THE POYAL CANAPA' INSTITUTE
\
ANNO SESTO 1889
ATTI E MEMORIE
DELLA
SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA
E &
STORIA PATRIA ^^d %/Zt^-
Volume V. — Fascicolo i.° b 2.
PARENZO
nilSO LA SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA E STORIA PATRIA
Tip. Gaetano Coana
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SENATO MISTI
COSE DELL'ISTRIA
(Continuazione del fascio, i" e 2°, 1888)
Senato Misti voi. XXX.
Capta.
1361. 3 giugno. — Per la sicurezza della città di Capodistria e di
Castel leone, e per economia non procedtltur ad initlcuduin punctonos nec ad
cavandum cum eis, ma si commetta al podestà che andrà ivi quod f acini omnem
txperientiam quatti poteri! de faciendo cavati ad manus, e perciò si spediscano
navi ed altre cose necessarie ; il podestà poi faccia cavare tisque XX passns
de ilio territorio quod fnit alias eavatum ad videndum si sub eo est plus de ter-
ritorio vel non, et si invenerit quod opus sii utile proceda! in eo, avvisando ciò
che tara (carte 2 tergo).
Quia terrilorium paludis Iustinopolis e talmente aumentato che se non
si provvede circa cavalionem potrebbe risultarne pericolo, i Savi all' Istria
propongono vi si mandino duo ex pitnclonis cavatoriis cum platis
ed altri arnesi, dovendosi scavare circa 800 passi in lunghezza e io almeno
in larghezza.
Capta. — E dicendosi che le porporerie di Capodistria sunl amonile et
devastale ita quod devono essere escavate, si ordina al podestà di farle esca-
vare sicché le barche di guardia alla terra passini ire circumcirca ierram cum
omni qua, come in addietro, et quia in aliqno loco sunt nimis prope terram,
reduci debcant extra ad latus maris sicut erant prima (carte 2 tergo).
1361. 8 giugno. — Si delibera di assoldare, e spedire a Capodistna,
al più presto, due comestabiles boni et sufficiente cum pagis XX il mese per
ciascuno, et quia tales comestabiles cum dictis pagis possunt
ad soldum solitimi, habere debeant dicti soldati soldandi libras XV in mense
prò quolibet, et comestabiles predicti sint cum postis ex et uno Roncino prò quo
habere debeant libras MI in mense, et de aliis soldatis postea providebitur
(carte 5 tergo).
Si vieta al capitano di Grisignana di far lavori in quel castello ; potrà
conservare la calce che ha e quella che trarrà dalla fornace che fece fare,
ed anche venderla agi' istriani sudditi di Venezia (carte 5 tergo).
1361. 28 giugno. — Si concede ad Antonio Zucharino di Pirano di
condurre in quella terra le rendite dei beni di sua moglie nel distretto di
Emonia (carte 6).
1361. 5 luglio. — In premio dei lunghi servigi prestati da Maranfege,
ora fatto vecchio, gli si accorda il soldum unius poste equestris in S. Lau-
renzio senza obbligo di servizio effettivo (carte 7).
1361. 5 luglio. — Si ordina al capitano Riperie Istrie di far visitare di
frequente da uno dei suoi legni la città di Pola, e di andarvi egli stesso
se la sicurezza di quella terra il richiedesse; altrettanto faccia per Capodistria,
e per tutte le altre terre di quella provincia se avesse sentore che ne fosse
minacciata la sicurezza (carte 7 tergo).
1361. 22 luglio. — I connestabili destinati a Capodistria ultra sex postas
specificatas habere debeant unam postam mortaam per ciascuno (carte 9 tergo).
In premio dei lunghi servigi prestati da Antonio de Cortusiis, gli si
concede unam postam equestrem in S. Lorenzo (carte 9 tergo).
1361. 25 luglio. — Si risponda ad ambasciatori del comune di Trieste
quod de novitate strate quaw dicunt fecisse homines Iiistìnopolis, non cognoscimus
nec cognoscere possutnus quod sit super territorio suo, ymo dicitur, et sic habuimns
quod sit super territorio Comilis Goricie partim, et partim super territorio Iustì-
nopolis, ac distai a quadam ecclesia S. Vetri de Madroso tre o quattro miglia,
la qual chiesa benché paghi censo al vescovo di Trieste, sorge nel territorio
del conte, onde Trieste non ha ragione di lagnarsi, poiché quello che gli
uomini di Capodistria faciunt in dieta strafa lo fanno per proprio comodo
come fanno e farebbero i triestini nelle loro faccende. Però, non volendo
Venezia molestare i vicini, se gli ambasciatori potranno dimostrare che Trieste
abbia giurisdizione in ipsa strafa si provvederà quod nulla fiet navitas inusitata
per nostros ; si invitano però efficacitcr gli ambasciatori stessi a far che i trie-
stini si astengano da qualsiasi novità o molestia a danno dei sudditi veneti
di Capodistria, me in dieta stinta seti atiis pei ipsam tranietmtibus, quoti nullo
modo id pati possinuis (carte u).
Avendo il Conte di Gorizia chiesto al capitano di Capodistria licenza
di far passare sue genti per quel territorio, si scrive al podestà medesimo
ed ai rettori di Pirano e d' Isola di dar libero transito ai sudditi d' esso
conte e alle loro cose e merci, trattandoli amichevolmente ; trattone il caso
in cui andassero a' danni d'alcuno, nel quale il transito sarà vietato come
sarà vietato dai detti rettori il passo a genti che volessero offendere il conte
o i suoi (carte 1 1).
1361. 27 luglio. — Si scrive al podestà di Capodistria: Si mandano
colà due bandiere equestri di 20 poste 1' una, connestabili Petoto [?] ultra
montanus e Simone sclavus; il podestà ridurrà le milizie ivi ora esistenti in
due altre bandiere di 20 poste l'ima, e tutte saran pagate a 15 lire il mese
la posta (carte 1 1).
1 36 1 . 31 luglio. — Ad evitare scandali, l'avvogadore inviato a Capo-
distria per procedere contro quel consigliere Luca Caravello per ingiurie
contro il podestà e capitano, potrà obbligare il Caravello a venire a Venezia
davanti la Signoria (carte 1 1 tergo).
1361. 8 agosto. — Licenza a Nanino da Bologna, soldato di cavalleria
in Capodistria, di accompagnare in Terrasanta Marto Soranzo cav. (carte 12).
1361. 9 agosto. — Si scrive al podestA e capitano di Capodistria ac-
consentendo che le bandiere di cavalleria sieno di 25 poste (carte 12 tergo).
1361. 11 settembre. — S'intima a Moreto Tamado capitano del legno
della Riviera dell' Istria di recarsi in giornata al suo ufficio (carte 22).
1361. 19 settembre. — Il podestà di Grisignana faccia riparare il muro
di quel castello, in parte caduto (carte 22 tergo).
1361, 20 settembre. — Licenza a Simone Sciavo, comandante una
bandiera equestre in Capodistria, di venire nel Veneto per 15 giorni, per
prendere la sua famiglia che stava in Treviso (carte 23 tergo).
1361. 21 settembre. — Consultata dai Savi all' Istria la domanda fatta
dal comune d' Isola, di poter riattare a proprie spese ed aprire la strada fra
essa terra e Capodistria ; considerando che ciò sarebbe dannoso a questa
ultima, specialmente per la diminuzione del prodotto dei dazi, e pei guasti
che produrrebbero gli animali nelle vigne circostanti ; si scrive al podestà
ila che circa la strada stessa .non si facciano novità; se è rovinata o
guasta dovrà essere riattata dagli abitanti di Capodistria entro il lor terri-
torio, come offrirono di fare gli ambasciatori di questi ultimi (carte 28 tergo).
Si scrive al capitano di Pola : sospenda l'esazione delle 400 lire dovute
dal comune di Dignano allo Stato ; faccia sapere le condizioni finanziarie
del medesimo, informandosene, se necessario, sul luogo (carte 29).
In seguito a lagni del comune di Pola si ordina a quel conte di vietare
al suo cancelliere di esigere alcunché sul vino ed olio che si esportano da
quella terra, o per le licenze relative, oltre il grosso consueto (carte 29).
Non essendo il vino di Pola paragonabile col riboleo, si delibera che
sia equiparato a quello del Trivigiano pel dazio all' entrata in Venezia, esi-
gendosi su esso 2 due. l'anfora. Il conte di Pola farà registrare la quantità
del vino che si esporterà per Venezia, e lo accompagni con sue licenze.
Quel capitano poi trasmetta alla Signoria un prospetto della quantità di
vino che si trova in Pola, col suo valore, e ciò si faccia anche in seguito
ad ogni vendemmia da quei rettori, i quali esigeranno, da chi ne fa il tras-
porto, malleveria che il liquido è portato a Venezia e non altrove (carte 29).
1361. 6 novembre. — Ad istanza del comune di Parenzo si accorda
al medesimo di esportare da quel territorio l'olio prodottovi, a paesi amici
[restando in facoltà della Signoria di fare eccezioni], alle condizioni già fatte
in simil materia agli abitanti di Pola (carte 30).
1361. 25 ottobre. — Licenza ad Obizzone de' Generdoni, connestabile
di cavalleria in Capodistria, di venire per un mese a Venezia (carte 3 1 tergo).
136 1. 2 novembre. — Non avendo il comune di Montona trovato il
miglio che era obbligato a comperare coi 150 ducati già prestatigli, gli si
accorda, per questa volta, di acquistare frumento, che vale colà soldi 40 lo
staio (carte 32).
1361. 7 novembre. — Si concede a Cristoforo Barbo abitante in Mon-
tona, una delle tre poste pedestri che teneva in quel castello il defunto suo
fratello Domenico. Esso Cristoforo aveva già una posta in proprio (carte 34).
1361. 28 novembre. — Ad istanza di Beatrice vedova del fu Giovanni
Grampa di Capodistria, i beni del quale erano stati sequestrati da quel co-
mune, si ordina al podestà di detta terra di restituire alla mentovata donna
lire 550 sui beni sequestrati, a titolo di restituzione di dote (carte 39).
1361 m. v. 8 gennaio. — Sono eletti Savi all'Istria: Francesco Mo-
rosini Zanacola, Giovanni Priuli, Francesco Caravello e Pantaleone Barbo
— cancellati (carte 49 tergo).
1361 m. v. 22 gennaio. — Si prolunga di due anni il termine ad
consequendum fura sua a Biriola vedova di Guexdini de Sabinis di Capodistria,
anche a nome di Giovanni, Ugone e Sehiavolino suoi figli, davanti al po-
destà di detta città, diritti spettanti ai suddetti come eredi di Sehiavolino
avo di Guecellino (carte 51 tergo).
1361 m. v. 15 gennaio. — Per impedire i contrabbandi di sale che
si commettono in gran numero dagli uomini di Pirano, si ordina: che la
produzione di quella derrata da circa 7000 moggia si ristringa a 5000 Tanno
in quel distretto ; che lo stato acquisti cum ista conditione videlicet quod
quocicns vendetta de eo per illos qui depuialmntur super hoc duri debeat UH cuius
fumi soldo XL. parvorum de modio et vendi ducatis ditobtts almeno ; ogni
proprietario di saline abbia una tessera per salina, ognuna delle quali risponda
per 8 moggia et sic reiterelur tribus vicibus ita quod ultima vice respondeant
ipse iexere prò Villi modiis ; le tessere saranno custodite in apposita cassa
e vi si inscriveranno le vendite del sale, et secundum quod evenerii de sale
vendendo, ita solvaiur ei cuius fuerit dicttts sai vetiditus ; i proprietari potranno
ottenere dai salinieri anticipazioni a prestito sul loro sale, fino a 16 lire
ciascuno, verso malleveria ; il ricavato delle vendite si deporrà in una cassa
di cui il podestà terrà una chiave, l'altra il saliniere ; e ne sarà reso conto
agli Ufficiali alle rason; è proibito di asportar per mare il detto sale tranne
pel Friuli.
Per l'esecuzione di tali cose si nominerà un salinarius in Pirano con
1. 12 di grossi l'anno di stipendio, e soldi XII per l'affitto della casa; esso
dovrà tenere un famiglio a sue spese ; eseguirà le vendite del sale, ne esi-
gerà il prezzo e lo deporrà nella detta cassa ; curerà che la produzione del
sale non ecceda la quantità mentovata ; né venga trasportato altrove.
Nei tre luoghi del distretto di Pirano nei quali si suol levare il sale
si porranno due postaroli per ciascuno con lire 5 di picc. il mese di salario ;
nel luogo detto Fa^olus i postaroli saranno tre, essendovi più facili i con-
trabbandi ; abbiano una barca, e sorveglino.
Si accrescerà di 200 lire di piccoli l'anno lo stipendio al podestà, da
pagarsi col prodotto del sale ; egli terrà 4 servitori di barca, oltre i soliti,
per sorvegliare i contrabbandi di sale ; egli poi resta esente a conducendo
equtwi.
I Piranesi contravventori ai presenti ordini pagheranno il doppio eius
de quo contrafecerint, perdano il diritto di produr sale e le sue saline sian
distrutte; l'accusatore dei correi sia esente da tali pene ed avrà il terzo del
prodotto della pena, il terzo pure avrà qualunque denunziatore.
Tali prescrizioni resteranno in vigore due anni dal giugno venturo in
via di esperimento.
II forestiere che contravvenisse a quanto sopra sarà bandito, oltre la
pena suesposta, da Pirano e distretto in perpetuo, sotto comminatoria di
un anno di carcere ogni volta vi si lasciasse trovare.
Il settimo del prodotto del sale in tutto il distretto che compete al
comune di Pirano, e che si suol vendere all' asta, sarà consegnato al sali-
— 8 -
niere, prò quo septimo poni debeant omni anno tot denatii in commune Pironi
de sale alio vendilo quantum fuit hoc anno incantatimi.
Appena il saliniere da nominarsi sani a Pirano, si farà consegnare tutto
il sale soggetto alla sua gestione.
Quando la quantità del sale prodotto in un anno sorpassasse le 5000
moggia, l'eccedenza sarà portata in conto dell'anno seguente. 11 podestà
farà publicare il divieto a tutti di far saline nuove nel distretto, sotto pena
di L. 100 per contravventore e di distruzione della salina.
Il saliniere condurrà seco uno scrivano con 1. 200 di annuo stipendio,
pagabile sulla cassa del sale ; questo terrà un libro di entrata ed uscita del
sale stesso in corrispondenza coi quaderni del podestà e del saliniere.
Chi esporta sale darà malleveria di riportare entro un mese la prova
che quella derrata fu recata nel luogo dichiarato.
* Proposte di Giovanni Priuli.
Avendo ambasciatori del comune di Pirano esposto quod propter novi-
tates guerrarum que fuerunt in partibus suis, ammalia sua et vinee multipliciler
defecerunt ita quod ipsos opportuit prò substentamento victus sui reducere se ad
jaciendum salinas; et quìa in facto contrabannorum salis multimi habentur su-
specti, libenter vellent quod dominatio talein regulam eis imponeret quod purga-
rentur ab infamia et facta sua cum ordine facere possent ; Giovanni Priuli pro-
pone : Che non si possano levare in Pirano più di 6000 moggia di sale
l'anno, produzione da ripartirsi proporzionalmente su tutte le saline presen-
temente in esercizio, affidandone a quel podestà e al saliniere 1' esazione
regolare e la custodia. — Chiunque avrà sale potrà venderlo purché non
sia esportato per mare che in Friuli, sotto la sorveglianza del podestà e del
saliniere. — Si eleggerà in Maggior Consiglio un saliniere per 2 anni con
lire 13 di grossi l'anno, che terrà due* famigli. — Il sale che si esporta
per mare pagherà il dazio di lire 4 '/, a grossi il moggio da esigersi dal
saliniere e dal socio del podestà. — Il podestà di Pirano condurrà seco un
socio a cui pagherà almeno 4 lire di grossi 1' anno ; prenderà due famigli
[oltre quelli che tiene]. Il socio terrà registro del sale misurato e attenderà
col saliniere all' amministrazione della derrata. — Il podestà e il saliniere
manderanno ogni giorno uno dei loro famigli ad miidam [alla Dogana ?]
per sorvegliare onde non avvengano contrabbandi di sale. — Ambidue, ap-
pena giunti a Pirano, provvederanno alla costruzione di magazzini in legname,
in luogo adatto, per riporvi il sale; alle relative spese provvederà la Signoria,
che sarà rimborsata col prodotto del dazio. — Comminatorie pei contrab-
bandi. — Ognuno dei legni della custodia dell' Istria terrà 8 balestrieri. —
Tali prescrizioni dureranno in vigore due anni, in fine dei quali dovranno
confermarsi o abrogarsi dal Senato.
Per evitare i contrabbandi si eleggeranno 4 uomini per sorvegliare
alle bocche dei fiumi i burchi che vanno in Friuli, ed i postanti, onde non
seguano contrabbandi di sale (carte 57 e 59 tergo).
NB. Queste disposizioni, relative al sale di Pirano, non hanno alcuna
nota che indichi siano state prese ossia deliberate.
1362. 23 aprile. — Spirato il termine assegnato ai Savi all'Istria per
conferire cum illis de Gingia et Pirano e proporre rimedi al contrabbando
del sale in Pirano, si dà eguale incarico ai tre savi da eleggersi per Negro-
ponte (carte 69 tergo).
1362. 30 aprile. — Quia bonum estero novitatibus que videntur sonare
de partibus Alamannk et Foroiulii, quod habeatiir provisis de factis Istrie, vadit
pars quod elligantur tres sapientes, qui secundum nova que habenttir et habe-
buntur in posterum, examinent et provideant de hiis que pertinerent ad conser-
vacionem et bonum terrarnm et locorum nostrorum Istrie, et super omnibus que
sibi viderentur utilia, nobis dent suum consiliutn in scriptis, cum quo eriinus hic,
et fiet sicut videbitur, et quilibet possit ponere partem. Et cum simili libertate
examinent et provideant super ista novitate facta ser Paulo Quirino ambaxatori
nostro retento cum navigio in partibus Sclavonie, et super hoc et aliis factis que
haberemus vel habere possemus in posterum facere cum Rege Hungarie vel cum
terris et locis Sclavonie et aliis partibus intra Culfum, dent nobis suum consilium
in scriptis, cum que similiter erimtts hic, et fiet sicut videbitur, et quilibet possit
ponere partem. Et habeant terminimi usque totum mensem mai) juturum. Et possint
accipi de omni loco, exceptis procitratoribus et patronis et judicibus palatii ac
consulibus, et fiat una manus per Dominum, consiliarios et capita et alie due per
electionem in isto Consilio.
Omnes de parte,
ser Marcus Mauroceno
Elecli sapientes ser Marinus Gradonico
ser Andreas Trivisano
(carte 70 tergo).
1362. 29 maggio. — Licenza a Simeone Sciavo connestabile di caval-
leria in Capodistria, di venire a Venezia e dimorarvi un mese (carte 80).
1362. 4 giugno. — Si risponde ad ambasciatori del podestà e del co-
mune di Muggia : Spiacque alla Signoria 1' udire i fatti derivati dalle que-
stioni [anche con vie di fatto e con danni materiali] vertenti fra essi e il
podestà e gli uomini di Capodistria, s' invitano a far liberare i cittadini di
quest' ultima arrestati dai muggesi, e restituire le loro cose sequestrate, e_
— IO
si esortano a far che simili fatti non si ripetano in avvenire. Si scriverà a
Capodistria in conformità onde sieno liberati i muggesi e restituite le cose
tolte a questi. — [La lettera fu scritta il giorno stesso] (carte 82).
1362. 6 giugno. — Avendo Almerico de Ganzo di Capodistria lasciato
suoi beni a Nicoletta e Bonafede figlie di suo fratello Eleazaro, a condizione
che non si potessero maritare senza il consenso del suo esecutore testa-
mentario Michele de Pahnerio di Francesco del fu Pietro e di Bertolotta
sorella d'esso Almerico; morta ora Bonafede, il de Pahnerio vorrebbe ma-
ritare Nicoletta a Valerio del fu Bernardo de Almerigogna, ma al matrimonio
si oppone un ordine di Marco Soranzo già podestà a Capodistria dichia-
rante dover concorrere al matrimonio della detta fanciulla il consenso d'esso
podestà o de' suoi successori onde non sia data a ribelli. — Ora dietro
istanza della medesima si dichiara ch'ella possa sposarsi a qualsiasi suddito
non ribelle a Venezia (carte 83 tergo).
1362. 9 giugno. — Licenza a Peroto de Valacho, connestabile di caval-
leria in Capodistria, di venire a Venezia e starvi per un mese (carte 84).
1362. 18 giugno. — Si commette al capitano del Pasinatico di definire
al più presto le questioni vertenti fra i comuni di Pola e di Valle, recan-
dosi sui luoghi ed esaminando accuratamente le vertenze.
Il capitano della Riviera dell' Istria accompagni a Torcello i milites et
gentes domini Padue qui iverunt cunt eius sorore Iustinopolim (carte 86 tergo).
1362. 8 luglio. — Ad istanza di ambasciatori del comune di Rovigno,
esaminati i documenti prodotti, uditi i beccai di Venezia, si delibera la revoca
dell' articolo di quello statuto che ordinava non potersi esportar bestie da
quel comune senza pagare 6 denari ogni bestia minuta, ed 1 soldo per bovino,
den. 8 per testa pei porcini, in quanto riguarda i beccai di Venezia i quali
devono poter condurre animali alla dominante senza pagamento di diritto
alcuno al detto comune. — Parte non approvata.
I beccai di Venezia potranno comperare in Rovigno e distretto animali
per uso della dominante; se i detti animali fossero comperati altrove, e
solo di passaggio in Rovigno possano starvi per 5 giorni senza pagamento
di diritti ; restandovi maggior tempo paghino come sopra ; nel rimanente
il detto articolo di statuto resti in vigore (carte 92 tergo).
1362. 20 luglio. — Licenza al podestà e al comune di Capodistria di
procedere alla elezione di arbitri per giudicare questioni relative a territorio
indeterminato col comune di Muggia (carte 95 tergo).
1362. 31 luglio. — Prolungamento di 15 giorni della licenza data a
Simone Schiavo connestabile di cavalleria in Capodistria (carte 97 tergo).
1362. 8 agosto. — Al capitano di Grisignana : Intellectis litteris vestris
II
datis quinto mensis augusti presentis super facto colloquii haliti iuter comitem
Zitte, comitem Pixini, illuni de Losso et alias in dicìis litteris contenlis, qitod
dicebatur esse ad damnum et Jestructionem locorum nosirorum ; gli si ordina di
conferire in proposito col capitano di S. Lorenzo, e riferire alla Signoria,
stando oculatissimo alla sicurezza di quei luoghi. Super jacto autein intro-
mittendi et comburendi biada et fenum suum, non faccia novitatem per non ir-
ritare quei signori ; mano quia putamus totum hoc accidere propter novitates
factas per vos de animalibus subditorum filiorum ser Heurardi Castellai:! in
Pedemonte captis et intromissis per vos, gli si ingiunge di trovar modo, d'ac-
cordo col detto capitano, conconìandi hoc seenni que nostro honori videritis
convenire. In conformità si scrive al capitano di S. Lorenzo, al pod.à e ca-
pitano di Capodistria (carte ioo tergo).
1362. 13 agosto. — Si concede a Marco Semitecolo connestabile di
fanteria in Capodistria di mandare altra persona in piazza colla bandiera in
luogo di esso. Ciò, essendo il Semitecolo devastatus aliquantulum in persona
nella guerra contro il re d' Ungheria, e non trovandosi il podestà presente
Giovanni Dandolo facoltà sufficienti a tale concessione (carte 101).
1362. 18 agosto. — Il consiglio convocato per l'affare del sai di Pirano
si adunerà sabbato venturo, i membri mancanti pagheranno 3 lire (carte
103 tergo).
1362. 20 agosto. — Provvedimenti relativi alla repressione dei con-
trabbandi, ed alla produzione del sale in Pirano — riformati il 3 settembre
(carte 104).
1362. 3 settembre. — La precedente deliberazione è riformata come
segue ; dietro consilium degli ufficiali al Cattaver : Per ovviare ai contrab-
bandi di sale, qui de partibus Istrie vel inde ultra cotidie por tallir cantra banna
nostra, i colpevoli, oltre la perdita delle navi, del sale, e le altre già com-
minate, staranno per due anni in uno carcerimi inferiorum, per la prima volta ;
per le recidive la detta pena sarà raddoppiata e quindi saran banditi dal
paese che abitano. I marinai dei legni contrabbandieri che dessero in mano
alla Signoria i rispettivi patroni, saranno assolti da ogni pena e riceveranno
200 lire, più la metà del legno e del contrabbando ; per la cattura d'altri
marinai avranno 100 lire per testa presentata. Chiunque potrà arrestar con-
trabbandi e contrabbandieri, riceverà la metà di ciò che avrà preso più
le somme summentovate pei patroni e pei marinai. Lo stato si rimborserà
sui beni dei colpevoli del denaro speso pei detti premi ; se quelli nulla
possedessero staranno in prigione finché pagheranno. L'esecuzione di tutto
ciò è affidata agli ufficiali al Cattaver e a tutti i rettori veneti. Essi faranno
publicamente gridare queste disposizioni ogni tre mesi nelle rispettive giù-
12 —
risdizioni. Delle dette pene non si potrà mai far grazia. La Signoria prov-
veder;! ad aumentare le guardie. I Capitana posta rum potranno pur -essi pro-
cedere contro i contrabbandi come gli Uff. al Cattaver (carte 107).
1362. io settembre. — Si scrive al capitano in S. Lorenzo commetten-
dogli: di verificare i fatti attribuiti da ambasciatori del conte Alberto al capi-
tano veneto in Grisignana, d'avere cioè sequestrato alcuni animali del conte;
di sentire esso capitano e di prendere quelle deliberazioni gli parranno del caso
con onor di Venezia, ma evitando di far sorgere scandali. Definirà eziandio
una questione fra il detto capitano di Grisignana e il conte super facto aliquortim
confinium prò quadam seminai ione facta per illos de Bentenegla (carte 108).
1362. io settembre. — Al podestà di Capodistria : In caso che i due
giudici arbitri per le questioni fra quella città e Muggia non potessero ac-
cordarsi nella sentenza, egli sarà terzo arbitro ; ciò dietro preghiera delle
parti. Curerà che la compilazione del compromesso dia appigli a far poi
annullare il verdetto, come già ebbe a succedere (carte 108 tergo).
1362. 25 settembre. — Essendosi Paolo de Ancona civis Poh lagnato
che il conte di Fola [Andrea Loredan] aveva esatto da lui 400 lire in pa-
gamento di pena a cui era stata condannata Caterina moglie di esso Paolo
per aver tentato di avvelenare il marito stesso ; si ordina al detto conte e
a' suoi consiglieri di restituire al querelante la detta somma, non essendo
giusto sia pagata de bonis dotalibus, ma dei propri della donna, e se questa
non ne ha potest eam compellere in personam (carte no tergo).
1362. 6 ottobre. — Naninus de Tiononia è nominato connestabile di
cavalleria in Capodistria in luogo di Peroti de Valach (carte 112).
1362. 9 ottobre — In seguito ad istanza in cui Giovanni Alberto cit-
tadino veneziano abitante in Capodistria esponeva come nel 1353 fosse stata
venduta da Paolo cerdone ivi pure abitante quadam eius vinea sita in Pomo-
grabo [?] cuidam Martino de Vrancho de Monte de Listinopoli suo cognato, alla
quale vendita aveva sottoscritto il podestà Filippo Orio; come quel contratto
per essere fittizio doveva annullarsi, ma non voler a ciò assentire il presente
podestà per rispetto alla firma del suo predecessore ; — si ordina al podestà
medesimo di iniziare la procedura sulla questione e giudicarla senza riguardo
alla detta firma (carte 1 1 2).
1362. 27 ottobre. — Proposta di procedere contro Pietro Bragadin già
podestà a Parenzo inculpatum de septem capitulis commissis in dicto regimine
contra formam sue commissionis (carte 114).
1362. 2 novembre. — Deliberazione di eleggere in Senato tre savi prò
factìs Istrie, Hungarie, Sclavonie con mandato di proporre provvedimenti
super omnibus et singulis spectantibus ad dictas partes (carte 1 14 tergo).
— i3 -
Eletti : Pantaleone Barbo il giovane — Pietro Giustinian fu Bernardo
— Lorenzo Zane (carte 114 tergo).
1362. 24 novembre. — Deliberazione di procedere contro Conte Venier
già podestà a Isola accusato : di aver ingiuriato certa Lucia che non volle
assentire sibi sua figlia Milora; di aver bastonato certo Pentium de Pirauo,
carcerato e condannato a pagar 100 lire; di aver esrorto 100 lire a Nicoletto
de Vitis [o de lutis?]; fatto bastonare fino a morte Georgiani Guercium di
Trieste; bastonato di propria mano quemdam fratrem elemosinarium ; estorto,
a danno di Franceschino de Monsignore, certi beni che dovevano vendersi
all' incanto ; di aver fatto cancellar condanne postquam dederat bachetam suc-
cessori suo ; bastonato di sua mano Giovanni Scalionum, facendolo legare ad
pignam, senza motivo; fatto imprigionare Iacobum Groto [o Greco?] becarium
che chiedeva licenza di condur animali a Venezia, e poi fattolo partire con
tempo burrascoso.
Seguono varie proposte di pene ; è preso :
Il Venier sia bandito in perpetuo da Isola, e suo distretto, sotto pena
di carcere per un anno se vi si lasciasse trovare; ciò per la morte dell'uomo
bastonato. Sia poi escluso in perpetuo da ogni carica di rappresentanza, e
per due anni da ogni ufficio e beneficio in Venezia; paghi 400 lire e re-
stituisca ai condannati le pene percepite dalla sua familia (carte 118 tergo).
1362 m. v. 9 gennaio. — Si delibera di commettere agli ambasciatori
inviati a Roma per la confermazione da parte della S. Sede di Simone da
Venezia, arcidiacono a Capodistria, a vescovo di Cittanova (carte 125).
Quei birri, banditori o cabalarli del podestà di Capodistria, che pre-
senteranno a questo alcun bandito o condannato, e esigeranno qualche pena,
avranno la metà del quarto della pena, l'altra metà del quarto è assegnata
al comune di Capodistria (carte 125).
1362 m. v. 4 febbraio. — Si commette agli ambasciatori di raccoman-
dare al papa e ai cardinali il vescovo e il vescovado di Capodistria (carte 131).
1362 m. v. 23 febbraio. — La Signoria chieda al conte Paolo de Gruppa
e ad Ottone de Squar^enich risarcimento dei danni dati a Michele Tiocho
beccaio veneziano che fu derubato da' sudditi di quei signori ncll' andare
alla fiera di S. Maria de Ga^etis ; si ordina al podestà di Capodistria di pro-
cedere per via di rappresaglia contro quelli di Squar^enich in caso che il
risarcimento non venisse dato (carte 135).
1363. 18 marzo. — Moltiplicandosi oltre misura i contrabbandi tani
per Ripcriam Marchie quam per Riperiam Istrie, si delibera l'elezione di tre
savi in Senato con mandato di proporre rimedi a tale inconveniente.
Eletti: Andrea Trevisan, Pantaleone Barbo e Giovanni Priuli (carte 137).
— 14 —
1363. 20 marzo. — Licenza a Marino Gisi, deputato super porta di Ca-
podistria, di venire a Venezia (carte 137 tergo).
Nicolò Cavazza di Capodistria, decaduto dal diritto di membro di quel
consiglio in virtù di ordine del podestà Marco Soranzo, che n' escludeva
coloro che non v' intervenissero entro tre mesi [e ciò per essere stato esso
Cavazza in servizio militare in Lombardia], sarà riammesso al consiglio stesso
alla prima vacanza (carte 137 tergo).
1363. 8 aprile. — Si conferma per altri due anni l'ufficio di bollare
i recipienti da vino e da olio che si mandano da Capodistria a Venezia a
Nicoletto Gradenigo portolano alla porta di S. Martino in Capodistria (carte
143 tergo).
1363. io aprile. — Onde i capitani delle Riviere della Marca e di quella
dell' Istria. siano persone sufficicntes per combattere il contrabbando, si de-
libera : Saranno eletti per quattro mani di elezioni in Maggior Consiglio ;
resteranno in carica quattro mesi con salario di lire tre di grossi il mese ;
non potranno abbandonar la custodia se non è loro dato il cambio, sotto
pena di 200 lire ; gli ufficiali M'armar provvederanno al pagamento degli
stipendi e ai cambiamenti dei legni e degli equipaggi. I capitani e i corniti
non entreranno per più di un giorno in porti ove non è solito farsi il con-
trabbando ; non dormiranno né mangeranno con alcun rettore in terra, salvo
il caso di malattia o di fortuna, di ordine superiore o altro di necessita,
sotto pena come sopra.
Sopra ogni legno s' imbarcheranno io balestrieri, fra i quali 4 noc-
chieri che sappiano al bisogno esercitare naucleriam, collo stipendio di lire io
di picc. il mese, e siano ben forniti di armi.
I capitani saranno tenuti di spedire tutti i contrabbandi arrestati, fattone
prima l'inventario, agli Ufficiali al Cattaver a Venezia, e saranno respon-
sabili degli ammanchi, come pure ne saranno responsabili coloro cui fu
affidato il trasporto (carte 144 tergo).
Entro un mese, uno dei detti Ufficiali anderà con tre uomini esperti
temptando et scrutando tutti i luoghi delle due riviere ove è solito farsi il
contrabbando, al ritorno proporrà i provvedimenti opportuni.
S' ingiungerà ai rettori delle due riviere di non por più alcuno alla
tortura nelle inquisizioni in materia di contrabbando (carte 145).
1363. 20 aprile. — Le carte della procedura, commessa a Giovanni
Querini già capitano del Pasinatico di S. Lorenzo, nelle questioni per confini
fra Pola e Valle, si trasmettano al presente suo successore con commis-
sione di definire quelle vertenze ; pendente la causa, le parti si asterranno
da qualsiasi atto o novità nei luoghi in questione; il capitano poi abbia
presente i diritti del comune di Venezia nelle ville di Magnolie e Migdulini
(carte 146 tergo).
1363. 20 aprile. — Pene comminate a tutti i deputati alla guardia
contro i contrabbandi che in qualsiasi modo si accordassero coi contrab-
bandieri, o non ne impedissero avvertitamente l'azione (carte 147 tergo).
1363. 27 aprile. — Licenza a Nicolò Rttbeo connestabile di fanteria in
Capodistria di venire a Venezia e starvi un mese (carte 148 tergo).
Senato Misti voi. XXXI.
1363. 20 maggio. — Si scrive al podestà di Cittanova di habere in suis
juribus commendai ttm quel nuovo vescovo Simone (carte 9 tergo).
1363. 20 maggio. — Si commette al Capitano di Grisignana il giu-
dicare questioni di confini fra i comuni di Montona, S. Lorenzo e Parenzo
(carte io tergo).
1363. 20 maggio. — Spirato il termine del compromesso per arbitrato,
di cui è parola nella deliberazione io settembre 1362, né avendo voluto
quelli Capodistria rinnovarlo, quod videlur dare solum procedere ex mala in-
tentione, onde terminare le questioni fra quella città e Muggia si ordina al
podestà della prima di far in modo che il compromesso sia rinnovato nel
modo altra volta prescritto, ed esso podestà [o il suo successore Fantino Mo-
rosini] sia terzo arbitro, e la lite sia finita al più presto (carte io tergo).
J3^3- *7 g'ugno- — Continuando a fiorire il contrabbando nella Ri-
viera dell' Istria, si ordina : Che le bocche di quei fiumi siano custodite da
torri, palate, o catene, come parrà meglio alla Signoria e agli Ufficiali al
Cattaver; fatti i lavori, vi si porranno custodi e barche; all'uopo si assegna
un fondo di 300 ducati d'oro ; i lavori si comincieranno almeno entro un
anno per essere finiti al più presto ; a sorvegliarli saranno eletti due sopra-
stanti ; terminati i lavori resterà un solo legno, quello del capitano, alla
guardia della Riviera.
Il Collegio elesse Micheletto Bon e Lorenzo Giustinian a soprastanti,
con lire 12 di grossi l'anno di stipendio (carte 20 tergo).
Tutte le custodie riperie et postarum dell' Istria e nei reggimenti di Caorle
e di Grado sono commesse all' ufficio del Cattaver ; uno dei membri del
medesimo visiterà ogni quattro mesi la detta Riviera, verificare se tutto vi
è in ordine e pagarvi le persone impiegate, mutarne le inette (carte 21).
Quelli che porteranno riboleum da Muggia o Trieste dovranno accipere
contralti teram dai podestà di Capodistria, Isola o Pirano, dar pieggieria, far
— i6 —
bollare le botti, riportare entro un mese al rettore che rilasciò la prima,
altra contraìitteram degli ufficiali competenti di Venezia provante 1' arrivo
quivi del vino ; chi non adempirà tali pratiche subirà le pene comminate ai
contrabbandieri. Gli ufficiali al Cattaver sono incaricati dell'esecuzione.
Revocata il 22 ottobre (carte 21).
Chiunque porterà ad stimam gradi olio, cacio, vettovaglie e altre merci
dalla Marca, dall' Istria, dalla Schiavonia e da altre parti, dovrà accipere con-
traìitteram dai podestà di Parenzo o di Pirano, o dal conte di Pola, e ri-
portare poi al rettore che rilasciò la prima, altra contraìitteram del conte di
Grado provante l'arrivo in detta città della merce ecc. come sopra (carte 21).
1 363. 17 giugno. — Licenza ad Andrea Gamba connestabile di fan-
teria in Capodistria di venire per 15 giorni a Venezia (carte 21 tergo).
1363. 1 luglio. — Si concede a Tomasino de Ruynis di Reggio, habenti
imam postarti equestrem in Capodistria, di poter porre in suo luogo unum
sufficientem equitatorem ; il de Ruynis al tempo della ribellione di Capodistria
aveva prestato strenui servigi, era stato ferito dai nemici e gli era stato
ucciso il cavallo (carte 23).
1363. 30 luglio. — Maria moglie di Giovanni da Capodistria espone
che suo marito amisit contractam per aver ucciso un uomo, e sui suoi beni
pende il sequestro ; che al tempo della guerra dei genovesi fefellit a duabus
arniatis per cui essa dovette acconsentire alla vendita della maggior parte
de' suoi beni metà dei quali spettavano ad essa, come si usa in Capodistria
nei contratti di nozze; essendole ora rimaste due vineole per unico sosten-
tamento suo e di quattro figlie piccole, chiede le siano assegnate le dette
vigne qual sua competenza dotale. E ciò è accordato (carte 29 tergo).
1363. 12 agosto. — Licenza agli abitanti di Umago di portar per mare
ove vorranno l'olio prodotto nei loro possedimenti, purché non si porti a
nemici di Venezia; ciò alle condizioni prescritte in simil cosa agli uomini
di Pola. Simil grazia è accordata a quelli di Cittanova (carte 3 1 tergo).
Ai medesimi abitanti di Umago si concede di portare a Venezia il vino
prodotto come sopra, pagando due ducati per anfora; ciò alle condizioni
come sopra. Simile a quelli di Cittanova.
Si accorda pure ai medesimi di portare il grano prodotto sui loro beni in
tutte le terre dell' Istria veneta con esenzione da ogni dazio (carte 3 1 tergo).
1363. 20 agosto. — Godendo già da tempo le monache di S. Teodoro
di Pola [in compenso dei danni patiti nella guerra col re di Ungheria] il
diritto di esportare da quella città 6 migliaia d'olio all'anno per tre anni,
e non avendo esse ancora esercitato tal diritto, impedendolo i conti pel
motivo che i beni di quel monastero non davano la quantità concessa ; si
— 17 —
dichiara ferma la concessione anche per olio non prodotto sui beni del
monastero (carte 33).
1363. 17 settembre. — Si ordina al capitano di Capodistria che dopo
il tempo della vendemmia, ordinet et deputet personas habitantes in Iustinopoli
ad publicum onde riparare la publica fontana ; intelligendo quod ad dictum
pubìicum intclligantur tam stipendiarti quam alie quecumque persone habitantes
in Iustinopoli; e venendo l'acqua da lungi, i villici di quel distretto por-
teranno o faranno portare i legnami necessari per la conduttura (carte 40).
1363. 17 settembre. — La Signoria elegge, per mandato del Senato,
Pietro Giustinian e Pantaleone Barbo a savi all' Istria (carte 40 tergo).
1363. 3 ottobre. — Essendo la sede vescovile di Cittanova contesa
da due sedicenti vescovi, uno eletto dal patriarca di Aquileia ed uno dal
papa, si ordina a quel podestà di far custodire le rendite maturantisi del
vescovado dal decano della cattedrale o da altri, che ne sarà responsabile,
fino a questione finita (carte 41).
1363. 5 ottobre. — Si delibera l'elezione di tre savi all'Istria. —
Eletti : Iacopo Dolfin, Orio Pasqualigo e Taddeo Giustinian (carte 44 tergo).
1363. 18 ottobre. — Proposta per l'abolizione dell'obbligo delle con-
trolettere pei portanti riboleum da Muggia e da Trieste. — Non ap-
provata.
Segue annotazione che fu approvata il 22 (carte 42 tergo).
1363. 26 ottobre. — In seguito a notizie di radunamenti di genti sotto
Prem [?], che sono una minaccia per Pola, ora tnnltum desolata gentibus, si
ordina al capitano di S. Lorenzo di mandar tosto in quella città ttnam bonam
banderiam equestrem che vi faccia buona guardia, anche nel distretto, e vi
stia fino a nuovo ordine. Occorrendo poi buona guardia anche nel castello
Mommarani, riattato di recente dai conte veneto in Pola, il detto capitano
col conte provvedano d'accordo all' uopo (carte 43).
I pagatori all'armamento assoldino al più presto due bandiere di fan-
teria da spedirsi in Istria come provvederà la Signoria (carte 43).
Si eleggano due provveditori da spedirsi a Pola al più presto, i quali,
con quel conte, provveggano alla sicurezza di quella città e del distretto
[a maggioranza di voti]. Tutti i rettori dell' Istria, il capitano e i legni della
Riviera saranno posti a loro disposizione per dar loro gli aiuti che doman-
dassero, dovendo però uno dei detti legni restar sempre alla guardia. I
provveditori non s' immischieranno de regimine civitatis. In caso di necessità
uno di loro potrà fare escursioni nella provincia, restando però 1' altro in
Pola. Saranno eletti in Senato, potranno spendere 4 ducati al giorno [fra
tutti e due], avranno tres famulos ab armis ciascuno, un notaio con un servo,
— 18 —
ed un cuoco. Gli eletti partano domenica prossima. — Eletti : Pantaleone
Barbo juniore, che si rifiutò (carte 43 tergo).
1363. 11 novembre. — Si ordina nuova missione della seguente ducale
al podestà di Capodistria, e l'ingiunzione ad esso della sua stretta os-
servanza.
In seguito ad istanza del comune di Muggia, dopo la sentenza arbi-
tramentale pronunziata da Giovanni Dandolo podestà a Capodistria e dagli
altri due giudici circa territorio, que sunt hominum Mugli super districhi Iu-
stinopolis che formarono oggetto della questione, della qual sentenza si in-
chiude copia ; si dichiara che i muggesi aventi territoria nel distretto di
Capodistria, debbano pagare imposte e dazi ut faciunt olii babentes de ipsis
territoriis ; in quanto poi ai territoria di cui si occupa la sentenza, quelli
che son soliti pagare 2 soldi per orna sul vino prodotto, paghino ut dietimi
est, e quelli che non sogliono fare tal pagamento per ora siano lasciati in
pace (carte 45).
1363. 12 novembre. — Gli uomini della galea di Capodistria, que est
quasi disarmata possono esser licenziati, refundendo comuni et aliis de tempore
quo non serviverunt ; quelli che fino ad oggi fefellissent teneantur ad capitale
et penam (carte 45).
1363. 27 novembre. — Si ordina ai consiglieri di Capodistria di non
distribuere nec mutuare de pecunia communis alieni persone neque cambire unum
debitorem prò alio senza il consenso del podestà (carte 46 tergo).
1363. 12 dicembre. — Licenza al capitano del Pasinatico di S. Lorenzo
di accettare d'esser giudice arbitro in questioni per confini fra i comuni di
Pola e di Valle (carte 47 tergo).
1363 m. v. 6 gennaio. — Licenza a Flandria connestabile di fanteria
in Capodistria di venire a Venezia per 15 giorni (carte 49 tergo).
1363 m. v. 9 gennaio. — A richiesta del capitano del Pasinatico la
bandiera di cavalleria già mandata da S. Lorenzo a Pola è richiamata alla
prima sede (carte 50).
1363 m. v. 29 gennaio. — Licenza ad Obizzone degli Arnardoni con-
nestabile di cavalleria in Capodistria di venir per un mese a Venezia (carte 51).
1363 m. v. 15 febbraio. — Si commette al capitano di Grisignana di
assumere precise informazioni, e trasmetterle al Senato, su questioni fra gli
abitanti di Capodistria e di Muggia per sequestri di animali operati da questi
a danno di quelli. Si ordina pure al podestà di Capodistria che ammalia
illorum de Iustinopolis que reperiuntur in eo statu quo sunt ad presens accipi et
reassumi faciat per illos quorum sunt ab illis de Mugla qui ea habent et tenent ;
stimati gli animali, faccia restituire ai muggesi i beni che fece loro seque-
— i9 —
strare. Ciò per essersi quelli di Muggia rimessi al giudizio della Signoria
(carte 52).
1363 m. v. 15 febbraio. — In seguito ad istanza di Francesco quondam
Petri Azpnis di Capodistria, e a relazione di quel podestà, quest' ultimo è
autorizzato a vicedominare una procura e tutti gli altri istrumenti con cui
Costantino fratello del detto petente, domiciliato in Fiume, cedeva al ripe-
tuto Francesco la quarta parte di tre inansi posti nella villa di Figarola,
distretto di Capodistria, posseduti già dal padre dei due (carte 52).
1364. io marzo. — Licenza ad Obizzone degli Arnardoni di prolungare
di un altro mese la sua dimora in Venezia (carte 53 tergo).
1364. 18 marzo. — Non essendosi mai dato mano ai lavori, già or-
dinati, per /adendo cavati ai manum territorium paludis Instinopolis, si ordina
a quel podestà di far procedere per omnem modum a detta escavazionc per
la lunghezza di almeno 800 passi e io di larghezza ; si ordina ai Patroni
all'arsenal di mandar colà 4 burchi dei più leggeri ed istrumenti da scavare.
Il podestà faccia pur escavare certas barenas que Stilli ibi, in modo che al
giungere dei pontoni questi possint jodere sitte obstaculo.
Vista la frequenza dei mercanti in Capodistria, specialmente dopo che
Jacta fuit Ma slrata, pei riparare ad una sentita mancanza, si delibera che
sia eretta in quella città ima sufficiens hostaria, o si prenda all'uopo ad affitto
una casa, come e dove parrà più opportuno al podestà, il quale la darà in
conduzione per 3 anni mediante incanto a persona die presenti sufficiente
guarentigia di buon servizio, e sia cittadina veneta originaria. L'oste dovrà
denunziare ogni sera al podestà le persone ospitate.
Si assegnano lire 500 di picc. al podestà di Capodistria, per sopperire
alle spese di lavori pubblici, per la ricostruzione delle mura e per la for-
tificazione Castri leonis (carte 54 tergo).
1364. 19 marzo. — Francesco Querini, professor sacre pagine e vescovo
di Capodistria è approvato per essere raccomandato alla S. Sede come aspi-
rante al vescovado di Corone (carte 55).
1364. 17 aprile. — Il podestà e capitano di Capodistria procuri di
avere in mano quei sudditi Comitis Georgii de Raspurch che commisero
ruberie in quel territorio, ne faccia la dovuta giustizia e veda di ottenere
dai colpevoli il risarcimento dei danni (carte 57).
Si delibera poi di scrivere alla moglie del detto conte, il quale è assente,
onde faccia restituire le cose rubate, ed impedisca il rinnovarsi di simili
fatti, il che la Republica non sarà per tollerare, poiché al caso userà di mezzi
coercitivi ; che intanto risponda sulle sue intenzioni. Il capitano di Grisignana
sarà incaricato della trasmissione della lettera e della risposta (carte 57).
— 20 —
1364. 14 maggio. — Licenza a Bertuccio Sottili connestabile equestre in
Grisignana perchè possa andare per suoi affari in varie terre dell' Istria, durante
il giugno, facendosi sostituire da suo fratello Assalone (carte 61 tergo).
1364. 18 maggio. — Si ordina al podestà di Capodistria di conservare
i beni del fu Nicolai fratris Cavrete olim filie Iohannis de Verciis finché non
sia cognitum de iure partium provvedendo intanto al vitto della pupilla di
detto Nicolò (carte 62).
1364. 18 maggio. — Ad istanza di Michele figlio di Castellani Mare-
scalchi, e in seguito ad informazioni del podestà di Capodistria, si ordina
la restituzione a costui di una casa edificata, avanti la ribellione della città,
dal padre d' esso Michele su terreno di quel vescovado, ma poi, morto il
padre stesso lasciando i figli minorenni, la casa fu data a Guasparino ma-
rescalco stipendiarlo che tuttavia vi abita (carte 62).
1364. 11 giugno. — Giovanni Giustinian capitano del Pasinatico di
S. Lorenzo è richiamato alla sua sede da Pola ove la sua presenza non è
più necessaria. I soldati in Pola resteranno all'obbedienza del conte (carte 65).
1364. 20 giugno. — Si spedisce a Capodistria, dietro domanda del
podestà, un pontone per quei lavori di scavo (carte 65 tergo).
1364. 20 luglio. — A richiesta del podestà di Montona, avendo il pa-
triarca di Aquileia eletto Leone della Torre a giudice arbitro per la parte
patriarcale nelle questioni confinarie fra i comuni di Montona e di Portole,
si commette al capitano di Grisignana di esser giudice arbitro per la parte
veneta (carte 69 tergo).
1364. 23 luglio. — Si accorda a Lorenzo de' Faganelli capitano alla
porta Buxardaga in Capodistria, che nella ribellione di quella città aveva
perduti i suoi beni, di poter tenere un famulum pagato dallo stato [lire 4
il mese] che lo assista nel suo servizio (carte 71).
1364. 23 luglio. — Riconosciuto insufficiente il presidio di Capodistria,
si delibera la elezione di due connestabili equestres con 25 paghe benefurnitas
per ciascuno ; di scegliere nelle bandiere che sono in quella città due con-
nestabili magis sufficientes riducendo a due le bandiere stesse tutte di uomini
adatti.
Le 15 bandiere di fanteria che sono in Capodistria si ridurranno a io
di 25 paghe V una ; tre d' esse bandiere saranno formate in Venezia, le
altre 7 si costituiranno colle presentemente esistenti in Capodistria (carte
71 tergo).
1364. 22 agosto. — Super factis Istrie si eleggano tre savi, uno dalla
Signoria e due dal Senato, onde propongano provvedimenti per le cose di
quella provincia.
— 21 —
Eletti sapientes : Ser Andreas Lauredano q.m ser Marci
Ser Iohannes Bondemiro [cancellato]
Ser Iohannes Darpino [cancellato]
Expiraverunt Ser Nicolaus superando S.« Marine
[A lato dopo i suddetti]: Ser Petrus Gradonico S. Canciani
Ser Iohannes Bembo filius ser Marci
Ser Petrus Cornano S. Felicis
(carte 74).
1364. 3 settembre. — Licenza ai figli ed eredi dei furono Giovanni e
Nicolò de Verciis di Capodistria di portare in quella città i redditi di loro
beni posti in Pola e nel suo distretto (carte 75).
1364. ié settembre. — Riconosciuta necessaria una più diligente cu-
stodia in Capodistria, si nomina Taddeo de Ecillo di Treviso, uomo provato,
a connestabile con incarico di raccogliere una bandiera equestre di 25 paghe
con 16 lire di picc. il mese per paga (carte 76 tergo).
1364. ié settembre. — Chiedendo il podestà di Capodistria anche 100
fanti per la riforma di quelle bandiere di fanteria, gli si commette di mandare
a Venezia 4 fra i migliori connestabili i quali formino una bandiera ciascuno
di 25 paghe da lire 8 di picc. ciascuna il mese, pei primi due mesi, e lire 6
nei successivi. Giunte queste milizie in Capodistria, quel podestà cxjkrarc
debeat le bandiere di fanteria ivi esistenti, riducendole a io con 250 paghe
complessivamente (carte 77).
1364. 24 settembre. — Licenza a Nichus Rosso connestabile di fanteria
in Capodistria di venire a Venezia per un mese (carte 77 tergo).
1364. 9 ottobre. — Si risponde al capitano di Grisignana che perora
non si permette di far alcun lavoro di riparazione al molino di Gradole
(carte 88 tergo).
1364. 9 novembre. — Avendosi notizie de motu gentium que nuper
descenderunt ad partes Istrie, per assicurare quelle terre, si delibera 1' assol-
damelo di quattro bandiere di fanteria da spedirsi colà (carte 81).
Pei lavori e scavamenti intorno a Castel Leone si delibera d' inviare a
Capodistria due boni viri in talibus experti, i quali studino con quel podestà
i lavori da farsi e il modo di condurli colla maggiore economia, e ritornino
a riferire (carte 81).
1364. 9 novembre. — Avendo Fantino Morosini già podestà e capitano
a Capodistria, in virtù di sentenza dei giudici di Petinon [che aggiudicava
ducati 1 150 sui beni paterni alla moglie di Secondo Avventurado figlia di
Filippo de Mari] venduto all'incanto certe possessioni del de Mari, l'Avven-
turado le acquistò per lire 1850; ma il podestà lo costrinse a restituire gli
— 22 —
istrumenti ai Visdomini fino a che esso Secondo o la moglie provassero de
pecunia recepta si (interior creditor apparerei. Appoggiato però alle leggi in vigore
l'Avventurado chiede che possano servire a guarentigia dei creditori le posses-
sioni acquistate e gli siano restituite le carte. — Il che è accordato (carte 83).
1364. 9 novembre. — Licenza a Nanino da Bologna connestabile c-
questre in Capodistria di andare a Zara a prendere la sua famiglia e le sue
cose, sempre coll'assenso del podestà (carte 83).
1364. 21 novembre. — Per riparazione del molo, delle mura, delle
poste e della riva di Parenzo, si accorda a quel comune un prestito di 400
ducati sulla Camera del frumento, da restituirsi in 4 anni ['/< l'anno] col-
l' interesse solito (carte 84 tergo).
1364 m. v. 7 gennaio. — Quia civitas nostra Iustinopolis que est prin-
cipalis membrum quod habeamus in Istria potest dici conservari per castrwn
leonem quod si conservatur potest dici verisimiliter ipsam civitatem non posse
deficere; si delibera, udito il consiglio di quel podestà e capitano e dei tre
esperti uomini di Chioggia colà spediti : che si scavi per 300 passi a ponente
in modo che si possa approdare al castello senza impedimento.
E poiché la palude che stava presso la città e il castello è in gran parte
rasciutta, e vi si formarono barene, il podestà farà scavar queste ami una
manu vange in modo che l'acqua crescente copra quel terreno e lo mantenga
molle; la terra escavata sia gettata in mare.
Pro obviando monitionibus che si formano presso la città e il castello
propter impetum maris venientis a parte cBoree et invenientis pontem lapidami
et jacere nequeuntis cursutn suum; Vadit pars quod scava^etur et aperiatur dictus
pons a capite pontis lignei che mette dal castello alla città, e dal detto ponte
di pietra accipiantur vias circa XII passus et fiat de Ugno contigue coll'altro
ponte di legno, et in capite dicti pontis lignei versus civitatem fiat dictus pons
da potersi levare di notte verso il castello. Dalla parte Starce in capo al ponte
di legno per cui si esce dal castello, scava%entur de ponte lapideo etiam XII
passus; et totum illud quod scave%abitur fiat de Ugno contigue ami alio ponte
ligneo et in capite ipsius versus Staream si faccia levatoio da quelli del castello ;
così il mare avrà il suo corso.
Il fiumicello che scorre dalla parte di levante al mare, sia condotto dalla
parte di ponente a capite Salinarum sicché scorra nella fossa presso il castello ;
il podestà poi faccia poni mentem de die in die se tal lavoro, che sarà co-
, minciato solo dopo eseguiti i qui sopra, sia veramente utile, sicché si possa
al caso sospendere.
Si manderanno da Venezia o da Chioggia due uomini esperti a so-
printendere ai suddetti lavori (carte 88).
— 23 —
Si ordina V invio di due catene nuove pel pontone essendosi guastate
le vecchie (carte 88 tergo).
Ai tre boni homines di Chioggia, che assistettero il pod.a e capitano di
Capodistria negli studi pei suddescritti lavori, e stettero colà 24 giorni, si
assegnano 15 soldi di grossi per ciascuno.
Il detto pod.» e capit. prenda, colla minor possibile spesa, uno scrivano
per tenere i conti dei lavori ; esso podestà manderà ogni mese i conti alla
Signoria.
Faccia poi riparare il meglio possibile corredoria et manteleti di quella
città; gli saranno spediti, a sua richiesta, i legnami, i ferramenti e ciò che
altro occorresse a tal uopo ; faccia pure riparare le mura nei punti che ne
hanno bisogno.
Avendo poi anche Pola bisogno di essere rafforzata e di riparazioni
alle mura, porte e torri, si delibera la elezione, da farsi dalla Signoria e dal
senato, di un solenne provveditore, il quale recandosi colà studi i bisogni
e riferisca, proponga i lavori, e soprintenda all'esecuzione di quelli che sa-
ranno approvati; pei primi due mesi abbia 200 lire di picc, e 50 per ciascuno
dei successivi, e terrà due famigli, un notaio con un servo, ed un cuoco,
a sue spese ; potrà spendere due ducati al giorno ; le spese di trasporto
saranno a carico dello stato [non presa].
1364. 16 gennaio. — Riproposta la parte della missione del provveditore
a Pola, fu approvata, salvo la misura dell'onorario, stabilita in 20 ducati il
mese pei primi due (carte 88 tergo).
1364 m. v. 12 gennaio. — Cum propter nova sonantia iam bonis diebus,
abbiasi a pensare alla sicurezza dell' Istria ; essendosi già scritto a tutti quei
rettori onde propongano i provvedimenti opportuni, ed avendo vari già
risposto ; si commette a Vittore Pisani, provveditore a Pola che nel ritorno
dalla sua missione colà visiti omnes alias terrai et loca nostra Istrie, confe-
risca con quei rettori e con altri, e faccia fare a spese dei singoli comuni
ea qne comode fieri possent ; dei lavori aus non sunt fienda honeste dai comuni,
e ch'ei troverà necessari, prenda nota e venga a riferirne al più presto al
Senato (carte 91 tergo).
1365. 31 marzo. - Licenza a Franceschino Bomben, connestabile di
cavalleria in Capodistria, di stare assente per un mese per recarsi a Roma a
sciogliere un voto, ponendo in sua vece uno dei suoi due consanguinei che
hanno due poste di cavalleria per ciascuno in detta città (carte 92 tergo).
Si concedono per grazia duas postas equestres in Grisignana a Tiso Lu-
gnano da Capodistria il cui padre fu ucciso nella ribellione di quest'ultima
città dai sollevati (carte 92 tergo).
— 24 -
1365. 22 agosto. - Licenza a Pietro Marcello, capitano a Grisignana,
di spendere 300 lire di picc. sui redditi di quella terra prò laboreriis balla-
torum et belrescarum, et prò reparando fontem et tecturam palatii dicti loci
(carte 108).
Il podestà e eap.n0 di Capodistria paghi a lire 16 il mese le due ban-
diere di cavalleria ultimamente ivi mandate, come si pagano le già ivi stan-
ziate (carte 108).
Si ordina l'invio di 5 migliaia cupporum et tabule joo de taiolo a Ro-
vigno per fare i solai di quelle due torri ; il lavoro sarà fatto da quella
comunità, come consigliò Vittore Pisani ritornato da provveditore (carte 108).
In tutte le commissioni dei rettori dell' Istria si aggiungerà : Sotto
vincolo di giuramento ciascun rettore visiterà ogni tre mesi personalmente
munitiones bladorum, armorum et aliorum de quibus fiunt munii 'iones, e ne
manderanno gì' inventarli alla Signoria che li passerà agli Ufficiali alle rason.
In tali visite i rettori provvederanno alle riparazioni a edilìzi ed altre ne-
cessarie per la buona conservazione delle munizioni (carte 108).
1365. 28 agosto. — Trovandosi da relazioni di Marino Venier pod.
e cap. in Capodistria e dei tre pratici da Chioggia stati colà, dannosa l' in-
troduzione del Fiumicello nelle fosse del Castel Leone, si delibera che quel
corso d'acqua mutetur et conducatur per subtus vìam a Risiano usque in mare
faciendo hoc fieri per publicum [a carico di quel comune e degli abitanti]
(carte 109 tergo).
1365. 5 ottobre. — Licenza ad Andreolo de Margarito e a Matteo de
la Columpna, veneziani, di far trasportare a Muggia per mare una grande
quantità di cerumen da essi acquistato in varie terre dell' Istria, per ivi farlo
lavorare e poi portarlo a Venezia. L' esecuzione è affidata alla sorveglianza
degli Ufficiali al Catta ver (carte 117).
1365. 5 ottobre. — Elezione di Savi all'Istria:
Scr Paulus Marcello
Ser Symon Michael cancellati
Scr Landus Lombardo
Ser Paulus Mauroceno q.»' ser Alexandri [cancellato]
Ser Philippus Dandulo
Scr Iacobus Quirino
Ser Iohannes Dalpino [cancellato]
. Ser Daniel Cornarlo — Ser Victor Trivisano [cancellati]
Ser Zaninus Zane [cancellato]
Ser Marcus 'Barisano die /; septembris 1)67 [cancellato]. — Debcbat
scribi in libro )2 in parte Rogatorum (carte 118),
o
a.
e
3
"Se
<
— 25 —
1365. 12 ottobre. — Approbati fuemnt prò episcopatu Emoniensi. Rev.
pater domimi! Symon episcopus Chisimensis de Veneciis.
Veti, vir D. Marinus Michael cappellano di S. Marco, canonico di Ra-
venna e giurisperito in ius canonico (carte 119 tergo).
1365. 13 ottobre. — Licenza a Taddeo de Eceìlis, connestabile di ca-
valleria in Capodistria, di recarsi per suoi affari a Venezia e a Treviso
(carte 120).
1365. 16 ottobre. — Pro novitatibus et novis gentium che si sanno essere
in partibus Istrie si commette ai due connestabili di fanteria mandati a Ve-
nezia dal pod.à di Capodistria di arruolare 50 uomini per un anno, e di
ritornare al più presto in quella città ; il detto pod.à ripartirà i soldati ar-
ruolati fra le 13 bandiere che sono cola (carte 120).
1365. 18 ottobre. — Si accordano duas postas pedestres in Capodistria
a Tomaso Marasca già connestabile di fanteria in
1365. 26 novembre. — Dovendo, secondo la sentenza già pronunziata
da Giovanni Dandolo, stato pod.à e cap.no a Capodistria, gli abitanti di questa
e quelli di Muggia godere pacificamente i territorii che gli uni possedevano
nel distretto degli altri, territori designati nella sentenza ; si ordina ai ret-
tori di Capodistria di permettere ai Muggesi l'esportazione esente da ogni
dazio del vino e delle uve prodotti nei detti territori, facendo loro restituire
i dazi che già avessero pagato. Le possessioni d' essi muggesi fuori dei
confini stabiliti, e quelle che acquistassero di nuovo nel distretto di Capo-
distria non godranno di alcun privilegio (carte 124 tergo).
1365. 29 novembre. — Si concedono a Lorenzo del fu Adamo de
Londres duas postas equestres, le prime che saranno vacanti in Grisignana
(carte 124 tergo).
1366. 9 maggio. — Avendo il conte di Pola chiesto, per porre un
termine alle ruberie, ai furti ed ai danni che continuamente gli Sciavi com-
mettono in quel territorio, che si rimettesse in essere la bandiera equestre
che vi stava in passato ; si concede allo stesso di arruolare una bandiera di
soldati forestieri, col connestabile nominato dalla Signoria. 12 dei soldati
saranno pagati dai cittadini di Fola, oltre quelli che devono pagare pel Pa-
sinatico di S. Lorenzo; per gli altri 13, due si prendano dal detto Pasinatico,
tre da quello di Grisignana, 5 si paghino riducendo le due bandiere di fan-
teria di Grisignana, gli altri tre col contributo di Montona e Parenzo al
Pasin. di S. Lor.° La detta bandiera starà nel castello di Momarano a di-
sposizione del conte di Pola, il quale la manderà al capitano del Pasinatico
di S. Lorenzo qualunque volta siri domandata a ditesa del paese; e così
pure tutte le milizie che dipendono dal conte. Il capitano manderà le mi-
— 26 —
lizie al conte entro tre giorni. -- Questi provvedimenti dureranno per un
anno, o più (carte 137).
Annotazioni in margine :
1366. 12 settembre. — Si dichiarano esenti gli uomini di Parenzo dal
concorrere al mantenimento dei tre soldati come sopra.
1367. 29 maggio. ■ Disposizione simile alla precedente (carte 137).
1366. 21 maggio. — Licenza a Nicolò Zane nob. veneziano, al quale
erano state date tres postas equestres in Capodistria, di farsi sostituire da
altra persona approvata da quel pod.à e cap.n0; e ciò per un anno (carte 138).
Senato Misti voi. XXXII.
1366. 9 agosto. — Licenza a Pietro Contarini, capitano a Grisignana,
di spendere lire 100 a carico di quel comune in riparazioni al palazzo di
sua residenza (carte 4 tergo).
1366. 16 agosto. — Il 18 agosto 1350 era stato decretato in Senato
che tutti i cittadini veneziani dovessero presentarsi a farsi inscrivere ad
factiones sotto pena di 1. 50 di multa, e di perdita del diritto di cittadinanza.
Donato Grasso cittadino veneziano da più generazioni, abitante a Capodistria
ora, e prima in vari luoghi dell' Istria, e specialmente a Trieste, essendo
assente, non adempì alla detta prescrizione, ma due suoi figli [Nicolò e
Francesco] domiciliati a Capodistria sostennero sempre le gravezze e le fa-
zioni di Venezia. Morti ora i figli, persone interessate si opponevano a che
il Grasso entrasse in possesso della loro successione adducendo aver esso
perduto la cittadinanza Veneta. Il Senato, seguendo il parere del pod.h di
Capodistria, assolve il Grasso da ogni penalità (carte 5).
1366. 17 agosto. — Nicolò Gradenigo portolano ad portam portns S.
Martini di Capodistria è confermato per due anni nell' ufficio di bollatore
dei vasi vinari e da olio che vengono da quella città a Venezia (carte 5).
1366. 29 agosto. — A Manfredino de Casto di Capodistria, a carico
del quale stanno due figli di suo fratello Alberiguccio, morto in Candia in
servizio dello stato qual connestabile di fanteria, viste anche le informazioni
del pod.à e cap.no di detta città, è concesso l' ufficio di unius exquatttor
Iusticiariis Iustinopolis (carte 9 tergo).
, 1366. 13 settembre. — Si delibera la trasmissione al podestà di Pa-
renzo, onde informi in argomento, della seguente :
Giorgio ed Enrico figli del fu Ottone del fu Floriamonte da Parenzo
'^espongono a Lodovico Falier podestà e al consiglio di quella città come
— 27 -
prima della distruzione della medesima ninno in quel distretto poteva tenere
equas, trattone Enrico del fu Floriamonte che aveva facoltà di tenerne 60
con obbligo di risarcirne i danni che facessero e liberti di esportare il grano
lucrato ; che morto Enrico la facoltà fu confermata ad Ottone suddetto, e
dopo la morte di questo, essendo podestà Giannino Zeno, agli esponenti
con istromento rogato dal notaio del pod.à Pietro da Civitavecchia, docu-
mento che a/idò smarrito nella distruzione della città. Ora chiedono che
sia rinnovata la facoltà a loro favore. — Il detto podestà e consiglio con-
cedono quanto è richiesto, e dà licenza ai petenti di andar colle cavalle a
tablare segetes di chiunque ne li chiedesse, e di portare ove volessero il grano
avuto in correspettivo della prestazione. — Ciò fu inscritto nelle Riforma-
gioni di Parenzo il 30 nov. 1365 per mano del notaio Monteforte detto
Francesco da Monclassico (carte 14).
1366. 13 settembre. — A Paolo Fradello, che essendo stipendiarius
equester in S. Lorenzo, andò a servire in Candia al tempo di quella guerra
citm tribiis postis eqitestribus con grave suo danno, saranno concesse le prime
due poste equestre* vacanti nella detta terra di S. Lorenzo (carte 14 tergo).
1366. 15 settembre. — Ad istanza di Giovanni e Pietro figli quondam
Marci aurificis, veneziani, già stipendiarli pedestri in Capodistria, condannati
da quel pod.1 Nicolò Zeno ad esser privati, il primo per uno il secondo
per due anni d'ogni stipendio in detta città, e ciò per rissa con altri loro
commilitoni ; — si accorda per grazia l'assoluzione da detta pena (carte 15).
1366. 19 settembre. — Licenza a Guglielmo Rnbeo contestabili equestri
in Grisignana, di stare a Venezia un mese per suoi affari (carte 16).
1366. 19 settembre. — Alla partecipazione data dal podestà di Capo-
distria delle ruberie commesse in quel distretto per iilum Mcnsperger de Castro
lame, Gcorgium de Planinis et Iohannem de Castro novo ed altri, si risponde :
Mandi nuncios suos agli autori delle scorrerie a reclamare restituzione del
tolto e risarcimento dei danni, con minaccia che in caso di negativa la Si-
gnoria provvederebbe con rappresaglie. Scorso il termine ch'esso assegnerà
al risarcimento, il podestà e tutti i rettori dell'Istria publichino che saran
date 400 marche a chi presenterà, vivo o morto uno dei suddetti (carte 16).
Si aggiunge che se uno o più dei colpevoli ucciderà o consegnerà vivo
un correo, sarà assolto e riceverà la taglia (carte 16 tergo).
1366. 1 ottobre. — Si delibera la elezione di tre Savi all'Istria. —
Eletti :
ser Daniel Cornano [cancellato]
ser lacobus Civrano
ser Petrus Superantio [cancellato]
— 28 -
ser 'Bartholomeus Quirino [cancellato]
ser Aluysius Dalmario [cancellato]
ser Paulus Mauroceno [cancellato] frater ser Albertini
ser Daniel Cornano [cancellato]
ser Marcus Harixano. 1)67 die 15 septembris
ser Andreas Venerio sancte Margarite (carte 18).
1366. 11 ottobre. — Si dà facoltà al pod.à e capitano di Capodistria,
che ne aveva fatto sentire la necessità, sia di ampliare il locum custodie
equestris, sia con un allargamento del presentemente occupato, sia traspor-
tandolo ove stava già in addietro sotto il palazzo vecchio (carte 19).
1366. 18 ottobre. — Dovendo uno dei legni della Riviera dell' Istria
portarsi in Candia, la Signoria provveda a quella custodia (carte 19 tergo).
1366. 16 novembre. — Ad ambasciatori del conte di Gorizia che s'erano
lagnati de gente nostra que equitavit ad damnum Castri novi, si risponde : Es-
sere sempre stata Venezia amica della casa di Gorizia, ed essere ancora, sed
causa istius novitatis processit ex manifesta culpa illorum de Ca tro novo et
suorum compliciuin quia alias pluries et hiis diebus bis exiverunt de Castronovo
et aliunde damnificando et derubando enormiter quelli di Capodistria, et se cum
preda reducendo in castrimi novum et alia loca; e poiché il conte manifestò
il suo dispiacere per l'accaduto, si richiameranno tosto le milizie, ma se lo
prega di far rendere buona giustizia e la roba ai danneggiati, e d'impedire
in avvenire simili fatti (carte 23).
1366. 30 novembre. — Essendo sorte questioni fra il conte di Pisino
e i cittadini di Pola, per la proprietà cuiusdam territorii, si commette al
capitano di S. Lorenzo di scrivere come da sé al detto conte, esortandolo
a non inasprire la contesa, ed offrendosi mediatore per un componimento.
— Intanto esso capitano s' informi come stiano le cose, e, se il conte as-
sente, lo si autorizza a concludere il componimento (carte 25 tergo).
1366. 27 dicembre. — Ad un ambasciatore del conte di Gorizia venuto
prò facto ballarum detentarum per ipsum comitem, si dichiara che se non ha
altro a dire, può andarsene, e che si risponderà per mezzo di ambasciatore
a ciò che espose a nome del suo mittente (carte 28).
1366 m. v. 2 gennaio. — Si delibera la elezione di un ambasciatore al
conte di Gorizia; potrà spendere in tutto 5 due. d'oro il giorno; terrà tre
famigli, un notaio con un servo ed unum marescalcum (carte 28 tergo).
Eletto Pietro Giustinian del fu Marco (carte 28 tergo).
1366 m. v. 5 gennaio. — Il detto ambasciatore, oltre l'assegno fattogli,
potrà spendere 30 due. d'oro in regali ecc. (carte 28 tergo).
1366 m. v. 5 gennaio. — Commissione a Pietro Giustinian. Vada prima
— 29 —
al patriarca di Aquileia, il quale aveva fatto pregare per mezzo di amba-
sciatore [che s' era unito a quello del conte di Gorizia] che fosse levato
P assedio da Castelnuovo, e gli dica : avere Venezia ritirato le sue milizie
da quell' impresa, in grazia d'esso patriarca, quamvis fideles nostri justissimam
et notoriam causarti haberenl damnificandi illos de dicto loco, quia de ilio et aliis
locis pluries exiverant predones qui eos enormiter leserant et cum preda se inibì
receptaverant ; e il ritiro fu ordinato anche perchè il conte aveva promesso
che avrebbe fatto indennizzare i danneggiati. Esponga che in onta alle di-
chiarazioni di amicizia del conte, questi fece sequestrare sulla publica via
20 balle di mercanzie di cittadini veneziani che venivan di Fiandra ; che alle
proteste di Venezia rispose con vuote parole; preghi il patriarca ad inter-
porre i sui uffici onde le merci siano restituite. Vada poi al conte e cerchi
di ottenere la detta restituzione colle persuasive, dopo la quale la Signoria
è pronta a sottoporre a un giudizio di arbitri le questioni pendenti. — Non
ottenendo lo scopo, ritorni a Venezia dopo aver fatto formali proteste, non
senza averne riferito, nel passare, al patriarca (carte 29).
1366 m. v. 5 gennaio. — Si concede al comune e agli uomini di
Rovigno qui in miserrima paupertate constituti sunt di poter esportare per
terra e per mare l'olio prodotto in quel territorio, pagando il dovuto dazio;
la grazia durerà due anni. Il podestà provveda a che tale esportazione non
produca poi la carestia dell' olio in quella terra, ed esiga il dazio, come
factum fiat illis de Parendo et Pola (carte 29 tergo).
1366 m. v. 19 gennaio. — Licenza a Taddeo Debelli connestabile di
cavalleria in Capodistria di venire per un mese a Venezia (carte 29 tergo).
1366 m. v. 16 febbraio. — Giovanni de 'Buy a tintori, qui fui I de Pa-
rentio è dichiarato cittadino veneziano de annis vigintiquinque (carte 33 tergo).
1367. 18 marzo. — Votazione per la scelta, fra gli aspiranti al vesco-
vado di Parenzo, di quello da raccomandarsi alla S. Sede.
Nicolò Foscarini episcopus Foliensis - 24
>J( Giberto Zorzi frate dell' ordine dei Predicatori - 46
Biagio, episcopus Melensis - 30 (carte 36).
1367. 17 aprile. - Missione di un avogadore di Comun a Capodistria per
istruire processo circa estorsioni ed altre colpe di cui erano accusati [in lettera
di quei consiglieri] il bargello, i birri ed altri della familia di quel podestà ;
fra le facoltà che si danno all'avogadore, v' ha pur quella di farsi spedire genti,
per la sicurezza della città, dai podestà di Pirano e di Isola (carte 43).
1367. 25 maggio. — Angelo de Codetta di Conegliano eletto conne-
stabile di cavalleria in Capodistria [della bandiera che fu di Taddeo de Ecelo
rinunziante] è confermato nella detta carica (carte 54).
— 3o —
1367. 2 giugno. — Si dà facoltà alla Signoria di scrivere al podestà
di Rovigno e ad altri rettori in favorem juriutn Facine de Tolta fidelis nostri
cantra Episcopum parentinum et Capii 'ulum Rubini (carte 54 tergo).
1367. 14 giugno. — Si scrive al conte di Pola e successori : Facciano
osservare, in quanto loro spetta, le richieste contenute nella petizione se-
guente, che furono tutte accordate.
Ducali benignitati eiusque honorabili et sapienti Consilio cum omni reverenda
exponunt devotissimi cives et fideles vestri Franciscus et F or ella de Castro Poh
Quod Deus et Vestrum Dominium bene novit fidelitatem et devotionem quam
progenitores sui semper babuerunt ad honores et mandata Vestri Domimi. Nani
dominus Forella proavus eorum misit ad armatemi vestram Cruzple imam galeatn
armaiam de qua nullus rediit, quia omnes perierunt prò defensione honoris vestri.
Item misit ad guerrum Ferrarle ad servicium vestrum homines. LXXX. Dominus
etiam Sergius pater dicti Francisci et avus dicti Forelle fuit consumptus. de
possessionibus suis combustis et bonis suis derobatis per quamdam ligam factam
inter Patriarcham aquilegensem, Comitem Goricie et 'Banum Sclavonie, prò eo
quod noluit intrare ligam predictam contra Dominium Venetiarum. Nicolaus
etiam de Castro Pole frater quondam dicti Francisci et pater dicti Forelle ex
fervore fidelitatis ivit personaliter propriis expensis cum duodecim socìis cum galeis
vestris contra Ianuenses cum armata magna nobilis viri domini Pangratii Iusti-
niano. Et apud Constantinopolim defendendo honorem vestrum extitit vulneratus
et captus, taliter quod stetit in carcere Ianue mensibus. XXX. Et dici potest
cum omni ventate quod dictum factum fuit consumptio domus sue. Dominatio
miteni prò fidelitate sua disposita semper fuit subvenire et gratiam facere eisdem
Nicolao et Francisco, et inter alia fuit consultum per Dominium quod contentante
malori parte consilii Pole unus eorum Veneciis, et sic consilium Pole fuit con-
tentus. Scd interim suprascriptus Nicolaus fuit prò honore dominii graviter vul-
neratus, taliter quod numquam fuit sanus de persona, et opportuit continue stare
in manibus medicorum, et tandem decessit, unde dictum factum nlterius non
processit. Post cuius obitum facta eorum remanserunt in debili condicione, et semper
in deterius devenerunt, tam ex culpa factorum, quam etiam quia non babuerunt
personam que haberet diligentiam agendorum suorum, que ad tantam extremi-
tatem deducta sunt, quod ubi solebant babere ducatos. M. prò quolibet annuatim
de redditibus, vix recipiunt ducatos. C. et sentiunt atque portant ita onera et
faciiones sicut faciebant quando redditus sui predicti erant in prima magna quan-
litate predicta. Unde non habentes aliquod remedium nisi vestri Dominii, de quo
semper sperarunt, supplicant humiliter et reverenter quatenus, ne in totum sub
umbra vestra pereant, dignemini sibi gratiose concedere quod unus eorum duobus
mensibus in anno possit ire ad procurandum possessiones et facta sua deinde,
— 3i —
remanente altero eorum in Tarvisio ad stipendium et mandatimi vestrum, sicut
presentialiter est. Nani diclus Francis chinus a pueritia nutritus est Venetiis, et
dictus Forella in Venetiis natus est, et eorum fidelitas est pienissime probata.
Non enim cognoverunt nec cognoscere intendunt aliam patriota nisi hanc betie-
dictam civitatem in qua intendunt vivere et mori (carte 55).
1367. 2 luglio. — A Giovanni de Chynnano — nativo di Trieste, ban-
dito da quella città per omicidio, il quale, riparato a Zara, vi ebbe una. posta
di cavalleria, poi venne a servire in Capodistria, quindi a Pola, poscia in
Lombardia, e ultimamente nella guerra contro di Ungheri — si accordano
due poste di cavalleria in Capodistria non ostante sia triestino (carte 57).
1367. 2 luglio. — Si accorda, ad istanza di Donato Grasso, al podestà
di Capodistria facoltà di giudicare circa la nullità del testamento fatto da
Francesco Grasso [figlio di quello] senza 1' assenso del padre voluto dalle
leggi. Il podestà non si credeva autorizzato a tal giudizio perchè il suo
predecessore Nicolò Zeno aveva, ad istanza di Bonafede da Trieste, dato
corso all'esecuzione del testamento, non riconoscendo a Donato la qualità
di cittadino veneziano perchè non aveva fatto le fazioni durante la guerra,
infamia dalla quale s'era posteriormente purgato (carte 57 tergo).
1367. 7 luglio. — Si accorda ai figli minori del fu Nicoiò del fu Gio-
vanni de Quer^iis di Capodistria di affittare, senza incorrere in penalità, a
uomini di Valle alcuni loro territoria posti parte nel distretto di Valle e
parte in quello di Pola ; ciò perchè quelli di Pola né volevano prender essi
ad affitto quei beni, né permettere che si dassero in conduzione a persone
di Valle (cane 58).
1367, 24 luglio. — A togliere ogni contesa fra i sudditi veneti e quelli
del patriarca di Aquileia in Istria, mostrandosi a ciò il medesimo assai pro-
penso, si commette al capitano del Pasenatico di S. Lorenzo e al podestà
di Montona di unirsi ai nun\ii patriarcali per giudicare, dopo accurata pro-
cedura, le dette contese ; per lo che si accorda loro le opportune facoltà.
Al nunzio poi del patriarca si risponde che quel prelato può mandare
quando vuole i suoi mandatari in Istria all'effetto suddetto (carte 61).
1367. 24 agosto. — Si risponde a lettere del conte Alberto di Pisino
che s'era lagnato degli uomini di Pola, i quali avevano tolto aliqua biada
ai suoi sudditi : Anche i sudditi di Venezia ebbero a lagnarsi di molti danni
dati loro da quelli del conte ; il podestà di Capodistria denunziò quod nuper
aliqui s/òditi vestri de Vragna et Lupoglavo abstulerunt in villa vocata Vulxi-
gradum del distretto di Capodistria alcuni animali e li condussero in Vragna;
i danni dati al conte non furono né comandati né approvati dalla Signoria,
anzi le dispiacciono ; lo si invita a mandare suoi commissari entro la prima
— 32 —
metà di settembre, i quali espongano le ragioni sue specialmente circa le
questioni con Pola, al qual comune, avuta l'adesione del conte a tale invito,
si ordinerà di mandar pure a Venezia suoi incaricati, e la Signoria vedrà
di definire le vertenze con soddisfazione di tutti (carte 69).
1367. 4 settembre. — Si autorizza il podestà e capitano di Capodistria
a dare duas postas equestre* a Daniele detto Amido da Lodi (carte 71 tergo).
1367. 23 settembre. — Avendo il podestà di Montona dichiarato che
^ìgM recarsi su alcuni dei luoghi in questione fra gì' Istriani veneti e i sud-
1 • ' XT Ì,pi:li delle quali questioni era uno dei giudici, non avrebbe potuto
qual giudice U puW . ^ delibera che per tali località lo sostituisca
1367. 17 ottobre. - a...' e
messo ad Albano Morosini capitano del 1 „ ^J' . . c.
,. „ . „ , . . „. . r ,. „ "o scorso settembre la Signoria com-
di Pola e rulcheno e Morino di Castropola ... ■ ,•
. . . . . v.ico di procurare che gli uomini
mutue loro questioni, e specialmente intorno alla r ,. . . , „
n T. . r .. , . ,. „ . chiamassero arbitro delle
torto; vennero a Venezia nuncu del comune di rola offre. . , ,.
' , . , . ...... ->onetà di certo tern-
promesso de j tire, ma non de facto ; si ordina al medesimo e , ,. , .,
dai Castropola se assentono a ciò. In tal caso giudichi la lite, . ,.
• r 11 j- n 11 e- u- a- e • '!ltan0 dl sentire
parti lacoltà di appellare alla Signoria ; e cerchi di favorire 1 , . , ,.
Venezia. Circa i grani presi da quei di Pola sul territorio in lite, , ,. . ,.
" ., fa. . .r . n n . r 'sudditi di
non furono già restituiti ai Castropola [come era stato ingiunto in adi-t
faccia che restino presso i polensi fino a vertenza finita ; e se corre.'M ,. -,
pericolo di guastarsi, o che i Castropola si opponessero, il conte di 1 1
farà vendere i grani stessi e il capitano suddetto ne custodirà il denaro ,jno ,
conto del vincitore della causa (carte 91 tergo). :s£
Avendo poi gli ambaxatores del comune di Pola esposto come, esseny^
ivi conte Andrea Loredan del fu Marco proc.r, andando Zanotus de Btich.co,.
manzjnis et alti polenses pel distretto a difesa dai predoni, alcuni di Barbane
sudditi del conte di Pisino, gli aggredirono armata mano, ferirono il dettyrtrt
Zanotto ed altri, gli tolsero un cavallo e lo menarono in prigione in Ba n0h '
bana ; ferirono a morte i cavalli di due altri, e loro tolsero varie cose^/,^
come il conte di Pola, fatto processo dell'accaduto, sospese ogni azione pc,
risarcimento di danni, avendo la Signoria commesso al capitano del Pasi
natico di trattarne col conte di Pisino ; — si delibera di ordinare al conte .„
di Pola di chiedere al conte di Pisino risarcimento dei danni, castigo dei 1
colpevoli, con minaccia di procedere nelle vie di diritto ; se otterrà quanto
chiede bene, altrimenti riprenda il processo sospeso et proceda! prout de jure
debuerit, sequestrando i beni dei colpevoli che potesse trovare in partìbus
sui regiminis a vantaggio dei danneggiati (carte 92).
v-uui
')ii-x
— 33 —
In seguito a rimostranze dei detti ambasciatori, si commette al conte
di Pola, che se i figli del fu Nicolò del fu Giovanni de Ver%iis di Capo-
distria [vedi 7 luglio] affittassero i loro territorio, ad altri che a polensi,
esamini se le rendite di quei beni abbiano ad essere esenti ab oneribus et
factionibus commitnis Poh; se nò, costringa i conduttori di essi ad faciendum
et sopportandum i detti pesi (carte 92).
Ed essendosi lagnati i medesimi ambasciatori che Fulcherio e Fiorino
di Castropola continuano a restare in Istria contro il trattato di dedizione
di Pola a Venezia del 133 1, si commette al capitano di S. Lorenzo che
intimi al più presto a quei due signori di comparire entro due mesi [dal-
l' intimazione] davanti la Signoria (carte 92).
La Signoria risponda al vescovo di Trieste, che si scriverà al podestà
di Capodistria qiwd audiat requisitiones suas et faciat illnd quod de pire tenetur ,
e se gli paresse quod subventio nostra ei necessaria foret, Venezia è pronta
ad assisterlo prò consecutione juriiim suorum. Si commette poi al detto podestà
di sentire le pretese del vescovo e d' informare la Signoria. — Ad illud vero
quod offerrebat dictus dominus episcopus de facto Tergesti, rcspondeatur ei lu-
ianando nos a dicto facto (carte 92 tergo).
1367. 17 ottobre. — Facoltà a Vincenzo de Valandis stipendiano eque-
stre in Grisignana, che servì per 24 anni lodevolmente, di permutare le due
postas equestres che tiene in detta terra con altre due in Capodistria (carte
92 tergo).
1367. 20 ottobre. — Licenza a Giorgio Sciavo, connestabile di caval-
leria in Capodistria, di venire a Venezia per 22 giorni (carte 94 tergo).
Ad Aldrigo de Vincentia, che, essendo [dopo lunghi servigi] stipendiano
in Capodistria, fu reso inabile per caduta mentre faceva la guardia di notte,
si concede una postam pedestrem in quella città, con licenza di farsi sostituire
nel servizio (carte 94 tergo).
1367. 8 novembre. — Licenza a Crescio de Molino capitano a Grisi-
gnana di spendere 120 lire di quelle rendite in riparazione del castello e
del palazzo di detta terra (carte 95 tergo).
1367. 8 novembre. — Si delibera la elezione di tre savi all'Istria in
Senato.
Eletti : Bernardo Sanuto tnagnus
Marco Barisano.
1 1 novembre : Nicolò Minio.
Pietro Contarini (carte 95 tergo).
1367. 25 novembre. — Ad istanza di Fiorino di Castropola, comparso
davanti la Signoria anche in nome di Fulcherio malato, gli si concede di
— 34 -
recarsi a S. Vincenti per far valere i suoi diritti nelle vertenze cogli uomini
di Pola davanti il capitano di S. Lorenzo. Gli si intima poi di comparire
davanti la Signoria alla fine d'aprile p. v., o prima se saranno definite le
vertenze suddette ; della cui definizione si ordina al capitano di S. Lorenzo
di dare a suo tempo pronta comunicazione (carte 98).
1367. 7 dicembre. — Proposta, non approvata, di Bernardo Sanuto,
della missione in Istria di provveditori per porre argine alle extorsiones et
gravammo, que cotidie fiunt per socios, notarios et alios de familia potestatum
et rectorum nostrorum Ystrie (carte 99 tergo).
1367. 20 dicembre. — Licenza alla badessa e al convento di S. Chiara
di Capodistria di trasportar colà, libere et expedite, de terris Ystrie et Sclavonie
res omnes quas constabit nostris rectoribus ipsas mvniales habuisse elenio sinaliter
(carte 101).
1367. 28 dicembre. — Patente ducale relativa alla concessione prece-
dente (carte 101).
1367 m. v. 4 gennaio. — Si risponde ad ambasciatori del conte di
Pisino : esser veri i danni dati da sudditi veneti a quelli del conte, ma veri
altresì, e ben più gravi, i recati dai secondi ai primi ; il Senato però de-
sidera che cessi ogni motivo di lagno, e riconoscendo che causa precipua
di tutto sono i confini mal determinati, si commise al capitano di S. Lo-
renzo un' imparziale relazione sulle contese e sui diritti delle parti, in seguito
alla quale il doge sequens formarti pactorum determinabit sicut prò utraque parte
juerit conveniens atque iustum (carte 103 tergo).
1367 m. v. 15 febbraio. — Giberto Zorzi vescovo di Parenzo e Marino
Michiel vescovo di Cittanova sono notati fra i concorrenti all'arcivescovado
di Candia (carte 105 tergo).
1367 m. v. 25 febbraio. — Licenza a Nanino da Bologna, connestabile
di cavalleria in Capodistria, di venire a Venezia per 15 giorni (carte 105 tergo).
1368. 2 marzo. — Esposizione fatta da Colando Barbo e Colando Po-
lesino sindici e procuratori di Ermolao Venier podestà e del comune di
Montona :
Quel comune prestò, il 19 giugno 1333, lire 1000 di picc. a Pietro
del fu Vicardo di Pietrapelosa, allora signore di Grisignana, il quale diede
in cauzione una sua posta di molini de Layme con tutte le sue pertinenze
e diritti [istrumento inatti di Anthonii q.m domini Visini]; Montona godette
il molino tranquillamente, affittandolo a chi stimò meglio e traendone i
redditi già da 24 anni ; ora Cressius de Molino capitano a Grisignana, senza
alcun diritto pretende di pagare solo 4 soldi per istaio pel grano che vi
fa macinare per la sua famiglia, invece del decimo in natura; non vuol
— 35 —
concedere l'esportazione del grano che i molini guadagnano sulle macinature,
pretendendo molini e grano de sua iurisdictione; e perchè il mugnaio rifiutò
di comparire dinnanzi ad esso capitano, adducendo dipendere dal podestà
di Montona e non da esso capitano, lo condannò ad afictum in libris L ed
a due giorni di berlina. Si conchiude pregando la Signoria a tutelare i diritti
del comune di Montona contro le pretese del detto capitano (carte 108 tergo).
1368. 13 marzo. — Si ordina ai capitani di Grisignana presenti e fu-
turi di astenersi dal fare o iar fare predictis de Montana aliquam novitatem
in facto macinature ; di pagare il decimo sui grani che faran macinare, di
permettere l'esportazione di quelli guadagnati dai mugnai, tranne il caso di
necessità per la conservazione del luogo ; che trattino favorabililer et benigne
tutti i cittadini di Montona (carte 109).
1368. 12 marzo. — Facoltà a Bertuccio de Serravallo di trasportarsi
in S. Lorenzo colle due poste equestri che tien in Grisignana (carte 109).
1368. 12 marzo. — Si concedono due postas eqnestres in Grisignana ad
Almerico Subtili da Pola, quantunque istriano (carte no tergo).
1368. 13 marzo. — Avendosi notizie della discesa dell' imperatore in
Italia per la prossima Pasqua rispetto anche alle nuove d' Ungheria, è ne-
cessario provvedere alla sicurezza specialmente dell'Istria, e quindi si deli-
bera la elezione di tre provveditori solenni che si rechino colà per delibe-
rare con quei rettori ciò che sia necessario per la conservazione delle sin-
gole terre ; abbiano facoltà di cassare e rimpiazzare gli stipendiarli inabili.
I provveditori potranno spendere sei ducati il giorno, dovranno tenere due
famigli per ciascuno, un notaio con un servo (carte no tergo).
1368. 13 marzo. — Dovendosi provvedere alla sicurezza dell'Istria, in
occasione della discesa dell' imperatore in Italia, si ordina ai capitani di S.
Lorenzo e di Grisignana e al podestà e capitano di Capodistria di esami-
nare tutti i luoghi loro soggetti, di cassare tutti gli stipendiarii non suffi-
cicntes, ed informino sui bisogni delle singole località (carte ni).
Spendendosi molti danari nei viaggi delle persone che portano le pa-
ghe, ogni tre mesi, alle milizie di Capodistria, S. Lorenzo e Grisignana, si
delibera di mandare le dette paghe di 4 in 4 mesi per mezzo del legno
della Riviera dell' Istria a cura dei Camerlenghi di comun e degli ufficiali
M'armar (carte in).
1368. 14 marzo. — Onde i provveditori suddetti sint solempnes si eleg-
geranno in Senato per scruptinium, avranno 3 servi ciascuno e potranno
spendere 3 due. il giorno ognuno.
Eletti : Lorenzo Dandolo [cancellato], Pietro Marcello, Pantaleone Barbo
(carte ni).
_ 36-
Si rinnova per 5 anni la grazia già concessa nel 1360 agli abitanti di
Umago, di poter affittare i loro herbatica scu pasaut tatti forensibus quatti
circa vicinis (carte ni).
Ermolao Venier eletto provveditore in Istria è assolto dall' obbligo di
accettare il carico (carte ni).
1368. 23 marzo. — I provveditori eletti il 14 partano da Venezia prima
di giovedì venturo, sotto pena di 100 lire ciascuno, e senza ulterior dila-
zione ; si da loro facoltà di recarsi nei vari luoghi di loro competenza anche
separatamente; si mettono a loro disposizione i legni della Riviera dell'I-
stria (carte 113 tergo).
1368. 29 marzo. — Si ordina al podestà e capitano di Capodistria
[Giovanni Dandolo] che appena spirato il tempo per cui la villa di quel
distretto detta Vicinale S. Pietro fu concessa a Jacopo Zen primicerio in
Candia, la venda all'asta come gli altri dazi (carte 115 tergo).
1368. 17 aprile. — Non trovandosi abbastanza presto gli uomini per
armare i tre legni domandati dai provveditori in Istria, si ordina a Lorenzo
Contarmi capitano lignorum nostrorum Istria, che finito il suo tempo non
si parta di là, ma continui nel comando obbedendo agli ordini dei detti
provveditori (carte 118 tergo).
Onde trovar presto gli homines de pede sive balistarii per le navi alla
difesa dell'Istria i pagatores armamenti daran loro 12 lire di piccoli il mese
per ciascuno invece di io (carte 118 tergo).
Si mandano al capitano del Pasinatico di S. Lorenzo, Domenico Mi-
chiel, 150 ducati d'oro, 300 tabule de tayola per fare alcuni lavori in quel
castello (carte 118 tergo).
1368. 20 aprile. — Facoltà alla Signoria di provvedere all'invio in Istria
di munizioni, armi e materiali domandati da quei provveditori pei bisogni
di quelle terre; ciò fin che durano le presenti novitates (carte 119).
1368. 20 aprile. — Non trovandosi uomini de pedibus per armare i
legni destinati all'Istria, Donato Vallaresso, capitano dei legni stessi, possit
et debeat ire scribendo i balestrieri che gli parranno convenientes et sufficientes ;
i pagatori dell' armamento faranno la scelta fra i così inscritti, e li paghe-
ranno (carte 119).
1368. 30 aprile. — Essendo difficile di trovar soldati per fornire le
terre dell' Istria, come domandano quei provveditori, si ordina ad Antonio
, Venier sopracomito in Golfo di partire nella ventura notte per l' Istria, e vi
stia a disposizione dei provveditori stessi. Avendosi poi nuove che l' impe-
ratore da Udine sta per andare a Gorizia o in Aquileia, si ordina a Nico-
— 37 -
letto Marioni di andare a Capodistria, vi si mostri, postea vadat per Istriani
baltando directe ad suum viagium (carte 122).
1368. 3 maggio. — In seguito all'intimazione fatta il 25 novembre 1367
a Fulcherio e Fiorino di Castropola, essi comparvero davanti la Signoria,
mettendosi a piena disposizione di essa ; ma si dichiara ai medesimi che
per ora ritornino a S. Vincenti aspettandovi di esser chiamati, et qttod in-
terim quidquid senserint de novis nobis faciant manifestimi (carte 123).
1368. 13 maggio. — Non avendo il podestà di Capodistria trovato
alcuno che voglia assumere la decima della villa Vici S. Petri per un anno,
gli si dà facoltà di deliberarne all'asta l'appalto per 5 anni, o meno come
meglio potrà (carte 124).
1368. 15 maggio. — Per evitare spese non necessarie, si ordina ai
provveditori in Istria di ritornare a Venezia al più presto lasciando le op-
portune istruzioni ai singoli rettori pei provvedimenti ancora da attuarsi
(carte 127).
Si ordina pure a Lorenzo Contarini capitano dei legni della Riviera di
tornare coi due legni a' suoi ordini, restando ivi altri tre legni e una galea
(carte 127).
1368. 31 maggio. — Licenza a Maria madre di Forella di Castropola
iture Ulne [a Pola] per suoi affari, di condur seco un figlio d'esso Forella
di 43 mesi circa, essendo la madre di questo nell' impossibilità di attendervi.
Il bambino dovrà esser di ritorno in Venezia prima del venturo S. Martino
(carte 128 tergo).
1368. io luglio. — Licenza a Peratio de Raciis di Ravenna, stipendiano
in Pola di recarsi in patria per suoi affari per un mese (carte 132).
1368. 3 luglio. — Gli affari di Trieste, commessi già dalla Signoria
per lo studio ai savi agli ordini e dell' Istria, si commettono tanto agli uni
che agli altri, onde ambi i collegi possano proporre provvedimenti (carte 136).
1368. 3 agosto. — Cum iste excessus commissns per communitatem Ter-
gesti cantra lignum nostrum Riperie, occidendo comitum et percnciendo plures de
Ugno predicto sii enormis et gravissimus et valde cantra honorem nostrum, si
delibera di far proclamare : che tutti i triestini esistenti nei dominii di Ve-
nezia ne sortano entro 15 giorni dal dì della publicazione, con tutte le lor
cose, sotto pena della persona e dei beni; — che tutti i veneziani che sono
in Trieste e suo territorio ne partano entro 1 5 giorni dall'avviso ; — scorso
il detto termine nessun triestino, ne altro forestiero con merci o cose di
triestini si lasci trovare negli stati veneti sotto pena come sopra ; e niun
veneziano osi recarsi o mandar merci in Trieste sotto pena di 1000 lire
per ciascuno ai nobili, e 500 ai popolani che vi andassero personalmente,
- 38 -
e di perdita delle merci o cose mandatevi ; — che nessun forestiero porti
in detta città cose o merci prese in Venezia, sotto le dette pene. L'esecu-
zione del presente è delegata in Venezia agli Ufficiali ai contrabbandi, e
fuori ai singoli rettori ; un terzo delle pene spetterà agli accusatori.
Si risponde poi agli ambasciatori del comune di Trieste, che i fatti
summentovati e quello di togliere al legno veneto la nave col contrabbando
si considerano come commessi dal comune stesso, e qual gruvem iniuriam
nostrum et nostri honoris e quindi nostre intentionis est omnino non sufferre
tantum oltruzium allo modo ; volere Venezia e d'esso e di tutte le infrazioni
ai trattati commesse in addietro talem emendam et sutisfuctionem quod habea-
mus merito contentati ; gli ambasciatori perciò ritornino ai loro mandanti ai
quali annunzino le disposizioni prese come sopra; se poi entro 15 giorni
Trieste non avrà dato conveniente soddisfazione, si provvederà come esige
1' onore.
Si ordina al capitano della Riviera dell' Istria quod sepe vudut supru
portimi Tergesti vegliando all' esecuzione dei divieti fatti come sopra (carte
137 tergo).
1368. 14 agosto. — Astolfo da Trieste connestabile equestre in Tre-
viso, che si diportò valorosamente in Candia, alcuni banditi da Trieste che
furono stipendiarli al servizio di Venezia, ed alcuni abitanti d'Isola oriundi
triestini, tutti sempre mostratisi assai fedeli, si dichiarano non compresi nel
bando dato a quelli di Trieste nel decreto precedente.
Il Collegio assolve dal detto bando :
Astolfo predetto, suo fratello, il suo socius, 'Berthonus de Francho abi-
tante in Capodistria, Doniinicus Descalcius, Coìandi de Scoìana o (Stolana),
Bertonus qj» Nicolai, Servulus ; — tutti gli abitanti e stipendiari delle città
e terre dell' Istria ; ma si autorizzano i singoli rettori a sfrattare i triestini
sospetti (carte 139).
1368. 14 agosto. — Dovendosi provvedere ad una accurata custodia
in Castel Leone in quo pendet totu securitas Istrie, tu;n proptcr epidimiam ani
nunc est in Iustinopoli, tum propter cuswn nobilis viri ser Petri Frudello ca-
stellani Castri predicti qui graviter infinnatur ; si delibera la elezione di un
nuovo castellano. — Non approvata in 4 votazioni (carte 139 tergo).
1368. 21 agosto. — Ritornati gli ambasciatori del comune di Trieste
cum sindicatu ad plenum si delibera di risponder loro, fatta prima risaltare
. la gravità delle offese recate a Venezia : Primo, quod statini navigium con-
trabanni cum foto carico, vel valore eius detur... officialibus nostris de cut avere,
qui de ipso., disponent prò ut teneniur per siami officium. — Secundo, Quod
singulariter omnes UH de generali Consilio Tergesti personaliter nomine suo et
— 39 —
totius comnumitatis prestcnt nobis et successoribus nostris, seu ambaxatoribus et
mmciis nostris perpetue fidelitatis juramentum. — Tertio, Quod in signum diete
fidelitatis... accipiant a nobis et successoribus nostris... vexillum nostrum sancii
Marci et illud levare et tenere debeant quemadmodum faciunt alte terre nostre
Istrie. — Quarto, che Trieste osservi scrupolosamente i trattati stipulati con
Venezia dal tempo del doge Enrico Dandolo in poi. — Quinto, si riservano
tutti i diritti di Venezia per le infrazioni commesse dai triestini ai detti
trattati (carte 140 tergo).
Si domanda ai detti ambasciatori, che i due giudici Michele de Adamo
e Domenico de Lio, qui fuerunt causa istius facti e il capo dei triestini qui
fuerunt ad defendendum navigium vengano entro un mese a Venezia ad obe-
diendum siati terminabìtur per istud cotisilium ; colui che non venisse sia
bandito in perpetuo da Trieste e suo distretto, e lo sarà pure da tutti gli
stati e territori di Venezia ; se rompessero tali bandi, saranno posti in car-
cere per sei mesi e di nuovo banditi (carte 140 tergo).
Seguono altre proposte, non approvate, fra le quali una che voleva
che dodici membri del consiglio di Trieste, a scelta del Senato, venissero
a Venezia a starvi a confine per 6 mesi (carte 141).
1368. 24 agosto. — Licenza ad Andrea Gradenigo capitano a Grisi-
gnana di spendere lire 100 di piccoli in riparazioni di quel palazzo publico
quod transpluit (carte 141).
1368. 24 agosto. — Si permette ad uno o ad ambi gli ambasciatori
di Trieste di recarsi in patria ad induciendum illos de inde quod faciant de
hiis que sint placibilia nostro dominio, intimando loro di ritornare perento-
riamente entro otto giorni ; non venendo in tal termine si provvederà sicut
conveniet prò honore nostro (carte 141 tergo).
1368. 3 settembre. — Cum tergestini humiliter et reverenter contenti sint
de omnibus hiis que nobis placuerunt si fa publicare : esser dessi venuti ad
obedientiam, revocarsi partem pridie captam contra eos, et ipsos recepimus ad
gratiam et misericordiam noslram. Si ordina a tutti i rettori di far fare ana-
logo proclama (carte 143 tergo).
1368. 5 settembre. — Si delibera la missione a Trieste di un nobile,
da eleggersi in Senato, prò executione eorum que firmata sunt cum tergestinis.
— Eletto il 6 : Lodovico Falier (carte 143 tergo).
Ognibene detto Menino da Vicenza è confermato connestabile di fan-
teria in Capodistria in luogo del defunto Gazano da Mazzorbo (carte 143
tergo).
Similmente Guariento di Angarano in luogo di Andrea Gamba (carte
143 tergo).
— 4o —
Similmente Giannino da Pontevico in luogo di Nichi Rosso (carte 143
tergo).
Similmente Jacopo da Ravenna in luogo di Nicoluccio suo padre. —
Tutti i suddetti furono eletti dal podestà e capitano di Capodistria (carte
143 tergo).
1369. 28 agosto. — Essendosi i triestini adattati a quanto si esigette
da loro, dicatur cis quod placet nobis ut vexillum nostrum S. Marci nunc re-
cipiant ab ambaxatoribus seti nuntiis nostris, e similmente ad ogni creazione
di doge, tenendo ipsum honorìfice ad palatium suum supra plateam extenso uno
die, a mane usque ad vesperas ; si terrà pure esposto nel dì di Pasqua d'ogni
anno (carte 144).
1368. 16 settembre. — Andrea Boldù è confermato capitano alla porta
di S. Martino in Capodistria, in luogo del defunto Marino Gisi (carte 144
tergo).
1368. 16 settembre. — Licenza ad Angelo de Coderta, connestabile
equestre in Capodistria di recarsi per un mese a Treviso in seguito a sua
malattia (carte 145).
1368. 22 settembre. — A Franceschino da Pola stato già per 12 anni
stipendiano equestre in Treviso e distintosi specialmente tempore guerre Hun-
garorum quo captus fuit, si concedono quattro postas equestres vivas ed una
mortuam prò persona sua; è destinato a prestar servizio in Conegliano, e
poscia dove sarà mandato (carte 147 tergo).
1368. 30 settembre. — Si delibera la elezione di cinque Savi super
factis Istrie et Tergesti.
Eletti : Giovanni Mocenigo [cancellato, sostituito con Pietro Giustinian
fu Marco], Zaccaria Contarini, Paolo Loredan [cancellato], Pietro Zane,
Francesco Bembo.
Pietro Morosini di S. Antonino — il 12 maggio.
1. ottobre. — Nicolò Falier e Nicolò Giustinian procuratore di S. Mar-
co, in luogo di Lorenzo Dandolo e di Lodovico Molin (carte 148 tergo).
1368. 5 ottobre. — Si confermano le elezioni, fatte dal podestà di
Capodistria Giovanni Dandolo, di Pietro Axp da Ravenna a connestabile
equestre in luogo del defunto Franceschino Bombea e Pietro Ferrovero da
Venezia in luogo di 'Bitini da Bologna (carte 149 tergo).
1368. 5 ottobre. — Licenza al capitano del Pasinatico e al conte di
t Pola di nominare il connestabile alla bandiera di cavalleria deputatam in
Mommorano (carte 150).
Licenza ad Andrea Gradenigo, capitano a Grisignana, di spendere 300
lire di piccoli nella fortificazione di quel castello (carte 150).
— 4i —
1368. ro ottobre. — Si prolunga di 15 giorni la licenza data ad An-
gelo de Coderta il 16 settembre (carte 150).
Si prolunga d' un anno dal S. Martino venturo la licenza data a Maria
di Castropola il 31 maggio (carte 150).
1368. 16 ottobre. — Essendo morto il preposto al monastero dei Cro-
ciferi in Trieste, si permette al priore dello stesso ordine in Venezia di
mandar colà un suo religioso non veneziano (carte 150 tergo).
1368. 7 novembre. — Si conferma la elezione fatta dal podestà di
Capodistria, di Giorgio da Treviso a connestabile della bandiera di fanteria
del fu Turlono da Ferrara (carte 152 tergo).
, 1368. 9 novembre. — Francesco de 'Berto di Capodistria, che, fuggito
da quella città, per timor della peste, Benedetto Bembo uno dei visdomini
fu a questi sostituito, è confermato per grazia speciale in quell'ufficio (carte
154 tergo).
1368. 16 novembre. — Morto Petrolino connestabile equestre in Mom-
morano, distretto di Pola, si conferma a suo figlio Rinaldo una posta eque-
stre datagli dal conte di detta città per sostegno della superstite famiglia ;
e non essendo esso Rinaldo ancora in età adatta al servizio, farà prestar
questo da persona idonea (carte 155).
1368. 28 novembre. — Marco notaio, del fu Bartolomeo da Venezia
è confermato nell' ufficio di scribaniatus camere consiliariorum et communis di
Capodistria, nel quale fu sostituito da quel podestà al fu Luchino da Cre-
mona (carte 156).
1368. 1 dicembre. — Licenza al comune e uomini di Cittanova, vista
la loro indigenza, di affittare per cinque anni i loro pascoli forasteriis et cir-
cavicinis, come fu accordato ad Umago (carte 156 tergo).
Senato Misti voi. XXXIII.
1368. 22 dicembre. — Si conferma per altri due anni a Nicoletto Gra-
denigo portulano alla porta di S. Martino in Capodistria l' ufficio btdlandi
vasa vini que mittuntur a Venezia (carte 3).
1369. 6 marzo. — Savi eletti super monstra stipendi ariorum iturorum ad
bastitam contra Tergestum: Andrea Navager, Luca Vallaresso, Franceschino
Bragadin (carte io).
1369. 28 marzo. — Privilegio di cittadinanza veneziana, per dimora
di 25 anni, a Sinwneto Floravante del fu Giovanni da Capodistria (carte,
12 tergo).
— 42 —
1369. 15 m;lggi°- — Licenza ad Andrea Gradenigo, capitano di Gri-
signana, di spendere lire 300 in vettovaglie per munizione (carte 17 tergo).
1369. 5 giugno. — Si ordina al podestà di Capodistria di giudicare
una lite vertente fra Dardi [Leonardo] Grioni del fu Benedetto, che per
cause note non può venire a Venezia, e la vedova ed una figlia di Ge-
remia Gisi, suocero del Grioni, per certi terreni posti in quel territorio
(carte 22).
1369. 8 giugno. - Si lascia in arbitrio del podestà di Capodistria di
annullare l'affittanza della decima Vicinatus S. Petri a Nanino da Bologna
connestabile equestre in quella città, se questi vi assente, e di riaffittarla
includendovi la condizione del pagamento del quarantesimo al prete di detta
villa, che l'aveva reclamato ; intanto, per quest' anno, il quarantesimo sarà
pagato dallo Stato (carte 23).
1369. 8 giugno. — Essendosi ambasciatori della contessa di Gorizia
[assente il conte] lagnati quod nonnulli massarii et rustici sui laborantes in
vineis dicti domìni comitis de licentia, ut dicunt, nostri capitana generalis terre
captìvati fuerint, qui capti redemerunt se prò quatuor milibus libris parvorum,
e non avendo potuto aspettare a Venezia la risposta, questa si dà alla con-
tessa come segue : Francesco de Castellerio ed altri inviati di quella signora,
abboccatisi col capitano generale per venire ad accordo circa i danni datisi
vicendevolmente da goriziani e veneziani, andarono sui luoghi in quibus
rustici capti fuerunt, cioè a Lìcimagnas Vallem de Mocho et ad molendinum
Petri Tìelli de Tergesto, che appartengono alla giurisdizione di Trieste, ed
ove essi rustici, circa 90, laborabant vineas sub banderia domini comitis, e
tutti, compresi gli arrestati, riconobbero d'esserlo stati su terreno non go-
riziano. Di più avendo i goriziani chiesto al detto capitano che permettesse
loro di lavorare certe terre, nel territorio di Trieste, su cui il conte van-
tava diritti di decima, n'ebbero replicate negative e minacele che sarebbero
trattati, se il facessero, come triestini ; ma essi ciò non ostante, con altri
di Duino, di Trieste e di Moccò vennero e lavorarono, e si opposero ar-
mata mano alle genti veneziane andate a far eseguire i divieti ; e quei ru-
stici, sotto pretesto di lavoro, portavano vettovaglie ai triestini, et per istum
modum laborare ceperant totani vallem de Mucho et Locimagnis usque ad ma-
rinam et ab inde supra fino ai confini di Muggia. — Alla richiesta poi, fatta
dai detti inviati al capitano, di risarcimenti di danni dati a' sudditi gori-
<• ziani dalle sue genti, ei si dichiarò pronto a venire ad accordi dopo pro-
duzione delle prove, che non vennero mai offerte. — Concludendo, la Si-
gnoria è disposta quod damna utriusque partis videantur, et qui debet refun-
dere refundat (carte 23 e 23 tergo).
— 43 —
1369. 14 giugno. — Per il buon servizio reso dalle due banderie pe-
ditum civinm Iustinopolis iam mensibns XIII elapsis in Treviso, si condonano
ad una 7 e all' altra 8 giorni che avrebbero ancora servire (carte 24).
1369. 25 luglio. — Bartolomeo da Crema, già stipendiano in S. Lo-
renzo, è confermato connestabile della bandiera di cavalleria già comandata,
in Capodistria, da Pietro A^onis che, gravato di debiti, s'era ritirato (carte 28).
1369. 12 settembre. — A Matteo dola Penna, stipendiano in castro
Momorani, distinto per servigi, si accordano per eccezione, benché sia ita-
liano, due postas eqncstres vacanti in S. Lorenzo (carte 31).
1369. 1 ottobre. — Licenza a Simoneto da Canal, capo dei balestrieri
nell'esercito contro Trieste, di venire a Venezia per 15 giorni onde rista-
bilire la sua salute (carte 33 tergo).
1369. 3 novembre. — Si prolunga fino alla ventura Pasqua la licenza
data alla madre di Forella di Castropola, di tener seco in Pola il figlio
bambino di quest' ultimo (carte 39).
1369 m. v. io gennaio. — Pei servigi resi dal fu Nicolò de Castegneto
già caporalis equestri* in Capodistria, si accorda ai suoi figli minori, per loro
sostentamento, una delle due poste che aveva il medesimo, con obbligo di
far prestare da persona idonea il servizio. I figli erano : Bertuccio, Benade
e Giovanni (carte 44).
1370. 1 aprile. — È nominato Francesco di Castropola come conces-
sionario di quattro poste di cavalleria in Treviso (carte 49).
1370. 22 aprile. — Licenza a Checco da Rovigo connestabile equestre
in Capodistria, di venire per un mese a Venezia (carte 52).
1370. 13 maggio. — Essendo pendente una lite davanti al podestà di
Trieste fra Caterina moglie del fu Pietro figlio quondam magistri Forici e
Giovanni Cigolimi di Trieste, il quale per essere bic ad nostra mandata non
può far valere le sue ragioni, si concede al medesimo, o a suo figlio [se
così parrà al collegio Istrie] di andare a Trieste, e si scrive a quel podestà
di finire al più presto l'affare; dopo la sentenza il Cigoto tornerà a Venezia
(carte 54 tergo).
1370. 14 maggio. — In seguito alla petizione qui sotto si dichiara che
i beni mobili e immobili di Giannino de Vedano di Trieste siano ad esso
restituiti libere integre et absolute :
Giannino de Vedano espone che quando Astidfns surripuit castrum Macho
qnod tunc erat Tergestitioriim, egli vi si trovava, e fu mandato dal medesimo
Astolfo ad bastitas dei veneziani ai quali narravi! quidquid sibi imposuerat
Astulfus il quale dabat sibi inldligerc quod tractareì cani tergestinis prò vestro
dominio, per lo che gli furono dai giudici di Trieste confiscati i beni come
— 44 —
a ribelle di quel comune. Il de Vedano allora si rivolse al capitano veneziano,
il quale gli disse non poter accogliere triestini, ma gli promise la restitu-
zione dei beni non appena avesse in mano la città. Il Vedano si recò poi
a Monfalcone e vi stette fino alla venuta del duca d'Austria, e servì di in-
formatore ai veneziani di quanto facevano quel principe e il patriarca di
Aquileia. Caduta Trieste in mano alla Republica, servì continuamente contro
i ribelli ed i nemici di quella. Chiede perciò che gli si restituiscano i beni
confiscati, tanto più che la sentenza non fu pronunziata nelle forme volute
dalla procedura, come lo attesta il podestà di Trieste Pietro della Fontana :
Segue la lettera informativa di quest'ultimo che dichiara i fatti, e la man-
canza di forme legali nella sentenza (carte 55 tergo e 56).
1370. 11 giugno. — Si accorda un ufficio in Treviso a Federico de
Ecelo di detta città in premio dei servigi da esso prestati contro Trieste e
di quelli del di lui padre Taddeo (carte 61).
1370. 11 giugno. — A Gasparino Bonacursio cittadino veneziano, che
abbandonò tutto il suo in Trieste per venire a Venezia, e servì poi d'in-
formatore ai provveditori, et stetit ad bastitas nostras cum filio suo duobus
mensibus absque provisione si assegna la paga di un balestriere in Trieste,
facendosi sostituire da suo figlio se avesse ad allontanarsene (carte 61).
1370. 16 giugno. — Ad Alessio da Vigonza, stipendiano equestre in
Trieste, che preso già da quelli di Duino pagò 40 ducati di prò talia, fuitque
multis verberibus afflictus propter que verbera et sinistra.... ipse crepuit, si con-
cede che, onde possa procurare la sua liberazione, il podestà di Trieste
ponat loco sui quondam eius fratrem a prestar servizio prò postis suis per due
mesi (carte 61 tergo).
1370. 17 giugno. — A Marco de Pavionis veneziano, che al comin-
ciare delle novità in Trieste, ove s'era stabilito, lasciò quella città abban-
donandovi i suoi beni, i quali furono confiscati, poi servì nelle bastite qual
socio del capitano Paolo Loredan, si accorda quod sit ad conditionem unius
balistarii veneti in Ter gesto con lire 16 il mese, sotto gli ordini di quel ca-
pitano (carte 62).
1370. 11 luglio. — Avendo il legno della Riviera dell'Istria coman-
dato dal capitano Lorenzo Contarini, e due galedelli, uno di Pola, l' altro di
Medolino, preso un cBarcosio armato con 21 persone hostibus nostris de
Flumine, e ricuperato un legno carico di frumento di Venezia, catturato
• dal detto barcosio, si assegna ai tre navigli un premio di 200 ducati, tre
quinti al legno e uno per ciascuno ai galedelli, più si lasciano loro il bar-
cosio, le armi e gli arnesi trovativi; i prigionieri restano allo Stato (carte
65 tergo).
— 45 -
I37°- !5 luglio. — Pietro 'Bono veneziano è confermato connestabìle
ad imam banderiam veterem di fanteria in Capodistria (carte 65 tergo).
1370. 19 luglio. — Vito Trevisan capitano a Trieste è condannato a
perdere l'ufficio e a pagare ducati 100 di multa prò biis in quibus contra-
fecit in odo capittdis.
Pietro della Fontana podestà a Trieste è condannato alla perdita del-
l' ufficio e a pagar 100 lire prò hiis in quibus contrafecit in tribus capittdis
(carte 67).
1370. 29 luglio. — A Facino. Delia di Capodistria, già connestabile di
fanteria nelle milizie contro Trieste, il quale in una spedizione a Vragna
con alcuni compagni fu preso dai nemici e dovette pagare 200 ducati d'oro
di riscatto facendo un debito, si permette per grazia di portare da Capo-
distria a Trieste, per ivi venderle, 200 umas ribolei fino al prossimo S. Mi-
chele, pagando i dazi prescritti (carte 68 tergo).
1370. 26 settembre. — Licenza ad Alberto conte di Barbiano qui est
ad servicium nostrum iti partibus Istrie cum aliquibus lanceis, di andare ad
partes suas pel matrimonio d' un suo fratello, per un mese (carte 77).
1370. 3 ottobre. — Deliberazione dell'elezione di savi prò factis Istrie
et Tergesti, Tarvisane et Cenete (carte 79 tergo).
1370. 20 ottobre. — A Sityno da Vicenza e a Federico de Aucisburg [?]
già stipendiari equestri in Grisignana, cassati per vecchiezza da quel capitano,
si accordano io lire il mese, in premio dei servigi resi, e purché continuino
ad abitar quella terra colle loro famiglie (carte 84 tergo).
1370. 12 novembre. — Non potendo il podestà di Trieste dar termine
ad alcuni processi criminali, perchè il capitolo Vili del libro III di quegli
statuti [ai quali ei deve attenersi], sotto la Rubrica de arengo fiendo in sen-
tenciis criminalibus prescrive quod quandocumque potestas Tergesti facere voluerit
arengum de processibus criminalibus debeat facere proclamari maius consilium et
arengum super scalis palatii communis et in quolibet quarteris civitatis etc; si
delibera che quell' articolo sia annullato (carte 85).
Non potendo il podestà di Trieste metter Lucia filia quondam Ymi ga-
ledarii veneziano in possesso della successione di Franceschino detto Fraseto
figlio del fu Giovanni galledarii già cittadino di Trieste, ma in origine ve-
neziano, opponendovisi il capitolo 39 del libro II di quegli statuti sotto la
rubrica de legato vel alio relieto non fiendo per civem alieni forensi quod non
Ifaciat vicinitatem in civitate tergesti et facliones ut f aduni alii cives Tesgesti etc;
si delibera che detto statuto, in quantum faceret conlra suprascriptam succes-
sionem vel cantra similes casus, sia annullato (carte 85).
1370. 21 dicembre. — Licenza a Giovanni Villano e a Nicolò de Bar
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silio da Trieste, giA stipendiati nel Trivigiano, ora cassati, di recarsi ai servigi
dei Visconti signori di Milano (carte 87).
1370. 23 dicembre. — Simile a Iacopo de Garrula da Trieste (carte 87).
Privilegio di cittadinanza veneziana per dimora di 25 anni a Nicolò
Quartato samitario, del fu Tomaso da Capodistria (carte 87).
1370 m. v. 5 gennaio. — A Milano da Milano già connestabile di
cavalleria in S. Lorenzo, ridotto a vecchiezza, si concedono per grazia imam
postam mortuam et imam vivant equestre* in detto luogo, senza però aumentare
il numero degli stipendiari, e tenendo bene fulcitam la posta viva (carte 87).
1370 m. v. 26 gennaio. — A Sercio Rubco di Trieste, che al tempo
della guerra contro quella città servi con zelo nel guidare le genti vene-
ziane per passus et semitas, ostendendo nostris loca abilia ad ponendum insidias
et discooperiendo insidias itiìmicorum, si concede imam postam equestrem in
detta città (carte 89).
1371. 2 marzo. — Si conferma la elezione fatta dal podestà e capi-
tano di Capodistria, di Iacopo de Goderla a connestabile della bandiera di
cavalleria già comandata dal fu Angelo di lui padre (carte 95 tergo).
1371. 11 marzo. — Si concedono duas postas equestre* in Trieste a
Themali de Mechelich che prestò buoni servizi nelP esercito contro quella
città (carte 96 tergo).
1371. 11 marzo. — Al nobile Alessio da Vigonza — che preso dai
nemici nella guerra di Trieste ebbe a far valere le proprie ragioni in duello
contro chi lo fece prigioniero [un tedesco], e sortitone vincitore iniliciain
acquisivit — onde possa sostener con decoro l'onore della cavalleria conse-
guito, si assegnano 30 ducati d' oro il mese, in Trieste o altrove, come
giudicherà la Signoria, con obbligo di tenere quatuor bonos equos ab armis
et tres bonos homines ab armis, restando egli personalmente esente dal ser-
vizio (carte 97).
1371. 13 marzo. — Si riportano alcuni articoli delle commissioni di
alcuni rettori, fra' quali del capitano di Trieste, da aggiungere a quella del
capitano il Candia (carte 98).
1 37 1. 1 aprile. — Si concede a Giovanni del fu Nicolino de Vedano
da Milano, cittadino ed abitante a Trieste, ora dimorante in Venezia a di-
sposizione della Signoria, di andar per l'Italia ove vorrà, trattine il Friuli
e l' Istria, finche non abbia la grazia di ripatriare (carte 100).
Similmente ad Acharisio Francisci de Ter gesto (carte 100).
1371. 14 aprile. — Regolato il 21 dicembre passato dal Senato il nu-
mero delle milizie per Trieste in 6 bandiere equestri, 125 balestrieri ve-
neziani e 20 bandiere di fanteria, furono mandate poi colà, prò casti occurso
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dei connestabili di fanteria, 1' 8 febbraio scorso altre 6 bandiere di fanti,
con ferma di 4 mesi ; a scanso di spese si ordina al capitano di Trieste di
cassare 6 delle predette 20 bandiere che non sono impegnate con ferma
(carte ioj).
1371. 14 aprile. — Si ordina ai pagatori veneziani in Trieste di licen-
ziare, per economia, i due massari populares deputati ad recipiendum et con-
servandum biada, farinam, fenum et Ugnammo dello stato (carte 101).
Ad istanza di Francesco de Bonomis di Trieste si ordina a quel podestà
che, avuta la prova del credito di quello verso Michele quondam Gregorii
Ade e Pietro de Armano, anteriore alla confisca dei beni di questi, faccia
pagare il creditore coi beni stessi (carte 101 tergo).
1371. 27 aprile. — Licenza a Stefano de Picardis, provisionalo in Trieste,
di recarsi per un mese per affari in Lombardia (carte 103).
1 37 1. 29 aprile. — Si ordina a tutti i rettori dell' Istria di eseguire, in
materia di munizioni, quanto prescriveranno gli ufficiali alle rason (carte 104).
1371. 6 maggio. — Si concede una posta equestre in S. Lorenzo a
Diatrico già caporale, che servi a lungo in detto luogo (carte 104).
1371. 6 maggio. — Licenza ad Andrea de Octobono di Trieste, existenti
hic ad obedientiam doininationis, di recarsi ad una sua villa detta Proseco che
stava per essergli usurpata dal signore di Duino, coi beni del quale confi-
nava (carte 104).
1 37 1. 6 maggio. — Si riduce da 80 a éo il numero degli uomini da
remo sopra ciascuno dei due legni della Riviera dell' Istria, e così se ne
tolgono 4 balestrieri, portando su ciascun legno da 17 a 13 gli homines
de pede.
Il salario dei capitani della Riviera è ridotto da 30 a 20 ducati il mese
(carte 106).
137 1 . 6 maggio. — Deliberazioni di procedere e condanne contro En-
rico Talamacium da Cremona e Copelletto da Parma, già connestabili di
fanteria in Trieste, prò unione ciun aliis coinestabilibns et sacramento facto inter
ipsos contro il giuramento prestato, e contro la Signoria.
Sono condannati a due anni di carcere, e poi al bando perpetuo dai
dominii veneti, con pena di tre anni di carcere per ogni rottura di bando
(carte 106).
1 37 1 . 26 maggio. — In considerazione dei meriti di Guidolino de Po-
lisiis e dei suoi, stati lungo tempo ad stipendimi! et servicium in Istria, si
concede a 'Bartole di lui figlio una posta equestre in San Lorenzo (carte
112 tergo).
1371. 29 maggio. — Deliberazione relativa alla riduzione delle milizie
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in Pola e in Mommorano, non approvata; da essa risulta che in Pola si
tenevano 20 provisionati equites pagati da quel comune, ed in Mommorano
stava una bandiera equestris di 25 paghe, 12 delle quali a carico del detto
comune (carte 114 tergo).
Pro expedicione operis castri Tergesti fiat unus superstes popularis
(carte 1 14 tergo).
1371. 29 maggio. — Ad istanza di ambasciatori del comune di Pola,
considerati i danni patiti da esso per le ultime guerre, e la pace che ora
regna nell' Istria ; si delibera che siano cassati tutti i provvisionati in Pola
e la bandiera che si tiene in Mommorano. Quest'ultima verrà sostituita da
altra di nuova formazione, di 20 paghe, con lire 18 il mese per cavallo,
12 delle quali pagate da Pola; il connestabile avrà 4 paghe, computate
la paga doppia e quella del piffero. Questa bandiera risiederà in Mommo-
rano, dipenderà dal conte di Pola il quale dovrà, a richiesta, mandarla al
capitano di S. Lorenzo (carte 115).
1 37 1. 26 maggio. — Proposte di mandare a Trieste ed in Istria tre
provveditori per la riduzione delle spese superflue (carte 116) — Non prese.
137 1. 3 giugno. — Si dà facoltà al podestà e al capitano di Trieste
di provvedere prò mansione del vescovo, delle monache e dei frati Minori
in quella città, pagando i luoghi eh' essi sceglieranno a prezzo di stima
(carte 116 tergo).
Si accordano due postas equestres in Trieste a Nicolò Belli di quella
città, che servì bene nella guerra contro di essa (carte 117).
Pei meriti guerreschi di Giovanni del Preto di Pirano, è nominato con-
nestabile della bandiera equestre da formarsi in Mommorano, facendosi ec-
cezione alla legge che esludeva friulani ed istriani dal servizio in Istria
(carte 117).
1371. 3 giugno. — Avendosi notizie de isto traclatu qui dicitur velie
fieri per Astulphum Pilosum et Melchionum (Melchion) de auferendo civitatem
Poh, si delibera la elezione di tre provveditori solenni, i quali si rechino
colà e, d'accordo col capitano di S. Lorenzo e col conte di Pola, indaghino
come stia la cosa e provvedano come stimeranno meglio, deliberando a
maggioranza. Expediti de Pola, vadano a Trieste e con quei podestà e ca-
pitano examinent condicionem castri quod fit, sollecitando la sua messa in
istato di difesa, e studino e propongano in iscritto quello crederanno doversi
fare per la sicurezza dello stato. Poscia vadant Macho et Mocholanum e prov-
vedano al necessario per la loro difesa. Passino quindi a Capodistria, S. Lo-
renzo, Grisignana e nelle altre terre della provincia studiandone i bisogni
di difesa coi rettori locali. Si dà loro facoltà di fare, d'accordo coi rettori
— 49 —
i mutamenti di personale che stimeranno utili nelle milizie. Tornati, rife-
riscano, e possano proporre deliberazioni al Senato. Possano spendere due
ducati il giorno per ciascuno, oltre i noli e i trasporti, tenendo due servi
ognuno, un notaio con servo, e un cuoco.
Eletti : Pietro Mocenigo, Nicolò Vallaresso, Paolo del fu Alessandro
Morosini (carte 117 tergo).
1371. 22 giugno. — Licenza a Giovanni Cigoto di Trieste, di recarsi
colà per un mese a difendere una sua causa davanti a quel podestà (carte 1 19).
1371. 7 luglio. — Si risponde al capitano di Trieste di far sapere a
quegli stipendiarli che saranno trattenuti in servizio anche dopo spirata la
ferma in corso (carte 121).
Lorenzo Barisano castellano a Trieste è assolto dalla carica, accettandosi
in suo luogo Frisone Zen (carte 121).
1371. 15 luglio. — Sopra proposta del Vallaresso e del Mocenigo
provveditori in Istria e di Pietro Mocenigo [lo stesso?] e Zaccaria Morosini,
si delibera la erezione di un castello ad marinam in Trieste.
Su proposta del Vallaresso, si delibera la elezione in Senato di dieci
provveditori che si rechino a Trieste ove d'accordo con quei rettori stabi-
liscano, a inaggioranza, il luogo e la forma del decretato castello. Si as-
segnano ai medesimi ducati 20 d'oro il giorno, non comprese le spese di
trasporto, due servi ciascuno, un notaio con servo, un cuoco. Conducano
seco cinque artieri esperti in simili lavori. Non si comincieranno i lavori
prima che non sia finito e in istato di difesa il castello di S. Giusto.
Eletti : Nicolò Vallaresso, Pietro Mocenigo, Francesco Morosini Zana-
cola, Zaccaria Contarmi, Andrea Badoer, Nicolò Falier da S. Toma, Andrea
Venier di S. Giovanni decollato, Giovanni Foscari, Francesco Bragadin
magnus e Simone Michiel (carte 122 tergo).
1371. 20 luglio. — Si ordina al podestà e capitano di Capodistria di
permettere ad Antonio New [o Novo], maccellaio, di condurre a Venezia gli
animali da questo acquistati in Ungheria e che quel magistrato voleva trat-
tenere in Capodistria pretendendo che fossero venduti colà (carte 124 tergo).
137 1. 3 agosto. — Avendo Nicolò de Mossalto e Tomaso Agrimonis
triestini chiesto di essere accolti in grazia per non aver potuto comparire
ad terminimi aride, si permette loro di andar ad abitare in Orsaro, distretto
di Pirano, con obbligo di presentarsi ogni settimana al podestà di quella
città (carte 124 tergo).
1371. 3 agosto. — Ad istanza di fra' Viviano priore dei Crociferi di
Venezia, gli si permette di acquistare, malgrado il disposto dagli statuti di
Trieste, stabili in quella città per lire 1190 ricavate dalla vendita d'una
- $6-
casa, colà posta, allo stato ed assegnata parte a quel vescovo e parte a mo-
nache (carte 124 tergo).
1371. 3 agosto. — Ad istanza di Vergerlo de Ver^eriis abitante a Isola,
tutore testamentario di Rantolfo del fu Pietro del Tacho, il quale in forza
dello statuto di quella terra « quod contro, hominem mortuum nulla testium
probatio audiaturi) non poteva riscuotere certa somma dagli eredi del fu
Dionisio del fu Paolo, altro tutore di Rantolfo suddetto, che l'aveva avuta
per conto di quest' ultimo, ma non posta in inventario ; si ordina al po-
destà d'Isola di far giustizia al petente malgrado la prescrizione dello sta-
tuto (carte 125).
Si conferma per altri due anni a Nicoletto Gradenigo portulario alla
porta di S. Martino di Capodistria, 1' ufficio di bollare i vaso, vini et olei
che da quella città et aliunde si mandano a Venezia (carte 125).
1371. 14 agosto. — Paulicitus de Sancto Severino è confermato conne-
stabile equestre della bandiera che fu di Paino, resosi assente, ufficio da-
togli dal capitano di Trieste (carte 125).
1371. 17 agosto. — Presentatosi, per mettersi a disposizione della Si-
gnoria, scusandosi di non aver conosciuto, per assenza, il proclama publi-
cato, Nicolò de Listila; esso viene ricevuto in grazia (carte 125 tergo).
1371. 8 agosto. — Non essendosi eseguiti tutti i provvedimenti presi
per Capodistria al tempo che vi era podestà e capitano Marino Venier, sic-
ché tuttavia si può andare ad pedem siccum ad Castrum Leonis, et a parte
civitatis etiam ; si ordina ai provveditori inviati a Trieste che, terminate ivi
le loro incombenze, si rechino a Capodistria, ove, d'accordo con quel po-
destà e capitano, a maggioranza di almeno 7 voti, facciano porre ad ese-
cuzione quelli dei detti provvedimenti che stimeranno necessarii (carte 126).
1371. 24 agosto. — Giusto da Trieste, che non potè presentarsi al
tempo stabilito nel proclama, per essere stato infermo in Friuli, è ricevuto
in grazia.
Similmente Nicolò de Prebe^ (carte 126 tergo).
1371. 31 agosto. — Si risponde al capitano di Grisignana essersi de-
liberato un prestito di lire 1200 ai soldati quorum habitationes et domus com-
buste sunt onde riattarle ; essi faranno la restituzione, rilasciando ogni mese
40 soldi per posta sulle paghe, mallevadori i connestabili. Si manda l' im-
porto ad esso capitano, incaricato della distribuzione ai danneggiati (carte
128 tergo).
1371. 3 settembre. — Ad istanza di prete Ermagora pievano di S.
Silvestro di Venezia, il quale aveva fatto erigere una cappella dedicata ai
SS. Ermagora e Fortunato presso la chiesa di Umago, provvedendola di
— Si —
libri ed arredi sacri, ed instituendovi una mansioneria quotidiana, si ordina
che quei rettori prò tempore riscontrino ogni anno, coli' inventario datone
dal detto pievano, la esistenza nella cappella dei detti arredi e libri
(carte 129).
1371. 7 settembre. — Simone detto Taffarello da Trieste, che igno-
rando il proclama, per essere in Friuli, non si era presentato a tempo, è
accolto in grazia; la Signoria lo manderà a confine (carte 130).
1371. 2 ottobre. — Si delibera la elezione di cinque savi super factis
Istrie et Tergesti ac Tarvisane et Cenete (carte 135 tergo).
137 1. 12 ottobre. — In seguito a querela di certo ser Folcherio de
sancto Vincentio per danni recatigli dagli uomini di Pola ne' suoi beni,
udite le parti dai savi all' Istria e Trivigiano, si commette al capitano di S.
Lorenzo di istruire regolare processo, e spedirlo col suo voto alla Signoria
(carte 138 tergo).
1371. 23 novembre. — Si rinnova per due anni la licenza già con-
cessa al monastero di S. Teodoro di Pola, di far condurre 6 migliaia d'olio
1' anno da quel distretto a Capodistria con esenzione da dazi (carte 141
tergo).
1371. 31 dicembre. — Licenza ad Andrea Paradiso, capitano a Gri-
signana, di spendere lire 300 di piccoli in riparazioni a quel castello (carte
145 tergo).
1371 m. v. 15 febbraio. — Licenza ad Oliviero da Oleggio, conne-
stabile equestre in Grisignana, di andar per un mese a Ferrara a visitare
un suo fratello malato (carte 149).
1371 m. v. 20 febbraio. — Gervasio... è confermato connestabile della
bandiera di cavalleria residente in Mommorano (carte 149).
1371 m. v. 20 febbraio. — In seguito a reclami dell'abadessa e delle
monache di S. Benedetto di Trieste — luogo notevole, che soleva conte-
nere da 20 a 30 suore, occupava vasto terreno con due chiese [la minore
a S. Chiara], due dormitorii, tre pozzi, orto ed altri edificii — perchè quel
monastero, espropriato per includerlo nel castello di S. Giusto, era stato
stimato meno di éooo lire mentre valeva il doppio ; per l'assegnazione lor
fatta del luogo di S. Cristoforo che manca d'acqua, ed è sulla via publica ;
si delibera, sentito il parere di Leonardo Contarini podestà e di Domenico
Michiel capitano in detta città, che, non potendosi dare alle petenti le case
dei Burli, di assegnare alle stesse tre o quattro case contigue a S. Cristo-
foro, includendovi un pozzo; e si incarica dell' esecuzione il podestà (carte
149 tergo).
— 52 —
Senato Misti voi. XXXIV.
1372. 2 marzo. — In considerazione della povertà dei parentini, si
ordina al capitano del Pasinatico di S. Lorenzo di non far novità per due
anni relativamente all'esigere la tassa del Pasinatico dai medesimi. Essi però
dovranno pagar ciò che lor tocca per la bandiera in Mommorano (carte
1 tergo).
1372. 15 aprile. — È fatta menzione di Gabriele del fu Giovanni da
Serravalle che nella guerra di Trieste fu capo dei suoi compatriota (carte 4).
Licenza ad Oliviero da Oleggio, connestabile equestre in Grisignana,
di fermarsi in Venezia per un mese per procurare la liberazione di suo fra-
tello Rolando prigione a Ferrara (carte 4).
1372. 2 maggio. — Licenza ad Andrea de Octobono, avente divieto di
avvicinarsi a Trieste meno di tre miglia, di entrare in quella città, per le
occorrenze d' una sua causa davanti a quel podestà (carte 5).
1372. 15 maggio. — Ad istanza di Maddalena vedova Tomaso Si^a
di Trieste, morto al principio della guerra di quella città, ed ebbe due dei
suoi figli, i maggiori, Natale notaio e Nicolò, confinati a Capodistria, si
permette al minore di questi di ritornare a Trieste onde aiuti la madre a
nutrire i fratelli più piccoli (carte 6).
Licenza a Nicolò Venerio di Trieste di recarsi colà e starvi fino al S.
Michele, essendo malato (carte 6).
1372. 4 giugno. — Prete Giovanni Belli veneziano cappellano di Pie-
tro Mocenigo podestà e capitano di Capodistria, potrà continuare ad occu-
pare tale ufficio anche sotto i successori di quest'ultimo (carte 13).
A Jacopo Balardi da Trieste, versante in povertà, si assegna la prov-
vigione che si paga agli altri triestini abitanti in Venezia (carte 13).
1372. 11 giugno. — Licenza a Cbeco da Rovigo connestabile di ca-
valleria in Capodistria di venire a Venezia per 15 giorni per affari (carte 15).
1372. 17 giugno. — Ad istanza di Allegranza figlia del fu Michele
Ade di Trieste, il quale per essersi allontanato da Venezia, ove stava ad
mandatimi, aveva avuto confiscati i beni ; si ordina al podestà di Trieste di
procedere agli atti di diritto, per il pagamento alla petente della dote ma-
terna, sequestrata col resto de' beni del defunto (carte 15 tergo).
1372. 29 luglio. — Ad istanza di Domenico Gruato tagliapietra di Ve-
nezia, si ordina al podestà di Rovigno di fargli giustizia relativamente ad un
credito che vantava verso il defunto Oliviero di quella città (carte 22 tergo).
— S3 -
1372. 19 agosto. — A moderare lo sciupio dell'olio prò luminaribus
seu cesetidelis che si accendono la notte in Capodistria prò custodia et aìiis
occasionibus inhonestis, si proibisce a quei podestà di lasciar consumare più
di metro, quatuordecim ohi, a misura di Venezia, tenendo accesi dodici ce-
sendelos per le guardie, cioè : 2 in sala del podestà, uno ai due soci del
medesimo, uno ai birri, uno in anditu famulo-rum del podestà, uno nel cam-
panile, 4 prò custodia equestri que fit de nocte, due prò custodia pedestri.
Si vieta ai detti podestà di spendere danaro publico in acqua per loro
uso (carte 24 tergo).
1372. 24 settembre. — Licenza a Giovanni Cigoto da Trieste, di an-
dare e stare per sei mesi a Muggia per affari (carte 29).
1372. 28 settembre. — In seguito a reclami del vescovo di Trieste
perchè quel podestà volle pagasse il dazio su certo vino portato in città
dai beni di esso vescovo in Umago, mentre per gli statuti i prodotti dei
beni dei triestini in Istria n' erano esenti ; si fa grazia per questa volta al
vescovo medesimo ordinando che sia trattato come cittadino, ed esentato
dal dazio (carte 29).
Colocius Venerius da Trieste abbia provvisione pel vitto come i suoi
concittadini (carte 29).
Similmente Giuliano de Juliano, e vada ove vorrà, non però in terre
veneziane (carte 29).
1372. 22 ottobre. — Licenza al nobile Pietro de la Fontana, eletto
podestà a Trieste, di condur seco per socium il nobile Antonio Nadal (carte
31 tergo).
1372. 28 ottobre. — A Domenico de Leo triestino, che da lungo tempo
è a Venezia ad mandatimi, si assegna la provvisione goduta dagli altri suoi
concittadini (carte 32 tergo).
1372. 25 novembre. — Al veneziano Antonio Erizzo si assegna una
paga di balestriere in Trieste [lire 16 il mese], come già ad Antonio de
Bonacursio e a Marco de Pavionibus, col solo obbligo di far guardia la notte
come per gli altri balestrieri (carte 33).
1372. 2 dicembre. — A Francesco Corno [o Corvo'] di Trieste si asse-
gna la provvisione pel vitto (carte 33 tergo).
1372. 14 dicembre. — Avendo il patriarca di Aquileia e i nobili del
Friuli partecipato novitatem Mugle pregando per aiuto, e di poter estrarre
vettovaglie dallo stato veneto ; si risponde con voti di pace, che si diede
sempre nei casi possibili assistenza ai patriarchi, ma che la terra e il co-
mune di Muggia per antiqua pacta et iura tenentur nobis de fidelitate et re-
galiis et non esset nobis honor exhibere favorem contra eam, onde contempla-
— 54 —
tione sue paiernitatis et nobilumi Venezia resterà imparziale nel fatto e nelle
sue conseguenze (carte 34 tergo).
1372 m. v. 17 gennaio. — Rolando di Oleggio tniles è nominato con-
nestabile della bandiera di cavalleria in Grisignana in luogo del defunto suo
fratello Oliviero (carte 37).
1372 m. v. 17 gennaio. — Patente ducale, ai rettori ed altri ufficiali
in Istria. Fu concesso al monastero di S. Chiara di Capodistria di portar
colà libere et expedite, tutto ciò che quelle monache raccogliessero limosi-
nando in Istria e in Schiavonia. Valevole per 5 anni (carte 37).
1372 m. v. 20 gennaio. — Licenza ad Andrea Barbarigo capitano a
Trieste di spendere lire 300 di piccoli in riparazioni a quelle mura e in
loca custodie (carte 37).
1373. 29 marzo. — Ad istanza di Zanini de Bernardo veneziano, che
servì al tempo della guerra di Trieste, fatto prigioniero dai nemici stette
in Mocho fino all' acquisto di detta città, e dai ruoli degli stipendiati in essa
fu cassato per aver moglie triestina, si concede per grazia al medesimo di
restarvi come stipendiano a patto che non abiti con parenti della sua donna
(carte 42).
1373. 24 maggio. — Per la spedizione del legno della Riviera del-
l'Istria, non potendosi fare altrimenti, si pagherà ai suoi balestrieri, per
ora, fino a lire 14 di piccoli il mese (carte 52).
1373. 24 maggio. — Ad istanza di Sadorus (?) notaio e di Pietro de
Gusmeriis di Muggia, andati ad abitare in Trieste, si accorda loro facoltà
di far trasportare in quest' ultima città le rendite delle saline e degli altri
beni che tengono in Muggia alle condizioni stesse degli altri cittadini di
Trieste (carte 52 tergo).
1373. 9 giugno. — Ducale simile alla qui addietro 17 gennaio 1372 m. v.,
a favore delle monache di S. Biagio di Capodistria (carte 53 tergo).
1373. 14 luglio. — Licenza a Filippo de connestabile di fan-
teria in Montona, di venire a Venezia per 15 giorni (carte 59).
1373. 16 luglio. — Essendo le terre dell'Istria bene regniate et fidate,
e tranquilla quella provincia, si richiamano, per togliere spese inutili, i tre
provveditori inviativi (carte 59 tergo).
1373. 4 agosto. — Si rinnova per un anno alle monache di S. Be-
nedetto di Trieste la facoltà di portar ivi dall' Istria vettovaglie ed altre cose
raccolte in elemosina (carte 62 tergo).
1373. io agosto. — Spirando l'anno della condotta di mastro Giovanni,
chirurgo salariato in Trieste, uditi Andrea Zen e Nicolò Orio, già rettori
— 55 —
in quella città, e visto quanto scrive Baldo Queruli vicepodestà ivi ; si con-
ferma per altri due anni la condotta stessa (carte 62 tergo).
1373. 5 settembre. — Ad istanza di Andrea del fu Oliveto de Bullis
e di Domenico quondam Satulini, ambi convicini di Montona, già condannati,
al tempo della prima guerra d' Ungheria, con Domenico Spezzaferro, per
1' uccisione di lurius de Zumesco al bando da Montona e distretto, ed es-
sendosi lo Spezzaferro, venuto a morte in Grisignana, dichiarato solo col-
pevole dell'uccisione perpetrata perchè il Zumesco [?] ingiuriava la Republica ;
si dichiara che i due supplicanti possano presentarsi al podestà di Montona
et uii juribus suis sicut si comparuissent ad terminum, e quel magistrato faciat
quod sit justum (cane 64 tergo).
1373. 6 settembre. — A Nicoletto Gradenigo, portulano alla porta di
S. Martino in Capodistria, si conferma per altri due anni l'ufficio bullandi
vasa del vino e dell' olio destinati a Venezia (carte 65).
1373. 13 novembre. — Ad Anichino de Petrassano stipendiano in San
Lorenzo, ridotto a vecchiezza, si assegna la provvigione di lire io di picc.
il mese, in premio de' suoi boni servigi (carte 70).
1373. 15 dicembre. — A Nicoletto Ruieo veneziano si fa grazia, in
seguito ai servigi resi, che possa avere stipendio in Trieste benché abbia
moglie in quella città, a patto che non abiti con triestini.
Ad Antonio de Cortusiis abitante in Trieste e che servì per 28 anni,
si concede la bandiera di cavalleria che comandava colà il testé defunto
Bellosio Rnsca (carte 72 tergo).
1373 m. v. 26 gennaio. — Pro gravitate persone di Tomaso Sanino
capitano a Trieste, si ordina al Capitano della Riviera dell' Istria di andare
tosto con un legno alla custodia di quella città, e vi stia fino a nuovo ordine
all' obbedienza di quel podestà e capitano (carte 75 tergo).
1373. 23 febbraio. — Licenza a Bartolomeo de Serravallo, connestabile
di cavalleria in Trieste, si concede di recarsi per un mese, per suoi affari,
nel Trivigiano (carte 81).
1373. 27 febbraio. — Si ordina al Capitano della Riviera dell'Istria
di ritornare ad custodiam suam appena giunto a Trieste il nuovo capitano
Marco Giustinian (carte 81 tergo).
1374. 2 marzo. — Al veneziano Virgilio de Canali che servì al tempo
della guerra di Trieste, poi vi ebbe stipendio per due anni, e dovette al-
lontanarsene per aver preso donna di quella cittì in moglie, si concede
che possa avervi di nuovo stipendio purché non abiti con triestini (carte
82 tergo).
1374. 17 marzo. — Licenza a Pietro Badoer, capitano a Grisignana,
-56-
di spendere altre lire 300 per riparare il ponte del castello, le case delle
munizioni ed altri edifizi (carte 91).
Al Corniti Nicolao Vegle provvisionato in Trieste si concede di venire
a Venezia per 15 giorni (carte 91).
1374. 21 marzo. — In seguito a rimostranze di Giovanni Mocenigo,
podestà e capitano di Capodistria, che aveva esposto esservi colà alcune
saline, con 22 lavoranti, li quali danno allo stato chi il sesto, chi il settimo,
chi 1' ottavo ; sed tempore opportuno non reperiuntur laboratores sufficientes i
quali potius attendunt ad alias salinas per le quali pagano solo il decimo,
que babent in summa circa 300 lavoratori ; a togliere le differenze e gì' in-
convenienti si delibera che tutte le saline solvant tantum decimum (carte 92).
1374. 28 marzo. — Ad istanza e per i meriti di Rolando Naldi abi-
tante a Capodistrh, Tomaso figlio quondam Zare già di detta città, ma da
trent' anni stabilito in Isola, non sarà considerato come cittadino ma come
forensis della città stessa, benché natovi e statovi in casa del petente (carte
93 tergo).
1374. 9 aprile. — Quod prò novis Istrie il capitano della Riviera della
Marca è mandato ad terras nostras Istrie prò securitate earum (carte 95).
1374. 23 aprile. — Licenza a Giannino Gexp abitante a Udine di por-
tare da Umago ad partes Aquilegie 12 urnas di olio (carte 100 tergo).
1374. 23 aprile. — Ad Angelo de Presenoro stipendiarlo pedestre in
Montona, che servì per oltre 20 anni in S. Lorenzo, si assegna il soldo
pedestre senza obbligo di servizio, essendo fatto vecchio (carte 101).
Su proposta di Paolo Morosini podestà e capitano a Capodistria, ed
in esecuzione della sua commissione che prescriveva l'età degli stipendiarii
fra i 20 ed i 50 anni, essendo stato tolto il comando di una bandiera di
infanteria a Lorenzo Flandria, fatto sessagennario, gli si assegna in premio
de' suoi servigi unam postam pedestrem in detta città (carte 101 tergo).
1374. 9 maggio. — Stefano de Picardis provvisionatus in Trieste ob-
bligato a tenere 6 cavalli con 5 sodi per lire 50 il mese, essendo stato in
Romans durante la guerra di Padova, e portatosi valorosamente, terrà
d'ora in poi solo 5 cavalli e 4 socii senza diminuire la provvigione (carte 104).
1374. 30 maggio. — Deliberazione di procedere e condanna ad am-
menda di Giovanni Priuli già governatore in exercitu contra Tergestinos, per
appropriazione di 200 ducati (carte 112).
r374. 17 giugno. — Non trovandosi chi voglia andar vicario del conte
di Pola pei troppo piccoli proventi di quell' ufficio, ad istanza degli amba-
sciatori di quel comune si delibera : quod de oneribus limitatis comitibus Poh
dejalchentur duo domicelli, cochus et duo equi, que omnia capiunt summam dti-
— 57 —
catomm cenlum ami et ultra ; così alleggerite le spese del conte, esso pa-
gherà al vicario, sufficienti jurisperito, 80 ducati Y anno invece di 40 che
dava in passato (carte 117).
Si rinnova per altri due mesi la ferma delle due bandiere d' infanteria
a Pola (carte 117).
1374. 27 luglio. — Si rinnova per un anno la licenza alle monache
di S. Benedetto di Trieste di portare dall' Istria in quella città vettovaglie
e cose raccolte in elemosina (carte 125 tergo).
1374. 27 luglio. — In seguito a sollecitazioni del podestà e capitano
di Capodistria super remocione paludis et barinartim prò securitate Castri no-
stri Lconis, si approva che tutti i podestà ogni anno per una settimana,
subito dopo Pasqua facere debeant cavare et laborare omnes salinarìos deinde
in dieta pallide, come parrà meglio ai podestà stessi ; il presente intanto
regulet istud factum nel modo più utile (carte 126).
1374. 31 agosto. — Al podestà di Trieste, — che si era lagnato che
avendo quei cittadini sotto i suoi predecessori vendute molte possessioni a
uomini della contea di Gorizia e di Duino, questi volevano asportarne i
prodotti senza pagar dazio - si risponde che impedisca quindinnanzi simili
vendite, se sien fatte senza espressa licenza della Signoria, e similmente
1' esportazione dei detti prodotti quando non sia autorizzata da eguale li-
cenza (carte 134).
1374. 31 agosto. — Si ordina al conte di Pola di cassare le due ban-
diere nuove di fanteria che stanno per finire la ferma ; similmente al po-
destà di Valle per la prima bandiera nuova di finteria che finirà la ferma ;
essi rettori rimpiazzeranno con soldati validi delle bandiere cassate gli in-
suficientes di quelle che si conservano (carte 134).
1374. 7 settembre. — Licenza a Francesco Corbo di Trieste, di re-
carsi in patria per 20 giorni onde tutelare i suoi interessi, essendogli morto
il padre; lasciando la moglie e i figli a Venezia (carte 136).
1374. 18 ottobre. Licenza al conte di Gorizia di esportar da Trieste
100 urnas vini ribolii per suo uso ; de facto salis et ohi fiat excusatio
(carte 143).
1374. 3 novembre. — Si ordina che sulla torre Cucherla del castello
di S. Giusto in Trieste, quia ibi clainatur, et fit custodia magna, si continui
a tener di notte accesa una lanterna [cesendeltts] a spese dello stato (carte
143 tergo).
1374. 21 novembre. — Nicolò da Verona è confermato connestabile
della bandiera di cavalleria in Capodistria già comandata da Checco da Ro-
vigo (carte 144 tergo).
- 58 -
1374. 26 novembre. — Si accresce al podestà di Capodistria l'assegno
dell'olio prò luminarìis custodiarum da 14 a 22 nutra l'anno (carte 144 tergo).
1374. 28 novembre. — Ordine a Nicolò Polani capitano della Riviera
dell' Istria, qui complevii, di tornare col suo legno a Venezia (carte 145).
1374. 26 novembre. — Sorte contese verbali fra le due bandiere di
fanteria de tergestinis di presidio in Asolo, una di esse è trasferta a Treviso
(carte 145).
1374. 8 dicembre. — Licenza al conte Nicolò di Veglia provvisionato
in Trieste di venire a Venezia per 15 giorni. — Prolungata il 13 gennaio
d'altri 15 giorni (carte 146).
1374. 15 dicembre. — Licenza al podestà, al comune e agli uomini
di Cittanova di affittare i pascoli comunali per altri cinque anni (carte 147).
1374 m. v. 20 gennaio. — Licenza a Polliceto, connestabile di caval-
leria in Trieste, di venire a Venezia per otto giorni (carte 153 tergo).
1374 m. v. 23 gennaio. — A Tiso Lugnano di Capodistria, che rese
lodevoli servigi, si accordano per grazia duas postas equestres in Trieste
(carte 154 tergo).
Senato Misti voi. XXXV.
1375. 2 marzo. — Licenza a Luchino de Pisis connestabile di caval-
leria in Trieste di recarsi in patria per un mese (carte 1 tergo).
1375. 20 marzo. — Simile a Nanino da Bologna connestabile di ca-
valleria in Capodistria (carte 6).
1375. 5 aprile. — Filippo de Villa, stipendiarius equester in Grisignana
il quale, propter percussione™ avuta in un braccio pugnando contra predones
qui venerunt ad derobandum fideles nostros Istrie, factus est impotens, è cas-
sato a posta equestri quam habet ad presens e gli si assegnano per grazia 8
lire il mese coll'obbligo di restare in detta terra (carte 13 tergo).
1375. io aprile. — Avendo Fantino Morosini, quando era capitano del
Pasinatico di S. Lorenzo, comperato 100 staia di frumento (esistenti in
Valle) pei bisogni delle sue milizie, e non volendo il podestà di Valle per-
metterne l'esportazione ; si ordina a quest' ultimo di desistere da ogni op-
posizione, e se vuol trattenere il grano rimborsi il detto capitano delle spese
fatte (carte 15).
1375. 6 maggio. — Baldassare Burlo di Trieste è accettato qual prov-
visionato in Treviso cum uno equo bono ab armis et bene fulcito, cum ducatis
decem ami in mense (carte j8).
— 59 —
1375- JI magg'°- — Proposte fatte da Paolo Morosini già podestà e
capitano in Capodistria, e approvate.
Si delibera doversi scavare il palude fattosi circa Costrutti Leonis in modo
da potervi andare in barca cum omni aqua, e così sia sempre mantenuto.
Volti quos alias captimi fuit fieri debere, fiant, così iste amunitiones et
indurationes terreni sive paludis cessabunt, nam aqua discurrens... non permittet
indurari... paludati.
Al Flumicello corrente apud travoltimi detur alia via... versus Rexanum,
per impedire che continui l' interrimento, giacché ora unus eques cum toto
equo posset ire usque ad Purpurarias.
Invece dei 16 uomini destinati alla custodia notturna della citta con 4
barche [pagati lire 7^ il mese ciascuno], i quali per essere sciavi et labo-
ratores terreni et vineanim, in luogo di far la guardia, fessi dormiunt ; si assu-
meranno dodici veneti pagati con io lire il mese, senz'altro obbligo di cu-
stodie od angarie.
Cum cirche rastellorum non sint bene clause, si ordina ut status noster
Iustinopolis sit securior, quod omnes porte, orti et loca claudantur, sicché non
possit veniri intra dictos rastellos per aliam viam nisi per ipsos (carte 21).
Essendo il Costrutti Leonis conservatio non solum Iustinopoli, sed etiam
totius Istrie, e quindi importantissimo il ben custodirlo, si delibera che niuno
degli stipendiari alla guardia di esso possa aver famiglia in Capodistria ; i
pagatori all'armamento sono incaricati di assoldare i balestrieri et pavesarios
quot deficient occasione predicta. È però lecito agli stipendiari il tener le
mogli o le famiglie in castello (carte 21 tergo).
1375. 18 maggio. — Ad istanza del comune di Parenzo gli si accorda
un prestito di 150 ducati prò optando niuros et fondamenta diete terre que
vadiint in ruinam ; li restituirà in tre anni a 50 l'anno (carte 22 tergo).
1375. 7 giugno. — Si concedono quattro page equestres in Candia a
Pellegrinato de Romano che servì valorosamente nella guerra di Trieste.
Si accordano duas postas equestres in Capodistria a Francesco Crocho
del fu Corrado de Raspurgo de Bassa Alamanea, stati ambidue (padre e fi-
glio) stipendiarli in Trieste e in Capodistria, malgrado che abbia colà pa-
renti e vi sia nato. Ciò in seguito al voto favorevole di quel podestà e
capitano Pantaleone Barbo (carte 27 tergo).
1375. 22 giugno. — Si accorda al patriarca di Aquileia licenza tnit-
tendi de cellario sive campa sua ad terram Mugle per mare 200 staia venete
di frumento (carte 30).
Licenza a Simone di Valvasone di trasportare per mare vettovaglie ed.
arnesi per uso di suo figlio che va podestà a Muggia (carte 30).
— 6o —
1375. 26 giugno. — Presentatosi alla Signoria Facina de Canciano,
uno dei triestini trattenuti a Venezia, espose come Nicolò Cigolo, ottenuto
dal podestà di Trieste un proclama con cui s' invitavano gli aventi diritto
all' eredità del fu Pietro de Fonia a far valere le loro ragioni entro un dato
termine, potè intromittere per 20 marche di beni dell' eredità stessa, con
pregiudizio dei figli minori di esso Facina ai quali spetta la successione in
discorso, e pei quali esso esponente non potè adoperarsi essendo in Ve-
nezia. Si ordina perciò al podestà suddetto di informare sulla questione e
di non procedere ad altri atti senza ordine della Signoria (carte 31).
1375. 3 luglio. — Avendo fatto buona prova la deliberazione di Se-
nato 11 dicembre 1374, con cui si permetteva di esportare da Capodistria
e da Trieste vino, sale ed olio a coloro che vi portassero frumento, fa-
rina o altri grani, essa si estende anche all' introduzione nei detti luoghi
di grascie ed altre vettovaglie (carte 3 1 tergo).
Essendovi gran carestia in Capodistria, si mandano mille lire a quel
podestà onde dar mano ai lavori ad Castrum Leonis e dar così guadagno
a quei poveri (carte 31 tergo).
1375. 13 luglio. — Giovanni de Cherio chirurgo salariato dallo stato
in Trieste, rimasto ivi per medico dopo 1' acquisto fattone dai veneziani, è
confermato nell' ufficio per due anni (carte 32 tergo).
1375. 13 luglio. — Licenza ai rettori di Trieste di esportare da Ca-
podistria, cum ordine solito, 500 altre staia di sale per uso della prima
(carte 33).
1375. 19 luglio. — Si vieta a tutti i rettori dell' Istria, del Trivigiano
e del Cenedese di removere vel destruere aliquod laborerium factum per pre-
decessores suos, senza licenza del Governo (carte 36).
1375. 24 luglio. — Rinnovazione per un anno della licenza alle mo-
nache di S. Benedetto di Trieste come al 27 luglio 1374 (carte 40).
1375. io agosto. — Il nobile Bellino Vallaresso eletto connestabile
d' una bandiera di fanteria dal podestà e capitano di Capodistria è confer-
mato in quella carica invece del fu Ognibene da Vicenza (carte 42).
I375- r3 agosto. — Ad istanza d' un ambasciatore del vicario del si-
gnore di Duino, considerato il contegno amichevole di quest' ultimo e dei
suoi dipendenti, si scrive al podestà e al capitano di Trieste che permet-
tano ai medesimi di esportare da quel territorio le rendite e i prodotti dei
beni che vi posseggono pagando i dazi prescritti (carte 44).
1375. 17 agosto. — Si permette ad Ermolao Venier, podestà a Trie-
ste, di aggiungere, se vorrà, un cavallo agli otto che è obbligato a tenere
in forza della sua Commissione ; presolo, non potrà venderlo (carte 45).
* — 6i —
1375. 21 agosto. — Licenza al podestà di Umago di affittare ad estra-
nei gli herbatica di quel comune (carte 46).
1375. 31 agosto. — Si accorda a Sacho de Codetta di Conegliano, con-
nestabile equestre in Capodistria, di recarsi per suoi affari in patria per 20
giorni (carte 48 tergo).
Si conferma, per due anni, Nicoletto Gradenigo nell'ufficio di bollare
i vasi di vino e di olio che si portano da Capodistria a Venezia (carte 48
tergo).
1375. 4 settembre. — Ad istanza di Angelo vescovo di Trieste e del
suo Capitolo si accorda loro di riedificare de suo proprio vel elemosinis, una
cappella dedicata alla Vergine, che s' ergeva cimi quodam suo cimiterio cir-
cumquaque, extra muros civitatis, ex qtdbus ut asserunt, oh reverentiam voca-
boli magnani utilitateui rccipiebant, sed fuit destructa tempore guerre ; la rie-
dificazione deve seguire construendo soluminodo ab altari ubi erat chorus, et
levando muritm Cimilerii... per medium passimi circumcirca (carte 49).
1375. 4 settembre. — Avendo il già capitano di Grisignana Nicolò
Zen fatto cassare dai ruoli di quelle milizie Iacopo de Beluti, fatto vecchio,
si accorda al medesimo la provvisione di lire 8 il mese, in premio de' suoi
servigi, coli' obbligo di abitare in detta terra (carte 49 tergo).
1375. 11 settembre. — Essendovi bisogno di sale in Trieste, si ordina
al podestà di Pirano di tenerne 1000 staia, di quello acquistato ultima-
mente dallo stato, a disposizione dei rettori triestini a 20 soldi di piccoli
lo staio (carte 50 tergo).
Il 20 settembre si assegna il detto sale da prendersi in Capodistria,
del prodotto di quella decima ; i rettori di Trieste lo faranno vendere in
città al maggior prezzo possibile (carte 50 tergo).
1375. 3 ottobre. — Elezione di tre nuovi savi all' Istria, Trivigiano e
Padovano (carte 53 tergo).
A Bartolomeo da Ravenna, cassato dai ruoli delle milizie di Montona,
dopo 30 anni di servizio, da quel podestà Maffeo Contarini cavaliere, si
accorda la riammissione allo stipendio, assegnandogli 4 lire il mese, con
esenzione dalla guardia (carte 54).
1 375. 27 settembre. — Pro subvenlione nostrorum fidclium Istrie et Ter-
gesti, si delibera che s' abbiano a pagare solo 2 ducati per anfora sui vini
che si portano da quelle terre [a condizione però che vi siano nati] a Ve-
nezia (carte 55).
1375. 3 ottobre. — Si porta da 4 a 6 ducati per anfora il dazio sul
vino ribolo che [venuto dall' Istria] si esporta da Venezia per l' estero
(carte 55).
— 62 —
1375- I2 ottobre — Si conferisce a Menegino figlio del fu Pietro Mal-
fato il comando della bandiera di fanteria già tenuta da esso Pietro; ciò
su proposta di Simon Michiel capitano del Pasinatico di Grisignana (carte
55 tergo).
Si porta a 8 ducati 1' anfora il dazio sul vino ribolo all' esportazione
come più sopra (carte 55 tergo).
1375. 18 ottobre. — Si scrive ai rettori dell'Istria di permettere a
tutti che lo dimandano di portare de Riboliis et vinis ivi prodotti (carte
56 tergo).
1375. 21 ottobre. — Si accorda a Santuccio del fu Jacopo de Tadal-
dino di subentrare al defunto suo padre nella posta equestre che quest' ul-
timo tenne per 40 anni in Capodistria, quam servire faciebat per unum bonum
et suficientem jamulum et bonum equum (carte 57).
1375. 30 ottobre. — Licenza al podestà e al capitano di Trieste di
spendere 200 lire di piccoli in mittendo extra prò sentiendo de novis.
Licenza al podestà di Grisignana di spendere lire 200 di piccoli pel
compimento dei lavori di quel castello.
Facoltà al medesimo di far la spesa necessaria alle riparazioni al bur-
chio esistente ad passimi nostrum pontis marchionis (carte 57 tergo).
1 375. 30 ottobre. — Divieto rigoroso ai notai, giudici, scrivani e sodi
dei rettori dell' Istria, del Trivigiano e del Cenedese di lasciare il lor posto
sotto pena di privazione d' ogni ufficio per io anni e di 100 lire di multa
(carte 58 tergo).
1375. 13 novembre. — Facoltà al podestà di Trieste di spendere 20
ducati d'oro per la sua abitazione, giacche finora non potè se locare cum
filiis et f umilia sua que magna est (carte 72).
1375. 20 novembre. — Quia multotiens expedit quod cives et fideles no-
stri Tergesti mittantur extra in cavalcatis vel aliter ad procurandum nostrum
honorem, si delibera che in tali spedizioni si paghino in ragione di lire io
di piccoli [il mese ?] per testa, e prò rata temporis quo servient (carte 72
tergo).
1375. 7 dicembre. — Licenza al priore e frati di S. Domenico dei
Predicatori di Capodistria di condurre per mare in quella città le elemo-
sine che raccorranno in provincia. Valevole per un anno (carte 73).
1375. 20 dicembre. — Essendovi bisogno di sale in Trieste, si dà fa-
coltà a quei rettori di esportarne 1000 staia da Capodistria, e si scrive al
podestà di quest' ultima in proposito (carte 74).
1375 m. v. io gennaio. — Licenza a Stefano de Piccardis, provvisio-
nato in Trieste, di andare per un mese in Lombardia (carte 76 tergo).
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1375 m- v- 29 gennaio. — Si acconsente che il nobile Bellino Val-
laresso connestabile di una bandiera di cavalleria in Capodistria occupi ivi
l'ufficio di socio di Giovanni Trevisan testé nominato podestà e capitano di
quella città ; si farà sostituire da altra persona nel comando della bandiera
(carte 78 tergo).
1375 m. v. 6 febbraio. — In premio dei servigi prestati nel Trivi-
giano, in Istria e a Trieste in cavalcatis et aliter da Jacopo Balardo trie-
stino, gli si assegnano ducati 5 il mese de introitibus communis Tergesti,
obbligo di esser sempre pronto ad honorem et status communis Venetiarum
(carte 8r tergo).
1375 m. v. 8 febbraio. — Licenza a Nicolò del fu conte Schinella,
provvisionato in Trieste, di venire a Venezia per 15 giorni (carte 82).
1375 m. v. 18 febbraio. — I dieci triestini destinati ad andare sulle
galee, non sapendo balistare restino in sopranumero, dovendo quei navigli
avere i balestrieri nel numero normale (carte 86).
1376. 3 marzo. — In premio dei servigi resi dal triestino Gregorio
de Basilio, che stette in Candia 4 anni agli stipendi, gli si accorda di ri-
tornar a star in patria (carte 90).
1376. 4 marzo. — Zampetrus da Venezia nominato capo di una ban-
diera di balestrieri da Nicolò Loredan, capitano a Trieste, è confermato
nella carica (carte 91).
1376. 9 marzo. — Si acconsente, udite le informazioni di Iacopo Dolfin
già podestà e di Marco Giustinian già capitano a Trieste, che il triestino
Andrea de Octobono [il quale dopo la guerra si era ritirato in una villa
presso la città] possa tornare ad abitare entro le mura (carte 91 tergo).
1376. 13 marzo. — Si autorizza il podestà e capitano di Capodistria
a nominare il connestabile di una bandiera di cavalleria, colà stanziata, in
luogo del defunto Nicolò da Verona (carte 94).
1376. 27 marzo. — Al capitolo della commissione del podestà di Ca-
podistria che gli permette di erogare 1500 lire in spese straordinarie, si
aggiunge: quod non possit expendert dictam pecuniam nisi in expensis que per-
tineant communi, et quod ipse non possit recipere aliquas regalias a communi
exceptis libris. XXXII. parvorum, quas soliti siati habere potestates prò nabulo
barcharum tam prò eundo quam redeundo (carte 96 tergo).
1376. 27 marzo. — Prescrivendosi nelle commissioni dei rettori del-
l' Istria che i banditi da uno di essi per furto, tradimento ani robaria non
possa abitare in alcuna terra di quella provincia, si aggiunge al capitolo
relativo : quod omnes rectores nostri Istrie teneantur et debeant in fine suorum
regiminum scribere unus alteri jorbannitos de terris suis prò furto, robaria
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aut tradimento sive alio notabili excessu, ut intentio terre plenius observetur
(carte 97).
1376. 29 marzo. — Rimproverando il podestà di Parenzo per non
aver obbedito ancora a ripetuti ordini di restituire i loro animali agli uo-
mini di S. Lorenzo, si rinnovano gli ordini stessi comminandosi al podestà
la pena di lire 100 se non obbedisce. — Similmente restituisca gli animali
agli uomini di Montona.
Si comunica al capitano di S. Lorenzo, e se gli ordina 1' esecuzione
della seguente deliberazione : Maffeo Contarini già podestà a Montona espose
che a Belleto e Zanino Barbo uomini di Parenzo avevano tolto 13 buoi,
ed alcuni di Rovigno 40 cavalle ; che in onta a ripetute domande il Con-
tarini, allora in carica, mai potè ottenere dal capitano di S. Lorenzo la
restituzione degli animali; perciò si commette a Leonardo Contarini eletto
a quest' ultima carica di studiare la questione e di giudicarla in modo che
a quelli di Montona sia fatta giustizia (carte 104).
1376. 6 maggio. — Attenta magna fidelitate nostrorum fidelium de Pi-
rano, si prestano loro 100 ducati d' oro, da restituirsi metà dopo 6 mesi,
il resto dopo altri 6.
Si ordina che sia lor dato un magistrum curazarium dell' arsenale per
due mesi, prò reparando et optando curacias suas (carte 108 tergo).
1376. 6 marzo [sic, maggio?]. — Trovandosi soverchio il salario asse-
gnato ai castellani di S. Giusto di Trieste [lire 24 di grossi l'anno per cia-
scuno], esso si riduce a 20 lire di grossi (carte 109).
Si riduce inoltre il salario di quei camerlenghi [obbligati a tenere un
servo e un cavallo] da lire 20 a lire 16 di grossi (carte 109).
1376. 6 maggio. — Al podestà di Parenzo, che percepisce lire 800 di
piccoli l'anno da quel comune, e lire 200 a grossi dallo stato, di stipendio
si accresce di 100 lire a grossi quest' ultima parte, dovendo tenere un socio,
un notaio, sei servi e tre cavalli.
Il salario del podestà di Umago, di 300 lire pagate da quel comune
e di lire 152, soldi 4, piccoli 4 a grossi dallo stato, è pure aumentato di
100 lire a grossi, dovendo egli tenere tre servi e due cavalli.
Cosi il salario del podestà d' Isola è aumentato di 100 lire a grossi
pagabili dallo stato ; esso riceveva da quel comune lire 600 di piccoli ed
era obbligato a tenere un notaio, quattro servi e tre cavalli.
Similmente il salario del podestà di Rovigno che percepiva lire 500
di piccoli da quel comune, dovendo mantenere un notaio, tre servi e due
cavalli.
Similmente quello del podestà di Cittanova, che riscuoteva lire 500
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di piccoli da quel comune, avendo a suo carico un notaio, quattro servi
e due cavalli.
Egualmente quello del podestà di Valle che aveva pure 500 lire da
quel comune e doveva tenere tre servitori e due cavalli (carte 109 tergo).
Dovendo il podestà e capitano di Capodistria tenere due socios, 16
servi, dei quali 6 equitatores, e 12 cavalli, 6 per gli equitatores e 6 per la
podesteria [e fra questi ultimi uno da lire 100, e due da lire 3 di grossi
ciascuno]; si delibera che quindinnanzi i podestà e capitani successori deb-
bano tenere quattro soìios venetas qui non sint nobìles Veneciariim, 14 servi-
tori, 4 cavalli per la podesteria, dei quali uno da 50 ducati d'oro almeno,
gli altri da lire 3 di grossi l'uno ; i cavalli equitatorum saranno del valore
di ducati 15 d'oro almeno (carte no).
Proposta, non approvata, per la regolazione delle regalie pagate ai po-
destà di Capodistria dai comuni di quel distretto, cioè: staia 172 biadi prò
suis equis pretio soldormn XII stario ; carra 150 di fieno a grossi 4 l'uno,
50 di paglia a grossi 2 ; carra 200 di legne da fuoco pretio grossormn II
prò plaustro sive unius mcdianini prò somerio lignorum ; galline a 2 soldi l'una,
polastros a un soldo ; ova a un denaro 1' uno. La proposta veniva fatta per-
chè sub pretextu dictarum regaliaruin multe et gravissime extorsiones et man-
carle fiunt per illos qui habent exequi dictas regalias coinunibus antcdictis
(carte no).
1376. 6 maggio. — A Lodovico de Firmo ciroicus che da molti anni
esercita la sua professione in Capodistria senza alcuno stipendio, si accor-
dano duas postas pedeslres in quella città de gralia speciali (carte ni).
1376. 22 luglio. — Si conferma per un anno la licenza, alle monachj
di S. Benedetto di Trieste, di esportare dall'Istria per quella città ciò che
raccogliessero in elemosina (carte 125 tergo).
1376. 24 luglio. — Licenza a Domenico de Lio di Trieste di recarsi
in patria per 15 giorni per render conto a due suoi nipoti della loro tutela
da lui tenuta (carte 126).
1376. 14 agosto. — Si conferma la nomina fatta dal podestà e capi-
tano di Capodistria, del nobile cavaliere Orlando de Vicecomitibits de Aule-
gio a connestabile della bandiera equestre già comandata dal fu Bartolomeo
da Crema (carte 130 tergo).
1376. 23 settembre. — Scadendo il 29 il dazio d'entrata sul ribolo, si
delibera, prò bono commutai et eliam prò botto e! siibucntione nostrorum fide-
liinii de partibits Istrie, che resti in vigore per altri 6 mesi nella misura di
due ducati per anfora.
Il dazio poi all' uscita, sul medesimo vino, nulla fruttando perchè
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troppo elevato [ducati 8 d'oro per anfora], si riduce a ducati 4 (carte 136
tergo).
1376. 23 settembre. — Licenza a Pietro Balbi capitano a Grisignana
di spendere lire 100 in riparazioni agli edifizi publici (carte 137 tergo).
1376. 1 ottobre. — Elezione di cinque savi all'Istria, Trivigiano e
Padovano (carte 138).
1376. 3 ottobre. — Si danno a prestito 150 ducati al comune di Pa-
renzo, per acquistare armi prò jukiinento nostrorum fiddium (carte 140).
1376. 15 ottobre. — Dietro raccomandazione di Francesco Venier
conte a Pola si dà il comando della bandiera equestre in Momorano, va-
cante per la morte di Gervasio da Ravenna, a Nicolò de Costabilis di Fer-
rara abitante in Treviso, che s' era distinto nelle guerre di Trieste e di
Padova (carte 140 tergo).
1376. 30 novembre. — Si concede grazia di tornare a Trieste colla
famiglia ad Omobono Burlo [di circa 60 anni] patruo del fu Iacopo Burlo
già provvisionato in detta città e distinto per fedeltà (carte 142).
1376. 2 dicembre. — Si assegnano, dietro sua domanda, ducati 100
d' oro al podestà e capitano di Capodistria per riparare ad un guasto nelle
mura avvenuto per la caduta di parte di una vecchia casa appartenente a
quelle monache di S. Chiara, la quale est versus casirum leonis, et pars ip-
sius.... est ex parte anteriori et alia pars ex parte posteriori de entra murimi
[civitatis] ; et... accidit mine quod pars ili a quo apparet de extra murum ce-
cidit... taliter quod intra unam partem et aliam muri civitatis remansit un
vacuo di 4 \ passi ; restando in piedi, ma in istato minaccioso, la parte di
casa verso la città (carte 143).
1376 m. v. io gennaio. — Dietro consiglio dei rettori di Trieste, le
20 bandiere di fanteria ivi stanziate si riducono a 12; e le 6 di cavalleria
a 4 ; riformando con militi validi delle cassate i meno atti delle conser-
vate (carte 150).
1376 m. v. 16 gennaio. — Si conferma la sentenza pronunziata da
Pantaleone Barbo, già podestà e capitano a Capodistria, colla quale Gio-
vanni Volta fu bandito da quella città in perpetuo ; sotto pena di perdita
degli occhi se rompesse il bando (carte 157).
1376 m. v. 21 gennaio. — Licenza a Iacopo Dolfin cavalier, podestà
e capitano a Trieste di mettere Nicolaum de Symone da Venezia, quantun-
que suo socio, a capo di una bandiera di balestrieri ex illis a castro a Ma-
rina (carte 154 tergo).
1376 m. v. 26 gennaio. — La bandiera di fanteria, che il podestà di
Valle dice non necessaria, è cassata (carte 157).
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Senato Misti voi. XXXVI.
1377. 1 aprile. — Non avendo potuto i provveditori teste tornati dal-
l'Istria presentare la loro relazione, si dà loro facoltà di farlo entro il mese
(carte 1).
1377. 9 aprile. — Licenza a Jacopo de Coderta, connestabile equestre
in Capodistria di venir per un mese a Venezia (carte 4).
1377. 2 maggio. — Stando Pietro Emo per andar podestà e capitano
a Trieste, si porta da due a tre il numero dei suoi soci, prò bona custodia
civitaìis ; per tale aumento di spese si assegnano all'Emo in compenso lire
3 di grossi prò suo regimine (carte 7 tergo).
1377. 8 maggio. — Per proteggere Negroponti ed altri luoghi si or-
dina 1' arruolamento di milizie ; in ordine a ciò si delibera : Quod per po-
testatem et capi'aneum Tergesti soldentur a centum itsque CL tergestini suffi-
cientes sub sex connestabilibus , cum soldo librarum XIIII parvorum pavesarlo
bene armato et fulcito, et XVIII balistario, ad suas expensas, dando pagani de
quatuor mensibus et firmande aliis duobus, in quibus sint quampìures baìistarii
esse potermi! ; procuri però di aver gli uomini a minor prezzo; saranno tras-
portati a destino gratuitamente, e cosi nel ritorno.
Si arruolino altri 50 uomini in Capodistria alle stesse condizioni
(carte 8).
1377. 20 maggio. — Nelle commissioni del podestà e del capitano di
Trieste si ordinava che uscendo l'uno di città, vi rimanesse l'altro; unifi-
cate ora quelle due cariche, se il podestà e capitano avesse a sortire dalle
mura, la custodia civitaìis sarà affidata al castellano di S. Giusto o a quello
del castello a Marina, a quello cioè che non erit dieta die de custodia. Il
podestà non potrà mai hospitare extra terram (carte io).
1377. 29 maggio. — I savi all'Istria e al Trivigiano presenti e futuri
non potranno rinunziare sotto pena di 100 ducati per testa sotto vermi
pretesto (carte io tergo).
1 377. 17 giugno. — Avendo Almerico de Adam ordinato nel testa-
mento che la sua casa nella contraici Ribiirgi in Trieste fosse venduta e col
ricavato istituito un ospitale ; Nicolò Cigoto commissaritis del detto testatore
chiese licenza di passare alla ve 'dita della casa stessa, ove abitava il capi-
tano della città ; considerandosi poi esser essa necessaria allo stato, si de-
libera, annuente il Cigoto, di acquistarla per 2500 lire di piccoli (carte 15
tergo).
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1377- 27 g'ugn0- — Provisiones posite per nobiles viros Thadeum htsti-
niano militem, Victorem Pisani, tamen absentem, et Simonem Michaelem provi-
sores missos ad partes Istrie.
Capta. — Quia penitus opportet providere de bona custodia castri nostri
a Marina Tergesti ; Vadit pars quod rnandetur Solutoribus Tergesti, quod ambo
de cetero debeant habitare in castro, ita quod in mete ambo semper sint in ca-
stro ; de die aittem saltem unus eorum ibi rananeat. Et ex mine ordinetur quod
quam celerius esse potest hedificentur eorum habitationes in castro, non dejfpZciendo
propterea quod ipsi solutores vadant statini ad slandum in castro.... in illis do-
mibus que ad presens facte sunt. Et propter hoc onus allevientur prefati solu-
tores ab onere unius equi quem babere tenentur. Et buie stricture de abitando
et stando in castro teneantur penitus castellani castri S. Insti. — E veggasi
«Archeografo triestino», nuova serie, voi. II, pag. 366-371.
1377. 3 luglio. — Quod prò Dei reverentia ordinetur quod cassatis sol-
datìs Tergesti sicut captum est in Consilio rogatorum et Zonte, infrascripti ter-
gestini fideles nostri qui usqite nunc steterunt ad confinia in Veneciis, multum
obedientes, et cimi magna paupertate, possint redire Tergestum ad libitum suitm.
Nomina eorum sunt : Facina de Cantiano — Hector de Cantiano, Fran-
ciscus Corno, Bertulinus Bote^, Dominicus de Lio, Natalis de Iudicibus (carte 19).
1377. 13 luglio. — Nicoletto de Medio potrà stare come balestriere
in Trieste, quantunque sia stato socio del podestà e capitano Iacopo Dolfin
(carte 21 tergo).
1377. 16 luglio. - Nicolò Civran eletto provveditore a Trieste è
assolto dall'obligo di andarvi avendo la moglie gravemente inferma (carte 23).
1377. 28 luglio. — Licenza alle monache di S. Benedetto di Trieste
come al 22 luglio 1376; per un anno (carte 23 tergo).
Prolungazione fino al S. Michele del termine accordato ai provvedi-
tori qui fuerunt in Istria, per proporre in senato le rimanenti provvigioni
(carte 23 tergo).
1377. 16 luglio. — Si delibera di mandare a Trieste due provveditori,
da eleggersi in Senato, per riferire sullo stato di quelle fortificazioni e per
ridurre il numero di quelle milizie (carte 25).
1377. 28 agosto — Ad istanza di Fiorito e Bernardo del fu Manfre-
dino de Casto si accorda al primo la successione al padre testé morto nel-
1' ufficio di uno dei quattro giustizieri di Capodistria. Manfredino aveva
avuto tale ufficio in considerazione dei meriti di suo fratello Alberiguccio,
'il quale morì nella guerra di Candia, essendo connestabile di fanteria; e
perchè potesse mantenere due figli di quest' ultimo. Morto uno di questi
[maschio], il Fiorito dovrà mantenere 1' altro eh' era una ragazza (carte 32).
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Si conferma per altri due anni nell' ufficio di chirurgo salariato in
Trieste (carte 32).
1377. 20 settembre. — Nicoletto Gradenigo è confermato per altri
due anni nell'ufficio di bollitore dei recipienti da vino e da olio in Capo-
distria (carte 33 tergo).
1377. 20 settembre. — Si dà facoltà al capitano di Grisignana di spen-
dere lire 300 di piccoli in riparazioni : alla casa abitata dal marescalco, crol-
lata, alle case grande e piccole in cui stavano officiala et famili del capitano,
alla lobia stipendiariorum equestri/un, ubi debent facere custodiam nocte, ai co-
reda qui suiti circa castra ove non si può far la guardia senza pericolo; ai
tetti del palazzo e delle case del comune ecc. (carte 34).
1377. 24 settembre. — Licenza di rimpatrio al triestino Nicolò Mis-
salto, uno dei confinati, il quale non potendo mantenersi a Venezia, era
stato relegato in Parenzo (carte 39).
'377> 3 novembre. — Licenza a Nanino da Bologna connestabile eque-
stre in Capodistria di andar per un mese in patria.
Andrea de Mercatello eletto connestabile di una bandiera di fanteria in
Capodistria vacante per la rinunzia di Checco Longo, è confermato nel
comando (carte 42 tergo).
1377. io novembre — Facoltà ad Andrea Paradiso, capitano del Pa-
sinatico di S. Lorenzo, di spendere lire 200 di piccoli del tesoro dello stato,
in riparazioni alla casa abitata da un connestabile, al tetto del palazzo, ed
ai balaloriis castri (carte 43 tergo).
Facoltà al podestà e capitano a Trieste di spendere lire 100 di piccoli
prò miltendo extra nun'ios ad senticndum de novis (carte 43 tergo).
Licenza di ripatriare a prete Iacopo da Trieste, che esigliato da quella
città si condusse in Muggia traendovi vita lodevole (carte 43 tergo).
Licenza per un anno ai frati Predicatori di S. Domenico di Capodi-
stria di condurre al loro convento liberamente le elemosine che raccoglie-
ranno in tutta l' Istria (carte 43 tergo).
1377. 18 novembre. — Licenza di ripatriare a Quagliettino figlio del
fu Paolo da Trieste, il quale partito a circa 9 anni da quella città, andò
per raga^inns con Astulfo dalle mani del quale ora extractus fuit (carte
44 ^rgo).
1377. 1 dicembre. — Licenza per cinque anni alle monache di S.
Chiara di Capodistria di portar liberamente al loro convento le cose limo-
sinate nell' Istria e in Schiavonia (carte 45 tergo).
1377 m. v. io febbraio. — Licenza a Baldassare Burlo, provvisionato
in Treviso, di recarsi per un mese a Trieste (carte 50).
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1378. 4 marzo. — Nominatosi Nicolò Soranzo capitano della Riviera
dell' Istria, si ordina al capitano cessante che torni a Venezia col suo legno,
dhniilcndo alìnd Ugnimi ad custodiam (carte 51).
1377 m. v. 15 febbraio. — Facoltà al capitano di S. Lorenzo di spen-
dere lire 200 di piccoli in riparazioni alle mura del castello e per far fare
imam calcheriam seu fornacem.
Si accorda un prestito di 100 ducati al comune di Rovigno per com-
piere i lavori ordinativi per fortificazione dal provveditore ivi mandato. Re-
stituzione entro un anno.
Similmente al comune di Umago per fornirsi d'armi, le quali saranno
acquistate per conto e desiderio di quello dai Patroni dell'arsenale.
Si accorda a prestito al comune d' Isola il danaro occorrente per l'ac-
quisto [da farsi dai Patroni all' arsenale] di 40 bacinelli, 40 corazze e 20
buone balestre. Restituzione come sopra (carte 52).
1378. 22 marzo. — Licenza a Rolando de Olegio connestabile eque-
stre in Capodistria di venire a Venezia per un mese, per maritarvi una sua
figlia (carte 54).
1378. 20 aprile. — Facoltà a Marco Gisi, eletto capitano del Pasina-
tico di S. Lorenzo, di condur seco e tenere per socio o vicario certo Gio-
vanni da Cremona (carte 56).
1378. 20 maggio. — Facoltà a Marco Giustinian eletto podestà e ca-
pitano a Capodistria di condur seco per sodi Zaninum de Palude e Lodo-
vico da Asolo quantunque non siano veneziani (carte 58).
1378. 24 maggio. — Facoltà a Saraceno Dandolo eletto podestà e ca-
pitano a Trieste di condur seco un socio oltre il numero concessogli dalla
sua commissione (carte 58 tergo).
1378. 20 luglio. — Deliberazione di procedere contro Giovanni Diedo
già podestà a Montona, e proposte di pena, prò istis septem capitidis sibi
oppositis. È privato in perpetuo del reggimento di Montona ; è privato di
di quello di Pola ove era stato nominato ; restituirà tutto ciò che si tro-
verà abbia preso illecitamente (carte 62 tergo).
1378. 20 luglio. — Deliberazione di procedere contro Iacopo Nigrum
sartorem già socium del Diedo, e sua condanna a non poter riavere mai più
1' uffizio e a pagare ammenda di lire 25 di piccoli (carte 63).
1378. 12 agosto. — Si rinnova, per l'anno presente, la licenza con-
cessa il 28 luglio 1377 alle monache di S. Benedetto di Trieste (carte 65).
1378. 12 settembre. — Licenza per 5 anni alle monache di S. Biagio
di Capodistria di portare liberamente al loro convento le vettovaglie e le
cose avute in elemosina nel!' Istria e in Schiavonia (carte 67).
— 7i —
1378. 24 ottobre. — Licenza di ripatriare al notaio Giovanni de Afone
di Capodistria, il quale venuto a Venezia cogli altri suoi concittadini, non
fu licenziato con essi perchè allora fu mandato a Pirano ad complendum
chartas de qitibus fuerat rogatus (carte 68 tergo).
1378. 29 dicembre. — Pietro Giustinian eletto provveditore in Istria,
è dispensato dalla carica prò gravitale persone (carte 70).
1378 m. v. 26 febbraio. — Avendo il podestà e capitano di Trieste
mandato a Venezia illos dnos qui proditorie acceperunt costrutti nostrum Mo-
cholani, che però restituirono, si delega la procedura contro i mede-
simi agli Avogadori di Comun e il giudizio successivo alla Quarantia
(carte 73).
1379. 22 novembre. — Facoltà al Collegio di mandare a Pirano, come
chiesero quei cittadini per loro sicurezza, un legno di 20 banchi, che sarà
armato dai cittadini stessi ; quel podestà manderà a Venezia gli uomini
occorrenti a condur colà il legno (carte 83 tergo).
1379. 23 dicembre. — Si ordina la liberazione dal carcere di Paolo
capitano delle prigioni, postovi perchè sospetto di aver agevolato la fuga
del vescovo di Cittanova carcerati ad petitionem del patriarca di Grado ora
cardinale (carte 83 tergo)
1379 m. v. 18 febbraio. — Quod iste ser Vitus Hotw olim potestas
Humagi, retentus occasione terre Humagi date in manibus inimicorum, prò nane
relaxetur (carte 84 tergo).
1380. 7 agosto. — Il consiglio dei savi alla guerra delibera l'arresto
di Antonio di Leonardo Venier, castellano di Moccolano quando quel ca-
stello cadde in mano ai nemici, ed ordina agli Avogadori di comun di pro-
cedere contro di lui e mandare ad esso consiglio il risultato dell'istruzione
(carte 93 e 95 tergo).
1380. 8 ottobre. — Angelo Bragadin nominato capitano del Pasina-
tico di S. Lorenzo potrà esser portato a Parenzo cuin istis duobus lignis,
cum eius artnis et familia.
Gli stessi legni porteranno a Pirano Simone Dalmario elettovi podestà
(carte 101 tergo).
1380. 13 ottobre. — Michele figlio di Gavardo de Gavardi è liberato
dal carcere, perchè infermo, verso malleveria di 1000 ducati prestata da
Matteo de Spellato (carte 102 tergo).
1380. 24 dicembre. — Trovandosi Simone Dalmario capitano a Pi-
rano gravemente infermo, lo si autorizza a venir per un mese a Venezia
lasciando in sua vece nel reggimento Michele Dalmario (carte 106 tergo).
1381. 2 giugno. — Zardinus frater Tachi Schincha di Capodistria, abi-
— 72 -
tante a Venezia, benemerito per servigi resi, è autorizzato a iar costruire
unum navegotum novum ampbor arimi XXXII vel circa (carte 122).
1381. 7 settembre. — I provveditori all'Istria partano domenica pros-
sima (carte 133 tergo).
138 1. io settembre. — Facoltà al Collegio di deliberare i provvedi-
menti per la guardia alle Riviere dell' Istria e della Marca contro i con-
trabbandi. I capitani dei legni dell' Istria si eleggeranno in Maggior Consi-
glio (carte 134 tergo).
Senato Misti voi. XXXVII.
1381. 13 settembre. — Per la custodia della Riviera dell'Istria ad
obviandum contrabannis, si eleggerà in Maggior Consiglio un capitano con
15 ducati il mese di stipendio; esso armerà una galeotta, oltre il brigan-
tino già destinato (carte 6).
I contrabbandi presi saranno divisi per tre quarti fra il capitano e i
marinai, per un ottavo fra gli ufficiali al Cattaver e i loro ministri, l'altro
ottavo andrà allo Stato (carte 6).
1381. 22 settembre. — Si scrive a Simone Dalmario podestà a Pirano.
Intellccta peticìone Petri Fora et Marci Caviano... de Pirano, continente quod
ipsi... in ista guerra remanserunt consumpti et deserti in honorem et statuiti
nostri domimi, quia ammalia sua per inimicos acrobata fueriint, et pater dicti
Marci captus fuit ab inimicis, et tandem mortuus, et quidam eius frater etiam
captus fuit.... et solvit taleam ducatorum C, et quod alia dampna etiam recepe-
runt, in considerazione di tutto ciò chiesero, malgrado le leggi in contrario,
di poter ricostruire unum fundamentum salinarum... in Valle Sizplarum. Es-
sendo poi le informazioni del podestà giunte favorevoli a tal domanda, si
deliberò di assentirvi e si incarica il podestà dell' esecuzione (carte 6).
1381. 27 settembre. — Si aderisce a proposta di Nicolò Soranzo po-
destà a Montona di esonerare quel comune per sei mesi dalla contribu-
zione pel Pasinatico di S. Lorenzo a patto che l' importo relativo venga
impiegato nel rialzare circa 14 passi del muro caduto di quel castello
(carte io).
1381. 1 ottobre. — Risposte a domande di ambasciatori del comune
di Pola :
Si rifiuta un prestito di danaro.
Quando quel conte erit ad regimen si provvederà circa il concedere a
quei cittadini la esportazione da Venezia e dal rimanente dello stato di le-
— 73 -
gnami, tegole, mattoni et agutos, con esenzione da dazio, prò reparationc
ipsius terre.
Si accordano 30 balestre, 50 tavolacii vel targoni, 200 lancie a manti,
15 casse di verettoni ; si daranno le istruzioni al conte per riscuoterne il
pagamento.
Il Maggior Consiglio eleggera il conte alle condizioni solite tempore
pacis, quia UH de Pola solvimi (carte 1 1 tergo).
1381. 5 ottobre. Qnod fiat sicut consulunt Provisores Istrie, videlicet :
Quod de datio vini quod venditur ad spinam in Iustinopoli sicut solvitur ter-
tium denarium ita redncatur ad quartum denarium protit erat ante guerram
Padue ; il dazio poi sul vino che si raccoglie in quel territorio vieti ridotto
da 2 ad un soldo per urna; tutto ciò per un anno (carte 12 tergo).
1381. 29 ottobre. — Ad istanza degli ambasciatori del comune di Pola
si concede al medesimo per un anno il prodotto del dazio dell'olio, solito
ad esigersi da quel conte per lo stato, in compenso delle spese prò labo-
rerio et reparatione del palazzo del conte stesso (carte 24).
Si concede a Nicolò de Honasiis ambaxatori commttnis... Poh facoltà di
far portare liberamente legnami [pel valore di 100 ducati] dal Friuli a
quella città per le riparazioni ad una sua casa bruciata (carte 24).
Similmente a 'Bonasino de Tìonasiis altro ambaxatori, pel valore di 50
ducati (carte 24).
1381. 21 novembre. — Ad istanza di ambasciatori del comune di Pi-
rano si concede al medesimo di provvedersi, per uso di quegli abitanti, di
grani e legumi, per 6000 staia l' anno, in Istria e nella Marca, et a Pa-
rendo sitpra, e in Puglia ; et non aliunde ; acquistando il grano in Puglia,
si adopererà come mediatore il fattore veneto ; i singoli acquisti dovranno
essere autorizzati dai» podestà di Pirano, e cosi pure lo sbarco delle der-
rate. Valevole per due anni.
Facoltà ai Piranesi di portar a vendere il loro olio in Umago, Citta-
nova, Parenzo, Rovigno e Pola pagandovi i dazi dello stato. Per 2 anni.
Simile per portare alle dette terre aglio e cipolle, come fanno gli abi-
tanti di Caorle, di Grado e delle altre contrade della Venezia.
Si ordina ai podestà di Pirano di vegliare all'esecuzione di tutto ciò,
che le concessioni non servano di pretesto a contrabbandi.
I savi non vogliono occuparsi della riduzione del dazio del Ribolii che
si conduce a Venezia, e dell' autorizzare i piranesi a pasculare super terri-
torio Htimagi, Sipari, Emonie et Insule (carte 35 tergo).
1381. 29 novembre. — I cittadini di Pirano potranno provvedersi di
grani ecc. come qui sopra, e cosi pure de grassa, de qualibet parte ut melius
— 74 —
poterttnt.... Et predichi ci omnia alia cis pridie concessa... dnrenl ad benepla-
cilum nostri dominii (carte 36).
138 1. 29 novembre. — Cnm sinthic... jam midiis diebus preteritis qui-
dam ambaxatores Adignani petentes.... rectorem per se sicut habent tilt de Pota
comitati per se, et offerunt solvere solarium dicti rectoris ; si risponde quod...
non intendimus facere novitatem, ymo est nostra intentio qnod ipsi.... tam de
Pota quam de Adignano vivant inter se pacifice et quiete Ma se quelli di
Pola molestassero o danneggiassero in modo alcuno gli adignanesi, questi
potranno portar querela in Venezia davanti gli Avogadori di comun e gli
Auditori, i quali faran loro giustizia, sicut fit de omnibus aliis Regiminibus
nostris (carte 37 tergo).
1381. 26 novembre. — Deliberazione di procedere contro Francesco
Zane gii capitano del Pasinatico di S. Lorenzo prò istis undecim capitulis
eidem opposiiis super aliquibus per ipsum commissis contra honorem et statum
Dominationis et damnum manifestum civium Vallis et civium S. Laurentii.
È privato in perpetuo del reggimento del Pasinatico suddetto, e per
due anni d'ogni altro ufficio e beneficio; condannato a pagare 1000 lire,
riservato il diritto dell' ufficio delle Rason vecchie ; restituirà tutto ciò quod
in alìquo decepisset personam aliquam in vendicione suorum territorium (carte
42 tergo).
1381. 31 dicembre. — Al capitano di S. Lorenzo, che aveva scritto
non volere in alcuno modo gli abitanti di Dignano stare sub regimine illoriim
de Pola, ma chiedere un rettore per se, si risponde ordinandogli di fidare,
quam citius esse poterit, castrum Adignani de bona.... custodia de nostris fide-
libus Pole, vel alitar ; e quindi mittere ad presentiam nostrani quatuor vel sex
de principalioribus Adignani (carte 43 tergo).
Ad ambasciatori del comune di Parenzo si risponde aderendo quod fiat
ratio ordinate eius quod habere debet commune Parenlii a nostris sapientibiis
Terre nove de denariis sequestratis apud eos, nomine dicti communis de
pagis soldatorum nostrorum. Fatti i conti del frumento dello stato rimanente
in Parenzo, se ne manderanno 100 staia a S. Lorenzo, il resto sarà dato
al comune parentino a conto del suo credito a lire 5 £ di piccoli lo staio
(carte 43 tergo).
1381 m. v. 5 gennaio. — Licenza al podestà di Capodistria di spen-
dere lire 300 di piccoli di quel dazio della beccheria prò faciendo fieri imam
tcoperturam ubi solebat esse becharia e per altre cose (carte 45).
Aderendo a proposte del podestà e capitano suddetto, gli si ordina di
dare et deliberare per viam teratici alcune case bruciate e rovinose di poco
valore, appartenenti allo stato, in modo che quelli che le acquisteranno,
— 75 —
pagandole in rate annuali, habeanl causam Iaborandi et hcdificandi eas prò
bono terre predicte (carte 45).
Licenza agli abitanti di Pola, ove è scarsezza di grano, di mandarne
a comperare dove ne possano avere fino a 1500 staia (carte 45).
Simile agli abitanti di Rovigno, limitando l'acquisto al Friuli e a Fiu-
me, per 1000 staia.
Ai medesimi si accorda di esportare per mare il loro olio [circa 12
migliaia l'anno], e di mandarlo anche in Friuli e a Fiume, com'è concesso
a Pola, Parenzo, Pirano, Cittanova ed Umago, pagando i dazi consueti
allo stato (carte 45).
1381 m. v. 28 gennaio. — Si risponde ad ambasciatori del comune
di Umago concedersi le armi domandate, cioè 20 corazze, 20 balestre for-
nite, io casse di verettoni, io arma de testa, da pagarsi giusta la stima,
quando videbitur Dominio.
Si accorda pure a quegli abitanti l'estrazione dal Friuli di legnami prò
refectione domorttm sitarum (carte 49 tergo).
1381 m. v. 15 febbraio. — Licenza agli abitanti di Valle di andar ad
acquistare in Friuli e a Fiume fino a joo staia di grano, e condurle a
quella terra.
Licenza agli abitanti d' Isola di esportare per mare il loro olio come
è concesso a quelli di Pirano, Parenzo ecc. (carte 52).
1382. 1 marzo. — Licenza agli abitanti d'Isola di condur cola dal
Friuli liberamente 1000 tabitìas prò reparatione illiits terre et domorum et pos-
sessionwn deinde (carte 55).
1382. 20 marzo. — Non potendosi dal capitano di Grisignana tenere
in culmine quella taberna opponendovi altri bisogni dello stato, gli si pre-
scrive di porne all' asta l' appalto per tempo in cui esso capitano starà in
carica (carte 63).
1382. 20 marzo. — Si risponde al podestà e capitano di Capodistria
accettando le sue proposte, di concedere cioè a certo mastro muratore li-
cenza di erigere colà una fornace da calce, tegole e mattoni, su terreno
in parte publico e in parte di privati, cedendo a questi in compenso altro
terreno publico, e prestando al detto muratore, verso malleveria, 100 du-
cati ; e se lo incarica dell' esecuzione (carte 63 tergo).
1382. 27 marzo. — Nomi degli aspiranti al vescovado di Cittanova;
fra i quali Lodovico Morosini vescovo di Capodistria ut fiat administrator
ecclesie Civitatis nove ut possit rejormare Ecclesiam Iuslinopolitanam (carte 66.
tergo).
1382. 31 marzo. — Licenza al comune e agli uomini di Trieste dì
-76 -
far portare coli dal Friuli, per proprio uso, iooo staia di frumento, eundo
ad extimariam Gradi secundum usuili ; e ciò entro il luglio venturo (carte 67).
1382. io maggio. — Ad istanza fatta da Iacopo Zorzi, anche a nome
di Domenico de Adamo da Pirano, patrono d' una galea datagli dallo stato,
una giunta di savi riferì : Esser vero che la Signoria diede a Domenico
suddetto una galea ut.... irei ad guadagnimi contra tutte inimicos nostros, il che
esso non potè fare, avendo avuto ordine dalla Signoria stessa, prima di
accompagnare in Istria navi cariche di grano, e quindi stette per 22 giorni
ad custodiam Pironi, più tardi accompagnò a Venezia navi cariche di sale;
avere constatato dai registri di bordo le spese fatte per la detta galea e pel
suo equipaggio [23 uomini de pede e 159 de remo]. In seguito a ciò si de-
libera di pagare al Zorzi e al de Adamo lire 30 di grossi, a compenso di
quanto sopra (carte 85 tergo).
1382. 20 giugno. — Si rinnova per cinque anni la licenza, alle mo-
nache di S. Chiara di Capodistria, di trasportare liberamente dall' Istria e
dalla Schiavonia al loro convento le cose raccolte in elemosina (carte 86).
1382. 9 luglio. — Licenza a Nicolò Soranzo podestà a Montona di
venire per un mese per suoi affari in Venezia, lasciando in suo luogo colà
Lorenzo Zeno (carte 94 tergo).
1382. 4 luglio. — Si scrive al podestà e capitano di Capodistria ap-
provando le sue proposte, ed ordinandogliene l'esecuzione. Esse erano : du-
rante la passata guerra multi latrunculi et predones fuerunt taliter asueti vi-
vere de rapto, quod mine... se abstinere non possunt a latrociniis et rapinis etc.
Per purgare il paese dal mal seme si instituiscano octo bonos cabaìarios....
cum uno capite qui bene cognosceret contratam, et bonos et malos, et ponendo
cum ipsis octo cabalariis duas postas capitana nostri sclavorum vernati esse
decem ; ai cabalarii si daranno lire 16 di piccoli il mese, da ottenersi stor-
nando 7 delle 16 paghe dei birri, dando lo stato lire 600 l'anno, e facendo
supplire il resto occorrente dalle ville del distretto ; i cabalarii custodi-
ranno anche la Fovea hospi, quia medietas ipsorum continue stabit ibi (carte
97 tergo).
1382. 6 settembre. — Licenza ad Egidio Morosini di ritirar da Trie-
ste con esenzione da dazio una partita di pepe mandatovi da Venezia, spe-
cialmente perchè quella città est in maxima. . turbatione (carte 108).
1382. 24 ottobre. — Essendosi taciuto [nel provvedere che i vina Ri-
bolea de Istrie paghino solo due ducati per anfora (?) all'importazione] circa
i vini di Umago e di Pola, multium debiliora Riboleis, i vini stessi sono pa-
reggiati ai detti Riboleis (carte 147).
1382. 14 novembre. — si conferma nell'ufficio Massarie di Capodi-
— 77 —
stria Damiano Grisoni, mandatovi ad esercitarlo, cum ser Marco Simiteado,
a principio quando dominatio nostra disposuit reducere quella città (carte 120),
1382. 17 novembre. - Licenza al capitano di Grisignana di spendere
lire 100 di piccoli, di ragione dello stato, prò aptando palatam Marchionis
sive Pontem (carte 120 tergo).
1382. 17 novembre. — Essendosi in addietro ridotto, per l'anno pas-
sato, de tertio denario ad quartum il datium vini tabernarum di Capodistria,
et datium totius vini civitatìs et villarum da due ad un soldo prò urna, e ver-
sando tuttavia quegli abitanti in gravi strettezze sì per la passata guerra
che per la successavi epidemia ; in seguito al voto favorevole di Iacopo
Dolfin cavaliere, ivi podestà e capitano, e del suo predecessore Marino
Memmo ; si prolunga per un altro anno la riduzione a favore dei cittadini.
Gli abitanti del contado invece, vista la lor condizione migliorata e l'ab-
bondante raccolto, pagheranno i due soldi, uno dei quali sufficiet prò impo-
sitione que eis fieri debebat prò facto cabalariorum (carte 121).
1382 m. v. 20 gennaio. — Ad istanza di ambasciatori del comune di
Muggia, gli si permette di esportare per mare dal Friuli 500 staia di fru-
mento [la domanda era per 2000] per uso di quegli abitanti (carte 129 tergo).
Senato Misti voi. XXXVIII.
1382 m. v. 20 gennaio. — Si accorda per grazia a Pietro Morosini
di far caricare su un suo legno nelle acque di Parenzo milliaria quinque
galle che fece comperare in quella città (carte 1 tergo).
1383. 3 marzo. — Licenza ad Angelo Bragadin, nominato capitano a
S. Lorenzo, di spendere 100 ducati dello stato prò laborerio palatii quod
vadit in riiinatn et prò coredoriis et aliis laboreriis (carte 12).
Simile di spendere 200 lire di piccoli per riparare il muro del castello
di Grisignana, rovinato per circa 8 passi.
Simile di erogare 400 lire di piccoli per riattare il muro del castello
di Montona minacciante su una lunghezza di circa 16 passi (carte 12).
1383. 16 marzo. — Spirando a Pasqua il tcrminus datti Ribolci d'Istria
[dazio di ducati 2 soldi 30 1' anfora all' importazione in Venezia], si pro-
lunga fino al venturo S. Michele ; alla stessa condizione sit Riboleum de
Ter gesto et de Mugla (carte 13).
1383. 30 marzo. — Proposta, non approvata, per la elezione del nuovo
capitano del Pasinatico di Grisignana, con modificazioni alle sue condizioni,
diminuzione delle paghe equestri [erano 42] ivi stanziate, ecc. (carte 17).
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1383. 6 aprile. — Donato Bocho veneziano, che nella passata guerra
servi nel castello di S. Giusto di Trieste, poi in Capodistria ove fu fatto
prigioniero dai genovesi e tenuto a Genova fino alla pace, è confermato,
per grazia, capo alla porta di S. Martino in Capodistria. Avrà un famiglio
e 12 lire il mese di salario, come gli assegnarono i provveditori colà spe-
diti (carte 21 tergo).
1383. 28 aprile. — Licenza a Zentilino Tarcllo, capii amo sclavorum in
Capodistria, di venire a Venezia per un mese per a (Tari (carte 24 tergo).
1383. 29 agosto. — Si prolunga fino al 15 settembre venturo la so-
prariferita licenza (carte 64).
1383. 15 settembre. — Simile per un altro mese (carte 70 tergo).
1383. 24 settembre. — Si prolunga a tutto ottobre venturo la vali-
dità della deliberazione 16 marzo circa dazi sul vino (carte 76).
1383. 9 novembre. — Licenza al vescovo di Trieste di far condurre
colà da Rovigno, per mare ed acque venete, staia 40 di frumento ed urnas
40 di vino delle sue rendite (carte 84).
1384. 3 marzo. — Deliberazioni proposte da Iacopo Dolfin già po-
destà e capitano a Capodistria.
Le otto e mezza page cabalariorum colà create al tempo del podestà
Marino Memmo sono ridotte a quattro.
Le decem page baroeriorum et unus preco, si riducano a cinque che fac-
ciano l' ufficio di birri e di banditori ; ai quali si daranno 6 invece di 8
lire il mese ciascuno.
Si pongono a carico del cancelliere di quel podestà e capitano le spese
di carta e cera per le quali lo stato soleva sborsare oltre 60 lire di piccoli
l'anno, ciò visto che quel funzionario trae bonum lucrum et utilitatem dal
suo uffizio.
Al capitano Sclavorum si riduce il salario da lire 35 a 24 il mese, con
obbligo di tener due cavalli invece di tre.
Si ordina la distruzione delle stalle et habitationes erette al tempo del-
l' ultima guerra ad Foveam hospì, essendo esse multum pericidose e dannose
allo stato (carte 103).
1384. 22 marzo. — Proposta del suddetto Dolfin, non approvata.
Dodici ville soggette alla podesteria di Capodistria son tenute a pagare
galline, ova, paglia, fieno, grani e legna al podestà, in correspettivo delle
quali angarie e regalie quei villici sono esentati dalle factiones a cui sono
' obbligati gli abitanti delle altre ville, ai loro patroni ; ciò porta allo stato
un danno di oltre 2500 lire l'anno. Propone il Dolfin di esonerare i detti
villici dalle accennate angarie, trattane quella del grano, e di obbligarli a
— 79 —
contribuire allo stato quello pagano le altre ai loro patroni, appaltando a
terzi 1' esazione di quelle imposte. Propone poi di compensare il podestà
della perdita che gliene verrebbe accrescendogli di ioo ducati il salario
(carte 108 tergo).
1384. 5 maggio. — Onde regalare soldalos equestres Grisignana si de-
libera che vi debbano stanziare page equestres XXXII in totum, de melio-
ribus.... sub ditobus comesi abilibus, i quali debbano avere 5 paghe in totum,
cioè una viva ed una mortila per ciascuno, una pel banderario e due per
cqititatoribns (carte 119).
1384. 6 giugno. — Non essendo sufficiente il numero di 5 a cui fu-
rono ridotti i birri di Capodistria, si riportano a ro, come per l'addietro,
collo stipendio di lire 6 il mese ciascuno (carte 134).
1384. 14 giugno. — Si concede per grazia al nobile Francesco de Ca-
stropola di andare a Pola e starvi per un anno ad attendervi a' suoi inte-
ressi. Questo in considerazione che esso e il defunto suo fratello Nicolò si
mostrarono fedelissimi, giacche quest'ultimo tempore alterius guerre lamie
juit super armata nostra cum odo sociis et duobus famulis, et stetit omnibus
suis expensis donec captus juit, e stette prigioniero 3 2 mesi ; — che Fran-
cesco suddetto stette a lungo in Treviso al servigio militare dello stato ;
e nell' ultima guerra ebbe bruciate le sue case in Pola ed altri danni, onde
ora, vecchio ed infermo, è ridotto a povertà (carte 134 tergo).
Licenza al podestà e capitano di Capodistria di spendere fino a lire
200 di piccoli di quelle rendite, in riparazioni ai ponti e ad altre parti del
Castel Leone (carte 134 tergo).
1384. 17 giugno. — Licenza a Francesco di Strasoldo di esportare
dall' Istria pel Friuli un carico di nave di pietre per farne calce (carte 136).
Senato Misti voi. XXXIX.
1384. 24 settembre. — Aderendo a proposta del podestà di Capodi-
stria, si riducono da quattro a tre i custodes campanilis [messivi prò intelli-
gcndo se cum Castro Leone], con assegno di lire 6 di piccoli il mese per
ciascuno invece di 8 ; si raccomanda al detto podestà e capitano di trovar
modo che tal paga venga soddisfatta dalle ville di quel distretto (carte 7
tergo).
Poiché il capitaneus Pedemontis esige che paghino dazio ad suos passus
tutti quelli che vogliono condur injerius ad marinam legname dei boschi
di Montona ; si ordina al capitano di Grisignana di imporre un dazio eguale
— fio -
sui legnami tagliati nel distretto di Pedemonte che si condurranno ad pon-
tem marchionis o si caricheranno nelle acque di Grisignana (carte 7 tergo).
1384. 2 ottobre. — Licenza a Iacopo Gradenigo capitano del Pasina-
tico di Grisignana di spendere lire 100 di piccoli in riparazioni a quel pa-
lazzo (carte 1 1 tergo).
1384. 29 dicembre. — Si risponde, fra altre cose, ad un ambasciatore
del patriarca di Aquileia sollecitando quel prelato a far pagare dagli abi-
tanti di Buje il dovuto ai soldati di Grisignana prò facto illius butirri ecc.
— Si risponde ad altro capitolo, assentendo a sottoporre al giudizio di
arbitri, eletti da esso patriarca e dalla signoria, le differentie territorii S.
Georgii cum illis de Buleis (carte 30).
1384 m. v. 17 febbraio. — Facoltà al doge, consiglieri, capi di 40,
savi del consiglio e agli ordini di mandare messi al cardinale patriarca di
Aquileia, per avere in mano Nicoletto Rizp veneziano ed altri, l'atti prigio-
nieri da quelli di Albona per aver esercitato la pirateria. Il detto collegio
potrà scrivere a chi crederà necessario allo scopo voluto (carte 43 tergo).
1384 m. v. 23 febbraio. — Facoltà al collegio di eleggere i due ar-
bitri per Venezia nella vertenza del territorio di S. Giorgio con quelli di
Buje (carte 47 tergo).
1384 m. v. 28 febbraio. — Proposta non approvata, relativa a do-
manda fatta da Iacobuccio di Porcia, ora capitano a Sacile, del castello
di Grisignana pire cessionis etc. offerens se paratimi dare nostro dominio et re-
stituire pecuniam nostrani prò qua ipsum habemus in pignore, et in caso quo
pur velìmus ipsum locum, quod... teneamus modum erga ipsum in dando sibi
id quod sit justum et conveniens (carte 48).
1384 m. v. 28 febbraio. — Facoltà al Collegio di scribendi et mittendi
nuntios ad illos de Albona et ad alios... aggravando factum et modum quetn
tenuerunt et tenent in nolendo as signare nobìs Nicoktum Ri%o et socios... et per-
sonas et bona capta per eos (carte 51).
1385. 19 marzo. — Licenza a Nicolò Contarini cavalier, podestà e
capitano di Capodistria, di spendere fino a 100 ducati in riparazione a Ca-
stel Leone (carte 51 tergo).
1385. 24 marzo. - Tro bono et conservatione status nostri si ordina la
formazione di due banderie pedìtum de piranensibus fidclibus nostris cum ilio
soldo et firma qui poterunt meliti! obtineri.... prò mittendo ad Ma loca nostra
et sicut videbitur Collegio (carte 59).
1385. 6 aprile. — Non potendosi avere le sopradette due bandiere di
piranesi, si delibera di farle de aliis gentìbus (carte 61).
1385. 6 maggio. — Facoltà alla Signoria di mandare unum nuntium
— 81 —
suffiaentem al duca Leopoldo d'Austria, venuto a Bolzano, per trattare con
lui, fra altro, dei danni dati dai suoi sudditi a quelli di Venezia in Istria
(carte 76 tergo).
1385. 25 maggio. — Ad istanza di ambasciatori del comune di Mon-
tana, si concede agli abitanti di essa terra di far condurre e vendere a
Venezia vino nato in quel distretto, pagando i dazi come quelli di Pola,
Parenzo ecc. (carte 81).
1385. 8 giugno. — Facoltà al capitano del Pasinatico di Grisignana
di spendere circa 200 lire in riparazioni alle mura di Grisignana in parte
rovinate. Gli si manda un barile di chiodi (carte 91).
1385. 25 maggio. — Deliberazioni proposte da Guglielmo Querini già
podestà e capitano a Capodistria.
Usandosi tenere, il 15 agosto, una fiera super flumine Rixani... que fiera
custoditur per homines Iustinopolis ai quali si pagano 40 soldi se a cavallo e
20 se a piedi, ed essendo essi pagati dai villani de extra non ostante che
questi pure vengano ad custodiam... fiere, e di più trasportino e lavorino i
legnami ad jaciendum palancatam per la fiera stessa ; si delibera che i vil-
lani sieno esentati dal detto pagamento, ma continuino le solite prestazioni,
e i cittadini suddetti faccian la guardia gratuitamente.
Per ovviare ai numerosi contrabbandi di vino e grassa che si com-
mettono nella detta città da padroni di barche, si commette ai podestà e
capitani di far perquisire dai loro sodi ogni barca 0 burchio nella notte
precedente la partenza ; tutto ciò che vi si trovasse contro le regole sarà
contrabbando. I navigli che partissero senza essere stati perquisiti paghe-
ranno lire 50 di multa. I portolani riferiranno ogni mattina al podestà sui
navigli partiti nella notte, e questo verifichi se i suoi soci abbian fatta la
perquisizione.
Essendovi in quella città multa casalia et terrena vacua dello stato, si
dà facoltà a quel podestà e capitano di affittarli od allivellarli come stimerà
più utile (carte 102).
Esso rettore dovrà una volta durante il suo reggimento cambiare la
farina, le carni salate e il formaggio della munizione del Castel Leone ; la
provvigione ne sarà commisurata pei bisogni d'un anno almeno ; così pure
farà cambiare il biscotto, il sorgo, il miglio e le fave.
Uno dei castellani dovrà esser sempre in Castel Leone sotto pena di
soldi 40 d'ammenda.
I camerlenghi o massari della città non potranno esiger danari se non
ambidue insieme e nel locale della massaria ; dovranno inscriver tosto al-
l' entrata le riscossioni. Così per gli esborsi. Ogni sabbato verseranno nella
- 82 -
cassa del comune [tenuta dal podestà e capitano] il denaro rimasto in lor
mano. Tutto ciò sotto pena della perdita dell' ufficio.
Il daziario alla stadera, ove si pesa il frumento e la farina, deve esi-
gere solo 4 piccoli lo staio dal compratore [il venditore è franco] ; ma si
sa che fa pagare un soldo al venditore ed uno al compratore ; perciò d'ora
in poi, a suo tempo i podestà e capitani porranno all' incanto quel dazio
e gli appaltatori non esigeranno più di un soldo dal venditore ed uno dal
compratore per ogni staio.
I misuratori del grano a la Piera esigeranno tanto dal venditore che
dal compratore sulle misurazioni; sed de bladis que ponderabuntur et non
mensurabuntur non possint accipere plus eo quod acciphmt ad presens, cioè due
piccoli lo staio, quia ponderator habebit soldum unum prò stario de ilio quod
ponderabitur.
I daziari della muda devono esigere 8 piccoli per cavallo caricato si
all' entrata che all' uscita nella o dalla città, 6 piccoli per saumerio ; ora in-
vece per consuetudine esigono un soldo per bestia. Si delibera perciò che
quel dazio venga posto all' incanto sul dato di quest' ultima tariffa (carte
102 tergo).
1385. 26 giugno. — Avendo il vescovo di Capodistria Lodovico Mo-
rosini esposto : che il porticam di quella cattedrale, detto volgarmente atrium
sotto il quale stanno varie sepidture clericorum et laicorum, e sotto il quale
soleva essere la staterà ubi ponderabantur farine et alia, fu bruciato dai ge-
novesi et remanet discopertum ; che il territorium quod est ante dictum por-
ticum per passus communìs tres vel circa recto tramite usque ad campanile per-
tinet ad ipsam ecclesiam come appare per modiones affixos in muro ipsius atrii;
che sopra esso territorio sunt constructe.... ad presens due staliones de ligna-
mine et aliud territorium remanet sic vacuum ; che i rettori di Capodistria
alias affittarono territoria predicta, una parte a Marco Semitecolo, una a
Rinaldo de Arimino, il resto a Tomaso Marasca o a Beatrice quondam eius
uxor, traendone circa 25 lire di piccoli ; — chiese che il detto atrio e il
territorium siano rilasciati libere prò fabrica et reparatione della chiesa. Udito
il parere di Nicolò Contarini cavalier, podestà e capitano in quella città e
di Guglielmo Querini suo predecessore, si delibera di restituire l'atrio alla
chiesa in modo che le utilità che se ne ritraggano vadano spese, dal pro-
curatore di quella, nelle riparazioni necessarie (carte 104 tergo).
1385. 8 agosto. — Cum.... Cardinalis et Patriarcha aquilegensis multum
gravari videatur de ambaxatore nostro ser Francisco Zane, de aliquibus verbis
que dicit ipsitm ambaxatorem dixisse contra ipsum.... patriarcham, sicut in suis
litteris quas misit illis de Patria Foroiulii piene cavetur ; e trovandosi oppor-
-83 -
tuno di mitigare quel prelato ut habeat causam recedendi de loco suspecto e
di venire a Venezia o recarsi in locum non suspectmn ; — si commette al
vescovo di Parenzo di recarsi dal Patriarca stesso e persuaderlo essere lo
scopo di Venezia di ricondur la concordia fra esso e i friulani, ed essere
state a ciò rivolte le disposizioni prese finora da essa (carte 125 tergo).
1385. 20 agosto. — In seguito a lettere di Iacopuccio di Porcia ca-
pitano di Sacile, e per tenerlo affezionato, si ordina agli ambasciatori in
Friuli di recarsi a Sacile, et esse cum eo super facto castri Grisignane quod
dicit ad eum spedare, et sustinere jura nostri communis sicut eis videbitur ....
In fine vero, ut ipse Iacobinus habeat causam se gerendi de bono in melius in
factis Vige, i detti ambasciatori hanno facoltà di promettere al Porcia fino
a 1000 ducati, vel inde infra quam minus poterunt, verso cessione assoluta
per parte di esso di tutti i diritti che vanta sul detto castello. Se a ciò
non si arrendesse, gli ambasciatori, prò imponendo finem prò modo buie facto
sin! contenti quod dare debcamus dicto Iacobuiio dictos mille ducatos, vel illam
qnanlitatem de qua erunt concordes cum eo, sempre il meno possibile, a patto
che finiti i torbidi del Friuli il Porcia debba restituire il danaro, e Venezia
gli restituirà Grisignana (carte 132).
1385. 17 settembre. — Fra altre risposte date ad un ambaxatori Utini
si contiene : Circa gli animali tolti dal podestà e capitano di Capodistria a
quelli di Buje, per far cosa grata ai signori rettori del Friuli, sarà ordinata
la restituzione degli animali stessi, a pitto che i bujesi diano malleveria
che staranno a ciò che verrà deciso in giudizio quando vi si sottoporrà
quella questione (carte 147).
1385. 26 settembre. — Pro botta custodia et conservatione di Capodistria
si delibera 1' elezione in Senato d' un provveditore presso quel podestà e
capitano, il quale provveditore parta il secondo giorno dopo eletto ; avrà
1 | ducato al giorno da spendere e terrà tre famigli. Porrà ogni cura, d'ac-
cordo col podestà alla custodia e conservazione della città e del Castel
Leone ; et omnia spectantia... ad factum custodie et dependentia ab hoc fiant
per ipsos ambos de societate, riservata al podestà la giurisdizione civile e
criminale (carte 153).
1385. 29 settembre. — Il provveditore suddetto sarà eletto in Senato
per scrutinio (carte 153).
1385. 5 ottobre. — Il detto provveditore avrà 40 ducati il mese di
salario e la paga di due mesi ; terrà tre famigli a sue spese ; non potrà
essere eletto alcun membro della Signoria ; si faccia per duas manus elec-
tionum in Senato et imam per scruptinium in Collegio.
Eletto Andrea Navager (carte 153). (Continua)
RELAZIONI
DI PROVVEDITORI VENETI IN ISTRIA')
(Continuazione del fascic. 30 e 40, 1886)
Relatione dell'Illustrissimo Signor Francesco Basadonna ritor-
nato di Proveditor in Istria, 1625.
Serenissimo Principe
Due furono le cause per le quali io Francesco Basadonna fui dall' EE."
VV. eletto Proveditore nella Provincia dell' Istria.
L' una per il sollievo di quei sudditi dalle estorsioni, oppressioni, mali
trattamenti, et per renderli quanto più fosse possibile consolati conforme
al proprio della somma pietà dell' Eccellentissimo Senato.
L'altra per ben incaminare l'importante negocio de' sali, nella riforma
del quale sono stati tali gli accidenti che vi sono concorsi, et li contrarij
che si sono convenuti superare, che non è stato possibile eh' io abbia in-
tieramente soddisfatto all'obbligo della visita di quella Provintia, come ho
in più mano di lettere all' EE. VV. significato.
Tuttavia trattarò sopra 1' una e 1' altra materia, et restringendomi alle
') Da copia esistente nell'Archivio provinciale,
— 86 —
cose esentiali, rappresentare con brevità quanto mi parerà degno della loro
notitia, et co '1 solito della mia riverenza ricordarò quelli rimedii che alla
mia debolezza pareranno più proprij, così per il sollievo di quei sudditi et
servitio della Provintia, come per il stabilimento del negocio de' sali, del
quale dirò prima.
Che havendo conosciuto Vostra Serenità essere necessario, che questo
pregiatissimo regalo proprio de' Principi, dovesse restare nella sola potestà
di lei, per poter con esso, si può dire, dar leggi a' vicini popoli austriaci,
che ne tengono eccessivo bisogno, et per ricevere non solo utile et certo
beneficio, con notabile servitio anco de' suoi sudditi, ma per rimuovere li
passati danni, et notabili pregiuditij eh' apportava il mal uso d' esso.
Deliberò perciò quest' Ecc."10 Senato di ricever in se non solo il sale
di Capo d' Istria, ma anco quello di Muggia, com' io riverentemente ricordai,
quello di Pirano et altre saline sparse per la Provintia, et si compiacque
d' imponermi con duplicate espeditioni, eh' io dovessi con ogni spirito ado-
perarmi, et essere puntuale esecutore della deliberatione suddetta, acciò
eh' ella fosse ridotta con la perfezione a quel fine, al quale gì' interessi
d' alcuni pochi potenti, involti in guadagni ingiustissimi, ad oppressione de'
poveri, et a notabilissimo danno publico, s' attraversavano.
Opponendosi alla dilucidatione della verità di questa grave materia,
havendo sotto varij falsi pretesti intorbidata la ragione di questo publico
affare ; per il che non sono anco mancate a me mortificationi per farmi
desistere dall' operare, se bene altro non era, che l'esecutione puntuale de-
gl' ordini di Vostra Serenità, da' quali non mi son mai partito.
Ma perchè al presente io non devo discorrere se non quanto appar-
tiene al pubblico servitio, tralasciare qual si sia altro mio particolare in-
teresse.
L' utilità pubblica che rende questo negocio, deviene da due cause ;
1' una rispetto all' avanzo che si fa dal comprar sali a L 19 il mozo al
venderli a maggiori et più alti pretij, il che segue anco con beneficio de'
Venditori, come provarò.
L'altra dalla diversione de' contrabandi, che capitavano in diversi lochi
dello Stato della Ser. Vostra, dove vendendosi il sale a ducati 20 il mozo,
et conducendoscne per il passato delle migliara di moza, riesce molto facile
conoscere questo grandissimo avanzo.
Né per esser stati assunti li sali in publico viene da Vostra Serenità
interrotto privilegio, o prerogativa alcuna a' suoi sudditi, perchè io mi sono
reso bene informato che non ne hanno di sorte alcuna.
Né si può alcuno dolere del prezzo al quale Vostra Serenità li paga,
- 87 -
perché non erano da particolari venduti, computato un anno per 1' altro,
più di lire 15 in 1 6 il mozo, oltre che gli affitti de' magazeni, cali de' sali,
et altro, diminuivano considcrabilmente detto prezzo, et li poveri salineri,
poiché non li potevano sostentare, ne trahevano insensibili utilità, rispetto
alle molte estorsioni usategli da quelli che ne incanevavano ; sì che per la
deliberatione di questo Eccellentissimo Senato, essendo pagati a Lire 19 il
mozo, gli viene non solo levata l'occasione d' ogni condoglianza, ma anzi
devono sempre farsi maggiori le loro obbligationi verso 1' EE. VV.
Oltre che havendogli elle con benignità singolare permessa l' incorpo-
ratone, durante la caneva publica, utilità grande che gì' è stata evidente-
mente donata, non potendo essi sostentarli a quel prezzo che sono stati fatti
valere, tenendo il publico tutto il negocio, perchè la loro concorrenza nel
venderli cagionava la bassezza dei pretij con beneficio solamente d'Austriaci.
Non aggiungerò altro a questo particolare, solo che se non fossero stati
gratiati, sarebbero pervenuti nella Cassa publica di detta ragione ducati
quarantaquattromille incirca.
Et posso assicurare l'Ecc.0 VV., anzi conviene esserle noto, ch'ai pre-
sente 1' universale di Capo d' Istria vive in gran consolatione et commo-
dità, et quella Città s'andarà sempre maggiormente popolando, poiché al
presente si trovano li poveri liberi dalle estorsioni, et quel territorio resterà
meglio coltivato ; come seguirà anco di quello di Muggia per la commo-
dità che hanno quei sudditi al presente di farlo, correndo il danaro, che
per inanzi per la loro povertà, et miserie non lo potevano fare, et seguì
anco al presente il spazzo più facile d'ogni qualità d' entrata, che si cava
da quei territorij per la medesima causa della commodità del danaro che
capita nelle mani de' particolari, et perciò si vede essere sino al primo anno
stati spegnati dal Monte di pietà in Capo d' Istria pegni per il valore di
molti migliara de' ducati, come anco sono d'altri migliara de' ducati se-
guite francationi di debiti d' esso Monte. La communità di Muggia haverà
pagato in poco tempo sei mille ducati de' debiti, quella di Capo d' Istria
ha considerabilmente accresciute le sue entrate, et i fondi delle saline an-
ch'essi augumentati di prezzo.
Utilità et benefici seguiti dopo l' introduttione della nuova forma di
vender li sali, et non ostante le insidiose machinationi usate per abbattere
questo negocio, delle quali più volte ne ho reso ragguagliate le Eccellenze
Vostre, si sono nondimeno nel tempo che mi sono trattenuto in Provincia
venduti sali per il valore di ducati 104.600, che sono stati compartiti tra
Vostra Serenità et particolari per le ragioni de' loro sali incorporati, e
tratta la publica portione per la somma de' ducati 62,000 (sessantaduemille)
da un capitale d' alcune farine che di publico ordine furono date alla Com-
mutimi di Capo d'Istria al tempo della guerra del Friuli per il valore de
ducati tremilleottocentonovantadue (3892), per il pagamento delle quali ri-
cevè 5085 mozza di sale et da altri 3000 ducati mandati dall'Illustrissimo
Magistrato del sale, che formano in tutto capitale solamente seimilleotto-
centonovantadue (6892), che ha moltiplicato in utilità di Vostra Serenità
sino alla summa dei suddetti 62000 ducati.
Di tutto questo giro di negocio, dal principio dell' introduttione della
Caneva publica sino al mio ripatriare, ho fatto formare un diligente conto,
1' ho presentato neh" Eccellentissimo Colleggio, et supplicato quegli Eccel-
lentissimi Signori farlo vedere per comprobatione di quanto ho più volte
scritto delli beneficij, et utilità publiche et private che rende questo negocio.
Lo hanno le loro Eccellenze commesso agli Illustrissimi Signori Regolatori
sopra la scrittura, perchè dalla prudenza di quegli Illustrissimi Signori sia
ventilato, et portati li loro sensi a questo Eccellentissimo Senato, come
stimo sarà seguito.
Et perchè dall'essersi assunti tutti li sali della Provintia in publico, e
dall' haver io quanto più ho potuto impediti li contrabandi, fu stimato che
li Triestini, et gli altri lochi austriaci non potessero più trahere per l'av-
venire quella quantità de' sali che prima solevano di contrabando, sono se-
guiti gli avantaggiosi partiti quali apportano anco altri rilevanti beneficij
così al publico, come a private persone, perchè restando obbligato il Par-
Mante a levar 9400 mozi di sale a prezzo di lire 48 il mozo, che impor-
tano ducati 72770 all' anno, de' quali detratta quella quantità che dev' es-
sere impiegata nelli pagamenti di quelli eh' annualmente raccolgono parti-
colari nelle saline della Provincia, quali pagati restano anch'essi di publica
ragione, viene il rimanente in contanti a restare in avanzo di Vostra Se-
renità.
Non si può sapere così puntualmente la quantità del danaro che habbia
ad essere impiegata annualmente nelli predetti pagamenti, perchè le annate
seguono abbondanti, et sterili secondo la qualità delle stagioni, che riescono
più o meno proprie per congelar sali. — Alcune volte si sono in un anno
raccolti fra Capo d' Istria et Muggia dodici in quattordici mille mozi, et in
altri tremille et duemille solamente ; si che si fa giuditio dalle passate rac-
colte in più anni che uno per l'altro si possano impiegare in pagamento
de' sali vintitre in vintiquattro mille ducati in circa ; onde Vostra Serenità
conviene avanzare ogni anno in contanti, detratte le spese, ducati 47000.
Ma seguano le raccolte sterili o fertili, si viene a cavar al presente da
sudditi austriaci ducati 72.000 all' anno, che vanno compartiti tra Vostra
_ 89 -
Serenità et suoi sudditi, che per il passato mentre li sali erano in potere
de' particolari, rispetto alla bassezza del prezzo, a' quali li vendevano a'
medesimi Austriaci, non se ne traheva se non ducati quindici in sedicimille,
quali se bene capitavano tutti in solo potere de' particolari, erano però in
molto minor summa di quello, che al presente gli stessi particolari cavano
de' loro sali ; ma Vostra Serenità non ne riceveva utilità alcuna, e tutto il
beneficio restava nelli soli sudditi austriaci, perchè all'hora per la concor-
renza de' venditori havevano il sale a vilissimo prezzo.
Et dovendo per le conditioni del partito di commissione dell'Impera-
tore restar prohibiti li contrabandi nei lochi austriaci, onde non potendo li
Triestini vendere se non il sale che raccolgono nelle loro saline, che è
poco, rispetto a quei bisogni, conviene diminuirsi grandemente il corso a
quella Città, et conseguentemente accrescersi quello di Capo d'Istria e Mug-
gia, perchè secondo la quantità maggiore et minore de' sali che si esitano
in Trieste, tanto maggiore e minore conviene seguire il corso delle merci,
et spazzo d' essi in Capo d' Istria et Muggia, oltre che l' Imperatore dopo
l'approbatione del partito, et espedittione de' Commissarj per questo effetto
a' confini, come ne diedi avviso all' Eccellenze Vostre, havendo permesso
in quella Provintia di Vostra Serenità la introduttione di pellami, telami,
carnaggi, et altre sorti di merci, che per inanzi erano sospese, apporta gran-
dissimo beneficio all'Universale di essa, et pare che gli Austriaci a quei
confini non trattino più con quell' acerbità colli sudditi della Serenità Vo-
stra, come per il passato solevano, ma con molta desterità, et amore-
volezza.
Viene anco questa approbatione dell' Imperatore a levare li transiti
molesti de' sali alla navigatione del Golfo, quali dalli Stati del Papa, et del
Re di Spagna si potriano trarre per gli Austriaci, et ho saputo per via di
Trieste, che prima che restasse concluso il presente partito con Vostra Se-
renità, era stato strettamente trattato col Cardinal Barberino per concluder
per quella Città altri partiti de' sali di Cervia, il che haverebbe potuto fa-
cilmente far seguire qualche sinistro accidente tra Vostra Serenità et l'Im-
peratore' per occasione della navigatione.
Li reciprochi commertij, l' interesse della Camera Imperiale, che cava
anch'ella utilità d' una lira per staro di detto partito, et medesimamente
P interesse che li principali Ministri della Corte tengono in esso, conven-
gono partorire se non buoni effetti con Austriaci, così che conoscendosi
riuscire fruttuosissimo a' publici et a privati interessi, sarà il mantenerlo,
et sostentarlo effetto proprio della prudenza singolare di questo Eccellen-
tissimo Senato.
— 90 —
S'opposero ai partito li Signori della Provintia del Cragno, li Trie-
stini, Fiumesani, et con espresse Ambascierie esposero al Principe d' Ecchem-
bergh, et all' istesso Imperatore li loro gravami, et in particolare perchè le
venisse prohibito di non poter ricevere dallo Stato di Vostra Serenità con-
trabandi, né per terra, né per mare, come prima facevano.
Asserivano inoltre, che la confirmatione fatta da Sua Maestà Cesarea
pregiudicava notabilmente alla libera navigatione, che nel Golfo veniva pre-
tesa dalla medesima Maestà, con tutto ciò restarono licentiati.
Solo alcuni Paghesani sedotti da contrabandieri continuano sotto colore
di miserie universali di quell' Isola ad opponersi per restar privi dicono del
spazzo di parte de' loro sali nelle scale di Buccari e Fiume, che gli sono
state levate, et assignate al Partitante, non gli potendo quella di Obro-
vazzo, che gli è sola rimasa, servire allo spazzo del restante de' loro sali,
oltre li seicento mozi, quali per compenso di quella quantità, che potevano
esitare nelle predette scale di Buccari e Fiume, gli vengono pagati a prezzo
avantaggioso de ducati dodeci il mozo, parte dall'Ili."10 Magistrato del sale,
et parte dal Partitante.
Et se bene di ordine di Vostra Serenità ho rappresentato li miei ri-
verenti sensi sopra altre supplicationi delli medesimi Paghesani per occa-
sione dell' istesso partito, devo nondimeno anco al presente aggiungere, che
come essi mentre gli restarono intercette le scale di Buccari e Fiume du-
rante la passata guerra del Friuli hanno colla sola scala d' Obrovazzo non
solo ispedito tutti li propri loro sali, ma anco intaccato in grossa quantità
quelli di publica ragione, come dalle sentenze della felice memoria del già
Illustrissimo Signor Francesco Valier, quando fu in quell' Isola Proveditor
de' sali si può vedere, per le quali restarono condannati a pagarli, così non
so conoscere come al presente possano con ragione sostentare, che non le
serva a sufficienza la predetta scala d' Obrovazzo per assai minor quantità.
Ma io resto anco informato, che intanto li Paghesani vengono facilmente
mossi a comparire a' piedi di Vostra Serenità, in quanto che non gli sono
pagati altri sali dall' Illustrissimo Magistrato del sale, che hanno cessi, per-
ché sì come appare che altre volte per parti prese nei loro Consegli hab-
biano volutto venderli tutti al publico, così quando non dubitassero di con-
seguirne il pagamento non solo desisterebbero dalle presenti loro condo-
lenze, ma li rinuntiarebbero intieramente nello stesso modo che altre volte
, deliberarono d'eseguire.
Per sostentare il Partito è di necessità haver cura particolare del corso
in Capo d' Istria et Muggia, eh' è quella frequenza de' sudditi austriaci che
vengono a levar sali, acciocché possa vender intieramente la sua entrata,
— 91 —
ovviando alle fraudi di quelli che essendo soliti ridurre a se stessi questo
traffico, ad altro non mirano che a macchinare contro il spazzo d'essi, per
farlo cadere, et con tal mezo rihavere il pristino rilasciato modo di nego-
tiare a publico pregiuditio, et a distruttione de' poveri.
É anco sopra modo necessario prendere altre risolutioni per impedire
li contrabandi, perchè se bene sono dall' Imperatore prohibiti per li suoi
Stati, s' inzegnano molti, hora che li sali si vendono a più alti prezzi, d'esi-
tarne per terra et per mare nascosamente a' sudditi austriaci, et per esser
stati li sali di quest' anno passato sopra le saline di Pirano per il corso di
mesi cinque più di quello comandano gli ordini di questo Eccellentissimo
Senato, il Partitante ha certamente ricevuto grave colpo nelli suoi interessi,
et resta questo danno in parte provato dalla quantità de' sali che sono man-
cati nelle saline, et da diversi processi formati.
Se ne ha egli grandemente più volte doluto con me, perchè nel prin-
cipio del suo partito siano stati lasciati per tanto tempo 4000 mozi di sale
sopra quelle saline in libertà d' ognuno, sicome con più mano di lettere
ho rappresentato all'EE. VV., non essendo possibile che quantità di barche
et di gente nelle fredde et lunghe notti dell' inverno possano impedire per
terra et meno per mare li contrabandi, essendo quelle saline situate in tre
Valli tra esse molto lontane, dove difficilmente possono le barche por-
teggiare.
Oltre che essendo quelle povere genti grossamente creditrici de' paga-
menti de' loro sali dall'Ili."10 Magistrato del sale, sono astrette per non veder
morire le loro famiglie dalla fame, invitati massime da tanta commodità,
a commettere contrabandi, né il farli prigioni riesce così facile, come viene
creduto, perchè stanno molto ben avvertiti, et scoperti, vanno ad habitare
nei Paesi Austriaci, et il devenire a sentenze de' bandi segue con troppo
pregiuditio de' publici interessi, come altre volte è stato considerato.
Fu però dalla prudenza di questo Eccellentissimo Senato per impedire
tali inconvenienti deliberato che detti sali per li primi di novembre doves-
sero ordinariamente essere incanevati ; ma io non l' ho potuto a tempo se-
guire spettandosi quel negotio all' Ill.mo Magistrato del sale.
In sostanza se non saranno ordinate altre provisioni per rimuovere li
contrabandi di Pirano in particolare, che seguono per terra e per mare, a
pregiuditio del Partito, si rendano certe TEE. VV. che non sarà possibile
che possa continuare, dimostrando 1' esperienza che le passate non hanno
sufficientemente servito per impedirli, ne per mio riverente senso si pos-
sono applicare più proprij et sicuri rimedij a questo male, che il serrare
le saline con fossi dalla parte di terra, et con palificate dalla parte di mare,
— 92 -
come per il passato erano, et se ne vedono le vestigie, lasciandole un solo
ingresso et una sola uscita coli' assistenza sopra d' un Guardiano che tenga
conto de' sali, che di tempo in tempo si levaranno, et per tal via render
impossibili i contrabandi ; opera che non riuscirà difficile, perchè li Pira-
nesi a mia persuasione presero ultimamente parte di farla a loro spese in
quella maniera ch'io scrissi.
Se li Guardiani stipendiati grossamente dall' Illustrissimo Magistrato
del sale per custodia delle saline di Pirano, quali se ne stanno infruttuo-
samente in questa Città, fossero astretti conforme alli loro obblighi ad habi-
tare nelle case situate in esse, che con ottima avvertenza sono state fabbri-
cate per ovviare a' contrabandi, riuscirebbe di publico servitio ; ovvero per
non continuare a spendere inutilmente quel danaro, ch'è in somma consi-
derabile di molti centinara di ducati all' anno, prendere altro espediente,
acciò che restasse per altra via impiegato alla medesima custodia.
Et se l' EE. VV. risolvessero di far pagare alcune poche saline che
sono a Isola, Brioni, et in certi altri lochi sparse per la Provintia per farle
poi distruggere, il che non seguirebbe con molta spesa, et mi persuado
anco con sodisfattione di propri patroni d'esse, riuscirebbe medesimamente
di considerabile publico servitio, perchè per essere queste per il spatio di
decene di miglia lontane 1' una dall' altra, non solo non si possono impe-
dire li contrabandi di quei sali, ma servono anco a fomento di maggiori
d'altre parti, et sarà anco di necessità di fermar il corso alli contrabandi
che da Pago vengono condotti alle scale di Buccari e Fiume a notabile
pregiuditio del Partito.
Apportarebbe anco gran giovamento a publici interessi ordinare, per
qualche tempo almeno, una diligente inquisitione alle riviere del Golfo, nel
Trivisano, Friuli et altri lochi sino al Lisonzo contro quelli che spalleg-
giano et ricettano contrabandi, restando io informato che da barche de'
Chiozoti vengono condotti in quelle parti sali di Cervia, perchè castigati
quelli che tengono intelligenza et facilitano il loro esito ne restarebbe le-
vata F occasione.
Ho più volte scritto a Vostra Serenità, che regolato che sia questo ne-
gocio, doverà render d' entrata al publico considerabile summa d' oro, per-
chè oltre 1' annua rendita del partito, sì come resta provato, di ducati 47,000
il solo Partitante del Friuli ha levato, nel tempo eh' io ho servito all' Ec-
cellenze Vostre nella provincia, sali più di quello che faceva per il passato
per il valore di ducati 25,000, il qual beneficio è devenuto dalla diversione
che in parte è seguita de' contrabandi. Dico in parte, perchè non è pos-
sibile sino che le provisioni di sopra espresse non siano effettuate, impe-
— 93 -
dirli affatto, e dalla quantità de' sali che si danno in nota nelli libri del
scrivano in Pirano rispetto a quella che le saline producono, si conosce
manifestamente passarne di contrabando, non ostanti le ordinarie passate
provisioni, quantità grande et viene il danno annualmente ad ascendere alle
dicene di migliara di ducati.
Hor aggiunto alla rendita del partito quanto si viene haver avanzato
nel solo dacio del Friuli, quanta maggior utilità possono anco render gl'altri
datij, instituite che siano le altre regole, parmi che resta provato quanto
di già da me è stato scritto delli beneficij, et utilità grandi che ne viene
a conseguire il pubblico dall'haver assunto in se li sali, oltre gl'altri pub-
blici interessi, et privati beneficij.
E dovrà poi, per il mio debol senso, essere tutto il negocio finalmente
con piena auttorità, anco sopra il corso, maneggiato, come propria materia
dalla prudenza di quegli 111. mi Senatori, che assisteranno nel Magistrato del
sale, perchè non tenendo il Proveditore dell' Istria auttorità sopra il partito
de' sali di Pirano, non può a suo debito tempo risolvere l'incanevo d'essi,
né ordinare altre provisioni che convengono per impedire li disordini che
possono seguire a danno del partito degli altri sali di Capo d' Istria e
Muggia.
Altre cose si potrebbero generalmente riferire, ma perchè molte sono
le relationi copiosissime de' prestantissimi Senatori che hanno praticata et
ventilata questa importantissima materia, più grave nel suo essere che nella
mia espressione, terminarò questo ragionamento.
Et passare a considerare il stato presente di questa Provintia, la quale
servendo come per antemurale di questa stessa Città, et di sicuro ricapito
per li suoi Porti e terre maritime alle Armate della Serenità Vostra, et ad
altri Vascelli che navigano per negocio, essendo ella aperta, senza ripari,
poco atta alle armi, circondata tutta da confini austriaci, alligati molti di
quei sudditi in parentela cogl' Imperiali, et per l' importanza del porto di
Puola, deve muovere la somma prudenza della Serenità Vostra ad applicare
qualche opportuno rimedio almeno alle sue miserie e necessità.
In tutta la Provintia sono sei Città, vintiotto lochi tra Terre e Ca-
stelli, compresa anco quella parte che è possessa da Austriaci, et il Castello
d' Orsera giurisdittione Pontificia : ha molti porti, ridotti, boschi in quan-
tità : è lunga miglia 120, et nella sua maggior larghezza 40, ne circonda
doicento (200). — Principia il suo confine a San Zuanne di Duino, ter-
mina al fiume Arsa che passa sotto Albona, et sbocca nel Quarnaro. Ha
solamente quattro piccoli Fiumi, un torrente, et in diversi lochi vi sono
alcune Fontane, ma nel resto patisce in estremo d'acque.
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Capodistria città alla marina, metropoli della provintia, è convenien-
temente popolata d' aria salubre ; ha il suo territorio grande, et assai ben
coltivato per il qual passa il fiume Risano : ha fontane d' acque pretiose :
ha un Monte di pietà di capitale considerabile che serve a sollievo de' po-
veri ; è ben retto ed amministrato : ha un castello fatto all' antica, che non
serve per alcuna difesa et è in stato di rovinare, dà spesa inutile a Vostra
Serenità di Cap.° et sei soldati, che assistono a quella custodia. Riceve
quella Città danno notabile da un ramo del fiume eh' entra in un canale
che la disgiunge da Terraferma, et l'aria da quella parte si va facendo pe-
stilente, perchè il canale s'atterra, ne si può divertire questo danno se non
difficilmente et con grandissima spesa.
Pirano, Rovigno, Isola e Muggia sono Terre alla marina anch' esse
convenientemente popolate in buonissima aria; hanno commodità di acque
vive. Li suoi Territorij, se bene ristretti, sono assai ben coltivati ; hanno
marinari in buona quantità, gente svelta et brava, buon numero di barche,
massime Rovigno e Pirano.
Le altre Terre e Città marittime, che sono Puola, Parenzo, Cittanuova
et Umago, se bene hanno porti, sono però quasi spopolate, ripiene di ro-
vine, d'immonditie, d'aria morbosa, poco differenti l'una dall' altra nel nu-
mero degli habitanti ; ma li loro Territorij sono amplissimi, fertilissimi,
non bene coltivati, per non essere quelle Città habitate.
Sono poi altre Isolete o scogli, come Brioni, et simili lochi alla ma-
rina di poca consideratione.
Le altre Terre più popolate discoste dalla marina che sono in buon'aria,
et li loro Territorij ben tenuti, sono Dignano, Montona, Bugie e Pinguente,
che per esser residenza degli Ill.mi Sig.ri Capitani di Raspo, è popolata,
ha buon territorio, coltivato, e tiene sotto di se li Castelli di Rozzo, Dra-
guch e Colmò, lochi murati, et di qualche consideratione per esser situati
a' confini austriaci.
Anco Albona e Fianona sono buone Terre in saluberrima aria con
suoi territorij assai ben tenuti e coltivati per esser popolate : hanno com-
modità d'acque vive ; sono poste in assai buona difesa per esser situate a'
confini più pericolosi per la vicinanza d' Uscocchi, et più lontane d' altre
Terre della provintia.
Le altre che continuano fra terra, d' assai inferiore conditione, d' aria
non molto salubre, rispetto alle rovine che sono in esse, che hanno li ter-
ritorij per il più ristretti, et non molto bene coltivati, poco popolate sono
Valle, San Lorenzo, Grisignana, Portole, Doi Castelli, et il Castel di Raspo,
ch'è affatto distrutto et spopolato.
— 95 —
Sono li Castelli di San Vincenti, Barbana, Piemonte, Momiano, e Pie-
trapelosa giurisdittioni possesse, parte da Nobili di questa Città, e parte
da altri Soggetti. Questi sono per il più assai ben tenuti, et li loro terri-
tori] coltivati.
In tutte le città et lochi, giurisdittioni possesse dalla Serenità Vostra
nella Provincia, possono essere, non compresi gli habitanti nuovi, anime
trentasei milla cinquecento in circa (36,500).
La città di Trieste, quella di Pedena, il Contado di Pisino, Duino,
Cosliaco, Lupoglavo, et certi altri piccioli lochi posseduti nella provintia
da Austriaci, sarebbero con li loro territorij in assai miglior stato, siccome
erano per il passato, se non havessero patito grandissimi danni al tempo
della passata guerra del Friuli.
Non hanno gì' Austriaci fortezze d' alcuna consideratione, se non il
Castello di Trieste, quale essendo predominato da molte eminenze, può
esser facilmente battuto, et per dubbio che hebbero Triestini al tempo della
guerra, che le genti di Vostra Serenità s' impatronissero di certo colle, che
sta a cavaliero di esso castello, risolsero di piantare sopra quell' eminenza
un fortino, qual al presente domina, a pregiuditio di Vostra Serenità, la
Valle di Muggia.
Di tutte quelle conditioni che si ricercano alla preservazione d'una pro-
vintia, quali sono salubrità d'aria, copia d'acque, agricoltura, mercantia, fre-
quenza d' habitanti, sicurezza, l' Istria se ne ritrova per il più manchevole.
Alla purificatione dell' aria gioverebbe assai instituire qualche ordine
per far tener nette quelle Città e Terre dalle rovine et immonditie, et me-
desimamente quelle radunanze d'acque piovane, che s' usano per manca-
mento d' acque vive, che vengono nel paese chiamati laghi, et che s'ado-
prano in quella provintia in tutte le cose necessarie, se bene per le immon-
ditie sono corrotte et putrefatte.
Alli bisogni dell'acqua, il fare delle Cisterne, almeno nelle Terre che
non hanno altre acque, cagionarebbe se non ottimi effetti per la sanità de'
corpi in particolare, et rispetto agli altri grandissimi benefici), che conven-
gono esser noti eh' apportarebbe quest' opera, la spesa certamente non sa-
rebbe considerabile.
Quanto all'agricoltura se fossero esseguiti gli ordini di questo Eccel-
lentissimo Senato per la coltivatione della Provintia, et le parti per piantar
olivari, et se s'aggiungesse la debita diligenza al beneficio della natura, es-
sendo quei terreni fertili et vedendosi che gli olivari s'allevano tanto facil-
mente, et che rendono il frutto in pochi anni; si ridurebbe la provintia
in buonissimo stato, et fu in altri tempi tanto stimato il frutto dell'oliva,
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che di ordine publico furono tolti in nota tutti gli olivarj perchè se ne ri-
mettessero, et restassero ben coltivati.
Li traffichi et le mercantie della provintia sono perse rispetto alli
Principi che al presente confinano, perchè dominando la Casa d' Austria
parte della stessa provincia, li negoci delle provincie del Cragno, della Stiria
et Carintia, et altri lochi convicini, sono devoluti a Trieste, a Fiume, et
ad altri lochi austriaci. Si potrebbe nondimeno quando vi fosse nella parte
possessa da Vostra Serenità altra qualità di governo, introdurre delle arti
che gli apportarebbero molta utilità et beneficij.
Per la rivolutione et per li mali influssi de' tempi cominciarono man-
care il numero delle genti, et massime nell'anno 1527, che fu quella cru-
delissima pestilenza nell' Istria, che la disertò et la ridusse tutta in estrema
calamità, dalla quale le sue Città non si sono ancora riscosse, dove per il
mancamento degli habitanti per la maggior parte le case sono cadute et
rovinate, et il paese per il più restato horrido et inculto.
Et come non è cosa alla quale devono li Principi più attendere che a
conservare et moltiplicare gì' habitanti, da' quali procede la grandezza d'ogni
Stato, così nel governo dell'Istria vi concorrono di quelli disordini che per
1' ordinario cagionano le spopolationi ; però è di necessità risolvere altra
qualità di governo per la sua sicurezza intrinsica, ritrovandosi il tutto in
estrema confusione.
L' entrate delle Communità, Scuole e lochi simili, et li medesimi Fon-
tici, tanto necessari per quelle povere genti, sono per il più molto mal te-
nuti, et governati, et quello eh' è peggio per conseguir pene, si sono la-
sciati per il passato studiosamente intaccare ; et mentre li Rettori non po-
tevano da quelli che hanno fatti gl'intacchi per la loro povertà conseguirle,
se le facevano pagare del danaro che si ritrovava nelle Casse delli mede-
simi Fontici, et altri simili lochi, facendone formar debitori quelli che ma-
neggiavano, et così buona parte di quei Capitali, in loco di essere effetti-
vamente saldati, passavano in giro et s' andavano consumando, cosistendo
in crediti di miserabilissime persone : onde la concessione di pene permessa
a' Rettori con ottimo fine, perchè li maneggi publici restassero saldi, ca-
giona effetti contrarij, et queste qualità d' intacchi sono tanto invecchiati,
che li debitori sono per la maggior .parte morti, et absentati senza lasciar
beni, in modo che poco si può sperare per il resarcimento d'essi.
Le ragioni di Vostra Serenità nelli Datij, nelle condanne, et altre utilità
simili, sono evidentemente pregiudicate.
Li feudi, le livellationi de' beni, peschiere et diverse altre ragioni pu-
bliche sono godute con poca regola.
— 97 —
Li boschi sono danneggiati con pregiuditio della Casa dell'Arsenale, et
anco quelli da legne da foco, per tagliarsi legne bastarde senza alcun riguardo.
Della Valle di Montona non ne parlo al presente per esser sottoposta
all' auttorità dell' Ecc.80 Consiglio di X.ci
Quantità de contrabandi, che vengono da questa Città, et d'altri lochi,
passano liberamente nelli paesi austriaci, et li datij publici per tal causa
restano anco grandemente defraudati ; et essendo la giustitia mal ammini-
strata viene a seguire, che li poveri cadono in maggior miserie, et sono
dalli più potenti tiranneggiati con usure, et diverse altre estorsioni, facen-
dosi anco molti lecito di commettere delitti gravissimi, de' quali passano
impuniti: onde non è maraviglia se seguì l'accidente in Muggia, poiché è
stato sempre solito di quelle genti di sollevarsi, et di commettere enormis-
simi eccessi, per li quali non hanno per il passato ricevuto castigo alcuno,
ma sicome molte volte occorre che un male apre la strada ad un bene, è
avenuto che succedendo molto facilmente tumultuationi nelle Terre dell' Istria,
pare che per l'esempio seguito in Muggia si siano restati quei popoli posti
in obedienza.
Per levar gl'inconvenienti, et perchè la giustitia segua incorrottamente,
sono stato da molti principalissimi Senatori, che hanno esercitato carichi
supremi, fatte molte Terminationi per quella Provintia, che puntualmente
provedono a tutti li disordini ; ma perchè non erano queste eseguite, et
malamente interpretate, ho procurato la loro esecutione colli suoi veri sensi,
non essendo certamente necessario farne d' altre.
10 non intendo d' haver parlato indifferentemente, perchè molti sono
stati li Rettori che hanno con laude et merito esercitato li loro carichi, et
esemplarmente amministrata la Giustitia.
11 Reggimento di Capo d' Istria è stato degnamente sostentato dal-
l' Ill.mo Signor Marco Valier, il quale per la sua virtù ottimamente usata
nella retta giustitia, non meno che per la sua prudenza, desteriti, vigilanza,
ha lasciato di se un sommo desiderio negl' animi di quei sudditi.
Et se bene suppongo che dagl' IH. mi Sig.'1 Capitani di Raspo, Senatori
prudentissimi et vigilantissimi nel publico servitio sia stato pienamente rap-
presentato all' EE. VV., quale sia il stato presente de' nuovi abitanti, come
Carica propria delle loro Signorie Illustrissime, tuttavia per soddisfare, anco
in questa parte al mio obligo, riferirò qualche particolare d' essi.
Sono gli abitanti nuovi di tre sorte : Vecchi fatti nuovi co '1 mezo di
investiture de' terreni. — Nuovi a' quali restano prorogate le prerogative
e privileggi con replicate investiture che ottengono ; et li Novissimi, che
non hanno ancora finito il tempo delle loro esentioni.
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Li primi, se bene per leggi non restano esentati dalle fattioni ordinarie,
s' industriano nondimeno sotto varii pretesti di liberarsene : onde restando
compartite le gravezze in minor numero di persone tra vecchi seguono
inconvenienti pregiuditiali a' publici et privati interessi.
Li secondi facendosi, in quella maniera che è stato detto, prorogare il
tempo delle esentioni, non apportano medesimamente alcun sollievo alli
poveri abitanti vecchi per compenso delli danni che gli hanno dati.
Et li Novissimi, terza fonte d' abitanti nuovi, essendo poverissimi, et
miserabilissimi, sono per la maggior parte ladri, fanno danni notabili alli
abitanti vecchi nelli loro animali et raccolti, et possono queste tre condi-
tioni d' abitanti essere anime in numero di tremille (3000) in circa.
Li terreni, de' quali seguono le investiture sono di due sorti, alcuni
di buona conditione stati per il passato coltivati, quali per diversi accidenti
che hanno incontrato li patroni d'essi di povertà, come di mortalità d'ani-
mali, danni ricevuti al tempo della passata guerra, et altre miserie che in-
contrano li poveri, per le quali cause li terreni restano per qualche tempo
incoltivati, et essendo per leggi terminato a fine di mantenere la provintia
in coltura, che quando per certo tempo li terreni non sono stati lavorati
cadano li Patroni dalle ragioni che tengono sopra d' essi, et ne possano
essere altri investiti, cagiona, che molti si fanno lecito di farsi investire di
questa qualità de' terreni, perchè gli riesce molto facile il farli coltivare, et
ne succede 1' esterminio de' loro primi Patroni.
Altri terreni sono poi sassosi, et spinosi, de' quali seguono molte altre
investiture, et sono quelli che l'Eccellenze Vostre hanno avuto per fine di
far ridurre a coltura ; et perchè dagl' Illustrissimi Signori Capitani di Raspo
deve esser rappresentato il stato presente cosi di questi come di quegl'altri
che per gli accidenti sopranomati ne sono li loro Patroni restati privi, et
delli danni et latrocini continui che gli abitanti nuovi fanno alli vecchi, et
degl' incomodi grandi che li medesimi ricevono, convenendo per le diffe-
renze che passano tra loro et li novi, litigare a Pinguente, et delle tante
spese fatte da Vostra Serenità nel condurre et mantenere quelle genti, non
entrarò in più lunghi discorsi, riportandomi all' esattissime informationi di
essi 111. mi SS." con quelli rimedij che alla loro prudenza parono proprij,
acciò che dalla introduttione de' nuovi abitanti ne sortiscano effetti conformi
alle prudentissime deliberationi di questo Eccellentissimo Senato.
Et se con esemplar castigo non resterà fermata la temerità de' Capitani
che, tenendo ordine di far soldati forestieri, vengono a levar li sudditi di
quella povera et afflitta Provintia, si renda certa Vostra Serenità, che s'an-
darà sempre più desertando, perch' essendo in essa molti porti et lochi non
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abitati per dove si può sbarcare, et incaminarsi per vie non visitate alle Ville,
in particolare degli abitanti nuovi, non è possibile, per diligenza che possa
venir usata, impedire tali inconvenienti, né io ho mancato di rappresentarli
più volte a Vostra Serenità, et mandarle anco li nomi delli Capitani, et
delli soldati da essi levati, avuti per mezzo dell'opera di D. Pietro Mattiazzo,
quale essendo stato conosciuto da me colmo di divoto affetto verso le cose
pubbliche, 1' ho adoperato in diversi pubblici servitij, et lo feci fermare a
Puola nelli mesi dell' estate più pericolosi quando la Città era senza Reg-
gimento per la morte di quel Clarissimo Rettore per impedire diversi in-
convenienti de' latrocini) et d' altri danni che seguivano a pregiuditio di
quei sudditi. Ha egli in altri tempi condotto genti dal Paese turchesco, ne
per li servitij prestati, né per li viaggi fatti ha avuto alcun premio, né re-
facimento, ma essendosi sempre reso obediente senza riguardo alcuno a'
suoi proprij interessi, m'obbliga ad attestare la sua prontezza et divotione
verso il publico servitio.
Non porto alla notizia dell' EE. VV. la grandezza distintamente et nu-
mero de' campi di tutti li territorij delle Città e Terre della Provintia col-
tivati ed inculti, perchè al mio partire il dissegno che con misure et per-
ticationi si va facendo da D. Francesco Cappi dovendo contenere molti
particolari, et per essere opera lunga et difficile non è stato possibile che
resti fin' ora perfettionato, oltre che è stato ritardato, cosi per la morte di
D. Costantino suo fratello, che ne teneva egli prima l'ordine, seguita nella
tumultuatione di Muggia, come per esser esso D. Francesco stato occupato
in far acconciare in diversi lochi, di ordine di Vostra Serenità, le muraglie
di alcune Terre della provintia resterà nondimeno in pochi mesi ridotta a
perfettione, et sarà veramente opera degna, fatta con ogni avvertenza, con
molta spesa, et fatica del medesimo Ingegnerò, che lo rende meritevole di
esser riconosciuto dalla benigna grafia et munificenza dell' EE. VV. e tanto
maggiormente, quanto che suo fratello mentre s' adoperava in pubblico
servitio, fu trucidato.
Et sebene la conservatione dell' Istria, essendo provintia di tanta ge-
losia, et che per tante importanti conseguenze deve esser stimata al pari
d'ogni altra parte del Stato della Serenità Vostra, tuttavia nella sua sicu-
rezza estrinseca, che consiste in fortezze et soldatesca, si ritrova in malis-
simo stato, perchè sebene la maggior parte delle Terre sono murate, hanno
però bisogno quelle muraglie in molti lochi d'esser acconciate et restaurate,
né vi è alcuna Fortezza che possa resistere al cannone, poche armi, mal' in
ordine, l'artiglieria non è ben cavalcata, né vi sono apprestamenti necessarii
per maneggiarla, de' quali mancamenti non ho tralasciato di darne conto
— 100 —
a Vostra Serenità, riducendo il tutto in quel miglior stato che fu possibile,
et ho mandato gì' Inventari]' così di quelle cose che sono in essere, come
di quelle che potessero far bisogno.
Quella poca cavalleria di Raspo, che è in numero de' soldati trenta-
quattro, si ritrova in mal stato rispetto alla paga che è così poca, che non
è possibile mantener in essa soldati di fortuna, ne buoni cavalli. Bombar-
dieri sono se non nella Città di Capo d' Istria al numero di centosedici,
comandati da un Capo di poca esperienza. Li ho fatti armare di moschetti
perchè s' esercitino anco nel maneggio di quell' arma. Ho raffinate le Cer-
nide, quali sono in numero di 3656, comandate anch'esse da Capitani poco
esperimentati. Le ho armate, ma non tutte, perchè non ho avuto arme a
sufficienza, come ne diedi conto ; sono però ridotte in buonissimo stato,
rispetto a quelle eh' erano. — Sarebbe di necessità che Vostra Serenità si
compiacesse far mandar altri 500 moschetti per finir d'armarle, e raffinarle.
È vero che nelle munitioni di Capo d' Istria ve ne sono 500, mandati di
qui nel tempo eh' io era in provintia, ma non m' è parso bene, non ve ne
essendo d' altri, spogliare affatto quelle munitioni a' confini di Trieste, per
qualche accidente improviso che potesse occorrere per armar altre genti.
Non ho mancato d' introdurre buoni ordini perchè siano disciplinate, et se
li Capitani fossero atti a far il loro debito, riuscirebbe quella gente conve-
nientemente atta a qualche difesa del proprio Paese.
Io, se bene per diversi accidenti occupato nel negocio de' sali, che per
ridurlo al fine abbia convenuto travagliar assai, et per li continui sospetti
di peste alli confini di Muggia et Capo d'Istria, non abbia potuto per molto
tempo allontanarmi da quella Città, ho con tutto ciò avuto sempre a cuore
gì' interessi publici et privati, et operato quel più che per me è stato pos-
sibile per il servitio dell' Eccellenze Vostre, et mirato sopra tutte le cose al
sollievo di quei sudditi, et senza pensare a castighi ho procurato di tener
in ufficio et ubbidienza ogn'uno. Se avessi voluto co '1 castigo correggere
tutti li mancamenti passati, conveniva in gran parte seguire la spopolatione
di quella provintia. Ho perciò dissimulato assai. Mi sono astenuto in par-
ticolare di devenire contro gli absenti a sentenze de' bandi, perchè vanno
di subito gli banditi ad abitare nelli paesi austriaci, et si danno alle rapine
et al corso, che difficilmente se gli può impedire, anziché ne ho liberati
alcuni in conformità dell' auttorità concessami, et co '1 debito riguardo al
decoro della Giustitia.
Per li suffraggi dati da me, sentenze fatte, processi formati, così in
cause civili, come in cause criminali, né per qualsivoglia altra causa, non
ha alcuno sentito minima spesa, avendo io voluto che per la povertà di quei
— 101 —
miserabili sudditi sia fatto il tutto gratis ; altrimenti molti sarebbero restati
per la loro calamità di venire ad usare delle loro ragioni.
Ho posto ogni spirito per sostentare la patronia assoluta che la Sere-
nità Vostra tiene sopra il Golfo, et perchè li Triestini navigavano et toc-
cavano li porti di Vostra Serenità senza ricognitione li ho ridotti, dopo una
gagliarda resistenza che hanno fatto, a pagare il transito et li datij, et hanno
esborsato in più volte conveniente summa di danaro. Ho fatto menare le
partite nella Camera di Capodistria per manutentione delle ragioni di Vostra
Serenità, et questa ricognitione è stata da me in maniera fermata, che il
Capitanio di Pisino mi dimandò con lettere licenza di poter far passare certo
suo formento per mare da Trieste.
Et perchè nel porto di Orsera capitano continuamente Vasselli di Sot-
tovento, et di Trieste, per far passaggio dove sono destinati, tenendosi da
molti opinione che quel porto non sia di Vostra Serenità, ma di ragione
di quella Terra, 1' ho fatto alcune volte scorrere et che li medesimi Vascelli
de' sudditi di Sua Santità paghino la ricognitione, come ultimamente mentre
ero in provintia seguì senza alcuna resistenza.
Ho atteso medesimamente a mantenere le ragioni di Vostra Serenità
celli confini usurpati da Austriaci nella Villa di Grimalda nel Marchesato
di Pietra pelosa, giurisdittione dei signori Gravisi gentil' huomini di Capo-
distria, né ho mancato a' suoi debiti tempi di renderne ragguagliata Vostra
Serenità, et è questo negocio degno del suo prudentissimo riflesso, perchè
appare manifestamente che quei confini siano stati da Austriaci per il pas-
sato intaccati assai. Ho fatto raccogliere tutte quelle scritture che si hanno
potuto ritrovare, et che contengono le publiche ragioni. Le ho fatte riponere
in loco sicuro, sotto la custodia degl' Ill.mi SS.rl Rettori di Capo d' Istria,
et di doi Proveditori sopra li confini, uno de' quali è il Dottor Corelio
Avvocato fiscale, quale applicandosi con ogni spirito negl' interessi dell' EE.
VV. si rende degno della loro gratia.
Né mancai in conformità delle commissioni della Serenità Vostra di
far conoscere con destra maniera al Capitanio di Pisino, che con ragione
non può l' Imperatore pretendere alcuna annua ricognitione sopra il Castello
di San Lorenzo, che gì' anni passati assai strepitosamente ricercava, et ho
impiegato tutta la debolezza del mio spirito per levar l'ombre et le gelosie
a quei confini per mantenere la tranquillità et quiete tanto necessaria agli
(interessi di quella povera et afflitta provintia, per la preservatione della quale,
et per tanti pubblici et privati rilevanti rispetti che concorrono in essa, et
per consolatione di quei sudditi, non saprei col solito della mia riverenza
ricordare altro, se non l'assistenza ordinaria d'un Proveditore in essa con
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pienissima auttorità, facendo l'esperienza conoscere, che il fondar speranze
sopra parti o Terminationi riesce vano, perchè sono queste in tanto numero
che abbondantemente provedono, come ho detto, a tutti gl'inconvenienti;
ma li disordini sono seguiti per non vi essere ordinariamente soggetto nella
Provintia che li facci intieramente esequire.
La sopraintendenza de' quali importanti affari è al presente appoggiata
alla virtù et valore singolare dell' Illustrissimo Signor Giulio Contarmi mio
successore, et Signore che assiste alla Carica con quel publico servino, con
quella soddisfattione et consolatione di quei sudditi, eh' è nota all' EE. VV.
mantenendo la riputatione della Carica con quel splendore che è proprio
della grandezza del suo animo.
Et per essere la Religione anco fondamento principale delli Stati et
Governi, non devo tralasciare di notificar qualche particolare aH'Ecc.ze Vo-
stre dell' uso d'essa in molti lochi della provincia.
È questa molto mal esercitata, essendovi Religiosi che tengono cui a
d'anime di scandalosissimi costumi et pessima vita.
Molti lochi pij con abuso delle loro rendite vengono distrutti, le Chiese
profanate, fatte stalle, ridotti d'animali brutti. Questo succede perchè li Ve-
scovi non stanno nelle loro Diocesi, l'assenza dei quali fa anco pregiuditio
alla frequenza degli abitanti, che concorreriano avanti di loro per diverse
cause, anziché quello di Parenzo se ne sta in Orsera, giurisdittione Ponti-
ficia, et giova alla popolazione di quella Terra con pregiuditio grande della
stessa Città di Parenzo.
Mi resta solo rappresentare alla Serenità Vostra il mio riverente senso
intorno l' importanza del porto di Puola, del quale se bene in mie lettere
ne ho altre volte trattato, tuttavia non devo per esecutione delle mie com-
missioni tralasciar di replicarlo.
È quel porto capacissimo d'ogni grande Armata, ha ottimo sorgitore,
è sicurissimo da tutti li venti. Nella bocca ha il fondo di passa 25, e die-
tro alle rive 15. È lungo 3 miglia. Fra le due punte di fuori s' allarga 1
et nel suo seno 2. AH' ingresso d' esso s' affacciano due scogli. È situato
nella vista di due seni di mare, et è il primo passo di tutti li Vascelli che
capitano nella Provintia et vengono in questa Città. Ha una Fontana inde-
ficiente, che può servire per bisogno d'acqua ad ogni grand' Armata. Ha
boschi convicini per ogni quantità di legne, et è se non discosto dalla
<• parte di terra per il spatio di desdotto miglia da confini Austriaci, per cam-
pagna aperta, piana, et commodissima, et è insomma porto che pare alla
mia debolezza si convenga averne gelosia, et particolar custodia per la po-
tenza massime et unione delle due Case d'Austria, perchè potendo Spa-
— io3 —
gnuoli co'l favore de' venti far passare da' loro porti in pochi giorni in
quelle rive le loro armate da mare, restando il porto et la città abbando-
nata, come al presente si ritrova, l'occuparlo gli riuscirebbe facilissimo, et
co'l fabbricare due forti o cavalieri di terreno e fassine, opera di pochi
giorni, possono facilmente fortificarsi in esso, et mantenere la loro armata
sicura da invasione, la quale potendo essere dall' Imperatore sovenuta di
vettovaglie, et di tutte le cose necessarie, et ponervi sopra per la via di
terra delle genti assai, sono cose che quanto più si conoscono di non dif-
ficile riuscita, tanto più si rendono degne delle debite riflessioni.
Ne il dire che vi siano altri porti nell'Istria, capaci d'ogni grossa Ar-
mata è ragione che vaglia, perchè non si abbia a custodire et guardare il
porto di Puola, rispetto che negl' altri mancanti di prerogative naturali, le
armate non possono se non porteggiare, ma non fortificarsi, né mantenersi
in essi.
Quello che poi finalmente possa operare un' Armata d' un Principe
grande in un porto discosto da Venetia se non cento miglia, dove vi è
acqua et legne in abbondanza, nel quale si può fortificare et mantenere
senza poter essere astretta a combattere, et che può essere da altro Prin-
cipe grande confederato rinforzata di gente, vettovagliata, et fornita d'ogni
altra cosa necessaria, non ha bisogno, vedendola la singoiar prudenza del-
l' Eccellenze Vostre, del mio debole discorso.
Per prevenire dunque quelli disegni che potessero entrar in pensiero
a' nemici, mio riverente senso sarebbe il fortificarlo, perchè seguito il ri-
medio, caderebbero le machine, et convenirebbero col prezzo di sangue far
il tentativo.
Ho veduto li siti sopra quali si può fondare le fortificationi. Uno è
lo scoglio di Sant'Andrea posto nell' entrata del porto, dove sarebbe ne-
cessario un forte per poter co'l cannone impedire l'ingresso alla bocca prin-
cipale, potendosi l'altro ingresso tra detto scoglio, et quello di Santa Cana-
rina serrare col fondare due Arsili.
L' altro dalla parte di terra è un colle dentro la Città, dove antica-
mente era il Castello, sopra la qual eminenza è pure di necessità formare
un altro forte che abbia a servire a difesa della città, et del medesimo porto,
perchè occorrendo che il nemico se ne impatronisse per la parte di terra,
stando detta eminenza a cavalliero del porto, potrebbe offendere li Vascelli
di Vostra Serenità che si ricoverassero in esso.
La qualità della fortificatone, et la quantità della spesa sia rimessa
alla peritia d' Ingegneri ; ma io credo che per ponerlo semplicemente in di-
fesa, non dovesse essere di tanta importanza.
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Con questa occasione si darebbe anco qualche principio alla riabita-
tione della Città, della quale chiaro appare dalle superbissime fabbriche, et
da altre grandi apparenze, che dagl' antichi ne sia stata fatta grandissima
stima. S' aggiungerla la presenza d'un pubblico Rappresentante d'auttorità,
più necessaria in quella Città, che in ogni altro loco dell'Istria, al quale il
sottoponere tanto li vecchi quanto li nuovi abitanti riuscirebbe di grandis-
simo beneficio, et consolatione a quei popoli, et il suo amplissimo et fer-
tilissimo Territorio eh' era anticamente di settantadue (72) Ville, s' anda-
rebbe per più rispetti sempre maggiormente popolando ; et se il Vescovo
co'l suo clero vi facesse la residenza, le apportarebbe molto giovamento,
oltre quello di più ch'è stato altrevolte ricordato ; saranno tutti mezzi per
dar principio alla popolazione della medesima citta, l'aria della quale essendo
naturalmente temperata, et salubre, da altro non riceve la sua infettione
che dalle sepolture di tante rovine, ripiene di putrefatti umori che corrom-
pono l'aria, pessimo alimento di quei poveri abitanti.
Io so che così della presente materia, come dello stato di tutta la pro-
vintia et delli rimedij proprij per il suo sollievo et preservatione hanno
eminentissimi Senatori con fondatissime informationi portati li loro senti-
menti alla notitia dell' EE. VV. onde conosco d' haver toccato se non la
superficie di cosi gravi et importanti negoci ; nondimeno nudrito anch' io
da purissimo zelo verso gì' interessi della patria, ho voluto con questi de-
bolissimi discorsi et pareri soddisfare alle commissioni della Serenità Vostra
assicurandomi che dall' infinita sua benignità saranno graditi come parti
d'ubbidienza et iscusando le mie imperfettioni riceverà l' infiammatissima
mia applicazione in riverente testimonio di quelP ardore co'l quale mi sono
impiegato nel suo servitio.
(Secreta - Relazioni. — Filza segnata Istria-Proveditori).
Relazione del Provveditor in Istria ser Giulio Contarini.
6 Febbraio 1626.
Serenissimo Principe
La relazione di me Giulio Contarini, la qual con ogni possibile brevità
io faccio per il mio ritorno dalla carica di Provveditor in Istria non con-
— io5 —
tenirà descrition della Provincia, o suoi confini e grandezza, non il numero
degli abitanti, nò meno la importanza con quale sta unita a questo dominio
particolarmente per la navigazione, perchè queste cose sono benissimo note
alla Serenità Vostra ; la quale e dall' Eccellentissimo Basadonna e da altri
signori che precedentemente hanno esercitata la carica di Provveditore, ne
può haver havuta già piena contezza presso a quel resto che è parto della
sua singolarissima prudenza. Vi saran dunque descritti solo quei disordini
che ho possuti osservare e quei rimedii che per mio debol senso stimo poter
esser opportuni per regolarli.
Il negotio de' sali è importantissimo di tutti gli altri, che oggidì dalla
provintia d' Istria deono esser portati alla information dell'Eccellenze Vostre,
acciochè colla lor virtù possano aggiongervi esse quella regola che sia pari
e propria al bisogno.
I sali per quanto si vede vanno giornalmente crescendo, quali ora si
ritrovano in numero di trentanove millia moggia fra Capo d' Istria e Muggia
et poco meno d'altri tanti in Pirano, n' è possibile sperar mai con il partito
di darne via tanta quantità, perchè volesse Dio che non se ne facesse più
ogn'anno di quello che si smaltisse per il parcido. E siamo ridotti in stato
di far grossa spesa di Magazzeni, de' quali non se ne trovano neanco più
da potervi metter il sale, onde è necessario o far provvigione de Magazzeni,
o gettarli in aqua con perdita del costo d'essi, et si fanno al presente molta
quantità de' sali di quello si faceva prima. La causa onde questo succede,
è che sendo le genti sicure d' haver per tutti quei sali che raccolgono lire
diecinove il moggio dalla Serenità Vostra, la quale senz' alcuna difficoltà li
riceve sempre ; non solo procurano di raccoglier il sale che già si faceva
posso dire, quasi naturalmente, ma con ogni artificio s' ingegnano di au-
mentar il modo per haverne maggior quantità, che perciò al presente si
sono posti e ogni giorno si mettono in uso di far sale, infinità di cavedini ;
cioè luochi di salina, li quali vanno bonificando e tirando a coltura nelle
Marezane ; né in questo può credersi che sian per tralasciar mai qualunque
immaginabil diligenza ; poiché essendo questa entrata del sale stimata hog-
gidì pretiosissima di tutti gli altri beni nell' Istria, rispetto alla certezza di
venderli a Vostra Serenità a lire diecinove il moggio, sono i Cavedini che
già si vendevano ducati vinticinque l'uno, saliti a prezzo di sino sessantasei.
I.a seconda causa onde questi sali cresceranno ogni giorno ad eccessiva
quantità con impiego del molto danaro che convengon sborsar 1' Eccellenze
Vostre a quelli che ad esse li vendono oltre al dubbio dannoso che sovrasta
come ho predetto, procede dal non se ne smaltir tanti quanti se ne rac-
colgono del continuo come appunto dimostra e dovrà dimostrare l'esperienza
— io6 —
del partitante di Capo d' Istria il quale non si può presumer certo, che sia
per dar via del continuo quella quantità eh' à promesso, perciochè sebben
pare che 1' anno passato n' habbia levati 8000 moggia, tuttavia riguardan-
dosi bene, questa quantità non è stata in un anno solo ma in diecisette
mesi, che tanti appunto entrano da maggio 1625 a ottobre 1626, il qual
tempo si può però chiamar a computar di doi anni, quanto che cora' è noto
durando da principii di Maggio sin a Ottobre, la stagion che fa smaltir il
sale di quasi tutto l'anno nei diecisette mesi predetti in quali il Partitante
ne ha levati 8000 moggia vi è due volte entrata la stagione da maggio a
ottobre.
Deve essere però certa Vostra Serenità di rimaner sempre in avanzo
maggiore de' sali con infruttuoso impiego del danaro che spende nella com-
preda di essi, e non con speranza d' utile, ma di dover anzi pagar affitto
di magazzeni per serbarli come ho detto, ovvero gettarli in mare proce-
dendo questo dalla quantità, che se ne raccoglie e raccoglierà sempre mag-
giore e dal poco smaltimento che ne segue e dovrà seguire.
L'ovviar che seguan contrabandi è qualche rimedio in questo proposito,
quanto al doversene smaltir maggior quantità di ragion publica, perchè se
le genti non ne possono haver d' altra sorte, convengono tuor il sale dal
Partitante di quello di Vostra Serenità. E per questo posi io ogni studio,
sollecitando gli Albanesi con libertà anco di offender nella vita chi faccia
resistenza e con dar loro di libero bottino le cose che sono de contraban-
dieri ed anco il sale, cioè il prezzo d'esso di Lire trentasie il moggio, che
tanto dev'esser loro pagato nella consegna, quale devon farne al Partitante
per il suo accordo, quando lo trovano di contrabando. Che per ciò guidati
essi dalla speranza dell' utile, hanno fermati diversi contrabandi, come da
mie lettere haveranno havuto già riverente ragguaglio 1' Eccell.e Vostre. La
medesima buona opra se ne deve anco sperar nell'avvenire, valendo di gran-
d' invito e sprone a soldati la speranza del bottino o sia del guadagno. Ma
non è già che per queste diligenze si possa credere di dar via la quantità
sì grande di sale che ora si trova in essere e che giornalmente cresce in
avanzo alla Serenità Vostra, o che totalmente s' impedisca o vieti il far con-
trabandi ; perochè quanto ai contrabandi se, o non si spianta affatto Pirano,
o faccia si che in quella terra non vi sia pure un granello di sale, mai si
leverà via l' introduzion dei contrabandi, nei quali i Pirinesi han fatto l' habito
de sorte che piuttosto che spogliarlo si contentan perder la vita.
La principal causa però, onde i sali di ragion publica si smaltiscono
in sì poca quantità, mi si creda dall' Eccellenze Vostre esser e continuare
dal solo eccessivo prezzo di L. 72 il moggio in che sono al presente. Con-
— 107 —
ciosiachè nel sale come nell'altre cose tutte, gli huomini per ordinario met-
tono in uso e consumano non la quantità della roba, ma la quantità del
denaro che spendono o posson spendere facendo nel rimanente di necessità
virtù e accomodando 1' adempimento del loro bisogno alla possibilità della
borsa. Voglio dire che come per il passato, quando il sale valea molto
manco, ne haveva molto con un ducato, consumavan quel molto dandone
largamente alli lor animali, perchè non gli costava più, così anco adesso
spendono quel Ducato, e se ne hanno poco, il danno è degli animali che
poco ne godono, perchè le genti non voglion ecceder nel spender, la pos-
sibilità delle lor borse. Ed in questo modo non si potendo sperar che le
genti voglian comprar maggior quantità de sali ; Vostra Serenità non può
nemeno credere di smaltir maggior quantità de suoi, o di cavar nella ven-
dita più somma di danaro, di che faceva quando valean meno ; dove all' in-
contro sente certamente il danno molto grande del pagarli lire diecinove il
moggio a chi li raccoglie, prezzo molto maggiore di eh' era per innanzi.
Questo crescimento di prezzo nel venderli causa anco la pertinacia nel
far contrabandi perchè i contrabandieri sperando di vender bene i sali av-
venturano la vita, né si curano dei pericoli. La dove se tanto non vales-
sero, né costoro prezzariano un sì periglioso traffico, né le genti si cura-
riano di comperar sali da contrabandieri, ma tuorebbon di quelli di Vostra
Serenità quando il prezzo fusse minore e così anco per questo maggior
quantità di sali si smaltirebbe.
Per rimedio a questo disordine due cose però raccordo, le quali stimo
poter giovare sì per smaltirsi più sali, come per dar occasione che più tanti
non se ne raccolgano.
La prima quanto al darsi via maggior sali è che il prezzo d' essi si
sminuisca, perchè così le genti si condurranno a comprarne e consumarne
maggior quantità e quasi il doppio di che fanno al presente ; Vostra Se-
renità per conseguenza sminuendo il prezzo nel venderli scemerà anco per
porzione il pagamento a chi raccoglie i sali, farà minor sborso di danaro
e non ne terrà impegnata tanta somma, come ora fa con poco frutto, i
contrabandieri, calando il prezzo de sali ed anco i guadagni loro, non sa-
ranno cosi precipitosamente guidati a condurne di furto come fanno, come
ne anco le genti saranno allettate di tuorne da essi, quando ne possano
haver a mezzano prezzo di ragion publica.
Questo tutto potrà succedere col calarne il prezzo, ma quello che poi
molto importa, calandosi poi anco il pagamento dei sali a chi li raccoglie
cesserà nei popoli la tanta cura e diligenza che impiegano, sì nell' ajutar
con arte e spesa i cavedini già fatti, come nel ridurne e perfezionarne altri
— 108 —
da nuovo nelle Marezane, come giornalmente segue : perchè col mancar
la certezza dell' utile, o col ridursi a poco, mancarà di ragione anco la
tanta inclinatione delle persone in questo impiego e sminuirà insieme di
necessità la tanta somma di sale che si raccolgono. L'altra delle due cose
ch'ho dette, quanto al sminuirsi il raccolto de sali, e che si come è di ra-
gion il mantenere a popoli le concession dei luochi, ed il possesso di quello
che giustamente godono, così è anco ragionevole, che i popoli non levino
al principe quello che è suo proprio ed a se stessi 1' arroghino ingiusta-
mente. Ordini Vostra Serenità che tutti quei che posseggono Cavedini di
salina, portino le concession o investite loro e si contermin quelle tutte,
che sian giuste e reali. A quelli poi che non porteranno investite o con-
cessioni, che dimostrin la loro giusta padronia, sia levato e prohibito im-
mediate 1' uso della salina e torni il tutto in Marezana, com' era innanzi
con legge anco espressa che de cetero nessuno possa appropriarsi le mare-
zane, le quali sono altrettanto senza dubbio di ragion del Principe, quanto
che sendo del Principe tutte l'aque, sue sono pur anco quelle terre che
nelle acque sorgono o si muniscono, come sono le marezane. Così senza
farsi ingiuria a nessuno, ma solo esercitandosi il dover e la ragione si le-
verà 1' uso d' infinità de Cavedini, e il modo di farne degli altri, et li sali
scemeranno di quantità, come si dee desiderare per publico beneficio.
Insomma cred' io, che con queste provvigioni causandosi maggior riu-
scita de sali e minor raccolto, si leverà per certo 1' occasione che più ne
avanzino sempre tanti all'Ecc.e Vostre, con mancamento di luoco per ser-
barli e con infruttuoso impiego del danaro.
Né questo è mio spirto, ma deliberation di cotesto Eccellentissimo
Senato, il quale diede in commissione all'Illustrissimo signor Francesco Va-
lier che andò in Istria come Provveditor al Sai di dover far disfar tutti i
Cavedini, eh' erano stati fatti già venticinque anni.
Quanto agli habitanti nuovi della provincia segue un importantissimo
disordine perchè dove il Principe per habitarla concede a chi ne vien da
nuovo terreni ed altre commodità con esenzion di vinti anni da gravezze
e da fettoni, sperando poi che passato questo tempo gli huomini habbiano
a rendergli il beneficio delle facioni e impositioni in comune con gli altri
Istriani, non ne succede questo altramente ma vien defraudato nella sua
credenza dall'abuso che sempre continua. Il quale è che i figliuoli di quelli
^che già venuti come habitanti nuovi hanno goduto il privilegio dell'esen-
zione e dei beneficii per sottrarsi dal sentire coli' eredità delle possessioni
godute dai padri loro, il peso delle fationi e gravezze, a che son sottoposti
per giustitia e dovere, si appresentano e come che lusserò habitatori ve-
— 109 —
nuti da nuovo si fanno investir di terreno e godono le immunità che a
loro non si convengono. E così di mano in mano succedendo Vostra Se-
renità non ha mai altri habitatori che quei medesimi, né da essi può sperar
mai beneficio alcuno, perchè coli' artificio abusano la legge ne v' è posta
avvertenza.
Per rimedio raccordo esser forse bene prohibirsi de cetero il far simil
investite ai figliuoli o nepoti dei già fatti habitatori della Provincia, i quali
benché manchi loro questa comodità, saranno nientedimeno fermi di stanza
come quelli che non vorranno lasciar le possessioni lavorate dai padri e
parenti loro, nò la Provintia fatta lor patria, ma rimanendovi resteranno
anco col peso delle gravezze e fationi, come gli altri Istriani a quali par
molto strano vedere la disparità dalla lor conditione a quella di costoro,
sendo che loro per heredità son sempre sottoposti alle gravezze e fationi
ed i nuovi habitanti vanno sempre hereditando il benefitio dell' esentione
mediante la fraude sopradetta delle nuove investite.
È concetto che in quella Provincia sia per natura cattivo (sic) aria e che
da questo sia proceduto principalmente la dishabitatione di molti luochi,
ma questo non è poi così, poiché la verità è che anzi per la dishabitation
delle terre e mancanza di fuochi 1' aria divenuto cattivo (sic) si fa sempre
peggiore. La dishabitation però delle terre da molte cause é proceduta ; la
prima è che il qualche traffico, quale in altri tempi vi si faceva s'è andato
poi nihilando ed al presente ò totalmente distrutto e gli huomini a poco
a poco si sono andati partendo, sendo vero che quando manca l'occasion
del guadagno, mancan gli habitatori, i quali dov' è il bene e l'utile e dove
il lor commodo li chiama si conducono ; la seconda ò stata l' introdutione
non avvertita nei principii, la qual presero le genti di partirsi dalle terre
principali per andar a star nelle ville più vicine e più commode al godi-
mento e lavoro dei terreni, lontane anco dalla vista e fastidio che rendon
le genti delle Galee, né cosi vicine e presenti all' Imperio ed autorità de
Reggimenti. Allettamento che tirata dopo il principio la continuatione,
ha rese col tempo dishabitate molte terre e riempite molte ville. Imper-
ciocché Pola rimasta cadavero di città, ha ingrossato la terra di Dignano
e quella di Gallisano, che prima erano sue ville, Parenzo in molte ville
ha i suoi già cittadini così che è rimasta vacua di gente. Lo stesso è suc-
cesso ad Umago E con la dishabitation di Cittanova si é riempito Verte-
nigo e Torre sue ville. Per la qual dishabitatione mancati i fuochi che pur-
gavan l' aria, cadute le case e riempiutesi d' immonditie, come anco le
strade, si mantien per il fettore l'aria sempre impuro e malsano.
Questo male però non succede in Capo d'Istria, Pirano e Rovigno,
— no —
liei quali luochi continua l'aria buono, per questo che le genti vi habitano
perchè non havendo sotto d'esse ville con habitatione, escono la mattina
le persone a lavorare e la sera tornati dentro, che in Capo d'Istria tal sera
ho vedute numerare sin 1500 persone che entravano di ritorno dal lavo-
riero ; E così col fuoco che convengon fare massime nel verno, e colle
case e strade tenute in piedi e nette dalle immonditie, V aria si mantien
buona e salubre. Io nella visita della Provincia a ciò, in quanto sia pos-
sibile il provvedimento non manchi, ho fatto escavar alcuni stagni a Pa-
renzo e Umago i quali per l'aqua corrotta rendeano gravezza all'aria, e ho
dato ordine a ciò le immonditie sieno sgombrate da tutte le terre e le
strade fatte nette ed accomodate, havendo per ciò, dove non v'erano fatti
crear sindici e data loro commissione di far operare ed autorità di formar
anco processo contro gl'innobedienti.
La terza causa dell' inhabitatione delle terre viene dall' esservi quasi
affatto chiusa la porta della religione e della giustitia, rispetti che più degli
altri mirano, o colla diligenza alla conservazione, o colla negligenza alla
desolation de' luochi.
Io nella visita c'ho fatta ho vedute le terre e città vacue de Vescovi
e senza Rettori, i quali bastando loro i salarii ed altri emolumenti poco vi
risiedono e così la giustitia non ha il suo dovere, ovvero che standovi anco
guidati dalla dolcezza dell' utile, invigilano solo a cavar danari, invehendo
unitamente co' Cancellieri loro nella miseria dei sudditi, senza carità o
pietà alcuna. Hor perchè Vostra Serenità conoscendo quanto sia pernicioso
l'esser le città e terre marittime vuote d'habitatori e di difesa, rispetto che
possono esser facilmente occupate e Pola in particolare, la quale per il
Porto tiene importante unione colla conservatione della provintia e col ser-
vigio publico, conoscendo questo dico Vostra Serenità, mira e non trala-
scia qualunque provvigione per renderle habitate. Anderò raccordando io
quello che potria valer per rimediar ai disordini che forse aggiungono im-
pedimento a così buono ed util fine.
Del far che i Vescovi stian alla residenza dipendendo in gran parte
dalla presenza del Prelato, e dall'esercitio delle funzioni spirituali e cura
dell'anime, la union de popoli, perchè son cose che non solo mantengono
stabili gli habitatori, ma invitano anco altri di venire ad habitare ; io non
dirò altro solo che se fosse posto qualche impedimento sopra il riscuotere
l'entrate i vescovi si risolverian di necessità a star alle loro chiese ; né in
questo saria occasion di querele, già che se sono Vescovi ed hanno 1' utile,
deono anco sentir il peso della cura.
Quanto poi ai Rettori, dirò per prima che per far che vi stiano, gio-
— in —
vera l'autorità del maggior Consiglio, terminando che cadauno nel ritorno
dal Reggimento non possa andar a Capello senza fede d'haver fatta la re-
sidenza tutto il tempo del Reggimento, la qual fede sia fatta dal Reggi-
mento di Capo d' Istria mediante 1' attestazione di tal residenza, che con
giuramento dovranno fare pur in Capo d'Istria i Sindici di cadauna terra :
senza la qual attestatione dei Sindici non possano haver ne meno il salario
loro. E se i Sindici faranno queste attestationi falsamente siano et s'inten-
dan privi in perpetuo, non solo d' esercitar ufficii ma dei consegli anco
delle terre di dove sono.
E circa ai disordini ed inconvenienti che seguono nei Reggimenti a
pregiuditio principalmente dei sudditi e della giustitia, gli anderò raccon-
tando d'uno in uno, insieme col rimedio che può esser opportuno.
Sono per le terre d' Istria molti debitori di comunità, di fonteghi, di
scuole e d'altro che sono caduti in pena o vanno cadendo. Da questi tutti
i Podestà un dopo l' altro si fan lecito contro le leggi scuoder la pena
senza il capitale, bastando loro di ricever quell'utile che può spettargli niente
curandosi nel resto che il danaro del capitale sia contato o nò ; come che
anco il debitore con sicurezza di non esser astretto mai ad altro, che del
pagar la pena a cadaun Reggimento, la paga volentieri e si conferma in
risolutione di mai soddisfar il capitale. E così non riscuotendosi il denaro
i bisogni nelle terre non posson haver i loro effetti, e i popoli ne sentono
notabilissimo danno.
Per rimediar a questo abuso importante, stimo esser a proposito il
terminare che al fine del Reggimento di cadaun luoco d' Istria si debba
in Capo d'Istria formar immediate e con diligenza processo per inquisi-
tione e trovando debitori delle ragion sudette o altre si debba astringerli
subito al pagamento del capitale con la pena la quale debba essere dei
Consiglieri, perchè così seguendo nell'avvenire vedendo i debitori non gio-
var più loro l'accomodamento che facessero col Rettore, cioè il pagarli la
pena, ma esser sottoposti poi nel fine del Reggimento a pagar il capitale
con nuova pena, dismetteranno per lor medesimi questo abuso, che non
al dar loro comodità ma mirerebbe al mandarli in total esterminio e più
tosto si risolveranno di pagar il debito con commodo e beneficio univer-
sale delle terre e dei popoli. Nei quali processi trovandosi che i Rettori
habbian scosse di simil pene senza il capitale, debba il Regimento di Capo
d' Istria fargliele restituir in Camera, dandone conto alla Serenità Vostra.
Scuodono poi i Rettori le condanne dai rei per le sentenze che fanno
o non le danno alle Communità o mettono in publico, ma le convertono
in proprio uso con danno del Principe o delle Comunità e per conse-
— 112 —
guenza dei popoli, i quali quando non vi è danaro in comune restan privi
de' varii beneficii che mirano al lor sollievo e conservatone.
Per vietar questo abuso sarà forse bene 1' ordinare che ogni Rettore
finito il reggimento debba andar in Capo d'Istria a far i suoi conti, con
intervento anco ed assistenza dei sindici come di sopra facendo constar di
non haver tenuta alcuna condanna per se, ma contato il tutto come con-
viensi sotto pena di privation come di sopra alli sindici se si troverà che
habbiano attestato diversamente dal vero in questo proposito.
Succede anco che i Rettori per haver danari se ne fanno dar dalle
Comunità sotto pretesto d'acconciar i palazzi e poi nei bisogni d'essi non
spendendo un quattrino, ma tutto convertendo in lor medesimi se ne causa
che sempre rimanendo ed accrescendo i mancamenti e difetti nei stessi pa-
lazzi e le necessità di concieri, infine le Communità convengono per ripa-
rar al total precipitio de Palazzi, spender di molto oltre quello che per lo
innanzi han dato per questo in mano dei Rettori ; il che riede pure a pre-
giudicio dei popoli.
Per rimedio sarà proprio 1' ordinarsi che nell'avvenire non si possa più
dar ai Rettori denari per far concieri di palazzi, ma debbano far la spesa
le medesime Comunità mediante i loro Deputati.
E perchè i Rettori, presso a che proibisce la parte Basadonna, circa
il poter essi cavar danari di condanne, di concieri e d'altre cose, come in
essa parte, temono sempre di nuovo rigore in simil proposito, si lasciano
però intendere che nell'avvenire non condanneranno più alcuno in denari
ma in Galea quei che saran poveri e con gli altri daranno opra al far dei
Comodini. Disordine e voce già notissimo per tutta Istria e posto assai in
uso, il quale è della seguente maniera.
O prima o dopo presentato che sia un reo per qualche caso, si tratta
col Rettore e pattuisce in un tanto con questo che nella speditione o me-
diante le difese aiutate dalla forza dell'accordo seguito, o stante la costanza
ai tormenti, che non se gli danno ma solo si mostrano, sarà o assoluto o
spedito prò nunc, o lievemente condannato, benché per il delitto meritasse
molta pena.
Questo inconveniente mira però non solo a pregiudicio della giustitia
ma a desolation de sudditi perchè le genti risolute di far qualche male o
offesa ad altri e sapendo di poter col danaro liberarsi, preparando prima
il danaro, non è cosa della quale si astengano né in questo riguardan punto
la rovina che se ne causa nelle lor fortune, convenendo spendere assai ed
i offesi pure sapendo, o credendo che in ogni modo il reo sarà accomo-
dato, convengono anch'essi contentarsi d'ogni cosa, piangendo la condition
— ii3 —
miserabile in che si trova la giustitia in quella Provincia. Né per rimediar
a si fatto disordine giova dir che 1' appellation in Capo d' Istria vaglia di
freno, perchè il Reo non si dovrà mai appellare di che egli medesimo ha
accordato e 1' offeso che sarà già rimasto contento d' ogni poco come ho
predetto, né meno si appellerà, oltre che anco per il più le meschine genti
non hanno comodità di far spesa per andar in appellatione.
Per riparar dunque a questo brutto disordine potria esser proprio l'or-
dinarsi che i Rettori nell'avvenire mandino sempre di mese in mese tutte
le sentenze che fanno, in Capo d'Istria, il quale per inquisitione sopra qual
si voglia caso potendo procedere, possa se stimerà esser cosi dovere, col
tagliar qualunque sententia, chiamar anco i rei a presentarsi per esser spe-
diti pur da esso Reggimento, come vorrà la giustitia, non più dal Rettore,
dove havran fatti i mali. Che così vedendo i rei che la sentenza del Ret-
tore non impone silentio nei casi ma che rimangon sottoposti all'inquisi-
tion, presentation, prigionia ed al castigo in Capo d'Istria non si cureranno
più di accomodarsi con sborso di danaro, e col cessare questa cattiva in-
trodutione ognuno guarderà meglio a casi suoi nel commettere mali, ces-
seranno anco i dispendii delle genti non servendo più l'accordo al liberarli,
e le lamentationi degli offesi non saranno sì grandi con sì mal' e pessimo
esempio.
Questo ho io raccordato per il meglio, poiché il procedersi contra a
Rettori saria difficilissimo sendo che gli accordi non si fanno palesi e con
testimonii, ma in secreto e a quattr'occhi come si suol dire.
Al danno e pregiudicio e per conseguenza alla consumation dei popoli,
sono principal causa anco i Cancellieri i quali guidati dall'avidità colludono
con i Rettori a cose esorbitanti e maggiormente rigorose di che si con-
viene, quanto alle formationi dei processi, oltre che nella medesima for-
matione mettono tanti atti improprii ed infruttuosi ed esaminano tanti te-
stimoni che in casi privati chiaramente da quattro si veggono esaminati sin
quaranta testimonii. Di modo che per questo benché le mercedi siano per
il resto deboli, ascendono i processi a tanto che nella spedinone gli huo-
mini per pagare convengono totalmente estcrminarsi. S'aggiunge anco che
i Rettori di qualunque cosa poi che pari o sia mal fatta, gettano il tutto
adosso ai Cancellieri scusandosi coll'ignoranza o coll'avarizia loro.
Crederei che per rimediar a questo fusser proprie due cose. L' una
quanto al procurar che siano i Cancellieri sufficienti e senz' interesse col
Rettore, che de cetero non giurassero più qua le cancellarle, perchè quasi
tutti quelli che qua giurano non vanno poi, ma altri in lor vece l'eserci-
tano e s' intendono con i Rettori, ma debbano andar a giurarle in mano
8
— ii4 —
del Reggimento di Capo d'Istria, conforme nel resto alle leggi; per dover
anco da Dottori esser li esaminati e conosciuti se sono atti e sufficienti
alla professione : le qual esamine debbano notarsi sopra un libro da tenersi
sempre in esser, acciò vedendosi i nomi d'ognuno, non sia più ammesso
uno che una volta fosse stato registrato.
L'altra cosa è che de cetero non possano i Cancellieri farsi pagar più
che sei testimonii ad offesa e tutti gli altri siano gratis, non siano loro
pagati altro che gli atti necessarii ed opportuni alle formationi non quelli
che fanno posso dire di capriccio e totalmente superflui alle medesime for-
mationi. Non possano più proclamar per altro che per casi ove possa entrar
pena di sangue e in tutte le altre occasioni debbano far citar a difesa,
omettendo per sempre il chiamar ad informar la giustitia, poi che questa
è introdutione non necessaria, ma costume solamente per cavar 1' utilità,
che è tanta quanto quella del proclamare, fuori solo che non v' entra il
Mocenico quale va a Vostra Serenità.
Con queste provvigioni, cred'io, che si riparerà all' ignoranza de Can-
cellieri alle collusioni che posson haver con i Rettori, ed ai eccessivi pa-
gamenti di spese che cavano dai rei con esterminio posso dire delle mise-
rabil famiglie.
Hora io ho discorso quali disordini ho possuti osservare e raccordati
quei rimedj ch'ho stimati buoni per ripararvi, onde il dover habbia il suo
luoco e i popoli nel sollievo loro e nell'eccitation delle fraudi godono mag-
giormente il beneficio della Religione e il compimento della giustitia, cose
che accrescono le popolationi e invitano ognuno a venerar la provvidenza
del Principe.
Dirò in aggiunta alcuna cosa, circa a che si può sperare intorno a
maggior popolatione in quella Provincia, il che è tanto necessario quanto
bene è conosciuto dall'Eccellenze Vostre.
Il popolar un paese in gran parte disertato fu sempre difficile perchè
se non succede che o si possa spiantar un popolo intiero d' altra parte,
conducendolo colla forza ad habitar dove si vuole, ovvero che allettata
gran quantità di gente o dalla fertilità dei terreni o dai guadagni nei ne-
gotii o da altre simil cose, per se stessa vi s'introduca con continuata fre-
quenza, difficilmente si può riempir il dishabitato non nascendo gli huo-
mini come le formiche, la provigion di dar l' investita di terreni d' Istria
' con esention a chi da nuovo venga ad habitarvi, fu santa e buona ma non
fa però quell' effetto che si desidera, perchè quelli che novissimamente ven-
nero ad habitare, son tutti fuggiti né alcuno ve ne rimane, come eh' erano
gente cattiva, avvezza ed inclinata alla rapina e nemica di fatiche ; e quelli
— ii5 —
che sottonome di nuovi habitanti stanno hoggidl in Provintia, già ho di sopra
discorso quali siano e qual bene e frutto ne può sperar Vostra Serenità.
Tre cose io stimo poter assai giovare alla popolation delle terre hoggi
mai presso che distrutte.
L'una che come Vostre Eccellenze hanno di già fatto in altri così con-
tinuassero nell'avvenire a dar investite di terreni della provintia a nobili
veneti che fussero danarosi e i quali nella coltivazione e neh' introdurre
gente per operare dassero effetto non all' apparenza delle parole, ma alla
sostanza della borsa e della diligenza, tirando innanzi senza intermissione
alcuna, potendosi star sicuri che quando Nobili Veneti vi porran le mani
ma della conditione c'ho detta faran miracoli nel desiderio che tiene e con
ragione Vostra Serenità di riempir la provincia. Di alcuni i quali hanno
già havute investite non posso dir cosa che rilievi, perchè non si vede opra
di consideratione, ma di uno attesto bene che in poco tempo col spendere
colla diligenza assidua e coll'aver introdute in paese molte persone ad ope-
rare e mantenuto assai numero di gente col proprio danaro ha ridotto
hoggidì in essere un'opera v'ha del rimirabile.
La seconda roba propria a questo bisogno, sarebbe che le genti dalle
ville di Cittanova, da quello di Umago, di Parenzo e di Pola tornassero ad
habitar nelle terre e città ove ebbero la prima habitatione, dismettendo e
abbandonando le habitationi di campagna, poiché come fanno quei di Capo
d' Istria, Pirano, Rovigno ed Isola, potriano anco questi andar a coltivar
li loro terreni e far nientedimeno 1' habitation continua nelle città e terre
sudette. Non dico già che Dignano, gii villa di Pola ed bora fatta terra
grossa si dishabiti ma sibbene l'altre rimanenti, importando molto bene a
Vostra Serenità che i luochi marittimi della provincia non solo si riempi-
scano di gente e si rendano perciò atti a ditesa per ogni caso, ma che con
i molti habitatori e molti fuochi oltre alla rifabbricatione e conciamento
delle case e strade nette e purgate dall' immonditie, il che succederebbe di
necessità quando le terre si riempissero di gente, 1' aria si rendesse salubre
e buona ed invitasse del continuo altri di venirvi a fermar stanza.
La terza cosa eh' io raccordo in questo proposito è che questi marit-
timi luochi ma disabitati della provincia si dichiarino asili e franchigia ge-
nerale per le cose passate a tutte le persone per cinquant'anni almeno, con
promessa anco di assegnationc di terre e d' altre comodità in prestanza e
di esentione a chi verrà ad habitarvi potendo però i rappresentanti publici
metter le genti più in uno che in un altro luoco secondo il gusto di Vostra
Serenità ; la importanza e il bisogno dell' habitatione massime di Pola e la
qualità delle persone che venissero ad habitare.
- né -
In aggiorna a tutte queste cose per il buon governo della provincia
per la soddisfation de' sudditi e per il publico decoro, stimo che possa
esser conveniente dar qualche regola anco al Reggimento di Capo d'Istria.
Il quale sebben al presente da quell' Illustrissimo signor Podestà e consi-
gliere è ben retto, onde la lor vertù si rende riguardevole, riavendo io veduto
uscirne di molte belle terminationi, con tagli di sentenze, condanne di Can-
cellieri, privation anco di Reggimenti ed altro che vai di corretione tuttavia
perchè è Reggimento grande che ha 1' appellatione di tutta la Provintia e
la Vicegerenza totale della Serenità Vostra, gli sarà conveniente l'accresci-
mento d' ogni dignità ed honore, quando che ben è noto che nei passati
tempi, mentre che non Generali e non Provveditori frequentavano i comandi
dell' Istria, ma a quel solo Tribunale tutte le cose immediatamente pende-
vano, concorrevar. in dimanda e come Podestà e Capitano e come Consi-
glieri soggetti di maggior conditione e stima di che segue al presente. La
pristina redintegratione di dignità ad esso Reggimento non è meno neces-
saria al ben della provincia, massime potendosegli aggiunger maggior cure
ed autorità nella giustitia di che la desiderano ardentemente i popoli tutti
e la città di Capo d' Istria in particolare, dove sono stato instantemente
pregato di farne moto alla Serenità Vostra.
Il mio senso dunque sarebbe che acciochè alla carica di Podestà e Ca-
pitano e Consiglieri concorressero gentiluomini più eminenti di grado se
gli accrescesse per prima il salario e F utilità, le quali son cose desiderate
altrettanto quanto gli honori. Così che il Podestà havesse altri Ducati qua-
ranta al mese in tutto cento, i quali potrà ricevere da quella camera che
oggidì è resa assai comoda per le rendite. Ed ai consiglieri fusse concesso
uno per cento di tutto quello, che scuodono in materia di sali, e soldi
quattro per ogni moggio di sale di quelli, che pagano a quelli che danno
il sale. Utilità che quasi d' insensibil peso al publico ed al privato, a loro
saria posso dir conveniente, servendo essi alla Cassa, e valerla d'allettamento
grande nella diligenza del tutto che importasse, oltre che moverebbe poi
certamente in dimanda soggetti, quali erano nei passati tempi titolati anco
sopraquaranta, i quali uscendo di quella scola, nella quale sola s' impara il
vero et giusto modo di giudicar e col patir la pacienza dell' ascoltar, cosa
tanto gustosa a popoli, massime persuasi dal vedere che anco di più decorata
condition sarebbono gli eletti alla carica di Podestà e Capitano (con gran-
dissima consolatione di tutte quelle genti) la quale dovendosi in avvenire,
per mio senso per render più riguardevole elegger per scrutinio di Pregadi
e per Maggior Consiglio, invitarebbe assai gentiluomini che adesso non vi
pensano a ricercarla, perchè in particolare è Reggimento vicino e colla di-
— U7 -
gnità maggiore havrebbe l'accrescimento dell'utile in paese dove è buono
il vivere nò si può molto spendere, benché si voglia. Et essendo li consi-
glieri come duoi brazzi del Reggimento, potrebbe il podestà valersene per
mandar a Pirano ed a Muggia per occasione de sali, che sarebbono più
stimati che li Rettori ordinaria Decorato in questa maniera il Reggimento
e reso di maggior rispetto potrebbe in avvenire supplir di vantaggio a tutte
le occorrenze della provincia e di sali e di contrabandi e di qualunque cosa
senza la continuatone di Proveditore, che oltre la spesa che rende, anichila
la dignità ed il riguardo del Reggimento.
Gradiscano 1' Eccellenze Vostre questo, che è parto della mia osserva-
tone e spirto della mia debolezza. E honorando nel poco la mia sincerità
e la grande mia divotione, unita a pienezza di volere e di disposinone verso
il publico servigio, esercitino la benignità di vertuoso Principe. Credendo
come le supplico, che niun' altra cosa è in me maggiore che il desiderio
ardentissimo di spender anco la vita: Onde se l'opre non possono dal mio
talento riuscire qual è 1' obbligo mio immenso verso la Patria, almeno la
riverenza dell' animo humile sia ricevuta nel grembo della publica gratitu-
dine a mia singolarissima consolatione. Gratie.
(Archivio di Stato in Venezia — Relazioni dei Provveditori in Istria).
Relazione 15 maggio 1629 del Provveditore in Istria
Zaccaria Bondumier.
Serenissimo Principe.
Alla propria vita in età grave et con pericolo evidentissimo della me-
desima non ho perdonato immaginabile fatica per sostener il peso dell' im-
portante carica di Provveditor sopra i sali in Istria adossato alla mia de-
bolezza del modo che conferiva al debito di buon cittadino et come m'in-
dirizzava la pienezza del talento di servire perfettamente ai bisogni della
patria.
Qual fosse il stato de negocii commessi alla mia puoca pratica in quella
carica e come fossero malissimo trattati gli publici interessi, Vostra Serenità
— u8 —
n' era informata ; e di ciò che nel corso di disnove mesi che ho travagliato
in essa Provincia sia da me stato operato ed eseguito in prò e vantaggio
delle rendite publiche di quando in quando ne ho fatte consapevoli 1' Ec-
cellenze Vostre. Ma perchè spezzatamente gli ne sono pervenute le notitie
et conferisse all' importanza dei negocii per il publico interesse un intiera
istruzione, discorrerò il tutto riverentemente con quella maggior brevità che
mi concederanno gli affari passatimi per mano. E comincierò a trattar della
vendita dei publici sali come materia, a che per capo principale deve ten-
dere il discorso, essendo questo il parto di grossa entrata alla Serenità
Vostra, che per il fine di ciò appunto m' incarnino di là.
Il partito che fu concluso con il Porta e Fustignoni di nove mille moza
de sali di Capo d' Istria e Mugia all' anno per smaltirli ad Austriaci, con
facoltà però di spedirne di questi per mare a Bucari e Fiume due mille
moza et di quattrocento moza da esitar a sudditi veneti per l'Istria doveva
ragionevolmente portar a Vostra Serenità quel grosso beneficio di entrata
che allo stabilimento di esso fo calcolata. Et io appunto ho messo particolar
studio a sostentar il medesimo partito con levarle quanti pregiudicii sapevano
gli agenti di detti partitami rappresentarmi di ricevere, al fine stesso, che
con la continuazione di quello continuasse al publico 1' utile rilevante che
se ne supponeva. Ma gì' interessati nel partito tutti tendevano al commodo
e beneficio proprio, senza avvertire a quello che anco era di loro debito
verso la Serenità Vostra, come si deve conoscere da questo, che li piezi e
carattadori dopo haversi dichiarato di non voler star obbligati per tale partito
si sono nondimeno per il corso d' un anno anco dopo intrigati nel denaro
cavato dai sali, che intanto continuano li partitami a ricevere.
E perciò è succeduto che il publico non ha havuto 1' entrata che le
toccava ; si è fatto manco smaltimento de sali di quelli che si sono ogni
anno incanevati, per lo che si è andato sepellendo buona parte dell' oro
che 1' Eccellenze Vostre dovevano fruire ; con la missione annuale di detti
duemille moza de sali a Bucari e Fiume hanno favorito gì' interessi d'Au-
striaci, introducendo e sempre più fomentando quelle scale con quali resta
aperto a mercanti esteri il trafico per il golfo dagli uni agli altri luochi
alieni in detrimento dei dacii della Serenissima Republica contro ogni giusto
servitio di Vostra Serenità che ha d' ogni hora invigilato a non lasciar in-
trodur scale d' altri stati et in beneficio manifestissimo d' Ancona e Seni-
gaglia per il negocio d' ogni mercantia da partitami indrizzato per di là et
di Ferrara in particolare per il traffico de tormenti inviato con la scala di
Goro, come ne hebbero aperto lume Vostre Eccellenze dal processetto che
di ciò le inviai con lettere di 2 Novembre passato, dal qual si cava che
— in-
detti partitami mandassero in Goro tre mille stara de formenti a conto d'un
partito che ne haveano fatto di ottomille stara con mercanti ferraresi.
Né cos' alcun' altra che li sali poteva inviar detta scala di Bucari perchè
gli Coceveri e Crovati in particolare calano là a levarli, portando a baratto
di essi ogni loro robba e merce, legnami, pelli, lane e grani, che perciò
tutto casca in mano de' medesimi partitanti, trattenendosi ivi a posta uno
di loro principali, che hanno al medesimo fine tolta per dieci anni ad affitto
con molto interesse quel posto dai Conti di Sdrino.
E coli' ispeditione de sali così a Buccari e Fiume, come a moltissime
caneve introdotte per loro nell' Istria, per quali non meno eran smaltiti sali
ad esteri sudditi hanno levato gran stimma di denaro alla Serenità Vostra
del dacio della nuova imposta de soldi cinque per staro de sali.
Et per sigillo de danni invece di mantenersi alla città di Capo d' Istria
et alla terra di Mugia il corso de Cranzi, questo è stato anzi tanto debole,
che quei luochi si sono desertati, perchè la città di Capo d' Istria in par-
ticolare col perder il commercio perde 1' entrata d' un suo dacio di circa
ducati trecento che è il maggiore delle sue rendite, qual cava con alcuni
bagattini per cavallo eh' uscisse da essa e quei sudditi hanno vigore nelle
loro entrate d' oli e vini specialmente quando possono spazzarli col corso
d'Austriaci che pur anco le porgono trafico de legnami e sovvegno de grani
e grassine. E cessando questo puoco cavano dell'entrate, sicché intaccandosi
un anno nell'altro s'impoveriscono che poi nelle loro miserie manco sono
da stimar buoni per Vostra Serenità, essendo regola di Stato che i sudditi
possenti faccino più vigoroso anco il suo Principe.
Dunque si meritarono esso Porta e compagni di decadere da quel partito
al qual non attendevano veramente per posseder il negocio de' sali ma per
esser con il mezzo di quello patroni d' ogni trafico della scala di Bucari.
Il che deve restar confirmato e da una straordinaria semanza de sali che
fecero colà fino nelle chiese la estade 1627, che prima del mio andar in Istria
con molti vascelli ne condussero da Capo d'Istria a Buccari circa mille moza
in manco d' un mese e pur erano al fine del secondo anno del partito che
li piezi (com' ho avanti detto) s' erano dichiarati già di non voler più pie-
zarlo e dalli continui tentativi fatti per loro all' Ill.mo Officio del Sale di
haverne per essa scala qualche quantità anco dopo licenziati dal detto primo
partito e dall' haver finalmente con accrescimento di pretio e con loro maggior
interesse rennovato per quelle rive medesime altro simile partito.
Né mi faccino consideratione che i loro difetti sieno avvenuti per li
contrabandi seguiti nei primi due anni, poiché anco nel terzo eh' io pur
(come ho detto) gì' ho riparato et ai contrabandi, che non ne sono stati
— 120 —
commessi et ad ogn' altro pregiudicio che pretendevano ; ho veduto che
niente, o puoco meglio di prima ha camminato il negotio, non essendosi
loro mossi dal passo che havevano preso e drizzato ai proprii interessi so-
lamente.
Io so che nell'animo d'alcuno corre pensiero che risultasse al publico
di miglior servitio il restituir a popoli di Capo d'Istria e di Muggia la li-
bertà primiera di quei loro sali, coli' impositione di dacio di doi lire per
staro ; ma come per contraposto di questo doverebbe bastare la conside-
ratione, che quando l' Eccellentissimo Senato capitò alla deliberatione di
volerli tutti in publico, fusse discussa al vivo questa materia e gli tanti ri-
spetti uniti con quella, che da tutti gl'Ili. mi Rappresentanti che l'hanno per
tanti anni maneggiata, furono ponderati, né io devo adesso con tedio del-
l'Eccell.6 Vostre repetere, consigliassero prudentemente tale risolutione per
non lasciar correr più avanti alla Serenissima Republica la soppresa del suo
decoro, che pativa detrimento mentre i sali sono di regalo del Principe e
gli sudditi di quei due luochi soli dentro il suo dominio ne tenivano la
patronia ; così stimo d'aggiugnere per total distrutione di si fatto pensiero
che restituendo al libero stato di prima il negocio, né Vostra Serenità né gli
stessi suoi sudditi goderiano quel beneficio ch'ella et quelli adesso sentono.
E non sia discaro a Vostre Eccellenze l' intenderne le cause.
Quando essi sudditi erano padroni di smaltir gli loro sali che vende-
vano per ordinario una lira e mezza e due, o puoco più in ragion di staro
per la concorrenza che uno coll'altro si faceva, portando servitio e van-
taggio considerabilissimo ad Austriaci, il traffico d'essi sali restava io mano
d'alcuni puochi principali della piazza, che li comperavano per miche et a
pezzi di pane dai più poveri e dai salinari, incanevandoli essi e facendone
esito a loro miglior commodo, onde 1' universale e la povertà in partico-
lare mai ha cavato tanto denaro della portione de' suoi sali, quanto ne
trahe dopo chi li vende al publico. E'1 dever pagar di dacio lire due per
staro, se toccasse a patroni dei sali assorbirebbe il pretio tutto quasi che
lo vendessero a Cranzi, o se si facesse pagar a detti Cranzi costarebbe loro
tanto quanto che si può vender anco per caneva publica, né perciò essi
Cranzi fariano corso maggiore del solito, il che è quanto bramano quei
popoli per loro conservatione. Dunque quest' impositione non farebbe il
servitio di quei sudditi in generale, ma neanco portarla alla Serenissima
Republica il suo utile.
Poiché tra Capo d'Istria e Mugia si fa conto che un anno per l'altro
si assumino X."1 moza de sali i quali costano a Vostra Serenità lire dis-
nove il mozo, né gli ha mai venduti meno di lire quarantaotto, che dà
— 121 —
d'utile in ragion di mozo lire ventinove, onde sopra tutti li X.m ascende
il guadagno a lire ducento nonanta mille. E con la detta impositione di
due lire per staro si cavarebbono per mozo lire vintiquattro, che in tutto
summariano lire ducento quarantamille, facendo il discavedo ogn' anno de
lire cinquantamille. Ma tanto maggiore sarebbe anco questa perdita quanto
più alto delle quattro lire fusse il pretio a che si vendessero li sali a Cranzi
che ben spesso potria succeder in mancamento dei sali di Trieste ; non
volendo qui lasciar nel silentio l'oppositione che mi si facesse che sopra
detto utile dalle comprede in publico alle vendite vi sia l' interesse del callo
dei sali e d' affitti de magazzeni ; per risolverla con la risposta che per il
callo ha Vostra Serenità di vantaggio un staro per ogni mozo de sali, li
quali è pratica osservata, che mentre sono in buoni magazzeni mai calano
tanto, onde la spesa d' affitti restarla scansata certamente col civanzo del
beneficio che si riceve per callo. E se pur vi concorresse alcun puoco in-
teresse si ha d'haver per certo anco che detta impositione mai sarebbe pa-
gata intieramente, che mille stratageme per le fraudi vi sariano, oltre che
quei popoli accettarebbono ogn' altro partito che di pagar le due lire ha-
vend'io dai publici Reggenti sotratto che malcontenti restariano anco del
pagamento di una sola lira per staro.
E tale libertà a particolari di vender quei sali porterebbe danni gra-
vissimi al dacio de sali per Friuli, perchè essendo per quelli lochi alto il
pretio non mancarebbono huomini tristi che per il guadagno gli ne por-
tassero e da Capo d'Istria e da Mugia frequentemente.
Ma ove si lascia il pensar qual esito si dovesse dare a moza 22 mila
de sali che sono ancora in Capo d'Istria et ad altri moza due mila cin-
quecento che si trovano a Mugia, che rilasciandosi ai sudditi la pristina
libertà essi attenderiano al spazzo di suoi e quelli di Vostra Serenità resta-
rebbono nei magazzeni. Se chi ha il pensiero dell'Impositione sudetta tiene
pratica di vero ispediente al smaltimento dei detti sali vecchi, oltre la uscita
per mezzo dei Cranzi da quella parte lo facci palese e lo raccordi che anco
senza essa impositione può valersene il publico a molto miglior vantaggio
suo nel negocio stesso al modo eh' e incamminato.
Non trovo però partito che per varii rispetti oltre il maggior guada-
gno di Vostra Serenità sia più accettabile che la vendita per caneva pu-
blica. È vero che si ha d'usar ogni mezzo possibile perchè li dacii restino
affittati né corano per conto della Serenissima Signoria, ma talvolta torna
di miglior servitio che stiano in publica mano com'ho in diversi conosciuto
per prova et isperienza nella carica ch'esercitai fievolmente in terraferma, e
vi è anco la differenza dall' uno all'altro, e questo in particolare è diffe-
— 122 —
renassimo et diverso di negocio e maneggio dagli altri ; onde mi si deve
concedere che discorra ogni bene che ne risultasse dal farlo camminar per
Signoria.
Vostra Serenità facendo partito di quei sali li valuta circa lire quattro
il staro e da chi leva il partito si vendono fino lire sette né mai sarà pos-
sibile che un partitante venda li sali al pretio che lui li paga al publico,
perchè ne gì' interessi che le corrono, né il suo travaglio et impiego con
la mira di guadagnare le concederanno di così fare. E se gli Austriaci in
tempo di comperarli da partitanti a sei e sette lire vengono a levarne
la summa di tnoza sei e sette mille, non è già fallo a credere che coll'i-
stesso denaro che spendono in tempo de partitanti, levariano la metà di
più de' sali quando gl'havessero a lire quattro, o poco più alla caneva. Il
che serviria per smaltirne ogni anno questa tanta quantità di più con an-
darsi la Serenità Vostra rimborsando quel grosso capitale che tiene morto
nei magazzeni e sollevandosi dell' interesse che per affitti dei medesimi sente
da qualche anno in qua : darebbe modo a quei sudditi di migliorar le loro
conditioni con servitio pure della patria, alla quale è da stimar anco che
s'avanzassero li beneficii con la continuatione del negotio in questo modo.
Perchè li Triestini che prima del partito fatto col Porta e Fustignoni erano
in miseria, né tenivano pensiero alla costrutione di saline e nel corso di
tale partito vendendo anch' essi li loro sali a pretio alto a corrispondenza
de partitanti, si sono arrichiti e dal commodo invitati alla fabbrica di molti
cavidini de nuove saline, a che hanno atteso et attendono nell' aque d' in-
dubitata ragione della Serenissima Republica nella valle di Mugia, come
opportunamente a Vostre Eccellenze ho significato, essendovi di loro che
perciò hanno anco tolto denari ad interesse ; tornariano alla conditione di
prima, che se volessero smaltir gli loro sali converrebbono darli a quel
basso pretio che corressero anco di là e mentre riavessero detti Triestini
questa necessità perderiano l'animo a maggiori costrutioni di saline ; anzi
di quelle fatte gl'andarebbono a male che non trovariano quanti salinari le
bisognassero a governarle, perchè costumando essi al San Martino di pagar
a detti salinari la portion di loro sali a quel che corrono a tal tempo, sa-
riano astretti a diminuirle dall'ordinario il pagamento e li salinari lascia-
rebbono d'andar a lavorar ad esteri, il che non stimano di far per quante
altre prohibitioni rigorose s'habbino publicate, che appunto a tre Mugisani
che mi sono capitati nelle forze, convenni ultimamente per la loro inob-
bedienza dar castigo d' esempio anco agli altri, ma attenderiano al lavoriero
di quelle de' sudditi nei luochi delle loro habitationi.
Se queste ragioni che sono palpabili dimostrano di quanto servitio sia
— 123 —
a questa patria et ai popoli di Capo d' Istria e Mugia il vender gli sali
circa quattro lire per staro. E se la vendita a tal pretio non può eseguirsi
col mezo di partito, perchè non è da continuarsi in nome della Serenità
Vostra che sola può farlo ? Ella dandoli a partitami alle lire quattro perde
per certo il commodo di tanti benefìcii quanti di sopra ho raccontato, fa
sempre maggiori le calamità di quei suoi sudditi e manifestamente arri-
chisse chi ne piglia l'appalto.
Che facendo far la caneva publica per goder questo tanto servitio che
se ne prevede non ha altro aggravio de ministri et affitto di caneve tra
Capodistria e Mugia, che de ducati 800 in ragion d'anno et intorno a du-
cati cinquecento per le mercedi de misuradori e portadori dei sali dalli ma-
gazzini alle dette caneve, il che può prender accrescimento e diminutione
dalla quantità de' medesimi sali, che si spazzassero, facendosi il pagamento
a detti mercenari sopra la quantità stessa che misurano e portano. Ma non
è dubbio che queste spese restariano scansate col tratto solamente di quei
sali che si risparmiano dall'honoranze che se ne danno a partitami, perchè
a questi ministri che vendono per nome publico, non ho permesso e non
si deve conceder alcun callo, essendo s?.sonati gli sali, che se le danno, anzi
alcuno di loro s'haverebbe contentato di far la vendita dei publici a tutte
sue spese con il solo beneficio di tre per cento di callo.
Il successo in sette mesi giusti, ch'io ho fatto spazzar nei detti due
luochi li sali per nome della Serenità Vostra fu indubitatamente conoscer
riuscita di questo negocio ; perchè in detto tempo se ne sono spazzati cin-
que mille ducento moza che farebbe a ragion d' anno il smaltimento di
quasi novemille moza, come succederà certamente quando nella vicina sta-
gione de' sali non si lasci rennovar il danno de contrabandi, havendo ca-
vato puoco meno di 70 mila ducati, che hanno valso a sollevar 1' Eccel-
lenze Vostre dal debito eh' havevan a quelli di Capo d' Istria e Mugia de
ducati 32 mila settecento cinquanta per gli sali che furono da loro incor-
porati e venduti gli anni passati e per affitti de magazzeni et altri trenta
mille n'ho mandati in Cecca a Vostra Serenità e 4 mila lasciati nella Ca-
mera fiscal di Capo d'Istria, essendosi il rimanente con l'altro denaro con-
tato da partitami in quella cassa, impiegato oltre li mille ducati dati all'il-
lustrissimo signor Capitano di Raspo per commissione dell' Eccell." Senato,
nel pagamento dei sali nuovi di due stagioni, nelle fabbriche dei due pu-
blici magazzeni, in restaurarne de' vecchi, nell'escavatione e panificate per
serraglio delle saline di Pirano, in paghe e suvventioni di barche armate,
per concieri di esse, in salarii ai publici ministri e mercedi ad operatori
per il negocio de' sali, et in spese de Galeotti da me condannati al nu-
— 124 —
mero di sedici, et in altre cose necessarie per la carica a servitio di Vostra
Serenità, che queste però non eccedono la stimma di duecento cinquanta
ducati, come rimane tutto difusamente descritto nei conti eh' ho presen-
tati all' Illustrissimi Signori Revisori alla scrittura.
So esservi da considerare che 1' annata scorsa lasciasse i Triestini vuoti
di sali, onde possa esser questo anno il spazzo maggiore degli altri ; et
riavendosi potuti vender al pretio di sei lire e meza e sette, come ho fatto
eseguire con sicurezza, che altrove non erano per riceverli a miglior prezzo
sia conseguentemente maggiore anco il tratto d'essi sali. Ma oltre la cer-
tezza che a Trieste non se ne facci sumanza maggiore di 2 mila moza
all'anno che in diffalco di tal summa pur la medesima stagion ne habbino
cavati circa quattrocento moza e che se si havessero venduti a basso pretio,
potrebbe dirsi che il smaltimento sarebbe arrivato in un anno intiero a io
mila moza, perchè nelle robbe rare si tiene la mano stretta e si mira il
risparmio, s'ha d'haver per costante questa verità che essendo stata 1' an-
nata stessa scarsa anco di biave neh' Imperio, che li somari Cranzi, che
sogliono condur formenti in baratto de sali, non hanno essi potuto far il
trafico che facevano gli altri anni, anzi anco ai mercanti di Lubiana sten-
tavano a spazzare quei puochi che vi conducevano per non trovar di essi
denaro, né cambio di biave. Onde il beneficio che si poteva ricever colla
scarsezza de sali a Trieste è stato contrapesato col maleficio della penuria
de grani nei paesi superiori, che accomodano gli Cranzi de denari, con che
possano far maggiori comprede di sali. Manco ho da tacere che se a Trie-
stini non vengono portati sali di contrabando, presto esitano li proprii ch'io
lo provai nei primi mesi che uscii alla carica, perchè cessando immediate
li contrabandi sebbene la stessa stagione prima della mia andata n' havevano
havuto qualche quantità, in corto tempo nondimeno ne fecero il spazzo,
che loro medesimi per la sua città mandavano a pigliarne a Mugia. Anzi
tanto prima li smaltirebbono quando alla stagion d'essi et per quel tempo
solamente che durasse il nerbo di detti loro sali si abbassasse dall' ordinario
il pretio di quelli alle caneve di Vostra Serenità, che converiano ancor essi
far il simile. Poiché non è bugia che in parità di pretio con quei di Mu-
gia sempre li sali di Trieste saranno li primi spazzati, per esser commoJi
a Cranzi meglio d' una giornata. E dopo fatto da Triestini 1' esito della
loro maggior parte, si potrebbono li pretii restituir al loro primo segno,
et anco alterar secondo la scarsezza che ve ne fusse.
Ma sia come si voglia. Se pur anco quegli anni che a Trieste si rac-
cogliessero sali, si facesse con la vendita in nome della Serenissima Signoria
minor spazzo di quello che bilanciati tutti gli accidenti ho calcolato per
— 125 —
l'anno corrente, non è fallo che tanto meno ancora seguirebbe col mezzo
di partito. Onde stabilisco la conclusione, che scansata anco la summa di
Trieste avrà V." Serenità l'esito per altri otto mille mozza infallantemente
ogni anno, che mai un partitante li smaltirà per le ragioni avanti dichia-
rite et così Vostre Eccellenze faranno più presto 1' uscita de' suoi sali vec-
chi, e cavaranno anco assai più denaro di quello trahessero per via di par-
tito, che mai sarà meno di ducati 64 mila.
Tuttavia quando alcuno coli' obbligo di tanta somma volesse essere
conduttore, né usasse gli difetti dei passati, non s' allontanarebbe il mio
pensiero che se ne abbracciasse l' incontro, sebben poi immediate caderebbe
la speranza che Triestini perdessero le forze, ma potendo tenir alti li loro
sali a corrispondenza del partitante, continueriano la strada che hanno e
per gli anni venturi prepararebbono a Vostre Eccellenze maggiori pre-
giudicii.
Mai però nel terminar alcun partito la mia debolezza stimarà bene che
si concedano sali per Bucari e Fiume contro la parte dell'Eccell.*™0 Senato
1589, 12 sett. qual prohibisce il far partiti de sali da S. Giovanni de Duino
fino a Bucari inclusive, intorno a che pure sopra il partito renovato ulti-
mamente con quegl' istessi che l'avevano anco prima, tuttoché debitori a
Vostra Serenità, discorsi per commissione dell'Eccell.m<> Collegio a 23 d' a-
prile passato con mio giuramento ogni particolare ; perchè è un dar modo
et eccitamento a stessi partitami d'avanzar quelle scale et altre estere con
quei trafichi, che si sono da loro usati per l'addietro, come hanno inteso
1' Eccellenze Vostre in pregiudicio evidentissimo dei publici dacii e danno
palpabile alla città dominante, ma bensì debbano lasciarsi levarli in Capo
d'Istria e Mugia ove li vanno a pigliar i sudditi dei conti di Sdrino e di
Corovia che gli somministrano et a Buccari et per ogn' altro luoco della
Crovatia come havevano ritornato in costume dopo decaduto il publico
partito di detto Porta con gran beneficio a quei sudditi veneti. E l'evento,
oltre alcune attestationi che si possono veder nel prenominato processo,
facci testimonianza della verità contro chi ha disseminato il contrario.
Nei sudetti sette mesi che si è fatta caneva publica, senza spedir sali
alle predette scale se ne sono pur (com'ho detto) essitati tanti che in ra-
gion d' anno superano di molto la quantità che da sudetti partitami è stata
smaltita con tutto che avessero la libertà di mandar e li mandassero due
mille moza a Buccari e Fiume. Et è pur anco vero che l' istesso spazzo
fatto per caneva publica viene in proportione del tempo a superar di tre-
mila moza il partito, che la està passata propose il medesimo Porta da re-
golar in sei mille moza con la predetta libertà dell'ispcditione per Bucari
— 126 —
e Fiilme, anzi con altra facoltà di più di spedirne mille inoza per Gradisca
e Goritia per ove si saria inferita la rovina del dacio dei sali nel Friuli,
perchè di la s'havrebbe sparsa gran quantità di quelli che s'havessero dati
al Porta per essere a più bassa conditione. Segno chiaro dunque per ogni
calcolo che anco gli popoli che in tempo di detto partito se ne provvede-
vano a Buccari, sono venuti et hanno mandato a levarli alle caneve della
Serenità Vostra : non ostando in ciò quello si dice da alcuno che per es-
sere quelle genti un puoco lontane non vadino alle medesime caneve, poi-
ché li somari s' hanno diviso li viaggi già tanti anni che attendono a tale
esercitio di condur sali che quelli che vanno in Capo d' Istria o a Mugia
non passano col suo carico il luoco destinato, ove altri le danno cambio
e così di man in mano passano gli sali fin agi' ultimi luochi ove ne ten-
gono il bisogno.
Né si tema dei protesti che furono divulgati quando si cessò tale
missione di voler gli Austriaci attender di fabbricar saline per le rive del
Vinadol, perchè se vi havessero siti a proposito non sarebbono tardati fin
ora a fabbricarle essendo pur adesso gli stessi siti quei medesimi ch'erano
anco già tanti anni nel corso de' quali non haverebbono voluto ricever li
sali di Vostra Serenità se gli havessero potuti cavar nelle proprie rive ; il
che si deve assicurar dal non haversi di ciò sentita dopo in tanti mesi al-
cuna mossa.
E se pur anco ne trovassero il commodo, non è da credere che a tali
novità si mettessero per non andar alle caneve di Vostra Serenità a com-
perar i sali, ma bene per quei fini che difusamente rappresentai nelle let-
tere di 1 1 Decembre prossimo passato in quella materia, di tender li pen-
sieri del general di Orovatia ad haver nel stato proprio li sali da mantenir
quelle scale e di Segna in particolare con Turchi, senza la necessità di pi-
gliar di quelli della Serenissima Republica, anzi per mortificarle il negocio
stesso de sali et ogni altro trafico con perdita delle sue rendite. A che,
quando così fosse, neanco ostarebbe il continuarsi a mandar da Capo d'Istria
colà gli sali.
