  colla  focietà  :  teflerne  infomma  la  lìoria  ,  e  ri- 
montando alla  di  loro  prima  origine  ,  e  feguendone  il  corfo ,  rav- 
vifarle  in  tutte  le  loro  varie  eth, guardarle  in  tutt' i  loro  va- 
ri afpetti  ;  poiché  le  caufe  ifieffe  ,  che  riconofceremo  aver  con- 
tribuito alla  loro  nafcita  ed  incremento,  potranno  rawifarfi  u. 
tilt  del  pari  a  farle  profperare  .  Chieggo  intanto  perdono  a 
quefta  colta  Aflemblea ,  fé  rai  veggo  coftretto  ad  intrattener- 
la per  poco  fu  di  un  fi  trito  argomento  ,  benché  pur  foglia 
Tom.II.  a  5  piìi 


«94         ^ 

talvolta  riurdrft  ò\  non  lieve  diletta  il  raramentarfi  dr  venti 

§ià  lene  e  penfate. 

L'uomo  è  circondato  di  biro^niy  ed  intento  perennemente 
a  foJdi^fd  li;  e  mohiplici  effin 'o  le  di  lui  neceflità,  varj  fu» 
rono  d-'l  pari  i  mezzi  litrovari  par  appagarle .  Sono  quarti  ap- 
punto le  ani..  Arte  non  v'hi  di  farti  ,  chi  non  tragga  la 
fua  ocigioe  da  qualche  ununo  biroono,e  che  diretta  non  fia 
a  foddisfarlo.  E  ilxoma  quefti  nacquero  coli' uomo,  e  creb- 
b«!ra  a  norma  dello  fvi lappo  delle  fue  fìfiche  e  morali  fa- 
coltà ;  così  le  arti  lagirono  ótì  pari  intorno  la  fua  cuna  j| 
rnoltiplicaronli  colle  fue  necefTHà,  migliorarono  coL'a  fua  ra- 
gion;; mentre  a  norma  della  Jor  varia  importanza  furono  pi iì 
o  meno  di  buon'ora  inventate,  da  maggiore  o  minor  numero 
à  inJividui  ,    e  con  minore  o  radggior  cura  coltivate. 

E  però  fi(.come  il  cibarfì  "può  venir  condlerato  come  il 
primo  aff.iluto  umano  bifogno  :  così  le  arti  fnnilamentali  cor- 
rifpondenri  ,  cioè  la  caccia  e  la  pelea  ,  in  feguito  la  pafìoc 
rizia  e  l'agricoltura  vennero  in  ogni  luogo  ,  in  cgni  età  , 
da  qualunque  barbara  o  colta  nazione  ,  e  dalla  maggior  parte 
di  ogni   popolo  elercitatea 

Le  arti  miglioratrici  al  contrario  non  nacquero,  che  quan- 
do lo  fviluppo  della  ragione  ravvifar  fece  all'uomo  nell'ufo 
di  alcuni  prodotti  del  fuolo  il  mezzo  di  render  più  piacevo- 
le la  propria  cfilfenza.  Oltre  che  variando  l'importanza  del- 
le umane  commodità  a  norma  degli  ufi  e  coffumi  ,  del  cli- 
lìia  y  del  fuolo  ,  e  di  altre  circodanze  particolari  delle  na- 
zioni, le  arti  miglioratrici  in  confeguenza  non  furono  né  tur* 
te,  né  nel  modo  iftePo  ,  né  per  ogni  dove  ,  né  con  egual 
cura  coltivate»  Ai  popoli  del  fettentrione  fu  fempre  ignota  , 
perchè  femore  inutile,  l'arte,  per  dir  così,  (*ì  ferbar  fotter- 
la  il  ghiaccio  per  temperar  gli  ellivi  ardori;  come  alle  adulte 
nazioni  della  calda  Zona  fconofciuca  fmùlmente   fu  quella  di 

caa< 


cangiare  In  cappa  ^t  pefanti  e  vellofe  pelli  degli  orfi  . 

Le  arti  finalmente  di  lu(Tb,  ficcome  non  a^li  umani  affo-, 
luti  bifogni  ,  né  alle  commoditk  della  vita,  ma  foddisfana 
foltanio  alle  noftre  vanità  e  paffiooi ,  e  qjcite  cangiano  foven- 
te  di  oggetto,  divenendo  Tempre  più  diffÌMi  ad  eff  re  appa- 
gate a  miltira  che  f?  accrefcono  i  mizzi  di  appagarle;  cos'i, 
replico,  le  arti  di  luffo  non  necellarie  ad  alcuna  nazione  , 
fconolciU'e  ancora  a  molte  ,  utili  talvolta  alle  ricche  ,  alle 
povere  fempre  funelle,  veg^  mii  più  o  meno  efercitate  ,  più 
o  meno  ratàiiate  in  ragion  co-npolta  della  vauitk  e  delle  ric- 
chezze di  chi  ne  ricerca  i   prodotti. 

Nate  duique  le  poche  e  rozze  prime  arti  per  Soddisfare 
ì  primi  individuali  bifogni  ,  dovettero  gli  uomini  da  principio 
■eiercitarle  tu-te  fimultaneamente  ,  perchè  tutti  rifentivano  i 
bifogni  medefimi.  Quindi  ognuno  provvide  al  fuo  vitto  :ognuF 
no  prepara  le  lue  vcili ,  la  fua  capanna,  il  fuo  letto.  E  nel  tem- 
po Ueflb  niuno  eleicitò  alcuna  arie,  fé  non  quando  la  necef- 
firh  ve  Io  coflripoeva  ,  giacché  la  previdenza  è  un'efercizio 
dell' inrelletto  affano  ignota  all' uomo  felvaggio.  Quando  pe- 
rò collo  fviluppo  delle  morali  facoltà  le  arti  crebbero  di  nu- 
mero, e  progredirono  verfo  la  loro  perfezione  ;  quando  non 
folo  agli  atiuali  ,  ma  anche  ai  futuri  bifogni  provveder  Ci 
volle;  divenne  allora  più  diffi.ile,  e  quindi  inipoiTibile,  che 
un  fol' uomo  le  elecitaffe  tutte,  e  con  quel  grado  di  perfe- 
zione, al  quale  ciaicuoa  di  ef'e  era  pervenuta.  D  altronde  la 
Provvidenza  ordinatrice  dell' univerfo  ,  per  avvicinar  l'uomo 
all'uomo,  ed  inlieme  rannodarlo  col  vincolo  indilTolubile  del- 
la reciproca  utilità  difpenfando  gl'ingegni  di  varia  altitudine 
ed  acutezza,  fece  s'i ,  che  ciafcuno  riufcilfe  più  idoneo  all' efer- 
cizio  di  un'arte,  che  di  un'altra,  ed  a  quella  efclufivamente 
fi  app'icaffe.  Onde  avvenne  ,  eh  egli  col  proprio  acume  mi- 
gliorandola, e  rendendofi  più  deliro  ad  eiercitarla  per  mezzo 

«  di 


1^6 

di  una  annofa  abitudine  ed  efperienza ,  otténefle  T  ammirazione 
de'fuoì  vicini  ,  i  quali  incomiociaflero  in  confegenza  a  ri- 
correre a  lui  per  confegiur  pronta  e  piena  foddisfazione  del 
bifognoa  quell'arte  corrirpondente.  Allora  accadde  quella  uni- 
verfal  rivoluzione,  per  cui  le  arti  cangiarono  di  natura,  e 
ceffando  di  effere  in  ogni  individuo  mezzo  immediato-  di  fov- 
venire  ifjlatamente  ai  proprj  bifogni  ,  divennero  quafi  una 
rete  di  tenaciffune  fila,  che  moItipliGandofi  ed  intrecciandofi 
fempre  più  fra  loro,  e  ftringendo  in  mille  guife  l'uomo  all' 
uomo,  coflimirono  i  più  faldi  vincoli  delle  fociet^  .  Occupar» 
allora  ciafcuno  ad  un  divsrfo  meftiere ,  mentre  appreftava  di 
che  foddisfare  agii  altrui  bifogni  ,  vivsvi  ficuro,  che  gli  altri 
accingevanfi  ad  appagare  i  Tuoi .  Ricco  del  giornaliero  prodot- 
to della  fua  induitria  ,  egli  andava  incontro  a' fuoi  vicini  lì 
curo  di  commutarlo  con  tutti  que'  varj  oggetti  ,  che  à  fuoi 
varj  bifogni  confacevano.  Quinvii  quella  perenne  circolazione 
di  derrate  e  di  merci,  che  iii  d'allora  in  poi  l'anima  e  U 
vita  delle  nazioni  . 

Non  tutte  le  arti  però  hanno  un  merito  ifteflb,  confide- 
rate  per  la  difficoltà  del  di  loro  efercizio  e  per  l'importan* 
23  deloro  prodotti.  E  però  il  cambio  delle  merci,  ch'efier 
dovette  verifiniilmente  in  principio  regolato  dalla  fola  necef- 
lìià  del  raomenro ,  incominciò  poi  pian  piano  a  calcolarli 
fui  vale  re  reale  delle  cofe ,  ed  il  prodotto  di  ogni  arte  a 
fronte  de'  prodotti  delle  altre  venne  valutato  in  ragione  del- 
la maggiore  o  minor  difficoltà  di  prepararlo,  e  della  minore 
o  maggiore  importanza  di  (  ttererlo  .  Quefte  circolianze  riu- 
nite alla  general  proprietà  delle  arti  tutte,  cioè  che  quanto 
maggiore  fìa  la  receflìtà  di  confeguirne  ì  prodotti  ,  tanto 
minore  (ìa  la  difficoltà  di  efercitaile,  fecero  si,  che  le  arti 
più  oeceffarie ,  perchè  più  facili ,  vennero  dal  maggior  nume- 
ro eferciutCj   ed  i    loro   prodotti  pagati   a   minor  prezzo  ; 

Bien* 


,         ,       , ,      .  .  .  ^97 

mentre  all'oppofto  la  nugìoi'  difficolta  di  efercjzio ,  e  la 
minore  importanza  de' prodotti  di  un' altra  arte  faceva  sì ,  che 
minor  numero  di  perfona  a  quella  fi  adJicefle,  e  ne  crefcef- 
fé  nel  tempo  Ikflb  il   valore. 

Or  ficcome  i  bifogni  affcluti  rifentonfi  egualmente  da  tut- 
ti,  cosi  avvenir  dovette,  che  il  cambio  de' prodotti  delle  arti 
iì  faceflTe  indiltintamente  per  tutte  o  direttamente,  o  iodi- 
rettamente  con  generi  di  prima  neceffità  ,  offia  con  i 
comellibili  ;  la«nde  è  facile  il  comprendere,  perchè  le  biade^ 
ed  i  belliami  etTendo  gli  oggetti  più  avidamente  ricercati  da- 
gli artigiani  per  prezzo  dell'  opera  loro  ,  finirono  con  dive- 
nite a;po  le  p;imitive  nazioni  la  merce  raprefentativa  del 
valor  delle  altre  .  Prima  di  piti  innoltr^rci  ,  non  parmi 
qui  inutile  il  tiflettere  ,  che  fino  a  quefia  feconda  epoca 
Je  arti  inventate  da  principio  per  foddisfare  immcdi.ita- 
mente  le  necefiiià  di  ciafcun'  individuo  ,  divenute  in  fepui- 
to  mezzo  indiietto  di  appagarle  co!  cambio  de'prodotti  dell* 
■una  con  quelli  dell'altre,  non  furono  animate  e  fpinte  in- 
nanzi ,  che  dal  folo  defiderio  di  procacciarfi  il  vitto  di  un 
giorno,  e  qualche  commodità  della  vita.  Imperocché,  non 
confiflendo  fin'  allora  le  ricchezze  ,  che  ne'  numercfi  ar- 
menti e  nelle  vaRe  poflefiioni  territoriali,  la  di  cui  con- 
fervazione  e  coltura  erano  pur'  effe  delle  arti  ,  che  richie- 
devano un'aflidua  applicazione;  nafcer  così  non  potea  iti 
mente  di  alcun' artigiano  la  fperanza  di  anichire  per  mezzo 
de' prodotti  del  fuo  meftiere  :  giacché  niun  d' efli  aurebbe  auv- 
to  e  l'agio  ed  i  mezzi  neceffarj  per  coltivare  un  fondo,  o 
confervare  un  gregge  ;  né  afpirar  poteva  alla  fortuna  di  acqui- 
ftare  ad  un  tratto  tanta  terra,  o  tanto  beliiame,  quanto  lof- 
fe  fiato  fufficiente  a  fargli  cangiar  di  meliiere  ,  fvnza  fargli 
peggiorar  di  condizione.  Quindi  è,  che.  non  promettendo  le 
ani ,  che  un   mediocre  profitto ,  la  mediocrità  della  fperanza 

noi) 


ip8 

non  comunicava  agriogagnì,  the  Una  "mediocre  attiviti,  né 
permetteva  ai   meftieri ,  che  un  mediocre  progreffo  . 

Era  rifcrbato  ai    metalli  il    dare    alle   arti  (juafi    l'ultimo 
mpulfo  verfo  la  perfezione;    e  fé  il  ritrovamento,    e  1'  ufo 
del  ferro,  che  ne  valle  l'apoteofi  all'invenrore ,  somminiHrò 
s'i    all' agricoltura  ,    che    allearti    gli    (Ircimenti    neceffarj    a 
ben  eferciiaile,   gli  altri  metalli  furiero  a  (olecitaroe  in  al- 
tra guifa  l'efercizio.  Di  fatti  quando  il    cambio  delle  in>"rci 
non  lolo  fra  gì"  individui,    m<i  pur  fra  le  naz  oni   venne  in- 
trodotto ;  quando  alle  biade  ,  ed  al  beOiame  loitituir  fi  vol- 
le a'tra  merce  rapprefemativa  di  più  facili  trafpurfo;   quan- 
do i  metalli  furono  ricoiiof^iuti   per  la  pm  immjiabile    pro- 
duzione della  natura  ,    e    pi'rò    clafiificati    e    Vdluuti  fecondo 
la  di  loro  purità,    rarità    e  bellezza;  qu'^ndo  l' artiere  fcorfe 
nella  moneta  un  facile  e  fìcuro  me^zo  di  confervare  i  valori 
del  fuo  travaglio,  onde  poterli  convenire  un  giorno  in  que' 
'fondi,  che  colHtuifcotio  l'elemento  di  ogni  ricchezza;  allora 
l'aumento  delle  fperanze  diede  nuovo  impulfo  agl'ingegni,  e 
l'umana  induflria,  concitata  dal   rioppio  ffimolo  della  necelTi- 
tk  prefente    e  delle    futuie  fperanze  ,  tentò  mille  arditiirime 
vie  per  appagar  la  prim.a  e  realizzar  le  feconde.   Più:  allor» 
che  il  ccmmercio  «bbe  tatto  tonofcere  le  une  alle  altre  na. 
zioni ,  ed  a  tal  conofcenza  venne  aggiunta    pur   quella   delle 
produzioni  particolari  al  fuolo,  che  ciafcuna  occupava ,  e  per 
confeguenza    delle  arti,  de' comodi    e  piaceri,  che  ognuna  di 
elTe  efclufivamente  conofceva  ;  allorché  fu  viffo,    che    quella 
niedefìtna  individuai  varietà  d'ingegno    ed  attitudine  ,  che  , 
come  vedemmo,    indotti  aveva    gli  unmini  a  riunirfi  in  na- 
z'oni ,   quella  varietà    medefima  fra    le    nazioni    egualmente 
ref^nava  ,    ed  accoppiata  a   quella   delle   indigene    produzioni 
fpingeva  i  popoli  dell'  univerfo  a   ravvicinarfi  ,   ed  a    formar 
quafi  una  fola  famiglia  ,    onde  gli  uni  fruic    poteflero    delle 


ver- 


tp9 

merci»  e  manifatture  degli  altri;  allort  l'artifla  fu  doppia- 
mente liicorai^giato  al  travaglio  dalla  ficurezia^  che  non  fo- 
lo  i  fuoi  cittadini,  ma  gli  (tranieri  pur' aneli,:  farebboiio  con- 
Corfi  d'allora  innanzi  a  comperar  l'opera  della  fua  mano. 
Fu  qu-lta  la  terza  eik  delle  arti  :  e  nafcer  videfi  allora 
quella  utile  e  nobil  gara  fra  gii  artefici,  per  cui,  ttntanlo 
cia'cuDo  di  fupcrar  gli  altri  in  preltezza  e  raffiiamento  ,  aJi- 
va  il  tribunale  d.'l  pubblico,  ove  il  compratore  fece^'a  giu- 
dice imparziale  ei  incorrutibìle  ,  perchè  la  giufti?ia  ed  il 
proprio  mtereffe  erano  in  quel  momento  di  accordo  .  Allora 
fu,  che  il  compratore  col  frequente  paragone  de' prodotti  .dì 
un'arte  medefima  incommciò  ad  acquiflar  guflo  e  difccrni- 
mento  »  ed  a  comunicarlo  ai  venditori  coli'  onnipotenre 
fprone  di  una  pronta  mercede,  o  colla  minaccia  di  un  fuDS- 
i\o  abbandono» 

Non  reflò  in  quel  punto  alle  arti  ,  che  da  fare  un  fot 
pafio  per  giugnere  all'ultima  loro  meta,  e  vederfi  riunite 
alle  lor  maogiori  forelle,  alle  fcienze  :  ne  tardò  guari  ad 
avvenire  quella  s'i  importante  riunione  .Imperocché,  polle  io 
contatto  le  nazioni  dal  comm.ercio  delle  derrate  e  mani- 
fatture ,  dovette  aver  fimilmente  principio  quel  cambio  d' 
idee  e  nozioni,  quella  fcambievole  partecipazione  di  fcover- 
te,  per  cui  mefii  a  profitto  le  ilolate  cfperienze  ,  e  riuniti 
in  ordinata  ferie  i  travagli  difleVninati  pe'fecoii,  il  paragone 
di' fatti  particolari  die  nafcimenta  a  quelle  univerfali  teorie, 
le  quali  nelle  varie  fcienze  manoducono  quafi  1'  uomo  pel 
pili  breve  e  ficuro  cammino  al  difficile  fcoprimento.  del  ve- 
ro. Attonito,  allora  l'artiere  fdcr  videfi  al  fianco  e  la  fi- 
fica ,  che  gli  palesò  i  varj  attribuii  di  que' corpi  ,  cui  egli 
applicavafi  a  dar  nuove  fiirme  ;  e  la  chimica,  chi  nelU  de- 
comp'Mizione  de' medefimi  gliene  additò  i  ptimi  elementi  , 
fonaminillrandogli  di  tratta  ia  tratto   dglle    follanzs    utili    al 

pia 


più  facil€  efcrcìzìo  del  Tuo  menìere ;  e  le  matematiche,  per 
coi  conebbe  le  quantitìi  e  le  proporzioni  ;  e  la  meccanica  , 
che  gli  (vdò  il  bei  fegreto  d'impiegar  ne' Tuoi  travagli  il 
minor  tempo  e  la  minor  forza  pofTibile,  ed  a  compierli  in* 
fieme  con  maggiore  efattezza  e  perfezione;  mentr*  quel  ge- 
rio  irteflo,ohe  par  fi  compiaccia  delle  fole  ani,  che  diccnQ 
belle,  vifitò  pur  talvolta  1' aflumata  cella  del  fabbro  ,  e  vi 
lafciò  la   fua  divina  impronta' 

Eccovi  ,  o  Sig.ìori ,  abboz?ata  la  fìoria  delle  arti,  per  quan- 
to mi  hanno  permeflb  i  miei  fcarfi  talenti;  e  da  quella  breve 
■dipintura  della  di  loro  nafcita,  progrefìb  ,  e  perfezionamento, 
pctra  ciafcuno  di  leggieri  dedurre  ,  che  (e  quella  fenza  il  con- 
corfo  della  protezione  dc'Governi  nacquero  d.l  bifogno,  pro- 
gredirono per  l'utile  ,  ed  ebbero  il  mafiìmo  incremento  per 
la  ccn-:ur»icazione  di  tutt'i  popoli  favorita  da  qualche  felice 
iflituzione  univerfalmente  riconofciuta  ,  farà  fempre  bene  adi- 
curata  frpra  s\  folide  bafi  la  loro  durata  e  periezione  ,  i  gra- 
di della  quale  faranno  coflantemcnie  proporzionali  alla  mifura 
dell'utile,  ed  alla  facilità  e  fpeditezza  della  fopraddetia  co- 
municazione . 

Pofto  ciò ,  poco  0  nulla  rimane  da  fare  ai  Governi  a  prò 
delle  arti;  e  parmi  poter  fenza  ritegno  all'eri  re  ,  che  fempre 
inutile  e  talvolta  perniciofa  riefca  ad  effe  l' influenza  di  quel. 
la  imperiofa  protezione  ,  che  voglia  regolarne  il  corfo,  prefc  '^ 
verne  refercizio,  e  fottoporne  il  naturale  andamento  a  qua- 
lunque fìafi  legge  ed  ordinanza.  Inutile,  fé  concorrer  voglia 
al  di  loro  perfezionamento,  il  quale,  non  eiTendo ,  che  il  ri- 
luhato  della  diligenza,  e  dell'ingegno  degli  artefici  ;  ove  1' 
uno  rimanga  inceppare  per  qualche  vizio  di  cointuzione,  ed 
ove  l'altra  fìa  difanimata  dalla  poca  concerrenza  de' compra. 
tori,  a  nulla  varranno  e  leggi    e  promelTe   e  minacce,    per- 

che 


20  f 

che  gli  artigiani  o  non  fapranno  far  dì  meglio  ,  «  crederan- 
no il  farlo  perniciofo  ai  proprj  ìnceredi .  i 

Inutile  del  pari  fé  fi  rivolga  a  punir  la  froie  o  la  ne- 
gUj^enza  degli  artefici,  i  quali  verranno  Tempre  pjiiii  abba- 
ihiìti  nel  giudizio  imparziale  del  co  iipruorc,  sd-intre  al  con- 
trario perniciofa  riuscir  potrebbe  una  lifTatra  proiezione  ,  ove 
richiamar  vol^lFe  alle  arti  tut;e  un  numero  di  c.p;raj  mog- 
giore  di  quello,  che  la  nazione  ve  ne  impiega  ;  ainperocchè 
fi  correrebbe  rifchio  di  rovinar  l'agr'coliuia  ,  e  meiitar  giu- 
ftamente  il  rimpiovero,  che  già  la  Francia  fece  a  Colbert  . 
E  perniciofa  non  meno,  ove  favorir  volefle  f  incamt-'mo  di 
una  daia  arte  in  particolare,  la  qiaie  timaneffe  più  delle  altre 
imperfetta  e  tracurata.  Conciofiaihè ,  fé  come  vedemmo,  le 
arti  progredilcooo  a  mifura  dell'utile,  ed  una  di  efle  laogui- 
fce,  fegno  è  che  l' u'ile  iffeflo  non  permette  che  fia  di 
vantaggio  efercitata ,  o  perchè  il  guadagno  non  coirifponde 
all'opera^  o  perchè  v'ha  un  altro  meltiere  ,  che  fomminiflra 
un  profitto  maggiore.  Ed  allora  il  Governo  volcndj  p  omuo- 
vere  quafi  per  forza  il  prooreflb  dell'arte  negletta  non  fareb- 
be che  combattere  la  natura  delie  cofe,  e  nuocere  all' inte- 
refle  della  nazione. 

Ciò,  che  folo  potranno  operare  i  Governi  a  favore  d  Ile 
arti  ,  farà  dunque  l'accordar  loro  quella  indiretta  e,  dirò  co- 
s^,  negativa  protezione,  la  quale  non  confifte  che  nel  reli^'O- 
iamente  rifpeitarle  ,  e  nel  diltru°gere  infieme  qualunque  oila- 
colo  al  di  loro  progrelTo  fi  opponga.  „In  una  nazione,  (cosi 
fi  efprime  il  giudiziofo  autore  delle  Meditazioni  lulla  Econo- 
mia Politica  )  in  una  nazione  baderebbe  che  le  leggi  non 
vi  avellerò  meflb  oflacolo,  perchè  il  numero  de' venditori  di 
ogni  merce  farebbe  il  malfimo  poffibile  nelle  fue  clrcoflanze. 
Imperocché  dove  l' induflria  fia  fvincolata  ed  abbia  tutta  la 
fua  naturale  attività ,  concorre  ad  ogni  profeflione  tanto  nu- 
Tom.lL  26  me- 


20t 

mero  di  gente,  quanta  l'uti'e,  ch(ì  fé  ne  ricava,  è  capace  di 
manteasitie . 

Potfoiio  duaque  i  fjprarlditti  odacoli  di',  iderfi  in  due  cLffi, 
in  g--nerdli  e  particolari  :  i  ptimì  fgnefti  ad  ogni  pubblica 
prorperità,  i  fecondi  pernicjofi  a,1  una  (ola  parte  di  quefla  . 
Raoioniamp  brevemente  di  ambiJue. 

Una  è  li  forgence  della.  p'-operitX  delle  nazioni  ,  cioè  il. 
pieno  (viluppo  delle  di  loro  filiche  e  morali  facoltà:  cur,fi!l'jno 
le  prime  nel  numero  e  nella  forz;i  ,  le  feconde  nella  viriìi 
e  ntflla  fcien<:a  .  Come  un'uomo,  che  fia  istero.  e  robuiìa 
nelle  meoabra,  fornito  ncH'intelletto  di  dottrina  e  fapienza  , 
avià  tutt'i  ra^'zzi  a  divenir  felice,  anzi  lo  laià  efletiivam-^n- 
te  per  quanto  è  lecito  di  fperarlo,  quaggù;  così  un  popolo 
allora  afpirar  potrà  ad  un  certo  (lato  di  floridezza  ,  quando 
fia.  e  numerofo  e  robufto  e  virtuofo  ed  illuminato.  Ove 
manchi  alcuna  di  quefie  cagioni,  vedrà,  mancarfene  l'efF-tio. 
in  ogni  parte  di  nazional  profperiià  ,  e  quindi  pur  neile  ar- 
ti. Necedario  faià  dunque  ed  unico  mezzo  a  fjrle  rlcorire  il 
difhuggere  gli  olìacoli,  che  vi  fi  oppongoi.o;  o  nella  fgarfez» 
za  della-  popolazione ,  che  cagionata  e  dajl' enormità  de'tribu^ 
ti,  e  dall'ecdefiafiico  e  militar  celibato,  e  quindi  da  la  ra- 
rità de'conubj,  ta  s\  che  la  nazione  poco,  ballando  ali'ef-rci- 
zio  delle  arti  primitive  ,  non.  abbia,  che  pochifiìtne  braccia 
da  fomminifirare  alle  miglioratrici  :  o  nella  debolezza,  de' tem- 
peramenti ,  che  prodotta  da' vizj  ne' ricchi ,.  dalla  miferia  ne' 
poveri  ,  e  dalla  infalubrità  di  molte-  regioni  ,  rende  una  gran 
parte  de' cittadini  poco  adatti  ai  guerrieri  e  paciliù  travagli: 
o  nella  generale  corruzione  de' coliumi  ,.  che  cagionata  dall' e-^ 
fempio  dc'grandi  ha  renduto  ai  piccioli  più  caro,  l'ozio  nel» 
la  fperanza  della  impunità  de'deliniro  (ìnalmente  nella  igno- 
ranza univc-rfale  ,  che  prodotta  dalla  debole  protezione  a^-cor- 
data  alle  fcienze,  avrà  i.mpcdito  al  popolo   di    prchttar   delle 

utili 


2°3 
titìll  fcoverté  3egli  ailtri ,  iiientré  le  alpeftri  o  mal  ficure 
interno  rtrade,  allontanando  vie  più  fra  loro  gli  uomini,  le 
cittìi  ,  l-e  Provincie.,  avranno  ritardato  quel  rapido  commercio 
d'idee,   che   tanto  conduce  allo  fviluppo   dell'umano  ingegno. 

Ciò  pir  gli  oHaeoli  generali.  Ed  in  quanto  ai  particolari 
ci  cotiteiitercmo  di  ripetere  brevemente  quello,  che  gik  ne  scris- 
sero altri  iofigni  autori  ,  e  fpecialmente  il  Palmieri,  ed  il 
celebre  fctittore  della  Scienza  della  Legislazione.  Reputano  es- 
fi  di  fommo  detrimento  ìWì  arti  tutto  ciò,  che  diminuisce 
r  einulaiione  degli  artigiani  -,  come  sirebbe  principalmetJte 
quel  che  dicefi  dritto  di  m.ieftranza  o  iì^no  le  matricole  , 
e  molto  più  di  quefte  i  privilegj  efcluiìvi,  che  njn  folo  U 
diminuircelo,  ma  la  d;l}ru:;goiio  affittò.  Altro  oiiacolo  repu- 
ta il  Filangi.Ti  egli  Torta  di  dazio,  che  awilifca  1' inJudria 
fin  dai  luo  na'ce'C.  Ma  fono  quefle  verità  ornai  sì  trite  e  co- 
nofciute  ,  chi  inutile  anzi  nojofo  mi  fembra  il  diTcorrerne 
più  a  luiii^o. 

Rimi  /li  i  fopraddetti  generali  e  particolari  oRacoli  ,  e  da- 
to in  tal  guila  alle  arti  libero  il  campo  di  crefcere  e  fiori- 
re per  quanto  l'intereffe  della  nazione  il  comporta,  inutile 
non  farà  del  tutto  il  porre  di  accordo  negli  artigiani  l'inte- 
tefle  e  la  van,i.à  ,  prorrettenHo  e  'dirtribundo  d'n  (cbiietk 
■e  pompa,  e  p'enr.j  ed  onori  ai  p'ìi  meritevoli.  Nulla  di  più 
vano,  eppur  nulla  di  più  invidiato  die  la  nob'r^  ;  q  rindi 
nulla  di  più  caro  a  chi  non  può  vantarne  ,  the  il  vedervifi 
ravvicinato  dalla  mano  d<.*l  Principe;  e  nulla  infieme  di  p'ù 
gi-ufto  che  il  ravvicinarle  coloio  ,  che  b'n  mctitarono  d!  a 
patria  non  col -nome  degli  avi,  ma  col  proprio  fudof .  Co 
riulctr  dove  di  fommo  vaotasgio  princinalm^vite  appo  qu*  po- 
pnli  ,  1  he  dotati  di  una  fervida  imm  t;iaa£ooe  riiemoiio  pù 
vivanieine  gli  (limoli  dell' joibizione,  quali  fnn'i  a.'piro  p.e. 
gl'Laliani:    come  lo  reputo  al  contrario   inutile  affaito  ptil-- 

*  fo 


204 

fo  quelle  femibrute  nazioni ^  ìì  di  cui  ingegno,"  e  le  di  cui 
pafTioni  medefime  giacciono  quafi  fepolte  nelle  nevi  (empiter- 
ne  del  polo.  Badifi  però  che  fiffatti  onori  e  ricompenfe  non 
abbiano  a  riufcire  dannofi ,  anziché  utili,  per  una  ingiufta  di- 
ftribuzione.  Né  credo  ciò  facilmente  evitabile  a  cagione  degl' 
intrighi  e  rapporti  degli  afpirant  i  ,  e  della  incapacità  o  ve- 
nalità de'dillributori .  Volendo  fchivar  queflo  incoveniente  il 
Principe  dovrebbe  riferbare  a  ie  fteflb  un  rale  incarico ,  e  re- 
golar la  diftribuzione  col  Tuo  proprio  e  folo  difcerniraento  , 
anche  a  rifchio  d'in^annarfi   talvolta. 

Sembrami  necelTario,  innanzi  eh' io  dia  termine  a  quefìa  prima 
p.nte  del  mio  ragionamenroyil  fare  una  importaoie  eccezioni 
dalia  fiinrenza  fin  qui  loilenut.i, ed  è  la  figuente.Uno  de' prin- 
cipali doveri  de'  Governi  ft  è  qaellodi  vegliare  alla  confervazione 
della  vita  politica  delle  nazioni, offia  alla  di  loro  indipi.ndenza, 
allontanando  da  effe  ogni  pericolo  di  fìraniera  aggredii  ne .  Né 
ciò  fi  oi tiene  che  preparando  in  pace  gli  oggetti  neceitirj  a 
guerreggiar  con  fucceffo,  ove  una  dura  circoftanza  io  efiga  . 
Se  dunque  è  vero  che  alle  arti  in  generale  non  conviene 
per  parte  de' Governi  che  la  indiretta  e  negativa  protezione, 
è  vero  altresì  che  qualora  decader  vcgganfi  le  arti  prepara- 
trici  de' mezzi  opportuni  ad  una  valida  difefa,  il  Principe  e 
può  e  deve  indirpenfabilmenie  prefcriveme  ,  promuoverne , 
e  regolarne  fin' anche  l'efercizio.  Di  tal  genere  fono  p.  e.  e 
lo  fcavo  delle  miniere,  e  la  fabbricazione  delle  armi,  e  la 
coftruzicDe  delle  navi,  e  fimili .  Quelle  ani  poffono  confide- 
larfi  di  natura  beo  diverfa  dalle  altre,  poiché  non  l'utile  in- 
dividuale, ma  la  pubblica  univerfal  ficurezza  ne  forma  l'og- 
getto. 

Ma  tempo  è  ormai,    ch'io    mi  rivolga  alla    feconda    delle 
parti,  in  cui  divKì  fin  da  p  loci j. io  il   mio  ragionamento;  ed 
avendo  già  dimoflrato  qual  lotta  di  proiezione  polfaao  i  Go- 
verni 


ac5 
verni  accordare  alia  inc^unria  de*" popoli  fenza  pericolo  d't  nuo- 
cerle, tentiamo  di  fciogliere  il  problemi  propoltoci  nel  Pro- 
gramma, ed  ind.igare  fino  a  qua!  punto  le  ani  miglioratrici 
o  fiano  le  manifatture  vadano  iacoiaggiate  e  promoffe  prciTo 
un  popolo  agricoltore. 

Sarebbe  al  certo  ingiurlofo  all'accorto  autore  del  Program- 
ma il  fupporre  ch'egli  abbia  voluto  neppur  per  poco  met- 
tere al  paragone  l'inoportanza  dell'agricoltura  con  qjella  d-il- 
le  manifatture:  che  anzi  la  fua  frafe  medefima  fagi^i-nnenfe 
include  la  iubordinaziooe  d.-H'  una  all'altra  .  Infatti  que'  po- 
poli, che  furono  dalla  Provvidenza  allogati  fu  di  un  faolo  fe- 
condo, che  ben  corrifponda  alle  di  loro  cure,  t»oo  potrebbero  la 
miglior  modo  impiegare  il  lor  travaglio  che  nella  coltura  d:l- 
le  terre  :  travaglio,  il  di  cui  prodotto  fi  accrefce  fempre  in 
ragione  diretta  della  fua  quantitìi  e  perfezione  :  travaglio  , 
che  afitcura  non  folo  le  di  loro  ruffifteoze  ,  ma  quella  abb.oHati- 
za  eziandio,  nel  di  cui  feno  fiorifcono  per  fé  fieffe  le  manifat- 
ture a  mifura  che  fi  raddoppia  il  numero  e  l'opulenza  de* 
compratori:  travaglio  finalmjnte,  che  in  vece  di  amiBollire 
con  una  vita  fedentaria  coloro  ,  i  quali  vi  fi  applicano,  gì 
indurifce  airintemperie  delle  Ragioni,  e  gli  avvezza  alla  du- 
rata ed  alia  inienfita  delle  fatif^he. 

Ed  è  perciò  che,  rivolgetidofi  lo  fguardo  alle  più  grandi  e 
floride  nazioni,  che  figurarono  un  tempo  al  mondo,  fi  ve- 
dranno collantemente  da  per  tutto  i  primi  Legislatori  promuo- 
vere, incoraggiare  ,  onorar  l'agricoltura  quali  primo  mezzo 
alla  civilizzazione  de' popoli  :  per  ogni  dove  la  religione  me- 
delìma  confacrarne  e  divinizzarne  i  primi  inihtutori  :  per  o- 
gni  dove  la  politica  iikfla  ravvifar  nella  cl.»lTe  degli  agricol- 
tori   un   femenzajo  di  ottiraì  e  formidabili  guerrieri. 

Ed  è  perciò  che  fovente  furono  veduti  ne' remoti   tempi  il 
vomere  e  io  Icettro  dì/putarfi  una  mano  medefima:  ed  è  per- 


\o6 

ciò,  che  furono  gl*a  vlfti  i  Cincinnati  dividere   il  dì  loro  terapd 
fra  l'aratro    ed  i  trionfi.    Non  è  raro     nella     Gina  1' efempio 
di     un    laboriofo    agricoltore    innalzato    all'onorèVol    poli-o  di 
Mandarino.  Quivi  fi  l'corge  il  Principe  ilteffo  in  una  fella  [q^ 
lenne  folcar  la  terra,   e  dir  quafi  aj^li  agricoltori  in  tal  mo- 
do: fono  cultore  anch'io.   La  Pei  fia ,  quella  regione,]  di   cui 
popoli  ferbano  l'imprjna  della  più  alta  antichità,  la   Perfia, 
dico,  vanta  tuttavia  ne  fuoi  conta Jini   una  delle  clafll  p'ià  a- 
g'ate  e  ragguardevoli  della  nazione.  Li  Grecia  febbene  inara- 
ta di  fuolo,  ed  angufta  di  f  perficie,  mirò  pur  gran   peezo  i 
fuoi   popoli  induUriofi  cozzar  colla  natura  illefla,  trionfarne, 
e  coronar  le  petrofe  vette  de' fuoi  colli  di  olivi    e  di  allori; 
mentre  l'Egitto,  il  mifleriofo  Egitto,    ravvifava  ne' proJota 
del   fuolo  i  l'uui  Numi   medefimi ,    colicchè  l'agricoltore  pote- 
va colà  dirfi  a  buon  dritto  feminaror  di  Dei.  Dovunque  in  fom- 
nia  volger  vi   piaccia  la  voflra  attenzione,  o  fignori ,  in  ogni 
eia,  in  ogni   popolo  ritroverete    pur  fernpre  frequeiitì   e  ficu- 
li  indizj  degli  onori    ed    incoraggimenti  all'agricoltura  accor* 
dati,  e  del  pregio,  in  cui  erano  tenuti  ^li  agricoltori. 

E  qui  mi  fi  permetta  una  breve  digreflìone ,  e  fiami  lecito 
di  cflervare  che  con  vergogna  della  moderna  Europa  è  ben 
diverfa  oggidì  la  ione  di  quella  laboriofa  ed  u'ile  e  (em- 
prC' meno  corrotta ,  e  fempre  più  innocente  clafle  della  focie- 
tà.  Que' popoli  feroci,  che  vaganti  dapprima  per  gl'immenfi 
delerti  della  Scizia  e  della  Tarraria  ,  non  vi  conobbero  che 
Ja  Caccia  la  Pallorizia  è  la  Guerra  ,  ed  inca'zanJofi  pofcia 
a  vicenda  ,  e  pioiniando  1'  un  dopi  l'altro  fulle  fenili  e  ri- 
dènti regioni  del  mezzogiorno  ,  vi  èrfero  nuiwi  troni  fu  le  ro- 
vine del  Romano  Coloflo,  coflnro  viJero  con  dilprezzo  bear- 
ti de' pop  li  vinti  ,  e  ne  difdegnarono  1' efercizio  .  Q_uindi  la 
G  )-rra  e  la  Carca,  effenJo  le  occupazioni  favnnt>  de' vin- 
citori ,  incominciaiono  a  venir  confidetate   come  uooili    e  U- 

be- 


'2*7' 

berali  menieri,  mentre  l'agricoltura  vanne  a  villpcnJetiì  ed 
a  reputiirfi  qu.ifi  un'arte  fervile  e  dilonorante  .  Coiìcchè ,  feb- 
b.-ne  col  rilorgimenio.  di  ogni  filofofia  ,  l'agricaitors  abbia 
cefiatQ  di  rifguardarfi  come  un  vii  fervo  della  gleba,  ciò  noii 
oiiante  egli  òancca  b.'n  lun?i  .dal  riprendere  quel  polio  di 
onore  ,  cha  mcritameota  conferito  gli  aveva  la  veneranda 
antichità  ;  e  le  odiernii  Cereri  non  hanno  né  tempj  ne  fa- 
oerdòti  ^ 

Ma  ritornando  all' intralafciato  argomento ,  non  poflo  ade- 
nermi  dal  ritl-ttere  che  mentre  appo  le  pm  celebri  nuio- 
nì  del  mondo  ['  agricoltura  fu  Ai.  p:T  tutto  egualmente  favo- 
rita ed  onorata,  non  rimane  al  contrario  alcun  vefligio ,  al- 
cuna memona  d'inlHruzioni  tendenu  a  promuovere  l' eferci^io 
delle  arci  miglioratrici ,  le  qujli ,  ove  fi  tolgano  k  cade  deal' 
Indiani  e  le  trafminTio  i  crednarie  negli  Egi^j,  fembra  eh; 
fieno  fiate  fempre  abbandonate  a  fé  ft-ffj  ed  all' interelTe  ge- 
nerale dille  nazioni  .  Eppure  a  qual  grado  di  perfezione 
non  gijnf;ro  fra  i  popoli  fopradderti  ?  Vel  dica  per  me  U 
(ioria:  vel  dicano  que' monumenti  (amofi  ,  a  pie  di'quqli  il 
tempo  arreda  ancora  la  fua  falce,  e  le  preziofe  (l^ìffe  di 
I^'ffia,  e  le  da  voi  pregiate  cinefi  porcellane,  e  qua'  vafi  e 
qu.-'b'-onzi  ,che  trionfatori  deTecoU  e  dell' ire  vesuviane,  riedo- 
DO  intatti  alla,  luic  con   meraviglia,  dell' univerfa . 

Ma  tdlC'  è  la  condizione  delle,  a.ti,  che  quando  l'agricol- 
tura (  fono  quefte  parole  del  preloduo  Filangieri  }  ,,  qu.indo 
l'aorxoltura  ha  fatto  i  maggiori,  pro^r.-lli  in  uaa  naz  one  ; 
quuido  lotto,  i  fuoi  aufpicj  la,  popo'az  one  è  crefciuta  ;  quan- 
do quella  è  fujeriore  a  q  iella  ,  che  la  ti.'rra  richiede  per  la 
fua  coltura,  e  l.j  focietà  p-'l  fj/i  bu.)n'ordine  ;  quando  l' ab- 
hmdan^a  illelT.v  dA\i  cofe  neceifarie  alla,  vita  mette  l  uomo, 
nel  dritto  di  ricercir  quelle  ,  <;h^  gliela  rendono  pù  piice- 
Vole  ;  quanJo  finalm;uie  molte    braccia  remerebbero  oziole  , 

fc. 


fé  non  fi  addeftraffero  a  dare  una  certa  forma  à  p^rodotti  del 
fu&lo  ,  allora  una  porzione  degli  abitami  di  quefto  paefe  di- 
viene manifatturiera j  allora  fé  quelto  popolo  non  è  immerfo 
nella  conquifta  ,  non  è  oppreffo  dai)a  l.hiavirù,  uiiifce  i  be- 
nefizj  dell'agricoltura  a  quelli  deli' indullria  ,  produce  con  uni 
triàjjo  ,  e  perfeziona  coll'aUra.  Ecco  (  egli  aggiugne  )  qual 
fu  là  forts  delle  Indie  e  dsUa  Cina  d  11*  Perfia  e  dell' E- 
gitto,  di  guertì  paeli  ,  cli2  accoppnrono  a  tiitt'i  tefori  della 
natura  le  più  brillanti  invenzioni  dell' arte:ecc9  qual  farebbe 
ttata  ancora  la  forte  della  nolìra  Italia  ,  (e  avefiTe  potuto 
lafciar  per  un  momento  d' effe  re  schiava  ,  o  di  combattere.,, 

E  fui  propodto  ricordarvi  mi  giova  di  quelle  nazioni 
Indiane,  che  difpenf.ite  qusiì  del  tutto  dalla  coltura  de' cam- 
pi per  la  fomma  feracità  del  iuolo  ,  fofpinrero  le  manifa'ture 
ad  un  tal  grado  di  perfezione  die  oltrepaffa  ogni  umana 
credenza.  Felici,  fé  circondate  da  rupi  inacceffibili  ,  aveffero 
potuto  fchivare  le  invafioni  di  popoli  robufti  e  bellicori ,  che 
da  fecolo  in   fecolo  le  hanno  collantemente  foggiogaie.' 

Mettano  dunque  i  Governi  de' popoli  agricoltori  ogni  loro 
«ura  in  favorire  ed  incoraggiar  l'agricoltura,  in  accref:er  le 
cognizioni  utili  alle  diverfe  parti  di  eflfa  ,  in  rimuovere  fopra 
rutto  gli  cffacoli  ,  che  ne  impedifcono  il  progreffo  ;  fi  ram- 
mentino di  quel  buon  Principe,  il  quale  credeva  che  il  fuo 
popolo  avrebbe  dovuto  dirfi  felice,  folo  allor  quando  ciafcun 
contadino  aveffe  potuto  mettere  ogni  giorno  la  fua  pentola 
al  fuoco;  e  ripofino  poi  fuli'accrefcimenio  de  bifogni  cagio- 
nato dall'aumento  delle  ricchezze,  lafciando  a  queffì  il  pen- 
fiero  della  dilatazione  e  perfezione  delle  arti  miglioratrici  ,  e 
delle  manifatture  proporzionate  alle  circoftanze  patticolari  de' 
popoli. 

Q_uefta  importante  verità  ci  porta  naturalmente  a  far  del- 
le altre  non  meno  importanti  offervazioni .  E  primieramente 

fé 


20p 

fé  Tagricoltura  deve  eflTefe  II  primo  fcopò  della  vigilanza  del 
Principe  ptelVo  un  popolo  agricoltore  ,  qualora  alcuna  parte 
di  eHa  veggafi  imperfetta  e  trafcurata,  fi  dovrk  reputare  di  fom« 
ma  importanza  il  promuoverne  e  migliorarne  l'efercizio.  In 
tale  Itato  p.  e.  mirafi  appo  di  noi  la  coltura  de' prati  artificiali, 
e  quella  de'  bofihi .  In  lecondo  luogo  le  manifatture  inferviea* 
li  o  direttamente  o  indirettamente  all'  efercizio  dell'agri, 
coltura  medefima  meritano  per  la  Hefla  ragione  di  effer  più 
di  ogni  altra  incoraggiate.  Vero  è  che  quelle,  per  lo  facile 
fmercio  de' lor  prodotti,  fono  sì  communi  che  l'agricoltore 
non  ne  mancherà  giammai:  d'altronde  la  fabbricazione  degli 
firomenti  rurali  è  così  facile,  ch'egli  può  formarfeli  da  fé 
ftelToo  col  foccoMo  del  più  imperito  artigiano  .  Ma  può  Hare 
talvolta,  che  ne  vengano  inventati  de' nuovi  e  de' migliori 
dai  profeflori  delle  ani  fublimi ,  ed  in  quel  cafo  è  dovere  del 
Principe  il  follecitarne  la  propagazione. 

PoHono  finalmente  effervi  delle  circoflanze,  in  cui  la  col- 
tivazione delle  piante  cereali  non  poflfa  occupare  tutta  la  fu- 
perfide  di  uno  (tato  ,  perchè  limitata  o  dal  numero  de' con- 
fumatori o  dalla  difficoltà  della  efportazione ,  e  che  fieno  per- 
ciò coftretti  i  poffellori  ad  cfiendere  la  coltura  di  altre  piante, 
che  preflino  maieiia  a  diverfe  manifatture  ,  come  farebbero 
la  canapa,  il  lino,  i  gelfi,  la  foda ,  il  cotone  ed  altre.  Ed 
in  quei  calo  il  Governo  dovrà  favorire  più  di  ogni  altra  le 
manifatture  adatte  a  porre  in  opera  i  prodotti  delle  fopiad- 
dette  particolari  coltivazioni,  appunto  perchè  poffano  quefte 
profperare  ,  e  riufcendo  profittevoli  ai  poffcflbri  ,  concorrano 
a  rendere  fempre  più  florida  e  vivace  l'agricoltura  in  tutt'i 
fuoi   rami  . 

E'quefta,  o  Signori,  la  ferie  delle  idee  fufcirate  nell' animo 
mio  dal  propollo  argomento;  e  fembrami  aver  dìmoRrato  a 
fufficienza  : 

Tom.ll.  37  I, 


210 

I.  Che  la  arti ,  figlie  del  bifogtio,  fono  intimamente'  colle- 
gate al  generale  interefle  deali  uomini  ;  e  ficcome  queflo  può 
venir  confiderato  come  un  fluido,  proclive  Tempre  a  livellarfi 
ed  a  prendere  la  piti  conveniente  at  ti tudine,  purché  non  ven- 
ga turbato  da  un'impulfo  ftianiero,  C(  s'i  (ara  fempre  inutile 
e  fpeflb  pericoiofa  alle  arti  quella  protezione  ,  ch'io  chiamo 
diretta,  e  che  confifte  in,  volertie  favorire  il  progreffo  ,  mi- 
furandone  e  prefcrivendone  il  moto  per  uno.  fpìrìto  mal  pen- 
Jato  ds  ordine  e  ftmmeiria  .. 

2..  Che  l'unici  fpecie  di  protezione,,  la.  quale  ad  effe  ceni- 
pére,  è  la  indiretta  :  quella  cioè, che  contentandofi  di  rimuo* 
ver  gli  ofìacoli  ,  laTcia  che  la  natura  ifteffa  delle  cofe  ,  vai 
quanto  dire  le  fifiche  e  morali  circoiìanze  della  nazione  af- 
fegnino  alle  arti  quel  polio,  che  più  ad  effe  conviene  fra  gli 
altri  oggetti  della  pubblica  induflria.  E  quella  maffima  non. 
folo  alle  arti ,  ma  a  qualunq^ue  altro  rama  della  induftria  urna-, 
na  è  applicabile.. 

3.  E  finalmente,  che  preflb  un  popolo  agricoltore  ,  la  fo- 
praddetta  protezione  all'  agricoltura  principalmente  compete  , 
ed  a  tutto  ciò,  che  al  di  lei  efercizio  e  miglioramento  con- 
corre .  Ond'è  ,  che  viene  in  tal  guifa  rifoluto  il  problema 
propoftoci  ;  ed  al  quefito  :  Fino  a  cjiial  punto  àebban  proteg- 
ger/i le  /irti  prejfo  un  popolo  agricoltore  ;  va  rifpoflo  :  Fifio  a, 
^uet  punto ,  in  cui  effer  pojjano  utili  ali  agricoltura . 

Lafcio  ora  libero  il  campo  ad  altro,  di  me  più  valente  0- 
ratore ,  il  quale  con  orme  più  ardite  e  ficure,  fappia  calcar 
l'indicata  difficile  aringo o. 


III. 


III.    MEMORIA 

APPROVATA  IN  TERZO  LUOGO  PEL  CONCORSO 
GOLL'  EPIiRAFE 

Toi>  aptfov  ovrci  rutv   ikutou  <ruv  tixi'up  <n  r0ìi>  iu. 

TlpVTCCl!(l(i)    KccildccVUi    JCCCt    TpOi^plAif 

D  E  L     S  O  C  I  O 

V.INCENZO    DE    RITÌS. 

Dilucida%.ìone  dd  Problema , 

\^  N  griJo  preffbchè  generale  fi  è  innalzato  tra  gli  Eco- 
nomici  contro  l'ammmiltrazione  di  Colbert  :con  pruteogera 
troppo  le  arti,  fi  è  detro,  quello  miniUro  ha  depielfa  l'agri- 
coltura, e  rovinata  la  Francia  (i).  Ma  i  (e.^ua:i  di  una  tal 
fentenza  fon  forfè  troppo  attaccati  alia  ingegnofa  teoria  di 
QuESNAY,il  quale  limitando  la  ricchezza  n-Jzionale  al  folo 
prodotto  annuo  della  terra  ,  non  riconufce  nelle  manifatture 
che  un  hmatto:  l'artiere,  fecondo  quello  autore  ,  dà  sì  bene 
una  nuova  forma  a' prodotti  dell'agricoltura  ,  ma  non  ns 
accrefce  punto  il  valore;  ei  non  fa  che  barattare  di  continuo 
il  prefente  con  l'avvenire  ,  ed  accumulare  femplicem.?nte  il 
fuo  falano  (2).  Or  dietro  quelli  principi  era  ben  confeguen- 
te  che  i  paefi  favoriti  dalla  narura  ,  qu  Ili  che  poflesjgono 
vafte,  e  f  rtili  campagne,  e  che  abbon 'anri  mt[{\  ti-  ra  col- 
gono, doveffero  rifentire  altamente  la  diminuZ'One  d  Ile  loro 
ricchezze  ppr  qualunque  operazione  del  governa  che  d.ltac- 
caUe  gli  uomini  dall'aratro;  era  b'n  coufeguente  che  in  un 

*  pie- 


212 

pae'e  agricola  fi  pot^fTe  'anche  (3el  fufto  fare  a  meno  dì  ut- 
tigiani,  giacché  fé  non  fuflVro  Je  manifatture  che  un  barat- 
to, e  di  rulla  accrefceflero  la  ricchezza  nazionale,  potrebbe 
quefto  indifferentemente  efercitarfi  con  V eiìsro .  non  refiando^ 
per  avvifo  degli  economici  ,  dopo  d  commercio  neJJ'uno  ài 
barattntori  p.h  ricco  di  quello  f  jjfe  in  tivanti  (3,  ;  era  ben 
conffguente  in  fine,  che  fé  artigiani  pur  dovelfeio  fuffiftere 
in  un  paefe  agikola,  quelli  dovtflero  avere  un  cero  lioìite 
e  lungi  dall' accrrdar  loro  una  protezione ,  il  govemo  dovefle 
occupirfi  piuttofto  a  cercare  i  mezzi  di  minorarne  il  nume- 
ro ,  quando  foffe  piunto  a  tale  da  dìmiruir  cu«11'j  necefiario 
alla  coltivazione  ed  inriero  migtioram.'n'o  de'ierreoi. 

Dietro  cuefte  ve-'u'e  per  la  (oluzione  del  problema  fsm- 
bra  doverfi  efamicare: 

i.°  Si^no  i  foli  piorionì  dell'agricoltura  quelli  che  ferma- 
no la  ricchezza  nazionale? 

2°  Quali  fono  i  danni  e  ì  vnntapgf  che  può  recare  in  uti 
pop»  Io  agrico'a  Tintror'uzione  deile  «rantatrure  ? 

Z°  Quale  d<  vrà  efffre  la  cura  del  governo  per  accrefcere 
la   rIC(.hez^a   nazionale   in   un   f^opolo  agricola? 

Ma  il  problema  fi  pre'^en'a  in  altro  afpetto  di  m  g:5Ìore 
imereHe  relativamente  ai  ra  porti  de'coftumi,e  della  poteOf 
23  nazionale.  E'  ftao  o  ini  ne  ài  non  pochi  che  le  ^rti  l'e* 
prava  ;n  i  coltunii  ,  e  pi-pparano  la  rovina  delle  n  zioni  .  Se 
Ciò  tulle  vero,  le  arti  dovrebbero  effere  del  rutto  bandire  iti 
un  paefe  agr  cola  ,  r>  almeno  limi-ate  alle  meuo  cuirumpi- 
llici .  Quindi    for£''='   l'e'ame   >^i   altri   qijefiti: 

4."  Qual'è  l'influenra  delle  «rti  fu  i  cona-ni,e  fu  la  po» 
terza  '  azio;  ale' 

5."  Vi   fmo  d  Ile  arti   che  meritino  di  eflere   prof^r  fte? 

6."  Q'jale  do>^r''.  eflore  Ih  cori  del  "ovemo  relati  v  un  nre 
alle  arri  riguardate  fui  rapporto  de'cortum:,  e  d.lla  pjtn^a 
Oa-iuuaie  f  Hi* 


Dt/iiì^»KÌon(y  e  metodo  ài  quefla  Memoria. 

j  Eraine  ò<t\  problema  propoflo  =:  fino  a  qual  punto  in 
un  pnp'lo  agricola  debbono  protegger/i  te  manifatture  ::=  è 
dunque  dalla  natuia  Itefla  del  fogg.tto  divifo  ne'fopraindicsti 
foi  efami  parziali  .  Ma  percorreremo  questo  irnmenfo  (iadio 
in  tutta  la  Tua  e^.^nfione? 

Per  conr.'rvare  i  lioiiti  prefcritri  ad  una  memoria  accade- 
mica eviteremo  per  qjantu  i  polFibile  le  minute  difcuflioni, 
e  le  confutiZioni  di  moke  opinioai  di  paco  iruerefle  j  pro- 
cureremo i.ti  ailonun.rci  dal  regOJ  delle  aerazioni  ,  e  dille 
ideali  t  orie  ;  e  raggi  uppaido  m  un  (ol  punto  di  veduta  la 
noria  di  tutt'  i  fecoii.c  il  corfo  uniforme  di  tutte  la  nazio' 
Ili,  feguiriino  il  cammino  neceflarìo  dell'umana  attività  nel. 
le  varie  ep  >che  della  fua  civilizzazione.  Una  fcienra  che  (ì 
annuncia  comi  adente  p^^r  Tuo  fcopo  la  profperitìi  di  ruttigli 
uomini,  diventa  qua'ì  ui  oggetto  di  derifione,  qua'ora  fi  li- 
miti a  vane  teorìe,  di  cui  giaiiiinai  uon  »' anrapreada  l'ap- 
plicazione. 

§     I. 

Sono  i  foli  prodotti  d  If  airrlc^ltura  quelli  che  formar.» 
la  riccòezza  nazionale? 


i  ^  Oro  , 


e  t'arq'nto  f  gnì  di  rune  le  riccheeze  ,  mpzzì 
di  baratto  (n  tuiti  gli  uomini  ,  prezzo  di  tutte  le  mer- 
cuizie  y  non  fur  nano  per  effi  (tiffi  la  ricchezza  di  una  na- 
zoic  :  e  fé  v'è  (Ura  u  *  epj.a,  nella  qu<ile  il  potere  del 
de  uro  forprendeva  l' immani  iia/io  e  di  rutti  i  governi  e  di 
tuli  gli  Icriiiuri  Jj  pabb'ca  ewOi))mia;  fé  h  parole  denaro^ 
e  rirrè.'zza  Ij  'raij  coitati  in  tute?  le  lingj.'  ;  fé  lo  fcopO 
di  latte  le  uiu.muiitraiioui  era  di  attirare  i  metalli  preziolì, 

ed 


^14 

ed  accrefcerne  la  malfa  col  commercio  eHerno  :  i  progreffi 
della  fcirnza  amminilirativa  mettono  al  prefente  fuori  di 
coniroverfia  ,  che  altre  perfone  oltre  a  quella:  thi  lavorano 
alte  miniere  poflono  procuare  ad  un  pooolo  la  vera  Ofiulen- 
-za  ;  che  la  caufa  creatr'Ce  delia  ricchezza  nazionale  nun  è 
•il  lucro  che  una  nazione  può  fare  a  fpcfe  di  un'  altra  col 
commercio  ;  che  i  ditetti  dell' interna  amminiftrazione  ,  la  dif- 
folutezza  de'coftumi,  i  progrefil  dell' ingiultizia  ,  e  mille  al- 
tre caufe  morali  poifo.io  rovinare  una  nazione  anche  in  mez- 
zo ad  un'abbondanza  di  nuTierariu;  che  la  fcarlezza  di  qje- 
fìo  è  uno  degli  ciTotti  della  Tovint  nazionale  ,  e  non  la  Tua 
cau'a;  che  03  i  monopolio,  ogni  limitazione  0  rei;lu(ione  è 
pjìi  nocivo  a  quelli  che  racchiude  che  a  quelli  che  efclude  ; 
e  che  in  fine  l'altrui  pro'^perita  è  un  b?ne  p;r  noi  ,  coras 
l'avvcrlith  un  male  ,  in  economia  politica  egualmente  che 
in   morale  (4). 

Ma  fé  il  fiftema  às  Marcmùfìì  tion  ha  p'ìi  partigiatii', 
quello  degli  Economi/ìi  (5)  fembra  non  del  tutto  abbnttufO, 
e  la  teoria  di  Quesnay  par  fi  foilenga  ancora  a  fronte  di 
quella  dell'autore  della  Ricerca  fu  la  natura  e  la  cnufa  del- 
ia r'iccbe%7ifi  delle  >ìaz'iorii  (^6 j  .  L'  efame  delle  opinioni  di 
quefli  ultimi  dee  perciò  richiamare  la  noftra  attenzione. 

Il  lavoro  delle  inani  libere,-  dice  l'autore  inglefe  ,  forma 
la  ricchezza  delle  nazioni  •=  La  terra  fenza  dubbio  è  un 
iftrumeBto  produttivo:  la  terra  refa  fertile  prodiga  all'uo- 
mo i  Tuoi  tefori  ;  ma  la  terra  rimane  infrurtuola,  fé  l'uo^ 
•mo  non  le  confacra  il  fuo  fudore  -,  Che  f  no  in  fatti  le 
forcfle^che  k  coprono  ,  i  prati  che  l'adornano,  gli  an  ma- 
li che  vi  errano  ,  ove  l'uomo  è  rimafto  nelU  inattivi- 
tà ?  Quelle  apparenti  ricchezze  non  hanno  valore  alcuno  : 
è  quello  un  luffo  della  natura,  non  l'opulenza  dell'uomo,. 
Le  prime  ràelìi  ,    la  prima  gregi,ia  ,    le  prime  capanne   i-i-r 

nai. 


21$ 

«alzate  co* rami  dì  quercia,  le  prime  pellicce,  fpoglle  delle 
prime  prede  della  caccia,,  furono  acquiftate  par  niizio  del 
lavoro  creatore  dell'uomo;  ed  al  prefente  l' abbondanza  del- 
ie noftre  cam-pagne,  i  frutti  de' noftri  giardini  ,  i  grani  de' 
nodri  maggefi  ,  i  vini  delle  nollre  vigne  fon  pure  il  lavoro 
dell' l'omo  che  fecondando  la  natura,  e.  dirigendo  le  di  lei 
forze  verfo  1'  utilità  ,  ne  ha  fatta  la  fua.  ricchezza  . 

Ma  la  ricchezza  nazionale  ,  che  è  milurata  foltanto  fui  pro- 
dotto annuo  della  terra ,  è  ben  poca  cofa,  fé  il  lavoro  dell' 
artigiano  non  accumula  quella  ricchezza  e  non  la  fa  frut- 
tare.. I  velli  delle  noflre  pecore  han  pochiffimo  prezzo  ia 
faccia  ai  fontuofi  panni  di  Sedan,  e  Louvier,  o  agli  fcialli 
di  Cachemire  :  le  foglie  del  gelfo  non  ne  han  d'  avvantaggio 
a  fronte  della  ricca  ftoffa  di  feta:  le  canape  e.  i  lini  appena 
fvelti  fon  quafi  un  nulla  a  fronte  della  trina,  e  della  batii- 
fta  •  Fra  quelle  produzioni  che  il  lavoro  del  coltivatore 
Orappa  alla  natura,,  e  quelle  che  le  arti  prefenrano  in  tutto 
il  raffinan-ento  al  lulTo.  de' ricchi ,  l'intermedio  è  il  lavoro,  il 
lavoro  variato  di  tutte  le  clafli  delli  focieta,  il  lavoro  uni- 
ca ferapre  forgeote  della  ricchezza  (7)., 

Ma  il  lavoro  degli  artigiani ,  dicono  gli  economifti ,  non 
è  che  un  baratto:  il  frutto  di  quello  lavoro  non  è  che  i' 
equivalente  del  loro,  falario.  Una  pezza  di  panno  diftaccata 
figgi  dal  telajo  rapprefenta  i  velli  delle  pecore  ,  che  fono 
flati  impiegati  per  farla;  rapprefenta  il  nutrimento  ,  e  il 
mantenimento  di  chi  ha  lavata,  p^^ttinata,  filata,  telfuta  la 
lana;  r^ppref-nta  in  fine  il  mantenimento  e  il  nutrimento 
di  chi  ha  diretta  l'opera..  Sono  l*ati  lempre  diflruni  de' be- 
ni prodotti  dalla  terra  pria  che  altri  beni  fieno  llatl  imro^ 
dotti  dagli  l'omini  (8)..  Q. ale  iark.  il  noOro  avvilo  traopi-- 
©ioni  co'i.  difc'jrdanti  ? 

Non  ogni  lavoro  è.  caufa  della.,  ricchezza  nazionale  ;  vi  fo-- 

00 


2l5 

Bo  de' lavori  non  protJuttìvI  ;  ve  ne  fono  ancora  de' disrut- 
tori. Ma  febbene  ogni  lavoro  diretto  alla  utihtà  e  ai  godi- 
menti dell'uomo  potefle  confiderarfi  come  un  lavoro  prcdur- 
tivo^  e  forgente  per  confeguenza  della  ricchezza  nazionale  (j?), 
pure  riA^ibandoci  lo  fviluppo  di  una  tal  verità  ad  una  me- 
moria che  avrà  relazione  con  qnefta,  ma  che  per  ora  fareb- 
be eftranea  al  foggetto  ,  limitiamoci  al  prefente  a  chiamar 
Lvoro  produttivo  quello  fol tanto  che  lafcia  dopo  di  fé  una 
produzione  nuova  o  migliorata  ,  ed  una  merce  baratrabile . 
Or  dietro  quelle  vedute  ,  vivere  fenza  nulla  diminuire  col 
proprio  conlumo  la  mafia  delle  ricchezze  nazionali,  aver  la- 
ìciato  alla  focietà  un  completo  indenoizzamento  per  ciò  che 
vi  ha  fomrainillrato ,  non  è  Tempre  un'accumolazione  di  ca- 
pitale, un  accrefcimento  di   faiario? 

Li  terra  lungi  dal  formare  efciulivamente  1'  opulenza  na- 
zionale, non  dee  conliderarh  che  comt  una  maturili  prima  ^z\ 
lavoro  dell'uomo,  e  come  un  ijìmmento  che  collocato  tra  le 
di  lui  mani  ne  rende  più  produttivo  il  lavoro  .  In  efla 
dee  conijderarfi:  1.°  il  valore  che  poteva  avere  per  fé  fìefla , 
2."  il  \alore  ricevuto  dal  travaglio  accumul.ito  dall'opera 
delle  pafl'ate  generazioni  ,  che  ha  refi  i  no(tri  g'ardini  e  le 
nofire  vigne  tanto  fuperiori  ai  deferti  della  Nuova-Olanda  • 
Or  quello  fecondo  valore  è  incalcolabile  a  fronte  del  primo. 
Non  è  n-ceflario  portarfi  alla  foce  del  Reno  e  della  Mofa 
per  ammirare  il  miracolo  della  umana  induflria,  una  terra 
che  forta  dalle  acque  oppone  colle  fue  dighe,  informontabili 
barriere  all'impeto  de'flutti  ;  che  tagliata  in  tutt'i  fenfi  da 
iiumerofi  canali  agevola  la  navigazione  interna  ,  anima  mil- 
le macchine  idrauliche  per  ogni  genere  di  manifattura,  foPtie» 
ne  una  immenfa  popolazione,  ed  offre  all'ouchio  dello  fpet- 
tatore  attonito  i  più  urbertofi  pafcoli,i  campi  più  produttivi, 
j  giardini  più  varj  e  luflureggianti  .  Non  è  neceifario  por- 
tarfi 


217 

tafG  fu  le  rive  della  Senna  per  oflfervare  un  terreno  Tabbiofo 
rcfo  al  più  a'to  grado  ferrilo  dall'  indu'.Jria  dell'  uom>  ,  e 
che  fenza  il  foccorfo  dell'  arce  farebbe  cundaonato  alia  Iterili- 
tk  finale  come  le  f-.bbie  dell'interno  ddl' Africa,  e  i  deu-rti 
ove  s'innalzava  già  la  magnifica  Palnira  (iO)  .  Senza  ufcire 
dalla  noflra  patria,  gli  fcogli  del  Capo  Iap)gio  (ii),  molte 
montagne  fecoadarie  della  noftra  Campania  (j2)  ci  prefentano 
un  egjal  proJigio  d'induftria:  non  farebbero  che  deleti  li.li 
e  burroni  inacceffibili  ,  fenza  la  m.ino  induftriofa  che  vi  for- 
ma ed  accumula  di  continuo  la  terra  vegetabile  ;  mentre,  le 
pianure  dell'agro  brindifino,  i  rotai  di  Pelto  ,  le  delizie  di 
B^ja  non  offrono  piti  che  rterilita  e  fquallore  ,  un  fuolo  in- 
fecondo ed  un  aere  peltilenziale . 

A  che  dunque  fi  ridurrebbe  la  ricchezza  nazionale,  fé  a  fen- 
tenza  degli  ecooomifii  efla  fi  limitafle  ai  foli  prodotti  pri- 
migeni della  terra? 

Ma  le  nazioni  civilizzate  oltre  al  prodotto  incalcolabilmen- 
te (13;  aumentato  de'  loro  campi  hanno  ben  altri  capitali 
che  accrefcono  illimitatamente  la  loro  ricchezza:  //  capitale 
jijfo  è  il  c/ipitnle  in  circolazione  (14). 

E'  capitale  fiffo  il  lavoro  accinnulato  degli  uomini  che  ferve 
ad  aumentare  le  forze  produttrici;  ed  appartengono  a  queila 
claffe  di  ricchezza,  i."  tutte  le  fpecie  di  arnefi  e  di  macchine 
dal  più  complicato  apparato  deUe  fabbliche  fino  al  più  femplice 
iftromento  di  agricoltura,  2.'  1' abilità  acquiftata  da  certi  ope- 
rai (15)-  Quefto  capitale  ha  lunga  durata,  ma  non  eterna: 
gli  arnefi  deteriorano,  gli  operai  mancano;  ma  per  la  focte- 
là  qu?fta  perdita  è  più  che  compenfata  dall'aumento  del  va- 
lore delle  cofe  annualmente  prodotte  col  loro  mezzo  .  D'al- 
tronde quefìo  fato  non  è  comune  ugualmente  alle  terre  ? 
JLa  loro  fecondità  è  efla  inefauribile? 

]1  capitale  in  circolazione  è   quella    parte  della   ricchezza 

z8  na.- 


ai3 

nazionale  cha  non  è  confumata  fé  non  per  fervìre  alla  riprcv 
duzione.  Le  ricchezze  nazionali  fono  s'i  bene  deltinate  al 
confuTio  e  al  godimento  degli  uomini  ;  ma  quefti  beni  foa 
meffi  in  parte  tra  le  mani  di  operai  produttivi  che  non  li 
confu.nano  fen2a  rimpiazzarli  con  nuovi  beni  di  maggior  va- 
lore, opera  delle  loro  mani;  or  tutto  il  capitale  che  una  na-. 
zione  lafcia  ogni  anno  come  falario  nelle  mani  de'fuoi  prò» 
prietarj  produttivi,  è  ci^  che  forma  il  capitale  in  cTColazio- 
ne;  capitale  che  pdffa  per  un  movimento  continuo,  ma  fot- 
to  d-fF:renti  fjrme  dall'  aitig'ano  al  manifattore  ,  da  quefli 
al  mercante,  dal  mercante  al  confumatore^  per  ritornare  co- 
me monetatane  mani  di  queft'ultimo  al  mercante,  al  mani- 
fattore, all'artigiano,  e  che  mentre  genera  dapertutto  la  vi- 
ta e  il  movimento  ,  fembra  diftruggerfi  per  effer  di  conti- 
nuo prodotto;  capitale  che  forma  in  ultima  analifi  il  fondo 
primitivo  delle  diverfe  fpecie  di  vendita,  e  che  fommitaifiran- 
do  il  /filaria  fuperjluo  (i(5)  dell'  artiere,  il  profìtta  di  chi  chia* 
iKa  qucfii  al  lavoro  porgendogliene  i  mezzi  ,  l'  allegagione  o 
cffitto  al  proprietario  de'  fondi  fu  cui  fi  efercita  il  lavoro , 
fi  accumula  indefinitivamente  in  ogni  anno  ,  e  fa  partecipi 
egualmente  alla  rendita  nazionale  tutt' i  pvoprietarj  de' terre- 
ni,  a  titolo  di  entrate,  tutt' i  negozianti  ,  manifattori  ,  im- 
prefarj  di  lavori,  e  c^pitalifli  ,  a  titolo  di  profitto  ,  e  tutti 
gli  operai  ed  individui  che  lavorano  per  un  guadagno,  a  ti- 
tolo di  falario;  capitale  ia  fine  che  dando  la  nozione  preci- 
fa  della  rendita  annua  della  focieth  ,  rende  ragione  del  para- 
doflb  politico  :  come  una  nazione  (17)  pofla  fomminiltrare 
annualmente  al  Governo  una  contribuz'one  fuperiore  alla  forn- 
irla di  tutt'i  fuoi  prodotti   territoriali! 

E' confeguenza  del  fifierra  degli  Econora'fli  che  l'unica 
contribuzione  debba  effcre  la  fondiaria.  Le  contribuzioni  In- 
ai tette  j  dicono   cffi  (  e  confeguentem^nts  ai  loro  priocipj  ) 

D0« 


7lp 

WQTi  gravitano  In  ultima  analifi  che  fu  ì  proprie  far)  eie' fon- 
idi,  ed  è  cofii  più  ficura  ,  e  piìi  economica  di  domantiar  loro 
direttamente  quefta  impofizione  piuttofto  rhe  farla  p.gareatì- 
ticipatairiente  di  altri  i  quali  ne  efioeranno  in  fegu  to  con 
ufura  il  rimborfo.  Ma  qu;;fli  erronei  rifaltati  moltrano  ad 
evidenza  tutta  l'erroneità  de'principj  del  fiftema  degli  Eco- 
romifìi.  Non  fono  dunque  i  proprÌPtDrj  de' fondi  i  Ioli  ricchi 
della  nazione;  e  i  foli  prodotti  dell'agricoltura  non  formano 
tutta  la  rendita  nazionale  .  La  diftinzione  delle  impòfizioni 
in  dirette  ed  indirette  è  una  mera  iìlulione;  giacché  Te  quel- 
le fu  i  'erreni  fono  in^pofizioni  dirette  (opra  i  proprietarj  y 
quelle  fopra  le  con^uma^ioni  fono  imp(  (izioni  dirette  fopra 
i  cmlun/atori  ,  fopra  tutti  qu.jii  cioè  che  hanno  una  fp  eie 
di  rendita  di  qualutqne  n.itura  efl'a  fia  :  la  lotteria  è  una  im- 
pofizione dir-tta  fopra  '  ^^^ocatori  ;  il  bollo  e  il  regiflio  fo- 
no impòfizioni  dirette  fu  i  capitali;  e  fé  vene  fono  di  quel- 
le che  anticipate  dal  mercante  vengono  poi  rimbofate  dal 
confumatore,  come  le  dogane  ,  e  gli  «f?ro;,  h  circolazione 
tra  chi  fa  l'anti.-ipazione  echi  la  rimborfj,  non  è  cosi  lunga 
e  difpendio'a  quanto  qu^'U.i  che  Quediay  aveva  calcolata  ,  e 
non  lo  è  forfè  nemni'^no  quanto  l'aveva  annu^iziata  Smitli, 
eflendo  probabile  che  una  parte  di  quarte  impòfizioni  venga 
pagata  cai  Commercio. 

E'  tempo  dunque  di  rinunziar  finalmente  al  fiflema  degli 
economidi  ,  filtrma  elegante,  ingegnofo  ,  ma  fofilìico  :  Olle- 
ma  che  non  pog-;ia  fé  non  foora  oflT'rvazioni  incomplete  -, 
fopra  di' òli  erronei,  fp^ra  aif  rzioni  fp»;liare  di  prove:  fi- 
flena  finalmente  iche  1' efperienza  è  venuta  a  r  vefciare  ,  e 
che  tanti  inconvenienti  prefcnta  nelle  fue  ap.-djc.zimi . 

Ma  f^  i  prodotti  dell' a^ricoliD':a  non  formano  la  iola  ric- 
ch?z/:a  nazionale,  non  è  per  qu.Mio  che  elfi  non  n.^  fjr'viino 
una   parte  eflenzialilTmia  in  un  paefe    favorito    duU^natu-a. 

*  Una 


2tO 

Una  nazione  agricola  non  dee  trafcurare  ì  vaa  taggi  che  può 
ritrarre  dalla  fua  agricoltura  per  addirfi  totalme  me  alle  ani 
e  al  com.Tiercio;  non  dee  privarfi  delia  fuperiorità  che  a  con- 
<lizioni  eguali  Vi  danno  fu  gli  alrrì  popoli  i  ricchi  prociotti 
territoriali.  Or  l'agricoltura  è  incoraggiata  o  avvilita  con  T 
introduzione  delle  arti  ? 

§     II. 

^ual't  fono  i  danni  «  /  vftntagqì  cbt    puh    recare    trr    un 
paefe  agricola  f  introduzione  (ielle  manifatture  ì 

JO  fuppongo  un  paefe  agricola  in  tutta  reftenfione  del  vo- 
cabolo ;  fuppongo  che  /i  progreflì  della  civilizzazione  ,  ed 
un' amminiitra'.ione  faggia,e  liberali  abbia  rimofTì  tutti  gli 
oitacoli ,  che  la  barbarle  e  l'inniuliiz'a  oppongono  all'inte- 
ro (viluppo  d-'lla  umana  attività  in  rapporto  a  quelfa  pri- 
mogenita delle  fue  arti.  Quando  nelle  mani  de' pochi  non 
fcno  accumulate  tutte  le  proprietà,  tutti  fondi  dello  ftato; 
qu  ndj  le  fullituzioni  non  fan  palfire  per  una  fegu^^la  non 
interrotta  di  fecoli  interi  continenti  ne' mcdefimi  rami  di 
una  Oefla  famiglia,  quando  il  cL-ricato  fecolare  e  regolare 
non  ingjja  una  porzione  de'  beai  della  nazione  ;  quando  il 
{ìftema  feuddle  è  fradicato  dalle  fondamenra  ,  e  il  colono 
non  pù  fervo  della  gleba  o  mercenario  ,  non  più  gravato 
dal'e  decime  o  dalla  corvata  ,  è  accomp.ignato  nJ  fuo  alTi- 
duo  lavoro  dalla  dolce  fperanza  di  migliorare  la  fua  condi- 
zione; (Quando  gli  abufi  introdotti  daile  nazioni  nomac'e 
conqu'datrici  non  p;ìi  lacrificano  alla  flerilità  i  terreni  piìl 
nbertofi  per  ferbarli  efclufivamente  alla  caccia  e  alla  pafto- 
rizia  ;  quando  abolita  la  promifcuità  demaniale  il  numero 
de' rroprierar)  de' terreni  è  accrefciuto  ,  ed  ogni  fondo  può 
effiie  m.glioraio;  quando  un  vano  palpito  per  evitar  le  ca- 
re- 


321 

tenie  non  faccia  rift3/?nare  inutilmente  le  derrate,  e  ne  fia 
libera  in  qualunque  modo  e  in  cgni  tempo  la  vendita  ; 
quando  in  una  parola  i  facri  diritti  della  proprietà  fon  li' 
fpettati  e  gara.ititi  da  una  lei^islazione  figlia  de' lami  accu- 
mulati di  tutt'  i  fag^i  ,  e  d.'lU  erpenenzd  di  tute'  i  fecoli  : 
rimojfo  allora  ogni  tifìacolo  allo  sviluppo  del'a  amata  Attività^ 
un  popolo  che  fi  fia  (labilito  fopra  un  terrno  fertile  ,  e 
chi  dal  prodotto  di  efTo  tragg-t  tutta  la  Tua  fufTiilenza ,  me- 
rita il  nome  di   n/izione  agricola , 

Or  per  prima  ipotefi  lì  fu  ponga  quella  nazione  priva  af- 
fatto di  manifattori,  «  coinmercianti  .  La  Lacinia  ria  g'i 
antichi,  la  Polonia  tra  i  moderni,  ci  offrono  l'efempio  di 
un  popolo  di  fimi!  fatta  (18)  .  Quale  farh  la  condizione  politica 
eci  economica  di  quella  nazione  ?  Eifa  farà  divi  a  io  due 
claflfi,  gli  Spartani  e  gli  Iloti  ^  i  Palatini  e  i  f.Tvi  della 
gleba,  gli  ozioli  e  i  travagliatori  ,  in  termini  più  feniplici 
gli  oppreflbri  e  gli  opprelTi .  Non  è  quello  il  luogo  di  fin- 
dacare  la  collituzione  di  un  popolo  di  fimil  natura  •  mentre 
degli  entulìafti  paradcflbmaniaci ,  ambiziofi  di  far  parte  d  l- 
la  prima  claffe  e  quella  fola  rimirando ,  innalzano  alle  (ielle 
l'ozio  libero  degli  Spartani  e  de'  Palatini  ;  l'amico  d -gli 
uomini  e  della  verità  verferà  lacrime  di  dolore  fnl  a  condi- 
zione della  f.conda  clalfe ,  e  dcteRera  le  leggi  di  Licug)  e 
di  Pothianowtfchy .  Ma  la  parte  economica  del  loro  governo 
dee  richiamare  a   più  minuto  efama  la  njftra  attenzione. 

1  ricchi  prodotti  del  fuolo  daranno  una  facile  fulTillenza 
a  quelfu  popolo.  Noi  non  direni  >  con  MoNTEsa'JiEU  (ip) 
che  i  paefi  non  fono  coltivati  in  ragione  della  loro  fertilità, 
ma  in  ragione  della  libertà  di  cii  \\  fi  gode,  e  che  fé  fi 
divida  tutio  il  globo  col  penfiere,  refleremo  forprefi  io  ve* 
dere  fpeffo  de' deferti  ne' luoghi  più  fertili  ed  ubertofi ,  e 
grandi  popujazioai  JQ  ^aelU  ove  il  terreno  fcmbra  tutto  ri- 

fìii* 


522 

fiutare  all'agricoltore.  Q_ue(ìa  ipotefi  è  incompaitfbile  totiì^ 
condizioni  éa,  noi  richiefte,  onde  otrenerfi  un  popolo  agricola^ 
e  la  libertà  dell' commercio  impeiirà  che  il  prezzo  delle  der- 
rate Ha  bailo  a  fegno  da  fcoraggire  in  un  abbondante  raccol- 
ta la  ccliura  dell'anno  fegu:nte.  Supponiamo  perciò  che  la 
nazione  ctefca  di  popolazione.  Qual  vantaggio  potrà  ritrar- 
ne lo  flato  ?  Non  altro  chi  un'  armata  numerofa  ,  felice 
fé  avrà  un  potente  confinante  a  combattere,  vahrofa  nelle 
prove  -di  coraggio ,  ma  inutile  nelk  -lontane  fpedizioni  , 
inabile  alle  manovre  indurtriofe  di  difafa  e  di  attacco,  ìu- 
mu'tjaria  e  incapace  di  quiete  in  città  ,  infoiente  e  indifci- 
pli.ata  nel  campo  ,  dlftrutir;ce  e  rapace  nella  vittoria,  cor- 
rotta ed  annichilata  nella  conquida  1 20)  .  Ma  dalla  gran 
maffa  del  popolo  lo  fiato  non  ritrarrà  che  un  inutile  luffo 
di  braccia  pei  travagli  agricoli  -,  e  pei  fervigj  domeftici  . 
Cr^fcerà  il  numero  de' travagliaori,  ma  il  prodotto  del  tra- 
vaglio non  potrà  eff^re  aumentato  .  Si  avvera  allora  il  ca- 
fo  di  una  popolazione  onerofa  ;  fi  temerà  l'introduzione  del- 
le macchine  per  non  accrefcere  l'ozio  de' travagliatori  l'zi), 
o  ad  infamia  dell' umanità  fi' adotteranno  allora  le  barbaia 
leggi  d-'lla  efpofizione  de' fanciulli  (22)  e  del  comm  rcio 
degli  fchiavi.  Se  poteffe  averfi  il  coraggio  di  confiderar  1' uo- 
mo come  uua  mercanzia,  la  vendita  degli  fchiavi  loinmini. 
Arerebbe  preffb  un  ral  popolo  un  aliquota  della  fua  ricchez- 
za. Ma  chi  non  freme  a  quella  idea?  (23)  Coi'i  rutta  la 
ricchezza  nazionale  farà  limitata  a' foli  prodotti  bruti  della 
terra;  e  fupponendo  ancora  che  la  quantità  di  quefti  prodot- 
ti crefca  annualmente  con  la  perfezione  de'l' agricoltura,  un 
tale  aumento  dovrà  finalmente  avere  un  limite,  e  la  quan- 
tità del  prodotto  diverrà  fiazionaria  fé  non  retrograda  .  Sarà 
dunque  allora  anche  limitato  il  (m  fuperfluo ,  unica  rendita 
che  gli   economifti  chiamano  tietfa,   e  che  fola  può   fjrmar 

là 


la  mafla  della  ricchezza  nazionale»  Or  queAo  fupsifljo  ven- 
ga baratrato  xo' prodotti  dell'arte,  e  del  commercio.  Q_uali 
faranno  le  condizioni  di  un  tal  baratto?  quale  ne  farà  il  ri- 
fultato  ? 

Quelta  nazione  non  (i  limiterà  certamente  agli  oggetti  di 
prima  neceffita  .  Come  impedire  che  i  primi  bifo^ni  fodis- 
fdtti  non  ne  producano  de' fecondar) ,  e  coj'i  in  feguito,  quan- 
do fi  ha  un  fuperfijo  a  barattare?  Non  c'illudiamo  alle  de- 
clamazioni de<^li  antichi,  e  di  alcuni  moderni  entufiaiti  iu  i 
vantati  provvedimenti  di  que' legislatori  che  vollero  allonta- 
nar le  ricchezze  dalle  loro  repubbliche.  Le  e of e  fuori  del 
loro  Jìato  f!^ furale  tiè  vi  ft  adagiano  né  vi  durano  (2.4)  .  Aq- 
ehe  prima  di  Lifandro  l'oro  era  penetrato  in  Lacedemone, 
e  le  condizioni  di  quei  cittadini  divenute  ineguali.  Adonta 
.  delle  impotenti  leggi  di  Licu-go,  le  donne  Spanane  vivevS' 
no  nella  intemperanza  ,  e  n-.lla  lnjjuria  ,  le  proprietà  erano 
fprojorxionat amente  ripartite  ,  ji  acquijìavano  per  prezzo  le 
magi[ìrotnre  ^  e  gli  (IsJJì  E  fri  vendevano  pubblicamente  le  h» 
ro  derift'ini  (25)..  Il  luiTo  dovrà  dunque  indirpenfobilmente, 
introdurr  in  una  nazione  agricola.  .  Ma  il  luffj  non  ha  li- 
nciti :  una  volta  introdotto  in  un  popolo  y  vi  fignoreggia  da, 
tiranno  ,  e  non  conofce  più  oftacoli .  L'  emulazione  ,  afF;tto 
indidaccabile  dalla  natura,  umana  ,  (pinge  l'uomo  Tuo  mal- 
grado ad  innaharfi  oltre  il  fu)  livello .  Le  itefle  derrate  na- 
zionili  fi  avranno  a  vile  ,  e  lì  baratteranno  con  isvantaggio 
co'cibi  e  con  le  bevande  efìere.  Tutte  le  ricchezze  fi  accu- 
muleranno nelle  mani  degli  ftranieri  che  vi  efèrciteranno  il 
commercio  ;  e  h  nazione  pagherà  un  tributo  fi:mpre  ere- 
fcente  a  quegli  Itati  che  le  reliituiranno  una  porzione  dell* 
fue  fiefle  derrate  ,  ma  crefc'ute  incalcolabilmente  di  prezzo 
per  opera  de' manifattori  :  prezzo  che  oltre  al  valore  del 
prima   e  feconda  iraf^orto,    ha  provveduto   alla  fulTiflenza  © 


paga  il  falarlo  accumulato  dì  altrettastl  individui ,  per  quan- 
ti fono  gli  operai  impiegati  nell'eftere  manifatture  .  Una 
Dazione  puramente  agricola  non  potrebbe  trovar  compeofo 
Ta  tante  ppfdite  ,  che  nell' incarimento  de' Tuoi  generi.  Ma 
ad  eccezione  di  qualche  accidente  molto  Itraordinnio,  quefta 
nazione  potrebb'  ella  lufìngarfi  di  polTeder  fola  i  prodotti  ter- 
ritoriali f  II  commercio  non  fa  egli  di  tutti  i  porti  della 
terra  un  fol  mercato?  D'altronde  dopo  l'introduzione  della 
coltura  delle  patate  (  riflette  un  auiore  di  (omma  avvedu- 
tezza )  non  vi  è  popolo  che  pcfla  mancar  di  fiifififtenza  per 
quanto  ft-rile  fìa  il  territorio  che  abira.  Una  nazione  pura- 
mente agrìcola  non  può  dunque  evit.ìre  la  fua  perdita  .  Cos'i 
Sparta  fparì  ceflando  di  effer  guerriera  ,  cos'i  la  Polonia  pri- 
va delle  riforfe  dell' induftria  ha  perduta  la  fua  politica  efi- 
fìenza  (26) . 