Manco s'ha da consigliar tale missione con li tanto gravi pregiudicii
di sopra rappresentati per il riguardo di levarne un solo di molto minor
danno, che è il voler rimover l'occasione che da altri stati gli siano con-
dotti li sali ; il che neanco con questo temperamento si devierebbe. Poiché
in ogni modo siccome è verissimo che anco in tempo de partitami pre-
detti, quei popoli ne hanno voluti dei forestieri, non per la bontà, perchè
anzi quei somari affermano che rodono gl'interiori agli animali, per cui è
grande il consumo d' essi, ma per il vii pretio a che li hanno, che ve ne
— 127 —
sono stati portati non puochi, come dagli agenti de' stessi partitanti fui
avvisato sebbene per la ricognitione che asserivano di dar alla camera Im-
periale d'una lira per staro, mostravano di haver da quella Maestà editto
di prohibitione che nel suo stato non si ricevessero altri sali che del loro
partito: et altri vascelli con carichi simili si sono in Quarnero naufragati;
così è argomento chiaro et infallibile che sempre dette genti havranno il
pensiero medesimo di volerne de forestieri qualche quantità da mescolar
con di quei di Vostra Serenità per sparagno e per stabelir il commercio
con gli luochi di sotto vento da dove gli potessero havere. Onde mi par
in ciò propria la regola praticata comunemente, che di due mali si elegga
il minore, et che a levar dunque questo solo maleficio non si debbano
trovar modi di peggior detrimento e che causino danni infiniti più impor-
tanti, ma basterebbono quelle diligenze di guardie che hanno valso in tan-
t' altre gravissime occasioni e che pur per altri interessi si tengono per
quelle rive e sarà insieme bisognevole di tenirvi per il medesimo fine anche
durante lo partito renovato ; non tacendo perciò che il transito d'ogni na-
viglio a Bucari e Fiume per la via del Quarnero da due barche armate
eh' essistano una in porto della Faresina dell' isola di Cherso e 1' altra di
qua nel porto del Castel di Fianona ov'è un stretto di soli cinque miglia,
hessendo la navigation in cosi angusto sito si possa impedire senza alcuna
fatica, o contrario.
E quesf ostaggio di presente ancora si pratica in fatti facilissimo e
riuscibile, mentre si vede e lo devono aver a memoria Vostre Eccellenze
che l' illustrissimo signor general in Dalmatia et Albania li giorni passati
avvisò d' haver fatto arrestare quel vascello che con sali et oli passava verso
Buccari et come il farsi da lui gettar detti sali in mare ha conferito in
questo proposito al publico interesse, così mi pare che il servino sarebbe
stato più perfetto quando havesse contra il padrone del naviglio esseguito
il rigore delle prudentissime leggi che in ciò dispongono ; perchè con maggior
facilità ancora s' haverebbe dagli altri l'obbedienza, nò pensariano a far questi
pregiudici alla Serenissima Republica.
Se dunque con l'effetto delle guardie che per altro si tengono in quelle
aque, si distrugge questo supposto danno, io non so discerner altra necessità
di mandarsi li sali alle dette scale. Mi pare sentir a dirmi ancora che non
habbia avvertito al gravame che eseguendosi la vendita de sali per nome
publico vi è da mantenir in Istria un Provveditore per la sopraintendenza
del negocio con la diversione particolarmente dei contrabandi. E per questo
dirò che tal interesse non si deve poner in bilancio alla rendita della caneva.
Perchè anco in tempo di partito quando non vi fosse Rappresentante prin-
— 128 — >
cipale, non passarebbe sèmpre bene quel traffico, che se le incontrariano
di quei stessi pregiudicii, che pur alla caneva potessero esser portati : Oltre
che molti altri interessi gravi et importanti al servitio della Serenità Vostra
ricercano ben spesso in quelle rive la ressidenza di prudente Senatore. Ma
per schifarsi la spesa d' un Provveditore non possono Vostre Eccellenze
capitar a risolutione migliore, che di regolar il Reggimento di Capo d' Istria,
acciò vi si conduchi di tempo in tempo soggetto che possi esser incaricato
di quelle stesse punitioni che s' impongono al Provveditore. E per molti
considerabili rispetti, anzi per la conservatione di quei puochi rimanenti
sudditi nell' Istria come intenderà la Serenità Vostra nel fine, vi deve tendere
tutto '1 pensiero dell' Eccellenze Vostre.
Soggiungerò qui quanto fa a proposito per il luoco di Pirano come
primo che praticai. Quella terra tiene tre scali di saline ; la maggiore no-
minata Cizzole ; la mediocre Fasano ; et F ultima Strognano. E tra tutte
formando cavidini due mille seicento ottantacinque di saline, è ordinario
che un anno coli' altro rendino circa 7 mila moza de sali, de quali la co-
munità ha beneficio della settima parte per il ius che tiene sopra li fondi
delle medesime saline, essendo antichissime. E detti sali sono comperati per
conto della Serenissima Signoria a lire quindici e meza il mozo con mer-
cato rennovato l'anno 1625 dall' Eccell.mo Collegio del sale, incanevandosi
hora di là et hora mandandosi di qua, secondo si ha commodo de magaz-
zeni ; che anzi talvolta sono rimasti alla sbaraglia nelle valli tutto l' inverno
et fino quasi alla fabbrica dei nuovi sali, da che poi ne sono avvenuti li
contrabandi dannosissimi a publici interessi.
Ma non rimane a questo segno il danno al publico con la costrutione
di tanti sali in quel solo luoco, che nel pagamento di essi ne segue un
impiego di molto denaro, qual poi resta sepolto nei magazzeni che mai si
possono vuotare perchè la quantità che si smaltisce tra l' una e l' altra sta-
gione non è tale che non sia sempre maggiore la somma che se ne riceve
de nuovi e così va facendosi grosso il negocio senza speranza di poterlo
(Dio sa quando) veder a un fine, che appunto adesso se ne trovano in quei
magazzeni de vecchi meglio de 15 mila moza. E quanti più magazzeni se
ne incanevano, tanti più sali si discavedano per pioggie, o per altro mal
stato dei stessi magazzeni, come potranno conoscere F Ill.mi Signori Prov-
veditori al sale quando vedranno il fondo all' incanevi e discanevi di quelli
f di Cezza particolarmente fabbricati dal Proto Pelandi, il qual osservo haver
in tali fabbriche mal servita Vostra Serenità.
Fu pertanto sommamente a proposito per divertire ognuno dei sopra-
detti danni e pregiudicii l'ordine di Vostre Eccellenze che si dovesse eseguir
— 129 —
la deliberatione dell' Eccell.0 Senato 1428, che le saline di Piran non po-
tessero fabbricar più di quattro mille settecento moza de sali annualmente,
compreso il settimo spettante a detta Comunità. Et il stabilire fermamente
questa osservatione, come la Serenità Vostra anco ultimamente ha mostrato
d' haver pensiero, et ho pur io reverentemente più volte racordato e spe-
cialmente dichiarito in lettere di 15 Agosto 1628 per l'ordine impostomene,
sarà rimedio potentissimo ad ogni male, perchè ogni anno vi saranno ma-
gazzeni da logar i sali nuovi senza lasciarli in potere de' contrabandieri,
non essendo meraviglia che tali siano e vogliano sempre mantenersi li Pi-
ranesi in particolare per non degenerare da quei famosi corsari pirati, che
diedero pianta e forma a quella terra et furono l'origine della prava volontà
nei successori ; Vostra Serenità non haverà obbligo d' impiegare ogni anno
gran summa d'oro, ma quello isborsarà, con utile tosto ricupererà che non
s' invecchiarano i sali nei magazzeni e così anco ben spesso si potranno
veder li danni che portassero li stessi magazzeni e che bisogno tenissero
di restauratione, e non meno il celere smaltimento de sali gioverebbe a
riveder li conti dei maneggi di publici scrivani di tali magazzeni, tornando
le lunghezze se non in evidente pregiuditio della Serenissima Signoria.
E però vero che come Iddio ha concesso a me che coll'esemplar ca-
stigo di un solo e con la pena in altri adeguata a loro demeriti per con-
trabandi commessi fin sotto la cura e comando d'altri, siano vissuti con
tanto rispetto alla dignità publica che non hanno osato di traghettar sali
per Gollo, tutto che la prima stagione che uscii alla carica per non haver
da salvarli convenisse tenersene grossa quantità in saline fin alla Pasqua ;
cosi posso affermar viridicamentè che ogni volta che li Rappresentanti che
saranno fuori, accurarano il levar li contrabandi, potranno farlo e non ne
saranno commessi.
E questa diversione de' contrabandi nei Piranesi si renderà in avvenire
anco più facile come si può veder dal modello presentato per me in se-
creta ; poiché in adempimento delle commissioni della Serenità Vostra, col-
1' escavatione molto fonda e larga de fossi da terra alla quantità di passa
duemille e più in longhezza e con pallificate attorno li paludi per circuito
di circa altri passa 2 mila ho fatto serrar d'ogni parte le dette saline della
valle maggiore, che con le barche hanno un solo foro d' uscire, da star
serrato anco quello con una pallata custodita e guardata da publico mini-
stro et altro foro d'andar per terra, da star pur serrato e guardato d'altro
ministro : 1' eledone de' quali ho racordata all' Eccellentissimo Collegio del
sai, et non v'è tempo da perder a mandarli ai carichi, perché sono hormai
le giornate opportune a far sali ; non havendo io voluto farne la deputa-
— 130 —
tione per non destinarvi di quei del paese interessati et per risparmiar a
Vostra Serenità buona stimma di danaro delli salarii che le sariano corsi
più d' un anno eh' ho fatto eseguir il publico servitio senza questa spesa.
Né in tali escavationi e palificate che costano ducati cinquemille hanno
Vostre Eccellenze altro aggravio che della metà, perchè per l'altra metà se
ne risarciranno col mezzo dell' Illustrissimo Magistrato del sale, ove n' è
stata apportata debitrice la detta comunità nel pagamento di nuovi sali. Et
questa summa anco è diminuita non puoco con l'applicatione alle mede-
sime escavationi di ducati settecento cinquanta di condanna che feci contra
diversi dello stesso luoco per quelle colpe che significai alla Serenità Vo-
stra in lettere di 20 maggio 1628.
Oltre le quali opere ho tatto che dalla stessa Comunità coll'aiuto del-
l' estimo generale per l' obbligo toltosi, si sia escavato l' alveo del gran
fiume di passa mille nonanta otto che scorre per le saline dentro dalle pa-
lificate, qual era aterrato, acciò necessariamente per esso e non per altra
parte ognuno transiti a condur li sali et a far ogni altra cosa : et parimenti
un altro alveo di passa circa mille che conduce l'aque piovane dai monti,
perchè la furia di quelle habbia largo esito e non porti otturatione alli fossi
escavati come di sopra per il serraglio delle saline.
Anco le altre della valle mediocre di Fasano sono state rinchiuse con
escavatione de fossi, e con palificate coll'ordine istesso delle sudette di Ciz-
zole, ma però senza interesse di Vostre Eccellenze, perchè ho indotto con
destro modo gli patroni di quelle a farne tutta la spesa per non essere
stata molta.
E non meno gioverà a levar il commodo de contrabandi il magazzeno
che dentro la detta terra ho fatto costruire di tenuta di più di tre mille
moza con la spesa sola di ducati mille settecento quaranta che anco si ri-
ducono a ducati cento di meno d' interesse di Vostra Serenità, perchè
tanta summa applicai alla medesima fabbrica di condanna che feci contra
reo della mia giustitia in negocio di biave ; poiché vi sarà questo et altro
magazzeno vuoti da ricoverar di giorno in giorno per la vicina stagione li
sali che si faranno e nel corso dell'altra susseguente annata coll'espeditione
de sali per Dalmatia et Albania si farà luoco all' incanevo de' sali dell'altra
stagione quando però non si permetta il farne summe esorbitanti.
Vi resta 1' altra valle inferiore di Strognano della quale non s' è sta-
bilito alcuna cosa perchè la Serenità Vostra ha da terminar il suo volere
sopra la supplicatone posta ai suoi piedi dalla predetta Communità et in-
teressati, sopra di che pur ho io espresso il mio debolissimo senso molte
volte et in particolare con giuramento in lettere di io ottobre 1628 ha-
— I3I —
vendo osservato che non si possono serrare queste perfettamente e che per
il sito in che si trovano poste torni più conto al publico o d'impiegar una
puoca summa di danaro per satisfattone dei padroni, o di darle per con-
cambio di quei fondamenti inculti che sono dentro la recinta e serraglio
della valle grande di Cizzole e disfarle, che di tenirle in piedi con man-
tenir anco vivo il maleficio e danno che dalle altre sarà levato. Il che non
mi sarà mentito dal successo negli ultimi giorni del mio partir da quella
Provincia che gli ladri per la commodità del sito appunto poterò tagliar il
cadenazzo della porta e romper esso magazzeno asportando qualche quan-
tità di quei publici sali nelle rive di Duino. Oltre di ciò quando si pre-
servino dette saline, sarà necessitata tosto Vostra Serenità a fabbricar ivi un
nuovo magazzeno poiché quello vi si trova per l' incanevo dei sali d' essa
valle sta per rovinare che pur io convenni fargli restaurar una testa della
muraglia con non puoca spesa per non lasciar andar a male li sali di che
è pieno.
Ma perchè trovai essere fomentata l' inosservanza dell' accennata de-
liberatione dell' Eccellentiss.0 Senato 1428 di farsi soli quattromille sette-
cento moza de sali a Pirano, da un abuso introdotto perniciosamente di
mettersi a lavoro de sali anco quei fondamenti e quadri di terra che si
chiamano servitori de cavidini, perchè ad altro non sono permessi che per
il scaldar dell' aque da trasmetter poi nei veri cavidini per far congelar i
sali ; con qual modo era inventato di fabbricarsi ogn'anno almeno due mille
moza de sali ; ho con provvisione opportuna di ordine statuito e publi-
cato, posto regola a questo inconveniente al quale valerà il rimedio fino a
tanto che la Serenità Vostra risolvi alcuna cosa per la sicura osservatione
della parte predetta.
Così per mantenere in servitio publico eternamente le opere antedette
del serraglio d' esse saline di Cizzole e di Fasano con puoco o niente di
spesa fra 1' anno, senza dover ogni corto tempo nel renovarle sentir un
aggravio di tanto denaro quanto questa volta s' ha convenuto consumare,
per non haversi posto pensiero dopo fatte l'opre la prima volta, a mante-
nirle in concio et in buon stato ; ho publicati e fatti registrare nelle Can-
cellane di Piran e di Capo d'Istria et anco all'Officio illustrissimo del Sale
in questa città ordini che sul proprio fatto ho ben osservati e ponderati
riuscire a proposito e ben conferire con ragione agi' interessi di V. Serenità
et al minor incommodo de Piranesi. La validezza però di queste provvi-
sioni rimane da me appoggiata al solo beneplacito dell'Eccellenze Vostre,
da quali vi potrà essere apposta la confermazione, quando considerate anco
dalla loro somma sapienza le conoschino di quel buon effetto per cui ho
— 132 —
stimato d' istituirle. Non dovendole parer di rigore le pene che nei capi
più esentiali ho imposto ; perchè ai Piranesi la galea per puoco tempo non
è di pena, ma di favore e beneficio, essendo praticato che per il loro saper
della navigatione vengono da sopracomiti posti in liberti et al fine poi
usciscono anzi con qualche civanzo.
Alcuno ,dei medesimi di Pirano che nutrisce qualche buon talento
verso gF interessi della Serenità Vostra non sa negare che le dette provvi-
sioni siano il vero rimedio alla diversione de passati mali, ma altri e forse
la maggior parte se ne torzono e piegano senza aprir la bocca, perchè par-
lando sanno di manifestar il loro cattivo naturale e colla torta di vita le
basta a dichiarar che non la volontà sia stata pronta, tutto che si riaves-
sero in altro tempo obbligati con publica parte del loro Consiglio, ma lo
mio stimolo e le punture continue gli habbiano fatti ridur a perfetione il
negotio dell' opere prescritte poiché nel progresso di quelle non hanno la-
sciato inventivo di metter in conquasso gli appaltatori, gli operari et ognuno
che v' applicava 1' anima con oggetto di non vederne il fine : non essendo
bugia che loro concorsero a prender la sudetta parte di contribuir alla
spesa, com'era stato costumato l'altra volta per compiacer a chi allora gli
ne faceva la richiesta, ma non perchè credessero di veder alcun Rappre-
sentante che si curasse di volerne intiero l'effetto.
Per ultimo capo di ciò che posso toccar di Pirano devo considerare
che nel mercato 1625 dell' Eccellentissimo Collegio del sai è concesso a
quei padroni e salinari per il loro uso un mezzo staro de sali per ogni
cavidino di saline eh' hanno riponendolo però sotto chiavi in un magaz-
zeno della Comunità commesso alla cura di un di quei cittadini eletto dal
Consiglio, il qual tenendo conto di quei che portano sali in esso magaz-
zeno, all' incontro del loro credito gli va notando per aggiustamento quella
quantità de sali ch'ai nome medesimo si restituiscono a suo arbitro e ri-
chiesta con un semplice bollettino di qucU'Eccell."10 Podestà.
Quest' ordine forma disordine di notabile danno a Vostra Serenità e
si degni sentir come. Un patrone di saline n'haverà settanta cavedini, che
pur assai ve ne sono di questa eonditione e de maggiori et in virtù del
mercato predetto per se e per il suo salinaro metterà trentacinque stera de
sali nel magazzeno sud." chiamato del quinto. E nondimeno all' uno et al-
l'altro puochissimi di detti sali bastarano d'usare, sicché restando il sopra-
più nella loro disposinone o li vendono a quei d' altri luochi che dove-
riano comprarli alle eaneve di Vostra Serenità, o più volentieri li renon-
tiano ad alcun parente, o compare (che tutti sono congiunti o di parentela,
o di comparanza), il qual sotto pretesto di volerli per sé li cava di detto
— 133 —
magazzeno e li asporta con occasione d'altre robe nelle rive del Friuli, ove
ha manco timore d' incontrar nelle guardie. E questi sono li contrabandi
impossibili da scoprire perchè li commettono quando non sono sali nelle
valli, che le guardie attendono ad altro et quando manco è da pensare
che alcuno conduca sali per golfo.
Anco a questo grave abuso si deve porre freno. E perchè non mi par
ragionevole il trattar che se gli levi il sai per loro bisogno per doverli ne-
cessitare a comprarlo alle caneve al pretio che lo pagano gl'altri, che sa-
rebbe un volerli far più arguti e perspicaci (se però in questa materia pos-
sono esser più del loro naturale) a provvedersene senza denari ; stimarci
di vera norma al servitici della Serenità Vostra ch'ella si facesse da detti
Piranesi consegnar intieramente gli loro sali, senza lasciargliene alcuna mi-
nima quantità sotto qual si sia pretesto et facendo fare una ragionevole
descritione delli sali che potessero annualmente consumare detti Piranesi,
ne facesse consegnar la quantità necessaria al sudetto Deputato dal Consi-
glio il qual havesse cura di dispensare a cadauna famiglia la summa limi-
tatagliene col riceverne il pagamento a ragion di quel stesso pretio de lire
quindeci e meza il mozo di dodeci stera solamente (ritenendo il tredici per
il callo) che Vostra Serenità li paga a detta Comunità, la qual riceverla il
medesimo denaro per pagamento di tanti suoi sali quanti restasse di pa-
gargli l'Ili. mo Officio del sale per li restituiti da dispensare come di sopra.
In tal modo senza aggravio, o spesa della Serenità V.* maggiore dell' or-
dinario si darebbe il commodo ragionevole dei sali ai Piranesi, e li con-
trabandi anco di questa natura sarebbono totalmente sradicati.
Passo al trattar di ciò che mi resta in specialità del luoco di Capo
d'Istria.
Quella città con suoi habitanti tiene sparse in diverse paludi, che for-
mano quasi una recinta alla stessa città, molte saline che ascendono al nu-
mero di doimille novecento trentatre cavidini da quali, un anno per l'altro,
cavano poco più di seimille moza de sali e della maggior parte d'essi ha
Vostra Serenità per ricognitione la X.m*
Dopo la sapientissima deliberatione di Vostre Eccellenze di ricever in
publico tutti li sali dell'Istria che per certo da moltissimi rilevanti rispetti
era dannata la libertà che ne lenivano gli sudditi, si sono continuamente
col pagamento di lire disnove il mozo incanevati nei magazzeni de parti-
colari essendo stato empito prima quel magazzino grande sul porto con
tre altri piccoli di publica ragione. E la necessità de magazzeni in detta
città ha porto danni gravissimi alla Serenità Vostra perché negli anni pas-
sati che le stagioni furono feconde di sali, si convenne, per non lasciarli
— 134 —
alla sbaraglia nelle saline in mano de contrabandieri empirne ogni magaz-
zenetto e buono e cattivo, fino delle scuole di confraternita, che o hanno
le pioggie disfatti i sali, o sono le porte o li palmenti stati rotti e rubata
qualche quantità dei medesimi.
Per questo l'haver Vostre Eccellenze ordinata la costrutione di magaz-
zeno che con manco di duemille ducati ho fatto fabbricar' in detta città
grande per la tenuta di quattro mila moza de sali e fortissimo per la con-
servatione più longa di quello è solito durare ogn'altro magazzeno che si
sia in alcun tempo fatto fabbricar a spese publiche, ha da giovar a preser-
vare sicuri senza danno gli sali di Vostra Serenità et a dar adito che in-
tanto s' empirà quello, s'andaranno vuotando col spazzo dei sali di quegli
altri magazzenetti privati soggetti al discavedo. E la fabbrica d'altro simile
magazzeno, sendovi luochi da costruirlo con lo stesso sparagno di spesa
dell'Eccell.e Vostre, valerebbe unitamente a rimover l'occasioni de contra-
bandi, poiché non essendo possibile il metter quelle saline in serraglio, o
guardia sicura per dilatarsi sparsamente et essere li fondamenti di quelle a
padrone per padrone separati che ad ognuno è necessario un angolo d'en-
trarvi per terra, qual servirebbe anzi di commodo passo ai contrabandi ;
non vi è il miglior riparo che '1 far portar dai salinari di sera in sera li
loro sali ai magazzeni che pur senza difficoltà anzi prontamente il fariano
quando havessero apparecchiato li magazzeni da consegnarli a Ministri della
Serenità Vostra, tornando loro conto di levarli dalla rapina de contraban-
dieri che li rubano e dalle pioggie che glieli disfanno per non haver in
saline casette da ricoverarli. Ne troppo tardarebbe il publico a rimborsarsi
la spesa di tali fabbriche col risparmio degli affitti de privati magazzeni e
con li sali che s'avanzarebbono dai danni che si ricevono nei medesimi ma-
gazzenetti.
Non però tutte le volte quando si lasci il freno di fabbricar ogn'anno
la quantità de sali che gì' interessati premono di raccogliere, vi sarà adito
nei magazzeni da salvarli perchè una sola stagione a loro dosso ne empi-
rebbe tre o quattro di grandi come il fabbricato, se tanti ve ne fussero,
tendendo il loro studio a semarne ogni maggior quantità che per questo
molti tralasciano di lavarli e riescono negri, che di tali appunto ne rifiutai
ad alcuni e glieli feci gettar in mare.
Onde quel pensiero dell' Eccellenze V.e dell' osservatione della parte
, 1428 per la limitata quantità de sali da farsi a Pirano (com' ho discorso)
potrà drizzarsi per gli stessi fini del publico servitio anco a Capo d'Istria,
a ciò ogni luoco cammini con la regola aggiustata e ventilata sopra i suoi
siti e bisogni.
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E la limitatione doveri esser di stimma tanto inferiore alla quantità
che annualmente se ne può spazzare, quanto esito vorrà il publico che si
facci ogni anno di quelli già immagazcnati. Il che si potrebbe introdur per
qualche tempo fino si distacesse la massa dei 22 mila moza che se ne trova
V.a Serenità in quel luoco.
Né in tale regolatione per il tempo stesso solamente che quella si os-
servasse, stimarei cattiva risolutione 1' accrescerle piuttosto di qualche cosa
il pagamento di essi sali per non sentir quei popoli a lagnarsene e per non
dar adito a molti salinari di andar a Trieste a lavorar di quelle saline
come vi pensariano quando non riavessero nella loro patria commodità da
trarsi il vitto.
Ad altro disordine pur nell' istesso luoco convien dar il rimedio. Nel
tempo de' nuovi sali vengono ogni sera dalle saline portati nella città sali
in non puoca summa sotto pretesto d' usarli nelle sue case ; ma come la
quantità che in una stagione portano dentro eccede il bisogno loro, così
col sopra più che ne avanzano dannifìeano le caneve publiche perchè di
nascosto ne fanno vendita a chi capitarebbono a comperar di quelli di V.*
Serenità, alla quale però non faccio questa riverente commemoratione per
alcuna propria regola. Soggiungendole di più che il scrivano dei sali di
quel luoco per tertninatione antica haveva la ricognitione di tre per cento
sopra la quantità di sali, che qualche anno alcun degli 111."" Provveditori
al sai andava L'i a comperar e far incanevar per Vostra Serenità. E sebbene
dopo si sono comperati tutti li sali a nome publico che essendo in ragion
d'anno somma grossissima viene ad esser il suo utile tale che assorbe a
Vostre Eccellenze troppo denaro, nondimeno non si è di ciò fatto alcuna
regolatione et è però necessario di levarne 1' esorbitanza.
In quella Magnifica Camera coli' indirizzo del Dottor Lucio del Bello
avvocato fiscale di essa, ministro d'integra fede e d'applicatione diligente
nei publici affari, ho potuto osservare che per il sviamento del corso d'Au-
striaci causato dai difetti dei passati partitami, come a principio ho dichia-
rato, siano poco meno che estinti molti dacii di Vostra Serenità che hanno
polso sopra la venuta d' istcssi Austriaci in detta città. — E per poca cura
di chi per obbligo alla patria Jeverebbono usar maggior diligenza erano in
quei libri debitori di qualche momento, sebbene l'Ili."10 sig.r Francesco Ba-
doer podestà e capitano presente con la sua virtù s' ha in questo et in
ogn' altro interesse di publica satisfatione impiegato con tanto spirito e con
affetto cosi vivo che per il bene di Vostre Eccellenze, a che ha atteso, me
le ho obbligato.
Della terra di Mugia mi tocca dire che quelle saline poste in quattro
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luochi, in Stimma tra tutte de cavidini millecinquecento trentasette, oltre
qualche fondamento lasciato andar in baredo et inculto, sogliono un anno
per 1' altro dar rendita di puoco più di tre mille moza de sali, che pari-
menti si comprano per Vostra Serenità come quelli di Capo d'Istria a lire
disnove il mozo e quella Comunità da molti dei particolari possessori di
dette saline è riconosciuta dell'ottavo di quei sali, perche s'asserisce ch'ella
anticamente dasse a' suoi habitanti con quest'obbligo li fondi per la costru-
tione delle medesime saline.
Queste sono veramente contigue a Trieste, che niuna cosa è più fa-
cile che '1 commetter di quei sali i contrabandi; ma però chi dicesse di
disfarle tutte sarebbe iniquo e puoco christiano, che con la distrutione di
quelle si spiantarebbe la terra et andariano raminghe le famiglie che si so-
stentano per il più con quell'entrata, e con l'occasione dei Cranzi che colà
si conducono a comprar i sali, ricevono l'alimento dei grani, perchè quel
territorio n'è sterilissimo.
Ben per riparar agi' inconvenienti nella maggior parte, racorderò ri-
verentemente a Vostra Serenità che sarebbe adeguata al bisogno la risolu-
tione di serrare da terra e da mare la valle maggiore chiamata di S. Cle-
mente, che è il grosso di dette saline, potendosi facilmente senza molta
spesa effettuare, che pur io 1' havrei speditamente eseguito se Vostre Ec-
cellenze vi s'havessero risolto quando gli ne diedi conto. E dodici cavi-
dini sali, che sono immediate fuori delle porte della terra, non farebbono
danni, perchè di sera in sera si possono introdur dentro et incanevare.
Dei quarantaotto cavidini poi che sono costrutti nel centro d'una valle
detta S.n Bartolomio all' ultime parti inferiori di Mugia in sito cosi acco-
modato a passar in Trieste con il transito di quattro soli miglia di mare
che in tempi d'altri fino di mezzo giorno sono stati condotti in contra-
bando di quei sali da chi capitati dopo nelle mani della giustitia hanno da
me sentito il castigo : E d' altri cavidini cento settantaquattro dei signori
conti Torri posti lontanissimi dalla terra nei confini Austriaci in valle di
Zaule congiunti con le saline dei Triestini, che vi è framezzo un solo stretto
alveo che riceve e restituisce al mare l'acque del flusso e riflusso servendo
detto alveo ad adacquare le saline dall'una e l'altra parte, che anzi quando
fui a vederle giudicai che fusse più proprio il nomarle de' Triestini che
de' Mugisani perchè anco si osserva che puoca parte dei sali di quelle veniva
condotta nei magazzeni a Vostra Serenità ; io non so nasconder la neces-
sità dell' Eccellenze Vostre a disfarli, perchè né vi è modo da serrar il passo
ai contrabandi, né quando anco si potesse recingerle, torna conto di far la
spesa e mantenir a posta di così poche saline due guardiani, che a niente
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in ogni modo valeriano, sendo tanto distanti dall' ajuto che gli tristi pen-
sarebbono anzi di offenderli e farsi strada sempre maggiore al male. Et o
li padroni possono ricevere in concambio fondamenti dentro la sudetta valle
grande che si può serrare, che ve ne sono molti lasciati da altri in baredo,
o Vostra Serenità può con non troppo denaro satisfarli, essendo mal buoni
detti cavedini.
Né per quel luoco, mentre si può risolver il spiantar detti due fonda-
menti di saline, stimo far motivo di limitare la quantità dei sali da farsi
da quelle genti, poiché in riguardo del numero dei cavedini non è somma
esorbitante quella che ad anno per anno sunano.
Mi sibbene devo toccar il bisogno di dar alcun ordine nell'abuso, che
pur in Mugia è introdotto come a Capo d' Istria, di portarsi nella terra
quantità de sali dai salinari sotto coperta del loro uso, che nascostamente
somministrano a schiavi e sudditi et alieni in detrimento delle caneve pu-
bliche.
Anco mi conosco obbligato di raccordar humilmente che si fabbrichi
sul porto d' essa terra un magazzeno, che vi è il sito da costruirne uno
capace d' assai somma de sali, che della spesa si risarcirebbero Vostre Ec-
cellenze in corto tempo, con scansare quella degli affìtti de' particolari ma-
gazzeni e con l'avanzo dei sali che in molta quantità si discavedano in essi
magazzeni, così per danni d' acque, come de ladri, perchè non essendovi
pur un magazzeno di ragion publica, si hanno sempre incanevati li sali in
casette private, eh' eran di quando in quando soggette alle pioggie et in
istanze terrene che agli habitatori sopra li palmenti d'esse è stato libero il
rubarli a' suoi appetiti ad ogni hora, senza potersene avveder se non al
tempo di discanevarli, che perciò ad alcuno che ho potuto haver prigione,
oltre al refacimento a Vostra Serenità del sai rubato, ho data la pena ne-
cessaria.
Delle saline di Pola, che sono puochi cavidini et mal buoni fabbricando
rossi li sali, non ho potuto cavar maggior istrutione che d'esser per verità
antiche non tenendo li patroni d' esse altri titoli che gì' istromenti di pos-
sesso, o per acquisti e doti, o per rieredità.
Di serrarle non mi basta l'animo parlare, perchè non torna conto, né
di distruggerle mi par ragionevole il discorrere : dovendosi considerar che
quella sia città che la Serenità Vostra ha bramato di tenir in piedi et ha-
vervi qualche popolo ; che se si disfacesse dette puoche saline, tante casate
che ne hanno la patronia e con quella rendita si conservano vive si dareb-
bono all' estintione.
Anzi per questo fine di dar pratica di gente agli habitanti di detta città,
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ho fatto continuar ivi la vendita in publico nome a popoli d' Istria Veneta
di quei sali rossi che vi si trovano immagazzenati alla somma di circa 500
moza, che con tal modo anco haveranno esito, non potendosi spazzare per
altri luochi.
Et con la stessa mira d' hajutar 1' habitatione della città di Parenzo, ho
parimente in essa fermata per conto di V. Serenità la caneva de sali per
Istria Veneta, che vi si mandano da Capo d' Istria riavendo levate diverse
di quelle altre caneve introdotte per innanzi dai partitanti con molto anti-
vedere a' loro beneficii.
A questo segno nel negocio confusissimo di sali è arrivato l'uso della
mia applicatione, l' impiego della quale, oltre ad altri affari commessimi
dall' Eccellenze V.e manco ho trascurato nella gravissima materia de for-
menti che nel corso della mia carica n' ho mandati all' Ill.mo Magistrato alle
Biave 27 mila stara de forestieri, fatti da me arrestar in quelle rive che
andavano in Goro et assicurati altri stara 90 mila de Perastini et altre na-
tioni, che sebbene asserivano di venir qui, nondimeno cercavano sempre di
poterne far passar in Goro qualche quantità.
Con le diligenze che facevo osservare dalle barche armate e per sali
e per formenti, tenivo invigilato anco al passaggio di navighi con altre
merci per Trieste et da quel porto per sotto vento ; onde come m' è suc-
ceduto di farne fermar alcuna barca e conservar alla Serenità Vostra il do-
minio marittimo col far destramente riconoscer delli ordinarli dretti e dacii,
così altri che per non capitar nelle guardie hanno voluto partir con prin-
cipio di bora gagliarda, sono andati in marina in Ancona con la perdita
delle merci e delle barche, facendo con tal modo la penitenza del peccato.
Qui però ho debito di considerare che quando dalle barche armate si
facci ha ver continuamente occhio al transito d' essi navigli da Trieste per
sottovento, o converranno risolversi coloro a riconoscer (coni' è ragionevole)
la Serenissima Republica, o tante volte quante per schifar le guardie par-
tiranno con venti forzati, s'andaranno a romper e da se stessi si causaranno
la rovina propria, come pur per tali rispetti ho havuto informatione che di
assai siano deteriorati li trafichi di diversi mercanti Triestini.
La Provincia in universale continua '1 frettoloso passo alla sua destru-
tione, perchè quelli che per interesse publico doveriano assister (coni' è niente
della Serenità Vostra), alla preservatione, anzi all'augumento della medesima,
sono ventose e sansughe continue a poveri sudditi, da' quali mai staccan-
dosi a succhiar il sangue, gì' hanno affatto estenuati e ridotti mal buoni a
viver per sé, nonché da poter esser riguardati per servitio di Vostra Serenità.
E per queste cecità delle sostanze altrui in alcuno dei Rettori nei luochi
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a marina in particolare, anco la navigatione riceve non puoco detrimento,
venendo a vascelli e naviglii che toccano li porti dell' Istria, usati senz'altra
ragionevole causa che con tal iniquo oggetto, rigori e straniezze che fanno
passar al cielo le voci e i gridi lamentevoli dei mercanti e patroni de' stessi
vascelli.
Né occorre che pensino d'esser suffragati dal Magistrato di Capo d'Istria,
perchè il signor Podestà e Capitano, tutto che sia d'ogni buona intentione
non può esercitarla, che gli altri attendono a ciò solo che conferisse ai
proprii commodi senza curar il giusto so vvegno a' poveri et agli oppressi ;
anzi incontrano ogni gusto e satisfatione a Rettori delle Terre e Castelli
che fino in persona per ogni cosuccia si conducono avanti il detto Magi-
strato, ove però manco gì' avvocati osano d' usar contro di essi le ragioni
de' loro principali.
Ho pertanto goduto sommamente di non esser stato incaricato della
sopraintendenza di tutti li negoci et affari della provincia, perchè ad adempir
il servino di Vostra Serenità dei popoli con la satisfatione della conscienza,
m' havrei acquistato il premio e le ricognitioni che si sanno dare ne' mo-
derni tempi.
Non per questo in alcuna cosa ove non poteva la mano ho voluto
trascurare d' usare le parole che valessero a distruggere le iniquità et in-
decenze.
Dunque si concluda che la risolutione di regolar il Reggimento della
città di Capo d' Istria darà respiro ai popoli della Provincia e rimediare a
tanti danni che la prudenza di Vostre Eccellenze può discernere, senza che
io le dia maggior tedio.
Non posso nondimeno contenermi in questo fine di soggiungere che
coli' occasione d' haver tenuto nei bisogni della mia carica l' Ingegner D.
Francesco Capi incaricato per innanzi dall' Eccellentissimo Senato di ridur
in disegno tutta l' Istria con la descritione e catastico dei luochi di essa,
ha egli con la diligenza et assiduità nel servitio adempito all'uno et all'altro
bisogno con isquisitezza commendabile e piena mia satisfatione, trovandosi
haver il sudetto disegno in stato di perfetione, che manca solo d' abellirsi
per condimento dell' opera propria della sua virtù immitatrice del buono
talento del padre e del fratello maggiore, che per altro publico servitio lasciò
la vita in Mugia trucidato da coloro in tempo dell' Illustrissimo Basadonna.
Quanto ha potuto, quanto ha saputo la fiacchezza del mio spirito
operare et eseguire in prò della patria e de' suoi sudditi, Vostra Serenità
e 1' Eccellenze Vostre 1' hanno udito. Mi resta solo di supplicarle humil-
mente che come tutto si è da me effettuato con ottimi fini et con l' interi-.
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tione sempre del giusto loro servitio, cos'i benignamente abbandonando l'os-
servatione a' miei difetti, si degnino di mirare semplicemente V interno della
buona volontà e lo vivo mio talento. Gratie.
In Venetia a XII Maggio 1629.
Zaccaria Bondumier Prowcditor.
(Archivio di Stato in Venezia — Relazioni dei Provveditori in Istria).
Relazione 17 agosto 1632 del Provveditore in Istria
Nicolò Surian.
Serenissimo Principe
A capo del mio longo humilissimo servitio di Provveditor nell' Istria
ritorno a piedi dell' Eccellenze Vostre. In quella laboriosa carica che si con-
cerne sotto due capi, de sali et di sanità, mi consolo di haver incessante-
mente impiegato tutto quel zelo et applicatone maggiore verso i publici
interessi che conviene al debito di buon cittadino et con soddistatione
(cred' io) di quei popoli et in particolare di Capo d' Istria, quali al mio
arrivo trovai in congiontura funesta afflitti di una fierissima peste.
Ogni cura in così infelice stato di quella povera città usai ad impedire
con li ordini et regole bone il progresso al contaggio, assistendo con la
presenza di continuo con li miei ministri, senza riguardo a pericolo della
mia salute et della famiglia, che pure evidentissimo ho scorso per l' incontro
del male che tre volte è stato nella propria mia casa con la morte di due
servitori et d' una massera, et l' istesso è successo anco in quelle de miei
ministri, et senza la qual diligenza essendo già abbandonata la città da cit-
tadini tutto saria stato in maggior confusione et scorreva pericolo che il
sacro Monte di Pietà et il Fornico, sostegni et ornamento della medesima,
fossero svalizati ; et quello che maggiormente importa non si saria trovato
modo di ricever li sali novi et quelli de magazzeni erano in descrittione
'd'ognuno di poter esser rubati.
In quelle miserie che la città per se stessa povera d'entrate et il popolo
languiva dalla lame non haveva modo di soccorrerla, la Serenità Vostra
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esercitando la solita paterna carità le fece donativo, con beneditione uni-
versale di tutti quei fedelissimi sudditi, una volta di ducati trecento et un
altra di reali cento che si compartirno a poveri intetti et per ordine publico
fu anco posta da cittadini una tansa di ducati trecento, che poi io in quel-
1' estreme urgenze feci radoppiare ; ma questa per la strettezza di fortune
di quei popoli appena con gran difficoltà si potè esigere per la metà : et
se in cosi gran penuria di tutte le cose et nella necessità estrema di danaro
non mi fosse successo d' agiutare quei infelici del Lazzaretto et sequestrati
con diverse condanne alla summa di circa ducati ottocento che le applicai,
non era possibile che in altra maniera si potesse supplire al bisogno tanto
grave di numero grande de languenti, privi di ogni soccorso umano.
Il resto da riscuotersi di questa tansa io ho con terminazione mia ap-
plicato al pagamento di spese in quell'urgenze non soddisfatte et l'avanzo
suo destinato ad agiutare la costrutione della chiesa che si deve erigere al
loco dove sono sepolti li morti da contaggio col beneplacito già concesso
a quella città dall' Eccellenze Vostre.
Finalmente dopo le continuate incessanti diligenze a fermar il corso
al male, piacque al signor Dio et alla Beatissima sua Madre, che ne seguisse
la liberatione di quella città, nella quale sono stati li morti in tal calamità
per la metà et nel suo territorio per il terzo.
A tutte le parti della provincia ardendo il male io spinsi ordini et re-
gole opportune con la mira di preservarle, come successe, da incontri si-
nistri ; non essendosi latto sentire il contaggio in altri lochi che solo a
Muggia, Fasana et Verteneglio, che anch' essi poi riebbero la consolatione
della primiera salute.
Queste turbolenze di peste han reso gran detrimento alle rendite di
Vostra Serenità per esser mancanti alcuni de conduttori de Datii et altri
terminando le condotte, ha portata la necessità che passino a conto publico,
riuscendo l' incontro per il più sempre dannoso ai publici interessi.
Per l'istessa causa essendo stati tenuti serrati del continuo li passi di
Arciducali, ha ciò impedito per longo tempo affatto il concorso di danzi
et d'altri sudditi imperiali alle caneve de sali. Et con tutto che in cosi im-
portante affare io impiegassi incessantemente tutta la cura maggiore del
spirito mio et a trovare espediente proprio per l'apertura della saliera che
concertai dopo molti trattati col capitan Pettazo, acciò si portasse in Zaule
con le cautele tutte per li rispetti di sanità, sempre mi era divertito l'effetto
dall'opera di Triestini per l' interesse proprio colle pratiche tenute in Ancona,
di dove frequentemente ricevevano trasporti de vascelli con carico di sali
forestieri. Come anco con 1' intelligenze di Zuanne Apostoli suddito di
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Muggia, sopra il qual uso ho lasciato il processo all' illustrissimo mio suc-
cessore.
Alla diversione di così importante disordine et pregiuditio sono da me
sempre state tenute in esercizio le due barche armate et quelle longhe, et
ne successe anco la presa della Marciliana, quale dopo haver scaricato sale
in Trieste si conduceva in Ancona con ferro; onde io condannai all'ultimo
supplitio Alvise Garbin padron di essa ; la cui sentenza Vostre Eccellenze,
come proficuo a dichiarare la sovranità del mare, comandorno fosse in quelle
Cancellarle, Camera et Vice Dottrinaria registrata a perpetua memoria. Una
Marciliana grande pur carica di sale partita di Ancona che si trasportava
a Trieste et altre barche ancora de sudditi con contrabandi de sali sono
state arrestate, fra quali una con sci Piranesi che si conducevano a Duino
a venderli et con la confession loro alla tortura si scopri che contraban-
dieri a loro piacere ricevendo le chiavi de' publici magazzeni coll'opera del
nipote stesso di quel scrivano, 1' havevano più volte aperti et rubati i sali
da quei publici depositi. Li delinquenti capitati nelle forze sono da me stati
puniti con castigo esemplare della vita et della Galera altri, et li absenti rei
di così importante eccesso a pena di bando perpetuo.
Il quinto del sale concesso a Piranesi per uso delle proprie case ogni
annata, che è un staro di sale per ogni cavedino et assende a stimma con-
siderabile, riesce pregiuditiale all' Eccellenze Vostre, poiché lo smaltimento
suo in gran parte va in contrabando et il levarlo sarà che solo di pubblico
beneficio, perchè anche sotto il pretesto di questa concessione ne portano
alle case loro per il doppio che le dà 1' obbligo suo.
Anco le Saline in Strugnan di quel territorio, come situate in sito non
proprio et di commodo a contrabandieri, stimerei bene si distruggessero,
provvedendo li possessori d' altre alle parti di Sizzole o in altro luoco lontano
dalli abusi.
Sul fiume Timao fra Monfalcone et Duino neh" ultimi giorni della
partenza mia ho penetrato siano stati fabbricati di novo due molini da Ar-
ciducali, a quali Piranesi principiano condursi ; et col pretesto di portarli
li grani per macinare si vagliano dell' occasione opportuna a commetter
contrabando.
Nella revision delle saline tutte, le palificate a quelle di Sizzole, che
col raccordo prudentissimo dell' Eccell."10 Signor Provveditore Basadonna si
erano esseguite dall'opera diligentissima dell' Eccell.'"0 Signor Provveditore
Bondumier, trovai in gran parte aperte, con altri gravi disordini, ordinai
che da Piranesi si acconciassero con la contributione conforme 1' obbligo
impostole dalla terminazione del medesimo Eccell. mo Bondumier. Et a con-
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servar opera così profittevole secondo la publica intentione sarà proprio sia
aggionto all' Illu.m<> Magistrato al Sale di non farle pagamento di denaro,
se di volta in volta non portaranno tede dell' Illustrissimi Provveditori in
Provintia che siano in accontio esse saline.
È situato nella medesima valle di Sizzole un magazzeno il più grande
di ogn' altro con quantità considerabile di sale : questo, come in loco im-
proprio, lontano dal cargatore et che riceve anco gran danno dalle aque,
sarà servitio publico levarlo con la costrutione d' altro in sito più a pro-
posito ; come ciò già intendo si era deliberato di eseguire.
Con ordini bene espressi in ogni parte ho tenuto il riguardo clic li
sali si fabbrichino, siano di buona conditione et ben graniti et si rifiutino
e gettino al mare quando siano diversamente ; a questo proposito per poter
eseguire la publica volontà che parla espressamente di questa construtione
de' sali, et anco perchè non se ne faccia maggiore quantità di quello porta
l' obbligo dato dall' Eccellentissimo Senato, ho più volte con riverentissime
instanze ricercato le parti, che mai mi è successo poter haverle.
Ho fatto formare diligente catastico di tutte le saline di Capo d' Istria,
Muggia, Pirano et Isola, per ordinare che si distruggessero quelle, che se-
condo il publico comando si trovassero costrutte senza l'approbatione del-
l'Eccellentissimo Senato o del Collegio del sale: gran parte de Patroni di
esse porta assertione de possessi continuati antichi ; ne ha mostrato istru-
mento de aquisti dicendo riaverli già presentati all' Eccellentissimo Signor
Francesco Valier, da quale non le siano stati restituiti.
Il maggior disordine che in quella carica mi è successo d' incontrare
con infinita mia passion d' animo per il zelo del pubblico servitio, è stato
il vedere la confusione della scrittura tenuta da scrivani, causata questa dalla
morte per il conteggio di quattro di essi et per rimediare all' importanza
dell'affare, ho rappresentato all' Eccellenze Vostre il bisogno et ricercato in
diverse volte con dieci riverentissime lettere mie la provvisione di Ragio-
nato o scontro ben pratico che valesse a rivedere con tutta la diligenza et
aggiustare essa scrittura et sebene mi fu promessa l'espeditione di così ne-
cessario ministro non però ne sucesse mai 1' effetto suo.
L' incanevo che si è fatto de sali l'anno 163 1 della peste è stato in
Capo d' Istria de moza duoi mille quattrocento sessantaotto, stara quattro.
In Magia de moza milla duccnto settanta quattro, stara uno : In Isola de
moza dieci et in Pirano di moza quattromille dusento settanta nove, stara
sette; et per il staro per mozo altri moza tresento ottantasei, stara sette;
che tutto assende alla summa di moza ottomille tresento ottanta otto, stara
sette in ragion di stara dodici per mozo.
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Il modo de ricever l' incanevo de sali, incamminato già colle regole
prudentissime dell' Eccellentissimo Signor Provveditor Basadonna et conti-
nuata con ristessi buoni ordini l'osservatione da me pontualmente, secondo
ben si vede dal libro, che ha levato dal scontro l' IH mo Avogador Morosini,
succede con un bolletino a stampa, formato dal scrivano, con sottoscritione
del Provveditor ; di questo si tiene il rincontro in libro a parte : si paga
dal sig. Consiglier et si menano dopo distintamente tutte le partite. Il disca-
nevo dei medesimi non passa che solo con mandati dei Provveditori o in
virtù di lettere del Magistrato al sale.
Incamminata la saliera in Zaule dopo infinite difficoltà frapposte si
principiò lo spazzo de' sali in fine di Genaro passato, che prima riusciva
1' esito tenuissimo et coli' apertura finalmente affatto de passi seguendo il
corso de Cranzi si sono nel spatio di quella carica mia venduti alle Caneve
di Zaule, Muggia e Capo d' Istria moza doi mille cento trentacinque che
hanno importato il valore di lire cento ottanta sie mille dusento ottanta
quattro, de quali 1' Olmo ha fatto l' intiero suo saldo in quella Camera
Vostre Eccellenze dal conto sottoscritto da me che hora presento vederanno
distinto meglio tutto l' incanevo e discanevo: Et il denaro scosso et che
si è speso nel corso di quella carica mia.
Li Triestini che sempre hanno procurato li mezzi tutti a pregiudicare
l'interesse dell'Eccellenze Vostre, come principale conoscendo quello delì'au-
gumento delle Saline loro, da certo tempo, et già due anni senza riguardo
a spese incomparabili, ne hanno construtte fuori del loro porto et in Zaule
dentro li confini del mare: Questo in loco che facevano sale per la metà di
Muggia, camminano seco al pari nella quantità et quasi li avanzano. Come
anco ne segue che volendo li primi esitare li suoi, sino che li durano, im-
pediscono la frequenza del corso o lo Talentano assai a quelle publiche caneve.
La vigilanza debita alla custodia de' confini ho tenuto fissa et col Ca-
pitan Pettazzo procurato di vicinar bene et conservare tra quei sudditi con
quelli di Vostra Serenità amorevole corrispondenza : ben mi pare che assai
habbia mancato il medesimo Pettazzo a relassar li due prigioni rei del sval-
liso importante commesso alla casa dell' Illustrissimi Tiepoli la ricoverati,
mentre già li erano ricercati a nome dell'Eccell. Vostre et per la transmis-
sion loro teneva espressi ordini dalla Corte Cesarea.
Lo mantenimento del corso alla Caneva di Capodistria, come neces-
sario sostegno di quella povera città per il beneficio et utile che ne cava,
sarà effetto della carità publica senza che veniranno a declinare le rendite,
li traffichi et li datii di quei poveri sudditi la fede et devotion de' quali è
incomparabile verso la Serenità Vostra.
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Alla medesima città ho osservato che siano li paludi verso ìa parte dì
terra tanto accresciuti che appena l'aque li sormontano col corrente; tale
alteratione diviene dalla discesa da monti vicini dell'aque dolci et del Fiu-
mesello, il cui corso impedito dall'ostacolo che ha dall'eretione dei ponti della
stessa città et da serragli de Pescaggioni sopra essi paludi viene a deponere
e riempire per tutto di terra; senza il rimedio opportuno sarà per unirsi la
città, hora in isola, con la terra ferma et fatti maggiori li paludi, con aria
pessima in conseguenza si renderà disabitata; il che già anni prevedendo quei
cittadini, offersero dodecimille opere a loro spese per l'escavatione, la quale
in parte sarebbe necessaria eseguirsi a riparare che maggiore non si facesse
il danno, o almeno le barche potessero in ogni tempo circondarla.
Per strettezza de magazzini da riponer li sali che s'incanevano, Vostre
Eccellenze con dispendio di qualche consideratione ne tengono ad affitto
molti da particolari in quella città ; per evitare spesa tale et assicurar anco
da furti li sali, deliberorno P eretione d' un novo magazzen grande et già
elevato sino a fondamenti dall' 111."'0 Sig.r Contarini mio precessor. Io im-
pedito dalla peste, non havendolo potuto proseguire, ho però facilitato
P eretione sua con l'applicatione di diverse condanne et d'altre materie ne-
cessarie alla fabbrica.
Neil' angustia di quella camera, a cui vantaggio ho agiutato et solle-
citato a mio potere l'essatione da debitori publici, non trovandosi denaro
in cassa corrente, comandorno P Ecc." Vostre che da quella de sali si sal-
dasse il salario di lire mille al clarissimo Consiglier Zane, che dalla mede-
sima già si riaveva cavato di propria autorità, et si pagassero anco sovven-
tioni a Capitani di cernide et provvisionati, che hanno importato altre lire
due mille; con espressa commissione però che l'istessa cassa de' sali venisse
reintegrata dalla corrente col primo denaro che le capitasse; ma con tutto
io havessi per l'affitto aggiorno ordini proprii et mandati, niente si è es-
seguito per la poca obbedienza de signori Consiglieri.
Quali uniti con quel Signor Podestà fatto pensiero, con tutto che non
vi habbiano fondamento di giusta ragione di dividersi li ducati tresento
cinquanta che sono P intiero di tutto il fisco senza diminutione di Annibal
Bottoni da Trieste bandito da me come giudice delegato dall' Eccell.0 Se-
nato per turbata giurisditione et morte di un suddito di Carisana, mentre
io mi ero dichiarato non pretenderne parte alcuna col fine che tutto calasse
in pubblico beneficio. Il processo con la Sentenza del medesimo Bottoni
io presento all' Eccellenze Vostre secondo il loro comando acciò se ne
possano valere all' istanze che le venissero da Ministri Imperiali, perchè
conoscano P esseguito sia aggiustato al termine debito della giustitia.
io
— 146 —
Il datio dell' olio in quella provincia, come il sforzo maggiore di ogni
altro, cammina di presente per signoria, riscosso a luogo per luogo dalla
mano di quei publici rappresentanti ; quanto riesca dannoso per molti rispetti
et da fuggirsi l'espediente, mentre con facilità si ritroveranno conduttori
che lo levino a luogo per luogo io lo considero a Vostre Eccellenze per
publico servitio.
Al risparmio del publico danaro et strettissimo nel dispensarlo ho
sempre tenuta fissa l'application maggiore che ben possono 1' Eccell.e Vostre
vedere dall' istesso conto della carica mia. A questo proposito racorderò
riverentemente che fosse bene nell'occasioni de condannati alla Galera,
ordinare che le spese de processi non si paghino che dopo finita la con-
danna dei medesimi perchè accadendo che molti prima moiono, ne sente
il publico interesse per la perdita del danaro pagato ; come anco potrà
complire levar 1' uso di pagarsi dalle Camere le cavalcate a Curiali, o Can-
cellieri mentre si conducono alla formatione dei processi delegati, o di altri,
ma siano queste da rei soddisfatte, che solo dopo l' espeditione de casi. Il
Luzzago mio cancelliere versato nella professione per tanti servitii a molti
senatori in cariche importantissime prestate; ha egli fatte diverse cavalcate
nella Provincia in casi delegati, quali rimasti inespediti non ha scosso da
questa Camera, ne da altri spese alcune. Passarò con silentio del servitio
prestato dall'Olmo, solo accennando altro fine non sia stato il suo che di
ben servire senza riguardo a fatica, né a spesa con fedeltà incomparabile.
Ho lasciato con le scrittture tutti quei lumi et altre instrution mag-
giori che la mia debolezza ha meglio stimato possa complire per il buon
indrizzo del publico servitio all' Ill.mo Signor Carlo Contarmi mio succes-
sore, il quale con la virtù, col splendore e con la propria prudenza si è
già applicato alla funzione di quella carica, a cui, come Vostre Eccellenze
degnamente hanno appoggiato la sopraintendenza de' confini delle militie
et cernide tutte della Provincia, riuscirà anco, anzi la necessità lo ricerca,
che solo di maggior bene a publici rispetti et di consolatione universale di
quei sudditi, le sia aggiorna, secondo anco racordai con riverentissime mie,
l' autorità dell' Inquisitione nel modo già impartito et con infinito benefitio
dei medesimi popoli essercitata dalli Eccell.mi Sig.' Provveditori Basadonna
et Giulio Contarini, mentre molti oppressi da Rappresentanti non hanno
luogo di ricorrere, o non conseguiscono il sollievo debito; oltre che altri
. come quelli di Montona, Muggia, Pirano, Valle et Cittanova sono impediti
di far ricorso ai soliti suffragi di quel Magistrato per esser con esso li
Rappresentanti di quelle terre congionti et uniti strettamente di sangue.
Il desiderio mio di rifferire all' Eccell.8 Vostre tutti quei particolari
— H7 —
che ho stimati degni della notitia loro mi ha fatto allongare il discorso
più di quello che comportava il riguardo delle pubbliche occupationi. Con
ogni riverenza le supplico iscusarmi non sdegnando di gradire la debolezza
del servitio mio, quale col consumo di tutte le sustanze sarò per impiegare
sempre ad ogni comando di questa eccelsa Republica, a cui il Signor Dio
conservi et accresca maggiore l' Imperio suo. Gratie.
Di Venetia li 17 Agosto 1632.
Nicolò Surian Provveditor.
(Archivio di Stato in Venezia - Rela^imii dei Provveditori in Istria).
Relazione 16 novembre 1634 del Provveditore in Istria
Giuseppe Civran.
Serenissimo Prencipe, Illustrissimi et Eccellentissimi Signori.
Dalla relatione di molti prestantissimi Senatori che hanno governato
l' interesse di Vostra Serenità sopra li sali di Capo d'Istria e Muggia ha-
verà pienamente inteso il stato di quel negotio del quale io Iseppo Civran,
che ritorno da quella carica non passerò a quelle cose che gli sono benis-
simo note per non portarle tedio. Dirò solo che per obbedienza del pu-
blico comandamento capitai alla soddisfatione di quelle fontioni, benché
poco atto si ritrovasse il mio talento et a due soli principali fini disposi la
mia applicatione. L'uno di procurare l'esito di quelli sali perchè seguisse
abbondantemente et con avantaggio publico et l'altro di stabilire ordine di
scrittura che dovesse valere per chiara intelligenza del publico interesse a
diversione de' disordini e fraudi che ivi potessero accadere.
Era al mio ingresso sospesa la venuta de Cranzi a quelle caneve et
travagliato l'animo de sudditi che non potevano ricevere soddisfatione delli
sali che havevano incanevato l'anno 1633. La causa proveniva dalle nove
Gabelle di due fiorini che havevano posto gì' Imperiali sopra cadaun ca-
vallo che capitava a levare di quei sali di Vostra Serenità et penetrai che
il fine principale derivava da quello concertava il conte di Porcia et il Ve-
scovo di Pedena con il Prencipe Echemperch et l'Ausper, passati ad altra
vita, con promissione di molti miera di Fiorini, con che guadagnorono fa-
— 148 —
cilmente l'avidità dell'Echemperch, per ridurre secondo il loro disegno il
partito che era procurato con Vostre Eccellenze acciò la dispensa di quei
sali pervenisse nel loro arbitrio, che restorono anco disgustati perchè non
seguisse la conclusione.
Il tentativo che fecero per il spatio di mesi quattro d'alterare e dimi-
nuire il predetto aggravio, sotto colore che si facesse per ordine della Corte
e della Camera di S. Maestà, non portò altro effetto che l'esito de sali del
Petazzo et altri che ne tenevano in Trieste con quel vantaggio di pretio che
seppero desiderare, ma non ritrovorono modo di sostenerlo lungamente
perchè li Cranzi che si vedevano astretti di perder la libertà con questi
mezzi procuravano di passare in grosso numero e con la forza levar li sali
di Vostra Serenità et defraudare li Dadi dell' Imperio novi e vecchi, come
successe d'alcuni che animavano gli altri a questa disposinone, nella quale
l' andavano nutrendo maggiormente dopo l'effetto seguito della diminutione
del prezzo decretato da Vostra Serenità, sopra il mio riverentissimo rac-
cordo, et avvedutisi della risolutione de' proprii sudditi et del danno che
portavano alla Maestà dell' Imperatore, ne Datii ordinarli che non venivano
questi parimenti pagati, si risolsero di levare ogni impedimento e di tornare
il commercio nel suo stato, che fecero allora quelle caneve spazzo di sale.
Dopo la diminutione predetta è seguito l'esito di stara trenta due mille
settecento, settantaquattro, che in ragion di lire cinque il staro con l' ag-
giorni rileva lire cento settanta due mille e sessanta tre, che uniti con li du-
cati dieci mille mandati dall' offitio illustrissimo del sale et due mille tolti
da quel monte di pietà, si sono impiegate nel pagamento di M." 8997-10-3
incanevate l'anno 1633 et il rimanente nelle occorrenze della carica in bar-
che armate et in altre ordinate da Vostra Serenità et vi resta in quella
cassa de sali lire ventiun mille trecento e disisette, soldi tredici, che servi-
ranno per il pagamento di quelli fabbricati et consegnati 1' anno presente
che sono state M.a 3055-7-2 che detratta la Decima di quelli di Capo d'I-
stria resteranno da pagarsi M.a 2678-1- che in ragion di lire disnove il
mozzo rilevano lire trentaun mille ottocento nonantauna e soldi dieci, il
supplimento de quali capiterà con il continuo esito di quei sali venendo
da sudditi bramata la soddisfatione per la necessità in che si trovano. Giovò
molto alla diversione de' mali pensieri de' sudetti Ministri Imperiali la mia
applicatione all' esecutione del publico comandamento nel portare agli altri
Joro interessi con il mezzo di quelle barche armate et con quella maniera
moderata che stimai più propria degl' incommodi dalli quali si mossero a
sollecitare la liberatione della perturbatione portavano a quelli sali di Vo-
stra Serenità. Per conservatione del corso mi disposi a quelle habilità mag-
— 149 —
giori che si potevano concedere a Cranzi et ritrovandosi le strade vicine
alla città di Capo d' Istria malagevoli e ruinose che impediscono il cam-
mino de cavalli, non tralasciai opportunità d' eccitare quei cittadini all' ac-
comodamento che feci con gran fatica et persuasioni ridurne buona parte
a perfetione.
Secondo la publica deliberatione venci (sic) al descanevo di un solo ma-
gazzeno per luoco et di tre incanevati con sali vecchi feci 1' esperienza et
disposi nella consegna veniva fatta alle caneve l'assistenza del Noseni scon-
tro alla Cassa corrente, non avendovi trovato alcuno obbligato ne mai ca-
pitata la persona che doveva per ordine di Vostra Serenità assistervi ; vi
ho ritrovato della diminutione et anco qualche accrescimento, come si è
veduto dal discanevo di detti sali, che sospesi per attendervi il soggetto vi
fosse stato destinato da Vostre Eccellenze.
Alla venuta di Zuanne Vascotto destinato scrivano sopra quei sali
dagl' 111."1' signori Provveditori non volendo aver la cura delli sali incane-
vati d'altri, né riceverli in altro modo che con la misura ordinaria di molta
spesa e di perdita grave di tempo, giudicai publico avantaggio d'obbligarlo
al discanevo di quelli fatta da Girolamo Curti, che con la sua presenza et
note necessarie le tenessero cadauno distintamente ; questo è seguito di ma-
gazzeni disdotto et mi è riuscito vedervi dell' accrescimento et anco della
diminutione, ma non già fraude alcuna, che non può seguire mentre vi è
l'obbligo, coli' interesse del detto Curti, tenuto render conto delli manca-
menti ; la continuatione la giudicarci propria con termine che il Curti se
vi potesse trattenere.
Con più mano di lettere eccitai li predetti Ill.mi Signori Provveditori
ad espedire persona che riscotesse il Datio della nova imposta colle regole
proprie si dovessero osservare, affine di vedere assicurato il publico capitale
nelle conditioni dell' esito de' sali e nell' avantaggi vi potessero essere nel-
l'espeditore ; non è mai seguita alcuna risolutione et pure il negotio porta
seco quelle maggiori considerationi si possono fare nella mente sapientis-
sima di Vostre Eccellenze, delle quali è propria la risoluta deliberatione.
Ho lasciati in Capo d'Istria Magazzini cento con sali vecchi vintisei et
con novi settantaquattro, nei quali doveria ritrovarsi per le note che mo-
strano li libri stara trecento sessantamille cento settantauno; nella terra di
Muggia magazzini quarantacinque, con sali vecchi tredici, et novi trentadue
con stara settanta un mille novecento settantasei. A Isola magazzeni uno
con stara settecento e otto, che in tutta summa rilevano magazzeni cento
quarantasei con stara quattrocento trentadue mille ottocento sessanta quattro.
È considerabile questa summa et quantità ; il suo esito si farà annual-
— I50 —
mente difficile per l' impedimento ricevono dalla Caneva di Buccari, dalli
contrabandi vengono portati a Fiume con vascelli di grossa portata e da
quelli di Pago con le proprie barche, ma molto più dell'augumento delle
saline che vengono fabbricate da Triestini nelle Valli di Zaule et San Ser-
volo, con violatione delle ragioni di Vostra Serenità sopra quelle acque
havendo quest' anno superato la metà più con la fabbrica del sale li sud-
diti di Muggia che in altri tempi erano di gran lunga inferiori, et la cauta
ridutione colla quale mi portai a vederle et che rilevai il dissegno già in-
viato neh' Eccell.m" Senato mi fece considerare che nel spacio di quindici
o venti anni sarà da loro cavato tanto sale che abbondantemente soddisfarà
ad ogni bisogno di sudditi Imperiali et quello di Vostre Eccell.e resterà in-
disposto con considerabile pregiuditio de loro interessi.
Nell'annata presente sono stati poco favoriti dalla malagevole conditione
de' tempi, in riguardo di quello solevano fabbricare per il passato. Potrà
Vostra Serenità dall'esito dei suoi sali cavare buona summa di danaro che
valerà per le occorrenze gli potessero accadere fuori di quel negotio. Temo
però che li contrabandi di Fiume le portino qualche molestia ; et se reste-
ranno divertiti dalla propria custodia, ne vederà ottimo frutto dall'esperienza.
Dalla parte di Trieste si deve poco dubitare, quando siano quelle bar-
che armate sollecitate alla soddisfatione del proprio debito, et havendole io
esercitate nel modo che si conveniva ho fatto anco contenere Piranesi dalli
contrabandi, qualche minutia de' quali non può essere alcuna volta impe-
dita, come l'altre mercantie in Trieste ne' tempi fortunevoli nei quali fa-
cilmente possono transitare, non potendo esse resistere all' impetuose furie
del mare. Non vedo però volentieri li sali di Pirano permanere lungamente
nelle valli per il solo interesse de Gabelloti e ministri delle Doane che
causa non si possi vedere i fondi di quelli magazzeni incanevati che pure
è necessario si faccia per cautela del publico interesse : perchè ricevono
nella consegna stara tredici per mozzo, et li sali ritrovandosi ne' Casselli
di quelli particolari incontrano poco callo e persuadono per avantaggio pu-
blico il risparmio delia spesa dell' incanevo, che a ragion di tre per cento
rileva lire quindici per ogni cento mozza. Sebben la cura di quelli sali è
tutta degl' Ill.mi Signori Provveditori, ho però usata ogni applicatione per
divertir li pregiuditii, havendo il sale che feci gettar neh' acqua l'anno pas-
sato fraudolente et contro la forma delle conditioni obbligate, prodotto ef-
, fetto che nel presente si sono a tempi debiti quei sudditi disposti al lavo-
riero e fabbricato sale bianco e ben granito et di quello si trova in cam-
pagna ne ho fatto hora ridurre duecento mozza in un magazzeno che era
in luoco molto pericoloso.
— IJJ —
In quelle valli di Pirano vi è tuttavia mozza due mille di sale, in ma-
gaseni undeci, stara duecento tremille, seicento e sessantaquattro, che unite
con quelle di Capo d' Istria e Muggia sono stara seicento sessanta mille
cinquecento e vinti otto ; et ogni anno più moltiplicheranno havendo quelli
sudditi augumentato il lavoriero di molti cavedini di saline che prima an-
davano in baredo e senza cura.
Per l'esito di quelli sali, per facilitare la diversione de tanti pregiuditii
et mali pensieri a che si dispongono li principali Ministri dell' Imperio et
per toglier affatto l'applicatione a Triestini di ampliare le loro saline sotto
alettamento della grossa utilità che cavano dall' esito de' loro sali et per
levare finalmente le radici de contrabandi crederei fosse propria risolutione
di deliberate che non fosse nell'avvenire fatto partito alcuno per introdurre
Caneva a Buccari, che è il principal fomento delli contrabandi, di conser-
vare in mano publica la vendita de sali in Capo d'Istria et Muggia et ve-
nire a diminutione maggiore riducendo il prezzo a lire quattro il staro
altre volte stabilito, con chi haveva il partito di Buccari, che siccome nel
stato presente viene avanzare Vostra Serenità, detratte le spese della prima
compreda di lire disnove il mozzo, salario de ministri, affitto de magazzeni
et altre spese che vi corrono, lire trentauna in trenta due per mozzo, cosi
stimarei anco suo avantaggio la nova degradatione di dodeci lire per ve-
dere intieramente et in breve spatio di tempo esitata quella quantità di sale
che tiene indisposta, con tanto suo interesse, levati li contrabandi che non
tornerà conto ad alcuno interessato di farne capitare a Fiume, né altro
luoco per le grosse spese che vi corrono et per la difficoltà dell' esito in-
contreranno e Triestini perderanno l'applicatione alla fabbrica delle loro sa-
line, et l' inventioni caderanno, mentre in pratica con l'autorità dei princi-
pali ministri di Cesare non si potè ritrovar modo da sostenerle per impe-
dire le risolutioni di quei sudditi che senza pagamento di Dadi volevano
passare alla levata di quei sali di Vostra Serenità.
L' applicationi mie alla regola et stabilimento di quella scrittura è stata
in primo luoco di svodare un magazzino per volta secondo la publica de-
liberatione, di non lasciar seguire la consegna all' espeditore et ad altri,
senza il mandato di volta in volta con specificatione della quantità, numero
del magazzeno et anno del suo incanevo, portandosi subito a quello il suo
credito et debito al ricevitore ; havendo coti la propria pontualità veduto
saldato per tutto il mese di ottobre caduto ii sale capitato nelle mani di
Paolo Recchi destinato venditore a quelle caneve che ha fatto il spazzo di
m.a 2731, et contato il danaro di tempo in tempo a quelli Ill.ml Signori
Consiglieri che l'hanno continuamente maneggiato et disposto secondo la
— 152 -
forma delle commissioni et occorrenze che succedevano, vedute da V." Sere-
nità nel mensuale ristretto del scosso e speso che facevo capitare in confor-
mità delle mie obbligationi. — Anco il pagamento de' sali dell'anno passato
è seguito con 1' osservanza delle proprie regole et con la mia particolar
assistenza nelli giorni che restavano stabiliti, nelle partite nominato cadaun
bollettino veniva pagato et tenuti gì' incontri che han divertito le confu-
sioni et li pregiuditii che succedevano nel riceverli et zirar in monte le
partite et fatto il calculo con l' incanevo seguito, non vi nasce ninna va-
riatione ; et conservandosi a questo segno quel maneggio, senza che vi se-
gua niuna immaginabile alteratione ne riceverà V. Serenità il proprio ser-
vitio, il quale sempre procurai di avantaggiare et di mettere quel negotio
nelli più facili et chiari termini che mi è stato permesso di poterlo ridurre,
e ne porto agi' Il!.mi Signori Regolatore alla scrittura et Provveditori al sale
il giaro (sic) di quella scrittura che resterà in tre luochi conservato.
Anco all' altre occorrenze di quella Provincia commessemi da Vostra
Serenità non ho tralasciato di applicarvi pensiero et portarvi frutto, mas-
sime nella diversione degli altri pregiuditii, che succedono a quella guardia
col mezzo delle mercantie che escono e capitano di sotto vento in Trieste,
havendo tenuto quelle barche armate in continua osservanza del loro de-
bito, malamente sentite dal Petazzo che vorrebbe vedere libero il transito
a quelle mercantie.
La militia delle ordinanze che si ritrova costituita in numero di 3500
soldati, 1' ho esperimentata molto sufficiente et atta a ricevere ogni disci-
plina, ma gli viene mancato dalla poca esperienza de Capitani et Officiali
da' quali è comandata. Sostiene il publico interesse la virtù del Governator
Cresù che s'affatica per fare che nell'occorrenze V.R Serenità si prometta
sicura la loro applicatione.
Agli accidenti dei confini vi disposi il proprio pensiero per divertire
il progresso delle violationi e le contese con li sudditi Imperiali, ne ricercai
le più vive ragioni di V.a Serenità che unite col disegno feci capitare per-
chè fosse risoluto l'aggiustamento. Il Luogotenente del Petazzo l'attendeva
per parte di quei sudditi di Cernotica e veniva anco desiderato da quelli
di Popecchio nel territorio di Capo d'Istria. Non è possibile ritrovare lume
maggiore alti fondamenti che sono stati portati all' Eccellenze Vostre, né
dell' ingeniero Capis si ritrova in quelli Archivii, né in altro luoco cosa
alcuna delle sue operationi sopra la dichiaratione di quei confini, per li
' quali nascono qualche discordia, perchè non vengono visitati come si de-
verebbe una volta all'anno.
Terminai secondo la publica intentione gli affari di Dignano et le cor-
— 153 —
rutele che offendevano il publico interesse nella deliberatione de Datii della
comunità di Pola et li capitoli stabiliti et confermati dall' Eccell.m0 Senato
ho latto registrare nel libro ordinario degli incanti ; onde spero si possi in-
contrare dell'augumcnto et quella citta ricevi qualche respiro dalla concor-
renza de viveri che ora vi possono capitare.
La discretione dell' olio che vien fatto in quella Provincia fu molto
propria del publico servitio, per quello mi fu permesso di scoprire 1' au-
gumento che prendevano li pregiuditii et per le regole che si sono potute
dare dalla publica prudenza : tiene però tuttavia la mia riverenza che non
possi seguire l' intiero servitio di V. Serenità se il Datio delli due soldi
per lira non viene riscossa in quella Provincia et ivi deliberata a luoco per
luoco et appoggiare il negotio tutto all' autorevole mano di publico Rap-
presentante che vi sarà il proprio avantaggio e la distrutione de contra-
bandi col mezzo del timore e dell' interesse de Datiari.
Queste occorrenze che mi portorono in ogni parte della provincia mi
fecero vedere li continuati disordini nel maneggio di quelle communità,
scole, Monti e Fonteghi malamente regolati colla distrutione di quei capi-
tali, che offendono li più miserabili habitanti et portano l'intiero nocumento
all' interesse di V.a Serenità nella prudentissima consideratione della quale
devono rimanere questi pregiuditii.
Quella Camera di Capo d' Istria va riducendo alla declinatione e suc-
cede principalmente dalla diminutione delle genti et dalla mancanza del
negotio che li Datii ordinarii non vengono affittati ne si cava di essi quelle
summe di denaro che si soleva, ma anco perchè non le vedo quell'intiera
cura et dispositione al publico interesse che si dovrebbe stimo si riduca in
peggior stato, ne potendo Vostra Serenità con quelle rendite soddisfare le
spese ordinarie conviene il più delle volte commettere siano li stipendiati
soddisfatti con il denaro della cassa de sali. Con miglior cura potriano li
Datii incontrare qualche augumento, ma non in tutta sufficienza che vagli
al pagamento di quello è tenuta annualmente detta Camera. Per solleva-
tione della quale pare alla mia riverenza di raccordare a Vostra Serenità che
venendo la città e territorio di Capo d'Istria obbligati di pagare soldi due
per orna del vino imbottato et cavato nelli proprii terreni, si possino ob-
bligare anco gì' altri sudditi della Provincia, niuno eccettuato al medesimo
pagamento che venirà a cavare danaro bastevole che intieramente pagarà
le spese ordinarie d'essa Camera, ma ne sopravanzerà per altre occorrenze.
È aggravio insensibile che non sarà sdegnato da quei sudditi, mentre deve
servire a sollievo del publico interesse et resta in mano di quelle comunità
ogni altro datio. Suol essere copiosa la raccolta de vini in tutta la Pro-
- '54 —
vincia e stimo anco facile il ritrovar persone che levino 1' obbligation di
riscuotere questo Datio che porterà a Vostre Eccellenze l' intiero solievo
che ricerca quell' interesse.
All' Illustrissimo signor Capitano di Raspo ho lasciati i lumi proprii
concernenti l' interesse et negotio di quei sali et la particolar prudenza di
quel signore valerà molto per il suo vantaggio et servitio. É necessaria la
sua assistenza non solo nel tempo della fabbrica de' sali et incanevo loro,
ma anco nel pagamento di essi, che è la più propria fontione di quella
carica, per tanti rispetti vi concorrono. Molto più si deve al discanevo et
vendita che ne fa le caneve, non potendo quelle riceverne senza la notitia
del Rappresentante, che tiene una delle chiavi dell'armaro ove sono riposte
quelle de Magazzeni, et consistendo in questi due effetti il principal ser-
vitio potria la lontananza del predetto 111.™"0 signor Capitano et l'applica-
tione degl' interessi della sua carica facilitar li contrabandi et li pregiuditii
nelli ministri et sudditi poco ben disposti al servitio di quel negotio. L'ob-
bligatione delle barche armate si renderebbe inutile et il rispetto di quelli
confini come altri importanti interessi della Provincia, potriano prender del-
l'alteratione a publico pregiuditio.
Gli accidenti di contaggio che moltiplicano e si dilatano nella provincia
del Vipaco et per impedire la fuga di quei sudditi nel Stato di Vostra Se-
renità, diedi ai confini li proprii ordini, confirmati et fatti eseguire dal pre-
detto Ill.m° Signor Capitano, i Triestini hanno sospesa la pratica ad ogni
altro suddito Imperiale che a quelli del suo territorio, fermata la venuta
de Cranzi et delle mercantie et pensano ad ogni provvisione per divertire
li mali incontri. In quelli giorni seguì nella città improvvisamente la morte
di una donna. Si porta la causa alle battiture che gli furono date il giorno
avanti; né seguì per questo altra novità. Ho però consigliato il predetto
illustrissimo signor Capitano di portar la saliera di Muggia in Zaole, ove
altre volte fo stabilita, a ciò ivi segua la dispensa del sale con sicurezza
della salute et continuatione dell'esito, nel che si dispone con prontezza e
volontà di pienamente soddisfare ad ogni più importante effetto di quelle
occorrenze nelle quali la mia applicatione non hebbe altro oggetto che di
ben servire, come farò sempre con l'impiego delle proprie sostanze in altre
occorrenze. Grazie etc.
(Archivio di Stato in Venezia — Relazioni dei Provveditori in Istria).
ISOLA ED I SUOI STATUTI
PER CURA
DEL
Prof. LUIGI MORTEANI
(Continuazione del fascic. 30 e 40, 1
GLI STATUTI D' ISOLA
III.
Incipiunt rubrice tercii libri.
I. De hiis qui possunt esse de Consilio et de hiis quibus prohibitum est.
II. De numero hominum qui debent esse de maiori Consilio.
III. Quod aliquis de Consilio non possit decetero accipere breve vel balotam
nisi fecerit faciones.
IV. De interogandis omnibus de Consilio super partibus positis ut omnium
sciatur volumtas.
V. Sacramentum illorum de maiori Consilio.
VI. Quod aliqua persona non possit accipere breviselam nec balotam prò
aliqua persona absente.
VII. Quod aliquis non possit esse de maiori Consilio nisi habuerit XV.
annos.
VIII. De pena elligentis aliquem de Consilio prò simonia.
IX. Quod i 1 lì qui ellecti fuerint ad aliquod officium debeant iurare illud,
in tercium diem.
- 156 -
X. De ellectis in officiis qui debent cessare ab ipsis officiis per quatuor
menses.
XI. De iuramento iudicum.
XII. De salario et officio iudicum.
XIII. Quod iudices debeant se presentare omni mane.
XIV. De testibus productis super questione inmobilium rerum qui debent
eam examinare supra locum questionis presente uno Iudice.
XV. De solutione fienda iudici comunis notario et vicedomino qui erunt
convocati causa eundi super tenutas in terram vel extra.
XVI. De sacramento iusticiariorum.
XVII. Quod becarii non audeant vendere de duabus carnibus insimul,
nisi accipere aliquam grassam de animali preterpostquam fuerit
extimatum.
XVIII. Quod iusticiarii debeant habere salarium stando in terra insule
aliter non.
XIX. Quod mensuratores comunis teneantur habere urnas tres prò
quolibet ').
XX. De mensurando vinum.
XXI. Quod nullus audeat vendere vinum ad minutum sine licencia
iusticiariorum.
XXII. De pena illorum qui vendiderint oleum vel blavam nisi ad men-
suram comunis.
XXIII. De paniscogolis carnisficibus et tabernariis et hospitatoribus qui
non possint habere officium iusticiarie.
XXIV. De paniscogolaria.
XXV. De medris comunis.
XXVI. « Che li pancogoli debbano far il pan da vender, et non altre
persone » — Quod pancogoli debeant facere panem ad ven-
dendum, et non alie persone. —
XXVII. De pena piscatoris qui portaverit pisces extra insulam ad ven-
dendum.
XXVIII. De pena piscatorum qui non vendiderint pisces in platea alieti
apud becariam vel gradatam.
XXIX. Quod vendentes pisces putridos solvant comuni soldos XX.
') Errore del numero nel codice italiano.
— 157 —
XXX. De agnis non inflandis.
XXXI. De' custodibus tempore vindemiarum.
XXXII. Quod custodes debeant denunciare intra tres dies.
XXXIII. De dampnum dantibus.
XXXIV. De leufis et capris in insula non tenendis.
XXXV. De banno fossati.
XXXVI. De pena illius qui interfecerit aliquod animai alienum in dampno
vel extra.
XXXVII. De animalibus forensium in dampno inventis.
XXXVIII. De animalibus civium bobis asinis et porcis inventis in dampno.
XXXIX. De ovibus inventis in dampno.
XL. De equo invento in dampno.
XLI. De galinis interfectis in suo dampno, vel in alio loco causa
malicie.
XLII. De pena illius qui fecerit fenum super teritorio comunis ante
festum sancti petri.
XLIII. De pratis custodiendis a sancto Georgio in antea usque ad festum
sancti Michaelis.
XLIV. De pena illorum qui inciderint suum vincum vel alienum a
mense aprilis usque ad festum sancti Michaelis.
XLV. De lignis domesticis virdibus vel siccis non incidendis a medio
mense iulii usque ad medium mensem augusti.
XLVI. Quod aliquis habens de teritorio comunis non sit ausus incidere
aliquam arborem fructiferam.
XLVII. De conducendo pomarios domum.
XLVIII. De procuratoribus comunis qui tenentur dare viam vineis vel
campis non habentibus.
XLIX. De pena illius qui aquam mundam vel immundam vel aquam
spurciam proiecerit supra aliquem.
L. De pena illius qui stercum bestiarum sive scopaturas in viis
proiecerit.
LI. De pena illius qui aliquod hedificium hedificaverit supra stratam
vel viam publicam.
LII. De frascariis non faciendis super teritorio comunis sine licencia
potestatis.
LUI. De salario procuratorum comunis.
LIV. De pena illius qui usurpaveritvel intromiserit de teritorio comunis.
LV. De mercationibus omnibus que possunt conduci ad vendendum
in insula excepto de vino.
- iS8-
LVI. De non pignerando nec impedimentum aliquod faciendo illis qui
venerint cum frumento vel alia biava insulam vel qui venerint
prò vino emendo.
LVII. De pena iuratorum regalie qui vendiderint aliquam terram regalie
nisi sit sua.
LVIII. De lacubus interdictis non affectandis nec prò lacubus habendis.
LIX. De pena illorum qui miserint aquam in viam comunem vel con-
sorcium.
LX. De andronis interdictis mondandis in anno.
LXI. De iuratis regalie qui non debent plus affectare viam comunis
quam alii.
LXII. De pena illorum qui acceperint lapides cadentes de ripis.
LXIII. De potestate qui tenentur solvere debita comunis facta suo tem-
pore.
LXIV. De pena illorum qui fecerint viam publicam per agros laboratos
vel per vineas.
LXV. De viis ordinatis permanendis in eo statu et de viis aptandis in
mense augusti.
LXVI. De pena illorum qui in plateis comunis projicerint vinaciam non-
glum vel aliud sordidum.
LXVII. De non ponendo ledamen in vetore porte.
LXVIII. De verminibus in molis et porporariis comunis non cavandis.
LXIX. De metis feni fiendis.
LXX. Qualiter procuratores comunis debent perticare teritorium co-
munis.
LXXI. De terra regalie comunis insule vel de teritorio comunis non
vendendo nisi ad incantum in maiori Consilio.
LXXII. De teritorio valiselle non laborando.
LXXIII. De denariis mutuo acceptis prò comuni ab aliquo cive insule
reddendis in denariis.
LXXIV. De portu, quod nullus audeat discarigare fenum. Et, quod becarii
non audeant proicere sanguinem vel alias immundicias.
LXXV. Incipit capitulum de vicedominis.
LXXVI. De salario vicedominorum et eorum officio.
LXXVII. Quod vicedomini debeant esse exempti ab omnibus facionibus.
LXXVIII. Quando vicedominus erit vocatus ad aliquod instrumentum
fiendum.
LXXIX. Quod aliquis non audeat intrare vicedominariam sine licencia
domini potestatis.
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LXXX. Quod vicedomini tenentur dare in scriptis camerlengis sancti
mauri omne legatum dimissum ecclesiis insule.
LXXXI. Quod aliquis vicedominus vel notarius insule non possit esse
procurator.
LXXXII. De vicedominandis instrumentis possessionum que tenentur
comuni.
LXXXIII. De camerario comunis qui tenetur dare plecariam de libris
ecce.
LXXXIV. De pena camerarii qui non restituerit denarios et res comunis
succedenti camerario.
LXXXV. De officio et salario camerarii comunis.
LXXXVI. De camerario comunis qui tenetur facere rationem cum do-
mino potestate vel suo vicario de omnibus introitibus et
exitubus insule.
LXXXVII. De advocatoribus et eorum solutione.
LXXXVIII. De plecaria quam tenentur dare extimatores et de eorum
sacramento.
LXXXIX. De fontigario comunis.
LXXXX. De modo et forma elligendi capita contratarum.
LXXXXI. De sacramento capitum contratarum.
LXXXXII. De capitibus contratarum qui non debent habere aliquod
salarium a comune preter coltam suam a XX. soldis imo
et non tenentur facere custodiam.
LXXXXIII. Quod quilibet officialis debeat habere in scriptis suum ca-
pillare.
LXXXXIV. De ambassiatoribus mittendis prò comuni.
LXXXXV. De ellectione cameriorum s. mauri.
LXXXXVI. De clavibus capse santi mauri.
LXXXXVII. De dacio vini. VI soldis prò urna.
LXXXXVIII. Dacium piscarie.
LXXXXIX. De emptore mecinarum.
C. De emptore salinarum.
CI. De emptore bracolariorum et statere.
CU. De torclariis.
CHI. De mecinis pomorum.
CIV. De stario ceresorum et pomorum.
CV. De eo qui habet de salinis comunis qui tenetur reddere ra-
tionem comuni.
CVI. De emptore dacii pomorum ceresorum et aliorum fructuum.
— i6o —
CVII. Dacium vini VI. p. prò urna.
CVIII. De vino quod venditur ad spinam quod venditor teneatur solvere
soldos XX quolibet mense.
CIX. Dacium. VI. den. p. prò urna.
CX. Quod orrmes habentes salarium a comune teneantur omnes banitos
tam in persona quam rebus a C. soldis supra notificare domino
potestati cum ipsos in insula viderint.
CXI. De salario cancelarii.
CXII. Quod quilibet de pirano habitans in insula, et faciens angarias possit
emere possessiones in insula et eius districtu.
CXIII. Ordines facti inter comune iustinopolis et comune Jnsule.
Festivitates.
Incipit liber tercius continens in se omnes officiales
et eorum officia.
I. De bis qui possimi esse de Consilio et de bis quibus est prohibitum.
Jm primis statuimus quod aliquis servus vel bastardus non possit esse
de maiori Consilio nec possit esse iudex nec cancellarius nec camerarius.
Et si in dictis ellectus fuerit careat firmitate. Item quod aliqua alia persona
legiptima cuiuscumque condictionis sit. non possit esse de maiori Consilio
neque Judex cancelarius nec camerarius. nisi fuerit avus illius persone le-
giptime. pater, vel frater. patruus filius vel nepos solum modo descendentes
ex parte sue proprie parentele seu linee ex parte patris. Et si ille talis
persona legiptima fuerit ellectus. ellectio careat firmitate. Et breve sive balota
in capellum revertatur. Et alius loco eios ponatur. Et qui ellegerit aliquem
de Consilio contra formam supradictam condempnetur in libris C. p. quarum
due partes sint comunis et tercia accusatoris et tenebitur secretum. Et si
aliqua persona haberet de gratia secundum formam sue gratie procedatur.
II. De numero hominum qui debent esse in maiori Consilio.
Statuimus et firmamus quod centum homines debeant esse in maiori
Consilio comunis insule secundum quod scripti sunt in registro ipsius co-
munis. et quod a modo in antea aliquo modo vel ingenio plures nec pau-
— 161 —
ciores esse possint de dicto Consilio. Et si aliquis de dicto Consilio de numero
predicto decederet. Jnfra decem dies Alius loco illius in maiori Consilio
ad brevia elligatur.
III. Quod aliquis de Consilio non possit decelero accipere breve, vel balotam
nisi jecerit faciones et angarias coniunis.
Item statuimus quod homines de Consilio insule non morantes insule
oec faciones ve! angarias comunis predicti aliqualiter facientes nullatenus
possint venire ad dictum consilium congregatum ad accipiendum aliquod
breve vel balotam nisi fecerint faciones et angarias comunis insule ut faciunt
illi qui continue resident. et morantur ibi sub pena cuilibet contrafacienti
sold. Centum p. et qualibet vice. Et quilibet possit esse accusator et teneatur
de credencia. cui medietas predicte pene detur. si per eius accusationem
veritas habebit. Et alia medietas comuni applicetur. Et Jnsuper omnis el-
lectio sic facta nullius sit valoris.
IV. De interogandis omnibus de Consilio super partibus posilis
ut omnium sciatur volumtas.
Statuimus quod quandocumque pars aliqua ponetur in maiori Consilio
per potestatem vel per vicariano potestatis. quod quilibet de maiori Consilio
per se interogari debeat super quo pars illa posita fucrit ut volu ntas quo-
rumlibet sciatur vel per ballotas ponatur, ut domino potestati placucrit.
V. Sacramentum illorum de maiori Consilio.
Consiliarii de maiori Consilio iurant ad sancta dei evangelia bona fide
me (rande consulere domino potestati. vel vicario insule honorem et bonum
statum. et proficuum insule quandocumque consilium ab cis postulaverit.
et venire ad consilium quando audicrint signum vel preceptum si fuerint
in terra nisi iusto impedimento retempti. et de Consilio egredi nisi prius
fuerit a domino potestate vel vicario data licencia et conservare secreta
Consilia, et de cumctis porcionibus sibi a domino potestate vel vicario factis
sccundum suam consientiam meliorem partem assumere.
VI. Quod aliqua persona non possit accipere breviscluin, nec balotam
prò aliqua persona abscente a Consilio.
Jtem statuim us, quod aliqua persona non possit nec debeat accipere
in maiori Consilio brevexellam nec balotam de aliquo officiali comunis prò
aliqua alia persona de Consilio abscente, tam si fuerit in ambasaria comunis
quam si fuerit in aliquo alio servicio comunis vel sui propri. Et si acceperit
u
— lé2 —
illam talis acceptio prò nichilo habeatur et omnis consuetudo loquens in
contrarium prò nichilo habeatur.
VII. Quod aliquis non possit esse de dicto Consilio nisi habuerit XV. annos.
Statuimus et ordinamus quod amodo nullus possit esse de maiori Con-
silio nisi habuerit a quindecim annis supra. et si ellectus fuerit. ellectio non
valeat. Etiam quod nullus tam de Consilio quam non de Consilio non possit
habere aliquod officium, nisi habuerit a vigiliti annis supra, nec facere ali-
quam ellectionem, nec ponere aliquam partem in Consilio, donec pervenerit
ad plenam etatem XX. annorum. et si contrafactum fuerit omnino careat
firmitate.
Vili. De pena elligentis alìquem de Consilio prò simonia.
Jtem statuimus et ordinamus, quod si quis de Consilio cui contingerit
habere breve, vel balotam causa elligendi aliquem de Consilio, elligeret alì-
quem prò symonia sive prò spe alicuius pecunie, vel precii. et clarefactum
fuerit domino potestati qui prò tempore erit, quod talis ellectio non valeat.
Et condemnetur qui elligerit et ellectus etiam in libris XXV. Et ambo sint
privati a Consilio. Et quod nunquam possint esse de dicto Consilio. Et qui-
libet possit esse accusator et habeat dimidiam banni et condempnationis.
IX. Quod UH qui ellecti fuerint ad aliquod officium debeant iurare illud
infra tercium diem.
Statuimus quod quicumque fuerit ellectus ad offitium iudicatus came-
rarie cancellane et anciani. quod infra tercium diem teneatur iurare suum
offitium postquam per preconem comunis fuerit requisitus. quod si non
fecerit perdat suum offitium. Et alius loco eius elligatur. Omnes vero ahi
officiales qui elliguntur in maiori Consilio tencantur iurare sua officia infra
tercium diem postquam requisiti fuerint per preconem comunis. Sub pena
soldorum XL. Et potestas teneatur infra diem Vili, cuilibet officiali facere
perlegi capitulum sui offitii.
X. De ellectis in officiis qui debent cessare ab ipsis officiis per quatuor menses.
Statutum est ut decetero aliquis qui habuerit aliquod officium iudicatus
vel camerarie, aut cancellane aut extimarie, aut procurane vel iusticiarie
vel aliquod aliud officium completis quatuor mensibus in quibus permansit
in dicto officio infra quatuor menses sequentes ad illud officium non elli-
gatur et si ellectus fuerit ellectio non valeat. Et si se ad iurandum obtul-
lerit. vel iurabit offitium infra quatuor menses in quibus cessare debet solvat
- 1*3 -
comuni XL. soldos p. Et alius eius loco elligatur ab inde vero inantea
possit esse in quolibet offitio in quo ellectus fuerit. Et pater non elligat
filium nec filius elligat patrem nec frater elligat fratrem et unus ellector
non elligat alterum. Et quod pater cum filio frater cum fratre, nec consan-
guineus germanus cum consanguineo, cognatus cum cognato nec socer cum
genero, nec patruus cum nepote non possint esse ambo insimul. in uno
simili officio. Et qui habuerit breve elligendi aliquem officialem. et etiam
illi qui ellecti erunt in officiis non possint esse ad accipiendum breve in
sequenti muta officialium. Et qui iret ad accipiendum breve, solvat comuni
XL. soldos par. Et breve revertatur in capellum. Et qui primo ellectus
fuerit in ilio officio debeat confirmari.
XI. De iuratnento indiami.
Item statuimus, quod quicumque fuerit in officio iudicatus iurare de-
bcant facerc dictum officium bona fide sine fraude. et consulere domino
potestati vel suo vicario legaliter de omnibus de quibus fuerint requisiti
per dominum potestatem vel suum vicarium. Et, quod non adiuvabuiu
unicum, nec nocebunt inimicum per fraudem. et nullum premium aut do-
nimi vel servicium per se vel ab aliis prò eis reccipere aut recipi facient
aut pcrmittent in pena sacramenti. Et si acceptum fuerit reddere facient
bona fide quam cicius sciverint vel poterint. Et scivcrint vel senseria! fieri
vel oriri aliquam discordiam inter aliquas personas insule tam de verbis,
quam de factis, teneantur manifestare domino potestati vel suo vicario, si
potestas non esset in terra quam cicius poterint. In pena XL. soldorum.
Et tcnebuntur de credencia.
XII. De salario et officio indiami cornimi insule.
Statuimus et ordinamus quod prò comune Jnsule debeant esse qua-
tuor iudiees qui stare debeant in officio per quatuor menses. Et habere
debeant octo libras venetas p. prò quolibet, et si aliquis ipsorum indiami
aut alius officialis moriretur, stando in officio liabeat de sallario suo tantum
quantum steterit in officio, et non plus. Et si staret extra terroni liabeat
tantum minus de suo sallario per diem secundum ratam que capit in die,
si iverit sine liccncia domini potestatis.
XIII. Quod iudiees debeant se presentare omni mane.
Item quod iudiees teneantur toto tempore sui Judicatus omtii mane
se personaliter presentare corani domino potestati. Sub pena prò qualibct
vice unius veneti grossi. Et similiter ipsi iudiees toto tempore sui iudicatus
— 164 —
non audeant exire de terra insule absque licencia domini potestatis sub
pena unius grossi prò quolibet et qualibet vice.
XIV. De testibus produclis super questione inmobillium rerum qui debcnt
examinari super locum questionis presente tino Judice,
Quocies net questio rerum inmobilium inter aliquos testes utriusque
partis reccipiantur et esaminentur atente. et ipsorum dieta per notarium
potestatis vel per cancellarium comunis super locum ipsius questionis pre-
sente uno de iudicibus comunis ordinate scribantur. et secundum dieta
eorum testium qui magis ydonei sint. et utilius dixerint iudicentur et ap-
probentur.
XV. De solutione fienda indici comunis notorio et vicedomino qui erutti convocati
causa eundi super tenutas intus vel extra ìerram insule.
Statuimus, quod iudex comunis Jnsule, qui erit per aliquem vel ali-
quos convocatus causa eundi super tenutas tam intus quam extra terram
insule causa trahendi testes de aliqua possessione vel tenuta de qua csset
questio inter aliquos habere debeat XII. denarios p. a quolibet illorum, qui
ipsum convocaverint. Si vero unus solus testis introduceretur et iudicem
convocaret prò ilio solo teste solvat dicto iudici grossos duos. Et quod
dictum est de iudice illud idem observetur de notario domini potestatis
vel de cancellano comunis. Et tantum plus, quod prò quolibet teste quem
scripserit recipere debeant ab ilio vel ab illis qui ipsos testes producit de-
narios p. VI. Sic ab inde retrocurit usus. Et quilibet testis qui productus
fuerit per aliquem ut dictum est similiter habere debeat soldos duos ab
ilio qui ipsum convocaverit ad testificandum. Et, omnes predicti teneantur
sibi facere solvi antequam vadant super tenutas et ille qui perdiderit que-
stionem perdet omnes expensas secundum formam statuti. Salvo, quod ìli ì
qui se concordarent de suis questionibus solvere teneantur de societate
omnes expensas quas fecissent.
Orda. Item debeant convocare iudicem comunis notarium domini po-
testatis vel cancelerium comunis et testes quos introducere voluerint. et
adversam partem ac edam unum vicedominum et ire super tenutam que-
stionis, et iudex et notarius super locum questionis teneantur attente exa-
minare ipsos testes ut temporibus elapsis in terra insule est observatum
habendo dictus iudex solutionem ut supra. Et examinatis testibus inconti-
nenti vicedominus qui interfuerit manu sua propria dieta ipsorum testium
per ordinem de verbo ad verbum in scriptis accipere teneatur, et dieta ipso-
rum testium in se retinebit. et nulli ostendet nec denunciabit, donec publice
- i65 -
fuerint publicata. In pena sui sacramenti, et habeat vicedominus tantum
quantum habet notarius sive cancelerius comunis.
XVI. Del Sagramento di Giuslicieri.
Item statiamo, che li Iustitieri del comun de Isola debbano giurar di
far l'Officio della Iustitiaria con bona fede senza (rande, e dar le misure
giuste, et pesi, quali siano tenuti dar per il loro officio, et che non fo-
gliano oltra soldi quattro de piccoli per ciascuna mesura, et peso, et siano
tenuti ricercare almeno due volte alla settimana, et più se vorranno tutte
le cose pertinenti al loro officio in pena de soldi vinti per ciascuno, et
debbano haver la terza parte de tutte le pene, che per il loro officio per-
veniranno in Comun ; Item che all' amico non gioveranno, ne al nemico
noceranno per fraude, don, premio, ò servitio non piglino, né promettano
pigliar, et se saveranno, ò sentiranno alcun don, premio, ò servitio per
questo esser tolto, che lo faccino restituir quanto prima potranno con bona
fede, senza fraude in pena de soldi quaranta Venetiani per ciascuno, et ogni
volta, che contrafaranno ; Et se saveranno, o sentiranno nascer alcuna di-
scordia tra alcuna persona de Isola tanto de parole, quanto de fatti, sieno
indilatamente tenuti notificarlo quanto prima al sig.r Podestà, ò al suo
Vicario, se il podestà non fusse in Isola in pena de soldi diese de piccoli,
et saranno tenuti secreti.
XVII. Che li Heccari non ardiscano vender de due sorte carne insieme, né levar
alcuna grassa dalli animali se non dopo che saranno stimati
Statuimo, et ordinamo, che ciascuna persona, che ammazzarà alcun
animale nella Beccaria di Comun per occasione de venderlo debba pagar
il Datio a quello che 1' bavera per tempo il Datio della Beccaria ; Et che
ciascuno Beccaro, overo quello, che ammazzarà debba esse Carne per gli
Iustitieri di Comun far estimar secondo la forma de suoi Capitoli, et siano
tenuti vender la Carne secondo la stima fatta per li detti Iustitieri, né ar-
discano portarle à Casa in alcun modo, ò ingegno per occasion di venderle.
Et ancora niun Beccaro ardisca, né in alcun modo presuma vender, ne far
vender carne mescolata, cioè de due anemali in alcun modo, ò ingegno in
pena de soldi quaranta de piccoli, la metti della qual pena pervenga al
Comun, et l'altra metti al Denonciante. Item che niun Beccaro ardisca in
alcun modo levar alcuna grassa de alcun animale doppo, che sarà Iusti-
tiato, ò stimato sotto la pena predetta.
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XVIII. Che li Iuslitieri debbano haver il Sallario stando nella Terra de Isola
alcuno d' essi.
Statuimo perpetuamente, che li Iustitieri del Cornuti, che al presente
sono, ò che per l'avvenire saranno, debbano haver per ciascuno di loro
soldi vinti de picoli al mese per suo salario talmente che siano tenuti al-
cuno di loro star nella Terra de Isola ogni giorno, et far, et esercitar il
loro Officio della Iustitiaria fra il giorno, et se contrafaranno caschino alla
pena de soldi diese de piccoli per ciascun giorno, et ciascun possi accusar
et habbia la metta di detta pena.
XIX. Che li Mesuratori di Comun siano tenuti haver tre orne per ciascuno.
Statuimo perpetuamente, che per l'avvenire quelli, che saranno misu-
ratori del vino, siano tenuti haver ciascun di loro tre orne, et più se vor-
ranno per misurar il vino ben giusticiate, et preparate, le qualli Orne siano
tenuti ogni mese una volta far Iustitino per li Iustitieri di Comun, Et siano
tenuti accomodar ogn' uno, che vorrà mesurar vin, havendo il pagamento
dà quelli per nollo di ciascuna Orna denari dui per ogni giorno; Nel fine
veramente del suo termine li Mesuradori novi, che à essi succederanno
siano tenuti tuor le Orne de suoi Precessori per quel valore, che saranno
estimate per li Iustitieri di Comun Et così quelli altri mesuratori siano te-
nuti dar le loro Orne alli suoi successori per il predo secondo la stima
delli Iustitieri, che per tempo saranno per il Dazio veramente di esse Orne
ciascun Mesuradore sia tenuto pagar al Comun soldi vinti de piccoli. Item,
che li Iustitieri di Comun siano tenuti iustitiar le Orne, con le quali se
misura ogni mese una volta, et debbano aver per le loro fatiche dà essi
Mesuradori denari otto de piccoli per ogni Orna per una volta tanto, tutto
il tempo del loro Officio, et questo sotto pena de soldi quaranta.
XX. Del Mesurar il Fino.
Item che alcuna persona non ardisca mesurar Vino venale se non con
le Orne di Mesuratori, ne alcuno ardisca cambiar Orna, ò Orne per me-
surar sin sotto pena de soldi cento de picoli Venetiani.
XXI. Che ninno ardisca vender Vino alla Mentita sen^a licentia di Iusticieri.
Volendo ressister alla fraude di quelli, che venderanno vino alla Me-
nuta in ascoso senza la mesura di Iustitieri in fraude del Comun, et di
quelli, che conducono, et comprano il Datio. Statuimo, che non sia alcuna
persona Maschio, ò Femina, Terriera, ò Forestiera, quali, ò quale in alcun
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modo ardiscano, ò presumano in palese, ò in secreto vender vino alla me-
ntita senza la Mesura de Iustitieri sotto pena de lire diese de piccoli per
ogni volta, che sarà contrafatto, et più ad arbitrio del sig.r Podestà.
XXII. Della pena di quelli che venderanno Oglio, et biava se non
alla Mesura di Commi.
Niuno Mercante ardisca vender Oglio, se non à Miro, et à Orna, overo
alla lira di Comun et non ad altra misura. Quanto alla biava al Mcxcn di
Cornuti senado con Croce, et alla Mesura de Comun di Pietra, che sono
in Piazza di Comun appresso l'hastaria, chi contrafarà, paghi per ogni volta
al Comun soldi quaranta, et chi accasar! habbia il terzo.
XXIII. Delle Pancogole, Beccati, Tavernieri, et Hosli, quali non possino
haver V Officio di Iustitier.
È statuito, che per l'avvenir niun Pancogolo, niun Beccaro, niun Ta-
vernaro, et Hosto debba haver l'Officio de Iustitier, et se sarà elletto sia
cassada la ellettion, et un'altro sia elletto à quell'Officio.
XXIV. Della Pancogolaria.
Ciascuno, che incantarà, et comprarà le raggioni della Pancogolaria
habbia, e guadagni otto soldi per ogni quarta di formento, che vendarà al
far del pan per vender in Isola, et debba haver, et tegna cinque, over sei
pancogole, et non meno in pena de soldi quaranta ; Et niuno fazza pan dà
vender se non quelli, à quali sarà concesso, et ciascuno, che haverà del
detto Dacio sia tenuto a pagar il Dacio in tre termini, siccome si pagano
gli Dacii sotto pena del Doppio.
XXV. Di Midri di Comun.
Ciascuno, che haverà li Midri di Comun habbia dui denari per ogni
Midro de Oglio, che misurerà.
XXVI. Che li Pancogoli debbano far il pan di vender, et non altre persone.
Statuimo, che niuna persona debba far pan dà vender se non li pan-
cogoli, à quali è concesso per il Comune, et se li detti pancogoli non po-
tranno far del pan à sufficientia sia in arbitrio del sig.r Podestà à far far
del pan come meglio li parrerà.
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XXVII. Della pena di Pescatori, che portar anno il pesce vender
fuori della terra de Isola.
Niuno Pcscator habbia ardire di portar il pesce fuori della Terra de
Isola per vender ad altri se non in Isola se dalla severità del tempo non
sarà astretto, ò senza licentia del sig.r Podestà sotto pena de pagar del Co-
mun soldi quaranta, et pagar il Dacio del pesce, che avesse venduto al-
trove, et chi acusarà habbia soldi vinti.
XXVIII. Della pena di Pescatori, che non vendaranno il pesce nella piazza
de Alieto appresso la Beccaria, overo Gradata.
È consultato, et ordinato, che tutti li Pescatori de Isola debbano vender
il pesce secco, ò recente nella piazza di Comun, et non in Casa sotto pena
de soldi quaranta de piccoli, et più, et meno in arbitrio del sig.r Podestà,
et ognuno di nostri vicini siano tenuti manifestar li contraddenti, et deb-
bano chi manifesterà, haver soldi vinti. Et la pescarla debba esser in piazza
de Alieto appresso la Beccaria, ò gradata, et niun pescator possa di pesci,
che vorrà vender portarli à Casa sotto pena predetta. Et dapoi che bave-
ranno portato il pesce à Casa, non debbano più portar detto pesce in pe-
scaria à vender nella pena sopradetta. Et ciascun pescator sia tenuto vender
dà per se tutto il pesce, che haverà incominciato, et tutto il detto pesce
cavar di Barca, et ponerlo in Terra. Et li detti Pescatori siano tenuti portar
esso pesce al palazzo del sig. Podestà, overo dimandarli licentia di ven-
derlo, ò alla sua famiglia avanti che incomincino a venderlo in pena de
soldi quaranta per ogni volta.
XXIX. Che li Venditori di pesce putrido paghi al Commi soldi vinti.
Item statuimo, et ordinammo, che niun pescator ardisca vender ad
alcuno pesce fracido, ò putrido sotto pena de soldi vinti de piccoli da
esser pagata ogni volta, che contrafarà, et che tali pesci siano gettati in
mar per li Iustitieri di Comun dapoi che il sig. Podestà sarà fatto chiaro
di questa cosa : Et lo accusator habbia la Metta della detta pena, et il Co-
mun 1' altra metta.
XXX. De non infiar lì Agnelli.
È statuito, che niun Beccare per 1' avvenire ardisca infiar li Agnelli,
è altre bestie nella Beccaria di Comun quando li ammazzerà in essa bec-
carla, et non ardisca infiar Bovi, Vacche, pecore, ò Capre, overo alcuna
altra bestia con il Sevo di altre bestie abbellir, se non solamente con il
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suo sevo, et siano tenuti pigliar la coda di Bovi, et Vacche insieme con
il Budello, et non pesarlo, et non lassar del figado ad alcun quarto delle
Bestie, et tutte queste cose in pena de soldi diese ogni volta, che contra-
faranno, la metta al Comun, et l'altra al manifestante.
XXXI. Dclli Guardiani al tempo delle Findemie.
Statuimo, et ordinamo, che tutti li Guardiani, ò Saltari, che saranno
al tempo delle Venderne siano tenuti con ogni loro potere tior il pegno a
tutti quelli, che faranno danno, et se non ritroveranno quelli che daranno
danno, siano tenuti essi guardiani A pagar il detto danno.
XXXII. Che gli Guardiani debbano nel termine de giorni tre denonciar
quelli, che daranno danno.
Item se alcuno guardiano ritrovarà alcuno, che faccia danno in alcun
lavoriero tanto dentro, quanto fuori della Terra de Isola, ò andasse coatta
li mandati del Sig. Podest'i, che quel guardiano sia tenuto senza dimora,
et nel termine di tré giorni doppo che 1' baveri ritrovato denonciarlo, et
debba esser citato per il Comandador di Comun à far le sue diffese, et
passati tré giorni della detta citatione, et accusa non sia più ascoltado.
XXXIII. Di quelli, che daranno danno.
Item statuimo, che se alcuno tanto Maschio, quanto femina, saia ri-
trovato dar alcun danno nelle Vigne, ò Campi d'altri mangiando, ò colle-
xendo in grande, ò poca quantità, Uva, peri, pomi, ò alcuna altra sorte de
frutti, ò biava, ò alcuna altra cosa paghi al comun soldi trenta de picoli
per pena, et paghi il danno al patron della vigna, ò, campi ; Della qual
pena dui parte siano, et pervenir debbano nel Comun, et la terza parte sia
dell' accusator se per la sua accusatione si saverà la verità : Et se alcuno
sarà ritrovato dar danno nelli Horti in Isola, ò fuori, paghi al Comun soldi
diese de picoli, et sia pagato il danno al patron, dividendo la pena come
di sopra. Et se sari ritrovato dar danno nelle mede di fieno, sia in arbi-
trio del sig. Podestà.
XXXIV. Che Porci, et Capre non siano tenuti in Isola.
Si proibisce il tenir in questa terra de Isola porchi grandi, ò picoli
oltra otto giorni, sotto pena de soldi quaranta al Comun, et chi quelli ri-
troverà à darli danno, et li amazzarà non patisca alcuna pena. Et che al-
cuna persona non debba tenir alcuna capra, se non in Casa sua serada,
sotto pena de soldi quaranta, se sarà ritrovata fuori di casa, della qual pena
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dui parte pervenghino nel Coni un, et la terza sia del accusato!", se per la
sua accusatione si potrà haver la verità.
XXXV. Del bando del Fossado.
È statuito che per 1' avvenir dal primo giorno del mese di Aprii fin,
à, san Pietro, tutti li animali siano banditi dal fosado di Comun in pena
di pagar soldi quattro per ciascuno, et ogni volta che saranno ritrovati,
cioè Bovi, Cavalli, et Asini, le pecore veramente siano in perpetuo ban-
dite del fosado; Et se alcuno le ritroverà ne pigli dui da un quarnaro in
su, et una da un quarnaro in giù di quelle che sarano ritrovate in danno,
et della pena dui parte pervenghino nel Comun, et la terza all'inventor ;
Per li porci veramente paghi soldi quattro per ciascuno, et in ogni tempo
siano banditi dal fossado ; Et se Bo, Cavallo, ò, Asino sarà ritrovato de
notte pascolando in esso fossato fra li suoi termini paghi soldi diese per
ciascuno.
XXXVI. Della pena di quello che ammattirà alcun animai de altri in danno,
ò, fuori de danno.
Se alcuna persona amazzarà alcun animai alieno nella Terra ò, di-
stretto de Isola per sua ignorantia, ò, malitia in danno, ò, fuori di danno
sia tenuto pagar quel animai sicome sarà stimato per li stimatori di Comun,
et sicome parerà giusto al Sig.r Podestà esser successo per sua ignorantia,
o malizia, et sia condannato pagar soldi vinti al comun, et soldi vinti al
patron del animai, et più, et meno in discretion del Sig.r Podestà.
XXXVII. Delli Animali de Forestieri ritrovati in Danno.
Se alcuno Bo, ò, Vacha de forestieri sarà ritrovato pascolar, ò, dar
danno sopra il distretto de Isola, ò, in Isola, il patron paghi soldi vinti de
picoli per ciascuno, la qual pena dui parte sia del comune, et la terza del
acusator, et paghi il danno al patiente presentando li animali al Sig.r Po-
destà. Item se ritrovara Cavallo, ò, Mullo paghi per ciascun di loro soldi
vinti de picoli, dividendoli come di sopra. Item se ritrovara Asino paghi
soldi Diese de picoli dividendoli come di sopra. Item per ogni animai me-
nudo paghi soldi sei, de picoli per ciascuno dividendo come di sopra.
XXXVIII. Delli Animali de Cittadini, ritrovati in danno, cioè 'Bovi et Asini.
Statuimo, che se Bovi, Asini, ò. Porci, di alcuno sarà ritrovato in
danno paghi al comun per ogni volta soldi quattro per pena, la terza parte
venga al comun, et un terzo al manifestante, et 1' altra terza al patron del
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danno, et di più paghi il danno al patron, et l'accusator sia tenuto tuor
il pegno al pastor.
XXXIX. Delle pecore ritrovate in danno.
Statuitilo, che se le peccore di alcuno sarano ritrovate in danno, se
sarano da quaranta in su, sia condonato il patron in soldi Vinti et se sa-
rano da quaranta in giù sia condanato in soldi diese, la qual pena la terza
parte sia del coraun, et una terza parte del patron del danno, et 1' altra
terza parte del manifestante. Et oltra di ciò debba pagar il danno al patron,
et 1' accusator debba haver il pegno altramente non se li debba creder.
XL. Del Cavallo ritrovato in danno
Statuimo che se il Cavallo di alcuno sarà ritrovato in danno sia con-
danato in soldi sie, della qual pena la terza parte devenghi nel Comun, et
un terzo al patron del danno, et 1' altro terzo al manifestante. Et oltra di
ciò debba pagar esso danno, al patrone, et il manifestante sia tenuto tuorli
il pegno, se veramente il manifestante non potrà pigliar esso cavallo, et
havera un testimonio appresso di se che gaverà visto esso cavallo in danno
se li debba creder al loro sagramento.
XLI. Delle Galine amavate con malitia in danno, ò, in altro Itwcbo.
Item Statuimo che se alcuno amazzara alcuna galina, che faccia danno
nel suo horto, ò, in altro suo luoco, che non debba in modo alcuno pa-
tir pena affermando per sagramento quello, che 1' havera amazzata, che li
faceva danno. Et se alcuno amazzara galina, ò, polastro con malitia, ò, in
altro modo paghi soldi diese, di quali soldi cinque sia del comun, et soldi
cinque del patron della galina, ò polastro al patron.
XLII. Della pena di quello che fard fieno sopra il territorio di Comun avanti
la festa di s. Pietro.
Statuimo, che niuno vicino, ò, schiavo ardisca far fieno sopra il ter-
reno di comun avanti la festa di san Pietro sotto pena de soldi quaranta
al comun, restando esso fieno nel comun; Et chi manifestarà habbia la
terza parte della pena.
XLIII, Che li pradi debbano esser custoditi da san Giorgio, sino alla festa
di san Michiel.
Statuimo, che tutti li pradi, per l' avenir siano in bando da la festa
di san Giorgio, sino alla festa di san Michiel a tal che ciascuno, che sarà.
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ritrovato doppo la festa di san Giorgio far nerba, ò segar sia tenuto in
nome di pena. ')
L. Della pena di quelli che gtlarano nelle strade slorcho di Bestie, ò, scovadure.
È statuito che niuno debba getar nelle strade regali malitia di Bestie,
ò, scovadure, sotto pena de soldi Diese al comun, et diese al Manifestante.
Et niuno per le strade communi debba congregar ledame, ò, fango sotto
la detta pena ; Et ancora niuno getti acqua neta, ò, inmonda per le strade
comuni d'alto, ò, da basso sotto la detta pena.
LI. Della pena di quello che fabbricara alcun Edificio sopra la strada,
ò, via publica.
Statuario che niuno presuma edificar sopra la strada, ò, via publica
alcun Edificio senza parola, ò, licentia del sig.r Podestà, sotto pena di ri-
mover quel Edificio, et lire quattro Venetiane de picoli al Comun.
LII. De non far frasche sopra il territorio de Comun serica licentia
del sig.' Podestà.
Statuario che niuna persona non possi far frasche sopra il territorio
de Comun senza licentia del sig.r Podestà, sotto pena de soldi quaranta et
quella licentia non debba durar, se non il tempo di quel Podestà che li
haverà datto licentia.
LUI. Del salario di Procuratori di Comun.
Niun Procurator habbia dal Comun, se non solamente la terza parte
di quelli beni mobili che per il loro officio ritroveranno, et il Comun due
parti.
LIV. Della pena di quello, che usurparti, ò, intrometera del terreno di Comun.
Statuario che niuna persona ardisca in alcun modo intrometer, ò, usur-
par del terreno di Comun, sotto pena de soldi Cento per ciascuna volta,
et sia tenuto restituir integralmente il terreno de Comun che havera preso
nel termine de giorni otto sotto la predetta pena ; Et se havera fatto alcun
lavoriero sopra esso terreno, quel lavoriero sia di Comun; et ciascuno che
') I Capitoli 43-50 non corrispondono all'indice generale del terzo libro ed i Ca-
pitoli intromessi sono quelli del primo libro.
— i73 —
accuserà habbia il terzo della pena, se per la sua accusation si ritroverà la
verità, et sarà tenuto secretto.
LV. Che si possi condur in Isola à vender ogni sorte di Mercantici
eccetto che Vino.
Statuimo che ogni persona, possa condur, a, vender in Isola ogni cosa,
et Mercantie, et essa vender secondo il corso de Isola ; eccetto che del
Vino che niuno ne possa condur in Isola per occasione di revenderlo, ma
ne possi condur per occasione di bever, con licentia del Sig r Podestà; lìt
chi contrafarà paghi al Commi per ogni volta lire diese, et perda esso Vino
et chi accusara habbia il terzo.
LVI. De non pignorar, ne far alcun impedimento à quelli che venirano con
formatto, ò, altra biava in Isola, ò, d quelli che venirano per comprar vino.
Statuimo, et ordinamo, che per 1' avenir se alcuno Mercante venuta
con formento, ò, altra biava in Isola, overo venira per comprar Vino ri-
torni securo fuori della terra de Isola con tutte le sue mercantie senza alcun
impedimento di nostri vicini ; Et niuno di nostri Cittadini possa quelli
pcgnorar.
LVII. Della pena di Giuriti delle Regalie, quali venderanno alcuna lena
delle Regalie, se non sarà sua.
Statuimo che ninno Giurato delle Regalie de Isola habbia potestà di
vender alcuna terra delle Regalie, se non sarà sua, sotto pena de lire Vin-
ticinque Venetiane quale vadino al Comun.
LVIII. Delti lachi Interdirti non dover esser ajfiladi, ne haverli per lochi.
Niuno vicino ardisca affitar alcuno di lachi interditi, ne in perpetuo
haverli per lachi, sotto pena de lire diese Venetiane de picoli, senza alcuna
remision.
LIX. Della pena di quelli che metarano acqua nella via comune, ò, consortiva.
Se alcuno bavera campo, ò, vigna apresso la strada comune, ò, con-
sortiva, non ardisca mcter acque in dette strade sotto pena de soldi qua-
ranta senza remission.
LX. De lutar le androne Interdite nel Anno.
Statuimo che le Androne che sono interdite per le strade de Isola di
sopra, et da basso, che per li vicini siano netade tre volte all'Anno in pena
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de soldi quaranta, cioè nel mese di Aprii, nel mese di Agosto, et nel mese
di Novembre. Et queste sono le Androne interditte. In primis una Androna
appreso la Casa de Almerico q. Carlo Albin appreso la Casa de Iacomel
Civran, appreso la strada di Comun. Item una Androna appreso la Casa de
Mauro q. Zuane Pinzan, et appreso la Casa de Nicoleto Civran. Item nella
Piazza un' altra Androna appreso Nicolò ditto Colossi q. s. Piero de Gri-
maldo appreso Jacomello Civran. Item nella piazza un' altra Androna ap-
preso il sopradetto Colossi, et appreso la Casa che fu de Nicoletto Coman-
dador. Item un' altra Androna nella Piazza appreso s. Mongolin q. s. Odo-
rigo de Federigo, et appreso la Casa nella qual habita Catterina stazonera,
ò, Bottegera. Item una Androna appreso la Piazza appreso la Casa de s.
Vidal q. Valtrame, et appreso la Casa di Manidati. Item un'altra Androna
appreso Verzero q. Zuane Coiman, et appreso Toma de Baiardo. Item un
Androna appreso la Casa de pre Nicoletto q. s. Novello, et il detto Ver-
zerio dalla banda di sopra della strada comune. Item una Androna dalla
parte di sotto della strada fino al Mare appreso s. Papo de Orso di Capo-
distria, et il detto pre Nicoleto. Item una Androna dalla parte di sotto
della strada comun appreso la Casa de Thoma Gaiardo, et appreso la Casa
de Bertuzi Stariza. Item una Androna dalla parte di sopra della ditta strada
appreso li beni del q. Venier de Pelegrin, et appreso Dona q. Marco de
Marco. Item una Androna dalla parte di sotto della ditta strada appreso li
beni del ditto Thoma Gaiardo, et li beni de Bertuzi q. Dardo Pasqual et
appreso li beni de s. Mongolin q. s. Odorico de Federigo. Item una An-
drona dalla casa di sopra della detta strada, et appreso il Casal de Alberigo
fiol q. Domenego Guecili de Paisana, et appreso la Casa che fu de Andrea
Rita, et al presente, è di Pasqualin Mugisan. Item una Androna dalla parte
di sotto della strada appreso la Casa piana del detto Pasqualin, et appreso
la Casa de Zuane q. Almerigo Carbogno, con altri confini. Item un altra
Androna dalla parte di sotto della strada di Comun appreso la Casa de An-
drea q. Bernardo Paisan, et appreso, i beni de s. Michiel q. s. Mauro de
Varnerio, con li altri suoi confini sino al Mare. Item una Androna dalla
parte di sopra della strada appreso la Casa de pre Nicolo q. s. Novel, et
appreso Marinel q. Venerando. Item una Androna dalla parte di sotto della
strada di Comun appreso li beni de s. Michiel de Vernerio, et appreso Ni-
coleto q. s. Marco, et appreso la Casa che fu et altri confini.
Item una Androna nel medemo luogo dalla altra parte della detta Casa, di
Eredi de s. Marco da dui bande. Item una Androna dalla parte di sotto
della strada di Comun appreso la Casa de m.ro Anzolo stazonaro, et ap-
preso la Casa de Colando da Capodistria. Item una Androna dalla parte
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di sotto della strada di Cornuti appreso il Casal, et orto de pre Nicolo q.
s. Novello, et appreso il Casal de s. Piero q. Almerigo Maran sino alli
muri di Cornuti. Item una Androna dalla parte di sopra della strada di
Cornuti appreso la Casa de s Almerigo Sulcherio, et appreso la Casa de
s. Vidal, q. s. Valtetno di Vidali. Item una Androna dalla parte di sotto
della detta strada nel medemo luogo appreso li beni di s. Berticho q. s.
Zuane Albertin et appreso li beni del ni. pre Thoma Piovati, con altri con-
sorti, sino alla strada comuna di sotto. Item una Androna dalla parte di
sopra della strada di Cornuti appreso la Casa de Andrioli de Griffo, et ap-
preso la casa che al presente, è, di Leon de Leo.
LXI. Di furali delle Regalie quali non debbano più affilar la strada
di Commi, quanto altri vicini.
Item è statuito, che li zuradi delle Regalie non debbano più affitar la
strada di Comun, quanto altri vicini, da alto, ne da basso sotto pena de
soldi Cento senza remission.
LXII. Della pena di quelli che forano pietre che cascano delle Rive di Canedo.
Statuimo che alcuna persona tanto terriera, quanto forestiera non ar-
disca pigliar li sassi delle rive del distretto de Isola senza espressa liccntia
del sig.r Podestà, il quale al presente si ritrova, overo che per tempo sar.\,
sotto pena de soldi Cento, et perder le pietre, la qual pena la meta sia
dell'acusator, et sarà tenuto sccretto.
LXIII. Del podestà qual sia tenuto pagar li debiti del Comun fati al suo tempo.
£ ordinato che ogni Podestà che per tempo sar;\ al Regimento di
questa terra de Isola, sia tenuto pagar con li beni di Comun tutti li debiti
che saranno fatti nel tempo del suo Regimento se potrà, et se non potrà
pagarli, li sucesori siano tenuti pagar il detto debito di beni di Comun.
LXIV. Della pena di quelli che jarano strada publica per li campi lavoradi,
overo per vigne lavorade.
È statuito, che niuno ardisca far strada publica per li campi, ò, vigne
da altri lavorade, ò, lavoradi sotto pena de soldi otto, la qual per la meta
sia del Comun, et l'altra meta del patron delle vigne, ò, campi.
LXV. Delle strade ordinarie, dover star in quel stato che si ritrovano et delle
strade da esser con^e nel mese di Agosto.
Statuimo, et ordinamo che tutte le strade, che sono composte, et or-
— 176 —
dinate nelli confini de Isola debbano esser, et permaner così per Pavenir,
sicome son poste, et ordinate, et ciascun Podestà, ò, Vicario del Podestà,
con li procuratori di Comun, et con dui Giudici di Comun che per tempo
sarano in Isola siano tenuti andar sopra dette strade ogni Anno nel mese
di Agosto fra otto giorni nel intrar di detto mese di Agosto, et sopra
veder le predette strade. Et se in alcuna cosa farà bisogno ad esse strade
all'hora siano tenuti farle acomodar come meglio li parerà da esser fato da
quelli che haverano li suoi beni più appreso à dette strade ; Dovendo liaver
il Giudice con il Nodaro soldi quattro per ciascun giorno che andarano, et
li Procuratori habbino il terzo della pena di quelli die cascaranno in pena
et che non acomodarano esse strade.
LXVI. Della pena di quelli che nelle pia^e di Comun getarano Vinate,
Polpame, ò, altro sporcherò.
Item statuimo che niuno ardisca gietar nelle Piazze de Alieto, et sopra
il mare, et nella piazza nuova, vinaza, ledame, polpame, ne alcun spor-
chezo nelle predette piazze, ne in esse in alcun modo far alcun sporchezzo
sotto pena di pagar soldi vinti al Comun de Isola per ciascuna volta, che
alcuno contrafara, et ciascuno sia tenuto manifestar il contrafaciente al
Podestà, et sarà tenuto secretto. Item che li conduti di esse Piazze deb-
bano esser netati et pallati quando haveranno bisogno, et quello ledame
qual sarà appallato debba esser levato fra tre giorni nella pena predetta. Et
ciascuno che cavara nel palu del porto di Comun, et lo ponera nelle piazze
predette, sia tenuto portarlo fuori delle dette piazze nel termine de giorni
quindece doppo che haveranno cavato detta Palude in pena de soldi vinti
per ciascuna volta che sarà contrafatto.
LXVII. De non meter ledame nel Barbacan delle porte.
Niuno ardisca meter, ò, mandar ledame nel barbacan della porta, ò,
avanti la porta, et nel Arzere drio al fossato, et appreso il ponte di Comun
et atorno la fontana in pena de soldi diese, et non preiudichi li lachi che
sono in capo di campi.
LXVIII. De non cavar vermi nelli moli, et porporari di Comun.
È statuito, et ordinato che niun Homo, ò, Dona grande, ò, picolo sia
'ardito cavar vermi di Moli, ò, porporari di Comun in pena de soldi tre,
la mita sia del comun, et l'altra mita del acusador, et ciascuno che vedar.i
possa manifestar, et sarà tenuto secretto.
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LXIX. Del far le mede de feti.
È decretato, et providamente affermado, che niuno sia ardito far mede
di fieno in Isola tra le Case, ne nelle Case che haverano pariete, ne in so-
laro nel qual si facia fuoco di sotto, ò, di sopra in pena de soldi quaranta
et restituir il dano dato al patiente, et le dette mede che vora far sia te-
nuto farle nel fossato di Comun, ò, nel Viero, ò, nelli luochi predetti dove
gli parerà meglio di farle, et non in altri luochi nella pena predetta ; Resti
ancora in discretion del Sig.r Podestà, che si possi far dette mede in altri
luochi dove non sia pericolo.
LXX. In qual maniera li Procuratori di Comun devono per legar il terreno
di Comun.
Statuimo, et ordinamo, che li Procuratori di Comun deputadi a per-
tegar il terreno di Comun, siano tenuti, et debbano quel terreno che an-
darano à perticar ad alcuna persona perticarlo sotto questa condicion, et
forma, cioè che siano tenuti, et debano perticar ciascuna piuina da per se,
et perticar da dui ladi per longhezza pertiche di comun cinquanta, et da
ciascun Capo perteghe Dodese è meza Dovendo haver gli ditti Procuratori
per suo salario, et faticha soldi due de picoli per ciascuno per ogni volta.
LXXI. De non vender la terra delle Regalie del Commi de Isola, overo del
terreno di Comun, se non al Incanto nel magior Conseio.
Item è statuito, che niun Podestà debba per l'avenir vender ad alcuno,
ò, alienar della terra delle Regalie de Isola, ò, del terreno di Comun se
non al Incanto solamente nel magior Conseio et siano date al più offerente,
et se sari fatto altramente manchi di fermeza.
LXXII. De non lavorar il terreno della Valesella.
Item statuimo, et ordinamo che niuno Cittadino de Isola ardisca per
l'avenir lavorar del terreno della Valesella, cioè dalla strada che va à san
Basso verso Isola de sotto la sera in pena de pagar lire Vinticinque Ve-
netiane al Comun de Isola, et il lavoriero che sarà fatto sopra sia reduto
in niente. Et il podestà non debba dar licentia ad alcuno che volesse la-
vorar del predetto terreno. Et niuno nostro cittadino sia ardito conoser, ò,
ricever del detto terreno da alcun huomo de Pirano overo da alcun altro
forestiero sotto la predetta pena da esserli tolta dal Comun inremisibilmente.
Et tamen sia in arbitrio del Sig.r Podestà di lavorar, ò, dar licentia di la-
vorar del ditto terreno.
ìs
-I78-
LXXIII. Di denari tolti ad imprestido dal Cornuti da alcuno Cittadin de Isola
de restituirli in danari.
Statiamo che ciascun Podestà che per tempo sarà al Regimento di
questa terra de Isola, che li denari quali torà ad imprestido da alcun nostro
Cittadino de Isola, sia tenuto restituirli in denari solamente della Camera
di Comun.
LXXIV. Che niuno ardisca discargar feno nel porto, et che li beccari non
ardiscano gelar dentro sangue, ò, altre inmondicie.
Item statuimo che alcuna persona terriera, ò, forestiera non ardisca
discargar fieno nel porto del Comun de Isola. Et ancora che li beocari non
ardiscano getar sangue, ò, far getar altre inmondicie in esso porto. Item
che alcuno non ardisca lavar alcuna barca in esso porto : Et ancora non
ardisca getar la savorna, ò, inmondicie in porto, ò, sopra il muoio di esso
porto, sotto pena de soldi quaranta de picoli, la qual pena la meta sia del
acusator : Item che alcuno non ardisca fichar alcun palio in esso Porto, ne
tenir alcun vivaro di pesse sotto la detta pena : Item che alcuno non ar-
disca tenir alcun Navilio, ò, zoppo affondato ad porto sotto la predetta
pena. Item che niuno ardisca sechar l'acqua del suo Navilio, ò, barella sotto
la predetta pena.
LXXV. Incomincia il Capitolo di Vice Domini.
Statuimo che siano fatti dui Vice Domini nel magior Consiglio, et
siano elletti come gli altri officiali djl Comun, quali Vice Domini debbano
esser, et permaner nell'officio della Vicedominaria per un Anno compido,
cominciando dal primo di de Maggio, alle mani de quali, et nella lor cu-
stodia debba pervenir tutti li Instrumenti, et abreviatare, et ragion si come
si contien nelli infrascritti Capitoli.
LXXVI. Del Salario di Vice Domini, et suo officio.
Primieramente, che li Vicedomini, che per tempo sarano debbano haver
dal Comun de Isola per loro salario di un'Anno per ciascuno, et ognun
di loro grossi quindese de denari grossi Venetiani, con queste condicioni,
che essi Vice Domini non possino haver alcun altro officio nella terra de
Isola, mentre sarano in officio della V. Dominarla ; tamen possino ben
andar in Consiglio quando si farà di qualunque cosa, et se occorera pigliar
qualsivoglia breve della ellecion di officiali, et far la ellecione che li occo-
rera per il breve, osservato tamen in ogn' uno di V. Domini quali per
— 179 —
tempo sarano il statuto, nel quale si contiene della elletion di officii. Et li
detti V. Domini debbano haver il detto suo salario la meta nel principio
dell'Anno, et l'altra meta nel principio del altro mezo Anno.
LXXVII. Che li Vice Domini debbano esser esenti da tutte le fationi.
Itern che li V. Domini quali per tempo sarano debbano esser esenti
da tutte le facioni della terra de Isola, cioè dalla guardia di Notte, et di
giorno dall' Esercito, et delle altre facioni di lavorieri, et Angarie che si
faranno per il Comun : Eccetto che dalla colta, ò, Avedaticho, et dal Dacio
del Vino, et delli altri Datii di Comun dalli quali non sien essenti.
LXXVIII. Quando il V. Domino sarà chiamato al far di alcun lustramento.
Itein qualunque volta, et ciascuna volta, che alcun V. Domino, sarà
chiamato al far di alcun Testamento, Instrumento di Dotte, ò, Matrimonio,
ò, Inventario, ò, Instrumento de Division, sia tenuto, et debba andar in
quel luogo, et il Nodaro che sani chiamato, et rogato, à scriver tal Instru-
mento, sia tenuto alla presentia delle parti abreviar, et scriver il testamento
secondo la volontà del Testador, et secondo la forma del Statuto, et simil-
mente li altri soprascritti Instrumenti alla presentia delle parti, et Vice Do-
mino presente le parti, et coutente, abreviarli, secondo li patti, et volontà
di contrahenti. Et li Vice Domini debbano haver appreso di se, et conservar
in Vice Dominarla la Inbreviatura di Testamenti Dotte, Inventarli, et Di-
visioni, Et quel Vice Domino che sarà chiamato ad alcun Testamento, ò,
Instrumento di Dotte, debba haver per sua mercede, et faticha de ciascuna
imbreviatura di testamento et Instrumento di Dote picoli dodese; Et simil-
mente di ciascuna Imbreviatura de Inventario, et Divisioni. Et qualunque
volta che alcuno di essi Instrumenti, de Testamenti, Dotte, Inventarli, et
Divisioni sarano autenticati per il Nodaro, tutti dui li Vice Domini deb-
bano il detto Instrumento Vici Dominar, se uno di loro per iusta causa
non sarà absente, per infirmita, ò, che non fusse nella Terra ; Et all'hora
il V. Domino, che sarà nella terra debba scriver la causa della absentia
dell' altro Vice Domino, che non sarà nella terra, ò, se sarà infermo. Et
essi V. Domini debbano haver da quello che esso Instrumento di Dotte,
Testamento, Inventario, ò, Division, farà V. Dominar denari sedese de pi-
coli di qualunque tal sorte de Instrumento autentico da esser V. Domi-
nato : Et che il Nodaro che autenticara l'Instrumento, Testamento, ò, Dotte
sia tenuto esso Instrumento quanto prima sarà relevado scriverlo in auten-
tico di sua man propria nei quaderni della Vice Dominaria, cioè de Inven-
tarli, et Instrumenti de Division, ne li Vice Domini, ne li Nodari che ha-
— 180 —
verano scritto essi Instrumenti, non siano tenuti scriverli nelli quaderni
delli V. Domini, ma solamente siano tenuti li V.e Domini la abreviatura
scritta per il Nodaro, tanto de Inventario, quanto de Division, per essi V.
Domini debba esser salvata in Cancellarla havendo per Vice Dominar cia-
scuno di tal sorte de Instrumento autentico danari sedese de picoli, da
qualunque che tal Instrumento venira in favor : Et se alcuno delli V. Do-
mini sarà chiamato ad alcuno contratto di Matrimonio doppo che l'Instru-
mento di Dotte sarà abreviato per il Nodaro, ò, Instrumento di Matrimo-
nio, esso V. Domino chiamado sia tenuto far lezer essa abbreviatura da-
vanti le parti, et salvar quella nella V. Dominarla et debba con testimonii
chiamar il sposo, et sposa, et far che si diano la mano in fede ad Invicem
per affermar il matrimonio se le parti contrarienti sono contente di esso
matrimonio. Item ogni volta che sarà presentato ad alcuno delli V. Domini
alcuna sententia, ò, comandamento fatta per il Sig.r Podestà, per li Giudici
ò, Vicario del Podestà, ò, per Arbitri scritta tra alcuno, tanto per il No-
daro del Podestà, ò, per il Cancelliero esso V. Domino debba quella V.
Dominar essendo contente le parte fra quindese giorni : Et se le parte non
contentarano, sia in arbitrio del sig.r Podestà farla V. Dominar, secondo li
altri Instrumenti, similmente facia delle Carte de incanti fatte con autorità
del Sig.r Podestà : Et debba haver da quello al quale essa sententia, ò, pre-
cetto aspeta, per ciascuna sententia ò, precetto da soldi quaranta in su,
quattro picoli, et da soldi quaranta in giù dui picoli tra essi V. Domini,
et non più : Et li V. Domini non siano tenuti a scriver nelli loro qua-
derni le sententie, ne precetti fatte per il sig.' Podestà, Giudici, ò, Vica-
rio: Item che il Cancelliero di Cornuti et della Estimarla, compiti li quat-
tro mesi, del loro officio della Cancellaria, et Estimarla siano tenuti a pre-
sentar alli V. Domini nel termine di un mese li quaderni che haveranno
havuto per il loro officio della Cancellaria, et Estimarla : Et il Nodaro del
Podestà, che per tempo sarà, similmente sia tenuto compido il suo tempo
presentar, et consigliar alli V. Domini, ò, a, uno di essi li suoi quaderni
di ragion, et atti della Chorte, li quali quaderni siano tenuti li V. Domini
salvar appreso di se nella V. Dominarla : Item che li V. Domini che per
tempo sarano, overo uno di loro siano tenuti ricever, et V. Dominar, et
scriver ordinatamente nei suoi quaderni, overo uno di loro quel che sarà
chiamato ò, quello che li sarà presentato V Instrumento delle parti presenti,
et contenti, et alla presentia delle parte legier l' Instrumento, atti, contrari
seguiti tra le parte. Tutti li Instrumenti di vendicion, proclamation di de-
biti, suppignoratim, ò, obligation, Donation, location, et altri Instrumenti
fatti, et contrati tra li convicini della Terra de Isola, overo da Cittadino,
— 181 —
a forestiero da soldi quaranta in su, et da soldi quaranta in giù li V. Do-
mini, ne alcuno di loro siano tenuti registrarli nelli loro quaderni. Et deb-
bano haver li V. Domini per il suo pretio, ò, lavoriero da ciascuno In-
strumento de quaranta soldi in su denari quattro tra di loro, et da qua-
ranta soldi in giù denari de picoli dui et non più, et tutti dui li V. Do-
mini debbano Vice Dominar tal sorte de Instrumenti, et ragioni: Item che
li V. Domini, ò, uno di loro almeno debbano continuamente, e ogni giorno
esser et restar nella Terra de Isola sotto pena de soldi vinti de denari pi-
coli per ciascuno di loro, et ciascun giorno : Item che nelli giorni di Mer-
core et di Venere neli quali il Sig.r Podestà sarà in ragion, li V. Domini
debbano aprir, et tener aperta la Vice Dominaria, et in quella star fin tanto
che il Sig.r Podestà stara, a, render ragione sotto la predetta pena per cia-
scun di loro, et ciascun giorno : Item che li V. Domini, overo uno di loro
debbano haver, et siano tenuti copiar nelli loro quaderni, et tener appreso
di loro tutte le condane fatte per il Sig.r Podestà per tutto l'anno del suo
officio. Et debbano, et siano tenuti scriver nelli loro quaderni tutte le In-
trade, et spese del Comun, le quali pervenirano alle mani di Camerari di
Commi per tutto l'anno, et li Vice Domini debbano haver dal Comun li
quaderni, et Carta bombacina, à loro necessario bisogno per essercitar il
loro officio.
LXXIX. Che alcuno non ardisca intrar nella V. Dominaria senio, licentia del
Sig.T Podestà.
Item statuitilo, che alcuno non debba intrar nella V. Dominaria senza
licentia delli signori in pena de soldi vinti de picoli per ciascuno, a simil
pena caschi il V. Domino che li lassara intrar, et se tutti dui li V. Do-
mini li lassarano intrar, tutti dui paghino soldi Vinti per ciascuno.
LXXX. Che li V. Domini siano tenuti dar in scrittura olii Camerlenghi
de s. Mauro tutti li legati tassodi alle Chiese de Isola.
Statuitilo, che per l' avenir perpetuamente li V. Domini di Comun,
overo alcuno di loro, siano tenuti dar in scrittura alli Camerlengi della
Chiesa di S. Mauro ogni legato lasado, à ciascuna Chiesa del distretto de
Isola per alcun Testamento, à, loro pervenuto: Et questo fra quindese
giorni doppo la morte del Testator, ò, Testatrice di essi testamenti, la qual
cosa se non farano per pena paghino al Comun soldi quaranta de picoli :
Et dati li sopradetti scritti per loro, ò, alcuno di loro V. Domini, li Ca-
merlengi sopradetti essi siano tenuti riscuoter tutte le cose contenute in
essi Testamenti pertinenti alle chiese de Isola : Item delle cose (assade nelli
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testamenti fatti il tempo passato, resti in discretion del Sig.r Podestà et
suoi Giudici, à, mandar le cose predette in essecution. Et fu fatto questo
statuto del 1338.
LXXXI. Che alcuno V. Domino, ò, Nodqro de Isola non possi esser Procurator.
Item statuàrio, che alcun V. Domino, ò, Nodaro de Isola, non possi
esser Procurator di alcuno Cittadino, ò, forestiero sotto qual si voglia modo,
ò, ingegno.
LXXXII. Del V. Dominar li lustramenti delle Possessioni, che sono obligate
al Comun.
Item, che alcuno V. Domino, per 1' avenir in niun modo ardisca, ne
debba V. Dominar alcun Instrumento di Vendicion, Donation, Alienation,
ò, Cession di alcuna possession, terreno, ò, Vigna per la quale paghi affato
al Comun, se prima non sarà traslatado tal sorte di terreno, sopra il Re-
gistro delli terreni di Comun, in quello al quale sarà alienata essa posses-
sion, ò, pignoration cascata di termino per alcun debito sotto pena de lire
Vinticinque de picoli, la qual pena il terzo sia dell' accusator, et sia tenuto
secreto, et le altre dui parte devengano nel Comun.
LXXXIII. Delli camerari di Comun quali siano tenuti dar Piegarla de lire
quattro Cento.
Statuimo, che ciascuno che sarà Cameraro di Comun, avanti che ri-
ceva in se alcuna cosa di beni del Comun, sia tenuto dar una piezaria al
Comun de lire quatrocento de piccoli, et in tanto di più siano tenuti li
Piezzi, quanto di più fusse intacato per esso Cameraro.
LXXXIV. Della pena di Camerari, che non restituiscono li denari, et Cose
del Comun al sucedente Cameraro.
Item statuimo, che ciascun Cameraro di Comun, fra 1' ottavo giorno
doppo che sarà uscito del suo officio debba restituir, et designar al suce-
dente Cameraro, tutte le cose, et tutti li denari spetanti al Comun et non
debba ritener appreso di se alcuna cosa, sotto pena del dopio di tutto quello
che non restituirà, et designara come si è detto.
LXXXV. Del officio et salario di Camerari del Comun.
Item statuimo, che ciascun Cameraro di Comun debba haver dal Co-
mun per suo salario de quattro mesi lire cinque, et sia tenuto render conto
al sig.r Podestà alla presentia di Giudici di Comun de tutte le intrade, et
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uside del Cornuti : Et debba far tutte quelle cose pertinenti al suo officio
che sarano necessarie per il Comun. Et sia tenuto pagar la colta : Et li
conti di ciascun Cameraro nel usir del suo officio si debba leger, et pu-
blicar nel magior Consiglio.
LXXXVI. Del Cameraro di Commi qnal sia tenuto far li suoi conti con il
Sig.* Podestà, ò, suo Vicario, de luti e le In! rade, et Uscide del Comun.
Statai mo, che ciascun Cameraro di Comun sia tenuto far conto con
il Sig.r Podestà, ò, suo Vicario de tutte le Intrade, et Uscide di Comun
de tutto il tempo della sua Podestaria, et quelli conti leger nel magior
Conseglio, et non voglia, ne possa di denari, ò, di beni del Comun, overo
de tutte le altre cose, ò, denari di alcuno alle sue mani pervenuti pigliar
per se, ne ad alcuno in alcun modo imprestar, ò, alienare, se non sola-
mente de mandato del Sig.r Podestà, ò, suo Vicario sotto pena de soldi
quaranta per ogni volta che sari contrafato: Oltre di ciò se saverano, ò,
sentirano che nasca alcuna rissa di parole, ò, di fatti, o, advenira tra al-
cuno, ò, alcuni Indecentemente, essi siano tenuti manifestarlo al Sig.r Po-
desta, ò, suo Vicario, se il Podestà non sarà in Isola, quanto prima potrà,
et sia tenuto secretto.
LXXXVII. Dilli Advocati, et loro pagamento.
Statuitilo, che ogni quattro mesi, si debba ellezzer nel Magior Con-
seglio per il Comun quattro Advocati, quali siano tenuti giurar di far ret-
tamente, et legalmente l'officio dell'Avocato, a, tutte le sorte di persone
che loro prima ricercarano, quali debbano haver di ogni placito da qua-
ranta soldi in giù denari dodese de picoli, et da quaranta in su soldi dui
de picoli, tanto di cosa mobile, quanto di cosa inmobile perseverando nella
causa fin al fine, et possino haver ogni altro officio, et breve.
LXXXVIII. Della Piegarla quale sono tenuti dar li Eslimatori, et del loro
sagramento, et officio.
Statuimo, che li Estimatori di Cornuti de Isola quali per tempo sarano
in officio della Estimarla, siano tenuti dar al Comun una piezzaria de lire
Cento Venetiane de picoli per ciascuno, et giurarano di far, et essercitar
tutte le cose pertinenti al suo officio, con bona fede, senza fraudò secondo
la forma del statuto della Estimarla, et che non gioveranno al amico, ne
BOCerano al nemico per fraude, premio. Dono, ò, servicio non riceverono,
ne fatano ricever da altri per loro in alcun modo, ò, ingegno; Et se save-
rano alcuna cosa esser tolta per si, ò, per altri quello facino restituir quanto
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prima lo saverano, ò, potrano: Et tutte queste cose osservarano con bona
fede senza fraude in pena di sagraniento, è, più, à volontà del Sig.r Po-
desta : Et oltra di ciò siano tenuti li Estimatori conservar tutte le carte,
et segurta che pervenirano in loro potestà : Et se nasera alcuna discordia
sotto al suo governo tra alcuni de parole, ò, de fatti Indecentemente siano
tenuti, à denonciarli al Sig.r Podestà, et non essendo in Isola il sig. Po-
desta al suo Vicario in pena de soldi diese, et siano tenuti secretti : Et il
Cancelliero delli Estimatori sia tenuto giurar di osservar tutte le sopradette
cose, ma non sia tenuto dar Piezaria.
LXXXIX. Del Fontegaro di Comun.
Statuimo che quello, che sarà Eletto aPofEcio della fontegaria, et re-
stara in detto officio, compido il suo officio non possi esser eletto in detto
officio in sei mesi prossimi Venturi, et se sarà eletto manchi di fermezza
detta elettione.
LXXXX. Del modo, et forma di elegier li Capi delle Contrade.
E statuito, et ordinato che l'officio di Capi delle Contrade debba andar
per breve del Magior Consiglio, talmente, che per ciascuno capo delle con-
trade si debba poner un breve, et quel huomo del magior Conseglio al
quale uno di quelli brevi tochara debba ellezer uno huomo per sacramento
della sua contrada, qual sia utile per capo della contrada in pena de soldi
quaranta da esser pagati al Comun senza remission, et la detta ellecion sia
revocada per niente, et tutti li homeni de Conseglio che sarano di quella
contrada in quella volta debbano desender dal Palazzo nella predetta pena,
et, à niuno sia lecito elezer quel Capo de contrada che fusse stato in quel
Anno passato, sotto la medesima pena, et oltra di ciò la predetta ellecion sia
Cassada ; et ciascuno che sarà nel detto officio de Capo di Contrada possi
haver altro officio, non pregiudicando a lui alcun Capitolo del Statuto di
Capi delle contrade.
LXXXXI. Del sagraniento di Capi delle Contrade.
Item è statuito, che i capi delle contrade del Comun de Isola, che per
tempo sarano in Isola, giurarano far, et essercitar tutte le cose pertinenti
al suo, ò, suoi officii, et non giovarano al amico, ne nocerano al nemico
per fraude, premio, Don, ò, servitio non pigliarano, ne farano pigliar per
,se, ne da alcun altro per loro, in alcun modo, ò, ingegno. Et se saverano
alcun per loro haver ricevuto alcun Don, premio, ò, servitio quello facino
restituir quanto prima lo saverano, ò, potrano le qual tutte cose, i detti
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Capi osservarano, con bona fede, senza fraude in pena di sagramento, et
più, à, volontà del Sig.r Podestà.
LXXXXII. Di Capi delle contrade quali non debbano haver alcun salario del
Comun, eccetto la sua Colta da soldi vinti in giù, et non siano tenuti far
guardia.
Niuno Capo delle contrade de Isola debba haver alcun salario, ò, altro
dal Comun, ecceto la sua Colta, sotto pena de soldi diese de picoli se non
lavorase in deffension, o, honor della Terra de Isola, et anco sia in arbi-
trio del sig.r Podestà ; et niun capo de contrada sia nel medesimo officio
se non solamente da quattro mesi, et sia tenuto pagar la colta da Vinti
soldi in su, ritenendo li detti vinti soldi in si, et non sia tenuto far guardia
in la terra ne di giorno ne di note.
LXXXXIII. Che ciascuno officiai debba haver in scrittura il suo Capitulare.
Ifem statuimo, che ciascun ufficiai, che per V avvenir nella terra de
Isola sarà elletto in alcun officio del Iudicato, Cameraria, Cancellarla, An-
cianaria, Procurarla, Avocarla, Iusticiaria, et in tutti li altri officii, debba
haver in scrittura tutto il capitular pertinente al suo officio, avanti che entri
in officio, in pena de soldi vinti per ciascuno, et ciascuna volta che sarà
contrafatto : Qual veramente scritto, et copia debba esser copiata in carta
bergamina a spese del Comun, et darla a tutti li officiali, quali officiali
siano tenuti atentamente conservar la detta copia, et nel fine del termine
del suo officio, siano tenuti presentar il detto capitular al Sig.r Podestà, ò,
Vicario che per tempo sarà ; Et il detto sig.r Podestà, ò, suo Vicario pre-
sentata la detta copia alli officiali presenti nella seconda muda, quali siano
tenuti farsi legier il suo capitular almeno una volta al mese in pena di
sagramento.
LXXXXIV. Delli Ambasciatori che saranno mandati per il Comun.
Statuimo, che qualunque volta, per necessaria causa, et utilità il Comun
sari astretto mandar Ambasciator, ò, Ambasciatori in alcuna parte, per il
Sii,r.r Podestà, et per li suoi Giudici, debba ellegersi, et mandar quello, ò,
quelli che saranno più discretto, ò, discretti, et suficienti, il quale, ò, per
li quali li negotii, a, lor commessi debbano con il magior, et melior utile
compirsi. Et niun Ambasciator del Comun de Isola non debba, ne possi
far altramente, se non secondo che li sarà commesso, senza volontà del
signor Podestà, et del magior Conseglio: Il pagamento, et salario di essi
sia in arbitrio, et discretion del sig.r Podestà,
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LXXXXV. Della Eìletion di Camerari di S. Mauro.
Statuitilo, che li Camerari della Chiesa de m. san Moro debbano esser
elicti nel magior Conseglio secondo che si ellegono li altri offitiali, et deb-
bano star in esso officio per un' Anno compido, et non possino haber alcun
officio fin che non compirano esso Anno. Et debbano haver picoli sei per
ciascuna lira de danari quali essi manegiarano : Et in quel'hora che sarano
Elieti in esso Conseglio possino se vorano refudar esso officio, et non al-
tramente. Et quelli che ellegerano essi Camerari non debbano perder per
il detto officio alcun breve, se non secondo che perdono li altri offitiali
che hanno, et ellegono in esso Conseglio : Et similmente nel detto Conse-
glio si debba ellezer al breve un Nodaro, il quale sia Nodaro di detti Ca-
merari per un'Anno, et esso officio non li debba preiudicar il quale possi
haver altro officio. Et detto Nodaro per suo salario debba haver in detto
Anno lire tre, et li elletori del detto Nodaro non debba perder il breve,
se non secondo che si osserva nelli altri, che ellegono li altri offitiali: Et
li detti Camerari siano tenuti ogni quattro mesi far conto con il Sig. Po-
desta delle Entrade, et spese della detta Cameraria; Et debbano haver dui
libri uno delle intrade, et l'altro delle spese: Et similmente il Sig.r Po-
desta come sarà nella fine del suo Regimento debba mostrar li conti al
suo sucessor con li Camerari predetti della detta cameraria: Et essi Came-
rari debbano esser nella terra, et così si facia li conti, come si fa della
Intrada, et usida del Comun. Et se tutti dui per iusta causa non sarano
nella Terra li facia con li suoi officiali che sarano nella Terra: Et non sia
iecito ad alcuno di essi Camerari spender del haver, et beni de essa Ca-
meraria senza 1' altro, et senza licentia del Sig.r Podestà. Et quando sarano
elletti siano tenuti, à, giurar di far il suo officio legalmente, et secondo il
modo predetto, Et tutti li doni che sarano offerti, et Ellemosine, ò, dimis-
sorie lassade, à, essa Chiesa, debbano esser Comuni ; Et essi Camerari siano
tenuti riscuoter tutte le cose lassade à esse Chiese, Et tutte le raggioni di
esse Chiese ; Et medesmamente siano tenuti far accomodar una chiesa, come
l'altra quando sarà de bisogno.
LXXXXVI. Delle Chiave della Ca sa di santo Mauro.
Statuimo, et ordinamo che la Cassa nella quale stano li Calici, et Croce,
et le altre cose della Chiesa di S'° Mauro, habbia dui Chiave, una delle
tjuali tenga il Podestà, et 1' altra la tenga uno delli Camerari ; et 1' altro
Cameraro, che non ha chiave debba tener la Cassa, con le cose dentro
delja detta Chiesa : Et che nisuno Cameraro debba, overo presuma dar, ò,
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prestar alcuna cosa delle dette robbe di S'° Mauro ne con segurta, ne senza
ad alcuna persona, salvo per necessita del dir la messa possano prestar alcun
Calice, et il detto giorno se lo facino restituir : Et ciascuna festa solenne,
Ct principale li detti Calici, et Croce si debbano poner sopra 1' altare : Et
finito li oìficii si debbano reponer nella detta Cassa.
LXXXXVII. Del Dacia del Fin de soldi 16 per orna.
Statuimo, che ciascuna persona che nelle Taverne venderanno Vino
in Isola debbi pagar al Comun soldi sedese per ciascuna orna.
LXXXXVIII. Del Dado della Pescarla.
Statuimo, che qualunque che al Incanto levara il Dacio della Pescarla
del Comun de Isola debba haver da ciascun venditor di pesse un danaro per
ciascun soldo di pesse, che si vendara in Isola, ò, freschi, sechi, ò, Insalati.
LXXXXIX. Del comprator di Mexeni.
Item statuimo, che ciascuno che incantare, ò, comprarti il Dacio di
Mezeni, et stari di formento, et altre biave, et pomi habbia, et guadagni
danari sei del Mozo de pomi, et della biava che in Isola se ne mesurara
per vender, et chi vendara biava al staro in piena per l'avenir non sia te-
tenuto pagar cosa alcuna.
C. Del Comprator delle Saline.
[tem e statuito che se alcuno incantara, et comprara la ragion delle
vendite di Comun del sale habbia, et guadagni la setinia parte del sale elic-
si cavara delle saline de Isola.
CI. Del Comprator di Bra^olari, et stadiera.
Item, è statuito che ciascuno, che comprara et bavera il Dacio di Bra-
zolari del Comun, et stadiera habbia, et guadagni danari sie per ogni cen-
tcnaro di pano, ò, lire che con il brazolaro, ò, stadiera del Comun si me-
surara, ò pesara in Isola.
CU. Dell'i Torchiali.
Statuimo, et orJinamo che ogni persona che farà far oglio al Torchio
in Isola, debba pigliar per si mesure diece di esso oglio, et la undecima
mesura sia tenuto dar alli Torchiari che lavoreranno esso oglio : Et li detti
Torchiari, siano tenuti pagar le ragion della Torchiarla, et caldiere, et li
Torchiari non debbano pigliar più, ne alcun debba dar più in pena di pagar
— 18» —
soldi vinti al Comun quello che darà, ò, pigliara più ; Et ogni Torchio
sia tenuto haver una orna, ò desetina iusta sotto pena de soldi vinti per
ogni volta che contrafara.
CHI. Della Brenta di Pomi.
Statuimo che ciascun homo, che Incantara, et comprara le rason della
brenta di Pomi, et altri fruti del Comun de Isola habbia, et guadagni un
denaro picolo de ogni brenta de pomi, da ciascun venditor de pomi che
in Isola se mesurarano, et dal comprator denari sei de ogni Mozo de fruti;
Et non si debbano partir tanto il venditor, quanto il comprator dal luoco
dove détti fruti si vendono, se non pagarano la detta rendita al Comun,
overo al comprator del detto Dacio in pena de soldi otto, la meta di quali
sia del Comun, et l'altra del comprator del detto Dacio.
CIV. Del staro delle Ceriese, et pomi.
Statuimo, che il staro delle Ceriese debba esser de peso de lire Cento
alla stadiera, et che il staro de tutti li pomi debba esser dui mezene colme
et non si debba meter alcuna cosa atorno la mezena.
CV. Di quello che bavera delle saline di Comun, che sia tenuto render conto
al Comun di esse saline.
Statuimo, che se alcuno havera delle saline di Comun, che esso debba
render conto al Comun : Et se esse Saline non lavorerà ogni anno che il
patron di quelle saline sia tenuto render conto al Comun in quel Anno per
ratta; tanto come delle altre saline, che sarano lavorate del predetto Anno,
et per l'avenir.
CVI. Del comprator del Dacio di Tomi, Ceriese, et altri frutti.
Item, è statuito, ciascuno, che comprara le ragioni di Mezeni di Pomi,
et altri fruti, debba pesar le Ceriese, havendo per peso un denaro de picoli
per ogni mezena de Ceriese dal Venditor tanto ; Et della quarta delle Ce-
riese in giù, non debba haver cosa alcuna, et niuno altro debba pesar le
dette Ceriese, se non il comprator del Dacio, ò, altri per lui de ciascun Mozo
di Calcina picoli sei, per ogni mezena di fecie picoli uno dal Venditor.
CVII. Del Dacio del Fin de picoli sei per orna.
' Item statuimo, che per l'avenir ciascuna persona che vendara, ò, farà
vender vino, à, orna sia tenuto pagar, à, quel Daciaro, sotto il quale sarà
travasato picoli sei per orna.
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CVIII. Del vino che si vende a spina, che il Venditor sia tenuto pagar soldi
vinti per ogni mese.
Statuimo che ogn'uno, di uno, et 1' altro sesso, che vendara vino à
spina, ò, a Taverna nella Terra de Isola, altro vino, che delle sue proprie
vigne, sia tenuto pagar per ciascun mese al condutor del Dacio, ò, al suo
Nontio, soldi vinti de picoli, mentre pero che tavernino altro vino, che del
suo proprio : Intendendo che ogn' uno similmente di uno, et l'altro sesso
adiuvando le cose humane, et utilità delle altre persone, che chi tavernara
del suo proprio vino, sia tenuto il tavernaro pagar il detto Dacio de soldi
vinti per ogni mese al condutor sopradetto, non intendendo, che più de
uno debba pagar il detto Dacio, se più sarano che tavernino insieme con
Vino, à, compagnia.
CIX. Il Dacio de Danari sei de picoli per orna.
Statuimo, et ordinamo che ciascun Citadin, ò, habitante in Isola, ó
forestiero, che al presente ha vigne, ò, che per l'avenir ne havera nel di-
stretto de Isola, et volendo le Uve, ò, vino cavato di esse Vigne cavar,
ò, portar fuori della Terra de Isola, ò distretto, sia tenuto et debba pagar
per ciascuna orna de Vin il Dacio al Comun de denari sei de picoli, et se
lo vora estrazer in uva similmente sia tenuto pagar danari sie de picoli
per orna, secondo che sarano estimate, et se condurano uva, ò, vino in
Isola, et quel vino vendarano in alcun modo, ò, ingegno siano tenuti pagar
ciascun venditor denari sie de picoli. Et ciascun che comprara vino da al-
cuno, ò, alcuni, et esso vino vorano revender in qual si voglia modo, ò,
ingegno, sia tenuto pagar esso Dacio al Comun, denari sei per orna, et
tante volte quante il vino sarà venduto, all' hora il Venditor sia tenuto
pagar al Comun denari sei per ciascuna orna, Et a ciò non se intendano i
Pretti in quanto delle vigne, et possessioni che haverano di suo patrimonio
ma delle vigne aquistate siano tenuti pagar come di sopra: Et ciascuno che
comprara vino dal alcun prette, del Vino che sarà de suo patrimonio, il
comprator sia tenuto pagar al Comun denari sei per ciascuna orna.
CX. Che tutti quelli che haverano salario del Comun, siano tenuti notificar al
Sig.' Podestà tutti li banditi, tanto nella persona quanto nella robba da
soldi Cento in su quando quelli vedarano in Isola.
Statuimo, che tutti li Giudici, et altri officiali, che haverano, ò, rice-
verano alcun salario dal Comun de Isola, siano tenuti, et debbano acusar
al Sig.r Podestà, ò, suo Vicario tutti li banditi della terra de Isola tanto
— li-
neila persona quanto nella robba da soldi Cento in su quando li vedarano,
et con ogni suo poser prestar aiuto et favor, che essi banditi siano presi,
et siano condotti nelle forze del Sig.r Podestà et del Commi, la qual cosa,
se non farano paghino al Comun soldi Cento in nome di pena per cia-
scuno, et ciascuna volta nel terzo giorno che contrafarano, sotto pena del
quarto. Se alcun altro acusara alcuno di detti officiali, et dira essi officiali,
alcuno, ò, alcuni banditi havera visto; et non 1' bavera acusato al Sig.r
Podestà, ò, suo Vicario debba haver il terzo della detta pena, se per la
sua acusa si potrà ritrovar la verità della Cosa, et siano tenuti secretti.
CXI. Del salario di Cancellieri.
Statuimo, che per 1' avenir il Cancelliere che al presente, è, et che
per l'avenir sarà, debba haver per suo salario lire vinti de picoli à ragion
de Anno da esserli pagati dal Commi secondo la consuetudine: Con questa
condicion et agionta, che esso sempre sia tenuto, et debba esser alla obe-
dientia del Sig.r Podestà, che per tempo sarà, cioè in accompagnarlo con-
tinuamente et star con lui come sono tenuti li suoi Giudici secondo la
consuetudine. Et oltra di ciò siano tenuti, et debbano haver, et continua-
mente tener un libro sopra il quale debbano scriver tutte le intrade, et
spese del predetto Comun. Similmente, che scriva il Nodaro del Sig.r Po-
desta, et Cameraro di Commi et li V. Domini ciascuno sopra il suo libro:
A tal che ciascuna volta, et qualunque volta, che il Cameraro di Comun
riceverà alcuna Intrada del Comun, overo farà alcuna spesa per il Comun,
che insieme con li detti Nodaro del Podestà, Cameraro di Comun, et V.
Domini concordemente debbano scriver esse Intrade, et spese.
CXII. Che ciascuno de Pirano h abitante in Isola, et facendo le Angarie possi
comprar possession in Isola, et suo distretto.
Statuimo, che per 1' avenir ciascun de Pirano tanto maschio, quanto
femina habitante in Isola, ò, che per 1' avenir venirano ad habitar, facendo
le facioni et Angarie del Comun de Isola possino, et valiano comprar, et
acquistar possessioni di qual si voglia qualità, tanto dentro della terra de
Isola quanto di fuori in tutto il suo distretto, qual meglio à loro piacerà,
sicome puole ciascun Cittadino de Isola, le qual possessioni così comprate,
ò, acquistate non possi in alcun tempo, per modo alcuno, ò, ingegno, ven-
derle, ò, Donarle, supignorarle, obligarle, cambiarle, ò permutarle, alienarle,
'ne per lanima Iudicare, ò, per testamento in alcun modo obligar ad alcuno
Cittadino, ò, habitante in Pirano, eceto che alli Cittadini de Isola, ò, habi-
tanti in Isola, che farano le Angarie con esso Comun de Isola, se vera-
— I9i —
mente da poi in alcun tempo si assentarano de Isola per andar ad habitar
in alcun luoco, et habitarano, siano tenuti, et debbano dappoi che si par-
tirano, et non habitarano in Isola fin A dui Anni prossimi sucessivi vender,
et alienar quelle possessioni i Cittadini, ò, habitanti in Isola, Et se io al-
cuna delle predette cose alcuno contratari perda esse possessioni quali de-
venghino nel Comun de Isola senza remission. Et se di ciò alcuno sarà
acusator, se per la sua acusa, si bavera la verità debba haver il terzo del
valor di esse possessioni de quali bavera (luto la denontia, et sarà tenuto
secretto, et le altre dui parte siano del Comun de Isola ; Se veramente
non sari niun acusator, esse possessioni devenghioo nel Comun de Isola.
Del Salarili del Nodaro del Sig.r Podestà, et suo officio ').
Statuitilo, che il Nodaro del Sig.r Podestà debba haver dal Comun de
Isola ogni Anno per suo salario lire cinquanta de denari Venetiani de pi-
coli, et ogni quattro mesi la terza parte, et non più oltre. Et che siano
tenuti, et debbano scriver fìdelmente, et legalmente tute le scritture nelli
libri, nelli Registri autentichi, che si t'arano necessariamente per parte del
Comun da esser scritte, delle quali non debbano haver niun pagamento
dal Comun per esse scritture da esser scritte, publicade, registrate, auten-
ticade, ò, di alcun Sindicato. Et che non debbano ricever don, ne premio
di alcuna persona della terra de Isola, ò, habitante, per don, amor ò, be-
nivolentia: Et se sari espediente che esso debba andar fuori delia Terra
de Isola in servitio del Comun, non debba haver cosa alcuna per salario,
se non le spese della sua persona, barche, ò, cavalli.
CXIII. Hordini fatti tra il Comune di Capodistria, et il Comun de Isola.
Essendo che si faceva molta querimonia per li custodi, ò, guardiani
della Citta di Capodistria, davanti li Podestà della detta Citta di Capodi-
stria, et della Terra de Isola, per causa delle quali nasevano discordie e
contentioni, et che possono naser : Et per evitar ogni scandalo, et male,
fu provisto, et tratato per li Egregii et potenti homini li ss. Marco More-
sini honorando Podestà, et Cap" di Capodistria, et per Ubaldino Giusti-
niano honorando Podestà de [sola, per il buon tranquillo, et pacifico stato
de tutti dui li Comuni, et firmato per il Conseio della detta Citta di Ca-
') Siccome a questo capitolo non è accennato nell'indice generale del codice latino,
ritengo che sarà stato aggiunto più tardi.
— 192 ■*
podistria et della Terra de Isola li infrascritti patti, et conventioni per cia-
scuno di Comuni da esser inviolabilmente osservati, secondo 1' ordine di
statuti della detta Citta di Capodistria, cioè di danni datti, la pena, et bandi
paghino li contrafatori, come per ordine di sotto sarà descritto : Che se
alcuno Cittadino, ò, habitante nella Terra de Isola darà danno nel distreto,
ò, nelli confini di Capodistria per occasion di alcuna briga che sarà fatta
con alcuno Cittadin, ò, habitante in Capodistria per la quale incorerà ad
alcuna pena pecuniaria, il Podestà, che per tempo snrà al Regimento de
Isola, sia tenuto, et debba costringer quel tale Cittadin, ò, habitante in
Isola che havera datto il danno nel detto distretto, ò, confin di Capodi-
stria. Et se quello che havera datto il danno, et sarà incorso nella pena non
si potrà haver, sia tenuto il Sig.r Podestà de Isola che per tempo sarà di
beni di quello che non havera potuto bavere, et facia satisfar il detto
danno, et pena se di suoi beni si potrà ritrovar. Et all' incontro se alcun
Cittadin, ò, habitante in Capodistria darà dano nel distretto, ò, confini de
Isola, overo per occasione di alcuna briga qual facese con alcuno Isolano,
incorerà ad alcuna pena pecuniaria, il Podestà che per tempo sarà al Regi-
mento della Citta di Capodistria, sia tenuto, et debba constringer quel tale
Cittadin, ò, habitante di Capodistria, che havera datto il danno, nel detto
distretto, ò, confini de Isola, overo a pena pecuniaria per occasion de briga
fatta con alcuno de Isola occorera à pagar la pena nella quale sarà incorso,
secondo la forma di statuti, et bandi del Comune di Capodistria, et à sa-
tisfar il danno datto per esso nel distretto, ò, confini sopradetti de Isola :
Et se quello che havera datto il danno et sarà incorso alla pena non si
potrà haver, sia tenuto il sig.r Podestà di Capodistria, che per tempo sarà
di beni di quello che non havera potuto havere, et farà satisfar quel danno,
et pena, se delli suoi beni si potrà ritrovar, le qual tutte cose siano ferme,
et inviolabilmente osservate.
Questi sono li statuti generali del Commi di Capodistria sopra li
danni dati.
Ciascuno che tagliara, ò, segara Arbori, ò, vide frutifere de altri, sia
condanato una Marcha la meta al Comun, et l'altra meta al patron della
casa, et satisfacia il danno al detto patron, et se non havera donde pagar
sia posto alla berlina, et sia frustado per la terra.
Item statuimo che ciascuno Cittadino, et habitante in Isola, et Capo-
distria de uno, et l'altro sesso, qual con sui Asini, Cavalli, Muli, suoi ò,
d'altri sarà al pascolo sia tenuto tenir quelli ligati in ogni tempo nel suo
lavoriero, ó in tal luoco, che non possino dar danno, ecceto che il tempo
delle vendemie, sotto pena de soldi vinti de picoli al Comun per ciascuna
— 193 —
volta che sarà contrafatto. Et ciascuno possi esser accusator, et habbia la
meta della pena, se per la sua acusa si potrà ha ver la verità, et niente di
meno satisfacia il danno al patiente. Et se in giorni di festa sarano mesi
al pascolo li predetti Asini, Cavalli, et Muli, et darano danno cadino alla
pena de soldi desdotto, de picoli per ciascuno tal animale, et satisfacia il
danno al patiente et all'hora non cadino alla pena de vinti soldi, ma so-
lamente di desdotto predetti, et la terza parte sia del Comun, la terza del
acusator, et l'altra terza sia del patron della cosa, ò, possession. Item se
alcuno ritroverà Bove ò, Vacha nel lavoriero di alcun Cittadino di Capo-
distria paghi soldi desdotto per ogn'uno tal animale, et paghino quelli de
chi sarano, di quali debba haver il Comun soldi sie, l'Inventor soldi sie, et
il patron del lavoriero soldi sie, et paghi il danno al patiente : Et ciascuno
possi esser accusator, et pignorator di tali animali ritrovati nelli suo lavo-
rieri, ò, d' altri, et denonciarli alli patroni quel giorno nel quale sera fatto
il danno, ò, il seguente : Item chi ritroverà pecore in essi lavorieri ne pigli
dui da un quarnaro in su, et una da un quarnaro in giù Et
paghi il danno sotto pena di una Marcha al Comun. Et se sarano ritro-
vati nelli Pradi dalla festa di S'° Giorgio, fin alla festa di ogni santi ca-
schino alla pena de soldi vinti de picoli da un quarnaro in giù, et da un
quarnaro in su de soldi quaranta de picoli : Item statuimo, et ordinamo
che ciascuno che sani ritrovato, ò, accusato dalli guardiani publici delle
vigne far danno di usufruti, se quel danno valera manco de un soldo pa-
ghi lire tre de picoli ; Et se valera più de un soldo paghi lire otto de pi-
coli, delle quali pene la terza parte sia del patron del usufrutto tolto, la
terza del acusator, et il terzo del Comun. Et niente dimeno quello che
bavera fatto il danno quello paghi al patiente : Et chi sarà ritrovato de
notte à pigliar di usufrutti da soldi cinque in giù paghi lire otto de picoli,
et da soldi cinque in su lire vinticinque de picoli, et tal pene venghino
come di sopra cioè la terza parte al patron della Cosa, la terza all'acusator,
et la terza al Comun, et paghi el danno al patiente : Et se li detti custodi
ò, guardiani sarano ritrovati far danno siano tenuti alla predetta pena: Item
che alcun forestiero, ò, terriero non debba andar per li lavorieri de fuori,
ò, in essi lavorieri dar danno dal predetto giorno de Aprile fin alla festa
de ogni santi sotto pena de lire tre.
13
DOCUMENTI
Importanti sono i seguenti documenti perchè ci spiegano tutte quelle
continue controversie sorte fra il monastero di S. Maria d' Aquileia ed il
comune d' Isola per le decime da cui Isola voleva liberarsi per togliere
affatto tali prestazioni che ricordavano l'antica dipendenza feudale. Ad ec-
cezione dei documenti A, E e G, gli altri sono pergamene inedite che si
conservano nell'Archivio civico di Trieste, e li devo alla ben nota genti-
lezza dell' illustre Attilio dott. Hortis, cui porgo i miei ringraziamenti per
avermi concesso di trascriverli, offrendomi in questo modo occasione di
aggiungerli in appendice al presente mio studio.
Documento A.
Anno 1220
Sexto die exeunte Nov. Indict. XIII. Aquileje ').
Convegno fra il Monastero di S. Maria d'Aquileia ed il connine d'Isola
per la nomina del gastaldo in Isola.
Anno Domini MCCXX. Indictione XIII die . . . Actum Aquilejc in
ecclesia monasterii sancte Marie sexto die exeunte novembre. In presentia
Domini Philippi et Rodolfi de Arena aquilegensium Canonicorum. Oron . . .
de Sancto Stephano, Alberonis de jamdicto Monasterio, Nicolai notarii de
Insula, Canili jurati de Insula, Venerii Longi. Cum Comune de Insula
elegissct Adeloldum de Insula in gastaldionem Insule sine verbo requisito
Domine Giselrade dei gratia Abbatisse Monasterii nominati et eundem Ade-
loldum Petrus de 'Ribellione ac Venerius Longus et Iolv.mnes Faba ac Ja-
cobus de Panzoffo nuncii dicti comunis ut ipsi asserebant diete Abbatisse
representarcnt ut eum investiret de Gastaldionatu Jnsulae, ipsa vero noluit
lacere, dicens quod non debebant eligere in absentia diete Abbatisse aut
sui certi Nuncii aliquem gastaldum et quod idem Adeloldus et Comune
Jnsule offenderant in hoc eam et suam ecclesiam prefatus Adeloldus vero
vadia de offensione in manibus diete Abbatisse dedit. fideiussit ad hoc no-
minatus Notarius. Ibidem nominata Abbatissa dietimi Adeloldum de ga-
staldia Jnsule bene regenda sine fraude investiva a festo beati Andree modo
venturo proximo usque ad tres annos modo venturos primiores. Ibidem
Inter dictam Gisclradam Abbatissam et Comune de Jnsula de Gastaldione
') Esiste la pergamena nell'Archivio triestino. È stato pubblicato nel Codice diplo-
matico istriano.
— 198 —
eligendo et ponendo in Jnsula taliter factum est, quod numquam de cetero
nominatimi Comune sine verbo prefate abbatisse et ejus successorum in
dicto monasterio et ejus certi nuncii non debeat facere nec eligere gastal-
dionem in Jnsula. Sed ipsa Abbatissi aut eius successore^ aut eius certus
nuncius et saniori parti honorum virorum Jnsule Consilio habito debeant
facere gastaldionem ibi et eum investire de Gastaldionatu ipsam recipiente
honoraciones solitas ab ipso gastaldione qui prò tempore fuerit et solite sunt
impendi Abbatissis cjusdem monasteri!. Promiserunt partes supfamemorate
quod superius legitur inter se in perpetuum firmum habere sub pena decem
marcarum puri argenti. Et si aliqua pars ex predictis partibus voluerit fran-
gere quod superius legitur solvat penam nominatam pars parti fidem servanti
rato hoc instrumento in perpetuum manente.
Ego Albertus Jmperialis aule Notarius interfui et rogatus utriusque
partis duas cartulas in uno tenore scripsi unam uni parti et unam alteri
tradidi.
Documento B.
1346. 29 Settembre.
// comune d'Isola crea un procuratore perchè concorra a por fine e comporre le
differente tra il monastero e quel comune per le decime d'Isola spettanti da
molto tempo al monastero.
In Christi nomine Amen Anno nativitatis eiusdem millesimo trecente-
simo quadragesimo sexto. Indictione quintadecima die penultimo septembris,
scriptum Insule apud palacium comunis, presentibus discretis viris dominis
Francisco filio domini ardiconi de pitegotis bononia, Lamberto q. domini
tignosij de soldaneriis Guidone q. marci gretolo de Venetiis, baldinacio
domini bruni de erris de Fior. Antonio q. pauli de bonomo de Venetiis,
nicolao s. clarii de bochamanginis de pola, testibus ad hoc vocatis Rogatis et
aliis: s. carlus albini, Albinus eius filius, pellegrinus q. ursignani, Tramus
Dragogne, petrus q. almerici marano, grimaldus petri grimaldi, pasqualis de
balduino dominicus eius filius, franciscus Balduini bettus peritoni, domina
yma uxor q. Rantulfi sacheto, maurus Cericha, maurus de parentio, s. gue-
celus paysani, dominicus eius filius, Catadinus, uxor guidonis gassi, fiordo-
— 199 —
monte uxor q. Guiducij, gratianus de Justinopolis, Tram us Similianus Nicolaus
eius frater Tirandus albertini, tolfucius de Turri, domina matelda uxor
francisci, bertucius bertaldi, dominicus de aviano, Renoardus miehael paulus
et franciscus q. marci de Varnerio, Johanes tolmanni, Vergenus de Iusti-
nopolis, domina dunisia, rubeus griffi, uxor q. binucij tiralius, tramus may-
nardi, franciscus de specacadena, mengosius nandoli, soror presbiteri petri,
uxor q. sandri de bena, petrus eius filius, nicolaus diete domine, franciscus
eius propinquus, odorlicus petri griffi, franciscus barba, uxor q. guidoni,
maurus frater q. presbiteri Adalgerii, uxor q. Odorlici presbiteri Adalgerii,
Andreas et genius q. Insulani, domina fuscha, franciscus q. atini eius filius,
Coletus Vignuti, dominicus mateus marani, Andreas facine griffi, s. domi-
nicus vereij, saraxinus donatus, similianus giraldi, Andreas Anezuti, mateus
henrici, Odorlicus Justo, nicolaus eius Irater, filius luxei, petrus de barono
marinus de proseebo, mengus carbogne, franciscus de menis, giullius de
plasentia, petrus tiralus, Adamus eius filius, Uxor q. dardulini, Mengolinus
pisani, Clanius nepos s. Zeni, uxor q. dicti s. Zeni, filia betti peritoni, uxor
q. Iohanis bonvino, Clariellus barberius Nicolaus, et dominicus q. Iohanis
grissi Andreas Almerici Andree, Iohannes rantulfi armani, Almus albini
carli, Adamus almerici armani Venerius s. pellegrini, mateus marchus pe-
trus et nicolaus q. dominici marani, nicolaus de meviza Almericus et de-
temarius eius filii, Nicoletus canini tiralus, tramus marani, dominicus fran-
cisci moroxini, betonus et dominicus sclavoni grimaldi, Vitalis trami Vitalis,
maurus sclavus, odorlicus spellaleporum, s. paulus tuschanus, uxor q. dardi
Vicedomini, uxor q. gasperucij bensii, Odorlicus q. almerici grimaldi, Scla-
vonius bertocij Grimaldi, Iohanes mengolinus q. odorlici Federici uxor q.
daynesij, Colosius petri grimaldi, uxor q. marani clarielli s. mateus leonis,
leonus eius filius, tramo bettonus et odorlicus griffi, colletus de cambreto,
Venerius de victis, Nicolaus del pisano, uxor q. Andrioli aniadei, uxor q.
dominici ab Aquila, Nicolaus de pirano, marcus aturri, mateus superbus,
Michael de pirano, petrus Valperti, uxor Nicolai cantiani, s. maurus ursi,
petrus Zume, bridonius eius filius, presbiter Nicolaus Valentinus, donatus
dominici Valperti, bertucius mauri de parendo, talmus dominici de talino,
Andreas Iohanis premedici, similianus et petrus simeonis catarini, carlinus
et mengusius q. martini scarapini, petrus spilati, simon alexandri, Novellus
maranus Iohanes et bertucius ursignani s. facina Vicedominus et presbiter
petrus de torvolino omnes cives et habitatores diete terre Insule ipsi omues
et singuli ut Universi et prò Universitate et tamquam Universitas diete terre,
prò se ipsis et quilibet eorum Insolidum : singolari ter uro se ut singuli om-
nibus vii et modis quibus de Iure melius potuerunt et voluerunt fecerunt et
— 200 —
statuerunt et ordinaverunt suos et cuilibet ipsorum actorem factorem veruni
legittimum ac generatemi proeuratorem sindicum et certuni nuncium s. do-
minicum q. almcrici marani de insula presentem volentem et hoc mandatum
sponte suscipientem generaliter in omnibus suis causis, et specialità' ad pa-
ciscendum transigendone! conponendum convinciendum modo quocumque,
forma et faciendum omnes conventiones transactiones acordium pactutn
promissiones et compositiones factas vel fiendas, Instrumento, super facto
questionis principalis, vertentis, et que versa est decimarum Inter comunem
et homines supradictos constituentes et quemlibet eorum singulariter et per
se vicissim ex una parte, honestam ac religiosam dominam Rustigellam
abatissam monasterii s. marie maioris de aquilegia, moniales, conventum
suum et dictum monasterium ex altera. Insuper et sententie et super ea
interpositas partes, late ac pronunciate per Revcrendum virum dominimi
giullium decanum aquilegensem Iudicem in ipsa causa delegatum per sedem
apostolicam contra dictos comune et homines et quemlibet eorum consti-
tuentes et in favorem diete domine abatisse conventus, monialium antedicti,
ac appellationis facte nomine dictorum constituentium et eorum cuiuslibet
ad cum sententia decimarum lata contra predictos comune et homines Insule
et quemlibet ipsorum ut supra et ad roborandum adprobandum ratificandum
ac confirmandum etiam compositionem et conventionem factam in grado
per delaiutum de Flagognia, Nepotem diete domine abatisse, et guidonem de
picossis de Aquilegia ut nuntios speciales et amichabiles compositores dic-
tarum domine abatisse monasterii, et conventus ex una parte, et s. franciscum
dominum Ardiconum de picegotis et dominicum q. almerici marano ut
nuntios speciales et compositores amichabiles dictorum constituentium et
cuiuslibet eorum ex altera, Videlicet de dando et mensurando annuatim dictis
domine abatisse, conventui, et monasterio vel eorum nuntiis vel nuntio, Ultra
illas centum urnas vini que prius ipsis abatisse conventui et monasterio an-
nuatim a comuni Insule redebantur, urnas trescentum vini boni et puri urnas
sex boni et puri olei et staria sex boni et neti furmenti prò integris et totis
decimis dictorum constituentium et cuiuslibet eorum debitis et debendis quo-
modolibet et quomodocumque omni yure et viam (sic) dictis domine abatisse
conventui, monasterio, Item ad recipiendum et petendum omnem finem re-
misionem et pactum de ulterius non petendo, a predictis abatissa conventu
et monasterio de supradictis et super omnibus predictis ultra predictas urnas
vini urnas sex olei et stariis sex frumenti, et in predictis omnibus et circha
predicta omnia et singula, et ab hiis et supradictis omnibus dependentibus
et conexis ad petendum recipiendum rogandum et fieri faciendum omnes et
singulas scripturas publicas, et Instrumenta cuiuslibet maneriei cum quibus^
— 201 —
cunque stipulatioiiibus cautelis promissionibus obligationibus fideiussionibus
sollepnitatibus et roboribus tam de Jure quam de consuetudine opportunis, de
conscilio cuiuslibet Jurisperiti cum pactis omnibus necessariis et opportunis
tam de Jure quam de facto Juxta consuetudinein cuiuscunque civitatis ville
castri et loci et gcneraliter in predictis omnibus et singulis et circha ipsa
ad faciendum et procurandum contractandum omnia et singola que qui-
libet verus et legimus procurator et negotiorum gestor facere potest et sicut
ipsi met constituentes et eorum quilibet si pcrsonaliter interessent, dantes
et concedentes predicti constituentes, et quilibet eorum ut supra insolidum
omnes ipsi ut, singulariter et singuli ut universi eorum et cuiuslibet pre-
dictorum nomine procuratori antedicto plenam meram et liberam ac gene-
ralem potesiatem auctoritatcm, generalem mandatum cum piena libera et
generali administratione, et si talia sint que de Jure mandate exigunt spe-
cialem predictum omnia et singula faciendum tractandum et procurandum. Ac
promitentes mihi notario infrascripto tamquam persone publice stipulanti et
recipienti vice et nomine omnium quorum interest vel interesse de Jure
potest firmum ratum gratum et aceptabilem et illibatum perpetuo habere
servare et tenere ornile totum id et quidquid per prefatum suum pro-
curatorem et sindicum in predictis et circha predicta omnia et singula
predictorum actum fuerit vel modo aliquo procuratum et tractatum et non
contrafacere vel venire per se vel per alios aliqua ratione vel causa de Jure
vel de facto Rellevantes ctiam dicti constituentes ut supra prefatum suum
procuratorem ab omni honere satisdationis de Juditio sisti et Judicato sol-
vendo in omnibus et singulis predictis clausulis necessariis sub ypoteclia et
obligatione omnium et singulorum bonorum predictorum constituentium
et cuiuslibet eorum tam habitorum quam in posterum habendorum. Ego
petrus canne q.dai» s. Mauri Vicedominus subscripsi absentc socio meo s.
Facina quia erat infirmus.
Ego Franciscus Cavianus de Venetiis ymperiali auctoritate notarius et
Judex ordinarius ac cancellarius domini presentis Insule potestatis hijs om-
nibus predictis interini, et Rogatus scribere scripsi plumbo et Roboravi.
202
Documento C.
1346. 29 Settembre.
Procura falla dai comune d'Isola nella persona di Mengolino Marano perché
ratifichi al monastero la composizione falla per le decime.
In Christi nomine amen Anno eiusdem Nativitatis Millesimo Trecen-
tesimo Quadragesimo sexto Indietione quinta decima Actum Insulle supra
sala maiori palacij comunis Insulle die penultimo exeunte mense septem-
bris pfesentibus s. Lamberto q. domini Tignosi] militis de soldaneriis de flo-
rentia liabitatore Insulle s. Guidone q. s. Marci gretullo de Venetijs s. Bal-
dinacio q. domini Bruni de Erris de Florentia habitatore Insulle s. Antonio
q. Pauli de bonomo de Venetiis Et Nicolao filio de boccamanzinis
de Pola testibus vocatis ad hec specialiter et Rogatis et aliis Congregato
maiori et generali Consilio hominum et Vniversitatis terre Insulle supra sala
maiori palacij dicti comunis Insulle ad sonura campane et voce preconis
ut moris est in dieta terra Jnsulle, Mandato et licentia Discreti viri domini
francisci filii domini Ardiconi de picegatis de bononia Vicarij Nobilis et po-
tentis viri domini petri Dandullo honorabilis potestatis Insulle de voluntate
ipsius domini potestatis et suorum Judicum s. Gradini de plista s. Nicolay
q. s. petri de grimaldo et Odorlici q. s. Almerici de grimaldo absente s.
Mateo leonis qui erat infirmus. Jn quo quidem conscilio fuerunt congregati
consciliarii octuaginta duo Videlicet s. Guecellus de paysana, dominicus eius
filius s. Odorlicus spelaleporum, Andreas almerici Andrec, Iohanes Rantulfi
Armani, Albinus filius s. carli albini, s. similianus giraldi Adamus Almerici
Armani, dominicus et odorlicus eius fratres, Venerius s. pellegrini, Matheus
q. dominici Marani, pasqualis baldoyni s. nicolaus merixe, Almericus dete-
marius Iohanes et castus eius fratres Petruscanne et Bredonus filii s. Mauri
Ursi Nicoletus canini tiralius s. Tramus Martini marani s. Novellus eius frater
dominicus francisci Morexini Marcus petrus et nicolaus q. ser Dominici ma-
rani s. Gualtramus Similiani s. Almericus armani donatus q. dominici gual-
perti Matheus eius filius Mengossius q. nandi Nicolaus Michaelis griffi petrus
filius Nicolaus Iusti ser Odorlicus Justi Nicolaus Antonij Sacheti perolus ti-
ralius Marcus arpi s. Carolus Albini Simonis Andreas eius filius ser Odorlicus
petri de griffo dominicus et ser Bertocius filii q. sclavonis grimaldi Sclavo-
iinus et Grimaldus filii dicti ser Bertocij Nicoletus ser Odorlici spjlalepo-
rum ser Andreas farine griffi Marcus de parendo Mengolinus ser Guecelli
de paysana ser dominicus Vercij Mengucius eius filius Sarximus q. donati,
— 203 —
Renoardus paulus Michael filii ser Marci quaroerij Vitalis q. giialtrami Vi-
talis dominicus Bertutius et Johanes filii q. ser ursignani, talinus q. domi-
nici talini Andreas q. Iohanis premedici Tramus dragogne Ursi Matheus
q. Henrici Rantulfus odorlici armoni petrus et Iohanes eius filii petrus q.
ser almerici marani Grimaldus q. ser petri grimaldi Justus Mathei Vitalis
Venerius q. vitoris notarius petrus Simonis catarini Iohanes ser odorlici
federici similianus Simonis catarini adamus peroli tiralius franciscus morexini
et petrus de grampa, contantinus q. carli, faronus Jeremie Mcngolus ser
odorlici federici, petrus ser carli albini Andreas albini Andree et ser perolus
tiralius qui sunt ultra quam due partes hominum dicti conscilii ibidem exi-
stentes prò infrascriptis specialiter agendis Ibique dictus dominus Franciscus
Vicarius dicti domini potestatis terre Jnsule mandato dicti domini potestatis
una cum predictis Judicibus et hominibus de dicto Consilio Jnsulle et ipsorum
consensu et voluntate nemine discrcpante Et ipsi omnes et singuli ibidem
presentes una cum dicto domino francisco vicario et ipsius consensu et vo-
luntate prò se ipsis et suo comuni successoribus suis et dictus dominus fran-
ciscus vicarius presenti tempore prò se et successoribus dicti domini potestatis
fecerunt constituerunt citaverunt et ordinaverunt discretum virum Mengo-
linum maranum filium ohm ser almerici marani de Insulla Jbidem presentem
et hoc mandatimi sponte scuscipientem suum et dicti comunis Jnsulle actorem
factorem et sindicum generalem in quibuscumque eorum causis litibus con-
troversiis et questionibus habitis et habendis corani quocunque Judice eccle-
siastico civili ordinario delegato Et instiper ad paciscendum trasingendum et
componenduni concordium faciendum quocumque modo et forma in questione
et super questionem principalem decimarum que versa est Jnter dictum co-
mune et homines diete terre ynsulle ex una parte Et honestam et Religiosam
dominam dominam Rustigellam abbatissam Monasterij sancte Marie Maioris de
aquilegia et dicti monasteri) Moniales ac ipsum Monasterium prò se et dicto
Monasterio e* altera corani Reverendo domino domino Giulio honorabili
aquilegensi decano yudice in dieta causa per sedem apostolicam delegato ac
sententie late et pronunciate per dietimi dominimi decanum in favorem diete
domine Abbatisse et Monasteri] antedicti et contra ac adversus comune et
homines diete terre ynsulle Insuper appellationìs facte et interposte a dieta
sententia decimarum per sindicum dicti comunis et hominum diete terre
nec non et ad afhrmaiidum probandum ratificandum et ad implendum robo-
randum pactum et concordium per dictum Mengum maranum tamquam
sindicum et procuratorem comunis Jnsulle ex parte una et discretos viros
dominos Deolaiutum de fiagonia procuratorem aquilegensem et Guilielmum
de picossio de aquilegia tamquam nuntios et negotiorum gestores diete
— 204 —
domine abbatisse Monialiuin monasterii et conventus saacte Marie Aquile-
gensis factum in dieta questione que longo tempore versa est ynter ipsam
dominam Abbatissam Moniales Monasterii et conventus predictas super facto
decimaram vini oley furmenti et alliorum in dieta terra Insilile sive eius
districtus nascentium et conexorum et dependentium Rogandum et fieri fa-
ciendum quaslibet scripturas Jnstrumenta cuiuscumque maneriei cum qui-
buscumque promissionibus obligationibus realibus et personalibus bonorum
quorumeumque dicti comunis et omnium ipsius terre Insulle et conscilii
cautellis plecariis solepnitatibus et alliis quibuscumque necessitatibus et de
Juris consuetudine cum conscilio cuiuslibet sapientis et Jurisperiti cum penis
quibuscumque prout tuerit necessarium et opportunum et ad recipiendum
etiam finem Remissionem et pactum de ulterius non petendo dictas de-
cimas prò tempore, preteryto et futuro ultra penas conventas transactas ha-
bitas tractatas et firmatas et roboratas per ipsum et circha, predicta que
fuerunt necessaria et opportuna. Item ad eonservandum indempnem comu-
nem gradi seu quemeumque allium comunem faciendum fidiussionem prò
dicto comune et hominibus terre Jnsulle et ad faciendum confitendum af-
firmandum et Roborandum publica Instrumenta conservata dicto comuni
gradi sive quocumque allio comuni fìdeiussionem faciendum prò dicto comuni
et hominibus Jnsulle cum ornili . . . robore firmitate et obligandum omnia
bona dicti comunis et hominum diete terre Jnsulle mobillia et immobillia
presentia et futura, dantes et concedentes dicti dominus Vicarius Judices . . .
conscilium antedictum plenum liberum et generale mandatum ipsi sindico
antedicto omnia gercndi faciendi complendi promittendi cum obligatione
omnium suorum bonorum presentium et futurorum prò se et dicto suo co-
muni, ac si ipsi et dictum suum comune Juxta possibillitatem p.ersonaliter
interesset promittentes dicti dominus vicarius Judices conscilium et comune
se firmimi ratuni et gratina perpetuo habere et tenere quicquid per dictum
suum sindicum actum gestum seu procuratum fuerit in preilictis et circha
predicta volentes que dietimi suum sindicum ab omni honere satisdationis
relevare Et promixerunt mihi notario infrascripto tamquam publice persone
stipulanti et recipienti nomine et vice omnium quorum interesse poterint
de Judicio sisti et Iudicato solvendo in omnibus suis clausulis sub ypotecha
et obligatione omnium bonorum comunis predicti mobillium et immobil-
lium presentium et futurorum.
Ego Benvenutus filius ser Odorlici spelaleporum de ynsulla ymperiali
auctoritate notarius et yudex ordinarius hijs omnibus Interfui et Rogatus
scribere scripsi et Roboravi.
— 205 —
Documento D.
1346. 9 Ottobre.
Sentenza e lodo tra il monastero ed il comune d'Isola sopra le decime
spettanti al monastero.
In Christi nomine amen. Anno a Nativitate eiusdem domini millesimo
trecentesimo quadragesimo sexto. Indictione quintadecima, die nono mensis
octobris. Cum corani Sapienti et Reverendo viro domino Giullio Aquilc-
gensi decano diutius fuerit et sit quedam questio decimarum vini, olei, fru-
menti, legummis, ceterorumque in terra Insule nascentium, conexorum etiam
ac dependentium ab eisdem prout et secundum plus aut tantum in infra-
scripte domine Abbatisse petitione expositum extitit et petitum, agitata,
tamquam et sicut judice in dieta causa, seu ad dictam causam per sedem
Apostolicam delegato inter comunem et homines Jnsule ut ipsius terre co-
mune vcl Universitas necnon et singulares personas diete terre ex una parte,
Et Religiosam et honestam dominam dominam Rustighellam dei gratia Mona-
sterij sancte Marie de Aquilegia Abbatissam, et tamquam Abbatissam, Mo-
niales, Conventum Capitolum totum dicti monasterij et ipsum Monasterium,
prò se presente Abbatissa et monialibus antedictis successoribusque suis in
dicto officio et di>mitate ac religione ex altera, necnon cum inlraseiiptis
personis et hominibus diete terre Insule Videlicet S. Carlo Albini. Albino
eius filio. Pelegrino quondam Ursignani, Tramo Dragogne. Petro quondam
Almerici marnai. Grimaldi petri Grimaldi. Pasquale de Balduino. Dominici)
eius filio. Francesco Balduini. Betto Pertoni. domina Yma uxore quondam
Rantulfi Sacheto. Mauro Cericba. Mauro de Parentio. Scr Guezolo Paysani.
Dominico eius filio. Cbatadino. Uxore Guidonis Gossij. Flordelmonte uxore
quondam Guiducij. Gratiano de Justinopoli. Tramo Symiliani. Nicolao eius
fratre. Tyraudo Albertini. Tolfucio de Turri. domina Matelda Uxore Fran-
ósa. Bertucio Bertaldi. Dominico de Armani. Renoardo. Micbaele. Paulo
et Francisco quondam Marci de Varnero. Iohanne Colmani. Vergerlo de
Justinopoli. domina Dunisia rubeis Griffi. Uxore quondam Binucij tyralio,
Tramo Maynardi. Francisco de Spezacadena. Mengossio Nandoli. Sorore pre-
sbiteri petri. Uxore quondam Sandri de Benna. Petro eius filio. Nicolao
dicto domine. Francisco eius propinquo. Odorlico Petri Griffi. Francisco
barba. Uxore quondam Guidotti. Mauro fratre quondam presbiteri Adal-
gerii. Uxore quondam Odorici presbiteri Adalgerij. Andrea et Genijs quon-
dam Jnsulani. domina francisca et francisco quondam Atini eius filio. Co-
— 206 —
letto Vignuti dominico Mathei marani. Andrea Facine Griffi. Ser Domi-
nico Vercij. Saranno Donati. Symiliano Giraldi. Andrea Anezuti. Matheo
henrici. Odorlico Justi. Nicolao eius filio fratte Lusci. Petro de Barone
Marino de Prosecho. Mengho Carbogne. Francisco de Menis. Giullio de Pla-
sentia. Petro Tyralo. Adamo eius filio. Uxore quondam dardulini. Mengo-
lino Pisani. Clanio nepote Ser-Zeni. Uxore quondam dicti Ser Zenni. filia
Betti Peritoni. Uxore quondam Johannis Bonvino. Clariele barberio. Nicolao
et dominico quondam Johannis Grissij. Andrea Almerici Andree Iohanne
Rantulfi Armani. Almo albini carli. Adamo Almerici Armani. Venerio Ser
Pelegrini. Matheus, Marchus. Petrus et Nicolaus quondam dominici Ma-
rano. Ser Nicolaus de Merixa. Almericus et Dethemarius eius filij. Nico-
lettus Zanini tyralo. Tramo Marani. Dominico Francisci Moresini. Bettono
et dominico Sclavoni Grimaldi. Vitale Trami Vitalis. Mauro Sciavo. Odor-
lieo Spelaleporum, Ser Paulo Tuscano. Uxore quondam Dardi Vicedomini.
Uxore quondam Gasparucij Bensij. Odorlico quondam Almerici Grimaldi.
Sclavono Bertocij Grimaldi. Johanne Mengolino quondam Odorlici Federici.
Uxore quondam Daynesij. Colosio Petri Grimaldi. Uxore quondam Marani
Clarieli. Ser Matheo Leonis. Leono eius filio Tramo. Bettono et Odorlico
Griffi. Coletto de cambreto. Venerio de Vittis. Nicolao del Pisano. Uxore
quondam Andrioli Amadei. Uxore quondam dominici ab Aquila. Nicolao
de Pirano. Marco a turri. Matheo superbo. Michaele de pirano. Petro Val-
perti. Uxore Nicolai cantiani. Ser Mauro Ursi. Petro Zume. et Bridono eius
filio. presbitero Nicolao Valentini. Donato dominici Valperti. Bertucio Mauri
de Parentio. Talino dominici de Talino. Andrea Iohannis premedici. Symi-
liano et Petro Symonis Chatarini. Carlino, et Mengutio quondam Martini
Scarapini. Petro Spilat. Symone Alexandri. Novello Marano. Iohanne et
Bertucio Ursignani. Ser Facina Vicedomino, et presbitero Petro de Torve -
lino omnibus civibus et habitatoribus diete terre Jnsule cum unoquoque
eorum vicissim, singulariter et per se ex una parte. Ac dictam dominam
Abbatissam. moniales. Monasterium, Conventum ac Capitolum antedictum,
modo, forma in causa et super causa infrascripra ex altera. Et super dictis
causis et questionibus sic modo causidico ventilatis forent et essent in eis,
et in una quaque earum per dictum dominum decanum, ut in ipsis Judi-
cem a Sede Apostolica delegatum ut supra, late promulgate sententialiter
et diffinitive pronuntiate sunt : silicet due sententie seu plures tote et ambe
in favorem diete domine Abbatisse, Monialium, Convenctus Monasterij et
'Capitulij antedicti in omni et qualibet sui parte contra et adversus dictum
comunem et homines Jnsule, ut diete terre Comune et Universitatem, ac
etiam contra et adversus prefatos seu nominatos homines vicissim seu sin-
— 207 —
giilariter et per se, dictum comunem per se ac antescriptos et superius nó-
minatos per se in florenos centum vel circa prò expensis et nomine expen-
sarum in ipsis questionibus fitarum ipsi domine Abbatisse, Monialibus Mo-
nasterio Convenctui et Capitulo antedictis sententialiter et diffinitive con-
dempnando, ut de predictis constat publico instrumento sententiarum ante-
dictarum scripto per Romanum notarium filium Stephani de Romans, a
me infrascripto notario, viso et lecto, a quibus sententijs et earum qualibet,
per se, illieo et statini eis latis et pronuntiatis modo et forma, ut supra,
per discretum virum Ser Petrum Ursignanum de Jnsula tamquam sindicum
dicti comunis et hominum in Universiratc, ac ut dictarum singulariarum
personarum procuratorem viva voce ad summum Pontificem tamquam ad
superiorem extitit appellatum. Qua quidem appellatione, a, dictis sententiis
interposita, gratia, et spiraculo dei divinitate precedente, comunibus utra-
rumque partium hinc inde amicis intervenientibus tamquam super re dubia
et lite incerta, sic super dictis questionibus per ipsos transactum modo ami-
cabilis compositionis et coneordij extitit et promissum. Videlicet quod dictum
comune Insule prò se et dictis hominibus superius nominatis etiam nomine
dictarum decimarum vini, olei, frumenti leguminis et ceterorumque per dictam
dominam Abbatissam et monasterium petitorum et sententiatorum annua-
tim et quolibet anno reddere dare, et assignare debeaat in Jnsula ultra illas
centum duas Urnas vini quas iam multo tempore dicti homines Insule et
comune dederunt et consignaverunt eisdem, Treccntas urnas vini yusulani
boni puri et netti de tinacijs aut bottis tempore suarum vindemiarum et
sex urnas boni, clari, et netti olei tempore carnisprivìj, seu vigesima quinta
die post festum circumeisionis domini, ac staria sex insulana boni, scletti,
et nitidi frumenti, in festo Sancte Margherite de Julio dicto comuni et Con-
silio ac hominibus antescriptis ut singulis et universis ac ut Universitari
diete terre ynsule obligantibus se realiter et personaliter, si predictis tem-
poribus predicta convencta non attunderentur, hijs facieutibus, dieta domina
abbatissa prò se et successoribus suis et ipsis monialibus, convenctu, et
capitulo toto dicti Monasterij Sante Marie Maioris de Aquilegia, ac etiam per
sollcmpncm stipulationem et promis sionem cum omni cuiusque comunis seeu-
ritate per dictum comunem et homines Jnsule petita reali et personali, prout
melius, comodius, strictius, firmius, omni via et modo de Jure fieri potcst,
tam in obligatione ipsius Monasterij, Capituli et Convenctus antedicti, quam
securitatis petite ut supra, finem, remissionem pactum de non petendo ali-
quid nomine dictarum decimarum et sententiarum super eis et de eis la-
tarum et pronuntiatarum ultra quantitatem vini, olei, frumenti, ac etiam
qualitatem supradictam. Necnon et conservantibus dictum comune, homines
— 208 —
ìpsius terre Jnsule indempne et indempnes ab omni danipno ynteresse, ex-
pensis yuditialibus et extra quod et quas pateretur et paterentur quoque tem-
pore occasione alicuius questionis mote et in perpetuum movende dictarum
decimarum contemplatarum, tam a dicto Conventu et monasterio quam ab
alio quocumque ecclesiastico et seculari prelature cuiuscumque offitij, digni-
tatis et religionis, Jpsamque litem et lites dictum Convenctum, Capitulum
et monasterium ad requisitionem comunis et hominum Terre Jnsule modo
iuridico, denuntiatione eisdem facta, suis expensis et periculis quibuscumque
suscipiendo et terminando, in omnem et quemcumque casum et e venturo
cum dictis securitatibus realibus et personalibus de tantum ut supra. Jdcirco
discretus et sapiens vir Ser Dominicus Marano dictus Menghus quondam
Almerici Marnili de Jnsula sindicus, sindacano ac procuratorio nomine dicti
comunis et hominum subscriptorum ut de eius mandato procuratorij et
sindacatus patet pubiico Jnstrumento scripto per ser Francischinum Cavianum
de Venetijs, a me infrascripto notano viso et lecto prò se, dicto comuni
Consilio et antedictis hominibus ut singulis et universis, ac tamquam diete
terre Universitate, omnibus vijs, modis, sollepnitatibus quibus melius de
Jure potuit et potest iuxta conventa, tractata, amicnbiliter composita et
transacta per sollepnem stipulationem promisit Ser Debilito de Flagonia
habitanti Aquilegie ibidem presenti sindico et sindicario nomine diete domine
Abbatisse Monialium Convenctus, Capituli et Monasteri] Sancte Marie Maioris
de Aquilegia, ut de eius sindacatu patet pubiico Jnstrumcntu scripto marni
Thome notarj quondam Salamonis de Flambri, a, me infrascripto notano
viso et lecto stipulanti et recipienti nomine antedicto dare, solvere, reddere,
mensurare et consignare annuatim et anno quolibet sine alicuius temporis
prefinitione tempore vindimiarum hominum Jnsule, ultra illas centum duas
urnas vini, quas dictum comune et homines dicto monasterio dare debent,
et huc usque tempore transacto dederunt, faciente dieta domina Abbatissa
et monasterio antedicto pastum hominibus Jnsulanis ut hactenus consuevit,
trecentas urnas boni puri et nitidi vini de tinacijs aut bottes in Jnsula do-
mine Rustighelle abbatisse presenti, et eius successoribus prò tempore aut
earum et dicti monasterij et prò dicto Monasterio recipientibus nuntijs fac-
toribus, gastaldionibus, negotiorum gestoribus quibuscumque, mandato dicti
Conventus et Monasterij legitimo in hoc precedente, Et Urnas sex boni,
clari, nitidi, olei, vigesima quinta die post festum Circumcisionis domini, et
sex staria boni, nitidi, et seletti frumenti in festo Sante Margarite Virginis
de Julio, modo, et forma antedicta. Jncipiente dicto comuni Jnsule dare et
solvere ac reddere et mensurare ut dictum est in omnibus et per omnia se-
cundum eius terminum ab anno presenti, et hoc cum obligatione omnium
— 209 —
suorum honorum, dicti comunis, consilij, hominum prenominatorum, et reli-
quorum etiam de Insula non nominatorum, ac si forent et essent specialiter
nominati tamquam honorum singularium personarum, ut singulares persone,
ac ut comunis et universitatis ut Universitas diete terre nsule quecumque
fuerint et sint eorum bona mobilia et imobilia prcsentia et futura, Jura et
actiones acquisitas per eos contra quoscumque et quascumque personas,
homines, collegia et Universitates, terras, castra, villas et loca obligando
omnia predicta generaliter et specialiter, ac si de eis specialis mentio facta
foret et stipulatio in omni actu, casu, puncto quo de Jure, seu, a Jure re-
requiretur specialis promissio, stipulatio et obligatio, et nedum per satis-
factionem omnium supradictorum termini* et temporibus supradictis obligans
se prò dicto comuni, hominibus nominatis et non nominatis ac Consilio, ut
omnibus singulis et ut Universis, nominibus antedictis sollepni stipulationc
Ser Delaiuto nomine quo super realiter immo etiam personaliter, ita quod
dicti homines Jnsule nominati et non nominati prò ipso comuni ut universi
et prò Universitate diete eius terre quilibet eorum, et ut singuli possint et
valeant capi et detineri loco quocumque, terra, vel castro, ubi ipsi et quilibet
reperti prò tempore fuissent, cessantibus dicto comuni et hominibus diete
terre in solutione omnium dictorum et promissorum secundum tempus et
terminimi supra specificatum, retinendis et retentis dictis hominibus Jnsule
in carceribus, donec de debitis secundum supra promissa fuisset Monasterio
integraliter satisfactum, aut aliter fuissent in concordia. Promittens prò sol-
lempncm stipulationem quoque dictis nominibus non prosequi, nec prosequi
facere unquam appellationcs in pena et sub pena infrascripta. Jurans insupcr
ad sacra dei evangelia prò se dicto comuni Consilio et hominibus nominatis
et non nominatis terre Jnsule ut singulis et Universis, nominibus quibus supra
predictis aut alicui predictorum in nullo contrafaciere aut venire de Jure et
de tacto nec obtentu alicuius fictionis, simulationis fraudis, doli mali decep-
tionis, sessionis, aut in integrum restitutionis, si prò eius re publica, si de
Jure res publica dici posset, in integrum restitutionem petere posset, aut velie
ipso nomine dicti comunis, aut alias dicto nomine, ob aliquem contra pre-
dictam causam, Jus aut rationem. Quibus omnibus appellationibus etiam dictis
nominibus renuntiavit express et per patum. Et lice omnia cimi pena et sit
pena librarum Mille parvarum Veronensium prò quolibet termino, et capitalo
non servato, totiens committenda et exigenda cum effectu, quotiens in pre-
dictis, aut in aliquo predictorum fucrit contraiactum aut contraventum, rato
tamen presenti contractu, et in sui roboris firmitatc manente. Et econversus
dictus Ser Delaiutus sindicus et sindicario nomine diete domine Abbatisse,
Monialium, conventus, capituli, ac monasterij diete Sante Marie maioris
u
— 210 —
de Aquilegia pio dieta domina Abbatissa presente, successoribus suis in po-
sterum et dictis monialibus, conventi] et Monasterio ; omnibus vijs, modis,
quibus de Jure melius, firmius, ac validius potuit per sollepnem stipulationem
fecit finem remissionem, transactionem et promissionem dicto Ser. Domi-
nico Marano, dicto Mengho de Jnsula sindico dicti comunis et hominum
et sopranominatarum personarum presenti, stipulanti et recipienti nominibus
antedictis prò se et dicto comuni, Consilio, hominibus prenominatis et non
nominatis presentialiter et in posterum, et pactum de ulterius non petendo
aliquid occasione sententiarum iam dictarum decimarum, latarum in favorem
diete domine Abbatisse, et contra comune et homines supernominatos et
non nominatos terre Jnsule, aut occasione aliquorum aliorum suorum Jurium
precedentium separatorum conexorum aut dependentium ab eisdem, aut que
possent tempore aliquo subsequenti imposterum titulo aliquo lucrativo et
non lucrativo seu oneroso per viam cessionis acquiri aut aliter ex testamento
aut ab intestato ultra pacta seu transactionem supernominatam expressam,
et stipulationem sollepni promissam temporibus et terminis suprascriptis.
Et si quo aut aliquo casu, eventu et tempore moveretur dicto comuni aut
supranominatis et non nominatis de Jnsula lis aut questio per quoscumque
aut quascumque personas, homines, collegia, Universitates, terras, aut castra,
villas, vel loca, quod dieta domina Abbatissa presens, vel que prò tempore
fuerit, moniales, conventus et ipsum Monasterium ad requisitionem dicti
comunis Jnsule et hominum suseipient in se questionem et litem suis pe-
riculis et expensis. Et ipsum Comune et homines supranominatos et non
nominatos, ut comune, singulos et universos conservabunt indempnes de
Jure tantum suis expensis et periculis cum totius dampni et interesse ex-
pensis, modo quocumque per id aut comune, eos vel aliquem eorum
factarum in Judicio seu extra cum obbligalione omnium honorum dicti
monasterij, conventus, capituli et monialium mobilium et imobilium pre-
sentium et futurorum Jurium et actionum aquisitorum et acquirendarum,
Et quod prò predictis et quolibet predictorum dicto comuni et hominibus
Jnsule non servatorum possit et valeat ad postulationem et requisitionem
antedicti comunis et hominum per habentem auctoritatem dictum Monaste-
rium, moniales exeomunicari et eis officium celebrationis cuiuspiam interdici
donec dicto comuni et hominibus fuerit iuxta conventa non servata inte-
graliter satisfactum et restitutum. Promittens quoque dictus Ser. Delaiutus
per sollepnem stipulationem nomine antedicto, Ser. Dominico Marano sti-
pulanti et recipienti nominibus quibus supra, quod appellationem interpo-
sitam, a, sententijs antedictis et antedictos non prosequetur coram Summo
Pontefice, aut quocumque alio eius auditore, vel aliter delegato aut impe-
— 211 —
trato, vel prosequi faciet sub obligatione antedicta in omnibus et per omnia
consimili. Renuntians nomine quo supra ipse Ser Delaiutus specialiter et
expressim per pactum omni exceptioni, fictioni, contractus simulati, decep-
tioni, fraudi, dolomalo in integrum restitutioni si Jure aliquo contra et
adversus predicta, Monasterium posset restitutionem in integrum postulare,
omnibus insuper legibus, decretis, seu canonibus vel decretalibus circa
predicta aut nliquod predictorum impedimentum facientibus, aut si de eis
et qualitet earum foret et esset facta mentio specialis cum pena et sub pena,
aut nomine pene librarum Mille parvorum, totiens committenda et exigenda
cum effectu, quotiens in aliquo termino, capitolo vel parte capituli non fuerit
per ipsum Monasterium attenditum et observatum ut superius promissum
est, rato nichilominus presenti contractu, manente, et in sui roboris firmitate,
Pro quibus omnibus et singulis supradictis melius attendendis et observandis
per dominam Abbatissam, Monasterium, Capitulum et eius conventum an-
tedictum, discretus vir s. Giullius quondam domini Johannis Picossij de
Aquilegia sindicus et sindicario nomine comunis et hominum ac Universi-
tatis Aquilegie, ut patet publico Jnstrumento sindicatus scripto per Romanum
notarium filium Stephani de Romans, prò se et dicto comuni et hominibus
Aquilegie in omnibus clausulis supradictis, et per dictum Ser Delaiutum
suprascripto nomine promissis comuni et hominibus Insule, seu eius sindico
extitit fideiussor prò dieta domina Abbatissa eiusque successoribus, conventu,
capitulo, et monasterio antedictis, cum obligatione omnium suorum honorum
mobilium et imobilium presentium et futurorum Jurium et actionum acqui-
sitorum et acquirendarum et ne dum realiter imo et personaliter ut Ubi-
cumque et quocumque possint personaliter detineri ad petitionem comunis
et hominum Jnsule ubi reperti fuerint, terra, castro villa aut alio loco, Et
exinde non possint uqc debeant relaxari, donec fuerint secundum promissa
supra comuni et hominibus Jnsule eisdem non servata in concordia, aut
integraliter satisfactum Renuncians speciaiiter et per pactum expressum
dictus Ser Giullius Ser Johannis Picossij dicto nomine Epistole divi adiiani,
costitutioni nove et veteri de duobus et pluribus reis debendi, et maxime
constitutioni de fìdeiussoribus et mandatoribus et specialiter in ca parte qua
cavetur quod prius conveniatur et conveniri debeat principalis quam fideiussor
certioratus, a, me notano quid sit unumquoque istorimi. Et generaliter omni
alio cuilibet Juri quo se dicto nomine tueri et defendere posset, ac si de
ipsis et quolibet predictorum specialis foret facta mentio in omni et qualibet
sui parte. Jnsuper dictus Ser Delaiutus dicto nomine ac Ser Giullius an-
tedictus nomine quo supra ex una parte, Et Ser Dominicus Marano nomi-
nibus supradictis ex altera et omnes insimul et una pars alteri vicissim
— 212 —
promisserunt sollempni stipulatione, et cum sacramento, omnia predicta atten-
dere et observare et in nullo contrafacere aut venire de Jure et de facto
cum penis et sub penis et obligationibus antescriptis, que bona alterius partis
non attendentis, altera pars attendens possit sua propria auctoritate ingredi
sine cuiusquam Judicis aut superioris licentia, et ea sua auctoritate vendere et
alienare sine alicuius contradictione donec eidem fuerit integraliter satis-
factum. Et quod unusquisque eorum possit forbaniri et forbaniri facere
prò predictis et quolibet predictorum, et conveniri et conveniri facere Padue,
Tervisij, Venetijs, Vincentie, Verone, Aquilegie, Insule, Iustinopolis, Pirani,
Utini et in quocumque alio loco, terra, vel castro ubi reperirentur, Re-
nuntiahtes etiam ferijs, diebus ferialis, statutis et consiliorum reformationibus
factis et fiendis imposterum, in quocumque loco nominato et non nominato
in aliquo predictis preiudicantibus omni remedio appellationis, consultationis
supplicationis nullitatis quibus renuntiaverunt expressim, specialiter et per
pactum. Cuius contractus duo vel plura debeo facere Jnstrumenta in om-
nibus et per omnia ad idem et circa idem consonantia. Per predicta omnia
tamen non intelligitur renuntiatum prò parte dicti Monasterij, sex urnis
vini, quas idem Monasterium habere debet et consuevit, a, Mengucio Pas-
qualis et heredibus Martini Scotina, et filio quondam Lesci et Petro Valperti.
Actum in Grado in ecclesia maiori Sancti Hermacore. presentibus fratre
Laurentio de Venetijs abbate monasterij Sancte Marie de Barbana. Iohanino
de Verona mansionario ecclesie maioris Aquilegensis Nicolao filio domini
Gabrielis de Cremona Canonico Utinense. Domino Thoma Nanni de Ve-
netijs extimatore in Grado. Domino paulo de Gaijs de Venetijs. Domino
Gherllo gabbo de Grado. Domino Jacobo gabbo. Ser Petro Scalgia. Marino
Ser Facij. Dorlicho Cucholini. Iohanne Scazano Iohanne Gabbo. Andrea
Merlato. Ligo quondam Alexij omnibus civibus de Grado. Cristoforo de
Rimino domicello domini decani Aquilegensis. Romano notario filio Stepbani
de Romans Aquilegie comorante, et alijs pluribus testibus ad predicta vo-
catis et rogatis.
(Signo) Ego Petrus domini Francescbini de Fosdenona publicus Jmpe-
riali autoritate notario predictis omnibus internai, et rogatus scripsi meuni-
que signum apposui consuetum :
— 213 —
Documento E.
Anno 1382 circa ').
// doge Antonio Vernerò raccomanda all' abbadessa del monastero di Aqnileia
di stabilire l' accordo colla Comunità d' Isola, la quale era stata interdetta.
Anthonius Venerio dei gratta, dux Vcnetiarum, etc. Venerabili et Re-
ligiose domine Abbatisse Monastcrij sancte marie maioris Aquilegie sibi
dilecte Salutem et sincere dilectionis affectum. Ex relatione nobis facta prò
parte comunitatis terre nostre Jnsule nuper sensimus : quod dum cuiusdam
differentia existentis inter vos et illam comunitatem de compositione et
concordio tractaretur, fecisti fieri ipsi comunitari, quoddam interdictum, de
quo certe aliter non possumus quam mirari, quia postquam tunc de con-
cordio sperabatur, non debebat illa comunitas interdici postea vero com-
pentibus nuntiis ipsius comunitatis nostre corani vobis, ad eorum precarnina
terminum dicti interdicti usquam diem XIIII mensis presentis Junij proro-
gastis. Cum enim optemus quod dieta diferentia per compositionem et con-
cordium amicabiliter terminetur et dictus terminus sit ita brevis, quod ra-
tionabiliter in ea concludi non posset, Rogamus sinceritatem vestram, qua-
tenus placeat et vellitis prorogare terminum interdicti usquam per totum
mensem Augusti proximum sequiturum. ut ipsi differentie finis debitus
imponatur
Data in nostro ducali palatio die secondo Junij. Indictione secunda.
Documento F.
1382. 12 ottobre.
D." Emilia di Strassoldo Abbadessa col suo Capitolo crea a Procurator Eliseo
figlio di E. Ritardo di Strassoldo per la causa che ha il Monastero colla
Comunità d' Isola.
In Xliristi nomine amen, Anno domini Millesimo Trecentesimo Octua-
gessimo secundo Indictione quinta die vero duodecimo mensis octobris.
') Stampato nel Codice dipi, colla data 1379 e col nome del doge errato: in luogo
ili Antonio Andrea.
— 214 —
Actum in Monasterio maiori, Aquilegensis ecclesie, presentibus Iacobo q
Nicolai de biadeno, ser Lunciano q. Antoni]' de Malazupicha et Nicolao
q. Laurentii de puzulio testibus et allijs ad infrascripta vocatis et Rogatis,
Venerabiles et Religiose domine Jmiglia de Strasoldo Abbatissa, Benevenutta
de Barino porissa, Ratina de lature Zacharia Aquila Zesaria Margareta de
goritia Beatrix Margareta de Civitate, Ratina et francisa moniales Capitulum
et conventus Monasteri! maioris sancte marie de Aquilegia ad infrascripta
vocate et in Capitolo congregate in loco solito ad sommi campane ut moris
est, omni via modo iure et forma quibus melius sciverunt et potuerunt
non revocando allios procuratores sed potius eos conservando fecerunt con-
stituerunt et ordinaverunt Nobilem virum Elizevum q. Nobilis viri domini
Rizardi de Strasoldo ibidem presentem et sponte recipientem eorum sindicum
procuratorem actorem factorem negotiorum gestorem ac nuncium specialem
specialiter in causa quam habent vel habere intendunt cum hominibus con-
scilio et comuni Jnsule de certa quantitate vini oley et frumenti in quibus
homines conscili um et comunitas supradicta tenentur annuatim solvere pre-
diete domine Abbatisse et dicto conventui coram Magnifico domino Mietateli
Mauroceno Jnclito duci Venetiarum et eius conscilio et generaliter ad omnes
et in omnibus eius causis litibus et contraversijs quas habent vel habere
possent tam in agendo quam in defendendo cum aliquo vel aliquibus coram
quocumque iudice tam ecclesiastico quam seculari supra quibuscumque
negotijs ad libelos offerendos vel recipiendas lites contestandas exceptiones
proponendos terminos et dillationes petendas, recipiendos testes et instru-
menta producenda et reprobanda Judices eligendos et recusandos suspcctos
dandos sententias audiendas appellandas comittendas et prosequendas et ad
omnia et singula facienda que merita causarum exigunt. Item ad petendum
exigendum et recipiendum supradictam quantitatem vini oley et frumenti
et omne id et quidquid ipsis domine Abbatisse Monialibus et conventui
antedicto ex quacumque causa ab alliquo vel alliquibus deberetur, Et de
recepiendo finem getationem et remissionem faciendo de ulterius non petendo
ad solutiones faciendas ad paciscendum componendum et transigendum et
compromittendum et laudum et arbitrum audiendum et ad prosequendum
et conroborandum debita et ad constituendum sibi alios debitores et ad
venditores emptores locatores et cuiuscumque generis contractus faciendum
Et ab obligando se nomine ipsius monasterij et conventus et bona ipsius
monasterij et conventus supra quocumque contractu et generaliter ad omnia
eorum negotia tractanda et gerenda et ad omnia et singula facienda que
circa predicta vel aliquid predictorum sibi utilia videbuntur, Et que per
quemlibet legittimum sindicum et procuratorem et nuncium fieri possint,
21) —
dare ei plenam et liberali] potestatem et mandatilo] predicta omnia et singula
tacere et supra predictis et quolibet predictorum quotics expedierit et voluerit
procuratorem unum et plures substituendum, Et promittent se firma et rata
habere quecumque dictus procurator vei allius vel allij ab eo substituti circa
predi età vel aliquid predictorum duxerint faciendi sub obligatione omnium
bonorum monasteri) et conventus
Et Ego franckscus q. peroti de Civitate austria. publicus Jmperiali auc-
toritate Notarius hijs omnibus interim et Rogatus scribere scripsi signaculum
Oleum consuetum apposui antea testimonium premissorum.
Documento G.
Anno 1384.
2 Aprile. Indizione VII. Venezia ').
Concordio per il censo di ribolla ed olio che Isola doveva al convento
di S. Maria di Aquileia.
In Cbristi nomine Amen. Anno nativitatis eiusdem millesimo tercen-
tesimo octuagesimo quarto, Indictione septima, die secundo mensis Aprilis.
Cum alique lites dilferentie et controversie forent inter venerabilem et
religiosam dominam ymiliam de Strassoldo Abbatissam monasteri] sancte
Marie de prope Aquileiam ordinis sancti benedicti. Et comune et homines
Insule. Super facto urnarum quadrigentarum duarum vini ribolei, urnarum
sex olei et stariorum sex frumenti. Quas Urnas Ribolei, olei et staria fru-
menti ipsa domina Abbatissa dicebat predictos comune et homines Insule
sibi teneri et debere solvere ornai anno vigore pactorum antiquorum et
instriimentorum celebratorum ut dicebat ipsa domina Abbatissa inter eccle-
siam suam et predictos comune et homines Insulae Et predica comune et
homines Insule contradicebant dicentes ad predicta non teneri de iure. Qua-
liter ipsa domina Jmilia Abbatissa predicta cum suo capitulo prò se et suc-
cessoribus suis ex una parte. Et providi viri S. loliatines de Mirissa, et
S. Meneginus Maran Civea et habitatores Insule sindici et procuratores
comunis et nominimi Insule habentes ad hoc pltnissimam libertatem ut de
corum* sindicatu piene constat pubbxo instrumento scripto manu Petri Pauli
') Dal CoJ. dipi. istr.
— 2l6 —
S. Mundi publici imperiali auctoritate notarii civitatis tervisine et nunc
notarii et scribe domini potestatis et comunis Insule in millesimo trecen-
tesimo octuagesimo quarto Indictione septima die vigesimo mensis Marci
a me notarlo et testibus istis viso et de verbo ad verbum lecto ex parte
altera ad istantiam oppositionem et concordium devenerunt amicabiliter,
Videlicet quod comune et homines Insule promiserunt et convenerunt dare
et consigliare domine Jmiliae Abbatisse predicte presenti, stipulanti et re-
cipienti nomine suo ac sui capituli et eius successorum que prò tempore
erunt et monialibus ac conventui Sancte Marie prope Aquilejam ordinis
sancti benedicti seu nuntiis eorum a modo usque quinqne annos proxime
futuros incipiendo de hoc anno presenti de millesimo trecentesimo octua-
gesimo quarto Indictione septima. Urnas centum duas de Ribolio solito
dari per eos per alia tempora et sic successive omni anno usque quinque
annos predictos. Et a quinque annis supra usque ad alios quinque annos
tunc proxime futuros urnas ribolei predicti ducentum et duas prò quolibet
anno usque ad complementum decem annorum predictorum. Completis vero
decem annis predictis quod ipsa domina Abbatissa et eius successores ac
moniales et conventus dicti Monasterii sint et esse intelligantur in ilio stata
jure et forma quibus erant ante guerram preteritali]. Salvo si comune et
homines Insule interim vel in spatio decem annorum predictorum probarcnt
vel monstrarent quod istud vel partem ejus non tenerentur de jure. Itera
quod in totum cessare debeat pactum fiendum illis de Jnsula per dominam
Abbatissam et moniales predictas vel prò tempore decem annorum predic-
torum. Et predicta omnia et singula promiserunt diete partes nominibus
quibus supra, attendere et observare et non contrafacere vel venire modo
aliquo sive forma aliqua ratione vel causa de jure vel de facto sub pena
librarum centum parti contrafacienti et pena contrafacientis veniat in partem
observantem, qua pena soluta vel non presens instrumentum et omnia et
singula suprascripta in sua remaneat firmitate. Pro quibus omnibus et sin-
gulis firmiter observandis suprascripte partes dictis nominibus obligaverunt
sibi omnia sua bona mobilia et immobilia presentia et futura. Actum Ve-
neciis sub porticu Ecclesie Sancti Zacharie de Veneciis presentibus Nobili
et sapiente Viro domino Francisco Venerio q. domini Belleti honesto civc
Venec. honesto viro presb. Pasquale S. Trinitatis de Venec. ac circumspectis
viris S. Gabriele nov G. S. Thomasii de Veneciis S. Iohanne de Andalo
not. ducatus Venet. et aliis testibus ad premissa vocatis specialiter et rogatis.
- Ego Iohannes Fiumano filius S. Bertuici de Venetie pub. Imp. Auct.
Not. et ducet Venet. scriba premissis omnibus et singulis presens fui eaque
rogatus scripsi signumque meum consuetum apposui.
— 217 —
Documento H.
1394. 22 Luglio.
// monastero crea a suo procuratore Giovanni de' Sibilitis, notaio di Gemona
e cittadino d'Aquileia, nelle liti col podestà e col comune d'Isola.
In Xhristi nomine amen Anno nativitatis eiusdem domini Millesimo
Trecentesimo Nonagesimo quarto Jndictione secunda die vigesima secunda
mensis Julij. Acta sunt infrascripta in Monasterio monialium sancte marie
de prope Aquilegia presentibus Venerabili viro domino Bartolomeo de bobio
Canonico ecclesie Aquilegensis presbitero Michaele prebendario in dieta ec-
clesia Aquilegense, Bonhomo de Aquilegia ser Moretto de Jnsula Justono-
politane diocesis et petro de spilimbergo habitans in visinali dicti Monastcrij
testibus et allijs ad premissa vocatis et Rogatis. Nobilis et Religiosa domina,
domina Jmiglia de strasoldo dei grazia Abbatissa Monasterij sancte marie
de prope Aquilegia cum voluntate et consensu infrascriptarum dominarmi!
monialium super infrascripta specialiter ad capitolum in ipso loco ad sonum
campanelle congregatarum. Videlicet Benvenute priorisse, Catherine de la-
turre Clarucie Agnule, Cesarie de strasoldo margarete de Civitate austrie
pidrussie, Clare de Trichano, Magdalene, Morose, helisabete, et Zillie : nec
non ipsa domina pririssa et moniales que erunt ultra quam due partes
capituli ecclesie et monasterij prelibati facientes capitulum super infrascripta
et ut capitulum cum consensu et voluntate diete earum domine Abbatisse,
Jpse omnes domine Abbatissa, priorissa et moniales ordinis sancti Benedicti
nnanimiter et concorditer, nemine earum discrepante prò se ipsis ac vice
et nomine dictorum earum Conventus et Monasterij, omnibus modo via
Jure et forma quibus melius et efficacius sciverunt et potuerunt fecerunt
constituerunt creaverunt ed ordinaverunt providum et Circumspectum virum
MS Iohanem notarium q. ser Luchini de Sibilitis de Glemona civem Aqui-
legensem Absentem tanquam presentem, earum et dictorum Conventus et
monasterij, veruni certum et legitimum sindicum procuratorem factorem
deiensorem compositorem et nuncium specialem et generalem, specialiter et
expresse, ad comparcndum et se prò eis et earum nomine presentandum
coram Jnclito et excelso domino, domino Antonio Venerio dei gratia Ve-
netiarum duce etc, et ibidem seu alibi corani quolibet dominio et Judice
ecclesiastico et civili eis competenti vel competituro, ordinario vel extraor-
dinario in omnibus causis, questionibus litibus contravcrsijs et diferentiis
quas habent liabere separatili!, possunt et possent tam in agendo quam in.
— 2l8 —
defendendo, cuna nobile . . . potestate Consilio Comune et Univei sitate terre
Jnsule Justinopolitane diocesis seu eoruxn sindkis et procuratoribus, prò
decimis et Jure decimarum diete terre Jnsule eis et dieto Monasterio debendis
et debendarum seu vigore aliquorum pactorum et concordiorum factorum
et tractatorum inter dictum conventum monialium dicti monasterij seu
eorum sindicos et proeuratores ex parte una, et dictam Comunitatem et
Universitatem diete terre Jnsule seu eius sindicos et proeuratores ex altera,
et super quibuscumque conventionibus inter dietas partes factis et initis
quoiusmodo et ratione quacumque et alia dependente et connexa, et dam-
norum et expensarum, et de et super litibus deferentijs et causis predictis
et alijs quibuslibet decimis, introitibus, pactis, concordiis et conventionibus,
transigendum, paciscendum, componendum concordandum, compromitten-
dum, laudandum et arbitrum ferri petendum ed audiendum et acceptandum,
et alijs introitibus et bonis permutationem et transactionem faciendum trac-
tandum et complendum cuoi quibuscumquam promissionibus bonorum obli-
gationibus et penarum adiectionibus clausulis opportunis, nec non super
ipsis, consensum confirmationem et decretum, a, Beatissimo domino nostro
domino Bonifacio pontifice nono, seu Reverendissimo domino, domino
Iohane dei grada patriarcha Aquilegense, seu quoius alio si opus fuerit im-
petrandum et inferri petendum et heiendum; et super et de predictis finem
remissionem absolucionem, quietacionem, et pactu'm de ulterius non petendo
faciendum et recipiendum ac si opus fuerit plura instrumenta et scripturas
fieri et scribi faciendum, Vaiata et Valanda, roborata et roboranda omnibus
et singulis modis formis condicionibus et clausulis opportunis et coram
ipso beatissimo patre et domino, domino Bonifacio papa nono, seu ipsi
Reverendissimo domino, domino Iohane sancte sedis Aquilegensis patriarcha,
vel eorum seu alterius eorum conservatoribus Auditoribus et Vicarijs, seu
quoius alio Judice ecclesiastico et civili ordinario vel extraordinario dato
vel dando delegato vel subdelegato Agendum et defendendum placitandum
Judices et Advocatos eligendum et recusandum libellos dandum et reci-
piendum, litem seu lites contestandum protestandum, excipiendum et repli-
candum, terminos et dilaciones petendum ponendum et articulandum, posi-
cionibus et articulis respondendum, testes instrumenta litteras privilegia Jura
et alias privatas scripturas producendum, et producta per partem adversam
reprobandum, in causa et causis concludendum, sintentiam et sententias Cam
interlocutoria quam diffinitivas ferri petendum et audiendum, et si opus
fuerit ab ipsis apellandum et apellacionem prosequendum et intimandum,
apellos petendum et recipiendum cura istancia instancius et instantissime.
Et ad substituendum unum vel plures procuratorem sive proeuratores, qui
— 219 —
in premissione habeat voi habeant similem potestatem eosque revocandum
et alios de novo substituendum, quociens sibi videbitur expedire. Et gene-
ralitcr ad omnia alia et singula faciendum et procurandum qnc veri et le-
ghimi sindici et procuratores, et ipse met domine constituentes tacere possent
si in premissione personaliter interessent. dantes et concedentes dicto suo
sindico et procuratori plcnam liberarli et generalem et specialem administra-
cionem, cum pieno libero generali et speciali arbitrio et mandato in omnibus
et singulis antedictis et ab eis dependentibus et connexis. Promiserunt quoque
ipse domine constituentes per se ipsas, ac vice et nomine earum conventus
et Monasterij Jurantes ad sancta dei evvangelia tactis sacris scriptum michi
notano pubblico infrascripto ut persone publice stipulanti et recipienti vice
et nomine omnium quorum interest vel peterit interesse se perpetuo firmum
ratum et gratum habere et tenere orane id totum et quicquid per dietimi
earum sindicum et procuratorem et ab eo substituto vel substituendis actum
factum et procuratum fuerit in predictis vel quolibet predictorum tam in
perdendo quam in lucrando. Volentes insuper prefate domine constituentes
dietimi suum sindicum et procuratorem et ab eo substituto vel substituendis
ab omni satisdacionis onere relevare promiserunt mihi notano infrascripto
stipulanti, de Judicio sisti et iudicatum solvi cum omnibus suis clausulis
oportunis sub ypotecha et obligacione omnium suorum et dictorum Con-
ventus et Monasterij bonorum mobillium et immobilium tam presentami
quam futurorum et omnium damnorum et expensarum litis et extra, ac
interesse refectionis.
(Sigilo) Et ego Nicolaus natus olim ser Pauli de spilimbergo publica
Apostolica et Jmperiali auctoritate notarius, supradictis omnibus et singulis
supranarratis una cum prenominatis testibus presella interfui, eaque rogatus
scribere, scripsi in fidem testimonium omnium premissorum.
Documento I.
1401. 30 Settembre.
Caterina di Prodolone nomina a suoi esattori e fattori delle rendite </' Isola
D. Artico di Prodolone, suo fratello, P. Martino, cappellano de! monastero,
e Paulo, gastaldo del suddetto monastèro.
In Xhristi nomine amen. Anno a nativitate eiusdem Millesimo Qua-
drigentesimo primo Jndictione nona die ultimo mensis septembris Actum
— 220 —
in ecclesia Monasteri) sancte Marie ordinis sancti Benedicti extra muros
Aquilegie presentibus providis viris Xristoforo q. ser petri dicti perincini
de marano magistro dominico q. Antoni) de muzana habitatori Marani et
Thomaso q. Marci de pratta habitatori flumiselli testibus ad infrascripta
vocatis et rogatis et alijs pluribus Cumvocatis et ad sonum campanelle more
solito congregatis ad capitulum supra infrascriptis maxime Venerabilibus et
relligiosis dominabus Abbatissa et Monialibus monasterij sancte Marie ordinis
sancti Benedicti extra muros Aquilegie cum capitulo interfuerunt domine
infrascripte Videlicet Caterina de prodolono Abbatissa Caterina de laturre
priorissa Augnula de saneto Daniele. Cesaria de strasoldo Margarete de Ci-
vitate Margareta de Goriccia francisca et Clara de arenano. Azila de Ca-
stellano Morosa de Attemps Johana de Civitate et Zilia de omnes moniales
professe Monasterii antedicti facientes representantes ac constituentes totum
capitulum et conventum Monasterij prelibati cum tunc non essent plures
que dicto Capitullo possent comode Jnteresse vocatis omnibus convocandis
Jbique prefate domine Abbatissa Moniales conventus monasterij antedicti
omnibus modo via Jure et forma quibus melius et efficacius potuerunt atque
sciverunt fecerunt constituerunt ordinaverunt et deputaverunt suos veros et
legiptimos procuratores actores factores negotiorum gestores generales sin-
dicos ac certos nuncios speciales et quidquid melius et efficacius dici possunt
Nobilem (sic) et Circumspectos viros dominos Articum de prodolono patrem
diete domine Abbatisse presbiterum Martinum de brixia capellanum dictarum
dominarum Monialium et paulum de goricia Gastaldionem antedicti mona-
sterij et conventus ibidem presentes et hoc mandatum in se sponte susci-
pientes et quemlibet eorum in solidum ita quod occupantis condictio potior
non existat sed quod unus ipsorum Jnceperit alter prosequi mediare valeat
ac finire specialiter et expresse ad petendum exigendum et recipiendum
predictis dominabus Abbatissa Monialibus monasterio et conventu consti-
tuentibus et earum nomine ab hominibus et comunitate terre Jnsule ac
etiam a quibuscumquam alijs hominibus et personis locorum ubilibet con-
stitutis omnes et singulas bladorum vini oley denariorum et aliarum qua-
rumeumque rerum quantitates et summas eisdem dominabus Abbatisse mo-
nialibus monasterij et Conventus constituentibus tam per dictos homines et
personas ac comune diete terre Jnsule quam etiam per alias quascumque
comunitates seu singulares homines et personas quorumeumque locorum
villarum seu terrarum existant dictis dominabus monialibus et conventui
mo,do quocumque. debitas et debendas, et de hijs que receperint seu alter
eorum receperit absolvendum liberandum quietandum et finalem quetacionem
absolutionem et pactum de ulterius non petendo faciendum cum clausulis
— 221 —
necessarijs et oportunis. Et generaliter in omnibus et singulis litibus causis
questionibus et contraversijs quas diete domine constituentes et predictum
Monasterium habent habiture sunt et possunt habere cum quibuscumquam
hominibus et personis causis nominibus et rationibus quibuscumquam tara
in agendo qnam in defendendo Corani quocumque Judice ecclesiastico vel
seculare delegato vel subdelegato dato vel dando Ad agendum et defen-
dendum ad libellum et libellos petitionem et petitiones dandum et reci-
piendum causam et causas presequendum litem contestandum sacramentum
tam calupnie quam veritatis et cuiuslibet alterius generis licitimi Juramentum
in animam dictarum constituentium prestandum exceptiones quaslibet pro-
ponendum ponendum et articulandum et prepositionibus et articulis ren-
dendum. Testes instrumenta literas et quaslibet probaciones et Jura produ-
cendum et inducendum et partis adverse testes Jurare videndum reprobandum
et de falso accetandum termina et defectus opponendum beneficium resti-
tutionis integrum et absolutionis simpliciter et ad cautelam in quocumque
articulo et exquavis causa implorandum et obtinendum literas et rescripta
tam gratiam quam Justiciam continentes impetrandum et impetita contra-
dicendum, terminos et dilationes petendum et alteri parti assignari videndum
Judices et notarios eligendum et recusandum de loco conveniendum in causa
et causis concludendum suspectos et confidentes dandum sintentiam unam
et plures prò se ferri petendum audiendum et ab ea vel eis et a quolibet
alio gravamine illato vel inferrendo appellandum provocandum supplicandum
committendum intimandum et appellationis causam prosequendum usque ad
Imeni. Et ad substituendum et subrogandum loco eorum et cuiuslibet eorum
in premissis et eorum quolibet unum et plures procuratores illuni et illos
revocandum et illum ac alios de novo reassumendum Et generaliter ad
omnia alia et singula facienda gerenda procuranda et exequenda que in
premissis et eorum quolibet neccessaria fuerint et occurrerint utilia seu etiam
opportuna et que merita causarum et Juris ordo exigunt et requirunt et
que ipscmet constituentes facere possent siparaliter interessent Quibus pro-
curatoribus suis et substituendis ab eis vel altero eorum diete domine con-
stituentes dederunt plenum liberimi et generalem mandatum arbitrium et
potestatem cimi piena libera generali et absoluta administratione predicta
omnia et singula procurandum exercendum et exequendum etiam si mandata
exigant plus speciale promittentes mihi notano infrascripto ut publice persone
stipulanti et recipienti vice et nomine quorumeumque Jnterest interesse
posset et poterit sicut perpetuo firmum ratum et gratum habere tenere et
observare quicquid predictos carimi procuratores et substituendos ab eis vel
altero eorum factum gestum et procuratum fuerit in premissis sub ypotheca
— 222 —
et obligatione omnium honorum dicti Monasteri] et conventus Et volentes
constituentes prefate rellevare et rellevatos esse dictos suos procuratores et
substitutos ab eis ab omni satisdationis que prestatur in Judicio de Judicio
sisti et Judicato solvendo in omnibus suis clausulis opportunis sub ypotheca
et obligatione predictis.
Ego ysachinus quondam ser petri de Merlatis de grado scolasticus
Aquilegensis publicus Jmperiali auctoritate notarius predictis omnibus presens
fui alijsque negotiis oocupatus per alium scribi et in liane publicam formam
redigi feci Jdeoque me subscripsi signo et nomine meis appositis consuetis.
Documento L.
15 li. 26 Ottobre.
72 doge Leonardo Loredana raccomanda al podestà d'Isola d'appoggiare
il nunzio deli 'abbadessa nella riscossione delle decime.
Leonardus Lauredanus Dei gratia Dux Venetiarum etc. Nobili et sa-
pienti viro Zacharie Zentano : de suo mandato potestati Jnsule. Fideli dilecto.
Salutem. et dilectionis affectum : El procurator dele Venerabili Monache de
madonna Santa Maria fu ora deli muri de Aquilegia è comparso avanti de
Nui, dolendosi grandemente, che essendo sta brusate. et minate le Jntrade
sue existente ne la patria, anchor li è azonto un altro male : adeo, che non
essendo provisto, le non haranno modo de viver ; qual è che quella fede-
lissima Comunità se fi renitente in pagarli el suo annuo affitto de libre
trecento trenta, et orne sei de oglio vel circa : pertiò, considerata la iusta
petitione sua, né è parso farvi la presente, Jmponendovi, che prestar debiate
al nuntio dele monache antedicte : qual per tal causa vieti de li tutti li Justi
et convenienti suffragii el vi rechiederà per scoder ditte sue Jntrade. over
quelle de Jure le dieno haver : acciò le possino viver cum, et suo. et su-
sten tarsi.
Data Jn nostro Ducali palatio Die XXVI° Octobris Jndictione XIVa
MDXI.
LE NECROPOLI PREISTORICHE DEI PIZZUGHI
Partendo da Parenzo, il primo castellicre che si presenta nella dire-
zione di levante-scilocco, a quattro chilometri circa di distanza in
linea retta dalla cittA, è quello di monte S. Angelo, alto 107 metri sopra il
livello del mare. È desso un ampio castelliere a tre cinte concentriche, di
cui la superiore conserva ancora alcuni avanzi delle antiche mura, torniate
da grandi massi rettangolari di pietra calcare sovrapposti 1' uno all' altro
senza legame di cemento, e conserva pure la soglia ed uno degli stipiti
della porta d' ingresso. Questo monte dà il nome alla sottoposta amplissima
valle, che si distende a' suoi piedi a guisa di un grande quadrilatero, or-
goglio e speranza dei bravi agricoltori parentini, che in breve volgere di
anni 1' hanno quasi per intiero trasformata in un vasto vigneto modello.
A poca distanza da S. Angelo, verso settentrione, sorge l'altro castel-
liere di monte Mordelle, egualmente a tre cinte concentriche, ma di dimen-
sioni molto più ristrette del primo. Ormai di questo castelliere poco più
rimane, essendovi stata aperta nel monte una cava di pietre.
Proseguendo infine il cammino da monte S. Angelo, nella stessa di-
rezione di levante-scilocco, si giunge, dopo altri quattro chilometri circa
di percorrenza, ai colli dei Pizzughi, i quali chiudono da questo lato le
ultime propaggini della valle suddetta.
Questi colli, quasi allineati, sono tre: due di essi sono immediatamente
attigui ; il terzo è distante dal colle mediano di circa 300 metri. Il colle
maggiore ha l'altezza di no metri sopra il livello del mare.
Intorno a cadami colle girano tre cinte concentriche, segno indubbio
i — 226 —
di castelliere preistorico. Delle antiche mura di difesa non vedesi più che qua
e là qualche rara vestigia. Diboscati i colli, le acque travolsero nel loro
corso, non più frenato da alcun impedimento, buona parte del rivestimento
terroso; laonde, venuto meno alle mura il sostegno, lentamente si sfasciarono,
precipitando a valle i massi rettangolari di pietra, ond' erano formate.
Per ampiezza di cinte, i tre castellieri dei Pizzughi tengono un posto
di mezzo in confronto di molti altri castellieri del territorio parentino. Non
credo di esagerare, assegnando in media a ciascuno di essi una popolazione
di almeno 200 abitanti.
Con questa proporzione, i 31 castellieri sinora noti del distretto giudizia-
rio, che su per giù corrisponde all'antico agro parentino — e probabilmente
non sono ancora tutti — darebbero nella campagna la complessiva popola-
zione di allora di 6200 abitanti. Ma essendovene taluni di amplissimi, non
dubiterei che la campagna fosse popolata, in tempi anteriori alla occupazione
romana, forse quanto adesso, che conta complessivamente 7744 abitanti.
Una prova abbastanza convincente della numerosa popolazione del-
l'Istria ai tempi preromani l'abbiamo, del resto, nei rinnovati tentativi degli
Istri ad impedire la fondazione della colonia romana in Aquileja (a. 183 a. C.)
e nella fiera lotta da essi opposta alle legioni romane, condotte prima dai
consoli Manlio e Giunio, e poscia dal console Claudio, le quali non riu-
scirono che a grande stento, e con molto eccidio di popolo, a rendere
soggiogata l' Istria (a. 177 a. C).
L'origine dei castellieri risale ad un'epoca molto remota, cui però, allo
stato odierno delle indagini e delle osservazioni raccolte, non si lascia ancora
nemmeno approssimativamente fissare. Certo è tuttavia che i castellieri vanno
attribuiti ad uno stesso popolo immigrato nell'Istria in tempi quando l'uso
del bronzo era bensì noto, ma non ancora intieramente cessato quello
della pietra polita ; non essendo raro il caso di rinvenire nei castellieri degli
esemplari di ascie, di punte di freccia, di nuclei di selce, di ossa di cervo
lavorate ecc., cose tutte che caratterizzano quest'ultima epoca. Così riusciva
al chiar. dott. de Marchesetti di rinvenire ai Pizzughi, confusa fra altre pie-
truzze calcaree sparse sul terreno, una bellissima punta di freccia silicea ad
alette e peduncolo.
Questo popolo immigratore alcuni vogliono che fosse celtico, altri
tracico, ed altri illirio, strettamente affine alle famiglie ellenica ed italica, il
quale si distese appunto intorno alle rive dell' Adria, ed alle contermini
regioni interne, fra le quali la veneta principalmente, di modo che Veneti
ed Istri sarebbero della stessa origine. Quest'ultima opinione, oltreché fondata,
pei Veneti particolarmente, nelle fonti classiche, sembra essere anche la più
— 227 —
corrispondente ai risultati archeologici dell' anzidetta vastissima regione ;
ma abbisogna ancora, per quanto riguarda l'Istria, di una migliore con-
ferma che non potrà venire che dal tempo e da più vaste esplorazioni
archeologiche.
La Tavola I rappresenta la topografia dei Pizzughi e delle rispettive
necropoli '). È d' avvertire però che, essendo stati proseguiti gli scavi in
varie direzioni dopo disegnata la detta Tavola, essa non rappresenta quelle
sezioni delle necropoli, che vennero successivamente esplorate. Uno scavo
metodico di quei sepolcreti non è del resto effettuabile, avendosi da fare
con campi coltivati a vigna, e per lo più a stretto filare.
Le necropoli dei Pizzughi sono due, quella cioè del castellierc I, e
1' altra del castelliere IL L probabile che anche il castelliere III abbia la
propria necropoli ; V indagine non ne fu però ancora tentata. Le dette ne-
cropoli si distendono nel vento di ostro a piedi del rispettivo castelliere,
fuori della cinta inferiore. Occupano, su per giù, ciascuna una superficie di
oltre due ettari di terreno inclinato a dolce pendio verso la valle.
Il terreno della necropoli del castelliere I è di proprietà di Giovanni
Radollovich detto Bus, villico di Monsalice ; l' altro della necropoli del
castelliere II appartiene in parte a Domenico Tamburin, agricoltore di
Parenzo, ed in parte a Matteo Pilato ed alla nob. famiglia de Vergottini,
pure da Parenzo. L' uno dei fratelli de Vergottini, il sig. Giuseppe, donò
anzi cortesemente al Museo parecchi vasi di tombe fatte da lui escavare ne!
proprio podere, di che mi è debito di farne qui particolare menzione, in
attestazione anche del mio animo grato verso l'egregio donatore. Laddove
gli scavi vennero però eseguiti su più larga scala, dovunque permettevalo le
colture del campo, si tu nel fondo Tamburin, il quale prestò pure, assieme
ai suoi figli, premurosa ed intelligente opera in tutti gli scavi, che via via
si sono andati facendo dall'autunno 1883 sino al tempo presente.
D'allora in poi furono scoperte meglio di 500 tombe. Molti vasi fittili
in esse rinvenuti furono dovuti intieramente abbandonare sul sito, perché
schiacciati sotto il peso delle sfaldature, oppure frantumati dalla punta del
vomere, specie nelle parti più elevate delle necropoli, dove la corrosione
delle acque rese più superficiali le sepolture. I vasi ricuperati, raramente
') Le Tavole furono disegnate dal nostro bravo istriano Giulio De Franceschi, ar-
tista accademico domiciliato in Venezia, al quale la Direzione coglie ben volentieri questa
occasione per porgere publicamente le proprie azioni di grazie.
— 228 —
intieri, vennero ricomposti con somma pazienza e perizia dal sig. Michele
Ghersina, il quale prestò pure la zelante opera sua nell' ordinamento dei
bronzi riferibili ad ogni vaso, e nell' assetto materiale dell' intiero Museo.
Il sito delle tombe non è indicato da nessun segno esterno. Esse non
seguono neppure un determinato ordine di disposizione. In alcune sezioni,
e particolarmente nella necropoli del castelliere I, le tombe si trovarono
riunite a gruppi, ed aderenti l'una all'altra, per vasto tratto di terreno ; in
altre sezioni esse apparvero isolate, oppure largamente qua e là disseminate ;
in altre sezioni, infine, sebbene collocate nel bel mezzo delle necropoli, non
fu rinvenuta nemmeno una tomba.
Le maniere di sepolture si riducono a quattro. La prima, e più pre-
valente in confronto di ogni altra, è quella della fossa cilindrica irregolare,
riparata da scaglie di calcare, e coperta da una o due lastre parimenti di
pietra calcarea, conosciuta sotto la denominazione di tomba a pozzetto.
La seconda maniera consiste in celle quadre di un metro circa per lato.
Queste tombe erano recintate ai quattro lati da un muro largo 50-60 cm.,
formato da massi poligonali bene combaciami fra loro, ma senza legame
di cemento, sì da non poter essere demolito che coli' impiego del piccone.
Due grosse sfaldature di pietra calcarea ne copriva tutto il recinto. Di questa
categoria di tombe, disposte l'una appresso l'altra in direzione nord-sud, ne
furono rinvenute quattro nella necropoli del castelliere II.
Il numero e la qualità dei vasi di bronzo e di argilla trovati in queste
tombe lasciano supporre che le medesime appartenessero a famiglie parti-
colarmente agiate.
Qualche attinenza con questa forma di tombe venne constatata nella
stessa necropoli in altre quattro tombe a celletta quadra, ma di più piccole
dimensioni delle suddescritte, formate da scaglioni calcari con rincalzi di
muriccioli a secco. Anche queste tombe aderivano l'una all'altra, ed erano
coperte da una enorme sfaldatura calcarea di quasi sette metri di superfìcie
e dello spessore di 30 cm. — Ciascuna tomba avea poi in separato altro
lastrone di copertura, immediatamente sottoposto alla grande sfaldatura.
L'apparato esterno di queste tombe non corrispose però al loro contenuto
di vasi — in tutto 13 — dei quali uno solo di bronzo, consistente in una
conchetta emisferica, priva dei manichi; mentre tutti gli altri vasi cinerari
erano plasmati di argilla grossolana. Poverissimo si presentò pure il corredo
dei bronzi, avendo le suddette tombe offerto soltanto un ago crinale a globetti
ed altri due aghi della stessa categoria, coli' asta di ferro.
Come terza maniera di sepoltura apparve la deposizione del vaso in
semplice buca, senza alcun presidio di muro od altro.
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Quarta ed ultima, la collocazione delle ossa combuste nel nudo terreno
al tondo della tomba, coperte da una lastrella.
Le due ultime forme di seppellimento devono considerarsi però come
eccezionali, essendo occorse in dieci casi soltanto.
Le tombe a pozzetto contenevano di regola un solo ossuario, ed ecce-
zionalmente non mai più di tre.
L'ossuario deposto nel terreno, ed incuneato tutt'ah" ingiro con scaglie,
veniva coperto sopra la bocca con una o due lastrelle. In sei casi soltanto
la lastrella fu sostituita dalla ciotola capovolta sulla bocca del vaso.
Molto frequente si è presentata pure la collocazione del vaso fra sei
scaglie a guisa di piccola cassetta, sebbene il vaso fìttile così presidiato non
si raccomandasse poi per speciale finitezza d' impasto, né per la sua de-
corazione.
I vasi di bronzo erano per lo contrario tutti incassettati, ed adibiti, al
pari di quelli d' argilla, come ossuario. Cosi fu pure dell' elmo conico, di
cui si parlerà più avanti.
Ma mentre ai vasi fittili non venivano di regola spezzate le anse, nessun
vaso di bronzo fu rinvenuto coi manichi intieri. AH' infuori della ciotola,
non vi hanno nelle tombe altri vasi accessori. Anche questa comparisce però
per sola eccezione, quando come coperchio dell'ossuario, e quando deposta
semplicemente sull' alto della tomba.
I vasi fittili aveano in generale un corredo più ricco di oggetti orna-
mentali dei vasi di bronzo, sebbene anche i primi, nel maggior numero,
difettassero di ogni oggetto ornamentale : segno manifesto della povertà del
defunto e dei suoi prossimi parenti, od indizio che quelle tombe risalgono
forse ad un' epoca, nella quale il bronzo era ancora poco diffuso fra quella
gente antica. Gli oggetti ornamentali, quasi sempre spezzati, stavano depo-
sitati nello strato superiore dei resti cremati, raramente al fondo dell' os-
suario, e mai fuori di questo.
La parte superiore di ogni ossuario è invariabilmente riempita di terra
mista a carbone. La pia cerimonia dell'ossilegio veniva praticata colla mas-
sima accuratezza, non essendosi mai rinvenuto fra le ossa combuste resti
di carbone o di altre materie eterogenee.
La stratificazione delle tombe in entrambe le necropoli è sempre una
sola. Come unica eccezione fu rinvenuto nella necropoli del castelliere II, a
60 cm. di profondità, un rozzo vaso fìttile, coperto da scodella, riempiuto
di ossa cremate, con entro alquante boccettine lagrimarie di vetro, ed una
moneta enea dell'Imperatore Tib. Claudio (a. 41-54 d. C). Sotto di esso
vaso, ad altrettanta profondità, e' era poi 1' ossuario preistorico.
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Poco distante si è trovata pure un' urna cilindrica di pietra, munita di
coperchio, col contenuto di ossa cremate. In prossima vicinanza giaceva
nel terreno una lucerna fittile di argilla rossa, sul piattello della quale è
rappresentato un genietto in rilievo, che sostiene colle mani un' umetta.
Il rito funebre unicamente osservato dal popolo che lasciò le necropoli
dei Pizzughi, fu quello della cremazione ed incinerazione. Ma mentre le
lastre calcari annerite dal fuoco, la terra fortemente nericcia ed untuosa, e
così pure i resti di carbone, lascierebbero supporre che la ustione dei ca-
daveri seguisse nella necropoli del castelliere I, sul sito stesso della sepol-
tura ; sembra che la necropoli del castelliere II andasse per lo contrario
fornita di apposito rogo, non presentando le sfaldature delle tombe intense
macchie di annerimento, ed apparendo la terra delle sepolture soltanto leg-
germente venata di nero, con mescolanza di cenere.
Il cadavere veniva cremato con tutti i suoi indumenti ed oggetti or-
namentali, portando quest' ultimi traccie indubbie di sofferta combustione.
Come prova ulteriore che i castellieri dei Pizzughi fossero abitati anche
durante il più tardo periodo romano, valga, per ultimo, il rinvenimento di
tre scheletri umani, a breve distanza 1' uno dall' altro, col capo volto a
ponente e le braccia tese lungo i fianchi. L' uno di essi, che per la parti-
colarità del sito tu potuto intieramente discoprire, giaceva disteso sopra
una sfaldatura, col corpo alquanto inclinato a sinistra. Sotto la nuca vi era
collocato un vasetto fittile inverniciato, altri due vasetti erano deposti sotto
l'avambraccio destro. Lo scheletro misurava in lunghezza m. 1.60.
I due crani, che furono ricuperati, sono dolicocefali con sporgenza
marcatissima degli archi sopraccigliari e forte depressione dell'osso frontale.
Su questi crani verrà più estesamente riferito da persona competente nei
prossimo volume.
Nel terreno, fra i detti scheletri, si trovarono due lucerne di argilla
grigio-cinerea colia marca FORTIS ; alquante boccettine lagrimatorie di
vetro; un chiodo di ferro; sei vasetti fittili senza vernice; due ampolle di
vetro ansate, quadrilatere, una delle quali porta esternamente sul fondo a
lettere leggermente rilevate, doppiamente ripetute, secondando i lati del
quadratola marca: P. ACCIVS ALCIMVS '); ed, infine, quattro monete
enee, 1' una dell' Imperatore Vespasiano (a. 69-79 d. C.), la seconda di Do-
') Gregorutti don. Carlo. La figulina imperiale i'ansiana ed i prodotti fittili del-
l'Istria. («Atti e Memorie della Società istriana di archeologia » — Parenzo, voi. II, fase. i,°
e 2.0, anno 1886).
— 231 —
iniziano (a. 81-96), la terza di Trajano (a. 98-117) e la quarta non più
decifrabile ').
In altra sezione del campo, dove il terreno era stato profondamente
sconvolto già in tempi precedenti, apparve parimenti il frammento di un vaso
aretino colla marca entro un quadrilatero ad angoli rotondati, contornato
LVCC
da quattro cerchielli leggermente rilevati : + T * . — Neil' interno porta
graffite le lettere : L ' AS *). Per ultimo, si rinvenne un fondo di tazza colla
marca: PRISCI ').
Prescindendo da questi ritrovati d' inoltrata epoca romana, le necropoli
preistoriche dei Pizzughi, oltreché non differire nei caratteri essenziali da
quella di Verino 4), corrispondono quindi pei sistemi usitati delle sepolture
e pel rito costante della cremazione, alle necropoli della prima età del ferro
di Este, Villanova, Bologna ecc. nell'Italia superiore; ed al di là delle Alpi,
per accennare alle più prossime soltanto, a S. Margarethen, Zirknitz e
Watsch nella Carniola, Villacco nella Carintia, e Maria Rast nella Stiria.
Fo' qui seguire l' inventario del materiale archeologico sinora raccolto
nelle necropoli predette, il quale giugne sino alla chiusa dell' anno li
1
2
4
5
6
7
8
Vasi fittili a varia forma, senza decorazione N.r 130
» » decorati a rilievo » io
» » » a graffito » 15
» » dipinti a pennello » 6
» » a vernice lucida di ocra e grafite » 3
» » a stralucido » 1
» » con rappresentazione animale (anitre graffite) . . » 1
» » a granitura » 1
» » colla spirale conimi dietro a rilievo » 4
') La lettura non facile di queste monete molto consumate dall'ossido è dovuta alla
gentilezza del Socio-direttore prof, l'uschi, il quale si è prestato pure alla classificazione
di molte altre monete possedute dal Museo provinciale
*) Gregorutti dott. Carlo. Op. cit.
3) Ibidem.
') Amoroso. / castellieri istriani e la necropoli di Verino. («Atti e Memorie della
Società istriana di archeologia », fase, unico, 1885). — Marchesetti. La necropoli di Verino
presso 'Pisino nell'Istria {* Bollettino della Società adriatica di scienze naturali in Trieste»,
voi. Vili, 1883). — Moser. 'Bericht ùber di Necropole v. Verino (Band. LXXXIX d. Sitzb.
d. Akad. d. Wissenschaftcn, I Abth. Mai-Heft. 1884, mit. V. Taf.).
— 232 —
io. Vasi fittili con listelli di piombo N.r i
11. » » situle a zone cordonate » 2
12. » » a cordoni rilevati » 1
13. » » frammenti di diversi vasi apuli di bassa età, ed
etrusco-campani » 8
14. Ciotole ad ansa quadra o rotonda » 13
15. » senza ansa » 9
Di queste : decorate a meandro rettilineo colla im-
pressione della verghetta spiraliforme N.r 6
a meandro graffito » 1
con rappresentazione animale ( anitre
graffite) » 1
coli' orlo periato » 1
senza decorazione » 13
16. Scodelle-coperchio » 5
17. Coppa a triangoli graffiti » 1
18. Anse a cornettini » 2
19. Pesi di argilla » 1
20. Cista a cordoni di bronzo ' » 1
21. Situle di bronzo » 7
22. Conche emisferiche di bronzo » 5
23. Elmo conico di bronzo » 1
24. Fibule a barchetta di bronzo » 2
25. » a sanguisuga di bronzo » 2
26. » serpeggianti di bronzo » 6
27. » ad arco e lunga staffa di bronzo » 2
28. » a bottoni di bronzo » 1
29. » con staffa a testina di animale di bronzo .... » 1
30. » ad arco laminare di bronzo » 1
31. » Certosa di bronzo » 4
32. » (frammenti) di ferro » 2
33. » di tipo gallico (La Tene) di bronzo » 1
34. Aghi crinali a globetti di bronzo » 8
35. » » » » con asta di ferro » 2
36. » » » » (frammenti) di ferro » 2
, 37. » » con testa a piattello di bronzo » 2
38. » » » » a riccio di bronzo » 1
39.' Spilloni di bronzo » 7
40. Anelli laminari di bronzo . . ; » *4
— 233 —
41. Anelli a spirale di bronzo N.r 16
42. Armille a nastro piatto di bronzo » 8
43. » a spirale di filo rotondo 0 quadrangolare (molti fram-
menti) di bronzo » 14
44. » ad un solo filo rotondo liscio di bronzo .... » 32
45. » » » » » » grallito di bronzo ...» 3
46. » ad uncino di bronzo » io
47. » a cannello vuoto di bronzo » 6
48. » a nastro piatto e cordonato esternamente di bronzo ». 1
49. » con un solo cordone longitudinale (molti frammenti) » 1
50. » a lamelle riunite, di cui la superiore lavorata a sbalzo
(frammenti) » 1
51. Placche di centurone di bronzo » 19
52. Orecchini di bronzo » 3
53. Bottoni » » 59
54. Rotella » » 1
55. Saltaleoni » » 2
56. Pendagli : capsulette triangolari lavorate a sbalzo, di bronzo . » 3
» secchielli di bronzo » 2
» pettini » » 4
» triangolari a lamina di bronzo » 3
» a forma di uccelletto di bronzo » 3
57. Manichi a doppia orecchietta in forma di croce latina di bronzo » 3
58. Disco (umbone) di bronzo » 1
59. Aste massiccie ritorte (d' incerto uso) di bronzo .... » 4
60. Coltelli di bronzo » 2
61. » di ferro » 2
62. Mollettine di bronzo » 1
63. Cura-orecchie di bronzo » 2
64. Ami di bronzo » 1
6j. » di ferro » 1
66. Lande di ferro » 6
67. Perle di vetro di colore bluastro con incrostazione di giallo » 8
68. » » » di vari colori » 6
69. Dischetti di ambra per collana » 26
70. Anello d' ambra inlìlato in un' armilla di bronzo .... » 1
71. Aghi di osso » 1
72. Figurina di argilla » 1
73. Fusajole » 40
— 234 —
74- Pestelli di pietra N.' 3
75. Cote di arenaria » 2
76. Ossa di cervo lavorate (raschiato)) » 4
77. Punteruoli » 6
78. Scheggie di selce.
79. Frammenti di macina di trachite.
80. Corna di cervo, di capriolo, di pecora, denti di bue e di cavallo.
Delle molte tombe scoperte dò appresso la descrizione soltanto di quelle
che per la qualità o forma dei vasi, oppure pel loro contenuto archeologico,
possono destare un interesse speciale e meglio caratterizzare le necropoli
in discorso.
Necropoli del Castelliere I.
i')
0.80
0.90
0.80
0.70
Tomba a pozzetto. — Vaso d'argilla rude, di colore rossastro,
non lisciato esternamente, a ventre rigonfio, col cono supe-
riore tozzo, mancante di collarino del labbro, ed ornato al
sito della maggiore rigonfiatura di tre semiovali equidistanti
a rilievo (Tav. II, fig. 7). Nel vaso due armille di bronzo
a nastro piatto, ornate di meandri incisi a bullino (Tav. Vili,
fig. 4)-
Tomba a pozzetto. — Vaso d' argilla depurata, privo di anse,
a doppio cono rigonfiato a mezzo, lisciato esternamente,
e decorato di zone verticali bicrome a tinte evanescenti
(Tav. Il, fig. 2).
Tomba a pozzetto. — Vaso d'argilla rude, rigonfiato a mezzo,
abbandonato. Entro il vaso un ago di bronzo a globetti, la
fibula serpeggiante con dischetto infilzato nell'arco (Tav. VII,
fig. 3), ed altre tre fibule della stessa forma.
Tomba a pozzetto. — Situla d'argilla alquanto depurata, lisciata
esternamente, col maggiore rigonfiamento sotto il collo, dove
ripiegandosi orizzontalmente con rapida strozzatura forma il
breve collo cilindrico, col labbro spianato in fuori (Tav. II,
') Il primo è il numero delle tombe secondo il giornale degli scavi :
numero indica la profondità di cadauna tomba.
il secondo
— 235 —
fig. 6). Nel vaso il pendaglio di bronzo a pettine, ornato di
cerchietti incisi e puntino nel mezzo (Tav. VII, fig. 23),
franamenti di armilla a filo sottile colle estremità a fiorellino
rotondo ed uncino, un anello laminare e frammenti di placca
di centurone.
0.80 Tomba a pozzetto. — Vaso d'argilla rude, rigonfiato a mezzo.
Nel vaso un coltello spezzato di ferro serpeggiante ed iden-
tico a quello raffigurato nella Tav. IX, n. 20, il secchiolino
di bronzo della Tav. VII, fig. 17, un anello di bronzo a
spirale, e due aste ritorte con testina piatta.
0.70 Tomba a pozzetto. — Vaso a forma di situla, di argilla gros-
solana, ornato sotto il collo di quattro bugitene equidistanti
e con labbro spianato in fuori (Tav. II, tìg. 8). Nel vaso
il pendaglio a pettine decorato di puntini incisi (Tav. VII,
fig. 22), frammenti di armilla a filo rotondo e quadrangolare,
e l'anello di bronzo a nastro piatto, con nervatura longitu-
dinale (Tav. IX. fig. 4).
0.70 Tomba a pozzetto. — Frammenti di due vasi di bronzo e di
altro vaso di argilla rude. Al fondo della tomba, fra le ossa
combuste, Y armilla spirale di bronzo a filo rotondo, col-
l' intreccio di nn nodo nel filo superiore (Tav. Vili, fig. 5),
frammenti di altra armilla pure a filo rotondo, ed un' asta
di bronzo ritorta colla testa a capocchia. — Sull' alto della
tomba il coltello di ferro serpeggiante ed a lungo còdolo
(Tav. IX, fig 20).
0.80 Tomba a pozzetto. — Situla fittile cordonata e zonata, a tinte
alternative di ocra e grafite (Tav. Ili, fig. 5). Entro il vaso
n. 36 bottoni di bronzo con peduncolo (Tav. IX, fig. 16),
due capsule triangolari, vuote, fatte di sottilissime lamelle,
ornate l'ima di lineette e punteggiature a sbalzo, e l'altra di
cerchietti con fiorellino nel mezzo (Tav. VII, fig. 16, 18),
anelli di catenella a filo rotondo, ed infine la fibula a bottoni
e lunga staffa, ornata di lineette incise (Tav. VII, fig. 8).
0.70 Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla rude, rossastra, rigon-
fiato a mezzo. Nel vaso un' armilla di grosso filo cilindrico
a cinque giri di spirale, altra armilla a cannello vuoto, fram-
mento di una terza armilla a filo quadrangolare, un anello
a spirale, e la fibula serpeggiante, raffigurata nella Tav. VII,
n. 4.
236
14
o.6o
20
1.20
22
0.80
26
0.80
28
1.00
31
32
1.00
I.IO
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla grossolana, abbandonato.
Nel vaso frammenti di armilla a grosso filo cilindrico, due
anelli laminari, un frammento di asta ritorta, e la fibuletta
a sanguisuga, ornata di lineette incise e di sette cerchietti
riempiuti di materia biancastra, disposti simmetricamente
sulla sommità dell' arco (Tav. VII, fig. 5).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla rude rigonfiato a mezzo,
ansato, col labbro sporgente in fuori. Nel vaso il frammento
della placca di centurone con decorazione a bullino di ani-
trelle disposte su due file, divise da fascette di linee parallele
e da zone a %ig-%ag ed a meandro ; le anitrelle della prima
fila corrono in direzione opposta a quelle della seconda
(Tav. X, fig. 8).
Tomba a pozzetto. — Vaso fittile di pasta ordinaria, rossastro,
lisciato esternamente, di forma sferica e fondo piatto, collo
alto e labbro cordonato all' ingiro dell' orlo alquanto spor-
gente in fuori. Alla sommità del ventre è decorato di quattro
sigle in rilievo equidistanti (Tav. Ili, fig. 3). Una ciotola
fittile priva di ansa e di decorazione, e frammenti di un terzo
vaso di argilla rude.
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla d' impasto ordinario, ab-
bandonato. La bocca del vaso era coperta da una ciotola
capovolta pure di pasta ordinarissima, non ingubbiata, con
ansa quadra ed orifizio rientrante, e decorata intorno al corpo
di un meandro rettilineo, ottenuto coli' impressione di una
verghetta spiraliforme, il cui cavo era riempiuto di materia
biancastra (Tav. VI, fig. 1).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla ordinaria, di colore ros-
sastro, lisciato esternamente, tozzo al cono superiore tronco
ed ornato intorno al ventre della spirale corrimi dietro in
rilievo, serrata fra due cordoni orizzontali, dei quali il su-
periore forma il contorno dell'orifizio del vaso (Tav. II, fig. 4).
Nel vaso due anelli laminari di bronzo.
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla d'impasto ordinario, non
lisciato esternamente, a ventre rigonfio e colle anse spezzate,
ornato di bugnette, con collo ricurvo e labbra spianate in
fuori (Tav. II, fig. 12).
Tomba a pozzetto. — Vaso fittile di pasta grossolana, abban-
donato. Sulla bocca del vaso una ciotola capovolta, d' im-
— 237 —
42
0.70
45
46
0.70
0.70
48
0.70
49
52
1.00
0.50
pasto ordinario, lisciata esternamente, con ansa quadra, ori-
fizio rientrante, decorata di meandro rettilineo graffito con
punta di stecca, e riempiuto nel cavo di materia bianca
(Tav. VI, fig. 3). Nella ciotola la rotella di bronzo e l'orec-
chino munito di gancio (Tav. IX, fig. io, 6). Nel vaso il
saltaleone (Tav. VII, fig. 21), due anelli per catenella, l'uno
dei quali ritorto e 1' altro liscio.
Tomba a pozzetto. — Ciotola fittile decorata di un giro di perle
sotto all' orlo, fra due cordoni orizzontali a rilievo, di cui
il superiore forma 1' orlo del vaso (Tav. VI, fig. 5). Nella
ciotola la placca di centurone a meandro inciso e fascie di
Vg-KPg (Tav. X, fig. 1).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla ordinaria, abbandonato.
Entro il vaso resti di placca di centurone a meandro inciso
e fascie a zig-^ag (Tav. X, fig. 7.
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla depurata, munito di ansa
anulare, lucidato a grafite, con ventre rigonfio, collo slan-
ciato e labbra spianate in fuori. Alla sommità del ventre è
decorato di una fila di anitrelle graffite, che corrono da si-
nistra a destra tutto all' ingiro del vaso, serrate da linee oriz-
zontali graffite, mentre la zona inferiore è occupata da un
meandro spezzato e contornato parimenti da una triplice
fascia orizzontale di linee graffite. Il graffio delle anitrelle e
delle linee è riempiuto di materia biancastra (Tav. IV, fig. 3).
Nel vaso il frammento di placca di centurone decorato di
anitrelle smilze, che corrono in direzioni opposte, fra tre
zone a meandro (Tav. X, fig. 9).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla rude di colore rosso,
lisciato esternamente, non ingubbiato, ornato della spirale
corrimi dietro a rilievo (Tav. II, fig. 3). Nel vaso due fram-
menti di placca di centurone, identici nel disegno a quello
della Tav. X, fig. 3.
Tomba a pozzetto. — Vaso simile a quello della tomba N. 46,
decorato di fascette a x'g~\"g c meandro spezzato (T. IV, f. 1).
Tomba a pozzetto. — Và"so di argilla rude, non lisciato ester-
namente, del solito colore rossastro, a doppio tronco di cono,
privo di ansa e col labbro spianato in fuori. Nel vaso due
fibule ad arco e lunga staffa, che finisce in bottone (Tav. VII,
fig. 6), resti di placca di centurone e di anelli laminari,
— 238 —
54
SS
0.60 Tomba a pozzetto. — Basso vaso cilindrico di argilla ordinaria,
non lisciato ed ornato di quattro cordoni a rilievo ritorti,
che girano intorno al corpo (Tav. VI, fìg. 4). Nel vaso i due
pendagli laminari di forma triangolare, ornati di cerchietti
incisi con puntino nel mezzo, all'uno dei quali sono appese,
mediante un anellino, tre figurine umane aventi il capo co-
perto da una specie di pileo, colle braccia arcuate e corpo
tozzo (Tav. VII, fìg. 19, 20).
0 g0 Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla ordinaria, abbandonato.
Nel vaso lo spillone di bronzo con testina ad ombrello e
sottopostovi globetto e disco ; la punta dello spillone entra
in un astuccio di osso ornato di lineette parallele e cerchietti
(Tav. VII, fìg. 15).
Necropoli del Castelliere II.
1 1 1.20
1.20
1.10
Tomba a grande cella quadra. — Nella tomba due situle di
rame, formate di una sola lamina sottile, riunita dall'alto al
basso da borchie dello stesso metallo, la quale si congiunge
mediante rimboccatura e chiodi disposti orizzontalmente ad
altra lamina, che forma il fondo del vaso, ed una cista a cor-
doni di bronzo. Cadauno di questi vasi era protetto da una
cassetta formata di sci scaglie (Tav. VI, fig. 7, 9, io).
Tomba a grande cella quadra. — Entro a cassetta di sei scaglie
la conca di bronzo decorata di doppia zona di meandro fra
due linee orizzontali di dentelli, coi manichi spezzati (Tav. VI,
fig. 12). Nel vaso un ago crinale a globetti, coll'asta spezzata
di ferro. Situla fittile cordonata e zonata a tinte alternative
di ocra e grafite. Altra situla d' impasto ordinario, col labbro
spianato in fuori, lisciata esternamente, ma non ingubbiata
(Tav. II, fig. 9).
Tomba a grande cella quadra. — Fra sei scaglie il vaso di
forma quasi sferica, con bocca recinta da una slabratura, due
anse anulari ed un esile sottopiede emisferico. È plasmato
di argilla finissima di -colore arancio-pallido e dipinto a pen-
nello largo di fascie, triangoli, scacchi e cerchielli di colore
brunastro, sopra fondo non verniciato (Tav. V, fig. 2). Pa-
rimenti fra sei scaglie la brocca sferica con collo cilindrico.
Questo vaso rassomiglia perfettamente al primo peli' impasto
— 239
1.00
18
19
0.80
0.80
di argilla depurata e pel modo di dipintura (Tav. V, fig. 1).
Parte inferiore di altro vaso sferico eguale al primo.
Tomba a grande cella quadra. — Conchetta di bronzo emisfe-
rica, riposta entro ad altra urna di argilla ordinarissima,
coli' orlo decorato di fascie incise a Z}g-?fig e di lineette
parallele. Manca delle anse a croce, simili a quelle della
Tav. VI, fig. il. Situìa di argilla depurata di colore rosso,
lisciata, con piedino ed orlo formato da un cordone (Tav. Ili,
fig. 6). Nel vaso l'armilla spirale a filo quadrangolare della
Tav. Vili, fig. 6. Vaso fittile d' impasto ordinario, lisciato
esternamente, di forma schiacciata e colore rossastro, deco-
rato della spirale corrimi dietro a rilievo. Nel vaso due ai-
mille di bronzo a filo rotondo, le cui estremità finiscono a
gancio ed uncino (Tav. Vili, fig. 1).
Tomba a pozzetto. — Vaso conico di argilla grossolana, privo
di anse. Nel vaso l'armilla di bronzo ad un solo filo rotondo,
ornata di due nodi rigonfiati a cordone (Tav. Vili, fig. 2).
Tomba a pozzetto coperta da una grande sfaldatura. — Elmo
conico di bronzo coi fianchi curvilinei, formato da una sola
lamina tirata a martello, senza congiunture, alto cm. 20,
con un diametro alla base di cm. 23 ed una grossezza della
lamina di mm. 1 '/»• Pesa 57° gr- Alla base la lamina
è internamente ripiegata per 17 mm. Su questo campo
corre esternamente una ornamentazione orizzontale di trian-
goli riempiuti di linee parallele, coi vertici rivolti in dire-
zione opposte e scavalcati, sì da farne risaltare, nello spazio
vuoto intermedio, la figura del X}g-%*g '). Nei punti corri-
spondenti alle tempie, l'elmo è munito di due forellini per
parte, ai quali stava probabilmente fissata la coreggia per il
soggolo. Dall' alto al basro dell' elmo, sino alla linea oriz-
zontale, formata dalla ripiegatura della lamina, si dipartono
dall' una parte due fila di undici forellini rotondi e dalla
') Il disegno dell'elmo venne dato per la prima volta nelle Mitlh. dtr k. k. Ctntral-
Commission di Vienna (voi. XI, fase. 2, 1885), e poscia nel Bullettino di paletnologi» ila-
liana (a. 1S85). In entrambi quei disegni, l'elmo figura privo di ogni ornamentazione, la
quale fu appena più tardi scoperta, cioè dopo esperita qua e l.ì qualche ripulitura della
incrostazione di ossido che lo ricopre intieramente.
— 240 —
20
o.8o
21
23
27
30
0.80
O.7O
1.00
32
0.70
35
0.60
parte opposta parimenti due fila di cinque forellini, l'ultima
avendone invece tre (Tav. VI, fig. 8). Sotto lo stesso lastrone,
e nella stessa tomba, fu rinvenuta una conca emisferica di
bronzo decorata intorno all' orlo di fascie incise a zjg-^fig
e di gruppi di lineette parallele. — Ciascuno di questi vasi
era collocato in cellette di sei scaglie.
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla grossolana, abbandonato.
Nel vaso l'ago crinale di bronzo a globetti alternati da dischi
e la fibula a barchetta ad arco ampio e ventricoso, decorato
d' incisioni a Z}g~\fig, con un anello alla sommità dell'arco,
per appendervi qualche gingillo (Tav. VII, fig. 7, 9).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla ordinaria, abbandonato,
la cui bocca era coperta dalla ciotola (Tav. VI, fig. 6), pure
d' impasto ordinarissimo.
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla rude, non lisciato, di forma
rotondeggiante e col collarino del labbro appena sbozzato
(Tav. Ili, fig. 9).
Tomba a pozzetto. — Situla di bronzo a frammenti, formata
di lamina sottile, riunita mediante rimboccatura e chiodi a
testa piatta. Manca dei manichi.
Tomba a pozzetto. — Grande vaso di argilla rude, di tinta ne-
rastra, non lisciato esternamente, rigonfiato a mezzo e privo
di anse, collo slanciato e labbra alquanto ripiegate in fuori.
Nel vaso 1' ago crinale con testa a piattello e margini forati,
per appendervi dei gingilli (Tav. VII, fig. 13), un anello a
otto giri di spira di filo sottile (Tav. IX, fig. 2), frammenti
di anelli laminari, un bottone con peduncolo, e due fusajole
sferiche di argilla, una delle quali è decorata a spirale otte-
nuta colla impressione di una verghetta spiraliforme (Tav. IX,
fig- 7)-
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla alquanto depurata, di co-
lore brunastro, lisciato esternamente colla stecca, non ingub-
biato, a due tronchi di cono, dei quali il superiore viene a
formare con bella curva il collo del vaso, avente le labbra
spianate in fuori (Tav. II, fig. 5).
Tomba a pozzetto. — Vaso conico di argilla ordinaria, di co-
lore rossastro, non lisciato esternamente, fornito di ansa
anulare, rigonfiato alla sommità del ventre e con collo cilin-
drico (Tav. Ili, fig. 12).
— 241
I.IO
1.40 Tomba a pozzetto. — Vaso a forma di situla, di argilla gros-
solana e tinta rossastra, non lisciato esternamente, coperto da
una scodella dello stesso impasto e colore (Tav. Ili, fig. 8).
1.40 Tomba a pozzetto. — Vaso d'argilla ordinaria, rossastra, col
cono tronco superiore tozzo, non lisciato e decorato allo
ingiro da zig-zag rilevati fra due cordoni orizzontali a rilievo
ed orlo parimenti cordonato (Tav. II, fig. io).
Tomba a pozzetto. — Vaso fittile d' impasto ordinario e colore
rossastro, non lisciato, rigonfiato a mezzo, privo di anse,
fondo schiacciato, ornato di tre bugnette e col labbro ripie-
gato in fuori. Nel vaso 1' armilla laminare di bronzo, colla
pagina esteriore longitudinalmente cordonata (Tav. VIII, fi-
gura 8), l'ago crinale di bronzo a due globetti, lo spillone
(Tav. VII, fig. 12, 14), e resti di un pendaglio triangolare
a pettine.
Tomba a pozzetto. — Vaso d'argilla rude rigonfiato a mezzo,
abbandonato. Nel vaso placche di centurone frammentate,
lavorate a bullino con incisioni a ZJg-ZJig e meandri vaga-
mente intrecciati con combinazioni svariate (Tav. X, fig. 4, 5).
Tomba a pozzetto. — Coppa di argilla ordinaria di colore bruno,
lisciata esternamente colla stecca, munita di piedino cordonato
e decorata all' ingiro del labbro di triangoli graffiti riempiuti
di linee parallele. Nel cavo delle linee veggonsi ancora i resti
di una materia biancastra (Tav. VI, fig. 2).
0-9° Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla grossolana di colore ros-
sastro, non lisciato, rigonfiato a mezzo, privo di anse e
decorato di z}g~Z.ag rilevati fra due linee orizzontali in cavo
(Tav. II, fig. 11).
0.40 Tomba a pozzetto. — Vaso d' argilla ordinaria, abbandonato.
Nel vaso sei perle vitree di colore opaco, ornate di cerchietti
circolari, incrostati di giallo (Tav. IX, fig. 1 1), e due anelli
a spirale.
0.40 Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla ordinaria, abbandonato.
Nel vaso sei perle vitree, quattro di forma sferica e due al-
quanto schiacciate. Una perla è di colore bluastro, due di
colore opaco; le altre di vetro bianco (Tav. IX, fig. 14, 15).
Si rinvennero altresì dieci piccoli dischetti di ambra con fio-
rellino nel mezzo, ed i resti della placca di centurone a mean-
dri punteggiati (Tav. X, fig. 6).
0.90
1.00
i«
— 242 —
45
0.40
46
0.60
52
53
0.80
0.80
54
1.10
56
59
0.60
0.60
73
0.90
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla rude, abbandonato. Nel
vaso vari frammenti della placca di centurone a meandro
spezzato fra due zone di fascie reticolate (Tav. X, fig. 2), e
1' armilla spirale a filo rotondo (Tav. Vili, fig. 7).
Queste tre tombe erano attigue l'una all'altra, e, per es-
sere quasi alla superficie del terreno, i vasi erano ridotti a
minutissimi pezzi.
Tomba a pozzetto. — Vaso rigonfiato di argilla di mediocre
impasto, coli' ansa spezzata, lucidato a grafite e decorato a
granitura, coi cavi riempiuti di materia biancastra (Tav. IV,
fig. 4). Nel vaso molti resti di armille a verga rotonda e
quadrangolare, ed un' armilla a cannello vuoto, con una delle
estremità rastremata sino a finire in punta, la quale entrava
nel cannello dell' altra estremità (Tav. Vili, fig. 3).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla nerastra d' impasto or-
dinario, rigonfiato nella parte superiore, lisciato esternamente
e munito di due anse ad aletta quadra, con foro rotondo e
bugnetta nel mezzo del vaso (Tav. Ili, fig. 11).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla alquanto depurata di colore
rosso, lisciato esternamente, ma non ingubbiato, di forma
cilindrica, decorato di tre cordoni orizzontali internamente
vuoti, munito di alto manico ad orecchia impostato sui due
cordoni superiori e coll'orlo a cordone ritorto (Tav. II, fig. 1).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla alquanto depurata, lisciato
esternamente, di tinta nerastra, rigonfiato a mezzo e colle
labbra spianate in fuori. Nel vaso 1' anello spirale e 1' altro
anello laminare con nervatura longitudinale mediana (Tav. IX,
fig- i, 3)-
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla ordinaria, abbandonato.
Nel vaso la mollettina ed il cura-orecchie di bronzo, raffi-
gurati nella Tav. IX, n. 17, 18.
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla rude, abbandonato. Nel
vaso la fibula Certosa, la cui staffa, anziché finire nel solito
bottone, presenta una testina di animale colle orecchie di-
ritte (Tav. VII, fig. 2), ed il pendaglio a forma di uccello
(Tav. IX, fig. 13).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla nerastra, lisciato esterna-
mente, di forma emisferica, breve collo cilindrico e manico
impostato sul!' orlo (Tav. Ili, fig. 2).
— 243
1.20
o.8o
0.70
1.20
1.00
0.80
0.80
0.80
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla grossolana nerastra, di
forti pareti, lisciato esternamente, rigonfiato al ventre, con
alto collo cilindrico, ansa anulare, e decorato di bugnette alla
sommità del ventre (Tav. Ili, fig. io).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla rude, abbandonato. Nel
vaso due fibule Certosa (Tav. VII, fig. 1), e gli spilloni
(Tav. VII, fig. io, 11).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla grossolana, non lisciato,
a ventre rigonfio, col cono tronco superiore tozzo e privo
di collarino del labbro. Nel vaso il coltello di bronzo fuso,
tutto di un pezzo, colla schiena grossa e rialzata, e manico
semilunato ritorto. Vi si rinvennero altresì alquanti resti di
centurone, un bottone e n. 16 dischetti di ambra con forel-
lino nel mezzo (Tav. IX, fig. 23).
Tomba a pozzetto. — Vaso di fabbrica etrusco-campana di ele-
gantissima forma (Tav. Ili, fig. 7) ed il vasetto a vernice
lucida (Tav. Ili, fig. 1).
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla d' impasto ordinario, a
doppio tronco di cono e labbro spiegato in fuori. Nel vaso
la figurina umana, plasmata di argilla, della Tav. IX, fig. 8.
Tomba a pozzetto. — Vaso di argilla alquanto depurata, lucidato
a grafite, rigonfiato a mezzo, ansato, decorato all' ingiro del
ventre di meandro a linee spezzate, graffite, riempiute di
materia biancastra, collo slanciato e labbro spianato in fuori
(Tav. IV, fig. 5).
Tomba a pozzetto. — Vaso simile al precedente, ornato sotto
il collo di fregi a dentello ed intorno al ventre di triangoli
graffiti (Tav. IV, fig. 6).
Tomba a pozzetto. — Vaso simile ai due precedenti, decorato
di meandro e fascie a ^jg-^ag graffite (Tav. IV, fig. 2). Nel
vaso il coltellino serpeggiante di bronzo a manico piatto,
decorato a bullino sulle due faccie della lama di piccoli rombi
disposti su due fila parallele, e sul manico di una fila sola
(Tav. IX, fig. 24).
Passando ora alla compendiosa rivista di tutto questo materiale ar-
cheologico, convienmi innanzi tutto rilevare la svariata serie dei fittili
rinvenuti nelle due necropoli, i quali indubbiamente appartengono alle in-
dustrie locali.
— 244 —
Come il lettore se ne sarà già avveduto dalla descrizione dei singoli
vasi e dall' ispezione delle Tavole in cui ne sono raffigurate le principali
forme, la tecnica dei medesimi si manifesta in generale semplicissima assai.
Plasmati a mano, senza il sussidio del tornio e raramente lisciati ed in»
gubbiati, detti vasi sono cotti al fuoco libero ed in modo disuguale,
scorgendosi nelle parti più cotte una zona nericcia in mezzo a due di colore
rosso, mentre nelle meno cotte la pasta apparisce totalmente nera. La quale
è pur essa molto grossolana, essendo composta di argilla rude, unita a car-
bone e a granuli di spato calcare.
Le forme, come dissi, sono svariatissime, prevalendovi però sopra tutte
le altre quella del vaso rigonfiato a mezzo o presso il labbro.
Vi ricorre pure frequente la forma a doppio cono, in cui il collarino
del labbro manca od è rudimentale, ed il cono tronco superiore, anziché
essere sviluppato e slanciato, rimane come tozzo ; poi viene quella a cono
rovescio; ed infine la siiula imitante il noto tipo di Este.
Nelle decorazioni dei vasi veggiamo di preferenza usitato 1' ornato a
rilievo consistente in cordoni orizzontali lisci, oppure ritorti, in fregi a ^ig-Xflg,
in bugnette, perle ecc., e nella spirale corrimi dietro.
La decorazione graffata a triangoli, dentelli e meandri, o con rappre-
sentazione animale, spicca particolarmente nel gruppo dei vasi riprodotti
nella Tav. IV, e così pure nelle ciotole e nella coppa raffigurate nella
Tav. VI, n. i, 2 e 3.
La decorazione a granitura è rappresentata da un solo esemplare di
vaso, in quello cioè della Tav. IV, n. 4.
La riempitura del cavo delle linee con materia biancastra, quale mezzo
di ornamentazione dei vasi, ricorda quella stessa decorazione che vediamo
usitata a Este nel primo e più antico periodo, a Golasecca egualmente nel
primo periodo, a Bismantova, a Bologna ecc.
Nei riscontri dei fittili con quelli di altre necropoli, il chiar. prof. Orsi,
che ha studiato con amore e con quella rara erudizione che lo distingue
queste nostre necropoli '), ha già rilevato qualmente i cinerari della Tav. II,
fig. 2 e 5, richiamino particolarmente alla foggia tipica dei vasi atestini del
') Orsi. Scoperte archeologiche nell'Istria (« Bullettino di corrispondenza archeologica »,
febbraio 1885, Roma). — Sopra le recenti scoperte nell'Istria e nelle Alpi Giulie (« Bullettino
di paletnologia italiana» anno XI, 1885.
— 245 —
secondo e terzo periodo '), e rammentino pure l'ossuario di Villanova. La
stessa forma di vasi ricorrerebbe anche, secondo lui, a Maria Rast nella
Stiria, a Pilichsdorf nell'Austria inferiore, a Watsch nella Carniola e nei
sepolcri di quel gruppo ; benché io debba confessare di non essere stato
capace di ravvisarla dal confronto di questi nostri vasi coi disegni di quelli
rinvenuti in queste ultime necropoli.
') Per maggiore intelligenza dei lettori non faniigliarizzati con questi studi, trovo
utile di avvertire che il prof. Alessandro Prosdocimi constatò nella sua esauriente rela-
zione sulle necropoli di Este, publicata nelle «Notizie degli scavi di antichità comunicate
alla R. Accademia dei Lincei ecc.» (Roma, 1882) che quelle necropoli non vanno oltre la
prima età del ferro, e si chiudono colla civiltà romana, e rappresentano quattro distinti
e successivi periodi.
Il prof. Helhig in una lettera diretta al prof. Prosdocimi e publicata nel « Bullettino
dell'Istituto di corrispondenza archeologica (Roma, 1882) si e, alla sua volta, provato di
stabilire una cronologia assoluta delle antiche necropoli atestine. — Secondo 1' Helbig il
quarto od ultimo dei periodi stessi sarebbe rappresentato (sino allora) da due sole tombe.
Esaminando le monete romane trovate nell' una e gli oggetti di stile e foggia celtica
rinvenuti nell'altra, egli opina « che il periodo medesimo siasi svolto fra il quarto secolo
a. Cr. e la seconda meta del secondo, senza che si possa stabilirne * né il principio ne
la line ». Taluni vasi dipinti, usciti da tombe del terzo periodo, forniscono all'A. il prin-
cipale argomento per «stabilire il principio del terzo periodo della civiltà atestina nella
seconda metà del quinto secolo a. Cr. », il quale periodo poi «ha durato almeno una
buona parte nel quarto secolo». Da ciò consegue che il secondo periodo, «per il quale
» sono caratteristici i vasi di argilla con sovrinfisse borchie di bronzo, e che generalmente
» mostra una civiltà analoga a quella che si scorge nel secondo stadio Beateci e nel se-
» polcreto arcaico Arnoaldi-Veli (anieinlue del suburbio di Bologna), ha durato fin dentro
» la metà del quinto secolo a. Cr. ». Quanto alla data del primo periodo dei sepolcri ate-
stini e al principio del secondo, 1' Helbig non esprime alcuna opinione. Dice solo del primo
che le tombe, « nella costruzione, come nel contenuto, si raffrontano a quelle scoperte
» presso Bologna e Villanova e nel predio Benacci » e, a quanto pare, col più arcaico
dei due stadii, nei quali il Zannoni ha diviso le menzionate necropoli bolognesi ».
(Pigorixi. «Bull. pai. it. », a. 1883, pag. no).
Il prof. G. Gherakdini, nell'erudito suo lavoro sulle Antichità scoperte nel fondo Ba-
rattila tiene, io massima, parimenti ferma la divisione dei periodi fissata dal Prosdocimi,
diversificandola alquanto solamente per i criteri che la informano. Secondo il Ghcrardini
« 1' unico divario consisterebbe nella fusione di due dei periodi del Prosdocimi in un pe-
riodo solo, che in ogni caso è poi da suddividere in due stadi diversi». Di modo che «il
materiale archeologico primitivo di Este dovrebbesi considerare partito in tre grandi gruppi
e riferirsi a tre periodi strettamente connessi, ma in pari tempo distinti l'uno dall'altro:
un periodo più antico, Italico ; uno mediano, Veneto ; uno più recente, Gallico. 11 primo
corrisponderebbe al tipo di Villanova ; il secondo sarebbe il vero tipo di Este ; ed il terzo
il tipo di La Tene » (« Notizie degli scavi ecc. », giugno 1888).
— 246 —
Notevole è altresì il vaso della stessa Tav. fig. 1, il quale ricorderebbe
le ciste fittili a cordoni di Villanova presso Bologna, note dalle publicazioni
del compianto senatore conte Gozzadini, alle quali ciste farebbe pure ri-
scontro il frammento di vaso fittamente cordonato, raffigurato nella Tav. IX,
n. 5.
Un' altra particolarità di vasi frequenti nelle necropoli dei Pizzuglii,
rilevata dall'Orsi, è quella del gruppo rappresentato dalla Tav. II, fig. 3, 4,
7, io e 11, i quali vasi ripeterebbero nella forma più elementare, fornitaci
dal n. 7, l'ossuario arcaicissimo di Bovolone ') e passerebbero poi a ricor-
dare, nel progressivo loro sviluppo, le forme dell'ossuario di Bismantova 2).
Non è meno degno di nota il vaso in forma di coppa della Tav. VI,
fig. 6, il quale, secondo quanto egli opina, sarebbe però un mero capriccio
di artefice, non rinvenendosi di tale foggia di fittili nessun esemplare ad
Este, e neppure nelle necropoli camiche.
Una specialità delle necropoli dei Pizzugbi sarebbero per lo contrario
le ciotole raffigurate nella Tav. VI, n. 1, 3 e 6, le quali, come osserva
l'Orsi, non troverebbero altro riscontro per l'orifizio rientrante e per l'ansa
quadra, che in una serie molto consimile di scodelette, che proviene da
necropoli picene, e si conserva ancora inedita nel Museo preistorico di Roma.
Non prestandosi per la loro conformazione ad essere adoperate da vaso
potorio, direi che quelle ciotole servissero molto probabilmente da vaso
rituale, per ispegnere con vino, secondo 1' antichissimo costume, le ceneri
ardenti, quando il rogo era tutto bruciato, oppure per aspergere con latte
e vino le ossa del morto.
Meritano pure particolare menzione le situle ad imitazione di quelle di
Este (Tav. II, fig. 6, 8, 9, e Tav. Ili, fig. 8), la prima delle quali per la
sua forma ricorderebbe più specialmente le situle atestine dell' epoca di
transizione dal secondo al terzo periodo 3). Egualmente rimarchevoli sono
le anse che portano al disopra due cornetti, e ricorrono ad Este nel terzo
periodo (Tav. IX, fig. 9).
Sebbene di secondaria importanza, vanno pure ascritte alla produzione
fittile locale le cosidette fusajole ed il peso d'argilla della Tav. IX, fig. 12.
Le prime variano di forma, essendo ora sferiche o coniche ed ora schiac-
') «Bull. pai. it. ». Tav. XII, n. 1 e 4, a. 1879.
' *) Ibidem. Tav. Vili, n. 2-8, a. 1876.
') Prosdocimi. «Bull. pai. it. », 1880, p. 91, Tav. VI, fig. 1 e «Not. d. scavi ecc.»
Tav. IV, fig. 1,
— 247 —
date ; le sferiche vanno di frequente ornate della spirale ricorrente, sem-
plice o doppia (ib. fig. 7), ottenuta coli' impressione di un girellino, o di
una verghctta spiraliforme.
Il fìgulo istriano volle provarsi, per ultimo, anche colla riproduzione in
plastica della figura umana (Tav. IX, fig. 8): rozzo modello, se vuoisi, ma
del quale ne va pure tenuto conto.
Fra i fittili di provenienza estera, il posto di onore appartiene senza
dubbio ai due vasi della Tav. V. — Premessane la descrizione, il prof. Orsi,
che di questa categoria di vasi ha fatto argomento di diligentissimo studio,
esprimevasi nel suo primo articolo, inserito nel « Bullettàio di corrispon-
denza archeologica » come segue : « Per la loro foggia non si richiamano
a nessuna forma tipica greca, ma uno di essi potrebbe aver qualche comu-
nanza collo slamnos, un altro con un' hydria, e sopra tutto con quelle forme
cipriote scoperte e pubblicate dal Cesnola. Se non che in Italia una sola
regione ha dato vasi non verniciati e dipinti a puro stile geometrico di
fabbrica locale, lì questa è i'Apulia e la Calabria. Accennerò solo di volo
ai più antichi tra essi, trovati dal Viola a Taranto {Bull. 1881 p. 178), di
forme in genere svariate ma piccole ; esse non si conoscono molto esatta-
mente per lo scarso numero dei medesimi fino ad ora pubblicato, sebbene
non sia scarsa la messe dei rinvenuti. Ma in fine ci richiamano molto ai
vasi precorìnzii dell'arcipelago greco, ed ai ciprioti. Questo genere di sto-
viglie in Italia comincia almeno col 70 secolo, continua a fabbricarsi anche
durante l' importazione dei vasi attici a figure rosse e nere (saggi a Canosa
AcaJcmy 1880 pag. 14), e rappresenta la ceramica indigena volgare, usata
dai poveri e dal volgo fino al chiudersi del secolo 5, ossia per stabilire un
termine medio fino al 400.
» Nei due secoli successivi s' incontra invece nei prodotti di fabbrica
locale la comparsa di un nuovo tipo, che il Lenormant propose di chiamare
anfora iapigia, essa pure di creta giallo-pallida, con decorazioni brunastre
e rossastre pure geometriche, ma meno rigide delle precedenti, poiché si
inizia qualche dettaglio preso dal mondo vegetale, ed in pochissimi esem-
plari (tre o quattro) si trovano pure rappresentazioni di animali ed uomini,
ma condotte in maniera ben trascurata : una delle principali caratteristiche
di tali anfore è anche la rotula, con teste dipinte a raggi di ruota, quale
appunto la si vede in uno dei nostri esemplari. Che tali due vasi istriani
debbano assegnarsi, se non nettamente all'una od all'altra delle due citate
categorie, almeno però al periodo di fabbricazione locale ora ricordato, che
comincia col VII secolo e finisce col II, nissuno lo negherà ; e poiché i
nostri tipi presentano una rigida decorazione geometrica, senza indizio ve-
— 248 —
runo di clementi presi dal mondo vegetale od animale, ed uno di essi
offre simiglianza incontestata colle brocche cipriote (Cesnola-Stern Cypern,
Tav. LXXXVI, 2, 4 et alibi) sovratutto pel beccuccio cilindrico, sono in-
dotto a crederli forme intermedie fra i due gruppi suddescritti, col secondo
dei quali hanno affinità per la tipica rotula. Così che in tondo essi potreb-
bero attribuirsi al 400 circa.
» Colla quale epoca vanno in perfetto accordo anche i bronzi trovati
e sopratutto le fibule, che nei loro tipi segnano una cronologia, se non
assoluta, pure abbastanza esatta; e poi anche le ciste a cordoni, proprie
esse pure del quinto secolo, e che dopo le scoperte di Taranto, di Rugge
e di Grathia (Ga^. archéol. VII p. 93) pare non si possa più disconoscere,
ripetano la loro origine dalla Grecia ».
Rispetto agli altri frammenti di vasi forestieri rinvenuti nelle necropoli
dei Pizzughi, il prenominato professore osservava poi nel secondo suo scritto
inserito nel « Bull di palet. italiana » quanto appresso : « In molte di esse
(tombe) si trovarono cocci di vasi pure meridionali, che mi fu dato esaminare
in originale, ma che disgraziatamente per la loro piccolezza lasciano appena
determinare, ed in una maniera larga, la fabbrica onde provengono. La
maggior parte dimostrano frattura antica, e taluni anche forellini per le
cuciture col filo metallico. Pare dunque che non sieno stati deposti nelle
tombe vasi interi, ma solo frammenti, se non si voglia pensare ad una spo-
gliazione antica, della quale non fa parola l'Amoroso '). Tra questi avanzi
ho riscontrati due o tre frammenti di quelle ceramiche che una volta si
dissero impropriamente di Gnathia, ma che sono diffuse per tutta l'Apulia
ed abbondano nei musei di Bari, Lecce, Oria e Taranto ; probabilmente
anche queste sono di fabbrica tarantina, od almeno da Taranto si diffusero
i fabbricatori delle medesime ed appartengono al periodo in cui l' impor-
tazione attica è cessata. Le loro caratteristiche furono fissate sopratutto dal
de Witte e consistono in una vernice nera di qualità cattiva e facilmente
alterabile, con leggerissime decorazioni bianche, gialle e violacee, che ripro-
ducono simboli dionisiaci. Il migliore dei tre saggi della necropoli istriana
presenta la spirale « corrimi dietro », sotto cui dei festoni a foglie d'edera
con cirri di vite. Per ultimo si raccolsero pochi altri cocci apuli di bassis-
sima età, decorati a grandi palme e a foglie di lauro; e poi gli avanzi sicuri
del fondo di almeno due vasi indeterminabili, di fabbrica etrusco-campana
') Furono rinvenuti in un terreno già in precedenza profondamente rimaneggiato.
— 249 —
a vernice nera iridiscente, e coperti di baccellature verticali ; genere di ce-
ramiche che, come ognuno sa, si attribuisce al finire del 3.° secolo ed a
tutto il secondo ».
In una nota a pie' di pagina di quesf ultimo scritto, è rilevata la
circostanza che anche a Verino si è trovato un vaso d' importazione, e
probabilmente di fabbrica apula, il quale « disgraziatamente si conosce solo
per un cattivo disegno pubblicato dallo Schram con una notizietta sugli scavi
di Verino nelle Milibeihmgen della Commissione di Vienna per la conser-
vazione dei monumenti (1884, pag. CLIV). Posso dire soltanto che presenta
la forma di un askos, ed è decorato di poche linee e di una doppia fascia a
spina di pesce '). Si badi che degli askos di fabbrica locale si trovarono anche
negli striti bolognesi e cornetani più antichi ».
E conchiudeva questi studi gii nel primo dei succitati articoli, colle
testuali che qui riferisco :
« Mi sono molto diffuso sopra questi fittili extralocali ed ho tentato
fissarne con qualche accuratezza la cronologia, perchè è la prima volta, per
quanto mi consta, che non solo alle estremità superiori dell' Italia, ma in
tutto il bacino del Po si trovano i prodotti delle fabbriche del sud-est della
penisola. Sebbene vasi a vernice nera, molto simili a quelli etrusco-campani
siensi persino trovati in una necropoli catalana del 3.° secolo a. C. {Ga^.
arch., VII, 5). Importa dunque il poter spiegare questo fatto, e tosto si
ricorrerA colla mente ai famosi commerci dei Tarentini ; non parlo delle
ciste a cordoni, che si trovano diffuse ovunque per l' Italia, e nell' Europa
centrale e persino in Polonia, ma che certo non si potr.i dire vi siano state
portate dai Tarentini stessi. Ma sono indizi di commerci coli' Italia centrale
le monete di zecca tarentina, che non di rado si trovano in quel di Ancona
e Macerata ("Bull. List. 1882, p. 84); e dalla spiaggia picena alla opposta
dell' Istria e della Dalmazia non è lunga la traversata, che oggi ancora si
compie in poche ore con navi a vela, sicché è tutt' altro che improbabile
1' esistenza di relazioni tra le due coste opposte ; relazioni esercitate dagli
Istriani colle loro agili e veloci scriììa ricordate da Verrio (presso L. Pomp.
Fest. De s. v. Serrila Verrius appeìlari pula! navigia Hislrica ac Liburnica)
o con trabicula (ibidem), foggia di naviglio, che lasciò il nome ai moderni
trabacoli. Anzi siamo in grado di concretare e dire di più. Floro (I, 18)
') Un vaso di forma consimile, plasmato di argilla finissima e di pareti sottili, ma
senza decorazione, proveniente dalle necropoli di Vermo, è pure posseduto dal Museo
provinciale.
— 250 —
afferma che Taranto, centro della Calabria Lucania ed Apulia (e noi po-
tremmo anche aggiungere delle fabbriche industriali, che spandevano i loro
prodotti fittili fino all' Istria) « in omnes terras Hislrias, lllyricum, ecc. vela
dimittit ». Ecco dunque una attestazione molto utile al caso nostro, di quei
viaggi commerciali dei Greci dell' Italia meridionale, limitati non solo alla
costa adriatica dell' Italia (ove dopo il 450 circa sorgono fattorie ad Adria,
Spina e poi ad Ancona, Numana ecc.) ma pur anco sulla opposta. Viaggi
che però erano giudicati molto pericolosi nell'alto Adriatico (Lisia Or. 32
e. 25), ove scorrazzavano coi pirati Histri i Liburni e gli Illirici, che furono
il terrore di quelle acque, fin quando nel 228 a. C. 1' opera energica dei
Romani spazzò non solo il mare dai corsari, ma segnò anche l'iniziamento
della potenza loro nell'Adriatico».
Alla categoria dei fittili estranei alle industrie locali vanno aggiunti :
1' oinochoe di argilla depurata, di colore grigio, coli' ansa intrecciata a nodo,
rinvenuta in un terreno altra volta profondamente lavorato (Tav. Ili, fig. 4),
dove furono trovati altri quattro manichi identici ; il bel vaso di fabbrica
etrusco-campana (ib. fig. 7), servente da ossuario nella tomba n. 82 della
necropoli del castelliere II ; ed infine le note situle cordonate e zonate,
oppure liscie e col cordone intorno al collo soltanto, le quali costituiscono
una specialità del terzo periodo della necropoli di Este (ib. fig. 5 e 6).
Come a Verino, così anche ai Pizzughi, i vasi di bronzo si riducono
a tre forme, cioè situle, ciste a cordoni, e vasi emisferici, ossia conche,
che l'Orsi chiama anche lebeti, per la loro assoluta simiglianza coi vasi
greci di tal nome e di tipo arcaico.
Le prime sono raffigurate nella Tav. VI, n. 7 e 9, e si raffrontano
perfettamente colle situle rinvenute negli strati umbri de Lucca, Benacci ed
Arnoaldi-Veli di Bologna '), nel Bellunese, dove si fanno molto più nume-
rose, a Vadena nel Trentino, a Hallstatt ecc. per non dire delle stupende
situle figurate a sbalzo, o graffite, di Bologna, Este e Watsch nella Carniola.
Altre quattro situle furono pure rinvenute nella necropoli di S. Lucia *).
La cista a cordoni della stessa tavola fig. io è la settima rinvenuta
in Istria, avendone dato cinque la necropoli di Vermo, ed una la caverna di
S. Daniele sul Carso di Trieste, esplorata dal sunnominato dott. Marchesetti.
Il centro industriale di queste ciste a cordoni, secondo quanto affermava il
') Gozzadini. Intorno agli scavi archeologici falli dal signor xA. lArnoaldi-Veli presso
Bologna (Tav. Vili, fig. 4).
2) Marchesetti. La necropoli di S. Lucia presso Tolmino, pag. 27.
— 2J I —
conte Gozzadini '), dovrebbe riportarsi nella Circumpadana. Il chiar. prof.
Helbig stabiliva poi la teoria che la loro origine fosse dovuta alla Grecia,
dalla quale sarebbero stati importati nell' Italia meridionale i primi archetipi
di tale forma di vasi. — Per la statistica delle ciste aggiungo ai nuovi
esemplari rinvenuti in Italia, e menzionati dall'Orsi, la cista a cordoni fornita
di due manichi rinvenuta a S. Lucia 8), e le quattordici ciste a cordoni
trovate a Kurd nell'Ungheria alla riva del fiume Kapos, nell'estate 1884,
collocate entro ad una situla di bronzo di straordinaria dimensione s).
Le conche emisferiche in grossa lastra di bronzo e colla orecchietta
a croce latina, delle quali è dato un saggio nella medesima Tav. VI, fig. 11
e 12, meritano pure speciale considerazione, tanto più che questa foggia
di vasi sembra essere molto comune alle necropoli istriane, essendosene
rinvenuti due esemplari anche nella necropoli di Vermo *).
Relazionando su questa categoria di vasi, il prof. Orsi osserva:
« Fino ad ora gli archeologi non han fatto gran che attenzione a co-
desti recipienti, ma io li reputo degni di non minore studio delle situle e
delle ciste. Ed invero nell' alta Italia, essi fan difetto nei gruppi di Este e
di Felsina, mentre si riscontrano in copia in depositi tardi delle necropoli
bellunesi di Caverzano e di Lozzo e poi di Asolo. Dal Veneto procedendo
a sud dobbiamo arrivare fino a Tolentino prima di trovare nuovi esem-
plari, due altri li vediamo a Cere, e parecchi nel famoso tesoretto di Pa-
lestrina, ora conservato al museo Kirchcriano. Nel nord si trovarono sparsi
in punti molto diversi, cioè ad Anelati presso Stettino, ad Hallstatt, a Pakzek
nella Gallizia ed a Byciskala nella Moravia (Correspomìcn^-Blalt der deutschen
Gesétlschafi far Atithropologie, Bibliologie tmd Urgtschichtt. Monaco 1882, fa-
scicolo di giugno, fig. 14 della tavola). Quanto agli esemplari nordici per
comune consenso degli archeologi sono ritenuti di fabbricazione ed impor-
tazione italica ; gli esemplari bellunesi sono di data recente, ed i più antichi
restano i cerctani ed i prenestini, appartenenti al principio del 500 a. C.
Se si aggiunge che tali bacini sono rappresentati sopra vasi attici a figure
nere e rosse, sostenuti da tripodi, e che dalle officine vascularie greche an-
') Gozzadini. Op. cit. pag. 51.
*) Marchesetti. Op. cit. pag. 27.
*) Wosinsky. Etrushische Uronie-Gefàsse in Kurd. (« Ungarische Revue », IV Hcft
VI Iahrg. Budapest).
') Negli scavi intrapresi ai Pizzughi durante la corrente primavera furono scoperte
due nuove ciste a cordoni, quattro situle di rame, e tre conche emisferiche.
— 2J 2 —
ciche altri ne uscivano di terracotta, si arriverà senz' altro alla conclusione,
che essi sono di fàbbrica meridionale (greca od anche etnisca), donde furono
importati nell' Italia superiore, subendo forse lievi modificazioni per adattarli
agli usi ed ai capricci dei popoli presso i quali venivano importati. In ogni
modo resta fermo che il tipo fondamentale deve cercarsi nella media e bassa
Italia, e chi sa che non se ne abbiano a riscontrare esemplari anche nella
Grecia, paletnologicamente ancora pochissimo esplorata » ').
L' uccelletto di bronzo fuso colla estremità spezzata, raffigurato nella
Tav. IX, n. 19, avrà probabilmente ornato qualche altro piccolo vaso, di
che ne abbiamo esempi a Hallstatt !).
Ogni altro ritrovamento cede però di gran lunga per importanza alla
scoperta dell' elmo conico, riprodotto nella tavola succitata fìg. 8.
E qui convienmi rendere nuovamente omaggio alla particolare erudi-
zione del prof. Orsi, riportando quanto egli scrisse intorno a quest' elmo
nel « Bull, di Palet. ital. » :
« Anche a Vermo fungeva da ossuario un recipiente simile ; lo ha pub-
blicato il Moser, ma poiché mancava del vertice della callotta, egli lo ha
confuso con una situla. In realtà pare dal disegno un elmo eguale in tutto
a quello dei Pizzughi. Comunque sia, di elmi conici in forma di pilei, ma
da ben distinguersi dai veri e propri pilei, non mancano esemplari; a mio
modo di vedere essi vanno divisi in due diverse categorie, cioè in elmi
conici ad apice acuminato, e ad apice arrotondato. In altre parole, elmi che
presentati in sezione porgono nella calotta un arco a sesto acuto, oppure
un arco a sesto tondo. Alla seconda categoria appartengono gli elmi fittili
ed in lamina di Corneto-Tarquinia, di Beitsch nella bassa Lusazia e di Selsdorf
nel Meklemburgo, di Blankenburg presso Stettino e di Rovische in Carniola,
e questi piuttosto che conici si potrebbero chiamare emisferici con bottone.
Sono invece del tutto eguali al nostro i seguenti :
» In un bassorilievo assiro edito dal Layard e riprodotto dal Rawlinson
è rappresentato un combattimento navale; da una parte si veggono arcieri
assiri con le teste riparate da svariate forme di elmi, uno dei quali è identico
a quello di Vermo, solo che va munito di bandelle o guanciali.
') In appoggio di quest'ultima opinione, mi giova citare le conche rinvenute nella
vetusta necropoli di Vetulonia, nella tomba del duce. Tav. IV, fig. 7 « Not. d. scavi ecc. »
a. i3$7. — Di queste conche colle anse a croce latina ne furono rinvenute anche nel-
1' Ungheria. Vedi Hampei.. Alkrlhiiimr ier Bronzai in Ungarn, Tav. LXVII, fig. 1.
2) Sacken. Grabf. v. Hallst. Tav. XXIV, fig. 4.
— 2)3 —
» Altro elmo identico in lamina di ferro adorno di poche bullette pro-
viene dagli scavi di Nimrud.
» Altro portato da due guerrieri combattenti da un carro è raffigurato
in bassorilievi tebani della XVIII dinastia; nella metà posteriore è munito
di breve tesa o grondaia.
» Due figurine militari in terra cotta, appartenenti alla collezione Piot
e provenienti da Cipro presentano lo stesso tipo di elmo con guanciali.
» Molti altri monumenti dell'antica arte cipriota mostrano assai diffuso
in quell' isola una tal maniera di elmo. Lo porta di fatti una intera serie
di teste (avanzi di statue) in pietra calcarea provenienti da Golgoi ; ed in
un sarcofago, dove è rappresentata una caccia al toro ed al cignale, latta
da soldati elmati e scutati, un arciere porta un elmo, il quale non è che
una replica dei sopra ricordati.
» Ma seguendo la trasmigrazione di questa forma dall'oriente nell'oc-
cidente, ne troviamo a Dodona un esemplare perfetto, a pan di zucchero,
in lamina di bronzo, munito di breve tesa continua, adattata all'orifizio non
orizzontalmente ma a gronda. A Dodona si trovò ancora una figurina in
bronzo di personaggio reale, dichiarata dal Witte lavoro del VI secolo, la
cui testa è pure coperta da un pileo cuneiforme identico al nostro ; ma
non si può stabilire con certezza assoluta, se esso sia una copertura di feltro
od un vero elmo.
» Un vero elmo in tutto eguale al nostro, ma che porta per aggiunta
dopo una breve strozzatura una visiera a grondaia che ne recinge il lembo
inferiore, e che per ciò si può reputare una replica dell'elmo di Dodona,
proviene da Canosa di Puglia.
» Anzi a ragione si può dichiarare essere questo un tipo speciale, proprio
a quella regione ed ai guerrieri apuli, poiché appunto le tombe militari
della regione apulo-tarentina ne hanno dato bellissime riproduzioni in terra
cotta, delle quali molti esemplari si veggono nel museo di Lecce. Una
novella prova di che è pure il tatto che esso elmo si vede portato quasi
sempre dalle figure d' indigeni combattenti contro i Greci, le quali sono
dipinte nei vasi apuli a ligure rosse.
» Di simili elmi conici se ne rinvennero pure alcuni esemplari nella
Francia; l'uno a Berru, che dal suo stesso illustratore fu dichiarato per non
gallico, l'altro fu raccolto dal letto della Saóne ed ha una brevissima cresta.
Ed altri due derivano da Gorge-Meillet, e da Cuperly (E. Fourdrignier.
Les casques gaulois à jormc coniqut; f influence or ioti aie. Tours, 1880). Tutti
questi elmi francesi, meno quello della Saònc, si staccano alquanto dal
gruppo che ora esaminiamo ; in quanto presentano un apice molto acumi-
- 254 —
nato, che richiami però benissimo dei tipi assiri. Come questi modelli
orientali sieno arrivati in Gallia è difficile dirlo ; forse mediante i Greci ed
i Fenici. Certo però che la teoria formulata in tale riguardo dal Fourdrignier
è insostenibile.
» Dopo tutto questo non esito a vedere nell' elmo dei Pizzughi un
tipo la cui prima forma si deve rintracciare nella civiltà militare assiro-egizia,
donde fu importato in Cipro, e con mille altri elementi orientali forse anche
in Grecia, sebbene della vera Grecia io non conosca esemplari. Ma l'elmo
dei Pizzughi è in più intimi rapporti con quello di Dodona e con gli altri
del sud-est d' Italia, ed è una nuova prova dei molteplici contatti fra queste
due estreme regioni della penisola. Insieme ai vasi dipinti lo portò nell'Istria
o un audace pirata, preda di qualche naviglio mercantile sorpreso nell'Adria-
tico, od un ardito commerciante che scambiava sulla costa istriana i suoi
articoli industriali, coi prodotti primi dell' interno ».
Fra gli oggetti d' ornamento tengono un posto distinto, almeno per
la loro copia, le armille di bronzo. Abbondano sopratutto quelle ad un filo
rotondo o quadrangolare, colle estremità riunite, o sovrapposte, oppure
finienti in punta, od in un uncino rialzato, avendo l'altra estremità alquanto
schiacciata e fornita di un foro rotondo, in cui entra l'uncino (Tav. VIII,
fig. i, 2 e 3). Queste forme di armille ricorrono nel terzo e quarto periodo
di Este ; mentre le armille a spirale, delle quali si hanno esempi nella stessa
tavola fig. 5, 6 e 7, sarebbero invece una specialità del secondo periodo ').
Bellissima è pure l'armilla a nastro piatto a due giri, fregiata di meandro
inciso a bullino (ib. fig. 4), ed una specialità sarebbe pure 1' altra armilla
di bronzo cordonata orizzontalmente alla faccia esteriore e liscia nella pa-
gina interiore (ib. fig. 8). Di queste due ultime forme di armille manca,
se non erro, la corrispondenza ad Este.
Alla dovizia delle armille fa strano contrasto la relativa povertà delle
fibule. Fra le foggie rinvenute manca affatto la fibula ad arco semplice,
ma vi ricorrono invece più frequenti le fibule serpeggianti del tipo più
semplice ed arcaico (Tav. VII, fig. 3 e 4), e quelle a navicella (ib. fig. 7),
le quali forme di fibule vengono riferite alla civiltà umbro-italica; la fibula
tipo Certosa (ib. fig. 1), propria della civiltà etrusca, di cui l'altra fibula
n. 6 non sarebbe che una leggera modificazione; la fibula a sanguisuga,
') Prosdocimi. «Not. d. scavi ecc.» pag. 22, 29, 36, e Tavole IV, fig. 33, V fig. 67,
Vili fig. 56 e 57.
- 255 —
ed a globetti (ib. fig. 5 e 8). Anche la fibula il. 2 colla staffa finiente in
una testina di animale, appartiene al tipo Certosa. Memorabile si è il fatto
del rinvenimento di una sola fibula gallica a doppio ardiglione, coli' ago
in continuazione della spirale.
Rispetto ai riferimenti di queste varie foggie di fibule noterò soltanto
che le serpeggianti ricorrono a Este, secondo e terzo periodo '), si fanno
molto numerose a S. Lucia s), nelle necropoli carniche, a Bologna, nella
necropoli italica di Torre del Mordillo, comune di Spezzano Albanese, pro-
vincia di Cosenza, ecc.
La fibula a navicella è rappresentata a Este nel secondo periodo 3), a
Watscli e nelle necropoli del gruppo affine della Carniola, in quelle del-
l'alta Italia, a Bologna, a Hallstatt ecc. La fibula Certosa, oltreché ricorrere
molto numerosa nella celebre necropoli che le ha dato il nome, e nei cor-
relativi sepolcreti italici, non manca parimenti a S. Lucia 4), a Vermo 5), a
Corridico (museo), a Gorizia ecc. Il dott. Marchesetti ne rinvenne pure
degli esemplari a Cattinara presso Trieste, a S. Daniele e sul Castelliere di
S. Polo presso Monfalcone. La fibula a sanguisuga trovasi egualmente, ma
più rara delle summenzionate, a Este6), nelle necropoli dell'alta Italia, a
Watsch, a Hallstatt ecc. La fibula a globetti, rinvenuta a Vermo ') e nel ri-
postiglio di bronzi presso Gorizia 8) ricorre egualmente a Watsch, a Hallstatt,
a Bologna negli scavi Arnoaldi-Veli, a Villanova di Bologna ed in altre
necropoli italiche del primo periodo dell' età del ferro ; ma scomparisce
affatto nel periodo etrusco di Marzabotto e della Certosa di Bologna °).
L'ago crinale a globetti (Tav. VII, fig. 9 e 12) si riporta al secondo
periodo di Este ,0) Una specialità di queste necropoli sarebbe lo spillone
') Prosdocimi. «Bull. pai. it. », 1880, Tav. V, fig. 5. — Soranzo. Scavi e scoperte
nei poderi Naturi di Este, Tav. IV, fig, 769.
J) Marchesetti. Op. cit. Tav. VI, fig. 7-14.
3) Prosdocimi. «Bull. pai. it. », 1880, Tav. V, fig. 8.
') Marchesetti. Op. cit. Tav. V, fig. 12-16.
■j) Marchesetti «Boll. Soc. AJr. », i88j, Tav. Ili, fig. 16, 11. — Amoroso. Op.
cit. Tav. VII, fig. 2.
•) Soranzo. Op. cit. Tav. IV, fig. 11.
*) Marchesetti. Op. cit. Tav. Ili, fig. 19.
*) Pigorini. «Bull. pai. it. », Tav. VI, fig. 2, 15, anno 1877.
9J Ibidem pag. 121, a. 1877.
■°) Prosdocimi. «Bull. pai. it. », a. 1880, pag. 81, Tav. IV, fig. 13, 14. «Notizie
d. scavi ecc.», 1882, pag. 21, Tav. IV, fig. 39. — Soranzo. Op. cit., Tav. VI, fig. 9 e 11.
— 256 —
crinale fig. 13, con testa a piattello e margini forati, dai quali pendevano
probabilmente gingilli appesi a catenine. Degli altri spilloni merita di essere
rilevato quello della fig. 15, la cui punta immettesi in un astuccio di osso.
Il Museo possiede altro bellissimo esemplare di ago crinale a globetti col-
l' astuccio di bronzo, corrispondente agli esemplari rinvenuti a Hallstatt ').
L' ago crinale a nodi ricorre frequente a S. Lucia '), a Vermo s) e nelle
necropoli dell' alta Italia, a Hallstatt ecc., e manca nelle necropoli del Bo-
lognese e dell' Italia meridionale.
La rotella a quattro raggi, senz' altre appendici (Tav. IX, fig. io), ha
servito certamente di capocchia ad un ago crinale. Le rotelle radiate non
mancarono a Este e nelle necropoli arcaiche di Cornetto -Tarquinia e
Vetulonia.
L'orecchino della Tav. IX, fig. 6, colla sola differenza che ha la pagina
esteriore liscia, riscontra perfettamente nella forma gli orecchini di S. Lucia '),
quello di Hallstatt 5), che è però d'oro con ornamenti rilevati, e gli orec-
chini di Watsch 6). Non mi consta dalle publicazioni che l'orecchino sia stato
trovalo ad Este.
Rimarchevole è pure la copia degli anelli a spira (Tav. IX, fig. 1 e 2),
i quali pareggiano in numero gli anelli laminari lisci, oppure decorati di
una nervatura longitudinale (ib. fig. 3 e 4).
L' anello a spira ricorre frequente a Este nel secondo periodo "'), a
Vermo 8), a Bologna nei predii Amoaldi 9), a Vadena l0), dove troviamo pure
gli anelli da dito a laminella, particolarmente numerosi nel Bellunese. Nella
necropoli di Hallstatt, 1' anello è per lo contrario rarissimo.
Pel loro numero abbastanza rilevante e per 1' artistica decorazione a
bullino, meritano non minore considerazione le placche rettangolari di cen-
turone (Tav. X, fig. 1-9). L' uno dei due capi è munito di un gancio
') Sacken. Op. cit., Tav. XV, fig. io, 12, 14.
2) Marchesetti. Op. cit., Tav. IX, fig. 1-16.
3) Marchesetti. Op. cit., Tav. Ili, fig. 10-12. — Amoroso. Op. cit , Tav. VII, fig. 1.
— Moser. Op. cit., Tav. IV, fig. 2, 6, 12.
4) Marchesetti. Op. cit., Tav. Vili, fig. 1-4.
5) Sacken. Op. cit., Tav. XVI, fig. 17.
") Deschmann u. Hochstetter. Die Gràb. v. Watsch, Tav. XIII, fig. 2.
7) Prosdocimi. «Bull. pai. it. », Tav. IV, fig. 11.
'8) Amoroso. Op. cit., Tav. VII, fig. 8. — Marchesetti. Op. cit., Tav. Ili, fig. i-S.
9) Orsi. La necropoli italiana ài Vadena, pag. 65.
">) Orsi. Op. cit. Tav. IV, fig. 20, 28, 30.
— 257 -
allungato di bronzo fissato con borchia, e 1' altro di un fiorellino rotondo
in cui immettesi il gancio. — Il centurone lavorato a sbalzo apparisce a
Este, in tutto il suo splendore artistico, nel terzo periodo '). A questo pe-
riodo sono da riferirsi pure i bellissimi centuroni di Hallstatt, e quello
pregevolissimo scoperto a Watsch. Placche di centurone consimili a quelle
dei Pizzughi, iurono rinvenute a Verino 2), e trovatisi anche nei sepolcreti
bellunesi di Lozzo e Cavezzano. Nel suo magistrale lavoro sui centuroni
italici, il prof. Orsi osserva « che il gruppo bellunese ha dato capi di cin-
tura di epoca tardissima, certo non estranei a contatti con Galli; mentre
le necropoli istriane presenterebbero pure delle placche con elementi geo-
metrici non nuovi, ma combinati e complicati alquanto diversamente del-
l' ordinaria maniera atestina » *).
I pendagli di bronzo quali sarebbero le capsulette triangolari lavorate
a sbalzo (Tav. VII, lìg. 16 e 18), le laminctte triangolari incise a bullino
(ib. fig. 19 e 20), delle quali è particolarmente rimarchevole la prima per
la sua appendice di due figurine umane, i pendagli in forma di pettine
(ib. fig. 22 e 23), di secchielli (ib. fig. 17), di uccelletti (Tav. IX, fig. 13),
e di mollettine e cura-orecchie (ib. fig. 17 e 18), costituiscono parimenti
un bel corredo di oggetti ornamentali, il quale vieppiù dimostra che i nostri
preistorici non fossero rimasti estranei a quell' influsso di civiltà italica dei
più avanzati stadi della prima età del ferro, della quale Ateste fu indubbia-
mente il centro più vicino ed importante d' irradiazione.
Cosi noi troviamo frequentissime nel terzo periodo di quelle necropoli,
come appendici di collane di ambra o di vetro, le capsule e le laminette
triangolari, decorate a sbalzo od a bullino '), i pettinini *), i secchielli 6),
gli uccelletti '), le mollettine ed i cura-orecchie, i quali ultimi strumenti
') Prosdocimi. «Noi. d. scavi», Tav. V, fig. 63; Tav. VII, fig. 15.
') MaKCUESETTL Op. cit , Tav. IV, fig. 1, 2.
') Orsi. Sui centuroni italici della prima età del ferro ecc. Estratto dagli «Atti e Me-
morie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna», III. Serie,
voi. III, fase. I e II.
*) Prosdocimi. «Bull. pai. it. », Tav. IV, fig. 2, a. 1880.
s) Prosdocimi. « Not. d. scavi ecc.», Tav. V, fig. 72.
*) Prosdocimi. « Not. d. scavi ecc. », Tav. VII, fig. 4, 6. — Soranzo. Op. cit.,
Tav. II, fig. y.
1) Soranzo. Op. cit., Tav. II, fig. io,
— 258 —
venivano infilzati in varie eleganti guise nell'ago delle fibule, onde servire
da pendaglio ').
Le capsule, o bulle che vogliansi chiamare, comparvero a Verino 2), e
cosi pure il pettinino 8). Il Museo possiede un secondo pettinino proveniente
dalla stessa necropoli.
Il pettinino di bronzo ed il cura-orecchie ricorrono a Bologna negli
scavi Arnoaldi-Veli *), la mollcttina ed il cura-orecchie a Hallstatt s), i sec-
chielli a Watsch 6) ecc.
Lo stesso dicasi di quelP ornamento spiraliforme, conosciuto sotto il
nome di saltaleoni, e dei bottoni di bronzo peduncolati nella parte concava.
Tanto i primi, quanto i secondi, sono comunissimi a Este nel secondo e
terzo periodo 7), ricorrono egualmente in quasi tutte le necropoli italiche
della prima età del ferro, e si trovano pure a Vermo 8), a S. Lucia '), a
Watsch, a Hallstatt ecc.
Come si è veduto dall'inventario, l'ambra apparisce ben raramente
nelle necropoli dei Pizzughi. Più frequenti sono invece le perle di vetro,
fra le quali particolarmente notevoli quelle di colore bluastro incrostate di
una pasta vitrea gialla (Tav. IX, fig. 1 1). Se ne ebbero esemplari a Vermo '"),
a Este nel terzo periodo"), negli scavi Arnoaldi-Veli presso Bologna"), a
Marzabotto, alla Certosa di Bologna, a Hallstatt "), a Vadena, a Watsch ecc.
Ripongo fra gli utensili domestici i coltelli di ferro di forma serpeg-
giante ed a lungo còdolo (Tav. IX, fig. 20), e cosi pure il coltellino di
bronzo fregiato a ballino (ib. fig. 24), e F altro coltello spezzato e molto
consunto dall' ossido, ma che potrebb' essere stato anche un rasoio, raffi-
') Prosdocimi. « Not. d. scavi ecc. », Tav. V, fig. 77.
*) Marchesetti. Op. cit., Tav. V, fig. 12 e 13.
*) Moser. Op. cit., Tav. V, fig. 6.
•) Gozzadini. Op. cit. Tav. X, fig. 7 e Tav. XIII, fig. 3.
5) Sacken. Op. cit., Tav. XIX, fig. 16 e 17.
6) Deschmann u. Hochstetter. Op. cit., Tav. XIV, fig. 5.
') Prosdocimi. «Not. d. scavi ecc.», Tav. V, fig. 71, e «Bull. pai. it.», Tav. IV, fig. io.
*) Marchesetti. Op. cit., Tav. V, fig. 8, e Museo.
9) Marchesetti. Op. cit., Tav. VIII, fig. 19-21, 25 e 26.
,'•) Marchesetti. Op. cit., Tav. IV, fig. li. — Amoroso. Op. cit., Tav. VI, fig. 10.
") Prosdocimi. «Not. d. scavi ecc.», pag. 22.
") Gozzadini. Op. cit., pag. 84, Tav. XIII, fig. 9.
») Sacken. Op. cit., Tav. XVII, fig. 34.
— 259 —
gurato nella stessa tavola n. 23. — Il coltello di ferro si riporta per la
forma ai coltelli dello stesso metallo rinvenuti a Este, secondo periodo '),
a Hallstatt *), a Watsch *), a Vadena *), ed è perfettamente simile ad altro
coltello trovato a Vermo, e che conservasi nel Museo provinciale. — Il
coltellino di bronzo (fig. 24) riscontra a quelli di Este, secondo periodo i),
e si ravvicina ancora di più per la forma e per la decorazione a bullino,
ai coltelli di bronzo della necropoli di Vadena *). - Per la forma lunata
e per il manico ritorto, il coltello della fig. 23 si riporta a quello di Bis-
mantova '), e non differisce neppure dal coltello rinvenuto a Blatnicza rid-
i' Ungheria 8). Ci sarebbero ancora gli ami, 1' uno di bronzo e 1' altro di
ferro, dei primi dei quali si ebbero esemplari a Este "), a Hallstatt '"), e nel-
1' Ungheria "). — Fra gli utensili domestici troviamo, per ultimo, i pestelli
di pietra, le corna di cervo segate o lavorate a punta, ricorrenti a Este negli
avanzi delle più antiche abitazioni e nel secondo periodo "), i raschiatoi, le
coti di arenaria, ed i frammenti di macina di trachite, i quali rendono in-
dubbia testimonianza della conoscenza della mola versatilis, l'odierno pcstrino
a mano, ignota ai terremaricoli, e che, secondo Varrone, sarebbe stata in-
ventata dai Volsini ").
In tanta abbondanza di scavi, e dirò anche di materiale archeologico,
apparvero ben rare le armi di ferro. Consistono esse unicamente in poche
punte di lancia (Tav. IX, fig. 21 e 22), col gambo cilindrico e vuoto, per
innestarvi 1' asta, rinvenute in una sezione della necropoli appartenente al
castelliere II, il cui terreno fu in altri tempi profondamente rimescolato. —
La vicinanza di queste lancie ai frammenti di vasi apuli di bassa età, che
') Prosdocimi. « Not. d. scavi ecc.», Tav. IV, fig. 44 e 45.
') Sacken. Op. cit., Tav. XIX, fig. 1 e 2.
') Dfschmaxs' u. I Iochstetter. Op. cit., Tav. XVI, (ig. 5-8.
') Orsi. Op. cit., Tav. VII, fig. 5.
5) Prosdocimi. Op. cit., Tav. IV, fig. 42, 43, si.
') Orsi. Op. cit., Tav. VII, fig. 1-4.
*) Chierici. «Bull. pai. it. », Tav. II, fig. 2, a. 1875.
») Hampel. Op. cit, Tav. XVI, fig. 5.
») Prosdocimi. «Bull, pai it. », Tav. IV, fig. 16, a. 1880.
'•) Sackem. Op. cit., Tav. XIX, fig. 18.
") Hampel. Op. cit., Tav. XVII, fig io.
I!) Prosdocimi. <- Bull. pai. it. », Tav. VII, fig. 28-55, '• '887, e « Not. d. scavi ecc. »,
Tav. IV, hg. 46 e 47.
I3) Helbig. Die Italiker in der Toebene, pag. 27.
— 26o —
vennero pure ivi dissotterrati, fa supporre che le medesime risalgano ad una
epoca forse di poco anteriore o concomitante alla conquista romana del-
l' Istria (a. 177 a. C). Le lande di ferro col gambo vuoto, apparvero a
Este nel terzo periodo '), e non mancarono neppure a Vermo, a Hallstatt,
a Watsch, ed in altri sepolcreti dei più tardi periodi dell' epoca del ferro.
Tanta pochezza di armi, meglio che attestare forse dell' indole pacifica della
popolazione, i cui resti ci furono conservati nelle tombe della vasta necro-
poli, dimostra il suo fine accorgimento di non disperdere le armi in un
inutile sfoggio di pompa dei morti ; ma di conservarle piuttosto in mano
dei vivi, a scudo della propria sicurezza ed indipendenza, della quale ultima
sopratutto gli antichi Istri si mostrarono fieri, allorquando occorse di di-
fenderla contro le invadenti forze della potentissima Roma.
La cronologia delle necropoli preistoriche dei Pizzughi riesce abbastanza
accertata dai frequenti riferimenti che ho istituito, alla necropoli dell'antica
Ateste, che ha esteso, come abbiamo veduto, la propria civiltà sopra il
popolo ivi sepolto, col quale ebbe non solo rapporti di vicinanza, ma pro-
babilmente anche comunanza di origine.
Questa cronologia si aggira fra la fine del secondo periodo di Este,
di cui, se non si conosce il principio, è però abbastanza certo che ha durato
almeno sino al 450 a. C, ed il terzo periodo che vi sussegue.
La necropoli entra poi in piena romanità coi cocci letterati, coi vetri
e colle monete imperiali del primo e del secondo secolo.
Il secondo periodo sarebbe particolarmente segnato dagli aghi crinali
a globetti, dalle armille e dagli anelli a spirale, dalle fibule a navicella e
serpeggianti, dai coltelli di bronzo ecc.; ed il terzo 'dalle ciste a cordoni,
dalle situle di rame e di argilla, con lucide zone rosse e nere, dalle fibule
Certosa ecc.
Notevole, come fu altrove rilevato, si è l'apparizione di una sola fibula
di tipo gallico, rinvenuta da un lavoratore nella necropoli del castelliere I,
ma di cui non mi sono note le particolarità del ritrovamento. Le fibule
di tipo gallico non mancarono a Vermo s) ; altri esemplari, posseduti dal
Museo provinciale, furono casualmente sterrati nel castelliere di Corridico,
posto sul ciglione destro del canale di Leme. Non è facilmente spiegabile
questa mancanza d' influenza celto-gallica, che si appalesa nella necropoli
') Prosdocimi. Op. cit., Tav. VII, fig. 8.
>) Marchesetti. Op. cit. Tav. Ili, fig. 20 e 21.
— 26l —
dei Pizzughi, in tempi quando i Galli avevano largamente estesa questa
influenza nella pianura padana, nei paesi lungo le alpi orientali e nel ter-
ritorio dei Veneti stessi. Sarebbe questa, forse, una lontana conferma delle
antiche tradizioni, secondo le quali vuoisi che l' Istria fosse abitata da
due differenti popolazioni, i'uoa distendeutesi nella parte montana, e l'altra
lungo la costa del mare ? Arduo quesito questo, che, come tanti altri del
nostro lontano passato, attende ancora una convincente soluzione.
E qui prendo commiato dai miei lettori — per ritornare un'altra volta,
se farA d'uopo, ad illustrare gli scavi dei Pizzughi, che ancora non riposano
— assicurandoli però, come dice il Manzoni, che non fu mia colpa se li
ho, per avventura, troppo a lungo annoiati con questo scritto.
'Parendo, nel Giugno 1889.
Dott. Andrea Amoroso.
ANNO SESTO 1889
ATTI E MEMORIE
DELLA
SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA
STORIA PATRIA
Volume V. — Fascicolo 3.° e 4.
PARENZO
PRESSO LA SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA E STORIA PATRIA
Tip. Gaetano Coana
1889
SENATO MISTI
COSE DELL'ISTRIA
(Continuazione del fascic. i" e 2°, 1889)
Senato Misti voi. XL.
1385. 25 ottobre. — Si prendono provvedimenti per assicurare la ri-
cuperazione delle merci che formavano il carico d'una nave comandata da
Jacobello Trevisan e naufragata nelle acque dell' Istria [Rovigno] (carte 7).
1385. 13 novembre. — Facoltà al provveditore e al podestà e capitano
di Capodistria di spendere fino a 25 ducati d' oro di quelle rendite prò
/adendo fieri aliqua rastella per sicurezza della città (carte 9).
1385. 9 dicembre. — Si mandano a Paolo Zulian capitano del Pasi-
natico di Grisignana 300 lire e 200 tavole di larice prò reparatione murorum
et coredorìorum et spalai (carte 9 tergo).
1385. 14 dicembre. — Licenza a Pcpolino de Vaitistain vicecapitano
a Trieste, di far trasportare coli da Monfalcone, per mare, 40 urnas vini
per suo uso (carte 9 tergo).
1385. 17 dicembre. — Si commette a Donato Moro, capitano del Pa-
sinatico di S. Lorenzo, recatosi a Rovigno, al podestà di Rovigno Nicolò
Latibolo, ai dodici tubila mercatores coche Tervisane naufragata presso la detta
lena, di far pagare quanto compete a Michele Trevisan e Leonardo Lorcdan
inviati a soprintendere alla ricuperazione delle mercanzie (carte io).
— 266 -
1385 m. v. 27 febbraio. — Ad istanza di Francesco di Castropola, gli
si rinnova per un altro anno la licenza di fermarsi in Pola (carte 21 tergo).
1386. 22 marzo. — Si accorda a Leonardo Bembo, nominato podestà
e capitano a Capodistria, di spendere lire 200 di quelle entrate in ripara-
zioni al Castel Leone (carte 22 tergo).
1386. 1 maggio. — Licenza al suddetto di spendere lire 100 di picc.
in riparazione ad alcuni ponti, spectantes comuni, i quali propter aquas tnagnas
devastati sunt (carte 25 tergo).
1386. 8 maggio. — Licenza a Bernabò figlio naturale del fu Fulcherio
di Castropola, essendo ragazzo di 13 anni, di andare a stare in Pola con
suo zio Andrea Morosini (carte 25 tergo).
1386. 8 maggio. — Avendo il signore di Duino, capitano in Pisino
per Leopoldo duca d'Austria, fatto sapere al capitano del Pasinatico di San
Lorenzo che il detto duca manderebbe fra breve nuntios suos per esaminare
e definire amichevolmente con quelli di Venezia le vertenze antiche e nuove
per confini fra il comune di Montona e quelli del Comitatus di Pisino ; si
commette a Donato Moro capitano del detto Pasinatico e al suo successore
Bernardo Marcello, a Paolo Zulian capitano del Pasinatico di Grisignana e
a Francesco Dolfin suo successore, quelli cioè d' essi che si troveranno in
carica, e ad Antonio Bembo podestà a Montona, di rappresentare nel con-
vegno la Signoria veneta, difenderne i diritti, e conchiudere definitivamente
gli accordi [la rappresentanza è data solidalmente alla maggioranza dei sud-
detti] (carte 26).
1386. 5 luglio. — Licenza al capitano di Trieste di esportare dal Co-
mitatu Pisini e condur per mare a quella città 200 staria biadi (carte 35).
1386. 9 ottobre. — Licenza a Zentilino Taralo, capitaneo sclavorum in
Capodistria, di venire e stare per un mese in Venezia per suoi affari
(carte 46).
1386. 30 ottobre. — Licenza al capitano del Pasinatico di Grisignana
di spendere 300 lire di picc. in riparazioni alle mura di quella terra, la
maggior parte delle quali cecidit in ruinam, e ai ponti bastile Marchionis
che sunt dirupti (carte 47 tergo).
1386 m. v. 28 febbraio. — Si delibera di scrivere al papa, ai cardi-
nali ecc. in favorem et commendationem generalem di Guido Memmo vescovo
di Pola (carte 61 tergo).
1386 m. v. 20 febbraio. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria
dipendere 200 lire di picc. in riparazioni al pozzo devastato di Castel Leone
(carte 62 tergo).
— 267 —
1384. 4 marzo. — Licenza a Francesco di Castropola di rimanere in
Pola per un altro anno (carte 63 tergo).
1384. 26 marzo. — Si ordina al conte di Pohi, sotto pena dell'am-
menda personale di 200 lire, di far pagare, entro otto giorni dal ricevi-
mento dell' ingiunzione, tutti gli arretrati della contribuzione dovuta pel
Pasinatico di S. Lorenzo ; quel rettore trasmetterà pure tal ordine ai giudici
di Pola che saranno multati di 100 lire ciascuno se non l' eseguiranno
(carte 64 tergo).
1387. 17 maggio. — Licenza alle monache di S. Chiara di Capodistria
di trasportare colà liberamente [per cinque anni] tutto ciò che raccoglieranno
in elemosina nell' Istria e nella Schiavonia (carte 68 tergo).
1387. 28 maggio. — A Guido del Campanili — che servì la Repu-
blica per 40 anni ; ebbe morti in servizio il padre e il fratello, stette in
Trieste con una bandiera di cavalleria, donec soldati fuerunt ibi intus ; poi
in Capodistria con tribus postis equestribiis donee illa eivitas fuit
aceepta, et ibi tane perdidit quidquìd habebat; poscia servì al Lido cum duobus
lanceis usque guerram finitatn ; nunc vero sit in Iustinopoli cum una posta ca-
valarii a pace cifra — si concede per grazia quod dictam postam
possit facere scribi uni homini sufficienti qui serviat dictam postam (carte 69).
1387. 29 maggio. — Si concede per grazia ad Andreolo del fu Fiorino
di Castropola di recarsi a Pola e starvi quanto piacerà alla Signoria, per
ricuperare alcuni suoi beni ed ordinare i suoi affari (carte 69 tergo).
1387. 24 maggio. — Traendosi poco vantaggio dalla decima che pa-
gano annualmente le saline di Capodistria sul sale prodottovi ; si delibera
di cessare dall' appaltarne con incanti 1' esazione, e di farla esigere diretta-
mente da quei massari ; la Signoria curerà il trasporto a Venezia del sale
così raccolto (carte 69 tergo).
1387. 7 giugno. — Licenza a Lorenzo Gradenigo podestà e capitano
di Capodistria di spendere lire 1000 nella continuazione della rifabbrica del
palazzo di quella città, cominciata per ordine della Signoria dal podestà
Leonardo Bembo (carte 73 tergo).
1387. 23 giugno. — Si concedono a Zanino 'Barbo di Montona, qui
ob honorem nostrum multa operatus est et damna plurima substinuit, tres pagas
in quella terra appena si rendano vacanti ; terrà unum famulum sufficientem
per fare custodias et angarias d' obbligo (carte 84 tergo).
1387. 27 giugno. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di
spendere altre lire 1000 di piccoli a compimento della rifabbrica di quel
palazzo (carte 84 tergo).
1387. 4 luglio. — Leonardo Bembo tornato da podestà e capitano a
— 268 —
Capodistria avrà tempo tutto il corrente mese per presentare e proporre
suas provisiones.
Si ordina al capitano di Grisignana di passare al suo successore Nicolò
Dolfìn le ioo lire avanzate delle 300 assegnategli per riparazioni a quel
castello (carte 79).
1 588. 30 luglio. — Si annulla il divieto fatto ai podestà e capitani di
Capodistria dalla lor commissione, di dar conviti a quei cittadini, quia terra
non est custodie ut tunc erat (carte 84 tergo).
Cum capitaneus Sclavorum in Iustinopoli habeat regulare omnes
rusticos villarum di quella città, qui miiltociens angari^jintur contra dcbittim
rationis in servizio d'esso capitano; si vieta a quest'ultimo di esigere ser-
vizi per sé e pei suoi dai villani delle 14 ville dello stato, sotto pena di
25 lire.
Si ordina al podestà e capitano di Capodistria di nominare una com-
missione di quei cittadini, per esaminare le condizioni delle ville che con-
tribuiscono ad esso podestà la regalia di 175 staja di biada da cavalli, es-
sendo la popolazione di alcune d'esse variata; quindi commisuri la quantità
della contribuzione per ciascuna villa sui risultati dell' inchiesta.
Il podestà e capitano suddetto sarà esente dal pagamento dei dazi sulle
cose per uso suo e della sua famiglia (carte 84 tergo).
Le precedenti deliberazioni furono prese su proposte di Leonardo Bembo
ritornato da podestà e capitano.
L'avogadore di cornuti e l'ufficiale al Cattaver destinati ad sindicariaiu
in Istria partiranno entro 1' agosto per eseguire le loro incombenze, oltre
le quali esamineranno col podestà e capitano di Capodistria gli statuti di
quella città, riferendo poi in Senato sull'opportunità di riformarli, e facen-
dovi le relative proposte (carte 84 tergo).
1387. 30 agosto. — Per consilium officialium tabule sì accorda a Marco
Alberto di Capodistria di far ricondurre a Venezia, con esenzione da dazi,
una balla pannorum lombardoruin , che nello scaricarla in Capodistria era ca-
duta in acqua, per farla aptare (carte 87).
1387. 3 ottobre. — Il capitano della Riviera dell'Istria vada col suo
legno ad custodiam della Riviera della Marca durante la temporanea assenza
del capitano di quest' ultima (carte 96 tergo).
1387. 25 ottobre. — Licenza al podestà e capitano di Capodistria di
spendere 300 lire di picc. a compimento di lavori in quel palazzo (carte 94).
, 1387. io gennaio. — Provvedimenti proposti da Remigio Soranzo
avogadore di comun e da Domenico Contarini ufficiale al Cattaver, tornati
da sindici in Istria,
— 269 —
Per togliere gli abusi invalsi nella esazione delle regalie dovute al
podestà e capitano di Capodistria dalle 44 ville di quel distretto [biade] e
dalle 14 dello stato [polli, ova, legne ecc.], si delibera che le dette 14 ville
possano, volendo, invece delle regalie come furono esatte finora per lire 1024
circa, esentarsene mediante il pagamento annuo di lire 2048 ; nel caso di
esenzione, il podestà e capitano avrà il salario portato da 4 a 500 ducati
d' oro F anno.
Lo stesso rettore, che è obbligato ad avere 5 cavalli, non potrà tenerne
più di 7 (carte 101 tergo).
Per togliere abusi introdottisi nel pagamento del salario al podestà di
Isola [lire 600 date da quel comune e lire 100 ad grossos dallo stato] quin-
dinnanzi si pagheranno loro lire xoo ad grossos, come è detto, dallo stato
e lire 14 di grossi dal comune mentovato, sicché abbia lire 18 di grossi
circa l'anno, e tenga illam familiam che deve secondo la sua commissione.
È abolita la contribuzione di io ducati che solevano esigere i podestà
d'Isola prò luminaria et cariis (carte 102).
1388. 3 marzo. — Deliberazione di procedere contro Francesco Dolfin
già capitano a Grisignana, quia in orto capitulis sibi oppositis contrajecit re-
gimini suo, conlra honorem dominationis, contra sacramentum suum
et in vituperinm et infamiam regiminis antedicti e
parecchie proposte di pena, è approvata la condanna alla privazione
perpetua del carico di rettore a Grisignana, a quella del reggimento di Mestre
a cui era stato eletto, a pagar 1000 lire, a restituire totum stipendium quod
solviì et dedit Groatino quem temiti in domo et Garathono de Ymola prò eo
tempore quo fuit stitts sociits seti miles (carte 106).
1388. 4 marzo. — Si ripete al conte di Pola Domenico Bon [che vi
si era mostrato restio] l'ordine di consegnare Turrim Adignani al capitano
del Pasinatico di S. Lorenzo, per ristaurarla per abitazione del nuovo po-
destà di Dignano (carte 105 tergo).
1388. 1 aprile. — Pro compiendo salam palatii atta aliquibus aliis ne-
cessariis diete sale de subtus videlicet sedilibus seu lalrinis
prò comodo familie et aliorwn, e per riedificare altra sala ubi jus teneri
solebaf, ove potranno ridursi la cancellarla e la massaria, si dà facoltà al
podestà e capitano di Capodistria di spendere lire 700 di piccoli (carte
1 io tergo).
1388. 29 aprile. — Provisiones proposte da Lorenzo Gradenigo tornato
da podestà e capitano di Capodistria :
Facoltà alla Signoria di fare, al bisogno, scavare pahidem Castri Leonis
et circa dicium castrum XXV piedi di larghezza e cinque in fundo,
— 270 —
Si ordina il risarcimento del coperto d'esso castello, facendovi gurnas
circumcirca de lapidibns prò dando aquam putto barbacani (carte 114).
1388. 3 maggio. — È mentovato Lodovico da Agordo fisico qui per
triennium fuit ad salarium Tergesti (carte 113).
1388. 30 giugno. — Si risponde a lettere del podestà e capitano di
Capodistria, del 17, continentes enormes excessus et pes simam dispositionem illius
Guarienti Lignano contra honorem et statum nostri domimi et fidelium
nostrorum, ordinandogli quod, estendendo quod faciat a se ipso, prometta il
premio di 1000 lire a chi consegnerà vivo il Lignano ad esso podestà o
ad altro rettore veneto [la taglia pagabile dal comune di Capodistria], e di
500 lire a chi lo consegnerà morto ; in ciò agisca con destrezza. Gli si
ordina poi di confiscare i beni del Lignano, come propose (carte 121).
1388. 6 luglio. — Si prolunga a tutto luglio a Lorenzo Gradenigo,
stato podestà e capitano a Capodistria, terminus ducendi in Senato provisiones
suas (carte 122).
Facoltà a Francesco Zorzi, nominato capitano del Pasinatico di Grisi-
gnana, di spendere lire 300 in lavori necessari al castello e al palazzo di
quella terra (carte 122 tergo).
1388. 8 agosto. — Domandando di spesso i comuni dell' Istria e del
Dogado sovvenzioni prò expensis aptationum diclorum locorum che poi, sotto
pretesto di povertà, non restituiscono, si delibera che i rettori d'essi luoghi
al loro uscir di carica portino a Venezia i conti di entrata ed uscita dei
comuni stessi onde siano esaminati dagli uffiziali alle Rason, i quali abbiano
a rilevarne il benestare, i difetti, e la legalità degli introiti e delle spese
in essi conti inscritti (carte 128 tergo).
1388. 30 agosto. — Proposta da Lorenzo Gradenigo già podestà e
capitano a Capodistria.
A mastro Bonaventura medico, cerusico di Capodistria, che si presta,
senza salario, quando fit justitia et ad videndum mortuos et aliter, si assegna
il salario di 100 lire l'anno (carte 130 tergo).
1388 m. v. 11 gennaio. — Ad istanza di ambasciatori del comune di
Parenzo si autorizza lo stesso di colmare le fosse a parte maris fatte a quella
città al tempo della guerra, le quali corrompevano 1' aria (carte 143).
1388 m. v. 23 febbraio. — Si delibera l' Istruzione del processo contro
Antonio Donato già scrivano del legno della Riviera dell' Istria, mandato
[il Donato] a Venezia da Antonio Ferro castellano del Castel Leone (carte 153).
, 1388 m. v. 23 febbraio. — Per conciliare le questioni fra i comuni
di Pola e di Dignano si ordina ai capitani di S. Lorenzo e di Grisignana
di recarsi sui luoghi contestati e quindi di pronunziare la sentenza ; se non
— 271 —
fossero d'accordo, entri qual terzo giudice il podestà di Pirano, e il giudizio
segua a maggioranza (carte 153 tergo).
1388. 14 febbraio. — Facoltà al capitano di S. Lorenzo di spendere
lire 200 in lavori ivi necessari.
Il salario del medico chirurgo di Capodistria è portato da 100 a 200
lire [pagabili su quelle rendite] (carte 154 tergo).
1389. 9 marzo. — Facoltà al capitano di Grisignana di spendere lire
300 di picc. in riparazioni a quelle mura, cadute per 6 passi e per altri 6
minaccianti (carte 161 tergo).
1389. 20 aprile. — Facoltà a Remigio Soranzo podestà e capitano a
Capodistria di spendere lire 400 dello stato per lavori necessari alla sua
abitazione in quel palazzo (carte 167 tergo).
Senato Misti voi. XLI.
1389. 18 maggio. — Avendo il notaio Desiderato Lucio scritto che
il duca d'Austria [presso il quale era stato inviato], prò sedandis differentiis
existentibus in partibus Istrie, de certis confinibus territoriorum, cum domino Duini,
invierebbe nella quindicina dopo la Pentecoste due suoi rappresentanti; si
ordina al capitano di S. Lorenzo e al podestà e capitano di Capodistria di
trovarsi coi detti rappresentanti, e, informati delle questioni, pronunziare
con quelli la inappellabile sentenza arbitramentale. Per tal missione avranno
dallo stato due ducati il giorno ciascuno. Il Collegio provvederà per la
commissione (carte 4 tergo).
1389. 18 maggio. — Cum multa mala abhominabilia horribilesque excessus
cantra nos et statum nostrum nostrosque fideles commissi fuerint per Archidiaconum
Iustitiopolitanum, hominem iniquissimum et sceleratissimum, il quale si sa che
fu captus per communitatem di Pordenone ; si dà facoltà al Collegio di spen-
dere fino a 2000 lire per aver nelle mani il detto arcidiacono (carte 5).
1389 31 maggio. — Uno dei due soci assegnati dalla sua commis-
sione al podestà e capitano di Capodistria è cassato ; il restante in ufficio
avrà metà delle apuntature, l' altra metà anderà a vantaggio dello stato
(carte 6).
1389. 31 maggio. — Licenza alle monache di S.Caterina d'Isola di
far libere portar colà le vettovaglie, i legumi e il vino che raccoglieranno
limosinando nelle ville dell' Istria. Valevole per quattro anni (carte 7 tergo).
1389. 15 luglio. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di
spendere fino a 300 lire di picc. dello stato prò reparatione pontium diete
terre (carte 21).
— 272 —
1389. 29 luglio. — Non avendo Andrea Dona ultimo capitano a San
Lorenzo compiuti i lavori di riparazione permessigli, si pone a disposizione
del suo successore Marino Storiato il denaro per ciò lasciato dal Dona e
gli si permette inoltre di spendere altre lire 200 di picc. (carte 25).
Si proroga a tutto agosto il termine a Simone Dahnarìo, stato podestà
e capitano a Capodistria, per produrre in Senato le sue provvisioni prò
factis di quella città (carte 25).
1389. io agosto. — Proposte di Simone Dalmario già podestà e ca-
pitano come sopra (carte 27 tergo).
Cimi in partibus Iustinopolis sit quoddam hospitale sancii Liaxari vel domus
Dei, quod est dotatimi per cives et habitatores Iustinopolis et habet reditum panis,
vini et olei ad sujficientiam prò decem pauperìbus, et habet alios redditus ad
valorem in totum librarum XIII grossorum ; propone che vi si elegga priore
unus sufficiens et bonus homo maris, prescrivendo le modalità della elezione.
— Non approvata (carte 27 tergo).
Quod ut civitas nostra Iustinopolis, que ad presens regitur sine statutis
regatur ordinate propone di mandare colà ista copia statutorum que
est hic riformata e corretta dal podestà e capitano e dai due sindici inviativi,
e di ordinarne l'osservanza, salve ulteriori modificazioni. — Non approvata
(carte 28).
1389. 13 settembre. — Licenza al Collegio di rispondere a domande
di dichiarazioni fatte dal podestà e capitano di Capodistria e dal capitano
di S. Lorenzo, per le trattative nelle questioni di confini cogli inviati del
duca d'Austria (carte 33).
Si prolunga a tutto ottobre il termine ad Andrea Dona, tornato da
capitano del Pasinatico di S. Lorenzo, per fare in Senato le sue proposte
di provvisioni (carte 33 tergo).
1389. 19 settembre. — Ad istanza del vicecapitano, dei giudici e del
comune di Trieste, si concede a quelle monache di S. Benedetto, di man-
dare delle loro sorelle a limosinare in Polisanam, e di trasportare per mare
al loro monastero ciò che avranno raccolto. Valevole per 5 anni (carte
33 tergo).
1389. 7 ottobre. — Trovandosi vantaggiosa la deliberazione 24 mag-
gio 1387, di riscuotere direttamente la decima del sale in Capodistria, si
autorizza quel podestà e capitano a spendere fino a lire 300 di picc. dei
denari dello stato prò /adendo fieri salaria per accogliervi il prodotto di detta
decima ; si ordina poi che quindinnanzi quei rettori trattengano colà circa
500 moggia di sale a disposizione del Collegio del sale di Venezia, e il di
più sia mandato alla capitale (carte 39).
— 273 —
1389. 7 ottobre. — Avendo il capitano di S. Lorenzo e il podestà e
capitano di Capodistria lasciato interrotte le trattative per definire le ver-
tenze confinarie coi rappresentanti il duca d'Austria, si dà facoltà al Collegio
di inviare, invece dei primi, un rappresentante di Venezia e di dargli le
istruzioni e i poteri occorrenti. Chiedendo poi un nuntius dei rappresentanti
il duca qnod nulla novitas fiat donec ipsi fucrint ad presentiam
domini ducis et dance habebììnr ab eo responsio, si risponde che si farà in modo
che il duca sarà contento (carte 40).
Avendo poi il detto nitneius offerto a Simone Dalmario per parte del
Signore di Duino che questi farebbe in modo di far venire in mano alla
Signoria veneta illum pessimimi archidiaconum traditore»!, si accetta l'offerta,
e si promette che la Signoria farà il possibile per far poi assolvere il detto
signore dalla Curia romana, se per tal fatto egli avesse ad incorrere in pene
spirituali (carte 40).
In seguito ad altra comunicazione fatta dal nuncins al Dalmario, cioè
che mostrandosi i triestini male dispositi contro il duca, desiderava sapere
se, nel caso che il signor di Duino movesse guerra ai medesimi, Venezia
si asterrebbe dall' aiutarli, e vieterebbe ad altri di soccorrerli per mare ; —
si ordina al Dalmario di rispondere dispiacere al governo che gli abitanti
di Trieste nutrono sentimenti ostili al loro signore ; Venezia non li soc-
correrà ; ma circa l' impedire che altri li aiuti, non asti honestum nec de
more nostro est nos impedire de guerris et jactis aliorum sine causa (carte 40).
1389. 12 ottobre. — Si risponde ad ambasciatori del patriarca di
Aquileia :
[i0]. Dalle informazioni date dai rettori di Grisignana, Cittanova e
Pirano non risulta che i sudditi veneti abbiano occupato territoria patriar-
cali, ma bensì il contrario ; però, se il patriarca acconsente, Venezia è di-
spostissima a mandar commissari sui luoghi per togliere [d' accordo con
quelli del patriarca] ogni causa di questione (carte 41).
[i2c]. E vero che il podestà e capitano di Capodistria vendette in addietro,
in forza ordinimi diete terre, saline ed altri beni come proprietà di nemici
dello stato, al quale ne fu devoluto il ricavato, perchè il Capitolo di Ceneda,
proprietario, o i suoi dipendenti multa damna intulerant (carte 41 tergo).
1389 m. v. n gennaio. — In seguito alla risposta data come qui sopra
[sub i°], si delibera di partecipare ai rettori di S. Lorenzo e di Capodistria
la proposta fatta agli ambasciatori aquiieiesi ; e di incaricarli di rappresen-
tare e difendere i diritti di Venezia in faccia ai rappresentanti del patriarca,
e di venire con questi ad accordo sulle questioni preaccennate; potranno,
stando in missione, spendere 2 due. per ciascuno il giorno (carte 54).
— 274 —
1389 m. v. 27 febbraio. — Le 40 lire di picc. spese da Simone Dal-
mario in palatio Iustinopolis, recipiantur in juribns suis (carte 58 tergo).
1390. 28 marzo. — Facoltà a Leonardo Bembo podestà e capitano a
Capodistria di spendere lire 200 per lavori in quel palazzo (carte 69 tergo).
1390. 26 maggio. — Licenza a Sergio del fu Forella di Castropola
di recarsi e stare per due mesi in Pola per attendere a' suoi affari (carte 79).
1390. 29 luglio. — Licenza a Leonardo Bembo podestà e capitano a
Capodistria di spendere lire 100 dello stato in lavori nel Castel Leone
(carte 96).
1390. 21 agosto. — Facoltà al capitano di S. Lorenzo di spendere
lire 400 prò recuperatione murorum castri et aptatione cuiusdam doinus communis
(carte 99).
Ad istanza del comune di Capodistria si porta da 200 a 300 lire di
piccoli il salario annuale di Manfredo da Sacile medico salariato in quella
città ; ciò, minaciando esso Manfredo di andarsene se non gli si dava da
vivere (carte 99).
1390. 20 settembre. — Si delibera la elezione in Senato di tre savi
ai quali si commette 1' esame, articolo per articolo, degli statuti di Capo-
distria ; essi proporranno al Senato entro il venturo ottobre le riforme che
crederanno utili ai detti statuti. Eletti Federico Giustinian, Simone Michiel
avogadore e Simone Dalmario [l'elezione seguì il 18 ottobre] (carte 106).
1390. 6 ottobre. — Comparso, iam bono tempore, unus atnbaxator del
conte e del comune di Pola, diede scritti certa capitula differentiarum vertenti
fra quel comune e gli uomini di Dignano, le parti furono invitate a man-
dare suos nuncios informatos de iuribus suis; ora, per por fine a ogni que-
stione, si risponde come segue ai detti capitulis:
Gli uomini di Dignano che hanno in affitto terreni e stabili da quelli
di Pola, pagheranno i correspettivi di affitto alle case dei proprietari [di
Pola] come si fece finora ; se non sono di ciò contenti potranno refutare
ferri toria et possessiones predictas.
Si scriverà al podestà di Dignano di restituire al comune di Pola le
munizioni di proprietà di quest' ultimo eh' erano nella torre di Dignano.
Restino al comune di Pola le 80 lire ancora in mano di quel conte
delle 200 che il comune stesso aveva sborsato al conte come acceptas illis
de comitatu Pisini pignoratis per commune Pale prò herbaticis factis
in comitato suo e che si dovevano restituire dictis sclavonicis de ipso comitatu
secundum quod scriberel potestas Adignani. Se alcuno degli sclavonici suddetti
dimostrasse in seguito habere debere prò ipsis pignorationibus, sarà pagato
sulle suddette 80 lire.
- 275 —
Circa i confini odo villarum regalie, quattro delle quali furono, con
sentenza dei capitani di S. Lorenzo e di Grisignana, assegnate a Pola e
quattro a Dignano, confini che ora dan luogo a frequenti questioni, si or-
dina ad Albano Badoer capitano a S. Lorenzo, al conte di Pola e al podestà
di Dignano di studiare i diritti dei contendenti, e quindi tutti tre, a mag-
gioranza, stabilire e determinare per sempre i detti confini. Ciò fatto, se
risulterà che i dignanesi pignoravi jecisse i polensi nei terreni a questi spet-
tanti, i primi restituiranno ai secondi il tolto; e viceversa (carte 112 e
112 tergo).
Gli stessi giudici veggano se nei boschi del comune di Pola sianvi
legnami adatti alla costruzione di case e di navigli, e riferiscano ; ciò per
avere i polensi chiesto di poter avere di siffatti legnami dal bosco dello Stato
commesso al podestà di Dignano (carte 112 tergo).
1390. 27 ottobre. — Fra gli aspiranti al vescovado di Castello [Venezia]
trovansi : Vito Memmo vescovo di Pola, licenziato in diritto canonico, e
fra' Giovanni Lombardo vescovo di Parenzo (carte 116).
1 39 1 . 17 marzo. — Fra gli aspiranti alla dignità di abbate della Fol-
lina si trova fra' Benedetto de' Caronelli abbate in S. Michele di Pola
(carte 130).
1391. 6 aprile. — Licenza ad Albano Badoer, capitano del Pasinatico
di S. Lorenzo, di spendere 40 lire di picc. prò aptandis collonellis scale palatii
(carte 132).
1391. 27 aprile. — Facoltà a Michele Contarini podestà e capitano a
Capodistria di spendere 100 lire di picc. in lavori in quel palazzo (carte
135 tergo).
Ut in facto statutorum Iustinopolis procedatur ordinate, et ut quilibet se
intelligat, si delibera l'elezione in Senato di tre savi, ai quali è commesso
l'esame dei singoli articoli di quegli statuti, per poi proporre, entro il ven-
turo maggio, le modificazioni che troveranno opportune. — Eletti : Leonardo
Bembo, Simone Michiel e Simone Dalmario (carte 135 tergo).
1391. 27 aprile. — Provisiones proposte da Leonardo Bembo tornato
da podestà e capitano di Capodistria :
Per stimolare lo zelo dei camerlenghi di Capodistria alla sollecita esa-
zione delle condanne pronunziate dai podestà, si assegnano tanto ai primi
che ai secondi un soldo per ciascuna lira sulle riscossioni di condanne pro-
nunziate da predecessori del podestà in carica. I detti soldi saranno pagati
dai condannati. Ogni podestà allo entrare in carica farà publicare di dar
tempo 1 j giorni, a tutti i debitori di tal partita, a pagare senza l'aggravio
dei due soldi.
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Essendo la popolazione ili detta città in aumento, e succedendovi fre-
quenti offese personali, specialmente nelle feste, sicché molti muoiono per
mancanza di cure e molti [i colpevoli] se absentant ; si delibera che quel
podestà e capitano assoldi un medico-chirurgo coll'annuo stipendio di 200
lire di picc. a carico dello stato (carte 136 tergo).
1391. 3 giugno. — Avendo il Bembo e il Dalmario, nominati il 27
aprile sapientes super statuto di Capodistria, proposto di mandar colà onde
sia posta in vigore la copia degli statuti già corretti e riformati da quel
podestà e capitano coi sindici ivi inviati dal Senato ; si accoglie invece la
proposta del loro collega Michiel facendo inserire nella commissione del detto
podestà e capitano : Omni autem a te querenti rationem facies adherendo sta-
tutis, ordinibus et consuetudinibns nostris Veneiiarum quantum plus poteris. Et
in casibus quibus hoc rationabiliter facere non posses, facies sicut tue discretioni
videbitur secundum Deum et honorem nostri Dominii (carte 143).
Senato Misti voi. XLII.
1391. 4 luglio. — Avendo il podestà e capitano di Capodistria dimo-
strato esser difficile 1' uniformarsi alla prescrizione precedente nelle vendite
e nelle compere di possessioni, per le lungherie del metodo veneziano ;
cosiderato che la maggior parte di quelle transazioni non supera il valore
di 20 lire ; si delibera che sia in facoltà dei contraenti di far quegli affari
sia secondo le norme di legge di Venezia, sia secondo le vecchie in uso
in Capodistria (carte 6 tergo).
139 1. 11 luglio. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di
spendere lire 500 di picc. in riparazioni ai ponti levatoi di Castel Leone
ridotti in pessimo stato, alle scale, al tetto e ad altre parti d'esso castello,
ed alla casetta ove abitano i conduttori del dazio nitide pontis di quella
città, fattasi rovinosa (carte 7 tergo).
1391. 11 agosto. — Avendo maxima tempestas danneggiato moltissimo
i prodotti agrari e delle saline nel territorio di Pirano; ad istanza di am-
basciatori espressamente inviati da quel comune, si rilascia ai produttori il
sale raccolto in quest'anno, purché ponatur totus in manibus po-
iestatis nostri di quella terra, il quale rilascierà i permessi di vendita ai singoli.
Valevole per l'anno corrente (carte 18 tergo).
1391. 7 settembre. — Licenza al nobile Michex Wexistayner viceca-
pitano di Trieste di far condurre colà da Monfalcone per mare, liberamente,
80 urnas vini terroni entro il venturo ottobre (carte 22 tergo).
— 277 —
I391- 2 ottobre. — Ad istanza dei cittadini di Capodistria, che ave-
vano offerto di concorrere alle spese con 300 ducati, si dà facoltà a quel
podestà e capitano di spendere 220 due. delle rendite locali per far riattare
conductus et gurnas solitas que deferebant aquam fontis di detta citta, e che
erano stati rotti in eversione et combustione diete terre; ciò, essendo quel lavoro
necessarium tam prò comoditate civium quam etiam castri nostri cui
adherebunt gurne predicte, quam etiam musolatorum et aliorum
euntiuin ad civitatem (carte 28).
1391. 12 ottobre. — Avendosi notizia che due legni vanno pirateg-
giando in partibus Istrie usque Pulmentorias et Bredonos, si delibera d' inviare
ìignmn nostrum Istrie et Ugnimi maius Marchie cum capitaneis suis, i quali,
dopo deciso dal Senato chi debba avere il comando, si uniscano in Pirano,
ove armeranno i legni, pel che furono già dati opportuni ordini a quel
podestà, daranno la caccia ai pirati ; — e seguono le istruzioni all' uopo
(carte 29).
1 3 9 1 . 13 ottobre. — Si dà facoltà a Francesco Zorzi capitano del Pa-
sinatico di Grisignana di spendere 500 lire di picc. in riparazioni al muro
di quel castello, in parte rovinato, e alla bastita Pontis marchesii (carte 29).
1391. 24 ottobre. — Facoltà a Pietro Querini capitano del Pasinatico
di S. Lorenzo di spendere lire 400 di picc. in riparazione alle mura della
terra, al palazzo di abitazione di lui e per rifabbricare lo stabulimi palacii
(carte 30).
1391 m. v. 4 gennaio. — Si prolunga a tutto febbraio il termine ad
Antonio Michiel, tornato da podestà di Parenzo, ponendi suas provisiones in
Senato (carte 37 tergo).
1391 m. v. 20 febbraio. — Similmente fino a tutto marzo (carte 43).
1392. 8 marzo. — Si delibera di scrivere al papa a favore di Lodo-
vico Morosini già vescovo di Capodistria ed ora di Modone (carte 46 tergo).
1392. 15 marzo. — Proposte da Antonio Michiel: — Cum in Parendo
per consuelinliucm fiant qnatuor judices qui sitnt per qualnor tnenses, et isti
ad suum compìementum fatiant loco sui alios quatuor judices et facilini
etiam duos insticiarios, duos camerario* , unum scribam et quatuor advocatos ;
et elapsis quatuor aliis mensibus UH judices facilini simìliter. Utide Siati circa
tredecim persone que habenl istmi regimai sciupa- in manibtis, de quo male con-
tentai ur alia bona gens ittita terre, vedendo la prerogativa dell' elettorato
ridotta in poche mani, nò avendosi alcun documento scritto che assicuri la
prerogativa stessa a quelli che la godono, i quali van dicendo quod quando
civitas Parencii data fui! ducali Dominio fueriint quatuor domus que fnerunt
causa quod ipsa daretur, et quod diclis domibus lune reservatum fitil quod habacnl
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isiàm auctorìtatem jaciendi indices et officiales, del che non vi è testimonianza
scritta ; di più le quattro famiglie sono estinte e il diritto elettorale passò
in altre; si delibera che i giudici e tutti gli ufficiali di Parenzo d'ora in-
nanzi fiant per consiliitm Parentii per electionem ad busolos et ballotas secundum
ordinem qui dabitur per potestatem et consilium diete terre (carte 49 tergo).
Insuper cum tempore guerre Ianuensium que fuit 13 jj capta civitate Pa-
rentìi per inimicos multe de pulchrioribus domibus que erant super ruga magislra
et alibi per illam terram combuste fuerit, et volentes UH quorum sunt eas vendere,
compareant propinqui vel laleranei presentantes et aquirentes eas, nec reficiunt
eas, sed ipsas dimiltant sic, et si non presentarent, UH qui eas emunt laborarent
eas, il che gioverebbe allo stato e alla città; si delibera che gli acquirenti
di tali case debbano ricostruirle prò ornamento et commodo della terra (carte
49 tergo).
1392. 29 marzo. — Fra gli aspiranti al vescovado di Castello appari-
scono Vito Memmo vescovo di Pola, Giovanni Loredan vescovo di Capo-
distria e Giovanni Lombardo vescovo di Parenzo (carte 5 1 tergo).
1392. 1 aprile. — Fra gli aspiranti alla dignità di abbate in S. Tomaso
de' Borgognoni di Torcello evvi fra' Benedetto de' Caronelli abbate di
S. Michele presso Pola, postulatus per fratres et capitulum monasterii de Bnr-
gundionibus (carte 52 tergo).
1392. 9 aprile. — Avendo gli ambasciatori veneti già inviati al patriarca
di Aquileia stabilito con questo la dominica dei SS. Apostoli pel convegno
dei rappresentanti delle parti ad discernendum le vertenze inter suos rectores
de Bulleis et nostros prò territorio Sancti Georgii; si commette, come già altra
volta, al capitano di S. Lorenzo e al podestà e capitano di Capodistria di
rappresentare Venezia, autorizzandoli a restituire ai patriarcali quanto fosse
stato dai veneti indebitamente occupato, a condizione di reciprocità ; e a
por fine definitivamente alle questioni. Si assegnano ai medesimi ducati due
al giorno durante la missione (carte 53).
1392. 26 aprile. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di
spendere lire 600 di picc, denari dello stato, in riparazioni alle terratie di
Castel Leone, alla cisterna di palazzo che non tenet aquam, al tetto dello
stesso, e al campanile in piazza in superiori parte, videlicet in girlanda et
tabulatus ita est derupatus quod custodes ibi stare non possunt (carte 54).
1392. 26 aprile. — Sanatoria a Michele Contarmi già podestà e capitano
a Capodistria per io ducati, spesi, oltre i 20 assegnatigli, in riparazioni ai
condotti dell'acqua della fontana di quella città (carte 55).
1392. 30 aprile. — Provisiones proposte da Michele Contarmi suddetto:
Aumentando l' interrimento della palude fra la città e Castel Leone, i podestà
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di Capodistria facciano ogni anno publicare che tutti coloro che vorranno
optare et jacere fundainentuin suanan saliiiantm debbano ire ad accipiendmn
de dicto terreno f d' interrimento] prò dieta causa, sotto pena di lire 25 ai
contraffacienti.
Non esistendo più la casa destinata dal comune prò comodo et reductu
musiolatorum, come avanti la guerra, si autorizza quel podestà e capitano
a far costruire presso la piazza una casa pel detto scopo, e a spendere
all'uopo fino a 500 ducati dei denari di quel comune; e ciò per l'utile e
comodo che recano quei musiolatores nei trasporti delle derrate e altro.
Non essendo più, per la cresciuta popolazione, sufficiente il numero dei
birri assegnati a quella città, agli otto ora esistenti, comandati dal conne-
stabile, se ne aggiungono altrettanti, pure sotto un connestabile, i birri con
6 lire il mese di paga, i ccnnestabili con 12. Gli ultimi otto saranno con-
dotti dai singoli podestà all' entrare in carica.
Per aumentare la popolazione in città, quel podestà e capitano farà
publicare che chiunque andrà ad abitarvi con famiglia, entro un anno dalla
proclamazione, sarà esente, per cinque anni dal di dell' ingresso, da angarie
reali e personali ; non sono compresi in tal beneficio i sudditi dimoranti
nell' Istria.
Quel podestà e capitano omni anno in die lune post pascha maii debeat
jacere proici ad palittm cum balistis possendo expendere prò primo, secando et
tertio meliori ictu fino a ij ducati d'oro in regali; da tali esercitazioni di
tiro a segno, istituite per procurarsi buoni tiratori, sono esclusi i non sud-
diti e gli estranei all' Istria (carte 56 tergo).
Cum ante guerram in Ecclesia cathedrali Iustinopolis darenlur
duodecim lauda Serenissimo domino Duci et potestati et capitaneo qui se repe-
riebal ibidem cum magno gaudio et jesto totius terre ; et ad presens nitrii fiat,
si commette a quei rettori presenti e futuri quod omni anno debeant facere
dari quatuor lauda, una a Pasqua, una il giorno di S. Marco, una nella festa
di S. Lazzaro, caput illius terre, ed una a Natale, colla spesa di lire 4 per
ciascuna, denari di quel comune (carte 57).
1392. 1 giugno. — Avendo artieri periti dichiarato non bastare le eoo
lire destinate ai lavori di riparazioni in Castel Leone, si dà a Simone Michiel
podestà e capitano a Capodistria di spendervene fino a 900 (carte 64 tergo).
Facoltà al podestà di Pirano di far costruire presso il porto unum sa-
lerium ad collocandum salem nostri communis prò vitatione conlrabannorum con
un granaio nel piano superiore per tenervi tniinilionem bladorum di quel
comune, spendendo ducati 120 dello stato, sostenendo il resto della spesa
quel comune. Come poi il detto salerium non basterà a contenere tutto il
— 280 —
sale, sì destinano a riceverlo loca Ma ubi ad presens sani granaria communis
Pirani et Ma camera polestalis ubi collocai jenum sitimi, il che al-
lontanerà il pericolo d' incendio dal palazzo, e il fieno potrà tenersi in medis
sicut faciunt alii cives (carte 64 tergo).
1392. 17 settembre. — In seguito allo scarsissimo raccolto di sale fat-
tosi in Istria, il che porterebbe, se non vi si provvedesse, la perdita del
traffico dei grani, que conducuntur deinde Venetias, et salis qui dispensati/r
deinde, si delibera la elezione di cinque savi in Senato per istudiare e pro-
porre provvedimenti atti a togliere o mitigare le tristi conseguenze del fatto,
che est res satis ponderosa et que tangit communiter totani patriam. — Eletti
Michele Steno procuratore di S. Marco, Donato Moro, Vitale Landò, Gu-
glielmo Querini avogadore di comun e Marco Zeno procuratore di S. Marco
(carte 78 tergo).
1392. 30 settembre. — Licenza a Michxe Weyxinstain vicecapitano a
Trieste, devoto nostri domimi di far condurre, libere per mare da Monfalcone
a quella città 70 urnas di vino per suo uso (carte 80 tergo).
1392. 7 ottobre. — Cum volendo tenere in culmine trafficum sive cursum
bladorum que conducuntur de partibus superioribus Iustinopolim, et de Iustinopoli
Venetias, tanto vantaggioso allo stato, non vi sia miglior mezzo che man-
tenere in quella città abbondanza di sale, qui placet musiolaìis,
onde questi non abbiano a rivolgersi a Fiume od altrove ; veduto che il
sale di Alessandria non piace ai medesimi ; si delibera : di mandare a Ca-
podistria 900 moggia di sale al prezzo di 3 ducati il moggio, di far venire
altro sale da Modone e da Corfù con una galea grossa ivi spedita ; di or-
dinare ai rettori di quelle due città di noleggiare itsque lotum mensem februarii,
quanti navigli potranno e spedirli carichi di sale direttamente a Capodistria ;
di ordinare agli Ufficiali al sai di spedire anch' essi navigli a Corfù per
caricarvi sale da portare a Capodistria. Intanto, in attesa di tali spedizioni,
gli Ufficiali predetti, quando fosse scarsezza di sale in Capodistria, conse-
gneranno, ai provveditori alle biade, per spedirlo colà, tutto il sale che
tengono, prò jaciendo vendi in Venezia e nel Mestrino, nei quali luoghi sarà
sostituito con sale di Alessandria (carte 82 e 82 tergo).
1392. 7 ottobre. — Si ordina al podestà di Capodistria di far vendere
il sale da 35 a 40 soldi lo staio a tutti quelli che porteranno frumento colà,
ai musiolatis recanti grano, a soldi 50. Informi di frequente sulla quantità
di sale che ha a disposizione e sul prezzo salis illarum partium (carte 82
tergo).
1392. 6 dicembre. — Licenza ad Andrea Cocco capitano a Grisignana
di spendere 200 lire dello stato in lavori di riparazione (carte 88 tergo).
— 28l —
1392 m. v. 3 febbraio. — Licenza a Simone Michiel podestà e capi-
tano a Capodistria di far erigere unum magagnimi a frumento coi materiali
e col denaro sopravanzati dai lavori in Castel Leone ecc. (carte 96).
1392. 27 febbraio. — Faccoltà ad Andrea Vitturi podestà a Dignano di
spendere due. 50 di quelle rendite dello stato prò /adendo unum granarium supra
lobiam communis que rehedificatur per illos de Adignano, cum fuerit passa ruinam,
in quo reponi possint regalie nostri communis de introitibus Adignani (carte 96).
1393. 19 aprile. — Avendo i giudici e la comunità di Lubiana chiesto
la consegna, per farne giustizia, di certo Ianes Capus de Vernico districtus
Lubiane, homicida, latro et stratarum predator, carcerato nelle prigioni di
Capodistria, si autorizza quel podestà e capitano a farla, quando quelli di
Lubiana promettano reciprocità in casi simili, mentre in passato fecero giu-
stiziare malfattori rei di crimini in territorio veneto arrestati nel loro di-
stretto (carte 105).
1393. 29 aprile. — Si delibera di sospendere l'esecuzione della pre-
cedente, e di ordinare al podestà e capitano di Capodistria di ottenere dal
prigioniero, anche colla tortura, la dichiarazione s'egli abbia commesso alcun
crimine negli stati veneti, informando se etiam cum aliis de hoc (carte 109).
1393. 20 maggio. — Facoltà a Marco Venier podestà e capitano di
Capodistria di spendere da 1000 a 1200 lire, danaro dello stato, per far
escavare il porto di S. Martino che est totaliter siccus, e riattare il molo.
Potrà spendere anche 100 lire per rinforzare le prigioni (carte 112 tergo).
1 393- 7 giugno. — Si prolunga fino a tutto luglio a Simone Michiel,
stato podestà e capitano a Capodistria, il termine per portare in Senato
provisiones suas (carte 1 1 j tergo).
1393. 17 giugno. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di
spendere lire 200 in lavori in Castel Leone (carte 116 tergo).
Si rinnova per 4 anni alle monache di S. Caterina d' Isola la licenza
di far portare liberamente al loro monastero legumi, vettovaglie e vino
raccolti per elemosina in Istria (carte 116 tergo).
1393. 21 luglio. - Nuova proroga, a tutto agosto a Simone Michiel
(carte 118 tergo).
1393. 7 settembre. — Procurandosi i piranesi il grano necessario, per
grazia concessa, de locis et partibus circumsìantibus, ma con incomodo e spese
per mancanza di mnsiolatorum qui non portant ad Ulani terram granum sicut
ad alias terras Istrie, ad istanza dei cittadini stessi si concede
che quei podestà trattengano colà 400 moggia l'anno del sale che riscuo-
tono per conto dello stato, e lo vendano alle migliori condizioni possibili,
onde i mitsolati siano allettati a portar grano in città (carte 129).
— 282 —
1393- 7 ottobre. — Licenza a Micbxe Veyxinslain vicecapitano a Trieste
di far condurre colà dal Friuli liberamente 70 urnas vini terrani per suo
uso (carte 136).
1393. 13 novembre — Si accorda a Marco Venier podestà e capitano
a Capodistria facoltà di spendere 100 lire in riattare e ricollocare a posto
gurne per quas conducebatur aqua fontis prò maiore parte remote de
palis super quibus stabant et revolute in mare propter diluvium aquarum que bis
diebus preteritis creverunt ibi tam de mare quam de celo (carte 138 tergo).
1393 m. v. io febbraio. — A Paolo Zulian, andato a prender possesso
del castello di Raspurch, e che trovandovisi a disagio infermò, si accorda
di partirsene e di lasciarvi a custodia Paolo de' Polesiis connestabile equestre
in S. Lorenzo con 20 uomini equestribus dei Pasinatici ed una bandiera di
fanteria di Grisignana, dando gli ordini opportuni a conservazione del luogo;
esso Zulian torni a S. Lorenzo, ove era capitano, e si mantenga in rela-
zione col detto connestabile per essere a giorno di ciò che succede in
Raspurch (carte 151).
1393 m. v. 24 febbraio. — Si prolunga a tutto marzo il termine per
presentare provisiones suas ad Consilia a Raynucio Vitturi già podestà a Pirano
(carte 151 tergo). .
1394. 13 marzo. — Cum priàie, quando fuit acceptum castrum Raspurch
acceptum fuit duabus de causis pr incipollì er , et ad duos fines, primo
prò securitate et conservatone terrarum et fulelium nostrorum Istrie, secundo prò
possendo scansare expensas et augere introitus nostri communis ; si
delibera di mandar colà persone competenti per istudiare i provvedimenti
opportuni, e si decreta la elezione in Senato di due provveditori, i quali
condurran seco tre famigli ciascuno, e un notaio, con un servo, e potranno
spendere 5 ducati il giorno fra tutti e due, non comprese le spese di tra-
sporto. Si rechino dapprima a Raspurch, et ibi examinare debeant condicionem
et situm eius et omnes introitus loci, ac quot gentes forent necessarie et cuius
conditionis ad reducendum ibi paysanatica et ad sccuritatem contrate
et cum quanto soldo et sub quot capìtibus, come si possa provvedere all'abi-
tazione dei soldati e a quella del rettore da inviarvisi, alle riparazioni al
castello, et modos qui sibi vitìcrcntur de faciendo ibi nostrum rectorem et cum
quanta familia et expensa, et prò quanto tempore, et quomodo ac linde debercl
recipere solutionem suam, come abbiano a regolarsi le rendite del luogo, et
de modo regiininis soliti fieri et servari ibi, et si esset modus reducendi
genfes ad habitandum contratam, ecc. Riferito su ciò al più presto, vadano
a S. Lorenzo e a Grisignana, et ibi similiter providere debeant de modo regu-
landi ipsa loca ad complementum rectorum qui nunc sunt ibi tam circa factum
— 283 —
lettor imi quomoào fieri dehebunt et cnm quanto salario et expensa, et qiiomodo
debebniit rimanere {ideila custodia, ecc. Visiteranno anche gli altri luoghi del-
l' Istria per informarsi su ciò che occorresse ; e per provvedere al modo
con cui il rettore di Raspurch potesse corrispondere cogli altri della pro-
vincia, per via di segnali o altro in caso di bisogno di soccorso. Del tutto
riferiranno e faranno le loro proposte in Senato (carte 154 tergo).
Senato Misti voi. XLIII.
1394. 12 maggio. — Quia una de principalibus causis propter quas
dominano nostra haberc voluit castrarli Raspurch fuit prò reducendo ibi
Pasanatica nostra, tam prò meliori custodia totius Istrie quam etiam prò
scansando expensas, quia locus est aptissimus ad ipsam custodiam, et prop-
tcrea necessarium sit providere ibi de uno sufficienti rectore et capitaneo
et de custodia Vadit pars quod eligi debeat
unus capitaneus dicti loci in malori Consilio per duos
annos et donec successor suus illue ire distulerit. Et habeat de
salario in anno libras sexaginta grossorum tenendo ad
suum salarium et expensas quinque domicellos, duos ragacios et sex equos
annorum quatuor vel inde supra unum socium venetum
annorum XXV vel inde supra, qui placeat nostro dominio, et ipsi dare
debeat aut unam robam et soldos XL grossorum, aut robas duas et soldos XX
gross. in anno. Insuper tenere debeat unum notarium ad suas expensas oris
solummodo, qui habeat utilitates quas soliti erant habere notarii
cura capitaneis nostris S. Laurentii. Ipsum salarium recipere
debeat dictus capitaneus per illum modum quod recipiebat ca-
pitaneus S. Laurentii.
Et quia ville supposite ipsi castro Raspurch solvunt et dant omni anno
multas regalias et honorifìcencias tam curie quam capitaneo et tam in pe-
cunia quam multi* aliis rebus, inter qua sunt ligna, fenum, et ova
habeat dictus capitaneus de predictis tantum quantitatem quanta
erit ei necessaria prò domo sua et prò equis suis, et omnia ova que pre-
sentantur ipsi curie. Omnes autem alic regalie et honorifìcentie
remaneant in nostrum commune
Pro custodia vero et securitate dicti castri et totius Istrie, ordinetur
quod in castro e .se et ^tarc debeant duodecim boni ballistarii de Veneciis
vel de locis nostris sub uno capite, qui habeant de soldo libras XIIII par-
vorum in mense, et caput habeat XX. Et istos conducere debeat dictus
— 284 —
capitaneus secum quando ibit ad reginien, sed fiant per solutores armamenti
Veruni ut semper ibi sint persone sufficientes, quilibet rector
conducere debeat ballistarios quatuor et quando erit deinde casset
totidem de minus sufficientes
Insuper debeant ibi deputari XX bone lancce ad duos equos prò lancea,
et XX ballistarii equestres, vel ballistarii et arcerii, secundum quod utilius
videbitur, bene muntati et cum bonis armis sub duobus bonis
comestabilibus de gentibus Paysanaticorum, si erunt sufficientes, et si non
accipiantur de aliis ; quorum comestabitium unus sit Paulus de
Polesiis, qui est homo expertus et notus in partibus, et alii tres
comestabiles Paisanaticorom probentur in Consilio rogatorum
Habeant de soldo prò qualibet lancea, includendo ballistarium vel arcerium,
libras XXXXV parvorum in mense. Comestabiles vero habeant prò sua
lancea in qua sit unus balistarius predictorurh et prò uno tubeta libras
LXXXXV parvorum in mense (carte 3).
Omnes autem alie gentes Paysanaticorum S. Laurencii et
Grisignane cassari debeant, salvo quod ad custodiam Grisignane et S. Lau-
rentii remanere debeant due banderie peditum, una prò quolibet loco
Verum ex nunc detur libertas capitaneo supradicto possendi expendere
in reparando coperturas palacii et habitationis sue, at in aliis rebus sibi
necessariis usque ad quantitatem ducatorum centum
Et insuper quia diverse opiniones sunt de faciendo habitationes soldatorum
nostrorum equestrium comminami- dicto capitaneo quod
fieri faciat diligentem examinationem ubi erit utilius eas facere
quia postea providebitur per consilium rogatorum
Commissio autem sua formetur per collegium de commissionibus lo-
corum duorum predictorum secundum quod necessarium eis apparebit ....
(carte 3 tergo).
1394. 21 giugno. — Facoltà a Fantino Zorzi cav. podestà e capitano
a Capodistria di spendere lire 200 in riparazioni ai ponti della città, alle
scale di Castel Leone e in altri luoghi (carte 12 tergo).
1394. 21 giugno. — Comparsi davanti la Signoria alcuni cittadini di
Capodistria, chiesero, in nome di tutti quei comunisti, quod regantur per
nostros rectores in civilibus et criminalibus secundum ordines et statuto, sua solita,
sicché quei rettori abbiano soli il diritto di giudicare e di reggere, e di
eleggere gli ufficiali, oltre quelli che sono nominati per grattata nostri do-
mimi. Si delibera [considerato quod omnes die terre nostre Islric reguntur cum
statutis et ordinibus suis, quos credendum est suos aniecessores condidisse quia
cognoverunt eos uliles et necessarios] di ordinare a tutti i rettori di quella
— 285 —
città, e di far inserire nelle rispettive Commissioni : Quod de cetero debeant
non testante aliquo alio nostro mandato nec alia forma sue commissionis regere
Ulani civitatem in civilibus et criuiinalibus seciindum formatti et ordinali statu-
tornili suoriun, ami ista declaratione quod ipsa statata et ordines non habeant
loaiui, sed anulìenliir in quacumque farle faciunt mentioneni quod
postestas iudicet et jacial ami volitatale et consensu suoram ojficialium, et quod
ojjiciales eligantur per tartan consilium ; sed sit solus ad judicanduni et ad eli-
gendmii ojficiales necessarios ultra conslitutos et constituetidos per nostrum do-
minitim Cum hac eliam declaratione capitali CVI libri Starnai con-
tinentis quod de debitis pecunie mutuate vel deposite nulla testificatis valeat a
libris decan parvorum saprà nisi fuerit per publicuin instrumentum, et a decem
libris infra nisi probatnm fuerit per duos ydoneos tcstes vocatos sive rogatos a
partibus, et quod nulla probatis testimonii de predictis mutuo vel deposito valeat
contra defunctos. Quod hec locum habeant in civibus et habitatoribas Iustinopolis
et districtus. In aliis autem forinsecis retnaneat in liberiate rectorum nostrorum
qui per tempora fuerint accipiendi et non accipiendi testificationes superinde, sen-
tentiandi et terminandi prout eis secundum Dettili et suam bonam conscientiam
indebitar Et ita intelligatur et declaretur ultima pars capituli odavi
didi libri continens quod cantra defunctos nulla probatis testium prò aliquo debito
recipiatur (carte 12).
1394. 9 luglio. — Essendosi, al tempo dell'istituzione dei capitani in
Grisignana, stabilito di non tener più in Pirano i 20 cavalli che vi si so-
levano tenere, risulta inutile al podestà di quest'ultima l'avere i tre cavalli,
come è obbligato per la sua commissione, e perciò invece di questi terrà
duos famulos ami una bareba [oltre i già prescritti dalla commissione] i quali
avranno partem contrabannorum inventorum per eos sicut olii famuli
et ojficiales nostri (carte 15 tergo).
1394. 24 luglio. — Si delibera di sovvenire il capitano di Raspurch di
300 ducati per costruire mansiones stipendiariorum, e per altri lavori ; al po-
destà e capitano di Capodistria si ordina di mandare al detto capitano la
paga di due mesi per gli stipendiarli (carte 19).
1394. 27 agosto. — Ridottisi in Raspurch i Pasinatici, si delibera che
il Maggior Consiglio elegga un podestà in S. Lorenzo con lire 30 di grossi
di salario annuo, obbligo di tenere tres famulos, unum ragacium et tres equos
ac unum notarium, quest'ulmimo ad suas expensas, gli altri ad suum solarium
et expensas ; il Collegio è autorizzato a riformare la relativa commissione.
Deliberazione simile alla precedente per Grisignana, il podestà avrà
lire 25 di grossi l'anno, terrà duos famulos e gli altri come sopra (carte 27).
1394. 29 agosto. — Trovandosi, a quanto scrive il capitano di S. Lo-
— 286 -
renzo, in quella terra numerosi uomini validi e fedeli, che se fossero ar-
mati renderebbero inutile la presenza della bandiera di fanteria ivi stanziata
a difesa del luogo, si accorda a quei terrazzani il prestito di iooo di piccoli
onde si forniscano di armi [e non per altro], la qual somma, guarentita
come offrono, sarà restituita in tre anni. Acquistate le armi e distribuite,
la detta bandiera sarà cassata (carte 27 tergo).
1394. 13 settembre. — In seguito a rapporti di Pietro Emo cavalier
capitano a Raspitrcb si delibera : che gli Ufficiali alle rason acquistino e
mandino al più presto colà le cose sotto notate per munizione del castello ;
che il podestà e capitano di Capodistria compri per conto dello Stato un
miliare d'olio, io me%enas di carni salate, 100 staia di miglio, due staia di
sale, e mandi il tutto, o se non tutto, in parte, e pel resto il danaro oc-
corrente, a Raspurch.
Cose da spedirsi: 2 anfore di aceto, formai de Creta libbre 1000, ferro
in verghe libbre 1000, verettoni casse 20, freccie casse 5, chiodi d'ogni
sorte migliaia 5, ^aponos io, badilia io, pali di ferro 2, roaconos vel OtffU
aut speltos io, marìellos et cha^as prò muris 5, follos 2, fibbie e chiodi per
corazze migliaia 5 (carte 28).
1394. 28 settembre. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria
di spendere lire 200 dello Stato prò opere et aptatione della fontana (carte 30).
1394. 4 ottobre. — Facoltà a Tomasino Giustinian eletto podestà a
S. Lorenzo di spendere fino a 500 lire in riparazioni alle mura vecchie del
castello ; il capitano Paolo Zulian consegnerà al suo partir di là, il danaro
che gli resta in mano di conto dello Stato, per tal lavoro, al detto capitano
(carte 3 1 tergo).
1394. 25 ottobre. — Si delega al podestà di S. Lorenzo l'istruire
processo e il pronunziare sentenza in causa fra 1' abate di S. Michele di
Murano e il comune di S. Lorenzo. La questione era : Il generale dell'or-
dine a cui apparteneva il convento di S. Michele aveva annesso a questo
quello di S. Michele de Latto; nel verificare le proprietà di questo, l'abate
aveva riscontrato che alcune di esse erano state occupate dagli uomini di
S. Lorenzo [in quel territorio]; la Signoria, in seguito a querele, aveva
incaricato il capitano di S. Lorenzo di verificare le cose, di riferire e di
mandare la dotationem del convento, e una sentenza pronunziata nel 1344
da Marco Corner che faceva menzione dei confini in questione. Poscia si
venne alla suddetta delegazione (carte 34).
, 1394. 25 ottobre. — Non avendo il ntmcins del comune di S. Lorenzo,
venuto a Venezia ad aquistare le armi di cui è cenno sotto il 29 agosto,
1' importo per pagare il dazio per le medesime, gli si dà a prestito la somma
— 287 —
necessaria che andrà in aumento delle 1000 lire concesse in detta delibe-
razione (carte 34 tergo).
1394. 24 novembre. — In seguito a rapporti del capitano di Raspo e
del podestà di Montona, si ordina ai medesimi e agli altri rettori dell'Istria,
di accogliere tutti coloro, che fuggendo dalle terre rese malsicure dalla
guerra vigente fra Corrado Crayer e il capitano di Trieste da una e la
Patria del Friuli dall'altra parte, quando vengano coli' intenzione di stabilirsi
come vicini nelle terre venete e si assoggettino alle prescrizioni relative, e di
respingere tutti coloro che vi venissero per temporanea sicurezza, ciò per non
dar causa ai belligeranti di danneggiare il territorio veneto (carte 35 tergo).
1394. 12 dicembre. — Le parti belligeranti accennate nel precedente
recarono danni parecchi sul territorio veneto, tam in animalibns existentibus
ad herbaticum quam in socedam, et etiam animalibns nostrorum, et specialiter
in comitati! Pale per illos de Dnobus Castellis [patriarcali] qui venerimi ad ac-
cipiendum imam socedam capitana Tergesti equarum L vel circa, et imam al-
teram nostrorum fideìiiim. Il conte di Pola riuscì ad impedire 1' asporto di
quegli animali e ad arrestare i predoni, i quali in parte si trovarono essere
di Due Castelli, parte di Pola e parte di Dignano. In seguito a ciò, com-
parve davanti la Signoria quidam episcopus a chiedere in nome del comune
di Due Castelli la liberazione dei carcerati che vi appartenevano ; e il Senato,
considerando che i belligeranti fecero tregua, colla mediazione della Signoria,
fino al S. Giorgio p. v., delibera di rispondere al medesimo che i detti
prigionieri saranno rilasciati quando si avrà certezza, da parte del conte di
Pola, che tutto ciò che fu preso è stato restituito. Si ordina poi al detto
conte di procedere in via di criminale contro i suddetti sudditi veneti di
Pola e di Dignano (carte 43).
1394 m. v. 14 febbraio. — Morto Paolo de cPolesiis, connestabile in
Raspo, si delibera di portare da 2 a 3 il numero di quei connestabili ;
quello che ora vi è vi resterà, i due nuovi saranno nominati dal Senato
(carte 46 tergo).
1395. 20 aprile. Si danno a prestito al comune e agli uomini di
Montona, de pecunia sibi danda per potestatem nostrum Iustinopolis, 1000 lire
per 2 anni, per acquistare armi a difesa di quella terra (carte 52 tergo).
1395. 2 luglio. — Licenza ad Egidio Morosini, podestà e capitano a
Capodistria, di spendere 39 '/, ducati in riparazioni a Castel Leone e in
rinnovarne certe munizioni (carte 67 tergo).
1395. 2 luglio. — Si assegnano 40 ducati a Paolo Zulian, per essere
stato mandato, con suo incomodo e spese, a prender possesso del castello
di Raspo, mentre era capitano a S. Lorenzo (carte 70).
— 288 —
1395- 6 luglio. — Licenza al podestà e capitano di Capodistria di spen-
dere ducati 12 in riparazioni al ponte de Travolto, rottosi, pel quale pas-
sano i mussolati e quelli che vengono in città (carte 70).
1395. 19 luglio. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di
spendere 100 ducati d'oro prò coboperiendo palatium et prò aptando cistcrnam
palatii e per rifare un muro rovinato nel cortile del palazzo (carte 72 tergo).
1395. 20 agosto. — Si concedono tres postas cabalariorum di Treviso
a Lorenzo Crocho da Capodistria (carte 77 tergo).
1395. 20 agosto. — Essendo morti di peste alcuni dei 12 balestrieri
stanziati in Raspo, ed alcuni essendo infermi, quel capitano li sostituì con
sei di S. Lorenzo, ma chiese di non dover cassare i malati, sembrandogli
ciò inumano, e di poterne tener sempre 13 di sani; gli si risponde lodan-
dolo ed approvando (carte 77 tergo).
1395. 3 ottobre. — Licenza a Michxe de Vexinstayn vicecapitano a
Trieste di far condurre colà liberamente per mare dal Friuli 50 itrnas di
vino ferrano.
Licenza al podestà e comune di Rovigno, mancando da due anni il
prodotto delle viti in quel territorio propter mala temporalia, di esportare
dalle altre terre dell' Istria, da Capodistria a Pola, 60 anfore di vino ; va-
levole per un anno (carte 88).
1395. 16 novembre. — Licenza al podestà e capitano di Capodistria
di spendere 25 ducati dei fondi dello stato in riparazioni culminis et tedi
Castri Leonis, infracidito, il tetto, dalle pioggie (carte <)i tergo).
1395. 29 novembre. — Avendo quidam vicecomes Duymus de Grobenich
chiesto al capitano di Raspo in nome della contessa di Segna, che per evi-
tare danni, per parte dei nemici di quella signora, alle gentes et districtuales
castri Raspurch, esso capitano ricevesse quelle genti e distrettuali sub pro-
tezione et gubernatione di Venezia, reddendo cuilibet ius et iustitiam ut primitus
faciebat, o almeno consentisse fosse divulgato e facesse divulgare che quella
protezione era stata accordata ; — si ordina al capitano di rispondere : La
contessa saprà che dopo i primi patti che accordavano a Venezia la prote-
zione di tutti i sudditi di Raspo, volle modificar le condizioni dei medesimi
nel senso che la Republica non avesse a se impedire de eis [dei sudditi pre-
detti] ; quindi non è onesto far credere cose non vere. Il capitano è auto-
rizzato a interporsi per riconciliare la contessa coi suoi nemici (carte 94 tergo).
1395. 23 dicembre. — Quia multis respectibus et special-iter eorum que
habemus a domina comitissa Segnie de volendo exlrahcre de manibus
nostris locum Raspurch, jaceret prò nobis et secnritate locorum nostrorum Isiric
di aver in mano il luogo di Pietrapelosa ora tenuto da Hordiborgo olim Istrie
— 289 —
marchiane pio domino Patriarcha, quia si haberentus illuni quando adirne dietimi
castrimi Raspurch nobis acciperelur, loca nostra, mediante dieta custodia [di Pie-
trapelosa] custodirentitr et salvare» tur ; si delibera di dar facoltà al capitano
[di Raspo] possendi intrare in tractalu de habendo istuni locuni, e di riferire
quanto andrà facendo in argomento ; lo si avverte che si amerebbe meglio
l'ottenerlo pio ali quo censii che in altro modo ; se trattasse di averlo in pegno
di un credito, procuri che della spesa per custodia et reparatione venga pro-
messo il rimborso assieme al denaro che si prestasse (carte 96 tergo").
1395 m. v. 8 gennaio. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria
di spendere ducati 25 d'oro, per rifare certo muro di quel palazzo ; e sa-
natoria per altri io ducati spesi in più dei concessigli altra volta (carte 99).
1395 m. v. 28 gennaio. — Si prolunga a tutto il venturo marzo a
Giovanni Moro, già conte di Pola, il termine per riferire in Senato le cose
notate per cui» (carte 102 tergo).
1396. 8 giugno. — Il capitolo delle commissioni dei rettori dell'Istria
che prescrive : Quod ipsi non debeant tenere in suis tetris aliqiicm forbanituiu
da altro di essi prò furto, raubaria vel tradimento suaruin terrarum ; che cia-
scuno d'essi rettori, all'uscir di carica, mandi agli altri la lista dei forbaniìi
da lui per le dette cause, o per altro notabili excessu ; — si modifica or-
dinando : che i rei di tradimento e di assassinio si arrestino e si mandino
al luogo ove fu commesso il delitto ; e che i rettori non aspettino il finir
della carica per dar notizia di simili malfattori ai colleghi d'altre terre, ma la
diano subito onde quelli possano essere presi dovunque si trovino (carte 137).
1396. 22 giugno. — Perchè non si produca in Pirano maggior quan-
tità di sale della voluta dalle convenzioni fatte con quei cittadini, si ordina
al podestà e capitano di Capodistria di recarsi tosto a Pirano, ed ivi visitare
e rilevare lo stato delle saline già in esercizio nel 1362, e delle piantate
posteriormente ; e di riferire particolareggiatamente. Andrà a spese dello
Stato, e potrà star di notte fuori della sua residenza, se fosse necessario
(carte 138).
1396. 6 luglio. — Facoltà a Marino Storiato eletto capitano a Raspo
di spendere lire 50 [dello Stato] in riparazioni alla sua abitazione (carte
138 tergo).
Simile ad Andrea Bembo, podestà e capitano a Capodistria, di spendere
70 ducati in riparazioni e lavori in quel palazzo e in Castel Leone (carte
140 tergo).
1396 m. v. 20 febbraio. — Facoltà a Bertuccio Dolfin, podestà a Gri-
signana, di spendere 250 lire di piccoli [fondi dello Stato] in riparazioni al
castello, al palazzo rettorile, alla torre super qua clamantur custodie alla porta
— 290 —
Roche e alla casa del cancelliere; si ordina poi ai patroni dell'Arsenale di
mandargli legnami e ferramenta pei lavori (carte 171).
1397. 11 marzo. — Facoltà al suddetto di provvedersi di un maran-
gone per servirsene nelle occorrenze, dandogli 203 lire il mese oltre la
solita paga (carte 175).
1397. 9 marzo. — Si mandano un avogadore di comun ed uno degli
ufficiali al caltaver in Istria in qualità di sindici, i quali visitino tutte le
terre dotate di rettore, con le facoltà e prerogative già godute dagli inviati
nel 15 ottobre 1386 (carte 176 tergo).
1397. 19 marzo. — Dovendosi provvedere a moderare la esuberante
produzione di sale in Pirano, si delibera la elezione di tre savi in Senato
per istudiare i provvedimenti opportuni (carte 176 tergo).
1397. 14 aprile. — Facoltà ad Andrea Bembo podestà e capitano a
Capodistria di spendere 25 ducati [fondi dello Stato] a compimento di lavori
in Castel Leone e in palazzo (carte 183).
1397. 4 maggio. — Licenza a Vito Bon podestà a S. Lorenzo di ac-
quistare 100 tavole di abete ed un barile di chiodi prò f adendo apiari quel
fonticum (carte 184).
Senato Misti voi. XLIV.
1397. 17 giugno. - Pietro Arimondo podestà e capitano a Capodistria
è autorizzato a spendere ducati 50 [dello Stato] in lavori in palazzo (carte
7 tergo).
1397. 5 luglio. — Licenza al podestà di Parenzo di far importare colà,
per comodo di quei cittadini, dieci migliaia di cacio e sei migliaia di carni
salate dalla Schiavonia (carte 9 tergo).
1397. 5 luglio. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di
spendere ducati 100 [dello Stato] in lavori ai ballatoi di Castel Leone ro-
vinati, e in altre opere ivi (carte 12).
1397. 15 luglio. — Si autorizza il podestà di S. Lorenzo a spendere
lire 200 di piccoli prò reparatione fontici bladorttm et ntimitionum castri, di
un pistrini communis fracti, di ditorum follorum a fabro ed altre cose in quel
castello (carte 12).
1 397. 3 agosto. — Licenza al vescovo di Trieste di far passare per
mare da Umago a Trieste 50 staia di frumento e 50 urnas di vino de red-
ditibus suis (carte 16).
1397. 5 ottobre. — Licenza al podestà e capitano di Capodistria di
— 291 —
spendere 150 ducati [dello Stato] in vari lavori al tetto del palazzo, alla
loggia comuni* ed altri (carte 22).
1397 m. v. 5 gennaio. — Si prolunga a Iacopo Valaresso, già conte
a Pola, fino a tutto febbraio il termine per produrre in Senato le sue prov-
vigioni (carte 25 tergo).
r 397 ni. v. 7 febbraio. — In seguito a lagni dei gastaldi, vicini e rustici
di Ficus S. Pe'ri e di 5. Petti de la Macta distretto di Capodistria contro
le estorsioni di coloro che atomi decimam dictarum villarum, le quali fini-
scono col ridurre quei villici alla disperazione e a costringerli a emigrare ;
si scrive al podestà e capitano di Capodistria accordando che la riscossione
della detta decima sia ceduta ai gastaldi e uomini delle ville stesse verso
l'annuo correspettivo di lire 520 di piccoli (carte 33).
1398. 20 marzo. — Licenza a Sergio del fu Forella di Castropola di
andare a stare in Pola quanto gli piacerà. Valevole per 4 anni (carte 36 tergo).
1398. 11 maggio. — Non avendo i savi già eletti per la questione
del sale di Pirano potuto occuparsene, e spirato il termine del loro ufficio,
si delibera la elezione di tre nuovi savi, da farsi dalla Signoria (carte 39).
1398. 31 maggio. — Risposte date a capitoli presentati da un inca-
ricato del comune di Dignano dopo sentito in argomento Tribuno Memmo,
già podestà in detta terra :
Pretendendo quei comunisti che i podestà e rettori, specialmente dal
tempo di Iacopo Soranzo in poi, li costringano ingiustamente a pagare ogni
anno per ogni paio di buoi, seminando meno di io moggia di frumento,
un moggio di quel grano ed uno d' orzo, et sic ab inde supra per ralam,
chiedono che tale esazione sia ridotta alle pristine misure, cioè che semi-
nando con io paia di buoi e moggia 30 per paio, non pagavano un moggio
di frumento ed uno d' orzo ; — si risponde non risultare dalle informa-
zioni la pretesa alterazione, e quindi non farsi luogo all' istanza.
Si assente a restituire a quel comune il prodotto delle pene nialarum
mcnsi<nvitiii, onde stimolare una maggior sorveglianza in argomento [a detta
del Memmo tali pene producevano circa 25 lire di piccoli l'anno; egli non
ne riscosse che io].
. Si restituiscono eziandio al medesimo le pene acciisarnm fiutarmi de
ammalibus lain venientibus ad berbalicum, reperlis ultra confines, e degli ani-
mali appartenenti a quei terrazzani ; anche questo per eccitare gli accusatori
ai quali si accorda la metà della pena.
Per incoraggiare la viticoltura si permette di proibire la vendita del
vino ad spinam in quella terra.
Non i assente ad abolire il dazio di due soldi per moggio sul fra-
— 29Ì —
mento quod ibi emilur et conducitur in terris et locis domimi, sapendosi, con-
trariamente alla loro asserzione, che fu sempre pagato.
Si ordinerà al rettore di Dignano di prestare a quei terrazzani 300 lire
dalle rendite locali, da restituire in rate eguali in 5 anni, per erigere unum
torculare.
Non si acconsente ad abolire il dazio di 4 soldi per capo sugli ani-
mali grossi che si esportano da quel territorio (carte 41).
1398. 31 maggio. — Si ordina al capitano eletto dai paysanaticorum
Raspurch, di procedere, dopo studiate le questioni, a definire in via di di-
ritto le vertenze fra i comuni di Parenzo e di S. Lorenzo prò factis suonivi
herbaticorwn, negando il primo valore ad una terminazione che il secondo
asseriva emessa da un capitano di S. Lorenzo (carte 44).
1398. 9 luglio. — Provisiones super sale Pirani proposte da due dei
savi eletti super dicto sale, ma non approvate (carte 50-51 tergo).
È approvata invece la seguente proposta da Tomaso Mocenigo savio
del Consilio.
Non essendo abbastanza studiata la questione, si delibera di eleggere
in Senato tre provveditori, i quali visiteranno le bocche dei fiumi pei quali
si fa il contrabbando e studieranno il modo d'impedirlo; si porteranno a
Pirano e studieranno con quel podestà l' impianto di magazzini per serbarvi
il sale colà raccolto, ed esamineranno lo stato delle saline. Ritornati, por-
teranno in Senato le loro proposte, e questo sarà convocato a loro richiesta.
Eletti: Francesco Marcello [18 luglio], Iacopo Trevisan [18 luglio] e
Antonio Barbaro [23 luglio] (carte 51 tergo).
13 98. 18 luglio. — Comminatoria di 50 ducati di multa agli eletti che
rifiutassero il suaccennato ufficio (carte 51 tergo).
1398. 16 agosto. — Iurius de Monte, Gregorius de Antignano et Litcas
de Ospo, portarono querela alla Signoria, anche a nome degli altri abitanti
villarum et curiarum font nostri coininimìs quam specialiuni perso-
naruni del distretto di Capodistria, di essere costretti da quei rettori, a ri-
chiesta dei cittadini, a condurre in città tutto il vino che si produce nelle
ville e che sopravanza al consumo dei produttori, aut quod non possunt pa-
stenare nec plantare vineas , et preter decem capaturas prò unoquoquc
manso permiitant omnes alias ire in desolationem et in bareto, onde l'agricol-
tura e i villici soffrono gravi danni ; perciò si delibera di ordinare ai po-
destà e capitani di detta città di non prendere alcun provvedimento in tal
riguardo senza licenza ed ordine della Signoria, onde i villici non siano
impediti nei lavori e miglioramenti agricoli (carte 59 tergo).
1398. 29 agosto. — Lodovico Morosini podestà e capitano a Capo-
— m —
distria è autorizzato a spendere ducati 80 [dello Stato] in riparazioni alle
carceri e in altri lavori (carte 60 tergo).
Facoltà a Francesco Malipiero capitano dei Pasinatici di Raspo di spen-
dere lire 100 di piccoli [dello Stato] in riparazioni necessarie in quel luogo
(carte 6o tergo).
1398. 17 dicembre. — Facoltà al podestà e capitano a Capodistria di
spendere lire 200 di piccoli prò reperiendo aliquos predones qui enormia damila
et robarias committunt occulte in quella città e suo distretto (carte 75).
E di spendere 100 ducati [dello Stato] prò aptando campanile et zirlandas
della città (carte 75).
1399 2 marzo. - Si sospende la trattazione delle proposte portate
al Senato da Francesco Marcello e Iacopo Trevisan provveditori già inviati
a Grado e a Pirano, per por argine al contrabbando del sale (carte 90 tergo).
1399. 11 aprile. — Fra gli aspiranti al vescovado di Ceneda sono in-
scritti Pietro Marcello studente leggi in Bologna, canonicus parentinus e Guido
Memmo vescovo di Pola (carte 98 tergo).
1399. 21 aprile. — Si delibera che sia fatto il sindicato per autorizzare
il podestà e capitano di Capodistria e il capitano di Raspo a trattare in
nome di Venezia coi rappresentanti il patriarca di Aquileia l'accomodamento
delle vertenze fra i sudditi della prima e del secondo (carte 98 tergo).
1399. 3 giugno. — Francesco Malipiero capitano dei pasinatici di Raspo
è autorizzato a spendere lire 3 di piccoli il mese per assumere un interprete
della lingua slava a lui necessario (carte 104 tergo).
1399. 4 luglio. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria, di
spendere 60 altri ducati a compimento di lavori già autorizzati (carte 113).
1399. 22 luglio. — Stando per ritornare dalla carica il podestà e ca-
pitano di Capodistria, si danno al suo successore Bernardo Foscarini le com-
missioni e le facoltà conferite al primo e delle quali è cenno nella delibe-
razione 11 aprile (carte nj tergo).
1 399. 5 agosto. — Ad Enrico Marescalco già caporale equestre in Gri-
signana, il quale prestò buoni servigi e perdette l'uso d'una mano per un
colpo avuto in un braccio, si restituisce una paga in detta terra, toltagli,
in causa dell'età, da quel podestà; con obbligo di fare aistodias di giorno
e di notte (carte 117 tergo).
1399. 12 agosto. — Licenza al patriarca di Aquileia di mandare armi
e vettovaglie per mare a Muggia pei suoi armigeri (carte 119 tergo).
1399. 1 settembre. — Si prolunga a Rainieri Vitturi, stato podestà a
Parenzo, fino alla fine del mese il termine per produrre in Senato le sue
provvisioni (carte 121).
— 294 —
ì 399. 23 ottobre. — Facoltà a Iacopo Dandolo podestà a S. Lorenzo
di spendere lire 125 di piccoli in riparazioni a quel palazzo vecchio, e lire
200 prò optando il palazzo di sua residenza (carte 128).
1399 m. v. 15 gennaio. — Si accorda la grazia chiesta come segue,
a patto che il petente compensi i danni fatti. Guariento Lagnano di Capo-
distria espose alla Signoria che avendo sotto il podestà Simone Daltnario,
presi super Chersis tre suoi debitori dimoranti nel distretto di Capodistria,
e condottili ad Villani Lutto per averne il pagamento de' suoi crediti, il Dal-
mario lo pose in bannum civitatis Iustinopolis et districtus con taglia a chi
lo desse in mano vivo o morto all'autorità. Per ciò fu costretto ad andar
mendicando fuor di patria, ma non ristette dal notificare nostris rectoribus
Iustinopolis quando persenserit de aliqua cavalchata et congregatone gentitim
fienda per teuthonicos super Chersis a danno degli istriani, e ciò con molto
pericolo suo e dei suoi. Fece considerare i meriti della sua famiglia, sempre
fedele, la morte di suo fratello Tiso ucciso ad honorem nostri domimi per
homines de Bulleis ; e chiese di poter rientrare nello Stato. In seguito si
verificò il bando, la taglia di 500 lire decretata dal Senato colla confisca
dei beni, si ebbero le informazioni dei rettori di Capodistria, commendatizie
in favore del Lugnano da Alberto duca d'Austria e da Rodolfo di Waldsee
(carte 146).
1399 m. v. 29 gennaio. — Facoltà a Bernardo Foscarini di spendere
lire 250 di piccoli pei tetti del palazzo di Capodistria e della sua cappella,
per riparazioni ai condotti della cisterna del palazzo, al camatatus di una
torre di Castel Leone in cui si conservano le armi (carte 139).
Senato Misti voi. XLV.
r/poo 26 marzo. — Si ordina al podestà di Parenzo di esigere tutte
le rendite, affitti ecc. delle possessioni de Orsal [sic] clic sono in questione
fra Ursus de Arlizpnibus e quel vescovo, tanto per la parte spettante al detto
Orso quanto per quella toccante all' arcidiacono e agli altri fratelli ; le ri-
scossioni saranno depositate presso persone di fiducia del podestà ; e ciò
si osservi fino a nuove disposizioni (carte 7 tergo).
1400. 14 maggio. — Licenza per 5 anni alle monache di S. Chiara
di Capodistria di trasportar colà liberamente quanto raccoglieranno in ele-
mosina nell'Istria e in Schiavonia (carte 15 tergo).
1400. 5 giugno. — Non risultando sufficienti i due ducati al giorno
assegnati ai Sindici destinati in Istria, si autorizzano a spendere id qttod
— 295 —
fuerit opportunum, a condizione che i lor conti vengano poi sottoposti agli
ufficiali alle rason (carte 15 tergo),
1400. 3 luglio. — Non avendo Iacopo Dandolo spesi i danari con-
cessigli il 23 ottobre 1399, si autorizza il suo successore Rainieri Venier
a tare quelle spese (carte 21).
1400. 16 luglio. — Essendovi in Parenzo grande scarsezza di carne
salata e di cacio, si dà licenza a quei cittadini di farne venire io migliaia
per ciascuna merce dalla Marca [d'Ancona] e dalla Puglia (carte 24).
1400. 16 luglio. — Si delibera di concedere una lanceam equestrem, fra
le prime vacanti, in Raspo a Manfredino Lagnano di Capodistria figlio del
fu Tiso il quale, al tempo della guerra contro Genova fu più volte man-
dato in Ungheria dagli ambasciatori veneti colà inviati, e morì, essendo
stipendiarlo equestre in Grisignana, in una cavalcata contro quelli di Buje
(carte 24 tergo).
1400. 26 luglio. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di
spendere lire 150 [dello Stato] in riparazioni a Castel Leone (carte 24 tergo).
1400. 16 agosto. — Si prolunga a tutto settembre venturo il termine
ai sindici stati in Istria per riferire in Senato sulla loro missione (carte 26).
1400. 19 agosto. — Licenza a Giovanni Zorzi podestà e capitano a
Capodistria di spendere 100 ducati in riparazione carcerum et loci torture di
quella città (carte 26 tergo).
1400. 23 settembre. — Fra' Giovanni qui fnit de Tergeste, alias epi-
scopus albati [di Albania ?] ora traslato al vescovado di Cittanova dal papa,
è accettato come tale (carte 33 tergo).
1400. 23 settembre. — Essendo quasi tutti gli stipendiarli della ban-
diera che sta in Grisignana possidenti ed abitanti in quel paese, il che non
conviene ; si delibera di assoldare una bona banderia pedituni jorensium cum
ilio numero ballistariorum et pavesar ioritm che ha quella presente, sotto un
buon connestabile, con lire otto il mese prò pavesano, e io prò bai listano ;
in essa non potranno arruolarsi istriani nò tedeschi ; la nuova bandiera stara
agli ordini del rettore locale, e tosto giunta a Grisignana questa, la vecchia
sarà cassata (carte 34).
Smerius Quirino podestà a Grisignana scrisse che pervenuti colà Filippo
Correr ed Andrea Barbaro, sindici in Istria, gli uomini e vicini di quel
castello si lagnarono coi medesimi esser stati privati della licenza di poter
vendere liberamente il lor vino, dovendo darlo alla taberna esercitata dallo
Stato, e chiesero si desse loro tale licenza, verso pagamento di congruo
dazio, dopo che sarà smaltito nella detta taberna quello riscosso per conto
dello Stato per decime. I sindici non vollero immischiarsi dell' affare ; ma
— 296 —
il podestà studiò la questione, e riferì che tenendosi hi taberna per conto
dello Stato, questo habet de introiti! ultra vinum communi* quod exigitur de
decimis et tcrraticis quo supra prò urnis quam pimi CC in CCC libr. parvoruiu
ad rationem lucri sold. 30 prò urna totius illius quod emitur, et ipsi libenter
solverent de dado libram I. sic quod lo Stato n'avrebbe danno di circa lire 100
e non più di 150, quod non potest dici lucrimi giacche i rustici, mancando
loro la speranza del guadagno, trascurano la coltivazione, ne viene la ca-
restia del vino e il minor reddito delle decime, e i contadini emigrano ;
mentre in vece assentendosi alla domanda si vedrebbe aumentarsi la popo-
lazione per immigrazione, rifiorire l'agricoltura e quindi aumentare le ren-
dite dello Stato. Tali considerazioni furono appoggiate da Nicolò Badoer
e da Nicolò Morosini, stati rettori in Grisignana; e quindi si delibera che :
venduto nella publica taverna di Grisignana per conto dello Stato il vino
prodotto dalle decime e terratici, quei terrazzani potranno vendervi il vino
loro particolare, purché prodotto in quel distretto, verso pagamento di una
lira prò urna (carte 34).
1400. 3 dicembre. — Mandatosi Francesco Beaciani notaio ducale a
Muggia per ricuperare il danaro preso da quegli abitanti a Zaccaria Cri-
stiano fattore dei Provveditori alle Biade, n' ebbe in risposta, non essere
stata presa la somma che si pretende e altri pretesti per evitare la restitu-
zione ; ora per venire a conclusione, si scrive al Beaciani di cercar di ot-
tenere la restituzione integrale, minacciando altrimenti misure energiche, e
facendo publica protesta in atti notarili (carte 44 tergo).
1400 m. v. 11 febbraio. — Ad istanze di ambasciatori del comune
di Pola si risponde :
Si ordinerà a quei conti, onde riporre in buon stato le mura di detta
città, di farne riparare ogni anno 100 passi, a spese di quel comune ; si
accorda poi una piata seu bircio fornito de' suoi attrezzi per trasportare i
materiali necessari al detto lavoro.
Non potendo quegli uomini vendere gli animali grossi che eccedono
i loro bisogni, e non conducendosene a Venezia ove sono rifiutati proptcr
ferocitatem ipsorum quia situi ammalia quasi silvesir'ui ; si concede loro di
esportarli per la Marca [di Ancona] e per ogn'altro paese, verso pagamento
di mezzo ducato per animale a favore dello Stato ; tale licenza durerà due
anni, o più se piacerà alla Signoria.
Si ordina ai rettori di Pola di permettere che quei cittadini possano
comprare ogni anno, con esenzione da dazi, per uso dei poveri, sei migliaia
di formaggio forestiero dai legni che approdano colà, e coli' adesione dei
venditori (carte 56).
— 297 —
140 1. 6 marzo. — Essendo stato ordinato al Ugnimi Riperie Istrìe di
condurre il patriarca di Aquileia in Puglia, la Signoria è incaricata di prov-
vedere interinalmente alla custodia di quella Riviera.
Il 7 marzo la Signoria ordinò ai Pagatori dell'armamento di mandare
sulla detta Riviera tre barche armate (carte 61 tergo).
1401. 22 marzo. — Per eccitare i sudditi istriani a portare il lor
vino a Venezia si diminuisce da 3 '/, a 2 '/, ducati 1' anfora il dazio che
pagavano all' importazione quelli di Capodistria, Isola e Pirano, e da 2 '/,
a 2 il dazio simile pagato da quelli di Umago, Cittanova, Parenzo, Mon-
tona, Grisignana e Pola. Valevole fino al Natale del 1402 (carte 66 tergo).
1401. 7 aprile. — Avendo quidam sta^onarius di Capodistria comperato
in quella città uni tentila casalium diruptorum contigua curie, stabulo e! bospitio
palatii, per lire 300 di piccoli, coli' intenzione di fabbricarvi aliquod hospicium
con grave inconveniente pel palazzo, ob occupatione lucis, si accorda al po-
destà di detta città, poiché si è ancora in tempo, di acquistare i detti beni
rovinosi per conto dello Stato per la detta somma, a comodo del palazzo
(carte 70 tergo).
1401. 15 aprile. — Facoltà a Pietro Duodo podestà in Dignano di
spendere lire roo di picc. [dello Stato] prò facicndo fieri unum aliud hospicium
in palatio sue habitationis ut possil ibi comode stare cum familia (carte 69).
1401. 6 maggio. — Ad istanza degli abitanti di Rovigno si delibera
la restituzione a quella terra del corpo di S. Eufemia, protettrice da 700
anni della medesima, asportatone dai genovesi quando presero Rovigno al
tempo dell' ultima guerra, e trasferito a Chioggia, quindi, a guerra finita,
a Venezia [da Saraceno Dandolo] nella chiesa di S. Canciano (carte 77
tergo).
1401. 3 giugno. — Facoltà a Giovanni Zorzi podestà e capitano a
Capodistria di spendere 150 lire [dello Stato] in riparazione ai tetti delle
quattro torricelle di Castel Leone nelle quali si conservano le munizioni
d' armi e d' altro (carte 83 tergo).
1401. 6 settembre. — Deliberatosi di arruolare otto bandiere di fan-
teria il Collegio ordinò ai rettori di Capodistria e di Pirano di assoldare
fra tutti e due 100 uomini sotto quattro connestabili ; si revoca l'ordine,
cessato il motivo dell' arrotamento di truppe (carte 105).
1401. 25 settembre — In seguito ad istanze, da cinque anni ripetute,
degli uomiti di Pirano, non potendo vivere quel comune sinc sale suo, si
delibera di rispondere ai suoi oratori, or presenti a Venezia : Concedersi
al comune stesso, per 5 anni, di prelevare dall'annual prodotto delle saline
ora esistenti la settima parte, come e 1' uso, la quale sarà riposta in un
— 298 —
magazzino di cui terrà le chiavi il rettore, e sarà venduta ai mussolatis e
ad altri per l'esportazione per terra, a profìtto di quel comune. Il Governo
farà levare per 5 anni, ogni anno dai propri ufficiali 3500 moggia di quel
sale che sarà pagato a lire 4 di piccoli il moggio dopo misurato. Se nel
primo anno sarà prodotta da quelle saline una quantità maggiore delle
3500 moggia [oltre il settimo spettante al comune], l'eccedente sarà posto
in magazzini, apparecchiati da quel comune a supplemento dell' eventuale
deficienza dell'anno dopo, e così d'anno in anno. Sarà però vietato l' im-
pianto di saline nuove, oltre le esistenti ora, il che è demandato alla sor-
veglianza del podestà, il quale ne farà compilare un catasto '). I proprietari
di saline che facessero contrabbando del loro prodotto, oltre le solite pene,
avranno distrutte le saline stesse, e non potranno più far sale. Il divieto
d' impianto di nuove saline si estende anche a coloro che avendo avuto la
permissione per grazia non le avessero ancor fatte, né tali grazie si potranno
più concedere (carte ni tergo).
140 1. 30 settembre. — Avendo il conte di Pola e il podestà di Pa-
renzo denunziato che alcuni exititii di Spalato andavano pirateggiando con
un brigantino, dal quale fino nel Jeme (Leme) furono aggredite due barche ;
si ordina al capitano della Riviera dell' Istria di andare a Pirano, prendervi
quattro balestrieri e dar la caccia ai pirati fino a Zara, ove giunto [se non
avesse ancor catturato il detto legno] esponga a quei rettori la cosa, si
lagni che il comune di Spalato abbia permesso il fatto e fornito il legno,
e li preghi d' impedire la continuazione dell' inconveniente e la sua rinno-
vazione (carte 112 tergo).
1401. 21 ottobre. — Essendosi congedato mastro Manfredo da Sacile
medico salariato dallo Stato in Capodistria, si dà facoltà a quel podestà e
capitano Fantino Loredan di procurare altro medico collo stipendio pagato
al primo di lire 350 di piccoli l'anno (carte 115).
1401. 6 dicembre. — Licenza al podestà e capitano suddetto di as-
sumere, in luogo del defunto Bertoldo da Conegliano cabalarli', un trom-
betta che eserciti ambi gli uffici, collo stipendio di lire 22 il mese, cioè
16 come caballarius e 6 come trombetta (carte 120).
1401. 17 dicembre. — Facoltà al medesimo podestà di spendere lire
200 di piccoli in riparazioni a un ponte, al palazzo ecc. (carte 121 tergo).
') In margine è annotato che le lettere del podestà di Pirano recanti il censimento
delle saline si conservano dagli Ufficiali al sai.
— 299 —
Senato Misti voi. XLVL
1402. 3 marzo. — Menzione di un Gualengo da Pirano connestabile
in Polesine (carte 1).
1402. 18 marzo. — Provvedimenti proposti da Rainieri Venier tornato
da conte di Pola :
Nel 1384 essendo conte in Pola Andrea Paradiso venne proibito agli
abitanti di quel distretto di condur vino in città, sotto pena di io soldi
prò baio vini e di soldi 32 per carda uve; e inoltre di vendere il lor vino
prima che sia smaltito quello degli abitanti la citta ; tali disposizioni cau-
sarono la partenza di molti contadini che andarono in Albona, a Castel-
nuovo, a S. Vincenti, con danno del territorio ; perciò, considerandosi
anche che i detti contadini simt satis apti ad navigandum ; si delibera l'a-
bolizione dei suaccennati divieti, permettendosi a tutti gli abitanti del con-
tado di portare a vendere in Pola il loro vino e le uve liberamente.
Reggendosi i cittadini di Pola secondo il proprio statuto, e non se-
condo il diritto comune, ed attenendosi nelle sentenze d' ultime istanze
alle leggi venete, si delibera che i conti inviati colà d'ora innanzi in luogo
del vicario giurisperito conducano seco unum socium ed un famiglio, al
primo dei quali paghino lire 100 di piccoli e le spese di bocca (carte 4 tergo).
1402. 18 marzo. — Vedendosi come, dacché Raspo è in mano a Ve-
nezia, tutta l' Istria vada prosperando, si trova utile che vi resti, e perciò
si delibera di accordare a prestito al conte di Segna 1500 ducati ch'egli
aveva chiesti per mezzo d'ambasciatore, purché quel castello resti obligato
per 13000 ducati invece che per 11500 [Proposta non approvata].
Con successiva deliberazione si nega al detto conte il prestito doman-
dato (carte 7).
1402. 6 aprile. — Licenza a Fant. Loredan podestà e capitano a Ca-
podistria di spendere 300 lire di piccoli [dello Stato] in riattare le vie onde
i musolati melius venire possint in città (carte 12).
1402. 29 aprile — In seguito a questioni vertenti inter dominimi Io-
batmem qui se dicit Episcopum Emonienìcni sai vintm nobiìem ser Fantimim
Grili et quondam Mixonem Vincivera de Moiniano suddito di Guglielmo duca
d'Austria, per avere il vescovo investito il Gritti delle decime di Merischie e
Topolove^e, sulle quali Mixo suddetto vantava diritti come dipendenze del
castello di Momiano da remoti tempi dato in pegno alla sua famiglia dai
duchi d' Austria, — e trattandosi la lite davanti al podestà e capitano di
— 300 ~~
Capodistria, — il Mixo, che aveva promesso starsene tranquillo fino al pas-
sato S. Giorgio, fece togliere da uomini armati 15 animali, appartenenti a
sudditi veneti, in Mcrischie, a titolo di compenso di danni, minacciando
di fare altrettanto nell' altra. Il detto podestà mandò a Venezia il notaio
ducale Baisino de Baisio ad informare dell'accaduto, e a chiedere istruzioni.
Perciò si delibera di scrivere :
Al duca d' Austria : Fu già risposto a sue lettere con cui raccoman-
dava il Vincivera, avere la Signoria incaricato il podestà di Capodistria di
giudicar la questione imparzialmente. Ora quest' ultimo fece sapere che il
detto signore, dopo avere egli stesso assegnato per termine a comparire in
giudizio il giorno di S. Giorgio passato; il giorno 8 del corrente fece
asportare dai suoi colla forza i 15 animali come è detto di sopra ; ed alle
osservazioni del detto podestà sull' illegalità di tale operare rispose con
nuove minaccie. La Signoria non avrebbe sopportato in pace tal procedere,
se non fosse stato il riguardo all' amicizia del duca, il quale è pregato di
far si che il Vincivera restituisca gli animali tolti e si astenga da ulteriori
violenze, che il podestà di Capodistria farà pronta e buona giustizia nella
questione, e la investitura data ad altri dal mentovato vescovo sarà annullata.
A Mixoni Vincivera : Fatta 1' esposizione dell' accaduto, si fa risaltare
la illegalità e sconvenienza del suo procedere, si dichiara d'averne scritto
al duca d' Austria, a riguardo del quale la Signoria si astenne da misure
di rigore ; lo si invita a restituire gli animali ad un nuncio del podestà di
Capodistria e ad astenersi in avvenire da simili atti che non sarebbero più
tollerati ; il podestà predetto ha l' incarico di sbrigare al più presto e se-
condo la più rigorosa giustizia il processo ; e si ordinò al vescovo di re-
vocare qualsisia investitura avesse data ad altri delle decime in questione.
Al podestà e capitano di Capodistria : Si loda il suo procedere, gli si
comunicano le due lettere precedenti, le quali egli invierà a destino; scriva
egli pure al Vincivera invitandolo alla restituzione e a seguire la via di
diritto ; procuri poi con ogni mezzo che quegli qui se dicit Episcopnm Emo-
niensem [che rimprovererà per aver pendente la lite disposto delle decime
in causa] revochi l' investitura data al Gritti, col quale pure si adoprerà
[imponendoglielo anche con l'autorità del Senato] perchè vi rinunzi (carte
17 tergo e 18).
1402. 20 maggio. — Ad istanza di oratori del comune di Pola —
considerandosi che nei casi pei quali non provvede lo statuto di quella città
si ricorre al diritto civile, che la deliberazione del 18 marzo con cui si
toglie a quel conte il vicario giurisperito è contraria ai patti vigenti fra
Pola e Venezia, che quel comune paga al vicario il salario — si delibera
- 301 —
che il detto conte [e i suoi successori] debba conducete un vicario alle solite
condizioni, tenendolo a sue spese e in sua casa col salario di 80 ducati a
carico del detto comune. Contemporaneamente si stabilisce il salario dei
conti stessi in lire 44 di grossi 1' anno (carte 20).
1402. 1 giugno. — Facoltà a Saladino Premano podestà a Grisignana
di spendere lire 300 in riparazioni e lavori da farsi a quel castello e alla
bastita Pontis Marcbionis (carte 26).
1402. 6 luglio. — Considerato l'utile che reca alla sicurezza dell'Istria
il possesso del castello di Raspo, essendo dacché esso è in potere di Ve-
nezia cessate le scorrerie di ladri e predoni stranieri, prima frequentissime;
si dà facoltà al Collegio [doge, consiglieri, capi di XL, savi del consiglio]
di trattare con Giovanni da Rabata capitano a Gorizia ed ambasciatore di
Enrico e Mainardo conti di Gorizia, a ciò venuto, la compera del detto
castello e dipendenze per parte di Venezia per non più di 20000 ducati,
compresi in tal somma gli 11500 dati a prestito alla sorella dei conti verso
cessione in pegno del castello stesso (carte 34).
1402. 13 luglio. — Venutisi a buona conclusione con Paolo de Leone
e Giovanni da Rabata, procuratori dei conti di Gorizia, per la definitiva
vendita a Venezia del castello di Raspo, mancano alla perfezione dell'affare
alcuni documenti relativi ai diritti dei conti di Segna sul castello medesimo;
essendosi poi offerto il da Rabata di procurar egli i detti documenti, si
autorizza il Collegio a spendere 100 ducati all' uopo mentovato e per fare
aliquam atrialitatein ipsi Iobanni, qui multimi potest, ymo quasi totum coi conti
suoi signori (carte 34 tergo).
1402. 14 luglio — Facoltà a Fantino Loredan di spendere altre 200
lire [oltre le 300 già concesse] in riparazioni alle strade e ponti di Capo-
distria (carte 33).
1402. 17 agosto. — Licenza a Leonardo Dona capitano dei Pasinatici
di Raspo di spendere 100 lire in riparazioni al tetto del palazzo ed in altri
lavori (carte 37 tergo).
1402. 13 settembre. — Facoltà a Lodovico Morosini podestà e capi-
tano a Capodistrh di spendere ciò che sarà necessario, a carico dello stato,
prò reparatione ponlium de Rexano per quos Musatati vengono a quella città
con grani ecc. (carte 42 tergo).
1402 27 settembre. — Licenza a Lazzaro Darpiiw podestà a S. Lo-
renzo di spendere 400 lire di piccoli delle rendite di quella terra o di Ca-
podistria prò reparatione palatii logiarum, dell'abitazione del cancelliere e per
fare una calcaria (carte 44 tergo).
1402. 3 novembre. - Non essendosi il podestà d'Isola uniformato
— 3°2 —
al disposto nella seguente, inviatagli già da tempo, gli si ordina di osser-
varne strettamente le prescrizioni :
Ducale a Schiavo Magno podestà di Isola e a suoi successori : Non
avendo i di lui predecessori mai obbedito alle replicate ingiunzioni lor fatte
dalla Signoria di ottemperare al mandato che segue, s' impone al detto
podestà e successori la rigorosa osservanza del medesimo : Giovanni Lo-
redan vescovo di Capodistria e quel Capitolo fecero esporre alla Signoria
di non aver potuto, non ostante le ingiunzioni di questa, ottenere il pa-
gamento di ciò che dovevano avere dal comune e dagli uomini d' Isola ;
il podestà di quella terra aveva risposto, il 22 novembre [non si dice l'anno],
non poter esser fatto tal pagamento mancandone i mezzi ; in onta a ciò si
replica l'ordine di eseguire la sentenza pronunziata in favore del vescovo
e del Capitolo da Simone Dalmario podestà a Capodistria, Marco Barbo
podestà a Pirano e Leonardo Loredano podestà d' Isola, i quali condan-
narono i detti comune ed uomini a pagare al vescovo e Capitolo 14 marche
l'anno da lire 8 di piccoli l'una ; e di costringere nelle vie legali i debitori
al pagamento (carte 51).
1402. 1 1 novembre. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria
di spendere 100 lire di piccoli in duobus ho^piciis inferioribus prò suo socio
et prò cancellano, ducati io prò napa cavimi sui principalis hospicìi, e ciò che
sarà necessario pel tetto del palazzo e della cappella ubi potestates audiunt
tnissam (carte 55).
1402. 17 novembre. — Il podestà e capitano suddetto scrisse che allo
entrare in carica fece riparare pontes Rixani, e che ora, entrato in conva-
lescenza, fece visitare il lavoro da esperti, i quali trovarono i ponti in cat-
tivissimo stato e necessaria la loro ricostruzione ; consigliare perciò di ri-
farli in pietra. Gli si risponde consentendo a far di pietra le fondazioni e
il resto in legno, in modo che la parte in legno possa essere all'occasione
distrutta ; potrà spendere lire 400, o più se sarà d' uopo, faciendo fieri per
publicum illud quod est fieri solitum (carte 55).
1402. 17 novembre. — Cristoforo da Lizzana che a pueritia servì la
Republica, è confermato connestabile della bandiera pedestre in Grisignana,
posto a cui era stato eletto da quel podestà in luogo di Pietro Malfato de-
funto (carte 55 tergo).
1402. 23 novembre. — Licenza a Iacopo Trapp capitano di Trieste
di far condurre, da Monfalcone a colà, per mare 70 urnas vini terroni per
suo uso domestico (carte 56 tergo).
1402 m. v. 30 gennaio, — Licenza a Sergio del fu Forella di Castro-
- 3°3 —
pola di recarsi a Pola e in Istria ad videndum facta sua et utendutn jura sua ;
valevole per 5 anni (carte 62 tergo).
1403. 24 marzo. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di
spendere lire 200 di piccoli in riparazioni alla trabatitre superiori di Castel
Leone, et tenacie ipsitis (carte 68 tergo).
1403. 26 aprile. — Licenza a Leonardo Doni, capitano a Raspo, di
spendere 200 lire in riparazioni a quel castello (carte 78).
1403. 21 maggio. — Si ordina ai podestà di Valle e di Dignano di
impedire ai rispettivi soggetti il danneggiarsi o molestarsi vicendevolmente
in causa delle questioni insorte fra essi ; si delega poi il capitano Paysina-
torum Rasparci) qual giudice per le questioni stesse ; la spesa che incontrerà
in tale missione sarà pagata dal comune soccombente (carte 84).
1403. 17 giugno. — Morto Giberto Zorxi vescovo di Cittanova, onde
quella sede cada in mano di un veneziano anziché di uno straniero, si de-
libera di scrivere al papa e alla Curia romana a favore di Giovanni Loredan
primicerio di S. Marco (carte 89).
1403. 7 luglio. — Licenza al podestà e capitano di Capodistria di
spendere lire 500 in riparazioni al tetto delle beccherie, al muro del suo
giardino, al tetto della vicedominaria e alla strada di Risano (carte 90 tergo).
1403. 15 luglio. — Si risponde ad ambasciatori di Guglielmo duca
d' Austria che al prossimo S. Michele sarà inviato a Capodistria un nobile
veneziano, il quale assieme al podestà e capitano di detta città e al capi-
tano di Raspo, avrà l' incarico di venire ad accomodamento coi rappresen-
tanti il detto duca nelle questioni vertenti fra i sudditi veneti dell' Istria e
quelli del duca stesso.
Si dà poi facoltà alla Signoria di procedere, a suo tempo, all' elezione
del summentovato nobile (carte 91).
1403. 28 settembre. — Il nobile accennato qui sopra potrà essere scelto
anche de torpore Rivoalti [magistrature ed uffici residenti in Rialto] senza
perdere la carica, e fra quelli che hanno uffici scadenti al S. Michele; non
potrà rifiutare sotto pena di ducati 100; potrà spendere I '/t ducati il
giorno [non compresi i trasporti] e condurrà seco tre famigli. — Eletto
Paolo Zane (carte 104).
1403. 29 settembre. — Ad istanza di un ambaxatoris del comune di
Trieste, si concede a quest' ultimo di esportare dal Friuli e condur colà
libere grani, polli, carni, ova ed altre vittuarie durante la dimora in quella
città del duca d'Austria che veniva [con 2000 cavalieri] a ricevervi la sua
sposa, Giovanna sorella di re Ladislao (carte 104 tergo).
Si delibera la elezione di due ambasciatori ad honorandum le nozze del
— 3°4 —
summentovato duca ; per maggior decoro si ordina al capitano della Riviera
dell' [stria di venir col suo legno fino a Caorle a prenderli e portarli in
Istria e di là a Trieste. Ai rettori poi delle terre marittime dell' Istria si
scrive che se l'augusta sposa [imbarcata su navi di re Ladislao] declinarci
ad una di esse o ad uno di quei porti, l'accolgano honorifice et amicabiliter,
al qual uopo si pongono a disposizione del rettore del luogo ove ciò ac-
cadesse 50 lire di piccoli, o più secondo i casi, in doni di vettovaglie
(carte 104 tergo).
1404. 13 marzo. — Comparsi davanti la Signoria due ambaxatores del
comune di Rovigno, dichiararono quod sunt parati edificare castrimi
ordinatimi per nos fieri in sumitate montis Scncte Eufemie de Rubino suis propriis
expensis ma fatti impotenti dalle conseguenze della guerra «0»
possimi se fidare armis ; perciò si delibera di spedire a quel podestà per 150
ducati di armi da distribuire a quelli abitanti che le pagheranno metà al
S. Michele e metà a Natale prossimi (carte 120 tergo).
1403 m. v. 15 gennaio. - Si ordina che tutti quelli che hanno uffizi
in aliquo locorum nostrorwn Istrie debbano infra IIII rnenses esse
fulcitos arinis competentibus a proprie spese, e non pretendano di averle dallo
stato ; i rettori veglieranno all' osservanza di tal disposizione facendo dili-
gentem dream due volte 1' anno almeno ; gli ufficiali trovati in difetto sa-
ranno privati per 5 anni d' ogni uffizio e benefizio nel luogo ove sono
impiegati (carte 122).
1403 m. v. 16 febbraio. — Trovandosi Capodistria, in caso di guerra,
senza difese verso il mare, e dovendosi poi avere principal riguardo alle
fortificazioni verso terra, veduto il rapporto inviato da quel podestà e ca-
pitano e dal capitano di Raspo ; si ordina al primo di convocare quei cit-
tadini, ed espor loro : esser contento il Senato di contribuire con metà della
spesa magistranlie, non intelligendo manuaìes, con metà della spesa per la
ferramenta e il legname, e di mandare platas et navigia necessaria per la
fortificazione della città ; ma volere che prima di tutto Castrimi Leonis re-
ducatur in illa fortitudine et magnitudine que sit utilis, bona et necessaria, ci
quod postea fiat unum fortilicium super loco Muselle. Se i detti cittadini ade-
riranno a solvere residuimi omnium expensarum necessariarum prò dicto laborerio,
tunc in bona grafia debeant convenire quel podestà e capitano, il capitano di
Raspo e il capitano di Montona, e si manderà maestro Pixinus ed altri in-
gegneri per consigliare i detti rettori, i quali delibereranno a maggioranza
sui lavori da fare (carte 124).
1403 m. v. 18 febbraio. — Si risponde al podestà di Capodistria super
factum illius scellerati hominis quem detentum habet, che, considerando il van-
— 3°S —
taggio di aver le strade sicure, esso podestà imiti il capitano di Raspo
stipulando delle convenzioni coi castellani delle provincie limitrofe per la
sicurezza delle vie contro i malfattori ; potendole concludere, esso podestà
farà fare rigorosa giustizia dei malfattori che dai paesi esteri circostanti
riparassero nel suo territorio, quando i detti castellani facciano altrettanto
dei malfattori fuggenti dagli stati veneti. Farà poi publicare le convenzioni
che facesse in materia. Il malfattore suaccennato sarà trattato a norma della
libertà data al podestà dalla sua commissione (carte 128 tergo).
1403 m. v. 29 febbraio. — Si ordina al podestà di Rovigno di con-
vocare quei cittadini, e di dichiarar loro che, uditi i rapporti del podestà
e capitano di Capodistria e il capitano di Raspo e le opinioni dei cittadini
stessi, il governo aderisce che siano eseguite le fortificazioni e riparazioni,
tanto in monte che in piano, secondo le proposte dei due rettori suddetti
(carte 124 tergo).
Si scrive al podestà di Parenzo approvando il cominciamento e la pro-
secuzione dei lavori di riparazione e fortificazione sue porpererie et bala-
taritm [?] e promettendo che si manderanno i navigli necessari (carte 124
tergo).
1404. 19 maggio. — Si riduce da éo a 45 lire di grossi il salario del
capitano di Raspo, diminuendo di un famiglio e di un cavallo il suo se-
guito (carte 133).
1404. 19 luglio. — Si riduce da 30 a 25 lire di grossi l'anno il sa-
lario del podestà di S. Lorenzo (carte 154 tergo).
1404. 28 luglio. — Si ordina a Marino Vitturi podestà di Umago di
restituire ad Andrea di Nicolò di quella terra, bandito dalla stessa ed abi-
tante a Pirano, il frumento che gli era stato confiscato, mentre lo portava
a Pirano, essendo nato su' suoi beni (carte 147).
1404. 9 settembre. — Per incoraggiare l' importazione a Venezia del
vino dell' Istria, essendosi già ridotto da 3 '/, «1 2 '/, ducati per anfora il
dazio su quel liquido così importato, si delibera che tale ribasso accordato
al ribolmm proveniente da Capodistria, Isola e Pirano, sia esteso anche a
quello che viene da Trieste e da Muggia. Valevole fino alla ventura Pasqua
(carte 156 tergo).
1404. 23 ottobre — Il vino che si porta da Buje è pareggiato, relati-
vamente ai dazi, a quello che viene ab Hutnago supra tisque Polam (carte 162).
1404. 4 novembre. — Licenza al comune di Muggia di far traspor-
tare colà dal Friuli per mare 100 staia di frumento (carte 162).
1405 [sic, recte 1404] 30 dicembre. — A procurare affluenza di vini
in Venezia si riconferma la diminuzione di un ducato per anfora sul dazio
— 3°6 —
dei vini provenienti da Trieste e dall' Istria fino al venturo Natale. I vini
di Buje saranno equiparati a quelli che vengono dal tratto fra Pirano e
Trieste (carte 163).
1404 m. v. 12 gennaio. — Facoltà a Pietro Venier podestà e capitano
a Capodistria di spendere 25 ducati in riparazioni a quel palazzo (carte 163).
Simile a Domenico Contarmi podestà a S. Lorenzo di spendere lire 100
di piccoli (carte 163).
1405. 11 aprile. — Il nobile da inviarsi, coi rettori di Raspo e di
Capodistria, a stipulare coi rappresentanti il duca d'Austria, l'accordo sulle
questioni vertenti fra i due potentati per confini, possit accipi de corpore
Rivoalti, ecc. come al 28 settembre 1403 (carte 173).
Senato Misti voi. XLVII.
1405. 26 maggio. — Facoltà ad Antonio Bembo cav. capitano a Raspo
di spendere 600 lire di piccoli [che gli saranno pagate dal podestà e ca-
pitano di Capodistria] in lavori necessari in quel castello (carte 5 tergo.)
1405. 2 giugno. — Facoltà a Pietro Venier podestà e capitano a Ca-
podistria di spendere 60 ducati per riattare i ponti che da quella città met-
tono al Castel Leone (carte 6).
1405. 28 giugno. — Si concede agli abitanti di Parenzo di condur
colà dalla Schiavonia tre migliaia di cacio, sicut soliti sumus eisdem in incuori
Stimma benignius dar giri (carte 8 tergo).
1405. 28 agosto. — Licenza a Maffeo Manolesso podestà a Grisignana,
di spendere lire 300 in certis reparationibus (carte 17).
1405. 3 dicembre. — Si prolunga fino al Natale 1406 il vigore della
riduzione dei dazi sui vini dell'Istria (carte 22 tergo).
1405 m. v. 26 gennaio. — Licenza a Bernardo Sagredo podestà a
S. Lorenzo di spendere lire 300 di piccoli in riparazioni a quel castello, al
palazzo ed in altri lavori (carte 25).
1405 m. v. 26 febbraio. — Si concede al comune di Pirano ed a
quegli abitanti di poter soli portare e far portare salem aan Imlleta potcstatis
nostri Pirani per culfum de Dixeocto [sic] ed in Friuli, senza pagar dazi, dal
porto di Caorle in là [verso Trieste], sotto pena di contrabbando a chi ne
introducesse nei porti da Caorle in qua verso Venezia. Il detto comune
farà a proprie spese sorvegliare che non siano fatti contrabbandi; i trasporti
di sale non coperti dalla mentovata bolletta saranno deferiti agli Ufficiali al
Cattaver che pronuncieranno le pene competenti ; tali pene, il sale e i legni
— 307 —
che lo portano spetteranno per un quarto agi' inventori del contrabbando,
un quarto ai detti ufficiali, un quarto ciascuno al comune e al podestà di
Pirano, sui quali due ultimi quarti spetteranno due soldi per lira al notaio
del podestà. Per effettuare la sorveglianza l'arsenale fornirà al detto comune
un brigantini/m decerti bancorum completamente armato e arredato. — Valevole
per 5 anni, e più fin che sia revocata (carte 41 tergo).
Si ordina al podestà di Pirano di far tosto stimare da periti giurati
tutto il sale posseduto in quella terra e suo distretto dai privati, di farne
compilare un registro da tenersi in cancelleria, e di esigere da tutti i pro-
prietari di quella derrata per conto dello stato lire 3 di piccoli il moggio
in tre rate, scadenti alla fine dei mesi di maggio, settembre e gennaio
venturi (carte 41 tergo).
Il detto podestà farà publicare : che il sale da portarsi a vendere come
sopra non potrà caricarsi su navigli senza suo permesso ; che il carico di
ciascun naviglio dovrà essere dichiarato ad esso podestà che lo farà stimare
e annotare in uscita nel registro summentovato alla partita del proprietario
onde aver sempre sott'occhio la quantità realmente esistente. Tutti coloro
che elevabunt salem novum ne faranno monti separati dal vecchio, né po-
tranno toccar quello fino a che questo non sia smaltito ; chi non ha sai
vecchio potrà caricarne legni per 1' esportazione denunziandolo al podestà,
il quale farà redigere un altro registro per la inscrizione del successivo
raccolto. I trasgressori saranno puniti come contrabbandieri : se i consorte*
fondamenti non accusassero al podestà il loro consorte trasgressore fra otto
giorni, ftindamentum in quo sunt saline illins qui contrafecerit destruatur in totum,
né alcuno di detti consorti potrà mai più ricostruirlo (carte 42).
Il podestà di Pirano si recherà personalmente ogni anno su tutti quei
fondamenta salinarum cogli stimatori, per rilevare la quantità del sale pro-
dotto iiell' anno, ne farà compilare un registro in cui s' inscriveranno le
partite dei singoli produttori ; la iscrizione deve esser fatta prima della festa
di S. Luca; i produttori pagheranno 3 lire di piccoli per moggio allo stato
in tre rate, scadenti come sopra. È assegnata al comune di Pirano la set-
tima parte del sale descritto nel registro, libera dalla tassa delle 3 lire,
quando venga la derrata esportata per terra. Il podestà curerà l'osservanza
di tutto ciò sotto pena di lire 1000 (carte 42).
Se il comune di Pirano non potesse usufruire della esportazione con-
cessagli come sopra, la solutio supra specificata sarà sospesa fino a che si
renda possibile la detta esportazione ; il medesimo comune sarà tenuto,
quando ne fosse richiesto, di dare allo stato fino a 1000 moggia di sale
l'anno alle condizioni praticate fin' ora, diffalcando il dazio a favore dello
— 308 —
stato. Omnes Mi qui facient bulleta sui salis pagheranno unum me^aninum il
moggio, da devolversi per metà al podestà, il resto al suo notaio e agli
stimatori. Il podestà poi porterà seco a Venezia, e presenterà agli Ufficiali
alle rason, il registro delle descrizioni del sale e delle esazioni fatte nel
tempo del suo reggimento, lasciandone copia nella cancelleria di Pirano ;
i danari prodotti in forza di questi provvedimenti saranno trasmessi di tempo
in tempo ai Camerlenghi di cornuti (carte 42).
1406. 8 marzo. — Divieto agli Uffiziali al sai in Rialto di vender sale
di Pirano con destinazione in Lombardia e in Romagna, riservata al sale
di Chioggia (carte 42 tergo).
1406. 23 marzo. — Non essendo andati al loro destino Paolo Zane
e poi Vito da Canal inviati a trattare la questione dei confini dell' Istria
coi commissari del duca d'Austria, si dà facoltà al Collegio di eleggere un
nuovo sindico (carte 36 tergo).
1406. 30 marzo. — Vito da Canal è inviato in Istria prò confinibns
invece di Francesco Lion, essendo questi di ciò contentissimo (carte 34
tergo).
1406. 17 ottobre. — Bernardo Negro capitano della Riviera dell'Istria,
menzione di lui (carte 77).
1406. 30 dicembre. — Si prolunga fino al venturo Natale la durata
in vigore del disposto il 3 dicembre 1405 (carte 87 tergo).
1407. 21 aprile. — Si conferma per altri sei mesi la deliberazione
18 maggio relativa alle agevolezze concesse per l'importazione a Venezia
e nella Terraferma di animali de parlibus Istrie et aliitnde per transitimi
(carte 109).
1407. 28 luglio. — Non trovandosi alcuno che voglia l'ufficio di ca-
merlengo a Capodistria per l'esiguità del salario, si dà facoltà a quel podestà
e capitano di accrescere a quello ch'egli nominerà al detto ufficio l'onorario
fino a lire 200 di piccoli l' anno, cogli altri proventi consueti ; il detto
podestà farà riporre i denari dello stato in una cassa chiusa con tre diverse
chiavi, una tenuta da lui, le due altre una per ciascuno dai due camerlenghi.
La cassa starà nel palazzo del podestà il quale dovrà rivedere ogni mese i
conti dello stato (carte 122 tergo).
1407. 13 settembre. — Facoltà a Melchiorre Grimani eletto podestà
a S. Lorenzo di spendere lire 300 di piccoli in riparazioni a quel palazzo
(carte 137).
1407. 14 settembre. — Licenza al podestà e capitano di Capodistria
di spendere 140 lire di piccoli per rinnovare il tetto del palazzo ove abita
(carte 137).
— 3»9 —
1407. 4 novembre. — Licenza ad Ermolao Lombardo capitano a Raspo
di spendere 100 ducati prò certis laboreriis (carte 150 tergo).
1407. 20 novembre. — Simile ad Antonio Michiel podestà e capitano
a Capodistria per 100 lire in riparazioni a Castel Leone (carte 152).
1407. 20 dicembre. — Simile al podestà di S. Lorenzo per lire 300,
in lavori necessari (carte 160).
1407 m. v. 3 gennaio. — Facoltà ad Ermolao Lombardo capitano a
Raspo di spendere ducati 100 in riparazioni a quel castello, alle sue torri,
ai corridoi, et prò /adendo unum pistritutm ; il podestà e capitano di Capo-
distria terrà la somma a disposizione del capitano (carte 160 tergo).
1408. 22 marzo. — Si ordina ai rettori in Istria di vietare l'esporta-
zione delle legne da fuoco per ogni luogo che non sia Venezia, sotto pena
di perdere la merce (carte 168).
Senato Misti voi. XLVIII.
1408. 1 aprile. — Si prolunga fino al venturo Natale la riduzione, di
un ducato per anfora, del dazio sui ùboleis dell'Istria (carte 1 tergo).
1408. 3 aprile. — Essendo stato approvato quanto aveva deciso Vito
da Canal, già ambasciatore in Istria, per terminare le questioni di confini
fra gli abitanti di Parenzo e quelli di S. Lorenzo, e lagnandosi i primi che
i secondi non volevano uniformarsi al giudicato dal Canal; si ordina ai
podestà delle due terre, e lor successori, di eseguire la sentenza predetta,
e che le parti paghino ciascuna una metà delle spese pel giudizio (carte
2 tergo).
1408. 9 maggio. — Licenza per cinque anni a Sergio del fu Forella
di Castropola di andare a Pola e in Istria pei suoi affari, e di starvi a pia-
cimento (carte 5).
1408. 19 giugno. — Proposta da Antonio Michiel tornato da podestà
e capitano di Capodistria. Si commette al di lui successore Pietro Onoro
di far riattare i ponti del fiume Risano [rotti dalla piena di esso] col pro-
dotto introytus predictt chitatis e spendendo lire 200 di piccoli ; e ciò onde
non isviarc i mussolati dal continuare a portar grani in città (carte 18).
Il medesimo propone la missione di sindici in Istria, essendo già scorsi
nove anni dall' invio degli ultimi. — Non è approvata (carte 18).
1408. ié ottobre. — Dopo la sentenza pronunziata da Vito da Canal
per definire le vertenze fra i comuni di Parenzo e S. Lorenzo, sorsero
nuove contese fra gli stessi abbastanza vive, e la sentenza medesima non
— 3r0 ■"
è osservata ; perciò si commette al capitano di Raspo, al quale fu già affidata
l'esecuzione di quel giudicato, di recarsi sui luoghi, di esaminare coi podestà
delle due mentovate terre la ripetuta sentenza, di far porre i seguali dei
confini nei posti in quella designati, e di stabilire le pene agli infrattori
delle disposizioni date con essa ; dovendo poi tal missione essere a carico
dei comuni interessati, il detto capitano, per non aggravarli, userà la maggior
possibile economia (carte 38 tergo).
1408. 5 novembre. — Facoltà al podestà di Grisignana di spendere
400 lire di piccoli in riparazioni a quel castello (carte 42).
1408 m. v. 5 febbraio. — Facoltà a Leonardo Molin podestà a S. Lo-
renzo di spendere lire 400 di piccoli in riparazioni a quel palazzo (carte 52).
1409. 13 maggio. — Ristabilito in salute Stefano Pisani, eletto podestà
e capitano a Capodistria, gli si concede proroga fino al io luglio per entrare
in carica, onde possa passar cosi in quiete la convalescenza (carte 76 tergo).
1409. 29 maggio. — Non trovandosi chi voglia esser trombetta nel
castello di Raspo, per la troppo esigua paga ; si delibera di ordinare ai
Pagatori all'armamento che procurino di trovare un trombetta colla minore
spesa possibile ; al capitano di Raspo si commette di cassare una di quelle
paghe a vantaggio del trombetta stesso (carte 79 tergo).
1409. 3 agosto. — Quia est necessarinm provider e quod habeamus presto
apud provisores nostros Jadre de fidelibus nostris Istrie, ut in omni casti passini
facere nostrum honorem ; si ordina al podestà e capitano di Capodistria e ai
rettori di Pirano, Parenzo e Pola di assoldare immediatamente da 25 a 30
uomini validi e fedeli per ciascun luogo e di mandarli colle loro armi e
balestre a Zara per mezzo di barche ; il capo dei medesimi [da eleggersi
dai detti rettori] dovrà presentarsi ai summentovati provveditori e stare coi
suoi uomini a loro disposizione. Ai detti uomini sarà data la paga di un
mese, scorso il quale quelli che volessero potranno rimpatriare (carte 98).
1409. 7 settembre. — Si prolunga fino al Natale 1410 la riduzione
d' un ducato per anfora del dazio sul riboleo che viene a Venezia da Ca-
podistria, Isola e Pirano (carte 105 tergo).
1409. 12 settembre. — Si ordina a Baldovino Balastro, eletto capitano
della Riviera dell' Istria, di andare a mettersi a disposizione dei provveditori
in Zara, e starvi col suo legno fino a che giunga colà la galeotta destina-
tavi, lasciando intanto alla custodia della Riviera un piccolo legno (carte
106 tergo).
1409. 12 settembre. — Per armare la galeotta da spedirsi a Zara si
ordina ai rettori di Capodistria, Pirano e Parenzo di assoldare fra tutti 50
uomini da remo, con paga, al massimo, de lire 18 il mese (carte 109 tergo).
— 3ii —
1409. 28 settembre. — Licenza a Stefano Pisani podestà e capitano à
Capodistria di spendere lire 450 in riparazioni al palazzo, al tetto di Castel
Leone e ai ponti (carte 104 tergo).
1409. 28 settembre. — Licenza a Bellelo Civran capitano a Raspo di
spendere 400 lire di piccoli in lavori ivi necessari (carte 108).
1410. 31 marzo. — Si ordina al capitano di Raspo di dare agli am-
basciatori inviati in Ungheria, se passassero per quel luogo, la scorta ne-
cessaria ed altre comodità pel viaggio facendoli accompagnare fino a Fiume,
ed anche fino a Segna e a Bregna, se ne lo chiedessero.
Si ordina poi al capitano della Riviera dell' Istria di recarsi a Caorle
colla sua galea, imbarcarvi i detti ambasciatori e condurli fino a Capodistria,
o, se il volessero, anche fino a Segna (carte 125 tergo).
1410. 1 aprile. — Licenza a St. Pisani podestà e capitano a Capodistria
di spendere lire 100 di piccoli prò reparatione gurnarum (carte 132-137).
1410. 23 aprile. — Trovandosi bonam sitmmam pecunie in Capodistria,
si ordina a quel podestà e capitano di contare a Paolo Bianco 2000 ducati
da portare a Zara e consegnare a quei rettori che ne hanno bisogno per
le occorrenze locali (carte 133-138 tergo).
14 io. 23 giugno. — Non potendo Nicolò Contarini cav. ottenere il
pagamento di lire 27 di grossi al cui esborso era stato condannato il co-
mune di Muggia dai giudici del Procurator ; si delibera di esortare per
iscritto quel comune a compiere il suo dovere, minacciandolo, in caso di-
verso, di efficaci provvedimenti perchè il Contarini abbia il suo (carte
156-163 tergo).
1410. 27 settembre. — Facoltà al capitano di Raspo di spendere 200
ducati in riparalione muri barbachani di quel castello (carte 174-18 r).
1410. 5 ottobre. — Licenza al podestà di S. Lorenzo di spendere lire
150 in vari lavori (carte 174-181 tergo).
1410. 2 dicembre. — Licenza a Bernabò Loredan podestà e capitano
di Capodistria di spendere lire 100 in riparazioni alla sua abitazione (carte
183-189 tergo).
1410 m. v. 20 gennaio. — Avendo già in passato i Provveditori alle
biade dichiarato libero in Capodistria il traffico dei grani, quel podestà e
capitano non osservò il relativo regolamento, poiché volle determinare esso
i prezzi ; gli si ordina quindi di astenersi da simili procedimenti, di rispet-
tare la libertà accordata e di osservare le norme prescritte facendole publi-
care (carte 189-195).
1410 m. v. 25 gennaio. — Si prolunga il vigore della riduzione sul
dazio d'importazione del vino ribolei (carte 189-195).
— 312 —
1410 m. v. 15 febbraio. — Licenza al podestà di Grisignana di spen-
dere lire 150 in riparazioni (earte 191-197 tergo).
Senato Misti voi. XL Villi.
141 1. 31 marzo. — Si autorizza, anche in seguito ad informazioni date
da Bertolino de Zanebono, il capitano di Raspo a far erigere unum palan-
chatum cum aliquibus habitationibus per gli stipendiarì ivi di presidio, e si
ordina al podestà e capitano di Capodistria di fornire il danaro occorrente.
Al podestà di Parenzo, pure su rapporto del Bertolino, si commette
di far rifare la bastita ad pontem Marchionis, di riparare le bertesche ed una
palata ivi piantata.
Si ingiunge sia cassata una bandiera in Grisignana, trovata male in
ordine, e di mandarvene al più presto due nuove (carte io tergo).
141 1. 20 aprile. — Si accorda a Fantino Pesaro eletto podestà a Mon-
tona di differire a tutto maggio p. v. la sua andata a quella carica ; ciò
per grave malattia di sua moglie (carte 17 tergo).
141 1. 28 aprile. — Si delibera di far uffici presso la Curia romana
perchè Bartolomeo de' Recovrati primicerio di S. Marco, eletto vescovo di
Capodistria dal capitolo di quella cattedrale, abbia la conferma pontificia
(carte 18 tergo).
141 1. 6 giugno. — Tutti quelli che porteranno a Venezia vino nato
nei distretti di Parenzo, Montona, Grisignana, Rovigno, Pola ed Umago
pagheranno solo 2 ducati per anfora. Valevole per un anno (carte 25).
141 1. 13 settembre. — Si autorizzano il capitano di Raspo e il po-
destà di Capodistria a mandare, colla maggior possibile economia, esplora-
tori per tener d' occhio le mosse degli ungheresi che si pretendevano in
procinto di scendere in Istria (carte 52 tergo).
141 1. 13 settembre. — Licenza a Nicolò Cappello podestà e capitano
a Capodistria di spendere fino a 200 lire di piccoli per fodere unum foveam
et facere duo restellos et unum pontem levatorem per medium miliare distantem
a Castro Leone (carte 53).
1411. 17 settembre. — Il capitano di Raspo scrisse, il io corr , che
trovandosi gli ungheresi in Zerienich d'onde minacciano e l' Istria e il Friuli,
aveva invitato gli istriani ad villani Popehii, luogo in medio patrie e fortis-
simo, onde provvedere alla difesa ; ma che il podestà e capitano di Capo-
distria si era opposto a tal misura onde i suoi amministrati non avessero
danno a gentibus Paisinaticorum ; essendo però conveniente di non intralciare
— $*? —
e menomare 1' autorità e i poteri del capitano di Raspo, si ordina al detto
podestà e capitano di lasciare che il capitano stesso aduni le genti dei Pa-
sinatici in qualunque luogo del territorio di Capodistria ; e se ciò avesse a
seguire in città si osservi il capitolo della Commissione del ripetuto capitano
circa 1' amministrazione della giustizia (carte 54 tergo).
141 1. 24 settembre. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria
di spendere 50 ducati in riparazioni alle gurnis di Castel Leone e al suo
palazzo (carte 55 tergo).
141 1. 19 novembre. — Si ordina al podestà e capitano di Capodistria
di fornire al capitano di Raspo il danaro e ogni altro aiuto necessario per
mandare in quella città, ad marinam, le stdlas da remi che esso capitano,
di commissione dei Patroni all' arsenale, aveva fatto tagliare nei dintorni di
Raspo (carte 65).
141 1. 19 novembre. — Il capitano Pixini è ricevuto in udienza come
inviato del signore di Balsa [albanese] (carte 65 tergo).
141 1. 23 novembre. — Essendo chiusa la strada di Lubiana per l' Istria,
onde impedire che i grani che solevano portarsi per quella non scendano
invece a Segna e a Fiume, si autorizza la Signoria a far armare i legni
opportuni per vietare che dai due ultimi luoghi i grani vengano trasportati
per mare altrove che a Venezia (carte 66).
141 1. 2 dicembre. — Si autorizza Marco Zen eletto podestà a S. Lo-
renzo a differire la sua partenza per colà fino alla metà di febbraio (carte
67 tergo).
141 1. 3 dicembre. — Si dà facoltà al capitano di Raspo.se credesse
di non poter mantenere con sicurezza le genti dei Pasinatici in quel luogo,
di condurle in quell'altro luogo dell'Istria stimasse opportuno; a provve-
dere poi alla sicurezza di Raspo, ove sono soli 13 balestrieri, se il capitano
ne partisse, scriverà al podestà e capitano di Capodistria che vi mandi altri
7 balestrieri con un buon capo. In conformità si scrive al detto podestà e
capitano (carte 68).
141 1. 5 dicembre. Non potendosi sovvenire di grani il comune di
Muggia, che n' ha grande penuria, lo si autorizza a procurarsene da qua-
lunque luogo potrà, eccetto dagli stati veneti (carte 68).
141 1. 5 dicembre. — Facoltà a Nicolò Cappello podestà e capitano a
Capodistria di spendere 100 ducati per far escavare una fossa davanti Castel
Leone ; prima però cerchi per ogni via di far che sia fatta per pitbliatm come
vuoisi si usasse in passato (carte 68 tergo).
1411. 11 dicembre. — Trovandosi in Pola, Dignano e in altri luoghi
dell' Istria buona quantità di biada da cavalli, si ordina ai rispettivi rettori
— 3H —
di acquistarla e mandarla ai Provveditori alle biade in Venezia, i quali la
pagheranno [se non lo potessero fare gli stessi rettori] ai consegnanti in
Venezia (carte 69).
141 1 m. v. 1 gennaio. — Si ordina al podestà e capitano di Capodistria
di mandare ai Provveditori alle biade, a rischio e pericolo dello stato, il
danaro ricavato dalla vendita del frumento speditogli dai detti Provveditori,
avendo egli rifiutato di mandarlo sotto la propria responsabilità (carte 75).
141 1 m. v. 1 gennaio. — Si prolunga fino al venturo S. Michele il
vigore della diminuzione del dazio del ribolei che si porta dall' Istria a Ve-
nezia (carte 75).
141 1 m. v. 14 gennaio. — In seguito a domanda di ambasciatori del
comune di Pola, si acconsente a che quei cittadini facciano a loro spese
fortificar quel castello — minacciando il re d' Ungheria la invasione ed
essendo Pola assai debole — impiegandovi i 100 ducati annui destinati allo
stipendio del vicario ; i cittadini in tempo di guerra potranno riparare in
castello colle lor cose ; in tempo di pace si dovrà demolire quella parte che
stimerà la Signoria ; tutte le spese per riparazioni che il conte di Pola cre-
desse dover fare per la difesa della stessa saranno a carico di quel comune;
il conte recentemente eletto e i suoi successori non conducano seco vicario
(carte 77 tergo).
141 1 m. v. 28 gennaio. — Risposta a domande fatte dal capitano di
Raspo per mezzo del suo cancelliere : Sembrano sufficienti, alla custodia di
quel castello, le persone che vi stanno dopo l'arrivo dei 7 balestrieri man-
dativi dal podestà e capitano di Capodistria ; però se tale non fosse il parere
del capitano, si ordina al podestà di Pirano che mandi, ad ogni richiesta
di quello io o 12 balestrieri a rinforzare il presidio.
Quantunque il capitano abbia avuto facoltà di abitare ove gli piace,
gli si ordina di stare a dimora in castello e tenervi tutti i soldati che sarà
possibile; quelli che non potessero trovarvi luogo, li mandi all'obbedienza
del podestà e capitano suddetto.
Gli si lascia piena libertà circa il cambiamento dei 40 uomini esistenti
in Due Castelli, facendo il meglio che saprà.
Si diedero ordini al podestà e capitano mentovato circa le riparazioni
e la custodia al Ponte del Marchese.
Circa il provvedere denari per la sicurezza dei luoghi, la Signoria farà
ciò che si potrà, provvegga il conte per parte sua colle disposizioni che
saranno da lui ritenute necessarie.
Gli si spediscono io casse di verettoni, 5 barili di polvere da bom-
— 3i5 —
barda, sei sclopetos, 300 baloias di piombo ; provvedere sul luogo il cuoio
e lo spago prò ca^afustis (carte 80 tergo).
141 1 m. v. 12 febbraio. — Si ordina al podestà e capitano di Capo-
distria [non volendo egli uniformarsi a tal disposizione già data in addietro]
di permettere la libera esportazione da quella città di vino, olio e sale per
parte dei mussola! i e di altri che vi portano frumento, biade e grascie ; ciò
per dar vita al traffico della medesima, e sotto pena al podestà di 500 lire;
così pure permetterà ai veneziani di acquistar colà, per condurre a Venezia,
grani, vino ed altro (carte 93 tergo).
141 1. 23 febbraio. — Essendosi deliberato che Iacopo da Riva capitano
di Raspo torni colà, tenendo seco tutti i soldati a cavallo che vi stessero,
e mandando gli altri a Capodistria [per la ristrettezza del castello] ; onde
provveder meglio alla sicurezza della provincia si ordina che il detto capi-
tano tenga sempre seco tutte le sue genti, e ponga stanza ove stimerà meglio
e disponendo delle genti stesse a suo beneplacito (carte 93 tergo).
1412. 4 aprile. — Si ordina al podestà e capitano di Capodistria, sotto
pena di 200 lire di pagare al capitano di Raspo ciò che gli deve per sua
quota di Pasinatico (carte 102).
1412. 5 maggio. — Avendo i rettori dell'Istria avvisato che 500 cavalli
uniti agli uomini di Buie vennero ai danni dei sudditi veneti, si delibera
che Lodovico Buzzaccarini, con 200 cavalieri, dal campo vada in quella
provincia colle commissioni che gli darà il Collegio, al quale si dà facoltà
di provvedere.
Il Buzzaccarini sarà spedito al più presto, dietro a lui e alla sua gente
de domo si manderanno 60 cavalieri, lancie spezzate, e di tempo in tempo
altri fino al numero deliberato (carte 107 tergo).
Non essendo il capitano di Raspo persona in termino per provvedere
in occasione dell' invasione dell' Istria per parte dei nemici, si delibera di
mandar colà da Venezia un provveditore, coi pieni poteri che ha il detto
capitano circa la custodia e difesa del paese. Si commette poi al podestà e
capitano di Capodistria e a tutti i rettori di quelle terre, compreso Raspo,
di tenere tutte le milizie a disposizione del provveditore, il quale sarà eletto
in Senato, e starà in carica fin che cessi il pericolo per l' Istria. Il Collegio
determinerà sul suo seguito e stipendio. Il Buzzaccarini sarà mandato in
Istria con 50 lancie (carte 107 tergo).
1412. 9 giugno. — Mose Grimani, eletto conte di Pola potrà differire
fino alla fine di giugno la sua partenza per quella città (carte 120 tergo).
1412. 18 giugno. — Avendo il podestà di Dignano, Leonardo Michiel,
preso, in seguito ad informazioni dategli dal conte di Pola, due predoni i
- 3i6 -
quali avevano partecipato all' incendio di ville nei territori di Capodistria e
di Raspo; gli si ordina di mandarli al conte di Pola quia coinmisserunt predimi
sul territorio di questa; al conte poi s'ingiunge di esaminarli per sapere
se vennero a' danni degli istriani come nemici, oppure se son rei comuni;
quindi faccia ciò che giustizia impone (carte 123).
1412. 1 luglio. — Ad ambasciatori del comune di Capodistria, che
chiesero provvedimenti perchè quella città non restasse spopolata, si risponde
Si accorderà una galeotta armata per difesa contro i nemici. Non si può
rinunziare a chiamare anche gli abitanti di Capodistria alla difesa del loro
paese, gli adunamenti di genti si fanno a tutela di tutta l' Istria ; del resto
si manderanno fra breve anche milizie a cavallo. La Signoria provvederà a
fornirli di verettoni e d'altre cose domandate (carte 124 tergo).
1412. 7 settembre. — In seguito ad informazioni date dal capitano di
Raspo e dai podestà di Pirano, Isola ed Umago, su Nicolò quondam Nicolò
Renaldi di Buje abitante a Pirano, il quale, in istis novitatibus que fuerunt in
partibus Istrie, servi fedelmente e valorosamente ed ebbe a perdere un occhio,
gli si assegnano, in Buje o altrove, tre paghe di fanteria, una morta, una
per lui e la terza per un ragacio (carte 135).
1412. 12 settembre. — Licenza a Lodovico Buzzaccarini, ora a Buje,
di ritornare a Venezia coi suoi cavalli e famigli, essendo morte due sue
nipoti, e malati la moglie ed altri di casa sua. Il capitano di Raspo andrà
a Buje e vi starà a custodia ; se dovesse recarsi a qualche altro luogo del-
l'Istria, sostituirà persona idonea in Buje (carte 136).
1412. 21 ottobre. — Si prolunga fino al Natale 1413 la riduzione di
un ducato per anfora del dazio sul riboleo che si porta dall'Istria a Venezia
(carte 139).
1412. 27 ottobre. — Si accorda dilazione [fino all'ottavo giorno che
avrà avuto il suo salario] per andare ad assumere la sua carica, ad Antonio
da Riva eletto podestà a Grisignana (carte 139 tergo).
1412 m. v. 23 febbraio. — Dovendosi spedire al più presto 65 soldati
di fanteria in Istria, si ordina a Troilo Malipiero sopracomito della galea
del Golfo di farne il trasporto ; si scrive poi al capitano di Raspe di dispor
di quelli per la sicurezza del paese (carte 156).
141 3. 14 marzo. — Cum omnibus sii manifesta fidelitas fidelium subditorum
nostrorum de Valle, qui modo nuper contra exercitum Regis Hungarie se tam
probe et virililer defenderunt et passi fuerunt omnia incomoda et damna, usque
-ad ultimimi prò faciendo honorem nostrum, et tandem longa et potenti obsidione
affecti, et non valentes amplius se tenere, fuerunt subacti per hungaros cum torma
inextimabili damno atque iacìura, in tantum quod ipsa terra dirupta fuit ; si
— 3*7 —
delibera, a loro istanza : che siano esenti da ogni contribuzione tanto pel
rettore che pei Pasinatici, e cosi potranno rialzare quel castello, come of-
frono di fare a loro spese ; nei detti 5 anni si eleggeranno i propri giudici
con giurisdizione civile ; la criminale e le appellazioni sono demandate al
capitano di Raspo ; se scorsi i 5 anni il castello sarà rifatto, Valle avrà il
suo rettore e quegli abitanti pagheranno come in passato ; terminandosi il
castello prima dei 5 anni, quella terra avrà il rettore ma resterà esente pel
detto tempo come sopra (carte iéi).
141 3. 16 marzo. — A Matteo Maserazp di Valle, il quale, per infor-
mazioni del Capitano in Golfo, dei rettori dell' Istria, e degli ambasciatori,
non tamquam homo sed tamquam leo, mirabiliter se gessit cantra Hungaros et
eorum esercitimi prò defensione et conservaiione terre Vallis, si accordano tre
pagas pedestres in Duobus Castris Istrie, fra le quali una paga morta, e gli
si antecipano 50 ducati sul salario (carte 162).
1413. 18 marzo. — Si accordano 200 staia di frumento agli abitanti
di Valle da restituirsi al raccolto venturo, dando di ciò malleveria ai prov-
veditori alle biade, il grano sarà trasmesso al podestà di Rovigno per la
consegna (carte 163 tergo).
1413. 18 aprile. — Si delibera di spendere 20 ducati per mandare una
barca in Istria e in Schiavonia con notizie e lettere circa la tregua (carte 174).
14 13. 4 maggio. — Si autorizzano gli Ufficiali al cattaver a spendere
400 ducati d'oro in riparazioni alle palate sive poste partium Istrie, rovinate
in modo da non potervi habitare, sicché i passanti vi commettono gran
danni (carte 177).
1413. 4 maggio. — Si delibera di consegnare a Iacopo da Riva cav.
capitano di Raspo certo Andrea de Baio suo captivus, già da più mesi car-
cerato in Venezia, e così pure di consegnare a chi spettano tutti gli altri
prigionieri [di guerra] che stanno nelle carceri del governo (carte 177 tergo).
141 3. 23 maggio. — Cum conies nosler Poh, anteqitam aliquid occurreret
de locis Adignani et Momarani in hac guerra cum rege Hungarie, daret nobis
inforinalionein qitod ipsa loca non possent teneri et conservari cantra aliquam
potentiam, et quod bonum esse! providere ut relinquerent loca et se reducerent
cum bonis suis ad loca proximiora et tutiora, et per capitanimi nostrum Raspuv eh
ci ipsum comilem fiierit datns bonus ordo habitatoribus ipsorum locorum, qui
nohieiunt ipsum ordinem observare, in tantum quod secutum est de ipsis locis
id quod est omnibus manifestum ; avendo poi il detto conte chiesto provve-
dimenti pei detti due luoghi, e specialmente per Dignano affatto rovinato
dagli ungheresi, e consigliando di tenerli aperti e non fortificati ; — si de-
libera che nei medesimi non si ricostruiscano fortificazioni, ma si distruggano
-3i8-
anche gli avanzi delle antiche ; che Momarano resti soggetto alla giurisdi-
zione di Pola; circa Dignano, il capitano di Raspo vi si rechi e senta da
quegli abitanti ubi sunt magis contenti ire ad jus et ad quam terram et juditium
rectoris et secundum quod eligent ita complaceatur et observari debeat ;
e così Dignano resti soggetto a quel rettore e a quella terra quem et quam
ìibentius elegerint i suoi abitanti ; pei dazi, le regalie e le vendite dello Stato,
si osserverà il consueto (carte 183).
1413. 3 giugno. — Gli Ufficiali al caltaver facciano costruire Mas palatas
S. Andree et Busi, e intanto il capitano della Riviera dell' Istria faccia egli
o faccia far buona guardia a quei luoghi (carte 187).
1413. 21 giugno. — In seguito ai lagni fatti fare dal podestà e ca-
pitano di Capodistria che gli ufficiali dei duchi d'Austria in Lubiana avessero
imposto un nuovo dazio di 14 soldi su ogni cavallo carico di vettovaglie
diretto all' Istria, cioè colle altre gravezze solite soldi 28, il che impedisce
l' importazione di viveri in quella provincia da parte dei musolati ; si delibera
che d' ora in poi tutti i cavalli venuti scarichi in Istria, i quali ne espor-
teranno sale, vino, olio ed altro, pagheranno allo Stato io soldi l'uno al-
l'uscire e i singoli rettori li esigeranno ; ciò durerà finché sia in vigore il
provvedimento preso dagli austriaci (carte 195).
1413. 26 giugno. — Si sospende fino alla venuta a Venezia di Andrea
da Riva la disposizione presa il 4 maggio circa Andrea de Baio (carte 196
tergo).
(Continua)
LA MALARIA IN ISTRIA
RICERCHE
SULLE CAUSE CHE L' HANNO PRODOTTA E CHE LA MANTENGONO
DEL DOTTOR
BERNARDO SCHIAVUZZI
Atque ea vis omnis morborum, pestilitasque,
Aut extrinsecus, ut nubes nebulaeque superne
Per coelum veniunt, aut ipse saepe coorta
De terra surgunt, ubi putrorem humida nacta est,
Intempestivis pluviisque, et solibus icta.
T. Lucretii Cari — De rtrum natura
Lib. VI, v. 1094-1100.
I.
I' Istria e situata in forma di penisola fra il parallelo boreale del 440
e 44' e quello del 450 e 38', nonché entro i meridiani del 3i°.9'
e 32°.8' verso l'oriente. Escorre dal versante meridionale delle Alpi Giulie
ed a forma di cuneo si protende in mezzo all'Adriatico, fra il golfo di Trieste
ed il Quarnaro. Disposte dinanzi il lato meridionale del continente stanno
le isole, situate le minori in forma di scogli al suo lato occidentale e le
maggiori nel golfo del Quarnaro. L' estensione superficiale della penisola
ammonta 34001.23 chilometri □ ed ha una popolazione di 292,006 abitanti,
suddivisi in 1030 località ').
La sua conformazione orografica è dipendente dalla vicinanza delle Alpi,
a cui, quasi vi derivasse, deve l'elevatezza del suo lato settentrionale, eleva-
tezza che sensibilmente va riducendosi, man mano che il terreno s'avvicina
') Bohata dott. Adalb. Die Cboìtra ies Jahrtt 1SS6 in Itlrien una Gói^-Gmdisca.
Triest. !.. Herrmanstorfer, 188S, pag. 2.
— 320 —
alla costa. Troviamo perciò che alle altezze di oltre iooo metri sul livello
del mare ne seguano a poco a poco di minori, le quali nel centro della
provincia si riducono a soli 400 metri. Tale diminuzione però non procede
in ogni parte uniforme, perchè mentre il lato Sud-Ovest della provincia
riduce il proprio livello diminuendone 1' altezza in proporzione regolare e
continuata, mantenendo degli esatti ed uniformi paralleli; il lato Nord-Est
e buona parte dell'orientale conservano delle elevatezze di 400 metri, dalle
quali il terreno precipita d' improvviso al livello del mare.
Le isole del Quarnaro non tengono un'eguale graduazione nei livelli
orografici. In generale però si può dire che in esse i più alti trovinsi al
lato orientale.
Tale succedersi delle altezze non si mantiene intatto, giacché lo sche-
letro orografico viene intersecato da valli, in cui hanno l' alveo fiumi o
torrenti. Le principali fra queste sono quella di Sicciole in cui scorre il tor-
rente Dragogna, che comincia sotto gli altipiani del comune di Topolovaz;
quella di Montona, attraversata dal Quieto, che ha principio nel comune
di Pinguente ; e finalmente la Val d'Arsa bagnata dall'Arsa, che comincia
nel comune d'Albona. Tali intersecazioni però non tolgono che il carattere
principale orografico della provincia, cioè la riduzione delle proprie altezze
in ragione che il terreno s' avvicina alla costa, si conservi intatto.
Lo scheletro della penisola e delle isole nei riguardi della loro com-
posizione geologica si divide in tre parti, fra di loro distinte ') :
i° L'altipiano calcare, col gruppo del Montemaggiore, dal torrente
Rosandra alla punta di Fianona ;
2° La zona marmo-arenacea, dal golfo di Trieste al lago di Cepich ;
30 L' altipiano pure calcare, ma ricoperto da terreno siderolitico, che a
guisa di triangolo ha i suoi vertici alla punta di Salvorc, al capo di Pro-
montore ed al seno di Fianona.
Queste regioni sono distinte da una litologia superficiale tanto diversa,
da presentare ciascuna di esse una tinta particolare, che forma il fondo del
paesaggio, in modo che con appellativi non molto scientifici ma corrispon-
denti, queste regioni furono dette: l' Istria bianca, V Istria gialla e {'Istria
rossa.
I terreni calcari appartengono per la maggior parte alla creta e sono
calcari a radioliti e ad altri foraminiferi (Cenomaniano in senso lato), calcari
') Taramelli dott. Torquato. Diserzione geognostica del Margraviato a" Istria.
Milano. Fr. dott. Vallardi, 1878, pag. 19.
— 321 —
scarsi di fossili (Neocomiano ecc.) o banchi dolomitici irregolari, oppure nel
minor numero appartengono all'eocene quali calcari nummolitici con alveolina
longa (Londoniano) o calcari lacustri ligniti/eri (Liburnici : Thanetiano). La
zona arenaceo-marnosa appartiene all' eocene ed è costituita di Arenarie e
di Marne (Masegno) (Tongriano inferiore) ; di banchi di conglomerati con
fossili del Parigino (eocene medio) e da marne del tassello (eocene medio,
prive di fossili). Le valli poi sono coperte da un' alluvione postglaciale.
La disposizione degli strati è irregolare. In alcune località lo strato
mantiene una linea orizzontale; in altre invece l'obliqua ed anco la verticale.
Prevale però in generale la disposizione orizzontale intersecata qua e là da
curve e da sollevamenti.
La direzione degli strati e la impermeabilità di quelli posti inferiormente,
influiscono in modo sensibile sulla ricchezza d'acque del territorio. Vediamo
perciò come nella zona marno-arenacea — la quale presenta ad una certa
profondità degli strati impermeabili i quali, per le curve frequenti, devono
coll'uno o coll'altro dei loro capi far sporgenza alla superficie del terreno —
le sorgenti d'acqua sieno frequenti ed abbondanti ; mentre ciò non avviene
nelle zone calcari, ove la roccia é permeabile anche ad una certa profondità,
e gli strati sono interrotti da caverne. La zona calcare però dà pure in
alcune località delle ricche sorgive, p. e. in Pola ed al lato orientale della
provincia, nonché qua e là lungo la costa occidentale.
Il clima dell'Istria è in generale mite e temperato, sebbene variato nei
diversi distretti '). Alla costa gì' inverni sono di regola miti e gli estati
temperati dai venti di mare. Le regioni del Carso invece soffrono di grandi
freddi a cagione della bora, e nell'estate d'enormi calori per l'irradiazione
dal terreno nudo. In queste ultime regioni possono per questi motivi ma-
nifestarsi entro poche ore delle differenze di temperatura di 12 a 150 C.
In questa regione essa può però assumere un massimo di 32 a 3 6° C ed
un medio di 19 a 20° C, con uu minimo di io" C. Alla costa invece le
differenze sono meno rilevanti, giacché nell'estate di rado il calore supera
i 300 C, e d' inverno appena si riduce sotto lo zero.
Neil' interno della provincia ha luogo un cangiamento delle stagioni
più normale che alla costa; la di cui sezione occidentale offre appena traccie
di primavera o d' autunno, mentre l' orientale, per essere esposta alle in-
fluenze della bora, soffre d' inverni antecipati e prolungati.
Da tale spartizione irregolare del calorico dipende pure quella riflet-
') Bohata. Op. cit., pag. 6.
— 322 —
tente le cadute d'acqua meteorica. Nelle parti settentrionali della provincia
durante l'estate quasi in ogni seconda settimana cade pioggia abbondante,
mentre nelle altre parti della provincia e specialmente al Sud decorrono
persino degli interi mesi senza che vi cada una goccia d' acqua.
In quanto riguarda le cifre medie annue su tali fenomeni citiamo i
dati raccolti dalle due stazioni d'osservazioni meteorologiche, cioè dell'Os-
servatorio dell' i. r. Accademia di commercio e nautica in Trieste e di quello
dell' i. r. Istituto idrografico in Pola, posti Y uno al confine settentrionale
della provincia e l' altro al suo estremo lembo meridionale, limitandoci alla
temperatura, alla pressione atmosferica ed alla pioggia, quali fattori che in
molti anni stanno in nesso collo sviluppo delle endemie malariche.
MESI
Pressione dell' aria
in
millimetri a 0°
Temperatura
in
centigradi
Quantità di pioggia
caduta
in millimetri
Trieste
Pola
Trieste
Pola
Trieste
Pola
Gennaio ....
Febbraio. • . .
Marzo
Aprile ....
Maggio ....
Giugno ....
Luglio ....
Agosto ....
Settembre . . .
Ottobre ....
Novembre . . .
Decembre . . .
Anno . .
761.0
760.2
758.0
757.4
757.8
758.5
758.4
758.6
759.9
759.1
759.0
760.4
761.0
760.6
757.7
756.9
758.0
758.7
758.4
757.7
759.7
762.7
759.3
759.3
4.6
5.9
8.4
13.4
17.9
22.2
24.4
23.7
19.9
15.2
9.5
5.8
5.6
6.1
8.2
12.8
16.7
21.6
24 0
23.9
19.8
15.0
9.7
6.1
62
60
68
78
97
95
78
92
130
161
109
75
60
49
54
77
80
68
50
71
101
128
114
90
759.0
759.0
14.2
14.1
1105
948
Da tali fenomeni viene influenzata anche la flora istriana, la quale, a
tipo nordico nelle parti settentrionali della provincia, acquista caratteri più
vivaci mano a mano che si va avvicinandosi al mezzogiorno. Diffatti mentre
al Nord trovatisi boschi di Conifere, — che in macchia isolata manifestatisi
pure nella pineta di Sorbar vicino Momiano, ed in guisa artificiale per vari
ettari nel bosco erariale di Corneria vicino Sterna — vi predomina tuttavia
'la quercia che vegeta con tutto vigore ; al Sud prendono luogo estesissime
macchie di sempreverdi, composte dalle specie botaniche Phillirea, Erica,
Cislus monspeliensis, Pistacia lentiscus, Mirto, Buxus, Iuniperus oxycedrus,
— 323 —
Quercus ilex, Arbtitns Unedo, Launis nobiìis ecc. ecc., che col loro verde
mantello abbelliscono il paesaggio da Parenzo fino a Pola, vegetando sulla
terraferma e sugli scogli, che frastagliano e rendono si graziosa la costa
occidentale dell' Istria.
La coltura del terreno varia in sommo grado, in modo che come lo
dimostrano le tabelle che seguono, predomina nei diversi distretti ora l'uno
ed ora 1' altro metodo.
I. Riduzione ad i/oooo dell'estensione d'ogni singola specie di coltura
DEI FONDI RELATIVA AI DISTRETTI CENSUARI DELL' [STRIA ')
S U P E R F
I C I E
DISTRETTI
censuari
>
E
<
T3
6
c
>
"o
P-
'S.
<
O
-3
Oh
tri
<
Capodistria . .
865
1288
541
1566
3304
2136
10000
Pinguente
905
1332
76
566
4277
—
2844
—
10000
Pirano .
1456
556
2139
1734
1230
—
2885
—
10000
Cherso .
282
—
452
527
5910
—
2«29
—
10000
Lussino .
419
—
1050
766
4319
—
3446
—
10000
Veglia .
1321
62
171
531
4905
—
3009
1
10000
Buje . .
1509
680
873
1600
1305
—
3853
180
10000
Montona.
1225
91'J
234
1841
1402
—
4323
56
10000
Parenzo .
1402
136
280
2113
KH3
—
5021
35
10000
Albona .
779
766
116
863
3903
—
3523
50
10000
Pisino
1428
1314
58
1345
3171
—
2684
—
10000
Dignano.
2343
546
74
1208
3199
—
2607
23
10000
Poh! . .
2415
156
223
639
3528
3038
1
10000
Rovigno .
1550
82
1182
1166
1580
4432
8
10000
Castelnuovo
716
1785
37
12
3513
—
3937
—
10000
Volosca . .
Totale
439
682
150
482
3153
—
5094
—
10000
10000
1160
746
338
982
8319
—
3435
20
') Queste tabelle vennero desunte in massima parte dall'opera Materiali per la sla-
lislica dell'Istria del dott. Francesco Vidulich, e si riferiscono ai risultati dell'ultimo catasto;
nonché dal II fascicolo Forst una lagd- Slalislih del Manuale statistico dell'i, r. Ministero
d'Agricoltura per l'anno l8S; (Stalistisches Iahrbuch des k. k. Ackerbau-Ministcrium fùr das
Iahr iSSf. — Wien. Druck und Verlag der k. k. Hof-und Staats-Druckerei).
*) Sotto il titolo «Orti» vengono compresi in buona parte anche gli estesi oliveti,
i quali trovanti specialmente nei distretti censuari di Buje, Pirano, Capodistria e Rovigno.
— 324 —
II. Quota proporzionale di ciascun distretto censuario
SUPERFICIE
DISTRETTI
censuari
.E
ri
<
o
a
>
"o
e-
'E.
<
IH
y
O
m
-3
3
E
Capodistria . .
56
82
35
K>1
213
157
644
Pinguente
71
104
6
45
334
—
223
—
783
Pirano . .
29
11
44
36
25
—
59
—
204
Cherso .
19
—
31
36
401
—
192
—
679
Lussino .
15
—
37
28
153
—
123
—
356
Veglia .
114
5
15
45
424
—
258
1
862
Buje . .
81
37
47
86
70
—
208
9
538
Montona.
77
58
15
116
88
—
270
4
628
Parenzo .
61
6
12
92
44
—
218
1
434
Albona .
49
49
8
54
250
—
226
3
639
Pisino
149
43
7
146
344
—
291
—
1080
Dignano .
159
37
5
82
219
—
178
2
6^2
Pola . .
119
7
10
29
160
—
138
—
463
Rovigno .
69
4
53
52
70
—
198
—
446
Castelnuovo
62
156
3
1
305
—
343
—
870
Volosca . .
Totale
30
47
10
33
219
—
353
—
692
1160
746
338
982
3319
—
3435
20
10000
Vediamo perciò come la specie di coltura, che per estensione di terreno
supera tutte le altre, sia quella dei boschi, giacché su ioooo parti di terreno
3405 appartengono ad essa. A questa coltura seguono i pascoli con 3319
parti ; indi gli arativi, le vigne, i prati, gli orti e le paludi con una pro-
porzione complessiva di 3246 parti. Ne risulta per conseguenza come un
terzo circa della provincia sia posto veramente a coltura, mentre gli altri due
terzi devono alle sole forze della natura la loro produttività. — A tali ultimi
fondi si aggiungano indi altri 28448 jugeri di terreno improduttivo, che
costituiscono la trentesima parte dell' area complessiva della penisola.
Nei singoli distretti censuari i boschi occupano il terreno in propor-
zioni differenti fra di loro. Il distretto censuario più imboschito è quello
di Volosca con 5094 parti su 10000, indi quello di Parenzo con 5021 parti;
ai quali seguono quelli di Rovigno e di Montona, ed indi gli altri. Pren-
dendo invece in esame i distretti politici, troviamo che sono maggiormente
coperti da boschi quelli di Volosca e di Parenzo ; il primo dei quali è
formato dai distretti censuari di Castelnuovo e di Volosca, ed il secondo
— 325 —
da quelli di Buje, di Montona e di Parenzo. Riguardo poi a tale specie di
coltura, la seconda tabella ci indica come su 3435 parti di terreno boschivo,
che costituiscono un terzo abbondante di tutta la superficie coltivata della
provincia, 696 provengano dai distretti politici di Volosca e di Parenzo, i
quali anche in tale quota tengono la preminenza.
Rispetto infine ai boschi risulta dal prospetto che segue la proporzione
di distribuzione delle singole loro qualità ') nei vari distretti politici :
DISTRETTO POLITICO
(censuario)
ALTO FUSTO
Frondiferi Coniferi
in Ettari
o/o
BASSO
o medio fusto
Ettari
°/oo
Totale
Ettari
Capodistria
(Capodist., Pinguente, Pirano)
Lussino
(Lussino, Cherso, Veglia). .
Pisino
(Pisino, Albona)
Parenzo
(Buje, Montona, Parenzo). .
POLA
(Dignano, Pola, Rovigno). .
Volosca
(Castelnuovo, Volosca). . .
Totale . .
5.136
700
1>79
11.191
18 016
244
15.8C7
756
-
—
27.416
1000
-
28
24.054
972
28
57
1
31.494.
943
"
—
24.619;
1000
138 !
337
21.993
1
663
166
115
145.443
885
21.003
27.416 '
24.754
33.401
24.619
33.332
164." 25
Si rileva per conseguenza come i distretti di Volosca e di Capodistria
si distinguano per avere la massima parte dei boschi ad alto fusto, e come
di questi ne sieno privi quelli di Lussino e di Pola, i quali per tale motivo
segnano i permille più alti in riguardo ai boschi di basso o di medio fusto.
Risulta poi come di boschi di quest'ultima categoria vada pure molto for-
nito il distretto di Parenzo, che con quello di Pisino è il più ricco di boschi
in riguardo a superficie assoluta.
') Per 1' anno 1885.
— 326 —
La specie botanica è rappresentata prevalentemente dalle quereie e mo-
dicamente dalle conifere.
Il distretto politico più provvisto di pascoli è quello di Lussino, in
modo che la superficie da quelli occupata supera la metà della complessiva ;
proporzione questa che spicca specialmente neh" isola di Cherso. Siffatta
specie di coltura (se può così venir chiamata) è rappresentata in tale distretto
in cifra sì alta, da costituire quasi un quarto di tutti i terreni dell' intera
provincia. Il distretto politico invece che ne possiede il minor numero è
quello di Parenzo.
Gli arativi predominano nel distretto politico di Pola, e specialmente
nel distretto censuario omonimo ed in quello di Dignano, in modo da
costituire complessivamente un quinto di tutte le colture. Il più povero di
arativi è quello di Volosca quale distretto politico e quello di Cherso quale
distretto censuario.
Gli orti predominano in quello di Capodistria, rispettivamente di Pi-
rano, e ne sono meno provvisti quelli di Pisino, relativamente il censuario
di Pisino, e di Castelnovo su quel di Volosca. Quest'ultimo distretto cen-
suario (Castelnovo) spicca invece per la grande quantità di prati. Le vigne
predominano nei distretti politici e censuarì di Parenzo, di Montona e di
Pirano.
Le poche paludi che riscontransi in provincia, trovansi nei distretti
politici di Parenzo, di Pisino e di Dignano ed occupano appena il 20 su
10000 parti dell'area complessiva.
II.
Premessi questi brevi cenni intorno ai caratteri geografici, geologici,
climatici ed agricoli dell' Istria, come quelli che possono esercitare un' in-
fluenza sullo sviluppo e sul mantenimento dell' infezione malarica del suolo
istriano e dell' ammorbamento dell' atmosfera che lo circonda, passo a se-
gnare nel modo il più ampio che mi è dato, l'estensione della malaria nella
provincia, seguendo in questo riguardo i risultati dell' inchiesta malarica,
promossa con lodevole intento dall' inclita Giunta provinciale dell' Istria,
negli anni 1873 e 1879, in seguito ad iniziativa della allor esistente Società
agraria istriana, e più tardi dall'i, r. Consiglio sanitario provinciale.
Si deve però confessare che non tutte le idee espresse nelle relazioni
sono sane e corrispondenti alla realtà; tuttavia dal complesso dell'inchiesta
risultano dei dati, che per essere corrispondenti a quanto ora si sa di pò-
— 327 —
sitivo intorno alla genesi malarica, riesciranno di certo a dilucidare la que-
stione grave di tale endemia, a spiegarne la produzione e per conseguenza
a suggerirne i mezzi onde debellarla. Giova dichiarare in questo proposito,
qualmente tali risultati corrispondano quasi perfettamente con quelli derivati
dagli studi analoghi intrapresi in Italia, ove Parlamento e Senato con prov-
vidi ordinamenti tentano a tutt' uomo di sanare il suolo che circonda la
capitale ed altri siti ancora, come sarebbero le regioni già ricche e fiorenti
della Magna Grecia, dell' Etruria e dell' estuario veneto, si da ridurle ria-
bitabili ; — e combinano eziandio con quelli iniziati in varie regioni della
Germania ed in alcune provincie dell' America settentrionale.
Ai risultati di tale inchiesta farò seguire un' esposizione per quanto
possibile esauriente sullo stato sanitario ed igienico dell' Istria nei secoli
passati, e ciò onde colmare una lacuna a cui le indagini attuali non possono
riuscire. Essendo evidente, come si vedrà in seguito, essere stati l'atmosfera
ed il suolo istriano nei tempi antichissimi e fino circa il secolo XIV sani
perfettamente, ne viene che desta un vivo interesse la ricerca delle cause
che hanno prodotto l'ammorbamento del suolo e dell'aria. Siccome però
collo studiare lo stato attuale della provincia a ciò non si riesce, cosi alla
esposizione dei risultati dell' inchiesta, corredati da quelli derivanti dai miei
studi e dalle mie esperienze, farò seguire le indagini storiche, raccolte da
me con non lieve fatica, dalle quali spero risulteranno in guisa abbastanza
chiara non solo le cause che hanno prodotto la malaria in provincia, ma
eziandio i mezzi atti a sanarla, e ciò col sussidio dei dati statistici ed agricoli
da me raccolti.
LOCALITÀ SOGGETTE ALLA MALARIA:
Capodistria. In questo comune vanno soggette alle febbri di malaria
alcune località di Lazzaretto (Risano), nonché talvolta la città stessa di Ca-
podistria. In essa però non avvengono che forme sporadiche e scarse ').
Decani. Una parte di questo comune va pure soggetta alla malaria *),
specialmente quella costituente il comune censiiario omonimo.
Muggia. Le località soggette souo quelle poste in vicinanza delle val-
late, come la Noghera, Falle e Zaule. Ne soffre anche la città di Muggia,
ove regna costantemente fra certi poveri che hanno le abitazioni site a
') Relazione del dott. Zaccaria Lion dell' anno 1875.
J) Ibid.
— 328 —
Levante in prossimità d'un fosso posto fuori delle mura '). Indi m S. Barbara
sita nel comune censuario di Monti, come avveniva in modo speciale nel
187 1 2), e neppure ne viene risparmiata Flavia nel qual comune censuario
dominava in modo epidemico nel 1860 3).
Pinguente. Nel distretto di Pinguente dominano le febbri in ogni anno
durante 1' estate tanto nelle valli che nelle località poste sui colli, ed in
ispecialità fra la gente povera *).
Isola. Il comune censuario d' Isola va esente dall'endemia e se essa
si manifesta, ciò avviene in modo sporadico 5); però in quello di Cortedisola
nelle località prospettanti la valle di Sicciole si sviluppano non di rado
durante l'estate alcuni casi. Anzi nel 1864, anno generalmente di forte
endemia malarica, irrompeva il morbo con violenza sì marcata e con tale
pertinacia da durare dal 29 agosto fino al 27 ottobre, attaccando 179 in-
dividui sopra una popolazione di 469 anime 6).
Pirano. Nel comune locale di Pirano molte località vanno esenti dalle
febbri; e queste sono i colli marno-arenacei posti vicino alla città, ad ec-
cezione però della gola di Figarola che la sovrasta dal lato orientale, ove
in alcuni anni, p. e. nel 1879, si manifestano non pochi casi di febbre. In
altri siti del comune censuario omonimo invece sviluppasi la malaria, ora
sporadicamente ed in alcuni anni a guisa di vera endemia, p. e. nella valle
salifera di Slrugnano di rado, in quella di Sicciole (Porto della Madonna,
Fontanelle, Lontano e Scodellino) T) e nella vallicella di Fasan 8). Oltre a questo
comune censuario vanno pure colpiti con molta violenza quelli di Salvore
ed in modo più mite quello di Castelvenere. Nel primo di questi l'endemia
è estesa quasi dappertutto ; però essa domina preferentemente in vicinanza
al porto ed alle vallicelle di Valfontane e di Valcadin '). In Castelvenere il
morbo appare senza interruzione di luogo e di circostanze; però d'alcuni
anni ad oggi si nota un notevole miglioramento. Rarissimi casi avvengono
') Relazione del dott. Floriano Ubaldini del 12 aprile 1873.
') Relazione del dott. Achille Savorgnani del 31 marzo 1873.
3) Relazioni del dott. Zaccaria Lion del 1873 e del 14 febbraio 1880.
4) Relazioni del dott. Floriano Ubaldini del 12 aprile 1873 e 28 febbraio 1880.
5) Relazione del dott. Domenico Tamaro del 12 giugno 1873.
6) Relazione del dott. Melchiorre Linder del 26 aprile 1873.
') Ibid. e Relazione del dott. Giovanni Tamaro del febbraio 1880.
*) Relazione del dott. Bernardo Schiavuzzi del 16 febbraio 1880.
♦) Ibid.
— 329 —
invece nel comune censuario di S. Pietro dell'Amata, ove appena in epoche
di gravi endemie scoppia qualche caso sporadico nelle località poste sul
versante ai lati della valle di Sicciole e mai sulle alture maggiori di Vilìanova
e di Padena '). Nel comune locale di Pirano si sono osservate delle endemie
gravissime di malaria negli anni 1S62 e 186}, specialmente in Castelvenere,
ove il morbo durava dall'agosto del primo anno al febbraio del secondo,
e ne venivano colpiti quasi tutti gli abitanti. Nel susseguente 1S64 si ve-
rificarono dei casi anche nelle località del comune di S. Pietro dell'Amata *),
che in questo riguardo sono eccezionali. Gravemente veniva poi invaso il
comune nel periodo 1878- 1879, nel decorso del quale la malaria dominava
in tutta la provincia.
Umago. La malaria suole in qualche anno manifestarsi sporadicamente
nella città all'epoca del cambiamento delle stagioni. Lo stesso avviene nei
comuni consuari di Petrovia e di Matterada e nella campagna, che dai cosi
detti Cmeti s' estende lungo il versante dinanzi al mare fino al fanale di
Salvare. Nel comune censuario di S. Lorenzo, ove di regola non è molto
frequente, scoppiava la malaria in forma di gravissima endemia nel 1862
durante i mesi di settembre, ottobre e novembre ed in modo tale che su
680 abitanti circa, si contavano in qualche giornata fino a 100 gl'individui
d' ogni sesso ed età attaccati dalla febbre. Allora si osservava come la fra-
zione di S. Lorenzo sita in vicinanza al mare fosse la meno infestata in
confronto delle altre sparse sulle colline ed in altri siti più elevati sul livello
del mare ').
Cittanova. La malaria infieriva in altri tempi io questo comune. La
città di Cittanova deve all' escavo del Mandracchio ed all' imbonimento di
una gran parte della laguna, se il morbo è ora quasi completamente estinto.
In Dalla pure abbenchè ancor presentemente domini, esso è tuttavia sen-
sibilmente diminuito. Si devono anche per Cittanova notare degli anni sfa-
vorevoli come il 1877, 1878, 1879') ed il decorso 1888, nei quali l'en-
demia infieriva molto acremente.
Buje. In questa città le intermittenti mai ebbero a comparire in forma
endemica ; avvengono solamente di quando in quando in alcune annate dei
casi sporadici sul finire dell' estate e nel principio dell' autunno. Lo stesso
') Relazione del dott. Under citata.
*) Ibid.
') Relazione del dott. Francesco Guglielmo del 26 febbraio 1880.
•) Relazioni Ubaldini citata e del dott. Leone Levi del 24 febbraio 1880.
— 330 —
vale pei luoghi contermini siti a Levante ed a Settentrione. L'anno 1861
però faceva eccezione, giacche durante esso nel comune censuario di Tribuno
ed in una frazione di quello di Momiano, infuriava una lunga ed ostinata
endemia di febbre malarica. Altrettanto non si può dire dei villaggi e degli
sparsi abituri situati a Mezzogiorno ed a Ponente, prossimi alla valle del
Quieto ed alla marina, p. e. delle parti del comune censuario di Crassi^.
prospettanti verso la suddetta valle ').
Grisignana. Va soggetta alle febbri, di regola però scarsamente,
quella parte di questo comune censuario che prospetta la valle del Quieto.
Lo stesso deve dirsi di quelle frazioni dei comuni censuarì di Castagna e
di Piemonte che pure vi sono situate. Nei comuni invece di Cuberton e di
Sterna manifestaci dei casi sporadici sui pendii verso la valle di Cepich.
Tale genio malarico, che del resto in tempi normali rimane sempre allo
stadio di sporadicità, si manifesta in modo palese negli anni di endemie
gravi, come avveniva p. e. nell'estate ed autunno del 1879 5).
Verteneglio. In questo comune censuario ed in quello di Villanova
le febbri scoppiano nelle località che guardano verso la valle del Quieto
ed anzi più di frequente in Villanova che in Verteneglio '). Quest' ultimo
comune del resto trovasi in condizioni sanitarie molto migliorate, e solo
negli anni di generale malaricità viene assalito dalle febbri, p. e. come av-
venne nel decorso 1888.
Parenzo. Le febbri di malaria sono frequentissime quasi in ogni estate
ed in ogni autunno, e manifestatisi sì nella stessa città di Parendo, che in
tutto il comune locale. Nelle vicinanze di Parenzo vi è la località detta
Molinderio che viene ritenuta enormemente infetta e nei pressi della città
stessa i siti posti attorno alla chiesa di S. Eleuterio *). I comuni censuarì
poi di Torre, Abrega, Draceva\, Foscolino, Monghebbo, Monsalice con Val-
carino, Villanova vengono ogni anno assaliti dalla malaria, la quale in anni
di forti endemie ne decima sensibilmente la popolazione, come p. e. acca-
deva nel 1878 e 1879 5). Alquanto risparmiato ne è il comune censuario
di Mompaderno, il quale viene pure assalito, ma con poca intensità.
') Relazione del don. Francesco Crevato del 21 febbraio 1SS0.
-1) Relazioni Crevato e Levi ora citate.
3) Relazione Crevato citata.
') Relazione del dott. Michele Calegari del 29 aprile 1873.
5) Relazioni del dott. Giuseppe Doblanovich del 5 aprile 1880 e del dott. Pietro
Ghersa del 3 marzo 1880.
— 33i —
Orsera. In questo comune vengono invasi con violenza quasi ogni
anno i comuni censuarì di Gcroldia e di Leme '). Nel primo specialmente
la località Marassi a nel secondo i pressi del canale. L'anno 1879 fu anche
per questo comune apportatore di grave endemia.
Visignano. La borgata di Visignano come pure le vicine contrade non
offrono che scarsi casi di febbre intermittente. Si deve fare eccezione per
le località Colombera e Rados, nelle quali il morbo domina con più vigore,
come p. e. s'osservava nell'anno 1879. Anche i comuni censuarì di S. Vitale
e di 5. Giovanni di Sterna vanno soggetti alla malaria, ma in modo non
molto forte, mentre ciò avviene più marcatamente nel comune censuario
di Mondellebotte. Nell'anno 1879 vi fu endemia gravissima in tutto il comune
locale, la quale durava nei mesi d' agosto e di settembre *).
Visinada. Nel comune locale di Visinada sembra che non dominino
le febbri di malaria. Solamente nel comune censuario di 5. Domenica scop-
piano alcuni casi, in ispecialità negli anni di generale endemia, come s'os-
servava nel 1879 ').
Montona. In Montona la malaria non presentasi che di rado e sempre
in forma sporadica. Lo stesso dicasi della vallata del Quieto nella sua parte
più vicina alle sorgenti del fiume, mentre ne è estremamente malarica la
parte attigua alle foci di esso4). Però nel periodo decorso dagli anni 1837
al 1844, in cui la valle di Montona era quasi sempre coperta da acque
stagnanti, questa città ed i colli sovraposti alla valle erano zeppi di febbri-
citanti e di cachettici, in modo che in quegli anni molte persone venivano
tosto cólte dalla febbre, solamente per aver nei mesi estivi attraversato
questa valle dopo il tramonto del sole o durante la notte *).
Portole. Nel comune di Portole la malaria non si presenta che spo-
radicamente, in ispecialità nei dimorili della valle di Cepich. Nei mesi del-
l'estate e dell'autunno del 1879 si manifestava però in modo endemico sì
nella borgata che nelle vicinanze ').
Rovigno. Nella città la malaria si manifesta nelle vicinanze della sta-
zione ferroviaria sita a piccola distanza dal lago detto « nuovo » ; inoltre
') Relazione Doblanovich citata.
') Relazione Ghersa citata.
») Ibid.
•) Relazione del dott. Giuseppe Corazza del 3 marzo 1880.
') Relazione Lion citata.
•) Relazione Levi citata.
— 332 —
nei pressi della fabbrica dei tabacchi a ridosso del macello ed anche assai
scarsamente entro 1' abitato. La campagna circostante è malarica in grado
di gran lunga superiore. In particolarità poi nei mesi di agosto, settembre,
ottobre e novembre dell'anno 1879 dominavano le febbri in questo comune
endemicamente ed in modo ostinatissimo ').
Dignano. In Digitano le febbri si manifestano in forma sporadica. Lo
stesso avviene nei dintorni della città, ove però sono più frequenti. Invece
nei comuni censuari di Roveria, di Camita e di Mariana nelle località di
Permeili, Camita, P rodai, Moina ratto la malaria domina ogni anno in forma
d'endemia, specialmente nelle situazioni collocate sui fianchi verso la valle
della Maddalena e di Badò. In queste località scoppiava una gravissima
endemia nel 1879 2).
Barbana. Il comune di Barbana ò malarico per eccellenza. La stessa
borgata ne soffre annualmente, ma in guisa di molto più grave il comune
censuario di Porgnana colle località di Porgnana, Pontiera e Cherbocchi,
specialmente Pontiera. Neppure il comune censuario di Castelnuovo ne va
esente 3).
Canfanaro e S. Vincenti. Questi due comuni soffrono pure di
febbri, in particolarità il primo nelle vicinanze della Draga *).
Pola. La città di Pola che era infetta dalla malaria nel modo il più
grave trovasi ora in uno stadio di sensibile miglioramento delle sue con-
dizioni sanitarie. Il morbo che prima tutta la invadeva, si limita presente-
mente a svilupparsi nei rioni esterni della città, come p. e. nei borghi di
S. Policarpo, S. Michele, S. Martino, Arena, Siana e Stagione, in modo ora
più ed ora meno intenso. Endemie gravi avevano luogo negli anni 1863,
1864, 1866, 1877 6), 1879 e finalmente nel 1886, offrendo nei primi tre
anni il 620, relativamente 880 e 760 casi per mille sul contingente di
guarnigione "). I comuni censuari invece sono aggravati dal morbo molto
') Relazione del dott. Domenico Pergolis del 6 febbraio 1880.
2) Relazioni del dott. Giovanni Baggio del 21 settembre 1873 e del dott. Giovanni
Cle va del 2 marzo 1880.
s) Relazione Cleva citata.
') Relazioni dei dott. Giovanni Fonda, Francesco laschi e Mrach del 6 marzo 1880
e del dott. Ubaldini citata.
6) Relazione del dott. Grubissich dell' 11 febbraio 1880.
6) Dott. Aug. Ritter v. Iilek. Ueber das Verhalten des Malariafiebers in Vola. —
Wien, k. k. Hof und Staats-druckerei, 1881, pag. 30.
— 333 -
crudelmente. In quello di Pola abbiamo le posizioni malariche di Vintian,
Vincural, Veruda, V alni ale ; in quello d' Altura, Altura stessa, la valle di
Badò e le località che la fiancheggiano ; in quello di Covrano le stesse po-
sizioni e quasi tutto il comune ; in quello di Fa^ana, la borgata coi din-
torni, le isole dei Brioni (molto malariche); in quello di Lavarigo il territorio;
in quello di Lisignano i dintorni ; in quello di Medolino il villaggio ed i
dintorni; in quello di Monticchio egualmente i dintorni; io quello di Poiner,
Pomer stesso, i suoi dintorni e specialmente la località detta Valdibecco; in
quello di Promontore la località di Bagnale e finalmente in quello di Sissano
e Stignano oltre le ville, i dintorni. In tutto il vasto territorio insomma la
febbre domina in guisa endemica per quasi tutta la durata dell' anno, ma
io ispecialit à nei mesi di agosto, settembre, ottobre fino in novembre, par-
ticolarmente negli fatali d'endemia '). Gallesano ne va quasi sempre esente.
Pisino. Il comune di Pisino non è soggetto alla malaria che negli anni
di gravi endemie nel resto della provincia. Allora soltanto si nota lo sviluppo
di alcuni casi nelle località poste in vicinanza al lago di Cepich, nelle valli
limitrofe appartenenti al comune censuario di Cberbune, nel comune di Tu-
pliaco e di Novacco, come avvenne nell' anno 1879 *).
Bogliuno. Lo stesso dicasi di questo comune, nel quale la febbre si
manifesta nei censuari di Borutto, Lcllai e Susgntvhga ').
Gimino. Taluni anni io questo comune domina la malaria endemi-
camente 4).
Albona. Nel comune d' Albona le località infette trovansi allineate
lungo il tratto di costa che percorre dal canale dell' Arsa fino all' ultima
diramazione dei monti Caldiera, da là verso mezzogiorno lungo il versante
del Montemaggiore, la valle di Cepich, quella dell'Arsa, nelle località poste
sull'altipiano che la sovrasta, fino allo sbocco del canale stesso. I comuni
censuari più colpiti sono quelli di Cugn, di Vettua, di Bergod colle località
Stalie, Carpano e Traghetto, di Vlacovo e di Cene. In queste situazioni con
più o meno d' intensità 1' endemia è costante ogni anno. All' opposto i
comuni censuari di Albona, di S. Domenica, di Cerovizza sono scarsamente
malarici, giacché sebbene in essi il morbo scoppi quasi ogni anno, tuttavia
') Relazioni del dott. Angelo Demartini del 29 settembre 1875 e del dott. Grubis-
sich citata.
*) Relazioni Fonda, laschi e Mrach citate.
') Ibid.
*) Relazione Ubaldini citata.
— 334 —
lo fa in guisa sporadica, ed appena ogni 3, 4, 6 anni formansi delle en-
demie intense ').
Fianona. Le stesse circostanze riguardo alla distribuzione topografica
delle febbri valgono anche per questo comune, ove in esso pure il morbo
si produce nelle località che circondano la valle al lago di Cepich, mentre
nei comuni censuarì di Fianona, di Chersano e di Cosliaco il morbo mani-
festasi di rado e sporadicamente !).
Volosca. Nel distretto censuario di Volosca talvolta sviluppatisi casi
sporadici di malaria. Nel 1872 se ne verificavano parecchi sotto forma per-
niciosa e colpivano a preferenza gli operai friulani e lombardi occupati nelle
costruzioni ferroviarie. È degno di menzione che tali lavori congiunti allo
scoppio delle febbri avvenivano per la massima parte nel comune di Castità,
indicato sempre come immune dalla malaria *).
Castelnuovo. Nel comune di Castelnuovo si sviluppano pure in alcuni
anni singoli casi di malaria ').
Lussingrande. Questo comune è immune dalla malaria 5).
Lussinpiccolo. Il comune locale di Lussinpiccolo è pure di regola
esente dalle febbri; però nel 1879 nei mesi di agosto e di settembre in-
sorgeva nel comune censuario di Unie, nell' isola omonima un' intensa
endemia di malaria 6).
Ossero. Il comune locale di Ossero va molto soggetto alla malaria,
specialmente i comuni censuarì di Ossero e di Puntacroce. Ne vanno pure
oltre modo soggette le località prossime alla palude chiamata Gias 7).
Cherso. Il comune locale di Cherso, eccettuati i comuni censuarì di
Orle^ e S. Giovanni nonché Lubeni^e e S. Martino, è completamente infetto
dalla malaria. Specialmente lo sono nel comune di Belici i luoghi di Belici
e di Cacichie ; in quello di Frana i luoghi di Frana, Stanicb e Sbissina,
in quello di S. Martino le località Fidovich, Ghermovi e Micogli^c (ora de-
serto); in quello di Podol il territorio; in quello di Cherso i luoghi di 5. Vito,
') Relazione del dott. Antonio Palaziol del 12 aprile 1880.
") lbid.
3) Relazione del dott. Cesare Radoicovich del 14 agosto 1873 e del 29 febbraio 1880,
nonché del dott. Gollob del 26 febbraio 1880.
4) Relazione Ubaldini citata.
B) Relazione del dott. Angelo Boscolo del 24 febbraio 1880.
6) Relazione del dott. Matteo Nicolich del 5 febbraio 1880.
') Relazione del dott. Fedele Maver del 17 febbraio 1880.
- 335 -
di Cherso, di Smergo e di Losnati ; in quello di Caisole le località di Cone^,
di Ivagne, di Vasmine^, di Minsca, di Sredgni, di Petricevi, di S. P/c/ro e di
Rossuie ed in quello di Dragosichi quella di Filosicbi. In particolare le
prossimità del /a^v rfi Frana e della palude chiamata Piscino vengono de-
signate come prevalentemente malariche ').
Veglia. Nel comune locale di Veglia la malaria regna con molta in-
tensità. Vanno accennate come situazioni particolarmente infette i comuni
censuari di Ponte, Veglia e Monte.
Dobasnizza. In questo comune sono eminentemente malarici i cen-
suari di Dobasni^a, di 5. Fosca- Linardich e di Bogovich, specialmente il
luogo di Malinsca.
Castelmuschio. L' intero comune omonimo è infetto, in ispecialità
la località di Gnivi^e.
Dobrigno. Oltre al comune censuario colla località omonima sono
pure infetti quelli di Saline e di Sitsana, coi due luoghi di Susana e di
Cisischie. Nell'intera isola poi vengono indicati come malarici i dintorni del
lesero (lago) e del lago Panighe, nonché della valle di Litghe.
III.
Dall' esposizione ora fatta delle diverse località nelle quali domina la
malaria, risulta come esse distinguansi fra di loro pel grado d'infezione più
o meno elevato, oppure per andarne del tutto esenti. Di quest' ultima ca-
tegoria ce ne sono però pochissime, ed anche queste figurano come
tali perchè le notizie che si hanno intorno ad esse non godono d' una
esattezza inappuntabile. Tuttavia si deve confessare che alcune località site
nelle parti settentrionali dell' Istria e molto in alto sul livello del mare,
vadano del tutto esenti dalle febbri, come p. e. sarebbero, fra le altre, i
villaggi del comune di Portole appartenenti alle frazioni di Gradina e di
Topolovaz, disposti sopra una catena di colli dai 394 ai 400 metri sul
livello del mare.
Nelle pagine antecedenti veniva esposto un quadro fugace intorno
ai caratteri geognostici ed orografici della provincia. Dallo stesso risulta
come lo scheletro di questa sia costituito da tre formazioni geologiche, cioè
') Relazioni del Jott. Giovanni Filimeli del 12 aprile 1873 e 24 febbraio 1880.
- 336 —
dall' alluvione postglaciale, dall' eocene e dalla creta. La prima di queste forma
il fondo delle valli, le due ultime i monti e gli altipiani. Se si confrontano
tali formazioni coi risultati dell' inchiesta da me presa in esame, si vedrà
tosto come la massima parte dei terreni malarici riposi sopra uno scheletro
cretaceo, mentre la minima, nonché i terreni più liberi ed esenti dalla
malaria, abbiano per base la formazione eocenica '). Riassumendo perciò
tali dati geologici riflettenti ogni singolo comune censuario citato nelle
relazioni dei medici, risulta che tali comuni si estendono su terreni consi-
stenti di 7 differenti specie di roccie, appartenenti alle alluvioni postglaciali,
all'eocene ed alla creta, oppure combinati da queste tre formazioni, le quali
in molti di essi sono assieme rappresentate. Abbiamo perciò :
i. Marne commiste con alluvioni.
2. Marne pure o quasi.
3. Marne e calcari eocenici.
4. Marne con calcari eocenici e cretacei.
5. Calcari eocenici.
6. Calcari eocenici e cretacei.
7. Calcari cretacei.
Le formazioni ora segnate si comportano riguardo alla malaricità del
suolo nel modo e proporzioni indicate nel seguente specchio :
') Vedi il prospetto in fine della monografia.
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- 338-
Dall'esame di questo prospetto si deduce, che la metà abbondante dei
terreni malarici (52.54%) appartiene ai calcari cretacei, mentre l'altra metà
scarsa suddividesi fra le altre formazioni, con un massimo del 15.26% per
le marne e calcari eocenici. La formazione geologica complessiva poi segna
pure il 52.54 % per la creta pura, il 33.90 % per l'eocene puro ed il 13.56 %
per quei comuni in cui le due formazioni si trovano simultaneamente rap-
presentate. La qualità invece litologica del terreno depone in favore della
simpatia dei terreni calcari per la malaria col 69.49 % ed in isfavore per
le marne pure o miste col 30.51 %•
Se invece si prende in esame la relazione in cui il grado di malaricità
trovasi colla formazione geologica, si viene a scoprire come di 48 comuni
poco infetti 35 appartengano all'eocene (72.92%)» 8 alla creta (16.66%) e
5 alle formazioni miste (10.42%); di 15 comuni infetti in grado medio
2 appartengano all'eocene (13.34%), I0 a^a creta Pura (66.66%) e 3 alle
formazioni miste (20.00%); invece di 55 comuni molto infetti 3 apparten-
gano all'eocene (5.46%), 44 alla creta (80.00%) ed 8 alle formazioni
miste (14.54%)-
Nell'eocene poi le marne pure sono le più libere dalla malaria (33.34%),
mentre i calcari dell' epoca cretacea ne sono i più soggetti (70.98 %)• La
stessa cosa dicasi della qualità litologica del terreno, nel qual riguardo si
vede come i calcari figurino col 92.73 % nei comuni censuarì molto infetti,
mentre le marne mantengono un livello bassissimo nei terreni molto ma-
larici (5.45 e 1.82%), ed un livello al doppio più alto in confronto dei
calcari nei terreni poco malarici. La stessa cosa risulta quando si stabilisca
il confronto percentuale della formazione geologica col grado di malaricità,
nel qual confronto spicca viemaggiormente la preferenza della malaria pei
terreni della creta dinanzi a quelli dell' eocene.
I comuni censuarì colpiti più o meno dalla malaria sono situati a
diverse altezze sul livello del mare. Nel prospetto posto alla fine del lavoro
sono segnate le varie altezze, indicate approssimativamente, non essendo
possibile per le molte differenze di livello nei singoli comuni, di precisare
esattamente le cifre '). Dallo stesso desuntesi lo speccbio seguente :
') Tarameli.!. Op. cit. — Carta geogn. dell'Istria, e Carte dello Stato maggiore.
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33.34 :
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100.00
100.00
100.00
100.00
Da questo specchio risulta chiaro come la circostanza delle altezze eser-
citi pure la sua azione sulla malaria istriana. Si vede nello stesso come di
48 comuni scarsamente colpiti dal morbo, oltre alla metà sieno situati ad
un livello del mare superiore ai 200 metri, e come di 55 comuni molto
bersagliati dalla malaria, oltre alla metà trovinsi ad un livello inferiore ai
200 metri, circostanza che risulta anche dal confronto delle cifre totali. Ne
viene di conseguenza, che la malaricità diminuisce nella provincia in ragione
dell' elevarsi del terreno sul livello del mare.
Alla stessa conclusione si viene anche quando si prendano in disamina
i vari livelli. Mentre le differenze nel grado di malaricità danno, pei terreni
poco od in grado medio aggravati, delle cifre che succedonsi nella serie dei
vari livelli, aumentando di valore coli' inalzarsi degli stessi ; pei terreni molto
aggravati tali cifre all' opposto vanno diminuendo colla progressione degli
stessi livelli ; fatta eccezione di quelli dall' o ai 99 metri nei quali la ma-
laricità segna un aumento in tutti e tre gradi. Né deve imporre il contrasto
che si scorge evidente fra i tre gradi di malaricità rispetto al comportarsi
dei medesimi dinanzi all' elevazione sul livello del mare, inquantochè nei
terreni poco od in grado medio malarici, differenti siano le condizioni tel-
luriche e d' altro genere, come s' è veduto e si vedrà in appresso ; e pre-
cisamente pei comuni censuarì posti a grandi altezze sul livello del mare
valgono altri fattori ad esercitare la loro azione deleteria, quali sarebbero
— 34° —
le paludi. Così abbiamo Borutto p. e. che ha il 0.12 °/„ di paludi, e Visinada
che ne ha 1' 1.86 %> mentre giova ricordare che in tutta la serie dei comuni
poco malarici, tale condizione è quella stessa che pel suo contrasto con
1' altra rilevata nei terreni molto malarici, serve a maggiormente disporre
in favore igienico per le alte regioni.
È naturale che sotto questo rapporto, le condizioni nei comuni colpiti
in grado massimo, devono essere differenti. Esse si manifestano colà con
caratteri più spiccati, giacché il terreno ne è più idoneo all'allignare del
morbo, e questo trova sviluppo in proporzioni più o meno vaste a seconda
che le circostanze favoriscono in grado maggiore, o minore, l' attitudine
malarigenica del suolo. In questo riguardo diffatti vediamo come la mala-
ricità diminuisca coli' elevarsi della superficie del suolo sul livello del mare,
specialmente dai 100 metri in su.
Le cause che influiscono in senso contrario alla produzione del germe
malarico nelle regioni alte, devono risiedere in buona parte nella tempera-
tura media dell'atmosfera e del suolo, di certo inferiore a quella che notasi
nelle regioni basse; oltre a ciò nel maggior dominio dei venti e nello scolo
più repentino delle acque. Purtroppo non ho a mia disposizione esatte
misurazioni in proposito, né mi consta che di simili ne sieno state eseguite
nella provincia, almeno per quanto si riferisce alle regioni alte; mentre per
le basse si hanno le esatte osservazioni raccolte nell'Ufficio idrografico della
marina di guerra in Pola, e nell' Istituto agrario provinciale in Parenzo.
Visto che in base agli studi eseguiti da apposita Commissione nomi-
nata dal regio Governo italiano li 6 aprile 1881 onde esaminare se i boschi
esercitassero un' azione qualsiasi sulla genesi della malaria dominante nella
regione marittima della provincia di Roma '), e che a sensi delle idee espresse
dal prof. Tommasi-Crudeli nella sua opera II clima di Roma !), risultava
che i boschi a basso e ad alto fusto, quando non sieno regolarmente tenuti
e non siasi provvisto negli stessi ad un regolare scolo delle acque, anziché
essere utili contro l'importazione dei germi malarici, come prima si cre-
deva *), riescono invece in tale riguardo dannosi, e divengono fomite
') Delia influenza dei boschi sulla malaria dominante nella regione marittima della pro-
vincia di Roma. «Annali di Agricoltura, 1884». — Roma. Eredi Botta, 1884.
2) Corrado Tommasi-Crudeli. Il clima di Roma. — Roma. Ermanno Loescher e
Comp., 1886.
') Io. Maria Lancisio, De noxiis paludum effluviis. — Romae. Ex tipys Io. Mariae
Salvioni, 1717.
— 341 —
allo sviluppo del morbo ; io mi decideva ad esaminare se in Istria pure
l' imboschimento possa da parte sua esercitare un' azione malarigenica.
Come si vede a pag. 323, i boschi coprono nella provincia un terzo
abbondante della superficie, alla pag. 325 si scorge come di mille parti
di boschi 885 appartengano al basso od al medio ed appena 115 all'alto
fusto. Neil' elenco poi dei comuni colpiti, che trovasi in fine del lavoro,
ove vengono segnate le varie proporzioni percentuali d' imboschimento
riferentesi ad ognuno di essi, risulta come tale quota sia di molto dif-
ferente per cadauno. Lo specchio seguente risultante dalle varie quote
dimostra il modo di contenersi del grado di malaricità in confronto delle
stesse.
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PERCENTO
imboschimento
intera superficie
Grado di malaricità e numero dei comuni censuari
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boschi.
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bosch.
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10.17
100.00
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11
22.91
50.00
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13.34
9.10
9
16.36
40.90
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100.00
20-30
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1250
50.00
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6
10.95
50.00
12
10.17
100.00
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13
27.09
44.82
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26.66
13.78
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41.40
29
24.58
100 00
40-50
7
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31.82
5
33.34
22.72
10
18.18
45.46
22
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100.00
50-60
4
833
26.66
3
20.00
20.00
8
14.54
53.54
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12.72
100.00
60-70
1
2.08
25.00
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—
—
3
5.43
75.00
4
339
100.00
70-80
Totale
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3.63
100 00
2
1.69
100.00
100.0
40.67
15
100.00
12.71
55
100.00
46.62
118
100.00
100.00
Da questo specchio si rileva come dei 118 comuni censuari colpiti in
grado più o meno grave, 29, cioè il 24.58 % abbiano avuto dal 30 al
40 "/„ di terreno coperto da bosco, la qual proporzione su per giù si os-
serva anche rispetto al grado differente di malaricità. Tale cifra però non ha
che un valore relativo, giacché rappresenta la media d'imboschimento del-
l' intera provincia, ed è naturale che essa debba pure comparire come pre-
— 342 —
valente in uno studio in cui viene preso in esame un numero abbastanza
rilevante di comuni. Lo studio perciò sul valore del grado d'imboschimento
rimpetto a quello della produzione malarica, deve esser diretto ad indagare in
quali relazioni numeriche trovinsi le quote percentuali risultanti dal confronto
del grado di malaricità nei vari percenti d' imboschimento. Ed estendendo
in tale riguardo le investigazioni, lo specchio surriferito ci mostra come di
12 comuni imboschiti dal 0-10% 6, cioè il 50%» sieno malarici in infimo
grado, 1, cioè 1' 8.33 %, lo sia in grado medio e finalmente 5, vale a dire
il 41.67%, ili grado alto. Press' a poco la stessa proporzione troviamo pel
10-20% d'imboschimento; e mentre il 20-30% ci dà cifre pari in am-
bidue i gradi di malaricità, al 30-40 % si ripetono le stesse proporzioni,
però non tanto spiccatamente. Da questo limite percentuale in poi le cifre
s' invertono, e troviamo che al 40-50% di 22 comuni infetti, il 31.82%
appartiene al grado minore di malaricità, il 22.72 % a quello medio ed il
45.46% al massimo. Tali proporzioni spiccano viemaggiormente coli' inol-
trarsi nelle cifre percentuali più alte d' imboschimento, ove e' incontriamo
con un 53.54%, con un 75.00% e finalmente con un 100.00%, risultati
numerici questi che depongono in favore dell'azione che i boschi esercitano
sui terreni malarici. È naturale però l'ammettere, che perchè i boschi eser-
citino tale azione, fa d' uopo che essi stessi trovinsi su d' un terreno per
sua natura favorevole alla malaria. Su tale argomento mi riservo di ritornare
in seguito, quando le cause che mantengono la malaria in Istria verranno
poste in confronto fra di loro.
Ci giova però ricercare quale sia l'azione d'un bosco sul terreno che
ricopre e sull' aria che lo investe, ricerche queste che tolgo dalla relazione
commissionale citata antecedentemente1). Per le indagini eseguite in Sassonia
sotto la direzione dei professori Von Berg e Krutzsch, in Baviera dal pro-
fessor Ebcrmayer, in Francia ed in Italia negli Osservatori meteorico-forestali
in Vallombrosa ed in Camaldoli di Toscana, nonché nella foresta del Can-
siglio in provincia di Treviso, risultano dei dati interessantissimi, atti a porre
in vista le grandi differenze meteorologiche esistenti nell'atmosfera boschiva
ed in quella sul terreno nudo.
Risulta dai dati raccolti in tali esperimenti, qualmente il bosco moderi
le oscillazioni diurne della temperatura del terreno, riscaldandosi quest'ul-
timo sensibilmente meno del terreno nudo. Tale differenza e in media annuale
') Vedi Nota 1 a pag. 340,
- 343 —
del 21 % in meno del calore che acquista un terreno non boscoso, la quale
s'accentua maggiormente nella primavera (28%) e nell'estate (24%)- I"
autunno sarebbe del 16 % ed in inverno dell' 1 %• La temperatura dell'aria
stessa per entro un bosco si mantiene pure alquanto minore di quella di
un luogo nudo. Le medie annuali ci danno delle differenze dell' o°.78, pro-
nunciandosi queste specialmente nei mesi più caldi da maggio a settembre
e nei boschi di piante a larghe foglie. Anche in questo riguardo abbiamo
perciò nel bosco una forza moderatrice. Nelle ore di notte, invece, quasi
in nessun mese dell'anno l'aria del bosco si raffredda tanto, quanto sopra
un terreno nudo, differenza che risulta per l'estate di i°.52, nell'autunno
di i°.9i, nell'inverno di o°.94 ed in primavera di o°.42.
Mentre 1' umidità assoluta dell' aria d' un bosco non presenta apprez-
zabili differenze con quella dell' aria soprastante ad un terreno nudo, la
umidità relativa ne è notevolmente maggiore, per il che verificandosi un
abbassamento di temperatura, ha luogo più facilmente ed in maggior quantità
una separazione d' acqua dall' aria d' un bosco in confronto d' un campo
nudo. Tale maggiore umidità risulta specialmente nell'estate, quando è quasi
doppia di quella dell' aria sopra un terreno nudo.
Dove poi 1' azione del bosco si manifesta in modo enorme, si è sul
fenomeno dell' evaporazione. Venne osservato in Baviera, che mentre una
superficie d'acqua all'aperto evapora in un anno uno strato dello spessore
di millimetri 574.30, una pari superficie di bosco non ne perde che per
millimetri 212.97, ossia, la evaporazione in un bosco di poco supera il terzo
di quello che si verifica in un terreno nudo. Riguardo alle stagioni la di-
stribuzione dell' evaporazione si comporta come segue :
In
estate in 1
.110
»
primavera »
»
»
autunno »
»
»
inverno »
»
, mrn
in bosco 80 55"
170.63""" »
»
73.45°"°
1 14.81""" »
»
38.20°"°
58.93mm »
»
20.77°"°
Ne risulta (il che ha un valore precipuo per lo studio attuale) che si
può ritenere che questa massima limitazione dell'evaporazione in un bosco
dipenda principalmente dal minor movimento dell'aria che vi succede, ed
in grado minore dalla temperatura.
Lo stesso avviene per riguardo alla evaporazione dell'acqua contenuta
nel terreno. Anzi specialmente nei mesi più caldi, da maggio sino a luglio,
il bosco contribuisce potentemente al mantenimento dell'umidità del terreno,
più che negli altri mesi dell'anno, nella quale minorazione il bosco viene
— 344 —
anche aiutato dalla copertura determinata mediante i detriti vegetali che
esso abbandona, quali sono p. e. i fogliami ecc. ecc.
Dall' esposto si deduce, che mentre per entro ai boschi domina una
atmosfera molto umida, la pioggia che cade in essi arriva alla superficie del
terreno appena nella proporzione del 74 °/0, in modo che circa un quarto
viene trattenuto dal fogliame. Ponendo ora a confronto la quantità di pioggia
che arriva in un terreno boscoso, colla evaporazione che vi subisce, risulta
con tutta evidenza che uno stagno, un lago, un acquitrino formato entro
un bosco dall' acqua piovana, si asciuga assai lentamente e difficilmente,
ed anzi nella maggior parte dei casi non può affatto asciugarsi; perchè la
quantità di pioggia che vi arriva, sebbene ridotta d'un quarto od anche d'un
terzo, è sempre maggiore di quella che perde in grazia dell'evaporazione.
Tali fenomeni notati nei surriferiti Osservatori valgono essi pure pei
boschi istriani ? Purtroppo finora non abbiamo delle osservazioni dirette
atte a decidere il quesito ; tuttavia il carattere dei nostri boschi ci autorizza
a ritenere che i fenomeni in altri siti osservati ripetansi puranco da noi.
Abbiamo veduto, come di boscaglie ad alto fusto poche ne esistano in Istria
e come prevalentemente la coltura boschiva sia rappresentata da boschi cedui
a basso ed a medio fusto. Chi poi talvolta è penetrato in tali boschi, sa
benissimo che essi non sono regolati da un metodo razionale, ma lasciati
generalmente in balìa delle forze naturali, concedendo loro al più e non di
frequente una cura del tutto empirica. Perciò chi si addentra in quelle cep-
paie trova sbarrato il passo da rovi, da spini d' ogni genere, da arbusti di
ogni qualità e bassissimi, da un' erba alta talvolta fino oltre il ginocchio.
Le piante stesse, non regolate da un metodo razionale, s'addensano 1' una
all' altra, intrecciandosi fra loro i rami sì da precluderne il passaggio. È
naturale che in tali boschi siano intercettati i raggi solari ; che la tempe-
ratura vi sia minore che all' aria aperta ; che 1' umidità v' aumenti e che
non vi circoli 1' aria con tutta libertà. S' aggiunga poi che i nostri boschi
in buona parte si trovano in terreni oltremodo accidentati, con avvallamenti,
fessure, irregolarità, ove facilmente si raccoglie 1' umidità condensata, for-
mando acquitrini e stagni.
Onde estendere maggiormente le indagini intorno all' azione che le
varie colture del terreno ed i cambiamenti che allo stesso ne derivano,
possono esercitare sullo sviluppo della malaria, si posero in confronto coi
vari gradi di malaricità del suolo i terreni coltivati ed arativi, orti e vigne,
■unendo queste tre specie di coltura in una sola categoria, nonché ponendo
in altra categoria quelli non coltivati, cioè i prati ed i pascoli. Lo specchio
seguente dimostra i risultati numerici di tale indagine :
— 345
Percento di terreno
posto a coltura
(arativi, orti, vigne)
siili' intera superficie
Grado di malaricità e numero dei comuni censuari colpiti
Poco
Medio
Molto
Totale
o
e
i
3
z
o/o
o
S
3
Z
o/o
o
Ih
6
E
3
z
%
o
Ut
V
s
3
z
o/o
sul
grado
sul •/„
di
coltura
sul
grado
sul %
di
coltura
sul
grado
sul •/,
di
coltura
sul sul •/,
•do di
° coltura
0-10
4
8.34
36.36
_
_
7
1273
63.64
11
9.82
100.00
10—20
9
18.75
52.94
1
6.66
5.88
7
12 73
41.18
17
14.40
100.00
20-30
9
18.75
31.03
1
6.66
3.45
19
34.54
6552
29
24.59
100.00
30-40
12
25.00
36 36
8
53.35
24.24
13
23.63
39.40
33
27.98
100.00
40—50
7
14.59
41.17
4
26.67
23.52
6
10.91
35.31
17
14.40
100.00
50-60
3
6.25
60.00
1
6.66
20.00
1
1.82
20.00
5
4.23
100.00
60-70
3
6.25
100.00
—
—
—
—
—
—
3
2.54
100.00
70—80
1
2.09
50.00
—
—
—
1
1.82
50.00
2
1.69
100.00
80-90
Totale
48
—
—
—
—
—
1
1.82
100.00
1
0.85
100.00
100.00
40.67
15
100.00
12.71
55
100.00
46.62
118
1
100.00
100.00
Anche qui come pei boschi vediamo che il massimo numero dei comuni
censuari colpiti, rappresentato dal 27.98 % appartenga alla categoria di quelli
che hanno il 30-40 % della loro superficie posta a coltura, il che non deve
recar meraviglia quando si consideri che le colture propriamente dette su-
perano il terzo della superficie produttiva della provincia. Quando poi si
prenda in considerazione il modo di comportarsi delle cifre percentuali nei
diversi gradi di malaricità, si osserva come le quote si succedano in modo
da deporre per un' influenza della coltura del terreno sulla malaricità del
suolo. Vedesi perciò, come nel grado di molta malaricità, questa prevalga
nei terreni poco coltivati e come in quello di poca malaricità la prevalenza
sia nei terreni coltivati in maggior proporzione. Tale progressione delle cifre
è però irregolare, mostrandosi saltuariamente qua e là, senza segnare una
distribuzione progressiva da un percento all' altro. Si deve da ciò inferire
che la circostanza dell'essere il terreno posto a coltura, sebbene trovisi in
una relazione col grado di malaricità, non eserciti però che un' influenza
poco sensibile sulla produzione della malaria, limitandola alquanto coli' au-
mento dei terreni posti a coltura.
I terreni non coltivati non offrono pure un carattere in tale riguardo,
se si eccettui forse, che a differenza degli altri generi di terreni, questi
segnano il maggior numero di comuni colpiti nel grado percentuale sulla
- 34^ —
superficie del 10-20% eJ indi nel 20-30%. Invece tale distribuzione nei
diversi gradi di malaricita si comporta differentemente ed in modo saltuario,
sì in riguardo al percento colturale che al grado di malaricita. Ne viene
perciò che anche i prati ed i pascoli, che pure presentano un vasto terreno
della superficie produttiva della provincia, non offrono in riguardo ai comuni
malarici nulla di positivo.
A. cu
3
<U "?
■z 2
rt tu
rt 3
Grado di malaricita e numero dei comuni censuari colpiti
Poco
o/o
sul sul %
j dei
grado L
6 terreni
Medio
S !
o/o
sul I sul %
Srado ! terreni
Molto
o/o
sul
sul •/,
, i dei
grado '
5 terreni
Totale
o/o
S sul
3
!Z grado
sul •/.
dei
terreni
0—10
10—20
20-30
30-40
40-50
50-60
60-70
70-80
80-90
oltre i 90
Totale
5
10.41
27.77
6
4000
33.33
7
12.73
11
22.90
45.83
3
20.00
12.50
io' 1818
11
22.90
50.00
3
20.00
13 63
8! 14.54
6
12.46
33.33
—
—
—
12! 21.82
2
4.16
16.66
1
6.66
8.83
7 12.73
7
H.58
53.84
1
6.66
7.69
5
1091
5
10.41
83.33
—
—
—
1
3.63
1
2 08
33.33
1
6.66
33.33
li 1.82 j
—
—
—
—
—
—
li 1.82
—
-
—
—
—
—
li 1.82
48
100 00
40.67
15
100.00
12.71
55
100.00'
1
39.90
41.67
36.37
66.66
75.01
38.47
16.67
33.33
100.00
100.00
18
15.26
24
20 30
22
18.64
18
15.26
12
10.17
13
11.03
6
5.08
3
2.54
1
0.85
1
0 85
118
100.00
1
10000
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
Esaurite per tal modo le indagini che da me vennero dirette onde
scoprire l' influenza che le varie specie di coltura possono esercitare sullo
sviluppo della malaria, rivolsi lamia attenzione allo studio d'un' altra cir-
costanza, che sotto date condizioni può pure trovarsi in una qualsiasi re-
lazione collo sviluppo o meglio ancora col mantenimento della malaricita
del suolo. Intendo dire della proporzione in cui trovasi la popolazione nei
diversi comuni colla superficie degli stessi ; od a meglio dire sul riparto
della superficie totale sulla popolazione complessiva, nonché sul riparto della
superficie produttiva sulla popolazione agricola. Ed anche per tale studio io
attinsi all' opera preziosa prima citata dell' or defunto cav. dott. Vidulich,
opera, che egli due giorni prima d'abbandonarci, porgevami in dono, ultimo
forse dei tanti che egli fece nella sua benemerita carriera vitale.
— 347 —
Le cifre desunte da quell' opera vennero poste in margine agli altri
dati che si riferiscono ai comuni colpiti, nella tabella che trovasi in fine
del lavoro, ed indi raccolte nei due specchi che seguono :
Riparto della super-
ficie totale sulla po-
polazione complessiva.
Jugeri per individuo
Grado di malaricità e numero dei comuni censuarì colpiti
Poco
Medio
Molto
Totale
o
fa
ti
E
3
o/o
o
H
E
3
o/o
o
ì-.
V
E
3
r
o/o
o
e
D
E
a
o/o
sul
grado
sulla
popo-
lazione
sul
grado
sulla
popo-
lazione
sul
grado
sulla
popo-
lazione
sul sulla
grado ." /
6 lazione
0-4
5-9
10-14
15-19
20-24
25-29
30-34
35-39
40-45
Totale
43
3
1
1
89.59
6.25
2.08
2.08
53.08
12.00
20.00
33.33
12
3
80.00
20.00
14.81
12.00
26
19
4
2
1
2
1
47.27
34.54
7.27
3.63
1.82
363
1.82
32.1 1
76.00
80.001
6666 i
100.00
100.00
100.00
25
5
3
l
2
1
118
6^.64
21.18
4.23
2.54
0.85
1.69
0.85
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
■18
100.00
40.07
15
100.00
12.71
55
100.00
46.62
100.00
100.00
Riparto della super-
ficie produttiva sulla
popolazione agricola
Jugeri per individuo
Grado di malaricità e numero dei comuni censuari colpiti
Foco
Medio
Molto
Totale
o
fa
V
E
3
%
o
e
D
E
3
0
fa
sulla
popo-
lazione
o
ti
V
E
3
%
o/o
o
e
D
E
3
*
o/o
sul 1 sulla
6rado laz°one
sul
grado
sul
grado
sulla
popo-
lazione
sul
grado
sulla
popo-
lazione
0-9
10-19
20-29
30 -39
40-49
50-59
60-69
70-79
80-89
90-99
100—109
Tolale
86
8
1
3
75 00
16.66
208
6.26
55.38
21.62
16.66
60.00
10
5
66.06
33.34
15 38
13 78
19
24
6
1
2
1
1
1
1
34,r»4
43.64
9.09
1.82
3.63
182
1.82
1.82
1.82
29.24
64.60
83.34
100.00
40.00
100.00
100 00
100.00
100.00
|«
37
0
1
5
1
1
1
1
55.08
31.36
5.08
0.85
4.23
0.85
0.85
0.85
0.85
100.00
100.00
100 00
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
100.00
48
100.00
40.67
15
100.00
12.71
55
100.00
46.62
118
100.00
100.00
- 34» -
Dalle stesse cifre risulta come 1* addensamento della popolazione sulla
superficie sia sfavorevole allo sviluppo della malaria, giacché troviamo che
nei comuni in cui per ogni individuo toccano dai o ai 4 jugeri di terreno,
la malaria vi regna, ma in grado leggiero a preferenza, il che significa che
di 100 comuni di siffatta categoria, oltre alla metà appartengono ai poco
colpiti ; proporzione questa che spicca più chiaramente nel riparto della
superficie produttiva sulla popolazione agricola, ove la prima categoria porta
anzi la proporzione di 0-9 jugeri per individuo. Avanzandosi nelle ulteriori
categorie di riparto si vede come i dati vengano in conferma di una mag-
giore malaricità del suolo, la quale progredisce col diminuire della quota
di popolazione della campagna ; caratteri questi che risaltano ancor di più,
quando si studino sopra il secondo specchio.
Ne deve imporre 1' alta cifra percentuale che deriva dall' ammassarsi
della maggior parte dei comuni nella prima categoria di riparto, ove nel
primo specchio troviamo il 68.64% e nel secondo il 55.08 %> quando si
consideri che tali cifre sono in consonanza al riparto generale nell' intera
provincia, nella quale per la popolazione complessiva sulla superficie totale
abbiamo 2 jugeri e 15 17 klafter, e per la popolazione agricola sulla super-
ficie produttiva abbiamo 8 jugeri e 535 klafter.
Tali cifre parlano assolutamente in favore dell' influenza che un au-
mento di popolo sopra una data superficie può esercitare sulla salubrità
del suolo ; influenza questa, derivante da quei lavori che il contadino deve
eseguire onde ridurre ad una maggiore produttività il terreno a lui affidato,
pei quali ne viene mutata la coltura, ridotta ad altro aspetto la superficie,
col praticarne lavori diretti non solamente al primo scopo, ma anche ad
ottenerne uno scolo migliore delle acque, ed una migliore livellazione dei
terreni.
Specialmente qui in Istria l'aumento o la diminuzione di popolo non
riescirono indifferenti, e quanto si esporrà in seguito, verrà di certo a pro-
vare come colla sua diminuzione, sia anche sorvenuto un peggioramento
nelle condizioni igieniche.
IV.
Riassumendo i risultati delle indagini or ora esposte, in modo che
dagli stessi emerga come la malaria trovisi in relazione alle diverse condi-
zioni del suolo e dell' atmosfera che lo copre, puossi dedurre quanto segue :
i° La malaria preferisce i terreni appartenenti alla formazione geologica
della creta;
— 349 —
2° Essa diminuisce coli' elevarsi del terreno sul livello del mare ;
3° Viene favorita dai boschi densi ed a basso o medio fusto;
4° Viene alquanto limitata dalla coltura del terreno non boschivo;
5° Sviluppasi a preferenza in località povere di popolo, od a meglio
dire un aumento di questo giova a diminuirne lo sviluppo.
Sebbene tali corollari servano ad indicare le relazioni suaccennate ;
essi nulla dicono ancora intorno alla genesi della malaria od almeno alle
cause che ne favoriscono lo sviluppo. Onde venire alla indicazione di tali
cause fa d' uopo di osservare negli anni di forte sviluppo dell' endemia il
comportarsi di questa coi fenomeni meteorologici, in confronto a quanto
avviene negli anni d' una media normale ; giacché è logico l' ammettere,
che se la malaria è strettamente congiunta a speciali condizioni geologiche,
altimetriche od idrografiche del suolo, l' accrescere od il diminuire della
endemia in alcuni anni, deve stare in relazione con taluni fattori, capaci
di favorire o di diminuire la predisposizione del suolo allo sviluppo del
morbo. Tali fattori non possono naturalmente ricercarsi che nell' avvicen-
damento dei fenomeni meteorologici.
Si raccolsero perciò gli anni designati quali gravi di malaria dai
medici che risposero all'inchiesta giuntale, nonché quelli notati nelle opere
contenenti le ricerche fatte in Pola dall'ora medico ammiraglio cav. dottor
Augusto Iilek, desumendone i dati da quelle qui citate '), ed anche dalle
esperienze da me raccolte negli anni 1SS6 e 1887 nella stessa citta ed esposte
nelle due relazioni da me lette dinanzi alla Commissione sanitaria polese.
Da queste opere e relazioni vengono indicati come gravi per febbre
gli anni 1860, 1861, 1862, 1863, 1864, 1866, 1871, 1872, 1877, 1878, 1879,
1886 e 1888. Intorno ai tre primi anni ed al 1871 non mi fu dato di poter
fare dei raffronti coi fenomeni meteorologici. Intorno agli ultimi ciò mi è
invece possibile, coll'approfittare dei dati che trovatisi nelle opere succitate del
dott. Iilek, oppure delle osservazioni dell'Istituto idrografico dell'i, r. marina
di guerra in Pola, e di quelle dell' i. r. Accademia della marina in Fiume.
A tali annate io contrapposi i dati di sei anni non malarici, vale a dire degli
anni 1876, 1880, 1881, 1883, 1885, 1887, ritraendoli dalle osservazioni
eseguite dall' Accademia di commercio e nautica in Trieste, che trovansi
pubblicate nel bollettino della Società adriatica di scienze naturali in Trieste,
e da quelle dell' Istituto idrografico dell' i. r. marina in Pola. Dai dati per-
') Iilek. Op. cit. e Ueber die Ursachen dir Malaria in Vola. — Wien, 1868.
- 350 -
tìnentì ad ambedue le categorie di annate io trassi la media annuale, e questa
confrontai colla media normale, si mese per mese, che per ogni singolo
trimestre.
In primo luogo interessa di studiare le differenze vigenti fra il quan-
titativo d'acqua meteorica caduta negli anni normali e di quella caduta negli
anni malarici, al quale scopo veniva composta la tabella seguente :
Media delle idrometeore negli anni malarici 1863, 1864, 1S66, 1872,
1877, 1878, 1879, 1886 e 1888, confrontata con quella degli anni non
malarici 1876, 18S0, 1881, 188), i88; e 1887.
MESI
ANNI
malarici
Millimetri
Differenza
colla normale
non malarici
Millimetri
Differenza
colla normale
Gennaio ,
Febbraio
Marzo . ,
Aprile . .
Maggio . .
Giugno . .
Luglio . .
Agosto . .
Settembre .
Ottobre
Novembre .
Decembre ,
51.4
107.3
109.3
70.0
61.4
79.8
73.6
50.4
102.7
151.0
107.6
105.7
— 9.6
+ 52.4
+ 48.1
— 7.5
— 27.3
— 2.0
+ 9.3
— 31.2
— 14.4
+ 6.2
— 4.1
+ 23.1
39.3
63.9
81.1
73 8
108.8
117.0
73.9
111.0
145.3
132.1
121. 5
77.7
— 21.7
+ 9.0
+ 19.9
— 3.7
+ 201
+ 35.2
+ 9.6
+ 29.4
+ 28.2
— 12.7
+ 9.8
— 4.9
I. Trimestre
II. »
III. »
IV. »
Totale
268.5
225.9
226.0
368.4
1088.8
+ 91.4
— 22.2
— 37.1
+ 29.2
+ 61.1
184.4
299.9
332.0
331.5
1147.8
+ 7.3
+ 51.8
+ 69.0
— 7.7
+ 120.1
— 35i -
Lo studio di tale tabella ci mostra come nella distribuzione delle idrome-
teore durante i diversi mesi e trimestri degli anni malarici, esista una grande
differenza dinanzi a quella degli anni non malarici. Nel mentre la quantità
media delle pioggie cadute nel I trimestre degli anni malarici supera di 91.4
millimetri la media normale, quella degli anni non malarici la supera appena
con 7.3 millimetri. Per l'opposto vediamo come nel II e III trimestre pre-
valga tale differenza in favore degli anni non malarici, nei quali supera di
51.8 rispettivamente di 69.0 millimetri la media normale, in confronto degli
anni malarici, nei quali la quantità delle idrometeore è di molto inferiore
alla media. Nel IV trimestre invece troviamo che tali differenze si ripetono
a somiglianza del I trimestre, cioè in favore degli anni malarici, nei quali
le idrometeore superano di 29.2 millimetri la media, mentre i non malarici
ne sono inferiori di millimetri 7.7. In corrispondenza a tali proporzioni
riassunte vediamo ripetersi le stesse circostanze anche nei singoli mesi del-
l' anno.
Quali conclusioni derivano da tali osservazioni ? Evidentemente devesi
conchiudere che la malaria viene favorita nel suo sviluppo dalla caduta di
pioggie abbondanti nel I trimestre e da scarsezza di queste nel II, mentre
non la favoriscono o forse s' oppongono alla stessa la scarsezza di pioggie
nel lei' abbondanza nel II e III trimestre.
Tale spiccato carattere degli anni malarici con quelli non malarici in
riguardo alla distribuzione media delle idrometeore, pone, come abbiamo
veduto, la malaricità del suolo in istretta dipendenza coli' abbondanza di
pioggie nei mesi del I trimestre, e colla scarsezza di esse nei susseguenti
due trimestri. Ciò vuol dire che se il terreno viene inzuppato bene nel
I trimestre, col succedersi dei mesi primaverili ed estivi scarsi oppure nor-
malmente forniti di pioggie, lo sviluppo dei germi malarici viene esuberan-
temente favorito. Ne viene che oltre all'umidità del terreno debba susseguire
un periodo di bei tempi, favoriti dal sole, forniti perciò d' una temperatura
media o più alta del solito. — Devesi adunque ammettere, assieme alla
distribuzione delle idrometeore, la presenza d' un altro fattore, cioè della
temperatura dell' aria.
Le due tabelle che seguono registrano le temperature atmosferiche
medie negli anni malarici ed in quelli non malarici.
— 352 —
Temperatura media negli anni malarici 186}, 1864, 1866, 1877, 1878,
i8jy, 1886 e 1888 confrontata con quella degli anni non malarici 1876,
1880, 1881, 1883, 188; e 1887.
MESI
ANNI
malarici
Centigradi
Differenza
colla normale
non malarici
Centigradi
Differenza
colla normale
Gennaio .
Febbraio .
Marzo . .
Aprile . .
Maggio . .
Giugno . .
Luglio . .
Agosto . .
Settembre
Ottobre . ,
Novembre .
Decembre ,
I. Trimestre
II. »
III. »
IV. »
Totale
5.36
6.46
9.03
12.35
16.73
21.51
22.87
23.03
20.05
14.27
9.90
6.08
6.95
16.86
21.78
10.01
13.90
+ 0.19
+ 051
+ 0.65
— 0.85
— 0.72
— 0.49
— 1.14
— 0.49
+ 0.11
— 0.76
+ 0.22
+ 0.04
+ 0.45
— 0.69
— 0.72
— 0.24
— 0.38
3.80
5.98
7.93
12.80
16.11
21.11
24.96
23.23
19.50
14.10
9.63
6.60
5.90
16.67
22.81
10.11
13.87
— 1.37
+ 0.03
— 0.45
— 0.40
-1.34
— 0.89
+ 0.92
— 0.29
-0.44
— 0.93
— 0.05
+ 0.56
— 0.60
— 0.88
+ 0.31
— 0.14
— 0.41
— 353 —
Massimi e minimi medii della temperatura
negli anni suddetti.
MESI
MASSIMI
MINIMI
ANNI
malarici non malarici malarici non malarici
Gennaio .
Febbraio .
Marzo . .
Aprile . .
Maggio . .
Giugno .
Luglio .
Agosto . .
Settembre .
Ottobre . ,
Novembre ,
Deccmbre .
8.32
9.44
11.33
15.83
20.50
25.62
25.97
27.25
23.57
17.89
13.11
8.98
5.89
8.69
11.05
16.35
20.05
25.77
29.74
27.67
23.49
17.19
11.88
8.68
2.25
3.65
5.34
8.65
12.49
17.24
18.78
18.81
16.30
10.62
6.13
2.62
0.63
3.60
4.77
8.35
12.32
16.61
20.71
19.21
15.72
11.54
7.20
4.28
I. Trimestre
II.
III. »
IV.
Totale
9.69
20.65
25.53
13.32
17.29
8.54
20.72
26.96
12.58
17.20
3.74
12.79
17.99
6.45
10.24
3.00
12.42
18.54
7.64
10.40
— 354 —
Fa d' uopo però distinguere che le cifre segnanti le temperature diffe-
riscono notevolmente a seconda che le stesse sieno state desunte dalle medie
generali dei mesi o dalle medie dei massimi o dei minimi, giacché per la
influenza della nebulosità quest' ultime possono deviare sensibilmente dalla
gradazione seguita dalle temperature degli anni malarici e non malarici, nel
passaggio da un mese o da un trimestre all'altro. Vediamo diffatti, se con-
frontiamo i dati offerti dal calcolo medio delle nebulosità (Vedi prossima
tavola : Annuvolamento), come questo fenomeno trovisi quasi completamente
in opposizione ai dati offerti dalle temperature medie generali, vale a dire,
che sebbene le temperature medie generali negli anni malarici superino sen-
sibilmente nei due primi trimestri quelle degli anni non malarici, troviamo
nonostante che le cifre indicanti le medie della nebulosità sono superiori in tre
trimestri dei primi in confronto di quelle degli ultimi. Ciò non avviene invece
quando si confrontino le medie dei massimi mensili e trimestrali, nel qual caso
si vede come, eccettuato il I trimestre, il fenomeno della nebulosità trovisi in
proporzione numerica e fisica esatta con quella delle temperature ; il che
avviene in parte puranco in quanto riguarda la relazione fra i minimi medi
ed il fenomeno in parola, ove eccettuati il II ed il IV trimestre, questo
fenomeno mantiene la proporzione regolare.
Premessa tale spiegazione, necessaria onde porre in rilievo qualmente la
temperatura stessa possa trovare un moderatore nella nebulosità, la quale
coli' intercettare parzialmente i raggi del sole, ne diminuisce l'azione calo-
rifica, vediamo come complessivamente le varie temperature nei diversi mesi
o nei trimestri degli anni malarici differiscano di poco da quelle negli anni
non malarici, giacché trattasi tutt' al più di frazioni di grado, che non pos-
sono di certo esercitare molta influenza. Solamente deve colpire la supe-
riorità notata nel I trimestre, la quale può forse essere di una certa importanza
sullo sviluppo o sul mantenimento dei germi malarici nel suolo durante
il verno.
Ammessa perciò tale uniformità nel fenomeno del calore, devesi esa-
minare se l' inalzarsi della temperatura nei mesi del II e del III trimestre
produca degli altri fenomeni, che, pei dati che possono offrire, differiscano
essenzialmente negli anni malarici e negli anni non malarici.
La seguente tabella espone tali dati meteorologici negli anni precedenti,
eccettuati il 1863, 1864, 1866, pei quali non si poterono ottenere le os-
servazioni :
— 355 —
MESI
Pressione
dell'aria in mm.
ridotta a o°
Pressione
del vapore nel-
l'aria in mm.
Umidità
dell'aria in per-
cento del mass.
Annuvolamento
ANNI
malarici
non
malarici
malarici
non
malarici
malarici
non
malarici
malarici
non
malarici
Gennaio
Febbraio
Marzo .
Aprile .
Maggio .
Giugno .
Luglio .
Agosto .
Settembre
Ottobre.
Novembre .
Decembre .
761.25
762.90
5.06
4.35
73.32
73.21
6.26
759.28
762.37
5.36
5.03
74.24
70.61
6.16
758.32
758.42
6.06
5.76
73.76
70.28
5.74
756.06
757.38
8.02
7.56
73.72
67.65
5.92
759.46
758.29
9.90
9.36
68.46
68.13
5.42
758.70
758.83
13.85
12.48
69.70
66.85
5.10
758.52
759.94
14.17
14.53
68.00
61.76
4.32
759.08
758.62
14.58
13.36
66.36
63.00
4.02
760.56
759.63
12.12
11.98
68.00
70.61
4.12
761.06
759.36
9.06
9.10
73.42
73.75
4.92
760.60
761.81
6.84
6.90
75.62
76.23
6.16
761.12
760.66
4.95
5.60
71.24
74.23
6.28
5.51
5.01
5.63
5.71
5.30
4.61
3.36
3.71
4.40
5.88
6.21
5.95
I. Trimest.
780.61
761.23
5.49
5.04
73.86
71.36
6.04
II. .
758.07
75816
12.59
9.80
70.62
67.54
5.48
III. »
759.38
759.39
13.62
13.29
67.45
65.12
4.16
IV. »
760.92
760.57
6.95
7.20
73.44
74.73
6.78
Totale
759.49
759 83
9.66
8.83
71.34
69.43
5.38
5.38
5.09
3.80
6.01
5.07
Degna di menzione è fra tutti la pressione del vapore neh" aria. La
quantità media di millimetri segnata dalla tabella depone per gli anni ma-
larici una notevole superiorità, che spicca specialmente nei tre primi trimestri,
principalmente nel II, prevalenza questa che sta in relazione colle pioggie
abbondanti nel primo trimestre e col successivo e progressivo inalzarsi della
temperatura del suolo ; mentre per gli anni non malarici, tale fenomeno è
- 356 -
in prevalenza appena nel IV trimestre, in correlazione colle pioggie abbon-
danti nel II e nel III, superiori di molto a quelle degli anni malarici.
Gli stessi risultati ci offrono le cifre in percenti dell'umidità relativa,
le quali indicano pure come questo fenomeno prevalga negli anni malarici
in confronto degli anni non malarici, indizio certo dell'azione che le pioggie
primaverili possono esercitare sullo stato dell' atmosfera.
Gli altri fenomeni meteorologici non istanno in nessuna relazione colla
malaria, come p. e. la pressione atmosferica, mentre il dominio di certi venti,
se forse per alcune località può essere favorevole al trasporto dei germi, in
generale però non ha alcuna importanza nel complesso della provincia.
Dal confronto di tali fenomeni ultimamente citati risulta adunque che
la temperatura atmosferica nei mesi del II e III trimestre esercita sul suolo
molto umido negli anni malarici una notevole azione, la quale si manifesta
con un' aumentata pressione del vapore e coli' elevazione del percento della
umidità relativa. È logico perciò il dedurre, che il pronunciarsi di tali fe-
nomeni in modo straordinario in quei mesi, potrebbe servire a presagio di
uno sviluppo di febbri malariche nei mesi d'estate e d'autunno. Ne viene
di conseguenza il doversi ammettere, che per lo sviluppo delle febbri ma-
lariche esercitino un' importante azione i calori nel II e nel III trimestre,
in quanto che mediante questi viene riscaldato il terreno diggià umidissimo,
il quale, divenuto adatto allo sviluppo dei germi infettivi, non solo li man-
tiene, ma dà loro adito ad espandersi nell' atmosfera col mezzo delle correnti
ascendenti che si formano coli' evaporazione dalla superficie del suolo.
A dilucidare in miglior guisa tale fatto, io citerò ad esempio l'anno 1886,
durante il quale la malaria dominava con estrema violenza nella provincia
e specialmente in Pola. Sebbene esso faccia eccezione alle medie ora citate,
per avere avuto il massimo delle pioggie in giugno, tuttavia pel motivo
che queste furono anteriori ad enormi calori e siccità estive, può benissimo
servire ad esempio luminoso.
Durante l'anno 1886, dunque, dopo alcuni mesi di relativa scarsezza
di pioggia, nei quali il pluviometro dell' Istituto idrografico-magnetico del-
l' i. r. marina di guerra in Pola, non segnava oltre gli 84.8 millimetri ed
anzi in maggio s' abbassava a soli 28.0, nel giugno avvenivano si forti cadute
d'acqua, che l'istrumento registrava 200.7 millimetri. A tali pioggie abbon-
dantissime seguiva un'estrema siccità in luglio con soli 14.2 millimetri di
caduta d'acqua, ed appena gradatamente crescendo si raggiungeva nel de-
'cembre la cifra di millimetri 189.0. Nel luglio susseguente alle grandi cadute
d'acqua, quando il terreno era saturo d'umidità, la durata media del sole
arrivava ad ore 12 e 24 centesimi giornaliere, raggiungendo li 20 un mas-
— 357 —
simo di 97.4 in percenti. La temperatura dell'aria arrivava perciò alla media
di gradi 23.26, quella del suolo, in media, durante tutte le ore del giorno
alla superficie libera, a 31°, ed a 25 centimetri di profondità a gradi 27,
per poi, nei mesi susseguenti, diminuire gradatamente. Col crescere della
temperatura aumentava pure la pressione e l'evaporazione, la quale ultima
s'alzava di tanto, fino a raggiungere nel settembre l'apice di 3.00 millimetri,
assieme col massimo sviluppo di casi di malaria.
Il succedersi regolare di tali curve senza saltuarietà, per poi com-
binare esattamente con quelle della malaria , serve a provare che una
qualunque relazione pur vi esistesse fra tali fenomeni meteorologici ed il
decorso dell' endemia. Se a titolo di confronto vengono esaminate le cifre
offerteci da un anno di forte endemia, come fu il 1879, troviamo che nei
mesi primaverili si avessero 115.94 millimetri di pioggia, nel luglio gradi
26.6 e nell'agosto 24.7 di temperatura dell'aria, con siccità quasi assoluta
in questi due mesi, ai quali seguiva un' endemia che dava il 500 °/00 di
ammalati alla guarnigione ed il 275 %o alla popolazione civile. Se invece
osserviamo un anno relativamente immune (dico relativamente, che d' im-
munità assoluta in Pola non si può ancora parlare), nel 1875 p. e., troviamo
che il massimo della caduta d'acqua avveniva in giugno con 61 millimetri,
mentre in agosto pioveva abbondantemente, in modo che il pluviometro
segnava 120 millimetri, in un'epoca cioè, in cui negli anni d'endemia regnava
la siccità. Diffatti nel 1875 il contingente malarico era relativamente piccolo
e la guarnigione non dava che il uo%o di malarici.
Queste esperienze ch'io riassumeva nel 1886 e che indi esponeva di-
nanzi alla Commissione sanitaria di Pola, parlano evidentemente in favore
della teoria malarigenica prima accennata ; e diffatti se vuoisi ammettere che
un germe qualsiasi, appartenga esso al regno animale o vegetale, alligni e
viva in tutti quei terreni ove regna la malaria, e che questo germe per la
sua nascita, pel suo sviluppo e per la sua esistenza e propagazione abbisogni
d' umidità e di calore ; se si ammette inoltre che questo germe non viva
nell'acqua lungi dall'aria, ma che sia aerobio, cioè avido d'aria, non riescirà
arduo l'avvicinarsi alla soluzione del problema. Dal momento che si ammette
come provato, che solamente l'aspirazione dell'aria infetta valga a produrre
le febbri, si deve ritenere, che esclusivamente nell'aria si debba trovare il
germe malefico.
Neil' inverno e nei primi mesi della primavera, quando i prati e le
vallicelle sono coperti d' acqua ed in generale il terreno ne è inzuppato,
quando la temperatura è inferiore ai 150 C, i germi in parola per due motivi
rimangono inattivi ; in primo luogo perchè sono coperti dalle acque, ed in
- 358 -
secondo luogo perchè di essi non esistono che pochi esemplari intatti, com-
misti ad un numero rilevante di spore (se trattasi d'uno schizomicete), o di
un'essere in istadio inferiore (se trattasi d'un animale), che di regola resistono
persino al gelo. Quando dopo le pioggie autunnali od invernali succede la
siccità ed il terreno si essicca quasi perfettamente, periscono i germi nello
stadio primitivo per mancanza delle condizioni necessarie alla loro esistenza,
o si sviluppano in piccolo numero. Ma se invece nei primi mesi dell'anno
cadono delle forti pioggie, che ovunque umettano il terreno, ed a queste
succedono i calori estivi, i germi si sviluppano abbondantemente nel suolo,
e col formarsi delle correnti ascendenti in seguito all'evaporazione, vengono
inalzati nell'aria e si espandono nelle regioni circostanti. Pel sopraggiungere
indi delle pioggie autunnali ed invernali, il terreno viene coperto dalle
acque ed in questo modo i germi vengono trattenuti nel suolo, epperciò
è reso ad essi impossibile d' elevarvisi.
Questo fenomeno, che noi in ogni anno di malaria osserviamo in Istria,
venne pure osservato nella Campagna romana ed in altri siti ').
V.
Osservate le varie fasi dei fenomeni meteorologici, quali si succedono
negli anni d'endemia od in quelli che ne vanno immuni, sorge la domanda
come esse possano stare in relazione favorevole coi corollari dipendenti da
altri fattori ed esposti al principio del capitolo antecedente.
Accettandosi per provato che due sono i fattori meteorologici che fa-
voriscono la malaria : 1' umidità del terreno (o meglio dire la pioggia) ed
il calore, ci resta d' indagare come i momenti accennati nei corollari possano
contribuire a favorire l'effetto degli stessi.
I. Esaminando i risultati della tabella geologica, vediamo che la malaria
evita possibilmente le marne, i tasselli, e preferisce i terreni calcarei, spe-
cialmente se cretacei. Chi ha attraversata la cosidetta Istria gialla, percor-
rendo i monti da Pirano verso Momiano, Berda ecc. oppure si è recato
nei dintorni di Pisino, avrà veduto che gli strati geologici si sovrappongono
1' uno all' altro in serie esatte parallele ; avrà osservato eh' essi non sono
disposti in linea verticale al suolo, ma bensì, nella maggior parte dei casi,
') Vedi le opere citate a pag. 340.
— 359 -
in linea orizzontale ; avrà veduto od udito dire ancora, che il paesaggio è
fornito d'acque, che sgorgano abbondanti da molte sorgenti, trovantisi alle
falde dei poggi, sempre verdeggianti, od a metà del declivio. Né mai gli sarà
riescito di scoprire stagni d' acque ferme, ma invece avrà osservato che i
contadini abbeverano gli animali ai laghetti d' acque disposti attorno alle
sorgenti.
Su questi terreni non alligna che scarsamente la malaria. La causa di
tale favorevole condizione igienica però non è a ricercarsi nella qualità
speciale della roccia o della formazione geologica in generale, ma bensì
nello scolo facilitato delle acque, dipendente sì dalla disposizione degli strati,
che dalla elevatezza dei terreni sul livello del mare. Si osserva diffatti come
le acque piovane che cadono sui terreni appartenenti alle formazioni marnose,
trovino facile il defluvio verso le sottostanti valli, inquantochè le stesse dopo
aver attraversato lo strato superficiale di humus, raccolgonsi su quello for-
mato da una dura roccia d'arenaria, e scorrono su questo seguendo il declivio
dello stesso, raccogliendosi alla base delle colline, ove formano dei corsi
d'acqua. Talvolta tali acque sgorgano alla superficie del suolo alla metà dei
colli ed anche sugli altipiani formati dagli stessi, nei siti ove fanno capolino
alla superficie le teste degli strati marno-arenacei, recanti le acque raccolte
in località più elevate. È in tal modo che hanno origine le numerose sorgenti
d'acqua eccellente, che riscontratasi ovunque sulle formazioni eoceniche della
marna.
Dunque, tanto per la disposizione stratigrafica di tali terreni, quanto per
la loro elevatezza, ha luogo in essi una specie di drenaggio naturale o di
fognatura, in grazia della quale l'acqua viene smaltita, ed il terreno asciu-
gato facilmente ed in corto tempo dopo le pioggie, per quanto abbondanti
esse sieno state.
Milita però in favore di tale fenomeno anche la configurazione oro-
grafica dei terreni arenaceo-marnosi. Di confronto a quelli, di cui si di-
scorrerà in avanti, consistenti d' una continuazione non interrotta di altipiani,
intersecati qua e là da basse collinette o da vallicelle insignificanti, la zona
istriana marno-arenacea offre un continuo avvicendarsi di colli alti, talvolta
di centinaia di metri, uniti spesso fra di loro in modo da formare delle
catene lunghe parecchi chilometri, fra i quali decorrono gole anguste e talora
spaziose, allungantesi a foggia di ridenti vallate. Le acque piovane perciò
trovano facilmente lo scolo, e giù per il declivio dei colli o per l' imo delle
valli s' aprono il passaggio, e vanno a sboccare nell'alveo dei fiumi o dei
torrenti.
É naturale quindi, che nelle località ora indicate il calore dell' estate
— 360 —
non offra alla malaria occasione a svilupparsi, giacché quella stagione col-
pisce terreni regolarmente drenati.
Altrimenti avviene nei terreni della zona cretacea, ove la malaria, come
s' è veduto, vi spadroneggia.
A primo aspetto il passeggiero distingue facilmente le parti che appar-
tengono alla zona cretacea. Colpisce all'istante il colorito del terriccio, rosso
in varie gradazioni, consistente d' un' argilla ocracea, densa e pesante, che
dal Taramelli viene indicato col nome di terreno siderolitico, prodotta da
vulcani sottomarini nell'epoca miocenica; e colpisce ancora la configurazione
del suolo, che decorre a guisa di continui altipiani dall' Est all' Ovest, così
da diminuire in elevazione mano a mano che si avvicina alla costa occi-
dentale della provincia.
Tale declivio quasi regolare della zona cretacea verso le sponde del
mare, specialmente rimarcabile nei distretti politici di Parenzo e di Pola ed
anche nelle isole del Quarnero, dovrebbe riescire adatto a mantenere uno
scolo permanente delle acque piovane. Invece non è così. Raramente riscon-
transi nell' Istria rossa i ruscelli, mentre di fiumi o di torrenti non se ne
possa neppur fare parola; e scarsissime vi sono pure le sorgenti. Le acque
meteoriche perciò non scorrono al mare, ma fermansi nel terreno, dal quale
vengono assorbite, per ritornare all'atmosfera in forma di vapore, o passare pel
terreno poroso nel sottosuolo, pieno di anfratti, di sinuosità e di caverne.
Per qual motivo avviene ciò ? La causa, come ora ho accennato, è a
ricercarsi in buona parte nella qualità litologica del suolo, il quale, composto
di strati calcari-cretacei, screpolati e sparsi di fessure, permette l'approfon-
darsi delle acque piovane. In buona parte lo scolo mancato è d' attribuirsi
alla configurazione stessa del suolo negli altipiani cretacei. Ho detto più
sopra che il declivio regolare verso il mare degli altipiani in parola, dovrebbe
favorire lo smaltimento delle acque piovane, il che allora soltanto potrebbe
avvenire quando esso declivio fosse realmente regolare. Invece si osserva
che gli altipiani stessi sono formati in parte da lunghe ed irregolari vallicelle,
decorrenti in tutte le direzioni, e di basse collinette, le quali, a seconda che
sono isolate od unite fra di loro da elevazioni del suolo, precludono spesso
il varco alle vallicelle, che restano perciò altrettante conche prive di sfogo.
In aggiunta a ciò, qua e là, ad ogni pie' sospinto, s'ha occasione di im-
battersi in abbassamenti del suolo in superficie limitatissime, formanti delle
forate a guisa d' imbuto, in fondo alle quali trovasi raccolta buona quantità
' di humus. Inoltre ricorrono frequenti nell' Istria rossa le voragini, profonde
talvolta più diecine di metri, le quali quasi sempre mettono capo a caverne,
di cui è fornitissimo il sottosuolo.
- $€i -
È evidente che tali caratteri del suolo rendono frustranea la favorevole
disposizione del declivio verso il mare, per il che le acque piovane, non
trovando libero il corso verso di esso, chiuse entro le conche o convogliate
nelle forate o nelle voragini, debbono venir assorbite dal terreno, mante-
nendolo umido, e favorendo in tal guisa all' epoca dei grandi calori una
enorme evaporazione dal suolo e lo scoppio delle febbri. E che ciò avvenga
di fatto, lo manifesta il senso d'umidità che si avverte nelle ore pomeridiane
dell' estate nei paesi cretacei.
II. L' elevazione del suolo sul livello del mare influisce sullo sviluppo
della malaria in ragione inversa di se stessa. Vediamo diffatti che coli' inal-
zarsi del suolo sul livello del mare, diminuisce la malaria. Tale diminuzione
dipende in primo luogo dallo scolo delle acque, che avviene in modo più
facile nei paesi posti a grandi altezze, ed in secondo luogo dalla temperatura
dell' aria e del suolo, che in essi si mantiene ad un livello più basso, di
confronto ai paesi vicini alla costa. Devesi però aggiungere che i siti più
alti della provincia appartengono nella massima parte alle zone marno-are-
nacee, per sé stesse poco favorevoli allo sviluppo della malaria.
III. Riguardo ai boschi abbiamo veduto anteriormente coni' essi, ab-
benchè intercettino una quarta parte delle acque piovane, pure, attesa la
poca perdita che di esse avviene mediante l'evaporazione, — di due terzi
inferiore che all'aria aperta — la quantità d'acqua che trattengono mantiene
un grado d' umidità di molto superiore a quella che riscontrasi nei siti
aperti. Sebbene nei boschi la temperatura mantengasi in media annuale in-
feriore del 21% a quella dei terreni nudi; considerato però che ad onta
di tale abbassamento la temperatura conserva un grado abbastanza alto nel-
l'estate, in modo da favorire lo sviluppo della malaria ; visto anche che la
temperatura nelle ore di notte nel suolo dei boschi si mantiene più elevata
che nei terreni nudi, devesi inferire che i boschi influiscano potentemente
alla genesi ed allo sviluppo dei germi malarici. S'aggiunga che la diminuita
circolazione dell'aria entro un bosco, oltre al mantenere l'umidità, trattiene
entro di esso i germi malarici e ne favorisce lo sviluppo. Differenti possono
divenire le condizioni entro i terreni boschivi, quando la coltura di essi,
abbenchè boschiva, divenga razionale, e si provvegga ad un regolare scolo
delle acque ; giacché in tal guisa diversi fattori, causa di malaria, verrebbero
eliminati.
IV. I terreni coltivati altrimenti esercitano un'azione contraria, benché
in grado ristrettissimo, alla malaria, probabilmente pei lavori di drenaggio
od almeno di scolo, che negli stessi a scopo agricolo devono venir praticati.
I terreni incolti invece non esercitando alcuna speciale influenza sullo svi-
— 362 —
luppo della malaria, vanno soggetti alle condizioni generali e perciò non
meritano uno studio speciale.
V. Un aumento di popolazione può influire efficacemente contro lo
sviluppo della malaria, in quanto molti lavori d' indole agricola possono
contribuire a sanare il terreno, fra i quali l'escavo di fossi, l'allontanamento
dei boschi, oppure un miglioramento nelle condizioni di questi. I cenni
storici però, eh' io esporrò sulle condizioni igienico-malariche della pro-
vincia nei secoli decorsi, serviranno di certo a rendere evidente quanto il
diminuire o l'accrescere della popolazione indigena dell' Istria abbia contri-
buito a favorire o ad arrestare 1' endemia.
Mentre i dati finora esposti hanno specificato le cause che nel complesso
della provincia sono apportatrici di malaria, devesi notare ancora che altre
particolari condizioni esercitano in speciali località la loro influenza, come,
per esempio, le maremme, ed i paludi, i quali, per essere molto limitati
nella provincia, non hanno che un' importanza locale, e non influiscono
perciò in qualsiasi modo sulla teoria or ora esposta.
VI.
Che se le osservazioni antecedentemente esposte valgono forse a di-
mostrare in quale relazione trovami i vari fenomeni meteorologici colle
proprietà telluriche dei paesi malarici, apprendiamo da quelli e contempo-
raneamente dalle stesse relazioni mediche un altro momento di non minore
importanza.
Quando noi prendiamo in considerazione la serie delle località della
provincia, che sono più o meno infette dal morbo malarico, troviamo che
questa serie abbraccia un' ampia periferia, e che essa non si limita a com-
prendere dei comuni censuari aggruppati isolatamente in certe posizioni della
provincia, ma che la loro rete s' estende dappertutto, senza risparmiare né
monti, o valli, né formazioni eoceniche o cretacee, escludendo forse i paesi
posti al di là del ciglione del Carso. Tutt' al più 1' endemia nel colpire i
vari comuni osserva una certa gradazione d'intensità, e perciò essa colpisce
alcuni molto gravemente ed altri soltanto lievemente.
Vediamo indi come tale gradazione si renda più manifesta in alcuni
'anni ed in altri meno, a seconda delle varie vicende meteoriche.
Tale fenomeno ci porta perciò nell' idea che in tutta la provincia, ove
finora ebbero a svilupparsi delle endemie malariche, esista la predisposizione
— 3^3 —
al morbo, e che questa allora soltanto si manifesti, quando nel terreno
avvengano dei cangiamenti termici ed idraulici atti a favorirne lo svi-
luppo.
Siccome la predisposizione al morbo presume 1' esistenza nello stesso
dei germi malarici in uno stadio di latenza più o meno grande, ne viene
che si deve ammettere che questi germi debbansi trovare nel suolo di forse
tutta la provincia.
Se non si ammettesse tale principio, farebbe d' uopo d' arrampicarsi
sugli specchi, onde cercare la causa per la quale alcune località di solito
ritenute immuni, vengono invece talfiata colpite dalle febbri. Diffatti se cer-
chiamo tali cause nei fenomeni che vengono osservati negli anni malarici,
dovremmo di primo acchito attaccarci alla pioggia ed ammettere che i germi
malarici fossero contenuti in quelle goccie, formate dal concentramento
dell' umidità atmosferica. Ma se ciò fosse, siccome le nubi camminano, la
pioggia apporterebbe la febbre dappertutto e non in certi siti soltanto. In
secondo luogo la fantasia ci porterebbe a ricercarle in quelle correnti aeree,
le quali, per esser passate per luoghi malarici, potrebbero essere pregne di
miasmi. Lasciata in disparte la circostanza che quelle correnti aeree, come
sono veloci per gli altri siti, lo sono anche per i nostri, e che come servono
colà, potrebbero servire anche qui da scopa, restano quindi ferme le espe-
rienze del dott. Iilek l) — confermate anche da quelle eseguite in Roma
dal Denza e dal Tommasi-Crudeli l) — secondo le quali resta esclusa ogni
relazione delle dette correnti colla malaria.
Del resto il pregiudizio dell' influenza morbigena delle correnti aeree
è molto radicato nelle menti dei medici. Basta leggere le relazioni mediche
appartenenti all'inchiesta per formarsene un'idea. In quelle la malaria viene
indicata come prodotto di paludi più o meno lontane, e vi si accusano i
vari venti quali apportatori della stessa ; senza talvolta neppur pensare se
il vento sia, per la sua natura o per la sua direzione, atto a siffatto uf-
ficio. Capro espiatorio di tale accusa è in ispecialità lo scilocco. Circostanza
questa davvero curiosa, giacche non si può comprendere come venga ac-
cusato questo vento quale apportatore di miasmi, quand'esso, per la tem-
peratura della corrente che lo costituisce, sta nelle alte regioni dell'atmosfera
') Iilf.k. Op. citate.
') Tommasi-Crudeli. Clima di Roma ; e 'Della influenza dei boschi sulla malaria. Re-
lazione citata.
— 3^4 —
e da queste appena discende, quando l'equilibrio termico sia avvenuto. Altro
vento accusato gravemente è il libeccio, ed a questo specialmente alcuni
vecchi medici attribuivano la malsanìa di Pola, ammettendo che esso recasse
i miasmi delle paludi di Comacchio e della Venezia !
Non si può negare che di spesso il miasma provenga nei paesi sani
da alcune paludi poste in una certa vicinanza, ed in tal caso non è necessario
di ricorrere ai venti per cercarne l'apportatore; ma basta pensare a quelle
correnti aeree, che formansi localmente, quale conseguenza del cambiamento
nella temperatura del suolo.
Non potendosi ammettere un trasporto di germi malarici da altre lo-
calità, devesi inferire che essi preesistano nel suolo e che in esso restino
in uno stato di latenza fino a che si presentino delle circostanze atte a
favorirne lo sviluppo.
L' Istria ci porge in questo riguardo degli esempi luminosi. Abbiamo
p. e. i monti di Muggia, di Capodistria e di Pirano, alcune località del
distretto di Pisino, alcune situazioni presso Portole, ove la malaria non
comparisce che negli anni di grandi endemie, come avvenne p. e. nel 1861,
1862, 1863, 1864, 1879 ecc., mentre in alcune di esse, ogni anno, qualche
raro caso vi scoppia in forma affatto sporadica. Interessanti esperienze su
questo proposito ci offre la valle del Quieto, chiamata valle di Montona.
Questa è paludosa quasi completamente fino a buon tratto dalle foci del
fiume. Fino a che ci sono paludi vere, il morbo domina con forza ed am-
morba il paesaggio che fiancheggia la valle. Dal punto delle paludi in su,
verso le sorgenti del fiume, la valle è sana, perchè non è paludosa, ed ap-
pena in alcuni anni di grave endemia generale a tutta la provincia, vengono
colpiti i paesi che stanno sui pendi meridionale e settentrionale, come si
ebbe ad osservare in Crassezza nel 1861. Prima di quest' epoca, cioè nel
periodo intercedente dal 1837 al 1844, quando la valle era coperta di acque
stagnanti a basso livello, la città di Montona avea terribilmente a soffrirne.
Ora ciò non avviene perchè, con un eccellente sistema di scolo, le acque
vengono smaltite defluendo nell' alveo del Quieto. Il che vuol dire che
presentemente le condizioni necessarie allo sviluppo del male non esistono,
e che quando queste esistevano, il morbo compariva con tutta la sua
forza.
Tale teoria dell'autoctonicità della malaria non è nuova. Il Tommasi-
Crudeli ebbe ad avvertirne la giustezza delle condizioni malariche della
'Campagna romana e di Roma stessa. In questa città p. e. si osservava che
dopo il 1870 la malsanìa diminuiva mano a mano che in città aumentava
il numero dei nuovi fabbricati e l'espansione del lastricato delle vie, il quale
- 3^5 -
ei quali avrebbero precluso l'adito nell'atmosfera ai numerosi germi ma-
larici contenuti nel suolo ').
Se ciò non bastasse a provare 1' autoctonicità della malaria nel suolo,
contribuirebbero ancora i numerosi bonificamenti eseguiti con ottimo esito
in molti Stati, fra i quali voglio citare ad esempio quello offerto dai din-
torni di Monaco in Baviera, i quali, una volta malarici, ora sono divenuti
sani, in grazia dei lavori di drenaggio eseguitivi !). Il Michigan negli Stati
uniti d'America, malarico per eccellenza, diveniva alla sua volta sano com-
pletamente a merito anche qui degli eseguiti lavori di drenaggio, mentre
nell'anno 1887 un inalzamento delle acque del sottosuolo portava con sé
un pronto sviluppo di febbri malariche a caratteri tifosi, indizio questo della
morbilità latente del suolo 8).
Ci sono adunque delle località in provincia nelle quali, perchè si svi-
luppi la malaria, deve succedere delle cadute enormi d'acqua nel I trimestre
dell'anno, scarsezza di pioggie nel II e nel III, con grandi calori nell'estate.
Ce ne sono delle altre, invece, in cui la malaria domina ogni anno, ed in
cui il numero dei colpiti varia più o meno a seconda delle vicende me-
teoriche prima accennate. Si deve però ritenere che, eccettuate le località
conosciute per assolutamente sane, il miasma malarico esista nel suolo in
tutti quei siti nei quali il morbo si manifesta in forma endemica ogni anno
o di tratto in tratto, e che la frequenza di tale sviluppo si trovi in con-
nessione colle condizioni speciali del suolo, colla posizione più o meno ele-
vata, colla coltura e col numero della popolazione. Esclusi poi alcuni siti,
in omaggio a circostanze del tutto locali e speciali, la malaria non viene
importata mediante le correnti aeree, ma si sviluppa nel suolo stesso ove
essa domina e preesiste.
■) Tommasi-Crudeli. Op. cit.
*) Schneller Albert. Ueber die Verbrcitutig des fVechselfiebers in "Bayem und dessett
Abnahme in den ìet^len lahr^ebnlen. Mit 2 Kartcn. — Miinchen. Ios. Ant. Finstcrlin, 1887.
*) Henry B. Baker. Typhoid Fever and ìow WaUr iti We\h. — Lansing Mich. : W.
S. George & Co. State Printers and BinJers, 1885.
— 366 —
Condizioni igieniche e demografiche della provincia
nei secoli passati e loro nesso colla genesi della malaria.
VII.
Le indagini fatte negli ultimi decenni da esimi patriotti intorno alle
condizioni demografiche ed economiche dell' Istria antica, ci sono scorta a
giudicare con criteri abbastanza esatti sulle condizioni sanitarie di essa, sì
nei tempi preistorici, che nei posteriori. E già si venne a conoscere, con
probabilità d' aver colto nel segno, chi fossero gli abitatori dei castellieri,
che cingono i vertici di buon numero delle colline isolate dell'Istria e di
molte altre eminenze, e a penetrare negli usi e costumi loro. Codeste no-
tizie ci porgono il filo che serve a svolgere con maggiore facilità il gomitolo
arruffato delle condizioni igienico-telluriche di quei tempi.
Il dott. Kandler, trascorrendo la provincia, enumerava 321 castellieri.
Presentemente si sa che il loro numero è maggiore. Le ricerche del dottor
Andrea Amoroso ') davano per risultato che dei castellieri noti, 42 appar-
tengono all' Istria superiore (negli attuali distretti giudiziari di Trieste, Ca-
stelnuovo e Volosca); 123 all'Istria media (distretti di Capodistria, Pirano,
Pinguente, Montona, Pisino ed Albona) e 141 all' Istria inferiore (distretti
di Buje, Parenzo, Rovigno, Dignano e Pola), nonché altri 15 nelle isole di
Veglia, di Cherso e dei Lossini, dei quali Cherso sola ne conta 8.
Tale distribuzione ci offre buon indizio a giudicare quanto differenti
fossero le condizioni igieniche di quei tempi dalle attuali, imperocché ve-
diamo che quelle parti della provincia che nei tempi preromani erano molto
abitate, ora sono invece o spopolate o scarse molto di popolazione, in seguito
appunto alle stragi prodotte dalla malaria. Colpisce infatti il vedere come
l' Istria inferiore, ove la malaria attualmente domina con fierezza, fosse la
parte più abitata, e come il numero dei castellieri andasse sensibilmente
diminuendo in proporzione inversa coll'attuale salubrità del suolo nell'Istria
media e notevolmente nelP Istria superiore, ora sana del tutto.
') Andrea dott. Amoroso. / castellieri istriani e la necropoli di Fermo. Negli « Atti
e memorie della Società istriana d'archeologia e storia patria». Annoi, volume unico,
pag. 53-74.
- 3*7-
Volendo anche attribuire tali circostanze a cause indipendenti affatto
dalle condizioni igieniche, come p. e. alla maggiore o minore fertilità
del suolo, all' ubicazione esposta a più o meno facile difesa ecc., non si
menoma perciò la chiarezza delle cifre ed il valore della testimonianza da
loro offerta. S'aggiunga che tale testimonianza accresce di pregio, quando
si consideri che nelle regioni malariche i castellieri occupano appunto i punti
più infetti, come accade di osservare nelle vicinanze di Parenzo, i cui colli
circostanti, un di sede di castellieri, se rendono pittoresco e svariato l'agro
paremmo, non si può negare tuttavia che vi domini intorno ad essi un'at-
mosfera mefitica e grave di germi della malaria.
Tali fatti ci dicono adunque come nei tempi preromani fosse salubre il
suolo istriano, e corri' esso fosse ricco d'abitanti robusti e forti, dediti alla
caccia, alla pastorizia, all' agricoltura, alla pesca, ed alla navigazione.
Il Kandler li vuole 120,000 di numero1) ed il De Franceschi 160,000*),
valorosi e capaci di tener fronte gagliardamente alla potenza romana, e di
tentare, dopo le gravi perdite subite nel 177 a. C, una riscossa nell' anno
128 a. C.
Le isole stesse del Quarnero, nelle quali oggi la popolazione non è
molto abbondante, aveano a quei tempi un numero assai più grande d'abi-
tanti. Scimno Chio, geografo anteriore d'un secolo all'èra cristiana, assegna
alle isole Assirtidi, Liburne ed Elletridi cento cinquanta migliaja di barbari,
i quali erano coltivatori d' ottimo terreno, che loro somministrava ricchi
prodotti ed animali fecondi ').
E tali condizioni perdurarono nelle epoche del dominio romano, durante
il quale l' Istria fioriva per straordinario numero di popolazione, forse il
doppio del presente *), per la serie di belle città che adornavano la sua costa
e P interno, le quali, secondo P Anonimo ravennate, scrittore del VII od
Vili secolo della nostra èra sarebbero state in numero di dodici, mentre
altri autori, come Plinio, Tolomeo, Strabone, le fanno ascendere a venti.
Salubre doveva essere il suolo istriano nell'epoca romana. Lo stato di
floridezza di molte città, cui nei secoli posteriori la malaria distruggeva o
') Kandler. Istria. Anno VI, N. 18.
*) De Franceschi. L'Istria. Note storiche. — Parenzo. G. Coana, 1879, pag. 49.
*) Scimno Chio. Urbis descriptio, v. 372 e scf. : « Sinum Adriaticum ferunt barba-
rorum multitudinem circumhabitare centum fere et quinquaginta myriadibus, regionem
optimam colentium et fructuosani, gemellos enim parere ctiam pecora ajunt».
') De Franceschi. Op. cit. pag. 57.
— 368 —
quasi, come Cktanova, Parenzo, Pola, Umago ; le rovine di molte ville ro-
mane, di bagni, di opifici ecc. che noi troviamo sparse ad ogni pie' sospinto
lungo la nostra costa e anche neh' interno, ci fanno credere per lo meno
alla innocuità del terreno in quei tempi fortunati, e quindi alla mancanza
di quell' atmosfera mefitica, che ovunque ora si solleva dal suolo ocraceo
dell' Istria media e meridionale.
Ed anche quando le aquile romane cominciavano a piegarsi alle orde
feroci dei barbari, che irruenti attraverso le Alpi gettavansi con rabbida
fame sul decrepito colosso romano, l' Istria continuò a godere d' un benessere
relativo. La costa era ancora adorna di ville; le città facevano ancora pompa
di splendidi palazzi; tant' è vero che allorquando nel 538 Cassiodoro, mi-
nistro del re Vitige, dirigeva ai nostri antenati la famosa Epistola, ei non
trova che espressioni di grande meraviglia '). « L' Istria — scriveva egli —
» è provincia prossima a noi (Ravenna) posta sull'Adriatico, coperta di olivi,
» ornata di granaglie, abbondante di viti, dai quali, come da tre mammelle
» abbondantissime, fluisce con desiderabile fecondità ogni prodotto. La quale
» meritatamente vien detta la Campania di Ravenna, la dispensa della città
» reale, voluttuoso e delizioso diporto, progrediente verso settentrione in
» mirabile temperatura d' aere. Ha sue, che non a torto direi, Baje, nelle
» quali il mare ondoso entrando nella concavità del suolo, s'arresta placido
» in bella forma di stagni. Questi luoghi nutriscono molti crostacei, e sono
» in fama per l'abbondanza dei pesci. Ne un solo Avemo vi ha, numerose
') Epistolario di Cassiodoro. XXII. 22 (Kandler. Istria. IV, anno 1849, N. 5, e
Codice diplomatico istriano). Estratto : « Est enim proxima nobis regia supra sinum maris
Ionii constituta, olivis referta, segetibus ornata, vite copiosa ; ubi quasi tribus uberibuì,
egregia ubertate largitis omnis fructus optabili foecunditate profluvit. Quae non immerito
Ravennae Campania, urbis regiae cella penuria, voluptuosa nimis et delitiosa digressio,
fruitur in Septentrione pregressa, coeli admiranda temperie. Habet et quasdam, non absurde
dixerim, Baias suas; ubi undosum mare terrenas concavitates ingrediens, in faciem decoram
stagni aequalitate deponitur. Haec loca et garismatia plura nutriunt, et piscium ubertate
gloriantur. Avernus ibi non unus est. Numerosae conspiciuntur piscinae neptuniae ; quibus
etiam cessante industria, passim astrea nascuntur injussa. Sic nec studium in nutriendis,
nec dubietas in capiendis probatur esse deliciis. Praetoriae longc lateque lucentia, in mar-
garitarum speciem putes esse depositas ; ut hinc appareat qualia fuerint iliius provinciae
Majorum judicia, quam tantis fabricis constat ornatam. Additur etiam illi litori ordo pul-
cherrimus insularum, qui amabili utilitate dispositus, et a periculis vindicat naves, et ditat
magna ubertate cultores. Reficit piane comitatenses excubias, Italiae ornat imperium, pri-
mate delitiis, mediocres victualium pascit expensis, et quod illic nascitur, pene totum in
urbe regiae possidetur ».
— 3^9 —
» si vedono le piscine di mare, nelle quali, anche cessando l'industria, na-
» scono spontanee le ostriche; cosicché non occorre studio nel nutrire, né
» incertezza nel pigliare le cose delicatissime. Crederesti i palazzi da lontano
» ed ampiamente splendenti, essere disposti a guisa di perle, per li quali è
» manifesto quanto ben giudicassero i maggiori nostri questa provincia, se
» la ornarono di tante fabbriche. Aggiungi quella bellissima serie d' isole
» lungo il litorale, la quale disposta a gradito vantaggio, ripara le navi da
» pericoli, ed arricchisce i coltivatori con grande ubertà. Fornisce di tutto
» la milizia comitatense, adorna l'impero d'Italia, dà delizie ai primati, vitto
» ai mediocri, e quanto produce passa alla citta regale ') ».
Siffatte condizioni felici, ad onta delle irruzioni dei barbari, delle distru-
zioni e depredazioni dei luoghi, continuarono per diversi secoli ancora. Ce
ne offre una prova il geografo arabo Abu-Abdallah-Mohamed-al *), cono-
sciuto sotto il nome di Edrisi, il quale avendo viaggiata la provincia nel
secolo XII, la descriveva nella sua Geografia nubiense e faceva cenno di
splendide e popolose città, di cui alcuni secoli più tardi molte perdevano
ogni importanza, riducendosi a semplici villaggi. Riproduco il brano, attesa
la sua speciale importanza ') : « b.rnnah (Pirano) è città ragguardevole
» bub.lah (Buje), città grande e popolata um.lah che dicesi pure
» 'ngjab (Insula. Isola), città popolata di Franchi (italiani) àmag'.ii
» (Umago), la popolazione é di Franchi e la città è posta alla marina
» g'.b.hntbab (Cittanova), che è la nuova città appartenente ai Franchi
» Essa è divisa in due pani, delle quali una è al piano, 1' altra sopra un
» monte che domina il mare b.r.n'g'.ii, che altri chiamano b.r.n^tl
» (Parenzo) é città popolata, molto fiorente, ed ha legni da guerra e navi
» numerose rig.nù (Rovigno), che appartiene ai Franchi
» é città grande con dintorni ameni e molto popolata bulab (Pola)
» è bella, grande e popolata, ed ha naviglio sempre allestito mu.diilituìb
» (Medolino), città ragguardevole e popolata albiinab (Albona)
» /.làmina (Flanona. Fianona). Queste due città sono popolate
» àl.wranah (Lovrana) é città grande popolata, in prospere condizioni ; ha
» navi sempre pronte e costruzioni navali incessanti. Sul confine orientale
» di questa regione trovatisi montagne continue e deserte lande ». Nomina
poi quali luoghi notevoli tamal.r.s (Mattcrada) e d.sl.ri.s (Capodistria).
') De Franceschi. Op. cit. pag. 56.
') Nacque a Ccuta nel 1099.
') "Provincia dell'Istria. Periodico bisettimanale in Capodistria, anno XIX, N. 11.
— 370 —
Due secoli dopo, abbenchè le floride condizioni dell'Istria, per cause
che più tardi si passerà in rassegna, fossero diggià sensibilmente depresse,
troviamo che l'aria ed il clima si mantenevano ancora favorevoli. La città
di Capodistria, su cui nei secoli posteriori la malaria aggravava la sua azione
fatale, godeva nel 1363 fama di tale salubrità e mitezza di clima, che il
Petrarca invitava da Venezia il Boccaccio a passarvi alcuni giorni, onde fug-
gire, se egli le temesse, le mefitiche emanazioni della palude veneta. « Ibimus
» hinc — egli scriveva — erisque tu mihi secessionis, fonasse utilis at pro-
» fecto delectabilis, auctor et comes. Commigrabimus Iustinopolim ac Ter-
» gestum, unde mihi fidelibus votiva temperis nunciatur ') ».
Appena nel secolo XIV parlano le memorie d' un' insalubrità del suolo
istriano. La prima testimonianza infatti, la troviamo in alcuni dati che ci
offrono i Senato misti, dai quali risulta appunto come il doge concedesse al
podestà di Cittanova di poter passare, fai causa dell'insalubrità dell'aria*),
tre mesi dell' anno a Venezia. E la malsania dei luoghi s' andava vieppiù
estendendo per la provincia e per le isole contribuendo ad aumentare la
desolazione e lo spopolamento, causati dalle pesti e dalle guerre di quei
tempi.
Accennato così per sommi capi all'antica salubrità del suolo istriano,
mi farò a cercare, per quanto le notizie raccolte lo possano permettere, le
cause che nel corso dei secoli lo deteriorarono.
Vili.
Abbiamo veduto nei capitoli precedenti, come il miasma malarico, di
cui si deve ammettere la preesistenza nel suolo, venga favorito nel suo
sviluppo dall'umidità e dal calorico. Le notizie storiche esposte or ora in
succinto farebbero credere che l' Istria nei tempi antichi fosse sana. Ne viene
di conseguenza, doversi ammettere la mancanza nei detti tempi di quei fe-
nomeni meteorologici, che sono sorgente di umidità e di calore. Ma siccome
ciò non è ammissibile, si deve pensare che il suolo si trovasse sotto l' influsso
') Fr. Petrarca. Ep. Seti. Lib. III. Ep. 1 verso la fine (7 settembre 1563). «Ar-
cheografo triestino »; serie vecchia, voi. I, pag. 236.
*) « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria » voi. Ili,
pag. 30.
— 37i —
di circostanze speciali, mercè le quali l'azione dei detti fenomeni rimanesse
in buona parte paralizzata.
Le ricerche antecedentemente esposte ci davano per risultato che la
umidità del suolo proviene dal deficiente drenaggio, dalla coltura boschiva,
dalla poca elevatezza del terreno sul livello del mare, ed anche dalla man-
canza di popolazione. Citiamo quest' ultimo momento perchè esso può in-
fluire sulla mancata attivazione di bonifiche idrauliche e sul dissodamento
del terreno.
Sarebbe arrischiato l'ammettere che nei tempi preromani venissero ese-
guiti dei lavori di drenaggio. Almeno qui in Istria non se ne hanno vestigia.
La vita semplice delle tribù che l'abitavano prima dell'occupazione romana,
non richiedeva certo 1' attivazione di bonifiche ; ed anzi in quei tempi il
ristagno delle acque era di certo minore che al giorno d' oggi, attesa la
elevatezza maggiore del terreno sul livello del mare. Forse che nei tempi
romani vennero praticati dei lavori di scolatura delle acque, ma per quanto
a me consta, almeno nell'aperta campagna, non ne vennero scoperte mai
traccie ; mentre tali lavori venivano eseguiti nelle citta con ammirabile arte,
come s'ebbe campo di accertarsene a Pola ed a Parenzo nel tracciato dei
canali romani.
La mancanza di lavori di fognatura nei predi romani in Istria è cosa
che sta in aperta contradizione cogli usi di quella nazione, la quale attribuiva
ai lavori di drenaggio una speciale importanza. Il passo di Columella che
qui citiamo ') varrà di certo a darcene un'idea. «Parleremo — dice egli —
» come si possa apparecchiare a coltura una regione selvatica, perchè pre-
» parasi prima il terreno e poi si coltiva. Consideriamo adunque se il terreno
» è umido o secco, coperto di giunchi, o vestito di gramigna o impedito
» di selci ed altri arboscelli. Se sarà umido si facciano i fossi, i quali sono
» di due maniere; coperti (fognature) e scoperti (affossature) *). Nelle regioni
» di terreno compatto e cretoso si facciano le affossature, ma ove la terra
» è più sciolta alcuni fanno le affossature, altri le fognature, che mettono
') Columella. Lib. II, 2. Dall'opera : Manzi Luigi. L' igiene rurale degli antichi romani
in relazione al bonificamento dell'agro romano. «Annali d'agricoltura» 1885 (Ministero di
agricoltura, industria e commercio). — Roma. Er. Botta, 1885, pag. 76.
*) «In cultum igitur locum consideremus, siccus an humidus-nemorosus arboribus;
an lapidibus confragosus ; juncone sit an gramine vertitus, ac silictis aliisve frutetis im-
peditus. Si humidus erto, abundantia uliginis ante siccetur fossis. Earum duo genere co-
gnovimus, caecarum et patentium ».
— 372 —
» capo alle affossature. Facciami queste più larghe di sopra e pendenti re-
» stringendosi in fondo, come un capo volto in giù. Perchè in quelli che
» hanno i lati erti, cioè sono rettangolari, si corrompono più facilmente le
» acque, e la terra, che vi precipita di dentro, le ricolma. Le fognature si
n scavano alla profondità di tre piedi; la metà si riempie con ghiaja e piccole
» pietre, e si appiana il terreno. Non essendovi ghiaja o pietre, vi si buttano
» fascine, le quali formino una graticciata, sicché copra il suolo. Si cercherà
» poi di coprirle con terra calcata, mista a foglie di pino e di cipresso ed
» altre frondi. Si mettano ai due lati di sopra della fossa grosse pietre, come
» si pratica appunto per i piccoli ponti, e sopra di esse una terza per as-
» sodarne in tal modo le sponde e per facilitarne le scolo delle acque1)».
Di tali lavori finora non ne vennero scoperti in Istria, circostanza
questa rimarchevole, quando si consideri quanto estesa fosse nella provincia
la colonizzazione romana. Ciò ci autorizza a supporre che tali affossature
o fognature non fossero necessarie, per la mancanza in generale d'una so-
verchia umidità del terreno, la quale circostanza attesta pure la salubrità del
clima d' allora.
Ciò che ora esporrò, servirà a maggiormente avvalorare una tale sup-
posizione. Si ha motivo a ritenere positivamente che i coloni romani co-
noscessero benissimo il morbo ; giacché la malaria esisteva in Roma e nei
suoi dintorni persino nelle epoche del massimo suo splendore, e tutt' al
più era limitata a piccole dimensioni dai lavori praticati e dalla saggia coltura
agricola. Ai tempi in cui l' Istria passava divisa fra i coloni romani, la ma-
laria regnava in quelle località della regione romana ove trovavansi Ardea,
Anzio, Lavinio e Pomezia, delle quali quest' ultima spariva ai tempi di
Tiberio. Un esempio luminoso della conoscenza del morbo malarico da parte
dei coloni romani lo troviamo in Tito Livio, il quale racconta che nel
secolo V di Roma (anno 413 U. C. ; 339 a. C), durante la guerra San-
nitica, Capua, che si era resa per capitolazione ai Sanniti, veniva ripresa
dalle legioni, e che dopo la vittoria i legionari si ammutinarono. La ragione
dell' ammutinamento era questa : trovavano strano che la gente, la quale
non era stata capace di difendere le ubertose terre dell'agro campano, tor-
nasse a godersele, e domandavano se fosse giusto che essi invece, che si
erano rovinata la salute nella guerra, dovessero ritornare a lavorare nel suolo
ingrato e pestifero dell' agro romano, ovvero restare dentro Roma a discre-
') Vedi anche Plinio H. N. Lib. XVIII, 49.
— 373 —
zione degli usoraj '). Notisi in aggiunta il fatto che a Roma era da molto
tempo stabilito il culto alla Dea Febbre. Ad essi perciò non potevano essere
ignoti i lavori di drenaggio praticati nella capitale e nei dintorni della stessa;
lavori esattissimi e capaci di smaltire prontamente le acque del sottosuolo
e di sanare per conseguenza il terreno *). Il non aver i romani eseguito tali
lavori in Istria, che pure occupavano dall'alto al basso, immedesimandosi
cogli antichi abitatori ed abitandone le sedi, vuol dire che di tali lavori non
faceva d'uopo perchè il terreno era sano.
Altrimenti sta la facenda riguardo ai boschi. Le testimonianze degli
antichi autori recano che l' Istria fosse coperta da folte ed alte selve, in-
signi per la bontà del legname; composte di quercie, di aceri e di pini').
A motivo di queste selve, il terreno sarebbe stato più umido d'oggidì, cosi
almeno lo descrive Scimno Chio 4), mentre esse avrebbero prodotto una
maggiore mitezza di clima in confronto dell' epoca presente. L' umidità
maggiore del suolo nei terreni imboschiti doveva esistere realmente, e per
essa sarebbe stato certamente favorito lo sviluppo del germe malarico,
quando il suolo lo avesse contenuto. Siccome però i boschi non sono fattori
di malaria che in maniera indiretta, vale a dire non producono il morbo,
ma lo favoriscono soltanto quando ricoprono terreni malarici 5), la loro presenza
parlerebbe in favore della salubrità del suolo istriano di quei tempi, perchè
') Tiro Livio. Libro VII, Capit. XXXVIII. Da Tommasi Crudeli op. cit. pag. 55
« An aequum essct dcdititios suos (Capuae) illa fertilitatc atque amoenitatc pcrfrui, se,
militando fessos, in pestilente atque arido circa urbeni solo luctari, aut in urbem insidentem
tabem crescentis in dies foenoris pati?».
') Tommasi-Crudeli. Op. cit. pag. 50-51.
*) Strabone. (Strabonis Geographica Graece cum versione reficta curantibus C. Mol-
lerò et F. Dubnero — Parigi, 1853). 5. 1. 12.: «Et quae colitur terra, omnis generis
copiosos praebet fructus; et sylvae tantum glandis suppeditant, ut ex porcorum gregibus,
qui ibi pascuntur, Roma fere alatur». — Indi Plinio H. N. 16, 15 : «Acer ejusdem fere
amplitudinis, operum elegantia ac subtilitate cedro secundum. Plura ejus genera. Album
quod praecipui candoris, vocatur gallicum, in transpadana Italia transque Alpes nascens.
Alterum genus crispo macularum discursu, qui cum excellentior suit, a similitudinae caudae
pavonum nomen accepit, in Istria Rhaetiaque praecipuum». — Benussi. L' Istria sino ad
Augusto. — Trieste. Herrmanstofer, 1883. (Estratto dall' «Archeografo triestino») pag. 258.
') Scimno Chio. Op.cit. v. 372. «Aer autem a Pontico diversus apud eos est, quamvis
vicini Ponto sint. Non nivosus enim neque nimis frigidus, sed humidus omnino usque
permanet ; subito vero turbulentus ad mutationes, praesertim aestate, presterumque et
jactus fulminum dictosque habet typhones. — Vedi anche Benussi, op. cit pag. 260.
*) Tommasi-Crudeli. Op. cit. pag. 100.
— 374 —
se questo non fosse stato salubre, la maggior umidità avrebbe reso impos-
sibile 1' abitarlo.
Però l'umidità del suolo e dell'atmosfera dominante in quei tempi nel-
T Istria, in un grado a quanto sembra maggiore d'oggidì, trovava un mo-
deratore nell'elevatezza del terreno sul livello del mare superiore alla odierna.
Per tale circostanza lo scolo delle acque era più facile, così pure la tem-
peratura dell' aria dovevasi mantenere ad un grado inferiore dell' attuale ;
ed anzi in questo riguardo, in grazia delle selve che coprivano in maggior
estensione le montagne settentrionali che cingono la provincia, le vicende
atmosferiche e per conseguenza anche i mutamenti nella temperatura non
dovevano essere sì repentini come adesso. Ciò ammette mitezza di clima
sì nell' inverno che nell' estate, condizioni queste che depongono per una
maggior salubrità della provincia a quei tempi.
Si fece cenno superiormente dei mutamenti nell' elevatezza del suolo
istriano, i quali sarebbero avvenuti dall'epoca romana fino ai nostri giorni.
È cosa ormai accertata, che la costa orientale dell'Adriatico — e per
conseguenza anche quella dell' Istria — va abbassandosi lentamente, ma
costantemente. Questo abbassamento viene calcolato da qualcuno per 0.3 m.,
e da altri, con più ragione, per 2 centimetri ogni secolo '). Di tale abbas-
samento abbiamo diverse prove. Troviamo notate negli autori che scrissero
sull'Istria, delle isole che ora più non esistono. Dalla punta di Salvore in
giù vediamo segnate le isole Sepomaja o Sepomago s), che ora sono ridotte
probabilmente alle secche di Sipar. Più a mezzogiorno c'erano le isole di
Cervera, ora semplici scogli, visibili soltanto durante le basse maree '). Da
Rovigno a Pola lungo la costa s'estendevano due gruppi d' isole : le Ossane
e le Pullari. Cissa s'estendeva in continuazione all' isola di 5. Andrea (chia-
mata allora Sera) fino alla punta Barbarica, che mantiene tuttora il nome
di punta Cissana, ed era, come si ha motivo a ritenere, molto abitata *).
') Benussi. Op. cit. pag. 26. — Filiasi Giac. Memorie storiche dei Veneti primi e
secondi. Voi. 5. 17. — Carli. ^Antichità italiche. 3. — Kandler. Istria. 1. 5. — Dott. G.
F. Hahn. Untersuchungen ùber das Aufsteigen und Sinken der Kùsten. Lipsia, 1879, § 91. —
Iilek. Op. cit. pag. 47.
*) Tabula Peutingeriana 0 Teodosiana. Marco Welser. — Venezia, 1591. — Sonvi
segnate le isole Sepomaja, Ursaria, Pullaria.
' ») Ravennatis Anonymi (Guidonis presbyteri IX saeculi). Geographia, Lib. V, varie
edizioni. — Segna le isole Poraria, Sera, Cissa, Pullaria, Ursaria, Cervaria.
4) Kandler. Istria, anno 3, n. 52 e Codice diplomatico istriano, a. 750.
— 375 -
Quest' isola sprofondava nel salso sul finire del secolo Vili, e tuttora, quando
il mare è calmo, si possono scorgere nel fondo estese rovine di fabbricati ').
Tale abbassamento del suolo viene in aggiunta confermato da altre
circostanze. Praticando degli scavi in quelle che già furono città romane
dell' Istria litoranea, avviene spesso d' imbattersi in pavimenti formati di
magnifici mosaici di pretto lavoro romano, i quali trovansi nella massima
parte ad un livello inferiore dell'attuale alta marea. Siccome non è ammis-
sibile che quei pavimenti sieno stati costruiti originariamente a quel livello,
il che avrebbe assoggettato 1' abitazione ad un continuo allagamento, ne
viene che si deve ammettere che dall'epoca della loro costruzione ad oggi
sia avvenuto un notevole abbassamento del suolo. Rimarcabilissimo fu ed
è questo fenomeno a Parenzo, dove anche di recente, scavandosi le fonda-
menta per erigere la nuova ala del palazzo provinciale, e cosi pure negli
scavi praticati nella Cattedrale a scopo archeologico, si ebbe a constatare
qualmente il livello dell'impiantito romano, tuttora visibile nei residui dei
mosaici, fosse di circa 60 centimetri inferiore dell' attuale, e quindi acces-
sibile all' acqua del mare nell' alta marea.
Un'altra prova di ciò la troviamo in quanto ci è narrato dal Kandler ').
Il fu marchese Francesco Polesini partecipava li 7 agosto 1849 al dottor
Kandler quanto segue : « In un orto del sig. Francesco Corner, degno nostro
» Podestà, quasi a filo di terra esistono alcune traccie di archi, sulli quali
» erano state inalzate le antiche civiche mura. — Spinto da quella lodevole
» curiosità di conoscere le cose andate, ha pensato di fare un escavo, onde
» assicurarsi fino a qual punto giungessero le loro fondamenta. Levata in
» parte la terra che li ingombravano, si presentarono infatti due grandi archi
» di uno stile gentilissimo, non comune, benché costrutti da semplici pietre,
» senza segni d' architettonici fregi. Sono sostenuti questi da un pilastro
» della doppia grossezza di quello di ciascun arco. Al fondo ove sorgono si
» trovò un selciato durissimo e bene compatto di ciottoli, il quale fa conoscere che
» eravi una strada formale; questo suolo è al livello del mare ». È naturale
che tale strada non venne costrutta al livello del mare, ma che invece vi
giunse pel consecutivo abbassamento del suolo.
Sebbene tale abbassamento non corrisponda, come fu detto, che a forse
due centimetri per secolo, pure, calcolando i secoli che sono decorsi dal-
') Benussi. Op. cit. pag. 26. Nota 41 in fine.
') Kandler. Istria, anno VI, n. 45.
— 376 —
l'epoca dell'occupazione romana fino a noi, nel numero di circa diecinove,
avremmo d' allora ad oggi una differenza di 38 centimetri, cifra di certo
non indifferente. Le conseguenze di tale abbassamento si possono supporre,
ma difficilmente decifrare ; giacché i cambiamenti apportativi in linea idro-
grafica, possono essere stati influenzati favorevolmente o sinistramente anche
da altre circostanze.
Se noi esaminiamo, a cagion d' esempio, le descrizioni che ci danno
gli antichi scrittori delle cose istriane intorno ai corsi d' acqua della pro-
vincia, troviamo delle enormi differenze fra quei tempi ed i nostri, special-
mente in quanto riguarda l' interrimento delle valli in cui scorrono.
La valle di Stagnone, nella quale scorre il fiume Risano, noto ai tempi
romani sotto il nome di Formione (Formio), era allora occupata dal mare
per un' estensione molto più vasta che al presente '). In essa valle il colle
di Sennino formava un' isola, quando in oggi per le alluvioni è unito alla
terraferma. Le alluvioni quindi succedutesi alla costa, specialmente alle falde
dei monti di formazione marno-arenacea, producevano ulteriori interrimenti,
pei quali l' isola Capraria, sulla quale ora sta Capodistria veniva unita alla
terraferma. Altrettanto può dirsi dello scoglio su cui ora sorge Isola.
La stessa cosa avveniva nella valle AtW'Argaon o Dragogna, ora nota
sotto il nome di valle di Sicciole. Il mare, che ora appena arriva ad una
linea, che dalla punta di Sezza si estende fino al Porto Madonna, a quei
tempi lambiva il colle di Castelvenere.
Più manifesti sono tali mutamenti nella valle del Quieto, detta Valle
di Montana. Il fiume che la percorre è il Quieto, forse l' litro degli antichi,
il Nengon dell'Anonimo ravennate s). La valle principia presso Pinguente a
piedi del ciglione del Carso con due braccia; l'una attraversata dalla Braz-
zana, l'altra percorsa dal Quieto. Riunitisi i fiumi sopra Sovignacco e ri-
cevuta a sinistra la Bottonegla, continua il Quieto il suo corso per la valle
fino al porto Quieto. Il fiume ora non lascia il passaggio che a barche
piccole, le quali, appena quando il colmo d' acqua lo permetta, possono
ascenderlo fino sotto Montona. Anticamente invece tutta la parte inferiore
era canale marittimo, pel quale il mare penetrava fino sopra Pietrapelosa,
ed anzi fino alle Porte di ferro verso Pinguente. Ora pei depositi alluvio-
nali che rialzano la valle da metri 1 a 1.5 per ogni secolo, e per la tra-
') Benussi. Op. cit. pag. 13. Note.
2) Ibid.
— 377 —
scurata canalizzazione, il canale è ridotto ad un fiume d' un alveo molto
ristretto. Le alluvioni interrirono pure in parte il porto Quieto, che alcuni
secoli sono era capace per ogni naviglio. Diggià nel secolo XVII l'inter-
rimento era notevole e si rimpiangevano i tempi quando le galere venete
ascendevano il fiume per 8 o io miglia ').
La stessa cosa si ripete nella valle dell'Arsa, nella quale oggidì il mare
s'interna per 15 eh 'ometri, mentre anticamente s'internava per 23 *).
È naturale che tali mutamenti nell'aspetto delle valli, tanto per la re-
strizione avvenuta nella libertà di decorso delle acque, quanto per la perdita
di terriccio sofferta dai monti, non potevano essere scevri d'influenza sulla
intera idrografia della provincia, e favorire l'effetto del progressivo abbas-
samento del suolo.
IX.
Mentre le circostanze esposte nel precedente capitolo, e che servono a
provare la salubrità dell' Istria nei tempi preromani e romani, furono attinte
solamente alla comparazione di fatti d' indole del tutto orografica ed idro-
grafica, si tenterà in questo di cercare anche in altri momenti un appoggio
alla tesi impostaci.
Abbiamo veduto nel capitolo VI come gli antichi abitatori preromani
dell' Istria ponessero le loro sedi sulla cima dei colli, oppure sulle promi-
nenze degli altipiani e dei monti istriani. L'essere buona parte di tali sedi,
ora dette castellieri, site in posizioni che ora sono notoriamente malariche,
e' indusse a ritenerle quale prova della salubrità dell' Istria a quei tempi.
Diffatti se presentemente a qualcuno saltasse il ticchio di passar delle notti
d'estate p. e. sui colli, che sono castellieri, di S. Angelo o delle Mordelle
vicino a Parcnzo, potrebbe essere sicuro di buscarsi la febbre. Eppure a quei
tempi impunemente vi si abitava, ed allorché i Romani divennero padroni
dell' Istria, essi pure vi posero dimoia ') senza detrimento della loro salute.
') Tommasini Giac. Fil. (+ 1654). Dei Commentarli storici-geografici della provincia
dell'Istria. Libri otto (nell' « Archeografo triestino» voi. IV, 1837) Lib. I, Cap. 1.
') Bexl'ssi. Loc. cit. pag. 14.
') Dott. A. Amoroso. Le necropoli preistoriche dei Pogugbi. « Atti e memorie della
Società istriana d'archeologia e storia patria». Voi. V, pag. 226-261, con io Tavole.
- 378 _
Oltre a ciò esistevano allora una serie di città e di luoghi abitati, che
ora più non esistono, e di cui buon numero riposavano sopra terreni pre-
sentemente malarici. Cominciando dal settentrione, troviamo alla punta di
Salvore collocato un luogo chiamato dall'Anonimo Ravennate ora Silbio ed
ora Silbonis. Di questo luogo non esiste che la tradizione, essendone com-
pletamente sparite le traccie. Quando sia avvenuta la sua distruzione non ci
fu dato di rilevare. Ciò successe forse nel secolo IX, per opera dei corsari
narentani. Più ad oriente, alla punta chiamata ora di Catoro, nella località
detta Sipar, trovavasi un luogo abbastanza di rilievo, se si osservano le ampie
rovine che coprono tutta la superficie della punta e s'estendono entro terra,
nonché nel fondo del mare. L'Anonimo Ravennate lo chiama Siparis, adom-
brato forse nel termine Sepomaja (Sipar-Umago) della Tavola Peutingeriana.
Questo luogo conservava una certa importanza fino neh" 875, quando, di-
strutto dal Bano Domogoi capo dei Narentani, si riduceva ad un umile
villaggio, esistente ancora nel 1650').
A mezzogiorno di Rovigno sull' antico agro polese trovavasi la città
di Vistro, la quale, almeno come città, avrebbe cessato di esistere forse
prima del secolo V, giacché non ne viene fatto cenno dall'Anonimo Ra-
vennate. In continuazione dell'odierna isola di S. Andrea (di Sera) vicino a
Rovigno, s'estendeva l'isola sopra la quale giaceva la città di Cissa, impor-
tante per numero di popolo e, come da taluni si pretende, per essere stata
più tardi sede vescovile. Di questa città viene fatta menzione nella Notitia
ulriusque imperii compilata nel 428 ; sprofondavasi nel mare verso l'anno 740
o 745, in modo che la sommità del colle è ora a 15 tese sotto l'acqua !). Si
dice che la causa di tale sprofondamento sia stata provocata dal crollo d'una
caverna di saldarne, poiché questo venne dilavato dal mare *).
All'oriente di Pola, nelle vicinanze dell'odierna Altura, esisteva la città
od oppidum di Nesa^io (Nesactium). Ultimo baluardo delle tribù primitive
contro i conquistatori romani, dopo essere caduto nelle loro mani, veniva
da quelli prima distrutto e poi ricostruito. Nominato da Tito Livio là dove
parla della conquista dell' Istria fatta dai Romani, viene da Plinio (23-79 &• C.)
e da Tolomeo (II secolo d. C.) indicato quale oppidum, e come tale segnato
nella Tavola Peutingeriana (250 d. C.) e dall'Anonimo Ravennate (V secolo).
La memoria di questa città si perde indi nella storia, così da non sapere
') Tommasini. Op. cit. Voi. IV, pag. 292.
*) Kandler. ninnali.
*) Ibid.
— 379 —
persino dove fosse ubicata. Ora si ritiene, e non senza fondamento, che la
detta città fosse situata al fianco occidentale della valle di Badò nel luogo
detto Visone, (corruzione di Nesazio), dove estese rovine attestano la pregressa
esistenza d' un grande luogo abitato.
Se noi indaghiamo nelle pagine della storia, troveremo che a queste
città e luoghi importanti, giacenti in località eminentemente malariche (Cissa
forse eccettuata), molti altri luoghi di secondaria importanza si potrebbero
aggiungere, i quali ora non esistono più. Avremo p. e. la stazione di Nengon
all' odierno Ponte-porton in valle del Quieto ; il sito di Nigrignanttm sul
monte Formento a ponente di Visinada, che durava fino al 1324, ridotto già
nel 1277 a trovarsi in mezzo ad una landa spopolata1); Castel S. Giorgio
(S. Giorgio in Laimis) forse 1' antico Novetium, sito importante, collocato
in vista del mare sul versante settentrionale della valle del Quieto, vicino
alla foce del fiume. Esso esisteva ancora nel 1371 quale luogo decaduto*).
Traccie di numerosi villaggi si riscontrano inoltre in molte località della
provincia, p. e. sulla spiaggia di Peroi, ora affatto deserta, ove esistono
rovine di tre villaggi, ed abbondanti ne sono gli indizi sulla costa ora dis-
abitata da Ro vigno a Dignano *).
S' aggiunga che ad ogni pie' sospinto lungo la riva o nell* interno
dell'Istria noi c'imbattiamo in avanzi di ville, di bagni, di depositi figulini
grandiosi, come p. e. a Laron presso Cervera. Oltre a ciò le numerose
iscrizioni che vennero scoperte in molti punti della provincia ci parlano di
templi eretti agli Dei nei siti più svariati di essa. Abbiamo p. e. testimo-
nianza d' un tempio a Giunone Feronia a Villanuova di Verteneglio, di
templi all'Istria ed alla Fortuna nelle vicinanze di Rovigno o forse di Vistro 4).
Né mancano le testimonianze di edifizi balneari in siti ora eminentemente
malarici, come p. e. sull' isola maggiore dei Brioni nel seno di Val Cadena,
nella valle marina del Quieto sotto Villanuova coli' iscrizione : Colonis.
Incolis. Peregrinis. Lavandis. Gratis. D. D. P. P. P. *), e forse alla punta
di Pizzale vicino Parenzo, ove estese rovine venivano scoperte alcuni anni
or sono, in terreno che ora è frammisto notevolmente a rottami di mattoni
ed a frammenti di calcinaccio.
') De Franceschi. Op. cit. pag. 140-141 e Codice diplomatico istriano.
*) De Franceschi. Op. cit. pag. 205.
•) lbid. pag. 57.
') lbid. pag. 60.
•) lbid. pag. 61-62.
— 380 —
Giustificato era perciò l'entusiasmo di Cassiodoro quando descrivendo
la costa dell' Istria esclama : « Praetoria longe lateque lucentia in margari-
» tarum speciem putes esse depositas : ut hinc appareat qualia fuerint illius
» provinciae Majorum judicia, quam tantis fabricis constat ornatam ».
A queste felici condizioni s' aggiunga una popolazione più numerosa
di quella d'oggidì. Il De Franceschi ritiene che sotto i Romani essa fosse
pervenuta ad un' altezza almeno doppia della presente ; il che non può
sembrare esagerato quando si consideri che Pola raggiungeva nell' epoca
della sua floridezza persino la cifra di 35000 abitanti, e Parenzo quella
di 10000.
Da tutte le circostanze ora esposte risulterebbe quindi abbastanza ac-
certato il fatto, che l' Istria non avesse insalubrità d'aria nei tempi preromani
e romani. E mentre gli autori latini, sia pure per incidenza, fanno talora
cenno della malsanìa dell' aria intorno a Roma, non ne troviamo invece
alcuna allusione in quelli che si occuparono della nostra provincia, e che
abbiamo più sopra ricordato. Tale circostanza vale pure a confermare la
nostra supposizione.
Rendesi perciò interessante di scoprire quando e per quali motivi il suolo
dell' Istria sia addivenuto malsano nei secoli posteriori.
X.
Veduti i cambiamenti del suolo dopo l'epoca romana, e specialmente
specificati quelli che furono in intima relazione cogli abbassamenti di esso
e con l'interrimento delle valli; poco o nulla ci resta a dire dei successivi
fenomeni tellurici, essendoché le cronache posteriori non ne facciano men-
zione. Tuttavia citeremo quelli che per la loro rilevanza possono ritenersi
quale espressione di movimenti importanti della crosta terrestre, nonché
effetto di squilibri atmosferici. Cercheremo invece di dare particolare rilievo
a quegli avvenimenti pei quali l' Istria dovette, per diminuzione di popolo
o per altri motivi, perdere la salubrità del clima, che prima godeva.
Dal I al VI secolo. — Fino al II secolo dell'era nostra sembra che l'Istria
sia stata risparmiata da disgrazie rilevanti. Non consta se la peste, che nel-
l'anno ventesimosecondo dopo Cristo ha colpito gravemente l'Italia '), rispar-
') Kandler. Annali.
- 38i -
miasse l' Istria. £ certo però che, quand' anche essa ne fosse visitata, la
estensione del male siasi limitata a lievi proporzioni, incapaci di recare gravi
conseguenze ; imperocché a quest' epoca susseguivano anni di floridezza e
di grandezza per la nostra provincia. Nel 192 d. C. invece vi scoppiava
un'esizialissima pestilenza, cosi da indurre la citta di Pinguente ad erigere
una lapide votiva in ringraziamento d' esserne la città andata esente ').
Nei secoli immediatamente posteriori ai succitati, l' Istria non deve
aver molto sofferto dalle incursioni barbariche che sfasciarono l' impero
romano, se Cassiodoro potè tessere di lei nel 538 la splendida descrizione,
che dianzi ho citata. Sembra però che del tutto la provincia non sia stata
risparmiata. Un passo di S. Girolamo, tolto da un suo commento alla pro-
fezia di Abacuch intorno alle desolazioni delle città che il profeta vedeva,
suona nel modo seguente : « Nonne hoc impletum audivimus in nostrae
» originis regione finium Pannoniae atque Illirici; ubi post varias barbarorum
» incursiones ad tantam desolationem est perventam ut nec humana ibi re-
» manserit creatura, nec animai superesse conversarique dicatur, et his quae
» hominum amicari et convivere consueverunt*) ». Il sommo Dottore sarebbe
nato a Sdregna nel 353 o 341 e moriva nel 420*); per conseguenza il
passo si riferirebbe all' Istria del IV secolo, oppure ai primi anni del V, ed
alluderebbe alle due irruzioni dei Visigoti, i quali gettandosi sull' Italia
avrebbero danneggiato anche la nostra provincia '). Lo stesso può forse esser
avvenuto nel 452, quando Attila coi suoi Unni si precipitava sul bel paese 5).
Diciamo forse, giacché sembra che le irruzioni di Attila abbiano recato alla
nostra provincia piuttosto un vantaggio anziché un danno, dal momento
che molti abitanti di Aquileja, e forse anche di altri luoghi circonvicini,
fuggivano dalle stragi, ricoverandosi in Istria 6). Noto, del resto, di passata,
essere la leggenda d'Attila « flagello di Dio » popolarissima nel nostro volgo,
il quale attribuisce non ad altri che a quel barbaro condottiero la distruzione
delle città o luoghi abitati istriani, or più non esistenti.
') Notizie storiche di 'Poìa. Parenzo. G. Coana, 1876, pag. 230. — Vedi anche la
mia memoria : Le epidemie di peste bubbonica iti Istria, negli « Atti e Memorie della Società
di archeologia e storia patria », voi. IV, pag. 428.
*) Tqmm asini. Op. cit. pag. 544. È però controverso se S. Girolamo sia istriano.
*) Stancovicii. "Biografie degli uomini distinti dell' Istria. Capodistria. Priora, 1888,
pag. 48 e seg.
') Benussi. Storia documentata di Rovìgno. 1888, pag. 36.
s) Ibid.
') De Franceschi. Op. cit. pag. 71.
— 382 —
Un anno solo dopo che Cassiodoro dirigeva ai provinciali dell' Istria
la sua famosa epistola, sbarcarono i Bizantini nella provincia con proposito
di pigliare alle spalle gli Eruli, i Rugi ed i Goti, e sostituirono quest'ultimi
nel governo che durò a lungo ad onta degli sforzi dei Longobardi. Diffatti
a tali tentativi si devono le stragi, gli incendi e le depredazioni avvenute
nella provincia nell'anno 588, quando il re longobardo Autari muoveva
contro l' Istria con un esercito condotto da Evino duca di Trento ').
Sembra però che, ciononostante, le condizioni della provincia a quel
tempo fossero floride, giacché il duca, firmata la pace coli' Esarca di Ravenna,
tornava in Lombardia recando al re grande quantità di denaro.
Tali depredazioni longobardiche, dalle quali però, a quanto pare, so-
lamente l' Istria superiore sarebbe stata danneggiata *), non erano che il
preludio di altre più terribili, successe ad opera degli Slavi, chiamati allora
Sciavi e Sclavini, e degli Unni-Avari. Non è scopo di questo lavoro il
seguire le mosse di quei popoli dalle loro sedi fino nell'Istria; ci limiteremo
perciò ad indicare quando avvenissero le loro irruzioni, e possibilmente a
segnare i danni da quelle recati.
Noteremo però che prima che spirasse il VI secolo, fatale per l' Istria,
è molto probabile che altri fattori abbiano contribuito a far scemare la
popolazione e con essa la floridezza del paese. Fra questi, principali sarebbero
le epidemie di peste violentissime, che devastarono l'Italia negli anni 557,
565, 566, 568 e 591 *), le quali molto probabilmente avranno raggiunto
anche la nostra provincia, che ad essa geograficamente e politicamente ap-
parteneva, e con cui trovavasi in continue relazioni di commercio. Oltre
a ciò succedeva in codest' ultimo secolo nelle limitrofe provincie un avve-
nimento meteorologico straordinario, il quale indubitatamente deve aver
esercitata una triste azione anche sulla nostra provincia. Vale a dire, noi
troviamo nel 587 in tutta l'Italia delle grandissime rotture causate dall'acqua.
Nello stesso Friuli, l' Isonzo ed il Frigido, raccolti in un lago, che aveva
l' emissario nell' estuario di Monfalcone, rompevano l' argine naturale di
Gradisca e si gettavano all'aperto correndo verso Aquileja; mentre il Timavo
contemporaneamente scemava d' acque alla foce *).
') De Franceschi. Op. cit. pag. 74. — - Paoli Warnefridi Longobardi Diaconi
Forojuliensis. De gestis Longobardorum. Lib. VI. Varie edizioni. Lib. HI, 2, Cap. XXVII.
,— Kandler. Annali. (Egli pone però l'anno 568).
a) Kandler. Annali.
') Ibid.
V lbid.
-3*3 -
VII secolo. — Nel secolo seguente, precisamente nei primordi di esso,
nel 600 o eoi avveniva la prima irruzione degli Slavi nella provincia, con-
dottivi dalle schiere di Agilulfo re dei Longobardi. Secondo Paolo Diacono
la devastarono col fuoco, col ferro e colle rapine '). Il Kandler pone un'altra
incursione nel 604, per la quale gli Slavi saccheggiarono l'Istria interna,
uccidendone le guarnigioni a). Dura tutt' oggi la tradizione che in quel
tempo cadesse Bogliuno, e che la valle dell' Arsa rimanesse coperta di ca-
daveri. Un contadino romanico raccontava al De Franceschi, che in quella
occasione la stretta valle fra le colline di Lettai ed il Montemaggiore fosse
il campo d' un grande combattimento, in seguito al quale essa rimaneva
coperta di cadaveri '). Nel 610 o 613 sembra eziandio che schiere numerose
di Slavi fossero penetrate nell' Istria, apportandovi desolazione e morte *).
Il De Franceschi ci narra che la memoria di spaventevoli incursioni
nemiche si conserva anche in altre parti della nostra provincia. A quelle
epoche si riferisce la tradizione della valorosa difesa di Momorano che fu
tra i pochi luoghi non presi ; Fianona, Albona, Pedena, Gallignana, Pisin-
vecchio, Verino sarebbero allora state distrutte. Il villaggio di Caroiba sa-
rebbe stato arso, meno un paio di case nella villa or detta Mocibobi. Ancor
oggi veggonsi presso 1' odierna chiesa di S. Quirino, sulla strada romana
che attraversava sopra Cosliaco il Caldiera, le rovine d' un antico paese, di
cui si perdette il nome, e che dicesi essere stato abbruciato da nemici scesi
per quella strada, la quale poi continuava per Albona a Pola, Parenzo e
Trieste ').
A tali fazioni di guerra, apportatrici di desolazioni, di stragi, di perdite
d'uomini e di distruzioni di luoghi, s'aggiunga l'azione di freddi eccessivi,
specialmente nelP anno 603, dei terremoti, dei quali si ha memoria nel-
l'anno 615 '), fenomeno quest'ultimo che nei secoli posteriori si riproduce
di spesso, ed è indizio che la crosta terrestre della nostra zona, per un
ciclo d'anni, si trovasse sotto l'influenza di mutamenti avvenuti sia super-
') Paolo Diacono. Op. cit. IV, XXV. « Longobardi cum Avaribus et Scl.ivis Istro-
rum fines ingressi, universa ignibus et rapinis devastatimi ». — De Franceschi. Op. cit.
pag. 76.
') Kandler. Annali. Egli vuole però che questa fosse la prima.
') Ibid.
•) Paolo Diacono. Op. cit. IV, XL1I. — De Franceschi. Op. cit. p.ig. 76.
6) De Franceschi. Op. cit. pag. 77.
•) Kandler. Annali.
- 3*4 -
finalmente, oppure nell' interno di essa, e che di certo non possono essere
rimasti senza conseguenza sulla configurazione del suolo e sull' elevatezza
dello stesso sul livello del mare.
A tali fenomeni devonsi aggiungere le epidemie di peste, la quale, do-
minando in Italia nel 665, non può non aver fatto capolino anche in Istria,
cagionandovi perdite d'uomini1) e desolazioni.
Vili secolo. — Nel decorso dell' Vili secolo l' Istria non ebbe a soffrire
molto per le fazioni di guerra, abbenchè essa abbia dovuto sostenere delle
serie lotte coi Veneti sotto il doge Diodato Ipato dal 737 al 739, ed anehe
sia stata il campo di alcuni combattimenti sostenuti antecedentemente dal
duca longobardico Pemmone cogli Slavi vicino a Lauriana (Lovrana) nel
718; ed 80 anni più tardi (799) dal duca franco Enrico pure vicino a
Laurana contro gli Avari che tentavano di penetrare neh' Istria *). Però,
allorché nel 753 i Longobardi muovevano contro la nostra provincia e ne
prendevano buona parte, molte famiglie istriane ricoveravano in Venezia.
Ciò che invece distingue questo secolo è la frequenza dei terremoti.
Diggià nel 737") grandi terremoti venivano segnati in tutta l'Europa, i
quali, come indizio di mutamenti idraulici e termici del sottosuolo, non
rimanevano senza conseguenza per la nostra provincia. Probabilmente a
quest'epoca è da riferirsi lo sprofondamento dell' isola di Cissa, o forse agli
anni 740 o 745, durante i quali avvenivano grandissimi moti di terra nel-
1' estuario veneto. Come s' è detto, l' isola calava a segno che la sommità
del colle è ora a 15 tese sotto il livello del mare4). Il Kandler ammetteva
che lo scoscendimento fosse avvenuto pella corrosione dell' acqua nel sai-
dame (sabbia quarzosa), di cui era formato il sottosuolo dell" isola, mentre,
a quanto pare, tale sprofondamento sarebbe a ricercarsi in circostanze più
generali e forse in quegli scoscendimenti, che avvengono non difficilmente
in un terreno intersecato ovunque da grotte e da caverne ampie e profonde,
specialmente in tempi di fortissimi e frequenti moti di terra. Nel 754 tale
fenomeno tellurico si ripeteva nella provincia in modo molto violento 5).
') Kandler. ^Annali.
') De Franceschi. Op. cit. pag. 82-85.
3) Kandler. Annali.
*) Caenazzo cau. Tommaso. Del prodigioso approdo del corpo di S. Eufemia Calcedo-
uese in Rovigno. « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria 0,
voi. I, pag. 303. — Kandler. Annali.
hl Benussi. Storia di Rovigno, pag. 36.
- 3*5 -
Si aggiunsero nel 763 freddi intensissimi '), e nel 793 una grande ca-
restia e la fame !).
duale indizio del deperimento delle condizioni, un dì sì floride, della
nostra provincia, troviamo che nel 780 le chiese di Cissa (indi in Rovigno),
di Umago e di Capodistria, prive di prelati, venissero date in commenda,
Capodistria ed Umago a Trieste, Cissa a Parenzo ').
Tuttavia sembra che, ad onta di tanti infortuni, le condizioni di sa-
lubrità dell'atmosfera e del suolo si mantenessero buone, giacche troviamo
che nel 740 venisse fondata in Barbana sull'Arsa *) l'abbazia di S. Domenica
e quella della Ss. Trinità dei Benedettini "), abbazie d' indole agricola che
venivano piantate anche se in terreni incolti, però buoni e sani.
IX secolo. — Neil' 804 ha luogo il famoso placito nella valle del Risano,
in cui gì' Istriani porgono lagnanze ai commissari dell' imperatore Carlo-
magno (Missi dominici) per le angherie sofferte dal duca Giovanni. Nel
placito non si fa cenno di un deterioramento delle condizioni generali della
provincia, ma esso ci fa sicura testimonianza della decadenza delle condizioni
economiche della stessa.
Neil' 819 principiarono le incursioni dei Saraceni nell'Adriatico. Infatti
essi si presentarono formidabili sotto il comando di Saba dinanzi ad Ossero
nell' 838 ") e lo devastavano. Neil' 842 7), sotto lo stesso condottiero, si
ripresentarono ancora dinanzi ad Ossero, reduci d'aver commesso orrende
stragi nelle Calabrie e nella Puglia. Per tali incursioni venivano posti sos-
sopra territori e città, ai quali ed alle quali si apportavano desolazioni e
stragi. Finalmente, dopo aver inflitte due gravi sconfitte ai Veneziani, ve-
nivano battuti nella splendida battaglia navale di Taranto ').
Superate le conseguenze di tali incursioni, ad altre ancora più gravi
andava soggetta la provincia per opera degli Slavi Croati e Narentani, i
quali, sotto il comando del Bano Domagoi, in odio al Governo di Venezia,
ponevansi a scorrere le rive settentrionali dell' Adriatico. Comparso tale
') Kandler. Annali.
') Ibid.
') Ibid.
*) Ora malarica per eccellenza.
') Kandler. Annali.
*) 11 Tommasini, op. cit. pag. 168, pone tale fatto nell' 848.
7) Secondo il Kandler (Annali) nel secondo giorno di Pasqua dell' 843.
"; RoklANlN Samuele. Storia documentata di Venezia. Venezia. Naratovich, 1848, I. e. 2.
— 386 —
condottiero nell' 876 ') alle nostre coste, prendeva e saccheggiava con grande
strage di uomini Umago, Siparo, Cittanova, Rovigno e Muggia, preparan-
dosi all' assalto di Trieste e di Grado. Neil' 887, dopo aver arrecato altri
malanni, veniva finalmente domato dai Veneziani. Tali irruzioni furono
gravide di tristi conseguenze, giacché sembra che per esse sieno state di-
strutte, per mai più risorgere, le città d' Arsia, di Nesazio, di Vistro, di
Salvore e di Sipar, ridotte forse a quel tempo a luoghi piccoli e di poca
importanza, nonché la località di Saline alla bocca di Leme *j.
Anche in questo secolo alla mano distruttrice dell'uomo s'aggiungeva
quella della natura, inquantoché troviamo qualmente dall' 800 all' 801 s)
continuassero a manifestarsi quei terribili terremoti, che da oltre un secolo
di frequente e con violenza si succedevano nella provincia. Neil' 811 occor-
revano dei freddi straordinari *). Altri terremoti succedevano in Venezia
nell'840, ripercuotendosi di certo anche in Istria5). Avveniva indi nell' 858
una marea straordinaria, e nel seguente anno un freddo si intenso, che le
lagune venete restarono agghiacciate e).
A tali fenomeni meteorologici e tellurici, apportatori d' infortuni, si
aggiunga un'epidemia di peste occorsa in Italia, con molta probabilità estesasi
anche in Istria ').
Però neppure in questo secolo ci si presentano fatti o notizie che ci
possano autorizzare a supporre un deterioramento nelle condizioni di salu-
brità dell'atmosfera e del suolo, ed anzi, al contrario, come nel secolo Vili,
vediamo nell' 853 fondarsi un'abbazia di Benedettini nelle vicinanze di Vi-
signano in S. Michele sottoterra "), le di cui rovine tuttora visibili riposano su
d' un terreno presentemente malarico.
X secolo. — Le condizioni interne della provincia non erano felici al
principiare del X secolo. Vediamo, fra altro, che a Rovigno si doveva
sospendere il lavoro della Collegiata iniziato nel 904, a cagione delle fre-
quenti calamità, miserie e pestilente, e soltanto a poco a poco lo si riprendeva
') De Franceschi. Op. cit. pag. 92. — Il Kandler (Annali) pone ciò nell' 875.
2) Kandler. Annali.
') Benussi. Storia di Rovigno, pag. 36.
4) Kandler. Annali.
») Ibid.
•) Ibid.
') Ibid.
») Ibid.
- 3»7 -
dopo 20 e più anni '). Oltre a ciò, per le angherie e persecuzioni usate
nel 932 ai Veneti dimoranti in Istria dal marchese Vintero, che la governava
per il re Ugo, a cagione delle quali oltre ai danni nella proprietà venivano
uccise anche persone, il doge proibiva ogni commercio coli' Istria, ed appena
mediante forti umiliazioni s' otteneva la revoca di tale proibizione 2). Un
altro indizio della miseria dominante allora nella provincia la troviamo nel
tatto, che i Veneziani nel 944 vietavano che si comperassero uomini in
Istria e che si trasportassero su navi venete s), il che vuol dire che tale
commercio, forse per effetto di guerra, a quei tempi pur esisteva.
A tali infortuni s' aggiungevano poscia le scorrerie degli Ungheri, i
quali penetrati nel 949 in Istria, facevano devastazioni nei territori di Trieste
e di Capodistria *). Nel 960 poi i Narentani, che mai desistevano dall' in-
traprendere scorrerie sulle coste istriane, distruggevano Rovigno, che allora,
come vuoisi, sarebbe stata sede vescovile, in luogo della sommersa Cissa, in
modo che sei anni più tardi questo vescovato veniva dato al vescovo Adamo
di Parenzo 5) per sollevare quest'ultima chiesa caduta in somma miseria ').
In questo secolo veniva pure l' Istria invasa dalle pestilenze, special-
mente negli anni 954 e 958 e fors' anco nel 991, allorquando la peste
bubbonica menava stragi in Venezia ').
Ed anche per questo secolo dobbiamo ammettere che, ad onta di tante
calamità, di tante miserie, si mantenesse ancora intatta la salubrità del suolo
e dell' atmosfera, venendo menzionate siccome allora esistenti alcune loca-
') Caenazzo can. Tommaso. Op. cit. pag. 333.
*) De Franceschi. Op. cit. pag. 94.
') Kandler. Annali.
•) De Franceschi. Op. cit. pag. 94. — Schoenleben I. L. Corniola antiqua et nova,
sive inelyti Ducalus Carnioìae annales sacro-profani etc. Labaci I. B. Mayr 1681. Par. II, p. 509.
— Scussa D. Vincenzo. Storia monografica di Trieste dai tempi più remoti fino al 169J. —
Manoscritti dell'Archivio diplomatico di Trieste, pubblicati in Trieste. Coen, 1863.
6) De Franceschi. Op. cit. pag. 75. — Codice diplomatico istriano ad a. 966 «Rubinum
quod proh dolor, nuper a nefandis sclavis ac duris Barbaris destructum fuit». — Indi
Kandler, Annali, e Caenazzo, op. cit. pag. 333.
6) Tommasini. Op. cit. pag. 170. « Successe la consecrazione della chiesa di Parenzo
delegata al Patriarca d' Aquileja Rodoaldo da Papa Giovanni XII In questo gli
Slavi corsero ncll' Istria, abbrugiarono Rovigno, ed il resto di quei contorni, onde caduta
in somma miseria quella chiesa di Parenzo, il patriarca l'anno 966, 22 Gennajo in Aquileja,
le donò Rovigno per le sue calamità, a petizione e supplicazioni dei vescovi dell' Istria
Gasparo di Pola, Giovanni di Trieste e Giovanni di Cittanova »•
7) De Franceschi. Op. cit. pag. 334.
— 388 -
liti abitate ora scomparse, e che in buona parte risiedevano su terreni ora
malarici. Nel diploma di donazione dell' imperatore Ottone ad Adamo ve-
scovo di Parenzo (983) sono nominati Rosarium, Nigrignanitin, Medelanum,
Duo Castella, i due primi situati su quel di Visinada, il terzo presso San
Martino di Leme e V ultimo nel vallone, qualche chilometro distante dal
culeo di Leme ').
Oltre a ciò venivano fondate intorno al 980 circa le abbazie di S. Pe-
tronilla, cessata nel 1321, e quella di S. Michele in Leme per opera dello
stesso S. Romualdo, che vi stava a governo per tre anni *), e nel 990 quella
di S. Michele in Monte di Pola3); mentre si ha notizia ancora nel 950 di
un' abbazia di monache benedettine dette di S. Teodoro, situata fuori le
mura della stessa citta. Ora tutte queste regioni sono malariche.
XI secolo. — Il decimoprimo secolo non veniva funestato da fazioni
guerresche. I Principi che durante esso tenevano il possesso della provincia,
andavano invece a gara nel fare donazioni ai vescovi ed alle abbazie istriane.
Nei documenti riflettenti le donazioni noi e' incontriamo in luoghi abitati
che ora non lo sono più, ed altri sono posti in rilievo per una certa im-
portanza che allora avevano, i quali in oggi sono affatto irrilevanti. Vediamo
di nuovo nominato digrignano presso il Quieto, indi Montesello presso il
Leme e S. Pietro di Montrin presso Buje. Troviamo per la prima volta men-
zionato Castelvenere in un atto di donazione del 107 1 fatto da Artucio e
Bona da Pirano al marchese Volrico d' Istria *), poi le ville di Covedo,
Lonche, Ospo, Rosariol, Truscolo (Trusche), Cisterna (Sterna), Srengi o
Stenghi, forse presso Pinguente, e Bagnol (Bogliuno) 5).
Nel 104 1 aveva luogo la consacrazione della chiesa di S. Michele in
Leme") e negli anni 1040-43 Azzica figlia di Werigant conte d'Istria donava
il castello di Caliselo al Leme (ora Geroldia, Gradina) ai vescovi di Trieste
ed assieme alla madre Wilpurga dotava di terreni la neo-eretta abbazia di
S. Michele in Leme 7).
') Kandler. Annali. — Questo e l'altro diploma di Adamo sono molto sospetti di
falsificazione (N. d. D.).
») Ibid.
') Ibid.
4) Ibid.
6) Ibid.
6) Ibid.
7) De Franceschi. Op. cit. pag. 98.
- 389 -
Tali citazioni di luoghi e di tatti concorrono di certo a provare che
l' Istria fosse a quei tempi molto popolata, specialmente in quanto riguarda
le ultime località, e che l1 aria ed il clima si mantenessero perfettamente
salubri, mentre oggigiorno codeste località (di Geroldia e di Leme) sono
molto infestate dalla malaria.
Sebbene da tali circostanze si possa indurre che le condizioni della
provincia fossero in generale abbastanza buone, dobbiamo tuttavia osservare
clic se questa non ebbe a soffrire per fazioni guerresche, veniva però fu-
nestata da una forte epidemia di peste che introdottasi nel 1006 o nel 1007
dal Cranio, vi durava tre anni e vi menava stragi '). È lecito anzi supporre,
che questa epidemia non fosse la sola, ma che, importatavi da Venezia, ove
seriamente dominava, infierisse anche nel 1010, 1073 e nel 1080 *). A tale
malanno aggiungevasi una carestia generale nel 1098, sensibile anche nella
nostra provincia, ed un terremoto nel 1093 notato in Venezia e di certo
propagatosi anche in Istria *).
Nonostante vediamo fondarsi nuovi monasteri ; vale a dire 1' abbazia
di S. Anastasia sullo scoglio di Parenzo, di cui si ha cenno nel 1014, di
S. Cassiano entro le mura di Parenzo nel 1028, mentrechè troviamo notizie
di quello di S. Michele in Monte presso Pola negli anni 1028 e 1087 *);
indizio certo della salubrità e prosperità tuttora vigenti di quei luoghi.
XII secolo. — Abbiamo veduto a pag. 369 che l'arabo Edrisi viag-
giando P Istria nei primordi di questo secolo, notasse nella sua Geographia
nubiensis quali città e siti importanti Pirano, Buje, Isola, Uwago, Cittanova
(che egli distingueva in due parti, una al monte, forse S. Giorgio in Laimis,
e 1' altra al mare), Parendo, Rovigno, Pola, Medolino (che egli chiama città
ragguardevole e popolata), Albona, Fianona, Lovrana, Capodistria e perfino
Matterada. Di alcune di tali località egli fa una descrizione breve, ma chiara
abbastanza per rilevarne le floride condizioni. Per es. egli chiama Parendo
città popolata e molto fiorente, e Pola, bella, grande e popolata, ecc.
Che se vogliamo estendere ancora di più le ricerche, noi troviamo nei
documenti di donazione, frequenti a quei tempi, citati luoghi e villaggi mol-
tissimi, indizio certo di popolazione numerosa. Così vediamo in quelli citati
') Kandler. Annali.
') Ibid.
») Ibid.
♦) Ibid.
— 390 —
Socerga (S. Siro o S. Sirico), Castello di Rivin o Ruvin sopra Sdregna '),
Roni presso Pinguentc, i castelli di Cernogrado e di Belligrado presso Rozzo
(gli antichi Nigrignamm\tàAlbiniawim), Pinguentc, Colmo, Baniol (Bogliuno),
Frajana (Vragna), Letaj, S. Martino (presso Bellai), Gosilach (Cosliaco), Cori
alba inter latino*, Castrimi Veneris, Villa Cuculi, Villa Mimiliani, Villa Ci-
sterne, Villa petrae Albae (Pietrabianca presso Covedo), Villa Dravuie (Dra-
guch?), Villa Marceniga, Villa Cavedel (Codoglie), Castrimi Btdge (Buje),
Costrutti Grisiniana, Villa Castan (Castagna), Castrimi Castiloni (che più non
esiste, presso Buje), Villa Sancti Retri (Montrin) cimi Monasteriis Sancii Retri
e Sancii Michaelis 2) ; e troviamo pure che digrignano al Quieto durava ancora,
ed era plebania s).
Quale segno poi della salubrità e delle condizioni favorevoli della pro-
vincia, noteremo che anche in questo secolo si stabilirono qua e là varie
comunità religiose, e per la maggior parte in terreni e località, le quali di
certo oggigiorno non godono buon'aria. Istituitosi nel 1118 l'ordine dei
Templari, questi fondarono tosto delle commende anche in qualche parte
dell' Istria. Li vediamo p. e. stabilirsi al Risano, a S. Clemente di Muggia,
a S. Maria di Campo presso Visinada, nei pressi di Parenzo ed al lato
orientale del campo di Marte in Pola, località codeste ora esiziali. Troviamo
del pari notata nel 11 18 la fondazione dell'abbazia di Moggio presso Citta-
nova e nel 1 134 di quella di S.Pietro in Selve, abbiamo notizia nel 1125
e 1 1 33 di quelle di S. Pietro del Carso e di Montrino presso Buje, nel 11 18
delle abbazie di S. Michele in Monte di Pola, di S. Maria del Monte presso
Capodistria nell'anno 1152, di S. Nicolò d' Oltra nello stesso anno, d'un
ospizio in Isola pure nel 1152, di S. Martino di Tripoli presso Verteneglio
nel 1176, di S. Maria di Valle nel 1 177, di S. Nicolò di Parenzo pure nel
1 177 e di S. Barbara presso Montona nel 1191 e nel 1194, tutte apparte-
nenti all' ordine dei Benedettini ').
Il XII secolo però non fu scevro di malanni per la provincia. L'op-
posizione che alcune città facevano alla ognora crescente preponderanza
') Forse il posteriore di Pietrapelosa ; però sul versante che da Sdregna mena alle
sontuose rovine di quest' ultimo, e' è un villaggio che porta il nome di Rumini.
5) Codice diplomatico istriano, e diploma esistente nell'Archivio provinciale dell' Istria,
copia dell' originale dell'Archivio generale di Venezia.
3) Kandler. Annali,
«) Ibid.
— 39i —
marittima di Venezia, cui altre città si erano date invece in protezione, era
occasione ad ostilità gravide di serie conseguenze Pola viene assalita dai
Veneziani nel 1150 ') e nel 1153 2), ed abbandonata al saccheggio; la
vediamo quindi nel 11935) presa dai Pisani, e ritolta dai Veneti che ne
diroccano le mura. Altre ostilità scoppiarono nel 1176 fra Parenzo e S. Lo-
renzo pel castello di Calisedo al canale di Leme, appianate con sentenza del
conte d' Istria Alberto I ').
L' essersi posti sotto la protezione della Repubblica migliorò le sorti
di alcuni luoghi della provincia, la quale pure alla sua volta guadagnò
colla quiete quello che le frequenti guerre combattute non solo fra le sol-
datesche, ma anche fra le popolazioni delle stesse città, le avevan fatto per-
dere, sciupare e sperperare. Un esempio lo si ha nella città di Rovigno, la
quale dopo il 11 49, assieme al commercio, sviluppava la prosperità interna,
tant' è vero che vedeva aumentati i suoi abitanti ed accresciuto il numero
delle case 5).
Sembra che in questo secolo la provincia sia stata risparmiata dalle
pesti bubboniche. Giova però notare che il contagio infieriva con grande
veemenza in Venezia negli anni ri02, 1118, 1137, 1 149, M>3, 1 1 77 e
1 182 *) ; per la qual cosa non si può escludere la possibilità che il terribile
morbo, molto focile ad essere trasportato, fosse penetrato anche nell'Istria.
Noteremo pure che anche in questo secolo i moti di terra si manife-
starono di frequente nelle regioni finitime all'Istria. Dal 1 100 al 1102 essi
si succedevano con tale violenza, specialmente nell'estuario veneto, da far
sprofondare Malamocco, mentre altri moti si facevano sentire in Venezia
nel 1105, 11 14, 1117'). Nel 1102 apparve una marea straordinaria, e nel
1122 un freddo si intenso da gelare le lagune venete.
Ad onta però di tali avvenimenti, i quali possono aver influito mol-
tissimo sulla configurazione orografica ed idrografica della provincia e ri-
spettivamente sul numero della popolazione, non troviamo alcun cenno che
V Memorie sloriche di "Pala, pag. 76.
Ji De Franxeschi. Op. cit. pag. 107.
*) Memorie sloriche di Fola, pag. 76. — Da Francischi. Op cit. pag. 112.
'; Kandlf.r. Annali.
'•) Benussi. Storia di Rovigno, pag. 55.
*) Kaxdler. Annali.
') IbW.
— 392 —
ci attesti un deterioramento nella salubrità dell' aria o del suolo, la quale
continuò in generale a mantenersi buona.
XIII secolo. — Ma ben presto mutarono le condizioni della provincia
nel secolo successivo. Ad esporle tutte ci vorrebbe la penna d'uno storico
di polso, e non quella d' uno, che fra le notizie qua e là racimolate fa
tesoro sol di alcune che servir possano al suo intento. Tra i fatti di sangue
o di violenza ne citeremo parecchi degni di nota. Nel 1224 Monfiorito di
Castropola, per contese avute col vescovo Adalberto di Parenzo, entrò colle
sue masnade in questa città, invase il palazzo del vescovo, che fu costretto
a fuggire '). — Nell'ottobre del 1242 il doge Giovanni Tiepolo e Leonardo
Queruli assalirono Pola, e poiché se ne furono impadroniti l' incendiarono
in più parti, dopo averne diroccate ie mura2). Anche nell'interno dell'Istria
le cose non volgevano meglio ; di che ci offrono testimonianza le tristi
condizioni in cui si trovava la diocesi di Pedena, fiorente nei secoli ante-
riori, mentre nel 1262 il patriarca Gregorio, onde soccorrerne il titolare,
affidava il benefizio di Lint al vescovo eletto Weinardo pel motivo che Ec-
clesia propter guerrarum discrimina in temporalibus pene penitus est collapsa,
ita quod idem electus nequit de ipsius reditibus sibi et sue familie vite necessaria
ministrare*). — Nel 1267 nella guerra di Capodistria, che sosteneva le parti
del patriarca, contro il conte Alberto, venivano distrutti Castelverde (Berdo ?),
la Torre di Pingucnte, Carsano e Pietrapelosa *). In Pola stessa, diggià rovinata,
avvenivano sommosse sanguinose, fra le quali quella dei Sergii-Castropola
nella notte del venerdì santo del 1271 s). Quattr'anni dopo, in fazioni guer-
resche fra il patriarca ed il conte Alberto, avvenivano di bel nuovo stragi,
incendi, sperpero di popolo e di averi, per i quali infortuni ne soffrivano
specialmente Capodistria e Pirano 6). Durante la guerra accesasi fra i Veneti
ed il conte Alberto nel 1278, veniva da quest'ultimo assalita Montona senza
') De Franceschi. Op. cit. pag. 118.
*) Ibid. pag. 125. — Notizie storiche di Pota, pag. 76.
') Ibid. pag. 131. Dal Codice diplomatico istriano.
*) Ibid. pag. 129.
5) De Franceschi. Op. cit. pag. 1 30-131.
6) Codice diplomatico istriano. Tregua fra i belligeranti : « Humani generis inimico
procurante inter Reverendum Patrem et Dominum Dei gratia S. S. Aquilej. Patriarcham
et Aquilej. Ecclesiam ex parte una, et Nob. Virum D. Albertum Comitem Goricie prò
se et civitate Iustinopolitana et prò Pirano et eorum fautoribus ex altera, diu magne di-
scordie et guerre discrimen per quod utriuque strages horum locorum incendia cum de-
— 393 —
frutto, preso S. Lorenzo, guastata Capodistria dai Veneti, depredato il ter-
ritorio fino a Parenzo con grande rapina d' uomini e di animali, distrutto
Capelvenere e guastato Pinguente, mentre nell' anno seguente veniva at-
taccata vigorosamente anche Isola '). Uno specchio delle tristi condizioni
dell' Istria a quei tempi ci viene offerto dal Tenor sententiae Tridentinae per
sedare le contese insorte fra i sudditi di Pisino imperiale e Montona veneta,
perduranti per il corso di due secoli, — sentenza proclamata nell'anno 1535.
Dal tenore di quella sentenza rileviamo, che 250 anni prima, vale a dire nel
1285, hanno avuto luogo hominum caedes, depopulationes, incendia et vasta-
tioncs, diversaque alia dammi utrinque s). Eguali attestazioni ci vengono offerte
dal trattato di pace fra il patriarca e Venezia del 1286, nel quale troviamo
come super diversis et variis insitrt exerunt jurgia, contentioncs, et lites, ex quibus
postmodum tanta guerrarum discrimina pervenerunt maxime in provincia Istrìac,
quod praeter incendia, depopulationes, spolia et infinitae rapinae crudeli caede
suiti cacsi qnamphtres ').
Divampata di nuovo la guerra nel 1287 e ripresa Capodistria dai Veneti,
le circostanti campagne venivano devastate dai patriarchini, e la provincia
crudelmente colpita da stragi e da perdita di gente. Il territorio di Capo-
distria aveva a soffrire anche nel 1289, a cagione d'un nuovo assalto dei
patriarchini, congiunto a fatti d' arme, fecondi di eccidi e di disgrazie ').
Il Castello di S. Giorgio al Quieto (in Laimis), che fino a quel tempo
manteneva una certa importanza quale proprietà del patriarca, veniva pur
esso guastato nel 1290 b). Nel 1297 poi, avendo il vescovo di Parenzo
rinnovate a voce più alta le pretese pel dominio di Parenzo, il popolo con-
dotto dal podestà assaliva il palazzo del vescovo, obbligandolo a salvarsi
colla fuga. In aggiunta gli veniva abbruciata anche Orsera, suo castello di
residenza *).
A tali malanni, prodotti dalla mano e dall'ira dell'uomo, s'aggiungevano
in questo secolo quelli prodotti dalle epidemie di peste bubbonica, le quali
populatione etiam et rerum destructione plurima provenerunt ». — Nonché De Franceschi,
Op. cit. pag. 134.
') De Franceschi. Op. cit. pag. 135-136.
J) Soii^ie storiche di Montona, pag. 208.
3) De Franceschi. Op. cit. pag. 137.
') Ibid. pag. 138-140.
6) Ibid. pag. 139.
•) Kandler. Annali.
- 394 —
infuriarono nella nostra provincia negli anni 1222, 1234, I23^, 1245 e nel
1248 ') in modo veramente orribile. É probabile però che il morbo com-
parisse anche negli anni 1205, 1217, 1218, 1277, 1284 e 1293, quando
esso menava orrende stragi in Venezia ').
Né devesi trascurare di far menzione dei fenomeni tellurici e meteo-
rologici, i quali in questo secolo possono aver esercitala la loro funesta
azione sia sulla crosta del suolo, che sullo scheletro lapideo della provincia,
in modo da cangiarne più ò meno la forma ed i livelli. Cosi leggiamo
che nel 1223 forti terremoti si manifestassero in tutta l'Italia, pei quali
cadeva Siponto'); che nel 1234 si sviluppassero enormi freddi4), i quali
si ripetevano nel 1238 in grado sì pronunciato da farvi perire molti alberi
e viti, causandovi grave carestia e mortalità d'animali5). Nel 1240 ve-
diamo apparire una straordinaria marea, e nel 1275 ripetersi i terremoti in
Venezia, la di cui azione rendevasi sensibile certamente anche nell' Istria 8).
Nel 1280 succedevano forti escrescenze d'acque e terremoti fortissimi, che
atterravano parecchi edifizi 7) ; il qual fenomeno accompagnato da una marea
straordinaria ripetevasi pure nel 1282 e nel 1283 8). Troviamo pure dagli
autori notata una marea straordinaria nel 1286 ed una eguale nel 1297 *).
Sebbene gli avvenimenti ora esposti avessero di certo posta la provincia
sulla via del regresso, non pertanto le condizioni non si presentavano dap-
pertutto egualmente tristi. Vediamo anzi che nelle isole dei Lossini, come
ci viene indicato dal Portolano del mare di Alvise da Mosto "), comincia-
vano ad affluirvi gli abitanti. Nei primordi del secolo XIII, di queste isole
erano abitate solamente Sansego, che viene indicata « con una scola et una
chiesa al capo di ponente » ; Unie « Nia, isola accasata, con una masiera
suso in monte » ; 5. Pietro de' Nembi, « S. Piero in Nieme con abitazioni,
') Vedi mio lavoro prima citato.
2) Kandler. Annali.
3) Ibid. — Le rovine di Siponto sono al sud del Gargano nella provincia di Foggia.
♦) Ibid.
5) Muratori. Annali d'Italia. — Marsich abate Angelo. Annali istriani. — Tro-
vinola, XVI, 18.
6) Kandler. Annali.
') Ibid.
•) Ibid.
9) Ibid.
,0) Venne scritto nel secolo XV, ma si riferisce indubbiamente al secolo XIII. (Vedi
Bonicelli Gaspare. Storia dell'isola dei Lossini. — Trieste 1869, pag. 24.
— 395 —
chiesa et acqua » ; Selve che è denominata « isola bassa et boscuda et habì-
tada », mentre in Lossino, la di cui valle detta d'Augusto viene descritta
in quel Portolano con sufficiente esattezza, non vengono notate né case,
né macerie, ne altro che serva d' indizio di abitatori o di coltura '). Si è
appena nel 1240 che si ha motivo a fissare il principio dell' esistenza dei
Lossini, originata, secondo quanto afferma il Bonicelli, dalla fuga degli
abitanti dalle altre isole, dinanzi all' irrompere degli Ungheri. L' isola però
dipendeva dai signori di Ossero e Cherso, i quali di tratto in tratto man-
davano a pascere le loro mandre di maiali nei densi boschi di cui era
coperta, formati specialmente di elei ricche di ghiande !).
Anche Capodistria sembra che fosse al principio del secolo in floride
condizioni, perchè la troviamo nel 1208 fatta capitale della provincia in
luogo di Pola, e residenza del governo civile *).
Abbiamo poi memorie del castello di Nigrignano, il di cui territorio
era però nel 1277 incolto e spopolato *), e troviamo nominati in carte e
documenti di quell'epoca Castel Parentin e Moncastello presso il Lente (121 1),
Fontana de Badò-Pirin (12 15), Ravanzolo presso Montona (1221), nel 1275
Castel S. Pietro, Zuccola, Ortenegla, Topolo, Momiano, Siziole, Oscurus,
Sorbaria, Cubertum, Sterna, Gradina, Trebesat, Figarola, Dobravizza, località
quest'ultime appartenenti al feudo di Momiano. Indi Casser, Volta e Padova
vicino Montona 5).
Che ad onta di tanti infortuni le condizioni sanitarie della provincia
non fossero sensibilmente peggiorate, lo comprovano anche per questo
secolo le notizie che esistono intorno alle comunità religiose che continua-
vano a stabilirvisi. Infatti vediamo fondarsi nel 1226 conventi di Francescani
in Istria per opera dello stesso S. Antonio di Padova; nel 1230 si erige in
Capodistria un cenobio di frati minori Domenicani, e nel 1287 uno di Paulini
alla B. V. al lago d'Arsa. Nel 1221 S. Giovanni del Prato di Pola passa
in mano dei Templari, del qual monastero, nonché di quello di S. Maria
del Campo presso Visinada, si ha memoria anche nel 1229. Egualmente
vie fatto cenno di quello di S. Pietro in Selve nel 1222 e 1275, di quello
') Bonicelli. Op. cit. pag. 24.