Ma  non  é  Tempre  vero  ,  fi  opporrà  ,  che  una  nazione  pu- 
ramente agricola  fia  indirpenfabilmente  nelle  condizioni  del- 
la  Laconia  ,  e  della  Polonia.  Il  Lazio  ci  offre  un  ben  di- 
verfo  rpettacolo  .  I  primi  cittadini  della  repubblica  coltivava- 
no con  le  Loro  mani  la  terra  ;  dall'  aratro  fi  paflTava  ordina- 
riamente alle  prime  magiflrature  ;  le  tribù  ruflich:  erano  le 
più  onorate  ;  e  le  più  cofpicue  famiglie  fi  gloriavano  fpeflb 
di  un  cognome  che  ricordava  l'occupazione  favorita"  de' loro 
ftipiti  nella  coltura  de' campi  .  Ecco  dunque  fparita  quella 
clafla  umiliante  per  la  fpecie  umana  d'  Iloti  e  di  fervi 
della  gleba:  ecco  mani  1  bere  che  impugnano  alternativamen- 
te la  zappa  e  la  fpada  :  ecco  una  nazione  che  forra  dall'  af- 
fociazione  di  pochi  rifugiati  ,  ma  che  educata  alle  leggi  Te- 
vere della  frugalità  e  dell'utile  fatica,  conta  co' giorni  i  fuoi 
trionfi,  s'innalza  al  più  alto  grado  di  poteHza  ,  ed  eftcnde 
illimitatamente  la  Tua  dominazione  fopra  tutt'  i  popoli  cono- 
fciuti.  — Ma  una    tale  oppofizione  è  più  eloquente  che  vera. 

Do- 


Dopo  le  fagaci  ricerche  del  noftro  ìmmorral  Vico  i  ormai 
fuori  di  jdifcettazione  che  la  coQdizioae  dell'antico  Lazio  fa 
precifamente  quella  della  Laconia  ,  e  della  Polonia  ,  e  di 
qualunque  altro  popolo  poffibile  alla  terza  epoca  di  civiliz- 
zazione: epoca  nella  quale  li  orde  erranti  di  cacciatori  e  di 
pallori  invadono  le  terre  appena  diffjdate  da  una  rozza  agri- 
coltura ,  i  più  deboli  fotto  la  clientela  de' più  forti  fi  rm- 
nifcono  in  tribù,  i  foli  armati  lun  l'alto  impero,  e  foli 
compongono  la  concezione\  e  il  Tuffragio  in  fine  e  nella  voce 
imponente  del  guerriero, 

Che  (ol  fa  fua  ragion  la  fcim'uarra , 

Ed  indice  il  giudizio  nelh  sharia . 
Non  dobbiamo  illuderci  alle  declamazioni  di  chi  fcrifle  neli* 
ultimo  fecolo  della  repubblica  romana.  Quando  le  fpefl'e  fe- 
dizioni  della  plebe  ,  e  la  di  lei  potenza  rxonofcuta  fé  non 
rifpettata  obbligavano  l'orgogliofo  patri^io  a  popolarizzar  fuo 
mal  grado  ;  quando  tanti  uomini  nuovi  ammcifi  in  città  ga- 
reggiavano con  le  famiglie  di  aurica  origine^t  ne  diminuivano 
alla  giornata  i  privilegi  ;  quando  un  tribuno  faceva  impal- 
lidire il  fi.'nato,  ed  un  plebeo  dittatore  faceva  tremar  l'uoi- 
verfo  :  era  pur  confeguente  che  qualche  ambiziofo  aff^t- 
laiTe  di  trar  vanto  dalla  marra  de'fuoi  antenati, e  che  qual- 
che adulatore,  o  fé  fi  voglia  ammirator  di  buona  fede  della 
femplicità  de'coftumi  degli  aurei  fecoli  di  Saturno,  animafle 
con  un  patetico  colorito  l'illuforio  quadro  de' Cincinnati  ,  e 
de'Fabj  .  Livio  fleflb  neJl'additarci  un  dittatore  diftaccato 
dall'aratro,  non  difllmula  la  fingolarità  dell'avvenimento;  e 
il  filofofismo  che  accompagna  la  Tua  narrazione,  mofira  feu- 
ilbilmente  luti' i  caratteri  dell' affetratura  .  ,,  Fu  dato  il  ca- 
j,  mando,  ei  dice,  al  confole  Nauzio  ;  ma  ficcome  una  tal 
„  riforfa  fi  credeva  ancora  infufficiente  ,  e  creare  un  ditta- 
„  tore  fembrava  il  folo  rimedio  conveniente  a  rama  fcragu- 
Tom.ll.  %^  „  ra, 


Ì26 

„  ra  ,  tutti  glttarono  gli  occhi  fopra  Quin  zio  Cincinnato  . 
„  ylfcohino  ciò  con  /ittenzìom  tutti  quelli  che  foto  venlutano 
„  qungg-.h  le  ricchezze  ,  e  penfam  non  dovcrft  accordare  le 
,,  gr.indt  dignità  y  non  p  ter/i  trovar  forza  di  comando  ^  fé  non 
„  dove  li  fortuna  cumulò  ampie  p'>Jf  Jfii'H  :  il  filo  uomo  fui 
„  quaL  il  popìlo  roma  fio  pUva  par  far  rifp.-ttare  la  fua  pof- 
„  faiiza^  fu  L.  ^{i'izio  che  nuVa  pojfadsva  olire  a  un  cam-r 
„  pò  di  quattro  juge>t  chi  coltivava  di  fua  mano  !  .  .  Roma 
obblig.ua  ad  uaa  perpetua  g  lerra  da  circoftanze  che  ben  dif- 
ficilmente fi  ripsteraicio  nella  ferie  delle  umane  vicende; 
Kom-i  agitata  da  perp.tje  diffinfioni ,  cui  la  fola  difefa  eter- 
na dava  t  :egja,e  U  fola  conquifta  poteva  far  tacere  ;  Roma 
on'eggiante  di  coninuo  tra  la  tirauiiide  aiftocratica  e  la  li- 
cenzi  popolare ,  caduta  finalmente  folto  il  giogo  del  difpotisnio 
militare  neU' aurora  appena  della  fua  civilizzazione  ,  e  la 
mezza  alle  fue  (terminate  conquifte:  Roma  non  forma  ecce- 
zione alcu'ia  alla  condizione  neceflaria  delle  nazioni  che  tra- 
scurano le  arti.  La  di  lei  potenza  fu  precaria  ,  e  le  fue  le- 
gioni ma!  reff^ro  all'urto  di  pochi  nomadi  cha  lor  prefen- 
tarono  altra  foggia  di  combattere.  La  di  lei  opulenza  frutto 
della  fola  conquida  fu  annientata  per  mancanza  di  riprodu- 
zione (27)  ;  e  fé  l'impero  di  occidente  prolungò  ancora  la 
fua  efiflenza  traile  rovine  del  gran  coloflb  rovefciato  ,  que- 
lla efilìenza  non  è  dovuta  che  alle  arti  della  Grecia,  le  quali 
fumminiftravano  giornalmente  nuove  riforfe  alla  fempre  vacil- 
Jante  cofhtuzione  romana.  E'  da  quello  afilo  facro  the  fi  diffon- 
devano r  opulenza  e  la  coltura  fu  le  ft.fle  contrade  rapite  all'im- 
pero da' popoli  d*1  fettentrione  :  e  fé  dopo  la  prima  conquida 
cercò  io  vano  la  Grecia  foggiogata  d'introdurre  le  fue  ar  i  pa- 
cifi  he  nell'agrede  fede  del  vincitore; la  lenta  ma  perenne  di 
1-i  itjflaenza  addefirò  a  poco  a  poco  le  provincie  romane 
agl'iaduftriofi  Itud)  di  Minerva;  fioche  un  popolo  conquilla- 

tore 


tote  ed  artifta  (2^)  occupando  tutto  il  mezzogiorno  di  Eu- 
ropa non  accelerafli  la  felice  rivoluzione  che  ranto  ci  diftac- 
ca  dagli  antichi  coftumi  ,  e  a  cos'i  alto  grado  e'  ionalzò  di 
opulenza,  e  di  civilizzazione  (29). 

Arreltiamoci  pertanto  a  confiderar  le  fafi  dì  una  nazione 
agricola  che  accolga  nel  fuo  feno  il  fuoco  facro  delle  arti . 
L' Attica  preffo  gli  antichi ,  la  Francia  preflb  i  moderni  ci 
fomminiftrano  i  modelli  di  quella  politica  rivoluzione  . 

Tra  la  clalTe  de'proprietarj  e  quella  de' coltivatori  forga  una 
clafle  intermedia  cha  fi  addica  alle  arti.  Quello  ceto  medio 
tra  i  gran  proprierarj  e  ì  non  proprietarj  è  quello  che  fpezza  il 
giogo  del  difpoiifmo  ari(locratico,e  fcioglie  h  cat.ne  della  fervi- 
tù  popolare  .  Non  è  del  noflro  fubjetto  feguir  da  vicino  le  minu- 
te circoftanze  di  quefta  crifi.  I  gonfaloni  degli' artigiani  in 
Italia  ,  le  federazioni  anfeatiche  in  Germania  fjno  efemp) 
troppo  noti  di  nuove  coftituzionì  libere  che  oppongono  una 
barriera  infuperabile  alle  aggr.'ffioni  dell' ariftocrazia  feudale, 
che  ne  minano  a  poco  a  poco  le  fondamenta,  e  ne  rovefcia- 
no  io:  fine  il  trono  di  ferro;  e  fenza  allontanarci  da^li  an- 
nali delia  noflra-  patria  noi  vergiamo  le'  corporazioni  e  le 
maeitranze  far  forgerà  le  prime  citta  del  demanio,  e  dare  i 
primi  paffi  verfo  quiUa  civile  eguaglianra  eh'  effer  dee  l'uni- 
CQ  (copo,  l'ultimo  rifultato  delle  cure  cofpiranti  di  un  go- 
verno liberale,  e  di  una  nazione  civilizz-ita.  Per  dipìngere 
con  un  fol  tratto  di  pennello  l' imponente  quadro  di  forza 
e  di  opulenza  dì  una  nazione  arnica^  éelle  arri,  efaminiamola 
nella  Tua  più  difficile  pofizione  . '"  ' '.  *''*''     ' 

Tutte  le  forze  della  Grecia  fi  rìubiTcotio  fotte  le  mura  di 
Atene.  Eccitata  dalla  rivaliti  di  Lacedemone,  avida  di  ric- 
co bottino,  irritata  ancora  da -tìna  refiflen^a  che  n^n  mai^ 
avrebbe  immagginata  ,  la  federazióne  del  Pelopomeio  efau-' 
rifce  in  vano  tutt' i   mezzi  tii  diflruzaionj   per    abbattere  ije' 

*  mura 


2lS 

mura  di  Cecrope,  e  piantare  Io  fterfJardo  dslla  fervitii  full* 
rocca  di  Minerva.  Invano  nella  illufione  della  loro  ignoran- 
za (i  lufingano  i  coalizzati  non  avere  a  frante  che  un  popo- 
lo frivolo,  una  turba  imbelle  di  pittori  e  ftatuarj,  una  mol- 
titudine effiminata  di  unguentarj  e  ricamatori,  uno  Ruolo 
corrotto  e  corruttore  di  mimi,  di  cantori,  e  di  tibicini.  La 
di  loro  afpettativa  è  delufa  :  tutt'i  loro  sfarzi  fono  impotenti. 
E  fé  morto  Pericle  le  gare  de' nuovi  concorrenti  all' ammi- 
nirtra?Jone ,  una  pefte  defolatrice  che  porta  J'eftermioio  in 
tutte  le  famiglie,  fconvolgono  l'ordine  dello  ftato ,  ed  apro- 
no per  on  momento  le  porte  agli  afledianti  ;  già  dal  Pireo 
forge  un  picciol  bninco  di  prodi  artigiani  che  rovefcia  fui 
momento  la  fìgnoria  de' trenta,  riftabiiifce  l'antica  coflituzio- 
»e  ,  e  ricotiduje  gli  Ateniefi  fu  la  ftrada  di  quell'alta  per- 
fezione focìale,  che  prev'eduta  dalle  leggi  di  Solone  efigeva 
l'opera  de' fecali  per  elfere  confegulta  .  Cos'i  Atene  educata 
alle  arti  trovò  in  effe  la  Tua  ralvezza,ed  è  per  effe  ancora  che 
non  ceflà  di  eflere  la  maeftra  dell' univerfa  ,  e  l' ammira- 
zione di  tU't'i  popoli  civilizzati.  Senza  le  invenzioni  di  A- 
iene  i  popoli  più  opulenti  non  farebbero  flati  ,  e  forfè  ancor 
no»  farebbero  che  barbari  (30). 

I-a  Francia  fomminiftra  ai  nortri  giorni  un  eferapio  fimi- 
le  di  vigore.  Mentre  tutta  l'Europa  congiurava  alia  fua  per- 
dita; mentre  il  fangue  e  la  defolazione  inondavano  tutti  gli 
angoli  del  fuo  vafto  territorio;  mentre  fconvolti  tutti  gli  or- 
dini d.llo  flato  l'anarchia  aveva  inalberato  lo  ftendardo  del 
terrore  fopra  mille  tefte  recife  :  la  Francia  comprime  tutte 
le  molle  della  umana  induftria,  e  riforge  onnipotente  dalle 
fue  rovine.    Fu  amor  di  patria    che   operò  un    avvenimento 

eosìi  ftraordinario  ? Ma   tra    le    caufe    concorrenti    il 

freddo  filofofo  calcolatore    non  trafcuri  la  parte  economica  di 
^u^a  nazione,  e  le  forgeiiti  iaefauribili  delle  fue  ricchezze. 

»  ^ 


„  I  roagazzini  de'fuoi  negozianti  erano  ripieni  di  ftoffe  ,  ii 
j,  panni,  >4i  tele,  di  gioje,  di  mobili,  di  tutt'i  prodotti  del 
„  fuolo  portati  al  pììi  alto  grado  di  valore  da  fuoi  manifat- 
>,  tori  ,  di  tutt'i  prodotti  del  commercio  acquiftati  col  mez- 
»  zo  del  lavoro,  e  per  mezzo  di  quarto  refi  più  prcziofi  :  un 
„.  immenfo  magazzino  di  quefta  mobilia,  fé  uni  tale  efpr^f- 
yy  (Ione  può  eflire  applicata  ad  un  popolo,  formava  la  ric- 
«  che^za  nazionale  .  Que'fa  mobilia  è  (Uta  i;i  parte  veni!u;a 
yy  per  fovvenire  alle  foefe  della  guerra  e  della  rivoluzione  ; 
,y  ed  allora  appunto  fi  è  potuto  giudicare  del  di  bi  prodigio- 
>,  Co  valore.  Intanto  in  tutte  le  città,  in  tutt'i  vilUggi  ft 
^  ritrovava  una  GlaflTe  numerofa  di  uomini  liberi  e  indullrio- 
^  fi,  intermedia  tra  il  coltivatore  e  ti  proprietario,  la  qua. 
„  le  fenza  interruzione  fi  occupava  ad  aumentare  il  valore 
„  delle  materie  prime,  prodotte  dall'agricoltura,  e  ad  accu* 
„  mularne  i  frutti.  (31) 

Dopo  quefto  quadro  chiameremo  più  rovrnofa  Tammini- 
ftrazione  di  Colbert  per  avere  accrefciuto  nella  Francia  il' fa- 
ero  fuoco  delle  arti?  Il  lanyuore  io  cui  era  caduta  Dell'  u-lti- 
mo  periodo  della  dit>aftta  di  Capete  non  dee  rifonderfi  a  tutt* 
altro  fuorché  all' accrefcitnenio  delle  fue  manifatture?  Dimen- 
ticheremo le  defolanti  guerre  di  Luigi  XIV  ,  il  difordine 
delle  moltipJici  e  fempre  opprimenti  operaziooi  di  Finanze, 
e  la  malaugurata  rivoca  dell'editto   dì  Nantes  (32)? 

Ma  per  non  lafciare  piij  alcun  dubbio  all' efame,  fé  le  ma- 
nifatture poffono  nuocere  alla  profperitk  ^i  una  nazione  agrt- 
fo//j,  fpin^iamo  più  oltre  la  noltra  analifi,e  vediamo  fé  que- 
llo popolo  pofla  mai  foffrire  diminozione  alcutia  ne' fuoi  pro- 
dotti territoriali  coli' incoraggimento  delle  manifatture.  Or 
chiamando  a  raflegna  i  popoli  piò  indurtriofi  di  Europa,  noi 
troveremo  l'Inghilterra,  l'Olanda,  la  Saflbnia,la  Lombardia, 
la   Tofcana   &c.   migliorare  l'agricoltura   in   ragione   che  fi 

efteo- 


eH^endoflo  «  perfezlonancr  le  manifatture  ;  e  nelle  provincìe 
dello  rteffo  ftato,  quelle  poffedere  più  ben  coltivati  i  territo- 
jj  che  maggior  numero  di  manifattori  coiitengano.  Ove  è 
maggiore  il  guadagno  ,  la  fi  efercita  un'  arte  con  maggiore 
attività.  Quanto  più  crefcono  i  confjiTiatori  ,  tanto  piìj  le 
derrate  cr^ilcono  di  prezzo,  tanto  piìi  crcfce  il  falario  del 
coltivatore  ,  tanto  più  è  aitimato  il  proprietario  a  migliorare 
i  luoi  fondi  (33  .  E  fé  voglia  fupporfi  per  un  momento  che 
la  clafle  degli  artieri  fi  aumenti  a  f?gno  da  far  mancare 
le  braccia  alla  intiera,  coltivazione  de'  campi  ;  la  fcarfezza 
degli  agricoltori,  accrefcendo  il  loro  falarìo  e  migliorando 
la  loro  condizione ,  farà  r  fluire  nelle  cartvpagne  un  gran  nu- 
mero di  operai  dalla  claffv;  ftefla  de' manifittori.  Tutto  tende 
ad  equilibrarfi  in  natura:  gli  ordini  fociali  fi  bilandanj  reci- 
procamente in  ragione  della  u'.ilità  g*n?rale,  e  concorrano 
a  gara  a  quel  fidema  di  perfezione  politica  che  il  filofofo 
prevede  colle  fue  meditazioni  ,  che  il  corfo  necefario  delle 
nazioni  prepara,  e  che  fi  fviluppa  per  propria  f:)rza  dal  g-r- 
me  dì  ordine  uniformemente  diffuso  in  ogn' individuo.  Se  la 
progreflìooe  crefcente  di  quefta  perfezione  è  qualche  volra 
interrotta,  fé  fa  paflì  retrogradi , quefto  momento  di  abberra- 
?ione  è  determinato  da  una  ingiufta  preferenza  che  il  corpo 
fociale  accordafle  ad  una  clafle  più  lodo  che  ad  un'altra.  Ma 
fé  un  monopolio  opprefFivo  non  facrlfica  una  parte  della  fòcie- 
tk  agrintereffi  dell'altra;  fé  la  molla  dell'utile  e  dell'onore 
è  compreffa  egualmente  in  tutti  gli  ordini  dello  ftato  :  le  claf- 
fi  parafite  della  focieth  fi  dilegueranno  per  efle  fìefle,  e  le 
produttive  innalzate  al  maggior  grado  di  floridezza  fi,  reciproche- 
ranno amichevolmente  ì  vantaggi  ,  Cos'i  un  popolo  agrico- 
la non  fi  limiterà  ai  foli  prodotti  terrirorlali,  ma  accoppian- 
do  ai  teforì  della  natura  le  più  brillanti  invenzioni  dell'arte 
4'rodurrà  con  una  mano,  e  perfezionerà  coW  altra  ^34)»  Qu-'l» 
•«3tt.'  fi* 


23t 

faranno  Intanto  le   ftrade  da   battere  per  giungere   a  quefto 
§  III, 


c. 


^ale  (hvr^  ejfere  la   cura  dal   governa  per  accrefcere 
la  ricchezza  nazionali;  in  un  popoh  agricola  ì 


iHiamiamq  ad  efame  gli  apoftegmi  di  Quesnay  (35)» 
Ei  nn  mira  •"che  la  proiezione  dell'agricoltura.  Sarebbe 
ben  forprend  nte  fé  le  ft  fle  indentiche  mifure,  che  adottafle 
il  fiov  mo  per  accre'cere  i  proJoai  territoriali ,  formaffero  il 
migliore  incorag^imento- per  1' introduzione  ed  intero  miglio- 
ramento dMle  arti  e  d>'lle  manifatrure  i  Sarebbe  molto  più 
forprendente  a  vicenda  ,  fé  quegl'  ingoraggimenti  accordati 
alle  arti  ,  che  fi  riconofcono  gravofe  per  l'agricoltura  ,  mol- 
to più  gravgfe  foflero  alle  arti  fìefle  che  fi  aveauo  in  mira 
di  efclufivamente  favorire! 

Una  nazione  che  ha  un  pjan  territorio  a  coltivare  ,  dice  il 
D.'QuESNAY  (3<S),e  la  facilità  di  e fsrcitnre  un  gran  commer- 
cio hi  derrate  brute  y  non  ejìcnda  troppo  l'impiego  del  denaro^ 
e  degli  uomini  alle  manifatture  ,  ed  al  commercio  di  lufjo  , 
td  a  ciò  fi  uniforma  il  precerto  del  noftro  FiLAKGifRi  dì 
dover  fubordina>e  le  arti  e  il  corrr??eycic  a'  p>'t>gyej/i  dell 
agricoltura  I  ^y)  ,=:  Mn  l'impiego  del  denaro  e  degli  uomini 
alle  manifatture  ed  al  commercio  di  luflb  ,  può  avere  un'^- 
fleuffone  capace  ad  impedire  la  coltura  de*  campi  ed  il  cera* 
mercio  delle  derrate  bru'e  ? 

La  proprietà  prediale  ha  utia  fuperlori'^  cos\  deciTa  fu  la 
proprietà  mobiliare ^  eh' è  impofno'H  immaginare  un  cafj  in 
cui  polla  fupporfi  preferenza  d' impii^go  di  denaro  nella  fé» 
«on.ia  piuttofto  che  nella  prima  .  Con  le  condizioni  da  noi 
richiede  in  un  popolo  agricola  ,  ogni  poflelTore   di  numerario 


23*  . 

sfarli  tutti  gli  sforzi  per  impiegare  il  fuo  Superfluo  all'acqui- 
no e  miglioramento  de' terreni,  e  non  fi  volgerà  ad  altro 
impiego  fé  non  dopo  efauriti  i  mezzi  onde  ottenere  il  pri* 
mo  fcopo  .  Che  fé  l' impiego  del  denaro  nelle  manifatture 
promettefle  maggiori  vantaggi  ,  anche  raeflà  a  calcolo  la 
fubordinazione  della  proprietà  ,  farebbe  ben  tirannica  la  leg- 
ge che  voleffe  limitare  un  tal  impiego ,  ed  obligare  un  citta- 
dino ad  acquifiare  un  capitale  di  minor  valore  e  meno  pro- 
duttivo. D'altronde  fé  la  ricchezza  nazionale  non  è  che  la 
fomma  delle  ^^cchezze  iudivlduali,  e  queffe  fi  accrefcefTero  con 
le  manifatture  pmttoHo  che  con  la  coltura  de' campi,  fareb- 
be una  in-ejonomia  del  governo  limitare  <juefta  forgente  più 
ubertofa  della  fua  opulenza . 

Le  ftefle  rifleffioni  convengono  egualmente  all'impiego  de- 
gli uomini  .  Per  quanto  ricca  voglia  fupporfi  una  nazione  ', 
vi  farà  fempre  una  clafle  d' indigenti,  che  altro  capitale  non 
hanno  oltre  le  proprie  braccia  .  Imporremo  loro  una  legge 
che  limiti  la  quantità-  del  falario  a  cui  poflbno  afpirare  ? 
Ma  a  condizioni  eguali  l'agricoltura,  che  eCge  minore  <»^/V//<S 
di  qualunque  arte  ,  maiichefà  meno  di  operai  a  fronte  anche 
delle  più  femplici  manifatture . 

Di  vantaggio  perchè  le  arti  e  le  manifatture  acquiftino 
utia  grande  ejìenfione  di  floridezza  ,  è  neceffario  che  reggano 
alla  concorrenza  delle  arti  €  manifatture  foreftiere.  Un  po- 
polo agricola  barattando  i  fuoi  prodotti  territoriali  con  gli  al- 
tri osgetti  neceflarj  a'bifogni  e  comodi  della  vita,  troverà 
fempre  un  rifpannio  nell' acquiftarli  delle  manifatture  nazio- 
nali, k  quali  oltre  all'eguaglianza  di  perfezione  ofi'rono  un 
valore  diminuito  della  fpefa  di  trafpcrio  e  di  commercio  . 
Così  gli  agricoltori  miglioreranno  le  condizioni  del  baratto 
in  ragione  che  fé  ne  diminuiranno  gl'intermedi  ,  vantagge- 
ranno il  loro  (lato  in  ragione  che  fi  ejìcnderà  la  florid€zza 
«leile  manifatture  nazionali.  ^  "^"^ 


1  manifartori  a  vlcencJa  trovano  de' vantaggi  nel  confu- 
mare  le  derrate  nazionali,  o  fi  confìderino  come  aiimenti  , 
o  fi  riguardino  coma  materie  prime  de'  loro  lavori  :  la  fpefa 
di  trafpjrto  e  di  traffico  vien  Tempra  ad  eflere  diminuita  , 
Accrefcendo  il  numero  delle  ricliilie  cefT^ra  il  bifogno  di  ven- 
dere con  ifvantigj;io  le  derrate  ,  ceflerì  il  monopolio  cegl' 
incettatori,  ed  il  pafièirjre  de' prc/djtC!  tv-rnconali  l'a.à  iico- 
ra?g'ato  ad  eltendere,  e  perfez2ionare  la  coltura  di  que  ge- 
neri ,    che  trovano  uno  fpa-.cii)    cosi  pronto   e  vaata:;oiofo  . 

Cos^  u^a  nazione^  che  ha  un  grun  lerrrirorh  a  colnvare   , 
ACCkESCE   /"  fomma  de  fuoi   ricchi  prodoni  in  ragio'm  ,     che 
fi  efìende  l'  impiego  del  denaro  s  degli   uomini  alle  r/ianifatturs, 
Palfiamo  al  comniercio. 

Una  nazione  agricola  abbia  la  facilita  di  efercitare  un  gran 
commercio  in  derrate  b/ute  :  agirà  contro  i  pro-rj  interelli 
fé  troppo  ft  e/ìendn  ni  commercio  di  l'ijp  ?  P"  Ì3  di  entrare  a 
quefto  efame  gioverà  rammentare  altre  mainane  del  D/ QuES- 
NAY   fullo  ftelTo  oggetto. 

5";  matneng.t  la   libtrtk  del  commercio  (38). 

Li3  Nazione  non  /offra  perdita  nel  fuo  commercio  reciproco 
CoìV  eftero  (39),  e  non  ft  cada  in  inganno  f opra  un  Vantaggio 
apparente  di  effo  ;  fpejfo  la  perdita  è  per  la  nazione  che  ri- 
ceve  maggior  denaro .   { 40). 

Non  s"  impedi fc a  il  commercio  ejìerno  delle  derrate  brute  (/^i). 

Quell'ultimo  avvertimento  n.m  farebbe  che  una  confeguen- 
za  della  libertà  d'accordarli  al  commercio;  ma  gli  errori  dì 
varj  governi  fu  qutft' oggetto  meritavaiio  un  efam:e  particolare. 
La  Francia  proib'i  l'eltrazione  delle  fete  non  manifattu:are  , 
l'Inglrilterra  quella  delle  lane  in  fiocchi .  Si  credeva  ,  che  co 
fofle  un  incoraggimento  alla  claffe  de' manifattoti .  L'efitomo- 
fìrò  la  decadenza  dell'una  e  dell'altra  manifattura.  Tanto  è 
vero ,  che  ogni  monopolio  è  oppreflivo  alla  clafl's  ftefla  che 
Tom.ll.  30  fi 


*34         .       ,       . 

fi  prende  m  mira  di  favQFtre!  Tanto  è  vero, che  1  maggiori 
danni  che  polla,  ricevere  la  focieta,  è  il  limite  che  fi  voglia 
itnp.'rre  all'intero  ivUupp-j  dell' umana  induUria!.  Noi  non  ci 
fermeremo  di  vauaggio  (u  qu-fto  argomento  efaurito  dal  nodra 
Jiangieri  (4.1), e  ci  volgeremo  piuttoito  a  ricercare  come  una 
nazione  polfa  foffrir  perdita  nei  l«Q  commercio  reciproco  con 
lo  (tran  ero. 

Si  è  parlato  per  qualche  tempo  dì  una  pretefa  bilancia  di 
commercio  ;  fi  è  fatto  l' inventario  dells  afportazioni ,  e  del- 
ie importizioni;  fé  n'è  calcolato  il  valore;  fé  n'è  notatala 
ditF.^renza;  e  dietro  quefle  bafi  fi  è  cercato  di  determinare  1* 
opulenza  relativa  delle  nazioni.  Ma  tali  illufioni  fon  final- 
rasnte  fcomparfe  (43),  e  la  rifleflione  di  Quefnay,  che  fpef- 
Jo  la  perdita  è  per  quella  nazione  che  riceve,  maggior  danaro^ 
noa  ammette  più  discettazione. 

Il  vantaggio  che  una  nazione  può  trarre  dai  commerci© 
appartiene  tutto  alla  clafle  de' commercianti ,  e  non  è  quefto 
il  luogo  di  efaminarlo.  Le  dalTi  produttive  della  focieth  non 
riconofcono  nel  commercio  che  un  mezzo  più  pronto  di  con- 
fumazione,ed  una  m.iggior  convenienza  di  baratto.  Dopo  che 
r  agricoltore  ha  raccolta  la  fua  mefle ,  dopo  chi  i'  artigiano 
ha  compita  ii  suo  lavoro ,  ceffa  V  opera  dell'  agricoltore  e 
dell'  artigiano,  ed  il  prezzo  della  merce  fi  determina  al  pri- 
mo mercato  .  E*  indifferente  al  commercio  fé  le  feconde, 
le  terze  vendite  fi  raggirino  fopra  merci  nazionali  o  foreRie- 
re  ;  il  comm^^rciante  non  calcola  che  il  profitto  de'  fuoi  ca- 
pitali, e  la  bontà  non  la  nazionalità  della  fua  mercanzia;  che 
fé  quarta  ultima  qualità  rendefle  \à  me;c3  più  preziofa,  indi- 
penJv-nteaiente  dalle  fpeculazioni  e  dai  giri  del  commercio, 
una  tal  condizione  farebbe  fia'a  meffa  a  calcolo  nel  primo 
mercato,  a  meno  che  qualche  accidente  ftraordinario  (e  per- 
ciò da  trafcurarfi  )  non  avelie  difqVilibratoi  momenti  delle  re- 

ci- 


235 

vìprochc  detsrminaxjom  de' contraenti .  L'Olanda  giunta  -al  piìi 
alto  grado  di  opulenza  col  folo  comniercio  di  economia  e  di 
giro,  fpande  un'immenfa  luce  sii  quefta  veritk  . 

Ma  faceiidofi  aftrazione  dalle  operazioni  di  commercio,  la 
clafle  degli  agricoltori  non  fommimftra  alla  malTa  delia  ric- 
chezza nazionale,  fé  non  la  Ibmma  di  tutti  li  fuoi  prodotti 
territoriali  ;  come  la  clafle  degli  artigiani  fomminiltra  foltanto 
la  fomma  di  tutt'i  fuoi  prodotti  inJuifriali .  Or  il  cominercio 
faccia  circolare  quefti  prodotti  fino  all'ultimo  con'^umatore  . 

1°  cafo  .  Se  la  circolazione  non  fi  eliende  oltre  i  limiti 
làello  flato,  il  commercio  prendere  il  nome  di  tracco,  e  la 
fomma  della  ricchezza  nazionale  noii  farà  né  accrelciuta,  né 
diminuita  (44) 

2.°  cafo  .  Se  la  circolazione  fi  emenda  ne' paefi  ffran^eri,!! 
baratto  con  l'eflero  farà  l'ultimo  limite  dell' op -razione  del 
commercio  (45).  Allora  una  nazione  può  conliderarfi  rifpet- 
to  all'altra  nelle  fiefle  condizioni  di  un  compratore  e  di  uà 
Venditore  in  qualunque  mercato.  Adottando  la  formola  dell' 
equa%ionc  delle  determiìiazioni  de'  due   contraenti    flabilita  dal 

ììgTior  Canard  (^6)  fi  ha  P  =  S  +■  ■''  T-icioè  il  prezzo  del- 
la merce  eguale  al  falario  naturale  dell'agricoltore  o  manu- 
fattoriere,  piìj  il  bifogno  del  venditore  moltiplicato  nella  fjl 
concorrenza  e  nella  latitudine  del  guadagno  ,  divifo  dalla 
fomma  óeprodotii  del  bifogno  nella  concorrenza,  del  vendi- 
tore {\effo  e  del  compratore  . 

Se  il  prezzo  è  pagato  in  moneta  (  dicono  gli  economici  ) 
il  commercio  è  tuixo  attivo  pel  venditore,  e  pojftvo  pel  com- 
pratore; fé  quefli  paga  con  altra  merce,  il  commercio  è  >?- 
ctproro;  fé  il  prezzo  è  parte  in  merce,  parte  in  moneta,  la 
quantità  del  numerario  determina  il  grado  di  attività  o  paj- 
fìvifà  reciproca  de' contraenti.    Ma   quelle    varie    qualità   di 

*  com- 


2^6 

«ommerclo  importano  Tempre  un  guadagno  atW  affìvit<ì  e 
viceoerfaì  Importano  fempre  un' eguaglianza  nella  reciprocan- 
za?  QueRo  è  ciò  che  bifogna  efaminare. 

Nella  formola  di  CanardS  efprime  il  valore  del  travaglio 

naturale, e  la  quantità— ——  — efprime  il  valore  del  prodotto 

delle  forgsnti  di  rendite  che  gli  fono  fiate  applicate.  Per 
dilucidar  ciò  con  un  efempio  fupponiamo  con  lo  fieffo  auto- 
re, che  il  proprietario  coltivatore  di  una  vigna  venda  il  fu3 
vino  ad  un    confunatore  :    nel  prezzo  del    vino    efpreflb    da 

S  +  „  .,  ,— r-  la  quantità  S  dinoterà  tutto  il  fahrio  naturale 
del  lavoro  per  la  coltivazione  delle  vigne  e  per  la  formazio- 
ne dJ  vino;  e  la  quantità -—r-; y  efprimerà    j."  la  rendita 

'  ^  13  N  +  ti'j       *■ 

della  vigna  ,  i."  la  rendita  de  capitali  impiegati  per  la  fua 
coltura  ,  3.°  finahijnte  la  rendita  del  tfavngito  ti:)prefo  che 
quella  fpecie  di  coltura  e  la  fabbrica  del  vino  richieggono  . 
(47)  Or  femplifican  '0  !a  formula  faremo  P  =:  S  +  R'+R"-fR"' 
erprimendo  S  il  falnrio  naturale  ed  R,'R,"R,"'  la  prima,  fe- 
conda, e  terza  rendita.  Suppjniam  )  ora,  che  il  vino  fia  ri- 
dotto ai  acrjUivita  ;  al  prezzo  dell'Jntero  prodotto  bifogne- 
rà  aggiungere  allora  il  filarlo  naturale  dell' ultimo  manifatto- 
re pai  le  tre  fopraindicate  forgenti  di  rendita  che  fono  (tate 
impiegate  n.'lla  manifattura  ;  quindi  farà 
V-  S  +  R'+  R"-j-  R'"^  %  ^  r'-\.  r"-f  /" 

Cosi  uaa  nazione  che  vende  vino  ,  e  comp^l  acquaviti 
fila  in  pura  perdita  pei  fecondi  valori,  e  non  farà  che  ri- 
condurre fullo  fleflb  fuolo  la  derrata  nazionale  diminuita,  di 
una  quantità  eguale  al  falario  naturale  del  manifatt<^re  d' 
acquavita  ,  p'ù  la  quota  del  valore  del  prodotto  delle  tre 
forgenti  di  rend  te  applicate  alla  manifattura.  Co':\  uno  na- 
»tom  agricola ,  che  abbia  Li  facilità  di  efercitare  un  gran  com- 
mercio in  derrate  brute  ^  VANTAGGERÀ'  I  PROPr'J  INTERESSI 
ili  iasione  che  ^iu  fi  ejì:?](li3  al  CQ.noìercio  di  I0JJO.  Po- 


st 


117 
Potrà  opporfi  :    non  rlufcir^   cosi   facile   ad    una    nazione 
agricola  alportare  le  fue    manjfarture  ,    coT)e    gli    era    facile 
afportare  le  Tue  derrare  brute:    la    latitudine   del    guadagna 
farà  cos'i  ridotta  a  zero  ,   e  la    nazione    travaglerà    a    pura 
perdita .    Ma  fenza    efaminare ,  fé  una    tale    objezione    polfa 
reggere  conlìderara  nel  fuo  vero  afpeito,    giacché    il    falario 
naturale  del  manifittore    reità    C'mpre    falvo  ,    e    la    naziona 
guadagna    la    fuiriften^a   alcneno    di    ahrertanti    individui  per 
quanti   ne  fono    flaii  impi'jaati  nella  maiifattura,  fi  fuppon* 
ga  pure  quello  caso  flraoidinarìo.  Quindo  ciafctin    individue» 
è  libera  di   far  ciò  che  vuole,    turt*  i   raftii  dell' indfiìria  ri- 
cevono Tapplicazione  di   quei  capirali  ,    e  di  quel   trava^li'^, 
che  loro  convengono.  S^nza  che  il  governo  fi  occupi  al  im- 
m.iginar  leggi   proibitive  ,    l'equilibrio  fi    riflabilifcc-    pi^r    le 
ftelio:    l'abbiamo  fopra  dimoftrato    (48;  .    Que'''a    oNj-'Zona 
però  dimoflra  V inutilità  di  quel    precetto  del  no'ìro  Filam- 
GiERI  (45>),  cb'e  il  lig'nhiore  dee  promuovere  ph  cit  ogni  al* 
tra  co  fa    quelle  arti    e  quelle  mani  fa  ture    che   ir.ìpicgn^o    u"a 
mago/or  quantità  di  quelle  malterie  prime  che  fono    i    prodotti 
del  Juo  fuolo  .  Un  tale  provvediiDenro  fupponebbe,    che    le 
derrate  pottffero  eflere  pù  facilmente  af'portate  ,    riducendoli 
in  manifutura;  fupporrebbe  che  altrinieiKi   potrebbe  produr- 
fi  un   rilìagno  ne'  prodotti  territoriaU  ;  che  il  valore  in  con- 
feguenza  dimìnuifle;    che  loffe    vanraggiofo    impiegar    q  ufte 
materi;  prime  per  le    manifatture  .  Or  pofì-e  quefte  condizio- 
ni l'attività  umana  svincolata  dagli  oftacoli   non    prendereb- 
be  naturai  nenie  nn  tal    pendio  ,  lenza  che  una    legge    ve    la 
determinane?  Sia  ognun  libero^  diceva  QuESMAY  (50%"^ f'- 
tfvar  mi  fuo  campo  quelle  produzioni  ,    che  il  fuo    int-rejjet 
h  ftie  facoltà  ,    la    natura    del    terreno    gli  fuggerifcovo    per 
trarne  viaggiar  vantaggio  .    Perchè  negare  una    libertà    egua.e 
a  tutti  gli  altri  rami  dell*  umaiu  indultiia? 

La 


'38 

La  cura  t^el  governo  per  accrefcere  )a  i-icchezza  nazionale, 

dovrà  dunque  etìiie  queJJa  di  rimuovere  ogni  ostaco- 
lo all'intero  sviluppo  dell' umanta  attività'. 

Ma  quefto  principio  generale,  quelìa  maffinìà  egualmente 
vera  in  ogni  gove.no  ,  in  ogni  clima,  in  ogni  |)eriodo  di 
civilizzazion" ,  bafleni  fola  per  determinare  l'incovaggimento 
dell'agricoltura  e  d.-lle  artii?  Non  pana  il  governo  accele* 
vere  il  corlo  della  nazione  a  quella  m  ta  di  perfettibilità 
verfo  la  quale  naturalmente  fi  dirige  ,  ma  che  tardi  col 
camrnino  ordinario  potrebbe  cjnfeguire?  Dovrebbe  rinuncia- 
re ad  un  tncoraggimenta  pofiti-vo  ?  E  qu^-fto  incoraggimeato 
rinvenuto,  dovrebbe  avere  un  imiee? 

Le  (inticipazionl^  dice  il  D.'Quesnay  ■,fte»o  /ufficienti  per  far 
r'ifìafare  annualmente  con  le  Jpese  JcUa  ninno  d' opera  il  mag- 
gior prodotto  pojpbile  (51).  Ma  un  tal  precetto  rientra  nel- 
Ta  dalle  degi'inccraggimenti  indiretti, e  può  tradurfi  in  quell' 
altro:   le  irnpnjizioni  non  attentino  ai  capitali . 

La  fatalità  delle  fomme  di  rendita  rientri  in  circolazione ,  ? 
la  percorra  in  tutta  f  eflenfione  i  52; ,  profegue  lo  (lelTo  autore. 
Ala  ciò  ancora  importa  foltanto  un  incoraggimento  indiretto, 
e  fi  traduce:  h!on  vi  fieno  leggi  juntuarie;  vi  fa  libertà  di 
commercio . 

Non  ft  diminuifca  il  comodo  deW  ultima  clujje  de^  citfadi' 
^'  (53)1  ^  "'"'  y*  creda  ,  ciie  il  buon  mercato  delle  derivate 
fia  profittevole  al  bafso  popolo  (54.)  .  Scarfez-^a  e  careftia 
è  ini  feria  ;  abbondanza  e  cnre/ìia  è  opulen7ia  :  non  fi  faccia 
perciò  iibb-ìffare  il  pre-ano  dille  derrate  e  delle  mercan-^ie  del' 
lo  flato  (55).  5"/  facilitino  i  mezzi  di  tr af porto  r-^ó)  &r.  &c. 
Ma  tutti  quefti ,  ed  altri  fimili  provvedimenti  rientrano  fem- 
pre  nella  ciafle  degl' incoraggimenti  indiretti;  e  la  fcuola  del 
, D.'Quesnay  non  fa  fomminilìrarci  un  efempio  iolo  à' inco- 
raggimento  direno  . 

Da 


*i9 

Da  Smith  fina  a  Comber  gli  fcrlttorì  Inglefi  convengono 
perfettamente  coti  gli  economilli,  ed  efclamano  ad  una  vo- 
ce :  ogn'  incoraggimento  è  un  monopolio ,  c&e  /acrifica  una  parte 
dilla  razione  agi'  intevejji  dell'  altra  . 