') Bonicelli. Op. cit. pag. 24.
*) Ducale di Lorenzo Tiepolo del 3 marzo 1274 in Bonicelli, op. cit. pag. 26.
*) Kandler. ^Annali.
') De Franceschi. Op. cit. pag. 141.
i) Kandler. Annali
— 396 —
di S. Martino di Tripoli presso Verteneglio nel 1230 e del monastero di
S. Michele presso Pisino nel 1238. — Sta il fatto però che nel 1299, al
chiudersi del secolo, il più dei monasteri di Benedettini venissero abban-
donati, a causa delle guerre e delle pestilenze ').
XIV secolo. — La tendenza alle fazioni di guerra che fu sì fatale nel
secolo decimoterzo alle condizioni economiche della provincia e che diminuì
sensibilmente la popolazione, continuava anche nel secolo XIV ad esercitare
la sua triste azione. Molte delle ville che qua e là nelle campagne esistevano
negli antecedenti secoli, dovevano venir abbandonate, inquantochè le con-
tinue scorrerie delle truppe ora patriarchine ed ora venete, congiunte, come
era usanza a quei tempi, a rapine, ad incendi e ad uccisioni d'uomini, ren-
devano impossibile il mantenersi in quelle a sicura dimora. A tale causa
d' abbandono devonsi aggiungere le pesti, che infuriando colla massima
violenza, decimavano la popolazione, arrivando talora a distruggerla com-
pletamente. La provincia trovavasi quindi in uno stato di regressione rile-
vante, tanto economica per l'abbandono dei campi, quanto demografica per la
continua diminuzione di popolo. Non può perciò recar meraviglia se alcuni
potenti signori, valendosi del loro diritto feudale allora in vigore, impie-
gassero tutti i mezzi onde ripopolare le campagne, coli' intento è vero di
procacciarsi in tal guisa della gente atta alle armi, ma puranco allo scopo
di migliorare le condizioni agrarie divenute tristi.
Vediamo p. e. che tra il 1302 ed il 1306*), il vescovo di Trieste
Rodolfo de Pedrazzani per riacquistar i diritti della sua chiesa, tentasse di
ripopolare la villa di Sllvola (Servola) che era priva d'abitanti in conseguenza
delle guerre sostenute fra il comune di Trieste ed i Veneti, e com' egli a
questo scopo chiamasse dalla sua provincia natia alcuni coloni del Solicino
a trasferirsi nella sua villa per attendere ai campi, e coli' intenzione di tra-
mutarli indi in soldati 3). Questi coloni si propagarono, ed ancora oggi la
provenienza delle loro famiglie viene confermata dai molti Sancii (corruzione
di Soncin) che abitano la villa, abbenchè coli' andar dei secoli la lingua
italiana dei Soncinesi sia un po' alla volta divenuta pretta slovena. Così va
il mondo !
La guerra riaccesasi fra il patriarca ed i Veneti coli' intervento del conte
') Kandler. Annali.
") Ughelli Ferd. Italia sacra. — Venetiis 1717-1722.
»J P. T. nella «Provincia» XVIII, 16.
— 397 —
Alberto II di Gorizia ora in favore del primo ed ora contro, che durava dal
1304 al 13 io, era causa di lunghe e crudeli devastazioni. L'Istria ne ri-
maneva esausta d'uomini, in modo tale da non poter resistere alle truppe
venete, che tentavano di togliere al patriarca i luoghi, ch'egli ancor posse-
deva nella provincia. Durante questa guerra veniva incendiato Castelvenere,
e ne rimasero pure depredate da alcuni uomini di Cittanova le ville di
Servarla (oggi Sorbar) su quello di Momiano e la villa di Merischa (Meri-
schie) nello stesso territorio : indizio deplorabile delle condizioni dell' Istria
a quei tempi ').
Le terre patriarcali istriane avevano ancora a soffrire terribili devasta-
zioni nella lotta impegnatasi nel 13 13 fra il conte Enrico ed il patriarca,
fino a che per interposizione di altre potenze, veniva conchiusa la pace
nello stesso anno 8).
Egualmente per la guerra scoppiata nel 1329 fra la tutela del conte
Giov. Enrico ed il patriarca, aveano luogo devastazioni di molti territori
della contea, tra cui S. Vincenti, Piagne e Tabanelle, ma specialmente ne
soffriva Barbana, che assalita dai patriarchini veniva arsa e condannata a veder
passati a fil di spada i suoi abitanti "). Notisi poi che un anno prima, Pola
veniva saccheggiata dai Genovesi.
Le condizioni della provincia erano a quei tempi molto lagrimevoli.
Abbiamo testimonianza di ciò in un ordine del 18 giugno 1336 dato dal
patriarca al gastaldione, al consiglio ed al popolo di Pinguente, che per im-
pedire possibilmente ai ladri ed ai predoni i pravi loro tentativi, gli animali
e le robe poste in vendita a Pinguente da altri che da conosciuti mercanti,
dovessero per tre giorni stridarsi sul piazzale innanzi la chiesa, ed appena
spirato questo termine potessero essere vendute 4).
Anche in Pola in quel tempo sussistevano le stesse condizioni. Colà
risiedeva un vescovo, Sergio da Cattaro, il qual per ordine del patriarca
veniva processato perchè esercitava la pirateria con depredazioni ed uccisioni ;
esso maltrattava e spogliava i cittadini, dilapidava le rendite dei canonici
ed i beni della Chiesa ').
') De Franceschi. Op. cit. pag. 147-150.
*) Ibid. pag. 152.
') Ibid. pag. 163, e P. T. nella «Provincia» XII, 19.
') Codice diplomatico istriano e De Franceschi. Op. cit. pag. 173.
'*; Db Franceschi Op. cit. pag. 176.
- 398 -
Nel 1343 Beachino di Momiano arrecava danni rilevanti ed ingiurie a
quelli di Cittanova, in modo da indurre il Senato veneto ad ordinare in
data 4 settembre al capitano del Paesanatico di prendere severe misure1);
e nello stesso anno il comune di Montoua invadeva le terre ed i boschi di
Portole, attirando sopra di sé la scomunica del patriarca Bertrando 2). Con-
temporaneamente succedevano fatti d'armi in Istria fra i Veneti ed il conte
Alberto, pei quali questi perdeva Antignana, e cadeva anche prigioniero $).
Causa le depredazioni che nel decorso di questa guerra venivano esercitate
dagli aderenti del conte nel territorio di Montona ed in quello di Capo-
distria, buona parte della popolazione abbandonava il territorio di quest'ul-
tima città, recandosi per timore ad abitare in quello della contea, e disertando
completamente le ville, in modo che il Senato veneto ne rimaneva profon-
damente impressionato 4). Accusato ne era principalmente il condottiero
AnziI di Postoina (Anzil de Postoyna)5). È naturale che tali distruzioni
provocassero rappresaglie, e vediamo diffatti il Senato decidere li 17 giugno
1344 e seguenti, che venissero inferti eguali danni nel territorio^della contea')
ed in quello del patriarca. In questa guerra veniva danneggiato il castello
di Momiano e distrutto quello di Castione ').
Nell'ottobre del 1347 nascevano gravi disordini e ribellioni in Isola
contro il governo veneto, le quali spingevano il Senato a serie misure 8).
Nel maggio di quello stesso anno il Senato diminuiva le gravezze pubbliche
ed accordava speciali favori alla città di Pola, onde impedire la diminuzione di
popolo cui essa andava incontro, a motivo dell'avversità e sterilità sofferte9).
Nell'anno seguente aveva luogo la tremenda ribellione di Capodistria,
organizzata da alcuni partigiani del conte Alberto III, capitanati dal conte
d'Ortenburg con Volrico di Reifenberg vassallo del conte di Gorizia, i quali
') Senato 9/Cisti. « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria »>
voi. IV, pag. 20-21.
') Kandler. Annali.
*) De Franceschi. Op. cit. pag. 177.
') Senato Misti. « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria ■
voi. IV, pag. 31.
») Ibid. pag. 35 e 37.
•) Ibid. pag. 34 e 35.
') Ibid. pag. 35, 36 e 38.
*) Ibid. pag. 45, 50 e 51.
•) Ibid. pag. 48.
— 399 —
supponendo in buona parte estinti dalla peste che allora infuriava i partigiani
veneti della città, facevano una scorreria sino alle sue porte, arrestavano
il podestà Marco Giustiniani ed atterravano il vessillo di S. Marco, sosti-
tuendovi quello del comune. Il Castel Leone che teneva fermo, domava poi
la città ').
Le ostilità fra il conte e la repubblica erano cagione anche di altri danni,
dappoiché quelli di Barbana, di Castelnovo sull'Arsa, di Albona, di Grisi-
gnana e di Salise '), sudditi patriarchini si gettassero sulle terre venete,
devastando le campagne di Capodistria e di Pola. Sembra eziandio che
nello stesso anno (1348) l' Istria venisse corsa da una masnada di Croati se-
gnani, sbarcati all'Arsa e forse mandati dal conte di Veglia in aiuto a quello
di Gorizia '). Ed anche in Pola avvenivano in quell' anno seri trambusti
e guai ').
Quattro anni appresso (1352) Capodistria tentava un'altra riscossa dal
giogo veneto5). Nel 1353 i Triestini infliggevano molti guai per mare e
per terra a quelli di Muggia, in guisa da costringere questi a chiedere l' in-
tervento del Senato veneto ').
L'anno 1354 era poi oltremodo luttuoso per l'Istria, giacche le sue
principali città e luoghi della costa dovevano soccombere agli assalti dei
Genovesi, i quali in odio ai Veneti, prendevano e saccheggiavano Pola,
Parenzo, Capodistria ed altre città, e distruggevano Muggia, Due Castelli
e S. Giorgio al Quieto ').
Nel 135 j alle tristi conseguenze degli assalti da parte dei Genovesi si
aggiungevano le incursioni e derubazioni nei territori di Pola, Dignano,
Valle e Rovigno, contro le quali il Senato veneto disponeva che il capitano
di S. Lorenzo stanziasse buona mano di truppe a guardia del borgo di
') Vesnaver Giov. Grisignana d'Istria. «Atti e memorie della Società istriana di
archeologia e storia patria» voi. Ili, pag. 195. — Senato Oi/Cisti. Ibid. voi. IV, pag. 61. —
Notizie storiche di Pola, pag. 157. — De Franceschi. Op. cit. pag. 193.
J) Senato Misti. «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria»
voi. IV, pag. 56-61.
') Kandler. Annali. — De Franceschi. Op. cit. pag. 186.
') De Franceschi. Ibid.
8) P. T. « Provincia » XIV, 4.
*) Senato Misti. «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria»
voi. IV, pag. 97.
') De Franceschi. Op. cit. pag. 189. — Kandler. Annuii.
10
— 400 —
Dignano (in Burgo Adignani)1). Nello stesso anno Parenzo otteneva dal Se-
nato un prestito di mille ducati per la durata di cinque anni, allo scopo di
riparare i guasti arrecati dall'assalto dei Genovesi, e specialmente il palazzo
del podestà, il quale per mancanza di conveniente ricovero avea dovuto
abitare nell' episcopio 2).
Non meno esiziali per la provincia riescivano i saccheggi praticati nel
r 356 dalla squadra numerosa mandata dal re Lodovico d' Ungheria sulle
coste istriane per danneggiare i Veneti, coi quali egli si trovava in guerra*).
In questa guerra molto ne soffriva Montona, alla quale il Senato a titolo
di sollievo condonava alcuni debiti di paghe. E veniva danneggiato gran-
demente anche Dignano, in modo tale che gli abitanti dovettero abbandonare
il borgo e ridursi alla campagna, dalla quale fecero ritorno nel 1358, rie-
dificando il borgo coi soccorsi del Senato ').
Fatali condizioni, note ovunque, persino al Petrarca, il quale in una
epistola deplorando nel 1359 le cose d'Italia, diceva dell'Istria «magno
» bellorum sonitu nec parvae stragis impie deservierunt: Ianuenses et Veneti
» in armis sunt 5)».
Nel 1370 i Genovesi prendevano ed abbruciavano Umago 6). Nel di-
cembre del 1374 Raffaele di ser Steno, confinato, assaliva per sorpresa
Muggia, uccideva i giudici e se ne impadroniva, tenendola per due anni,
decorsi i quali il patriarca la ricuperava ').
Li 7 maggio 1379 aveva luogo la battaglia nel canale dei Brioni fra
i Genovesi ed i Veneziani colla rotta totale di questi. Pola veniva presa dai
Genovesi e diroccata, uccisi gli abitanti, incendiato 1' archivio e portati a
Genova gli oggetti preziosi, fra i quali le porte di bronzo della cattedrale ').
I Genovesi prendevano quindi Rovigno, la depredavano e le rapivano il
corpo di S. Eufemia ; poi consegnavano la città al luogotenente del patriarca
') Senato Misti. « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria »
voi. IV, pag. 104.
J) Ibid. pag. 108.
3) Benussi. Storia di Rovigno, pag. 65.
') Senato Misti. «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria»
voi. IV, pag. 126, 134.
6) Kandler. Annali.
6) Tommasini. Op. cit. pag. 293. — Benussi. Storia di Rovigno, pag. 66. — De
Franceschi. Op. cit. pag. 201.
7) Kandler. ninnali.
*) Ibid. — De Franceschi. Op cit. pag. 211-212.
— 401 —
d'Aquileja, che diggià con numeroso esercito aveva invasa la penisola1).
Ed anche nel 1380, dopo esser stati battuti presso Chioggia, i Genovesi
devastavano l' Istria *), prendendo Capodistria senza il castello, bruciandola
in parte, e saccheggiandola senza risparmiare ne monumenti antichi, né
archivi, ne fabbriche, ed asportandone persino i corpi santi 1). — Invece
Pirano e Parenzo respingevano l'assalto, e quello contro Isola andava pure
a vuoto, mentre Pola veniva di bel nuovo presa ed arsa. Nello stesso anno
il provveditore veneto Alvise Loredan assaltava Besca e la saccheggiava.
Sembra che nel 1381 anche Due Castelli venisse assalito e preso dai Genovesi,
alleati a quelli di S. Lorenzo *), colla strage degli abitanti, col saccheggio
ed incendio del luogo, nel qual anno anche Capodistria veniva nuovamente
aggredita dai Genovesi e posta a ruba ed a fuoco 6).
Nel 1349 succedeva presso Grisignana un piccolo fatto d' armi, pro-
babilmente fra veneti e patriarchini e). La città patriarchina di Muggia doveva
alla sua volta nel 1398 sostenere coi Triestini serie ostilità 7).
Riepilogati di tal guisa i fatti d' armi e le fazioni guerresche, per le
quali la provincia nostra ebbe a soffrire terribilmente, altre cause s'aggiunsero
in questo secolo, come negli antecedenti, a favorirne il deperimento, fra le
quali vanno ricordate in primo luogo le pesti.
Abbiamo memoria di dodici anni d'epidemie di peste scoppiata entro
i confini della provincia, e precisamente negli anni 1312, 1330, 1343, 1347,
1348, 1360, 1361, 1368, 1371, 1380, 1382, 1397 8). Tali epidemie furono
fatalissime pelle loro conseguenze. Muggia perdeva la metà della popolazione,
Pirano, Rovigno, Parenzo, Pola, Montona ed Ossero rimanevano sensibil-
mente diminuite dei loro abitanti, anzi l'agro polese veniva del tutto spo-
') Benussi. Storia di Rovigno, pag. 66. — De Franceschi. Op. cit. pag. 213.
2) Benussi. Ibid.
*) «Provincia» XI, 24. — De Franceschi. Op. cit. pag. 218-220.
•) Tommasini. Op. cit.
') De Franceschi. Op. cit. pag. 321.
•) Kandler. ^Annali.
*) De Franceschi. Op. cit. pag. 233.
*) Vedi mio lavoro citato. In questo e indicato falsamente quale anno di peste anche
il 1338, dipendendo ciò da un errore di stampa nel testo citato, ove invece del 1338,
doveva leggersi 1348. La peste dell'anno 1368 non comparisce menzionata nella mia
monografia, perché la trovava menzionata dopo la pubblicazione della stessa nei Senato Misti
(«Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria» voi. V, pag. 38, 41).
Essa invadeva la città di Capodistria.
— 402 —
polato. Capodistria poi riducevasi alle più tristi condizioni economiche, in
modo che nel 1386 il clero non era al caso di pagare la decima papale ').
È inoltre probabile che il contagio superasse i confini della provincia
anche in altre annate, giacché troviamo la peste nelle provincie venete ed
in Venezia stessa, negli anni 1307, 1349, 1350, 1 3 5 1, 1359, 1393 *).
In questo secolo manifestaronsi ancora molti fenomeni tellurici e me-
teorologici, i quali non possono non aver esercitata una certa azione funesta
sulla conformazione del suolo. Primi fra tutti notiamo i terremoti che oc-
correvano nella regione veneto-istriana, negli anni 1301, 1343, 1348, 1 349-
Indi le maree straordinarie, manifestatesi nel 1 3 14, 1340, 1341, 1343, 1385,
fra le quali è memorabile in Istria quella del 1343, durante la quale Pirano
minacciata dalla enorme escrescenza delle acque volle nella sua pietà attri-
buire la propria salvezza dall' essere ingoiata dalle acque alla apparizione
del martire S. Giorgio 3).
Finalmente devesi far menzione dei freddi eccessivi del 1339 e d'una
invasione di locuste, che nel 1309 devastarono le campagne dell'Istria4).
Conseguenze sì delle guerre, che delle pesti, nonché delle circostanze
ultimamente menzionate erano le carestie sofferte nel 1312 e nel 1375, e la
fame nell'anno del freddo 1339; e mentre nell'anno 13 17 — anno ricordato
fra i più prosperi — le campagne producevano del vino in abbondanza,
vediamo in breve codeste sorgenti di ricchezza a poco a poco scemare in
modo che sotto la data dei 5 aprile 1349 il veneto Senato concedeva al
comune di S. Lorenzo del Pasenatico, che molto ne scarseggiava, di poter
ritirare dalle parti di Trieste 25 anfore di ribolla e da quelle della Marca
25 anfore di vino, pagandone il dazio 5). La stessa cosa avveniva in data 25
marzo del 1350, quando, per esservi stata nel 1349 grande scarsezza di vino
su quel di Parenzo, si concedeva a questa città di poter ritirare dalle parti
di Capodistria e da quelle verso Trieste 50 anfore di ribolla 6). Si ripeteva la
stessa grazia al comune di S. Lorenzo del Pasenatico colle parti prese in
') Vedi mio lavoro citato. — Marsich. Effemeridi giustinopolitane «Provincia» XI, 20.
2) Kandler. Annali.
3) Ibid.
«) Ibid.
6) Senato Misti. «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria»
voi. IV, pag. 59.
6) Ibid. pag. 81.
- 4°3 —
data 29 luglio 1349, 4 novembre 1350, 16 agosto 135 1 e 16 agosto 1353 '),
di poter estrarre dalla Marca e da luoghi dell'Istria 150 anfore di vino. Li
19 aprile 1357 avveniva lo stesso pel comune di Umago, reiterando in tal
guisa una grazia concessa allo stesso nel 1356. Da tutto ciò si rileva come
scarsa fosse la produzione del vino negli anni 1348, 1349, 1350, 1352, 1355
e 1356. In aggiunta a ciò v'era tanta scarsezza di granaglie in quasi tutta
l'Istria nel 1381, da costringere il Senato veneto nel gennaio 1382 a con-
cedere agli abitanti di Pola, di Rovigno e di Valle di poter acquistare nel
Friuli lino a 1500, rispettivamente 1000 e 500 staia di grano*).
Nel decorso di questo secolo troviamo che l'estuario di Capodistria si
fosse avanzato fino ai pressi della città, in modo che o per la sicurezza
contro gli assalti guerreschi o per motivi di salute pubblica venivano presi
dal governo veneto seri provvedimenti. Il Senato colla parte 9 novembre 1329
ordinava, in seguito al parere di Gradenigo Bertucci, d' impedire l'ulteriore
dilatazione della palude, colla erezione di un muro di chiusa. Senonchè con
tale rimedio giungevasi ad un risultato del tutto opposto, poiché deviatone
il corso regolare del Risano, la palude estendevasi ancora maggiormente ').
Impensierito il Senato di tale fatto, decideva in seguito alle informazioni del
podestà di Capodistria di procedere all' escavo della palude. L' argomento
diveniva oggetto di serie pertrattazioni nelle sedute del 23 febbraio 1343 e
19 aprile 1344, ed i protocolli delle stesse ci dicono, che allo scopo di co-
prire le ingenti spese relative, il Senato decideva d'addossarne una parte ai
cittadini di Capodistria, imponendo loro una gabella sul vino *). Però sino
al 3 giugno 1361 e 18 marzo 1364 non s'era ancora fatto nulla, per il che
il veneto Senato ordinava al podestà allora in sede, di far procedere in ogni
modo a detto escavo per la lunghezza di almeno 800 passi e io di larghezza,
e commetteva ai patroni dell'arsenale di mandar colà quattro burchi dei più
leggieri e gli istrumenti da scavare *). La palude tuttavia era sì interrita che
certe barene che vi si erano formate, impedivano ai pontoni d' avvicinarsi
') Senato Misti, «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria»
voi. IV, pag. 69, 83, 86, 97.
*) Ibid. voi. V, pag. 75.
*) «Archivio veneto», fase, si, 1886, N. 354. — Porla orientale, 1858, pag. 50. —
«Provincia» XX, 13.
*) Senato Misti « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria »
voi. IV, pag. 26, 27, 30.
') Ibid. voi. V, pag. 3 e 19.
— 404 —
al luogo di escavo, e perciò si ordinava al podestà di previamente allonta-
narle. In data 20 giugno del 1364, dietro domanda del podestà, spediva»
un pontone per l'escavo '), e sotto quella dei 9 novembre delegavansi due
boni viri in talibus experti, i quali avessero a studiare col podestà i lavori
da farsi ed il modo di condurli a termine colla maggior economia. Questi
esperti (che erano di Chioggia), uditi dal Senato, fecero deliberare dallo
stesso nel giorno 7 gennaio 1365 2), che si avesse a scavare per 300 passi
a ponente in modo da poter approdare al Castel Leone senza impedimenti.
La palude che stava intorno al detto castello ed a quella parte della città,
era in gran parte rasciutta e vi si formavano barene, cosi che il podestà
veniva di nuovo incaricato di farle escavare, onde 1' acqua ne potesse co-
prire l'estuario. Sembra che l' interrimento dipendesse dall' impeto del mare
proveniente dal lato di Borea, il quale trovandosi impedito nel suo libero
movimento dal ponte di pietra, infrenato l' impeto, deponeva le sostanze
pesanti che seco trascinava. Ordinavasi perciò che tale ponte venisse rotto
(scava^etur) ed aperto al punto ov'esso s'univa a quello di legno che metteva
verso la città, in guisa che vi restasse uno spazio di circa 12 passi, unendo
le due teste con un ponte levatoio di legno. La stessa cosa doveva farsi
alla testa di ponte verso il castello, chiamato starea. Aprendo in tal guisa
un varco di 24 passi, il mare avrebbe riottenuto il suo movimento regolare.
Oltre a ciò fu ordinato che il fiumicello scorrente dalla parte di levante al
mare venisse immesso nella fossa del castello. A tali lavori vennero sopraposti
quali sorveglianti due esperti di Venezia e Chioggia. Questi esperti, avendo
però ritenuta dannosa tale immissione, fu deliberato sotto la data dei 28
agosto dello stesso anno, che il fiumicello venisse sotterraneamente condotto
dal Risano al mare.
Ma siffatto lavoro non ebbe che un effetto temporaneo : il veneto Senato
colla parte 27 luglio 1374 s), sollecitato dal podestà e capitano di Capo-
distria, ordinava che tutti i podestà ogni anno per una settimana, subito
dopo Pasqua, dovessero far scavare dai salinari in una data proporzione le
paludi e barene. Neil' anno seguente, li 1 1 maggio, in base a proposta del
cessato podestà e capitanio Paolo Morosini, fu deliberato di far scavare la
') Senato Misti. «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria»
voK IV, pag. 20.
5) Ibid. pag. 22.
3) Ibid. pag. 57.
— 405 —
palude formatasi attorno il Castel Leone in modo che con qualsiasi marèa
vi si potesse avvicinare una barca. Venne poi deciso di girare il Fiumicino
verso Risano per impedire l'interrimento di cui era causa'). Tale interri-
mento era sì avanzato e solido, che un cavaliere col suo cavallo poteva re-
carsi alle porporelle 2).
Sembra tuttavia che le condizioni sanitarie di Capodistria, almeno in
quanto riguarda la salubrità dell'aria, non fossero sfavorevoli nel decorso di
questo secolo, perché ad onta dell' impaludamento, delle guerre e delle pesti,
abbiamo nella lettera del Petrarca al Boccaccio, riportata a pag. 370, la te-
stimonianza delle buone condizioni igieniche della città, nell'anno 1363.
In generale non si può dire altrettanto del resto della provincia. Troviamo
diffatti nella Commissione del doge Antonio Venier degli anni 1382-1400,
che è data facoltà ai podestà di Cittanova e di Parenzo di rimanere assenti
per tre mesi dalle città loro assegnate e ciò a cagione della insalubrità del-
l'aria '). Questa notizia è importantissima, essa è forse il più antico docu-
mento che parli della malaria, della quale pare che solamente quelle due
città fossero aggravate, mentre accenandosi a Pola si deplorano in generale
le tristi condizioni e lo stato di desolazione 4) in cui era caduta, si da dover
costringere il governo veneto a porgere in varie guise un sollievo all' infelice
città 5). La popolazione vi era in essa di molto scemata, e le campagne
mancavano di trebbiatori per le biade, che si dovevano far venire da altri
siti. Onde impedirne il totale spopolamento, il governo proibiva ai Polesi
di portarsi ad abitare in Dignano, come s'era principiato; indizio questo che
probabilmente anche in Pola 1' aria non era buona ').
Parenzo però aveva ancora alla metà del secolo oltre 3000 abitanti,
') Senato Misti. « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria »
voi. V, pag. 57. — Dunque di ciò nel 1365 non s'era fatto nulla.
') Ibid. pag. 59 «unus eques cum toto equo posset ire usque ad Purpurarias ».
3) Commissioni dei dogi ai podestà veneti dell'Istria, con introduzione del prof. Bernardo
don. Benussi. «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria»,
voi. Ili, pag. 7 e 30.
') Senato iVCiili. « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria »
voi. V, pag. 17. — Nella seduta del veneto Senato del 26 ottobre 1363 essa viene chia-
mata « multum desolata gentibus».
5) Commissioni dei dogi ecc., pag. 18 e 72-73. — Fra altri favori il veneto Senato
cambiava nel 1350 il contributo d'una galea con un pagamento rateale della stessa.
«; Ibid.
— 4°6 —
popolazione assai abbondante tenuto conto della piccolezza del recinto ').
Ad onta di ciò nel 1372 la città era ridotta ad estrema povertà, in modo
che con deliberazione del 2 marzo di quell'anno il Senato veneto l'esonerava
del pagamento della tassa del Pasenatico 2). Come s'è veduto a pag. 398,
Capodistria ed il suo territorio erano invece, nel 1358, scarsamente popolati,
causa le guerre e le pesti. In aggiunta a ciò nel 1375 vi regnò un'estrema
carestia, cui il governo alleviava impiegando mille lire pei poveri della citta,
ai quali affidò i lavori ad castrimi Leonis s).
Il castello di Valle, che nel 1344 contava 200 abitanti *), si lagna pure
di gravi infortuni toccatigli nel 1358 per le fazioni di guerra, in seguito ai
quali perdeva oltre quattromila animali fra grandi e minuti. Perciò chiedeva
una riduzione delle imposizioni, che il Senato accordò 6). — Rovigno stessa
era ridotta in questo secolo ad estrema povertà. Il veneto Senato li 5 gen-
naio 1366, per sollevare in qualche modo il comune e gli uomini di quella
città qui in miserrima patipertate constituti sunt, concedeva di poter esportare
per due anni per terra e per mare 1' olio prodotto in quel territorio, pa-
gandone il dovuto dazio e).
La terminazione 27 luglio 1375 contenuta nella Commissione del doge
Antonio Veniero al podestà di Capodistria del 13 82- 1400, nella quale per-
mettevasi ai sudditi di rifarsi dei danni arrecati, sia coli' inseguire i predoni
o con altre misure, attribuisce a tali danneggiamenti il fatto quod tota Istria
dici pot est deserta ista de causa'1), cosi che un anno più tardi, nel 17 no-
vembre 1376, il Senato ordinava a tutti i rettori della provincia, che per
ripopolare le città e le campagne (prò bono et habitatione terrarum et locorum
nostrorum Istriae), facessero proclamare ovunque, che tutti coloro i quali
entro un anno venissero ad abitare colla famiglia in alcuna terra o luogo
veneto dell' Istria, sarebbero liberi da ogni angheria personale e reale di
') Negri mons. Gasparo. Memorie storiche della città e diocesi di Parendo. « Atti e
memorie della Società istriana di archeologia e storia patria », voi. Ili, pag. 1 36. —
Kandler. ^Annali.
*) Senato Misti. « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria »
voi. V. pag. 52.
3) Ibid. pag. 60.
*) Ibid. voi. IV, pag. 30-31.
5) Ibid. pag. 121.
•) Ibid. voi. V, pag. 29.
') Commissioni dei dogi ecc., pag. 17 e 53-54.
— 407 —
dette terre o luoghi per lo spazio di cinque anni ; ma al tempo stesso rac-
comandava ai rettori di non accogliere' persone sospette, e di trattare con
benigniti i venuti ').
Nel 1356 per deliberazione del Senato del 21 marzo venne creato il
nuovo Pasenatico citta aquam Quieti Fu dapprima stabilito in Sterna, luogo
che venne riedificato e destinato a permanente dimora del capitano, al quale
era data facoltà, durante la riedificazione, di abitare in Umago od in Citta-
nova8). Codesta sede dura però soli due anni. In data 19 decembre 1358
avendo il Senato accettata la domanda di Volrico di Reifenberg, il castello
di Grisignana passava in pegno alla Repubblica per 4000 ducati, dove il
Pasenatico atra aquam vi veniva trasferito5) durandovi fino al 1394, nel
qual anno i Pasenatici cioè questo e quello di S. Lorenzo, furono concentrati
in uno solo, in Raspo *). Tali notizie servono a testimonio delle buone con-
dizioni di queste tre località.
Nelle isole del Quarnero, specialmente in quella dei Lossini verificavasi
durante il decorso di questo secolo un sensibile aumento di popolazione ;
ed anzi ora appena si hanno per quest'ultima isola notizie di due villaggi
abitati. Una cronaca manoscritta, in cui trovasi esposta la famosa lite degli
Osserini contro i Lussignani pel pagamento del tributo imposto dai primi
agli ultimi, ci può offrire qualche lume intorno all' origine dei Lossini.
«Seguita l'amichevole divisione — dice quello scritto — del possesso del-
» l' isola tra Cherso ed Ossero, fu accordato a quest' ultimo dal Principe
» in via di privilegio tutta quella terra, che dalla punta del Monte d'Ossero
» fino a S. Pietro de' Nembi s'estende, ed in quel tempo (anno 1384) non
» vi era alcuno, che abitasse quella terra. Dopo qualche tempo sono venute
» dagli stati esteri otto famiglie, le quali hanno ottenuto dalla Comunità di
» Ossero il permesso di fermare colà la loro dimora, e precisamente quattro
» per ogni luogo. Queste poche famiglie piantarono le prime loro casupole
» di paglia in quelle località che oggi si chiamano Lussingrande e Lussin-
» piccolo, e venivano distinte nella prima origine col nome di Pastori dei
» Signori a" Ossero. Questo permesso di stabile domicilio fu loro concesso
') De Franceschi. Op. cit. pag. 208 e nota.
*) Senato Misti. «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria»
voi. IV, pag. 109.
3) Ibid. pag. 132.
•) De Franceschi. Op. cit. pag. 227,
— 408 —
» a condizione, che a titolo di tributo annuo dovesse ogni famiglia pagare
» un ducato d'oro». Nel 1398 tali famiglie erano aumentate a trenta').
Mentre Lossino sorgeva dal nulla, la vetusta città di Ossero precipitava
al basso. Incendiata e devastata dai Genovesi e desolata dalle pesti, essa
trovavasi in così tristi condizioni, che il suo vescovo Michele l'abbandonava
e conducevasi a vivere in Zara 2).
Nei documenti di quei tempi troviamo citate varie località, di cui ora
alcune non esistono, oppure non hanno alcuna importanza, come p. e. Ca-
stello e Villa di Sipar, Fontana georgica (forse nel comune di Barbana nel
luogo ora detto Iurevikal : Stagno georgico) 3), Villa di Calsen in Monte
(Pisino) '), Nigrignano 5), Villa di Albuzzan o di Castagnedo (Pirano) "),
Villa di Cogor (Cozur ?) (Albonese-Vettua), Villa Lazara (alla destra del
Quieto), Villa Visanez, Rosario e Medelino (Vismada)'), Casteglione presso
Buje 8).
Quale indizio, che le condizioni non fossero dappertutto tristi, abbiamo
però il fatto che anche in questo secolo fondaronsi dieci monasteri in
vari luoghi della provincia. Così troviamo che nel 1301 fondavasi un con-
vento di monache della Cella colla regola di S. Chiara in Capodistria, nel
13 18 uno d'Agostiniani ed un terzo di Domenicani nel 1324. Cessano in-
vece nel 13 14 le abbazie di Benedettini in S. Vincenti, nel 1391 quella di
S Michele in Valle, di S. Barbara di Visinì, di S. Petronilla e di S. Maria
d'Orsera, nel 1396 quella di S. Maria al lago d'Arsa; mentre nel 1 3 14
sussisteva ancora quella di S. Michele di Leme, nel 1330 quella di S. Pietro
d' Isola nella diocesi parentina, nel 1337 quella di S. Martino di Tripoli
presso Verteneglio e nel 1385 quella di S. Michele sottoterra. Vediamo allo
stesso tempo fondarsi un convento di Francescani in Muggia nel 1338, uno
di S. Paolo eremita al lago d'Arsa nel 1396, ed uno di Minori osservanti
in Valle, nell' edifizio che era già dei Benedettini, nel 1399 9).
') Nicolich. Op. cit. pag. 134, 155.
a) Bonicelli. Op. cit. pag. 39.
3) De Franceschi. Op. cit. pag. 170.
*) Kandler. Annali.
5) De Franceschi. Op. cit. pag. ija.
«) Ibid. pag. 157.
') Ibid. pag. 157. — Notizie storiche di Montona, pag. 76. — Medelino allora villa,
'già Castello detto Montelino nell' odierno comune di S. Vitale.
*) De Franceschi. Op, cit. pag. 191.
9) Kandler. ^Annali.
— 409 —
Però se tale aumentarsi dei monasteri nelle diverse località della pro-
vincia accenna alla conservazione di una tal quale relativa salubrità, tuttavia
la circostanza che in questo secolo e nell'anteriore andassero diminuendo le
abbazie ed i priorati dei Benedettini, dimostrerebbe a sufficienza che le condi-
zioni materiali della provincia, e la salubrità stessa dell'aria, si fossero sensi-
bilmente peggiorate È noto come l'ordine dei Benedettini seguisse nei secoli
decorsi, come lo segue oggidì, un indirizzo agricolo, e come per opera di
quest' ordine molte località inproduttive, molti terreni aridi, oppur troppo
maremmosi, fossero resi produttivi coli' introduzione di razionali sistemi di
agricoltura o di fognatura e con una savia amministrazione '). È lecito quindi
dedurre che non la produttività del suolo, giacché questa dovrebbe nei molti
secoli di residenza essere stata raggiunta, ma bensì altre cause abbiano co-
stretto i monaci ad abbandonare i terreni. Ammettiamo pure le stragi delle
pesti ; però siccome queste sono d' un effetto passeggiero, è più logico il
ritenere che un peggioramento nelle condizioni igieniche dell' aria abbia
costretto i monaci a lasciare i luoghi di loro secolare dimora, collocati quasi
sempre all'aperta campagna ed in situazioni divenute poi di fama tristissima
nei riguardi di salubrità.
Il governo non trascurava di porgere con ogni mezzo qualche sol-
lievo a tali tristi condizioni della provincia. Nelle pagine anteriori abbiamo
menzionato le riduzioni di dazi, le facilitazioni nel pagamento d' imposte,
i permessi d' introduzione di vini, ed i lavori di escavo delle paludi. In
aggiunta a questo il governo volgeva la sua attenzione acche i comuni
fossero provvisti di buone acque, e faceva a tale scopo erigere cisterne
e fontane ove non n' esistevano, come per esempio in S. Lorenzo del Pa-
senatico *), o riparare quelle diggià esistenti, come in Capodistria s). Gli
statuti poi di quei tempi contenevano buon numero di savie disposizioni sì in
riguardo alla nettezza delle vie, che alla vendita delle carni, nonché all'uso
dell'acqua dei laghi *). Neppure il personale sanitario vi scarseggiava, che anzi
in questo secolo, e precisamente sotto la data 4 settembre 1343, il Senato
') Vedi Regola di S. -Benedetto, cap. XXXI e XXXII, nonché le dichiarazioni de' PP.
della Congregazione cassinese.
*) Salato Misti. «Atti e memorie della Società Istriana di archeologia e storia patria»
voi. IV, pag. 43.
') lbid. voi. V, pag. 17 (decisione 17 settembre 1363).
') Un mio lavoro diggià pronto alle stampe s'occupa dell'igiene in questi statuti.
— 4IQ —
ordinava al capitano di S. Lorenzo del Pasenatico di stipendiare un medico ').
Né vi mancavano medici che esercitassero nelle principali città dell' Istria.
Nel J339 fungeva da medico in Capodistria Marco da Fermo, a quanto pare
capacissimo2). Nel 1363 esercitava nella stessa città Andrea Bonacata degli
Albarisani, chirurgo. Venuto da Chioggia, ov'era in antecedenza stipendiato,
percepiva la mercede di 100 ducati d'oro all'anno e la casa3). Nel 1376
troviamo sempre a Capodistria un Lodovico da Ferino (Lod. de Firmo ciroicus),
il quale da molti anni esercitava la sua professione senza percezione d'alcun
stipendio, per cui il Senato veneto gli accordava con decreto del 6 maggio
duas postas pedestres in quella città de grafia speciali*). Nel 1374 era medico
in Pola Bonaventura di Rustigello 5). In Pirano ove diggià nel secolo anteriore
esercitavano la professione medica Domenico Andrei nel 1291 e Giovanni
Claudo nel 1290, nel secolo XIV i medici godevano d' uno stipendio re-
golare, ammontante a lire piccole 400 all'anno, circa 374 fiorini austriaci
in oro. In questo secolo vi esercitarono tale professione Giovanni di Tortona
e Tomaso de Castro Sardagna nel 1328, Bonifacio di Ferrara nel 1345, Daniele
de Campo nel 1346, Antonio di Manina nel 1365, Giovanni Gherardi di Cremona
nel 1360, Antonio di Vicenza nel 1352, Giovanni Grimani nel 1387, Michiele
de Matifredis di Chioggia nel 1397 6).
Tali erano le condizioni demografiche e sanitarie neh' Istria durante il
decorso del secolo decimoquarto ; secolo fatale, perchè segnava un manifesto
decadimento generale della provincia e la comparsa della malaria.
XV secolo. — Le fazioni di guerra cominciavano per tempo ad eser-
citare la loro azione deleteria nel secolo XV, e sebbene nei primi anni
non sorgessero che litigi, circoscritti a piccoli luoghi, come sarebbero a
Castelvenere, a Castiglione ed a Cernigrado, i quali si fomentavano e
sviluppavano fra gli aderenti del patriarca e quelli della Repubblica 7),
') Senato Misti. « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria »
voi. IV, pag. 22.
2) «Archivio veneto» anno XIII, fase. 51, pag. 254. — Cecchetti. La medicina
in Venezia.
') « Archivio veneto » cit. pag. 92.
') Senato Misti. «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria»
voi. V, pag. 65.
5) «Archivio veneto» cit. pag. 254.
6) Morteani prof. Luigi. Notizie storiche della città di Tirano. « Archeografo trie-
stino », nuova serie, voi. XII, pag. 142-143.
7) De Franceschi. Op. ciu pag. 235.
— 4" —
tuttavia di fatti d'armi di qualche entità con perdite d' uomini ecc. non
si può parlare che appena nel 141 2, quando i Veneziani facevano smantellare
le mura di Buje, Rozzo e Colmo, luoghi tolti al patriarca in lega coli' im-
peratore Sigismondo '). Durante questa guerra la penisola venne scorsa
dagli Ungheri dell' imperatore. Fu allora che si attaccarono, però senza
successo, Capodistria, Isola, Parenzo e Pola, e si occupò Valle e Dignano ').
La cronaca Dolfina ci offre un quadro espressivo dei danni arrecati alla
provincia da tale incursione ').
La conquista avvenuta negli anni seguenti da parte dei Veneziani di
altri luoghi dell' Istria soggetti al patriarca, costava pure la vita a molte
persone, in ispecialità le operazioni di guerra contro Pinguente'). Nel 1439,
a quanto ci narra il Valvasor, abbenchè non esistessero motivi di guerra
fra gli Stati cui apparteneva la provincia, una masnada di carniolici condotta
da Enrico Freybach intraprendeva da Lubiana un' incursione nell' Istria
veneta, abbruciando parecchi villaggi, per rimpatriare indi carica di bottino 5).
Grave di conseguenze riesci di certo anche l'assedio di Trieste condotto
con tutto l'accanimento da parte dei Veneziani nel 1463, al quale parte-
ciparono pure alcune città istriane, contribuendovi nelle spese '). L' assedio
durò quattro mesi, dal 4 luglio all' 11 di novembre. La fame prodotta era
tale che molti ne morivano, e coloro che volevano scamparvi erano
costretti a cibarsi di animali immondi e di cuoj '). Arroge le depredazioni
dei Turchi nel Carso di Trieste e dell'Istria negli anni 1470, 1471 e 1472,
rinnovatesi nel 1482, [494 e nel 1499, per le quali depredazioni Raspo,
Semich, Colmo, Draguch restavano devastate e saccheggiate, nonché private
in parte della popolazione, che quei predoni conducevano in schiavitù 8).
') De Franceschi. Op. cit. pag. 141.
2) Ibid.
5) Ibid. pag. 242. Citata : « Da puoi avanti che il Re partisse d' Istria, per grande
» sdegno concepito fece bruciar Molini e tagliar Oliveri, e poi s'appresentò a Parenzo e
» Pola; e per quelli di drento fu molto ben resposo di Bombarde e Balestre, e fatto gran
» preda di Bestiame si levò di là per mancamento di Vittuarie per non poter dimorar».
— Vergottini. Saggio di storia della città di Varenxp. — Manzano. Annali.
•) Ibid. pag. 243.
s) Ibid. pag. 250.
') Ibid. pag. 260.
') Kandler. ^Annali.
*) De Franceschi. Op. cit. pag. 263, 266, 270.
— 412 —
Sembra che in questo secolo, a quanto narra la tradizione, neppur
le isole del Quarnero andassero esenti da tali incursioni, giacché nel 1476
alcuni pirati (che la tradizione vuole Narentani), sbarcati al porto Cigale,
avrebbero assalito il nascente paese di Lussinpiccolo, portandovi il terrore
e la desolazione fra gli abitanti, e decimandone il fiore della gioventù ').
Agi' infortunii cagionati dai fatti di guerra contribuirono potentemente
a danno della provincia le epidemie di peste bubbonica che comparvero
negli anni 1413, 1427, 1429, 1449, 1456, 1467, 1468, 1476, 1477, 1478,
1483, 1497, e 1499, e fors' anco in altri anni, dal momento che troviamo
il morbo nella vicina provincia di Venezia eziandio negli anni 140J, 1423
e 1447. Le cronache ci offrono tristissime descrizioni delle stragi arrecate
da tali epidemie, le quali, dove scoppiavano, distruggevano le popolazioni,
annientavano le città, spopolavano le campagne 2).
S' aggiunse ancora una lunga serie di annate di desolanti carestie, fra
le quali spicca quella dell'anno 14048). Nel 1499 questo flagello afflisse
siffattamente il comune di Cittanova, che il governo veneto fu costretto
permettere a quei cittadini di recarsi nella Puglia o nella Marca onde
acquistarvi 500 staja di frumento per sopperire ai bisogni della popolazione').
E quasi tutto ciò non bastasse svilupparonsi nella provincia freddi intensi
negli anni 1408 e 1441, e terremoti che misero a soqquadro tutta la
regione negli anni 1402, 1403, 1410, e maree straordinarie negli anni 1410,
1423, 1428, 1429, 1430, 1440, 1441 e 1444 5).
Il deterioramento progressivo della provincia in questo secolo viene
attestato da vari fatti documentati dalla storia. Troviamo p. e. come nel 1432
') Nicolich. Op. cit. pag. 26.
') Vedi la mia monografia sulle pesti citata.
3) Kandler. ^Annali.
*) «Nos Melchior Trevisanus prò S.mo Ducali D no Venetiar. etc. Caps. General is
» Maris : tenore presentium : — Concedemo a la fedelissima comunità nostra de Cita-
» nova ecc. per uso di essa città et populo possino con loro Nuncij, et messi trasere da
» la parte de la Marca, et de la Puglia stara cinquecento for.to, et quali condur al dicto
» logo de Citanova per uso in necessità sua come è dicto senza alchuna molestia ouer
» impedimento. Et valeant pn.tes sornel. et prò una vult. tantum. In quo fidem et.
» Dat. ex Triremi in portu Parentij die II.a Octob. 1499
» Marinus B.
» not. m . o. »
D. V. «Provincia» XXI, 17. (Dall'Archivio comunale di Cittanova).
6) Kandler. ^Annali.
— 4i3 —
il papa Eugenio IV ordinasse 1' unione della diocesi di Cittanova a quella
di Parenzo, tosto avvenuta la morte del vescovo vivente. Sebbene tale bolla
non fosse stata allora eseguita, è noto però che lo stesso vescovato veniva
nel 1449 per la sua povertà dato in commenda ai patriarchi di Venezia, e
congiunto appena, ma per breve tempo, nel 1454 a quello di Parenzo,
trovandolosi ripristinato già nel 1466 '). Cosi Montona, fra il 1450 ed il
1460, la quale in epoche anteriori era florida e ricca, riducevasi per le
guerre e le incursioni a tale stato di povertà, da dover essere soccorsa dal
comune di Pirano, onde sollevarla per qualche anno d'un terzo delle librai
nonnigentas parvorum, che doveva annualmente versare per il Pasanatico ').
Antignana, Vermo, Terviso, Momian e Crassan (Chersano), vedevano invece
nel frattempo migliorate le loro sorti col trasformarsi in forti castella ').
Pola stessa era ridotta dalle pesti a tali estremi, che i suoi canonici per
campare la vita, dovevano dedicarsi alla coltura dei campi ').
Tuttavia alcuni paesi mantenevano ancora una certa floridezza. Vediamo
p. e. Parenzo — che il Flavio Blondio chiama nel 1482 Civitas vetusta 5)
ad onta delle stragi, delle pesti e di mille altri infortuni — innalzare
nel 1403 sull'isola di S. Nicolò una torre ad uso lanterna pei naviganti;
la vediamo nel 1419 costruire un'ampia cisterna in piazza di Marafor e
mantenere le saline che erano in S. Eleuterio ed a Molin de rio *). Vediamo
Medolino, che ora è un villaggio abitato da contadini, aspirare nel 1446
a sottrarsi alla soggezione di Pola, e pretendere un podestà come altre
terre dell' Istria'). Pirano stessa figura nel 1483 popolata di 7000 abitanti B).
Anche nei Lossini la popolazione trovavasi in via di aumento *). Il
diggià citato Flavio Blondio che sembra scrivesse la sua opera nel 1482,
chiama Umago nobile oppidwn, dal che pare accertato che questo luogo si
trovasse pure in buone condizioni.
') Kandler. ^Annali.
*) Notizie storiche di Montona. Artic. di Tommaso Luciani, pag. 264.
*) Ibid. pag. 204. Aricordo di Ant. Venier e Francesco Cavodelista al doge nel 1457.
*) Notici storiche di Toh, pag. 210.
') Blondh Flavii Foruvensis. Italiae illustratele, undecima regio Histriae. « Archeo-
grafo triestino», vecchia serie, voi. II, pag. Si,
*) Kandler annali.
7) Ibid.
•) Marin Sanudo. TDiarii. «Provincia» IV, 13.
•) Nicolich Op. cit. pag. 135. — Bonicelli. Op. cit. pag. 37. — Nei 1438 vi erano
diggià 50 famiglie.
— 4*4 —
In aggiunta a tutte queste cause di decadimento economico e sanitario,
cui andava incontro la provincia in questo secolo e donde trasse fomite in
alcune località il morbo malarico '), giova ricordare eziandio altri fatti par-
ticolari che possono aver contribuito al regresso igienico della provincia.
E giova parlare altresì di alcuni provvedimenti presi dai comuni o dal
governo, sia contro la malsanìa generale, sia contro la scarsezza delle acque
potabili, sia in fine a scopi di guerra, ma in ogni caso proficui anche dal
lato sanitario.
In primo luogo sono degne di menzione le distruzioni delle selve
che coprivano le vette del Carso, avvenute tra il 1400 e 1490 per opera
dei mandriani, i quali tagliavano gli alberi, oppure cacciavano i loro animali
a pascersi entro le stesse, per cui ne venivano mozzati i germogli. Contro
tali devastazioni cercava inutilmente d' opporsi l'imperatore Federico colla
risoluzione 13 marzo 1490 8). Il veneto Senato provvedeva pure alla
conservazione dei boschi colla terminazione del Consiglio dei Dieci
7 gennaio 1475 8). I boschi godevano a quei tempi la lama di essere
fonte di salubrità, e la loro conservazione, oltreché richiesta dal bisogno
di legna a scopi di guerra e per F uso domestico, era in alcuni siti osservata
per 1' opinione invalsa che essi fossero un antemurale alle correnti aeree
provenienti dai luoghi malsani. — Vediamo in riguardo a ciò il Consiglio
di Cittanova proibire severamente nel 1459 a chicchessia il taglio delle legna
nel bosco Licello per ragioni igieniche *) ; dalla quale deliberazione si
') Bonicelli. Op. cit. pag. 39. — Citiamo ad esempio Ossero, ove il morbo ma-
larico infuriava in siffatta guisa che il conte era costretto ad abbandonarla ed a porre
nel 1463 la sua residenza in Cherso ; mentre ancor prima il suo vescovo Michele doveva
fare lo stesso, conducendosi a vivere in Zara.
J) De Franceschi. Op. cit. pag. 268.
3) Cubich. Notizie storiche dell' isola di Veglia, pag. 145.
*) Statuto di Cittanova del 14SO. (Trieste 185 1). Cap. XXV Del bosco de Licello e suo
Vando. — « Mill.CCCCLIX (1459) Indinone septima die quinta septembris Corani spec-
» tabile, et Generoso viro Domino Ioanne Gradenigo Potestate Emonie Dignissimo Capta
» fuit pars infrascripta, Videlicet cum sit quod tempore Regiminis spectabilis, et Generosi
» Domini Antonij a Canallo hon. Pot. in Consilio hominum Emonie vetitum fuisset qui-
» buscumque tam Terigenis, quam Forensibus cujuscumque conditionis existerent quod
» non auderent modo aliquo, neque presumerent incidere, nec incidi facere ligna in Busco
' » de Liciis Teritorii Emonie sub pena lib. vigintiquinque parvorum, et considerato quod
» Buscus sive nemus esset salus, ac Sanitas Isiius Loci Emonie propter Caligos, qui ibi descendunt,
» et intus franguntur, et ulterius non procedunt undc non procedunt, unde non existente timor*
— 4'5 —
apprende altresì che la valle bassa del Quieto fosse malarica, e come anche
in Cittanova stessa e nei suoi dintorni, l' endemia si fosse in questo
secolo introdotta.
In questo secolo cominciavano pure ad imporsi alla previdenza del
governo l' impaludamento delle valli e l'avanzarsi costante e progressivo degli
estuari nel mare. Infatti emanò ordini per l'escavo delle paludi che eransi
estese malgrado le misure adottate nei secolo decorsi, fino alle porte di
Capodistria. Nel 1424 il doge Francesco Foscari faceva riprendere i lavori
perchè Castel Leone rimanesse sempre circondato dal mare1); e nel 1477
il doge Vendramin obbligava la città e le ville del distretto all'escavo della
palude, dividendone il lavoro per giusta metà5). — Nello stesso anno ancora
il governo ordinava l'escavo e la regolazione del fiume Quieto, tassandone
pel lavoro tutta la provincia *).
Il senato veneto provvedeva poi assieme ai comuni contro la scarsezza
delle acque potabili. Cosi avvenne che nel 141 9 si costruisse una grandiosa
cisterna in piazza Marafor in Parenzo '). Ed altre cisterne furono costruite in
tutti i castelli e rocche venete dipendenti dal capitano e podestà di Capo-
distria Domenico Malipiero, il quale ne veniva perciò lodato dal doge Ago-
stino Barbarigo colla ducale 25 settembre 1492 b).
Le perdite di popolo avvenute per le guerre e per le pesti erano state
così sensibili da rendere deserte molte località dell' Istria con danno dell'agri-
coltura. Il più colpito si fu il contado di Pola, e Pola stessa. Onde porvi
» illi descenderent in Civitatem islam Emonie front prius Jaciebanl, et Considerato quod pars
» predicta erat Salubris, et bona, Loco hinc, et quia videtur esse smaritam, et non inve-
» nitur adnotata in Actis prefacti Domini Antonii, idcirco bonum esset quod miteretur,
» et contìrmetur ad busulos, et ballotas per Consilium vestruni cura pena superius annotata,
» et quod illi qui usque nunc inciderent, et incidi facerent ligna in dicto neniore Cadet
» ad predictam penam, et perdat bestias, ac plaustra, quibus ligna conducent ex dictis Licis,
» et quod in nocte nemo possit tenere ammalia intus, nec facere ignem sub pena, sed
» in die omnibus sit licitum pasculare ammalia intus, et dieta Pars confirmata fuit per
» Dominum Potestatem, Iudicesque suos existentes Consiliari)' sex secundi, et duo in Con-
» trarium ».
') Kandler. Annali.
') Liber niger nell'Archivio di Capodistria pag. 21 S- — Marsich. Effemerini justino-
poìitane, nella «Provincia» XI, II.
") Kandler. ^Annali.
•) De Franceschi. Op. cit. pag. 253.
') Ibid. pag. 270.
ti
— 4T6 —
in qualche modo riparo, il comune di Pola imprendeva direttamente nel
1421 la ripopolazione dei Brioni '); ed il governo per favorire il risorgi-
mento della città, concedevale un'annua fiera franca di otto giorni da tenersi
nell' anfiteatro !).
Né si può dire che ad onta delle condizioni depresse della provincia
1' assistenza pubblica vi fosse mancante, giacché nel 1454 esisteva in Ca-
podistria 1' ospitale di S. Basso, dato in amministrazione alla fraterna di
S. Antonio abate, la quale dedicava ad esso tutte le proprie rendite 3). In
Rovigno istituivasi nel 149 1 una confraternita di S. Rocco, destinata di
certo all'assistenza degli ammalati, specialmente in tempo di peste 4). Non
scarseggiava neppure il personale sanitario. Infatti si ha memoria nel 14 18
di un Pietro q.m Venier ceroico (chirurgo) in Rovigno 6), e di un Giacomo
da Bologna chirurgo in Isola nel 1444 6). In Capodistria veniva da Udine
e vi si fermava un tal Giovanni Nu%io o Muzio chirurgo o barbiere ad eser-
citare la professione1). In Pirano esercitavano Pier Paolo da Treviso nel 1400,
Raimondo Donati nel 1401, Giovanni de Seraval nel 1406, e Nicolò dey Sol-
daneri nel 1476 8).
L'abbandono dei monasteri da parte dei monaci e delle monache del-
l'ordine di S. Benedetto continuò progressivamente anche in questo secolo;
segno caratteristico del peggioramento avvenuto nelle condizioni igieniche
della campagna. Così troviamo rimanere deserto per mancanza di monache
nel 1410 il monastero di S. Stefano di Cimare presso Parenzo, dato perciò
in commenda all' abate di S. Petronilla che vi prendeva stanza ; vediamo
quindi il priorato in S. Catterina di Rovigno, derelitto dai Benedettini, pas-
sare nel 1429 in proprietà dell'Ordine di Malta, per poi trapassare ai Serviti,
che vi si stanziano nel 1474. All'opposto si hanno ancora notizie nel 1440
') Kandler. Annali.
») De Franceschi. Op. cit. pag. 253.
3) Kandler. ^Annali.
*) Benussi. Storia di Rovigno, pag. 180. — Dopo la peste del 1630 aveva l'obbligo
di tenere accesa una lampada dinanzi all' altare del Santo.
B) Ibid. pag. 199.
*) Morteani. Isola ed i suoi statuti. « Atti e memorie della Società istriana di ar-
cheologia e storia patria», voi. V, pag. 184.
*) Stancovich. Op, cit. n. 187, pag. 212. — Nel 1442 veniva aggregato a quel
Consiglio dei Nobili. Fu il capostipite della celebre famiglia Muzio.
*) Morteani. Notizie storiche di Pirano, pag. 143.
- 4*7 -
dell'esistenza dell'abbate di Leme, nel 1445 del priorato di S. Nicolò d'Oltra,
nel 1459 di S. Michele di Pisino, nel 1460, 1467 e 1469 di S. Pietro in
Selve, di S. Maria del Lago d'Arsa nel 1459, 1469, 1484, la qual abbazia
per esser cessata nel secolo antecedente ed unita a quella di S. Pietro in
Selve, viene ripristinata in questo secolo ').
Gli ordini religiosi di recente fondazione continuavano invece a stabilirsi
di preferenza nelle varie città istriane, e ciò farebbe supporre che in esse, a
differenza delle campagne, le condizioni non fossero tanto tristi. Avvenne
perciò che nel 1434 la famiglia Luciani fondasse un convento di Minori
conventuali in Albona; nel 1442 uno di Minori osservanti sull'isola di Sera,
ad opera di S. Giovanni da Capistrano ; nel 1447 uno di Francescani in
Cassione di Veglia, ove eravi prima un'abbazia di Benedettini ; nel 1452 uno
di Minori osservanti in S. Bernardino di Pirano per opera pure di S. Giovanni
da Capistrano; nel 1453 uno di Serviti in Capodistria; nello stesso anno uno
di Agostiniani in Pola ; nel 1458 uno di S. Teodoro di Dame in Pola ;
nel 1460 uno di Serviti in Capodistria; nel 1467 uno di Minori conven-
tuali e Terziari in Capodistria; nel 1469 uno di Francescani in S. Giovanni
di Salvore; nel 1474 altri di Serviti in Isola, in Montona, in Umago, in
S. Catterina di Rovigno ; nel 1481 uno di Riformati in Pisino; nel 1489
uno di Agostiniani in Salvore, e nel 1494 uno di Domenicani in Cittanova*).
Tutte queste fondazioni di monasteri nelle varie parti della penisola
proverebbero che almeno i luoghi dove venivano essi eretti si trovassero
in condizioni igieniche sufficientemente buone. Diffatti se si riflette che i
monaci nello scegliere le sedi dei loro conventi, cercavano anzitutto le po-
sizioni più ridenti e più sane, congiunte sempre a buona produttività —
nò si può dire altrimenti quando cadono sott'occhio le rovine dei monasteri
collocate sugli scogli ameni e salubri di S. Andrea di Sera, di S. Catterina
di Rovigno, di S. Nicolò di Parenzo, oppure sulla pittoresca punta di san
Bernardino alle Rose in Pirano — devesi ammettere che cercassero anche,
oltre al possibile disimpegno dei deveri imposti dalla regola, una vita quieta
e tutelata dagl' infortuni provocati dall'uomo, oppure derivanti dalla natura.
Di certo che i monaci non avrebbero raggiunto questo duplice scopo se
avessero collocate le loro sedi in siti malsani e soggetti alle febbri.
Perciò, come l'abbandono dei monasteri sparsi nell'agro è prova sicura
') Kandler. i/limali.
') Ibid.
— 418 —
dell' insalubrità iniziatasi nel suolo, la fondazione di nuovi conventi nelle
città o nella loro immediata vicinanza depone viceversa per uno stato igie-
nico soddisfacente di quest' ultime sedi.
XVI secolo. — In questo secolo la popolazione istriana ebbe molto a
soffrire dalle incursioni che accompagnarono la guerra accesasi fra 1' im-
peratore Massimiliano I e la Repubblica di Venezia, nonché per le aggres-
sioni dei Turchi e degli Uscocchi. Noteremo fra i fatti d'armi la presa di
Castelnovo avvenuta li 29 settembre 1509 da parte degli imperiali, ricupe-
rato più tardi dai Veneziani '). Nello stesso anno il Frangipani scorreva
l'Istria con 500 cavalli devastandola, attaccava senza esito Dignano, e ricu-
perava Pisino s) caduto in mano della Repubblica. Sembra che in questo
anno l' imperatore s' impadronisse anche di Pola, occupandola per breve
tempo8). Nel 1511 i Veneziani conquistavano Piemonte, Racize, Draguch,
Sovignaco, Verh, Colmo, Lindaro, Chersano e Barbana. Nello stesso anno
gì' imperiali diroccavano il castello di Raspo '), mentre Muggia soffriva ter-
ribilmente per gli assalti da parte dei triestini. Abbiamo citato questi fatti
siccome quelli che furono principale causa di spopolamento e decadenza
economica della provincia, omettendo per brevità di fare menzione di molti
altri che pure concorsero a spingerla su questa china.
Colle tregue conchiuse nel 15 14 fra comuni e comuni e fra i due Stati
belligeranti, finirono in parte le tristi lotte. E ne era tempo, giacché tale
guerra, ora interrotta ed ora ripresa, diveniva gravida di fatali conseguenze.
« Imperocché, dice il De Franceschi, non essendovi allora eserciti stabili, le
» guerre si facevano in gran parte con bande mercenarie di venturieri, le
» quali oltre al pattuito soldo calcolavano sulle prede che si procurerebbero
» da sé, e su quelle che loro deriverebbero dai permessi saccheggi dei luoghi
» conquistati con forza. Le popolazioni prendevano parte alla guerra in con-
» corso dei soldati tanto per ripulsare il nemico, quanto per invaderne i
» territori a sfogo di vendette pei danni patiti, dei quali volevano rifarsi, e
» di gelosie municipali, commettendo a gara coi soldati stragi d' uomini,
» depredazioni, incendi, guasti di luoghi e di campagne, che protraendosi
» a lungo la guerra, assumevano proporzioni spaventevoli, e conseguenza
') De Franceschi. Op. cit. pag. 277.
") Ibid.
') Ibid. pag. 274. — Kandler. ^Annali.
') Ibid. pag. 281.
— 419 —
» naturale ne erano la miseria generale, la fame, i terreni incolti, lo spo-
» polamento dei paesi. Allora le sfinite popolazioni di ambe le parti sentivano
» la necessità di far tregue, lasciando che i governi continuassero le ostilità
» coi loro soldati ') ».
Alle desolazioni di queste guerre s' aggiunsero le depredazioni dei
Turchi, per le quali furono desolati il Carso2) nel 1501 e 15 if, ed in
quest' ultimo anno anche la contea di Pisino *). Secondo il De Franceschi
dura ancora tradizione che i luoghi murati dell' Istria interna, e tra gli altri
Lindaro e Gollogorizza, avessero resistito, non così però quelli aperti, che
vennero saccheggiati ed arsi, le campagne devastate, uccise o tratte in ischia-
vitù le persone.
Al finire del secolo occorrevano le incursioni degli Uscocchi, dalle quali
soffersero nel 1597 Rovigno e Veglia, poi nel 1599 Albona per l'assalto
del 19 gennaio, sebbene respinto, nonché Fianona. Fra i paesi danneggiati
primeggiano le isole dei Lussini, alle quali tanti danni vennero arrecati, che
ne seguì, a quanto narra il Bonicelli, poco meno che la distruzione. Molte
ville furono abbandonate, dispersi il gregge e gli armenti, che erano nu-
merosi, e le genti atte alle armi ed alle fatiche corsero prontamente ad
ascriversi sulle barche lunghe, che, sino al numero di trenta, si andavano
armando dalla Repubblica come più atte ad inseguire i ladroni *).
Le pesti che decimarono le popolazioni nei secoli decorsi, non rispar-
miarono 1* Istria neppure in questo secolo. Scoppiarono qui, e a Trieste,
negli anni 1505, 1511, 1512, 1525, 1527, 1543, 1553, 1554, 1555, 1556,
1557, 1558, 1573 e 1577. Di questi anni si hanno notizie esatte; né manca
la probabilità che il contagio si manifestasse isolatamente anche negli anni
1503, 1506, 15 13, 1536, 1539, 1575, in cui dominava nella limitrofa pro-
vincia di Venezia, e nel 1599 in cui infuriava nella Carniola *).
Anche nel decorso di questo secolo i fenomeni tellurici e meteorologici
funestarono la provincia colle loro deleterie manifestazioni. E principiando
dai terremoti, giova ricordare qualmente la regione veneta andasse tra-
') De Franceschi. Op. cit. pag. 282. — P. T. Del decadimento dell' Istria. « Pro-
vincia », XIV, 5. — Morteani. Xoti^ie sloriche di Pirano, pag. 56.
*) De Franceschi. Op. cit. pag. 270.
•) Ibid. pag. 280. — Kandler. annali.
*) De Franceschi. Op. cit. pag. 45
') Vedi mia monografia.
— 420 —
vagliata da moti tellurici negli anni 1504, ijio, 1511, 1517'); vennero poi
le maree straordinarie degli anni 1511, 1535, 1550, 1559, 1574, 1599 2) ; ed
indi le siccità così esiziali degli anni 1546 *), 1548 4), 1559, 1561 e 1562 6)
che in taluni luoghi dell' Istria insulare perirono molti alberi da frutto, e
le messi ne andarono totalmente distrutte. A tali disgrazie, bastevoli da per
se sole a stremare la provincia, s'aggiunsero necessariamente le carestie, la
sterilità e la fame. Sotto questo aspetto furono terribili gli anni 15 io, 1546.
1581 e 1590 6).
Quello che però rende specialmente caratteristico questo secolo, si è
la condizione antigienica di molte parti del suolo istriano. Abbiamo memorie
estese e particolareggiate sull' estensione della malaria, e sui mezzi che il
governo ed i comuni adottarono onde debellarla.
A Capodistria specialmente preoccupava sempre più l' impaludamento
crescente dell' estuario intorno alla città. Ad onta dei lavori intrapresi nel
secolo antecedente, resesi necessario nel 15 11 di approfondare il canale che
metteva al Castel Leone, formando col lato estrattone lo stradale che dal
porto va a porta Ognisanti '). Anche le paludi prendevano sempre maggior
estensione, in guisa tale che dopo la metà del secolo esse erano sì vaste
e solide, che la città vedeva in esse non solo un pericolo in caso di
guerra, ma anche una causa di corruzione dell' aria. Perciò nella seduta
') Kandler. ^Annali. — De Franceschi. Op. cit. pag. 278.
2) Kandler. ^Annali.
*) Stancovich. Op. cit pag. 104.
4) Relazione al ven. Seti, del 27 agosto ISS4 di Maffeo Girardo provveditore in Veglia
e del i$S4 di Domenico Gradenigo, Vod. e Capii, di Capodistria. «Provincia», Vili, 5.
5) Cubich. Op. cit. pag. 37-38.
6) Kandler. ^Annali. — Specialmente in Capodistria, come dice la seguente parte
del Consiglio di Capodistria del 3 agosto 1590 (Vatova. La colonna di S. Giustina. «Pro-
vincia», XX, 6): «Si dà incarico all' Eccell. Verona et Sig.r Demosthene Carrerio am-
» basciatori eletti a' piedi di S. Ser.tà di supplicar, che stante questi calamitosi tempi la
» povertà di questo fideliss.o popolo, et l'estrema inopia nella quale al pre.nte si ritroua
» in modo tale, che non habbi pane per otto giorni con pericolo manifestiss.mo di sol-
» leuatione di popolo et total mina di questa Città, di accommodarci di stara 6000 di
» robba per il uiuer quotidiano per sostam.to di questo pouero ma fideliss.mo popolo, a'
» quel precio che parerà alla Ser.tà Sua, la qual robba sia satisfatta di tempo in tempo
» secondo che si estragara il denaro». — La domanda venne accolta colla deliberazione
6 agosto 1590 in Pregadi, dando 300 staja di miglio, 200 di frumento e 300 d'altro genere
verso restituzione.
^ Kandler. ^Annali.
— 421 —
consigliare del 9 agosto 1579 venne deciso di mandare un ambasciatore
al doge a chiedere l'escavo sopradetto'). Li 19 marzo 1580 il governo
veneto, in base all' esposizione dell' ambasciatore Pietro Vergerio, decideva
di prendere delle disposizioni in proposito '). Da quella esposizione si ap-
prende che l' impaludamento derivasse, come nei secoli antecedenti, dalle
alluvioni depositate dai fiumi Risano e Fiumicino. La spesa per il lavoro
d'escavo venne calcolata di 10,000 lire (m/x) '). Tuttavia nel dicembre 1581
non erasi fatto ancora nulla, di modo che il maggior Consiglio di Capodistria
prolungava in data 21 decembre di quell'anno le credenziali al suo amba-
sciatore, che fortunatamente trovavasi ancora in Venezia, allo scopo di
sollecitare presso il governo 1' attuazione del lavoro *). Finalmente il doge
Nicolò da Ponte ne decretava l'esecuzione li 20 marzo 1582, emanando
al podestà e capitano di Capodistria la lettera ducale, che in nota riportiamo
per esteso 5), colla quale ordinavasi la deviazione del Fiumisino e la esecu-
') Vatova. La colonna di S. Giustina. «Provincia» XIX, 16. — Li 27 decembre 1576
il Giudice Pietro Vergerio Favonio ed i Sindici Francesco Gavardo ed Aurelio Vittorio
aveano diggià su tal argomento presentato una scrittura al Provveditor del sai Francesco
Venier. Vedi in fine del lavoro.
') Ibib. XIX, 22.
J) Ibid. XIX, 16.
') Ibid. XIX, 20.
s) « Nicolaus de ponte Dei gratta 'Dux Venetiarum etc. Nobilibus et sapientibus viros
» Aloysios Mauroceno de suo mandato potestati, et cap.o Iustinopolis et successores fi-
» delibus dilectos salutem, et dilectionis affectum. perchè il negotio della atteracion di
» quella palude, la qual va ogni dì peggiorando con quei publici gravi maleffitij che ci
» sono più volte stati esposti in voce, et in scrittura dall' Ecc.te D. petro Vergerio Favonio
» Dottor, et che anco voi ci significate E di tale importanza, che non si deue differir più
» oltre il dar principio al farui prouisione con rimover per ora le cause principali di esso
» alteramento che sono il corso del Fiumisino, che sbocca in quella laguna, il scolar delle
» acque delle coline, et le immondicie, che si gitano, et scolano per le pioggie, però havendo
» nui veduto così quelle, che voi col cap.o de raspo rispondete in tal materia come anco
» la relacione del fedel paulo da ponte Ingegnerò, vi cometemo col senato che dobbiate
» per hora col nome di Dio attender a deuiar l'acque del Fiumesino con farle entrar et
» scorcr per il cauamento novo altre volte principiato a tal effetto, et condurle per quello
» fino in capo delle saline verso Isola, a sbocar nel mare : Et oltre ciò farete far una
» masiera doppia, la qual nella sua estremità s' intesti con li arzeri delle saline, et tutto
» ciò nel modo, et forma, che si contiene nelli capitoli, che vi mandamo inclusi, della
» relacion del detto Ingignero, secondo i quali vi gouernarete in tutto, et per tutto ;
» prouedendo anco quanto immondicio, si che non facciano danno nel auenire, come esso
» Ingignero ricorda 0 in qual altro miglior modo, che alla vostra prudentia parerà ; per
— 422 —
zione di varie altre opere dirette a sviare le continue alluvioni. Abbenchè
tali lavori fossero effettuati secondo un piano eseguito accuratamente, sembra
tuttavia che gli stessi non avessero raggiunto lo scopo, imperocché vediamo
il maggior Consiglio di Capodistria nel luglio 1584 creare ad ambasciatore
in Venezia il signor Josepho Verona, affinchè esponga alla Serenissima il
fatto che la diversione effettuata del Fiumisino non aveva condotto ai risultati
sperati dal governo, per cui era conveniente provvedervi in altra guisa ').
L' ambascieria però nulla otteneva, ed anzi nel maggio 1586 il maggior
Consiglio s'esprimeva accusando i Piranesi ed i Muggiesani di malignamente
opporvisi sino ai piedi del Senato*). E l'impaludamento s'avanzava sempre
più, e con esso la malaricità dell'atmosfera, come se ne conserva memoria
nella ducale di Pasquale Cicogna del 22 novembre 1588, colla quale de-
cretavasi la fabbrica d' un ponte di pietra dalla città alla terraferma, in
cambio del rovinato di legno. Da essa si rileva come il popolo temesse
di passare per le paludi, attraverso alle quali s'era tracciata una strada prov-
visoria, ove s' avea certezza d' infettation d' aere ").
Gli scrittori di cose istriane — e ne abbiamo parecchi di questo
secolo — distinguono perfettamente nei loro lavori le località dell' Istria
che godevano fama di salubrità, da quelle che erano infette dalla malaria.
Pietro Coppo che scriveva intorno al 1540, cita fra i luoghi salubri Isola
sua patria *), e fra gì' insalubri Umago ed anzi dice che l' aria nociva
» li quali sop.ti effetti del deuiar il Fiumisino, et far la masiera per le acque che scolano,
» vi mandamo Ducati 500 cinquecento, con condicione che non possano esser spesi in
» altro tenendo della spesa particular conto, con mandarlo poi di qua all' off.o Nostro
» sop.a le fortezze : et ui ualerete in ciò di quella parte che ui farà bisogno à ratta por-
» tione delli m/18 opere, che si offeriscono (come ci scrivete) quei fedelissimi Nostri cosi
» della città come del teritorio procurando con ogni diligentia, che tal opera sia fornita
» quanto prima, acciò che si continui poi à far il restante di cauar il canale et terreno
» appresso il ponte conforme à quanto ci scrivete col cap.o di raspo con darci aviso alla
» giornata di quanto andarete operando, et di quello, che ui occorrerà per la escavatione
» della pre.te p. Data in nostro Ducali palatio Die X Martij Indictione X.ma MDLXXXII.
» Caelius Magnus scr. ». — Vatova. La colonna di S. Giustina. «Provincia», XIX, 20.
') Ibid. XIX, 22.
') Ibid. XX. s-
») Statuto Iustinopolis, Metropoli! Istriae. Venet. 1668 pr. Francesco Salerno e Gio-
vanni Cagnolino, pag. 191.
«) Pietro Coppo. Del sito dell' Istria a Giosefo Faustino. « Archeografo triestino »,
serie vecchia, voi. II, pag. 35 : «l'aria vi è saluberrima, per essere diffeso da dette colline,
— 423 —
comincia ad essere tale dalla punta di Salvore in giù per tutta la riviera
marittima fino all'Arsa, soltanto ch'essa era più o meno insalubre secondo
l' essere e la qualità dei luoghi. Cosi Cittanova, ove, secondo il Coppo,
l'insalubrità derivava dagli estuari del Quieto1). Fra i luoghi malarici
cita poi Parenzo. Leme e Due Castelli, Rovigno ove l' aria era alquanto
migliore, Brioni e S. Lorenzo del Pasenatico. — Nello stesso anno il
medico piranese G. B. Goineo indicava quali malariche le località di
Parenzo, cui diceva ridotto a quei tempi a meschine proporzioni *), nonché
Umago e Cittanova ') mentre celebrava Buje e Montona per la salubrità
dell' aria e per 1' amenità del sito 4). Press' a poco nella medesima epoca
o forse una decina d' anni più tardi il vescovo Percichi nativo da Portole
scriveva un'opera sull' Istria, dalla quale nel secolo seguente il benedettino
Fortunato Olmo, traendone le principali notizie, compilava il suo lavoro
intitolato Descriltione dell' Histria6). In quest'opera sono indicati come salubri
le seguenti località : Muggia, Capodistria, Isola, Dignano, Albcna, Decani,
Gollogorizza, Novacco di Pisino, Gherdosella, Zumesco, Padoa, Rozzo,
Verch, Colmo, Senizza, Draguch, Momiano, Piemonte, Portole, Sdregna,
» contro ogni vento pestifero, ostro scirocco e garbino ; abbondante di fontane non solo
«presso alla terra ma anche in più luoghi delle vigne».
') « Il Quieto scorre in mare tra alti monti per lo spazio di miglia venti ; è navi-
» gabile fino alla Bastia, osteria ; quasi alla metà in su è impedito ai lati da paludi, ma
» fino alla detta osteria, ha dapertutto la profondità di passa otto in dieci d' acqua, e si
» può dire canale e fiume. Imperocché vi entrano, sopra la detta osteria non pochi (rami)
» che derivano dalla valle di Montona così detta dal luogo Montona non molto distante ;
» e canale si può dire, perchè l'acqua salsa vi entra, e si mescola colla dolce. Per questo
» appunto l'aria divien peggiore, dimodocchè né in esso (Quieto) né in Cittanova è buona,
» e certamente la peggiore che sia in tutta l' Istria e Polesana È certamente bel luogo
» ma nessuno può vivere lungamente in prospera valetudine, e perciò è quasi
» deserto, benché il territorio sarebbe propizio al viver umano, se vi potessero durar le
» persone, e coltivarlo con diligenza ». — Ibid. pag. 58.
*) « Exignus est nostra aetate locus ; et quia ventis meridionalibus est objectus, et
» potabilis aquae laborat copia, non valde frequens ». — Ioh. Bapt. Goyneus
Pyrranensis. De situ Islriae. « Archeografo triestino » serie vecchia, voi. II, pag. 59.
*) «Humacum deinde Civilas nova, civitates ambae ob aeris intemperiem hand omnino
» tutae. Humacum tamen est portu, et clementiori coelo alteri praestat ». Ibid. pag. 64.
*) « In mediterraneis vero sunt Bulae et Montona amoena et frequentia satis loca
» et cum aeris clementia tum etiam rerum copia valde prestantia ». Ibid. pag. 64.
s) Olmo dott. Fortunato. Descriltione dell' Istria. « Atti e memorie della Società,
istriana di archeologia e storia patria» voi. I, pag. 150 e seg.
— 424 —
Salise. Quali luoghi eminentemente malarici nomina egli Salvore, Umago,
Daila, Cittanova, Parenzo, Leme, Valle Bandon, Pola, Medolino e S. Lorenzo
del Pasenatico. Dotati d' un' atmosfera più salubre, però sempre sospetta,
cita Verteneglio, Orsera, Rovigno, Fasana e Castagna. Anche Fra Leandro
Alberti corografo di quest' epoca dice malariche le posizioni in vicinanza
del canale di Leme fino ai Due Castelli e nomina quali siti in cui 1' aria
non è del tutto salubre, la città di Rovigno e le isole vicine di S. Catterina,
di S. Andrea e di S. Giovanni in Pelago ').
In Pola e nel suo territorio l'aria era assolutamente pessima, in modo
che gli abitanti introdotti dal governo veneto per ripopolare 1' agro e la
città rimasti deserti in conseguenza specialmente delle gravi epidemie di
peste bubbonica, non potendo resistere alle tristi influenze di quell'atmosfera,
perivano nella massima parte o si salvavano col fuggire da quelle località
infette. In tal modo rimanevano incolte estesissime superficie di terreno, il
cui abbandono s' imponeva gravemente all' animo del governo. A porvi
riparo, venivano nel 1556 delegati tre provveditori coli' incarico di proporre
il modo di ridurre a coltura i terreni abbandonati nella Polesana. Passati
nel 1563 tali terreni, che misuravano 135,632 campi padovani, in possesso
del cosidetto Magistrato dei beni inculti per ridurli a nuova coltura, veniva
stabilito di distribuirli a poveri abitanti, provenienti da altri paesi 8).
La città di Pola trovavasi in quell' epoca nella massima desolazione,
tant'è vero che veniva abbandonata dai già scarsi suoi abitanti. Gli edifizì
pubblici cadevano in rovina, in modo da lasciare la più triste impressione
sull' animo dei passanti s). Sembra tuttavia che al cadere del secolo (anni
1588 e 1590) l'aria di Pola si fosse di alquanto migliorata*).
Pirano, invece, godeva d' un' atmosfera purissima, tanto che il vescovo
di Verona, Agostino Valerio, che la visitava nel 1580, scriveva « potersi
» gloriar Pirano terra marittima delle cose, che preparano felicità agli
» homeni, essendo dotata di temperatura d' aere, moltitudine di popolo,
') Fra Leandro Alberti. Hislria, TDecimanona regione della Italia. « Archeografo
triestino » serie vecchia, voi. Ili, pag. 80.
») Petronio dott. Prospero. Dalla parte II delle Memorie sacre e profane dell'Istria.
— Notizie storiche di Pola, pag. 245.
' %) Ibid. pag. 238. — Tommasini. Op. cit. pag. 470.
') Relation del Clarissimo M. Nicolò Salomon al veneto Senato del 5 marzo 1588. —
Notizie storiche di Vola, pag. 373, 378 e 395.
— 42S —
» fertilità della terra ed ingegni industriosi » '). Sebbene gli corografi
sopracitati, e con essi il profugo Lodovico Vergerlo 2), nominassero, verso
la metà del secolo, Capodistria siccome luogo dotato d' un clima salubre,
tuttavia, da quanto abbiamo poco più sopra narrato e dalla relazione al veneto
Senato del podestà e capitano Dona '), si deve arguire che, attesa la causa
del tutto locale d' infezione, vale a dire l' interrimento della palude, 1' aria
non vi fosse buona.
Fino a questo secolo nelle isole, eccettuato Ossero, non s' era constatata
la malaria. Invece, verso la metà del secolo essa comparisce nell' isola di
Veglia, ed a quanto sembra con molta forza. Abbiamo testimonianza di
questo nella Relazione del Provveditore di Veglia al veneto Senato, Domenico
'Bembo estesa nel 1587'), nella quale sta scritto che la città cominciava a
declinare da 14 o 15 anni, a cagione della malaria; per il qual morbo
moriva molta parte della popolazione, le case diroccavano, i campi erano
abbandonati, lasciate incolte le vigne. Il morbo affliggeva eziandio
Castelmuschio, mentre risparmiava Verbenico e Dobrigno, luoghi che la
relazione dice sani.
Conseguenza, come s'è veduto, delle guerre, delle pesti e dell'avanzarsi
dell'infezione malarica era una marcata diminuzione di popolo, iniziatasi
ancora nei secoli decorsi, ma specialmente in questo e nei successivi. Una
tale diminuzione la troviamo testificata dalle cifre ufficiali od approssimative,
le quali ho creduto di esporre nel prospetto particolare in fine della presente
monografia. Eloquenti sono in proposito i dati numerici che si riferiscono
all' isola di Veglia ed alla città di Capodistria. In queste località notasi
infatti una diminuzione marcatissima di abitanti, mentre i luoghi, che ancor
oggi godono d' una certa salubrità, segnano anche in questo secolo un
aumento di popolazione.
Né in taluni luoghi la popolazione soltanto diminuiva, che alcuni
venivano persino del tutto abbandonati. Per esempio Due Castelli, località
che nei secoli decorsi era di qualche importanza, nel 1550 cominciava già
'; Mortean'i. Op. cit. pag. 99.
*) Lettera di Lodovico Vergerlo. « Archeografo triestino » s. v., voi. II, pag. 89.
\ Copia dall' originale nell'Archivio provinciale e « Provincia » X, 7.
*) « Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria » voi. II,
pag. 1 1 1 e seg.
— 426 —
a venir abbandonata dalla popolazione, così che ioo anni più tardi il ve-
scovo Tommasini non vi trovava che tre soli abitanti ').
Conseguenza della diminuzione progressiva degli abitanti si fu il
bisogno di ripopolare le regioni abbandonate; il che è avvenuto mediante
l' immigrazione in Istria di genti affini o straniere, raccolte dalle provincie
venete, ma in maggior numero dalla Dalmazia e persino dall' Albania e
dalla Grecia 2). Anche nella Contea, spopolata specialmente per le guerre,
venivano nel 1533 introdotti i così detti Cicci, che si rendevano famosi
per le uccisioni e le rapine che commettevano ').
In questo secolo però i provvedimenti sanitari procedevano, si può
dire, di pari passo coli' estendersi della malaria. La città di Capodistria,
che teneva nel secolo antecedente un medico al proprio servizio colla
paga di 120 ducati all'anno, nel 1571 portava tale stipendio a ducati 200 4).
In quest' epoca vi esercitavano l' arte medica il fisico Alvise Crivello (morto
nell'ottobre 1548), poi il capodistriano Leandro Zarotto (nato nel 15 15,
morto a Venezia nel 1596), persona insigne, che abbandonava il posto
nell'agosto 1557, per differenze avute col comune, per cagione della cura
degli appestati 6). A lui succedeva Giovanni Secondi da Muggia, che rimaneva
un solo anno in carica. Ritorna nel luglio 1558 lo Zarotto, che rimane
fino all'aprile del 1560. In questa città poi vedeva la luce nel dì 29
') « Lontani 5 miglia da S. Vincenti sono li due castelli Quello verso po-
» nente chiamato la fortezza Parentina è tutto distrutto, e si vedono antichissime muraglie.
» Rimane solo abitato quel da levante, che tiene il nome dei Due Castelli, il quale per
» il sito forte e per la comodità del porto vicino di Leme fu sicuro ricetto avanti che li
» Genovesi rovinassero la provincia ed era pieno di abitatori come si congettura dalle
» vestigie di tante case rovinate, che vestivano non solo il colle, ma parte della costiera
» contigua e tutta la valle, che si frappone tra l'uno e l'altro castello, onde li Genovesi
» rotta 1' armata veneta a Fola passarono nel canal di Leme discosto cinque miglia ed
» all' improviso presero questi due castelli e li rovinarono abbrucciandoli, e sino al giorno
» d'oggi si vedono li segni dell'incendio Crebbe ancora dopo il luogo e furono
» ristaurate le case in modo che si annoveravano da duecento fuochi, ma da cento anni in
» qua per varii casi o forse per 1' aria cattiva, è andato mancando, che al presente non
» vi è più alcuno naturale del luogo e solo è abitato da tre poveri contadini » . Tommasini.
Op. cit. pag. 432.
') Vedi in proposito De Franceschi, op. cit. cap. XXXIX.
3) Kandler. Annali.
*) Ducale di Alvise Mocenigo del 31 agosto 1571 negli Statuii di Capodistria.
*) Vatova. Op. cit. « Provincia » XXI, 4.
— 427 —
marzo 1561 il celebre medico Sartorio Santorio, il quale moriva in Venezia
li 22 febbrajo 1636, lasciando ammirata, oltre a parecchi altri lavori di
medicina, 1' opera De statica Medicina, che ebbe 1' onore di più di venti
edizioni e della traduzione in cinque lingue europee1). Contemporaneamente
al sunnominato Leandro, esercitavano la medicina con molto onore Ottaviano
e Zarotto Zarotto, i quali avrebbero poi occupata una cattedra all'Università
di Padova !).
In Pirano esercitava la professione altro insigne medico Giov. Battista
Goina o Goineo, autore di otto opere, fra le quali la corografia De situ Istriae
che venne da me spesso consultata nella presente pubblicazione. Ingegno
di vaste vedute, incorre però nei rigori dell' inquisizione al tempo della
riforma, per cui è costretto di fuggire dalla sua patria per finire indi i suoi
giorni nell'esilio *). In Rovigno si ha memoria di certa Donna Bortola, morta
nel 1582, la quale sarebbe stata me^a ceroica e dolorada*).
Però non può dirsi che vi fosse ovunque in Istria abbondanza di
personale sanitario. Ad esempio, il vescovo Girolamo Vielmi di Cittanova
si lagnava in una supplica diretta li 29 dicembre 1570 alla comunità, che
attesa la mancanza di medici, molti muojono che non morirebbero, e che
chi vuole avere il medico o le medicine, deve ricorrere fino a Capodistria
o ad altri luoghi s).
Oltre al benefizio derivante alle località dal personale sanitario, altro
vantaggio loro proveniva dalle istituzioni di beneficenza, che creavansi in
questo secolo, oppure perfezionavansi. Così vediamo istituita nel 1554 in
Capodistria la casa ospitale dei poveri colla Confraternita di S. Antonio
abbate '), ed aprirsi a Trieste il primo ufficio di sanità marittima e terrestre,
dipendente dal magistrato di sanità in Venezia 7), — ottimo provvedimento
in tempi tanto di frequente desolati dalle pesti. A Capodistria ancora vediamo
fondarsi nel 1555 un asilo d'esposti*); e nel 1578, atteso il pericolo d'im-
') Stancovicu. Op. cit. n. 209, pag. 242-2*2.
*) Ibid. n. 441, pag. 431 e nota.
3) Processi di luteranismo in Istria. « Atti e memorie della Società istriana di archeo-
logia e storia patria» voi. II, pag. 179.
') Benussi. Storia di Rovigno, pag. 199.
•) Tommasin'i. Op. cit. pag. 201.
•; Kandler. Annali.
r) Ibid.
•> Ibid.
— 428 —
portazìone della peste, venir creato un ufficio di provveditori alla sanità
provisor salutis ampliato allo scopo ').
Rispetto ai boschi, a questo ramo di coltura che esercita sì grande
influenza sulla malaria istriana, dobbiamo registrare il fatto, essersi in questo
secolo posto mente alla loro regolare manutenzione, tanto in grazia del
magistrato pel buon governo degli stessi, istituito nel 1533 dall'imperatore
Ferdinando per le parti ad esso appartenenti della provincia, quanto in
conseguenza del catasto generale dei boschi pubblici della parte veneta
assunto dal governo di S. Marco nel 1553. Nel qual anno, il sunnominato
imperatore emanava ancora 1' ordinanza montanistica pei boschi e per le
caccié nel Carnio e nell'Istria'). Ciò però non toglieva che nel 1583, nel-
l' Istria e nella Carsia, i boschi non venissero recisi per ordine dell' arci-
duca Carlo ').
In questo secolo le memorie sui monasteri dell' Ordine benedettino
sono scarse. Si sa appena che quello di S. Michele di Leme venisse nel 1528
restituito all' Ordine ed unito a S. Michele di Murano ; e che il monastero
di S. Giacomo al Palo presso Volosca, lasciato deserto per timore dei Turchi,
fosse dato nel 1555 in commenda ai vescovi di Segna, e quindi agli Ago-
stiniani di Fiume 4). Sembra adunque che i monaci di tal ordine avessero
diggià abbandonata la provincia. Ed anche di fondazioni di altri chiostri non
si ha memoria, fuor che nel 15 14 d'uno di donne di S. Catterina in Pola
presso porta Gemina; d'altro di Domenicani in Capodistria nel 1522; di
un terzo di Francescani terziari in S. Maria di Campo presso Visinada nel
1537; d'un quarto di Francescani in Isola nel 1582; e finalmente d'uno
di Serviti in Montona nel 1598 6).
XVII secolo. — Le fazioni guerresche che afflissero l' Istria durante il
secolo decimosettimo si compendiano nelle lotte contro gli Uscocchi, e nella
guerra coli' imperatore cessata nel 1617 colla pace di Madrid. Gli Uscocchi
depredarono nelle loro incursioni parecchie località e territori istriani, come
per esempio nel 1602 Lanischie, asportando animali ed uccidendo persone*).
') Vatova. Op. cit. «Provincia» XIX, 15.
2) Kandler. Annali.
») Ibid.
*) Ibid.
«) Ibid.
») De Franceschi. Op. cit. pag. 505.
— 4*9 —
V'ha tradizione secondo la quale, fino dal 1600, Sansego avrebbe sofferto
terribili devastazioni da parte di codesti predoni, in modo che, distrutti
dal fuoco nemico i pochi casolari, gli abitanti sarebbero siati costretti a
ricoverarsi colle loro greggi nel castello e da colà difendersi '). E degli
incendi, degli svaligiamenti, delle rapine e delle violenze d' ogni sorta
perpetrate in quest'epoca dagli Uscocchi ce ne sarebbero troppe, perchè io
mi soffermi a registrarle tutte. Dirò solo, coll'autorità del Sarpi, che codesti
predoni, nel 1607, dopo aver svaligiati alcuni navigli sull'isola di Cherso,
riuscivano a penetrare persino a Pola, derubandola '). Qualche tempo dopo
depredarono le isole di Cherso e dei Lussini, spogliando la gente peranco
delle loro vestimenta *); poi attaccarono Rovigno, Veglia ecc. ecc.
Per tali fatti si accese una guerra di rappresaglia fra la Repubblica e l'Au-
stria, per la quale vennero da quella attaccate con gravissimo danno nel 16 12
Lovrana, Moschienizze, Cosliaco, Cepici, Malacrasca, Jessenovico, Chersano,
Bogliuno, Barbana e Sumberg '). Due anni appresso venivano aggrediti
Ossero 5), Fianona, i dintorni di Pisino, Chersano, Cepici e Cherbune, indi
nuovamente Lovrana, scorrendo i comuni vicini di Abbazia, Volosca, Ve-
prinaz e Castua"). Nel 1615, s'impegnò poi fra i due contendenti una guerra
regolare nel Friuli e nell'Istria, in seguito alla quale vennero guastati Po-
pecliio, Caresana ed altri luoghi vicini ; Cernical, Cernotich, Ospo, Gabro-
vizza, Bassovizza, Lonche, Marcenigla ed i territori di Barbana e Sanvicenti.
Successivamente Zazid, Grimalda, Rosariol, Figarola, Rachitovich, Valmovrasa,
Gracischia, Socerga, Cernizza e Barato, le ville del territorio di Dignano,
e molte di quello di Rovigno, poi Draguch e Colmo, Due Castelli e Can-
fanaro7). Nel 16 16 restarono arsi i villaggi di Vodizze, Gischierga, Chersicla,
Borutto e Previs; quindi le ville del territorio di Pedena; saccheggiato
Gimino ; incendiate le tenute attorno Sovignaco, Brest sul Monte maggiore,
Cerouglie, Sejane, Mune grande e piccolo. Nel 1617 veniva posto assedio
a Gallignana e fatta una scorreria sotto Pedena. Finalmente in data del 26
') Nicolich. Op. cit. pag. 125.
*) Fra Paolo Sarpi. Storia degli Uscocchi, e. I.
') De Franceschi. Op. cit. pag. 309.
') Ibid. pag. 3 10-3 11.
') Bonicelli. Op. cit. pag. 46. — Nicolich. Op. cit. pag. 127.
•) De Franceschi. Op. cit. pag. 313. — Valvassor. Op. cit,
*) Ibid. pag. 317-318.
- 430 -
settembre 1617 segnavasi in Madrid la pace, e li io novembre pubblicavasi
in Istria la sospensione delle armi ').
Il Tiepolo descrive nettamente le conseguenze di questa guerra, fatali
per la provincia: « Per la passata guerra, egli dice, è restata l' Istria
» sommamente afflitta, e particolarmente gli abitanti delle Poglie (campagne)
» e dei Carsi in somma calamità et miseria, fatto perdita di tutti gli
«animali, né potendo per ciò esercitar la coltura, mi rifiutarono nel 1616
» le terre, le quali restano inculte Il rimanente degli altri paesani
» sono quasi alla condizione medesima, restati afflitti non pure dalle invasioni
» e depredazioni dei nemici, quanto aggravati dalla propria nostra soldatesca,
» dalle molteplici e estraordinarie fattioni di carizar li bagagli delle milizie,
» li biscotti e le munitioni dei castelli » *).
Con questa guerra si chiudono nel secolo le fazioni combattute sul
suolo istriano, tant' è vero che in seguito la provincia non ebbe a soffrire
che solamente pei ripetuti arruolamenti della cernide. Maggiori danni però
arrecava ad essa 1' unica epidemia di peste bubbonica, iniziatasi nel 1630
e cessata appena nel 1632. Importata dalle provincie venete, assaliva
successivamente Muggia, Capodistria, Umago, S. Lorenzo di Daila, Ver-
teneglio, Cittanova, Parenzo, Fasana, Pola, e nel 1632 di nuovo Capodistria').
Nel 1600 e iéoi infuriò a Trieste, ma la provincia nostra rimase risparmiata.
Le conseguenze di questa peste furono tremende. Oltre che decimava la
popolazione ed in alcuni luoghi quasi distruggevala, gravi danni ne derivò
dai commerci spenti, dalle industrie sospese e dallo scoraggiamento generale,
che s' impose su tutta la provincia. Nei riguardi della popolazione, le cifre
che addurrò più avanti, potranno indicare con precisione le perdite causate
dal contagio. Le pesti del 1630, 163 1 e 1632 furono le ultime in Istria; ma
queste, unitamente alle altre già ricordate nei secoli anteriori, nonché le
conseguenze delle guerre or ora passate in rassegna, influirono in modo
spaventevole sul deperimento progressivo delle condizioni demografiche ed
economiche della provincia*). Le città principali, anzi le sole che storicamente
') De Franceschi. Op. cit. pag. 330.
2) Relazione di Bernardo Tiepolo al veneto Senato. «Archivio veneto».
3) Vedi mio lavoro.
4) Qjaale segno infausto dei tempi, le autorità venete se la prendevano coi prelati
e col clero istriano ai quali attribuivano in buona parte le cause dello spopolamento.
Riferiamo in prova i seguenti due passi della relazione al Senato veneto del prowe-
ditor Francesco Basadonna, letta nel 1625 (« Atti e memorie della Società istriana di ar-
— 43i —
avessero diritto a tale titolo, vale a dire Capodistria, Cittanova, Parenzo e
Pola, riducevansi, come meglio si esporrà innanzi, a contare, verso la metà
del secolo, appena un terzo degli abitanti, ed anzi le tre ultime erano ridotte
ad esserne quasi assolutamente prive. Allo spopolamento aggiungevasi l'avan-
zarsi sempre più ardito del morbo malarico, che esercitò alla sua volta grande
influenza deleteria sul paese.
A codeste calamità devonsi aggiungere ancora i malanni arrecati da
altri morbi epidemici. Sappiamo p. e. che a Buje durante gli estati degli
anni 1648 e 1649 regnava un'infermità, che uccideva più di 120 persone
all'anno, per cui nel luogo scemò di molto la popolazione; e che a
Momiano nel 1640, 1641 e 1642 dominavano le pleuritidi in modo tale,
da cagionare la morte ad un' infinità di persone '). Né rimasero inoffensivi
i fenomeni meteorologici, rispetto alla mala influenza da essi esercitata
sui raccolti, o sullo sviluppo malarico. Di fatti negli anni 1621 e 1622
la gragnuola distruggeva quasi tutto il raccolto*), nel 1629 infieriva la
fame, nel 1643 ci tu un'invasione di locuste oltremodo devastatrice nelle
vicinanze di Trieste, nel 1644 e 1646 scoppiarono ripetutamente tremende
burrasche, nel 1625, 1643, 1644 e 1646 furono forti maree, nel 1648
cheologia e storia patria» voi. V, pag. 102 e 104): «Et per essere la Religione anco
» fondamento principale delli Stati et Governi, non deve tralasciare di notificar qualche
» particolare all' Ecc.ze Vostre dell' uso di essa in molti lochi della provincia ->.
» È questa molto mal esercitata, essendovi Religiosi che tengono cura d' anime di
» scandalosissimi costumi et pessima vita.
» Molti lochi pi j con abuso delle loro rendite vengono distrutti, le Chiese profanate,
» fatte stalle, ridotti d'animali brutti. Questo succede perchè li Vescovi non stanno nelle
» loro Diocesi, 1' assenza dei quali fa anco pregiudizio alla frequenza degli abitanti, che
» concorreriano avanti di loro per diverse cause, anziché quello di Parenzo se ne sta in
» Orsera, giurisdittione Pontificia, et giova alla popolazione di quella Terra con pregiuditio
» grande della stessa Città di Parenzo.
» ;
» et se il Vescovo co '1 suo clero vi facesse la residenza (in Pola), le apportarebbe molto
» giovamento ».
In quella del Provveditor Giulio Contarini del 6 febbraio 1626 (Ibid. pag. no) si
legge : « Del far che i Vescovi stian alla residenza dipendendo in gran parte dalla presenza
» del Prelato, e dall' esercitio delle funzioni spirituali e cura delle anime, la union de
» popoli, perchè son cose che non solo mantengono stabili gli abitatori, ma invitano anco
«altri di venire ad habitare».
') Tommasini. Op. cit. pag. 287-289 e 297.
') Relazione del Podestà e Capitanio di Capodistria Barbaro Marin. «Provincia» X, 8.
— 432 —
il freddo fu intensissimo ') e finalmente il 1649 fu anno di grave carestia.
L'estate del 1650 fu fatale ai territori di Pola e Dignano per cagione di
un fiero uragano, che distrusse le biade mature e le uve pendenti, e sradicò
persino grande quantità di olivi *), provocando grande carestia.
Le notizie che si hanno in questo secolo intorno alla malaricità del
suolo istriano sono copiosissime. Già nel primo scorcio trovansi dei cenni
interessanti l' isola di Veglia, ove la malaria erasi sviluppata in modo
micidiale. Documento importante è il seguente brano della relazione al
Senato veneto d' uno dei provveditori della Repubblica *) : « Altre volte
» habitata da grosso numero de genti, per il qual rispetto fioriva et
» abondava di vino, grani, animali et altre vettovaglie, onde veniva
«chiamata l'Isola d'oro; il che non succede hora per ritrovarvisi pochi
» abitanti che causa che molti terreni, de quali abonda in grande fecondità,
» vanno inculti, le case rovinano et le entrate publiche et private ogni
» giorno declinano.
» Ho procurato d' intendere le cause della perdita delli habitanti, et
» mi è stato referto che nasce nella città dall'intemperie dell'aere cattivissimo
» in particolare il tempo dell'estate; et nelli Castelli et altri Villaggi, per
» li molti patimenti a' quali sono sottoposti quelli contadini più degli altri,
» per rispetto delli romori che corrono con Uscocchi, convenendo questi
» sottogiacere ad insoportabili fattioni personali estraordinarie, se bene
» potrebbe anco succedere per altra causa incognita a quelli Medici et a
» quelle genti
» Nella città vi sono mille doicento anime e in faccia all' austro
» et sirocco, li quali regnando assai il tempo dell' estate, per rispetto di
» essi monti concentrano eccessivo caldo che travaglia grandemente tutti
» gli habitanti
» La parte superiore della città è tutta desolata, che non si vede altro
» che muri et sassi, cosichè è ridotta nella metà, solamente, et perchè mi fu
» detto nel principio che andai là, in quelli casali distrutti venivano gettate
» immonditie, quali causavano maggior corrutione d' aere, feci fare un
» proclama che ogn' uno, chi pretendeva patronìa sopra di quelli, dovesse
') Kandler. Annali.
a) Ibid. e Relazione del Podestà e Capitano di Capodistria Pietro Basadonna. « Pro-
vincia » X, 8.
') «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria» voi. II, p. 115.
Il nome del Provveditore non è noto.
— 433 —
» farli nettare, et così conservarli ». — Quali differenze della Veglia del
secolo decimoquarto, quando essa dettava uno statuto splendido ed esemplare,
ed era ricca e popolata !
In condizioni parimenti tristi si trovavano allora le città del continente
istriano. Parendo, il di cui regresso accentuavasi sin dal secolo antecedente,
erasi in questo ridotto tfl tale stato d'insalubrità che il vescovo Lippomano
(i 598-1 608) doveva trasferire altrove il seminario istituito dal vescovo Noris
(1574-1591), proponendo d'erigerlo in Rovigno, dove il vescovo dimo-
rava la maggior parte dell'anno'). La chiesa di Parenzo era a quei tempi
per lo spopolamento della città sì poco frequentata, che lo stesso vescovo
faceva nel 1602 trasferire un privilegio della chiesa cattedrale all'altare di
S. Croce e della Ss. Trinità, in Rovigno "). Gli scrittori tutti, fra i quali
nel 161 1 Nicolò Manzuoli 3), che s'occupano in questo secolo delle cose
istriane, fanno cenno dello stato triste di Parenzo, e dello scarso numero
dei suoi abitanti. Nel 1646, allorché il vescovo Tommasini la visitò, non
presentava che un ammasso di case cadenti; abbandonata dai suoi abitanti,
con due soli canonici e due chierici, i quali avevano appena di che
sfamarsi '). Le strade e la piazza erano coperte da folta erba e di sterpi,
ed i casali pieni d' immondezze, d' assenzi, di sambuchi e di edere 6). E
1' aria pestilenziale era così temuta, specie nella state, che i peotieri costretti
a frequentare questo porto, onde prendere la rotta per Venezia, lo evitavano
di proposito in quest' epoca dell' anno, poggiando di rilascio piuttosto a
Rovigno "). Il governo veneto cercò di provvedere all' aumento della
popolazione della città, tanto coli' invitare gli abitanti dei luoghi vicini a
prendervi dimora, quanto col far riparare le case cadute, o col proibire
che 1' area di queste fosse convertita in orti ').
') Relazione di Angelo Barbarigo gii vicario generale del vescovo Lippomano. —
Notizie storiche di Monlona, pag. 222.
') Bekussi. Storia ili Rovigno, pag. 270.
*) Manzuoli. Descrizione della provincia dell'Istria. « Archeografo triestino » voi. Ili,
pagina 186.
*) Tommasini. Op. cit. pag. 375.
*) Negri mons. Gasparo. Op. cit. pag. 143.
•) Olmo. Op. cit. pag. 157.
') Dalla lettera ducale di Alvise Contarini al Podestà e Capitano di Capodistria
Gabrielle Contarini del 27 agosto togliamo il seguente passo che si riferisce a Parenzo :
« Per render anco maggiormente popolata la città stessa crederessimo proprio il raccordo,
» che avessero a rimanere coperte altre venti di quelle Case più abili ad accomodarsi, e
— 434 —
In non migliori condizioni versava in questo secolo Cittanova. I vescovi
ed i podestà l' abbandonavano durante l' estate, recandosi ad abitare in
Verteneglio, luogo più salubre. L'aria vi era sì maligna, che pochi individui
campavano oltre i 50 anni '). Nel 1650 i padri Domenicani che abitavano
l' ospizio a S. Maria del Popolo fuori della citta, dovevano abbando-
narlo per diminuzione di lucro, essendo la città divenuta ricovero di
pochi pescatori, la chiesa cadente, i campi ridotti a pascoli ed il convento
in stalla d' animali 2). Dei borghi fuori della città siti alle riviere di
S. Antonio e S. Lucia, non restavano nel 1650 che squallide rovine, e
la città stessa di cento casati di cittadini e di duecento di plebe e
pescatori, non rimanevano a quell' epoca che sei o sette di questi e venti-
cinque degli altri '). Le famiglie rimaste fra tanta desolazione erano i
Busin, i Rigo, gli Occhiogrosso, i Soleti, i Pantatera, divenuti poveri, ed
i Carlini, più altre della plebe o del popolo *). Nel 1686 tali condizioni
peggioravano ognor più, in guisa tale che il Consiglio comunale si com-
poneva di sole sette persone comprese quelle del podestà e del cancelliere;
per la qual cosa venne deciso di ascrivere allo stesso dei nuovi cittadini,
che avessero stabile dimora nella città e fossero abili a coprire la cittadinanza,
fra i quali 14 col nome dei Pauletich, Marchesan, Zanne, Arcangeli, Cime-
gotta, Manzin, Zanonati, Rossi, Gregolin, Rimondi, Ronzan, Frielli, Lanzi,
Colomban, la quale decisione fu poscia confermata dal doge colla ducale
15 marzo 1698 6).
La maggior parte del territorio era lasciata incolta per mancanza
di braccia; i pochi contadini che vi dimoravano, erano poveri ed oltre a
ciò pigri, così da non poter coltivare quei terreni, proprietà in tempi
anteriori di 50 cittadini, ed ora appena di io o 12. Tutta la campagna
» se per la via di Proclama, o altro invito a quei Abitanti de' luoghi vicini fosse per
» riuscire l'esecuzione senz'altro stipendio pubblico, sarebbe Vostro il merito di tale og-
» getto. Altrettanto pregiudiciale alla Popolazione ben incamminata della Città medesima
» riconoscendosi l'abuso di ridurre le Case dirocate in Orti, o siano Casali, vogliamo, che
» tali investiture rimangano del tutto intieramente proibite, e sarà parte Vostra ordinar
» quelle note, che valessero anche a successori Vostri per vietar tali Concessioni contrarie
» alla Pubblica Mente ». — Dalle Leggi statutarie del Paruta, lib. IV, pag. 76-77.
') Olmo. Op. cit. pag. 157.
5) Dall' Injormatione del vescovo Gabrieli (1684-171 7). «Provincia» XXI, 5. D. V.
' ') Tommasini. Op. cit. pag. 194, 195, 199.
4) Ibid. pag. 204.
') Kandler. Istria, a. I, 1846, n. io.
— 435 -
era perciò in abbandono e tutto quel territorio lungo quasi nove miglia e
largo tre, non aveva che dieci stazioni di contadini, lavoratori della terra ').
La dimora in Cittanova, come si disse, era impossibile nella state e
di autunno, così che il vescovo Tommasini, ridottosi a qualche delizia rurale
1' episcopio ed il terreno dinanzi ad esso, vi passava solamente i mesi dal
principio di novembre fino a mezzo maggio, trattenendosi negli altri a Buje,
a differenza del suo antecessore don Eusebio Caimo da Udine (1619-1640),
che dimorava la maggior parte dell' anno a Verteneglio, ove visse fino
all'età d'anni 75, morendo li 19 ottobre 1640 in casa di Orazio Busin *).
La causa di tale ammorbamento dell'aria, gli autori di quel tempo e
specialmente monsignor Tommasini, l' attribuiscono all' interramento del
porto della città, che in brevi anni diveniva un mandracchio puzzolente,
poi all' impaludamento della foce del Quieto, al taglio dei boschi *), e
finalmente all'ammassarsi nella città e nei suoi dintorni d'immonde rovine.
Più tardi nel parlare dei provvedimenti in generale, ritornerò su tale ar-
gomento.
Il vescovo Tommasini attribuiva a ragione la gravità del male anche
allo scarseggiare degli abitanti: «In anni 12, dice egli, ch'io qui dimoro,
» sono mancate 30 e più case. Qui si vede con quanta difficoltà s'allevano
» i fanciulli, e quanto poco vi vivano le donne, come complessioni più
» gentili. Qui si vedono con volti macilenti esser le persone, e le creature
» con ventri gonfi, camminar cadaveri spiranti. Vi sono sempre ammalati,
» ed a questi per consueto non vi è alcun sollievo, non essendovi né
» medici, ne medicine, ne chirurgici, o speziali *) ».
La cittì di Capodistria sebbene invasa continuamente dal timore d'una
infezione malarica, a cagione del progressivo interramento delle paludi,
s'era tuttavia alquanto rimessa dopo la peste del 1573, in modo che il
Proveditor General da Mar Filippo Pasqualigo, con terminazione datata dalla
galea in porto di Pirano del 26 novembre 1608, concedeva la riapertura del
monte di pietà istituito li 15 aprile 1550 e rimasto poi chiuso pel soprag-
giungere delle pesti 5). Sembra però che l'aria, come si rileva dalle Corografie
') Tommasini. Op. cit. pag. 204.
') lbid. pag. 214, 249. — Kandler. Istria, VI, 48.
*) Tommasini. Op. cit. pag. 193, 194, 195, 199.
'; lbid. pag. 199.
') Statuto di Capodistria.
— 436 —
dell'Olmo e del vescovo Tommasini '), vi si mantenesse salubre, abbenchè
nel 1615, si temesse, come sopra si è detto, che l'avanzarsi delle paludi
producesse un inquinamento dell'aria e conducesse per conseguenza la città
ad uno stato di desolazione peggiore di quello di Pola 2).
Però, sopraggiunta la peste del 1630 che per tre anni ad interruzioni
invase la città, la temuta desolazione era raggiunta. Il Kandler vuole che
vi perissero circa cinquemila persone, computate le perdite fatte nel territorio,
restando così abbattuto il meglio, anzi il fiore dell'antico popolo giustino-
politano 3). Le relazioni dei podestà fanno ascendere le perdite a due terzi
degli abitanti nella città ed a tremila nel territorio *). Una prova certissima
delle tristi condizioni in cui essa versava nella seconda metà del secolo,
l'abbiamo nella parte presa dal Consiglio cittadino in data 22 agosto 1660,
nella quale si decretavano preghiere pei defunti e veniva votato d' invocare
la benedizione apostolica sopra la città desolata pei molli anni penuriosi,
sterili ed infelici, abbondanti solo di povertà e di miserie in questa Patria e suo
territorio B).
Le condizioni di Pola erano ancor peggiori. Ridotta la città dalle
varie epidemie di peste a pochi abitanti ed inquinatosi il suolo dal germe
malarico, in modo che i nuovi coloni non potevano abitarlo, le condizioni
diggià tristissime divenivano ancor più squallide pel sopraggiungere della
peste del 1630. Pola ne soffriva orrendamente. I suoi abitanti riducevansi
a soli trecento, risultanti la maggior parte dalla soldatesca della fortezza e
dal clero. Era sprovvista di medico, di chirurgo e di speziale6). Il Kandler
distingue tale epoca come quella della massima dejezione di Pola "). Nel
1638 il provveditore Vincenzo Bragadin ritornando in Venezia esponeva
') Olmo. Op. cit. pag. 155. — Tommasini. Op. cit. pag. 331.
*) Relazione del "Proveditor ed Inquisitor general d' Istria Marco Loredan, del 19 Giu-
gno 161$. «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria» voi. II,
pagina 49.
3) Kandler. Istria, a. II, 1847, n- 25- — Vedi mio lavoro.
4) "Prelazione del Pod. e Cap.o Gabriel Alvise del i6]2 e quella del Pod. e Cap.o Capello
'Pietro del 16}}. « Provincia » X, 8.
5) Statuto di Capodistria.
6) %elaiione di Pietro Basadonna al veti. Sen. del 9 Giugno 16}... — Notizie storiche
di Pola, pag. 406. — Secondo il Kandler (Annali) però nel 1689 veniva aperta in Pola
una farmacia.
7) Kandler. ^Annali. — Notizie storiche di Pola, pag. 77.
— 437 —
intorno allo stato miserando di quel comune la seguente descrizione: «La
» città è ridotta in sole tre famiglie di Cittadini, e le più principali Capitani,
» Pelizza, e Contin, tutte le altre sono in poco numero, in povertà costituite,
» et la nation Cipriotta solita in gran numero habitarvi, sono parte morti,
» et parte abbandonato il paese, tal che in tempo dell' estate, quando la
» stagion e l' aria è più pericolosa, tutti si ritirano nelle vicine Ville, et
» ivi dimorano, si può dir tutto obbrorio; onde se per tal pauroso estremo
» e per la rarità delle genti, che rimangono, non praticasse per la Città
» qualche soldato di Fortezza, non si vedaria altro che le case da per tutto
» distrutte, e li avanzi deplorevoli dell'andate memorie; il che quando dal
» supremo volere et virtù matura di V. V. S. S. non sij applicato qualche
» provido rimedio, li mali sempre più andranno crescendo con total dimi-
» nutione et esterminio del resto ') ». Press' a poco lo stesso quadro offre
il provveditore Polo Minio li 4 luglio 1639').
I caratteri sintomatici della malaria polese assumevano in questo secolo
tale gravità, che nel 1645 morivano in un mese sedici monache benedettine
del convento di S. Teodoro, con molto spavento delle altre e del prelato
che allora le governava, nonché di tutta la città *).
Delle 72 ville che la città aveva sotto di sé, nel 1655 tutte erano
diggià in rovina, eccettuate 16 col castello di Momorano '). Sembra però
che in appresso la città andasse alquanto migliorando nelle sue condizioni,
giacché troviamo nel 1663 un aumento di popolazione6), la quale nel 1669
saliva da 400 a 500 anime 8).
Anche i corografi istriani di questo secolo distinguevano nettamente
le località salubri della provincia da quelle malariche. Nicolò Manzuoli
indicava nel leu quali salubri le posizioni di Isola, Pirano, Rovigno,
Dignano, Albona, Valle, Montona e Visinada '). Nella relazione Loredan
') Rela\ione di Vincenzo 'Bragadin, ritornato Provveditore di Tola. — 'hLoti^ie storiche
di Tola, pag. 412.
*) Relazione di Polo OtCinio, ritornato Provveditore di Poìa. Ibid. pag. 416.
') Tommasini. Op. cit. pag. 472.
4) Loca da Linda. Estratto delle relazioni e descrizioni e particolari del mondo. « Ar-
cheografo triestino » serie vecchia, II, 92.
s) Relazione del Vod. e Cap.o di Capodistria Zuslo Angelo. « Provincia » X, 8.
') Relazione del io Aprile 1669 di Agostino Tìarbarigo, ritornato 'Podestà e Capii, di
Capodistria. Nelle Notizie storiche di Montona, pag. 223-224.
7) Manzuoli. Op. cit. pag. 182 e seg.
- 438 -
del 1 6 giugno 1616 viene indicata perniciosissima l'aria nei dintorni di
S. Vincenti, ove morivano di malaria molti soldati cola stazionati in occa-
sione della cosidetta guerra di Gradisca'). Il vescovo Tommasini che scriveva
la sua Corografia circa nel 1650, opera ricca di notizie importanti per la
storia istriana, menzionava quali salubri le località di Montona, Verteneglio,
Gradina (Portole), Cucibrech, Cuberton, Cernovaz, Topolovaz, Momiano,
Berda, Buje, Piemonte, Castagna, Grisignana, Portole, Cepich (Portole),
Gapodistria, Decani, Maresego, Costabona, S. Nicolò d' Oltra, Isola, Pirano,
Orsera, Torre, Visinada, Gimino, Antignana, Corridico, S. Vincenti, Can-
fanaro, Mompaderno, Dignano, Albona, Pedena, Gallignana, Lindaro, Pin-
guente, Muggia, Rovigno, Gallesano, Sissano. Quali posizioni meno sane
egli indicava Matterada e quali malariche Cittanova, il territorio attorno
Verteneglio, S. Lorenzo di Daila, Villanova di Verteneglio, Umago, Parenzo,
Due Castelli, S. Lorenzo del Pasenatico, Barbana, il territorio attorno
Pinguente, Pola, Brioni, Scoglio di S. Girolamo e Veruda !). Luca da
Linda che scriveva circa nel 1655 '), citava quali luoghi sani Isola, Pirano,
Rovigno, Dignano, Albona, Valle, Montona, Visinada, e quali malarici
Cittanova, Parenzo, Pola ed Umago.
Eguali testimonianze ci vengono offerte dalle relazioni di altri prov-
veditori veneti nella provincia, come p. e. da quelle di Francesco Basadonna
letta nel 1625 e di Giulio Contarmi del 6 febbraio 1626, nelle quali Pirano,
Roviguo, Isola, Muggia, Dignano, Montona, Buje, Pinguente, Albona, Fianona
vengono dichiarate località d' aria saluberrima ; mentre Valle, S. Lorenzo,
Grisignana, Portole, Due Castelli, sono date sotto questo aspetto siccome
sospette; Pola, invece, Cittanova ed Umago figurano come malsane in
sommo grado quasi spopolate, ripiene di rovine, d' immomditie, d'aria morbosa,
poco differenti V una dall' altra nel numero degli habitanti *).
Naturalmente la densità della popolazione della provincia stava in
relazione collo stato igienico del suolo. Astrazione fatta dalla campagna,
ove le successive importazioni di genti straniere erano riescite a colmare
') Relazione del Provveditor general Marco Loredan del 16 Giugno 1616. Negli «Atti
e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria» voi. II, pag. 65.
2) Tommasini. Op. cit. voi. IV.
*) Luca da Linda. Op. cit. pag. 92 e seg.
') Relazione di Francesco 'Basadonna, ritornato di Trovveditor in Istria del 162} e di
Giulio Contarmi, ritornato di Trovveditor in Istria li 6 Febbrajo 1626. Negli «Atti e me-
morie della Società istriana di archeologia e storia patria» voi. V.
— 439 —
in parte i vacui lasciati dalle pesti e dalle febbri; nelle citta, eccettuate
forse Pirano ed Isola, che per essere state risparmiate dall' ultima peste e
per essere altresì immuni dalla malaria, erano ricche di popolazione, le
tabelle poste in appendice al presente lavoro dimostreranno come la
popolazione istriana fosse generalmente diminuita.
Col cessare però del periodo delle pesti, la popolazione andò lentamente
qua e là aumentando, mentre, si può dire, diminuiva di pari passo 1' insa-
lubrità dell'aria. Ciò risulta specialmente per Capodistria, Parenzo e Pola.
Tuttavia alcune località furono del tutto abbandonate, come p. e. Due Castelli,
ove la malaria continuava a regnare con violenza, favorita a quanto sembra
dalle paludi del Culeo di Leme ').
Contro tali sventure il governo ed i comuni cercavano di provvedere
particolarmente coli' attirare in provincia nuovi abitanti, come s'è visto più
sopra. I quali però non tutti potevano resistere alla malignità dell'atmosfera,
tant'è vero, che spesso si dovette sostituirli con altri ulteriormente importati.
In tal guisa vennero colmate, almeno parzialmente, le lacune lasciate dalle
pesti e dalla malaria, specialmente negli agri di Parenzo e Pola, ove alla
estintasi razza latina, veniva sostituita la slava proveniente dalla Dalmazia,
dalla Bosnia e dal Montenegro, oppure dall' Albania *).
') Tommasini. Op. cit. pag. 432. — Vedi pag. 426.
*) Dalla relazione del Provveditore Giulio Contarmi prima citata rilevasi che molti
ritenevano che la malaria fosse la causa dello spopolamento ; altri opinavano invece con
ragione che lo spopolamento delle terre avesse prodotto l'ammorbamento dell'atmosfera.
Citiamo il passo per la sua importanza :
« E concetto che in quella Provincia sia per natura cattiva P aria e che da questo
» sia proceduto principalmente la dishabitatione di molti luoghi, ma questo non è poi
» cosi, poiché la verità e che anzi per la dishabitation delle terre e mancanza di fuochi
» V aria divenuta cattiva si la sempre peggiore. La dishabitation però delle terre da
» molte cause è proceduto ; la prima è che il qualche traffico, quale in altri tempi vi si
» faceva s' è andato poi nihilando ed al presente è totalmente distrutto e gli uomini a
» poco a poco si sono andati partendo, sendo vero che quando manca l' occasion del
» guadagno, mancan gli habitatori, i quali dov' è il bene e l'utile e dove il lor commodo
» li chiama si conducono ; la seconda è stata V introdutione non avvertita nei principii,
» la qual presero le genti di partirsi dalle terre principali per andar a star nelle ville più
» vicine e più commode al godimento e lavoro dei terreni, lontane anco dalla vista e
» fastidio che rendon le genti delle Galee, né cosi vicine e presenti all' Imperio ed autorità
» de Reggimenti. Allettamento che tirato dopo il principio la continuatione, ha rese col
» tempo dishabitate molte terre e riempite molte ville. Imperciocché Pola rimasto cadavero
» di città, ha ingrossato la terra di Dignano e quella di Gallisano, che prima erano sue
» ville, Parenzo in molte ville ha i suoi già cittadini così che è rimasta vacua di gente,
— 44° —
Oltre all'immigrazione, si poneva mano qua e là a fornire le città e le
campagne di acqua potabile buona, ad ordinare o consigliare la costruzione di
cisterne e l'espurgo dei laghi '). Il qual provvedimento diventava necessario
specialmente nell' Istria rossa, ove l' acqua non solo scarseggiava, specie
nelP estate, ma per essere ancora torbida, siccome proveniente dalla melma
degli stagni artificiali, doveva venir filtrata o chiarificata, il che facevasi
con mandorle peste di pesche o di pruni. Ed erano anche felici quei luoghi
ne' quali 1' acqua, comunque fosse, non mancava mai ; che spesso invece
avveniva che i poveri contadini fossero costretti di percorrere grandi distanze
per attingerla 2).
Certo non senza salutare effetto deve esser riescito l'escavo del Quieto
ordinato diggià nel secolo XV (vedi pag. 415), e del quale si ha notizia
ancora nel 1610"). Nel 1626 il lavoro non era peranco compiuto'), ed
anzi nel 1631 l'ingegnere Mombini proponeva di rendere navigabile il
fiume fino sotto Pinguente ").
Le paludi attorno Capodistria, conformemente alle tristi previsioni di
quei cittadini, nel 1615 erano così avanzate da minacciare l'interrimento del
porto. Pare però che durante questo secolo nulla siasi fatto in vantaggio
di quell' estuario 6).
» Lo stesso è successo ad Umago. E con la dishabitation di Cittanova si è riempito Ver-
» tenigo e Torre sue ville. Per la qual dishabitatione mancati i fuochi che purgavan l'aria,
» cadute le case e riempiutesi d' immonditie, come anco le strade, si mantien per il fettore
» 1' aria sempre impura e malsana.
» Questo male però non succede in Capo d' Istria, Pirano e Rovigno, nei quali luochi
» continua 1' aria buona, per questo che le genti vi habitano, perchè non avendo sotto
» d' esse ville con habitatione, escono la mattina le persone a lavorare e la sera tornan
«dentro, che in Capo d'Istria tal sera ho vedute enumerare sin 1500 persone che en-
» travano di ritorno dal lavoriero ; E così col fuoco che convengon fare massime nel verno,
» e colle case e strade tenute in piedi e nette dalle immonditie, l'aria si mantien buona
» e salubre ».
') Relazione del Cap.o di Raspo e Vice Generale in Istria Bernardo Tiepolo, del 1618.
« Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria » voi. 11, pag. 1 1 5 e
Relazioni citate Basadonna e Contarmi.
*) Prospero dott. Petronio. Memorie sacre e profane dell' Istria. 1681. — ti,otizie
sloriche di Pola, pag. 245.
') Statuti di Tirano. Asserte dimande ecc. pag. 4.
«) Statuto di Cittanova, lib. Vili, cap. VII.
5) Kandler. Annali.
6) Relazione del Provveditore ed Inquisitore generale Marco Loredan del i<) Giugno ióij.
« Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria » voi. II, pag. 42.
— 44i —
Il governo, diretto dall'idea di poter migliorare la triste qualità dell'at-
mosfera, metteva dopo la cessazione delle pesti grande attenzione all'espurgo
delle città. Sembra effettivamente che in proposito si sieno anche ottenuti
buoni risultati. Troviamo difatti che il provveditore dell' Istria Giulio
Contarmi, visto il buon effetto ottenuto dall' espurgo effettuato nelle città
e terre a lui sottoposte, ordinasse nel 1626 ai cittadini di Cittanova che
ognuno dovesse ogni otto giorni spazzare dinanzi alle proprie case le
immondizie, e che i letami fossero ogni quindici giorni condotti fuori della
città. Dallo stesso ordine si rileva anche, che il capitano di Raspo aveva
ingiunta in antecedenza la rimozione delle rovine dai luoghi abitati ').
In ogni città esistevano fino dai secoli precedenti i provveditori alla
sanità, e dove ancor non vi erano, venivano in questo secolo nominati appo-
sitamente. Essi risiedevano specialmente nelle città costiere, e loro scopo era
quello di sorvegliare acchs non s'introducessero le pesti. Cosi li troviamo
da parecchi secoli in Capodistria ed in Pirano '); a Cittanova furono istituiti
nel 1626 *). Nelle isole dei Lussini tale incarico era demandato al cosidetto
Collegietto di Ossero, il quale mandava ancora dal secolo decimoquinto due
dei suoi membri ai Lussini, onde attendere a tale ufficio, coli' obbligo di
rimanere colà. Però nel 1674 Per ovviare a seri inconvenienti che succe-
devano in causa di tale delegazione, il provveditore della provincia accor-
dava che tale ufficio di deputato fosse affidato a due persone del luogo ').
Nelle città il personale sanitario veniva notevolmente accresciuto.
Rovigno salariava due medici con 300 ducati all'anno, ed in questo secolo
teneva pure due chirurghi con pari salario di 300 ducati, facendo obbligo
a quest' ultimi di abitare nella torre del ponte. Più tardi ne aggiungeva
un terzo 4). In questa città emerse il dott. Giuseppe Sponda per abnegazione
e carità, in modo che il popolo, dopo la sua morte avvenuta li io ottobre
1680, gli decretava agli 8 settembre 1682 una lapide commemorativa").
Capodistria dava al ceto medico la spiccata personalità di Marcantonio
Va hlera (1604) amico del Santorio, che oltre alle scienze mediche coltivava
'> Stallilo di Cittanova, lib. XXIII, cap. Vili.
') Statuto di Virano. Asserto dimande ecc., pag. 5.
') Statuto di Cittanova, lib. XXIII, cap. Vili.
') Bomcelli. Op. cit. pag. 57 e 58. — Nicolich. Op. cit. pag. 139, 140, 141.
'; Besussi. Storia di Rovigno, pag. 200.
•) Ibid.
— 44-2 —
con passione le belle lettere '); — quindi il dott. Prospero Petronio (morto
nel 1688) medico insigne, che esercitò la professione con grande successo
non solo a Capodistria, ma anche a Trieste2). A lui devesi l'opera:
Memorie sacre e profane dell' Istria e sua metropoli; — poi il dott. Girolamo
Vergerlo (nato nel 1622, morto nel 1678) che fu professore alle università
di Pisa e di Padova*); — il dott. Cesare Zarolti (1610-1670), che oltre ai
grandi meriti acquistatisi come medico, ne attinse anche di preclari nel
campo delle lettere e della poesia4). Anche Muggia concorreva all'illustra-
zione del ceto medico col dare i natali a Nicolò Robba (1609) medico e
consigliere dell'arciduca d'Austria; ed a Giovanni Secondis (1612) medico
riputatissimo in Lubiana 5). In Isola esercitava nel 1643 un Iseppo della
'Bella medico *).
A Pola si sarebbe aperta nel 1689 una farmacia ').
Però, ad onta che l' amministrazione sanitaria dell' Istria veneta fosse
molto progredita, tuttavia pare che nelle parti interne ben di rado si chia-
masse il medico, ma che piuttosto si ricorresse alla pietà religiosa, oppure
al solito espediente empirico dei pregiudizi e delle superstizioni.
Il rispetto che la contadinanza nutriva verso la religione, e la fede
che essa aveva nell'ajuto dei santi, faceva sì che in molte malattie aH'ajuto
di questi si ricorresse esclusivamente, e se anche si accettavano le medicine
allora in uso, non si cessava dall' implorare il celestiale soccorso. Troviamo
a cagion d'esempio, che per le febbri si soleva affidarsi ai sacerdoti, i quali
scrivevano un breve col nome del santo protettore del luogo, ovvero
l'evangelio nella parte in cui narrasi della suocera di Simeone febbricitante.
Gli ammalati ancora recavansi dal parroco, che loro consegnava un poliz-
zino contro la febbre, contenente il nome di Gesù e Maria con alcuni santi
protettori del luogo, oppure dell' ammalato. 'Contro le pleuriti adopravasi
un cucchiajo nuovo, nel quale si metteva un po' di aceto, che si beveva.
Però sul cucchiajo dovevano venir scritte le parole: et Verbum caro factum
') Stancovich. Op. cit. pag. 239.
*) Ibid. pag. 255.
J) Ibid. pag. 256.
*) Ibid. pag. 431 (nota).
') Ibid.
6) Morte ani. bota ed i suoi statuti, pag. 184.
T) Kandler. Annali.
- 443 —
est. Contro il morso d' un cane rabbioso segnavasi la fronte colla chiave
di S. Bellino, recitandosi prima di segnarsi tre pater, tre ave ed un credo;
ed al cane sospetto d' idrofobia veniva dato a mangiare un pezzo di pane
sul quale si scriveva le seguenti parole del profeta Davide: Homines, et
jumenta salvabis Domine qitemadmodum miiltiplicasti super nos tnisericordiam
tuam. La risipola segnavasi col dito grosso della mano destra facendo croci
sopra il male, e dicendo tre volte il pater noster. Però coloro che facevano
tali segni, dovevano digiunare la vigilia dell' Epifania. Contro il mal di
denti scrivevasi il versetto del profeta: Et stetit Phinces, et placavit et cessavit
quassatio, e per i vermi dei bambini quell' altro verso : Qui tribulant me
inimici mei, infirmati sunt.
Le superstizioni sempre eccitatrici la fantasia popolare, non mancavano
di suggerir strani spedienti anche in argomento di medicina. Mentre p. e.
alcuni ricorrevano al sacerdote se nutrivano il sospetto che un cane era
idrofobo, altri preferivano di scrivere sul pane da gettarsi al cane, invece
del motto davidico, le seguenti cabalistiche parole : Sator arepo tenet opera
rotas. Si pretendeva di guarire un animale dai vermi, senza vederlo, col solo
piegare un certo spino sulla terra e col sovrapporgli delle pietre, ripetendo
per ogni pietra le parole : spino io non ti voglio lasciare fino che tu non scacci
li vermi dal tale o tale animale.
Se un uomo riducevasi infermo, si dava la colpa alle fate, siccome a
quelle che lo avessero broato ovvero scottato; e per togliere l'incantesimo,
o meglio dire la supposta influenza magica, mandavasi una scarpa o la
cintura a certe vecchie donnicciuole, le quali, dopo aver osservato quegli
oggetti, gettavano nell' acqua dei carboni accesi, mentre nominavano una
fra le varie infermità ad ogni carbone gettato. Era credenza che l' infermità
nominata all'atto del getto nell'acqua del carbone che, smorzandosi, faceva il
maggior strepito, tosse quella, di cui era affetto l'individuo, ed allora consi-
gliavasi il rimedio, consistente per lo più in un profumo fatto colla polvere
delle spazzature del luogo, ove l' individuo veniva colpito dal male.
L' uso dei rimedi non era troppo esteso. Si hanno però memorie di
alcuni farmaci popolari. Contro la febbre p. e. usavasi tale cura : pigliavasi
del vino potente, lo si faceva bollire, ponendovi entro un pizzico di cannella
e pepe, e lo si dava in tal modo preparato e caldo a bere al febbricitante,
che allo scopo di provocare il sudore veniva coperto accuratamente. Da
altri usavasi il decotto di centaura minore e sembra con buon esito, e da
altri ancora 1' assenzio, i geccoli ed i cocomeri marini. Contro la punta
(pleuriti) usavasi mangiare tre grani d' incenso arrostiti entro un pomo,
rimedio insegnato dai cappuccini; nonché le sementi di olonia. Altri pre-
— 444 —
ferivano il majestro ed i fiori di rosmarino posti nell' olio, il quale caldo
applicavasi sulla parte offesa ').
In questo secolo la peste aveva fatto scomparire molti conventi, e so-
lamente in alcune città e luoghi ne venivano fondati dei nuovi. Senonchè
i conventi perdono in questo secolo la loro importanza sanitaria, quale la
avevano negli antecedenti ; quindi non giova neppure di occuparsene d'av-
vantaggio.
XV III secolo. — Eccettuato il saccheggio di Lovrana avvenuto nel 1702
dalla flotta Gallo-Ispana durante la guerra di successione spagnuola accesasi
fra la Francia e l'Austria, la pace di Madrid pose fine nell' Istria alle deva-
stazioni ed ai flagelli delle guerre.
Né si hanno più ricordi di pesti dopo l'ultima del 163 1. Ed ora
l' Istria, benché stremata di forze, ed esausta di molte risorse, avrebbe potuto
sfruttare la lunga pace per avanzarsi sulla via d' un miglioramento, delle
condizioni demografiche, ed economiche. Ma questa ricostituzione ope-
ravasi in alcune località soltanto, non nell' Istria intera, perocché, sebbene
i tempi fossero favorevoli, oltre alla decadenza del governo della Repub-
blica veneta, che estendevasi anche a quella dei paesi da essa retti, avvenis-
sero dei fatti d'ordine meteorologico, dannosissimi alle risorse agrarie della
provincia.
E primi fra tutti, gli enormi freddi degli anni 1709, 17 11, 17 13,
1740, 1755, 1762, 1763, 1782, 1788, 1789, 1795 2). Da quello del 1709
perivano molti olivi. Neil' isola di Veglia un orrido vento boreale, sca-
tenatosi li 12 marzo 1763, produceva un freddo tanto intenso, che vi
perivano quasi tutte le piante, né un sol frutto vi rimaneva. Ai 27 di
maggio il vento di borea rinnovavasi devastando di bel nuovo il paese, e
particolarmente i villaggi di Sugari e Susana nel comune di Dobrigno s).
In modo parimenti intenso manifestavasi il freddo anche a Rovigno '). Nel
1782 un improvviso ed eccessivo freddo, che durava dai 13 ai 16 febbrajo,
') Tali notizie in generale sulle cure degli ammalati vennero tratte dalla Corografia
citata del vescovo Tommasini. « Archeografo triestino » voi. IV, pag. 60, 61, 62, 63.
2) Benussi. Storia di Rovigno, pag. ili, 144. — Kandler. Annali. — Cubich. Op.
'cit. pag. 38, e Relazione Badoer, nella « Provincia » X, 9.
a) Cubich. Op. cit. pag. 38.
*) Benussi Op. cit. pag. 144.
— 44S —
faceva perire la massima parte degli olivi '). In quello del 1789 e del 1795
cadevano agli olivi tutte le foglie 2).
A codesti malanni andava compagna la fame, che bersagliò ripetuta-
mente la provincia. Terribile in generale, e specialmente per Capodistria, fu
l'anno 1752'). Il 1764 fu altrettanto grave di tristi conseguenze per l'isola
di Veglia, ove infierì la fame universale per la mancanza di ogni sorta di
biade e di vino. « Se vi fosse stato (è il cronista citato dal Cubich che scrive)
» una provvidenza che tendesse al bene comune, e non al proprio interesse,
» non vi sarebbe successa una carestia di viveri così sterminata, da obbligare
» i miseri abitanti dell' isola a vendere stabili, animali, mobili e per fino le
» serrature delle casse e delle porte della propria abitazione. Una massima
» parte camminava e cadeva estinta dalla sete e dalla estenuazione e molti
» vi perivano dalla fime Il pane di biscotto vendevasi a soldi otto
» e dieci alla libbra dagli usuraj ; il fermento dopo Natale a lire 40 lo stajo
» veneto; il vino a soldi 9 il boccale, prezzi per quei tempi esorbitantissimi ».
La carestia cresceva pure nell'anno seguente *). Nell'estate del 1782, l'anno
medesimo del grande freddo, una lunga siccità abbruciava in Rovigno le
messi; quindi infuriavano violenti uragani, pei quali annegavansi 12 persone.
Non vi fu in quell'anno raccolto alcuno né di grani, né di olive; dovunque
carestia, malattie e costernazione. Il prezzo della farina nel Fontico saliva a
lire 50 lo stajo s). La carestia perdurava ancora nel 1784, così che la pro-
vincia assumeva un aspetto triste e desolante *).
L'anno 1788, oltre che disastroso pell'estremo freddo, lo fu anche per
una siccità ostinata 7). Le isole dei Lossini soffrirono particolarmente in
conseguenza di tali vicissitudini meteoriche, specie nel 1794, quando l'estrema
siccità riduceva l'isola a grame condizioni8). Il 1795 fu pure anno di scarsi
raccolti, e fatale ancora pel deperimento degli olivi *). In aggiunta a ciò,
dal 12 luglio in poi cadde con persistenza tanta pioggia, da rendere
') Benussi. Op. cit. pag. in, 114. — Kandler. Annali.
') Relazione Badoer, « Provincia » X, 9.
') Relazione del Pod. e Cap.o di Capodistria Enrico Dandolo. « Provincia » X, 9.
') Cubich. Op. cit. pag. 38.
•) Benussi. Op. cit. pag. m.
*) Relazione del Tod.a e Cap.o di Capodistria Lodov. Morosini. « Provincia » X, 9.
*) Relazione del Tod.a e Cap.o di Capodistria Z\Cattio Dandolo. « Provincia » X, 9.
') Nicolich. Op. cit. pag. 250.
*) Relazione Badoer 1. e.
— 446 —
impossibile la trebbiatura delle scarse biade raccolte alla spicciolata, le quali
per la eccessiva umidità rinascevano nei covoni ').
Agli infortuni ora specificati s'aggiunsero forti maree negli anni 1727,
1746, 1750, 179 r, 1794 ed un terremoto nel 1741 2).
Degna di nota è pure l'epidemia vajuolosa del 1740 scoppiata in
Rovigno, per la quale in un sol mese morivano oltre 250 fanciulli ').
Anche la malaria dominò in questo secolo in parecchi luoghi della
provincia. Troviamo nominati come malsani Umago, Cittanova, Pola e come
luoghi sani Isola, Pirano e Rovigno *).
Ad onta che al principio del secolo alcune località avessero migliorato le
proprie sorti — come p. e. Parenzo, la quale aumentava di popolazione nel
primo decennio, in grazia dei commerci accresciuti e favoriti dallo stan-
ziamento nel porto della flotta veneta, mandata a presidio del golfo all'epoca
della guerra di successione spagnuola, — tuttavia nel resto della provincia
non avvenivano notevoli miglioramenti, sia in linea demografica che igienica;
ma anzi abbiamo testimonianze che le cose in generale pigliassero una
triste piega.
A Capodistria p. e. oltre agli anni di fame già notati intorno al 1752,
nel 1773, il podestà e capitano Cassetti Zuanne, ritornando a Venezia,
lamentava le contingenze calamitose e moleste, testimoni della più squallida
miseria, notate da lui in Capodistria durante la sua reggenza 5). A Pola le
condizioni non eransi per nulla migliorate, che anzi la malaria vi regnava
a tutta oltranza. Sembra che alle cause che nei secoli decorsi l' avevano
fatta produrre, in questo secolo altre se ne fossero aggiunte. L'abate Fortis,
mentre riconosce l'azione deleteria manifestatasi nei secoli antecedenti ad
opera delle devastazioni e delle pesti, accusa i vescovi d' aver favorito lo
sviluppo del male. « Malore, egli dice, a cui come pastori di quella
» popolazione avrebbero dovuto metter riparo spontaneamente in questo
» secolo umano, senz' aspettare che la sovrana clemenza mossa a pietà di
» una porzione riguardevole di sudditi e d' un territorio importante, li
» determinasse a far buon uso delle loro ricchezze. Invece di far scavare
') Cubich. Op. cit. pag. 39.
J) Kandler. Annali.
3) Manoscritto del canonico Caenazzo in Benussi, op. cit. pag. 199 (nota).
4) Negri mons. Gaspare. Op. cit. pag. 154 e seg.
s) %ela\ioM del Vod.a e Cap.o di Capodistria Cassdli Zuanne. « Provincia » X, 9.
— 447 —
» a qualunque costo un canale di comunicazione fra gli stagni suburbani e '1
» mare, vi fu negli anni ultimi scavato uno scolo alla fontana, con intenzione
» d'impedire così molte erbe acquatiche, le quali vi alignano perchè il fondo
» di essa non è stato purgato fino all' amico pavimento. Questo canale
» comunica col mare eontinguo, e nelle alte maree serve di veicolo all'acqua
» salsa che ascende, e guasta la lontana, con pregiudizio sommo della salute
» di quella infelice popolazione che deve attingervi » ').
Interessante parimenti per le condizioni sanitarie di Pola in quei
tempi, è 1* esposizione del dott. Giovanni Vincenzo Benini nella relazione
del dott. Arduino medico di Pola, scritta nel 1798 2). Il dott. Arduino
annovera le seguenti cause accidentali della malariche di Pola « la molti-
» tudine de' gelsi e d' altre piante che ingombrai! non meno i contorni
» che l'interno della città; le acque stagnanti che cuoprono i contigui prati;
» le vicine caverne formate dall'estrazione della terra vetraria; i cimiteri
» urbani,; gli olivi; i letamai, l'immondezza delle strade; i succidi abiturj
» de' mendici, e finalmente le pubbliche mura che rinserrano le perniciose
» esalazioni, o ne difficultano almeno la dissipazione. Tali rappresentanze,
» seguite da ragionate insinuazioni, diedero motivo alla detta Terminazione,
» la quale porta in sostanza : che abbiansi a sradicare tutti i gelsi e a rarificare
» le altre piante ne' luoghi sopraindicati; che agevolar si debba lo scolo
«delle acque del prato e della palude coli' annuo escavamento de' fossi
» conterminanti ; che si chiudan tosto le bocche delle nominate caverne;
«che sieno d'ora in poi tumulati i cadaveri, anzi che nelle chiese della
» ritti, in un cimitero extra-urbano; che polir si debban sovente le strade, le
» stalle e tutti gl'impuri ricettacoli d'acqua che in Città si ritrovano; che la
« Città non abbia più ad esser 1' ordinario soggiorno d' animali vaccini e
» porcini; che demolite sieno le volte d'alcune porte della città, e che sia
» permesso a particolar comodo e vantaggio di chiunque, d' atterar le
» pubbliche mura, onde render la Città meglio esposta ad una benefica
') Fortis dott. Alberto. Saggio d'osservazioni sopra V isola di Cherso ed Ossero. Ve-
nezia, 1771. — Kandler. Istria, a. I, 1846, n 8.
*) Consulta sulla malaria di Pola. esposizione del dott. Giovanni Vincenzo Benini
medico in Capodistria e fungente le veci di protomedico della Provincia in evasione al
Decreto 20 ottobre 1798 n. 4268 del e. r. Governo provvisorio, intorno alla Relazione del
dott. Arduino medico della Città di Pola, e sulla Terminazione di quel R. C. Collegio di
Sanità, intorno ai bisogni ed ai mezzi di render possibilmente salubre 1' aria della citta
stessa. — Kandler. Istria, a. IV, 1849, N. 16,
II
- 448 -
» ventilazione». Il Berlini poi nella sua esposizione propugnava la costruzione
di cisterne '), il prosciugamento delle paludi, la cessazione delle sepolture
nelle chiese, 1' abbassamento (non demolizione) delle mura della citta J), il
gettito della calce viva nelle fogne che venivano aperte, il trasporto del
macello, l'allontanamento delle fabbriche antigieniche; ed infine la proposta
d'importare nuovi abitanti. « Allora, egli scrive, le aque che or marciscono
» sui terreni raccolte nei rivoli; le terre innalzate; 1' agricoltura migliorata;
» le manifatture e le arti poste in attività; il commercio ravvivato e sostenuto
» da. uno dei più bei porti del Mondo e, in conseguenza di tutto ciò, le
» moltiplicate agitazioni dell' atmosfera, renderebbon l' aria più elastica,
» intanto che i moltiplicati fuochi la renderebbon più pura, e la salubrità
» andrebbe allora del pari coli' abbondanza ».
Siffatte condizioni ripetevansi in altre località della provincia. Di Cit-
tanova abbiamo diggià fatto cenno anteriormente. Aggiungiamo ora che le
tristi condizioni in cui si trovava, non lasciavano adito alla speranza d'un
qualunque risorgimento. Il podestà veneto di Capodistria Badoer voleva nel
1748 ripopolarla con abitanti tolti a Rovigno, che ne abbondava. Ma la triste
fama di malsania che godeva Cittanova, trattenne i rovignesi, che preferirono
di recarsi a coltivare le terre più vicine e salubri, di Valle e Dignano ').
Il borgo di Due Castelli veniva del tutto abbandonato. Nel 17 14 la-
sciavasi cadere in rovina 1' antica chiesa di S. Sofia, e trasferivansi le of-
ficiature in quella di S. Silvestro di Canfmaro allora consacrata 4). Di quel
castello tanto importante nei secoli decorsi non rimasero che eloquenti ro-
vine, estese sopra i due versanti del pittoresco vallone di Leme.
Ben differenti erano le sorti di altri luoghi dell' Istria. Parenzo, pei
motivi suesposti, aumentò rapidamente di popolazione, in guisa tale che i
pochi abitanti allo scorcio del secolo XVII, alla fine del secolo XVIII
raggiungevano la cifra di 3000 5). Anche Rovigno si avanzò di rapido
') Nel 1792 erasi costrutta un'ampia cisterna presso il duomo, nella credenza di
giovare coli' acqua pluvìatile alla pubblica salute, sebbene ci fosse l' acqua perenne ed
abbondantissima dell' antica sorgente.
2) Allo scopo di preservare in parte la città dal vento australe, ritenuto a quei tempi
apportatore di malaria.
3) Benussi. Op. cit. pag. 132.
4) Kandler. ^Annali.
5) Kandler. Istria, a. IV, 10.17, n. si- — t\*1a\ione del 2S novembre ijjg del PoJ.
( Cap. di Capodistria Nicolò Maria 9/CichùL
— 449 —
passo sulla via della prosperità. Abbenchè al principio del secolo XVIII le
famiglie cittadine di Rovigno si fossero ridotte a sole 15, sia per cagione
delle morti naturali, e sia della partecipazione alle numerosa guerre della
Repubblica, vediamo subito progredire negli anni seguenti le condizioni
demografiche verso un marcato miglioramento. Nel 1710 la popolazione
raggiungeva la cifra di 5643 abitanti; di 7357 nel 1740; di 8782 nel 1750; e
di 9816 nel 1788. Tale aumento di popolazione imponeva al governo, pel
motivo che gran parte di essa, attesi i ristretti guadagni, lottava giornalmente
coi bisogni della vita e venivasi formando un proletariato pericolosissimo.
A prevenirne i mali, il podestà capitano di Capodistria Badoer proponeva nel
1748 al governo di traslocare varie famiglie rovignesi a Pola od a Cittanova,
il che, come si disse, non ebbe effetto. Oltre che a Dignano e Valle, molti
rovignesi stabilironsi in Orsera e Parenzo, come agricoltori, o marinai ').
Anche Pirano abbondava di popolazione. E cosi pure aumentossi rapi-
damente la popolazione i Lussini. Mentre la vetusta città di Ossero decadeva
sempre più, così da ridursi alla metà del secolo al livello d' una borgata
più che umile con poco meglio d' un centinajo d' abitanti, i Lussini, che
da essa dipendevano, chiedevano ed ottenevano la loro indipendenza. Nel
1754, quando ciò avveniva, la loro popolazione era notevolmente accresciuta*),
in modo che Lussingrande nel 1784 aveva 1700 anime ') e Lussinpiccolo nel
1759, 187J *)■
Le città quasi tutte erano provvedute di medici. Li troviamo persino
nei Lussini, ove però non conducevano vita troppo splendida. Sembra che
il primo medico che esercitasse la sua arte in Lussinpiccolo, fosse il dottor
Barloloinineo Scacciarti, il quale sudava molto a raccogliere le piccole mercedi
a lui dovute per la cura degli ammalati 5). In Rovigno vivevano più lau-
tamente. Essi venivano pagati colle rendite del fornico, e, come scriveva
il podestà e capitano Michiel "), stavano a spese esclusive dei poveri.
Percepivano joo ducati all'anno di salario, ed erano tre di numero.
') Bf.kussi. Op. cit. pag. tJ2. — Magione del Tod. e Cap. dì Capodistria Michiel, del
20 novembre i~]4<).
J) Bonicelll Op. cit. pag. 53. — Nicolich. Op. cit. pag. 149.
*) Bonicelll Op. cit. pag. 64.
4) Fede del parroco Michele Cosulich del 26 febbraio 1759 hi Nicolich, op. citati:,
pagina 260.
5) Boxici- lli. Op. cit. pag. 67 (nota).
') Relazione sui Fonlici dei 6 fiugno 1766 del Pod. e Cap. di Capodistria OnCichùì,
— 450 —
Abbiamo veduto emergere in Pola, per la sua relazione sulla malaria,
il dott. Arduino, il quale visse colà intorno agli ultimi anni del secolo.
Contemporaneo di Arduino, esercitava a Capodistria il dott. Giovanni
Vincemmo Benini medico di vaglia, divenuto poi sotto il primo governo
austriaco protomedico provinciale. A Pirano, ingegno eletto, medico distinto,
devoto fino alla passione alla Repubblica veneta, di cui pianse la caduta,
visse ed esercitò il dott. Giacomo Pantani, autore di vari opuscoli e d'una
storia naturale dell' Istria, accennata dal Carli nelle Antichità italiche. La di
lui memoria non è ancor spenta a Pirano, e di lui abbiamo udito parlare
con affetto dal defunto collega dottor Melchiorre Linder, che rammen-
tavasi gli elogi, che di quell' uomo egregio tesseva il dottor Apollonio
suocero del Linder, e successore al Panzani. Abbiamo veduto il suo nome
in un diploma di membro dell'allor esistente accademia piranese dei Virtuosi,
di cui egli era preside. — In Albona distinguevasi per titoli letterari 'Bar-
toloinmeo Giorgini (1733) farmacista, autore di molti lavori storici riflettenti
la sua patria ').
La triste impressione rimasta in conseguenza delle pesti bubboniche,
e più ancora il timore che questa malattia non avesse di bel nuovo a
ricomparire in provincia, divenne la causa che i magistrati istituiti nelle
città costiere sotto il titolo di Provveditori alla sanità venissero rivestiti di
maggiori diritti, e che la sfera delle loro attribuzioni venisse ampliata. In
alcune città, come p. e. a Rovigno, si destinavano appositi locali ad uso
di contumacia, chiusi da rastelli all' accesso del pubblico '"'). Egualmente
ai confini terrestri venivano adottate severe misure contro l' importazione
delle pesti. Il dispaccio 21 ottobre 17 io del podestà e capitano di Capodistria
Aurelio Contarmi, contiene appunto la esposizione di tali misure contro le
provenienze da Trieste e dai luoghi arciducali dell' Istria e del Friuli ; e così
l'altro del 1 febbraio 1712 del podestà e capitano di Capodistria, Francesco
Malipiero, al capitano del castello di Piemonte, con cui ordinavasi contumacie
e bando alle provenienze dalla Schiavonia, Croazia, Albania, Dalmazia, dalle
isole del Quarncro, da Fiume, Buccari, Buccovizza e da altri luogi della riviera
austriaca3). Nel 1743, quando scoppiava la peste in Ungheria, in Transilvania
ed in Messina, il provveditore Pietro Dona difendeva la provincia erigendo
') Stancovicii. Op. cit. pag. 263.
3) Benussi. Op. cit. pag. 155-156.
3) «Provincia^ XVIII, 22. Estratto di G. V.
— 45i —
rastelli, tagliando strade, armando le linee di confine ed i porti, e tenendo
in armi a questo fine le poche cernide. Dalla parte di mare, in mancanza
di legni armati per la custodia del vasto litorale, si eccitavano tutti alla
custodia dei propri lidi. A tale scopo nel maggio 1744 veniva in ajuto del
Dona il provveditore straordinario, Dolfin. Scoppiata nel 1783 la peste in
Dalmazia, il provveditore Lodovico Morosini, d'accordo col provveditore
generale di Palma, creava addirittura una linea armata d'osservazione, po-
nendo in azione più di 300 individui, impiegandoli nelle sentinelle, negli
appostamenti avanzati ed in una mai interrotta crociera di barche armate ').
Sotto i francesi nel 1797 la municipalità di Rovigno istituiva pure un
Magistrato di sanità formato di tre membri, cui incombeva anche la polizia
della città 8)
Due enormi cisterne venivano erette in questo secolo, una in Pirano
per opera dell'architetto Simeone Battistella nel 1776, ed una simile in
Visinada nel 1782 ').
Riguardo ai boschi, troviamo in questo secolo la terminazione del 6
dicembre 1775 di Vincenzo Morosini deputato ai boschi dell'Istria, destinata
a regolarne la buona coltura, custodia e conservazione, approvata dal Col-
legio deputato sopra i boschi, ed avvalorata dalla terminazione del Senato
dei 9 maggio. Appartiene poi agli anni 1791-1792 il piano completo di
amministrazione forestale nell' isola di Veglia *).
XIX secolo. — Colla fine delle guerre napoleoniche, per le quali poco
danno veniva recato all' Istria, cessavano anche da noi completamente le
fazioni guerresche. Però la instabilità dell'amministrazione nei primi decenni
del secolo, conseguenza dei cambiamenti repentini di governo, recò pregiu-
dizio al benessere provinciale, e devesi forse ad essa attribuire i gravi dissesti
economici, dai quali ebbero origine gli anni della fame. Tale terribile flagello
faceva la sua comparsa nell'anno 18 15 e cessava appena nel 18 18. Nei paesi
colpiti dura ancora presentemente l' infausta memoria di quelP epoca, ed i
vecchi rammemorano con raccapriccio quei tempi tristissimi.
A Rovigno, nel 1817, alla fame s'aggiungeva il tifo, che scoppiato
al principiare del maggio, continuava fino al gennaio dell'anno seguente, e
') Relazioni in copia nell'Archivio provinciale.
2j Bemussi. Op. cit. pag. 210.
3) Kandler. Attuali.
') Cubich. Op. cit. pag. 146.
— 452 —
colpiva oltre a 1200 individui, di cui ne morirono j2i; cosi che non ba-
stando più il cimitero sul monte di S. Eufemia, se ne dovette aprire un
secondo a S. Gottardo '). In Momiano la lame cominciava a mieter vittime
diggià ai 21 novembre 1815, e cessava nel 2 gennaio 1818, cagionando
5 1 morti. Nel registro parrocchiale 2) le cause di morte sono indicate coi
termini : penuria, inedia, indigenza e fame. Purtroppo non furono questi
i soli anni d'indigenza. Riproducevansi nel 1854, l%7°> 1874 e 1880, e
se riuscirono meno funesti dei precedenti alla popolazione, ciò va ascritto
solamente al progresso dei tempi, alle grandi carità pubbliche e private,
all'aprimento di lavori di pubblica utilità, ai mezzi facilitati di comunicazione
pei necessari approvigionamenti, ed a quei pronti provvedimenti ammini-
strativi, sconosciuti in altri tempi.
Un brano di lettera che trovasi inserito nella Provincia (a. XIV, n. 2),
che qui riportiamo, ci offre uno sguardo molto chiaro delle condizioni
economiche dell' anno 1870. « Ho passato i sessanta anni, dice l'autore,
» ho assistito quindi molte volte al succedersi dei periodi di miseria nella
» provincia, ma una rovina simile non ho veduto mai ! e non so come
» andrà a finire. — Ogni giorno vengono trenta, quaranta affamati dalla
» campagna, e non sappiamo dove dare la testa per soccorrerli. La città
» (Parenzo, da dove è datata la lettera) più o meno si difende, ma le ville
» di Abrega, Fratta, Torre, Sbandati, non hanno né un grano, né un soldo,
» né il crepuscolo di credito. O soccorrerli, o vederli morire di fame. C'è
» di più che verso Dracevaz si è sviluppata una febbre che li coglie meschini
» ed estenuati., e muojono subito. Questa passata settimana credo ne sieno
«morti nove»'). La stessa cosa ripetevasi nell'autunno 1879*).
Apportatori di rilevanti danni furono pure gli enormi freddi degli anni
18135), 1819, 18326) e 18467). Nell'isola di Veglia, diggià abbastanza per-
seguitata da disgrazie, accadeva nel 18 14 altro disastroso avvenimento, pel
') Bexussi. Op. cit. pag. 241.
5) Qui devo rendere grazie al mio amico M. R. Don Antonio Urbanaz, parroco del
luogo, il quale mi rendeva avvertito di tali cause di morte e mi offriva all' ispezione i
registri parrocchiali.
*) La lettera venne scritta li 16 gennaio 1870.
♦) «Provincia» XIII, 22, 23, 24.
5) Benussi. Op. cit. pag. 144. — Nel 181 3 cadde una terribile grandinata.
6) Kandler. ^Annali.
') Benussi. Op. cit. pag. 144.
— 453 -
quale poco mancò che la borgata di Ponte non andasse distrutta. Il 13 giugno
giugno, dopo un'ostinata siccità, un denso nuvolone spinto dai venti meri-
dionali s' infrangeva sulle vette del Triscavaz, e scaricava improvvisamente
una tale quantità d' acqua, che precipitando dagli alti dirupi, né potendo
sfogarsi pei soliti canali verso il mare, trascinava seco grandi massi di pietra.
Intere valli ne venivano sconvolte ed assieme colle viti andavano perduti
gli alberi, gli olivi e le quercie, devastando in tal guisa buona parte del
territorio ').
Ricordiamo anche il terremoto avvenuto nel distretto di Volosca, nel-
l'anno 1870, come quello che fu causa di molti danni ad un vasto territorio.
Esso manifestavasi li 26 febbraio, aumentava di forza nel 28 dello stesso
mese, producendo quasi ogni giorno delle scosse fino ai 27 maggio. La
scossa principale ebbe luogo il 1" marzo (martedì di Carnevale) circa alle
9 di sera, ed altre gagliardissime avvennero il io maggio, circa alle ore
6 di sera, e li 1 1 maggio circa alle ore 3 del mattino. Vennero specialmente
danneggiati il villaggio di Ciana, e ne ebbero a soffrire pure gli altri villaggi
contermini di Skalnizza, Lippa, Lissaz, Novakracina, Sussak, Zabice, Podgraje
e Studena.
E poiché nell' esporre le peripezie disastrose occorse nei secoli decorsi
abbiamo parlato delle epidemie di peste, non possiamo passare ora sotto
silenzio quelle di eholera asiatico, che in questo secolo manifestaronsi per
la prima volta. Sebbene queste non abbiano prodotto vuoti pari a quelli delle
pesti, tuttavia per alcune località furono causa di grande mortalità. Il morbo
irrompeva negli anni 1836, 1849, 1855, 1865, 1866, 1867, 1873 e 1886.
Negli anni 1836, 1849, 1855, 1866 e 1886 scoppiava in modo grave, at-
taccando le principali città istriane e la campagna, negli altri in modo
leggiero 2).
In tale riguardo si presenta però interessante il fatto che a Pola, nelle
epidemie di eholera degli anni 1849, 1855 e 1866, il morbo preferiva quelle
situazioni ove di regola domina la malaria. Il dott. Bossi, che desumeva
tale circostanza da un esame attento ed esatto dei documenti rinvenuti a
UBICH. Op. cit. pag. 46.
[struttiva in questo riguardo e l'opera 'Die Choìeia des lahres 1SS6 in IstrUn und
Gòr\-Gradisca pubblicata dal capo-.nedico provinciale dott. Adalberto Bohata, i. r. Con-
sigliere di Luogotenenza (Trieste, editore l' i. r. Consiglio sanitario provinciale. Tipi di
L. Herrmanstorfer, 1888), nella quale sono riassunte le epidemie di eholera del Litorale.
— 454 —
Pola, ammetteva la causa di tale predilezione nella circostanza, che le regioni
malariche sono a preferenza le meridionali e poco elevate, quindi le più
soggette alla umidità ed al calore, fattori questi indispensabili alla moltipli-
cazione dei germi dell'una e dell'altra malattia'). Però mentre il cholera
fa il suo decorso e poi poco a poco svanisce ; la malaria non scompare, ma
continua a sussistere.
Non meno esiziali riescirono le frequenti epidemie di difterite, che dalla
meta del secolo in poi fecero la loro comparsa in questa provincia. La
mortalità da loro causata raggiunse finora una media del 1.74 °/0„ sull'intera
popolazione, superiore di molto a quella delle comuni malattie epidemiche,
escluso forse il solo cholera asiatico. Fra molti altri, dei quali ci manca la
statistica, furono esiziali gli anni 1883 col 3.30700, il 1884 col 2.90 %<,
ed il 1882 col 2.21, vale a dire il triennio 1882-1884 col 2.80 %o-
Nei primi capitoli del presente lavoro abbiamo esposto chiaramente le
condizioni sanitarie dell'Istria in questo secolo, o meglio anzi negli ultimi
decenni. Da esse risulta, come alcuni luoghi che nei secoli decorsi erano
malarici, ora sono avviati ad uno stato soddisfacente d isalute. Emergono
in proposito Cittanova, Parenzo e Pola. Di quest' ultima sono conosciute
le sorti. Ridotta nei secoli decorsi all'estremo della miseria, rialzavasi ad
una grandezza quasi pari a quella che godeva ai tempi della romana
dominazione; e ciò in grazia dei lavori iniziati nel 1848, che facevano di
quella città il porto di guerra della Monarchia. Da quelF epoca in poi, di
1 100 abitanti circa che la città contava, la popolazione aumentò talmente
da raggiungere nel 1885 la cifra di 19,165 abitanti, senza la guarnigione di
altri 8000 uomini. Nuovi ed eleganti edilìzi coprono ora l'area della antica
città, coperta già d'informi rovine; e la malaria che nei primordi del risor-
gimento cittadino ammorbava ancora sinistramente l' atmosfera, allontanasi
adesso parallelamente all'estendersi dei fabbricati e del selciato delle vie. Però
i suoi dintorni non si sono potuti ancora risanare ad onta degli sforzi fatti
dallo Stato, dal Comune, e dall'apposita Commissione sanitaria provinciale *).
Ci sono degli anni in cui il morbo alza vigoroso il suo capo, spargendo
le mefitiche esalazioni sulla città, e precipuamente sui sobborghi che la
uniscono alla campagna.
') Bossi dott. Giovanni. Rapporto sanitario per la città di Tola per V anno iSS6. —
Pola, Seraschin 1887, pag. 13.
J) Legge 19 marzo 1874, n. 8 Boll. prov.
— 455 —
Già vedemmo rialzate le sorti di Parenzo nei primi anni del secolo scorso.
Nella seconda metà del corrente, la città progrediva ancora maggiormente,
dopoché vi si stabilivano le autorità provinciali autonome. Per il quale latto
e per la solerzia dei suoi abitanti nel dare vigoroso impulso alla viticoltura,
donde presero pure alimento le industrie ed i commerci, la città assumeva un
aspetto più signorile, ed ampliava notevolmente la sua periferia. Sebbene non
siasi ancora rialzata al livello che occupava ai tempi romani, quando, secondo
Kandler, agitavansi in essa [ 0,000 abitanti; tuttavia la vita sociale e culturale
si è sviluppata in maniera da tornire al forestiero opportunità di compia-
cenza e di studio. Le sue condizioni igieniche, tuttoché non ancora perfette,
sono tuttavia soddisfacenti, ed é lecito di sperare che 1' atmosfera che la
invade, divenga sempre migliore, in grazia del suo progresso economico e
demografico.
Anche le sorti di Cittanova mutavansi in meglio, dopoché negli anni
1862, 1863 e nei seguenti, venivano eseguiti i lavori d' assanamento della
città mediante l'interramento parziale del mandracchio, e l'escavo della
parte lasciatavi intatta, intrapresi dall'i, r. Governo marittimo per iniziativa
del dott. Fedele Maver, ora i. r. fisico distrettuale in Lussino, ed allora
medico comunale in Cittanova. La città che prima di quell' epoca era un
focolajo enormemente malarico, dopo quel lavoro riacquistava per intero la
sua antica salubrità. Qui trattava» perciò d' un focolajo puramente locale,
tant' é vero che essendosi di nuovo interrito il mandracchio, da due anni
a questa parte ricominciano a comparire le febbri.
In oggi l' Istria, sebbene le sue condizioni siensi migliorate, non è
ancora libera del morbo fatale, il quale anzi in certe località, e specialmente
in alcuni anni, si manifesta molto acerbamente, esercitando ovunque la sua
azione deprimente, e cagionando gì avi sacrifizi pecuniari.
XI.
Nello scorrere fugacemente i secoli che ci precedettero, abbiamo posto
in rilievo i fatti che influirono sinistramente sia sulla compagine della crosta
terrestre, che sulle condizioni economiche e demografiche della provincia.
L'abbassamento progressivo del suolo, il quale deve di molto aver contribuito
al cambiamento idrografico della provincia, veniva di certo favorito dai
frequenti moti di terra, dei quali appena una sola e forse piccola parte ci
venne dato di poter precisare. Anche le maree, accompagnate sempre da.
— 4)-6 —
fortissime correnti d' aria del mezzogiorno, avranno di certo esercitato una
notevole azione sulla configurazione delle coste, siili' allontanamento del
terriccio che ne copriva le roccie, e sullo sbocco dei fiumi.
Però tali cause, per quanto possano aver influito sinistramente sulla
salubrità dell' atmosfera, limitaronsi solamente a predisporre il terreno alla
invasione della malaria. lì realmente, l'esposizione degli avvenimenti storici
pone in esatta relazione la comparsa della malaria non con quelle cause,
ma bensì colla diminuzione del popolo, col deperimento delle condizioni
economiche, coll'abbandono susseguente della coltura dei campi e dei boschi,
avvegnaché tutte queste circostanze rendessero impossibile di ovviare con
un razionale sistema di drenaggio all' umidità sempre progrediente del
sottosuolo, e di provvedere con una razionale coltura o colla diminuzione
dei boschi, ad una maggiore ventilazione, o meglio ancora, ad un asciu-
gamento dell' aria. Venne a mancare in tal guisa un moderatore capace
ad opporsi ai tristi effetti dei mutamenti avvenuti nell' equilibrio idraulico
della provincia.
E naturale che sviluppatosi sotto tali condizioni il germe malarico,
esso trovava nel suolo umido un fattore necessario e favorevole alla sua
esistenza, e propagavasi perciò in modo enorme. Ciò ammesso, si presenta
per la sua soluzione il quesito della provenienza di tali germi. Devesi
per certo ritenere, da quanto si è veduto, che essi non esistessero nella
provincia ai tempi preromani e romani, giacche le notizie che di quei
tempi e dei posteriori si hanno, parlano con esattezza delle pesti e di altri
infausti avvenimenti, e non fanno mai cenno della malaria, che comparisce
appena nel secolo XIV. La formazione autoctona dei germi nel suolo è
contraria alla scienza attuale. La loro preesistenza essendo negata dai fatti,
non resta altro che ammettere una importazione degli stessi da località
infette, vicine alla provincia. La quale importazione sebbene non si possa
provare, ed anzi cozzi colle teorie odierne sul trasporto dei germi malarici,
devesi pur tuttavia accettare, nel senso di ritenere che essa sia avvenuta
in varie epoche, durante le quali i germi importati non attecchivano che
quando il terreno per l' aumentata umidità era divenuto idoneo al loro
sviluppo.
Forse gli studi avvenire — quando la scienza su tale argomento si
staccherà dal campo puramente patologico e si estenderà su quello più
utile e pratico dei terreni malarici — chiariranno il quesito dell'infezione
dei terreni e dei germi che producono la malaria. Quando la scienza ci
avrà ciò detto, alle cause che produssero o meglio che favorirono il morbo,
aggiungeremo allora la descrizione dell' ente botanico o zoologico, che
— 457 —
entrato nel terreno ha potuto renderlo infetto '), e l' esposizione delle
condizioni di sua esistenza.
Frattanto, essendosi potuto dimostrare colla scorta delle indagini esposte
in questa memoria, che il morbo ha trovato nel deperimento economico
e demografico della provincia, avvenuto nel corso dei secoli, le condizioni
idonee al suo sviluppo enorme ed estesissimo, e che col miglioramento di
queste condizioni anche il morbo diminuiva d'estensione e d'intensità, ne
viene che la speranza di vedere un giorno risanata l'Istria dalla malaria, riposa
principalmente nelle cure di chi ne regge le sue sorti. Ed è per tal modo e
non altrimenti che questo miglioramento potrà ottenersi ; giacché prescin-
dendo dalle cause locali, ristrette a singole e minime proporzioni, essendo
la malaria generalizzata poco più, poco meno, a tutta la provincia, solamente
quelle misure che tutta la comprendano, possono condurre a risultati sod-
disfacenti e decisivi. La qual cosa se anche non di tanto celere attuazione,
sari certamente di molto facilitata da quel progresso cui va visibilmente
incontro la provincia, il quale, com' è riuscito efficace nel decorso degli
ultimi due secoli, non potrà non partorire i suoi buoni effetti anche in
questo secolo, che volge ormai al suo declino, e maggiormente ancora nei
tempi avvenire, così da ricondurla all'antica prosperità e salubrità, e meritarle
ancora una volta il titolo di voluptiiosa nimis et delitiosa digressio *).
') È probabilmente nota la polemica scientifica mossa dall' illustre prof. Golgi della
R. Università di Pavia intorno l'appoggio da me prestato alla teoria di Klebs e Tommasi-
Crudeli sull' ente organico, che si presume causa della malaria. Il professor Golgi, col
quale mi sono trovato in corrispondenza epistolare sull'argomento, m' ha gentilmente da
oltre tre mesi fatto dono della sua monografia Ueber den angeblieben 'Bacillus malaria* von
Klebs, Toinniasi-Crudeli una Schiavaci (Beitrage jur palbo!. Anatomie nini ^ur aììgemeinen
Patbologie l'on 'Pro/ess. Di: Ernest Ziegìer. Iena. Band IV), nella quale combatte a tutta
oltranza le teorie delle due prime insigni persone, appoggiate da me cogli esperimenti
eseguiti in Pola. Il Golgi vagheggia una teoria del tutto differente. Però egli stesso si
trova nel campo delle ipotesi, giacché l'organismo da lui ammesso, scoperto alcuni anni
or sono dai prof. Marchiatavi e Celli, venne trovato bensì nel sangue dei malarici, ma
non nelle atmosfere infette. Sicché tale argomento di molto interesse scientifico, ma di
poca importanza pratica, si trova sulla via molto inoltrata delle indagini e per conseguenza
della polemica, ed è sperabile che da tutto ciò risulti una luce vivida e chiara.
5) Cassiodoro. Epist. cit.
}59
PROSPETTO I.
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Grado di malaricità
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— 462 —
COMUNI
CENSUARI
di
O
Percento
FORMAZIONE
GEOLOGICA
.2 «r
E 0
Iugeri
per
individuo
sulla
popola?..
f
S. Giovanni. .
Lobenizze . .
Belici ....
Vrana. . . .
S. Martino . .
Podol. . . .
Chcrso . . .
Caisole . . .
Dragosichi . .
Veglia . . .
Ponte. . . .
Monte. . . .
Dobasnizza . .
S. Fosca Linardich
Bogovich . .
Castelmuschio .
Dobrigno . .
Saline. . . .
Susana . . .
poco
»
molto
calcari cretacei 250 31 62 7 14
id. 300 27 56 8 9
id. 200 11 83 5 24
id. 290 3 92 3 29
id. 200 19 68 8 10
id. 200 13 38 4 17
id. 300 17 44 38 2
id 400 74 20 5 10
id. 350 57 37 5 15
id. 350 4 51 41 2
id. 100 6 78 15 2
id. 124 60 39 23 12
id. 200 32 33 31 4
id 150 53 18 20 6
id. 150 57 16 22 2
marne e calcari eocenici ; 100 18 60 18 3
id. j 250 55 16 24 1
id. 50 37 32 26 3
calcari cretacei 100 19 50 22 8
463 —
PROSPETTO II.
Abitanti
secondo le
LOCALITÀ
j Anno
cifre
FONTI
ufficiali
appros-
KimatiTe
Antignana ; 1650
160
Tommasini. Op. cit pag. 422.
1 Antignano (parrocchia)
1620
232
—
Atti del vesc. G. Rusca. Provin-
cia, Vili.
» »
| 1744
210
—
Atti del vesc. Ag. Brutti, ib. VII.
Barbana (comune) . . .
1799
—
2000 ']
Provincia, XI, 4.
Berda (parrocchia) .
H550
—
2I02
Tommasini. Op, cit. pag. 279.
» » .
L806
267
—
Rapporto Balbi a Bargnani. 'Pro-
vincia, XX.
Besca (col territorio)
1527
1580
—
Atti e meni. Soc. islr. v. II, p. 103.
» »
1^7
—
USO
Ibid. pag. 112.
» »
1600
—
1080
Ibid. pag. 1 1 |.
» »
1806
2478
—
Cttbich. Op. cit. pag. i;(.
Brioni (isole) . . .
1650
50
Tommasini. Op. cit. pag. 481.
Buje . . .
1520
_
374
Kandlcr. Annali (poco attendibile)
.
1596
1520
—
■Provincia, X, 7.
»
1650
1000
Tommasini Op. cit. pag. 297.
» • ■
( 1806
1478
—
Rapporto Balbi ecc. Prov.XX, 17
Caldicr .
1 1806
242
—
Kandlcr. Istria, VI, 11.
» ■
, 1851
223
—
Ibid.
1 Canfanaro
1650
—
250
Tommasini. Op. cit.
»
comune)
, 1806
1165
—
Kandlcr. Istria, VI, 1 1 .
» »
1 1851
1801
Ibid.
I Capodistria . . .
1 1533
—
7- 1000*
■Provincia, X, 7.
»
; 1548
1553
—
10000 3
2300
Ibid.
Ibid.
»
1554
—
9000 3
Ibid.
«
1560
—
350)
Ibid.
»
1577
—
4000
Ibid.
„
| 1579
: 1580
1581
5280
1252
8600
Ibid.
Relazione N. Dona. Prov. N, 7.
Relazione Zorzi. Ibid.
»
1583
'.'■'Jil
4800
'Provincia, X, 7.
Ibid.
') Fat
nia
lie
4]
B.
—
1
Famiglie .
0. - ',
Forse
col territorio.
— 464 —
Abitanti
secondo le
LOCALITÀ
Anno
cifre
FONTI
ufficiali
appros-
simative
Capodistrìa
1588
5000
"Provincia, X, 7.
»
. .
1589
3935
—
Ibid.
»
. . .
1592
3597
—
Ibid.
»
. .
1593
—
3300
Ibid.
N
1596
—
5000
Ibid.
»
.
1598
4360
—
Ibid.
»
. .
1600
—
4067
Ibid.
»
.
1601
—
4300
Ibid.
)>
.
1603
—
5000
Ibid.
» .
. ,
1606
3905
—
Ibid.
»
,
1614
—
5000
Ibid.
»
. .
1620
—
6000
Ibid.
»
. B
1621
—
5000
Ibid.
» (pa
rrocchia
»
1623
4065
—
Atti del vesc. Rusca. Prov. Vili.
» ,
. .
162(5
—
3500
"Provincia, X, 7.
»
.
1627
—
5000
Ibid.
»
. .
1629
—
4500
Tommasini. Op. cit. pag. 331.
» .
.
1632
2000 '
Provincia, X, 8. Relaz. Gabriel.
»
. .
1633
—
1800
Ibid. Relazione Cappello.
» t
.
1641
—
4000
Ibid.
» .
.
1652
—
5000
Ibid.
»
. .
1669
—
5000
Relaz. Barbarigo. Notizie sloriche
di Montona, pag. 224.
» (parrocchia)
1744
4105
—
Atti del vesc. Brutti. "Prov. VII.
» ....
1762
5000
Provincia, X, 8.
Capodistrìa (territorio)
1520
—
1320
Kandler. Annali.
» »
1560-79
—
6000
"Provincia, X, 7.
» »
1581
6577
—
Relazione Zorzi. Provincia, X, 7.
» »
1583
5494
—
"Provincia, X, 7.
» »
1584
5790
—
Ibid.
» »
1588
6000
Ibid.
» »
1589
5556
—
Ibid.
» »
1592
5025
—
Ibid.
» »
1593
—
5600
Ibid.
» »
1596
—
5000
Ibid.
» » ,
1598
4873
—
Ibid.
') Scarsi.
— 4^5 —
Abitanti
secondo le
LOCALITÀ
Anno
cifre
FONTI
■Ostali apl,r.08'
slmative
1
Capodistria (territorio) . .
1600
4067
'Provincia, X, 7.
» j> .
1601
—
3700
Ibid.
» » .
1603
—
5000
Ibid.
« » .
1606
5155
—
Ibid.
» » . .
1621-27
—
4000
Ibid.
» » . .
1641
-
4200
Ibid.
» » .
1652
—
3000
Ibid.
1744
283
—
Atti del vescovo Brutti.
1806
235
—
Kandler. Istria, VI, 1 1 .
1851
388
—
Ibid.
Carsette (parrocchia) . . .
1806
122
—
Rapporto Balbi a Bargnani.
1650
—
180'
Tommasini. Op. cit. pag. 279.
» (parrocchia). . .
180(5
257
—
Rapporto Balbi a Bargnani.
1806
579
—
Kandler Istria, VI, 1 1 .
1851
773
—
Ibid.
1527
1195
—
Alti e meni. Soc. istr. v. II, p. 103.
1587
—
650
Ibid. pag. 112.
1600
—
390
Ibid. pag. 1 17.
1806
1327
—
; Cubich. Op. cit. pag. 154.
1686
187
—
Atti del vescovo Rusca.
1744
113
—
Atti del vescovo Brutti.
1810
—
5000
Nicolich. Op. cit. pag. 249.
1506
976
—
'Provincia, X, 7.
1630
--
10
Kandler. Not. st. Montana, p. 841.
1669
—
100
Relazione Barbarigo. Prov. X, 8.
1806
825
—
Rapporto Balbi a Bargnani.
Colmo
1545
—
240
Relazione Loredan Prov. VII, 4.
» (col territorio). . .
1650
—
480
Tommasini. Op. cit. 531-538.
1693
265
-
Archeografo triestino, II, 9.
1650
—
70
Tommasini. Op. cit. pag. 422.
Cortedisola (parrocchia) . .
1744
304
—
Atti del vescovo Brutti.
Costabona » . .
1744
294
—
Ibid.
Covedo (con Cristoglie, Duo]
1626
352
—
Atti del vescovo Rusca.
Crassizza (parrocchia) . . .
1806
606
Rapporto Balbi a Bargnani.
Decani » ...
1744
434 | —
| Atti del vescovo Brutti.
') Fuochi 30.
4éé
Abitanti
secondo le
LOCALITÀ
Anno
ci
re
FONTI
ufficiali
appros-
simative
1527
2352
Atti e meni. Soc. islr. v. II, p. 103.
Ibid pag. 112.
Ibid. pag. 117.
Cubicli. Op. cit. pag. 154.
Atti e meni. Soc. istr. v. II, p. 103.
1587
1156
1600
680
» ....
1806
1632
Dobrigno (col territorio)
1527
676
—
» »
1587
•-
1100
Ibid. pag. 112.
» »
1600
—
670
Ibid. pag. 114.
» »
1806
1603
—
Cubich. Op. cit. pag. 154.
Dolina (parrocchia)
1693
7293
—
^Archeografo triestino, II, 8.
1545
220
Relazione Loredan. Prov. VII, 4.
» (col territorio)
1650
—
480
Tommasini. Op. cit. p. 531-538.
» (parrocchia) .
1693
168
—
Archeografo triestino, II, 9.
1650
3
Tommasini. Op. cit. pag. 432.
Kandler. Istria, VI, 11.
Ibid.
Tommasini. Op. cit. pag. 484.
Kandler. Istria, VI, 11.
Ibid
Tommasini. Op. cit. pag. 27.
1806
1851
1650
182
287
300
Geroldia
1806
1851
1596
120
287
900
Grisignana (col territorio
) •
1650
1806
1058
564 '
Ibid.
Rapporto Balbi a Bargnani.
» (parrocchia)
Isola (e territorio) . .
1596
1490
—
Trovinola, X, 7.
» (parrocchia) . .
1626
1549
—
Atti del vescovo Rusca.
» » .
1744
1849
—
Atti del vescovo Brutti.
Lanischie » . .
1693
550
—
^Archeografo triestino, II, 8.
Lonche » . .
1693
540
—
Ibid.
Lussini in generale
1398
—
180'
Nicolich. Op. cit. pag. 135.
» »
1438
—
3003
Ibid.
» »
1754
—
4000
Ibid. 149. - Bonicelli. Op. cit. 53.
» »
1810
—
3000
Ibid. pag. 249.
1784
1700
Bonicelli. Op. cit. pag. 64.
Nicolich. Op. cit. pag. 50.
Ibid. 260. - Bonicelli. Op. cit. 65.
Ibid. pag. 206.
Atti del vescovo Brutti.
1598
_
230
1759
1875
1871
62i8
Maresego (con Centora, 266)
1744
506
—
Matterada (parrocchia) . .
1806
413
—
Rapporto Balbi a Bargnani.
') Fuochi 94. — 2)
Fan
liglie 30.
- »)F
amiglie
50.
— 4^7
LOCALITÀ
Anno
Abitanti
secondo le
cifre
uffl.-iali aPPros-
simative
FONTI
Medolinc
Momiano (parrocchia) .
Mondellebotte . . .
Monghebbo (con Dracevaz,
179, e Foscolino, 90). .
Idem. Idem
Mompaderno
Monte (con Gason) . . .
» » ...
Montona (con Bercaz, 142) .
» .......
Montreo
»
Muggia (e territorio) . . .
» .
Novaco (Montona) ....
»
Orsera
Ospo
Ossero
Padena (parrocchia)
Parenzo ....
1540
1806
1S06
1851
1806
1851
1650
1806
1851
1626
1744
1806
1851
1806
1851
1596
1696
1806
1851
1806
1851
1693
1754
1744
Ep. rom.
1350
1580
1601
1630
1646
1606
1734
1749
1796
500'
175
—
243
—
384
—
310
_
312
—
—
600
346
—
714
—
349
—
401
1506
2341
253
317
827
505
624
474
849
670
86
698
1600
100
10000
3000
300
30
100
3K0
500
3000
2000
Pietro Coppo. Op. cit. pag. 35.
Rapporto Balbi a Bargrtani.
Kandler. Istria, VI, 11.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Tommasini. Op. cit. pag. 438.
Kandler. Istria, VI, 1 1 .
Ibid.
Atti del vescovo Rusca.
Atti del vescovo Brutti.
Kandler. Istria, VI, n.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
"Provincia, X, 7.
^Archeograjo triestino, II, 8.
Kandler. Istria, VI, 11.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
lArcheografo triestino, II, 9
Nicolich. Op. cit. pag. 149. - Bo-
nicelli. Op. cit. pag. 53.
Atti del vescovo Brutti.
Kandler. ^Annali.
Negri. Op. cit. pag. 141.
Atti e mem Soc. istr. v. Ili, p. 144.
Negri. Op. cit. pag. 144.
Kandler. Not. st. Montona, p. 141.
Negri. Op. cit. pag. 144.
Vergottini. Op. cit.
Relazione Michiel.
Ibid.
Kandler. Annali. - Vergottini.
') 50 case.
468
Abitanti
secondo le
LOCALITÀ
Anno
cifre
FONTI
ufficiali
appros-
simative
Parenzo
1806
2005'
Kandler. Istria, VI, 11.
»
1851
3103
—
Ibid.
Paugnano
1626
139
—
Atti del vescovo Rusca.
»
1744
145
—
Atti del vescovo Brutti.
Piemonte
1596
—
850
Provincia, X, 7.
»
1650
—
370
Tommasini. Op. cit. pag. 279.
»
1806
694
—
Rapporto Balbi a Bargnani.
Piemonte e Visinada . .
; 1520
—
497
Kandler. ^Annali.
Pietrapelosa (marchesato) .
1 1520
—
311
Ibid.
»
1596
—
1750
Provincia, X, 7.
Pinguente . . . è . . .
1520
—
333
Kandler. ^Annali.
»
1545
—
600
Relazione Loredan. Trov. VII, 4.
»
1650
—
350
Notizie sloriche di Pola, pag. 427.
»
1693
820
—
lArcheografo triestino, II, 8.
Pirano
1483
—
7000'
Marin Sanudo. Provincia, IV, 13.
» (parrocchia)
1626
3496
—
Atti del vescovo Rusca.
» (col territorio)
1650
—
6000
Tommasini. Op. cit. pag. 350.
» »
1655
—
5000
Luca da Linda. Op. cit. pag. 92.
» (parrocchia)
1744
3994
—
Atti del vescovo Brutti.
n (col territorio)
1816
—
6700
Provincia, IV, 13.
» »
1870
—
10500
Ibid.
Pola
Ep. rom.
—
12000
Luciani. Articolo sul Di%. cor.
»
I secolo
—
25000
Kandler. Cenni al foresi.
»
più tardi
—
35000
Ibid.
»
1631
—
300
Kandler. Not. st. Montona, p. 141.
»
1638
—
183
Notizie storiche di Pola, pag. 4 1 2.
»
1669
—
450
Relazione Barbarigo. - tLetkfìe
storiche di CKContona.
»
1797
—
600
Kandler. Cenni al foresi.
» . . . .
1845
—
1300
Ibid.
»
1848
—
1100
Vola, scine Vergangenheit, ecc.
» • . • .
1850
1106
—
Luciani. Articolo sul T)i\ cor.
»
1857
—
2f'004
Ibid.
» . • . .
1867
—
120005
Ibid.
» ....
1869
10473
—
Anagrafe.
,»....
| 1880
11777
—
Ibid.
') Con Maj
o 2185. — 3) Forse e
ol territorio. —
- s) 3 famiglie. — ') Sotto. —
*) Forse colla t
'uppa.
— 469 —
LOCALITÀ
Anno
Abitanti
secondo le
cifre
«■•'•» r.«°;;
FONTI
Pola
Portole
» (castello) . .
» (territorio) . .
» (con Gradena).
Racizze
Raccotole
Risano (parrocchia).
Rovigno . . . .
I Rozzo . . .
» ...
j Saline (Veglia)
Salvore . . .
S. Antonio .
S. Domenica (di Visinada)
» »
S. Giovanni di Sterna
S. Lorenzo del Pasenatico
1885
1520
1646
1646
1806
1650
1693
1806
1851
1744
1595
1650
1687
1710
1740
1750
1788
1806
1840
1851
1880
1880
1545
1693
1527
1744
1626
1744
1806
1851
1806
1851
1550
1650
1806
1851
19166
348
783
2300
175
160
234
713
4008
5643
7357
8782
9816
9665
10263
11176
11750'
9522
740
430
128
288
283
331
387
328
873
756
1177
278'
280
2800
4000
400
1200
240
Pola, scine. Vergangenheit, ecc.
Kandler. Annali.
Tommasini. Op. cit. p. 280-282.
Ibid.
Rapporto Balbi a Bargnani.
Tommasini. Op. cit. pag. 539.
^Archeografo triestino, II, 9.
Kandler. Istria, VI, 11.
Ibid.
Atti del vescovo Brutti.
Benussi. St. di Rovigno, pag. 1 30.
Tommasini. Op. cit. pag. 424.
Benussi. Op. cit. pag. 131.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Ibid. pag. 8 e 131.
Kandler. Istria, VI, n.
Benussi. Op. cit. pag. 8.
Kandler. Istria, VI, 11.
Registro parrocchiale. - Benussi.
Benussi. Op. cit. 8. - Anagrafe.
Relazione Loredan. Prov. VII, 4.
lArcheografo triestino, II, 9.
Mie mem. Soc. istr. v. III, p. 103.
Atti del vescovo Brutti.
Atti del vescovo Rusca.
Atti del vescovo Brutti.
Kandler. Istria, VI, il.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Tommasini. Op. cit. pag. 437.
Ibid
Kandler. Istria, VI, 11.
Ibid.
') Per conseguenza cogli assenti. — *) Senza il marchesato.
- 470
LOCALITÀ
Anno
Abitanti
secondo le
cifre
ufficiali
appros-
FONTI
i S. Lorenzo di Dada . . .
I
i » ...
S. Michiel sotto terra (fraz.)
S. Pietro dell'Amata . . .
S. Vincenti
S. Vitale
Sbandati
Sdregna.
Segnaeh
Socerga (con Valmovrasa,
Figarolla e Trebesse). .
Socerga
Sovignaco
Sterna (parrocchia) .
» (parrocchia)
Terviso
Torre
Idem. Idem. . . .
Tribano ....
Trusche
Umago
Valle
1650
1800
1800
1744
1650
1806
18ól
1806
1X51
1806
1851
1693
1650
1626
1742
1745
1515
1650
1693
1600
1650
1806
1650
1806
1851
1806
1744
1630
1693
1806
1344
1806
1851
370
14
157
1471
2279
285
523
361
551
600
344
H22
246
356
520
531'
842
241
541
380
1000
1020
1412
216s
500
113
150
490
1387;
818'
80
10
200
Tommasini. Op. cit. pag. 258.
Rapporto Balbi a Bargnani.
Kandler. Istria, VI, 11.
Atti del vescovo Brutti.
Tommasini. Op. cit. p. 450-431.
Kandler. Istria, VI, 11.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
^ircheografo triestino, li, 8.
Tommasini. Op. cit. pag. 538.
Atti del vescovo Rusca.
Provincia, VII, 18.
Ibid.
Relazione Loredan. Prov. VII, 4
Tommasini. Op. cit. pag. 538.
^ircheografo triestino, II, 9.
Tommasini. Op. cit. pag 285.
Ibid.
Rapporto Balbi a Bargnani.
Tommasini. Op cit. pag 421.
Kandler. Istria, VI, 1 1.
Ibid.
Rapporto Balbi a Bargnani.
Atti del vescovo Brutti.
Kandler. \'ot si. Monlona, p. 141.
tArcheografo triestino, II, 9.
Rapporto Balbi a Bargnani.
Senato-Misti. Provincia, XIII, 8, e
Alti e meni. Soc. istr.
Kandler. Istria, VI, 11.
Ibid
* ') Con Abrega 76 e Fratta 116. — ») 36 famiglie.
nione. — ') 450 anime di com.
— 3) 743 anime di comu-
— 47' —
LOCALITÀ
Anno
Abitanti
secondo le
cifre
ufficiali a"pr°a
si mative
FONTI
Valmovrasa (con Figarolla)
Veglia (col contado) . .
Veglia (isolai
Verbenico ('col suo territorio)
Verch
» (col territorio)
Vermo . .
Verteneglio
Villa di Rovigno
»
Villanova di Pafenzo
Villanova di Pirano
Villanova di Verteneglio
»
Visignano
»
Visinada '
Zumesco
1744 ;
330
1527
3393
—
1587
1750
lfr;0
—
1200
1806
2477
—
1527
10461
—
1554
—
11500
1559
—
9000
1571-87
—
8000
1600
—
3600
1806
10712
—
1527
835
—
1587
—
1000
1600
—
780
1806
1194
—
1545
—
240
1650
—
480
1693
244
—
1650
—
100
102!»
—
914'i
1634
—
457
Il 06
740
—
18 >G
254
—
1851
897
—
1806
2.->9
—
18">1
745
—
1744
74
—
1650
-
288»j
180".
878
—
1806
737
—
1851
1111
—
1650
—
800
1806
1053
—
1?51
1476
—
1806
96
—
Atti del vescovo Brutti.
Relaz. del Podestà. Atti e inem.
Soc. islr. voi. Ili, pag. 103.
Ibid. pag. 1 12.
Ibid. pag 1 17.
Cubich. Op. cit. pag 154.
Alti e meni. Soc. istr. Ili, 103.
Ibid. pag. 8|.
Ibid. pag. 92.
Ibid. pag 106 e 1 12.
Ibid. pag. 1 17.
Cubici). Op. cit. pag. 154.
Alti e nuin. Soc. islr. HI, 103.
Ibid. pag. 1 1 2.
Ibid. pag. 1 1 .).
Cubich. Op. cit. pag. 154.
Relazione Loredan. l'rov. VII, 4.
Tommasini. Op. cit. p. 531-538.
^4rcheografo triestino, II, 9.
Tommasini. Op. cit pag. 421.
Ibid. pag. 268.
Ibid.
Rapporto Balbi a Bargnani.
Kandler Istria, VI, 1 1.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Atti del vescovo Brutti.
Tommasini. Op. cit. pag. 271.
Rapporto Balbi a Bargnani.
Kandler. Istria, VI, li.
Ibid.
Tommasini. Op. cit. p. 407-409.
Kandler. Istria, VI, II.
Ibid
Ibid.
') Vedi Piemonte. — ') 500 anime di com. — ') 150 anime di com.
- 472 —
LOCALITÀ
Anno
Abitanti
secondo le
cifre
ufficiali aPPr(0!'
simative
FONTI
ISTRIA (PROVINCIA)
Tutta la provincia
Istria veneta
Contea di Pisino
Istria veneta . .
Tutta la provincia
»
av. Cr.
177
—
160000
sotto
i romani
—
645776
primadel
1580
—
5000O1
dopo del
1580
—
70000
1587
—
oltre
60000
1649
49332
—
1650
5000
1655
—
64000
1669
—
50000
1670
—
60000
1678
—
60000
1741
71395
—
1766
—
84000
1806
89251
—
1869
254905
—
1879
292006
De Franceschi. Istria.
Ibid.
"Provincia, X, 7.
Ibid.
Ibid. X, 9.
Kandler. Annali (13514 dai 16 ai
60 anni). - Anagrafe fatta per
ordine del Governo veneto.
Luca da Linda. Op. cit. pag 99.
Relazione Barbarigo. Prov. X, 8.
Relazione Morosini. "Prov. X, 9.
Provincia, X, 9.
Ibid.
Ibid. XX, 17.
Rapporto Balbi a Bargnani.
Anagrafe, 31 dicembre.
Ibid.
BIBLIOGRAFIA
" L' Archeografo Triestino,, edito per cura della Società del Gabinetto
di Minerva; — voi. XIV, fase. II (luglio-dicembre 1888), e voi. XV,
fase. I (gennaio-giugno 1889), e fase. II (luglio-dicembre 1889).
Nel fascicolo ultimo del volume IV di questo nostro Bullettino, ri-
cordati (pag. 469-473) i titoli di benemerenza che V Archeografo Triestino
numerosi vanta a prò di quegli studi che hanno particolare attinenza colla
storia della nostra provincia, esposi in breve sunto il contenuto dei lavori
editi dal detto periodico nel voi. XIII e nella prima parte del XIV. Con-
tinuando ora nell'esposizione, dirò brevemente della materia trattata nei tre
sopra ricordati fascicoli.
Quello del luglio-dicembre 1888 contiene (pag. 265-297) la continua-
zione dei Documenti goriziani del secolo XV raccolti dall' infaticabile biblio-
tecario udinese il sig. Vincenzo Ioppi. Questi documenti, in numero di 23,
vanno dal 20 settembre 1336 al 7 aprile 1340, e sono quanto mai inte-
ressanti per la storia del Friuli e del Goriziano ; alcuni d' essi anche per
la storia di Trieste.
Il sig. Eugenio Pavani ci d;\ in questo fascicolo (pag. 298-332) col
titolo // podere di Triestinico ed i Bonomo la storia della lunga serie di brighe
che i Bonomo ebbero a soffrire per difendere la loro tenuta di Triestinico
contro le invasioni delle genti del Carso. La collina in questione, allora
coperta da fitto bosco di cerri, è ricordata già in un documento del 1338:
« in loco qui dicetur Trestenico ». Oggi non più Trestenico, ma Terstenik
la chiamano storpiandone il nome originario. Cagione principale della lunga
— 474 —
contesa si fu 1' attigua pendice al di qua del monte di Opicina, « che la
gente del contado suole designare col nome di Grisa, verosimilmente per
il colorito bigio o grigio che presenta la roccia calcare spoglia del sorriso
della vegetazione », grisa, sulla quale gli Opicinesi pretendevano in oppo-
sizione ai Bonomo, ed in forza dell'investitura del 1671, il diritto di publico
pascolo. I Bonomo in quella vece volevano comperarla dal Comune di
Trieste appunto per liberarsi delle molestie e dei danni che i Carsolini
recavano di continuo alle loro possessioni di Trestenico.
Le questioni cominciate nel 1754 continuarono sino al 1790, nel quale
anno il Magistrato donava l' implorato tratto di grisa ad Andrea Giuseppe
Bonomo « in riflesso delli prestati utili servigi a questa città e particolar-
mente in premio della dedica fatta a questo Publico Magistrato della Dis-
sertazione sopra le monete de' vescovi di Trieste ».
Con questo atto di donazione non cessarono le liti, che, riprese, ven-
nero troncate appena nel 1879 con speciale convenzione dinanzi alla Com-
missione per 1' abolizione degli oneri fondiari.
Nelle due ultime pagine di questo diligente lavoro l'autore ci da una
breve biografia del sopra ricordato Andrea Giuseppe Bonomo, che tanto
s' adoperò per ottenere la detta Grisa.
Nell'appendice, pag. 313-332, sono stampati una serie d'interessanti
documenti riguardanti la lite in questione.
Il sig. Giulio Grablovitz descrive da pag. 333-343 i Terremoti avvertiti
nella città di Trieste dal 1869 al 1886. Furono in numero di 41, cioè 4
nel 70, 5 nel 73, 2 nel 74, 1 nel 75, 3 nel 77, 3 nel 79, 3 nel 80, 9 nel 81,
3 nel 82, 2 nel 83, 5 nel 85, 1 nel 86 : i più forti quelli del 29 giugno 1873
e del 9 novembre 1880. Osserva in tale proposito il Grablovitz a pag. 335
che « da ripetuti confronti fatti in occasione di parecchi terremoti, ed in
base ad informazioni raccolte, si poteva stabilire che la linea di mag-
giore sensibilità lungo la quale il fenomeno si manifesta con maggiore forza
e durata, corre lungo il limite del piano alluvionale del tassello, però sul-
l'alluvione stessa, mentre un'altra linea di sensibilità ancor maggiore cor-
risponde ai terreni di riporto, ossia a tutta quella parte che ancora nel
decorso secolo era occupata dal mare».
Il dott. Gregorutti da pag. 345-398, col titolo Le marche di fabbrica
dei laterizi di Aquilcia ci offre 1' elenco dei bolli delle antiche figuline di
Aquileia applicati sulle tegole, sugli embrici e sui mattoni. I bolli da lui
raccolti, ad eccezione d' una marca della figulina imperiale col nome di
Costantino, non vanno al di là dell' imperatore Caracalla. « Sembrerebbe,
scrive il dotto archeologo, che la protezione della marca industriale sia stata
- 47S —
introdotta da Augusto all'epoca del triumvirato, e fosse andata in disuso alla
fine del secondo secolo, riscontrandosi la stessa cosa anche nelle lucerne ».
Le località ove questi bolli furono rinvenuti ci somministrano la prova
dell'esportazione aquileiese per le vie fluviali sino ai monti del territorio
friulano, nonché dell' esportazione marittima che procurava all' Istria, alla
Dalmazia, al Piceno e forse anche ad altre spiagge dell'Adriatico questo
• articolo di prima necessità. Che il grande commercio di laterizi aquileiesi
fosse bene organizzato, ne fanno prova anche i magazzini centrali che
le scoperte hanno finora constatato. Uno d' essi esisteva al ponte del
fiume Cormor presso Udine, un altro deposito era a Loron presso Cervera
nelP Istria.
Tra le marche, la più frequente era quella di Quinto Clodio Ambrosio,
la cui fabbrica doveva trovarsi a S. Giorgio di Nogaro.
Queste sono le osservazioni di maggiore entità che l'autore premette
all'elenco dei bolli qui pubblicati in numero di 216, molti dei quali ap-
partengono a laterizi scoperti in varie parti dell' Istria. E precisamente, di
questi spettano : alla città e circondario di Trieste 27, di Umago 24, di
Pola 11, di Parenzo 10, di Albona io, di Bujc 9, di Capodistria 6, di
Cittanova 4, di Pirano 3, di Isola 3, di Muggia 2, di Rovigno 1, di Fia-
nona 1, di Dignano 1, di Antignana 1.
Il prof. dott. Francesco Swida, distinto cultore degli studi storici, dà
alle stampe (pag. 399-425) 16 Documenti friulani e goriziani da lui trascritti
dagli originali esistenti nel Museo provinciale di Gorizia, e che vanno dal
1 126-1300, osservando giustamente nell'introduzione «fino a che non
avremo cosi per il Friuli come per il Goriziano un Codice diplomatico
stampato che comprenda tutti i documenti più antichi, dovremo procurare
di raccogliere in un numero più ristretto possibile di opere e di periodici
i singoli documenti ». E questo eh' egli dice per il Goriziano, vale anche
per la nostra Istria.
Di speciale interesse è il documento n. 13 (1 agosto 1261) per le
notizie che vi si contengono concernenti il commercio friulano di quel-
1' epoca.
Il nuovo studio del dott. P. Pervanoglù Attinente dell'isola di Leinnos
colle antichissime colonie sulle coste del mare Adriatico (pag. 426) ha lo scopo
di confermare il risultato delle sue dotte investigazioni pubblicate nei pre-
cedenti volumi dcWArcbeografo, e di cui spesse fiate ne parlò anche il nostro
Bullettino; cioè: «Non solo i coloni che dal settimo secolo prima dell'era
volgare, solcando il mare Adriatico, toccavano questi paesi, ma eziandio i
popoli di stirpe greco-italica che vi erano pervenuti per la via di terra,
— 476 —
avevano qui diffuso l'arte e la civiltà propria delle stirpi che abitavano quelle
regioni ove le medesime avevano avuto la loro origine ». Del quale fatto,
meglio che gli scarsi e vaghi passi degli antichi scrittori, ci accerta sempre
più, come osserva l'autore, la. ricca suppellettile che si va raccogliendo nelle
nostre necropoli.
Pochi anni or sono venne scoperta siili' isola di Lemnos un' antichis-
sima iscrizione in un dialetto anteriore alla lingua greca, dialetto, che, se-
condo le investigazioni del Pauli, sarebbe quasi del tutto identico a quello
che comunemente si appella lingua etrusca settentrionale, e della quale non
poche iscrizioni si raccolsero nelP Italia del Nord non lungi dalle pendici
delle Giulie.
Prima però d'occuparsi di tale iscrizione, l'autore ci dà diffuse notizie
sul sito dell' isola e sui Sititi che V abitavano, popolo, quanto celebre per
l' industria nei metalli, altrettanto temuto per la sua rapacità e ferocia (si-
nomai — distruggere). Ci parla inoltre del culto di Efesto (il fuoco celeste
che in forma di folgore cadde sull'isola vulcanica di Lemnos, ed in pari
tempo il fuoco terrestre da quello generato). — e dei Cabiri, — e di Chryse,
la dea dorata della luce qui venerata, — e delle l.ggende particolari a
quest' isola. Si sofferma alquanto a pag. 436 a riepilogare quello che altrove
scrisse sulle trasmigrazioni di genti asiatiche attravero la regione Balcanica
nell'alta Italia, ove li incontriamo col nome di Veneti e di Etruschi, e sulle
loro divinità, quali Vesta, Diomede il selvaggio trace, Pallade-Atene, Diana,
la Magna dea frigia, Elettra, Medea ; — e tocca in fine delle deità della
forza produttrice della natura venerate per eccellenza su quest'isola di Lemnos,
cioè di Mercurio dio fecondatore del genere animale incarnato in Pan ed
in Priapo, nominato sull' isola Imbramo dio della forza virile e « del cui
culto nell' Istria (così a pag. 443) ricorda l'iscrizione trovata a Pola Numini
Melosoco Aug. sacrimi, essendoché Socos era l' antica denominazione del
dio Hermete, il dio salvatore, padre dei Cureti, dio di origine frigia, della
stessa natura dei Dioscuri detti Soci (Sotires) corrispondente al Seches dei
Babilonesi ».
Chiude il volume la Bibliografia in cui si parla delle pubblicazioni del
dott. Benussi, del dott. Ive, del conte Girolamo de Renaldis, del sig. Giu-
seppe Caprin, della Società istriana d'archeologia e storia patria, del dottor
Giovanni Cesca, del sig. Ebner von Ebenthal, del prof. Luigi Morteani e
del sig. Alberto Puschi.
Il fascicolo I (gennaio-giugno 1889) del volume XV, sia per la quantità,
sia per la varietà dei lavori di storia patria in esso contenuti, è uno dei
— 477 —
più ricchi e poderosi che sieno stati pubblicati dalla benemerita Società di
Minerva.
Comincia coi Castellani Bassianensis Venelianae pacis Inter Ecclesiam et
Imperatorem libri II pubblicati per la prima volta dall' illustre bibliotecario
triestino dott. Attilio Hortis. In questo fascicolo il dott. Hortis ci dà
soltanto il testo del poema da lui con grande diligenza e studio riscontrato
sui migliori codici esistenti, riservandosi di pubblicare il proemio e le note
nei venturi fascicoli.
Il castellano Bassanese, narrate nel suo poema le cause della discordia
fra V imperatore e la chiesa, la distruzione di Milano e la fuga di Ales-
sandro III, si ferma a preferenza sulla venuta di questo pontefice, incognito,
a Venezia nel 1177 nel convento di S. Maria, sul modo con cui fu scoperto,
sulle onoranze che ricevette dal doge, sui privilegi da lui concessi alla
Repubblica ; e dopo altri fatti di minor importanza, ci narra la battaglia
navale fra il duca Ottone figlio dell' imperatore ed il doge veneto, la vit-
toria di Venezia e la prigionia del duce teutonico. Il poeta cosi descrive
al verso 519 e seg. il sopraggiungere dei nemici:
Puppis ab Histriacis veniebat nuntia terris
Quae festina duci properantes nuntiat hostes :
Iamque Polam transisse refert, transisse Rubignum
Atque gradie celeri scopulos superasse Parenti
Et iam Salboiae penetrasse per invia linguam
Aequora nec Caprulis longe distare vadosis.
Nel libro II racconta in quale modo si venne a pace fra l' imperatore
ed il pontefice, le onoranze da questo a Venezia, alle sue chiese, al suo
doge concesse, da ultimo estesamente si descrive il solenne ritorno del
pontefice a Roma.
Del sig. Vincenzo Ioppi havvi anche in questo fascicolo la continua-
zione dei Documenti goriziani del secolo XIV. Qui ne sono pubblicati altri 30
che vanno dal 23 aprile 1340 al 24 luglio 1 345, importantissimi anche
questi per la storia del Goriziano, meno per quella dell' Istria. Noto il do-
cumento 26 maggio 1343 col quale il conte Alberto di Gorizia promette
al patriarca di aiutarlo con tutte le sue forze « si infra huiusmodi quinque
annorum terminum guerram habere contingeret in Istria, in Foroiulio vel
in Charstis ».
Il sig. G. Vassilich in altre sue pubblicazioni, quali — // mito degli
Argonauti e le Assirtidi, I due Tributi, e Dopo i due Tributi, — aveva preso
in esame i punti più salienti della storia delle isole del Quarnero in generale
- 47» -
e di quella di Veglia in particolare sino agli anni 1126-1130 in cui le dette
isole vennero in mano della Repubblica di S. Marco.
Ora, col titolo Da dedizione a dedizione il detto scrittore, in questo
numero MYArchcograjo, da pag. 9 1-1 37 s'occupa del periodo fra il 1 126-1480.
«In quest'epoca, scrive egli a pag. 92, essendo stata conferita l'isola di
Veglia in feudo alla famiglia detta più tardi dei Frangipani, famiglia che
in questo lasso di tempo entrò in rapporto di vassallaggio coi re d'Ungheria
per alcuni feudi siti nel presente litorale croato, ha bisogno ancora che
qualche singolo momento controverso della sua interessante istoria venga
discusso e chiarito », tanto più che qualche storico, o parziale, o ignaro,
asseverò essere stata l'isola di Veglia sempre feudo della corona di S. Stefano
fino al 1480, e molti compilatori di storie lo ripeterono. Laonde scopo di
questo lavoro si è il dimostrare come Venezia esercitasse realmente i suoi
diritti di signoria tanto sulle isole del Quarnero in generale, quanto su
quella di Veglia in particolare dal 1126 al 1358.
Sotto il doge Micheli (11 18-1130) la Repubblica diede in feudo Veglia
(la città e l' isola) a Doimo capostipite della famiglia più tardi detta Fran-
gipani, e dopo la morte di Doimo, avvenuta probabilmente nel 1162, ai
suoi due figli Bartolomeo e Guidone. Morto Bartolomeo nel 1198, ebbero
la contea i suoi due figli Guido ed Enrico ed il nipote Giovanni. '
E qui il sig. Vassilich, con quella diligenza ed acume che distinguono
anche gli altri suoi scritti, viene ad esaminare se Venezia pur anco in questo
periodo di tempo continuasse a fruire dei diritti di dominio su Veglia ; ed
analizzando (pag. 95-103) i documenti del 5 maggio 1198, dell'aprile 1199,
del maggio 1213, quelli del 1229 e del 1232, documenti ch'egli riporta
quasi integralmente, viene egli, e con lui anche il lettore, ad una conclu-
sione categoricamente positiva.
Frattanto Bela IV re d'Ungheria, sconfitto dai Mongoli, s'era da ultimo
riparato sulP isola di Veglia, ove, dai conti Bartolomeo e Federico successi
al padre Guidone, trovò splendida ospitalità e larghi aiuti in armi e denaro
per l'ammontare di 20,000 marche.
Ma la Repubblica venuta a cognizione del contegno dei Frangipani,
contegno che contrastava coi doveri di vassallaggio a lei dovuti per il feudo
di Veglia, li bandì da questo nel 1243 (44) e spedi a reggere la contea
« de mandato domini ducis » dapprima Lorenzo Tiepolo, poi Marco Con-
tarmi, il che il sig. Vassilich dimostra e coi cronisti e coi documenti del
;a48, 1253 e 1257.
Durante l'epoca del loro bando da Veglia (1243-1260), i Frangipani
vennero ricompensati dal re Bela, per i sacrifici sostenuti a suo favore e
— 479 —
per 1' aiuto prestatogli a ricuperare il trono, con alcune terre nel litorale
croato, cioè col Vinodol e Modrussa, cui in progresso di tempo fu aggiunta
anche la città di Segna.
Ben presto anche Venezia scese a più miti consigli, e nel 1260 decise
di ridare la contea di Veglia ai Frangipani. Questa volta però, fatta esperta
dagli avvenimenti precedentemente occorsi, impose loro condizioni tali che
la suprema signoria della Repubblica sul feudo di Veglia ne venisse più
accentuata; e l'eredità nel detto feudo fu limitata soltanto alla discendenza
mascolina, cose tutte che il sig. Vassilich comprova colla pubblicazione dei
relativi documenti.
I Frangipani pertanto, riammessi al possesso della contea di Veglia,
per il possesso di questa continuarono ad essere vassalli di Venezia, mentre
in pari tempo rimanevano sudditi dell' Ungheria per i possedimenti acquistati
nel litorale croato.
Dimostrato cosi come Venezia dal 11 16 al 1260 disponesse di Veglia
come di cosa propria, passa il sig. Vassilich a confutare (pag. 118-126) con
solidi argomenti, assoggettando a minuziosa analisi critica tutti i documenti
relativi, rilevando talvolta la malafede dello scrittore, tal altra le contradi-
zioni e gli errori esistenti nei privilegi suppositizi, l'opinione del Kercelkh,
il quale nega avervi avuto in quest' epoca dominio veneto in Veglia, ma
il dominio averlo esercitato il regno d' Ungheria.
« Seppure i documenti portati dal Kercelich si volessero supporre
genuini malgrado tutte le incongruenze ed inesattezze notate, essi prove-
rebbero — così il sig. Vassilich a pag. 127 — non già il dominio di Bela III,
di Andrea II, né tampoco di Bela IV su Veglia, bensì che questi re donarono
Modrussa e Vinodol ai conti di Veglia ».
A pag. 129 l'autore fa una breve sosta per ricordare gli avvenimenti
accaduti in questo spazio di tempo sull'isola di Cherso (Ossero). Nel 1126
essa fu data in feudo a Guido figlio del doge Polani, nel 1 1 66 a Leonardo
figlio del doge Michieli II, poi ai Morosini sul finire del secolo XII.
Fino qui nel presente fascicolo ; la continuazione nei seguenti.
II prof. Nicolich nell'eccellente suo lavoro pubblicato nel 1882 Cenni
slorico-statislici sulle saline di Pirano espose lo sviluppo dell' industria salifera
di quella città, studiandola dalle origini sino ai nostri giorni in modo da
lasciare ben poche lacune intorno a questo importantissimo soggetto. Tut-
tavia, abbenchè egli si estenda anche sui mercati del sale, i quali sotto forma
di contratto venivano stipulati di solito ogni dieci anni, non ne riporta
nemmeno uno. Il prof. Luigi Morteani, a riempiere quasi tale lacuna,
pubblica qui a pai;. 138 il Contralio de' sali stipulato fra Venexja e Pirano
— 480 —
nel 1616. Il testo venne a lui dato dal conte Stefano Rota, il benemerito
ordinatore dell' Archivio di Pirano.
Sino al 1283, anno in cui la città si diede a Venezia, i Piranesi avevano
libero il commercio del sale, sia per la via di terra, che per quella di mare.
Da quest'anno la Repubblica riserbò a se l'esclusivo monopolio del com-
mercio salino per la via marittima, ed assieme anche il diritto di comperare
il sale dai Piranesi. Da ciò ne venne l'uso di stipulare dei formali contratti
col Collegio dei venti savi rappresentanti i producenti di Pirano. E lunghe
e difficili erano di solito le trattative in proposito, poiché ambedue le parti
contraenti s' adoperavano a ritrarne il maggiore avvantaggio possibile. Il
comune, rassegnato a perdere il libero commercio del sale per la via di
mare, difendeva validamente il diritto consuetudinario che il settimo del
prodotto spettasse alla comunità, ed il quinto ai padroni e salinari, il quale
settimo e quinto poi essi vendevano per proprio conto per la via di terra
ai Carniolici (mussolati) che qui scendevano dai monti a comperarlo od a
scambiarlo colle loro derrate. Ed è per questo motivo specialmente che le
condizioni sotto le quali concludevasi il « mercato » aveva importanza vitale
per tutte le classi della popolazione.
A queste notizie, che io, compendiando, ho qui riportate e che fanno
parte dell'introduzione premessa dal prof. Morteani (pag. 138-144), fa se-
guito (pag. 145-165) il più detto «mercato» per il decennio 1616-1626.
Interessantissima, col titolo Ristaitro della Cattedrale di S. Giusto, è la
Relazione della Commissione delegata dalle Società d' ingegneri ed architetti,
Circolo artistico e Gabinetto di Minerva sul divisato ristauro della Cattedrale
di S. Giusto, in quanto che prima di venire alle sotto enunciate conclusioni,
ci dà con esattezza e precisione la storia della detta Cattedrale.
Sull' alto del Campidoglio, sulle rovine dell' antico tempio di Giove
Giunone e Minerva fissarono i fedeli la sede della loro maggiore basilica
dedicata alla B. Vergine Assunta in cielo ; la quale sussiste tuttora, ma
totalmente trasformata. Neil' abside, il mosaico dei dodici apostoli è testi-
monio della sua antichità. È opera anteriore al sesto secolo. Delle sue navate
laterali, quella di sinistra rimane tuttora, mentre l'altra venne atterrata nel
successivo ampliamento della chiesa.
Accanto a questa maggiore basilica venne dal vescovo Frugifero, vissuto
attorno il 550, eretta una seconda chiesa, di minor mole, e destinata a
raccogliere le reliquie di S. Giusto e S. Servolo. La vòlta dell' abside era
pure adorna di mosaico di scuola bizantina, ma di epoca relativamente più
tarda, rappresentante il Redentore in mezzo ai detti due santi. La chiesa,
— 481 ~
sormontata nel mezzo da una cupola, aveva la forma di croce, senza però
che le braccia si protendessero oltre ai muri perimetrali.
La basilica, coll'andare de' secoli, più non si prestava nella sua prima
disposizione alle molte innovazioni introdotte nelle cerimonie ecclesiastiche,
ed assieme era divenuta troppo angusta all'accresciuto numero della popo-
lazione ; laonde, nel corso del 1300, le fu dato nuovo assetto; cioè della
antica basilica e del sacello di S. Giusto che le stava a fianco si formò una
sola chiesa col sopprimere le due ali che si trovavano in prossimità, e col
costruire in loro vece una spaziosa navata mediana, in capo alla quale si
collocò la sedia vescovile e la nuova mensa. Né qui si arrestarono ; che la
basilica di S. Giusto ebbe a subire nei secoli susseguenti varie ed importanti
modificazioni che vengono descritte a pag. 175.
Premessi questi cenni storici, esaminati (pag. 1 75-1 8.1) i vari progetti
di ristauro, dati alcuni consigli sul modo da tenersi nell'effettuarli, i relatori
concludono col rinnovare i voti già espressi nel 1829 dal dott. Kandler
« che, nel ristauro, il tempio non abbia da perdere nessuna delle sue par-
ticolarità sia nel campo dell' arte, sia in quello dell' archeologia ».
Alla descrizione s' accompagna una bellissima tavola topografica.
Il chiar. dott. Perv.woglù, il più zelante collaboratore dell'Ari heografo,
pubblica a pag. 186, ad illustrazione di alcune terrecotte rinvenute fra le
rovine dell'antica città di Taranto ed acquistate dal Civico museo d'antichità
di Trieste, un articolo col titolo Le Gorgoni.
Esposta (pag. 188) la leggenda di Perseo e delle Gorgoni, esaminate
le varie interpretazioni di questa antichissima leggenda, anche il dott. Per-
vanoglù pensa essere la Gorgone « l' immagine fedele della nera e densa
nube, che veloce e spaventevole solca il firmamento, cui Perseo, l'asiatico
Dio del sole, disperde coi raggianti suoi strali ». Ed infatti dall' uragano
che impetuoso s'avanza fra il turbinare dei venti, lo scrosciare della pioggia,
il ribombare de' tuoni ed il guizzare delle folgori si svolse il concetto mi-
tologico del terribile mostro. Il suo nome stesso proveniente dalla voce
indo-europea gardar = gridare, urlare, lo confermerebbe.
Questa leggenda dall'Asia passò nella Grecia, quindi nell'Italia e nella
Sicilia, ove il mito di Perseo lo troviamo raffigurato nella metopa di Se-
linunte città dei Megaresi. Coli' andare del tempo il Gorgonio perdette il
primitivo suo tipo mostruoso e ricevette un aspetto più umano, conservando
però sempre 1' espressione di tristezza che gli era proprio. Quest' ultimo
predomina sui monumenti dal V sino a tutto il III secolo av. Cr.
Detto ciò a guisa d'introduzione, passa l'autore a pag. 195 ad esa-
minare gli esemplari acquistali dal Museo archeologico triestino e qui ri-
— 482 —
prodotti in una tavola allegata al testo. Di questi, due sono di stile arcaico,
con faccia mostruosa, un terzo rappresenta il tipo posteriore con faccia
muliebre anguicrinita, il quarto porta una testa di donna di soave aspetto,
che forse potrebbe essere una dea, ma che manca affatto del carattere par-
ticolare di Medusa.
A pag. 199 il prof. dott. Swida, in continuazione ai Documenti goriziani
e friulani dal 1126-1)00 pubblicati nell'ultimo volume dell' A rcheografo triestino
e dei quali si fece precedentemente parola, stampa qui il Regesto dei docu-
menti conservati nel Museo provinciale di Gorizia dal secolo XII sino al 1500,
sino alla morte cioè dell'ultimo conte di Gorizia. In questo fascicolo del-
YArcheografo vi sono 103 numeri che vanno dal 1126-1361.
Il sig. Em. Frauer prosegue anche in questo volume i suoi studi filo-
logici, e col titolo Traccie di popolazioni semitiche in Italia ci offre il risultato
delle sue ricerche, per le quali si verrebbe a ritrovare nel semito le radici
di molti nomi italici, come ad esempio Italia, da àtal — sera, oscurità ;
Petalia (nella Lucania) da beth-hel ~ casa di Dio; il Gargano da charcas —
elevazione.
Combatte a pag. 239 l'opinione che vuole affini l'antica lingua mes-
sapica e 1' odierna albanese, e tenta di spiegare il culto di Diomede fra i
Iapigi. «Tra gli antichi popoli d'Italia, i Veneti rassomigliavano maggior-
mente ai Messapi Il culto di Diomede ne sarebbe anche una prova.
La teoria d'una discendenza illirica non va però accolta, e la pretesa affinità
fra i Messapi e gl'Illirici non è per nulla comprovata ».
Il nome di Antenore duce veneto è orientale contenendo nelle ultime
sillabe la parola semitica nor~ luce. Patavium è il semitico beth-even z= casa
degli idoli; il nome stesso degli Heneti potrebbe essere l'orientale Cheiliti —
uomini armati ; Beleno dio venerato dai Veneti è identico al dio semitico
Bel; il nome Eridano deriva da jarden = fiume; quello di Capris da chabor =
lungo; e Spina forse da ruspina — capo; ragioni tutte che, secondo il signor
Frauer, vengono ad accrescere il numero di quelle che ci porterebbero a
considerare i Veneti quale un popolo orientale con mescolanze semitiche.
Nel voi. IV, fase. 30 e 4°, pag. 483 nel nostro Bullettino, parlai dif-
fusamente dell' articolo del dott. Od. Zenatti La vita comunale ed il dialetto
di Trieste nel 1426 studiati nel quaderno d'un Cameraro, pubblicato neWAr-
cheograjo (voi. XIV pag. 60-191) nei quali conchiudeva che, nei Saggi ladini
dell'Ascoli, il dialetto triestino dovrebbe trovar posto non già nei territori
friulani ma nel Ladino e Veneto
Il prof. Ascoli non lasciò, com'era da attendersi, senza risposta questo
articolo, e nel voi. X de\Y Archivio glottologico italiano vi risponde con uno
- 4§3 -
scritto intitolato // dialetto ter gestirlo. Koterelle. Questa risposta del professor
Ascoli, per concessione dell'autore, venne riprodotta nel fascicolo testé uscito
<\v\Y A r chea grafo triestino.
Oltrepasserei i limiti imposti a questa Bibliografia se volessi analizzare
in tutte le sue particolarità l'interessante pubblicazione del dottissimo filologo.
Mi limiterò quindi a notare i momenti più rilevanti.
La varietà di Muggia, borgata a breve distanza da Trieste, basterebbe
— scrive il prof. Ascoli — da sola ad accettare la friulanità d' un antico
filone che si estendesse al lido adriatico orientale. Il numero poi dei cimeli
notevolmente accresciuto negli ultimi anni viene a comprovare la legittimità
delle deduzioni tratte dai dialoghi del Mainati.
Il Tergestino, sino dal secolo XIV, non poteva essere se non il lin-
guaggio plebeo o rustico, del quale a stento arrivavano alla dignità della
scrittura molto poveri esempi. Mentre poi negli antichi documenti la parlata
plebea non mai riuscita ad assicurarsi l'alfabeto faceva capolino a grandis-
simo stento, nei Dialoghi del Mainati all'incontro si trattava di raccoglierla
con avidità o anzi di arfoltarla perchè ne andasse conservato tutto quanto
si poteva. Nel 1828, l'antico linguaggio che rappresentava un filone d'in-
digeni sempre più scarso ed ecclissato, finiva per tramontare cedendo alla
prevalenza del linguaggio ch'era proprio ai nuovi strati delle maggioranze
civili. Non avviene già che A generi B, o B si svolga da A; ma avviene
che A, prima convissuto con B e poi insidiato da lui, cessi d' esistere e
lasci a B libero il campo. Così ad esempio 1' odierna parlata dell' isola di
Veglia, che ancora altro non è se non una parlata veneziana, non proviene
già da quel ben diverso idioma neo-latino ch'era il veglioto, ma ha con-
vissuto con questo e fini per inghiottirlo.
A pag. 251-254 esamina il prof. Ascoli i caratteri di friulanità dei cimeli
tergestini, dimostrando, con sottile esame, l'erroneità delle conclusioni a cui
era venuto in tale riguardo il dott. Zenatti.
L'argomentazione principale addotta da quest' ultimo a sostegno della
sua tesi si era che i Dialoghi del Mainati fossero una solenne impostura.
Il prof. Ascoli in quella vece, con una serie di argomenti intrinseci ed
estrinseci, dimostra tale accolta del tutto infondata.
In una modesta città quale era Trieste nel 1828 chi avesse voluto
spacciare simile impostura, il giorno dopo della pubblicazione si avrebbe
sentito chiedere dall'uno o dall'altro dei sottoscrittori c< fatemi sentire uno
che parli cotesto dialetto »; e ciò tanto più in quanto che fra i sottoscrittori
vi sono nomi d'individui e di famiglie dai quali e nelle quali le cose patrie
erano amorosamente studiate. « Per l' invenzione del dialetto dei Dialoghi,
- 484-
osserva il prof. Ascoli a pag. 257, ci sarebbe voluto non il rozzo falsifi-
catore che la temeraria fantasia del sig. Zenatti ci descrive, ma il miracolo
dei miracoli, cioè un linguista che avesse preceduto i Grimm ed i Diez ».
L'esame dei caratteri intrinseci dei detti Dialoghi occupa cinque pagine
(pag. 258-263) condotto con quella scienza e competenza per cui nel campo
filologico va sopra tutti distinto il prof. Ascoli ; e da questo esame egB
ritrae la conclusione « essere i Dialoghi del Mainati quello di più genuino
che si possa volere ; e 1' accusa che il sig. Zenatti ha avventurato contro
il povero sagrestano risulta quello di più infondato che mai dare si possa ».
Nel fase. II del voi. XV (luglio-dicembre 1889) si leggono due dot-
tissimi studi del sig. Carlo Tanzi ; — il primo (pag. 239-412) s'intitola:
La cronologia degli scritti di Magno Felice Ennodio ; il secondo : Un papiro
perduto dell' epoca di Odoacre.
Gi:ì O. Seek aveva luminosamente dimostrato quale sussidio possano
prestare alla storia dei periodi meno conosciuti, le raccolte di scritti fami-
gliari contemporanei. Di M. Felice Ennodio, sincrono alla dominazione
ostrogota in Italia, finora erano sembrati materiali degni di considerazione
solamente la Vita di Epifanio, Y Apologia del sinodo romano ed il Panegirico
di Teodorico. Il sig. Tanzi viene ora a provarci come, per il regno di Teo-
dorico, spetti il carattere di vera fonte storica anche agli scritti minori di
Ennodio, e specialmente alle lettere ; « essendoché esse forniscano un' infinità
di dettagli atti a ricostruire il quadro delle condizioni della vita italiana
durante gli anni 501-513, un quadro più sincero, se anche meno grandioso
nell'apparenza, di quello che ci è dato dagli atti ufficiali della raccolta
cassiodorana ».
Siccome una cagione precipua del dispregio in cui vennero tenuti tali
scritti sta nelP incertezza della loro cronologia, il signor Tanzi tenta collo
stabilire in questa sua pubblicazione l'ordine cronologico dei medesimi, a
rendere più facile l'uso del materiale ch'essi possono fornire allo studioso.
Esaminati pertanto i codici di Brusselles e del Vaticano, stabilito (pa-
gine 341-348) il metodo da tenersi nelP ordinare le lettere famigliari che
formano la parte più rilevante di questi scritti, con fina critica e grande
corredo di erudizione passa a precisare 1' anno cui appartengono i singoli
scritti, cominciando dal 496 e giungendo sino al 513.
Di questo studio, che viene a colmare numerose lacune nella storia di
Jtalia in quel periodo di tempo, rileverò soltanto una notizia riguardante
i vescovi d'Aquileia Marcelliano e Marcellino (pag. 369-371). L'esistenza
d'ambedue questi prelati è confermata anche dalle lettere d' Ennodio, dalle
- 485 -
quali risulta che Marcelliano intervenne alle prime sessioni del Concilio
romano del 500, che fu avversario al papa e fra quelli oppositori che la-
sciarono Roma prima della sentenza definitiva, e probabilmente morì scisma-
tico ; mentre Marcellino che gli successe fu partigiano del pontefice e la
sua elezione accadde quando non era ancora cessato lo scisma, cioè prima
del 506.
Il papiro perduto dell'epoca di Odoacre, e ricordato dal milanese Tri-
stano Calchi nelle sue Historiae patriae, conteneva la donazione di alcune
« massae et fundi » fatta ad un certo Virgilio in cambio dei suoi beni che
gli erano stati confiscati alla venuta di Odoacre. Tale notizia viene a com-
provare che quando i beni confiscati erano per precedente concessione ormai
passati in mano di terzi, il principe adottava come misura di risarcimento
1' assegno di altri beni fiscali.
Anche in questo fascicolo trovansi pubblicati (pag. 417-453) numerosi
Documenti goriziani raccolti dal signor V. Ioppi, e precisamente dal n. 185
(io agosto 1345) al n. 212 (1 ottobre 1350) in continuazione a quelli resi
già di pubblica ragione nei fascicoli precedenti.
Il sig. Vassilich, che nel precedente fascicolo era giunto col suo studio
critico-storico sulle isole del Quarnero Da dedizione a dedizione a Marino
Morosini ultimo conte feudale di Cherso, qui continuando (pag. 454) prova
contro il Lucio ed il Farlati come i Chersini, già nel 1301, adunque prima
ancora della morte del Morosini avvenuta nel 1302, avessero chiesto a
Venezia un conte biennale, e che il primo d'essi non fosse Andrea Doro,
il quale probabilmente mai ebbe a fare con quest' isole, sibbene Giacomo
Zeno (1302-1304). Passa quindi l'autore in rivista tutti i documenti che
si riferiscono alla storia di Cherso dal 1280-1358, per indi ritornare a quella
di Veglia, e precisamente all'anno 1261 in cui, richiamati gli espulsi conti,
Venezia dava la contea di Veglia ai figli di Guidone ed ai suoi parenti
Schincla ; ai di cui discendenti — i Frangipani — Venezia continuò a con-
cedere in feudo l'isola senza interruzione sino al 1358. Questi Frangipani,
vassalli com'erano di Venezia per il feudo di Veglia, e dell' Ungheria per
il Vinodol e per gli altri feudi del litorale croato, cercarono costantemente
dall'un canto di sottrarsi agli onerosi obblighi del feudo vegliense, dall'altro
di stringersi sempre più ai re d' Ungheria, i quali alla loro volta presero a
servirsi dei Frangipani quale mezzo per giungere al dominio delle coste
adriatiche. Ed anche qui il sig. Vassilich ci dà in ordine cronologico il sunto
delle fonti dal 1271-1302, dalle quali rileviamo, come fu diggià ricordato,
la ritrosia dei conti nell'adempiere agli obblighi contratti verso Venezia di
mano in mano che s' accresceva la loro potenza sul litorale croato sia
— 486 —
per le inieudazioni ottenute dai re ungheresi, sia per i favori da questi
ricevuti.
Segue il sunto dei documenti che vanno dal 1303-1377, dai quali
meglio si conosce il comportamento d'essi conti, la loro renitenza a sod-
disfare alle regalie, la parte eh' ebbero in varie guerre istriane e dalmate,
le intromissioni talvolta energiche di Venezia, i diritti, gli obblighi, le
magistrature di Veglia e la sfera d' azione di quest' ultime sia per diritto
consuetudinario, sia codificati negli statuti.
Ai 18 febbraio del 1358 Venezia firmava la pace di Zara con Lodovico I
re d'Ungheria per la quale, oltre ad altre terre, gli cedeva anche le isole
del Quarnero. E qui il sig. Vassilich chiude la seconda parte del suo studio.
Del prof, don Pietro dott. Tomasin, diligente e dotto cultore delle
cose patrie, si legge a pag. 501-508 la 'Biografia delio storiografo triestino
don Vincenzo Scussa. Discendente da famiglia istriana trasferitasi da Muggia
nella seconda metà del sec. XV, nacque lo Scussa a Trieste il 6 giugno 1620.
Educato dal pubblico precettore Fattorelli, quindi dai Gesuiti, passò alla
Università di Padova e poscia fu ordinato sacerdote nel 1645. Dopo avere
coperte varie altre cariche nel ministero sacerdotale, fu eletto canonico nel
1672, cancelliere vescovile nel 1674, nel 1700 canonico scolastico e nel 1701
vicario generale. Moriva il 13 settembre 1702 nell'età d'anni 82.
Detto della vita, il dott. Tomasin parla dei singoli lavori dello Scussa,
cioè : — 1) della Synopsis tergestinorum praesulum quorum nomina reperiuntur ;
— 2) della Descritione della caverna chiamata da Latini lugea specus et da
sciavi hiama; — 3) della Descrizione della diocesi triestina (ora perduta); —
4) della Storia di Trieste; — e 5) di Trieste crono grafico che fu 1' ultima
opera dello Scussa.
« E poteva — scrive il dott. Tomasin a pag. 503 — in certa tal guisa
compiacersi di questi suoi lavori alla fine della sua vita, andarne santamente
superbo, e benedire anzi la divina provvidenza per il tempo, la pazienza e
l' ingegno occupati in favore della nostra storia patria. Ciò dovette essere
nel giorno nefasto delle ceneri dell'anno 1690 in cui arsero e furono consunti
ambedue i palazzi del comune, dove tra le altre cose di valore non esiguo,
si custodivano gelosamente le memorie ed i documenti interessanti la nostra
storia patria ».
Alla biografia fa seguire (pag. 512-529) la Synopsis tergestinorum prae-
sulum tuttora inedita, ed il cui manoscritto venne scoperto dallo stesso
dott. Tomasin l'anno 1876 nel civico Archivio diplomatico di Trieste. In
questa Sinopsis è rimarchevole che al vescovo Frugifero si fanno precedere
tre altri vescovi, Giacinto, Martino è Sebastiano.
- 4§7 -
Chiude il volume una brillante Relazione dell'annata LXXIX della Società
di Minerva come la sa dettare il suo illustre presidente dottor Lorenzo
LORENZUTTl.
V Architettura in Italia dal secolo VI al mille circa. — Ricerche storico-
critiche del Prof. Raffaele Cattaneo. — Venezia. Tip. Emiliana,
1888. Ferd. Ongania edit.
La sera del 6 dicembre 1889 moriva a Venezia, fulminato dal vaiuolo,
a soli 29 anni, Raffaele Cattaneo, giovane di alto e di acuto ingegno, di
vastissima coltura e di profondi studi. Oltreché scrittore e critico, era già
architetto e scultore di bella fama.
Venezia, dunque, e l'arte, hanno fatto una grave perdita colla morte
di R. Cattaneo. Il quale ebbe anche a visitare Parenzo, Pola, Trieste, Grado,
Aquileja per istudiare diligentemente le rispettive basiliche, e per illustrarle
dottamente nell' opera che qui imprendo ad esaminare.
Ma, prima di dar principio a codesto, sento il bisogno di dire, che la
morte di un tant'uomo ha profondamente costernato parecchi egregi istriani
eh' ebbero la ventura di conoscerlo di persona ; sia perchè 1' avvicinarlo
equivalesse ad amarlo e ad ammirarlo nelle preclare doti dell' ingegno e
dell'animo; sia perchè si concepisse le più promettenti speranze d'avvantag-
giarsene dei suoi lumi e del suo consiglio negli studi archeologici che si
sono iniziati nella basilica Eufrasiana di Parenzo. Ed infatti il chiarissimo
mons. Deperis — che iniziò degli escavi importantissimi intorno alla detta
basilica, dai quali emergerebbe, prima dell' attuale, la preesistenza di due
altre basiliche cristiane all' incirca sullo stesso piano — aveva impegnato il
povero Cattaneo a ritornare a Parenzo per darvi il suo dotto parere. E il
compianto professore annuiva di venirci subito, proprio ora al ritornar della
primavera ! Ed è così che la disgrazia della sua morte si riflettè anche su
di noi, e specialmente su coloro che facevano sicuro assegnamento delle
apprezzate sue consultazioni, prima di publicare l'opera illustrativa la basilica,
Eufrasiana.
— 488 —
Premessi questi pochi cenni a sfogo di sentimento di dolore, passo
all' esame dell' opera.
La quale si compone di una prefazione, di una introduzione e di cinque
capitoli.
Nella prefazione 1' autore dice subito che, sin da quando si pose a
studiare sui libri la storia dell' Arte, la troppo larga lacuna che trovò in
Italia tra il secolo VI e IX, le discrepanti opinioni degli scrittori intorno
ai pochi monumenti di questo oscuro e barbaro periodo e intorno all'Arte
che ne nacque, fortemente l' impressionarono. E dominato da una certa
naturale inclinazione a portare il suo studio sulle cose più oscure e recondite,
gli punse vivo desiderio di abbandonarsi a quel campo di ricerche e tentare
se gli venisse dato di recar luce in questo argomento.
Si mise dunque con baldanza a ricercare prima negli scritti, a copiare
all' uopo disegni, e a fornirsi di opportune fotografie. Poscia potè uscire
spesso dal suo nido, viaggiare, studiare e toccar con mano i monumenti.
Allora gli si aperse largo campo all'osservazione e ai confronti, e scoprendo
alcun che d'ignorato, e venendogli sotto gli occhi, più frequenti che non
s'aspettasse, gli strafalcioni e gli errori di certi scrittori, si fece più coraggioso
e si provò a ragionare colla sua tata.
Ed è così che si trovò spesso in contraddizione con quanto era stato
scritto e argomentato sulle cose d' arte dagli autori che lo precedettero.
Ma le sue ricerche e conclusioni, dopo otto anni di studi, erano tuttavia
lontane dall'essere, per quanto gli pareva, compiute, e se ne accorse appunto
allora quando dal signor cav. Ongania gli era stato offerto l' incarico di
tessere per la sua grandiosa publicazione sulla basilica di S. Marco di
Venezia la storia architettonica del mirabile monumento '). L' amore per
la diletta basilica lo sorresse, rese in lui più gagliarda 1' antica passione e
in questa trovò impulso e vigore efficace al perfezionamento di quegli studi
che due anni appresso (nel 1888) presentò al lettore, prima, cioè, della pub-
blicazione sul S. Marco.
Mi parve buono d' estendermi sulla prefazione, non solo per far notare
gì' intendimenti dell' Autore nel condurre il suo lavoro, ma per far rilevare
più ancora l'originalità dell'opera stessa; in quanto essa si stacchi affatto
') Per buona sorte anche quest'opera potè essere compiuta dal Cattaneo pochi giorni
prima di morire, tant' è vero che ora si trova sotto stampa.
- 489 -
dal sistema tenuto in siffatte publicazioni da precedenti scrittori, dai quali
non accettò che quel poco clic dallo spoglio dei documenti, dai fondati
criteri dell'arte, e dal diligente confronto dei cimeli fatto coi propri occhi,
ha potuto constatare per vero.
Neil' introduzione afferma l' esistenza di uno stile bizantino, cui di-
vide in tre distinti periodi, chiamandoli con tre differenti nomi : proto-
bizantino, bixaniino-barbaro e neo-bizantino. Non si rifa ai tempi romani, ne
ai primi secoli cristiani, essendo questi abbastanza noti; ma dove convien
portare attento esame si è sui secoli successivi, secoli di decadenza e della
massima oscurità. « E appunto perchè nella loro decadenza e nella scarsezza
dì monumenti superstiti si mostrarono sempre poco attraenti e di troppo
arduo studio, furono generalmente lasciati da parte da tutti gli scrittori
d'arte; omissione questa doppiamente riprovevole, sia perchè mantenne
interrotta la catena storica dell' arte con tanta confusione negli studiosi,
sia perchè impedi si trovasse mai il nodo a cui attaccare le anella seguenti ».
Enumera quindi gli autori che di codesto periodo oscuro si sono
occupati, fermandosi particolarmente sul conte Corderò di S. Quintino che,
ira gli altri, ha veduto giusto, quantunque il suo studio non sia che inci-
piente. E conclude col dire, esser necessario di rifare tutta la strada cosi
male battuta; alla quali' opera egli si accinge, corredando la storia con
opportuni disegni, senza i quali l' intento non si raggiungerebbe che per
metà.
Il capitolo I tratta dell' 'Architettura Latino-barbara durante la dominazione
Longobarda (da pag. 15-61). — Dal VII secolo al mille trascorre un periodo
di assoluta decadenza per l'arte — decadenza che più attribuiscono alla
devastatrice conquista longobardica. Ma oltre a questa ci sono ben altre
cause; fra cui una peste fierissima nel 566, una grande carestia due anni
appresso, altra pestilenza di buoi nel 570 e altre epidemie ancora, e final-
mente un terribile diluvio d'acque nel 589, che travolse e disperse molte
colline. E questi ed altri flagelli si alternarono fino alla fine del secolo.
« Si guardi ora all' arte e si consideri, che se per prosperare ha sempre
bisogno di pace lunga e di generale agiatezza, in questo periodo d'invasioni,
di guerre e di tutte le possibili calamità, ella non poteva che spegnersi
quasi affatto». Questo letargo dell'arte, durato tutto il periodo della
dominazione longobardica, si protrasse anche dopo questo fino a tutto il
secolo IX, in qualche regione fino al X, e in qualche altra perfino alla
prima metà del secolo XI.
— 49° —
Ma qui cerca di spiegare un altro fatto; come cioè avvenisse che mentre
nella prima nutà del secolo VI l'arte bizantina era venuta a ristorare al-
quanto F italiana, noi facesse eziandio in sullo scorcio del secolo stesso. E
conchiude col dire che la misera arte italiana fosse dai Bizantini per tutto
il secolo VII abbandonata a sé stessa, tant'ò vero che persino in Ravenna,
la quale fino al 752 durò nella soggezione dei Greci che vi mantenevano
un Esarca, l'arte segui la stessa precipitosa decadenza a cui era trascinata
nelle altre città d' Italia.
Esaminato, in prova della sua tesi, alcune opere esistenti a Ravenna,
passa a Roma (pag. 26), mettendo in evidenza un fatto che non tu mai
bene avvertito da altri, ed è che l'architettura proto-bizantina penetrò anche
in Roma. Il che può riscontrarsi nella chiesa di santo Stefano al Celio eretta
dal pontefice S. Simplicio fra il 468 e il 482. È una vasta rotonda anulare
formata da due giri concentrici di colonne raccerchiati da muraglie. Un
lusso veramente orientale pare sfoggiasse questa rotonda nelle decorazioni
musive, ma più specialmente nelle incrostazioni marmoree delle pareti —
«decorazioni analoghe a quelle del S. Vitale di Ravenna e del Duomo di
Parenzo, costruzioni bizantine del medesimo secolo ». — Oltre che in santo
Stefano, trovansi anche in altre chiese della città lavori che accennano in-
discutibilmente la presenza degli artisti greci. E si estende a parlare parti-
colarmente sulla basilica di S. Lorenzo, avvertendo che in origine ne erano
due, unite in una sola da Onorio III (1216-1227). Poi passa alla basilica
di S. Agnese, che somiglia tanto a quella di S. Lorenzo, e ad altre ancora.
Lasciata quindi la valle del Tevere per risalire a quella del Po, a mezza
corsa si ferma a Lucca per ammirarvi due cospicui monumenti, cioè la
chiesa di S. Fedriano eretta dal re Bertari nel 686, e quella di S. Michele
in Foro riedificata da Temprando e da Gumpranda nel 764 (pag. 43).
Passando all' alta Italia, il pensiero corre difilato a Pavia, capitale dei
Longobardi. « Ma quella città cadde tante volte sotto i picconi dei conqui-
statori e fu sì spesso preda delle fiamme, che invano si cerca in essa una
sola pietra, nonché un edificio, dei parecchi che vi hanno inalzati i re lon-
gobardi al cadere del secolo VI e nel seguente».
Ma il peggio si è che una tale assoluta mancanza di monumenti di
quel tempo è da deplorarsi in tutta la Lombardia. E si ferma a considerare
la chiesa non più esistente che la regina Teodolinda eresse in Monza ad
onore di S. Giovanni Battista dappresso al suo palazzo. Alcuni autori hanno
creduto riferirsi al tempo di Teodolinda certe parti del Duomo « che si
riferiscono invece alla sua totale riedificazione avvenuta, come palesa lo stile
rjei suoi capitelli, nel secolo XII » (pag. 45).
— 49i —
La regione italiana nella quale con qualche profitto porta quindi le
sue ricerche è il Veneto, ove trova tre edifici della seconda meri del VI
secolo, e sono due chiese ed un battistero della un di celebre cittì di Grado.
Descritto il duomo ed il battistero di Grado, soggiunge : « Non resta
più traccia delle decorazioni in musaico e in marmi che avranno senza
dubbio resa quest'abside (quella del Duomo) non inferiore alla splendidis-
sima del Duomo di Parenzo, come presentano egual carattere e magnifi-
cenza i pavimenti a musaico di ambedue le chiese. Ma per compenso il
pavimento di Grado si conserva in gran parte, e considerata l'epoca in cui
fu fatto e la rarità di simili lavori, è la cosa più preziosa che in questo
genere si possa vedere. Il suo disegno, a motivi svariati e sempre eleganti,
ritrae del gusto romano e bizantino insieme Ciò che rende questo
di Grado ancor più prezioso sono le molte iscrizioni pure a musaico che
presenta, e ricordano i nomi di coloro che contribuirono con danaro alla
sua fabbricazione e il numero dei piedi quadrati equivalenti all'offerta. Né
questa fu una particolarità della basilica di Grado, che noi la ritroviamo
pure nei resti del S. Felice di Aquileja, ne' pochi avanzi del pavimento del
Duomo di Parenzo '), in quelli di recente scoperti nella vecchia cattedrale
di Verona e nei resti dell'antico Duomo estivo di Brescia » (pag. 48, 49).
Parlando poi della seconda chiesa di Grado (S. Maria) e delle sue
sacristie, dice : « Anche la basilica di S. Maria Formosa a Pola eretta nel
546, della quale restano rovine, aveva due sacristie circolari con nicchioni
all' ingiro, e nel Duomo di Parenzo pare servissero da sacristie alcune celle
ad esso unite tuttavia superstiti » (pag. 54).
E da Grado 1' autore salta a Venezia, nella quale trova tre opere di
scultura che a lui paiono riferirsi a quei calamitosi tempi, « e furono forse
raccolte fra le fumanti rovine dell' infelice Aitino distrutta dai Longobardi
nel 641 ».
Queste tre opere sono : una fronte di sarcofago che vedesi nell'atrio
di S. Marco ; altro sarcofago che vedesi nella facciata della chiesa dei santi
Giovanni e Paolo ; e un terzo sarcofago esistente nd Museo archeologico
del palazzo Ducale (pag. 58).
Finalmente si ferma 1' autore a Torcello, la cui cattedrale fu a torto
') Nei recenti scavi fatti eseguire d.i mons. Deperis al lato nord della basilica
Kufrasiana, furono ritrovati nuovi bellissimi musaici, con analoghe iscrizioni alla foggia
di quelle qui ricordate, ma indubbiamente di data molto più antica.
— 492 —
dal Selvatico sostenuto essere la stessa che i fuggiaschi Altinati eressero dopo
il 641. Di quest'epoca non rimane, in effetti, che l'abside maggiore, mentre
tutto il resto fu indiscutibilmente costruito neh' 864. E confuta altri asserti
del Selvatico su questa chiesa, e sul luogo dove esisteva il battistero. Il
quale, come quelli di Aquileja e di Parenzo, sorse anche a Torcello dirimpetto
alla cattedrale, e le fu congiunto a mezzo di portici.
Finisce il capitolo con le seguenti :
« Ma le nostre ricerche nel buio di questi secoli somigliano molto al
viaggiare di notte per incognite vie durante un vero temporale ; e già il
viandante corre rischio di smarrire la strada o di pericolare, ove qualche
benefico lampo non lo soccorra col suo splendore. Anche noi abbisognamo
spesso di qualche lampo, e sono quei monumenti i quali vantando un'età
accertata da documenti d' autenticità indiscutibile, diventano preziosa guida
per ricercare le opere contemporanee e colmare certe lacune. E il secolo
Vili ci somministra tosto molta luce ».
Il capitolo II tratta del Secondo influsso dell'arte bizantina sull'italiana.
— Stile bizantino-barbaro (da pag. 62-139). — Enumera la grande sequela
di lavori condotti sotto il regime dei Longobardi, i quali lavori spiccano
sui già considerati per sentita diversità di carattere e minore imperfezione,
epperciò vogliono essere classificati a parte e seriamente studiati.
L' arte italiana, al sorgere del settecento, se non era proprio estinta,
non dava più, ad ogni modo, segni di vita. « A mezzo il seicento ella si era
spogliata d' ogni ultimo brandello di veste straniera ed era rimasta nella
più rigida scheletrica nudità natia ; ma in sull'esordio del
settecento noi e' incontriamo in lavori i quali contrastano vivamente con
quanto si è fino ad ora veduto ». Ne questo stile si limitò ad una sola
regione, ma si estese per tutta la penisola come risulta dalle tracce che si
trovano in più luoghi.
Però questo nuovo stile fu importazione d'artisti stranieri venuti dalla
Grecia. Il quale asserto 1' autore cerca di addimostrarlo con le opere che
rimangono di quell'epoca, e coi documenti che vi si riferiscono. E si ferma
ad esaminare quel pluteo che si vede sui matronei di S. Marco a Venezia,
e lo dichiara del secolo VII, a quel periodo cioè di decadenza che appa-
recchiò lo stile del secolo Vili.
« Ma eccoci in S. Marco un altro lavoro di scultura, indubbiamente
bjzantino, che si conserva nel Tesoro. È desso quella cattedra di marmo,
che la tradizione dice regalata intorno al 630 dall' imperatore Eraclio al
patriarca di Grado Primigenio, per essere creduta la stessa su cui sedeva
— 493 —
1' evangelista S. Marco in Alessandria ». Il Selvatico 1' attribuì al X o XI
secolo ; ma il nostro autore, a cui kcc giustizia valenti archeologi, l'attri-
buisce agli ultimi anni del secolo VI, o piuttosto alla prima metà del
seguente.
E da queste sculture che si trovano in Italia passa ad altre, di quell'epoca,
esistenti in Oriente.
Quindi investiga quali cause possano aver indotto nel secolo Vili pa-
recchi artisti greci di venire in Italia. E ne trova parecchie, fra le quali
gli sembra più certa quella, avere aperti gli italiani finalmente gli occhi, e,
veduto lo stato miserando e indegno in cui era caduta l'arte in Italia, sentirne
rossore e stabilire di chiamarvi artisti greci, o di condurseli seco al ritorno di
qualche viaggio in Grecia. Ma più ancora di questo, avrà contribuito all'esodo
degli artisti dalla Grecia in Italia la terribile persecuzione degli iconoclasti
iniziata dall' imperatore Leone III 1' Isaurico, il quale nel 726 pubblicò un
editto contro il culto delle immagini sacre, e nel 728 lo soppresse affatto.
In quell' incontro molti artisti monaci e artisti laici ripararono in Italia, ove
trovarono asilo e protezione nel Pontefice e in Luitprando, i quali fecero
eseguire parecchie opere.
Fra i più antichi lavori di stile bizantino-barbaro del secolo Vili sono
quelli fatti eseguire nella basilica di S. Felice in Cimitile presso Nola dal
vescovo Leone III, del quale si sa che governò quella chiesa nel principio
del settecento. — Da qui passa in Ancona nella chiesa della Misericordia
ad esaminare un parapetto d'ambone semicircolare. — Poscia va nel Museo
lapidario di Verona ad esaminare due colonnette già appartenute alla chiesa
di S. Giorgio in Valpolicella. Ma non si accontenta di ciò, e si reca al
paesello dove è fortunato di trovare le due altre colonnette con i loro ca-
pitelli sostenenti con le prime il ciborio, e tre ricchi archivolti con testate,
che dovevano comporre la parte superiore del ciborio stesso. — E salta poi
ad esaminare brevemente i resti d'un altare venuti alla luce or fanno pochi
anni nella chiesa abaziale di Ferentillo presso Spoleto, per ritornare subito
appresso neh' alta Italia, a Cividale, dove si possono vedere, se non i mi-
gliori, certo i più numerosi e meglio conservati lavori di questo stile che
offra l' Italia.
A Cividale infatti s'ammira, fra altre cose, il fonte battesimale, edificato
dal patriarca Calisto (737...), e nel secolo XVII trasportato entro il duomo
dal distrutto battisterio che sorgeva li presso. Questo battistero merita spe-
ciale considerazione, anche per essere uno dei primi esempì in Italia di
rappresentazioni bestiarie, che poi divennero di carattere più spiccato del-
l'ornamentazione scolpita dello stile romanico. E a Cividale stessa esamina
- 494 —
un altare nella chiesa di S. Martino, nel quale altare le rozze figure di sacro
soggetto lo riconferma nel principio che, quanto abili erano tutti gli artefici
dell'epoca nell'ornamentazione, altrettanto goffi invece nel trattar la figura.
E più si ferma l'autore sulla chiesetta di S. Maria in Valle (Cividale), sulla
quale furono gli artisti e gli storici molto dissenzienti, e per l' età sua,
come per le sei statue che dentro vi si trovano. Per Cattaneo quella chiesetta
è una rifabbrica del noo di quella ornata da Pertrude (secolo Vili), nella
quale rifabbrica però si sono conservate alcune cose, ch'egli riporta, della
chiesa primitiva.
E parlando di alcuni capitelli di Cividale, soggiunge : « Di proporzioni
più svelte, ma di gusto analogo, se ne vedono due su snelle colonne nel
Duomo di Trieste, impiegatevi alla meglio in un restauro del secolo XI,
ma evidentemente riferentisi all' Vili. Di sotto hanno un giro di rozze foglie
qui bizzarramente tagliate in tre rovesci per ciascheduna ; più sopra le solite
scantonature, e sulla faccia una convessità scanalata con magri caulicoli
reggenti 1' abaco ».
» Dell' indole stessa, ma di più ruvida e scorretta mano, è un capi-
tellino nel Museo di Pola, e ve n' è un altro che se ne discosta ma si
mostra del medesimo stile » (pag. 97).
E da Pola passa a Treviso, Venezia, Murano, Concordia, Grado, Vi-
cenza, Monseiice, Adria, Ravenna, Bagnacavallo, Ferrara, Modena, Bologna,
Milano, Bergamo, Brescia, Pavia, Libarna (Apennini al nord di Genova),
Albenga, Osimo, Perugia, Spoleto, Narni, Roma, Capua, Sant' Angelo in
Formis, Benevento — in ciascuna delle quali città si ferma a considerare
e ad analizzare qualche cimelio dell'epoca, correggendo quasi sempre erronei
giudizi che sugli stessi cimeli furono dati dai critici dell' arte suoi prede-
cessori. Quindi passa sotto lo sguardo del lettore una serie di capitelli, di
plutei, di frontispizi, di finestrelli, di frammenti d'ambone, di pilastrini, di
vasche battesimali, di archi, di sarcofagi e così via. Non trova che tre soli
monumenti pressocchè intatti dell' epoca : la chiesetta delle sante Fosca e
Teuteria di Verona (consacrata nel 751), e la Rotonda o Duomo vecchio
di Brescia, e la chiesa di S. Salvatore nella stessa città.
Il capitolo III tratta de L'architettura italiana dalia fine del secolo FUI
al mille. — Stile il aio-bizantino (pag. 140-234). — Premesso che i monu-
menti studiati nell' ultimo capitolo nuli' altro sono che 1' opera di artisti
'immigrati, la cui arte sta entro il breve giro di poco più di mezzo secolo,
tuttavia codesta visita di artefici greci in Italia fu di sommo ammaestra-
mento agli indigeni. L' esempio delle opere greche valse, non foss'altro,
«- 495 —
a destare nei nostri l' amore alla ricchezza, alla profusione e varietà di
decorazioni.
Essi si studiarono dunque d' imitare le sculture greche, ma non così
servilmente che tra l'ima e l'altra scuola non esistano spiccate dissomiglianze.
« I loro lavori si distinguono per una certa larghezza di composizione e
di scalpello, che potè anche derivare dalla ruvidezza loro, ma che agli occhi
di molti può forse rispondere all' indole ed al pensiero architettonico più
che le minuterie greche ». E qui l'autore dà i caratteri principali delle opere
dell'epoca (pag. 141), negando che gli arabi vi hanno avuta alcuna influenza
nella parte decorativa.
Se nel VII secolo e nel principio dell' VII! non esisteva in Italia un
vero stile, verso la fine di quest'ultimo e nel seguente la cosa fu ben diversa ;
« poiché quelle stesse maniere d'ornare che veggonsi a Roma, appariscono
pure nel Napoletano, nelle Marche, nell' Umbria, nella Toscana, a Ravenna,
nella Lombardia, nel Veneto e perfino nell' Istria e nella Dalmazia, restando
spenti o sopiti i vecchi modi indigeni ». Dove prende però più largo svol-
gimento si è in Lombardia, siccome quella che era il centro più vitale del
regno longobardico.
Ciò premesso ripete il giro per l' Italia, ricercandovi i monumenti o
le traccie di questo stile nalo-bizantino, che rappresenta i primi crepuscoli
dell' Arte.
E prima d'ogni altra città tocca Roma, dove trova, in compenso dei
pochi del secolo Vili, numerosi resti dei lavori operativi dagli artefici lom-
bardi in sullo scorcio di quel secolo e nei successivi, ed anche alcuni interi
edifizi.
Fra quest' ultimi ricorda S. Maria in Cosmedin fatta costruire sulle
rovine dell'amica chiesa da Adriano I (772-795). Una delle particolarità
di questa chiesa si è d'aver tre absidi, cosa mai prima usata. Il qual uso
è venuto in Italia dall'oriente. Dallo stesso papa l'autore sospetta venisse
restaurata la basilica di S. Saba all' Aventino. E cosi pure S. Lorenzo in
Lucina. Parimenti restaurò ed abbellì l'antico Patriarchio presso S. Giovanni
Laterano, cioè 1' antica residenza papale d' allora. Di qualche altra chiesa,
invece, mette in dubbio l'edificazione in questo secolo, almeno nelle forme
in cui ora si trova.
Quindi si volge a considerare qualche avanzo del tempo di Leone III
(795-816). Ma le più rilevanti costruzioni si devono al successore di Leone,
a Pasquale I (817-824).
Fra queste è la basilica di S. Prassedc siili' Esquilino, eh' egli edificò
dai fondamenti, e nel secolo XII restaurata con cambiamenti, e più tardi
io
— 496 -
ancora guastata con altri goffi ristauri. Ma la cosa più ragguardevole che
racchiuda S. Prassede fra i resti del secolo IX è la preziosa cappelletti di
S. Zenone, dovuta pure a papa Pasquale. Il quale ricostrussc pure le chiese
di S. Cecilia in Trastevere e di S. Maria in Domnica sul Celio. Quest'ultima
è la meglio conservata che resti in Roma del secolo IX.
Il pontefice Eugenio II (824-827) molto fece operare in S. Sabina
all'Aventino.
Dopo Pasquale I però, il papa del IX secolo, il cui nome sopravvive
meglio d' ogni altro nei propri lavori, è Gregorio IV (827).
Fu da questo ricostrutta la chiesa di S. Marco, della quale resta tuttavia
l'abside con i suoi musaici. — A questo papa sono pure dovuti i più con-
siderevoli avanzi di sculture italo-bizantine che sieno in Roma.
Al successore di Gregorio IV, Sergio II (844-847), è dovuta una ra-
dicale rifabbrica della basilica lateranense. Passa quindi l'autore ad esaminare
varie altre sculture esistenti in Roma, sempre del secolo.
« Una basilica di Roma fondata nell'anno 900, e perciò appartenente,
più che al IX, al X secolo, è quella di S. Maria in Araeoeli» (pag. 163).
Poi l'autore adduce le prove essere stato lo stile italo-bizantino il solo
dominante a Roma per tutto il X secolo, e anche per qualche tempo oltre
il mille.
E da Roma va a Capua, dove trova nel Museo vari frammenti di
codest'arte, ed una chiesetta, dedicata al principe S. Michele (come la chiama
il popolo), oggidì chiusa al culto per essere in pessime condizioni.
Poi risale a settentrione e si ferma a Toscanella, a Spoleto, in Ancona,
in Assisi, a Pisa, a Ravenna. In quest' ultima ritorna « a S. Apollinare in
Classe per vedervi il monumento scultorio più ragguardevole, perchè quasi
intatto, che ci sia rimasto in Italia nello stile italo-bizantino del secolo IX.
È questo il ciborio dell' altare di S. Eleucadio, che, giusta un' iscrizione,
un prete Pietro faceva scolpire sedente l'arcivescovo Valerio (806-816)»
(pag. 170). In questa basilica, e fuori, l'autore trova altre sculture di stile
italo-bizantino.
Ricordata una croce stazionale di marmo esistente in Budrio, passa a
S. Maria Matricolare di Verona, rifatta dal vescovo Loterio nel 780, ed
eletta dal vescovo Ratoldo (802-840) per cattedrale. Senonchè l'attuale non
è quella di Loterio, la quale alla sua volta fu rifatta nel secolo XII. E lo
prova. Viste poi alcune altre sculture a Verona, procede a Villanova nel
Veronese, e da qui al Museo di Padova, poi nella cripta del duomo di
Treviso, per ritornare ancora a Cividale. Da dove passa a Trieste nel Museo
Vinckelmann che racchiude, « fra pochi rimasugli di lavori bizantino-barbari
— 497 —
del secolo Vili, alcune sculture italo-bizantine del secolo IX. Sono fram-
menti di plutei coperti di girate crucifere; un pezzo di pilastrino adorno
d' intrecciature di giunchi ; vari fregi scolpiti ad arcatine e mezze rose,
ovvero a treccie e caulicoli ; in fine una colonnina da cancello con unito
capitellino a rozze foglie e a semplici volute» (pag. 179).
A questo secolo ascrive anche la chiesa di S. Maria di Muggia vecchia.
Ciò gli pare in qualche modo confermato dai cancelli del presbiterio, i quali
sono senza dubbio lavoro italo-bizantino del IX o del X secolo.
« In un angolo del quadriportico della famosa cattedrale del VI secolo
di Parenzo, fra molte sculture di varia età ivi raccolte, si vede una sedia
di marmo senza schienale, solo fiancheggiata da due alti bracciali stranamente
profilati. La fronte di essi va adorna di una treccia di vimini e di due croci,
e i fianchi di gigli, caulicoli e cordoni. Accusa por ciò il secolo IX.
» Lo stesso secolo ha lasciato in Fola ragguardevoli lavori.
» Il duomo di questa città dovette sorgere nel VI secolo, e somigliare
alla basilica paruntina e alle ravennati. Lo dicono chiaro alcuni capitelli
bizantini delle sue navi, certi resti di pavimento musivo con iscrizioni di
oblatori, ritrovati nell' ultimo ristauro, insieme con parecchi plutei ecc.
» Una particolarità degna di nota presentava peraltro questa chiesa nella
sua parte posteriore, offrendo al di là dell'abside un ambiente rettangolare
spartito in tre campate comunicanti fra loro per mezzo di arcate sorrette
da colonne. Quest'appendice alle navi della basilica pare fosse destinata ad
accogliere le reliquie dei santi, supplendo in qualche modo alla mancanza
di confessione
» Nella chiesa odierna, che sorge sulle stesse fondazioni dell'antica, è
sparita l' abside, della quale non avanza che l' arco trionfale alla romana
sorretto da due colonne isolate; e quello che nella basilica del VI secolo
era la cappella delle reliquie risultò quindi un vero prolungamento delle
navi e il nuovo presbiterio ». Si chiede poi quando sorse la presente chiesa.
La lastra di marmo in forma di frontispizio incastrata nel muro di fianco
con iscrizione ecc. è di stile italo-bizantino del secolo IX. Riporta qui
le opinioni del D'Agincourt seguito dal Corderò, del Kandler, e da ultimo
del Cleva, col quale, còme col Pulghcr, si mostra affitto dissenziente. Dopo
i lavori di abbassamento del suolo del presbiterio operati nel 1884, appar-
vero parecchi capitelli e una lunga serie di sculture che all'occhio dell' in-
telligente si appalesano tosto dello stile del secolo IX, e non del VI. « I
capitelli rimessi in luce sono quelli delle colonne oggidì incastonate, dividenti
la vecchia cappella delle reliquie, scolpiti come quelli dell'arco trionfale,
in quel rozzo corintio a foglie liscie e a duri caulicoli che vedemmo do-
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minare nelle costruzioni italo-bizantine di Roma e di Verona. Le altre
sculture sono numerosi frammenti di archivolti, di plutei, di fregi, di pi-
lastrini con unita colonnetta, senza dubbio avanzi di qualche recinto di
cappella o di coro ; e un rozzissimo leone alato con libro, simbolo di san
Marco. Ivi lo stile è prettamente italo-bizantino : croci, rose, palme, caulicoli
rampanti, ma sopratutto le caratteristiche intrecciature di vimini.
« Ora tutte queste sculture provano ad evidenza, che, se non tutta
intiera la basilica, certo la sua abside e la cappella posteriore ricevettero
nel secolo IX un radicale ristauro. Ne sarebbe certo avventato attribuirlo
a quell'Andegiso che ricevette nel duomo stesso onorevole sepoltura, della
quale è superstite il frontone scolpito con ogni probabilità da quelli stessi
artefici che lavorarono entro la chiesa.
» Oltre al duomo, Pola potrebbe mostrare allo studioso un ragguar-
devole monumento nel suo vetusto battistero, se non fosse stato distrutto. Il
Kandler, che ebbe agio di vederlo, ce ne conservò la descrizione ». L'autore
la riporta (pag. 181) e continua : « Questa descrizione ci annunzia una sem-
plicità tale di forme e una tale povertà e rozzezza di particolari, da farci
nascere il sospetto che il battisterio risalisse ne più né meno al secolo IX,
e che i suoi capitelli fossero fratelli a quelli ruvidissimi del presbiterio del
duomo. Il sospetto poi si muta quasi in certezza qualora si guardino i resti
del tegurio che copriva la vasca battesimale, che il Kandler scrive essere
stato esagono, formato di archivolti di marmo sorretti da colonne. Uno di
questi archivolti, per la maggior parte tuttavia conservato, presenta, al dire
dello stesso scrittore, un monogramma con lettere A ed E ; ma da quello
che ne resta si capisce che le lettere erano tre A N E. Il Kandler, che non
aveva idea dello stile del secolo IX giudicò riferirsi il monogramma ad
Antonius Episcopus che sedette nella prima metà del VI secolo ; ma con
evidente errore, perchè, palesando gli archivolti nelle belle, complicate ed
ingegnose intrecciature, di cui vanno tutti ricoperti, il secolo IX, il mo-
nogramma si dovrà riferire ad un vescovo di questo tempo e forse al nostro
Andegiso, l'unico nome che rompa l'ampia lacuna esistente nella serie dei
vescovi polani del secolo IX ».
E ricorda ancora due colonne con uniti capitelli che si attribuiscono
alla distrutta abbazia di S. Maria del Canneto. Queste, con una pietra
scolpita, 1' autore le attribuisce pure al secolo IX. E soggiunge :
« Ricco di sculture di stile italo-bizantino è pure il Museo di Pola,
stabilito entro e intorno al famoso tempio d'Augusto. Vi sono capitelli di
colonne di varie misure e di vario merito, ma sempre arieggiami il corintio :
taluni con dure e disadorne foglie e con barbari caulicoli a %ig-%ag ; altri
— 499 —
di buone proporzioni e di accurato scalpello, con un giro di eleganti foglie,
disgraziatamente assai malconce, e con le volutine dei caulicoli separate da
certi cordoni verticali distaccati dal vivo. Oltre a questi capitelli vi hanno
numerosi frammenti di fasce, con treccie semplici, iscrizioni e caulicoli, fra
le quali una angolare, con sottoposta guscia gentilmente arricchita da una
scacchiera rilevata ; e da ultimo un pluteo quadrato adorno di circoli in-
trecciati con rette, e di colombe, similissimo ad uno esistente nel battisterio
di Concordia, e perciò assai probabilmente dello stesso autore» (pag. 182).
Colla scorta dell' opera del Jackson, l' autore procede in Dalmazia ;
per ritornare ancora a Brescia nella Rotonda, che non può risalire oltre
1' XI secolo, e non 1' Vili o il IX, come vollero i più, fra cui il Dartein.
Verosimilmente fu riedificata dopo il terribile incendio, che nel 1097 devastò
quasi tutta la città. — Poi passa a Como nella chiesa di S. Abondio ; a
Milano in S. Ambrogio, monumento che minaccia di mettere a soqquadro
tutti i criteri fin qui esposti dall'autore, ma che viceversa lo conferma in
essi. E qui si estende in una dotta e lunga dissertazione, confutando bril-
lantemente quanto fu dagli altri detto su alcune parti di questo importante
monumento.
« Ma il più prezioso edifizio del secolo IX che conservi Milano non
sono le absidi or menzionate (di S. Ambrogio, di S. Calimero, di S. Vin-
cenzo in Prato, di S. Eustorgio e di S. Celso), né il sacello di S. Satiro,
bensì un' intiera e non piccola basilica da quasi un secolo fino ad oggi chiusa
al culto, e per questo, e perchè confinata in un angolo della città assai
remoto, rimasta ignorata quasi da tutti gli studiosi : è dessa la chiesa di
S. Vincenzo in Prato » (pag. 211). Qui pure l'autore si diffonde dottamente,
e combatte l' idea del nostro prof. Paolo Tedeschi, il quale proponeva di
abbattere l'alto presbiterio di questa chiesa aggiunto, secondo lui, più tardi.
« La vecchia maniera basilicale, oltre che dal S. Vincenzo di Milano,
ci ò pure affermata dalla non meno conservata e non meno preziosa chiesa
del villaggio di Alliate, nella Brianza », chiesa eretta dall'arcivescovo Ansperto
nell' 881.
A questo gruppo di edifici del IX secolo si rannoda per somiglianza
di stile il battistero della cattedrale di Biella.
E ritorna a Milano in S. Eustorgio, chiesa rifabbricata sul cadere del
secolo IX, o sul principio del X, e che rappresenta il primo passo dall'uso
di colonne monoliti verso i pilastri a fascio. — Da qui viene alla chiesa
dei SS. Felice e Fortunato di Vicenza, che « offre il più antico esempio
finora conosciuto di pilastrate alternate con colonne, il più antico saggio di
piloni a fascio, i più antichi capitelli di carattere spiccatamente lombardo e
; oo
il più antico esempio di base munita di speroni. Ella perciò è un monu-
mento della più grande importanza, è il più prezioso esempio di transizione
fra il barbaro stile italo-bizantino ed il romanico » (pag. 229). — Quindi
gli da argomento di dotte riflessioni l'abside della chiesa di S. Stefano di
Verona, opera del secolo X. Dimostra che l' arte lombarda non è sorta
improvvisamente dopo il mille, ma che ella andò preparandosi nei secoli
precedenti. E finisce il capitolo: « Epperò quando sonava l'ultima mezzanotte
dell' anno mille, gli architetti lombardi dovevano già avere in serbo, se
non tutti, almeno gli essenziali elementi della loro nuova arte, frutto dei
lenti ma continui studi svoltisi nello stesso loro paese per il corso di due
secoli, e dei quali ci fanno sicura testimonianza gli ultimi edifizì da noi
veduti ».
Il capitolo IV tratta de L'Archilei tura nelle Lagune venete dal principio
del secolo IX all' anno 976 (pag. 234-268).
« Sarebbe tempo sprecato andar in traccia per Venezia di monumenti
anteriori al secolo IX ». Rialto dovette alla sicurezza della sua posizione
l'alto onore di diventare circa l'anno 810 la sede del governo della Re-
pubblica. Non è possibile indagare se innanzi l'8io l'arte italo-bizantina
fosse già penetrata nelle isole della laguna. Codest'arte però dovette appro-
dare a quei lidi quando i dogi Agnello e Giustiniano Partecipazì, intorno
1' anno 820, fondarono sul margine della laguna ad occidente di Venezia
la celebre chiesa abaziale de' SS. Ilalio e Benedetto. E racconta le vicende-
di questa chiesa, eh' or più non esiste che in pochi avanzi. E prima di
proseguire apre una lunga parentesi per far notare, che fu assai breve nelle
lagune il dominio assoluto dell'arte italo-bizantina, poiché ben presto ella
si trovò di fronte all' arte greca, « la quale venne a contrastarle il campo
e a rubarle molte belle occasioni d' esercitarsi, terminando col sopraffarla
e spegnerla totalmente » (pag. 237). La qual tesi viene poi dall'autore ap-
poggiata con fatti storici. Prima che a Venezia però, gli artisti greci ap-
prodarono a Grado, « allora la Gerusalemme delle lagune, e vi avevano
operato parecchi lavori ». E li nomina.
Ritornando a Venezia, non si ferma a stabilire la primitiva forma, le
dimensioni ecc. di S. Marco. Il lettore troverà questi particolari « ampia-
mente svolti nella parte seconda del testo della grand'opera edita dall'Ongania
intorno alla basilica stessa, ove io scrivo la storia architettonica dell'edificio,
C per ciò mi restringo qui alle conclusioni di quello studio » (pag. 242).
Del resto Venezia sa offrire del secolo IX quello che nessun'altra cittì
d' Italia potè mostrarci, cioè alcuni avanzi di abitazioni. E le nomina.
— 501 _
Fuori di Venezia e di Grado, non si trovano nelle lagune altri lavori
greci del secolo IX che nel Museo di Torcello.
Fuori delle lagune venete, in tre sole cittA egli ha trovato traccie dello
stile bizantino del detto secolo, a Padova, a Bologna e ad Ancona.
« L'arte italo-bizantina del secolo IX e della prima metà del X non è
rappresentata in Venezia da alcuna costruzione superstite, poiché 1' unica
che gli resta da accennare, offrendo nei particolari piuttosto il fare bizantino
che l' italiano, non può testimoniare l' intervento dell' arte indigena. Tale
è la cripta di S. Zaccaria » (pag. 258).
« Le sole opere d" architettura italo-bizantina che i secoli ci abbiano
risparmiato sono a Torcello » (pag. 263). E insieme con questo duomo
dev' essere stata edificata o rifabbricata la chiesa attigua di S. Fosca.
«L'isola più ricca di sculture italo-bizantine è Murano» (pag. 265).
Il suo celebre duomo dovette certo subire nel secolo IX una riedificazione,
od un radicale restauro.
Il capitolo V tratta, infine, de L'Architettura nelle lagune e nel Veneto
— Dall' anno yj6 alla metà del secolo XI (pag. 268-294).
« La basilica di S. Marco, quale fu inalzata dai Partecipazì, durò fino
al 976, nel quale anno, essendosi il popolo sollevato contro il doge Pietro
Candiano IV e avendo appiccato il fuoco al palazzo ducale, le fiamme di
qui si comunicarono pure alla chiesa e la guastarono considerevolmente.
Rimastovi ucciso 1' odiato principe, il berretto ducale fu posto sul capo a
Pietro Orseolo I, del quale fu prima cura di restaurare con le sue proprie
sostanze insieme col palazzo anche la basilica di S. Marco ». Né la rifece
per intiero, ma solo risarcì 1' edificio dai danni patiti. Ed esamina quanto
è rimasto di codesto risarcimento. « La basilica di S. Marco ebbe la buona
ventura di esser preda delle fiamme nel tempo in cui l'arte bizantina, giunta
all'apogeo di questo primo risorgimento, potè restaurarla con magnificenza
e impreziosirla con le sue belle produzioni » (pag. 270).
Poi esamina alcuni cimeli dell'epoca rimasti dalla chiesa, ora dirutta,
di S. Maria in Gerusalemme, o delle Vergini.
« Intorno all'anno mille dovett'essere riedificata la chiesa di S. Eufemia
alla Giudecca, e di questo tempo sono le colonne e capitelli dell'odierna,
frammisti ad altri di più vecchia data ».
Di maggiore importanza è in Venezia la troppo dimenticata chiesa di
S. Giovanni decollato costruita nel 1007.
« Venezia conserva un numero abbastanza considerevole di sculture
neo-bizantine della fine del X secolo, o del principio del seguente, che hanno
— 502 —
ornato case e palazzi di quel tempo, e poi furono rimesse in opera su nuove
costruzioni » (pag. 278). E l'autore conduce il lettore intorno per Venezia
a mostrargliele.
E ritorna a Torcello, nella cui basilica, riabbellita nel 1008, trova molte
pregevolissime sculture dell'epoca. Ed altre sculture trova ancora nel duomo
di Murano, e in quello di Caorle « la costruzione più ragguardevole della
prima meta del secolo XI che resti » (pag. 289) — nel chiostro del con-
vento di S. Antonio di Padova, e nella chiesa di S. Sofia in Padova.
« Ma dove non arrivò il benefico raggio dell' arte neo-bizantina, ivi
l' arte indigena anche verso la metà del secolo XI si mantenne rozza e
direbbesi barbara, come quella del IX secolo. Ciò è chiaramente dimostrato
dalla cattedrale di Aquileja inalzata dal patriarca Popone fra il 1019 e
il 1025 » (pag. 292).
Ed accenna che la vasta basilica forse fu ricostrutta sulle basi di una
del IV secolo. L' origine romana del duomo aquilejese è confermata, fra
altro, anche dal battisterio che gli sorge dinanzi. « Esso è discosto tanto
dalla fronte della basilica, da poter concedere lo spazio ad un quadriportico
anche più vasto di quello di Parenzo » ; e non dubita che in origine vi
fosse.
E chiude il bel libro :
« Se da Aquileja movessimo ora per l' Istria ci accorgeremmo
esser stata questa il prototipo di parecchie chiese erette lungo le coste di
quella penisola, chiese che appartengono all' XI secolo avanzato, e per ciò
si avvantaggiano spesso per arte sul loro modello aquilejese. Ma ciò mi
farebbe dilungare dal programma che mi sono imposto, al quale spero aver
soddisfatto a sufficienza, anche fermando qui le mie ricerche. Il risultato
di queste, niuno può negarlo, ha rovesciato la vecchia storia dei monumenti
dei secoli che abbiamo scorso ; ma le loro ultime conseguenze si ranno-
deranno forse esattamente e si accorderanno pacifiche con la storia che
comunemente corre dell'arte in Italia dopo il mille ? Io ne dubito assai, ed
ho anzi motivo di credere per fermo, che uno studio di monumenti po-
steriori a quella data, ampio, profondo, minuzioso, scevro da preconcetti e
da partigianerie condurrebbe a risultati così inattesi e nuovi da far mutare
faccia anche alla storia della nostra arte romanica. Un simile tema ha su
me cosi seducenti attrattive, che assai difficilmente, se avrò vita e mezzi,
potrò sfuggire alla tentazione di farlo soggetto de' miei futuri studi e di
rvuovo libro ».
Ma fatalmente il nuovo libro non potrà altrimenti esser fatto, per la
morte ahi ! troppo prematura del suo autore, 5VC. T,
ATTI DELLA SOCIETÀ
IL IV CONGRESSO ANNUALE
DELLA
SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA E STORIA PATRIA
|l giorno 7 settembre 1889 ebbe luogo a Parenzo, nella sala della
3 Dieta provinciale, il quarto Congresso sociale, presieduto dal Vice-
presidente on. aw. Andrea don. Amoroso, delegato dal Presidente on. Carlo
De Franceschi, impedito per malattia.
Stavano all' ordine del giorno i seguenti punti :
/. Resoconto morale della Società per gli anni 1887 e 1888 ;
2. Esposizione dei conti consuntivi degli anni 18S7 e 1S88, e di quelli di
previsione per gli anni 1889 e 1890;
j. Elezione della Direzione per la durata del VI anno sociale;
4. Eventuali proposte di singoli soci.
Aperto il Congresso poco dopo le ore 1 1 ant., 1' on. dott. Amoroso
scusò dapprima l'assenza del Presidente, poi commemorò un lungo stuolo
di carissimi colleghi, fra' quali alcuni particolarmente benemeriti della nostra
Associazione. Cominciò dal tanto compianto comm. Francesco dott. Vidulich,
siccome quello che, comprendendo l'altissimo concetto civile che è riposto
nell'Associazione storica, pose in essa, fino dalla sua origine, ogni migliore
— 5°6 —
affezione, e le fu annualmente munifico di generosi doni. Perciò la Direzione
si associò al lutto generale al momento della sua morte, deponendo in nome
della Società su quella tomba venerata fiori e corone.
E con lui lamentò pure la morte avvenuta dei soci P. Cerovaz da
Pinguente, C. d' Ambrosi da Buje, A. march. Gravisi da Capodistria, P.
dott. Millevoi da Albona, L. de Venier da Parenzo, D. Verginella da Cit-
tanova, F. Danelon da Parenzo, avv. A. dott. Barsan ed E. Schram da Pola,
G. N. Mahorsich da Trieste e F. Zudenigo da Parenzo, in tutto 12 soci:
un vero cimitero di croci alzatesi fra le nostre file non molto numerose.
Premesso questo, il dott. Amoroso invita gì' intervenuti ad alzarsi dai
loro seggi, dando così espressione della partecipazione di tutti a tanti lutti,
il che è anche seguito.
Ma oltre ai morti — continua l'oratore — abbiamo avuto in questo scorcio
di tempo 7 rinuncie di soci, mentre altri 8 soci si dovettero considerare
come usciti di fatto dalla Società pel mancato pagamento di più annate del
canone sociale. Così la Società, da più che 200 soci che contava, è scesa
rapidamente a 183 soltanto, nonostante l'aggregazione successiva di alquanti
nuovi soci ; numero questo ben esiguo di confronto alla mitezza dell'annuo
canone, largamente ricompensato ai soci dal valore materiale delle periodiche
pubblicazioni, ed a quella più impressata partecipazione alla Società che noi
fidavamo di trovare nella parte colta degli istriani, i quali non possono
ignorare, che il più valido campo di difesa e preservazione della nostra lingua
e civiltà da ogni nemico attacco, ci viene appunto somministrato da quella
millenaria storia nostra, che non si cancella, e dinanzi alla quale è pure
forza che s' inchinino, abbenchè riluttanti, anche coloro che vorrebbero
disconoscere i suoi limpidissimi dettati.
Però — soggiunse — noi abbiamo argomento di confortarci nel fatto,
che le pubblicazioni sociali e il Museo provinciale vadano fermando sempre
più su di noi l'attenzione d'insigni Società scientifiche indigene e straniere,
nonché di dotti, accrescendo in tal modo i nostri rapporti con questi e con
quelle, non senza vantaggio e decoro della provincia nostra. Finanziariamente
si può tirare innanzi, ma più che il danaro noi invochiamo 1' appoggio
morale e la cooperazione dei nostri comprovinciali, sui quali principalmente
fondiamo la forza della nostra Società.
A questo punto il Presidente concede la parola al sig. dott. M. Tamaro,
Segretario, per 1' esposizione del resoconto morale della Società nell' anno
peste decorso. Ciò stante il Segretario dà lettura della seguente
— 507 —
RELAZIONE.
Onorevolissimi Signori.
È già trascorso da oltre un mese il primo lustro dal giorno in cui noi
ci raccoglievamo in questo stesso luogo, pieni di fede e di patria carità, a
mettere le prime basi della nostra storica Associazione. Non fu quello il
prodotto di momentanei esaltati propositi, fu l'affermazione esplicita e solenne
d' un bisogno lungamente sentito e seriamente maturato dai più chiari e
benemeriti comprovinciali. Avvegnaché si reputasse, nell'infelicità dei tempi
che corrono, essere codesta la più nobile, la più eloquente delle affermazioni
che un popolo aspirante a civiltà, a coltura, a rispetto possa dare. Questa
eziandio la pietra di paragone di quanto amore veramente efficace sieno
avvinti tutti gl'istriani alle loro antiche tradizioni, alla loro lingua, alla loro
storia, al culto delle loro sacre memorie.
Però, voi ben sapete, o Signori, quanto sieno difficili i principi, e quanto
tempo debba trascorrere perchè una Società di natura puramente scientifica
possa disviluppare i benefici della sua attività, della sua influenza. Nel giorno
24 luglio del 1884 — che fu giorno inaugurale della «Società istriana di
archeologia e storia patria » — noi tutti eravamo bensì compresi dell'alta
missione a cui ci sentivamo chiamati di fronte a noi stessi ed agli estranei; ma
difficile se non dubbio tuttavia ci si parava ai nostri piedi il sentiero, incerto
l'avvenire. Si navigava, per noi, in un mare ancora ignoto; mal sicuri erano
i mezzi per raggiungere la meta che ci eravamo prefissa. Or gode l'animo
di poter dire, che i primi più scabrosi scogli furono felicemente superati,
e che il mare che sta ora aperto dinanzi a noi può essere con meno esitanze
navigato. Giunti pertanto alla fine del primo quinquennio, non sarà forse
senza frutto, volti indietro, di « rimirar lo passo », sia a conforto di quelli
che si resero iniziatori del nostro sodalizio, sia a sprone agli altri di seguirne
le traccie già ben delineate.
Due scopi principali e pratici ebbe la nostra Società : 1° rendersi editrice
d' una pubblicazione periodica, nella quale si dovesse ammassare, come in
un magazzino o in un archivio, degli utili materiali allo sviluppo ed al
completamento della nostra storia, presa in lato senso — 20 conservare
in un Museo provinciale tutto quanto di prezioso in senso etnografico
ed archeologico fosse dato di raccogliere entro i confini della nostra pe-
nisola.
— jo8 —
Ed or vediamo quanto e in che modo noi abbiamo raggiunto codesti
scopi.
Per quanto concerne alle pubblicazioni sociali — considerati ben' inteso
i mezzi di cui si poteva disporre — io credo di non esagerare dicendo :
essersi persino superate le aspettative dei più esigenti. Le Direzioni che si
sono seguite, quantunque non avessero presa formale impegnativa sulla
quantità e qualità del materiale da pubblicarsi, hanno mantenuto tuttavia il
costume di darvi ad ogni semestre un volume che superò sempre le 200
pagine di stampa, buona metà del quale fu sempre riempiuto di documenti
o di regesti affatto inediti, mentre l'altra metà era conceduta a lavori ori-
ginali di nostri consoci e collaboratori. Calcolato, dunque, il Fascicolo unico
edito all'inaugurazione della nostra Società, noi abbiamo dato 19 fascicoli
di pagine complessive 223 1 — il che importa appunto oltre 200 pagine per
semestre, nei dieci semestri superati dall' esistenza sociale.
Ma le pubblicazioni non si valutano dal numero delle pagine, sibbene
dall'entità loro, che è quanto dire dalla bontà del materiale in esse capito.
Ora io credo, per quanto almeno riguarda i documenti e i regesti, che
la parte già pubblicata corrisponda a quella bontà che è ricercata e desiderata
dagli studiosi di cose patrie - ch'essa sia, cioè, di grande valore storico.
Voi sapete, a cagion d'esempio, quanta importanza ora si annetta dai dotti
alle Relazioni degli ambasciatori o provveditori veneti. Quella forte aristo-
crazia di mercanti ch'era la Repubblica veneta aveva stabilito fin dall'anno
1268, che ciascun ambasciatore, compiuto il suo ufficio, dovesse fare al
Senato una Relazione delle cose operate ed osservate durante la legazione:
ed un' altra legge 1' obbligava a scrivere la Relazione e a depositarla negli
archivi della Repubblica, dove rimaneva segreta e non poteva essere letta
neppure dai Senatori. Ed altrettanto avveniva per i provveditori veneti che
erano spediti, a guisa dei prefetti, dei commissari governativi o dei luogo-
tenenti d' oggi, nelle varie provincie dello Stato. Ed ecco perchè codeste
Relazioni acquistarono grande fama, e negli ultimi tempi se ne sono pub-
blicati dei grossi volumi. Noi pure abbiamo pubblicato sei Relazioni di
provveditori veneti suli' isola di Veglia — cinque del secolo XVI ed una
del secolo XVII — undici di provveditori che ressero la provincia al tempo
della guerra di Gradisca e dopo (1616-1634); ed altre dieci dei capitani di
Raspo, dal 1635 al 1784. In tutto, dunque, ventisette Relazioni, le quali,
unite a quelle che furono già stampate nei due volumi : Notizie storiche di
Pola e Notizie storiche di Montona, ci danno un materiale copioso quanto
interessante e veritiero per conoscere almeno una parte della storia della
— 5°9 —
nostra provincia. Vero è che le Relazioni dei nostri provveditori non si
possono paragonare a quelle degli ambasciatori più sopra ricordati, imperocché
quest'ultime riflettessero nazioni e stati che hanno avuto una storia propria;
mentre la nostra non è che storia di riflesso ; tuttavia anche le nostre sono
molto pregevoli, non solo per la parte che ci riguarda, ma come documento
del governo veneto nelle parti a lui aggregate. Credo, infine, che codesto
sia un pregevole contributo non solo per la nostra storia, ma anche per la
veneta e, in qualche parte, per 1' universale.
Ed altrettanto importanti sono le Commissioni dei Dogi ai Podestà veneti
dell' Istria da noi pubblicate, con una dotta prefazione dell' on. consocio
prof. Benussi. Come sapete, queste Commissioni appartengono in massima
parte al secolo XIV, e per varie terminazioni risalgono ben addentro nel
secolo XIII — epoca ingarbugliatissima e per la nostra storia molto incerta,
in quanto coincida col tempo in cui i nostri Comuni, approfittando della
debolezza del dominio patriarchino. tentassero da una parte di rendersi o
mantenersi indipendenti, mentre, stretti da fortuite angustie, cercassero dal-
l'altra la protezione della veneta Repubblica, pronta sempre ad accordarla,
fino al punto di convertirla in stabile dominio. Le Commissioni, pertanto,
come scrisse il cav. Luciani, ci svelano tutto un sistema di governo, il
sistema veneto applicato all' Istria, sistema del quale non sarebbe esagerato
il dire — come argutamente osservò il Benussi — che perdurano le con-
seguenze, perchè incarnatosi nelle abitudini e nelle opinioni del popolo
nostro. « Ci fanno conoscere, in una parola, le norme direttive eh' esso
governo seguiva nell' amministrazione della provincia e delle citta, e gli
scopi cui intendeva sì in linea politica che economica » ').
Né meno interessanti per la storia del diritto sono i due Statuti da noi
pubblicati, quello di Veglia e l'altro d' Isola — Il primo preceduto da una
esauriente prefazione dell'on. consocio Vassilich ; il secondo da una lunga
e ben elaborata monografia dell'on. consocio prof. Morteani. Non parlo di
questa ne di quella per non offendere la modestia degli egregi autori, sic-
come quelli anche che mi furono colleghi nella Direzione. Dirò bensì che
in questo — nella pubblicazione degli Statuti — la Direzione si è fatta un
dovere di seguire le orme del tanto benemerito dott. Kandler, che fu il primo
a ricuperare non solo parecchi di codesti codici, che altrimenti, forse, sa-
') Benussi. Prefazione.
- fio -
rebbero andati smarriti, ma anche si diede a stampare o a ristampare i più
importanti, assicurandone in tal modo la loro perpetuità. Cosi possediamo
ora ristampati, oltre ai su detti, gli Statuti di Capodistria, di Firano, di
Buje, di Cittanova, di Parenzo, di Rovigno e di Pola. Si conservano poi
manoscritti quelli di Umago, di Due Castelli, di S. Lorenzo del Pasenatico,
di Pinguente, di Valle, di Ossero, di Muggia e di Montona. Non dico che
tutti sieno meritevoli di ristampa ; di alcuni basterà forse riassumere
il contenuto, come ha fatto lodevolmente 1' on. consocio Vesnaver, nella
diligente sua monografia su Grisignana da noi pubblicata, per lo Statuto
spettante a quel castello, già residenza del Pasenatico citra aquam. Come
si vede, anche in questo proposito, abbiamo già raccolto un ricco ed im-
portante materiale ; ed ora « sarebbe desiderabile — ripeterò quello che
disse il prof. Morteani ') — che qualche dotto si mettesse a fere uno studio
comparativo degli Statuti istriani, ne rilevasse le antiche consuetudini, in-
vestigasse le traccie rimaste dell' influenza straniera e ne studiasse la parte
derivata dal diritto romano, perchè soltanto dopo un simile esame critico
si potrà avere un criterio completo della legislazione statutaria dell'Istria».
Vi ho già parlato altra volta della preziosità delle Pergamene rintracciate
nell' Archivio arcivescovile di Ravenna, siccome quelle che ci tratteggiano
i sistemi processuali e di giudicatura, e le relazioni allora (secolo XI e XII)
esistenti fra la Polesana e l'Arcivescovato della detta città. Di quel tempo,
generalmente oscuro, si hanno scarse ed incerte notizie ; fu dunque provvi-
denziale di rovistare negli archivi ravennati, i quali, se non diedero copiosa
messe di documenti, la bontà dei pochi ritrovati ci venne a compensare
della scarsità loro. Alle 16 Pergamene da noi già pubblicate, dei secoli XII
e XIII, faranno sèguito delle altre ritrovate nell'Archivio classense, per la
decifrazione delle quali abbiamo ancora impegnato il noto paleografo mons.
can. de Rosa.
Dobbiamo alla munificenza della Dieta provinciale ed all'instancabilità
del nostro comprovinciale on. cav. Luciani se abbiamo potuto già pubblicare
più centinaia di pagine di quei regesti che s' intitolano dai Senato Misti e
Senato Segreti. Dalle compendiose quanto precise notizie che il sullodato
cav. Luciani ha premesso ai Senato Misti *) rileviamo, che sotto codesto
titolo « si comprende la più antica serie conosciuta delle Parti (deliberazioni,
') Prefazione allo Slattilo a" Isola.
*) Vedi voi. Ili, fase. 3 e 4, pag. 209.
— su —
decreti) del Senato (Rogatorum, Pregadi) trascritte in volumi denominati
Registri. La serie incominciava nel 1293, ma dei Registri anteriori al 1332
non esiste che un solo brano, né si ha per supplirvi che la Rubrica (Indice)
la quale va fino al 1336. — Dal 1332 la serie dei Registri è continuata
fino al 1440 ».
« Le principali serie particolari uscite dai Misti (ai quali dopo la isti-
tuzione dei Secreti, non era rimasta che la parte strettamente amministrativa)
sono i Senato-terra e Senato-mar. Incominciate nel 1440 continuarono senza
interruzione fino alla caduta della Repubblica (1797) ».
Ora di codesti Senato noi non abbiamo pubblicato che una piccola
parte; e precisamente i Misti vanno dal marzo del 1332 all'ottobre del 1385 ;
i Secreti dal novembre 1403 al marzo 1502. Quanto materiale resti ancora
da estrarre dall' Archivio di Venezia, e quindi da pubblicarsi, lascio a voi
il pensare. Certo è ad ogni modo che siffatta pubblicazione andrà acqui-
stando sempre più grandissimo interesse, avvegnaché essa costituisca una
vera miniera dalla quale i nostri studiosi potranno trarre copia di peregrine
notizie, non solo politiche ed amministrative, ma sociali, personali e locali,
nonché conoscere molteplici relazioni di consuetudini e rapporti di diritto.
E importantissimi documenti sono del pari quelli da noi pubblicati sotto
il titolo di Processi di luteranismo in Istria ; e quelli di mons. can. Caenazzo
nei due lavori : / Morìacchi nel territorio di Rovigno — Origine e progresso
di alcuni istituti di beneficenza a Rovigno ; e gli altri del prof. Benussi in
appendice al suo lavoro Abitanti, animali e pascoli in Rovigno e suo territorio
nel secolo XVI — per non dire di parecchi altri documenti inediti occasio-
nalmente intarsiati quasi in ogni libero lavoro da noi pubblicato; e di quelli
dati alla luce a guisa di note volanti, come per esempio furono i Documenti
dell'Archivio di Ragusa riguardanti l'Istria, regalatici dall'on. prof. Gelcich,
e così via.
La Direzione ha poi pensato, come tributo di ammirazione e di rico-
noscenza verso il nostro grande archeologo, dott. Pietro Kandler, di pub-
blicare subito nei primi fascicoli l'ancora inedita di lui Introduzione al Codice
delle Epigrafi romane scoperte in Istria — memori che il genio del Kandler
significa per noi romanità perfetta, che é quanto dire, in senso culturale e
geografico, perfetta italianità. Né questo é un criterio avventato o di cir-
costanza ; così ci hanno sempre giudicati e geografi e storici e politici e
prosatori e poeti dai tempi antichissimi fino ai nostri giorni. Nella nostra
provincia nessun'altra civiltà, mai, fuorché la latina prima, l' italiana di poi,
si é affermata in qualche modo. Verità questa che é divenuta coscienza
pubblica, perché confermata da tutti gli scrittori e cresimata dai secoli. Al
11
— 512 —
principio del secolo XVII D. Fortunato Olmo che dettava la Descrittione
dell' Histria — operetta da noi pubblicata — giudicava storicamente la
nostra provincia come la giudicò Plinio, come la fece conoscere Kandler.
Mons. Gasparo Negri — del quale abbiamo potuto pubblicare 12 capitoli,
i soli rinvenuti, delle sue Memorie sloriche della città e diocesi di Parendo —
avrebbe pur esso convalidata col largo e sereno suo ingegno codesta verità,
in un libro organicamente elaborato, se la morte non lo avesse cólto proprio
allora che stava correggendo il suo lavoro.
Ben disse il massimo dei nostri poeti, Dante Alighieri '), che gì' istriani
s' esprimevano con « aspri accenti » ; i saggi linguistici che abbiamo dati
noi di quel tempo circa, vengono a testimoniare la sentenza del primo
filologo italiano. Intendo ricordare lo Statuto della Confraternita della B. V.
di Campagnana di Rovigno, scritto in volgare del 1323, e pubblicato da
mons. Caenazzo nel voi. II fase. 30 e 40 dei nostri Atti e Memorie. E di
egual valore filologico sono pure i 6 Testamenti dei secoli XIV e XV da
noi pubblicati nel voi. Ili fase. 30 e 40, e appartenenti alla raccolta dei
testamenti della Vicedominaria di Pirano. Ma questi, ripeto, non sono che
saggi, tanto da richiamare l'attenzione degli eruditi anche su codesto campo
della filologia, per quanto almeno concerne la lingua parlata dai nostri an-
tichi avi ; la quale, se era aspra, non cessava per questo di essere sempre
italiana, discendente cioè, come ogni altro dialetto italico, dalla madrelingua,
la latina.
Dal campo storico, documentale e filologico passo all' archeologico.
La Direzione fu sempre vigile nel rintracciare e conservare le antiche
iscrizioni, sieno state romane o cristiane. Dal 1884 al 1888 se ne sono
potute ricuperare 50, d'una e d'altra sorte, che voi vedeste riprodotte in
vari fascicoli, illustrate dai chiariss. signori avv. Gregorutti e cav. Luciani.
Al primo noi dobbiamo ancora le dotte illustrazioni della Tessera ospitale
di Parendo, e dell' Instrumentum domeslicum, che è quanto dire dei cocci
bollati da noi raccattati nei vari siti della nostra provincia. Dobbiamo poscia
all' on. prof. Alberto Puschi l' illustrazione D' un conlorniato inedito trovato
in Istria; come dobbiamo all'on. cav. D. Pulgher la Relazione ed illustrazione
di alcuni cimeli ritrovati negli scavi del duomo di Pola. Il qual' ultimo lavoro
') Nel De Vulgarì Eloquio.
— 5i3 —
mi richiama alla memoria l'altro del pari diligente e dotto di mons. Cleva,
il quale ci diede, con qualche iscrizione inedita, le Notizie storiche del duomo
di Pola.
E per salire più addentro ancora ricorderò i lavori preistorici del nostro
Vicepresidente, on. dott. Amoroso, siccome quelli che richiamarono sopra
di sé e sopra le scoperte da noi fatte nei vetusti castellieri l'attenzione dei
più chiari cultori delle paletnologiche discipline. Intendo dire dei due lavori:
/ castellieri istriani e la necropoli di Verino e Le necropoli preistoriche dei Pi%-
l'ighi, maestrevolmente illustrati dall' artistica matita del nostro Giulio De
Franceschi.
Finalmente dovrei passare in rassegna i lavori di tutti coloro che col-
laborarono con sommo disinteresse e con altrettanto patrio amore alla nostra
impresa. Ma la mia non è una rivista critica, sibbene una fugace ricapito-
lazione di quanto fu operato da noi, nei riguardi delle pubblicazioni, da
un quinquennio a questa parte. Però, oltre a quelli de' quali le circostanze
mi portarono di parlarvi, mi corre obbligo di designare alla gratitudine
vostra ed a quella del paese, gli on. signori Vassilich; marchese Anteo Gravisi,
pur troppo, defunto; E. Frauer; prof. G. Vattova ; dott. B. Schiavuzzi,
del quale ultimo posso annunziarvi la prossima pubblicazione di altro
diligentissimo e copioso lavoro.
Ma non fu soltanto nelle pubblicazioni, come dissi in prefazione, che
si è estrinsecata l'attiviti della Direzione : quest'ultima doveva ancora prov-
vedere alla creazione d' un Museo provinciale. Vi ricordate, o signori,
quando per la prima volta avete assistito al Congresso inaugurale della
nostra Società, come nella sala dietale, li, su quella parete in fondo, ci fossero
due piccoli scaffali, ad uso libreria, ne' quali avevamo raccolti religiosamente
alcuni cimeli preistorici. C' erano poche urne cinerarie, alquanti bronzi ed
altri oggetti neolitici e romani, per lo più regalati. Ebbene, ora noi possiamo
dire di avere, quantunque ancor modesto, un vero museo preistorico, in
cui sono raccolti meglio di 300 fittili, qualche migliaio di oggetti in bronzo,
tra grandi e piccoli, e moltissimi altri avanzi di storico interesse. Non
sono io che lo dico. Testé siamo stati onorati dalla visita di quell' illu-
strazione archeologica che è il dott. Tisehler di Kònigsberga, venuto a
bella posta a Parenzo per vedere il nostro Museo. Del quale, per quanto
s'espresse, restò ammirato, non tanto per la quantiti quanto per la qualità
degli oggetti in esso conservati. Certamente, gli stati e le grandi città pos-
sono, in breve, far molto, perchè di molto possono anche disporre. Ma
noi abbiamo limitati i mezzi; il canone sociale basta appena, e non sempre,
- 5M —
a pagare le pubblicazioni, diminuendo sempre più il numero dei soci.
Furono le contribuzioni della Dieta provinciale, di qualche generoso mece-
nate, e di qualche Municipio, che ci hanno permesso di mettere assieme
quel tanto che vedete.
Ed a proposito del Museo, devo dirvi ancora, che la Direzione ha
trovato nello zelantissimo e intelligentissimo parroco-decano mons. Deperis
un efficace coadiutore nell' impianto d'un Museo di antichità cristiane. Fu
disposto in modo, cioè, che i cimeli cristiani vengano conservati, tutti uniti,
nel battistero della basilica Eufrasiana, mentre le lapidi romane saranno
conservate separate in altro sito, ancora da destinarsi. E sempre a merito
principale dello stesso monsignore, vi sarà dato di ammirare anche in questa
occasione gli stupendi scavi di antichità cristiane da lui iniziati e diretti,
entro e fuori della detta basilica, le quali formeranno oggetto, a suo tempo,
di speciale relazione, illustrata dal corredo di numerose tavole.
E qui pongo fine al mio troppo lungo e disadorno dire. Prima però
di licenziarmi da voi, benevoli uditori, non posso a meno di gettare un
rapidissimo sguardo al passato. Prima del 1860 la provincia nostra, come
tale, non aveva in suo particolare una carta, un libro, un cimelio, nulla ;
fu sapiente previdenza di pochi di raccogliere a poco a poco, e senza addarsi,
un molto interessante, se non ricco patrimonio di documenti antichi, di
pergamene ecc. riguardanti la nostra cara patria ; rendendoli poi accessibili
all'esame di quelli che n'erano interessati e vogliosi di rovistarli. Onde si
può esclamare col poeta Recanatese ') che
In un balen feconde
Venner le carte ; alla stagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi
Certo senza de' numi alto consiglio
Non è eh' ove più lento
E grave è il nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
Novo grido de' padri
') Canzone ad Angelo Mai.
— 5i) —
Ed alle carte fece sèguito un Museo ed una Biblioteca provinciale, ed
una Società storica, che accomuna le menti e le dirige a più eccelsi fastigi.
L' Istria nostra deve dunque affermarsi, sempre più, non soltanto pel valore
dei singoli, ma per le volontà collettive dei più nei campi elettissimi delle
più pure idealità. Non è dunque tempo di soffermarsi, ma di procedere
sempre più vigorosi e compatti al fine supremo che tutti ci siamo proposti.
È necessario di spingere lo sguardo sempre più in alto, di ridestare e dif-
fondere il sentimento al bello, al buono, al vero; di rinvigorire insomma
la pubblica coscienza, la quale, rispecchiandosi nel passato, possa trovar lena
di resistere al presente, e di aspirare serenamente e fermamente al futuro.
Osservate con diligenza — concludo col grande Guicciardini — le cose dei
tempi passati perchè fanno lume alle future. Codesta sarà opera altamente
civile e sociale insieme, alla quale, chiunque abbia intelletto d'amore e sen-
timento di patria carità deve tenerci, e quindi soccorrerla ed alimentarla
con tutte le forze.
Alla nostra Società, dunque, che felicemente ha trascorso il primo
lustro, non potrei che augurare, come già Fra' Paolo Sarpi a Venezia :
Esto perpetua !
Finita la lettura, il Presidente apre la discussione tanto sul presente
che sul resoconto morale dell' anno scorso — in quanto, se fu stampato,
non è stato messo in discussione pel fallito Congresso sociale. — Nessuno
prende la parola in merito. Solamente l'on. dott. Campitelli crede di ren-
dersi interprete di tutti gl'intervenuti e degli assenti, lodando l'attività della
Direzione, alla quale porge vivissime azioni di grazie.
L'on. Direttore-Cassiere sig. conte Guido dott. Becich fa poi la seguente
esposizione del conto consuntivo dell'anno 1888, e di quello di previsione
per 1' anno 1890.
Onorevoli Signori !
Facendo sèguito alla Relazione sui conti 1887 e 1889, pubblicata nel-
l'ultimo fascicolo 1888 degli Atti e memorie della nostra Società, ho l'onore
di presentare al Congresso generale il conto consuntivo per l'anno 1888,
e quello di previsione dell'anno 1890, corredato il primo degli allegati
occorrenti a giustificare le principali partite d'introito e d'esito, il secondo
della specifica riassuntiva dei Soci secondo lo stato del 5 settembre corr.
Eccone brevemente i risultati :
- si6
I. — Conto consuntivo i
Introito :
i. Civan^p di cassa colla chiusa del i88j.
2. Contributi dai soci :
a) canoni arretrati
b) » correnti
e) » anticipati prò 1889 . .
d) contributi dai Comuni. . . .
fior. 651.32
fior.
24.—
»
680.—
»
4-—
»
I/7-—
con una diminuzione di fior. 32 sull'importo preven-
tivato di fior. 917, dipendente da pagamenti ritardati.
Dalla vendila di pubblicazioni sociali si sono ottenuti nel-
1' anno
cioè f. 6.85 in meno della cifra preliminata di f. 40.
Dotazioni e doni
e precisamente fior. 500 di sovvenzione accordata come
di metodo dall'eccelsa Dieta, e fior. 100, dono del com-
pianto comm. Francesco dott. Vidulich.
Somma dell' introito . . .
» 885. —
» 33-iS
» 600. —
fior. 2169.47
con un aumento dunque di fior. 712.47 sull'importo preliminato di fior. 1457.
Esito ;
1. Spese di stampa, disegni, tavole ecc
col risparmio di fior. 284.35 sulla cifra di fior. 1000
portata dal preventivo, pel fatto che la spesa di stampa
dell'ultimo fascicolo 1888 degli Atti e memorie è venuta
a pagamento appena nell'anno 1889.
2. Acquisti di libri, monete, oggetti antichi in genere . . .
col sorpasso di fior. 354.50 sulla cifra preliminata, de-
rivato dal pagamento effettuato della seconda ed ultima
rata sul prezzo d'acquisto della collezione di monete
antiche ceduta dall' egregio cav. Tomaso Luciani.
3. Spese di scavi, escursioni ecc »
4. Spese postali e varie »
fior. 715.65
» 554-50
Somma, quindi, dell' esito
di confronto all'importo preventivato di fior, 1500.
125.30
63.06
fior. 1458.51
~ 5 17 —
Diffalcato detto importo da quello totale dell' introito, di fior. 2169.47,
resta il civanzo colla chiusa del 1888, di fior. 710.96, da portarsi nel conto
dell'anno 1889.
II. — Conto di previsione per l'anno 1890.
Esigenza :
Si mantengono inalterati anche per quest'anno gli importi calcolati nel
precedente conto preventivo, e cioè :
1. Spesj di stampa, disegni, tavole ecc fior. 1000. —
2. Acquisti di libri, monete ecc » 200. —
3. Scavi ed escursioni » 200. —
4. Spese postali e varie » 100. —
Assieme . . . fior. 1500. —
Coprimento :
1. Civanzo di cassa alla chiusa del 1889 fior. — . —
In difetto di dati positivi nulla si prelimina a questa
posta; tuttavia, e malgrado le maggiori spese occorse
ed occorribili nell'anno in corso per stampa, scavi ecc.,
si ha motivo da ritenere che anche la gestione 1889
offrirà dei civanzi più che sufficienti a coprire l'esigenza
totale dell' anno venturo.
2. Contributi dai soci e dai Municipi » 861. —
cioè per canoni annuali a fior. 4 da 170 soci, come ri-
sultano dalla qui unita specifica . . . fior. 680. —
contributi assicurati da 13 Municipi della
provincia » 181. —
Assieme . . . fior. 861. —
3. Ricavato dalla vendita di pubblicazioni sociali, come per
l'anno 1889 » 30. —
4. Dotazioni e doni:
a) dal fondo provinciale » 500. —
b) doni » — . —
Somma dell'introito . . . fior. 1 39 1 . —
che, posta a confronto dell'esigenza di fior. 1500, lascia l'ammanco di
fior. 109. — , che sarà coperto dal civanzo di cassa risultabile alla fine del-
l' anno corrente.
- jx8-
In base alle premesse risultanze ho l'onore di proporre che piaccia al
Congresso :
i° Approvare il resoconto per l'anno 1888, coli' introito di fior. 2169.47,
coli' esito di fior. 1458.51, e col civanzo di cassa di fior. 710.96 da
passarsi nel conto dell' anno seguente ;
2° Approvare il conto di previsione per l'anno 1890 coll'esito di fior. 1500,
coli' introito di fior. 1 391, e col disavanzo di fior. 109, da coprirsi
col civanzo di cassa che risulterà alla fine dell'anno 1889.
Il Presidente apre la discussione sui due conti.
Anche qui 1' on. dott. Campitelli si alza per dire, che le cifre nulla
lasciano a desiderare. Deplora soltanto l'apatia d'una gran parte dei com-
provinciali per la nostra Società, e crede e spera si possa trovar modo per
iscuotere tale indifferenza, tanto più che la Società stessa ha dato già così
belli risultati. Non crede di fare proposte concrete ; ma se esprime un grande
dispiacere per la scarsa partecipazione degli istriani alla Società storica, nutre
al tempo stesso una grande speranza, che è quella, che nel prossimo anno
l'Associazione stessa possa presentarsi rinforzata di nuovi soci in quantità
tale, da essere veramente di lustro e di decoro alla patria nostra.
Posti a voti i conti, sono approvati all' unanimità.
Il Presidente sospende indi per pochi istanti la seduta affine d'intendersi
sull' elezione delle cariche sociali. — Ripresa la seduta e fatto lo spoglio
delle schede, risultano eletti :
Avv. Andrea dott. Amoroso — Presidente
Prof. Bernardo dott. Benussi — Vice-Presidente
Dott. Marco Tamaro — Segretario
Conte Guido dott. Becich — Cassiere
Dott. Giovanni Cleva — Direttore
Gio. Batt. de Franceschi id.
Prof. Alberto Puschi id.
Dott. Bernardo Schiavuzzi id.
Prof Giuseppe Vatova id.
Chiesto dal Presidente se qualcuno avesse proposte da fare, Fon. Cam-
pitelli propone semplicemente d' inviare all'autore de L'Istria - Note storiche,
all' illustre Carlo De Franceschi, i migliori auguri per la sua prosperità e
longevità. La proposta è accolta con applausi.
Dopo ciò la seduta è levata circa al botto.
ELENCO
dei Soci inscritti alla Società istriana di archeologia
e storia patria, peli' anno 1889
-*~-&m*i-m
1. Amoroso dott. Andrea, avvocato,
2 Barsan dott. Luigi, medico,
3. Bartole Antonio fu Antonio,
4. Baseggio cav. Giorgio, avvocato,
5. Baseggio dott. Giorgio,
6. Baseggio dott. Giulio, avvocato,
7. Basilisco don Antonio Maria, parroco-decano,
8. Basilisco cav. dott. Giuseppe, avvocato,
9. Battistella Michele, professore,
io. Becich conte dott. Guido, assessore provinciale,
11. Beltramini Antonio,
12. Bembo Antonio, notaio,
13. Bembo dott. Giacomo, medico,
14. Bembo cav. Tomaso, podestà,
15. Benedetti dott. Giacomo,
16. Benigher dott. Nicolò, avvocato,
17. Benussi dott. Bernardo, professore,
18. Benussi Giovanni fu Valerio,
19. Biscontini Angelo,
20. Bolmarcich dott. Matteo, medico,
21. Bronzin Antonio,
Parenzo
Rovigno
Pirano
Milano
Parenzo
Pola
Pola
Rovigno
Trieste
Parenzo
Parenzo
Rovigno
Dignano
Valle
Parenzo
Trieste
Trieste
Rovigno
Capodistria
Pola
Rovigno
520 —
22.
23-
24.
25.
2é.
27.
28.
29.
30.
31-
32.
33-
34-
35-
36.
37-
38.
39-
40.
41.
42.
43-
44.
45-
46.
47-
48.
49-
50.
5i-
52.
53-
54-
55'
56.
57.
58.
59.
éo.
Bubba dott. Giuseppe, notaio, Pirano
Buje Municipio
Caccia Antonio, Trieste
Caenazzo don Tomaso, canonico, Rovigno
Calegari dott. Michele, medico, Parenzo
Cambon dott. Luigi, avvocato, Trieste
Camera di Commercio ed Industria dell' Istria, Rovigno
Campielli cav. dott. G. Matteo, capitano provinciale, Parenzo
Camus Carlo, Parenzo
Camus Ernesto, Trieste
Camus Fedele, Pisino
Canciani dott. Giovanni, avvocato, podestà, Parenzo
Candussi-Giardo Domenico, Rovigno
Candussi-Giardo Vittorio, Rovigno
Candussio de Giovanni, farmacista, Parenzo
Capodistria Municipio
Carbucicchio Pietro, farmacista, Pola
Cavalli ab. Iacopo, professore, Trieste
Cech dott. Giuseppe, notaio, Pisino
Cesca dott. Giovanni, professore, Arezzo
Cleva dott. Giovanni, medico, assessore provinciale, Parenzo
Coana Gaetano, Parenzo
Cobol Giorgio, podestà, Capodistria
Cobol Nicolò, maestro, Trieste
Cociancich don Carlo, parroco, Grisignana
Combi Cesare, Trieste
Comisso Luigi, Pisino
Corva-Spinotti Nicolò, Grisignana
Costantini dott. Francesco, avvocato, Pisino
Covaz Antonio, Pisino
Covrich Matteo, professore, Verteneglio
Crismanich Domenico, ingegnere, Parenzo
D' Andri Giovanni, Trieste
Danelon Angelo, Parenzo
Danelon cav. cap. Corrado, Parenzo
Dardi Francesco, maestro, Trieste
De Franceschi Carlo, Pisino
Del Bello dott. Nicolò, notaio, Capodistria
Del Negro Giovanni, Pola
- 521 —
61. Depiera Antonio,
62. Depiera Camillo, notaio,
63. Dignano Municipio
64. Diminich Giacomo,
65. Doblanovich dott. Giuseppe, medico,
66. Doria Costantino, ingegnere,
67. Draghicchio Gregorio, professore,
68. Dukich dott. Antonio, avvocato,
69. Fachinetti de Giovanni,
70. Fanganel Domenico,
71. Fragiacomo Antonio,
72. Fragiacomo dott. Domenico, avvocato, podestà,
73. Franceschi de Giovanni Battista,
74. Franceschi de dott. Giacomo, medico,
75. Frank Carlo,
76. Franco dott. Giorgio, avvocato,
77. Frauer Emilio,
78. Friedrich dott. Francesco, professore,
79. Gabinetto di lettura,
80. Gabrielli Italo,
81. Gambini dott. Pier' Antonio, avvocato, assess. prov.,
82. Gandusio Zaccaria, dirigente magistratuale,
83. Ghersa dott. Pietro, medico,
84. Giachin don Giacomo, parroco,
85. Gioseffi Alessandro, professore,
86. Glezer dott. Felice, notaio,
87. Gonan Lorenzo, maestro,
88. Gramaticopolo don Francesco, canonico,
89. Granich P. Girolamo Maria,
90. Grisignana Consiglio d'amministrazione comunale
91. Grossmann Guglielmo, maestro,
92. Gumer cav. Carlo, Consigliere di Luogotenenza in
pensione,
93. Hortis dott. Attilio, bibliotecario civico,
94. Hugues Carlo, professore,
95. Isola Municipio
96. Ive dott. Antonio, professore,
97. Kagnus Raimondo, capitano d'artiglieria marina
in pensione,
Antignana
Castelnuovo
Pola
Rovigno
Trieste
Trieste
Pisino
Visinada
Pola
Pola
Pirano
Seghetto (Umago)
Seghetto (Umago)
Pola
Buje
Trieste
Trieste
Pola
Pirano
Parenzo
Trieste
Albona
Gallesano
Pisino
Pola
Trieste
Pola
Cherso
Lo v rana
Trieste
Trieste
Parenzo
Trento
Trieste
522
98. Kuder Federico, maggiore nel corpo veterani
validi,
99. Laginja dott. Matteo,
ed in-
Napoli
Volosca
100. Lazzarini Carlo,
Pola
101. Lazzarini-Battiala barone Giacomo,
Albona
102. Madonizza de Nicolò,
Capodistria
103. Madonizza de dott. Pietro,
Capodistria
104. Majonica Enrico, professore, i. r. Conservatore,
Gorizia
105. Malusa Domenico,
Pola
106. Malusa Francesco,
Pola
107. Manzoni de Domenico,
Capodistria
108. Manzutto comm. dott. Girolamo,
Umago
109. Marchesi Antonio,
Dignano
no. Marsich ab. Angelo,
Capodistria
in. Martinolich Carlo,
Pola
112. Mattiassi Giovanni,
Pola
113. Mendler Edoardo,
Pola
114. Minach dott. Girolamo, avvocato,
Volosca
115. Mizzan don Giovanni, parroco,
Corridico
116. Montona Municipio
117. Morpurgo barone dott. Emilio,
Trieste
118. Morteani Luigi, professore,
Trieste
119. Mrach dott. Adamo, avvocato,
Pisino
120. Mrach dott. Egidio,
Pisino
121. Muggia Municipio
122. Nacinovich Ernesto, S.
Domenica di Albona
123. Negri Nicolò fu Girolamo,
Pola
124. Parentin Giuseppe, maestro,
Cittanova
125. Parenzo Municipio
126. Parisini Giuseppe,
127. Pavani Eugenio,
Pisino
Trieste
128. Pervanoglù dott. Pietro,
Trieste
129. Petris de dott. Andrea,
Cherso
130. Petronio Giuseppe,
Pirano
131. Pirano Municipio
132. Pisino Municipio
133. Pola Municipio
134. Polesini marchese Benedetto,
Parenzo
135. Polesini marchese dott. Giorgio,
Parenzo
523 —
136. Pons Rodolfo,
137. Prinz Martino, giudice,
138. Privileggi Pietro di Giuseppe,
139. Pulgher cav. Domenico, architetto,
140. Pulgher dott. Francesco, medico,
141. Puschi prof. Alberto, direttore del Museo civico,
142. Rigo Gregorio fu Domenico,
143. Rismondo Alvise, notaio, podestà,
144. Rizzi dott. Lodovico, avvocato, podestà,
145. Rizzi Nicolò,
146. Rocco Giuseppe fu Rocco,
147. Rota conte Stefano,
148. Rovigno Magistrato civico
149. Santini Attilio, Rosa
150. Savorgnan Giovanni,
151. Sbisà Francesco fu Sebastiano,
152. Sbisà Luigi di Francesco,
153. Sbisà Pietro, notaio,
154. Scampicchio dott. Antonio, avvocato,
155. Schiavuzzi dott. Bernardo, medico,
156. Società degli Artieri,
157. Società Filarmonico-Drammatica,
158. Società Fratellanza polense,
159. Società Operaia,
160. Sotto Corona Tomaso,
161. Spincich Luigi, professore, assessore provinciale,
162. Stanich dott. Domenico, notaio,
163. Stenta dott. Michele, professore,
[64. Stossich Michele, professore,
165. Suran dott. Giovanni, avvocato, podestà,
166. Tamaro dott. Domenico, professore, Grumello del
[67. Tamaro dott. Giovanni, medico,
[68. Tamaro dott. Marco,
[69. Totto conte Gregorio,
[70. Trani dott. Giorgio, medico,
171. Tromba Giovanni, farmacista,
[72. Umago Municipio
[73. Urizio dott. Giovanni, medico, podestà,
[74. Vassilich Giuseppe, maestro,
Pola
Pola
Parenzo
Trieste
Trieste
Trieste
Parenzo
Rovigno
Pola
Pola
Rovigno
Pirano
(Rossano Veneto)
Pola
Parenzo
Parenzo
Dignano
Albona
Parenzo
Pola
Trieste
Pola
Pola
Dignano
Parenzo
Pola
Trieste
Trieste
Montona
Monte (Bergamo)
Volosca
Parenzo
Capodistria
Rovigno
Rovigno
Cittanova
Trieste
— 52-4 —
175- Vatova Giuseppe, professore, Trieste
176. Vana Domenico, professore, Pirano
177. Venezian dott. Felice, avvocato, Trieste
178. Venier Domenico, Pirano
179. Venier Nicolò, Pirano
180. Venier de dott. Silvestro, avvocato, podestà, Buje
181. Ventrella Almerico, Pirano
182. Vergottini de Fabio, Parenzo
183. Vergottini de Giuseppe, Parenzo
184. Vesnaver Giovannf, maestro-dirigente, Trieste
185. Vettach Giuseppe, direttore del Ginnasio comunale, Trieste
186. Vidacovich dott Antonio, avvocato, Trieste
187. Vidali Gio. Antonio, farmacista, Parenzo
188. Videucich Eugenio, Pisino
189. Visignano Municipio
190. Volpi de Giuseppe, Parenzo
191. Wassermann cav. Gio. Antonio, Pola
192. Zamarin cav. don Giovanni, canonico-parroco, Isola
193. Zarotti Nicolò di Lorenzo, Pirano
ELENCO
dei doni pervenuti al Museo Archeologico provinciale
ed alla Biblioteca sociale durante l'anno 1889
OGGETTI ANTICHI.
Dal M. R. Don Giovanni Mi^an parroco a Corridico : una statuetta di
bronzo dell' epoca romana, rappresentante una Venere uscente
dal bagno, rinvenuta nella Stanzia grande a Corridico; ed un
frammento d'iscrizione romana, trovato nella rifabbrica del cam-
panile di Corridico.
Dal signor Francesco Tnbusson maestro a Bescavalle : una moneta enea
dell' imperatore Decio, ed altra dell' imperatore Gordiano, rin-
venute a Bescavalle.
Dal Rev.mo mons. canonico Don Tomaso Caenaqp da Rovigno : una raccolta
di 150 monete argentee tra romane e venete, 73 monete di
bronzo, ed altre varie.
Dal M. R. Don Giuseppe Corata parroco a Torre : due situle ed altri fram-
menti di oggetti preromani di bronzo, rinvenuti a S. Martino
di Torre.
Dal signor Luigi Comisso da Pisino : una moneta d' oro dell' imperatore
Giustiniano, rinvenuta nel territorio di Antignana.
— $26 —
Dal signor Giuseppe Parentin maestro a Cittanova : un'anfora romana, pe-
scata nelle acque marine di Cittanova.
» Luigi Girellici} da Pedena, ora Vice Console austriaco a Rio de
Janeiro: una collezione di monete greche e romane trovate nella
Rumelia durante i lavori della ferrovia orientale ; alcuni antichi
para turchi, e due monete chinesi.
» cav. Giovanni Augusto Wassermann da Pola : un pezzo di 5 lire
italiane d'argento, del Governo provvisorio di Lombardia, 1848.
» dott. Antonio Scampicchio d'Albona: tre monete romane d'argento
ed una di bronzo; sei medioevali d'argento; sei venete d'argento,
e quattordici venete di rame.
LIBRI.
Dal signor dott. Pietro Pervanoglù da Trieste : opuscoli « Attinenze dell' isola
di Lemnos colle antichissime colonie sulle coste del mare Adria-
tico » ; — « Le Gorgoni - illustrazione di alcune terrecotte
acquistate dal civico Museo di antichità di Trieste » con 2 tav.
Estratto dall' « Archeografo triestino» a. 1889.
» dott. Pietro de Madonna da Capodistria : opuscoli « Degli errori
sull'Istria» e «Del decadimento dell'Istria» — articoli pubblicati
nel periodico « La Provincia dell' Istria » da Paolo Tedeschi.
» prof. Paolo Orsi da Siracusa: Recensione. Gherardini Gherardo,
contributi all' archeologia dell' Italia superiore. La collezione
Baratella di Este illustrata, pubblicata nella « Rivista storica »,
Torino, 1889. — Recensione. Campi Luigi, Kupfer-Gegenstànde
aus den tridentinischen Alpen, nella « Antiqua » di Zurigo
n. 6 e 7, i*
conte Stefano Rota da Pirano: copia manoscritta di tre fascicoli
autografi di Pasquale Besenghi degli Ughi, contenenti un copioso
estratto dell'opera del canonico Bertoli sulle Antichità di Aquileja.
INDICE DEL VOLUME V
Fascicolo i.° e 2°
Senato Misti. Cose dell' Istria. — Direzione (continua) pag. j
Relazioni di Provveditori veneti in Istria. — Direzione » 85
Isola ed i suoi Statuti, per cura del prof. Luigi Morteani (Gli Statuti d'Isola) » 155
Le Necropoli preistoriche dei Pizzughi. — Andrea dott. Amoroso .... » 225
Fascicolo 3.0 e 4.0
m
Senato Misti. Cose dell'Istria. — Direzione (continua) » 265
La malaria in Istria. Ricerche sulle cause che P hanno prodotta e che la man-
tengono del dott. Bernardo Schiavuzzi » 319
Bibliografia. — B. B. e M. T » 472
Jilti della Società.
Il IV Congresso annuale della Società istriana di archeologia e storia patria. » 505
Elenco dei Soci » 519
Elenco dei doni al Museo archeologico provinciale ed alla Biblioteca sociale
durante l'anno 1889 » 525
S, Angelo Mordelle
w *o so *o SO éO 70 *t> SO
4-1 1 l i I l i i i I
306
-I
?r Lit. M. Fontana Venezia
Topograf
j[« Pizzughi
Tav I.
G.De Franceschi dis.
Pizzughi
Tav II.
2.
3.
10.
II.
ana, Vene zia.
12.
G. De Franceschi cris.
,
Tav. TU.
rttana.Vene
zia
&.De Franceschi dis.
Tav. W.
3**
"Xit UFonlana, Venezia
G.De Franceschi dis.
Tav.V.
.
ancesshi
. f
Tav.VI.
z.
5.
6.
7.
3.
IO.
12
Fontana. Venezia
G. De "Frane esc"hi dis.
Tav. VII.
Lit. K Fontana, Vene zia
G.De Francescìii dis.
\\V\
ì
n.
tt. k
13
Tav. IX.
■ ■■**.
i.
3.
E - é
^|
70.
M.
13.
/$
7<y.
^
■UM»Wi ■'
*/.
«
Pr.Lit. MTontana, Venezia
G-.De Francasela die.
Tav. X.
. .
■
.
li-
"V^AM;
>è
• Mentana Venezia.
G.De Franceschi dis.
ANNO SETTIMO 1890
ATTI E MEMORIE
DELLA
SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA
STORIA PATRIA
Volume VI. — Fascicolo i.° e 2.
PARENZO
PRESSO LA SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA E STORIA PATRIA
Tip. Gaetano Coana
1890
SENATO MISTI
COSE DELL'ISTRIA
(Continuazione del fascio. 30 e 40, 1889)
Senato Misti voi. L.
1413. 4 luglio. — Risposte date ad istanze di alcuni cittadini di Ca-
podistria venuti personalmente a Venezia : Onde quella città non corra
pericoli come in passato, si accorda eh' essa venga murata contribuendovi
gli abitanti le pietre, la rena e la calce, i legnami pei ponti ed i mano-
vali ; il podestà e capitano ripartirà tali prestazioni [angarias] fra cittadini
e rustici, et faciat nichilominus facere alia publica consueta ; il dazio della
muda che produce da 1500 a 2000 lire l'anno resterà devoluto alla erezione
delle dette mura, e alla riparazione delle strade battute dai mussolali, di
Castel Leone, dei ponti, del porto, della fontana ecc. Le mura saranno
cominciate dalla parte di S. Pietro, et sequendo murum inceptum et veniendo
ab Arsenatu usqne portavi Busadrage, et postea incipere debeat ab alia parte
porte maioris pontis et venire usque portum Sancii Martini ; fatti tali tratti, si
erigerà un castello in angulo Musele secondo sarà ordinato dalla Signoria ;
da quest'ultimo luogo fino alla porta Busadrage non si faranno le mura se
non dopo finito il castello ; i podestà e capitani terranno esatto conto di
tutte le spese.
Si restituisce a quel comune Consilium suum; il podestà e capitano ne
eleggerà i membri nel numero che stimerà conveniente ; il consiglio no-
minerà offitiales snos per un anno, lo stipendio dei quali non eccederà le
lire 450 l'anno a carico del comune [nostri communis deinde]; i quattro giudici
che eleggerà quel consiglio sederanno presso il podestà e capitano, il quale
nelle cause civili domanderà il loro consiglio, ma giudicherà da solo ; le
cause criminali spettano esclusivamente al detto podestà e capitano (carte 2).
Alla domanda che le grascie per uso della città possano esser portate
colà per mare [come fa Pirano] quando strate claiiduntur anche pei cattivi
raccolti in partibus superioribiis ; si risponde che ciò potrà essere accordato
quando lo chieggano nei singoli casi (carte 2 tergo).
141 3. 7 luglio. — Si richiama dall'Istria a Venezia Bartolomeo Val-
laresso sopracomito in Golfo (carte 3).
1413. 17 luglio. — Avendo il podestà e capitano di Capodistria proi-
bito ad alcuni di quei cittadini di andare a comprar 400 staia di frumento
a Muggia, e ciò in seguito a divieto fatto anteriormente dal governo, i
muggensi offrirono il grano a quei di Pirano, i quali, col permesso del
rispettivo podestà lo acquistarono. Il podestà e capitano chiese al detto
podestà la ragione del permesso dato, e n' ebbe in risposta che il divieto
non era stato fatto cum consiliis ordinatis [nelle forme volute per esser valido].
Considerandosi ora che se simili cose avessero a ripetersi il commercio di
Capodistria e le rendite dello Stato ne soffrirebbero, si ordina a tutti i rettori
dell'Istria di proibire, per publico bando, a tutti quegli abitanti l'andar a
comperare e a caricare frumento nei luoghi di quella provincia non soggetti
a Venezia, sotto pena di perdita della merce, delle barche, di sei mesi di
carcere e di lire 200 di multa (carte 7 tergo).
1413. 11 settembre. — Si ordina a Rainieri Coppo podestà a Parenzo
di mandare a Venezia, un mar unum ibi retententum al tempo della guerra
passata tamquam de bonis maranensium (carte 27).
1413. 2 ottobre. — Iacopo figlio di Giovanni de Carlino ambassiator
del comune d' Isola, ripetendo la domanda già fatta da altri inviati dello
stesso comune, chiese che, avendo quest'ultimo sequestrato, durante l'ultima
guerra e la susseguita tregua, un affidimi di 274 orne di vino e 3 di olio
che esso doveva annualmente al monastero di S. Maria di Aquileia, quei
liquidi restassero a benefizio del comune stesso. Si risponde rilasciando
come è domandato tutti gli affitti dovuti da Isola al detto monastero tam
prò tempore elapso quam per totum tempus treuguarum, a patto che siano de-
voluti in fortificationem et reparationem diete terre, incaricandosi quel podestà
dell' esecuzione. Se poi nella pace che si stipulerà col re d' Ungheria si
pattuisse la restituzione di quei redditi al monastero, il comune d' Isola vi
sarà obligato, e perciò dieci fra i più agiati di quei cittadini staranno mal-
levadori dell' eventuale pagamento (carte 37).
1413. 5 ottobre. — Essendo il castello di Raspo importantissimo per
la difesa dell' Istria, si ordina che Filippo Moliti elettovi capitano e i suoi
successori vi tengano stabile dimora, sotto pena di 500 ducati. — E non
potendo srare li presso gli stipendiari per esser bruciate le ville, si commette
al detto capitano, al podestà e capitano di Capodistria e ai podestà di Pirano
e di Montona di recarsi a Raspo e tutti d'accordo, a maggioranza, prov-
vedere a far costruire, nei luoghi e modi più convenienti e sicuri, intorno
al castello abitazioni pei detti stipendiari colla maggior possibile economia;
la spesa relativa sarà sostenuta proporzionalmente da tutti i luoghi dell'Istria
contribuenti pei Pasinatici ; i rettori poi di tali luoghi si accordino per
mandare di 15 in 15 giorni due per comune a sorvegliare il lavoro e
l' impiego del danaro. — Intanto gli stipendiari abiteranno in castro Ro^ii. —
Il Molin partirà da Venezia entro il mese sotto pena di 500 ducati (carte 38).
141 3. io ottobre. — Nel 1408 era stato vietato il portar legna da
fuoco, nata nell' Istria, altrove che a Venezia; due ambasciatori del comune
di Pola vennero a chiedere fosse tolto il divieto per le legne qui nascuntur
ultra Polmentorias per Riperias versus Quarnarium, le quali una volta por-
tavansi nella Marca con vantaggio, ed ora, essendo troppo lungo il viaggio
a Venezia, ne resta impoverito il paese, e gli abitanti emigrano ai luoghi
esteri vicini ove non vigon divieti. Si acconsente alla domanda a patto che
la legna non si porti a nemici di Venezia, e che coloro che ne caricheranno
dovranno prima far ispezionare i rispettivi navigli dal conte di Pola perchè
constati non contenere essi merci di contrabbando (carte 40).
1413 m v. 8 gennaio. — Essendosi veduto, nella recente discesa degli
Ungheresi, non potersi sostenere il castello di Raspo contro grosse genti,
tanto che in quella occasione tutti quelli che vi erano dovettero riparare in
Capodistria; si prese la deliberazione 5 ottobre passato. In esecuzione della
quale adunatisi Marco Correr, presente podestà di Capodistria, i podestà di
Pirano e di Montona, Iacopo da Riva cav., e Vitale Miani, i tre primi
proposero de jaciendo duas alas muri a parte superiori inferius prò reductu
stipenàiariorum, i due ultimi, invece [essendo della stessa opinione Filippo
Molin capitano a Raspo] quod circumcirca castrimi subtus inuros, quia ibi est
aliqua via ubi fieri possent habitationes, debeat fieri una circa de
muro infra quam poterunt stare gentcs equestres. Sembrando quest' ultimo
progetto più opportuno, per concorrere a maggiore difesa del luogo, lo si
approva, e se ne ordina 1' esecuzione al capitano di Raspo (carte 62).
1413 m- v- 26 gennaio. — Ad istanza di ambasciatori del comune di
Due Castelli [che per la sua fedeltà restò molto danneggiato], i quali avevano
sporto gravi lagni contro Lugnano Lugnano nominatovi capitano dai rettori
dell'Istria, si commette al podestà e capitano di Capodistria di mandare in
detta terra un nuovo rettore scelto fra i cittadini di quella città, il quale
stia in carica un anno, col salario di lire 390 e colle altre condizioni che
si lascia al detto podestà e capitano di stabilire. Il Lugnano, all'arrivo del
suo successore sarà dal podestà e capitano suddetto invitato a recarsi a
Venezia per esser sentito e, se del caso, per giustificarsi (carte 64).
1413 m. v. io febbraio. — Risposte date ad istanze [capitala] fatte dal
comune di Pirano [le istanze sono in volgare, le risposte in latino] :
Alla richiesta che il luogo di Buje, per ridurre il quale alla condizione
presente molto si adoperarono i piranesi nell'ultima guerra, venga concesso
a Pirano, si risponde non potersi a ciò consentire in forza della tregua
conchiusa col re dei Romani ; si permette, per sicurezza di Pirano e d'altri
luoghi, che sia demolito il campanile di Buje, dandone notizia al capitano
di Raspo.
Avendo la soppressione della stima dei vini in Grado pregiudicato assai
il commercio di Pirano, il cui più proficuo sbocco era il Friuli, si domandò
che i piranesi potessero esportare direttamente pel Friuli i lor vini [ribuole],
poiché altrimenti convigneria abandonar quella terra perchè etti no porta viver ;
dichiarandosi pronti a pagare il dazio che avanti, siando la dita stima, se
scodeva per miser lo patriarca ; che quindi la detta stima e relativo dazio
venisse riattivata in Grado o in altro luogo comodo. Si risponde essersi
preso per misura generale che i vini ed altre merci trasportate per mare
vengano tutte a Venezia pel trattamento daziario, perciò non potersi aderire
alla domanda. Si prolunga però per un anno la riduzione già concessa sul
dazio del vino portato a Venezia.
Alla richiesta motivata che si torni all'osservanza rigorosa delle con-
venzioni, tuttora vigenti relative al sale, e che venga aumentato il prezzo
del medesimo, si risponde: L'accrescimento delle mercedi ai lavoranti [famei]
delle saline [da lire 4 a 5 a lire io a 12 il mese] dipende dall'essere rad-
doppiato il numero di queste. Il sale tutto prodotto nelle stesse sarà portato
in città entro 15 giorni dalla raccolta, e denunziato al podestà [al quale è
affidata la sorveglianza all' esecuzione rigorosa di tal ordine e i relativi
provvedimenti anche penali], e lo Stato lo pagherà a lire 5 il moggio, e
non potrà essere esportato senza l'assenso del podestà. La settima parte di
tutto il prodotto resterà a quel comune sotto chiavi tenute dal podestà,
e potrà esser venduto agli abitanti dell' interno del paese che portano
vettovaglie in città. Si richiameranno le persone cui spetta all' osservanza
delle prescrizioni nella misurazione del sale medesimo (carte 71 tergo e
72 tergo).
141 3 m. v. io febbraio. — Si prolunga per un anno, da oggi, il vigore
della tariffa daziaria vigente nell' anno decorso pei vini [ribolea] che dal-
l' Istria vengono a Venezia (carte 72 tergo).
1414. 8 maggio. — Ambassiatores del comune di Capodistria, in se-
guito alla proibizione fatta dal duca d'Austria ai suoi sudditi di provvedersi
di sale in aliqua terra latina chiesero che quei cittadini potessero portare
il lor sale in Friuli, pagando lire 3 di dazio per moggio. — Enrico de
Petrogna poi assuntore, con altri soci, del dazio del sale in detta città, espose
averlo assunto per lire 2010, e averne tratto nell'anno in corso 250 moggia
di sale che non si potè vendere pel divieto mentovato, e pregò di poter
esso pure esportare in Friuli il sale che riscuote per decima.
In risposta, si concede al detto comune di portare, per questa sola volta,
300 moggia di sale in Friuli, pagando un ducato per moggio allo Stato;
al Petrogna si fa egual concessione per 100 moggia ; 1' esportazione avrà
luogo entro un mese. — Questa non fu approvata.
Si risponde che, non potendosi aderire alle suesposte domande, per gli
inconvenienti che ne deriverebbero, si commette ai savi del Consiglio di
stipulare l'acquisto dai petenti di 500 moggia di sale [fra le quali 100 del
Petrogna] a 16 soldi di piccoli lo staio, per conto dello Stato (carte 107).
1414. 22 maggio. — Si risponde al capitano di Pisino inviato dal
signore False [di Waldsee], il quale per mezzo di Iacopo da Riva cav. aveva
fatto offrire a Venezia la cessione di Fiume e di un fortilizio, non esser
cosa possibile né decorosa l'aderire alle sue domande ed offerte delle quali
la Signoria è gratissima (carte 109 tergo).
1414. 24 maggio. — Ad istanza degli abitanti delle ville sottoposte
alla giurisdizione di Raspo, che soffrirono grandissimi danni dagli Ungheresi
nell' ultima guerra, le ville stesse sono fatte esenti per 5 anni dalle corri-
sponsioni di grano, di agnelli, dalla decima degli agnelli e dalla contribu-
zione pel gastaldo, restando in vigore tutte le altre imposte e gravezze solite.
Sono eccettuate da tale esenzione Mima maior, Mima minor e Seyanum che
non mantennero integrarti fidelitatem al tempo della guerra (carte 111).
1414. 8 giugno. — Continuando a recar danno ai sudditi istriani i
due banditi Gaspare Cremer e Giorgio Simich [questi ribelle e traditore]
già colpiti di taglia, si delibera che se uno d' essi venisse ucciso da un
bandito dall' Istria, 1' uccisore, oltre guadagnar la taglia, sarà assolto dal
bando, e se l'uccisore sarà uomo non bandito, potrà liberar dal bando un
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altro, trattine i condannati per tradimento od assassinio. Tutti i rettori del-
l'Istria osserveranno la presente (carte né).
1414. 12 giugno. — Fra altre risposte date ad ambasciatori del pa-
triarca di Aquileia si legge :
Alla domanda o meglio alle querele contro UH de Iustinopoli, i quali
detinent Florido quatti plura bona ; item Albino rivi in Mugla vendita fuerunt
certa bona eie. ; item domine Altasie accepte fuerunt certe domus et una vinca ;
item Georgio fuerunt accepta quatnplura bona et XXIIII ducati prò uno captivo
capto post treuguas per potestatem Iustinopolis ; — si risponde che tuttociò
seguì al tempo della guerra, e quindi non vi è luogo a restituzioni; se
però aliter ostendere vellent [gli ambasciatori], Venezia è pronta ad faciendum
ea que sint juris et justitie.
Alla domanda della liberazione e restituzione di Filotasio e di Bertone
da Muggia e delle loro cose, presi in mare dal capitano veneto d' un ga-
ledello del Golfo, si risponde esser anche queste catture seguite in tempo
di guerra e come sopra (carte 118).
1414. 12 giugno. — Sentendosi che Gaspare Cremer, di cui si occupa
la deliberazione 8 corrente, è alla testa di 60 pedites e di 40 cavalli, coi
quali est dispositus datnnificare i sudditi veneti dell'Istria, si accresce la taglia
contro di lui a 1000 lire, ferme nel resto le condizioni portate dalla detta
deliberazione. E la presente sarà publicata in tutta l'Istria (carte 118),
1414. 13 giugno. — Ad istanza degli ambasciatori di Capodistria si
accordano a difesa di quella città 50 balestre, 50 crochi, 50 lancie e 25 casse
di verettoni ; i patroni dell' arsenale ne faranno la consegna a prezzo di
stima che verrà sborsato entro tre mesi dal comune di detta città (carte
118 tergo).
1414. 3 luglio. — Avendo il capitano di Raspo ricusato di obbedire
al seguente ordine della Signoria perchè non dato ex auctoritate Consilii
rogatorutn, gli si replica 1' ordine stesso e quello d' eseguirlo.
Essendosi il comune di Dignano lagnato che il capitano di Raspo esi-
geva lire 240 prò resto pagarum quatuor dell'anno scorso pel Pasinatico, e
dimostrato avendo l'insussistenza di tale pretesa, perchè otttni anno in festo
dedicationis S. Michaelis Arde mense septembris dare et solvere [quegli abitanti]
tenentur nostro rectori, recipienti nomine nostri domimi libras CCCXXVII, si
ordina al capitano stesso di desistere dalle sue esigenze (carte 126).
1414. 12 luglio. — Quia bonum est providere super facto salis istorum
piranensium, si ordina agli ufficiali al sai di noleggiare i legni necessari e
m'andarli a Pirano per portare a Venezia il sale colà raccolto ; non potendosi
caricar tutto, quei podestà farà misurare alla presenza dell' incaricato dei
— 9 —
detti ufficiali il sale rimanente, tenendone conto. Si delibera poi che uno
degli ufficiali alle Rason vecchie ed uno di quelli al Cattaver si rechino in
detta città e d' accordo con quel podestà provvedano per l' apprestamento
di magazzini onde collocarvi il sale (carte 129).
1414. 20 agosto. — Si manda a Raspo uno degli ufficiali alle rason
nove per esaminare i conti delle spese di quel capitano. — Il Collegio darà
la commissione relativa (carte 143 tergo).
1414. 23 agosto. — Invece dell' ufficiale alle Rason nove [veggasi 20
agosto] si manda a Raspo un ufficiale alle Rason vecchie, non essendo il
primo competente (carte 148 tergo).
1414. 24 agosto. — Non volendo il presente cancelliere del podestà
e capitano di Capodistria adattarsi a dividere i proventi degli atti civili
col cancelliere di quel comune [che si elegge ogni quattro mesi dal con-
siglio comunale, giusta l' antica consuetudine richiamata in vigore colla
deliberazione 4 luglio 141 3, e come ebbe, per grazia, il fu Baisino de' Baisi];
si ordina al detto podestà e capitano di obligare il suo cancelliere a far
partecipi quelli del comune dei mentovati proventi [s/5 a quello, */» a quest']
e così si osservi in avvenire (carte 147).
1414. 23 ottobre — Si prolunga fino al Natale 1415 la riduzione di
un ducato per orna sul vino importato in Venezia dall' Istria, da Trieste
e da Muggia (carte 168 tergo).
14 14. 5 novembre. — Per terminare le questioni fra i comuni di Di-
gnano e di Valle per certi pascoli in Mascarada [i quali solevano affittarsi
dal primo] si commette al capitano di Raspo, al podestà e capitano di Ca-
podistria e al podestà di Parenzo d'esserne giudici, a maggioranza, riservato
alle parti il ricorso in appello agli auditori delle sentenze, e della sentenza
sarà esecutore il predetto capitano (carte 171).
Senato Misti voi. LI.
1415. 20 giugno. — Essendo gli stipendiari di Raspo carichi di debiti
[per 5000 lire] perchè i comuni dell' Istria non vogliono pagare ciò che
devono; si ordina a tutti i rettori di quella provincia di obbligare le terre
sotto la loro dipendenza a pagare le competenti contribuzioni pel Pasinatico,
e si autorizza il capitano di Raspo a pignorare quelli che non pagassero.
Si ordina poi al podestà e capitano di Capodistria di sovvenire il detto
capitano con quella maggior somma che potrà (carte 37).
1415. 24 giugno. — Si scrive al podestà di Pirano: Il podestà e ca-
— IO —
pitano di Capodistria, il capitano di Raspo, il podestà di Buie con due di
quella terra, riferirono che gli abitanti di Pirano, alla presenza del loro
podestà, tagliarono il frumento dei terrazzani di Buie ; di ciò si fa aspro
rimprovero al podestà stesso e gli si ordina di far risarcire immediatamente
il danno dato ; se poi i piranesi hanno giusti motivi di lagno contro quelli
di Buie, si rivolgano al governo che farà loro giustizia (carte 37 tergo).
Non approvato.
141 5. 27 giugno. — Scusatisi i piranesi, per mezzo di due ambasciatori,
del fatto qui sopra riferito, adducendo che il frumento fu tagliato nel ter-
ritorio di Castel Venere dato dalla Signoria al loro comune, si ordina al
podestà e capitano di Capodistria di tenere in sequestro 250 delle 332 lire
eh' ei doveva pagare al detto comune per ispese da questo fatte nell'armar
barche spedite a Latisana ; di recarsi personalmente sul luogo del fatto,
stimare il danno, convocare il podestà di Pirano e quei cittadini di Pirano
e di Buie che crederà, udirne le ragioni, e decidere di esse, e i contendenti
eseguiranno la sua sentenza; se le dette lire 332 non basteranno ad in-
dennizzare quelli di Buie, si supplirà con denari della camera di Capodistria
(carte 38 tergo).
141 5. 9 luglio. — Il neo eletto capitano di Raspo, Daniele Loredan,
in luogo di due dei quattro balestrieri che è tenuto condur seco, condurrà
un legnaiuolo [marangonuni] e un muratore che sappiano adoperare la ba-
lestra ; essi si occuperanno nei lavori di riparazione necessari al castello
(carte 45 tergo).
1415. 12 agosto. — Per frenare i numerosi contrabbandi si prendono
le disposizioni opportune per la sollecita spedizione della galea della Riviera
dell' Istria (carte 54).
141 5. 24 agosto. — Il giorno 19 il capitano di Raspo fece asportare
da uomini armati molti cavalli ed altri animali dal territorio d' Isola, e
benché la Signoria avesse già ordinato al detto capitano che se gì' isolani
pagassero 200 lire entro agosto ed altre 200 prima della sua partenza dalla
carica non li molestasse. Si ordina quindi al capitano stesso, premessi gravi
lagni per la sua disobbedienza, di restituire immediatamente gli animali
tolti per suo ordine come sopra, sotto pena di 500 lire, e di eseguire quanto
è detto di sopra circa l'esazione del danaro. — Si ingiunge poi a tutti gli
altri rettori dell' Istria di far restituire dai compratori gli animali summen-
tovati che fossero stati venduti ; restituendo loro il denaro (carte éo tergo).
141 5. 9 settembre. — Essendosi saputo che i capitani della Riviera
dell' Istria sogliono scendere e stare a lungo in quelle terre, e permettono
ai loro dipendenti di andar ad attendere a lavori rurali, con pregiudizio
1 1
grave della custodia loro incombente ; si delibera che i detti capitani non
possano sbarcare che un giorno al mese in ciascuna terra, sotto pena di
ioo lire di piccoli ogni volta contravvenissero [un terzo delle quali a van-
taggio dell'accusatore] e di privazione d'ogni comando navale per due anni ;
— si ordina poi a tutti i rettori litorani dell' Istria, sotto vincolo di giu-
ramento, di vegliare all' osservanza di tale disposizione. La quale servirà
anche pei comandanti i legni piccoli di detta custodia. I capitani stessi vi-
gileranno anche sui porti fra Monfalcone e Caorle (carte 64 tergo).
[415. 9 settembre. — Avendo ricusato il podestà e capitano di Ca-
podistria di osservare il disposto dalla deliberazione 24 agosto 1414, si ordina
al medesimo [Pietro Zaccaria] di obbligare il cancelliere del suo predecessore
[se si trova in quella città] a pagare ai cancellieri eletti da quel consiglio
quanto il primo riscosse di competenza dei secondi giusta la detta delibe-
razione ; e di imporre al proprio cancelliere la rigorosa osservanza della
deliberazione stessa con restituzione delle somme riscosse indebitamente ;
ciò sotto pena di lire 500 al cancelliere, e 1000 al podestà. Si ordina poi
la stretta osservanza dell'accennato decreto 14 14 a tutti i successivi rettori
di Capodistria (carte 64 tergo).
141 5. 21 novembre. — Ad istanza di ambasciatori del comune di
Pirano si delibera di ordinare risolutamente al capitano e podestà di Ca-
podistria il pagamento, più volte commesso e mai effettuato, di lire 338 circa
al detto comune per 5 barche ivi armate e spedite a Latisana per comando
della Signoria (carte 80 tergo).
1415 m. v. 14 gennaio. — Avendo alcuni comuni dell'Istria dichiarato
di non potere, in seguito ai danni sofferti nell' ultima guerra, pagare le
quote loro incombenti pel pasinatico, la Signoria convocò due abitanti per
ciascuno d' essi comuni per udirne le ragioni, ed il Senato, su proposta
dei savi del consiglio, che le esaminarono, delibera : Pola porterà il suo
contributo da 960 a 1200 lire, Parenzo da 360 a 450, Montona da 768 a 900,
Isola da 960 a 500; tutti gli altri comuni pagheranno come in addietro;
e questa disposizione durerà in vigore 5 anni e più se non sarà revocata
dal Senato (carte 86 tergo).
1415 m. v. 18 febbraio. — Si prolunga fino al 15 marzo il termine
alla partenza per il suo posto a Ordelaffo Falier, eletto podestà a Grisignana,
deffectu salarti (carte 102 tergo).
1416. io aprile. — Facoltà al capitano di Raspo di spendere 30 ducati
per il tetto della casa dei balestrieri e per comperare duas pilas ab oleo
(carte 120).
1416. 28 luglio. — Si ordina agli ufficiali al sai di misurare il sale
— 12 —
che giunge a Venezia da Pirano, non ostante sia già stato misurato colà,
e di porlo nei magazzini in monti speciali, non mescolandolo con altri
(carte 148 tergo).
141 6 m. v. 26 gennaio. — Si prolunga a tutto settembre venturo la
solita riduzione d'un ducato per anfora sul dazio del vino portato a Venezia
da Capodistria, Isola e Pirano (carte 184 tergo,).
Senato Misti voi. LII.
1417. 13 marzo. — Si scrive a Marco Polani podestà e capitano di
Capodistria essere stato, ad istanza sua e degli abitanti di Due Castelli,
confermato per un altro anno a podestà di quest' ultima terra Antonio
Albanensis di Capodistria (carte 2).
1417. 22 marzo. — Facoltà al podestà di Grisignana di spendere 100
lire in riparazioni ad un molino di spettanza dello Stato, che dava buon
reddito (carte 4).
1417. 26 aprile. — Facoltà al podestà di S. Lorenzo di spendere 200
lire in riparazioni a quelle mura e in altri lavori (carte 9 tergo).
1417. 8 maggio. — Non trovandosi chi voglia andare per medico
fisico del comune di Capodistria pel salario di 350 lire l'anno finora pagato;
si concede che il detto salario possa essere portato a lire 500 (carte 12 tergo).
1417. 19 luglio. — Si scrive a molti rettori, e fra questi al podestà
e capitano di Capodistria, al podestà di Montona e al capitano di Raspo,
rinnovando il divieto fatto il 21 febbraio 1403 m. v. a tutti i connestabili,
soldati, provvisionati, connestabili di birri e caballariorum, che hanno sti-
pendio dallo Stato, di aver parte direttamente od indirettamente in alcun
dazio [cioè di farsene appaltatori o soci di appaltatori] in qualsiasi luogo
dei dominii di Venezia, sotto pena perpetue privationis officii vel beneficìi et
stipendii (carte 36).
1417. 20 settembre. — Restando da riscuotersi in Capodistria molti
crediti dello Stato, si ordina a quel podestà e capitano di far publicare
dovere i debitori estinguere tali debiti entro un mese, sotto pena di un
soldo per lira. Questa pena sarà divisa per terzo fra il podestà e capitano
e i due camerlenghi quando si tratti di debiti nati prima ch'entrassero in
carica i detti rettori (carte 46).
1417. 27 settembre. — La pena qui sopra mentovata invece che per
terzo sarà divisa per quarto, un quarto al podestà e capitano, uno per ciascuno
ai due camerlenghi, ed uno agli scrivani e fanti di questi ultimi (carte 47 tergo).
— 13 —
1417- 27 settembre. — Essendo stato dagli ufficiali al sai mandato a
Pirano un mtntium per prendere sale, giusta il prescritto dalla deliberazione
io febbraio 141 3, quei cittadini l'obbligarono ripetutamente e con mali modi
a tornarsene a Venezia coi navigli quasi vuoti di sale ; si ordina perciò al
podestà di detta terra di intimare a quei cittadini Nicolò Foya, Almerico
de Petrogna, Giorgio de Majeo, Giorgio de Garofalo, Severino, Enrico de
Caroto di comparire dinanzi la Signoria ut possimus sibi declarare nientem
nostrani. Giunti i predetti a Venezia si farà ciò che si stimerà conveniente
per 1' onore e l' interesse publico (carte 48).
1417. 25 novembre. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria,
Vittore Marcello, di mandar persone in Ungheria prò sentiendo de novis
(carte 58 tergo).
1417. 29 novembre. — Molti piranesi, invece di consegnare il sale di
lor produzione dovuto allo Stato, non obbedendo alle ingiunzioni di quel
podestà, ne fecero contrabbando ; si delibera perciò di dichiarare ai venuti
a Venezia volere il Senato che lo Stato abbia assolutamente il sale che gli
spetta, che coloro che ancora non lo consegnarono debbano aver ciò fatto
entro un mese ; chi noi farà pagherà due ducati per ciascun moggio che
avrebbe dovuto dare (carte 59 tergo).
1417. 21 dicembre. — Al tempo dell'acquisto di Pola si decretò che
Nascinguerra, Sergio e il figlio del fu Glizesii [?] di Castropola e i loro
eredi maschi restassero per sempre esclusi da quella città e dal suo distretto,
conservandovi i beni ; essendosi però i membri di quella famiglia mostrati
sempre fedeli e buoni sudditi, si concede a Sergio del fu Forella ed a' suoi
discendenti di andare e stare nella città stessa e suo circondario quando e
per quanto tempo vorranno (carte 65).
1418. 21 aprile. — Presentatisi quattro ambasciatori del comune di
Muggia alla Signoria, dichiararono essere il detto comune disposto a vivere
in pace con Venezia, aver mandato a dire al patriarca di Aquileia che in
caso di guerra fra questo, il re dei Romani e la Republica, Muggia se ne
starebbe tranquilla ; avendo poi quella terra facoltà possendi se concordare
cum quibuscumque, gli ambasciatori offrirono di stipulare un patto eh' essa
starebbe neutrale fra Venezia e i suoi nemici, né darebbe a questi aiuto o
comodità di sorta. Si delibera di rispondere, che, scordando le offese pas-
sate, il Senato è disposto ad avere i muggesi in bonos amicos, ad accettare
le proposte degli ambasciatori ; esigersi però che le condizioni vengano
stipulate con regolare istrumento e che i muggesi promettano di non am-
mettere nel loro territorio beni o animali dei nemici di Venezia (carte
89 tergo).
— i4 —
I4'i 8. 2 maggio. — Facoltà a Francesco Basadonna capitano a Raspo
di spendere 40 ducati per la rinnovazione del tetto del castello ed altro
(carte 90 tergo).
1418. 12 maggio. — Licenza al comune di S. Lorenzo di spendere
per io anni annualmente 200 lire delle rendite del luogo prò possendo
hedijìcari jacere ac reparari castrum di quella terra, e per far costruire imam
calcheriam. I podestà del luogo sono incaricati di sorvegliare l'impiego del
danaro (carte 91).
1418. 11 giugno. — Facoltà a Castellano Minio podestà a Grisignana
di spendere ducati 100 [già accordati al suo predecessore e da questo non
usati] in riparazioni a quelle fortificazioni. La somma è assegnata sulla
camera di Capodistria (carte 94 tergo).
1418 m. v. 2 gennaio. — In risposta a lettera 20 dicembre p. p. del
podestà e capitano di Capodistria si approvano la condotta di esso e le
convenzioni da lui stipulate cum illis qui venernnt ad vos [podestà e capitano]
nomine capitana Reifenbergi, videlicet quod subditi nostri possint tute libere et
impune accedere ad loca sui capitaneatus et e converso sui subditi ad
loca nostra venire. Circa proposte di tregua e buona vicinanza fatte al me-
desimo podestà e capitano da Michele nuntius capitana Vipami [sic], il Senato
approva si tratti, e che ogni convenzione che si facesse sia osservata, quando
ciò pure avvenga per parte degli altri contraenti (carte 140).
14 18 m. v. 23 gennaio. — Licenza al podestà di Dignano presente
e successori di spendere per un triennio lire 500 1' anno per ristaurare il
palazzo di sua abitazione rovinato dagli Ungheresi. Ciò in quanto il podestà
è costretto ad abitare una casa presa in affitto, per cui quel comune paga
lire 40 1' anno (carte 145 tergo).
1418 m. v. 29 gennaio. — Essendo consueto che coloro che fanno
de cineribus nei luoghi dell' Istria pagano ai rispettivi comuni soldi 40 per
ogni migliaio di ceneri che si porta a Venezia ; a Dignano invece si fa
pagare un ducato, il che impedisce 1' esercizio in quella città della detta
industria ; si dichiara che anche Dignano sia trattata come gli altri luoghi
(carte 147 tergo).
141 8 m. v. 3 febbraio. — Si ordina al podestà di Capodistria, al ca-
pitano di Raspo e ai podestà di Montona e d' Isola di giudicare sulle que-
stioni vertenti fra i comuni di Capodistria e d'Isola, non ostante la sentenza
già pronunziata da Andrea da Mosto podestà a Pirano contro la quale ri-
corsero gli uomini d' Isola. La nuova sentenza dovrà essere pronunziata
col voto di almeno tre dei giudici (carte 148).
14 18 m. v. 3 febbraio. — Si delibera che i ribolea condotti a Venezia
— i5 —
da Capodistria, Isola e Pirano paghino solo 2 '/, ducati per anfora di dazio.
— Durata un anno (carte 148 tergo).
1419. 23 marzo. - Per evitare la frequenza dei contrabbandi, che
succede sempre fra l'uscir di carica dei capitani delle Riviere della Marca
e dell' Istria e l'entrarvi dei loro successori, si delibera che i capitani stessi
restino ai rispettivi posti fino all'arrivo dei successori (carte 157).
1419. 21 aprile. — In seguito ad informazioni di Biagio Venier, e
ad istanza di due abitanti di Momorano venuti all' uopo a Venezia, e ri-
sultando da informazioni 1' importanza di fortificare il detto luogo per la
sicurezza di Pola e del resto dell' Istria da quella parte ; si permette al detto
conte di far riparare e fortificare Momorano a spese degli abitanti della città
e dell' ultimo luogo ; il conte poi vi manderà un capitano, e in tempo di
guerra vi manterrà il presidio necessario a spese come sopra, e così lo farà
guarnire delle armi necessarie (carte 165).
1419. ij maggio. — Avendo i giudici delegati per le vertenze fra
Capodistria ed Isola [vedi 3 febbraio 1418 m. v.] riferito non versare le
questioni solo sui confini mentovati nella sentenza di Andrea da Mosto, ma
anche su altri punti, i quali se non fossero definiti produrrebbero nuove
liti ; si ordina ai rettori nominati nella deliberazione 3 febbraio, aggiunto
il podestà di Grisignana, di giudicare, a maggioranza, tutte le questioni
fra i detti due comuni, che furono oggetto della sentenza da Mosto e ne
derivarono; e poiché le parti non producono regolarmente i loro documenti,
asserendoli perduti nella guerra dei genovesi, i giudici giudicheranno de
jure et de jacto, come pure sulle spese della sentenza antecedente e della
procedura pendente, onde sia posto termine definitivamente ad ogni vertenza
(carte 168 tergo).
141 9. 1 giugno. — Si approva un capitulum deliberato dal consiglio
del comune di S. Lorenzo con cui si proibisce l' importazione del vino fo-
restiero in quel castello e suo distretto, prò incanipando illud e per farne
commercio, sotto pena di lire 50 a favore dello Stato, e di perdita del liquido
e degli animali o barca che lo portassero. Si eccettua la festa di S. Lorenzo,
in cui per tre giorni [vigilia, festa e dì seguente] si potrà vendere qualsiasi
vino. In caso di mancanza di questo in paese, i podestà potranno provvedere
(carte 172 tergo).
14 19. 13 giugno. — Giovanni Benintendi di Capodistria appaltò, al
tempo che Vitale Miani vi era podestà e capitano, per un anno il dazio di
quei molini ; ma avendoli gli ungheresi distrutti nella loro discesa, nulla
riscosse, e non potè pagare il dovuto allo Stato ; a sua istanza gli si fa
rcstaurum de tribus mensibus prò rata eius quod solvere debebat (carte 174 tergo).
— ié —
1419. 20 giugno. — Si encomia la diligenza usata dal podestà e ca-
pitano di Capodistria nel procurarsi e nel comunicare (con sua leu. 15 corr.)
Illa nova ch'ebbe a Cancellarlo Lubiane de partibus Hungarie, e gli si per-
mette di pagare 50 lire di piccoli promesse al detto cancelliere per le notizie
date (carte 179).
1419. 30 giugno. — Non trovandosi nave ne barca alcuna alla custodia
della Riviera dell' Istria, onde crescono i contrabbandi ; si delibera che, come
in passato, s' armino di tempo in tempo 5 barche da mandarsi alla detta
custodia sotto gli ordini d' un capitano eletto dalla Signoria fra i membri
del Maggior Consiglio, col salano di ducati 16 il mese, tenendo un servo.
Si ordina poi che il capitano della Riviera dell' Istria non possa stare
più di 5 giorni ogni mese nelle terre di quella provincia, salvo legittimo
impedimento (carte 182).
1419. io luglio. — Provvedimento finanziario per affrettare 1' andata
al servizio di Bernardo Marcello eletto capitano della Riviera dell' Istria, e
delle barche destinatevi (carte 183 tergo).
Senato Misti voi. LUI.
1419. 22 settembre. — Facoltà a Nicolò Pizzamano podestà a S. Lo-
renzo di spendere lire 150, oltre le già concesse da spendere in io anni
per quella terra, in riparazioni al fondaco delle munizioni e alle case del
cancelliere e dello speziale (carte 3 tergo).
1419. 2 ottobre. — Essendo state bruciate dagli Ungheresi, nell'ultima
guerra al fine della tregua, le ville di Crestenich e Vodke, i loro abitanti,
così consigliando anche il capitano di Raspo, sono esonerati per tre anni
dal pagamento delle decime dovute allo Stato.
Trovandosi poi disabitate dopo l' incendio di vari anni addietro le ville
di Melonixa e di Novach, si dichiarano esenti per cinque anni da decime
tutti quelli che si recheranno ad abitarvi, quando sieno o antichi abitanti
delle stesse o persone non suddite di Venezia (carte 4 tergo).
1419. io ottobre. — Avendosi sentore de progressibus degli Ungheresi
a partibus superioribus Iustinopolis, si dà facoltà ad Omobono Gritti eletto
podestà e capitano di detta città di spendere in esploratori ed informatori,
come fu già concesso al suo predecessore Giovanni Garzoni (carte 6).
1420. 12 marzo. — Si concede, come fu concesso ai suoi predecessori,
a Giovanni Corner eletto capitano di Raspo, di assumere mastro Alegreto
— 17 —
qual magistro marangono et murario, colla solita paga di lire 35 il mese
(carte 33 tergo).
1420. 12 marzo. — Ad istanza di ambasciatori del comune di Grisi-
gnana, cum maior pars illius terre accidcntaliter sii combusta modo nuper, si
accordano al comune stesso 100 ducati, 100 staia di frumento e 200 tavole
a prestito da restituirsi in 5 anni, un quinto all' anno (carte 34).
1420. 19 marzo. — Si prolunga il termine per recarsi al suo posto a
Pietro Gritti eletto podestà a Grisignana, non avendo esso avuto ancora il
danaro dovutogli (carte 35).
1420. 30 marzo. — Fra altre cose dette ad ambasciatore del comune
di Ancona, si parla di danni dati da anconitani a Domenico Cimarosto di
Pola (carte 36 tergo).
1420. 13 luglio. — Disposizioni finanziarie per la sollecita spedizione
di Basilio Malipiero eletto capitano della Riviera dell' Istria, spedizione im-
pedita dalla mancanza di fondi (carte 60).
1420. 29 luglio. — Altre, non potendosi eseguire le deliberate come
sopra (carte 63).
1420. 1 agosto. — Ad istanza dei comuni e dei podestà di Cittanova,
Pirano ed Umago si delibera di scrivere alla Santa Sede a favore di fra'
Pietro da Pirano dell'ordine dei Minori eletto vescovo di Cittanova (carte
65 tergo).
1420. 19 agosto. — Si prolunga fino alla fine del mese a Bernardo
Sagredo eletto conte di Pola il termine per recarsi al suo posto, per ma-
lattia d' un suo figlio (carte 69).
Si prolunga a tutto ottobre il termine a venire in Senato colle sue
proposte a Biagio Venier stato conte a Pola (carte 69).
1420. 2 settembre. — Si permette a Vittore Duodo eletto podestà a
Muggia [parendo che colà seviat pestisi quod, accepta designatane et bacillo
regiminis Mugle, et posito in ordine dicto regimine, et castellano in castro Mugìe,
possa ritirarsi in Capodistria o in altro luogo più vicino alla detta terra
donec cessabit epidemia (carte 25).
1420. 3 settembre. — Fra altre pene proposte per Nicolò Contarmi,
contro il quale si procedette per trasgressioni dei suoi doveri come camer-
lengo a Treviso, v' è pur quella della destituzione dal reggimento di Umago,
che però non fu approvata (carte 25 tergo).
1420. 7 dicembre. — Provvedimenti per impedire il contrabbando del
sale dall' Istria in Friuli (carte 90).
1420. 30 dicembre. — Dovendosi provvedere alla maggior possibile
fortificazione di Raspo, si ordina a quel capitano di far costruire unum
— 18 —
spironum muri a capite castri versus ecclesiam S. Elene, in quo spirono faccia
fare una cisterna cui detur aqua ab una parte culminis castri faccia
erigere unum turisinum super angiilo poste S. Petri simile a quello poste
S. Marci ; si concede poi al detto capitano di far fare duas calcherias calcis
pei detti lavori, e per riparare murum barbacani e murari Ulani parte burgi
que murari poterit (carte 94).
1420 m. v. 23 gennaio. — Ad istanza di ambasciatori del comune di
Montona, trovandosi quel luogo sprovvisto di munizioni perchè adoperate
prò subventione gentium quas din tenuimus contra Pinguentum, si
ordina ai Patroni dell' arsenale di mandare alla detta terra per munizione
di quel castello : 1 5 casse di verettoni a pede, casse 5 di verettoni a muli-
nello, io barili di polvere da bombarda, 20 rotelle e targoni, 200 tavole
de abieta, 20 balestre a pede, 5 balestre a mulinello, 3 bombardellas, 2 barili
di più qualità, 20 corazze cum armis de testa (carte 101 tergo).
1420 m. v. 3 1 gennaio. — In seguito a lagni del conte di Pago che
da Pola e da Medolino si portava molto sale a Fiume, con pregiudizio
della produzione dell' isola ; si vieta al conte di Pola di rilasciare bollette
per sale destinato a Fiume, e gli si ordina di mandar tosto a Venezia la
descrizione di tutto il sale esistente nel territorio di Pola (carte 105).
1420 m. v. 7 febbraio. — Si prolunga per un anno il vigore della
riduzione dei dazi sul vino che viene a Venezia dall' Istria. — Il dazio da
pagarsi era [colla riduzione] ducati 2 '/, per anfora (carte to8 tergo).
1420 m. v. 15 febbraio. — Si assegnano a Vanto da Pirano 7 ducati
il mese. Costui dopo aver servito lungo tempo in vari luoghi, nella guerra
di Chioggia, in quella di Padova ecc., fu per vari anni capitano della rocca
di Lonigo alla testa d' una bandiera con ducati 9 il mese, diminuiti poi
a 5 per riduzione delle milizie e dei loro stipendi. Essendo ora morto il
suo figlio maggiore, ucciso da un colpo di bombarda mentre stava sotto
Pinguente alla testa di 50 piranesi, Vanto suddetto dovette raccogliere i di
lui figli, e chiese gli fosse aumentata la paga (carte no).
1420 m. v. 15 febbraio. — Un ambasciatore del comune di Muggia
espone : Per ordine del capitano di Raspo molti di quei cittadini, in cinque
volte, andarono contro Pinguente; tre vi furono uccisi, parecchi feriti; ora
il detto capitano, il podestà e capitano di Capodistria e il marchese Taddeo
[d'Este] pretendono a queir impresa un nuovo contingente; l'ambasciatore
sostiene Muggia non esservi tenuta non essendo soggetta al pasinatico. Si
' risponde riconoscersi la indipendenza di quella terra dal pasinatico di Raspo,
quindi il Senato manderà direttamente al podestà della stessa i suoi ordini.
Ad istanza del podestà predetto si accorda esenzione dal dazio d'espor-
— 19 —
tazione per legnami, pietre ed armi acquistate a Venezia per lavori di
fortificazione della mentovata terra.
Si concede sia aperta la porta a mare di quel castello costruendovi un
barbacanuiii e un ponte levatoio, le spese saranno pagate col prodotto delle
condanne del luogo.
Ascendendo a lire io 15 il contributo di Muggia allo Stato, e la spesa
di quel castello a 864, la differenza superhabitndante a pctgis stipendiariornm
sarà impiegata in acquisto di munizioni (carte 114).
1421. 28 marzo. — Si prolunga a tutto luglio ad Omobono Gritti,
tornato da podestà e capitano di Capodistria, il termine per proporre in
Senato le sue provvisioni (carte 124).
142 1. 6 maggio. — Fra i provvedimenti presi per la ritorma della
legislazione relativa al commercio del vino in Venezia si decreta che dal
1 venturo settembre il dazio dei vini portati dalla terraferma e dall' Istria
sia di ducati 2 '/, per anfora (carte 135).
1421. 23 maggio. — Si dichiara che per vino d'Istria, nella delibe-
razione precedente, si deve intendere quello nato nelle terre di quella pro-
vincia suddite di Venezia (carte 142 tergo).
1421. 5 giugno. — Sono liberate da sequestro alcune possessioni ven-
dute da Giovanni signore di Spilimbergo a Sergio di Castropola poste nel
territorio di Pola (carte 147 tergo).
1421. 7 giugno. — Si destina a Corfù un mar annui catturato da abitanti
di Albona e spedito a Venezia, e si assegna ai medesimi partem sibi tan-
gentem, per la presa di quel legno, sull'ufficio del sale (carte 147 tergo).
142 1. 7 giugno. — Si accorda al podestà e capitano di Capodistria di
confermare; Antonio Cerca nell'officio di camerlengo in quella città, essendosi
mostrato abile e zelante in passato (carte 148).
1421. 17 giugno. — Nicolò Coppo podestà e capitano di Capodistria
è autorizzato a far trasportare a spese dello Stato le vettovaglie ed altre
cose necessarie all'esercito (carte 153 tergo).
1421. 28 giugno. — Fra altre risposte date ad un ambasciatore domini
Romperli de Valse [di Waldsee] si legge :
La Signoria si informerà sulla veracità dei danni che si pretendono
dati nella villa de Adevin dalle milizie del marchese Taddeo che andarono
in Istria.
Benchc il inarannin catturato da uomini di Albona sia di presa legit-
tima, pure per mostrare al signor di Valdsee l' amicizia di Venezia per
lui, si farà restituire al proprietario ; [quel legno aveva sbarcato nel porto
di Jrignoìc alcuni romei, ed uscendone con merci di tedeschi diretti a Fiume,
— 20 —
era stato preso]. — Ma Venezia non può tollerare che si portino per mare
a Fiume merci di sorte.
Gli ambasciatori denunziano : Stando le milizie veneziane sotto Pin-
guente, saccheggiarono la villa di Dragrìchìe, asportandone 320 animali
minuti, 24 maiali, alcuni animali grossi, viveri, masserizie ecc. Ma%araxp
da Valle soldato in Raspo tolse, nel territorio di S. Vincenti, contado di
Pisino, 200 animali minuti ; altri rubarono 8 maiali nella villa di Siam,
4 animali grossi nella villa di Lindar ; uomini di Cittanova rubarono 600
animali a quelli di Visinada ; gli abitanti di Montona tolsero 100 animali
minuti e 18 grossi agli stessi di Visinada, ed arrestarono due uomini di
quest'ultima terra esigendone riscatto ; Taddeo marchese venne da Portole
con sue genti in Visinada, vi stette alcuni dì e vi si commisero devastazioni
per oltre 1000 ducati; gli uomini di Montona tolsero a quelli di Piemonte
19 animali grossi ed una soma di frumento; agli stessi gli abitanti di Gri-
signana tolsero 28 animali grossi e 98 minuti, quelli di Capodistria 346
animali minuti, 12 grossi e 60 agnelli ; sudditi veneziani tolsero agli stessi
di Piemonte io animali grossi, 37 agnelli, 14 animali minuti, e per lire 12
di pelli a un pellicciaio. Quelli di Montona e Grisignana robano de dì in
dì el molin del prefato magnifico signor, e vi spezzarono due macine ; nella
villa di Castagna furono tolti 6 man-itoli, un maiale, mannaie ed altri oggetti
dagli abitanti di Grisignana, ed il podestà di Capodistria fece pigliare uno
della stessa villa ; uomini di Fianona tolsero a quelli di Carsan 7 animali
grossi, 2 buoi; la gente del campo sotto Pinguente tolse 335 animali minuti
e 15 grossi; gli uomini di Montona tolsero 373 animali minuti, 8 grossi,
3 cavalli e 190 agnelli a quelli di Sovignacbo; al capitano di quest'ultimo
luogo i Montonesi tolsero 264 animali minuti e 5 cavalli, Mazara^o 7 ani-
mali grossi e 60 pecore ; i soldati di Raspo devastarono il molino di So-
vignacho e vi presero 12 moggia di frumento. Agli abitanti della villa de
Monte furono tolti: da quelli del campo sotto Pinguente 14 animali grossi,
11 porci, no pecore, un somier, oggetti sacri nella chiesa del valore di circa
200 marche [con rottura, per due volte, delle porte del tempio]; da quelli
di Montona 215 animali piccoli. E danni giornalieri vengono dati conti-
nuamente dai sudditi di Venezia a quelli del Waldsee. — Il Senato risponde:
meravigliarsi che vengano fatti simili lagni, sanno gli ambasciatori quanti
danni abbian dati i sudditi del loro mandante a quelli di Venezia e come
abbiano aiutato Rotor e i nemici di questa ; il podestà di Montona fece
'restituire tutto ciò che fu portato in quella terra; il podestà di Cittanova
scrive che gli animali che si pretendono tolti ai sudditi del Waldsee erano
di sudditi veneziani ; in ogni modo, si assumeranno informazioni sui danni
21
dati dai ed ai sudditi di Venezia, e poi si procurerà che le questioni relative
finiscano con reciproca soddisfazione. — Non si può rispondere sopra la
cattura di due barche fatta, nel 1417, nel fiume di S. Giovanni de la Tuba,
per esser trascorso lungo tempo, e perchè Marco Polani, allora podestà e
capitano a Capodistria, è lontano da Venezia (carte 163 e 163 tergo).
1421. 15 dicembre. — Facoltà a Giovanni Corner capitano di Raspo
di spendere 100 lire in ristauri alla casa del connestabile dei birri, e ai
corridoi del castello (carte 202).
142 1 m. v. 5 gennaio. — Per porre argine ai continui contrabbandi
di sale che si commettono dai piranesi si delibera : Se i contrabbandieri o
i loro complici sono proprietari di saline, queste saranno stimate poi di-
strutte per sempre, e quelli non potranno più far sale; del valore delle saline
un quarto sarà dato all'accusatore e un quarto al podestà di Pirano a carico
di quel comune.
Niun privato potrà vendere in Pirano sale ai mussolati né ad altro
privato, sotto pena di 50 lire per soma e di perdita della merce.
Dal 1 maggio venturo lo stato pagherà il sale ai produttori 7 lire,
invece di 5, il moggio, a condizione che se avvenisse un contrabbando di
sale prodotto in quelle saline e dentro otto giorni non fosse scoperto il
reo, si tornerà a pagare il sale a lire 5. Il podestà di Pirano farà personal-
mente il catasto di tutte le saline di quel distretto, e non permetterà che
se ne accresca il numero, né che le esistenti vengano ampliate.
Il Pien Collegio eleggerà un ufficiale, cui committatur custodia supra-
scriptorum, collo stipendio di 200 lire l'anno a carico del comune di Pirano
e con partecipazione al prodotto delle multe pei contrabbandi.
E perchè in quella terra tutti siano trattati egualmente in fatto di an-
garie, si ordina al podestà di fare, d' accordo coi cittadini, la stima delle
facoltà di tutti, e che secondo la misura di queste ognuno sia tassato ; gli
stimatori saranno nove, tre scelti fra i ricchi, tre fra i mediocri, tre fra i
poveri (carte 212 e 212 tergo).
Tutti quelli che in Istria faranno o coadiuveranno contrabbandi di sale,
oltre le pene già stabilite, se sono proprietari di saline, saranno trattati come
è detto di sopra per Pirano (carte 212 tergo).
Per aumentare il prestigio del podestà di Pirano si porta il suo salario
da 1000 a 2000 lire; esso poi terrà a sue spese 7 fanti armati, una barca,
unum socium tnilitem con 100 lire l'anno e il vitto; l'elezione d'esso
podestà si farà in Maggior Consiglio per qualuor manus electionum ; egli
sarà libero di non tenere i cavalli di cui parla la sua commissione (carte
212 tergo).
— 22 —
1421 m. v. 26 febbraio. — Avendo due ambasciatori del comune di
Montona [accompagnati da lettere di quel podestà] domandato che per poter
rifabbricare la tutte grande rovinata dal fulmine il comune stesso fosse
autorizzato a devolvere a tal lavoro la contribuzione che soleva pagare pel
Pasinatico ; si risponde non potersi aderire intieramente, condonarsi però
per cinque anni 11 lire il mese che Montona paga in più del contributo
per l' addietro (carte 221 tergo).
Senato Misti voi. LIV.
1422. ié maggio. — Essendo sorvenuto male ad una gamba ad An-
tonio da Riva nominato podestà a Grisignana, gli si prolunga il termine
per recarsi colà (carte 29 tergo).
1422. 13 settembre. — Licenza a Francesco Contarmi capitano di Raspo
di spendere lire 70 in riparazioni alle case degli stipendiari e del cancelliere
(carte 53).
1422. 27 ottobre. — In seguito ad istanze di ambasciatore del conte
di Segna, si ordina ai rettori della Dalmazia e dell' Istria di permettere
l' ingresso nei rispettivi porti agli uomini di Segna con loro merci, a con-
dizione che le merci stesse non si estraggano poscia dai detti porti se non
per essere trasportate a Venezia. I detti uomini potranno esportare dalle
mentovate provincie per Segna cose prodotte in quelle, verso pagamento
dei dazi. È vietato ai medesimi di trasportar per mare a Segna merci e
cose provenienti da paesi non soggetti a Venezia.
Non si aderisce che il conte faccia venire olio dalla Marca d'Ancona,
essendo autorizzato a provvedersene in Dalmazia e neh' Istria o a Venezia
(carte 59 e 59 tergo).
1422. 17 novembre. — Spirato il tempo dell'esenzione da certe imposte
a coloro che andassero a ripopolare le ville circostanti a Raspo devastate
al tempo della guerra, ed essendone ancora alcune in istato di desolazione,
i pochi abitanti di queste sono costretti a pagare smini priegium come quelli
delle terre ritornate in buona condizione, e quindi ad abbandonarle ; si
delibera che i capitani di Raspo esigano il priegium solo prò rata mansorum
babitatorum in dictis villis, da tutti poi le altre angarie e consuetudine*
(carte 64).
1422 m. v. 18 febbraio. — Si accorda ad Alessandro Zorzi sanatoria
per le spese da lui fatte finora in nunciis et exploratoribus prò senciendo et
advisando nos de novis occurrentibus , e lo si autorizza a spendere siatt sibi
— 2j -
videbitur ut semper simus informati de tangentibus statuiti nostrum
(carte 85).
1423. 3 marzo. — Si autorizza il Collegio a ratificare e modificare
certa statata presentati da alcuni ambasciatori del podestà e capitano e del
comune di Capodistria, votati in quel consiglio ; ed a rispondere aliis capitulis
presentati per parte di quel comune (carte 89 tergo).
Il Collegio delibera si scriva al podestà e capitano di Capodistria e
successori :
Fuerunt ad presentiam nostrani ecc. veggasi il tenore della ducale 8
marzo 1423 nel libro: « Statuta Iustinopolis metropolis Istriae. Augustino
Barbadico Praet. atque Praef. ecc. Venetiis, MDCLXVIII. Apud Franciscum
Salerni & Ioannem Cagnolini » pag. 124-127, fino alle parole memoriam
registraci inclusive (carte 89 tergo e 90).
1423. 8 marzo. — Deliberata in Collegio. Si scrive al podestà e ca-
pitano di Capodistria concedersi ai frati Minori di S. Francesco e ai pro-
curatori del monastero de' SS. Caterina e Biagio di quella città di vendere
case e casali ruinati appartenenti a quei conventi, a condizione che il ricavato
delle vendite [a Pietro de Petrogna e ad altri] venga depositato presso il
podestà e capitano stesso, il quale si assoderà due di quei cittadini e tutti
tre insieme impiegheranno quel danaro presso la camera degli imprestiti a
beneficio dei conventi stessi (carte 90 tergo).
Ducale come la precedente. Facoltà al detto podestà e capitano di
porre all' asta l' affittanza di una casa bruciata posta in brolio parvo loco
pulcriori ill'uis civitatis, per non meno di 28 lire l'anno. La casa era stata
concessa pel detto prezzo a Iacopo Tionfante con obbligo di rimetterla in
buono stato; da tredici anni, né fu pagato l'affitto, ne s' ha notizia del
Bonfante (carte 90 tergo).
1423. 13 marzo. — In seguito a reclami del comune e degli uomini
della villa Culmi, distretto di Raspo, la quale per descensionem Rother fu
distrutta in modo che vi rimasero solo tre famiglie, si dichiarano esenti da
ogni regalia e consuetudine tutti quelli che vi stanno al presente e che an-
dranno ad abitarvi dopo esserne partiti ; l' esenzione comprende tutto il
passato e si estende fino all'ultimo settembre venturo. Il capitano di Raspo
presente e futuro potrà affittare e concedere, a chi gli piacerà, mansos suos
pel maggior vantaggio dello Stato (carte 92).
1423. 21 maggio. — Per evitare che il podestà e capitano di Capo-
distria, il quale nomina fra quei cittadini i podestà di Due Castelli, Buie,
Portole e Pinguente, vi mandi persone inette o invise agli abitanti dei detti
luoghi, si delibera che cessi nel detto podestà e capitano tale diritto, e si
— 24 —
concede a quelle comunità di eleggere i propri giudici et regendi se prout
per antea solebant, oppure accipiendi potestates et rectorcs ; le prime pagheranno
annualmente alla camera di Capodistria quelle somme che prima solevano
sborsare ai podestà ; le appellazioni delle sentenze dei mentovati giudici
saranno portate davanti al capitano di Raspo ; — le seconde, quelle che
vogliono eleggersi il rettore, dovranno scegliere un istriano suddito di Ve-
nezia, che dovrà essere confermato dal rettore veneto della terra di cui è
cittadino ; i detti rettori eletti godranno lo stesso trattamento che quelli
mandati da Capodistria, e dopo sortiti di carica non possono esser rieletti
nella stessa per tre anni. — Proposta non approvata (carte ni).
Si ordina al podestà e capitano di Capodistria di mandare annualmente
a Pinguente, Portole, Due Castelli e Buie, per podestà nei primi due luoghi
e per rettori nei due ultimi, cittadini di Capodistria appartenenti a quel
consiglio, che sappiano scrivere e siano idonei; chi coprirà uno di tali posti
non potrà esser rieletto l' anno successivo (carte 1 1 1 tergo).
1423. 4 giugno. — Licenza al podestà di Grisignana di spendere 60
ducati in riparazioni solariorum culminis palatii, domorum communis que solent
affictari, sub quibus reponuntur vina et die decime nostre (carte 114).
1423. 18 luglio. — Licenza a Nicolò Pizzamano rettore di Albona e
Fianona di venir per un mese a Venezia ponendo altra persona in suo luogo
(carte 129 tergo).
1423. 21 dicembre. — Si autorizza il luogotenente in Friuli a vendere
licenze d'importazione in quella provincia di vino dell'Istria, il quale dovrà
stimarsi in Grado ed ivi pagare il dazio come in passato (carte 166).
1423 m. v. io febbraio. — Licenza a Nicolò Pizzamano podestà di
Albona e Fianona di venire a Venezia perchè infermo, quantunque Antonio
da Riva suo successore non siasi ancora recato colà; fino all'arrivo di questo
governeranno quei giudici (carte 177 tergo).
1423 m. v. 24 febbraio. — Si delibera di scrivere ai rettori di Capo-
distria, Raspo, Isola e Pirano in conformità di quanto fu scritto ai medesimi
il 3 marzo scorso relativamente ai danni dati ai sudditi veneziani dai fami-
gliari di Giorgio Ausperger (carte 182).
Senato Misti voi. LV.
t 1424. 30 marzo. — Si prolunga ad Alessandro Zorzi già podestà e
capitano di Capodistria il termine per produrre in Senato provisiones suas
a tutto il venturo giugno (carte 8).
— 25 —
1424. io aprile. — Essendosi formati degli interrimenti fra Castel Leone
e la terra ferma dalla parte di ponente, considerata l' importanza di quel
fortilizio, si delibera : I rettori di Capodistria faranno che i proprietari delle
25 saline per ratam dataritm da essi rettori, senza profitto dello Stato, dal
1410 in poi, cioè io a parte Semodele e 15 a parte Sermini, tolgano i detti
interrimenti, portandone il materiale in mare, o dove vorranno, in modo
che tutta la palude sia ridotta libera ; ciò si farà al più presto sotto pena
di lire 500 ai rettori contrafacienti. Se poi altre persone, oltre i detti pro-
prietari di saline, volessero accipere de dictis barinis, prò comodo suo, potranno
Mas accipere. Resterà vietato a chiunque il far saline nuove fra il Castel
Leone e la terraferma sotto pena di lire 1000 ai rettori che ne dessero la
licenza e di perdita delle saline ai proprietari ; parimenti è annullata ogni
simile concessione che fosse stata fatta, senza consenso della Signoria, dopo
la partenza di Alessandro Zorzi da quel reggimento (carte 14 tergo).
1424. 9 maggio. — Licenza a Iacopo Correr podestà a S. Lorenzo
di spendere lire 40 per la fabbrica della casa del fabbro dimorante in quel
castello (carte 29).
1424. 28 giugno. — Licenza a Iacopo Duodo podestà di Umago di
piantar per due mesi stanza fuori di quella terra [sempre però in Istria]
propter epidemiam sevientem in essa (carte 36).
E similmente ad Andrea Marcello podestà a Muggia (carte 36).
1424. 28 giugno. — Facoltà al podestà di Grisignana di spendere
lire 300 [ed ordine al podestà e capitano di Capodistria di fornirgliele] in
riparazioni alle mura di quel castello (carte 36).
1424. 7 luglio. — Licenza a Secondo Pesaro podestà a Pirano di venire
a Venezia per io giorni a curarsi dalle febbri.
Simile a Iacopo Duodo podestà di Umago (carte 40).
1424. 21 luglio. — Si prolunga fino al 15 agosto la licenza al Duodo
malato per imam panochiam (carte 44 tergo).
1424. 18 novembre. — Essendo riuscito a Girolamo Caotorta podestà
a Pirano con destre negoziazioni d' indurre Antonio Toplocher dominum
castri 5\Cimiani a sottoporre a giudizio d'arbitri le lunghe questioni vertenti
fra quest'ultimo e il comune di Pirano pei confini del territorio di Castel
Venere ; si autorizza il detto podestà a condurre a termine le pratiche e
a far che segua il giudizio, approvandosi anticipatamente quanto sarà per
fare (carte 67 tergo).
1424. 18 novembre. — Si conferma per cinque anni la convenzione
stipulata dal comune di Pirano cum Iudeis fenerantibus in quella terra
(carte 68).
— 26 —
1424- 4 dicembre. — A togliere abusi invalsi si delibera che dal 20
corrente mese in poi tutto il vino che si porta dall' Istria a Venezia si dovrà
stimare, nei riguardi del dazio, per vino genuino et non prò xpniis [vino
misto ad acqua] (carte 72).
1425. 9 marzo. — Licenza a Francesco Diedo capitano della Riviera
dell'Istria di venire per un mese a Venezia per suoi affari, lasciando in sua
vece suo fratello Marco (carte 97 tergo).
Si accorda ai Canonici di S. Giorgio in Alga di vendere beni che pos-
seggono in Capodistria e suo distretto (carte 98).
1425. 3 maggio. — Facoltà a Gaspare da Mosto potestati di Raspo di
spendere 200 lire in riparazioni a quel castello (carte no tergo).
1425. 18 giugno. — Cresciuta oltre il bisogno la produzione del sale
in Pirano, dopo il decreto che ne portò il prezzo a 7 lire il moggio, per
attendersi con più cura al lavoro della produzione stessa dagl' interessati ;
uditi gli ambasciatori di quel comune, si delibera : di ricevere ab ipsis
fidelibus prò solutione per nostrum commune soltanto 1000 moggia
di sale 1' anno a lire 6 1' uno, il rimanente sale potrà dai medesimi esser
venduto ed asportato per mare a Polmentoriis citra fino a Caorle, e per terra
a Capodistria e a Muggia ; queste vendite non potranno esser fatte se prima
non sarà smaltito il deposito di proprietà del comune di Pirano proveniente
dal settimo del prodotto che gli spetta per legge. Si ordina ai podestà di
Pirano di recarsi ogni anno personalmente cogli stimatori a rilevare la quan-
tità del sale prodotto dalle singole saline, e registrandolo in apposito libro
in cui ogni salina avrà la sua partita; ciò sotto pena di 1000 lire. Coloro
che volessero esportare per mare sale prima della stima, possa farlo, pagando
al podestà, quando accipiunt bulletam, tercium prò datio. Restano in vigore
le discipline vigenti pei contrabbandi. Tutti coloro che faran far bollette
per sale pagheranno un soldo per moggio da dividersi fra il podestà, il suo
notaio e gli stimatori come è disposto dalla deliberazione 26 febbraio 1405
(carte 129).
1425. 5 agosto. — Risposte date ad istanze [capitula] fatte dal comune
di S. Lorenzo.
Si acconsente ad ordinare a quel podestà di far costruire un torchio
da olio colla spesa di 200 lire, le quali il detto comune restituirà entro
due anni.
Per comodo di quegli abitanti e prò meliori conservatione piscariarum
A rettori che si eleggeranno faranno d'ora in poi il loro ingresso nel mese
di maggio.
Avendo alcuni rettori speso ed altri no le 200 lire annue accordate
- 27 —
per io anni, il 12 maggio 1418, per la ricostruzione di quel castello, si
accorda che i rettori futuri possano spendere al detto scopo ciò che ancor
resta del complessivo importo assegnato (carte 153 tergo).
1425. 11 agosto. — Si approvano le convenzioni stipulate dal comune
di Capodistria il di 8 agosto 139 1 con David Vemnar [o Veninarì~\ e Sa-
lomone de Cruci! latis, e P II aprile 1409 col detto David e con Manoclo
del fu Simeone, tutti ebrei, ut mutuarmi ad uxuram (carte 155).
1425. 3 dicembre. — Si approva la convenzione fatta fra il comune
di Pola e certi ebrei per l'esercizio del prestar danari (carte 175 tergo).
Senato Misti voi. LVI.
1426. 23 maggio. — Avendo il capitano di Raspo scritto, il 13 corr.,
che Andrea da Cormons, nuncius di Federico conte di Gorizia, gli aveva
esposto che quest' ultimo sarebbe disposto a dare in pegno di un prestito
di 3000 ducati Castelnuovo e le sue giurisdizioni e dipendenze; considerato
che quel luogo è lontano io miglia da Raspo, che per esso passano i
mitsolali che scendono in Istria e specialmente a Capodistria, che Trieste
offrì al conte 2500 ducati, e se il conte accettasse l'offerta l' Istria veneta
ne avrebbe gran danno poiché i musolati porterebbero il loro grano e com-
prerebbero il sale nell'ultima città mentovata ; — si scrive al detto capitano
di far sapere al conte che Venezia è disposta a dare il danaro da lui chiesto
[cercando di darne meno che sarA possibile], ed autorizza il capitano stesso
ad aprire le negoziazioni, a concluderle, a ricevere Castelnuovo in nome di
Venezia, a mandarvi a custodia io degli stipendiari di Raspo ; scriva poi
il risultato delle sue pratiche, e il Senato provvederA al pagamento stipulato
(carte 18 tergo).
1426 m. v. 9 febbraio. — Si permette al guardiano e al convento di
S. Francesco di Pirano di cambiare una casa appartenente a quel monastero
ed un pezzo di terra contigua al medesimo, contro altra casa che darA due
ducati 1' anno mentre la prima non ne dA che uno e mezzo (carte 83).
1427. 11 maggio. — È accordato il diritto di cittadinanza de inttis et
extra a Giovanni del fu Pietro da Capodistria, bottegaio (carte 95).
1427. 6 giugno. — Licenza ad Amadeo Molin podestA a Parenzo di
recarsi per 1 5 giorni a Pago a visitarvi un suo fratello infermo ; perderà
il salario pel detto tempo (carte 98).
1427. 7 settembre. — Si ordina al conte di Pola di riferire sullo stato
della galeotta di guardia nel Quarnero, e, trovandola in cattivo stato di
— 28 —
mandarla a Venezia ; al capitano di quel legno si ingiunge di obbedire al
detto conte (carte 124 tergo).
1427. 30 dicembre. — Ad istanza del comune di Capodistria si per-
mette che Mosè di Samuele e Samuele di Salomone, ebrei, possint mutuare
in Iustinopoli ad denarìos tres prò libra, e colle condizioni già in uso rela-
tivamente agli ebrei soliti abitare ed esercitare il prestito in quella città,
condizioni che colla presente vengono confermate (carte 140 tergo).
1428. 21 marzo. — Si confermano per tre anni, e per due successivi
ad arbitrio del comune di Pola, i patti che questo tiene cogli ebrei (carte 173).
1428. io aprile. — Si delibera che il comune di Buie sia assolto dal
pagamento di certo censo, che soleva esigere il marchese d'Istria, per quanto
spetta al passato; in avvenire il luogotenente in Friuli esigerà il censo stesso
(carte 178).
Senato Misti voi. LVII.
1428. 7 giugno. — Dovendosi provvedere circa il sale di Pirano respectu
damnorum portati dal contrabbando, gli effetti del quale si risentono in Friuli,
nel Trivigiano e fino nel Vicentino, si delibera :
In Pirano non si potranno levare oltre 4700 moggia di sale 1' anno ;
700 di queste andranno al comune di Pirano pel suo settimo, esse saranno
depositate nei magazzini di cui tiene le chiavi quel podestà il quale non
permetterà che si vendano ad altri che ai musellatis.
Il rimanente, 4000 moggia, sarà dato allo Stato che lo farà pagare a
lire 8 il moggio dagli ufficiali al sai.
Gli ufficiali stessi provvederanno al riattamento dei magazzini in Pirano
per accogliervi il sale.
Il massaro riceverà il sale in detta terra, lo farà misurare scrupolosa-
mente, accipiendo de callo XV prò centenario.
Gli scarsi raccolti di un anno potranno esser suppliti coi più abbondevoli
degli anni successivi. Le presenti disposizioni dureranno in vigore per 4 anni
o più, se cosi piacerà alla Signoria.
I piranesi che vi contrafacessero avranno distrutte le saline né mai
potranno produr sale.
II sale dovrà esser buono e mercantile, altrimenti il massaro lo farà
gettare in acqua sotto sua diretta responsabilità se ne accettasse di cattivo.
I produttori porteranno almeno il sabato il sale fatto in ciascuna
settimana e lo consegneranno al massaro; chi non osserverà questa pre-
— 29 —
scrizione non potrà più far sale ed avrà distrutte le saline, salvi i casi di
giusto impedimento.
E per impedire i contrabbandi, quando i piranesi andranno alle saline
non potranno portar seco l'albero, la vela né il ferititi ad sumergendum, né
tener tali oggetti fuor di Pirano; i contravventori perderanno, a benefizio
degli inventori, le dette cose e le barche, e pagheranno lire 25 per volta
(carte 3).
Per l'esecuzione di quanto sopra la Signoria nominerà un massaro che
risiederà a Pirano, vi terrà la contabilità del sale, avrà 100 ducati d' oro
1' anno, dovrà ricevere, deporre nei magazzini e dispensare a chi gli sarà
ordinato, quella derrata, e renderà giornalmente conto al podestà del mo-
vimento di essa nei magazzini.
Il detto podestà terrà anch'esso una contabilità del movimento del sile
a controlleria di quella del massaro, e di quando in quando le due saranno
confrontate.
Il medesimo podestà farà far buona guardia da una barca con suoi
famigliari per impedire il contrabbando ; il prezzo del sale trovato di con-
trabbando sarà diviso fra il podestà e i suddetti guardiani (carte 3 tergo).
Gli ufficiali al sai manderanno ogni anno a Pirano, al tempo del rac-
colto, quattro officiale* sufficientes et fidos, pagati per metà a spese dello Stato
e per metà a carico di quel comune; due dei detti officiales saranno destinati
a Siciole, uno a Fasano ed uno a Strugnano ; sorveglieranno che non si
facciano contrabbandi, terranno nota del sale che si produce di giorno in
giorno, e ne informeranno il podestà e il massaro in città per gli opportuni
riscontri (carte 3 tergo).
1428. 14 giugno. — Creazione dei provveditori al sai; contempora-
neamente si delibera de emendo totum salem Clugie et Pirani nomine nostri
domimi. I detti provveditori sopraintenderanno soli a tutta la gestione relativa
al sale; essi dovranno almeno una volta l'anno ire Clugiam, Piranum
ad videndum facta nostra dicti salis (carte 9 tergo).
1428. 19 luglio. — Si prolunga fino al 15 agosto il termine della
partenza di Ambrogio Malipiero per Grisignana, ove era stato eletto podestà
(carte 21 tergo).
1428. 14 agosto. — Non avendo i Piranesi potuto consegnare che
3000 moggia invece di 4000, per aver le pioggie impedita una produzione
maggiore, si delibera di non aspettare la consegna di tutte le 4000 dovute,
prima di fare il pagamento, ma di pagar tosto il già ricevuto (carte 27 tergo).
1428. 27 novembre. — Si prolunga a tutto dicembre a Nicolò Arimondo,
eletto podestà di Pola, il termine per recarsi a quella carica (carte 58 tergo).
— 3o —
1428 m. v. 14 gennaio. — Licenza a Taddeo da Ponte podestà di
Umago di venire a Venezia per un mese, perdendo il salario per detto tempo
(carte 70 tergo).
A Marco Barbaro eletto podestà d' Isola si prolunga a tutto febbraio
il termine per recarsi al suo posto (carte 70 tergo).
1428 m. v. 5 febbraio. — Si delibera l'elezione in Senato e la missione
di due solenni sindici e provveditori in Albania, Dalmazia ed Istria, e in
tutti i domini veneti intra Culphum (carte 73).
1429. io aprile. — Commissione a Pasquale Malipiero e Paolo Val-
laresso sindici e provveditori come sopra (carte 89).
1429. 9 giugno. — Licenza ad Antonio Lepori castellano a Pietrapelosa
di andare a Roma a sciogliere un voto, lasciando nel detto castello un
sostituto approvato dal podestà e capitano di Capodistria (carte 1 1 1 tergo).
1429. 6 agosto. — Licenza a Girolamo Lombardo, podestà di Albona
e Fianona, di venire a Venezia per 20 giorni per suoi affari (carte 142 tergo).
1429. 13 agosto. — Licenza a Marco Gradenigo podestà a Rovigno
di venire a Venezia per 15 giorni essendogli morto il padre e un fratello
(carte 143 tergo).
1429. 21 settembre. — Facoltà a Rainieri Coppo podestà a S. Lo-
renzo di spendere lire 150 in riparazioni al palazzo di sua residenza (carte
156 tergo).
1429. 7 ottobre. — Deliberazione per l'arresto e la procedura contro
Pietro Arimondo figlio di Nicolò già conte a Pola accusato di adulterio
con Menega moglie di Simeone Tipse banditore in quella città.
Simile per 1' arresto e 1' esame di Pietro, Guido ed Antonio Morelus
ragacius et famuli del detto conte (carte 161 tergo).
1429 m. v. 1 gennaio. — Chonziosia che ale orechie de la nostra
Signoria sia peruegnudo le molte e teribele destrucion et manzarie fate et
ogni dì se fano per li zudei che habita in listria a tuti nostri fidelissimi
Istriani si de tuor de vxura denari 6 per lira al mexe e pluy, chomo etiam
de le desonestissime e sforzade comprede de vini, ogli, sali et altri suo fruti
in erba, per modo che non solamente le suo fadige, et ogni vsifruti reuerte
in loro, ma etiam fina el sangue, la qual cossa e abomineuele apresso dio
et agli homeni cuna maximo incargo de la signoria nostra, E necessario sia
proueder per trar questi nostri fedeli de tanta seruitu et miseria, L'andera
parte chel sia comandado per questo conseglio a tuti nostri Rectori de Istria
' da Pola per fina a Mugle, che debia far publice proclamar in li suo reamenti
le sotoscripte prouixion, E mandarle ad effeto de ogni solicitudine i sera
possibele azio i diti nostri fedeli se possi aleuiar da tante teribele strussion,
— 3i —
E sia azonte in le commission se farà a tuti nostri Rectori de Istria per
lauegnir.
Primo che algun zudio in i luogi soprascripti non possa dar ad vsura
ad algun Istrian subdito nostro pluy de denari tre per lira sopra pegni, et
denari quatro per lira sopra carta soto pena de perder quelo i avera im-
prestado del qual '/3 **a del nostro comun, '/» dil Rector, '/5 del accusador
sei ne sera.
Secondo che passado lano alguna vxura non cora pluy sopra algun
pegno, se quel pegno non apresentara al rezimento, ma da pò apresentado
possa aver vsura fin ala so vendeda, non passando mexe uno al pluy, per
el qual rezimento sia dcpuiado uno zudexe et do altri officiali che per il
rezimento sera termenado, tanto che sia al numero de tre, i quali al publico
incanto debia vender i diti pegni che sera apresentadi, e sia tegnudi de far
incanto uno di ala domada al men, del trato di qual pegni se debia tuor
denari tre per lira, de quali den. uno sia de vn noder o scriuan a questo
deputado con i diti tre per tegnirne conto ordenadamente, e parando al
Rector ne possa meter el so cancelier, i quali conti debia semper esser
acopiadi in gli acti del Rcctore, I altri denari do per lira sia de queli che
al vender sera deputadi vngualmente, del resto se debia pagar el zudio dil
suo cauedale e de quel lauera liurado, E remanendo oltra questo alguna
cossa se debia dar a quela persona de chi sera stadi i pegni, E per il Rectore
sia vezude queste raxon ogni do mexi almeno.
Terzo che uxura non cora sopra alguno se non quando i viuera, E
inanellando quela persona che avera tolta la vxura, sia el zudio tegnudo
dar ala vendeda i pegni laverà de quel defonto conio e dito de sopra de
queli che pasa lanno, e pluy vxura non li ocorra, E voliandoli scoder la
sua heredita abia termene mexe uno da può aprexentadi a la vendeda pagando
la vxura per quel mexe, E scodandosse i deputati ala vendeda non habia
alguna cosa ne el scriuan suo.
E sia per intexi esser aprexendadi, quando per gli diti zudey sera dado
in nota al Scriuan di diti tre officiali a questo deputadi, semper stando i
diti pegni in guarda a gli zudey.
4. Chel sia commesso expresse a i diti nostri rectori de Istria che se
algun auera abudo ad vsura pluy de quelo contien i so priuilegii fin a
questo di che la vsura gli corra non obstante stesse in altra terra cha in
quella che el zudio auesse preuilegio o pacto debia solamente fargli raxon
fin quanto parla il suo preuilegio asoluandoli de quel pluy il se auesse
obligado e questo a tuti fazi manifesto.
5. Item che algun zudio per algun modo non possa comprar ne far
— 32 —
comprar sa], ne vin, ne oglio ne altra cossa che nassia in le dite nostre
terre de Istria, se quela tal cossa che i comprerà non sera arcolta, soto
pena de perder quello lauera comprado, del qual '/, sia del nostro Comun,
'/, del Rector, '/3 del accusador sei ne sera.
6. Item che non sia concesso ad algun zudio lizenzia special de portar
arme deffensibele ne offensibelle saluo per andar per camin come per lo
passado vxitado.
De parte 75 — de non 8 — non sinceri 11.
Corniti Pole — Capitaneo Raspurch — Potestati Montone — Pot.
S. Laurentii — Pot. Vallis — Pot. Grisignane — Pot. Mngle — Pot. Adi-
gnani — Pot Parentii — Pot. Emonie — Humagi — Insule — Pirani —
Iustinopolis (carte 179 tergo e 180).
1430. 3 marzo. — Licenza al podestà di Grisignana di spendere lire
200 in refeclione passuum quatuordecim muri minati et turris magistre et pontis
(carte 200).
1430. 6 luglio. — Provisiones proposte da Paolo Corner già podestà
e capitano di Capodistria.
Si delibera che il dazio sul vino, di soldi due per orna — il quale
finora soleva riscuotersi entro la città da due di quei cittadini, e da due
altri nel territorio, verso il compenso di lire tre di piccoli per ciascuno —
sia quindinnanzi appaltato al maggior offerente, il quale darà malleveria e
pagherà l' importo totale in tre rate 1' anno.
Coloro che facessero false denunzie del vino rispettivamente prodotto
pagheranno soldi io l'orna a benefizio dell'appaltatore del dazio, il quale
potrà dare un premio agli accusatori.
Concesso nel 14 13 al comune di Capodistria il dazio della muda col-
l'obbligo di murar la terra, e restato tal lavoro interrotto ; ed essendo ne-
cessario far luto da nuovo la strada dal ponte de tra Volcho fina a Rexam
praticata dai musolati che son queli che fa bona quela terra ; — si
delibera che si faccia la detta strada per extimo, si per i zjtadini
chomo per i vilani, el qual extimo ogni cinque anni se delia far da nuovo per
quel mior modo parerà al Podestade e Capetanio ; il dazio summentovato re-
sterà al comune per aidar lextimo e per recon^ar i ponti e porte de castello
Lion, e el castello, e la fontana ecc. L' estimo sarà fatto subito ; si comin-
ceranno tosto i lavori della strada nomenada de Sovran ehm le
sponde dai ladi de piera marmoregna e tra mexp implir de teren, e
. sovra meter giara, e sia finita prima del verno (carte 232 tergo).
1430. 29 luglio. — Essendosi il comune di S. Lorenzo appellato contro
la sentenza già pronunciata da Nicolò Arimondo fu conte di Pola in causa
— 33 —
fra esso comune e quello di Due Castelli, condannando il primo; si com-
mette al podestà di Pirano di giudicar la lite in seconda istanza, recandosi
sui luoghi in questione (carte 236).
Licenza a Manfredino Lugnano castellano a Lavrana di venir per un
mese a Capodistria e a Venezia pel matrimonio d'una sua figlia ; perdendo
pel detto tempo lo stipendio e lasciando il figlio in suo luogo (carte 236).
1430. 21 agosto. — Il monastero di S. Mattia di Murano è autoriz-
zato a vendere alcuni beni da esso posseduti in Parenzo (carte 245).
1430. 25 agosto. — Proposta da Paolo Corner: Si confermano i se-
guenti provvedimenti già emanati dal suddetto in Capodistria. L' ufficiale
deputato alla pesa del grano, ferro ecc. dovrà quindinnanzi annotare le
singole pesate coi nomi dei venditori e compratori dei vari generi soltanto
sopra un registro che gli consegnerà il podestà e capitano, contrassegnato
dallo stemma di questo. — Non potrà trafficare ne per sé né per conto
d' altri in grano, o altra merce soggetta alla pesa. — L' ufficiale contrav-
ventore perderà per sempre l'ufficio e pagherà lire 100 di piccoli, metà a
benefizio dello Stato e metà all' accusatore.
Ogni sera i Camerlenghi riscontreranno i conti del pesatore, e in capo
a ogni mese ne riceveranno gì' incassi, sotto pena di lire 5 per ogni con-
travvenzione, metà allo Stato e metà ai rettori locali (carte 246 tergo).
Senato Misti voi. LVIII.
1430. 30 settembre. — Si assegnano a Marco da Pago lire 500 per
avere, come scrisse Pietro Cocco capitano di Raspo, procurato la cattura
di Iacopo Radozich pirata della banda di Decano, appiccato poi a Lovrana
[il Radozich] (carte 8).
1430. 4 ottobre. — Non trovandosi alcuno che voglia assumere in
appalto il dazio del vino in Capodistria [vedi 6 luglio] ; si delibera di
scrivere a quel podestà e capitano che procuri in ogni modo di trovare
l'appaltatore, e se non lo trovasse pel correspettivo annuale eguale al pro-
dotto medio dei quattro ultimi anni, faccia riscuotere il dazio stesso per
conto dello Stato, come in addietro, da persone di sua scelta (carte io tergo).
1430. 2J ottobre. — Licenza a Pietro Cocco capitano a Raspo di spen-
dere lire 100 in riparazioni all'abitazione sua e degli stipendiarti (carte 13 tergo).
143 1. 15 ottobre. — Licenza al convento di S. Elena di Venezia di
vendere terreni infruttiferi di poco valore da esso posseduti in Pirano e nel
distretto di Capodistria (carte 84).
3
— 34 -
143 1- I2 gennaio. — Si prolunga a tutto gennaio il termine per re-
carsi al suo posto a Marco Barbaro eletto podestà a Grisignana (carte 93).
143 1 m. v. 21 febbraio. — Ad istanza di Cristoforo de Tarsia e di
Almerico de Ver^iis, ambasciatori del comune di Capodistria, non essendosi
ancora adempiuto ai provvedimenti presi nel 1413 per la fortificazione di
quella citta, e potendo essa venire in ìstis noviiatibus guerre marilime facil-
mente danneggiata dalla parte di mare ; si permette al detto comune, a
sue spese, la costruzione delle mura fra le porte di S. Martino e di Bu-
serdaga, circa 400 passi, a condizione clic sia sempre in obbligo di erigere
il castello progettato super anguìo Musscle quando piaccia alla Signoria
(carte 97).
143 1 m. v. 21 febbraio. — Ad istanza del comune di Buie, ove so-
levasi mandare per podestà un cittadino di Capodistria, e ultimamente per
grazia della Signoria un nobile, si delibera che il comune stesso possa eleg-
gere d' ora innanzi alla detta carica un membro del Maggior Consiglio di
Venezia ; durerà in carica due anni e non potrà essere rieletto che dopo
altri 4 ; l'elezione dovrà essere confermata dalla Signoria (carte 97 tergo).
1432. 6 giugno. — Facoltà al comune di Pola di far portare colà per
mare dalla Marca d' Ancona e dalla Puglia 1000 staia di frumento (carte
122 tergo).
1432. 5 settembre. — Essendo nate in Albona e Fianona, in causa
della nomina del podestà, questioni fra cittadini con inimicizie, risse e per-
cosse, e con turbamento della pace delle famiglie; molti di quelli ricorsero
al conte di Pola, il quale si recò colà per sedare le cose, e chiesero che
per evitare si rinnovassero simili fatti, il podestà fosse mandato da Venezia;
perciò si delibera quod in primo maiori Consilio eligi debeat per duas inanus
electionum unns potestas ipsarum Insularum [sic] cimi salario, ulilitatibns et
aliis omnibus conditionibus quibus soliti sunt esse Potestates dictorum locorum,
et de commissione sua provideatur per dominili m.
Segue annotazione posteriore che nella commissione di Marco Zantani
eletto podestà delle dette due terre fu posto quod esset per duos annos
(carte 143).
1432. 2 ottobre. — Licenza a Giovanni Nadal podestà di Valle di
venire a Venezia per 15 giorni per la morte di suo padre e di suo fratello
(carte 148).
1432. 29 novembre. — Si prolunga di altri 15 giorni la licenza pre-
'cedente (carte 157).
1432 m. v. 8 gennaio. Considerati gli inconvenienti dell'andata
dei podestà di Muggia alla lor sede in gennaio, si delibera che il podestà,
— 35 —
che sarà eletto resti in ufficio fino al 15 giugno 1434, e i suoi successori
vi entrino sempre alla metà del detto mese (carte 168 tergo).
1432 m. v. 27 gennaio. — Si ordina al podestà e capitano di Capo-
distria ed al luogotenente in Friuli di far sequestrare tutti i beni, che si
trovassero in quelle giurisdizioni, di spettanza dei sudditi del conte di Cilli.
Ciò in seguito al fatto che alcuni uomini di Capodistria recatisi al mercato
in partibus Goricic furono nel ritorno, in un bosco nel territorio goriziano,
presi e derubati da famigliari di Rotber e da sudditi del detto conte, e fu
loro imposta talea, con danno di ben 750 ducati oltre il personale; — e
per essere rimasti inefficaci gli uffici ripetuti fatti dal podestà e capitano
di Capodistria col conte di Gorizia perchè s' intromettesse pel risarcimento.
Si dà poi facoltà al Collegio di scrivere in argomento allo stesso conte di
Gorizia (carte 174 tergo).
1433. 2 marzo. — Facoltà al podestà di Grisignana di spendere 200
lire in riparazioni a quel palazzo (carte 182).
1433. 22 maggio. — Ad istanza del comune di Dignano si ordina a
quel podestà di pagare a quel comune [sulle rendite locali e dopo soddisfatto
il salario suo e del cancelliere] 200 lire di piccoli pel compimento del for-
tilizio e del palazzo (carte 206 tergo).
1433. 30 giugno. — Ambasciatori del comune di Pirano si lagnarono
per avere il comune d' Isola ordinato che i piranesi non potessero vendem-
miare sine bitlletino nelle possessioni da essi tenute in quest'ultimo comune;
che non potessero vendere le possessioni stesse nisi fecerinl procìamationes
in platea Insule etiam si Coiminitas Pironi venderei sotto comminatoria della
perdita di metà dei beni venduti ; — aggiunsero che tali disposizioni,
benché emesse da tempo, non furono mai osservate, mentre ora il comune
di Pirano si trovò minacciato della pena a sua insaputa, credendosi protetto
da una sentenza emanata nel 1321 per nobiles Ulne missos.
A queste querele ambasciatori del comune d' Isola opposero hos ordines
esse penitus necessarios pel bene di quel comune. — Il Senato delibera: Tutte
le condanne pronunziate in argomento siano sospese, se fu riscossa qualche
multa si restituisca il danaro; tutti i beni posseduti dai piranesi fino al 1321
siano liberi ed esenti come vuole la mentovata sentenza ; il medesimo valga
pei beni di quelli d' Isola nel comune di Pirano. I beni acquistati dopo il
1321 dai comunisti di Pirano nel territorio d'Isola e viceversa siano soggetti
agli ordinamenti locali. Quind' innanzi niuno dei due comuni potrà emanare
provvedimenti circa beni posseduti nel rispettivo territorio da comunisti
dell' altro senza 1' approvazione della Signoria.
Ad istanze poi degli ambasciatori d' Isola si risponde :
- 36 -
Doversi osservare la consuetudine circa la domanda che il podestà, o
suo rappresentante, di Pirano non possano recarsi nel territorio d' Isola per
studiare o decidere questioni intorno a beni immobili posti nel medesimo ;
e così il podestà d'Isola rispetto a Pirano (carte 215).
Non si può proibire ai piranesi di porre all'asta e vendere i lor beni,
come è consueto, ma nei casi di vendite di proprietà dei medesimi nel
distretto d'Isola si faranno le cride della vendita e della stima anche nella
detta terra, mancando le quali cride le vendite saranno nulle.
I piranesi dovranno dare in nota ogni cinque anni i beni che posseg-
gono nel distretto d'Isola, sotto pena di lire 25. — Ciò ut datia et affictus
cummunis possint exigi (carte 215).
1433. 29 luglio. — Consumandosi in Friuli molto sale trasportatovi
da Trieste per terra, senza utile dello Stato, si delibera di instituire nella
detta provincia tre magazzini, in Monfalcone, in Portogruaro ed in Udine
da alimentarsi con sale di Pirano (carte 221 tergo).
Senato Misti voi. LIX.
1433. 16 novembre. — Pretendendo il comune d' Isola che i piranesi
possidenti in quel distretto si rechino ogni cinque anni personalmente colà
per dare in nota i lor beni ; dietro reclamo del comune di Pirano si de-
libera esser bastante che le notificazioni dei beni stessi siano consegnate
al podestà di Pirano che le trasmetta per mezzo di un nunzio comunale ad
Isola ; il podestà di quest' ultima verificherà le singole denunzie, e potrà
punire gli autori di quelle che non fossero veritiere nella descrizione dei
possedimenti coi loro confini ecc. con multa di lire 25, citando però prima
gli autori stessi a comparire davanti a lui entro un mese a dir le loro
ragioni, dopo il qual tempo proceda alla riscossione della multa anche
mediante vendita degli stabili.
Lagnandosi poi quelli di Pirano che quando alcuno di essi si reca alla
vendemmia ne' propri beni nel distretto d' Isola, se lascia il cavallo a pa-
scere su prati del comune o su terreni incolti [come fan tutti] il podestà
d'Isola gì' infligge rammenda di lire io per cavallo; uditi gli ambasciatori
delle due terre, si delibera : i detti piranesi potranno lasciare legati sui beni
del comune o in luoghi inculti i loro cavalli come gli stessi comunisti di
Isola. — Essendo poi parecchie possessioni dei piranesi libere vigore unius
sententie e ricercandosi dagl' interessati dichiarazioni in argomento si ordina
— 37 —
ai podestà dei due ripetuti luoghi di fu ragione nel rispettivo territorio ai
singoli che volessero provare tal liberti (carte 14 tergo).
1433. 3 dicembre. — Tornando inutile il mantenere un castellano con
7 paghe [soldati] nel castello di Pietrapelosa, colla spesa di oltre 100 lire,
non servendo ad alcuna difesa esso castello, ridotto anche rovinoso; si ordina
al podestà e capitano di Capodistria di cassare immediatamente il castellano
e le paghe suddetti, di far demolire senza ritardo le mura del castello stesso
[non presa].
Si chiedono informazioni al podestà e capitano di Capodistria, al po-
destà di iMontona e al capitano di Raspo sulle condizioni del castello di
Pietrapelosa, col loro voto sulla opportunità di conservarlo o no. Il detto
capitano attingerà le sue informazioni e convinzioni in una visita personale
(carte 17 tergo).
1433 m. v. 28 gennaio. — Licenza di spendere lire 100 di piccoli in
riparazioni al palazzo, data a Paride Soranzo podestà a S. Lorenzo (carte 25).
1434. 2 aprile. — Licenza al capitano di Raspo di spendere lire 100
prò reparatione barbachani (carte 41).
1434. 27 luglio. — Si abbuonano a Cristoforo dalla Corte di Capo-
distria lire 350 di piccoli sulle 2220 [all'anno] per le quali egli aveva
assunto il dazio della muda di quella città ; ciò per essere restate chiuse le
strade, e quindi improduttivo il dazio, per oltre tre mesi (carte 65 tergo).
1434. 30 luglio. — Essendo necessario riparare il castello di Raspo, in
taluni combustimi, ed avendo quel capitano, col podestà e capitano di Ca-
podistria progettato con persone competenti il da farsi; si commette al detto
capitano di dar mano ai lavori e sorvegliarne 1' esecuzione sollecita. Am-
montando poi le spese a 800 ducati, si ordina al podestà e capitano di
Capodistria di somministrare il danaro necessario sui fondi che dovrebbe
portare a Venezia al suo uscir di carica ; si spenderanno pure nel lavoro
i redditi del dazio della muda di Raspo.
Tutti i soggetti al Pasinatico di Raspo dovranno contribuire pel detto
lavoro imam operaia prò quoHbet, sia personalmente, sia pagando una tassa
da determinarsi dal podestà e capitano e dal capitano mentovati. — Segue
annotazione essersi scritto in argomento ai rettori di Capodistria e di Raspo
il 2 ottobre (carte 66 tergo).
1434. 30 luglio. — Licenza alle monache di S. Giacomo de Palude
di vendere certa tei ritorta che possedono nel territorio di Capodistria (carte
66 tergo).
1434. 30 luglio. — Ad istanza di ambasciatori del comune di Dignano
si concede a quel podestà di spendere 200 lire prò rendendo et cooperiendo
- 38-
unum lobiam veterem per serbarvi i grani dello Stato. La detta somma sarà
prelevata sulle rendite locali (carte 67).
1434. 16 settembre. — Essendo bruciata la casa di abitazione del ca-
pitano di Raspo, si autorizza Benedetto Barozzi, eletto a quella carica, a
prendere in affitto una casa in Capodistria per collocarvi la sua famiglia,
finché sia riparato 1' edifizio bruciato ; egli poi dovrà stare personalmente
in Raspo (carte 74).
1434. 12 ottobre. — Avendo alcuni rappresentanti il comune di Fia-
nona chiesto la riforma della sentenza già pronunziata da Pietro Cocco
capitano di Raspo e Benedetto Barozzi conte di Pola, giudici delegati dalla
Signoria, in questioni per confini fra il detto comune e quello di Albona,
e prò nonnullis accusis factis indebile a quelli di Fianona, et prò herbaticis ;
— si ordina al conte di Pola e ad Alessandro Marcello conte di Cherso ed
Ossero di recarsi insieme sui luoghi delle questioni, udire le ragioni dei
contendenti, e giudicare definitivamente e senza ulteriore appello (carte 75).
1434. 29 novembre. — Licenza all' ospitale di Pirano di permutare
con altro uno stabile di sua proprietà (carte 81).
1435. 5 settembre. — Essendo molto diminuite le rendite dell'Istria,
della Dalmazia e dell'Albania si delibera di mandarvi uno degli ufficiali alle
rason ed uno dei provveditori al sai, per rivedere di luogo in luogo i conti,
riscuotere i crediti dello Stato ecc. (carte 128).
1435 m. v. 25 febbraio. — Si proibisce a tutti i rettori della Dal-
mazia e dell' Istria di rilasciar permessi per F esportazione da Fiume e da
Segna di ferro e d'altre merci proibite portarsi in Puglia e nell'Abbruzzo
(carte 145).
1436. 9 marzo. — Si accorda all'abate di S. Felice di Ammiana di
vendere certi terreni di poco valore posseduti da quel monastero in Capo-
distria (carte 147).
1436. 20 aprile. — Si ordina al podestà di Muggia di vendere all' in-
canto una casa posta sulla piazza di quella terra, otto cavedini di saline ed
altri terreni posseduti colà dall'ospitale di S. Marco, e di spedire il ricavato
ai provveditori di Comun (carte 155 tergo).
[436. io agosto. — Si autorizzano le monache di S. Chiara di Ca-
podistria a vendere certe lor case bruciate al tempo della guerra dei Genovesi,
e certe terre allora devastate e rimaste incolte; il denaro ricavato sarà de-
positato presso il podestà e capitano fino a che con esso le dette monache
'acquistino altri stabili (carte 168 tergo).
1436. 17 settembre. — Essendo scarsezza di candele di sego in Venezia
ed abbondanza in Istria ; si delibera che si possa condurne in Venezia
- 39 —
liberamente e con esenzione da ogni dazio, e si vieta ai mercanti veneziani
di rivenderle a forestieri (carte 175 tergo).
1436. 27 settembre. — Non essendo il palazzo d'abitazione del capitano
di Raspo ancora finito, si concede a Iacopo Morosini, eletto a quella carica,
di stare intanto in Capodistria (carte 177).
1436. 22 ottobre. — Non potendosi ottener che parole vane dai trie-
stini, ai quali era stata chiesta soddisfazione per danni dati in quel territorio
a sudditi veneti dell'Istria, si delibera di dichiarar loro per lettera: conoscere
il Senato che sono in colpa, aver pazienza finora, ma se pel giorno 15
novembre gli istriani arrestati non saranno rimessi in libertà e i danni dati
non saran risarciti, tutti i triestini che si troveranno in territorio veneto,
e i loro beni saranno presi e sequestrati. — E di ciò si decreta sin d'ora
la effettiva esecuzione (carte 180).
1436. 13 novembre. — Per gli uffici di Federico duca d'Austria [pre-
sente a Venezia nel suo ritorno da Terrasanta] si acconsente, dopo respinta
la proposta in una prima votazione, a prolungare di due mesi il termine
qui sopra assegnato ai triestini per la liberazione dei piranesi arrestati e il
risarcimento dei danni; promettendo il duca, per mezzo di suoi incaricati,
il suo efficace intervento (carte 182).
1436 m. v. 25 gennaio. — In seguito a proposta di Lorenzo Minio
podestà e capitano di Capodistria si annulla la terminazione emanata da
Omobono Gritti la seconda volta che fu in quella carica, la quale vietava
a tutti coloro che non fossero cittadini ed abitanti di detta città nò sudditi
veneti di incampare colà frumento o sale, e di partecipare ad appalti di
dazi ; e si dichiara dover essere iforenses nella condizione in cui si trovavano
prima di quel divieto. Si prescrive poi che tutti gli appaltatori di dazi
debbano prestar solida malleveria (carte 189).
1436 m. v. 3 febbraio. — Licenza a Cristoforo Zancani, podestà di
Dignano, di star 20 giorni in Venezia (carte 190).
Senato Misti voi. LX.
1437. 7 luglio. — Sentendosi che in Pola infierisce la peste, si vieta
agli abitanti di quella città e suo distretto di venire a Venezia fino alla
cessazione del morbo (carte 24 tergo).
1437. 17 agosto. — Commettendosi molte frodi col condurre a Ve-
nezia dall' Istria molto vino ribolo facendolo passare per \onta con danno
— 4o —
dei dazi publici, si prescrive che d' ora innanzi omnia viltà de Istria non
cxpediantur aiuplins prò ^onta sei prò riboleo (carte 32).
1437. 24 agosto. — Licenza a Francesco Querini podestà di Albona
di venire a Venezia per due mesi per suoi affari, lasciando in sua vece suo
fratello Marco e perdendo il salario (carte 33).
1437. 2 settembre. — Licenza a Girolamo Lombardo podestà a Gri-
signana di spendere lire 300 in riparazioni alle mura del castello, al palazzo
e al ponte detto del Marchese.
Si riducono da dodici a quattro le paghe ora di presidio in Grisignana
(carte 34).
1437. 8 ottobre. — Avendo gli abitanti di Rovigno, che per ordine
della Signoria si prestarono alla ricuperazione della nave già comandata da
Iacopo Contarini, naufragata in quelle acque, e delle merci in essa conte-
nute, chiesto il promesso pagamento; si commette l'affare ai savi di Ter-
raferma (carte 39).
1438. 31 maggio. — Si delibera che Nicolò Soranzo, eletto podestà a
Capodistria, abbia due mesi di tempo per recarsi al suo posto, come è
consueto, malgrado la legge che i podestà e capitani di quella città deb-
bano eleggersi a Pasqua ed assumere la carica il dì di S. Vito. Ciò per
essersi fatta 1' elezione solo il 25 corrente (carte 86 tergo).
1438. 12 luglio. — Licenza a Leone Barozzi podestà a Grisignana di
venire a Venezia per 15 giorni (carte 95 tergo).
1438. 23 settembre. — Licenza a Pietro Pasqualigo podestà a Buie
di venire a Venezia per un mese per salute. A di lui spese il podestà e
capitano di Capodistria porrà un sostituto (carte 104).
1438 m. v. 2 gennaio. — Si delibera l'elezione di due sindici e prov-
veditori in Istria, Dalmazia e Albania. — Eletti Orsato Morosini fu Vittore
e Lorenzo Onorati major (carte 116).
1439. 12 maggio. — Commissione ai due sindici e provveditori sud-
detti : Visiteranno tutti i dominii di Venezia intra Ciiìfum nostrum
ut fideles et siediti nostri sentiunt justìtiam et benignitatem nostrani
in nolendo aut permittendo quod aliquis eorum oblique vel indir e et e tractctur,
aut contra debìtum rationis et honestatis. Comincieranno la visita da Durazzo;
abboccatisi coi rettori dei vari luoghi inviteranno per proclama tutti coloro
che avessero a lagnarsi dei rettori stessi e degli ufficiali publici a presen-
tare le loro querele colle relative prove. — Esamineranno le dette querele
colla procedura usata dagli Avogadori di Comun, porteranno a Venezia i
processi, ed entro 18 mesi dal loro rimpatrio dovranno expedivisse et pla-
ccasse nei competenti Consigli tutte quelle cause con autorità di Avogadori,
— 4i —
— Si danno le norme per la procedura contro i rettori accusati, e facoltà
ai sindici di farli anche arrestare e tradurre a Venezia. — I sindici non
potranno essere eletti ad alcuna carica od ufficio fino a che non avranno
esaurito il loro mandato, cioè 18 mesi dopo il loro ritorno. — Potranno
sindacare in tutti i luoghi 1' amministrazione del publico danaro per parte
di coloro che ne sono incaricati, con autorità di Ufficiali alle rason ; i con-
dannati da essi per tal causa avranno ricorso in appello alla Signoria. —
Per venire in chiaro sulla condotta dei singoli rettori ed ufficiali, si dà
facoltà ai sindici di convocare in ciascun luogo almeno 12 abitanti onde
depongano sotto giuramento la verità. — Esamineranno coi rettori dei
singoli luoghi tutto ciò che fosse utile e necessario prò commodo et conser-
vatione dei luoghi stessi ed entro sei mesi dal loro ritorno presenteranno
al Senato le relative proposte. — Studieranno le condizioni delle rendite
dello Stato in ciascun luogo, e riferiranno sulla possibilità di aumentarle
o di diminuire le spese. — Riferiranno sullo stato delle munizioni nei vari
luoghi. — Passeranno la mostra, luogo per luogo, di tutti gli stipendiati
militari, e casseranno gì' inabili, trattine i godenti stipendio per grazia. —
Procederanno contro coloro che comperarono stipendi di militari con con-
tratti usurari. — Procureranno la riscossione dei crediti vecchi dello Stato.
— Per tal missione avranno lire 25 di grossi ciascuno, colle competenze
degli Avogadori e degli ufficiali alle rason nelle singole procedure. — Con-
durranno seco due famigli ciascuno, un notaio con un servo, un cuoco ;
potranno spendere due ducati il giorno 1' uno, non compresi i trasporti
(carte 144-146 tergo).
1439. 20 agosto. — In seguito alla deliberazione del 141 3 che ap-
provava 1' erezione di fortificazioni ed altri lavori a Capodistria. devol-
vendovi il prodotto del dazio della muta, si die' mano alle opere, che
restarono poi interrotte; il 6 luglio 1430 si decretò di lasciare il detto dazio
a favore di quel comune per far la strada Trivulci nsijiie Rixanum ; il 21
febbraio 143 1 m. v. si autorizzò il comune stesso a erigere a proprie spese
le fortificazioni, non parlandosi più del mentovato dazio che s' intendeva di
spettanza d'esso comune. Ora i sindici spediti colà pretendono appartenere
il dazio medesimo allo Stato, e condannarono quel podestà e capitano a
pagare quanto aveva pagato sul prodotto relativo al comune, salvo al primo
il ripeterne dal secondo il rimborso. Perciò, ad istanza di sei oratori di
esso comune si ordina che malgrado il decreto dei sindici i podestà e
capitani debbano continuare a sborsare i danari del dazio medesimo aj
comune per la costruzione delle mura (carte 167 tergo).
- 42 —
1439- !7 ottobre. — Si delibera che chi facesse in Pirano più sale
del permesso dagli ordinamenti vigenti, abbia il sale eccedente gettato in
acqua; se vi si opponesse, pagherà due ducati d'oro per moggio prodotto
in più. La pena divisa per terzo all' accusatore, all' ufficio del sale, e al
podestà e al massaro di Pirano. — Niun piranese potrà portar sale a casa
senza permesso di competenti autorità, sotto pena di soldi ioo. — Nessuno
potrà recar con barche munite di albero, vela, fero e canevo in alguna de
le vale dove se lieva sai sotto alcun pretesto senza permesso come sopra.
— Ogni produttore di sale. — Ogni anno, entro un mese dopo raccolto
il sale, e da poi fondado le saline, i produttori pagheranno al comune di
Pirano il settimo del prodotto, come di legge, sotto pena di lire ioo. —
I produttori dovranno ad ogni richiesta del massaro portar il loro sale alla
nave destinata ad asportarlo. — Si ordina al podestà di Pirano e al mas-
saro di tener registro di tutto il sale che per decreto del giugno 1428 può
essere venduto in luogo ai mussolati [moggia 700 l'anno]; esso sale sarà
deposto in magazzini dai quali il sale non potrà esser tolto senza la pre-
senza del massaro, il quale terrà nota del movimento. — Segue annota-
zione che altri provvedimenti furono deliberati in Collegio il 4 marzo 1440
(carte 174 tergo).
1439 m. v. 12 febbraio. — Si prolunga ad Antonio Malipiero eletto
podestà a Montona il termine per recarsi al suo posto (carte 193).
1439. 26 febbraio. — Ad istanza di oratori del comune di Pirano,
riconoscendosi che le deliberazioni 17 ottobre p. p. contengono provvedi-
menti inopportuni, si delega al Collegio e ai provveditori al sai la facoltà
di riformarle (carte 194).
1440. 16 marzo. — Licenza a Bernardo Foscarini, podestà di Albona
e Fianona, di venire per 15 giorni a Venezia per ammogliarsi (carte 201).
1440. 18 maggio. — Licenza ad Antonio Erizzo podestà a Parenzo
di anticipare il suo ritorno a Venezia perchè infermo (carte 214 tergo).
1440. 8 agosto. — Ad istanza del comune di Capodistria si approva
la deliberazione di quel consiglio [che è riferita testualmente in volgare],
con cui, per provvedere di rendite la cattedrale d'essa città, che non aveva
proventi fissi, si deliberò di devolvere alla stessa iati i legati fati prò male
ablatis incertis 0 non specificati a chi 0 dove se debia fare, come pure la
metà de luti legati facti a dispensar denari per charitade ; delle
varie somme terran conto i procuratori della chiesa, e saranno riposte in
una cassa della quale una chiave sarà tenuta dal vescovo, una dal podestà
ed una dai detti procuratori ; il clero della cattedrale celebrerà ogni
mese una messa e un vespero per le anime dei testatori. — Gli oratori
— 43 —
che chiesero tale approvazione furono Guariento e Giovanni de Tarsia
(carte 238).
1440. 16 settembre. — Si prolunga per un altro anno la conces-
sione già data al comune di Pinguente di spendere per due anni lire 150
l' uno delle rendite locali per finire le mura e il palazzo publico (carte
251 tergo).
FINE DEI MISTI DEL SENATO.
RELAZIONI
DEI PODESTÀ E CAPITANI DI CAPODISTRIA
I-opo le pubblicazioni di Nicolò Tommaseo, di Eugenio Alberi e
Tommaso Gar, di Samuele Romanin, di M. Gachard, di Nicolò
Barozzi e Guglielmo Berchet, di Alfredo Arneth, di Rawdon Brown e di
Giuseppe Fiedler '), e dopo gli studi di Leopoldo Ranke, del nominato
Gachard, di Armando Baschet e di altri dotti pubblicisti italiani, tedeschi,
francesi, inglesi e di tutte le colte nazioni d' Europa *), le Relazioni degli
Ambasciatori Veneti hanno acquistato una grande, diffusa e meritata celebrità.
Ma le Relazioni, particolarità della Repubblica di Venezia al confronto
degli altri Stati, non sono una specialità della sua diplomazia o della sua
politica estera : esse entrano in tutto il sistema del suo governo.
Anche i Rappresentanti del governo nello Stato, Podestà, Capitani, Pro-
veditori, Sindici ecc. ritornati dalle loro cariche o dalle loro missioni do-
vevano comparire in Senato o in Collegio per fare a voce la loro Relazione,
e quindi dovevano presentarla alla Cancelleria Ducale in iscritto.
Coteste, che diremo Relazioni interne, se non hanno importanza per
la storia generale d'Europa, certo 1* hanno e grandissima per la storia della
Repubblica e dei paesi che ne costituirono il territorio.
Samuele Romanin nella sua Storia documentata di Venezia (voi. Vili,
pag. 393 e seg.), dopo aver parlato delle Relazioni e dei Dispacci degli
Ambasciatori, non dubitò di soggiungere: «E mentre delle Relazioni esterne
» copiosamente e dei Dispacci altresì, sebbene in più ristretto limite, si
-46 -
» giovarono parecchi dei moderni storici, e se ne fecero parecchie pubbli-
» cazioni, non giunsero ancora a pari rinomanza i dispacci e le relazioni
» delle interne provincie, che per nulla cedono agli altri, se pur non li
» superano per le preziose notizie che forniscono dei veneti possedimenti
» nella Terra ferma ed oltre mare. Sono fonti della storia di Venezia che
» ormai non è lecito trascurare per ben giudicare delle condizioni sociali
» ed economiche di questa Repubblica ».
La Relazione è 1' ultimo atto d' una Carica o Missione pubblica, è il
rapporto finale, sulle cose operate e osservate, e insieme una proposta,
consultazione od avviso sulle cose da operarsi nell' interesse generale dello
Stato, o particolare del paese o dell' azienda pubblica avuta in governo.
La Relazione differisce dal Dispaccio in ciò, che i dispacci o lettere,
spesso secrete, sono informazioni, domande, proposte o risposte speciali
scritte, al Senato od al Consiglio dei dieci, dai pubblici Rappresentanti nel
pieno esercizio della loro Carica o Missione, mentre la Relazione è il quadro
d'insieme fatto a servigio o a missione compiuta: in quelli maggiore brevità
e domestichezza di linguaggio, e spesso l' ansia del momento, in queste
maggiore studio, calma e solennità ; nei dispacci 1' osservazione a spizzico
e quasi a dire l'analisi, nelle relazioni l'osservazione generalizzata, ossivero
la sintesi.
Chi conosce per poco il sistema dei Veneti, capirà facilmente che
delle Relazioni, come d'ogni altro atto di governo, tutto era regolato per
legge, il tempo, il luogo, il modo, la sostanza, la forma.
A principio le Relazioni consisterono in poche note, e soltanto col
processo dei tempi presero quel maggiore sviluppo del quale porremo sotto
occhio gli esempj .
— Un decreto del 1268 si esprime così: Oratores (valga lo stesso per
i Rettori) in reditu dent in nota ea quae sunt utilia dominio.
— Altro decreto del 1425 dice: In script is relationes facere teneantur.
— « Nel 1325 il Maggior Consiglio decretò che le Relazioni dei Rettori
«dello Stato si consegnassero (le già esistenti eie nuove) ai Provveditori
» di Comun perchè le facessero eseguire nella parte relativa ai bisogni delle
» terre soggette » (Cechetti. Costituzione istorica degli Archivii veneti antichi).
— Nel 1524 (19 novembre) il Senato dava obbligo ai Rettori di scri-
vere le Relazioni fra giorni 15 dappoi che le averanno fatte in voce, e di
consegnarle assieme ai ricordi, consigli ecc.
,' Nel 1560 (29 giugno) lo stesso Senato decretava che le Relazioni,
dopo consegnate dai Rettori ed altri Rappresentanti, nel loro ritorno dai
reggimenti, al Segretario della Cancelleria incaricato di registrarle, esso
— 47 —
Segretario « immediate, sotto pena di privazion del loco suo, sia tenuto
» far saper di aver avuto la detta Relazione, et darla ad uno delli Savii
» nostri da esser eletto per questo effetto, et a questo di tempo in tempo
» deputato per ballottazione del Collegio nostro ». Esso, ben considerata la
Relazione, fra tre giorni metterà in consulta nel Collegio quei capi di essa
che meritano provvedimento.
— Nel 1620 (11 agosto). Fu prescritto, sempre dal Senato, che le
Relazioni sieno fatte subito che i rettori sono tornati.
— Nel 1654 (^ agosto) Il Senato ordinava che i Rettori o Rappre-
sentanti portino al Collegio nel loro ritorno le Relazioni.
Ci dispensiamo dal citare altre leggi, perchè chi desiderasse conoscerle
le troverà riprodotte, secondo l'ordine dei tempi, nel celebre libro di Ar-
mando Baschet La Diplomatie vénitknne (Vedi le Note).
Ma prima della Relazione scritta, il Rappresentante ritornato dalla sua
carica, doveva (entro termine fissato, come si disse, dalla legge) comparire
in Senato o in Collegio e farla a voce. Ed era comparsa di grande solen-
nità. Fra i Codici storici della Collezione Foscarini, che conservasi nella
Biblioteca imperiale di Vienna, havvene uno, cartaceo, del secolo XVII,
comprendente la Serie di tutti i Reggimenti veneti dal 140J ai 1626, nella
Introduzione del quale, tra le altre, sta scritto, che i Veneti Rappresentanti
nel ritorno dai loro reggimenti vanno con veste ducale nel Collegio, accom-
pagnati da lunga coda di parenti et di amici, esponendo lo stato delle città
governili e, el li bisogni che occorressero in quelle ; et ne riportano con la patria
merito grande per ottenere gli altri honori di quella
Fortunatamente nell'Archivio generale veneto è rimasta una Collezione
abbastanza copiosa di Relazioni dei Veneti rappresentanti che furono in
Istria. Ne sono, unite e sparse, dei Podestà e Capitani di Capodistria, dei
Capitani di Raspo, dei Conti e Provveditori di Pola, dei Provveditori di
Veglia, dei Provveditori generali da mar, in Golfo, contro gli Uscocchi,
nonché dei Snidici di Dalmazia (che sindacavano anche le cose delle isole
del Quarnaro, Cherso, Ossero, Veglia), e dei Provveditori sopra sali, sopra
boschi e roveri, sopra beni comunali, alla sanità ecc. ecc. Queste, trascritte
per esteso o per estratto, forniranno spiegazione e ragione di quanto abbiamo
qui detto, non solo, ma ci additeranno insieme assai cose, generali e speciali,
indispensabili a sapersi oramai per intendere e giudicare rettamente il nostro
paese.
Venezia, 1 agosto 1873.
Tomaso Luciani.
NOTE
') 1838. Relation! sur les Affaires de France au XVI sitile, recueillies par N. Tommaseo.
Paris, 1838. — Sono due volumi della Collezione dei documenti inediti per servire alla
storia di Francia. Importa constatare che N. Tommaseo, esule in Francia, è stato il primo
a rivelare all' Europa questo sacro deposito d' italiana sapienza.
1839. Le Relazioni degli Ambasciatori Veneti al Senato durante il secolo XVI, raccolte
ed illustrate da Eugenio Alberi. Firenze, volumi 15, dal 1839 al 1863. — Abbenchè la
Collezione corra col nome del solo Alberi, sta il fatto che le Relazioni della Corte di Roma,
formanti due volumi, furono raccolte e annotate egregiamente da Tommaso Gar.
1853. Storia documentata di Venezia di Samuele Romani*. Venezia, volumi io, dal
1853 al 1861. — Vedausi i Documenti nei quali è riprodotto l'intiero testo di alcune
interessanti Relazioni.
1855. Relaiions des Ambassadeurs Vénitiens sur Charles Quint et 'Philippe II, par M.
Gachard. Bruxelles, 1 voi., 1855.
1856. Relazioni degli Stati Europei lette al Senato dagli Ambasciatori Veneti nel secolo XVII,
raccolte ed annotate da Nicolò Barozzi e Guglielmo Berchet. Venezia, 1856 e seg.
— Sono stati pubblicati 8 volumi e se ne attende con desiderio la continuazione.
1863. Die Relationen der Botschafter Veneti igs iibcr Ocsterrcich ini atiiìienten Iahrhundert,
nach dea Originaltn hcrausgegeben von Alfred Ritter v. Arneth, ossia Le Relazioni degli
Ambasciatori Veneti intorno l'Austria nel XVIII suolo, pubblicate dagli originali da Alfredo
cav. d'Arneth. Vienna, 1863, voi. I.
1864. Calendar of State Papers and manuscripts, relating to English affairs ecc., ossia
Regesti delle Carte di Stato e dei MSS risguardanti gli affari inglesi, esistenti negli Archivi
e Raccolte di Venezia, ed in altre Biblioteche dell' Italia settentrionale, editi da Rawdon
Brown, pubblicati per ordine dei Lordi commissari del Tesoro di S. M. sotto la direzione
del Direttore degli Archivii. London, 1864 e seg. — Sono pubblicati quattro grossi volumi.
1866 e 1867. Relationen Venetianischer Botschafter ecc., ossia Le Relazioni degli Am-
basciatori Veneti per la Germania e l'Austria nel XVII secolo pubblicate da Giuseppe Fiedler.
Vienna, 1866 e 1867, voi. 2, nelle Fontes rerum austriacarum, serie III, voi. 26 e 27.
1870. %_elationen Venetianischer 'Botschafter ecc., ossia 'R^elaijoni degli Ambasciatori
veneziani intorno la Germania e l'Austria nel secolo XVI, pubblicate da Giuseppe Fiedler.
Vienna, 1870, voi. 1, nelle Fontes rerum austriacarum, serie II, Diplomataria et Ada, voi. 30.
') L' illustre Leopoldo Ranke fece uso sapiente delle Relazioni veneziane in tutte
le sue opere storiche sui secoli XVI e XVII.
1853. Les Monuments de la Diplomatie Vénitienne considéris sous le point de vue de
V hiftoire moderne en general et de V hisloirc de la 'Belgique en parliculier, par M. Gachard
— 5o —
membro dell'Accademia e della Commissione Reale di Storia del Belgio e Archivista ge-
nerale del Regno.
1862. La Dipìomatie Vénitienne e le Princes de l'Europe au XVI siede, d'apres le rapporti
des lAmbassadeurs véniliens, par Armand Baschet. Parigi, 1862, un voi. in 8° di pag. 610.
— La comparsa di questo libro, nel quale trovasi la serie completa e ordinata cronolo-
gicamente di tutte le parti e decreti che si riferiscono alle Relazioni, diede occasione
ai più grandi pubblicisti di Europa di parlare nei loro periodici sul merito di queste
e sulla politica dei Veneziani, e se furono più copiosi gli scritti comparsi in francese,
non mancarono però gli Italiani Tra questi è notabile uno scritto dell' illustre Fedele
Lampertico stampato nell' ^Archivio Storico Italiano, nuova serie, 1862, tom. XVI, parte II,
pag. 104 a 114.
Relatio Viri Nobilis Ser Ioannis Minoto qui fuit Potestas et
Capitaneus Iustinopolis. — Presentata Die 2.a Martij 1525.
Per debita execution di Ordeni de questa Jnclijta Cita, et per satisfare
al debito mio, io Zuan Minoto ritornato ultimamente Potestà et Capitano
suo de Capodistria reverentemente ricordo alla Sublimità Vostra Princeps
Serenissime che per conservation et augumento de dieta sua Cita et a be-
neficio de Vostra Sublimità, la vogli far le infrascritte molto necessarie
provision, et primo :
Che essendo il Conseglio de la XLtia novissima del mese de octubrio
proxime passato per disordine del processo tagliata la Sententia facta per
i Signori Sindici da Terra ferma come Judici delegati per la Vostra Su-
blimità facta in favor de la Camera sua phiscal de Capodistria et la Comunità
de Mugia circa la Valle de S. Helero, et dopoi tal taglio per Vostra Serenità
iterum commessa et delegata alti Magnifici suoi Capitaneo de Raspo et
Podestà de Montona, et a me commesso la expedition de dieta causa qual
per il breve tempo che alhora mi restava a fornir il rezimento mio da me
non fu expedita, che la voglia per sue lettere commettere al presente suo
Podestà et Capitaneo de dieta Cita mio successor juxta la Commission a
me per sue de 14 octubrio data che al tutto el voglia far expedir dieta
causa de la qual dieta sua Camera è in grandissima ragion, et de dieta Vale
ne potrà conseguir ogni anno da ducati 50 in suso de utilità.
Item che essendo de certo tempo in qua mollo accresciute le pallude
da la banda verso Terraferma, et molto minuita dieta sua Cita de dieta
banda per modo che non provedendo a tal cossa de breve, è per redurse
in terra ferma per modo che dieta sua Cita de fortissima che la è da parte
de terra deventarebbe debilissima, sicché necessario è che per Vostra Su-
blimità sia provisto alla cavation de dieta pallude, et perchè tal cavation
sarebbe che in supportabil spesa a dieta sua Cita reverenter li aricordo che
la voglia far che tuta la Istria debbia contribuir a far tal bon effecto.
(Serie Relazioni — Registro I — 1521 a 1536 gii Codice Brera n. 197
pag. 21 tergo).
— S2 —
Relatio Viri Nobilis Ser Leonardi Venerio qui fuit Potestas et
Capitaneus Iustinopolis. — Presentata die i." Junij 1533.
Serenissimo Principe, per non manchar dal debito mio, et per esser
obsequentissimo ali! Ordenj et Leze di Vostra Serenità, io Lunardo Venier
olin podestà et Capitanio di Capodistria per la presente mia scriptura li
dirò quanto mi parerà degno della intelligentia di quella, a beneficio di
questo Illustrissimo Stado ed utilità di quella sua Cita Justinopolitana.
Vostra Excellentia saperà prima essa sua cita esser situata in uno bel-
lissimo sito et fortissimo, circumdata intorno da le aque salse, et murata
circumcirca di mure vechie et antique debelissime fabricate per questo Ex-
cellentissimo Dominio de circuito de meia uno et quarti tre incirca, nelle
quale mura ne sono porte, salva veritate, da dodese ordinarie et alchune
extraordinarie, alchune de le qual sonno in case de privati citadini. cosa
che mi parve insolita anchor che dieta Cita sia fidelissima quanto alchuna
altra di V. S.a Le chiave de le qual porte stanno nelle mani de alchuni de
bassa conditione che se dimandano Cavedierj, li quali hanno il carico di
aprir la marina et serar la sera esse porte. Questa cossa essendo cussi sempre
observata da poi che quel loco è alla devotione sua, non mi parve di far
altra innovatione anchor che fusse cossa di grandissimo momento per di-
versi rispetj.
Vi è una strada fondata sopra il palludo la qual va da la Terra et
passa per il Castello a terra ferma, la qual strada è causa di far accrescer
il palludo da una parte et l' altra per haver retenuto il corso delle aque,
che non se li provedendo in breve tempo, la Cita sera in terra ferma. Di
quanto maleficio possi esser tal cossa, quella per sua prudentia pò con-
siderar. Universal opinion è non vi esser altro rimedio salvo che cavar essa
strada et poner la miti in volti, siche le aque possino haver corso da luna
et laltra banda, et certo questo è la più importante cossa se habia a far a
quella Cita, perchè essendo situata in mare, et mantenendo quello intorno,
è sito da far una Cita fortissima et inexpugnabile, et cum pocha spesa.
Il Castel se dimanda Castel lion, al presente debelissimo et mal con-
ditionato, che non se li provedendo ruinerà, dove che volendo poi restaurarlo
V. S. ne haverà grandissima spesa. Ditto Castello è tra la città et terra
ferma quasi a mezo la strada dieta de supra. Se ritrova in quello uno
Contestabile cum sei compagni, et è per gratia de Dio assai mal custodito
et mal fornito de ogni cossa.
La Cita pò far da sette in otto millia anime ; da fati se potria trovar
— 53 —
da 800 in 1000 homeni. Sono la magior parte che viveno de lavorar terre
et saline, excepto aldi uni pochi Citadini che viveno de le loro intrade et
qualche pocho de industria et mercantia. Sono universalmente poveri rispeto
al sito et edam che non vogliano molta faticha.
La Camara è assai debile et tenue si come V. S. ha potuto veder per
li Conti altre volte mandatolj, et più è la spesa cha la intrata : ben è vero
che chi volesse potria meter bona quantità de danarj in essa Camara de
che pagando tuti anchor se potria avanzar almeno da ducati mille al anno.
Il territorio è assai sterile si per la mala qualità del paese come etiam
che li contadini sonno di sorte che non vogliano fatica di lavorar et sonno
per questo poverissima gente.
In esso territorio se ritrova molte Fortezze de importantia de le qual
ne scrissi per mie lettere a V. S. et alli Excellentissimi Signori Capi, alle
qual non facendo alchuna provisione, oltra che poriano minar, potriano
etiam patir alchun senistro a qualche tempo cum maleficio grande de la
excellentia Vostra, et di quel territorio come fu nelle preterite guerre per
la perdeda di Castel nuovo. S. Servolo et Cernical ; tra le qual forteze è
prima la fossa de Ospo, il Castel di Camignan et de Popechio. Quella ne
farà quella consideratione li parerà.
El territorio pò far persone da fatti da 600.
Non resterò di riverentemente aricordar a V.1 S.* che ritrovandosi nel
Istria molti lochi nelli qual ne vanno sui Rectori, quali hanno el civil et
criminal, dove che volendo li poveri subditi appellarsi convengono venir
in questa Cita cum grandissima loro spesa, interesso et total loro ruina,
de sorte che molti per la impotentia sua lassano andar le ragion sue senza
diffinirle, perchè saria bone se cussi par alla Signoria Vostra proveder che
tutte appellation andassero al Podestà et Capetanio di Capodistria, el qual
havesse a terminar et diffinir essa causa come fu delle cause de lonir pe-
rnia (sic) Grisignana, et altri lochi sottoposti a quel rezimento, la qual cossa
saria di grandissimo contento et beneficio alli poveri che non hanno il
modo de venir in questa Cita. Ben è vero che ne sono alchuni pochi in
ditti lochi li quali per poter menar le cause a suo modo et continuamente
ruinar li poveri, non voriano tal cossa. V. S. sapientissima farà quanto li
parerà a beneficio suo, et de li subditi sui.
Questo è quanto mi occorre che degno sia della intelligentia et sa-
pienza di quella, alla qual reverentemente mi ricomando.
(Serie Relazioni — Registro I. 1521-1536 già Codice Brera, n. 197,
pag. 145 e seg.).
— 54 —
Relatio Viri Nobilis Ser Donati Maripetro reversi Potestatis et
Capitanei Iustinopolis. — Presentata in Collegio die 24 Ian-
nuarij 1545.
Essendo provisto per leze che li Rezimenti al ritorno suo, oltra la
Relazion a bocha, debbino anche in scriptura deponer tutto quello sia ne-
cessario, per ho io Donado Malipiero al presente retornado dal rezimento
dela Città de Capodistria, dirò quello mi parerà esser necessario brevissi-
mamente.
Et prima dico la città di Capodistria esser fondata in un sino nel mare
circumdato de monti che verso tramontana son lontani da la città per miglia
tre in circa, et continuando verso levante se restringeno in miglia doi, et
verso mezo giorno miglia uno, verso ponente li monti si slargano per
miglia doi et mezzo, et parte ha del mare aperto.
Tra levante et mezo giorno ha porto sicurissimo per ogni gran quan-
tità de legni, né per la largeza tra li monti et la terra poriano esser offesi
da la città.
Questa città è conzonta al presente cum la terra ferma, che prima era
isola, per una strada fatta a mano larga passa doi intraverso mezozorno.
Sopra questa strada lontan da la città per un tratto di balestra è fon-
dato il Castello, se Castel si pò dir, dove li va un Magnifico Castellano et
vi è un Caporal cum dodese Compagni salariadi da la Camera.
Questa strada fu fatta a posta per conzonzer la città cum terra ferma,
et ditto Castello per securtà de quella Ma molto più secura saria se non
li fusse ne la strada, né il Castello, ma fosse in isola come prima era.
Da questa strada è causado chel mar non possendo scorrer li intorno,
et venendo nel mar verso levante una aqua de un fiumesello ditto el fiu-
mesin, ha talmente munito et consolidato da la parte de levante tra la città
et la terra ferma per farsi cento passa a traverso, che senza la strada su
pel ditto paludo et jara si pò andar fino a le mura de la città, la qual ha
porte debilissime, et quella risponde al Castello fatta a zelosia, et in alchuni
lochi le mura basse et che da se Caschano.
A presso le chiave de le porte de la terra stanno dì et notte in man
de quelli de la terra, le qual quando andai nel rezimento erano 24 e hor
sono 13, et cussi le Contrade elezo un Ciavedier per contrada qual tegni
4e chiave.
Però stante le cose sopraditte fino che mazor provision si facesse, doe
cose mi par che sariano necessarie. Prima serar anchora doe porte, zoè
— 55 —
porta S. Michiel et porta nuova verso la muda, la qual non incomoderia
in conto alchuno per esser appresso di quelle altre porte. Questo renderla
più frequente le altre porte, il che reputo non picol securtà de la città.
— Secundo far far a traverso el paludo per mezo el Castel un canal, et
cossi appresso la terra, che saria per longezza de passa cento l'uno, et non
più, de quella largezza parerà. Questi fariano la città secura de terra ferma,
et comandar, come ho fatto in mio tempo, non aldendo alchuno, il castello
si serasse, una hora da poi al sole a monte, et si aprisse meza hora avanti
si levasse.
Questa città essendo incolfada per mia X dentro la ponta de Piran.
non havendo comercio da mar, fo fabricada da viver, dirò cussi, co le parti
superiori, perchè mancando el territorio de biave che non faria quello nasce
sul territorio mesi doi, havendo al incontro assai quantità de vini, sali, de
ogli necessarii a le parte superiori. Fino che li Cranci da ditte parte superior
sono venuti a levar le ditte loro entrate de vini, sai, de oglio, se ha be-
nissimo sustentada vendendo le loro robe a bonissimi pretii : hora essendo
diminuito el corso de Cranci de più de la mità del solito, non potendo
smaltir le loro entrate, et a quelli pochi vengono volendo tutti vender li
danno le robe per vilissimo pretio, è redutta in grandissima povertà.
La causa per la qual si existima sia diminuito el corso di Cranzi
alcuni dicono che l'entrar de Turchi in l' Ongaria, è sta causa ; altri chel
sai se fa ne la città del Halla (d' Innsbruck) et lo interditto fatto novamente
chel sai dell' Ystria non passi uno loco ditto Sili (forse Cilli) sovra Lubiana
una zornata, è sta causa del sminuir el corso di Cranci. Alchuni poi dicono
che una strada fatta per Mugiesani che ha molto comodato li Cranzi et
breviatoli molto el camino è causa che li Cranzi non vengono in Capo-
distria, et per la verità a Mugia de continuo non manca Cranzi che vengono
a tuor le loro entrate.
Et per dir qualche cosa di questa strada fatta per Mugiesani, dico che
per quella hanno invidado Cranzi a venir a levar le robe loro, perchè per
quella vengono a dreto a Mugia, dove prima volendo venir a Mugia con-
venevano lontanarsi da Mugia et venir un gran pezo per la strada che veniva
in Capodistria et se volevano andar a Mugia tornar come indredo, siche
era tacil cosa essendo cossi avanti che havesseno a venir in Capodistria,
perchè anche hanno qualche avantazo nel comprar, perchè a soldati sempre
si vendeno meno in Capodistria che a Mugia per la mazor distantia. Ma
se ditti Mugesani hanno potuto far sul suo ditta strada o no, non havendo
a questo effetto ne mai aldito le ragion de l'uno, né de l'altro, questo a
me non appartien.
- 56 -
Dico etiani questo che la città de Capodistria è reduta in gran povertà
per non poter smaltir le loro entrate, nò per mio juditio poriano sopportar
alchun cargo, et se alchun pensasse a li Venditori o Compradori de vini
et ogli darli alcun cargo, saria un ruinar quella città, et metter tutto quel
populo in desperatione.
Quanto aspetta al sai del qual danno ogni anno la Xma, quella se
haveria integramente se dal Offitio del sai si mandasse de aprii li danarj
per pagar le barche che conduceno el sai nel magazeno, et questo anno ho
tanto scritto che son sta mandadi in tempo, et si ha scosso el sai.
Da poi chel sai è condutto da li privati nella Terra, existimo non si
faci contrabandi et meno al presente se ne faranno che son fabricade le
mura et sor ...(?) molte persone, et anche meglio sera da poi serada porta
S. Michiel, et porta nova; et li contrabandi si fanno, si fanno a tempo che
si fa el sale da le saline proprie, il che senza barche è diffidi prohibire.
A presso dico che in mio tempo essendo seguito un contrabando de
sale, non ho trovato leze che decidi tal contrabando ; et in questa materia
saria necessario far nova leze per l' Istria solamente.
Essendo la Camera povera et non possendo quasi supplir alla spesa
ordinaria multiplicando per le cose criminal le spese, saria bene solevar con
raxon de molte spese fanno in mandar fuori li Cavallari per l' Istria per
haver da la Comunità o carrizzi de li qual sono debitori, o altri debiti,
come fu per la cavation de la Valle de Montona et simili, et far che quelle
Communità che non hanno satisfatto al suo tempo essendo debitrici, debbino
sattisfar li Cavallarj.
Essendo el Fontego de Capo d' Istria el sustentamento de tutta quella
città ne le Commission di Rettori si doveria azonzer che fosseno obligati
render conto cossi de quelli come della Camera acciò non lasasseno che
iosse robato li danari, et quello come se faceva per avanti.
Saria de dignità de questo Stado far nuovi Ordeni, anci Ordeni per
non esser mai stato ordine alchuno, nelle cose criminal per tutta l' Istria,
perchè alchuni lochi che hanno supplicato de haver le appellatione in Histria
non le possono haver più per la malitia de alchuni Cancellieri et per non
venir a Venetia supportano assai.
A presso che appellandosi alchuno de alchuna sententia criminal per-
sonal o pecuniaria li fosse dà tanto tempo che potesseno venir a Vetìfetia,
perchè molte volte li tempi li interdicono, et sono poi astretti.
Essendo sta fatta Termination cerca la regalia delli Rettori de Capo-
distria per el quondan Magnifico Messer Sabastian Iustinian P or alhora
del 1504 Potestà et Capetanio in quel loco, et essendo d' alhora in qua
— 57 —
variate le cose, essendo necessario far nova dcchiaratione, si doveria a qualche
Rettor dell' Histria, o alli primi Syndici andaranno fuori, commetter che
havesseno a reveder tal cose et regolarle, perchè cognosso haver lassato
quello che per Justitia non doveria.
Questo è quanto per hora mi ha parso dir in scriptura, et accadendo
alchuna dcchiaratione sempre sarò rechiesto sarò promptissimo.
(Da copia ufficiale contemporanea riportata nel Secundits Liber Relatioiittm
Maiilimarum, già Codice Brera segnato col n. 207 a carte 44 tergo 45, 46).
Relation del Nobel Homo Ser Francesco Navagier ritornato
Podestà et Capitanio di Capodistria. — Presentata a dì 9
settembre 1548.
Serenissimo Principe
Per osservar, come il dover ricerca, le Leggi di Vostra Sublimità, io
Francesco Navagier stato de suo mandato Podestà et Capitanio di Capo-
distria, se ben alla sua presentia nel suo Excellentissimo Collegio ho fatta
la mia relatione, anco in scrittura gliela presento, qual è questa :
Prima mi ho afforzato con tutto il core di regere et ben governare
il populo di essa città, et del suo destretto, secondo che ho conosciuto
esser il voler de Dio et la mente di Vostra Celsitudine.
Nel tempo del mio Rezimento in Capodistria non è successo homicidio
alcuno.
Ho atteso con tutti li spiriti a regolar la camara di Vostra Serenità,
reseccando alcune spese, cioè alcune paghe morte, che erano pagate nel
Castello di essa Città contro la forma delle Lezze.
Ho atteso et sollicitato a far scuoder diversi debiti vecchi alla sua
camara, la quale ha de intrata all'anno da lire quatordesemille incirca, et
di spesa da lire undesemille cinquecento incirca.
Alli di passati per il saldo della Cassa del Magnifico Camarlengo,
havendo visto che in essa camara sopravanzavano da circa ducati mille, ne
- 58 -
mandai a Vostra Serenità ducati 800, li quali furono contadi agli Magnifici
Camarlenghi de Commun.
La Città de Capodistria, come è ben noto a Vostra Celsitudine, è
posta io sito da se fortissimo, quando che si tegna provisto che dalla banda
di Terra ferma le palude non si atterrino, come già si vede esser dato
principio, di maniera che non li provedendo che siano cavate, et presto,
fra pochi anni la Terra ferma sarà fino alle mura della città, et all'ora poi
la cavatione sarà difficile, et la città non potrassi più dir forte ma debilis-
sima, la qual non ha terragli né spalti dentro né de fuori, ma solamente
mura debile antiquissime.
Vostra Serenità del 1539 alli 29 de marzo nello suo Excellentissimo
Conseglio de Pregadi prese parte, che delli danari sui fusseno mandati a
Capodistria ducati ducento, li quali si havesseno a spender per repararioni
delle muraglie et turrioni di Belvedere, et che fusse commesso al Rettore
di essa città et successori, che tutti li danari che occorresseno a cavarsi delle
condennationi pecuniarie, che per essi Rettori fusseno fatte, dovessero esser
applicadi alla fabrica del muoio, et poi alla cavatione del canale delle palude
sopraditte, et alla fortificatione del Castello, che è a mezzo il ponte, cioè
a mezzo della strada che va in Terra ferma. Per virtù de ditta parte, la
Comunità di Capodistria ha pretendesto, che li danari de ditte condennationi
fusseno concesse a loro, et con permissione delli Rettori precessori le fa-
cevano scoder da uno suo Camerlengo con utilità de soldi dui per lira, et
non dimeno dal detto tempo in qua, mai alcun danaro de ditta ragione è
stato speso in alcuna delle sopraditte tre cose, alle quali dovevano esser
applicadi, ma li hanno dispensati et spesi in altre cose che ad essi ha parso
contra la mente et intentione della parte presa nello Excellentissimo Senato.
Il che havendo io visto, parendomi esser cosa da non tollerar, et esser cosa
di danno alla Camara di Vostra Sublimità, ho provisto a questo modo, che
tutte le condannationi pecuniarie per me fatte le ho applicade alla Camara
di Vostra Serenità con animo che quando poi si facessero li lavori alli
quali sono destinate, si havesse a levar di Camara il danaro di esse per via
di bollette ; et penso che saria bene, che anco per li Magnifici Successori
fusse ciò osservato, ad effetto che ditto danaro fusse conservato e non speso
in altre cose che in quelle a quali è destinato.
Del sito della città, et quanto che la sia atta alla fortificatione non
referirò altrimenti, sapendo che alli mesi passati per il fidelissimo Zuan
'Alvise Brugnolo Inzegniero di Vostra Sublimità il tutto è stato referto alli
Carissimi Proveditori sopra le Fortezze, et che per lui fu anco presentato
il dissegno della città fatto per esso mentre là fusse mandato per la refattione
— 59 —
delle muraglie che erano cadute a porta d' Ognisanti. Questo solamente
dirò che la città ha porte XIII, le quali tutte serveno alla marina, excetto
quella di Ponte, per la quale si va fuori in Terra ferma. Le chiave di esse
porte tengono li cavalieri delle contrade, che sono nomini eletti ogni anno
a questo effetto di aprire et serrare, et ogni Contrada ha il suo cavalliero
eccetto la porta San Michiel, la qual sta serrata, et le chiave di essa tiene
il Cavallier del Rettore.
Sono al presente nella citta di Capodistria a cornati giudicio da circa
anime Xmila (diecimila) et il populo di essa dimostra esser fedelissimo, ne
potria esser altrimenti, essendo già tanti et tanti anni nasciuto et arlevati
sotto 1' ombra del felice Stato di Vostra Celsitudine.
La ditta città al presente si attrova esser fornita di bella et honorevole
monitione di Artellarie di bronzo con li sui fornimenti, et altre cose ad
esse pertinenti mandate per Vostra Sublimità per deliberatione fatta con il
suo Illustrissimo Conseglio di X.
Restami a dire del Fontego qual è di sustentamento del populo di essa
città et delli distrittuali del Territorio. Quando io andai al Redimento, che
fu il primo dì de maggio 1547, trovai in esso Fontego stara 900 de tru-
mento, et in scrigno non trovai pur un soldo, et trovai che il fontegaro,
che quattro mesi era stato in officio, cioè da primo Zenaro per fin tutto
aprile, havea dato farine a credenza per lire settemille in circa, et il Fon-
tegaro intrato il primo dì de maggio in termine de giorni 45, diede a
credenza per più de tremille lire, et se io accorto di tal cosa non gli havessc
impedito con un mio mandato fattogli in scrittura, credo che anche lui
haveria passato le sette millia lire. Quando fu alla fin d' avosto, che si
doveano elegere li nuovi Fontegari per altri quattro mesi subsequenti, trovai
una parte presa nel Conseglio di Capodistria del 1504, che non si potesse
dar farine a credenza per più de lire 500, et trovai la parte dell' Excellen-
tissimo Conseglio de Pregadi del 1530 che provede che li Fontegari in
termine de giorni otto da poi compito l'Officio loro dovesseno haver saldato
la Cassa. Queste parte io feci publicare, et ordenai che fusseno servate.
Quando poi fu alla fine di deccmbre, vedendo che se bene per la parte
dell' Fxcellentissimo Senato del 1530 è provisto che il Fontegaro Cassiero
sia tenuto ogni sabato a portar li danari tratti delle farine in scrigno, non
dimeno io non poteva saper se tutto intieramente lo portasse, essendomi
affirmato per alcuni de loro cittadini, che tali Fontegari si servivano de
bona quantità de danari, desideroso di regolar le cose de ditto Fontego
almeno per il tempo che io havea a star de lì, mi parve espediente di
deputare uno cittadino che fusse homo da bene, qual havesse a stare con-
_. 6o —
tinuamente tutto il giorno in fontego a tenir conto delle farine, che si
vendessero, sì a contadi, come a credenza, et ogni sera mi presentasse la
polizza, et che appresso anchor lui dovesse tenir una chiave del Fontego,
acciò li Fontegari senza lui intrar non potessero, et per sua mercede gli
deputai ducati doi al mese. Tal provisione per me fatta fu cagione, che dal
Fonteg?.ro sempre ogni sera era portato al Scrigno il danaro tutto intiero
tratto dalle farine, di modo che quando si facevano le comprade di frumenti
si haveva li danari in Scrigno da pagarli, le qual comprede sempre sono
sta fatte per il Collegio delle biave, nel qual intervengono persone undese
computata quella del Rettore. Al partir mio ho remosso il ditto per me
deputato, per non dar legge al mio successor.
Ho tenuto anche quest' altro ordine, che a credenza per più de lire
cinquecento non ho voluto che se dia senza mia licentia, et questo a be-
neficio delti poveri, perchè li Fontegari con la credenza servivano li sui
Amici non solamente de farine per uso loro, ma anco da vendere per servirse
delli danari; et io havendogli tagliata la strada, faceva darne se non a quelli
che io conosceva haverne bisogno per uso loro et delle famiglie sue, et
non si ha perso cosa alcuna, perchè tutti hanno pagato senza alcuna spesa, et
se alcuno è restato debitore per non esser ancora il tempo del compir delli
quattro mesi del Fontegaro che era al partir mio, qual haveva a compir
per tutto avosto, esso Fontegaro li ha tolti a scuoder sopra di se, sapendo
che tutti hanno il modo da pagare, et a questo modo ho satisfatto alla
povertà senza danno del Fontego.
Nel tempo del mio Rezimento ho usato ogni diligentia in scuoder et
recuperar dalli debitori del detto Fontego, di modo che al partir mio ho
lasciato di cavedale per lire che quando io là vi andai non trovai
che ditto fontego havesse di cavedal se non lire
Voglio per conclusion di questa mia Relatione dir una cosa non per
gloria mia, ma per gloria et a laude de Dio padre celeste, che nel tempo
tutto del mio Rezimento mediante le debite provisioni fatte, le tarine in
Fontego non si hanno venduto più de soldi 36 la quarta delle quali ne
vanno tre per staro, eccetto che dalli 8 d'Avosto passato in qua che furono
accresciute a soldi quaranta la quarta, havendo così parso al Collegio delle
biave per rispetto del crescer che facevano li frumenti de pretio, ancor che
in Fontego fusseno frumenti tanti, comprati per avanti a pretio che per
tutto avosto potevansi dare le farine alli soldi 36, senza perdita. — Et
questa è la Relatione che per ora mi occorre fare a Vostra Celsitudine alla
cui grazia humilmente mi raccomando.
- 6i —
Spesa della Camara de Caodistria, principiando adì i" Zugno 2747
et finito adì ultimo ma%p IS4S.
El (alarissimo Potestà et Capitaneo ha all' anno de salario a
rason de lire 68 soldi 6 p. 8 al mese L. 820. —
Per nollo della barca l'ha condutto in questa città. ...» 32. —
Per sua regalia dell' oglio » 25. —
Officio delli Clarissimi Governadori per uno anno .... » 2455. —
Salario del Magnifico Camarlengo a L. 34 sol. 3 p. 4 al mese . 410. —
Fitto della Casa della sua habitatione » 200. —
Regalia de cera, carta, ingiostro » io. —
Salario del Magnifico Castellati de Castel Lion » 487.10
Salario del Caporal de Castellion a L. 20 al mese .... » 240. —
Salario de otto Compagni a Lire 8 al mese » 768. —
Salario de un Bombardier mandato dall' Excellentissimo Con-
segno de X, ha due. 6 al mese, a rason de 8 paghe . » 297.12
Un delli Compagni del Castello ha L. 2 al mese p. nettar l'arme » 24. —
Salario de quattro Zudesi a L. 16 s. 4 per uno ogni 4 mesi » 267.12
Salario del Capitano de i Schiavi con 4 cavalli et 3 famegi. » 948. —
Salario de do Vicedomini a L. 45 per uno all' anno ...» 90. —
Salario de do Soprastanti a ogni 4 mesi L. 8 s. 2 ... » 48.12
Salario de un Contestabile a L. 12 al mese, et 6 Officiali a
L. 6 per uno al mese » 576. —
Salario de do Cavallari li quali hanno L. 16 per uno al mese » 384. —
Salario de 4 lustisieri a L. 7 s. 4 per uno ogni 4 mesi . . » 86. 8
Salario de! Fisicho ha L. 62 al mese » 774. —
Salario del Precettor a L. 18 s. 18 al mese » 226.16
Scontro della Camara a L. 20 al mese • . » 240. —
Un Mistro della tortura a L. 6 al mese » 72. —
Offerte quatto solite più et meno » 24. —
Elemosina al Convento de S. Domenego » 32. —
Salario de un Marascalcho qual ha lire 3 al mese .... » 36. —
Stimadori di vini » 51. —
Un Comandador con la Trombetta ha lire 8 per comandador,
et lire 4 per la Trombetta » 144. —
Un altro Trombetta ha lire 4 al mese » 48. —
Un Capellan ih S.u Catharina in Corte de Palazzo, ha L. 5
al mese » 60 —
Un altro Capellan in Castel Lion a L. 2 s. 11 al mese . . » 30.12
— 62 —
Un Contestabile della Villa di vini a L. 8 al mese . . . L. 96. —
Do altri Contestabili delle Ville a L. 4 per uno, uno de
Orgeo (sic) et uno de Popecio » 96. —
Bolette vecchie se desconta ogni anno » 300. —
Spese extraordinarie del sopraditto anno » 871. 6
Salario del Cavalier del Magnifico Potestà a Lire 2 al mese » 24. —
Un Vice Cavalier a L. 6 al mese » 72.—
Provision dell'Orbo de Popecio a L. 8 al mese .... » 99-12
Un Fante della Camara a L. 6 al mese » 72. —
Somma in tutto Lire 11441. —
Intrada della Camara per el ditto anno.
Datio di Molini havi Ser Alvise Bonzanni, fa 12 paghe. . L. 2013. —
Datio delle Taverne della citta a Ser Stephano Becher . . » 3100. —
Datio di Legnami a Ser Piero de Lignago, fa 4 paghe. . » 45. —
Datio delle Taverne delle Ville Ser Zuan Antonio da Salò » 850. —
Datio del pan ha Ser Hieronimo Zaroti, fa paghe 12 all'anno » 510. —
Datio dell' oglio a Ser Piero de Zuane, fa 3 paghe ...» 850. —
Datio della Ternaria a Ser Piero Lignago, fa 4 paghe . . » 125. —
Datio della Pescarla a Mistro Zaro Sartor, fa 4 paghe . . » 770. —
Datio delle misure delle Orne havudo Ser Zulian de Azofa,
4 paghe all'anno » 550. —
Datio de i soldi 2 per orna delle citta et ville » 1408. 8
Livelli scossi al ditto anno » 664.14
Datio delle Becharie della città Ser Francesco Ronzini fa 4
paghe all'anno » 1660. —
Datio delle Becharie delle Ville a Ser Hieronimo del Poro » 200. —
Priegi (sic) paga le Ville iti due paghe, una de Carneval, et
1' altra de San Zorzi » 992. —
Datio della Valle de San Clero (sic) a Ser Zuan Amarolo, fa
do paghe all'anno, se vende per anni 5, vai p. un anno » 132. —
Condannason suole quest'anno » 212. —
Somma in tutto Lire 14052. 2
» 11441. —
È più l' Intrada della Spesa infrascritta Lire 261 1. 2
,
(Da copia ufficiale riportata nel Secundtis Liber Relationum Maritimarum,
già Codice Brera, segnato col n. 207 a carte 71, 72, 73 e 74).
-63 -
MDLIIII. Relatio Viri Nobilis Ser Dominici Gradonici reversi
Potestatis et Capitanei Iustinopolis. — 1554.
Illustrissimo Principe et Serenissima Signoria
Anchor che mi persuada chel sia superfluo aggionger alla sapientia di
Vostra Sublimità informatione alcuna delle cose sue, perchè da se molto
bene la intende et fa il tutto, oltra che da molti Magnifici Precessori più
compiutamente gli sono state esposte, ma per non mancare di quello santo
instituto et laudabil stile che sogliono servar tutti i sui Magnifici Rettori
mandati per lei nelle sue Città et maxime più nobile et di maggior con-
sideratione, che ritornati da sui regimenti sogliono dinanzi al Serenissimo
Tribunal di Vostra Serenità referir et esponer quelle cose che gli pareno
di maggior importantia. Io adunque essendo col nome di Dio ritornato dal
Regimento della sua città di Capodistria, con quella maggior brevità che
potrò, le esponerò tutto quello che di essa Città mi parerà degno di relation.
Arrivai in essa Città di Commissione di Vostra Celsitudine alti ié di
ottobre del 1552, ove per la buona memoria del quondam Messer Zuan
Maria Contarini di ordine di quella mi fu consignato il regimento, nel qual
ritrovai la Città quieta et pacifica, et in molte parti per sua Magnificentia
restaurata di strade, porto, palazzo, et Castello. — Non mi estenderò a
dichiarire la bellezza del sito et la naturai fortezza di quella, per ciò che
a Vostra Serenità è notissimo. Ma ben panni conveniente dechiarir qual-
mente la si ritrova ben fornita di uno fidelissimo populo et di bona religione,
et di cittadini honorati et di elevati intelletti, ma poveri per rispetto delli
olivarj morti.
Il regimento tutto saria stato quietissimo, perchè per gratia di Dio in
tutto il mio tempo non è seguito in tanto populo, da forse 9000 persone,
homicidio né scandolo alcuno notabile, sei non fusse stato il disturbo del
morbo di Mugia vicino miglia 5, et Trieste miglia X, il qual ha durato
mesi 8 in circa, nel qual tempo la Città per il mancar del commercio de
Cranci, che sogliono dargli il viver, ha patito grandissimo incomodo, et
tamen mediante la gratia della Divina Maestà et il buon governo che con
quelli sopradetti Proveditori habbiamo havuto, se siamo conservati sani.
In mio tempo è occorso che dietro la Chiesa di Sant'Anna cascò un
pezzo di muraglia de passi circa 30, la qual con 1' aiuto di Vostra Celsi-
tudine è sta ristaurata, la qual certo è muraglia bellissima, et Dio volesse
_é4-
che tutta la Città fosse cinta di una tale, che la saria inespugnabile. Ser
Alvise Inzegnero ') nepote de Maestro Michiel da San Michiel in quella opera
et del Belveder ha dimostrato la sufficientia sua.
Ho visto le artellaria et munitioni, li quali sono in loco commodo
alla piazza et in ottimo conciero, governate et custodite con ogni diligentia
et fede da Antonio Santorio a quelle deputato, delle qual il Magnifico
Colonello Cluson ha dato particolar notitia a Vostra Serenità.
I paludi dalla parte del Castello sono molto cresciuti, talché io mi
persuado che se da Vostra Celsitudine non gli tosse provisto con prestezza,
la Città rimanerla fra poco tempo in terra ferma.
II Capitaneo Zuan dal Nievo con i 20 soldati per Vostra Sublimità
deputati alla custodia della piazza, invero, per quanto compresi, stanno
molto invigilanti all' officio suo con molta fedeltà et devotione.
Et perchè fu apportata certa nova che uno della Maestà Regia si vantò
al suo Re di saper in che modo rubar il Castello et la Città con astutia,
cioè con far venir gente dentro con cavalli da soma, del che con mie lettere
diedi reverente notitia a Vostra Serenità ho provisto che tutte le porte,
maxime le principali, et il Castello, sia continuamente guardato da persone
fidelissime, lasciando la cura al Magnifico Messer Alvise Iustinian et al Signor
Conte Sforza di Avogadri relegati per Vostra Celsitudine in questa Città,
che giorno et notte vadino a torno svegliando le guarde fin che Vostra
Serenità Sapientissima darà altro ordine, qual peso et manezo de loro gen-
tilhomeni è sta prontamente accettato et essequito ; le qual operationi sotto
il mio successor si continuano, le information che de ciò hebbi, da per se
in altro foglio presentare a Vostra Serenità.
La città è povera in particolare et etiam in publico, però che non ha
altro che la muda de soldi i per soma che va fuora, la qual si affitta
Lire 1200, con i quali si mantien i ponti il Castello, la Fontana, il palazzo,
et altre cose publiche, oltra che si paga parte del salario del Maistro di
scola, Ceroico, et quello che governa 1' horologio.
Non voglio pretermetter questo ricordo con ogni debita reverentia, che
quando forno serrate le porte, forse per inadvertentia, fu serrato un portello
non distante dalla porta Maistra del ponte, se non per la grossezza di un
muro, per il qual se soleva condur i sali, et le uve de' cittadini con gran
') Ser Alvise Brugnoli noto per altre opere militari e degno nepote del gran
Samraichiele.
-65 -
suo commodo, et hora che è serrata, la citta patisse interesse grandissimo,
convenendo condur le intrate sue per via molto più lontana con gran di-
spendio, et tamen alla fortezza della Terra non dà nocumento alcuno : però
mi pareria, salvo sempre miglior giudicio, che per commodo dei cittadini
ditto portello se potria aprir, facendo una porta forte et secura, et tenendo
sempre le chiavi nel palazzo, salvo nel tempo del bisogno, et solamente
di giorno.
Sono di grandissimo sussidio alla povertà di quel loco il Fontico et
il Monte di pietà, quali con tutto il potere si sustentano dai Rettori et
dalli Ministri deputati.
(Da copia ufficiale esistente nel Libro II RelaHonum Mixtarum a IS49
usque 1)62 già Codice Brera a carte 45 e 46).
Relatio Viri Nobilis Ser Nicolai Salamono, qui fuit Potestas et
Capitaneus Iustinopolis per ipsum presentata et lecta in
Excellentissimo Collegio die 17 Martij 1558.
Essendo stato, Serenissimo Principe, al governo della vostra fìdel città
di Capodistria, conosco esser debito mio brevemente narrarli in che termini
essa si ritrovi. — Sappia adunque Vostra Sublimità che quella s' attrova
poverissima, perchè 1' anno passato et questo per la contrarietà di tempi
hanno fatto di sali per la quinta parte dell' ordinario, vini pochissimi, et
niente de ogli, onde per tal causa s'aitrova in mal termine. Malamente poi
s' ha potuto negociar per causa della peste che d' ogni intorno ardeva ;
ma per la gratia del Signor Iddio et con quelle provisioni che mi sono parse
necessarie, è sta la città col territorio preservati da sì spaventoso male.
Il Monte di pietà commodissimo sostenimento de' cittadini quasi tutto
era eshausto et anichilato, si per causa della peste passata, come per altri
infortunij occorsi alla città, ma per novi ordeni da me postivi, è ridotto in
buon termine, che osservandosi, come si osservano, in meno di dui anni
sarà del tutto ristorato.
Il Fontico medesimamente, qual nutrisse quel populo sì per la gran
povertà et miseria come per intacco di molti Ministri di quello, era talmente
dilapidato che non si ritrovava sorte alcuna di danaro; tuttavia mi son posto
— 66 —
al forte, et con quella destrezza, che mi è sta possibile a scuoder da debitori
avanti il morbo per la summa de Lire 6000, senza pena, oltre alle Lire 2255
da me esborsate al presente all' Officio delle biave per li formenti havuti.
Di maniera che ho sempre tenuta quella Città a laude dell'Altissimo Iddio,
et gloria di Vostra Serenità, abbondante et ubertosa, et al mio partir ho
lassato in ditto Fontego stara 500 de formento, come per le fede appar,
cum il populo in pace et unione. — La città è poverissima et ha maggior
la spesa che l'entrata, perchè i datij non si vendono come si solevano innanzi
la peste. — Le muraglie della Città in più luoghi minacciano ruina, et molte
case gli sono contigue, che per commodità si fanno molti contrabbandi.
— Il Castello è in malissimo termine, ma più importa che le palude intorno
alla Città et Castello sono in tal modo accresciute, che se non se li fa
gagliarde provisioni in spacio di poco tempo si farà terra ferma, oltre che
per la mortalità delle genti è stata col accrescimento di esse paludi causa
un aere corruttibile et cattivo nella Città, et massimamente alle parti più
vicine, però che sono molte case abandonate, et poche habitate. — Per la
penuria delle biave che gli anni passati è stata, molti cittadini fanno cavar
le vide per far campi et far semenar del grano, cosa molto laudabile, perchè
sono molti luoghi inculti che coltivandosi si potrà da quelli trazer gran
quantità di biave che d' avantaggio sovenirà quella Terra.
Queste sono, Serenissimo Principe, le cose che io Vostro fidel Ministro
ho voluto narrar a Vostra Celsitudine : quella farà le provisioni che per
sua prudentia et sapientia giudicarà convenevole, et alla buona gratia Sua
humilmente mi raccomando.
(Da copia ufficiale esistente nel Libro Relationes Maritimarum a ijjo
usque IJ64 sept.s già Codice Brera segnato col n. 223 a carte 79 tergo).
Relatio Viri Nobilis Francisci Mauro Potestatis et Capitanei
Iustinopolis — 1559. 22 Augusti.
Serenissimo Principe et Illustrissimi Signori
Essendo io stato, per gratia di Vostra Serenità, podestà et Capitanio
di Capodistria, mentre mi ho attrovato in esso Regimento, consignato da
me di ordine suo, al Magnifico Messer Guido Morosini mio successore,
- é7 -
m' ho sforzato con ogni mio sapere et potere, di ben regere et governare
gli habitanti di essa Citta et suo Territorio, con amministrarli equalmente
giustitia, cercando la loro quiete, beneficij et abondantia del viver suo, con
tenirli ben edificati nella fede et devotione di Vostra Serenità, come a me
si conveniva, et da loro all' incontro di continuo ho ricevuto obedientia et
molta prontezza d'animo, et ben volere con ogni fideltà verso V.a Ser.,k
La città s' attrova in fortissimo sito della quale alti mesi passati feci
far un disegno con le soe circonferentie clic sono fuori di essa Città, et
con le soe misure, il qual Desegno mandai alli Sui Clarissimi Proveditori
sopra le Fortezze, come da quello Vostra Serenità potrà vedere, alla qual,
per non attediarla, circa ciò non dirò altro.
Il paese è assai fertile d' ogni sorte di frutti et vini et ogli, ma con
poca sua utilità, perchè nel far acconciar le vigne vogliono spesa grandissima,
perchè altrimenti non fruttarebbono.
Di biave non se ne fanno molte, et quelle poche che si fanno, li Con-
tadini le consumano, et non li fanno per tutto l'anno. Ma il sostentamento
di quella Città è il far delli sali, li quali son levati da Cranci, over altri
sudditi Regij, che al tempo della estate ne viene in gran quantità, li quali
oltra che portano il danaro, portano ancor formenti et molte altre cose,
che li accomoda la detta città, onde io concludo che questo inviamento è
lo nutrimento suo per molte altre cause.
Delli qual sali Vostra Serenità n' ha la Xm", et questo anno passato
se ne riebbero mozza 635 stara 6 et si ha scossi da debitori vecchi mozza 212
st. 1. Questo presente anno fin al partir mio s'ha fatto mozza 6300 stara —
et della Sua Xma la n' riavrà mozza 521, et di tal materia ho da dir più
cose, le quali conferirò con li sui Clarissimi Proveditori del sale, il che
penso sarà molto utile al ditto suo Officio.
Al presente la predetta Città è custodita da vinti Fanti, sotto il Ca-
pitano Righetto, che alla piazza vi si stanno dì et notte, facendo le lor
guardie, et in visitar le porte, et per la sollicitudine del detto Capitanio
molto diligente et fedele di Vostra Serenità, il qual è degno della gratia
soa. Le paghe loro sono mandate dalli Clarissimi Proveditori sopra le Ca-
mere. Sopra ditta Piazza si attrova un loco idoneo nel quale è posta la
monitione, nella quale sono bellissimi pezzi d'artegliaria, con altre sorte di
arme le quali sono custodite, et governate da M.co Antonio Santorio Bom-
bardiera provisionato di Vostra Serenità. La quantità et sorte di essa mu-
nitione si contiene nella Fede fatta da esso Magnifico mio Successor, portata
da me alli Clarissimi Proveditori sopra le Fortezze, segondo il solito, alla
quale mi riporto.
— 68 —
Il Castello è un tiro di balestra a largo della città sopra la strada che
va in terra ferma, il quale è antiquissimo et molto mal all'ordine, custodito
dal suo Castellano con un Caporal insieme con Fanti 9, li quali riavevano
al mese lire 8, ma per il poco soldo li detti soldati si facevano cassar, onde
non si trovava alcuno che vi volesse star, di modo che fui forzato ad ac-
crescerli lire doi al mese, che son in tutto lire io; ma il tutto a beneplacito
di Vostra Serenità. Il ditto Castellano ha di salario da quella soa Camera
ogni mese ducati sette et in Venetia dalli Clarissimi Camerlenghi de Commun
ducati 3 '/,, che fanno in tutto ducati io '/2. La spesa del detto Caporal
et soldati è ogni mese de lire 100 incirca.
Delli Castelli che sono posti et desegnati nel suo Territorio sono al
presente mal in ordine et di custodia, oltra che hanno bisogno di concieri
et reparation, come occulatamente ho veduto, per esser io cavalcato in
compagnia del Capitano de schiavi de questa città nel tempo delle corrane
turchesche, che sono state questo anno, per le quali tutti li predetti Castelli
con el resto del paese erano in grandissima fuga. Ma essendo poi visitati
da noi con portarli polvere et arme, restorono tutti consolati, come appar
per mie lettere scritte a Vostra Serenità sotto di 1 5 marzo passato alle quali
mi riporto, non gli dicendo altro per non attediarla.
Mi resta a referir a Vostra Serenità della soa Camera quello 1' ha
d' intrada lire undesemille cento e cinquanta cinque cavata dalli suoi datij,
livelli et altro, delle quali se traze per la limitation in tre rate all' anno
lir. 2400 soldi 4, quali si portano a i Signori Governadori dell' Intrade,
benché questi anni preteriti non sono stati portati per causa del morbo,
per lo qual la detta Camera era restata exhausta che non podeva supplir
al pagamento delli stipendiarij ; et sappia la Serenità Vostra che la spesa è
qualche cosa di più, come si può vedere per il Conto con queste incluso,
delle quali limitationi presenti et preteriti mi ho sforzato di scuoder, et con
tutta la diligentia possibile ho scosso lire 4582, li quali contarò alli Clarissimi
Governadori delle Intrade. Ma al presente la ditta Camera si attrova libera
da debiti, attenta la sollicitudine et ottima diligentia fatta et usata dal Ma-
gnifico Messer Antonio Dona suo Camerlengo, il qual è degno della buona
gratia di Vostra Serenità.
La Communità di essa Città è molto povera, ha dui datij delli quali
si trazeno ogn'anno lire domillia dusento e cinquanta, spendendo esso da-
naro nel pagar el Piovan de Grao, il Maestro di scuola, il Ceroico, et nel
conciar li ponti et altre spese necessarie, et volendo far qualche spesa estra-
ordinaria convengono metter tansa fra loro. — La Serenità Vostra va
creditrice di essa Communità de bona summa di danari, che sono per biave
- 69 -
mandate al tempo del morbo delli quali, con grandissima fatica mia per
esser poverissimi, da quelli a chi fu dato di essa biava, ho scosso ducati 230,
lire 4, soldi 18, li quali presenterò alli Sui Clarissimi Proveditori delle biave
per parte di detto suo credito.
Si attrova il Monte della pietà, il qual è assai ben custodito dalli sui
Proveditori.
Ancora se gli attrova il Fontego, il quale questi anni passati è sta
molto mal trattato, et intaccado dalli sui Ministri. Pur mi ho sforzato con
ogni mio potere di farlo reintegrar in qualche parte, et in mio tempo s' ha
scosso da Debitori di esso Fontego lire 7600 come appar per la fede delli
Sindici et Procuratori della Città, delle quali mi veniva di pena soldi quattro
per lira, et a laude de Dio, et a honor di Vostra Serenità non ho voluto
cosa alcuna. Il qual Fontego è la vita di quella Città, che quando non li
fosse si morena da fame. — Questo è quanto circa essa Città gli ho a dire.
La Serenità Vostra si ha degnato in tempo di questo mio Regimento
darmi diversi carichi, come appar per diverse sue lettere, nelli quali m' ho
sforzato con ogni mio studio et desiderio di satisfarla di quanto la mi ha
imposto, non mi sparagnando in conto alcuno si nel cavalcar come andar
per barca, con usar quella maggior diligentia et sollicitudine che a me sia
stato possibile, non dando spesa alla Serenità Vostra in cosa alcuna, segondo
ch'era il debito mio, et similmente nell'avvenir non son per mancar, dove
possi esser buono de metter ogni mio bavere, sapere et potere per giovar
alla Serenità Vostra, alla buona gratia ecc.
(Da copia ufficiale esistente nel Libro Relatioues Maritimarum a ijjo
usque IJ64 septJ già Codi:e Brera segnata col n. 223 a carte 86-87 e 88).
1560. 13 octobris. Presentata per Virum Nobilem Vitum Mauro-
cenum reversum a Regimine Iustinopolis.
Serenissimo Principe e Illustrissima Signoria
Io Vido Moresini, stato Podestà et Capitanio in Capo d'Istria, per debita
essecutione delle leggi et ordini di Vostra Sublimità, riverentemente referirò
tutte quelle cose che mi pareno et sono parse necessarie et utili in quella
Città et Territorio, inclinandomi sempre al sapientissimo parer suo.
— 7o —
La città de Capo d'Istria fa de anime 3500 circa. — Dentro ha un
Capo con fanti 20 messavi per custodia d' ordine di Vostra Sublimità, et
ha anco un luogo di monitioni, dove, tra le altre cose, è un buon numero
de schioppi, archibusi, arme d' hasta de diverse sorti, che per esser le haste
parte rotte, parte marze, molti ferri vecchi senza hasta, et i schioppi et
archibusi molti senza fiasche, polverini, forme da balle, con casse triste et
rotte, li fogoni guasti, tutte sono inutili, perchè in una occorrentia non si
potrebbono adoperare. I muri poi della città in diversi luoghi con certi
turrioni sono sì mangiati et lassati, che minacciano mina. — Medesimamente
il Castel Lion, che è appresso la città con un Castellano Nobile Venitiano,
un Caporale et otto Fanti, ha alcuni pezzi d'arma d' hasta, et archibusi con
le haste marze et carolate ; et li archibusi con le casse guaste et parte senza
fogoni, et nel mal termine de gli altri, oltra che i muri dentrovia stanno
malissimo, et due cisterne tutte due guaste dal salso, che l'acqua non si
può bevere, ne adoperare, ancor che io habbia riparato alcune cose più
importanti. Ricordarci humilmente che sarebbe bene et utile farne provisione,
con rinnovar quelle arme delle monitioni nella Città, et quelle del Castello
per ogni rispetto ; et così far riparar et conzar quei muri et turrioni che
hanno bisogno sì nella città, come nel Castel predetto, acciò non ruinino
del tutto, che poi vi entrarebbe molto maggior spesa, si come diverse volte
ho dinotato a Vostra Sublimità essendo de lì. Et appresso direi che fusse
a proposito crescer il numero delli otto fanti nel Castello, et mettervi almeno
un Bombardiere con un poco di monitione et farle conzar una delle due
cisterne, che sono guaste.
Quella sua Camera ha maggior la spesa et gravezza che l'entrata,
perchè de Datij, Valli et ogni altro suo utile non cava più di ducati 1728,
et di spesa fra pagar salario de Rettori, provisionati, limitationi et altre
spese estraordinarie, paga ducati 1963, di modo che ogn'anno va debitrice,
et sarebbe necessario che li fosse provisto a qualche modo, affine che non
discavedasse, e fosse reintegrata.
Il Territorio di Capodistria fa de anime 6000, et ha dodici luoghi
murati, da quelli del paese chiamati Castelli, non molto distanti dalli confini
Cesarei, parte de quali, et quasi tutti per il tempo et per non esser sta
governati, sono in mal termine, et alquanti di essi stanno in andar di male
se non se le provede, che sarebbe poi in qualche tempo danno grandissimo
a quel paese, per salvarsi in essi le robbe et animali di tutte le Ville cir-
.cumvicine in tempo de invasioni cum moti di guerra. Alli quali tutti luoghi
si provederebbe di riparo, et a quelli più importanti di maggior custodia
con poca spesa di Vostra Sublimità, perchè i contadini, purché le fusse
— 7i —
pagata la Maestranza di far due o tre calcare di calcina cum datole un poco
di legname, si contentarebbono metter del suo, et a sue spese il resto di
Maistranza, opere, cum altra materia, et massimamente questi che non
haverebbono gran fatto bisogno di altro : Rosaruolo, Lonche, Valmorasa,
Monte, Cristavia, Costabona, Gemme et Gradina.
Antignano, un altro di questi luoghi murati, per esser sopra un monte
eminente, distante tre in quattro miglia dalli confini, che scuopre tutti i
passi che sono a quella banda, et dal quale in tempi de incursioni si suol
dar segno a gl'altri luoghi et massimamente alla città di Capo d' Istria, è
custodito da un homo solo pagato dalli villani, et hora si attrova in mal
termine che si lassa un pezzo di muro, et ruina il colmo di esso Castello
nel qual habita il Custode et si ritirano quei della villa in sospetti d' incur-
sioni con le loro robbe. Questo luogo, oltra un poco di riparo nel coperto
et muro, haverebbe bisogno d'un altro homo per guardiano, il che si farebbe
con poco interesse di Vostra Celsitudine.
Vi è anche un' altro luogo ditto Hospo posto nella concavità di un
monte delle alpi di Alemagna da loro dette la Vena, che è sul confin fra
dui Castelli della Cesarea Maestà nominati uno S. Servolo, l'altro Cernicale,
al quale non si va se non per una via, per 1' ascesa di un monte assai
ardua et stretta, et dentro è spacioso, che in ogni tempo quella Villa et
un' altra vi salva le sue biave et vini, et salvarebbe oltra le robbe, cento
fameglie, con aqua che mai le manca, anzi a' tempi di pioggia cresce di
sorte che convengono lassar aperta una certa porta per la qual si potrebbe
facilmente entrar dentro, et alla guardia non vi è se non un solo homo,
che gli altri stanno a basso nella villa, et a giuditio de molti, che se si
perdesse, potrebbe esser ia perdita et ruina di quel territorio. Questo luogo
harebbe bisogno di tavole 200, travi 30, per riconzar i corridori, et di
qualche pezzo d'artegliaria appresso alcuni pezzi di ferro tristi che vi sono,
et sopra tutto bisognarebbe una sarasinesca di ferro per sicurar quella porta
dall'aqua, che non si potesse entrar per essa, et di un altro homo che di
continuo stesse dentro alla guardia.
Cuovedo un' altro Castello posto in mezzo del Territorio, in un bel
sito sopra un monte, dal quale si può dar ajuto agli altri luoghi per esser
anco spacioso, che alloggiarebbe dusento fanti et cinquanta cavalli, et al
tempo delle guerre passate era il ridotto dove stava il Proveditor Civrano
con li Stradioti. Hora va in ruina, et non ha pur le porte da serarlo, et
senza custodia alcuna. Crederei che fusse bene ripararlo, chel non vadi del
tutto in ruina, et poi metterle un poco di custodia, et un poco d'artegliaria
et di arme, perchè la Villa fa da 120 homeni da fatti, delli quali si potrebbe
— 72 —
prevalersene quando fossero armati, et perchè non vi sta se non il prete.
Si potrebbe dar il carico alli Capi della villa che andassero ad habitarvi con
le loro famiglie, come sarebbe il Zuppano et Pozupo.
Vi è anco un altro Castello ditto Popecchio in modo di una Rocca
posto nella cima di una grotta della Vena altissima, et sotto pur nel monte
è una cava, dove quei della Villa salvano in ogni tempo le loro entrate;
alla quale si va per strada strettissima et ardua. Quivi è acqua sufficiente-
mente et di continuo, che supplirebbe all'uso di gran numero di persone,
et vi si salverebbero cinquanta fameglie. Il Castello è assai fornito di ar-
tigliarla, et è guardato da un homo pagato dalli villani oltra ducati quattro
che tocca ogn' anno da quella Camera ; et la fossa medesimamente è cu-
stodita da un altro homo pagato dalli istessi villani. Questo luogo haverebbe
bisogno di un poco di arme perchè fa homeni da fatti 120 che in occorrentie,
se havessero delle arme, potrebbero difendersi.
Il medesimo bisogno, oltra un poco di riparatione, haverebbe anco
Valmorasa, uno delli Castelli nominati di sopra, il quale se ben non è
sopra passo, è luogo murato, posto sopra un monte et custodito da uno
che vi sta di continuo dentro, et se havesse un poco di arme si difende-
rebbe sufficientemente perchè fa homeni da fatti n.° 60.
Né sarebbe forse fuori di proposito per questa causa anco a quelli altri
Castelli detti di sopra, cioè Rosaruolo, Gemme, Gradina, Cristavia, Monte
et Costabona, dappoi che fusser riparati, darli un poco di arme, et mas-
simamente ad Hospo che fa homeni da fatti n.° 80, et Antignano n.° 70.
Sono per il Territorio tre Contadini intitulati Contestabili, quali tirano
ogni mese un poco di paga da quella Camera, et non fanno fattione alcuna,
se non qualche fiata commandar per il Territorio, il che occorre rarissime
volte. Questi tre si potrebbono compartire et mettere uno per cadauno delli
luoghi detti di sopra, eh' io ricordai haver bisogno di maggior custodia,
cioè Antignano, Hospo et Cuovedo, con crescerli un puoco di salario, obli-
gandoli ad haver custodia del luogo, et a tenir in ordine et governar le
arme, et artegliarie. Et quando occorresse andar a commandar, che uno
della villa fra tanto stesse in luogo suo. Il crescimento di salario tengo che
sarebbe poco et tale che le ville potrebbono pagarlo, almeno la maggior
parte, senza grande incomodo.
Essendo nella città homeni da fatti 900, che la maggior parte lavorano
alla campagna, et nel Territorio da fatti n.r0 1500, credo che potrebbe far
una bonissima cerneda all'usanza di Terra ferma, de homeni 300 nella Città
et de 500 nel Territorio, i quali come fossero disciplinati, non sarebbono
raen buoni de gli altri da ogni fattione, con utile di Vostra Celsitudine,
— 73 —
et beneficio di quei paesi per i bisogni che potrebbono occorrer, perchè, né
in quel Territorio, nò in tutta l' Istria, vi è Compagnia alcuna disciplinata,
o da disciplinare, salvo 40 cavalli sottoposti al governo del Clarissimo Ca-
pitano di Raspo, con tutto che si sii su li confini, o poco distanti da quelli.
Questa cosa è stata un tempo conosciuta per buona et utile et servata nella
Città che vi erano dieci Capi con homeni 45 per cadauno, et un altro Capo
sopra di loro, tutti pur della Terra, quali esercitavano li homeni che erano
450; ma hora è andata in abuso, da quello che si può giudicar per non
vi esser ordine et regola né homeni che habbino esperienza alcuna di tal
professione, et delle ville et anco per la Città ho veduto che già ne è sta
havuta sopra consideratione et maneggiata tal cosa fino del 155 1 a' 28
Giugno, nel qual tempo fo commesso al Clarissimo Messer Zuan Maria
Contarmi all' ora Rettor in Capo d' Istria, che dovesse tuor informatione
del n.c de homeni che si potesse descriver così nella Città come nel Ter-
ritorio, con quello che bisognarebbe per far l'effetto predetto, la qual quando
si facesse et fusse instituita con quel buon ordine et governo che spererei,
sarebbe forse causa di farne introdurre negli altri luoghi di quella provincia,
che sarebbe una riputatione et sicurezza di quei paesi. Et quando paresse
a Vostra Serenità di volerla fare, io raccorderei che il carico di quelli della
Città si potrebbe dare al Capitano della piazza che sta di continuo nella
Terra, et al Capitanio de Schiavi la cura di quelli del Territorio, perchè
a lui spetta tal carico, et lui come prattico delli costumi et della lingua,
che quasi tutti parlano schiavo, et non intendono gran fatto altra lingua,
li ridurrebbe meglio all'essercitio, et disciplina predetta. Et questi doi Capi
si haverebbeno col stipendio medesimo che tirano al presente. Si potrebbe
poi accrescer un poco di paga al Sergente et Tamburro del Capitano della
piazza predetta, et darli obligo che or ad uno or all'altro servissero, et
far detta essercitazione in Campo marzo, che è un luogo piano spaciosissimo
et vicino alla Città, acciochè il Capitano, Sergente et Tamburo la notte
potessero essere nella Terra, et attender alle loro guardie. La maggior
difficoltà che io veda sarebbe il modo di armarli, perchè il paese et la città
sono di una povertà estrema, et tale che non so come potessero sopportar
senza grandissimo risentimento la spesa massimamente in trovar ad un tratto
tante arme, et penso che questo più che ogn'altra cosa li potrebbe mover
a dimostrarne risentimento, et per tal conto venir alli piedi di Vostra Cel-
situdine, et perciò credo che sarebbe necessario le fossero date per questa
fiata le arme da Vostra Serenità.
Ho fatto far un volto del ponte che va dalla città verso Terra ferma,
et anco fatto far la cavatione dell'alveo da divertir il Fiumesino a mariqa,
- 74 —
verso ponente, et ridotto l'una et l'altra opera in termine che poco li manca
ad esser compito secondo la deliberatione di Vostra Sublimità, alla quale
non resterò di dire che i paludi tra la Terraferma et la Città sono di sorte
grandi, et alla giornata crescono che hanno fatto una presa, che quasi sopra
tutti caminano le persone in tempo di secca, et in alcuni luoghi alla volta
massimamente dove è la bocca del Fiumesino vecchio sono sì saldi, che i
Cavalli vi caminarebbono senza difficoltà. Et per quello dicono i homeni
vecchi pratici di quei siti sono fatti a quel modo da pochi anni in qua, et
dapoi che quella strada che va da Terraferma nella Città è sta munita et
empita di terra, la qual si stesse cosi alla longa sarebbe causa che si mu-
nirebbe et consolidarebbe quel paludo maggiormente, et in pochi anni si
farebbe quasi Terra ferma fino appresso la Città, con danno di quella per
rispetto del mal aere che nascerebbe, et anco perchè a quella parte sarebbe
men sicura. Onde se ben sono sta a ciò fatte da Vostra Sublimità le pro-
visioni di levar via quella strada et divertir quel fiume, che non più entri
nella laguna, ricordarci humilmente che fusse commessa la executione di
così buon ordine con più prestezza che si potesse, acciò tanto piuttosto si
removesse la causa di essa atterratione ; et appresso che Vostra Celsitudine
desse qualche ordine che fusse movesto esso terreno di sopravia almeno per
un piede perchè, come dissi, in molti luoghi ha fatto una presa di tanta
durezza che è impossibile moverla col flusso et reflusso dell'acqua, che si
spera farà quando sij più libera et più gagliarda dapoi levato l' ostaculo
della via predetta. Et acciochè l'opera duri et possi partorir il buon frutto
che se ne spera, dirò anco che sarà bene et necessario al capo dell' alveo
che si fa per divertir il Fiumesino alla parte verso la marina in faccia di
tramontana farle uno speron che separi il Fiume dal mare, et lo conduca
un poco in fuori a quel modo, affine che non si atterri et munisca in ditta
bocca, come senza dubbio farebbe in pochissimo tempo quando si lassasse
così aperto.
(Da copia ufficiale esistente nel Libro Relationes Marìtiniarum a ijjo
nsque IJ64 septJ già Codice Brera segnato col n. 223 a carte 100 tergo,
101, 102, 103 e 104).
— 75
Relatione del Nobel Huomo Ser Alvise di Priuli ritornato Podestà
et Capitanio di Capo d' Istria. — 1577. — Non data in tempore.
Serenissimo Principe et Illustrissima Signoria
Se ben sia certo che la serenità Vostra, di tempo in tempo, sia stata
da' Magnifici Rettori precessori, a pieno certificata del stato della sua città
di Capodistria, et territorio, nientedimeno occorrendo col tempo nuovi
accidenti degni di sua intelligentia, et per confìrmar nella sua memoria
l'esser di detta città, non mancherò ancor io Alvise di Priuli per la cognition
che ho havuto in quel Regimento di rappresentarli, che si come per il passato
vi era introdutto alcune opinioni della Religione, hora si ritrova tutta cat-
tolica et veramente può dirsi un convento de religiosi, governata come si
ritrova dal Reverendissimo Patriarca di Jerusalem et Vescovo della Città
con contento et soddisfatione universale, e perchè gli successe infelice l'anno
del 53, et per la peste, de cosi numeroso populo che vi era, restò solamente
da anime 2300, restando la città in gran calamità, havendo perdute la
maggior parte delle vigne che restorno inculte, che era uno di membri
principali del viver de tutta l'università, né sin hora si ha potuto ristorare
accrescendoli ogni anno novi infortunij, et augumentando l' anime come
hora se ritrovan al numero di 4000, resta in maggior calamità per le continue
carestie, tempeste et farsi puochi sali, et il peggior di tutti i altri è stato
l'anno prossimo passato 1573, et le tempeste gli han levati tutti i vini, ogli,
et per l' indesposition dell' estate pluvioso i sali, che maggior calamità et
miseria non potria rappresentare a V. S. et se non vi fusse sta alcuni depositi
de sali serbati dell'anno 1571 die si fece quella gran quantità fino 20m
moza, che sono stara 12 venetiani per mozo, tenirei per fermo che la
maggior parte di habitanti se ne sarebbono sgombrati via, ma questi sali
così serbati causano che i sudditi imperiali che da le parte di sopra calano
per levarli come fanno coi cavalli portando di formenti et altre vitovarie,
che questi della città se intertengono con un puoco di merce che vendono
per 1' uso del paese, né in altro maggior fondamento consiste il minuir
questa città che 1' haver sali per dar a quei popoli, et quelli levar un anno
con 1' altro concorreno 40 in 50 mille cavalli accompagnati da 30 e più
mille persone che oltra il portar che fanno le biave et altre robe, lassano
buona summa de danari nella città, che causa con tutte le carestie et in-
fortunij conservarsi ; et quando questo corso mancasse, sia certa la Serenità
Vostra che a peggior termine si redurebbe detta città che non è Puola,
-76 -
mancandoli il passo da mar, dove per il sito non capita ne concorre alcun
vassello. Crederò per questa causa, che il levar, come ho veduto in questo
Reggimento, l'anni che si fan pochi sali dal Commesso dell'excellentissimo
Ufficio del sale, sia una espressa ruina di questo populo, et con puoco per
avventura utile delle cose di Vostra Serenità levandosi puochi sali, la qual
Stimma restando nella città causerebbe maggior concorso et beneficio a
quella ; et acciò V. S. sappia la causa del danno che ne sente tutta questa
università levandoli sali nelle stagion cattive si è, che redutta la povertà
l'invernata alla solita miseria dal Commesso di detto Ufficio, gli vien contato
danari per i sali venturi a mercato de Lire 5 il mozo, che per la necessità
torrebbero anco Lire 3/4, se ben se ne fan poi restarle puoco, et che vale
come è sta al presente anno Lire 8 et io; tuttavia convengono darle alle
lire 5 con molto ramarico del populo; perciò credarò che sia cosa degna
de V. S. che i anni che sono de sason de far molti sali, al hora per quel
clarissimo ufficio investito fusse in sali non alle Lire 5 ma ai presij correnti,
che in quei tempi non passano Lire 6 in 7 al più al mozo, et in uno sol
anno potrà empir il magazzeno novo fatto di tenuta di 6ma et più moza,
et 1' altro vecchio appresso de mozza miile, et quel sera un deposito de
V. S. con utile suo et soddisfation de tutta la città, et tanto più fondata-
mente può fare al presente, che non pagherà più affitti de magazeni come
faceva per avanti, che di manco de 3m moza de sali, correva de affitto più
de 100 scudi l'anno oltra altre gravezze de conduture et portadure per i
magazeni che eran lontani, e questi de V. S. vicini al mare; quel che non
succederà se ben la S. V. ne havesse jm moza, essendo i magazeni sui, di
quali sali la S. V. come li venirà più comodo, potrà e far condur per Venetia
per smaltire in altri luochi, et ne potrà anco serbarne una parte in Capo-
distria per conservar et mantener il corso 1' anni che non si facesse sali,
et che non ne fusse nella città, con utile delle cose pubbliche di cento per
cento, et con sodisfacion universale, et conservation della città, poiché si
vede che l'anno, per non tuor di anni più avanti, 157 r, che fu si bona
sason di sali non passorno lire 6 il mozo fin 6 '/, , et tuttavia quest'anno
continuamente i salvati per deposito del ditto anno sono sta venduti Lire 13
et 14 il mozo, che se quell'anno fusse sta investito in sali, comodamente
il pubblico ne poteva havere 6 et 7 mille moza et più con universal contento,
quel che all'incontro succede l'anni che si fan pochi sali, nel qual tempo
comprandone e con male sodisfation della città ne restarò di raccordare a
V. S. che i suoi sali delle Xm0 si mettessero apartati dai comprati, per
remover qualche fraude, che può fare chi maneggia tal denaro de comprar
gali.
— 77 —
Restami rappresentarli il sito della città, circondata tutta da l'aque salse,
et che dalla parte del castello, che è fuori della città verso terra ferma,
lontano dalle muraglie passa ioo, sono tutte palude che solamente con
1' aque grosse è coperte, et in quella parte rende cattivo stare alla città,
causato il non haver tenuto cavato i paludi sotto il ponte fatto della città
fin al castello con 24 archi, riavendo i pillastri a poco a poco causato lo
amonirsi per non haver l'aque il suo corso, et se tra un pillastro et l'altro
non si cava acciò l'aqua per i canali scorrer, in breve cresserà più il paludo,
più cativo aer, et finalmente si redurà a terra ferma, vedendosi hora acanto
i pillastri, che sin al castello si può commodamente cavalcare, quel che già
tempo andava una galea, crederò perciò, e per sicurezza dell' aere, e per
sicurtà della città, che ogni anno si cavasse tra un pillastro et l'altro con
i sui canali, che 1' acque scorressero, spendendo i denari de condenationi,
o per quali' altra via che paresse più espediente alla Serenità Vostra che
seria de gran beneficio a questa città et alle cose pubbliche, poiché si re-
moveria l'aer cattivo, et si redurebbe con puoca spesa per conto della terra
ferma in ogni sicurtà.
Il territorio veramente non è manco pieno di miseria et calamità per
esser anco così sta sempre questa provincia povera, et alla giornata per
l' infortunij, carestie, gravezze diventa più calamitosa, et specialmente questo
territorio nel qual sono anime 6m, tra' quali 1500 da fatti; ma tanto miseri
che ho cavalcato la maggior parte del territorio, che si può dir la miseria
istessa, et molto più belle et comode sono le stale di terraferma, dove stan
li animali bruti, che in questo territorio dove habitan li huomini con piccoli
tugurij quasi tutti di paglia, et ogni giorno cresce maggior calamità per chi
vende i buò, chi si parte ad habitar in altre jurisditioni parendoli di esser
più angarizati de tutto '1 restante dell' Istria, et più volte la contadinanza
si ha doluta, che essendo obbligati nella carata generale de tutta l' Istria a
carezar i legnami per la Casa dell'Arsenal, et che poi lor soli siano angarizati
a carizar i remi che si conducono da luoghi Imperiali, et se questa gravezza
continuerà dubiterò che continueran a vender i buò, et sminueranno i habita-
tori, per il che crederò che se ben hora soldi 20 per carezo (sic), che molti
per esser lontani non lo farian con dui ducati carezando per danari, seria
cosa honesta che li fusse fatti boni per ogni carezo de remi, oltra i soldi 20
che hanno mezo carezo o un quarto nella carata general de tutta 1* Istria,
sopra li carizi dei legnami e simil cose, tanto che li paresse non esser lor
soli angarezati più che '1 restante dell' Istria, con qual mezo s'aquieteran di
rumori che fanno quando occorre tal carezi de remi, et così si conserveran
i buò, et li habitanti nel stato di V. S. e ritrovar qualch' altro espediente
-78-
che conoscessero esser eguali con tutti i altri della provincia; si come sa
ben la S. V. per sua sapienza, che essendo gravati più uno che l'altro, e
con qualche mala sodisfatione, et con sua bona gratia facendo fine gli de-
sidero da Dio ogni felicità.
(Serie Relazioni — Registro 4 — '575-1576 già Codice Brera 11. 196
pag. 49 tergo e seg.).
Relatione del nobel homo Ser Nicolò Bondumier ritornato di
Podestà e Capitanio di Capodistria. — 1579 dopo Giugno.
Serenissimo Principe, Illustrissima Signoria
Essendo ritornato dal mio Reggimento di Capo d' Istria io Nicolò Bon-
dumier, et sapendo che è ordinario et disposto dalle lezze di rifferir in questo
Eccellentissimo Collegio tutto quello che possi esser degno di sua saputa,
intorno alle cose di quel governo, non resterò di dirle con brevità quanto
che io stimo esser ben et servitio suo.
La qualità della città, grandezza et sito suo a Vostra Serenità è am-
piamente noto, et mi par superfluo doverla attediar, essendo stata informata
da tutti altri miei Clarissimi Precessori. Il sito è sopramodo bello, ma temo
molto che dalla parte di terraferma, dove sta il Castel lion et il ponte, fra
pochi anni quel poco di paludo si monisca del tutto, et che si faccia terren
accessibile, si come si vede in caminar che già è cresciuto tanto, che co' il
flusso dell'aqua si scovre tutto come fa queste lagune, né li vedo rimedio,
essendo la cosa troppo innanzi. Dicono quei pratici, che la potissima causa
dell' augumento del terreno procede da un rivolo che discende in quella
parte dai monti, ditto da loro fiumesino, del qual avvertita già anni la
Serenità Vostra a supplicatione di quei sudditi, diede ordine che si facesse
un cavamento per divertir quel corso, et redurlo nel fondo del mar, et
mandò dinari, et fu anco fatto poco meno di tutto esso cavamento. Si rimase
poi dall' opera, che poco restava a desboccar nel gran fondo, et per l' im-
psrfetione è monito assai ben, et quel fiumesin continua tuttavia per il suo
alveo, et monisse maggiormente, menando a tempo di pioggie dentro in
quella parte gran quantità di terra, et gera, facendo il fondo sodo in modo
— 79 —
che hora dalla terra ferma alla città si può caminare gagliardamente ad ogni
tempo senza impedimento alcuno con doi piedi poco più d'acqua. Quando
si ritornasse a cavar ditto alveo, farebbe grandissimo servitio per impedir
che quel terreno non si alzasse più, et conservarlo che non si monisca
maggiormente, havendo inteso, che al tempo della fondation del Castel lion
fu fondato esso Castello in 13 piedi d'acqua, et adesso è, si può dir, ito
secco, per occasion del quale disordine al mio parere è bene in quella parte
così monita ad ogni bon fine et per sicurtà in ogni occasion di quella città,
che si allarghi et profondi un cavalleto già fatto a costo via li muoli, ma
stretto adesso, reducendolo in una bona fossa di 40 piedi almeno, si come
anco intendo che raccordò già 1' Eccellentissimo Signor Sforza quando fu
a veder essa città, il qual cavalleto nel stato che si ritrova adesso con il
flusso dell'acqua è cosi magro, che non può condursi per lui una barchetta
piccolina, et sarà servitio notabile, et il maggiore per mia opinion, che la
Sublimità Vostra potesse procurar appresso il cavamento predetto ad essa
città, et crederei che si farebbe con non molta spesa della V.
Serenità, perchè quel populo menudo, che per il più ogniuno di loro ha
la sua barchetta, potriano con le opere a rodolo aiutar et condur via il
terreno, et di già fin sotto il Reggimento del Clarissimo M.r Andrea Giu-
stiniano precessor presero parte in quel Consiglio di dar per la fortificatione
di quella città, et escavation del paludo tre Rotoli di opere, che importa-
riano circa )m opere.
La città poi ha la sua muraglia ordinaria antiqua attorno ; vi è una
sola apertura dalla parte di tramontana, che ne cascò un pezzetto, per zornata
si potrà rinovar di bon mura del publico, perchè la città è tanto povera,
che tengo per fermo che nel Stato di V. Serenità non sia la più miserabile
con tutto che dicano che già anni era commoda per li traffichi di mercanzia ;
tanta è la revolution dei tempi portano così di questi frutti, né bisogna
pensar di adossarli spese, essendo la povertà loro infinita.
Hanno un Fontico, il quale è la bastantia et fondamento di quel populo,
et con quello si sustentano tutti non facendo il terreno per la sterilità del
paese pan per tre mesi all' anno. Al mio arrivo trovai chel haveva de ca-
vedal circa 8m lire, et al mio partir l'ho lasciato di n", et spero chel
Clarissimo mio successor lo conserverà, et con augumento insieme.
Le cose dei sali sono molto ben note alla Serenità Vostra per relatione
delli Clarissimi Proveditori suoi al sai, che sono stati de lì molte volte.
Quella intrada a quei sudditi è commoda, et senza spesa. Quest' anno ne
hanno fatto circa iom moza, V. Serenità ne ha in quella città una bella
monition procurata dalli Clarissimi Proveditori suoi al sai, comprati oltre
- 8o —
la Xm* che è sua. Non voglio Testardi dirli in questo proposito, che l'oc-
casion dei sali oltra il prelevarsi di quei sudditi col tratto, apporta grandissimo
commodo alla città per il corso di Cranzi, li quali andando a pigliar li sali,
conducono fermenti et diverse altre sorte di robe, con notabil beneficio
anco dei datij della Sublimità Vostra, par però che questo anno il corso
sia stato debile.
L'accidente delle Saline, che Triestini procuravano di far vicino a Mugia
era di grandissima importantia, perchè oltra la interruptione della jurisdittion
della Serenità Vostra nel Mare, quando havessero effettuato quanto disse-
gnavano quietamente, senza dubbio in pochi anni serravano tutta quella
Valle con tanto numero di Saline che haveriano appresso poco supplito
loro solo di sali al bisogno del paese Regio, et quella città di Capodistria
et la terra di Muggia restariano dessolate, et li datij di V. Serenità del tutto
anichilati. La Serenità Vostra gli messe pensiero, et con molta consideratone
io hebbi alcuni ordini da lei in ditto proposito, et non restai di procurarne
l'essecutione con quella diligentia che doveva. Et Dio perdoni a quei sudditi
di Mugia, che contravenendo alla propria offerta fatta a V. Serenità, si
dimostrarno così tepidi. È vero che dopo che l'ebbe posto in negotio l'ac-
cidente con il Magnifico Ambasciador Cesareo rimasero di continuarle, si
bene in questo mio fine di Reggimento hanno voluto in ogni modo ritornar
a fornirle si come facevano che si erano posti a lavorar con bon numero
di persone. Ne avisai la Serenità Vostra, et da lei hebbi le Ducali sue di
25 Zugno prossimo passato con ordine di farle distruger si come feci, che
esseguendo la intention et prudentissima sua risolutione con le spalle della
Galea che là mandò, et con eoo huomini di quelli di Capodistria, tutti
venuti con ogni prontezza et amore, reduti et ammassati dal Capitano di
Schiavi, in pochissimo spatio di tempo, dimostrandosi egli sempre nelle cose
di Vostra Serenità con molta devotione et diligentia, con la presentia della
mia persona fumo distrutte, et spianate tutte quelle innovationi fatte da
loro nella indubitata iurisditione di V. Serenità, si come le scrissi parti-
colarmente.
Non sono mancato di ben convicinar a quei confini, et procurato con
ogni mio poter, di conservar le cose sue, et le sue giurisdittioni, se ben
quei sudditi Regij del contado di S. Servolo non cessano ogni giorno di
inquietarle et perturbarle e spetialmente nelle pertincntie della Villa di
Gabrovizza con pericolo di scandali dalli importantissimi V. Serenità con
molta prudentia ha deliberato mandar Commissari) per terminar le difficukà
sudette con li Commissarij Arciducali in quei confini. Io non ho voluto
nel tempo del mio Reggimento dar travaglio con mie lettere alla Serenità
— Si —
Vra in ditto proposito, se ben anco in questi ultimi giorni havendo l' istessi
sudditi Regij seminato alcune biave nelle pertinentie della medesima Villa
di Gobrovizza, et quelli della Villa, per non lasciar violar li confini della
Serenità Vostra segare tutte, senza cavarne utile di sorte alcuna. Par che
quel Capitano di S. Servolo sia rimasto alquanto alterato. Questi accidenti
sono tutti dipendenti dalle cose passate, delle quali lei è stata dalli miei
Precessori abondantemente informata. Hebbi già alcuni mesi querella di un
poco di insulto fatto per quelli di Cernical sudditi Arciducali ad alcuni della
ditta Villa di Gobrovizza. Ispediti il caso riavendoli per terror banditi con
conditione, che riconciliandosi insieme, essendo le Ville vicine con certa
offerta a una Chiesa in segno di bona pace, restino assolti. Torno però a
dir che quanto prima la Serenità Vostra procurerà, che li durissimi eletti
a questo servino vadino a poner fine a quelle controversie, sarà bene per
li rispetti molto ben noti alla sua prudentia.
Quella sua Camera de lì ha d' intr.ua de diversi Datij et alcune altre
poche gravezze circa 14 in 15™ lire all'anno, un anno per l'altro secondo
che li Datij crescono et calano, un poco più un poco meno. Paga a diversi
Salariati et Stipendiati lire 10398; di limitatione a diversi offitij lire 2526,
et de spese estraordinarie un anno per l'altro circa Lire 1800; in modo
che tanto è la intrada quanto la spesa, né in quella Camera è possibil es-
sequire la parte della scansation delle spese, perchè è poverissima, et è
necessario che li Rettori habbiano qualche denaro da spender estraordina-
riamente in diverse cose che occorre, come far spese a poveri presoni rei,
conciar porte della città, le cose della monition, pregion, mandar de qui
in qualche occasion barche a posta secondo li accidenti, come è occorso
in mio tempo nel mandar gente al campo di Arciducali, et mantenerli per
circa dui mesi, et Messi con li avvisi di quA progressi, et barche espedite
de qui con lettere nell'accidente delle Saline de' Triestini, et nell'andar a
riveder 1' Ordinanze per la Provintia dell' Istria con il Signor Proveditor
che la Serenità Vostra ha mandato de li in essecution del suo Ordine, et
si convien spender del dinaro de Camera, perche le condannason sono tutte
per privilegio di molti anni di quella Communità, la essecution de quali
mi fu anco commessa strettamente per lettere delli Clarissimi Avogadori
di Commun come essecutori della parte ultima.
La Serenità Vostra ha in quella provincia dell' Istria descritti 2400
soldati di Cernede sotto il governo di sei Capitani. Nel territorio di quella
città sono li strenui Antonio Sereni (o Serini) Capitanio di Schiavi, et il
Capitanio Antonio Lugnano con 400 per uno. Di Montona il Capitanio
Belletto Luzco con 400, Pingucnte et Raspo il Capitanio Giacomo di Guerzi
e
— 82 —
con 500, di Dignano et Puola il Gap.0 Tiburtio Valmarana di 400, et di
Albona et Fianona il Cap.° Zan Battista de Negri con 300. Ho revisto et
rassegnato con la presentia del strenuo Domino Moreto da Recanati Pro-
veditor deputato la Vostra Serenità in quella provincia sopra le Ordinanze
quelle del territorio di Cavodistria che sono 800, et quelle anco di Dignano,
Pola, Albona et Fianona le quali sono 700, si .come per mie lettere ho dato
particolar conto alla Sublimità Vostra, et certo che con molta consideratione
V. Serenità deliberò mandar proveditor in quella Provintia con la sopra
intendenza de tutti quei capi, perchè nell'avvenire saranno attese con maggior
diligentia, et faranno ottima riuscita, essendo che per il passato tepidamente
erano disciplinate. Hora tutti faranno il suo debito, riavendo di già il Ca-
pitanio Tiburtio Valmarana per la sua intelligentia et sollecitudine ridutto
a bon indricio quelli che sono alla sua cura, et li altri tuttavia cominciano
addestrarsi. Si è dato bonissimo ordine in tutti questi luochi, et delle mostre
particolar de' capi di 100, le quali si faranno ogni festa, et delle general
ancora ogni doi mesi. Li Sargenti et Tamburi sono, si come le scrissi, del
paese, non molto boni, ma per la lingua commodi, et laudarei che la Su-
blimità Vostra aggiongesse al Governator un Sergente et un Tamburo,
perchè quelli disciplinariano li altri, et da loro sarebbono reviste tutte le
mostre particular, et le generali si faranno con la presentia di esso Gover-
nator, con molto benefìcio di quel negocio, la persona del qual io stimo
assai in quel servino, essendo soldato di valor, et con 1' opera sua quella
militia farà grande avanzo, dimostrandosi molto intelligente et devotissimo
in servirla. La Serenità Vostra, senza incomodo della Provintia, potrà farla
accrescer fino alli 3"1 perchè, come li ho scritto, sono stati tralasciati li
contorni di quella città, li territorij di Parenzo, Humago et Cittanova, nelli
quali sono alcune ville grosse, et se ne elegerà bon numero. Il resto fino
alli 3m si potriano descriver nelle terre di Muggia et Isola, nelle quali vi
sono bellissima gioventù, et si supplirebbe comodamente. La Serenità Vostra
1' ha fatto in Grao, et con molta consideratione ; se così le parerà, potrà
ordinar che siano anco eletti in ditte terre, perchè Isola non ha saline, né
gente da marinarezza, et Mugia se ben ha saline, non paga gravezza alcuna
de decima de' sali alla Serenità Vostra, né quella meno fa marinarezza.
Quelli delti territorj di Humago et Cittanova si potranno aggionger al Cap.°
Antonio Lugnan, et quelli di Parenzo al Cap.° di Dignan et Pola, et dar
cargo di quelli di Mugia et Isola al Governator, il qual con il Sergente et
Tamburo, che la Serenità Vostra le darà, quando così li piacia, commoda-
mente li farà disciplinar, essendo l'una et l'altra terra soli 5 miglia discoste
da Cavodistria. Et questi tremillia fanti saranno una bona banda, pronti et
-83 -
atti nelle occasion alla difesa di quei confini et passi dell' Istria ; oltra che
saranno eccellentissimi in bisogno di armata, et coll'arcobuso, et al remo
ancora, et per guastadori insieme con la zappa in mano, per esser tutte
gente di montagna assuefatte del continuo alle fatiche di quei monti che
patiscono ogni asprezza di vita. Io per me stimo la qualità di quelle genti
infinitamente per ogni occasion, et la Serenità Vostra ogni cosa per ac-
crescerle a quel maggior numero la può, gratificandoli dell'essendoli personal,
le quali sono pochi de lì, et a loro sarà di molta consolatione, havendomela
essi medesimi, nelle rassegne che ho fatto, ricercata ; et insieme sarà ben
che la dia ordine, che siano pagati tutti li Capi di roo, si come mesi fatto
nelle Ordinanze tutte di terraferma, riavendo l' istessa V. Sert.a così ordinato
per leze, et sono sei ducati per ogni capo all'anno. Quelli del territorio di
Capodistria della Compagnia del Cap.° di Schiavi erano pagati da quella sua
Camera. Ho dato ordine che dalla medesima siano pagati anco quelli della
Compagnia del Cap.° Antonio Lugnan. Quelli delle Ordinanze di Dignan,
Puola, Albona et Fianona, che sono altri sette Capi di cento, la Sublimità
Vostra potrà ordinar che fossero pagati dalla Camera di Raspo, come luoco
più vicino et più comodo ad esse Ordinanze, e non mi dispiacerla che la
Serenità Vostra, lasciate le Ordinanze del territorio di Capodistria et sue
giurisditioni alla revision et rassegna di quel Carissimo Rettor di quella
città, quelle delli altri territorij tutti le sotto ponesse alla cura del Caris-
simo Capitanio di Raspo per la comodità, essendo Raspo in mezzo di detti
luoghi, et il carico di quel Reggimento particolar di militia, che da Raspo
al più lontano luoco non è più che miglia 26 o 28, et da Capodistria 50
et più, alli quali si va con molta spesa, et interesse della Serenità V.a chel
clarissimo di Raspo come più vicino, lo potrà far più commodamente, et
con pochissimo interesse, rimmettendomi però sempre al prudentissimo voler
della Vostra Sublimità.
Scrissi alla Serenità Vostra il particolar bisogno che havevano quelle
compagnie d' arme, che sono arcobusi 230 fra quelli del territorio di Ca-
podistria et Albona, con le sue fiasche, et 1300 murioni, comprese 500 celade
che si devono permutar in murioni, li quali poi saranno comodi per le
galee, fra tutte esse Compagnie. Io credo che V.a Serenità glieli manderà
quanto prima, perchè attendono ad essercitarsi, et dar ordine insieme che
le sia mandato della polvere fina, perchè tutti quei Capi erano senza, et
adesso che frequentano le mostre, si conviene consumar assai, si come la
Sublimità Vostra sa che se ne dispensa in quello di terra ferma.
Quelle mostre et rassegne eh' io feci far d'ordine suo per quella pro-
vincia hanno messo qualche suspetto nelli animi di quei Ministri Regi]', et
-84-
si diceva che in Pisin, il contado del quale confina con quei territorij di
V. Ser.,à, havevano introdutto alquanti soldati, ne lasciavano fermar in
quei luochi li sudditi della Ser.'à V.a Li suoi Ministri sono ben con mal
animo et qualche suspetto, ma li sudditi mutariano allegrissimamente go-
verno per la terranide loro, essendo venduti et impegnati ben spesso da
quei Principi Arciducali hor all' uno, et hor all' altro di quei Signoroti
del Cragn.
Vostra Serenità deliberò già, si come ho inteso, che in quella Città di
Capodistria si levasse una scola de' bombardieri, si come è in tutte le altre
sue città di terraferma, et la mandò anco li falconeti, et le balle per li palij ;
però fin' hora non è mai stato essequito cosa alcuna, et pur saria bene per
l'util servitio che la Sublimità Vostra può ricever da quella sorte di militia
in ogni occasione. Io laudo che la dia ordine che quanto prima sia fatto
la eletion.
Si ritrova alla custodia di quel Castel lion il Capitano Antonello de'
Cressi con Xci fanti.
La Città di Capodistria può haver da 3500 anime in circa, et è po-
verissima et miserabil città, si come li ho detto, cosi nel publico, come
nel privato ; sono devotissimi però della Sublimità Vostra, et con molta
fede verso le cose sue.
Hanno per Pastor et Vescovo adesso il Reverendissimo Monsignor, il
Signor Zuanne d' Insegneri, nativo di questa Città, et suo cittadino, prelato
di bona vita, et conosciuto dalla Serenità Vostra. Quei popoli hora sono
molto ben indricciati alla fede chatolica, et se pur ve ne fosse qualche
ressiduo di quella setta Vergeriana, stanno cosi secreti che non si sente
odore alcuno cattivo.
Mi resta dirle per fin, che in quel Reggimento ho addoperato tutte
le forze et spiriti miei per far quanto doveva, per servitio delle cose sue,
et posso anco haver mancato in alcuna cosa, come homo ; però la mia
meta è stata sempre con bona volontà, et intentione, et sarà in tutte quelle
altre occasioni che la Serenità Vra si degnerà addoperarmi, alla bona gratia
della quale devotissimamente mi raccomando.
(Serie Relazioni — Registro 4 — i575-J576 gi;'1 Codice Brera n. 196
pag. 90 tergo e seg.).
«5
Relatione del Nob. Homo Ser Nicolò Donado ritornato di Podestà
et Capitanio di Capodistria. 1580. — (Non data in tempore).
Serenissimo Principe
Per obedir a quanto per Vostra Serenità è stato commesso a me Nicolò
Donado, ritornato di Podestà e Capitanio di Capo d' Istria, che debbi in
scrittura dir quelle cose che nella mia Relation fatta nell' Eccellentissimo
Collegio riverentemente aricordai a Vostra Serenità che per benefìcio publico
dovessero esser essequide, dirò brevemente quello che dissi all'hora, lassando
tutti quelli particulari che considerai della qualità di quella provincia, come
benissimo noti a Vostra Serenità.
Dirò solo quanto al numero delle anime, che dove già molti anni in
tutte quelle parti dell' Istria sottoposte a questa Eccellentissima Republica
non erano più che cinquantamille anime incirca, hora passano il numero
di settantamille, ma così come in tutto il resto di quella provintia è tanto
cresciuto questo numero et ogni giorno va maggiormente crescendo sì per
li molti figliuoli che nascono, come per molti che sono venuti et vengono
ad habitarvi di Dalmatia et delli luochi de Arciducali che sono alli confini
de' Turchi, così nella propria Città di Capo d' Istria, dove solevano esser
diese, undese, et fino dodese mille anime, al presente non sono più di
cinquemille dusento ottanta, et ogni estimo che vieti fatto in quella Città
si vede scemato il numero. La causa di questo si conoscerà quando ragionerò
in particular del sito di quella Città, et del paludo che in buona parte la
circonda.
Dalla Camera di Capodistria cava la Serenità Vostra ogni anno, com-
putando il Datio della nuova imposta de sali, che vien portadi in questa
Città, appresso cinquantamille lire, delle qual pur computado il danaro della
nuova imposta, vien mandato de qui in essecution della nuova regolation
appresso trentaquattro mille lire ; il sopra più resta in quella Camera per
quelli salariadi, et far altre spese necessarie, et se ne sopravanza vien anco
portado all' Officio sopra le Camere. Se poderia accrescer questa intrada
con dar ordine che '1 Datio del vin delli soldi 2 per orna che vien scosso
per quella Camera di tutti li vini che nascono sopra quel territorio, che è
datio simile all' imbottadura di Trivisana sii per 1' avvenir affittado all' in-
canto, et non scosso, come al presente si fa, per quel Magnifico Camerlengo,
perchè si vede per li libri de Camera, che per diligentia che sii usada da
Camerlenghi, non si ha mai scosso tanto un anno che habbi asceso alla
— 86 —
summa de dusento ducati, et prima che si scuodi vien pagato per la camera,
in mandar a far le descrittion delli vini, in stimadori, in quelli che tengono
li conti, più di ducati ottanta 1' anno, in modo che non si cava di netto
più di ducati cento incirca, et quando sto datio fosse affittado, per la dili-
gentia che useriano li datiari per il suo particolar interesse, son sicuro che
si affittarà ducati quattrocento et forse cinquecento all' anno.
Fu anco messo da Vostra Serenità il datio de soldi 2 per secchio de
tutti li vini che vanno in terre aliene. Questo datio fu affittado in Capo-
distria, et nel suo territorio, et da miei precessori fu anco fatto affittar nei
luochi dove i Rettori de Capodistria possono comandar, come in Bugie,
Valle et altri luochi, et si affitta appresso ducati 400 ; ma nel resto de tutta
l' Istria non fu mai affittado se non a Mugia et Isola, et in questi luochi
con grandissimo danno publico, siccome considererò. Da questo cava la
V. Serenità tutti questi maleficij, prima che non essendo affittado in tutti
i luoghi la non cava il Datio, si come è sua mente, de tutti li vini, che
sono estratti del suo Stato ; l'altro che li Cranci, che così chiamano quelli
che vengono dalli luoghi superiori a levar vini, sapendo di poter andar a
comprar vini in luochi dove non pagano datio, vanno più volentieri a
comprar in quelli luochi, che nei luochi dove vien scosso il datio. Il terzo
che molti che fanno quantità de vini nei territorij dove si paga datio, li
portano subito fatti nelli territorij vicini dove non è datio, con notabil danno
dei datiari de quali, quando non fosse questo disordine, leverieno il datio
a maggior pretio. Et però saria ben dar ordine che questo datio fosse at-
fittado per tutta l' Istria, et che questo carico fosse dato al Reggimento di
Capodistria et non alti Rettori delle Castella, et che il danaro sij portado
dalli Daciari nella Camera di Capodistria, perchè facendo altrimenti saria
facil cosa che questo ordine non fosse essequido, siccome non è sta essequido
fin' hora, et sei danaro sarà scosso dalli Rettori delli Castelli, li quali sono
in libertà di saldar i suoi Conti in questa Città ovvero in Capo d' Istria,
avvenirà quello che forse avvien al presente de altro danaro che non vien
saldato né in l'un, né in l'altro loco. Essendo questo datio, come ho detto,
già alcuni anni la prima volta affittado all' incanto in Mugia, et Isola per
ducati cinquanta per luoco, ottennero quelle commodità per gratia da Vostra
Serenità, che questo datio li fosse concesso per anni cinque, con obligo di
pagarli ducati cinquanta all' anno che era affittado. Hora in questi luoghi
vendono il vino senza far pagar datio a quelli che comprano, ma tengono
.conto di tutti li vini che sono venduti et estratti di quelli luochi, et com-
partono poi il debito che hanno con Vostra Serenità delli ducati cinquanta
all'anno sopra tutta la quantità de vini venduti, et avvenne l'anno passato,
- 87 -
con tutto che in quelle parti fossero pochissimi vini, et non boni, et perciò
poca quantità ne fosse estratta, che buttando la rata, dove che per datio
si doveria pagar soldi diese per orna, che tanto importa li soldi doi per
secchio, fu pagato se non un terzo picoli 6 per orna. Da questo si com-
prende, che se questo datio non fusse concesso a queste Communità per
così vii pretio de ducati cinquanta all'anno, ma fosse affittado all' incanto,
si caveria più de dieci volte tanto.
Ha la Serenità Vostra in quella provincia descritto un numero de 2300
soldati de Cernede, tutti Archibusieri, divisi sotto sei Capi. De questi in
alcuni luochi saria ben minuir il n.r0, come in Albona, dove non sono più
che 130 capi di fameglia et sono descritti 300 soldati con loro malissima
satisfattion, perchè da quel Magnifico Rettor non vien permesso che possino
goder il privilegio della esention delle facion in commun, si come è mente
di Vostra Serenità che godino tutti quelli che sono descritti nelle Ordi-
nanze ; et questo vien fatto da quel Magnifico Rettor con ragion, perchè
volendo esentar 300 homeni in Albona, tutte le facion resteriano divise
sopra pochissimi, et sariano insopportabili. Ma quel numero che si diminueria
in Albona, si poderia reintegrar et accrescer molto più con descriverne in
molte ville dell' Istria, dove non sono descritti soldati, le qual Ville sono
sotto Puola, Rovigno, Parenzo, Cittanova, Humago et Piran. Et quando la
Serenità Vostra volesse che si descrivesse soldati in Mugia et Isola, che si
potria benissimo farlo, non essendo questi do lochi siccome li altri di quella
riviera, che la Serenità Vostra non vuol forse toccarli per rispetto della
marinarezza, ma in questi non sono ne navilij, né marinari, ma tutti sono
homeni che lavorano terreni, poderia la Serenità Vostra descriver almeno
300 soldati, et questi metterli sotto un nuovo Capo, o per minor spesa
distribuirli sotto gli altri Capi vicini.
Cosi come queste Cernede sono utilissime et per il luoco dove sono
per il numero, et per esser qualità d' nomini attissima a ogni faticha, et a
patir ogni incomodo, et delle qual si poderia servir in ogni occasion, non
solo in terra, ma in Galea per scapoli, et homeni da remo, essendo la
maggior parte Murlachi et razza de Schiavoni, cosi con ogni spirito si
doveria attender a procurar che le fossero con ogni diligenza disciplinade,
et a far questo son necessarie do cose, 1' una provederli d' arme, essendo
gran parte de essi desarmadi, et non havendo archibusi non possono esser
disciplinadi. De questo fu scritto alla Serenità Vostra, et anco per 1' Eccel-
lentissimo Senato fu deliberato che queste arme cosi necessarie fossero
mandate, ma non essendo sta mai fatto la provision necessaria del danaro,
non sono sta fin' hora mandate, l' altra et molto più importante è il prò-
vederli de Capi che siano soldati, et siano atti a disciplinarli, perchè da
tutte queste Compagnie solo quelle disciplinade del Capitano Tiburcio
Valmarana Visentin et quella del Cap.° Antonio Lugnan sono vedute in
bon stato per la diligentia et valor dei loro Capitani ; ma tutte le altre
sono in così mal stato che non si può nel termine che sono sperar in alcun
tempo poter mai haver bon servitio da loro, et tutto il denaro speso fino
a questo tempo nei Capitani), et altri Officiali sono sta gettati, perchè es-
sendo sta dato il carico de Capitani a homeni del paese, che non hanno
mai veduto né guerre, né forse altri soldati che questi, a quali hanno da
commandar, non è maraviglia se non sapendo li Capi il mestier del soldato,
che li soldati siano poi mal disciplinati et inutili. Io reverentemente ari-
cordarei, et questa è anco mente del Governator Moreto da Recanati,
mandato ultimamente per Governator de quelle Cernede, homo de molto
valor et diligentissimo, et tanto inclinado al beneficio di Vostra Serenità,
che ne maggior diligentia, ne maggior amor la potria desiderar in alcuno
verso le cose sue, che eccettuado li do Capitani che ho detto de sopra,
cioè il Capitano Tiburcio Valmarana Visentin, et il Capitanio Antonio
Lugnan, tutti gli altri fossero cassi et in luoco loro fosse messo Capitanij
Italiani che fossero atti a disciplinar Cernede, perchè così facendo in poco
tempo si reduriano a perfecion. et potria la Serenità Vostra promettersi da
questi soldati ogni bon servitio così in terra come sopra una Armada per
scapoli et homeni che nelli bisogni si potriano metter al remo.
Fu commesso dalla Serenità Vostra già molti mesi al Clarissimo Calbo
Proveditor in Istria, et al Clarissimo Capitanio de Raspo, che con un Proto
dell' Officio delle Acque dovessero ritrovarsi in Capodistria a fine che tutti
insieme potessimo veder et dar essecution a quanto ne era commesso da
Vostra Serenità con l'Eccellentissimo Senato in la materia dell' escavation
di quel Pallido, cosa più eh' ogn' altra desiderada da quella Città. Questo
non è sta fin' hora effettuado, perchè prima il Clarissimo Proveditor Calbo
ottenne licentia di venir in questa Città per purgarsi, et si fermò più de
doi mesi, poi ritornato in Istria si amalo il Clarissimo Capitano de Raspo,
finalmente esso Calbo s' infermò in Puola, per la qual infirmità passò a
meglior vita in modo che non è più possibile essequir quell' ordine dato
dall' Eccellentissimo Senato, ma bisogna che per Vostra Serenità sij fatto
nuova deliberatione.
Questa materia Serenissimo Principe, dell'escavation de questo pallido,
ro la giudico tanto necessaria, che se non sarà presto provisto dalla Serenità
Vostra, sono sicuro che quella Città si redurrà in peggior stato che non è
la Città de Puola, perchè il paludo, che è dalla parte verso terraferma, è
- 89 -
talmente cressudo, che, restando gran parte del giorno scoperto al sol, si
levano cattivissimi vapori, che rendono malissimo sana quella Città, et prin-
cipalmente quella parte che è volta verso terra ferma. Et quest'anno si ha
principalmente conosudo il maleficio che si riceve dall' aere, che li mesi
d'Agosto et Settembre sono morte in quella citta più di 300 persone, la
maggior parte donne et putti, et de questo li '/« sono stati de quelli che
habitano la parte della Città verso il paludo et terraferma. Oltra questo
maleficio ne seguita un'altro, che quella Città che pur era tenuta per fortezza,
essendo da ogni parte circondata dall'acqua, et con le sue porporelle assai
sicura, al presente si puoi dir quasi congionta con terra ferma, perchè si
camina a piedi sopra il paludo della Città a terra ferma, et dalla terraferma
alla Città, e: presto si potrà passar con Cavalli et con Carri. Questo amu-
nimento è causato dalla torbeda che a tempo delle pioggie vien continua-
mente portado verso la Città da do fiumi, 1' uno chiamato il Fiumesin et
l'altro Risan, et se dalle fortune che per la forza de venti sou causade in
quella Valle, non venisse commosso la lea (sic) portada dalli fiumi, che poi
dalla forza dei venti vien portada in mare, già molti e molti anni quella
Città saria unita con terraferma ; ma perchè il maleficio che apportava la
torbida delli fiumi era scemado per il beneficio che si riceveva dalla lorza
de venti et delle fortune, perciò questo amunimento non è sta fatto se non
in longhissimo progresso de tempo ; ma hora che è talmente cressudo che
(come ho detto) la maggior parte del giorno resta scoperta al sole, et quando
ancho è coperto non li è più che do over tre piedi d'acqua a! più al tempo
de scirocali, et perciò li venti non possono haver tanta forza de commover
il tcrren che è nel fondo et portarlo in mare, come faceva prima, et per
questa causa al presente maggior ammunimento si fa in un anno che non
si faceva prima in diece. Et se presto non sarà dalla prudentia et dalla carità
che ha sempre habudo et deve haver la Serenità Vostra verso quella sua
certo fedelissima Città, il male si farà irremediabile. — Quello ch'io cre-
derla che p.r salute de quella Città, et per beneficio de tutta quella Provincia,
siccome so haver altre volte con mie lettere et con la scrittura portada
dall' Ingegner M.ilacreda reverentemente aricordato a Vostra Serenità, è che
quanto prima si divertisca li do fiumi de Risan e Fiumesin siccome facil-
mente si puoi far in parte dove non possino apportar la torbida né far
danno alcuno alla Città ; et questo si potrà far in pochissimi mesi, con
spesa de duciti 1500 al più, spesa insensibile rispetto al molto beneficio
che resulterà da questo, siccome anco fino del 1 5 59 a dì 30 novembre et
in altri tempi fu deliberato, et principiato a essequir ; ma poi per manca-
mento de un poco de danari fu intermesso il lavor fino a questo tempo,
— 90 —
il che ha causado, che quel principio de cavamente» fatto si è quasi del tutto
ammunido. Fatta che fosse la diversion de questi fiumi, si haveria redutto
la cosa in termine che remossa la causa del male sariano sicuri che per
l'avvenir non si anderia peggiorando, siccome evidentissimamente si vede,
che al presente si va. Doppoi con far una escortication de quella parte de
pallido più alto, sì che 1' acqua da ogni tempo possi coprirlo, si veniria ad
aiutar quel beneficio naturai che vien apportado dalla furia de venti, et
dalle fortune, et con questo modo si haveria remediado alla mala qualità
dell' aere, et si potria esser sicuri che in pochi anni la Città ritorneria in
isola, et in fortezza si come era prima. Et questa escortication, facendo
contribuir tutta la Provincia dell' Istria come quella che per molti rispetti
sarà per sentirne benefficio, si farà con pochissima spesa del danaro publico.
Mi resta una sola cosa de reverentemente ricordar alla Serenità Vostra,
che è la più importante et più necessaria provision che si possi far per
beneficio et consolation, et possa dir salute de tutti quei poveri et fidelissimi
sudditi de quella Provincia, et in questa materia mi sarà necessario, posposto
ogni rispetto, de liberamente dir a Vostra Serenità il stato delle cose sue.
I populi, Serenissimo Principe, della maggior parte de quella Provincia,
per la estrema povertà al presente restano oppressi dai più potenti, et, molte
volte, ancho più da quelli che dalla Serenità Vostra sono mandati per ad-
ministrar giustitia, et sollevarli dalle oppression che li fossero fatte da altri ;
perchè andando molte volte Rettori in alcuni de quei Castelli solo con fin
de utile, vien escogitado da loro, et da suoi Cancellieri, et Cavallieri, i più
estravacanti muodi de cavar danari da quei populi che sij possibile invagi-
narsi, ne ad altro si pensa che a questo, et a far cride, mandati penali, et
proclami sotto pene pecuniarie, de cose lievissime, et queste pene vengono
irremissibilmente et con estremo rigor rescosse dalli transgressori ; vengono
ordinariamente fatte sententie, alternative de bando o Galea da poter esser
commutade in danari, cose tutte contra la parte et mente de Vostra Serenità,
et in mille altri muodi vien indirettamente cavado danari da quei poveri
populi. Et nelle cause civil (supposto che sincieramente siano fatte quelle
sententie da i Rettori che per conscientia li pare), avvien quasi sempre che
le sententie fatte a favor de i più ricchi restano inappellabile, et quelle fatte
contra di loro son sempre in absentia tagliade de qui. In modo che i populi
de molti luoghi de quella Provincia restano, come ho detto, in diversi modi
oppressi contra la mente, et voler de Vostra Serenità. Tutto questo nasce
per non haver altro modo de esser sollevadi se non con interponer appel-
lation alli officij delli Avogadori, et delli Auditori in questa Città, ma per
1' estrema povertà, per la lontananza del luoco, per il molto tempo che si
— 91 —
perde et per le molte spese che saria necessario che facessero prima che
fossero esauditi, più presto sopportano ogni sorte de ingiustitia, et si con-
tentano de accomodar con danari le cose loro al meglio che possono, che
venir a perder tempo et far le spese che son necessarie che facino quelli
che vengono per lite in questa Citta, et forse anco alle volte morsi contra
alcuni Rettori, che parendoli esser offesi, quando le parte si appellano de
qualche atto ingiusto fatto contra de loro, che per spaventarli et farli de-
sister li perseguitano sempre con nove calumnie. Et nelle cause civil per
li medesimi rispetti della lontananza, et delle spese li poveri si acquietano
alle sententie che li sono fatte contra, et quelle che sono fatte a favor loro,
essendosi appellado li più potenti restano tagliade in absentia in questa Citta,
riavendo molti luochi dell' Istria cognossudo questo suo miserabil stato in
diversi tempi sono venuti a supplicar Vo.tra Serenità che li conciedi giudice
d'Appellation in Istria, siccome fu concesso a Bugie, Portole, Grisignana,
Valle, Humago, Cittanova, et ultimamente Isola, et altri luochi con darli
il Reggimento de Capodistria. Ma de questi alcuni vengono in appellation
assolutamente in civil et criminal, alcuni in civil solo, alcuni in criminal
solamente, altri in civil fino a certa stimma et in criminal fino a certo segno,
havendosi voluto resservar nelle cause de maggior importantia de poter
venir a Venetia per poter esser giudicati più presto da un Tribunal de tre
Avogadori, over tre Auditori, che da un solo Rettor de Capodistria. A
questi inconvenienti io crederla che si potesse facilmente proveder con no-
tabilissimo beneficio de quei populi, et grandissima satisfacion de tutta quella
provincia, et senza che li Rettori dell' Istria potessero haver alcuna causa
de dolersi, et questo è che così come tutte le loro appellation se devolveno
in questa Città a un Tribunal de tre Giudici, o sia Avogadori o Auditori,
over alli Sindici de Terra ferma quando vanno in quella Provincia, così
sia eretto un Tribunal in Capo d' Istria del Rettor, et do Conseglieri ai
quali si devolvino tutte le appellation nel modo che al presente fanno quelle
de Bugie et Portole, over con quelle limitation che paresse alla Serenità
Vostra. Con questo modo i populi haveriano commoda via de esponer i
loro gravami dove potranno esser esauditi, et dove che venendo a Venetia
perdono molto tempo, et fanno molte spese, all' hora commodissimamente
in un medesimo giorno potriano partirsi da casa, et espedir le loro cause,
et i Rettori forse despereriano de far molte de quelle cose che fanno al
presente, siccome per espcrientia si vede, che con molto maggior satisfattion
sono governati li populi delli luochi che hanno appellation in Capodistria,
che quelli che vengono in questa Città Et anco maggiormente si conosce
da questo, che ritrovandosi in quella Provincia quattro luochi possessi da
— 92 —
particulari gentil' huomeni de questa Citta, al governo de quali sono tenute
da essi persone de bontà, et che governano i suoi populi con quel paterno
amor che doveriano esser governati da ogn' uno. Questi sono S. Vincenti
et Visinà delli Clarissimi Messer Marin et Messer Almorò Grimani, Piamonte
del Clarissimo Messer Zorzi Contarini, et Barbana delli Clarissimi Loredani,
cosi come negli altri luochi li populi sono poverissimi et li paesi sono inculti
et deshabitadi, così in questi luochi non si ritrova, si può dir, palmo de
terra che non sia coltivado, et crescono ogni giorno in gran numero li
habitadori de questi luochi, et sono respetto a gì" altri populi dell' Istria
assai più comodi. De questa provision non potrian li Rettori sentir alcun
gravame, perchè essendo tutte le sententie loro appellabili, non importa più
che siano censurade da giudici che siedano in questa Città che in Capo
d' Istria. Et così come al tempo che sono li Sindici de Terraferma in quelle
parte con satisfacion de populi, et senza intacco della giurisdittion de Rettori,
le cause sono espedite da loro, così al presente veniriano ad haver perpetui
Sindici in quella Provincia.
Ma perchè si possino ritrovar gentil' homeni d'auttorità che volentieri
vadino a servir in questo carico de Conseglieri, è necessario provederli de
conveniente salario, et questo credo che non bisogneria che fosse meno de
ducati quaranta al mese et il fitto della casa. Questo danaro per opinion mia si
potria cavar in questo modo senza alcun interesse de Vostra Serenità. Se ri-
trova in quella Città un Camerlengo che ha utile almeno de ducati 25 al mese:
questo carico della Camera potria esser esercitado da uno delli Conseglieri.
Quando le appellacion de tutta la Provincia venissero in Capodistria,
la Cancellarla, che al presente è molto utile, saria utilissima et potria lar-
gamente sopportar una tansa de ducati 1 5 et forse 20 al mese. Oltra questo,
che si scuodessero li caratti delle sententie nel modo che si fa alli Auditori.
Et perchè in quella Città è antiqua consuetudine che nel tansar le spese si
tansa soldi 4 per ducato per Victoria all'Avocato che vince la causa, questo
danaro si contentariano quelli Avocati, che fosse applicado a questi salari],
perchè receveriano maggior beneficio per la maggior quantità de cause che
haveriano. Mettendo insieme tutto questo danaro delli ducati 25 al mese
del Camerlengo et Cappellan, li ducati ) 5 over 20 de tansa sopra la Can-
cellarla, li caratti delle Sententie et li soldi 4 per ducato tansadi per Victoria,
si caveria tanto che si potria dar li ducati 40 al mese per uno alli Camer-
lenghi [sic) et più, et quando Vostra Serenità dubitasse che questo danaro
non potesse supplir, son sicuro che quella Magnifica Città, essendole as-
signado queste utilità, toria obligo de pagar li ducati 40 al mese per uno
alli Conseglieri et provederli de case per le loro habitationi.
— 93 —
Queste, Serenissimo Principe, sono quelle cose che io giudicai de dover
dir alla Serenità Vostra, acciò che se l'effettuar qualch' una d'esse paresse
al suo prudentissimo giudicio che potesse apportar beneficio alle cose sue,
lei potesse proveder in quel modo che meglio li parerà.
(Serie Relazioni — Registro 4 — r 575-1576 già Codice Brera n. 196
pag. 153 e seg.).
Relatione del Nobil Homo Ser Alessandro Zorzi, ritornato di
Podestà et Capitanio di Capo d' Istria. - 1581.
Serenissimo Principe, Illustrissimi et Eccellentissimi Signori
È così vicina Capo d' Istria a questa Città, et la Sublimità Vostra ghe
ne ha da so rappresentanti cosi spesse relation, che giudico che sia ben,
lasciando tutte le cose soverchie, attender alla brevità, e refferir solamente
quelle, che sono più degne della sua intelligentia.
Ghe raccordarò adonque reverentemente, che quella Città, et per il sito
in che la è posta, e per molte altre consequentie, die esser tegnuda ca-
rissima dalla Serenità Vostra, et stimada sopramodo, essendo essa città,
come ben sa Vostra Sublimità, et come per questo dessegno si può veder,
posta sopra un scoglio, lontana da terraferma passa 100, dove all'intorno
ghe discorreva 1' aqua del mar, digho ghe discorreva, perchè al presente
dalla parte verso Terraferma e tanto accressuda la palude, che molte volte
nel scemo dell' acque se podeva passar con il piede asciutto da T. f. alla
Città ; il che de quanto danno possi esser e alla salubrità dell'aere, et alla
segurtà del luogho, la Serenità Vostra, senza che digha altro, lo può per
la sua molta prudentia benissimo considerar, perchè quanto all'aere non è
possibile che non vadi sempre deteriorando, andando ogn' bora crescendo
et facendosi più puzzolenta essa palude che prometto alla Serenità Vostra
che alcuna volta, et massime nel scemo delle acque, come ho detto, se ne
sentono fetori quasi insopportabili. Quanto alla segurtà poi, restando cosi
oppressa dalla palude, non è dubbio, che gli' è levado quel stato de segurtà
in che la era posta dalla natura, al che si deve tanto più haver 1' occhio,
— 94 —
quanto che confina con Triestini et altri Arciducali, et voglia Dio che presto
non confini con Turchi per le poche provisioni, che fanno et possono fare
i Regij.
Queste cause mossero i miei precessori a raccordar alla Serenità Vostra
et quei Cittadini a supplicar che le fosse porto quel remedio che era ne-
cessario facendo fare la escavation di essa palude, dal che mossa Vostra
Serenità in essecution de parte dell' Eccellentissimo Senato diede cargo alli
Clarissimi Calbo all'hora Proveditor nell'Istria, Donado, Capitano di Raspo,
et al mio precessor, che conferiti sopra il luoco dovessero sopra ciò ri-
sponder ; ma successa la morte di esso Clarissimo Calbo non si puote far
altro. Onde poi parve a Vostra Sublimità di dar questo cargo al sudetto
Clarissimo di Raspo, et a me, mandando insieme M. Paulo dal Ponte protho
dell'Officio delle Acque per questo negocio. Si conferissemo adonque sopra
il luogo, et considerata ogni cosa con quella diligentia che bisognava, tro-
vassimo che questa atterration è causada principalmente da questo Fiume
chiamato Fiumesin, il qual sboccando in questa lacuna, et portando del
continuo da questi monti et luoghi superiori coltivati nova materia, vien
ogn' hora più a causar mazor atterramento azzonzendovese questa strada
battuda che vien dal continente di Terraferma al Castello, et queste saline
che sono dall' una et 1' altra parte di essa ; quale con la sacba che si fa
nelli anguli di quelli, vieneno mazormente ad accrescere essa atterratione
verso la Città, aggregandosi massime et conzonzendose con le immonditie
che scolano da quella. Oltre che sotto questo ponte, che la vede, et dalle
bande gh'è il terren cosi alto et duro, che non solamente dà impedimento
che l'acqua che vien dalla parte destra et sinistra non possi unirsi, et haver
il suo libero corso, ma anche se ghe poderia caminar sopra, et transitarghe
con cavalli et con carri, et questo è perchè altre volte ghe era strada et
fu fatto il ponte con intention di cavarla né fu mai cavata.
Concludessemo però di ricordar riverentemente alla Serenità Vostra
che fosse prima bisogno di remover le cause, et quanto al resto far (se
non quella provision che fosse necessaria), quella che si potesse ; rispetto
alla molta spesa che andaria a cavar tutta la palude, et la principal dovesse
esser la diversion del ditto fiume co '1 farlo scorrere a costo questo monte
che va verso Isola, per questo alveo che se vede principiando, el qual essendo
recavado et allungandolo 220 perteghe in circa con una cassa o doppia
masiera raccordata dal protho, si conduria a sboccar fuori del porto, et
fontano dalla Città in mare. Et insieme che si continuasse la prohibitione
che io ho fatta che non si portino li ledami et altre immonditie della Città
alle rive, come facevano per haverle più commode da carghar in barcha
— 95 —
per portarle nelle lor vigne, ma sotto diverse pene, quelle debbano metter
in luochi serrati, acciò con le pioggie non scolino in essa laguna, con
probibir anco che nell'avvenire non fossero fatte saline più vicine alla Citta
di quello che sono al presente, sì per non strenzer più la laguna, come per
non accostarsi tanto alla Città, che si perdesse la naturai fortezza di quel
sito. Et perchè da queste colline poste sopra questa parte di laguna detta
il slagnon casca in essa al tempo delle pioze (come ho detto) molta acqua
con molta terra levata da questi terreni superiori, la quale accresce essa
atterration in quel luogho, però saria bene che si facesse una inasterà doppia,
la quale con le sue estremità si intestasse con li arzeri delle saline confi-
nante, facendola lontana dalli terreni perteghe 15 in 20, acciò che quel vacuo
fosse ricetto dell'acqua dolce et terra, che ghe cadesse, la qual acqua poderia
uscir per una picciola apertura alla volta di quest'altro fiume detto Risan,
il qual fiume, se ben da questa sinistra parte della Città dà qualche danno,
per esser però lontano dalla Città, et perciò il danno non cosi importante,
non mi par al presente metterlo in molta consideration, ma che si debbi
attender prima a quel che importa più, el qual effettuato che fosse, se poderia
poi pensar de allontanar ancho quel fiume dalla Città.
Saria appresso necessario che se cavasse queste secche et dossi, che
ho ditto alla Serenità Vostra che sono a longo il ponte dalla Città fino al
Castello, che restano sempre con ogni acqua descoverte et dure, acciochè
l'acqua podesse haver il suo libero corso, et recavar questo canal dal porto
fino a porta S. Piero, che è longo perteghe 460, fino alla larghezza de
passa io in circa, che fosse profondo piedi cinque sotto il commini del-
l' acqua, il che causeria che 1' acqua poderia liberamente scorrer, et daria
commodità notabile alle barche et vasselli.
Et perchè il paludo tutto ne resta scoverto contien per longhezza dal
porto fino a porta S. Piero perteghe 460, come ho detto, et per larghezza
dalla Città fino al Castello perteghe 75, et dal Castello fin alle saline per-
teghe 186, et chi volesse cavarlo tutto, come faria bisogno vi andaria molta
spesa, havevemo deliberado di dirle, che nostra opinion saria stata di cavar
per adesso essa palude solamente dalla Città fin al Castello, così profonda
quanto concedesse la maggior seccha, che saria di doi piedi in circa, ac-
ciocché in ogni tempo restasse coperta dalle acque, dalli quali remedij se
ne veneria a ricever questi beneficij che si allontaneria il paludo dalla Città,
et si potria sperare, che essendo remosse le cause di esso atterramento, così
del fiume come delle immonditie della Città, che restando sempre quella
parte coperta dalle acque potesse con el flusso et reflusso di essa andar
ricevendo sempre maggior beneficio, ma con certezza renderla 1' aere più
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fresco et purgado, et più sano, et a questo modo anche si conservaria in
parte quel naturai sito di sicurezza nel quale è posta essa Città.
Haveressimo di tutto questo dato conto alla Serenità Vostra, ma perchè
havessimo dal ditto protho che in tutta questa fattura si potriano spender
d'intorno a ducati iim in circa, volendo noi intendere dalli Sindici di quella
Communità, se la offerta altre volte fatta di tre rottuli, che intendevano
che fosse iom opere, fosse stata in pronto per questo bisogno, che questa
loro offerta era incerta, rispetto che essendo molto tempo che non se riaveva
fatto il loro estimo, le cose havevano bisogno di nova regulatione, onde
fu necessario di differir la risposta fino alla riformatione del ditto loro estimo,
la quale per diversi accidenti fin' hora non hanno mai fornita, et per giudicio
mio principalmente perchè per la stretczza delli anni, et per la loro ordinaria
povertà giudicavano impossibile poter effettuar quanto havevano promesso.
E veramente, Serenissimo Principe quella Città, et in commune, et in par-
ticolare è così povera, che io giudico cosa molto difficile (per non dir im-
possibile), che se possi haver da loro in alcun tempo aiuto d' importanza,
con tutto questo, essendo 1' opera così necessaria, né andandovi maggior
spesa di quella che ho detto, giudico che sia necessario farla nel miglior
modo che si potrà, perchè in vero (come ben sa Vostra Serenità) in tutta
la provincia dell' Istria ella non ha luogo che in occasion de bisogno potesse
far qualche resistenza a nemici, et salvar li habitanti, et sostanze di quella,
fuor che essa Città, la quale, se ben non è fortezza reale, nondimeno per
la sicurtà del sito in che la è posta, poderia per qualche tempo deffendersi;
et però fu degno di molta laude quel Clarissimo gentil' huomo che ricordò
che si dovessero descriver in quella provincia i soldadi delle Ordinanze, i
quali non solamente in occasion de bisogno possono difender il paese, ma
anche esser introdotti in essa Città per sua diffesa.
Queste Ordinanze, Serenissimo Principe, fin' hora sono in numero di
2400 sotto sei capi, et si potriano anche accrescer facilmente fino ai n.ro
di 3000, descrivendone in luoghi ove non sono stati descritti, perchè essendo
nel territorio di Parenzo, come ho hauto informatione cento et più vicini
Morlachi, nel territorio di Cittanova 320, in quello di Humago 120, si
potriano tra questi cavar facilmente 200 buoni soldati. In Isola poi, che
non vi è marinarezza, né fanno altre fattioni, né hanno saline, si potria tar
scelta di 150 buoni huomeni et 150 a Muggia che non ha marinarezza et
confinano con Regij; et questi si potriano divider sotto li medesmi Capi,
,che vi sono, secondo che fossero più commodi, acciò che la Serenità Vostra
non havesse maggior spesa. Li altri cento poi che mancheriano, si potriano
descriver in altri luoghi et spetialmente in Buggie, ove non è stato descritto
— 97 —
alcuno, se non del territorio, pretendendo quelli della terra (non so con
che ragione) non dover esser descritti, et se ben ho fatto più volte instantia
a quelli Magnifici Rettori che volessero descriver quelli che fossero atti a
questo servitio, si come è stato fatto anche in Montona, et altri luochi fra
terra, non ho mai potuto spontare. Non so però come questi voglino esen-
tarsi et metter il cargo solamente sopra quelli del territorio, li quali però
sono pochi, et godono loro quel beneficio che non gode alcun altro di
quella provintia.
A questo modo adunque la Serenità Vostra haveria 3m huomini tutti
buoni archibusieri, delli quali in occasion de bisogno, la se ne potria valere
in ogni cosa per esser molto atti al patire.
Queste Ordinanze (come ho anche scritto diverse volte alla Serenità
Vostra), quelle però di quel territorio, che le altre non ho possuto vedere
per la causa eh' io dirò più a basso, sono hormai ridotte in così buoni
termini per la diligentia di quel Governador, il qual certo non manca mai,
ne in questa, né in altra cosa per servitio della Sublimità Vostra, esercitando
honoratamente il suo cargo, che se ne può sperare ogni buona riuscita ;
ma per verità, mancando ancora mille morioni di quelli che si doveva mandar
in esecution della parte dell' Eccellentissimo Senato, si può dire che non
possino compitamente esser esercitati, dovendo neh' esercitatione assuefarsi
anche al portar dell'armi. Ne scrissi perciò alla Sublimità Vostra fin questo
Maggio passato, acciò che la si degnasse di dar ordine che fossero mandati
et migliori delli altri ; né fin' hora è stata fatta cosa alcuna, onde convegno
hora di novo riverentemente raccordarle, che le piaccia di farli mandare
quanto prima, acciò non restino senza, come hanno fatto fin' a quest' hora.
La causa mò Serenissimo Principe, eh' io non ho possuto vedere il
resto di esse Ordinanze, come desiderava, ne andare in visita, o in pasna-
dego (come lo chiamano), è proceduto così, perchè essendo stata questi anni
per la penuria di tutte le cose quella provintia in grandissima povertà, et
miseria, non bisognava dissegnar di darle alcuna spesa, o accrescerle maggior
aiflittione, essendo obligata ad una parte delle spese che si fanno, come
perchè anco quella Camera, che suol fare il resto della spesa, è stata et è
così eshausta per la nova assignatione fatta dalli Clarissimi sopra la scrittura,
che appena si ha havuto danari da pagar le bollette ordinarie. Queste
adonque sono state le cagioni che non m' hanno lasciato vedere el resto delle
Cernede della provintia, ma di quelle del territorio di Capodistria, che sono
due Compagnie di 400 fanti l'una guidate et commandate dal Capitano de
Schiavi, et dal Capitano Antonio Lugnano ; di queste io posso parlarle con
fondamento certo, havendole vedute più volte esercitare, et quando unite,
7
-98-
et quando separate ; et per la verità, Vostra Serenità ha da questi due Capi
buono et conveniente servitio, et se ben il Capitano de' Schiavi si trova
hormai in molta età, fa tuttavia quanto può, et con la presentia et con
1' ardente et pronto animo et consiglio suo, tenendo apresso un Sergente
di molta esperienza, oltre che ancho ha destinato a questo cargo partico-
larmente un suo Nipote, giovane di molta speranza, il quale con la diligentia
che usa, et con il desiderio che ha, promette alla Serenità Vostra fruttuoso
servitio ; et certo Serenissimo Principe, che in tutto el tempo del mio Reg-
gimento ho conosciuto in esso Capitanio de Schiavi una singoiar fede et
devotione verso la Serenità Vostra, et un desiderio ardentissimo del benefficio
delle cose sue, onde io l'ho amado et stimado assai; perchè anche in oc-
casion de bisogno saria atto a persuader et far far ogni cosa a quelli populi,
dalli quali è grandemente amato et honorato.
Ha in quella sua Città la Sublimità Vostra una scola di bombardieri
descritti già al n.ro di 50, se ben al presente, per morti, et diversi altri
accidenti, non sono più che 44. Ma perchè nelle lettere de Vostra Serenità
vien detto che fossero descritti se non quelli che volontariamente volessero
entrar nella ditta schola, convegno perciò dirle che la maggior parte di quelli
che sono stati descritti, e si può dir la forza della Città, che non si hanno
fatto descriver per altro che per portar le arme, et dar molestia a questo
et quello, onde io crederla che fosse bene rimetter al Reggimento di quella
Città, che potesse descriver tutti quelli che ghe paresse che fossero a pro-
posito per questo servitio, fino al n.ro di 100, giusta la parte, che si tro-
veriano facilmente, et la Serenità Vostra ne haveria in ogni occasione buon
servitio.
È la Città di circuito d' un miglio et mezo in circa, una gran parte
di essa quasi rovinada et mal habitada, il che è successo per il contagio
che fu l'anno 1556, onde non è meraviglia se non vi sono in essa più che
anime 4252, tra quali ne sono da fatti solamente 1200.
Vi è in essa Città una assai conveniente monition d'arme, con diversi
pezzi d' artellaria, governata et tenuta con diligentia da Antonio San torio,
capo de bombardieri.
Tien la Serenità Vostra alla guardia di questo Castello verso Terra
ferma, chiamato Castel Lion, un Capitano con otto soldadi, il qual Castello,
se ben non è forte, ritrovandosi però per sito in mezzo questa strada, et
' questi paludi, si potria in ogni bisogno abbassarlo fin al cordon et empirlo
servendosene per un cav.r Et perchè nel numero di essi soldadi haveva
obligo di far la guardia il Sergente del Capitanio de Schiavi, quel tempo
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però che non era occupato nel esercitar le Ordinanze, tirando perciò doppia
paga, havendo, quando io entrai a quel Reggimento, veduto che in niun
tempo questo Sergente adempiva il suo obbligo di star nel Castello, le feci
intendere che era mia opinione che lui facesse quanto era tenuto, poiché
così commettevano le lettere della Serenità Vostra ; il che inteso da lui si
lasciò intendere che non poteva ciò fare, et si rissolse di rifiutar quel cargo
come lece, di che ne diedi anco conto alla Sereniti Vostra, et le dissi, come
le dico al presente, che non è possibile che il Capitano de' Schiavi con
così poca pagha, et con quell' obligo possi haver huomo che sia buono a
quel servizio, et che era perciò necessario che la Serenità Vostra facesse
alcuna provisione sopra questa cosa; altrimente il detto Castello saria restato
con un soldato di manco. Et perchè non è stata presa alcuna rissolutione,
son stato necessitato, acciocché si facesse 1' essercitatione delle Ordinanze,
permetter che esso Sergente, ritrovato da novo dal detto Capitano, huomo,
come ho detto, d' esperienza, fosse libero da detta fattione fino ad altro
ordine suo. Et a questo proposito le dirò, che il detto Capitano in un certo
modo si rissente, che tutti li Sergenti delli altri Capitani siano liberi da
ogni fattione, et che lui, che è stato quello che ha raccordato queste Or-
dinanze, habbi questa disgratia di haver il suo così obligato.
Ha anche in quella Città la Serenità Vostra, come lo sa, una Camera,
la quale è assai povera, non havendo d'entrada un'anno per l'altro più di
ducati 2400 in circa, et di spesa ducati 2500 in circa, talmente che, come
per questo conto si può veder particolarmente, computadi li danari, che si
trazeno delli dati) destinati per la nova regolatione all'Officio sopra le Ca-
mere, che quest'anno si sono affittati ducati novecento e quindese et lire
quattro, ha hauto di spesa più che d'entrata quest'anno lire 690 soldi 4.
Et perchè tra li datij che s' incantano per quella Camera vi è quello delli
soldi 2 per secchio del vino che si estraze per terre aliene, voglio riveren-
temente raccordarle, che questo datio fu posto sopra tutta l' Istria, ma non
è stado affittado se non in quella Città et suo territorio, et nelli luochi
sottoposti a quella giurisdittione, restando esenti li altri, et spetialmente
Piran, Raspo, et Montona con suoi territorij, dalli quali luoghi estrazendosi
delli vini, né pagandosi questo datio, la Serenità Vostra vien a patir quel
danno. Oltre che vi sono anche le terre di Muggia, et Isola, alle quali è
stato concesso il detto datio, come ho inteso, per ducati cinquanta per uno
all'anno per cinque anni, li quali finiscono al presente; il che è di molto
danno alla Serenità Vostra, perchè si affittaria molto più, et anche la Città
di Capo d' Istria ne riceve notabil danno, perchè questi havendo esso datio
per pochissimo pretio, fanno anche pagar o poco o niente alli forestieri, et
IOO
a questo modo desviano il corso di quella Città con doppio danno della
Serenità Vostra. Saria però di molto beneficio a giuditio mio che esso datio
fusse affittato in tutti li luochi dell' Istria, si come a principio fu la mente
sua, et si potria fare che le communità di essa provintia più basse portassero
il denaro a Raspo, come doveriano fare anche di tutto quello della Serenità
Vostra che scuodeno quelli Rettori, et decime che pagano, del quale non
so come se ne vedi buon conto. Et si potriano obligare li detti Rettori,
che non potessero andar a capello, né esser provati ad alcun Officio, se
non portassero fede da essi Clarissimi di Raspo di haver soddisfatto al loro
debito. Et così quelli sottoposti a Capo d' Istria, et altri vicini a quella città
dovessero fare il medesimo. Nella qual camera di Capo d' Istria, havendo
il mio precessore scoperto molte falsità et intachi, cosi a danno della Su-
blimità Vostra, come di altri particolari, fatte da un Hieronimo Mazzuchi
all' hora Scontro sostituto di un Bello di Ambrosi patron di esso Officio,
lo convenne bandir perpetuamente ; il che fatto, fece commetter per l'Officio
delle rason vecchie al sudetto Bello Scontro, che dovesse o andar lui, o
mandar persona buona et sufficiente per regular essa scrittura. Ma non
essendosi mai curato lui, né di andar, ne di mandar persona atta a questo
cargho, convenne esso mio Precessore commettere a M. Virginio Sala cit-
tadino di quella Città, huomo di molta bontà et esperienza, che dovesse
entrare in detta Camera et regular essa scrittura, la qual era tutta confusa
et con molti errori, et viciature, come ho detto, et ha continuato anche di
mio ordine, et redutta essa scrittura (si può dire) in perfetto stato.
Credo haver detto, Serenissimo Principe, Illustrissimi et Eccellentissimi
Signori, con brevità quelle cose che ho stimato esser più necessario di rac-
cordar alla Serenità Vostra et alle V. S. Illustrissime et Eccellentissime, in
proposito della Città, et con la medesima brevità dirò ancho quelle del
territorio.
Ha la Serenità Vostra in esso territorio, per la descrittione ultimamente
fatta, anime in tutto 6577, computadi li contorni, delle quali ne sono da
fatti 1468 ; et in quello vi sono sei castelletti o recettaculi per incursion
de nemici, et questi sono Ospo, Popecchio, Antignan, Cristoia, Covedo et
Valmorasa, con altre torrete sparse per esso territorio, dove al tempo di
esse incursioni li poveri possono riponer le loro robicciuole.
Sono le terre di questo territorio, come ben sa la Serenità Vostra, assai
• aride, onde sì per questo come anche per il poco numero de habitatori,
poiché in 43 ville che vi sono, non vi sono più che le anime sudette, et
per la naturai loro negligenza in coltivarle a grano, si traze pochissima
IOI
quantità di formenti attendendo questi per loro natura et ordinario con tutti
li loro spiriti, alle vigne et al vino, del quale se ne cava assai copia che
supplisce al bisogno non solo di essa Città et territorio, ma se ne traze assai
quantità da forastieri per li luochi superiori.
Produce anco esso territorio mediocre quantità di ogli suavissimi, et
ne produrla anche molto più, quando fossero piantati delli olivi nelli luochi
ove bisogneria, essendo il terreno molto atto et buono a questa cultivatione,
et essendovi grandissima quantità di luochi vacui, nel qual proposito mi
par di dirle, che essendomi stato scritto dal Clarissimo Proveditor dell' Istria
che dovesse a nome della Serenità Vostra far descriver il numero delli olivari,
che si ritrovano in esso territorio, et destretto, ho ritrovato che sono alla
Stimma de 153,288, et che un anno per l'altro se ne può cavare orne 3000
di oglio, il quale si dispensa a questo modo ; per il bisogno della Città et
territorio orne 1000 in circa, orne 500 vien condotto per terra nelli luochi
arciducali, et il restante si dispensa per il Friuli, eccettuando qualche poco
che si conduce in questa Città.
Sono questi ogli cosi buoni et così delicati, et cosi commodi a questa
Città, che crederla che fosse cosa buonissima che si pensasse et procurasse
di cavarne maggior quantità che fosse possibile, et perciò forse che saria a
proposito che la Serenità Vostra accommodasse li poveri che non hanno il
modo di comprarne per piantare, di tre o quattro soldi per piede che pian-
tassero, dovendo essi olivi restar sempre obligati per questo imprestido. Et
a questo modo, la veneria ad accommodar quelli poveri con beneficio del
suo datio et commodo di questa Città.
Mi resta, Serenissimo Principe, di raccordarle una cosa non manco et
forse più importante di tutte le altre, che è la materia de' roveri così ne-
cessarij alla Casa dell'Arsenal, come ben la sa, delli quali ne soleva esser
gran quantità in quella provincia, ma perchè da 40 anni in qua, non se
ne è fatta alcuna descrittione, li huomini si hanno fatto lecito tagliarne in
grandissima quantità, perchè se ben alcuno da Retori ne vien castigato, sono
così pochi li denontiati, o querellati, che questo non provede a così fatto
disordine, onde per ciò è necessario pensarvi et provedervi.
Nell'ultima descrittione che già fu fatta furono descritti, secondo l'or-
dinario, tutti li legni buoni, et per venir buoni, descrivendo le ville, le
contrade, et particolarmente in ogni luoco quanti ve ne erano, consignandoli
alli patroni delle terre, et Zupani delle ville, et facendone far nota distinta
et particolare a luoco per luoco, et lasciando questa nota nelle cancellarie,
facendo in essecution delle leze proclami, che nessun havesse ardire di
toccarli; la qual provisione può essere che durasse per qualche tempo; ma.
102
non essendosi mai dall' hora in poi fatta altra descrittione, né ravvivata
questa provisione, ne è stata destrutta gran quantità con tanto danno della
Serenità Vostra quanto la se può benissimo imaginare, et specialmente per
causa delli stortami, de' quali la ne ha tanto bisogno, non ne essendo stati
trovati per la descrittione che ho fatto fare ultimamente in quel territorio,
se non mille e cento da piedi nove in suso buoni per gallere.
Raccordarla adonque reverentemente alla Serenità Vostra che quanto
prima si mandasse un patron della casa dell' Arsenal, o quando paresse de
restar per la spesa, commetter questo cargo al Clarissimo Proveditor nel-
l' Istria, che dovesse cavalcar per tutto, tolendo luogo per luogo, et descri-
vendo li buoni, et per venir buoni, et osservando a ponto tutto quello che
fu osservato nell' ultima descrittione, come ho detto, che a questo modo
si vederiano li errori passati, et si veneria a proveder che non succedessero
nell'avvenire questi inconvenienti. Nel qual proposito mi sovviene dirli, che
crederla che fusse necessario che uno almeno delli quattro deputadi della
provintia, che hanno il carico di far le compartite delli tagli et carezi che
occorreno farsi per il bisogno della Serenità Vostra, tenisse un libro ben
regolato nel quale vi fossero per alfabeto notate le città, terre, castelli, ville
et contrade con il numero de legni che fossero in quelle, et all' incontro
notar il tratto delli legni che si farà di essi luochi, acciò che sempre si possi
veder dove sono andati essi roveri.
Ma perchè non solamente fa bisogno attendere alla conservatione de
quelli che sono già in essere, ma ancho procurare che ne siano allevati
nell'avvenire, essendo statuito pena per le leze, non solamente a quelli che
ne tagliano, ma anche alli patroni delli luochi ove fossero tagliati, succiede
che quando alcuno vede nascer alcun rovere nelli suoi luochi subito lo cava, et
sterpa come suo nemico non possendone di quello ricevere se non danno, et
perciò forse che saria bene che poi che sono sottoposti alla pena quando li
siano tagliati, havessero anche qualche premio quando la Casa se ne servisse.
Non posso né debbo tacere alla Serenità Vostra un disordine che è in
detta Città, che ciede a grandissimo danno et pregiuditio de poveri, al qual
stimarei che fosse necessario provedere per sollevatone di essi poveri, che
è, che essendo tutte le sententie (quelle però che fa come giudice di prima
instanza) appellabili, etiam che siano di minima quantità di denaro, quando
alcun creditor fa sententiar il suo debitore, quello incontinente interpone
l' appellatione, onde il povero creditore o conviene con sua grandissima
spesa venirsene in questa Città, overo (come succiede ben spesso nelli poveri)
è necessitato ad abbandonar il suo credito, come ho veduto con molto mio
dispiacer esser successo in molti. Si potria però, quando cos'i piacesse alla
— 103 —
Serenità Vostra, statuire che le Sententie di quel Reggimento fino a una
certa summa, come saria di ducati diese in circa, fussero inappellabili, si
come sono tutte le sententie che si fanno nelle cause d'appellatione di quelli
luochi che sono sottoposti a quella giurisdittione, li quali perciò ne sentono
grandissima sollevatione et contento, per la comodità che hanno di poter
haver li suffraggij commodi. Nel qual proposito le dirò anche che il resto
delli luochi di quella povera provincia che vengono in appellatione a Venezia,
riceveno notabile benefficio et spetialmente la povertà quando havessero
luoco dove potessero esser suffragati de li, da Magistrato superiore, perchè
ne succiede anche in questi quello che occorre in Capo d' Istria, che quando
un povero ha da far con un ricco, non possendo esso povero venir de qui
a diffendere le ragion sue, se ne convien restar oppresso. Onde quando non
paresse alla Serenità Vostra di fare che ancho questi luochi godessero il
medesimo beneficio che godeno li altri sottoposti a detta giuridittione, si
potria almeno dar authorità al medesimo Reggimento di Capo d' Istria che
da una certa summa in su potesse intromettere le sententie sdii Eccellentis-
simi Consigli di questa Città, et da quella summa in giù ne fosse deffinitore.
(Serie Relationi — Registro 4 — 1575-1576 già Codice Brera n. 196
pag. 159 a 166).
(Continua)
DI UN GRAMMATICO ISTRIANO
GIOVANNI MOISE
h pochi giorni io avea fondata Lisina, periodico settimanale che si
stampa a Parenzo, quando mi veniva recapitato per le poste un liber-
colo, sulla fronte del quale stavano scritte le seguenti: «Dono dell'Autore».
Era la Strenna Istriana per l'anno 1882 di Nono Cajo Baccelli (anno X).
Nono Cajo Baccelli ! chi diavolo è costui, dissi fra me. Chiestone a
qualcuno notizia, tanto per sapere chi io dovessi ringraziare, mi fu risposto
che N. C. Baccelli non era altrimenti che un sacerdote di Cherso, di nome
Giovanni Moise, grammatico e lunarista. Il grammatico era pronunciato
scorrevolmente, come dire uno dei tantissimi scrittori di grammatiche che
nessuno legge. Il lunarista, invece, era detto a bocca piena e quasi in tuono
beffardo, né più né meno come si volesse significare un uomo strambo, non
d' altro capace che di far lunarj, i quali pure non si leggevano dalle così
dette persone che si rispettano.
Ma poiché mi messi a leggere la Strenna di sopra, ne rimasi incantato
alla chiarezza e semplicità dello stile, alla vivezza e purità della lingua, ed
alla forma prettamente toscana del dettato. O, com'era poi che io, nato e
cresciuto in Istria, con una completa — se anche inefficace per l'utilità che
ne trassi — istituzione di studj, non conoscessi quasi neppur di nome una
persona tanto benemerita e brava quale si era 1' Abate Moise di Cherso ?
— 106 —
Per chi conosce con quali sistemi e da quali persone si tirava su nelle lettere
la nostra gioventù circa trent' anni addietro, non stenterà a persuadersi
qualmente potesse accadere, come accadde a me di fatti, che i nostri migliori,
specie se rannicchiati modestamente in qualche buco della nostra provincia,
restassero incogniti ai più, e sopra tutto alla gioventù studiosa, la quale
subisce sempre la direttiva di coloro che sono chiamati a indirizzarla. Arrogi
ancora, che i tempi non corrono molto propizj per lo studio della lingua
e della grammatica propriamente tali ; la politica e le scienze esatte assor-
bono le menti quasi della totalità degli uomini colti, così di collocare, pur
troppo, in ultima linea lo studio della nostra augusta favella.
Dalla prima lettura che feci della Strenna del Moise, mi venne vaghezza
di leggere anche le precedenti, poi altre opere ancora dello stesso autore,
e finalmente dalla più piccola alla sua più grande Grammatica. Quando mi
venne sott' occhi quest' ultima, io ne rimasi propriamente sbalordito. Non
poteva persuadermi che un uomo di tanti studj e di tanta dottrina si ri-
manesse quasi occulto ai miei comprovinciali, e, per quanto stava nelle mie
deboli forze, cercai in tutti i modi, particolarmente colla pubblica stampa,
di mettere lui, o, per meglio dire le sue opere in quella luce che io
reputava si meritassero.
Devo dirlo, il povero Abate, tutto che non mi conoscesse di persona e
men che meno di fama — ch'io non n'ebbi né posso averne — mi manifestò
viva gratitudine. Subito da principio ci si mostrò quasi diffidente della mia
ammirazione per lui, tant' è vero che mi scriveva : « V. S. salta il canapo
e mi fa arrossire col troppo imburrarmi di lodi. Buon per me che non sono
più dell'erbe d'oggi e che le lettere, le quali ricevo quasi ogni giorno, de'
più celebri letterati d'Italia, mi fan conoscere d'essere un filologo nano (!) : se
no, correrei risico di alzare soverchiamente la testa e di fare una qualche
sguerguenza. In ogni modo, la ringrazio ecc ».
Col tempo però seppi accaparrarmi la di lui benevolenza ed amicizia,
la quale ultima non fu mai in me disgiunta dall' ossequiosa ammirazione.
Egli mi trattava come un figlio, ed io l'amai come un discepolo — poiché
viene il giorno che il discepolo giunge ad apprezzare i grandi meriti e la
straordinaria bontà del suo maestro. Dico maestro ; ma, per mia sventura,
io non l'ebbi tale, e solo tardi, troppo tardi affé mia! leggicchiai quei libri
che alla mia età conveniva aver già imparati e digeriti. E lunga e in-
cessante fu la nostra corrispondenza epistolare, e tale fa l' amorevolezza
^el Moise verso di me, da indursi, come vedremo, ma non senza pressione,
a dettarmi la sua autobiografia, con una schiettezza e ingenuità da parere
impossibile.
— 107 —
Ora, com' è noto, il povero Moise riposa da oltre un anno e mezzo
nella pace dei giusti nel camposanto di Cherso. La sua morte fu da tutti
compianta, non esclusi i più insigni filologi e letterati d' Italia. Il eh. av-
vocato Niccoli Castagna, valente filologo napoletano, poiché seppe del decesso
del Moise, scrisse una lettera di condoglianza alla di lui famiglia, dicendo,
fra altro, le precise : « Le LL. SS. curino di quel caro e dotto estinto le
opere e i manoscritti, facciano stampare le commemorazioni funebri, fac-
ciano scrivere ampiamente e stampare la vita di lui, e quanto altro crederanno
e potranno. È un tributo alla sua memoria e insieme un dovere verso le
lettere italiane tanto dall' Abate Moise onorate e beneficate '). — E così
parecchi altri.
Ed ecco che mi sono proposto di scrivere io una biografia circostanziata
del Moise ; anzi mi sono proposto, più d'ogn'altra cosa, di rilevare parti-
colarmente i di lui meriti come grammatico e come filologo, e ciò non
tanto per i dotti ed i letterati, quanto per quelli de' miei comprovinciali —
e ne sono ancor troppi! — che, come me fino al 1882, non hanno avuto
il bene di conoscere le opere di lui e il posto che gli è assegnato nelle
lettere italiane. Imperocché il Moise non sia soltanto una gloria istriana, ma
sì bene una gloria italiana ; e non di quelle effimere e passeggere, ma di
quelle reali incontestate e durature.
Ma come farò a parlare d' un grande filologo e grammatico, io non
filologo, io non grammatico? Questo scrupolo, per verità, m'è sorto spesso
nell'animo, e con tale prepotenza da farmi tentennare nell'arduo compito,
di troppo superiore alle mie forze. Ma poi, dubitando che il Moise potrebbe,
per incuria, per ignavia o per impotenza dei più, rimanersene, morto, nel-
l' oblio dei suoi comprovinciali, al modo istesso che rimase negletto, in
suo vivente; e tardando a me ancora di fare alcuna cosa verso l'uomo che
ho tanto amato e stimato in testimonianza appunto del mio amore e della
mia stima verso di lui; ho pensato di rompere gl'indugi e di scrivere, come
so e posso, questa biografia, chiedendone perdono, prima alla venerata ombra
del Moise, poi ai veri cultori delle belle lettere italiane, se mi sono arrischiato
in questa impresa.
') Devo alla gentilezza ed alla pietà del sig. dott. Gianpietro Moise, nipote dell'Abate,
questo brano di lettera ed altre molte indicazioni che via via mi vennero in bene nel
corso di questo lavoro. A lui dunque devo moltissimo, e ne lo ringrazio ora pubblicamente
tanto tanto.
— 108 —
Del resto mi preme subito di avvertire il benigno lettore che io, nelle
questioni filologiche e grammaticali particolarmente, ho cercato di riprodurre
sempre, o quasi sempre, i concetti e le idee del Moise, senza inframmettere
alcuna cosa del mio. In questo adunque ho voluto seguire il sistema biblio-
grafico, che mi pare il più esatto e meglio rispondente allo scopo che mi
sono prefisso, che è quello di far conoscere il Moise tale qual'era, o cioè
com'egli si manifesta dal complesso di tutti i suoi scritti.
Da ciò ne viene ancora che, per forza di circostanze, e in conseguenza
del metodo da me seguito, io debba intrattenermi spesso in lunghe disqui-
sizioni grammaticali e filologiche, non atte, forse, a ingenerare diletto al
lettore. Mia però non è la colpa. Se le Grammatiche, come ogn'altra scienza
affine, non sono dilettevoli per i più, anche la vita, o meglio le questioni
e gli studj d' un grammatico ridonderanno agli stessi, necessariamente, di
qualche peso alla lettura. Ma, in fine in fine, chi vuol conoscer 1' uomo
deve eziandio, anzi prima d' ogn'altra cosa, conoscere il suo pensiero. Ora
il pensiero del Moise, quasi interamente, fu assorbito dalle infinite questioni
che sorgono sempre nella mente d' un grammatico, quando non sia un
grammatico da burla. Il Moise, si sa, era un grande grammatico, anzi il
primo grammatico d' Italia ; figurarsi dunque se n' ebbe delle questioni
riflettenti la sua materia !
Ho voluto premettere questi brevi cenni a mia giustificazione, e per
annunziare subito il metodo da me seguito. Se non avrò corrisposto alla
aspettativa, s' incolpi la mia impotenza, non la mia buona volontà. Io sarò
felice pertanto se qualcuno sorgerà dopo di me a parlare, con più autore-
volezza e competenza, della vita e delle opere di Giovanni Moise.
I.
Sotto Pola l'Adriatico profondo s' interna verso levante in un golfo
di mare che fa capo alla città di Fiume. Questo mare ancor oggi è detto
Quarnero o Quarnaro, cui il Divino Poeta, nel canto IX dell'Inferno, ricorda,
siccome quello
di' Italia chiude e i suoi termini bagna.
Parecchie sono le isole sparse per questo golfo ; ma tre ve ne sono
di principali : quella di Veglia, l'altra dei Lossini e la terza di Cherso. In
quest'ultima, che sta nel mezzo delle due prime, nella piccola città omonima,
IO')
ma capoluogo dell' isola intera, da secoli esiste una famiglia, illustre per
molti titoli e per antica nobiltà, detta dei Moise. Originariamente la famiglia
si chiamava De Moysis, ed era ungherese. Dall' Ungheria passò a Segna,
dove si fermò fino a circa l'anno 1400. Già nel 1388 ell'era fregiata della
nobiltà patrizia, prerogativa di quella città.
Li 2 gennajo del 1444 in pieno Consiglio fu aggregato alla nobiltà di
Cherso un Andreas de Moyse nobilis de Signa, sequens vestigia Magnìfici Ducalis
Domimi nostri Venetiaruin et incessanter operattir et sollicitat honorem et aitgn-
nientnm proefacti nostri Domimi ut prosperetnr et concrescat fideliter.
I Moise facevano parte del Consiglio della città di Cherso e coprirono
le più alte cariche civili e militari, come quella di Giudice di Consiglio
appartenente ai soli nobili, o quella di Capitano di galera, e Comandante
di gente armata. Alla battaglia di Lepanto due fratelli Moise, con due galere
armate a proprie spese, combatterono per la Repubblica e diedero prove di
grande valore.
II 1 giugno 1603 un Zorxi de Moyse fu aggregato alla nobiltà di Ossero,
per la cui qualifica i Moyse fecero poi parte della Comunità di Ossero.
Codesti Consigli, in virtù dei rispettivi loro privilegi, avevano il diritto di
conferire, oltreché alle proprie, ad altre famiglie ancora la nobiltà ereditaria,
ciò che risulta da Decreti e Carte autentiche de' Consigli stessi, e confer-
mate dal Veneto Senato.
Ma oltre che guerrieri ed uomini di leggi, la nostra famiglia ebbe anche
qualche letterato.
Il cav. Luciani ha rinvenuto nella Marciana di Venezia un libriecino di
un antenato del nostro grammatico, il quale antenato rispondeva al nome
di Gio. Francesco Moise. Il libro è una raccolta di rime amorose messe
assieme e pubblicate da lui, ma di autori varj ; fra' quali c'è poi un altro
Moise, Gentiluomo Cbersano di nome Giorgio.
Il titolo del libro è questo :
Rose | d'Amore | Raccolte con nobil pensiero nel | Giardino delle
Muse | Italiane | Da Gio. Francesco | Moise | Nell'Accademia de' Ca-
pricciosi | NOMINATO IL FANTASTICO.
È stampato a Venezia, in formato tascabile (alto cent. 14 largo 7), da
Francesco Grossi, nel 16 15, e conta di pagine 32 non numerate e di 230
numerate. Le prime 32 comprendono il frontispicio ; una breve protesta
d'amore, in versi, senza nome d'autore, — alia Molto Illustre Signora Fulvia
Zttfatti Nobile Vicentina; — una lettera dedicatoria del raccoglitore — alli
Molto illustri Signori Giovani Nobili Chersani ; i nomi degli autori, 37 di
numero, fra' quali alcuni illustri, come il Testi, il Guerini, il Marini. Anche
— no —
parecchi degli altri lasciarono bastante traccia di se nella storia della poesia
italiana.
Ai nomi degli autori seguono — i soggetti dell'opera; poi altra lettera
— all'i Cortesi Lettori, di Ortibio Accademico Capriccioso, e versi dello stesso
Ortibio e d'altri accademici in lode e della raccolta e del raccoglitore, da
essi nominato non Chersano ma Chersino. Sono riportate due lettere del
Moise, le quali accennano ad altre di lui pubblicazioni, fatte o ideate.
Dalla pag. 224 alla pag. 230 sono poi riportati sette brevi componimenti
del nominato Giorgio Moise, intorno al quale sono premesse queste parole:
« Giorgio Moise Gentilhuomo Chersano, il quale oltre che è di famiglia
» nobilissima in quella Città, è nondimeno molto più nobile per propria
» virtù, et per le sue ottime qualità. Giovine d' elevato ingegno, spirito-
» sissimo, et senza alcun dubio chiaro in tutti i suoi componimenti, et
» perciò ben voluto, et amato dai maggiori letterati della sua patria, et in
» particolare dall' illustre Sig. Antonio Adrario, nobile Romano, intenden-
» tissimo di molte scienze, et stimatissimo nelle Corti di molti personaggi
» et Prelati ')».
Il nostro Abate sosteneva poi che, oltre alle Rose d'Amore di Giovanni
Francesco Moise, si aveva anche un altro libro Lettere amorose (in prosa) di
Francesco Moise. Potrebbe darsi che 1' una e 1' altra operetta siano dello
stesso autore, detto in quella Gianfrancesco in questa Francesco semplice-
mente ; ma tutto ciò, eh' io mi sappia, non fu potuto metter in chiaro.
L' Abate asseriva di aver avuto da fanciullo le tante volte codeste Lettere
amorose in mano, leggendovi alcuna lettera di Florindo o Lelio o altri che
sia a Rosalba ').
Lo stemma di famiglia è uno scudo nel cui mezzo sta un leone in
piedi in campo bianco e azzurro, sormontato dalla corona con cinque palle
e dal cimiero piumato.
La famiglia Moyse, che negli ultimi tempi appena si mutò in Moise,
oltre che nobile, era anche una delle principali famiglie di Cherso per
copia di possessioni. Tant' è vero che, fino a mezzo secolo fa, quando
cioè è cessato col padre del nostro Abate il fedecommesso, la famiglia
, ') Estratto da una Lettera aperta del prelodato cav. Luciani inserita ne La Provincia
dell'Istria &. XVIII 16 aprile 1884 N. 8.
2) Così da una Responsiva aperta del Moise al cav. Luciani inserita ne La 'Provincia
di sopra 1 giugno pari anno, N. ji.
1 1 1
Moise possedeva oltre 2000 jugeri di terreno, Era bosco e pascolo. Poi la
facoltà andò spezzata per causa di divisione nella famiglia.
Il nonno dell'Abate, Francesco Moise, era avvocato di vaglia, e la sua
capacità era non solo conosciuta in provincia, ma anche a Venezia, dov'ebbe
campo di farsi spesso conoscere e stimare. Egli ebbe quattro figli : Benedetto,
Antonio, Giuseppe e Giovanni — e due figlie clic si fecero monache.
Da Benedetto Moise e da Nicolina Petris — appartenente anch' essa
ad antica e nobile famiglia, da più secoli stanziata a Cherso — nacque
addì 27 novembre dell'anno 1820 Giovanni Moise. Tre giorni appresso
egli fu battezzato nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore dal
rev. canonico don Antonio Malabotich e levato al sacro fonte da Antonio
Petris fu Pietro e Francesca moglie di Antonio Mitis, e fu chiamato Gio-
vanni Giorgio. Egli era il quinto dei figli di Benedetto e di Nicolina, e
il terzultimo dei nati. Prima di lui vengono Francesco, Antonia, Maria e
Giuseppe, or tutti defunti ; dopo di lui nacquero Benedetto e Nicolò, ancor
viventi.
Il nostro Giovannino, da ragazzo, era assai sventato, mostrava scarso
ingegno e poco comprendonio. Quest' era il tormento della buona madre,
donna piissima, la quale ricorse persino agli esorcismi dei sacerdoti, nella
credenza che il figlio suo fosse invasato dal demonio ! Anche i coetanei del
bimbo non l'avevano in buon concetto e lo chiamavano collo spregiativo
volgare di Nane matto.
Nonostante il fanciullo mostrava sempre una certa propensione per le
carte, pei libri e per lo studio in generale. Di fatti egli fece in patria, con
profitto, il corso delle scuole normali, e a 12 anni fu mandato a studiare
le materie del Ginnasio nel Seminario patriarcale di Venezia. Finite, simil-
mente con profitto, le sei classi ginnasiali in quel Seminario, passò a studiare,
sempre in Venezia, la filosofia nell' in allora i. r. Liceo di S. Caterina.
Già in quegli anni giovanili sentiva molta propensione per la poesia,
alla quale si era dedicato con grande passione ; ma più che in altro si
occupò a far versi amorosi o estemporanei. Così il Giovannino era tenuto
in qualche conto come poeta estemporaneo, tant' è vere, che in una acca-
demia letteraria avuta allora nel Seminario di Venezia, alla presenza dei
professori e superiori del Seminario, dei canonici della Metropolitana e di
tutti gli alunni, egli improvvisò due sonetti a rime obbligate e non certo
le più comuni, l'uno sul tema della disfatta di Serse ai Dardanelli, l'altro
per Messa novella.
Compiuti gli studj liceali a Venezia, fu mandato all' Università di
Padova, e s' inscrisse alla facoltà legale. Ma più che a studiare il diritto,
— 112 —
il Moise continuava a far versi, e versi amorosi, mosso a questo da una
certa passione, del resto innocentissima, che gli s' era appiccicata al cuore.
Ed ecco com' egli stesso ne fa ingenuo racconto :
«Nel 1840 io studiavo il secondo anno di filosofia nel Liceo di
S. Caterina in Venezia e stavo di casa assieme con altri studenti liceali
dalla signora M. M. in Calle de' Proverbj a SS. Apostoli. Ora avvenne
che nei primi mesi di quell' anno vennero a Venezia a passare gli ultimi
giorni di Carnovale un signore, una vecchia signora e una signorina di
17 anni, la T Venivano da Treviso e dimoravano in casa della
signora M., loro conoscente ed amica. Il signore era zio e la signora era
nonna della T Io avevo allora 19 anni. Il vedere la T e l' in-
namorarmene perdutamente fu un punto solo. Però in quei 15 giorni
eh' ella stette a Venezia io non ci parlai che una o due volte alla presenza
della signora M., e, dopo partita, le scrissi una o due volte a Treviso. Ma
ne in parlarle ne in iscriverle le feci mai motto del mio amore per lei. E
perchè noi feci? Perchè noi sapevo fare, perchè ero vergognoso, somma-
mente vergognoso, e perchè pareva a me d' essere indegno di amarla.
Partita adunque la T , mi detti a scrivere su lei versi d'amore d'ogni
maniera, e durante quell' anno messi assieme un piccolo Cannoniere, composto
di sonetti, di odi e di una canzone petrarchesca. Già s' intende che in
questi versi poco o nulla e' è di vero ; tutto e ideale e immaginario, pro-
veniente dalla mia forte passione, che durò oltre un anno, sempre però
occulta a tutti. Nel 1841 trovandomi a Padova come studente di legge,
andavo più volte nelle ore notturne solo soletto a passeggiare alle Acquette
o nel Prato della Valle, e lì pensavo tuttora alla T e so d'aver anche
composta una poesia per lei nel detto Prato della Valle. L' anno seguente,
entrato come chierico nel Seminario di Venezia, piansi più volte e mi
pentii d' averla chiamata falsamente nei miei versi sleale, mentitora, traditora,
e simile. D' allora in poi il mio amore per lei si ridusse a raccomandarla
ogni giorno a Dio e a desiderarle ogni bene. Questo sì posso dire di lei,
che il mio amore per la T fu per me un principio di vita nuova ')».
Quanta semplicità e delicatezza di sentimenti !
Del detto Cannoniere, che non fu mai stampato, il Moise conservò i
componimenti, tant' è vero che volendo darmene un piccolo saggio, mi
') Queste e altre confessioni io 1' ebbi in iscritto dallo stesso Abate con espressa
autorizzazione di renderle, quando che sia, di pubblica ragione.
- 113 —
spedì il primo de' sonetti, che è come l' esordio del poetare, e un' ode.
A queste due poesie amorose vi aggiunse anche una canzone, che, per
sua asserzione, è l'unica ch'ei compose. Siccome i tre componimenti sono
inediti, cosi credo ben fatto di riportarli, anche per dimostrare l' abilità nel
poetare del nostro giovane.
A te, o fanciulla, che primiera amai,
Del breve viver mio gioja e conforto,
Che sempre sculta nella mente porto
Dacché il tuo viso angelico mirai,
A te consacro la mia rima. Ormai
Non fia che in altro tu mi vegga assorto,
Che in te, mio scampo, mio sicuro porto,
Per cui già tanto piansi e sospirai.
Tu, si cara al mio cor, diletta Elvira,
Benigna accetta il mio affannoso accento,
Porgi attenta 1' orecchio al pianto mio.
Te, te soltanto il mesto cuor sospira,
Te sol odo, te chiamo, e te desio.
Or quando fia cessato il mio tormento?
IL PRIMO AMORE
Dacché quell' ingenuo,
Quel casto sorriso
11 vergin mio core
Da prima ferì,
Ogn' ansia, ogni ambascia
Spari dal mio viso,
E 1' alma all' amore,
Al gaudio s' apri.
Ogn' atra memoria
Fugace disparve,
E ignoto contento
Sul volto brillò :
A vita rinascere
Novella mi parve,
E un lieto concento
Il core mandò.
Assorto in un'estasi,
Quel labbro ridente,
Quel volto i' mirava,
Quel caro gestir,
E, troppo oimè ! credulo
II core e fidente,
Un lieto sognava
E dolce avvenir.
A te, come ad angelo
Dal cielo disceso,
Conforto alle pene
Dell' erto cammin,
Da gioja, da insolita
Pietade compreso,
Fidav' io la spene
D' un lieto destin.
— ih —
Sprezzate le insidie
D' ogn' altra donzella,
Il core languiva,
O Elvira, per te.
Di tutte più amabile,
Di tutte più bella,
Più cara appariva
Elvira per me.
Invan ne' spettacoli
Fra i suoni, fra i canti,
De' lauti conviti
Fra i plausi e i fragor
Cercav' io sollecito
Quei cari sembianti,
Che porto scolpiti
Neil' anima ognor :
Invan quel bel ciglio,
Quel crin nereggiante,
Quell' occhio vezzoso,
Quel roseo pudor,
Invano un altr' angelo
A te somigliante
Incerto, ansioso
Cercava il mio cor.
Piaceami del cembalo
La dolce armonia
Con arte toccato
Da giovine man ;
Se a volte una vergine
Cantare i' sentia,
Assai m' era grato
Quel canto : ma invan
Il cor dalla gioia
Frenare i' volea,
Se udia te le note
Canzoni sonar,
Ovver se 1' angelica
Tua voce facea
D'armoniche note
La stanza eccheggiar.
Gioia se fra il gaudio
Vedeami da lato
Leggiadre donzelle
Festose danzar ;
Ma, se teco in circolo
Ballar m' era dato,
Pareami alle stelle
Beato volar.
In dolci colloquii
Con giovani spose
Talora i' godeva
La sera a passar ;
Ma ben più godevami
Neil' ore amorose
Che insieme i' poteva
Con te favellar.
Cosi fin dal nascere
Del primo mio affetto,
Fanciulla adorata,
T' amava il mio cor ;
E tu, mio beli' angelo,
Invano nel petto
Tenevi celata
Tua fiamma d' amor.
M' amavi ; dicevalo
Quel guardo giocondo
Che dolce nell' alma
A me penetrò.
M' amavi ; dicevalo
Quel dir verecondo
Che spesso la calma
Al cor ridonò.
Quei tempi svanirono,
O amata fanciulla ;
D' amore la gloria
Qual lampo passò :
Quei gaudii tornarono
Nel primo lor nulla ;
Ma in cor la memoria
Perenne restò.
ii5 —
CANZONE
•Al Reverendo T. Luigi Chinchella.
Tenero fanciulletto,
In sul mattin degl' anni,
Quando nessun martir turbava il core,
Lunge dal rio sospetto,
Dal pianto e dagli affanni,
Miser retaggio d' infelice amore,
Liete i' passava l'ore
Nel gaudio, e 1' alma apn'a
A soavi speranze :
Di care rimembranze
La giovinetta mente e il cor nutria ;
E, riverente e pio,
La candida mia prece ergeva a Dio.
Oh soavi momenti !
Oh fortunati giorni !
Oh liete ore ! . . . . ah ! per sempre io vi perdei !
Or non più di contenti
E di speranze adorni
Traggo i miei dì ; ma in crudi affanni e rei,
In disperati omei
Vivo, né (ahi cruda sorte !)
V è chi '1 crudel mio stato
E il mio dolor spietato
Intenda amico, e il mio duolo conforte :
Onde 1' alma si pasce
Ognor di pianto, e sol vive d' ambasce.
Invan di Sapienza
Alla severa scuola
Volli educar 1' ottenebrata mente.
Provai : d' effetto senza
Si fu la prova, e sola
In cor restò la brama, che repeute
Diede loco all' ardente
Martor che mi consuma,
Per cui son spenti ornai
I sogni allegri e gai
E il fioco raggio che mia vita alluma ;
E all' ardor che mi sface
Dal ciel soltanto spero tregua o pace.
— n6 —
Così 'u aspri martiri,
Dalla doglia conquiso,
Meno mia vita sconsolata e mesta.
Pure i fieri deliri
Tento celar nel riso,
E degli affetti 1' orribil tempesta,
E la cura molesta
Che ognor m' incalza e preme,
Tal finger mi conviene,
E 1' alma in crude pene
Si rode intanto, e mesta piange e geme.
Ahi dura sorte e rea
Oltre ogni fede, oltre ogni umana idea !
Ma tu, che in alti studj
Vivi i tuoi dì beati
Lunge dal vulgo di virtù nemico ;
Al gaudio il cor dischiudi,
Traggi i tuoi di ignorati
Al mondo cieco, solo al vizio amico.
F so ben quel eh' i' dico.
Godi, o Signor ; t' allegra :
Cosi potess' io pure
Por fine a mie sventure,
E gioir teco, e trar mia vita allegra.
Ah ! invano, invan qui in terra
Riposo spero alla crudel mia guerra.
Canzon, che tenti ? Ornai raffrena 1' ali.
Col tuo funebre canto
Non rinnovar d' un infelice il pianto.
Ed ecco che già in questi primi parti il Moise si rivela scrittore forbito,
e dallo stile, sopra tutto, limpidissimo; il che farebbe testimonianza della
chiarezza delle sue idee, qualità perspicua d' un ingegno superiore. Vero
però, nei suoi lavori giovanili è usata la lingua classica, la lingua cioè che
si trova tutta nei libri e di cui ogni voce è registrata nei vocabolarj ;
mentre la lingua delle sue opere stampate è la lingua viva toscana, lingua
che non si trova tutta nei libri e di cui molte e molte voci i nostri voca-
bolarj non registrano.
A Padova, come s' è visto, il Moise si stemperava in far versi, colti-
'vando l'amore platonico; ma in quanto a studiar leggi, non n'era niente.
Venuto il tempo di dare gli esami, ei non si trovò preparato, per cui
perdette 1' anno. Un coetaneo del Moise mi disse, che la sua caduta al
— ii7 —
primo esame di legge fu proprio fenomenale. In prova mi raccontò il
seguente fatto. Fra le materie che si doveva allora studiare nel primo anno
di legge era contemplata anche la statistica con la geografia. Il rispettivo
professore rivolge al Moise una, due e tre domande, e delle più elementari ;
ma questi stava lì duro come un piuolo senza risponder sillaba. Finalmente
il professore, che cercava in tutti i modi di salvarlo, gli disse : « Da bravo,
mi dica almeno qualche cosa dei prodotti ecc. della sua Cherso ! » —
Oh sì ! Non seppe dir nulla neppur di Cherso !
Dato questo bello spettacolo agli esami, il nostro Giovannino pensò di
abbandonare la carriera legale e di darsi all'ecclesiastica — ciò che produsse
grande consolazione ne' suoi genitori.
A Venezia studiò i tre primi anni di teologia, dopo i quali, ritornato
a Cherso, fu ordinato sacerdote. Poi andò a compiere gli studj teologici
nel Seminario vescovile di Ceneda, ora Vittorio.
In Seminario, se dimesse di far versi amorosi, non fece divorzio tut-
tavia colle Muse. Egli s'era messo in testa, anzi, di fare un Cannoniere di
versi sacri, e compose, in fatti, alquanti sonetti; ma poi li lasciò in tronco
e non ci pensò più. Ma ben condusse a compimento un poemetto in terzine
e in sei canti, che intitolò La Visione di Abdald, poemetto che fu molto
lodato dai suoi amici e che avrebbe dato alle stampe nel 1846, se il
Tommaseo che allora si trovava a Venezia e al quale egli l'aveva dato a
esaminare, non ne lo avesse distolto, dicendogli che V argomento n' era
troppo arido, se bene ne portasse a cielo la lingua ed i versi. L' Abdald
non era, in fondo, che una satira, dove i personaggi reali sono occultati
sotto personaggi astratti, quali sono la Superbia, il Sospetto, il Tradimento ecc.
Venuto in patria nella state del 1845, cominciò l'abate novellino ad
istruire privatamente alcuni giovanetti nelle materie ginnasiali, e proseguì
in tal modo parecchi anni a far scuola privata.
Anzi egli si sarebbe esclusivamente dedicato alla nobile professione
dell'istruttore e dell'educatore, per la quale sentiva una grande inclinazione,
se non fosse stato costretto dal suo Ordinario di darsi alla cura d'anime.
Di fatti, appena ritornato a Cherso, il suo vescovo lo fé' cooperatore.
Statovi così due o tre anni, il Moise pregò e fu lisciato in libertà per
poter attendere alla scuola ed ai particolari suoi studj. Passato un pajo di
anni, il vescovo per mancanza di preti, lo rifece cooperatore. E il Moise
lo pregò ancora di levarlo, ed egli lo levò. Poi, sempre per mancanza di
preti, lo tornò a fare per la terza volta cooperatore, ed egli ad insistere
perchè fosse levato. Finalmente, volendo il vescovo assolutamente tenerlo
in cura, ed il Moise desiderando di occuparsi nello studio (ed essendo
— 118 —
cooperatore a Cherso non aveva tempo a farlo), pregò di esser messo in cura
in campagna, ed il vescovo lo mandò prima per due anni a Predoschizza,
e poi per due anni a Lussingrande. Nel 1872, finalmente, fu liberato affatto
dalla cura.
II.
Appena libero di sé, 1' Abate si messe di buzzo buono a studiare e
a far scuola ginnasiale privata per tutti i sei anni del vecchio ginnasio,
ed ebbe molti ed in generale bravi allievi, tra' quali parecchi de' presenti
medici, ingegneri, sacerdoti chersini.
Impartendo ogni giorno lezione di lingua italiana ai giovanetti, prese
un grande amore alla nostra lingua, e all'attenta lettura de' classici antichi
e moderni aggiunse lo studio indefesso delle opere grammaticali e filologiche
dei più accreditati scrittori italiani antichi e moderni. Fra i classici italiani
prediligeva sopra tutti il Petrarca, l'Ariosto e il Bartoli; gli andavano poi
molto a sangue il Passavanti, i Fioretti, il Guadagnoli e il Giusti, i quali
ultimi, anzi, gli servirono, come vedremo, di esempio nei suoi scritti.
Da codesto studio gli venne l' idea di compilare una Grammatica della
lingua italiana, e già nel 1846 o lì intorno cominciò a por mano ad essa;
ma straviato com'era dalla cura d'anime non poteva assecondare che molto
lentamente questo suo desiderio. Tant' è vero che appena agli ultimi del
mese di gennaio del 1865 egli 1' avea finita.
In questo tempo infatti egli la dette alle stampe a Venezia nel premiato
Stabilimento nazionale di Giuseppe Grimaldo facendone tirare un numero
limitato di copie '). Il Grimaldo stette a comporla tutto quell'anno e l'anno
appresso, ond' essa uscì alla luce addì 20 novembre del 1867. L'opera è
divisa in tre volumi di sedicesimo ordinario. Il primo volume contiene
/' ortoepia e l'ortografia (pag. XV -381) — il volume secondo l'etimologia
(pag. 609) — il volume terzo la sintassi, (pag. 614).
Quale fu il vero movente che spinse il Moise a intraprendere questo
') Mi fu detto che ne facesse tirare sole 200 copie, spendendo la bella somma di
2000 fiorini.
— ii9 —
lungo e faticoso lavoro? Lo dice egli stesso nella Prefazione: il bisogno
che aveva l'Italia d'una buona Grammatica, bisogno ch'egli intendeva di
supplire in qualche modo. Egli era ben lungi dal credere e dal pretendere
di supplirvi in tutto e per tutto, eh' ci sapeva troppo bene essere tale la
natura delle siffatte discipline, da riescire difficilissimo, e quasi, anzi, impos-
sibile che un' opera vi riesca perfetta; « perchè, come tutti sanno, ad esser
un perfetto conoscitor d' una lingua (e tale pur esser debbe un ottimo
maestro) non gli basta il retto uso della ragion filosofica, ma gli è altresì
necessaria una lunga e continuata e diligente lettura de' classici autori, e
gli conviene inoltre aver di presente e attualmente memoria di quanto egli
ha letto, e di più gli bisogna aver gran pratica oltre die della scritta anche
della lingua parlata; le quali cose quanto sia difficile che alcuno giunga a
fare, ognuno di leggeri sei vede ». Ora, come mai avrebbe saputo fare il
nostro Abate, che di recente era entrato in questo arringo, quello che non
lian saputo fare prima di lui tanti grammatici e filologi del primo cerchio?
Quand' essi, che, per lo più, con tutto loro agio attesero a questi studj e
in questi consumarono, per dir così, tutta la loro vita, e poterono valersi
al loro scopo de' migliori testi sieno stampati sieno manoscritti che loro
offrivano in copia le ricche biblioteche delle grandi città, dimorando tuttavia
in quei luoghi dove la bella lingua suona tuttora viva nella bocca del popolo;
quand'essi, io dico, non riuscirono con tutto questo a dare all'Italia una
opera perfetta che supplisce ai comuni bisogni, come mai poteva riuscirvi
egli, immerso tutto giorno nelle gravi e penose cure del suo ministero, le
quali molte volte gì' impedivano non che di attendere, ma fin di pensare
agli amiti suoi studj ? Come mai poteva riuscirvi ancora per le condizioni
del luogo dove soggiornava, privo di una pubblica biblioteca a cui ricorrere
ne' suoi bisogni, mentre era costretto a farsi venire i libri da fuori con
suo sommo dispendio e sovente anco senza aver quelli che grandemente
gli stavano a cuore e che caldamente e istantemente ci domandava, non
avendo altri a mano se non quelli che gli offriva la sua piccola biblioteca
domestica e quei pochi che pietosi e benevoli gli porgevano gli amici ?
Come mai poteva riuscirvi egli, il quale per contentino si sentiva a tutte
ore straziare gli orecchi da un mal parlato dialetto e da una pessima
jronunzia ? « Chi vorrà un poco considerare tutte queste cose — e' sog-
giunge — saprà, io spero, benignamente sorpassare quanto v' ha di difettoso
di errato per entro a quest'opera e lodare, se non altro, la buona intenzione
lei suo autore o compilatore che dir si voglia ».
E che l' Italia non avesse ancora una buona Grammatica, non ebbe
ad affermarlo il solo Moise, ma egli era stato confermato prima di lui
— 120 —
anche da illustri filologi, fra' quali il Nannucci, il quale disse ') : « Non
credo che v' abbia nazione al mondo, che conti nella propria lingua un
numero di Grammatiche così grande, come noi nella nostra. Ma possiamo
dire per questo che fra tutte le pubblicate ne' tempi andati o le tante e
tante che si sono vedute a' giorni nostri uscir fuori, ne possediamo una
almeno che non lasci nulla desiderare e che soddisfaccia interamente al
bisogno della gioventù studiosa? Io non dubito di affermare che non
l'abbiamo; imperocché, cominciando dalle prime e venendo mano a mano
perfino all' ultima, si troverà, in conclusione, che i loro autori non han
fatto finora che ripetere tutti, chi più chi meno, chi sotto un aspetto chi
sotto un altro, le medesime dottrine. E se alcuni di loro han voluto andare
più avanti, annunziando nuovi metodi e nuove teorie, non eh' abbiano
veramente aggiunto nulla a ciò che mancava ne provveduto alcun poco a
ciò ch'era errato, ma si sono invece perduti in astratte e importune disqui-
sizioni, accomodate piuttosto a ingenerare il fastidio ed a mungere e infievolire
gì' ingegni, che ad informare la materia di nuova luce, ignorando la sentenza
di Quintiliano, esser parte cioè della scienza d' un grammatico veramente
dotto il sapere che alcune cose sono le quali di sapere non è mestieri. Ma
niuno di essi si è dato pur anche a svolgere, coni' era del loro ufficio, i
principi fondamentali e le varie combinazioni delle parole, né ad investigare
la ragione di quelle trasmutazioni alle quali andarono soggette nella loro
origine primitiva ». — Quanto il Moise vi sia riuscito in questo, lo vedremo
più tardi. Ora preme di conoscere, per quale via il nostro autore sia venuto
a comprendere tutto ciò.
Il nostro Abate facendo scuola ebbe tuttogiorno occasione di persua-
dersi di questo e di vedere egli stesso, avere i giovanetti bisogno d' una
buona Grammatica italiana, non trovandone alcuna di quelle che per tali
si spacciano che tale sia veramente. E più volte avea pensato di porsi lui
in tale impresa, e alla fine volonteroso si accinse all'opera. La Grammatica
venne alla luce, ed ei la dedicò appunto alli studiosi giovanetti, per utilità
e comodo de' quali principalmente egli V avea composta e ai quali anche
con tutto lo spirito 1' offerse e raccomandò.
Or io non voglio conoscere quanti furono poi quei giovani che ne
approfittarono, che, a vero dire, tutta la colpa non cade sopra di loro. Sì
bene io so, che molti che hanno l'Italia e l'italianità sulle labbra, si meritano
') Nella Teorica dei nomi della lingua italiana - Al Discreto Lettore.
— 121 —
il rimprovero, che faceva Tertulliano ai Romani del suo tempo: ubi religio?
ubi veneratiti majoribus debita a vobis ? habitu, victu, et instructu, sensu, ipso
denique sermone proavis renunciastis.
E si badi che la Grammatica del Moise, fra tutte le altre, non solo è
ottima per apprendere lo scrivere e il parlare corretto, ma è utilissima a
tutti coloro che avendo in amore il patrio sermone desiderano conoscerlo
ne' suoi principi fondamentali, e bene e con profitto studiare negli antichi:
a chi voglia interpretare i dettati dei nostri vecchi, e render ragione delle
loro maniere di dire.
Viceversa anche fra noi — come dice il Nannucci ') — quanti non
ve ne sono, che di tutt' altro sapendo che di lingua e di buone lettere
pigliano a fare cose, che sono le mille miglia distanti dalle forze loro! Ma
questo che importa ? « Basta conoscere a fondo l'aritmetica, e saper fare a
meraviglia e da fino i suoi conti. Ma è bene dall'altro canto che i balordi
e gli stolti imparino a proprie spese ad annusare i cantambanchi. Se non
che non è da sopportare in pace che certe scellerate scritture escan fuori
a nostra vergogna dalle tipografie. Eppure si levano a cielo, si vola ad esse
come le mosche al vaso pieno di latte, ed ingrassa e chi le imbroda e chi
le pubblica ! »
Ma vediamo con quale intenzione il Moise ha scritta la sua Grammatica,
e quale fu il metodo da lui tenuto in essa. In questo egli ebbe sempre
dinanzi agli occhi per tutto il corso del suo lavoro le dottrine del chiarissimo
grammatico francese Beauzée, e precisamente le seguenti, che il nostro
autore riporta nella Prefazione, togliendole dalla Graminaire Generale *).
« La Grammatica, che ha per oggetto l'enunciazione del pensiero col soccorso della
parola pronunziata o scritta, ammette due sorta di principj. Gli uni sono di una verità
immutabile e d' un uso universale, s' attengono alla natura del pensiero medesimo, ne
seguono l'analisi, non ne sono che il risultato ; gli altri non hanno che una verità ipotetica
e dipendente dalle convenzioni fortuite, arbitrarie e mutabili che han dato origine ai dif-
ferenti idiomi. I primi costituiscono la Grammatica generale ; gli altri sono l'oggetto delle
diverse Grammatiche particolari.
» La Grammatica generale e dunque la scienza ragionata dei principj immutabili e
generali del linguaggio pronunziato o scritto, in qualsivoglia lingua del mondo.
» Una Grammatica particolare è l'arte d'applicare ai principj immutabili e generali
') Analisi critica dei verbi italiani — Ai Lettori, — Firenze. Le Monnier, 1844.
') Pag. V.
— 122 —
del linguaggio pronunziato o scritto le istituzioni arbitrarie e usuali d' una lingua par-
ticolare.
» La Grammatica generale è una scienza, perchè essa non ha per oggetto che la
speculazione ragionata dei principi immutabili e generali del linguaggio.
» Una Grammatica particolare è un'arte, perchè essa riguarda l'applicazione pratica
delle istituzioni arbitrarie e usuali d' una lingua particolare ai principi generali del lin-
guaggio.
» La scienza grammaticale è anteriore a tutte le lingue, perchè i suoi principi non
suppongono che la possibilità dalle lingue, perdi' essi sono quei medesimi che dirigono
la ragione umana nelle sue operazioni intellettuali ; in una parola, perchè essi sono d'una
verità eterna.
» L'arte grammaticale, al contrario, è posteriore alle lingue, perchè gli usi delle lingue
debbono esistere avanti che altri li rapporti artificialmente ai principi generali del linguaggio,
e perchè i sistemi analogici che formano l'arte non possono essere che il risultato delle
operazioni fatte su gli usi preesistenti.
» La giustezza e la necessità di questa distinzione, benché ella paja astratta, hanno
tuttavia dei caratteri sì evidenti, ch'elle furono scòrte ben di buon'ora dai valentuomeni.
Alla natura, dice Quintiliano '), noi dobbiamo V origine e i fondamenti del linguaggio ; e
all' osservazione dobbiamo rapportare V esistenza dell' arte. Ma distinguendo cosi la scienza
grammaticale, io non pretendo altrimenti d' insinuare che se ne debba o se ne possa
separar pur lo studio; la scienza e l'arte debbonsi fra loro scambievolmente soccorrere,
senza di che noi non potremmo acquistarne una perfetta conoscenza».
Guidato da questi sani principj, primo scopo del Moise, nel compilare
il suo lavoro, si fu di offrire ai giovani una Grammatica filosofica della
lingua italiana, « cioè a dire una Grammatica — son sue parole — che non
solo desse loro le regole pratiche e materiali del ben scrivere e del ben
parlare, ma sì una Grammatica che loro spiegasse la ragione di queste regole,
una Grammatica che investigasse tutte le irregolarità della nostra lingua, e
che fin delle sue capestrerie e de' suoi capricci tentasse di scoprire l'origine;
cose tutte delle quali poco o nulla si curano i nostri grammatici : onde
vediamo mal classificate e definite da essi le parti del discorso, mal spiegate
le leggi di concordanza e di reggimento e ridotto lo studio grammaticale
in un tormentoso sforzo di memoria »,
In secondo luogo egli si è proposto di offrire agli studiosi un sistema
ragionato e costante di ortografia, seguendo in questa parte quasi in tutto
il Gherardini, la cui Lessigrafia, se bene dai più non è voluta ricevere, è
però da tutti riconosciuta per vera, legittima, filosofica. Però non in tutto
•) Orat. Ili, 2.
— 123 —
seguì la lessigrafia del Gherardini, che in parte egli la corresse ; e non
solamente seguì il Gherardini nelle regole lessigrafiche eh' egli mette in
pratica, ma sì in quelle ancora eh' egli, quantunque le conosca vere e ra-
gionate, per certi suoi particolari riguardi si astiene purnondimeno dal
praticare. Oltre che poi o segue o corregge il Gherardini stesso, stabilisce
talvolta alcune regole tutte sue proprie, le quali non meno che le gherar-
diniane gli pajono legittime e ragionate, e per conseguenza non dubita punto
di proporle ai giovanetti studiosi.
Così egli ha seguito per lo più la lessigrafia da lui composta non solo
in tutto quello che egli scrisse, ma sì ancora nelle cose altrui e negli esempj
che cita ; ne poteva fare altrimenti, s' ei voleva pur conservare inviolata la
tanto necessaria uniformiti di scrittura. Dissi per lo più, giacche alcune
poche volte gli fu necessario, per la ragion stessa delle cose, di seguire nelle
cose d'altri la lessigrafia da essi adottata, e alcune altre, nella citazione degli
esempj, non 8U parve necessario di seguitar la lessigrafia da lui proposta,
contentandosi di accennare in parentesi, dopo alcuna voce scritta con la
lessigrafia comune, la maniera in che ei la scrive.
L' autore avverte inoltre, che siccome egli aveva composta questa
Grammatica per comodo principalmente de' giovanetti studiosi, così aveva
introdotte in essa infinite questioni, dalle quali potevano apprendere quanto
sieno le tante e tante volte fallaci e, per necessario conseguente, da non
seguire, le dottrine che ex cathedra loro dAnno gli autori delle comunali
Grammatiche e de' Vocabolarj di voci e maniere errate, delle quali Gram-
matiche e de' quali Vocabolarj ne va pur attorno un subisso. Fa quindi
notar bene che nell'oppugnare gli altrui errori egli non ha avuto altro di
mira che insegnare ai giovani la vera scienza grammaticale e togliere loro
quei pregiudizj che fin nelle prime scuole furono ad essi instillati dai più
volte ripetuti insegnamenti dei loro indiscreti maestri. Questo solo egli
ebbe di mira nel confutare gì' innumerevoli spropositi degli odierni nostri
grammatici e vocabolaristarj, e però ne condanna le opere e non le persone,
e delle opere stesse riprova gli errori e loda, all'uopo, quanto v'ha di sano
e di buono.
Dopo ciò, passa ad enumerare gli autori di cui più si è valso nel
compilare la sua Grammatica. E sono : il Beauzée, il Fabriani, il Parenti,
il Gherardini, il Nannucci, il Tommaseo, il Fornaciari, il Dal Rio, il Viani,
dei quali allega di tratto in tratto interi articoli, abbellendone non pur le
note, ma sì bene ancora il corpo stesso dell' opera. Dichiara poi francamente,
non dolergli punto di così aver fatto, onde s'abbia a vergognare d'indicarlo
ai lettori 5 « mercecchè ognun sa che una Grammatica non può essere
— 124 —
giammai perfetta per sé stessa '), vale a dire eh' ella ha bisogno per esser
tale di cavar molte e molte cose da quelle che la precedettero; e però un
Grammatico anzi che Autore, vuoisi più direttamente chiamare Compilatore,
e spesso eziandio Copiatore ».
Come si vede, il Moise non solo s' era proposto di dare una Gram-
matica filosofica della lingua italiana, ma con essa ei s' era prefisso ancora
di riassumere tutto quanto di buono fin qui, e per ogni singola regola
grammaticale, era stato detto dai più eccellenti grammatici e filologi che
lo precedettero. Ed ecco che la sua opera è fitta fitta di note pregevolissime,
le quali riproducono codeste svariate e molteplici dottrine elucubrate sulla
nostra lingua dai più insigni linguisti. Ond'è che lo studioso vi trova nel
testo non solo le regole e le osservazioni elementari, quelle cioè che vogliono
essere sapute da tutti quelli che desiderano di apprendere la nostra lingua,
ma nelle note vi rinviene eziandio le regole e le osservazioni più elevate,
quelle cioè che appartengono propriamente a coloro i quali non solo
desiderano di apprendere semplicemente la nostra lingua, ma sì desiderano
di profondarvisi, di conoscerne le bellezze ed eleganze e di scoprir l'origine
de' suoi usi e de' suoi abusi. Non è dunque da meravigliarsi, se, come
vedremo, sia stato sentenziato, essere la Grammatica del Moise la più
completa delle Grammatiche d' Italia, in quanto comprenda in se la storia
delle regole del ben parlare e del retto scrivere.
Credo poi inutile di aggiungere, che le regole che l'Abate va a mano
a mano proponendo agli studiosi sieno sempre abbondantemente confermate
e suffragate con 1' autorità di classici esempj, dopo i quali accenna gli
') Anche il Nannucci dichiara — quantunque scrivesse un grosso volume (p. XXVII, 792)
soltanto sulla Teorica dei Nomi ecc , ed un secondo (pag. 825) sulla Analisi critica dei
Verbi italiani — di non aver inteso di mettere insieme una grammatica compiuta e ordinata
in ogni sua parte.
Il bibliotecario Jacopo Morelli — dice il Nannucci — soleva dire : De' libri bisogna
fare come dei figli, non solo metterli al mondo, ma poi averne sempre cura. — E così fece il
Moise colle edizioni delle sue Grammatiche che andò via via pubblicando.
Lo stesso Nannucci dice che la Grammatica è un pelago senza fondo; «e come
lavori siffatti è assai malagevole, per non dire impossibile, che riescan finiti di primo getto,
e come vogliano essere nuovamente e più d'una volta richiamati ad esame, non potendosi
da, prima veder tutto chiaro e palese».
Poi soggiunge in -Nota : « Senza parlare né del penoso travaglio, né del continuo
tedio, né della lunga pazienza di scorrere tanti testi di nostra lingua, e di volgere una
infinità di carte e volumi». — E più volte voleva gettare alle fiamme il suo lavoro.
12* —
autori e le opere donde quelli furori cavati. Tutti gli esempj poi tratti
dalle opere eh' ei possedeva furono da lui esaminati nelle loro fonti e da
esse fedelmente trascritti; mentre quelli che si trovano nelle opere eh' ei
non aveva, gli fu forza citarli come li citano coloro dai quali 1' ha levati.
Né si creda che il Moise se l' ha cavata anche in questo cosi alla leggera
o con iscarso bagaglio di erudizione sua propria. Basta leggere la Tavola
degli scrittori e de libri citati, da lui premessa nella sua opera — tavola
che comprende non meno di 61 pagine di fitto carattere — per ingenerare
la più grande ammirazione dei profondi studj e della imponentissima fatica,
nella quale il nostro Abate è durato per ben vent' anni prima di condurre
a compimento questo suo veramente magistrale e colossale lavoro. Son
meglio di 380 opere citate — alcune delle quali molto voluminose —
eh' ei lesse e consultò; ed oltre a mezzo migliajo ascendono poi quelle da
lui citate appoggiato all' autorità di coloro che prima di lui le avevano
allegate. Ora si consideri quanta perseveranza, vastità di cultura, studio
indefesso, paziente ricerca, acume critico, gusto estetico e via via, ci voleva
per tutto ciò; che non bastava la semplice lettura di tanti e sì svariati
autori ma era pur necessario rileggerli più volte, meditarli e vagliarli. Poi
le noje infinite per avere le opere necessarie, la pazienza cenobitica per
estrarne quella massa di esempj, per disciplinarli, applicarli, trascriverli e
correggerli. Onde la sua non fu già una vana pretesa d'intitolare il proprio
lavoro grammaticale coli' epiteto di filosofico; né poteva altrimenti scegliere,
come ben scelse, a motto di esso la seguente sentenza del Borghini:
« La lingua, che è l' interprete dell' intelletto nostro .... ha in sé le
» speculazioni cavate dal mezzo della filosofia. Né creda alcuno che, perchè
» ella si abbia a proporre ai fanciulli, ella non abbia ad essere trattata come
» da uomini ; che questa è stata materia, in ogni età e lingua, de' primi
» scrittori ') ».
III.
Se è vero che il Moise della prima Grammatica grande facesse tirare
soli duecento esemplari, questo vuol dire che, quantunque egli l' avesse
') Vinc. Borghini in Pros. fior. par. IV, voi. 4, pag. 329 (posta dal Gherardini in
fronte all' Appendice Gramm. hai.).
— 126 —
composta «per comodo principalmente de' giovinetti studiosi», tuttavia non
intendesse di metterla ancora nel grande commercio librario, prima, cioè,
di averne udite le critiche degli uomini competenti. Nella limitata tiratura già
si scorge, dunque, l' idea preconcetta di fare una seconda edizione riveduta
e corretta di codesto lavoro. Ciò che fa anche manifesto nella prefazione,
e come di fatto seguì.
Ad ogni modo il Moise mandò subito la sua Grammatica ai più valenti
filologi e grammatici d' Italia, i quali non tardarono a portare sulla di lui
opera i loro giudizj. Sta bene intanto di premettere che il nostro Abate,
fino a questo punto, era un uomo presso che oscuro, ignorato cioè da tutti
i letterati dell'epoca, sia perchè non si fosse ancora pubblicamente esposto
con alcuna opera filologica o letteraria, sia ancora perchè relegato in una
piccola isola del Quarnaro, lontana da ogni centro scientifico e letterario.
Egli non poteva, perciò, accaparrarsi — se non molto limitatamente — la
benevolenza di quelli che ora, con fronte serena e sotto l' usbergo di
una coscienza rassicurata, ei chiamava a giudicarlo nell' opera che a loro
spediva.
Devo all'egregio giovane, dott. Gian Pietro Moise, nipote dell'Abate,
anche i seguenti squarci di lettere che riproducono le prime impressioni
sollevate dalla Grammatica grande nelle menti di chiarissimi letterati. Si dirà,
forse, che codeste non erano che mere espressioni di animi cortesi all'atto
che ricevevano un libro in regalo. Se questo in parte può esser vero, ve-
dremo poi come la critica scendesse pubblicamente senza riguardi a giudicare
il libro, e che i giudizj da essa portati per nulla differiscano da quelli che
troveremo più oltre espressi.
Pietro Fanfani così gli scriveva da Firenze addì 22 gennaio 1868:
Ebbi ieri l'altro la Grammatica di V. S. Chiarissima, promessami fino dal dì 2 del
passato ottobre, e non me la sono mai levata di mano, per forma che posso dire di averla
compresa in tutte le parti.
Nella sua lettera Ella mi pregava di fargliene una critica ; ma parrebbemi non per-
donabile presunzione il mettermi a far la critica di un lavoro di V. S. Chiarissima, che
sa tanto garbatamente far da maestro a me, e riprendere e correggere le mie ignoratile '). Le
piaccia dunque dispensarmi da tale ufficio, e non mi sgridi se sto contento a ringraziarla
del ricco dono, ed a profferirmele con alta riverenza leale servitore.
') Vedremo in seguito com'egli scendesse a battagliare, com'era suo costume, anche
col nostro Moise su questioni grammaticali; e che non sempre riportasse vittoria.
— 127 —
Prospero Viotti, il diligente raccoglitore dell'Epistolario di G. Leopardi,
cosi si esprime :
AH' entrata dell' anno mi fu renduta la sua Grammatica ; e, siccome nello scorso
gennajo e in parte del febbrajo io stetti tra letto e tettuccio, cosi la lessi quasi tutta ; e
non potei non ammirarne I' erudizione, la diligenza, [' ordine, lo svariato sapere che vi
campeggiano. Ragionarle alla distesa della sua Grammatica ora non posso ; ma posso ben
dirle die mi pare un lavoro assai dotto ed osservabile, e di tener gran conto de' moltissimi
pregi dell'opera. E la ringrazio di tutto amore d'avermi tanto onorato (Dio gliel perdoni)
citando spesse volte il mio nome : la qual cosa è mero effetto della sua bontà, non d'alcun
sostanziale mio merito.
Nicolò Tommaseo, scrivendo al Ricci in data del 25 febbraio 1868, dice:
Se Ella scrive al sig. Ab. Moise, gli dica che lo ringrazio del suo dono ; che in quasi
tutte le cose m'accordo co' suoi giudizj ; che il meglio conoscere l'uso toscano gli sarebbe
forse giovato ; ma che a tali studj corrono non favorevoli i tempi.
E Francesco Ambrosoli in data Milano 3 luglio 1868:
Ammiro l' infinità degli esempj nei quali Ella si avvolge e coi quali con-
valida le sue dottrine : vorrei essere giovane ancora per ricominciare con Lei questo studio:
spero che del suo libro vorranno approfittare i maestri a vantaggio dei loro scolari ; ma
non è mare dalle mie braccia ; è selva nella quale mi smarrirei dopo pochi passi.
La lodo sincerissimamente per quel tanto che ho pur assaggiato del suo
libro, e non dispero di poterne leggere molto più con mio sicuro profitto.
E 1' avv. Niccola Castagna :
Se potessi Le direi tutto il bene che qui se ne dice, e più quello detto da coloro
che sanno, anzi se V. S. sentisse questo Prete o meglio Arciprete, una specie di Filippo
Argenti, Lo fiorentino spirito bi^arro di Dante, Ella se ne farebbe le meraviglie. Giorni
fa mi scrisse intorno alla sua Grammatica ed io mando a Lei originalmente la lettera di
lui e gliela dono. Io mi sottoscrivo e approvo in tutto e per tutto il giudizio di questo
buon prete.
Del quale ecco qui la lettera nella sua integrità :
Al Ghiarissimo dott. Nicolino Castagna
Città S. Angelo
Carissimo dott. 'Kjicolino.
Egli è ben quattro e quattr' otto che la Grammatica della Lingua Italiana del
chiarissimo Abate G. Moise di Cherso è da mettere a capo di quante altre me ne siano
venute fra mano ; dappoiché 1' ordine da prima, con cui dispone la bella e dotta Opera
sua, cioè, in Ortoepia ed Ortografia lib. i°, Etimologia lib. a0, e Sintassi lib. 30, è dav-
— 128 —
vero, per me, si maraviglioso e condotto a capello felicemente al suo scopo, che il Lettore
invece di stancarsi mica nello scorrere que' tanti esempli, di che va a dovizie ricca
1' Opera intera, Egli trova anzi in ogni pagina, e più nel libro dell' Etimologia, giudizj
sì giusti e severi de' primi Classici, (non la perdonando nemmeno alli stessi più chiari
Accademici Compilatori del Vocabolario della Crusca), che ha per ricogliere copiosissim i
frutti e grandi in maniera tanto bene ragionata da essere indotto a conchiudere con Lui
che si debbano ormai bandire dalla Lingua nostra tanti pregiudizi nell' uso di scrivere
talune voci, scongiurare tanti arbitrj invalsi, e dissipare tanti madornali errori, per rime-
narla alla sua nativa e vergine fonte. Tutta poi quelP erculea fatica che il Moisc ha
potuto sol egli sostenere fin qui per rinvenire la radicale delle voci veramente italiane,
quel togliere via tutta la scoria di cui sono andate fino a jeri vestite, quel depurare
l'uso ed il significato; e quel proporre, che fa con tanto d'arte e di raziocinio, ed in-
sinuare l' uso delle patrie, semplici, più proprie, nude e terse, in confronto di quelle
delle altre Lingue, Inglese, Francese, Tedesca, Spagnuola, Provenzale, Latina ecc., di
cui si mostra gran conoscitore, a ragione lo dichiarano non solo sincero, ma ancora
strenuo Padre detta nostra Lingua, e singolare Maestro.
E per darne qualche prova basterà notare dell' Opera sua i particolari pregi. Una
delle milanta sarebbe quell' annoveramento che ha fatto tra gli Aggettivi distintivi, come
fece il Borsari, degli Articoli - il - lo - la - i - gli - le, senza però togliere ad essi la de-
nominazione di Articoli in grazia dell'uso inveterato; di cui gli altri Grammatici hanno
formato una Parte del Discorso. E mi pare più ben fatto, perchè lo è assai più ragio-
nevolmente giusta l'avviso del sig. Abate.
Ne abbiamo un altro luminosissimo nel Monosillabo si compreso da Lui tra gli
^Aggettivi indistintivi, ove insegna che si usa esso da buoni Scrittori per doppio officio,
adoperandosi talvolta per aggettivo, ed ora per nome ancora, per aggettivo in significato
di uno, taluno, alcuno, e per nome in quello di uomo, V uomo, il popolo, la gente. L' ave-
vate Voi, ditemi, mai inteso così? Io mi sono imbattuto spesse fiate con quel ri, né
affisso e né pronome, usato da' Classici; ma non ne ho in vero mai ben compreso il
proprio significato, avendolo considerato o come un ripieno di periodo, o al più come
vezzo di lingua. Confesso la mia ignoranza: e tantoppiù la confesso, quanto maggiormente
sono obligato a ringraziare il commendevolissimo signor Abate Moise, che me l' ha
saputo sì bene dileguare di mente.
Ma per non andare neh' un vie uno, contentiamoci dell'accuratissima Definizione
che ha dato lo stesso Abate al Verbo, partendo da' principi del retto definire, e mante-
nendosi stretto al genere prossimo, come alla differenza specifica. = Il verbo, egli dice
da Maestro sommo, è una parte del Discorso, la quale esprimendo tempo, afferma 1' a-
zione, o la passione, o 1' esistenza, o il modo di essere di una Persona, o di una cosa.
=r Non vedete Voi come il Giovanetto col sentire e riflettere per poco, comprenda sì
bella definizione; e coni' egli possa noverarvi tutte le principali specie del verbo, ed
applicare facilmente da sé per ogni specie la propria definizione ? Io ho letto e considerato
tante volte quella di Salvatore Corticelli, di Scavia, Cerutti, Parato, Rodino, Puoti, Saresi,
e tanti altri; e vi devo confessare che niuna me n' è andata tanto a sangue, quanto
questa del sig. Abate di Cherso, perchè 1' ho trovata più esatta.
Non parliamo delle specialissime regole eh' Egli dà circa 1' uso degli Ausiliari Essere
e*d Avere; poiché sarebbe non finirla giammai dal ripetere lodi al chiarissimo Abate ben
dovute. Quanti arbitrj si dovranno togliere in forza di quelle sue lucidissime norme, e
quanti errori evitare ! Oh che cara e preziosissima lezione è stata quella per me !
— 129 —
Conchiudendo quindi che 1' Opera di tanto Sacerdote consacrato neh" apostolato
all' insegnamento ed istruzione della Gioventù Italiana meriterebbe a preferenza di ogni
altra di essere adottata in tutte le Itale Scuole, e per la graude utilità che ne ricaverebbero
i discenti, e per la unità tanto necessaria di linguaggio, a cui mira specialmente l'opera
stessa.
Non so se il mio giudizio così espresso sia giusto. Datene Voi uno più sano ed
intero, che '1 potete meglio assai di me, siccome peritissimo nelle umane lettere, e in
fatto di Lingua Critico saggio. E per me basti il ricordare al Reverendo Giovanni Abate
Moise che, per far giungere con profitto in mano di tutti 1' Opera sua, egli è d' uopo
restringere e precisare per stimma capita le Regole tutte con l'applicazione di pochi, ma
trascelti esempli, e dilucidati de' Classici, perchè se ne imbevano facilmente le menti
tenere, e possano queste poggiate sopra sani e puri principi dilatarsi man mano da sé
e spaziare nell'amplissimo campo delle proprietà di nostra Madre Lingua: e cosi rendere
immensamente proficuo, in tutte le sue parti, si bel lavoro uscito di sua mano.
Del bello, del grande, del singolare non toglierei, giungo fino a dire, briciola del-
l'Opera sua; ma la ridurrci tutta quanta per facilitarne e generalizzarne l'insegnamento,
ampliando ancora, se sarà possibile, quel ricco e splendido Catalogo che vi riporta de'
Verbi nel vario uso che se ne fa, e se n' è fatto da' Classici in varj e bei modi del dire
italiano.
Mi piacque oltremodo il Vostro suggerimento al sig. Abate, che aggiungesse, cioè,
alla sua Grammatica veramente riformatrice di nostra Lingua un indice esatto in fine nella
ristampa '). Come un corpo di leggi ha bisogno di un Indice, perchè sieno spesso, facil-
mente, e continuamente riscontrate e ben riflettute, e nella forza delle parole, ond' è scritta
ciascuna, e nello spirito, per ottenerne la buona e retta applicazione ; così ne ha bisogno
assoluto la Grammatica Italiana, e specialmente quella del sig. Moise, che è ben volu-
minosa, utilissima, a tutti, adoperata da chi sa, a riscontro ancora, se non si vuole altro.
Mi avveggo però di essere andato troppo per le lunghe e di avere forse straripato
da' confini di una lettera : e perciò qui fo' punto in atto di salutare i Vostri tutti, ed
abbracciar Voi teneramente, per ripetermi per la vita
V.° aff.°
Tito Arcip." Impacciatore.
Da Castiknti li 15 settembre 1868 vi aggiunge il seguente poscritto:
D. S. E vi tedii pure quanto e come che sia : me '1 perdonerete. Io non cesserei
mai dal ripetere al sig. Moise : = hai ben ragione di dire in una delle tue pagine : alle
gargagliate degli odierni cornacchioni le mie orecchie son chiuse. =: Seguita dunque indefes-
samente, e sino a renderti, mercè l'Opera tua, un Nome imperituro.
Il sig. Vincenzo Di Giovanni così gli scriveva :
La sua Grammatica è un lavoro da pregiarne molto la filologia italiana. Esso sor-
prende per la tanta erudizione ond' è ricco, e per i' accuratezza e la pazienza di tanti
') Ciò che fu anche fatto dal Moise nella seconda edizione della sua Grammatica.
— 130 —
studj grammaticali. Ella intanto è andata anche più in là del Gherardini, e spessissimo
tenendo dietro alla buona ragione, la quale non sempre è rispettata dall'uso, tiranno delle
lingue Ella colla sua Grammatica ha voluto dare anche ai filologi di professione
un libro in cui tutto ci sia raccolto sul proposito e dal quale possano bene giovarsi senza
correre o ai grossi volumi del Gherardini o del Nannucci.
E Pietro Merìghi da Ferrara, 28 gennaio 1870:
Anzitutto questa Grammatica più che pei giovanetti mi par fatta pei Maestri,
ed anzi pei filologi di professione, tanto è ricca di begli insegnamenti, copiosi, e non
comuni. Più che servir di corso nei primi studj può giovare a chi voglia scendere più a
fondo nei tesori della nostra carissima lingua, e rifiorire il proprio stile in ogni guisa di
eleganze. Soprattutto poi, ripeto, vi è ubertosa messe di preziose bellezze nell'ultima parte ;
e, a dirgliela schietta, anch' io ne sto sfiorando il meglio per mio uso. — Quelle grazie
italiane, quei modi proverbiali, quelle frasi spiranti atticismo, e tutte recate in fonte, nelle
sue genuine citazioni, come un frutto insieme colla sua natia fronda, oh come tornano
gioconde a chi, tanto quanto dilettossi di questi studj ! . . . . A dir tutto in breve, Ella è
assai benemerita della cultura della lingua italiana, di cui vedesi aver fatto studj severi
e pazienti.
E ^Michele Melga :
La sua Grammatica io vado non leggendo ma studiando. Essa è opera eccellente,
dotta, profonda, meditata, faticata. Mi è paruto un miracolo il veder venire in luce, in
mezzo a tanta leggerezza de' tempi, un' opera grave, seria, lo pregio immensamente le
sue fatiche, e da esse vado imparando certe cose che non per anco sapevo. Mi creda
pure : io non adulo : dico quel che sento, e quando noi voglio dire, o non mi conviene,
taccio piuttosto. Di cuor sincero dunque mi congratulo con Lei e con le lettere altresì, le
quali non possono non vantaggiarsi di opere cosi dotte, cosi gravi, cosi profondamente
meditate.
E L. Del Prete da Lucca in data 18 agosto 1872:
Ottima è l' impressione che mi ha fatto la vostra Grammatica che superlativamente
chiamerei Grammaticona, essendo un lavoro pienissimo, dove niente mi pare che manchi,
ma trovasi svolto tutto quanto importa sapere a chi ami di bene apprendere le regole
della nostra lingua ; e ciò con metodo, con chiarezza e con eleganza. Io vi ho dato una
corsa, fermandomi soltanto sopra alcuni punti principali per farmene un'idea per le generali.
Ella si propone colla sua Grammatica grande uno scopo tutto filologico, cioè di
presentare, adunato insieme, quanto i nostri letterati hanno scritto sulle regole della lingua,
e quanto risulta dallo studio degli scrittori antichi e moderni.
— i3i —
IV.
Un anno dopo che era uscita la Grammatica grande del Moise, e
precisamente intorno alla metà del mese di marzo del 1868, ecco uscire,
cogli stessi tipi del Grimaldo, un libercolo di oltre un centinajo di pagine
di sedicesimo ordinario, e coll'ortografia gherardiniana, dal titolo: Regole
del Giuoco del Quintilio — tratte da un codice che si conservava anticamente
nella libreria dei signori Patri^j Torriani in Cherso e che è ora proprietà del
sig. Annibale P I. — ordinate, corrette e in alcuni luoghi compendiate
per cura dell' Abbate dai due BB.
Perchè mai, dir;\ il lettore, venne in testa al nostro grammatico,
e Abate per giunta, di scrivere codeste regole d' un giuoco di carte ? E
vero poi eh' egli le trasse da un codice privato come lo annunzia in Pre-
fazione ?
Al secondo punto rispondo subito: che proprio da un codice egli non
le ha tratte; ma sì forse taluna parte, da uno di quei tanti vecchi libricciattoli
che corrono per le mani dei giuocatori, facendovi quelle aggiunte eh' egli
credette necessarie. Il chiarissimo Alfredo Lensi, bibliotecario della Nazionale
di Firenze, sta ora per pubblicare un libro interessante che tratterà della
storia di giuochi di carte. Per quanto ne so, egli conosce molto bene
l'operetta del nostro Moise : aspettiamo dunque quel libro, e vedremo che
cosa dirà e qual posto assegnerà a codeste Regole del Moise.
In quanto poi al fine che si è proposto l'autore nello scrivere codeste
Regole, io credo che ne avesse due di ben determinati ; solo che 1' uno
era occulto, ma che viceversa fa spesso capolino nel contesto dell' opera,
specie nelle molte e pregevolissime note; l'altro invece era palese.
Rifacendomi dalla prima, dirò adunque che il Moise, famoso e appas-
sionato giocator di carte nelle ore perse, se 1' era pigliata acremente colla
Crusca di Firenze, la quale non volle mai far buone certe voci e maniere
di dire usate a tutto pasto anche dal popolo toscano — voci e maniere
che si riferiscono appunto ai varj giuochi delle carte. Bisogna leggere codeste
note che ricorrono frequenti, e nelle quali l' autore dà delle vive cenciate
alla Crusca, per capacitarsene di quel che dice.
Dunque le Regole del Giuoco del Quintilio fu una battaglia valorosamente
combattuta e vinta dal nostro autore contro la famosa Accademia della
Crusca. Dico battaglia vinta, perchè il chiarissimo Angelo de Gubernatis
— I32 —
ci avverte ') che codesto libercolo del Moise fu giustamente indicato agli
accademici della Crusca, per estrarne i termini proprj ai giuochi di carte.
Non ci voleva che questo libercolo per indurli, come s' indussero, se ben
m' appongo, a ricredersi sulla buona lega di tante voci, alle quali fino a
questo punto non si avea voluto dar quartiere.
Ed ora veniamo allo scopo palese del nostro autore nello scrivere le
Regole del Quintilio. Egli ce lo dice subito in Prefazione 2). « Nel libro
» eh' io t' offero (parla Al benevolo Lettore) apprenderai a passare placide e
» tranquille le lunghe serate d'inverno in compagnia co' tuoi amici; v' ap-
» prenderai a ridere al loro ridere, a chiacchierare al loro chiacchierare, a
» cuculiare al loro cuculiare; e ne sarai, io spero, grato a me che t'ho
» offerta una sì bella occasione di toglierti un poco dal pensar tuttavia a'
» tuoi serj studj, o a' tuoi gravi affari domestici, o alle tue penose cure
» civili, o ad altre simili noje, che tutto giorno ti premono, t' incalzano, ti
» tormentano, t'imbarazzano ».
Poi racconta, che il manoscritto da cui trasse le sue Regole contiene
più e più altre cose eh' egli non dice; che il Quintilio è il più antico giuoco
del mondo, anzi ch'esso è antico pressoché quanto la terra; ch'esso fu
giuocato e commendato da papi, da imperatori, da re, da duchi, da conti,
da marchesi, da baroni, da generali d' eserciti, e fin da abbati e da abbadesse
tanto dai due bb che da un b solo, da monaci e da monache, da eremiti ed
eremite, da soldati, da marinaj, da cacciatori, da pescatori, da pescivendoli,
e così via.
Di alcune di queste cose egli ragiona diffusamente nelle note, di alcune
altre tratta alla sfuggita, e di molte e molte altre non ne fa pur motto.
È verissimo, continua, eh' egli ha raccolte e ordinate queste Regole per far
ridere le brigate; ma eh' ei le abbia messe insieme con la mala intenzione
d' ingannare il lettore e vendergli, come si dice, lucciole per lanterne,
questo è falso falsissimo. E sapete di chi son queste Regole? Sono del signor
Kin-toang-kin-toug-thian-sung, gentiluomo chinese, nativo di Fo-chu-fu,
appartenente alla setta dei Thian-li. E chi è costui? Egli è (e ce lo dicono
in quasi ogni pagina delle loro Opere tutti li scrittori del nostro Giuoco
e il Francesconi e il Dazzini e il Brandolini e il Matteazzi e il Gianelli e
') Nel 'Dizionario degli scrittori contemporanei, all' art. Moise.
*) Avverto il lettore che ridussi il dettato del testo all'ortografia comune ordinaria
per maggior speditezza e opportunità tipografica.
- '33 —
1' abbate Zuccherino e il suo Continuatore Reginaldario), egli è, io diceva,
un uomo dottissimo e sapientissimo.
Qui avverto il lettore, che gli autori su citati non sono punto reali
ma immaginari. Taluno è stato tratto in inganno in questo, e chiedendo al
Moise per lettera chi fossero questi Francesconi, Dazzini, ecc., ei ne fece
le grosse risa, rispondendo eh' essi erano di conio inventati.
In fine della Prefazione, 1' autore si scaglia indirettamente alla Crusca.
Parlando, cioè, al lettore, dice :
v Non far 1' ostinato, come 1' Academia della Crusca. Ella non velie
» prestar fede né al sig. Kin-toang ecc., ne alti altri maestri del nostro
» Giuoco e finse d' ignorare ciò che essi ne hanno scritto. Ma che ne
» avvenne poi ? Ne avvenne eh' ella, per voler far 1' ostinata e la caparbia,
» omise di registrar nel suo Vocabolario molti vocaboli di buon conio che
» sono oggi usati e approvati comunemente in Italia e meritò così di
» venirne tuttogiorno cuculiata e persili dal popolo minuto e dai fanciulletti
» delle prime scuole. Ella è cieca e guida di ciechi, e tu lasciala fare, e da
» parte tua fai quello che testò t' ho detto, e il Cielo ti dia ogni bene.
» Intanto stai sano e allegro, leggi, giuoca, ridi, chiacchiera e cuculia a
» tutto pasto. Vive, vale ».
A motto del libercolo ei pone la terzina dell'Ariosto tratta dalla prima
Satira (vers. 148-150):
Ma chi fu mai sì saggio o mai si santo,
Che d' esser senza macchia di pazzia,
O poca o molta, dar si possa vanto.
E, in verità, un ramo, che Dio mei perdoni, l'aveva anche il Moise;
ma che tutti i rami fossero come il suo !
Ho detto che codeste Regole sono riccamente illustrate da pregevolissime
note; ora soggiungo, che le note sono in parte filologiche e in parte storiche
— storiche così per dire. Se le prime hanno il loro bel valore scientifico,
le seconde sono la cosa la più lepida e più graziosa che si possa immaginare.
L'opera è divisa in 37 capitoli e in 119 paragrafi. Nulla vi è dimenticato
queste Regole e che al giuoco del Quintilio si riferisca : v" è persino
jn capitolo che tratta Dell' allegria dei giocatori, e della Cuculiata (della
jal voce, dice V autore, non ne vogliono punto sapere li ACcademici
2ruscobecconi). E sanno i mei lettori che cosa sia questa Cuculiata ? Ecco
ime la spiega il Moise.
« Il nostro Giuoco è di sua natura vivo e spiritoso, e perciò i giocatori
» tutti debbonsi portare in esso con allegria e giovialità. Li scherzi, le facezie,
— 134 -
» i sali debbono continuamente tener desta la compagnia, specialmente net
» ritagli di tempo che si occupano nel mescolare le Carte e partirle fra i
» giocatori. Ed è lecito ancora (purché si faccia con discrezione) di bellamente
» e graziosamente cuculiare chi ha chiamato, se gli accadde di dover egli
» contro sua voglia giocar solo o toccare un rovescione o fare un Mottetto
» falso, ecc. Anzi in tutti questi casi la cuculiata non pure è lecita, ma
» prescritta dalle leggi del Giuoco ».
Poi vi pone ancora, in versi, un Mottetto colla Coda, e finalmente
un' altra poesia intitolata Lamentazione di Luca Cantore, le quali poesie sono
anche riportate in musica con accompagnamento del pianoforte. E preci-
samente il Preludio (adagio) è per tenore e basso, poi vien l'Applauso (allegro),
quindi il Cuculio per coro (allegro), poi ancora la Coda per baritono o mezzo
soprano (andante sostenuto), e finalmente la Lamentazione di Luca Cantore,
sempre per baritono o mezzo soprano.
Ne qui finisce ancora il libercolo. In fine egli ci messe una Novella
di Luca Cantore, « tal quale — ei dice — ella si legge nelle .... Conver-
sazioni Quintiliane » d' un certo Giannelli di Bologna. Anche qui parecchi
critici, ai quali il nostro Abbate soleva talvolta dare l'erba trastulla, furono
tratti in inganno dall'argomento e più ancora dallo stile e dalla lingua di
essa Novella. Alcuni, in fatti, la tennero del 500, altri del 400 e altri
del 300; ragione per cui il chiarissimo prof. Veratti raccomandò ai lettori
degli Opuscoli Religiosi, letterari e morali di Modena di non lasciarsi ingannare;
dicendo esser ella lavoro de' nostri giorni.
Curioso! Le Regole del Quintilio fu la sola opera che fruttò qualche cosa
al Moise; mentre in tutte le altre — meno forse ancora la Grammatichetta —
ei ci rimise della propria tasca. Egli fece tirare delle Regole 5000 copie,
delle quali non ne restano che poche assai, se ben m' appongo. Persino
dopo la morte del loro autore vennero alla famiglia moltissime domande
di questo libercolo da ogni parte d' Italia, fino dalla lontana Sicilia.
Taluno forse avrà arricciato il naso nel vedere un prete occuparsi
con tanta passione dei giuochi di carte in generale, e del Quintilio in
particolare, ma non creda per questo che il Moise perdesse il suo tempo
al tavolo dei giuocatori; oh no! Pochissimi preti, assai pochi in verità!
hanno speso tutta la loro vita nello studio costante e severo, come il nostro
— 135 —
Abate. Certo, egli non era un anacoreta, un satrapo, un burbero; ma un
uomo di conversazione, di società, che faceva volentieri anche la partita
a carte. Di tali sacerdoti, pur troppo, oggi si è perduto, o presso che,
lo stampo. E quanto più bene non fanno questi di confronto agli altri, e
sono i più, che fecero divorzio, specie negli ultimi tempi, dalle oneste brigate,
ostentando un riserbo e un rigorismo dannosissimi, in quanto li separino
dal contatto di ogni civile consorzio ? Il Moise però, se sapeva scrivere, con
impareggiabile valore, dei giuochi di carte, ei sapeva ancora dettare con
altrettanta valentia, come vedremo, delle opere religiose ed ascetiche, così
da rendersi, anche in questo campo, più d'ogni altro benemerito.
Nel settembre infatti del 1871 egli pubblicava a Modena') la Vita
della serva di Dio suor Giacoma Giorgia Colombis religiosa benedettina del
monastero di S. Pietro Apostolo vicino a Cherso. — E un libercolo di 135 pag.
in trentaduesimo, dedicato A Sua Eminenza Giuseppe Luigi Trevisanato,
cardinale della santa romana chiesa ecc. Il quale Trevisanato — che molti
dei miei coetani, che studiarono a Udine dopo il 1850 fino al '59, ricor-
deranno Arcivescovo in quella città — era stato a Venezia maestro del
nostro Abate.
Questa suor Giacoma morì in concetto di santa addi 28 di giugno
dell'anno 1801 nell'età di sessantacinque anni. Scrivendo la sua Vita
l'Abate intese « dall'una parte di eccitare i buoni all'esercizio della perfezione
cristiana, e di procacciare dall'altra lustro e onore alla patria, rendendo per
essa note le virtù di questa sua eroina ».
E da che fonti trasse egli codesta Vita ?
Il Canonico Don Marco Lucis che per dieci anni e mezzo fu confessore ordinario
di suor Giacoma Giorgia, scorgendo in lei una perfezione diversa dalla comune e giudi-
cando esser ella un' anima privilegiata in cui Dio si compiaceva di spandere in copia i
suoi doni celesti, le comandò in virtù di santa obbedienza di scrivere ogni giorno di sua
propria mano tutto quello che passava nel suo interno e di consegnare di tempo in tempo
a lui i fogli scritti. Non è a dire quanto la poveretta ne restasse addolorata e confusa;
pur nondimeno non mancò mai al suo dovere. 11 confessore poi, appena ricevuto il foglio,
ne segnava in un de' margini la data. Cessato in seguito il Lucis dall' ufficio di confessare
le monache, coloro che gli succedettero in quella carica non restarono di fare a suor
Giacoma Giorgia la medesima ingiunzione ; ella però porgeva loro le sue scritture, pre-
gandoli di rassegnarle ad esso Lucis; e così fu fatto.
Da ciò ne avvenne che questi suoi confessori e dalle relazioni da lei fatte nel tri-
bunale della penitenza e dalle Memorie scritte della sua vita erano in grado di ben
') Tip. dell' Immacolata Concezione, che se ne fece anche editrice.
- I3é-
conoscere le sue orazioni e penitenze, le sue inspirazioni, le sue predizioni, i fatti pro-
digiosi da lei operati e tutte quelle altre grazie che Iddio Signore si degnava di versare
a larga mano su quest'anima benedetta. Laonde, se questi, ancora vivente lei, ne com-
mendavano ed esaltavano le virtù, non è meraviglia che dopo la sua morte ne parlassero
vantaggiosamente e ne facessero un gran dire. Né solo i confessori, ma le monache altresì
andavano magnificando a questo e a quello i grandi meriti della loro consorella defunta.
Vivevano ancora due suoi fratelli, Monsignor Giorgio, Protonotario Apostolico, e Antonio.
Questi, all' udir tutiogioriio tante meraviglie, e pel naturai desiderio che avevano in cuore
di veder glorificata questa loro sorella, e per gli eccitamenti che loro ad ogni pie sospinto
venian fatti da' parenti e dagli amici, determinarono di porgere una istanza all' Autorità
ecclesiastica acciocché s' instituisse un processo giudiziale e si chiarisse la verità delle
cose che per tutta Cherso si andavano dicendo.
Il processo fu di fatti cominciato e terminato, ma i documenti che
servirono a giustificarlo furon chiusi in una cassetta, che rimase lungo
tempo abbandonata nell' archivio vescovile di Ossero, senza che chicchessia
se ne pigliasse cura di sorta. E la cassetta rimase cosi noncurata fino
all'anno 1825. Allora il nobile sig. dott. Marco de Petris, che faceva le
veci di Commissario distrettuale di Cherso, dovendo per certi affari d'ufficio
poitarsi ad Ossero a fin di visitare quell' Archivio, presto s' accorse che
l'Archivio non era completo: il vescovo di Veglia Sintich n'avea esportati
i documenti più importanti, lasciando colà quelli soltanto che si avevano
quali disutili anticaglie. Tra queste vide egli per la prima volta la soprac-
cennata cassetta avente violato e infranto il coperchio e disordinati e
scomposti gli scritti e gli altri documenti, sicché dalla sola soprascritta del
processo discernere si potea ciò che ella contenesse. « Gli dispiacque al-
l'anima di veder trascurate così le glorie di questa santa Penitente, ch'era
stata zia di sua madre», ma per allora nulla potè fare. «Pochi anni appresso
il medesimo sig. Marco tornò a visitare quel luogo, e meravigliato che,
prodigiosamente, per così dire, s'era conservato perfettamente, incorrotto tutto
ciò ch'era contenuto nella cassetta soprannominata, si studiò di far sì che
a lui fosse dato in custodia questo tesoro; ondechè, tornato in patria, pregò
il sig. Bernardino suo padre, a trattare con mons. vescovo Sintich perchè
a lui data fosse a custodire quella cassetta, ed avutala, fece risoluzione di
tramandarla ai posteri insieme con la storia del modo per cui ell'era per-
venuta nelle sue mani ».
Infatti questa Memoria esiste, e fu anche dal nostro autore riportata a
brani in Prefazione, ed ha la data del 3 ottobre 1835.
La cassetta restò poi in casa del dott. Marco Petris chiusa e suggellata tino
al gennajo del 1852, quando il rev. don Lorenzo Petris (al presente vescovo
d' Albania) essendo confessore delle monache di Cherso, chiese al prefato
— 137 —
sig. Marco il permesso di aprire la cassetta e di leggere quelle carte. Appena
lette però, egli le restituì. Intanto era venuto a morte il dott. Marco (1858),
e le carte rimasero in proprietà della vedova signora Regina de Petris, nata
Antoniazzo.
Qualche anno appresso il nostro Abate, assistito da mons. Petris, le
chiese alla sua volta, e dallo spoglio delle medesime estrasse la Vita della
suora Colombis.
Dire che anche questa Vita è scritta con un'eleganza e una chiarezza
degne del maggior encomio, credo cosa superflua. Dalla penna del Moise
nulla di sciatto poteva uscire. Il eh. letterato Mauro Ricci, non appena lesse
questa Vita, scrisse le seguenti al nostro Abate :
« Carissimo amico, la vostra Vitina è un giojello. Io non so come
» abbiate potuto tare a toscaneggiare di costà con tanto garbo e buon
» sapore, che vi si prende per un fiorentino nato sputato. Bravo ! bravo !
» me ne rallegro di cuore ». — E chiudeva la lettera con questo distico
latino fatto extempore :
Virginis egregins tam recte scribcrc morcs
Egregi tantum, duleis aniicc, valent ').
E poiché sono a parlare di opere ascetiche — e questa che sono per
nominare e proprio un'opera ascetica, al par della terza di S. Bonaventura,
di cui discorrerò più tardi — devo aggiungere, che nel 1874 e8u' pubblicò
a Modena *) V Esercizio quotidiano di devozione per la Sposa di Gesù.
In questo tempo l'Abate era confessore delle monache benedettine di Cherso,
ufficio die tenne dall'anno 1872 al 1877, ecco perchè egli imprese a scrivere
quest'operetta. La quale, ei dice, « è tale che può servire a tutte in generale
» le religiose e ancora ai religiosi, ai chierici ed a tutte le persone laiche
» dell'uno e dell'altro sesso che tendono alla perfezione ». Di quest'opere:ta,
dal formato della precedente, se ne son fatte due edizioni *), e conta appena
di 36 pagine. In fine vi è ancora la traduzione in versi ottonarj del Salmo
103 e del Salmo 67. Anche da questo libercolo spira un' innocenza, un
candore e una purità veramente celestiali.
■) Vedi Dialogo 2" del Lunario pel iSjj a metà circa.
') Tip. Pontificia ed Arcivescovile.
*) La seconda fu fatta nel 1876.
io
i38-
VI.
Nel 1873 il Moise cominciò a pubblicare il Lunario Istriano, libercolo
che continuò ininterrottamente a dar fuori al principio d'ogni anno nuovo
per cinque anni consecutivi, cioè fino al 1878. Dal primo dell'anno del 1879
in poi il Lunario s' è convertito in Strenna Istriana, e tale durò fino alla
morte del nostro Abate, cioè fino al 1888 '). Cosi abbiamo sei Lunarj e
dieci Strenne del Moise, libercoli molto preziosi e pel modo con cui sono
scritti, e per le molte questioni filologiche che in essi si disviluppano, e
finalmente perchè in essi si contengono parecchi fatti della vita del nostro
autore. Ed è appunto a questa fonte pura e veritiera che io di frequente
dovetti ricorrere nel corso di questo lavoro ; e me ne prevalsi con tanta
miglior coscienza, in quanto codesti libercoli sieno lo specchio fedele del
pensiero e dell'animo del buon Abate, il quale, in essi riversava, si può dire,
tutto sé stesso, senza addarsene quasi dell'altro mondo esteriore che il cir-
condava. Chi dunque vuol cercare in essi quei requisiti onde soglionsi in
oggi infiorare le mille Strenne che corrono pel mercato librario, trovasi
grandemente disilluso, né sa forse capacitarsi come un uomo di tanto sapere,
com'era il Moise (del resto simile in questo al Puoti, al Veratti e ad altri
filologi o grammatici), trovasse di suo diletto a scrivere persino dei Lunarj,
e molt'altre freddure — non saprei con quaPaltro nome chiamarle — che in
essi si rinvengono. Ciò non toglie, ripeto, ch'essi libercoli sieno per tanti
altri rispetti preziosissimi.
Cora' è noto, tanto i Lunarj che le Strenne passavano sotto il pseu-
donimo di Nono Cajo Baccelli ; in modo che parecchi de' letterati italiani, a
cui pervenivano essi Lunarj o esse Strenne, non sapevano dapprima chi le
scrivesse, ma certo tutti in coro le attribuivano a qualche autore toscano,
e nessuno mai pensò — di quelli che non conoscevano il Moise — ch'esse
potessero venire da un istriano; onde, per ringraziamelo, si rivolgevano
allo stampatore.
') Il primo Lunario fu stampato a Venezia dal Tondelli, il secondo a Capodistria
pure dal Tondelli, tutti i seguenti, comprese le Strenne, a Firenze, nella tip. del Vocabolario.
— 139 —
Perchè egli pigliasse il pseudonimo di Nono Cajo Baccelli di sicuro non
lo saprei dire. Tuttavia potrei forse indovinarlo senza giocare di fantasia').
In Toscana, e precisamente a Firenze, sino dal 1832 si pubblica un Lunario
sotto il titolo di Sesto Cajo 'Baccelli, al principio del quale trovasi una
prefazione in poesia, per lo più in sestine. Il celebre letterato Antonio
Guadagnoli scrisse queste prefazioni colla ben nota sua naturalezza e col
solito spirito dal 1832 al 1860 circa2). Il Lunario veniva pubblicato da un
certo Formigli cartolajo che stava in via Condotta. Credo che anche oggi
dagli eredi e successori suoi si seguiti a stampare il detto Lunario, che però
non è più quello d' un giorno. Ecco dunque che il Moise, il quale ebbe
in grandissima estimazione il Guadagnoli, tanto da farne il suo prototipo,
volle anche pigliare da lui il titolo del Lunario, cioè quello di Cajo Baccelli,
solo che al numero Sesto vi messe il Nono. Perchè poi, in luogo di Settimo,
com'era naturale, pigliasse quello di Nano, lo vedremo subito. Ma tutto ciò
giustifica il fatto, perchè molti, ripeto, che non conoscevano il Moise da
vicino, credessero che anche la Strenna istriana uscisse a Firenze, senza
badarci più che tanto a quell' istriana.
Nella Prefazione in prosa, Ai benevoli lettori, del primo Lunario, ei fa
una lunga storia del perchè esso Lunario non sia uscito col nome di Cajo
Settimo o di Cajo Ottavo, ma sì con quello di Cajo Nono, raccontando tutte
le vicende dei tre fratelli — avvegnaché e Cajo Settimo e Cajo Ottavo e
Cajo Nono, nonché la Burbundofora Quarta, ei li faccia figli di Cajo Sesto,
« di gloriosa memoria », il quale in sul finire dell' annno 1852 s'era ridotto
al lumicino, e poco dopo spirò, lasciando tutta la sostanza al figlio maggiore
Cajo Settimo; mentre tutti gli altri furono accolti e fatti educare da un
amico di Cajo Sesto, certo Stefano Scacciapensieri, mercatante di cappelli
di paglia, cui andava provvedere ogni anno in Toscana. Il sor Stefano
affidò i giovinetti Cajo Ottavo e Cajo Nono all' amico suo, l' Abate dai
due BB, perchè li istruisse. Infatti egli insegnava loro « con tutta pazienza
e pieno di amore la religione, l' italiano, il latino, la geografia, la storia e
1' aritmetica », e i ragazzi ci fecero grande profitto. Più tardi il fanciullo
Ottavo partì con un suo zio Bortolo per la Turchia ; così rimase il solo
') Le notizie che seguono, quelle cioè riguardanti il Lunario toscano, mi vennero
cortesemente favorite dal eh. sig. Alfredo Lensi, bibliotecario della Nazionale di Firenze.
io sono sicuro di questo. Stando a quello che dice il Moise, se il Baccelli Sesto
si riferisce al Guadagnoli, egli avrebbe dovuto finire al 1852, come si vedrà più sotto.