Intanto   l'introduzione   di  un    nuova  genere   d' induftria  , 
l'invenzione  d'una  macchina,  la  femplificazione  d'un  lavoro 
è  una  proprietà  efclufiva  dell' induflriofo   che  l'ha  procurata. 
Egli  è  in  dritto  di  confjrvarne  il  fegreto;  ed  intanto  fareb- 
be vantasgiofo  all'intiero  corpo  fociale  ,    che  uà  tal  fegreto 
noa  fi    ferbaffe  .    Il    governo   deve    allora    un  incoraggi.mentc 
pofttivo..  Si  comprima  la  molla  dell'onore,   diceva  il  noftro 
ri.LANGiERi:con  qaefla  moneta  farà  tutto  pagato  .Ma  nella 
perfezione  della  focietà,  quando  non  vi  fono  altri  limiti  tra 
le  varie  clafli  de'cifadini,  oltre  a  quelli  che  la  natura  ilef- 
fa  preferiva    in    rag'one   del    vario  grado    di    energia   che    u 
applica  alla  concorrenza    della  perfettibilità  fociale  ;    quando 
la  ricchezza  è  un  indizio,  o  almeno  una  prefunzione,  dell  in- 
telligenza, dell'attività  ,  dell'economia  di  chi  l'ha  acquifU- 
la  ,    e  fuppone    le  medefime    qualità    trasmefle   con  l'indole 
familiare  in  chi  l'ha  ereditata  da  funi  maggiori;  quando  la 
ricchezza    fa  prefumere    in  quefte  ultime    un'educazione^  pia 
accurata  ^    maggior  difficoltà  a  commettere  quelle  azioni  ob- 
brobriofe  che  fon  provocate  dal  bi fogno,  e  maggior  attitudi- 
ne  a  difllmpegnar    quelle  funzioni    che  richieggono  confidea-- 
za    e  difinterefle  ;    quando    in  una   parola  l'opinion  generale 
desili  uomini  Ci  accorda    nel  prr^c^'gare    all'opulenza    riguardi 
e  confiderazioni  proporzionate  alla  fi:a  eftnfione,   il  gover- 
no ai  dipintivi  di  onorificenza  agi^iungerà  un'equivabnte  in- 
dennizzamenio  per  chi  facrifica    alla  fccietà  il  guadagno  che 
vrebbe   p'Jtu'O:    ritrarre  da!   fegreto  della  fua  invenzione.  Or 
q^U3  i   faranno   ;   limiti  di   un   tale^  ìvdc'iniz-^nmenrol  di  qu-lto 

incoraggimento,  pofttivoy  chi  forma  la  potetiie  molla    per  ^^' 

leTjK 


terminar  ruomo  ad  un'utile  Invenzione  ?  Baderà  dire  ch'eflb 
fia  ia  ragione  compoita  dal  v4ntag:5Ìo  chi  la  foci -tà  ne  ri- 
trae ,  e  deil'ut'le.lie  dali'invenziotis  pjtea  canfeguiru'f ?  Ma 
ciò  farebbe  dar3  al  p  ublinia  una  foluzione  inditerrn;nata,  e 
«on  aHegOire  qael  linj-rff  che  fi  vuol  rinvenire.  Scorr  amo 
per:anto  1' enea  "une  dell'umana  inJuiìria  .  Qu-h  fono  i 
rap^wd  che  ie^ano  i'induiTriofo  al  ben  effere  univerfale  r 

§.     IV. 
« 

^uai' è  r  i'ifluenza  dJh  arti  fu  ì  cojìumì  ^ 
e  la  potsma  nazionale  f 

OArsbbe  un'  inutile  ridondanza  di  luflb  erudito  procurar 
di  combattere  la  feotenza  di  que' retori  (57;  ,  che  calun* 
nìando  li  natura  umana  han  proJamato  l'impero  dell' igno* 
ranza  e  dell'inattività,  come  l'apogeo  della  Tua  perfezione. 
Sarebbe  forfè  urtare  nell'errore  di  coloro  che  fi  difendono 
inutilmente  nel  dimoftrare  alcune  verità  nelle  quali  luut 
convengono  ,  fé  dando  un  maggiore  fviluppo  a  quanto  (i  è 
cennato  nel  §  II.  ci  fermaffimo  ancora  a  feguir  le  minuta 
circoilanze  di  una  nazione,  che  dopo  di  aver  accolto  nel  fuo 
feno  il  facro  fuoco  delle  arti,  eftenda  illimitatamente  la  faa 
2nduflria,e  porti  all'ultimo  grado  quella  divina  er:srgia^che 
forma  il  principio  del  coraggio  nel  militare,  del  genio  nell' 
artifla  e  nell'uom  di  lettere  ,  della  viriìi  nel  magiftrato  ,  e 
dell'attività  nell'uomo  induflriofo  .  Prima  di  noi  vi  è  cbi 
Ila  dimoftrato  fino  all'evidenza  ,  che  non  è  tanto  infelice 
l'umanità  per  dover  effere,  o  povera,  o  viziofa;  che  le  ric- 
chezze tanto  neceffarie  alla  confervazione  ed  alla  profpefità 
degli  (iati,  non  farno  che  la  viriti  re(H  efclufa  Jalle  fotietìi 
civili;  che  l'agricoltura,  le  arti,  il  commercio  polTono  bea 

effe- 


eflere  efercìrate  àa,  mani  vlrtuofe  ;  che  il  luflb  ueflb  ,  tanto 
neccflario  per  la  diffuGone  delle  ricchi^zze  ,  non  è  in  verua 
modo  incompatibile  coi  buoni  codumi  ;  che  lo  fpirito  fero- 
ce di  guerra  degli  antichi  perchè  unito  alla  fpirito  di  fru- 
galità ,  non  è  più  analogo  alla  virtù  dello  (pirico  picilxa 
e  laboriofo  de' moderni,  p-^rch^  u  lico  allo  fpirito  di  lutfo;  e 
che  la  fjla  ignoranza  delle  diverfe  lirade  in  apparen2a  op- 
pofte  f.a  lo'o,  ma  che  in  realtà  derivano  da  un'illelib  p;in« 
cipio  e  conducono  ad  un' ifteflo  fine,  ha  potuto  dare  origi- 
ne ad  un'errore  cosi  rattriliatate  per  l'umanità.  Vi  è  chi 
ha  dimofirato  prima  di  noi  ,  come  una  f.iggia  legislazione 
fervendofi  del  gran  mobile  del  cuore  umano  ,  dando  una  di- 
rezione analoga  alla  progreffione  Tempre  crefcente  di  perfec- 
tibilirà,  cui  1' uinan  g.nere  è  diretto,  a  quella  paffione  prin- 
cipale dalla  quale  tutte  le  altre  dipendono  ,  a  quella  pafTio- 
ne  che  è  nel  tempo  fteflb  il  germe  fecondo  di  tanti  beni 
e  di  tanti  mali  ,  di  tante  pafiionl  utili  e  di  tante  paflionì 
perniciofe  ,  di  tanti  pericoli  e  di  tanti  ritnedj  ,  polla  intro- 
durre la  virtù  fra  le  ricchezze  de' moderni ,  come  le  antiche 
legislazioni  l' intrcduflero  già  tra  le  legioni  degli  antichi  (5S). 
E  non  manca  finalmente  chi  abbia  dimofirato  prima  di  noi, 
che  la  migliorazione  de'cofiumi,  la  perfezione  fociale,  quel 
iìfiema  mirabile  di  politica  che  riunifce  in  una  fola  famiglia 
lutt'i  popoli  dell' univerfo  ,  e  bilancia  i  reciproci  intere/lì 
di  tutte  le  nazioni  ,  non  potrà  ottenerfi  ,  fc  non  quandi  ri- 
ìì^ojfo  ogni  oftiicclo  r. ir  umana  attività  ^^o^i.  quella  fvilupparfi 
in  tutta  la  fua  energia  ,  ed  in  tui;a  la  ferie  delle  fui  mol- 
tiplici  diramazioni  (55?).  Sembra  perciò,  che  le  nofire  ricer- 
che debbano  limitarfi  (all' efame  ,  fé  tra  tante  direzioni  che 
può  prendere  l'umana  attività  ,  ve  ne  fieno  di  quelle  che 
iacclano  dar  paflTi  retrogradi  nel  camino  neceflario  delle  na- 
zioni verfo  quello  fiato  di  perfettibilità  cui  afpirano  •  Or 
Toin.II.  1 1  vi 


vi  fono,  delle:  atti ,  che  ofFeadono  1  coftumi ,  e,  fi.  oppongono 
alld.  potenza,  nazionale?,  ed.  in  confeguenza 


I 


Vi  fono  (Aclle.  (irti ,  che  meritino  di  ejjsr  profcritte  ? 

I. 


Attlvitk  dell'uomo,,  che  travagl'a ,  riflette  il  giudizio- 
fo  Ca.Nard  ,  non  è  la  fola  ragione  che  accumula  le  ric- 
chezze ;  poicchè  Te  il  defiderio  del  godimento  attuale  fofle: 
fempre  in  equilibrio  con  quell'attività  ,  1q  (laro  delle  cofe 
Tederebbe  tempre  Io  fteffo  ;  e  fé  l'uomo  dopo  l'origine  del- 
le cofe  aveffe  fpefo  Tempre  tanto  di  travaglio ,  quanto  ne  ave* 
va  prodotto,  le  ricchezze  non  fi  farebbero  mai  accumulate.. 
Ma  r  economia  con  accumulare  il  travaglio  fuperfluo  efigi- 
bilc  ha  luccelfivamente  create  ,  e  quindi  perfezionate  le  diverfe 
forgenti  di  rendita.  Quello  procedimenti  ha  però  un  limite  , 
Quanto  piti  le  forgenii  di  rendita  fon  migliorate  ,  tanto  rae* 
no  (bo  capaci  di  migliorazjoni.  Decreke  allora  il  defiderio  o 
il  bifogno  dell'economia  ,  e  fi  aumenta  l'emulazione  della 
fpefa  ;  fi  diminuifce  il  numero  di  quelli  che  vogliono  accre- 
fcere  la  loro  fortuna  col  travaglio,  e  crefce  il  numero  di  co- 
loro che  veglione  far  pompa  delle  loro  riccchezze  per  o- 
ffent azione .  Qual  è  la  cagione  che  àk  un  prezzo  eforbitante 
a  quelle  rare  gioje,,  delie  quali  ama  ornarfi  l'opulenza?  Per- 
chè un  fine  merletto  orla  la  cuffia  della  femplice  contadina  ,. 
ed  hanno  i  fuoi  abbigliamenti  il  colore  e  gli  apparecchi  eftra- 
nei  alla  commoditk?  Tutti  gli  ornamenti,  che  decorano  gli 
appartamenti  del  ricco,  le  dorature,  le  fcolture,  che  l'arte 
fembra  aver  diflribuite  con  gullo  per  allegiare  la  nodra  vi- 
fìa  j,  fon.  il  tra  forfè  fuorché  caratteri   magici    che  prefeatano 

que- 


quefla  ifcrìzione  :  ammirate  come  io  fon  ricco ^    mnnir/ite  quel 

che  io  pojjcggo  e  tioti  mi  è  necàjjnrio  {60)? 

Ma  qu..'lti)  liijji  di  o/ìunfa^nione  ,  confeguenza  neceflaria 
dello  fjMrito  di  economia  giunto  al  fuo  limite  ,  è  la  caufa 
unica  dell'  equilibrio  e  della  circolazione  delle  ricchezze  ac- 
cumulae  dalle  nazioni  opuleru^;  è  il  LoavenltnrQ /^bjjoy  pet 
adottar  a  frafe  del  ncllro  Filangieri  , alla  pli-tcri^ , che  mi- 
naccia la  loro  politica  cliitenza.  Invano  fi  farebbe  ricorfo  al- 
le Tempre  grav-fe  ed  ini;  ot;nti  lei^gi  funtuarie.  Quanto  piiì 
gli  oggetti  hanno  attineuza  alla  frivolezza,  tanto  meno  fono 
capaci  di  cffer  pr^fi  in  veduta  oal  legislatore  .  Non  avendo 
alcuna  aderenza  C(  i  nolhi  b'iogni,  c(Ii  sfuggono  qualunque 
viijilanza;  e  il  genio  fecondo,  che  giornalmente  crea  nuovi 
mezzi  di  lufinga  al  gufto  dell'opulenza,  rende  in'erniiaabi- 
11  i  lim'ti  e  le  diramazioni  de'diverfi  capi  del  luffo  .  La 
legge  volteJigiando  da  oggetto  in  oggetto  perfi-guiterebbe  un 
tantafma  che  gli   fi  dileguerebbe  fempre  davanti  [61)  . 

Ma  fé  ogni  liinitazione  è  inutik"  per  le  arti  frivole  ,  è 
ingiuRa  ed  opprelliva  per  q  ielle  che  non  prefentando  una 
utilith  apparente  fon  claflificate  per  oz>ofe  e  /ìcrili .  Ram- 
mentiamoci,  che  l'uimano  ingegno  non  è  giunto  ancora  alla 
fua  maturila:  che  gli  refla  ancora  a  percorrere  uà  lungo  fla- 
dio  pria  di  giungere  a  quella  me:a  di  pt-rfettibiiìtà  ,  che  fol 
rimila  da  lontano,  e  che  tra  C(  ntinui  sforzi  potrà  foltanto 
conleguiie  :  che  la  llrada  che  dee  battere  prefenta  ancora 
ofiacoli  invincibili  :  che  fptffo  la  d  fircohà  del  cammino 
è  ftaia  fuperata  da  un  tentativo  che  avea  dappri.na  tutt'i 
caratteri  dell"  iucotifeguènza ,  e  che  poi  il  folo  azzardo  ha 
giuflificato.  Noi  deridevamo  non  ha  guati  1'  alchimia  e  l' 
aflrolcgia  :  i  Romani  bandirono  dalla  città  i  matematici. 
Intanto  da  quefte  arti  chiamate  /ìcrili  ,  dal  travaglio  accu- 
mulato di  quefli  pretefi  ozitft  ,    qual  vantaggio  non  ha    ri- 

*  trac 


244 

tratta  la  focleta  ?  Qual  alto  grado  non  n'  è  derivato  dì  col- 
tura e  di  civilizzazione  ?  Deporto  il  carattere  d'empirifmo 
la  chimica  ha  offerti  all'  umanità  languente  i  più  efficaci  in- 
fieme  e  femplici  mezzi  per  l'efercizio  dell'arte  fa  lu  rare , 
uientre  ha  moflrato  all'agricoltore  la  migliorazione  delle 
jerre  ,  al  minatore  e  al  metallurgo  i  mifteri  della  fufione 
e  delle  leghe,  ed  al  manifattore  i  principi  invariabili  dell' 
iiìibianchimento  e  della  tintura  .  L'allronomia  rivelava  in- 
tanto  le  conofcenze  de' tempi  ;  determinava  le  latitudini,  le 
Jongitudini,  la  iorma  della  terra;  additava  al  navigatore  la 
lirada  dell'oceano,  i  lìmiti  del  mondo,  e  fottometteva  al 
Càlcolo  le  vicende  capri<:ciofe  delle  maree  .  Una  nuova  ar- 
chitettura preparava  la  coOruzione  di  quelle  citta  natanti 
che  relhingono  le  difìanze  de' più  lontani  popoli,  e  le  arma- 
va  di  que'ftblimi  oro!o2,j,  ne' quali  come  in  riflretio  fpec- 
chio  fi  dipingono  le  celelH  rivoluzioni.  Il  genio  dell'archi- 
tettura idraulica  rendeva  tributati  alTagricoliura  gli  fìeffi 
torrv."nti  che  erano  flati  la  rovina  de  csmpi  ,  e  col  livello 
alla  mano  diflribuiva  le  acque  alle  campagne  ,  le  imprigio- 
nava neoli  argini,  afciugava  le  paludi,  ed  ornava  con  fiu- 
mi artificiali  le  popolofe  città  ed  i  giardini  del  ricco  .  Pre- 
fìdrono  le  fcienze  chiamate  flerili  un  fifìema  economico  di 
forze  alla  moderna  architettura  ;,  il  corfo  delle  acque  ,  il 
foffio  de' venti  moltiplicarono  in  diverfi  modi  la  loro  impul- 
fione  ;  il  fuoco  rtcflb  fu  trasformato  in  moto  artificiale  ,  e 
con  la  forza  efpanfiva  de' vapori  creò  gigantefche  trombe 
che  con  un  folo  impeto  di  querto  ftraorditjario  motore  fan 
le  veci  di  mille  braccia  ,  e  che  una  reccntiiuma  fcoperta 
rende  applicabile  ancora  a  numerofi  rami  d' indudria  .  La 
meccanica  moltiplicò  tutte  le  forze  con  1'  arte  di  rifparmiar- 
ne  l'ufo.  Il  genio  militare  flefib  vidde  ufcire  dal  feno  del- 
la geometria  una  tJuova  tattica;  foflituire  fcientifiche  formo- 

Ic 


1 


]e  per  attaccare  e  difendere  le  fortezze,  regolare  il  corag- 
gio e  dirigere  il  volo  della  morte  .  Q_uale  (ar'a  il  Umitc 
da  imporfi  all'umana  induftria  ?  Oferemo  comlannare  i  fuoi 
sforzi  generofi  ?  chiameremo  più  flerili  i  fuoi  ingegnofi  ten- 
advi  (6 ili 

Tanto  d  lontano  di  doverfi  prefcrlvere  un  limite  all'lnco' 
rag!^imento\  di  qualunque  utile  invenzione  ,  che  i /e«^<?nu;  Refli 
meritsrebbe^-o  di  elfsre  incoraggiti..  Ma  un  tale  incoraggimen- 
To  efl'er  dee\fcmpre  proporzionato  all' utile  generale  ,  ai  vantag- 
gi che  la  ficicrh  può  ritrarne.  Alcuni  fovrani  dell' Afia  pro- 
mettevano Àelie  ricompenfe  agi.!inventori  di  nuovi  piaceri» 
Quelli  re  agivano  allora  da  privati;  efO  profondevano  i  loro 
tefori  come  qualunque  altro  proprietario  che  abbia  una  malfa, 
foprabbondaiue  di  capitali,  e  dvz  dalla,  natura  coordina'rice  fii 
d^termato  a  farle  riduire  nelle  mani  degli  op?raj  inluflriofì. 
Noa  mancheranno  nelle  focieia  opulenre  de'  Luculli  e  de' Tri* 
raalciooi  difiTipatori,  che  reflituifcono  l'equilibrio  politico,  co- 
me le  tempelie  reflituifcoflo  l'equilibrio  nell'atmosfera.  Uà 
r;  amniiniflrator  prudente  dil  patrimonio  focale  non  fi  per- 
roetterh  certamen'.e  una  ingialla  preferenza  ;  ed  economizzando 
le  largizioni ,  dìffonderk  le  riconipenfe  :  come  in  una  ferie  di 
rubidi  vario  diametro,  roa  reciprocamente  communicantifi  ,  uà 
fluido  all'ifteflo  livello,  ma  inegualmente  fi  d'ffjnde .  Non  fie- 
no oflrutte  le  comunicazioni  reciproche  tra  le  varie  forgeiiti 
della  ricchezza  fociale  ;,  gì' incoraggimenti  allora  non  faranno 
Eìai  abbaftanza,  e  non  vi  è  tema  che  l'equilibrio  venga  per 
un  momento  perturbato. 

E'  dunque  la  confervazione  della  liberta  di  quelle  recipro- 
che communicazioni  ciocché  forma  tutto  il  difficile  della 
Icienza  economica;  come  confervare  il  libero  efercizio,  e  la 
perf-'tta  reciprocanza  dell'energia  di  tutti  gli  organi,  forma 
le  llato  falutare  di   qualunque  corpo  organizzato.    Ma    quali 

fcao 


ì^6 

iuDo  le  condizioni  indifpenfabill  di  una  'organhia^jone^  Unì' 
foiiuitk  di  principj ,  concorran^a  reciproca  ad  un'azione  co- 
f^''irante.  Ecco  la  caufa  e  la  ragiona  nel  tempo  fieflb  di  ci5 
che  iì  chiama  cofìum;  Ti.izio>iah'.  -eco  ciò  che  forma  V  indivi- 
{luaitià  di  una  nazione  ,  e  la  caufa  e  la  ragione  nel  tem- 
po llelfo  della  di  lei  potenza  .  Quella  Individualità  che  riu. 
nifce  oli  uomini  in  famiglie  ,  le  famirjlie  in  nazioni,  e  le 
nazioni  in  fine  in  un  filtema  di  reciproca  relazione  e  l'caiir- 
bievole  dipendenza  ,  è  Itabilita  nelle  leg^i  iminurab'ii  dell' 
ordine  ,  che  menrre  lega  gli  elferi  più  lontani  ,  e  compone 
J'arrao'ica  economia  doli' univerfo  ,  divide  quello  gran  fi- 
ftema  in  altrettanti  fiflvimi  parziali  per  quante  fono  le  cor- 
porazioni a  cui  poffono  applicarfi  le  idee  ontologiche  à' in- 
dividualiià  .  Altra  volta  le  arti  e  le  manifatture  firmava- 
BO  quelle  individunlità  parziali^  e  poteano  conliderarfi  "come  al- 
trettanti fiRemi  ilolati ,  comprefi  piuttolto  nel  gran  fiftema 
razionale  ,  che  formanti  gli  clementi  di  elfo  .  Gli  fcrittorl 
di  pubblica  economia  fi  fono  sforzati  a  dimoltrare  i  djnni  , 
che  ne  rifultano  all'  intero  corpo  fociale  non  folo  ,  ma  al 
perferzionamenro  ben  anche  delle  arti  e  delle  manifatture 
che  fi  credeva  cos'i  potentemente  incoraggiare  .  ESendiamo 
qaede  idee: qualunque  incoraggimento  abbia  PRfNClPALMEMTE, 
ed  UMICAMENTE  in  -veduta  i'  ordine  generate  dell'  intiera  focie- 
tà ;  l' incoraggimento  fpeciale  prenderk  cos'i  il  Tuo  polfo  coti- 
veniente.  Or  come  potrà  effer  confeguito  queft©  fcopo? 


§  VI. 


247- 
§    VI.. 

^afe  dovr^  efjere  la  cura  del  governo  relativainenfe 

alle  arti ,  fui  r/tpporto  de  cofìumi  e  della 

potenza  no-mionale  ? 

V^Ueft' ultima  ricerca,  comprende  la  foluzione  del  poMem.i-. 
in  tutta  la  fua  eltenfione  .  Ma  è  cos'i  grande  la  forza 
della  verità,  eh' e(Ti  fi  palefa  a  primo  afpetio  nel  fuo  mag« 
gior  lume..  Tacito,  fi  è  detto,  parlava  breve, perchè  molto 
ed,  eftefamente  comprendeva;  e  cjuefta  invidiabile  brevità, 
quefta  necelTaria.  caratteriftica  di  quella,  luce  divina,  che  rt- 
fcalda  nel  tempa  fte(To  tute'  i  cuori,  e  conquide  imperiofa- 
mente  tutti  gì' iinelletti ,  dovrebbe  acconpagnar  principalrniti- 
te  gli  fcrittori  di  pubblica  economia ,  il  neceflario  oggett»  de 
quali  è  di  molto  ed  eftefamente  vedere.  Concentriamo  per  tar.- 
to  le  no(trp  idee  • 

La  terra  non  form.*  peretTa  flelTa  la  Tergente  della  ricchez- 
za nazionale;  quefta  non  confifte  ,  che  nel  lavoro  accumola* 
to  deli'  uomo,  che  fi  ferve  della  terra  come  di  una  m.iteria  pr'f 
nì/t^  e  come  un  prinàpnlc  /ìrumento  del  fuo  lavoro.  I.  priint 
r.ifuliaii  di  quelto  primo  lavoro  fono,  i  prodotti  dell'agricoltu- 
ra. Ma  fé  una  nazione  induftriofa  fi  limitafle  a  quefta  pri- 
mogenita delle  fue  arti,  la  di  lei  efiftenza  farebbe  precaria, 
per  quinto  fertile  fode  il  territorio,  fui  quale  eferciia  il  fuo 
lavoro.  E' neceflario  per  l'ordine  fociale  che  forpa  una.  clafle 
intermeiia  tra  i  proprietarj  e  gli  agricolrori  :  è  neceflario 
che  oltre  ai  mezzi  di  fufl'flenza  una  nazione  trovi  nel.  foo 
feno  gli  elementi  di  quella  energia,  che  foUetichi  il  confu- 
nvatore  a  diff'oodere  tutio  il  fuo  fupeifluo,  che  inviti  l'iodu- 
(biofo  al  lavoro,  eoa  U  fpefània    del    maggior  utile,    e  che 

ali.->- 


14^  .  .         .  .  ' 

alimentania  nel  tempo  fteffo  lo  fpirito  di  economia  e  Io 
fcirito  di  confumo,  leghi  tutte  le  claffi  della  focieta  con  re- 
ciproci rappoiti  di  bifogno ,  e  follei3ga  a  vicenda  l'emulazio- 
ne fociale  e  l'equilibrio  politico.  Una  naziorie ,  che  noa 
trovi  oracolo  all'iniieto  fviiojtpo  delia  fua  energia,  mentre 
ipan-^e  il  maggior  luRro  nelle  fcienze  nelle  arci  e  nel  coca, 
mtrcio,  brilla  eminentemente  per  lo  fplendor  delle  armi  quan- 
do ad  effe  rivolge  la  fua  direz'one.  Si  rimuovano  perciò  tue- 
ti  gli  onacoli  che  impedifcono  la  totale  efpanfioae  dell'umana, 
attività .  Non  fi  creda  pertanto  poter  confeguire  un  tal  riful- 
tato  eoa  privilegi ,  e  diftinzioni  accordate  ad  alcune  clarfi.Ogii 
iacora^gimenio  parziale  offende  con  l'intiero  corpo  fociale  quel- 
la dalie  (leffi  d'induflriori ,  che  fi  prende  in  veduta  di  fpecial. 
mente  favorire .  GÌ' interiffi  di  tutte  le  claifi  produttive  fo.io 
scambievoli  :  eff'e  fi  reciprocano  ai-nichevolmente  i  vantaggi , 
Ma  il  proprietario  di  un' utile  invenzione  fé  facrifica  il  fua 
ìntorefie  al  vantaggio  generale,  fé  pubblica  generofan^nre  il 
fuo  fegreto,è  in  diritto  di  afpirare  alla  pubblica  vicjnofcea- 
za  ,  è  in  dritto  di  riclamare  un  compenfo  ,  ed  il  governo 
gli  deve  allora  uu  iricomgs^imemo  pojnìvo.  Ma  quale  farà  il 
ì'imitc  di  un  tal  incorasgimento  ?  Le  arti  frìvole  non  ne  deb- 
bono eff.Te  efclufe:  effe  fuppongono  un  tale  raffiumento  dì 
gufio,  una  tanta  elevazione  di  genio,  che  moffrano  lo  sfor» 
zo  dell'umana  induftria  per  riftabilire  l'equilibrio  di  quelle 
enormi  malie  di  capitali,  che  il  corfo  neceffario  dello  fpiri- 
to di  economia  ingorgherebbe  altrimenti  in  poche  mani:  fo- 
ro effe  il  faU^jJì  conveniente  alia  pletoy'ta  dell'opulenza,  ed 
il  governo  non  dee  privarfi  di  farne  impiego.  Le  arti  oz.'o- 
is  preparano  fpeffo  i  più  grandi  vantaggi  .•  tutte  le  utili  in- 
venzioni fon  fempre  fiate  precedute  da  tentativi  infrhttnofi'. 
quelle  arti  fleffe ,  che  la  pubblica  autorità  perfeguitava  ,  e  la 
ptibblica  opinione  derider ,  haa  moftrato  ai  giorni  noflri  tutta 

l'in- 


__     .  149 

riagiuftìzia  di  un  tale  proed^iménto  .'  Sonò  effe  che  hatiao 
innalzato  al  più  alto  grado  la  nodra  civilizza^iooe  ,  e  raa- 
te  riforfe  han  fomminiRrate  all'opulenza,  ed  alla  forza  ifa- 
zionale  .  L' innraggimento  non  avrà  dunque  limite  alcuno  in 
rapporto  alla  fua  direzione  ,  Ma  quale  firk  quello  iocoraggì- 
mento?  Se  la  nuova  invenzione  prefenu  una  utilità  calcola- 
bile ,  il  governo  ftabilifca  il  grado  deiU  ricompenfa  con  la 
legge  ordinaria  delle  determinazioni  de"  varj  valori  ;  ma  fi 
adotti  generalmente  la  legge  di  SoI(  ne  (55)  :  eòi  fa  pro- 
gredire un  arte  qualunque  ver/o  la  fun  perfezione ,  abbia  una 
pcJifinne  che  a/ftcuri  la  fua  /uJJtfìi:nxo ,  e  un  diflintìvo  di  ono» 
re  che  rammtnfi  i  fuoi  fervtgj  refi  alla  patria. 


Tornii.  j5  KO- 


2SI 

NOTE 

(i)  Filangieri,  Scienza  della  lej^islawne  ,  ec. 

(a)  Il  lìlkma  di  quello  autore  è  poito  nel  maggior  lume  fieli' ^iw/Vm  Jo«"i 
mes  di  Mirabeao  ,  e  nelf  OrJre  naturel  <&  eremiti  des  fmités  polìtifjuts  àt\7. 
ab.  de  la  Riviere.  Gli  Encidopedilli  non  han  fatto  che  elporre  la  dottrina 
di  Quesnay  neh'' articolo  Agricole  (  peuple  )  deW  Encyclopedie  methodìgut  , 
che  gioverà  nfcontraie  . 

(3;  Ordre  natirel  &  ejfentìel  ec,  r.  157.  Si  vegga  perb  la  nota  (<f4)  . 

(4)  Si  conl'ul'ino  oltre  gli  autori  citati  nella  nota  (2)  :  An  inquiry  tnto 
the  nature  a  'd  caufe  of  the  luealt  of  nation  ,  ùy  A.  Smith  L-^nns  aux  i^o^es 
no  male!  ,  par  le  e.  P'aridermsHde  ;  Traiti  cT  Economie  politirjiie  ,  par  /.  B. 
i.  ay  ;  De  la  rie  beffe  commerciale  par  J,  C.  i.  Sismonde;  Principes  de  T  ec*' 
ìivifiie  politique  ,  par  Canard  ,  er,  ef. 

(5)  Con  queflo  nome  in  endo  i  feguaci  della  fcuola  di  Qiiesnay. 

(6)  L'  Acc.  imp.  di  Wiina  ha  propollo  nel  giugno  del  1801  il  problema: 
,,  Detetminare  i  punti  su  cui  fi  accordano  le  idee  madn  di  A.Smith  con  quel- 
„  le  del  D.'  Qijesmy  ,  e  q-iili  qjelii  fu  di  cui  d  fF^rifcono  quelle  idee,  o 
,,  anche  lono  interamente  opporle  „.  Vedi  la  memoria  del  fit^.  S'smondi  fu. 
queit'' oytjetto  nel   I.   Vnl.  degli   yltti  della  Sacietà  Italiana  di  Lizerno . 

(7)  Smi'h,  Say  ,  Sismandi ,  ec. 

(8)  Vedi  t;!i  autori  citati  alla  nota  (2). 
((;)   Vedi  la  nota  in  fine  . 

(10;  Vedi  r  r.lfai  far  les  periodes  de  la  civilifarinn  par  M-  Tourton^eon 
negli    i^tti  deW  Ijistuto  di  Francia  y  anro   «809,  feconda  clafTe. 

(11)  Mentre  la  Provincia  di  Lecce  è  la  più  fpopolata  djpo  la  Capitana- 
ta,  il  piccolo  di  detto  dei  Capo-I  ipig-o  formato  di  foli  villat;gi  ha  una  po- 
polazione di  quafi  200  anime  per  pg-ii  mitjlio  qu?Hrato  . 

(iz)   La   nollra  collina  di  S.    Martino,  Rocca  di   M.trigl'ano  ec. 

(ij)  Loke  (laLiHiva  la  p'opnrzjon'^'  del  valore  tra  le  terre  incolte,  e  le 
coltivate  come  i  a  100.  '\r'uro  Joupt:  dimolìra  rella  fua  Aritmetica  poli- 
tica ,  elle  gli  oggetti  confuma'i  v.T'gnno  a  un  di  prefTo  il  qnadruplo  de  pro- 
dotti hit  ti .  Ognun  vede  quanto  que'H  calcoli   fi.im  arbitrar;  . 

(14)  Smirh.'b.   II,  e.   I,  t.  1',  ib'-ì.  e.    V  ,   t    II. 

(15)  L'' educazione  lunga,  e  coflofa  ds'giovani  artieri  Cerve  a  rendere  p;u 
proficui  i  lavori  che  intrapTendono  ,  ed  è  un  capitale  in  confeguenia  che. 
fi  accrelce  alla  fccietà  di  cui  fan  parte  . 

(t6)  Così  è  (tato  nominato    dai  fig.  Siimondi  ,    Ri(hejfi  commerciale  1.  I.- 
e.  IV  t.  I. 
(17)  L'Inghilterra  .  Vedi  la  nota  17. 

(tiJ)  Tutte  le  condizioni  da  noi  richiede  per  avcfì  un  pepalo  agricola  fup-- 
pongo  P  intiero  fviluppo  d?lla  perfezione  fociale.  Qfieiìe  condizioni  mancano' 
in  gran  parte  ne"' popoli  della  Laconia  e  della  Polonia  da  noi  prefi  perefeni- 

*  pie 

•0 


252 

pio?  Nulla  di  piti  vero;  Ma  cib  dlmoftta     femprepplti  che  fa  perfezione de&- 
la  coltura  fociale  è  incompatibile  con  un  p  opolo  erclufivamente  agricola  . 
{19)  L.  XVIir  e.  III. 

(zo)  Si  vegga  in  appog"  o  di  quefti  fatti,  per  la  Laeoaia  Arinotele  Tlohi-^ 
fiTniif  Ti  B.  K.  0.,  Tucidide  ec^i  per  iìPoìoan  Ruliere  HìJìoÌKe  de  Panar- 
thje  de  tolog'ìi . 

(.21)  Io  non  poflTo  giuflificare  che  in  quefio  modo  le  ftrane  idee  di  Mon- 
tesquieu nel  fecondo  paragrafo  dei  C.   15  L.    2?  dello  Spirito  dtlle  Leggi  . 

(12)  Gli  entufiaiii  di  Sparta  hanno  il  coraggio  di  lodare  anche  tanta  ini- 
quità .  Z,/V«»-fO  ,  dicono  eflTi,  ofd'tm  i^  efpoft^ione  de  fuwiulli  mal  conformati: 
tanto  egli  provvedeva  alla  roòi4,'{ezza ,  e  perfezione  dè^  cittadini  della  fua  re~ 
fubbtica  !  !  !  Ma  come  giultificar  poi  T  orrenda  caccia  che  facevano  i  gio- 
vani Spartani  degi'  Iloti  onde  impedire  la  loro   moltipJicazioae  ? 

(i^)  L'abolizione  della  tratta  de' negri  fa  l'elogio    della  coltura    de' nortri 
giorni.    E  pure  fé  la  nazione  ing'efe  fi  è  purgata  di  quella  macch'a  ,    ciò  è 
dovuto  alla  magnanima  filantropia  d'un  privato  .  Si  vegga  'C Aòel:tio-i  of  the 
slave  trade  di  Ctarkson  . 
(14)  Vico,  Scienza  Nuova. 
(25)  Ariilotele  L.  e. 

fzó)  Sapp'^an)  di  Ariljtete,  che  gli  Spartani  per  foddisfare  al  tributo  lo- 
ro impoflo  da'SiTi)  onde  ricupera'-e  la  libertà,  non  trovarono  altro  elpeàien- 
te  ,  che  di  digiuna-e  pir  un  giorno  elfi ,  le  loro  famiglie  ,  i  loro  giumeiwi , 
ec.  A  chi  non  è  njti  lo  Ihto  ecinoraico  della  Polonia  ?  ,,  Le  Tue  derrate 
„  ùendevano  pe'di  lei  fiumi  per  elfere  trafportate  in  paefi  llranieri  fenza 
,j  che  lor  folle  data  alcuni  preparazione  ;  i  fnli  doni  della  natura  formavano 
„  tutta  la  rendita  delja  nazione,  ed  efTa  fi  affrettava  a  disfarfene  per  dirluo- 
,,  go  ai  doni  che  la  lì.-T;]  nitrirà  onmi-tiea  per  l'anno  feguente  .  l'ra  il 
„  no'jile  e  lo  fchiai/o  altro  intermedip  non  v'  era  che  un  popolo  Ihaniero  , 
3,  Sili  ESrer .  U:!""  intiera  razza  che  dee^Jprrnate  la  mera  della  nazione  man- 
„  cava  alla  nazione  polacca  ,>  Sismond' . 

(^7J  11   ^^Jantunque  la  mas>gl'ir  parte  deg'i  fcrittori  attribuTca    la  decai^en- 

j»  za  dell'Impero  Romano  a  cagioni  yclie  lembrano  eftranee  alle  finanze  ,  ru- 

,,  re  non  è  men   vero  ,   che  il  loro  disordine  molto  vi  contribuì   „    Roriffelct 

^e  ^u"gy  ,  Difcours  pfeluniNaire  a  la  partie  Finances   de  /'  Encyclopedie  Me- 

thoSnue. 

(3   )  Gli   Arabi. 

(29)  Si  fanno  fpelTo  di.-'' paragoni  tra  pipnii  e  popoli ,  tra  antichi  e  modem?, 
ec.  ec.  Q;ie.i?  falfe  analogie  conducono  ad  errori.  L' ahi  1  zone  della  fervitù 
perfonale;  lo  (labilimento  del  clero,  e  perciò  1' iflrnzione  gratuita  e  la  diffu- 
(ìone  de' lumi  ,  prnmolTa  in  feourn  snche  più  dell'invenzione  della  carta, 
dalla  f1?mperia  ,  Hp'^iorr.ili  ;  l'irfl'ienza  della  polvere  da  cannone  ,  dell' u io 
della  buOola  ,  del.' iiìitti7Ìone  delle  armate  reeolari ,  delle  ambifcerie  ordinarie, 
delle  pode,  de' tele.j|rafii  ;  la  talTa  regolare  deiP  intereUe  del  denaro,  la  rego- 
tarità  delie  impofiiionj ,   l'idea  del  credi io   pubblici;   la  voga    e    ia    moda. 


liforfe  ÌDcakolabili  per  le  petfone  induOiiofe,  ec,  ec,  ec.  non  «  feparaco 
per  intervalli  immenlurabili  dall"  economia  politica  degli  antichi  2  5>i  aggiur- 
gaoo  a  ciò  le  nollre  rifle/Koni  del  §.  ■?,  •        ,       ^  l 

(joj  Levefque  Rechinlje  fur  la  ruheffe  &  la  mat'ert.  de  vivrt  dts  A-ht- 
nens.  Solone  avea  divifo  il  popolo  d'Atene  in  4  claOi  ,   e  proporiionata  la 
contribuzione  ai  var;  blfogni  de' cittadini  .    Il  b'ifogn^  fifuo    non  dui^ea  eiTer 
laffato:  così  rulrim:i  elafte  de' cittadini  nulla  contribuiva.  L  utile  era  talla- 
to   a  vane  proporzioni    nella  2  e  5  dalle  .•    non  era  giuìo   che  il  fuoerfiut 
della  4  dafle  log^atefTe  ad  una  forte  contribuzione  .  Cus)  la  grande^^a  dei 
Jiiperfluo,t[{{eue  MTnteiqtìiej  ,  «."H'V-r  H  Superfluo  .    Oltre  alla  taffa  reale, 
dalla  lettera  di  PiMrato  a  Solone  11  rile^-a  ,    che  gii  Aten.-fi  loiponevin-.  il 
decimo  iul  valore  delle  mercanzie  importate  nel  Pireo.  Q.u'in  ralla  psro  cu- 
be ddle  variazioni,    e  fu  in  le^uito  rdotta    al  uisellmo  c-d  anche  aj  cenreli- 
mo  :  il  c!ie  dimoerà  ne'lo  Hello  ternno  ,  e  la  floridezza  de!  corcTiercio  ,_e    a 
favia  amminilka-iione    delle  finanze  ci' ^  rene  .    Un  pop-lo    che  d'm  nuUce  le 
fue  impofizioni   può  egli    mancar  drifrrfe?   Bifidi::  effe-  rrtitic  nniV)   '■■^-    '":1 
ertfcime>ìto  delti  popolazione  ,  che  all''  ■■'Cfrefcimenio  de! 'e  rendile   (e  la  aVVI 
maffima    di    Quefaay  ,   ed    io  cito    quell'autore    pe'ch      gli    --S^^'    0'',"  "''» 
vorranno,  certamente  dilTentire    dal  fuo  avvifo  )  :  vi.  è  fèmpre  u;.  arm  ra  ove 
non  manchino  mezzi    di  fuflìflenza .    Cosi  gli  Ateniefi    accr-lcevAuj  la.  loro 
«hiatnando  anche  i  foreflieri  a'  loro  flif  eadj . 
(51)  Sismondi .  s    r  r 

Ui)  Non  percib  1"  inCerae  d.-ll'  ammininrarione  d'  Co!b.'rt  è  Terza  di- 
fetti, o  il  modo  d'incoraggimtnto  da  lui  adatto  per  le  ani  è  cnmmen '?vo- 
lo.  Ma  conolciamo  noi  la  ihntica  della  Francia  a  quell'epoca  per^  decidere 
fenza  timore  d'inganno  d«ir  a<it;iuilatczza  de'fuoi  procedimenti?  D  altronde 
il  grard''  uno  dato  dell'energia  nazionale  per  rianimare  la  di  lei  m.h:llrra, 
non  baQa  folo  a  formar  11  elogio  del  fuo  minillto  ?  Infelici  circodanze  eligon» 
pur  troppo  flraordinarr  efpedienti  .  ir* 

(??)  Se  n  trafciirano  le  arti  ,  riflette  Trutore  dello  Spirito  deUe  Leggi 
i.XXIIIc.  15,  fé  fi  limita  un  popolo  alla  fola  ? urcoltuia  ,  il  Tuo  paele  non 
può  tffer  popolato  .  Quelli  che  colmano  o  fan  coltivare,  avendo  un  avan- 
zo ,  non  hanno  impegno  di  lavorate  per  '.'anno  feguente  r  i  frutti  non  po- 
trebbero elier  confumati  che  da  genti  rz'ole  ,  e  eli  oziofi  non  avrebbero 
come  comprarli.  Blogna  dunque  "che  le  ani  fi  llab'lifcano  ,  perchè  i  frutti 
fieno  confumali  dai  lavoratori  e  dagli  artigiani  .  In  una  parola  negli  ftatl 
agricoli  è  necelTario  che  fi  coltivi  al  di  là  del  neceflarin  .•  bifopna  dunque  dar. 
loro  un  dePderio  di  avere  un  fuperfluo  ;  ma  fono  i  foii  artigiani  quelli  che 
polfan  dare  un   fuperflno  • 

(i4)  Filangieri   L.   Il  e.   i(5.  . 

(^■ì)  Si  vegga  l'Enciclopedia  metodica  ,  Economia  politica  ,  alla  voce^fr/- 

tole  {  pep'e  )  .  Noi  non    ne  analizzeremo    che  z\c\.>at  ,   eiTendo  le  altre  di 

ìina  tale  eiidenza    che  a  primo  tolpo   dlocdya   &  manifellauo    «oeieoii  alle 

aortre'  idee  . 

{-•6)  M.<frima  IX".  V 

(56)  MaOi^a  XVif.  "^    _  .  -  -  ^57i 


^54 
(5?)  1"  II  tap-  lo»* 
(58)  Mafl'ima  XXV. 
(j9)  Maffima  XXIIL 

(40)  Maffima  XXIV. 

(41)  Miffima  XV f:  . 

■(42)  L.  II  e.  21  .  Si  vegga  ancora  .^o  inqu'iry  &C'  Ricerche  fu  lo  fiat» 
atlla  fujjljienza  nazionale  in  rapporto  ai  progrejfi  delle  riechezze  e  della  poi 
poliizionet  di  W.  T.  Comber-London   1808. 

(4,)  Si  confultino  gli  autori  citati  alle  note  (2)^4). 

(44)  Si  faccia  lemnre  aftrazìone  dall'  aumento  di  valore  della  merce  pro- 
dotto dal  travaglio  de' commercianti .  Una  merce  trafporcara  in  un  luogo  di 
più  facile  confumo  crefce  indubitatamente  di  valore  :  ma  un  rale  aumento 
non  è  l'opera  dell'agricoltore  ,  o  del  manufatturiere  .  Traile  et  é  commi  e  po- 
lititene ,  liv.  I.  ,  eh.'  JiXlU. 

(45J  Per  le  ifteOe  ragioni  delP  antecedente  nota  é  per  noi  indifferente  ,  che 
un  tal  baratto  fi  eferciti  fui  mercato  nazionale  o  su  quello  dell' eflero. 

{^6)   Principj  d''  economia  politica  ,  cap.    III. 

(47)  Vedi  la  nota  ■i')j-  ,      .    .   .  .        .        ■ 

(48)  Si  vegga  lo  (viluppo  di  queda  verità  ne' PW«f/f/  tt Econcmia  di  Ca- 
nard  cap.  VII.  .,       . -■  ;}     ;.■-)..  ■ 

(49)1.  il  e.  XVT.  ■  •    ,     i     ■ 

(50)  Madlma  XflI. 

(51)  Maffirr.a  VI.  Quefìa  ,  e  le  feguenti  niafTme  cbe  il  D.,  Q.ue?nay  li- 
imitava  alP agricoltura  ,  fono  egualmente  applicabili    alle  arti   e  nisaif<itture  • 

(52)  Maffima  VII. 

(53)  Maffiima  XX. 