— 140 —
Nono a scuola dell' Abate dai due HB, che l' istruì anche nel greco e
nell' algebra conducendolo così fino al sesto anno degli studj classici.
Intanto la Burbundofora s'era sposata a un certo Giorgio Rompicapi, figlio
di Benvenuto ricco contadino di Vrana, paesello vicino al lago omonimo
di Cherso.
Nono, finiti gli studj in casa dell' Abate dai due TSB, se ne ritornò
alle Acquette (altro luogo dell'isola di Cherso) a stare col babbo putativo
Scacciapensieri e con 1' unica sua figlia Teresa. I due giovani si sono poco
di poi uniti in matrimonio. Prima del quale intrapresero col babbo un
viaggio a Firenze a trovare Settimo che si era sposato con una ricca
giovine aretina, di nome Nunziatina; dalla quale ebbe Cajo Decimo, Cajo
Undecimo e Burbundofora Quinta. Col tempo da questa coppia vennero
«altri tre Cajni, il Dodecimo, il Decimoterzo e il Decimoquarto»; e Nono
pure n' ebbe tre, « il Decimoquinto, il Decimosesto e il Decimosettimo, e
di più due Burbundoforine, la Sesta e la Settima » . Da ciò deduce, aver
egli grande speranza, anzi tener per fermissimo che la razza de' Baccelli
non verrà così presto a spengersi ne in Toscana, ne in quest' isola di
Cherso ». — Se ciò si riferisce alla famiglia dei Moise, la speranza è ben
fondata.
Questa, in succinto, la storia dei Baccelli. In quanto al Lunario, ecco
come sta la cosa.
Mi fu renduto — ei dice — ai primi del passato mese una lettera del fratello
Turco — (Cajo Ottavo) — dove mi dice che il 'Babbo "Bortolo (così egli lo chiama) vuole
ad ogni patto eh' ei pel prossimo anno iSyj dia alla luce un Lunario in lingua turca (non
occorre dire che Ottavo parla il turco meglio che voi l'italiano); eh' egli, qual figliuolo
ubbidiente, benché a malincuore, dovrà pur risolversi a farlo, che perciò ei prega me a volerne
dar fuori anch' io uno in lingua italiana, che così noi tutti e tre fratelli 'Baccelli saremo
lunaristi, quali furono Cajo VI, nostro babbo, Cajo V, nostro nonno, Cajo IV, nostro bisnonno,
e finalmente Cajo III, Cajo II e Cajo I, babbo, nonno e bisnonno di esso nostro bisnonno, e
che così facendo io gli darei grandissima consolazione. (Gran cosa peraltro che i nostri
antenati, incominciando dallo stipite Cajo I fino al nostro nonno Cajo V inclusivamente,
abbiano avuto tutti un solo figlio maschio per ciascuno!) Aggiunge Megli ardentemente
desidera che nel nostro lunario poniamo per impresa due baccelli, lasciando che il fratello
Settimo si tenga cara la sua stella con la coda; eh' egli (il fratello Turco) è bensì codino,
ma nell' impresa non vuol saperne di coda, lasciando che se V assapori in santa pace V Arci-
prete del Duomo di Firenze nel suo Buon Senso. Chiude la lettera con indicare le materie
' eh' ei pensa di allogare nel suo, esortandomi a porle io altresì nel mio, e con pregarmi
e supplicarmi e scongiurarmi con le braccia in croce ad accettare la sua proposizione e
a dargli subito risposta. Io non esitai un momento a fare quanto il fratello mi scri%'e e
issofatto gli ho risposto: narrata poi la cosa al babbo e alla Teresa, essi ne furono
arcistracontentissimi. Ed eccovi, lettori miei, esposto e dichiarato tutto; ecco perchè nel
frontispizio non c'è Cajo Settimo, né Cajo Ottavo, ma Cajo Nono; ecco perchè il Lu-
— I4I —
nario non è composto in Firenze, ma in Cherso ; ecco perchè esso non si dica fiorentino
ni toscano, ma istriano; ecco finalmente perchè Nono Cajo Baccelli, che finora ha pensato
a tutt' altro che a far lunarj, in un subito si fa lunarista e appassionato lunarista.
Attendetemi ancora un istante, che vi dirò adesso le cose che il mio Lunario con-
tiene. Dopo il frontispizio e' è, come vedete, due baccelli, impresa della nostra famiglia
(ci manca il terzo, perchè il fratello Settimo, qualmente or ora v'ho detto, s'è incocciato
a volerci tuttavia la cometa). Viene quindi la Prefazione in prosa ai benevoli lettori, eh' è
questa qui, poi la "Prefazione in versi alle benevole lettrici; seguono i computi ecclesiastici,
poi le feste mobili, poi le quattro tempora, poi l'ingresso del sole nei punti cardinali, poi gli
ccclissi, poi le due tavole orarie, l'ima del levarsi e del tramontare del sole e l'altra del-
l' avemmaria della mattina e della sera, poi la statistica dei distretti e delle principali
città dell'Istria, con quella delle più riguardevoli corti d'Europa; vengono appresso tutti
i dodici mesi dell' anno coi Santi, con le feste di precetto, con le feste soppresse e con quelle
di semplice devozione, coi digiuni, con le fasi della luna, coi prognostici e con un ambo o
un terno o una quaderna o una quintina da giocare al lotto; indi vengono le fiere annuali
dell' Istria, poi i nomi e titoli del Papa con le sue appendici, poi i nomi di tutti i car-
dinali con l' indicazione della loro nascita e della loro elezione, poi le genealogie delle
principali case regnanti d'Europa, poi le tavole degl'interessi, poi le scale per le tariffe dei
bolli, e per ultimo un bellissimo mottetto; e tutto questo vi si dà per la miscea di venti
soldi. E qui finisce la Prefazione in prosa.
Non era un bel tomo il nostro Abate !
Qualmente s'è veduto, alla Prefazione in prosa l'autore fa seguire la
Prefazione in versi, nella quale parla della sorella Burbundofora. La quale
ognun loda ed apprezza
Che vicn di Vrana a visitar il lago ;
Ammira ognun l' ingenua sua gajezza
Quell' onesto parlar, quel rider vago,
Quell' aria, a cosi dir, di paradiso
Che a prima giunta le si legge in viso.
Laggiù raccapezzato ha un navicello,
Di tutti il più leggiadro e il più gentile,
Ch' ora 1' acque solcar si vede snello
Ed ora tutto lento andare e umile.
Come più aggrada alla gentil nocchiera
Ch' ora mite lo regge ed or severa.
Cortese ella vi adagia i viaggiatori
E pel lago gli porta torno torno,
E a poeti materia offre e a pittori
Di far di gloria il loro nome adorno,
Ai posteri eternando le memorie
Di queste de' Liburni antiche glorie.
Ma oltre a queste ed altre ancora,
— [42 —
Un' altra cosa osserverete là
Della quale io finor non vi parlai
E che, son certo, a tutti piacerà
Più eh' altra che sentita abbiate mai :
Vo' dire che udirete i contadini
Parlar da veri e proprj Fiorentini.
Lo strano al ver metter non puote ostacoli,
E cose vere io narro a voi, non favole.
Son cose, è ver, che pajono miracoli,
Pajon le fole delle nostre arcavole :
Ma altra cosa è parere ed altra essere,
Siccome altro è avviare ed altro tessere.
Si, Donne mie, e' è là de' giovanetti.
Delle bambine e fin de' giovanotti,
Che, a udirli, pajon Fiorentin perfetti,
Nati a Firenze, creanzati e dotti.
Burbundofora tali gli ha ridutti
E tratti su da piccinini e istrutti.
Le ci volle del bello a trarli su,
Ma con gran pazienza ci riuscì.
Questo per essa un gran tormento fu ;
Ma lei, dura, la volse pur di lì.
Chi la dura, la vince. Lei durò
Ed ogni intoppo vinse e superò
Questa fu proprio la vita del nostro Abate, il quale per lunghi anni
si sacrificò a tirar su tanti giovinetti e giovinette, cosi da rendersi veramente
benemerito, anche da questo lato, della sua Cherso. — Ho voluto riportare
poi codeste poche strofe per dare al lettore un piccolo saggio del nuovo
modo di poetare del nostro Abate, e per far vedere come egli imitasse il
Guadagnoli. Il Moise infatti ha col giocoso poeta toscano molta analogia,
particolarmente nella chiarezza e nella semplicità del dettato.
Tanto i lunarj che le strenne di rado oltrepassano le cento pagine ;
solo negli ultimi anni, quando cominciò a tradurre i racconti morali di
Cristoforo Schmid, le Strenne si fanno più voluminose, fino a raggiungere,
l'ultima (quella per l'anno 1888), le 352 pagine. Il formato però fu sempre
quello stesso, il sedicesimo piccolo. Dopo il terzo Lunario l'Abate ha smesso
di fare due Prefazioni, limitandosi ad una sola, cioè a quella in prosa ;
così egli andò ogni anno introducendo qualche innovazione, come vedremo
ne] corso di questa vita.
A dir giusto, il primo Lunario del Moise non sollevò rumore e
manco fanatismo ; anzi sembra che gli venissero parecchie critiche, come
- i43 —
appare dal presente dialogo che si trova subito al principio della Prefazione
del Lunario secondo (1874):
— Signor Nono Cajo, la darà fuori anche V anno che viene il suo Lunario ?
— Già.
— Speriamo che ci porrà qualcosa di nuovo.
— La materia sarà su per giù quella dell' anno passato.
— Ma ci metterà dentro anche un po' di politica.
— Politica ! ohibò. Non ne voglio sapere io di politica.
— Ma che vale oggi un Lunario che non tratti tanto quanto di politica? Pochi o
nessuni lo leggono. Peggio poi quando 1' Autore si chiama da sé stesso codino. L' anno
scorso di 500 copie che ne fece stampare, non ne vendette 400, e quest'anno metto pegno
che di 250 che dicono abbia in animo di pubblicarne, non ne spaccerà neppur dugento.
— E sia ! Io non metto mica fuori il mio Lunario per guadagnarci su. Grazie al
Cielo, ho di che campare, e spero di morir vestito anche senza Lunario. A me serve che
io leggano gli amici di Cherso e di Toscana.
— Ma porci il Papa tra i Sovrani regnanti la è marchiana.
— A me invece la pare naturalissima e la si spiega come un tovagliolo. Sanno infatti
i muricciuoli che la Chiesa è un Principato e che il Papa n' è il capo. Anche Cajo VII,
mio fratello, che sa pure a quanti di è S. Biagio, non si fa scrupolo di chiamare il Papa
'Principe della Chiesa.
— Dire a lei è dire al muro, mi pare Signor Cajo. La riverisco.
— Stia benino.
Non occorre ch'io rilevi l'arguzia di questo dialoghetto; il discreto
lettore saprà rilevarla da sé.
Quasi in ogni Prefazione, Nono Cajo Baccelli informa i lettori delle
avventure della sua famiglia, e delle innovazioni, come s' è detto, eh' egli
introduce nei suoi libercoli.
Cosi troviamo nel secondo Lunario un piccolo enimma, o indovinello,
due sciarade e un logogrifo. Poi « una stori?, tutta vera », Giulia di Bresche,
la quale finisce con una canzoncina. Nei varj periodi d'ogni mese, v'intarsia
sempre dei dialoghini, dei pronostici che alterna con le notizie lunatiche —
e il tutto è fatto con una semplicità, con un candore, anzi con un'ingenuità
che pare impossibile pei tempi che corrono. Ogni suo studio ei lo mette
nella lingua, nel dettato, togliendo la frase dalla bocca viva del popolo
toscano. Sotto questo aspetto il nostro Abate può paragonarsi e dar la
mano all' Abate Giuliani ; anch' egli nato nell' estremo opposto d' Italia ').
■) Sorti i natali, credo, a Genova ; certo egli fu Ligure, come il nostro fu Istriano.
— J44 —
Il quale Abate Giuliani scrisse le precise, eh' io udii ripetere spesso
dal nostro Moise, che le applicava al nostro paese:
« Cos'i fosse in piacere di Dio, che le diverse italiche genti si con-
temperassero ad una tanto imitabile favella (la toscana); e potrebbe allora
esserci men arduo il costituirci nello stato che la natura ci destina. Io non
vo' gii dire che tutta la nostra lingua s' aduni e si conservi in Toscana,
ma egli è certissimo che ve n'ha il più ed il meglio, e che vi s'ode parlare
con la facile eleganza e nativa grazia e collo schietto candore come scrivevasi
dagli aurei trecentisti. Laonde riesce a dilettosa meraviglia il ravvisare in
tal guisa perpetuata la materna favella». E più oltre: « .... Questa viva
lingua italica non vuol essere studiata soltanto nel singoiar valore delle
parole, ma più ancora nelle forme di dire, negli agevoli costrutti e in
quelle figurate espressioni, dove si pare il sagace istinto del bello, la
gioconda fantasia e la mitezza de' costumi toscani » ').
E non è forse da piangere che noi non abbiamo imparato un tale
idioma dalle madri nostre, idioma che si vuole stimare come la maggior
gloria e il tesoro della patria ? Se non fosse altro che per questo, noi
dovremmo conservare eterna gratitudine al caro nostro Abate, siccome a
quello che in tutti i modi si studiò, persino coi Lunarj ! di famigliarizzarci
coli' idioma gentile di Toscana.
Ma i Lunarj di Nono Cajo Baccelli non aumentavano in favore del
pubblico ; chi aveva tempo d' occuparsi di essi ? Starei quasi a dire che,
piuttosto che aumentare, concorrevano essi a far scemare la riputazione
del nostro Abate, che i più il pigliavano a godere, chiamandolo per burla
il Lunarista. Ma egli era uomo che fingeva di non addarsi dei lazzi del
volgo, e cogli armeggioni che non intendono buccicata, come diceva, non
e' era il caso di soffermarsi ; era lo stesso che sciupar ranno e sapone.
E continuò a dar fuori il suo Lunario, portandovi sempre una qualche
innovazione. In quello del '75 e' è di nuovo, per esempio, una ballata di
Pier di Piero, e due dialoghi. Quest' ultimi, che troviamo d' ora in poi
inseriti quasi in ogni Lunario o Strenna posteriori^ sono per la più parte
di argomento obbligato, trattano, cioè, 0 di lingua, o di cucina, o di utensili
famigliari ecc., ad imitazione del Fanfani, del Cerquetti, del Veratti, del
Thouar e di parecchi altri. In quanto alle ballate di Pier di Piero, l'autore
') Sul vivente linguaggio della Toscana, Lettere di G. B. Giuliani. ja ediz. Firenze,
F. Le Monnier, 1865. Prefazione pag. VI-VIII.
— M5 —
finge d'aver tradotte dallo slavo in italiano; in effetti però, per quanto mi so,
esse sono originali, né gli argomenti appartengono altrimenti ai canti popolari
slavi. L'autore dice ') d'averle dettate a Venezia, ottenendone « encomj ed
applausi a cofusse », mentre il buon Piero, eh' era un povero agricoltore
di Cherso, « si fece con quelle un onor dell' ottanta e tutti lo portarono
e lo portano in palma di mano». Due scopi ebbe 1' autore nel comporle:
i". di far conoscere ai popoli illirici dell' Istria e della Dalmazia il dialetto
slavo che si parla in Cherso — (che, viceversa, è il più purgato toscano!) — ;
2.° d' incivilire in qualche modo e ingentilire tanto e quanto gli animi rozzi
ed incolti de' nostri pappatori — (come son chiamati dai Chersini e dagli
istriani in generale) — e surrogare alle laide e rozze canzonacele che ci
vengono d' oltremare e che guastano le menti e i cuori dei giovani, canzoni
pure e innocenti, da potersi, direi quasi, cantare in chiesa ». — Nel Lunario
del '75 v'inserisce intanto la prima, poi seguitano, per parecchi anni, una,
o più ogni anno.
Alla prima, intitolata Pavera Cala ! l'autore premette una prefazioncella,
nella quale spiega il perchè codeste canzoni si chiamino ballate, cioè perchè
si cantano durante il ballo. « Sono scritte — prosegue — in un linguaggio
semplice e casalingo, cioè a dire nel nostro linguaggio chersino, motivo
per cui, se tu vai rimuginando in questi versi la illustre e nobile lingua
illirica, li puoi buttar via di primo acchito, perch'e' non fanno per te». —
Sfido io ! semplice si, quanto si voglia, ma la lingua è sempre purissima
e toscana.
Ecco i titoli delle altre ballate quali le ha composte il Moise, e furono
da lui inserite nei Lunarj successivi : Le due sorelle, La Celerà, La Spilla,
Le datile de' morti, La Martitccia, La Croce, I Canti notturni, La Kiua,
La Mariticela.
Nella Prefazione in versi di quest'anno (1875), il nostro Abate parla
alle donne, come il solito, ringraziandole degli scritti che gli mandarono
e del soccorso prodigatogli neh' occasione che trovavasi obbligato a letto
malato d' enterite, della quale non guarì perfettamente neppur parecchi mesi
dopo, tant' è vero che non poteva camminar troppo, come gli nuoceva il
troppo star seduto.
') Vedi Prefazione del Lunario dell'anno 1875.
i46 -
VII.
Allorquando il Moise pubblicò la sua Grammatica grande, in fine della
Prefazione della medesima aveva pubblicamente dichiarato, che non solo
accoglierà di buona voglia le giuste osservazioni che contro la sua opera
gli potrebbero venir fatte dai dotti; ma sì ancora, avvertiva, di sapergliene
grado a quei buoni che sarebbero per fargliele, procurando, quando che
sia, di giovarsene in una seconda edizione. E conchiudeva anche lui col
Beauzée : Tantum abest ut scribi contra nos nolimus, ut id etiam maxime
optemus .... Nos qui sequimur probabilia nec ultra id quod verisimile occurrerit
progredì possumus, et refellere sine pertinacia et refelli sine iracundia parati
sumus ').
Di pochi letterati, può dirsi, come del Moise, che si mantenesse
costantemente fermo a così fatta massima ; ed è anche per questo che nessun
altri prima di lui seppe attingere nel campo grammaticale quell'eccellenza
che da tutti gli fu poi riconosciuta. Il Moise, pertanto, fu in questo la più
perfetta personificazione dell' eclettico.
Egli, cioè, non ebbe prevenzioni di sorta, e mentre nelle opere letterarie
di libero argomento stette fermo nell' adottare la lingua toscana parlata, nei
precetti grammaticali invece accettò il buono e il vero ovunque seppe
trovarlo. E come nei rapporti della vita pratica era uomo che non sentiva
predilezioni né nutriva preconcette avversioni, trattando ugualmente con
tutti senza distinzione di opinione e di classe — salvo a far di cappello
alla sapienza ed all' intelligenza — così nella sua divisa di letterato non
apparteneva a chiesuole, ne sentiva ripugnanze. Faceva tesoro della critica
sana d' un bravo maestro, anche se ignoto alle lettere, al tempo stesso che
teneva testa ad un letterato da baldacchino se male lo appuntasse. Era uomo,
in una parola, che voleva esser convinto, concedendo soltanto alla persua-
sione la rinuncia delle proprie teorie, cui s' era appropriato con perseve-
rante studio, con diuturna meditazione.
Fra le molti lodi fatte alla prima Grammatica del Moise dagli esperti,
non le mancò, comunque benigno, anche qualche rimarco. I critici con-
') Cic. Tusc. disput. ij, alit. 4 et j.
— 147 —
cordarono quasi tutti in due punti: il primo, nel non approvare la lessigrafia
gherardiniana adottata dal nostro autore; il secondo nel riconoscere troppo
ampio il suo lavoro, e per la grandissima copia degli esempj quasi stem-
perato — almeno per lo scopo a cui era stato diretto, cioè per comodo
principalmente de' giovinetti studiosi.
In quanto al primo appunto, sembrerebbe che il Moise si fosse con-
vinto già in corso di stampa della prima Grammatica, essere stata la sua
fatica più che sciupata nel ritentare la prova della lessigrafia gherardiniana ').
Ancora cinque anni prima che uscisse alla luce la Grammatica su detta,
il chiar. Prospero Viani — col quale il Moise s' era consigliato su questo
proposito — lo ammoniva: «Ella scrive di seguire la lessigrafia gherardiniana,
ed ogni ben gliene venga: certamente delle cento è ragionevole le novantanove
volte; ma, caro D. Giovanni, l'universale non la vuole». Ne so comprendere,
veramente, il perchè l'Abate Moise si decidesse poi di dar fuori la sua opera
maggiore, e 1' altra operetta, seguita 1' anno appresso, Le Regole del giuoco
del Qiiinlilio, nella lessigrafia gherardiniana, dal momento eh' egli stesso
cominciava a dubitarne, se non per la ragion filosofica, almeno per la
opportunità. Di fatti, in data del 16 luglio 1862 — dunque 5 anni prima
che uscisse la Grammatica grande — egli scriveva all' ili. B. Veratti di
Modena le seguenti *) :
duella vecchia Dissertazione, che da più anni mi avete mandata (allude alla 'Disa-
mina della Lessigrafia proposta dal Ghcrardini, che il Veratti pubblicò nel 1844) io la lessi
e studiai più volte, e finii per innamorarmene. Non dico mica che tutte le sue dottrine
reggano a martello, no: ma pure dopo averle ben bene lette e rilette, studiate e ristu-
diate, conchiusi che la lessigrafia cruschesca, sebbene più che mai sciancata e zoppicante,
la si regge tuttavia e sostiene molto meglio che non la gherardiniana; ragione per cui
io diedi tosto tosto le pere a questa e riabbracciai quella, la quale, tuttoché io 1' avessi
un buon pezzo malmenata, disprezzata, sbeffeggiata, non ostante la mi si porse, poverina!
assai cortese e la mi si prestò tutta volonterosa. Ho corretto, anzi rifatto di sana pianta
il primo volume, ho corretto il secondo, e fra pochi giorni metterò mano a correggere
il terzo.
Eppure, malgrado codesta dichiarazione, ci si mantenne nella prima
sua determinazione, ciò die mi riesce, ripeto, inesplicabile davvero ; am-
') Vedi Nota alla "Prefazione, pag. IX.
') Vedi Nota alla biografia del Moise inserita nel toni. Ili degli Sludj idi. e mot.
fase. 9. — Modena, 1888, Soc. Tip.
— 148 —
menochè la data di questa lettera non sia stata alterata nella stampa,
dovendosi attribuirla ad epoca posteriore. Ad ogni modo, da qui ir> avanti
— cioè nelle opere da lui pubblicate dopo il 1868 — il Moise fece defi-
nitivamente divorzio dalla lessigrafia gherardiniana.
In quanto al secondo punto, dissi che i più dei critici convennero nel
dichiarare troppo ampia la Grammatica del Moise, e buona piuttosto pei
maestri o pei giovani studiosi già pratichi del maneggio della lingua; ma
non adatta alle piccole intelligenze dei fanciulli. Ed anche di questo l'Abate
s' era accorto, prima che altri glielo facesse rilevare. Tant' è vero che,
quando nel 1867 pubblicava la prima edizione della sua Grammatica grande,
già allora aveva in animo di farne poco appresso un Compendio, com'egli
stesso ebbe ad esprimersi ').
Se non che da tal lavoro lo dissuadevano, allora, le osservazioni che
a mano a mano gli venivan fatte da non pochi valenti filologi contro la
lessigrafia da lui ivi adoperata e propugnata; le quali osservazioni, non
dimostrando per la più parte falsa ed errata la sua lessigrafia, ma solo
biasimandola e scartandola perchè non seguita dai più, anzi da nessuno e
quasi nessuno non voluta ricevere, se non valevano a farlo mutar parere,
valevano bensì a distoglierlo dal comporre e pubblicare il desiderato Com-
pendio, che, scritto con la nuova lessigrafia, avrebbe da sé alienato l'animo
dei maestri, i quali non avrebbero mai dato in mano ai loro scolari un
libro che non approvavano per buono. Dopo alcuni anni, essendosi egli,
« per ben altre ragioni ricreduto, e avendo ripigliata la lessigrafia comune
e divisato di dar fuori una seconda edizione della Grammatica grande
dettata con questa lessigrafia e ove di questa lessigrafia si dovevano insegnare
le regole ai giovani studiosi » , volle che all' opera grande andasse avanti
quel Compendio da lui vagheggiato e desiderato, che con tutta la possibile
brevità e chiarezza proponesse ai fanciulli gli elementi del ben parlare e
scrivere italiano. Esso venne in luce nel 1874 sotto il nome di Grani-
meli ichet tei.
Nella qual Grammatiehetta — com' egli dice — procurò di adattarsi,
per quanto gli fu possibile, alla capacità de' fanciulli, pei quali segnatamente
eli' era stata scritta, sia nelle definizioni o spiegazioni delle parti del discorso
e delle loro pertinenze, sia nella dichiarazione delle regole, sia nella scelta
e disposizione delle medesime. Si valse per lo più dei termini grammaticali
') Vedi Prefazione alla Grammalichdta. Firenze, Tip. del Voc, li edizione, 1881.
— 149 —
più comunemente in uso, e allora solamente si discostò dal comune lin-
guaggio quando egli non significa affatto quello che si vuol ch'ei significhi :
e che il comune linguaggio grammaticale non fa sempre all' uopo, chiara-
mente può vederlo chi ha letto le ragioni che de' nuovi termini da lui
usati adduce nell'opera grande, la quale quattro anni appresso fu ripubblicata
essa pure.
Vili.
Mentre all' uscita della Grammatica grande i letterati, a cui fu spedita
1' opera, si sono limitati ad accusarne semplicemente ricevimento o a tesserne
qualche breve elogio al nostro Abate, in forma del tutto privata; la critica,
invece, oltreché privata, si fece anche pubblica e più accentuata, subito
che venne alla luce la Grammaticbetta. In fatti di essa ne parlarono con
lode la Civiltà Cattolica, e più diffusamente la Nuova Antologia. Più tardi
ne parlò sempre con molta lode, il prof. Veratti negli Opuscoli Religiosi,
Lcttcrarj e Morali di Modena, dove, tra le altre cose, egli dice che il Moise,
oltre che « valente grammatico » è un « caro e aggraziato scrittore » ').
Ma prima ancora che gli anzidetti periodici parlassero della nuova
opera, l'autore si ebbe dall'amico toscano — da lui chiamato «uno scrittore
co' baffi» — L. Del Prete di Lucca, una lettera molto lusinghiera, nella
quale, fra altro, cos'i parla della Grammaticbetta:
Per ora non ho letto il libro tutto da cima a fondo, ma l'ho fatto in gran parte,
e lo trovo di mia piena soddisfazione e niente ho saputo scorgerci da riprendervi. Essendo
un lavoro da voi destinato pe' giovinetti, non v'è niente di più né di meno, ma quello
che basta; e il tutto esposto con proprietà, con chiarezza e con beli' ordine. Soltanto,
quanto all'ordine, a me sarebbe piaciuto più che la parte che tratta dell'Ortoepia e
dell' Ortografia l' aveste messa per ultima, e non per la prima ; perché a me pare più
conveniente e dirò anche più logico, che della lingua si conosca la struttura e la sostanza
prima del modo di pronunziarla e di scriverla. Ma questo non guasta, e se la vostra
pregevole Grammatichetta fosse adottata nelle scuole invece di certi mostruosi aborti che
oggi pur troppo in Italia si mettono in mano ai discenti, il maestro potrebbe riserbare
in line la i parte. Anche assai vi lodo d' avere abbandonato 1' ortografia che volevate
introdurre, e che vi siete attenuto a quella in uso.
') Vedi Dialogo, inserito nel Lunario a. IV, 1876, fra Nono Cajo e Sandrino, dal
quale dialogo attingo ancora i seguenti appunti.
— 150 —
Come si vede, qui tutto si loda senza eccezione. In quanto poi all'ordine
proposto dal Del Prete, non è cosa da farne gran caso; chi ne dice una,
chi un' altra ; e tanto il letterato lucchese quanto il grammatico chersino
potrebbero avere tutti e due ragione ad un tempo. Fatto sta che il Moise,
quantunque dei giudizj del Del Prete facesse grande calcolo ed estimazione,
tuttavia non si adagiò in proposito al di lui consiglio, e nella seconda
edizione che fece della Grammaticbetta conservò 1' ordine della prima.
Ed ora veniamo alle altre critiche.
La Civiltà Cattolica tutto lodò, e delle taccole non ve ne notò colà
neppur una eh' è una. Ma non la passò altrettanto liscia colla Nuova
Antologia. La quale, dopo aver accennato alla Grammatica grande del-
l' Abate, dice :
Ora ne ha fatto un compendiuccio utile ai fanciulli e non disutile nemmeno ai
grandi : tanto è abbondante nella sua brevità e chiaro e aggiustato nell' ordine delle
parti ; senza che gli tolga il pregio qualche omissione qua e là, per esempio, a pagina
41 quella nei nomi greci finiti in ta, poeta, citarista, artista ecc., che, formando una classe
estesa, dovevano essere accennati; o qualche innovazione, forse non abbastanza giustificata,
nella nomenclatura, come quella di aggettivi distintivi e indistintivi, per determinali e in-
determinati, come si suol dire.
Il Moise riconobbe per giuste codeste critiche ? Non solo non le
conobbe per giuste, ma le addimostrò del tutto infondate e false. E vaglia
il vero, per quel che riguarda i nomi greci poeta, citarista, artista e simili,
questi non potevano in alcun modo essere accennati a pag. 41. Là in fatti
si parla dei soli nomi di cose, quali sono epigramma, diadema, fantasma ecc.:
dei nomi di persone, come poeta, citarista, artista e simili, l'autore aveva
ragionato più indietro a pag. 39, dove sotto il N. 114 si legge: «I nomi
«d'uomini o di esseri che si dipingono in forma d'uomini sono maschili,
«qualunque terminazione si abbiano; e, per contrario, i nomi di donne o
» di esseri che si dipingono in forma di donne, sono femminili ».
Ma il nostro autore, se ribatteva così le critiche assurde o superficiali,
o leggere, era uomo che, trovato lui stesso un errore nei proprj lavori,
francamente e lealmente lo manifestava, tanto poteva in lui la logica e la
verità sullo stesso suo amor proprio. Infatti, poco oltre e' dice: che meglio
assai avrebbe fatto il critico se, anziché il terzo egli si fosse fermato ad
esaminare il secondo capoverso della sopraddetta pag. 41; perchè colà
trovata avrebbe una parola che veramente non ci sta bene. Insegna ivi il
Moise che « De"1 finiti in o, Mano, Spiganardo ed alami sostantivi poetici
d' origine latina, come Imago, Testudo, Caligo, Dido, Cartago, sono fem-
minili ». Ognuno vede che quel Dido ci sta a sproposito perchè qui si parla
— 15» —
di nomi di cose, e Dido è nome di persona, e però va compreso nella
regola- sotto il precedente N. 114 da lui recato or ora. Qui l'autore era
caduto nel medesimo errore nel quale cadde dappoi il suo critico; peraltro
egli se n' è accorto da se assai prima d' aver letto 1' articolo della Nuova
Antologia, e nella seconda edizione della Grammatica (grande), che nel 1875
era già in corso di stampa, ha omessa la voce Dido.
Del pari dimostrò il torto del critico nell' addebitargli l' innovazione
di distinguere gli aggettivi distintivi e indistintivi tee. I primi son detti
così, perchè servono a distinguere nei nomi o il genere o la specie o
l' individuo; i secondi, perchè lasciano totalmente indistinti i loro nomi; le
quali denominazioni avanti che dal nostro autore furono date a questi
aggettivi dal Borsari. Ma posto pur anche che tali denominazioni Steno
inesatte o false, non ne viene la conseguenza che s'abbian loro da preferire
le altre di aggettivi determinati e indeterminati. E in fatti tutti gli aggettivi
sono determinativi, cioè a dire tutti servono a qualificare, 3. modificare, a
specificare, a detei minare i loro nomi : onde tanto sono determinativi il e lo,
quanto uno, alcuno, ninno, tutto, mio, altro, bello, grande ecc. Il dire pertanto
che il e lo sono determinativi è lo stesso che dire che essi soli sono aggettivi,
il che è dire uno sproposito: il dire poi che uno, alcuno, taluno, qualche ecc.,
sono indermiuativi è lo stesso che dire che essi non sono aggettivi, ossia a
dire un secondo sproposito.
IX.
Alle critiche di lode, che in pubblico o in privato fecero alla Gram-
matica del Moise i letterati e filologi, ecco far capolino anche quelle di
biasimo.
La prima critica fu del sig. Cesare Rosa, che la inserì nella Rivista
Europea (a. 6, v. I fase. 3, 1 febbraio 1876). Ecco che cosa ei dice:
In questo stesso periodico avemmo altre volte a manifestare le nostre idee sull'in-
segnamento della grammatica ai fanciulli, e dicemmo del come dovrebbero i libri a tale
scopo diretti, essere compilati ; quindi non stimiamo necessario ripetere oggi cose già
dette; solo a proposito del lavoro del Moise che noi esaminiamo, dobbiamo dire che
esso non ha alcun merito speciale che lo faccia distinguere e raccomandare sopra altri
della medesima specie; anzi abbiamo a notare che non tutte le definizioni ci paiono ve-
ramente esatte, che non vediamo la ragione di certe innovazioni, che valgono più a
confondere la testa dei fanciulli che a far loro imparare a scrivere correttamente : tale è,
— 152 —
a cagioli d' esempio, quella del distinguere nei nomi quattro generi, maschile, femminile,
comune e neutro. Nei verbi poi non sappiamo il perchè, tornando all'ormai riprovato uso
del Parretti, si classifichino in vari ordini, secondo i complementi che reggono.
Gli esempj qui citati per non rendere raccomandabile la Grammatica
del Moise, son veramente pochini ; tuttavia son gravi assai. Vediamo ora
come se la cavi o si giustifichi il nostro Abate ').
Pigliamo la Grammatichetta là dove parla del Genere (pag. 39). Ecco
come il nostro autore lo definisce :
« Il Genere (del nome) è una maniera di distinguere per l'espressione
» il sesso o vero o supposto delle persone o delle cose, ed è o Maschile
» o Femminile o Comune ».
Come si vede, qui di Neutro non se ne fa parola !
Ma, per avventura, il critico intese di parlare del genere dell'aggettivo
— nel qual caso nome non è aggettivo.
Però, secondo la vecchia scuola, tanto è nome il sustantivo quanto
l' aggettivo, può essere quindi che il sig. Rosa segua l'uso antico. Sia pur
cosi; ma sarà sempre vero eziandio che, parlando egli degli accidenti che
il nostro Abate dà al Nome, doveva prendere questa parola nome nel signi-
ficato che gli dà esso l' autore, e non altrimenti ; e, facendo come i'ece,
dette occasione ai lettori di formarsi una falsa idea dell' operetta, eh' egli
critica e di giudicare male dell'autore di essa. I lettori, infatti, imparando
dal Rosa che il Moise dà a certi nomi il genere neutro potevano credere
ch'esso Moise chiami di genere neutro i nomi cuore, nutre, sasso, tempo ecc.,
e li distingua però dagli altri fiore, lago, monte, porlo ecc., meritandosi così
una presa di bue e peggio.
Ma, presupposto peranco che il critico volesse portare qui dietro i
principj della vecchia scuola, non gli potrebbe ancora menar buono il dire
che il Moise distingue nel nome quattro generi (ammesso che anche il Moise
avesse seguito l'uso antico): imperciocché i quattro generi convengono bensì
al nome aggettivo, ma non convengono altrimenti al nome sustantivo, il quale
non ne ha che tre, e la voce nome in sé comprende e quello e questo.
Senonché il Corticelli annovera ben cinque generi nei nomi, cioè Ma-
schile, come : uomo, Pietro, principe ecc. ; Femminile, come : donna, Anna,
reina ecc. ; Comune, che si usa in ambedue i generi, come : grande, fonte ecc. ;
') Vedi Dialogo inserito nel Lunario a. V, 1877.
— 153 -
Neutro, che non è né maschile, ne femminile, come : opportuno, giusto ecc. ;
e Pro.misq.uo o Confuso, il quale con una sola voce serve ad ambedue i
sessi, come : tordo, anguilla, ecc. — È forse falsa codesta teoria ?
L'avvertimento del Corticelli non è falso, come virtualmente non era
falso quello che diceva il Rosa, che seguì appunto il linguaggio del primo;
ma piuttosto il linguaggio del primo e quello del secondo sono confusi e
atti perciò a trarre in inganno i lettori. E assai meglio avrebbe fatto il
Corticelli, se al suo avvertimento avesse aggiunto queste parole : t=. I tre
primi si danno e ai sostantivi e agli aggettivi, laddove il quarto si dà ai
soli aggettivi e il quinto ai soli sostantivi. z= E così ogni dubbio sarebbe
stato tolto. E, similmente, il Rosa assai meglio avrebbe fatto se, invece di
dire come ha detto, avesse detto : « Tale è quella (innovazione) del
distinguere nei nomi aggettivi quattro generi, ecc.». Così pure egli si sarebbe
spiegato chiaramente ne dato avrebbe occasione ai lettori di frantendere le
sue parole. E si sa bene, che la chiarezza è la prima dote d'ogni colta favella.
Resta però sempre la questione, se la innovazione di dare all'aggettivo
quattro generi « valga più a confondere la testa dei fanciulli che a far loro
imparare a scriver correttamente », come affermò il Rosa.
Prima di tutto, questa non era una innovazione dell' Abate, ma anzi
è una cosa più vecchia dell'Alleluja ; giacche quasi tutti i nostri Grammatici
e antichi e moderni danno all'aggettivo quattro generi. In secondo luogo
il far così non che indurre confusione, serve anzi alla chiarezza. Però in-
tendiamoci bene. Tutta la difficoltà del Rosa versa sull'ultimo de' quattro
generi, cioè sul neutro, non dovendosi mai supporre ch'egli neghi all'aggettivo
i tre primi, cioè il maschile, il femminile e il comune. Ora, volendo il Rosa
tolto all'aggettivo questo genere, un aggettivo che il Moise chiama neutro,
di che genere lo chiamerà egli ? Ei dovrà chiamarlo, e' non e' è dubbio,
di genere maschile. Ma gioverà po' poi alla chiarezza il chiamarlo così ?
Vediamolo. Qual'aggettivo chiamano i grammatici di genere maschile ? Quello
che si dà a un nome maschile espresso o tacciuto. Abbiansi questi due
esempj. — Alessio è un cattivo figliuolo. — // primo di agosto voi non eravate
qui. Nel primo esempio 1' aggettivo cattivo è di genere maschile perchè si
dà al nome maschile espresso figliuolo : nel secondo 1' aggettivo primo è,
similmente, di genere maschile perchè si dà al nome maschile tacciuto giorno.
Prendiamo adesso un esempio d'un aggettivo che il Moise chiama di genere
neutro. — Ben altro io m' aspettavo da te. Se qui 1' aggettivo altro è di
genere maschile ei debbe accordarsi con un nome maschile, espresso o
tacciuto. Ma un nome espresso al quale applicarlo chi lo vede ? né si ha
punto bisogno di vederlo accompagnato con un nome tacciuto; perciocché
— 154 —
altro è un aggettivo che basta a se stesso, è un aggettivo sostantivo, come
lo chiama il Moise, cioè un aggettivo che in sé comprende il suo nome,
tanto importando qui altro quanto altra cosa: dunque egli è forza concludere
che qui 1' aggettivo altro non è di genere maschile, quali sono gli esempj
seprarrecati gli aggettivi cattivo e primo, ed ecco, conseguentemente, la
necessità d' introdurre un quarto genere, diverso dai tre precedenti. Nel-
l' ultimo esempio V aggettivo altro vale, come or ora ho detto, altra cosa,
e corrisponde al latino aliud, che è di genere neutro ; e perciò appunto i
vecchi grammatici dissero questo altro aggettivo di genere neutro, e la più
parte dei moderni han fedelmente seguitato e seguitano tuttavia a chiamarlo
così e non hanno alcuna voglia di dargli le pere.
Ed ora passiamo agli Ordini de' verbi.
In questo non occorrerà spendere di troppe parole. Il critico riprende
il Moise di aver seguito il Porretti nel dividere i verbi ecc. Ma il nostro
autore nel far così non seguì alcuno, ma seguì l'ordine naturale delle cose.
Trattando del reggimento dei verbi, ei doveva dividere necessariamente essi
verbi in varj Ordini, secondo il vario loro reggimento. Ecco pertanto le
due prime divisioni: Verbi che hanno un reggimento diretto e Verbi che hanno
un reggimento indiretto. I primi dovevano poi essere divisi in più Ordini. —
i. Ordine. Verbi che ricevono dopo di sé la prepos. A. — 2. Ordine. Verbi
che ricevono dopo di sé la prepos. Da. — }. Ordine. Verbi che ricevono dopo
di sé la prepos. Di. O che, voleva il Rosa eh' e' fossero compresi tutti in
una sola classe ? Se così avesse fatto il Moise, e' non sarebbe di certo stato
chiaro, ma avrebbe invece confuse e imbrogliate più che mai le tenere
menti de' fanciulli.
Tutto ciò sta benissimo; ma forse il Critico, riprendendo in questo
il nostro autore, non intendeva no che tutti i verbi dovessero da lui venir
compresi in una sola classe, ma sì intendesse che ai tre ordini da esso
stabiliti se n' avesse ad aggiungere degli altri che riguardassero altri reg-
gimenti. I verbi che hanno un reggimento diretto corrispondono ai verbi
latini reggenti l' accusativo, quelli che ricevono la Di corrispondono ai
latini reggenti il genitivo, quelli che ricevono la A corrispondono ai latini
reggenti il dativo e quelli che ricevono la Da corrispondono ai latini reggenti
l'ablativo. Ecco dunque che l'autore s' è attenuto strettamente per ciò che
riguarda il reggimento dei verbi al metodo del Porretti, e per questo appunto,
potrebbe credersi, lo riprende il Rosa.
Sia pure anche così; tuttavia il Critico non aveva ragione in tutto in
tutto. Il Moise, quand' avesse voluto, avrebbe potuto assai facilmente accre-
scere un poco gli ordini de' verbi aventi un reggimento indiretto, come
— 155 —
appunto ha fatto nell' opera grande ') aggiungendo ai tre sopraddetti un
quarto ordine che abbraccia i verbi i quali si accompagnano con le pre-
posizioni Con, In, Per, Settati ecc. Ma qui ei non ha creduto bene di farlo,
persuaso che ai fanciulli delle prime scuole dovessero bastare quei tre
ordini. Ora, dei verbi aventi un reggimento diretto, che formano una classe
principalissima, ei doveva necessariamente trattare; né poteva, similmente,
omettere tra i verbi aventi un reggimento indiretto quelli che ricevono le
preposizioni A, Da, Di, i quali, essendo i più numerosi, è necessario che
anco i fanciulli delle prime scuole tanto o quanto li conoscano. Se l'autore
ha seguito qui il metodo del Porretti, e' 1' ha fatto per puro accidente, e
con ciò e' non ha inteso altrimenti di seguire il metodo del Porretti, ma
si bene di seguire, come fu detto, 1' ordine naturale delle cose.
In quanto ad altri appunti fatti dal Rosa, circa alle definizioni inesatte
e alle innovazioni di cui egli non seppe veder la ragione, l' autore non
poteva scolparsi, dal momento che egli da per lui non sapeva quali si
fossero queste definizioni inesatte, ne queste innovazioni senza ragione.
X.
Il secondo critico, molto più arcigno del primo, fu il signor Giammaria
Cattaneo, professore all'i, r. Ginnasio di Trieste, nativo, credo, di Cremona.
Più di tanto non so di lui.
Questi pubblicò una lunga critica sulla Grammatichetta del Moise nel
periodico triestino Mente e Cuore nel giugno dell'anno 1876 (A. Ili N. 6).
Veramente in essa critica si trovano molte osservazioni che non appartengono
al nostro autore se non di scancìo e molte altre che non lo riguardano punto
punto. Perciò senza riportare per intiero l'articolo, sarà meglio indicarne
— come fa il Moise (1. e.) — una alla volta quelle parti che toccano la
Grmnniatichelta, facendone seguire la confutazione.
') E cosi anche in quella di mezzo, cioè nella Grammatica di me^o come usava
chiamarla il Moise, ma che veramente è intitolata : Regole ed osservazioni iella lingua
italiana proposte ai giovani studiosi.
- i56-
Incomincio. — Pag. 205 :
Benché il modo di considerare le cose sia vario, pure io sono d' avviso, che questa
Grammatichetta non possa ispirare ai ragazzi maggiore simpatia di tante altre che ebbero
e che hanno tra mano. È un libricciuolo che lascia il tempo che trova, e non riempie
minimamente quella lacuna, che fra i libri scolastici si lamenta da tanto tempo.
Se fosse vero quel che si dice, tutte le lodi di que' letterati onde ho
riportato i giudizj sarebbero false. Ma andiamo avanti.
Quando mi venne alle mani la Grammatichetta del sig. Moise e vidi che ebbe a
gemere sotto i torchi in Firenze, mi posi a leggerla con quell' interesse e quella dolce
aspettativa, che desta naturalmente ogni libro, che ci venga da quella città. Ma indarno
vi cercai quel soave profumo della lingua schietta, leggiadra e vivace, che è l' incanto
di quasi ogni opera uscita da penna toscana.
Quel quasi ogni opera è un po' troppo. Qui il Cattaneo intende dire
di lingua parlata, di lingua d' uso; perchè, parlando di lingua scritta, di
lingua classica, tanto può esser bello un libro scritto da un fiorentino o
da un pisano, quanto un altro scritto da un napoletano o da un milanese,
o, sia detto pure, da un istriano.
Ma che 1' uso toscano in generale sia spesso non buono, lo dicono
e provano chiaramente più e più volte dotti e gentili scrittori. Il Ricci, per
esempio, nell' Allegra filologia dice ') : r= Tutte le volte che io sfoderai
la penna in difesa dell' uso, intesi parlare sempre dell' uso di Firenze, e
quidem dell' uso buono; perchè anche in Firenze, specialmente in fatto di
lingua ci sono degli usacci, per cui mi guarderò bene, vita naturai durante,
di mettermi le facciole d' avvocato. = S' aggiunga per contentino (e ciò
riguarda e la lingua classica insieme e quella dell' uso) quel che scrisse un
autore incognito col pseudonimo di Ausonio Vero nel libro intitolato
77 Conte Durante !) e che è pur riportato dal Ricci. = E veramente, se
ne eccettui il Fanfani, il Ricci, Brunone Bianchi e il Guerrazzi, ed altri
pochissimi che a noi non sovviene, Firenze è la terra d' Italia, dove oggi
meno si parli e peggio scrivasi italiano. — Cosi scriveva Ausonio Vero
nel tempo del centenario di Dante, cioè a dire prima che la Capitale
andasse a pigione in Firenze. Quello che riguardo a lingua italiana accadde
allora in Firenze, ognuno lo sa.
') Pag. 26, II edizione.
') pag- 394-
— 157 —
Il Cattaneo continua. — Pag. 207 :
Ora non trovando nella menzionata Graminaticheìla del sig. Moise il grato profumo
della toscanità, conclusi che il libro doveva aver visto la luce a Firenze, come quei bimbi
che vennero al mondo in quella illustre città, perchè il babbo e la mamma ci si ferma-
rono facendo un viaggio di piacere.
Curioso ! Mentre letterati e filologi insigni, i primi d' Italia, levarono
a cielo i libri, grandi e piccoli, dell' Abate Moise, lodandone soprattutto
la leggiadria, la schiettezza e la spiritosa eleganza, tanto che più d' uno,
non sapendolo da Cherso, lo credette toscano, anzi fiorentino; il Cattaneo
fu il solo a cui lo scrivere del Moise non andava a fagiolo !
E prosegue. — Pag. 209 :
Tornando al sig. Moise, la sua Grammatichetta non ha il pregio della novità del
metodo, che la faccia preferire alle altre. La teoria delle forme offre né più né meno
di quello che si trova in ogni altra grammatica elementare. Egli si piacque per altro di
spostare I' articolo relegandolo fra gli aggettivi ed esponendone la teoria dopo il compa-
rativo. Se questa novità sia strana, lo lascio a giudicare a chi ha pratica dell'istruzione.
Son ben strani codesti critici ! Mentre al sig. Rosa davan tanto nel naso
le innovazioni grammaticali del Moise, e medesimamente vedemmo allo
scrittore della Nuova Antologia; il sig. Cattaneo, invece, non ne sa trovare
che una, e quell' unica mal fatta ! Eppure nella Grammatichetta, oltre alle
ricordate, vi sono parecchie altre novità che non furono appuntate dai suoi
critici. Qual'altro Grammatico, infatti, divide gli Aggettivi in Semplici aggettivi
e in Aggettivi sostantivi, e suddivide quelli in Aggettivi propriamente detti e in
Aggettivi pospostivi, ponendo così nella classe degli Aggettivi molte voci che
la comune dei Grammatici chiama Pronomi? Qual'altro Grammatico divide i
Verbi transitivi in Attivi, Passivi e Partecipanti o Misti e Neutri? Si dica pure
che tali innovazioni sono ridicole, sono false, sono fuor di ragione, ma non
si neghi di vedere ciò che vede alla bella prima persino chi è cìschero.
Ei vede si /' articolo mutato di luogo e messo dopo il comparativo, ma
non vede che, formando /' articolo la prima classe degli aggettivi di rapporto
doveva necessariamente allogarsi subito dopo il § 4 in cui si ragiona del
comparativo, col quale § 4 si chiude il trattato degli aggettivi concreti.
Ma andiamo avanti. Ivi.
Strano è pure il modo di porre certe forme in ordine inverso di quello della loro
origine. Per esempio pag. 46, frutta, fruito ; Ugna, legno.
Qui nulla avrebbe ei veduto di strano, se avesse considerato che
l'autore classifica questi nomi non per riguardo alla loro origine, ma solo
- iS8-
per riguardo al loro ordine alfabetico, il che han pur fatto alcuni altri
Grammatici, come per esempio il Roster e il Vanzon, senza che nessuno
desse loro sulle mani.
Pag. 210 :
Il sig. Moise s' è preso la libertà di accrescere la coniugazione di due tempi, en-
trando coraggiosamente nella schiera dei riformatori della grammatica. A pag. 78 del suo
libro, N. 252, si legge: = Il modo imperativo di tre tempi, il Presente, il Futuro im-
perfetto e il Futuro perfetto. — Leggi - Leggerai - vivrai letto. = E conseguente alla
sua teoria egli conjuga per esteso questi tre tempi, come se queste fossero vere forme
speciali dell'imperativo. Questo si chiama avviluppare le cose semplici. (!) Dacché queste
forme non sono altra cosa da quelle del futuro dell' indicativo, quindi in quella parte
della sintassi, in cui si tocca dell' uso dei tempi, basta osservare che il futuro assume
anche il senso dell'imperativo. Io sarei poi vago di sapere dall' autore quante volte nella
sua vita si è servito del futuro passato per esprimere l' imperativo.
Eppure vi sono altri Grammatici che danno tre tempi all'imperativo;
onde la libertà che si è presa il nostro autore è un sogno del suo critico.
Danno all' imperativo il futuro imperfetto quasi tutti i nostri grammatici,
cominciando col Buommattei e col Corticelli e terminando col Puoti e
col Rodino. Gli danno poi il futuro perfetto il Paria, il Centurione e forse
altri. E non so veder la ragione per cui, essendo questi due tempi comuni
all' indicativo e all' imperativo, debbasi nel prospetto delle conjugazioni darli
all' uno e toglierli all' altro. Né so anco se 1' autore ha usato mai de' suoi
giorni il secondo di questi futuri: bensì so che egli ed altri ben potrebbero,
all' uopo, valersene.
Continua il Cattaneo. — Pag. 216:
Il sig. Moise s' è arrischiato una sola volta di entrare nel campo dell' etimologia
per mettere alla luce una sua scoperta, ma ha preso un granchio. A pag. 60 egli dice
che la particella si derivò per metatesi dal greco v.q (uno) colla pronunzia moderna (bis).
Questa asserzione basta da sé sola a provare che 1' autore non s' è mai occupato
dello sviluppo storico della lingua italiana; (!) la quale, essendo nipote della greca, non
può avere con essa che quella leggiera somiglianza, che nell' aria del volto ed in qualche
lineamento manifesta la parentela tra nipote e zia. Una lingua si appropria parole dal-
l' altra, senza riguardo di affinità, ma le forme grammaticali, che sono l' intimo suo
organismo, non le riceve che dalla madre, o se le foggia da sé combinando elementi
ricevuti dalla madre, per rifarsi di quelle forme, che non potè assimilarsi ed andarono
perdute.
Questo si nel quale l'autore ha subodorato un greco camuffato all'italiana, non è
/altro che un pronome riflessivo latino se, i cui uffici presso la figlia sono quasi quegli
stessi, eh' ei faceva in casa della madre; se non che nell'italiano moderno ha dovuto
occupare anche il posto del pronome indeterminato uomo, frequente nella prosa antica,
ed ora quasi caduto in disuso,
- 159 —
Qui T Abate si scusa che certe opinioni non sono direttamente sue,
ma eh' egli 1' ha prese da altri. Con quanta verità l' abbia messo il Cattaneo
tra i riformatori della grammatica per quel che spetta ai futuri dell' imperativo,
l'abbiamo veduto or ora: con quanta verità poi ei gli barbi l'altra scoperta
di derivare la sì indistintiva dell' aggiuntivo sic, greco, manifesto apparisce
da quanto lasciò scritto il Parenti ').
Del resto al Moise non doveva riuscir troppo amara la taccia che gli
diede il Cattaneo di non essersi mai occupato dello sviluppo storico della
lingua italiana, se avrei pensato che prima che a lui diede esso Cattaneo
questa taccia al Parenti, che non era un boto, e similmente (per non parlar
che de' morti) al Fabriani, al Gherardini e al Galvani, che non eran tanti
boti neppur loro. Il Fabriani sta in tutto e per tutto col Parenti s).
Né è giusto quel che dice il Cattaneo, esser la lingua greca zia del-
l' italiana ; ma piuttosto mamma e nipote. Forse intendeva dire, che le son
sorella e sorella, e in questo, sottosopra, non ha torto. Ma ben egli ha
torto di dire che la particella si di cui parla qui il Moise non può derivare
dal greco, confondendo egli malamente questa si indistintiva con la si pas-
sivante, della quale tratta il nostro autore a pag. 75 sotto il N. 225. E non
solo con la si passivante, ma la confonde, facendone un pasticcio, anche
con la si particella mutante numero e persona al verbo con cui si accom-
pagna, onde ragiona lungamente il Moise nella II edizione dell'opera grande
che venne alla luce l'anno appresso (1878).
Dopo ciò ci vuol poco a dire, che il Moise non s' è mai occupato dello
sviluppo storico della lingua italiana! Se il Cattaneo avesse per poco esaminata
la prima edizione dell'opera grande del Moise, pubblicata ancora nel 1867,
e precisamente li ove ne parla sulla genesi dei nostri nomi, de' nostri
aggettivi e de' nostri verbi, non gli sarebbe scappata dalla penna una tale
offesa, che si risolve in una palese e gratuita ingiuria. Basti dire che il nostro
Abate era tenuto in Italia non qual grammatico puramente grammatico,
ma qual grammatico filosofo, e eh' egli nel comporre la sua Grammatica
non andò no sulla falsariga dei Boppi, dei Diezi, dei Grossrani, degli HofT-
manni, dei Bianchi, o di altri siffatti scrittori forestieri, ma si s' attenne
') Alcuni Opuscoli concernenti a lingua e a stile. — Modena. Tip. Camerale, 1837,
pag. 80 nota 2.
') Vedremo in appresso che il Moise si ricredette su codesto, e da leale avversario
ne fece ampia confessione nella Strenna Istriana per 1' 87 pag. 138.
— léo —
sempre all'autorità de' sommi nostri grammatici e filologi italiani sì antichi
che moderni, e a quella segnatamente del fiorentino Vincenzo Nannucci,
filologo del primo cerchio, che la sa lunga assai e dà papa e cena a molti
che si pretendono di andare per la maggiore.
Ne 1' Abate poteva capacitarsi ancora perchè dicesse il Cattaneo che
il pronome riflessivo si « nell' italiano moderno ha dovuto occupare anche
il posto del pronome indeterminato uomo ». Dunque Dante, ei diceva, il
Boccaccio, il volgarizzator di Crescenzio e gli altri scrittori del 300 che
usarono così questa particella, sono tutti, secondo lui, scrittori moderni!
Andiamo innanzi. — Pag. 220 :
Non vado d'accordo col Blanc, il quale dice che in una proposizione come la se-
guente: = Quivi ore e campane non s'udiva — (Berni, Ori. in 67, 54), il si viene
trattato come soggetto della proposizione, alla guisa del tedesco man. Il prof. Demattio
va ancora più innanzi, e dice a dirittura che il pronome riflessivo si in siffatti costrutti è
il soggetto. Se questo è vero, il maestro facendo 1' analisi della detta proposizione doman-
derà allo scolare: Chi non udiva? E se lo scolare starà in dubbio, egli soggiungerà:
C è forse bisogno di aguzzare V ingegno! Non vedete che la particella si fa 1' ufficio di sog-
getto? E questa potrà chiamarsi analisi illogica.
(Noto, tra parentesi, che altri dopo aver detto allo scolare che la particella
si fa l'ufficio di soggetto, o, meglio, è il soggetto, gli avrebbe detto ancora
eh' esso importa alcuno, e così avrebbe fatto eh' egli non le desse per av-
ventura un falso significato; come avvenne al Demattio, che la spiegò per
un tale). Dunque quest'analisi, secondo il Cattaneo, è illogica. Ma, se la è
così, e' convien dire che non solamente il Blanc e il Demattio, ma con
essi anche il Moise e il Fabriani e il Parenti e il Galvani e il Borsari e il
Gherardini e la più parte de' nostri grammatici, tutti sragionano, tutti han
dato in ciampanelle, tutti infine sono (per dirlo coll'autore del Malmantilé)
un monte di asini e di buoi.
Pag. 221 :
Quello che il sig. Moise (a pag. 125 e seg.) scrisse intorno alla sintassi è insuffi-
ciente a soddisfare ai bisogni della scuola. Qualunque Grammatica per quanto elementare,
deve toccare tutti i punti più importanti della sintassi; ma in questo non è fatto neppur
cenno dell'uso dei modi e della successione dei tempi nella proposizione composta. Quello
che si legge a pag. 77-78 non basta.
'' Eppure, come vedemmo, dei critici ben più autorevoli del Cattaneo
nulla trovarono a ridire in proposito. La Civiltà Cattolica (quaderno 1. di
maggio, 1875) scriveva ; — È molto acconcia (la Grammatichetta dell'Abate
— i6i —
Moise), sì per la brevità, che per altro non fa mancare il necessario, e sì
per l'ordine e la chiarezza, alla buona istituzione dei fanciulli e delle fanciulle
negli elementi della lingua italiana. r= E chi scriveva così, non era certo
un grullo.
E la critica del Cattaneo non era finita ancora ; sembra eh' ei si fosse
proposto di far propriamente strazio del lavoro del povero Abate. La maggior
parte delle inesattezze ei le trovava nel lib. I cap. r, 3, 5 nei quali si tocca
la teoria dei suoni. Ma qui faccio grazia ai lettori tanto delle accuse quanto
della difesa, che l'andrebbe troppo alla lunga, e le cose lunghe, si sa, di-
ventano serpi, duello che posso dire con tutta coscienza si è, eh' ei spesso
confonde le questioni, e che fa dire talvolta al Moise quello che non ha
detto. Devo tuttavia, per amore di giustizia, ancora soggiungere, che final-
mente anche il Cattaneo ebbe ad imbroccarne, fra tante, una di giusta ; e
precisamente Là ove riprende il Moise — che in questo errò in compagnia
di altri molto reputati grammatici — quando insegna che il b e il v e il d
hanno affinità col g. Ed il Moise, da uomo veramente superiore, rispose:
Piglio amoroso le osservazioni del mio ammonitore e ne lo ringrazio I E del
pari lo ringrazia dell' osservazione che gli fa appresso, non esser vero,
cioè, che la / abbia stretta parentela col g, come lui insegnò. In tutto
il resto, ripeto, il Cattaneo contradì non solo per ispirito di contradire
(meno ancora sulla particella si), ma disse spropositi da cavallo, assumendo
un' aria dottorale e poco creanzosa, come avesse da fare con un bimbo
del Ginnasio dove egli istruiva ! Si guardi, per esempio, come finisce il suo
articolo critico.
Pag. 223 :
A pag. 31 N. 79 dice: = I poeti affiggono talora un 0 alle terze persone singolari
del passato rimoto nei verbi della seconda e della terza conjugazione; onde scrivono
renato, udio, invece di rendi, udì. =:
Sarebbe ornai tempo di finirla con questo vezzo di considerare le cose alla carlona (!),
e trasmettere alla generazione che cresce, le corbellerie della generazione che si è spenta
e si spegne. A voler parlare logicamente e dire le cose come sono, i poeti né allungano,
né accorciano le forme dei verbi, ma talora sogliono semplicemente servirsi di forme
antiche, che danno maestà e armonia al verso. E in ciò i poeti si mostrano conservativi
ripristinando un uso già da secoli nella prosa dismesso.
Anche l'Abate dice nella sua opera grande che rendéo, udio sono forme
antiche, le quali gli autori dei primi secoli della lingua usavano indiffe-
rentemente e in verso e in prosa. Ma se codeste forme sono antiche,
non sono mica primitive ; perchè in origine si disse rendè e udì, le quali
voci colla aggiunta dell' 0 diventarono poi rendéo, udio. Così anche il Nati-
— i6z —
nucci che se ne intendeva un tanto '). Ora sono approvate le sole forme
rendè, udì.
E continua alla pag. 224 :
Alla pag. 31, N. 83 si legge: = Similmente per eufonia scriviamo gire in cambio
di ire =
Quando non si sa rendere ragione di una cosa, è molto comodo il dire : questo si fa
per eufonia (!). Ma è un'osservazione gratuita, che ci lascia al bujo. L'illustre Prof. Diez
a spiegare il g, stabilì l' ipotesi che gire derivi da de-ire, la cui probabilità trova sostegno
nella forma deambulare che esisteva allato ad ambulare. Egli è vero che non tutte le forme
usate dal popolo vennero registrate negli antichi glossari o riprodotte nella lingua scritta
per quanto fosse rozza; nondimeno, finché non si rechino esempi che ci assicurino del-
l' esistenza di deire, non potranno mai avere la certezza che questa sia la genesi del gire.
L' ipotesi del Diez però basta a confutare 1' asserzione del sig. Moise, che il g sia stato
prefisso per eufonia.
Qui il prof. Cattaneo, dando di ciuco a quadrato al sor Abate, biasima
similmente tutti in generale i nostri grammatici, i quali insegnano la stessa
cosa, non escluso il Gherardini, che è da tutti stimato e riverito e a cui
gli stessi toscani fanno tanto di cappello. Ed è poi curioso, che mentre il
Moise s'attiene all'autorità del Gherardini e di altri grammatici, il Cattaneo
s'appoggia all'ipotesi incerta del Diez. La cosa è spiegabile nel senso, che
l'autorità, tuttoché incerta, dell' illustre prof, tedesco aveva per il Cattaneo
maggior peso che quella di tutti insieme i grammatici italiani.
Veniamo finalmente alla chiusa. — Ivi:
Eppure 1' eufonia è per questo nuovo grammatico la chiave di tutti i segreti fonetici,
perchè egli se ne serve perfino a spiegare i dittonghi ie, uo. Sono forse quarant' anni
che il babbo di tutti i romanisti predica a tutto il mondo che i dittonghi ie, uo hanno
la loro ragione nell' etimologia ; il prof. Fornaciari lo ha ripetuto nel suo compendio
della grammatica dello stesso babbo ; io pure feci cenno della genesi di questi dittonghi
due anni fa, a pag. 127 del già citato numero del periodico Mente e Cuore. Ora se il
sig. Moise ha fatto una delizia degli studii grammaticali, tanto che pare che la gram-
matica sia proprio il suo forte, o, come si dice, il suo cavallo di battaglia, perchè non
sta in giorno di tutto quello che si pubblica in questo suo campo prediletto? Quando
non si ha nessuna notizia di tali cose, allora bisogna astenersi dallo scrivere intorno a
questioni grammaticali.
La stoccata era proprio sanguinosa per il pover' uomo che avea con-
sumata la vita nello studio della grammatica italiana. E l'offesa gli veniva
') lAnal. verb. pag. 166.
- Ié3 -
da chi, come abbiamo veduto, non avea trovato mai tempo di studiare a
fondo le grammatiche italiane, pur studiandone forse taluna di straniera.
Dico questo, perchè i nostri grammatici insegnano in coro che nei dittonghi
che chiamano mobili, ie, uo, quelP i e quell' u sono lettere eufoniche '). E
si badi ancora che proprio il prof. Diez, il babbo di tutti i romanisti, a
proposito di questi dittonghi osserva, che le voci latine aventi nella sillaba
dove cade 1' accento tonico un' t un o breve a cui tenga dietro una con-
sonante semplice, nel farsi italiane mutano, per ordinario, quell' e o quell' o
nel dittongo ie o nel dittongo ito : perciò da decerti si fa dieci, da levis, lieve,
da metere, mietere, da bonus, buono, da locus, luogo, da moritur, muore. —
In ciò, dunque, il Cattaneo ha ragione, nel dire cioè — e chi noi sa! —
che essi dittonghi hanno la loro ragione nell'etimologia ; ma ebbe poi torto
tortissimo a sostenere che nei medesimi le vocali i ed u non sono eufoniche
e a tenere, in conseguenza, il Moise per testa di cinque meno uno e a dare
di mattonella una presa di minchione e peggio al Gherardini e agli altri
nostri grammatici. Ma si crede forse che quei valentuomini non conoscessero
la magna lezione che ci dà il prof. Diez, lezione che sanno oggigiorno tutti
coloro i quali tanto o quanto sbucciano dal latino ? Nonostante essi inse-
gnarono e insegnano tuttora che quell' : e quell' u sono lettere eufoniche.
Dopo ciò 1' Abate non ebbe alcun riguardo di dire il perchè non si
diede gran pensiero di leggere i lavori filologici che si pubblicavano allora
in Germania, o quelli che si davano alla luce in Italia da certi scrittori,
italiani sì di nascita, ma di mente e di cuore tedeschi. Trattando d' una
vecchia dottrina grammaticale, della quale era sicuro, non gli sembrava
punto necessario di saperla confermata od oppugnata dai novelli grammatici,
segnatamente forastieri, certo di non errare seguendo quella dottrina e pro-
ponendola ai giovani studiosi. O sta a vedere adesso che gì' italiani sono
caduti tanto al basso da dover ricorrere, per imparare la propria lingua,
alle grammatiche dei grammatici tedeschi. Dico grammatici, si noti bene,
e non filologi, che è tutta un' altra cosa, specie se si tratta di filologia
comparata.
') Basti per tutti l'autorità del Gherardini. V. Appena. Gramm. Ital. pag. 558.
— 164
XI.
Le confutazioni del Moise alle critiche del prof. Rosa e del prof. Cat-
taneo non ottennero repliche. Convien credere, dunque, che tanto 1' uno
che l'altro dei critici rimanessero persuasi di trovarsi nel torto. Avvegnaché,
se così non fosse stato, non avrebbero mancato di far conoscere al nostro
Abate le loro ragioni in contrario, tanto più che il nostro Abate non era
mancato di spedir loro quell'annata del Lunario Istriano, in cui esse con-
futazioni erano contenute.
Devo fare però una restrizione per il prof. Cattaneo, il quale, se non
trovò argomenti da ribattere al Moise in merito alle questioni da lui fatte
insorgere, seppe sì trovarne di nuovi, per tentar di gettare il discredito sul
bravo e buon Abate presso coloro, e non son pochi, che sogliono bever
grosso.
Al Cattaneo, dunque, non era bastato di dire tutto quel po' po' di
roba sul conto della Grammatichetta del Moise; caso volle che gli capitasse
il destro di dirne dell' altro ancora. Ed ecco come ').
Nell'anno 1876 era già da qualche tempo sotto stampa a Firenze, nella
tipografia del Vocabolario, la seconda edizione della Grammatica grande del
Moise, quando accadde che il sig. Cattaneo vi si recasse, addì 7 settembre
dell'anno stesso, alla tipografia su detta, per associarsi al Borghini, periodico
letterario. Discorrendo il Cattaneo col direttore della tipografia, sig. Giuseppe
Polverini, gli chiese che cosa stampasse di bello ; e quei gli rispose :
— Una Grammatica dell'Abate Moise.
— O non r ha già pubblicata ?
— Vorrà dire la Grammatichetta.
— Sì, giusto quella; ne avrebbe una copiai
E il Polverini gliela détte e il Cattaneo la pagò.
— Ahi stampa dunque un1 altra Grammatica! ripigliò questi.
— Sì, un' altra molto più grande : verrà circa un migliajo di pagine in
ottavo.
') Tutto quello che segue rilevasi dal Dialogo II inserito nel Lunario per il 1878,
anno VI.
- Ié5 -
— Un migliajo di pagine ! non mi cannona !
— Vede, siamo già a ;6o pagine o lì intorno, e saremo forse a mezjp
lavoro.
E nel tempo che il Polverini gli faceva la ricevuta delle 8 lire del-
l' associazione al Borghini, il sor professore gittò avidamente gli occhi sopra
il foglio che gli stava dinanzi, leggendo con tutta attenzione o imparando
a mente o copiando il primo capoverso del N. 485. — Quest' azionacela,
come la definì il Moise, venne dedotta da una lettera del Polverini al
Moise, in risposta d' una missiva del secondo, che chiedeva al primo, come
mai potesse accadere che il Cattaneo stampasse a Trieste un brano della
sua Grammatica che si trovava appena sotto composizione !
Imperocché e' convien sapere che il Cattaneo, ritornato a Trieste,
stampasse subito dopo nel periodico Mente e Cuore ') un nuovo articolo
nel quale diceva (pag. 26) :
Io attendo con impazienza la Grammatica grande del Moise, della quale intanto
dò ai lettori del ^/Cetile e Cuore il seguente saggio :
= 485 Uscire od Escire. Escire è regolare in tutta la sua conjugazione; Uscire poi
è difettivo di alcune voci. Ne supplisce la mancanza il verbo Escire, il quale, benché più
si avvicini al latino Exire da cui deriva, è tuttavia assai meno usato. =
Se tutto il resto somiglia a questo brano, non si può pronosticare buona fortuna
al libro. Si vede che 1' autore è digiuno affatto della teoria dei suoni.
Il dardo era volato, e il Moise non ne rimase indifferente. Epperò,
quantunque di mala voglia, pur rispose come suoleva, nel suo Lunario.
Premette di non saper capire veramente in qual modo c'entrasse qui
in tutto la teoria de' suoni. Che escire, esciva, escirei ecc., sian voci buone
e regolari, perchè provenute direttamente dalle latine exire, exibam, exirem
ecc., ognuno il vede. Che le altre, uscire, usciva, uscirei ecc., più lontane
dalla loro origine, sieno altresì buone, perchè di grandissimo uso, nessuno
il nega. Ondechè né chi scrive o pronunzia escire, esciva, escirei ecc., né
chi scrive o pronunzia uscire, usciva, uscirei ecc., s' oppone come che sia
alle regole dei suoni. Pare tuttavia che il Cattaneo, intendendo malamente
ciò che dicono su questo proposito alcuni Grammatici tedeschi, voglia dire
che chi scrive o pronunzia escire, esciva, escirei ecc., pecca contro le regole
dell'eufonia; dovendosi, secondo lui, scrivere e pronunziar sempre, uscire,
') N. 1, 1 gennaio 1877.
- i66 —
usciva, uscirei, e non altrimenti, e solo dovendosi scrivere e pronunziare
con la e le voci esco, esci, esce, escono, ésca, escano, dove 1' accento tonico
cade sulla sillaba iniziale.
Se fosse vero quel che insegna e par che insegni il Cattaneo, allora
bisognerebbe dire che molti e molti de' nostri scrittori i quali diciamo
classici e da' quali caviamo le regole del bello scrivere e del bel favellare,
ignorano la teoria dei suoni. Giovanni Gherardini nelP Appendice della
Grammatica italiana (pag. 498-500), dice che i nostri scrittori antichi usarono
più volte le voci, escito, esciro, escirò, escente, escire, escimento, escita, esciamo,
esciranno, esci, esciti, escirà; che nello Specchio della vera penitenza scritto
da Fr. Jacopo Passavanti e pubblicato l'anno 1725 dagli Accademici della
Crusca si legge a pag. XX aver essi giudicata queir opera di escire in luce;
che per testimonianza di altri Accademici i quali curarono l' edizione della
Grammatica di Benedetto Buommattei, verso la fine del passato secolo si
diceva per tutta la Toscana uscire ed escire, e che i compilatori del loro
Vocabolario avevano autenticate le voci escire, escita ed escimento; che
Marco Antonio Parenti nelle sue Annota^, al di^. di Bologna usò la voce
escire in Acciaio e in Adoperare.
Per quello poi che concerne 1' uso d' oggidì, abbiamo, oltre a quella
del Parenti, altre autorità ancora. In tutti i Vocabolari del Fanfani e del
Rigutini-Fanfani e nel Dizionario di Torino è registrato Uscire ed Escire;
il Fanfani nel Vocab. della lingua ital. in Uscire ed Escire, dopo aver ac-
cennata la solita regola dell' E e dell' U, conchiude: L'uso però dèroga in
alami casi a tal regola in questo verbo; nel Di%. Tor. in Uscire ed Escire,
terzo capoverso il compilatore dopo aver anch'esso accennata la sopraddetta
regola, chiude così : Ma codesta regola non è da intendersi assolutamente,
mentre V uso toscano e quello de' buoni autori ammette anco Escite, Esciva,
Escisti, Escirono, Escirò, Escirei, Escito e qualcun'' altra. Tutti questi
signori adunque sono, secondo il sor Cattaneo, digiuni affatto della teoria
de' suoni.
V'ha di più. Il Rigutini nell' Append. al suo Voc. delia ling. pari,
pag. 42, col. 2, sotto Uscire ed Escire si legge : Nelle voci bisillabe 0
sdrucciole incomincia sempre per E, e non mai per U. Dunque, a detta di
lui, sempre dovrem dire escivano, escirono, escirebbero, escissero, e non mai,
uscivano, uscirono, uscirebbero, uscissero,. Quello che l'abate Moise insegna
potersi far qualche volta, sembra che il Rigutini voglia che si faccia sempre,
' opponendosi cos'i non che alla dottrina del Cattaneo, all' insegnamento di
tutti i Grammatici e all' uso comune.
Senonchè il Moise credeva che il Rigutini non volesse dir questo;
- i67 -
ma riteneva in quel cambio per certo che tra le voci sdrucciole di questo
verbo ei non abbia avuto in mente se non escono ed escano; onde volle
dire: Nelle voci che hanno l' accento tonico sulla prima sillaba incomincia sempre
per E, e non mai per U.
Sia come si voglia, è un fatto però che le parole del Rigutini suonano
bene altrimenti, e si dà in tal modo occasione ai giovani studiosi di scrivere
e di pronunziar male. E chi si fa maestro ai giovani non deve dar loro
falsi precetti.
Ma, per tornar al Cattaneo, il Moise volle fargli un'altra osservazione
ancora. Il Cattaneo, ei dice, scrive e pronunzia sempre, esco, esci, esce,
escono, e non inai ùsco, lisci, àsce, ùscono; ma perchè poi scrive egli e
pronunzia con Yu e non coli' e il sostantivo singolare uscio e il suo plurale
usci? — È facile la risposta: Perchè l'autorità e l'uso vogliono che sempre
così si taccia. Or, similmente, se altri scrive e pronunzia alcuna volta escire,
escite, escito, il fa perchè 1' autorità e 1' uso gli consentono di far così.
Ma a fargliela capire al sor Cattaneo ! Egli che voleva tuttavia propriare
che in viene e buono le vocali i ed u non sono eufoniche, ecc.
Quindi il Moise si fa domandare: questa tirata contro la Grammatichetta
che il Cattaneo ha inserito nel periodico Mente e Cuore, per chi l' ha scritta
egli, per gli Italiani o per i Tedeschi? — E si risponde: Io credo per gli
Italiani. — E se è così, perchè egli e' intromette delle parole tedesche ? A
pag. 25 intatti, parlando dell' Abate, s' esprime così : Ma gli batte nel seno
un cuore italiano, e tanto basta perchè egli aborrisca la scienza tedesca. E per
calcar meglio l'idea, continua: Jeder Zoll ein ltaliener, che importa: È un
italiano sfegatato, un italiano per la pelle ! !
Così scriveva un italiano di Cremona agli stipendj dell' Austria. Ora,
chi sa come vadano o andassero da noi certe cose, quelle quattro sole
parole tedesche erano più che sufficienti perchè le Autorità scolastiche
scartassero come scartarono sempre inesorabilmente per le scuole dell' Istria
tutte le Grammatiche del nostro Abate. E perchè tant' ira ? . . . .
Il nostro Abate però, a quella ingiustificata insinuazione, si limitò a
rispondere, ch'ei non sapeva che cosa si volesse dire. Giova credere, l'Abate
suppose, che il Cattaneo scriveva quel che scriveva sul Mente e Cuore ad
istruzione specialmente dei suoi scolari, i quali non erano italiani ma tedeschi,
e in iscuola facevano, come fanno, uso della lingua tedesca e non dell' italiano.
Ma non è finita ancora.
Verso la fine della sua chiacchierata, il Cattaneo pone a pie' di pagina la
seguente nota — « A pag. 68-69 d'ce (l'Ab. Moise) ch'egli è d'avviso che la voce
istriana Balladora derivi da Ballatojo. Questa (sic) è fior di filologia'. » ss
— 168 —
Ora Balladora proviene, secondo il nostro Abate, da ballatojo, e ballatojo
deriva, se prestiam fede ai compilatori del Vocabolario di Napoli, dal latino
vallalus, particella di vallo, io stecco, io bastiono, io circondo. Che il sore
Abate e i compilatori napoletani abbiano ragione, io ne l' affermo né il
nego, dice Nono Cajo Baccelli a Sandrino: dico solo che il Cattaneo, se
vuol che gli si dia ragione, e' bisogna che ci arrechi un' altra etimologia
che apparisca più vera. — Ne il Cattaneo seppe ancor darla.
In quanto, infine, alle confutazioni fatte dal Moise nel Lunario (a. 5.),
ecco come se la cava onestamente il prof. Cattaneo in fine dell'articolo e
precisamente nel penultimo capoverso: Intanto io dichiaro (!) ch'egli (l'Abate
Moise) nel suo Lunario non è riuscito a confutare neppur uno degli appunti
eh"1 io feci alla sua Grammatichetta.
E in queste brevi linee stette tutta la confutazione del Cattaneo ! Così
possono rispondere anche gli spazzacamini, osservò Nono Cajo Baccelli
a Sandrino : « Si lavi pur la bocca il sor professore della Grammatichetta
e degli altri scritti del nostro sor abate; ma quanto ad aver da me una
risposta, ti so dir io eh' ei la farà a sego. Spropositi pure a suo piacere,
bestemmi pure a tutto pasto, sragioni pure a più non posso; ma, s'egli
s' aspetta dal sor Abate o da me una risposta, egli, lo dirò col P. Cesari,
aspetta il corvo». — In quanto poi all'azionacela perpetrata dal Cattaneo a
Firenze in tipografia del Vocabolario, Nono Cajo Baccelli si limitò a dire:
« A Vrana, che è quanto dire a Firenze, le siffatte azionacce si chiamano
porcheriole, e chi le fa lo chiamano porchettuolo ». — Questa è l'unica frase
di vivo risentimento eh' io lessi in tutte le opere del Moise.
XII.
Al povero Abate sopravvennero degli acciacchi, che se non gli tolsero
la volontà al lavoro ed allo studio, gli scemarono tuttavia la lena. Ecco
come egli la racconta ') :
L'enterite l'andò via sì, ma non appena io ne fui libero, che ni' assalsero con tutta
veemenza i miei antichi dolori reumatici i quali da qualche anno m' avevano lasciato in
') Vedi prefazione al Lunario per l'anno 1876.
— i6<; —
pace o quasi. Stante il freddo straordinario del passato inverno (1875) i dolori s' erano
incruditi più che mai e m' avean renduto sciancato, slombato, arrembato, insomma
m' avean fatto un coccio. Più e più volte quando camminava per istrada, fermandomi
ad ogni passo di formica, nello scantonare mi sentivo cantichiar dietro: S' e' non ci è
stato, e ci ha anche a ire. Ma l'affare del camminare era niente: il peggio era che non
potevo dormire e una buona parte della notte me la passavo insonne, cantando spesso
e volentieri senza averne voglia. Vedendo la cosa al perso feci animo risoluto e là sullo
scorcio del mese di giugno presi il mio porco e me ne andai in Croazia alle Terme di
Crapina. Dopo stato là un venti giorni e aver sudato un baule di camicie, me ne tornai
a casa, se non guarito del tutto, un momento almeno rinsanicato, e i ragazzi che mi
vedevano andar ritto, più non si attentavano di farmi quando scantonavo la chiucchiurlaja
col solito giuoco di allitterazione S'è' non ci è stato, e' ci ha anche a ire. Adesso posso
eziandio dormire e stare in letto senza cantare. Detto poi qualche cosa di Crapina, con-
tinua: Quel soggiorno poi riusci a me oltre misura gratissimo e deliziosissimo per la
conoscenza da me fatta colà del sig. Mariano Rafanelli, ecc.... Egli è di nascita fiorentino,
di professione architetto, ha per moglie una pistojese ed è già da cinque anni domiciliato
a Graz. Il conversare ogni giorno per più ore col sig. Mariano e con la sua degna con-
sorte, la signora Annina, l'era per me una grande consolazione, e il mio spirito si riaveva
dell' uggia e del fastidio che ad ogni pie sospinto era condannato ad asciugarsi pei continuo
sentirsi parlare 0 in croato 0 in tedesco 0 in italiano accio da stomacare i cani
In seguito, quantunque i romatismi non lo molestassero più tanto
quanto per lo passato ; pur nondimeno ebbe bisogno di ricorrere ancora ai
bagni termali : ma, anzi che a Crapina, cominciò andare nella state del '76
a Monfalcone, dove si trovò assai meglio. Tanto è vero che continuò ad
andarvi per parecchi anni di seguito.
Qui mi preme di rilevare, che i Lunarj del Moise andavano, d' or
innanzi, crescendo d' importanza. Egli bene si consigliò di omettere molte
cose inutili e stantie, e in quella vece, come vedemmo, ad introdurvi dei
dialoghi di filologia di molto valore. Di più, cominciò ancora a descrivere
i viaggi ch'egli taceva ogni anno, e a narrare le avventure della sua vita.
Se tutto è mutabile in questo mondo, ei diceva '), mutabile per eccellenza
è la luna; onde il proverbio Slultus ni lima mutatiti! Ma se mutabile è la
luna, forza è pure che mutabile sia il Lunario il quale dalla luna ebbe
nome ecc. Ed ecco come, d'ora in poi, il Moise ci va raccontando, senza
volerlo, parecchi fatti della sua vita.
Sappiamo dunque dal Lumaio del 1876 che egli stava di casa a Mon-
') Prefazione del Lunario del 1876.
U
— 170 —
falcone dal sig. Leopoldo Goglia, che spesso trattò con quel parroco, don
Luigi Torre, uomo stimato, che si trovò in compagnia del dott. Ferdinando
Tamburlini direttore dei bagni. Conobbe pure il dott. Francesco Verzegnassi
di Gorizia, col quale discorse a lungo di lettere e di scienze, con grande
consolazione di tutti e due. Voleva presentarsi al podestà, ma gli fu risposto
secco secco: « Qui non c'è uso che un forestiere vada a far visite, m'è toccato
con mio grande sconforto attaccar la voglia all'arpione».
La prima settimana la passò in città, occupando quasi tutto il giorno
ne' suoi studj, e stando a chiacchiera la sera o giocando a quintilio con
coloro che andavano dal sig. Goglia. In seguito dette qualche corserella nei
dintorni. Il giorno 9 luglio andò con due amici ad Aquileja per assistere
allo spettacolo della Tombola. Gita che gli fu assai piacevole. Dopo aver
detto dei paeselli pei quali era passato, ecco come parla d' Aquileja :
Aquileja, metropoli in antico celebratissima, è ridotta oggidì una cittaducola di forse
1900 anime: in quel giorno peraltro la pareva una grande città, tanta era la gente che
v' era concorsa di tutti i paesi là intorno. Appena discesi di carrozza, andammo a visitare
il Duomo, che merita veramente d' essere veduto da ogni forastiero e che forma al di
d'oggi l'unica (?) gloria di Aquileja. Dopo nominato il Duomo mi parrebbe un sacrilegio
il parlare a' miei lettori della Tombola e del ballo che le tenne dietro, e però tiro via.
Solo noterò in passando che durante il giuoco vidi là in piazza in mezzo alla folla un
frate cappuccino coi mustacchi, il quale aveva in mano la sua brava cartella e un mi-
colino di lapis onde di volta in volta tirava un frego sotto quelli de' suoi numeri che
venivano fuori. E sapete chi era costui? Era il famoso gobbo della fiera di Veglia. Avendo
inteso già dal dott. Giorgio eh' ei l'aveva veduto l'anno scorso sulla via di Ossero ve-
stito bensì di cappuccino, ma senza mustacchi, io credeva dapprima di travedere; ma poi,
osservandolo meglio, m' accorsi che quei mustacchi eran posticci e eh' egli era lui in
petto e in persona. E dodici giorni dopo la nipote Agrippina mi raccontò d'averlo veduto
due settimane innanzi vestito a quel modo e così co' mustacchi a Firenze in via dei
Calzajoli. Evviva i bindoli !
Ed è così che racconta di Gradisca, di Grado e di Barbana, paeselli
che vide dopo Aquileja. Va liscio liscio avanti, e nessuna cosa l' attira
particolarmente, o l' interessa tanto da entrarvici, o da ragionarvici con
minuto ragguaglio. In Aquileja, sparsa di ruderi e di antichità romane e
bizantine e medievali, non vede che il Duomo, e non sa dirne altro, che
ei forma l'unica gloria di Aquileja. E sempre così. La sua mente non sa
riposare né approfondire nessuna cosa, se si toglie le questioni di lingua,
di filologia e di grammatica, che tutto lo assorbono. Quando in queste
' ultime questioni metteva il becco in molle, allora sì che non la finiva
più, e andava avanti per quanto lo si tenesse a bada. Per cavar la risata,
usava certi spedienti un po' primitivi, coni' era questo del gobbo, che fa
— 171 —
comparire parecchi anni di sèguito nei suoi Lunarj. Insomma tutto il
mondo del Moise è semplice semplice, ingenuo, dabbene, senza malizia,
senza volgarità.
Questo suo andare quieto, tranquillo, liscio come l'olio, senza scatti,
senza parossismi, senza nervosità, senza addarsene di tantissime questioni
riflettenti uomini e cose che travagliano il mondo e appassionano la società,
finivano, naturalmente, coli' annojare il pubblico e lasciarlo per lo meno
indifferente dei suoi Lunarj. Lo ritenevano i più un bel tomo di prete,
o, come da noi suolsi battezzare sì fatti individui, che si tolgono dalla
taglia presso che generale o comunale degli uomini, una cara e brava
macia. Ma chi bene s' addentra nella vita e negli studj del nostro Abate,
non potrà non consentire, che diversamente da quello che era non poteva
essere. A condurre, infatti, a compimento quelle colossali Grammatiche,
che gli costarono immense fatiche, era più che necessario, indispensabile,
tutto il raccoglimento del suo spirito, e la perenne tranquillità dell'animo
suo. Or come volete pretendere da un tal uomo la fantasia del poeta, la
immaginazione del romanziere, la versatilità dell' etnografo, e così via,
quando la questione d' una semplice particella, che ai più sembra cosa
insignificante, sia che così o così s' adoperi o si costruisca, preoccupava
Ini invece, come vedremo, per anni ed anni senza dargli pace nò riposo?
Io credo che tali studj sieno proprio la negazione dello scrittore, nel senso
di tarsi leggere avidamente dalla generalità dei lettori.
Di che potrei citare parecchi esempj; ma mi basterà nominare il Varchi
e il Bembo, senza andare più in là, fra gli antichi, e il Puoti e il Fanfani
ira i moderni; e l'uno e 1' altro per la generalità poco digeribili. Ciò non
toglie peraltro, doversi ritenere anche l'opera dei Grammatici e dei Filologi
per altamente civile e benemerita; e non disprezzarla o metterla in burla,
come alcuni soglion fare, con baldanzoso criterio e boriosa ignoranza. Ai
più, naturalmente, è la pedanteria dei Grammatici in fatto di lingua che
dà sui nervi. Ma io non saprei neppur concepire un Grammatico senza la
qualifica o la dote di pedante. O come volete eh' egli approvi le nostre
forme di dire o di scrivere sciatte o scorrette, se è di suo istituto il rilevarne
gli errori che sogliono introdursi nella lingua, e suggerirvi i rimedj per
correggervi ? Sarebbe lo stesso che pretendere dal Medico o dal Cerusico,
che lascino l' ammalato arbitro della propria cura, permettendogli di fare
il suo capriccio nella grave malattia che lo tormenta. Ciascuno segua dunque
1' arte o il mestier proprj, e rispettino il sapere e la scienza di qualunque
forma e natura esse siano. Questa della lingua poi è arte preziosissima,
siccome quella che «è il deposito dei pensieri e della civiltà di una nazione,
— 172 —
e chi in tempi corrotti prende a restaurare 1' antica lingua, dice Luigi Set-
tembrini '), fa rivivere la gloria e la civiltà antica .... »
Ed io mi approprierò quello eh' ei disse in relazione al presente
argomento parlando del suo bravo maestro, Marchese Puoti; avvegnaché
il giudizio eh' egli dà di lui calzi a capello anche pel nostro Moise, quan-
tunque il Moise non fosse po' poi un arrabbiato pedante, anzi taluno lo
disse persino di manica larga.
« Gli sciocchi soli — dice Settembrini — non sanno che la forma
essenzialmente è necessaria al concetto: e gli sciocchi soli lo accusavano
che ei s' intratteneva troppo sulle minuzie e lavorava troppo i periodi.
Quelle minuzie eran la cima e la perfezione dell'arte, e chi non è scrittore
perfetto non può apprezzarle giustamente, non può parlarne. Egli, perchè
solenne maestro, doveva insegnarle; dovevano parere inutili e superflue a
quelli, che credono che si è giunto ad essere scrittore quando si è imparato
a schivar gli errori di grammatica. E pure non le credevano superflue i
greci ed i romani che avevano tanto ingegno, tanti affetti e serbavano
regole minutissime nell'eloquenza. Studiavano i periodi quegli antichi oratori,
che con la divina potenza della parola signoreggiavano e movevano le
moltitudini, ed erano veri sovrani delle menti e delle opinioni; che l'arte
della parola, come 1' arte del regno, ha bisogno di grande forza d' ingegno
e di molte leggi. Chi dunque non è nato per comandar taccia ed obbedisca,
e scriva scritture da segreterie, da curie, da giornali ».
Ed il Moise sapeva propriamente addentrarsi negli arcani della favella,
e chi ha letto o meglio studiato le sue grammatiche — parlo delle mag-
giori — vi rinviene tutto ciò che spetta al meccanismo delle parole, ai
loro particolari elementi ; perciò lo studioso trova in esse il lume necessario
per dirigersi e scorgervi nel suo cammino, mentre trova aperta l'entrata
alla cognizione dei modi primitivi di dire, e dove le regole stabilite per
essi, arbitrarie e parziali, trovansi per la maggior parte in opposizione con
ciò che fu praticato nei tempi migliori della lingua.
') Scritti varj di Letteratura, Politica ed Arie. Napoli. Morano, 1871, voi. I. — Elogio
del marchese Basilio Puoti, pag. 134.
— 173
XIII.
Nel 1878 venne in luce la seconda edizione della Grammatica grande
del Moisc. A parlarne in pubblico, e non più in privato, fu il Fanfani. Il
quale scrisse nel N. 4 del cBorghini, anno su detto, una critica su codesta
opera del nostro autore. Vediamola; e con essa vediamo pure le risposte
che ne dà il Moise, che ebbe 1' onore questa volta di misurarsi pubblica-
mente non più con pigmei, ma con un colosso, com'era riconosciuto in
fatto di lingua Pietro Fanfani.
Il quale parlando di codesta Grammatica, scrisse :
È un bel volume di LVI — 11 56 pag., dove e' è tutta quanta la dottrina degli antichi
grammatici fino al Gherardini, ordinata e illustrata con molto senno.
C è peraltro, come nel più de' grammatici non antichi, e nel Gherardini special-
mente e nel Nannucci, la strana contradizione del voler combattere la pedanteria di coloro
che se ne stavano all' autorità degli scrittori buoni, con una pedanteria più pestilente,
quella vo' dire, che, abusando il principio d' autorità per un altro verso, autentica l'errore
con esempj di scrittori di autorità molto debole. Io non mi fermerò sopra tale argomento
da me trattato altre volte, né mi fermerò a recarne esempj da questa grammatica; ma
non posso fare che non dica due sole parole circa a due coserelle che mi toccano diret-
tamente.
Fermiamoci qui, e vediamo di qual natura sia la questione intavolata
dal Fanfani '). Ei convien sapere che l' illustre filologo fiorentino soleva
chiamare tutti gli scrittori posteriori al 1600, scrittori di autorità molto debole;
perciò soleva dire chiaro e tondo che gli esempj dal 600 in qua non gli
fanno ne gli ficcano, ove si tratti di autenticare con quelli voci e maniere
errate 0 forestiere, o altrimenti voci e maniere 0 errate 0 barbare, o altrimenti
ancora neologismi 0 modi errati e forestieri. Cosi disse egli nel Dialogo che
serve di Prefazione al Lessico della corrotta italianità pubblicato nel 1876 in
Milano da Paolo Carrara.
Dunque, a detta del Fanfani, le voci e maniere forestiere 0 barbare po-
steriori al eoo non sono errate, e sono errate le soli voci e maniere nostrali
dal 600 in qua. Mentre però cosi predicava, nel suo Vocabolario della lingua
') Il che faccio colla scorta del Dialogo II inserito nella Strenna Istriana (non più
Lunario) per 1' anno 1879 a. VII.
- 174 —
italiana alle voci o maniere nostrali dà lo stesso peso che dà alle forestiere o
barbare, quando ne quelle né queste sieno anteriori al 600.
Qual conto poi ne faceva dell' uso ?
Nel Dialogo or ora accennato ei riguarda l' uso sotto due aspetti : l'uso
degli scrittori e 1' uso del popolo. Uso degli scrittori chiama egli con Quin-
tiliano il consenso dei dotti; ond' è che quest' uso degli scrittori si riduce,
gira gira, all'autorità degli esempi tratti dalle loro opere. Sull'uso poi del
popolo, sta bene di sentire lui stesso. Ecco qui .... pag. XIII :
C. — O l'uso del popolo noi conti nulla?
P. — Lo conto e non lo conto. Lo conto se tu mi parli di un popolo che non
abbia comunanza con forestieri, e che sia stato sempre libero da straniera signoria : ma
non lo conto se mi parli di un popolo che è il contrario. In questo caso non si può
parlare altro che della Toscana, perchè in Italia non si può parlar d'uso d'altro popolo
che del Toscano: ma all'uso di questo ci si può egli stare in tutto e per tutto, massi-
mamente se parlasi delle città, dopo che si passò quella grandinata francese ne' primi
anni del secolo e con la smania che e' è tuttavia di scimmiottare in ogni cosa i Fran-
cesi? Non ti nego peraltro che possa bene far legge l'uso di un popolo di contado,
ma lontano assai dalle città.
Da tutto ciò si deduce, che 1' uso del popolo il Fanfani lo contava,
in generale, assai poco.
Ma di questo parere non era il Moise, il quale non poteva ancora
inghiottir la pillola di scartare tutti gli scrittori dal 600 in qua, accusandoli
tutti d' autorità molto debole. In ciò il Moise, pur rispettando il Fanfani, gli
dava torto tortissimo, e per due ragioni. La prima, ch'ei non poteva darsi
ad intendere non avere alcuna autorità un Galilei, un Bartoli, un Segneri,
un Redi, un Magalotti, un Salvini e altri scrittori degli ultimi due secoli
là dove usarono voci o maniere non usate dagli scrittori i quali fiorirono
nei secoli che precedettero al decimosettimo o le usarono diversamente da
quello che questi le avevano usate. La seconda, che altresì non poteva
credere aver preso errore in questa parte i più valenti filologi de' nostri
giorni, quali sono il Gherardini, il Nannucci, il Parenti, il Dal Rio, il Viani,
il Rocco, il Ricci e se altri ve n' ha.
E poi, si crederà forse che il Fanfani s' attenesse costantemente alla
sua dottrina ? Ohibò ! Nel Dialogo sopraccitato ei dice, come ora abbiamo
veduto, che gli esempj dal 600 in qua non gli formo né gli ficcano e che
l'uso del popolo e' lo conta e non lo conta; e, invece, nel Vocabolario della
' Lingua italiana e' ti registra una lunga fila di voci e di maniere, le quali
non hanno altra autorità che quella di taluni di siffatti esempj o quella
dell' uso comune, o 1' una e 1' altra insieme.
— i75 —
E il Moise riporta una trentina di siffatte voci sfogliando qua e là il
libro; ma chi volesse a comodo esaminarlo tutto, ne troverebbe tante da
farne un grosso volume. Dunque il Fanfani, condannando in questo riguardo
il Moise e gli altri Grammatici, si trovava fuori di strada. E se gli altri
Grammatici gli facevano la chiucehiurlaja, avevano non una ma mille ragioni.
Proseguiamo colla critica del Fanfani :
L'autore parla — ei dice — della particella Ci per *A lui, ^4 lei, ecc., e ne reca
molti esempj, tra buoni e cattivi, e tra questi uno tolto da una mia opera, credendo di
combatter me con 1' arme mia propria. Non vo' fare una guerra per il Ci ; solamente
dico al valente grammatico, che nel mio esempio il Ci non vale ^4 lui; come non ha
tal significato negli esempj di buoni scrittori da esso recati : e per prova gli dirò che,
secondo 1' uso nostro, può in tutti quei casi sostituirsi il vi, che niuno si sognerà di dire
significatorio di a lui o a lei, e in tutti que' casi vale a ciò, a questa cosa, in questo negozio,
o simili. Creda a me, che ho un po' di studio e un po' di pratica della lingua ; e che
sono Toscano. Qui da noi chi usa il Ci per a lui e a lei si conosce subito per non Toscano,
e un bottegajo che usa spesso questo modo, da lui udito dir continuamente a tempo della
capitale, ne è da tutti deriso come di una affettazione forestiera.
Il Moise era qui punto sul vivo; ma ne trionfò, come vedremo, con
tutti gli onori. E il Fanfani ebbe di nuovo torto.
Prima di tutto, per ben intendere questa osservazione del Fanfani,
bisogna vedere quel che dice su questo Ci il nostro Abate.
A pag. 86o, terzo capoverso, linea 3 della Grammatica grande il Moise
dice : « Certamente I' adoperano altresì (questa particella) per A lui, A lei,
»A loro; ma il Tommaseo (Dar. Tor. in Ci, Avv. loc. § 6) c'insegna
» clie — Dire promiscuamente Ci per A lui, A lei, A loro, come in certe
» parti d' Italia si fa, è sbaglio. rz: E il Fanfani alla sua volta avvertisce
» (Unii, ling., v. 2, pag. 153) rr che questo è difetto comune a' non
» Toscani — e (ivi, pag. 174) che — quando il Ci si usa per A lui, A
» lei, A loro, è contrario all' uso toscano, e chi dicesse Non ci scrivo più
» (Non scrivo a lei), Non ce lo dico per burla, si scoprirebbe subito per non
» toscano e si allontanerebbe dall'uso buono. z~ E in altri suoi scritti egli ripete
» queste medesime osservazioni ».
Qui, per amore di brevità, saltiamo il capoverso che segue e passiamo
a quello della pag. 861. Dice il Tommaseo (loc. cit.) che « Ci sta talvolta
» per Gli » e che ben si può dire « Ci avevo una certa affezione » per « Gli
» avevo una certa affezione » // ; ma riguardando la persona quasi luogo hi cai
» porre V affetto. Onde il modo de' Francesi e degli Italiani: Porri-: in alto
» o in basso luogo l' amore. // Se vogliam dunque scusare chi dice Ci ho
» o Ci avevo, ecc., ima certa affezione per Gli ho o Gli avevo una certa
- i76-
» affezione, bisogna che diciamo, secondo il Tommaseo, ch'ei considera qui
» la persona da esso amata come un luogo dove e' pone il suo amore.
» Ma questa opinione del Tommaseo di riguardare una persona come un
» luogo, sia detto con sua pace, la non ci va. Ciò si potrà far buono in
» que' soli casi dove al Ci si potesse sostituire un Qui, Qua, o un Lì Là;
» come chi dicesse : Questo Conte è il padre de bisognosi : io Ci ricorro
» spesso e sempre ne parto consolato. (Cioè, ricorro qua, a questa sua casa,
» ossia a lui). — Le monache di San Pietro fanno la carità, a tutti i poveri
» di questi dintorni: le nostre bambine Ci si presentano ogni giorno. (Cioè, si
» presentano là, al loro convento, ossia a loro). E questo Ci per Là, ossia
» A lui, o Da lui, fu adoperato molti secoli addietro dal volgarizzatore
» delle Vite de' Santi Padri ».
E qui il nostro autore porta una serie di altri esempj, poi continua :
« Ma, fuori di questi casi, lo scambiare una persona con un luogo la
» è una cosa che non ci entra né punto né poco. Molto tempo prima che
» il Tommaseo si fosse messo a compilare il Dizionario di Tor. aveva detto
» il Guadagnoli (Toes. gioc. pag. 136): — Sì tenero non son, ne delicato,
» Da svenirmi alla morte d'un piccione; Ma quando mi ci sono affezionato,
» Mi rincresce che partati le persone (cioè, quando mi sono affezionato a loro,
» mi rincresce ecc.). Né crediamo che il Guadagnoli abbia considerato le
» persone da sé amate, siccome luoghi, né per fermo il potea fare senza
» commettere una corbelleria da pigliare con le molle. Che una persona o
» un oggetto mobile qualunque si riguardi a volte come luogo, passi, via!;
» ma dire che i luoghi partono e' ci pare un po' troppo. Noi siam pertanto
» d' avviso che il Guadagnoli usurpò questo Ci riguardando le persone
» a sé care quali erano veramente, cioè a dire quali persone, e che l'usurpò
» a bello studio, certo di non commettere errore di sorta. E dopo il
» Guadagnoli similmente l' adoperarono il Giusti e lo stesso Fanfani. —
» Ai giovani va parlato amorevolmente ; e, se è vero che la sapienza sia
» Luce ìntellettual piena d' amore, è bene farsi fuori e ripredicarrela con
» aspetto dolce e benigno, quale a tenero padre si conviene Giust. Epist. 295
» (Cioè, ripredicarla loro o a loro). — Z. Il sig. Gustavo tu lo vedi di
» buon occhio .... L. Ma lo so eh' egli è di tanto da più di voi, e che
» io non ci potrei nemmen pensare. CB. Ma, se egli pensasse a te, che cosa
» ne diresti? Fanf. Bamb. pag. 101. (Cioè, io non potrei nemmeno pensare a
» lui. E che questo Ci importi veramente a lui, chiaro apparisce dallo a te
■p che vien dopo; se egli pensasse a te). — Ma dunque ha torto esso Fanfani
» quando dice non potersi così adoperare questo Ci ? — No, il Fanfani
» non ha torto. Egli sa bene che i Toscani così non usano comunemente
— '77 —
» questa particella, e però grida ai non Toscani: Non la usale mai così,
» non avvertendo (e in questo ei ben ci pare da compatire) che la regola
» generale patisce alcuna rarissima eccezione e eh' egli stesso una qualche
» volta 1' ha trasandata. — Ma, in quali casi poi avrà luogo questa rarissima
» eccezione ? — A questo, figliuoli miei, io non vi posso rispondere, non
» essendo io, come ben sapete, Toscano. — Ma intanto ? — Intanto io vi
» consiglio di attenervi strettamente all' avvertimento del Fanfani e di non
» dire mai e poi mai Ci per A lui, A lei, A loro ».
La teoria del Moise mi pare giustissima, e, per converso, mi pare che
il Fanfani ebbe torto di riprenderlo in ciò. Però il nostro autore avverte,
che a dare un giudizio giusto e' conviene esaminar bene l'osservazione del
filologo fiorentino. Il quale disse, che l'autore reca molti esempj, tra buoni
e cattivi, della particella Ci per A lui, A lei, A loro. Or questi molti esempj
si riducono in conclusione ai tre ultimi. In tutti gli altri la particella Ci
non importa direttamente A lui, A loro, ma è vero avverbio di luogo
significante Qua o Là.
Dunque che voleva dir egli con quel tra buoni e cattivi ?
Ecco. Se cattivi egli chiama gli esempj eli scrittori di autorità molto debole,
in tal caso quelli esempj, e i primi e gli ultimi, se ne togli uno delle Vite
de SS. PP. e uno del Cecchi, son tutti cattivi. Ma pare che quel cattivi
e' non io spieghi cosi ; perchè dice poco appresso che e= nel suo esempio
il Ci non vale A lui, come non ha tal significato negli esempj di buoni
scrittori da esso (valente grammatico) recati. = Dunque esempj di buoni
scrittori dovrebbero essere quello del Guadagnoli e quello del Giusti ; giacche
in quelli soltanto il Moise dà direttamente al Ci la significazione riprovata
dal Fanfani.
Vediamo un poco se in questi il Ci si può spiegare, come dice il critico,
per A ciò, A questa cosa, in questo negozio, o simili. — Mi rincresce che
partano le persone, quando mi sono affezionato a ciò, a questa cosa, in questo
negozio. — Ai giovani va parlato amorevolmente; e, se è vero che la sapienza
sia luce, ecc., è bene farsi fuori a ripredicarla a ciò, a questa cosa, hi questo
negozio con aspetto dolce e benigno. — Ci si trova il senso ?
Esaminiamo 1' esempio del Fanfani. — Z. Il sig. Gustavo tu lo vedi
di buon occhio .... L. Ma lo so ... . eh' io non potrei nettimeli pensare
a questa cosa, cioè, a vederlo di buon occhio.
La spiegazione sarebbe per lo meno stiracchiata ; tuttavia convien con-
fessare che il senso e' è e può passare. Un esempio simile a questo il Moise
}' avea trovato, dopo letta la critica del Fanfani, nt\Y Amena Prefazione del
- i78 -
Ricci '). — Così gli avviene come a un cavallerizzo che passa per la strada,
e nessuno ci bada: ma se entra col suo cavallo a notar nel fiume, tutta la
gente si affaccia al ponte a vedere con improvvisa curiosità. Quel nessuno
ci bada si può spiegare ~ nessuno bada a questa cosa, cioè, a questo, ch'egli
passa, ossia al suo passare. =
Convien confessare però, che codesta maniera d' interpretare è per lo
meno artificiale, mentre è più naturale e più piano di dare ad ambidue
questi Ci il valore di A lui, come fece il Moise a quello del Fanfani. Non
vuole questi, e, con lui, ne anco il Ricci, che mai si dica Ci per A lui,
A lei, A loro, e sono, chi noi sa? e l'uno e l'altro toscani, e valenti filologi
e sommi scrittori, e in materia di lingua e l'uno e l'altro comandano le
feste ; ma che era un menchero il Tommaseo ? La sua autorità non avrà
dunque alcun peso ? Che il bottegajo accennato dal critico faccia male
malissimo a usare spesso il Ci per A lui, A lei, A loro, ognuno sei vede:
perchè il Tommaseo non parla di spesso, ma di talvolta, e il Moise non
allegò po' poi che tre esempj di tre scrittori diversi.
Anzi, convien soggiungere, che non sono degni di lode il Fanfani e
il Ricci quando usano il Ci di equivoco significato.
Ma il Fanfani dice ancora che nei tre esempj soprallegati al Ci può
sostituirsi il Vi.
Quantunque il Moise non si ricordasse d' aver veduto mai così ado-
perato il Vi ; tuttavia s'adagiò con buon garbo all'autorità del suo critico.
Disse però questo, a sua giustificazione, che, se nell'esempio del Guadagnoli
e in quello del Giusti al Ci si sostituisce il Vi, il senso resterà tuttavia
oscuro, o, per meglio dire, non ci sarà senso né col Ci né col Vi: ma se
negli esempj del Fanfani e del Ricci, invece del Ci si mette il Vi, nessuno
mai dirà, come lo stesso Fanfani, che quel Vi importa A lui, e sarà tolto
così ogni equivoco.
Andiamo avanti colla critica.
L' altra cosa che mi tocca è 1' errore, frequente presso gì' idioti, di scrivere e dire
dossi e stassi per dessi e stessi. Il Nannucci, al suo solito, volle difender questo errore
con gli esempj, e anche a' verbi 'Dare e Stare applicò la sua cervellotica teoria; alla quale
contradissi con uno scritto apposta. Tale scritto è riportato dal Moise nelle note e con-
futato in certe note di note, standosene a' sogni del Nannucci; e qui è padrone, né c'è
niente di male. Basta che le contronote dell' Abate Moise non mi fanno cambiare neni-
') Prose sacre, morali e filosofiche, pag. XII.
— 179 —
meno una virgola della mia Crhscàtdh grammaticale su' verbi Dare e Stare. Egli però tale
errore autentica con un esempio, di chi? di Cesare Guasti. 11 Guasti non so che faccia
testo di lingua, se non per il Granduca Canapone e per le Sagrestie: chi se ne intende
loda le sue scritture per molti pregi non comuni; ma gli dà nel naso la smania di imitare
il Tommaseo, l'uso non raro di neologismi, e la puerile affettazione dell'idiotismo, per
la quale, non solo scrive erratamente Stossi e Dassi; ma Andiedt per Andò, Inghilest per
e simili. Chi dà regole di buona lingua dee farsi autorità di questa roba, e in-
segnarla a' giovani?
Anche qui, per giudicar della critica, bisogna leggere ciò che su questo
argomento dice il Moise. Ecco come egli si esprime nella sua Grammatica
(Pao- 535) : (< Dice il Fanfani : == Venuto (il Nannucci) all'imperfetto del
» congiuntivo, e' dice — Dassi, Basse, Dassimo, Daste, Dasscro. Cosi co-
» stantemente i toscani. =r E qui gli pone la seguente nota :
» — Non è vero: tutto il contado, tutta la plebe e tutti i ben parlanti
» dicono in Toscana desse, desti, ecc.; e dossi lo dicono solo quegli che non
«sono né carne né pesce ir: ».
Poi l'Abate Moise continua così la nota :
« Figlioli miei, leggete questi due esempj. — Non può esser mai picciol
» dono quello che viene dal sommo Dio. Anche se ne dasse pene e battiture,
» ci dovrebbe esser gradito (Guasti. Imit. Cri., pag. 145). — Quando l'uomo
» dasse via tutt' il suo, sarebbe pure un nulla (Id. ib. pag. 149). Leggete
«ancora: — Tutti sanno come il Guasti sia uno di quei pochissimi, acuì
» la polvere degli archivj non abbia arruginito la penna, da letterato. E vero
» che oggi 1' essere Accademico della Crusca non è un argomento sicuro
» per provare che uno conosce la lingua e sa scrivere ; ma il Guasti siede
» sulle gerle ab antico e prima che per aver le fave vere bastasse 1' aver
» trillato : Italia tuia. E i suoi scritti di svariatissima letteratura provano clic
» noi non abbiamo preso a nolo l' incensiere da nessuno. — Rice. M. Pros.
» lett. pag. 419 (dove appunto ei ragiona di questa traduzione dell' Imit.
» di Cristo fatta da Cesare Guasti). Anche nelle Tessitore, che tanto furon
» lodate dal Giusti e che, a giudizio del Rigutini, sono forse la più gentile
» e la più cara cosa che uscisse dal cuore e dalla penna di Pietro Tbouar, leg-
» giamo (pag. 30) : — Io, vedete, i' starei a patto di non toccar mai la
» palla d'un quattrino, purché la zappa e la vanga mi dassero il campamento
» all' aria aperta rr ».
Curioso ebe il Fanfani non abbia fatto menzione dell' esempio del
Thouar, la cui autorità, se vogliam prestar fede al Giusti e al Rigutini,
vale pur qualche cosa. Ne si capisce ancora perchè il Fanfani facesse sì poco
conto del Guasti, specialmente dopo che il Ricci, scrittore del peso e della
misura che tutti sanno, n' ha detto quel che n' ha detto. Se il Moise, dunque,
— 180 —
ha qui errato — e non credo affé eh' ei abbia errato, con tutto il rispetto
all' illustre Fanfara — ei si trova in ottima compagnia.
Del resto il Moise, lungi dall' aversela a male dei pochi appunti che
gli avea fatti il Fanfani sul suo immane lavoro, se ne gloriò di molto, e
la critica l'ebbe gradita che mai, si fattamente gradita, che pregò il tipografo
Polverini a fare al sig. Fanfani un monte di ringraziamenti.
XIV.
Il Fanfani lesse la risposta che dette il Moise alla sua critica, e non si
acquetò, tanto gli cuoceva di essere stato battuto, o quanto meno contra-
riato dall'Abate chersino. È noto, infatti, che il Fanfani era d'animo assoluto
e autoritario, e talvolta, persino, bizzoso. Premesso questo, ei pigliò la
penna e scrisse nel solito Giornale di Filologia e di Lettere Italiane, il
'Borgbini '), la sua bella replica, cui intitolò : L' Abate Moise Grammatico-
Lunarista. Già nel titolo il grande Maestro di filologia italiana mostrava
il fianco del risentimento, avvegnaché chiamasse il Moise Lunarista, non
per lode, ma per istrazio, come di primo acchito può ad ognuno scattare
all'occhio. Ma anche il titolo era sbagliato, imperocché il Moise avea cessato
da più di un anno di fare Limar], e in quella vece dava fuori ogni anno
la Strenna istriana, nella prima delle quali appunto egli si era difeso dalla
critica del Fanfani. E di fatti nella Strenna non c'era materia che autorizzasse
più nessuno a battezzarla per Lunario. E poi, Strenna o Lunaiio, poco
importa. Dovere di un critico é di confutare le ragioni eh' egli legge in
uno scritto, qualunque esso sia, e non già di sbertare il titolo di esso e
il trattare eh' e' fa in alcun luogo di materie estranee al suo argomento.
Il vero, qualunque autore lo dica e in qualunque libro si trovi scritto, sarà
sempre e poi sempre vero. — Così la pensava il Moise, e, non c'è che
dire, avea ragione da vendere. Ma, veniamo all' articolo. Eccolo :
Al mio scritto sopra la sua Grammatica, che si legge nel "Bor girini ecc., 1' Abate
Moise risponde nel suo Lunario del Baccelli di quest'anno medesimo, combattendo una
') Anno V, n. 13, 1 gennajo 1879, pag. 205.
— ISI —
mia dottrina su' modi errati; e ajutandosi degli argomenti dell' Ipse dixit.Vnma. di com-
battere una dottrina, si cerca d'intenderla per il suo verso; ma l'Abate Moise mostra di
aver franteso la mia, né io vo' perdere il tempo a chiarigliela. Si ferma poi molto sul
voler provare che il Ci per a lui, a lei è dell'uso toscano; ma io Toscano l'accerto che
s'inganna in grosso; e che di tutti quegli esempj che reca, se sono di Toscani, non ce
n' è uno solo dove il Ci stia assolutamente per a lui o a hi. Almanacchi pure quanto
vuole co' suoi autoritarj, coi suoi esempj del Guasti, e con altri suoi sottigliumi, che io
starò fermo nel mio proposito, e lo lascerò dire, sapendo che in opera di Toscanità si
crederà sempre più a me che a lui e a' suoi Autori (!).
Questa breve stoccata l'appunta poi con tre note; la prima delle quali
dice che il Moise gli fa dire le più strane corbellerie; affermando che ei
chiama dì autorità mollo debole gli scrittori anteriori al secento, quando
aveva detto appunto il contrario; che lo fa conchiudere che le voci e maniere
forestiere o barbare posteriori al 600 non sono errate, e sono errate le sole voci
e maniere nostrali dal 600 in qua. Proposizione assurda e pazza, alla quale
non aveva mai pensato. La seconda gli rimprovera di aver citato a sproposito
alcuni suoi esempj, ne' quali vorrebbe dare al ci il significato di a luì,
« quando esso è lontano da tal significato quanto gennaio dalle more ».
E sentenzia: «non si fermi (il Moise) troppo a disputare di proprietà
» toscane ». Nella terza dice : « Padrone il Moise di tenere il Guasti per
» testo di lingua; lo teneva anche Canapone (!). Ne io dico che il Guasti
«sia cattivo scrittore; dico che gli nuoce l'affettata imitazione del Tom-
» masèo, e l'abuso ch'ei fa, a bella posta, dell'idiotismo, scrivendo Ingbilese,
» andiede, dasse per desse e simili ».
Come si vede, la replica era corta, ma pepata. Controdimostrazioni
però non ne porta punte punte. Quelle del Fanfani non sono che parole,
mentre quelli del Moise eran fatti, come il lettore avrà potuto convincersi.
Dunque il Moise non s' era ajutato degli argomenti dell' Ipse dixit. E che
la teoria del Fanfani fosse falsa, basta il vedere eh' egli stesso — grande
scrittore come tutti sanno — ci fa contro le mille volte, ed è, conseguen-
temente, con se stesso in contraddizione.
Però il Moise, a questa seconda critica, si trovò imbrogliato a rispondere.
Il Fanfani, poco dopo la replica, era passato nel numero dei più, e la sua
morte accuorò molto il nostro Abate, che di lui aveva grande estimazione.
Malgrado tuttavia codesta estimazione, egli si proponeva di rispondergli per
le rime nella prossima Strenna. Sopravvenuta la morte del suo contradditore,
si senti in gran parte disarmato. Considerato tuttavia che gli scrittori non
muojono — e il Fanfani ne' suoi scritti è ancor vivo e verde — e che
il difenderci contro di chi falsamente ci accusa non è un dir male, quando
la difesa non oltrepassa i termini del giusto e dell'onesto, pensò di smettere
— 182 —
ogni dubbiezza e di purgarsi, come fece, delle accuse che gli eran state
fatte nel cBorghini ').
E prima di tutto si accusa d' un errore di penna. Nella fretta dello
scrivere il Moise in cambio di posteriori pose anteriori. Egli era facile a
chiunque il vedere che quello era uno sbaglio puramente involontario, un
errore di penna e non d' intelletto; e il Fanfani stesso lo intese, ma finse
di non intenderlo. In siffatti errori, sì nel parlare e si nello scrivere, più
e più volte tutti si cade : e ci cadde lo stesso Fanfani in questo medesimo
articolo, come ebbe a dimostrarlo il Moise s).
Sapeva anche il Moise, che le voci e maniere forestiere o barbare posteriori
al 600 non sono errate, e sono errate le sole voci e maniere nostrali dal 600
in qua era una proposizione assurda e pazza, e alla quale il Fanfani non
ci aveva mai pensato: ma pur l' aveva detta. Ecco come il Fanfani si
esprime nel Lessico della corrotta italianità 3) : « Tu sai come a questi giorni
» è più accesa che mai tra' filologi italiani la disputa, non così lieve per
» avventura ne così oziosa come pare ad alcuno, di queste benedette voci
» e maniere 0 errate 0 forastierc ». Dunque, secondo che dice lui, le voci e
maniere forestiere non sotto errate. E più oltre '): « O senti: chi per difendere
» voci straniere 0 errate 0 barbare, non mi portasse esempj di scrittori antichi,
» o per lo meno anteriori al 1600, e' farebbe un buco nell'acqua ». Dunque,
stando a quel che dice lui, le voci e maniere barbare non sono errate. L' illazione
zampilla chiara come i raggi dalla luce.
Passando al Ci preso in significato di A liti, A lei, A loro, il Fanfani
dice che il nostro autore si ferma molto sul voler provare che questo Ci
è dell' uso toscano ; perchè, dicendo così, darebbe indirettamente piena
facoltà ai giovani studiosi di adoperarlo, quando invece ei raccomanda loro
di non usarlo mai e poi mai : ma dice solamente che qualche raro esempio
se ne trova in buone scritture odierne. Ora il Fanfani afferma che in nessuno
degli esempj addotti dal Moise il Ci ha quell' accezione, e dice all' incontro
eh' esso importa ^4 ciò, <A questa cosa, In questo negozio, o simili. Il Moise ,
si è provato, come vedemmo, a spiegarlo così nei passi del Guadagnoli,
del Giusti e di esso Fanfani, ma o non ci ha trovato senso o ci ha trovato
') Vedi Strenna Isti: per l'unito bisestile 1880. Dialogo fra N. C. e Sand., pag. 39 seg.
*) L'errore stava Dell'aver scritto un a lei invece di un a lui.
3) Pag. Ili in line.
*) Pag. VII, sesto capoverso.
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un senso tirato co' denti. Onde che ne il Moise né alcun altro si possono
adagiare nella sentenza del Fanfani. E bisogna conchiudere che in quelli
esempj o il Ci ha il significato che gli dà il nostro autore, o ha un significato
diverso e da quello che gli dà il nostro autore e da quello che gli dà il
Pantani: altrimenti non se n'esce. Perciò convcrria ricorrere ad un tribunale
competente che pronunziasse una sentenza inappellabile, e allora la gran
questione sarebbe terminata ').
Né il Moise era ostinato a sostenere fino in fondo la sua opinione.
Egli era docile quanto mai e pronto a ricredersi subito, ove un valentuomo
gli avesse dimostrato eh' egli aveva torto. E una prova di questa sua
arrendevolezza egli la diede col prof. Cattaneo. Il lettore si ricorderà ancora
che cosa il Cattaneo aveva scritto contro il Moise, quando la seconda
edizione della Grammatica era tuttavia in corso di stampa. Ebbene, il detto
professore notò nelle prime pagine della sua Gramma/ichetta alcuni veri
errori. Ora quei medesimi errori notati dal Cattaneo e' erano pure nella
seconda edizione della Grammatica, e, perchè i primi fogli più non si
potevan correggere, essendo già stampati, il nostro autore die' ordine al
tipografo che in tutte le copie della Grammatica i luoghi errati si segnassero
con un lapis celeste e nell' Errata-Corrige si dicesse a suo tempo che le
linee così segnate s' intendevano tolte via dal testo; e così fu fatto. Oltre
a ciò egli confessò — caso rarissimo nei letterati e nei filologi partico-
larmente — pubblicamente que' suoi errori e ne rese grazie al prof. Cattaneo.
Di tal tempra era il nostro grammatico ! E degli esempj consimili ne ve-
dremo ancora. Però, fosse pur Fanfani o qualsiasi altro, non si rimetteva
all'ingrosso nel giudizio altrui, ma voleva restarne persuaso. Onde deside-
rava ardentemente che i filologi d' Italia gli distrigassero codesta questione
del Ci.
Nò si creda che l'articolo del Fanfani lo istizzisse. Racconta egli stesso 8)
di averlo letto appena ebbe desinato, e quella lettura servì ad ajutargli la
digestione. Ma prima ancora eh' egli si mettesse a leggerlo, il solo titolo
lo fé' andare in visibilio. E soleva poi dire, che a lui fu di lunga mano
più caro il biasimo che gli die' il Fanfani, che non i grandi elogi che gli
') La questione rimane tuttavia insoluta ; perché nessuno, che io mi sappia, spiegò
il significato di questa particella nei tre esempj addotti nella Grammatica grande dal
nostro Abate.
*) Nel Dialogo sopra citato.
— 184 —
dettero dappoi la Civiltà Cattolica, le Nuove Effemeridi Siciliane e 1' Unione
di Capodistria. Non gli pareva vero che quel pezzo grosso ch'era il Fanfani
si fosse degnato di mettersi con esso a tu per tu.
Questo fatto (della contesa col Fanfani) aveva solleticato ancora l'amor
proprio dei chersini e degli amici istriani del Moise, i quali tutti fecero a
lui un monte di congratulazioni, e per somma lode gli recitavano, ponendole
in bocca al Fanfani, quelle parole che nella Gerusalemme Liberata (VI, 32)
rivolge Argante ad Ottone :
Per tua gloria basti
Che dir potrai che contra me pugnasti.
Il Fanfani non si limitò di rispondere al nostro Abate nelle poche righe
che riportammo più sopra, ma prendendo a pretesto nel numero sopraccitato
del rBorgbini d'una critica — la qual critica precede immediatamente quella
onde finora s' è parlato — che faceva al eh. prof. Bartolommeo Veratti,
autore degli Studj filologici, Strenna pel 1879, Modena, 1878, di mattonella
egli di tratto in tratto si rivolge contro il Moise e lo combatte su due
punti, sulla dottrina de' modi errati e sul verbo Venire preso come ausiliario.
L'articolo è lungo e comprende sette pagine; a noi basterà di accennare
alcuni luoghi soltanto, quelli, cioè, che riflettono il nostro Abate.
Il Fanfani dice dunque a pag. 197 :
Sulla materia de' modi errati io scrissi venti anni sono un dialogo, stampato e ri-
stampato più volte, nel quale pongo distesamente la dottrina che prolesso in questa
materia: e secondo tal dottrina mi son sempre conformato.
Il Moise dimostra, non esser vero eh' egli si sia conformato sempre
alla sua dottrina; perchè nel suo Voc. ling. ital. registra per buone e legittime
più e più voci e maniere posteriori al 1600, e, conseguentemente alla sua
dottrina, non buone né legittime: e a sincerarsene basta vedere quelle poche
dal Moise addotte nella Strenna del '79.
Andiamo avanti. Ivi, nota :
Il Grammatico Abate Moise in un Lunario (sic) fa prova di combattere tal dottrina;
ma siccome egli mostra di non l'aver compresa, e' mi fa dire il rovescio di quel che dico,
non credo conveniente il rispondere all'autore dell'almanacco (sic).
Ma di ciò ho già parlato altrove, onde non accade di parlarne più.
Seguitiamo. — Pag. 199 :
Circa agli esempj (di Venire verbo ausiliario) recati dal Moise, è vero che ce ne
sono alcuni antichi, ma non del Trecento (non è necessario che sieno del Trecento, ma
- i85 -
serve che sieno anteriori al secento), perchè quella Regola pastorale di S. Gregorio, da
cui ne cita tre esempj, non è del sec. XIV, ma del XV, e non di uno scrittore di prima
nota; e tutto il restante è appunto roba dal secento in qua.
Questa conclusione è falsa ; perchè a' tre esempj tratti dalla Reg. past.
ne seguono altri tre del 500, l' uno del Salviati, l' altro del Berni e il terzo
del Baldi. Ai quali il Moise poteva aggiungere per quarto V Egli vieti morto
dell'Ariosto (Fur. XIX, 58) da lui citato a pag. 442, e altri e altri ancora.
Dunque non è vero che tutto il restante è roba dal secento in qua.
Tiriamo innanzi. — Pag. 200 :
Quel veniva (in veniva leggendo, veniva facendo ecc.) parve a qualcuno che rendesse
odore come di ausiliare (né si capisce davvero come ciò possa essere; perchè l'ausiliare
si unisce ai paiticipj passati degli altri verbi, e non ai gerundj quali sono leggendo, fa-
cendo ecc.) e credè di poter adottare esso verbo ai participi passati, facendolo servir
come di ausiliare; e venne a dare il tracollo il Boccaccio, il quale, coartando, come spesso
faceva, la lingua, aggiunse al participio passato quel venire sino allora unito ai gerundj,
e scrisse ri venne scontrato per si scontrò ; dove il Gherardini spiega bene, ri scontrò per caso.
Il per caso del Gherardini non e' entra per niente. Ecco per intiero
il passo del Boccaccio ') : Così andando (Andreuccio), si venne scontrato in
que' due suoi compagni, li quali a trarlo dal pozzo venivano. — Il Fanfani
dice che il verbo Venire in questo e in simili esempj è adoperato unicamente
a indicare una certa eventualità dell'azione; ma qui l'eventualità dell'azione
non è già indicata dal verbo Venire, sibbene è indicata dal verbo Scontrarsi:
laonde, ove al venne fosse surrogato il fu, noi ci vedremmo indicata altresì
1' eventualità dell' azione. Ognun vede pertanto che qui tanto importa il
venne quanto il jtt; onde, se questo ci sta come ausiliario, e' ci deve stare
come ausiliario anche quello. Per chiarire meglio 1' uffizio del Venire, verbo
ausiliario, starà bene di recare un esempio ancora più chiaro. — Non se
ne potè condurre (grano né orzo) per la via di Pisa in tutto più che moggia
ventiduemila di grano, e moggia millesettecento d'orzo, il quale venne costato,
posto a Firenze, fiorini undici d' oro il moggio del grano, e fiorini sette
il moggio dell'orzo s). — Ora che importa qui il venne costato? Esso importa
1" tesso che fu costalo, ossia costò, come spiega il Dal Rio5); e, se in
jit costato il fu è verbo ausiliario, verbo ausiliario debb' essere anche il venne
') g- 2. "• 5. v- 2» pag- no.
'', Vili. Giov. lib. 12, cap. 73, pag. 487, v. 2.
') .-U: m. pag. 287, not. 8.
11
— 186 —
in venne costato. E qui il venne costato non esprime certo quell' eventualità
dell'azione che nel superiore esempio vediamo indicato dal si venne scontrato.
Il ragionamento mi par tirato a fil di logica. Peccato che l'Abate Moise
non abbia potuto mettere questi due passi in capo alla lunga sfilata di esempj
da sé addotti. Però è da osservarsi ch'egli rigorosamente non poteva farlo,
perchè qui si tratta di verbi intransitivi, e lì egli parla di verbi passivi.
Il Fanfani ancora. — Pag. 201 :
Signori Grammatici, quando si comincia a sgarrare, non si sa dove si va a finire....
Ma vo' darvi un esempio del vostro bel senno nel citare per autorità i viventi. Io, io
stesso, usai in certe scritture stampate 1' una 20 anni, e l'altra più di io anni sono, questo
verbo venire a modo di ausiliare, e non mi diede nell' occhio quando le ristampai. Un
amico, non cruscante e non grammatico, mi avverti dell'ineleganza: mi ci fermai su;
studiai la materia: conobbi che l'amico aveva ragione, e lo ringraziai, correggendo quei
luoghi per il caso di una terza edizione. Bene : il Grammatico Moise, tra' suoi esempj
in difesa del Venire ausiliare, cita anche quei due esempj da me riconosciuti per errore
e corretti!! Ecco che cosa valgono gli esempj.
Ma qui il Fanfani si lamenta a torto. Quando dieci o venti anni addietro
egli dava in luce que' due scritti, il Venire così adoperato e' lo teneva
certo per buono, e quando ultimamente li ripubblicava e' lo teneva simil-
mente per buono. Perchè dunque condannare il nostro Moise s'egli allega
anche que' due esempj a confermare la sua dottrina ? Ma ora il nostro
critico riprova quel Venire siccome inelegante, anzi siccome erroneo! E sia!
si serva pure, ma non condanni il Moise s' ei dimostra lui essere con sé
stesso in contraddizione. Sennonché non è da credersi che quando il Fanfani
buttava giù quella tirata contro l'Abate, egli tenesse veramente quel Venire
per inelegante e per erroneo. Tant'è vero che, mentre in gennajo lo diceva
inelegante ed erroneo, in febbrajo, cioè un mese appresso, ei 1' usurpava
da capo in un articolo sul Carme latino De Sole del prof. Giovanni Bacci ').
Ecco qua: « Il Bacci dunque, tuttora giovane, e i pochi simili a lui, lavori
» senza riposo per fare argine in qualche modo a quella barbane, che viene
» insegnata su per certe cattedre sotto titolo di civiltà ». Ora, si domanda,
a chi si deve credere ? al Fanfani che insegna agli altri le regole del bello
scrivere, o al Fanfani che scrive a conto suo ?
Ed il Moise giustamente sentenzia: al Fanfani che scrive a conto suo:
perchè le parole son femmine, dice il proverbio, e i fatti son maschi. E lo
5 Borghini a. 5, n. 15, pag. 257.
- i87 -
stesso Fanfani la pensava così riguardo al nostro autore, quando nell' ora
citato N. 15 del Borghini inseriva (pag. 238) un articolo sulle Quattro operette
ascetiche di S. Bonaventura da esso volgarizzate; cioè a dire credeva più al
Moise, volgarizzatore di S. Bonaventura, che non al Moise, autore della
Grammatica.
Ecco l'articolo del Borghini:
Questo traduttore è quello stesso Moise, autore di una Grammatica della quale ho
parlato nel N. 4 di questo periodico. Egli e da Cherso, sul Littorale Austriaco ; ma è
tra' pochissimi che comprendano assai bene la Toscanità, benché non Toscani; e che abbiano,
scrìvendo, il sapore e la schiettezza della lingua italiana : della qual cosa è prova parlante
la presente traduzione, tutta semplice, tutta pura, tenuti vani fronzoli, sen^a ombra di affet-
tazione. L' Abate Moise nella sua Grammatica ha fatto prova di difendere, per via di
esempj, molti modi improprj, e anche falsi: ma nella sua versione non se ne trova pur uno;
e si veggono fuggiti studiosamente. Ma, se gli fugge egli con tanta lode, perché non
insegnarli fuggire anche a' giovani? Padre Zappata predicava bene e razzolava male: il
Moise, al contrario, in qualche caso predica male, ma ra^ola sempre bene. La sua può
essere una bizzarria; ma non è però ipocrisia, come quella dello Zappata: e però non
gli facciamo colpa della prima parte, e lo lodiamo schiettamente dell' altra.
Codesto, si può ben dire, è un bocconcino per la quale, e il nostro
Abate se ne tenne come d' un fiore al petto. Ma, tuttavia, egli è proprio
vero che il Moise difende nella sua Grammatica molti modi improprj o
falsi ?
Ciò non è vero. Ei difende sì molte voci e locuzioni che sono giudicate
improprie o false dai filologi troppo severi. Tali sono Onde per Affinchè o
Affine di ; Ovunque o Dovunque per Da per tutto ; Lo o II aggettivo invariabile
per il Le de' Francesi; Limitarsi per Restringersi; Porsi a contatto di alcuno
per Cominciare a trattarsi, >cc. Or queste voci o locuzioni, tuttoché buone,
perchè confortate dall'autorità d'innumerevoli esempj di classici autori, egli
in seguito costantemente le sfuggiva nelle sue scritture, siccome quelle, che,
a suo giudizio, non sono né belle né necessarie e sono per lo più fuggite
dai migliori.
Stando così le cose, quantunque non ne fosse in tutto in tutto persuaso,
pur tuttavia il savio e amorevole rimprovero del Fanfani commosse altamente
il beli' animo del Moise : ondechè in un secondo Compendio eh' egli stava
allora preparando dell'opera grande — Compendìo che riuscì, come vedremo,
più esteso assai del primo, cioè della Grammatichetla — egli s'era proposto
di raccomandare, come raccomandò, ai giovani studiosi di fuggire tutte le
siffatte voci e locuzioni; e lo kce e per sua intima persuasione e per grato
animo verso il Fanfani, il quale poco avanti di morire gli lasciava come
in testamento questo savio avviso.
i88 —
XV.
Abbiamo veduto testé portare a cento cieli da un Fanfani il nostro
Moise, nella sua qualità di volgarizzatore di S. Bonaventura. Infatti nel-
l'anno 1878 ei pubblicava a Firenze (Tip. del Vocabolario) un volume di
264 pagine di 160 ordinario, dal titolo: Quattro operette ascetiche
del Serafico Dottore San Bonaventura volgarizzate dall'Abate G. Moise.
O com' è che il nostro Abate si mettesse in questa impresa ?
Egli era da parecchi anni amico del padre maestro Pacifico Rubini de'
Minori Conventuali, dotto e pio religioso del Convento di S. Francesco di
Cherso '). Or questo Padre gli dette a leggere un giorno un libricciuolo
dove si contenevano i quattro opuscoli ascetici del dottore S. Bonaventura
che, due anni appresso, volgarizzati, egli mise alla luce. Con ciò egli intendeva
di fare un gran bene non che ai giovani del Convento di Cherso, a tutti
in generale i Novizj dell'Ordine Serafico che parlano l' italiano. « E in tatti
i Superiori danno a tutti i loro Novizj questo libricciuolo e caldamente ne
raccomandan loro la lettura e lo studio, ond' essi Novizj 1' hanno tutto
giorno tra mano e tutto giorno lo leggono e lo studiano ». Ma il Moise
coli' amico suo P. Rubini non eran persuasi che i giovani dalla lettura e
dallo studio di esso ne cavassero quel profitto che cavar ne dovrebbero.
« Primo, perchè la più parte di essi e per la loro tenera età e per il poco
studio che han fatto della lingua latina, non sono in grado di saperne quel
tanto che si richiede a intendere un libro che in quella lingua sia scritto.
Secondo, perchè quand'anche taluno di loro ne sappiali tanto di latino, da
poter bastantemente intendere un classico autore che visse nel secolo di
Augusto o giù di lì, non ne sanno però tanto, da poter intendere bastan-
temente un autore che fiorì molti secoli dopo, quando il latino s' era di
molto corrotto, accogliendo non poche voci barbare e perdendo in gran
parte quelle maniere semplici e schiette che si trovano nelle opere degli
antichi scrittori ». Per tutto ciò era necessaria una buona traduzione volgare
di queste operette.
') Vedi Prefazione.
— 189 —
Il Moise prese dunque il libricciuolo e lo lesse da cima a fondo con
sommo piacere, e conobbe che avrebbe fatto un'opera santissima se l'avesse
tradotto nella nostra lingua. Prima peraltro di mettersi a volgarizzarlo gli
bisognava sapere se altri lo avesse tradotto prima di lui, e se quella tra-
duzione fosse una traduzione a garbo, nel qual caso sarebbe stato inutile
che si ponesse lui a farne una seconda. Seppe dal P. Rubini che non ne
esistevano altre traduzioni se non una antica, cioè anteriore a questo secolo,
della quale ignorava l'autore, e una moderna del P. Antonio da Rignano
de' Minori Osservanti. L'antica, ornai rara, non potè vederla ; ma ben vide
la moderna, la quale, più che una traduzione, poteva chiamarsi una parafrasi.
Allora finalmente si messe di buzzo buono al lavoro e il di 24 marzo 1877
la traduzione era beli' e terminata, e un anno appresso stampata.
Nel iar questo volgarizzamento l'Abate s'è servito dell'edizione latina
sopra detta, e ne' luoghi di dubbia od oscura interpretazione ha consultata
la versione italiana del P. Antonio da Rignano ; ma, per sua mala ventura,
ne cavò per lo più assai poca di luce. Da per tutto egli ha seguito l'ordine
del testo latino, salvo che la prima parte dello Specchio della Disciplina che
è li tutta tutta d' un pezzo, egli 1' ha divisa in due sezioni come 1' aveva
divisa il santo dottore, qualmente apparisce da quel che si legge verso la
fine del Prologo. Oltre a ciò, dei Ricordi del buon vivere che il da Rignano
pone malamente alla fine dell'ultimo capo della Regola de' Novizi, egli fa,
come veramente va fatto, un trattato speciale, e ne fa un trattato speciale
anco il da Rignano nella sua traduzione. Per comodo dei lettori, ha notato
di mano in mano nel margine la pagina dell'edizione latina, e nella seconda
sezione della prima parte dello Specchio al numero esterno di ciascun capo
ha aggiunto in parentesi il numero che porta esso capo nella edizione
sopraccennata. A pie' della pagina poi, ov'era bisogno, ha messo di tratto
in tratto alcuna breve nota.
Questo volgarizzamento 1' Abate 1' ha fatto con grande amore e con
somma pazienza, tenendosi sempre, per quanto gli fu possibile, fedele al
testo. « In esso nulla e è di grandioso, di sublime, di magnifico, ma tutto
è piano, umile e dimesso, come nel latino. La lingua è pura sì, ma non
ricercata; lo stile è spigliato ma non licenzioso». Questo libro del Moise
tanto lo capisce un maestro di teologia, come un semplice contadino toscano.
Del merito intrinseco del testo latino l'Abate non parla, dice solo che
egli lo reputa una seconda Imitazione di Cristo, « la quale se lo sorpassa
in sublimità, non lo sorpassa e neppur forse l'eguaglia in unzione; e sebbene
il santo dottore l'abbia dedicato ai Novizj del suo Ordine, pur nonostante,
per la sapienza e la grazia che in sé contiene, può tornare utilissimo non
— 190 —
pure ni Novizj degli altri ordini religiosi, e ai giovani cherici secolari, ma
sì ancora ai sacerdoti e dell' uno e dell' altro clero e perfino ai laici ».
Il corpo dell' opera è preceduto da Brevi cernii sulla vita del Serafico
dottore San Bonaventura, e da una Lauda allo stesso dottore di S. Giuseppe
da Copertalo, voltata pure dal Moise in versi settenari e endecasillabi.
Sul merito di questa traduzione non intendo, e sarebbe superfluo, di
spendere più parole dopo quanto fu detto dal Fanfani. Dirò solo, che di
quest'opera furon tratte mille copie, ma fino agli ultimi anni della vita del
Moise non se ne esitarono che appena cento ! E l'opera rimase in deposito
dal Polverini a Firenze.
XVI.
Fin qui non si è fatto che parlare delle critiche che contenevano un
qualche biasimo verso alcuni precetti grammaticali insegnati nella sua
Grammatica dal Moise; ora, per giusto compenso, egli conviene sentire le
critiche di lode. Ma prima ci resta ancora da esaminare una critica di biasimo
(che viene in parte a rinforzare quella del Fanfani), ed è quella del Veratti,
che si legge nella Strenna di Modena per l'anno 1879 '). Ecco qui.
Il eh. Abate Moise con una Giunta non molto felice posta a pag. 1082 della citata
sua Grammatica, ha creduto di far vedere adoperato anche in forme composte il Venire
come ausiliare. Ma nei suoi esempj si ha la frase Venir fatto, nella quale il Venire è verbo
principale, che tutta mette in opera la propria forza, e non è punto verbo ausiliare. Per
la qual cosa quella frase è ammessa ancora da chi più vigorosamente rigetta, come novità
del Senato, 1' ausiliare Venire.
Il Moise per primo osservò che negli esempj da lui allegati si ha non
solo la frase Venir fatto, ma sì ancora la frase Venire accennato. Ciò peraltro
non inferma per nulla 1' avvertimento del critico; stantechè quel che dice
il Veratti di Venir fatto V intende detto altresì di Venire accennalo e di tutti
gli altri modi sì fatti. Ma non s' intende bene che cosa il Veratti voglia
significare quando dice che in Venir fatto il verbo Venire tutta mette iti
opera la propria foraci. Per poter comprendere ciò ch'egli dice, bisognerebbe
') Nella nota a pag. 72.
— 191 —
sapere in qual' accezione ei prende il verbo Fenile ; perchè, s' ei lo prende
nel suo primo significato, il Moise non era in grado di rilevare né manco
un numero dal suo discorso. Avverte in fatti il Gherardini, ') che il verbo
Venire, coniugato col partìc. pass, di ccrli verbi che non sono passivi, si appropria
la loro forza; e il Fanfani da al Gherardini piena ragione.
In secondo luogo osservò che il critico ha di là da ragione quando
dice che in Venir fatto (e così pure in Venire accennato e in tutti gli altri
modi simili) il verbo Venire non è ausiliario, e che, per necessario conse-
guente, il nostro autore ha torto. Infatti il Moise, quantunque a pag. 735-36
della sua Grammatica dimostra con sane ragioni la verità della sua dottrina,
tuttavia, dopo questo avvertimento, la disconobbe e non volle più saperne,
ma s' attenne (nella Grammatica di mezzo) in questa parte in tutto e per
tutto all' opinione del Gherardini, del Fanfani e degli altri filologi.
Né le sue ragioni sono false affatto affatto, anzi sono vere per gli
esempj da esso addotti a pag. 735-36, ma sono false per quelli ch'egli
addusse a pag, 1082-83 m quella Giunta che il Veratti disse a tutta ragione
non molto felice.
Ma il lettore dirà : bastò dunque quella noterella del Veratti a fare
questo rivoltolone nella mente del nostro autore ?
Non fu la noterella no che fece fare al sor Abate questo rivoltolone,
ma fu l' osservazione del Veratti che si legge nella pagina antecedente,
alla quale osservazione appunto si riferisce quella noterella. Eccola :
Solo le forme semplici di Venire possono entrare in composizione a modo di ausiliare :
perché esse sole mostrano l'atto. Le forme composte (son ventilo, era venuto ecc ) indicando
esse medesime attribuzione di qualità in effetto, e non in atto, non valgono a significare
attualità ; ne consentono d'andar congiunte coi participi passati di altri verbi e produrre
con essi forme composte di questi.
Ora, quando il nostro autore insegnava ai giovani che in Gli venne sentito,
Mi verrà fatto ecc., il verbo Venire è preso come ausiliario, ei non pensava
nemmen per sogno che si potesse dire ancora Gli è venuto sentito, Mi verrà
venuto fatto ecc. Ma poiché vide che si può dir benissimo altresì nella
seconda maniera e che i siffatti esempj s' incontrano più volte ne' buoni
scrittori, e' dovette necessariamente confessare che negli esempj della seconda
maniera il Venire non è e non può essere preso come ausiliario, ne viene
') Appena. Granivi. Ita].
— 192 —
di conseguenza eh' esso non è e non può esser preso come tale ne anco
nei primi, e che però Venir sentilo, Venir fallo ecc. non sono altrimenti ne
possono essere verbi passivi.
Ed è curioso come l' Abate abbia aspettato tanto a bene intendere
1' avvertimento del critico modenese, tanto più, quando si sappia eh' egli
insegna con tutti i Grammatici che le nostre forme passive io vengo amato, io
veniva amato ecc., corrispondono sempre alle latine, amor, amabar ecc. Ho
detto di sopra che l'Abate aveva aspettato troppo a intendere l'avvertimento,
perchè il Veratti 1' aveva fatto sette anni prima nella Strenna pel 1872, la
qual Strenna era stata letta dall' Abate da un pezzo, com' egli stesso ebbe
a confessare. Ma chi non piglia delle cantonate ? Ne ha prese il Bartoli, il
Corticelli, il Cesari, il Monti. Non è pertanto da meravigliarsi che ne abbia
presa qualcuna anche il nostro autore. Il quale lesse bensì quell' avvertimento
del Veratti, ma non ci aveva badato, ecco.
Questo è un nuovo esempio della docilità e arrendevolezza del Moise,
delle quali ho fatto cenno più sopra.
Del resto abbiamo veduto che il nostro Abate non aspettava sempre
gli avvertimenti o le critiche degli altri per correggersi di qualche errore;
io potrei anzi dimostrare il contrario, col confronto delle varie edizioni
eh' ei fece a mano mano delle sue Grammatiche. Ma questo lavoro mi
porterebbe molto lontano, ne riuscirebbe piacevole ai lettori. Tuttavia mi
proverò di addurre un qualche esempio a testimonianza di quanto dico, e
in ripiova della scrupolosa onestà letteraria del nostro Grammatico. Il quale,
non contento talvolta di correggere l'errore commesso, s'affrettava in altro
modo — per esempio coi Dialoghi che andava ogni anno pubblicando
nelle sue Strenne — di renderlo palese, nel senso di rilevare e abj tirare al
fallo, e di additare al pentimento.
Così avvenne che nella prima edizione della Grammatica grande ei
cominciasse il capo VI del libro III colle precise: Onde procedere ordinatamente,
diremo, ecc. Nella seconda edizione della stessa Grammatica, al medesimo
punto si trova corretto : Per procedere ecc.
Nello stesso tempo, pigliando il pretesto d' una lettera che gli era
recapitata, e che cominciava con un Onde, il Moise intesse un Dialogo '),
nel quale dà fuori tutta la teoria di codesto aggettivo congiuntivo, come
lui lo chiama.
') Vedi Dialogo secondo nella Strenna istriana per 1' anno 1884.
- 193 —
Infatti Y Onde importa Di citi, Da cui, Con cui, Per cui ecc. I Gram-
matici della nuova scuola insegnano però, che lo si può usare per Affinchè,
Acciocché. Ma egli osserva, che ove YOnJc vale per Affinchè e Acciocché, o
Per o A fine di e' è sempre un' ellissi, e, se questa ellissi non ci potrà
essere o converrà tirarla co' denti, YOnde non potrà mai avere questi signi-
ficati. Ora, se si usa l' Onde in sul bel principio del discorso, non avrà più
luogo certamente 1' ellissi.
Del resto non fu solo il Moise a cadere in sì fatto errore. Giuseppe
Giusti, ne! primo dei suoi famosi brindisi, non si peritò di scrivere: Il luogo
eletto Onde servire a Dio di ricettacolo .... / Cristiani lo chiamano Ciborio.
Quell'Onde noi si potrà prendere altrimenti che in senso di Per o Affine di,
non vedendecisi ellissi di sorta.
L'abate addusse appunto questo passo a mostrare il mal uso di questo
Onde. Il Giusti qui 1' usò malamente, e però non è da imitare.
Ma l'Onde, preso a tempo e a luogo in sentimento di Affinchè, Acciocché,
sta bene, ossia può passare, secondo il giudizio dell'Abate. Il che significa,
eh' ei non lo riteneva in tutto in tutto per buono. Tant' è vero eh' ei si
astenne sempre di adoperarlo nelle sue scritture in questo senso. E quantunque
se ne trovino degli esempj in parecchi classici, tuttavia i buoni scrittori de'
nostri giorni V usano assai di rado o non mai.
Proseguendo nell'analisi filologica della detta lettera, trova la seguente
frase: « Darò al servitore cinque fiorini di fisso al mese ».
Qui il Moise avverte subito che e' è uno sproposito da pigliar con le
molle. E corregge : va detto : « Cinque fiorini il mese » ; e cosi similmente
«venti soldi il giorno», «due volte la settimana», «tre volte /'anno».
E continua a dare dei precetti sapientissimi sull' uso della particella da
invece della particella per; dell'avverbio affatto — sinonimo di In tutto,
Appieno, Interamente, Totalmente — malissimo usato in luogo Per niente,
In alcun modo. E corregge il Di^. di Torino che approva quest' uso.
È poi da farne le meraviglie dei lunghi studj eh' ei faceva in ogni parte
del discorso, e starei per dire d'ogni frase, persino delle semplici locuzioni.
A taluno, a cagion d' esempio, piace di mettere tra le congiunzioni
aggiuntive anche la locuzione Non che, che dice importare E, E anche,
E ancora, Come pure, ecc. e ne adduce a prova il seguente esempio, allegato
dal Cinonio. — Nuli' al mondo è che non possano i versi; E gli aspidi
incantar sanno in lor note, Non che '1 giclo adornar di novi fiori. Petrarca
nella sestina Là ver l'aurora, st. 5 (Cioè, E il gielo adornar ecc.). Questo
è T unico esempio del Non che aggiuntivo che troviamo nelle classiche
scritture. Ma varrà poi un solo esempio, per quanto e' sia autorevole, a
— 194 —
stabilire una regola ? Il Moise non lo credeva, e perchè questo passo del
Petrarca abbia forza, ei diceva eh' esso abbisogna d' essere confermato dal
buon uso toscano. Ma, quantunque usitatissimo in Toscana, non pare che
questo Non che sia del buon uso, perchè non s' ode mai o quasi mai in
bocca al popolo, al vero popolo.
Il Parenti, nel Catalogo di spropositi (40) dice :
Non che. « Questa particella, ossia locuzione (ci aggiunge il Moise) mette
» benissimo a riscontro due termini, per l' un de' quali vuoisi dare all'altro
» maggior risalto. — Non gli rimaneva danaro per le spese ordinarie, non che
» per le straordinarie. — Lieta si dipartì, non che sicura. — Farebbero tremare
» gli uomini fortissimi, non che le donne imbelli. — Ogni gran cosa, non
» che una sì piccola farei volentieri. — Nulla speranza gli conforta mai,
» non che di posa, ma di minor pena. Quindi impropriamente si fa servire
» per semplice congiunzione .... »
Ossia, per la congiuntone aggiuntiva E . . . .
.... « anzi in cotale abuso avviene sovente d' applicar la forza della
» dizione alla parte di minor conto. — Sostenuto dal voto dei causidici,
» non che dal decreto dei giudici. — Dona a lei le sue vesti, non che tutto
» il danaro e le gioje. Schiva questa falsa ed affettata maniera, né ti sappia
» troppo volgare 1' uso dell' E congiuntiva ».
E a questa dottrina raccomandava il Moise di attenersi.
Ed ora passiamo ad esaminare le critiche di lode.
Nella Civiltà Cattolica del 2 novembre 1878 p. 348 sta scritto:
Godiamo poter annunziare, che alcuni più principali difetti, che noi osservammo
nella prima edizione di questa Grammatica, e, a parer nostro, la sfregiavano, sono stati
dal eh. autore emendati nella presente ristampa. Si per questo e sì per le nuove cure
ond' è stata notevolmente migliorata, possiamo senza quasi eccezione ripetere il giudizio
che l'altra volta con qualche riserva ne formammo: che cioè la Grammatica dei eh. Abate
Moise merita un posto assai ragguardevole fra le opere filologiche, ed è una delle più ricche per
{sceltela di materie e di osservazioni filologiche. Essa veramente ci sembra più destinata ai
maestri che ai discepoli. Ma se l'egregio autore ne traesse un compendio, sceverando le
materie meno necessarie ad una prima istituzione e tenendo un metodo più facile nel
ragionare i precetti, renderebbe assai buon servizio alla studiosa gioventù.
L' Unione si stampava in questo tempo a Capodistria, ed era diretta
dal tanto bravo quanto modesto e buono D. dott. de Manzoni. Questi fu il
'primo e per lungo tempo il solo in Istria che, sempre vigile e tenero delle
glorie paesane, mettesse in qualche luce il nostro Abate. Il quale si sentiva
mortificato di questo abbandono in cui lo lasciavano i suoi comprovinciali;
— 195 —
e lo disse a me tanto in privato che per lettera; del quale suo lagno però
m'ingiunse, in suo vivente, di non rivalermene mai contro chicchessia; che
egli, alla fin fine, non era uomo da commuoversi per così poco, ed aspirava
solo alla benevolenza ed alla ricognizione dei primi letterati e filologi d'Italia,
meta eh' ei seppe anche raggiungere col valore e colla virtù del proprio
gno.
U Unione ') pertanto si fece debito di riportare 1' articolo delle Nuove
Effemeridi Siciliane premettendovi il seguente cappello:
L' abate Moise (per quei pochi Istriani che non lo conoscessero) è ingegno quanto
mai girevole; vedete i suoi più recenti lavori; egli manda fuori annualmente quella
strennetta piena di brio chiamata TsLono Cajo Vacuili, d'onde sprizza serena giocondità;
poi, fattosi d' un tratto serio, volgarizza opere di S. Bonaventura ; un' altra volta, da serio
fattosi grave, ha il cervello tanto muscoloso da potersi travagliare nell' aspra fatica di
mettere giù una Grammatica filosofica di oltre mille pagine; e ci vuole proprio muscola-
tura, e di quella gagliarda, sapete, nel cervello e non fosforo, per scrivere un libro di
tal fatta e tanto grosso! E uno scrittore leggiadrissimo, festevole, che maneggia la lingua
con garbo tutto toscano, benché taltiata, a dirla schietta, vi trasmodi un tantinetto. Questo
caro abate vive a Cherso sua patria, nell' estrema e pittoresca isola istriana, ove battono
tanti cuori fratelli ai nostri nell'amare la patria e nel servirla, ecc.
Veniamo ora alla critica delle Nuove Effemeridi Siciliane di Palermo,
delle quali mi manca il numero del giornale, perche l'autore della critica,
che fu il prof. Vincenzo Di Giovanni, mandò al nostro abate quel solo
foglietto dove e' era 1' articolo di lode. Ecco 1' articolo :
Mentre nelle scuole la Grammatica si va immiserendo, 1' abate Moise le consacra
un grosso volume di minuto e compatto carattere di pag. 1156, nel quale si raccolsero,
oltre le giunte, i tre volumi della ia edizione del 1867. Detto poi dei criteri direttivi
secondo i quali il Moise fece il suo grande lavoro, e che furono da lui espressi nella
prefazione, prosegue. «Insieme all'arte l'autore ha dato la scienza grammaticale nel senso
più morale che linguistico; e tutto vi è confortato da esempi di classici scrittori e dal
giudizio di valenti grammatici e filologi, colla distinzione di regole ed osservazioni, oltre
le note elle sono ricchissime di erudizione grammaticale, letteraria e storica. Molte con-
siderazioni e risoluzioni di questioni grammaticali sono ingegnose e sottili, benché qualche
volta l'autore sia di maniche un po' larghe e non più rigido come nella prima edizione, della
quale in questa seconda non ha continuata l'ortografia che aveva accettata dal Gherardini
e da qualche altro lombardo.» Poi discorre della divisione dell'opera, dicendo che «la
parte de' verbi è di molta importanza tanto nel libro dell' etimologia, quanto nell' altro
') N. 13, 9 aprile 1879.
— 196 —
de Ila sintassi. Noi non possiamo — soggiunge e conchiude — in un brevissimo annunzio
dire di tutti i pregi dell' opera che fa molto onore all'autore e agli studi grammaticali
in Italia; e ci compiacciamo che dall' Istria e da Cileno sìa uscito un lavoro tanto importante
quanto questo del chiarissimo professore Moise, della cui amicizia da più anni ci onoriamo.
XVII.
Le critiche non erano ancora finite. Ma anche questa volta esse vennero
da un' illustrazione filologica d' Italia, e precisamente dal prof. Alfonso
Cerquetti.
E' convien sapere pertanto che il Moise, parlando nella sua Grammatica
della maniera Di sorta per Di sorta alcuna, la disse d' uso comune, tanto
che valenti autori toscani de' nostri giorni non si peritano d' adoprarla,
quando occorra, ne' loro scritti.
Il Cerquetti, invece, chiamò erronea codesta maniera. Ma il Moise
valorosamente la difese, dimostrando che il primo aveva torto marcio a
condannarla.
Quella difesa peraltro non valse a far ricredere il Cerquetti, il quale
affermò tuttavia che la maniera Di sorta è erronea; e nella Sentinella del
Musone ') che nel 1880 si pubblicava in Osimo il giovedì di ogni
settimana, ripetè che il torto l'aveva il Moise e non lui. Il Cerquetti peraltro
replicò indirettamente al Moise. Ecco come.
In quel tempo il sig. Francesco Zambaldi aveva data fuori la terza
edizione d' una Grammatica, la quale non andava a sangue al Cerquetti,
tanto che quest' ultimo inserì un Dialogo tra un Esaminatore e uno Scolare
nel predetto periodico, nel qual dialogo dimostrava ch'essa Grammatica non
era degna che la si mettesse in mano ai giovinetti studiosi. Or bene, tra
le altre maniere usate dal Zambaldi e biasimate dal Cerquetti c'è anche la
maniera Di sorla per Di sorta alcuna, difesa dal Moise nella seconda edizione
delle sue Grammatiche. Ed è così che il critico, combattendo lo Zambaldi,
combatte anche il Moise.
Il quale dice s) : — « Con la voce Sorta facciamo la maniera Di sorta
» che il buon uso moderno ci consente di adoperare dopo una negativa in
') Anno IV, n. 31, 29 luglio.
*) Vedi lunga nota a pag. 614-615.
— 197 —
» cambio dell' intera Di sorla veruna o Di sorta alcuna o Di veruna sorta
» o Di alcuna sorta, di cui più e più esempi si leggono ne' classici autori.
» V. il Gherardini, Appena, p. 486, N. 28. Esso Gherardini poi afferma (ivi)
» che questa locuzione Di sorta è monca e non dice proprio nulla, e la
» condanna (Sappi, in Sorta) siccome erronea. E col Gherardini sta il
» Cerquetti, il quale condanna d' errore 1' odierna Crusca per aver usurpato
» questo Di sorta A strappacavezza (Correi, e Giunte, ivi). Ma con
» buona pace del Gherardini e del Cerquetti, e' mi pare che tutti e due
» abbiano torto ». =
Ora il Cerquetti a dimostrare che il torto era invece del Moise. Non
pure lui e il Gherardini condannano questo modo, ma il Viani eziandio,
che in fatto di lingua la sa lunga. Il quale ultimo sosteneva che gli antichi
non lo scrissero mai. Poi condanna il Rigatini, che mentre non aveva
contaminato di questo Di sorla il Vocabolario della lingua parlata, volle
fregiarne 1' Appendice. Soggiunge ancora che gli esempj recati dal Moise
dello Zannoni, del Giusti, del Guasti — che scrive medioevale, e più e più
altre di queste eleganze — e del Frassi (e più altri se ne potrebbero allegare
anche del Cesari, del Giordani, del Bresciani ecc.) non gioverebbero ad
altro, che a provare come non sia punto difficile il trovar le prove della
corruzione anche in pregiati scrittori. E se è invocata l'ellissi per Di sorta,
perchè non invocarla ancora per Di guisa, Di maniera? Ne alcun cinque-
centista 1' ha usato questo Di sorta. Se ne trova soltanto un esempio nel
Guidiccioni (Lettere storiche di Luigi da Porto dall'anno 1509 al 1528), ma
esso, il Cerquetti, come il Viani, dubitavano che il dettato dello scrittore
antico sia stato raffazzonato da un moderno.
Ora il Moise francamente dichiarò d'aver letto e studiato il Dizionario
di Pretesi Francesismi, ed anche la 'Prefazione di esso, con una nota citata
dal Cerquetti, e dettata dal Viani in condanna del Di sorta. Ma quando
nel 1878 il Moise rivedeva gli stamponi della Grammatica, non se ne
rammentava più, perchè altrimenti alle autorità del Gherardini e del Cerquetti
avrebbe pure aggiunta quella del Viani. Ch' egli n' abbia tacciuto a bella
posta, non è da parlarne. Chi conobbe la lealtà e il galantomsmo del
nostro Abate non potrà di certo mettergli addosso questa posola.
Una condanna del Viani doveva certo aver gran peso pel Moise, eppure
ei non si die' per vinto. Ma che era un ciuco vestito il Tommaseo ? che
non deve più valer nulla la sua autorità? Ora, se il Viani condanna questo
Di sorla, il Tommaseo in quella vece lo approva.
Di fatti nel Di^. di Torino, alla lettera 5, parola Sorte e Sorta, s. f.
Specie ecc., ultimo capoverso del N. 1 si legge :
— 198 —
« [ T] Colla negazione, e assol. e accompagnato da altra voce. Senza
» incomodo di sorte; Senz' affettazione di sorte veruna. — Non c'è Governo
» di sorta; di nessuna sorte ».
Come si vede, qui non è apposta alcuna nota di biasimo; il che vuol
dire che 1' approva in tutto e per tutto.
Ma al Moise, a conferma della sua dottrina, non gli venne in mente
d' andare a consultare il Di^. di Torino. D' altra parte non gli pareva che
fosse necessario di accattare altre autorità, credendo lui che le prove da
sé addotte bastassero a mostrare la legittimità di questo modo. Per le stesse
ragioni egli tralasciò di dare un' occhiata all' Appendice del Rigutini.
Dunque dalla parte del Cerquetti stava il Viani, pezzo grosso, e da
quella del Moise il Tommaseo, altro pezzo grosso. E il Rigutini ?
Certo che di lingua ne sa anche lui qualcosina, anzi, com' ebbe ad
esprimersi lo stesso Moise, di' mollo, di' moltissimo, o, per parlare più
classicamente, assaissimo; e n'è prova il suo Vocabolario della Lingua Parlata,
il quale s'ebbe da tutte le parti d'Italia tanti applausi e tanti elogi, che se
n' ode tuttavia il rumore. E quello che fa più autorevole il suo giudizio
si è 1' esser lui un Filologo di maniche strette, da non lasciar passare nem-
manco a scappellotto una qualunque voce o maniera meno che buona e
legittima, sebbene usata da scrittori di chiaro grido. E al contrario accade
talvolta che alcuna maniera d' uso comune e avuta generalmente per buona
e usata senza scrupolo da buoni scrittori, egli non la passa a nessun patto,
anzi la condanna e riprova. Per esempio i modi Fare in un viaggio due
servici, san casi che accadono, Esser trincato, Esser un tiro di sottobanco,
Mandare i moccoli a uno, usato dal P. Ricci nella commedia Le tre lire,
fatta a imitazione del Trinummo di Plauto, ei li dice senza esitazione falsi
e sbagliati, non avvertendo che il primo modo egli pur lo registra nel suo
Vocabolario in Servizio. (E' non dice proprio Fare in un viaggio due servi^j,
che, tarabaralla, è quel medesimo). Ed egli nota ancora che chi dice Insieme
a invece di Insieme con , non dice bene, quantunque di Insieme
a s'abbiano varj esempj antichi, e tra gli scrittori de' nostri giorni
l'abbiano adoprato più volte il Giusti e il detto P. Ricci e talora anche il
Fanfani ').
Ma, alla fin fine, il modo Di sorta, così assoluto, gli antichi non lo
scrissero mai ?
') Vedi Moise, Cramm. II ediz., pag. 830, not.
— 199 —
Il Cerquetti intanto, nella sua critica, ne cita un esempio di Luigi da
Porto, autore del 500. È vero che, appoggiato all'autorità del Viani, ei lo
dice non molto sicuro; ma con questo ei non lo prova certamente falso. Oltre
di che, può egli asserire con certezza non averci di questo modo nessun
altro esempio nelle antiche scritture? Ma concediamo, via! che altri esempj
antichi non ve ne abbia. E che perciò ? Dovremo noi dargli le pere e dire
eh' è erroneo per questo solo che gli antichi non lo scrissero mai ? Sì, gli
antichi nel fatto della lingua se ne intendevano un pochino più di noi, ragionava
il Moise; ma quante voci e maniere avute da tutti per buone e legittime
non usiamo noi, che gli antichi non adoprarono mai ne' loro scritti ? II
Giusti dice in una sua lettera a Tommaso Grossi : Ella ha ragione di dire,
che /'Italia ha una lingua viva e vera, e che si trova a mala pena, e
NON TUTTA, NEI LIBRI E NEI VOCABOLARJ.
Se non che la maniera di sopra riprovata dal Cerquetti è detta monca,
che non dice proprio nulla. Or perchè ella diventa buona e legittima pel
Moise ? Come se la cava egli in questo ?
Per intender bene il come se la sia cavata il nostro autore, combattendo
il Gherardini e il Cerquetti, e' fa d' uopo prima riportare quel tanto della
nota che, non si sa il perchè, dal Cerquetti non fu riportato di sopra nel
Dialogo, accontentandosi d' una parte soltanto.
« == La locuzione Di sorta per Di sorta alcuna, Di sorta veruna
» è monca e non dice proprio nulla, come sono monche e non dicono proprio nulla
» tutte in generale le locuzioni ellittiche. Prendiamo ad esaminare un poco
» una sola e questa sia la locuzione Invece, scambio di In quella vece, In
» quel camino, In vece di questo, ecc. Che cosa ci dice per sé stessa questa
» locuzione ? Nulla, proprio nulla ; e, se vogliamo ch'essa importi qualche
» cosa, bisogna che le aggiungiamo un nome o aggettivo o pronome retto
» dalla preposizione Di. Per questo suo intrinseco difetto o per checché
» altro si sia, pare eh' ella non sia andata gran fatto a fagiuolo ai nostri
» antichi scrittori. I Vocabolarj non ne arrecano esempj anteriori al 500.
» K quali sono poi questi esempj? E' si riducono a due soli di L. Alamanni
» (Avarch. 25.40, e Gir. Cori. 1. 20, p. 149) addotti dal Gherardini, ai quali
» si aggiunga un terzo del medesimo Alamanni {Coltiti. 1. 1, ver. 351)
» trovato più tardi da Michele Golminelli ed un quarto trovato da me
» l' altrieri nell' Edite, di Silvio Antoniano. E dopo l'Alamanni e l'Anto-
» niano chi l'usò mai fino a questi ultimi tempi ? Io non ne conosco alcun
» esempio del secolo 170 o del susseguente. Eppure chi oserebbe oggi di
» vietarne l'uso, quand'essa è adoperata tutto giorno dai nostri più valorosi
» scrittori, cioè a dire dal Cesari, dal Colombo, dal Guadaguoli, dal Bre-
— 200 —
» sciani, dal Giusti, dal Ricci, dal Rigutini e dagli odierni Accademici della
» Crusca ? » n:
Come la pensasse il Cerquetti su questo Invece non mi consta. Avrebbe
potuto bensì dire anche questo modo errato, ma a provarlo ti voglio.
Del resto non si deve suppore eh' ei condanni questo Invece, ma si deve
credere in quello scambio eh' ei l'approvi : altrimenti egli avrebbe riportato
intero l' avvertimento del Moise, e insieme col Di sorta avrebbe confutato
anche Y Invece.
È da notarsi ancora, che sono ellittiche altresì le maniere In cambio,
In iscambio, Al contrario, All'opposto, quando s'usano in modo assoluto, il
che avviene spessissimo, segnatamente delle ultime. Dunque, posto che sia
erronea la maniera Invece, sono erronee anche queste.
Ma il Critico pretende ancora che, se è buona la locuzione Di sorta,
buone similmente dovrebbero essere le locuzioni Di maniera, Di guisa.
L'argomento non persuadeva il Moise; che non tutte le voci o maniere
che sono fra loro sinonime hanno gli stessi usi. Tanto per esempio im-
porta In vece di quanto In luogo di ; ma In vece s' usa bene
assolutamente e In luogo no. Nessuno infatti direbbe: Tu sei giovine; io in
luogo san vecchio; laddove si direbbe benissimo Tu sei giovane; io invece
son vecchio.
Se non che, prima di rispondere se sia ben detto (come ragionava il
Cerquetti per dar torto al Moise) Non ci tran libri Di Maniera o Di Guisa,
converrebbe vedere se è ben detto Non ci cran libri Di Maniera ALCUNA
o Di Guisa alcuna, ossia se è buona la locuzione intera Di maniera alcuna
o Di guisa alcuna. Il nostro autore aveva i suoi riveriti dubbj; onde che
nelle sue scritture non avrebbe mai dato luogo a queste locuzioni, quando
non ne avesse veduti esempj ne' buoni scrittori. E con lui, se non in tutto,
almeno in parte sta il Tommaseo. Egli anzi va più avanti del Moise; per-
chè questi si restringe a dubitare della legittimità di queste locuzioni, e
quegli in quel cambio dice chiaramente che la prima non è da usare. ')
Perciò, secondo lui, Non ci cran libri di fatta alcuna o di specie alcuna,
non è ben detto. Dell' altra locuzione poi di guisa alcuna ei non dice
nulla.
') Vedi Nuovo Dizionario dei Sinonimi, n. 2772. Egli spiega qui i varj usi dei nomi
Falla, Sorte, Specie, Maniera, e nell'ultimo capoverso dice così : — Di sorta alcuna, Uxo
per sorte, Due per sorte, son modi proprj di questa voce, non d' altra. =
— 201 —
In conclusione, la critica del Cerquetti fece per il Moise come la
nebbia, che lascia il tempo che trova. La maniera assoluta Di sorta egli
l'aveva prima, come dopo, per buona.
Dopo ciò, il nostro Abate fece buon viso alla critica del Cerquetti,
come egli aveva in costume di far sempre alle osservazioni che altri faceva
a' suoi lavori. Queste osservazioni gli eran gradite che mai, perchè, come
spesso soleva dire, egli e' imparava sempre qualche cosa. Se le erano in
lode, gli brillava l'anima a vedere che eran buoni gli avvertimenti i quali
ei proponeva ai giovani studiosi, e li lasciava stare come erano : se poi
le erano in biasimo ed ei le conoscesse giuste, allora gli sapeva male
d'aver dato ai giovani falsi ammaestramenti, e s'affrettava a darci di
penna e correggerli, grato tuttavia al pietoso ammonitore che gli avea
scoperto gli errori e lo iacea ricredere. — E di questa tempra non sono,
affé, tutti i Filologi — la maggior parte dei quali, anzi, s' incocciano a
sostenere fino all' ultimo le loro tesi, anche se non ne sono in tutto in
tutto persuasi.
Le osservazioni però del Cerquetti non valsero ancora a persuaderlo,
ed egli stette fermo nella sua opinione. Si dichiarava tuttavia pronto a
ricredersi anche in questo, quando il Cerquetti fosse ritornato a portargli
prove più concludenti.
Il Cerquetti, poiché lesse la bella difesa che il Moise fece in sostegno
della propria dottrina, scrisse un' altrettanto bellissima lettera al nostro
Abate, ringraziandolo della garbatezza usatagli e lodando la giustezza e
assennatezza delle ragioni da lui addotte. In quella lettera e' gli diceva
ancora che a suo tempo avrebbe risposto alle prove allegate dal nostro
autore, perchè, nonostante il gran bene che se ne dice, egli continuava
tuttavia a tener la locuzione Di sorta per meno che buona.
Ma volle ben rivalersi su un' altra questione che avea col Moise, il
quale sosteneva che si può usare il SU di una torre per su una torre, cor-
redando la tesi con due esempj tratti dal Cellini e dal Galilei. A giusto
rigore il Moise non sosteneva che sia ben fatto usare il su di ecc., anzi il
condannava; ma in una nota della sua Grammatica (pag. 952) dice che
taluni si fan lecito di dare a queste preposizioni (su, in su) l'accompagnatura
della di. Conchiude poi sentenziando col Tommaseo, che questo modo non
è del buon uso.
Ora il Cerquetti inseri sulla presente questione un Dialogo ne « La
Sentinella del Musone » del 9 febbraio 1882, riprovandone 1' uso e dimo-
strando che gli esempj recati dal Moise erano apocrifi.
u
— 202 —
Il Moise questa volta capitolò ') su tutta la linea e scrisse la seguente
lettera al eh. professore :
Mio caro Alfonso, A leggere il vostro dialoghetto inserito nella Sentinella del Musone
del 9 febbrajo io rimasi di stucco, e ancora non giungo a raccapezzarmi. L'edizione della
Vita del Cellini ond' io mi valgo nella Grammatica, è appunto quella del Le Mounier da
voi citata, e 1' es. della pag. 106 io lo trassi di là. Ma coni' è poi che oggi io vi leggo,
qualmente leggete voi, in su una, laddove in addietro vi lessi in su di una? Io non so
davvero davvero in qual modo spiegare questa differenza. Comunque sia, voi avete ra-
gione da vendere e io ho il torto marcio: onde mi fa specie che non m'abbiate dato
una presa d'impostore o peggio e m'abbiate invece trattato con sommo rispetto, appli-
candomi perfino 1' oraziano quandoque bonus dormitat Homerus; nel qual passo, se volevate
esser giusto, dovevate a bonus sostituir malus e a dormitat, meniilur ; quantunque non sia
stata mia intenzione di mentire e d'ingannar chicchessia. Grazie dunque e rigrazie mio
buon Professore.
Oltre all' esempio da me addotto, altri due, tratti, come quello, dalla Vita di B.
Cellini, voi ne allegate della preposizione su avente un reggimento diretto ; ma bisogna
dire che questi li abbiate citati male, perchè né il primo io trovo a pag. 237, né il se-
condo a pag. 442, dove voi dite che si trovano. Dell' es. poi del Galilei nulla vi dico. Il
Golminelli me lo avea dato per vero, ed io per vero lo allegai. Ora godo a imparare
da voi ch'esso è falso. Nella Gramm. di me^o ridurrò alla vera lezione il passo del Cellini
e torrò via affatto quello del Galilei, tornando a ringraziar voi d'avermi cavato d'errore.
Addio, mio caro Alfonso, state bene e allegramente, studiate con amore e seguitate
a benvolere e ajutare ne' suoi studj il vostro affettuoso e leale amico Giovanni Moise -
Cherso, 28 febbrajo 1882.
E questo fu un nuovo esempio della sua onestà.
Ne il Veratti (di cui si parlò nel precedente capitolo) rispose nulla,
durante l'anno, al Moise, ma si riservò peraltro di parlarne nella sua Strenna
per l'anno 1882. Di ciò fu avvertito il Moise dagli Opuscoli di Modena,
che rilevarono il torneo letterario impegnatosi fra il nostro e il grammatico
modenese.
Il Veratti, infatti, scese ancora in lizza nella sua Strenna per l'anno 1884.
E il Moise continuò a rispondergli nella propria delle Strenne per l'anno '85.
La questione erasi fatta grossa fra i due strenui competitori, tant' è vero
che il Veratti ritornò alla carica l'anno appresso (1886) nagli Opuscoli Reìig.
Leti, e Mor. di Modena. E il Moise ancora a ribatterlo e a confutarlo nella
Strenna dell' 87.
') Vedi Dialogo terzo della Strenna istriana per l'anno 1883.
— 203 —
Ma io non intendo più oltre di seguire i nostri bravi filologi nell'ardua
e avviluppata matassa ; prima di tutto perchè temo d' aver già di troppo
stancata la pazienza del lettore con sì fatte disquisizioni filologiche ; in
secondo luogo perchè, virtualmente, non si venne, dopo tanto dibattito, ad
una conclusione definitiva fra i contendenti. Ciascuno dei quali, nell'essenza,
è rimasto nella propria opinione, senza che 1' uno facesse muovere 1' altro
d' un sol passo, né in avanti né in dietro.
L'amico suo, il eh. Prospero Viani da Reggio d'Emilia, bibliotecario
della Riccardiana in Firenze, ringraziando il nostro Abate con lettera della
Strenua istriana del 1887 che aveva ricevuto in dono — Strenna eh' ei chiama
scritta « con molto garbo e senno e dottrina filologica » — gli dice in
chiusa : « Ammiro che abbiate tanta pazienza e non perdiate la testa in quei
sottigliumi metafisici da fare spesso morire. Io ho quasi abbandonati gli
stiulj filologici Divertitevi voi, e Dio ve ne feliciti » '). E ciò
è vero. Fa proprio meraviglia ed è altamente d'ammirarsi il nostro Abate
per la sua diligenza e pazienza, né si può quasi comprendere com'egli abbia
resistito, non già a tanti studj, ma alla pubblicazione di tanti grossi volumi,
in ispecialità delle tre Grammatiche tutte poderose di centinaja e centinaja
di pagine.
Ma per ritornare al battibecco del Veratti col Moise, è d' ammirarsi
ancora una cosa, in verità assai rara fra filologi, poco o troppo la maggior
parte bizzosi. Intendo dire della moderazione e pulitezza colle quali si sono
scambiate le loro idee il filologo modenese e il filologo chersino.
Su di che, anzi, scriveva in data di Roma 17 gennajo 1887 *) al nostro
Abate il eh. Ludovico Passarini, celebre scrittore romano, che da più anni
l' onorava della sua benevolenza :
Or debbo farle le mie più vive congratulazioni per la nobiltà, la dignità, l'amore-
volezza e la generosità, con le quali si è difeso ed ha combattuto col sig. Veratti, altro
mio dolce amico. Io non mi faccio tra loro due né padrino, né giudice. Lodo altamente
la sua temperanza, e il raro sentimento della giustizia, che anima Lei a difendersi dove
ha ragione, ad emendarsi dove crede di avere mal detto, e liberamente lo confessa. Bravo!
Se una volta noi potessimo vederci qui, faremmo a quattr'occhi una buona chiacchierata
linguistica : ma ora, e per lettera e nelle mie molte faccende non saprei di dove mi co -
minciare, e molto meno proseguire.
'; Vedila nella Strinila istriana per il 1888 pag. 24.
*) lbid. pag. 20 e seg.
— 204 —
Continui pertanto a giovare a cotesta gioventù, eh' io credo più alacre e più modesta
di questa, che non studia e sdottoreggia; e con la solita sua umanità mi abbia per suo ecc.
A questa lettera del Passarmi rispondendo pochi giorni dopo l'Abate
Moise, chiedevagli spiegazione di certe espressioni ch'ei non intendeva bene;
ed ecco il Passarmi a far subito il piacer suo. Spiegandogli, dunque, ciò
eh' ei non intendeva, e rinnovandogli le lodi precedenti, continua ') :
Ammirai ed ammiro in ambedue i combattenti l'onestà dell' intendimento, la lealtà
di dirsele chiare, senza offendere, e la vicendevole gara di accordarsi, persuadersi, e sco-
prire il vero per finire di dirsi (o l'uno, o l'altro) hai ragione; ho torto. A questa garbata
e santa maniera di polemizzare era diretto il mio plauso. Vero è che il buon Veratti
anche co' suoi 70 in 80 anni sa mettere a prova la sua vivacità; ma è vivacità di gen-
tiluomo e di galantuomo, coni' è pur vero eh' Ella è gentiluomo e galantuomo suo pari,
ma (forse perchè più giovane) è di lui più disposto a rimettersi, più desideroso d'accordo.
Appunto de' suoi Dialoghi e delle sue carissime versioni dello Schmid io
intesi e intendo rallegrarmi. Ho detto sempre tra me eh' Ella sembra nato in Toscana;
ma non essendoci nato, s'è nudrito sempre di latte toscano. Voglio dire: Ella ha studiato,
penetrato, fatte sue le opere dei migliori nostri cinquecentisti, e, se non sbaglio, predi-
lige i familiari, i burleschi, i faceti. E ha fatto e fa benissimo a nutrirsi di loro. Insomma
Ella scrive come oggi pochi scrivono in Italia, e malauguratamente pochissimi in Toscana.
E qui metto un altro Bravo; e tiri innanzi sempre così.
E qui la lascio con la sicurezza di avermi assicurata la conferma della
sua benevolenza, e perciò me le confermo ecc.
XVIII.
Come ho detto a suo luogo, il Moise s'era messo di buzzo buono a
fare un nuovo Compendio della Grammatica grande, Compendio eh' ei chiamò
Grammatica di mesgp ; anzi verso la fine del 1 880 egli 1' aveva già beli' e
terminato. Ma il nostro autore non se la sentiva di metterlo per ancora alla
luce. Perchè ? Prima di tutto, perchè in quel libro egli proponeva ai gio-
vinetti studiosi alcune nuove dottrine, delle quali non era in tutto in tutto
sicuro ; poi — ed era questo che lo faceva stare più perplesso — era la
dottrina del Sì, particella mutante numero e persona, com'egli la chiama, che
gli tormentava il cervello 2).
') Loco cit. pag. 22.
') Vedi Strenna istriana pel l'anno 1881, Dialogo secondo.
— 205 —
Ei conviene pertanto sapere, che nel corpo dell'opera grande codesta
Si la chiamò il nostro Abate particella pronominale soggettiva, ma poi nelle
Correzioni e Giunte poste in fondi) al libro egli osserva eh' ella potrebbe
invece considerarsi come particella formativa e chiamarsi particella mutatile
numero e persona al verbo con cui si accompagna. Ora nella Grammatica di
mezzo ei la prese sotto il secondo aspetto.
Quantunque il nostro autore credesse di far bene così, nonostante,
quand' ei esaminava questa dottrina per lungo e per largo, sembrava a lui
che la gli facesse qua e colà una qualche grinza, ond'egli non n'era affatto
affatto contento. Di fatti, racconta egli stesso, dopo aver letto quello che
scrisse su questa 5/, non ci si volle acquietare, e ci tornava sopra più volte
a mente fresca, studiando e ristudiando la dottrina. E con quanta acutezza
di mente e fina distinzione egli la. risolvesse, ora parrà da quello che sto
per dire. Pochi assai fra i grammatici d'Italia, come il Moise, seppero seguire
ed applicare l'assioma filosofico del qui bene distinguit bene docet. Ed in questo,
io credo, sta la maggiore sua grandezza.
Nella Grammatica grande, parlando Del Verbo dice :
= 575) Per riguardo alla forma, i verbi si dividono in Verbi di forma comune, in
Verbi pronominali e in Verbi di forma pronominale. =
E, detto de' Verbi di forma comune e de' Pronominali, a pag. 42 1 con-
tinua così :
a 378) Dì forma pronominale noi denominiamo quei verbi, i quali, coniugandosi
nelle sole terze persone, si accompagnano in ambo i numeri con la particella si, la quale
benché non sia la si pronominale, è nondimeno per figura identica con questa e dà ai
verbi coi quali si accompagni la forma medesima che hanno i verbi pronominali nelle
loro terze persone. Tali sono lodarsi (essere o venir lodato), leggersi (essere o venir letto),
finirsi (essere o venir finito). —
Ora, nella Grammatica di mezzo, si trova a questa regola la seguente
aggiunta :
= Anche diciamo di forma pronominale que' verbi, i quali, coniugandosi nella sola
terza persona del singolare, si accompagnano similmente con la particella si, la quale
particella si non è la si pronominale, ni la fi di cui ragioniamo qui sopra, ma è una
particella, che, accompagnandosi con un verbo finito singolare di terza persona, dà a
quello la significazione che ha esso verbo nella forma della prima persona del plurale.
Tali sono trovarsi (trovare [noi]), parersi (parere [noi]), morirsi (morire [noi]). Li diciamo
di forma pronominale per la medesima ragione che denominiamo cosi i precedenti lodarsi,
leggersi, ferirsi.
Quasi tutti i Grammatici moderni parlano della prima specie di questi verbi da noi
— 20é —
chiamati di forma pronominale ; onde non occorre che ci fermiamo qui a spiegarli agli
studiosi. Si ci fermeremo piuttosto a spiegar loro questi ultimi, di cui non fa parola, che
noi si sappia, nessun Grammatico. Ne addurremo parecchi esempj, dandone, al solito, la
spiegazione in parentesi, zzi
Ora al nostro Abate allegavano un poco i denti quelli infiniti trovarsi,
parersi, morirsi, perchè i siffatti verbi non s' usano mai nell' infinito. Ben
sapeva però che ad indicare un verbo se ne cita sempre l' infinito, o sia
questo o non sia in uso. Infatti tanto ne' Vocabolarj che nelle Grammatiche
si leggono Alere, Fervere Molare, Tepere, Urgere e altri infiniti di verbi
difettivi, quantunque tali infiniti sieno affatto fuor d' uso.
Pigliamo, dei tanti addotti dal nostro grammatico, alcuni esempj.
;= Dalla loro archibuseria si sarebbe offesi (Cioè, saremmo offesi) — Amiamo or
quando Esser si puote riamati, amando (Cioè, Esser possiamo riamati) — Che la ponete
(1' esistenza) tra le cose del mondo di là, eh' ella ci abbia a toccare solamente quand' e'
s' e' morti? (Cioè, quando siamo morti? In questo esempio la particella e' ci sta puramente
per ripieno), ecc.
Insegnano alcuni grammatici che questa Si non è altro che la Si pas-
sivante e che i costrutti dove c'entra questa particella sono ellittici, essendovi
sottinteso un nome o un pronome o un aggettivo retto dalla preposizione
da il quale è l'agente del verbo passivo, e che, quando alla Si è premesso
un noi o un'altra voce avente apparenza di soggetto, quel noi o quell'altra
voce dipende similmente dalla preposizione da la quale per ellissi rimane
Cicciuta. Se non che a questa dottrina fanno contro parecchi esempj addotti
dal Moise, e dai da lui allegati qui sopra subito il primo — Dalla loro
archibuseria si sarebbe offesi. Qui l'agente del verbo è beli' ed espresso, e il
sarebbe offesi è da sé verbo passivo e però non ha bisogno che la Si lo faccia
tale. Pigliamo un pajo di altri esempj. — Si par di carne e siamo costole e
stinchi ritti. Non si capisce qui come il verbo intransitivo parere possa farsi
passivo e come gli si possa suppor sottinteso un agente retto dalla prepo-
sizione da; ragion vuole invece dover avere uno stesso soggetto e il verbo
si pare e il verbo siamo ; onde che, se soggetto di siamo è il pronome
sottinteso noi, debb'esser pure soggetto di si pare. — Tutti si manca, tutti
possiamo trovarci nel caso di meritare un gastigo. Le stesse osservazioni fatte
sull'esempio antecedente valgono anche per questo. — Ci si divertì tanto!
Qui non si può capire come il verbo si divertì possa essere passivo, ne
quale ne possa essere l'agente, ne che cosa ci abbia a fare la particella Ci.
E il nostro autore, nella Grammatica di mezzo, continua la sua regola
come segue :
— 207 —
= Come si vede dagli esempj, i verbi che si accompagnano con questa particella,
se non sono attivi, prendono sempre gli aggiunti in plurale; se poi sono attivi, o con-
servano invariata la desinenza in o del loro participio o accordano il participio con
l'oggetto, e prendono sempre essere per ausiliario (e prendono sempre essere per ausiliario
anche i non attivi), allo stesso modo che nel Capo antecedente abhiam veduto farsi coi
verbi regolati dalla particella Si, nome o aggettivo indistintivo.
La particella Si dei verbi di forma pronominale della prima specie, qualunque signi-
ficato per sé ella abbia, ha la proprietà di dare al verbo attivo o intransitivo o passivo
adoprato attivamente con cui si accompagna la significazione passiva, e per questa sua
proprietà di mutare il verbo di attivo in passivo è con tutta ragione denominata dai
Grammatici particella passivatile. La Si poi dei verbi di forma pronominale della seconda
specie, qualunque ne sia similmente 1' originaria significazione, indica, come qui sopra
abbiam detto, che il verbo finito in terza persona singolare con cui si accompagna piglia
il significato eh' esso ha nella prima persona plurale, e però noi la chiamiamo partitella
mutante numero e persona (sottintendi, al verbo finito col quale si accompagna). =
r= 273) Pronominali e di forma pronominale noi diciamo quei verbi, i quali, coniu-
gandosi nella sola terza persona del singolare, si accompagnano ad un tempo con la
particella pronominale ci e con la particella si mutante numero e persona. Tali sono
amarcisi (amarci [noi]), volercisi (volerci [noi]), divertircisi (divertirci [noi]). = E qui
segue una serie di esempj appropriati.
Ora la dottrina su questa Si mutante numero e persona, oltre che originale,
la pareva al Moise savia e ragionata; ma ei prevedeva che codesta novità
la darebbe nel naso ai Grammatici; ecco. Esitò molto, come ho detto, ma
poi gettò ogni scrupolo, come fece in tant' altre occasioni, quando vedeva
che una cosa la gli tornava, e andava dritto come un fuso fino in fondo,
lasciando che chi vuol dire dica.
Per i verbi di forma pronominale della seconda specie lui non si
scomponeva punto punto; quelli che lo confondevano erano i verbi ch'egli
dice appartenere a due classi, ossia quelli che sono ad un tempo e pro-
nominali e di forma pronominale.
Ma questi benedetti verbi — ragionava il Moise — appartengono o
non appartengono a due classi ? E, se appartengono veramente a due classi,
perché s' ha a dire che appartengono a una sola ? — Ecco il ragionamento
che faceva il Moise. Ma era tentato di tirar via senza farne parola, come
se non ci fossero. Eppure queste forme verbali le aveva usate anche il
Fanfani e lo Zannoni, e altri ancora — dai quali il nostro autore trasse
varj esempj — e se ci sono questi verbi, perchè fingere che non ci sieno?
Quello che faceva tentennare il Moise era questo, che gli esempj più antichi
eh' egli ne adduce sono quelli dello Zannoni; e Io Zannoni è scrittore di
questo secolo.
Ma posto ancora che gli scrittori de' secoli passati non abbiano mai
usate queste forme verbali, il Moise, come Grammatico, doveva nonostante
— 208 —
farne parola ai giovinetti studiosi; che non solo la lingua antica doveva
egli insegnar loro, ma si ancora la moderna, e non solo la lingua in ghingheri,
ma si quella altresì che per loro uso e consumo spendono a tutto andare
i beceri e le ciane.
Dal momento che avea parlato del Si pare, approvandolo, e' conveniva
necessariamente parlare ancora del Ci si divertì. E si decise alfine, come
vedemmo, pensando giustamente che quando in un secolo qualunque della
lingua si trovano ne' buoni scrittori tanti esempj d' una forma grammaticale,
che bastino a mostrarne 1' uso, sia dovere assoluto d' un Grammatico di
far nota agli studiosi quella forma e di spiegarne loro la ragione. E questo
era proprio il caso nostro.
E fin qui la delicata coscienza del Moise riposava tranquilla. Ma poi
gì' insorgeva lo scrupolo del buon uso di questi verbi, che non è si facile
come altri per avventura potrebbe credere : onde noi vediamo talora alcuni
uomini dotti non toscani abusarne sconciamente nelle loro scritture e beccarsi
poi le derisioni de' Toscani. Ora, se questo avviene a' maestri, che non
avverrebbe ai giovinetti, se costoro si credessero atti ad usarne ? D' altra
parte, che male sarà, se i giovinetti in siffatto e altri esempj si varranno
delle forme ordinarie e da tutti approvate Ci divertimmo ecc. ?
Non è così. Un Grammatico — ammoniva la coscienza — deve dare
agli studiosi un'idea chiara di questi verbi e indicarne il retto uso. Ch'ei
dia poi facoltà ai medesimi di adoperarli liberamente, questo è un altro par
di maniche. Di tanti altri usi parla il nostro autore nella sua Grammatica,
i quali poi consiglia i giovani di non imitare. Or bene: faccia egli il
medesimo anche di questo. Se nella sua Grammatica introdusse tante e
tante novità di cui nessun Grammatico prima di lui aveva mai iatto, o
perchè si farà poi scrupolo d' introdurvi questa ancora de' verbi pronominali e
di forma pronominale ? Il suo era lo scrupolo del tarlo, il quale, qualmente
dice la novellina, aveva roso il Cristo, e poi ci aveva di coscienza a roder
la croce a cui quello era attaccato. Tanto più che nessuno fé' contro a
queste sue novità, se ne togliamo quel che disse il Fanfani sulla particella
ci presa in significato di A lui, A lei, A loro; e quel che disse il Veratti
della Si, particella passivante; sebbene quest'ultima non sia invenzione del
nostro autore; ma del Gherardini da cui la tolsero non solo il nostro autore,
ma più altri Grammatici e Filologi.
— 209 —
XIX.
E qui mi cade di discorrere di un altro battibecco che il nostro autore
ebbe col eh. filologo modenese. Non era che il Veratti non approvasse la
Si passivante, ma non approvava il nome che il Moise, togliendolo da altri,
addotto di passivante.
In fatti il Veratti scrisse ') :
Passivante. — Brutto neologismo di Giov. Gherardini per sostenere la sua teoria
che in italiano si adoperi la particella Si per formare veri verbi passivi. Ma nessuna lingua
moderna europea di origine latina, ne teutonica, ha forme di conjugazione passiva ;
sebbene per mezzo di ausiliari significhino ciò che il latino, il greco, l'ebraico dicevano
con le forme loro veramente passive.
Chi vuole vero passivo in lingue moderne europee deve cercarlo nel danese e nello
svedese. Ivi lo troverà, perchè vi è. Nelle altre, per vedervelo, bisogna supporvelo e
travisare la grammatica nostra per piegarla alla nomenclatura de' grammatici latini.
Ma quelle frasi italiane corrispondono ad un passivo latino, e si potrebbe voltare
in latino con verbi di conjugazione passiva. — E per ciò? Altre frasi italiane, per esempio
il verso di Dante
Ambo le man per dolor mi morsi,
le potreste tradurre in greco od in ebraico con nomi usati nel Duale. Direte per questo
che tAmbo, E n li limbo, ^ìmbedue, ecc. sono forme italiane pel numero duale, e che si ha
da chiamarle dualanti? A senno mio tanto quanto il diialante vale il passivante.
E neppur questa osservazione la ci andò al nostro Abate, per la ragione
appunto che il dilatante, secondo lui, non valeva il passivante. Ed ecco il
perché e il come ei la spiegava s).
Passivante vuol dire Che fa passivo. E perchè diciamo noi passivante
la particella Si ? La diciamo passivante per la proprietà che ha questa par-
ticella di far passivo il verbo attivo che con lei si accompagna, ossia di
dare a quel verbo attivo la significazione passiva. Dice, legge, vede sono
•) Strenna modenese per l'anno 1879, Pa8- 49-
*) Strenna istriana per l'anno 1881, Dialogo secondo in fine,
— 210 —
verbi attivi, corrispondenti ai latini dicit, legit, videt. Ora mettiamo loro
avanti o dietro la particella Si, e avremo si dice o dicesi, si legge o leggesi,
si vede o vedesi, verbi non più attivi, ma passivi, cioè aventi la significazione
passiva, e che corrispondono ai latini dicit ur, ìegitur, videt ur. — E ciò
è chiaro.
In quanto al dilatante, osserva in primo luogo che noi, i quali nella
nostra lingua non abbiamo il numero duale e per i quali tanto l'aggettivo
Due quanto 1' aggettivo Cento è di numero plurale, non diremo mai che
gli aggettivi, Ambo, Entrando, Ambedue ecc., sono forme italiane pel numero
duale, senz' altro; sì bene potrebbero dire, come disse il Veratti, quei popoli
che nelle loro lingue hanno il numero duale. Non credeva peraltro ch'essi
li direbbero mai dilatanti; perchè, ove dicesser così, si potrebbe credere
intender eglino che sono appunto le suddette voci che fanno duali i nomi
i quali loro vengon dopo, il che non è vero. Osserva in secondo luogo
che gli aggettivi Ambo, Entrando, Ambedue ecc., non hanno niente che fare
colla particella Si, né si possono in alcun modo mettere fra loro a confronto.
E vaglia il vero, i detti aggettivi hanno ciascuno da sé il loro proprio
significato, laddove la particella Si per sé stessa nulla significa, e, se vogliamo
eh' ella significhi qualche cosa, conviene che la preponiamo o posponiamo
ad un verbo attivo di terza persona, come or ora fu detto. E' non è vero
dunque che tanto quanto il dualante vale il passivante; perchè dilatante
sarebbe, secondo il Veratti, un nome o un aggettivo o un pronome o un verbo
(le quali sole tra le parti del discorso hanno numeri) da usare nel numero
duale; onde la Si passivante sarebbe, secondo lui, un verbo (essendo il verbo
la sola delle parti del discorso che abbia conjiigazione) da usare nella conju-
gazione passiva. Ma la Si passivante non è no un verbo da usare nella
conjugazione passiva, ma sì una particella che fa passivo il verbo naturalmente
attivo con cui si accompagna, ossia una particella che dà ad esso verbo
naturalmente attivo la significazione passiva, come fu detto di sopra.
Il ragionamento cammina tanto a vele gonfie, da poter conchiudere,
che l'avvertimento del Veratti nulla prova contro il passivante gherardiniano,
difeso oltre che accettato dal nostro autore, e che però non è vero eh' ei
sia un brutto neologismo e che lo si debba proscrivere.
Del resto — osserva sempre il Moise — il Filologo modenese salta
il canapo quando dice che il Gherardini sostiene avere noi Italiani veri
verbi passivi, ossia verbi aventi forma di conjugazione passiva, come li
avevano i Greci e i Latini. Il Gherardini non dice questo, ma dice anzi
che « quanto a' verbi passivi, la lingua italiana si serve dell' ausiliario Essere,
» o talvolta dell' ausiliario Venire, o pure della particella passivante Si, con
- 211
» quelle regole e avvertenze che le buone Grammatiche additano ') ». E se
a pag. 305 della medesima opera egli insegna che « la particella Si ci serve
» a dare a' verbi nell' infinito o nelle terze persone degli altri modi, o ne'
» gerundj la forma passiva », qui egli adopera abusivamente la voce forma
per 1' altra voce significazione, come manifestamente si vede da quel eh' ei
dice nella sottoposta nota : « I Francesi, in vece della particella Si, adoperano
» la loro corrispondente se per dare talvolta ancor essi ad un verbo attivo
» la significazione passiva.... Il medesimo fanno pur li Spagnuoli ». Che
se alcuna volta ei parla di forma attiva e di forma passiva, dice così per
distinguere 1' una maniera, eh' è d' una voce sola ed ha significato attivo,
dall'altra, eh' è formata di due voci ed ha significato passivo; ma non dice
già che come semina corrisponde perfettamente al latino seminalur, e dimostra
in quello scambio che tra semina ed è seminalo e' è una grande differenza
di significazione ').
XX.
Che la Grammatichetla sia stata gradita e proficua, e che al suo autore
non sia accaduto altrimenti d'essersi pentito d'averla scritta, manifesto apparì
dal grande spaccio eh' ebbe in Italia e in ispecie nelle provincie del Piemonte
e della Liguria, dove in parecchie scuole fu introdotta come libro di testo.
Essendone pertanto esaurita la prima edizione e venendone al nostro Abate
fatte continue ricerche da più parti, ei commise al tipografo Polverini,
direttore della tipografia del Vocabolario di Firenze, di farne una ristampa
e di appagare cosi i desiderj de' maestri ai quali non pareva vero che i loro
scolari ne facessero uso '). Ed è così che nell'anno 1881 è uscita la seconda
edizione della Grammatichetta.
A parlarne si fé" pronto il Veratti negli Opuscoli di Modena '), poi il
Gamurrini nel Fanfani*).
') Appena" Gramm. hai. pag. 170, nota.
-) Vedi Op. cit. pag. 170-171.
3) Vedi 'Prefazione alla seconda edizione della Grammatichetta. In fine.
>) Serie |, toni, y, pag. 477.
5) Anno 1, n. il, pag. 176.
— 212 —
Or ecco quel che dice il primo :
Esaurita la prima edizione del 1874, eccone una seconda, dall'autore in varj luoghi
emendata e accresciuta. Il largo spaccio della prima, e l' essere stata adottala questa
Grainmatichctta in non poche scuole con vantaggio degli scolari e aggradimento dei
maestri, rende assai facile e sicura la previsione del non meno favorevole accoglimento
di questa seconda.
Le.son poche parole, ma molte sugose, e che tornano a grande onore
al nostro Abate.
Ed ecco quel che dice il secondo :
Il sig. Gamurrini, dopo aver discorso lungamente del bisogno che
hanno tutti di studiar la Grammatica, conchiude così il suo articolo :
L'Italia oggidì possiede un gran numero di grammatiche dalle più diffuse alle più
elementari, di modo che ve ne sono per tutte le capacità. Non ultima fra tanta dovizia
ci giunge la Grammatichetta che il sig. Abate Giov. Moise dedica ai fanciulli studiosi, da
cui, se questi saranno veramente studiosi, potranno ritrarre un abbondante frutto intel-
lettuale, ed imparare P arte assai difficile di esporre i propri concepimenti con ordine,
con proprietà e con chiarezza. Una prova per asserire che questa Grammatichella nel suo
genere racchiude in se pregi non comuni si desume dal grande spaccio e pronto esito
della prima edizione, e dalle continue richieste che da più parti se ne fanno all'autore,
dalle quali venne indotto a ristamparla con qualche aggiunta e correzione. Ci congratu-
liamo col sig. Abate Moise della sua pregevole fatica e ci lusinghiamo che la gioventù
studiosa ne tragga profitto.
Per chi noi sapesse, il sig. Oreste Gamurrini, vergatore delle sopra
citate linee, è un bravo scrittore, addetto alla Libreria Mediceo-Laurenziana
di Firenze : è aretino di nascita e cugino di Gianfrancesco Gamurrini, celebre
archeologo.
A proposito di questa Grammatichetta, io aveva tentato qualche anno
appresso eh' eli' era uscita per la seconda volta alla luce, di farla accettare
anche nelle nostre scuole dell' Istria. Saputone un tanto, il buon Abate mi
scriveva in data del 31 marzo 1883 : « Desidero che vadano a bene le tue
prove per la Grammatichetta, ma ci ho poca speranza. Molto meglio vanno
gli affari miei col Ministero ungherese, e spero, anzi son quasi certo, che
nel Ginnasio di Fiume sarà ammessa come testo di scuola la mia Grammatica
di mcjgo. A Buda-Pest le cose vanno più spiccie che non a Vienna. I
professori di Fiume risolvono di prendere un libro per testo: ne scrivono
'ài ministro: il ministro approva, e il libro senz'altro resta approvato. Da
noi invece ci vuole il Consiglio scolastico e tante altre cerimonie .... » —
E il povero Abate fu vero profeta.
213 —
XXI.
Eravamo già all'anno 1882, e la Grammatica di mago del nostro Abate
avea ancor da comparire, quantunque, come s' è detto, ella fosse beli' e
pronta fino dal 1880. Perchè? Sia per acciacchi, sia per stanchezza, sia per
altra cagione, l'Abate non era più da riconoscerlo. Il suo antico coraggio
se n'era ito: era diventato sempre dubbioso, sempre incerto, pigliava ombra
di tutto e non dava, per usare d'una sua espressione, né in tinche né in ceci.
In questo frattempo però era succeduto un fatto, che avea molto con-
corso a renderlo trepidante '). Un filologo suo amico, né saprei dire chi
fosse, dopo letta la Strenna del 1881, gli faceva per lettera un mondo di
elogi e portava a cielo la nuova dottrina da lui proposta ;
se non che, continuava egli, nella vostra Grammatica voi avete a fare un'altra
innovazione, se volete che la sia utile veramente alla gioventù studiosa e la sia ammessi
come libro di testo nelle nostre scuole.
Bisogna che seguiate anche voi il metodo de' Grammatici tedeschi, come fra i nostri
hanno latto i Professori Fornaciari e Demanio, i quali si sono attenuti strettamente al
metodo seguito da Federico Diez nella sua Grammatica delle lingue romance Né crediate
già che a far questo avrete a durar molta fatica: e' vi basta aggiungere alla vostra Gram-
matica due soli trattati, cioè il trattato de' suoni e quello della formartene delle parole.
Oh, una budellata di nulla ! — Dopo questo avvertimento il povero
Abate avea perduto, come si suol dire, i sonni ; era diventato pensieroso
e imbuzzito. Infatti ei non si poteva persuadere che, a rendere accettabile
la sua Grammatica, che gli aveva costato tanta fatica, e che l'avea « fatto
per più anni macro », fosse necessario di rimpinzarla ora coi sopra detti
due trattati.
Il metodo del Diez — chi noi sa? — è bello e buono, ma parliamoci
chiaro, non fa per noi. Indubitato che una Grammatica della lingua italiana
fatta a quel modo varrebbe sì a infondere ne' giovani studiosi di molta
erudizione, ma non varrebbe a far loro apprendere a ben parlare e a ben
scrivere in italiano.
') Vedi Strenna istriana per l'anno 1882, Dialogo secondo.
— 2r4 —
Sorretto da un tale convincimento, si rimise nell'animo e non ci pensò
più al suggerimento del filologo. Questi però, dopo qualche tempo, ribattè
ancora con una nuova lettera al Moise la sollecitazione di prima, e l'Abate
a ricadere ancora nelle angustie ; finché, considerata e pesata bene ogni cosa
e passati più mesi, pensò di consultare su questo proposito il dotto professore
Raffaello Fornaciari, il quale da parecchi anni l'onorava della sua benevo-
lenza ; e gli scrisse così :
Cherso, 4 marzo 1881. — Gentilissimo e amorevolissimo Signor mio, Ricorro a
V. S. per consiglio in una cosa che mi sta grandemente a cuore; e, perch'Elia m'intenda
bene, Le racconterò tutto per filo e per segno. La stia dunque attento.
Quand' io nel 1876 era a capelli col Cattaneo, conosceva sì per fama il Professore
Federico Diez, ma non ne aveva letta per anco la Grammatica detlt lingue romance; se
non che, dicendomi lui, vo' dire il Cattaneo, che oggidì non si può fare progressi in filologia
sen^a studiare le opere de' Tedeschi, e ripetendomi alcuni altri letterati che un Italiano non
può scrivere una buona Grammatica della sua lingua senz'avere prima ben letta e studiata quella
del Die\, scrissi in fretta e furia al librajo Giulio Dase a Trieste e lo pregai d' inviarmela
quanto prima per mezzo della posta. Il Dase, avuta appena la mia lettera, die' commis-
sione al librajo Weber di Bonna di spedirmela, e dopo un dieci o dodici giorni mi vidi
venir davanti il postino con un grande plico dove e erano tre grossi volumi in 160
grande e un quarto di 98 pagine, che comprendevano appunto 1' opera da me tanto
desiderata del Diez. Mi messi tosto a leggerla e in poco tempo 1' ebbi corsa tutta, am-
mirando sì bene e lodando il lavoro del Filologo tedesco, non valendo tuttavia a com-
prendere esser vero ciò che asserivano il Cattaneo e quelli altri letterati.
Nella seconda edizione della Grammatica che pubblicai nel 78 non feci uso veruno
dell'opera del Diez, non credendo necessario di farlo. In seguito, avendo io quasiché in
pronto per la stampa la Grammatica di meno, un amico mi eccitava a introdurre in quel
lavoro o in tutto o in parte la dottrina dieziana, e a ciò mi eccitava per due ragioni :
i° perchè, non facendo io cenno dell'opera del Diez, — o mostrerei di non conoscerla,
il che certo non mi farebbe onore, — o mostrerei di sprezzarla, il che alienerebbe da
me l'animo de' Professori che seguono il metodo del Diez, de' quali Professori tanti ce
n' è in Italia; 20 perchè, continuando io col metodo seguito ne' miei lavori precedenti
senza punto valermi delle dottrine dieziane, priverei gli studiosi di molte utilissime co-
gnizioni. Ora, quantunque io fossi pochissimo persuaso di siffatte ragioni, pure non volli
oppormi alle incessanti preghiere dell' amico, e, ripresa in mano l'opera tedesca e datale
da capo una scorsa generale, conchiusi che le innovazioni le quali io poteva fare alla
Grammatica di meno si riducevano (come appunto mi scriveva 1' amico) ad aggiungervi
due Capi, l'uno della dottrina de' suoni da porre nel libro I dopo l'Accento e l'altro della
formatone delle parole da porre alla fine del libro II. Mi détti dunque di buzzo buono a
fare un Compendio di quei due Capi, durante il qual lavoro (che durò un mese intero e
mi fé' sudar sangue) io teneva tuttavia davanti agli occhi 1' opera tedesca e ai lati i
nostri due Compendj, a sinistra quello del Fornaciari e a destra quello del Demanio.
Se avanti di mettermi al lavoro n' era poco persuaso, dopo il lavoro ne restai
persuaso ancor meno, e conchiusi d' aver fatto con quel mio Compendio un' opera inutile
o quasi inutile ai giovanetti studiosi per i quali è destinata la Grammatica di meno. In
1° luogo, che importa ai giovanetti di tanta erudizione? la sarà buona bonissima per i
— 215 —
maestri, ma agli scolari io non vedo come la possa riuscir utile, quando da quella essi
nulla imparano che serva loro a parlare e a scriver bene. In 2° luogo il Diez tira più
volte a indovinare, segnatamente sulla formazione delle parole; ondechè i giovanetti,
seguendo il Diez, seguirebbero un maestro poco sicuro. Voglio recarle qui alcuni esempj.
— Ei vuole che dove derivi da de-ubì e gire da de-ire: ma vede chiunque che ciò non
può esser vero; perchè da una parte la prep. de altera necessariamente il valore di ubi
e quello d' ire, e dall' altra tutti sanno che dove importa ubi e gir» ire. Io non capisco
poi perchè in gire ei non iscorga un g eufonico preposto ad ire. Non dicevano anche i
Latini gnatus per noiosi e non diciamo noi pure gnudo e ignudo per nudo, e gradinolo e
graspo per racimolo e raspo ? — Il dimostrativo esto e' lo deriva da iste o istic. Ma chi
non sa che esto è lo stesso che questo! Eppure, secondo il Diez, questo non viene già da
iste, ma si d.i eccu' iste; dunque esto, secondo lui, non è più questo. — Similmente il
pronome egli ei Io cava da ille o illic, e il dimostrativo quello da eccu' tue. Ma chi ha
detto al Diez che eccum è lo stesso che ecce? Secondo i nostri lessicografi, eccum non è
ecce, ma è ecce eum. Oh che pasticcio!
Conchiudiamo. Tutto questo io Le scrivo per sapere che cosa pensa V. S. su questo
proposito. Che l'opinione di Lei non sia quella del Cattaneo e di quelli altri signori, io
lo so bene; perchè altrimenti Ella non m'avrebbe scritto alcuni mesi addietro che la
mia è la più compiuta Grammatica che abbia V Italia: nonostante io vorrei eh' Ella mi
parlasse più diffusamente su questo punto e mi aprisse francamente e schiettamente
l'animo suo. E scusi se l'ho infastidita con la mia lungagnata.
Io starò aspettando con impazienza una sua risposta. Ella intanto stia bene, mi
conservi la sua benevolenza e mi creda sempre suo obbligassimo e devotissimo servitore.
Questa, come ognun vede, fu una bella lettera e piena di giusti e savj
avvertimenti. Il Fornaciari, poco dopo, gli rispose. Né io so che cosa gli
abbia risposto, si può peraltro arguirlo da una replica del Moise dalla quale
si rileva di leggeri il tenore della risposta. Ecco la replica :
Cherso, 20 marzo 1881. — Amorevolissimo Signor mio, Mi sa male assai che V. S.
non abbia tempo di badare a me e di chiarire a pieno i miei dubbj. Ella neh" ultima
sua, che mi riuscì soprammodo gradita, mi dice tante cose eh' io da per me non valgo
ad intendere e che hanno però bisogno di spiegazione. Ma come si fa ad avere questa
spiegazione, — la quale richiede molto tempo — , da Lei, che, occupato tuttora in ben
altre cure, può trovare a mala pena un quarticel d'ora per iscrivere agli amici? E' mi
pare che tra galantuomini s'abbia a penar poco ad appianare le più gravi difficoltà. Ecco
come faremo. Io in questa lettera (che mi ha l'aria di dover essere più lunga del sabato
santo) L' esporrò ad uno ad uno tutti, o, dirò meglio, i principali miei dubbi, e V. S
poi me li chiarirà a pochi per volta e a tutto suo comodo, valendosi a questo di più
lettere; non essendo po' poi un gran male se questa nostra corrispondenza epistolare
cominciata in marzo avesse a pena a finire in agosto o in settembre. Ecco dunque ch'io
senz'altro mi metto all'opera.
i*) Ella è di parere ch'io non debba introdurre nelle mie Grammatiche i due trattati
del Diez di cui ultimamente Le faceva parola. Anch'io la pensava così quando Le scri-
veva quella lettera, ma dopo che l'ebbi scritta e spedita mutai opinione. Sul trattato
della formazione delle parole son d'accordo con Lei; ma quello de' suoni e' mi sembra che
— 2l6 —
potrei inserirvelo e eh' e' vi farebbe buon giuoco. Finito il Capo II che tratta delYiAccento,
porrei cosi : = Capo III. — Dei mutamenti a cui andaron soggette le lettere dell'alfabeto
latino nelle parole che dalla latina passarono nella nostra lingua. = E questo Capo 111,
perchè non avesse a occupar troppo spazio, lo stamperei nel carattere delle note. Ella
mi dirà che questo trattato dei suoni starebbe bene per avventura nell' opera grande, ma
non si addirebbe in tutto in tutto a quella di mezzo. Si; ma dell'opera grande quando
darò io fuori una 3a edizione? Nella Grammatica di incero io mi son proposto di correg-
gere gli errori della grande e di aggiungere certe nuove dottrine che in quella mancano.
Ne si dica che con queste correzioni e aggiunte la Grammatica di meno comprenderà
troppa materia e per poco non eguaglierà la grande; perchè, se da una parte vi farò
queste aggiunte, dall' altra ne toglierò tante e tante cose, come per esempio, le dottrine
nannucciane sul nome e sul verbo, quelle del Gherardini sugli epiteti, ecc., ecc. E, se ai
giovanetti studiosi, per i quali è scritta specialmente quell' opera, parranno troppo dure
e non necessarie le dottrine dieziane del Capo III, e' potranno saltarle, e addio.
2°) La dottrina della particella Si indistintiva a V. S. non va a genio, ond' Ella
mi consiglia a torta via, sostituendovi quella vera, seguita anche da' vecchi Grammatici, cioè
a dire quella della Si passivante. La dottrina della 5/ indistintiva, o indefinita, come la
dicono comunemente, fu proposta dal Parenti, difesa dal Fabriani, dal Galvani e dal
Veratti e accolta favorevolmente da Luigi Fornaciari, da Francesco Ambrosoli, dal Ghe-
rardini e dal Paria. Io peraltro, che più volentieri consento alla ragione che non all'autorità,
son pronto a lasciarla, qualora V. S. mi dimostri esser ella veramente da scartare. Si
bisognerebbe che Lei m' ajutasse a scoprir l' origine vera della Si passivante e a lungo
me ne parlasse, essendo quello che ne ragiona il Diez troppo poco. Il Galvani, coni' Ella
ben sa, cava il suo Si soggettivo non dall' accusativo Se del pronome riflesso de' Latini,
ma dal suo nominativo antiquato Si o Su.
3 °) — Io La consiglio a correggere, servendosi del Die%, le ragioni eh' Ella dà di certe
mutazioni fonetiche oggi da tutti riconosciute per false, e, in generale, a mutare ciò che aper-
tamente e direttamente contrasta colle teorie foniche del T)ie\ medesimo. — Così die' Ella, ed
io son tuttavia pronto a seguire il suo consiglio. V. S. dunque m' indichi le mutazioni
errate, me ne esponga le correzioni, e tutto sarà accomodato.
4°) Le censure eh' io fo' alle etimologie del Diez da me accennate nella lettera
antecedente a Lei non vanno a sangue e Lei mi dice eh' io stesso, ripensandovi meglio e
studiando più a fondo la questione, vedrà d'aver torto. Io ci penso e ci ripenso, ci studio
e ci ristudio, ma non ci veggo chiaro, ed ho perciò bisogno del suo ajuto. — // volgo,
Ella continua, nella formazione delle nuove lingue neolatine, fu portato istintivamente a de-
terminar meglio, rafforzare con nuovi elementi, e rendere più sonanti le forme latine, Stitja
tener conto dei contrasti che un dotto di latino poteva trovarvi. Da ciò si spiegano benissimo
le forme ab-ante, de-ubi e tante altre, rese chiare e certe dal confronto delle lingue sorelle. —
Che il nostro avanti derivi dal latino abante, io lo veggo bene; perchè so che i Latini
in luogo della particella semplice ante usavano talvolta la composta abante (dove la ia
componente ab non è già la ab, prep. ablativa, ma è una particella priva di significato
e non per altro preposta alla ante che per cagion di eufonia, nella stessa guisa che nei
composti italiani così (lat. sic) e cotale (lat. talis) la prima componente co non è altrimenti
la preposizione accompagnativa con privata della n finale, ma è una particella che li nulla
significa e che non per altro che per ragion di eufonia si prefigge alle voci sì e tale) :
ma non veggo egualmente bene come dalla combinazione latina de ubi sia provenuta la
nostra particella dove. Che si sappia, i Latini non dissero mai de ubi per lo stesso che
— 217 —
ubi. Se dunque nel latino non e' era la particella composta deubi, donde trasse il volgo
nella formazione della nostra lingua la particella composta italiana dove? Perchè dovremo
noi supporre aver esso formata la detta particella composta coli' aggiungere alla ubi la
de, particella, la quale, significando ben altro che ubi, ne doveva alterare tanto o quanto
il significato? Ammettiamo pure eh' e' sia stato portato quasi per istinto a determinar
meglio, a rafforzare con nuove lettere e rendere più sonore le voci latine; ma non poteva
esso ciò fare nel caso nostro col preporre una semplice consonante, la d, alla detta
particella ubi doventata ove? Cosi facendo, il volgo rafforzava la sillaba iniziale dell' ubi
latino, senz' alterare minimamente la significazione del medesimo.
5°) Avevano i Latini il verbo ire e il verbo deire, ma il secondo aveva un altro
significato che il primo. Perchè dunque avremo a dire che il nostro gire proviene dal
secondo e non dal primo, del qual primo, pur conserva il significato? E perchè s' avrà
a dire che ad ire s' è premesso il g per togliere l' iato, e non invece per rafforzare l' i
che ne forma la prima sillaba? A racimolo e raspo, come ho già notato, s' è pur premesso
il g per cagione appunto di rafforzarne la r iniziale e se n' è fatto gradinolo e graspo.
Per la medesima ragione da nudo s' è fatto gnndo. Né si dica che da nudo fu fatto gnudo,
perchè la », lettera iniziale di nudo, ha la tendenza a gonfiarsi (come dicono) in ;,-",-
imperciocché questo non accade sempre, anzi il più delle volte la n non comporta innanzi
a sé il g. Da nobile, per esempio, facciamo ignobile e da nome cognome; ma da nocito
non facciamo ignocuo, né da naturale cognalurale. Similmente, da nave non facciamo gnave
né da nodo gnodo, né da nume gnume, e cosi via via.
6') Desso si vuol derivato da id ipsum. Ma, se fosse cosi, desso dovrebb' esser neutro
e noi lo vediamo in quel cambio adoprato quasi sempre come maschile o femminile, e
solo per eccezione alcuna rara volta lo troviamo neutro. — Ciò si vuol che provenga
da ecce hoc; ma non è meglio riguardarlo come metatesi di hoc, co, ossia, dando al e il
suono palatino, ciò? Ci è pur detto metatesi di hic. Anche il pronome egli (elli) è, se-
condo il Parenti, metatesi di ille.
Non la finirei più s' io volessi qui enumerarle tutte le derivazioni e composizioni
del Diez eh' io considero come stiracchiate e capricciose, e però fo' punto. E avverta che
tutte le sopraddette considerazioni io le propongo a V. S. per puro desiderio di appren-
dere il vero, con animo quieto e senza punto spirito di parte; ed Ella, mio caro Professore,
che legge i miei scritti, non dee dubitare altrimenti della sincerità delle mie parole. A
Lei dunque con tutto 1' animo mi raccomando : esamini per bene le mie osservazioni e
dia loro quel molto o poco o niun peso eh' elle meritano, lo starò aspettando eh' Ella
chiarisca i miei dubbj, né perderò la pazienza se passeranno più mesi prima eh' Ella mi
risponda. E in questo mentre, facendo a V. S. umilissima riverenza e ringraziandola della
boati eh' Ella ebbe finora con me e di nuovo offerendomele e raccomandandomele con
tutto lo spirito, mi pregio di rassegnarmi suo obbl.mo e dev.mo servitore.
E anche da questa lettera, come dalla precedente, si sarà appreso, io
spero, quanto istruito, moderato e savio fosse il nostro Moise. È naturale
clie, dopo aver tanto lavorato e studiato, sentirsi dire ad un tratto che le
sue Grammatiche nulla valevano, quasi, perchè non seguivano la Gramma-
tica archetipa d' un tedesco — del resto dottissimo e sommo maestro di
lingue comparate — non era pane che potesse mandar giù. Intanto con
queste missive e responsive era passato, come ho detto, il secondo anno,
— 2l8 —
che il Fornacciari alla seconda lettera rispose appena quasi nove mesi dopo,
come vedremo più innanzi.
Nel frattempo era comparso anche nel periodico triestino Mente e cuore ')
un articolo del maestro sig. Giuseppe Vassilich intitolato Grammalicalia, dove
si discorre a lungo della Grammatica italiana dell'uso moderno di Raffaello
Fornaeiari, e si dice ch'essa fra le tante e tante stampate in Italia dal Cor-
ticelli in qua è la meglio riuscita, vuoi per i criterii direttivi che la informano,
per la distribuzione delle parti, per la giustezza dei precetti, per la scelta degli
esempi, e vuoi infine per le novità introdottevi. E poco dopo 1' autore con-
tinua così :
Se voi prendiate fra le mani le grammatiche più usitate, come quelle del Corticelli,
del Soave, del Puoti, del Bellisomi, dell'Ambrosoli, del Calerli, del Rodino, del Paria, del
Mottura e Parato, ecc. voi ci trovate poco o nulla di nuovo.
E qui pone la seguente nota :
L'Abate Moisc di Cherso ha pubblicato pochi anni fa una Grammatica molto vo-
luminosa. S' io non la pongo in fascio colle sunnominate, egli si è, perchè la sua, quanto
a giustezza di precetti e a bontà di esempi, è pregevolissima ; ma d' altro canto ei non
volle trar profitto dei recenti studii filologici, forse perchè in gran parte opera di stra-
nieri ! Intraprendendo la stampa della Grammatica di me^o, ei farebbe bene tenerne conto;
che la verità, da qualunque parte provenga, bisogna accettarla.
Qui il Vassilich diede senza ragione, come s' espresse Nono Cajo
Baccelli 2), una cenciata al nostro riverito autore. Infatti il sig. Vassilich
s' ingannò di tutto il cielo quando disse che il Moise non volle trar profìtto
dei recenti studj filologici, forse perchè in gran parte opera di stranieri. Da un
anno, infatti, era uscita la seconda edizione della Grainmatichetta, nella quale
il Vassilich avrebbe potuto vedere la divisione che il nostro Abate faceva
di certe consonanti in aspre e dolci, la qual dottrina fu appunto da lui tratta
dal filologo tedesco Diez; e se nella Grammatica avesse posto mente a
quanto ei dice sull' ufficio del pronome, e avesse veduto messi tra i passivi
certi verbi che i Latini chiamano neutri, avrebbe veduto che quelle dottrine
ei le trasse dal filologo francese Beauzée. Se il Moise dunque non volle
introdurre nelle sue opere grammaticali certe dottrine dei moderni filologi
') Anno 1882, n. 3, pag. 88.
*) Dialogo secondo in fine della Strenna istriana per l'anno 1883.
— 219 —
tedeschi che il Fornaciari e il Demattio accolsero senza difficoltà di sorta,
non bisognava dire per questo non aver egli voluto riceverle perchè opera
di stranieri, ma bisognava dire in quel cambio non aver egli voluto riceverle,
perchè, non le ebbe per buone e legittime.
Del resto, io non pretendo ne voglio in tutto in tutto scusare l'Abate
Moise, se egli non diede un più ampio sviluppo, specie nella Grammatica
grande, alle teorie dei suoni e della formazione delle parole; riconosco
pure che codeste teorie sono necessarie, anzi indispensabili per i filologi
di professione; ma dico e sostengo altresì — a rischio pure d'attirarmi
addosso i fulmini di tutti gì' innovatori moderni — eh' esse teorie sono
un sopprappiù per i giovinetti, i quali vanno alle nostre scuole non per
apprendere la morfologia o la fonetica, ma sì bene per apprendere il modo
di parlare e di scrivere correttamente. E per raggiungere questo intento,
non occorre, io credo, tanto lusso di erudizione peregrina, la quale anzi,
concorrendo a moltiplicare le regole della Grammatica — il che non giova
ma nuoce — non fa che annebbiare sempre più la mente piccioletta dei
giovanetti, i quali si disinamorano dello studio grammaticale non appena
entrati sulle soglie di esso. Con quale efficacia volete d' altronde insegnare
le teorie dei suoni e della formazione delle parole, se lo stesso corredo
delle parole è tanto meschino nei giovinetti da essere incapaci di formularvi
un discorso e men che meno una scrittura ? Questo è proprio un voler
fabbricare senza essere prima in possesso dei materiali. «Come per costruire
le fabbriche — così il dott. Costantino Pescatori ') — e qualunque artifizio
meccanico, prima si preparano i materiali necessarj e poi si collocano regolar-
mente secondo un disegno o modello prestabilito, collegandoli fra loro con
cementi od altri mezzi chimici o meccanici, così per comporre i nostri discorsi
bisogna aver prima il possesso delle parole, che sono il materiale del linguaggio,
e poi disporle e allegarle secondo /(• idee preconcette e /' indole in cui si parìa
e si scrive. Per questa somiglianza e analogia di operazioni furono adottati
nelle studio delle lingue i termini di sintassi (ordinamento delle idee) e di
costruzione (ordinamento delle parole) trasferendone il significato dal senso
fisico al senso morale ». Ora, per costruire egli è proprio bisogno di conoscere
la natura fisica e chimica del materiale da costruzione fino nei minuti suoi
particolari ? Io credo certo di no. Che il geologo, il naturalista, il chimico
') Parlando della Sintassi pag. IOI della sua Grammatica detta ìiug. Hai. Firenze, 1873.
220
abbiano da conoscere la natura intima (gli elementi onci' è composta) della
pietra, della calce, del legno, ecc. ecc. sta benissimo, ed arcibenissimo; ma
quando codesto corredo di cognizioni lo si volesse pretendere da ogni
singolo manuale, lo si capisce da sé, la sarebbe proprio una vera stupidirà.
Or perchè, nel campo grammaticale, si vorrà insegnare ai giovinetti e si
pretenderà che le conoscano tante cose, bellissime e utili non v' ha dubbio,
ma che sfuggono al limitato loro ingegno, e persino a quello della quasi
generalità degli esseri parlanti? Provate mo' a chiedere ad un avvocato, a
un medico, a un sacerdote, a un professionista insomma che vi dicano che
cosa intendono per Morfologia o per Fonetica, e sarà da scommettere che
almeno novanta su cento resteranno a bocca aperta senza sapervi dare una
adeguata risposta. Se così è, volete e pretendete che i giovinetti delle nostre
popolari o elementari, e sieno pure delle medie apprendano sì fatte astru-
serie ? E poi vi lagnate, che oggi si scrive male, che non si conoscono
neppure le leggi elementari della Grammatica, che appena un pajo di
giovinetti su cento, che dalle popolari vanno al Ginnasio, sanno abbozzare
un qualche periodo senza strafalcioni, e cosi via di seguito. Ma codesti,
secondo me, sono appunto i risultati della moderna istruzione. Imperocché
e ispettori scolastici e professori e maestri oggidì di non altro sono rim-
pinzati che di filologia comparata; ma che filologia comparata! basta udirli
quando parlano, e leggerli quando scrivono — salve pure le eccezioni
che, pur troppo, son rarissime — per far venire il latte alle calcagna, e
dichiararli subito prodotti e propagatori di un sistema veramente scrofoloso.
— Il Moise, scrivendomi un dì dei maestri nostri, li definì tutti assai male,
facendo eccezione di Soli due eh' io mi permetto di non nomi-
nare per non esporli all' invidia dei colleghi. Mi basti solo di aver detto
questo, per giustificare la mia tirata, che da pezza in qua ho lo stomaco
ripieno, e conveniva in qualche modo alleggerirlo. Imperocché nessuno dei
nostri ispettori, dirigenti, professori e maestri sarebbe capace di scrivere
(non parlo delle Grammatiche') uno solo e dei meno importanti volumetti
del Moise; ma andarono ben tutti d'accordo a proscrivere dalle nostre
scuole tutte le Grammatiche del tanto bravo Abate di Cherso. Vergogna !
Io ne sento, in verità, rossore, per loro e per la patria nostra. Certo, il
Moise non avea alcun diploma universitario da mostrare; ma avea ben
quello, che nessuno dei nostri possiede, della considerazione e del rispetto
dei più dotti filologi e grammatici d' Italia ! E i giovani e le giovani dal
' Moise istruiti sono ancor vivi per fare testimonianza del profitto che ne
hanno fatto tanto nel parlare che nello scrivere. Questi sono fatti, e non
ciance. •
221 —
XXII.
In su lo scorcio del 1882, o al principio dell'anno appresso, il nostro
Abate, rimosso ogni scrupolo, s' è deciso di mandare il manoscritto della
Grainmalica di me^zp alla Tipografia del Vocabolario a Firenze, allora diretta
dai signori G. De Maria e G. Coppini. Io ebbi sentore di questo ai primi
di febbraio del 1883, e scrissi subito un articolo ne L'Istria').
Premesso che furono tirate gii parecchie edizioni delle Grammatiche
del Moise senza che fra di noi quasi nessuno se ne accorgesse, soggiunsi :
Pur troppo questo è il guiderdone con cui si rimerita chi studia molto e indefesso
lavora nel silenzio della propria cameretta — la dimenticanza ! In oggi bisogna battere
la quintana della pubblicità per farsi conoscere ed apprezzare, o bussare umilmente e
insistentemente alle porte dei patroni ; senza di che si corre risico di restare obliati e
negletti. E tutto ciò noi diciamo pensatamente e deliberatamente, non già per portar alle
stelle un uomo ancor vivente, nicchiato da molti anni nell'isola di Cherso patria sua, e
la cui modestia è pari alla grande dottrina ; ma per aprire gli occhi, se mai possibile, a
quelli in primo luogo che presiedono alle nostre scuole; poi a tutti gli altri che amano,
non a parole, la nostra impareggiabile favella ; e finalmente a tutta la gioventù studiosa,
se fra questa havvi taluno che nutra verso di noi quella considerazione che mai è negata
ai galantuomini.
Diciamo aprire gli occhi, avvegnaché, se noi gettiamo uno sguardo alle nostre scuole
medie o popolari, o meglio, se noi esaminiamo le Grammatiche italiane che in esse scuole
si adoperano, vi scorgiamo una tal babele, che non si può immaginare l'eguale. Ne ciò
avviene soltanto per la diversità degli autori, quanto per il poco o nessun valore dei
testi. Basti dire, che nelle nostre scuole medie s' insiste ad accettare la Grammatica del
prof. De Mattio, che è una selva selvaggia senza eccezione.
Del resto, continuavo, gli effetti che vediamo ttittogiorno sono là a
testimoniare che io dico il vero.
Il fatto sta che si studia male in oggi la lingua italiana, e che peggio ancora la
s' insegna. Con tanti studj filologici e pedagogici — pare impossibile — non si è capito
ancora, che imparar regole, che non giovano praticamente, equivale a portar confusione
e quindi a nuocere — specie nei giovanetti, ai quali le scuole insegnano in modo me-
raviglioso il disaffezionarsi alla scuola stessa. Si crede di tirar su bene i nostri ragazzi
') Anno II, 3 febbrajo 1883, n. 58.
— 222 —
ingombrando la loro testa a suon di regole imparagrafate, parlando loro di proposizioni
semplici e di composte, di complesse e d' incomplesse, di vere e di false, di ellittiche e
d'implicite, e via via; poi di teorie di suoni, di mutazioni fonetiche, di flessioni nominali
e verbali, di formazione di parole, dì prefissi, di suffissi, e di cento altre diavolerie, l'ima
più indemoniata dell'altra. E il maestro crede e pretende — imbottito alla sua volta di
si fatto ciarpame nelle professionali dove fu istituito — darsi l'aria di dotto e di sagace
quando spiffera agli intontiti ragazzi una serqua di nomi altosonanti, che in fondo in fondo
egli pur non capisce. E i ragazzi là a bocca aperta finche trattasi di udire; quando poi
viene la volta del parlare, mandano alla benedizione di Dio il sor maestro con
tutta la sua Grammatica.
A proposito delle quali Grammatiche adottate nelle nostre scuole, parlando noi un
giorno coli' Abate Moise, e spronandolo a farsi innanzi almen almeno colla sua Gramma-
tichelta nelle nostre popolari (equivalenti alle elementari del Regno), franco rispose, che
difficilmente ella sarebbe accettata, appunto pel fatto ch'essa non corrisponde a tutte queste
esigenze di prefissi e di suffissi ! Poi soggiunse : « Una Grammatica siffatta i' non la so
fare, e, se anche la sapessi fare, non la farei mai e poi mai». — Cosi parlano gli uomini
che si rispettano, e che hanno consumato 1' intera vita nello studio della filosofia e della
fisiologia della nostra lingua ; e il Ciel non voglia che la loro voce non resti ancora la
voce del deserto.
Poi diceva che le Grammatiche del Moise non sono una raffazzona-
tura qualunque, prova ne sia le molte lodi che egli si ebbe da distinti
filologi ecc.
Queste e altre raccomandazioni furono fiato sprecato! Qualche giorno
dopo il povero Abate mi scriveva da Cherso per ringraziarmi di quanto
io aveva detto nel sopraccitato ed altri articoli. Parlandomi poi della Gram-
matica di mez^o, mi diceva : « Gli associati istriani sono ventiquattro. Male
e poi male ! Ma io per questo non mi dò a' cani e lascio andar 1' acqua
alla china ».
Ma più di tutti ebbero torto marcio marcissimo le persone addette
all' istruzione pubblica, le quali, o per ignoranza, o per malignità, o per
servilismo non vollero proporre o non vollero insistere anche questa volta
perchè si accettasse nelle nostre scuole la Grammatica del Moise. E si sono
trovate scuse e pretesti sciocchi e pretenziosi per scartargliela. Si arrivò
fino a dire, che la Grammatica del Moise non disponeva bene i giovanetti
a proseguire negli studj filologici ed universitari — quasi che tutti quelli
che frequentano le scuole popolari e le medie sieno destinati poi ad andare
all' Università a studiare filologia comparata ! Ma intanto i più dei nostri
giovinetti vanno oggi alle scuole medie senza conoscere briciolo di gram-
' matica, e sortono dalle stesse, e persino dalle Università senza saper scrivere
una lettera ! Ecco gli effetti — sta bene ripeterlo — della presente istruzione
e dei testi accettati nelle nostre scuole. E credete forse che ne sieno ancora
22 3
persuasi ? Ohibò ! Nella loro supina pretensione, e maestri e ispettori e
professori continuano a favorire il nostro imbastardimento.
Nel compilare le mie Grammatiche — mi scriveva il povero Abate nel 188.1, non
appena ci eravamo conosciuti soltanto per lettera, nel qual tempo mi dava del Lei, per
convertirsi poco dopo nel Voi, e per tradursi infine, dietro mia istanza, nel domestico Tu
— io noti ebbi no lo scopo di empiere di vana erudizione le tenere menti de' giovanetti,
ma intesi in quel cambio di far ch'essi imparino a parlare e a scriver per bene la nostra
lingua; e questo pare a me ch'esser debba lo scopo d'ogni grammatico galantuomo. Ma
i signori di Tedescheria, a cui s' accodano alcuni Italiani intedescati, non la intendono
cosi, e avendo io anni fa mandato a Vienna al sig. Ministro per la Pubblica Istruzione
la mia Grammatichtlta e pregatolo di vedere se la meritava d'essere introdotta come libro
di testo nelle nostre scuole, qualche mese dopo la mi fu restituita, e dell'approvarla come
libro di testo non ne fu nulla. O perchè ? — Perchè la non segue il metodo del Diez,
ecco. E invece della mia, sa Ella qual Grammatica fu approvata per le nostre scuole ?
Quella di Fortunato Demanio, che è una Grammaticaccia, piena zeppa di spropositi da
cavalli. (Questo io lo sapeva per esperienza, e l'aveva anche scritto) '). M'ero altresì rac-
comandato ad alcuni professori di Capodistria, e quelli m'avean promesso che ne avrebbero
parlato costi in una seduta del Consiglio scolastico provinciale ; ma bisogna dire che quei
signori professori si sieno scordati della mia raccomandazione, perchè i' non ne seppi più
mai né puzzo né bruciaticcio. Queste cosucciaccie gliele dico non già perchè V. S. le
abbia a spiattellare nel suo Periodico, ma gliele dico perchè sta bene eh' Ella le sappia
e perchè potrebbe anche avvenire che un giorno o 1' altro elle potessero farle giuoco.
Presagiva allora il povero Abate che questo brano di lettera mi verrà
a proposito per inserirlo in questa biografia ? !
XXIII.
Il sig. Veratti non si adagiò, come ho detto, alle osservazioni del
nostro Abate sul Passivante, ond' egli replicò nella sua Stroma pel 1882.
Io non riporterò l'articolo del Veratti, osservo solo, che il Moise cadde dal
settimo cielo quando lesse la replica di lui, imperocché ei non credeva mai
') In altra lettera che il Moise mi scrisse un anno appresso (d.d. 28 luglio 1883),
fra altre cose trovo le seguenti: «M'evenuta una bella idea, ed è questa, di scriverti in
seguito alcune lettere (ma quando potrò farlo?) sulla Grammatica del Demanio prescritta
nelle nostre scuole, facendoti vedere le sue molte inesattezze e i grandi spropositi che
quivi si dicono ». E, pur troppo, non trovò mai il tempo di scrivere queste lettere.
Forse si astenne dal farlo per delicatezza.
— 224 —
che il Veratti condannasse la voce Passivante perchè la è una voce nuova,
ma sì credeva ch'ei la condannasse, perchè la non esprime ciò ch'ella deve
esprimere. Infatti, che bisogno c'era egli di notare, come notò, che nessuna
lingua moderna europea, eccetto la danese e la svedese, ha forme di conju-
gazione passiva, e che, se la particella Si è ben detta Passivante, sarà pur
ben detta Dualante la particella Ambo — quando non per altro intendeva
egli scartare la voce Passivante che per essere ella una voce nuova? Dopo
aver detto che Passivante è un bratto neologismo, ei doveva senz'altro addurne
le prove, e sarebbe stata finita la questione.
Queste prove il Veratti ora le addusse ; ma le f uron prove (sia detto
con sua pace) che non provavano nulla. E il Moise era uomo da addi-
mostrarglielo, come in fatti glielo addimostrò ').
Questa però era una questione del tutto secondaria; la principale stava
piuttosto nel decidere se la lingua italiana avesse o non avesse forme
passive. Il nostro Moise stava sulle spine ed avrebbe dato non saprei che
cosa per venirne in chiaro.
Intanto il prof. R. Fornaciari gli avea risposto con lettera d.d. 20
marzo 1881. Io farò grazia ai lettori anche di questa lettera. Chi vuol
vederla, colla rispettiva risposta o confutazione del Moise. legga il Dialogo
terzo della Strenna Istriana per V anno 1883 (pag. 100 e seg.). Da ciò si
capirà che il Moise non ne restò ancora persuaso, ma che anzi rilevò nello
stesso Fornaciari qualche contraddizione. Il Fornaciari però persisteva a
consigliare il Moise a non inserire (e il consiglio era ornai troppo tardo,
perchè il Moise s' era deciso a questo già prima di ricevere la lettera del
Fornaciari) i due trattati del Diez, ma limitarsi a togliere, o a spiegar meglio,
certi errori sulle mutazioni fonetiche delle diverse lettere, specialmente su
quelle mutazioni che avvengono per l'iato, come deggia da debeat, ecc.
Ma anche questo secondo consiglio era tardo, perchè il Moise nella seconda
edizione della Grammatica quelle osservazioni ond' egli ragiona le aveva
segnate col lapis celeste, e già nella seconda edizione della Grainmatichetta
furono del tutto omesse.
E la questione col Fornaciari è finita con la seguente lettera che gli
scrisse il nostro Abate :
Cherso, 31 gennajo 1882. — Gentilissimo e amorevolissimo sig. Professore, Ricevetti
a' dì passati la risposta all' ultima mia, e ne La ringrazio di cuore. Quantunque le ragioni
') Vedi Dialogo secondo della Stnnna istriana per l'anno 1883.
— 22) —
da V. S. addotte non valgano a farmi ricredere, nonostante ho piacere di saperle, perché
le mi gioveranno a risolvere le questioni proposte nell' ultima Strenna, se pur nel venturo
autunno avrò tempo e voglia di rientrare in quel tasto. Stia sano e allegro e mi continui
la sua benevolenza, ed io in questo mentre, pieno di stima, mi rassegno suo obbligatis-
sinio e devotissimo servitore. —
Ma, e la questione principale della forma passiva ?
Si racconta che T. Tasso, facile poeta, stentava talvolta a far tornare
il verso, tant' è vero che per comporre i due versi
Vista la faccia scolorita e bella
Non scese no, precipitò di sella,
se ne stette più di qualche giorno; finché udito a caso ripetere da un tale
il verbo precipitare, questo gli aprì la mente, e la chiusa dell' ottava venne
liscia e spontanea.
Così accadde al Moise. Il quale, trovandosi a Trieste per curarsi da
una fiera malattia d' occhi che il tormentava, ebbe la ventura di trovarsi
col bravo e dotto prof. Vettach che gli disnebbiò la niente. E ne fece
subito pubblica emenda nella Strenna Istriana per l'anno 1887. Ecco come
ei la racconta (pag. 138 e 139):
«Sì, Sandrino mio, nelle passate Strenne io t'ho sfilata magistralmente
(ne mi vergogno a dirtelo) la corona degli strafalcioni. In quella del 1883
i' non prestavo fede all' opinione del Eornaciari, del Cattaneo e di altri
filologi, i quali insegnano essersi formato il passivo latino coli' aggiungere
ad ogni persona dell'attivo il pronome riflesso se; ma in sèguito, macinata
bene la cosa, m'accorsi aver essi ragione ragionissima, e il non trovarsi pre-
sentemente esempj di laitdose, laudasse, landatse') ecc., non prova altrimenti
non essere mai esistite queste forme, le quali più tardi furono mutate nelle
forme classiche laudar, laudaris, laudalur ecc. Di questa importante scoperta
io son debitore al mio vecchio amico Giuseppe Vettach, direttore del
Ginnasio comunale superiore di Trieste e professore in esso Ginnasio di
greco e latino. Un giorno t' indicherò a comodo le osservazioni da esso
fattemi ».
Ma, pur troppo, non arrivò in tempo il povero Abate d'indicare codeste
osservazioni, che subito 1' anno appresso fu colto dalla morte.
') Per intender questo sappia il lettore che il Moise sfidava i suoi contradditori a
dimostrargli che gli antichi usavano queste forme. Perciò si era anche rivolto al distinto
filologo latino Mauro Ricci, il quale gli rispose di non essersi mai imbattuto in tali forme.
— 226 —
XXIV.
Ho già avvertito che coi primi dell'anno 1879 non è altrimenti uscito
il Lunario; ma sì bene la Strenna Istriana. Quale fu il motivo di questa
metamorfosi ? Eccolo :
Dovete assapere — racconta il Moise nella Prefazione della Strenna per l'anno 1879
- che dopo il famoso Congresso di Berlino la tassa de' Lunarj ha fatto in Turchia una
salita buscherona : da trenta centesimi per copia (perchè e' intendiam meglio ho ridotto
in centesimi italiani quelle monetacce delle piastre e dei para turchi), 1' è andata su fino
a una lira : quella poi delle "Prefazioni in versi e delle 'Prefazioni mezze e mezze V è salita
dai tre ai quindici centesimi per ogni dieci versi: E' s'è fatto di tutti, disse babbo Stefano
quando un giorno andando a zonzo per la città ebbe letto su una cantonata la nuova
legge stampata a lettere di scatola ; e la medesima esclamazione fece poco appresso il
fratello Turco al quale il suocero con le lacrime agli occhi aveva data la triste nuova, ecc.
Ciò premesso, Ottavo si dette lì per li a rivedere le cose che pochi giorni prima aveva
preparate pel Lunario e quattro settimane dopo pubblicò la sua Strenna e nello spazio di
un mese o giù di li ne spacciò tutte le copie.
Ora io — soggiunge C. Nono — che nel mio Periodico avevo per lo passato seguito
in tutto e per tutto la maniera tenuta dal fratello Turco, come potevo adesso fare altri-
menti ? Bisognava pertanto che mi assoggettassi, benché non Turco, alle leggi dei Turchi.
Ed ecco spiattellata la ragione delle novità e sodisfatta la curiosità de' lettori.
Racconta poi che anche nella state del 1878 egli era andato a Mon-
falcone, come negli anni precedenti, standovi dai 5 ai 20 di luglio. Ma
nell' anno precedente, oltre che a Monfalconc, era stato ancora a Bescanova
e a Castelmuschio dell' isola di Veglia fermandovisi parecchio tempo. Poi
andò ancora a Portorè, piccola citta di terraferma di fronte all' isola di
Veglia. E questa medesima gita egli la rifece nell'anno successivo (1879)
sullo scorcio d'ottobre. Che cosa egli facesse in codesti luoghi è da lui
raccontato con bel garbo nelle prefazioni delle Strenne rispettive. In una
delle quali (in quella dell' 81) trovo ancora che Don Antonio Prete di
Palermo, il quale aveva commesso al nostro Abate un Inno alla Vergine
Addolorata '), or lo pregava con grande istanza di fargli una versione o
parafrasi del salmo 64, eh' egli desiderava di far cantare a' suoi ragazzi. Il
') Vedilo nella Strenna istriana del 1880 in line.
227 —
Moise accettò volentieri la commissione e tradusse, ossia parafrasò il salmo
nel metro dell'Inno'), e lo mandò a Don Antonio, il quale ne fu con-
tentissimo.
Fra 1' uno e V altro dei sopra detti viaggi, il nostro Abate era andato
ancora a Verteneglio, a Cittanova e a Buje. Nel primo luogo e' era il
parroco, or defunto, Don Luigi Moise, suo cugino. Quivi si banchettò, il
giorno di S. Rocco patrono del luogo, allegramente. Dopo il brindisi, fatto
dal Moise, in versi che s'intende, e vuotati i bicchieri e cessato il rumore
dei viva, dei bene, dei bravo, « disse non so chi de' commensali : sr Qui
abbiamo un po' di tutto, qui versi, qui canti, qui suoni: non ci manca
ormai che un po' di ballo. — A suo tempo ci sarà anco il ballo; — rispose
il Turco; ma alle sue parole nessuno allora détte alcun peso. Più tardi
peraltro tutti s'accorsero ch'egli aveva detto il vero. Imperciocché, levandosi
alcuni di que' Signori per andarsene, si alzò anche lui e disse :
Signori miei, mi facciano il piacere di badare un tantino a me : non sia loro discaro
di fare quel che ora farò io ; e, presa la sua seggiola, 1' accostò alla prossima parete, e
tutti gli altri fecero lo stesso. Indi, disposti tutti quanti in circolo nel mezzo della sala,
continuò : = Di grazia facciati tutti come me e dicati tutti come me. = Poi, stese ambe
le mani e pigliato con l'una il compagno che gli era alla destra e con l'altra quello che
gli era alla sinistra, e fatto così gli altri e formata come una catena, si fé' a bociare Veruni,
Urum, Urum e insieme a girare a destra, e poco appresso a ripetere Urum, Untiti, lirum
e a girare ora in su e ora in giù, eh' era proprio una bellezza. Durò il ballo un tre o
quattro minuti, dopo di che si rimesser tutti a sedere buttandosi via dalle risa. Ci rac-
contò poscia Ottavo che il Urum (il qual nome si dà non solamente all' aria del ballo,
ma si ancora al ballo stesso) è usitatissimo in Turchia e caldamente raccomandato dai
medici, e che colà non si fa mai un pasto qualunque più lauto un poco dell' ordinario
che non sia seguito dal Urum. Anche il gobbo avea ballato il Urum e insieme con gli
altri s'era congedato poco dappoi ed era uscito di casa ; ma, arrivati clic fummo dinanzi
alla Chiesa, e' ci spari dagli occhi e niuno più lo vide. Ch' e' sia un mago ? Indovinala
Grillo.
Tutto l'insieme è una freddura; ma non si potrà non ammirarne la
eleganza e la semplicità del racconto. Quanti oggi saprebbero dire le stesse
cose con altrettanta chiarezza e purità di lingua ? E si badi che non sono
finzioni rettoriche codeste. Quando il nostro Moise si trovava con i suoi
amici a stare allegramente, egli si rendeva promotore di siffatti giuochi,
facendo tutti smascellare dalle risa. E il ballo Urum, d' ora in poi lo si
') In strofe di quattro versi quinarj. Vedilo nella Strenna istr. del 1881 pag. 93 e seg.
— 228 —
trova innestato quasi in ogni Strenna, che ogni anno aveva motivo di trovarsi
con buoni conoscenti o amici che fossero qua o là nei periodici suoi viaggi ;
che egli era presto amico di tutti, e tutti gli volevan un mondo di bene,
e andavano a gara neh' invitarlo, nel farlo discorrere, raccontare, novellare.
Ed era proprio un piacere, un vero divertimento ad udirlo. Né mai scendeva
a nessuna cosa scurrile; ma era semplicemente piacevole, festoso, burlone.
Pareva, insomma, ed era in realtà, uomo d'un altro mondo, di quelli de'
quali difficilmente si saprebbe in oggi trovare lo stampo. Invano per ciò
si cercherebbe in lui la fibra d'un forte scrittore, la potenza d'un ingegno
peregrino ed ardito. Ma se questo non era, egli era sì bene uomo illuminato,
dotto, amoroso, paziente, che solo nelle cose della vita spicciola si conduceva
come per mano, mentre nel suo ramo poteva dirsi indipendente maestro,
e in qualche parte grande operatore di civiltà.
Nell'autunno avanzato del 1880 il Moise andò a svagarsi a Lussinpiccolo
in casa d' un suo nipote, dove si fermò per la bellezza di cento giorni, cioè
dal 25 ottobre del detto anno al 5 febbrajo dell' anno successivo ').
Ei fa anche di questo luogo una breve descrizione, poi parla della
Società di mutua associazione navale e di altre Associazioni popolari colà
esistenti. È caso proprio raro ch'egli entri a parlare di siffatte cose. E non
solo delle anzi dette, ma eziandio dei commerci e della marineria mercantile
di quell' industre isola. I lussignani fecero un mondo di gentilezze all'Abate,
il quale era « in fama di celebre filologo e di valoroso scrittore; sicché
non lo stimavano e onoravano come Abate puramente, ma come Abate
letterato ».
Durante quella sua fermata, il Moisè si prestò volonteroso a fare i
bisogni spirituali di quella popolazione, cioè non soltanto celebrava la messa,
ma in tutti i giorni e a tutte l'ore accorreva, ove fosse bisogno, al con-
fessionale. Alla domenica poi, per contentare alcune signore che istantemente
ne lo pregavano, vi faceva dopo la messa un predichino. « La gente accorreva
in folla ad ascoltarlo, e per gente non intendo solo il popolino, ma intendo
pur anche i signori, le signore, i maestri, le maestre, i professori, gl'impiegati
e va'tene là. I suoi predichini, o, com' egli li chiamava, discorsini, erano
brevissimi, semplici e alla mano, ma pieni di espressione e di affetto, a tal
che costringevano, dirò così, gli uditori ad ascoltarli con attenzione e ne
commovevano e intenerivano i cuori; e io vidi — e non una sola volta —
') Vedi cap. Viaggi pag. 14 e seg. della Strenna istriana per 1' anno li
— 229 —
parecchi che li stavano a sentire asciugarsi con la pezzuola le lacrime, che,
senza quasi addirsene eglino, loro scendevan dagli occhi, e taluni, fra gli
altri, i quali erari venuti in chiesa per ben altro che per piangere» ').
Partì da Lussino un mese circa prima del tempo fissato, e ciò per
intervenire alle nozze che si dovevano celebrare a Cherso di altro suo nipote.
Finite le nozze, parla di scancìo del viaggio di ritorno per la via di terra degli
ospiti lussignani. I quali si sono fermati al lago di Vrana poi ad Ossero
dove visitarono il Museo dell'arciprete Bolmarcich, ora canonico a Veglia.
Dopo questo, ei racconta il viaggio fatto a Plauno. « Così si chiama
una piccola isola situata fra la nostra (isola di Cherso) e quella di Veglia,
poco distante dallo sporto quadrangolare che fa lo Smergo verso levante....»2).
Il Moise partì per Plauno, in compagnia del padrone dell'isola dottor
Nicolò de Petris e famiglia, la mattina del dì 17 luglio. L'Abate ci andò
primieramente per « ribenedire il cinesino di Santo Spirito che da anni
Domini non era stato uffiziato, e in secondo luogo il detto sor dottore
desiderava di avere in sua compagnia il suo signor cognato durante le feste-
che quivi usa di fare nei giorni che si tosano le pecore ». E racconta codeste
teste, facendo una descrizione graziosissima del modo col quale sogliono
quei pastori tosar le pecore. Finita la tosatura, tanto l'Abate che i signori
ospiti ritornarono a Cherso.
L'Abate racconta ancora un terzo viaggio fatto a Monfalcone al principio
del luglio. Fu in questo incontro che conobbe 1' egregio prof. Giuseppe
Vett.ich, in quel tempo ispettore scolastico a Gradisca. Con lui fece ben
presto amicizia, ed effettuò anche qualche gitcrella nei dintorni.
XXV.
Da tanti anni che usciva il Lunario prima, la Strenna di poi del nostro
Grammatico chersino, nessuno fra noi ne aveva detto nulla per le pubbliche
stampe, o, se pure, non si era fatto niente di più che annunziarla sempli-
') Sopra tutto, ci dice, facevano grande impressione le chiuse delle perorazioni sue,
due delle quali ei riporta nella citata Strenna a pag 98 e seg.
3; I.cco altre indicazioni dell'isola. Essa comprende 1532 jugeri di terreno, ai quali
ove si aggiungano altri 26 jugeri de' due isolotti ad essa appartenenti, ossia di quello di
Carnaziolo a scirocco che ne conta 9 e quello di Correlato a libeccio che ne conta 17,
si hanno in tutto 1558 jugeri.
— 230 —
cernente con qualche frase obbligata o di convenienza. Ed ecco il eh. cavaliere
Tomaso Luciani, noto patriota istriano, mandarmi sullo scorcio del mese
di gennaio dell'anno 1882 una Lettera aperta all'indirizzo del Chiarissimo
Abate Giovanni 3\Coise — in Cberso, lettera ch'io inserii come appendice
ne L' Istria del 4 febbrajo di quell' anno, N. 6. Preposto il cav. Luciani
come motto alla lettera il noto apoftegma latino In tenui labor, al tennis
non gloria .... così comincia la sua lettera :
Ho ricevuto da Firenze la Strenna istriana ài N. C. Baccelli che avete voluto quest'anno
donarmi. Ve ne ringrazio, e per l'affetto che a ciò vi mosse e più ancora pel bene ch'essa
apporta nell'opinione pubblica al nostro paese. — Modestissima in apparenza la Strenna
istriana — sotto 'l velame de gli versi strani — asconde della bella e buona dottrina. Essa
sopratutto fa toccare con mano come sul nostro Quarnaro ch'ebbe dall'Alighieri battesimo
incancellabile, sia propria naturale la lingua del sì. E in vero dove non la si succhia
col latte, dove non sono pieni e pregni della letteratura italiana — l'aria, la terra, il mar
— non si maneggia la lingua come la maneggiate voi, in modo da strappare ad un Fanfani,
ad un Di Giovanni, ad un De Gubernatis e ad altri scrittori illustri, le attestazioni lusin-
ghevolissime che, non chiesti e in alcuni giudizi anche da voi dissenzienti, vi hanno dato
pubblicamente. Non posso trattenermi dal ripetere qui, non per voi, ma per i compro-
vinciali nostri, alcuni brani assai notevoli di dette attestazioni
E qui riporta dette attestazioni, che i nostri lettori troveranno in altri
luoghi di questa biografia. Poi parla del piacere che ha provato nel leggere
essa Strenna, la quale gli ha risvegliato una serie di cari ricordi.
Detto dunque questo, e lodati i Viaggi stampati dal Moise, così pro-
segue :
11 dialogo delle tre gentili abitatrici di Vrana mi piacque molto, perchè unisce l'utile
al dolce. Giova infatti, sommamente giova, abolire dalla nostra parlata ogni stranierume
e avvezzare le donne ed il popolo a chiamare con voci nostre i mobili e le masserizie di
casa. La lingua italiana è ricca, assai ricca e feconda in ogni ramo, quando la si studia
filosoficamente e la si conosce davvero. Che se per qualche utensile, di novissima invenzione
o introduzione straniera, mancasse il nome nei vecchi depositi della Crusca, ricordiamoci
che la lingua è viva e come tale dee muoversi, ricorriamo quindi ai derivati, ai composti,
alle analogie, alle somiglianze, alle infinite altre risorse e della favella comune e delle sue
varietà dialettali prima di accordare cittadinanza a voci straniere. — Voi per eccesso di
scrupolo non avete fatto buon viso alla dormosa (per dormeuse) abbenchè uscita dalle
labbra d'una giovane e certo arguta signora. Io, all' incontro, dopo aver sentito da tutto
il popolo di Firenze (popolo, non plebe), dire cassepotte ai famosi ebassepots, non mi farei
punto scrupolo di ammettere la dormosa o la dormigliosa; che è fatta apposta per conciliare
il sonno dopo il pasto o nelle ore bruciate. Per lo stesso eccesso di scrupolo avete dichiarato
a. pag. 69, che la consolle non ha in italiano alcun nome che vi corrisponda, e che dobbiamo
però chiamarla come la chiamano i Francesi, dai quali Vabbiam presa .... Ma non vi pare
che talfiata sia stata detta mènsola ? E, se anche non fosse stata detta, non vi pare che
si possa dirla? che l'uso cui è spesso destinata, la forma dei suoi piedi o sostegni, giù-
— 23 1 -
stificherebbero 1' applicazione d' un tale nome ? A confortarvi più e più vi dirò che nel
dialetto popolano e però antico di Albona, prima che i Francesi o chi altri portassero il
iremo e gì' infrancesati la consolle, i nostri buoni vecchi, a un tavolino di forma e destinazione
non dissimili, dicevano giocola ; e che anche presentemente in Albona appellano gio^ole
quei mensolini che si attaccano alla parete di fianco ai letti e che servono a posare il
lumicino di notte, il bicchier d' acqua, il libro, gli occhiali e altrettali piccoli oggetti, a
comodo della persona giacente.
Dicendo del dialogo tra il Baccelli e il Sandrino che tratta di cose gram-
maticali, ne loda lo spirito d'indipendenza del nostro grammatico, siccome
quello che facendo pur di cappello all' insigne lavoro del Diez, si dichiara
non d' accordo col dotto Alemanno intorno a parecchie etimologie ecc.
Detto poi che gli piacquero ancora tutte le altre cose contenute nella
Strenna, continua :
Dopo tutto ciò tollerate dal vecchio amico un'ultima osservazione. — Mi pare che tal-
volta vi siete lasciato sedurre da certe frasi e forinole più toscane che italiane ; come dare di
bruscolo, — rimanere cerne Tenete, — andare a fagiuolo, — a fagiolissimo, — non dare né in
tinche né in età, — dondolar la Mattea .... Sì, anche la Mattea ammessa in tutti i Vocabolarj
italiani in grazia del Varchi, è meno italiana del cuti dell'aja che è a tutti notissimo.
Lo bello stile clic v' ha fallo onore — non ci guadagna con queste frasi, che anzi il
lettore non toscano non afferrandone subito il senso, vi si ribella. Questa osservazione
però non iscema nell'opinione mia il merito dell'opera vostra, che — ubi plura nitent ....
non ego paucis offendar maculis. E quindi per tutte le ragioni fin qui discorse io faccio le
mie congratulazioni col vostro alter ego Nono Cajo Baccelli, e raccomando la Strenna
istriana sopratutto agli Istriani, perchè non si ripeta ancora una volta a lode dell'autore
e a discredito del paese il — tiemo piopheta in patria.
Finisce coli' animarlo a dar fuori la Grammatica di mago.
XXVI.
Nella Prefazione alla Strenna istriana per l'anno 1883 N. C. Baccelli
racconta francamente, che negli anni a questo antecedenti, la Strenna, tut-
toché Istriana, era letta assai poco in Istria, e a molti Istriani ell'era affatto
sconosciuta. Quello che a tutti la rese nota ne fu la lettera qui sopra riportata
del cav. Luciani '). Se non che il Luciani e nella detta lettera e in altre
') Di fatti gliene furono commesse 700 copie per l'anno venturo. Cosi da una lettera
a me diretta.
— 232 —
susseguenti dirette al sor Abate, da una parte imburrava di lodi la Strenna, e
dall'altra ne condannava certe voci e maniere tutte proprie, diceva lui, dell'uso
toscano e dai non Toscani generalmente non intese. Le medesime osservazioni
furon fatte in seguito anche al Moise da altri signori istriani, i quali però lo
consigliavano, stortamente, a mio giudizio, a non adoperare nelle Strenne av-
venire le siffatte voci e maniere e a sostituire loro le voci e maniere della
lingua comune e da tutti intesa. Ora che si doveva egli fare per accontentarli?
Togliere dalla Strenna — egli osserva — quelle voci e quelle maniere era lo stesso
che distruggerla ; perché lo scopo principale della Strenna è quello di eccitare i suoi lettori
all'amore e allo studio delia lingua parlata in Toscana '), per arrivare quandochessia ad
ottenere quella unità della lingua che fu caldeggiata ultimamente dai principali scrittori
toscani de' nostri giorni, vo' dire dal Giusti, dal Fanfani, dal Ricci, dal Guasti, dal Rigutini
e da altri ancora. Ma per appagare in fine in fine i loro desiderj e' non era necessario
di togliere dalla Strenna quelle voci e quelle maniere, ma bastava far si ch'essi le inten-
dessero. Ed ecco spiegata la ragione delle note, dove appunto vengono chiarite quelle
voci e quelle maniere che molti non Toscani penano a intendere. Nelle dieci Strenne che
precedettero a questa qui non e' eran note, ni occorreva punto che vi fossero ; perchè i
loro lettori eran tutti più o meno dotti, e, conseguentemente, senza bisogno di note
intendevano ciò che leggevano : ma quest'anno gli è un altro par di maniche. Quest'anno
non i soli dotti leggeranno la Strenna, ma la leggeranno altresì tanti e tanti che non sono
dotti, tanti e tanti che non hanno mai veduta in viso la Grammatica ; e per costoro le
note saranno una mano di Dio 2).
E oltre che le note, il Moise introdusse ancora una novità nelle sue
Strenne, egli inserì cioè dei Racconti morali del canonico Cristoforo Schmid.
Ecco come passò la cosa *) :
Il nostro sor Abate fu più volte stimolato in addietro da' suoi amici a fare una nuova
traduzione italiana di tutti i Racconti dello Schmid, essendo in generale quelle che ne
') Ad un Signore che gli aveva fatto l'appunto in uno scritto di far parlare le donne
nelle sue Strenne nella lingua del Padre Cesari, il Moise non rispose, ma a me scrisse le
precise: «Egli (dicendo questo) sballa un marrone dell'ottanta; perchè dalla lingua del
Cesari a quella usata da me ne' Dialoghi tanto ci corre quanto da una stella a una stalla.
Tutti sanno infatti che la lingua del Cesari è lingua classica e in ghingheri, laddove la
mia è lingua pedestre e famigliare : il Cesari scrive nella lingua di frate Bartolomeo da
San Concordio, del Cavalca e del Passavanti, ed io invece metto in bocca alle mie donnine
la lingua dello Zannoni, del Giusti e del Guadagnoli. Le dico questo tanto per dirglielo.
uè intendo altrimenti che V. S. se ne rivalga contro il Signore , no, no».
2) Nel ristampare che fece ne L'Istria le Prefazioni dei due primi Lunarj, il Moise
le accompagnò pure di opportune note.
s) Vedi Prefazione su citata pag. 5 e seg.
- 233 -
abbiamo traduzionacce, si perchè infedeli al testo, si perchè scritte in pessima lingua;
sicché una traduzione a garbo di que' Racconti sarebbe, dicevan essi, un gran bene per
l' Italia, dove lo Schmid è, dirò così, per le mani di tutti. Di buona voglia accettò il sor
Abate il consiglio degli amici, e, fattosi venire da Monaco l'intera collezione de' Racconti
pubblicata nel 1876 da Luigi Finsterlin, si messe tosto all'opera e in meno d'un anno
ne tradusse due volumi. Ei voleva andare avanti, ma poi cominciò a dubitare sulla bontà
del suo lavoro, temendo che la sua versione non avesse po' poi quelli stessi difetti ch'egli
condannava nelle altre. Stando cosi l'affare, gli venne in pensiero di scegliere uno o due
Racconti de' più piccoli e d' inserirli nella .... Strenna e aspettare poi quello che ne
direbbero i letterati, e tutti i suoi amici approvarono il disegno ; ed ecco spiegata la ragione
anche dei Racconti.
Dichiara infine ch'egli si atterrà strettamente al giudizio che de' Racconti
da lui tradotti daranno i letterati.
Se questi ne diran bene, egli continuerà la sua traduzione e ogni anno seguiterà a
pubblicarne uno o più d' uno nella Strenna, cominciando dai più piccoli e andando di
mano in mano ai più grandi ; se poi ne diranno roba da chiodi, egli smetterà sul momento,
né penserà più d' inserirli nella Strenna.
Ed ha mantenuto la parola, fino a tanto che restò in vita.
Imperocché delle sue traduzioni dei Racconti schmidiani, ne dissero
un mondo di bene i meglio periti neh' arte dello scrivere. Stando così le
cose, mentre 1' Abate nella Strenna dell' 83 aveva pubblicati due Racconti,
// non ti scordar-di-me e La Lucciola; negli anni successivi, via via per le
altre Strenne, pubblicò i seguenti : I Gamberi, La Stiacciata (nella Strenna
dell' 84); L' anello di diamanti, racconto in lettere (nella Strenna dell' 85);
La Figilia di Natale, Il Nido di Uccelli (nella Strenna dell' 86 '); Enrico di
Eicbenfels, La Cappella presso a Woljsbùhl (nella Strenna dell' 87) ; Le Ova
di Pasqua, Il Canarino, La Colombina, L'Immagine di Maria (nella Strenna
dell' 88). Sono dunque 13 i Racconti da lui tradotti. Peccato eh' ei non
sia giunto in tempo di finire questa elegantissima e ad un tempo fedele
traduzione, che con essa le nostre lettere sarebbero state propriamente
arricchite d' un' opera importante e completa e in uno tanto popolare. Mi
ricordo, subito che lessi i primi racconti schmidiani da lui tradotti, d'avere
instato in tutti i modi presso di lui perchè lasciasse da banda ogn' altra
') Questa Strenna e chiamata dal Moise SchmiJìana, siccome quella che nient'altro
contiene se non due Racconti del canonico Schmid, a cui s'aggiunge un'Odicina per nozze
pubblicata dal Moiic nel maggio 1885.
1«
- 234 —
occupazione, e tutto si dedicasse a codesta traduzione; ma era uomo che,
se ascoltava volentieri gli altrui consigli, era altrettanto guardingo nel mettere
al palio, come diceva, i suoi lavori. Ed io so che, talvolta, per una espres-
sione tedesca intraducibile letteralmente nella nostra lingua, si smaniava
giorni e settimane intere, scrivendo lettere per consulti ai quattro venti.
Questa scrupolosità e i frequenti acciacchi della vita lo distolsero dal compire
il lavoro prima di morire.
XXVII.
In data del io febbraio 1883 io riceveva dall' Abate Moise da Cherso
una lettera, nella quale mi diceva qualmente da ogni parte gli venivano
domande per avere le Strenne antecedenti. Or non potendo egli accontentare
i petenti, che volevano avere completa la collezione, né potendo ancora
intraprendere, su due piedi, una seconda edizione delle già pubblicate Strenne,
cosi mi pregava di pubblicarle un po' per volta nelle appendici de L' Istria.
Per tutta risposta io inserii la lettera ne L' Istria ') dichiarando che
dal canto mio mi presterò ben volentieri al desiderio manifestato dal
chiarissimo nostro comprovinciale.
Già ne L'Istria d'un anno prima (1882), e precisamente nei N. 14,
21 e 25 aveva pubblicati come appendice due dialoghi (il terzo e il quarto),
estratti tutti e due dal Lunario per l'anno 1878. Così nello stesso periodico
dell'anno successivo (1883) vennero stampate le prefazioni con altre perti-
nenze dei due primi Lunarj, e precisamente nel N. 63 la Prefazione in
prosa e nel N. 64 quella in versi del Lunario del 1873 ; mentre la Prefazione
con altre pertinenze del Lunario del 1874 stanno parte nel N. 68 e parte
nel N. 76.
Nel N. 56 poi dell' istesso anno (20 gennaio) io invitava i miei
comprovinciali a provvedersi della Strenna Istriana per l'anno 1883 colle
seguenti parole :
— Che la Strenna (di Nono Cajo Baccelli) sia un buon libro
è fiato sprecato ; soggiungere poi che il libro potrebbe servire siccome testo
di lingua purgata, è ancora opera vana, essendo noto ìippis atque tonsoribus,
') Anno II, 17 febbraio 1883, n. 60.
— 235 —
qualmente il sig. Baccelli sia tanto scrupoloso in fatto di lingua, da volere
financo che la sua Strenna veda la luce nella patria di Dante, di Michelangelo
e di Galileo. E come il Manzoni mandò / ^Promessi Sposi a purgarsi nelle
limpide onde dell'Arno, cosi il nostro Abate manda ogni anno a stampar
la sua Strenna alla città dei fiori. Noi salutiamo questo libro con vero
entusiasmo, amanti come siamo, anzi idolatri, del nostro beli' idioma, sacro
palladio della nostra civiltà. Chi perde lingua, perde libertà, dice Plutarco;
se cosi è, possiamo andarne orgogliosi, sicuri di essere laddiomercè molto
lontani da questo pericolo, finché si scrivono libri fra di noi nella lingua
viva del Guadagnoli, del Giusti, del Thouar e del Giuliani. Vorremmo
perciò avere mille trombe per fare la reclame — non si scandalizzi signor
Abate di questo forestierume — a questa Strenna, che dovrebbe passare
per le mani di tutti, per il modo purgato e terso con cui è scritta.
La comprino dunque i signori e la diffondano fra i proprj dipendenti
e la facciano leggere e rileggere fino a mandarla a memoria. —
E dopo aver detto che cosa ella conteneva, soggiunsi :
— E il eh. Abate, che ci regala ogni anno un buon libro e che tanto
contribuisce a tener fra di noi immacolata e fulgida la sacra fiamma dell'arte
del bello scrivere, accetti i nostri ringraziamenti, le felicitazioni più sincere;
e possa, essendo questo 1' undecimo anno della pubblicazione della Strenna,
raggiungere almeno la somma di tre altre diecine di Strenne. —
Cosi V Istria non si è stancata mai di raccomandare questo libercolo
del Moise. Nel N. 118 dell'anno 1884, mentre diceva che la Strenna era
uscita, e che era stata lodata dai più illustri italiani, soggiungeva :
— Il prof. Bart. Veratti, a cagion d'esempio, nei suoi Opuscoli Rdig.,
Lett. e Mot., che si stampino a Modena, nella tornata del 17 gennajo 1884
tenuta dall' Accademia Tassoniana, passando in rivista parecchie Strenne,
. cosi si esprime in rapporto all' Istriana dell' Abate Moise :
La Strenna Istriana di N. C. Baccelli non ha quest' anno nessun battibecco gram-
maticale; ma, toscanissima sempre, dà due dialoghi assai istruttivi (i quali stampati anni
sono, in Lunarj, ora non erano più reperibili); e la traduzione che ha tutta l'aria di
dettato originale in purissima lingua. È da congratularsi con N. C. Baccelli che ha trovato
si eccellente tradutore; è da desiderare che la Strenna Istriana venga in luce almeno una
volta il mese.
Dal canto nostro assecondiamo volentieri il desiderio espresso dall'illustre
prof. Veratti. Si potrebbe intanto aprire un abbonamento per i raccontini
dello Schmid, i quali possono sempre esser letti con frutto non solo dalle
persone colte, ma fin anche dai bassi artieri e dai contadini. Vestiti poi
del manto che sa dare ai racconti l'egregio Abate, acquistano necessariamente
— 236 —
un doppio valore. Non sappiamo se con questa nostra proposta incontriamo
anche il parere dell'autore; e qui non istà a noi il decidere. —
Mi piace qui di notare che io aveva scritto sempre, questo e altro, senza
conoscere di persona il Moise. Si fu appena nel novembre del 1883 ch'io
ebbi proprio il piacere di fare la sua conoscenza, e di ospitarlo come potei
e per brevi giorni in casa mia1), nelP occasione, cioè, eh' ei faceva un giro
per l' Istria a ritrovare gli amici, e precisamente a Parenzo, a Umago, a
Rovigno, a Valle, a Dignano, a Barbana e a Pola. Partito da Cherso il
dì 8 novembre, fu di ritorno il 14 dicembre.
Fu detto di sopra, che nella Strenna dell' 84 cominciò il Moise a ri-
pubblicare i Dialoghi dei primi Lunarj, e ciò egli fece per corrispondere al
desiderio di molti, che, valutando a buon diritto i dialoghi più di ogni altra
cosa delle Strenne, desideravano averne la raccolta completa. Finalmente si
cominciava ad aprire un po' gli occhi anche in Istria, che fuori era ben
d'adesso che ci si era accorti del valor loro, come delle Strenne in generale.
Infatti il eh. Alessandro Ippoliti, professore di lettere latine e greche nel
Liceo Campana di Osimo, dava nella Sentinella del Musone (anno VII, n. 8,
22 febbraio 1883) il seguente annunzio bibliografico:
tLimium ne crede colori. — In quel diluvio di Strenne eh' è piovuto addosso al
novello anno 1883, ce n' è di molte, che, salvo la copertina, eh' è una vera galanteria,
e il fine generoso a cui sono indirizzate, nel rimanente del sugo ce n' è poco, ma poco
bene. Una Strenna di quasi nessuna apparenza, ma fatta pure ammodino, è la Strenna
Istriana.
La Strenna va per gli undici anni, e chi la mise al mondo fu Nono Cajo Baccelli,
un Professore con tanto di lombi, il quale ne' suoi Dialoghi, per una buona metà del-
l' opuscolo, tratta questioncelle di lingua con elegante spigliatezza ed arguzia, che ci
ricorda i Diporti Filologici del compianto Fanfani e quelli del suo degno amico, il prof.
Alfonso Cerquetti.
Rifioriscono la Strenna alcune descrizioncelle di viaggi, fatte, anch'esse, con amabile
disinvoltura, e due Racconti, tradotti dal tedesco, di Cristoforo Schmid. Il primo dei quali
Racconti — •TvLo» ti scordar di me — è come un romanzetto domestico, spirante gentile
malinconia e squisitamente educativo : 1' altro, intitolato La Lucciola, ha un non so che
di più drammatico e tinte più risentite; le quali poi, dal mezzo in giù, vanno ammor-
bidendosi e sfumano in un' imagine lieta e serena. Il qual effetto nasce non meno dal
racconto in sé e dalle circostanze di esso, che dalla perizia del traduttore (eh' è poi lo
stesso Nono Cajo Baccelli) e dall' aver egli appropriato all'originale tedesco la più schietta
forma italiana.
') Vedi Prefazione alla Strenna per l'anno 1884.
— 237 —
Insomma è proprio il caso di ripetere: multimi in parvo. E noi desideriamo e augu-
riamo all' egregio Autore che la sua Strenna diventi sempre più italiana per numero di
lettori e associati.
Animato così, il povero Abate lavorò di buzzo buono nella traduzione
dei Racconti dello Schmid.
Ma pur troppo la sua salute era scossa. Ai primi acciacchi s'aggiunse
ancora una grave malattia d'occhi, che per poco non l'avea ridotto affatto
cieco. Già sulla fine dell'anno 1883 andò a Trieste per consultare il celebre
prof. Brettauer, che gli prescrisse una nojosissima e penosissima cura. E,
continuando tuttavia il suo male, tre mesi dopo ei fé' ritorno a Trieste,
dove il detto professore gli ordinò un'altra cura assai più mite. In questi
due viaggi, sebbene il mal d'occhi lo obbligasse a stare in casa una gran
parte del giorno, ei trovò modo ciò non ostante di trattenersi più volte e
a lungo col suo vecchio amico Vettach, e di conoscere personalmente i
professori de Cega, Friedrich e Cattaneo ').
Molto più allegro di questi due fu il viaggio che nel seguente mese
di luglio ei fece ai Bagni di Santo Stefano in Istria, del qual viaggio dà
anche diffusa relazione ai lettori nella Strenna dell' 85.
Durante quest'ultimo anno L'Istria (n. 182 e 183) ha potuto pubblicare
del nostro caro Abate due importantissime lettere ; nell' una delle quali egli
parla di sé e fa la critica a un libro del ch.mons. Deperis ora parroco a Parenzo,
e nell' altra discorre dell' epigrafia con un garbo tutto suo. Meriterebbero
nell'interesse delle belle lettere di essere ripubblicati quei due scritti, essendo
pochissimi forse quelli che conservano il detto periodico, mentre non li
conoscono affatto quelli che all'Istria o non sono associati, o lontani non
ebbero l'opportunità di leggerla mai. Ad ogni modo dico ora, a proposito
della seconda lettera, che da essa si rileva qualmente il nostro Abate avesse
fatto anche dei sodi studj nell' epigrafia.
XXVIII.
Abbenchè la Strenna del Moise avesse ottenuto dopo 1' 82, mercè le
raccomandazioni di questo o di quello, e, più di tutti, della stampa, una
maggiore, anzi molto maggiore diffusione in provincia che per lo passato,
tuttavia, devo dirlo, essa fu per molti una vera delusione. La forma del
') Vedi Prefazione della Strenna del 1885.
— 23» —
libercolo tutt'altro che appariscente, le frequenti disquisizioni grammaticali
o filologiche in essa contenute e delle quali i più non capivano buccicata,
le poesie tutte candore e semplicità, le stesse Prefazioni, in cui si parla delle
avventure della famiglia Baccelli (ben dette ma punto punto interessanti),
o dei suoi viaggi narrati molto alla buona, e ne' quali il lettore invano
cercava un po' di estro e di fantasia — tutto ciò concorreva o a stancare
la maggior parte dei lettori, o tutt'al più a muovere sulle labbra di certuni
un risolino di compassione, e vorrei quasi dire di commiserazione. Non
sono più i tempi delle Burbundofore, dei Baccelli, dei Cajini (come li chia-
mava lui), e della poesia d'Arcadia di non lieta memoria.
Ben presto il buon Abate s'accorse di questa corrente, dirò, d'apatia,
tanto più ch'ella faceva seguito ad un ridesto di popolarità. E me ne chiese
il perchè. Io mi ci trovai molto imbarazzato a rispondere; tuttavia, qualunque
tosse il mio giudizio, mi decisi a scrivergli la verità, come io la sentiva.
Fra altro, gli diceva eh' ei dovesse fare maggior uso della descrizione.
A questa mia lettera egli rispose molto cortesemente, e, lungi dal
pigliarne cappello, mi ringraziò ! « La descrizione, mi rispose, è per me un
osso duro, e però ne fo' a miccino. Quello che me la fé' andare in odio
affatto affatto si fu il Bresciani, il quale ne abusa in modo speciale ne' suoi
Racconti Tanto più ti son grato del tuo avviso sulla descrizione,
quanto che nessuno mi fece mai prima di te quest' osservazione, che è
giustissima ». E mi dice infine su questo proposito, e in riflesso alle sue
Strenne, altre cose che qui non accade di riportare.
Chi si rese poi interprete del giudizio popolare riportato di sopra,
si fu l'egregio nostro prof. Paolo Tedeschi, ora a Lodi, il quale inserì nella
Provincia di Capodistria (a. XVII, i febbrajo 1883, n. 3) sotto il titolo
Appunti bibliografici, una lunga critica sulla Strenna istriana per l'anno 1883
di N. C. Baccelli. Merita eh' io riporti i punti principali di questa critica.
Non una, ma due Strenne istriane mi pervennero quest' anno; e ciò mi dà occasione
a parlare di cose nostre; come faccio sempre volentieri, solo dispiacente di non lo poter
fare più spesso. E prima mi venne per la trafila di Venezia, la Strenna Istriana di N. C.
Baccelli, coi suoi due bravi baccelli in campo roseo, forse a significare le rosee speranze
dell' autore, il quale, come tutti sanno, non è già 1' Eccellenza del ministro Baccelli,
felicemente sedente in Roma sopra le cose della pubblica istruzione, e gli sterramenti
del Panteon; ma semplicemente, e quasi direi maggiorments, l'Abate Moise da Cherso,
illustre filologo e grammatico. E questa Strenna io ho letto, prima per procurarmi un
/vero piacere, ed anche per dirne con conoscenza di causa, secondo dice il proverbio:
«Spazi i gusci chi ha mangiato i baccelli». Ma sapete che gli è un grande onore per
l' Istria, di dettar leggi alla lingua dell'Arno ! Sorge una voce da un isolotto del Quarnero
e dice ai signori di là dell' acqua: questa è locuzione buona; cotesta è forma gramma-
— 239 —
ticale; ed i più illustri filologi e grammatici la stanno riverenti a sentire; o se anche si
abbaruffano con l' autore, come troppo sovente accade tra grammatici, finiscono col rico-
noscerne l'autorità e l'ingegno E questi miracoli sanno operare gli uomini di età matura
che hanno studiato ne' collegi veneti, o che obbligati in patria a studiare, in lingua
straniera, reagirono, fortemente reagirono, e appresero da sé a scrivere e a pensare
italiano. Adesso gli è un altro pajo di maniche; verrà forse la luce col tempo; ma ora,
come ora, bujo pesto.
Poi dice che la Strenna è già all'undecimo anno, e che fu quel bravo
uomo del Luciani che ne fece un cenno, senza di che non ne sapremmo
nulla neppur oggi. Parla delle troppe note ora apposte alla Strenna, andando
cosi all'estremo opposto.
Ma non è solo per via delle parole — ei soggiunge — che poco o nulla è istriana la
Strenna; ciò che più importa le mancano le idee e la rappresentazione della vita istriana.
Che cosa ne sappiamo noi delle questioni di lingua col Cerquetti e col Fanfani, Dio lo
riposi ?
È vero che per passare il titolo, l'autore ci ha introdotto un suo viaggetto a Ver-
teneglio ecc. ecc Ma, buon Dio, l' Istria non è tutta lì, e poi vi si discorre di cose
inconcludenti fatterelli, piccinerie, aneddotucci : cose tutte che non ci fanno né
freddo né caldo ; e il tutto poi con una beata bonomia e semplicità, che eccita un sor-
risetto, che finisce in uno sbadiglio con relativo sonnellino
Nello stesso tempo però ammiro questo beato idillio, questa cara semplicità d'altri
tempi, come la manifestazione d'un animo buono ed ingenuo, come un segno della vita
umile, contenta dei nostri buoni preti istriani, che per pigliarsi uno svago, dopo gli studj
severi della grammatica o sulla casuistica, attendono a burlette, a cenette, e scenette,
sbarcando il lunario tra il mondo e Gesù, e accendendo magari ogni tanto un moccolino
al più buono, al più novizio dei diavoli. Così ce ne fossero tanti di questi preti, che
sarebbe da far Gesù con tutte e due le mani !
Chi scrive un libro, scrive pel pubblico ; e tutto ciò che è troppo soggettivo, non
può destare alcuna curiosità nel rispettabile pubblico
Cosi avviene che molti libri bene scritti, senza francesismi e senza modi errati
lasciano il tempo che trovano; e tutto per quella benedetta convenienza che fu sempre,
e più che mai oggi, dote precipua dello stile; e che i grammatici sono gli ultimi a capire.
Non basta che le parole siano pure, è necessario che le idee, gli affetti, le parole stesse
siano convenienti al tempo, al luogo, alle circostanze, e tocca via.
Così, per dirne una, quelle Signore Agrippina, Lina, Annetta parlano come un
libro stampato, ma, dacché mondo è mondo, le signore, si sa, quando si trovano assieme,
un po' parlano di mode, ed anche, se sono assennate, del modo di tirar su i figliuoli,
e poi dell' ultimo romanzo che han letto, e della sospirata emancipazione, che é sempre
di là da venire, e un pochino, l'ho a dire? mordono gentilmente il prossimo. E cosi
faranno, credo bene, anche le signore di Cherso. Ma potenzinterra! l'autore invece me
le fa viaggiare ecc. e me le fa montare in cattedra per dar lezioni di lingua
Non è adunque, mi affretto dirlo, senza meriti questo dialogo, anzi è scritto con
quella profonda conoscenza della lingua che ha l'illustre filologo, e torna assai opportuno
per la cognizione di molti vocaboli d' uso famigliare ; onde io lo raccomando tanto a
— 240 —
tutti gli educatori e maestri. Bastava solo serbar quella benedetta convenienza de quo;
e far parlare nel dialogo cosi alla buona maestri e maestre, e tutto era salvato. Un tal
errore commise anche il Fanfani, il quale nel suo Plutarco femminile fece peggio dal
lato dell' invenzione, immaginando un viaggio di più ore intrapreso da una signora, per
venire a sentir leggere in un collegio il componimento d' una ragazza, la lettura del quale
al più al più avrà durato cinque minuti. Questa mancanza d' invenzione, che è difetto
di vita e quindi di stile, o meglio di libri senza stile rende inutili i libri popolari di molti
illustri filologi e grammatici, che quando si mettono a scrivere libri di amena lettura
non ne imberciano mai una. Veggansi per esempio le novelle e il romanzo del Fanfani.
Sono libri purissimi, ma nessuno li legge, perchè senza stile. E il popolo continua a
leggere i libri coi francesismi, perchè si diverte.
Poi propone delle questioni di lingua al Moise. E da queste passa ai
Racconti dello Schmid.
Chiudono la Strenna — ei dice — due racconti del canonico Schmid, voltati in italiano;
e l'autore prega il lettore a volergli dire la sua schietta opinione per vedere se ha o meno
a continuare nel suo lavoro. A dire che queste novelline sono scritte male, sarebbe un peccare
contro lo Spirito Santo. Due sole osservazioni. Il periodo sia foggiato semplicemente e
con sintassi più che sia possibile diretta per rendere lo stile schietto e facile del buon
tedesco, che ha scritto proprio alla buona e pei fanciulli. Dunque non periodi tirati sulla
falsariga del Fanfani, non giravolte, non soverchio torniare, non checcberelìate toscane, come
subito a pag. 120: «Se non che, — ciò che appena si può credere ». Un semplice
ma, e via diritto
E conchiude :
Queste cose voleva io dire all'Abate Moise senza alcun detrimento alla sua fama di
filologo illustre ; fama riconosciuta anche dal Dizionario Biografico degli scrittori contem-
poranei. E se io avessi il piacere di trovarmi a tu per tu con lui, vedrebbe che non sono
un burbero ed accigliato Aristarco, né un moderno Flegiàs furibondo. E come sarei io
contento di stringere la mano ad un bravo prete di fama italiana, che onora la chiesa e
il nostro caro paese ! E vedrebbe come io sono sempre il burlone d'un tempo ! E vorrei
fargli assaggiare una bottiglia del mio Barolo, o meglio un fiasco di Chianti paesano, e
poi magari ballare un lerum al suono dello scacciapensieri, all'allegro cinguettio dei passeri
nell'orto e sulle mura della vecchia Laude Pompeja, al tubar dei colombi, e al crosciare
della mia checa, che è sempre quella famosa maestra di versificazione barbara ai nuovi
giovinetti incolti e disonesti.
In questo articolo il Tedeschi aveva dette delle cose buone; ma, a
mio sommesso parere, — e con buona pace del caro e stimato amico —
egli aveva anche oltrepassato il canapo. Il Moise voleva rispondergli sullo
stesso periodico La Provincia, ma poi, non so perchè, non ne fece altro.
' Ecco ; e' mi pare che per giudicare un' opera, convenga prima di tutto,
anzi sopra tutto, conoscere l'intenzione dell'autore, cioè lo scopo con cui
la scrive e il fine a cui la dirige. Ho detto già quali mire avesse il Moise
— 241 —
nello scrivere le sue Strenne, ora poi posso soggiungere, che, per esempio,
i suoi Dialoghi familiari che andò inserendo a mano a mano quasi in ogni
Strenna, ei li messe a bella posta per togliere dal nostro comune parlare
tante voci, o brutte, o viete, o straniere. E che se ne sieno introdotte nel
nostro paese dal 1815 in poi delle vociacele da far arricciare i capelli, il
prof. Tedeschi non può negarmelo. Non era dunque opera santa e civile
e grande quella del Moise, il quale s' era proposto di correggere noi che
sozzamente parliamo? E tanto più benefica era la sua opera in quanto l'edu-
cazione che oggi si dà ai nostri figli sia malvagia. Che un uomo conservi
il fuoco sacro della lingua, fu sempre cosa degna di grande venerazione.
Non più tardi dello scorso aprile, e precisamente il giorno di S. Giorgio
patrono della mia Pirano, io m'imbattei in un signore capodistriano d'antico
e nobile pelo — di quei nobili che si rispettano e che leggono ancora
e Virgilio e Orazio e Livio — il quale da venti anni non manca mai di
recarsi in pellegrinaggio nel detto giorno alla detta città. Consolatomi di
ritrovarlo ancor vegeto e arzillo, ei mi rispose : No xe mal, me rastrelo su
come posso. A questo me rastrelo su, annaspai tanto d'occhi, ond'egli, avve-
dendosene, — No ghe par vero, mi disse, de sentir parlar in 'sto modo. Pur
tropo anca da nu se va perdendo persin el bel parlar, ci bon dialelo. 'Sii
vapori de mar e de ter a i ne porta la coru^ion anca nela lingua! — E
questa è storia. Oggidì, anche a Capodistria, a Isola, a Pirano, a Parenzo,
a Rovigno, a Dignano ecc. non si parla più il buon dialetto d'una volta.
E nomino codesti luoghi perchè sono i più puri italiani, e d'una fisonomia
alfatto spiccata; figurarsi dunque gli altri luoghi che non hanno le qualifiche
dei primi! E quando dico il buon dialetto, intendo dire quel parlare popolano
che non altera le costruzioni e la sintassi, pur usando dei modi del tutto
speciali e arcaici, che fanno sorridere .... gì' imbecilli. Dal momento dunque
che tanti barbarismi si sono e si vanno facendo strada, o perchè, santissimo
Dio ! non metteremo ogni cura, ogni sforzo per far scartar quelli, e, in
loro vece, — posto che i nostri nomi arcaici dialettali vanno perdendosi —
non faremo strada, anzi non apriremo tutte e due le braccia per accettare
gli equivalenti fiorentini ? Io, come io, se comandassi negli affari dell'istru-
zione pubblica del mio paese, emetterei un primo editto col quale ordinerei
di adoperare in ogni nostra scuola le Grammatiche del Moise; poi ne farei
un secondo, col quale commetterci ad un editore di raccogliere in un libro
tutti i Dialoghi familiari delle Strenne del Moise, e questo libro comanderei
dovesse essere mandato a memoria dal primo all' ultimo rigo da ogni scolare
indistintamente, pena due digiuni il mese. Ditemi barbaro, ditemi quel
che volete, ma così la penso, e così sostengo ancora si dovrebbe fare.
— 242 —
Oh ! questa povera Istria, che a poco a poco tante cose va perdendo,
quando avrà un altro pedante e magari dieci, cento, al par del Moise ?
quando avrà un Ministro per l' istruzione pubblica che la pensi coni' io la
penso ? E solo allora — dato che i Numi non vengano in altro consiglio —
la patria mia sarà salva dall' ognor crescente corruzione e imbastardimento.
Mi sia perdonata 1' apostrofe, e torniamo a bomba.
Taluno dirà ch'io sono innamorato del Moise e che l'amore non mi
fa veder giusto e chiaro. Sicuro che ne sono innamorato; ma codesto amore
è sorto in me dopo la lettura che feci delle sue opere. — Non dico che
fu studio il mio, che pur troppo le svariate occupazioni non mi concedettero
di approfondirmi in esse, specie nella Grammatica. D'altronde io ne so poco,
e quel poco dovetti procurarmelo da me con grande fatica e penoso studio,
avendomi le scuole licenziato asino asinissimo quanto si può essere. Ed
avrei pagato un occhio, vivente il Moise, di averlo a me da presso, e
soltanto per sentirmi riprendere e correggere de' miei strafalcioni. Codesto
amore s' è poi in me radicato quando lo conobbi più da presso, quando
cioè ho potuto rilevare la grande bontà, la straordinaria dottrina grammaticale
e filologica, l' infinita pazienza, la persino inconcepibile ingenuità dell'animo
suo. Or quanti sono da noi che hanno lette le opere del Moise? Eppure
si sono talvolta trinciati sul suo conto dei giudizj che manifestavano l' in-
tenzione di demolirlo, o quanto meno di gettargli addosso il ridicolo ! E
le sue Strenne erano fatte apposta, e si prestavano mirabilmente a questo.
Poh! un Grammatico, si esclama, che cosa poi sono codesti Grammatici!
pedanti, non altro che pedanti ! Che orrore !
Come un nobile caduto in miseria — dice L. Settembrini ') — guardasi di commet-
tere bassezza ricordevole della sua origine, e spesso porta la fierezza sino all' esagerazione
per non farsi umiliare in minima cosa da nessuno; così gì' Italiani, dopo tanto splendore
di potenza di ricchezza e di sapere, divenuti soggetti allo straniero, ricordando la gloria
passata, hanno voluto almeno nelle scritture rimanere antichi, ed hanno lodato sempre
chi scrive secondo i buoni antichi, non secondo i moderni. È un' esagerazione, ma nasce
da principio buono. Che sarebbe stato se l' Italia non avesse avuto questo sentimento,
del quale noi ora vediamo una manifestazione nella lingua? Con la lingua avrebbe perduto
il pensiero, la coscienza, e la speranza di risorgere a questa novella vita cui è risorta.
Or, viste e conosciute le condizioni nostre, che cosa sarà di noi se
ce la prendiamo tanto alla leggera colla questione della lingua ? ! — Lascio
il giudizio a chi ha fior di senno.
') Legioni di leti. it. voi. II, cap. 72. — Le Accademie e la Crusca, pag. 384.
— 243 —
Imperocché io penso col sopra citato autore ') che il rigore sia tanto
più necessario quanto più corrotti sono i tempi. E se anche il Moise fu
momentaneamente avversato, o non curato, io credo e spero eh' egli sarà
studiato e benedetto dai posteri, che egli insegnò a noi italianità, perchè non
ci dimenticassimo di essere italiani.
Ma, per ritornar al Tedeschi, a lui dettero sui nervi le checcherellate
toscane del Moise. E qui la questione si farebbe grossa, ed io non mi sento
tanto forte in arcioni per affrontarla con lui decisamente. Tuttavia mi
proverò di dire qualche cosa, trincerandomi dietro le spalle d'incontestate
autorità.
Sulla lingua, se debba essere toscana o fiorentina o italiana, se n' è
parlato giù tanto da esserne venuta in tutti la sazietà, per non dir la noja.
Quello però che a me — nutrito del resto di scarsi studj filologici —
parve riassumesse e sentenziasse con giusto criterio su codesta questione,
si fu il prof. Francesco D' Ovidio nei varj suoi scritti, ma particolarmente
in quello che egli intitola Lingua e dialetto *). Ora il sig. D' Ovidio, mentre
fa larga parte al dialetto fiorentino, tuttavia dice francamente, « che d'at-
tenersi del tutto all'uso fiorentino mancherebbe a tutti il coraggio; o che
questo, quando pur si avesse, si avrebbe a chiamar temerità: la temerità
di voler imporre modi di scrivere che riescono o nuovi o almeno troppo
ricercati, e disturbare così con consuetudini già ferme e divenute istintive
presso ogni colto Italiano ». E non è ch'egli ritenga reprobe e spurie cotali
forme (p. e. il mi' bambino, la mi' figliola, la su moglie, e ha per hai ecc.
modi questi usati anche dal Moise), sol perchè non note alla lingua colta ;
le sono anzi, per lui, come per ogni buon studioso di linguistica, « forme
spiegabilissime e legittime quanto ogni altra forma di ogni altro lin-
guaggio ». Ma solo gli parrebbe ridicolo « l' adottarle artificialmente in
una lingua che non ne sente il bisogno, e che anzi finirebbe a riceverne Dio
sa quale confusione, per via d' una intera serie di equivoci del genere di
quello che nascerebbe, per esempio, tra l' attuale indicativo toscano possano
e il possono tradizionale congiuntivo ecc. ecc. ».
Ma il fatto è cue anche gli scrittori, a furia di discorrere colla penna,
« vengono a prendere delle abitudini comuni e delle intese e degli accordi
') L. Settembrini. 'Basilio Vuoti, articolo inserito negli Scritti vari di Lett., politica
tà Arte, pag. 133 — Napoli. Morano, 1879.
'; Inserito nei Saggi critici, pag. 347 — Napoli. Morano, 1879.
— 244 —
spontanei od anche riflessi, e così un uso letterario si forma; uso trasmutabile
anch'esso, ma uso a sé e per se Così è potuto seguire che alcuni prosatori,
che certo non hanno avuta nessuna pretesa di toscaneggiare, han pure scritto
in un modo di che il gusto moderno non si offende menomamente; e il
Leopardi sia citato per tutti ». — Fin qui, dunque, d' accordissimi col
Tedeschi, e con lui m' associo nel concedere — non per quel che disse il
D' Ovidio, ma per quel che mi persuase il D' Ovidio — che in questo il
Moise, nella forma dello scrivere, qua e là trascese, ma assai meno di quello
che per avventura si può credere. Si badi però che il Moise ebbe, in suo
vivente, due spiccatissime mete che si risolsero, dirò, in fissazioni : la prima
era quella di fare la più completa Grammatica d'Italia; la seconda di farsi
ritenere per scrittore toscano, anzi fiorentino. E ci riuscì mirabilmente tanto
nell'una che nell'altra cosa. Se non avesse scritto poi come ha scritto, il
secondo intento non lo avrebbe certo mai raggiunto.
Arrivati a questo punto, nasce quindi la domanda: gli scritti del Moise
(non parlo delle Grammatiche) sono forse rimpinzati — siano pur toscane —
di parole morte, di costrutti slavati e senza disinvoltura, di modi astratti
senza alcuna vivacità ? Ne anche per sogno, e i pochi esempj che ne ho
dati sono là a testimoniarlo. Anzi egli ci teneva, tanto in poesia che in
prosa, di scrivere la lingua fiorentina viva e verde, come ei la diceva. Ora
ripeterò col D'Ovidio, che non è toscano ma napoletano: «Credo utile
l' infiorentinarsi {sii venia verbo) bene bene, per questa ragione, che, coin-
cidendo T attuai fiorentino con gran parte dell' uso letterario tradizionale,
ci ajuta a imparare prontamente cotest' uso, e ci suggerisce anche voci e
modi che, potendo essere fuor di Toscana generalmente intesi, sebbene non
sieno generalmente usati, si possono, usandoli accortamente, divulgare e
sostituire via via a modi o troppo slavati o troppo stranieri (ecco il caso
nostro) che oggi usiamo: e un certo intuito felice, un certo gusto delicato
avverte lo scrittore, come e quando possa egli fare opportunamente una
tale sostituzione. Come una buona tuffata nella letteratura del trecento giova
darci una buona educazione linguistica; così la dimora in Toscana, o qua-
lunque altro mezzo la simili (ecco altro caso del Moise ne' suoi Dialoghi
ecc. ecc.), conferisce a farci prendere una certa freschezza, e purezza insieme,
di linguaggio. — Se non altro perchè ci fa vedere che molte espressioni
efficaci, che la paura di cadere nel nostro dialetto e' induceva ad evitare,
son pur toscane e quindi non possono stuonare con la lingua letteraria.
'Oltreché tante cose, che pur da buone grammatiche, da buoni lessici,
con buone e ben regolate letture di classici ben commentati si potrebbero
imparare, si imparano più prontamente in Toscana; non solo perchè quelle
— MS —
Grammatiche e lessici ecc. sventuratamente mancano, ma perchè un maestro
vivo vale più d' un maestro morto. E il Toscano è un maestro vivissimo,
poiché vi ride in faccia, vi fa mille versacci, vi ripiglia senza complimenti,
appena vi senta dire un mezzo sproposito o una mezza improprietà. Né
credo che questo dipenda soltanto dalla coscienza che ha dell'altezza a cui
è arrivato nel mondo il suo linguaggio; credo proprio che nei Toscani la
facoltà linguistica sia anche naturalmente più vivace e più pronta. Un popolo
può aver più la disposizione alla plastica, un altro alla mimica (chi supererà
mai i Napoletani nell' abilità di far lunghi discorsi con semplici segni e
smorfie impercettibili?), e il Toscano ha la disposizione alla lingua (non
quella sola). E certo questa disposizione non è stata 1' ultima delle cause
che hanno promosso il predominio del toscano in Italia ».
Del resto queste stesse cose furon dette, su per giù, tanto tempo prima
dal Manzoni e confermate dal Bonghi. Il quale ultimo fa dire al primo in
un dialogo col Rosmini ') :
f\Canioni Io dico: usate sempre le locuzioni e le parole fiorentine infin che
potete; né perche sian migliori di quelle delle altre città italiane — ciascuna città parla
perfettamente — ma perchè, per dirne una, fatto ogni ragguaglio, si trova una maggior
conformità tra il dialetto fiorentino e tutti gli altri dialetti italiani, che tra il milanese o
qualunque altro col fiorentino. Ora si presenterà un caso in cui il fiorentino non vi basti?
Ebbene, allora introducete quel tanto di nuovo che vi bisogna e prendetelo donde volete,
purché quel tanto di nuovo sia necessario, ed adempia quelle due condizioni: conformità
col rimanente del vocabolario e probabilità di passare nell' uso
%_ostnini. Ma se io trovo bensì nel fiorentino una parola che risponda al mio con-
cetto, però non quella propria sfumatura, quella propria gradazione che mi bisogna?
OtCan^pni. Non la trova davvero? E allora metta innanzi lei quella parola, quella
locuzione che le pare a lei, che gliela renda questa gradazione
Non si può parlare più ragionevolmente, soggiunge qui il Bonghi, e
si vede, che nessun ingegno e dottrina può concepire la paura di dover
rimanere seppellito, per ciò solo che si accetti 1' uso d' una città a criterio
di lingua.
E poi, voglia e non voglia — mi soccorre qui ancora l'Abate Giuliani *)
— è sempre in Toscana che si conserva nella sua perpetua freschezza la tavella
') Vedi Prefazione pag. XXXIV al bellissimo libro : "Perchè la letteratura italiana non
sia popolare in Italia. Lettere critiche di R. Bonghi — Terza edizione — Milano. Valen-
tiner & Mues, 1873.
*) Vedi Prefazione al volume Moralità e Poesia del vivente linguaggio della Toscana.
Ricreazioni di G. B. Giuliani — Terza edizione — Firenze. Le Mounier, 1873.
— 246 —
esaltata dal sommo Allighieri e dal Davanzati, « e che invidiabile vanto,
singolarissimo d'Italia, sia di persuadere tutto un popolo che parla l'Idioma
de' suoi grandi Scrittori. Né vale spregiarlo per voci e modi accorciati, o
per soverchio di aspirazione; forse questi al più al più uno potrebbe giudicarli
mancamenti di pronuncia, che vuoisi ben distinguere da quello che costituisce
1' essenzialità del Linguaggio d' un popolo. Ma chiunque riguardi la cosa
un po' sottilmente, e sappia puranco aggiustare la dovuta ragione all' eufonia,
non avrà in dispetto la superbia di questi orecchi, formati ad accogliere
la dolcezza de' suoni e a farla rifluir sulle labbra. Sperimentino gì' italiani
delle varie Provincie la natia e virtuosa bontà di questo Dialetto esemplare;
non lo sdegnino al primo suono, e prestino ossequio agli Scrittori, che
con ingegno, arte e dottrina valsero a nobilitarlo, per dare fondamento e
sostegno alla nostra Letteratura.
» Poiché non si scrive facile né bene, se non in quella Lingua che si
usa parlando, facciamo dunque di avvezzare or qui la nostra parola a tanto
squisiti accenti. Nella patria di Dante gì' Italiani, ambiziosi e meritevoli di
questo nome, devono ben farsi conoscere e ravvisar fratelli a una sola
Favella. La carità della Nazione ci muova: e questa carità non fia che
manchi ne' generosi, che sentono e credono tutta una cosa purità di
Favella e dignità di Nazione». Ecco perchè io dissi di sopra, che vorrei
introdotti almeno i Dialoghi familiari del Moise nelle nostre scuole, nelle
quali, ahi ! strazio e vergogna, corrono libri che, tanto dal lato stilistico
che da quello della lingua, sono un vitupero.
Ma più grave accusa mosse il Tedeschi al Moise col dire, che in lui
e' è mancanza d' invenzione, che è difetto di vita e quindi di stile.
Ed anche qui vorrei dire molte cose di riscontro; ma non intendo di
condur il can per 1' aja, e mi basterà di farmi semplicemente intendere —
se pur arriverò a tanto; che codeste son questioni che alligano i denti
anche ai letterati di professione, non che ai semplici dilettanti come
sono io.
Dico, dunque: se noi neghiamo lo stile al Moise, perchè mancante
d' inventiva, per la stessa istessissima ragione noi dovremo negarlo anche
al Villani, al Cavalca, agli autori dei Fatti a" Enea, dei Fioretti di S. Francesco
ecc. ecc. È giusto tutto questo ? Io credo di no, anzi son fermo nello stare
sulla negativa. Si dica piuttosto, che lo stile di cotestoro — a' quali mi
sia lecito a mo' d' esempio d' aggiungere anche il Moise — è uno stile
'piano e naturale; come è uno stile artificiale, arguto e conciso quello
di Dino Compagni, del Passavanti, di Bartolomeo da San Concordio, e
tocca via.
— 247 —
Ma, in fine in fine, che cosa è lo stile? Sentenzia qui il Bonghi'): «Recipe
della chiarezza, dell' ornamento, del decoro, del carattere, della fantasia,
dell'intelletto e dell'affetto; e sarai scrittore». Si badi che i tre primi
attributi sono gli essenziali, gl'indispensabili; mentre gli altri sarebbero
appena desiderabili o raccomandabili. Ora sfido chiunque a provare che
negli scritti del Moise ci sia mancanza di stile; e se il prof. Tedeschi avesse
lette tutte le opere del Moise, e non soltanto un pajo di Strenne, avrebbe
veduto che il Moise — precisamente come l'altro grammatico, il marchese
Puoti, del quale ci ha lasciato sì viva pittura il discepolo suo F. De Sanctis*) —
reputava suprema dote dello scrivere la chiarezza. Sicuro, anche il Moise,
come il marchese napoletano, « aborriva il rettorico, il declamatorio, il
gonfio, il convulso, i concetti e le antitesi: tendeva più verso l'Arcadia che
verso il seicento ». E che tutto ciò sia scrupolosamente vero, basta leggere
i molti scritti del Moise, e persino alcuni brani di prediche 3) eh' egli ci
ha lasciato, ne' quali la tentazione sarebbe stata grande di cadere nel rettorico,
dal quale invece egli è fuggito in tutto in tutto. Aveva mente chiara e giusta,
« ma gli mancava (acconsento) tutte le altre qualità che danno vigore e
nerbo e colore, danno il sangue allo stile ». Ei dava troppa importanza alla
parola come parola e alla parte meccanica dello scrivere come la formazione
del periodo. E tutto ciò io me lo spiego come un tovagliolo. Io non ho
ancora mai veduto alcuno scritto di grammatico, che possieda lo stile del
Machiavelli, o del Guicciardini, o del Galileo, o di qualche altro grande
pensatore di scienze esatte. Invano dunque lo si cercherebbe anche nel
Moise. Egli aveva troppo da fare colle sue Grammatiche per concedersi il
lusso di spaziare in altri campi dello scibile. Sappiamogli grado dunque di
averci lasciato splendidisr-imi esempj del bel parlar toscano, e d' uno stile
piano, liscio, chiaro come l'acqua limpida — se anche talvolta senza sapore
pei nostri palati, da piccanti droghe alterati. Lo studio dei suoi libri sarebbe,
ad ogni modo, scuola di gentilezza e di dignità.
Né sono io solo a sentenziar cosi; ma ben vi furono i primi filologi
d' Italia — quando gì' Istriani a malapena sapevano che vi esistesse un
Moise fra noi — che lo giudicarono in questo modo. Oltre ai tanti giudizj
qua e là riportati sullo stile e sulla lingua delle opere del Moise, or sog-
') Op. cit. pag. 105.
*) Vedi L ultimo de' Turisti inserito nei Saggi critici, pag. 507 e seg. — Seconda
edizione — Napoli. Morano, 1869.
3) Vedi Strenna istriana per l'anno 1882 in fine.
— 248 —
giungerò che il prof. Vincenzo Di Giovanni ebbe a sentenziare che le
Strenne istriane erano granosissime e potevano star a paro cogli Stiidj
filologici o Strenna di filologia, che esce ogni anno in Modena per cura
del cav. B. Veratti '). — Lo stesso professore Di Giovanni l'anno appresso
continuò a dirne un mondo di bene, lodando e dicendo eccellente la
prosa del Moise 2) — Il Veratti, negli Opuscoli Letterarj ecc. di Modena
dice 3) : « Fra le Strenne a noi più care è la toscanissima Strenna Istriana
di Nono Cajo Baccelli. Di questa ha dato ragguaglio il Vice-Segretario,
leggendone parecchi tratti e assicurando d'averla trovata ancor più bella
(si parla di quella per l'anno 1882) e interessante delle precedenti».
E non è ancora finita. Il Veratti, di nuovo, nei soliti Opuscoli Letterarj
ecc. dell'anno 1886 (serie 4 tom. XVI pag. 473 e seg. 4) dice: «Rimane
a dire della Strenna Istriana di Nono Cajo Baccelli . . . . , che istriana finché
si voglia, per lo scrittore e per alcuna descrizione, è poi toscanissima per
la lingua.
» Relatore di questa Strenna è stato il socio Caristo Zeffirino. Egli ha
dato grandi lodi al Dialogo familiare tra quattro donne sopra alquanti termini
di lavori muliebri, e più ancora alla traduzione d'un Racconto Morale di
C. Schmid. Oh ! perchè mai, ha detto Caristo, il traduttore ne dà soltanto
uno all'anno ? perchè non ne mette fuori almeno un volumetto o due? »
» Il merito stragrande della Strenna Istriana non è scemato da qualche
stramberia caduta dalla penna di Nono Cajo Baccelli. È troppo naturale che
un baccello pensi, dica e scriva delle baccellerie ...... E così avanti. Ed
io credo che basti, per ingenerare il convincimento, che le dette Strenne
non sono po' poi roba tanto fatua o di sottopanca, da non farne alcun
conto. Io rispetto 1' opinione di tutti ; ma ho qualche rispetto anche
per la mia, quand' ella è suffragata particolarmente da autorità incon-
testate. E conchiudo. È duro il sentirsi dire, come già diceva il Puoti ai
suoi scolari — ed erano nientemeno: un De Sanctis, un Settembrini, un
Villari, un Marselli ecc. ecc. ! — il sentirsi dire, ripeto, imparate l' italiano !
I più, lo so anch' io, se ne offenderebbero, tant' è vero che taluno, per
qualche pubblica lezione di grammatica che gli détte il Moise, se ne im-
permalosì in modo da farsene poi beffe di lui, con assai poca di carità e
') Vedi Strenna istriana per l'anno 1880 nel Dialogo secondo in fine.
*) Vedi Strenna istriana per l'anno 1881 al principio del Dialogo secondo.
3) Serie 4, tomo II, pag. 126.
') Vedila al principio del Dialogo terzo della Strenna per l'anno 1887.
— 249 —
manco di rispetto .... almeno della di lui molto onorata canizie. Eppure,
facendo mie le esortazioni del Puoti e del Moise, io ripeto: impariamo
l'italiano, perchè perchè ne abbiamo tutti grande bisogno. — E il
Moise, nei suoi libri, è ancor vivo per insegnarcelo. Perchè, in fin in
fine, in che consiste la letteratura ?
La letteratura consiste — dice E.Nencioni ') — nella scelta dell'espressione, nella parola
cercata e trovata per esprimersi in modo vivo e efficace, che richiami e combini le idee,
che alletti e trattenga 1' attenzione del lettore
Diffidate di chi con la scusa del pensiero disprezza la forma. Cartesio e Pascal,
Galileo e Bacone, avevan, credo, qualche pensiero; e sono pure ammirabili nella forma.
Gli sciatti scrittori che oggi da noi vantano tanto il pensiero e la scienza, se Darwin,
Littrè e Spencer non avessero pensato per loro, difficilmente potrebbero provare di aver
avuto un solo pensiero di suo in tutta la lor vita. Ma a forza di leggere e rileggere i
libri di quei tre insigni, si son messi in testa di averli pensati loro; e forse per questo
si chiamano pensatori Intanto scema il numero dei veri scrittori in proporzione
dell' aumento degli scribacchiatori. Ciascuno vuol scrivere, e quel che è peggio, stam-
pare, mentre son pochissimi quelli che avrebbero qualche cosa da dire — e fra questi,
che son già rari, i più scrivono in stile da lettere commerciali. Quindi avviene che i
pochi che hanno oggi in Italia il culto della parola, e meritano il nome di scrittori,
fanno l'effetto di personaggi solitari; di capi originali che hanno una specie di fissazione;
di poveri Robinson Crusoè in un' isola abbandonata, circondati da uno sterminato Atlantico
di doppia barbarie.
XXIX.
Addì 5 del mese di giugno dell'anno 1884 era uscita finalmente la
Grammatica di inetto, o, come ebbe ad intitolare il libro il nostro autore,
le Regole ed Osservazioni della lingua italiana proposte ai giovanetti studiosi.
Dopo il titolo e il nome dell' autore, ricorre lo stesso motto latino
della seconda edizione della Grammatica grande, cioè il quintiliano : Gram-
matica plus habet in recessu, quam fronte promittit (1. 1, e. V). E il motto, in
verità, non è punto usurpato. Chi ben s' addentra nello studio del libro,
presto s' accorge quanta filosofia e copia d' erudizione ci sia per entro a
questo volume.
Nulla e' è nella Prefazione che non sia stato detto nella Prefazione della
Grammatica grande (seconda edizione). L'Abate avverte soltanto che rispetto
') Le memorie inedite di G. Giusti — Recensione. N. Antologia, fase. 16, marzo 1890.
17
~ 2J0 —
alia lessigrafìa, egli s'è attenuto all'antica maniera di scrivere, a quella, volle
dire, che è seguita dalla comune degli scrittori, salvo in certe poche voci
composte d'un verbo o d'un affisso, nelle quali, come ha fatto nella Gram-
matica, fa uso tuttavia di quel segno che alcuni grammatici chiamano meigo
apostrofo.
Per quanto io mi sappia, il primo a parlarne fu il periodico settimanale
L'Istria che si stampa a Parenzo. Io volli avere codesto onore, e, come
seppi, ne intessei la critica che qui subito segue, e che inserii ne L'Istria
di Parenzo ').
Detto come io conobbi l'Abate Moise, entro a discorrere della Gram-
matica così :
Ora ne farò qui un po' di critica, sperando con questo di eccitare alcuni de' nostri
comprovinciali a leggerla e studiarla anch' essi e farsene prò.
E, se così faranno, conchiuderanno essi ancora, come ho conchiuso io, aver avuto
ragione Raffaello Fornaciari quando disse che l'Abate Moise è V Autore della più compiuta
Grammatica che abbia V Italia, e non aver similmente operato a caso quel celebre latinista
che è il Cav. Diego Vitrioli, il quale, mandando in dono al Moise una copia del suo
rinomato poema latino intitolato Xiphias, scrisse sulla copertina del libro abbati Joanni
Moise Grammaticorum sui iemporis facile principi 'Didacus Vitriolius d.
L' opera conta quasi 700 pagine ed è divisa in tre Parti. La ia comprende l'Ortoepia
e l'Ortografia; la 2a l'Etimologia; la ja la Sintassi. Di tutt' e tre queste parti dirò qualcosa.
Nella ia parte è particolarmente degno d'osservazione quel che dice l'Autore del
doppio suono delle vocali E ed O e delle consonanti 5 e Z, e del raddoppiamento delle
consonanti nelle parole composte.
Molti Istriani e Italiani in generale pronunziano male in varj casi e la E e la O
e la 5 e la Z; onde quel che ne dice il Moise può servire a loro di grande profitto.
Molti, per esempio, pronunciano remo con la E stretta, laddove ella va proferita larga; e
all'incontro proferiscono con V O stretta coppa (occipite), mentre si dee pronunziare largo.
Più spesso ancora fallano molto nel pronunziare la 5 e la Z. Impresario e Posata (ir.
couverl) sono forse le sole parole che tutti pronunciano bene, cioè con la 5 aspra in
mezzo di parola. Tutte le altre voci aventi la 5 nel mezzo, le pronunziano dando alla S
il suono dolce, e però fallano. Tali sono impresa, posare, riso, naso, nascoso, Juso, così. —
Zio e xplfo molti li pronunciano con la Z dolce, mentre invece ella va pronunciata aspra.
Al contrario romando, ghiribizzo, sottra molti li proferiscono con fa Z aspra, quand'invece
quella si deve proferir dolce.
Per quel che riguarda poi il raddoppiamento delle consonanti, il Moise dà regole
si chiare ed esatte, che chi vi sta attento è impossibile che falli. Io ho letti su questo
proposito parecchi Grammatici; ma nessuno ne parla si chiaro come lui.
La 2a Parte è assai più importante: sovrattutto mi pajono degni d' osservazione i
') Anno III, n. 130, 21 giugno 1884.
— 25 I —
trattati del Pronome, dell'Aggettivo e del Verbo. — L'Autore è il solo de' Grammatici
italiani, il quale abbia accettata 1' opinione del grande Grammatico francese Beauzée sul
Pronome e sul Nome, opinione che a me pare verissima e che non so capire come tutti
unanimemente non l'abbiano ricevuta i nostri Grammatici e Filologi. La distinzione del
■y^onte dal Pronome si è questa, che il tLome ci esprime la natura del soggetto e il
'Pronome ce ne dimostra la persona. Per cui si vede che mal fanno i nostri Grammatici a
porre nel novero de' Pronomi le voci Questi, Cotesti, Quegli, Colui, Costui ecc., non indi-
cando queste mai e poi mai la persona del Soggetto, ma indicandone invece ad un tempo
e la natura e la qualità, e però a tutta ragione le chiama il Moise aggettivi sostantivi.
— L' Aggettivo è diviso dal nostro Autore in varie classi, le quali a me pajono similmente
vere e logiche. Gli Aggettivi di raporto sono compresi in un lungo articolo che merita
d'esser letto e riletto e profondamente studiato da' giovanetti. In questo articolo si danno
alcuni avvertimenti contrarj a quelli de' Grammatici. Mi basterà accennare ciò che dice
1' autore dell' Aggettivo Chiunque. Insegnano in coro i Grammatici e i Vocabolaristi di
voci e maniere errate che il vero e proprio significato di Chiunque si è Ognuno che, o
Ciascuno che, mentre il Moise afferma e dimostra con classici esempj che il proprio e
vero significato di Chiunque non è no Ognuno che o Ciascuno che, ma è invece Qualsivoglia
• ma, la quale, quand'è aggettivo indistintivo congiuntivo. — Degne parimenti di con-
siderazione sono le divisioni e suddivisioni che 1* Autore fa del Verbo, aggiungendone
meritamente alcune che sono omesse da tutti in generale i Grammatici e che pure ragion
vuole che se ne faccia parola.
Nella terza Parte sono specialmente degni di riguardo i trattati della concordanza,
quello del Reggimento dei Verbi, e quelli della Preposizione e della Congiunzione.
Le regole della Concordanza sono esposte con tutta chiarezza ed esattezza, segna-
tamente quelle che concernono la concordanza del participio col soggetto o con l'oggetto,
che nella più parte delle Grammatiche si cercano invano.
Il trattato del Reggimento dei Verbi, dove 1' Autore si mostra non solo sommo
Grammatico, ma sì ancora profondo Filosofo, meriterebbe da sé solo che si studj que-
st' opera. Qui si trova un Repertorio di maniere di dire belle ed eleganti e quasi tutte
vive, insomma un piccolo Dizionario composto a modo e a garbo.
Non meno che nel trattato del Verbo si mostra il Moise gran Filosofo neh" indagare
ed esporre i veri valori delle Preposizioni, che furono tanto mistrattati dagli antichi
Grammatici e che durano tuttavia ad essere mistrattati da' moderni.
E in questo della Preposizione e nel seguente trattato della Congiunzione ci offre
l'Autore parecchi modi di dire immeritamente condannati dai Grammatici e dai Voca-
bolaristi.
Questo poi è il bello del nostro autore, che i giovanetti studiosi possono ad occhi
chiusi adagiarsi nella sentenza di lui. Se la voce o maniera è buona e usabile, ei dice
loro: Adopratela tenia riguardo di sorta; se è erronea, dice loro: 'X.on la usate mai e poi
mai; se finalmente è confortata da classici esempj, ma non fu mai usata o quasi mai
dai migliori, ei dice loro: Non i errore l'usarla; io peraltro non l'uso mai, non essendo ella
né necessaria, né bella, e consiglio anche voi a fare il medesimo. — Dirò per ultimo del-
l' indice Generale o Repertorio, che si trova in fine dell' opera. Questo Repertorio è
comodissimo e per i giovanetti e per tutti, particolarmente per coloro, che, occupati in
altri affari, non hanno tempo d'attendere alli studj grammaticali. In un tratto essi trovano
col mezzo del Repertorio tutto ciò clic desiderano, essendo esso vastissimo e diffusissimo.
— Ove poi il lettore non conosca di quali autori siano gli esempj onde il Moise conferma
— 252 —
le sue regole, egli non ha a far altro che a ricorrere alla Tavola de' Citati, posta in
principio dell' opera, ove si dà la spiegazione di tutte le abbreviature.
Due anni dopo ch'era uscita la Grammatica di meigp, il Veratti scrisse
una critica che inserì negli Opuscoli Religiosi ecc. di Modena '). Non occorre
eh' io trascriva qui tutta la critica : basterà dire che il Veratti fa un monte
di elogi al nostro sor Abate. Ei loda 1' abilità e perita dell'autore, valentis-
simo ed esperto quanto altri qualsiasi in tali studj, e, ciò che vale anche più,
egregio scrittore. Dice che il eh. Abate Moise ha dato un assai buon libro, e
un ottimo manuale, utilissimo anche a chi, avendo già appresa la lingua, vuole
0 approfondirsi in essa, 0 chiarire qualche dubbio.
Fin qui tutto va bene. Alle lodi però fa seguito una censura. Il Veratti,
cioè, accusa il nostro Abate d' essersi messo a combattere la dottrina del
Fabriani sulle rapportanti senza intenderla !
E ne seguì un nuovo piato, del quale faccio ancor grazia ai lettori.
Dirò solo che negli Studj Leti, e Morali di Modena (t. II, pag. 123)
dell'anno 1887, parlandosi di esso piato tra il Veratti e il Moise, dice Carisio
Zeffirino (relatore della Strenna istriana di Nono Cajo Baccelli per l'anno 1887):
« Una buona parte (della Strenna da pag. 94 a pag. 141) è data in piccola
dose all' Accademia Tassoniana e particolarmente a me Caristo Zeffirino ;
ma molta più al nostro concittadino B. Veratti, per le questioncelle dibattute
gli anni scorsi tra il eh. Abate Gio. Moise ed esso Veratti. Io non so se
questi vorrà replicare nella sua futura Strenna di Studj Filologici pel 1888,
e credo che noi sappia nemmeno egli, perchè vi penserà quando nell'estiva
stagione porrà mano a compilarla. Per parte mia debbo e voglio ringraziare
N. C. Baccelli per avere presentato a' suoi lettori le ragioni dette da noi;
e replico il Claudite jam rivos, pueri ; sat prata bibernnt ».
E il ruscello s' è chiuso, in fatti, definitivamente, anche per la morte
sopravvenuta del povero Abate.
Ed ora mi correrebbe obbligo di dire di tutte le correzioni introdotte
dal Moise nella Grammatica di meT^p, in rapporto alle due edizioni della
Grammatica grande ; ma questo mi porterebbe troppo per le lunghe, ed
ingenererei, certamente, grande noja nel lettore, se pure ne ho avuto qualcuno
che possa aver resistito alla lettura del presente lavoro fino a questo punto.
Quello che posso dire si è — e spero d'avere ingenerata almeno una tale
persuasione anche in quel qualcuno lettore di sopra — che il Moise non
') Serie 4, tomo XV, pag. 475 e seg.
- 253 —
pubblicò l'una dopo l'altra le sue Grammatiche per puro capriccio — tanto
più eh' egli non ne ritraeva un utile adeguato dei suoi libri, ma anzi ne
rimetteva quasi ogni volta del proprio, e non poco del proprio — ma sì
bene ei le pubblicò col sapiente intendimento di rendere l'opera sua sempre
più perfetta, giovandosi dei buoni consigli degli esperti della materia, e del
frutto de' suoi studj diligentissimi, ne' quali perseverò indefesso fino alla
morte.
Ne voglio dire con questo, che la Grammatica dì meqp sia un libro
in tutto in tutto perfetto, tant'è vero che lo stesso Moise ebbe ad accor-
gersi di qualche erroruccio dopo la stampa di quello, e francamente lo
confessò, dichiarandosi pronto di levarlo nell' eventuale ristampa della sua
Grammatica '). Così a 67 anni ei pensava ancora ad una quarta edizione
della sua Grammatica grande ! Dico Grammatica grande, perchè, alla fin
fine, anche quella di mezzo è tutt' altro che piccola.
Sia come si voglia, il Moise era durato ben 42 anni intorno allo studio
ed alla perfezione della sua Grammatica ; ond'egli scese nella tomba con la
coscienza che poteva giustamente ripetergli in rapporto ad essa Grammatica:
ExEGI MONUMENTUM AERE PERENNIUS.
XXX.
Compiuta la Grammatica di me^o, il Moise volle darsi un po' di bel
tempo, e rivedere gli antichi amici, e parte dei letterati coi quali ebbe
corrispondenza. — Nei (iodici mesi che intercedettero dall'agosto del 1885
all'agosto 1886 l'Abate intraprese ben cinque viaggi, il primo dei quali,
abbastanza lungo, lo fece nel Regno d' Italia in compagnia di suo nipote,
il sig. dott. Gianpietro Moise '). Veramente egli intraprese questo viaggio
anche per consultare, nelle rispettive Università dove insegnano, i celebri
professori in oculistica dott. Magni e dott. Limi.
Il dì 19 ottobre 1885 lasciò Cherso e si diresse a Fiume, da dove
partì il giorno appresso per Udine. Rinfrescata qui l' amicizia coli' avvocato
sig. Pietro Lorenzetti, e visitato quanto era da visitare, andò a Venezia,
') Vedi Dialogo quarto della Strenna istriana per l'anno 1887.
*) Vedi Viaggi inseriti nella Strenna per l'anno i887, pag. 9 e seg.
— 254 —
dove fé' una sosta di quattro giorni, rivedendo amici, conoscenti e opere
d' arte.
Il di 25 andò a Padova, e la mattina del 27 si diresse per Bologna,
dove pure si fermò quattro giorni.
Il nostro Abate volle qui conoscere di persona il coram, Francesco
Zambrini, celebre letterato bolognese, col quale da parecchi anni era in
corrispondenza epistolare. Fu accolto dal buon vecchio con tutta amore-
volezza e si trattenne con esso in lieti e istruttivi conversari.
Al mezzogiorno del 3 1 d' ottobre il Moise si trovò a Firenze, e dalla
stazione di S. Maria Novella si fé' tosto condurre in via de' Bardi, dove
lo aspettava a gloria il cav. Giovanni De Maria, vecchio amico dell'Abate.
Stette a Firenze parecchi giorni, buona parte de' quali impiegò a far visite
a' letterati suoi amici e conoscenti. Da prima andò dal cav. Cesare Guasti,
segretario dell' Accademia della Crusca, e dal prof. Raffaello Fornaciari, e
poi da Prospero Viani e da Giuseppe Rigutini, e tutti e quattro lo accolsero
amorevolissimamente, e gli usarono un mondo di gentilezze. Il Guasti e il
Fornaciari l'Abate li conosceva da pezza, ma il Viani e il Rigutini, benché
fosse con essi in relazione epistolare, e' non li avea mai veduti prima
d' allora.
A proposito poi del Rigutini, l'Abate mi raccontò il seguente aneddoto.
Entrato che fu in stanza, trovò il eh. filologo tutto inteso a lavorare intorno
alla lettera F del grande Vocabolario della Crusca. Il suo tavolo era tutto
ingombro di carte, di libri ecc. ecc. Fra i libri che teneva aperti e' era
pure la Grammatica grande del nostro Moise, non so ora di preciso se
alla lettera F del Repertorio delle principali materie di cui si ragiona in essa
Grammatica, o in altra parte. Il fatto sta che il Rigutini, quando si vide
dinanzi il Moise, gli gettò le braccia al collo, e gli additò la di lui Gram-
matica che allor allora stava consultando ! — « Questo, mi disse l' Abate,
fu uno de' più grandi conforti eh' io ebbi in vita ».
Il Moise visitò pure a Firenze la famiglia del defunto suo amico Giu-
seppe Polverini, benemerito tipografo fiorentino. Poi volle conoscere i
tipografi Luigi e Federico Niccolai, successori del cav. De Maria nella
stampa della Strenna Istriana. E, tanto per non perder l' uso, si recava
quasi ogni giorno alla tipografia a rivedere gli stamponi di quella per
l'anno 1887. E ne ha corretti degli stamponi il povero Abate! Tanto da
sciuparsi ben bene la vista, così che quasi la perde.
Il giorno de' Morti andò a visitare il Cimitero del Monte alle Croci,
e si fermò a pregare dinanzi alle tombe di Pietro Fanfani (col quale avea
valorosamente giostrato), di Pietro Thouar e di Giuseppe Giusti ! — Ecco
— 2)5 —
il Moise. Di tutte le magnifiche tombe che stanno nei pressi di S. Miniato,
ei non ricorda che quelle tre !
Ai 12 novembre di mattina col primo treno si pose in viaggio per
Pisa. Ma qui non si fermò che poche ore. Col treno delle tre partì per
Lucca. Neil' uscir dalla stazione gli venne incontro 1' avv. Leone Del Prete
col suo figlio Lorenzo. Era tanto tempo che l'Abate si struggeva dal desiderio
di conoscere di persona il eh. avvocato, col quale da venti anni era in
corrispondenza epistolare, e questo viaggio da Firenze a Pistoja l' aveva
fatto a bella posta per vederlo e trattenersi un poco con lui. Il Del Prete
lo condusse in giro per la citta, volendogli fare egli stesso da cicerone.
Venuta l'ora della pentola, il sor Leone volle che l'Abate desinasse insieme
con lui e con la sua famiglia.
Il giorno dopo, di buon mattino, il Moise partì per Pistoja. Ma la sera
stessa ripartì per Bologna, dove arrivò sulle ventitré.
Desiderava l' Abate avanti di pigliar per Romagna di conoscere di
persona il prof. Carducci, il che non avea potuto fare nel viaggio di andata;
ragion per cui, deposte le sue sacche ad una locanda lì vicina alla stazione,
andò senz' altro in via Mazzini, dove, salite nientemeno che otto scale, fu
amorosamente accolto dal professore che dianzi s' era levato da desinare.
Raccontandomi qualche mese appresso questa sua visita, mi giustificò
il motivo per cui voleva conoscere l' illustre letterato e il primo poeta
d'Italia. Convien premettere che qualche tempo prima, parlando della cattedra
di grammatiche ai suo' scolari, il prefato professore avea lodato molto la
Grammatica grande del Moise, giudicandola la più completa Grammatica
ti' Italia. Venuto a saper questo il nostro Abate, ne fu molto consolato;
volle quindi visitare e ringraziare il Carducci. Questi l'accolse amorevolmente,
come dissi, se ne compiacque di saperlo istriano, e lo assicurò che le lodi
che gli erano uscite dalla bocca partivano da sincero convincimento e da
verace estimazione. — In fatti, fino a questo punto, l'uno non conosceva
1' altro di persona.
E poiché sono su questo argomento, mi piace di riferire il giudizio
del Moise sul Carducci poeta. Provocato da me, l'Abate rispose: «Ecco,
del Carducci mi piace assai più le prime poesie, che le seconde e le ultime».
— E perchè questo ? — Perchè le prime erano linguisticamente più pure,
o per meglio dire più toscane delle altre ! — Io non discuto se ciò sia
vero o meno, riferisco e passo oltre.
La mattina seguente partì per Lugo, dove I' attendeva il sig. Antonio
Golminelli che lo condusse a Cotignola in casa propria, e quivi si fermò
cinque giorni. Visitò in questo incontro Faenza, oltre che Lugo. Il 19 no-
— 256 —
vembre si recò a Ravenna, donde doveva imbarcarsi sul vaporino che parte
ogni settimana per Trieste. Nella breve fermata che fece a Ravenna, visitò
la tomba di Dante, eh' ei descrive minutamente. — Alle ore 9 del giorno
seguente sbarcava a Trieste, da dove, per Fiume, ritornò a Cherso. E qui
finisce il primo suo viaggio.
Il secondo viaggio il nostro Abate lo fece nei Lussini, per dove parti
il di 15 febbraio. Egli fu ospite gradito per sette giorni di Don Francesco
Craglietto a Lussingrande. Il qual luogo egli descrive minutamente, come
altra volta aveva fatto di Lussinpiccolo. Come è noto, nel duomo di Lus-
singrande si conservano parecchi oggetti d' arte di grande valore, fra' quali
un' Addolorata del Tiziano, ed una bellissima statua marmorea della Madonna
del Rosario d' ignoto autore, quantunque alcuni vogliono la sia del Salviati.
Poi una pittura in tavola del Vivarini (Bartol.), un quadro di Francesco
Hayez, altro di Lattanzio Querena ecc. ecc.
Il terzo lo fece a Parenzo e a Visignano, fermandosi, fra 1' uno e
1' altro luogo, soli quattro giorni (dal 3 1 marzo al 5 aprile), malgrado le
mie vive insistenze perchè almeno a Parenzo si fermasse di più. Ed anche
dei detti due luoghi, specie del capoluogo, ei fa minuta descrizione.
Il dì 5 aprile era a Cherso, e subito il giorno dopo il Moise ripartiva
per Albona e S. Domenica, donde faceva ritorno a casa tre giorni dopo,
cioè il 9 del detto mese. Del primo luogo si ferma particolarmente a
descrivere il Museo Luciani-Scampicchìo.
Finalmente il quinto viaggio ei lo fece a Dignano e dintorni, occu-
pando sei giorni, cioè dal 29 maggio ai 5 giugno.
L'anno seguente (1887) l'Abate non fece che un solo viaggio, nel
mese di luglio, in Liburnia, e questa volta in compagnia del nipote suo,
Pierino, allor allora uscito dottore in giurisprudenza dalla R. Università di
Padova, duella costa del continente istriano era quasi del tutto ignota
all' Abate, ond' ei la visitò parte a parte, cioè da Bersez fino a Volosca,
impiegandovi parecchi giorni.
XXXI.
Circa nove o dieci anni fa, essendosi iniziata a Torino la pubblicazione
dell' Annuario biografico universale, il eh. Prof. A. Brunialti m' interessava
di volergli inviare una qualche biografia di uomini distinti appartenenti a
questa regione. Io gliene mandai alcune di codeste biografie, ma tutte di
— 257 —
persone già defunte, fra le quali mi piace di ricordare quella del tanto
compianto Prof Carlo Combi. Allora io messi gli occhi, fra altri, anche
sull' Abate Moise, appo il quale insistetti perchè volesse darmi almeno i
punti principali della sua vita. Correva l'anno 1885.
Il povero Abate schermì la mia domanda, dicendo eh' era « diventato
ormai un coccio » e non atto più a scrivere « un articolo alquanto lungo
che garbo abbia». — «E poi, soggiungeva, come vuo' eh' io stesso scriva
la mia biografia? Nessuno, io credo, potrà mai obbligarmi a biasimare o
a lodare me stesso; eppure questo dovrei fare, se volessi buttar giù una
mia coscenziosa biografia. D'altra parte io non credo d'esser un animale
tanto raro, che la gente abbia a correre ed accalcarsi per vedermi. Dunque
da'ti pace e non entrarmi più in questo tasto. Sai bene che quanto posso
fare per te lo fo di buona voglia senza bisogno che altri mi ci tiri».
Sta bene avvertire che allora il povero Abate era affetto da quel fiero
mal d' occhi, di cui ho detto più sopra, e non poteva in veruna guisa
occuparsi nello scrivere. Tuttavia, quando il male cominciò a scemare, io
ritornai alla carica, e il buon Abate — quantunque professasse di non
aver più testa, e di conoscere « che non valeva più a dettar una pagina
ammodo» — in data dei 5 settembre 1885 m'inviava alcune sue brevi
note biografiche.
Ma io non mi adattai a quelle note molto semplici, tutto che elegan-
tissime, ed approfittando di una sua visita che mi fece a Parenzo, lo persuasi
a dirmi dell'altro. Allora s'è convenuto, ch'egli risponderebbe — e poteva
anche non farlo — a determinate mie interrogazioni. Cosi è avvenuto che,
oltre all' autobiografia del Moise, io venissi in potere di parecchi altri
squarci di sua vita. Ora però m' accorgo, e me ne pento assai, d'avere
troppo poco approfittato della sua cortese accondiscendenza, che di molte
cose riflettenti gli studj e le opere del Moise io rimasi perfettamente al-
l' oscuro, per cui ne sono anche adderivate parecchie lacune che il lettore
avrà riscontrate in queste pagine.
Ma, a quel tempo, era ben lontano dal credere eh' io mi deciderò a
questo lavoro. Trattavasi allora di servire l'Annuario biografico, comporta-
bilmente o proporzionatamente al suo programma, e non d' intessere una
biografia tanto quanto circostanziata, com' è la presente. Né della vita e
degli altri squarci che la seguirono potei valermene per ['Annuario biografico,
avvegnaché codesta pubblicazione, di cui erasi fatta editrice l'Unione Tipo-
grafico-Editrice Torinese, venisse, dopo qualche anno, a cessare, sì eh' io
rimasi in asso colla biografia dell'Abate Moise, e solo me ne valsi quando
egli fatalmente venne a morire. L' autobiografia del Moise, dunque, la,
— 2jS —
pubblicai ne L'Istria (a. VII- n febbraio 1888 - N. 322); e parte degli
squarci biografici autografi ne La Provincia dell'Istria che si stampa a
Capodistria (a. XXII - 16 febbrajo 1888 - N. 4).
L' Abate dunque si sentiva ornai stanco, e ben poteva esserlo il povero
uomo. Egli aveva lavorato, e che lavoro! indefessamente quasi mezzo
secolo per la gloria. Si, per la gloria, perchè dal complesso del lungo
sudato lavoro guadagni ei non ne trasse. A lui dunque ben s' attagliano
i seguenti detti del collega suo in arte, Vincenzo Nannucci ').
« Egli è fuor di dubbio che un tristo romanzo senza capo ne
coda, e disteso in una lingua scomunicata, m' avrebbe fruttato assai più
che un lavoro, il quale s' aggira sopra studii sodi e severi. Seguita il gusto
che domina, mi diceva una vecchia volpe, se non vuoi morir dalla fame:
gli uomini voglionsi prendere pel loro verso e gabbare: briga e piaggia:
il mondo è degli impostori e dei furbi. E mi parlava il Vangelo: e conosco
pur troppo ancor io esser questo il mezzo sicuro per accattarsi grazie e
favori. Ma, giri la Fortuna la sua rota come le piace, io non comprerò mai
a questo prezzo la vita, né m' indurrò per colpi eh' ella mi dia a far nulla
che sappia di lusingante piacenteria, di viltà e di bassezza; né cotanta abie-
zione di animo da me giammai niuno speri. E sieno pure quanto si vogliano
sterili di ogni frutto i sudori della mia fronte, purché onoratamente versati.
Amo spirar sulla paglia, beato nel silenzio degli studii, non discendendo
ad atti che offendano la dignità del carattere, e scrivendo cose, finche mi
reggeranno le forze, che non mi tornino a nessun prò, ma dalle quali
possano ritrarre i miei simili vantaggi e beni reali, anzi che da ciarlatano
e da ciurmadore nuotare, vendendo fumo e trappolando la gente, nelle
delizie, ed essere poi accompagnato dal dispregio e dall' indignazione dei
sapienti e dei buoni: e»
la vendetta
Fia testimonio al ver che La dispensa.
(Varad. XVII. 53)
Ornai il Moise, per ritornare a capitolo, sentiva il bisogno di riposare
la mente e di distrarre lo spirito. Perciò accoglieva volentieri gì' inviti
') Aliatisi crìi, dei Verbi Hai. già citato, in Prefazione.
— 259 —
che gli venivano frequenti dagli amici dell' Istria che lo volevano con
loro. Chi avrebbe mai detto, che proprio uno di codesti inviti gli sarebbe
poi stato tanto fatale, da determinare il suo « funereo d'i »? ... .
In sullo scorcio appunto del mese di gennajo dell'anno 1888 egli
ricevè grazioso invito di recarsi dal suo buon amico sig. Benedetto Minaci)
di Volosca — piccola città della Liburnia che sta di fronte all'isola di Cherso
verso levante.
Il Moise di fatti vi si recò la mattina del 24 del mese già detto, in
scelta comitiva, nella quale vi era anche l' egregio suo nipote il dottor
Gianpietro Moise. Arrivata la comitiva a Volosca, prima del pranzo — che
doveva essere allegro per i molti commensali che avevano da parteciparvi —
1' Abate si aggirò per il luogo a fare certe visite che desiderava. Nel di-
scendere lo scalino d' un' abitazione, il buon vecchio, piuttosto alto della
persona e ben portante, scivolò, e nello scivolare si spezzò il fibulo del piede
sinistro. Mandato subito pel chirurgo, questi gli fasciò il piede come V arte
chiamava. Cosi il povero Abate, in scambio di andare a pranzo, fra acuti
spasimi fu trasportato a braccia fino al porto di Ika, e là, imbarcatolo su
un vapore del Lloyd allora di passaggio, fu trasportato a casa sua, a
Cherso.
Stette così parecchi giorni, e sembrava che la guarigione del piede
procedesse regolarmente. Tuttavia il giorno prima della sua morte, e' volle
confessarsi e comunicarsi, non già perchè da alcuno e da lui stesso si
prevedesse una prossima catastrofe, ma per pura divozione. Ed egli stesso,
pur balbettando per la commozione, recitò il Confiteor con grande sentimento,
poi ricevè la sacra particola con le lagrime agli occhi.
Il giorno dopo si mostrò di buon umore più del solito, e coi suoi
nipoti che gli facevan compagnia, scherzava dicendo; che il sor Abate
sarà d' ora in poi non solo cieco, ma anche zoppo !
Rintoccate le ore 8 della sera del 6 febbraio, uno dei nipoti si allon-
tanò dalla stanza, rimanendo col malato il solo dott. Gianpietro. Poco
stante l'Abate accusò una certa sonnolenza che lo coglieva; appoggiò pian
piano il capo sul guanciale e prese a russare molto celermente. Il nipote
allora corse a lui, e lo trovò cogli occhi rivoltati. Lo scosse, chiamò il
medico, gli fecero delle fregagioni invano: egli era morto!
Così, breve, è finito un uomo di tanti meriti, di tanto candore, di
tanta attività, di tanta dottrina, quale si fu l' Abate Giovanni Moise. Da
pezza in qua la patria nostra non ebbe una mente tanto disciplinata ed
equilibrata quanto questa del Moise, quantunque il suo sapere possa dirsi
circoscritto quasi onninamente alle discipline filologico -linguistiche. Di
— 2éo —
vivo ingegno e di animo aperto ad ogni voce del bene, chi sa quali cose
altissime, straordinarie avrebbe operato, in un centro maggiore e soccorso
dei mezzi necessarj. La sua mente s'acuì via via che gli anni gli crebbero;
né egli fece certo, come vedemmo, tante belle e buone cose senza contrasti.
Ma, in fine, ebbe il conforto di vedere i frutti della sua portentosa operosità.
Il decesso del Moise fu da tutti sinceramente compianto, cioè non
solo dai chersini, che lo amavano come un padre affettuoso, ma da tutti
gì' istriani, e da quanti italiani — fra cui dei valentissimi letterati e filologi —
ebbero 1' opportunità di conoscerlo. Tutti i giornali del Litorale e alcuni
del Regno ') intessero di lui dei lunghi e sentiti articoli. Che egli era,
oltre che dotto molto, buono assai, d'animo mite e gentile, di cuor aperto
e generoso, molto alla mano, quasi sempre d' umor gajo e affatto alieno
da sussiego. Nel parlare era pieno di frizzi e di motti garbatissimi e pieni
di sale, motti che gli uscivano dalle labbra frequenti e spontanei. Sotto
qualche aspetto, però, egli era quello che comunemente si dice un originale.
La quale originalità la troviamo riflessa in modo particolare nei suoi Limar]
e nelle sue Strenne. Se contrariato in cose che gli sembravano veder chiare
— ed era quasi sempre così — scattava allora con qualche irritabilità
bizzosa; ma la sua bizza durava un istante: era un fuoco di paglia. Egli
candidamente mi confessò, che per la sua troppa sensibilità e tenerezza di
cuore non poche volte si trovò in brutti impicci nel suo ministero di
sacro oratore e di confessore. «Predicando a braccia, mi scrisse, m'avvenne
le tante volte che la voce mi fosse rotta da singhiozzi e che eccitando a
contrizione piangessi di compassione e per tenerezza sospendessi il discorso.
Peraltro ringrazio Iddio che da questo male ne derivò sempre un gran
bene». Era di semplicissimi costumi. I suoi spassi, come in parte abbiamo
veduto e come egli stesso lasciò scritto, erano un viaggetto ogni anno,
un piccolo passeggio ogni giorno, una visita ai parenti e agli amici ogni
settimana, e quattro chiacchiere in un cenino fatto con pochi amici una
o due volte l' anno, col seguito, talvolta, di qualche partita a tresette, o
di altro giuoco di carte.
') Fra quest'ultimi ne parlarono con ammirazione L'Italia e La Lombardia di Milano,
la Rassegna na\ionah di Firenze, L'Iride di Candia Lomellina, gli Opuscoli Lelt. ecc. di
Modena ecc. ecc. Più di tutti, come si è detto, se ne sono occupati L'Istria di Parenzo
e La Trovinola di Capodistria.
— 2Ó1 —
Oltre ai viaggi che andai via via di lui enumerando, devo aggiungerne
ora degli altri eh' ei fece in varie riprese per l' Italia, per la Svizzera, e per
la Germania. Durante l'anno poi non stava sempre fermo nella piccola città
di Cherso, ma recavasi nelle buone stagioni al Capo, che è una vastissima
e ricca villa appartenente ai signori Moise, posta sul confine settentrionale
dell' isola. Quivi 1' Abate attendeva meglio, nella pace e tranquillità della
campagna, ai diletti suoi studj.
Fu istruttore impareggiabile e avversario ad un tempo del presente
sistema scolastico ch'ei l'aveva per falso e tristo, perchè i giovani s'applicano
a troppe materie, e, conseguentemente, imparano assai poco. «C'è — egli
dicevami negli ultimi tempi quando non insegnava più — troppa matematica,
troppo greco, troppo latino, e in generale troppe lingue. Fatto sta che un
bravo giovane che abbia fatto con distinzione l'esame di maturità, non sa
scrivere una buona lettera nella propria lingua. Se io dovessi far scuoia
privata ad un giovane, la farei secondo il sistema antico ».
Fra i molti manoscritti, lasciò pure un Trattatello della retta pronuncia,
e, come ognuno può immaginarlo, fasci di lettere de' più cospicui letterati
dell'epoca, lettere che l'affettuoso suo nipote, dott. Gianpietro, si ripromette
di dare, quando che sia, alla luce ').
Come sacerdote non venne mai meno ai suoi doveri ; fu pio e non
superstizioso, tollerante cogli altri e mai con sé stesso. Ciò non tolse che
egli riprovasse l' attuale contegno d' una parte del clero. « Del presente
stato del Clero, scrivevami, io la penso molto male, e credo che chiunque
abbia un po' di quel che sì frigge dirà lo stesso. C è poca istruzione e
molta presunzione, specie nei preti slavi e slavizzanti. Dico così in generale,
perchè bisogna fare anche qui qualche eccezione ».
Conobbe più lingue antiche e moderne; oltre il latino, cioè, che manco
si discorre, conosceva anche il greco e qualche cosa d' ebraico ; delle mo-
derne conosceva benissimo il francese, il tedesco, lo slavo e qualche cosa
di spagnuolo.
Quantunque suolesse ripetere che Fra' Modesto non fu mai Priore,
tuttavia ei non brigò mai per aver posti, cariche, onorificenze. Nessuno
seppe mai, a cagion d' esempio, neppure i suoi stessi familiari, che se ne
accorsero dopo la di lui morte, ch'egli fosse membro di parecchie Accademie
italiane. Ad essere conosciuto più di quello ch'ei fu, entro e fuori d'Italia,
') Egli ne tiene in pronto ben 551 tutte messe in pulito in appositi manoscritti.
— 262 —
io credo gli possa esser nociuto non solo il suo costante recesso in una
piccola isola del Quamaro, ma anche la stessa forma o modo col quale
soleva dar fuori alcune sue opere. Quanti erano infatti che leggevano i
suoi Dialoghi di filologia — ne' quali è accumulata tanta sapienza gram-
maticale — dal momento eh' egli li andava inserendo nei Limar j o nelle
Strenne? — Pochi assai. E ciò è tanto vero, che la tiratura di quelli e di
queste fu da prima assai limitata. Ed anche quando essi libercoli ebbero
maggiore spaccio, coloro a cui venivan in mano non erano atti certamente
ad apprezzarli quanto si meritavano. Ben altra cosa sarebbe stata, se le sue
critiche o le sue difese egli le avesse pubblicate in uno dei tanti periodici
letterari e scientifici che escono tuttogiorno in Italia. Tuttavia anche da
questo ne sortì un gran bene ; quello cioè d' avere del nostro autore un
complesso di opere tutte sue, originalissime, dalle quali egli emerge sempre
vivo e chiaro com' era di fatto, cioè coi suoi pregi e colle sue debolezze.
E se le opere buone non muojono, quelle del Moise vivranno di luce im-
peritura ').
Come grammatico, si può affermarlo, fu sommo ; come letterato, dirò,
era un purista di primissima forza ; ma non di quelli della lingua classica
dei libri, ma sì degli altri della lingua viva e parlata della Toscana. Taluno,
volendo sputar sentenze sulla lingua da lui usata, ne disse di quelle che
non avevano né babbo né mamma. Ed è naturale, che non è cosa più difficile
di quella di giudicare su codesta bisogna, come pure sullo stile d' uno
scrittore. E si fa maledetta confusione fra stile e lingua, non sapendo quali
sieno i giusti confini fra l'uno e l'altra. In quanto a criterio artistico nello
scrivere, ripeterò che il Moise era un fratello siamese coli' Abate Giuliani.
Il quale scrisse le seguenti che calzano appuntino colle idee del Moise 2) :
Oggi più che mai si rende fra noi sensibile il bisogno di mantenere la proprietà e
purezza della lingua, dove saldamente consiste e di più in più risplende la dignità della
nazione. Ma se davvero questa a noi preme, dobbiamo, quasi vincolo d' amore, di unità e
fratellanza, custodire un cosi prezioso idioma tramandatoci dai nostri padri. Benavventurati
i Toscani che l' hanno perenne sulle labbra ed incontaminato ! Serbano essi perciò
quell' indole gentile, quel senso finissimo del buono e, diciam pure, quella squisita uma-
nità e libera franchezza di spiriti, che è propria stampa degli italiani.
') E già si parla d'una terza edizione della sua Grammatichetta a Firenze.
2) Sul Vivente linguaggio della Toscana. Prefazione. — Firenze. Le Mounier, 1865,
terza edizione.
- 263 -
Ed or volesse Iddio, ripeterò alla mia volta, che il seme gettato dal
nostro Abate sia per produrre buoni frutti, e non isterilisca mai nel nostro
paese ; che questa sarebbe la peggiore e la più esiziale di tutte le sventure !
Deh possa
l' esempio
Degli avi e de' parenti
Porre ne' figli sonnacchiosi ed egri
Tanto valor che un tratto alzino il viso.
(Leopardi. Can\. sopra il mon. di Dante)
Dopo alcuni mesi che l'Abate Moise era morto, la famiglia di lui ben
pensò di erigere nel camposanto di Cherso un monumento che distinguesse
le ossa del primo Grammatico d'Italia di quest'epoca da tutte le altre se-
minate in quel recinto sacro ai defunti.
Il più volte nominato dott. Gianpietro Moise poi, pensò con molta
saggezza di affidare V incarico dell' epigrafe all' illustre filologo e letterato
aw. Niccola Castagna, siccome a quello che era legato coll'Abate chersino
da vincoli di amicizia e di sincera estimazione. E il prelodato sig. Castagna
accettò volentieri il pietoso incarico, e spedì al dottor Gianpietro 1' epigrafe,
accompagnandola colla seguente lettera :
'Pregiatissimo Signore !
Ella mi diede un coniando carissimo, ma assai doloroso, e l'animo mio da sventure
domestiche trafitto, non seppe pel momento risponder meglio che con inviarle un mio
libretto d' iscrizioni, col quale le assicurava clic avrei scritto quella per 1' illustre Moise.
Raccoltomi in me la scrissi, e scrittala la tenni sul tavolino per le possibili correzioni,
quando mi giunse il foglietto del Veratti, che Ella mi mandò e che io lessi con pio affetto.
Nulla vi trovai che io non sapessi, salvo quella tanto repentina morte ! Povero e carissimo
amico Giovanni ; Iddio benedetto ti dia alle tue virtù il premio eh' Egli riserba ai celesti.
Nel quaderno di aprile della Rassegna nazionale di Firenze io feci annunciare tanta perdita,
secondo la partecipazione datamene da V. S. alla quale con mia lettera risposi condolendo.
Or eccole l' iscrizione che io scrissi col cuore, e il cuore diceva la verità, e mi onoro
sottoscriverla, come mi onorai del comando di farla. Forse un po' più breve, non sarebbe
stata male, ma io non ho saputo ristrignerla di più ; e pure altro che ho taciuto, avrei
voluto dire. V. S. la legga, e se non la troverà conveniente, io non ci avrò colpa ; ed
Ella la laceri. Se le parrà da poter andare, e avrà osservazioni a farvi, me le faccia alla
libera, la prego , e ciò che io non avrò visto, lo vedrà V. S. e potremo con amore con-
cordare insieme
>— 264 —
In ogni modo gradirò uri cenno di V. S. che mi assicuri dell'arrivo della presente.
E qui ossequiandola con la sua famiglia, prego che mi comandi e mi voglia bene ;
ed io che come V. S. sono pure un che piango per servirmi delle parole di Dante, le
stringo la mano e resto
Città Sani' Angelo, 27 agosto 1888.
dev.
Nicc. Castagna.
Ed ora, ecco 1' epigrafe :
GIOVANNI MOISE
SACERDOTE DI NOBILE ESEMPIO
RIMARITÒ A DIO LE ANIME
NEL PATIRE ESERCITATE
CITTADINO DI MOLTE VIRTÙ
LARGHEGGIÒ COI POVERI
E NASCOSE IL BENEFICIO
FILOLOGO FRA I PRIMI D'ITALIA
CONVERTI AI GIOVANI
I FIORI DEL BELLO IN FRUTTI DI BENE
DIMOSTRANDO NELLE LETTERE LA PATRIA
CHERSO GLI FU CULLA E TOMBA
DIO TESORIERE
GLI FU LARGO DEL SUO ETERNO PARADISO
LA RELIGIONE DELLA FAMIGLIA
GLI COMPOSE LE PIE OSSA
SOTTO QUESTA CROCE
XXVII NOV. MDCCCXX — VI FEBBR. MDCCCLXXXVII1
M. Tamaro.
IL "POSTEL,,
OSSIA
D'UNA CHIAVE ROMANA RUSTICA
USATA NELLA CAMPAGNA DI ROVIGNO
Son tutte le porte usate nel territorio di Rovigno per chiudere
8) 1' ingresso ai campi sono di struttura eguale. Oltre a quelle, clic
diremmo moderne, formate cioè da una serie di tavole strettamente ira loro
connesse e munite d'una delle solite serrature in ferro, hawi un'altra specie
di porte distinta col nome di poste!.
Che questo nome derivi dalla forma latina postis, non abbisogna di
dimostrazione.
Questa porta, sia per il modo onde è costituita la sua intelaiatura,
sia per la qualità del suo serrarne, non s'assomiglia affatto alle porte mo-
derne.
*
* *
Il poste! ò formato da un cancello (o, come lo dicono anche, da un
rastcllo) ad una sola banda, a stecche di legno verticali, tenute ferme me-
diante due traverse (spranghe) orizzontali pure di legno. Manca dei soliti
cardini giranti su arpioni confìtti negli stipiti, ma in quella vece, come si
— 266 -
nota in tutte le porte romane '), l' estremità della spranga superiore ed
inferiore sono inchiodate ad un asse verticale che fa le veci di cardine e
gira nel foro praticato in due pietre sporgenti dallo stipite, l'una alla soglia,
1' altra all' architrave.
La porta si apre spingendola dall' esterno verso l' interno.
Sulla faccia interna della stecca verticale (regolo) che trovasi vicina al
battente, e dista dalla stecca prossima così che nelP interstizio possa passarvi
comodamente il braccio, è assicurata la serratura di legno.
Ed è appunto della forma tutta particolare di questa serratura che qui
si tiene parola.
La compone una specie di cassetta A B C D (fig. I), la quale nella
sua parte esterna è tutta piana e d' un solo pezzo, nelP altra invece è in-
cavata a contenere i vari congegni che servono ad aprire e chiudere. E
precisamente, nella sua parte inferiore ha un solco orizzontale in cui si
muove liberamente avanti ed indietro la stanghetta E F. In questo solco
orizzontale mettono tre (o più) incavature verticali, nelle quali scorrono
dall'alto al basso, e viceversa, tre (o più) ingegni (o fernette) aa bb ce. Tanto
questi ingegni quanto la parte dell' intelaiatura m n e della cassetta r
sono tagliati circa nel mezzo da un altro incavo orizzontale parallelo al-
l' inferiore e che serve ad immettervi la chiave G H.
Quando la stanghetta E F si trova nella posizione indicata dalla fig. I,
la serratura è aperta. Se ora spingo la stanghetta a sinistra verso il battente
fino a che le incavature della stanghetta e f g vengano a) a collocarsi
precisamente sotto gP ingegni aa bb ce, quest' ultimi, per il loro proprio
peso, discendono nelle dette incavature, e così la porta resta chiusa ; nel
qual caso P interno della serratura si presenta come nella fig. IL
Volendo aprire, s' introduce la chiave da destra verso sinistra per il
buco della serratura r, la continuazione del quale, come fu detto, è il solco
') Avellino. Descrizione di una casa dissotterrata in Tompei. — Napoli, 1840.
Overbeck. Tompei, fig. 156.
Baumeister. Denhnàìer des klassiseben AUertìmms, pag. 1805.
Anche nella villa romana teste scoperta a Trieste si scorge distintamente sulla soglia
il foro entro il quale girava il cardine.
J) Si noti che la stanghetta nella superficie che rade il piano della cassetta ha due
prominenze, l'una (L) all'estremità E, la quale impedisce ch'essa possa, nell'aprirsi, venire
'spinta a destra oltre ad un determinato limite, 1' altra (I) all' estremità F, la quale, nel
chiudere, arresta la stanghetta proprio quando le incavature e f g trovatisi sottoposte agli
ingegni.
— 267 —
m n che taglia orizzontalmente parte dell'intelaiatura e gl'ingegni. Questa
chiave è munita di tanti denti quanti sono gì' ingegni, e fra loro alla me-
desima distanza di questi.
Essa si ferma da se quando arriva all' orlo della cassetta, ed i suoi
denti si trovano allora situati precisamente sotto lo spigolo superiore spor-
gente dei singoli ingegni (fig. II e III). Si muove quindi la chiave verso
l'alto; gl'ingegni a b e, spinti verso la parte superiore, escono dagl'incavi
e J g (fig. IV) della stanghetta, la quale, liberata dagl' ingegni che la te-
nevano ferma, può essere tratta verso destra nella posizione indicata dalla
fig. I, e la porta è aperta. Per chiuderla, basta di nuovo, come fu già detto,
spingere la stanghetta in direzione opposta (fig. II), cioè verso sinistra, sino
a che venga arrestata dalla sua prominenza inferiore /, ed allora gli ingegni
ricadono nel loro cavo. Cosi la porta è chiusa, e si leva senza difficolti
la chiave.
Il segreto della chiave da noi esaminata consiste nel numero, nella
grandezza e nella forma che si dà agl'ingegni e nella distanza in cui essi
fra loro si trovano. Naturalmente alla varietà di forma degl' ingegni deve
corrispondere la forma dei denti che sono nella chiave.
La serratura viene solidamente inchiodata sulla faccia interna della stecca
verticale (regolo) trovantesi vicino al battente, ed in modo che il piano A
B C D della cassetta ove sono gì' ingegni combaci col detto piano della
stecca verticale, non restando per tal modo visibile che il buco r.
Volendo aprire, chi sta al di fuori introduce la destra fra le due ultime
assi del cancello, quindi spinge la chiave per la fessura r verso sinistra sino
a clic la chiave stessa si ferma, e poi mentre con una mano solleva la
chiave, coll'altra, approfittando dell'interstizio lasciato fra il battente e la prima
stecca verticale, spinge la stangherà a ritroso fino a che si arresta da se
a cagione della sporgenza L. E quindi si fa girare la porta spingendola
verso l' interno. Per chiudere, ricondotta la porta al suo posto primiero,
non si ha da fare altro che spingere la stanghetta verso sinistra nella boc-
chetta praticata nello stipite, e poi ritirare la chiave.
Egualmente può essere aperto il cancello anche da chi trovasi al di
dentro, nel qual caso non gli fa di bisogno introdurre il braccio fra le due assi.
*
* *
Mio divisamento non è di trattare qui pei esteso delle chiavi e delle
serrature adoperate dagli antichi, ma di ricordare solo quel tanto che fa
di mestieri per stabilire alla nostra la sua vera origine.
— 268 -
Che s'adoperassero nei tempi antichi chiavi di legno, lo dice chiaramente
S. Agostino (De doctr. christ. 4, 11): quid prodeìt cìavis aurea si aperire quoti
voìunms, non potest, aut quid obesi lignea si hoc potest ?
E 1' uso di chiavi di legno ci conducono ad ammettere l'esistenza di
serrature d' eguale materia.
Ma le chiavi e le serrature antiche fatte in legno non si poterono
conservare attraverso ai secoli a cagione della poco durevole sostanza onde
erano formate ; ed è perciò che di loro non si trova più residuo alcuno.
Non così delle chiavi di ferro, le quali inalterate poterono sfidare l'opera
distruttrice del tempo.
Queste chiavi di ferro si dividono in due categorie: la prima comprende
quelle chiavi appartenenti in massima parte all' epoca imperiale, le quali
hanno gì' ingegni (0 l' opera) eguali alle moderne, epperò suppongono
serrature simili alle usuali ; la seconda categoria comprende un altro gruppo
di chiavi romane, in buon numero dissepolte anche nella nostra provincia,
le quali, introdotte nella toppa, non potevano essere adoperate altrimenti
che collo spingerle verso l'alto. Ora, mentre la durezza del ferro permetteva
di fare in questo metallo delle chiavi relativamente piccole, adoperandovi
in quella vece il legno si doveva conseguire la necessaria solidità coll'aumen-
tarne le dimensioni. Laonde troviamo fino dai tempi antichi usata una chiave
di legno conosciuta comunemente col nome di chiave laconica di forma e
dimensioni somigliante alla nostra, come lo dimostrò già il Molin ') inter-
pretando in questo senso anche il passo di Arato (Phaen. 192) ove si parla
della Cassiopea 2). Il disegno che detto scrittore ci dà 3) della chiave laconica
') Molin. De clavibus veterum (publicato nel \ovus Thesaurus antiquitatum romanarum
del Sallangre, voi. Ili, pag. 795-843).
a) Molin. Op. cit. libr. I, e. 2, n. 14: « Clavis vero Laconica uno non contenta tres
habuit dentes a se invicem distinctos. Horum ameni dentium collocatio quo facilius in-
notesca, in subsidiuni accersatur locus quidem ex Arati Phaenomenis ubi Cassiopea
constellatio huic (confr. n. 3) assimilatur davi, sive ipsius dentibus ut volunt alii».
Marquardt. Vrivaiìeben iter Romer. Lipsia, 1879, Parle L pag- 227, s' accorda in
tutto col Molin, solo che invece di 3, ascriverebbe 5 denti alla chiave laconica, perchè 5
sono le stelle della Cassiopea.
3) Op. cit. "pag. 795 E. Chiude la discussione riguardo al passo di Arato, e la de-
scrizione della chiave colle seguenti parole : « Quandoquidem hoc ordine dispositi fuere
ta antiqua illa clave Laconica dentes, iure merito suspicari licet, omnes clavium, quas
posterior unquam habuit aetas, a BaXavxvpa atque quibus in externis nonnullis claustrorum
generibus reserandis uti coeperunt recentiores, distinctas, et modos et formas deductas.
— 269 —
ricorda tatto la nostra ; eccezion fatta del manico, che, invece d' essere
diritto, è a foggia ovale. Aggiungo che le sacerdotesse incaricate d' aprire
e chiudere il tempio sono effigiate con una grande chiave dentata di legno
appoggiata alla spalla ').
Passiamo ora ad esaminare quanto gli antichi autori ci lasciarono scritto
sul modo tenuto al loro tempo nel chiudere ed aprire la porta.
Apuleio nelle sue Metamorfosi 4, io ci descrive colle seguenti parole
un furto tentato da Lamaco nella casa di Crisero : Ergo placidi ad buine
primum ferremus aditimi Nec mora, cimi iioctis initio forìbus cius
praestolamur : quas nec sublevare, ncque demovere, ac nec per} tingere quidam
nobis videbatur, ne valvariun sonus cunctam viciniain nostro suscitarti exilio.
Time itaque sublimis Me yexillarius noster Lamachus, spectatac vertntis suae
fiducia, qua davi immitendae forameli patebat, sensim, immissa maini, cìaustritm
svellere gestieba!. Sed diiditm scilicet omnium bipedum ueqitissimiis Cbrysefos
vigiìans et singula rerum senticus, lenein gradimi et obnixum silentium tolcrans,
paulatim arrepit ; grandique davo inanimi dncis nostri repente nisu fortissimo
ad ostii tabuìam offigit.
Da questo racconto si conclude: 1. che la serratura era situata al di
dentro della porta e che poteva aprirsi anche da persona che stesse al di
fuori ; 2. che questa persona trovantesi sul limitare esterno, se voleva aprire
la porta, doveva passare il suo braccio per un foro praticato nella medesima
ed indi introdurre la chiave nella toppa. In questo caso soltanto si rendeva
possibile a Crisero di configgere alla tavola della porta (alla stecca verticale
presso il battente) la mano di Lamaco *).
Eguali conclusioni tanto il Molin (op. cit. II, 23) che il Becker (op.
cit. II, pag. 279) traggono anche dal seguente brano di Petronio Arbitro, 94:
1 Molin. Op. cit. 2, 23.
Monumenti dell'Istituto, VI e VII, tav. 75, n. 2; IV tav. 51.
Il disegno d' una divinità romana che tiene le chiavi nella mano destra trovasi in
Passerii, Lucernai I, tav. 97. Confr. Conze, ntW'Archeologiscbe Zeilung di Gerhard, XX
(1862), pag. 296; XXII (1864) pag. 152.
s; Egualmente Rich. 'Dizionario détte antichità Greche e Romane : — «Clavis Laconica.
Una specie particolare di chiave probabilmente inventata neh' Egitto, quantunque i Greci
ne ascrivano 1' origine ai Lacedemoni, che si supponeva fosse fatta con tre denti, come
l'esempio tolto da un originale egiziano conservato nel Museo Britannico. Essa era ap-
plicata dentro la porta da una persona che stava di fuori, la quale passava il braccio
attraverso un buco fatto nella porta appositamente, e quindi col mezzo di quei denti spor-
genti alzava il saliscendi che la teneva serrata ».
— 270 —
Confusiti hoc deimuciatione. Emiiolpus, non quaesii! iraciindiae causata, sed continuo
limai egressus, abduxit repente ostium cellac, meqne nihil tale expectanten inclitsit,
exemitque raptim clavem, et ad Gitona investigandum concurret.
Fino qui tutto concorda col nostro postel. Ed ora si domanda : intro-
dotta la chiave nella toppa, quale era il congegno messo in azione nell'aprire
e nel chiudere ?
Ma pur troppo le notizie in tale riguardo sono molto scarse e per di
più molto oscure, essendoché, come osserva giustamente il Becker ') appunto
nel capitolo intitolato // serrare le porte, « i luoghi meno intelligibili degli
antichi scrittori sono di solito quelli che si riferiscono ad un meccanismo
non più usitato nei tempi moderni. Se ciò è difficile anche colà ove pos-
sediamo delle descrizioni accurate, riesce pressoché impossibile ad essere
sufficientemente esplicato quando di esso lui non se ne fa che semplice
menzione come di cosa allora abbastanza nota, sia pure il meccanismo
semplice quanto si vuole. E questo vale particolarmente in tutti quei casi
nei quali si parla delle chiavi, e più precisamente delle serrature. I passi
nei quali ciò avviene sono molti, ma nessuno ci da sul modo di chiudere
maggiori schiarimenti di quanto lo diano le numerose chiavi antiche, le
quali soltanto confermano ciò che d' altronde si sa, cioè che si avevano
delle serrature ».
In Apuleio, Metani. 9, 20, il marito geloso batte alla porta di casa ;
il servo Mirmice che lo sente gridare va in cerca della chiave et
tane Myrmex, tandem clave pessulis subiecta, repandit fores, et recipit tutu etiam
fidcni deiiin boantem dominum.
Altrove (4, io), Lamaco che vuol penetrare nella casa di Crisero
iinmissa inanu claustrum evellere gestiebat. — E nel cap. 1, 14 leggiamo: Suino
samic ulani meam, et subdita davi pessulos reduco. At illae probae et fideles
ianuae, quae sua sponte reseratae nocte fuerant, vix tandem et aegerrinic itine
clavis suae crebra immissione patefiunt ').
') Becker. Gallus oder ròmische Scenen. Lipsia, 1863.
2) Ometto a bella posta i passi di Plauto (Auì. i, 2, 25): «occlude sis Fores
ambobus pessulis» — di Marcello (Emp. 17): «in eo loco vel foramine in quo ianuae
pessuli descendunt, quidquid reperiris collige » — di Prudentiano (c. Symm. 1, 65):
« nunc foribus surdis sera quas vel pessulus artis firmarat cuueis » — di Apuleio (CvCrt.
y, 15): « fores cubiculi occludam. Et cum dicto pessulis iniectis et uncino firmiter immisso
sic ad me reversa » nei quali tutti, i pessuli non sono altro che i chiavistelli o
catenacci, i quali agivano senza bisogno della chiave.
— 271 —
Il Becker (op. eit. pag. 277) dall'esame dei succitati brani conchiude:
« Da Apuleio non risulta ancora chiaramente quale sia la conformazione
delle antiche serrature, ma non può esservi dubbio alcuno che qui sotto il
nome di pessuli debbansi intendere quelle stanghette che mediante la chiave
vengono spinte avanti od indietro. A differenza degli altri, questi pessuli
sono una doppia stanghetta, la quale non può essere mossa senza il concorso
della chiave » ').
Di ben altro parere è il Marquardt. Egli, per venire ad una conclusione
attendibile, prende le mosse più da lontano, e scrive nell' opera citata a
pag. 226 : « Neil' Egitto e in tutta l'Africa settentrionale viene usata anche
oggidì nei portoni, porte ed armadi una chiave di legno la cui forma si
rinviene già su d'un rilievo rappresentante una porta d'un tempio di Karnak
e che quindi sembra abbia durato costantemente nell'Africa. Una stanghetta
di legno lunga da 14 pollici a 2 piedi è collocata nella parte esterna della
porta mediante una serratura rettangolare che vi è sovraposta, e penetra,
se la porta è semplice, in un buco apposito (bocchetta) praticato nel muro.
La stanghetta ha nella sua parte superiore cinque fori, i quali quando essa
è introdotta stanno sotto la toppa, e nei quali dalla parte superiore della
serratura cadono cinque perni (ingegni o fernette) per tener ferma la stan-
ghetta. Questa però è cava sino circa alla metà. In questa cavità s'introduce
una chiave di legno assomigliante ad un grosso regolo, il quale è munito
di cinque punte di ferro corrispondenti ai cinque buchi della stanghetta.
Col premere queste punte dal disotto all' insù nei buchi del regolo, s'alzano
le fernette, ed in pari tempo si tira la stanghetta. Questa specie di serratura
spiega esattamente non solo i passi relativi degli scrittori egiziani ed africani
quali Arato, Apuleio ed Agostino, ma è stata usata dai Greci e dai Romani
poiché mediante essa è reso intelligibile non solo l' espressione clavem
suhiicere, ma anche la forma di quelle chiavi metalliche, le quali provvedute
di pettine servono non a girare ma ad alzare Nelle espressioni
subdita davi pessulos reduce — davi pessulis subiecta repandit fores i pessuli
sembrano dinotare non i chiavistelli (i catenacci) posti nella parte superiore
ed inferiore della porta, ma le fernette della serratura ».
') Di questa opinione sembra essere anche il Sagittarius (De ianuis l'eierum, nel
voi. VII, pag. 418 del Grevius, Tbtt. antiquii, romanarum), il quale al cap. 14 scrive :
« Cum autem aperiretur ianua, hi pessuli supposita davi reducebantur ».
— 272 —
L' interpretazione data dal Marquardt risulta ancora più probabile ove
si ricordi il precedente passo di Apuleio (i, 14) in cui lo scrittore con-
trapone la facilità del chiudere alla difficoltà dell' aprire ; il sua sponte
reseraiae, al clavis suae crebra immissione. Nella serratura, quale la descrisse
il Marquardt, e meglio ancora nella nostra, basta spingere la stanghetta
nella sua bocchetta perchè le fernette cadano da se negl' interstizi della
chiave, e da sé medesime, col fermare la stanghetta, stabiliscano la chiusura
della porta. Difficoltà maggiore invece s'incontra nell'aprire; e qui molto
spesso v' abbisogna della clavis crebra immissione.
*
* *
Con quello che il Marquardt disse delle antiche chiavi deducendolo
dalle serrature africane, s' accorda quanto Guhl e Koner scrivono sulle
chiavi usate nelle colonie renane in base agli studi fatti in tale proposito
dal Cohausen '). Nella loro publicazione La vita dei Romani (Torino, 1889),
si legge a pag. 269 : « Le chiavi provenienti dalle colonie romane de' paesi
renani fatte per quel genere di serrature dove la chiave era spinta ad angolo
retto entro la toppa ed alzata in modo che i denti del suo ingegno pene-
trassero nelle corrispondenti aperture della stanghetta, ne cacciava fuori le
punte che tenevano fissa essa stanghetta, e sollevava la stanghetta fino a
filo della toppa > .
*
Dal fin qui detto si scorge come il nostro serrarne differisca dagli altri
qui pure descritti, da prima per il fatto che le fernette, invece di venir sol-
levate dai denti della chiave attraverso la stanghetta, vengono alzate dalla
chiave stessa muoventesi indipendentemente dalla stanghetta ; in secondo
luogo che la conformazione della nostra serratura costringe chi vuole aprire
'' ') Cohausen. Serrature e chiavi dei Romani (Annali» d. Ver. ftìr Nassauische Aìter-
thumskunde, XIII, a. 1874, pag. 135).
Cfr. anche Nòtling. Stadie ùber ali ròmische Thtìr-und Kastenschlòsser . Mannheim, 1870.
— 273 —
a fare uso d'ambedue le mani, l'uria per introdurre la chiave nella toppa
e sollevare le fernette, l'altra per spingere avanti od indietro la stanghetta
a seconda che si vuole aprire o chiudere. Inoltre, mentre il meccanismo
della nostra serratura è fatto tutto in legno, nelle altre devono alcune parti
essere di metallo.
Ad eccezione di queste differenze, la nostra serratura e la porta su cui
veniva inchiodata corrispondono, come abbiamo veduto, a quanto sulle
porte e sui relativi mezzi per chiuderle ci lasciarono scritto gli antichi
autori.
Resterebbe ora ad esaminare se queste differenze che si riscontrano
nella nostra serratura di confronto alle altre sieno essenziali o meno.
Questo non mi fu possibile di farlo consultando quelle opere d'antichità
di cui poteva servirmi.
Ma più che colle opere d'archeologia, il migliore, anzi l'unico modo
per venire in tale proposito ad una conclusione sicura sarebbe stato il mettere
a confronto la nostra colle serrature romane tuttora conservate nei vari
Musei, e specialmente in quelli nelle cui sale si raccolgono quanto di meglio
venne ritrovato negli scavi di Roma e di Pompei. Non potendo, per ragioni
facili a comprendersi, recarmi io stesso a fare i necessari confronti, ne
scrissi a Roma al mio amico dott. Vaglieri, dotto archeologo, mandandogli
una particolareggiata descrizione della serratura accompagnata dai relativi
disegni '). Il dott. Vaglieri, per maggior sicurezza, ne scrisse a Napoli al
comm. Ruggiero ; ed ecco la sua risposta :
« La serratura che mi avete mandata in disegno ha proprio la medesima
congegnatimi di quelle di Pompei, salvo la necessaria differenza dipendente
dalle materie di cui sono formate, essendo l'una di legno e l'altra di terrò
o di bronzo. E tanto mi è parso singolare questo riscontro, che ne sto
facendo fare una di rilievo per metterla più chiaramente in paragone colle
antiche da me studiate ».
Queste parole d' un' autorità archeologica cosi universalmente ricono-
sciuta quale si è d comm. Ruggiero non lasciano alcun dubbio che la
') Quelli, ed i disegni qui uniti, li devo alla gentilezza del mio collega prof. Edoardo
Visintini.
- 274 —
serratura tuttora adoperata nella campagna di Rovigno a chiudere il postò
non sia una delle torme della chiave romana rustica fatta tutta in legno.
Il conservarsi poi di tale forma di chiave nella nostra campagna ci
dimostra, come, non solo nelle istituzioni politiche e sociali, non solo negli
usi e costumi, vale a dire nei tratti caratteristici della vita civile istriana,
si mantenga tenace ed inalterata la romanità attraverso il medio evo, ma
anche come essa con eguale tenacità perduri egualmente nelle cose di minor
momento, quali sono quelle spettanti alla vita campestre.
B. dott. Bknussi.
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ANNO SETTIMO 1890
ATTI E MEMORIE
DELLA
SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA
STORIA PATRIA
Volume VI. — Fascicolo 3.' e |."
PARENZO
PRESSO LA SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA E STORIA PATRIA
Tip. Gaetano Coana
1890
SENATO SECRETI
COSE DELL'ISTRIA
(Continuazione del fascic. 30 e 40,
Senato Secreti, voi. XXXIX (1502-1503).
1503. 16 settembre. — Quattro consiglieri propongono di ordinare
al podestà e capitano di Capodistria di dare il possesso di quel vescovado
a Bartolomeo de Asonicha di Bergamo dottore, viro gravi al maturo, antiquo
curiali, eletto dalla S. Sede. — 42 votanti approvano.
Antonio Tron Savio del Consiglio propone di sospendere la detta col-
lazione attento chel sia sta scripto in recomandation de nostri benemeriti ^en-
lilbomeni et citadini per la consecution de questo Episcopato ci qual se dice esser
sta comprato per el soprascripto D. Bartholomeo dal Pontefice dcfitnclo, ncc non
per non esser el dicto benemerito (carte 112 tergo).
Senato Secreti, voi. XL (1 504-1 506).
1505 m. v. 7 gennajo. — Dietro proposta degli oratori imperiali si
commette a Sebastiano Giustinian cav.r di andare come commissario veneto
a visitare, con uno d'essi oratori, i luoghi in contestazione fra Pordenone,
Trieste e Zoppola, ed altri friulani, come pure i luoghi in questione in quel
di Capodistria; per poi finir le questioni (carte 134).
278 —
Senato Secreti, voi. XLI (1507-1509).
1507. 29 giugno. — Georgi/ts Moyse capitano di Trieste è uno dei
tre ambasciatori inviati dall' imperatore a Venezia (carte 26).
1508. 25 aprile. — A Giorgio Corner cav. Provveditor generale. Ri-
spondendo a sue lettere del 23, si dichiara di lasciar libero al Governatore
[generale dell' esercito — Bartolomeo Alviano] e ad esso Corner il far la
proposta impresa di Trieste, quando la trovino di non difficile riuscita
(carte 91).
1508. 8 maggio. — Al suddetto. In risposta a sue lettere del 7 che
annunziavano l' invio di Antonio Pio a fuor Postoina, il Senato, ritenendo
che, havendo intesa la nova de Goritìa, et Trieste, el loco de Fiume, Pisino et
quelli altri castelli existenti in Histria cimi pocha dificulta se davano
a la Signoria nostra, lo si eccita a studiare col Governatore e col Provveditor
dell'armata se si potesse procedere alla conquista di Fiume ecc. nonché di
altri luoghi soggetti alla contea di Gorizia, a^io le cosse nostre de Histria
siano poste in segurtd (carte 93).
Venuta Trieste in potere della Republica, si delibera di eleggere in
Senato un provveditore per governare quella città ; vi starà un anno col
salario di ducati 60 il mese, netti; terrà 11 famigli; il Collegio è incaricato
della commissione. Sarà pure eletto un castellano in quella rocca, con du-
cati 30 il mese, per un anno. — Si differisce a domani (carte 93).
1508. 9 maggio. — Si deliberano nuovamente le elezioni di cui è
oggetto la precedente, colle condizioni in essa notate. — Marco Loredan
capitano delle galee bastarde che tiene interinalmente il governo di Trieste,
e Vincenzo da Riva sopracomito che custodisce quel castello, ritorneranno
ai rispettivi comandi. Il Provveditor generale ed il Governator generale,
prima di partire da quella città, studieranno il modo di fortificarla bene e
riferiranno (carte 94 tergo).
Eletto provveditore a Trieste Francesco Cappello cav. (carte 94 tergo).
1508. 12 giugno. — A Giorgio Corner. Si loda la presa di Postoina,
si partecipa la conclusione della tregua cogl' imperiali, e si danno disposi-
zioni per la restituzione del detto luogo (carte 105 tergo).
1508. 17 giugno. — A Giovanni Erberstainer che fece spontaneamente
omaggio alla Republica del suo castello di Lupoglavo, si concede in feudo
il castello stesso, verso la presentazione di un cero di 15 libbre alla chiesa
di S. Marco nel giorno della festa del titolare - ogni anno (carte 106).
— 279 -
1508. 3° g'ugn0- — Avendo il provveditore partecipato di aver deli-
berato le witde de Corgnal et Xenosechia, gli si commette di affittare la muda
di detta città e tutte le altre, e quindi di nuovo anche le suaccennate, con
condizione che Crangi ed ogni altro possino andar dove vogliano, ne siano
astretti ad andare in luoghi determinati, ma che la sfrata sia libera ad
ciascuno.
Alcuni savi del Consiglio e di Terraferma vorrebbero sospesa la deli-
berazione per udire Giorgio Corner cav. ritornato a Venezia e Giovanni
Navager già capitano a Raspo; — 60 votanti approvano (carte 108 tergo).
1508. 3 agosto. — Si ordina al Provveditore a Trieste: Quod ex illis
civibus et ibi habitantibus, eis qui sibi videbuntur suspecti et male
intentionis cantra statimi nostrum, imponat quod conferre se debeant ad preseutiam
nostrani, exequendo hunc ordinati a parte ad partem prò vitando tumulti* et
facienda minore demonstratione. Giunti i suddetti a Venezia, si proibirà loro,
sotto pena di ribellione, di partirne senza licenza del Senato. Tal divieto
si farà a tutti i triestini ora presenti a Venezia. — Si delibera poi l' invio
al più presto a Trieste d'una galea sottile comandata dal sopracomito Tomaso
Moro (carte 118).
Senato Secreti, voi. XLII (1509).
1509. 1 giugno. — Al provveditore a Gorizia ed ai rettori e castellani
di Fiume, Pisino, Cormons, Duino e Belgrado. Ordine di restituire i detti
luoghi agi' imperiali (carte 2).
1509. 2 giugno. — Al provveditore e al castellano a Trieste. Fu man-
data colà la galea del duca de Nixia per conforto e sicurezza loro fino a che
sia effettuata la consegna di quella città all' imperatore ; procurino di ricu-
perare tutto ciò che vi è di spettanza della Republica, armi, munizioni ecc.
e lo imbarchino sul detto legno, e con esso ritornino; sono autorizzati a
far la consegna ad alcuno dei feudatari imperiali delle vicinanze, ed anche
a incaricare altra persona della consegna stessa (carte 2 tergo).
1509. 1 ottobre. — Al provveditor generale e viceluogotenente del
Friuli. Avendo i rettori dell' Istria annunziato che le genti le quali, dopo
essere state a' danni del Friuli, s' erano ridotte a Gorizia, presero ora a
fare scorrerie nell' Istria e s' impadronirono di Castelnuovo ; si ordina al
provveditore stesso di accorrere, colle milizie che crederà opportune, in
aiuto di quella provincia, intendendosi col provveditore de' stradiotti che
si trova colà, il quale dovrà ubbidirlo. Si avverte essere i nemici al numero
— 280 —
di 250 cavalli e 2000 fanti. Gli si raccomanda poi di non perder di vista
la sicurezza del Friuli, e di tener d'occhio i nemici onde dall'Istria non
tornino a quella volta (carte 63).
Al capitano general da mar si ordina di venire al più presto da Zara
in Istria per difendere quelle terre ; gli si suggerisce di mover con galee
contro Trieste per far diversione (carte 63).
1509. 4 ottobre. — Al viceluogotenente e provveditore in Friuli. Pro-
gredendo in Istria i nemici, i quali presero anche Raspo, e ritenendosi sicuro
il Friuli, gli si ordina di accorrere volantissime, con Meleagro da Forlì e le
milizie che stimerà opportune, alla liberazione dell' Istria, e se non potrà
recarvisi per terra, vi si rechi per mare, e faccia in modo che come lo Im-
perator è partito da la impresa de Padoa cum pocho honor suo, cussi ctiam questi
scalci, che per quanto intendano sono la inaiar parte villani, siano fugati et
dissipati. Gli si spediscono 600 ducati, e il capitano general da mar è in-
caricato di soccorrerlo. — Di questa deliberazione si dà notizia al detto
capitano general, ai rettori dell'Istria e al provveditor de' stradiotti, i quali
rettori e provveditore presteranno obbedienza al viceluogotenente che si
dichiara provveditor generale anche in Istria (carte 65).
Al podestà e capitano di Capodistria. Per provvedere, dopo la caduta
di Raspo in mano ai nemici, alla sicurezza di Pinguente e di Montona, vi
mandi tosto un sufficiente presidio; e così negli altri luoghi che credesse
averne bisogno. Gli si partecipano i soccorsi che porteranno il provveditor
generale del Friuli e il capitano general da mar. Gli si ricorda di far in
modo che la chiesa che sta presso Montona non cada in mano ai nemici;
al caso potrà farla demolire (carte 65).
1509. 29 ottobre. — Il capitano general da mar è richiamato dall'Istria,
vi lascierà le galee che stimerà necessarie per quella difesa (carte 72).
Senato Secreti, voi. LII (1527).
1527 m. v. 14 gennajo. — Risposta data dal Senato s\Y Archiepiscopo
Syponlino et Episcopo Polensi legato apostolico in materie estranee all' Istria
(carte 131).
Senato Secreti, voi. LIV (i$}o-i$}i).
153 1. 2 novembre. — Essendo per la morte del R. legato vacato /' epi-
scopato di Pola, ed essendosi in trattative col Papa circa le denomi nat ioni dei
— 28l —
vescovi, si delibera di sospendere per ora quella del successore al defunto
(carte 92).
Senato Secreti, voi. LV (15)2-)}).
1533. 13 maggio. — Ad Andrea Rosso segretario ducale inviato al
Convento in Trento per trattare sulle differenlie di confini con il Scr.mo Re di
Romani. Tra altro gli si scrive : « Circa San Servolo, Cernical et Muda di
Zaule, facto iterum venir a nui il Veniero, ritornato di Capodistria, el ne
ha dito che San Servolo fu già della Signoria nostra, et da quella per be-
nemeriti donato al q. D. Zuan Ducain, et per lui et heredi soi possesso
fino al tempo che furono spogliati da Cesarei, che fu edam in tempo di
treugue. Et se dicesseno li regii che ditti Ducaini tenevano esso loco
per nome della Signoria nostra, perche li soldati di esso venivano pagati
alla Camera di Capodistria, dice esser vero, ma della provisione
delli detti Ducaini, et a conto loro, et non del denaro della Signoria nostra.
Che Cernical senza alcun dubbio fu construtto da particulari, et da loro
sempre custodito. La Muda veramente di Zaule essere sempre stata ove la
è al presente, et restituendose Cernical, quella deve restar sopra il territorio
che la è ». Gli si trasmette lettera del capitano di Raspo circa
« li sinistri modi che tiene il Flegar di Castel Novo, et molestia che dà nel
bosco nostro di la Visina, et il Fregar di Lupoglavo », e gli si ordina di
procurare « che cessino da ogni molestia acquietandosi a quanto sera per
quelli giudici terminato (carte 89).
1533. 26 giugno. — Al suddetto. « Quanto veramente per-
tiene alle cose del Tassis, cioè di Castel Novo, ditto Rachel, et della villa
di Barbana, havendo il q. Zaneto de Tassis havuto quelli lochi dal q. Mas-
similiano Imperator in pegno per.il credito che l'havea con sua M.tà
et havendo nui nella guerra presi quelli lochi, se ben potevemo
et potriamo defender non haver per ditti loci obligatione alcuna, nientedi-
meno fussemo contenti, come per lo incluso exemplo vederai di lettere per
nui scritte all' orator appresso la Cesarea M.li a XIIII di Lugio del anno
M.D.XXX, di haver ad dar alli heredi del ditto Zaneto il denaro » dovuto
dall' imperatore al quale Venezia si ritiene subentrata. Si raccomanda quindi
al Rosso di far sì « che non si devegni ad alcuna sententia di restitutione
del sopraditto castel et villa » (carte 109).
1533. 28 giugno. — Al suddetto. Avendo esso chiesto « se debbi as-
sentir et convenir con li agenti regii » circa la interpretazione dell'articolo
— 282 —
della « capitulatione di Vormatia » relativo ai beni dell' Istria, « che riaves-
sero ad remaner appresso chi li possedeva, che si habbi ad intendere delli
publici solamente, et non delli privati » ; gli si risponde riportarsi il Senato
alla deliberazione che saranno per prendere i giureconsulti della Republica
al Congresso (carte 109 tergo).
1533. 13 dicembre. — A Giovanni Dolfin podestà di Verona, a Trento.
Il Senato desidera, prima di venire alla conclusione delle trattative, che
siano definite anche le questioni concernenti i privati.
Senato Secreti, voi. LVI (1534-1$)!)).
1535. 5 luglio. — Si ordina a Giovanni Dolfin di ratificare la sentenza
pronunziata dal Congresso di Trento (carte 107).
1535. 9 settembre. — A Donato Malipiero capitano di Raspo eletto
esecutore della « sententia arbitraria lata per li magnifici Indici deputati nel
convento di Trento, insieme con li magnifici executori deputati per la regia
M.tà nelle parte dell'Istria». Non essendo possibile ch'egli si trovi a Pisino
coi quattro esecutori regi pel 14 corr., come volevano questi ultimi, vi sia
pel giorno 25. Onde poi abbia seco persona esperta si ordini al dottor
Iacopo Florio, ora a Udine, che fu presente a tutte le negoziazioni di Trento,
di mettersi a disposizione d' esso capitano, e cosi pure saranno inviati a
Pisino il dottor Metello de' Metelli ed Alvise da Pola ; « con il parer et
conseglio de i qual, et precipue del excellente Florio exequirete la sentencia
preditta in quelle parte de l' Istria per vigor del mandato qual con queste
vi mandamo molto ampio et general ». Nei casi dubbi riferisca. Chiamerà
poi i particolari interessati a dir le loro ragioni nei luoghi opportuni. Vegli
a che dagli esecutori regi « sii conformemente eseguita insieme et unita-
mente con vui la sententia in tutte parte che a loro spettano in quella
provincia de l' Istria ». Nel designare i confini usi ogni diligenza, e taccia
porre i segni relativi «notabili, acciò habbino a durar continuis temporibus».
— « Circa il capitulo disponente Rachel et Barbana » farà « intimar iuri-
dicamente a i Taxis, perchè nui per vigor della riserva fattane in la sententia
volemo recuperarli Et però non bisogna darli el possesso
de quelli ». — Essendosi venduta ultimamente a Girolamo Grimani la giu-
risdizione di Visinada, nella quale è la villa di Medelino, aggiudicata dalla
^sentenza di Trento a Gasparo Crisana ; dopo posti i confini, il Malipiero
farà stimare « la valuta di quanto sera restituito, et del tutto Formarete
diligente processo, qual ne manderete con iustification delli usufrutti, delli
— 283 —
qual esso D. Gaspar sera refatto, acciò nui de qui possiamo far satisfar »
il Grimani ; e la villa sarà restituita al Crisana. Il capitano avrà ducati 80
al mese [oltre il suo stipendio] fino al termine della missione, terrà sei
cavalli, otto servitori, un segretario con un servo. Il segretario sarà nominato
dal Collegio.
Al dottor Florio si assegnano ducati 160 per due mesi. — Al luogo-
tenente di Udine si ordina di scrivere agli esecutori regi per la dilazione
dal 14 al 25 del convegno a Pisino (carte 129).
Commissione data al Malipiero quale esecutore veneto della sentenza
di Trento in Istria e luoghi circostanti (carte 130 tergo).
Istruzioni separate, al medesimo. Procurerà di avere esatte informazioni
« da quelle persone che saranno a vui condirne per quelli cittadini de Ca-
vodistria hanno interesse in le sententie arbitrarie », intorno alle restituzioni
che devon farsi le due parti vicendevolmente. — Esaminerà se il mandato
degli esecutori regi risponde alle esigenze della sentenza di Trento ed alla
quantità delle trattative. — « In qualunque executione si farà, eodem con-
textu, per voi executori siino liquidati li frutti et melioramenti per il tempo
della sententia summariamente, per information de testimonii, over loca-
tione » o altro, col maggior vantaggio dei sudditi veneti. — Circa la « causa
de Montona ve informerete con D. Hieronymo Malaspina » di quella terra
« et farete eleger perite persone confidente de le parte, quali habino a divider
il territorio pretcndeno quelli de Montona esserli sta occupato per quelli
de Pisino, al tempo della loro domanda tantum ». — Troverà « la iustifi-
catione de quelli redditi ha cavato la Signoria nostra » dai luoghi da re-
stituirsi ai regi colla prima istanza per gli anni 1533, 1534, 1535 «per
poter iustificar la probarione facesseno li regii circa detti frutti ». — Circa
Castclnuovo d'Istria «non lasserete domandar executione ad alcuno, se non
a quelli sono nominati in sententia ». — Inviterà, per mezzo del podestà
di Capodistria, tutti i cittadini interessati a comparire con periti dove sa-
ranno chiamati dagli esecutori (carte 131).
1535. 14 ottobre. — Al capitano di Raspo. Fu sentita con piacere la
definizione delle vertenze fra Montona e Pisino, e si loda molto Giovanni
Hollcr, uno degli esecutori regi. Avendo il podestà di Montona condannato
alcuni di Pisino per aver lavorato in luoghi in questione, si autorizza il
capitano a cassare la sentenza stessa, per mostrare agli esecutori regi le
ottime intenzioni della Signoria. Domani si spediranno a Capodistria i
denari « per la ricuperatione del Castel di Rachel, et Barbana, et delli usu-
frutti di Mumiano, Raziza et Sovignaco » (carte 139 tergo).
— 284 —
Senato Secreti, voi. LXI (1540-1541).
1540 m. v. 26 febbrajo. — All'Ambasciatore presso il re dei Romani.
« Vi die esser ben noto quante siano state le innovationi fatte
dopo la Sententia di Trento dalli Agenti Regii, sì contra li subditi nostri
in Histria, et nella Patria del Friul, come contra il R.mo Cardinal Grimani
in Aquileia », e tutte le pratiche per farle cessare. Il re si era mostrato
dispostissimo a prestarvisi, ed aveva aderito a che tutte le questioni fossero
sottoposte, come a mediatore, all'orator cesareo residente in Venezia; ma
questi, officiato in proposito, si è sempre scansato adducendo non aver
commissioni in argomento, e intanto crescono gì' inconvenienti. Parli perciò
al re con efficacia, gli faccia sentire il risentimento della Republica per
1' operare degli agenti regi, ed insti onde faccia subito « restituire sì esso
R.mo Patriarca, come li Gavardi in Histria all'antiquo et giusto
possesso loro » (carte 65).
Si scrive in argomento all' ambasciatore presso l' Imperatore (carte
66 tergo).
1541. 17 marzo. — All'ambasciatore presso il re dei Romani. In ri-
sposta a sue lettere relative all'accomodamento delle questioni non ancora
appianate, gli si ordina d' instare presso il re per la restituzione di ciò che
fu tolto al patriarca di Aquileia, ai Gavardo e ad altri ; e che sia mandata
all' orator cesareo a Venezia la commissione di mediazione, — il Senato
è dispostissimo all'accordo (carte 67 tergo).
Si scrive in conformità all' ambasciatore presso l' imperatore (carte
68 tergo).
1541. 2 settembre. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Attenda
colla usata diligenza « attender alla retractation delle cose innovate de facto
così contra Aquilegia et per le cose de Castel novo, intervenendo
li Gavardi (carte 100 tergo).
Senato Secreti, voi. LXII (1542).
1542. 2 settembre. — All'ambasciatore presso il re dei Romani. Si
'intese con piacere come quel re abbia elètto due suoi commissari per
« componer tutte le differentie che sono a quei confini », ed eletto arbitro
l' ambasciator cesareo residente a Venezia ; il Senato nominò pure i suoi
— 285 —
commissari [Francesco Contarini e Francesco Sanudo] per definire al più
presto le cose. Preghi il re a far desistere i suoi rappresentanti ai confini dalle
continue violazioni dei trattati, e dei diritti di Venezia e dei suoi sudditi,
del patriarca d'Aquileia, di vari friulani e dei « Gavardi da Castel novo, li
quali sono grandemente molestati dal capitano di Postoina » (carte 54 tergo).
1542. 2 settembre. — Avendo il re dei Romani nominato due suoi
commissari per la definizione di tutte le questioni, come è detto di sopra,
il Senato elegge a propri commissari Francesco Contarini e Francesco Sanudo
cavalier (carte 55).
Senato Secreti, voi. LXIII.
1543. 5 aprile. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Si partecipa
l'arrivo dei commissari del re dei Romani. — E cosi pure all'ambasciatore
presso quest' ultimo (carte io e io tergo).
1543. 21 agosto. — Essendosi lagnato l'ambasciatore del re di Francia
che legni austriaci partiti da Trieste siensi recati per le acque venete all'as-
sedio' di Marano (nel porto di Lignano) ; si delibera di ordinare al capitan
general da mar di « mandar in Histria il Capitaneo delle fuste con la sua
conserva et due galee et sia etiam scritto al detto Capitaneo delle
fuste che debba venire, et a quei rettori che parerà al Collegio per far venir
in Histria con ogni prestezza le galee et fuste sopradette, le qual non debbano
partire senza ordine nostro» (carte 51 e 51 tergo).
Essendo terminata la definizione delle questioni « restate indicise per
la sententia di Trento », tranne quelle di Belgrado e di Castelnuovo, si
autorizzano i commissari Contarini e Sanino a trattare coli' ambasciatore
dell' imperatore per la loro soluzione (carte 52).
1544. 26 aprile. — Si ordina agli ambasciatori presso l' imperatore e
il re dei Romani di lagnarsi che « il Capitaneo di Postoina non cessa di
molestare [in Istria] li Gavardi per ogni via, et li ha usurpato tutto '1 ter-
ritorio nel qual facea preparatione di fabricare una fortezza, ne li ha lassato
altro che il castello » e di chiedere che si ponga riparo a simili
azioni (carte 127 tergo).
Senato Secreti, voi. LXIV.
IJ45. io marzo. — Destinato il dottor Antonio Quetta, a commissario
del re dei Romani in Venezia per l'ultima definizione delle questioni rimaste
— 286 —
insolute dopo la sentenza di Trento ; si elegge commissario veneto allo
stesso scopo Girolamo Grimani in luogo di Francesco Sanudo assente
(carte 4).
1545. 16 ottobre. — S'incaricano i commissari Francesco Contarmi
e Girolamo Grimani di fare i primi uffìzi col Quetta, venuto a Venezia
(carte 77).
1545. 21 ottobre. — Francesco Michiel che ebbe gran parte, come
avvocato fiscale, nelle negoziazioni per la definizione delle questioni rimaste
da risolvere dopo la sentenza di Trento, è « mandato per commissario
ad essequire le prefate sententie di Trento et metter fine alle altre differentie
con li commissari regii, insieme col quale siano medesimamente
deputati commissarii et esecutori il Podestà et Capitaneo di Cavodistria per
le cose de Istria». Essi dovranno aggregarsi uno o due « delli più eccellenti
dottori delle terre nostre a loco per loco per consultori et de-
fensori delle raggion publice et private, acciochè tal essecution sia fatta con
ogni debita maturità » (carte 77 tergo).
Senato Secreti, voi. LXVI.
1548 m. v. 26 gennajo. — Avendo il re dei Romani eletto tre com-
missari per 1' esecuzione della sentenza di Trento e per definire questioni
di confini fra i sudditi veneti di Raspo e di Montona, e il capitano di Pisino,
si delegano quali commissari veneti il podestà e capitano di Capodistria, il
capitano di Raspo e il podestà di Montona ; il Collegio manderà loro uno
dei segretari del Senato e il dottore Ottonello Vida, informatissimo di quelle
questioni (carte 63 tergo).
1549. 29 luglio. — Al capitano di Raspo. Il Senato non crede che i
sudditi del re dei Romani minaccino il castello dei Gavardi, non avendone
motivo ; però se Castelnuovo venisse davvero minacciato, non manchi il
capitano di mandare i necessari soccorsi ; avverta però di non fare esso ne
lasciar fare ai Gavardi cose dalle quali « venghi principio di moto alcuno »
(carte m).
1549. 7 dicembre. — Risposta data al segretario del re dei Romani.
Volendo il Senato vivere in amicizia col re, udì con dispiacere da esso
segretario « dell'adunatione di gente ultimamente fatta dalli nostri da Pin-
' guente et Raspo Onde se ben detta adunationc succedesse
per il romor solamente che in quei luoghi nostri si divulgò che '1
Capitano Raunicher veniva a quei confini con buon numero de huomini
— 287 —
non intendendo all' hora quei nostri la causa della venuta sua ».
Il Senato diede però ordini per venir in chiaro delle cose, e perchè fra i
vicendevoli sudditi confinanti passi la migliore intelligenza; e spera che il
re agirà in conformità (carte 124 tergo).
1549. 19 dicembre. — Al podestà e capitano di Capodistria e succes-
sori. Gli si fa sapere essersi il re dei Romani doluto « d'alcune adunation
di gente che per li nostri ultimamente sono sta fatte in quella provincia
con le quali è sta cercato di favorire le cose delli Gavardi da Castelnovo
contra li agenti de Soa Maestà». Accennasi alla risposta data al segretario
regio, e gli si ordina di procurare che nella sua giurisdizione non si dia
motivo a lagni da parte dei sudditi regi. Che se questi dessero causa a
sospetti, indaghi, informi e cerchi di attutire.
Similmente si scrive al capitano di Raspo, coll'aggiunta : « Et perchè
il sopradetto Segretario Regio è stato molto querellato in questa causa,
chel non ha mancata da Antonio Lignano et dalli nostri di dar occasione
de violar et alterar la buona amicitia dando all' arme contra li
deputadi et sudditi di S. M.til » ; gli si ordina « de informarvi particolarmente
del modo che successe tutto il fatto » e di riferire il risultato delle sue
indagini (carte 127).
1549 co. v. 4 gennajo. — All'ambasciatore presso il re dei Romani:
« Havemo inteso con molta displicentia dell' animo nostro, per lettere del
Potestà e Cap.° nostro di Capo d' Histria et del Cap.° di Raspo
il caso che è occorso a Castel novo a 30 del mese passato, quale è stato
occupato da doi che havrano condutto lì dentro certo feno». Il Governo
ne fece lagni col segretario del re dei Romani, dicendosi certo che il fatto
era successo contro il volere d' esso re, che « havendo massime havuto
1' ostaso nelle mani» non avrà certo «dato simel commissione»; e chie-
dendo che « li Gavardi fusseno restituiti al possesso del ditto castello ». Il
segretario promise di scrivere al re e ai ministri regi in Lubiana. Il Senato
poi commette all' ambasciatore di fare ufficii conformi con quel sovrano
(carte 129).
Senato Secreti, voi. LXVII.
1550. 20 giugno. — All'ambasciatore presso l'imperatore. «Alcuni
nomini del Rev.'10 Ambassator della Cesarea M.iil presso di noi residente
havendo fatto setta ed adunatione de molti armati, sono andati
nel loco de Isola et di ordine del ditto Ambassator, alli XI del presente
— 288 —
ad hore 4 di notte, hanno assaltato sopra la strada publica presso la piazza
un pover homo che ivi trattava alcune sue lite con uno nostro suddito di
quella istessa terra, et quello hanno ferito et preso, et per forza legato hanno
condotto via con una lor barca da Trieste, il qual homo è stato mandato
a dimandar per il Potestà nostro de Isola al Capitaneo di Trieste, et da
esso non gli è stato restituito ». È questo fatto una patente « violatione
della nostra giuridittione, et per la gravissima offesa che perciò è stata fatta
alla nostra dignità » il Senato non può tollerarlo in pace. Però cerchi di
aver udienza al più presto dall' imperatore, in qualunque luogo si trovi, gli
esponga il fatto, si lagni del contegno dell' ambasciatore « il quale chiara-
mente si vede haver mandato de qui ad Isola apostatamele »,
e ne chieda con buone maniere il richiamo [1' ambasciatore imperiale era
Don Giovanni di Mendozza]. In appoggio si mandano all' ambasciatore i
documenti del fatto (carte 43 tergo).
1550. 8 luglio. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Avendo egli
scritto che quel sovrano, udite le querimonie pel fatto d' Isola, gli aveva
risposto attendere la esposizione del proprio ambasciatore ; gli si ordina di
instare pel richiamo (carte 49 tergo).
Si sospende l' invio della lettera.
1550. 20 luglio. — Avendo l'ambasciatore dell'imperatore avuto ordine
di restituire l'uomo catturato in Isola, gli si fa dire che lo faccia rimandare
in quella terra e riporre ivi in libertà (carte 54).
1550. 11 agosto. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Lo si loda
per 1' ufficio fatto col cardinal di Arras, a proposito del fatto d' Isola, e
dell'effetto ottenutone; ringrazi l'imperatore degli ordini dati in proposito,
e lo preghi di commettere ai suoi ambasciatori di tener sempre un contegno
amichevole (carte 58 tergo).
Senato Secreti, voi. LXVIII.
1552. 11 agosto. — All'ambasciatore presso il re dei Romani. Il se-
gretario regio residente a Venezia espose di avere « scritto in forma efficace
alla M.'à Sua circa li danni fatti per Uscochi nelle acque e nel territorio
di Albona et Fianona, et de redimo che hanno essi Uscochi nelle terre di
Segna et de Fiume ». Il re, anche in seguito ad uffici fattigli dall'ambascia-
tore, promise di castigare i colpevoli, e di bandire tutti i sudditi veneziani
che si trovassero fra questi. Attenda però l'ambasciatore a far che le pro-
messe si adempiano (carte 54).
— 289 —
15S2 ni- v- 23 febbrajo. — Al conte di Pola. « Havemo
ricevute le lettere vostre de 23 del mese de decembrio passato, et insieme
il processo che havete formato sopra il caso de una delle doe barche de
schiavi che era stata intertenuta per il vostro cavallier nel porto de Bado » ;
gli si ordina di far porre in libertà « le sei temine schiave ritrovate
sopra essa barcha et indricciarete sotto bona custodia alla Galla
Centana de' Condannati li doi mercanti ritrovati sopra essa barca ...
zoe Baptista Basso et Mattio Spadaro ». Farà poi chiamare il padrone della
barca, Antonello da Pirano, fuggito, onde si presenti entro un mese, altri-
menti proceda contro di esso in contumacia.
Si delibera poi di far dire al segretario del re dei Romani : « Che li
precedenti giorni capitorono in uno delli nostri porti in Istria due barche
che venivano da Fiume con alcuni schiavi et schiave, una delle qual
se ne andò al suo viaggio, V altra lassata dal patron et marinari, li quali
per esser nostri sudditi si detteno a fugire, fu intertenuta dal cavalier del
Conte nostro de Puola, et condutta in porto. In questa barca furono trovati
doi mercadanti, tre nomini et sei femine schiave. Et se ben per esser questa
mercantia de schiavi christiani della natura e qualità eh' ella è ; noi come
quei che non 1' habbiamo mai permessa ne approbata nei nostri subditi
harressimo volentieri fatto qualche demonstratione contro i ditti
mercanti ». Però per rispetto del re, del quale i mercanti stessi tenevano
patenti, si crede conveniente informar del tutto il segretario.
Queste deliberazioni non furono approvate in prima votazione ; si ap-
prova poscia quanto si riferisce ai « retenuti a Puola ». Per ciò che spetta
ai « mercadanti et patron de navilio che si attrovano ritenuti in Zara » si
delibererà in seguito [Notasi che nella filza 26 delle deliberazioni secrete
del Senato si trova il processo fatto a Pola, accompagnato da lettera di
quel conte] (carte 106 tergo- 109).
Senato Secreti, voi. LXIX.
1554. 7 settembre. — Al podestà e capitano di Capodistria. In seguito
a sua lettera 29 agosto sui progressi della peste in quella città, si diedero
ordini ai provveditori alla sanità per le disposizioni opportune. Essendo poi
« una parte delli fanti eh' erano a quella custodia o partiti o
morti », si è dato ordine al capitano delle fuste « che fatta venir a lui una
delle sue conserve, debba star con quella a ditta custodia, scorrendo in quei
luogi dove conoscerà esser maggior soa securtà, et poter prohibir qualche
— 290 —
machinatione ». Si approva le disposizioni date dal podestà e capitano circa
il frumento ivi mandato per l'approvvigionamento (carte 44 tergo).
Al capitano delle fuste. Si loda per aver provveduto al bisogno di fru-
mento che aveva Capodistria ; gli si danno gli ordini di cui è parola nel
precedente ; lo si avverte di non lasciar scendere a terra, salvo in caso di
necessità di difesa, gli uomini della fusta destinata alla guardia, per evitare
il pencolo di contagio (carte 44 tergo).
1554. 13 dicembre. — « riavendosi inteso dalle lettere del Potestà de
Pirano de ultimo novembre, et Mugia de 29 del ditto mese quello che
ricerca il Vice Capitanio di Trieste per la liberatione delle due barche de
ogli che si attrovano a Pirano, et che furono ritenute per il Capitanio delle
fuste ; Et insieme veduta la terminatione fatta per il Vice Cap.° predetto
della restitutione della barca, et de i vini che per quei Ministri di Trieste
erano stati ritenuti per avanti sopra una barcha che venendo da Muggia
andava a Monfalcon — Et essendo conveniente che havendo loro restituito
li vini, debbano haver li ogli », si propone si taccia la restituzione di questi
[non approvato] (carte 67).
Si delibera invece che il Collegio dichiari al segretario del re dei Romani,
che, essendo stati restituiti i vini, di cui sopra, non liberamente, ma sotto
condizione, la Signoria farà restituire liberamente 1' olio quando sia tolta
anche la condizione stessa (carte 67 tergo).
1554 m. v. 28 gennajo. — All' ambasciator presso il re dei Romani.
Si loda per l'esito dei suoi uffici relativamente alla « presa che aveano fatto
Triestini de una barca de nostri subditi che venendo da Muglia andava a
Monfalcon carica de vini » ; gli si partecipa la dichiarazione fatta al segre-
tario del re residente a Venezia, come sopra. Si aggiunge che il segretario
ritornò in Collegio annunziando che la restituzione del vino sarcbbesi fatta
senza condizioni ; ma che il podestà di Pirano, ai 22 corr., aveva sospeso
la restituzione dell'olio non vedendo effettuarsi quella del vino; faccia uffici
conformi col re, e veda si solleciti la definizione dell'affare (carte 81 tergo).
1555 m. v. 26 febbrajo. — Al podestà di Rovigno. Avendo egli se-
questrato « alcuni ferri ch'erano sopra una barca capitata in quel porto »,
ad istanza del Nuncio pontificio, gli si ordina la restituzione dei medesimi
a Lodovico Sasoto ; mandi poi il processo relativo (carte 177 tergo).
Senato Secreti, voi. LXX.
1557. 3 luglio. — Al podestà di Rovigno. L'ambasciatore del re di
Spagna « ne fece heri intendere che essendo capitata in quel luoco nostro
— 29* —
una fregata che con lettere del Signor Vice Re di Napoli gli venia spedita,
perchè egli le havesse ad inviare al Ser.mo Re suo, da voi era stata ritenuta
con tutti li nomini di quella, Il che parimente questa mattina riabbiamo
inteso dalle vostre esser stato perchè la detta fregata portava la bandiera di
S. Marco sopra l'arboro, et per le altre cause che vi havevano mosso a ciò ».
Si dà perciò ragione al podestà, ma gli si ordina « in gratificatione del detto
Ambasciator » di rilasciar libera la fregata con tutto ciò che conteneva ; e
se mai inalberasse ancora la bandiera di S. Marco la farà ritenere di nuovo
(carte 101 tergo).
Settato Secreti, voi. LXXIII.
1562 tri. v. 8 gennajo. — Avendo 1' ambasciator cesareo «più volte
rechiesto che le quattro barche da Trieste, le quali cariche di ferri et legnami
per Puglia sono state questi giorni passati retenute dalla barca dell'officio
di sopra dadi nella valle di Storgnano giuridittione di Pirano, dove erano
capitate per fortuna del mare, siano liberate»; si delibera di far
porre le dette barche in libertà pur dimostrando all'ambasciatore la legalità
dell'arresto (carte 43).
1562 m. v. 30 gennajo. — « Al Podestà di Muglia. — Vi mandamo
la forma d'una inquisitione, sopra la quale vi commettemo, che
come da voi facciate nei luoghi soliti proclamare così il giudice
del maleficio de Trieste et suoi curiali come etiamdio
i suoi noncii giurati, che a giorni passati venne due volte a Muglia
a presentarvi le lettere de citatione assignandogli i termini soliti
a comparere non alterando in modo alcuno la sustantia d' essa
inquisitione ». In nessun atto però dovrà comparire che ne sia stata data
commissione dal Governo ; né pronunzierà sentenza, « ma se per a ventura
esso giudice procedesse ad ulteriora contro di voi subito ne
aviserete ».
Segue l' inquisizione :
« Hec est qmedam inquisitio qua; fit et fieri intenditur per M.oum D.
Franciscum Georgio Potestatem Mugbe contra D. Hieronymum
Garzonium Auxitnanum Iudicem maleficiorum civitatis Tergesti et eius
curiales ex co quod ita fuerit audax ut dietimi M.eam Dominimi
Potestatem inquirere ac proclamare non dubitaverit, ac bis mittere nuncium
suum Muglam, cimi citari (adendo ad coniparendum corani ipso »
senza riguardo alla rappresentanza del Governo veneto di cui il podestà era
2
— 292 —
investito, e con perturbazione della giurisdizione della Republica. E perciò
esso podestà « procedere intendit contra praedictos inquisitos
eosque culpabiles repertus, punire et condemnarc » (carte 44 tergo).
1563. 19 giugno. — « All'Ambassator presso l' Imperator. — Li Ga-
vardi de Capo d' Istria sono comparsi avanti di noi, et ne hanno esposto
che essendo stati dinanzi alli Commissarii sopra li confini per trattar della
restitution di Castel novo sul Carso, dalli Cesarei è stato loro
risposto che non hanno sopra di ciò commissione alcuna Onde
noi, compassionando a quello che hanno patito, che in vero è stato molto,
vi commettemo » di espor la cosa all' imperatore, e di procurare
ch'esso dia ordine ai suoi commissari di definire anche questa questione.
Che se quel sovrano rispondesse essere stati privati del castello i Ga-
vardi « per demeriti loro, potrete risponder che se vi fussc colpa alcuna,
quella non saria di questi, ma delli vecchi, che sono tutti morti »
(carte 61).
Senato Secreti, voi. LXXIF.
1565. 15 settembre. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Faccia
uffici coli' arciduca Carlo, e al bisogno anche coli' imperatore, perché sia
provvisto « alle innovationi » fatte recentemente dai Triestini « nella giuri-
dittionc di Muggia circa il fabricarc d' alcune saline » (carte 28).
1565 m. v. r4 gennajo. — « Essendo stata ritenuta e condutta in
questa città dal capitanio nostro di sopradatii una barca con ferri, bottami
et altro, qual andava da Trieste a Fermo » ; in seguito a reclamo dell'am-
basciator cesareo, si delibera di rilasciare la barca stessa per compiacenza,
ma dichiarando legale l'arresto pei diritti che vanta Venezia sull'Adriatico
(carte 47).
1566. 29 luglio. — «Che sia data libertà al Collegio nostro di co-
municar al M.co Ambassator della Cesarea M.tà la lettera del Rettor di Ca-
podistria in materia di quanto dicono Triestini, corretta secondo che parerà
ad esso Collegio, acciochè ne dia avviso a S. Maestà, et in conformiti sia
scritto all' Amb.r nostro appresso sua Ces.a M.t;' perchè ne faccia officio
conveniente con lei » (carte 75).
1566. 31 luglio. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Gli si manda
kttcra del podestà e capitano di Capodistria relativa alla « diffidenti.! che
hanno in noi li triestini » ed alle « parole che hanno dette, che se l'armata
turchesca venirà a loro danni, venirà con consenso et intelligcntia nostra :
— m —
le qual parole mostrando una estrema maligniti, et riavendone dato gran-
dissimo risentimento », ne fu fatta doglianza coll'amhasciatore imperiale in
Venezia ; esponga la cosa all' imperatore e procuri di levargli dall' animo
ogni mala impressione che avessero potuto produrvi le dicerie infondate
(carte 76).
Senato Secreti, voi. LXXV.
1567. 5 luglio. — Al podestà di Pirano. Ad istanza del Nuncio papale
gli si ordina di rilasciar libera « quella barca di ferri caricata a S. Gioan
de Duino per Rimino, che alli giorni passati in mare fu ritenuta da Lazaro
da Malamocco capo di barca armata, qual poi essendo condotta in quel
porto, fu da voi intertenuta sotto pretesto di contrabbando » (carte 26 tergo).
1568. 20 novembre. — Al podestà di Rovigno. Ad istanza del nuncio
papale e del comune di Bologna, gli si ordina di « rilasciar la barca de
grani che era stata caricata nella Marca per servitio » del detto comune
« et dalle nostre galee poi trattenuta e condotta » a Pirano (carte 102).
Senato Secreti, voi. LXXVII.
1571. 14 aprile. — Al podestà e capitano di Capodistria. « Intendemo
che delti soldati da noi destinati per li presidii delle città et fortezze nostre
di Levante, li quali faremo passar in Istria per montar sulle navi
et già hanno havute le soventioni e le paghe, si sbandano dalli loro capi
fuggendo per quella provincia et nascondendosi ». Gli
si ordina perciò di far rintracciare con ogni diligenza i fuggiaschi, arrestare
e « mandar all' armata nostra per vogar al remo alla cathena per mesi
disdotto almeno, et per quel più anco che vi parerà meritar il delitto ».
Similmente fu scritto a Pirano, Cittanova, Umago, Parenzo, Rovigno,
S. Lorenzo, Portole, Albona e Fianona, Dignano, Grisignana, Isola, Muggia
(carte 81 tergo).
1571. 25 agosto. — Al podestà e capitano di Capodistria. — « Lau-
damo la diligcntia che insieme con quel Magnifico Governator nostro della
militia havete usata in reveder et ben considerar le provisioni
necessarie per sicurtà e buona custodia di quella città ». Gli si ordina poi
di far condurre, potendolo senza spesa, « entro quella città quella maggior
quantità di terreno che si possa, cosa che oltra che sarà di beneficio et
— 294 —
sicurtà maggiore di quei fideliss.1 nostri, a noi sarà gratissima ». Mandi
la nota dei debitori di quella Camera che sono in mora per prendere poi
i provvedimenti che saranno del caso. Gli si manda l' importo per la metà
d' una paga per gli 800 uomini « di quelle ordinanze introdutti in essa
città li quali licentierete quando più vi parerà opportuno, non
volendo noi per ciò haver altra spesa per conto loro » (carte 138).
Senato Secreti, voi. LXXIX.
1573. io ottobre. — Al capitano e provveditor generali da mar. Circa
dieci galee da essi mandate in Istria per essere disarmate, si comunicano
loro gli ordini dati in proposito al capitano in golfo (carte 62).
Al capitano in golfo, in Istria. Circa le suddette galee gli si scrive :
« et perchè ci pare a proposito che esse galee non habbino a trattenersi
lungamente in quelle parti, vi commettemo » che mandi a disar-
mare quelle « a quali per li detti generali sarà stata fatta la cerca secondo
'1 consueto». Non parta dall'Istria fino a che giunga colà il governatore
delle galee de' condannati, al quale esso capitano consegnerà il governo
della sua squadra (carte 63).
Senato Secreti, voi. LXXX.
1575. 4 giugno. — Si ordina al podestà di Umago di restituire una
barca carica di vino appartenente a Geremia di Leo triestino, arrestata come
contrabbando.
Similmente al podestà di Pirano, di restituire una botte di olio di Do-
menico Montanello di Trieste.
E al sopracomito Francesco Michiel di restituire due botti d'olio tolte
a « Michiel Turco da Trieste ».
Tutto ciò ad istanza dell' ambasciatore dell' imperatore. Come pure è
ordinata la restituzione di una « barca di Zuane Nadalin carica di ferramenti
et legnami di mercanti triestini, destinati per Puglia », la quale era stata
« ritenuta in aperto mare da una galea nostra et condotta a
Liescna » (carte io).
1575. 30 settembre. — Al podestà e capitano di Capodistria. « Hab-
biamo inteso dalle vostre de 28 del mese presente l' importanti moti no-
vamente seguiti alli confini della Croatia, et le commissioni da voi per questa
— 295 —
causa date alli fanti delle cernede di star ad ordine colle loro armi et pronti
per ogni occasion ; onde siccome la u damo la diligentia vostra », gli si ordina
di continuare a sorvegliare « gli andamenti di quelle genti », di darne conto,
e di attendere con ogni cura alla sicurezza della città e territorio affidatigli
(carte 45 tergo).
1576. 3 marzo. — Al podestà e capitano di Capodistria. « Havemo
ricevuto le lettere vostre di 17 del mese passato con la informa-
tione et atti fatti intorno le innovationi et usurpationi che sono sta fatte
lino a questo tempo da quelli di S. Servolo nella pianura et confini della
giuridittion di Gabrovizza, villa di quel territorio a voi commesso, et inteso
parimente il taglio fatto ultimamente da loro nel bosco di essa villa ;
volendo che sia proveduto di quel modo che fu fatto l'anno 1562» al
risarcimento dei danni ; gli si ordina di far « sequestrar tutti li beni delli
predetti sudditi di S. Servolo che sono nel territorio di quella nostra città,
tenendoli sequestrati » fino a nuovo ordine (carte S5 tergo).
1576. 7 aprile. — « Al Capitatilo di Raspo. Per risposta delle vostre
lettere de 22 di febraro in proposito del pascolo di
Vallona et delle novità fatte da quei di Viprinaz sudditi imperiali, vi dicemo
col Senato che non volendo tollerare che la giuridittione nostra sia in conto
alcuno violata » che faccia por di nuovo ai confini del pascolo mentovato
« alberi postizi » o vi faccia cavare un fosso, oppure prenda quell' altro
provvedimento che stimerà adatto onde « il confine della nostra giuridittione
possa chiaramente conoscersi ». Ordini poi ai sudditi da lui amministrati
« che usino ogni diligentia possibile così nel custodire il confili posto, come
per aver nelle mani li auditori [che osarono] delle sudette novità » i quali
saranno banditi o altrimenti castigati. Per togliere poi ogni ulterior motivo
di contese, ponga all' asta il pascolo (carte 96).
Senato Secreti, voi LXXXI.
1578. to luglio. — Al podestà e capitano di Capodistria. «Le novità
che fanno da certo tempo in qua li triestini con fabricar
di muraglia et terreno sopra la nostra giuridittione, stringendo anco la bocca
del fiume Rosanda per construir nove saline ci hanno dato veramente quel
dispiacere che ricerca una così ingiusta et ardita innouatione, la qual non
volendo noi tollerare havendo vedute le informationi
mandate con lettere vostre de 29 del passato col di-
segno Vi commettemo efficacemente che transferitovi cautamente
— 296 —
a Muggia, et intendendovi bene con quel podestà nostro » facciano che gli
abitanti di quella terra, che s' erano all' uopo già offerti, con altri sudditi,
se ve ne sarà bisogno, « rovinino et distruggalo quanto più si possa dette
muraglie o arzere fatto da novo procurando di redur li lochi
innovati nel stato che erano prima (carte 119 tergo).
Allo stesso. Se non bastassero gli uomini di Muggia per l'esecuzione
di quanto è detto nella precedente, si valga dell' aiuto del Capitano della
guardia contro Uscocchi [al quale si scrive in proposito]; ma solo in caso
di vera necessità (carte 120).
Al capitano della guardia contro Uscocchi. Gli si partecipano le novità
fatte dai triestini nella Valle di Muggia; gli si ordina di trasferirsi tosto
« con la vostra conserva nelle acque di Capo d' Istria, debbiate abboccarvi
con quel Pod. e Cap. nostro et etiam col Podestà nostro di Muggia » per
combinare con essi secretamente il modo di distruggere le opere dei trie-
stini, unendosi alle genti fornite da quei due rettori, ed agendo colla massima
secretezza e celerità d'accordo con essi (carte 120 tergo).
1578. 16 luglio. — Fatto venire in Collegio l'ambasciatore dell'im-
peratore, gli si esprimano forti lagnanze contro i triestini, « i quali non solo
per la continua violentia che fanno all' acque della Rosanda apportano in-
finito danno a' nostri sudditi, che spesso restano inondati , et
usurpano anco con questo mezzo la nostra indubitata giuridittione, ma fanno
ogni dì maggior pregiudicio con fabricar in essa nuove saline,
et altre fondar nel proprio mar nostro ». Gli si dica ritenere il Senato che
ciò sia contro la volontà dell'arciduca Carlo ; sperare ch'esso ambasciatore
vorrà mantenere quanto promise ieri, di far che i triestini desistano dalle
offese alla giurisdizione di Venezia, recandosi egli personalmente colà. In-
tanto si ordinerà ai sudditi che non si movano per reagire, il che non si
potrebbe impedire se le offese continuassero. — Non preso (carte 124).
La sopradetta deliberazione è riformata facendosi i lagni contro i trie-
stini, ed esponendosi la speranza che l'arciduca Carlo non permetterà clic
siano turbati i diritti di Venezia e dei suoi sudditi; che i triestini « effet-
tualmente si astengano dalla fabrica, e che non mettano in uso quelle saline
che sono sta nuovamente fatte» (carte 126).
Al podestà e capitano di Capodistria. Avendo esso scritto il 14 di non
aver potuto « dar esecutione col potestà nostro di Muggia alla destruttione
delle Saline » fatte dai triestini, fu spedito ordine al capitano in golfo, che
si trova a Rovigno, di unirsi ai due rettori per mandare ad effetto l' im-
presa. Avendo poi l'ambasciatore dell' imperatore pregato « che si sopraseda
ad ogni esecutione, promettendone che farà sopraseder alle novità tutte de
— 297 —
Triestini », si ingiunge al podestà e capitano di sospendere ogni esecuzione.
Ciò comunichi pure al capitano in golfo (carte 125).
Si scrive in conformità al capitano in golfo (carte 125 tergo).
Al podestà di Muggia. Informi « se sia sta innovato cosa alcuna di
più di quello che ne faceste veder per il dissegno delle nuove fabriche di
saline che fanno Triestini nella valle di quella terra nostra, et se da ino'
innanzi che il M.co Amb.r di S. M. Ces ne ha promesso di iar
sopraseder a tutte dette fabriche, si continuerà l'opera» (carte 126 tergo).
1578. 12 settembre. — Chiamato in Collegio l'ambasciatore dell'im-
peratore gli si fanno far molte lagnanze per danni dati dai sudditi imperiali
ai veneti, e fra altri. « Nuovamente intendemo anco che quei del Castel di
Pistiio riavendo vivificata a dì passati certa difficoltà promossa da loro fra
il lor confine et quello del Castel nostro di S. Lorenzo in Istria, sono andati
di notte et furtivamente hanno tagliate et asportate diverse biave de i proprii
terreni de nostri sudditi situati in nostra propria ghindimene. Nel ter-
ritorio nostro di Muggia sa V. S. istessa quello che i giorni passati si è
fatto et tuttavia si fa con gran danno de nostri sudditi ». Lo si incarica di
riferirne all' imperatore e di insistere per la cessazione degli inconvenienti
(carte 140).
Senato Secreti, voi. LXXXII.
1579. 25 giugno. Al podestà e capitano di Capodistria. « Dalle
lettere vostre de 9 et 13, da quelle del podestà di Muggia de 12 del pre-
sente, et dalla relatione lattaci dal fedel Antonio Sereni eapitanio
di Schiavi havemo inteso che quelli di Trieste, non ostante la
promessa fatta dall' Amb.' Ces." et l'ordine dato loro da S! Ma-
gnificcncia di levar mano, come fecero, dall' opera all' hora in-
cominciata nelle saline continuano nondimeno nelP usurpatione
suddetta ». Non potendosi ciò tollerare, si è commesso a Bartolomeo Zen
sopracomito, « che qui si trova, che con la sua galea, tolto sopra di essa
il sudetto eapitanio de Schiavi, se ne venga immediate a voi con queste
lettere nostre con le quali vi commettemo in conformità di quello »
che gli fu commesso il io luglio 1578, che si rechi secretamente presso
la foce del torrente Rosanda, e distrugga tutte le opere fatte dai triestini,
servendosi della detta galea per l' esecuzione, avendo il Zen e il Sereni
ordine di obbedirgli. Agisca prontamente e celermente; non potendo recarsi
egli in persona sui luoghi, affidi la condotta dell'impresa al Sereni ; non
„ - 298 -
adoperi in essa che gli uomini della galea e uomini e barche di Capodistria
(carte 29).
1 579- 30 giugno. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Si espone
la storia delle saline che i triestini si posero a fabbricare su suolo veneto
alla bocca del torrente Rosanda, della inutilità delle pratiche per farla ces-
sare ; dell'ordine dato nel precedente. Essendo stato eseguito l'ordine stesso,
in caso che l'arciduca Carlo ne portasse lagni all'imperatore, gli si ingiunge
di giustificare il fatto reso necessario dalla protervia dei danneggiami
(carte 30).
1579. 26 settembre. — « Commission del Nob. homo ser Z. Battista
Calbo Proveditor nell' Istria. — Non volendo noi mancare, per il beneficio
che ne può seguire a questa città nostra dalla coltivatione del particolar
territorio di Puola, nonché dell' Istria, di far ogni sorte di esperientia per
far riuscir una così fruttuosa et importante opera ; massime che per l'offerta
fatta da molti fidel."1' nostri cyprioti et napolitani di andar ad habitarvi, et
condur seco buon numero de lavoratori per coltivar quei terreni, si venirà
a coadiuvar grandemente la detta opera, et si darà a loro che sono privi
del naturai nido, occasione di procurar in quella parte il vivere alle sue
povere famiglie, Et havendo stimato noi che l'assistentia di un Proveditor
nostro nella detta provincia dell' Istria, prudente et intelligente, con quel-
1' autorità che si convenga per ben incaminar il detto negocio, possa ap-
portar et quel frutto et servitio che si ricerca ; Conosciuta da noi per lunga
prova delle attioni tue, passate in tanti Regimenti et carichi, la molta virtù
et esperientia di te, diletto nob. nostro Z. Battista Calbo, havemo fatta
elettione della persona tua per detto Proveditor nostro dell' Istria, sicuri
che conoscendo tu per tua prudentia quanto che importi questa nova ma-
teria a te commessa, metterai tutti li tuoi spiriti per farla ben riuscire, si
che possiamo restar di te satisfatti di quel modo che siamo restati sempre
per il passato delle altre tue operationi.
» Et perchè nella parte della elettione tua ti è aggiorno carico di far
custodir tutti li boschi che sono in quelli territorii dell' Istria perchè non
siano damnificati dal fuogo, dal pascolo d'animali, et dal taglio incompe-
tente : In questa parte non ti diremo altro che ti damo copia della com-
missione che dessimo al diletto nob. nostro Girolamo Surian, che è stato
1' ultimo Proveditor sopra le legne da noi fin qua mandato nell' Istria, la
qual commissione esequirai in tutte le sue parte, volendo noi che tu habbi
; quella medesima autorità che ha havuto esso provveditor Sudano et suoi
precessori che è quella che hanno li sopra proveditori et proveditori nostri
alle legne, non potendo alcuno delli rettori, ministri o rappresentanti nostri
— 299 —
impedirsi in questo, et intorno il pascolare animali nelli luoghi boni per
legne, ma riconoscerti essi Rettori, siccome gli scrivemo, per loro superiore
in tal materia, che ha da esser propria di te solo.
» Ma siccome in questo carico delle legne, che ti è dato per accessorio,
volemo che operi et che babbi l'autorità che predicemo, cosi nel principili,
che è quello per il quale specialmente ti mandatilo in materia della colti-
vatone delli luoghi d' Istria, edam del particolar territorio et rehabitation
di Puola ; Volemo che, oltre l'autorità tua di terminar et diffinir tutte le
difficoltà dependenti da beni inculti, habbi ad essere, come é stato deliberato
per li capitoli della tua elettione, giudice inappellabile nelle cause et difficultà
civili che potessero nascere fra li medesimi novi habitatori et con quelli
ancora del paese, dove si tratti dell'interesse de terreni et della rihabitation
di Puola, perché restino del tutto levate tal sorte de difficoltà, come quelle
che fino a quest' hora sono state causa de disturbar quelli che per il passato
hanno voluto intromettersi ad habitar et a coltivar li predetti luoghi.
» Nelle cose criminali veramente volemo che habbi l' istessa autorità
che hanno li rettori nostri dell' Istria, nelle persone però che ivi si ritro-
veranno per conto di detta coltivatione et rehabitatione de Puola, et etiam
in quelli del paese che offendessero detti nuovi habitatori, overo che da
quelli fussero offesi nelli luoghi però della coltivatione et cose dependenti
da quella col beneficio solito delle appellationi, et scriveremo anco a detti
Rettori che non debbano in alcun modo impedirsi nel predetto carico che
ha da esser proprio tuo, ma debbano prestarti ogni debito aiuto et favore,
potendoti tu servire de loro officiali, pregione et altro per far far le ne-
cessarie esecutioni.
» Et perché per esse esecutioni che ti occoreranno di far fare possi
haver commodità di quei ministri che sono necessarii, ti damo libertà di
tenir doi capitanei con ducati sei al mese per uno, con cinque nomini sotto
di loro con ducati tre per uno al mese, de quali tu ti servirai di quel modo
che miglior a te parerà, così per far esequir li ordini tui nella materia della
coltivatione et rehabitation di Puola, come per il carico delle legne che ti
è stato annesso.
» Non si estenderemo a narrarti più particolarmente quale habbia ad
esser l' officio tuo, perché dalla parte et capitoli presi nel Senato nostro a
XX di Decembre passato, di che tutto ti habbiamo fatto dar copia, acciochè
li babbi ad eseguir puntualmente, potrai veder 1' autorità tua di dispensar
et conferir li terreni inculti di essi luoghi d' Istria alli cyprioti, facendo che
essi principalmente siano accomodati, et così ad altri che ne ricercassero,
et come sei tenuto di esequir : et far esequir le deliberationi, et specialmente
— 3°° —
quella di 9 zugno et 29 dicembre 1570, nelli sudetti cyprioti, napolitani
et malvasioti, et in tutti quelli ancora che per l'avvenir si intrometteranno
a coltivar quel territorio ; et similmente le deliberationi fatte per questo
Consiglio del 1556. io ottobre, 1560. 14 agosto, et 1562 XI marzo par-
ticolarmente disponenti che tutti li luoghi et terreni inculti del territorio
Polesano siano coltivate.
). Dovendo tu appresso mandar ad esecutione le deliberationi in materia
de beni usurpati, et specialmente quelle di 9 zugno et 29 dicembre 1570.
» Particolarmente appresso ti commettemo che debbi ritrattare tutte le
innovationi che intendesti fraudolentemente esser state fatte da qualsivoglia
a pregiudicio de predetti novi habitatori, cyprioti o altri.
» Ti habbiamo assignato per tutte tue spese di danari della Signoria
nostra ducati cento al mese da L. 6, s. 4 per ducato, siccome hanno havuto
li altri Proveditori nostri stati in quella Provincia, de quali non sei tenuto
render conto alcuno, et sei obligato di tenir del continuo sei cavalli per
poter transferirti in tutti quei luoghi d' Istria. Et ti habbiamo fatto dar
ducati 400, che è il salario di mesi quattro, li quali cominciaranno dal
giorno della tua partita, et ducati cento per comprar cavalli. Al Secretarlo
tuo in dono ducati cento da poter ponersi ad ordine, et ducati cinque al
mese giusta la parte predetta de 20 dicembre passato. Ti habbiamo parimenti
fatto dare ducati 48 per il salario de mesi quattro per li dui capitatici che
haverai teco, et ducati 60 pur per il salario delli cinque homeni che have-
rantio a servire sotto di loro » (carte 58).
1 579. 19 dicembre. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Si tanno
lagni contro i sudditi dell'arciduca Carlo e gli ufficiali di lui per sequestri
a danno de sudditi veneti ed altre infrazioni ai diritti della Republica
(carte 79 tergo).
Al capitano di Raspo. Si approva quanto ha « operato et scritto in
risposta al luogotenente di Lupoglavo in proposito delli animali grossi vio-
lentemente da sudditi suoi pigliati a quelli di Rozzo nella nostra giuridit-
tione ». In risposta poi a sue lettere 30 novembre gli si dice : « come per
voi stesso havete promesso che si ristori il danno da i medesimi sudditi
nostri che 1' hanno patito, et havete per conservatione della giuridittione
proclamati i dannatori, debbiate anco come da voi devenir all' espeditione
del processo, et metter in bando quelli che vi pareranno » (carte 80 tergo).
Al podestà di S. Lorenzo. È dispiaciuto al Senato ch'egli, a richiesta
del capitano di Pisino, si sia arbitrariamente recato « sul luogo contentioso
nei confini » fra la giurisdizione veneta e pisinese « donde ne sia anco
succeduto contra '1 nostro giudice parole inconvenienti et di poca dignità
— 301 —
di voi rappresentante nostro ». Gli si intima perciò che « occorrendovi nel-
1' avvenire di esser ricercato in alcun conto da ministri et rappresentanti
arciducali», ne riferisca alla Signorìa ed aspetti gli ordini, non facendo però
trasparire agli altri tal pratica (carte 80 tergo).
1579 m. v. 6 febbrajo. — Al gentiluomo inviato dall'arciduca Carlo
il Collegio risponda : « Se è sempre stato grande il desiderio del Ser.'""
Arciduca di veder sopite le differentie vertenti tra sua Alt.a et
la Republica nostra », non minore è quello della Signoria, la quale accon-
senti già sotto il defunto imperatore di mandar procuratori alla corte cesarea
« per tentar et concluder accordo sopra tutte esse differentie col mezo del-
Pamicabile interpositione della M.tó sua ». Ne poi fu lasciata cadere la ne-
goziazione, che anche recentemente si sollecitò l'ambasciatore veneto presso
la detta corte onde non «più si differisca a sentir il frutto dell'ottima et
reciproca voi unti ». Si ringrazia perciò l'arciduca delle sue ottime disposi-
zioni, e lo si eccita a procurare « medesimamente appresso sua Ces.a M.a
l'espeditione di questi negotii ». Circa poi « li capi particolari del suo me-
moriale 0, fra altro dice : « Le saline che da sudditi nostri non furono
comportate per li notabilissimi danni che loro provenivano dalla violentia
delle acque del fiume Rosanda, sono cosi certamente situate nella giuridit-
tione nostra, che non vi può cader dubbio nessuno. A richiesta dell'amb/0
di Sua Ces.a M.'-1 contenessemo in ufficio li Muggiesi per la
promessa che egli ne fece » che si sarebbe desistito da quei lavori ; ma
vedendo i sudditi veneti che tal promessa non si manteneva, risolsero di
proteggere i propri diritti, del che l'arciduca non può lagnarsi (carte 90 tergo).
1579 m. v. 19 febbrajo. « Essendo stato esposto alla Signoria nostra
dall' Eccellente D. Pietro Vergerlo Favonio Ambassador della
communita nostra di Capo d'Istria, il mal stato nel quale si trova quella
città per lo atterramento della palude dalla quale è circondata, causato in
gran parte da dui fiumi », il Fiumicino e il Risano ; e avendo esso chiesto
provvedimenti in proposito, offrendo il concorso di quel comune. — Si
commette a Gio. Batt. Calbo provveditore in Istria e a Francesco Dona
podestà e capitano di detta città « che quanto prima debbano unitamente
ritrovarsi sul luogo, dove si habbia a condur anco un proto intelligente
dell'officio nostro delle acque, et principalmente certificarsi se
per il suddetto atterramento sia causata alteratione et deterioramento del-
l'aere » ; e studino i lavori da farsi, le spese occorrenti, e quindi riferiscano
proponendo un piano particolareggiato (carte 95).
1580. io giugno. — All'ambasciatore presso l'imperatore Avendo
l'arciduca Carlo nominato i propri commissari per l'appianamento in corte
— 302 ~
cesarea delle questioni fra esso e Venezia, anche questa elesse i suoi nelle
persone di Giovanni Michiel cav. e Leonardo Dona. Gli si partecipa ciò
per gli uffici opportuni ecc. (carte in).
1580 m. v. 11 febbrajo. — Commissione a Marino Malipiero ckuo
Provveditore in Istria. «Essendo successa li mesi passati la morte del diletto
nobile nostro Gio. Batt. Calbo già Proveditor nell'Istria, il quale con molta
prudentia et diligentia havea principato et incaminato il negotio
di ridur li Cyprioti et Napoletani, secondo l'offerta loro ad habitare in quel
loco et coltivar quelli terreni »; il Senato nominò esso Malipiero a succes-
sore del Calbo onde condur a fine la cosa. Procurerà perciò il provveditore
« che la detta habitatione et coltivatione di quelle terre habbia a riuscire,
et che quelli che già si sono ridotti ad habitarle et coltivarle restino ac-
commodati, sì che possino mantenersi
» Intendemo che in tutta la Istria, et massime nelli lochi di
Parenzo et Piran si attrova gran quantità di oliveri, li quali non rendono
frutto »; gli si ordina di fare « una particolar descrittione di tutta la quantità
delli predetti alberi » andando, all'uopo e se sarà necessario, personalmente
sui luoghi « prendendo anco informatione se non producono per essere
selvatichi, o pure perchè non siano coltivati come si convenirla,
informandoti insieme di quelle provisioni che fusse necessario di
lare perchè essi oliveri rendessero frutto ». Del tutto informerà la Signoria,
aggiungendo « quali ogli si facciano in tutta Istria a loco per loco, et dove
siano condutti, et con quali privilegi ».
E prosegue come nella commissione 26 settembre 1579 dalle parole
« Et perchè nella parte » fino alle parole « Cyprioti o altri ». —
Starà due anni in carica e risiederà in Pola o Digiuno (carte 151 tergo).
1580 m. v. 11 febbrajo. — Ducale con cui si fa sapere a tutti i rettori
e rappresentanti in Istria, e specialmente al conte di Pola, che al provve-
ditore Marino Malipiero fu conferita la sopraintendenza « in materia delle
legne »; e si ordina a tutti i suddetti che non abbiano ad ingerirsi in modo
alcuno nelle cose riguardanti i rami di amministrazione affidati al provve-
ditore stesso ; e di dargli anzi ogni aiuto, « potendo esso servirsi
di prigioni e officiali» dipendenti da essi rettori (carte 153 tergo).
Senato Secreti, voi. LXXXIII (1581-82).
1582. 16 ottobre. — Si ta sapere al segretario dell' imperatore residente
in Venezia, che fu dato ordine a Giovanni Michiel cav. procurator e a
— 303 -
Giovanni Gritti, eletti procuratori della Republica in corte cesarea per l'ap-
pianamento di tutte le vertenze fra Venezia e i vari membri della Casa
d'Austria, di partire per la loro destinazione al principio di novembre (carte
108 tergo).
■Senato Secreti, voi. LXXXIV (1^-84),
1583. 31 marzo. — Al podestà di S. Lorenzo. « Ha verno dalle vostre
lettere di Vili del mese passato inteso l' innovatione che da quei di Pisino
era stata fatta con seminar et coltivar terreni della giuridittion nostra, se
ben al presente contentiosi in quei confini, et che havendo voi a
ciò provisto con tornar le cose nel primo esser quel Capitatilo
ha banditi quei fidel."" nostri sudditi diffinitivamente et con taglie dal suo
contado » cosa assai ingiusta. Perciò « vi damo autorità col Senato, et vi
commetterne) che ancor voi debbiate proclamar et bandir » da
tutta l'Istria i Pisinesi «con la medesima taglia et conditioni con le quali
sono stati banditi i nostri, esprimendo nel bando che essi di
Pisino sono stati i primi a far la detta ingiusta innovatione ». Mandi il bando
al podestà e capitano di Capodistria che lo comunicherà a tutti i rettori di
quella provincia per l'esecuzione (carte io).
1583. 4 giugno — Commissione a Giacomo Renier eletto provveditore
in Istria. Terminato da Marin Malipiero il tempo del detto ufficio, si elesse
il Renier, il quale procurerà di condurre a fine lo stabilimento dei cipriotti
e napoletani nel territorio di Pola ; il resto dell'atto è analogo a quello pel
Malipiero (carte 25).
1583. 7 maggio. — Avendo l'ambasciatore dell' imperatore domandato
in nome dell'arciduca Carlo che sieno mandati commissari per le differenze
fra Pisino e S. Lorenzo ; si delibera di affidare tale incarico a Gabriele Emo
capitano di Raspo. Si commette al podestà di S. Lorenzo di intendersi col
capitano di Pisino per la sospensione dei bandi da ambe le parti, da farsi
contemporaneamente (carte 49).
1585. 30 agosto. — Al capitano di Raspo. « Acciochè si vegna hormai
a terminar le differentie de confini tra li sudditi nostri di S. Lorenzo et
quei di Pisino sopra le quali elegessemo voi in commissario dal
nostro canto alli VII maggio p.° p.° » gli si invia il sindicalo [autorizza-
zione a trattare] e alcune scritture concernenti la questione ; altre, e tutte
le informazioni necessarie, le riceverà dal podestà di S. Lorenzo. Dia principio
alla negoziazione col commissario arciducale, dopo riconosciutine regolari
— 3«4 —
i poteri, e procuri di concluderla col maggior possibile vantaggio di Venezia.
Se insorgessero difficolti, riferisca (carte 45).
Sindicato con cui Gabriele Emo capitano di Raspo è autorizzato a
trattare come sopra (carte 45).
1584. 26 maggio. - «Essendosi inteso dalle lettere del capitanio Molin
contro Uscocchi, et del capitanio Contarmi alla guardia
di Candia l' impedimenti posti et disobedienze usate tanto dalli
homeni delle diverse isole et lochi dell' Istria et Dalmatia, quanto anco
dalli proprii Rettori nel dar delli nomini da spada per fornir le galee che
hanno da passar in Levante » il che non è da tollerare; si ordina a Giacomo
Renier provveditore in Istria di recarsi in tutti i luoghi in cui si trovano
i recalcitranti, e di formar processo contro di loro non meno che contro
i rettori disobbedienti, e di trasmettere i processi all' Avogaria di comun
(carte 100).
1584. 7 luglio. — Al podestà e capitano di Capodistria. « Havemo
ricevute le vostre lettere di due del presente et insieme le scritture sopra
la difficolti con quelli di S. Servolo, et inteso il desiderio di quei sudditi
nostri di veder terminata quella difficoltà per rihaver li loro animali, et
per non correr risigo nelli vini in caso che si venissero a guastare ; per il
che essendone stata data intentione che sempre che sarà da voi
proposto un luogo sopra la nostra giuridittione, affermando che sopra quello
siano stati levati li animali de nostri sudditi, il Iusdicente di S. Servolo
non ponerà difficoltà in far la restituzione, si contentamo che di questa
maniera possiate trattare et concludere il negotio ». Si aggiunge che essendo
stati tolti gli animali nel luogo detto Criza della villa di Gabrovizza, sarà
da vedere se la difficoltà derivi dal ritenere quelli di S. Servolo che il detto
luogo non sia veneto, oppure se asseriscano di aver pigliati gli animali in
altro luogo di loro giurisdizione (carte 112 tergo).
1584. 18 agosto. — Al provveditor in Istria. I rettori di Zara, il prov-
veditor generale della cavalleria in Dalmazia ed esso in Istria scrissero del
«desiderio che hanno diversi sudditi turcheschi, ma christiani, di abbandonar
la loro stanza per venir ad habitar sotto il Dominio nostro ; et essendone
piaciuta questa risolutione », gli si ordina : « che senza che appari che noi
habbiamo in ciò dato alcun ordine, debbiate, come quello che ha carico
della rchabitatione di quella provincia, ricever gratamente » i detti sudditi
turchi « assonandole de quei terreni come a voi meglio parerà et facendole
buona ciera » (carte 125).
1584. 4 ottobre. — Al podestà di Pirano. L'ambasciator cesareo espose
« essere state trattenute et condotte in quel porto le barche di Zuane Banizza
— 3°5 -
et Sebasti.™ Furiano caricate a Trieste di cuoi bovini, tavole et ferramenta»,
e ne chiese il rilascio ; gli si ordina perciò di mandar tosto a Venezia le
barche stesse ai provveditori sopra dazi, pel procedimento d'uffìzio, che e
di competenza di questi ultimi (carte 142).
1584. 6 ottobre. — Si fa leggere all'ambasciatore cesareo per risposta :
Duole al Senato che il giusdicente di S. Servolo controperi alle buone
disposizioni del governo veneto di vicinar bene coll'arciduca ; il rettore di
Capodistria comunicò che quel giusdicente non si curò nemmeno di rispon-
dere agli inviti ad un convegno per terminare la questione degli animali
tolti a Gabrovizza ; che poi essendosi il detto rettore portato in quel luogo
trovò «che quelli di S. Servolo riavevano usurpato diversi terreni
di nostra indubitatissima giuridittione, et segavano sopra essi, volendo con
tali indiretti modi ampliare li loro confini di modo che 1' eso-
dinone dell' abruggiar quel fieno segato è stata necessaria per non lasciai
seguire atto pregiudiciale ; onde non poteino far che non ci dogliamo vi-
vamente con V. S. del cattivo procedere del detto jusdicente et
di quelli di S. Servolo, li quali oltra 1' haver nel tempo passato
in questi medesimi lochi fatto levar li termini di pietra delli confini publici
quando dovevano star quieti »; e però si finisce col
instare che l'ambasciatore faccia vivi uffici onde quelli di S. Servolo siano
fatti tornare al dovere (carte 142 tergo).
1584. 6 ottobre. — Al podestà e capitano di Capodistria. Lo si loda
per aver fatto abbruciare il fieno tagliato da quelli di S. Servolo nel ter-
ritorio veneto e cacciare i segatori. L'ambasciatore cesareo presentò memo-
riale affermando che il luogo ove fu tagliato il fieno è di giurisdizione
arciducale; ed essendo ciò contrario a quanto scrisse esso podestà, riferisca
sopra di tal argomento con precisione. « Et perchè siamo anco informati
dall' Avogador nostro Donato, che fu altre volte a quel Regimento, che
D. Iscppo Verona dottor di ordine suo ha posto insieme tutte le scritture,
lettere et ogni atto pertinente alla giuridittione nostra sopra li lochi pre-
detti »; gli si ordina di mandarne copia a Venezia col dottore stesso perchè
dia gli opportuni schiarimenti; come pure copia «d'una affittatione di alcuni
di luoghi de quali bora si tratta ; la quale già arciducali tolsero dalli nostri
Ma vedendo noi dalle lettere vostre che da una vendita fatta alli
arciducali essi hanno preso occasione di venire ad intaccare il nostro, et
allargarsi sopra la nostra giuridittione», faccia proclamare che nissun sud-
dito possa vendere cosa alcuna a forestieri senza darne notizia ai rettori di
Capodistria, e il costoro permesso, tenendo nota di tutte le vendite di tal
— 306 —
genere in quella cancelleria. Veda poi se gli statuti di quella città vietino
simili vendite, e se sì li faccia osservare (carte 142 tergo).
1584. 17 novembre. — «Ai procuratori in Corte Cesarea ». Le barche
trattenute a sudditi dell'arciduca Carlo che furono condotte a Venezia, furono
lasciate libare dai provveditori sopra dazi. L'ambasciator cesareo residente
a Venezia, andando a Trieste, si recherà per ordine del detto principe a
S. Servolo, dal qual principe tiene facoltà «di metter fine a questi disturbi»
d'accordo col podestà di Capodistria. A quest'ultimo si dà ordine in argo-
mento con facoltà di definire la questione (carte 159 tergo).
1584 m. v. 16 febbrajo. - Al podestà di S. Lorenzo. In seguito ad
uffici dell' ambasciatore dell' imperatore, gli si ordina di intendersi col ca-
pitano di Pisino onde tanto dall' uno che dall' altro siano sospesi per tre
mesi i bandi pronunziati da ambe le parti contro i vicendevoli sudditi,
sicché questi possano liberamente « conservar et praticar » gli uni cogli
altri come in passato. Ciò si partecipa pure all' ambasciatore suddetto, ag-
giungendo che come prima l'arciduca commetterà a qualche suo commis-
sario di cominciare le pratiche d'accordo sui luoghi in questione, si ordinerà
tosto al capitano di Raspo di unirsi con esso per terminarle (carte 181).
Senato Secreti, voi. LXXXV (1585-86).
1585. 22 giugno. — All'ambasciatore presso l'imperatore. «Circa il
fatto di Mune tiene ordine già alquanti mesi il Rettor nostro di Raspo di
far restituir quelle robe che furono levate di ragione de' sudditi del Ser.mo
Arciduca [Carlo] le quali si trovano nella Cancellarla di quel Regimento,
et sono stati avvertiti quelli che passorono nella giuridittione di
S. Alt.8; et di tutto fu data notitia all'Ambassador Cesareo presso di noi »
il quale non rispose. Si rinnoveranno gli ordini (carte 42 tergo).
1585. 17 luglio. — Al podestà e capitano di Capodistria. Procuri di
avere i più esatti particolari sui «danni e violenze fatte dalla galea Capella
alle rive et marine di Trieste al loco di Servola, giuridittione arciducale».
Ciò in seguito a memoriale presentato in argomento dall' ambasciatore
cesareo. Faccia le cose in modo da non dar occasione « ad Arciducali di
dolersi di turbatione della giuridittione loro» (carte 51).
1585. 27 luglio. — Chiamato in Collegio l'ambasciator cesareo gli si
la dire, fra altro, avere il Senato appreso con dispiacere il fatto seguito a
Mune, richiamato il processo relativo già formato dal precedente capitano
di Raspo per provvedere senza dilazione (carte 54).
— 3»7 —
1585. 13 settembre. — Commissione a Nicolò Salamon eletto prov-
veditore in Istria, analoga alla già data a Giacomo Renier, uscente di carica
per aver finito il tempo [v. n febbraio 1580 e 4 giugno 1583] (carte 59).
1585. 5 ottobre. — Al capitauo di Raspo. Lo si loda per lo zelo che
adopera «nel buon governo di quei fideliss.' sudditi nostri». Circa il «pa-
lazzo principiato a fabricar dal vicecapitanio di Maneci », di cui il capitano
scrisse ai capi del consiglio di dieci, si stima prudente lasciar passare la
cosa in silenzio per non suscitare inutili questioni coi vicini arciducali, coi
quali procurerà di vivere in buona armonia, vegliando però con di'igenza
onde non sia fatto danno ai sudditi e alla giurisdizione di Venezia. Si ri-
cevettero i processi da lui spediti ; procurerà di « ricuperare le robbe » e
ne farà fare la restituzione (carte 72).
1586. 13 luglio. — Al podestà di Albona. Dalle sue lettere 20 marzo
e 24 giugno s' intesero « le usurpationi fatte dal signor di Lupoglavo et
della villa di Sumber, di diversi terreni di quella giuridittione nostra, et
che di più havevano rimossi li confini dell' Arsa e divertite le acque dalli
soliti alvei ; credemo che l'atto fatto di devastar le biave sia stato a proposito
per conservatione delle ragioni nostre et laudamo la diligentia vostra ». Per
poter risolvere ciò eh' è conveniente, mandi copia delle scritture di quella
cancelleria che dimostrano la giurisdizione veneta sui luoghi usurpati o
danneggiati dagli arciducali. Si è scritto al provveditore in Istria in proposito
di quanto sopra; s'intenda con lui (carte 144 tergo).
Al provveditore in Istria. Comunicatogli il tenore della precedente, e
le lettere del podestà di Albona gli si ordina di recarsi in quella terra,
esaminare come stiano le cose andando anche sui luoghi dei danni, e riferirà
esattamente (carte 145).
1586. 29 agosto. — Veduti i processi e i documenti mandati dal ca-
pitano di Raspo intorno al fatto di Mune, si delibera di far venire a Venezia
Giacomo Guerci capitano dei « Cavalli leggeri » di Raspo,. « che fu capo nel
detto fatto di Mune» per esservi esaminato da uno degli avogadori di commi.
Questi potrà far venire anche altri partecipi al fatto, e riferirà al Collegio,
i savi del quale porteranno le loro proposte in Senato (carte 156 tergo).
Al capitano di Raspo. Mandi tosto a Venezia Giacomo Guerci. Faccia
rintracciare se vi sieno «altre robbe tolte nel fatto di Mune» oltre le ri-
cuperate in addietro, e dia avviso « a quel Vice capitanio che sono pronte
a esser date a chi venirà a torle in suo nome », aggiungendogli essere
stato procurato con ogni diligenza di aver tutto, e dichiarandosi disposto
a proseguire le ricerche quando esso vice capitano gli indicasse ove se ne
trovano altre (carte 157).
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1586. 29 agosto. — Il Collegio comunicherà quanto segue all'amba-
sciatore dell' imperatore in risposta a memoriale da esso presentato : Ricor-
derà quanto è seguito nella questione delle saline erette dai triestini nella
Valle di Muggia, e se i sudditi veneti tutelarono i propri diritti, dopo le
reiterate promesse dell'ambasciatore che si desisterebbe dal turbarli, non è
colpa dei sudditi stessi. Il governo perciò si meraviglia che ora l'ambasciatore
voglia farne questione, come pure della «difficoltà » tra quelli di S. Servolo
e Gabrovizza. Ricorderà che fu incaricato di trattar 1' accomodamento di
quest'ultima con lui il rettore di Capodistria « il quale circa la restitutione
delli vini et animali convenne secondo il raccordo suo [dell'ambasciatore],
et quanto alli luoghi controversi » per mero spirito di pace « si contentava
che certo prado ch'ella voleva che fusse lasciato liberamente a Marco Grucel,
restasse insieme con li altri a comun servicio et uso delli sudditi fino alla
decisione de Prencipi, a lei non parve di accettar il partito » proposto sebbene
fosse svantaggioso per Venezia. I promotori del fatto furono i sudditi ar-
ciducali ; si ordinò al rettore di Raspo di rintracciare le cose lor tolte e
restituirle al vicecapitano di Mune ; ora si è fatto venire il capitano dei
cavalleggeri «per far quanto sarà conveniente». Insomma Venezia si mostrò
sempre inchinevole ad ogni soddisfazione delle pretese austriache anche
con proprio pregiudizio pur di vivere in buona armonia cogli arciducali
(carte 158).
Senato Secreti, voi LXXXVI (1587-88).
1587. 31 luglio. — Si fa comunicare dal Collegio all'ambasciatore
dell' imperatore : Circa il fatto di Mune, in seguito a nuovi uffici di esso
ambasciatore, si è richiamato il capitano de' cavalleggeri, ed ordinato agli
avogadori di comun la continuazione del processo « per far poi quanto
sarà per giustitia conveniente » (carte 48).
1587. 8 agosto. — Al podestà di Rovigno. Si sono ricevute sue lettere
dell' 1 1 luglio che riferivano « il caso di quel giovane che nelle
acque del porto di Orsera fu ferito da tre malfattori, et poi a terra in due
volte finito di amazzare ». Fece bene a mandare il carteggio passato in tal
occasione fra esso e il rappresentante del vescovo di Parenzo, il quale aveva
^promesso [e non mantenuto] di non pronunziare sentenza sul fatto. Per
salvezza dei diritti publici finisca il processo e bandisca i colpevoli « in
particolare dal porto d'Orsera ». — Si delibera poi di lagnarsi
— 3°9 -
col vescovo suddetto del procedere del suo rappresentante, invitandolo a
non permettere che si offendano i diritti del governo (carte 51 tergo).
1587. 29 settembre. — Si fa comunicare al segretario cesareo residente
a Venezia : Circa i lagni da esso fatti contro quelli di Albona, questi non
hanno già molestato i sudditi dell'arciduca Carlo, ma solo «con molta pa-
tientia et disturbo hanno cercato di conservare le antique sue
giuridittioni. Da un tempo in qua il S.or di Lupoglava et della villa Sumber
ha fatto seminare alcuni terreni dell' Abbatia di S. Piero et S. Sabba, et
usurpati diversi luoghi di ragione di quelli di Albona. Li nostri
1' anno passato et il presente hanno portate via le biave
seminate nelli loro terreni ; et perchè li sudditi di Lupoglavo et Sumber
havevano asportate di notte molte biave tagliate in questi luoghi, ne levorno
altre tante per risarcimento ». Se poi « sono stati proclamati cinque della
villa di Sumber, ciò è stato per haver essi pensatamente morto Bastian
Sfinich da Fianona che era andato a lavorare certo suo terreno in quella
giuridittione, che Sumbresi [Sumberesi] cercavano di usurpare. Quanto alla
retentione d'alcuni di Sanich sudditi di S. Altezza et delle diffe-
rentie che pretendono havere con quelli di Lanisca habbiamo
dato ordine per essere informati se bene per li ordeni che tengono
li nostri Rettori di ben vicinare, si persuademo che non haveranno data
giusta causa a Sudditi di S. A. di aggravarsi. Con questa occasione volemo
aggiungere alle giuste querele che hanno li sudditi nostri di Albona contro
quelli di Lupoglava et di Sumber, che hanno cercato di usurparsi li luoghi
della valle dell' Arsa cercando anco levare il corso delle acque,
et fabricarne un novo a danno de nostri trasportando
di più li veri confini et cercando metterli in parte da loro pretensa a suo
arbitrio, procedendo a retentioni et a bandi contra li sudditi nostri. Vi di-
cessimo anco l' altro giorno di molte ingiurie che quelli del contado di
Pisino inferiscono a nostri sudditi al presente vi replicamo che siamo avisati
che ultimamente li sudditi arciducali, adunati al numero di cento
et più armati di arcobusi et altre arme, favoriti dal loro Iusdicente, son
venuti nella villa di Grimalda, soggetta al Marchesato di Pietra Pelosa, et
hanno portata via una quantità di animali grossi, tagliati li menuti di al-
quanti campi con danno et spavento de nostri sudditi,
minacciando di metterli tutta la villa a fuoco ». Di tutto ciò si invita il
segretario a dar partecipazione all' arciduca, pregandolo di metter rimedio
agli inconvenienti e di far risarcire i danni (carte 66).
1587. 2 ottobre. — All'ambasciatore dell'imperatore. Gli si comunica
il tenore del precedente per gli opportuni uffici (carte 67).
— 310 —
1588. 17 marzo. — All'ambasciatore presso l'imperatore. In relazione
a quanto fu detto al segretario imperiale come sopra, e al desiderio del
Senato di terminare ogni questione coli' arciduca Carlo, particolarmente
riguardo all'Istria, si ordinò al podestà e capitano di Capodistria che «habbia
da trasferirsi con il deputato di S. A. sopra li luoghi contentiosi, et con
amorevolezza habbino a diffinire le differentie de sudditi » giusta
le proposte dell'arciduca. Affretti la nomina del commissario di quest'ultimo
e la formazione delle commissioni e istruzioni relative (carte 123 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria. Gli si partecipa che in seguito
a proposte fatte fare dall'arciduca Carlo, esso podestà e capitano fu nominato
commissario per terminare, d'accordo coli' incaricato di quel principe, tutte
le questioni per confini ed altro fra i vicendevoli sudditi confinanti. Procuri
di mettersi a giorno di tutti i particolari delle medesime. Alcune, rimaste
indecise, furono trattate già dal suo predecessore Giovanni Malipiero col-
l' ambasciatore imperiale Guido Dorimberg ; su altre potrà informarlo il
dottor Giuseppe Verona (carte 124).
1588. 5 maggio. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Date spie-
gazioni sulla forma dei sindicati da rilasciarsi ai commissari che avranno
da negoziare l'appianamento delle questioni fra istriani e arciducali ; si di-
chiara esser sufficiente che a quelli « sia data autorità di udire li aggravi
delli uni et altri sudditi sopra le pretese difficoltà de confini nell' Istria,
veder le scritture, con quel di più che fusse necessario per terminare poi
a ratificatione delli Principi quelle differentie nelle quali accordassero »
(carte 139).
Al podestà e capitano di Capodistria. Si loda l' informazione sulle
questioni dei confini da lui mandata con lettera del 19 marzo, e per l'ordine
dato di raccogliere le scritture relative esistenti in quella cancelleria che
farà ordinare, e quindi manderà una particolareggiata relazione su tutte le
controversie in materia, valendosi dell' aiuto del dottor Giuseppe Verona
(carte 139 tergo).
1588. 11 giugno. — Al podestà e capitano di Capodistria. «Non po-
tressimo mai credere che li ministri arciducali venissero a risolutione di
far represaglia de animali minuti che a questi tempi sono mandati secondo
l'ordinario a pascolare sopra i monti; perchè questo sarebbe termine hostile
; che se di ordine nostro sono state sequestrate le entrate godute
da sudditi loro nello stato nostro, ciò è proceduto dal sequestro preceden-
temente fatto da essi sopra li beni de nostri». In ogni modo proibisca
« 1' andata di detti animali nella giuridittione » dell' arciduca Carlo, fino a
nuove disposizioni (carte 150).
— 3n -
1588. i settembre. — Al podestà e capitano di Capodistria. Furono
emanate in vari tempi severissime disposizioni contro tutti quelli che, in
qual si voglia modo riavessero intelligenza «o participazione » cogli Uscocchi
« così nell' inferir danni come nel smaltire le prede ». Essendosi però saputo
che alcuni botteghieri et mercanti di Capo d' Istria frequentano 1' andar a
Segna a comprar zambelloti et altre merci depredate, quelle conducendo a
Ttrieste, et anco vendendone in quella città medesima»; si ritiene che ciò
avvenga per la severità che usano i rettori della Dalmazia contro simili
manutengoli, i quali ripararono in Istria ove non furono publicate le misure
severe suddette. Si manda perciò al podestà e capitano copia di tutte le
ordinanze emanate in argomento, ordinandogli di farle publicare, ed eseguire
quando fosse del caso (carte 179).
1588. io settembre. — Al suddetto. Riusci dispiacente « 1' aviso che
ci date con vostre lettere di 5 alli capi del Consiglio nostro di
X del scalar delle mure et palazzo di quella città, et del sforzo di quelle
pregioni ». Continui la diligente formazione del processo, e, scoperti i rei
« non dobbiate altrimenti proclamarli, ma darcene immediate aviso
con la copia del processo secretamente ». Il Senato poi prenderà
i provvedimenti necessari. — Si autorizza poi il Collegio a trattare, a tempo
opportuno, col segretario imperiale a Venezia per la consegna per parte
dell'arciduca Carlo dei rei che fossero riparati nei costui dominii (carte 183).
1588. io settembre. — Risposta al segretario dell'ambasciatore impe-
riale a Venezia. Si esprime soddisfazione « della prontezza che ha mostrato
il Ser.mo Arciduca Carlo in farci consignare quel sacrilego da Muggia rite-
nuto a Trieste, et ricercato da noi a S. Altezza ». Per corrispondere alla
«buona volontà» di quel principe, si assente alla proposta « che sia fermata
capitolatione tra la terra di Muggia con Trieste » per l'estradizione dei rei
di casi atroci. E non solo ciò, ma il Senato darà mano con piacere a trat-
tative per pattuire tale estradizione per tutti i dominii di ambi i potentati
(carte 184).
1588. io settembre. — Al podestà e capitano di Capodistria. Avendo
esso dato avviso dei fatti accennati nel seguente, gli si ordina di continuare
con diligenza la procedura, e di parteciparne i risultati inviando copia del
processo colla massima celerità e segretezza (carte 183).
1588. 17 settembre. — Fatto venire in Collegio l'ambasciatore cesareo
gli si esponga : saprà « come ultimamente nella città nostra di Capo
d' Istria » sono state scalate le mura da uomini armati « e poi anco le mure
del Palazzo di quel Rettor nostro, rotte le publiche carcere, amazzato con
una archibuggiata il vice cavalier, et condotti via due prigioni. Dal processo
— 312 ~
formato ci consta che il principale autor di tanto delitto
è stato un nostro suddito chiamato Gio. Battista Languidis Girugico, ha-
bitante in Capo d' Istria, del q.m Antonio Languidis da Castelfranco
di Trivisana, et che egli, dopo il fatto si salvò con li compagni a Trieste ».
Si prega però l' ambasciatore di fare uffici onde 1' arciduca Carlo faccia
arrestare i rei e consegnarli alla Republica (carte 184 tergo).
1588. 8 ottobre. — Si fa dire al segretario cesareo, fra altro : « Pur
troppo intendemo da ogni parte essere inquietati li sudditi nostri » da quelli
dell'arciduca Carlo « con represaglie et turbationi continue, et particolarmente
siamo avisati dal podestà et cap.° nostro di Capo d'Istria, che il Riter del
Pisino con 150 fanti in sua compagnia, armati tutti di archibusi
et altre armi, li mesi passati violentemente penetrarono nelli confini nostri
fino sulle porte de cortivi della villa Grimalda sottoposta al Mar-
chesato di Pietra Pelosa » fugando animali, tagliando grani, e facendo altri
danni «nelli quali continuano tuttavia». Scrive pure il podestà di S. Lorenzo
che quei di Pisino « hanno assalito li custodi della Finida » luogo veneto,
tagliando biade, ferendo e maltrattando persone. Si chiede al segretario di
scriverne all'arciduca onde faccia una volta por fine a tante molestie e
risarcire i danni (carte 197).
1588. 3 novembre. — Al provveditore in Istria e successori. Gli si
trasmette copia di supplica, mandata dal provveditor generale della cavalleria
in Dalmazia, colla quale « alcuni Murlacchi sudditi turcheschi » esprimevano
il « desiderio di partire dalle loro case fino al numero di 200
fameglie et ridursi a vivere sotto il Dominio nostro ». Il Senato vede con
piacere la cosa. Gli si trasmette copia della lettera 18 agosto 1584 ai suoi
predecessori, con ordine di uniformarvisi «prestando a tutti quelli Murlacchi
che veniranno ogni aiuto et favore, perchè colla col-
tivatione di quei terreni inculti » possano vivere. Lo si consiglia, se stimerà
conveniente di « assignarli alcun lugo separato, dove, venendo essi in così
buon numero potessero star uniti et far una villa da per loro »
per evitare collisioni coi vecchi abitanti. Egli sarà giudice inappellabile delle
vertenze che insorgessero fra loro o con altri ; il trovar pronta e buona
giustizia ecciterà anche altri a seguir l'esempio dei primi. Nei riguardi della
conservazione dei boschi, assegnerà loro terreni lontani dai medesimi. Potrà
concedere salvacondotto a quelli dei morlacchi immigranti che fossero banditi
dagli stati veneti, non però per delitti atroci, colle condizioni che stimerà
opportune. Egli ha autorità sufficiente per poter far « perticare di novo li
terreni posseduti dalli Ciprioti, per le molte fraude et inganni
seguiti nell'assignatione delli terreni » quando lo creda necessario ; attenda
— 313 —
però, facendo la misurazione, che questa non « metta in disordine quanto
finora si è avanzato con tanto studio ». Di tutto darà relazione minuta.
Si delibera poi che quando Pietro Belulovich e Giovanni Velanovich
avranno provato di aver condotto nell' Istria o in altre isole venete circa
200 famiglie di sudditi turchi « siano per segno di gratitudine concessi ad
essi ducati quatro al mese per cadauno » vita durante (carte 205 tergo).
Ai rettori di Zara e al provveditor generale della cavalleria in Dalmazia.
Comunicato loro quanto sopra, si ordina che procurino che i morlacchi
passino in Istria a pochi per volta, onde i turchi non ne traggano motivo
a far questioni (carte 206 tergo).
1588. 17 dicembre. — Fatto venire in Collegio il segretario cesareo,
gli si fa dire, fra altro : È grata al Senato l' intenzione dell'arciduca Carlo
che siano composte le « difficultà di Capodistria » e quindi di stabilire
l'epoca del convegno dei commissari; dal medesimo desiderio è pure animato
il governo veneto il quale, impedito finora da altre cure, si occuperà fra
breve della forma da darsi al sindicato. Circa l'arresto di Nicolò Covaz da
Trieste, fatto da Paolo Favro capo di barca, se le cose avvennero come
espose il segretario, il Senato n' è dolente ; in ogni modo essendo gli inte-
ressati ricorsi ai competenti magistrati, avranno ampia giustizia (carte 217).
1 588. 30 dicembre. — AH' ambasciatore presso l' imperatore. Gli si
comunica il precedente ed il seguente con ordine di parlare in conformità
al sig. Guido Dorimberg (carte 220).
Fatto venire il segretario cesareo in Collegio, gli si fa noto : Spiace
che siano state mandate informazioni false all'arciduca Carlo circa l'arresto
di «Nicolò Covaz Favro» di Trieste, arresto che fu opera di «particolari
persone » senza ingerenza di alcun ufficiale, le quali consegnarono il Covaz
alla giustizia. Il Senato fece procedere in argomento. Il rettore di Muggia
non ha ancora riscritto circa gli ordini datigli riguardo ai due prigioni
fuggiti da Trieste. — Si autorizza il Collegio a far le pratiche « per venir
in luce del modo con che Nicolò Covaz è stato levato di Trieste
et condotto in Capodistria » (carte 220 tergo).
Senato Secreti, voi. LXXXVII (1588-89).
1588 m v. 13 gennajo. — All'ambasciatore presso l'imperatore.
« Habbiamo fatto vedere dalli Eccellenti Gratian, Salvadego et Verona la
minuta del sindicato che vi fu data dal S.or Vido Dorimberg sopra le con-
troversie de confini in Istria ». Quei giureconsulti dichiararono che non si
— 3»4 —
poteva ammettere, e ne contraposero un'altra che si invia all'ambasciatore.
« Della persona di Nicolò Covaz Favro da Trieste ritento non
habbiamo fin hora potuto risolvere alcuna cosa » ; ciò si farà quanto prima
(carte 16).
Fatto venire in Collegio il segretario cesareo, gli si fa leggere : Il
modulo di sindicato « per le controversie de confini in Istria » mandato
dal sig. Guido Dorimberg non riguarda tutte le questioni, ma quattro soli
punti ; il Senato ne fece formare altro più completo più esauriente, che si
spera verrà accettato dall'arciduca Carlo se veramente desidera una completa
e duratura concordia. Quest' ultimo suona :
« Cum varia; ortas sint in finibus Istria; controversiae inter subditos
Sermi Archiducis Caroli et nostros, quorum aliqua; etiam si per sententias
et transactiones decisa; fuerint, adhuc tamen super earum executione con-
troversia inter subditos nascitur, aliqua; etiam innovata; multarum turba-
tionum occasionem prestare videantur, ideo prò subditorum pace et quiete,
et ut bona vicinitas conservetur, conventum est, quod hinc inde eligantur
commissarii, qui in rem praesentem accedant, et auditis juribus partium
iudicata et transacta exequantur, terminos prius affixos recognoscendo, non
affixos vero in prasdictarum sententiarum executione affigendo, ut super his
nulla in posterum oriatur difficultas innovata vero et non decisa summarie
cognoscant, iudicent, transigant, vel amicabiliter componant (carte 16 tergo).
1588 m. v. 20 gennajo. — Si dichiara al segretario cesareo : La di-
sposizione mostrata dall'arciduca Carlo di dar soddisfazione a Venezia colla
consegna dei Languidis prigioni in Trieste, prova il suo desiderio di vivere
amichevolmente con essa. In corrispondenza di ciò il Senato, in onta alle
fondate ragioni degli interessati contro Nicolò Covaz, ha deciso di lasciarlo
in libertà [sue colpe erano «haver servito in quell'insulto di barcaruol, et
poi di favro nel romper le serrature delle prigion »]. Ne sarà fatta la con-
segna agli arciducali quando questi consegneranno i Languidis [Perin et
Gio. Batta] (carte 18).
Al podestà d'Isola. Faccia porre in libertà Giusto Giuliani, già arrestato
a richiesta del giudice del maleficio di Trieste (carte 18 tergo).
Se il segretario cesareo si lagnasse per la liberazione di Giusto Giuliani,
e ne chiedesse la consegna, gli si risponda : A richiesta dell'arciduca Carlo
il Senato ordinò al podestà di Muggia « la ritentione di quelli dui li nomi
de quali voi [segretario] dicesti essere stati espressi ad esso podestà»; il
segretario stesso dichiarò posteriormente che i medesimi erano Michele da
Cerniza e Odorico Maganello ; « et però haveressimo creduto chel giudice
di maleficio di Trieste non havesse alterata la prima richiesta con dimandare
— 3i5 —
persone delle quali non sapevimo cosa alcuna
onde convenimo sentir con dispiacer quanto è seguito contra
Giusto Giuliani et dolersi che sii stata abusata la cortesia nostra ». Si è
perciò ordinata la liberazione del Giuliani (carte 18 tergo).
1588 m. v. 25 febbrajo. — Fatto venir l'ambasciatore cesareo in Col-
legio, gli si comunichi [fra altro]: Si esprime ad esso [Guido Dorimberg]
il dispiacere per la sua partenza da Venezia '). Circa i negozi coll'arciduca
Carlo, lo si ringrazia per 1' arresto dei Languidis, al quale si corrispose
colle misure prese relativamente al Covaz, quantunque fosse « uno de'
principali complici nel fatto di Capodistria ». Si giustifica la liberazione del
Giuliani, ora impossibile a riprendersi (carte 27).
1589. 8 aprile. — Si fa dire al segretario cesareo. Per compiacere
1' arciduca Carlo si farà compilare un nuovo sindicato per le « differenti-;
dell' Istria » comprendendovi « alcuna particolar specificatione di esse ».
Se ne di l'incarico al dottor Erasmo Graziani (carte 38 tergo).
1589. 19 agosto. — Al provveditore in Istria. « Il Rev.do Vescovo di
Puola ha fatto con noi per sue lettere efficace ufficio perchè essendo col
mezzo della protettione vostra state impedite alcune esecutioni da lui or-
dinate contra dui canonici di Dignan, persone scandalose », il governo lo
protegga « acciò liberamente e senza impedimento possa continuar la visita
della sua diocese ». Si ordina perciò al provveditore di intendersi
bene col vescovo, di « prestargli ogni honesto et conveniente favore, non
solo nel particolar suddetto ma in ogni altra cosa spet-
tante a persone ecclesiastiche » (carte 98).
1589. 19 ottobre. — Si fa comunicare dal Collegio all' ambasciatore
cesareo Guido Dorimberg, fra altro: «Circa li prigioni che si trovano qui
per il gravissimo caso d' Istria, et di quel Giuliano, non si mancherà
di prender qualche conveniente risolutione » che sarà poi comunicata al
segretario. [Il Dorimberg era di passaggio, diretto a Roma] (carte 126 tergo).
1589. 1 dicembre. — Si fa comunicare al segretario cesareo: Dopo
che l'ambasciatore Dorimberg ebbe chiesta la liberazione dei due rei < nel
gravissimo caso di Capodistria », asserendoli innocenti, il Senato ebbe precise
informazioni che invece dal processo « appareno convinti ». In onta a ciò
essi saranno consegnati alle autorità arciducali se queste consegneranno alle
') Era stato nominato ambasciatore a Roma.
- 3i6-
venete i due Languidis. Giusto Giuliani fu già liberato e quindi non si può
far altro che allontanarlo da Muggia.
Si delibera di scrivere al podestà di Muggia perchè ordini al Giuliani
di partirsi da quella terra « et andar ad habitar dove più li piace, purché
sia lontano dalli confini arciducali (carte 131).
1589 m. v. 3 febbrajo. — Sindicato da darsi al commissario veneto
inviato a trattare con quello dell'arciduca Carlo l'appianamento delle vertenze
pei confini dell' Istria ; formato dal dottor Erasmo Graziani ; comunicato al
segretario imperiale onde lo mandi all'arciduca e ne procuri da questo uno
corrispondente (carte 140 e 140 tergo).
Senato Secreti, voi. LXXXVIII (1590-91).
1590. 3 aprile. — In seguito a ripetute istanze del segretario imperiale,
a nome dell'arciduca Carlo, si ordina al podestà di Umago di far restituire
al luogotenente di Pisino « il tratto delli fermenti trattenuti già dalla barca
delli proveditori nostri sopra dacii et condotti et venduti in quella terra a
beneficio di quelli fidelissimi ». Ciò si comunica al detto segretario con
« ufficio perchè sia restituito alli nostri di Humago quel restante di farina
che gli fu trattenuta per occasione di contrabando che si pretendeva haver
essi fatto » (carte io).
1590. io aprile. — Al podestà di Muggia. In seguito a nuove rimo-
stranze dei ministri dell'arciduca Carlo, ordini di nuovo a Giusto Giuliani
di partire da quella terra entro otto giorni dall' intimazione, sotto pena della
galera per due anni (carte 1 1).
1591. 22 luglio. — Si delibera che i consigli di vari luoghi della
Dalmazia e quello di Capodistria eleggano un sopracomito di galea ciascuno
(carte 131).
159 1. 14 ottobre. — Al podestà di S. Lorenzo. Lo si encomia per
l'oculatezza sua circa le « operationi fatte da sudditi austriaci a pregiudicio
de nostri, et di quanto è stato operato dal canto di questi per conservation
della giuridittione nostra». Consenta però alla « restitutione della represaglia
hinc inde fatta », salva sempre la sua dignità, facendo che le trattative
seguano fra gli stessi interessati. Se poi gli arciducali cercassero di « seminar
nella giuridittione nostra, o vero in altra maniera intaccarla », faccia tosto
distruggere [arando] i seminati, provvedimento migliore del prender gli
animali (carte 146 tergo).
— 317 —
1 59 x- 5 dicembre. — Al suddetto. Lo si loda perchè « con la destrezza»
pose fine alle contese « suscitate in quei confini per occasione delle repre-
saglie »; lo si anima a vegliar sempre onde non sia pregiudicato il territorio
veneto, perchè il luogotenente di Pisino si mantenga nelle buone disposizioni
di ben vicinare. Se costui gli parlerà di compor seco le vertenze esistenti,
risponda che negoziandosi ora la elezione di commissari per la trattazione
di tutte le questioni cogli arciducali relative all' Istria, non è opportuno di
pensare alle particolari, bastando che le parti si astengano da ogni novità
(carte 156 tergo).
Senato Secreti, voi. LXXXIX (1592-9]).
1592. 3 ottobre. — Al capitano di Raspo. Lo si encomia per la dili-
genza usata nell' informare sui « moti turcheschi nelle parti di Crovatia »;
viste poi le difficoltà di mandare persone in detta provincia, cessi pure di
farlo ; però continui a trasmettere tutte le notizie che potrà avere (carte
59 tergo).
1592. 29 ottobre. — All'ambasciatore presso l'imperatore; fra altro:
« Circa il negotio del conseglier Coraducci », si scrisse a Muggia per in-
formazione, e si risolverà ciò che è di giustizia (carte 68).
1593. 13 marzo. — Al provveditor generale contro Uscocchi, al ca-
pitano in golfo e ad altri capi da mare. Ad istanza dell' ambasciator di
Spagna, si ordina loro di dar libero transito ai « vascelli » diretti a Venezia
e carichi di legne destinate al detto ambasciatore, viaggianti per conto di
« Zorzi da Berces habitante in Fianona ». Le legne venivano da Fiume
(carte 87).
r 593 . io luglio. — Al capitano di Raspo. Si delega ad esso il pro-
cedere contro alcuni Morlacchi, di fresco venuti ad abitare in Istria, per
grave omicidio commesso nel territorio di Parenzo. Si scrive poi al podestà
di Parenzo in conformità (carte 116).
1593. 13 novembre. — Al capitano di Raspo. Essendosi l'esercito turco
allontanato dalla Croazia e passato in Ungheria, nell'encomiare esso capitano
per le diligenti informazioni da esso procurate in proposito, gli si ordina
di non ispedire esploratori in Ungheria, ma di tenersi informato solo di
ciò che succede in Croazia (carte 144).
1593 m. v. 12 febbrajo. — Si delibera che, fra altri, il rettore di
Capodistria faccia far quanto prima 1' elezione in quel consiglio di un so-
pracomito di galea, che stia pronto ad ogni chiamata « con tutte le zurmc,
- 3i8 —
officiali et altre cose per armar » il naviglio [arsile] che sarà colà spedito
(carte 168).
Senato Secreti, voi. XC (1594-9$).
1594. 17 settembre. — Al capitano di Raspo. « Essendosi partite dal
paese Turchesco alcune famiglie di Morlacchi et passate nel ter-
ritorio di Nona, dicendo di voler viver sotto il dominio nostro, habbiamo
dato ordine alli Rettori di Zara et Proveditor general della Cavallaria di
far ogni ufficio per indurli a passar nell'Istria». Se vengono in
quella provìncia, disponga perchè siano trattati bene e venga loro assegnata
« una contrada o villa dove possano star comodamente » (carte 50 tergo).
Ai rettori di Zara e al provveditore della cavalleria in Dalmazia. Per-
suadano i Morlacchi accennati nella precedente a passare in Istria, nel ter-
ritorio di Pola ; quando riescano, provvedano al loro trasporto in quella
provincia; se poi i Morlacchi non volessero andarvi, procurino di tenerli
il più possibile lontani dai confini turchi (carte 50 tergo).
1594. 20 ottobre. — Si fa comunicare all'ambasciatore dell'impera-
tore : « Triestini, et parimente un Tullio Calò Marchiano habitante in
Trieste, in pregiudicio della nostra giuridittione, hanno
fabricato vintiquatro cavedini di saline sopra un fondamento di sassi vivi
da loro posto, et spinto fuori nel mare, che continua alcuni altri fondamenti
pur nel mare al loco detto de Zaule ». Simili costruzioni furono fatte anche
in passato ; 1' ambasciatore Dorimberg aveva promesso che sarebbero state
distrutte, ma senza effetto onde Venezia mandò a disfarle. Si prega perciò
1' ambasciatore di procurare che i governatori di Trieste facciano togliere
questo nuovo motivo di lagni (carte 65).
1595 18 marzo. — Al capitano di Raspo. Il podestà di S. Lorenzo
scrive « dell' insulto fatto da quelli del contado di Pisino et altri sudditi
arciducali ad una casa de nostri sudditi ». S'informi esattamente della cosa,
e procuri, seguendo le istruzioni già date a' suoi predecessori, « di annullare
li pregiudicii che fussero stati inferiti alla nostra giuridittione » senza che
apparisca derivar quest'ordine dal governo. Quando però succedesse qualche
« notabil contrario » o vi fosse pericolo di « altri inconvenienti » facendo
agire i soli interessati, proclamerà i colpevoli « dello insulto con
espressione delli nomi, cognomi et patrie loro nelli proclami
senza far mentione de titoli o carichi che havessero ; et contro li contumaci,
— P9 —
devenirete anco alla espeditione ». In tutto vada d'accordo col detto podestà
e con altri rettori che fosse del caso (carte ioo).
Senato Secreti, voi. XCI (i^ó-i^yy).
1596. 13 agosto. — Si fa leggere al segretario cesareo in risposta a
memoriali da lui presentati. Circa « l'anullatione del bando dato a quelli di
Pisino, col fondamento che il Radotich havesse fabricato sopra l' indubitata
giuridittione di S. Alt.a » consta invece il contrario, essendo « la turbatione »
stata fatta nel territorio di S. Lorenzo ; perciò non si possono ritirare i
provvedimenti presi dal capitano di Raspo (carte 51).
1596. 4 ottobre. — Al podestà e capitano di Capodistria. Avendo
« quei di Puola » offesa la persona di quel podestà « per causa di certa
estrattion di formenti concessa per sovvegno di Rovigno »
la Signoria spedisce colà un notaio dell'Avogaria di commi per formar pro-
cesso del fatto « con la presenza et sopraintendenza » d'esso podestà e ca-
pitano, al quale si commette di recarsi a Pola per tal bisogna (carte 67).
1596. 23 novembre. — Al capitano di Raspo. Avrà già avuto dal
podestà di S. Lorenzo notizia « della turbatione fatta a quei confini d'ar-
ciducali ». Gli si ordina di dar quanto prima « particolar informatione di
tutto il fatto et mandarci copia delle scritture et se al ricever
delle presenti il cancclliero di Pisino non havesse rilasciato 1' huomo et li
animali, et che non si havesse accomodato il negotio », procurerà, con
destrezza, « di reintegrarvi del spoglio colla retention di alcun suddito ar-
ciducale et robbe sue » onde così facilitare la « restitutione delle cose in
pristino». S'intenderà bene col podestà predetto per l'esecuzione, la quale
sarà fatta in nome d' esso podestà (carte 79).
Al podestà di S. Lorenzo. Gli si trasmette copia della precedente e gli
si ordina di agire in conformità (carte 79 tergo).
1597. 22 marzo. — «Al proveditor dell'armata. Perchè va in maniera
crescendo l' ardir et insolenza de Uscochi, li quali sono anco passati ulti-
mamente fino nelli luoghi nostri di Puola et Rovigno, rubando a sudditi
et svalleggiando li vasselli nostri » ; gli si ordina di lasciare in levante sei
galee, e di venir nelle acque di Dalmazia ad unirsi alla squadra del gover-
nator delle galee de' condannati per perseguitare e mettere in fuga quei
ladroni (carte 97 tergo).
1597. 25 marzo. — Ai rettori di Zara. Partecipati gli ordini dati al
— 320 —
provveditor dell'armata, si ingiunge loro di corrispondere alle sue richieste
di uomini ed arnesi ecc. (carte 99 tergo).
1597. 2 aprile. — Al capitano di Raspo. Divenuti insopportabili i danni
che vanno portando continuamente gli Uscocchi, il Senato, per provvedervi,
ha deliberato di eleggere un « provveditor general da mar in Colfo et in
quella provincia di terra » [Dalmazia], ed elesse esso capitano. Si manda
la presente a Capodistria con « fregata » apposita ; e si danno altre dispo-
sizioni. Lasci al reggimento di Raspo, temporaneamente, uno de suoi figli,
ed egli assuma immediatamente la carica (carte 102 tergo).
Il Collegio comunicherà al segretario cesareo : In onta alle tante pro-
messe fatte che sarebbe provveduto da parte austriaca a finirla cogli Uscocchi
essi continuano a molestare, ed ultimamente han « depredato tanti vasselli
che si trovavano nel porto di Rovigno et usate in quella terra
intollerabili violentie onde sarà debito vostro il procurar
la restitutione della robba tolta » (carte 104).
Ai rettori di Zara e provveditor generale della cavalleria in Dalmazia.
Si partecipa loro la elezione del nuovo provveditor generale in golfo e in
quella provincia; in attesa che questi prenda le opportune disposizioni contro
gli Uscocchi, si diede ordine al capitano in golfo e ad altri capi marittimi
di recarsi nelle acque del Quarnero ; comunichino tal ordine a quelli che
si trovassero in Zara (carte 104).
Al capitano in golfo. Accennato ai danni dati dagli Uscocchi in Istria,
e specialmente nel porto di Rovigno, senza che alcuna publica nave si sia
mossa per impedirlo, lo si avverte dell'elezione di Almorò Tiepolo cav. a
provveditor generale in golfo; intanto gli si dà ordine di recarsi nelle acque
dell'Istria e attenderà a combattere gli Uscocchi (carte 104 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria. Gli si trasmettono lettere pel
capitano di Raspo, le quali trasmetterà tosto a destino (carte 104 tergo).
1597. 11 aprile. — Commissione ad Almorò Tiepolo eletto provveditor
generale in golfo, Dalmazia, Istria ed Albania (carte 105 tergo).
1597. 7 giugno. — «Al podestà di S. Lorenzo. Dalla relation di quel
zupan di Coridigo suddito arciducale, che ci mandaste si scopre
l' intentione che hanno quelli ministri confinanti di rilasciare il prigione
suddito nostro » in cambio di tre sudditi austriaci ritenuti in S. Lorenzo.
Se gli verranno fatte nuove proposte in argomento, accetti come da se il
rilascio dei prigionieri da ambe le parti, il che non pregiudica diritti (carte
, 125 tergo).
1597. 7 agosto. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Si loda per
le risposte date « alti signori Coraduccio et Conte della Torre nella
- 321 —
materia de Uscochi et delle guardie nostre alle marine di Trieste ». Si pro-
segue che in caso di nuovi colloquii in argomento dimostri Venezia non
portarsi mai ad agire se non per ineluttabile necessità della tutela de' suoi
diritti ; che se all' arciduca Ferdinando rincresce se i suoi dazi di Trieste
ebbero a soffrire per la sospensione del commercio, rincresce non meno a
Venezia ch'ebbe inoltie a patir tanti danni e spese per difendersi (carte 139).
1597 m. v. 23 gennaio. — Onde non lasciar isfuggire occasione per
«terminare le controversie de confini che vertiscono già molti anni fra li
sudditi di S. Lorenzo, e quei di Antignano del contado di Pisino » si de-
libera di ordinare al podestà di S. Lorenzo di scrivere al « Rebat » [Rabatta]
accettare il Senato l'offerta della sua mediazione, ed esser pronto a trattare
quando esso Rebat mostri di avere i necessari poteri (carte 165).
Senato Secreti, voi. XCII (1598-99).
1 598. 6 marzo. — Al provveditor general da mar in golfo. Gli si
ordina di « stringere et incomodare la città di Trieste » come fa per gli
altri luoghi arciducali «dove hanno nido e ricapito» gli Uscocchi, «dando
in oltre ordine espresso che tutte le barche et vasselli di qualonque sorte
che volessero entrare et uscire delli luoghi assediati vengano gettati
a fondo » [non presa] (carte 1 tergo).
Si ordina ad suddetto di « assediare et incomodare tutti li luoghi ar-
ciducali di marina », come è disposto nella sua commissione (carte 3).
1598. 13 marzo. — Al capitano in golfo. Nel recarsi all'obbedienza
del provveditor general Bembo, gli si ordina che « debbiate in questo pas-
saggio per l' Istria, trascorrere le marine di quella Provintia et lasciarvi
vedere in quelli porti et luoghi per sicurtà delli vasselli che vi si ritrovano »
(carte 5).
1598 m. v. 15 gennajo. — Al provveditor general in golfo. Stante
le nuove violenze degli Uscocchi, gli si ordina di nuovo « d' incomodare
li luoghi arciducali di Trieste et del Vinadol » e di agire energicamente e
con tutto il rigore contro i detti Uscocchi (carte 89).
1598 m. v. 22 gennajo. — Al capitano di Raspo. «Siamo avisati dal
potestà di Albona che Uscocchi, sbarcati in terra alli 19 di questo mese in
numero di 600, havevano assaltato la terra di Albona, et che ributati con
morte di alcuni di loro et alquanti de nostri, havevano saccheggiato il borgo
et quella parte di territorio che è verso marina, caricando sopra le barche
gran quantità de animali depredati; che a 20 poi il giorno seguente si erano
— 322 —
essi Uscochi impadroniti di Fianona, piantandovi sopra le insegne imperiali,
con dubio che potessero tentar di nuovo il loco di Albona, il quale scrive
esso podestà che non saria atto a difendersi ». Gli si ordina, che mentre
si dispone per mandargli rinforzi, intesosi con tutti i rettori dell' Istria,
aduni il maggior numero di fanti e cavalli che potrà, e li mandi in soccorso
di Albona. Se crederà di aver forze sufficienti, tenti di ricuperare Fianona.
E perchè possa rintuzzare ogni danno che volessero fare gli Uscocchi, gli
si dà il supremo potere da esercitarsi in assenza del provveditor generale
Dona. Si scrisse in proposito ai rettori dell' Istria. Si mandano 4 galee,
sotto il capitano della guardia di Candia, per « assicurar le marine del-
l' Istria » fino all'arrivo colà del suddetto provveditor generale. Se gli oc-
correrà valersi delle ordinante assegnerà loro il soldo di attività, soldi 12
il giorno ; pel loro comando si invierà persona adatta.
Si danno poi ordini in conformità al capitano della guardia di Candia,
ai magistrati all' arsenale e all' armar per gli apprestamenti necessari, e al
Collegio per l' invio della persona suaccennata (carte 94).
Al podestà e capitano di Capodistria. Si comunicano le disposizioni
date di sopra, e gli si ordina di eseguir tosto ogni ordine che il capitano
di Raspo gli dasse per invio di forze, tenendo gli uomini pronti. — Simil-
mente si scrive ai podestà di Dignano e S. Lorenzo (carte 95).
Al podestà di Albona. Si loda il valor suo e «la fede di quei habitanti
in difendere quel luogo» contro gli Uscocchi. Si comunicano le disposizioni
prese come sopra (carte 95 tergo).
1598 m. v. 3 febbrajo. — Al provveditor general da mar in golfo.
« Ne è piaciuto intendere dalle vostre lettere de 25 et 26 del passato la
dcputatione da voi fatta de alquanti soldati alla custodia di Albona et Fia-
nona » che sta bene siano difesi, essendo « per la vicinità, li primi esposti
all'invasioni di Uscocchi». Il capitano di Raspo fu «costituito capo della
provincia [dell' Istria] in qualche subito accidente », e solo nei casi in cui
esso provveditor generale non potesse intervenire, che « nel resto presente
et absente che voi siate, volemo che la superiorità resti a voi ». Abbia
«particolar cura, non solo delle isole, ma di tuttala provincia dell'Istria».
Quanto poi « all' incomodare Trieste, et alle barche che volessero entrarvi
et uscirvi, eseguirete la vostra commissione. — Siamo informati che li
Uscocchi che si sono trovati alla presa di Fianona et depredatione del ter-
ritorio di Albona, hanno sbarcate le prede fatte nelli luoghi di Lovrana,
Moschiniza, Caston, et Volosca », ciò gli si fa sapere perchè possa, al caso,
disporre per riaverle (carte 98 tergo).
1598 m. v. 11 febbrajo. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Gli
— 323 —
si manda copia delle lettere dei podestà di Albona e Capodistria, circa i
fatti degli Uscocclii, e di tutte le deliberazioni prese, onde possa rispondere
in caso gliene fosse parlato (carte 101 tergo).
1599. 6 marzo. — Si fa leggere in Collegio a Giuseppe « Rebate »
ambasciatore dell'arciduca Ferdinando, fra altro: Si riteneva che fosse venuto
a portar notizia di qualche energica risoluzione contro gli Uscocchi per
parte dell' imperatore e dell'arciduca ; « ma lo esagerare hora che Lei fa il
castigo ad alquanti Uscocchi che si ridussero a Lovrana, giuridittione di
Pisino, per divider la preda prima fatta nel stato nostro, et per precipitarsi
in quello et il dolersi di una barchetta, quando dalla nostra parte
cadono in consideratione terre murate combattute et prese, ter-
ritorii devastati, atti di somma hostilità inferiti », fa veramente meraviglia.
Venezia usò tutte le vie per mostrarsi amica dell'arciduca Ferdinando, ma
non può tollerare tante offese a' suoi diritti e a' suoi sudditi, e deve prendere
le misure necessarie a difendersi non solo, ma ben anche a punire gli offensori.
Confida però che tanto quel principe, quanto l' imperatore vorranno ante-
porre P amicizia di lei « alli interessi d' Uscocchi a ne permetteranno più
oltre tante offese ai diritti delle genti. Quando concorreranno a ciò since-
ramente, essa sarà felice di potersene star tranquilla (carte 105).
1599. 20 aprile. — Al podestà e capitano di Capodistria. Gli si tras-
mettono munizioni, che terrà a disposizione del capitano general da mar
in golfo e del capitano di Raspo (carte 120).
Al provveditor general da mar in golfo. Gli si partecipa il summen-
tovato invio di due migliaia di polvere, piombo, corda. — Cosi pure al
capitano di Raspo (carte 120).
1599 m. v. 27 genn.'jo. — All'ambasciatore presso 1' imperatore. Circa
la voce che dice essersi sparsa in corte di certo caso accaduto in Capodistria,
ha fatto bene a smentirla. Non si sa a che cosa essa s'abbia ad attribuire
(carte 208).
Senato Secreti, voi. XCIII (1600).
1600. 13 aprile. — All'ambasciatore presso l'arciduca, a Graz. Gli si
mandano copie di lettere relative a danni dati da Uscocchi nell'Istria; come
pure degli ordini dati al provveditor general in golfo (carte 17 tergo).
Crescendo ognor più 1' ardimento degli Uscocchi ed essendo urgente
provvedere alla difesa dell'Istria, si delibera di eleggere un «nobile nostro
con titolo di Proveditor in Istria, potendo esser tolto da cadami luogo,
«
— 3^4 -
officio et carico » trattone il Collegio. Partirà pel suo posto entro 4 giorni,
e si determinano altri suoi obblighi; ma non è approvato (carte 17 tergo).
Al provveditor general da mar in golfo. Gli si comunica quanto si
scrive al capitano di Raspo ; gli si ordina di mandar soldati in Istria a tutela
dei luoghi che ne avranno bisogno; in Treviso stanno 120 fanti francesi
che gli si manderanno a sua richiesta (carte 19 tergo).
Al capitano di Raspo. « Sentimo con grandissima esacerbatione del-
l'animo nostro gli avisi di perverse operationi di gente scelera-
tissima commesse così nella villa d'Abrega giuridittione di Parenzo, come
in altri luoghi dell' Istria di svaleggiamenti alle case di nostri sudditi, et
dentro i vasselli nei nostri porti, con pessimi trattamenti delle persone, et
con molte immanissime atrocità». Apparendo ciò essere effetto della debole
protezione dello Stato, si rinnova al capitano l'autorità già datagli su tutta
l' Istria in assenza del provveditor generale in golfo, e si scriverà a quei
rettori perchè lo ubbidiscano. Faccia la rassegna della cavalleria dell' Istria,
provvedendo che sia ben fornita d'armi e d'altro necessario, e che sia in
condizioni da « ritrovarsi dovunque lo ricercassero le occasioni ». Gli si
manda il colonnello Leone Ramussati, che tiene comando in Padova, qual
capo di tutte le milizie dell'Istria. «Pietro Paolo Bizarino governator che
hora si trova in Albona s' intenda destinato, et resti con carico sopra quelle
ordinanze in luogo del Cav/ Carriero » che ha finito il suo tempo. Si as-
segnano al Bizzarini 400 ducati l'anno. Il provveditor generale gli manderà
soldati, che saranno distribuiti da esso capitano nei luoghi opportuni. Gli
si manderanno altresì armi e munizioni. Manderà la nota della distribuzione
di queste, e delle speditegli in addietro, nonché dei bisogni che ancor ve
ne fossero. Si confida nella sua abilità per evitare la rinnovazione dei danni
ai sudditi. «Et perchè intorno agli eccessi ultimamente commessi in
Istria sentimo nominare un Cherzainer, patron del Cherzainer, come capo,
et che dopo le depredationi si riducono in un suo luogo
desideriamo informationi » più particolareggiate sui capi dei ladroni e sui
luoghi ove riparano.
Il Collegio è incaricato dell'esecuzione di quanto gli spetta nelle pre-
cedenti disposizioni (carte 20).
1600. 13 aprile. — All'ambasciatore presso l'imperatore. I rettori
dell' Istria partecipano danni dati a quei paesi a dai sudditi dell' Arciduca
Ferdinando sotto il patron di Chersainer, il quale uscito con
'buon numero di gente scellerata et assassina dalla giurisdizione arciducale»
commise molti eccessi in terra e in mare. Perciò gli si comunicano le dispo-
sizioni prese (carte 21 tergo).
— 3^5 —
i6oo. io giugno. — Al provvcditor general in golfo. Gli si manda
copia della seguente con ordine di coadiuvare il capitano di Raspo [il cui
contado ebbe a soffrire ultimamente nuovi danni dagli Uscocchi] mandan-
dogli assistenza di galee; assoldi 150 uomini di milizia albanese e croata,
come quella che « riesce più fruttuosa et più atta d'ogn' altra nella perse-
cutione di questi ladri » ; i quali uomini siano tenuti ai confini verso il
Carso, o dove occorrerà. E fino a che s' abbiano adunati, mandi a quelle
frontiere 200 fanti italiani « per spalleggiare i sudditi » (carte 37 tergo).
Al capitano di Raspo « e suo prossimo successore ». Si diede ordine
per l' invio di 200 tanti italiani, di quelli che si trovano sullo Scoglio di
S. Andrea, e per 1' arrolamento di 150 albanesi e croati, come sopra, i
quali coi 200 uomini che sono in Albona, e la « guarda di galee » che gli
manderà il provvcditor generale in golfo, si spera saranno sufficienti a pro-
teggere il paese. Il quale essendo povero, converrà ch'esso capitano provveda
in tempo perchè le milizie non abbiano a mancare del necessario. Per
ovviare a nuove depredazioni per parte degli Uscocchi, pare al Senato che
sarebbe bene « che nell'avvenire i sudditi medesimi, postisi insieme procu-
rassero con ogni forza loro, et con la scorta de soldati ,
di perseguitarli per levarli la preda » permetterà ai sudditi « come da voi,
senza mostrar di haver ordine alcuno di penetrare nel paese vicino
per fare all'incontro represaglia d'animali overo d'altra robba de
sudditi alieni, purché mostrino di farlo da se per risarcirsi de' propri danni».
Faccia insomma in modo che tali atti appaiano come necessaria reazione
dei sudditi offesi al momento del danno; e all'uopo potrà farli spalleggiare
dalle milizie. Gli si concede di usare «dei danari sopravanzati nelle paghe
alle ordinanze per spender in spie, et nel mandar avisi agli altri
rettori » e per altre spese necessarie. Se poi occorresse « qualche fabrica di
consideratione » a diffesa, riferirà sulla spesa Se poi « quei poveri sudditi
delle quattro ville, ai quali sono stati levati ultimamente gli animali, spe-
rassero» di poterne avere la restituzione, presti loro il «possibile aiuto et
conveniente indirizzo senza interessarvi la publica dignità». Usi ogni mezzo
per aver in mano il Chersainer, oppure per « farlo levar di vita ». Gli si
manderanno i due bombardieri da lui domandati (carte 38 tergo).
1600. 1 luglio. — Al provveditor general da mar in golfo. È venuto
avviso «d'altre scelcratissime operationi di Zorzi Chersainer contra nostri
sudditi, tre de quali poco discosto da Albona, sono da lui et suoi
seguaci a 26 giugno alla fiera di Sumber, stati con ogni più barbara
ferità crudelmente trucidati ». Perchè tali eccessi non restino impuniti, il
provveditore, udito il parere dei capi da guerra » e d'altri competenti che
— 32é —
stimerà, procuri di « trovare alcun modo per aver esso Chersainer
nelle mani, overo perchè al tutto li sia levata la vita », e perciò lo si auto-
rizza a spendere ciò che crederi necessario e gli si danno ampi poteri, vo-
lendo il Senato « vivo o morto nelle mani de nostri » il Chersainer. In
fine gli si raccomanda di condur la cosa colla massima prudenza (carte 45).
1600. 31 luglio. — Si trasmette al provveditor general da mar in golfo
una supplica di Matteo dall' Oglio ; si insiste sulle commissioni già date
contro il Chersainer, e, non riuscendo in esse, si aggiunge quella di « pro-
clamarlo, promettendo a chi lo facesse cader vivo o morto nelle mani di
nostri rappresentanti taglia di ducati mille, edam in terre aliene », oltre
l' impunità se fosse complice, e facoltà di liberar un bandito ; di più farà
confiscare i beni del Chersainer stesso « i quali siano obligati alla
refatione dei danni da lui inferiti a nostri sudditi
dovendo rimanere il resto della Signoria nostra, detratta la taglia » (carte
53 tergo).
Nella minuta del decreto sta l' istanza del dall'Oglio. In essa si espone
che il Chersainer « oltra alcuni altri crudelmente amazzò il poverino Fran-
cesco fratello di me Mattio dall'Oglio abitante in questa città [Albona], il
qual miserabil cadavero sbranato senza core et senza interiora, a pena ho
potuto rihaver da quella barbara canaglia per darli sepoltura. Fu tolto al
sudetto mio fratello un bon groppo de ori quali havea
per comprar animali da carar per servicio di questa Città». Pro-
segue lamentando i danni che il Chersainer continuamente va commettendo
in Istria, ove possiede beni ed ha persone fidate che lo spalleggiano. Termina
invocando il castigo del reo e de' suoi complici, e il risarcimento dei danni
patiti, mediante i beni di quello. Quali testimoni cita : Gian Giacomo di
Colioni, Girolamo de' Manzoni, prete Giovanni Diminich, prete Gasparo
Diminich, Melchiorre Negri, Giacomo Battilana fu Domenico, Giacomo
Battilana fu Bort.0, Nicolò Brus, tutti di Albona, ed altri.
1600. 31 luglio. — «L'aviso che si è ultimamente havuto della preda
fatta da Uscocchi neh' Istria, nella parte del Carso, per non riavervi trovata
minima resistenza, et per il tardo arrivo delle militie » in onta agli ordini
dati, « fa conoscer che '1 rimedio di tali inconvenienti principal-
mente consiste nella celerità delle essecutioni » ; perciò si delibera di eleggere
nel Senato stesso un « Proveditor alla custodia dei confini dell' Istria » cogli
obblighi e diritti che si descrivono nella commissione. Si delibera poi di
portare da ducati 3 a 4 la paga dei cavalleggeri di quella provincia « per
il tempo che staranno attualmente in servitio nelle presenti oc-
correnze ». Il provveditor general da mar in golfo manderà in Istria dalla
— 327 —
Dalmazia una compagnia di 20 cavalli e io lancie spezzate, all'obbedienza
del neoeletto provveditor ai confini.
Eletto Francesco Corner di Giacomo Alvise (carte 54).
1600. 2 agosto. — Commissione al suddetto. « L' isperienza che havemo
della prudenza et valore dimostrato da te in altri carichi
ci ha mossi ad eleggerti Provveditor nostro alla custodia dei confini del-
l' Istria Ti commettemo però che debbi partir
senza dilatione per il tuo carico, il quale sarà d' invigilar da tutte 1' hore
alla buona custodia dei confini di tutta 1' Istria, non dovendo per questo
haver tu alcuna ferma habitatione, ma scorrendo dove più giudicarai ne-
cessario per la sicurezza della Provincia, visiterai principalmente i luoghi
et passi di maggior pericolo, ponendovi, accrescendovi, mutandovi et con-
firmandovi quelle custodie che a te pareranno sufficienti, et consolando quei
sudditi nostri colla tua presenza, li eccitarai et animerai alla difesa delle cose
loro, et alla propulsatione delle ingiurie o danni, che da chi si voglia se
li volessero inferire». Per eseguir poi meglio il tuo dovere «subito giunto
nell' Istria procurerai di aver informatione di tutte le cose pertinenti alla
sicurezza et difesa di essa, essercitando quella superiorità che ti è data da
Noi sopra i Capi da guerra che si trovano o troveranno nella Provincia,
pigliando il loro consiglio nelle fattioni che occorressero, et risolvendo tu
poi quello che stimerai di publico servitio, et medesimamente valendoti di
soldati, così da piedi come da cavallo tanto delli leggieri della Provincia,
con partecipatione del Capitanio di Raspo, quanto dei soldati dell'ordinanze,
participando il bisogno et occorrenze tue con quei Rettori, che haveranno
da Noi in commissione di coaiuvar l'essecutione delli ordeni nostri, et di
favorirli in ogni occasione, et vi tenirete reciprocamente avisati d'ogni ac-
cidente. Ma sopra ogn' altra cosa, gionto che sarai al tuo carico ne darai
aviso immediate al Proveditor Generale da Mar in Golfo et in Dalmatia,
al quale per l'autorità del suo Generalato presterai la debita obedienza, et
con quella buona intelligenza che doverete esercitare insieme, anderai es-
sequendo la nostra intentione ; perchè egli, oltre li aiuti da mare, ti anderà
anco somministrando quelle forze, collo sbarco delle genti in terra, et con
far passar di Dalmatia quelle militie che facessero bisogno, sicome hora per
deliberatione del Senato farà transitar 40 cavalli coi loro capi delle com-
pagnie di Dalmatia, et vinti di quelle lanze spezate, si che siano in tutto
al numero di sessanta, dei quali, et così dell'altre militie ti valerai secondo
che meglio ti parerà, oviando et sopravedendo di continuo che dalle militie
né da altri siano a sudditi nostri usate estorsioni, ne inferito alcuna molestia
o danno, et castigando li colpevoli conforme alle colpe et demeriti loro.
— 328 —
Haverai la medesima autorità nell' Istria che hai essercitata mentre sei stato
Proveditor della Cavallaria in Dalmatia, et non solo difenderai con ogni
poter li sudditi, et cose nostre; ma se li sarà da chi si voglia inferito alcun
danno, procuranti senza dilatione, et con quella cautione et sicurezza che
potrai maggiore, il debito risarcimento, cosi per sollevatione de danneggiati,
come anco per reintegratione dei pregiudicii che fossero fatti alla nostra
giuridittione, procurando con ogni mezo et via possibile di far mal capitar
gli Uscocchi, et procedendo anco nell' istessa maniera contra ogn' altro
colpevole di simili eccessi. Userai ogni diligenza, col mezo di spie, d'esser
di tutti gli andamenti d' Uscocchi et motivi a quei confini continuamente
avisato, dandoti noi per questa causa ducento ducati, per doverti nell'avve-
nire somministrare anco ogn' altro aiuto che fosse necessario. Sarà carico
tuo dar a tempi debiti le paghe alle militie, communicando al Capitatilo di
Raspo la presente nostra commissione, et per 1' effetto sudetto condurrai
teco un Rasonato che doverà stare appresso di te, et haver in ragione di
ducati sei al mese, inviando a noi di tempo in tempo le bollette, et facendo
con 1' opera sua li pagamenti, con avvertire che i cavalli et lanze spezate
di Dalmatia in luogo di otto paghe all' anno, che hanno al presente ne
doveranno haver dodeci in ragion di anno, mentre staranno al scrvitio nel-
l'Istria, et cosi doveranno esser pagati de soliti stipendij anco un Marascalco
et un Trombetta, che doveranno esser tenuti per servitio di quella Caval-
laria ; dicendoti di più che ai Cavalli leggieri di Raspo et Istria appresso
i tre ducati che hanno per paga, gli habbiamo accresciuto altri ducati quattro
per cadauno per il tempo delle presenti occorrenze solamente. Et perchè
possi avisar noi frequentemente di tutto quello che andarà succedendo et
scrivere anco al Proveditor nostro Generale da mare et far quelle altre
espeditioni per avvertimento di Rettori, et altro che giudicherai necessarie,
haverai teco un Cancellier con ducati sei al mese per suo salario per il
tempo che starà in quel servitio. Assignandoti noi per le spese che farai
ad essi Cancelliero et scontro ducati vinti al mese. Haverai per la tua elet-
tione di stare col carico di Proveditor sei mesi, et tanto più o meno quanto
parerà al Senato, et haverai per tuo salario, et per tutte le tue spese ducati
centocinquanta da L. 6 s. 4 per ducato al mese, senza obligo di mostrarne
conto alcuno, et d' esso salario ti habbiamo fatto dar ducati seicento per
sovventione di mesi quattro et ducati trecento per metterti a cavallo. Ti
eleggerai un luogotenente di tua sodisfattione per servirtene in ogni occa-
sione, al quale habbiamo assegnato ducati vinticinque al mese di stipendio».
Si delibera poi l'assegno degli stipendi al Cancelliere, scontro [contabile]
e luogotenente summentovati, anticipando loro 4 mesi; l'assegno al Corner
— 329 —
di 200 ducati «per spendere in spie» e di ducati 6000 per pagamenti alle
milizie (carte 55 tergo).
1 600. 2 agosto. — Al provveditor general da mar in golfo. « Dalle
vostre di 29 pass, intendemo i danni fatti nelle ville del Carso,
con quanto per giusto risentimento è stato d' ordine vostro dalle nostre
militie essequito ai Bellai col saccheggiamcnto et incendio di quel ricetto
d' Uscochi, maggiormente dechiarito per le spoglie et armi de nostri da
quei scelerati depredate ». Lo si encomia pel fatto ed altresì per
aver dato gli animali trovati in quel luogo e non presi dalle milizie, ai
sudditi danneggiati in compenso delle perdite patite. Gli si raccomanda di
« andar provvedendo all' indennità de nostri et alla sicurezza, hora più
d' ogn' altra cosa importante, dell' Istria » per la quale si elesse Francesco
Corner a provveditore a quei confini. A questo è commesso di obbedire
ad esso provveditor generale. Mandi in Istria 40 cavalli e 20 lancie spazzate.
Lo si loda di avere « a questo tempo principalmente applicato il pensiero
all' Istria, la quale essendo tutta aperta » sarebbe bene stornarne i nemici
con qualche « diversione in altra parte » per « tenere in gelosia non solo
gli Uscochi, ma i fautori loro ». E ciò si rimette alla sua prudenza. Si
approva poi il divisamento « di corrisponderle [ai nemici] colli istessi ter-
mini hostili con i quali vanno essi procedendo contra i sudditi et cose
nostre ». Per rinforzare poi i presidi di quella provincia si manderanno colà
una compagnia di soldati francesi, tre d'italiani, e munizioni. Se poi vi fosse
necessità, farà « sbarcar in terra i soldati delle due barche armade alla custodia
di Trieste, facendo che la galea Contarina attendi a quella custodia ».
Si è provvisto al bisogno di grani che vi sarà in Istria per l'aumentato
numero delle milizie; per le quali gli si mandano 150 «arcobusi a ruoda».
Si deliberano poi i vari provvedimenti annunziati nella lettera (carte
57 tergo).
1600. 2 agosto. — Al capitano di Raspo. Si approvano i provvedi-
menti da lui presi per la sicurezza del paese. « Per sollevar il peso alla
grave età vostra » si è nominato Francesco Corner a provveditore ai confini,
il quale egli gioverà dei suoi consigli e del suo concorso in tutto ciò che
sarà utile al servizio della patria. Se vi sarà bisogno di grani per le truppe,
lo faccia sapere al Senato e al provveditor generale in golfo (carte 59 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria. Lo si encomia pei provvedimenti
presi per la sicurezza di quel paese ; gli si avvisa l' invio di polvere e di
corda da fuoco. Si spera che 1' insieme dei provvedimenti presi varrà a
tutelare la sicurezza di quella provincia. Se c'è bisogno di grani, lo faccia
sapere (carte 60).
— 33° —
Al suddetto ed ai rettori di Albona e Fianona, Rovigno, Parenzo,
Pirano, S. Lorenzo, Cittanova, Dignano, Isola, Umago, Portole, Molitoria
e Grisignana. Si partecipa la elezione e l' invio in Istria di Francesco Corner
qual provveditore a quei confini. Tutti i rettori dovranno, per ciò che loro
spetta e quando ne siano richiesti, coadiuvarlo nell'adempimento della sua
missione, obbedirne gli ordini, ed avvertirlo di quanto succedesse contro
la quiete e la sicurezza del paese (carte 61).
1600. 5 agosto. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Gli si parte-
cipa che per rintuzzare gli Uscocchi rientrati in Istria danneggiando quella
provincia fu eletto un provveditore, e vi si mandarono rinforzi ; e gli si
inviano copie delle scritture relative (carte 64).
1600. 17 agosto. — Al provveditore ai confini dell'Istria. Gli si manda
copia della seguente. Lo si autorizza ad introdurre in caso di bisogno,
«soldati di ordinanze» nei presidi, e a valersene anche «in altre fattioni »
pagandoli 12 soldi al giorno. Gli si fecero rimettere 1000 ducati per le spese
necessarie, e rimborserà quelle che il podestà di Montona facesse per spie.
Si dispose che gli vengano spedite munizioni; e così pure armi «per servitio
della terra di Buggie».
Si deliberano le suddette spedizioni, dandone incarico ai competenti
ufficiali (carte 66 tergo).
Al podestà di Montona. Lo si loda per la « vigilanza et diligenza vostra
in tutto quello che concerne la quiete et sicurezza di nostri sudditi
essendoci sopra modo cara la fruttuosa vostra sollecitudine in provvedere
a quanto ricercano gli accidenti» e nel suggerire ciò che è opportuno. Circa
l' introdurre soldati d'ordinanze in quella terra, fu scritto al provveditore
ai confini in proposito, col quale s'intenderà nei casi di bisogno, e che gli
somministrerà il denaro per pagarli. Il medesimo provveditore lo rimborserà
anche delle spese ch'esso podestà facesse in spie per sorvegliare gli Uscocchi
e i loro fautori. Si è dato ordine ai provveditori alle fortezze di mandargli
denaro per riparare le mura, ma si contenterà di chiuderne le aperture. In
caso di danni per parte di Uscocchi o altri, lo si richiama all' osservanza
della lettera 27 gennaio 1599; e alla prescrizione di procedere contro i
danneggiami come « da essi fosse proceduto contra i nostri » (carte 67 tergo).
Al podestà di Buie. Si dispose che gli sieno mandati 12 moschettoni
da cavalletto e 100 archibugi « per servitio di quella terra et di quei fede-
lissimi nostri, al bisogno de quali sarà anco sovenuto dal Pro-
veditor » ai confini (carte 68 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria. Lo si avvisa dell' invio di mu-
— 33i -
nizioni, le quali sarà ben custodire a disposizione del provveditore ai confini
(carte 68 tergo).
1600. 12 ottobre. — Al provveditore ai confini dell'Istria. Si encomia
«la diligenza vostra in andare visitando et facendovi vedere in tutte le parti
di quei nostri confini », il che mantiene la tranquilliti nel paese e la fiducia
negli abitanti. Rincresce che i soldati francesi « che sono all'obedienza vostra
siano riusciti sempre più scandalosi, et a' sudditi nostri d' estraordinaria
gravezza per la licentiosa loro natura ». Fece bene però a tollerarli tempo-
reggiando le misure energiche; ma ora, che le altre milizie prestano buon
servizio, li mandi [erano 50] col loro capitano a Venezia, sempre che non
li creda necessari in Istria. Procuri di far « capitar male » i pochi ladri
comandati da certo Moretto «che si fanno sentire cosi nel paese d'Arcidu-
cali, come anco a quei confini » ; perciò s'accordi cogli altri rettori ; lo si
autorizza a prometter taglia di 3000 lire ed altri premi a chi consegnerà
quei malfattori ai rappresentanti di Venezia (carte 95).
iéoo. 19 ottobre. — Al suddetto. Saprà della cattura dell'avvocato
Pincio, che dispiacque assai. Avrà pensato, si crede, anche a vendicar quel
fatto, e gli si ordina « che quando vediate con sicurezza et publica dignità
d' haver opportuna occasione di risentirvi di questa ingiuria, dobbiate ab-
bracciarla per castigo di quelli scellerati ricovratisi nel loco di Rodich
patroneggiato da Giovanni Petaz da Trieste », e per intimorire coloro che
accolgono i malfattori e li aiutano (carte 97 tergo).
iéoo. 26 ottobre. — Al suddetto. Con sue lettere 17, 18 e 19 corr.
partecipò « li particolari delle prede ultimamente fatte da Uscocchi nel porto
di Veruda et delle diligentie che secondo gli ordeni vostri si sono, per
debito risentimento et per giusto risarcimento dei danni, fatte dalle nostre
militie con l'opera del magnifico Colonello nostro Ramusati sotto Zumino,
dove si erano ricoverati quei ladri». Si sa anche che in quell'occasione
Marcantonio Canal destinato conte a Zara soffrì danno rilevante. Gli animali
presi a quei del paese [austriaco] serviranno ad indennizzare quelli che
ebbero a soffrir perdite, compreso il Canal, di ciò avrà cura il provveditore,
come pure di distribuir parte ragionevole delle prede alle milizie (carte
101 tergo).
1600. 3 novembre. — Al provveditor general da mar in golfo. Con-
tinua il bisogno che le due barche armate d' albanesi messe in settembre
a disposizione del provveditor generale in Palma, vi stieno, poiché i ladroni
che infestano le marine dell'Istria ricevono « non piccoli comodi dalla cittì
di Trieste ; et essendo con diverse operationi di male affetto animo fomentati
da Triestini » occorre porvi riparo. I rettori dell' Istria avvertono che gli
— 332 —
Uscocchi stanno progettando nuovi danni, veda perciò il provveditore di
prendere le disposizioni più energiche per ovviarvi. Fra queste si suggerisce
il blocco di Trieste per mare da farsi immediatamente ; lo si avverte di ciò
che si scrive nelle seguenti (carte 103 tergo).
Al sopracomito Contarmi in Istria. Per gli andamenti degli Uscocchi
è necessaria « estraordinaria diligentia nella custodia commessavi da Trieste
per tenere impedito quel transito ». Il provveditor generale in golfo gli
passerà ordini all'uopo. In attesa di essi si farà vedere il più frequentemente
possibile presso quella città a tutela dei naviganti contro i pirati (carte 105).
1600. 3 novembre. — Al provveditore ai confini dell'Istria. S' hanno
avvisi che gli Uscocchi «s'andavano avicinando a ricapitarsi a Trieste per
l' intelligenza che tengono con triestini, et per il fomento che da quella
città riceveno le loro inique operationi ». Si diedero ordini al provveditor
generale in golfo pel blocco di Trieste; esso somministrerà anche rinforzi
di milizie al destinatario della presente in caso di bisogno. Visto il buon
servizio che prestano i Corsi, fu scritto al detto provveditore generale di
conservarle e di portarle a 150 uomini ciascuna; ecciti quindi i capitani
ad arruolare gli uomini necessari .di quella nazione (carte 105).
1600. 7 novembre. — Al provveditor general da mar in golfo. Gli si
ordina di assalire e devastare tutti i luoghi in cui gli Uscocchi trovano
ricetto procedendo per le istesse vie e termini con li quali usano proceder
essi contra i nostri. Si ordinerà al provveditore ai confini dell' Istria di far
lo stesso, « et per stringer maggiormente Trieste, dove principalmente in-
tenderne) smaltirsi le prede et essere assicurate le persone di questi tristi,
faremo partir quanto prima il Capitanio contro Uscochi Belegno, per at-
tendere colla galea Contarina conserva a questo special servino di incom-
modare et assediare quella città, non vi lasciando entrar ne uscir vassello
d'alcuna sorte». Al medesimo scopo si invieranno sei barche. Ordini a
Giorgio Marcovich, ora in Zara vecchia, di assoldare 200 fanti croati e di
andar con essi a Capodistria o a Pirano per servire nelle barche stesse, alle
quali sarà preposto. Ed « importando grandemente che questo assedio sia
principiato senza dilatione et continuato con sollecita diligenza, facendosi
al presente quella città di Trieste nido principale de gli Uscochi»; mandi
colà «uno delli Fano» fino all'arrivo del Belegno. Faccia di più assoldar
200 albanesi per le occorrenze future (carte 107 tergo).
1600. 7 dicembre. — Al provveditore ai confini dell'Istria. Crescendo
V ardire degli Uscocchi che arrivarono a penetrare fino a Monfalcone. ed
avendo essi dato nuovi danni nel contado di Raspo ; gli si ordina di so-
spendere il licenziamento dei francesi. Gli si manderanno nuove milizie, ed
— 333 —
egli cercherà di fare i danni maggiori agli Uscocchi, e specialmente quando
« dopo fatta qualche preda si ritireranno in alcuna delle ville overo altri
luochi », procurerà di assalire la villa o il luogo e lo distruggerà abbru-
cierà quanto potrà. Al bisogno « vi valerete delle Cernide fino a tanto che
possiamo somministrarvi altri aiuti». Ecciterà i capitani Còrsi a completare
le loro compagnie con uomini di quelP isola che prestano ottimo servigio
(carte i io tergo).
1600. io novembre. — Allo stesso. Si suppongono esagerate le voci
che gli Uscocchi stiano preparandosi ad assalir Capodistria o qualche altro
luogo di quella provincia ; in ogni modo gli si manderanno 300 fanti co-
mandati da Andrea Ugoni, da adoperarsi specialmente nella custodia di
Capodistra e di Muggia. Si ordinò anche a Marcello Almerici di assoldare
altri 150 fanti forestieri. Egli poi procuri che resti « repressa la temerità
loro [degli Uscocchi] havendo la mira non solo alla persecutione di tristi
et di fautori suoi, ma anco all'indennità delle città et terre nostre».
E si delibera 1' arrolamento delle suaccennate milizie, aggiungendosi :
« Et alla custodia di Castel Lione dove era destinato esso Almerici sia futa
elettione d'altro capitanio dal Collegio (carte 113 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria. Il provveditore ai confini del-
l' Istria tiene ordini per provvedere in caso si avverassero le voci delle
minaccie d'assalto per parte di quei confinanti in compagnia degli Uscocchi.
Lo si autorizza a rinforzare, al bisogno, il presidio della città con cernide
fino che vi arrivino la milizie già destinate. Gli si partecipano le disposizioni
date al detto provveditore e al generale da mar nelle precedenti. I prov-
veditori alle fortezze gli manderanno 600 ducati per riparar le mura e le
porte della città; egli poi ordinerà «che tutte le porte, fenestre et altri fori
fatti nelle muraglie a comodo delle case di particolari siano immediate
chiuse a spese loro con far .sopratutto levar quelle cose
che apportassero impedimento alla sicurtà di dette mura (carte 114).
Allo stesso [da tenersi secreta]. Circa quello scrive intorno al « Cav.r
Gravisi vecchio », quando i sospetti concepiti a suo riguardo si aggravassero,
sentito il parere del provveditore ai confini, comunichi a quel signore la
seguente, onde venga a Venezia. Ciò fatto riferisca particolareggiatamente
«tutto ciò che haverete contro di lui» (carte iij).
Allo stesso. Desiderando il Senato, nelle presenti occorrenze, di avere
« alcune informationi per servitio nostro » dal cavalier Gravisi il
vecchio, « et stimando grandemente l' isperienza sua, haveremo caro che
egli si transferisca in questa città ». Quanto più presto lo farà, sarà più
gradito (carte 1 15).
— 334 —
iéoo. 22 dicembre. — Al podestà di Rovigno. Gli si ordina la con-
segna all' agente del duca di Mantova di certe fave da esso podestà fatte
sequestrare (carte 129 tergo).
1600 m. v. 24 febbrajo. — Al provveditor general da mar in golfo.
Lo si encomia per gli ordini dati al suo segretario che trattava in Segna
col commissario arciducale Rabbata accordi per le questioni degli Uscocchi.
Faccia poi sapere al detto commissario che in grazia sua saranno svincolati
dal sequestro i beni del Chersainer, la taglia per 1' arresto dal quale sarà
pagata dallo stato (carte 150).
Senato Secreti, voi. XCIV (1601).
1601. 14 marzo. — Al provveditore ai confini dell'Istria. « riabbiamo
bisogno di valerci altrove delli soldati estraordinarii della militia italiana
che si trovano in Istria, et delli Cavalli Dalmatini che sono all'obe-
dienza vostra ». Ordini perciò ai colonnelli « Pietro Conte Gabutio et Leon
Ramussati » di venire a Venezia, e così pure alla milizia e cavalli, al più
presto. Si manderanno, per prenderli, in Istria alcune fregate dalmatine
(carte 6 tergo).
1601. 22 marzo. — Al suddetto. Mandi a Venezia « il Governator
D.Pietro Bizarino; et oltre li soldati italiani et cavalli dalmatini, nei quali
intendemo comprese le lanze spezzate, anco tutti li soldati Corsi
con li loro capi, et così li Francesi, che intendemo essere ridotti in pochis-
simo numero, ritenendo in quella provincia le altre militie Albanesi et
Crovate». Si mandano all'uopo in Istria «alcune fregatone et barche
con ordine alli rettori di Umago et di Parenzo » di avvisare esso provve-
ditore dell'arrivo dei navigli (carte 15 tergo).
1601. 31 marzo. — Al provveditore general da mar in golfo. Per far
cosa grata al commissario Rabbata, e ad istanza del segretario imperiale a
Venezia, si acconsente che tutte le barche « di Fiume, Segna et altri luoghi
arciducali che navigano per quel Canale con provision de viveri,
con mercantie, et per negotio anchora possano liberamente tran-
sitar senza obligo di andarsi a far riconoscere alla torre di S. Marco;
et quanto poi a quella di Gliuba » risolverà esso provveditore se sia da
abolirsi o da conservarsi la visita delle barche. Il provveditore ai contini
-dell' Istria scrisse il 18 di danni inferiti ai sudditi veneti da abitanti delle
ville di Vodizze e Novato ; ne faccia querela al Rabbata, come pure per
gli animali tolti da Triestini nel territorio di Muggia (carte 26).
- 335 -
Si comunicano al segretario imperiale residente a Venezia le disposi-
zioni date nella precedente. « Quanto al fatto di Moschenizze
successe perchè furono in quel luogo ricettati gli Uscochi mentre
erano perseguitati dai soldati per ricuperar una grossa
preda d' huomeni et d' animali rubati a i poveri sudditi nostri
Et se si volesse porvi la man dentro, toccheria a noi et non ad altri il
rifacimento di quel fatto. Et pur hora, mentre noi facemo quanto potemo
per ultimar il negotio, gli Uscocchi delle ville di Vodizze et Novato, giu-
ridittione Arciducale, armati, al numero di dodeci, di arcobusi et altre armi,
hanno nel territorio di Capo d' Istria svaleggiata la casa di un suddito
nostro, batuti et feriti gli huomeni della famiglia ». Oltre a ciò « il mese
passato alcuni Triestini rubarono nel territorio di Muggia 150
animali tra grossi et miuuti » abbattendo le porte della casa e ferendo il
pastore. Si invita il segretario a procurare il risarcimento di tali danni
(carte 27).
1601. 17 aprile. — Si delibera «che li beni che furono di Giorgio
Chersainer siano liberamente donati al Sig.r Commissario [imperiale]
Rebata, acciò di essi possa disporre come e in chi più le sari di piacere
et di gusto (carte 44 tergo).
Al provveditor general da mare in golfo. Lo si avvisa della delibera-
zione precedente presa in seguito a desiderio espressone dal commissario
Rabbata, per donare al quale si manda al provveditore una collana del valore
di 3000 ducati (carte 45 tergo).
1601. 12 maggio. — Si richiama a Venezia Francesco Corner prov-
veditore ai confini dell' Istria, essendo cessato il bisogno dell'opera sua in
quella provincia ; e gli si ordina di mandare al provveditor generale in
golfo i 75 croati che ancora restano colà sotto i suoi ordini (carte 56 tergo).
Si scrive in proposito ad esso Corner lodandolo dei servigi prestati
(carte 56 tergo).
1601. 15 maggio. — Al provveditore ai confini dell'Istria. Mandi al
provveditor generale in golfo i 5588 ducati che gli avanzano; delle libre
7700 di polvere pure avanzate lasci la quantità che crederà necessaria nei
depositi dell'Istria « per le ordinarie esercitationi », e il rimanente lo mandi
a Zara (carte 57).
Si scrive in conformità di quanto sopra al provveditor generale in
golfo (carte 57).
1601. 5 giugno. — Lagnatosi il segretario cesareo di un «insulto
fatto dalla barca del sopracomito Contarmi ad una barchetta di
pescatori austriaci che stavano pescando dentro il Zoco, nelle acque vicine
- 336 -
alla città di Trieste»; si ordina al «Capitano della guardia contro Uscochi »
d' informarsi del fatto, e se vero di far restituire agli austriaci ciò che fosse
loro stato tolto, castigando i colpevoli (carte 74).
1601. 5 giugno. — A «Francesco Contarmi sopracomito alla guardia
di Trieste a. Vada a mettersi sotto gli ordini del « Capitano da mar sotto
il quale sete destinato » (carte 74).
1601 m. v. 18 gennajo. — Al provveditor generale in golfo. Pervenuta
la notizia della morte data dagli Uscocchi al commissario imperiale Rabbata,
gli si ordina di tornar subito nel Quarnero per ovviare a qualsiasi evento
(carte 170).
Al capitano di Raspo. Lo si encomia pei provvedimenti presi, in seguito
alla morte del Rabbata, si scrisse al provveditor generale in golfo e al ca-
pitano contro Uscocchi « che stiano bene avvertiti, et sopra tutto procurino
con ogni mezzo possibile di penetrare nella vera causa di questa morte »
e d' informarsi di tutti gli altri particolari che ne potessero derivare; pro-
curi egli pure di aver le più possibilmente esatte informazioni su tutto ciò;
e all' uopo sarà rimborsato delle spese (carte 170 tergo).
1601 m. v. 23 febbrajo. — Al provveditore in Istria. Mandi a Venezia,
ai Savi alla mercanzia, la barca, col suo carico ed equipaggio, che, partita
da Trieste per Ancona, era stata fermata, dalle barche venete armate, nel
porto dell' Olmo grande. Mandi pure il processo formato in proposito
(carte 184).
Senato Secreti, voi. XCV (1602-160)).
1602. 2 marzo. — Al suddetto. Avendo egli risposto alla precedente
che aveva ricevuto da Giusto Morello, padrone della barca suddetta, joo
ducati in seguito a sentenza da lui pronunciata ; gli si ordina di mandar
quel denaro ai cinque savi alla mercanzia, facendosi restituire gli importi
parziali che su quella somma egli avesse assegnato ad alcuno (carte 1).
1602. 7 settembre. — «Essendosi inteso da lettere scritte a
Francesco Giustinian Savio del Consiglio da M. Antonio Pola da lui co-
nosciuto mentre s' è trovato Proveditor in Istria, la buona disposinoli di
esso Pola » di condurre ad abitare in Istria alcune famiglie forestiere ; si
autorizza il Giustinian a rispondere esser la cosa grata al Senato, e che il
Pola potrà rivolgersi al capitano di Raspo il quale ha facoltà di trattare in
argomento (carte 40 tergo).
Al capitano di Raspo. Gli si comunica che Marco Antonio Pola « ri-
— 337 —
dottosi per occasion di bando nel paese Arciducale » aveva indotto alcuni
morlacchi malcontenti a venire a stabilirsi in Istria verso concessione di
terreni nei distritti di Parenzo o Cittanova. Gli si dà poi facoltà di trattar
la cosa col Pola [e di accordare all' uopo temporaneo salvo condotto al
medesimo] usando le debite avvertenze, per pei riferire le condizioni stabilite
al Senato (carte 41).
1603. 23 agosto. — Al podestà e capitano di Capodistria. Lo si en-
comia pei provvedimenti presi negli ultimi del luglio e primi del corrente
pei danni dati da austriaci nella villa Grimaldi, territorio di Pietra Pelosa,
e in seguito ai minacciosi adunamenti che si dicevano farsi in quel di Pisino.
Si spera che, tornato tutto in quiete, non abbiano a lamentarsi novità. Va
bene che abbia comunicato il tutto al capitano di Raspo e si sia posto
d'accordo con esso. Continui nella vigilanza onde non insorgano pregiudizi
(carte 150).
Al capitano di Raspo. Gli si scrive in conformità alla precedente. Lo
si loda per le disposizioni prese, per la buona intelligenza passata col podestà
e capitano di Capodistria, per le istruzioni date al sergente Pietro del Zacco
che eseguì le sue incombenze senza « dar materia di scandolo » (carte
150 tergo).
1603. 13 settembre. — Al podestà e capitano di Capodistria. Volendo
il Senato avere alcune informazioni da Gio. Battista Ingaldeo di quella città,
podestà a Due Castelli e dal cancelliere di questo, gli inviti a portarsi quanto
prima a Venezia ed a presentarsi al Collegio. Provvederà a sostituirli in
ufficio pel tempo della loro assenza.
Da postilla in margine si rileva che la deliberazione fu presa in seguito
a lettera del capitano di Raspo del 25 agosto (carte 162).
Senato Secreti, voi. XCVI (1604-160)).
1604. 20 aprile. — Al provveditore di Novegradi. La sua lettera del 6
porta l' istanza « fattavi dal Conte Cosmo di Carponti e Mattio Visconti
suo fratello di concederli di potersi transferir con le fa-
miglie et robbe loro nell'Istria». Gli si risponde aderendo e che al capitano
di Raspo si danno gli ordini opportuni, al quale dovranno i suddetti ri-
volgersi. Dia poi loro tutti gli aiuti e comodi per l'adempimento del loro
progetto, ma senza che apparisca il suo intervento (carte 22 tergo).
Al capitano di Raspo. Gli si comunica la risposta data come sopra ai
conti di Carponti sudditi turchi. Desiderando il Senato che siano esauditi,
-338-
il capitano assegnerà loro terreni nella quantità e nel luogo che crederà
convenienti, ordinerà «ai Rettori delle marine dove capiteranno» di trattarli
bene e di indirizzarli alle località loro assegnate. Si autorizza poi lo stesso
capitano a «poter, per l'indennità di simili novi venuti et che veniranno
da paesi alieni, castigar li transgressori degli ordini vostri» anche con bando
dagli stati tutti della Republica, « si che da ognuno se gli abbia quel rispetto
che si deve (carte 23).
1604 18 maggio. — Al podestà e capitano di Capodistria. Con sue
lettere del 24 aprile partecipò il tentativo dei sudditi austriaci di Pisino
«con rompere il confine notabile di pietre» che separa quella giurisdizione
dal territorio veneto della villa Grimalda. Gli si ordina di « restaurare il
confin di pietra», e poi di procedere contro gl'infrattori, «conforme a quello
che loro hanno fatto contra il Zuppano et altri habitanti della villa di Gri-
malda ». Se il capitano di Pisino lo invitasse «a cavalcar sopra quei confini »
acconsenta, aggiungendo « essere necessario che preceda autorità sufficiente
dalli Prencipi di poter trattare, decidere et amicabilmente componere tutte
le difficultà tanto presenti quanto passate per le usurpationi tentate, conivi
fabricati et altre violenze usate da sudditi di Pisino a nostri » che Venezia
è pronta a prestarvisi. Dalla lettera però scritta da quel capitano al podestà
e capitano il 5 novembre, apparirebbe che intenda di trovarsi con questo
ultimo « sopra il loco contentioso a solo fine di far giustificar con la de-
positione de testimonii la sua usurpatione et autenticar con la vostra presenza
il suo esame sopra le cose presenti, senza parlar delle usurpationi vecchie »
il che non si può ammettere. Frattanto procuri « di conservar il possesso
de' nostri intendendovi bene col Capitatilo di Raspo in tutto ciò
che vi occorresse per sicurezza de nostri sudditi » (carte 30).
1604. io luglio. - «Al Capitatilo di Raspo. Dalle lettere vostre di 6
et 7 havemo inteso il modo tenuto da voi per risarcirvi delli pre-
giudizi fatti da quelli di Pisino nella villa di Grimalda » e gli se ne danno
lodi eccitandolo a continuar nella stessa via anche nei casi eventuali futuri.
Rimessa però Venezia in possesso del suo, si eccita il capitano a far prudenti
aperture coi ministri arciducali per iniziar trattative onde venire ad una de-
finizione soddisfacente di tutte le questioni fra i due stati (carte 47 tergo).
1604. io luglio. — Al podestà e capitano di Capodistria. Essendosi
« li nostri risarciti delli pregiudicii fatti loro d'Arciducali con si-
curezza et dignità pubblica », stia « molto avertito a tutti li movimenti de
vicini per oviare ad ogn'altro tentativo che volessero fare ». Queste continue
violenze spiacciono e perciò si scrive al capitano di Raspo quanto è esposto
nella precedente (carte 48).
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1604. ié ottobre. — Trovandosi nelle acque di Rovigno «un vassello
con trecento miara de ogli » si delibera che Zaccaria Morosini sopracomito
« debba la notte prossima transferirsi con la sua galea nell' Istria » ed as-
sicurarsi, « per quelle vie che saranno necessarie » che il vassello sia con-
dotto a Venezia (carte 92).
1604. 18 novembre. — Al capitano di Raspo. Si approva il suo ope-
rato col capitano di Pisino per venire ad un accomodamento delle questioni
vertenti, eccitandolo a continuare. Quando si sapranno le intenzioni del-
l' arciduca Ferdinando, si daranno al capitano maggiori istruzioni (carte
108 tergo).
1604. 4 dicembre. — Al provveditor generale in Golfo. Dovendo
« capitar in Istria un vassello carico di miara 300 in circa di oglio, pavo-
neggiato da Stefano Vendimato, con disegno di passar in aliena
giuridittione »; si ordina al provveditore di far fermare quel legno quando
approdasse in Istria e di mandarlo a Venezia (carte 112).
Senato Secreti, voi. XCVII (1606).
1606. 8 aprile. — Al provveditor generale in Dalmazia ed Albania.
Gli si partecipa che gli Uscocchi assalirono e depredarono « nel nostro
proprio porto di Vestre sotto Rovigno una fregata nostra da Cattaro, patron
Tomaso di Gregorio, che vi espedissimo a posta a primo del corr. con
dispazzi nostri di molta importantia ». Gli si danno ordini di provvedimenti
militari all' uopo, e di scrivere al capitano austriaco di Segna, lagnandosi
acerbamente del fatto e chiedendo risarcimento dei danni e castigo dei
colpevoli (carte 18).
1606. 12 aprile. — Al provveditore generale per Corfù, Zante e Ce-
falonia, al Lido. « Gli avisi che gli Uscocchi con tanta temerità si tratte-
nessero nell' Istria a danni delle barche et sudditi nostri, pervenutici nel
procinto della vostra partita», persuadono il Senato ad ordinargli «che nel
passar per Istria con le tre galee che vi trovate, doveste per ogni
via possibile perseguitarli con autorità di valervi di huomini, barche
et altro delle terre » di quella provincia. Occorrendo però la più sollecita
sua presenza in Corfù, procurerà di sbrigarsi al più presto in Istria, lascierà
gli ordini che stimerà necessari a quei rettori «perchè espediremo imme-
diate a proseguir quest'opera il Capitanio nostro contra Usocchi» (carte 21).
1606. 25 agosto. — Al capitano di Raspo. Dispiacciono «le novità
seguite in villa Grimalda col possessore di Lupoglavo » ; si approva « la
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risolutione fatta di dar licentia a' nostri di risarcirsi con quelli di Lupoglavo
del danno, Quanto poi alle novità seguite nella villa di Grimalda,
il pod.à e cap." di Capodistria ne scrive che si saria risarcito, et volemo
sperare che lo haverà fatto ». Se no, gli si danno ordini in proposito [veggasi
la seguente]. Conseguito il risarcimento, faccia sentire al capitano di Pisino
la convenienza di terminare una volta tutte le questioni per evitare il rin-
novarsi di fatti spiacevoli (carte 63).
Al podestà e capitano di Capodistria. Dispiacquero « le novità seguite
in villa Grimalda che possono dare occasione a mag-
giori scandali, massime » non sapendosi « che sorte di soddisfattone habbiate
data alli finitimi per l'eccesso che li nostri commessero in essequir l'ordine
che allora desti loro di risarcirsi di certo danno ricevuto ». Riferisca perciò
sul processo, sulla sentenza e sull' esecuzione. Circa il risarcimento « del
spoglio fatto di presente alli nostri », quando non sia già seguito, si ac-
consente che i sudditi se lo procurino da se « senza mostrare di haver
vostro ordine». Prima però s'intenda col capitano di Raspo, il quale darà
« commissione tale a chi doverà far 1' esseeutione, che non seguano delli
disordini ». Se dopo accomodato questo particolare il capitano di Pisino
mostrasse desiderio di un accomodamento generale, vi si mostri propenso,
e scriva (carte 63 tergo).
1606. 5 ottobre. — Al podestà e capitano di Capodistria. «Intendendo
noi che da Trieste et da altri luochi circonvicini siano portati con barche
molti grani in alieni paesi », gli si mandano «tre barche armate
di Albanesi » con ordine che incontrando queste alcuna di quelle, le ob-
blighino a venire a Venezia. — Si delibera che il Collegio invìi le barche
e ne elegga il capo « di esperienza et valore » (carte 76).
Al capitano di Raspo. Si apprese con soddisfazione « quanto avevi
operato per risarcimento de nostri a quei confini, trattando colli finitimi
dell' istessa maniera ch'essi usano con nostri et con la via delle
reppresaglie et col mezo delli proclami et delle indolenze et laudiamo l' in—
trodutione fatta col Capitanio di Pisino per qualche amicabile trattatione ;
et poi che trovate dal canto di là buona disposinone a questo », procuri
di mantenerla col mostrarla del pari per parte di Venezia; «fra tanto sarà
bene che gli interessati mettano insieme » i titoli dei loro diritti per farli
valere a tempo. — E della presente si manda copia al podestà e capitano
di Capodistria perchè vi si uniformi (carte 79 tergo).
1606. 7 novembre. — Si delibera di far lagni col segretario cesareo
contro i sudditi arciducali di Pisino e « il possessor di Lupoglavo », che
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danneggiarono gli uomini di villa Grimalda ; onde faccia uffici presso l'ar-
ciduca perchè faccia finire tali inconvenienti (carte 87).
1606 ni. v. 6 febbrajo. — Ad istanza dell'ambasciatore del re di Spagna
e del segretario dell'imperatore «di liberare alquante barche cariche di grano
ed altre merci che da Trieste passavano sotto vento, et sono state ritenute
et mandate in questa città» per sopperire ai bisogni dell'annona; si deli-
bera « che ahi patroni sia pagato prontamente il grano et usata ogni cor-
tesia, liberando le barche con il restante del carico senza obligarli
a quelle spese che giustamente si potessero pretendere » (carte 1 1 1).
1606 m. v. 17 febbrajo. — Si ordina al provveditor generale in Dal-
mazia e Albania di spedire nelle acque di Trieste una galea con alcune
barche con commissione di arrestare e condurre a Venezia i « vasselli » che
partiti da Trieste e d' altri luoghi arciducali portano « formenti per sotto-
vento ». Ciò per approvvigionare Venezia che patisce difetto di grani (carte
1 16 tergo).
Senato Secreti, voi. XCVIII (1607).
1607. 2 marzo. — All'ambasciatore all'imperatore. Giustifichi con quéi
ministri l'arresto e l' invio a Venezia fatti dalle galee publiche « di alcune
barche che da Trieste passavano sotto vento cariche di formenti». Il che
fu fatto per la penuria di grani in cui è lo Stato, non per interrompere
il commercio ; ed è cosa « permessa dalle leggi et usata da ogni Principe
in casi simili di necessità ». Del resto si ordinò « che a i Patroni fusse
pagato prontamente il grano, et usata ogni cortesia, liberando le barche col
restante carico » (carte 2).
1607. 7 aprile. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. Circa
1' offerta fatta « dal Carambassà di Cherpoti di venir al servitio della Re-
publica nostra» conducendo 15 o 20 famiglie nelle quali sarebbero «più
di 40 eletti archibusieri » ; lo si eccita a dispor « 1' animo di esso Caram-
bassà di accettare habitatione ordinaria nelP Istria ». Il che però non si mette
per condizione assoluta, lasciando al provveditore libera la scelta del domi-
cilio da assegnarsi anche in Dalmazia.
Lo stesso si risponde circa « al Capo de Morlacchi che veniria pron-
tamente con 40 famiglie » (carte 24 tergo).
1607. 7 giugno. — Al podestà di Cittanova. « Il secretano cesareo si
è doluto con noi che il vassello pavoneggiato da Antonio Bonato triestino,
capitato in quel porto per fortuna sia stato trattenuto da vostri ministri,
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et posti in prigione li marinari », in onta avesse carte che lo autorizzavano
a navigare. Gli si ordina di lasciar liberi tosto legno ed uomini (carte
49 tergo).
1607. 19 luglio. — « All'Ambasciator in Corte Cesarea. Siamo avisati
dal Podestà di Rovigno con lettere di XIII del presente et da
altri della depredatione ultimamente fatta da Uscocchi di alcune
nostre fregate et vasselli nelF Istria, con l' asportatione di cavedali di gran
valore et con la morte di molti passeggieri Turchi et prigionia
di alcuni Hebrei, et con altre male circonstanze ». Ciò reca tanto
più dispiacere in quanto i sudditi arciducali sono trattati con ogni amicizia.
Si fecero col segretario imperiale i convenienti reclami. E si commette all'am-
basciatore di farli dal suo canto all' imperatore reclamando energici prov-
vedimenti (carte 75).
1607. 14 agosto. — Si commette al nuovo provveditore in Dalmazia
e Albania di proseguire le pratiche per condurre ad abitare negli stati veneti
« Caram Bassa di Carpoti » ed il capo di Morlacchi, già mentovati (carte
90 tergo).
1607. 12 ottobre. — All'ambasciatore alla corte imperiale. Il capitano
contra Uscocchi scrive essere il generale di Croazia dispostissimo alla re-
stituzione delle prede di cui è parola nell'antecedente del 19 luglio, e non
aspetta che d' aver ordine di consegnarle. Procuri esso ambasciatore gli
ordini stessi (carte 109 tergo).
Si scrive in conformità al capitano contro Uscocchi con opportune
istruzioni (carte no).
Senato Secreti, voi. XCIX (1608).
1608. 2 maggio. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Avrà avuto notizia « dell' insulto et violenza usata da Uscocchi alla città
di Puola, saccheggiandola et depredandola » ; se gliene mandano le notizie
avutene [in data 30 aprile] dai rettori di detta città e di Rovigno. La cosa
recò grande « dispiacere sì per quello che tocca il publico interesse di haver
svalleggiata una città nostra, occupato il palazzo del publico rappresentante
come anco per quello che concerne il privato rispetto » dei poveri
sudditi. Non si sa precisamente chi siano i malfattori né donde venuti ;
p£ixiò intanto aduni il maggior numero possibile di navi e barche da lui
dipendenti, le armi bene, e procuri « di risarcirvi dell' ingiuria ricevuta nel
miglior modo che potrete ». Se i malfattori fossero di Segna, o usciti di
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là, dovrà « tener incomodata Segna, Fiume, Buccari, tutto il
Vinadol, et altri luoghi dove sogliono haver nido e ricetto li Uscocchi, ma
anco Trieste, dove fanno esito delle prede, con prohibire l' ingresso et
uscita ad ogni sorta di vassello dalli sopradetti luoghi, et con perseguitare
i ladri in tutti i modi possibili per mar et per terra ». Manderà a Venezia
tutti i legni di Trieste che arresterà, e dividerà « ad uso di guerra » quelli
di Segna e del Vinadol, ponendo alla catena gli uomini di queste ultime;
e si danno altre disposizioni (carte 13 tergo).
Al provveditore Priuli in Istria. Gli si dà parte delle disposizioni con-
tenute nella precedente. Il provveditor generale in Dalmazia s' intenderà con
lui per la difesa dell' Istria. Perciò si dà facoltà ad esso Priuli « di poter
disporre di tutte le militie di quella provincia, tanto di ordinanze et fanti
a piedi, come di cavalli » ecc. come nella seguente (carte 15).
« Patentes. — Leonardus Donato Dei gratia dux Venetiarum etc. Uni-
versis et singulis Repraesentantibus nostris in Istria existentibus, fidelibus
dilectis, salutem et dilectionis affectum. Commettemo al diletto nobil nostro
Francesco Priuli Prov.r sopra la sanità in quella Provincia, di ben intendersi
col Proveditor nostro General in Dalmatia nelle presenti occorrenze de
Uscocchi, et potendo essere eh' habbia bisogno di valersi delle genti delle
ordinanze et delle militie a cavallo che si ritrovano nelle giuridittioni sot-
toposte a cadauno di voi, in tutto o in parte, secondo la qualità de gli
accidenti, vi commettemo col Senato, che ad ogni sua rechiesta debbiate
inviarle quel numero di dette militie che vi ricercherà essequendo
il di più eh' egli vi aviserà in questa occasione per il nostro servitio »
(carte 15 tergo).
Si partecipa quanto sta nelle precedenti all' ambasciatore presso l' im-
peratore (carte 16).
1608. 8 maggio. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Vengono dall' Istria voci di minaccie per parte degli Uscocchi. Non si dubita
della sua oculatezza e previdenza; lo si eccita a stare in guardia, e perchè
non trovi ostacoli gli si conferisce sull' Istria la stessa autorità che ha sulla
Dalmazia e l'Albania « onde tutti habbiano a rispettarvi et riconoscervi per
superiore, et obedire alli vostri ordeni et commissioni ». S' intenderà col
provveditor Priuli, col capitano di Raspo e cogli altri rettori sui provve-
dimenti da prendersi. Gli si manderanno rinforzi di « fanti Corsi et Italiani »
che si stanno adunando in Padova. Si spediscono munizioni a Capodistria.
Gli si comunicano notizie di «certi successi seguiti alla galea Bragadina et
tre barche de Albanesi eh' erano seco mentre combattevano tre barche de
Uscocchi, et parimenti alla galea Gritti et altre genti albanese nel territorio
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di Puola » ; ne faccia formar processo per castigare i colpevoli (carte
17 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria. Dai provveditori all' artiglieria
riceverà libbre 3000 di polvere, 2000 di piombo e 2000 di corda ; conse-
gnerà tutto ciò a quel « monitionero » a disposizione del provveditor ge-
nerale Zane e del provveditore Priuli. Lo si avverte dei poteri conferiti al
detto Zane, comunichi la cosa agli altri rettori dell' Istria, e lo riconoscano
tutti per superiore (carte 18 tergo).
Al provveditor Priuli in Istria. Si spera che giunto in Quarnero il
provveditor generale Zane, avranno stabilito insieme il da farsi « per assi-
curar la navigatione et l'Istria dalle invasioni de Uscocchi ». Lo si avvisa
dell' invio delle munizioni come sopra e dei poteri conferiti al provveditor
generale in Dalmazia. Il capitano di Raspo « senator della intelligentia et
pratica che vi è noto », scrive di disegni d' Uscocchi contro Venezia ; si
ponga d' accordo con lui. Si accorda che in « caso che li nostri s' incon-
trino con Uscocchi, possano neh" atto di combatterli et fugarli, seguitarli
per conveniente spacio anco dentro nella giuridittione arciducale, et abrug-
giar le case dove si riducessero per salvarsi » (carte 19).
Al capitano di Raspo. Si approva quanto fece « nelle presenti occor-
renze d' Uscocchi»; lo si avvisa dei poteri accordati al provveditor generale
in Dalmazia che riconoscerà per superiore e come capo della provincia; tanto
il predetto quanto il provveditor Priuli tengono ordine di andar d'accordo
col capitano in «quanto occorre». Si autorizza, in caso di combattimento con
Uscocchi, l'invasione del territorio arciducale, come sopra (carte 19 tergo).
Al podestà di Albona. Lo si loda pei provvedimenti presi per la si-
curezza de' sudditi contro gli Uscocchi, e per le ottime sue intenzioni; gli
si comunica 1' autorizzazione all' ingresso nel territorio arciducale, come
sopra (carte 20).
1608. 26 agosto. — Al provveditor Priuli in Istria. Gli si accorda il
ritorno a Venezia essendo cessati i motivi per cui era stato mandato in
Istria (carte 57).
Senato Secreti, voi. C (1609-1610).
1609. 26 maggio. — Si delibera che quattro barche con olio caricato
a Trieste e dirette a Gradisca e Fiumicello, ed arrestate « dalla barca longa
dell'officio del sai nel porto di Lisonzo » siano, ad istanza dell'ambasciatore
imperiale, liberate (carte 17 tergo).
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1609. i8 luglio. — In risposta a reclami fatti dall'ambasciatore im-
periale per l'arresto fatto da ufficiali del magistrato al sale d'una barca di
Trieste carica di sai di Pirano ; si giustifica l'arresto stesso, e si rifiuta la
liberazione. Si fanno poi lagni « che li Ministri di sua Altezza [l'arciduca]
ogni giorno accrescano le novità et specialmente a danno de
sudditi nostri dell' Istria, procurando coatra ogni termine di buona vicinanza
di privarli di quell' honesto beneficio che hanno goduto per an-
tichissima consuetudine, et in virtù de conventioni stabilite con
la città di Trieste et colli Ser.mi [Arciduchi] prohibendo com-
mercio de sudditi arciducali con nostri, con vittuarie et altra sorte di robbe».
Si invita l'ambasciatore a far sì che l'arciduca faccia togliere simili incon-
venienti. — Si ordina ai provveditori al sai di far « ritener qualunque barca
de sali che [i loro ufficiali] trovassero navigar per Trieste o altrove » (carte
36 tergo).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. Mandi al podestà e
capitano di Capodistria due barche armate per « essequire gli ordeni et
commissioni che saranno loro date dalli Proveditori al sai » (carte 39).
1609. 13 agosto. — Avendo «Zorzi Bucci da Trieste» denunziato che
« quattro scelerati con complicità di un publico Ministro, da sei
anni in qua hanno condotto et tuttavia conducono fuori d'una terra nostra
dell'Istria gran quantità di sali, trasportandoli in terre aliene»; si delibera
che, verificata la cosa, ed avuti in mano e puniti i rei, il detto « Zorzi
Bucci con Eletto da Trieste, Lorenzo Furlan, et Oliviero Carletto
da Marat! siano assoluti dalla condanna della galea » inflitta loro
dai provveditori al sale (carte 41).
1609. 20 ottobre. — Al podestà di Albona. Lo si encomia per la di-
ligenza « da voi usata nella conservatione de nostri confini ». Continui,
attenendosi al decreto 20 settembre 1578, e verificando con cura la sussi-
stenza delle usurpazioni ; mandi a Venezia copia delle carte relative ai luoghi
in contestazione (carte 60 tergo).
1609. 22 ottobre. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Gli si raccomanda di non lasciare che sotto alcun pretesto le due barche
mandate « in Istria per oviarc alla condotta de sali in Trieste et altri lochi
arciducali » non abbandonino mai, sotto verun pretesto, il loro servizio.
« Et perchè siamo informati che in breve devono incaminarsi a Trieste
alcuni vasselli grossi carichi di sale », gli si ordina di « inviar in Istria una
galea con spetial mandato di trattenere qualunque vassello che con carico
di sale si trovasse andar a Trieste overo in altro luogo arciducale»; il che
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faran pure tutti i comandanti di legni che si trovassero in quelle acque
(carte 61 tergo).
1609. 11 novembre. — Al provveditor al sale Zorzi destinato in Istria.
« Siete benissimo informato della salerà che arciducali hanno introdotta in
Trieste, et della prohibitione che hanno fatta severissima a tutti li suoi
sudditi di non venir a pigliar sali nell' Istria, ne haver seco alcuna
sorte di commercio, et questo sotto rigorose pene, et contra la dispositione
delle capitulationi che habbiamo con la terra di Trieste et con la Ser.ma
Casa d'Austria. Per oviare al pregiudicio che ne ricevemo com-
mettessimo al Magistrato al sai di usar ogni diligenza con le sue barche et
con altre due de albanesi », e si ordina al provveditor generale in Dalmazia
e Albania di mandarvi una galea [vedi sopra]. « Hora che voi havete a
fermarvi nell' Istria per essequire le commissioni datevi dal Col-
legio del sai in questi negotii », gli si ordina di usar la massima diligenza
per impedire che sia u condotta alcuna quantità di sali in Trieste et altri
luochi arciducali, non tanto da nostri sudditi quanto da altri alieni », ca-
stigando i primi, e facendo arrestare e mandando a Venezia i legni dei
secondi. All'uopo si mette a sua disposizione un'altra galea. Gli si raccomanda
poi di agevolare trattative con Trieste e coi sudditi arciducali per togliere
simili inconvenienti, quando gliene fossero fatte aperture (carte 65 tergo).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. « Il Collegio al Sai
ha espedito in Istria Alvise Zorzi, uno delli Provveditori al Sai,
per varie occorrenze spettanti al loro magistrato ». Ad ogni richiesta dello
stesso Zorzi, il provveditor generale gli spedirà un'altra galea, oltre la già
destinata colla ducale 22 ottobre (carte 66).
1609. 19 dicembre. — Al provveditor Zorzi. Si approva la sua con-
dotta nell' esecuzione delle sue incombenze. Così pure 1' arresto di « doi
vasselli usciti da Trieste, carichi di ferri et azzali stimando
noi bene che conoscano da ciò quelli di Trieste li danni et incomodi che
se gli possono apportar da nostri ». Intanto trattenga i due vascelli. Il prov-
veditor generale in Dalmazia ha ordine di corrispondere alle sue domande
perchè non resti mai privo di barche e di uomini onde vigilare il contrab-
bando. Si è mandato il sopracomito Contarmi a porsi a disposizione d'esso
Zorzi. Stia sempre pronto ad accogliere le aperture di accomodamento
che facessero gli arciducali, e subito ne riferisca. Si hanno lettere da Ca-
podistria [di quel podestà e capitano] che avvisano « che da uno delli ap-
paltadori de sali a Trieste sia concesso ad ognuno di venir nel nostro Stato
a levar sali, ma con aggravio però de 1. 5 et s. 1 3 per cavallo di più di
quello che pagavano per avanti » (carte 70 tergo).
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i6io. 17 aprile. — Al capitano di Raspo. Partendo da Pirano il prov-
veditor Zorzi, e non volendo il Senato interrotto l' impedimento dell' im-
portazione del sale a Trieste e ai paesi arciducali, si danno al capitano, in
proposito, le commissioni e gli ordini impartiti 1' 1 1 novembre scorso al
Zorzi. Il provveditor generale in Dalmazia gli manderà una o due galee.
E si scrive in conformità a quest' ultima (carte 99 tergo).
1610. 21 maggio. — Al suddetto. «Li ambasciatori della
città di Capodistria ne hanno esposto 1' afflinone nella quale si
si trovano per causa della saliera di Trieste, et della prohibitione del com-
mercio fatta da Arciducali alli loro con li nostri sudditi ». È questa una
infrazione ai trattati esistenti fra Venezia e Trieste e la Casa d' Austria ;
perciò proibisca « a triestini il commercio non solo de sali, ma di qualunque
altra robba solita contrahersi et condursi a Trieste per mare
dando voi ordine alle galee et barche che saranno sotto la vostra obedientia,
di trattener et rendersi obediente, con ogni maniera possibile, ogni
vassello et barca che trovassero entrare et uscire di là, sia de chi esser si
voglia Tutte quelle che troverete cariche de sali per Trieste,
Fiume et altri luoghi arciducali inviarete in questa città al Magistrato del
sale. Quelle che saranno cariche di altra sorte di robbe, essendo di triestini
et sudditi arciducali, invierete in questa Città con inventario alli Savii alla
Mercantia ». Le navi d' altri paesi saranno, per la prima volta, rimandate
con intimazione di non tornare; se facessero ciò si prendano e si mandino
a Venezia. I legni veneziani o sudditi presi in contrabbando saranno donati
a quelli che li prendessero. Questi ordini saranno proclamati in Capodistria
e in altre terre di quella provincia, premettendo farsi ciò « per sola indennità
de sudditi, et a solo fine di ridurre le cose al suo dritto e dovere». Si
diede ordine « al Governator del Dacio dell' Insida di non dover espedire
bollette per Trieste ». Il provveditor generale in Dalmazia e Albania ha
ordine di mandarle al capitano due buone galee per usarle nelle presenti
circostanze. Gli si raccomanda ogni premura per adempiere quanto sopra
(carte 108).
16 io. 21 maggio. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Mandi al capitano di Raspo due buone galee. Faccia poi « ritener ogni
vassello che incontraste carico di sali per Fiume, Trieste et altri luochi
Arciducali, mandandolo di qua », e così pure tutti gli altri legni come è
detto di sopra (carte 109).
Al capitano in Golfo. Ordini per 1' arresto di legni diretti a Trieste,
come nelle precedenti (carte 109 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria. Gli si manda copia degli ordini
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dati al capitano di Raspo; coadiuvi quest'ultimo in quanto gli sarà pos-
sibile, specialmente se « accadesse valersi dell' aiuto et opera delli nostri
fidelissimi, tanto in rinforzar le galee quanto in concorrer con
barche et in altra maniera a far qualche esseeutione » (carte no).
All'ambasciatore in corte imperiale. Gli si partecipano le disposizioni
prese per impedire il commercio marittimo dei paesi arciducali, giustifican-
dole col contegno dei « Ministri di quei luoghi, li quali per maggiormente
assicurarsi che niuno ardisca di haver commercio hanno deputato Uscocchi
alla guardia de passi et delle strade, et hanno incrudelito fin contra li proprii
loro sudditi che secondo 1' antico uso venivano neh" Istria, ammazzandoli
e togliendoli li cavalli et robbe che poi hanno venduto al publico incanto
in Trieste; indicio manifesto del loro mal animo». Se ha occasione di
parlare coli' arciduca Ferdinando o con alcuno de' suoi ministri, si valga
di questi argomenti per giustificare le misure prese dal Senato (carte no).
1610. 7 giugno. — Al capitano di Raspo. Trovandosi inutile più lunga
permanenza del provveditor Alvise Zorzi in Istria, è richiamato. Il capitano
assumerà quindi da solo 1' attendere a alla prohibitione del commercio a
Triestini ». Perciò si recherà in Capodistria o dove crederà poter esercitar
meglio la sorveglianza opportuna. Si diedero tutte le disposizioni « acciò
possiate stringer quanto più vi sia possibile li Triestini, et incomodarli in
modo » di affrettare in loro il desiderio del componimento. Accolga poi le
aperture fattegli dal vescovo di Trieste, senza però impegnarsi ; dimostri
tutto esser derivato dall' agire degli arciducali contrario ai trattati e alle
consuetudini di buona vicinanza ; Venezia è pronta a ritornare i buoni
rapporti quando si tolgano le cause della loro alterazione. Trattando col
vescovo, mostri di farlo come da se e senza incarico o autorizzazione su-
periore (carte 123 tergo).
Al provveditor Zorzi. « Per causa del vostro andare in Dalmatia » fu
commesso al capitano di Raspo di sostituirlo nel presiedere alle disposizioni
contro il commercio di Trieste ; ritornato il Zorzi in Istria, lasci che il detto
capitano continui nell'incarico, ed egli se ne venga a Venezia (carte 124).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. Mandi subito, se già
non 1' ha fatto, al capitano di Raspo le due galee delle quali gli fu già
commesso l' invio al predetto (carte 1 24 tergo).
16 io. 26 giugno. — Al capitano di Raspo. Si approva il modo di
trattare da lui tenuto col vescovo di Trieste, e di essersi limitato a doman-
dare «che si rimovano le novità». Si è sentito con piacere che quel prelato,
non trovandosi autorizzalo a trattare, ne abbia scritto all' arciduca. Se il
vescovo domanderà nuovi abboccamenti, accetti, dichiari esser Venezia di-
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spentissima a riannodar buoni rapporti, ma innanzi tutto dover cessare le
novità e restituirsi « la libertà de' passi et del commercio nel termine ch'erano
alla introduttione della Saliera » la quale così verrà a restare inutile. Gli
si danno altre istruzioni sul modo di contenersi in caso di ulteriori trattative.
Intanto continui vigorosamente ad adempiere a ciò che gli è stato commesso
(carte 131 tergo).
1610. 6 luglio. — All'ambasciatore imperiale in Venezia si fa leggere:
Fin da 16 mesi addietro gli si fecero rimostranze e si chiese rimedio contro
le novità suscitate dai triestini, ma senza avere risposta. Si dimostra il con-
tegno dei triestini offensivo ai diritti sovrani di Venezia ; legittimo quindi
1' agire de' ministri veneti nell' Istria. Vani son quindi i lagni dell' amba-
sciatore in nome dell' arciduca, il quale ha in mano i mezzi di tome i
motivi ; dia quel principe ordini efficaci perchè cessino le novità e sia data
ragionevole soddisfazione ai danneggiati, e il Senato sarà prontissimo a
riannodare gli antichi buoni rapporti. — Di ciò si manda copia al capitano
di Raspo e al segretario in corte cesarea (carte 134 tergo).
16 io. 9 luglio. — Al capitano di Raspo. « L' ambasciator Cesareo
fece condoglienza dell' incomodo che si dà alla terra di Trieste,
portò molte cause del suo gravame, assicurò che S. Alt. haveva aperto il
passo di terra, et ricercò noi a fare il medesimo di quello di mare ». Gli
si manda la risposta data come sopra. Comprendendosi poi da tal fatto
essere intenzione dell' arciduca che le trattative per appianar la questione
seguano in Venezia, si scusi in termini generali col vescovo di Trieste, se
mai quel prelato tornasse sull'argomento, senza entrare in alcun particolare.
Intanto non differisca l'esecuzione « degli ordini dativi in materia d' inco-
modar Trieste » (carte 135 tergo).
1610. 20 agosto. — Si fa comunicare all'ambasciatore dell'imperatore
e a quello del re di Spagna : Si sono udite con piacere le dichiarazioni
dell' arciduca Ferdinando « che il commercio delli suoi colli nostri sudditi
dell' Istria sarà libero, et le strade aperte come erano di prima, et che non
si navigheranno sali forestieri di qualunque sorte per li luoghi di S. Alt.
Noi adunque, col fondamento di questa promessa espe-
diremo quanto prima ordine a nostri Ministri di lassar libero il commercio
a Triestini secondo che desidera sua Alt.a ».
Si ordina al « Governator del dacio dell' insida et in fontego, et dove
sarà necessario che espediscano le bollette per Trieste et altri luochi vicini »
(carte 150).
16 io. 20 agosto. — Al capitano di Raspo. Gli si partecipano le dichia-
razioni fatte fare dall'arciduca Ferdinando per mezzo dei due ambasciatori.
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Gli si ordina perciò « di restituir il commercio alla detta città [Trieste] et
luoghi vicini nel modo che lo havevamo prima, rimandando le galee et
barche » che tiene a sua disposizione al provveditor generale in Dalmazia.
Gli si comunicano gli ordini contenuti nel seguente che eseguirà egli pure
presentandosene il caso. Ritorni ai suoi ordinari uffici, « sicuro che l'opera
vostra nella presente straordenaria occasione è stata fruttuosa al publico
servitio, et a noi grandemente cara ». Comunichi le presenti disposizioni
al podestà e capitano di Capodistria che attenderà a vedere come « nell'av-
venire passerà il commercio fra li arciducali et nostri, se piglie-
ranno sali, et che si faccia della saliera di Trieste »
(carte 150 tergo).
1610. 21 ottobre. — « La provincia dell' Histria per la qualità del suo
sito et del suo terreno si è provata in altri tempi fecondissima, così di
biade, vini, ogli, et sali, come di tutto quel più che serve all' uso et al
mantenimento del viver humano ; per il che, et per esser così vicina et
comoda a questa Città, fu sempre tenuta in grandissima stima da nostri
Maggiori, i quali mentre hanno veduto qualche principio di declinatione,
hanno sempre posto molto pensiero alla sua populatione et coltura, quando
con la concessione d' immunità et privilegii a quelli che fussero andati ad
habitarui, quando con la missione espressa di molto numero di famiglie
cipriotte, napolitane et malvasiotte, con accomodarle etiandio del danaro
publico per la provisione de animali et apprestamenti rurali, havendo anco
trattenuto per molti anni continui un Proveditor sopraintendente con par-
ticolar autorità in tutta essa provincia, il quale havesse la protettione di
essi novi habitanti, et invigilasse sopra la remissione et restitutione di essa :
Da che se ne riceve quel frutto che per la remotione del sudetto Proveditor
si è di poi perduto, con esser le cose non solo ritornate nel stato ch'erano
di prima, ma passate a maggiori inconvenienti, perchè essendo trascurata
da chi meno doveria la essecutione delle leggi et ordeni in questa materia,
alcuni de novi habitanti, in loco di ridur a coltura i terreni de quali sono
stati investiti, li hanno lasciati andar a pascolo, et altri coltivando i loro
terreni, per esser ciò immediate contrario alla intentione et fini delli vecchi
habitanti della Provincia, sono stati da loro di maniera perseguitati, che
hanno convenuto abbandonar finalmente il paese et andar ad habitar altrove,
essendo commune opinione che il numero di quelli che sono partiti per
le persecutioni dei naturali del paese sia molto maggior delli andati ad
habitarvi : Da che ne segue la spopulatione di essa Provincia, et per con-
seguenza la dessolatione di tutto il paese, perchè alcuni pochi tiranneggiando
quei poveri contadini che restano, li vanno estorquendo con usure et altri
— 35i —
atti illeciti, et arichendo con il sangue loro senza alcun timor di Dio o
della giustitia, si fanno strada ad altre male operationi, per causa
delle quali sono ridotte all' estremo le entrate di quelle Comunità et delle
Scole et Fonteghi, come se ne ha havute più volte querelle et rechiami,
cose tutte che devono mover la prudenza di questo Consiglio ad applicarvi
l'animo, il che non si può conseguir altrimenti che colla missione di sog-
getto principale, il quale con suprema auttorità porga rimedio a tanti in-
convenienti ; però
» L'anderà parte che de presenti per scrutinio di questo Consiglio sia
fatta elettione di un honorevole nobile nostro di auttorità et esperienza, con
titolo di Proveditor General et Inquisitor in Histria Debba star
nel carico anni doi, et tanto meno quanto parerà a questo Consiglio, et
haver per sue spese ducati ducento da L. 6, s. 4 per ducato al mese
Il suo principal carico sia di far una general descrittione di tutti li terreni
di quella Provincia a territorio per territorio, distinguendo et separando li
terreni vecchi dalli nuovi, sive novali et inculti con termini et confini no-
tabili, rilasciando i terreni vecchi a suoi legitimi patroni et possessori, et
catasticando i nuovi et inculti, facendo quelli poner in dissegno sicché
si possa in ogni tempo riconoscer li terreni della Signoria Nostra,
la quantità et qualità loro, et il luoco dove sono situati. Per poter ben
essequir questa publica intentione habbi auttorità d' inquirir et proceder
sommariamente contra qnelli che hanno per qualsivoglia modo transgredito
le leggi et ordeni in materia della coltivatione dell' Histria, con
facoltà di riveder i titoli de possessori de predetti beni, et tutte le investiture
già fatte, confermarle, rivocar quelle che troverà fatte contra la forma delle
leggi, reinvestendo altri in luogo di quei che fussero stati mal investiti, o
possedessero indebitamente de predetti beni : con facoltà appresso di con-
ceder di essi terreni inculti a tutti quelli che ne ricercassero in quella quantità
però che conoscerà esser bastante alle forze di cadauno ; affine
che si possa con facilità ridur a coltura quella maggior quantità che sarà
possibile : in che debba esso Prov.r gen.1 et Inquisitor impiegar ogni suo
spirito et industria ; et sia giudice inappellabile in tutte le differenze che
potessero nascer tra novi et vecchi habitanti, et così di tutte le difficoltà
dependenti da essi beni inculti, le quali differenze et difficoltà siano asso-
lutamente et omninamente raccomandate et commesse alla auttorità »
di esso.
« Debba riveder tutte le entrate et spese delle Communità et delle Scole,
et parimenti l'administration de i loro fonteghi regolando il tutto conforme
a quello che conoscerà ricercar il beneficio di esse, facendo saldar le casse
— 352 —
et li intacchi che si ritrovassero, et castigando i colpevoli di quella pena
che convcnirà alla giustitia, ctiam di pena capitale. Et la medesima auttoriù
habbia contra quelli che ritroverà haver commesso estorsioni, magnane et
tirannie in detta Provincia : dovendo però, quando ritrovasse che Rettori
o altri nobili nostri ("ussero incorsi nclli mancamenti predetti formar contra
di loro diligente processo, et inviarlo alti Capi del Consiglio nostro di X,
perchè debbano esser puniti.
» Debba visitar li boschi della S. N., cosi quelli da legne
di uso, come quelli de roveri, et le catasticationi et confini di essi, et
far custodir tutti essi boschi della S. N.
» Condur debba seco un Avocato Fiscal con salario di ducati 15 al
mese. Item un cancelliere pratico per la formatione dei processi
con salario di due. io al mese. Et un Rasonato con due. io al mese
per lar le sudette revisioni. Le siano pagati sei Alabardieri con un capo
Et partir debba quando et con quella commissione che parerà a
questo Consiglio» (carte 171).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. Restituitosi il com-
mercio con Trieste, non tralasci di sorvegliare il contrabbando del sale, e
trovando qualche legno con carico di quella derrata, destinato a' paesi ar-
ciducali, lo arresti e lo mandi a Venezia. — Similmente si scrive al prov-
veditor dell' armata, al capitano del golfo, al governatore de' condannati e
al capitano contro Uscocchi (carte 151).
1610. 23 ottobre. — Al capitano di Raspo. Gli si trasmettono lettere
del podestà di Albona del 12 coi particolari dei danni dati dagli abitanti
di Sumber. Se il detto podestà non trovasse facilità all'accomodamento, e
chiedesse il concorso del capitano, lo accordi, e faccia coi ministri arciducali
gli uffici che stimerà necessari (carte 174).
Al podestà di Albona. Lo si approva per « haver fatto ritener prigione
uno di quelli di Sumber » luogo arciducale, che vennero sul territorio veneto
a depredare animali e violarono i confini, e « per haver mandato i vostri
a predare altri animali per risarcirsi, poiché è necessario propulsar le attioni
violenti con altretanta violentia ». E così faccia anche in avvenire. Procuri
però che le cose finiscano bene, movendo lagni ai ministri arciducali ; se
poi incontrasse difficoltà, ricorra al capitano di Raspo che ha ordine di
spalleggiarlo (carte 174 tergo).
1610. 30 ottobre. — Commissione ad Alvise Zorzi eletto provveditor
t generale ed inquisitore in Istria, del tenore, mutatis mutandis, della parte
dispositiva del decreto 21 corrente; aggiuntavi la facoltà al provveditore
da condur seco un perito per le misurazioni dei terreni ed uno pei disegni
— 353 —
con ducati 12 il mese ciascuno, ed un coadiutore pel cancelliere con ducati 5
il mese. Gli si assegnano inoltre « per tutte spese di bocca, cavalcature et
ogn' altra commodità delli ministri et periti haverai ducati tre al
giorno » (carte 177).
16 io. 18 novembre. — Al podestà di Albona. «Contentandosi li in-
tervenienti del signor di Sumber di restituir gli animali che li giorni passati
levorono a nostri sudditi, purché questi restituiscano a quelli i presi in
risarcimento, accetti col patto che le restituzioni avvengano contempora-
neamente », salve le ragioni di cadauno (carte 182).
1610. io dicembre. — Al capitano di Raspo. « Havemo inteso con
sodisfatione la ritentione di uno delli officiali triestini che hanno
ardito di penetrare dentro la nostra giuridittione nel Bosco di Mozvil a
ritener alcuni sudditi Arciducali che venivano per caricar sali in Cao d' Istria».
Supponendo che 1' avrà condannato a giusta pena, procuri di conoscere i
nomi degli altri, li faccia « proclamare » come rei di « giuridittion turbata
et gente di mal affare et perturbatori della publica quiete », quindi li giu-
dichi in contumacia. Lo si autorizza anche a bandirli da tutti gli stati veneti,
anche promettendo taglia a chi li prendesse se vi venissero. « Essendo se-
guito un simile accidente nella giuridittione di Cao d' Istria nella villa di
Popecchio » senza poter prendere i colpevoli, si danno ordini conformi ai
precedenti a quel podestà. Se questi domandasse al capitano di cercar di
sapere dal mentovato prigioniero i nomi degli autori dell' ultimo fatto di
Popecchio, vi si presti (carte 186).
Al podestà e capitano di Capodistria. Gli si scrive in conformità di
quanto è detto di sopra circa il fatto di Popecchio, e lo si loda di quanto
fece in quell'occasione (carte 186 tergo).
16 io. 26 febbrajo. — Al capitano di Raspo. Ad istanza di quattro dei
capi di famiglia albanesi ultimamente venuti a stabilirsi in Istria, si è scritto
al podestà e capitano di Capodistria che mandi 500 ducati al capitano, il
quale li distribuirà alle dette famiglie in biade e per acquisto di strumenti
rurali e d'animali; farà che quegli uomini si obblighino l'uno per l'altro
alla restituzione. Procuri però innanzi tutto che erigano abitazioni, « et che
vi sia persona tra loro, et di loro medesimi, che habbia pensiero della
protettione et conservatione loro», che si raccomanda al capitano fino al-
l' arrivo colà del provveditor generale Alvise Zorzi (carte 222 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria. Gli si danno ordini in conformità
di quanto sopra (carte 223).
— 354 —
Senato Secreti, voi. CI (1611).
161 1. 16 aprile. — Commissione a Giacomo Pesaro eletto provveditor
generale ed inquisitore in Istria, conforme a quella data il 30 ottobre 1610
ad Alvise Zorzi, colle aggiunte : che tenga separato conto delle condanne
pecuniarie che pronunzie™, il prodotto di esse sarà devoluto allo Stato ;
— che provveda con disposizioni opportune ad impedire e a castigare le
incursioni e i danni che facessero gli Uscocchi od altri ladri in quella pro-
vincia, servendosi all'uopo delle milizie e delle ordinante locali; «delle quali
militie tutte et cose da guerra, et da quelle dependenti volemo che tu sii
capo et che habbi la sopraintendenza » (carte 9).
161 1. 2 settembre. — Al rettore e provveditore di Cattaro. Provveda,
all' occorrenza, al trasporto in Istria delle famiglie albanesi di cui tratta il
seguente, usando la necessaria circospezione onde non apparisca la sua in-
gerenza nella cosa (carte 53 tergo).
Al capitano di Raspo. Accoltasi la proposta di Luca di Giorgio da
Susana di condurre in Istria circa 200 albanesi, prenda con lui i concerti
opportuni circa i terreni e le abitazioni da assegnare ai medesimi, stabilisca
seco anche il tempo per la loro venuta, onde non abbiasi a ripetere l' in-
conveniente dell' inverno scorso in cui capitarono colà altre di quelle genti
all' improvviso. Avviserà il rettore di Cattaro dei concerti presi con Luca
suddetto, perchè si regoli in ciò che gì' incombe; ed informi il Senato di
tutto pei successivi provvedimenti (carte 54).
Su proposta dei savi agli ordini si aggiunge : « riavendo noi infor-
matione che nell' Istria tutte le cose passino con di-
sordene, con inconvenienti grandi de intacchi de fonteghi et di fraglie, con
usure et estorsioni, con afflittione et rovina di quelli poveri sudditi » ; si
ordina al provveditor generale ed inquisitore in terraferma che, sbrigata la
visita del Friuli, passi a visitare la mentovata provincia « facendo in ogni
luoco li debiti proclami per invitar gli oppressi a venir ad esponervi li loro
gravami rivederete li fornichi et fraglie, facendo saldar gli intacchi,
procedendo contra li usurari, et quelli che havessero usate estorsioni e
tirannie, per via summaria et militare con la vostra autorità, castigando li
colpevoli edam con pena capitale, come meglio vi parerà per
giustitia ». Se i colpevoli fossero alcuno di quei rettori o nobili veneti,
manderà i processi al Consiglio dei dieci. « Et anderete operando tutto
— 355 —
quello che stimerete per sollevar et tener consolati quelli fede-
lissimi nostri sudditi » (carte 55 tergo).
Al capitano, di Raspo. Per la inosservanza delle leggi relative ai nuovi
abitanti, 1' Istria, in cambio di popolarsi va scarseggiando sempre più di
abitanti. Per rimediare a tale inconveniente, si ordina al capitano di « far
una general descrittone di tutti li terreni di essa Provincia »
come è detto nella commissione 21 ottobre 1610, «rilasciando li terreni
vecchi a suoi legitimi patroni et possessori, et così anco li nuovi, a quelli
però che li coltivano come si doverà lasciar ad assignar ad ogni
Communità terreno, unito però, et in un pezzo, abondantemente che possi
bastare per il pascolo delli suoi animali grossi et minuti ». Farà la revisione
di tutte le concessioni di terreni fatte in passato, togliendo i beni a chi li
possedesse illegittimamente o non adempissero i doveri contratti coli' inve-
stitura, « come volemo che indifferentemente siano levati et confiscati li
terreni di ogn' uno che li possedesse sotto qual si voglia titolo, quando
siano inculti da cinque anni». In ciò e in tutte le questioni «tra novi et
vecchi abitanti, dove si trattasse di tali terreni, et di tutte le difficoltà di-
pendenti da essi » il capitano sarà giudice inappellabile. Procurerà inoltre
che sia aumentata e curata la coltivazione degli ulivi. Gli si manderà un
ingegnere perito per la formazione del catasto ; e gli si assegnano 80 ducati
il mese per tutto il tempo che occuperà nell'esecuzione dei suddetti prov-
vedimenti. — La presente fu votata con soli 48 affermativi, poi approvata
coli' aggiunta alla precedente proposta dai savi agli ordini (carte 54).
161 1. 3 novembre. — In risposta a sua lettera 16 ottobre, provvederà
le io famiglie albanesi nuovamente colà venute di animali e strumenti rurali
per via di prestito. Si approva che le abbia stanziate vicino alle già stabilite;
cosi potranno formare una villa sotto un capo con regolamento che stabilirà
esso capitano. Li sovverrà poi di danari [a prestito] « per comprar biave
da seminare et da vivere, ma principalmente per far habitationi ». Perciò
gli si fanno spedire 500 ducati. Per la formazione del catastico si è condotto
l' ingegnere « Camillo Bergomi » che da Peschiera, ove ora si trova, andrà
fra breve in Istria. Circa l'avvocato fiscale che domanda, faccia sapere « la
qualità del soggetto » però che non sia istriano, e si vedrà di accontentarlo.
Si scriverà ai rettori dell' Istria « vi accordino le loro Corti per le essecu-
tioni che vi occorrerà» (carte 75).
161 1. 3 dicembre. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Gli si mandano notizie di depredazioni fatte recentemente « da Uscocchi
nelle Rive et Porti d' Istria » ; perciò « tralasciando ogn'altro affare », ese-
guirà « contra essi et loro fautori le commissioni vostre ». Spedisca nei
«
- 356 -
luoghi opportuni barche annate ed anche galee, e se e' è bisogno vada in
persona, per impedire qualunque comunicazione commerciale per mare a
tutti i « luochi arciducali fin a Fianona », e vietando a tutti i sudditi veneti
il commercio coi detti luoghi (carte 86).
1611 m. v. 27 gennajo. — Al capitano di Raspo. Si ha « aviso che
li Uscocchi siano usciti ultimamente da Segna in grosso numero », sembra
non diretti per l'Istria; in ogni modo provveda alla tutela di quella pro-
vincia, al qual uopo gli si dà autorità su tutti i rettori della stessa, i quali,
come pure i giusdicenti, vengono informati di tal deliberazione (carte 101).
161 1 m. v. 31 gennajo. — Allo stesso. Gli si concede di ritornare
per due mesi a riposarsi alla sua residenza, encomiandolo pel modo con
cui adempì le commissioni dategli. Prima però farà « accomodar le famiglie
albanesi » venute con « Luca de Zorzi », sovvenendole di danaro per ac-
quisti di animali ecc., al qual uopo gli si mandano 500 ducati. Si scrive
al rettore di Cattaro di regolar meglio le « levate di Albanesi ». Darà
istruzioni all' ingegner Bergomi- onde durante i due mesi non « resti in-
fruttuoso » (carte 101 tergo).
Al rettore e provveditor di Cattaro. « Luca de Zorzi » nella levata delle
famiglie albanesi condotte in Istria non osservò le condizioni pattuite.
Quind' innanzi il rettore badi che le pratiche di simili affari restino secrete
onde i turchi non abbiano a moverne lagno ; e che gli emigranti non si
movano se prima i lor capi non avranno « riconosciuti li terreni et habi-
tationi che dovranno esserle consignate in Istria » ; ne che si mettano in
viaggio d' inverno. Su tutto poi s' intenda sempre col capitano di Raspo
(carte 102).
Senato Secreti, voi. CU (16 12).
161 2. 5 giugno. — Al capitano di Raspo. Gli si manda copia di quanto
fu scritto al suo predecessore il 2 settembre, il 3 novembre e il 3 r gennajo
passati, onde eseguisca quello vi è prescritto. All' uopo gli si mandano le
patenti opportune. Faccia che l' ingegnere Bergomi dia mano immediata-
mente al lavoro del catasto, pel che si danno alcune disposizioni d' interesse
secondario. Pel tempo che avrà a star fuori della sua residenza per motivi
di colonizzazione e catasto percepirà un' indennità in ragione di ducati 80
,al mese. E di questi se gliene fanno anticipare 300 (carte 40).
1612. 11 luglio. — Al capitano di Raspo. «Giacché quelli di Pisino
hanno danneggiato di novo li nostri, vi commettemo
— 357 —
che procedendo con la medesima quieta maniera che essi
hanno usato » ordini « a gli huomini della villa Grimalda che si
risarciscano del danno patito del modo fatto da loro, imponendo voi al capi-
tano Verzi che li faccia scorta et li protega ». Faccia però in modo che esso
e gli altri publici rappresentanti appariscano estranei alla cosa, anzi se ne
mostri dispiacente, e desideroso di componimento. In tutto vada d'accordo
col podestà e capitano di Capodistria. Circa « alla casetta fabricata da quel-
l'arciducale nel Marchesato di Pietra Pelosa » la faccia abbattere
o no come gli parrà meglio (carte 55).
Al podestà e capitano di Capodistria. Gli si scrive in conformità di
quanto sopra (carte 59 tergo).
1612. 20 agosto. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Avendo gli Uscocchi catturato nel castello di Besca il provveditcr di Veglia,
gli si ordina di recarsi tosto nelle acque del Quarnaro con tutte le navi e
barche disponibili, di sorprendere alcuni di quei luoghi arciducali e cattu-
rarne il governatore, o altro principal ministro ; di danneggiare il più pos-
sibile i detti luoghi, ma specialmente Segna e i suoi dintorni, e di mandare
a picco tutti i legni che navigassero verso i detti luoghi o ne venissero ;
e di mantener stretto blocco su tutte quelle rive fino a Fianona. Si con-
ferisce poi al provveditor generale autorità sull' Istria eguale a quella che
tiene sulla Dalmazia e l'Albania. Si sono mandati 300 soldati corsi al ca-
pitano di Raspo, per far fronte agli eventuali bisogni fino all'arrivo d'esso
provveditor generale, il quale riceverà dal capitano comunicazione di ciò
che andasse succedendo, e delle disposizioni che prendesse, e insieme con-
certeranno il da farsi per risarcire i sudditi e punire gli offensori (carte
68 tecgo).
Al capitano di Raspo. Per vendicare il fatto sovraccennato e difendere
i sudditi si diedero ordini al Provveditor generale in Dalmazia, al quale fu
data autorità anche sull' Istria. Si mandano al capitano 300 soldati corsi
comandati dal colonnello Francesco Maria Ornano e coi capitani Pietro Maria
e Pietro Paolo Ornani, i quali staranno a sua disposizione fino a nuovo
ordine. È poi volontà del Senato che in tale occasione i sudditi non pa-
tiscano alcun aggravio.
16 12. 23 agosto. — Al podestà e capitano di Capodistria. Si approva
il suo operato « a favore delle ragioni delli huomini di Gabrovizza » ; con-
tinui « devenendo alla espeditione di quel Martio dall'Argenta et delli altri
proclamati turbatori della quiete et delli confini ». E ciò tanto più che colui
agi « contra la mente del Signor di San Servolo » e tenta recar danni
maggiori. Gli si dà facoltà di bandire quei colpevoli da tutti gli Stati veneti
- 358 -
« con taglia etiam per cinquanta miglia oltre li nostri confini in terre aliene
de ducati 300». Continui «a far nettar l'acqua della fontana di Bustenich
tante volte quante porterà l' occasione di farlo ». Mantenga poi sempre i
diritti dello Stato e dei sudditi con tutta energia contro chi vi attentasse
(carte 71 tergo).
All'ambasciatore in Francia. Gli si partecipa che gli Uscocchi tornano
a molestare acerbamente colle loro scorrerie i territori veneti e turcheschi;
che sbarcarono in « Istria al numero di eoo, dove hanno commesso molti
eccessi in mare et in terra, et ultimamente poi riavendo presentito che il
Proveditor di Veglia era andato al castello di Besca furtivamente
vi sono andati, lo hanno preso insieme col Cancellier et tre altri suoi et
li hanno tutti condotti prigioni in Segna » In seguito a ciò s' impartirono
ordini energici al provveditor generale in Dalmazia e Albania (carte 72).
All'ambasciatore di Spagna e a «Stefano da Rovere» capitano di Fiume,
che in nome dell'arciduca Ferdinando avevano esposto vari gravami, fra i
quali quello per un « fatto di Albona », si risponde rilevando le continue
provocazioni dei sudditi arciducali che producono la necessaria e legittima
reazione (carte 73).
1612. 30 agosto. — Al provveditor generale in Dalmazia ed Albania.
Si mandano in Istria al capitano di Raspo cinque compagnie di Corsi, per
ragioni interne d'esse compagnie ; chiamerà in Dalmazia le due che crederà
possano starvi meglio, lasciando in Istria quelle fra i cui capi non possano
nascere gelosie per superiorità (carte 84).
Si scrive in conformità al capitano di Raspo (carte 84).
1612. io settembre. — Si fa comunicare all'ambasciatore di Spagna
e al capitano di Fiume la soddisfazione per essere stato, d'ordine dell'arci-
duca Ferdinando, liberato il provveditore di Veglia, e la speranza che vorrà
continuare i buoni rapporti colla Republica e castigare chi ne danneggia i
beni e i sudditi. Circa il fatto di Albona, « tutta la roba tolta si trova in
essere» e si delibererà ciò che sarà trovato conveniente e giusto (carte 88).
1612. 13 settembre. — Al capitano di Raspo. Avendo gli Uscocchi
danneggiato due ville nel territorio di Pinguente, si approvano le disposi-
zioni prese per vendicare l'insulto coli' incendio delle due ville arciducali;
continui ad operare con energia e a contrapporre offesa ad offesa. Gli si
manda copia della seguente, e gli si raccomanda di andar sempre d'accordo
col provveditor generale in Dalmazia e di comunicargli quanto anderà suc-
cedendo. Si è disposto per mandargli munizioni, ne distribuirà nei vari
luoghi della provincia che n'avranno bisogno ; gli si mandano anche 2000
ducati per le milizie (carte 90 tergo).
- 3S9 —
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. Gli si comunica la
precedente ; si aggiunge che il Senato intende che i danni e le offese ai
sudditi siano vendicati con danni e offese congeneri, e che gli Uscocchi
siano energicamente perseguitati. Tenga perciò « strettamente assediati ed
incommodati per mare tutti li luochi arciducali di quelle Rive del Quarnaro,
et la città et luochi del capitaneato di Segna ». Impedisca che vi approdino
legni di qualsiasi sorte. Continui ad intendersi col capitano di Raspo
(carte 91).
16 12. 18 settembre. — « In gratificatione del Sig.r Amb.r Cattolico et
Capitanio di Fiume » si delibera che siano restituite « le telle et altre robbe
trattenute già [a fiumani] dal podestà di Albona, et che hora si trovano
presso il capitanio di Raspo Et siano liberati dal bando» i ban-
diti dal detto podestà per quella causa (carte 98).
1612. 21 settembre. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Si scusa
il provveditor generale in Dalmazia e Albania, il quale, non avendo ancora
notizia della sospensione delle ostilità contro gli Uscocchi, pattuita coll'am-
basciatore di Spagna e col capitano di Fiume, « avvertito delle incursioni
fatte da Uscocchi nell' Istria ha fatto nel Contado di
Pisino quel risarcimento che intenderete dalle sue lettere de 12
stante ». Continua l'enumerazione dei danni dati da Uscocchi « ultimamente,
già un mese in circa a Rovigno riuscito [loro] vano il dissegno
di ritener quel nostro Rappresentante, ritenero molti vasselli destinati per
questa città amazzandovi ■ molti mercanti et mannari ;
poi ritennero il Provv.r di Veglia, et hanno abbruggiato et de-
predato alcune ville nell' Istria », ecc. (carte 101).
16 12. 27 settembre. — Al podestà e capitano di Capodistria. Avendo
il Senato conferito al capitano di Raspo « la cura et buona custodia » del-
l' Istria « nelle presenti congionture », gli si ordina di obbedire agli ordini
di quel rappresentante (carte 103 tergo).
Al capitano di Raspo. Si approva il contegno da lui tenuto per ven-
dicare il danno dato dai sudditi arciducali colla « depredatione fatta in Bar-
barla ». Per aggiungere nuove forze alla difesa di quella provincia, si è di-
sposto per l' invio nelle acque di Capodistria il governatore de' condannati
con due galee e tre barche armate, a disposizione d'esso capitano. Si terrà
in buona corrispondenza col provveditor generale in Dalmazia e Albania e
col Capitano in golfo, onde lo soccorrano, al bisogno, come n' hanno or-
dine. Gli si invieranno altri rinforzi, e fra questi 300 fanti ; « et intanto vi
mandamo il Sig.r Horntio del Monte acciò riabbiate presso di voi soggetto
di esperienza et valore, del quale vi valerete in tutto quello che vi parerà
— 3*>° —
ricercare il bisogno ». Gli si raccomanda di agir sempre con prudenza « per
levare quanto più sia possibile le occasioni de novi disturbi». Gli si man-
dano « 250 schiavine et telle pagiare per altri tanti pagiarizzi per
i Corsi ». Gli si manda copia delle lettere precedente e seguente.
Si danno le disposizioni per l' invio dei 300 soldati e delle schiavine
(carte 104).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania e in sua assenza al
Capitano in golfo. Mandi il governator de' condannati con due galee e tre
barche armate a disposizione del capitano di Raspo, col quale si tenga in
buona relazione. Accomodati i negozi circa i confini coi turchi, mandi al
medesimo capitano 50 lancie spezzate di Dalmazia coi rispettivi cavalli
(carte 105).
Si fa comunicare all' ambasciatore di Spagna : Secondo quanto erasi
convenuto il 15 corr. con esso ambasciatore, si era sospeso ogni atto ostile
contro i sudditi arciducali, supponendo che questi, com'egli aveva promesso,
avrebbero fatto altrettanto, « quando contra ogni aspettatione
[s'] intesero nuove incursioni fatte neh' Istria da gente armata, condotte con
bandiere spiegate in grosso numero da un Athanasio signor di un castello
vicino a Boion [sic] verso il luoco nostro di Barbana, con depredatione di
molti animali et ritentione de pastori ». I veneziani dovettero reagire, e
devono provvedere alla propria sicurezza. Ciò gli si comunica per dimo-
strargli da qual parte vengano le provocazioni (carte 105).
1612. 28 settembre. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania,
o per lui al capitano in golfo e al capitano di Raspo. Stamattina l'amba-
sciator di Spagna partecipò che l' arciduca Ferdinando acconsente che si
sospendano le offese da ambe le parti, e che spedì il « baron Ghisel » con
milizie per tenere in freno i facinorosi. Si dà di ciò loro notizia perchè si
regolino in conformità ; stiano però vigilanti passando fra loro di buon
accordo (carte 106).
1612. 29 settembre. — Al podestà e capitano di Capodistria. Si ap-
prova il sequestro dell'olio fatto dal sopracomito Balbi; mandi quella merce
colla barca che la portava e il conduttore al magistrato dei provveditori
sopra dazi.
Si delibera che i detti provveditori esigano il dazio competente sull'olio,
quindi lascino liberi conduttori, barca e merce (carte 108).
1612. 5 ottobre. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Si è sentito
, con piacere che l' imperatore approvò la sospensione delle vicendevoli de-
predazioni e danneggiamenti fra sudditi veneti e arciducali. Il capitano di
Raspo e il podestà di Albona scrissero « che li nostri si erano risarciti nelle
- 36i -
ville confinanti de alcuni animali prima ad essi levati, senza che sia seguito
incendio ne morte de persone, che tutto doverà cessare all'arrivo delli nostri
ordeni » (carte 1 15).
Al capitano di Raspo. Gli si comunicano lettere del podestà di Albona
circa il risarcimento, di cui nella seguente, e copia di quest'ultima (carte 116).
Al podestà di Albona. Si approva il modo con cui fu condotto il
risarcimento di cui è parola nelle precedenti. È però intenzione del Senato
che « insistendo voi simplicemente alla difesa et protetione di sudditi dentro
a vostri confini secondo gli ordeni del capitatilo di Raspo, al
quale habbiamo dato il carico di quella Provincia in queste commotioni »
non prenda alcuna deliberazione « per qual si voglia accidente », senza prima
concertarsi col capitano stesso, al quale comunicherà quanto andasse suc-
cedendo, e del quale attenderà le disposizioni.
In simil tenore si scrive a tutti gli altri rettori dell' Istria, eccetto il
podestà e capitano di Capodistria (carte 116).
1612. ir ottobre. — Al podestà di Albona e ai rettori suddetti. La
precedente è riformata sostituendosi al capitano di Raspo « il Proveditor
General [in Dalmazia e Albania] Pasqualigo, overo [il] capitanio di Raspo,
il quale in sua absentia tiene il carico di quella Provincia » (carte 121).
Al capitano di Raspo. Gli si ordina di dar notizia al provveditor ge-
nerale Pasqualigo di quanto andasse succedendo in Istria « acciò informato
di tutte le cose, possa sumministrarvi gli ordeni et prendere quelli ispedienti
che saranno necessarii » (carte 121).
Il 5 ottobre s' era data la commissione a Filippo Pasqualigo eletto
provveditor generale in Dalmazia ed Albania « con autorità di Capitano
general per tutto il Golfo ». Questo implicava anche la suprema autorità
sull' Istria, ma considerandosi che il Pasqualigo ne sarebbe stato quasi sempre
lontano, si dichiarava che « l' inquisitione » in quella provincia restava af-
fidata come per 1' addietro al capitano di Raspo. E ciò oggi si conferma
dichiarandosi spettare la detta inquisizione al medesimo capitano (carte
121 tergo).
16 12. 23 ottobre. — Al capitano di Raspo. Per evitare la spesa del
mantenimento degli animali predati agli austriaci per risarcimento, li distri-
buisca equamente fra i soldati e i sudditi che furono danneggiati dai detti
stranieri. Per mezzo di Bernardo Venier, capitano delle galee grosse, che
si reca a Pirano a prendere il suo comando, gli si mandano 3000 ducati per
le paghe dei soldati corsi. Perdurando tuttavia le trattative coll'ambasciatore
di Spagna e il capitano di Fiume, devono rimaner sospese tutte le ostilità
contro gli austriaci, vegli che ciò si adempia (carte 127).
— 362 —
1612. io novembre. — Al suddetto. Gli si dà autorità « di poter dare
tutte quelle realditioni et suffragii che vi parerà a qual si voglia bandito
dalli rettori nostri dell' Istria, rivedendo li loro processi et sententie
dando salvi condotti, con quelle altre gratie che stimarete con-
venirsi alla giustitia ». Ciò per « suffragare in alcuna maniera li banditi di
quella Provincia che sono in tanto numero fatti esuli anco per
cause civili et con maniere estraordinarie » (carte 137).
Senato Secreti, voi. CHI (161 3).
1613. 9 marzo. — Nella commissione ad Antonio Civran eletto ca-
pitano in golfo, gli si dà ordine di proteggere e difendere, ad istanza dei
rettori dei paesi litorani, i paesi veneti contro gli Uscocchi, nonché i sud-
diti naviganti. « Et perchè per causa delle fiere li corsari si la-
sciano molte volte sentire li mesi di febraro et di marzo nelli mari del-
l' Istria » prenda tutte le disposizioni opportune per fugarli e
prenderli (carte 4 tergo).
16 13. 2 aprile. — «Al Capitanio di Raspo, Proveditor et Inquisitor
nell'Istria ». In seguito a sue lettere de' 28 passato che annunziavano come
in seguito all' adunamento di 100 Uscocchi, avesse dato ordine ai soldati
corsi di resistere a qualunque tentativo di quelli ; gli si risponde : L' im-
peratore, in seguito ad uffici dell'ambasciatore veneto, ordinò « che siano
scacciati quei scellerati dai luochi del Ser.m0 Arciduca » e promise « che
non saranno più ricettati ». In corrispondenza, e visto che si cominciava
da parte austriaca a dar effetto agli ordini imperiali, si è ingiunto al prov-
veditor generale in Dalmazia di levar l'assedio da Segna, é pur continuando
a perseguitare gli Uscocchi, di non molestare i luoghi e i sudditi arciducali.
A tali disposizioni si uniformi pure il capitano (carte 15).
1613. 23 maggio. — «Al Capitanio di Raspo et Inquisitor nell'Istria».
Avrà intesa la cattura fatta dagli Uscocchi della « galea Veniera, et quanto
hanno operato nel sfogar la loro crudeltà non solo contro le
genti, ma anco contra la persona del sopracomito ». Stia « molto avertito
a tutto quello che potesse occorrer a quei confini, et dare gli ordini ne-
cessarii alli Rettori di quella Provincia per oviare ad ogni improviso acci-
dente, et perciò vi espedimo al presente il Cavalier Eugenio Governator di
quelle ordinanze » per valersene « nel comando di quelle genti, distribuen-
'done dove vi parerà più a proposito ». Quanto prima gli si spedirà il ca-
pitano Paolo Guidotti con 150 fanti (carte 74).
- 3^3 -
i6i 3- 17 luglio. — Al suddetto. In seguito a moti degli arciducali ai
confini, si è ordinato al provveditor generale in Dalmazia e Albania di man-
dargli due compagnie di soldati corsi, che egli disporrà in modo da respin-
gere qualunque improvvisa incursione ; all'uopo si valerà anche delle cernide.
Procurerà che tali milizie non danneggino i sudditi, né sian loro di peso.
Parteciperà quanto succedesse al detto provveditor generale, e andrà con
esso d'accordo in ogni caso, osservandone gli ordini (carte 129 tergo).
Si scrive in conformità al provveditor generale suddetto (carte 130).
1613. 3 dicembre. — Commissione a Nicolò Dona eletto provveditor
generale in Dalmazia e Albania. Gli si dà autorità di capitano generale da
mar e supremazia su tutti i rettori e ministri nelle dette provincie e nel-
l' Istria. Procurerà di combattere con tutte le forze gli Uscocchi, e di
« incommodar per hora Segna, Buccari et Fiume, et altri luochi Arciducali
nel Quarner, prohibendo il transito per tutte quelle bocche a qual si voglia
sorte di vassello » (carte 217).
Senato Secreti, voi. CIV (161 4).
16 14. 12 aprile. — Al nuovo provveditor generale in Dalmazia e
Albania, Lorenzo Venier. Perchè la campagna contro gli Uscocchi sia con-
dotta con energia ed unità di venute, gli si dà suprema autorità anche
nell' Istria per tutto ciò che concerne gli affari d' Uscocchi e la materia
militare. Di ciò si dà notizia al capitano di Raspo (carte 12 tergo).
16 14. 26 aprile. — Circa la domanda fatta al capitano in golfo « dalli
Carapotani [venuti anni sono dalla Turchia nei dintorni di Segna] di pas-
sare sul territorio veneto, il Senato scrive a quello di offrire ai medesimi
domicilio nell' Istria ove preferirebbe sista bilissero, e di persuaderveli
(carte 16).
1614. 9 maggio. — Al nuovo provveditor generale in Dalmazia e
Albania. Gli si partecipa che gli Uscocchi ultimamente han depredato «alcuni
vasselli in Istria » e fatto altri danni altrove. Gli si ingiunge di continuare
sempre più stretto il blocco dei paesi arciducali sul Quarnero, e di man-
dare a picco qualunque legno navigasse a quei paesi o ne venisse (carte
18 tergo).
Questo decreto non fu approvato e neppure altri successivi nello stesso
argomento, ma se ne sospese la trattazione.
1614. 24 maggio. — Al capitano in golfo. Si insiste perchè i Cara-
potani assentano a stabilirsi in Istria (carte 25).
— 3^4 —
1614. 4 luglio. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Visto che P energica azione di lui contro i paesi arciducali, ha prodotto
l'iniziativa per parte della corte imperiale di aprir trattative di accomoda-
mento ; gli si ordina di continuare a molestare gli Uscocchi e i loro fautori
(carte 46 tergo).
1614. 8 agosto. — Al suddetto. « Quelli Uscocchi che come ci scrivete
erano usciti di Segna per inferir danni » in Istria, trovata energica oppo-
sizione colà, « presero partito di depredare nelF istesso paese Arciducale
5200 animali minuti de nostri sudditi, li quali ab antiquo sono soliti condurli
1' està alli pascoli di quei monti, così come l' inverno li sudditi arciducali
riducono li loro nell'Istria». Questo fatto implica connivenza nei sudditi
dell'arciduca, tanto più che questi ebbero restituiti animali presi con quelli
dei veneti. In seguito a ciò si commette al provveditore di provvedere al
risarcimento col cercar di predare nei paesi austriaci, sia al di qua che al
di là del Montemaggiore altrettanti animali ; dando, all'occorrenza, gli op-
portuni ordini al capitano di Raspo ; faccia però che le milizie impiegate
nell' impresa rispettino al possibile il paese e gli abitanti « essendo mente
nostra che si essequisca solamente la represaglia de animali ».
Non potendo conseguir questa interamente, faccia sequestrare navigli o merci
naviganti di triestini o di sudditi arciducali fino all'ammontare approssimativo
del valore degli animali rubati. — Della presente si manda copia all' am-
basciatore presso 1' imperatore (carte 66 tergo).
16 14. 7 agosto. — Al capitano di Raspo. Si riconosce che la depre-
dazione di cui è detto nella precedente è avvenuta colla connivenza dei
ministri arciducali, che avrebbbero invece dovuto impedirla. Gli si comu-
nicano gli ordini dati in proposito al provveditor generale in Dalmazia, e
gli si ingiunge di uniformarsi agli ordini di quello. Prima però faccia che
gli animali di sudditi veneti che si trovassero nel territorio arciducale ri-
tornino in Istria. Gli si mandano 3000 ducati per paghe di milizie (carte
67 tergo).
16 14. 23 agosto. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Prima di prendere risoluzioni il Senato desidera maggiori informazioni sul-
l' espediente messo in pratica dai « Fiumani et altri » di spedire le loro
merci per terra per la via di Albona «per superar gì' incommodi
et difficoltà dell'assedio» (carte 81).
16 14. 5 settembre. — Al provveditor ed inquisitor generale in Istria.
.Si loda per la prontezza con cui partì per assumere P ufficio, tanto più
essendo « necessario si vagliamo della persona vostra per le occorrenze
contra Uscocchi a quelli confini ; negocio che per le sue impor-
- 365 -
tantissime conseguenze resterà ottimamente confidato alla molta virtù et
prudenza di voi Rappresentante nostro principale in quella Provincia. Vi
commettemo adunque col Senato la superiorità et sopraintendenza di tutte
le militie che vi sono perchè riabbiate da usarle et
disponerle come meglio vi parerà » per proteggere i sudditi specialmente
ora, che i sudditi arciducali potrebbero « risentirsi della represaglia fatta
come vi è noto dal Proveditor General in Dalmatia et Albania di là dal
Monte Maggior volendo noi se sarà fatto alcun danno che deb-
biate subito resarcirvene » ed opporre ingiurie ad ingiurie, danni a danni.
Di tutto che accadrà terrà informato il detto provveditor generale a cui
« è principalmente confidato tutto il negocio ». Gli si mandano 2000 ducati
pel pagamento dei soldati corsi (carte 92 tergo).
1614. 9 settembre. — Al suddetto. D'accordo col provveditor generale
ed inquisitore in Istria, ripartisca « gli animali della represaglia che faceste
ultimamente tra li nostri sudditi dell' Istria a quali furono robbati
li loro nel paese Arciducale » (carte 96).
16 14. 9 settembre. — Si scrive al provveditor ed inquisitor generale
in Istria di concertarsi col provveditor generale in Dalmazia circa la distri-
buzione degli animali di cui è cenno nella precedente (carte 96).
1614. 18 settembre. - Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
In seguito ai danni dati dagli Uscocchi nelle Isole di Cherso e d' Ossero
e altrove, gli si ordina di « subito poner 1' assedio per mare alla città di
Trieste » in modo che non possa approdarvi ne partirne alcun legno ;
« volendo noi che le mercantie et robbe che saranno trovate in essi de ragion
de triestini o di altri sudditi arciducali, siano applicate immediate
per risarcire li nostri Et se oltra le mercantie et robbe si troverà
che anco li vaselli et barche siano de triestini ed arciducali, volemo che
siano subito gettati a fondo». Di più danneggerà il più che potrà i paesi
arciducali « a quelle Rive da Scrisa fin a Fianona » tenendo però sempre
di mira il risarcimento dei danni sofferti dai sudditi. Farà publicare in Ca-
podistria e Pirano il proclama qui sotto, ed eseguirà tosto i presenti ordini
(carte 109).
« Proclama. — L' 111."'0 et Ecc.mo Sig.r Lorenzo Venier per la Serma
Signoria di Venetia etc. Prov.r General in Dalmatia et Albania etc.
» Fa publicamente sapere che per li continui et sempre maggiori danni
che da tutte le parti sono inferiti alla navigatione et sudditi di sua Ser.tà
dalli Uscocchi, accompagnati, favoriti, fomentati da altri, che iniquamente
participano delle prede, et tengono altre dipendenze et intelligenze con quella
sceleratissima gente, vuole che il comercio per mare et la navigatione di
— 366 —
Trieste et altri luoghi di quella ghindinone sia interdetta et prohibita, sotto
pena a quelli che con vasselli et barche d'ogni sorte saranno ritrovati andar
o venir dalli luochi sudetti, di esser trattenuti li vasselli svaleggiati et anco
gettati a fondo, et gli uomini posti alla catena et castigati ad arbitrio »
(carte no).
Al provveditor ed inquisitor generale in Istria. Gli si trasmettono gli
ordini dati nella precedente, ordinandogli di vegliare alla custodia di quella
provincia contro gli Uscocchi e gli arciducali ; all' uopo gli si manderanno
rinforzi di milizie, ed intanto gli si spedisce Ottavio Mari « soggetto di
valore et di esperienza » per servirsene « come capo da guerra et soprain-
tendente di quelle militie». Si approva quanto dice d'aver operato «con
sumministrare li debiti suffragi a quelli sudditi, et specialmente alli banditi
indebitamente ».
Si delibera l' invio del Mari « con titolo di Sopraintendente di quelle
militie» (carte no tergo).
1614. 23 settembre. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Per provvedere alla sicurezza dell' Istria mandi a Pola 20 lancie spezzate
e due compagnie di cavalleria [60 cavalli] all'obbedienza di Ottavio Mari,
o al provveditor generale Loredan. Si danno poi disposizioni per l' invio e
pel pagamento di dette milizie (carte 113).
Al provveditor ed inquisitor generale in Istria. Gli si comunicano le
disposizioni date nella precedente. Si delibera che al Mari « siano pagate
quattro lanze spezzate fino che starà in quel carico » (carte
113 tergo).
1614. 2 ottobre. — Al suddetto. Non potendosi fornirgli un'apposita
galea, come ha domandato, si servi di quelle che stanno sotto il comando
del Capitano contro Uscocchi » quando siano in quelle acque, però con
certe precauzioni che si determinano. — E di ciò si scrive anche al detto
capitano (carte 119).
1614. 29 settembre. — Per accrescere difesa all'Istria contro le mi-
nacele degli Uscocchi si delibera di mandare al provveditor ed inquisitor
generale Loredan la compagnia del capitano Mal volti di 150 fanti, ora
stanziata al Lido (carte 118 tergo).
16 14. io ottobre. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Procuri che i Carapolanl venuti a Veglia acconsentano a stabilirsi in Istria.
In questo caso mandi al loro indirizzo le due lettere seguenti ; se invece
porranno fermarsi in Veglia o a Nona, provveda lui (carte 123).
Al provveditor ed inquisitor generale in Istria. Gli si comunica la
seguente con ordine di coadiuvare il capitano di Raspo (carte 123 tergo).
— 367 —
Al capitano di Raspo. Fin dallo scorso aprile « alcuni che si chiamano
Carapotani, passati già XV anni dal paese turchesco ad habitare nelF Ar-
ciducale, tra Segna et il Vinadol trattorono col Capitano del Golfo di venir
in numero di 900 anime, compresi 300 huomini da fatti, et circa
15000 animali, ad habitar nel Stato nostro». L'affare restò per varie cause
sospeso ; ultimamente fa rimesso al provveditor generale in Dalmazia, e
300 di quelle persone vennero con numerosi animali nell' isola di Veglia.
Desiderando però il Senato che prendano stanza nell' Istria, in caso che
quegli uomini vi si adattino, si ingiunge al capitano che d' accordo col
provveditor generale Loredano procuri di trovar luogo per istabilirveli colle
lor greggie, ed adatto a riceverne altri. Abbia però cura di evitar cause di
liti coi vecchi abitanti e che i nuovi arrivanti « siano ben trattati et acca-
rezzati » e « che habbiate a tenerli in vostra particolar protetione ». Essi
saranno sottoposti esclusivamente alla giurisdizione del capitano medesimo,
« et esenti dall'obligo di galeotti nelle nostre galee ». Siano alloggiati il più
possibile lontano dai confini arciducali per non essere molestati dagli austriaci
che li considerano come loro ribelli (carte 124).
16 14. 16 ottobre. — All'ambasciatore alla corte imperiale. Gli si man-
dano, per sua informazione, lettere del io e del 14, del provveditor ed
inquisitor generale in Istria relative a nuovi danni dati dagli Uscocchi
(carte 136 tergo).
Al provveditor ed inquisitor generale in Istria. In seguito a danni dati
dagli Uscocchi in due ville ai confini, si è disposto di fargli mandare tre
compagnie di corsi, non solo per difesa, ma anche per procurare il risar-
cimento. Provveda poi « alli caselli per le guardie di Capodistria et alle
torrette per quelle di confini ».
Si delibera di mandare al provveditore un armaiuolo, 200 schiavine pei
soldati e due migliaia di corda da stoppino (carte 137 tergo).
1614. 18 ottobre. — Al suddetto. A sua istanza gli si accorda facoltà
di pagare « i soldati di quelle ordinanze » che per servizio stieno fuori delle
loro ville, in ragione di soldi 12 al giorno a testa. Gli si raccomanda di
adoperarli solo in caso di vero bisogno. E il detto pagamento s' intenderà
pei servizi straordinari. Si concede < un Sargente maggior » ad Ottavio
Mari, il quale è autorizzato a nominarlo, salva poi l'approvazione del savio
alla scrittura (carte 139 tergo).
AH' ambasciatore alla corte imperiale. Gli si fa sapere che in onta a
due patenti del luogotenente di Pisino che autorizzavano i sudditi veneti ad
andar a pascere i loro animali nel territorio arciducale, questi furono de-
predati di gran numero degli animali stessi. Ciò dimostra quale sia il ma-
— 368 —
1 aratri o dei ministri arciducali « che si fanno lecito 1' uso de termini così
indebiti per facilitar maggiormente le iniquità de Uscocchi (carte 140).
16 14. 21 ottobre. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Mandi un'altra galea all'assedio di Trieste ; si scrive al provveditor ed in-
quisitor in Istria di sopraintendere « all'esecutione de' vostri ordini in questo
negocio ». Si suggeriscono poi vari provvedimenti contro gli Uscocchi e i
paesi arciducali, e gli si raccomanda di star sempre in relazione col suddetto
provveditor ed inquisitor generale per la tutela dell' Istria e di tutti i territori
della Republica.
Al provveditor ed inquisitor generale in Istria. « Importando molto
...... che l'assedio di Trieste per via di mare sia esattamente essequito,
volemo, che per quanto vi sia permesso dalli altri vostri carichi,
habbiate da sopraintenderlo », e vegliare che i sopracomiti ed altri deputativi
eseguiscano gli ordini dati dal provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Al quale egli darà conto di quanto succedesse in materia di Uscocchi e
d'altri confinanti, e col quale si concerterà per tutti i movimenti di soldati.
Gli si manderanno 2000 ducati per pagamenti alle milizie (carte 142 tergo).
16 14. 19 dicembre. — Si approva il contegno del provveditor generale
in Dalmazia e Albania col conte Cesana, inviatogli per trattare dal generale
di Croazia. Gli si ordina di mantener sempre più stretto il blocco di Trieste
e del Quarnero onde sudditi arciducali né altri navighino in quelle acque.
Seguono istruzioni per le trattative col detto conte incaricato di negoziare
un accomodamento delle questioni per gli Uscocchi (carte 177).
16 14. 20 dicembre. — All'ambasciatore alla corte imperiale. Gli si
mandano copia della precedente e di lettere del capitano in golfo circa un
fatto di guerra da lui compiuto a Lovrana ; e gli si danno istruzioni pel
suo contegno coi ministri imperiali (carte 178 tergo).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. Il capitano in golfo
scrive « di haver devastato la riviera di Volosca et Lovrana ». Ciò potrebbe
mutare il corso delle negoziazioni col conte Cesana; gli si dà quindi facoltà
di dirigersi come meglio crederà. Attenda poi alla custodia dei paesi affi-
datigli onde gli arciducali non tentino di vendicarsi sopra i sudditi veneti,
dando a chi spetta gli ordini opportuni (carte 180 tergo).
16 14 m. v. 14 gennajo. — Al provveditor ed inquisitor generale in
Istria. Avvisando il provveditor generale in Dalmazia che nei paesi arciducali
si facevano adunamenti d'uomini e che i Segnani e gli Uscocchi minacciano
, nuove incursioni ; si scrive anche ad esso provveditor ed inquisitor di sor-
vegliare diligentemente le mosse dei nemici, e d'accordo col detto provve-
ditor generale mandi persone nel contado di Pisino e in altri paesi arciducali
— 369 —
che s'informino degli avvenimenti. Si sente con piacere essere ormai l'Istria
messa in grado di resistere con successo alle forze ordinarie dei nemici ;
si diede però ordine al provveditor generale a Palma di mandargli una
compagnia di « Cavalli Capeletti » quando la domandasse (carte 193).
16 14 m. v. 22 gennaio. — Al provveditor ed inquisitor generale in
Istria. A ben precisare gli ordini già datigli, gli si scrive : « sempre che
Uscocchi o altri sudditi arciducali venissero ad inferir danni in quella Pro-
vincia », dovrà « risarcirvene et propulsare la offesa da quella parte del paese
Arciducale dove conoscerete poterlo sicuramente fare, et a quel tempo che
giudicarete più opportuno volendo che le prede che
saranno da voi fatte servino al rifacimento de nostri sudditi che fossero
sia spogliati >;. Gli si mandano 4000 ducati per pagamenti alle milizie
(carte 200).
16 14 m. v. 24 gennajo. — Al provveditor generale in Dalmazia e
Albania. Il podestà e capitano di Capodistria ed il provveditor ed inquisitor
generale in Istria scrivono « riuscir poco fruttuoso l'assedio di Trieste, poiché
dalla parte di Monfalcone per la via della Fiumara di S. Antonio vengono
somministrate vittuarie a quella città ; et aggiongono che si po-
trebbe impedire con barche il transito ». Gli si ordina quindi di provve-
dere ad impedire quei trasporti, e di stringer per ogni via il blocco di
Trieste (carte 201).
Al provveditor generale a Palma. S' informi esattamente sulla verità
dell'approvigionamento di Trieste per la via della Fiumana di S. Antonio,
e riferisca (carte 20 1 tergo).
16 14 m. v. 30 gennajo. — Al provveditor generale in Dalmazia e
Albania. Il provveditor ed irquisitor generale in Istria scrive che certo Giulio
Pamperga, bandito dal Consiglio dei dieci, denunziò che i Carapotani te-
nevano intelligenze cogli Uscocchi e « che havevano concertato con essi
Uscocchi de avisarli con segni de fuoghi sopra le Promontore colla corri-
spondenza de altri fuoghi nella montagna ove sogliono tener le loro guarde,
quando fusse stata occasione d' impatronirsi de una delle galee
di mercantia ». Ciò pare inverosimile, essendosi i Carapotani mostrati sempre
devoti, ne se fossero stati di sentimenti ostili avrebbero procurato di venire
nello Stato, « né risolveriano » di venirvi anche « col Conte Damiano Ca-
rampotichi tutti gli altri di quella natione ». In ogni modo stia attento,
senza farne le mostre, a ciò che fanno. Lo si informa che da Trieste «erano
usciti alquanti vasselli per sottovento et che vi erano
entrati alcuni altri » che quella città era provveduta di vettovaglie per terra
non solo, ma ben anche «per via di Muggia con barchette» (carte 204 tergo).
— 37o —
Al provveditor ed inquisitor generale in Istria. Si scrive al medesimo
in conformità alla precedente circa le pretese intelligenze dei Carapotani
cogli Uscocchi (carte 206).
Senato Secreti, voi. CV (161 j).
1615. 17 marzo. — I Cirapotani condotti in Istria dal capitano in
golfo, non avendo avuto colà i terreni che il Senato intendeva fossero lor
dati, se ne partirono. Si scrive perciò al provveditor generale in Dalmazia
di stanziarli in Nona e suo contado (carte 30).
1615. 2 giugno. — Al podestà di S. Lorenzo. Gli si ordina che « per
rimuovere i' usurpatane fatta da Arciducali nella contrada detta Fineda
nella villa di Mompaderno », faccia che gli abitanti « della villa
come da loro lievino, se si può senza pericolo
1' herha et il frutto nelli terreni occupati, et se non, lo guastino
in modo che ne anco li medesimi Arciducali possano ricoglierlo, guastando
tanto del terreno loro proprio, quanto è il nostro usurpato ». E ciò dovrà
sempre osservarsi in simili casi, sempre però accordandosi prima col capitano
di Raspo e col podestà di Capodistria (carte 86).
Al capitano di Raspo. Gli si comunica copia della precedente, con
ordine di aiutare il capitano di S. Lorenzo (carte 86).
1615. 23 luglio. — Al capitano di Raspo. In seguito alla comunica-
zione fatta a lui e ai rettori di Capodistria, Montona e S. Lorenzo dal luo-
gotenente di Pisino, cioè « circa l'espeditione de Commissarii fatta dal Ser.mo
Arciduca Ferdinando per occasione delle controversie che sono alli confini
di quella Provincia », gli si ordina di rispondere come segue al luogotenente
stesso :
Il capitano partecipò alla Signoria il contenuto delle lettere del luogo-
tenente ; quella però, dispostissima alle trattative, ritiene che debbano pre-
cedere negoziazioni diplomatiche in via regolare col mezzo degli ambasciatori
alla corte imperiale e a Venezia (carte 113 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria e ai podestà di Montona e San
Lorenzo. Se il luogotenente di Pisino insistesse nell'argomento della « trat-
tatane de confini col mezzo de Commissari » rispondano che il capitano
di Raspo ha incarico di comunicargli le intenzioni del Governo (carte 114).
161 5. 11 agosto. — Al provveditor generale in Dalmazia e Albania.
Per impedire che i sudditi arciducali trasportino le loro merci nel territorio
di Albona e in altri dell' Istria, il che rende vano il blocco, dando agio a
— 37i —
quelli di approvvigionarsi, si è proibito assolutamente ogni commercio coi
medesimi. Dia perciò gli ordini necessari. Faccia che il blocco di Trieste
sia sempre rigoroso. Accresca le barche di guardia [4 invece di 2]; e all'uopo
gli si danno disposizioni (carte 124).
1615. 11 agosto. — Al capitano di Raspo. Si è risaputo che i sudditi
austriaci « servendosi dei luoghi et porti dell' Istria, conducono vettovaglie
et altre robe » nei loro paesi per la via di terra. Si ordina quindi « che in
ogni modo resti prohibito anche per via di terra il commercio de nostri
sudditi et altri con Arciducali ». Inviti quindi i sudditi che avessero animali
nel paese arciducale, a ritirarli ; proibisca con proclami a tutti ogni com-
mercio col paese stesso, sotto pena di perdita delle merci e di severo ca-
stigo. S' intenda col provveditor generale in Dalmazia e Albania, al quale
già si è scritto in proposito in conformità, e con tutti gli altri rappresentanti
per un' esecuzione uniforme.
Si scrive similmente al podestà e capitano di Capodistria, al quale si
.aggiunge che per compensare quei sudditi delle perdite loro ridondanti dalle
presenti disposizioni si è dato ordine a Giacomo Corner « destinato Pro-
veditor de Sali in quella Provincia che debba, per il tempo solamente che
durerà la predetta prohibitione, comprar li sali dei sudditi et di
quei di Muggia » a prezzi giusti [s'intende sali che di solito si smaltivano
nei paesi arciducali].
Si ordina al savio alla scrittura di provvedere i pagliericci per le milizie
dell'Istria (carte 125 tergo).
Al podestà et capitano di Capodistria. Si approva quanto ha fatto per
impedire ai triestini l'introduzione di barche con sale nella loro città. Si è
disposto perchè il provveditor generale in Dalmazia e Albania accresca
« quella guardia di forze marittime ». Acconsenta che i capitani « che stanno
a quella custodia » adoperino « le barche triestine per mandar a
pigliar le cose al vitto loro necessarie, per non si mover con le loro » ;
avvertendoli di usar prudenza onde non siano ripigliate. Tutti i Triestini
che venissero presi saranno mandati al provveditor generale perchè faccia
loro il processo. S'informi circa la salina che dice piantarsi dai Triestini a
Zaule e riferisca esattamente ; facendo capo in tutto al detto provveditor
generale (carte 127).
1615. 14 agosto. — Si partecipano all'ambasciatore presso l'imperatore
le disposizioni prese nelle precedenti ; e il fatto successo « fra certe nostre
barche armate et alcune di Trieste spalleggiate da qualche numero di genti
arciducali che si erano messe in alcuni siti atti ad assicurarle» (carte 128
tergo).
7
— 372 —
1 6 r 5- i settembre. — «Essendo sommamente necessario
che nella Provincia d' Istria, in ogni parte esposta a incursioni, vi sia un
capo che non solo abbia principal carico di essequire celeremente le com-
missioni che le fussero da noi date, ma che per se stesso sia atto alla sof-
ferenza di quei incomodi che converrà sostener, dovendo star si può dire
in continuo moto et farsi vedere » qui e li per la provincia, per ripulsarc
minacele d' invasioni, per assicurare i sudditi, ed animarli, per incoraggiare
le milizie; — si delibera di eleggere per scrutinio in Senato un provveditore
nella provincia stessa con quei diritti, doveri e poteri che si espongono
nella commissione (carte 136).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. Per assicurare gli animi
degli istriani, essendo morto il capitano di Raspo, il Senato stimò bene
eleggere un provveditore in quella provincia, al quale darà gli ordini sug-
geriti dalle circostanze. Gli si comunica la lettera seguente ; si è ordinato
a « D. Precioso di S. Fiorenzo soldato di esperienza et di valore che vada
in Istria, dove anco espediremo il Capitan Alfonso Valdera » agli ordini del
detto nuovo provveditore (carte 137).
Al podestà e capitano di Capodistria. Gli si partecipa la presa di Novi
fatta dal provveditor generale in Dalmazia e Albania, e l'elezione del prov-
veditor in Istria ; intanto stia avvertito « a tutte le occorrenze di quei
confini » disponendo delle milizie come stimerà meglio ; il provveditor ge-
nerale a Palma ha ordine di mandargli cappelletti s' esso podestà gliene
domandasse (carte 137 tergo).
1615. 3 settembre. — Commissione a Benedetto da Lezze eletto prov-
veditore in Istria. Parta immediatamente. Sua incombenza sarà « d1 invigi-
lare da tutte le hore alla buona custodia di tutta l' Istria, non dovendo
haver alcuna ferma habitatione, ma scorrendo dove più giudi-
cherai necessario, visiterai li luochi et passi di maggior
pericolo » disponendovi guardie sufficienti, eccitando e animando i sudditi
alla difesa « risarcendo per quella via che stimerai oportuna li danni che li
fussero fatti ». Appena giunto in Istria si procurerà « informatione di tutte
le cose pertinenti alla sicurezza et difesa di essa, essercitando quella supe-
riorità che ti è data da noi sopra li Capi da guerra che si trovano
nella Provincia, pigliando il loro consiglio nelle fattioni eh' occorressero,
et risolvendo tu poi quello che stimerai di publico servitio : et
valendoti » di tutti i soldati, tanto di milizie assoldate che d' ordinanze.
I rettori di detta provincia hanno ordine di obbedirlo e favorirlo in ogni
occasione, e di tenersi con lui in rapporto per tutto ciò che succedesse.
Gli si manderanno poi nuovi rinforzi di truppe. Presidieri fortemente i luoghi
— 373 —
più importanti, specialmente Albona, Fianona e Dignano, più esposti degli
altri ; il provveditor generale a Palma terrà a sua disposizione 50 cappel-
letti a cavallo. Sarà soggetto al provveditor generale in Dalmazia e Albania,
il quale gli somministrerà, all'occorrenza, forze sia di mare, sia da sbarco.
Curerà sempre dir \ suoi subordinati non rechino danni o molestie non
necessarie ai sudditi, e castigherà severamente i colpevoli in tal materia. In
Istria avrà autorità pari a quella che tiene il provveditor della cavalleria in
Dalmazia. Difenderà i sudditi da ogni offesa, e procurerà il risarcimento dei
danni che quelli e la sovranità di Venezia avessero a soffrire « procurando
con ogni mezzo et via possibile di far mal capitar gli Uscocchi et
ogn' altro colpevole de simili eccessi». Procurerà d'essere informato esat-
tamente di tutti i movimenti degli Uscocchi stessi e di quanto succederà
ai confini, e per le spese relative gli si assegnano 200 ducati. Pagherà le
milizie, e per la relativa contabilità potrà nominare un ragionato con du-
cati 6 al mese a carico dello Stato. Avrà pure un cancelliere con eguale
stipendio. A questo ed a quello «sei tenuto di far le spese». Starà in carica
6 mesi, o più o meno secondo parrà al Senato, con ducati 180 [da L. 6.4]
il mese. Eleggerà un luogotenente, al quale si assegnano ducati 25 il mese.
Gli si donano 300 ducati « per mettersi a cavallo ». Gli si assegnano 10000
ducati per pagar le milizie. — Si ordina al provveditor generale in terra-
ferma di mandare a Venezia, per essere poi spedite in Istria, due compagnie
[150 uomini ciascuna] di fanteria italiana (carte 138).
Al podestà e capitano di Capodistria e ai rettori di Albona e Fianona,
Pola, Rovigno, Parenzo, Pirano, S. Lorenzo, Raspo e Cittanova. Si par-
tecipa la elezione e la missione del provveditore da Lezze, con autorità su
tutte le milizie dell'Istria. Si ordina quindi a tutti i suddetti di «coadiu-
vare la cssecutione delle commissioni et ordeni suoi, tenendolo
avisato di ogni accidente concernente la quiete et sicurezza »
della provincia (carte 140).
16 15. 5 settembre. — Al podestà e capitano di Capodistria. Da sue
lettere del 2 corr. si è inteso ciò che è avvenuto in Pinguente « et delle
insolenze et tumultuose conventicole seguite in quella terra, le quali
si possono propriamente dir seditioni, fomentate et accresciute da Marc'An-
tonio dal Seno, uno de giudici della medesima comunità ». Sono molto
dispiaciuti quei fatti, tanto più che gli autori degli stessi hanno « anco
ardito col consiglio di pochi inobedienti mandar in questa città persone
.sse sotto mentito nome d'Ambasciatori, oltre 1' haver tentata la fede
delle nostre militie ». Si loda quanto il podestà e capitano fece in tale oc-
ìc; gli si ordina di recarsi a Pinguente, e «cautamente e senza strepito
— 374 —
devenire alla ritentione di tre o quattro dei più colpevoli capi
di questa sedinone» e particolarmente del dal Seno «che come giudice ha
havuto ardire di ridurre contra le leggi, nella Chiesa maggiore,
et non nel luogo consueto » i mal contenti. Mandi gli arrestati col processo
da lui fatto agli avogadori di comun a Venezia. Poscia, convocato il con-
siglio di quella terra, dichiari la dispiacenza del Senato pei fatti avvenuti,
la sua buona disposizione verso i sudditi ossequenti, e dover essi riconoscere
« per superiore il Consiglier Priuli da voi mandato per reggerli
per occasione della morte del capitanio Gabriel ; et che essendo
il Reggimento di Capodistria superiore a tutti li Rappresentanti nostri in
quella Provincia, debbano anco nell'avvenire in simili occorrenze essequir
il medesimo ». Si farà dar le chiavi del castello e vi porrà presidio, affidando
le une e l'altro al Priuli. Si approva le disposizioni prese in seguito a voci
di adunamento « di genti Arciducali a' confini ». Al bisogno si valga delle
milizie e delle cernide per presidiare i luoghi più esposti.
Si delibera l' arresto di « quei che sotto nome di Ambasciatori di
Pinguente sono venuti in questa citta» (carte 141).
161 5. 12 settembre. — Al provveditor generale in Dalmazia ed Al-
bania. Sta bene che siasi occupato efficacemente per la « indemnità de
nostri, et alla custodia dei passi et luoghi da mare, et che habbiate
applicato il pensiero alla difesa dell' Istria et al sumministrare ogni aiuto
et indriccio al Proveditor di quella Provincia, che già è partito per esser-
citare quel carico » (carte 144).
16 15. 8 ottobre. — Al provveditor in Istria. Lo si encomia per la
diligenza che usa nell' adempiere i suoi doveri. Dispiacque la cattura, fatta
in mare da Triestini, d' una barca di Muggia ; cerchi di procurarne il ri-
sarcimento. Gli arciducali, irritati per « il successo a Novi, minacciano di
haver improvisamente in loro potere alcuno dei rettori nostri in cotesta
provincia». Li avverta perciò a star vigilanti. L'ambasciatore presso l'im-
peratore avvisa che l'arciduca Ferdinando aduna genti per invadere gli stati
veneti ; stia avvertito. Si provvederà per mandargli le munizioni che do-
manda. — S' incarica il Collegio di provvedere a tale invio (carte 158 tergo).
16 15. 17 ottobre. — Al suddetto. Da sue lettere dei 7 ed 11 corr.
si è inteso « la depredatione fatta da Uscocchi nella villa di Popecchio et
suoi confini, et come da nostri erano stati levati dalla villa di Podgoria
/nolti animali per rifacimento della depredatione predetta » ; il che si è ap-
preso con piacere. Distribuisca il bottino « alle nostre ville danneggiate » ;
metta queste in guardia contro le sorprese dei nemici. Gli si avvisa l' invio
di altri 100 pagliaricci e 100 schiavine (carte 166 tergo).
— 375 —
1 6 1 5- 22 ottobre. — Al capitano di Raspo. Si e disposto che gli siano
inviati due bombardieri e due migliaia di polvere, i primi avranno ducati 8
il mese e 1' abitazione. Si loda la diligenza con cui attende a' suoi doveri
(carte 170 tergo).
Al podestà e capitano di Capodistria. A sua richiesta si è disposto
per mandargli 50 migliaia di biscotto per la galea e le barche di stazione
in quelle acque. Gli si mandano pure 2000 staia di frumento che farà
vendere, rimettendo il ricavato al provveditore in Istria per pagar le milizie.
Gli si mandano 200 archibugi a ruota che distribuirà in città facendosi
rimborsare da quel comune lire 26 l'uno, da spedirsi pure al detto prov-
veditore (carte 170 tergo).
Al provveditore in Istria. Da sue lettere 14 e 17 si sono intese « le
fattioni ultimamente seguite ». Lo si avvisa che gli si manda « il colonello
Fabio Gallo con un sergente maggiore et quattro lanze spezzate, il qual
habbia a servire sotto l'obedienza vostra per sopraintendente, et commandare
alli capi et a tutte quelle militie ». Si è disposto che due compagnie di
soldati modenesi destinati alla Dalmazia, siano mandate a lui onde servirsene
nelle occorrenze. Riceverà 8000 ducati per pagamenti alle milizie ; il podestà
e capitano di Capodistria gli farà avere altri danari [vedi la precedente].
Gli si invieranno piombo, corda da fuoco, schiavine e pagliericci, con altre
cose necessarie (carte 171).
1615. 14 novembre. — Al suddetto. «Ha commosso grandemente
1' animo nostro la temerità di Benvenuto Petazzo che
habbi havuto ardire di farvi proclamare et da poi bandire inse-
rendo nel proclama et bando parole scandolose et indebite ». Si approva la
sua deliberazione « di assalire, depredare et devastare alcuno dei luochi di
esso Petazzo»; procuri però che «il tutto succeda con publica dignità».
Il podestà di Capodistria avvisa che « Triestini in Mare, luogo di nostra
indubitata giundittione habbiano di nuovo construite alcune saline, già da
noi fatte distruggere fin l'anno 1579». Vada quindi al più presto e segre-
tamente a Muggia, e colle forze che stimerà opportune faccia di nuovo
demolire le dette saline, « procurando di ridurre li luochi usurpati
quanto sia possibile nel stato ch'erano prima », e ciò con ogni debita cautela.
Se poi sapesse che nel territorio di Trieste presso le dette saline ve ne
fossero altre del Petazzo, le faccia rovinare ; faccia poi « proclamar esso
Petazzo con imputatione che habbia fatto affiggere ai confini del
Stato nostro proclama, et venuto anco a sententia contra
publico nostro Rapresentante » ; quindi se non comparirà a giustificarsi, lo
bandisca in perpetuo dagli stati della Republica con pena capitale, e taglia
- 376 —
di 6000 ducati a chi lo pigliasse vivo o lo ammazzasse negli stati medesimi,
e di 10000 all' estero.
Si delibera che il sopracomito al blocco di Trieste eseguisca colla sua
galea e colle barche armate gli ordini del provveditore (carte 175).
16 15. 23 novembre. — Al suddetto. Si è sentita con piacere la deva-
stazione da lui fatta nei beni di Benvenuto Petazzi ; faccia conoscere la sod-
disfazione del Senato al colonnello Fabio Gallo e al luogotenente d' esso
provveditor Carbonara, nonché agli altri capitani. Si sono dati ordini perchè
gli siano spediti dalla Terraferma altri 500 fanti con pagliericci, coperte ecc.
Sono in Palma 570 cappelletti a sua disposizione Si è provvisto perchè
non manchino i foraggi pei cavalli. Attenda ad informarsi degli andamenti
dei nemici e alla tutela del paese affidatogli. « Ha giovato assai la vostra
risolutione, stata ben essequita dal sopracomito Canale, di metter
per via di mare in gelosia la città di Trieste » per distrarre le forze nemiche.
Sarà bene «usar il medesimo in ogn' altra occasione di loro motivi». Si
scrive anche al capitano in golfo « di tener in continuo suspetto Segna,
Fiume et quelle altre terre sopra il Quarnaro », al medesimo scopo. Terrà
col capitano stesso « ottima intelligentia et ogni più esquisita sollecitudine
ne gli avvisi ». Si provvederà a fornirgli denari e munizioni. Sembra ra-
gionevole « il suspetto che ricevete dal fermarsi che fa in Muggia Mons.r
Vescovo della Torre per essere stretto parente del Petazzo » ; perciò faccia
intendere destramente a quel prelato esser conveniente che se ne vada
(carte 179).
Al capitano in gollo. Gli si scrive in conformità della precedente (carte
180 tergo).
16 15. 26 novembre. — Al capitano alla guardia contro Uscocchi Gi-
rolamo Morosini. Si rechi colla sua galea in Istria a rinforzare il blocco di
Trieste, sotto gli ordini del provveditore in Istria (carte 181 tergo).
Al provveditor in Istria. Procuri di rinfrancare i sudditi e le milizie ;
faccia curare i feriti ; disponga che sia ritirato lontano da' confini quanto
potesse esser preda de' nemici. Scelga i migliori soldati fra le Ordinanze e
li mandi ove sarà bisogno pagandoli come i soldati di arrotamento. Si è
ordinato al provveditor generale in Dalmazia e al capitano in golfo di as-
sisterlo con rinforzi, e gli si manderanno nuove milizie. Gli si partecipano
altre disposizioni in proposito, e si raccomanda caldamente che si informi
di ciò che fanno i nemici (carte 182).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania e al capitano in golfo.
Avranno inteso « il mal incontro che le nostre genti hanno ricevuto dalle
arciducale » in Istria ; mandino in aiuto a quel provveditore il maggior
— 377 —
numero di genti possibile, specialmente di córsi. Vedano di far diversioni
dalla parte di Fiume ed altrove, e di stringere viemaggiormente il blocco
di Trieste (carte 182 tergo).
1615. 27 novembre. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Lunga
esposizione dei fastidì e danni recati dagli Uscocchi e da altri sudditi austriaci,
con particolari delle offese fatte da Benvenuto Petazzi di Trieste « et pos-
sessor del castello di S. Servolo ». Di questo si dice : « ha ricapitato nei
suoi luochi Uscocchi et altre genti triste et servendosene, ha
fomentato varie depredationi contra nostri sudditi Li nostri mi-
nistri et sudditi hanno procurato risarcirsi delli torti et
gli hanno reso le medesime molestie. Costui vedendo qualche oppositione
del Proveditor Leze a suoi pensieri », il 5 corr. lo fece proclamare e citare
ai confini con parole ingiuriose, e pronunziò contro lui sentenza capitale
« et taglia in terre aliene ». Il provveditore rispose prendendo eguali misure
contro il Petazzi, e facendo devastare i beni di questo, senza toccare quelli
circostanti di altri. Si aggiunge che avendo il Petazzi costruito saline vicino
a Muggia, il provveditore [il 24 novembre] le distrusse, ma nel ritirarsi
dopo il fatto, fu assalito dalle genti di quello ed ebbe la peggio con morte
di 120 de' suoi ; quindi andò io Capodistra per pensare alla difesa della
provincia. Tutto ciò si porta a notizia dell' ambasciatore a sua norma
(carte 184).
16 15. 27 novembre. — Al provveditore in Istria. Si sono mandati
alcuni pezzi d' artiglieria a Pinguente ; d' accordo col capitano di Raspo
pensi ad assicurar quella terra. Si spedirono tre altre galee al capitano contro
Uscocchi, al quale comunicherà le proprie commissioni e col quale andrà
d'accordo in ciò che spetta al publico servizio (carte 187).
161 5. 28 novembre. — «Moltiplicano in modo gli accidenti nel-
l' Istria » che, non potendo quel provveditore attendere a tutte le occor-
renze, si trova necessario e si delibera di eleggere in Senato un « Proveditor
General dell' Istria », coli' autorità, gli obligli! e le condizioni che ha il
provveditor generale in Dalmazia e Albania. Partirà fra tre giorni su una
galea publica che si mette a di lui disposizione (carte 188).
Si ordina al provveditor generale in Dalmazia e Albania, di adunare
tutte le forze che ha a sua disposizione e di andar con esse a recare i
maggiori danni possibili agli arciducali (carte 188 tergo).
161 j. 30 novembre. — Commissione a Marco Loredan eletto prov-
veditor generale in Istria.
Ivi dovrà essere « da tutti obedito » con autorità di « castigar gli ino-
bedienti et li colpevoli con quelle pene che ti parerà, procedendo
- 378-
per via summaria et militare ». Informatosi dello stato delle milizie, prov-
vede™ a presidiar bene i luoghi opportuni, ad eccitare gli abitanti a con-
correre alla difesa de' loro beni, a mandare al sicuro animali e mobili che
potessero esser predati dai nemici. Darà poi opera « al risarcimento delle
ingiurie et della riputatione publica » inferendo ai nemici danni congeneri
a quelli da essi dati ai sudditi veneti. Nelle occorrenze si servirà delle milizie
esistenti nella provincia, delle quali gli si dà il comando e l'amministrazione,
come pure delle ordinante. Si pone sotto i suoi ordini il capitano contro
Uscocchi con 5 galee ed altre barche armate colle quali stringerà il più
possibile Trieste ed i paesi arciducali per mare. Stia in buona corrispon-
denza, ed operi di concerto col provveditor generale in Dalmazia e Albania,
e in sua assenza col capitano in golfo. Procuri d' esser bene informato
degli andamenti dei nemici, tenendone instrutti il provveditor generale
suddetto, il capitano di Raspo e i rettori del Friuli. Procuri che le milizie
non rechino danni a' sudditi. Regoli 1' amministrazione delle munizioni e
degli oggetti di proprietà dello stato ad uso delle milizie, affidandone al
caso il carico ad apposito uffiziale. Gli si assegnano 20000 ducati pel pa-
gamento delle milizie; si manderanno 500 tavole d'abete per Capodistria,
100 migliaia di biscotto per le galee e le barche; di più 1000 staia di farina
e 50 migliaia di risi da vendere e far servire il ricavato a pagamenti delle
truppe. Si è disposto pel fieno per la cavalleria. Starà in carica fino a che
sarà richiamato. Condurrà seco un segretario della cancellarla ducale, un
cancelliere pei processi criminali con 5 ducati il mese, un ragionato con
io ducati, 12 alabardieri col loro capo, un «cavalier » [bargello] con 8 ducati
e 4 « officiali » con 4 ducati il mese. Gli si assegnano 220 scudi da L. 7
al mese ; 200 per acquisto di cavalli, 30 per coperte e forzieri, 200 per
spese straordinarie; 100 ducati al segretario per «mettersi in ordine» (carte
190 tergo).
1615. 4 dicembre. — All'ambasciatore presso l'imperatore. Continuano
le ostilità degli arciducali, i quali, « aggiorno buon numero di cavalleria et
fanteria di Crovatia alle genti unite dal Petazzo hanno da più
parti invaso l' Istria et abbruggiato le ville di Ospo, Gabrovizza, Besovizza
et Lonchi » nella qual ultima devastarono e profanarono anche la chiesa.
Le « medesime depredationi hanno fatto nella villa di Marceniglia, territorio
di Raspo, nelli territorii di Barbana et di San Vincenti et nel Carso di
Pinguente ». Poi sono passati a far guasti nel territorio di Mon-
falcone. Il Senato ha preso le disposizioni necessarie per opporsi ai progressi
, dei nemici e vendicarne i danni. Ciò gli si comunica per sua informazione
e per gli uffici opportuni (carte 195).
— 379 —
1 6 1 5 - 8 dicembre. — Al provveditor generale in Istria. Procuri, d'ac-
cordo col provveditor generale in Dalmazia e Albania o, in sua assenza, col
capitano in golfo, di recare i maggiori possibili danni agli arciducali, e per
terra e per mare, per tenerli « da ogni parte occupati, molestati et dan-
neggiati ». — Altrettanto si scrive ai due rappresentanti suddetti (carte
202 tergo).
Al capitano di Raspo. Si sono avute notizie di « dissegni di Arciducali
contro quella terra per via di Giovanni Vecchioni che si trova
qui con un altro prigione, al quale è stato scritto da un suo che si ritrova
in Trieste ». Potendo servire tal mezzo a nuove informazioni, si è delegato
ad esso capitano « il suo caso » e gli si mandano i due « acciò possiate
valervene come stimarete meglio » (carte 203).
161 5. 12 dicembre. — Al suddetto. Lo si encomia per la diligenza con
cui attende alla difesa di quella terra e sue vicinanze, e a procurarsi informa-
zioni delle mosse degli austriaci ; continui, e comunichi quanto saprà anche
ai rappresentanti a cui fosse opportuno. Il provveditor generale gli summini-
strerà danaro per ciò e per altre necessità. Mandi a lui i conti delle milizie e
d'altro. — Di ciò si dà parte al provveditor generale in Istria (carte 205).
1615. 12 dicembre. — Commissione al nuovo provveditor generale in
Dalmazia e Albania. Fra i primi articoli relativi alle sue incombenze è
quello di danneggiare il più possibile, previo accordo col provveditor ge-
nerale in Istria, gli austriaci (carte 205).
16 15. 18 dicembre. — All'ambasciatore alla corte imperiale. Gli austriaci
continuano a danneggiare specialmente nell' Istria, ove « oltre 1' haver ab-
bruggiato diverse altre ville a Rovigno, sotto Pinguente et nelle giuridittioni
di Barbana et San Vincenti, hanno appresso assalito et combat-
tuto a bandiere spiegate un luogo murato detto li Castelli et la terra di
S. Vincenti, facendo forza d' impatronirsene, il che non gli è riuscito es-
sendone stati ributtati dalli presidii ». Il Senato « vedendo che
le forze loro [degli arciducali] non hanno il fine, che sempre hanno havuto
le nostre, di frenare l'ardire de ladri ma sì ben di fomentare li
perniciosi pensieri di Uscocchi, distruggere li nostri sudditi » si trova in
necessiti di aumentare le proprie forze per rispondere come conviene a tante
provocazioni. E continua dimostrando la mala fede con cui agi la parte
avversaria nelle questioni d' Uscocchi (carte 209).
In conformità si scrive a tutti gli ambasciatori e rappresentanti all'estero.
Al provveditor generale in Istria. Si approva quanto ha fatto relativa-
mente « all'indemnità de sudditi et al risarcimento de danni»; gli si rac-
comanda di stringere sempre più per mare Trieste per tener occupati da
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quella parte gli arciducali e poter operare più sicuramente altrove. «Stimatilo
bciu che per queste occorrenze il Sig.r Paulo Emilio Martinengo sia presso
di voi » per a valervi del suo consiglio et della sua opera Oltre
le militie che vi sono gii capitate, si trovano qui di partenza
ottocento soldati in circa » ; si stanilo formando « dodici compagnie di co-
razze » [cavalleria] che si manderanno a Palma e si darà ordine a quel
provveditor generale di mandargliene se ne chiederà. Si è provvisto e si
provvede per mandargli fieno, coperte, pagliericci ed archibugi. Il capitano
contro Uscocchi ha lasciato 5 pezzi d'artiglieria in Parenzo, disponga che
siano ben custoditi e tenuti. Il medesimo capitano ha date buone disposi-
zioni per la custodia di detta città, se le trova opportune veda che siano
osservate. S' informi dei bisogni d'artiglierie in Rovigno, Muggia ed Umago
e riferisca (carte 211).
1 6 1 j. 21 dicembre. — Al suddetto. Le milizie venete hanno occupato
alcune terre arciducali, come Cormons, Mjdea, Merari e Sagra; si rendono
più che mai opportune le diversioni per disperdere in più luoghi le forze
nemiche. Si sentì con soddisfazione che i sudditi si muovano per risarcirsi
da se dei danni sofferti, e che il provveditor da Lezze sia sortito in cam-
pagna con truppe; sarà bene che le milizie destinate alle fazioni in campagna
siano le migliori, e si lascino i vecchi e le ordinanze a presidio dei luoghi
(carte 218 tergo).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. Gli si scrive in con-
formità alla precedente, onde attachi i paesi arciducali, che così lo saranno
da tre parti, in Friuli, in Istria e da lui (carte 219).
161 5 m. v. 2 gennajo. — All'ambasciatore alla Corte imperiale. Si
approvano gli uffìzi da lui fatti nell' argomento degli Uscocchi. Parte di
questi con altri sudditi arciducali continuano nelle ostilità contro i paesi e
sudditi veneti. « Dopo 1' haver combattuto gli due Castelli, luoco nostro
cinto di muraglia, nell' Istria, che con valore da nostri soldati s' è difeso,
ultimamente hanno posto il fuoco ne' contorni di Pinguentc nella villa di
Bergodaz, et procedevano a bandiere spiegate verso Grimalda, se da paesani
non erano impediti ; asportarono ad ogni modo et vini et biade,
facendo anco nuovi abbruggiameati : Et uniti in gran numero
d' Uscocchi et di Tedeschi sono venuti con sei insegne sotto il Castello di
S. Vincenti » ma furono « costretti ad abbandonar l' impresa ». Si contrap-
pongono le operazioni di guerra fatte dalle milizie venete che per lo più
si limitano a respingere gì' invasori e a vendicare le offese e risarcire i danni.
/Venezia è sempre proclive a venire ad equo accomodamento, continui perciò
le pratiche (carte 237).
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1 6 1 5 m. v. 15 gennaio. — Al provveditor generale in Istria. Si en-
comia il suo agire e si loda « la fattione seguita contro arciducali che ria-
vevano depredato presso a Puola, et se ben erano in maggior numero de
nostri, siano stati fugati con morte et prigionia de molti et ricuperationc
del bottino ». Provveda a tener stretta Trieste, avendo egli scritto che quegli
abitanti « si mostrino arditi anco per mare » essendo sortiti con barche. Se
«li mancano forze all'uopo, ne chieda al provveditor generale in Dalmazia,
e si accordi con esso, al quale si scrive in proposito, perchè agii austriaci
venga dato il maggior danno (carte 248 tergo).
Al provveditor generale in Dalmazia e Albania. «Triestini, fatti arditi
et insolenti anco per mare si » sono « in questi giorni spiccati con 14 barche
da quel porto a lasciarsi vedere et a provocare doi delle nostre armate
ch'erano nel Porto di Muglia, le quali se ben uscirono et le fecero retirare,
non poterono far davantaggio ». Si sono dati ordini in proposito al prov-
veditor generale in Istria, quindi lo assista se gli chiedesse aiuti di barche
e genti. Vada poi d'accordo col medesimo per dare agli austriaci il maggior
danno, restando ad essi due devoluto il progettare ed eseguire le fazioni
(carte 249 tergo).
Al provveditor generale in Istria. Gli si manda copia delle seguenti ;
faccia il processo e castighi il capitano o giusdicente preso. Circa i prigioni
trattenga gli Uscocchi per farne « quella giustizia che vi parerà », e manderà
gli altri a Venezia (carte 2JO tergo).
Al capitano in golfo. Si approva « quello eh' è stato operato da voi
per consolinone et ditesa de sudditi nostri nell' Istria di quelle ville vicino
al Arsa, l'aiuto che havete opportunamente sumministrato alle nostre militie
nel perseguitare et castigare gli Arciducali che havevano depredato
il territorio di Puola » facendo molti prigioni. Circa quello che dice del
capitano di Barbana e dei prigioni arciducali si sono dati al provveditor
generale in Istria gli ordini opportuni (carte 250 tergo).
All'amba .ciator in corte cesarea. Toccato dei danni dati dagli arciducali
in FriuK, se gli fa noto che « quelli di Trieste et di quelle altre Riviere
sono usciti in mare a far qualche depredatone, come hanno fatto
neh" Istria Molte genti arciducali al numero di 700 a piedi et
50 cavalli calorono verso Puola et fatto assai buon bottino et
abbruggiate alcune case, se ne ritornavano : ma nel viaggio sopraggiunti da
due compagnie de Corsi et 300 fanti de Cernide, che si trovavano in Di-
gnano » furono posti in fuga con morte di 102 dei loro e di solo tre o
quattro feriti dei veneti (carte 251 tergo).
161 5 m. v. 5 febbrajo. — Commissione a Gian Giacomo Zane eletto
— 382 —
provveditor generale in Dalmazia ed Albania. In uno degli articoli gli è im-
posto di danneggiare gli Uscocchi e gli arciducali in mare e in tutte le loro
s -di, e di andare in ciò d'accordo col provveditor generale in Istria (carte 278).
161 5 m. v. 20 febbrajo. — Al provveditor generale in Dalmazia ed
Albania. Si replicano a lui ed al provveditor generale in Istria gli ordini di
lar con opportuni assalti diversioni nei paesi arciducali. Si ordina poi ad
ambedue di preparare uniti « qualche impresa di consideratione » da farsi
« nel contado di Pisino o altrove ». Si accenna al fatto « che trenta soli
sudditi habbino fatto con il spoglio et incendio della villa di Novaco et da
altre 17 de altri, pur in poco numero, coatra quelli d'Antignano con grosso
bottin d'animali» (carte 311).
1615 m. v. 24 febbrajo. — Al provveditor generale in Terraferma. Gli
si ordina di spedire 200 corazze [soldati a cavallo] al provveditor generale
in Istria (carte 314).
Al provveditor generale in Istria. Le esigenze di « quei di Cressan et
Somber » che avevano domandato di venire « alla nostra devotione » non
sono accettabili ; non si accoglieranno persone in sudditanza e protezione
« ad altre conditioni se non di haverli a ricevere a grado de cari
et fedeli sudditi ». Intanto faccia che siano ben trattati quelli che già pas-
sarono nello Stato. Tutti i luoghi « di quella provincia che venissero
in poter vostro, quando siano di qualità et in sito per poterne
ricever beneficio, et atti ad esser difesi, debbiate ordinar che non siano ab-
bruggiati et devastati, ma tenerli et presidiarli ». Si dispose per mandargli
200 « soldati corazze », 100 « petti a botta », munizioni e danaro. Si disap-
prova che abbia promesso « taglia di ducati dieci per ogni testa de sudditi
arciducali che vi fusse stata presentata », e gli si ordina di revocare tal
provvedimento. Si sentì con piacere la « fattione de nostri soldati di S. Vin-
centi contra quelli di Zumino con fuga de inimici et bottino di molto numero
de animali (carte 314 tergo).
1615 m. v. 27 febbrajo. — Al suddetto. Riconosciutosi esser molto
opportuno eh' egli abbia artiglierie a sua disposizione per gli attacchi che
deve fare contro gli arciducali, gli si mandano due petardi di metallo. Nelle
imprese che fosse per fare prenda il consiglio del provveditore da Lezze e
di Paolo Emilio Martinengo. Da qualunque luogo ove si trovi scriva quanto
succede. Gli si manderanno 500 staia di farina, il ricavato lo impiegherà
in pagar le milizie (carte 327 tergo).
(Continua).
RELAZIONI
DEI PODESTÀ E CAPITANI DI CAPODISTRIA
— f -3»r«*»oc5i-j-
(Continuazione del fasck. i° e 2°, 1890)
Relatione del Nob. Homo Ser Alvise Morosini ritornato di Potestà
et Capitanio di Capo d' Istria. — Presentata nell' Eccellen-
tissimo Collegio a' 17 marzo 1583.
Serenissimo Principe
Nel Reggimento, che è piaciuto alla Serenità Vostra conciedermi della
Città di Capo d' Istria, io ho atteso con ogni mio spirito a operare tutto
quello che ho giudicato dover apportare beneficio alle cose sue. Ma perchè
in molte cose che sono di qualche importanza, così per il buon governo
di quei sudditi, come per il servitio eh' ella ne potria ricevere, non ha il
Rettore maggior auttorità di quella che gli vien concessa per essequire, e
pur si potria per mia opinione meglio ordinarle, perciò ho giudicato bene
far quelle considerationi ch'ella si degnarà d' intendere in questa mia breve
scrittura affine che, se cosi parerà al suo sapientissimo giudicio, possino
questi Eccellentissimi Signori terminare a rissolver quanto le pareri con-
veniente.
Ha la Serenità Vostra la Città di Capodistria, situata in una valle di
mare di quella Provincia sopra uno scoglio, poco lontano dalla Terra ferma,
- 384 -
dove si passa con un ponte longo intorno passa cento, et è circondata dal
mare che la rende assai forte per sito naturale, clic per altro non ha altra
sicurezza che di una muraglia vecchia et fatta all'antica. È habitat! da
picciol numero di persone, non essendo gli habitanti più di 4800, et ha il
territorio circa 5494 anime, et di questi et di quelli ne sono di fattione
intorno 2400. Sono tutti molto poveri, il che nasce, per quanto io credo,
non solo per la poca fertilità de' terreni di quel paese, quanto per la ne-
gligenza de gli habitanti, li quali se ben sono atti per ingegno et per ro-
bustezza di corpo, et alli traffichi et alle fatiche, tuttavia stanno in continuo
otio, vivono, come si dice, a giornata, et lontani da ogni civiltà.
Per questa causa Vostra Sereniti non cava molto utile per conto delle
sue entrate, le quali consistono in alcuni Datij applicati alle spese di quella
Camera, et alcuni altri mandati all'Officio sopra le Camere. Ha nondimeno
1' entrata de' sali che importa molto.
La Camera è poverissima et fra poco tempo non potrà supplire al
bisogno, poiché la spesa è certa et maggiore, et la rendita incerta et minore.
— Tra salarij de' Rettori, de Camerlenghi, de Capi, et altri salariati, de
limitationi che si mandano alli Clarissimi Governatori dell'entrate, et altre
spese necessarie, spende ogn'anno ducati 2614, et d'entrata ne riceve 2196
poco più poco meno secondo gli anni, nelli quali crescono et calano i datij
che da quella si affittano al pubblico incanto, i danari de' quali non si puonno
neanco scuoder intieramente nel tempo debito, per occasione de Danari e
Livcllarij che non forniscono mai di pagare, si che è maggiore la spesa più
della rendita et entrata intorno ducati 400 A questo mancamento si sup-
plisce con il scuoder li debiti vecchi che crederò non ne sarà di breve più
da scuoder, per esser stata con ogni diligenza sollicitata l'esattione, et spe-
cialmente dal Magnifico M. Zuanne Cossazza bora Camerlengo, il quale,
per la bontà del suo ingegno, et per la diligenza et destrezza che tiene,
merita di esser grandemente lodato. Et quanto a me resto molto consolato
di haverlo havuto appresso di me nel tempo del mio Reggimento. Hora
cessando questa esamone, come è necessario che cessi, non potrà la Ca-
mera mantenersi : però a questo potria la Serenità Vostra porger rimedio
con far ritornar in quella Camera uno o doi di quei picciol Datij eli
lurono già levati dalli Sindici di T. F. precessori delli presenti, che con
questa via si venirebbe a supplire alla spesa che ha, siccome appare dal-
■Y occluso conto fatto di mano del Scontro di essa Camera.
Ha la Serenità Vostra altri Datij nelle terre dell' Istria, ma tra gli altri
uno de soldi 8 per quarta del vino estratto per Terre aliene, il quale es-
sendo altre volte incantato dalli Rettori proprij di alcun di quei luochi, fu
- 385 -
finalmente commesso al Reggimento di Capo d'Istria; per questa causa, et
perchè gli altri Rettori di quella Provincia non hanno commodità di riferire
alla Serenità Vostra quello che occorre, mi par esser obbligato dirle par-
ticolarmente, che quanto a questo Datio ella resta molto ingannata et poco
obbedita dagli habitanti di quei luochi, et spetialmcnte di Muggia, Isola,
Pirano e Mommiano, che da questi si cstraze la maggior quantità et il
storzo di esso vino : et in questo consiste l' inganno, che cavandosi in
ciascuno di questi luochi separatamente 200 et 300 ducati et più all'anno
per conto di questo Datio, hanno nondimeno altre volte per via di supplica
ottenuta concessione di pagarne solamente cinquanta all' anno per anni
cinque, et essendo stata avvertita la Serenità Vostra di questo disordine
commesse al Reggimento di Capo d' Istria in tempo mio il carico, o d' in-
cantare, o di far riscoter il detto Datio, secondo che fosse giudicato più a
proposito : però diedi ordine che fosse riscosso nella Terra d' Isola essendo
già finita la sua concessione iusta 1' ordine suo, ma non volendo lor ob-
bedire, di novo supplicorono di haverlo nel medesimo modo, et havendone
ella voluto informatione per rissolvcrsene, io gliela diedi particolarmente con
mie lettere de' 29 aprile 1582, et dalla mia informatione si come si degnò
di scriveimi, ella si mosse a licentiarli, et di novo commandarmi la essendone
del primo suo ordine. Con tutto ciò non 1' ho mai potuto essequire, se
bene non è mancato da me, perchè hora con un sutterfngio, hora con
l'altro, hanno tirato la cosa in longo, con speranza di ottenere il loro in-
tento. Fornito il Reggimento mio, et finalmente pochi giorni inanti il mio
partire, mi hanno presentata una lettera del Clarissimo Avogador Gritti che
suspendeva per un mese l'essecutione, stante la supplicatione di novo pre-
sentata da loro. Io l'ho obbedita per l'auttorità di quel Clarissimo Magistrato
se ben mi pare di molto danno, alle cose della Serenità Vostra, spetialmente
in materia de Datij, che li Clarissimi Avogadori così facilmente et cosi spesso
se ne impediscano, et mi è parso molto strano, che essendo stati una volta
licentiati, di novo sia stata accettata la loro Supplica, ma non potendo io
penetrar più oltre mi basterà dirle riverentemente che con l' essempio di
questi si moveranno anco tutti gli altri, et sarà più che mai la Serenità
Vostra defraudata da alcuni che in quelle Terre con inganno de tutti gli
altri assorbeno tutte le utilità, che ne trazeno, et forsi che il vero rimedio
sarebbe licenziarli con quell'ammonitione che a lei parerà convenienti, acciò
non fossero così renitenti a gli ordini suoi, rimettendomi nondimeno alla
sua molta prudenza. Et dopo che si tratta delli suoi datij, non posso né
debbo restar di dirle che ho ritrovato eh' ella viene parimente ingannata
et di buona summa di danaro, dagli infrascritti luochi, cioè Muggia, Isola,
— 386 —
Pirano, Buie, Humago, Cittanova, Parenzo, Puola et Rovigno, in materia
dello Datio dell' oglio, che si estraze da esse Terre, il quale viene affittato
da ogn' una di esse separatamente dalli Clarissimi alle Rason vecchie con
pochissimo suo utile, et eccessivo guadagno de Conduttori, non de ein-
quatene, ma de centenara et centenara de ducati. Il che nasce da questo,
che alcuni delli principali di quei luochi si accordano insieme, gettando alla
sorte a chi deve toccare d' incantar esso Datio, facendo un Donativo a
coloro che ne restano privi, acciò non concorrano ad incalciarlo ; et quelli
a chi tocca la sorte vengono a pigliarlo senza alcuna concorrenza con
grandissimo suo utile, et con molto danno della Serenità Vostra, si come
ella può sicurissimamente congietturare. Il rimediare a questo inconveniente
sarebbe facile, perchè potria far il medesimo di questo datio, che ha fatto
del Datio del vino, commettendo al Rettore di Capo d' Istria V incantarlo
o deliberarlo, come si fa degl' altri datij unito o separato secondo che sarà
più espediente, con obbligo poi di mandar il danaro all' Officio suddetto
delle Rason vecchie, accertandola che a questo modo venirà ad avanzare
più di mille ducati netti (quando però ne sia usata la debita diligenza da
chi ne haverà il carico), ove hora di tutti essi luochi non ne cava ducento.
Et di ciò ne sia questa la prova certa che nella Città di Capo d' Istria si
affitta al pubblico incanto questo istesso datio dell'oglio intorno ducati 300
all' anno, e tuttavia non si raccoglie maggior quantità di ogli nel suo ter-
ritorio di quello che si fa nel territorio di Pirano solo, et poco più della
terra d' Isola, la quale nondimeno ha havuto l'anno presente questo datio
per anni cinque a ragion de ducati 30 solamente all'anno, et viene a trarne
di utile sicurissimamente quattrocento all'anno. Et in questa materia de ogli
sapendo quanto questi Signori che ne hanno il carico siano grandemente
travagliati nel fare le provisioni ordinarie per questa Città, non mi par di
tacer questo, che mi pare molto strana cosa che la Serenità Vostra habbia
nella Provincia dell' Istria tanta quantità di oglio che supplirla in gran parte
al molto bisogno di questa Città, raccogliendosene all'anno Orne ì6m incirca,
e non di meno si lasci in abbandono et in libertà di quei habitanti di poterlo
condurre dove piace a loro sotto questo scudo che hanno privilegio di
poterlo fare ; perciocché se ben fosse vero che havessero questo privilegio,
i tempi nondimeno et l'occasioni si vanno mutando, et all' hora che lo
ebbero non era forsi così dannoso come hora è. Io credo che sarebbe ot-
timo conseglio provedere di modo che tutto 1' oglio di quella provincia,
eccetto quello che fa per uso suo, fosse condotto in Venetia et se paresse
a proposito anco senza Datio, et se si risentissero punto quegli habitanti,
credo che sarebbe meglio concederli qualche altra cosa in ricompensa di
- 3»7 -
questa per loro satisfattione, rimettendomi al sapientissimo giuditio della
Serenità Vostra et di questi Eccellentissimi Signori.
Trovo medesimamente che li Rettori di quella Provincia sono obbligati
pagare per il tempo del loro Reggimento le sue tanse et decime ordinarie
et straordinarie all'Officio delli Clarissimi Signori Governatori dell'entrate,
et il medesimo li loro Cancellieri et Cavalieri. In questo viene di buona
somma di danaro ingannata la Serenità Vostra et potendo più in me il debito
che tengo con lei et il beneficio suo ch'io sono tenuto procurare, che ogni
altro particolar rispetto, son sforzato dirle che molti di essi Rettori finito
il suo Reggimento stanno i mesi et i mesi che non vanno a pagare quanto
sono tenuti all' Officio predetto, et molti ancora non pagano cosa alcuna,
et quelli che pur vanno a pagare esborsano assai manco di quello che è
il suo debito, havendosi fatta fare una fede dal suo Cancelliero di molto
manco danaro di quello sono tenuti pagare, et li Cancellieri et Cavallieri.
per quanto ho potuto informarmi, non pagano in tempo alcuno, sì per non
venire a Venetia, come per non esser alcuno che procuri tal pagamento.
Però per rimediare a questo inconveniente, et perchè la Serenità Vostra
potesse sempre havere quanto ragionevolmente le viene, la potrebbe com-
mettere che cosi li predetti Rettori, come li suoi Curiali, non potessero
partirsi di Reggimento, o mandar via le sue robbe, se prima non riavessero
saldato nella Camera di Capo d'Istria tutte le predette loro Decime et Tanse
iusta la regolatione et tansa che s' attrova in essa Camara fatta dalli Cla-
rissimi Sindici precessori, et se non riavessero havuto il bollettino sottoscritto
di mano del Podestà et Camerlengo di detta Città, che a questo modo
cessarebbe T inganno et lei venirebbe ad avanzare qualche centenara de
ducati all' anno.
Sente la Serenità Vostra molto utile di sali di Capo d' Istria, cosi per
la quantità di essi, come perchè vengono levati dalli Cranci sudditi Arci-
ducali con molto utile delli suoi datij, levando loro i sali et conducendo
formenti, biave et altre robbe, con beneficio suo et di quelli habitanti ; ma
invero sono custoditi essi sali con pochissimo ordine, poiché di loro ne ha
il carico un Antonio Santorio che ha anco altri carichi in quella Città, et
tiene conto del riscuoter, et compreda di essi in tal modo, eh' io mi sono
molto meravigliato, perciochè non ha alcuno sopraintendente, et li conti
vanno alla longa, sicome io credo con molto suo utile, et maneggiando
egli molto danaro nel medesmo modo che fanno li Fattori di alcun parti-
colare et privato, non so vedere perchè non gli sia dato un Scontro secondo
l'ordinario di tutti gli Ufficij et maneggi di danaro publico. Io credo che
li Clarissimi Signori al sale siano vigilantissimi al beneficio della Serenità
— 388 —
Vostra, ma forsi non sarebbe fuor di proposito che da lei fossero fatti av-
vertire di questo disordine, perchè potessero pensare al levarlo.
Essendo patrona Vostra Serenità di tutti li datij et entrate di quella
Città, et non havendo quella Communità cosa alcuna di proprio, pare molto
conveniente che nelli suoi bisogni et massime dove si tratta della conser-
vation sua, et di quei suoi sudditi, ella ne habbia il carico, et le dia op-
portuno aiuto nelle sue maggior occorrenze. Perciò essendo circondata
quella Città da alcune paludi che la riducono a poco a poco in Terra Ferma
et le vanno facendo l'aere molto cattivo, Vostra Serenità per sua benignità
in tempo del mio Reggimento si è contentata a supplicatione di quel popolo
commettermi eh' io facessi levare dall'alveo suo vecchio un fiume chiamato
il Fiumesino, et facendo un nuovo alveo condurlo per altra strada più lontano
dalla Città, acciò si levasse con questo mezzo la causa dell'atterratione che
si faceva ogni giorno maggiore per il terreno che del continuo, et molto
più con le torbide era portato da esso Fiume in luoco vicino alla Città.
Questo tanto io ho essequito con ogni diligenza havendo fatto fare un alveo
di longhezza di perteghe 1042, che può esser intorno un miglio e mezzo,
con una masiera doppia di perteghe 80, si come ne ho dato particolar avviso
con mie lettere conforme all' ordine havuto dalla Serenità Vostra. Et il
danaro è stato speso con quel avantaggio maggiore che è stato possibile;
et si come mi fu scritto da lei non mi son partito dalla depositione di M.
Paulo dal Ponte protho alle acque, il quale è stato anco presente a parte
dell' opera secondo il tempo et bisogno ; ma essendosi levata la causa di
maggior atterratione, non però si è ridotta la Città nel suo stato proprio,
et quanto alla fortezza naturale, et quanto alla salubrità dell'aere, perciochè
il terreno della palude è alto in molti luoghi et spetialmente sotto il ponte
et vicino alle mura della Città, di modo che sta per il più del tempo sco-
perto all'acqua : però saria molto bene, anzi pur necessario far l'escavatione
della palude, almanco vicino alle mure, et sotto et appresso il ponte, per-
ciochè non essendo altro luogo né più capace, né più forte di sito in tutta
l' Istria per rifugio et ricorso degli altri luoghi di quella provincia, in certi
tempi di bisogno, oltre il beneficio proprio di quella Città per rispetto del
miglioramento dell'aere, sarebbe anco beneficio universale degli altri luochi
dell' Istria, et specialmente delli più vicini, li quali havevano altre volte, et
ultimamente nel tempo dell' ultima guerra Turchesca, designato di retirar-
visi con le proprie fameglie, et facultà e da questo mi move a dirle rive-
'rentemente che continuando la Serenità Vostra a darle aiuto di danaro per
questo effetto potria anco far contribuire all' escavatione, sicome fa la Città
et suo Territorio, alcuni di quei altri luochi che paresse a Lei che più
- 389 -
dovessero farlo; et facendo la Serenità Vostra con quest'opera li benifkij
sopr?.detti veniria anco a dar commodità alle galere et altri Vasselli di poter
arrivar et fermarsi vicino a quella Città; il che staria bene per molti rispetti,
et conseguentemente a dar un poco di adito di commercio et di utile a
quelli habitanti che sono in gran povertà. Io ho voluto lasciar il danaro
che mi è restato nel fin del mio Reggimento al Clarissimo mio Successore,
acciò cominciasse a far l'escavatione vicino al ponte et appresso le mure,
conforme a quanto mi commandò la Serenità Vostra con le sue de' 13 Luglio
passato; ma non havendolo voluto ricever sono stato sforzato di portarlo
alli Signori sopra le fortezze, havendomi detto di più che aspetterà di haver
novo ordine da lei in questo proposito. Ma perchè più sicuramente si prohi-
bisca l' attenatione, non sarebbe forse male che da lei fosse novamente
commesso, che non fosse fabbricato maggior numero di saline di quello
che è al presente nelle dette paludi, poiché questa è stata una delle principal
cause dell' atterratione. Questo tanto ho voluto dirle parendomi il tutto
necessario per la conservatione di quella Città et per beneficio di tutta quella
Provincia.
E circondata la città di Capo d' Istria di muraglie vecchie et antiche
et fuori di essa in capo al Ponte che passa alla Terra ferma ha un Castello,
chiamato Castel leone, il quale ha più della porta che del Castello. Le mu-
raglie della città se ben sono vecchie, tuttavia guardandole et ferrandole, non
mi è parso bene che dovessero star rotte et forate, come io le ho ritrovate,
andando a quel Reggimento, perchè oltre gli altri rispetti, per li contrab-
bandi et di sali et di altro che venivano fatti ne sentiva la Serenità Vostra
assai pregiuditio. Però col mezzo delli Signori sopra le fortezze le ho fatte
racconciare in ogni luogo, et ho renduto conto a sue Signorie Clarissimc
del danaro speso con quanto avantaggio ho potuto.
Sono in dette muraglie porte n™ dieci, le chiavi delle quali sono tenute
da particolari che stanno vicini ad esse; il che mi pare un grandissimo
abuso et di mala conseguenza, et giudicarci che fusse bene che, o il Ca-
valliero del Podestà con un poco di accrescimento di salario, havendolo
molto tenue, o altri che sia, fosse obbligato a serrarle et portar le chiavi
in mano del Rettore et essendo conveniente che un abuso simile sia levato
per ordine espresso della Serenità Vostra, ho voluto rappresentarlo a lei,
acciochè con l' autorità sua immediatamente et senza alcun impedimento
sia essequito.