(54)  Maffima  XIX. 
(35)  Maffima  XVIIL 

(57)  Come  mai  l'autore  del  Contratto  fociale  poteva  Dudrire  idee  così 
firaordinarie?  Come  una  focietà  rifpettabile  ha  potuto  coronarle?  Cometar- 
io il  genere  umano  à  potuto  applaudirvi  ?  Ad  onta  del  gran  nome  che  Ci  è 
acqui  iato  Torator  Ginevrino  pe' funi  eloquenti  paradoffi  ,  io  non  terrò  die- 
tro nel  reflo  di  quella  memoria  alle  vatie  fue  declamazioni. 

(58)  Filangieri,  lib.  IV. 

(59)  Cnndorcet  . 

(60)  Pr  ncipj  di  economia  politica. 

(61)  Filangieri  ,Iib.  II  e.  57  e  ?8.  "Vi  è  però  qualche.rifleffiione  a  fare 
4i  'e  idee  di  queóo  autore,  e  di  altri  che  dividono  il  di  lui  avvifo  fu  la  ne-' 
ceffità  del'lufTu  p.ìffii'O  in  una  nazione  opulenta.  L''ecceffiva  abbondanza  ai 
numerario  non  fi  avvira  giammai  quando  regni  libertà  di  commercio  .  Se  il 
valore  de'  metalli  prezipfi  è  per  poco  avvilito  nella  nazione  commerciante  , 
r  imporra7Ìone  delia  moneta  diminuirà  a.  proporzione  ,  e  fi  riflabilirà  allora- 
l'equilibrio  col  folo  andamento  naturale  del  commercio. 

(62}  La  rapi-fitàdi  'quelle  vedute    potrà  indurre   qualche    lettore  in  ingan- 
no, e  fargli  credere  che  uno  fpirito    di  novità  ci  abbia  uafcinati   oltre    i  li- 
mi- 


255 

aliti  d'un  accurato  efame.  Siame  l'a  Jovere  perciò  di  far  riflettere^r 

I.  Che  il  dotto  e  profondo  Vandermonde  fonda  per  cardine  dell'economi» 
politica  la  mafTìma  di  dover  dare  ai  BISOGNI  FJTTIZ}  la  maggiofe  tjltn- 
/ione  po(fib>le  (  Lecfn%  aux  écoles  normites  )  ,  e  non  elìta  di  efclamare  nel- 
le augu  te  artemblee  che  riuniva  i  primi  tjenj  della  Francia,  che  tille  femme 
de  Paris  <jiii  ne  s'  ejì  jamais  occupée  que  de  sa  toilette ,  mais  qui  avait  de 
i'^éfprit  &  du  goùt ,  a  fait  plus  de  bici  <>  la  France  par  P  exttnfton  qu"  elle 
s  do  mie  à  >ios  niodes  ,  qiie  /'  hmme.  gautlument  aujìire  qui  déclame  contre 
la  frlvoliiif  (  ibid.  to.  4.  ) 

If.  „  Che  dopo  2ooa  anni  foltant»  le  fpeculazloni  degli  anticfei  geome- 
»  tri  iulle  curve  che  genera  la  Celione  della  fuperficie  d'un  cono  per  un  pia- 
„  no  ,  e  eie  avevano  tutta  l''  appare'iza  d^  una  futi!*  ricerca,  han  fatto  fco« 
},  prire  a  Keplero  le  leggi  generali  del  liftema  planetario  (  Ls  Place  mechs' 
„  nique  télejìe  )  . 

Che  gli  areojìoiicì ,  oggetto  creduto,  di  mero  divertimento ,  fecero  guada- 
gnare  la  battaglia  di  Mauèeuge ,  e  che  un  areoftatico  d""  elfervaz'ove  è  d'al- 
lora in  poi  una  delle  maggiori  fuperiorità  che  pofTa  avere  un  Generale  d"'  ar- 
mata fui  nemico  che  n'è  privo  (  Monge  nella  fu»  Geometria  defcrittiva  da 
i  metodi  per  proiettare  le  carte  topografiche  fu  gli  areortatici  )  . 

Che  i  fenomeni  della  calamita  fono  rtatj  giuochi  infantili  fino  al  XTt  fe- 
nolo, della  nodra  era;  quandi  un  noilro  compotriotta  mife  a  profitto  la  pi& 
bella,  la  più  importante  delle  proprietà  di  querto  minerale  (Si  vtgga  Haiiy 
nelle  fue  Lezioni  di  fifìca  )  . 

Quefti  efemni  potrebbero  molr'plicarfì  all'infinito. 

(6  '  1  Tflir  ttfiifny  tiira  rie»  ittun-j  ovb  ff^^tvn  n  Tta\v  w  Ylpvfnftì^  >,»(ilScinn 
jwt,  venieMt.  LtQQk  ATTltHc. ." 


ìi^ 


£3^ 

NOTA  generale; 

Amarao  Smith  (  B.  II  e  IH  )  Iia  veduto  che  il  lavoro  àìrettòvetk  Turf. 
Ik.i ,  cioè  verfo  i  godimenti  che  1'  uomo  può  procofare  all'umana  fpecie 
può  avere  due  differenti  tifultati ,  Qualche  volta  quello  lavoro  laFcia  dietrd 
di  fé  una  produzione  nuova  o  migliorata  ,  la  quale  per  l'  aumento  del  fuo 
valore  rapprefenta  tutto  il  travaglio  che  gli  ha  data  origine  :  così  il  vafo 
che  il  vaiajo  ha  formato  pagherà  allorché  farà  melfo  in  vendita  tutto  il  la- 
voro che  r  artefice  vi  ha  impiegato  .  Altre  volte  il  lavoro  ,  quantunque  de- 
fiinato  al  godimento  ddl'uomo,  allorché  finiCce  non  lafcia  di  fé  veruna  trac- 
cia ,  e  non  ha  prodotto  die  un  j)Ì3cere  fuggitivo  :  così  un  mufico  dopo  dì 
averci  incantati  coVuoni  del  fuo  iltrmnento ,  allorché  A /no  lavoro  8  ce/Tato 
Dflti  lafcia  veruna  produzione  che  polla  divenire  una  mercanzia ,  ed  accumu- 
lali'; per  arricchire  una  nazione ,  barattarli  con  una  nuova  ricchezza  ,  e  ps-» 
gare  un  nuovo  lavoro  •  Dietro  quelìa  oJfervazione  l'autore  inglcfe  divide  i 
lavori  produttivi  da  i  ìim-preduttivi  ,  e  riconofce  ne' primi  quelli  che  la- 
fciano  dietro  di  efll  oggetti  capaci  di  efler  calcolati  nella  ricchezza  nazionale, 
e  ne' fecondi  quelli  che  jiuila  aggiungono  al  capitale  barattabile  della  tijzìo- 
ne  ,  ferthè  il  vantaggio  che  fé  oe  ritrae  cella  al  momento  in  cui  finifce  il 
lavoro, 

I!  (ìg.  SisRsondi  (  RichelTe  commerciale  L.  II  )  feguendo  quella  divjfione 
comprende  nella  feconda  clafle  : 

1.  Qucl'i  che   affinano  i  loro  fervigj  alle  dalli  produttive; 

2.  Quelli  che  lor  vendono  de'godimenti'i 

j.  ■Quelli  the  ne  flrappajio  i  ioro  beni  per  mezzo  della  forz^~,  òell'aftuzia 
o  della  pietà  . 

Nella  enumerazione  poi  di  quelli  che  compoogoiro  quelle  tre  fuddivifioni  , 
51  /ìg.  Sismondi  colloca  tra  quelli  che  affittano  i  loro  f»rvig;  ,  j  primari  ma- 
giflrati  e  i  domellici  ;  fra  quelli  che  vendono  de^'godimetiti  ,  i  iìlofofì  ,  e 
le  meretrici ,  ec.  ec. 

Se  la  prefepte  Memoria  aveffe  potuta  avere  tutta  la  fua  tPenfiont  ,  l'efa-* 
me  della  giiiiizia  di  quelle  claflificazioni  ne  avrebbe  dovuto  formare  una 
parte  eff:nz>^'i(]ìmi: .  Ma  una  memoria  accademica  è  limitata  ad  una  lettura 
pur  troppo  determinata,  e  fpeffo  bifogna  facrifìcare  all'idolo  della  noja  che 
5  innalza  dopo  un'ora  ad  imporre  fìlenzio  co' faoi  contorcimenti.  Una  me- 
inor'a  non  è  un  trattato  :  pcrcib  io  fcrittore  di  quella  riferba  1'  e/ami  del- 
te  clajjìfic/tzioni  /odali  ad  altro  tempo  ;  come  ad  altro  tempo  riferba  la 
sviluppo  di  molte  iltre  propofizioni  che  hanno  l'apparenza  del  paradoffo , 
Tutte  quelle  memorie  fecondarle  faranno  altrettante  note  giuflifìcative  de'  fat- 
ti,  o  delle  teorie  che  qui  fi  fuppongono.  Ma  p«  ora  chi  poiri  deterrainar- 
re  il  numero } 


SOLUZIONI  ANALITICHE 

DEL   PROBLEMA   DELLE   QUATTRO  SFERE 

Condotto  a  fine  col  metodo  delle  Coordinate 

DA   F.  P.  TUCCi; 

L' 
Oggetto  del  problema  delle  quattro  sfere   è  di  eoflruir- 

ne  una,  che  ne  tocchi  altre  quattro  date  di  fito,e  grandez- 
za. L'infigne  Geometra,  Fermzt ,  fu  il  primo  a  rifolverlo 
adoperandovi  i  foli  princip)  elementari  di  Sintefi  ;  e  Carte- 
ilo,  che  glie  lo  propofe,  lo  afficurò  di  averlo  anch' eflb  rì- 
foluto,  febbene  non  fi  faprebbe  addurre  il  motivo,  onde  una 
tal  foluzione  non  fi  ritrovi  nelle  fue  opere.  Uii'ahra  foiu- 
zione  (ìntetica  del  problema  delle  quattro  sfere  fi  dee  al  Si- 
gnor Hachette  (*)  :  efla  però  richiede  la  conofeenza  delle 
curve  coniche,  delle  quali  l'autore  fi  ferve. 

Il  problema  del  quale  fi  tratta  è,  al  dire  di  Montuclai 
uio  d;  quelli  a' quali  1' Analifi  moderna  fi  applica  con  diffi- 
colia.  Eulero  il  primo  s'impegnò  a  fuperaila;  ma  non  f.>, 
fé  la  fua  difll-rtazione  Analitica  regidia'a  njll'  indice  delle 
altre  inedite,  fi  fia  finora  data  alla  luce.  L'unica  foluzione 
Analitica  del  problema  dello  quattro  sfere,  che  pofla  dirfi 
con:>pIfta,  mi  fembra  eifer  quella  del  Signor  Fran^ais  {**)  » 
Tom.  IL  33  il 

(')  Correfpondcnce  de  1"  Ecole  Polytechnìque  n.   ii,  FruSidor  ,  an.  Xlf. 
(*";  Corre  pondence  de  1' Ecoie  Polytechuique  n.u,  voi.  2  ,  Janvier  i8ic. 


*5^  . 

Il  rifultAtJ  di  effi    dà  tre  equazioni   a  tre  Iperboloidi  a  due 

nappe ^  Mediante  l'eliminazione  fi  riduca  l'autore  a  ritrova- 
re rinterfezione  di  tre  fuperficie  conidie,  ed  ingegnofamen- 
te  la  determina  fervendofi  unicamente  della  regola ,  e  d^ 
COiìlpaJfo  . 

Le  foluzlonl ,  che  io  vengo  a  dare  del  problema  di  cui 
mi  occupo  non  fono  dedotte, che  da'primi  principi  del  meto- 
do delle-  coordÌ7jate  :  poiché  mi  è  fembrato  ,  che  quefti  foli 
fiano  baflevoli  per  confiderarlo  in  tutta  la  Tua  generalità  ,  fenza 
far  ufo  d'Iperboloidi  di  rivoluzione,  di  fuperficie  coniche, 
o  cofe  fimili .  Prima  di  tutto  ritrovo  col  fuddetto  metodo 
il  fito  del  centro  djlla  sfera  domandata,  e  mejiante  lo  ftef- 
fo  pervengo  direttamente  all'equazione  che  dona  il  fuo  rag- 
gio, fupponendo  ignoto  eflb  folo  .  Enumero  i  cafi  de' quali 
il  problema  è  capace,  ed  il  mado  onde  dall'equazioni  finali 
fi  pofìTono  ottenere  i  corrifpondenti  valori  delle  radici ,  ed  ho 
a  queflo  propofito  l'opportunità  di  notare  un  cafo,  che  noa 
fi  pTiò  rifolvere  alla  maniera  degli  altri  jefTo  fi  verifica  qua- 
lora una  delle  sfere  date  in  fé  racchiuda  le  altre,  come  fi- 
ì\  notato  a  fuo  luogo.  Q^ueflo  efame  completo  del  problema 
delle  quattro  siete  è  applicato  benanche  al  problema  analogo 
de' tre  cerchi;  ed  in  fine  è  abbozzato  il  modo,  onde  fipof- 
fono  collo  fleflb  metodo  rifolvere  gli  altri  problemi  appar- 
tenenti a'contatti  sferici,  e  circolari  (  che  per  altro  fon  fa- 
cili ) ,  affinchè  fé  ne  abbia  una  completa  analitica  efpofizìone. 

§  I. 


§  I.  locomlncio  dairaccennare  In  brave  i  e  per  quanto 
balU  al  mio  propofito  il  paflagglo  di  due  coordinate  rettan- 
goli? da  un' affé  ad  un'altro;  poiché  me  ne  fervo  più  volta 
nel  corfo  della   i*  foluzione. 

Debbafi    dalle  coordinate    AP  ,  PQ^  del    punto  Q,  pre-Fig.i, 
fb  per   affé  A  B  ,   ritrovare    1'  efprefiione   di   A  R  afciffa  cor- 
rirponc^ente  al    medefimo  punto    riguardo   all'al.ro   affé  dato 
AG.  Dal  punto  P  fi  abb-ffino  le  perpendicolari  Pp,  Pr  fulle 
liffCttive  AC,  Q^R.  Si  avrà,  fuppinendo  il  raggio  =  i , 
1  :  cos  A  ::  A?  :  Ap=:  AP  cos  A 
I  :  fen  Q  ::  I  :  f  n  A  ;  :  PQ.  :  Pr  =  PQ_fen  A 
e  quindi 
AR=Ap  + pR  =  APcos  A  +  PQ^feo  A  (i) 

2.  Varrà  la  pena  di  offervare,  per  maggior  chiarezza  di 
quel  che  feguiià  ,  che  dalla  ritrovata  efpreffions  di  AR  fé 
ne  deduca 

PQ=:ARcorecA — AP  cot  A  (2) 

fé  ne  intendeik  la  ragione  ricordandofi  che 

I  r      A      cos  A  . 

-. — -  =r  coiec  A  ,  -. — ~  rr  cot  A . 


PRO- 


25o 

PRÒ     BLEMA." 

3.  Date  quattro  sfere    di  fito  e  grandexxa  ;  coftrutrne  unat- 
tra y  che  tocchi  le  quattr»  date.  \ 

SOLUZIONE. 

F'g-i.  Siano  A,  B,  C,  Di  centri  delle  sfere  tìate  ,  ed  Aa  i 
Bb  ,  Ce,  Dd  i  rifpsttivi  raggi  di  elTe  .  Suppongo  fciolto 
il  problema,e  dinoto  col  punto  M  il  cctto  d^jla  sferi  ca- 
cata,  e  co' punti  a»  b,  e,  d,  i  contatti  di  q^a  colh  sf.-re 
date.  Le  rette  Aa,  aM,  Bb,  bM  ;  Ce,  cM;  Dd,  d  M 
giaceranno  per  diritto;  e  le  altre  MA,  MB;  M<\,  MC; 
MA,  MD  non  cambiando  differenza  quilura  fi  d.mitiuifca. 
nOi^o  fi  accrefcano  di  una  fiefla  qnantitH,  differirannj  qaaaìo 
le  rette  date  Aa  ,  Bb;  Aa  ,  Ce;  Aa,  D  d  rifpetrivainentc . 
Intendo  abbafiate  dal  punto  M  le  perpsndicoL.n  M  Q_,  M  T 
fu  i  piani  BAC,  BAD;dinoto  colle  rette  Q_P,  TP  l'in- 
terfezioni  di  quefti  col  piano  delle  rette  MQ,  MT;  e  4^ 
punti  Q^  e  T  fuppongo  abbaflate  le  perpendicolari  QR  ,  T.S 
fulle  rifpertive  AC,  AD.  Sarà  chiaro  che  le  congiungen<ì 
MP,  MR,  MS  (  che  non  fi  ve^'son  marcate  fulla  figu'a 
p?r  non  compiicarla  )  fiano  benanche  perpindicuLri  alle  tii- 
te  AB,  AG,  AD  (*;,  e  che  l'angolo  QP  F  fia  l'inclina- 

zione 
(  E'  una  verità  affai  conofciura  negli  Elementi, che  fé  da  un  punto  nel- 
lo fpazio  fi  cali  utia  perpendicolare  fopra  di  un  piano  )  e  dal  piede  di  e(Ta  fé 
ne  conduca  un'altra  fu  di  una  retta  efifìente  nello  (len'o  piano;  h  c(  nyiun- 
gcr.te  del  punto  ncl'o  fpazio  coli'' inconiro  della  feconda  perpendicolare ,  e  dv'l- 
la  retta  eH.iente  nel  piano  ,  (ìa  beaanch:  perpc-iidicclare  a  queti''  ultima . 


zione  5e' plani  BAC,  BAD,  è  quindi  dato.  Ciò  pofto  fuppong» 
AB=S  j  AC=rc,  A  D=d 

MA  —  MB=:*',  MA— MG— f',  UA-^MD  =  tF 
Sen  BAC  =  <7',  fenBAD  =  »-,  fen  QPTzrj 
tos  BAC=:/,        cosBADrr/,     cos    QPT=t' 

AP~x  PQ.=/»  Q^M=r« 

e  coll'ajuto  d-.lla  formola  (i)  del  §  i  paflb  dalle  coordinate 

p^      1.  air  efprefiìooe  di  AR 


P  Q_ 


} 
} 


AS 


A  P 
P  T 
e  ritrovo 

A  R  =  qx  +  9/,  TP  =i>  +  JK  ,  A  S  =  /«  ■+  r  f  f)/  +  r  «)= 
e  quirdi 

C  R  =  <"— Y«-f-f/), BP=:*— *,DS=«/— '  > *+/(j'>+«;) 
Sono  poi 

M  A  =r  -v-^'^y^^' 

MB=:MA-^'=v~7;77?-*' 
M  C  .=  M  A  -  r'=  V-;v/':jv  -  e 
M  D  ^  M  A  -.  /  =  V-.-^^'TT-./ 

e  debbono  eflere  (*) 

K'A* 

(•j  Si  fa  dagli  Elementi,  cTie  la  dif!érents  d  '  qvivira'i  <)■■-  (Ide  l-tl  d  iia 
trianEjo'o  paret^iji  la  d'ff'renTa  dt;*<juadrati  d.lie  pst'i,  nelle  guali  vieu  div'iio  il 
fimancuie  iato  dalla  perpcadicoUre  ,  du  vi  c&ui  dàli" «"a'-»'"  opposto* 


^6i 


MA   — MB    =  P  A   —  P] 


M  A   —  M  C   =  R  A    — .  R  C 


MA— Ml>=SA— SD 
dunque  foftituendo   a  quefti   quadrati   i  corrifpon(ìenti    valori 
analitici  ,    dopo  i  fulici  liducimenti  fi  avranno   le  tre  equa- 
zioni 


1  /^/"«'-j- ;''+«;'—/  '=:  2  d{rx+r  (  5/+J a ))  —  <^' 
che  al   fupporre 

b"  —  /»":=  2  b'  b'\c^—-c  '=■  2  c'c",<^'  — /'  =  2  </'<^" 
fi  riducono  alle  feguenti 

,-- ; i— *         /."  R 


c 


'■ViT^fT^+T'  =  -^r  (  r'x+r  (  //+J«  )  )  —  ^'  D 

4.  Con  queflo  metodo  fi  pofTbno  trovare  l'equazioni  bea. 
anche  al  problema  de' tre  cerchi,  nel  quale  \\  domanda  di 
descrivere  un  cerchio, che  ne  tocchi  tre  altri  djti  di  fito,  e 
grandezza.  QueRo  problema  fi  riduce,  come  quello  delle  sfe- 
re,  a  ritrovare  un  punto  uel  piano  de' centri  de* cerchi  dati, 
,che  ferbi    da  elTi   centri   delle  diflanze ,  che  differifcano  per 

graa- 


grandezze  date.  Per   la  qual   cofa>  dinotando  efli  centri  co' 
pqnti   A,  B,  C  ,  e  fupponendo  f'S'3- 

AB  =  ^,  AC  =  c 

Q^  — Q_B=^',  Q.A  — QC^c 
Sen     BAG^9,      cosBAG  =  ^' 
"^     AP  =  ;c/  PQ=>' 

l'erpreflìoni  analitiche  delle  rette  AR,  BP,  GR  faranno  le 
flefle  che  quelle  ottenute  nel  problema  delle  sfere.  Sono  poi 

Q_A  =''^x'+y 

Q.  B=  QA—  l,' =''^7Tf'—.l,' 

QC  =  QA  —e'  =r'^^«'4>''— e' 
e  per  la  nota  del  §.  3  debbono  eflere 

QA '— Q~B  '  =:  pTa '  — ¥b" 

QA  '— QC'  =  RÀ'  — Xc' 
dunque  avran  luogo  le  due  equazioni 

2  l>  -^P^'^  1;"=:  ib^-^b' 

2<^'^    «*-f/'  —  c"=2  c  (q'x-i-p')  ~'<'j 
che  fupponendo 

b'  —  b":=:  2  ^'  ^" ,  e'—  e"  =  2  c'f' 
divengono  . 

* 

^^^'*'+^'=7^^'«+2^)-<  ^'  3.  Si 


254 

5-  Si  vede  bene  che  la  foluzions  quafsà  recata  al  proMe» 
ma  delle  quattro  sfere,  e  poi  applicata  a  quello  de' tre  cei> 
xhi ,  abbia  per  fondamento  il  palTaggio  di  due  coordinate  ret- 
tangole da  un' alfe  ad  un'altro:  ma  io  vengo  a  darne  un'al- 
tra più  femplice,  e  che  n' è  del  turto  indipendente.  Il  prin- 
cipio fui  quale  efla  è  fo-ndata  (  per  aftro  affai  noto  )  con- 
iìfle  in  eHer  data  1'  erpreflione  analirica  della  diftanza  tra  due 
plinti , qualora  fien  date  1' efpreflìoni  deile  coordinate  di  elfi. 
Fig.  4.  Siano  A,  B,  C,  D  i  centri  delle  sfere  dare;  ed  Aa, 
Bb,  Ce,  Dd  i  raggi  di  efle.  Jl  punto  M  dinoti  il  centr© 
della  sfera  cercata ,  ed  i  punti  di  contatto  colle  sfere  date 
fjano  a,  b,  e,  d.  Si  ridurrà,  come  fopra  ,  il  problema  a 
determinare  in  modo  il  punto  iVI,  che  le  fue  diftanze  MA, 
MB  ;  MA,  MG;  MA,  M  D  da'  punti  A  ,  B  ,  C  ,  D  dif- 
feiifcano  rifpcttivamente  quanto  le  rette  Aa,Bb;  Aa,Cc; 
Aa,  Dd.  Dai  punto  D  fi  abbaffi  la  perpendicolare  DR  fu'i 
piano  BAG  ;  da' punti  R,  C  cadano  le  perpendicolari  R  S, 
CT  fulla  retta  AB;  e  fi   pongano 

AB=r^,  AT  =  </,  TG  =  e 

Aa— Bb  =  ^',  Aa— <Cc   ~  e  ,  A  a— D  d  =  d' 

R  D  =  ^ 
/,  Q.M=^ 


MG=: 


AS 

=  f. 

SR 

AP 

=  x, 

PQ. 

faranno 

MA  =z 

■^^ 

V'+^' 

M  B  =  ''^{b^x)\y  '+%\ 


«^s 

Ma  debbono  effere 

MA— ^'=MB,  MA  — e' =  MG,  MA-^  (T  =  MD 
dunque  faceadone  i  quadrati ,  e  rlduccado  fi  avraa  l' equa- 
zioni 

f";,  /  V — ■ — ; — 1 r 

€   —  2c'^     «'+y'-f-z'=zd' — idx+e' —  ze/ 

a'—'Zd'  ""^  "'i-y:^»  '  =/'—  ^ft+g' — 2g/  -f  ò  '— .2/5i8 
che  fupponendo 

d'-i-e'  =  AC  =  c\  f'-f.g'+/^'  =  AD''=:d' 
b'  — '  b"  =1  zb' b" ^  e'  —  e"  =.  zc'c" ,  d' —  d"=:  zd'd" 
dopo  le  riduzioni  divengono 


V-- 


«  '+/  '+%  '  =~x  —  b"^  B 


"^^«  V/ '+  ^'^  =-7  (/«+^/  +^^)  ""■  ^"  ^ 

Non  Tara  inutile  l'ofiVrvare  V identità  di  fiffatte  equazioni 
con  quelb  dei  §  3  ,  rifl.'ttendo  che  a  cagiona  de' triangoli 
rettan:?,oli  ATC,ASD,SDRfi  abbiano 

cg  =:  d ^  rg  =  e  ;  dr  =  f  ^  dr  =:  DS  ;  dis  =:  g^dis —è 
e  perciò  la  coitruzione  che  immediatamente  vado  a  dare  del- 
l'equazioni A,  B,  G  quafsù  recate,    appartiene  benanche  a 
quelle    del  citato  §  3  .  34  S* 


si  cofl;uif,a  l'e'^uazfone 

t>  .»       I    '  j  ^         « 

che  rifui  a  (^al  rar  ggìamento  de'feconcìì  membri  d^'il' 'qu-3- 
z'oni  B,  C:  fi  avrk  u  )a  retta  giacente  nel  piaoo  B  A  C ,  .-d 
il  pulito  M  fi  ritroverà  nel  piano  condotto  per  cffa  perpefl- 
dic'jlarmente  al  puno  BAG.  Di  nuovo  fi  cjftruifcà  1' elui- 
zione 

che  rifulu  dalle  due  B  ,  D  :  efla  darà  un  piano 'nel  quil« 
dovrà  rrovarfi  il  punto  M.  Laon.ie  il  punto  M  ca:lrà  nella 
Gf^mune  fezione  de' detti  p'a'iijche  dinoto  colla  retta  £MQ 
Ora  l'cc^iw^ioae  B. ,  fuppooeudo 

b    _  /' 

b-  ~~  y 

e  liberata  dal  rotti  diviene 


e  quindi 

*  +/  +'5    :  «  —  h::b  :  & 
cioè 
(  tagliandp  A  L  =  -è',   e   conducen.^o   p-r  L  il  piano  L  K I 
perpendxcilare    ad  A  B  )  A  M  farà  a  P  L ,  ovvero    ai    ML 
perpendicolare    fu 'I  piano  LKI,in  data  rag  one  .  Mi  d  no. 
taado  eoa  S  i'mcomro   della  retta  qu^f^ù   dt^ienniiuca  £G~ 


i6>7 
col  piano  LKI,  e  fupponénJo  unita  la  L'F,  Ra  pure  ML' 
ad  MF  in  data  ragione  ;  giacché  nel  triangolo  L'MF  fi  co«» 
nofcono  tutti  gli  angoli  :  dunque  lo  fark  benanchi;  AM  ad 
MF.  E  perciò  unita  la  retta  AF,  comecché  nel  triango- 
lo A  F  IVI  fien  noti  il  lato  AF,  l'angolo  A  FM,  e  la  ragion 
^e'iaci  AM,  ME;  fi  detzrmiacia  il  punto M  n^lla  manie» 
ra  da  tutti  conofciuca^ 

6.  V  equazioni  che  fi  otterrebbero  applicando  queflo  me- 
todo al  problema  de' tre  cerchi  fono  le  dus  B,C  dalle  quali 
fiafi  oalTato  il  ^'  che  in  quefto  cafo  non  ha  luogo  ;  ^e  per 
farne  la  coftruzione  bifognerebbe  prima  ritrovar  la  retta  che 
ha  per  equazione 

e  dinotandola  con  EQG,  converrebbe  fervirfi  della  prima  delle  Fig.ji 
due  fu.ldettc  equazioni  B,C  come  fopra  fi  è  fatto  di  B.  la 
tal  modo  fi  ridurrebbe  il  problema  a  ritrovare  nella  retta  E  G 
il  punto  QL  i"  guifa  ,  che  AQ_  fofie  a  Q^L'  in  data  ragio- 
ne, ed  effenJo  pure  Q_L'  a  Q^  in  ragion  data;  anche  AQ 
farebbe  a  QJB  in  data  ragione  ,  e  quindi  la  determinazione 
del  punto  Q  dipenderebbe  da  un  probletr.a  elementare  ca- 
nofciutinìmo  . 

7.  Vengo  adeflb  all'  enumerazione  <3e'  ca(ì  de'  quali  tanto 
il  problema  delle  sfere,  che  quello  dj' cerchi  è  furcettibile  . 
L'equazioni  finali  recate  al  primo  (  e  lo  ftefTo  dicafi  rap« 
porto  a  quelle  trovate  per  lo  fecondo  )   racchiudono    i  du» 

*  cafi , 


2(58 

cjfi ,  ne'  quali  la  sfera  domandata  può  toccare  le  date  colla 
fua  convefTuà.  Ma  fé  il  punto  M  fi  foffs  rintracciato  i a  mo- 
do da  fod^isf^re  alle  tre  condizioni 

M  A+A  a=M  B-hB  b  )  CU  B=iM  A— (B  b— -A  a) 

MA+A.a=VIG+CcJe  quindi   {  MC=rM  A— ^Gc— Aa) 
M  A+A  .1—  vi  D  f  D  d)  (  M  D=M  A— Jd  d— A  a) 

vai  quinta  dire,  fé  la  lettere  B',  c\  d'  H  fafT.To  poRe  egua- 
li rifp.'tt  vinx::nte  a  B'j  —  Ai  ;  Ce — ^Aa;  DJ — -Aa  le  ftefle 
equazioni  fin  ili  {ini\  punto  alte-a-d  nella  forma  (  poiché 
VerpreATtoni  di  M5.,MB,  M  C  ,  M  D  l'avrebb^To  confervata 
tal  qu.le  y  r icchiadir'bb.TO  ì:  due  foluzi^ni  d.'l  problema 
relativo  z\U  sfra,  chi  tocca  la  date  colla  fui  concavità. 
A   bu  n  conto  ,  fuppunendo 

i' L/A,      Di  \  V  fiinotando  con   A,  B.  C,  D  l?f 

/bt^'re  roncare  dilli  e. in  vedrà,  e  con  j  AqwO 

f'rr+'Aa Ce    l  '*'»  ^'' C,  D' qu.^lle   toccate  dalla) 

/concavità   della   richiel^a;    i' equa- j 

j' !_/.         ^^J   \  ^ioni  finali  avrebbero  date  due  radi-/ A'B'G'D* 

jci  per  ciafcunjdi  cali  r.l  Itivi  ad       \ 

Un  limile  ragionaaiento  applicato  agli  altri  cali  del  proble- 
ma ,  che  in  o-n  rale  afcendono  a  i6  ha  datoluOjjo  aila  for- 
Jnuiione  della  fiaueme  tavola 


Sop. 


Supponendo 

*'  =  + (Aa--Bb 

e  — +,(  A..  — Ce 
W'=: +_.  A  a  —  Od 


*'  =  ±.(Aa-fRb 
e'  =  +_  f  A  a—  C  e 
/  =  1_  (  A  a—  O  d 


^'  =  :t(Aa-fBb 
e  =+  (Aa  +  Ce 
d'=±  (  Aa  — Dd 


''^■^(AafCc 
«/'  =  ±  (Aa  4-  DJ 

^'=r+  (Aa  — Bb 
c'=;2_(  Aa  -f  Ce 
/z:^j^(  Aa  +  Dd 


i'  =  +',  A  a — Bb 
e  =  +  (  Aa— Ce 

«f^:  j^i  A  a  -f  Dd 


*'  — +  (Aa  +  Bb 
<•'  =  +  (Aa  — G. 
<''  =  ±.(  Aa  +  Dd 


*'  —  +.  r  A  a  —  B  b 

f— ^CAa+Cc 
à  —  ^     Aa  — Dd 


requazlonl  finali  del  pro- 
blema delle  sf'Te  daranno 
du^  radici  per  cialcuno 
de'  ca(i  indicati  da 


■^69 


{ABCD 
A'B'Cd' 


{ 
i 
■1 


A  BCD 
A'BC'D' 


A  B":'D 
A'BCD* 


A'B'CD 


'J  ABCD' 
r[  Ab  CD 

J  A  R'CD 
^  A'BC'DJ 


■[ 


1  BC'D 
^  B  CD' 


27« 

8.  Sinailmcate  ,  fuppoftsndo  nel  problema  de*  tre  cerchi 
che  le  lettere  A,  B,  G  dinorinu  quelli  che  fon  toccati  dal- 
la convenite  del  cerchio  domandato  ,  ed  A',  B' ,  C  qu?Ui 
che  lo  fono  dalla  concavitJi;  la  fegueote  tavoletta  raoprefea- 
terk  i  diverfi  cafi ,  de'  quali  il  problema  è  fufcettibile  ,  che 
afccndono  in  generale  ad  8 
Supponendo 

*'  =  ±.(Aa — 'Bb)  l'equazioni   finali    ritrovate    TA  B  G 
<■' = +.(Aa  — Gc)  per  lo  problema  de' tre  cer-  '(_'\'B'G' 

'  chi ,  daranno  due  radici  per 

A'r=+_(Aa4-Bb)  ciafcuno  de'ufi  dinotati  da   J  ab'C 
e  =  j^  (  A  a  — G  e  )  l  A'BC 


è'=:+(Aa  +  Bb) 
c=+_(A  a  -f  Ce) 

*'  =  +_(  A  a— -Bb) 

p*  =  i  (  A  a  -}-  C  e  ) 


J  AB'D' 
"lA'SO 


p.  Le  sfere  date  poffono  cfTere  le  une  fuori  dell*  altre, 
ed  allora  è  neceflario  che  fìen  toccate  dalla  richieda  nella 
loro  conveffiih,  e  fi  polTono  avere  i  i6  cafi  quafiù  enumera- 
ti .  RifletienJo  poi  che  due  sfere  che  s'incontran;i  non  pof- 
fono  effèr  toccate  da  una  terza  che  amendue  dalla  concavità, 
o  amendue  dalla  coaveffita  di  effa;  qualora  avvenga  che  due 
delle  sfere  date  s'incontrino,  per  efempio  quel'e  che  ha n  per 
centri  A  e  B,  diverranno  iaipoOibiU  otto  de'fuddetti  cafi;  pol- 
che 


271 

fVè  convì-ne  a"«r  c^me  tal'  tutt'  I  teTnini  della  tavola 
n/quli  li  ritrosa  AB,',o  pure  A'B.  E  fé  le  sfere  che  s*io- 
courano  foio  tre  A  »  B^  C,d  vendofi  aver  come  impoffibili 
i  cafi  r  lati  vi  a'termioi  della  tavo  a  ,  ove  fi  trovano  AB', 
A'B  ,  B  ^',  B'  C  ,  C  A'  ,  C'A  ;  i  i6  cafr  di  efla  dovrai 
ridarli  a  quatto,  e  nor»  faranno  che  due,  qualora  tutte  le 
qiattro  sfere  s'incontrano.  Lo  Iteflb  dicafi  del  ptoblema  de 
tre  cerchi  :  cioè  the  incootrandofi  due  de'  CTchi  dati  ^  fi 
l^n  l'ano  imponibili  quattro  cafije  che  incotitrandofi  tutti  tre, 
non  poflaoo  aver  luogo  che  due  foli. 

10  Q^uandj  poi  una  delle  sfere  date,  per  e'emp'o  quella Fi( 
il  cui  rigalo  è  Aa  comprenJa  in  fé  L*  altre  ;  il  probi  .ma 
si  riduce  f«;Tipr2  a  ritrovare  un  pu.ito  M,  che  ferbi  da'  puti- 
ti B,  C,  D  tali  diftunji,  che  uniti  una  p*r  una  alla  di- 
lìaaza  che  ferba  dal  pjnto  A,  coftitu'fcano  fomme  date.  Si 
potranno  a 'op.'rare  rs;qua2Ìotìi  filali  ritrovate  per  lo  proble- 
ma dille  ifire  ddnJo  alle  lettere  l>\  e',  d'  i  valori  conve* 
©lenti.  Ecco  una  tavola  eh;  co  tiene  tutto  quello  per  rap* 
poito  «1  pcoblciUa  delle  quattro  sfere 


Sap-' 


Supponendo 
^'r=Aa  +  Bb|  l'equazioni  del  problema  delle 
c'=  A&  +  Cc\  quattro  sfere    daranno  due  fo-        ABCD 
/i=Aa  +  Dd)  lozioni    per   ciascua  cafo  indi» 
cato  da  

h'=Aa  -(-Bb) 

c'^Aa+CcJ  ABCD' 

^';=  A  a  —  Dd  I 


^'=Aa  +  Bbì 

c'=:Aa— Ce!  ABC'D 


h'=:Az  —  Bb', 

c':=Aa  — Cl>  AB'C'D' 

d—A  a  —  D  d 


^=Aa  — Bb] 

f'zrAa  — Ce!  AB'C'D 

(i'=  A  a  +  D  d 

^'=Aa— .Bb) 

<r'=:Aa  +  Cc}  A  B'C  D 

/=rAa-fDdJ 

Z-'mAa  — Bbi 

c'=Aa+Cc?  AB'CD; 

/=Aa  — Dd) 

^'=:  Aa  +  Bbi 

c'=rAa— Gei  ABCD 

/=rAa  +  Dd) 

11.  Go" 


«7J 

li.  Coftruen^o  in  un  modo  analogo  una  tavoletta    per  lo 

problema  de'  tre  cerchi  anche    nell'  ipotefi  che  quello    il  cui 

ra^^'giu  è  Aa  comprenda  in  fé  gli  altri  due;  efia  dovrejbb'ef- 

feie  cc;me  li  vede  qui  fotto 

Supponendo 

h'  ==  Ac  -\-Bh^  r  equazióni     del    probi,  de'  tre 
«•'rrAa+Cc  J    cerchi   daranno  due  radici    pi.r 
ciafcun  calo  indicato  da 


ABC 


c- 

=  Aa 
rAa- 

+  Bb7 
-Cci*. 

y-- 

c  z 

=  Aa- 
=  Aa- 

-Bb  r 

-Ce  r 

b'z 
c  ■ 

=:Aa- 
=:Aa 

—  Bb? 
4-CcJ- 

ABC' 


AB'C 


AB'G 


12.  Nella  tavola  del  §  io  fi  debbono  avere  come  impelli- 
bili  i  cafi  relativi  a'iermini  che  "contengono  il  B'  qualora  (i 
fupponga  che  la  sfira,che  ha  per  raggio  Bb  s'incontri  colla 
sfera  avente  per  raggio  A  a:  e  converrebbe  aver  come  tali  i 
cafi  indicati  da' termini  chi  contendono  B' ,  G*  fé  la  sfera 
che  ha  p.r  ra^^gio  A  a  incontrafle  ameodua  le  sf^ire  che  hai 
per  raggi  Bb,  Ce:  ma  fé  quelle  s' incontmflero  folameote 
fra  loro  bifognercbb^  aver  come  imponìbili  i  cafi  relativi 
a' termini  che  contengono  B'C,  e  BG'.  Se  mai  s'incontraf 
Tom.  IL  35  fero 


2  74- 

fero  fra  loro  le   sfere  che  han    per  raggi  Bb,  Ce,  Dd;    l 

cafi  del  prcb'ema  fi  ridurrebbero  a  due.  Lo  fteflb  dicafi  per 
analogia  del  problema  de' tre  cerchi. 

Tutt' altro  cafo  diverfo  dagli  enumerati  è  alfurdo.  Poiché 
le  sfere  date  o  cadono  le  une  furi  deile  altre,  o  s'incon- 
trano ,  0  alcuna  di  effe  cade  in  qualche  a'tra  (  ed  in  queft' 
■ultimo  ca'b  è  neceffario  che  vi  cadano  anche  le  rimanenti, 
o  almeno  la  incontrino  ,  affinchè  il  problema  fia  poflibile)  . 
Ora  ognun  vede  ,  che  quefti  tre  cafi  han  formato  1'  ogget- 
to della  enumerazione  quafsù  rapportata  . 

13.   Credo  adunque    che    per  completare    l'argomento  nori 
reiiì  a   d-^fiderarfi ,  che  l'eciuazione  al  raggio  della  sfera  cr- 
ca'a  ,  effendo  effo  l'ignota  principale  del  problema,  e  quello 
che  fopratutto  importa  conofcere,  qualora  voglia  farfene  dil- 
le applicazioni  .    Ognun  vede    che  il    detto  raggio    potrebbe 
ritrovarfi ,  togliendo  da  MA  (che  fi  fa  nota  dalle  AP,PQ_, 
Q_M  )  la  retta  Aa.  Ma  quello   metodo  di  per  fé  indiretto, 
efigendo    per    neceffita    la  conofcenza    delle    coordinate  AP, 
P(^,  Q_M,dee  portar  dell'imbarazzo  ne' cafi  particolari .  Ec- 
cone   un'  altro    per    efiinerfene  ,   che  fi  può  riguardare  come 
'una  foluzione    del  problema    de  le  quattro    sfere    adoperando 
una  fola  ignota  ,  e  ,    per  dir  cosi  ,   la  più    cl^flÌLa  ,    eh'  è  il 
raggio  della  sfera  domandata. 

Siano    A,  B,  C,    D    i    centri  delle    sfere    datej    ed  A  a , 
Bb,  Ce,  DJ,  i  rag^i  di  elle  ;  fupponganfi  come  nel  §   3 

AB 


5^ 

AB=*;        AC  =  f,        ÀD=</ 

Aa=/,        Bb=r,        Gc=/",  Dd=/': 
Sen  BAC  =  ^,renBAD=:»-,fenQPT=:f 
Cos  BAG=^',cosBAD=/,cosQ^PT=:j' 

M  a  =:  M  b  :=  M  e  =  M  d  =:  « 

Si   avranno 

MA  =f+x,ME-f  +>i,MC=f"  +  x,  MD  =f"'  +  H 
e  dalle  prjprieih  d.-'triaigoU  dirrullrate  nella  poj.  i2,e  ij 
del  I."  d  gli  elem.iiti  fi  otterranno  refpreflioni  di  APjAK» 
AS,  cioè 

^^  — — Té ■+-&     *» 

A  R  ì:1^-^'  4-  ^-:^'., 

iJ  a 

che   fupp  nenclo 

^'+r  -/"—       r' +/'-/'-_    ,    r'  +  f -r  '_,    » 
e  come   nel   §    3 

diverranno  rìfpettivamente 

Z."  ,  e'  „  ri- 

g  +  ^^>5  +  /*'^    +  — *• 
Si  ritrovino  coU'ajjto  della  formola  (2)  data  Ilei  §2dall, 
cfpreiriuni  anal.cithe  di 


%76 

A 
A 


^T    quelle  di    PQ 
^^}  QM 


PT 

fi  avrk 

P<i=7^5'  +  T  "^  -7  C^+  T*))  ^-^  +T''> 

(che  per  bre-j 

[vith  riduco  a] 

Q.M  =i-( ^' -}, L.jt  ) — ,  j(,$-f-y*)che  io  dinoto  perfi^  +  ^x) 

tAà  il  quadrato    di  AM  pareggia    i  quadrati  di    AP,  PQ^, 
QM  pres'iofieme;  dunque  fi  avrà  l'equazione 

14.  Per  ottenere  l'eluizione  al  ra^^io  del  cerchio  che  toc- 
ca tre  carchi  dati,  i  di  cui  ceneri  fjoa  A,  B,  G,  baft-i 
Supporre 

AB=^,  AC  =  (r 

Aa=:/,  Bb=:/',  Cc=f' 

sen  B  A  C  =:  ^,  cos  B  A  C  =;  ^' 
Qa=r  Qb  ==  Q^c  =*; 
poiché  ritrovando  1' ebrcfFuii  di   AP,  PQ^  che  fono  le  ftef- 
U  recate  qui  òÙ  p^r  lo  problema  dsile  sfire;  e  dovendo  ef- 

fere 


277 

fere  il  quadrato  di  A  Q  eguale  alla  fomraà  de' quadrati  di 
AP,  PQ.,  fi  avtk 

L'equazioni  R  ed  R'  danno  ne'  due  valori  dall'ignota  ì 
raggi  delle  sfere  e  de' cerchi  che  toccano  colle  loro  convef- 
fita  tgtte  le  sfere,  e  i  cerchi  dati.  0§nuno  è  in  grado  <Ji 
dare  alle  medefittie  equazioni  le  modificazioni  neceflari.*,  per 
ottenere  i  raggi  relativi  a'cafi  che  più  fi  vogliono,  die'.ra 
l'enuinerazione  che  fé   n*  è  fatta  iananaii  • 

15.  Vengo  finalmente  a  dir  qualche  cofa  intorno  agli  al-- 
tri  problemi  appartenenti  a' contatti  sferici,  e  circolari. 

I.  Supponendo  che  qualora  fon  date  quattro  sfera  ,  i  rig, 
gi  di  effe  vengano  dinotati  da  /,  f\f\f"  \  le  lette- 
re b\  c\  d'  delle  quali  finora  per  brevità  mi  fono  fervilo 
corriff^'onderanno  ad/ — /'•»/ — f'ìf — '/  •  ^  quindi  nel 
caTo  che  la  sfeia  cercata  r'cbba  paffare  per  uno  0  più  de' punr 
ti  dui  A  ,  B  ,  C  ,  D  ,  altrettante  delle  lettere  ,  /,  /',  /', 
/"  fi  dovranno  fiorrt;=r:o,  fenza  fare  alrro  cangiamento  neN 
le  tre  equazioni   trovate  per  lo  problema  delle  sfere. 

II.  Se  n  Ile  condizioni  della  sfera  cercata  ve  ne  abbia  alcuna, 
che  richieda  dover  elfa  sfera  toccare  un  piano  dato,  laddove 
le  tre  rimanenti  fianu  comprefe  in  quelle  dette  finora  (  che 
fi  riducono  a  toccar  sfeie  date  ,  ed  a  pilfa:  per  punti  dati); 
le  coorJinate  a,  y^^  del  centro  della  sfera  dotnandata  fi 
preqJerdutju  in  modo, che  s  fia  perpendicolare  ad  un  tal  pia- 
no, 


57S 

no ,  /  Io  fia  alla  cornane  fezione  dì  effo  piano  con  quel!»: 
che  gli  è  perpendicolare  ,  e  palTd  per  dm  panù  lo  ai  irli  11  ili  ra- 
ti dalle  rimanenti  condizioai  ,  e  !'«  termini  al  piede  della 
p^rpendicoliré  abbalfita  da  uno  di  quelli  puini  fui  la  detta 
comune  fezione.  E  poiché  fon  note  le  coordinate  di*  mede- 
fimi  punti  prefe  n'illo  fteflb  (nodo  (  oiacciiè  tali  puiii  foa 
delti  },  fi  farai  note  le  formole  delle  dilhoze  ch'efti^inno 
dal  centro  della  sf^ra  domandata  ì  e  perciò  parigjnaiido  il 
«,  che  n'efprime  il  ra.^gio  a  ciafcuna  dj;'le  dette  forinole 
colla  condizione  di  efler  fra  loro  uguali  rirp;;ttó  a  qu:'  punti, 
pe'quili  d^'e  paffire  la  fuperficie  d  Ila  sfera  cere  ita ,  e  di 
-differire  per  una  data  grandeiza  riguardo  a' punti  che  fon 
centri  di  sf.'re  date  ;  fi  otterranno  le  tre  equazioni  ch^  deb- 
bono rifolvere  il  prob'emà. 

III.  Se  la  sL'ra  domandata  debba  toccare  d  je  piani  dati ,  e 
le  altre  due  condizirni  fieno  comprefe  in  quelle  detta  finora  ; 
il  centro  di  effa  caJ;à  nel  piano  che  paffa  in  mez4o  a' dati  ^ 
e  qdindi  dinotandone  Cotì  a  ,  /  ,  »  le  coordiute  rettangolari 
prefe  come  nel  cafo  antecedente,  fi  avranno  le  foraiole  ch'e- 
fprimono  le  didaoze  tra  effo ,  e  gli  altri  du>  punti  diti  ;  e 
paragonandole  a  z  che  dinoterà  il  raggio  della  sfera  cercata, 
colle  fìeffe  condizioni  del  cafo  precedente,  fi  otterranno  due 
equazioni.  La  terza  farà  l'equazione  al  piano  condotto  per 
ìnezzo  a'  piani  dati  . 

iV.  Inoltre  fé  li  sfera  cercata  debba  ioccire  tre  piani  dafi, 
€j)afrare  per  un  punto  o  toccare  una  sfeia  data;  il  centro  di 


efla  cidrh  in  una  retta  data.(ch'è  la  comune  fezione  de'pia- 
ni  coadotti  in  mezzo  a' dati  prefi  a  due  a  due),  ed  il  pro- 
blema fi  ridurrà  a  trovare  in  quefta  retta  un  punto  tale, 
che  congiunto  col  darò  ,  e  condotta  la  perpendicolare  ad  uno 
de' piani  da^i ,  fimo  qu3iìe  due  rette  eguali  fra  loro,  o  pu- 
re abbiano  una  data  differenza  ;  lo  che  G  eleguirh  facilmea- 
te  di^.tro  h  corruzione  del  problema   delle  quattro  sfere. 

V.  Final m2nte  fé  la  sfera  rich:efla  debba  toccare  quattro 
piani  dati  ;  il  fuo  centro  cadrà  nel  punto  dove  s'incontrano 
tre  qualunque  de' piani,  che  paflano  per  mezzo  a' dati  prefi 
a  due  a  due. 

i5.  Nel'o  fteflo  modo  fi  condurranno  a  fine  le  foluzioni 
relative  agli  altri  prob'emi  appartenenti  a' contatti  circolari: 
per  cui  (limo  non  dover  mici  trattener  di  vantaggio  ,  tan- 
toppiùche  fra  i  contatti  sf.'rici,e  circolari  i  foli  problemi  del- 
le  quattro  sfere,  e  de' tre  cerchi  fi  reputano  difficili;  ed  Iq 
m  lufingo  di  averli  efaminati  in  tutta  la  loro  eflenfione-. 


ir 

SAQ. 


Tai^    I. 


V^ 


Tav  ir 


1.; 

,,-•-£ 

;:^:-* ^      * 

^^^^^^ 

1                       "X 

Al.              p 

S                     T         ^ 

fy-'""  y 

G-'/'i'       y--'' 

/      ,-'\ 

"'n._ 

ji^-""""^ 

" -v 

A                 L 

P                               T 

M                                        . 

b,. 

-<7                                           ^ 

B 

^'"fc'"^^ 


p. 


SAGGIO 

suri  A  ESTENSIONE  DEI  LA   M.  GRECIA,  E 
SULLE  CirrA'  m  ESSA  COMPRESE. 

DEL       C    A    V. 

F.    M.     A  V  E  L  L  I  N  O 

Inetto  alla  Società  nt'lla   Sejjione    degli   i  r 
di  luglio    181  z. 


Armi  che  pochi  tra'  filologi  moderni  abbi.mo  dato  alla 
deooniinaziooe  di  Magna  Gre>.ia  quel  giulto  valor  ,  che  le 
conviene;  è  certo  almeno  che  molti  tra  Joio,  cominci'ndo 
dal  Golzio  (i)  fino  all'Heyne  (2),  hanno  fotto  di  elfa  com- 
prefi  fovente  molti  luoahijche  ne  erano  fuori,  per  non  aver 
forfè  poflo  mente  alla  non  ambigua  defin:zione,che  gli  amichi 
tecero  de'confini  di  quella  celebre  regione.  L'immortal  Maz- 
zocchi (3)lu  il  primo  ad  avere  idee  più  precife  fopra  un  fog- 
getto  riniado  vago  fin  allora  ,  e  noi  nella  ricerca  ,  che  ci 
proponiamo  ,  non  faremo  ,  per  cos'i  dire  ,  che  feguir  le  trac- 
ce già  fegnate  da  quello  illudre  Icrittore. 

Forfè  molti  de' moderni  attaccano  al  nome  di  Magna  Gre- 
c'a  I  idea  di  tutto  quel  tratto,  che  i  Greci  un  giorno  occu- 
parono nell'Italia,  Quiflo  tratto  è  malagevole  a  determinar- 
li,  e  fé  fi  credeffe  a  taluni  degli  antichi,  fi  eflefe  un  d'i  fi- 
no a  Faier'a  ,  a  Pifa  ,  a"  Liguri  ,  a' Veneti  fleflì  (4).  la 
tempi  più  recenti  eflo  giunfe  dalia  parte  del  Mar  Tirre* 
fino  a  Cuma  (5)  e  Sinope  (d)  ,  e  da  quella  dell'Adriatico 
no  almeno  fino  ad  Ancona  {jj  .  Or  fé  a  queflo  intero 
tratto  venne  dato  il  nome  di  M.  Grecia  ,  non  foiamen- 
te  uopo  è  confelfjre  che  una  gran  parte  di  effa  ,  e  forfè  la 
maggiore ,  (ìa  fiau  abitata  da  popoli  barbari,  come  i  Sanniti, 
Tom.  IL  35  gli 


3^2 

gli  OL\  ,  i  Lucani ,  i  B'uzz]  ,  e  molti  altri  ,  la  feda  ds' 
quali  è,  come  fj  fa,  in  quella  parte  deli' Italia  per  l'appunto; 
ria  aticora  che  quel  nome  ad  un^  non  piccola  porzioni  dell' 
Italia  Conveniva.  Ma  di  quelle  due  cofa  fcnncia  farebbe  a 
fuppurli  U  prima,  e  da  Livio  chidram;nre  contraddetta  (8), 
e  la  feconda  non  potrebbe  lolienerlì  fenza  negar  fede  alle  fé- 
guenti  parole  del  vecchio  Plinio  :  Ipft  de  en  (  balia  )  juàt- 
cavire  G>-aeci  ,  gei:us  in  glor'tnm  fuam  effufìfffmum ^  quotnm 
par  lem    ix   ea   appellando   G'^'^eciam    Magn^m    (pj. 

Luiigi  dunque  dall' a:cor.iarlo  ad  una  eft;f<i  porzion  dett' 
Italia  ,  Plinio  relliinge  il  nome  di  Ma^na  Grecia  ad  una 
piccola  pane  di  elVa  ,  quotnm  panern  ,  EJ  una  piccola  par- 
te infitti  è  quella  ,  eh'  ei  poco  dopo  collante  a  fé  iDedcfimo 
dilcrive  con  tii.ta  l'eOttezza,  filfandone  i  termini  precifi, 
fQtto  il  noine  di  M.  G'^ecia:  A  Locri  , die' egli  ('io),  Itnliae 
jrom  incipit  Magia  Gtaeria  appellala  ,  in  tres  finus  reeedens 
^ufonii  mari\  ^q,ioritnm  Aufone^  te nuere  primi  .Patet  LXXXVI^ 
M.  p.  ut  ouRir  eft  Fayyo  .  PUr:que  LXXXF.  M.  fé  cere  , 
La  Magna  Grecia  di  Plinio  era  adunque  la  fola  fronte  me» 
ridif-nale  dell'Italia  divila  in  tre  ^o!fi  ,  di  Locri  cicè,  di 
S^ilacio,  e  di  Taran'o  ,  e  che  cominciando  da  Locri  finifce 
nel    promontorio  Salentino, 

Qelia  precifa  d -finizione  de' confini  della  Magna  Grecia 
è  cO  fo  me  pure  aPe  idee  di  Tolommeo.  Ecco  come  que- 
fìo  2'"u:;rafo  h'i  d;fcritta  la  fua  Magna  Grecia  :  Luoghi  del- 
la Miigna  Grecia  prejjo  il  mare  /ldrtr.tico\  Zejirio  ^  Locri  ^ 
le  Ì<jCI  del  filone  Loc>:o,  Nel  golfo  di  ScillaCtOf  la  città  di 
Scillacio,  l  interno  del  golfo  di  Scili acio  ,  //  promontorio  La' 
cinto.  Nel  golfo  Tarantino ,  le  città  di  Crotone  ^  Tur.io  ^Meta- 
ponto ^  e  Taranto,  —  L"cgbi  mediterranei  della  Mgna  Grecia^ 
P-telia,  jìbtjìro  (n).  Si  fcorge  da  quelle  parole, the  la  M. 
Grjcu  era  per  Tolummeo  ,  coaie  per  Plinio,  la  fronte  d^il' 

Iti 


Italia  rìvflta  al  rrare  Jonio,  eh' polì  chiama  qu^  Adriatico, 
t-nie  Pi  Ilio  lu  d  Ile  Aulonio  ,  e  bagnata  di' tre  goti  «^ik 
ramm  n'ati.  £^li  \à  fa  cominciar  ddl  Promootoiio  Z.firio, 
Ci'me   Plinio  ralla   proli  ma  e  tu  de"  Locrelì    Epizefirj . 

A  tjic  li  due  luoghi  claiiici  di  gii  cua.i  dal  Mazzocchi  (12)» 
egli  avrebbe  potut',  a  noiìro  awifo  ,  a<?giungerne  un  ter^o 
di  u;jua1  forza  ,  ove  avtff-  polto  mente  a'  feguenti  verfj  di 
Silio  Italico  j  ne' quali  cjuelto  fcrittore  ,  cui  ,  com'è  noto, 
maggior  Jotie  come  ad  iliorico  eUtto,  ed  accurato  indaguor 
di  vetuUe  memorie  che  come  ad  elegante  po-'ta  fuol  darli, 
Una  tale  deicrizion  ci  preienta  della  regione  detta  Mi-gHa^ 
e  da' poeti   Major  Craecial 

Ora  v/tJoJt 
Littorìs^  Argivos  Mo'for  tfu/t  Gìnecia  muros 
Setvtìt ^  C'O*    Ionio  luifur  curvata  profundo^ 
Lieta!   rei  L-hyae  ^   (y  fortunam   errate  fequuta 
Juravit  povitans    Tj/r'to  /uà  proelia   Marti    (13). 
Da  qua' ver  fi  ,  com3  ognun   vede,  fi   fcorge ,  che   loifo  il  no. 
me  di    Ma?na,o,ch'è   lo   ffefl'o,  di    Major  GraerM ,  Silio  com- 
prendea  quella   fpìaggia  dell  Italia  ,  quae  Jonio  ìuitur  curvata 
pyofutcìo  >!    che   vale  a   dire    quel   tratto    di   elfi    che  dal   p'o- 
rnomor'o  Bruzzio  fino  al   Salentino  li  eftr-nJe  ;    al  qu4le  ap. 
punto,  come  abbiamo  gih  oflfjrvato ,    ancor  venne    da  Plinio 
e  da  Tolommeo  dato   il   nome  di   Magna  Gì  aeri  a  . 

A  quella  chiara  definizione  de' confini  della  M.  Grecia  fo» 
gliono  però  opporfi  come  contrarj  vaj  luoghi  di  altri  autori 
antichi  ,che  il  Mazzocchi  ha  gik  qujfi  tutti  raccolti  e  citati  (14). 
Quito  fcrirtore  riconofce  in  cffi  ben  fei  d.ff.renti  opinioni. 
A  nie  pare  intanto  che  efaminandoH  con  attenzione  podi. 
no  tutti  dividerfi  in  due  daflì  .  Taluni  ,  lungi  dall'opporfi, 
debbono  piutioHo  fervire  a  confermar  l'opinione  di  P  inio 
e  di   iuloniiiieo,  altri  o  fono  fovcrdiiameac^  vaghi  ,  e  non 


iS4 

pruovano  perciò  nulla  in  contrarlo  ,~  o  elTando  di  fcoliafll  e 
di  altri  feriitori  di  minora  autorità ,  non  meritano  a  m  io 
giudizio  quella  ftelTa  credenza  cha  a  Plinio  ed  a  Tolommeo 
rifiutar  fenza  temerità  non  fi   potrebbe. 

Fra' primi  merita  particoiarcaante  confiderà  zione  il  feguen- 
te  luogo  di  Polibio.  Djpo  di  aver  parlato  della  battaglia  di 
Canne,  i  Careagheft ,  die' egli,  divennero  in  brsvs  tsmpi  per 
tal  fatto  padroni  di  qunft  tutto  il  rejìo  della  regione  detta 
M.  Grecia  anticrmenie  (  ovvero  ,  fecondo  un'altra  maniera 
di  leggere,  della  region  marittimi  detta  M.  Grecia  );  gi^e- 
the  i  Taranii'ii  fubìto  ft  re  fero,  G'i  Arpani  poi  ^  e  taluni  de' 
Capuani  chiamavano  AinibJe  ,  e  tutti  gli  altri  già  rivolge^ 
Vanft  a'  Cartagineftji^).  Si  è  creduco  che  con  quelte  parole 
Polibio  eitioda  la  fui  Magna  Grecia  fino  a  Gapua  e  ad  Ar- 
pi .  Ma  qutfìi  fuppofizione  è  priva  di  fondamento.  Dalle  fua 
efprcffioni  può  bensì  ritrarfi  ,  ch'egli  abbia  fituata  Taran« 
te  nella  M.  Grecia,  non  già  Arpi  e  Gapua  città  Etrufca. 
E  ciò  tanto  maggiormente  ,  fé  fi  ammetta  la  lezione  che 
luir  autorità  de' buoni  colici  ha  reliituira  a  Polibio  il  fuo 
dottiffimo  recente  editor  Schw^ghaaTer  (i<^)  ,  in  forza  della 
qutle  le  fue  pirole  fuonano  tutto  il  re/io  della  re?Jon  marit- 
tima detta  M.  Grecia;  giacché  le  region  marittima  era  que- 
fìa ,  potea  ben  Taranto  in  efla  comprenderfi ,  Arpi  e  Gjpua, 
città  dal  mare  remote,  non  egualmente.  A  buon  conto  Po- 
libio ha,  a  creder  mio  ,  detto  quello  (ìeflo  ,  che  Livio  ,  e 
Silio  frififero  nel  parlar  dell'avvenimento  medefimo  ,  l'uno 
e  r  altro  de'  quali  Gjpja  ed  Arpi  con  accuratezza  dalla 
M.  Grecia  ,  cioè  a  dire  dalla  fpia'jgia  de'Greci  divifero.  Co- 
s'i il  primo:  De f ecere  autem  ad  Poenos  hi  pnpuli  :  Atellani  ^ 
estatini  ^  Hirpini  ,  Apuloruni  pan  ,  (  che  fono  gli  Arpani  ) 
SamniteSy  prieter  Petelinos  Bruttti  omnes  ^  Lucani  :  praeter  bos 
SaneiKtniy  &  Graecorum   orniti s  ferme  ora  ^  Tareniinij  M^ta^ 

poi?' 


2^5 

p*ntìn!\  Cy-otonienfes  ^  Lomcjuf  (17)-,  iopo  del  che  paflTa  lua- 
gamenfe  a  ragionare  di  Capui  .  Silio  poi  ,  di  cui  abbiamo 
in  parte  al  di  fopra  riferi le  Je  parole  ,  coiniocu  appunto  il 
£uo  libro  XI.  col  parlar  de  popoli,  che  la  bainglia  di  Cm- 
tie-  avea  lep.irati  dal  partito  Kjovino  ;.  e  dopo  aver  nomi- 
nati i  Sanniti  y  i.  È.uiij  ,  gli  Apuli,  glirpini, ,  Caia- 
zia,  ed  Atella,  parla  de'  rar.uuini  ,  de' Croio iLiri  ,  e  de- 
Locrefi  ,  ch'ei  dice  compreli  tiilia  M.  Grecia;  e  palFi  fiul- 
inente  a  ragionar  de'Capuaii,  ctie  non  avrebbe  fejariti  da- 
gli altri,  fé  nella  itella  regione  gli  avelli  pure  vjÌJa  eoa» 
prendere  (18; . 

A  Polibio  fuccedano  due  luoghi  di  Giufiitio,  e  di  Ateneo^ 
da' quali  per  altro  in  brevi  parole  disbri^ir  ci  potr'iim,  li 
loro,  retta  intelligenza  eQendo  già  (lata  fiT.iia  in  rane  dall' 
immortai  M.izzocchi  (19).  Il  pdmodo.^o.  aver  fatto  un  lun- 
go catalogo  eli  Città  Iialiche,  di  cui  ei  cr^d^Vd  Greca  l'o- 
rigine, lo  chiude  col  parlar  de'Tarantn-,  de' Turini  ,  e  de 
JMetapontini ,  e  finifce  dicendo:  propter  cjuod  oi:ì>ìÌs  illa  pars 
Italias  Mngna  Graecia  appellata  e/i  \^zo].  N.-j:l  può  cad-;r  dub- 
bio che  qoefte  parole  debbana  iatenJerli  fuUmente  di  (]mU 
la  parte  ci'I(alia,òi  cui  aveva  in  ultimo  Iiogj  parlato  Qiu- 
fìino,  cioè  de'Taratitini  ,  de'Turini,  e  de' M-iapon;ini  ,  pcv 
poli  nella  M.  Grecia  realmente  fitoati.  Se  fi  vjleflero  c'ìca* 
dere  a  tutto  il  tratto  ,  di  cui  Giuititìo  ha  prima  ragionato, 
farebbero  in  contraddizione  con  qjjl  ch'e;li  fteffb  dice  po:o 
avanti  ,  chiamando  quello  medefimo  tratto  non  partrm  ,  feà 
uiìiverfavi  ferme  Itoliam  ;  parole  ,  che  ci  fanno  comprendere 
ch'ei;li  non  ha  potuto  defigoarlo  poche  righe  dopo  col  no- 
me  di  pars  Jralhe  ;  tanto  più  che  tutta  l' Itali.»  realmente, 
e  non  già  una  parte  di  e(Ta  ,  è  quella  che  da' Bruz^j  fi  erteti- 
de  fino  a' Liguri  e  da'Taraotini  fino  a' Veneti  (21).  Ed  al 
nollio  feniimento  favorevole  è  ancora  Atea^o  ,  quando  dopo. 

ave? 


av-^r  parlato  deUa  floMclezza  e  dell' of>uì?nzà  Ji  queHa  parti! 
d'I'àlia,  eh' è  fiiuaia  u  turno  a  T^rar/f»  e  Mr-apomo,  kg. 
giugne  che  quella  region  venne  perciò  cieiia  Mdgna  Gre- 
cia; parole,  che  fenza  rinuncidre  ad  (  j^ni  princijpio  di  btior» 
ienfo,  non  poflono  intenderli  che  della  re^jicn  loia  ,  di  cui 
a-veva  egli  poc'anzi  ragionato  (  22)  »  come  ha  con  molto 
giudizio   tflervaio   il  Maezocchi  (23   . 

Tra"  luoghi  poi  che  danno  della  M  Grecia  una  idea  aflaì 
vaga,  e  the  non  tni  fembra  peto  he  lervir  pollano  a 
fifla-ne  i  confi,  i,  meritano  primieram  nr-  di  efl'et  qu'i  ril.riti 
taluni  noti  Velli  di  O  idio,cifati  j^ia  dal  Mazzocchi  e  da  altri, 
Be' quali  qu'ito  poeta  per  ap^o^^ure  una  etiiiv-lo^'à  da  lui 
tratta  dal  Greco,  ci  mofìra  l'Italia  intera  poiolaia  di  Gre- 
che colonie  ne' tempi  p'ù  remoti  ,  co^nmciand.)  co'due  verfi 
fegu-nti  il  catalogo,  che  ne   ti  ite: 

X^ee  tibi  fu  mirtim  Già  co  rem  ti'intìne  dici  , 
Itala  nam  rel'us  Graei'ìa  Major  erti  '2^). 
Kon  parmi  th-^  da  que'li  dt'e  vefi  conchuder  fi  m^à  ^  c\\t 
lutti  qUi' paefi  ,  de'qoa'i  Ovi.'io  parla  nel  f^-^uito  '25  liaùO 
fiati  un  giorno  comprefi  in  un.»  re;^i'in?  deua  iVI  G  e-,  sa, 
E  quando  anch;  v  >g!ia  conceJerfi  ,  che  Ò  i  IÌJ  abb'J  cffn'.i- 
vamenre  in  quel  Tuo  verQi  cos'i  cbitmato  un  si  Vado  tratto 
dell*  Itilla^  in  cui  Faleia  il  Tevre  e  Pdtavio  Itelfo  co.n- 
prende^nfi  ,  è  ch'aro  dalle  fteffe  Tue  pirole ,  eh' e^li  ha  voluio 
rag'onar  di  que'tempi  oTui,  e  fivolo',  ne'quiii  la  Lcoi'k 
gutdlibet  audenrii  è  più  che  m  li  accor.latJ  a'  joeti  ,  fat-oha 
di  cui  fé  fovente,  o  di  rato  (ìifi  f^rvita  O  ■  -ho  ,  non  vi  è 
chi  igno  i  .  Qual  conto  dovrà  dunque  f-f>-  f-'oa  ia  una  i(lo- 
lica  di'culTiohe,  e  come  mii  col  f-'lo  fjnda  nenio  X\  quel 
pentametro  atterrar  fi  pork  l'autofuk  di  fcittori  quali  [Pli- 
nio, T'hmmeo,  e  Silior 

Minor  fede  ancora ,  a  mio  credere,  maritar  debbono  le  pa- 
iole 


2S7 

fole  eli  pochi  altri  fcrlttori  pofterlori  in  eth  e  privi  di 
aut'^ritH  y  che  noi  fiaaio  per  citare  ,  ranto  più  che  la  loro 
mutilerà  va^a  di  efprimerfi  molira  abbalian2a ,  che  o  noa 
ebbero  idei  preJfs  lulla  eltenlion  della  M. Grecia, o  erprimer- 
le  precifaminte  non  fepoero.  E  primieramente  Seneca:  Onne 
Italiae  lattis^  dit.e  ,  cjuod  Infero  mari  alluìtitr  ^  Magna  Grascia 
fuit  {26].  Qual  fede,  di  «grazia  ,  prelUr  poffiamo  a  qu-lfe  paro- 
le, rtan  o  alle  qiili  i  L.iguri  ed  i  Torcanijper  non  parlando*. 
Campani  e  de  Liii.ii,  faranno  (taci  conpreli  nella  M.  Gre* 
f ia ,  m'Htre  i  Metapontinì  ed  i  Tarantini  ne  faranno  lìati 
cfciufi  ?  Né  maggior  credenza  incontreranno  certamen'e  i  dua 
gra.ii.i'ici  Ffto  e  Servio  ,  quando  il  primo  di  elTi  dice 
eh.'  Mìjnr  G>ascia  di8a  efì  It.nlia^  qttod  eam  Siculi  quo>idam  ob- 
tinuerunt  ^  vel  qw-d.  in  e  a  mulfae  mngrtaeque  civitates  fuerunt 
ex  Graecia  profe^x  (27);  e  l'altro:  Ii/dia  Mcy«A);  EAAa?, 
iddft  M  Graecia  eli  appjìlata^  quia  a  Tarento  ufque  ad  Cu- 
mas  omnes  civifates  Graeci  co'idiJerunt  (28).  Infelice  troppo  fa- 
rebbe al  certo  il  delfino  dello  ftudio  dell'antica  geografia  , 
fé  dtflle  aircrzioni  di  fcoliafli  e  di  gramatici  maggior  ifli- 
rpa  far  fi  volelle.  Lo  fl>.-fìro  Servio  per  tacer  di  altri  errori, 
fjcuò  Pel?Q  nella  Calabria  (30'.  Del  refto  è  vero  altrcs'i  ,che 
tanto  egli  quanto  Fedo,  dicendo  che  l'Italia  fu  detta  altre 
vo'te  M.  Grecia  ,  non  folo  ncn  hanno  certa nri^nte  voluto 
accordar  queOo  nome  a  tutta  la  pjfiifola  ,  raa  ancora  noa 
hanno  circofcritfo  per  niente  i  limiti  d^Ha  regione  di  efla , 
cui  quel  notpe  convenne,  Efi»  dur;que,  come  nelfuno  ugual- 
mente deg  i  altri  fcntiori  da  mi  citati,  parci  atto  a  farci 
recedere  dal  fentimento  de'  tre  primi,  che  con  tanta  chia- 
ezza    e   conformila    fiifafooo   i   confini  delU   M.  Gre/ia, 

Vago  ancora  nel  determinarli  fj  il  geografo  Sirabone  , 
il  quile  cuntentandofi  di  dire  ,  che  i  Greci  tanto  cr.bb?ro 
ia  Sraadez2a  in  Italia   che  diedero  a  qu;ftd  il  Dome  di    M. 

Qr«. 


e88 

Giecia,   aggiugne   quel  che   in   neffono    altro   <3eol!    antichi 
leggiamo,  ch'eflì   comprelero  fotto  il  nome   medelìmo  pur  la 
Sicilia  (31).    Q_uefl:a  geografo    non  avendo  per   nieote  deter- 
minato I  confini  ,    in  cui   nell'Italia  fa   la   M.  Grecia  rntrec- 
ta  ,  la  di   lui  aatorità    non   può  eifirci    di  alcun    ajuto  nella 
quiìtione   p-efsnt,:  .  Se  qualcuno   intanto,  malgrado  quefta  of- 
lerva^rione,  vo!e(Te  firvirfen^  per  accordare  ana  niagS'O''^  eden- 
fione  alla   M.  Grecia  di  quella,  che  noi  abbiamo  definita  dal 
p  inc'pio,  r  olVervar  f  >io  che  Strabone  ha  fotto  que  io  noine 
6n.in:he  la  Sicilia  comprefa, cofa  die  fuor  di   lui    e  di  £ulta- 
2Ìo  (;52),che  da  lui   lu  ha  certameate  copiato,»  nelìun  altro 
i^e^ii  an.ichi,  che   (i   fapp'a ,  è  mai   venuto  in  mente,  ci   dea 
iar    ragionevolmente    conchiudere    che    al  nome    di   M,  Gre- 
cia, qua'uoque   ne  fia   la   cagione^    un   fenfo   tutto  particolare 
egli  abbia  attaccato  .   E  finché  non  fi   pruovi  con  valide  auto- 
rità, che  il   fenfo,    ctie  Strabone   pare    aver  dato    a  quel   no- 
me, fia  flato  quello  generalmente  ricevuto  prelfo  gli  antichi, 
ragion  vuole    che  a    quello  piuttofto  concorde  de'  due  illuiiri 
geografi   Plinio  e  Tolonuneo,  feguiti   da  Silio,  ci  attenghiamo. 
Per  confermar  maggiormente  il  quale,  due  cofe  priocipaifnen- 
te  fi  oiì'ervino.   Primo,  che  Pittagora  fi  dice   da  Cicerone, ra- 
ta>n    ilLim   vetcrem   Italìae   Gmechm  ,    {^uae    quondam   Miign/i 
locitafa  e/ìy  (  expolivijfe  )  (33),  parole  che  convenir  non  pò f- 
ifotio   fé   non   ■che  alla  Tegione  rivolta    al    mar   Jt^nlo  ,    che 
fu   la   fede    di   quel   -fìlofofo  (34)  ,    dove    egli    vifle    e   mor'i, 
e  che    venne    e    da    lui    direttamente    e    da'fuoi  difcepoli  il- 
Judrata.  Se  quefla  adunque  era  l'intera  M.  Grecia  (  foia  ), 
vano  farà  al  certo  il  proccurare  di  eRenderla  di  vantaggio  (35). 
Secondo,  che  fé  p'ìi  eftefa  re.ilmente  foife   fiata  la    M.  Gre- 
cia, i   refianti'paefi   in   ella   comprefi    verrebbero  qualche    vol- 
ta dagli  amichi   ad  efia  attribuiti  ,    cofa   che   neppur  di   Reg- 
•gio  ùiù    vicinifTima   a  Locri    ed   alla   M.  Grecia   in  conTe- 

gucn- 


gucnza  fi  è  provato  .  Nel  che  niuno  mi  opponga  talune 
parole  del  vecdiio  fcoliaite  di  Orazio,  che  pare  avervi  fi» 
luato  Canafio  (3<5),  né  di  MalTniio  Tirio»  il  quale  feinbra 
che  diftenJa  fino  alle  vÌLÌtiaozì  dsl  lago  Averno  la  fua  M, 
Grecia  {37;  ;8'«icch.è  ai  primo  quella  tede  daremo,  eh,  meri» 
ta  un  grauiatico  di  teinpi  poitcriori  a  fronte  di  accuia» 
tiflìmi  fc'iitori  di  tempi  migliuri  ;  ed  il  fecondo  ha  potuto 
forle  come  liraniero  e  loiiiano  da  noi  ,  dire  che  il  la^o 
Averro  era  vicino  alla  M.  Grecia  ,  p.-r  difegnar  fohanto  la 
più  illuftie  delle  regioni  polle  non  lungi  da  quel  lago, 
Niuno  inoltre  fi  maraviglierà  che  Eullazio  (j8)  abbia  com- 
prefi  nella  M.  Grecia  i  Lucani  ,  che  ne  lono  efclufi  aperta- 
nienie  oa  Livio  {i9ìt(s  vorrà  rifli;tere,che  una  parte  della 
Lucania,  quella  cioè,  in  cui  Metapjnro  ed  Eraclea  erano 
fiiuate  ,  trovavafi  effettivamente  Ov-lia  M.  Grecia  compreia. 
Maravigliar  piuttolto  ci  dobbiamo  ,  che  idee  cn^i  poco 
giullj  fulla  M.  Grecia  abbia  po'uro  avere  uo  illuilre  mod.T- 
no  fcri'.tore  delle  antichi  cofe  d'  Lalla  ,  che  fia  giunto  ad 
afferire  che  gli  antichi  non  ne  deierminarono  mai  1'  eiteo- 
fione  (40).  Quelle  tue  parole  mi  tanno  {orpeirare,th'ejli  non. 
lì  Ha  rjcordaro  de' lunghi  di  Plinio  e  di  Tolommeo  riferiti 
già  da  noi  al  di  fopra  ,  e  che  il  Mazzocchi  aveva  da  lungo 
tempo  citati,  per  non  parlar  delle  parole  di  Silio  che  ab* 
biam  noi  riportate  per  confermarli  .  E'  vero  che  quello  llefr 
fo  fcriitore  cita  poco  dopo  il  luogo  di  Plinio  ,  ma  per  ap« 
poggiare  una  nuova  fvifta  ,  qual'  è  quella  ,  the  il  nome  di 
M.  Grecia  era  dìù  partico!arm.;nte  approprialo  alle  regioni 
intorno  la  fpaziofa  b-ija  ,  che  penetra  s'i  profondamente  den- 
tro  all'Italia,  con  i  due  feni  di  Locri  e  di  Stillace  (41), 
come  fé  Plinio  di  due  Ioli  feni,  e  non  già  di  tre  avelTe  ra- 
gionato; e  lo  cita  di  unita  aci  un  luogo  di  Mela  ,  prelTo  del 
quale  il  nome  di  M.  Greci*  neppure  una  volta  s'incontra. 
Tom.ll.  37  Svi- 


̻po 

Svilla  è  ancora  il  credere  ,  che  mai  queflo  nome  fia  (lato 
riliretto  alla  loia  penifoU  de' Bruzzj ,  come  pare  che  il  dc.no 
autore  abbia  rilevato  d^  un  bjooo  inalinrefo  di  rc'IKio  (42). 
Non  credo  eh  e  iocrefca  a  qucilo  iliuitrc:  fuggettó  la  franchtz- 
23, con  cui  noto  nel  Tuo  (ii.nabile  lavoro  i  nei,  quo^  òuma- 
va  parmn  coijìt  natura,  Egii  può  effer  {icijn(rimo  della  mÌ4 
ricoQulcenza  quindo  vonà  add!ta''ini  quelli  ceriamente  piìj 
Bumeroli,  che  s  inco'Ttreranon  nelle  mie  carte, 

lo  non  debbo  teraiin.ir  la  piefente  difculTionf  fenza  rammen- 
Mr  pure  un  luogo  di  Scimno  di  Chio  ,  del   quale  olkrvo  lOn 
maraviglia  che  il   Mazzocchi  non  abbia  fatto  alcun  ufo,  quan- 
tunque  irovili  jn  effo  una  aHai  prec^fa  definizion  della    M. Gre- 
cia .  Quel  geo<;rafo  dà  il  nome  d'Italia  particolarmente  ad  una 
regione, che  fa  cominciar  da  Terina  e  giugnere    fitio  alla  Ja- 
pigia ,  che  U  chiude  da  una  parte, come  l'Enotria  dall'altra. 
Ildgionando  di  queiU  regione,  egli  fi  efprime  ne'feguenti   ter- 
mini:  L'Italia  confina   coli^  Enotria  .^tà  abttar  a  fui  principio  àct 
harbar't  fu  denominala  àa   un   antico   Re  detto   Italo  .'fu  chiomata 
■polìeriormenie  Magna   Grecia  verjo  l'  ocàdente  accogion  delle  colo' 
tìte    Greche  in  rjja  fiabiltte —  La  prima   ne  è  Ter  ma  &c.  ('43)  E 
facile  il  rawifare  da  quelle  etpiedioni  che  la  M-Gteciadi  Scjm» 
DO  è   la  (Uffa  di  quella  di   Plinio;  fé   pur  fé  ne  eccettui,  eh? 
cuefti  la  fa  coniinciar  dalla  punta  meridionale  del  capo  Bruzzio, 
jnentre  l'altro  ne  prende   il   principio  un  poco  più  avanti  dal 
lato  occidentale     delio   fteffo  capo  .    Quindi   nell'opinione  del 
primo  Locri   farìi  fiatala   prima  citta  della  M.  Grecia  ,  mentre 
in  quella    del   lecf  ndo  elfa    farà   Ihta    preceduta    da    Terina, 
Ippnnio  ,  Medma,  e  Reggio,  che  giacciono  fulla  ccfta  oi-ci- 
geniale.  Del   retto  è   tanto  meno  da  maravigliarfi  di  cesi  lie» 
ve  diffenfo  fra   (crittori  di   tanta  autorità  ,  quanto  più  è  nO'» 
to   a   tutti   i  geografi    che  beo   molto    più    gr<ivi    dilparita  di 
epinjoui  s'incontrano  fovente  fra  elfi    in  mille   altri    punti. 


C)«wno  ftefifo  diflenfo  ci  fommininra  anzi  una  pruova  noveU 
U  corina  ccloro  che  vorrcbb.To  dare  alla  M.  Grecia  uiu 
eft<:nfi!jne  molto  più  confiderevole  » 

E'  forfè  vero  che  anche  il  piccol  tratto  occiJentale  ,  di 
Cui  Svimno  hi  pjrhto,  fu  per  qualche  tempo  comprefo  nel- 
la M.  Grecia;  alcuni  torfe  ve  lo  ammettevano,  mentre  ne 
veniva  efciufj  di  altri  .  Sira  intinto  f.-inpre  collante  »  che 
tutti  poi  òoivenivaOo  neìl' aciOrdare  alla  fronte  meridional© 
dell'Italia  il  nni  i|lu(t  e  di  M.  Grecia;  e  qu-lta  .defiiizio-^^ 
ne,  che  il  M  2Z)Cchi  ha  con  ragione  adottata  ^  è,  com'e-^lf 
giu.lizio'afn.'ote  l'ofTerva  (44.),  co'iforme  pure  alia  natura 
ilefla  del  fuolo  .  I  limili  dvUa  M.  Grecia  fono  quali  da  per 
tutto  naturali;  11  mareJ)nio  divifo  ne' tre  go'h  di  L'crì,  di 
Stillacio^  e  di  Taranto  da  uoa  p\rr- ,  e  1'  Afip.:nninn  (eparandod 
in  due  catene,  l'uni  delle  q  laii  fi  avanzi  verfo  i  Bruizj,  ìì 
altra   verfu  i   Salejtini  ,   l'abbraccia   e   la   circonda  dall  altra, 

Reda  ora  ad  ef-minar  brevemente  fé  regger  oolTa  la  di- 
fìinziotie  che  il  Mazzocchi  (lefiTo  fa  di  du-;  diverfi  periodi  » 
ne'quali  diverfa  fu,  fecondo  lui,  l'eflenfione  della  M.  Gre- 
ci.1 .  Ne'tempi  anteriori  alla  pu-^i^a  fociale  fiima  egli,  che 
più  valli  ne  (ìano  fiati  i  coi  fini  ;  ma  indi  for;siunge  ,  lum 
ante  rum  pojì  fociale  hellum  q-ti-n  omnin  aà  vicinoruni  linguam 
atque  i»/ìiiuta  diffeàjjem  {àe  qno  S^raho  Uh.  VI,  conquerum  ), 
Cv'CÙa  Magona  i/S  tantum  fìnibu!  porremo  confìitìt  ,  quo$  Pli- 
tiius  y  lic  Ptoleniaeuì  dt^fcripferufit  (4.'^).  Quello  ient'm  nto  noti 
parci  poterfi  roflenere  in  alcun  conto .  Luogi  dil  pruovare 
che  la  M.  Grecia  fia  fiata  ,  in  qualunque  periodo  di  tem.-'O, 
p'ù  eftefa,  parci  che  i  luoghi  di  antichi  fcriitori  che  vengo* 
pn  comunemente  citati ,  quelli  almeno  eh-;  meritano  la  no- 
{ì'-i  fede.  Confermino  tu'ti  il  nollro  fentimen'o.  Inoltre  fé 
eflinta  già  era  h  M.  Grecia  prima  della  guerra  Social.*,  co- 
me lo  fìelfo  Mazzocchi  ha  dotiamenie  dimoflrato  (4dj>come 

*  po» 


Tipi 

inai  poteanfene  ^opo  dì  efla  reftringere  1  lìmiti  ?  Dippiìi  fé 
quelto  infigne  fcriuorenvefle  pofio  niente  a' verfi  di  biiio  ói 
rti  rif.tui  ai  di  lopra,  avrebbe  fcorto  chiaramente  ,  che  fin 
da' tempi  di  Annibale,  lunga  Ifagione  avanti  la  guerra  focia. 
le  ,  l'elteffun  della  M.  Grecia  era  quella  fielìa  per  l' ap. 
punto ,  che  venne  nel  fe§uiio  da  Plinio  e  da  Tulomnneo 
definita  . 

Non  farh  più  ora  difficile  l'indagare  quali  cittk  debbano 
credeifi  rcalireot^  compiefi  nella  M.  Grecia ,  ricerca  che  for- 
ma la  feconda  pane  del  Saagio  prefente.  Fifl'ati  i  confini  di 
quella  rcgune  ,  non  ci  rcfta  a  far  altro  che  rapidamente 
percorrerli  per  cos"!  indicare  i  celebri  flabilimenti  G^eci ,  on- 
de elfi    venne  compolh  ,  ed  a'qoali  dee  il   (uo  nome. 

Abbiamo  già  oUervato  ,  che  la  M.  Grecia  rivolta  al  tna- 
rc  Jynio  veniva  bagnata  da' tre  golfi  di  Locri,  di  Scillacio, 
e  di  Taranto .  Il  primo  di  quelli  prendeva  il  fuo  principio 
dal  Piomontoiio  Z-fiiio,  cost  chiamato  da  un  porto  elpofto 
a' venti  di  occidente,  che  in  efl'o  trovavafi  (47).  Quefto  prò- 
rrion'orio  avea  coftiunicito  il  fuo  nome  alla  vicina  cuti  de* 
Locrefi  ,  dota  quindi  Epizefi  j  (48),  ed  incominciava  la  re- 
gione abi'ata   da  elfi,  che  Scabone  chiama  Locride  149). 

Il  nome  di  Epizefirj  difl  ngu.'va  i  noftri  Locrefi  digli  Ozoli, 
e  djgii  Epicnemidj  ,  che  abitavano  la  Grecia  propnamenta 
det'a,e  de'quali  creJeronfi  i  primi -una  co'onia.  L'antico  fi* 
to  della  ciita  era  sul  promontorio  medefimo ,  a  qu  1  che 
re  laTciè  fcriito  lo  Iteflo  Sirabone  (50)  .  Ma  dopo  tre  ,  o 
quattro  anni  ,  fecondo  quel'io  geografo  ,  i  Locreii  abbando- 
narono la  Io  o  primiera  porzione  per  tra'portarfi  un  poco 
più  lontano,  ove  fonikirono  la  nuova  città  fopra  un'altura, 
chiamata  Efepis,  600  ftadj  lontano  da  Reggio.  La  pofizio- 
ne  di  quefta  ciua  ne  vien  dcfcn'tta  con  accuratezza  dallo 
fcoliaiìe  di  Piodaro  (^O*  Tutta   la    region   de' Locrefi  veniva 

poi 


5^3 

^nl  feparata  da  quella  «le' vicini  Regìni  da  ima  profonJa 
valle  ,  per  cui  correva  il  fiume  Alece  ;  ma  quefte  due  re- 
gioni, quantunque  vicine,  avevano,  fecondo  Strabooe,un  ter- 
ritorio di  moito  diverla  natura.  Quello  de'Locrefi  era  fecco 
perchè  efpodo  al  fole  ,  unnido  quello  de*  Redini  ;  dal  chs 
tialceva  a  leniiniento  di  quel  gc  grafo  la  preicfi  dilf.renza 
fralle  cicale  dell'un  campo  e  dell'alf^o  ,  delle  quali  mu^e 
er.ino  le  Regine,  ma  loquaci  le  Locrcfi  (5:),  diff^ireaza  ,  dì 
cui  i  poeti  ed  i  mitolo'>i  rifilir  finno  fino  al  Erccle  la 
caufa  (-^ji.  In  quanto  alL»  cif'a  ft.'lTa  di  Locri ,  e(Ti  avv*a  mol- 
te porte  (5  +  \  ed  un  porto  ('55):Lina  parte  di  elTi  trovandod 
cfpofta  al  mare,  potea  con  navi  oppugnarfi  (5<5^,  men-re  ut 
altra  era  fjg^etn  ad  effere  attaccata  per  terra  (<57  .  Du^  r-jc- 
che  trovavanfi  neirinterno  di  L'cri  (58',  d<;lie  qaa  i  1"  uoa 
almeno  non  d(wea  effr  molto  ipaziofa  (59).  Mi  'a  città 'lelfa 
fembra  eff.Te  (tata  vada  ,  avendo  ponilo  accogliere  nel  temao 
della  fecondi  «uerra  punica  tJtti  «li  abiranti  di  C'otone,  nb- 
blinati  dal  vincifoie  ad  abbandonare  1' antica  loro  dimori  (^do). 
Sul  fi^me  Alece  trovavafi  il  picciolo  caf'el'o  o  Pe-  po- 
lio ,  rammentato  àà  Tucidide  (di)  ,  il  quale  non  fn^hra 
cHere  Uaro  atro  the  una  fortezza,  e  una  dip^-ndenza  d  Lo» 
CM  (di).  Oltre  all' Alecè  eravi  pr.-ffi  Loci  ui  (ÌDiije ,  che 
Livio  (63)  chian\a  Buihmtus^  ed  il  Cr^lebre  fiume  Sifi'a  6^\ 
tanto  rinomato  p'r  la  disfitta  ,  che  vi  riceverono  i  Locreli 
da' Crotoniati .  Secondo  il  Mazzocihi  (d5",  qurfto  fiume  e 
quello  ft-flo  che  vien  rammertaro  da  Tolommeo  fo'to  \\ 
nome  di  Locanus  (66).  Ma  più  probabilm.^nte  qo'fto  nome 
»oo  è  eh:  un  corruz' ine  di  quello  del  fiume  Caec.nm  li- 
tuato  flnch«  eflfo  nel  g'ifi  di  Locri  preflo  un  luo^o  dello 
ftelTo  nome  {Sj)  y  poco  lungi  dalla  Sagra  ,  e  di  cui  fanno 
menzione  Tucidide  dS),  Plinio  dp),  P-^ufanla  ('70  ,ed  E- 
Uaqo  (71},  come  il  Maz20vcfai  ftello  ha  pur  lofpeiuto  ^^72'. 


Al  ài  Ik  della  ^agra  s  incontrava  Caofonia,  che  per  eflfe.' 
re  (tata  fondata  fui  principio  preffo  un  vallone, aveVa  portato 
già  il  nome  di  Aulònia  (73).  Del  redo  una  parte  almeno  di 
quefta  città  doveva  cflere  molto  elevata,  giacché  le  rocche 
di  effa  difcoprivaoG  da  lontano  da' naviganti  (74).  Ella  noti 
giunfe  mai  a  qu.-l  grado  di  floridezza  ,  che  le  fue  vicine  Lo- 
cri e  Grofona  vantarono  altra  volta»  Piìi  sventurata  di  qua- 
fie,  fu  adeguila  al~"fuolo  da  Dionigi  ^  ed  i  cittadini  ne  fu- 
rono trasferiti  in  Siracufi^  accordandofi  il  lor  campo  a' Lo- 
crefi  (75).  Elfa  dovè  riforgere  qualche  tempo  dopo,  trovan- 
dofeae  fatta  meozioòi  nel  tempo  delia  guerra  di  Pirro,  du- 
rante la  quale  fu  dillrutta  da' Campani  {y6).  Anche  dopo 
quella  nuova  difgrazia  eliti  continuò  ad  aver  qualche  «li- 
Itenza  ,  fé  è  vero  che  nel  tempo  della  guerra  punica  fecon- 
da, avetido  feguitò  il  partito  de' Cartaginefi  ,fu  oppugnata  da 
Fabio  '77;.  Non  ponTiatno  disegnar  con  diftinzione  di  quili 
delle  due  dillruzioni  di  Gaulonia  abbia  voluto  ragiotìar  Sera» 
bofie,  quando  dice  che  i  Cauloniatì  diflruttì  da'barbari  tras- 
feiironfi  in  Sicilia  a  fondarvi  una  cit  a  del  nome  (ìeffo{y3). 
Il  fiume  Elepnro  detto  altrimenti  Eloro,  celebre  per  la  dis- 
fatta datavi  da  Dionigi  all'elercito  degli  Italioti  coVe^ati 
dovea  tròvarfi  preffo  Gaulonia  (yp).  Inoltre  nel  refto  del  gol- 
fo  prima  del  p'omóntorio  CocintOjtrovavanfi  Confilino  (80}, 
e   Myi^iae  \8  1),  città  piìj  ofcvire,e  probabilmente  non  Greche. 

Il  golfo  di  Locri  era  finalmente  terminato  dal  promOfitorio 
Cocìniétim,i\  quale  credeafi  fecon;1o  Pi.'nio  (^2)  il  più  lungo 
di  tuttA  l'Italia,  e  che  dava  principio  al  fecondo  golfo  del- 
la M.Grècia,  cioè  a  quello  di  Scillacio .  Il  Gluverio  83)  a 
mìo  credere  non  ìia  diftin'to  abbafìanza  il  nome  di  qus'lo 
promontorio  da  quelli  di  Cairinus  ,  ch'era  il  nome  di  un 
fiume  e  di  un  luogo  preflo  alla  Sagra  ,  come  abbiamo  già 
detto  ,  e  del  fiutnc  Carcinus  ,  preffo  a  cui    fuvvi  uua   città 

dello 


...  291 

d'Ho  flfìn  n'irne,  ambedue  nel  golfo  di  Scillacio  ,  Aiii:h8 
Pomponio  M'I.i  (84)  ha  errato  n;l  cliiadere  il  golfo  di  L'i- 
cri  Ira  i  prooionioij  Bruzzio  e  Zfi'o,  e  far  cominciar  da 
«Jur-ft'  uitirno  il  golfo  di  Scillacio  .  Cagion  di  quello  errore 
è  forfè  (ta'a  l'olcuriià  i.\i\  promontDriq  Cocinto  ,  eh*  non 
giunle  mai  ad  aver  qu.-lla  fama,  che  ottennero  il  Z'fìrio 
ed  il  Lacinio  .  Fijvvi  inoltre  lui  CocJQto  una  Gutìi  del  ao- 
me   mfde!ìmo  {85)  , 

Scy'.laaum  era  la  fola  citta  di  qualche  confìJenzian?  , 
che  s' incont  aff;  nel  golfo ,  cui  died;  il  nome  ^SfJi.Ed'a  era 
celebre  per  gli  frequenti  naufr^gj  87)  ;  ma  fu  fempre  una 
citta  dipendente  ,  elfen.fo  ffato  il  fuo  campo  pofleJuto  da' 
C'ot'joiati  inreramente  ,  prima  cha  Dionigi  non  ne  aveffe 
accordata  una  porzione  a' Locrefi  (8B),  Il  reHo  della  fpiaggia 
eli  queffo  golfo  era  occupare  da  luoghi  piìi  ofcuri ,  come  da 
quello  detto  Caftra  Hatimbaln ^  prelfo  cui  eravi  un  porto  del 
Eome  IlefTo  !8p).  Il  fiume  Crotalo,  e  quelli  di  Semiro,  di 
Aroca,  e  di  C.arcincs  pò),  preflb  al  quale  s'incontrava  la 
Gitta  di  Cnrcinus  (pi),  trova vanfì  nel  feguito.  Da  Tolom- 
meo  fpz;  fappiamo  che  la  citià  ,  ch'egli  chiama  /Ihyfìrum, 
e  la  quale  ,  fecondo  il  Mazzocchi  fp3)  era  detta  ^/!i«y?»w /■p4,) 
da'Latini,  ed  ap^^arteneva  ancora  al  golfo  di  Sciilaco,  veni- 
va quantunque   mediterranea  attribuita  alla   M.  Grecia. 

Il  golfo  di  Scillacio  formava  col  golfo  Ippcniate,  che  gli 
è  all'occidente  fui  mar  Tirreno,  quell'iflmo,  che  fecondo 
Strabene  Dionigi  volle  chiudere  nella  fua  guerra  contro  a 
Lucani.  Il  vero  ogget'o  di  quello  principe  ambiziofo  era 
quello  di  tagliar  così  ogni  coiTiunicazione  fra  i  Greci  confe- 
derati per  poter  dominare  nella  penifola  piìi  facilmente;  ma 
egli  coloriva  il  fuo  dileguo  col  pretefli  di  metterla  a  coper- 
to dalle   irruzioni  de  barbari  (P5).    Plinio  ha  anche  parlato 

di 


di  qu'efto  progettò,  ed  il  fitó,  in  cui  doveva  fecondo  lui  finlf 
la  murai^lia  nel  lido  orientale,  era  appunto  il  luogo  detta 
Calilo  Hanniùalis  predo  il  fiume  Crotalo  {^6) , 

La  Croioniatide  feguiva  al  golfo  di  Sciliacio,e  dava  prin- 
crpio  al  terzo  golfo  della  M.  Grecia ^  il  più  vaflo  ed  il  più 
rinoiTiato  di  tutti.  In  quella  regione  incontravaniì  prima  di 
ogni  altro  le  tre  punte  dette  de'J.^pigi,  poiché  quefti  po- 
poli, che  fi  credevano  Cretefi  di  origine,  vi  fi  erano  al- 
tra volta  llabiliti' (py)  .  Il  promoncorio  Lacinro,  chiude- 
va c'a  una  pane  il  golfo  di  SciUacio  ,  e  quello  di  Tarai!» 
to  dall'altra  (<;'8).  Qjielfo  pronioaiorio  avanzandofi  nel  nna- 
re  veniva  fcopcrto  da' navig.inii  ,  e  riconofciuto  al  fuper- 
bo  tempio  di  Giunone,  che'  vi  li  ammirava  (pp).  Più  no- 
bile cel  a  llelfa  ciith  di  Crotone  ,  ne  era  lontano  quello 
tempo  ki  miglia  (looj.  Quale  folli.'  la  venerazioneyche  rurti 
i  p.  po'i  all'intorno  avevano  per  elio,  e  quali  le  meraviglie 
do'la  natura  e  d<i!i'art«  ,  che  in  elfo  o  intorno  ad  elfo  fi. 
ammiravano,  come  psr  -efeinpio  il  magnifico  e  deliziofo  bo- 
fctierto  ,  r  altare  prodigiofo  in  coi  credevali  che  le  cen^i4 
refìaffero  immote  ad  ogni  violenza  di  vento,  la  colonna  di 
oro  m;!fficciù,le  fupeibe  pitture  di  Zeufi  fralle  quali  1' Elena 
tanto  celebrata,  può  leggerli  più  a  luogo  preOb  Livio  (ioi\ 
Valerio  MalTimo  (102) ,  Cicerone  (105)  ,ed  altri  molti.  Dirim- 
pètto a  quello  promontorio  vedevafi  1'  iloletta  di  Calipfo  (l04\ 
e  quella  detta  de' Diolcuri  (i05):anche  lo  fìelTo  promoniori.'^ 
O  una  punta  di  edo  almeno,  par  che  venga  detta  Diofcur'ias 
^a   Diodoro  (106)^ 

Le  colonie  Achee  ,  l' una  delle  quali  Caulonia  trovavafi 
peraltro  nel  golfo  di  SciUacio,  feguivano  al  promontorio  La- 
cinio.  La  prima  di  eflT?  Crorone  era  {ifuata  prelTo  i  due  fiumi 
Efaro  e  NTeeto:  ms  il  primo  di  qaeRi  era  propriamente  il  fiume 
d«lla  città,   quello  prelfo  a  cui  gli  Dei  ingiunfero  a  Mifcel- 

lo 


io  di  fondar  Crotone  (107). Prima  della  guerra  di  Pirro  elio 
divideva  Ciotone  per  meik,ma  dopo  Is  devaltazioni  di  quella 
guerra  non  paìsò  pm  che  prcHo  a  muri  difabicati  (io8j. Secondo 
Strabene  (top;  elFo  aveva  un  porto  del  Tuo  nomi  medefimo,© 
un  lago  fccood*)  il  Gluverio  (no)  che  dovrebbe  effere  quello 
fìelTo  che  venne  chiamato  s'oiJ.uhifj.i'oi',  da  Teocrito  (ni).  Ovi- 
dio ha  dato   [' ag2,\noio  di  lapiiio/us  all' Efaro  (i  12),  e  quello  di 
graT^i'/o  gii   vien  dato  da  Diouigi  Periegete  (i  1  3) .  In  quanto  al 
Netto,  era  elio  al  di  là  di   Crotone   verfo  i  Salentini,  e  Sa- 
lentino  venne  detto  da  Ovidio  (i  14).  Il  di  lui  nome  fi  ripe- 
teva dall'  incendio    delle  navi  fattu  preffo  di  eflo    da    taluna 
donne  Trojine  approdatevi ,  per  cos'i  fottrarfi  al  tedio  di  una 
più  lunga  navigazione  (115).    Ne'contini   della  Crotoniatide 
trovava!!  ancora  il   monte  L^jz/wn/o, detto  ombrofo  da  Teocri- 
to (ii(5),e  l'altro,  che  lo  Iteilò  poeta  chiama  P^/'/rnr 'i  17), 
La  citii    di  Crotone  trovavafi   polta  ,  a  quel  che  pare,  in 
una  fituazicre  elevata  (i  18), e  che  era  tanto  vantaggiofa  per 
la  falute,   che  divenne  fecondo  Strabone  (tip),  un   proverbia 
preffo  i  Greci   il  dire  :    più  /ano  dt  Ciotone.    A'  vantaggi   dì 
qucfta  eccellente    pofizione   deve  in  molta   parte  quella  città 
ì  grandi  atleti  che   produ(re,Gome  Milone  (1  2o),Egone  (121), 
Faillo  (122),  Filippo  (i23J,  ed  altri   molti  (124).   (Suefta 
cittk  mancava    di   porto  ,    ed  aveva  iolo  talune  itazioni  efti- 
ve  a  cui  potevano  approdare  i  navigli  (125).  Qltrg  alla  grati 
di:ifatta  ,    eh'  ebbero  da'  Locrefi  i  Grotoniaii    prelTo  al    fiume 
Sagra  (i2(J/,la  quale  fecondo  Strabone  fu  cagione  della  rapi, 
da  loro  decadeosa ,  non  avendo  mai  più  potuto  riforger  do* 
pò  di    cfla  alla    primiera    potenza  (127),!  Grotoniati  furono 
attaccati  pur  da  Dionigi,  che  s' impolfei'sò  della  lor  rocca  pafTa.i* 
do  a  traverfo  di   talune  rupi  (128) ,  tormentati  fpefib  ed  afle- 
diati  da'Bruzzj  (iipjjprefi  finalmente  e  polli  a  lacco  da  Aga» 
tocle  (130Ì,    il  quale  iraditevolmente  fingendo  di  andare  la 
Tom,  il.  38  E  pi- 


ap8  ' 

Epiro,  sbarcò  all'Iraproviro  a  Crotone,  e  l'alTidiò  circoo* 
dandola  c^i  mura  dal  mare  al  mare.  Nella  guerra  di  Pirro 
la  Citta  di  Crotone,  che  aveva  primi  un  muro  di  do  ici 
irìi^lia  di  circuito,  fu  tanto  devalt<<ta  che  una  metà  ne  reltò 
dji.bitaia  ('30'  ^3  '^^  rocca, che  fovraftava  di  una  parte  al 
ma^e  ,  e  diii'ahra  era  rivolta  alla  campagna,  <5uantunque 
inun  ta  dilla  natjra  dtl  fico  e  cinta  da  un  muro  ,  qon  die- 
de chi  U'i  debile  ne  'vero  agli  ottimati  ,  quaoJo  quefti  vi 
fi  rirra-'ono  dop)  U  pr'fa  deHa  citta  fatta  da' Bruzzj  nel 
temno  della  f-conJa  gu:rra  punica  (132).  I  Crotoniati  in 
quell'epica  abbiidonroao  la  lor  patria  disgrjziata  ,  e  traf- 
porta-^onfi  ad  abtare  in  Locri  (133  i  ,  Crotone  venne  ìndi  ri» 
dona  ad  cTer  Colonia  Rimana  (134', 

Incontiavafi  anchs  fui  Httorale  fecondo  il  Mazzocchi  la 
citta  d?t'4  M.icalla  (l3*)>  ,  «n  cui  venivano  refi ,  a  quel  che 
pe  dice  Licofrone, onori  divini  a  Fiioi rete  fi 3<J),  Il  promon- 
torio Cnmifa  che  immediatamente  feguiva  a  quefta  cittk, 
era  fiato  abitato  da  quell'eroe,  il  quale  vi  aveva  pur  fondato, 
a  quel  eh.'  fi  dice,  una  città  detta  Chone  (137;.  I,icofronc 
dà  alla  Città  fondata  ,  o  abitata  da  Filoitete,  il  nome  di 
Crimil'a  (138), e  di  quella  città  rag'onano  ancora  altri  (crit- 
io  i  (139;  .  Fu^'vi  ancora  un  fiume  Crimifos  (140),  ed  un 
teYnpio  di    Apollo  Aleo  (ìtuato  fui   promontorio  (14I). 

Il  Mazzocchi  ha  e  mprefe  fralle  città  della  M.  Grecia 
Siberene  e  Petelia  ambedue  lontane  dai  mare.  Ma  in  quanto 
alla  (rima,  neiìuna  autorità  egli  adduce  per  provare ,  che  alla 
M.  Grecia  elTa  abbia  appartenuto  (J42),  Petelia  vien  fituara 
nella  IVI.  Grecia  da  Tolommeo  (143*.  L'^flfT-  efla  alquanto 
remota  dal  mare  ha  fatto,  che  Punio  la  comprendelfe  fralle 
città  appartenenti  al  golfo  di  Grotoo?  (144),  mentre  Pnmpo- 
nio  M"la  la  defcrive  fra  quelle  del  Golfo  di  S^illicio  (145'. 
E'  ad  olleivarfi    ancora    che  quefio  geograto    i' ha  ficuata  fra 

Ì9 


Ì99 
te  citik  marittime;  né  ({fa  doveva  efTere  molto  lotitana  dal 
»iare ,  fé  è  vero  quel  che  Valerio  MafiTimo  afTicura  ,  che  An- 
nibale fciolfe  da  Pcreiia  per  trarportarfi  in  Sicilia  (145). Pare 
cIk  Livio  (147)  rappretenti  Petelia  fituata  fopra  una  altura 
(  luMulus  )  .  Quefta  città  peri  nel  teinpo  della  incurGone 
di  Annibale  in  Italia.  Dopo  la  bactaglia  di  Cinne ,  elTa  lo- 
ia fra'BfU^zj  lì  mantenne  fedele  a' Romani  (148).  Imitan- 
do l'efenipio  de' Saguntini ,  i  Pe-eiini  privi  della  fperanzi 
di  po'er  ricev'ere  (occorll  da'  loro  alleati  ,  piuttoOo  che  aprir 
le  porte  ai  vincitore,  fi  riduflero  a  morir  di  fame,  elTi  ,  le 
loro  mogli ,  ed  i  loro  figli  ;  di  maniera  che  Annibale  non 
potè  impolTeflarfi  che  del  fepolcro  di' quella  città  sventura* 
la  (i4p). 

RitoroanJo  alla  fpiagola  marittima  vi  troveremo  il  fiume 
Hflias ,  rammentatoda  Tucidide  (150},  e  l'altro  detto  Truen- 
to, predo  al  quale, fecondo  Diodoro  (151),  taluni  de'Sibariti 
fcacciati  da' nuovi  coloni  di  Turio  portaronfi  ad  abitare ,  ma 
re  furon  cacciati  non  molto  dopo  da'  Bruzzj  .  Prelio  queifo 
fiume  il  Cluverio  (152)  ha  ficuata  la  città  detta  Paiemum 
rammentata  nell' Itinerario  di  Antonino.  Rofcia  ^  che  venne 
ìndi  detta  Rofcianum  (15^),  navale  de'Turj,  era  anche  fi- 
tuato  nel   littorale  fra 'I  Truento,  ed   il  Grati. 

Du^ento  fiad)  lungi  da  Crotone  trovavali  altra  volta  Sibiri 
Colonia  anccir  efla  depli  Ach.i  (  i  54)  accompagnati  da'Trocie- 
nj  (i  55),  e  (ituata  fra'ilue  fiumi  Grati  e  Sibari  (1  51^^.  11  primo 
di  quefli  ,  a  cui  fi  fupponeva  Ja  prop  ieti  di  render  biondi  o 
bianchi  i  capelli  delie  perfone, che  vi  fi  bagnavano  (I57i  )3V2* 
va  preflo  di  fé  un  piccol  campo  detto  Camere^  ove  fuppone 
Ovidio,  che  Anna  (creila  di  Didone  fia  fiata  gittata  un  glorntJ 
da  una  tempefta  (158)  ;nel  qual  luogo  egli  dà  al  Grati  gli  epiteti 
di  Upidofus  e  di  pifcofus .  Preflo  al  Grati  eravi  ancora  il  tempia 
di  Minerva  Cratia  ,  a  lei  dedicato  da  Djrieo  Spartano  ,    il 

*  qui* 


300 

quile ,  coma  pretsailavano  i  Si  bariti  »  ca  ft*to  Jn  afuto  tJe* 
Crotoniati,  nella  guerra  che  quelli  ebbero  con  elfi  (139).  Il 
nome  del  nolìro  fiume  era  derivare  fecondo  Erodoto  (i5o;, da 
quella  di  un  altro  Qrarùh  ^  chs  efifteva  nel  Peloponnefo  prof- 
fo  la  Città  di  Aegae.  Anche  dell'  altro  fiume  Syhar'n  fi  fa 
derivare  il  nome  da  quello  di  un  fiume  dell'  Acaja  (i(5i)  , 
come  anche  a  lui  fi  attribuifce  la  proprietà  fieffa  di  render 
biondi  i  capelli  (i5z).  Strabene  gli  dà  l'altra  di  nuocere 
a*  cavalli,  per  cui  aggiugne  che  fé  ne  tenevano  lontane  le 
razze  (jdj)  .  Una  fonte  dett^  Sibaritica  viene  anche  ram- 
mentata da  Teocrito  (1^4). 

In  quanto  a  Sibari  ,  la  fua  vantaggìofa  pofizione  ,  e  la 
feriiliià  del  Tuo  campo,  taluni  fenomeni  del  quale  vengono 
rammentati  da  Varrone  (K55),  la  refero  in  breve  tanto  ricca  e 
potente  che  primeggiar  parve  fovra  tutte  le  città  dell'  Italia 
(l5<5).  Elfi  dominò  in  fatti,  fecondo  Strabone  (id/),  fopra 
quattro  pop"li  del  fuo  vicinato  ,  e  fopra  venticinque  città  . 
La  fua  efienfione  ,  fecondo  lo  /le(To  geografo,  occupava  cin- 
quanta l'ìad^  lungo  il  Grati;  e  la  fua  popolazione  giunfe  a  tal 
fegno  che  ai  dir  di  taluni  autori  effa  potè  formare  un'  efercì- 
10  di  300,000  combattenti  nella  guerra  contra  i  Crotoniati 
(ii58).  Non  oftante  un  tale  sforzo, Sibari  cadde  in  potere  de' 
fuoi  nemici ,  da'quali  venne  interamente  diftrutta  (idp)  ,  aven- 
dovi elfi  condotte  le  acque  del  fiume  ,  le  «juali  ,  come  dice 
Strabone,  la  fommeifero  dell'intutto  (170).  QueRo  fieflb  fcrit- 
tore  olfcrva  che  (ettanta  giorni  ballarono  a  difìrug^er  tutta 
la  potenza  de' Sibariti.  Furono  allora  obbligati  quefii  infeli- 
ci a  ritirarfi  in  due  piccole  vicine  città  Lao  e  Scidro  ,  ove 
abitarono  per  qualche  tempo  (171)  ;  ma  cinquantotto  atioi  do- 
po la  dilìroziooe  della  lor  patria  ,  efiì  tentarono  fono  la  con- 
illocta  di    taluni    Te0ali  ili  rillabilirfi    nell'aatica  pofizione  , 

vale 


3or 
vale  a  dire  fra  ilCrati ,  ed  11  Sibari  (172).  E(Tì  non  vi  recarono 
però  che  fei  anoi  ,  al  termine  de' qudli  lurono  difcacciatì  d| 
nuovo  da'  loro  perpetui  nemici  i  Crotoniati .  Dille  ceneri  di 
Sibari  forfè  poco  dopo  Turio  fondata  da  uaa  colonia  di  Ate- 
niefi  fotto  la  condotta  di  Lampone  e  di  Xeciocrate  nell' 
Olimpiade  83  .  Taluni  Sibariti  ancora  fuperfliti  alla  rovina 
della  lor  patria  UDironfi  a' novelli  coloni;  i  quali  per  ubbi- 
dire all'oracolo,  abbandonando  il  primo  locale,  fondarono 
Ja  nuova  citth  preffo  ad  una  forgente  detta  Turia  ,  dalla 
quale  ebbe  poi  la  ciftU  Itefla  il  fuo  nom?.  Secondo  D  ©.lo- 
ro la  nuova  citta  venne  divifa  par  lunghezza  in  quattro 
piazze  dette  Eraclea,  Afrodifiade,  Olimpiade,  e  Diooifiade, 
<  per  lunghezza  in  tr«,  che  furono  chiamate  Efoa  ,  Turia, 
e  Tutina  .  Gì'  intervalli  fra  quarte  piazze  effendo  ftati  riem- 
piti di  abitazioni,  la  citta  divenne  in  breve  popolata  (173). 
JMa  gli  antichi  Sibariti  venuti  in  difcordia  cogli  Arniefi  fonda- 
tori di  Turio  ne  furono  difcacciati  poco  dopo  ,  e  fi  porta- 
rono ad  abitare  preffo  al  fiume  Truento  ,  onde  non  guari 
«lopo  furono  interamente  cacciati  da' Bruzzj  (174)  •  La  cittk 
di  Turio  divenuta  ancor  elTa  potente  figurò  lungo  tempo 
Della  iloria  ,  e  nell'  epoca  della  feconda  guerra  Punica  rice- 
vè in  parte  g'i  abitanti  di  Erdonea ,  incendiata  da  Anniba- 
Je,per  timore  che  non  fé  ne  irap(  ffiffaffero  i  Romani  (i75,'« 
Wa  Hoalmente  «ffa  divenne  una  colonia  di  quelli  ,  e  cam- 
biò per  la  terza  volta  il  fyo  nome ,  affumecdo  quello  ài 
Copia  (175). 

Preffo  Turio  trovavafi  un  poco  dentro  terra  iì  piccolo  ca- 
flello  detto  Lagaria  (177), e  da  altri  Langaria  (178), celebre, 
fecondo  Strabone,non  altrimenti  che  la  fteffa  Turio  per  l'ec- 
collenza  dal  fuo  vino.  Sul  lido  dopo  il  fiume  Giliftarno  , ed  il 
fiume  navigabile  Siri  (175^)  ,  trovavafi  l'antica  città  del  nome 
Diedciiaìo, detta  prima  Polieo,  trecanto  trenta  ftadj  lungi  da 

Ta- 


Turio,  e  ventiquattro  da  Eraclea,  di  cui  era  l' emporio  (ijo).  La 
Siritide  pc'Ua  in  rr'ezzo  a  due  potenti  viridi,  i  Turmi  ed  ì 
Tarantini,  non  mancò  di  fulcitaf  la  loro  g'Io^ìa  ;  ma  dopo 
una  gu^jira  avuta  fra  loro  ,  quei  due  popoli  convennero  di 
abitari.i  io  comune,  riputandola  pur  tuttavia  coionia  Taran- 
tina. I  nuovi  coloni  però  preferirono  alla  pofizit.rie  della  vec- 
chia Siri  una  nuova  fituiziooe  mediterranea  prcifp  al  fiume 
Aciri ,  navigabile  ancor  elio;  e  diedero  alla  br  novella  città 
il  nome  di  Eraclea  (i8i  ;.  Fra'due  fiumi  Siri  ed  Aciri  trova- 
vafi  anche  una  città  detta  Pan Jofn  ,  mi  divcrfa  da  q  iella  del- 
lo ftelTo  nóme,  che  viaa  fnuata  da  S-imno  di  Ghio  tra  Grò. 
tone  e  Turio  (182),  e  preffo  alla  quale  mori  Aleflandro  Ra 
di  Epiro  (183).  L'altra  Pandofia  vien  ramiuentata  da  Plutar- 
co (184),  e  nelle  Tavole  di   Eraclea  (185). 

Centoquaranta  ftidj  lungi  dall'emporio  di  Eraclea  fi  tro- 
vava Metaponto,  città  antica,  diflrutta  prima  da' Sanniti ,  ed 
indi  riedificata  da  taluni  Achivi,  nel- punto  itefT:»,  che  (epa- 
rava  ,  come  dice  Strabone,!"  Italia  dalla  J^pigia  {i8(?).  I  fiu' 
mi  Acalanio,  e  Cafuento  trovàvanli  fra  Meta  Don  to  ed  Eraclea, 
come  il  Bradano  fralla  città  medefima.e  Taranto.  Alla  fer- 
tilità del  lor  territorio,  ed  alla  cu'a ,  che  p re: ero  di  co'tivar- 
lo,  dovettero  un  giorno  i  Metapontini  quel  grado  di  flarider- 
za  ,  di  felicità  ,  e  di  opulen7a  ,  a  cui  giunfero  ,  e  di  cui  è 
una  pruoya  la  meffe  di  ero  che  dedicarono  a  Delfi  187  .  Dopo 
varie  vicende  ,  e  dopo  aver  accolti  taluni  des'i  abitanti  di 
Erdonia  nel  tempo  delia  guerra  di  Annibale  (188  ,fina!fnenie 
Quando  qu'flo  generale,  artaccaro  da  ogni  parte  da'Rotnani, 
voli?  fortificarfi  nell'ultimo  angolo  della  Bruzzia ,  rbbfigò  ì 
Metapontini ,  come  molti  altri  de' Lucani  ^  ad  abbai  lonar  le 
proprie  fedi ,  per  ti^afponarfi  con  lui  nel  territorio  B  uz?io(  i8p). 

Quantunque  i  Japii'j   fi  foflero  altra  volta  dilìefi  fino  a  Gro- 
tonc  ,    cotne  lo  pruova  il  nome   di  pietre  de'Japìgi  dato  da 

effi 


3*3 

éfll  a  trs  punte  Jel  promonforÌQ  Laclnio  (ipo),  ?  quantunque, 

fecondo  Efoio,la  ÙnU  citt4  di  Crotone  fu  ftatJ  da  eiTi  cri- 
ginariamsote  abitata  ipi) ,  pure  alla  regone  in  cui  trovawafi 
Tar^firo  reftò  nel  feguito  parti>.olar  name  il  nome  di  Japi- 
gij ,  che  i  Greci ,  come  ne  avverte  Strabone  (ipz)  ^  dilTero  Mef- 
fapia,  e  gl'indigeni  in  pine  Salcntini,in  parte  cahbria  .Ta- 
ranto la  più  ricca  ,  e  la  più  dilfoluta  delle  citth  Italiche  vi 
fu  §•'3  (ul  mare  (ipj  ,  a  cui  dava  il  nome  di  golfo  Tarantino. 
Q_ueiio  mancava  in  graq  parte  di  poni  ;  ma  quello  di  Ta- 
ra iio  era  bello  e  vafto  ,  e  ratch  afo  da  un  ponce:  il  fuo  giro 
era  di  cento  (tidjjed  a^^ea  nall' interao  una  p-'Oifola  ,  fu  cui 
flava  Taranto ,  f.ibb'!cata  nel  piano,  fé  fé  ne  eccettui  l.a  rocca, 
]a  quale  (hiva  fopra  una  picciola  altura  fra'l  foro  ed  jl  porto, 
Un  muro  cingeva  quelta  citti  il'uHre  (  1 94.),  preffo  al  quale  mi- 
ravàfi  il  f  polcro  di  Giacinto;  coine  i  l'epolcri  de' p3;rticolari  ve- 
devaofi  nejl' interno  della  città  ove  erano  rtati  (ì/uati  per  ordi^ 
ne  Heli'oracolo  (195),  Vili  trovava  ancora  on  vaflo  toro,  uno 
ftadio  rrnitfTimo  ^ipi5),e  più  porte ,  una  delle  quali  portava 
il  nome  di  Temenide  (197),  Quale  folfe  Itato  l'incanto  della  sua 
fituazione,  e  l'ameoitH  delle  campagne,  che  la  circondavano, 
può  rilevarli  ficilm^oic  da' fcaviffimi  virfj  di  Virgilio  (198) , e 
di  Orazio  (199),  che  ne  parla  cos'i  fpefl'o  , per  tacere  di  altri.  J 
prodotti  dei  ftio  Cam  '•o  vjoo  celebrati  dà  Catone  (200),  da  Mar- 
ziale (2oi),  e  da  altri, e  Varrone  ci  ha  lafciata  memoria  di 
Dna  particolare  fpecie  di  maceria  ,  di  cqi  fervivanfi  i  Taran- 
tini (202),  La  pe'ci  fioriva  ir»  Taranto  ugualmente  che  l'agri- 
ColtU'a,  di  modj  che  neli.i  t-i..h  trovava^  iKibilna  una  grande 
quantità  di  pefcatori  (203  )  ,  Orazio  (204^,  G-'Hio  (265),  Apule- 
jo  (20(5)  fanno  menzione  delle  produzioni  d'I  di  i  -t  mare  .  La 
vicinanza  do'Japioi  produT-?  de'le  quilticni  fra  q  lelli  popoli, 
ed  iTaiaauni  intorno  a  coufiai  del  lor  campo, le  quali  cflendo 

ter'. 


è^^  .  ... 

iarmin4tc  Soaliiìsnte  m  una  gmtn^i  Taf  aotini,  quantunque 
ajutati  da' Regi  dì  ,  vennero  alla  fine  battuti  neii' Arcontato  di 
Menone,  vale  a  dire  nell'Olimpiade  76  (207J.  Dopo  varia 
vicende, quefta  citta,  la  quale,  come  oflerva  Strabene,  fu  co* 
iiretta  dalla  propria  debolezza,  frutto  della  intemperanza,  eoa 
cui  aveva  latto  ufo  dalla  primiera  profperìta  ,  ad  implorar 
continuamente  forze  (traniere,  per  ferv'ir  fempre  a  vincitrice 
ovin;a,\n  ridotta  i<\  coijnia  Ro.nana  (208),  e  cosi  godè  al- 
meno di  qusiia  tranquillità ,  che  nella  lua  grandezza  non  ave. 
va  fapuio  proccurarli  (2op;. 

JEravì    nella    region  Tarantina  il  luogo    detto  Saiyrion  da' 
Greci  (2io)iche  venne  indicato  dall'oracolo  a  Faianto  dedut- 
tore  detla  colonia  Spartana, quando  fé  gl'iigiunfe  di  portarli  a 
Taranto  (zi  1),  e  che  vien  chiamato  S"/j/«n<^  da  Virgilio  (212). 
Il  fi  urne  Galelb  tanto  celebrato  dagli  antichi  per  la  Tua  ameni- 
tk,  e  per  la  fertilità  de' campi ,  che   irrigava  (213),  come  ancora 
per  le  greggi, che  vi  pafcevano  all'intorno  (2  14), e  che  dava- 
no 1»  rinomata  lana  Tarantina  (21  5),  era,  come  fifa, non  lun- 
gi da  Taranto  verlo  la  Lucania.  In  memoria  dell'antica  loro 
origine.  Spartana,  i  Tarantini  diedero  al  lor  Galefo  il  noms 
di  Eurota  (2i5).  Altri  nomi  fimili  ricordavano  la  loro  difcen» 
den/a  dagli  Spirtani,  anche  quando  nulla  più  rimafe  loro  del*. 
Ja  fe.'erità  da'  coftumi  di  que'loro  celebri  progenitori  (217). 
11   redo  della  Japigia  al  di  là  di  Taranto  fino  al   promoa* 
torio  Salentioo  ,  quantunque  altra  volta  ,    fecondo  Strabone, 
foffe  fiorito  per  la  moltitudine  degli  abitatori ,  ed  aveffe  ava- 
te  tredici  città  ^  delle  quali  ignoriamo   adeffo  anche  ì  nomi,. 
pure  era  pi  talmente  decaduto  ,  che  non  raoflrava  pi  ij,  fé  non 
■che  pochi  paefetti.Ua  tempio  di   Minerva,  e  lo  fcoglio  detto 
ultima  Japigia  ,  olrra  le  piccole  citta  di  Veretum  e  di  L:uca^  fono 
k  fole  cole,  di  cui  quel  geografoabbia  fatta  menziona  (218). 
Jncontravanf»  però  fui  lido  ancora  U  Città  Greca  detta  Calllpo- 

ii5 


3o"S 
lls  rammentata  da  Pomponio  Mela  (2Tp),e  da  Plinio  (220. 
Il  Mazzocchi  (211)  inoltre  pende  ad  allegnare  ancora  alla  M. 
Grecia  gli  altri  luoghi  mediterranei  del  promontorio  Salenti* 
DO, come  Rudiae  patria  del  Poeta  Ennio  (222) ,  Manduria  ,  So* 
Jetum,  che  fi  crede  eflfere  la  Valentia  di  Stefano,  Neretum  , 
Bavota,  Valeotlum,  Uxentum  (223),  Baris  detto  poi  Vere- 
tutxi,come  anche  la  pìccola  citià  di  Leuca,che  fi  rimirava  prefla 
al  promontorio  S^leniino,  da  cui  chiudevafi  il  golfo  Taren» 
tino  ,  ugualmente  che  la  regione  ,  alla  quale  come  ci  lufin- 
ghìamo  aver  provato  abbadaoza  ,  diedero  propriamente  gli 
antichi  il  nome  di  Magna  Grecia. 


Tom.ll.  ^p  AN; 


/ 


Sòf 
ANNOTAZIONI. 


ti)  Nell'opera  intitolata.-  Siàlia  &  M,  Craecìa  ex  antìgu'it  numismi' 
ìibus . 

(ì)  N?l  ir.  volume  degli  opuscoli  accademici  di  questo  eh.  letterato  pa^: 
5,  iti/q.  e  spesso  altrove. 

(^)  Veggall  l'eccellente  commentario  sulle  Tavole  di  "Exide^  tom.  i.  prodr, 
Diair.   ì.  pag.  9.  J'et/q. 

(4)  Ovili.  Ftifln,:  lib.  IV.  V.  67.  seyi^.  J astia,  hioor.  lib.  XX. 

(5}  ierv.  ad  Virgil.  j^eneid.  lib.  J.  v.  57:;.  Livio  chiama  oiram  Grate»" 
rum  inferi  rmris  quel  tratto  che  cominciando  da  Turio  si  estende  fino  « 
Napoli,  ed  a  Cuma^   H'sfor.  lib.  IX.  cap.    19. 

(6-  Fumo  nome  della  Città  Greca  che  venne  poi  detta  SinueJJa  da' col o« 
ni  Romani   V.  Liv.  h Jìor.  lib.  X.  cap.  zi. 

(7  li  solo  nome  di  questa  Citri  Aj-xai»  (  cubitus  )  ne  prova  l'  or  igine 
greca,  confermata  ancora  dall' au'orita  di  Strabene  Geo^r.  lib.  V.  pig-  232. 
idit.  Bj/lltiie  1549»  ch^'è  quella  che  ho  avuta  alla  mano'nello  'fcrivere  il  pre- 
fente  i'^^'^/o  ,  e  che   >errà  Tempre  in  elTo  citata-. 

(8)  Hisror.  lib.   XXXI.  c^p.  7. 

(9)  Histor.   ìiatu.:    lib.   III.  cap.  '5. 

(io)  Riiior.  ìiatut.  lib.  IH.  cap.    io.  x 

(il)  Geogr.   lib.   IH.  p.   m.    146.  Gr   l6u 

(ij)  yld  Tab.  Heract.  p.:g.    id. 

(jj)   Di  stcundo  ìellu  pitnico  'lib.  XI.  v.  20.  &  ftqq. 

(14)   .'ìd   Tal:    Heracl.   1.   e. 

(i";)  ^ttp-xìi^oviti  fiiv  yttp  ^ix  tii^  Tp-t^tvt    <r<tuTn<  iraria'y^pitu.x   rns  (ity  X«l»w^ 

T.i-  •  TapavTiVit  yap  lu^tas  ivij^iipt'^oi'  wjTW  '  Apyupi'wn-efjoi  i'i  y.eet  K.aTvatar 
TivK  txciKouv  TOf  AnilScif  0(3"eK3it«i  ■wa.'Ttf  «Ti/jMiro/  n^ii  TiTt  wpo;  K«/>;n»- 
S'oi'iyji  .   X.   T.   \.   Hisiiit,  Iti.    III.   Cip.    110. 

1(5}  n^paKiu!  in  lui)i:>o  di  •■?«>.«.«; .  Q:ie''a  lezione  è  confermata  ancor* 
di' luoghi  di  Lwio  e  di  Silio  che  citeremo  fra  poco,  de' quali  il  primo  par- 
la di  ora  Graecorum  ,  e  i»  altro  ram  n^nta  orj'W  vado/ì  litto^'s  .7««  !oinJui- 
tur  curvata  profnrilo  .  N  )n  olo  d.'ci'i-.'r-'  '"?  in  v?c^  di  irapttKiit!  o  "TaXaius 
non  fia  forfè  più  probabile  leggere  lT«\i«f  in  P.i'ibio  ;  allora  quello  ito- 
rico  non  altro  direbbe  fé  non  che  Annibale  fi  refe  padrone  di  quafi  tutti 
il  reflo  deir  fiaiia  e  de'.' a   M.   Grecia-. 

(17)  Hiflor.   lib.   XXII.  cip.   61.  in  fine. 

(lii)  r)t  fecundo  bello  ptriiio  lib.   XI.  v.   r.  ad  24. 

(19)  Ad  Tab.    Heracl.  p.    «  >.   14.  vot,    ij.    I^ 

izo.i  Hifìor.  lib.  XX.  init.  Q;jeiìo  irtorico  dopo  aver  ivi  detto  che  ì  Greci 
7ion  p/irtem  ,fed  univirfam  ferme  Italiani . . .  nccnpaverani ,  foggiugne  ,  namqiie 
Tufciirum  populi ,    qhÌ  tram  Inferi  maris  poji  leu ,    a  Lydia   vtfterunt  ;    & 

*  Vf 


Ìo8  . 

Veneti,  'juos  incoìas  fnper't  marìs  v'idtmuf ,  capta  &  eìtpugnata  Trefa,  Ari' 
tenore  duce-,  mifit  :  ^dria  quoque  ,  lltyrko  mari  proxima  ,  guae  &  adria- 
tico mari  nomen  dedita  Graeca  urbs  e/1:  ^rpos  iJiomedes  ,  exci/o  Ilio,  & 
naufragio  in  ea  loca  delatus ,  condidit  .  Sed  &  Pifae  in  Liguribus  Graecos 
suBores  habent  :  &  in  Tufcis  Targitinii  a  Tiejfalis  &  Spinambris  ;  '  Fé- 
rufini  quoque  originem  ab  Achaeis  ducunt  •  Quid  Caeren  urbem  dicam  ?  Quid 
Latiios  popnlo!  qui  ab  -Aeaea  conditi  videntur  .  J am  Falifci  ,  Nola») ,  med- 
iani, nome  Cbalcidenfiumt  coloni  futtì  Quid  traBus  omnis  Campaniae^ 
Quid  Bruttò  Sabi'iique  >  Quid  Samnites  ?  Qitid  Tarentiniì  qiios  Lacedaemo- 
ne  profeBos  ,  fpuriofque  vacata  accepimus  ?  T hurirjorum  urbem  condidijfe  c'hi- 
ioBntem  ferunt  ,  ibiqtie  adhuc  rno-iumentunt  ejiis  vifitur  ,  &  Herculis  fagit- 
tae  In  Apt)Hinis  tenplo,  quae  fatum  Trojae  fiteri .  Meiapontini  quoque  in 
tempio  Minervae  ferramenta ,  qu'ibis  Epeus  ,  a  quo  conditi  funt  ,equttrnTra- 
■janum  fabricavit  ,  oflemant .  Fropttr  quod  omiis  illa  pars  Italiat  M.  Gr^f 
tia  appellata  efì  , 

(21)  Querta  giulla    olTervaiione  sfuggita    alP  acume    del  Mazzocchi  fi  de- 
ire  al   nolfto  Cav.    Rogadei   nella  Tua   ]ialia  -Cijliberina  pag.   35";. 

(22)  Detpnrfuph.  lih,  XII,  cip.  5.  Otrx  ùXiyov  S'i  irpo!  Tiiv  Tpvjiiiy  xoK  thv 
*vS'(Uf/.ofiay  ryj  ^rujiwxvTas  tùutou  x^iftar»?  ■j{rfi  ro  ir>^tihf  lyinTO  Tuv  tti'Spioirteit , 
«(0  A31  NltyaAit  E'>.\«s  ix.\iiSii  tramai  3-^iì'oi/  li  xctTX  Titv  1tx\icii>  jcaroiXHin; . 
Quelle  paroìe  di  Ateneo  ci  danno  pure  a  mio  credere  laverà  ragione  delP  epi- 
teto Magna  accordato  alla  Grecia  Italica  .  Molti  alta  fragli  antichi  ricono- 
fcono  pure  con  (ju^>(ìo  nome  indicata  o  la  potenia  o  lo  fplendor  della  re- 
gione, cui  venne  dato;  ma  nell'uno,  a  mio  credere  ,  pub  farci  opinare  eh' effo 
abbia  relazione  alla  eftenfione  di  ella.  Farmi  dunque  che  il  Maziocchi  ab- 
bia torto  di  creare  una  Mi'?or  o  parva  Gr.Tscia  per  opporla  alla  Miijor  ed 
alla  Magna.  Se  qiie'ia  Grecia  mi'iore  avefle  mai  avuta  ehilenza  ,  gli  .antichi 
ce  ne  avrebbero  licuraraenre  parlato  qualche  voha  .  In  talune  edizioni  dì 
Plaiito  fi  trova  a  vero  dire  rammentata  una  Graecia  parva  nel  v.  5«.  del- 
la leena  6.  dell'atto  II.  AA  Truculentus y  ma  quella  lezione  è  ÌDcerti(Ii- 
ma  ,  e  probabi.'minte  guaita,  e  d'altra  parte  nulla  vi  è  che  pruovi  che  il 
Coinico  abbia  ivi  ras^ionaro  di  una  regione  Itilica  .  Del  rello  é  così  lungi 
«al  vero  che  1' enitetó  di  Magna  debba  necelTariamen  te  includere  una  idea  di 
C' mparazionejch'eflo  venne  accordato  indilli  ntamenje  pure  alla  Grecia  Orieo- 
l>ie.  Eurip.  M>,1.  V.  440. 

Bt/Jzy.E»  opvMt  xapi<  ,  ouS'i'r'  tuS'ac 

lEf.Kah  T«  MhFAAA/  /Kiftvs/ . 
e  Troad.  V.  414.  , 

A'Jiryauoi/  itia^i!  i\af 

Ea\«^  Tf  MEr  ìAAi. 
Ifocrnre  dicea   parlafido    dei^^li    Aten'e'ì:    itìWxì  tnXiK    tp'ìxxnpx    tìi<    vmipou 
tjji  (ttyxXxi   fxTisav  ,     /ffi  t^u;  fj.ir  jlaplìa-o'j;  ninTiiJxr    atro  Tm    6xX*oa)i!  ^     tovs 
«s    b.>-\:!;ii;   ti'iyx^my    iy    Tpowoy   S'ijixrjyTH    Txt  auTar   trarp'^xs     /^  irpos  oJ«    TJ» 

ytliiJVTts  M-^r.iAHN  7>it  EAAAAi-l  vn'/tnw .  {Fanathen.  p.  m.  I2ó.  127.  ) 


'50> 

£'  chiaro  Rur  da  quello  luogo  che  la  voce  Mij^x»   iet  ìitfiiderfi  della  fio- 
lidez^a  interna  ,  e  del  valor  militare  • 
(23 J  yld  Tao.  Heracl.  pag.    14.  not,    IJ. 
(Z4)  Fafior.   ìib,  JK  v.  tj.  feqq. 
(25)   Vtnirat   E.vandtr  piena  rum  clajft  fuornm  ^ 
yenerat  ^JlcidfS  ,  (jrajus  utettjue  ginut  . 
fio/pes  ^ventinis  armfntum  pavìt  in  herbit 
Cìaviger  ,  ('H'   tan'o  ift  .■bibula  pota  dco. 
Dmx  quoque  Narysiur  ,  tt/les  i-aelhì/gonef  extant  f 

Et  qiiod  adhuc  Circes  nomina  lirruT  habet  % 
Et  fi^m   Telegoiì  ,  fjm  moe'iia  T'iiuris  udì 
Stabant  ,  ^^r^olicae  quae  pofuere  manus . 
Venerai  ^trìAte  fitis  a^ìtiitus   Haìffus  y 
A  quo  fé  d'iBam  terra   Faìifca  puta;  % 
^djice  Trojanae  (uaforem  Ante'^ora   pacis , 

Et  generum  OeiuUn  ,    -Ipp'ile    Oaune  ,   tuum  i 
Seriis  ab  Ilinc'is  ,   Ù"  polì  Ànrenara ,  fiammis 
:  .éitulit  Aentas  t>ì  Inra  vn/lra    Oem  ; 

Hu}us  e-at  Solvmu!  Phry^ia  conft  unur  ab  Idt  ^ 
A  quo  Sulmonìs  moenì»  nomen  hjbeTit . 
(2Ó)  Confoìar.  ad  Hehyam, 
iz?)  V.  Jlhjor  Graectit  . 
(28)  yid  l^irqil.  y7e>ii;d.  Hi.   T.  V.   <:7?. 

(2C/Ì  Ad.  GtoiP.  Uh.  Jt'.  V.  118.  E  Tjranfo  nella  Puglia  Ad  Jeneid. 
prcl.  e   Pete.'i.i   in  Calabria   ^;/r/  Aene'td.  ìib.   ìli.  v.  402.   C^c. 

(jo)  I  Gramatici  do' bafTi  remoi  avevano  una  iJea  così  falfa  della  M. 
Grecia,  che  Stefano  ha  accordato  Q>eOo  nome  ad  una  foia  città,  la  q  lale 
ne  era  anche  fuori,  ('ale  a  dire  a  Terina  .  Ex«\«it5  .Te.dic'e^l'  p.irlmJ'  di 
ijuefla  ,  <3U  Mf)a\w  ExA«f  ,  «Se  AtnWunS-ui  ó  Kiy.aVJ!  n>  tji  mpi  irapoifiia»  • 
De  uth.  V.  Tj/.iya.  Anche  Ifidnro  vuol  farci  credere  che  il  nome  di  Mj^"* 
Grecia  fia  llato  anteriore  a  quello  di  Satiirnia  ,  e  di  Lazio;  ìtaiia  olim  a 
Graecis  populis  occupata  ,  Ma^na  Graecia  epoeìlaia  ejì  ;  deinde  a  Re«n  »♦• 
inine  Sa:ii'nia  ,    mnx   fÙT    Lati   m   diRa    rft .    0''p.    ìib.    X7 '".    rn-,     4. 

(?!•  Ex(  tiito-jt:»  »y|wrr5  '  o'i  Ewitra  )  ùcrrt  ti;»-  Miyie\ifr  EKXxta  TavT»» 
(  TtxXix)  )  ixjj.}»  xdi  TKy  "S.iK.iKi»».  Geogr.  Ìib.  V  f.  pan-  244.  lana  Jl  _"<:•' 
creb';e.o  i  Greci,  de  Magni  Grecia  nominaron  quejta  (T  Italia  )  e  la  Sicilia. 
{,•2)  ^d  Dionyf.  perìeP^.  V.  j/>2.  d'ielìo  luogo  è  sfui^gifo  alla  diligen- 
za dei  iVIazzocchi,  quando  nel  fuo  commentario  a'Ie  tavole  di  Eadea  pag. 
17  ba  efaminato:  art  unquam  Sicilia  M.  GrJfciae  ambi  tu  contenta  fue- 
rit  ?  La  maniera  con  cui  quello  dottiflTitio  uomo  fpiega  ivi  le  parole  di 
Strabene  ,  colle  quali  cu  chiaramente  fi  afferma  ,  merita  piì)  di  effere  ain- 
mirata  per  la  fua  acutezza,  che  fepuira  da  uno  fcrittnre  imoarz'ale.  Plaufi- 
bile  però  parmi  la  fpietìazione ,  eh' ei  d'i  ,  di  un  lungo  di  Livio  Hi/lcr.  l'è' 
VII.  cap,  26.  f  in  cui  fctio  il  nora?  di  Craeda  ,  ma  leni»  l'epiteto  di  Ma- 
gna, 


gna,  vieti  intefa  la  Sicilia  ;  II  Marroechi  àweSbe  po<Bfo  Iffuftràr  L^W  3it« 
qhe  con  un  luogo  di  Euripide»  che  molto  prima  di  lui  chiamò  pur  Grecia 
la  Sicilia  : 

_  Cyclop.  V.  796.  Je/.  l-»reno  È'-jdoto  h'fìor.  lìk  VI.  e.  24.  gli  a-mbaTcia- 
dori  Greci  dicono  a  Gelone  •  u'j  S't  ìum/^ios  ri  Kx-tn  .^tyxWs ,  ìi^  i^oipa  roi 
TU!  'EhXaS'os  ouK  tKatx^^n  fJ-irx  tipxwTi  yt  2/x«\i»f  :  Tu  poi  hai  una  grande 
potenza  ,  e  ft;i>iofeg^i  dna  potzion  non  nftnoma  della  Grecia  ,  effendo  princi- 
pe della  Sicilia , 

C55)  De  Orai.  lib.  III.  p.  m.  155.  Vegganfi  ancora  il  lib.  IL  p-m.  122, 
e  le  Tufcul.   III;.   I.  cap.   \6.  lib.   /".  cap.    I.  lib.  V.    eap.  a,,  e  34. 

(?4)  Livio  lo  .ifTerma  colla  più  difiderabile  chiirezza  .•  qumi  (  Pythaga- 
ram  )  Servio  Tullio  regnante  y  Romte  C.  ainftìns  pojì  (  Numam  )  aitnos ^ 
n  ultima  Italiat  ora  circa  Metapon'um  ,  éieracltamtfue  ,  &  Croton em  /uve- 
num  atmulantiiim  Jludia  cactus  -habuiffe  conja: .  Hijìor.  Uh  l.  cap,  i8.  Lu- 
cano pure  nella  l'aa  gietofa  vendita  delUy'f.s,  così  fa  parlar  Mercùrio  del 
comprator  di  P:tagora  :  IraX/MT««,'ia  Zeu  ,  J^^/tsi  <ris  eivui  ,  Tm  «upi  "K/joTunt 
Hi«  "Tapxrrsi  Ast  7HV  Toevrti^WaS'a. 

(55;  Sono  ancor  degne  di  confìde'azione  le  parole  del  Confoìe  Sulplzio 
predo  Livio  hìjìor.  lib.  ^t.t.ip.j.  Nec  Tarentini  modo  ■,  oraque  iUa  Italiae, 
guam  Majorem  Graeciam  vocant  ,  ut  lingua,»  ut  nnmen  Jsqu-A'os  crederes  ; 
fed  Lucanus  &  Bruttius  &  Samnii  a  nobis  deftcerunt .  Lh  M.  Grecia  era 
adunque  una  fola  fpiaggia  dell'Italia  {oh  illa  },  quella  cioè  in  cui  fi  tro- 
vava Taranto  menzionata  in  compagnia  di  elfa  . 

(5Ó)  Cam-fini  more  bilinguis  -  Canufi^i  qmm  ftnt  latin.ie  gentes  ,  a  Dio- 
wede  Gr.jecitatis  parlem  traxerunt,  &  per  iftius  yeqionis  traBur/t  Graeca 
lingua  in  u/u  fuit  ;  unde  ea  parf  Itaìii:  Gr.iecia  Mi^'ia  ditla  fuir  ,  Acron 
ad  Horat,  Sat.  X.  lib.  I.  v.  ?ò.  Vedi  pure  un  fim'le  luogo  dell' altro  fco- 
liaftePorfìrione  tieile  Tab.    Head.   nng.  6\.  not.    <   F/   ) 

_(?7)  H;»  «Té  Toy  TiK  ìruKix!  xara  ny  M.ty!t\iiì/  'EwxS'ct ^Tipt  ^ijii'itv  Aoprtsr^ 
ovra.  y.aKwi^iyiip  ,  (ictvraiv  tevrpov  k.  t.   x. 
DiJTert.  Xll/.  cap.  2.  tom.  I.  p.   250.   Reisk.  • 

(;8)  Jid  Dioinvf,   Perieg.  V.  j6l. 
.    (59)  Hiflo-r.  Uh.  XXXI.  cap.y.  Vedi  fopra  la  nota  ?<•  ' 

<4o)  L^  Italia  avanti  il  dominio  de' Romani  tomo  i.  pag.  241. 
(41)  liid.  pag.  141. 
_  (42)  HiJIor.  lib.  II.  cip.  39.  Dalle  parole  di  Polibio  non  potrebbe  altro 
ritrarfi  fé  n  m  che  Crotone,  Sibari  ,  e  Caulonia  erano  citrà  firuate  nel!a  M. 
Grecia.  O-  tutte  qielle  città  tro  vanii  nel  lato  orientale  della  peni  fola  ,  e 
nulla  dice  Polibio  ,  che  df-bbs  portarci  a  credere  che  jur  le  altre  città  fitua- 
le  nel  lato  occidentale  venilTero  da  lui  nella  M.  Grecia  comprefe. 

Wì)  Perieg.  v.  299.  fegq.  '. 


H  1*  Tritelli  VfiiiTt\it<  ftt».  i(rr  Oimr^i^  j 

Mi^aiTat  Tt  irporipoy   tirif  iux^  ff<tp0ctprjf  ^ 

Atro  rou  SmxTiuaavTOi   ItotKou  to'jvi//.^ 

Aa/iiucu     M-iyahn  <r'   VJTip  v  vpo<   isTiftlU. 

^\Kas  <irp'icra-)0(tijhtax  Tctn  cnroixmis , 

^KKiinyut'  ojv  '7T«px}<x\ccmous  t)(it 

Tlp\ii!  ,   Tfpiytw  irpaToy  k.   v.  \, 
ed  indi  t\  ?6o.  /*/./• 

Mera  Ti)»   Ircthiitr  si/Suf   loiii9<  <S3fac 

KtiTai  ,  xi^KKJiTSf  St  nrpos  Tur  tKrlSoKni^ 

OiMuaw  IcCTTuyts  x,.  T.  \. 
(44)  ^d  Tab.  Heracì.  p.    17. 
(45J   '^j  Tab.  Heracl.  l.  e. 

(46)  Ibid,  pag.    12. 

(47)  Str.-ìbo  Geogr.  liù.VI.  p.i$o.  Notv  Credo  inutile  il  prevenire,  il  lettoà 
re  che  nella  feconda  parte  del  prefente  Saggio  nai  fon  contentato  d'indica- 
re le  citfà  che  ficuramente  fappiamo  edere  Hate  greche,  trafeurando  taluni 
men  nobili  luoghi,  che  probabilmente  non  furono  nnai  occupati  da'"  Greci» 
Quelli  ,  quantunque  fituati  nella  fpiaggia  della  M.  Qrecia,noD  pofTono  venir 
confiderati  a  mio  avvifo ,  come  componenti  quella  illullre  regione  ..  Io  ho 
inoltre  evitato  di  entrare  in  alcuna  difcufllon  topografica.  Simili  ricerche  di- 
mandano un  lavoro  particolare  ,  il  cui  foggetto  elfer  dovrebbe  molto  diver- 
fo  da  quello  che  io  mi  ho  per  ora  propollo. 

(48)  Schol.  Pindari  ad  Olymp.  Od.  X.  tit.  &  v.  17.  &  Od.  XI.  v.  IJ, 
Scymn.  Chius  Perieg.  v.  312.  &  aliì  pajjìm  t, 

(49)  Geogr.   I,   e.  p,   252. 
(^o^   L.  e.  p.    250. 

(51)  Jd  Olymp.  Od.  X.  V.    17. 

(52)  Strabo  Geogr.   Ub.    VL  p.   2^1. 

(55)  V.  Scìin,  pclyhifl.,  tap.  8.  &(.  Seconda  Diodoro  Siculo  h'iflor.rtb.IV^ 
f,  291.  Sylb.  a  preghiera  di  Ercole  le  cicale  del  campo  Regino  furono  in- 
tenamenre  e  per  fempre  diftrutte.  V.  pure  Paufania  El'iac.  poflir.  cap.6.  0V5 
dee  intenderli  del  fiume  Alece  quel  eh'  ei  fcrive  del  fiume  Coecimif , 

(54)  Lh:  hiflor.  lìb.  XXW.  tap.   I. 

(5^)  Ih.  ibidem  . 

(56/   Liv.  l.  e.  lib.  XXVII.  cap.  25. 

(57)  liv.  lib.  XXni.  cap.  26. 

(38)  Jiid..  Uh.  XXIX.  cap.  6, 

(59).  Ibid.  cap.  7. 

(60)  Ibid,  lib.  XXIV.  cap.   j. 

(60   Pe  beilo  Pelopann.  lib.  111.  p.  I40«  Vetheì.^ 
^  (6z)  V.  le  Off'ervar.ioni  /opra  alcuni  luoghi    degli  ./fonali    Crìtico- dìpUmAi 
Vti  del  Regno  di  Napoli ,  del  aio  dott»  amico  Cg»  Cjn,  Macrì  pa^,  i6^  17, 

(6jJ 


(6j)  H}fl„y.  l!&.  XXt:K.  tap.j.     "  ■' 

{64)  Strabo   Geogr.  Hi.   VI.  p.   ;JI. 

(65)   jid  Tao.   fleracl.  pa^.   jo. 

{6b)  Geo^r.  HI)    Ili.  p.   m,  149. 

(67)  Stephan.   v.  KtuKiirJir 

{6S)  Hljior.  lib.   111.   lap.    ioj.  p.   24I.  Vtcltì, 

(69)  Hijìor.  natur.   lib.  HI.  cap.   lo. 

(70)  Eliac.  pojìer.  cap.  6. 

(7O  Var.   kijìor.  lib.  Vili.  cap.  18. 

(72J  .^d  Tab.   Heracl.  l.  e. 

(7j)  Strabo  l.  e.  p.   251.  Scymn.  Perìe^,  v,  317. /Mf. 

<74.)  Virgil.  Aewd.   lib.   111.   "U.   35.-.    " 

(75)  Diodor.  Sicul.  Hi.  XIV.  p.  m.  315.  jtó. 

(7Ó)   Peufnn.    Eliac.  pofler.  cap.   ?. 

(,77;  ili',  iib.  XKVll.  cap.   li.  £5-   i<, 

(78)  Lib.  VI.  pag.  251. 

{79)  Diodor.  Sicul.  lib.  XIV.  pag.  m,  315.  116.  Palyb,  hijìor.  tìb.  I.  caf, 
6.  Polyaeii.  Stratar.  Uh.  V.  in  yigathocìe  n.  5. 

(80)  FompOì.   Mela  lib.   II.   cap.   4. 

Cgi)  Mela  l.  e  Plin.  lib.  III.  cap.  io.  Stephan.  v.'ìAui-ta.  Pomponio  Me- 
la litua  quelle  due  città  nel  golfo  di  Scillacio  ,  ma  quello  geografo  ,  tome 
Io  vedremo  fra  poco,  -ha  confufi  j  due  golfi. 

(82)  Plin.  I.   e. 

(83)  Itaiia  antiqua  Hi.  IV.'  cap,   ij. 

(84)  De  fitit  orbis  lib.  11,  cap,  4. 

(85)  Antonini  Itinerar.  ap.  Cluver.  I.  e, 

(8(5)  Pomp.   Mela  l  e.  Strabo  lib.   VI.  pag,  %<!. 

(87^  Virgil.   Aeneid.  lib.  III.  i).  5  5  3. 

(88)  Strabo  Le. 

<89)  Plin.  hifl.  nat.  Uè,  HI.  cap.  io.  SoUn.  tn,  8,  eS^r, 

(90)  Plin,  ihià.  r»  » 

(91)  Pomp,  Mela  l,  e. 

(92)  Geogr.  lib.  III.  p.  m.  162. 

<95)  Ad  Tab.   Heracl.  pag.   31.  "  '3 

(94)  Plin.  hiftor.  natur.  lib.  III.  cap.   11, 

(95)  Strabo   Geogr.   lib.   VI.  p.    252. 

(96)  Pli„.   hiftor.  natur.   lib.  Ili,  cap,   lo,-i   ....  ..V'-V-X   ■ 

(97)  Strabo  Geogr.  lib.   VI.  p.   252.  ft  A^     .V^"^' 

(P8)  Strabo  ib.  Pompon,  Meta  l'tb.  II.  cap.  4.  fUn.  hìfl-,  nat.  lib.  III. 
cap.   IO.  Ptoìem.  Geogr.  Hb.  III.  p.  m.  149.  èfe. 

{99)  Virgil.  Aeneid.  lib.  TU,  v.  55^,  Ovid.  Metam,  lib.  XV,  w  700. /ef. 
(100)  Ltv.  hjìor.  lib.  XyilV,  cap,  ?.  '       ^  1 

(loi)  Hi/lor,  l.  e.  . 

(102)  Lib.   I.  cap.   8. 

(103)  De  invitte  liù.  IL  csf.  t.  Servio  (  ià  Aen,  lib.  Ili  «.  5 5 2.)  par- 

la 


3n 

la  rmr  di  un  altro  miracolo  :  ut  fi  tjuìt  ferra  in  ttgnla  templi  ipjìus  nomen 
ìncideret  ,  tam  din  ìlla  fcriptura  maieret  ,  guamdiu  is  homo  viverti ,  gui  il- 
lud  fcripfijfer . 

(104)  Flin.  hi/ì.  natur.  Uè,  III.  cap,   10.  Scylax  Perip!.  pag.  io.  Gronov, 

(105)  Flin.  I.  r. 

lic.6)  Bihl.  hìjior.  ìib.  Xìll.  p.  m.   155. 

(ro7J  Ovid.  Metti,  iti).  Xi'.  V.  2z.  feqq,  Dionyf,  perie^.  v.-^6g.fegi/.l{ 
nome  del  fiume  AI2AP02  s' inconiia  nelle  medaglie  d:  argc-nn  e  di  brorto 
di  Crotone  ,  una  delle  quali  è  Hata  ultimamente  pubblicata  dai  eh.  numo- 
grafo  e  mio  illuilre  amico  fìg.  abate  Sinclemenri .  /^.  Muf.  Sanrleì/tent.  tom. 
ì.  pag.  2  5t.  ub.S.  fig.  5'^.  Quella  lìefla  medaglia  eflfte  pure  nella  mia  olle- 
2Ìone  ,  ed  in  quella  del  eh.  letterato  Danefe  (Is.  Federigo  Munter  Vefcovo 
di  Selandia  ,  Cf^m'egli  rteffo  mi  ha  gentilmente  avvertito. 

(108)  /i-j.  hijh<yiib.  XXIi^.  p.  2 li. 

(109)  Ce^if.   lib.   yj.  p.   1^1. 
(11;)   Ii^lij  lib-   t^l   cap.    15. 

(ili)  IdtiU.    ly.  V.  17.  y.  ibi  Scholiafìam, 
(ili)  Mt:.  /.  e.  V.  7,2. 
(11^)  V.   ?20. 

{114)  Metani.  /•  e.  v.  51.  Il  cognome  di  Saleatino  eq'iivale   qui  a  muci- 
di Japige  ,  come  (ì  apprende  da  Strabene, 

(115)  i'traio  Ceogr.  lib.  VI.  p.  i^l. 

(116)  hi,  IL  7f.  V.  19. 
(l  17)  i.  r.  V.   23, 

(riS)  Sii.  hai.  lib.  XJ.  V.   18. 

(119.-'  Ceogr.  lib.   VI.  pag.  25?. 

(iJc)  Veaganfi  intorno  a  ijue  io  famofo  Crotoniata  Strabo  l.  r.  ^.257. 
Paufan.  Eliat.  pojìer.  cap.  14.  yintkol.  Hb.  ili.  cap,  2.  &  pag.  701.  Z*f?. 
Triodo:,  liciti,  lib.  XII  p.  77.  Sylb'irg.  Ae'.ian.  Var,  hift.  lib-  li.  cap.  24. 
&  lib.  XII.  cap,2Z,  Etiflatlì.  ad  Odyjf.  lib.  V.  p.  loC.  ylthei.  Deipnofnph, 
lib.  X.  fjr.  .'.  Ovid.  Metamnr.  lib.  XF.  v.izg.  fei^y.  PhUo/lMr,  vit.jlpoil. 
Uh.  F.  V.l-r.  Maxim,  lib.  IX.  e.  11.  ptrizon.  ad  Aelian.var.  hijì.  lib,  XIV, 
cap.  j,j.  ed  altri  moiri. 

(121)  'ihiocri:   Idyll,  IV.  v.  34.  feqq.  Tzetz.  ChiU  p.  w.  299. 

((2z)   Tzetz.  (-hiliad.  p.  m.  468. 

(125;  Htrcdo!.   h'illor.  lib.   V.  cap.  47. 

(124    V.  Afi'ian.  var.  hijl.  lib.  IX.  e,  31.  ed  altri, 

(12";)  Polyb.  Excerpta  e  lib.  X- 

iìl6)  Juftin.   Uh.  XX. 

ii-Lj    Geo'-r.  lib.  VI.  p.  2^J. 

(128)  l.iv.  h'[t.  lib.  XXÌV.  cap.  7. 

(119)  V.   Diodor.  lib.  XIX.  p.  653.  Sylburg. 

(150)  Id.  Eckg.  p.  m.  S63. 

(>iO  Liviiis  l,  t. 


40 


(Ui) 


3'4 

(«  ,0  TiwKS  l.  e.  &  ni,,  xml.  cap.  30, 

(ij-;)  Ibid.  l'ih,  XXVA  caf.  3. 

(IH    Ibid.  Ut,  KKXiV.  cap.  45, 

(i>"i)   JÌà  Tùb.   Hiracl.  pae.  J2. 

(ijój  Caffand^.  v.  92'.  /f?y. 

(1^7    Srrabq   Ireo^r.  lìb,   l^l.  inìt.  p,   245» 

(lj8.  Calfaiidf,  V.'  gii,  fé jqt 

(159)  Strato  l.  e.  p-^.  205.  SiephiUf  in  Kpnlla^, 

(140)  Steph-in,  in   Kfiiiiatt. 

(141)  Lyto^b',  Cajjarid,  v.  920. 

_  (14.)  Non  bifigna  fondarli  luU' autorità  di  Giovanni  da  Fiore  autore  fofpet- 
tim-n  v;r  rii^i  eh»  riguarda  le  pretefe  medaglie  di  Siberene  coli' epigrafe 
SEBHPHNrf2N  che  non  fi  veggono  in  alcun  m'jfeo.  Inoltra  fé  anche  fof- 
fe  licuro  (;!ie  Sibsrene  fia  Hata  cirta  Greca  ,  Q\h  non  batterebbe  a  pro^rare 
che  efTa  fia  tara  comprefa  nella  M.  Grecia.  Rei^gio ,  Ipponio,  Pofidonia,ed 
altre  citrà  Greche  fenza  alcun  dubbio,  e  molto  più  celebri  jii  Siberenej  q' 
erano  fuori .  , 

C14?)  Geo^r.  Ili.  HI.  pag.  \6z.    Par  che   I,ivio  U  comprenda  fra  Bruzi| 
Hijl.  lib.  XXII.  e.  6,. 

(144)  Hiflor.  natur.  lib.   III.  cap.   io. 

(145)  De  fitit  orb'ts  lib.  II.  cap.  4. 

(146)  lÀJi.  IX.  cap.  8.  V.  pure  Servio  ad  Atn,  lib.  III.  v.  411» 

(147)  HiflorVlìb.  XX^II.  cap.  26. 
<i48)  Liv    hijìor.  lib.  XXII.  cap.  6l. 

(149)  l^aler.   Max.  lib.   VI,  cap.  6. 

(150)  De  bello  Peloponn.  lib.  VII.  p.  514.  Vechel, 

(151)  Bib',  lib.  XII.  p.  85.  Svlb. 

(152)  Italia  antiqua  lib.  IV.  sap.   15. 

(15?)  -untori.  Itine r,  Procop.  Gothic,  lib.  Uh  epud  Cluver.  /t  f. 
(154Ì  Strubo  lib,  VI.  p,  254.  Scymn,  Ci,  perie£.  v,  3J9. 
(iS5)  ^rìflou,  Polit,  lib.  V.  cap.  j.  ) 

(156)  Strabo  Le.  Diodor.  Biblioth.  lib.XU.  p.76.  Sc/tnn.'Cfi.  perìeg.  v.^2. 

(157)  Ovid.  Metam.  lib.  XV.  v.    514.  /ej,  Street    U  f.  Eurìp.  Tfoad.  v> 
324.  /e^^. 

Titr  t'  apiTtuoucotr  J-af, 

Ac  ùi'pcdfei  KxiAiTiuuy 

O'  ^ctrSten  ijfaiT»!'  -TTvpaiuaf 

Kp«9i!  ^ccSixi!  irayceim  rpupat 

'E.'juvì'pov  T    •  Kffi^ay  far  , 
(l-jS)  Falìo^,  lib.  IH.   V.   579.  le.j, 
(fyg)  Herod.   hiflor.  lib.    V.  cap,  45. 

(160)  Hilìor.  lib.  I.  cap.   145.  Pau/an,  Arcad,  eap.  15» 
(lói)  SnabQ  lib.  Vili,  pi^nz. 


(162)  Ovid,  Mttam.  Uè.  XJ^.  v.  714. /rj-.         _  ,     - 

(i6{J  Geoor.  Uh.  FJ.  I'.  i%u.  Veg§alj  ancora  intorno  a  quelìi  due  iiuni 
l'Autore  -Tipi  iaJfietaiaii  aK-r^criisiTu»  ,  p,   i8j.  e4  Ateneo  lìb>yi%  cap,tg^ 

(164)   hijilL  1/.  er^J  finoìi  . 

(161)  /'e  K.  R.  là.  !.  cap.  7.  &  45. 

(10(5)  Oioiior,  Siculi  Ilo.  XII.  p.  76.  Sylb.. 

(lóy)  Cj'eo^r.  Hi.   l/l.  p.   25^. 

(1^8)  ^traba  1,  e.  Diodor.  l.  0  TzUz.  Ch'il,  p,  »»,  299«  d'f.  Ù'e.. 

(  .6'.))    Oiodur.  l,  e.  p,  j6.  77. 

(170)  i'go^r.  ììb,  VI.  p.   2"i4. 

(17')   Hcrod^  hijlor.  Uè.  H.  p.   254. 

{yy.y  nifldor.  iib.  XII.  p.  Ò8.  &  77.  Syìb.  •  Veggafi  la  fplegazìone  della 
ftoria  Sibaritica  del  Walckenaer  pubblicata  nell'edizione  del  trattato  di  Pili'» 
tarco   fie  Sera  Numinis    Vindiila  data    dal  Wyttenbach   pag.  66> 

(17O   O'odor.  lib^  XII.  p,  7-,  78.  79.  Sj/lb^ 

(l?4)    Diodor.   l.  e.  p.  81. 

(17'i)    Li::  hiflor.   Hi:   XX^Il.    cap.   I. 

(176)  liv.  ib.  lib.  XXXW.  tap.  55.  &  ilo.  XXXV.  tap.  9.  Siraio  Cft>£ri 
fìb.  VI.  p.  254, 

(177;  Strabo  l.  e. 

ti78)  Lycoph.  Cajf.  v   950. 

(179)  Strabo  l.  e.  pag,  254,  FTw.  hijì.  ntttur,  libi  III.  cap.  ili 

^ib'o)  Strabo  l.  f, 

(181,   Sirabo  ì.  e.  p.  255, 

(182)  Ptrieges.  v.  525.  Anche  que''a  Pandofia  dovea  edere  fecondo  il  fen» 
timento  di  Scimno  cornprefa  nella  Magna  Grecia.  Un  fol  verfo  di  quel!» 
poeta  contiene  il  nome  di  efTa  e  quello  Hi  Crotone  che  n'era  forfè  la  tne- 
tropjli  (  Met«  iTt  KpiTanat  Ylxrìosiit  t^i  Qnpioi  )e'quelH  inconrranfi  pur  riuniti 
in  una  fola  medaglia  rarllima  pubbiicdta  dal  Pellerin  ,  e  che  efilleva»  quaa-> 
tunque  fconfervata,  nel  Mui'eo  Minervini  in  Napoli, 

ti 8?)  liv.  hijtor.  III.  yill,  cap.   24, 

(184)  In   Pyrrho  p     592. 

(185)  Mazoch.  ad  Tab.  Heracl.  pag.    IC4. 
(181^)   Geogr.  Hb.  VI.  pag.  255. 

(IR7)  Strabo  l.  f, 

(188)  Livius  hijìor.  lib.  XXVII,  cap.  r, 

(189)  Liv,  ib.  C'p.   31. 

(190)  Vedi  fopra   nota  97, 

(191)  .4pud  Strabon,  Geogr,  Hb,  VI.  p.  25 J, 

(192)  Z.  e.  p    2ft8, 

(«95)    Dionyf,   perieg.  v.    ^76.   577. 

(194)  Strabo  I.  r.p,  268.  La  pofìzione  di  Taranto  ^  paidefcrttu  da  Scim* 

ao  perieg.  V.   j?4.   7?S 

(195)  Polyb.  Exc.  Hi,  Vm,  tap.  23. 


(196)  Strabo  Le. 
'(197J  PolyL  l.  e. 
(198,  Georg,  lìb.  IL  'V.    197.  &  fe^f.  &  Uè.   IV.  V.    I  I5. 

(199)  Odar.lib.II.od.ó.&lìb.lU.od.'S.EpiJi.  libfl.ep.j.  &    l6.&c,&c, 

(200)  De  R.  R.  cap.  •J-Ù'  l%i, 

(201)  L'ib.  Xin.  ep.    18. 

(202)  De  R.  R.  lib.  i.  cap.    14. 
(709)  Jriflot.   Fotit,   lib.  ly.  cap.  4. 
(204)   ^otyr.  lib.  II.  Sat.  a- 

(2o'ì;  Noci.  Jttìcar.  lib.  VII.  cap.   16. 
(20Ó)  jlpalog.  p-  m.   5ÓJ. 
■  (207)  Diodor.  Sic.  lib.  XI.  p.  m.  39. 
tzcS)  VelUj.  Patere,  lib.  L 

(209)  Strabo  Geogr.  lib.    VI.  p.  27  r. 

(210)  Stephanus  de  tirbibus  v.  "Sarupm 

(211)  Strabo  l.  e.  p.  z6g. 

(212)  Georg,  lib.  II.  v.  197.  ibìt/.  Servius,  tnm  ad  Georg,  lib.  IV.  v.  5J5' 
Altrove  quefk)  fcoliafle  cita  ii  fentim^nto  di  taluni  che  Credevano  Satyrion 
edere  ilato  1"' antico  nome  di  Taranto,  così  poi  detto  dal  figlio  di  Nettuno 
(  ad  Aen.  lib.  III.  v.  53  I.  ).  Veggalì  il  eh.  Mazzocchi  Jci  Tab.  Heracl.  p. 
92.  e  9>  V.  (4Ó),    , 

(215)  VifPitx  (ìrorg,  IV,   laé.  Propttt.'  Eleg.  Uh.  II.  el.  34. 

(214)  Horaf.  Odar.  lib.  IL  od.  6.  Le  pecore  Tarantine  Ibn  fammentnte 
da  Plauto  Tritati.  aR.IlLfc.  1.  u.  15.  e  da  Varrone  De  R,  R.  lìé.  II.  cap.z. 

(215)  V.  Serv.  ad  Georg,  lìb.  V.  v.  ^^f. 
'  (Uó'l  Poìyb.  Excerpt.   lib.   Vili.  cap.   28. 

(417)  Livius  hqìor.  lib.   XXXVlll.  cap.    17. 

(218)  Lib.  VI.  p.   271.   272. 

Viig)   Defìtu  orb'fs  Uh.  II.  cap,  4. 

(220)  Hifl.  nat.  lib.  Ili,  cap.    li. 

(221)  Ad  Tab-  Heracl.  pag.   34. 

(222)  Strabene  come  avverte  il  Mazzocchi  /.  'c.  la  chiama  città  Greca 
(  (?sj^.-.  /.'i.  VI.p.zji.  )  il  che  per"?)  non  pruiva  che  fìa  <fara  comprefa  nel- 
la M.  Grecia,  fuori  della  quale  eranvi  in  Italia  moltifTime  altre  città  quan- 
tunque Greche. 

(22-;;  ^ueÌ3  città  ha  battuto  in  isffétti  mólte  medaglie  Greche  colla  leg- 
genda O  mAN  ,  quantunque  talune  abbiano  la  nota  latina  S  nel  campo.  V. 
la  D'Ttra  onera  intitolata  Italiae  Veteris  N:!misin<ita  voi.  i.  p./?.  91-.  9'.  La 
rrjedsglia  datn  dal  iVIa/.zccchi  tìo'ffie  di  Manduria  1' ff^^  Tab  Hemcl.  pan.  5-;?.  ) 
nr  n  e*  che  una  medaglia  Romana,  in  cui  Tepierate  RoMANo  era  svanita 
in  pirte  pel  tempo.  Anche  Lei'ca  dev&  a  mio  giudizio  toglierfi  dal  cata- 
logo delle  •  citta  : 'die  Ha  fino  medaglie,  ^uantuoqnf>  que(}é  vengano  ricono- 
fciiite  dal  Combe  (  Muf.  Huiier.  pa§,  172.  )  dall'"  Eckhet  {  Dti&rina  num. 
ver.  tom.  i.  ^a'>.\j.a,.^  e  dal  Mionnet  '  '^e'' r.  ton.  i.pa^.f^  1  La  lorpre- 
tefa  ^'?u^enJa  AETK  non  é  alr^o  che  AEVH  cioè  a  dir  VEAH  retrogrado 
ed  invcrfo,  ed  indica  la  città  di  Velia  nella  Lucaaia. 


INDICE 

DELLE     MEMORIE 

Contenute  nel  presente  volume. 


317 


Elenco  degli  Accademici  del   1812.  p.  iii 

SULLA  SCRITTURA 

Pensiero  di  Pietro  Napoli-Signorelli  t 

Epoca  dell'arrivo  delle  Colonie  Tirreniche  nel- 

rOpicia  27. 

Suir  Invenzione  della  Bussola  Nautica  di  P.  Na^ 

poli-Signorelli  5*^ 

Sul  Gerundio  Francese  di  Alessandro  Petrucci  p$ 

Risoluzione  Analitica  del  Problema  proposto  da 

Pappo  di   Pasquale  Navarro  m 

Sulle  Medaglie  attribuite  aTerone,ed  altre  del- 
la Città  di  Tc^rina  di   F.   M.  Avellino  i2p 

Analisi  e  Sintesi  dell'Acqua  Sulfurea  di  Napoli 

di  Francesco  Lancellotti  15^ 

Lezione  Economica  coronata  su  di  un  Program- 
ma pel  Concorso  Economico  di  P.  Napoli- 
Signorelli  I  <^3 
40                           H 


gi8 

II  Memoria   approvata   per    V  istesso    Concorso 

del   Duca  Cesare  della  Valle  di  Ventignano   ^pI 

III  Memoria  approvata  pel  medesimo  Concorso 

di    Vincenz;o  de   Ritis  2ii 

Soluzioni  Analitiche  sul  Problema  delle  Quattro 

Sfere  col  metodo  delle  Coordinate  di  f.P, 

Tucci  257 

Saggio  sull'Estensione   della    Magna   Grecia,    e 

sulle   Città   in   essa   comprese  dei  Cav,  F. 

M,  Avellino  zH 


INDICE 

DELLE    MEMORIE 

Contenute  nel  prefente  volume  « 

Eleùco  degli  Accademici  del   i!l(i.  p<>  Itt 

SULLA  SCRITTURA 

Penfiero  di  Pietro  Nipoli-Sigaorelli  X 

Epoca  dell'arrivo  delle  Colonie  Tirreniche  nell'Opicia     17 

Suir  luvonzione  della  Bussola  Nautica  di  P.  Napoli -Sig-)0- 
relli  51 

Sul  G.TunJi*  Frjncese  di  Alessandro     Petrucci  ^5 

Elogio  detto  da  Pietro  Napoli- Sìgoorelli  pel  defunto  Segre- 
tario de  Muro  lij 

Discorso  del  Socio  Ottavio  Colecchi  in  morte  ài  Vincenzo 
Gaetani  125 

Sulle  Medaglie  attribjìte  a  Terone^  ed  altre  d^lla  Città  di 
Terini   di    F.   M.   Avellino  J2J> 

Analisi  e  Sintesi  dell'Acqua  Sulfurei  di  Napoli  dì  Francesco 
Lancellotti  151 

Lezione  Economica  coronata  su  di  un  Programma  pel  Con- 
corso Economico  di   Pietro  NjpO'Ii-Signorelli  163 

li  Memoria  approvata  pir  T  istesso  Concorso  del  Duca  Ce- 
sare della  Vaile  di  Veotìgnano  ipi 

III  Memoria  approvata  pel  medesimo  Concorso  di  Vincen- 
zo de  Ritis  in 

Soluzioni  Analitiche  sul  Problema  delle  Quittró  Sfere  col 
metodo  delle  Coordinate  di   F.  P.  Tucci  257 

Saggio  suir  Estensione  della  M,igna  Grecia,  «  sullfl  Città  m 
essa  comprese  del  Cw.  F.  M.  Avellino  281 


3  3  1  a  1/ 

a  I  H  o  is!  I  a  a 

.•C;,j!.7    il.,:",    7  ■.•O 


:n  4} 


AiiUTTlx;^^:  AJJU2 


1                         .<• 

fìc,tV  cv 

r.                           ;J:Jnyii''- 

•   stisL'  Oi» 

-C'>^<«   ■i«||4M     .i'ib      i;wÌJi 

a  «nife 

»? 

j;i                      Ì.:B:19^      0' 

.   r?9ir;.i1  e- 

••'^-2    ci-mÌ   b    Ì5u      Ili»-,,  .. 

oiì9iH  «b  fj 

Ill 

OIUM    93   0' 

rs--  -'• 

:i.«">  ,i;-,o/  ;■  ',  <  ■ 

? 

i' 

:;     .;,i:.,.     _i.,^.'..if. 

V'- 

.I/i  .^  fb  (tiiisT 

ifi  ilioIls;a-J 

■    'J  Is;)  tir.Fr«ì50"!l   re   ih  ùz   ticnmÒD  u-monooa  so  usa J 
^  ji  ilIsidbgi^likqfK  oif5t*i   ib  o^'rrionÒjH  02i03 

->J   MbQ  ifb  UiO^iivO  ozpsr    1  i:q  iitvr,ic,q£  tiiomsM  II 
1^1  oa(n;giio9V  ib  slUV  èli^b  sic? 

•n^^ioiV  ib    òt^o^ccD  CfliusbdOi  \^  cisvo.qqc  eiiumsM   Ut 

)  ìt  iìùh    th    OS 

lo    5T.12  &«7.o5^  st'>')b    *iniIdoi<f  Io»    :r!  ÌJi!sr.A   inrisuIo2 
^^c  u.mT   -^I   .'i   ib  sit-oibìooD  »bbof(.3.-fn 


ERRORI 

COKILEZK 

Pag. 

linea 

8 

15 

fi 

a 

i«J 

30 

che  indica 

indicò 

.93. 

23 

fi 

si 

35 

25 

conflessare 

confessare 

38 

'7 

interpetraca 

interpretata 

^5 

14 

ispangersi 

ispingersi 

63 

I 

Musson 

Buffon 

€6 

7 

Annuali 

Annali 

JO 

«3 

aurum 

avrun 

IQl 

»l 

^lur4? 

e  plurale 

^i^S^'