Il Castel Leone, che è antichissimo e che, come ho detto, ha più della
porta che del Castello, ha alla custodia sua un Capitanio con otto soldati,
la qual spesa, a giudicio mio, e del tutto superflua, perchè già centenara
— 390 —
d'anni che fu fabbricato altro fine s' haveva a quei tempi, et altra era l'offesa
et la diffesa. Fu fabricato in acqua molto profonda et vi si potevano ac-
costar le Galee, et ora è in terra del tutto, è piccolissimo et di niuna diffesa
quanto alla forma con che è fatto. Ma quello che è peggio, è così vecchio
di muraglie et di ogni altra cosa, che si può dire ruinoso, et se non sarà
disfatto da altri, credo che si disfarà per sé stesso ; oltre che in tempo di
alcun cattivo accidente potria il nemico terrapienandolo valersene grande-
mente a maleficio di tutta quella Città. Potria la Serenità Vostra farlo gettar
a terra, et impiegar quella spesa de' soldati in altro luoco con maggior
utilità et riputatione sua ; et io giudico che molto meglio sarebbe che quei
soldati fossero posti sotto il Governatore alla guardia della piazza, perciochè,
oltra la riputatione che se gli darebbe, si veneria anco a rimediare a qualche
inconveniente che per mala sorte potesse occorrere. Et mi dispiace gran-
demente doverle dire che ho veduto con grandissimo disturbo et travaglio
d'animo un Vescovo seditioso, che ha pratica strettissima con Principi alieni
confinanti, vestito solennemente con seguito di Preti, mover il popolo sotto
pretesto di religione a far quanto particolarmente scrissi all' hora dove bi-
sognava : il che forsi non sarebbe seguito, né promosso da lui, se fosse
stata custodita la piazza della maniera che ho detto. Faccia nondimeno ella
che rissolutione le pare che quella giudicherò molto megliore, bastandomi
accennarli il mio pensiero pieno di buona volontà verso le cose sue.
Tiene la Serenità Vostra un'Armeria posta sopra la piazza publica di
quella Città in governo di Ser Antonio Santorio Massaro delle Monitioni
et Capo de' Bombardieri, et perchè ho voluto più volte vedere la quantità
delle Arme, che sorte et che governo habbiano, le ho ritrovate molto ristrette
et una sopra l'altra rispetto alla strettezza del luoco et che vengono molto
a patire non potendo esser accomodate con quell'ordine et governo che se
li conviene. Et quello che a giudicio mio è peggio, che la polvere si ritrova
riposta tra le dette arme, onde per quei rispetti che puono benissimo esser
considerati, essendo il luoco, come ho detto, sopra la piazza publica, et
vicino al Palazzo, facilmente potrebbe all' improviso per molti accidenti
apportar molto travaglio, si come 1' esperienza havuta in altri luochi 1' ha
chiaramente dimostrato. Crederei che sarebbe ottima cosa che la polvere
fosse levata da detto luoco, et posta in altro fuori di pericolo, che con
pochissima spesa se ne potrà trovare., essendovene de' vacui in più parti
della Città.
Et perchè appresso il luoco suddetto delle munitioni vi era una casa
di ragione de un particolare, divisa solamente da un simplice muro, et
confinante con le pregioni di Palazzo, et con la Cancellaria del Sindacato
— 39i —
dove sono le Scritture di quella Communità, non mi parse conveniente per
molti rispetti che dovesse star in mano di particular persone, et giudicai
che fosse se non bene farne patrona la Serenità Vostra, tanto più che con
poca spesa si l'averebbe potuto racconciare, et aggrandir il luoco delle mo-
nitioni con molto suo beneficio et di quelle armi insieme, ma in particolare
delle Artegliarie che per i' angustia et strettezza del luoco patiscono assai.
Di tutto ciò diedi riverente aviso alla Serenità Vostra et alli Clarissimi sopra
le Artigliarie et fortezze, ma non havendo havuto risposta deliberai di
comprar la detta Casa a nome suo con li danari di quella Camera sapendo
fermamente di doverla havere con assai avantaggio non passando il pretio
di ducati 120, quali furono esborsati da quel Magnifico Camerlengo, et fu
per publico instrumento fatta patrona la Serenità Vostra, sempre però a
beneplacito suo. Altro racconciamento non ho potuto fare, havendo voluto
fornir prima l'opera del Fiumesino, che la mi commesse, et la fabbrica del
ponte grande della Città che butta alla T. F. di qualche importanza et spesa,
come particolarmente le ne darò conto.
Fu introdutta altre volte in Capo d' Istria, et non è molto tempo, una
scuola de Bombardieri, et credo, che si come in tutti i principi) si fa come
si può, così ne fosse allora dato il carico a un Capo che dovesse essercitarli
et insegnarli quello che bisognava, senza far molta inquisitione della sua
sofficienza, perchè quelP istesso che è anco massaro di quelle munitioni, et
di più ha la cura di sali di tutte quelle saline, essendo stato eletto per Capo
di quei Bombardieri, vale tanto in questo mestiero, quanto Vostra Serenità
può vedere da una espositione fatta dalli medesimi Bombardieri che sarà
con questa, nella qual dolendosi di non sapere, perchè non gli vien inse-
gnato cosa alcuna che stia bene, ricercano anco instantemente che li sia
dato Capo sufficiente et diligente ; et sia come mi sono doluto et più volte
li ho represi della sua ignoranza, così loro non sentendosi in colpa, (di
che ne son certissimo havendo veduto con 1' occhio proprio quanto vai
poco il Capo), si sono mossi a ricercare di esser meglio ammaestrati di
quello che sono. Vostra Serenità adonque volendo havere qualche frutto in
cosa di tanta importanza, potrà farne quella provisione che le parerà con-
venirsi, la quale tanto più io giudicherò necessaria, quanto che il numero
di essi Bombardieri si potrebbe crescer facilmente et con aggionger di quelli
della medesima città di Capo d' Istria senza dar mala satisfattione ad alcuno,
essendone molti desiderosi d'esser descritti, et con descriverne anco alquanti
delli luoghi più vicini, come sono Pirano, Isola, Muggia, li quali riusciranno
mirabilmente, et potrebbono esser essercitati dal medesimo Capo di Capo
d' Istria, non essendo più lontani che 5, 6 et 8 miglia, potendosi massime
- 392 —
far il viaggio et per terni et per barca in termine d' un bora o doi. Timo
ciò le bo voluto rappresentare sapendo quanto le pesi questa materia de
Bombardieri et di quanta importanza sia giudicata da tutti questi Eccellen-
tissimi Signori.
Si ritrova havere la Serenità Vostra, tra quella sua città di Capo d' Istria
et la Provincia insieme, buomini descritti nella militia al n.ro di 2400, tutti
Archibusieri, sotto il governo di sei Capitani salariati con la sopraintendenza
del Governatore ditto Moretto da Recanatti destinato da lei Governatore
di quelle Ordinanze; et perchè io giudico questo negotio importantissimo
et di molta consideratione, vengo anco un poco più diffusamente a ragio-
narne, et si come è maggiore assai il zelo et il desiderio eh' io tengo del-
l' utile et servitio della Serenità Vostra, che non è ogn' altro particolar
rispetto, le dirò in questa materia con ogni sincerità et libertà 1' opinion
mia. Sono i soldati descritti huomini di natura forti et attissimi così ad
apprender il mestier dell'armi, come a patire ogni incommodità, et può di
loro la Serenità Vostra haverne certa speranza di doverne ricever ottimo
servitio, così in terra come in mare sopra le sue galere per scapoli, et anco
per galeotti in caso di bisogno, essendo la maggior parte de loro de razza
forte de sebiavoni et murlachi, usi ad ogni fatica, quando che dalli loro
Capitani fossero ammaestrati et disciplinati nella maniera eh' ella crede, et
che doverebbono fare, havendo il suo danaro ; ma è bene eh' ella sappia
che della compagnia essercitata eccellentemente dal Capitano Tiburtio Val-
marana Vicentino, et quella del Capitano Antonio Lugnano in fuori, che
può passare convenientemente, tutte le altre sono così poco ammaestrate
dalli suoi Capi che quanto a me giudico più che necessario che ne debba
esser fatta conveniente provisione, et che gli siano dati altri Capi et più
prattici et più diligenti : altrimenti ella sia sicura di gettar via la spesa et
di non poterne ricever mai alcun servitio, e nondimeno havendo rispetto
alla qualità del paese et degli huomini atti ad ogni fatica, non doveriano
esser inferiori ad alcun' altra sorte de soldati di ciascun' altro paese. Et in
questo proposito non debbo restar di dirle, che havendomi commesso la
Serenità Vostra per sue lettere de 25 novembre 1581, ch'io dovessi ac-
crescer il n.ro delli 2400 che sono descritti in tutta l' Istria fino al n.r0 di 3Ó00,
il che sarebbe stato facile ad essequire per 1' abbondanza degli huomini et
luochi dove si poteva fare la descrittione, mi è accaduto il medesimo che
nella cosa del datio del vino, perchè havendo fatta una descrittione uni-
, versale insieme con il Signor Moretto Governatore et il Vice Collaterale,
non ho potuto mai farne la compartita rispetto all'essersi opposti alcuni di
Muggia, per nome di quella Communità che furono anco causa che faces-
— 393 —
sero l'istesso Isola et Pirano; li quali havendo supplicato la Serenità Vostra
con certi suoi asserti meriti di dover esser esenti, se ben io le risposi secondo
la sua commissione dandole informatione particolare del tutto, non però
ho potuto haverne alcuna rissolutione, dal che è causato, che gli altri luochi
dell'Istria si risentono di questo che non vi sij egualità, e che non siano
trattati tutti ad un modo, et che quelli di Muggia, Isola et Pirano fuori
d'ogni ragione debbano passar esenti, havendo maggior n.r0 di persone et
molto più gioventù riussibile ad ogni esercitio, et che alle altre terre, non
cosi commodo, et di maggior numero assai sia lasciato il peso d'ogni fatica,
cosa invero abborrita dalla buona mente di Vostra Serenità, che non per-
mette nelli sudditi suoi maggior gravezza all' uno che all' altro. Mosso da
cosi importante negocio et dal carico eh' io tengo, conoscendo di più l'ot-
timo servitio che li apporteria l'accrescimento di queste Cernede, iusta la
buona deliberatione fatta da lei più volte, con molte mano di mie lettere
ho raccordata la rissolutione a Vostra Serenità per poter essequir l'ordine
suo, ne havendo ricevuta risposta alcuna, né meno essendo stati licentiati
gli Ambasciatori che per ostinatione sono fermati in questa Città, le rac-
cordo riverentemente che mi è convenuto lasciar la cosa imperfetta con
non poco suo danno et interesse. Io, Serenissimo Principe, riverentemente
le raccordo, che non debba lasciar di fare al tutto questo accrescimento
fino al n.r0 di 3000 soldati, poiché non può quella Provincia con ragione
aggravarsi in conto alcuno, et creda a me, che ho voluto vedere in persona
gli huomini et la gioventù di quelle terre, onde si deve descrivere il numero
suddetto, et spetialmente quelli di Muggia, Isola et Pirano, gioventù più
disposta et atta d' ogn' altra, si come anco è il molto maggior numero.
Ne ho trovata ragione alcuna, perchè ne dovessero restar esenti, et perchè
il commemorar le ragioni che altre volte ho rappresentate alla Serenità
Vostra sarebbe un attediare l'orecchie sue, et di questi Eccellentissimi Signori
che ne debbono esser ricordevoli ; io mi rimetterò a quanto ho scritto per
diverse mano di mie lettere, solo le dirò questo particolare importante,
che si come non si puonno descriver huomini di Militia nel Territorio di
Pirano per non esserne quindici o venti propri] di quel luoco, che il resto
sono sudditi imperiali, condotti a nodrir mandrie et lavorar terreni, così
non si deve lasciar di descriver quelli della medesima Terra di Pirano,
huomini pratichissimi et esperti de' quali si può fermamente sperare ogni
buona riuscita, come è stato osservato nelli Castelli di Terra ferma.
Mi resta solamente dire alla Serenità Vostra che essendo proprio delli
suoi Rappresentanti invigilare in due cose principalmente per beneficio et
consolationc de' suoi sudditi, cioè neh' amministrare la Giustina et nella
— 394 —
previsione delle cose spettanti al loro vivere, nella prima io non ho ponto
mancato secondo le forze mie, et secondo la mia conscienza, postponendo
ogn' altro rispetto, et posso dire con verità di esser stato così assiduo nelle
audientie, et neh" espeditioni, che non ho consummato mai il tempo in
altro, et sebene può parer ad alcuno che il Reggimento di Capodistria sia
di poco peso, et di mediocre importanza, tuttavia le affermo sincerissima-
mente che sono tanti i carichi, et in tante cose è impedito il Rettore che
a me par impossibile che possi con la sua persona sola supplir al bisogno;
perchè havendo da governare et nel civile et nel criminale quella Città et
Territorio, ha anco auttorità di Auditore Sindico, Avogadore et Diff.re sopra
molte terre et luochi di quella Provincia, di maniera che per questo rispetto,
sicome altre volte le è stato raccordato, io giudico che la Serenità Vostra
debba farne una bonissima opera se si rissolverà di darle aiuto di un Vicario,
il quale non tanto sarà di qualche sollevamento al Rettore, quanto sarà di
grandissima consolatione a tutti quei popoli che hanno bisogno molte volte
di app.ne et suffragio da quel Reggimento, et quelli che fin' hora non si
sono sottoposti in seconda instanza alla sua auttorità, si moveriano tutti a
farlo con grandissimo loro contento per quei rispetti che dalla sua molta
prudenza possono esser molto ben considerati, che chi volesse dire in questa
materia certi particolari che occorrono, sarebbe cosa di gran dispiacere a
chi la sentisse et quasi lachrimevole. Oltra che essendo stati assuefatti quelli
di quella Città ad una negligente et trascurata inobedienza, questo sarebbe
qualche aiuto a metterli in strada d'obedire quando si conviene. Et il salario
di questo Vicario si potria trovare senz'alcun interesse di Vostra Serenità,
poiché potrebbe il Rettore fare che fosse pagato con li caratti che si sco-
deriano delle sententie, come si fa da qui all' Officio delli Avvogadori et
con parte del danaro delle condanne che si facessero nel tempo del suo
Reggimento, le quali ancorché siano di quella Communità per concessione
fattale dalla Serenità Vostra, si contentaria nondimeno che ne potesse ap-
plicare qualche parte a tal pagamento, ritornando ciò in molto honore alla
sua Città, et di molta consolatione, et sollevaménto a tutto quel Popolo.
Quanto alle cose spettante al vivere di quei Popoli, ha gran travaglio
il Rettore per conto delle biave et formenti che sono necessarij alla loro
sustentatione, perchè non si raccoglie grano in quel territorio che supplisca
ad una minima parte dell'anno, et essendovi un Fontico poco ben^governato
dalli medesmi della Città che per il passato sempre sono andati intaccandolo,
,si ha grandissimo disturbo in mantenerlo abbondante di formento et farine,
et se non ne fosse portato dalli Cranzi sudditi Arciducali, che con il tratto
di esso portano via et sali, et altro, con molto utile delli datij di Vostra
— 395 —
Serenità, si trovarebbe il Rettore alcuna volta a strano partito. Però in tempo
mio ho usato ogni destrezza con loro, et per altra via ho usata ogni dili-
genza possibile, di modo che non si ha mai patito né nella Città, né in
Territorio, né nelli luoghi vicini, i quali spesso, er spetialmente in tempo
di carestia, venivano a comprar il pane nella Città di Capo d' Istria. Et
quanto al cavedal di esso Fontego ho procurato senza haver rispetto ad
alcuno, che fosse non solamente conservato, ma accresciuto, con far pagar
li debitori di quello che havevano intaccato, di maniera che posso dire con
verità di riaverlo lasciato in assai miglior stato di quello eh' io lo trovai
nel principio del mio Reggimento. — Et perchè ordinariamente li sopradetti
Cranzi transitano, et per portar li formenti, et per asportar quanto fa loro
bisogno per il Ponte che conduce dalla Città alla Terraferma, et non hanno
altra strada che per esso Ponte, però havendolo ritrovato tutto rovinato et
rotto, di modo che non si passava senza grandissimo pericolo de' Viandanti,
se ben era opera molto difficile rispetto al danaro che bisognava, essendo
longo intorno passa cento, nondimeno ho voluto non solo farlo racconciare,
ma farlo riffar tutto di novo, applicandoli il danaro di molte condanne,
oltra quelli che ho havuto dalli Signori sopra le Fortezze; et se bene da
Sue Signorie Clarissime non si ha havuto più che ducati 200, tuttavia es-
sendo così grande, mi è bisognato spenderne eoo. Et so che in quest'opera
la quale è stata di molta importanza in quella Città ho superato l'opinione
et credenza di ogn' uno, perché ogni poco racconciamento che veniva fatto
per il passato, pareva molto rispetto alla penuria del danaro et al bisogno
dell' opera ; pur è stato fornito del tutto di novo, et non haverà bisogno
per molto tempo di altra spesa. Et invero era necessario il riffarlo, oltra il
rispetto sopradetto, per questa causa che tutti gli Cittadini et habitanti
nella Città conducono per quella strada tutte le sue entrate, e tutto ciò che
fa loro bisogno per il vivere ordinariamente.
So di haver con doi mano di mie lettere rappresentato alla Serenità
Vostra esser stati tagliati in quel Territorio molti roveri da quei suoi po-
verissimi sudditi et riaverle scritto intorno ciò ogni particolare che giudicai
necessario, sì per servitio suo, come per iscarico loro ; nondimeno parmi
esser obbligato di doverle brevemente raccordare quanto all' hora a questo
proposito le scrissi, che sarebbe ottima cosa, sì per benefitio della Casa,
come anco di quei sudditi che la Serenità Vostra commettesse che si do-
vessero riveder i boschi di quel territorio da un Proto et cavalcante perito
et affettionato alle cose sue, il quale dovesse segnar i roveri che fossero
buoni et per venir buoni per essa casa, et farne poi far nota particolare sì
nella Cancellarla di Capo d' Istria, come de qui all'Officio dell'Arsenale de
— 396 —
tutti quelli che havesse segnato. Et a giudicio mio è molto necessaria questa
revisione, non essendo stata fatta dal 1547 in poi che fu eletto Proveditor
nell'Istria il Clarissimo M. Lorenzo Pisani, mediante la quale sarà ad ogn'uno
levata l'occasione di continuar più in simil tagli, la maggior parte de' quali
è stata de roveri non segnati ; et sarà sicura la Serenità Vostra di potersene
sempre prevalere, essendone quel bisogno eh' ella benissimo sa.
Questo è quanto mi occorre considerar et rappresentar alla Serenità
Vostra quanto più brevemente posso intorno al reggimento et governo che
si ha contentato di darmi. Il che so che sarà accettato da lei, et da tutti
questi Eccellentissimi Signori con quella benignità che è sua propria : di
che ne ho piena et certissima confidenza, havendo per compagna et delle
opere mie et del mio pensiero una volontà ardentissima di ben servirla
secondo 1' ultimo mio potere.
Ho havuto per mio Cancelliero M. Alvise Vendramini da Spalato, al
quale fu concessa la Cancellarla di quella Città dall' Illustrissimo Conseglio
de' dieci. Et perchè per l'ultima regolatione ne è restato privo, se ben io
so, che li suoi meriti per li quali ebbe la gratia, sono manifestissimi a Vostra
Serenità et a tutte le Signorie Vostre Illustrissime et Eccellentissime, non
posso nondimeno restar di fare, come faccio amplissima et manifestissima
fede et della sua bontà et della sua fedeltà, 1' una et 1' altra da me effet-
tualmente et chiaramente conosciute, che il riconoscer per qualche altra
strada li suoi meriti per conservatione della sua numerosa et povera famiglia,
tocherà al Sapientissimo giudicio di Vostra Serenità et di Vostre Signorie
Eccellentissime, alla cui buona gratia riverentemente mi raccomando.
(Da copia contemporanea esistente nella Serie Relazioni — Registro
1582 ecc. già Codice Brera n. 198 da 55 tergo a 63).
Espositione di Bombardieri di Capo d'Istria, presentata nell'Eccellentissimo Col-
legio a' 17 Mar^o ij8) per il Nob. Ho. Ser Alvise Morosini ritornato di
Podestà et Capitanio di Capodistria.
Dominica 2 di Gennaro 1583.
Comparsero alla presentia del Clarissimo Signor Alvise Morosini per
la Serenissima Ducal Signoria di Venetia mentissimo Podestà et Capitanio
di Capo d' Istria et suo distretto, Ser Vincenzo Carpatio, Gastaldo della
Confraternita della Scuola di S.ta Barbara di Bombardieri di questa Città
ser Nadal Cantian, Scrivano della medesima scuola, ser Bortolo Albanese,
— 397 —
Ser Filippo di Basti, M.r0 Nello Mellizzotto, Zanetto Albanese, Bortolo
Callaffà, Elio Baldan, Nicolò de Rizzo, Antonio Schienea, Zorzi Zambon,
et Andrea de Valtra, tutti bombardieri descritti nel libro di detta Scuola,
et così per nome suo, come degli altri compagni, la persona de quali dissero
detti Ser Vincenzo Gastaldo, et Ser Nadal Scrivano rappresentare, et do-
lendosi esposero a Sua Magnificenza Clarissima così dicendo. Siamo venuti
qua Clarissimo Signore a dolersi da lei, che essendo entrati bombardieri
nella scuola di S.*" Barbara gii quattro anni incirca sotto il Reggimento
del Clarissimo Signor Nicolò Donado all' hora degnissimo Podestà di questa
Città sotto la custodia de Ser Antonio Santorio Capo deputato, non per
avidità alcuna di danaro, ma per servire et morire al servitio del nostro
Principe, mai detto Santorio ne ha dato ammaestramento alcuno nell'arte
del Bombardiere, né insegnata cosa alcuna intorno i tiri, et altro che fa
bisogno a quest' arte, e se pur habbiamo fatto qualche poco di profitto, è
stato solamente per il desiderio grande che tenimo d' imparare, ma siamo
certi di dover perder et la fatica, et il tempo, poiché non ne fa essamina
alcuna per instruttion nostra ; et per dir il vero lui non ne sa molto né
poco, che quando ne sapesse, dove siamo da 42 bombardieri descritti fin
hora, tutti gioveni, saressimo sicuramente almeno 100, non riavendo voluto
molti entrar nella scuola per la certezza che havevano di non dover sotto
detto Santorio ricever ammaestramento né costrutto alcuno. Et certo, Signor
Clarissimo, che dal tempo che siamo descritti per bombardieri non ne ha
disciplinati se non una sol volta, che ne menò in casa sua, dove sotto il
solaro erano certi pezzi depenti, et ne diceva quello è un Moschetto, quel-
l'altro è un Falconetto; né mai ne ha insegnato come si faccia il salmitro (sic),
né la polvere, bene ne fece un giorno pestar alcune robbe con dir che voleva
far della polvere, ma però non ne mostrò l' effetto, né che cosa riuscisse.
Quanto poi al tiro che si fa di mese in mese, non ne ha pur una volta
conzato i pezzi, né dettone cosa alcuna come vogliano andare; né anco ha
voluto tirare una sol volta, se bene ogn'uno de noi l' ha pregato con grande
instanza a voler tirare per instruttion nostra. Pertanto supplichiamo humil-
mente Vostra Signoria Clarissima che si degni per beneficio et honore di
Sua Serenità provederne di un Capo prattico et sufficiente dal quale pos-
siamo sperare qualche frutto, et non volere che detto Santorio continui più
oltre in detto carico così importante, e tanto stimato da V. S. Clariss.ma,
o che almeno sia contenta di rappresentare questo tanto a sua Serenità
affine che possa farne qualche provisione, perchè certo, se non ci provede
di Maestro et Capo esperto et prattico, saremo sforciati abbandonar la detta
scuola, et così da novo tornamo a supplicare Vostra Sig.ria Clar.ma etc.
- 398 -
Inteso quanto di sopra, il prefato Clarissimo Signor Podestà et Capitanio
commesse dover esser posta questa loro espositione in scrittura, acciò possa
maggiormente certificare Sua Serenità della verità del fatto, sicome le parerà
per conscienza.
Scipio Hastaeus Not.8 et Coad.r Canceil.riae Crim.is
Iustinopolis ex authentico pene Cla.ura D.
Pottestatem et Capitaneum esistente ext.u et
subscripsit sigillavitque.
(Da copia esistente nella Serie Relazioni — Registro 1582 già Codice
Brera n. 198 a 63 tergo e 64).
Conto della spesa et intrada della Camera fiscal della Città dì Capo d' Istria
dell'anno 1582, presentato nell'Eccellentissimo Collegio i;8j a' 17 Marino
per il Nob. Ho. Ser Alvise Morosini ritornato da quel Reggimento.
1582
Dar de anno uno della Camera Fiscal della Città di Capo d' Istria,
che non si può far di manco.
Ducati Lire Soldi
1. Il Clar.mo Sig. Podestà et Capitanio 143 4 16
2. Il Mag.co S.r Cam.0 et Castellan 181 — 11
3. Il Capitanio di schiavi 200 — —
4. Il Capitanio Tiburtio Valmarana 120 — —
5. Il Capitanio Antonio Lugnan 80 — —
6. Il Fisico della Città 120
7. Le limitationi ordinarie 407 — —
8. Spese estraordinarie d' aviso 322 —
9. Doi Bombardieri ordinari]' 132 — —
io. Li sette Officiali 168 — —
11. Il Pasenatico de aviso 100 — —
12. Li palij de S. Nazario et Fiera de Risan 60 — —
13. Dui Cavallari 61 5 16
14. Il Precettor publico 36 3 12
15. Li quattro Giudici della Città 312 4
16. Le prediche della Quadragesima et Ad vento ... 40 — —
- 399 —
Ducati Lire Soldi
17. Il Scontro de Camera 48 — —
18. Le Feste del Carneval 25 — —
19. Li pretij di Bombardieri 29 — —
20. Li dui Capellani del Palazzo et Castello 15 — —
ai. Una elemosina perpetua 5 1 —
22. Quattro torze alla Chiesa 6 — 12
23. Uno livello alle Madre de S.ta Chiara 4 — —
24. L' arme delli Clar.ml Rettori et Camerlenghi .... 5 — —
25. Dui Vicedomini della Città 14 3 —
26. Dui Soprastanti della Città 8 — —
27. Spese de stimar vini 31 2 4
28. Quattro Giustitieri della Città 13 3 4
29. Quattro capi de Cento 24 — —
30. Il Tamburo del Capitanio di Schiavi 24 — —
31. Tre Contestabili delle Ville 31 — —
32. Dui Castellani 12 — —
33. Il Fante de Camera 12 — —
34. II Commandador et Trombeta 25 — —
35. Il Trombeta de fuori 8 — —
36. Il Contabile della Città 24 — —
37. II Cavalier con le regalie 8 — —
38. Il Vice Cavalier . . , 12 — —
39. Uno che liga alla corda 12 — —
40. Uno che serra et apre le porte della Città .... 6 — —
41. Il far nettar l'arme delle monition della Città et fuori 8 — —
Summa ... 2614 2 3
1582
Haver della Camera Fiscal del presente anno.
Ducati Lire Soldi
1. Datio delle Hostarie della Città 800 — —
2. Datio delle Hostarie delle Ville 170 1 —
3. Datio delle Beccane della Città 66 4 1
4. Datio delle Beccarle delle Ville 107 3 —
5. Datio della Valle di S.'° Ellero 21 — —
6. Datio della grassa 41 1 16
7. Datio delle mesure 43 1 8
8. Datio delli soldi 2 per orna de aviso (sic) .... 200 — —
— 400 —
Ducati Lire Soldi
9. Datio dell' oglio 291 1 16
io, Datio delli soldi 2 per secchio delli vini che si estra-
zeno per terre aliene 287 3 io
11. Datio delli soldi 2 per secchio de Buie et distretto,
come di sopra 65 2 2
12. Datio de livelli in capi n.r0 1 come in L.° 1 . . . 80 — —
13. Datio de legnami 22 3 —
Stimma . . . 2196 3 11
Datij che per la nova regolation sono obligati sopra le Camere.
Ducati Lire Soldi
1. Datio delli preghi (sic) delle Ville 150 — —
2. Datio del pan 190 — —
3. Datio di Molini 320 1 —
4. Datio della Pescarla 195 3 —
Summa . . . 855 4 —
(Da copia esistente nella Serie Relationi — Registro 1582 già Codice
Brera n. 198 a 63).
Relatione del Nob. Homo Ser Giacomo Lion ritornato di Po-
destà et Capitanio di Capo d' Istria. — Presentata adi 28
di Giugno 1584.
Serenissimo Principe, Illustrissimi et Eccellentìssimi Signori.
Se io non fusse certo che altri suoi Rappresentanti gli riavessero par-
ticolarmente descritta la Città di Capo d' Istria, il sito, il circuito di quella,
l'aria, et finalmente tutto quello che se gli appartiene, non è dubbio alcuno
che debito mio saria al presente dar particolar conto et informatione alla
Serenità V.ra, ma per esser io certo lei esser molto instruttissima di tutte
queste cose, per non attediarla le tralascierò, recordandoli solamente quella
Città in gran parte esser destrutta, et in publico, et in particolare pove-
— 401 —
rissima, bisognosa piuttosto d' esser suffragata, che in conto alcuno ag-
gravata.
In essa ha la Serenità Vostra anime 3921, fra le quali ne sono da fatti
solamente 848.
Tiene alla guardia et custodia del Castel Lione vicino ad essa Città
un Capitano con otto soldati, li quali per il vero non hanno mancato,
secondo che era debito loro, del continuo riavergli quella cura et governo
che è tenuto et obbligato ogni buon Ministro et suo Stipendiato.
Ha in quella una scuola de bombardieri fino al presente al numero de
cinquanta, et ogni giorno si va accrescendo, per quanto m' ha refferto M.
Antonio Santorio loro Capo, et ne fa fede in una Scrittura a me presentata
il strenuo Rosso Cechoni d'Ascoli al presente Governator della militia di
tutta quella Provincia. Questi scolari sono per la maggior parte Marinari,
poveri, et usi del continuo sopra diversi Vasselli, delli quali la Serenità
Vostra, per opinion mia, in ogni occasione si potrà servire et spetialmente
per mare. Questi da detto suo Capo sono ammaestrati et disciplinati secondo
che si conviene, non mancando farli tirare al tavolazzo per loro instruttione
nelli tempi a loro statuiti et limitati, sotto la cura et governo del qual Capo
ha la Serenità Vostra monitione assai conveniente d' arme, et pezzi d' ar-
tellaria.
Et finalmente in essa ha una Camera, la quale se ben non ha più de
lire 13525 soldi 9 d' intrata all'anno, et che di spesa habbia Lire 17078
soldi 12 come da questi Conti datimi dal Scontro della medesima si puoi
vedere, nondimeno per esser quella ben governata dal Magnifico M. Antonio
Boldù attuai Camerlengo, il qual con ogni studio et industria non manca
accrescergli l' intrata, con andar mettendo in Signoria molti beni che per
il passato erano a detta Camera da diversi stati usurpati, et anco con l'andar
riscotendo diversi crediti che quasi erano fatti inesigibili, supplisce alle spese
et pagamenti de Provisionati, che per giornata gli convien fare.
Nel Territorio poi ha la Serenità Vostra anime 5790, per quanto ho
potuto vedere dalla descrittione ultimamente di mio ordine fatta, delli quali
ne sono da fatti solamente 1200.
Sono le terre di quello assai aride, onde sì per questo, come per
il poco numero d' habitadori, poiché in 42 ville che vi sono non vi
sono più che le anime sudette, et per la naturai loro negligentia a col-
tivar a grano, si traze pochissima quantità de formenti, attendendo loro
solamente al governo delle vigne et olivi, de quali per il vero ne ca-
vano grandissimo utile, et è il nervo et principal fondamento delle loro
intrate.
— 402 —
Ho sotto la cura et governo de diversi Capitani in tutta quella Pro-
vincia soldati 2300, delle persone de' quali io non ragionerò, non riavendoli
personalmente potuto vedere, per l' impotenza et vecchiezza mia nel far
delle mostre secondo eh' era mio desiderio, et è obbligo d' ogni suo rap-
presentante di fare : nondimeno la Serenità Vostra restarà d' intorno ciò
informatissima dalla presente scrittura a me presentata dall' antenominato
Signor Governatore, nella quale dà particolar conto non solamente delli
soldati, ma etiandio delli loro Capitani.
Non tralasciando referirgli quanto da me è sta operato nell'escavatione
dell' alveo del Fiumesino in essecution di lettere delli Clarissimi Signori
Proveditori sopra le Fortezze ; dicogli, adunque, che secondo l'ordine lasciato
da M. Paulo dal Ponte protto, con l'assistente de M.ro Gasparo Marangon
dell'Arsenale mandato per tal effetto dalli Clarissimi Signori alle Fortezze
p." con ducati 415 ho pagato la mercede del p.t0 Marangon, ho fatto far
gli argeni, una grossissima et fortissima intestatura, et cavar quasi tutto
l'alveo de deto fiumesino, qual hora corre senza dar danno né a saline, ne
ad altri luochi circonvicini. Bene è vero che in tempo d' inverno, che le
pioggie durano più tempo, che non fanno al presente, potriano le acque
di esso Fiumesino montar gli argeni delle Saline di quella Communità et
d' alcuni altri particolari per esser quelli più bassi delli altri assai, et in
questi non ho potuto ingerirmi in farli accommodar, per essermi stato in
contrario imposto dalli predetti Clarissimi Signori alle Fortezze, cioè, che
io dovesse procurare che la Communità et altri particolari patroni dovessero
a loro spese far accomodar gli argeni per quanto importano le loro Saline,
il che però non è stato da loro fino al presente essequito, né meno per
opinion mia nell' avenire faranno cosa alcuna, per esser loro poverissimi
come ho predetto, et per non haver quella Communità in publico cosa
alcuna. Et questo è quanto ho giudicato esser necessario refferirgli, così
d' intorno alla Città, come suo territorio.
Restami solamente dirgli che nel Castello di San Servolo altre volte
sottoposto a quella Città et hora, per quanto ho inteso d'un Dottor Gar-
zonio Consegliero del Serenissimo Arciduca Carlo et confinante con diverse
Ville di quel territorio, vi è per Giusdicente un Marco Callellis, huomo
per il vero di cosi poca conscientia et di così mala et perversa natura, che
non credo che Sua Altezza in tutto il suo Stado ne habbia un simile, perchè
oltre che questo scrive a' suoi rappresentanti in quella Provincia con tanto
poco rispetto che manco non potria essere, usa poi una tirannide insop-
portabile alli sudditi della Serenità Vostra suoi confinanti, con far tuor }
hoggi a questo dui para di Manzi, dimani dui a quell'altro, et in fine de
— 403 —
facto et auctoritate propria, secondo gli humori et capricij che gli vengono
nella testa fa star bora questo d' una cosa, et hora quello d' un' altra. Per
le quaii sue male operationi del continuo ho havute infinite lamentationi
da detti miserabili contadini. Le qual cose per haverle io conosciute vere,
hora hanno costretta et sforciata la conscientia mia rappresentarle alla Se-
renità Vostra, raccordandoli riverentemente che continuando lui il governo
di quel Castello, un giorno nascerà in quei confini qnalche mottivo d' im-
portanza, che saria poi contra il volere et desiderio così della Serenità
Vostra, come di detto Serenissimo Arciduca, il qual quando sapesse queste
sue operationi, son sicuro che gli faria quella provisione che l' importantia
del fatto ricerca.
(Da copia contemporanea esistente nella Serie Relationi — Registro 1582
già Codice Brera n. 198 a 92 e 93).
ijSj. 28 Giugno. Presentato con la sua Relatione da Ser Giacomo Lion tornalo
di Podestà et Capitanio di Capo d'Istria.
Clarissimo Sig.r Podestà et Capitanio Sig.r Singularissimo !
Mancarei del mio debito io Rosso Cecconi d'Ascoli per gratia di questo
santissimo et felicissimo Dominio al presente Governatore della Militia di
questa Provincia dell' Istria, se non dessi particolar conto a V. S. Clarissima
di quanto ho ritrovato et veduto nelle Mostre de soldati che questi giorni
passati son stato (come e-a mio debito) a vedere. Dicoli adunque in tutta
questa Provincia esser due millia et trecento fanti sotto la disciplina et go-
verno di sei Capi, cioè nella Polisana quattrocento benissimo disciplinati
dal Capitanio Tiburtio Valmarana, et soldati che maneggiano benissimo
l' Archibuso, et intendono il Tamburo, delli quali in ogni occasione Sua
Serenità (per opinion mia) si potrà servire così per terra come per mare,
trecento sono del territorio d'Albona et Fianona disciplinati dal Capitan
Marsiglio ; quattrocento del Territorio di Montona sotto la cura del Capitan
Pietro Gravise : altri quattrocento sono de Raspo sotto il Capitan Rizzardo
di Guerci, et quattrocento del territorio di questa Città commessi alla cura
et governo di D.no Antonio Sereni Capitan de Schiavi, della maggior parte
di quali tutti si potrà piuttosto Sua Serenità servire per Guastadori et Ga-
leotti che per huomini di spada, et archibuso, essendone pochi atti sino al
presente a tal esercitio, non ostante che dalli loro Capi li sia usata ogni
— 404 —
sorte di diligentia, et disciplinati secondo che la professione militare ricerca,
per quanto ho veduto nelle mostre alla mia presentia fatte per ogn'uno di
detti Capitanij. Sono finalmente li altri quattrocento del Marchesato di Pietra
Pelosa, del Castel di Portole, di Grisignana, Piemonte et Visinada, quali
furono sotto la cura del Capitan Antonio Lugnano, et d'uno anno in poi
sotto il governo del Capitan Baldissera Troncon Cipriotto, li quali simil-
mente non sono cosi atti, come bisognaria, ma la cura et sollicitudine che
lui li usa, giudico che con tempo gli ridurr.ì a qualche buon termine.
Non restando dirgli come tutti questi soldati sono sottoposti a diversi
Reggimenti di questa Provincia, che per esser sotto tanti con difficoltà si
ponno haver al tempo delle Mostre per molte ragioni, che per convenienti
rispetti ometto a dirgli. Et perciò opinion mia saria, che tutti fossero sotto
un Reggimento solo, o di Capo d'Istria, o di Raspo, come meglio paresse
a Sua Serenità. Et questo acciò si potessero far molte provisioni necessarie
d' intorno a esse Compagnie.
Vi è poi in questa Città una scola di bombardieri al presente fino al
n.ro di cinquanta, li quali s' essercitano con il tirar ogni mese al Tavolazzo,
et per opinion mia riusciranno in ogni occasione et spetialmente per mare,
essendo la maggior parte di loro Marinari poveri et usi del continuo sopra
diversi Vasselli. Et questo è quanto posso raccordargli così d' intorno alli
soldati come alli bombardieri, con il qual fine alla buona grada di V. S.
Clar.mo mi raccomando.
Di V. S. Clar.ma
Servitor Devotissimo
Rosso Cecconi d'Ascoli Governatore.
(Da copia esistente nella Serie Rclationi — Registro 1582 già Codice
Brera n. 198 a 96 e 97).
Conto distinto et particolare della spesa et intruda che ha la Camera fiscal della
Città de Capo d' Istria , presentato tuli' Eccellentissimo Collegio adi 2S
Giugno 15&4 con la Rclatione.
Laus Deo 1584.
Spesa che ogni anno ha la Camera fischal della Città de Capo d' Istria,
che è certa et bisogna pagar.
Lire soldi
1. Il Carissimo Signor Podestà et Capitanio ha de salario
ogn' anno lire de pizoli 795 —
— 4°5 -
Lire soldi
2. Il Mag.co Sig.r Camerlengo et Castellari, ha de salario . 1174 7
3. L'Officio de CI. mi S.rì Governatori dell' Entrade per conto
de limitation ogn' anno 2483 8
4. Il Capitando de Schiavi 1240 —
5. Dui Capellini uno del Palazzo et l'altro al Castello . . 96 —
6. Una Elemosina perpetua 32 —
7. Il Fisico della Città . 682 —
8. Il Precettor pubblico . . . . • 234 —
9. Giudici quattro della Città "... 259 —
io. Uno livello perpetuo alle Madre de S.u Chiara. ... 24 —
11. Le Arme del Cl.mo Podestà et Capitanio, et del Mag.co
S.r Camerlengo et Castellan 31 —
12. Alli PP. Predicatori della Quadragesima et dell' Advento 241 16
13. Al Capitano delle Ordinanze di Polisana 744 —
14. Al Capitano delle Ordinanze del Marcesato 595 4
15. Li preti]' overo palij de San Nazario et Fiera de Risati . 813 12
16. Li pretij overo palij de tirar di Falconetti alli bombard.ri 248 —
17. Il pasenatico del Clar.m,> S.r Podestà et Capitanio de aviso 800 —
18. Il Scontro de Camera 288 —
19. Il Fante de Camara 36 —
20. Le Feste de Carneval 155 —
21. Dui Vicedomini della Città 90 —
22. Dui Soprastanti della Città 49 4
23. Quattro Giustitieri della Città 87 13
24. Stime de vini 194 8
25. Spese straordinarie de aviso 2000 —
26. Dui Bombardieri con li fatti de casa 855 12
27. Otto Capi de cento 297 12
28. Al Tamburo del Capitanio de Schiavi • . 148 16
29. Alli quattro Contestabili delle Ville 192 4
30. Alli dui Castellani delli Castelli 25 4
31. Al Commandador della Città et Trombetta de fori . . 192 —
32. Alli dui Cavallari 384 —
33. Al Contestabile della Città 144 —
34. Al Cavallier con le regalie 49 12
35. Al Vice Cancellier 74 8
36. A uno qual liga alla corda 72 —
37. A sette Officiali, compreso il straordinario 1008 —
— 4°6 —
Lire soldi
38. A uno che serra et apre le porte della Città .... 36 —
39. A uno che netta le arme della monition della Città . . 49 12
40. Per quattro torze che si presenta ogn' anno nel Domo
con la Eleni." 42 —
41. Per il nettar delle preson per anno 9 —
42. Preti] overo palij delle Ordinanze del Capitanio de Schiavi
alle mostre 30 —
43. All'Officio della Cancelleria del Carissimo Signor Podestà
et Capitanio 75 —
In tutto somma . . . 17078 12
Spesa che ha la Camera Fiscal della Città de Capo d' Istria
de più della Intrata ; die dar, come qui oltra appar, ogni
anno 3553 3
(Da copia esistente nella Serie Relationi — Registro 1582 già Codice
Brera n. 198 da 93 a 96).
Laus Deo 1584.
Intrada che ha havuto quest'anno delli datij et altro la Camera fiscal della
Città de Capo d'Istria principiando del 1583 de Zugno fino al 1584,
per li datij affittati con le regalie, come qui sotto appar, che poi non
si scodeno mai de tutti.
Lire soldi
1. Il Datio della nova imposta de vini, che si traze per terre
aliene fittato a Ser Rizzo della Volpe per anni doi, ma
si mette per anno uno 11 24 18
2. Il Datio della nova imposta de vini, come di sopra, di
Buie et Distretto, fittato, come di sopra, per anni dui,
per anno uno 327 18
3. Il Datio della sopradetta nova imposta de vini de Isola, et
suo territorio per anni dui, si mette per anno uno. . 502 io
4. Il Datio della Grassa per anno uno a Ser Francesco Pi-
schiera 172 1
5. Il Datio delle Beccarle della Città, fittato per anni cinque
tocca per anno uno 501 16
— 4°7 —
Lire soldi
6. Il Datio delle Ostane della Città per anno uno a Ser F.
Maria del Bello 4820 4
7. Il Datio delle Ostane delle Ville per anno uno a Ser Giulio
Appolonio 131318
8 II Datio di legnami fatato per anni dui a Ser Dora."
Boccabella, vieti per anno uno 112 4
9. Il Datio delle mesure per anno uno, a Ser Tassina Ap-
polonio 267 18
io. Il Datio delle Beccane delle Ville p. anno uno a Ser Ant.°
Berne 782 9
11. Il Datio dell' oglio fittato per anni 2 a Ser Tassina Ap-
polonio, tocca per anno uno 1565 7
12. Il Datio della Valle di S.to Ellero, si fitta p. anni cinque
a Ser Piero Manisola, tocca ogn' anno 134 6
13. Il Datio dell' imbottadura, che sono soldi 2 per orna,
questo Datio si mette de aviso perchè non si fitta, si mette 1400 —
14. Molti livelli di terre et altro; si mette de aviso p. il più 500 —
Porto avanti in dar per saldo de qui 3553 3
Summa . . . 17078 12
Quattro datij che sono obbligati all'Officio sopra le Camere per la nova
regolation della scrittura, videlicet
Datio di Molini condotto per Ivan Fileppas, monta, per
anno uno Lire 1961 s.di 7
Datio della Pescarla condotta per Zuane Sparno, per
anno uno » 1207 » 12
Datio del pan condotto per Ser Zuane Sparno, per
anno uno » noi » 5
Datio delli preghi delle Ville p anno uno importa . . » 900 » —
Summa . . . Lire 5170 » 4
Il tratto delli soprascritti si tiene Cassa a parte, et si manda ogn'anno
tutto all' Officio sopra le Camere, per parte presa neh' Illustrissimo Con-
siglio di X et Zonta.
Et io Virginio Sallo Scontro della Camera Fiscal della Città de Capo
d' Istria ho fatto il presente conto tratto dal Libro fiscale f. L." A, salvo
ogni error.
— 4o8 —
Nos Ioannes Maripetro prò Serenissimo Due. Do. V. Pottas et Cap."
Iustinopolis universis et singulis Cl.mis D.nis Magist presentes nostras in-
specturis etc. fidem indubitatam facimus D. Virginium Sallo, qui praesens
computum fecit esse Scontrum huius Magnifica; Camera; phiscalis, et illud
esse factum manu propria et subscriptum dicti Scontri, cuius scriptis publicis
hic et ubique locorum piena etc. in quorum fidem etc.
Iustinopolis Die 18 Iunij 1584.
Con.s fur
Locus sigilli SJi Marci
(Da copia esistente nella Serie Relationi — Registro 1582 già Codice
Brera n. 198 da 93 a 96).
Relatione del Clarissimo M. Zuanne Malipiero del Reggimento
di Capo d'Istria. — Presentata nell'Eccellentissimo Collegio
alli 11 di Ottobre MDLXXXV.
Serenissimo Principe
Havendo io Zuanne Malipiero fo Podestà et Capitanio in Capo d'Istria
fatta la Relatione nell' arrivo mio in questa Città, in che termini ella si
ritrova, et espostoli diverse cose conforme all' obligo mio, et essendomi
stato imposto da Vostra Sublimità che io debba in scrittura ponere le cose
avanti lei per me narrate, et volendo io effettuar quanto da Vostra Serenità
mi è stato commesso, con ogni riverenza le dico.
Che sicome li predecessori de quei suoi fidelissimi sudditi furono pron-
tissimi a venire alla devotione di Vostra Serenità, cosi tuttavia questi con-
tinuano, ne d'altro se gloriano, che viver sotto l'ombra di questo felicissimo
Dominio, et Dio volesse che fossero così ricchi de beni de fortuna come
sono de devotione verso Vostra Serenità, perchè quelli potrebbono mag-
giormente spender in servitio suo, ma quelli al presente sono in stato assai
misero, rispetto che il commertio de Arciducali è in gran parte cessato per
le nove gravezze imposteli dal Serenissimo Arciduca sopra li sali et vini,
che da loro vengono condotti nella giurisdittion sua, de soldi trenta per
somma, oltra li soldi X, imposti da Vostra Sublimità, di modo che per le
— 4°9 —
dette nove impositioni non potendo a quelle resistere, esso commertio è
sminuito, ove che detti suoi sudditi non puonno vender quelle poche loro
entrate ; et per poter essi Arciducali affatto destrugger esso commertio,
hanno dato principio a far alcune saline nella Valle di Muggia, nelle acque
indubitatamente di Vostra Sereniti, continuando tuttavia al compimento di
quelle, et ottenendo il desiderio suo, non è dubbio, oltrecchè faranno saline
di molta importanza, da quali caveranno assai sali, affatto leveranno il
commertio di Capo d'Istria, et lo redurranno a Trieste, né in quella sua
Città li veniranno più formenti et altre cose necessarie che erano condotte
da quelli che andavano a levar li sali ; per il che quelli suoi sudditi non
potranno vender le loro entrate con la total ruina della Città.
Queste saline Serenissimo Principe, che di novo vengono costrutte,
sono fondate in cinque piedi de acqua viva, di larghezza di passa XXX
in XL in tal luogo, et de longhezza de passa ioo in circa, si come li scrissi
li ultimi di Luglio prossimo passato, et li mandai il dissegno. Et appresso
li altri danni che fanno povera quella Città, le aggiongo appresso, che
havendo Vostra Serenità ad altro tempo mandato Paulo de Ponte protto
de là per veder la causa delle atterrationi delle lagune della Città dalla parte
del Ponente, li fu riferto che quella era causata dal Fiumesino che scola
le acque delli lochi superiori, ove che da lei fu commesso al suddetto protto
che dovesse far un novo alveo, devertendo 1' acqua del primo, giusta la
termi natione di Vostra Serenità. Et essendo il primo alveo de X in XII
passa di larghezza, et assai profondo et dovendo esso protto far il secondo
che fosse della medesima capacità del primo, quello ha tenuto talmente
ristretto che 1' ha fatto di larghezza de passa tre in circa et di pochissima
profondità, ove che non potendo capir l'acqua soprabonda et va nelli ter-
reni, vigne, pradi et saline, destruggendo essi lochi, con infinito danno de
detti suoi sudditi, et etiandio con maleficio de Vostra Serenità rispetto alla
Xraa che ella estraze delli sali, eh' è di tanta importanza, come è ben noto
a Vostra Sublimità, et va maggiormente atterrando le lagune, di modo che
in brevità di tempo seguirà corrottione de aere ; et ritrovandosi hora in
essa Città 4170 anime, se reduranno in pochissime, et si farà una Nova
Pota quando che da Vostra Serenità con la paterna sua pietà non sij fatta
gagliarda et presta provisione.
Il Castel Leone, che ad altro tempo fu fatto far da Vostra Serenità
in 13 piedi d'acqua per fortezza di quella Città, et da quelle circondato
attorno attorno per grandissimo spatio, hora che è atterrata la laguna non
se vi ritrova più in quella fortezza, che in quel porto li stavano 14 galere
al paro, per la relatione riavuta, et sera facil cosa che in tempo d' incorsioni
— 4ID —
de nemici si polsino accampare. Oltre di ciò dico a Vostra Serenità che
riavendo io per D. Zuanne Luco d'Ascolo Governatore fatto far le mostre
dell' Ordinanze della Provincia, s' ha ritrovato esservi soldati 2300, oltre
l'accrescimento de 100 soldati hora fatti per D. Zuanne Manzuol Capitanio
di schiavi, die ultimamente fu da Vostra Serenità confirmato, il quale es-
sendo desideroso di servirla ha procurato et procura con ogni studio il be-
neficio publico, se ben de questo carico egli non ne riceve premio, nò salario
alcuno, il quale anco s'offerisse de farne altri 400, nelli lochi dell'Istria
ove non ne sono fin' hora stati descritti, et quelli parimenti esserci tar con
minor spesa di Vostra Serenità di quello farebbe Dgn' altro Capitanio. —
Esse Cernede sono alla custodia de sei Capitani, tre de' quali io le ho vedute,
che sono quelle del Capitanio Tiburtio Vahnarana, il Capitanio suddetto
di schiavi, et il Capitanio Baldissera Troncon da Fainagosta, da quali con
ogni valore et assiduità sono essercitati, et parimenti sono quelle tre altre
Compagnie, eccetto che la Compagnia di M. Piero Gravise Capitanio di
Montona, che non è molto disciplinata, siccome m' ha rifferto V isresso Go-
vernator, perciochè egli è stato presente a tutte esse mostre, essercitandole
con ogni valor, non sparagnando ne a fatica né a sudori.
Riverentemente raccordo a Vostra Sublimità che tenendo un Capitanio
con soldati alla Fortezza del Castello predetto, che quando così a lei paresse
dar tal carico al medesimo Governator, volentieri l'accettarebbe et prontis-
simamente P essercitarebbe senza stipendio, si come s' ha offerto, essendo
persona di molto valore et sufficienza, et sempre per l'auttorità sua harebbe
a quello soldati sufficienti et atti ; et sebben è presa parte nell' Eccellentis-
simo Senato, che la prima Compagnia delle cinque che vaca sij di esso
Governator, havendo egli un Sargente maggior, farebbe che da lui quella
fosse essercitata senza premio alcuno, per il molto desiderio che ha di servir
Vostra Sublimità, a tal che ella avanzarla Ducati 200, tra la paga del Castello
et della suddetta Compagnia all' anno.
La constitutione poi del Novo Magistrato de Consiglieri in quella Città
dell'appellationi de tutta la provintia, ha partorito e tuttavia partorisse evi-
dentissimo beneficio a tutti quelli suoi sudditi della provintia con infinita
loro consolatone, essendo che sono liberati da molte estorsioni et spese,
che le venivano fatte si da Rettori, come da suoi Ministri, perciocché s' hora
se sentono aggravati con poca spesa, et con facilità vengono per suffragio
da esso Magistrato che per impotenza prima non potevano venire in questa
Città, ove che benignamente sono suffragati, et sono redotte in tal termine
le cose di essa Provintia per la occasione de detta nova constitutione, che
li Rettori et suoi Ministri si astengono da molte cose che malamente fa-
— 4" —
covano. Et perche la Citt'i ha promesso di satisfare al salario di essi Con-
seglieri, che si cava dalli caratti delle cause che vadino in appellatone, le
quali essendo in gran parte bora cessate per le cause suddette, quella con-
viene con molto suo danno supplire ad esso salario — Oltre de ciò le
dico che la Camera fiscale è con ogni diligenza governata dalli diarissimi
Consiglieri presenti, essendo con ogni realtà et diligenza custodito il dinaro
publico, la entrata della quale è de Ducati 2193, e l'uscita de Ducati 3 118,
a tal che la spesa di quella è da più de Ducati 925 ; ma si va intertenendo
la spesa, et hora è accresciuta 1' entrata, essendo che io ho posto alcuni
beni in fischo che era di ragion de detta Camera, quali erano stati usurpati
da particolari. — Più oltra dico a Vostra Sublimità che in quella Città si
ritrovano 40 Bombardieri, quali con ogni diligenza sono essercitati dal loro
Capo, essendo medesimamente ben custodita la Munitione di Vostra Su-
blimità.
Se ritrovano anco in quel territorio sette Castelli per difesa di esso da
Arciducali, et han bisogno de adaptatione, la qual hora con 400 ducati si
farebbe, che deferendolo con progresso di poco tempo si destruggeranno si et
talmente, che Vostra Sublimità convenirà spendere qualche miaro de ducati.
I Relegati poi che sono in quella Città con ogni prontezza et obedienza
si sono appresentati al tempo del mio Reggimento conforme all'obligo loro,
et tra' quali è stato il Clarissimo M. Giacomo Soranzo, et questo è quanto
che fidelmente posso rappresentare a V. Sublimità. Gratie etc.
(Da copia contemporanea esistente nella Serie Relationi — Registro 1582
già Codice Brera n. 198 da 173 tergo a 175).
Relation del Nobil Homo Ser Thomaso Contarini fu Podestà et
Capitanio in Capo d' Istria. — Presentata nell' Eccellentis-
simo Collegio a' 1587.
Serenissimo Premipe
Per soddisiar a quanto ho promesso alla Serenità Vostra nella mia
Relatione io Thomaso Contarini, già Podestà e Capitanio di Capodistria,
Le dirò, che quella Città con tutto che sia in paese per natura sterilissimo
— 412 —
et infruttuoso di grani, et tale che si può dir con verità, che non produca
pane per dui mesi dell'anno, ella non di meno per esser vicina a Lubiana,
et a tutto il Cragno, et alli luochi di Pisino, paesi arciducali fertilissimi,
vive commodissimamente, et con maggior avantazo di tutte le altre Pro-
vincie, il che ho io esperimentato in questo mio Reggimento di mesi
disdotto : nel quale continovameute è stata una universal carestia, nò mai
ho pagato il formento più di lire sedici e mezza il staro. La cagione del-
l' abbondanza di grani in quel luoco prociede per il più dalla commodità
di Cranci, che venendo a levar sali, vini et ogli, per non venir vuoti ca-
ricano di formenti, se li vendono o barrattano come lor torna meglio a
proposito. Et di questi Cranci ne sogliono venir quasi ordinariamente qua-
rantamille et più cavalli all'anno. A questa commodità vi si aggiunge, che
fra le saline, lontano dalla città circa un miglio, passa un Fiumicello nominato
il Risano, sopra il quale sono fabbricati molti edifici) di molini, nei quali
con molta facilità e con pochissima spesa si ponno macinare li formenti
che con le barche, senza alcun pericolo in qual si voglia tempo si conducono
fino entro a essi molini.
Per queste commodità et avantazi mi è venuto in pensiero di raccordare
alla Serenità Vostra, che per notabil beneficio delle cose sue, e particolar-
mente per servitio della sua armata saria bene eriger una quantità di forni
e magazzeni in quella Città per far un deposito di biscotti, de quali con
maggior commodità ella se ne potria servire, che col far venir de qui galere,
o ver altri Navilj per levar essi biscotti. Perchè quando si facesse una tal
rissolutione facilmente questi Cranzi trovando la occasione di smaltir li for-
menti col venir per caricar sali, ogli e vini, caricariano li loro Cavalli
avanzando con questa commodità quel viazo che alle volte sogliono perder
venendo senza carico alcuno. Oltrecchè conduriano anco delle segale quando
facesse di bisogno per esserne in quei paesi grandissima copia per conve-
nientissimo predo. E parimenti da Trieste ben spesso veneriano delle bar-
chette cariche di formenti di contrabando, come anco fanno li nostri di
là col portar sali. E quando fosse di bisogno si potria con molta facilità
et avantazo trattar mercati con tutti quei vicini, si che sicurissimamente si
faria ogni anno grossissima quantità di biscotti con formenti di terre aliene,
con larghissimo utile di Vostra Serenità, et inestimabil commodità nel fa-
bricarli. Et se ne potria anco servire in altre occasioni, come questi presenti
dui anni se ne ha servito di quei grani per più di 60"' stara, li quali e di
, peso, e di bellezza, e bianchezza sono simili alli nostri. La Serenità Vostra
adunque, come ho detto, ha la commodità di formenti di terre aliene ; ha
li Molini vicini alla Città un miglio ; vi è il sito comodissimo di fabbricar
— 4*3 —
nella Città Forni e Magazzeni appresso il mare in loco sicurissimo ; senza
alcun incomodo, anzi con servizio de' particolari, vi si aggiongc anco la
commodità delle legna, l'abbondanza de' sali e in somma tutto quello che
a così util servitio si può immaginare che fia di bisogno. — Non voglio
anco restar de dirli, che ne debba seguir molto utile e beneficio a quella
povera città, la quale quasi derelitta per l' accrescimento de' Negotij di
Trieste, col traffico de' Cranci, e delle Gallere e Navilj che veniranno a
levar li biscotti, si farà più facilmente abbondante di merci, et col com-
mercio accrescerà li suoi negotj con smacco forse, et interesse notabile delle
cose di Trieste.
Oltre di ciò con l' istessa occasione la Serenità Vostra metterà qualche
pensiero all' escavatone della laguna, se non con cavarla affatto, almeno
con far delli canalazzi, li quali credo che col flusso e riflusso del mare si
teniranno da sua posta benissimo curati, e ciò facilmente si potria esseguire,
poi che, per quanto intenda, quella città ha già offerto quindici millia opere
per questo servitio.
La maggiore e più importante provisione che la Serenità Vostra deve
fare nella materia de' sali, è l'ovviare a' contrabandi che continoamente si
fanno da quelli di Capodistria, Pirano e Muggia, essendo che se ne fanno
infiniti sì per la vicinità de' luochi, come per la commodità di trasportarli,
e spetialmente al tempo che si fanno essi sali, talmente che è tanto ac-
cresciuta l'audacia de' Contrabandieri che ardiscono tenire i magazzeni proprj
di sali fino in Trieste et altrove, da che nasce anco che la povera città di
Capodistria non ha quel corso, che havea prima. E perchè ultimamente per
parte presa nel]1 Eccellentissimo Senato la Serenità Vostra prudentissima-
mente diede particolar carico sopra questi contrabandi al Podestà e Capitanio
di Capodistria, dirò che superflua sarà 1' autorità di esso Rettore, se non
le sarà provisto de' Ministri che essequiscano li ordeni suoi, perchè ben
spesso suol avvenire, che su la faccia loro vengono fatti de' Contrabandi,
et non havendo Ministri per far le debite provisioni sono sforzati a dissi-
mulare così gravi eccessi. Però riverentemente raccorderei alla Serenità
Vostra che fossero assegnate a quel Rettore almeno dui barche ben armate,
ma leggiere, con dieci huomini per barca, li quali riavessero da essequire
quanto fosse da lui ordinato e commandato. Et per levar una tal spesa,
con questi si potria metter la provisione di sei o sette Officiali che son
pagati in quella Fiscal Camera di Capodistria ; et anco si potria levar una
delle barche longhc del sale che infruttuosamente attendono a quel servitio,
non potendo elle arrivare quelle barchette piccole che fuggono dalle loro
mani col contrabando e si cacciano in ogni luoco angusto salvandosi ar-
— 4*4 -
ditamente sulla faccia loro. Ma per dar animo a queste dui barche io rac-
cordarci anco che a pieno fosse essequita la parte presa nell' Eccellentissimo
Consiglio di Xci 1573, per la quale sono concessi beneficj di bandi a de-
notianti, con aggiongerli che l' istesso beneficio fosse dato anco a quelli
che conducessero nelle forze li Contrabbandieri, perchè a giuditio mio questo
saria mezo potentissimo di indurre essi Ministri a esporsi ad ogni pericolo,
et li contrabandieri invitati dal beneficio della impunita e delle taglie, per
non esser preoccupati nelle accuse dalli propri Compagni, o ver perseguitati
da Ministri, si asteneriano da cosi gravi eccessi. Et acciò che affatto sia lavata
1' occasione di peccare, et in spetie a quelli di Capodistria, raccordarci che
fossero ogni anno mandati danari in quella Città per comprar di quelli sali
che sono bianchissimi, e bellissimi, de' quali si haveria buona conditione,
che con questo mezo si daria qualche soventione 1' inverno ai poveri salineri,
et altri li quali quando havessero ricevuto il danaro per detti sali non dis-
segnariano di smaltirli per contrabando, et con questo mezo si solleveria
quel miserabil popolo, che alle volte per la necessità e povertà è sforzato
incorrer in questi errori.
Nella città di Capodistria e suo territorio quest'anno sono sta fatte circa
20m orne di vino, circa 4m mozza di sale, et circa 4™ orne di oglio, et se non
fosse stata la malignità de' tempi, ne saria sta fatto maggior numero assai.
È ben vero che foglio non produce così un anno come l'altro. Di questo
gran parte ne passa per la patria del Friuli con pagar di dacio ducati tre
per miaro, il qual dacio suol affittarsi in quella città per conto di Vostra
Serenità circa lire 1000 l'anno, e l'affittarsi così puoco prociede, perchè
quelli ogli che passano per terraferma sotto arciducali non pagano dacio
alcuno, con tutto che e li vini e li sali paghino il suo dacio. Da che viene
che novamente l'Arciduca ha posto dacio sopra questi ogli a ragion di un
fiorino per soma, e mi par certo puoco honesto che per condur ogli nella
sua provincia del Friuli si debba pagar dacio, e passando sotto Arciducali
debba esser libero da esso dacio. Però io raccordarci alla Serenità Vostra
che fosse bene che indistintamente si pagasse il dacio del tratto delli ogli
fuori de l' Istria, perchè con questo così giusto e ragionevol mezo la Se-
renità Vostra ne veneria a cavar maggior utile e beneficio assai. Et con
l'istessa occasione si potriano, come altre volte li ho scritto, affittar li dacj
delli ogli di tutta quella provincia nella Città di Capodistria, overo in quelle
'Terre dove si scuodeno essi dacj senz' altro incantarli per 1' Officio delle
Rason vecchie, perchè anco da questo ne seguirla beneficio manifesto, et
non puoco accrescimento di quello che sogliono affittarsi, con obbligar però
— 415 —
li Conduttori a risponder il danaro a quelli Officij che sono destinati essi
dacj, come anco si osserva nell'affittar il dacio della nova imposta de' sali.
Mi resta ultimamente replicare alla Serenità Vostra quello che più volte
ho scritto e detto a bocca in proposito del salario di quelli Magnifici Con-
siglieri, perchè certo a giuditio mio saria bene che ella non guardasse a
spender 300 over 400 ducati all'anno per questo servitio per conservation
di quella provincia habitata al presente da più di 6om anime, che s'attrovano
mirabilmente sollevate da quel Reggimento. Et quando pur ella non fosse
in opinione di far questa spesa, la Serenità Vostra potria proveder di detto
salario con il tansare portionatamente quelle Communità di quelle 22 po-
destarie e castelli che sentono il beneficio dell'appellatione con sgravarle da
carrattj che suoleno pagare con loro grandissimo disgusto. Perchè più vo-
luntieri li aggravati veneriano al beneficio de 1' appellatione, et si sentina
nienor gravezza assai a pagar con il danaro delle Communità, che con la
borsa de' particolari, e tanto maggiormente io sentirei che si facesse questa
provisione, poiché la maggior parte delle Communità di quella provincia
accetteriano questo carico. Et con l' istessa occasione direi, che in ogni modo
fossero soddisfatti li Magnifici Conseglieri precessori creditori del loro salario
con far restituire a quella povera Communità l'unico dacio suo della Muda
già concessole dalla Serenità Vostra per solo sostegno di tante pubbliche
sue spese, et ultimo refugio della continua sua miseria. Gratie.
(Archivio generale veneto. — Collegio. — Busta segnata Relazioni dei
Rettori — Capodistria-Pola).
Relatione del Nob. Homo Ser Giacomo da Ca da Pesaro, ritor-
nato di Podestà et Capitanio di Capo d' Istria. — Presentata
nell'Eccellentissimo Collegio a dì 25 Agosto 1588.
I
Serenissimo Principe Iìlu.mi et Eccellali Signori
Tra li molti ordeni et commissioni che dalla Sublimità Vostra vengono
dati a quelli cittadini a' quali si degna di commetter il governo delle sue
Città, è principalissimo che al suo ritorno alla patria habbino a refferir alla
— 4*6 —
sua presenza il stato di quella città che ho governata, la devotione di popoli,
l'entrate et spese delle Camere ; come sij servita la Serenità Vostra da' suoi
Stipendiarli et ogni altro particulare che fusse giudicato degno della sua
intelligenza. Et io per questa causa essendo ritornato dal governo della città
di Capo d' Istria, ove son stato per gratia di benignità della Sublimità Vostra,
son venuto a' piedi suoi a refferirle quelle cose che ho giudicato di più
importanza et di maggior servitio alle cose sue con quella maggior brevità
che sarà possibile, et che so convenirsi ahi molti importanti suoi negotij
nelli quali è sempre tenuta et occupata la Serenità Vostra.
La Città di Capodistria è situata quasi nel fine del Golfo di Trieste,
in una spaciosa Valle, in mezzo della quale sopra un eminente scoglio fu
fabbricata ; la qual circondata dal mare, et coron'ita intorno da monti rende
il sito suo mirabile ; favorita poi dalla bontà dell' aria et dalle molte co-
modità di vettovaglie che le vengono da diverse parti portate, fa che sia
convenientemente habitata, ritrovandosi al presente in essa 5m anime in circa.
A questo sito et a queste comodità vi soprasta un grandissimo pericolo,
qual è che nella parte di mezzo giorno, dove si esce dalla città per terra
ferma si retrova quella parte del mare talmente munita et paludosa, che
più tosto se li poi dare de terra ferma, che del mare; il che convien causar
in progresso di tempo l'aria molto .cattiva, qual sarebbe la total dessolatione
di essa. Molte sono le cause dalle quali nasce questa atterratione. — Prima
retrovandosi tra quella parte fondato tra la città et li monti il Castello Leone,
il quale per la informatione che ho havuto fu fabricato in 15 piedi d'acqua,
et havendo il suo transito .... città sopra un ponte di honesta lunghezza,
et all'uscire d'esso una strada fino in terra ferma, hanno le sopradette cose
in progresso di longo tempo si fattamente impedito il corso dell'acqua, che
pochi giorni dell' anno se ne vede in quella parte, anzi del continuo gli
huomini et cavalli se ne passano a suo piacere di fuori via el Castello per
terra ; credo anco, che appresso le suddette cose il fiume di Risano che
sbocca ivi vicino, et le saline fatte ivi d' intorno habbino havuto molta
parte in questa atterratione ; oltre che essendo li monti tutti lavorati et
coltivati, le acque che piovano apportano sempre molta terra et l'amonisce.
Vostra Serenità deve esser certa di questo che sij impossibile conservar
questa città longhi anni nel stato che si ritrova, se non vien fatta qualche
gagliarda provisione a queste paludi ; et perchè l'escavar tutto esso circuito,
'essendo grandissimo, saria a giuditio mio una spesa troppo grande, et forse
impossibile ad effettuarsi ; quindi saria molto a proposito che vicino alla
città dove non è tanto munito, la Serenità Vostra facesse fare un canale
— 4'7 —
di honesta lunghezza, dal quale havendo l'acqua il flusso et reflusso, oltra
li molti commodi che apportarebbe agli habitanti, non si havarebbe a dubitar
che l'aria dovesse dar quel nocumento alla città che ha principiato di darle,
et la Serenità Vostra potria mandar persone perite per haver intorno a
questo proposito più particolare et sicura informatione, le quali anco riaves-
sero a veder la atterratione del porto, ridotto quasi del tutto inutile ; per
il che la S. V. ne vien a sentire molti danni et pregiuditij, et particolarmente
nel caricar li sali di quella Città, convenendosi quelli con altre barche condur
alli Navilij con spesa di soldi io per mozzo, poiché quando fosse escavato,
il che si farebbe con pochissima spesa, essendo assai ristretto et piccoli li
navilij si accostarebbero alla riva delli Magazeni di Vostra Serenità, et si
cargariano li sali con manco della metà della spesa.
La Sublimità Vostra tiene nel Castel Leone per pressidio sette soldati,
delli quali al presente se ritrova Capitano il strenuo Fabio de Roi, il quale
per la devotione et fideltà sua serve la Serenità Vostra di quel modo che
è debitore. E ben vero che havendo levato il presidio delle sue principal
città potrebbe anco liberarsi de parte di questa spesa che è intorno de ducati
600 all'anno, poiché non è più necessario esso presidio, per la atterratione
detta di sopra potendo la maggior parte del tempo passarsi de fuori via a
piedi suti, et io consiglierei che la Serenità Vostra facesse poner un Con-
tesiabile in esso, come altre volte soleva essere il quale havesse cura di
aprir et serrar esso Castello ; et in questo modo venir a sollevarsi di buona
parte di essa summa, spesa a giuditio mio supperfluamente, reportandomi
però al suo prudentissimo giuditio.
Ho ritrovato instituita di ordene della Serenità Vostra una Scola de'
bombardieri di n.ro 120, quali sono del continuo essercitati dal suo Capo,
et reusciscono sufficientissimi da ogni fattione, vivendo con desiderio di
esser adoperati in servitio della Serenità Vostra.
L'entrate della Camera sono amministrate dalli Clarissimi Signori Con-
siglieri, li quali fanno la Cassa otto mesi per uno, saldandola 1' uno con
l'altro, spendendosi il danaro con bolette sottoscritte dal Rettor di tempo in
tempo, secondo l'ordinario di tutte quante le altre sue Camere, osservandosi
nel tenir la scrittura quelli ordeni che sono stati dati dalli Clarissimi Signori
Regolatori sopra di essa. — Ha la detta Camera d' entrata ducati 4500
incirca, et di spesa ordinaria, computato il salario d'essi Clarissimi Consiglieri,
ducati 4000, in modo che soddisfatte le limitationi dell' Eccelso Consiglio
di X avanza pochissimo danaro da esser mandato in questa Città.
Il territorio di essa è diviso in quaranta doi ville, et seben il circuito
è assai grande, tuttavia essendo montuoso, è in gran parte inculto ; si perché
— 4i» —
la natura l'ha fatto tale, come anco perchè li contadini non si adoperano
nel coltivarlo, come bisognarebbe, per il che rende tenuissime entrate, non
si cavando pan per 304 mesi dell'anno, se ben che di vino et oglio se
ne cava honesto utile; et perciò, et perchè nel coltivar detti lochi fa bisogno
d'una continua et grave spesa, li cittadini et contadini patroni d'esso ter-
ritorio sono molto poveri, ma di fede et di devotione verso la Sublimità
Vostra ricchissimi. Detto territorio è abitato da 6m persone incirca, delli
quali 500 sono destinati soldati, governati et disciplinati dal strenuo Capitano
Zuanne Manzoli, Capitano de' Schiavi, il quale veramente con la sua dili-
genza, et assiduità li ha redotti boni d'ogni fattione, et la Serenità Vostra
può promettersi in ogni occasione ogni util servitio da loro.
L'institution delli Clarissimi Consiglieri in quella città per le appella-
tioni di tutta la Provincia era tanto necessario con la auttorità concessali
dalla Serenità Vostra, che si trattava dell' impossibile che quella infelice et
poverissima Provincia si potesse lungamente conservar senza questa cosi
segnalata provisione, poiché da essa institutione si è causato tanto contento
et commodo alli sudditi, che oltra le utilità et benefitij che del continuo
ne ricevono per la vicinanza del Magistrato, et per le preste espedittioni
che vengono date alle cause, si vedono chiaramente che innanzi per la
miseria loro erano astretti di abbandonar li suffragij et appellationi di Ve-
netia, in modo che più volte restavano oppressi indestintamente, et deve
la Serenità con ogni spirito favorir esso Magistrato dal quale il pubblico
et privato riceve tanto benefìtio, et li popoli si conservano tanto devoti
della Serenità Vostra, et quando li sij procurata la debita obbedienza, la
qual certo è più volte interrotta dalli Rettori di essa Provincia con gran-
dissimo danno delli sudditi, et poca dignità pubblica, come molte volte
n' è stata avvisata la Serenità Vostra. Si ha da credere che la ginstitia sarà
sempre administrata di quel modo che è mente sua per la conservation et
consolatione de' suoi sudditi. Intorno al qual Magistrato io non saprei che
altro raccordarle se non che venendo molte volte processi criminali nelli quali
non v'è interessata per una parte altri che la giustitia, saria bene che un
Avvocato Fiscale deputato havesse carico di vederli, et di desputar le cause,
come fanno li Clarissimi Signori Contradittori neh' Eccellentissimo Consiglio
di Quaranta nelle intromissioni delli Clarissimi Signori Avvogadori.
Si retrova Vescovo di quella città il Reverendissimo Monsignor Gio-
vanni Ingeniero cittadino di questa città, il quale, oltre la devotione che per
natura è obbligato alla Serenità Vostra, si adopera nel suo ministerio così
pia et santamente, che per l'essempio suo reuscisse religiosissimo et devo-
tissimo tutto quel populo.
— 4J9 -
Diedi cambio al Clarissimo Signor Tomaso Contarmi fu del Carissimo
Signor Nicolò, il quale ha dato col suo prudentissimo governo grandissima
soddisfattione a quella Città, si come anco nelle cose dell'appellattioni hanno
fatto et fanno li Clarissimi Messer Iseppo Diedo, Messer Zan Francesco da
Mula, Messer Polo Trevisan, et Messer Galeazzo Dolfìn Consiglieri Gen-
tilhomeni di grandissima bontà, et di singoiar giuditio, delli quali Vostra
Serenità in ogni carico si poi prometter ogni ottimo governo.
S'attrova Governador delle Cernede di quella Provincia l'illustrissimo
Signor Giambattista Caraciuoli, il quale in quelli pochi mesi che si attrova
a esso governo, non ha mancato, né mancarà di adoperarsi con ogni dili-
genza per redur esse Cernede atte a ben servir la Serenità Vostra, et di
già ha instituito molti boni ordeni, et si dimostra molto diligente, et suo
molto buon Ministro.
Mi resta per fine di dir alla Serenità Vostra li grandissimi desordini
che seguono nella Provincia per li infiniti contrabandi de' sali, che sono
commessi particolarmente dalla Terra de Pirano per terre aliene, poiché
l'anno passato per la informatione cavata dalli Libri pubblici si comprende
esser stati condotti a Trieste, ed altri luochi Arciducali più di 2 mila mozza
de sali, et seben io nel tempo del mio regimento non ho mancato di darne
avviso alla Serenità Vostra, et alli Eccellentissimi Signori Proveditori del
sai, non debbo restar con questa occasione di replicar particolarmente il
maleficio che succede alle cose della Serenità Vostra per questi contrabandi,
et reverentemente raccordarli quello che si potesse far per ovviar in parte
al danno et alla reputatione pubblica, poiché la deve sapere che nelle con-
vention i fatte nel tempo della guerra con Triestini fu capitulato fra la Se-
renità Vostra et il Serenissimo Arciduca, che non potessero quelli di Trieste
comprar né contrattar di grande o piccola quantità di sali con alcun suddito
della Sublimità Vostra, il che quando fosse interrotto et non osservato, lei
potesse senza altro farli disfar tutte quelle saline che si trovassero havere.
Nondimeno sono così arditi che pubblicamente, non solo comprano li sali
che li vengono condotti da quelli di Pirano, ma loro istessi senza alcun
rispetto, con le proprie loro barche vanno nella Valle di quella Terra a
comprarne et robame, et pur oltre tutte le altre cose li sali di Pirano per
il fermo mercato che ha la S. V. con Piranesi sono comprati dalla S. V.,
non ne havendo la Communità se non il settimo, il che causa notabilissimo
danno et poca reputatione delle cose pubbliche, ma quel che è peggio, et
che li deve esser molto a cuore è che per questa causa, alla sua povera
et devotissima Città di Capodistria ogni giorno se li va maggiormente le-
vando il commercio et corso delle terre aliene, poiché venendo in grandissima
io
— 420 —
quantità per comprar sali, conducevano infinite merci, fermenti, biave et
altre vettovaglie, necessarissime a essa Cittì per il mancamento che ha de
esse, essendo per il sito suo priva d'ogni commertio dal mare, restandoli
solo questo poco di terra ferma, il quale essendoli levato con l'occasione
de questi contr.ibandi, resta più povera et misera che mai, non potendo
espedir li suoi sali, che è il nervo principalissimo delle sue tenuissime en-
trate. Ciò causa ancora che li datij della nova imposta di Capodistria et
Terra di Muglia si vanno ogni giorno più sminuendo, oltre che li datiarj
perdendo, come perdono, grossamente, sono astretti venir a' piedi di Vostra
Serenità per ottenir comodità di pagar le loro paghe, et ogni giorno le cose
anderanno di mal in peggio, quando dalla Sublimità Vostra non sij fatta
qualche gagliarda provisione.
Le cause per le quali sono multiplicati li Contrabandieri sono due, —
1' una il molto guadagno che fanno nel vender li sali in terre aliene, —
l'altra il non esser di così trista operatione severamente castigati. Et se ben
la Serenità Vostra per ovviar in parte a questi desordeni, per la Parte di
20 Xbre 1586, ha dato auttorità alli Rettori di Capo d'Istria di poter oltre
le denontie, anco ex Officio inquerir contra li delinquenti della Terra di
Pirano, et che io con la maggior diligentia che habbi potuto habbia pro-
curato di estirpar simil scellerati huomini, havendone, fra banditi assenti de
tutte le terre della Serenità Vostra, et posti in galera, al n.r0 di 40, non
si astengono però gli altri di commetter simil delitti con questa speranza,
che essendo la maggior parte interessati, non si possi venir in cognitione
delli delinquenti. Ma perchè molte volte, per mancamento de' Magazzeni,
li sali non sono incanevati alli suoi tempi, et restano da un anno all'altro
sopra le saline in libertà de ogni persona, io raccordo reverentemente alla
S. V. che faccia in modo che li sali siano di tempo in tempo posti alli
magazzeni facendo far li pagamenti alli patroni di essi, come ricerca l'obbligo
del mercato, che la S. V. con essi da Pirano facendo insieme che li Con-
trobandieri siano castigati secondo la forma delle severe Leggi che vi sono
in questo proposito, et non leggerissimamente come fin' hora son stati,
poiché io crederò che con queste provisioni la Serenità Vostra si venirà in
gran parte assicurar di tanti danni et pregiuditij.
Né debbo restar di dirli, se ben copiosamente ne ho anco scritto, che
la decisione de' confini di quella Provincia con li sudditi arciducali risul-
terebbe di molta riputatione al pubblico beneficio, et di gran commodo et
'soddisfattion alli suoi sudditi, li quali per la confusione d'essi sono conti-
nuamente inquietati contra ogni dovere, essendo le ragioni della Serenità
Vostra molto chiare, delle quali havendone copiosamente dato ragguaglio,
- 42I —
non starò attediarla da novo, ma mi reportarò a quanto col prudentissimo
suo giuditio delibcrarà.
(Archivio generale veneto. — Collegio. — Busta segnata Relazioni dei
Rettori — Capodistria-Pola).
Relatione del Nob. Homo Ser Zuan' Antonio Bon ritornato di
Podestà e Capitanio di Capo d' Istria. — Presentata nel-
1' Eccellentissimo Collegio adì 5 Novembre 1589.
Serenissimo Principe
Havendo renonciato il Regimento della Città di Capo d' Istria secondo
la datami commissione da Vostra Serenità al Clarissimo Messer Piero Lo-
redan mio successore, seguitando le vestigie et orme delli miei precessori,
mi son questa mattina conferito alla sua illustrissima et gravissima presentia,
per rappresentarle, et darle conto di quelle cose che a me pareno poter
esser di sua honorevolezza, et utilità.
Le dirò dunque che per mesi quasi sedici, che vi son stato a quel
governo, ho ritrovato quel popolo per natura sua pacifico, et quieto, fide-
lissimo certo quanto dir si possa di Vostra Serenità, il quale ho procurato
con ogni studio, et con tutte le forze mie di regere et governare secondo
la mente sua, punendo li demeriti con clemente giustitia, havuta però sempre
consideratione alla qualità delli delitti, la qual giustitia mi son affaticato
d' incorrottamente amministrare a tutti, senza alcuna eccetione di persone,
havendo et di pane, et d'ogni altra cosa necessaria al vitto essa Città tenuta
ubertosa, et sempre abbondante ; anzi parlando di pane, s' ha anco moltissime
fiate accomodato nelli suoi bisogni le circonvicine Terre.
Passarò con silentio il sito suo, come a Lei ottimamente noto, poiché
tante e tante fiate da' miei precessori li sia stato descritto: ma cominciare
a dirle della sua Camera Fiscale che anno per anno si ritrova haver d'entrata
ducati 4480 ; dico anno per anno rispetto alli suo datij, che molte fiate
crescono et diverse volte calano di precio, nella qual entrata non computo
il datio della nova imposta de' sali per me al publico incanto deliberato
per anni dui secondo il solito per lire 28400, sendo che esso datio non
— 422 —
entri in essa Camera, portandosi il denaro dalli Conduttori in questa Città.
Di spesa poi ordinaria si ritrova haver anno medesimamente per anno du-
cati 3395, et de estraordinaria ducati iooo incirca.
Suol far essa sua Città ogni anno honesta quantità di vini, ogli et sali,
ma biave pochissime, di modo che tutto il tratto di essi vini, ogli et sali,
si suol spender in tante biave, le quali si comprano alle volte per l' Istria,
ora nelle parti Arciducali et imperiali, et molte fiate anco per la via di mare
nella Marca, Puglia, et altronde secondo gli accidenti et le occasion.
Per la descrizione, che poco inanti la mia partita studiosamente ho
latto fare sono in essa città anime al n.ro di 3935. Huomini da anni 15,
sino alli 50, 966 : da anni 50 in oltre 223. Putti insina all'età d'anni 15, 728.
Donne et putti 2018. — Del numero di detti huomini 966, sono descritti
nella scuola de' Bombardieri 126, ammaestrati da un Capo, et Sotto Capo
forestieri, salariati da Vostra Serenità, de' quali si potrebbe in ogni sua
occorrenza valere di 60, o vero 70, che potrebbono esser atti et in terra,
et in mare, et prestarle ogni buon servitio. Si essercitano ogni mese al tirar
de falconetti, et d'altre artiglierie, le quali tutte con diverse sorte d'arme,
et altre sorti di monitioni se ritrovano in un magazzeno et sala posta sopra
la publica piazza, vicino al Palazzo del Rettore, senza però alcuna custodia
o guardia che ne di giorno ne di notte li venghi fatta ; il che quando non
si facesse qualche buona et opportuna provisione, potrebbe con molta fa-
cilità succieder qualche notabilissimo inconveniente con molto danno suo,
et con offesa della pubblica dignità, conciosiache potrebbe qualche malvagia
et scellerata persona nemica sua agevolmente in tempo di notte scalar le
mura di essa Città, entrarvi dentro, et poner a fuoco et fiamma esse mo-
nitioni, et per la istessa strada ritornarsene via, con qualsivoglia barca, senza
alcun ostacolo né impedimento, et il tutto mandar in rovina. Habbiamo
Serenissimo Principe l'essempio innanzi agl'occhi, che mentre quest'anno
prossimamente passato se ritrovava carcerato un Special da Trieste per
semplice debito, fumo alcuni Triestini de tanto ardire et temerità, che
scalate le mura et Corte del Palazzo, armati tutti d'arcobusi et d'altre armi,
con pali di ferro et altri instromenti, spezzate le serrature, aperte le porte,
cavorno fuori di esse pregioni esso Speciale, et un altro insieme, che per
causa assai leve in esse pregioni si ritrovava, et mentre dal mio Vice Ca-
vagliero fu sentito il romore, che in essa Corte habitava, saltato fuori dal
letto, volendosi opporre ad una tanta violentia, subito colto d'una arcobusata
restò in maniera ferito, che immediate passò il meschino da questa vita ;
et in quel medesimo istante per l' istessa via che vennero, ritornati a scalar
le muraglie, entrati in barca frettolosamente fuggendo, salvi se ne ritorna-
— 423 —
rono a Trieste, non riavendo io, colto così alla sprovista sul primo sonno,
et repentinamente in tempo d'oscura et tenebrosa notte, potuto fare alcuna
provisione, siccome immediate de tutto detto pernicioso successo riveren-
temente diedi particolar et minuto conto a Vostra Serenità con riaverle anco
mandato il processo da me con ogni studio formato, con li nomi delli
delinquenti et facinorosi, se ben insin' hora non s' è sentita alcuna provi-
gione né dimostratione. Li suddetti, siccome perpetrorno detto misfatto,
così, anci con molto maggior facilità havrebbono potuto ponere, et tuttavia
si potrebbe a fuoco et fiamma, come s' è detto, le predette monitioni tutte.
A futuro inconveniente, et a molti altri di maggiore senza alcun dubbio
importanza che potrebbeno occorrere, li quali per sua infinita prudenza,
potranno agevolmente esser considerati, raccorderei con ogni humiltà et
riverenza, che fosse bene di destinar un Corpo di guardia di XX e XXV
almeno soldati nella loggia di essa pubblica piazza, che da esse monitioni
distante non si ritrova per passa dieci, et sottoporli al Governatore nominato
il signor Gio. Batta Caracciolo, persona per il vero molto pratica et perita
nell' arte militare, et molto ardente nel suo servitio, che ha carico delle
Cernide di tutta quella provincia, il quale dovesse fare la sua residentia in
quella Città, si come per l'adietro tutti facevano, et che la stantia sua esser
dovesse nel Castel Lione della medesima, nel quale ritrovandosi al presente
soldati otto con un Capitanio nominato il strenuo Fabio de Buoi, che per
il vero né anco lui manca di prestar quel honorato et fruttuoso servitio
che alla Serenità Vostra si conviene, si potrebbono unir essi otto con altri
dodici, o con maggior numero, come meglio alla infinita sua prudenza
paresse ; dando al detto Capitano altro intrattenimento con accomodarlo in
altra piazza, et constituir detto Corpo di guardia in essa piazza de Capo-
distria, non lasciando però senza custodia, in tempo specialmente di notte,
esso Castello, nel quale mentre vi fosse esso Governator potrebbe ritrovarsi
alla guardia della piazza il suo Locotenente o Caporale, et cessarebbe la
spesa di tener altro Stipendiato Capitanio in esso Castello, né perciò resta-
rebbe gravato, anci sollevato alquanto esso Governatore, conciosiache ver-
rebbe ad haver stantia per lui e per tutta la sua famiglia senza pagamento
d'affitto, sicome havevano li Castellani et Camerlenghi inanzi la costitutione
del novo Magistrato de' Conseglieri che habitar solevano in esso Castello.
Et perciò che esso Capitano con li otto soldati predetti, che al presente in
esso Castello se ritrovano, sogliono esser pagati con le bollette del Rettore,
levandosi in virtù di esse il danaro in questa Città all'Offitio sopra le Camere,
il quale mandato de lì resta sottoposto al risego et pericolo del mare, de'
barcaruoli, et d' altri diversi cattivi accidenti, et a questi tutti stimo che
— 424 —
possa esser bene d'ovviare con l'assicurarlo senza alcuna spesa, il che sa-
rebbe mentre si trattenessero tanti danari di quella Camera, che d' anno
in anno da Rettori sogliono esser mandati per le limitationi alli (alarissimi
Governatori delle entrate, quanti potessero importar il stipendio et paghe
di detti soldati, et l'Offitio sopra le Camere, con il solito emolumento de'
scrivani, trasmetter all' Offitio de' Clarissimi Governatori suddetti quanti
per l' adietro si pagavano a questi fanti, o a maggior numero ; et in tal
maniera facendosi, come s' è detto, cesserebbono tutti li pericoli et di nau-
fragio, et di barcaruoli et d'ogni altro infortunio. Essa veramente guardia,
si come per l' adietro si ritrovava de Fanti XXV in detta piazza, così nel-
1' avvenire sarebbe di quella quantità che le paresse con molta sua hono-
revolezza, con sicurtà di esse monitioni, del palazzo del Rettore delle pre-
gioni, et in somma di tutta essa Città. Et dopo che si parla di esso Castello
non posso far di meno, per benefitio di Vostra Serenità, che non le dica
che se ritrova un ponte fabbricato di legni sopra pilastri di pietra viva, di
longhezza di passa cento incirca che da esso Castello gionge et arriva nel
corpo d' essa Città, per il qual per necessità convengono transitar tutti
quelli che vogliono entrarvi dentro et uscir fuori, poiché per altra strada
per la via di terra non si possa haver introito né esito, et fu fabbricato
esso ponte sopra detti pilastri già alcune decinne d'anni d'ordine di Vostra
Serenità per buoni arricordi dati da persone qualificate, et intelligenti di
fortezze, acciochè 1' aqua passando sotto dicto ponte, haver potesse il suo
flusso et reflusso, poiché per l'adietro da esso Castello insino ad essa Città
si passava non già per alcun ponte, ma sopra terra ferma, mediante la quale
restando impediti detti flusso e reflusso, causò constipatione et consolidatione
de' paludi, con gravissimo et importantissimo danno d'essa città, si quanto
alla fortezza, come alla cattiva aria che suol offender quella parte vicina
alli habitanti ; il qual ponte al presente si ritrova in tanta desolatione, et
rovina, che per il medesimo non si può più transitare, et spetialmente con
carri et cavalli, se non con evidentissimo pericolo, onde come non si faccia
matura et celere provisione, sarà senza alcun dubbio, con non mediocre
danno di Vostra Serenità per diversi rispetti, et in particolare perciò che
restando essa Città sustentata dal corso che con cavalli sogliono portare
tutte le vettovaglie, comprando poi mentre fuori uscissero sali, vini, ogli,
et altre cose, come non fosse presto provisto ad esso ponte, andarebbe
cessando per necessità esso corso, et con esso insieme andarebbono dimi-
nuendosi li suoi datij, dalli quali suol ogni anno cavar il danaro da me
superiormente esposto, che entra nella sua Fiscal Camera, et li poveri cit-
tadini se ne morirebbono dalla fame, non havendo regolarmente commercio
— 425 —
per la via di mare. Ch' essa poi Citta dovesse far tal spesa ciò senza alcun
dubbio le affermo trattarsi del impossibile per essere poverissima nel pub-
blico, e poverissima in privato ; anci non ha per il vero quella Communità
tanta entrata che possa supplire alle spese ordinarie, a' quali si trova per
necessità tenuta per non haver se non dui datij, gli altri tutti havendo già,
ab antiquo dati et donati a Vostra Sublimità : onde potrà far detta spesa
la qual acciò sia durabile, et dirò così quasi eterna, arricordarei (mentre
però altro in contrario non vi fosse) che si dovesse costruir esso ponte
con buoni mattoni in volto, appoggiati sopra detti pilastri, che buoni et
stabili se ritrovano, obbligandosi essa Città, si come si ha già obbligato, di
dar tutte le opere de' manovali che per detta construttione facessero bisogno
nel che si potrebbe spendere, per l'informatione che da periti ho havuto,
intorno a ducati 800, havendo havuto anco Maestri che s' hanno offerto
di volerlo construire per detto prezzo ; et mentre che volesse tornar a ree-
dificar esso ponte di legno potrebbe spender poco meno, oltre che con
difficultà si ritrovarebbe in quel territorio tanti legni che potessero per ditta
fabbrica esser sufficienti et bastanti, chi non volesse mò metter mano nelli
roveri, il che sarebbe con troppo gran danno dell'Arsenale. Si come di tutte
le predette cose con il mio respondere, che già pochi giorni sono, io feci
a Vostra Serenità di commissione sua, li diedi l' istesso in sustantia rag-
guaglio. La construttione adonque di pietre cotte in volti, sarà di molto
suo benefitio et di tutta quella sua Città, che in confine con Arciducali si
ritrova assere, si come quando tosto non si facesse la suddetta provisione,
sarebbe di molto danno suo, et la total rovina di quei poveri Cittadini.
Et perciochè, come superiormente le ho esposto, si ritrovano talmente
accresciute, munite et conglutinate le paludi insieme, appresso specialmente
esso ponte, che fra li pilastri d' uno in poi non può haver 1' aqua il suo
flusso et reflusso, consigliarci però che Vostra Serenità quanto prima ap-
presso detto ponte facesse fare excavatione di dette paludi, di quanti piedi
le paresse, conciosiachc havendo con tal mezzo le acque essito, farebbe
notabilissimo benefitio alla fortezza del sito della città, et causerebbe miglior
aria a benefitio medesimamente delli habitanti sudditi suoi.
Quanto al territorio poi di essa città, le dico ritruovarsi ville al numero
di quanranta, tutte però povere, nelle quali in tutto vi sono anime 5556;
huomini d'anni 15 in sino alli 50, 1388; putti insino alli anni 15, 16 19;
vecchi 287 : donne et putte 2262. Del numero delli qual huomini da fatti,
si ritrovano descritti nelle Ordinanze per soldati 500, li quali solevano esser
sempre sottoposti, retti et governati dal Capitano de' schiavi, inanzi che
fossero stati introdotti in quella provincia esse Ordinanze, et dopoi anco
— 426 —
che furono ordinate ; anzi per esser tutto quel territorio habitato da persone
schiave, et non da altri, perciò ha preso tal denominatione di Capitano de
Schiavi. Questi veramente 500 soldati sarebbono piuttosto buoni in occor-
renza di esser adoperati per guastadori et galeotti che per soldati, per non
esser molto pratichi et atti alla militia.
Otto di dette Ville si ritrovano haver alcuni Castellotti, rocche o tor-
razzi, che nominar si debbino, atti piuttosto a salvar le genti et animali di
esse ville da qualche incursione de' nemici che da altro. Tre sono imme-
diatamente a' confini con Arciducali, cioè la Villa d'Ospo, la Villa di Lonche,
et la Villa di Popecchio ; et le altre cinque confinano con altre ville del-
l' istesso territorio, ma non molto distanti dalli medesimi confini, che sono
Antignan, Crestoia, Valmorasa, Covedo, et Gemme. Questi Castelli tutti
se ritrovano in cativissimo stato, li loro tetti sono rovinosi, le porte et
alcune muraglie hanno bisogno grande di reparatione, et adattatione, che
a redurli in buon esser, senza le spese alle quali son tenuti li Comuni di
esse ville, potrebbe spender Vostra Sublimita intorno ducati 400, non com-
putato il suddetto Castello di Crestoia, per esser d'un particolar cittadino,
il quale è tenuto lui di tenirlo acconcio et all'ordine. Si ritrovano dentro
tutti detti Castelli pochissime armi, et quelle che vi sono per il vero sono
quasi inutili, per esser vecchie et triste, onde potrebb' esser bene il farle
mandar de qui, et rimandarne de sufficienti et buone, la quantità et qualità
delle quali, che in ogni uno di essi Castelli si veggono, per ogni buon
rispetto, si ritroverà descritta nel fine delle presente carte.
Raccordandole quanto già Le scrissi alli 23, del mese di Luglio passato,
et con altre mie dupplicate dopoi, che detti Arciducali vanno dilatando le
fimbrie, et usurpando li suoi confini, senza alcun rispetto, ne risguardo,
con molta temerità et insolentia, impatronendosi con danno suo, et con
infinito discontento et ruina delli poveri sudditi suoi, li quali per timore
della sua giustitia non hanno ardire di cacciar tal arroganza et violenza con
la forza et violenza ; sicome in spetie avvenne a quelli della Villa di Grimalda
territorio del Marchesato di Pietrapelosa, confinante con il territorio di
Pisino, dition arciducale. Poiché detti di Pisino ebbero ardire, al numero
di 150 incirca, sotto la porta di quel suo Ritter, sive Castellano, o Giudice,
armati tutti d'arcobusi longhi et corti da roda, et d'altre armi, hostilmente
transferirsi infino alla suddetta villa di Grimalda et violentemente levar a
quelli poveri contadini tutta quella quantità de orzi, che già matura ritro-
varono tagliata, et li formenti, el altre biave, che ancor mature non erano,
di batterle per terra senza alcuna pietà, et come che fatto riavessero qualche
gloriosa impresa, con gridi et strepiti, sbarando gli arcobusi se ne ritornorono
— 427 —
trionfanti a casa ; del che come Vostra Serenità non farà quella provisione
che alla infinita sua prudenza parerà, non resteranno d'infestar quelli suoi
poveri sudditi, et alla giornata di andar usurpando et d' impatronirsi delli
suoi indubitati confini.
Finalmente non restarò di raccordarle anco, che quantunque con se-
gnalato benefitio di tutta quella povera provincia dell' Istria, da Vostra
Serenità sia stata constituita ed eretta in essa sua Città di Capodistria la
dignità di dui Consiglieri, a' quali con il Podestà et Capitanio insieme si
devolvano tutte le appellationi delli Rettori et Iusdicenti di essa provincia,
si civili, come criminali, et questa, santa per il vero provisione, si può dire
che habbi dato l'anima a quelli miserabili popoli, nondimeno essendo ne-
cessitata, oltre molte altre spese de' processi, de' viaggi, de' solicitatori, de'
avvocati, de' spazzi et d'altro, di pagar alla Serenità Vostra et al Cancelliero,
inanzi che la causa s' introduchi, doppii carratti, vengono accolti a sentir
pochissimo benefitio da esse appellationi, anci molti che vengono condan-
nati, X, XV o vero XX lire, se bene essa condanna, per dir così, sia in-
giustissima, et che per ogni ragione sperar potesse d' ottener larghissimo
taglio, tante et tali sono, come s' è detto, l' eccessive spese, che non but-
tandoli conto d'appellarsi, sono astretti con molto suo danno, a pagar esse
condanne. — Et perciocché non basta solamente di rappresentarle in questa
parte questo aggravio, ma fa mestieri di raccordarle anco il modo di poter
sollevar et ristorar essi aggravati, et oppressi, dico alla Serenità Vostra, che
fatto diligente calculo da che detto Magistrato fu eretto, non trovo essere
de' carratti a lei spettanti scosso più de ducati 15, al mese incirca, li quali
da uno salariato Esattore che ha ducato 1 al mese per tali sue fatiche,
vengono di mese in mese contati in quella sua Fiscal Camera, con altri 15,
esborsati dal Cancelliero per tansa nuovamente da Vostra Serenità impostali,
rispetto all'utile che egli suol cavar della portione di essi carratti, il qual
tutto danaro, mese per mese, come s' è detto, non trascendi la somma de
ducati 30. — Dovendosi mò et Vostra Serenità, et il Cancelliero, et tutti
detti sudditi insieme liberar in un tratto, di un tanto peso, con avantaggio
piuttosto che con qualsivoglia minimo intacco suo ; ritrovandosi in essa
sua Provincia Communitadi al n.ro de' 21, salvo il vero, che da detto suo
Magistrato sentono il benefitio delle appellationi parte commodissime, parte
commode, et parte mediocremente commode, havuta quella matura conside-
ratione che si conviene, si potrebbe aggravar qual tre, qual due et qual
ducato uno al mese secondo che sono più et meno commode, il qual danaro
dalli Rappresentanti suoi dovesse esser scosso, et di mese in mese mandato
in essa Camera inanzi tratto, con pena di non poter andar a Capello finito
— 428 —
il suo Regimento, se non portassero fede di quella Camera che detta im-
positione intieramente non fosse stata pagata di mese in mese inanzi tratto
come s'è detto, la qual indubitatamente potrebbe senza alcun loro incom-
modo, (poiché l' entrate loro vengono dalli medesimi expillate) eccieder
ducati 40, al mese, rispetto alla quantità delle terre et luochi predetti do-
vendo al Cancelliero esser dato obbligo, che più pigliar non debba carratti,
ma solamente soldi 24 per ogni spazzo, et così anco delle Lettere de ap-
pellationi non più de soldi io per cadauna, et in questo modo non si
potrebbono esse Communità con ragion dolere, poiché detto suo danaro
restarebbe impiegato per benefitio, commodo, et utile delli suoi medesimi
cittadini et populi, et non d' altri.
Tanto ho voluto per obbligo et debito mio Serenissimo Principe dirle,
rappresentarle, et raccordarle, acciò con la sua solita prudenza, dispona,
provegga, et remedij nella maniera che le parerà. Gratie.
De mandato di Vostra Serenità
Humilissimo e Devotissimo Servitore
Zuan' Ant.° Bon.
INVENTARIO DELLE ARMI DELLI INFRASCRITTI CASTELLI.
Nel Castello di Gieme
Codette con le sue braghe n.° 3
Codette senza braghe n.° 2
Spingarda con la sua codetta de ferro n.° 1
Arcobusi antichi n,° 4
Arcobusi da Cavalletto con le sue fiasche n.° 2
Spiedi inhastadi n.° 4
Pietre con li suoi ferri < n.° 5
Nel Castel di Valmorasa
Arcobusoni antichi n.° 5
Arcobusoni detti Pistoni n.° 2
Spingarde con le sue codette de ferro n.° 2
Arcobusoni da cavalletto con le sue fiasche n.° 2
'Un' altro in pezzi
Alabarde inhastade n.° 5
Spiedi inhastadi n.° 5
- 429 —
Nel Castel di Covedo
Piche con li ferri n.° 70
Spontoni n.° 24
Arcobusoni da cavalletto con li suoi fiaschi n.° 2
Spingarde n.° 5
Item una in pezzi
Codetti n.° 3
Item due altre in pezzi
Una canna d' arcobuso
Celade in scuffia n.° 78
Nel Castel di Cristoia
Spingarda con la sua codetta de ferro n.° 1
Arcobusi antichi n.° 8
Arcobusoni novi da cavalletto con le sue fiasche n.° 4
Piche n.° 5
Spiedi inhastadi n.° 5
Nel Castel di Popecchio
Dui falconetti de bronzo n.° 2
Item falconetti dell' istessa sorte n.° 4
Arcobusi mal in ordine n.° 2
Arcobusi dell' istessa qualità , . n.° 3
Corazini in pezzi n.° 6
Arcobusoni senza casse n.° 3
Canne d' arcobuso n.° 5
Una Codetta n.° 1
Partesane inhastade n.° 4
Una Ronca senza hasta n.° 1
Un pezzo rotto
Una Spingarda con la sua codetta
Nel Castel de Loriche
Arcobusoni novi da cavalletto n.° 2
Arcobusoni antichi n.° 2
Pestoni n,u 2
Nel Castel de Hospo
Spingarde con le sue codette de ferro n.° 5
Un' altra codetta
Arcobusoni da cavalletto n.° 3
— 430 —
Spedi inhastadi n.° 5
Canne d' arcobusoni vecchi n.° 4
Mascolo n.° 1
Nel Castel d' Antignana
Spingarde con le sue codette de ferro n.° 2
Arcobusoni antichi n.° 2
Mascolo n.° 1
Canne d' arcobusi antichi , . . . n.° 3
Item arcobusoni da Cavalletto n.° 3
Codette n.° 2
Allabarde inhastade n.° 4
Spedi inhastadi n.° 4
Partesana n.° 1
(Archivio generale veneto. — Collegio. — Busta segnata Relazioni dei
Rettori — Capodistria-Pola).
Relatione del Regimento di Capo d' Istria presentata nell* Ec-
cellentissimo Collegio adì 15 Maggio 1592 per il Clarissimo
Signor Alvise Soranzo.
Serenissimo Principe, Illustrissima Signoria
Poiché col favor divino son ritornato dal Regimento di Capodistria,
per riverente essecutione della Commissione della Serenità Vostra ho voluto
comparere dinanzi di lei per darle conto di quelle cose che parono a me
degne d' esserle rappresentate, da me praticate per spatio de mesi dodeci,
che ho in esso regimento dimorato, nella qual sua Città ho ritrovato populi
per sua natura pacifici, quieti et fidelissimi della Sublimità Vostra, da quali
in occasioni di guerre, et altri carichi publici si può promettere ottimo
servitio, essendo riusciti per il passato honoratamente, et per i portamenti
de' quali ne tiene quella sua patria perpetua memoria.
Sono detti populi nella maggior parte poveri per la strettezza del ter-
ritorio, nel quale non si raccoglie biade che siano bastevoli né anco per
— 43i —
tre mesi soli dell' anno, consistendo le loro utilità et entrate in ogli, vini
et sali, il raccolto de' quali andando spesse volte fallace, per causa de' tempi
contrari), non è sufficiente per comprarli le biade per il loro necessario
vivere.
Essa città si ritrova in Comune molto povera, havendo un sol datio
della muda, col tratto del quale a pena possono esser pagati li salariati,
havendo la Spettabile Comunità di detta Città per il passato donato alla
Serenità Vostra tutti gli altri datij di molta importantia, et oltre alcuni
fondamenti di saline obbligati per ducati doimille in tempi bisognosi, col
tratto de' quali si pagano un Fontico di formenti et farine, senza li quali
li populi sicuramente perirebbono, servendosi poveri et ricchi tutto il tempo
dell' anno comprando pane, et farine, non essendovi né pistori, né altri
luoghi dove possono ricorrere, per sovvegno ; havendo esso Fontico di
Capitali circa lire quindecimillia, co '1 qual danaro, et mediante il favor
divino, et buon aiuto s' ha in modo tale proveduto che essa Città in questi
tempi così calamitosi, et penuriosi non ha havuto alcun minimo patimento;
et perchè ho conosciuto eh '1 detto Fontico co '1 suddetto poco capitale
non era sufficiente senza altro aiuto di spesare così numeroso populo, poiché
non si vendono in esso se non farine di fermento, delle quali per essere
a pretij alti malamente li poveri si possono servire, ho con ogni spirito
procurato di erigere et fabricare un novo Fontico di mesture, havendogli
impiegato circa lire quattromilia cavate parte da debitori del suddetto Fontico,
vecchij et quasi inexigibili, et parte sono stati per me elevati dalle mani
del Clarissimo Signor Francesco Grimani già dignissimo Consegliero, che
gli fumo depositati dal Clarissimo Signor Anzolo Dolfino, dignissimo Vice
Podestà precessor mio in loco del quondam Clarissimo Signor Pietro Lo-
redano, come danari scossi da molti banditi absenti liberati dai loro bandi
per i clarissimi Signori Sindici di terra ferma ; il qual Fontico sarà com-
modissimo et utilissimo per supplire al bisogno di detti populi, et della
detta Città, nella quale si ritrovano essere anime n.° 3597, cioè dalli anni 18
fino alli 40 n.° 732, putti fino a' detti anni 18 n.° 821, et donne vecchie
et putte inutili n.° 2644, et nel territorio dove sono situate 42 ville piccole
vi sono anime n.° 5025, cioè dalli 18 fino alli 40 n.° 1012, putti fino a'
detti anni 18 n.° 1 1 59, vecchi 426, donne et putte inutili 2428, fra le quali
sodette ville del territorio, o per dir meglio Castelletti, se ne ritrovano alcuni
parte con terrazze, et parte cinti da muri, et parte in grotte fatte dalla natura
poste alle frontiere d'Arciducali ; nelle quai Ville et nei quai Castelletti et
fortezze habitano contadini Istriani con ferma speranza di potere nelle oc-
casioni di guerre et altre incursioni salvare et le robbe et le persone, et
— 432 —
perchè sono nella maggior prate cascati et ruvinati, era consuetudine che
ogni regimento cavalcasse per veder la spesa che vi andaria a ritornarli in
stato : onde essendo conferito ancor io, et fatto quelli vedere da periti,
trovai che in accomodarli tutti vi andaria l' infrascritta spesa, cioè nel
Castel de Antignan ducati dusento trentasette,
nel Castello de Hospo ducati settantanove,
nel Castello de Lotiche ducati nonantaquattro,
nel Castello de Popecchio ducati nonantasei,
nel Castello de Christoia ducati centoottantasette,
nel Castello de Movrasa compresa la guardia, ducati 43,
nel Castello de Covedo ducati trentasette, e
nel Castello de Gemme ducati settantasei, che fanno in tutto ducati otto-
centotrentanove ; et perchè nelle cavalcate che si facevano si spendeva circa
Lire 400, per ogni volta, le quali si cavavano da questa Camera fiscale, né
facendosi mai alcuna provisione era et è detta spesa gettata indarno et
superflua, onde parmi che saria bene levar detta spesa, perchè ogni anno
si acconciasse uno di essi Castelli almeno, impiegando il danaro che si
spendeva nelle dette cavalcate al suddettto conciero et riparo, tanto mag-
giormente perchè li poveri habitanti in essi Castelli hanno davanti di mi
presentato supplica di voler ponèr tutte le opere manuali, pietre, e calcina
che fari di bisogno, et di già ho scritto lettere a sua instantia alli Clarissimi
Signori Proveditori et Patroni all'Arsenal per impetrar licentia di poter tagliar
d'ogni sorte Ugnami, non buoni però per la casa, con quali possano fare
le fornace o calchere, et le calcine ; il che facendosi si accrescerla la de-
votione di detti populi, et sarebbono essi Castelli maggiormente habitati,
essendo li populi sicuri di salvar le robbe et le persone in occorrentie di
guerre, come ho detto di sopra ; altrimenti potrebbe causare la loro disa-
bitatione, et che detti populi si risolvessero co '1 tempo de andar ad habitare
in terre aliene, et sotto Arciducali per maggior sua sicurtà. — Non mi
estenderò di descriver il sito di quella sua Città per essergli stato descritto
da miei precessori ; ma solamente tocherollo in parte. È essa città fabricata
sopra un scoglio lontano da terra ferma passa cinquecento, dove all' intorno
resta circondata dall' acqua del mare, et da certo tempo in qua pare che
dalla parte verso terra ferma, et dove si ritrovano il ponte et castello, è
accresciuta talmente la palude che con occasione di secche gli huomeni gli
possono quasi andare a pie' sutto, dal che non è dubbio che essa città non
è in quel stato di sicurtà siccome era prima, nella quale potevano con le
occasioni salvarsi le genti anco di questa provintia, non essendovi in essa
altre fortezze né altri luoghi sicuri ; oltreché causa detta palude cattivo aere,
— 433 -
il quale quando continuasse potrebbe essere che restasse quella città da
quella parte dishabitata, sicché saria bene per levar ogni pericolo, et per
non intrar in maggior spesa cavare essa palude almeno dalla porta di essa
città fino al Castello, che possono essere circa passa ottanta, che tanto a
ponto tiene il ponte di pietra fatto da novo, sotto gli archi del quale scor-
rendo le acque, et havendo il suo flusso e reflusso per detto cavamento,
con le occasioni delle innondationi che sogliono causare li fiumi de Risano
et Fiumicello poco discosti si farebbono alveo. Dalche, oltrecchè si ridurrla
essa Città in maggior sicurtà, si levarebbe il pericolo dell'aria, che non si
marcirebbono le persone, si come interviene in molti altri luoghi di detta
provintia. In capo del qual ponte si ritrova essere il Castello chiamato Castel
Lione custodito da un Capitanio con otto soldati, et nel Corpo della Città
sopra la piazza si ritrovano essere le munitioni di qualche momento rispetto
al loco sotto la custodia de un Sopramassaro salariato per detto effetto.
Si ritrova havere la Serenità Vostra in quella sua Città una Camera
fiscale che viene essercitata dalli Clarissimi Signori Conseglieri come Ca-
merlenghi, la quale può cavar d' intrata ducati circa tremilliaottocenro de'
datij, livelli et altro, et ha di spesa ducati quattromillia tresento et più
sicome si vede dalli conti e polizze che si tiene in questo proposito. È vero
che si pone in essi conti ducati cinquecento per la spesa suol far questo
Tribunal in andar in visita per questa provintia, se bene chiare volte occorre
far detta visita, li quali in tal caso non vengono spesi et si avvanzano.
Ha ancora la Serenità Vostra in detta sua Città una scola de Bom-
bardieri sotto la disciplina del Capo da Venetia, et perchè ne
mancavano molti ho con destro modo procurato in farne descriver il più
numero che ho potuto, onde hora se ne ritrovano descritti in rolo circa
cento e vinti, quali vengono continuamente essercitati et ammaestrati ogni
prima domenica del mese con diiigentia dal soddetto Capo nel tiro de'
falconetti e nel bersaglio; dell'opera de' quali la Sublimità Vostra si potrà
valere nelle pubbliche occorentie et haverà, come spero, ottimo servitio.
Non tralascierò di raccordar ancora alla Serenità Vostra il stato nel
quale si ritrovano le sue militie di detta sua provintia nella quale vi sono
sei Compagnie de soldati, che sono in tutto n.° 2400, sotto sei Capi, uno
de' quali, che è il Capitano Agustin Callcgari da Brisighela si ritrova havere
sotto la sua disciplina soldati cinquecento, tutti del territorio di Capodistria,
li quali per lo addietro erano sotto la cura et custodia del Capitano de
Schiavi, così chiamato, di essa Città. La seconda compagnia fatta de' soldati
del Marchesado di Pietrapelosa, Momiano, Buie, Grisignana, Piamonte,
Portole e Visinada de n.° 400, vien custodita dal Capitano Pietro de Rino
— 434 —
della detta Città. La terza guidata dal Capitano Duranti Durante della Marca
d'altri 400, cavati di Pola, Dignano, Barbana, Castelnovo, S. Lorenzo, Doi
Castelli et Valle. La quarta d' altri 400 del territorio de Pinguente sotto
la custodia del Capitano Rizzardo de' Verzi. La quinta in Albona e territorio
de' soldati 300, ha per scorta et Capitano Bartolommeo Zetti. La sesta
Compagnia sotto Montona e territorio d' altri soldati 400 raccomandata al
Signor Governator della detta Provintia. Parte delle quali compagnie ho io
con l'occhio proprio veduto, et esse con tutte le altre sono state parimente
vedute et rivedute per il signor Annibal Solza Governatore suddetto, le
quali sono state ritrovate molto mal ordinate, sicché hanno bisogno di pro-
visione, il che avviene, essendo che le genti della detta provintia nella
maggior parte sono piuttosto avveci ad essercitij rurali che a militari, quali
per mancamento ancora delle armi non possono essercitarsi in quel modo
che si converrebbe, essendo ancora che molti soldati delli suddetti Castelli
convengono camminare quindeci e più miglia per ritrovare le sue insegne
con grandissimo suo incomodo e spesa, si bene vi sono delle insegne più
vicine; Onde per questi et altri accidenti che saranno stati discorsi davanti
la Serenità Vostra per detto signor Governatore, hanno bisogno le dette
militie di esser meglio regolate in quel modo che parerà al prudentissimo
e sapientissimo giuditio suo.
Restami solamente di ringratiar con ogni humiltà la Serenità Vostra
della molta sua benignità che s' ha degnato insieme con questi Illustrissimi
Signori mandarmi a quel governo, nel quale non ho mancato di attendere
con tutti i spiriti in amministrar giustitia, procurando la abbondantia a
quei populi suoi fidelissimi con quella carità et con quell' amore che ho
stimato esser conveniente alla dignità publica, et insieme alla pia et chri-
stianamente di Vostra Sublimità, et delle VV. SS. Ill.me, alle quali humil-
mente mi chino et raccomando.
(Archivio generale veneto. — Collegio. — Busta segnata Relazioni dei
Rettori — Capodistria-Pola).
— 435 ~
Relatione del Nobil Homo Ser Vicenzo Morosini ritornato Po-
destà et Capitanio di Capodistria. — Presentata nell'Ec-
cellentissimo Collegio a' 7 Luglio 1593.
Serenissimo Prencipe et Illustrissima Signoria
Essendo per eletion della Serenità Vostra stato Podestà et Capitanio
della sua Città di Capodistria, et hora ritornato per debito dell' Officio mio
et osservanza, et ben instituto costume di questo Serenissimo Dominio mi
appresento alli suoi piedi narrandoli sotto brevità quel tanto che ho giudicato
esser bene per servitio publico, et di sua intelligentia del sito, monitioni,
habitanti che si attrova in essa, come nel territorio et ville.
Dirò adunque Capodistria esser capo di tutta la provincia, poiché Vostra
Serenità havendoli aggiorni doi Consiglieri alla persona del Podestà et Ca-
pitanio, li ha concessa autorità de appellatione di tutte le Città et Castella
della provincia, sì in civile come in criminale, havendoli dato nel civile
authorità come Auditori, nel criminale suprema authorità per esser Giudici
definitivi, la qual deliberatione ha dato 1' anima a quella provincia.
La Città è sopra uno scoglio di circuito quasi in tondo di pocho meno
di doi miglia, cinta d' una muraglia debolissima et rovinosa, nella qual
muraglia vi sono case congionte con finestre dentro, et altri edificij et muri
de horti de' Frati attaccati ad essa muraglia contra la mente di Vostra
Serenità, che vuol che sia strada libera attorno essa muraglia, nella qual
sono porte undeci, in verità troppo numero et tutte mal sicure, et parimente
è circondata tutta dal mare, dalla quale per un ponte di passa 135 si passa
in terra ferma, nel mezzo del quale si attrova il Castel Leone ruinoso per
la sua vecchiezza di circuito di passa cinquantadoi, senza piazza et senza
fianchi, con una strada de larghezza de piedi undeci, che li passa per mezzo
per andar in terra ferma, tutto à fatto debolissimo ; nel qual è alla custodia
il Capitano Vido Baldo con otto soldati, nel numero de quali vien pagato
il Sergente delle Ordinanze di quel territorio, et questo non va, né fa fattione
in Castello, denari a mio giuditio spesi inutilmente, sì per esser soldati di
poco valore per haver le paghe stentate, e di giorni quarantacinque per
paga, in una città che è carestia di tutto, si è in necessità di tuor di quelli
si può haver, per esser il Castello rovinoso, et a mio giuditio saria bene
il disfarlo, perchè nel termine si attrova è di gran maleficio, si perchè in
esso non si può far difesa per le cose sopradette, poiché non si adopera
qui balestre, ma artegliaria, et arcobusi, alli quali colpi non può resister,
11
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et rovinandosi per batteria attereria il tutto attorno ; et farvi strada soda
et ferma per venir alla città, et quando fosse preso da nemici, che Dio non
permetti senza rovinarlo terrapienandolo feria un eminente con il quale
mettendovi sopra artegliaria, batteria et rovinarla tutte le case della città.
Fo levato il ponte di legno al tempo del Clarissimo Loredan mio pre-
cessore, et dato principio a far di pietra di volti vintidoi fino al Castello,
il qual per esser mal fondato dalla parte di levante minaccia rovina, la qual
deliberatione di farlo di pietra, che causa et effetto partorisca Vostra Signoria
il comprendi, poiché dove era fondo, et terren fangoso et paludoso, hora
per non haver le acque il solito flusso, et reflusso per li gran venti et
fortune che regnano, così dall'una come dall'altra parte del ponte si è fatto
il terren così sodo, che dal Castello con secca d'acqua vengono con li carri
carghi alla città, cosa in vero dannosa, la qual a mio giuditio dovrebbe
esser circondata da fondo grande.
Giudicarò esser a proposito rappresentarli la città haver bisogno, et
veramente Vostra Serenità esser in necessità di far doi belovardi uno per
banda della porta del ponte, nella qual si accomoderebbe il corpo di guardia
per li soldati per conservation di essa, et fatti sariano per due cause, la
sicurezza da qual si voglia accidente a sua devotione, et sicurtà de tutte
le genti civili della provincia, 1' uno è che mettendovi 1' artegliaria sopra
tenirebbe che da qua da monti verso la città riiuno potria comparer per
offenderla, et con le pietre del Castello se incamiseria li sodetti balovardi
o cavalieri ; 1' altro è che facendo cavar il terreno così del Castello, come
della strada fatta che viene al Castello, et le paludi che si vicina alla città,
si terrapieneriano, et così le acque haveriano il suo corso ordinario per il
cavamente del terreno, et la città a fatto resteria assicurata da quella parte.
Quanto alle altre parte della città giudicarci, che riconzata la muraglia, et
ristretto il n.ro delle porte, si potrebbe lassar nel termine si attrova, per
esser così vicina a questa città, dalla qual potrà esser soccorsa con ogni
sorte di Vascelli.
Nelle monitioni si attrova dodeci pezzi de artigliaria tra grossa et
menuda, la qual considerando io in occasione dove si potesse adoperar,
dalla parte che varda il ponte non ho veduto luoco dove dentro la muraglia
si potesse adoperar nelle occasioni, et fuori non sta bene, e in alcuni luochi
anco non vi saria reculata, né meno in altro luoco della città si può adoperar
con ragion di poter offender Vascelli, nella centa di muraglia da una parte
per esser molto relevato dal mare, che potriano venir sottovia senza esser
offesi, et buttando la muraglia marza in altre parte per far cannoniere con
un tiro o doi ruineria essa muraglia, et poi è dove non si può dubitar da
— .437 —
quelle parti, se non di armada grossa, alla qual non si potria resister: se
mi fosse detto si potria adoperar nel Castello, non è luoco di metterla, et
quando gli fosse luoco in doi colpi che si sbarasse ruineria per la sua mala
qualità. — Gli sono anco arcobusi, coracine et piche, roba puoco buona,
né in occasione gran parte delli arcobusi si potrebbono adoperar, et per
non esser chi netta dette arme, la ruggine, non manca di far l'officio suo.
Pochi giorni avanti il mio partir gionse il Capo de bombardieri eletto in
luoco del Capo morto. Vi dovrebbe esser il Sotto Capo qual ha obbligo
di star nel Castel Leone, ma non solamente non sta in Castello, ma ne
anco nella città non è stato nel mio tempo, et per quanto ho visto per
essamine fatto far è stato altro che al portar delle lettere, et poi un' altra
fiata per pochi giorni. Nel tempo del mio regimento non ho voluto li sieno
levate bollette di salario, sebben era sforzato per lettere a farlo, giudicando
esser debito mio dar essecutione alle leggi di Vostra Serenità, et hora anco
continua di non esser al suo carico.
In detta città è il Capitano Oratic Dolfin al governo delle Cernide di
quella città et territorio, assai diligente nel suo carico, né manca quanto
può per essercitar quelle genti, le quali a mio giudicio non faranno riuscita
di esser messi a servitio di Vostra Serenità in altro, che sopra le Galere,
perchè in occasione serviriano per soldati et galeotti.
S' attrova la Camera fiscal di Vostra Serenità che non è altra nella
provincia, la qual, come già scrissi, è così mal regolata, che fui sforciato
scriver alli Clarissimi Regulatori sopra la scrittura, che commettessero al
principal Scontro, che mandasse un sufficiente, o venisse lui a tal carico;
et anco il medesimo feci alli Clarissimi Revisori dell'entrate publiche, come
anco nel responder che feci a Vostra Serenità nella Supplica d' Ambroso
di Belli Scontro, che ricercava metter 1' officio suo in nome del figliuolo,
et se Vostra Serenità non manderà persona intelligentissima a veder et re-
gular li libri et scrittura, credo certo in brieve precipiterà. La causa è che
il Vostro Scontro non fa 1' officio suo, et 1' affitta ad uno de' nobili di
questa città, li quali vivono con tanto rispetto tra loro, che non si può
dir maggiore. Vostra Serenità dirà perchè non li hai rimediato, gli rispondo
in quella città non esser homo per tal carico buono, che se ne fossero stati
non havrei mancato per servitio di Vostra Serenità, Et stante la renontia
fatta da quel Sustituto dell' officio a Mcsser Bello, per portar le fede ne-
cessarie, che alla fine del regimento si è in obbligo di portar, ho convenuto
far un mandato al sopradetto, eh' esserciti fino a tanto che ne sia mandato
uno da Vostra Serenità per tal effetto.
Si attrova un Fontico per sustentamento di quelli habitanti, nel qual
- 438 _
si vende farina, la qual per la gratia del nostro Signor ho mantenuta sempre
a lire 8 la quarta, che sono lire 24 il ster, et si ha aumentado di cavedal
lire cinquemillc di vadagno, et è governato per Nobili di quella Città, alli
quali è necessario che il Rettore sia molto vigilante, il qual di buon cavedal
era venuto al basso : la diligentia usata 1' ha fatto respirar fino a 26 mille
lire di cavedal vivo, senza altri debiti di Comunità, et altri inessigibili per
morte et altri accidenti.
Al governo delle anime è il Reverendissimo Signor Zuanne Inzegner
Vescovo cittadin nostro di somma bontà et religione, et svisceratissimo
servitor di Vostra Serenità. Nel tempo del mio Regimento mai è occorsa
cosa alcuna tra noi di mala satisfattione, ma amor sinciero come fratelli,
il tutto a honor di Vostra Serenità.
Non restarò narrarli, che la materia di sali è di grandissima conside-
ratione et degna di saputa di Vostra Serenità, poiché mi ho trovato a tempo,
che ha valuto fino a lire 13 il staro, et anco si trovava di quelli che vo-
levano molto più, et andavano comprando da altri per ridurlo in poche
teste, come fecero ; et questo precio, che lenivano cosi alto, non lo facevano
ad altro fine, a giudicio mio, se non perchè havevano inteso Vostra Se-
renità mandarne de lì per mantenimento del corso, così a benefitio delli
suoi datij, come a utile di quel povero populo bisognoso, et quelli pochi,
che havevano il sale non ad altro fine lo facevano di tenir il precio così
alto per longar il corso, qual per li precij alti era fermato quasi a fatto,
et si contentavano gli ne restasse con suo danno, acciocché Vostra Serenità
non ne mandasse come hanno ottenuto lettere loro, dicendo Vostra Sere-
nità non poter vender le sue decime sino a tanto che loro non habbino
più sale del suo, et pur la Xma di V. S. è cavata dalli suoi salari), né
crederò, che venuta la Xma nella S. V. perda ragione di potersi vender,
poiché loro vendono l' istesso comprato da molti particolari. Un giorno
havevano addimandato precio così alto, che alcuni venuti per sali erano
partiti senza, li mandai dietro et li feci tornare, et li feci dare di quello di
V. S. a lire 12 il staro, come di ciò diedi conto particolar alli Clarissimi
Proveditori al sai, la quale operatione li fece calar di precio, dolendosi eh' io
voleva far quello che non era mente di V. S. Io lo feci per obbligo mio
di metter ogni spirito, poter et saper a beneficio di V. S. — Vennero
1' anno passato doi barche mandate dalli Clarissimi Proveditori al sai per
ovviar a contrabbandi de' sali, li quali a mio giudicio sono più presto di
quella sorte d' homeni di maleficio, perchè non fanno quanto deveno, si
per esser puoco buoni di andar a barche di controbandieri di sali, quali
sono homeni risegati con arcobusi, et per loro non fa andarli adosso, ma
— 459 —
vanno a barche che passano per queste riviere cercandoli sopra, facendoli
star di danari. Nella mia giurisditione non è seguito questo, perchè non
harei mancato di corretione, et riverentemente raccorderei a V. S. che fusse
bene a mandar una o doi fregate con huomeni buoni et Capitano suffi-
ciente, che attendessero solamente a questo carico, et stessero su le ponte
che vanno a Trieste, il che torneria a gran beneficio a Vostra Serenità, si
perchè li sali resteriano a beneficio suo, come il corso continuerebbe de
qui con maggior frequentia, et cesserebbe a Trieste. Quest'anno fin hora
per le continue pioggie se ne ha fatto pochissimo.
Vi era un Monte santo per beneficio di quel populo, hora è spianato
et smarrito per il mal governo, in luoco del quale ha condotto doi hebrei
banchieri, li quali prestavano a quelli della città a dodeci et mezza per cento,
alli altri a vinti. Ho operato si con loro che si sono contentati di tuor
dodeci et mezza indiferentemente da tutti, et sopra ciò ho fatto una Ter-
minatione con suo consenso.
Poiché ho detto del sito della città et qualità sue, gli dirò delli habitanti
che in essa si ritrovano tra Nobili del suo Consiglio, che sono al numero
de dusento in circa ; et altri tra botteghieri et lavoratori di terre, per la
descritione fatta, sono al n.° di tremille e tresento, compreso ogni sorte di
età, nelli quali sono n.° 910 da 15 fino 50 anni, il restante tra vecchi,
donne e putti ascendono alla sopradetta summa ; poco numero invero alla
centa della Città, la qual per esser poco habitata, ha molte case rovinate,
et ogni giorno va scemando, poiché per il passato ascendevano a maggior
numero. Nella quantità de' Nobili vi sono 8 dottori, et pochi altri sono
che habino del civile nella nobeltà, se ben sono in gran numero ; ma per
la povertà loro parte attendono all' agricoltura, altri al pescar, altri al na-
vegar. In questa Nobeltà vi è quasi in tutti povertà grandissima per non
si applicar a mercantia, né ad essercicio alcuno. Le sue entrate sono di vini,
ogli, sali, et poche biave, in due delli quali li va spesa infinita, sì per il
sapar che fanno nelle vigne et olivi, come al raccoglier esse entrate, non
lo facendo di sua mano. De' sali danno la Xma a Vostra Serenità. Li dottori
insieme con pochi altri, secondo le sue voglie et pensieri dispongono gli
altri a quanto li propongono, sieno buone o cattive le loro opinioni, perchè
sono affatto ignoranti et persone grosse. De botteghieri et cittadini ne sono
de comodi, li quali attendono a tempi a comprar sali et altre sorte di mer-
cantie, le quali le rendono molto utile. Hanno una legge che non possa
venir vin forastiero fin a tanto ne sia del paese, et per tal causa è carestia
notabilissima di vino, poiché hora lo vendono in grosso fino a lire 17 l'orna,
— 440 -
che è 5 sechi venitiani, a menuto per datio et altre spese tino lire vinti,
et fuori et Belli villaggi un datio del terzo di quanto vendono, che è peso
insopportabile. Il medesimo era nella Città, et la benignità di Vostra Serenità
ridusse quel datio cosi grave a soldi 30 per orna, il quale quando fosse
nelli Villaggi ridotto al medesimo saria di grandissimo sollevamento a quelli
meschini. Quella legge opera sì, che tutti attendono alle vigne, et semenano
pochi fermenti et altre biave; oltra che il territorio è montuoso, et per
sua natura sterile, et causa una continua carestia in quella città, et dà gran
travaglio a' Rettori di procurar il viver a così numeroso populo, et crederò
che nell' avvenir sarà di maggior travaglio, poiché essendo venuti alcuni
Arciducali al n.° di 14 da Buccari, Fiume et altri luoghi vicini a Segna,
et cargato in questa Città sorgo et altre biave per condurle nelli suddetti
luoghi, furono retenuti per il mio Cavalier, et confessorono condurle nelli
suddetti lochi. Mistigando la Parte 1591 li condennai mesi 18 alla Galera.
Fò per il Clarissimo Avogador Querini detta mia signatura intromessa, et
nella Quarantia civil vecchia la fece tagliare, con dechiaratione, che se li
restituisce il tutto, et anco le biave. Ha partorito effetto tal il spezar la
soddetta Parte che proibisce il portar biave in terre aliene, che ha dato uno
stendardo in mano ad Arciducali di estrazer biave di cadauna sorte a suo
beneplacito della provincia dell' Istria, et far patir le sue Città et Castelle ;
all' opposito di quanto essi Arciducali fanno, che con pene gravissime di-
videno (divietano) il portar biave, et ogni sorte d' anemali ; et se pur ne
viene qualche poco, vien per contrabando, con riseghi grandissimi, et pe-
ricoli manifesti a' quali le conducono.
Il suo territorio è di 43 ville, 14 delle quali erano di Vostra Serenità,
et 29 delli habitanti di Capo d' Istria. Quelle di V. S. come siano passate
in particolari non lo so, né ho potuto intender. Sono tutte esse ville col-
tivate da homeni che pagano la Xma solamente di biave, et anemali minuti,
il che a fatto li ha impoltroniti, che semenano tanto pocho che non li basta
al viver, ma attendonvi con ogni suo spirito alle vigne, dalle quali cava
gran utile per le cause suddette, et sono gente da poco, imbriacchi, non
atti alle arme, li quali in tutte 43 ville per le descrittioni sono in tutto 5600,
tra' quali da anni 15 fino 50 ne sono 1640; il resto tra vecchi, donne et
putti fanno la sopradetta summa ; in 7 delle quali ville fo, parte dalla natura,
et parte dalli antenati fatti ridotti da poter salvar le gente et anemali in
tempo di correrie, li quali minatiano rovina, et ho fatto veder la spesa che
li potria andar per resta tiramento, la qual importarla lire 1241 come per
la Polizza eh' io appresento a V. S. particolarmente si può veder : et per
mia opinione saria bene restaurarli, et assicurar quelli poveri habitanti con
— 441 —
le robe et animali loro, et anco del resto della provincia dell'Istria: la quale
è di lunghezza confinanti con Arciducali de miglia 29, nella qual non si
può entrar per altra parte che per 24 passi che vengono dal Carso, giù
per vena del monte nell' Istria, li quali passi sono così sopra arciducali,
come di quello di V. S. difficilissimi da poter calar nell' Istria per esser così
stretti, che per alcuni non li può andar doi cavalli all' imparo et discesa
rattissima ; li più larghi, che sono pochi, non si possono scambiar carri, et
pur sono anco loro ratti, et pochi homeni possono defender per esser essi
passi ajutati dalla natura di dirupi di poter assicurar le genti. Nel tenir di
arciducali dando principio sopra Trieste sotio passi sette (7) in miglia 16,
che vengono al confili della sua provincia dell' Istria, qual e di longhezza
come di sopra confinante con essi Arciducali si attrova passi 14, difficilissimi
da discender, et altri tre passi sono sopra quello di Arciducali fino al mare
in 18 miglia, li quali, così sopra quello di V. S. come sopra essi Arciducali,
sono difficilissimi da calar nella provincia, et con poca gente se li può op-
poner. La Polizza con li nomi et distantia di essi io appresento a Vostra
Serenità, la qual si degnarà di metterli in quella consideratione che gli
parerà, escusandomi se a pieno non havesse dato quella informatione che
a sua grandezza converrebbe, et escusi il mio non saper, et accetti il buon
voler, qual è sempre pronto in spender la vita et la roba in servitio suo.
PASSI D' ISTRIA SOTTO L' IMPERIO.
Prosecco lontano da Trieste miglia 3
Onchiara lontana da Trieste m. 2 da Prosecco m. 4
Rammaglia lontana dall' Onchiara m. 1
Macho lontano da Razmagna m. 1
Dragha lontana da Mochò m. 1
San Servolo lontano da Draga m. 3
Cernical lontano da San Servolo m. 3
SOTTO LA SIGNORIA.
Bisovi^a lontana da Cernical m. 3
Popeg lontano da Bisovizza m. 2
Svonigrad lontano da Popeg m. 1
Villadol lontano da Svonigrad m. 1
Covedo lontano da Villadol m. 2
Figariiola lontana da Covedo ni. 2
— 442 —
Valmorasa lontana da Figarolo m. 2
Slapa lontana da Valmorasa m. 1
Sobresin lontano da Slapa m. 3
Rachìtovi lontano da Sobresin m. 2
Raspo lontano da Rachitovi m. •/.
Nugla lontano da Raspo m. 4
Ro%p lontano da Nugla m. 3
Cemigrad lontano da Rozo m. 3
SOTTO L'IMPERO.
Semich lontano da Cernigrad m. 3
Brest lontano da Semich m. 5
Oreca lontana da Brest m. 5
Da Oreca per Monte Caldiera fin al mare m. 5
Longhezza delli monti miglia 60 (sic)
In quel della Signoria passi n.° 14
In quel dell'Imperio passi n.° io
Assieme Passi n.° 24
(Archivio generale veneto. — Collegio. — Busta segnata Relazioni de'
Rettori — Capodistria-Pola).
(Continua).
BIBLIOGRAFIA
WWI
Del decadimento dell' Istria — articolo pubblicato nel periodico La
Provincia dell'Istria da Paolo Tedeschi, professore di Belle Lettere e
di Pedagogia nella Scuola normale femminile di Lodi. Raccolto poi
in separato opuscolo di 94 pagine. — Capodistria. Tip. Priora e Pi-
sani, 1880.
Il tema è triste ; ma l'autore si propone di evocare le memorie della
passata grandezza a sprone dell'opera per tornare a quella cima onde si è
discesi lentamente.
Descrive breve la costa dell' Istria, e dice « che non e' è quasi pano-
rama ad ogni svolta del canale che non ci desti, insieme con l'ammirazione
per la bellezza naturale del sito, un senso di mestizia per i segni d' una
festa finita, di una gloria perduta » (pag. 7). Chi la ridusse a tale ? Una
risposta calma e ragionata a questa domanda, ecco lo scopo del libercolo.
Guardiamo ai monumenti che tuttora esistono, alle lapidi, agli scritti,
e deduciamone le conseguenze.
È proprio vera quella floridezza dell' Istria, di cui parla Cassiodoro
nella sua lettera ? Non e' è motivo a credere eh' egli volesse e potesse in-
gannare i suoi contemporanei. Ma poi esamina se vi possa essere dell'esa-
gerazione. Gli pare intanto che sia stata scritta con lo scopo di far pagare
agli Istriani 1' imposta fondiaria a re Teodorico. Con ciò non intende di
negare l'antica floridezza dell' Istria ; « ma perchè non si abbia ad esagerare
e a tirar giù delle frasi rettoriche sulla falsariga di Cassiodoro » (pag. io).
— 444 —
Però è da osservare che Cassiodoro non parla delle bellezze naturali ecc.
di tutta l'Istria, ma solo della parte litorana, e precisamente dell'agro di Pola,
allora capitale di tutta la provincia e sede del magister militimi. Che l'Istria
avesse anche a quei tempi dei luoghi incolti e deserti, ne fa fede un altro
documento posteriore di tre secoli — e precisamente il Placito di Risano.
Non si ferma a dire della grandezza dell' Istria all' epoca romana. Il
campidoglio a Trieste, i templi di Nettuno e di Marte a Parenzo, il tempio
d' Augusto, il teatro e V anfiteatro di Pola ecc., le lapidi sparse ecc. sono
testimoni, è vero, d'una grandezza importata, ma anche delle « private fortune
degli indigeni che assecondavano il movimento venuto dal di fuori » (p. 12).
Le prove della floridezza istriana si hanno a cercare in altri monumenti,
cioè nelle basiliche, nelle istituzioni chiesastiche. Dopo la caduta dell' impero
romano, l' Istria passata ai Goti diviene soggetta a Bisanzio. Può dirsi che
la provincia allora era abbandonata a sé stessa ; pure vi ha tanta vita nel
paese, che sente la nuova civiltà e si avanza. Tra il quinto e settimo secolo
si alzano parecchie basiliche : la Marianna a Trieste, l' Eufrasiana di Parenzo,
ed altre ancora; poi S. M. Formosa, S. Felicita, S. Stefano, S. Michele al
Monte a Pola ecc.
Altra prova l'abbiamo nella frequenza dei capitoli, non solo nelle chiese
vescovili, ma anche delle comunità minori e perfino rurali.
Stabilito questo, è tempo d' indagare le cause del suo decadimento.
Dalla natura del suolo, l' Istria non ha nel suo seno forze sufficienti
per vivere d' una vita splendida. Con ciò non le si nega la possibilità di
rialzarsi; ma da sola sarà difficile possa sorgere alla prosperità su accennata.
Basta guardare la carta geografica per convincersi «di questa triste necessità
che ha il paese nostro di vivere un po' alle spalle degli altri » (pag. 14).
E qui esamina la posizione geografica e topografica dell' Istria. E conclude
che, la prima causa del decadimento è stata per l' Istria « la caduta del-
l' impero romano, e la disgrazia di non aver trovato nella seconda Roma,
in Venezia, un'altra potenza che abbia voluto o potuto comunicarle l'antica
grandezza» (pag. 16).
Il Kandler però fa ascendere il decadimento più innanzi ancora, al
tempo, cioè, di Diocleziano, « per la povertà in cui vennero i Comuni ai
quali furono tolte le giurisdizioni ». Oltre ciò anche le persecuzioni contro
i cristiani avrebbero contribuito alla decadenza. Il nostro autore considerò
questi tuttavia come fatti isolati, o non tali da perturbare un' intera pro-
vincia. — Poi racconta i fatti di Teodosio e di Valentiniano, e della guerra
del primo contro Arbagaste.
— 445 —
Né i barbari fecero gran male fra noi, avvegnaché il nostro paese si
trovasse fuori della loro strada. Venuta l' Istria sotto Teodorico, non ebbe
sorti tanto infelici. Dunque ci furono delle altre cause interne e particolari
che le impedirono più tardi di approfittare delle felici sue condizioni.
Una causa di decadimento la trova nella distruzione di Aquileja. Ra-
venna, divenuta capitale dello Stato, è troppo lontana per conservare la
provincia nell' antico splendore. Chi ne risentì qualche vantaggio per i
commerci si fu Pola, del cui florido stato abbiamo altro testimonio nella
leggenda di Massimiano. Ma Pola non era tutta V Istria, e gli esarchi non
avevano tempo, voglia e mezzi di vegliare a difesa dell' intera provincia.
E intatti, mentre navi andavano e venivano dalle due coste, la parte
superiore era esposta a nuove scorrerie : di Longobardi, di Slavi, di Franchi.
Ed ecco nuova causa di decadimento : l' introduzione dell' aborrito e fino
allora sconosciuto sistema feudale.
Ed ora investiga quale fosse lo stato delle municipalità nell' Istria al-
l' epoca dell' introduzione del sistema feudale.
Due sono le scuole, la germanica e l' italiana, a cui si possono ridurre
i differenti sistemi, coi quali si tentò di risolvere il problema delle origini
del Comune. La prima non ammette nessuna diretta e necessaria colleganza
del Comune cogli ordinamenti civili d' Italia durante l' impero romano ; la
seconda, invece, la crede una continuità della tradizione romana. E si com-
battè a lungo su codesto, divagando da lontano, quando era da scavar vicino.
« La storia del Comune istriano, tanto sconosciuta e negletta, avrebbe recato
lume non poco in così g-ave questione » (pag. 26). Il Lanzani però, nella
sua opera : / Comuni dalle origini fino al principio del sec. XIV, parla delle
nostre comunità che continuavano a governarsi colle antiche istituzioni
municipali, con una nominale dipendenza dalla corte bizantina ecc.
« È adunque una verità storica, che non ha bisogno di dimostrazione,
l' esistenza dei liberi Comuni nell' Istria sotto la dominazione bizantina,
mentre l'Italia longobardica languiva nella più desolante barbarie» (pag. 27).
E quale fosse questa libertà lo prova il Placito al Risano nell' 804, del
quale si occupa. Il documento è autentico.
La conclusione poi che ne trae si è, che « tanto più il sistema feudale
dovea essere pernicioso agi' Istriani, quanto meno ci erano apparecchiati ed
avvezzi » (pag. 30).
E tempo poi di cessare dal confondere sempre la storia istriana con
la storia veneziana. L' Istria ha una vita abbastanza distinta ed autonoma
prima del dominio veneto : « quando Venezia era appena sorta e i suoi
— 44<S —
abitanti lottavano con le prime difficolti, Pola, capitale dell' Istria, era porto
di primo ordine, murava tra il sesto e l'ottavo secolo basiliche insigni, dava
un prelato a Ravenna, un patriarca a Grado ecc.» (pag. 31).
Ma ecco nuova causa di decadimento.
Berengario II, rinnovando l'errore di Berengario I fece omaggio della
corona d' Italia al re di Germania Ottone I. Questi staccò dal regno la
marca veronese e 1' aquilejese, e ne costituì un feudo a parte per Enrico
suo fratello. « Cosi una gemma preziosa veniva tolta alla corona italica ;
cioè l'antico ducato del Friuli, comprendente i marchesati d'Istria, d'Aquileja,
di Verona e di Trento » (pag. 32). Ecco che l'elemento germanico
venne così di qua dalle Alpi. Questa 1' origine di quei conti di Gorizia e
di Gradisca nel Friuli, che daranno più tardi tanto da fare a Venezia, e dei
conti di Duino, di Pisino nelP Istria. Questi avvenimenti produssero il lento
decadimento della provincia. L' Istria marittima continuò a reggersi nelle
città a forme municipali dopo il Placito di Risano, ed ebbe un marchese
elettivo fino al 1026. « Però conti e baroni germanici vennero subito a si-
gnoreggiare nella campagna : sono infiltrazioni di quel grande canale in-
trodotto nella Marca aquilejese sul suolo italiano» (pag. 31). Di fatti il
marchesato d' Istria è fatto ereditario nella casa dei conti di Eppenstein,
Sponhein e Andechs. È non solo la germanizzazione del marchesato, ma
più ancora della contea d' Istria.
Marchese era quasi il capo della provincia, sotto di lui il conte. Ma
col tempo la contea divenne ereditaria, e così restò divisa dal marchesato.
« Quindi innanzi perciò nella storia dell' Istria si dovrà distinguere la contea,
che si andrà estendendo nei monti intorno a Pisino, dall' Istria marittima,
o marchesale. A capo a tutto dunque l' imperatore, l' autorità del quale è
appena nominale, poi il duca della marca aquilejese, se pur è vero che il suo
dominio si sia esteso sull'Istria, poi il marchese, ultimo il conte» (pag. 35).
Il sistema feudale però non valse ad arrestare 1' azione, la libertà, la
vita de' vecchi Istriani. Qui la vita municipale, mai interrotta, raggiunse il
suo maggior sviluppo tra il 1100 e il 1300, contrastata da due forti poteri:
di Aquileja e Venezia.
E passa a parlare del Comune.
Prima di tutto avverte, di non essere d'accordo coi suoi amici di studi,
'i quali credono che i Comuni dell' Istria, prima alleati di Venezia, sarebbero
poi passati senza contrasto e per spontanee dedizioni al dominio della Se-
renissima. Egli sostiene, invece, che « gli Istriani lottarono, e fortemente
— 447 —
lottarono, prima d'assoggettarsi a San Marco ; e non per questo appajono
nella storia meno italiani » (pag. 37). E ciò prova con ragioni desunte dalla
storia di quei tempi — storia non solo nostra, ma di tutta Italia. I nostri
padri fecero precisamente quello che gli altri fratelli italiani. « Non spon-
tanee dedizioni adunque : se si eccettui qualche comunello, e per odio della
città vicina, non per amor di Venezia ; il grosso della provincia, le città
più importanti : Trieste, Capodistria, Pola resistettero lungamente, vinte
tornarono alla riscossa, e soffrirono aspre vendette » (pag. 39). Tutto ciò
non offende punto nella storia il sentimento nazionale, sono anzi la prova
e controprova della nostra italianità.
Ed anzi tutto passa ad esaminare i rapporti di alleanza dell' Istria con
Venezia fino dai tempi più remoti.
Le repubblichette istriane si sarebbero presto estinte, se non avessero
avuto il mare. Ma qui s' incontrarono colle galere di Venezia, che pure
aspirava al dominio dell' Adriatico. Naturale quindi i trattati e i patti tra
le une e 1' altra. Già ai tempi dei bizantini e di Carlo Magno, « i nostri
Comuni liberi ed affrancati esercitavano il diritto di guerra e di alleanza ;
e nello stipulare quanto meglio loro conveniva usavano per formalità una
frase, che dicesse liberi i diritti del re ; ma nello stesso tempo promettevano
di operare sciolti dagli ordini suoi, (absque jussione imperatoris) » (pag. 40).
Poi fecero vari patti d'alleanza con Venezia per tener lontani o per purgare
il nostro mare dai pirati. Ma con queste alleanze i nostri non intendevano
di legarsi le mani, il che è dimostrato dalla frequente ripetizione di quei atti.
Né mancano prove dirette di questa tesi. Pola, 1' antica capitale della
provincia, sentivasi umiliata da Venezia, perciò resistette, e la resistenza finì
colla sua totale rovina.
« Ma la resistenza dei nostri diverrà più decisa e forte, quando Venezia
tenterà di mutare l'alleanza e il protettorato in sudditanza » (pag. 43). Anzi
spesso l'odio a San Marco si va trasformando in un apparente ossequio al
non meno aborrito giogo patriarchino, del quale l'autore deve occuparsene
prima di venire alle conseguenze volute dal propostosi argomento.
I patriarchi, quasi tutti tedeschi, dopo il mille cercavano di estendere
in tutti i modi il loro dominio sulla nostra penisola. GÌ' Istriani non vollero
saperne — quindi guerre, interdetti, scomuniche. Per due secoli, con varia
fortuna, combatterono i patriarchi marchesi. Ed ecco l'Istria fra due fuochi:
Aquileja e Venezia ; quindi « un destreggiarsi tra 1' uno e 1' altro partito,
secondo meglio giovava alla causa della libertà, e non già per amore di
Santo Ermagora o di San Marco » (pag. 45). Codesti rapidi passaggi si
- 448 -
accentuarono particolarmente a Pola e a Capodistria. Delle quali due città
narra rapidamente ed efficacemente le avventure dal secolo XII al XIV.
« Ma fra le città che più largamente combatterono contro i Veneti
vuol essere ricordata Trieste» (pag. 49). E di questa pure ricorda le vicende
come sopra, e la causa di dedizione ai duchi d'Austria (a. 1382). Ed anche
in questo, Trieste ha imitato tant' altre città d' Italia ; p. es. Genova.
Del resto, non fu già Trieste il primo possesso degli Absburghesi in
terra italiana. Possedevano già da anni Pordenone, poi ebbero Duino, la
contea nell' interno dell' Istria.
E la conclusione si fu, che Venezia non venne pacificamente in pos-
sesso della nostra provincia. Spontaneo si dedicò qualche comunello, come:
Valle (1264), Rovigno (1266), Parenzo, Pirano — queste due ultime per
rivalità a Capodistria. Montona si dedicò per sfuggire il dominio baronale
del conte di Pisino. Ultima fu Albona che si diede nel 1420.
Conchiude che le cause di decadimento si devono cercare in questa
epoca. — Però le città istriane non potevano resistere a lungo a Venezia,
e convenne fare quello che hanno fatto « Il nostro decadimento fu
fatale, prodotto più che dalle colpe, dai tempi e dalla posizione della nostra
provincia, provincia di confine e limitata a ponente da altra provincia, il
Friuli, che prima di noi e più di noi rimase aperta all'elemento straniero
e baronale » (pag. 54 e 55).
Ma poiché, caduto il potere patriarchino (1420), il grosso della pro-
vincia è caduto sotto il dominio veneto, conviene quind' innanzi rivolgere
a Venezia i nostri sguardi. Né Venezia volle o potè far risorgere nella nostra
provincia i bei tempi dell' impero. Venezia non fu mai Roma ; il suo go-
verno fu veneziano sempre — cioè marittimo — di rado e forse mai ve-
ramente italiano. Dell' Istria le bastavano i porti, i seni, i boschi per cavarne
legna, le cave di marmi per murarne i suoi stupendi edilìzi. Eppoi, «l'unità
naturale era scomparsa ; la divisione romana — Venetiae et Histriae — una
locuzione arcaica. E questa è la prima origine di tanti pregiudizi che ab-
bujarono la geografia e la storia» (pag. 55).
« Ed i guai del dualismo non tardarono a manifestarsi nell' Istria ; la
lotta tra Veneti ed Arciducali fu lunga, e portò nuovi lutti alla già desolata
provincia » (pag. 56). Cominciano le rappresaglie, poi la guerra aperta tra
Venezia e Massimiliano imperatore (1506). Quindi venne la lega di Cambra!,
che fece perdurare la divisione dell' Istria.
La stessa pace di Bologna (1529) lasciava l'addentellato a nuove que-
stioni. Sorse la grave contesa del dominio del mare. « Chi ne andò di
— 449 —
mezzo fu come al solito la povera Istria » (pag. >8). Gli Arciducali ecci-
tarono contro Venezia gli Uscocchi. La guerra finì con la pace di Parigi,
ratificata a Madrid (1617). Venezia ed Austria rimasero in Istria e nel Friuli
nello stato in cui si trovavano prima della guerra. Ma ecco sull'Istria piombar
la peste (1630-31). Le città e le campagne spopolate furono per di più
visitate dalla malaria. E Venezia stessa decadeva sotto il peso dei suoi vizi.
Poteva ella escogitare migliorie per l' Istria ? No, e per di più mirò a re-
stringere, anzi a distruggere la libertà provinciale.
Il Comune godeva sì d'una certa autonomia ; ma era in mano di pochi
nobili legati per interessi fra di loro. Da Venezia venivano con ispeciali
incarichi tre nobili col titolo di Provveditori, cioè il Provveditore o Capitano
di Montona, di Raspo e di Pola, incaricato il primo di sorvegliare la foresta ;
il secondo di custodire i confini contro gli arciducali ; ed il terzo di prov-
vedere alle condizioni dell' agro di Pola.
Nelle campagne poi i contadini erano angariati dal dominio feudale.
— E non altrimenti negli ordini della chiesa.
Ai Provveditori incombeva, ritornati alla capitale, di leggere nel Senato
la relazione di tutto ciò che avevanp visto, osservato ed operato. Di queste
relazioni ne cita alcune, fra cui quella di Marin Malipiero (1583) che riferisce
sulle cose di Pola. «Suo compito fu quello di popolare l'Istria bassa con Greci
e Morlacchi » (pag. 67). E questo dell' importazione di genti straniere fu « la
più grave rovina, il più grande danno recato all' infelice provincia, e, quel
che è peggio, concesso quale una grazia : l'agro istriano divenuto un campo
di profughi ladroni, l' Istria non solo politicamente ma etnograficamente
divisa e nel suo agro slavizzata: la parola non è di crusca, ma calza» (p. 68).
Ed ecco gelosie e lotte fra gì' indigeni e i nuovi venuti. E la Repubblica
lasciava andare in malora gli antichi edifizi senza spendervi un soldo.
Né Venezia coli' importar gente forestiera ottenne il suo intento di
popolar l' Istria, la quale, anzi, pochi anni dopo rimase più spopolata di
prima. Così dicono i Provveditori che seguirono il Malipiero. E con questi
mali ne venne pure una confusione nei nomi dei monti, dei villaggi, dei
fiumi.
Eppure il mezzo più facile pjr ripopolare l' Istria sarebbe stato quello
di favorire l' incremento e la quiete della popolazione vecchia liberandola
dalla leva militare, o come si diceva allora dalle cernide.
Nell'agricoltura, per esempio pei boschi, c'erano buone leggi, le quali
però col crescere della corruzione nella capitale, venivano mano a mano
perdendo l' antico vigore. Gli abitanti stessi, accasciati dal cumulo delle
— 45° -
sventure, perdettero 1' antica loro attività. Ma che questa accusa si ripeta
ancora, è un' aperta ingiustizia ; basta vedere come si lavora a Pirano, a
Isola, a Capodistria.
Ed ora dell' Istria arciducale. « Il noto verso S' Africa pianse, Italia non
ne rise sarebbe locuzione troppo sbiadita a esprimere il vero stato delle cose
nelle due parti in cui era l' Istria divisa ; meglio si avrebbe a dire con più
energia di linguaggio : Se al mar si pianse, su pei monti urlarono » (pag. 8o).
Qui brevemente fa la storia della contea. La vera origine della quale
è a cercarsi nel secolo undecimo. Dagli Eppenstein la contea passò ai conti
di Gorizia; e quindi nel 1374 ai duchi d'Austria. Questi la cessero in
appalto ai conti di Duino, ai Walsee. Carlo V volea tenerla per se ; ma
scongiurato dal fratello Ferdinando, la cesse a quest' ultimo. I Cragnolini
volevano fondere la contea col loro paese ; ma non ne fu niente, perchè,
radunatisi a Gorizia i nobili del goriziano e della contea, vi si opposero
energicamente.
Gli arciducali continuarono come per l' innanzi, a disporre a piacimento
della contea, « facendola amministrare per proprio conto, talvolta vendendola,
e dandola a pegno o fitto a famiglie nobili e ricche, dalle quali nelle ristret-
tezze finanziarie dello Stato avevano ricevuto sovvenzioni e danari » (pag. 82).
Così si eressero castelli qua e là, e in nuove signorie fu frazionato il paese.
Nel 1640 l'imperator Ferdinando, bisognoso di danaro, propose la compera
della contea alla Repubblica veneta ; ed essa rifiutò !
« Così tra padroni che ci vendevano, e padroni che non ci volevano com-
perare, V Istria andava sempre più decadendo e rimase fino agli ultimi tempi
divisa » (pag. 83).
Detto poi, che la contea passò agli Auersberg, alla camera arciducale
della Stiria, e poi ad altri fino ai Montecuccoli di Modena che la tengono
anche oggi, accenna alle deplorabili sue condizioni, in confronto delle quali
tutte le negligenze e le distrazioni dei Rettori veneti dovevano parere carezze.
In riprova di ciò fa parlare i documenti.
E se le condizioni della contea al tempo della lega di Cambrai erano
miserande, cent' anni dopo divennero peggiori d' assai, come si ha dalle
relazioni dei commissari arciducali.
In tale stato durarono le cose fino al 1848.
Poi dà un rapido sguardo agli ultimi tempi. Mentre in altre parti di
' Italia il contadino emigra nell' inverno in cerca di lavoro, da noi, invece,
i contadini, specie gli slavi, vivono, vegetano e muoiono come ostriche
attaccate al loro palo — non possiedono alcun mestiere, non sanno trattare
— 45i —
altro ferro che il vangile e la zappa. I sacerdoti, piuttosto che imbottire le
loro menti con la politica, ben farebbero a dirozzarne le menti, fornendo
loro il mezzo di comunicare con la gente civile.
Eppure il paese fu un dì fertile, basta vedere che cosa fu la valle del
Quieto al tempo romano. — Ma a studiare i mezzi per redimerla lascia lo
studio agli Istriani che vivono in provincia.
Caduta la Repubblica, essa fu pianta sinceramente da tutti. Se non che,
venendo in potere dell'Austria, la provincia ebbe la sua unità. E un qualche
risveglio ne venne. Però c'era ancora molta fiacchezza nei municipi, molta
viltà nei preposti alla pubblica cosa, e molta servile inconvenienza nel
linguaggio.
I tempi tuttavia s'avviano al meglio. « L' Istria oggi è una ; e se vari i
dialetti rustici, unica è la lingua nostra, perchè unica la civiltà ; e donde
sia questa venuta sappiamo » (pag. 91).
Intanto abbiamo un grande vantaggio sull' Istria antica ; la nostra ca-
pitale non è né Ravenna, né Aquileja, né Venezia ; ma Trieste. Fra questa
e P Istria hanno alzato ora le sbarre ; si è voluto dividere il capo dalle
membra. « È un gravissimo danno per noi; ma non ci perdiamo di animo;
F avvenire è dei forti, e le idee non pagano dogana » (pag. 92).
E qui dà alcuni ammonimenti agli Istriani, ai giovani ricchi partico-
larmente. Il tempo farà il resto, ed il tempo è galantuomo.
Si galantuomo ; con questo lieto proverbio finisce questo suo studio
sul decadimento dell' Istria, non senza una cara speranza che le sorti del
suo amato paese diano in un non lontano avvenire occasione ad altri di
più facile studio sulle cause del risorgimento dell'Istria. Dice facile studio,
perchè le cause di questo non saranno poi tante.
Due parole ancora sullo studio in generale. Qua e là esso studio as-
sume forma di polemica ; però l'autore si rimette presto in carreggiata, e
segue il suo tema basandosi sempre alle fonti con scrupolosità scientifica,
ed anche con grande equanimità. E un lavoro sintetico, rapido, efficace che
si legge con diletto e con istruzione.
M. T.
12
— 452 —
Degli errori sull' Istria — articolo pubblicato nel periodico La Provìncia
dell'Istria da Paolo Tedeschi, professore di Belle Lettere ecc. e raccolto
poi in un fascicolo a parte di 46 pagine. — Capodistria. Tip. Priora
e Pisani, 1880.
Ancora nella Porta Orientale si era assunto 1' ingrato mestiere di ad-
ditare gli errori sul conto dell' Istria, errori ripetuti anche da persone erudite.
Alcuni di questi si sono notati nell' antecedente studio — Sul decadimento
dell'Istria. Conviene che la storia nostra sia molto arruffata, e che la stessa
nostra corografia è tale da ingenerare per avventura qualche errore, per cui
fino ad un certo punto scusa chi dice o ripete taluni di siffatti errori.
Ed ecco le ragioni di questo suo studiolo, in cui cercherà con l'usato
stile di battere due ferri ad un caldo, « cioè chiarire qualche punto con-
troverso, e alleggerire nello stesso tempo, mostrandone l'origine, la respon-
sabilità degli errori commessi dagli scrittori italiani nostri confratelli » (pag. 5).
E piglia le mosse da quel benedetto nome d' Illirìa e di Illirici che
hanno affibbiato a casa nostra ed agli inquilini. Il pasticcio del regno di
Illirìa 1' ha fatto Napoleone I, che poi s'accorse dell'errore, e voleva anche
rettificarlo. Questo nome d' Illirìa entrò un po' alla volta nell'emporio delle
frasi fatte.
La causa dell' errore però s' ha a cercare più lontano. I Romani chia-
marono Illirio quel paese che va dalla Liburnia all' Epiro in circa. E ciò
dopo che i confini d' Italia furono portati fino all'Arsa.
Negli antichissimi tempi l' Istria fu abitata da Traci e da Celti, non
già da genti illiriche. Così tutti gli autori nostri, che si appoggiano sugli
antichi. Ma alcuni oppongono l'autorità di Strabone che in un passo con-
troverso avrebbe detto : Aquile j a emporium Illirici!. Istriani incolenlibus. Mostra
che questo passo non distrugge il valore delle asserzioni contrarie di tanti
scrittori contemporanei a Strabone o anteriori.
Ammesso anche che gli antichi Istriani fossero stati Illirici, e che perciò?
Non si potrà per questo negare la gloriosa nostra nazionalità. Allora nò i
Veneti, nò i Liguri, nò gì' Insubri, nò gli Orobi sarebbero oggi Italiani.
Ma se fummo Illirici, allora hanno causa vinta gli Slavi. Neppur per
sogno ! avvegnaché nessuno vorrà sostenere sul serio che gli Illirici fossero
dei loro. E così opinano i più celebrati autori tedeschi e francesi, e così
ci dimostrano le carte geografiche antiche.
— 4S3 —
Anche il capodistriano F. Almcrigotti sostenne nel secolo scorso in
un opuscolo (Venezia, 1772) che gì' Istriani erano Illirici. Ma l' erudito
marchese Gravisi lo combattè. Racconta il battibecco sorto fra questi due,
ai quali s'unirono degli altri, fra cui G. R. Carli, illustre archeologo.
Tutto ciò nulla toglie e nulla aggiunge ai sacrosanti diritti della nostra
nazionalità. « Il nome illirico ha per noi un valore storico, arcaico, e nulla
più. Pur troppo ci danno quest'epiteto nel significato moderno; e qui co-
mincia la confusione » (pag. io).
Rileva quale regione per i Romani acquistasse nome d' Illirio. Vero
però che codesta regione (sponda destra dell'Adriatico) fu poi occupata dagli
Slavi, cacciando gì' Illirici giù giù agli ultimi confini. Chi dice illirico dice
oggidì slavo, dalmata, e precisamente della Dalmazia più meridionale ai
confini albanesi. — « Qui dunque comincia la confusione delle idee ; ed è
per questo che gridiamo all'errore ogni qualvolta ci sentiamo confusi con
gli Illirici » (pag. 1 1).
Nessuno dei nostri letterati si è mai sottoscritto con questo nome. Uno
solo fa eccezione : Mattio Flaccio di Albona. E forse la sua stirpe sarà apparte-
nuta anticamente a quei popoli, e il cognome lo indicherebbe (Francovich).
Ammesso adunque che gli antichissimi Istriani fossero stati Illirici —
ciò che è molto dubbio — non si può oggidì chiamarli con questo nome
senza grave offesa alla storia.
Ed ora passa all' altro sproposito di regalare il nome di Liburni agli
Istriani. L'errore fu messo in commercio dal Fanfulla. — A questo punto
delinea i limiti dell'odierna Liburnia, che finisce al Monte Maggiore. Ecco
che qualche scrittore — perchè la Liburnia è stata ultimamente legata
all' Istria amministrativa — prese la parte per il tutto, dicendo Liburnia
anche l' Istria. Ma questa, neppure in antico, non ebbe mai nulla di comune
con quella, ed Istri erano chiamati i nostri progenitori, ne mai furono
confusi coi Liburni.
Né è arbitraria la divisione che noi mettiamo tra l'Istria e la Liburnia
mediante il Monte Maggiore. La natura non ha lavorato coi compassi della
politica. « La penisola nostra, vista così a colpo d' occhio si rappresenta
nella sua unità ; ma un più attento esame ai monti, ai fiumi ci farà persuasi
che il territorio di là del Monte Maggiore è un prolungamento, uno svol-
gimento naturale della costa croata che noi di tutto cuore abbandoniamo
alla Slavia sorella» (pag. 13-14).
Gli uomini tuttavia, per ragioni politiche, hanno avuto sempre la pretesa
di correggere un pochino gli errori ed i capricci della natura, per portare
— 4S4 —
i confini fino ai monti o ai fiumi. I Romani posero il confine d'Italia all'Arsa;
ma molto probabilmente i Liburni al di qua del Tarsia devono essere stati
dipendenti dalla colonia di Pola.
Adunque se i Romani prima, e i Veneziani dopo hanno tentato di
fare di tutta la penisola istriana una sola regione, ciò vuol dire che ci hanno
avuto le loro buone ragioni. Adesso che alle guerre dinastiche sono suc-
cedute quelle dei popoli, e' è da sperare che i popoli sappiano meglio in-
tendersi fra di loro con reciproche concessioni. « Dunque intesi : Istria di
qua del Monte Maggiore, Libumia di là» (pag. 15).
Del resto abbiamo prove irrefragabili che i Romani sapessero benissimo
distinguere l' Istria dalla Liburnia. Vedasi Scilace, Strabone, Tolomeo, Lu-
cano ecc. Abbiamo di più il testimonio delle lapidi, che si trovano sparse
qua e là, e che distinguono questa da quella regione.
« Fra tanti errori che furono stampati sul conto di questa povera Istria,
quello che passa la parte, e ci espone al pericolo di perdere il sangue freddo,
si è il ritenere che gli Istriani siano stati Uscocchi Invece è storico
che fra tutti i paesi che più dovettero soffrire dalle scorrerie degli Uscocchi,
il più desolato si fu il nostro» (pag. 18). Cita il Cosci che è caduto
in questo grossolano errore nel suo libro L'Italia durante le preponderanze
straniere. «L'errore del Cosci proviene in parte dalla nostra storia intral-
ciata, e specialmente dal fatto non avvertito della divisione dell' Istria in
veneta ed austriaca, ed in Istria propria e libumica » (pag. 19). Distingue
le ladrerie uscocche e la grossa guerra tra Austria e Venezia che dal 16 15
durò fino all'anno 1617, cioè alla pace di Madrid. L'autore si serve, per
portar chiaro nella questione, del Mimici e del Sarpi. Dice donde vennero,
quali sedi abitassero e quali fatti operassero gli Uscocchi, concludendo che
« ne l' Istria austriaca, ne la Liburnia di qua di Fiume presero parte alle
scorrerie degli Uscocchi, né diedero loro ricetto, anzi furono al punto di
ribellarsi ai loro stessi padroni » (pag. 24). — I soli che si resero complici
degli Uscocchi furono Antonio Francol e Daniele Barbo, dei quali l'autore
racconta le gesta (pag. 24-29).
Discorre quindi delle vicende dell'Istria nella guerra grossa tra Austria
e Venezia e della partecipazione degli Istriani e Liburni austriaci a detta
guerra. Prova a fil di logica che né i Triestini, né i Goriziani, né gl'Istriani
della contea furono Uscocchi e nido di Uscocchi. E le ragioni appariscono
tanto più evidenti, quando si rifletta alle cause di questa guerra, ai modi
con cui fu condotta d'ambe le parti. È un fatto storico però che gli arci-
— 455 —
ducali hanno trattato sempre in mala fede con Venezia nella questione
uscocca. Però anche Venezia si mostrò assai fiacca nel far valere le sue
ragioni, e se la pigliava con poco senno coi villani della contea di Pisino,
con Fiume, con Trieste e perfino con le saline di Zaule. « Non è più la
politica energica de' bei tempi ; già si comincia a vivere a sorte, per acci-
dente, colla sola idea della prudenza della republica: storiche parole più tardi
pronunciate dal doge Paolo Renier » (pag. 33). Non si faceva altro che
pallegiarsi accuse fra Veneziani e Arciducali, e chi ne soffriva erano le
popolazioni. E gli par di conchiudere « che l'Austria fu la causa prima della
guerra di Gradisca con la mala fede, la tolleranza e la protezione ai ribaldi
ladroni di Segna, ma che d'altra parte Venezia, anziché continuare con le
gloriose tradizioni del suo passato, e snidare gli Uscocchi da Segna, abusò
dell'occasione offertale per recar danni a poveri contadini rei di null'altro
che di essere sudditi del protettore, e per affermare il suo dominio sulle
saline di Zaule, fondata sulla sofistica e un po' anche ridicola ragione che il
mare era suo, e quindi anche il sale che si fa con l'acqua di mare» (pag. 35).
Ciò premesso, passa « a vedere le vicende di detta guerra per conoscere
di qual natura fossero le relazioni degli Uscocchi con Trieste, con Gorizia
e con gli Istriani della contea » (pag. 36).
La prima comparsa degli Uscocchi in detta guerra avvenne ai 24 no-
vembre del 16 15 nelle saline di Zaule. I Veneziani sono rotti, e dopo quella
sconfitta l' Istria veneta rimase aperta a feroci rappresaglie. Però i Veneziani
si rifanno, e qua e là rintuzzano le aggressioni uscocche. I Triestini in
quest'incontro, memori di tante umiliazioni subite, con una flottiglia montata
e da Triestini e da Uscocchi, muovono all' impresa ardita di sorprendere
Palestrina, ma sono colti nel golfo da una furiosa tempesta e devono far
ritorno in Mandracchio. Questo è il fatto, unico, per cui Trieste fu chia-
mato nido di Uscocchi.
L' Istria veneta si mantenne sempre fedelissima a San Marco. « Dove
era un pericolo da affrontare, una vendetta da compiere ; dove più forte
il bisogno, là era l' Istria ; là i nostri prodi combattevano coi fratelli, e
nessuno di questi ha mai mancato alla chiama » (pag. 41). Il Loredano
piglia d'assalto Antignana (4 marzo 161 6). I successori del Loredano con-
ducono a buon fine altre imprese, assistiti sempre dalle cernide paesane che
prestarono ottimo servigio.
Conchiude. Che ci chiamino Liburni, che ci credano Illirici, non è vero,
ma non è un'offesa ; ma il dirci Uscocchi, è tale errore che passa la parte.
Ecco la causa del lavoro. Con che ebbe lo scopo : « difendere con la storia
— 4)6 —
alla mano i diritti della gloriosa nostra nazionalità, perche il credere l' Istria
liburnica, illirica, uscocca, tanto vale quanto credere, contro la storia, che
gli sguardi degli Istriani fossero volti di là dal Quarnero, verso genti con
le quali non abbiamo mai avuto nulla a spartire. Una protesta diveniva
tanto più necessaria, perchè la propaganda slava è attivissima, e fa stampare
libri anche all' estero che girano per le mani degli studiosi d' Italia ; cosi
gli errori s' infiltrano, e certe frasi e motti buttati qua e là nei testi di scuola
e nei giornali si ritengono quali assiomi, e il pregiudizio si conferma nelle
giovani menti » (pag. 44-45).
Non parla dell' altro errore, perchè ben confutato dal Luciani e dal
De Franceschi, che i Croati, come dicono essi stessi, vantano dei diritti
storici sul nostro paese, che a loro non è mai appartenuto. « Tra Istria e
Croazia ci sono quelle famose colonne d' Ercole alzate da Dante là sul Quar-
nero, con sopra quei versi famosi che tutti sappiamo a memoria» (pag. 45).
Gli apprezzamenti da me fatti in calce al precedente lavoro, calzano a
cappello anche pel presente.
fK. T.
Il sentimento nazionale degli Istriani studiato nella storia —
Monografia pubblicata nel periodico La Provincia dell'Istria con docu-
menti da Paolo Tedeschi, professore di Belle Lettere ecc. — Editrice
la gioventù di Capodistria. — Capodistria. Tip. Cobol e Priora, 1889.
È un opuscolo di 80 pagine di sedicesimo ordinario. Se ne fece una
edizione di mille copie per la distribuzione gratuita.
Alla monografia è premessa una breve prefazione, nella quale, fra altro,
è detto : « In segno di plauso al vecchio patriota ed al maestro provetto,
che da ben mezzo secolo sta sulla breccia alto sventolando il vessillo, che
reca nelle sue pieghe a caratteri indelebili impresse le glorie nostre e le
tradizioni avite, gli storici diritti e le patite ingiurie, gli scoramenti e le
gioie — in segno di riconoscenza a chi, sperando sempre, rinnova ne' tiepidi
le speranze di un destino più bello — in segno di ammirazione, di stima
e di affetto verso il brioso quanto efficace nostro scrittore — a riprova che
le sue son opinioni nostre, nostri i suoi principi — ci è nato il pensiero
— 457 -
di apprestare e di porgere in dono, a chi desideri, un migliaio di copie di
questo suo lavoro.
» Nel quale, con logica stringente, compagna all'evidenza de' fatti, con
chiara piacevolezza di dettato, va indagando e dimostra quale siasi a traverso
i secoli sviluppato il sentimento nazionale degli istriani : come ci siamo
sentiti Istriani prima, Italici dopo, Italiani ci sentiamo oggi, che, come stella
in tenebroso cielo, questo sentimento brilla di più vivida luce ».
In queste poche righe, può dirsi, è condensata la critica del libercolo,
che fu scritto col cuore, senza mai però discompagnare il dettato e il sen-
timento che vi traspira, dalle ragioni storico-filosofiche, incontrovertibili,
sulle quali si basa.
L' autore esordia chiedendosi, se il tema eh' egli imprende a trattare
non possa sembrar una quarantottata. Risponde : che il sentimento nazionale
è antichissimo — « l'uomo fu prima membro della sua tribù, poi cittadino
della sua città, quindi nella nazione; si sentirà poi uomo dell'umanità».
Ma per noi oggi è studio importante ed opportuno, dal momento che la
nazionalità nostra è combattuta dagli ultimi venuti. Ed ecco la ragione di
vedere quali fummo, e « la storia ci spiegherà questo sentimento (nazionale)
che non è solo un sentimento ; ma un diritto. Un diritto come ogni altro,
limitato dal dovere. E la storia spiegherà il diritto, detterà il dovere ».
« In tutta l' Istria, prima si siamo sentiti Istriani, Italici poi,
Italiani finalmente in senso moderno ».
Colla scorta del prof. Benussi (L'Istria sino ad Augusto) investiga chi
erano e donde venuti gli antichi istriani. La più probabile opinione si è,
che fossero Veneti della stirpe tracica. I Veneto-Traci furono poi soggiogati
dai Celti, il che è provato da fatti importantissimi; cioè, dai castellieri, da
molti nomi antichi di luoghi e di persone, ecc. Poi venne la conquista
romana, alla quale dapprima gli Istriani resistettero, ma poi vi si adattarono
e persino si affezionarono. Da qui comincia la romanizzazione.
L' Istria assoggettata dai Romani fu subito aggiunta alla Gallia cisalpina,
il che vuol dire, avere i Romani compreso che la nuova regione conquistata
apparteneva alla grande vallata del Po. Gli Istriani insorsero ancora nel 129;
ma fu un fuoco di paglia. Fu presto doma, e sembra che subito dopo fon-
dassero le due colonie militari di Trieste e Pola.
Durante i due triumvirati, parteggiò ora per 1' uno, ora per 1' altro ;
ma contro Roma non guerreggiò più. Per ragioni politiche nel 42 l' Istria
fu staccata dalla Venezia, e posta sotto il Luogotenente dell' Illiria — di-
- 458 -
visione momentanea, che durò pochi anni. Trieste però fu inclusa nell' Italia,
e il confine fu segnato al Risano (Formione). Che questo provvedimento
non fosse che precario, basterà dire che Ottaviano Augusto, cessate le guerre
coi Giapidi, tolse l'Istria dall'unione coll'Illirio, e la riunì nuovamente alla
Venezia, e per tal modo all' Italia. E ciò avvenne probabilmente nell'anno
27 a. C.
Ed ecco che il sentimento nazionale si espande. L' Istria comincia a
guardare a Roma come a suo speglio, e una nuova vita si diffonde in paese.
« Ed è in memoria di questa prosperiti e di una passata grandezza
che noi Istriani ci vantiamo anche oggi di razza latina, e discendenti degli
antichi Romani » (pag. 9).
Esamina che cosa significhi codesto vanto. E trova che il sentimento
che deriva dal venire direttamente dai Romani per ordine di sangue e di
lingua, è vivissimo nei popoli latini, specie negli Italiani. Tutte le altre razze
non rinunziarono mai, per amore della romanità, la loro stirpe nazionale.
Gli Slavi poi non se ne interessano punto, e guardano alla Santa Russia.
Per gl'Istriani, invece, le glorie di Roma le riguardarono per glorie proprie.
Il che significa « che Roma ci ha assimilati, e che nelle nostre vene scorre
sangue latino » (pag. io).
La storia di un popolo si legge ne' monumenti. Di monumenti slavi
l' Istria non ne ha alcuno. « I monumenti nostri dell' antichità sono tutti
romani, la coltura nostra prima romana ; noi quelli e questa conserviamo »,
gli Slavi fanno di tutto per distruggere.
L' assimilazione degli indigeni con l' elemento dominatore fu favorito
dalle famiglie romane che si stabilirono nelle parti più fertili e nelle città
istriane. In breve la romanizzazione dell' Istria fu un fatto compiuto. « Gli
Istriani provarono .... il sentimento nazionale nel secondo stadio ; e furono
italici. Più ovvio sarebbe dire — romani. Insisto sulla parola italici non
già in senso moderno, ma per indicare un sentimento provato da genti più
vicine a Roma, abitanti l' Italia geografica, e governate amministrativamente
con leggi speciali» (pag. 12). E i nostri padri presero parte effettivamente
alla vita romana.
Poi tocca di due altre esplicazioni del sentimento nazionale italiano
degli Istriani : la rapida e antica diffusione del cristianesimo, e la persecu-
zione del cristianesimo stesso.
Gli Slavi furono, invece, molto restii ad accogliere il cristianesimo.
'« E possibile adunque che l' Istria, secondo i sogni di alcuni panslavisti,
abitata da gente illirica di razza slava, prima della conquista romana, abbia
così prontamente accolto in casa nostra una religione, alla quale si mostrò
— 459 -
tanto tempo così ribelle, in modo da esser obbligata al battesimo con l'ar-
gomento della spada alla gola? No, no » (pag. 14).
E conchiude, che le tradizioni ecclesiastiche si accordano con le civili;
la rapida e antica conversione degli Istriani al cristianesimo è una prova
evidente della nostra italianità ; le tradizioni ecclesiastiche ci collegano ad
Aquileja ed a Roma.
Già il colosso è caduto, la romanità cessa : rimane il sentimento na-
zionale, italico prima, italiano poi. E si accinge a dimostrarlo.
Diviso l' impero, « l' Istria avea seguito le sorti della prefettura, anzi
provincia d' Italia, continuando a rimanere unita alla Venezia, e costituendo
con quella una delle diciassette nuove regioni italiane » (pag. 17).
Anche dai barbari l'Istria non ebbe a soffrire che brevi scorrerie; e
continuò ad esser soggetta agli imperatori greci, dipendendo dall'esarca di
Ravenna.
Tutte queste favorevoli circostanze « agevolarono nell' Istria lo sviluppo
del sentimento nazionale, e la durata di quegli ordinamenti municipali di
origine romana, che più tardi in Lombardia ed altre parti d' Italia faranno
sorgere e prosperare il Comune» (pag. 18). Intorno al 524 si fondano i
vescovati '), e coi vescovati si erigono nuove basiliche, o le già esistenti
vengono ampliate. E le annovera. Dunque anche coli' architettura fummo
sempre romani, bizantini e italiani. Una vera architettura slava non ha mai
esistito ; da noi poi non si vede neppur un segno di mano slava nei nostri
monumenti ; meno quelli lasciati dalle devastazioni.
Infatti l' Istria fu saccheggiata dagli Slavi intorno alla metà del se-
colo VII.
« Nessuno creda poi che questi primi barbari Slavi si sieno stabiliti nel
paese, e confusi colle genti latine. Tra Slavi e Latini non ci fu, ... . alcuna
fusione, l' elemento germanico potè fondersi col latino in Italia, non lo
Slavo » (pag. 21).
E nel 700 fecero gli Slavi Vendi nuove scorrerie in Istria, distruggendo,
fra altro, la basilica di Muggia vecchia. Ricorda quindi altre invasioni degli
Slavi, raccontandone i fatti, e la resistenza sempre opposta dagli Istriani.
') Questa fu anche l'opinione del dott. Kandler, ma i nostri studiosi di storia eccle-
siastica non lo consentirono — vogliono, cioè, che i vescovati nell' Istria sieno stati fondati
molto tempo prima. Vedi in proposito anche il lavoro dell'oli, dott. Amoroso negli Atti
della Società nel presente volume.
— 460 —
Ai Vendi fecero sèguito i Serbi e i Croati. Ma col regno di questi
ultimi l' Istria non ebbe mai nessun contatto, né relazioni. Però V Istria fu
conquistata dai Longobardi nel 753 ; poi rimase nel 789 a Carlo Magno.
«Così il paese nostro, soggetto al dominio dei duchi, fu riunito al regno
d' Italia » (pag. 25). Gli antichi ordini municipali, sempre vivi nell' Istria,
vengono stretti dal feudalismo. Contro di che l' Istria protestò nell' 804 nei
campi di Risano verso i Missi dominici. Il Placito, in cui son registrate le
querimonie degli Istriani, « è un insigne documento di romanità, e di vita
municipale istriana nel secolo IX : forse una delle più compiute ed italiche
proteste del jus romano contro il feudalismo in Italia » (pag. 27).
Rimarchevole fra le proteste è quella contro il duca, accusato d'aver
trasportato gli Slavi pagani nelle nostre terre. Ed è provato che nell'Istria,
prima del nono secolo, gli Slavi non hanno mai posto* stabile piede.
Malgrado le proteste però, le cose rimasero come prima. Del resto
nelle città al mare era viva e antica l'istituzione municipale romana; alcune
città poi « non furono mai soggette ai Franchi, e riconoscendo l'alta signoria
di Costantinopoli, o pagando tributo alla vicina sorgente Venezia, conser-
varono la loro libertà » (pag. 30). — Gli Slavi si sono sempre tenuti nelle
campagne e nei luoghi deserti, né mai vennero nelle città, o nelle borgate.
« Nessuna assimilazione fu dunque possibile tra Slavi e Latini nell' Istria
e nel Friuli. Si esaminino i nostri documenti, si studino le nostre storie
antiche e medievali ; non un nome si troverà di origine slava. Anche più
tardi quasi tutti i nostri uomini celebri recano cognome italiano — Vergerio,
Muzio, Carpaccio, Santorio, Tartini » (pag. 33).
Col sistema baronale comincia un movimento di decadenza nell'Istria.
Tuttavia tra il 900 e il 1400 il sentimento nazionale trova modo di svol-
gersi e di modificarsi.
Nello sfacello del secondo impero romano, all'estinguersi della dinastia
dei Carolingi, gì' Istriani sentirono l'amore della piccola patria, e lo mani-
festarono anche con modi barbari, secondo consentivano i tempi. Non nega
che una parte degli Istriani al mare si sieno dati alla pirateria, quindi sorgono
contese fra loro e i Veneziani. Però una parte dell' Istria si acconcia presto
con Venezia, e poco dopo anche l'altra, spronata dall'esempio e dall'interesse.
Dopo il 900 sorgono i vescovi feudali. Spiega storicamente perchè,
dopo il detto tempo, spariscano ad un tratto anche dal sillabo dei vescovi
'istriani i nomi latini e sottentrano i tedeschi. «Questi prelati forestieri non
lasciarono però larga traccia; i loro famigliari non fondarono isole germa-
niche in Istria ; e, appena poterono, si liberarono i nostri dall' influenza
— 461 —
straniera I nomi esotici slavi nei sillabi dei vescovi, e dei pievani
compariscono pur troppo in questi ultimi tempi » (pag. 38).
Ma il sentimento nazionale istriano fu anche in lotta col marchesato
e colla contea. Ricordate le case degli Eppenstein, degli Sponheim e degli
Andechs, accentua il fatto della divisione della provincia, rilevandone le
cause. Per ìa qual divisione avemmo un'Istria marchesato e un'Istria contea.
Da ciò molti danni ; questa la causa del nostro decadimento. Tuttavia la
italianità si sviluppò egualmente in tutto il marchesato, anzi si dilatò anche
nella contea (interno dell' Istria). Le lotte interne poi nelle città, e quelle
anche fra 1' una e 1' altra, « provennero da un vizio del sangue, furono
piaga non solo dell' Istria, ma di tutta l' Italia » (pag. 40).
Durante il dominio più o meno contrastato dei patriarchi d'Aquileja,
durato due secoli, il sentimento nazionale ha dato prove di ammirabile
tenacità. « Tutta l' Istria insomma si destreggiò, barcamenando tra Veneziani
e patriarcali, pur di raggiungere lo scopo che, come volevano i tempi, era
sempre il dominio di una città sull'altra ; ma pel patriarca come patriarca
nessuno avrebbe allora mosso un dito » (pag. 41). Cadde anche il dominio
patriarchino, e nessuno si commosse. Dove erano allora, chiede 1' autore,
gli Slavi e i Croati ? . . . .
Intanto le città istriane andavano accettando il protettorato veneto, che
poi si convertì in dominazione. In questo tempo si andavano costituendo
(dopo la pace di Costanza) i Comuni — e li nomina. « Vedano quindi i
fratelli italiani come la storia istriana vada di un passo con la storia generale
d'Italia». I podestà forastieri che si eleggevano erano sempre italiani, e di
preferenza veneziani. « Dove sono i podestà Croati o Cranzi eletti dai voti
dei liberi cittadini ? Neppur uno » (pag. 44). E furono i podestà sapienti
ordinatori dei nostri Statuti.
Passa quindi a trattare dei Comuni particolarmente. Le città istriane
prendono parte alla battaglia di Salvore (1177). «Anche l'Istria avrebbe
adunque avuto la sua battaglia di Legnano » (pag. 45). E di questa battaglia,
da alcuni non ammessa, ricorda le memorie che ci rimangono, e i docu-
menti artistici. — Gli Slavi, di questi ricordi, fra noi, non ne hanno di certo.
Stipulata la pace di Costanza (1183), la vita comunale si manifestò da
noi non altrimenti che altrove. Avemmo i partiti nelle città come a Firenze,
a Pisa ecc. ; così le guerre fra città e città.
« Ma durante l'epoca dei Comuni, la maggior prova d' italianità l'ab-
biamo data pur troppo nella secolare resistenza contro Venezia » (pag. 49).
Finche trattavasi di protettorato, la cosa andava ; ma non così quando
trattavasi di signoria. L' Istria fu soggiogata da Venezia, non ottenuta per
— 4^2 —
spontanee dedizioni. Pola, Capodistria e Trieste lottarono più d'ogni altra.
E qui racconta i fatti di ciascuna in appoggio del quesito. Si ferma sopra
tutto sulla dedizione di Trieste a Casa d'Austria, spiegandola col vivo de-
siderio dei Triestini di rimaner liberi. Cita in appoggio molti altri fatti
analoghi riflettenti città italiane.
Ed eccolo all' ultima parte del suo lavoro : il sentimento nazionale
degli Istriani manifestato nella storia moderna. Ma prima d'accingersi, monna
Prudenza lo tenta di costa ; egli dice però di non preoccuparsi di stati, ma
di popoli, « supremo bisogno per l' Istria esistere e vincere la Slavia irrom-
pente » e tira via (pag. 55).
La storia moderna comincia per noi con ben tristi auspici. La lotta
tra Venezia e 1' Austria è più accentuata che mai. Accenna alla lega di
Cambrai, e alle cause che mossero Massimiliano imperatore a parteciparvi.
L' Istria fu campo aperto di scorrerie e di guerre. Molto le ha nocciuto
l'essere rotta nella sua unità naturale. Ad ogni modo l'Istria veneta - la
parte maggiore — seguì in tutto le fortune di Venezia ; « ed è ammirabile
scorgere come in così poco tempo, cessata in Istria ogni memoria della
resistenza secolare contro San Marco, così tutti si sentissero attratti alla
Dominante da fondersi pienamente nella sua vita, come se da secoli fossero
stati sudditi fedeli, ottenuti per ispontanea dedizione, non conquistati » :
prova questa della comunanza di stirpe (pag. 56).
Si può dire che dal secolo XV fino alla caduta della Repubblica, il
sentimento nazionale dell' Istria fu ristretto alla vita veneziana. L' istriano
smarrì il tipo primitivo, modificò il suo dialetto, imitò in tutto le virtù ed
i vizi dei fratelli. I nemici della Repubblica sono nemici dell'Istria. Basta
per provarlo Santo Gavardo.
Ma P occasione più favorevole a segnalarsi 1' ebbero gì' Istriani nelle
guerre della Repubblica contro il Turco e gli Uscocchi. Così l' Istria prese
parte alla battaglia di Lepanto. Canea fu difesa eroicamente da un istriano.
Nella guerra degli Uscocchi poi, nella quale fu adoperato « tutto ciò che
1' umana perfidia può escogitare, una politica la più iniqua, le più infami
crudeltà, tutto » l' Istria, che tanto sofferse, si segnalò per valore e
per fedeltà alla Repubblica (pag. 58).
E gli Uscocchi erano Slavi, progenitori di quelli che oggi evangeliz-
zano l' Istria. A questi mali se ne aggiunsero di altri, come per esempio
fé pestilenze. Venezia, decaduta, tardi riparava e inefficacemente. Non com-
prendeva il valore del possesso istriano, trascurò d' impossessarsi di Trieste,
neglesse di comperare la contea di Pisino offertale dall' Austria, e trattò
— 4^3 —
l'Istria come una colonia lontana. Peggio ancora, per popolare l'Istria,
trasportò in essa « Morlacchi, Greci, Cipriotti scappati dalla dominazione
turca, ladri per lo più e briganti, e peggiori dei Turchi stessi. Cos'i è sparita
la fisonomia italiana dalla campagna dell' Istria, così ne furono profonda-
mente alterate le sorti; nomi, tradizioni, leggende, memorie .... » (pag. 60),
« E se noi istriani, dopo queste belle prove di amore, alla caduta della gran
vecchia, non abbiamo battuto le mani, ma invece abbiamo pianto, abbiamo
pregato e fatte anche le fucilate in chiesa per amore di San Marco ; e se,
oggi come oggi, non insultiamo a Venezia, come fanno gli Slavi, ma a
malincuore, a nostra difesa, commiserando, ne palesiamo a mezza voce le
colpe; tutto questo vuol dire che sangue italiano, e non croato, ci scorre
nelle vene, che siamo i discendenti dei Sergi e dei Gionatasi, e non dei
ladroni di Zuanne Radossovich : sia questa la più bella prova del nostro
sentimento nazionale; sia questo il suggel che ogni uomo sganni » (pag. 62).
Prosegue ai tempi novissimi. Con la caduta di Venezia e il dominio
dell'Austria, la provincia raggiungeva la sua unità. Però abbiamo, in senso
amministrativo, tre provincie, Gorizia, Trieste e l' Istria. Or conviene ra-
dunarle sotto la capital naturale, Trieste. Ricorda la festa del Pro Pallia
tenuta a Trieste addi 18 novembre 1888, alla quale concorsero tutti gli
italiani che sono sotto l'Austria. In confronto di quella festa, che cosa sono
i tabor dei Croati ? I quali « inventarono la storiella di un' Istria sempre
croata nella storia, e fanno quindi passare per Croati tutti gì' Italiani illustri
dell' Istria. Pare cosa incredibile, pure vera » (pag. 64). Così il professore
Kukuljevich nel suo Dizionario degli uomini illustri della Slavia meridionale !
Chi con questi argomenti si difende, ha già sottoscritto la propria sentenza.
La civiltà croata è un assurdo nell' Istria. E cita gli uomini nostri più
illustri.
Conclude. A difender oggi l' Istria ci vogliono ben altro che disquisi-
zioni storiche. Fatti devono essere ; concordia, anzi tutto. Non è tempo di
trattar le cose con leggerezza, col solo schernire avremo il danno e le beffe.
Poi rivolge la parola agh' uomini d' ingegno e di cuore della Slavia me-
ridionale.
Fa vedere che l' Istria geografica, con Trieste, ha la maggioranza ita-
liana. Poi rileva che non tutti gli Slavi dell' Istria sono di una stessa stirpe,
né vogliono saperne di Croazia. Cita alcuni fatti dimostranti l' intemperanze
dei corifei slavi. Del resto, che l' Istria fosse sempre italiana basta a pro-
varlo l'autorità di Dante. E cita il passo relativo nel De vulgari eloquio. Parla
quindi dei diversi dialetti istriani, e come la lingua degli antichi Istriani si
— 464 —
mutò in volgare latino dopo l'occupazione romana. Altra letteratura non vi
esiste in Istria che l' italiana. Un popolo, come lo slavo fra noi, che non
ha un passato in un paese, è estraneo al paese stesso. « È la storia che
scioglie a noi lo scilinguagnolo ; non siamo e non saremo mai muti noi
Istriani nella difesa della nostra lingua e della nostra civiltà. Il passato ci è
garante : italiani fummo, italiani siamo, ed italiani, piaccia o non piaccia,
vogliamo rimanere » (pag. 74).
Seguono alcuni documenti, che furono pubblicati la prima volta dal
Cesca in pochi esemplari per nozze.
M. T.
Giuseppe Caprin — Marine istriane. — Trieste. Stabilimento art. tip.
G. Caprin, 1889.
È un volume di 380 pagine di sedicesimo grande, dai bellissimi tipi
e dalla carta sopraffina dal color d'avorio, il cui testo è spesso intercalato
da fotografie, riprodotte col sistema della fotomeccanica sullo zinco, e da
disegni eseguiti da R. Mainelli, P. Fragiacomo, G. Defranceschi, G. Sa-
vorgnani, A. Tominz, E. Scompanni, G. Gorzalini, E. Croci, G. Sigon.
Dopo una breve prefazione, 1' autore divide il suo lavoro in quindici
parti. — Nella prefazione dice la ragione che lo stimolò a fare il libro,
cioè gli errori commessi, trattando dell' Istria, da antichi e moderni scrit-
tori ; mentre se il volume « riflette troppo il sentimento che lo lega al suo
paese, non s' allontana però dal vero ecc. ».
La prima parte s' intitola : In San Michele di Murano. Poco prima del
tramonto l'autore si fa da Venezia portare a Murano, e strada facendo la
sua mente è assorta da immagini poetiche e da ricordi storici. Ricorda il
tempo quando le genti, fuggendo da Aquileia, Concordia ed Aitino, ripara-
rono su queste isole ed estuari. Il primo doge, Pauluccio Anafesto, venne
suggerito a quelle genti dal polese Cristoforo, patriarca di Grado. « Ebbe
così origine la dignità ducale per saggio suggerimento e per la efficace elo-
quenza di un nostro antenato » (pag. io).
Sceso a Murano, l'autore entra nel chiostro, e ricorda S. Romualdo e il
celebre fra' Mauro, che furono anche nell'abbazia di Leme a Parenzo. Vede
— 465 -
la tomba di fra' Paolo Sarpi, e ricorda che, dopo la ferita, venne curato dal
celebre medico capodistriano Santorio Santorio. — E col Sarpi ricorda le
rapine e le stragi degli Uscocchi.
S. Michele venne eretto colla pietra d'Istria nel 1466. Venezia in questo
tempo attingeva il massimo suo splendore « In quella fratellanza di
artisti, che diede rinomanza al secolo XV, non mancarono gl'Istriani», e
li ricorda.
« La sigla dell' Istria è dunque incisa splendidamente in questa Venezia,
che tanti valorosi riescono finalmente a svincolare da ogni servitù di arte
straniera » (pag. 14).
Qui 1' autore s' attacca all' Istria, dicendo eh' essa per quasi cinque
secoli aveva legate le proprie vicende ai destini della Serenissima. Parla
prima del Carpaccio valente pittore, poi delle tarsie di fra' Sebastiano d.>
Rovigno, e delle pitture di Bernardo Parentino. Quindi dell'architetto Do-
menico da Capodistria, di B. Costa e G. Sedula pure capodistriani, e di
tanti altri.
Da questo campo, con stile fiorito, passa ai malori ed alle feste di Ve-
nezia, ai quali ed alle quali partecipavano, in un modo o nelP altro, gli
Istriani. « E si vede ancora oggi, nel centro di quella sala (delle Quattro
porte) Venezia tra molte deità condotta da Giove all'Adriatico ; cinta a destra
da molte virtù ecc. ». E fra le città « l' Istria, per la nobile storia, con la
corona : una delle gioje dello Stato, ricca di porti per ogni armala, copiosa di
boschi per servigio di Arsenali, feconda di sali, ogli, vini, che con felice usura
rende sino al vinti per uno » (pag. 29).
Cadde Venezia, ma il suggello ch'essa avea posto nelle città istriane
dura tuttavia.
Dal Timavo alla Rosandra s' intitola la parte seconda.
Dice dei confini naturali dell'Istria, che sono il Timavo ad occidente,
il Quamaro ad oriente. Ricorda la favola degli Argonauti, poi si estende
sulle vicende storiche di S. Giovanni di Tuba e di Duino. Nel qual'ultimo
luogo ricorda la venuta d'Alighieri, da dove passò all'abbazia di S. Michele
di Pola. Allora Trieste e le nostre città litoranee ospitavano molti profughi
ghibellini, fuggiti da Toscana. Ed oltre che da Dante la nostra provincia
era visitata anche da Fazio degli Ubcrti, come ne fa fede il suo Ditta-
mondo (canto III) ; e da Petrarca, come ne fa fede un' epistola diretta a
Boccaccio, nella quale si celebra la « dolcissima tempra » del nostro clima.
Dice la duinate schiatta d'ignota origine « stirpe di soldati, e soldati
di campagna, tutti coli' istinto del comando e della padronanza » (pag. 40).
— 4^6 —
Nel castello vennero poi i Walsec, svevi, ancor più temerari dei primi
Dui nati ; poi gli Hofer. « Oggi su quella rupe fiorisce ancora un ramo della
illustre famiglia dei Torriani, che partecipò alla Lega di Pontida ed ebbe
uomini di Stato, consoli e signori a Milano, difensori della plebe, condottieri
dei Guelfi, patriarchi ed artisti, un ramo che giunge ai nostri giorni, ed
all'ombra degli aviti trofei e delle molte memorie sopravvive in una donna
gentile innamorata della pace e dell' arte » (pag. 43).
E del castello racconta le leggende e qualche fatto pel quale esso ma-
niero è ricordato nel mondo scientifico.
« Al tempo dei Torriani il villaggio di S. Giovanni aveva im-
portanza di barriera daziaria e fruttava ai feudatari grossa rendita con la
pesca del tonno » (pag. 47).
Ma poi il castello attuale subì molti restauri, così da non conservar
più pietra di quello eretto dai Duinati. Descrive la circostante campagna,
ingrata, la maremma e la marina.
E da qui passa fuggevolmente a Trieste, la capitale morale dell' Istria,
delia quale non ardisce scrivere, « poiché Attilio Hortis ne medita la storia
che vendicherà il non inglorioso passato, suggellando i giudizi con la prova
dei documenti » (pag. 52).
La terza parte s' intitola : La Vallata di Zaitle.
S' introduce colla Rosandra, torrentello che segnava i limiti territoriali
di Trieste.
« A Zaule guerre e rappresaglie frequenti, feste e spettacoli publici »
(pag. 55)-
Ricorda un torneo qui tenuto nel 1224 dai cavalieri invitati da Mai-
nardo, conte di Gorizia.
Oggi questa vallata è deserta, abbandonate le saline. I pochi salinari
si sono dati alla pesca, e vivono poveramente e « non vi domandano mai
nulla ».
Il borgo del Lauro è il titolo della parte quarta.
S'introduce col descrivere la parte antica e smantellata di Muggia, di
quella Muggia che resistette dapprima ai Genovesi ; ma poi nel nono secolo
dagli Slavi e nel 1354 da Paganino Doria venne rasa al suolo. Dopo questa
distruzione si era «formato il nuovo Borgo del Lauro, e nel 1263 il vescovo
' di Trieste consacrò la chiesa di S. Giovanni e Paolo » (pag. 65).
Dell'antica Muggia non si conserva che la chiesa, di forma basilicale,
che data tra 1' ottavo e il nono secolo, tutt' al più il decimo. Riassume
— 4^7 —
una Conferenza tenuta dal cav. D. Pulgher su questa chiesa nella Società
u" ingegneri ed architetti di Trieste. — Del resto ella subì dal tempo varie
trasformazioni.
Dall' antica passa alla Muggia moderna, al duomo di stile gotico, al
Comune, del quale riassume brevemente le vicende.
« La sua gente si può dirla di sangue sempre acceso, di una fierezza
indomita, ma in pari tempo di carattere espansivo, amante le pubbliche
feste » (pag. 73).
Nel 1420 fece atto di dedizione a Venezia. Vanta cinque professori a
Padova ecc.
« Le donne di Muggia erano regatanti famose ; il loro volgare era
ladino » (pag. 77).
La gentildonna dell'Istria, con che l'autore intende designare Capodistria,
forma argomento della parte quinta.
Accenna qual'era Capodistria nel medioevo. Durò peraltro più lunga-
mente di ogni altra città istriana sotto ai Bizantini. Neil' 813 fece patti con
Venezia, e nel 1278 si diede interamente a lei, colla quale poi s'immede-
simò sempre più.
Aveva la giurisdizione su 42 ville, interpretava gli statuti e i patti ;
deliberava (il podestà) in seconda istanza, ed era la sola autorizzata a tener
corrispondenza diplomatica con 1' estero.
Cinque podestà di Capodistria, veneziani, sortirono 1' onore di salire
al dogado ; uno dei quali, Pier Gradenigo (1289), dalla vita istriana portò
a Venezia le usanze democratiche. — Del resto il popolo capodistriano si
imponeva nei comizi di piazza.
La città, dopo ciò, « cresceva in fortuna, la sua società piegava al vivere
aristocratico e prosperava moralmente » (pag. 89). Copiò da Venezia varie
istituzioni.
Nel 1553 la società si trasformò; gli esercizi cavallereschi d'un tempo
si tramutarono in letterari, per divenire arcadici nel 1646. — Parla quindi
dei costumi, delle mode, delle feste e degli onori che ebbe Capodistria.
Che essa fosse città agiata lo dimostrano i quadri di valore eseguiti da
autori celebrati, il suo palazzo pretorio, le ville, gli edifizì dei nobili, le
masserizie e gli utensili di casa.
Naturalmente che da Venezia, oltre che le arti, i costumi ecc., vennero
trasportati anche i difetti, le mollezze ecc., e persino « il sordo e ingiusto
livore contro quella nobiltà che aveva la virtù di servire il paese nei più
augusti e nei più umili uffici, e nella quale il popolo doveva travisare forse
13
— 468 —
la miglior parte di se stesso » (pag. 94). Ed anche le famiglie nobili capo-
distriane potevano gloriarsi di siffatti antenati o coetanei che si distinguevano
nei servizi resi alla patria sia colle armi, che colle lettere e coli' arte. E
qui l'autore ricorda di tutte queste categorie parecchi campioni (pag. 95-100).
Però resta ancora molto da rovistare negli archivi del Comune e di
qualche casa privata.
Dal tempo che Venezia perdette Candia, anche Capodistria cominciò
a decadere; ella conserva tuttavia sempre una certa fisionomia aristocratica,
« sicché vi sembra abitata da una grande famiglia che custodisce le panoplie
e le reliquie degli avi, e che non si è punto esaurita, ma continua la storia
delle discendenze nobiliari » (pag. 106).
Descrive il bellissimo e vecchio palazzo del Comune dallo stile lom-
bardesco disposato con l'archiacuto. Parla di altri fabbricati di stile gotico,
della facciata del duomo, gotica pure e lombardesca, e di altri oggetti artistici
di rara bellezza.
E dall'esterno passa all' interno di alcuni palazzi, e così pure delle chiese
e del convento di S. Anna, dove trova pitture di Cima da Conegliano, di
Vittore e Benedetto Carpaccio, qualche incunabulo prezioso. A proposito
del quale ultimo osserva che « la tradizione, confortata da un documento,
viene a dire che Panfilo Castaldi imprendesse a Capodistria i primi tentativi
tipografici già nel 1440 0 poco dopo» (pag. 122).
Infine si volge al vivere quieto della città odierna, e delle occupazioni
giornaliere dei suoi abitanti, la maggior parte dediti all'agricoltura. Ma vi
è ancora una rispettabile casta di artigiani, altra di pescatori. « Un altare
di legno sulla strada raccoglie il rosario in certi giorni la vivace e turbo-
lenta popolazione, che forse ignora come quella corona di preghiere ricordi
la vittoria di Lepanto, e ripete con un canto dolcissimo le orazioni » (pa-
gina 129). — Ma a proposito di Lepanto, soggiungo io, vi è anche un
monumento che ricorda a Capodistria quell'avvenimento storico, illustrato
da ultimo dal prof. Vatova.
La parte sesta tratta d' Isola dei pescatori.
Dopo la descrizione d' un temporale, in causa del quale pericola una
barca di Chioggiotti, l'autore ricorda una legge di data 17 settembre 1740
sulle scale di S. Marco e di Rialto e nelle pescherie, colla quale si proibiva
ai pescatori chioggiotti di pescare nelle acque dell' Istria, mentre si per-
' metteva loro di salvarsi in quei porti soltanto quando vi fossero portati
dalle burrasche. Lega poi il temporale colla legge per far conoscere essere
antiche le gelosie fra i pescatori dell' una e dell' altra costa.
— 469 —
Isola si dedicò a Venezia nel 1280. Però «c'era nel carattere isolano
una tenacità quasi selvaggia ; un senso d' indisciplina verso il governo e di
rivalità coi vicini » (pag. 139). E divenne nido di contrabbandieri valenti.
Del resto gì' Isolani erano rematori famosi, che sfidavano tutti nelle regate.
Famoso il vino, anche in antico, d' Isola, specie la riboia, celebre ai
tempi del Boccaccio. « Da Monte Pucino sino all'ultimo lembo della marina
istriana, la vite ebbe rinomanza, ed il suo sugo prezioso passava i confini
regionali e veniva ammesso all'onore delle tavole principesche » (pa-
gina 140). E in testimonianza di questo riporta alcuni fatti.
Le contese e gli asti, che nel medioevo durarono sì a lungo tra un
luogo e 1' altro, ad Isola trovavano forte e continuo alimento. Frequenti
le risse perciò con Pirano. Gli stessi Statuti isolani vietavano certi contatti
coi Piranesi.
Ricorda poi alcune costumanze d' Isola. La quale si mantenne fedele
alla Repubblica sino all'ultima ora. Però, « mentre Napoleone detronizzava
Lodovico Manin, ultimo doge, Isola uccideva 1' ultimo suo rettore vene-
ziano » (pag. 142).
Anche Isola fu fabbricata su di un' isola, mentre ora è congiunta a
terraferma. L'autore descrive sommariamente la cittaduzza, e le costumanze
dei pescatori. Fra i fabbricati trova, anch'essa in poco buon stato, la casa
dei Besenghi degli Ughi che abbia aria nobiliare.
I Besenghi si estinsero col poeta morto nel 1849 di colèra in Trieste;
il quale poeta lirico si legò ai Coppo, ai Contesini, ai Manzuoli, ai Tamaro,
ai Goina, agli Ettoreo, tutti uomini di buona fama.
« Isola è il solo paese dove la lavorazione dei merletti continuò come
un'orfana ricordanza, anche quando a Burano era cessata del tutto la gentile
industria veneziana » (pag. 149). E l'uso dei merletti era in Istria fino dal
XV secolo. I merletti furono compresi nelle leggi suntuarie, che bandivano
le perle, le cinture d' argento ecc.
Sbozza poi le costumanze della popolazione.
« Isola ha intorno a se sepolcri e reliquie di antichità romane ; del
suo medioevo conserva nel duomo un S. Sebastiano, capolavoro di Irene
da Spilimbergo, allieva di Tiziano, quindi la Madonna dei Battuti di Palma
il vecchio, ed un S. Giuseppe del Santa Croce. Il grande e fiero leone dalla
facciata municipale guarda ancora l'avanzo del Fontico » (pag. 155).
Ed eccoci a Pirano, che il Caprili designa coll'epiteto : La Salinarola,
e che forma argomento della settima parte.
Ricorda quali fossero le condizioni sociali di Pirano nel tempo di mezzo.
— 470 —
Nel 1300 viene eretto il convento di S. Francesco, la cui chiesa diventa il de-
voto ritrovo dei cittadini ragguardevoli. Fra questa e il duomo, dei popolani,
nacquero rivalità, che si risolse in contesa asprissima tra il Consiglio e il
Capitolo. Intervenne il Governo di Venezia, che proibì di portar armi ecc.
« È degno di considerazione il fatto, che tanto il culto religioso in
Istria quanto il carattere delle fraglie e confraternite era informato alla
natura del paese, alla nazionalità della chiesa. Non riti, non feste, non santi
forastieri » (pag. 161).
Le rogazioni a Pirano erano doppie : le urbane e le agrarie '). Era
città di fortissima fede cristiana ; essa ha dato un patriarca e sei mitrati.
Nel vallone di Pirano fece sosta la quarta crociata condotta da Enrico
Dandolo. Al tempo del Sanudo contava 7000 anime, e 600 uomini da fatti,
cioè atti alle armi. Vettor Pisani, dopo la prigionia, si recò a Pirano a far
gente. Nello stesso tempo i Piranesi si trovavano all'assalto di Marano. « Un
secolo più tardi Pirano arma a proprie spese e con propria gente venticinque
barconi per la guerra di Ferrara» (pag. 165).
Qui anche le donne erano valenti rematrici. — Al Porto Rose si fermò
il Morosini, di ritorno da Negroponte carico di gloria, salutato festevolmente
dai Piranesi. — Le saline esistevano prima che Pirano si desse a Venezia.
E Pirano è tuttora la ricca salinarola istriana.
L'autore poi descrive sommariamente la città, il duomo, il battistero,
S. Francesco, dove si conserva, con parecchi ricordi storici, una prege-
volissima tela di Vittore Carpaccio, ed altre tele del Tintoretto, del Sas-
soferrato, del Palma il giovane, dell' Andrea Celesti, del Lazzarini, e di
altri maestri.
Ed altra pala di B. Carpaccio è quella del Consorzio dei sali ; il Mu-
nicipio possiede inoltre una grande tela del Tintoretto.
« Esistono ancora poche altre antichità, fra cui gli avanzi di quella
chiesetta di S. Andrea, dove il popolo deliberò di darsi alla Repubblica di
Venezia, che serve oggi di ricovero ad otto invalide, e non ha più forma
di tempio » (pag. 175).
Pirano conserva nel suo archivio un tesoro di patrie memorie : ducali,
pergamene, un astuccio di velluto con l'atto di dedizione originale di Pirano
a Venezia, documenti antichi, statuti, manoscritti di G. Tartini, lettere
autografe d' illustri italiani.
') E sono tuttora.
— 47i -
L' ordinamento statutario di Pirano precede quello di tutte le altre
consorelle istriane. L' indole del Piranese è schiettamente allegra, 1' animo
docile e compreso di nobili sentimenti ecc. Quindi descrive altri usi e
costumi della cittadinanza. Ricorda la casa e la camera dove nacque G.
Tartini, e l' iscrizione immurata all' esterno della casa dei fratelli Vana.
Da Pirano passa alle saline, descrivendo la vita dei salinaroli.
Da Salvore ad Umago forma il tema della parte ottava.
Rammenta la battaglia navale del 1 177 avvenuta a Salvore fra i Veneziani
e gli Imperiali, battaglia che alcuni storici ripudiano, ma che la tradizione,
alcuni scritti è splendidi dipinti ricordano. Da quella vittoria veneziana, a cui
erano partecipate le città marinare istriane, trasse origine la festa dello spo-
salizio del mare, che ogni anno si faceva a Venezia.
Or di Salvore non resta che una chiesa, quasi sempre chiusa, e fab-
bricata sulle fondamenta di una più antica del XI secolo a tre navate. Sul
muro esterno della chiesa una recente iscrizione italiana ricorda la fazione
su detta, mentre fu involata un' antica latina che testimoniava il fatto.
Detto brevemente delle campagne, passa l'autore a Sipar, città distrutta
dai corsari e poi inghiottita dal mare. Nelle vicinanze, sulla punta di Catoro,
il sig. Nicolò Venier praticò degli escavi denunando fondamenta di edifizì
romani.
Arriva ad Umago che « ha l'aspetto d'una città lacustre ». Descrittala
a brevi tocchi, dice della sua popolazione composta per la maggior parte di
agricoltori, « dal cuor largo e intelligenti ». — Poverissimo il palazzo del
Comune. Nel trasporto dede reliquie di S. Marco da Alessandria a Venezia,
la barca fu costretta dal maltempo di far sosta ad Umago.
Umago era in grado di città vescovile. Quantunque si fosse data spon-
taneamente a Venezia, tuttavia conservò sempre molto affetto a Trieste,
affetto che conserva tuttora.
A Seghetto, nella casa dei nobili de Franceschi, venne a riposarsi il
grande ammiraglio veneto Angelo Emo. — « I de Franceschi sono conti
di Candia, e provengono da una di quelle famiglie che abbandonarono
l'isola, quando Venezia dovette, dopo la disperata difesa, cederla per trattato
ai Turchi » (pag. 206).
Umago fu in varie riprese e dai pirati e dalle guerre spopolata. Da
ultimo gl'Inglesi nel 181 1 abbruciarono l'archivio comunale.
La parte nona s' intitola : Alla foce del Quieto.
— 472 —
Smontando alla riva di Cittanova, il viaggiatore s'accorge subito che
la fronte delle case che guardano il mare è costruita sulle fondamenta e col
vecchio materiale delle antiche mura. Delle quali mura dai merli ghibellini
non rimane che una falda a levante della cittaduzza. Entra in città e breve-
mente la descrive.
L' attira particolarmente la chiesa, edificata su un fabbricato pagano.
V interno è del pari una confusione di restauri fitti in varie epoche. La
cripta ricorda le prime catacombe. E da qui va alle sacrestie, notandovi
ciò che vi si conserva.
Al di fuori della basilica, « non vi basta la ragione delle pestilenze e
della malaria per giustificare l'impoverimento di Cittanova» (pag. 216).
Il Comune ha però un modesto archivio e conserva religiosamente il ba-
stoncino che veniva presentato al podestà veneto.
Dalla Podestaria, per una viuzza, ci si reca alla loggetta, « una vera
curiosità istriana », da cui si prospetta la grande insenatura del Quieto ecc.
In questo bacino si raccoglievano da ogni parte le barche per fare la tra-
versata a Venezia. Le barche venivano fatte sui cantieri di Venezia, a cui
l' Istria forniva il legname. Da noi non si fabbricavano che i legni minori,
le barche da pesca.
« La pesca dava redditi considerevoli all'episcopato ed alla popolazione
di Cittanova» (pag. 221). Ed ora i Cittanovesi son divenuti cavatori di
pietre. — Per la campagna trovi sparsi embrici e monete romane.
A Parentium è dedicata la parte decima.
Ferma l'attenzione dell'autore alcune barchette dalla cui prua pencola
un uomo, che guarda il fondo del mare. — Sono pescatori di spugne, che
non appartengono però all' Istria.
Osserva vasti e ben tenuti vitigni, e assiste alla vendemmia.
Accenna a Parenzo nell' età romana. E da questa passa alla cristiana
primitiva, della quale conservasi l'augusta Basilica eufrasiana, che segna un
nuovo albore d' incivilimento. E descrive detta Basilica, spiegandosi il modo
col quale si è potuto qui edificare un monumento tanto sontuoso. Era la
corte di Costantinopoli che profondeva per ciò i tesori. Però non si è ancora
d'accordo, ei dice, sull'epoca della costruzione di essa chiesa. E cita i vari
pareri. Il Ferstel dichiarò che dal lato della composizione essa chiesa non
è superata da nessun altro monumento consimile né di Ravenna né di Roma.
Combatte il Jackson e il Pulgher che hanno scoperta, nel duomo
parentino, una chiesa bizantina, adducendo, fra altro, che il cristianesimo
romano cercava l'architettura originale per la sua chiesa. — Se ciò è vero
— 473 —
in tesi generale, io credo però non s'attagli in tutto al duomo di Parenzo,
il quale, per lo meno, ha subito l' influenza bizantina, che fino alla metà
del secolo VI era venuta a ristorare V arte italiana. Ed è quasi accertato
che la Basilica eufrasiana sia di quest' epoca ').
Qui l'autore annota altri oggetti artistici che si conservano nella Basilica.
E da questa passa alla città, col suo aspetto di modesta agiatezza, con-
centrata ancora nei grandi ceppi dei vecchi palazzi veneziani, onde impone
a tutti la domanda « se nel V o VI secolo non fiorisse per maggior ric-
chezza » (pag. 244). Le sue antichità le danno nella storia un posto
più ragguardevole di quello che occupa presentemente. E ne addita alcune
di codeste antichità romane. Poi subentra il governo della Chiesa, quindi
quello di Venezia, della quale Repubblica ricorda alcuni fatti riguardanti
il luogo.
E vennero anche per Parenzo giorni di desolazione e depauperamento.
Ma ora si è rifatta, e « in due stagioni dell' anno essa è proprio allegra
signora, che mostra l'orgoglio suo : nei giorni della vendemmia ed in quelli
delle sedute del piccolo Parlamento istriano ». Dei quali due periodi intesse
due bozzetti.
// Castello dei vescovi è il titolo della parte undecima.
Descritta la marina sparsa di scogli e di isolotti, che cominciano a
Parenzo e vanno giù giù fin oltre a Pola, si trova ad Orsera « un castellotto,
rizzato sui ruderi di un fortilizio romano » (pag. 265). Divenne feudo dei
vescovi di Parenzo.
Bellissimo il panorama che si gode dalla vetta di quel colle, specie
verso la marina sparsa d' isolotti.
Ed eccoci a Rovigno, nella duodecima parte, intitolata : La popolana
del mare.
Entra a Rovigno per mare seduto sui fasci di sughero delle reti d'un
bragozzo, il cui padrone, rovignese, gli racconta fatti marinareschi della
sua città.
Della quale ultima descrive la parte antica prima, poi la nuova, rian-
dando così i momenti storici principali, il governo del Comune ecc. ecc.
') Rimetto il lettore, in questo proposito, al lavoro dell'avv. A. Amoroso pubblicato
in questo stesso fascicolo negli Atti della Società.
— 474 —
Quindi passa alle chiese, a S. Eufemia, al campanile isolato, documento
della nazionalità istriana anche nelP architettura religiosa.
E tocca delle antiche discordie, e della concordia eroica nei momenti
dei supremi bisogni.
Dal colle di S. Eufemia eccolo a quello di S. Francesco. Dice delle
viuzze e dei contrasti di luce che vi riscontra. Delinea la vita cittadina,
per lo più allegra, il vestire dei popolani ; par di assistere « ad una con-
tinua apparizione di figure che direste fuggite dalle tele di Favretto o di
Mainella ».
Ricorda le feste popolari, particolarmente le Rogazioni. Finisce il ca-
pitolo col narrare alcuni fatti succeduti al tempo della caduta della Repub-
blica veneta.
Tra le isole dei Brioni è intitolata la parte decimaterza.
Parla di Dignano, che sarebbe un aggregato di sei ville. Venuta in
fortuna, strinse in mano tutto il commercio del territorio, fatta centro stradale
dell' ultimo lembo della Provincia. I Veneti la chiamarono nobile castello.
«Nel 1600 era già una considerevole città di campagna, dalla popolazione
vispa, fatichevole e contenta » (pag. 307). Narra come vestivano allora gli
uomini e le donne, e quali erano le feste e i costumi.
La città è sempre attiva, in una costante vivacità. Parecchi edifizi pub-
blici sparirono. « Il duomo, che conta un centinaio d'anni, venne alzato
sul modello del S. Pietro di Castello di Venezia, che appartiene all'archi-
tettura palladiana » (pag. 309). Rileva l'architettura d'alcune case, e ricorda
un prezioso monumento di pittura (il lato di un'arca) del 1321, dovuto
alla badessa Tommasina Vitturi.
Or le donne sembrano tante brianzole. Caratteristici i canti popolari.
« Il porto naturale di Dignano è Fasana, una borgata marina intorno
alla quale 1' archeologia ha scavato preziosi avanzi di villini, di bagni, di
canali, di strade dell'epoca romana».
Dinanzi a Fasana, i Brioni che chiudono l'orizzonte. Sull'isola maggiore
e' è qualche casa colonica, e una bella possessione ; la minore invece è de-
serta. Racconta un fatto avvenuto in questo mare, pel quale fatto già nel
15 12 si accennerebbe ad un tentativo dei palombari.
Chiude il capitolo il ricordo della battaglia navale qui avvenuta nel
maggio 1379 tra Luciano Doria contro Vittor Pisani.
La decimaquarta parte s' intrattiene con Polii.
Entrando nel porto di Pola vi sentite investito da un soffio di guerra.
— 475 -
La terra è piena di ricordi, come sparsa di ceneri e di reliquie. La moderna
citta è tutto un arsenale ; ma il forastiero corre in traccia di quei monu-
menti che ricostituiscono due millenni.
Ed eccoci dinanzi al tempio d'Augusto, « che è una gemma dell'arte
romana, uno dei pochi gioielli rimasti intatti, che dimostra sovranamente
la gentilezza dei concetti architettonici, che si coltivava già nell' anno 40
dell'era volgare.) (pag. 327). E lo descrive narrandone le vicissitudini.
Narra perchè Pola fosse chiamata dai Romani Pietas Julia. Era stazione
commerciale tra l'oriente e l'occidente. A metà del primo secolo dell'era
volgare contava già 30 mila abitanti, e sorgeva, come Roma, sui sette colli
che si elevavano davanti alla sua marina. Sul poggio principale, serrato da
mura e torri, il Campidoglio. Verso il mare il Foro, e in fondo i due templi
gemelli dedicati a Roma e ad Augusto. Poi altri templi ancora, e il teatro,
e l' arena, e il campo Marzio. Dintorno, nelle isole, i ricchi palagi ed i
giardini.
Pola era anche porto militare, dove si eseguivano le riparazioni sui
legni che stavano a guardia delle acque gradensi o ravennate.
Dodici porte davano uscita, sette dalla parte del mare, cinque dalla
parte di terra. Di queste rimangono porta Gemina, porta Ercole e porta
Aurea.
Parla poi delle strade che facevano capo a Pola, divenuta lo scalo dei
prodotti di tutti i paesi al di qua dei Balcani. Imperatrici e amanti di im-
peratori venivano qui a far campagna. Qui visse la celebre Cenide, con-
cubina di Vespasiano, che alcuni vogliono istriana.
Questa donna gli richiama alla memoria l'Arena di Pola, della quale
racconta brevemente le avventure. Venezia voleva demolirla, ma il senatore
Gabriele Emo vi si oppose.
«Non ostante gl'insulti subiti per quasi un millennio, l'Anfiteatro di
Pola è tuttavia il documento più completo di quel genere di fabbriche che
protrassero così lungamente la mostruosa caccia agli uomini » (pag. 350).
— Fatta una breve descrizione, ne sfiora la letteratura del monumento.
Dai tempi romani s'introduce nei cristiani. Incomincia colla Beata
Vergine del Canneto costruita dal vescovo Massimiano. Dopo questa, ri-
corda S. Stefano, S. Francesco, S. Michele e finalmente il Duomo — che
probabilmente, io credo, per ordine di tempo sarà il primo.
Pola diventa la capitale dell' Istria bizantina. I vescovi portano il titolo
di conti di Gallesano. Poi i patriarchi d'Aquileja nominano a propri vicari
di Pola i Sergi, che diventarono conti di Castropola. Accenna ad alcune
avventure di costoro.
- 476 —
Comincia la decadenza della citta. « Mentre Dante arriva e va ad abitare
nell'abbazia di S. Michele, Pola è uno splendido scheletro romano » (pag. 357).
Nel 133 1 si dà a Venezia, dopo esser stata dalla stessa severamente punita
per aver fatto causa comune coi suoi nemici.
Pola aveva già dato due dogi a Venezia : il Tradonico e il Polani. —
Col tempo si rianimò il commercio di Pola, e con esso la vita ; ma poi
vennero le pesti e i saccheggi dei Genovesi, che la spopolarono. Si cercò
di portarle sollievo facendo immigrare nella campagna Morlacchi, Cipriotti,
Zaratini ecc. Ma anche l' aria si era fatta pestilenziale. Tutto concorreva
insomma a depauperarla.
Sul Carnaro è il titolo dell' ultimo capitolo (XV).
Oltrepassata Pola viene al canal di Veruda, dove furono cave famose,
da cui si trasse tutta d'un pezzo la cupola per il mausoleo di Teodorico
in Ravenna.
Poi si trova sul Quarnaro, sulla cui costa istriana non si vede più un
solo paese. In fra terra e' erano qui nei tempi preromani Mutila, Nesazio,
Faveria. — A Fianona l' Istria è al suo termine.
« In alto, come posta a vedetta, di qua dell'Alpe, con le case serrate
insieme, torreggia Albona, patria di Flacio » (pag. 373).
La sua origine è antichissima. La strada militare romana attraversa il
suo agro. Fu Comune romano italico, poi soggetta alle violenze di quanti
corsero l' Istria. Assoggettata dai patriarchi d'Aquileja vi rimase sotto il loro
dominio fino al 1420, epoca della dedizione a Venezia.
Cacciò eroicamente gli Uscocchi (1599). Ricorda quel che resta in
Albona di notevolmente storico. Accenna a Flacio rinomato apostolo della
Riforma. Del resto la sua storia è quella dell' Istria.
L'autore finisce così il suo libro:
« Noi ci allontanavamo, la scolta alpina splendeva nel lume di un fascio
di raggi solari. Avevamo il vento sulla via, la prora del bragozzo tagliando
il mare si adornava di un doppio strascico di spuma.
» — M' ascolti, disse il padrone, non si dimentichi di una cosa : porti
il nostro saluto ai lettori delle sue Marine !
■M. T.
— 477 —
Giuseppe Caprin — Lagune di Grado. — Trieste. Stabilimento art. tip.
G. Caprin, 1890.
È un volume di 329 pagine, dalla forma esterna eguale a quella del
libro che ho passato poc' anzi in rivista, dall' istessa carta e tipi ecc. Qui
pure il testo è spesso illustrato da fotografie e da disegni eseguiti dagli
artisti signori : G. Defranceschi, N. Girotto, prof. E. Nordio, G. Savorgnani,
prof. E. Scomparini.
Di pochi periodi consta la prefazione. Di Grado non si avevano che
poche ed incomplete notizie. Saccheggiata tante volte la città, e abbruciati
da ultimo i suoi archivi per mano degli Inglesi, i documenti andarono
dispersi o distrutti.
Restava tuttavia Venezia, i cui preziosi archivi e le cospicue biblioteche
conservano laddiomercè tante e tante cose che il pubblico ancora ignora. Fu
là che il signor Caprin trovò quanto gli faceva di bisogno per condurre la
sua impresa, che ora abbandona al giudizio del pubblico — coll'avvertenza
che 1' autore sa di non aver scritto tutta la storia di Grado.
E comincia il suo libro con La Centenara, che è una lingua di terra
isolata, già feudo, che affanga nella palude. Da questo l'autore è trasportato
a parlare del grande albero della famiglia Gradenigo, derivata dal ceppo dei
fuggiaschi aquileiesi, poi divisa tra Venezia e Grado, la prima immatricolata
nel libro d'oro, la seconda rimasta plebea, passata da ultimo ai servizi dei
Savorgnan e dei Colloredo padroni consecutivamente del feudo. — A questo
esordio innesta e vi si diffonde sulle varie tradizioni dell'origine di Grado.
I Savorgnan vennero coi Longobardi, un Volchero ne sarebbe il ca-
postipite. Da questa famiglia, al tempo della dominazione franca, vennero
possenti feudatari, e da stranieri che erano, diventati italiani di azione e di
sentimenti. Tant' è vero che diventano «conti palatini, patrizi, vicedomini,
marchesi d'Istria» (pag. 16). Uno di questi, Tristano, ancor fanciullo, pu-
gnala nel suo orto il patriarca Giovanni IV. In breve divengono i signori
di Udine.
Da questa antica famiglia i conti Colloredo acquistano la Centenara,
non appena caduta la Repubblica di Venezia. Fra i Colloredo e i Savorgnan
esisteva antica nimicizia, e parecchie sono le vicissitudini loro. I Colloredo
però si erano sparsi per tutte le corti, in qualità di « paggi, ambasciatori,
vessilliferi, maestri di spada » (pag. 19). Erano entrati in Italia stranieri dalla
- 478 -
Franconia ai tempi di Corrado il Salico. Almeno li troviamo a quel tempo
combattenti con le truppe di Popone patriarca di Aquileja. — Si fu in
questo tempo, che la sventura affratellò tutti i rifugiati sulle isole, da Grado
a Cavarzere, suggerendo « un semplice governo di padri di famiglia » (pa-
gina 22).
Veniamo al II capitolo che è intitolato Le città di legno, dal modo con
cui furono costretti di ripararsi i rifugiati sulle lagune. E come Grado fu
occupata dagli Aquilejesi, così a Caorle ripararono quelli di Concordia, a
Eraclea quelli di Opitergio, ad Equilio e a Torcello quelli di Aitino, mentre
i Padovani s' impossessarono di Malamocco e delle Reaitine, e i nobili di
Este e Monselice si trasportarono sulle velme di Chioggia e Capo d'Argine.
— E i profughi dovettero lottare lungamente e colle sabbie e col mare
prima di consolidare le loro stabili dimore. Intanto « le barche potevano
dirsi le loro seconde case, il mare era la loro seconda patria » (pag. 29).
Nel 452 Grado non era che un castello e una villeggiatura. Ma esisteva
molto tempo prima, come risulta dai nuovi ritrovati archeologici. Ad ogni
modo l'odierna « Grado si è formata nel V secolo sotto gli occhi e davanti
alle armi di Attila » (pag. 34). Fu il patriarca Secondo, seguito dal clero,
portando seco gli arredi sacri e le reliquie, che riparò siili' isola. Allora
sorsero i nuovi edifizì e alcuni anni dopo il tempio maggiore di S. Eufemia.
Così, poco stante, divenne « la metropoli di tutte le isole e per quasi due-
cento anni vuoisi dirigesse le sorti della Venezia palustre» (pag. 36). Vuoisi
che il patriarca Niceta formasse un governo politico con la nomina del
Tribunato : il primo dei tribuni risedente in Grado. « Una raunanza nel
696, posto che la data ci sia pervenuta con esattezza, privò Grado della
supremazia del Tribunato : un anno più tardi, a fine di metter termine alle
discordie, per saggia proposizione di Cristoforo istriano, patriarca di Grado,
si nominò un doge ed Eraclea divenne la residenza del principe »
(pag- 39)-
Il III capitolo s' intitola La Madre di Venezia.
« Grado, privata dalla supremazia politica, conservava tuttavia la ve-
neranda autorità e potestà ecclesiastica ; teneva sempre la reggenza degli
animi di tutti gli abitanti lagunari » (pag. 43). GÌ' imperatori bizantini pro-
teggevano la chiesa di Grado. La qual città stava distesa sopra un terreno
dalla forma di una lama falcata ; pareva un grande castello a torri, fian-
cheggiato da una macchia di alberoni. Il duomo s' imponeva con la sim-
bolica prescritta dalle discipline del primo cristianesimo. Il patriarca Fortu-
— 479 —
nato chiamò a decorarla i più insigni artefici della Francia. A Grado,
« seconda città dopo Roma die possedesse il maggior numero di corpi
santi » (pag. 50) correvano in pellegrinaggio molti credenti, i quali arric-
chivano in tutte guise quel tesoro. Il doge Orseolo II, prima di recarsi a
fugare i pirati che infestavano l'Adriatico, poggiò a Grado dove ricevette
lo stendardo dei SS. Ermagora e Fortunato, e questo fu buon augurio delle
sue imprese. Lo stendardo glorioso fu poi restituito alla sua residenza. Quindi
Orseolo fece erigere a Grado un palazzo cui andava ad abitare quando
voleva riposarsi dalle fatiche del governo.
L' autore dedica il IV capitolo al Patriarcato.
Parla d'Aquileja e della sua importanza commerciale e strategica. Con-
vertita alla religione cristiana, nel IV secolo ebbe già « regole liturgiche,
vesti proprie, vasi, gerarchia ecclesiastica; nel 347 Fortunato eresse la ba-
silica aquilejese (non credo che l'autore voglia dire la presente), e il primo
dei vescovi a chiamarsi patriarca fu Paolino, nel 557, accusato più tardi
della usurpazione di un titolo che non gli spettava. I canoni antichi rico-
noscevano soltanto le cinque sedi patriarcali di Roma, Alessandria, Antiochia,
Gerusalemme e Costantinopoli » (pag. 56).
Il patriarcato di Grado venne da Aquileja; ebbe vita quando cessò il
litigio scismatico, durato trenta lustri in seno alla chiesa. Gregorio II, nel
concilio del 731 assegnò i territori ai due vescovi, stabilendo la cattedra di
Grado, staccata dalla diocesi antica. Dopo alcuni vescovi salì la cattedra di
Grado il triestino Giovanni (a. 766), il quale ricorse dal pontefice Stefano III
contro le violente pretese del suo vicino ed obbligare al rispetto le ribelli
diocesi istriane. Trovò brighe coi dogi Giovanni e Maurizio Galbai di Ve-
nezia, e questi lo fecero precipitare dalla torre più alta « sicché il sangue
dell' ucciso si rapprese sulle pietre del lastrico » (pag. 59).
Intanto erano venuti i Franchi, i quali tolsero le chiese dell' Istria alla
sede di Grado per sottometterle alla rivale Aquileja. Le contese si rinfo-
colano, i partiti si accentuano, il patriarca Fortunato è uno dei caporioni.
Grado é assalita da Pipino (809) che vi smantella le mura. Le quali ven-
gono poi restaurate dallo stesso Fortunato, che finì fiaccato nell'abbazia di
Moyen-Montier nell' 82 j.
Ed eccoci agli Ecclesiastici della spada che formano il tema del V ca-
pitolo.
Venezia, fatta padrona di sé, inizia la grande epoca dei marinai italiani.
— 480 —
« A Grado era sorta la chiesa nazionale, in Aquileja la cattedra si era
mutata in un feudo germanico ; la prima formava un corpo esclusivamente
ecclesiastico, con limitate funzioni civili, la seconda costituiva una corte
sfarzosa e romoreggiante di ecclesiastici della spada » (pag. 79).
Al patriarcato di Grado ricorrono spesso figli di nobili veneti. E Venezia
stessa era sorta mercè i vescovi di Grado, i quali tenevano nella prima un
palazzo per abitarvi qualche tempo dell'anno. In mano del patriarca i dogi
nei primi tempi prestavano il giuramento di fedeltà. Il patriarca Buono
Blancanico promosse nel 954 un sinodo in S. Marco per impedire il com-
mercio degli schiavi cristiani ecc. ecc. All' investitura del patriarca conve-
nivano i maggiori dignitari della Repubblica.
Ma il principato vescovile di Aquileja estendeva la sua giurisdizione su
17 diocesi dell'ampio territorio che andava dal lago di Como al Quarnero.
« Dal secolo X in poi ad ogni novello patriarca, nel giorno in cui se
ne proclamava la consacrazione, usavasi consegnare una spada sguainata in
segno del suo temporale dominio » (pag. 85).
Quasi tutti gì' imperatori avevano accordato alle terre patriarchine la
investitura principesca. Enrico lo Zoppo donò al patriarcato la contea di
Istria. Altri sovrani gli cedettero castelli, abbazie, chiese, paesi. Così il pa-
triarca era diventato il guardiano ecclesiastico che disponeva di una delle
chiavi d' Italia.
«Da Engelfredo in giù (944-1351), il patriarcato diventò, in paese di
genti italiane, un isolotto germanico, con una successione, rare volte inter-
rotta, di metropoliti tedeschi, la cui corte, foggiata sul sistema teutonico,
con cariche, titoli e cerimonie tolte ai Franconi, era spesso convegno di
poeti bavari, menestrelli del liuto » (pag. 86).
E qui l'autore parla brevemente del governo patriarchino, del sistema
monetario, dei balzelli, dei costumi, più belligeri che ecclesiastici. In pochi
tratti riassume le gesta di Federico, Popone, Raimondo, Pagano della Torre,
Gregorio di Montelongo, Volchero, Giovanni IV, Bertrando, Federico,
Gastone Tornano.
Il Zioba grasso forma l'argomento del VI capitolo.
Nel dodicesimo secolo Grado presentava l'aspetto d'una città « nascosta
dalle mura come una testuggine dal guscio » (pag. 93). Aveva in quel torno
"sofferto un grande incendio che buona parte l'avea distrutta. Era retta da
un gastaldo, che rispettava il codice primitivo delle poche leggi fatte in
famiglia. Sessanta delle sue principali famiglie erano passate a Venezia.
— 481 —
Il duomo era lastricato di tombe ; ivi riposavano i vescovi che tro-
varono rifugio in essa città. Neil' atrio custodiva una lastra il corpo del
doge Pietro Candiano. Ma S. Eufemia era stata deturpata.
Il patriarca Popone ottenne dal papa una bolla, con cui la chiesa di
Grado veniva posta all' immediata dipendenza di Aquileja. Poi la saccheggiò
barbaramente pigliando una propizia occasione. Quindi il doge Ottone e
il patriarca gradense Orso riconquistano la città che teneva un presidio
dell' aquilejese. Papa Giovanni IV rimetteva Grado nei suoi antichi diritti.
Le rivalità dei patriarchi d' Aquileja non cessarono. Quelli di Grado
erano di molto impoveriti, fino a chiedere l'elemosina. Voldarico d'Aquileja
occupa a tradimento Grado (1162) e rinnova le gesta dei suoi più audaci
predecessori. Il doge Vitale Michiel vuol punire tale oltracotanza, e riprende
a Voldarico la città, e lui, il patriarca, conduce con altri canonici captivi
a Venezia.
« Comperò Voldarico la libertà accettando il duro patto impostogli di
mandare ogni anno, il giovedì grasso, anniversario della sua sconfitta, un
toro e dodici porci, onde i Veneziani rivedessero nello strano tributo il
patriarca ed i dodici canonici vinti e catturati nell'isola di Grado» (pag. 102).
Il patriarcato gradense si avviava intanto alla sua estinzione. La quale
avvenne nel 145 1, dopo la morte di Silvestro Michiel, ultimo della serie
gradense. Allora il papa Nicolò V soppresse l'antica cattedra ed istituì quella
di Venezia.
Venezia poi spiò il momento propizio per convertire il patriarcato di
Aquileja, da tedesco che era, in italiano. Ciò avvenne dopo il 1420. Nel 175 1,
istituiti i due arcivescovati di Gorizia e di Udine, sparì anche quel vano
simulacro.
Il capitolo VII è intitolato II conte di Grado.
I Gradesi nel 1300 erano padroni di tutte le barene e velme sparse
dallo sbocco del Tagliamento a S. Giovanni di Duino.
L'assenza del patriarca aveva diminuito e reso molto più raro il con-
corso dei devoti alle spettacolose funzioni ecclesiastiche di S. Eufemia e di
Barbana. Anche in tempo di pace il signore mitrato di Aquileja stringeva
d' assedio la metropoli rivale : teneva chiuse le vie presso la foce del-
l' Isonzo ecc. Così Grado di giorno in giorno impoveriva, fino a mancarle
i viveri, mentre 1' aria dintorno si faceva mortifera.
« Alla reggenza del tribuno era succeduta quella del gastaldo, a questa
subentrò nell' Vili secolo la podestaria del rettor veneziano, il conte di
Grado » (pag. 1 13).
— 482 —
Malgrado le molte sventure, fra cui le fortuite scaturite dagli avversi
elementi, i Gradesi non emigrarono. Il primo conte, eh' era sempre dei
nobili del Maggior Consiglio veneziano, fu Gabriele Barbarigo (1266).
Durava in carica sedici mesi, ed era ad un tempo podestà, gabelliere, giu-
dice ed amministratore. — Le sue istruzioni erano su per giù quelle che
avevano taluni podestà dell' Istria.
« Grado non aveva leggi scritte, e si regolava col diritto consuetudi-
nario L' isola dipendeva bensì da Venezia nelle cose d' interesse ge-
nerale, ma conservava propria autonomia» (pag. 118).
Nel secolo XIV si compilarono gli statuti gradesi, che l'autore breve-
mente riassume. — Anche qui troviamo molti punti di contatto con le
disposizioni degli statuti delle città istriane.
Ad sommi campartele è il titolo dell' Vili capitolo.
Incomincia : « Chiamato dalla campana e dal banditore il Consiglio di
Grado si raccoglieva nella sala del Palazzo di città, posta sopra il Fontegor>.
Da qui prende argomento di parlare del palazzo del comune, e per descri-
verlo. Esso fu distrutto dai Francesi nel 18 12.
« È voce popolare che il Consiglio venisse eletto dalle sette case pa-
trizie, dette anche le famiglie della balla d'oro, le quali per avito privilegio
si tramandavano il diritto di possedere le cariche supreme. Formavano
queste i Burchio, i Corbatto, i Degrassi, i Marchesan, i Maran, i Marin ed
i Merlato » (pag. 129).
L' autore determina i vari uffici delle cariche. Poi parla dei privilegi
goduti dai Gradesi, e dei loro meriti nel servire la Serenissima.
« Il Consiglio di Grado era la più bella e più pura incarnazione del
comune italiano, e le cariche ed il titolo di alcuni ufficiali potevano dirsi
reminiscenze romane» (pag. 133). — E discorre del modo ch'erano tenute
le adunanze, e ne riporta un protocollo. Quindi dice del modo con cui
si rendevano esecutive le leggi e del modo che si procedeva nell'amministrar
la giustizia.
Nel IX capitolo si ferma ad osservare La città.
Rileva il carattere architettonico di lei, conforme in tutto agli ordina-
menti del medioevo veneziano. « Era divisa in sestieri, tre dei quali si
nominavano delle Porte grande, delle Porte piccole e della Porta nuova ».
Descrive i vicoli, i campi ecc. Grado forniva il pesce ai banchetti che davano
i dogi il giorno di S. Marco, dell' Ascension, di S. Vito e di S. Stefano.
- 483 -
Cessato il patriarcato, il popolo si eleggeva il pievano ; il primo fu
Giovanni Aspasio (1470). — Venivano in soccorso del culto, provvedendo
ancora alla famiglia sacerdotale, le /ragie o fraterne.
Le principali confraternite erano due, quella dei pescatori e l'altra dei
renaiuoli (sabbio/ieri).
I pescatori godevano a Venezia un onore speciale nella grande solen-
nità dell'Ascension. — « I pescatori di Grado avevano il proprio gastaldo,
che presiedeva alla scola o f ragia, ma si dividevano in varie squadre ciascuna
vincolata al parcenevolo » (pag. 161). Ricorda quindi altri costumi pesche-
recci, interessantissimi, nonché le leggi e le restrizioni che regolavano la
pesca.
Quindi rammenta le feste, originali e poetiche.
Dai pescatori passa ai renaiuoli, raccontandone la vita, le leggi, i co-
stumi e i privilegi. — Avvegnaché i sabbioneri pretendono che la salvezza
della città ducale fosse dovuta ad un proprio antenato (vedi racconto pa-
gine 166-167).
« Il genere di vita che menavano li rendeva violenti : faticoni nell' iso-
lamento, baruffanti nell'ozio».
Dopo queste vengono le altre classi : « i burehieri da legna, i traghet-
tanti, i portadori de vin, de oio, de pesi, i filacanevi, i mureri e gli er-
bajuoli ecc. ». E da questi l'autore passa ad osservare le arti nobili, e final-
mente alle occupazioni della gioventù.
// Perdon di Barbana torma oggetto del X capitolo.
Sembra che originariamente Barbana fosse il lazzaretto di Aquileja,
distrutto da una bufera nel 582. Il patriarca Elia, greco di nazione, edificò
poi una chiesa con il soccorso delle limosine, quindi un monastero. E qui
viene la leggenda di quella Madonna miracolosa.
Venezia che vedeva crescere d'importanza Barbana, e temendo ch'essa
passasse in mani straniere, « provocò una cerimonia, che sotto colore di
devozione, celava la conferma del suo diritto politico e civile » (pag. 186).
La gran festa di Barbana usavasi solennizzare nel dì della Pentecoste
e nei due giorni seguenti. Vi andavano in gran treno tutte le autorità di
Grado. «Ma nel 1600, a cagione de' tempi funesti alla popolazione, non
potendo il Consiglio concorrere alla spesa della cerimonia, e non volendo
alcuno accettar la carica di capitano, la quale portava con se qualche dispendio,
si deliberò di lasciar cadere l'uso con grande dispiacere del veneto Senato ;
che con la ducale 16 gennaio indie. 8 anno 1609 ordinava al conte» di
continuare la festa come in antico (pag. 190).
u
- 484 -
Il Santuario era rimasto in custodia dei Benedettini e sotto la giuris-
dizione di Grado fino al 1450, poi passò alla Badia dei monaci Vallom-
brosani. Il Senato veneto però, in seguito a petizione dell'Università gradese,
con ducale 21 aprile 1721 limitò l'azione della Badia di Sesto alla sola
preservazione ecclesiastica.
Barbana, fino alla caduta della Repubblica, era il preferito Santuario dei
Veneziani. Da ultimo l'autore descrive la chiesa.
L' XI capitolo s' intitola Guerra piccola.
L'autore riassume le più importanti vicende di Venezia, e della parte
che si ebbe Grado di scancio. I confini tra il territorio della Repubblica e
quello dell' Impero nel Friuli era sempre incerto e non ben definito, pre-
cisamente come nell' Istria. Da ciò avvenivano continue violazioni ed attriti.
Grado si trovava in un lago veneto, ma toccando riva si doveva spesso
smontare su territorio di estero Stato. Ciò dava luogo a frequenti conflitti,
occasionando delle piccole guerre, che trassero Grado alla desolazione, tanto
più eh' era inerme. Grado venne anche assalita e saccheggiata dal Doria
dopo la sua vittoria sul Pisani ai Brioni. — Nel 1577 Venezia ordinò a
Grado la formazione delle Cernide, per sua propria difesa. Ebbe frequenti
contrasti con Gradisca e Fiumicello che mandavano a pascere gli armenti
lungo l' Isonzo e su terreni di ragione di quei di Grado. Patì molestie anche
dagli Uscocchi, e la popolazione fu orribilmente decimata nelle pesti del
1575 e 1579. La città era ridotta così, che persino il conte non poteva
stare più nella sua abitazione resa cadente (1775).
Negli ultimi anni del secolo XVIII Grado parve risorgere. Ma poi
vennero poco dopo i frequenti mutamenti di governo. Nel giugno 18 io
fu sorpresa e bombardata dagli Inglesi, che non trovarono di meglio che
di abbruciare 1' archivio !
Nel XII capitolo si parla delle Reliquie d' arte.
Grado, la più antica città della Venezia marittima, è la sola che può
vantare qualche edifizio del sesto secolo.
L' autore dice quindi della cattedrale, della chiesa della B. V. delle
Grazie e del Battistero, raccontandone l'origine e le molte vicende di re-
stauro ecc.
Poi continua : « Sarà difficile si riesca a sciogliere la questione, perchè
' tanto nel V come nel VI secolo, l' arte discese a così compassionevole
miseria da non lasciar determinare con sicurezza se i prodotti di essa ap-
partengano piuttosto ad un periodo che all' altro ». Ma tale quesito
- 4«5 -
mi pare sia stato risolto dal compianto prof. Raff. Cattaneo nel suo aureo
libro V architettura in Italia dal secolo VI al mille circa, nel qual libro,
(pure consultato dal sig. Caprin) si dimostra qualmente l'arte architettonica
si mantenesse splendida fino alla metà del 500 circa, dalla qual epoca in
poi appena cominciò a decadere per imbarbarirsi del tutto durante la do-
minazione longobardica. E il Cattaneo spiega il perchè avvenisse, che mentre
nella prima metà del secolo VI l'arte bizantina era venuta a ristorare alquanto
l' italiana, noi tacesse eziandio in sullo scorcio del secolo stesso.
« Possedeva Grado la supposta cattedra alessandrina di S. Marco, donata
dall' imperator Eraclio, nel 630 circa, al patriarca Primigenio, poi trasportata
a Venezia nel secolo XVI e posta dietro l'aitar maggiore, custodita adesso
neh' antitesoro » (pag. 241).
Ma non si sa dove e quando siansi smarriti gli oggetti del tesoro
gradese, arricchito cospicuamente da Fortunato, triestino, e poscia da Ve-
nerio. Si sa solo che in parte vennero involati dai saccheggianti, e parte
dai ladri domestici. L'autore enumera quindi i pochi cimeli che rimangono.
Restano ad ogni modo ancora le tracce della sontuosa architettura che
ornava la città detta giustamente la Gerusalemme di Venezia.
I due ultimi capitoli sono dedicati ai Canti lagunari e alla Vita isolana
— interessanti anche questi, tanto per l'etnologo che pel filologo, ma che
io oltrepasserò essendomi proposto di rilevare soltanto la parte storica
del libro. Chiude il volume un'Appendice, in cui si trova: la Serie dei pa-
triarchi, il Patriarcato di Grado canonicamente riconosciuto, le Famiglie di
Grado, i Numeri usati dai pescatori di Grado, e Del testamento di Fortunato,
triestino. — Ed ora ancora poche parole.
II presente volume del sig. G. Caprin è condotto con maggiore severità
storico-scientifica del primo.
Un'osservazione intorno ai disegni. Quei frammenti d'ambone a pag. 46
dell'opera del Caprin sarebbero, secondo il Cattaneo, dell'VIII secolo, mentre
il fregio dei cancelli del duomo, che il Caprin riporta sopra ai detti fram-
menti, sarebbero dei primi anni del secolo IX. Dal Caprin, invece, non so
con quanta ragione, sono ascritti tutti in massa al VI secolo. Vero però
che, per quanto trattasi del tramezzo del coro, egli si corregge a pag. 240,
o per lo meno ricorda il Cattaneo che lo attribuisce, come ho detto, al
secolo IX. Non sono parimenti con lui d'accordo, giudicando sempre per
analogia, che i disegni a pag. 47 e 48 appartengano al VI secolo, ma sì
bene all' Vili e forse al principio del IX.
— 486 —
Un'ultima osservazione, e questa riflette la nota seconda posta a pag. 83
del libro. In essa nota si parla di un processo disciplinare che il patriarca
d'Aquileja sarebbe stato autorizzato (a. 1376) dal papa Gregorio XI di fare
a Tommaso vescovo di Cittanova. Questo è un errore che fu ripetuto e
divulgato da altri storici.
Nel sillabo dei vescovi di Cittanova d' Istria il Kandler mette nell'anno
1376 il vescovo F. Nicolò, nel 1377 Ambrogio, poi vengono Tommaso e
Filippo, ai quali due ultimi vi sta da presso un punto interrogativo.
Ecco come sta la cosa secondo il Carli {Ani. It. voi. IV).
I vescovi di Cittanova nell'Istria si sono intitolati Civitatis novae, e non
Aemonienses, sino ad Adamo del 1146, che fu il primo a chiamarsi così.
— Civitas nova comparisce anche nel Placito di Risano (804). Per la serie
dei vescovi si è introdotta grande confusione, in grazia di Eraclea, nelle
lagune di Venezia, la quale subito dopo che fu rifabbricata, si denominò
pure Città nuova, ed i di lei vescovi, detti Civitatis novae, furono confusi
con quelli di Cittanova nell' Istria. Carli sospetta che questa fosse la ragione
che poi si dissero Aemonienses.
Dunque il Tommaso di sopra è di Eraclea e non di Cittanova.
M. T.
ATTI DELLA SOCIETÀ
IL V CONGRESSO ANNUALE
SOCIETÀ. ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA E STORIA PATRIA
qDDÌ 7 settembre 1890 ebbe luogo a Parenzo, nella sala della Dieta
provinciale, il quinto Congresso sociale, presieduto dal presidente
on. avv. Andrea dott. Amoroso.
Stavano all' ordine del giorno i seguenti punti :
/. Resoconto morale della Società per V anno 1889 ;
2. Esposizione del conto consuntivo dell'anno 1889, e di quello di previsione
per r anno 1891 ;
}. Elezione della Direzione per la durata del settimo anno sociale;
4. Eventuali proposte di singoli soci.
Aperto il Congresso circa alle ore 1 1 ant., il Presidente saluta gì' in-
tervenuti, e prima di concedere la parola a! Segretario incaricato di dare
il Resoconto morale della Società per l'anno 1889, legge egli stesso la
seguente Relazione su
Le Basiliche cristiane di Parenzo.
Onorevoli Signori !
Aprendo il quinto Congresso della nostra Società, lascio la cura al
prestantissimo Direttore-Segretario dott. Tamaro di esporVi, come di con-
sueto, e con quella maestria che gli è propria, il Resoconto morale dell'anno
— 490 —
sociale, che con oggi si chiude, dal tempo dell'ultima nostra adunanza. A me
permettete, o Signori, che V intrattenga piuttosto di altro speciale argo-
mento, cioè degli scavi di antichità intrapresi dal Rev. Parroco-Decano
Mons. Paolo Deperis entro e fuori della basilica di questa città. La Vostra
Direzione ha preso troppo viva parte a questi scavi, e la fama di essi è
ormai troppo penetrata nel pubblico, accorso numeroso a visitarli dalla
provincia e dal di fuori, perch' io non senta il dovere di riferirVene almeno
brevemente. Dico brevemente, perchè come avrete 1' occasione di persua-
derVene, la grande importanza dei medesimi darebbe veramente materia a
deduzioni molte nel campo dell'archeologia cristiana e della storia nostra
ecclesiastica, se non fosse che io non intenda di prevenire ora quello studio
più ampio, che a suo tempo ne farà lo stesso Monsignore, cui è dovuto il
grande merito della scoperta di un tesoro archeologico, quale nessuno di
noi sospettava neppure lontanamente di possedere. Mio scopo del momento
si è unicamente quello d'illustrare la parte materiale degli scavi sinora ese-
guiti, sia perchè non si diffondano, per avventura, delle notizie men che
esatte sui medesimi, sia per offrire a chiunque desiderasse di farne argo-
mento di studio, dei fatti bene accertati, ai quali potersi attenere. Furono
accumulati tanti errori da coloro che scrissero della presente basilica, cieca-
mente ricopiandosi a vicenda, che non mi maraviglierei punto se lo stesso
fatale destino venisse a pesare anche sulle nuove scoperte; ed ognuno sa
quanto è difficile che la verità riesca poi a farsi strada frammezzo agli errori,
specie se questi sono divulgati da persona autorevole.
Per entrare subito in materia, dirò dunque che i risultati principali
ottenuti dagli scavi possono riassumersi : primo, nella scoperta di una pri-
mitiva basilica cristiana; secondo, nella constatazione dell'esistenza di una
seconda basilica, sulle cui fondamenta il vescovo Eufrasio (a. 524-556 ') ha
eretto poscia quella che da lui prende nome, la quale, cronologicamente,
') Il vescovato di Eufrasio fu straordinariamente lungo. Se è certo però eh' ei vivesse
ancora nel 556, ciò deducendosi dalla lettera dello stesso anno scritta dal pontefice Pelagio I
all'esarca Narsete; non è parimenti accertato che fosse fatto vescovo di questa sede nel 524.
Questa cronologia, fornita dal dott. Kandler, si fonda unicamente sulla opinione che i
vescovati istriani fossero contemporaneamente istituiti nel 524 circa. Eufrasio era greco
di origine al pari dell'arcidiacono Claudio. Entrambi sono effigiati, assieme al chierichetto
'Eufrasio, figlio di quest'ultimo, sulla volta dell'abside. L'artista li ha ritratti al naturale,
servendosi nella composizione delle teste di minutissimi tesselli vitrei. Eufrasio ha l'aspetto
di uomo che ha appena raggiunto 1' età matura.
— 49i —
sarebbe perciò non già la prima, come erroneamente venne sinora ritenuto,
ma appena la terza basilica cristiana.
La basilica prima è quella che occupava il fondo a settentrione del-
l'attuale, adoperato ad uso di cimitero sino alla fine del secolo passato, e
trasformato ora in giardinetto vescovile. Era costruita ad una sola nave
priva di abside, lunga m. 23 e larga m. 8.50. Per la sua forma di sem-
plice oblongum, questa basilica rappresenta il tipo delle chiese cristiane più
antiche. Una porta sola, posta ad occidente, dava ingresso alla basilica,
e l'altare era collocato ad oriente, acciocché i fedeli orando guardassero al
sorgere del sole. Il pavimento di un solo piano sottostava di m. 1.80 a
quello della basilica eufrasiana. Nel muro di mezzogiorno aprivasi una porta
la cui soglia è ancora conservata, la quale metteva direttamente in un oratorio
attiguo, ampio m. 8 per lato. Sul pavimento musivo di quest' oratorio
leggesi la seguente iscrizione in lettere nere su fondo bianco :
/////PICINVS
////////SCASIA
/////EVERENTIA • FAFE'C ■
Lupicinus et Pascasia cum Reverentia famula fecerunt (pedes) C.
Gli avanzi del pavimento musivo di questa basilica primitiva sono
ammirandi per vaghezza di disegno, per sobria ma efficace distribuzione di
colori, e per accuratezza di esecuzione.
L' ampia nave era contornata da una larga fascia bianca, susseguita
da più ampio fascione seminato di croci stellate, le quali intermezzavano
altresì le tre grandi decorazioni campeggianti nello spazio longitudinale
mediano.
La prima decorazione poco distante dalla porta d' ingresso rappresenta
una corona a triplice giro di foglie d'alloro, chiusa da doppio cerchio, cui
corrisponde al cerchio maggiore un ottagono formato di meandri, ed al
minore altro simile ornamento circolare. Su cadaun lato dell'ottagono svi-
luppasi una ingegnosa combinazione di quadrati e di figure intiere rom-
boidali e di mezze figure, racchiudenti le prime una rama di fiori, e le
seconde un giglio : chiude l' intiero quadre una fascia larga di linee in-
trecciate. Circondata dal minore cerchio formato di meandri leggesi la iscri-
zione seguente :
— 192 —
INFAN/tf//////////
ET INNOC/////
EX SVO ?/////
BASI////////////
TES/////////////
Wljlll
Infantius et Innocentia ex suo (palatio ?) basilicam et tessellatis pedes ....
La parte destra di questa importante iscrizione venne pur troppo rotta
da una tomba erettavi sopra.
La decorazione di mezzo ci mostra altro quadrato, in cui è raffigurato
un cratere ansato, munito di alto piede, dal cui vano spuntano due rame
incrociantesi di fiori e foglie, i quali riempiono colle loro volute l' intiero
spazio del quadrato. Sull' alto leggesi l' iscrizione :
/// PICINVS ET PASCASIA ■ P • CCCC F
ed al basso :
CLAMOSVS MAG • PVER • ET SVCCESSA ■ P • C ')
FELICISSIMVS CVM SVIS • P • C ■
Particolarmente splendida è la decorazione del quadrato della sezione
superiore, poiché quivi si trovasse il posto dell' altare. Quattro strappi di
forma circolare disposti a rettangolo segnano ancora nel pavimento il sito
dov'erano infisse altrettante colonne, che servivano di sostegno alla mensa.
Un rocchio marmoreo venne dissepolto a breve distanza, il cui diametro
combina perfettamente colla periferia dei fori nel pavimento.
A destra dell' altare vi ha un quadrato di un metro per lato, incor-
niciato da vaga fascia di triangoli colorati fra loro conserti, ed orlata di
') I cristiani ebbero sino dai primi secoli proprie scuole per l' istruzione della gio-
ventù nelle scienze sacre e profane, dalle quali usciva di preferenza il giovine clero. In
- quelle scuole coltivavasi anche la musica sacra. Sotto questo riguardo, la iscrizione si
presenta particolarmente notevole. Vedi nel proposito : F. X. Krause. Real-Encyclopedie
der Christìichen Alkrlhùmer, Freiburg im Breisgau, 1886, tomo II, pag. 173, e L. Duchesne.
Origine* du eulte ebrètien, Paris, 1889, pag. 535.
— V93 -
fascie bianche. La cornice in giro è larga cent. 25, motivo per cui il campo
interno del quadro si restringe a cent. 50. In questo campo spiccano due
notevoli emblemi. La metà inferiore di esso è occupata da un magnifico
pesce, intieramente conservato, e la superiore da una sigla risultante dal-
l' intreccio di due simboli della croce, cioè, dal gamma greco, e da altro
segno simboleggiarne la croce stessa, e che veduta in piedi rassomiglia alla
effe maiuscola, presentando esso un' asta verticale con due corte linee tra-
versali, che partono in direzione ascendente, l'una dalla testa, e l'altra dalla
metà circa dell'asta. Nella sigla suddetta, il gamma greco si mostra quattro
volte, essendo disposto in modo da presentare due piccoli quadrati succe-
dentisi con un lato comune ; con questo però che al quadrato sinistro manca
il lato sinistro, ed al quadrato destro il lato superiore. L'altro simbolo della
croce, somigliante alla effe maiuscola colle doppie traversali, ricorre due volte
nella sigla medesima, ed è posto quasi a modo di due diagonali nei due
quadrati formati dai gamma, in guisa che le aste principali della effe pre-
sentano un triangolo che ha per base una parte dei due lati inferiori dei
due quadrati, pel vertice del quale vi passa poi il lato comune, che divide
così il detto triangolo in due triangoli equivalenti. Quattro gamma compon-
gono la croce equilatera, e due effe poste l' una a destra e l'altra a sinistra,
in modo da volgersi il tergo, compongono anch'esse la croce antica. Non
si potrebbe perciò dubitare che sotto la stessa sigla si celi uno dei simboli,
coi quali veniva anticamente rappresentata la croce. Il susseguente disegno
rende più chiara la forma della sigla ora descritta :
In piena corrispondenza simmetrica del quadrato descritto havvene un
secondo, identico al primo, nel cui campo inferiore ritoma il pesce, che
riposa questa volta sopra il piede di una vera croce, formata dall' interse-
camento di due figure, che somigliano a due anelli allungati. — Questi
due quadri, posti ai lati dell' altare, rappresentano pertanto il medesimo
mistero. In tutti e due vi è il pesce, simbolo di Cristo; in un quadro la
croce è apertamente rappresentata sopra il pesce, e nell'altro soltanto sim-
bolicamente. La superficie totale del pavimento rimesso a giorno misura
m. q. 90.
— 494 -
Alla domanda a quale secolo appartenga questa basilica, nessuno può
meglio rispondere del monumento stesso. Noi abbiamo dinanzi, come si è
veduto, una chiesa cristiana che per la sua forma ed orientazione ricorda le
prime chiese menzionate dalle costituzioni apostoliche : « ecclesia sit in primis
longa, et ad orientem versa » ; abbiamo musaici di corretto stile, e di finita
esecuzione, i quali ci rivelano un'arte ancora lontana dal decadimento ; ed
abbiamo, infine, la rappresentazione simbolica della croce, di cui i cristiani
si servivano nei primi secoli, onde non esporre questo sacro segno al pericolo
di profanazione da parte dei pagani. Che se alle prove di remota antichità
desunte dal monumento medesimo, si aggiunge ancora la considerazione
della decorrenza del tempo necessario al succedersi di due basiliche, di cui
la eufrasiana non sarebbe in ogni caso più tarda della prima metà del
secolo VI ; parmi, per tutte queste ragioni, che si possa assegnare, con
sufficiente fondamento, alla piudetta basilica 1' età del II secolo circa.
Un indizio abbastanza convincente della sua non breve durata ci viene
offerto d'altronde dallo stesso musaico del pavimento, che scorgesi rappez-
zato da mano inesperta al sito della iscrizione che comincia colla parola
////PICINVS (Lupicinus), e cosi pure dal prolungato uso che manifesta la
soglia, per la quale passavasi dalla basilica nell'attiguo oratorio.
Più sicuro appoggio troviamo nella storia per fissare il tempo della
probabile fine di questa basilica, riportandovela a quello della distruzione
generale delle chiese cristiane ordinata dagl'imperatori Diocleziano e Gallt*aò
coll'editto di Nicomedia 24 febbraio 303 ; ed i carboni rinvenuti nelle ma-
cerie della chiesa distrutta dimostrano che non si fosse risparmiato neppure
il sussidio del fuoco. E così scomparve la basilica primitiva.
Superata questa persecuzione che fu l'ultima in Occidente, i cristiani
ottengono finalmente pace e sicurezza dall' imperatore Costantino, il quale
parifica, coll'editto di Milano del 313, la religione cristiana alla pagana, la
sola sino allora riconosciuta e protetta dalle leggi dello Stato. Riedificansi
in conseguenza dovunque, auspice talvolta lo stesso imperatore, le chiese
abbattute, e sorge qui pure la seconda basilica, che a buon diritto si può
chiamare perciò la Costantiniana. Questa basilica, come ho poc' anzi av-
vertito, è quella stessa, sulle cui fondamenta il vescovo Eufrasio alzava poscia
la propria, la quale differisce dalla precedente unicamente nell'abside bizan-
tina al di fuori poligona, ed in questo ancora che dalla quarta colonna a
sinistra in avanti abbandonavasi la linea delle vecchie fondamenta, per vol-
'gere colla nuova fabbrica alquanto più a destra. Il distacco dei due muri
al termine della linea è di cent. 60. Di questa seconda basilica restano al
posto la soglia della porta maggiore, e quella della porta laterale sinistra.
— 495 —
Il pavimento ne è tutto a musaico, e laddove non fu rotto dalle molte
tombe di vescovi e di privati, dura ancora bene conservato. — Al sito
della soglia esso è più profondo di cent. 85 di confronto a quello dell'odierna
basilica ; le soglie della basilica seconda, che formano gradino, si abbassano
invece di cent. 69 rispetto a quelle della basilica presente, alzandosi le me-
desime di poco dal livello del pavimento.
Nello spazio interrato fra i due pavimenti della navata sinistra scopri-
vansi nel 1880, in cui furono levati gli avanzi del pavimento della basilica
eufrasiana per sostituirvi il presente selciato a quadrelli marmorei '), alquante
colonne di pietra calcarea coi capitelli a volute e foglie di buon disegno,
ma appena sbozzate, le quali avevano servito di sostegno agli archi divisori
della navata. Due rocchi ed una base di queste colonne veggonsi pure
immurate nelle fondazioni che sopportano le colonne della basilica presente;
locchè dimostra indubbiamente che il livello originario del pavimento non
ha subito successivamente nessuna alterazione.
Lungo la facciata venne scoperto un pavimento musivo a spinapesce
formato di grandi tesselli bianchi e rossi, il quale continua al di là della
medesima nella direzione nord, quivi pure essendosi rinvenute allo stesso
livello le vestigia dello stesso musaico.
') Non si può abbastanza deplorare la distruzione di quel bellissimo musaico. Esso
era bensì interrotto dalle tombe aperte in precedenza nella basilica, e qua e là anche
molto deperito ; ma non tanto da non essere suscettibile di un futuro ristauro, od almeno
di un provvisorio consolidamento. Senza pregiudizio della nuova selciatura, si potevano
benissimo inquadrare tutte quelle sezioni del pavimento che presentavano maggiore soli-
dità, e migliore stato di conservazione. Il francese Charl Èrard, che disegnò negli anni
1877 e 1878 la basilica in tutti i suoi dettagli, vi dedicò al musaico del pavimento, non
ricordo più bene, se una o più tavole a colori. Il disegno a contorno dello stesso pavi-
mento fu rilevato pure dal sig. Giulio De Franceschi, che ne fece poi dono, colla con-
sueta gentilezza d'animo che lo distingue, alla Direzione della Società archeologica. Nel
pavimento eufrasiano figuravano anche varie iscrizioni votive. — Ciriaco d'Ancona, che
visitò molto probabilmente Parenzo nel 1432, allorquando si condusse in Aquileja, lasciò
trascritte nel Codice Parmense le seguenti tre iscrizioni, riportate indi nel Corpus del
Mommsen ai n. 365-367 del voi. V, parte I. Vi manca però la divisione dei versi.
FAVSTA • INLVSTRIS • FEM • CVM ■ SVIS • FECERVNT • PEDES ■ Lx
CLAVDIA RELIGIOSA- FEM • CVM • NEPTE • SVA • HONORIA PRO ■ VOTO
SVO • FECERVNT ■ PD • CX
BASILIA • RELIGIOSA • FEVENA • CVM ■ SVIS • FEC ■ PD XC
— 496 —
Appena varcata la soglia della porta maggiore si presenta sul pavimento
il seguente frammento musivo d' iscrizione :
///////DI ET
///////LECT (or)
///////PD XC
Su quello della navata sinistra, a poca distanza dalla porta d' ingresso,
leggevansi le seguenti due iscrizioni :
IOHANNIS
ROMEVS CVM
SVIS PRO VO
TO SVO FECIT
PEDES XX
e la seconda :
CVIVS NVM
EN DS NVVET
PRO VOTOS
VO FC- PD XIII
Queste iscrizioni furono trasportate nel battistero, convertito ora in
museo cristiano, assieme ad alquante sezioni del pavimento musivo così di
questa, come della basilica eufrasiana. Ivi vennero collocate pure le colonne
ed i capitelli, menzionati poc' anzi, ed i cimeli marmorei di quest' ultima
basilica consistenti in plutei, riquadri di ambone, confessioni di altare, colonne
di chiusa del presbitero ecc., non che le iscrizioni lapidarie, delle quali dirò
appresso. I monumenti cristiani di più tarda età troveranno separato posto
in fondo al quadriportico, chiuso da cancellata.
Alla basilica andava annesso dalla parte di settentrione un oratorio,
parte del quale fu scoperto allorquando scavavansi le fondamenta della cap-
pella del coro fatta costruire dal vescovo Peteani '). Questa basilica aveva
infine ampio presbitero, ossia quello spazio che comprendeva il cborus, il
praesbyterium ed il sanctuarinm. Dal piano della nave si ascendeva al coro per
due gradini, alti ciascuno cent. 14 ; da questo si montava per altri tre gradini
') Da manoscritto del defunto canonico Weber, il quale lasciò memoria del pavi-
mento musivo da lui veduto, ed anche di un altarino ivi trovato, che non si sa dove sia
andato a finire.
— 497 -
della stessa altezza al presbiterio ; veniva infine il santuario elevato di un
altro gradino. Il santuario era perciò cent. 84 più alto della nave maggiore ').
Nessuna memoria certa era giunta sino a noi di una basilica primitiva,
e contradittori erano pure i pareri intorno agli avanzi della basilica seconda,
nei quali i più preferivano di vedere, trincerandosi dietro l' autorità del
chiaro archeologo dott. Kandler 2), i resti di un tempio pagano. E mi-
gliore luce non venne neppure dall' iscrizione della lapide sepolcrale, rinve-
nuta nel 1846 sotto l'altare maggiore della presente basilica. La lapide è
di pietra calcarea dura: misura in lunghezza m. 1.20, in altezza m. 0.96
e in grossezza m. 0.10. Le parole delle due ultime linee furono scalpellate,
come sospettiamo, nel secolo XIII, e non monta ora di dire per quale
ragione. La iscrizione (Tav. I) è la seguente :
HOC CVBILE SANCTVM CONFESSORIS MAVRI
NIBEVM CONTENET CORPVS
HAEC PRIMITIVA EIVS ORATIBVS
REPARATA EST ECCLESIA
3) HIC CONDIGNE TRASLATVS EST
VBI EPISCOPVS ET CONFESSOR EST FACTVS
IDEO IN HONORE DVPLICATVS EST LOCVS
mMiiimiMi\\iì\mii\\nm\iMi\iin\\Mm>
Il dott. Kandler, che fu il primo a pubblicare questa iscrizione, non
però in lettura corretta, opinò che la chiesa risanata per le orazioni di Mauro,
si dovesse intendere nel senso di tempio mistico; quanto poi al trasporto
della tomba del santo vescovo e confessore Mauro in altra chiesa parimenti
ricordata dalla lapide, suppose, nell' ignoranza della esistenza della seconda
basilica, che la tomba si trovasse dapprima collocata nei mausolei (?), che
stavano ai lati della basilica attuale, oppure nel portico, e che il suo trasporto
nell' interno sia stato appena successivamente effettuato. E siccome il dott.
Kandler era convinto che la istituzione dei vescovati istriani non fosse an-
teriore al 524 circa; cosi dovendo ei pure dire alcunché del tempo, in cui
Mauro avrebbe occupata questa cattedra vescovile, congetturò altresì che
') Vedi nota aggiunta alla fine della Relazione.
*) Kandler. Cenni al forestiero che visita Parendo. Trieste, 1845. — Indicazioni per
riconoscere le cose storiche del Litorale. Trieste, 1855.
*) Il punto apparente nella Tavola dopo la lettera G dipende da un tarlo della pietra.
- 498 -
ciò fosse nel 598, mentre durava ancora lo scisma cosidetto dei Tre Capitoli,
e che avendo il detto vescovo avuto il coraggio di confessare pubblicamente
la sua ortodossia in faccia alla preponderanza degli scismatici, spalleggiati
dai funzionari dell' impero, venisse sepolto in altro luogo che non fosse la
basilica ; ma che restituita la comunione romana, lo si abbia voluto poscia
onorare per la confessione che per poco non lo aveva fatto un martire,
trasportandone l'arca entro alla basilica '). Era troppo grande 1' autorità del
Kandlcr, perchè la interpretazione da lui data alla iscrizione non venisse da
tutti accettata, e per primo dalla Curia vescovile, dalla quale uscì indi emen-
dato il sillabo dei vescovi parentini, interpolandone dopo Agnello, od Angelo,
del 590, il nome di Mauro e l'anno 598.
Non ci attribuiamo a merito particolare, se noi che scriviamo quasi
mezzo secolo dopo, e facendo parlare per così dire gli stessi monumenti,
ci troviamo in grado di dare alla iscrizione una interpretazione ben più
corrispondente al vero, senza che perciò nulla si scemi di quella riverenza
che portiamo alla memoria del benemerito defunto, che ci è occorso di
nominare.
Tradotta in italiano, la iscrizione dice letteralmente così : questo sepolcro
santo contiene il candido corpo del confessore Mauro ; questa chiesa primitiva
fu riparata pelle sue orazioni; fu qui condegnamente trasferito ove fu fatto vescovo
e confessore; così il loco è duplicato in onore. Qui troviamo dunque chiara-
mente ricordata la esistenza di due chiese, cioè, di una chiesa primitiva, e
di una chiesa seconda, ossia: della primitiva rifatta. Anche le parole: IDEO
IN HONORE DVPLICATVS EST LOCVS accennano ad una seconda
chiesa, avendo esse, secondo quanto ha sagacemente osservato il chiarissimo
archeologo Gio. Batta de Rossi, un significato materiale e morale, quello,
cioè, che la chiesa è stata fatta più grande, e che il suo onore fu pure
aumentato, perchè conserva il corpo del martire Mauro *). L'eufrasiana non
è per certo l'una o l'altra delle chiese menzionate dalla iscrizione, perchè
costruita molto tempo più tardi. Per sapere quali e dove esse fossero, non
ci fa però più bisogno di ricorrere a congetture : il denso velo che le ha
coperte per lungo volgere di secoli è sollevato, ed entrambe quelle chiese
') L'Istria (giornale), a. II, 1847, pag. 219.
, 2) Devo questa notizia a cortese lettera del chiar. prof. Bormann dei 25 agosto a. e ,
cui io aveva spedito a Vienna la fotografia della iscrizione, e che, recatosi a Roma durante
le vacanze, ebbe occasione di mostrarla al comm. de Rossi, e di conferire con lui intorno
alla interpretazione da darsi alla iscrizione.
— 499 —
si rivelano ora a noi nelle loro venerande reliquie. La iscrizione parla di
una chiesa primitiva; e questa chiesa noi la veggiamo effettivamente negli
avanzi della basilica più antica, che ho poc' anzi descritto. La iscrizione
accenna parimenti ad una chiesa primitiva rifatta e duplicata, e questa pure
ci sta davanti in quelli della basilica seconda, che è grande quanto l'attuale.
L' accordo della iscrizione coi monumenti è dunque perfettissimo.
Ma vi ha di più ancora : la iscrizione unisce a queste due chiese la
memoria di un Mauro vescovo e confessore, pelle cui orazioni la chiesa
primitiva venne rifatta, e nella quale si trova il santo sepolcro che contiene
il suo candido corpo, trasferito condegnamente colà, ove fu fatto vescovo
e confessore. Colle quali parole si è voluto manifestamente significare che
la chiesa, nella quale il detto corpo venne trasportato e sepolto, non era
materialmente quella stessa che Mauro vide in vita, ma la rappresentava
soltanto moralmente, e ch'egli non era perciò vescovo della chiesa primitiva
ritatta, ma bensì della semplicemente primitiva, di quella chiesa, cioè, ove
fu fatto confessore, ossia martire.
Esprimendosi in questa maniera, la iscrizione non solo conferma quindi
di essere sincrona alla basilica seconda — ciò che apparisce del resto anche
dagli stessi caratteri paleografici, che la indicano del IV secolo ; — ma
aggiunge nuovo argomento di prova che l' origine della chiesa primitiva,
denominata basilica dalla iscrizione musiva per la sua dignità di chiesa epi-
scopale, risale ad un tempo ben anteriore, e che sarebbe appunto quello
che abbiamo creduto di poterle superiormente assegnare. L'onore derivato
alla basilica seconda dal possesso del corpo di S. Mauro, passò poi alla
eufrasiana, che ne ebbe la custodia sino all'anno 1354, in cui, espugnata la
città dall' ammiraglio Pagano Doria, esso corpo venne levato da colà, e
trasportato a Genova come bellica preda, dove fu deposto nella chiesa ab-
baziale della famiglia omonima ').
La traslazione in città del corpo di un santo martire è attestata da
un'altra iscrizione rinvenuta circa cinquanta anni addietro nell'occasione del
disfacimento di un vecchio muro, che divide la corte dell'episcopio dall'at-
tiguo piazzale. Fortuna volle che in quel tempo di poca o nessuna cura dei
monumenti antichi, non si distruggesse la lapide; inalasi collocasse, dopo
ri latto il muro, sull'alto del portone dalla parte del piazzale. Tutti hanno
') Come è già noto, quelle reliquie ritorneranno presto qui per generosa concessione
fatta alla citta di Parenzo dagli illustr. Governatori della famiglia dei marchesi Doria.
— 500 —
veduto da allora in poi quella iscrizione ; ma, caso strano ! nessuno vi ha
messo attenzione, e pubblicolla. Levata dal sito, essa trovasi ora collocata nel
battistero. La lapide, di pietra nostrana, alta m. 0.66, larga m. 0.56 e grossa
m. 0.9, venne gii d' antico mozzata alla sommità, onde andò perduta la
prima linea della iscrizione, e vi manca pure il principio della seconda per
causa di corrosione della pietra. A giudicare dai caratteri, anche questa
iscrizione appartiene al IV secolo. Eccone il tenore :
CVIVS VICT
RICIA MEMBR
A NVNC RE
QVIESCENT
INTRA MVROS
HVIVS CIVITA
TIS PARENT
Da questa iscrizione apprendiamo che vi fu persona qui vissuta e
martirizzata per la fede ; che il suo corpo era dapprima sepolto fuori delle
mura della citta, certamente in ossequio alle leggi romane che proibivano
il seppellimento dei morti entro l'abitato: hominem mortuum in urbe ne
sepellito, neve mito (Tav. X); e finalmente che le sue vittoriose membra ri-
posano ora entro le mura di questa città di Parenzo. Chi fu mai questo
martire cristiano, al quale allude la iscrizione ? pur troppo essa non ri-
sponde più a questa domanda. Ma se è muta la lapide, l' intima relazione
che passa fra questa e la precedente iscrizione, tanto più ci autorizza a
credere, che le reliquie del martire, che vennero trasferite dal di fuori
nell' interno della città, non fossero altre che quelle del surricordato Mauro,
in quanto che la chiesa parentina, benché illustre sino dai primi secoli del
cristianesimo, come lo comprova la presenza delle due basiliche, e gloriosa
probabilmente ancor essa di altri martiri, non ha conservato memoria certa
che di quest'unico suo martire soltanto. Da qui pure la ragione del culto
prestato al di lui corpo sino da quegli antichissimi tempi, e pella quale
il nome di questo santo ha occupato un posto eminente nei fasti della
chiesa medesima. Così Eufrasio, oltreché fare effigiare a musaico S. Mauro ')
') S. Mauro ha P aspetto d' uomo ancora giovane ; le fattezze del volto, e la car-
nagione bianca, lo indicano di stirpe romana.
— soi —
nella volta dell' abside della basilica, vestito di tunica e pallio bianco, e
colla corona del martirio in mano, lo chiama nel noto diploma 24
marzo 543, il santo titolare della chiesa, e martire: Eufrasius Parenlinae
Ecclesiae Praesul pastor in Ecclesia B. Marine Virginis, et S. Mauri
martyris, qui prò Christi nomine martyrii palmata non recusavit accipere. Il
vescovo Andrea rivolge umile preghiera al doge Pietro Orseolo II approdato
nel maggio del 1000 colla sua armata nel porto di Parenzo : ut Sancii
Mauri oracuìum adire non recusaret, cujus petitionis adquiescens, multo militem
stipatimi urbeiii intravit, et expletis in Sancii Mauri aecclesia ministeriis
sacris ecc. '). In altro diploma io novembre 1014, il vescovo Sigimboldo
lo chiama martire e vescovo ad honorem S. Matris Ecclesiae Parent. et
S. Mauri sacerdòti} et martyris Episcopi; ed in un secondo diploma 8 agosto
1017, lo stesso vescovo ricorda che S. Mauro ha dato il suo nome, ossia,
che fu il Fondatore della chiesa episcopale quod Seniore nostro D.
Siginbuldo Episcopo de sede S. Mauri de istu censo a sede S Mauri
de D. nostro Siginbuldo. In molti altri diplomi che vanno giù sino a dopo
il 1300, non si omette mai di ricordare che la basilica custodisce il corpo
di S. Mauro martire ; lui sappiamo costantemente venerato come patrono
della città e della diocesi ; che più, infine ? persino 1' agro proprio della
città di Parenzo, quasi fosse un patrimonio sacro, intangibile, viene appellato
nei documenti medioevali : territorio, terra di S. Mauro 8). Tutte queste me-
morie di S. Mauro vescovo e martire, trovano per ultimo la più autentica
conferma nella orazione liturgica che la chiesa parentina recita da più di
quindici secoli, e comincia colle parole: Deus, qui Beato Mauro Sacerdoti et
Martyrì tuo, e nella costante celebrazione della festa del di lui natalizio,
ossia del martirio, nel giorno 21 novembre.
L'esistenza di un S. Mauro martire istriano è provata pure, con storica
certezza, dai più antichi martirologi, quali sono quelli del venerabile Beda
(a. 731), accresciuto dal Floro '), e dell' Usuardo (a. 875) *), e così pure da
un calendario vaticano, aggiunto al Sacramentario di S. Gregorio, dell' XI
') Prof. Monticolo. Cronaca di Giovanni Diacono. — Fonti per la storia a" Italia del-
l'Istituto storico italiano. — Roma, 1890.
') Codice diplomatico istriano del dott. Kandlf.r. Trieste, tip del Lloyd.
») Marlsrologium Venerabili! Bedae Presbyteri cimi Auctario Fiori et alionuii. Canta-
brigiae, typis Academicis, MDCCXXH.
') Usuardi. DtCarlyrologium ecc. Lovanii, 1573. — In altro martirologio dello stesso
Usuardo, pubblicato a Parigi nel 1718 da Pietro Francesco Giffart, leggesi la seguente
variante : XI Kal. Decembris « .... In provincia Histria, passio Sancti Mauri martyris ».
— 502 —
secolo '). Nel primo si legge : « XI Kal. Dee. In Hvstria civitate natale
S. Mauri inarlyris ». Nel secondo : « Undecimo Calcndas Decembris
item in Hy stria, passio sancii Mauri martyrìs ». E nel terzo: «XI Kal. Dee.
In Hy stria civitate sancii Mauri mar. ». L' Istria, coni' è noto, ebbe ai tempi
romani quattro municipi perfetti, ossia civitas, cioè : Tergeste, Pietas Iulia,
Egida e Iulia Parentium. Nessuna di queste città ha mai preteso di avere
avuto un martire di nome Mauro, fuorché Parenzo. Ciò che vi ha quindi
d' incompleto nelle notizie dei martirologi, e del calendario vaticano, rispetto
alla indicazione della città, in cui il predetto santo avrebbe sofferto il martirio,
riceve il suo spontaneo complemento dai monumenti e documenti, che
Parenzo possiede, e dai quali è indubbiamente provato, che S. Mauro fu
e non potè essere che suo martire soltanto.
Ho detto più sopra che la iscrizione unisce alla memoria di S. Mauro
martire anche quella di essere egli stato vescovo della chiesa primitiva,
intitolata per questo motivo basilica nella iscrizione musiva del pavimento.
Ed abbiamo veduto pure che questa memoria si manteneva viva al tempo
di Euirasio, che fece effigiare S. Mauro vestito di tunica e pallio bianco,
allo stesso modo degli apostoli che sono raffigurati sopra l'arco trionfale,
e durava pure nell' XI secolo al tempo del vescovo Sigimboldo, per tacere
anche che la memoria stessa di S. Mauro vescovo fu sempre conservata
dalla chiesa parentina nella succitata orazione liturgica, dov' è chiamato
Sacerdos, che, nell'antico significato della parola, significa vescovo. Che poi
la chiesa parentina fosse perfetta nella sua organizzazione, ossia costituita
ad episcopato, anche nei secoli successivi a S. Mauro, lo comprova dall'una
parte la basilica seconda col suo battistero, la cui ampiezza palesa lo stato
floridissimo, al quale era allora pervenuta la congregazione dei fedeli ; e
ce lo attesta, dall'altra, lo stesso Eufrasio, laddove dice nell' iscrizione : ///
vidit subito lapsuram pondere sedem, parola questa che chiaramente accenna
alla preesistenza della sede episcopale, e che Eufrasio non avrebbe adoperata,
qualora la serie dei vescovi si fosse aperta appena con lui. Dinanzi a queste
prove concrete ed irrefragabili, che la chiesa parentina fosse d' antico go-
vernata da proprio vescovo — ed altrettanto direi per lo meno delle
') Kaknciarium Vaticanum praefixum Sacramentario Gregoriano, edito ab Angelo
Roccha ex Cod. Vat. 3806, initio seculi XI. — Queste notizie mi furono comunicate dal-
l'amico cav. Tomaso Luciani, e dall'egregio prof, don Giovanni don. Ferro, di Venezia,
ai quali rendo qui le maggiori grazie.
— 503 —
chiese di Trieste e Pola ') — cadono perciò tutti quegli argomenti che
furono portati in campo, per dimostrare che le chiese istriane non avessero
propri vescovi prima dell'anno 524 all' incirca ; ma fossero tutte soggette
alla giurisdizione del vescovo di Aquileja, quale unico vescovo dell'intiera
regione2). Quali sono d'altronde questi argomenti? vediamoli. Per provare
questa dipendenza, si è citato S. Ilario vescovo aquilejese, a merito del
quale la fede sarebbe stata dilatata in queste contrade, mentre occupava dal
276-286 quella sede; e si è citato pure S. Donato, che sarebbe stato mandato
allo stesso scopo nell'Istria, nell'anno 297, da quel vescovo Grisogono IL
Senonchè, riguardo a S. Ilario, è facile il rispondervi senza mettersi nep-
pure in contradizione colla tradizione che lo vuole banditore della fede
cristiana nell'Istria, che nessuno conosce precisamente il tempo, in cui egli
fu vescovo di Aquileja, chi riportandovelo a quello superiormente indicato,
altri al II, ed altri persino al I secolo 3). Questo argomento avrebbe dunque
un tal quale valore per la asserita dipendenza delle chiese istriane dal ve-
scovo di Aquileja sino alla fine del III secolo, qualora fosse indubbiamente
provato che S. Ilario era a quel tempo vescovo di quella sede; mancando
') Entrambi questi municipi erano troppo importanti, perchè non si debba ritenere
che le chiese cristiane rispettive avessero proprio vescovo al pari di quella di Parenzo.
Gli atti dei martiri di Trieste, nei quali si deve riconoscere un fondo di remota antichità
e di sincerità, malgrado il loro tenore leggendario assunto più tardi, fanno menzione di
un Martinus praesbiter e di un Sebastianus praesbiter, i quali, secondo ogni verisimiglianza,
erano vescovi di quella chiesa, solendo i vescovi chiamarsi anche cosi nei primi secoli.
Di Pola manca, pur troppo, ogni memoria scritta. Si conoscono ora gli avanzi della
basilica del VI secolo ; ma non credo fosse la prima. Ivi attigua e' era la basilica di San
Tomaso, certamente vetusta assai; dove furono trovate, al sito dell'antica confessione, la
bellissima pisside poligona d'argento, e la capsella d' oro, giudicate dal comm. de Rossi
lavoro del IV secolo, o degli inizi del V, e passate recentemente al museo imperiale di
Vienna. Imprendendo più estesi scavi, non escluderei che si constatasse anche a Pola
quella stessa successione di basiliche, che fu trovata qui. Ed avremmo in tal caso quella
prova positiva, che ora ci manca, dell' esistenza di quell' antico episcopato.
*) Kandler. L'Istria, a. II, n. 9. — Ptl fausto ingresse di Motts. Legai nella sua chiesa
di Trieste. Trieste, 1847.
3) Paolo Diacono aeWHist. Long, dice che S Ilario fu fatto vescovo nel 276, e
decollato dopo dieci anni di apostolato, assieme al suo arcidiacono Taziano e ad altri
compagni di martirio, il giorno 16 marzo. — La Cronaca del Dandolo vuole martirizzato
S. Ilario al tempo di Numeriano (a. 281). — Il Rubeis nei Montini, làcci, Aqnìì. riferisce
il governo episcopale di S. Ilario al II secolo. — Il Candido, nei Coinment. ilei Fatti di
Aquileja, mette come avvenuto il martirio di S. Ilario sotto Domiziano (a. 81-96).
— 504 —
però questa prova, sfuma pure quella della supposta dipendenza, tanto più
dal momento che i monumenti e la iscrizione sopraricordati, somministrano
la certa prova che la chiesa di Parenzo aveva proprio vescovo già prima
di quel tempo. E rispetto a S. Donato, supposto istriano di nascita, e mar-
tirizzato a Thmui nell'Africa nell'anno 305, gli atti più o meno autentici
che di lui ci sono pervenuti, dicono precisamente il contrario di quanto fu
asseverato, dicono, cioè, eh' ei non venne mandato qui a predicare la fede
dal vescovo di Aquileja, come quegli che solo ne avrebbe avuto il diritto
per la sua episcopale giurisdizione sull' Istria, ma bensì che fu chia-
mato dalle chiese istriane : a sanctis, quae sunt in Istria, ecclesiis evocatili ').
Se dunque San Donato fu chiamato dalle chiese istriane, egli è chiaro
che queste dovevano avere propri vescovi ; avvegnaché l' officio d' istruire
nella fede cristiana risiedesse solamente nel vescovo, ne alcuno potesse
esercitarlo, senza esserne stato previamente da lui autorizzato. Come terzo
ed ultimo argomento in prova della mancanza di vescovi nell' Istria, venne
allegato il fatto di non trovarsi sottoscritto verun nome di vescovo istriano
negli atti dei concili del IV e V secolo. Questa prova, meramente negativa,
non esclude però ancora la possibilità del fatto contrario, niente di più
incerto essendo che il dedurre dalle sottoscrizioni apparenti dagli atti dei
concili, la dimostrazione della esistenza di questa, o quella chiesa episcopale,
al tempo dei concili stessi. Ne abbiamo un esempio nel posteriore concilio
romano dell'anno 502, sotto il pontefice Simmaco, gli atti del quale, secondo
alcuni autori, sarebbero stati sottoscritti anche dal vescovo Venerio di Pola,
mentre altri invece lo negano, ed intorno al quale concilio il Labbe scriveva
appunto : episcoporum et ecclesiartim nomina adeo corrupta videntur ut i>ix sanari
possimi *). Se questo fu detto delle sottoscrizioni agli atti di quel concilio,
tanto più aumentano quindi le incertezze intorno alle sottoscrizioni apposte
agli atti dei concili anteriori, siccome quelle che sono passate per tante
mani, e tante volte furono alterate ; per non tenere conto anche di tutte
quelle difficoltà di tempo e di luogo, che possono avere impedito ai vescovi
istriani d'intervenire ai concili, e massime a quelli tenuti nel lontano
Oriente.
Discorrendo poi della origine dei vescovati istriani, si è creduto di
poterla spiegare nella seguente guisa. Il re Teodorico, si disse, voleva dal-
') Stancovich. "Biografia degli nomini illustri dell'Istria. Capodistru, i£
2) Labbe. Conciliornm colletiio maxima. Venezia, 1729.
— SOS —
l' imperatore Giustino che le chiese tolte agli ariani nella dizione bizantina,
venissero a questi restituite; ed era ben naturale che Giustino esigesse di
ricambio migliore libertà e culto pei cattolici negli stati del re goto. Ed il
pontefice Giovanni, mandato nel 524 da Teodorico in qualità di legato suo
a Costantinopoli, allo scopo di persuadere Giustino alla restituzione delle
chiese ariane, doveva naturalmente approfittare di quella missione, per fare
P interesse delle chiese cattoliche. E da questa combinata azione dell' im-
peratore e del pontefice, nacquero indi i vescovati istriani. — Questa mis-
sione, come si sa dalla storia, fallì però completamente, ed anzi sospettando
Teodorico della stessa lealtà del pontefice, e crescendo frattanto sempre più
in Italia 1' agitazione del partito romano cattolico, desideroso di scuotere
la dominazione del re barbaro e scismatico, mediante l'appoggio delle armi
dell' imperatore, signore legittimo ed ortodosso, fece imprigionare il pon-
tefice al suo ritorno da Costantinopoli, tenendolo prigione sino alla sua
morte, avvenuta il giorno 18 maggio 526. Già l'insuccesso della missione
scema quindi la credenza nella verità di questo racconto. D' altronde la
stessa contemporaneità della supposta origine dei vescovati istriani con-
trasterebbe con quello svolgimento naturale e logico, che ebbero dovunque
le chiese cristiane secondo le circostanze di tempo e di luogo, e per il quale
non è perciò da ritenersi che identiche fossero dappertutto nell' Istria le
condizioni di fatto, ed identico per conseguenza il bisogno di creare simul-
taneamente le sedi vescovili di Trieste, di Capodistria, di Cittanova, di
Parenzo, di Pola e di Pedena, che tanti sarebbero precisamente i vescovati,
che si vorrebbero allora istituiti. E parimenti non sarebbe forse fuori di luogo
la domanda, se era questo propriamente il caso pel pontefice di ricorrere
al lontano imperatore, che aveva perduto di fatto ogni potere di governo
siili' Italia, e conservava su di essa soltanto le apparenze di un'alta sovranità
nominale; quando sarebbe stata invece naturalissima cosa eh' ei trattasse di
questa bisogna dei vescovati istriani col vero sovrano territoriale, dimostratosi
ognora studiatamente rispettoso e compiacente, sebbene ariano, verso la
gerarchia cattolica, e col quale il pontefice aveva eziandio mantenuto ami-
chevoli rapporti, sino alla sua andata a Costantinopoli ? Ed, infine, la missione
ben penosa per un pontefice di farsi appresso 1' imperatore il patrocinatore
delle chiese ariane in oriente, non valeva forse il contraccambio di un diretto
favore da parte dello stesso Teodorico, senza ch'ei ne aspettasse l'impulso
dall' imperatore Giustino, allorquando trovavasi già impegnato nella lotta
contro le mal celate mene del senato romano e dei provinciali, e sospettava
complice della congiura persino lo stesso pontefice ? Evidentemente, tale
presunta origine dei vescovati istriani si fonda su una congettura mancante
— 5°6 —
di base storica, la quale a forza di venire ripetuta, ha finito coli' essere
ritenuta storia vera.
Altra prova in favore di questa opinione si è creduto di poter trarre
dalla iscrizione seguente, fatta scolpire da Eufrasio sopra una custodia di
altare :
i% FAMVL • DI • EVFRASIVS ANTIS • TE ■ MPORIB ; SVIS •
AG • AN • XI A FONDAMEN • DO ■ IOBANT ■ SCE ■ AECL ■
CATHOLEC • HVNC LOC ■ COND ■
Locchè vorrebbe dire in italiano: Eufrasio servo di Dio vescovo della santa
chiesa cattolica nell' anno undecima del suo episcopato eresse coli' aiuto di Dio
questo luogo dalle fondamenta. Questa iscrizione fu pubblicata da quanti
scrissero, e non furono pochi, dell'attuale basilica, affine di stabilire il tempo
della sua edificazione ; ma chi il crederebbe ! sebbene fosse ben ovvia la
spiegazione delle parole : DO ■ IOBANT • « Dea juvante, coli' aiuto di Dio »
tutti ne travisarono il senso, dando loro la interpretazione : Domino Ioanne
beatissimo Antistite '). Ed acconciatasi a questo modo la iscrizione, ragio-
narono poscia press' a poco cosi. Eufrasio, protovescovo, ha lasciato me-
moria di avere compiuta la costruzione della basilica nell' undecimo anno
del suo episcopato, regnando un pontefice di nome Giovanni. Il primo pon-
tefice di questo nome non può essere quello della iscrizione, perchè fu lui
appena, e l' imperatore Giustino, che dotarono l' Istria di propri vescovati.
Dovendo esservi stato perciò il pontefice Giovanni II, ed avendo questi
regnato dal 332-335, la promozione di Eufrasio all'episcopato cade neces-
sariamente tra il 521 ed il 524: ecco provare dunque anche l'iscrizione
che i vescovati istriani furono creati intorno all'anno 524, cioè, al tempo
della missione suddetta. Non c'è che dire: il ragionamento correrebbe liscio
liscio, se non avesse la disgrazia di essere fantastico.
') La iscrizione fu pubblicata con questa interpretazione errata dal dott. Vergottini :
'Breve storia della città di Parendo nell' Istria, Venezia, 1796; dal Polesini: Jllustr. al taber-
nacolo marni, esistente nella chiesa di "Parendo, Trieste ; dal Kandler : L'Istria, a. II, 1847,
n. 9 ; dal Eitelberger : Mitlelaìter. Kunstdenk. i. ùesttr. Kaiserstaates, Wien ; dal Lohde :
'Der Dom voti Parendo, Berlin ; dal Cappelletti : Le chiese d'Italia, voi. Vili, Venezia ; e
forse da altri autori ancora, che non potei consultare. Il primo che insorse a protestare
vivacemente contro questo modo di spiegare l'iscrizione fu il Padre R. Garrucci nella sua
opera monumentale : L'arte cristiana ecc., Prato, 1877, voi. VI.
— 507 —
Le ingiurie del tempo hanno pur troppo distrutto le più antiche me-
morie dei vescovati istriani, ad eccezione di quest'unica della chiesa parentina,
pareggiando in ciò le nostre chiese principali a tante altre dell' Italia set-
tentrionale, intorno alle quali mantiensi egualmente oscura l' origine dei
rispettivi episcopati, sebbene vi concorrino, come presso di noi, non ispre-
gevoli tradizioni della loro remota antichità ; tutt' al contrario di quanto
riguarda le chiese dell' Italia inferiore, dove si hanno positive prove della
esistenza di numerosi episcopati, sino dalla prima meta del III secolo ').
La scomparsa del nome dei vescovi non va però tutta attribuita alla falce
del tempo; altre cause possono avervi probabilmente in parte contribuito.
E mi spiego. Col contatto dei barbari, presso ai quali il cristianesimo si
era rapidamente diffuso sotto la forma ariana, l' arianesimo penetrò presto
nell' Italia settentrionale, ed in meno che non si dica la invase in buona
parte. La sede stessa di Aquileja non ne andò immune : il vescovo Valente
(a. 344), ed il di lui successore Fortunaziano (a. 347-357) erano entrambi
ariani. La ortodossia di quella sede venne ristabilita appena dal vescovo
S. Valeriano (a. 369-388?) sotto il cui pontificato fu convocato nel 381,
per ordine dell' imperatore Graziano, un sinodo, affine di condannare le
dottrine ariane di Palladio e Secondino, al quale intervenne anche S. Am-
brogio vescovo di Milano, succeduto ad Aussenzio nel 374, pure vescovo
ariano. Nel V secolo pullularono parimenti non poche sette, quali quelle
di Pelagio, di Celestino, dei Manichei, dei Priscillanisti ecc., le quali, se
non fecero in Italia molta presa, serpeggiarono tuttavia qua e là transito-
riamente, tanto da richiamarvi la particolare attenzione del pontefice S. <0feo»<^
$$/ Magno, di cui si hanno due lettere, dirette nel 444 e nel 447 al
vescovo Gennaro di Aquileja, allo scopo di eccitare la sua vigilanza pastorale
sulla setta pelagiana, e per raccomandargli di non riammettere nella pro-
vincia aquilejese quei presbiteri, diaconi, ed il rimanente clero dei diversi
ordini, i quali volessero fare ritorno alla unità cattolica, nelle proprie sedi,
se non avessero prima pubblicamente abjurato agli errori 2). Ora se queste
furono le vicende della chiesa episcopale della vicina Aquileja, è lecito per
') Duchesxk. Op, cit. In una nota a pie' di pagina, il chiaro autore sostiene che
le sedi episcopali di Ravenna (Classe), Milano, Aquileja, Hrescia e Verona, sono le sole
che possonsi fare rimontare, con argomenti seri, al di là del IV secolo. Le due prime
parrebbero anzi fondate verso il principio del III secolo, e fors' anche qualche tempo
prima.
*) Rubeis. Op. cit.
— 508 —
lo meno di sospettare che non troppo dissimili fossero pure quelle delle
chiese istriane, e che la dispersione delle antiche memorie sia derivata in
parte anche dai scismi, ond'esse furono afflitte nel IV e V secolo. — Lo
stesso buio continua durante il regno di Odoacre; ma sparisce ad un tratto,
quasi per incanto, sotto quello di Teodorico (a. 493-526), colla comparsa
a Pola, per tacere anche dell' incerto Venerio, del vescovo Antonio, men-
zionato nella XLIV fra le varie di Cassiodorio dell'anno 5 1 1 '), e così pure
di Eufrasio a Parenzo, di Frugifero a Trieste, e così via dicendo dei nomi
dei vescovi di tutte le altre sedi. I nostri vescovati entrano dunque bensì
con Teodorico in un periodo di piena luce storica; ma che non può essere
confuso col tempo della loro prima fondazione. La comparsa dei vescovi
non è altro che il risultato naturale della pace e dell' ordinato governo,
inauguralo dal re Teodorico dopo il lungo avvicendarsi d'irruzioni di popoli
barbari, e di guerre sterminatrici, che avevano desolato particolarmente il
Veneto, e l' Italia superiore, mandandone in fascio ogni ordinamento interno.
L' Istria pure non tardò a godere dei benefici effetti di quella pace, e di
quel regolato governo : colle istituzioni civili risorgono altresì le chiese dal
secolare abbattimento ; i vescovi riprendono la posizione influente nel go-
verno dei municipi fatta loro da Costantino, ed ampliata dagli imperatori
successivi ; la relativa felicità dei tempi salva infine i loro nomi dall'oblio,
ed apresi con essi la nuova serie dei vescovi delle chiese istriane.
Ritornando, dopo questa digressione, alla basilica seconda, restami a
dire ancora come, e quando, essa finisse. Ridonata da Costantino la pace,
giova credere che la comunità cristiana nella gioia di quell' avvenimento,
e nel fervore di ripristinare al più presto la chiesa distrutta, non si fosse
presa molta cura della solidità della nuova fabbrica, e della scelta del ma-
teriale di costruzione. Perciocché inalzato Eufrasio, circa due secoli dopo,
all'onore dell'episcopato, ei trovasse la basilica pericolante per la poca ro-
bustezza delle mura, e pel tetto già marcito che reggevasi soltanto in grazia
delle catene, che ne impedivano la caduta. Eufrasio, subito che vide mi-
nacciata la sede di prossima rovina, non esita un istante ; ma risolve nella
sua santa mente di prevenirla, e ripieno di ardore e di fervida fede, fa
demolire la basilica, e costruirne una nuova dalle fondamenta, risplendente
di vario metallo, e decorata, com'egli stesso lo dice, miniere magno. Tutto
') Tanzi. Studio sulla cronologia dei «Variarmi! » di Cassiodorio senatore. « Archeografo
Triestino», voi. XIII, a. 1887.
— 509 —
questo noi rileviamo dalla iscrizione musiva posta all' ingiro dell' abside, e
che qui riporto per la sua qualità di documento ineccepibile del tempo e
del modo, col quale cessava la basilica seconda, e sorgeva la terza, ossia
la basilica attuale.
© HOC FVlT IN PRIMIS ■ TEMPLVM ■ QVASSANTE • RVINA :
TERRIBILIS • LABSV ■ NEC CERTO ROBORE ■ FIRMVM •
EXIGVVM • MAGNOQ.VE • CARENS • TVNC FVRMA METALLO t>
SED MERITIS TANTVM ■ PENDEBANT ■ PVTRIA ■ TECTA
^ VT VIDIT SVBITO LAPSVRAM ■ PONDERE ■ SEDEM •
PROVIDVS ET FIDEI FERVENS ■ ARDORE • SACERDVS ■
EVFRASIVS SCA PRECESSIT MENE • RVINAM ■
LABENTES ■ JVELIVS SEDITVRAS ■ DERVIT AEDES •
FVNDAMENTA LOCANS : EREXIT ■ CVLMINA • TEMPLI
>£ QVAS • CERNIS NVPER ■ VARIO ■ FVLGERE METALLO ■
PERFICIENS • COEPTVNDECORAVIT MVNERE ■ MAGNO ■
AECCLESIAM ■ VOCITANS • SIGNAVIT • NOMINE ■ XPl ■
CONGAVDENS ■ OPERI ■ SIC ■ FELIX • VOTA ■ PEREGIT <t>
Al compendio della seconda basilica appartengono l'atrio quadriportico,
il battistero e l'oratorio di forma basilicale. Una sicura norma per distin-
guere le costruzioni del IV secolo da quelle del VI, l'abbiamo nella diversa
qualità dei cementi adoperati, di maniera che, per poco che vi si presti
attenzione, non è possibile di confondere le costruzioni dell'uno con quelle
dell' altro secolo. Esaminando con questa guida le singole fabbriche, si è
potuto indubbiamente stabilire che, meno parziali rifacimenti, Eufrasio ha
mantenuto l'atrio in quella stessa forma ed ampiezza, in cui lo aveva trovato,
ornandolo soltanto delle colonne marmoree dai capitelli bizantini di artistico
lavoro a trapano, ed ha conservato pure il battistero, che stava di faccia
alla basilica, riducendolo però, mediante ridossi murati, da rotondo che era
internamente a forma poligona. Quindi si spiega anche il motivo, pel quale
la basilica eufrasiana col suo atrio quadriportico, e col battistero dinanzi,
ha conservato nelP assieme la pianta delle basiliche Costantiniane.
L' oratorio colla doppia abside interna, incorporato all' episcopio nella
seconda metà del secolo XV, era, secondo ogni probabilità, l1 antico con-
signaiorium, il luogo, cioè, nel quale il vescovo impartiva la cresima ai
neofiti subito dopo ricevuto il battesimo, e prima che facessero in chiesa
il loro solenne ingresso. E per quanto riguarda il battistero, giova notare
eh' esso non sorgeva allora isolato, come lo si vede al presente. Benché
— sio —
non siano stati eseguiti in quella parte estesi scavi, si hanno tuttavia suf-
ficienti indizi per ritenere che vi esistessero ai fianchi altri corpi di fab-
brica, ai quali accennano anche le porte laterali del battistero ora murate,
destinati ai locali di riunione dei battezzandi e dei loro parenti, agli spo-
gliatoi divisi per sesso ecc. Ed è molto probabile altresì che quei corpi di
fabbrica fossero congiunti da un porticato al consignatorium, uscendo dal
quale i neofiti raggiungevano 1' arco esterno del IV secolo (Tav. II), e da
questo la porta di accesso all' altro porticato, rappresentato dal pavimento
musivo a spinapesce ricordato più sopra, donde entravano poi nel quadri-
portico, e da questo nella basilica.
Di certa costruzione eufrasiana si presenta la cappella triabsidata col-
1' avamportico di forma ellittica, simile a quella della basilica di Grado, e
nella quale venivano custodite le reliquie, in sostituzione del preesistito
oratorio. Alquanto più dubbia è l'origine del secretariitm, ossia della sagrestia
vecchia, la quale, verosimilmente, rimonta al tempo della basilica seconda,
sebbene rifatta poscia ancor essa da Eufrasio. I pilastri e le volte nel locale
di mezzo tra la basilica e la detta sacrestia, nei quali il dott. Kandler ha
creduto di ravvisare gli avanzi di edifizio romano eretto probabilmente a
scopo militare, sono per lo contrario d'indubbia costruzione del secolo XIII;
com'è del pari certo che la cappella triabsidata avente la forma esterna di
torre, e denominata talvolta per questo motivo nei documenti medioevali
castello, ben lungi dall' essere appartenuta al Campidoglio, che anche dopo
alzata la basilica avrebbe conservato, secondo il precitato autore, 1' antica
distribuzione ed uso '), ha preso invece questa forma da un successivo
inalzamento delle mura, avvenuto ai tempi veneti, allo scopo di difendere
la città da eventuali attacchi dalla parte del mare. L' alzato della cappella
è visibilissimo esternamente dalla differente muratura ; locché non fu però
avvertito dal chiaro archeologo sunnominato.
Nello stesso locale venne rimesso a giorno ampio tratto di pavimento
musivo alla profondità di Di. 1.50, il quale continua nello scoperto attiguo,
ed apparteneva certamente ad un locale accessorio più basso, della basilica
seconda.
L'icnografia che qui Vi presento (Tav. Ili), Vi spiegherà meglio delle
mie parole la situazione delle singole basiliche, e quella degli altri edilìzi
ad esse attinenti, rendendovi nello stesso tempo più agevole il mezzo di
') Kandler. Op. cit. Cenni ai forastiero ecc.
— su —
studiare da per Voi le recenti scoperte, e trarne quelle più corrispondenti
deduzioni che noi non fummo forse capaci d' intravvedervi ').
Mentre noi si stava intenti a questi studi, altra e ben gradita sorpresa
ci veniva preparata in questa estate dall' i. r. architetto sig. Natale Tommasi,
nell' occasione in cui davasi principio al restauro dei preziosi musaici che
adornano l'abside di questa basilica, affidato dall'imperiale Governo al va-
lente artista romano cav. Pietro Bornia. Intendo alludere alla scoperta da
lui fatta del grande musaico sopra 1' arco trionfale, che da più secoli era
rimasto coperto da uno strato d' intonaco, e da quel goffo cornicione di
legno, che gira tutto all' intorno del soffitto della basilica. Assicuratosi egli
dapprima con un attento esame che ivi esistesse nascosto un musaico, fece
rimuovere il cornicione, e stonacando poscia pazientemente la parete, ecco
apparirvi infatti nel mezzo la figura del Redentore, e via via ai lati l'una
dopo l' altra quelle degli Apostoli. Queste figure sono disposte sopra un
quadrilungo di m. 8.60 ed alto m. 1.25, incorniciato al di sopra, e late-
ralmente, da una fascia di colore rosso carico, cosparsa di gemme aurate.
A quale più, ed a quale meno, manca a ciascuna figura, dal petto in giù,
la rimanente parte del corpo, che andò distrutta per ingrossare con cemento
e scaglie, la parete dell' arco sottostante al cornicione. Nel restante, tutte
le figure sono abbastanza bene conservate, meno quelle del Redentore, e
degli apostoli Bartolomeo e Matteo, guaste dalle mensole che furono in-
castrate nel muro, affine di appoggiarvi il cornicione. Le dette figure spiccano
da un fondo d' oro formato di una serie fittissima di tesselli disposti ad
angolo, cosi da imitare altrettanti piccoli gradini, che vanno dall' alto al
basso. Il Redentore col nimbo crucigero, siede sulla sfera del mondo, e
veste un ampio manto pavonazzo. Colla destra sta in atto di benedire, e
colla sinistra sostiene un libro aperto, in una facciata del quale si leggono
le parole: EGO SVM, e nell'altra: LVX VERA. Le parole stanno l'una
sopra 1' altra. A destra del Redentore, e rispettivamente a sinistra di chi
guarda l' abside, vengono gli Apostoli che vestono tutti tunica e pallio
bianco, gemmato di croci, e su cui appaiono le lettere : A, L, H ecc. :
PETRVS che sporge a Cristo le chiavi, ANDREAS col libro in mano,
IACOBVS colla corona, BARTHOLOMEVS col libro, THOMAS col libro,
') La pianta grande in scala da 1 : 100 fu rilevata dall'architetto sig. Tommasi, lo
spaccato da mons. Deperis ; le tavole furono disegnate dal sig. Giulio De Franceschi. Per
questa gentile cooperazione vogliano i detti signori accettare le mie più sentite grazie.
— 5I2 —
SIMON colla corona. A sinistra del Redentore vengono poi : PAVLVS che
gli presenta due rotoli, IOHANNES colla corona, FELIPPVS col libro,
MATTEVS col libro, IACOBVS ALFEI colla corona, IVDA col libro. —
Sovra ogni testa degli apostoli stanno le lettere : SCS, ed il nome. Le teste
sono in generale così bene conservate da potere rilevare la fisonomia di
ciascun apostolo, meno ie tre, che furono guastate dalle mensole, ("osi hanno
aspetto di giovani: Johannes, Iacobus Alfa, Inda, lacobus e Simon; mentre
hanno aspetto di uomini maturi : Petrus, Andreas, Thomas e Felippus. Il
quadro anche così imperfetto desta un senso di profonda ammirazione, e
tanto più doveva riuscire imponente veduto nella sua integrità e nello splen-
dore originario.
Giunto di questa guisa al termine della mia relazione, permettetemi
ancora, o Signori, che io esprima, prima di chiudere, una parola di rico-
noscenza all' imperiale Governo pella ragguardevole somma di fior. 20000,
che speriamo non sarà la sola, molti essendone ancora i bisogni, messa a
disposizione pel restauro dei musaici nell' abside di questo insigne monu-
mento dell' arte cristiana, che l' Istria tutta si gloria di possedere ; e così
pure che io ricordi per cagione di speciale benemerenza l'i. r. Commissione
centrale pella conservazione dei monumenti artistici e storici, la quale ha
vivamente patrocinato la causa di questo urgente restauro, e si dimostra
sempre interessatissima in tutto ciò che può favorire la migliore conser-
vazione della basilica. Ringrazio, per ultimo, la Dieta e la Giunta provin-
ciale, il Municipio di Parenzo, le Corporazioni, ed i molti privati, che
hanno generosamente contribuito alla spesa pella esecuzione degli scavi, e
delle costruzioni successive che si manifestarono necessarie per mettere sotto
coperto i musaici della basilica primitiva, e rendere facilmente visibile al sito
stesso ogni altro ritrovamento.
E Voi, onorevoli Consoci, vogliatemi essere cortesi della Vostra in-
dulgenza, se Vi ho forse troppo a lungo intrattenuto sul tema di queste
basiliche cristiane : mi siano di scusa la provata benevolenza Vostra, e la
particolare importanza dell' argomento.
Nota. - Pregato da me Mons. Deperis, dopo la Pasqua, di volere aprire uno scavo
sul davanti dell'arco trionfale, allo scopo di scoprire, se possibile, il sito dell'antico cubili
di S. Mauro vescovo e martire, egli si accinse in questi giorni all' impresa ; ed io sono
tanto felice di poter comunicare, all'ultimo momento, ai miei lettori, in questa nota, le
recenti importantissime scoperte da lui fatte. Monsignore fu anzi tanto gentile da darmene
la seguente relazione scritta :
— 5i3 —
« Gli scavi di questi giorni diedero i seguenti risultati :
» Si scopri il piano e la forma del presbitero della basilica Costantiniana, secondo
il tipo più antico, e la descrizione che ne fanno il Ciampini, il Mamachi, il Gaumf. ecc.
» Infatti, questo presbitero si eleva di cent. 70 sopra il pavimento già noto della
grande navata, ed è formato da un piano semicircolare del diametro di m. 5.54, aperto
davanti, e circoscritto all'ingiro della semicirconferenza da un alzato di muro, quasi gradino,
alto cent. 22 ed intonacato a fino. Nel mezzo di questo alzato sporge il suppedaneo o
sgabello che sopportava la sedia del vescovo. Da ambo i lati del suppedaneo il detto
gradino è diviso in quattro scompartimenti da tre liste rosse colorate per ciascuno, le
quali corrono verticali sul davanti, è poi continuano ripiegate traversalmente sul piano
superiore del gradino. Questi otto compartimenti segnano molto probabilmente i posti
di otto presbiteri, che stavano ai lati del vescovo, quando si celebrava la sacra liturgia.
1 diaconi, i suddiaconi ed i cantori stavano nel coro sottostante, al quale si scendeva per
tre gradini.
» Il pavimento del presbitero è a mosaico, ed il disegno d'ornato asseconda la forma
semicircolare del piano. Una fascia di mosaico bianco, larga cent. 16, corre da prima
tutto all'ingiro dei lembi estremi del presbitero, in linea retta sul davanti, ed in linea
semicircolare, lambendo il predetto gradino. La segue nelle stesse direzioni una fascia
d'ornato, larga cent. 51, orlata da due listelli neri sopra e sotto; con questo di più che
il secondo listello nero superiore è ornato di dentelli neri, rivolti verso il listello estremo,
ma senza toccarlo, in modo da presentare gli elementi primi di una greca. Il campo tra
queste orlature, largo cent. 32, è ornato da un ramo serpeggiante a foglie di palma, dal
quale si distaccano delle volutine e delle foglie di edera assai appuntite. 11 ramo e le
foglie sono di mosaico nero lumeggiato di color cenere, in fondo bianco. Nel campo
centrale si vedono altre foglie in nero e delle girate in rosso di vario andamento ; ma
di queste non si può raccappezzarne il motivo, essendo questo campo rovinato da una
tomba molto grande, costruita nel medio evo, probabilmente nel secolo XIV.
» Dal descritto presbitero si usciva da ambo i lati estremi del gradino semicircolare,
il quale non giungeva fino alla estremità anteriore del presbitero, ma vi lasciava comodo
passaggio al retro-presbitero, detto comunemente il beuta, dal quale si passava al santuario,
che stava sotto l'abside, ascendendo un gradino. Poco lungi dal gradino vi doveva essere
il velario, o cancello con tre porte munite di tendine, che nascondevano l'altare posto in
fondo all' abside, ed alquanto discosto dalla medesima. Siccome gli altari di quelP epoca
erano formati di quattro colonnine, con sopra una lastra di marmo o di pietra, nò abbi-
sognavano quindi di fondamenta ; cosi non vi era il caso di poter rinvenire traccia delie
medesime. Ben però furono trovati preziosi avanzi della confessione o marty riunì, che con-
teneva il corpo di S. Mauro martire. Questi avanzi stanno sotto i tre ultimi gradini e
sul davanti dell'attuale cattedra marmorea, ed alla profondità di m. 1.80 dall'attuale pa-
vimento, e perciò a cent. 87 sotto il piano dell' antico santuario. E consistono : in una
parte del muro verso oriente della confessione, ed in alcuni resti del pavimento a mosaico
con vario disegno d' ornato in bianco e rosso. I detti avanzi furono veduti ora sono 14
mesi, senza che allora fosse stato possibile di rilevarne il valore ed il significato, perchè
il santuario lo si riteneva e cercava sul davanti, fuori dell'abside, sull'esempio della basilica
di S. Clemente a Roma. Ma oggi che in questo posto si scoprì invece il presbitero, in
conformità al vero ed antico tipo delle basiliche Costantiniane, la stessa struttura della
scoperta basilica ci condusse a riconoscere il vero posto del santuario, dell'altare e della
confessione.
— 5*4 —
» Da tutte queste scoperte, che non sono induzioni, ma sono fatti visibili da chi si
voglia, resta sempre più confermato che Parenzo già nella prima metà del IV secolo avea
una basilica di pure forme Costantiniane, la quale era sede vescovile, perchè mostra ancora
il posto che occupava il vescovo nel suo presbitero, ciò che non si vede più in nessun'altra
basilica di queir epoca ».
La pianta della basilica Costantiniana è data, oltreché dagli autori succitati, anche
dal Kr.\usk Op. cit. voi. 1, pag. 121.
La lettura della Relazione del Presidente venne accolta da unanimi
approvazioni.
L' ili. Capitano provinciale, cav. dott. Campitelli, interpretando il voto
di tutti, fa plauso al Presidente ed a mons. Deperis, al quale ultimo pro-
pone che tutta l'assemblea esprima un voto di riconoscente ringraziamento.
Tutta 1' assemblea assorge.
Dopo ciò il Presidente concede la parola al Segretario, per l'esposizione
del resoconto morale della Società nell'anno 1889. Ciò stante il signor
dott. M. Tamaro d:\ lettura della seguente
RELAZIONE.
Onorevolissimi Signori !
La lettura testé fatta Vi di cose tanto interessanti e che riflettono in
qualche parte 1' attività, se non di tutta la Direzione, quella per lo meno
del nostro onor. Presidente, facilita di molto il compito mio, sicché a me
non resta che di spigolare alcune notizie d'ordine diverso, il che, per non
attediarvi, farò brevemente. Così dovrò, per alcuni fatti, risalire anche
all'anno 1889, essendo che nella mia Relazione dell'anno scorso, piuttosto
che soffermarmi all' attività propria di quell' anno sociale, mi piacque di
riassumere quella del primo quinquennio.
Nella Relazione del novembre 1 888 io V ho parlato dei castellieri e
degli escavi intrapresi dall'egregio nostro consocio, il sig. maestro Cappel-
lari, su quel di Villanova di Verteneglio ; ora io posso soggiungere, che
la Direzione 1' ha interessato l'anno appresso di proseguire gli escavi stessi,
lasciandogli ampia libertà di scegliere la posizione eh' ei reputasse la meglio
feconda di ritrovati. Ed ei si messe a scavare su di un fondo di terra della
superficie di 247 metri, posto a meriggio del castelliere di Vallaron. Già
la natura del terreno gli forniva buoni indizi. Infatti, a preferenza di ogni
— SiS —
altro sito di questa sede preistorica, fu rinvenuta un' abbondante quantità
di ossa d'animali, particolarmente di cervi, alcune petrificate, altre lavorate
a guisa d'utensili domestici. Scarse però erano le tombe e mal costruite,
nelle quali non si poterono ricuperare che pochi pezzi di coccio d'una pasta
primitivissima, e fragile così da sciogliersi in frantumi alla premitura più
lieve delle dita. Di questo escavo non ci è rimasto che un pezzo di cotto
raffigurante la testa d' un animale, e poche lamine di bronzo corrose pa-
recchio dalla ruggine, tanto da non poter discernere quale oggetto rap-
presentassero.
Visto che da questa parte gli scarsi ritrovati costavano troppa fatica
e grandi sacrifizi di danaro, fu tastato il terreno un centinaio di metri più
innanzi, verso levante. Infatti sopra una superficie di 162 metri, si è ritro-
vata oltre una quarantina di tombe, dalle quali però si sono ricuperati
appena una diecina di ossuari, che furon qui ricomposti con lunga pazienza.
Codesti escavi, interrotti nel marzo, furono ripresi nell'ottobre succes-
sivo ; ma, quantunque gl'indizi d'una necropoli continuassero sempre, non
fu possibile di ritrovar nulla per la conservazione nel nostro Museo, salvo
qualche piccolo oggetto d'osso, o qualche informe lamina di bronzo, cose
tutte che si sono acquistate, per verità, a troppo caro prezzo. Egli è che
anche questi escavi, se anche infecondi di risultati materiali, offrono una
qualche nozione allo studioso, come sarebbe quella di constatare, che i
primi abitatori di queste terre usassero spesso di seppellire i loro morti, o
meglio di conservare le loro ceneri, deponendole, oltre che in ossuari fittili
o bronzei, semplicemente entro una buca e coprendole poscia con una lastra
di pietra. Il che significherebbe, che la conservazione delle ceneri nelle urne
fittili, o di bronzo, costituiva già una pratica di lusso, che non poteva con-
cedersi che le persone o le famiglie più agiate. Ciò premesso, dal complesso
di tutti gli escavi praticati nei castellieri di Villanova emergerebbe, che
codeste residenze fossero abitate da popolazioni molto povere, inquantochè
dalle tombe fin qui dissepolte, moltissime fossero senza urne, e quelle che
vi si trovarono erano d'una forma molto semplice e primitiva, né fu dato
ancora di scoprire nessuna urna cineraria di bronzo. Anche altri oggetti di
bronzo furono assai rari. Ma queste non sono che mere supposizioni, le
quali potrebbero venir smentite da ulteriori ritrovamenti di più preziosi
cimeli. Imperochè resti molto ancora a scavare, e dagli ulteriori escavi, chi
sa che non emergano appunto degli oggetti indicanti un maggiore sviluppo,
o un' età meno arcaica degli abitatori di quegli or fatti inospiti paraggi.
Perciò è desiderabile e consigliabile la prosecuzione del dissotterramento
tanto nel castelliere di Vallaron che in quello di S. Dionigi, quantunque
-Sié-
non sia poi facile di poter determinare da qual punto si abbiano da con-
tinuare gli scavi. E noi li abbiamo consigliati al chiarissimo dott. M. Hoernes,
assistente all' i. r. Museo di Corte a Vienna, il quale, accettando la nostra
proposta, proseguirebbe gli scavi quanto prima per conto di quella Società
antropologica.
Convien sapere che le nostre scoperte preistoriche, ed i lavori illustrativi
del nostro onor. Presidente, hanno richiamato particolarmente l'attenzione
dell'anzidetta illustre Società. Il prefato dott. Hoernes poi si è compiaciuto
di fare dei detti lavori una speciale relazione che venne stampata nelle
Mittheiliingen di Vienna. Quindi ci chiedeva il parere dove egli potesse
intraprendere degli escavi per conto della sullodata Società. Il nostro on.
Presidente ha creduto di rispondergli, indirizzandolo appunto alle necropoli
dei castellieri di Villanova, necropoli che furono da noi appena sfiorate.
Ed ora lo si attende da Vienna per mettere in effetti il suo divisamento ').
Avremmo parimenti desiderato d' intraprendere degli escavi anche a
Castelvenere, dove si sono avuti degli indizi sicuri della preesistenza d'un
castelliere, essendosi trovati in certi lavori di sterro dei frammenti di urne
cinerarie preistoriche. Ma la lontananza del luogo e la mancanza del tempo
ci hanno fin qui distolto da quelP impresa.
Anche il nostro consocio, 1' egregio maestro-dirigente di Cittanova,
sig. G. Parentin, s' interessò molto delle nostre recenti scoperte nel campo
paletnologia), e desiderando alla sua volta di rendersi utile in qualche modo
alla nostra Associazione, e di portare il suo contributo al nostro Museo,
si diede con grande fervore a visitare alcuni dei castellieri di quella inte-
ressante località, somministrato da noi di quei pochi mezzi di cui si poteva
disporre.
Associatosi infatti coli' amico suo, il sig. Zamarin, segretario di quel
Comune, il Parentin tentò parecchi escavi nel castelliere di Santo Spirilo,
posto alle foci del Quieto. Ma per quanti tasti vi facesse, non gli fu pos-
sibile ancora di trovare la necropoli ; solo vi rinvenne qualche oggetto
preistorico fra mezzo ai numerosi tumuli, coni' ei li definì, disseminati fuori
della cinta del castelliere. Viceversa in un campo poco distante della detta
') Nell'autunno successivo all'epoca in cui venne data lettura della presente Rela-
zióne il prefato dott. Hoernes è anche venuto in Istria, ed ha praticato degli escavi nel
luogo da noi designatogli, impiegando circa una settimana di lavoro. Le sue scoperte non
offrirono però nulla di nuovo, e di particolarmente interessante.
— Si7 —
località, scoprì tre sepolture, senza traccia di vasi, coi cadaveri non cremati,
disposti fra lastre di pietra, ed accompagnati da una fibula di bronzo e da
coltelli di ferro.
Dove poi il prelodato sig. Parentin opina di aver scoperto una doppia
necropoli — cosi da una sua relazione — si è nel campo denominato Val
di Mario, poco lungi dal quale il dott. Kandler segnava un castelliere, che
al Parentin però non fu possibile di precisare.
Questa necropoli, ei dice, è certo di due epoche, poiché alla profondità
di éo cm. si trovano delle urne cinerarie di terra ben cotta e di pietra,
che sono evidentemente dell' epoca romana, tant' è vero che vi si sono
rinvenute delle monete di quel tempo ; ed alla profondità di un metro e
più si trovano degli ossuari di qualità e forma molto primitiva, contenenti
ossa umane combuste, e qualche oggettino di pietra. Ma più d'un semplice
tasto il sig. Parentin non potè fare, e per il tempo che allora gli faceva
difetto, e per la carezza della mano d' opera.
Una parte dell' Istria assai poco esplorata è quella che corre lungo le
sponde dell'Arsa, particolarmente la destra, per essere in buona parte inospitc
e brulla. Fra i pochissimi che 1' ha visitata e geologicamente studiata, si è
il nostro consocio, l'on. A. Covaz di Pisino. Il quale, qualche anno addietro,
nell' occasione che recavasi in quei paraggi per vedere ed esplorare una
grotta, che da quei pastori è detta anche oggidì Pìcina, tornò a visitare il
castelliere di Gradina, sito nel comune di Gimino nella contrada di Cere.
Ecco come egli ne parla in una circostanziata Relazione fatta alla nostra
Società :
« Dissi già un' altra volta essere questo castelliere (di Gradina) unico
nel suo genere, avendo muri a malta ed essendo lo spazio coperto di pietre
per lo più ammucchiate nelle concavità, presentandosi il suolo come a con-
chetta, da dover credere esser questi i posti di casipole, forse rotonde,
costruite metà sotterra ; di più vi si scorge quasi nel centro un monticulo
di terra e pietre alto circa sei metri, che apparisce un fabbricato minato
ricoperto de! proprio materiale.
» La linea di separazione tra il comune di Gimino e quello di Golzana
divide il castelliere per metà, come corre il diametro maggiore da levante
a ponente, restando il monticulo su quel di Gimino. Come venni presso
la cinta del castelliere, vidi un tratto di volto ben costruito a malta, messo
a nudo dai cercatesori, circa tre metri in lunghezza; e dall'attigua depres-
sione del terreno in forma quadrilunga, ritenni che ivi sia stato un serbatoio
d' acqua coperto con volta, la quale caduta, ne rimase il fianco, e forse
- 5i8 -
anche dall' altra parte. Questa avrebbe dovuto avere m. 4 in larghezza e
8 in lunghezza, la profondità si potrebbe precisare dopo un escavo. Ap-
prossimandosi al monticulo si osserva che questo ha per base un rialzo di
macerie alto circa un metro a dieci metri per lato ; a mezza altezza del
monticulo vidi le traccie di altro muro, e su sul pianerottolo ancora un
muro di piedi 1 £ di grossezza, del quale stando a nudo i lati da levante
e da meridio, si capisce ch'era quadrato, misurando circa 4 metri per lato.
Il muro sottostante gli sta dintorno un metro discosto, ha perciò metri 6
per lato. Dall' insieme dovrebbesi congetturare essere stata una torre stretta
dalle fondamenta in su, rivestita da un' altra torre sino a certa altezza, tra
le quali vi sarebbe stato uno spazio d' un metro soltanto, dalché non ri-
sulterebbe l'abitabilità del fabbricato, anzi piuttosto che desso non sia stato
vuoto nell'interno per abitarvi, ma eretto per tener scolta sul medesimo;
— una vedetta dei tempi romani, un cardo massimo di colonia militare ....
essendo punto dominante di tanta estensione di piano ondulato, con vasto
orizzonte tutto dintorno. È poi combinabile che militi romani abitassero
ammodo in quelle capanne semi sotterranee ? Io sarei di parere che si lasci
al tempo di dare risposta » ecc.
Visitato poi il cimitero e la chiesuola di S. Giovanni del comune di
S. Ivanaz (sotto il cui cimitero sta la caverna), così descrive le due sponde
dell'Arsa :
« Le falde dei monti, tanto dell'uno che dell'altro lato dell'Arsa sono
a cappe e stanno le une di fronte alle altre in rapporto di parallelismo,
dimodoché se da un lato vi è una sporgenza dall' altro e' è una rientranza.
Da S. Ivanaz poi, fuor di tale regola, uno sprone si protende verso sud,
e con questa eccezione pare si sieno formate quelle due fortissime inter-
sezioni di fianco verso ponente che ci apportarono la perdita d' un' ora,
tempo sufficiente per entrare nella caverna e trarvi un criterio. Nella parte
dove s'avanza detto sprone appresso al cimitero si vede un rilievo di ma-
ceria calcata e coperta d'erba, che poteva esser stato un muro da impedire
l'accesso da questa lingua o sprone, sulla superficie del quale non si rin-
vengono cocci, né vi ha il solito terriccio. Su questo sprone però è sup-
ponibile esservi stata stazione preistorica, inquantochè sui monti che sovra-
stano 1' Arsa dal lato destro, non ve n' è altro vicino che verso nord sul
monte Oriz e verso sud forse appena su quel di Barbana; mentre questa
posizione di S. Ivanaz ha la richiesta condizione di essere inaccessibile da
'tre lati, potendo con un solo muro riparare il quarto. La mancanza di
cocci e terriccio si spiega, potendo della caverna abitare la gente, e disopra
sul terreno starvi gli animali soltanto, dei quali gli escrementi venivano
— 519 —
dilavati e cosi esportati, mentrechè il terriccio nero dei castellieri deve de-
rivare più che dagli escrementi e materie fecali, dalle ceneri e dai carboni
che producevansi quotidianamente, nonché da avvenibili incendi di quella
massa di legnami di cui erano costruitele abitazioni e le opere di difesa».
In quanto alla caverna poi, pur troppo, il sig. Covaz, per non esser
colto dalla notte in quei luoghi deserti e senza strade, potè appena vederla
esternamente, sicché non gli fu possibile per questa volta di darcene rela-
zione. Solo ci dice, per altrui attestazione, ch'ella è «abbastanza spaziosa».
Quindi lo stesso sig. Covaz ci fa una partecipazione, la quale interessa
non solo il geologo ma anche il paletnologo.
Eccola. Il chiar. consigliere dott. Stache avrebbe « osservato alla sponda
della penisola di Promontore, propriamente dirimpetto all'isolotto Felonega
due strati di sabbia, nelP inferiore dei quali degli arnioni di silice e delle
schegge di questi spezzate a colpo, mentrechè se fossero state trasportate
e rotolate dall' acqua apparirebbero più arrotondate.
« Questo fatto sarebbe di molta importanza per gli studi preistorici
dell' Istria — così il Covaz — inquantochè si avrebbe trovato un luogo di
provenienza e di lavorazione di oggetti silicei che sinora non si sapeva da
dove se ne traevano, non essendo qui in provincia tal materiale, da potervi
fabbricare le varie armi ed utensili.
« Ed è anche da pensarci, come e quando codesto strato sia stato co-
perto dall' altro superiore, ed arguire sull' antichità di quello, dal quale si
potevano ricavare i pezzi di silice, sia di fianco, oppure calcando la superficie,
prima che sopravenne lo strato superiore ». Il dott. Stache disse al Covaz,
che non avendo tempo a disposizione, ebbe ad interessare un signor ufficiale
di esaminare meglio tal cosa. « Rispettiamo — conchiude il Covaz — le
scoperte del dott. Stache sino al suo ritorno in primavera e se non se ne
occuperà ulteriormente, si potrebbero fare delle indagini ».
Ma mentre io V ho parlato degli altrui ritrovamenti e rivelazioni, nulla
V ho detto ancora dell' attività in questo campo della Vostra Direzione.
Ora io posso dirVi che, se noi abbiamo impiegate nell'anno scorso parecchie
giornate di lavoro con esito soddisfacente, come potete capacitarVene dai
cimeli già classificati nel nostro Museo, assai poco abbiamo intrapreso nel-
l'anno corrente, distratti in primavera da altre cure, ed aspettando l' incal-
zante autunno, epoca in cui anche si può avere più facilmente la mano
d' opera. Ci ripromettiamo adunque di metterci in breve al lavoro, parti-
colarmente ai Pizzughi, e di riacquistare il tempo perduto con una serie
di continuate escavazioni, che, speriamo, ci riusciranno proficue di buoni
— 520 —
risultati. Qualche tasto lo si è fatto nella scorsa primavera al castelliere di
Ponzati, di cui Vi ho parlato nella penultima mia Relazione ; ma pur troppo
1' esito fu del tutto negativo ; ne avemmo più il coraggio di riprendere
l'opera iniziata con sì infelici auspici. Veramente avremmo buono in mano
di tentare degli escavi in parecchie località ; ma i mezzi de' quali si può
disporre son così limitati da consigliarci di andare innanzi con tutta economia,
e di limitarci soltanto a quei luoghi che offrono una qualche probabilità
di buon successo. Dirò poi, che una parte del fondo destinato a questo
scopo fu impiegato a soccorrere Mons. Deperis negli scavi interessantissimi
intrapresi nella nostra basilica. Egli è per questo anche che siamo andati a
stecchetto cogli altri escavi di fuori. Auguriamoci che la nostra Associazione
possa acquistare nuove forze contribuenti; ed allora potremo anche spiccare
voli più arditi. Sarebbe un gran male, a mio avviso, che per mancanza di
mezzi noi fossimo costretti o di limitare di molto le pubblicazioni, che
assorbono già ora buona parte del tesoro sociale, o di troncare quasi del
tutto gli escavi nei nostri castcllieri, che tanto interessarono, si può dirlo,
tutto il mondo scientifico. Gli onorevoli Membri che si sono fin qui seguiti
nelle varie Direzioni, hanno dedicato alla nostra impresa non solo tempo,
cure e fatiche, ma hanno sostenuto -personalmente eziandio degli aggravi
eccezionali; sarebbe lecito perciò d'attendersi un'adeguata corrispondenza,
tanto dal paese in generale, che dagli enti morali in particolare.
E poiché V ho accennato alle prestazioni personali complessive, mi
piace di specializzarVi quella dell'egregio mio collega, dott. Giovanni Cleva,
il quale impiegò più mesi di assiduo, zelante e meticolosissimo lavoro nel
decifrare, elencare, classificare prima e poi distribuire nel monetario ben
oltre 3000 monete tra romane imperiali e consolari e venete — lavoro che
era stato iniziato prima, come sapete, dall' altro mio collega in Direzione,
prof. Alberto Puschi. Così, laddiomercè, anche quest'opera della classifica-
zione e collocazione delle monete può calcolarsi molto ben proseguita (parlo
di quelle che in tanti anni s'erano qui ammassate) e potrà ora contribuire
allo studio della nostra storia, trattandosi, come sapete, di monete per la
massima parte ritrovate nella nostra provincia.
Parimenti la Direzione è andata via via accumulando una discreta
quantità di nuove iscrizioni romane e medievali, le prime delle quali anzi
si trovano già presso il chiarissimo avv. Gregorutti per la rispettiva deci-
» frazione e spiegazione, — lavoro ch'egli avrebbe già compito, se fatalmente
negli ultimi tempi non fosse stato colto da male d' occhi.
Così si pensa costantemente a preparare nuovo materiale per i futuri
— 521 —
bollettini della Società. L'eccelsa Dieta e l'inclita Giunta provinciale prov-
vedono generosamente perchè il nostro benemerito e tanto amato cav. Lu-
ciani possa inviarci dagli Archivi di Venezia delle cose preziosissime. Il ben
noto paleografo Mons. canonico de Rosa, continua pure a mandarci delle
pregevoli pergamene dagli Archivi di Ravenna. Di recente l' inclita nostra
Giunta provinciale ha rivendicato dall'eccelso Tribunale d'Appello di Trieste
— che senza difficoltà li accordò — gli Atti notarili, che da più secoli
riposavano nell'Archivio dell' i. r. Giudizio distrettuale di Parenzo. Sono ben
500 volumi o incartamenti di atti, che vanno dall'anno 1434 al 1820. Ecco
una nuova miniera da esplorare, miniera che fa riscontro all'altre della Vi-
cedominaria piranese e capodistriana rivendicate da quei Comuni.
Non parlo poi delle prestazioni continue che la Direzione è chiamata
di fare a privati, a Società, a Dicasteri. Anche di recente fummo interessati
dall' inclita i. r. Direzione delle poste e dei telegrafi di Trieste, se avessimo
nel nostro Museo od Archivio degli oggetti o delle carte riflettenti ai mezzi
di trasporto all' epoca dei Romani. Noi abbiamo promesso d' inviare una
copia della carta stradale romana compilata dal Kandler — carta che verrà
conservata nel nuovo Museo postale che si sta fondando a Vienna dal-
l' eccelso Ministero del commercio.
Egli è in tal modo che la nostra Associazione, o Signori, va d'anno
in anno aumentando nella considerazione per lo meno degli estranei. Basti
dire che le nostre pubblicazioni furono ricercate da illustri Accademie e
Società scientifiche di paesi molto lontani — ultimamente dalla Società
fisico-economica di Konigs'oerga ; dalla R. Accademia di belle lettere, di
storia e di antichità di Stocolma ; e persino dall' Istituto canadese di Toronto
— dalle quali Accademie e Società si ricevono bellissime e importantissime
pubblicazioni di concambio, che vengono ad aumentare il patrimonio scien-
tifico della ancor modesta nostra biblioteca. — Ed è proprio con tali mezzi,
piuttosto che con altri, che la patria nostra diletta si fa conoscere all'estero,
mentre per tanti secoli ella restò pressoché da tutti ignorata e negletta. Ora
saremo proprio noi quelli che rallenteremo coli' apatia e coli' indifferenza
codesta opera di civile espansione e considerazione ? Certo che Voi non la
penserete in tal guisa, e che anzi ciascuno cercherà di sostenerla, di appog-
giarla, di avviarla a più eccelsi fastigi.
E qui avrei posto fine a questa mia disadorna Relazione. Prima però
di chiudere definitivamente, sento il dovere di accennarvi ad un fatto che
— 522 —
interessa l'amor proprio e il sentimento artistico e nazionale non solo di
noi, ma di tutti gì' istriani, anzi starei per dire di tutti gì' italiani.
Voi ben sapete, o Signori, che nel 1892 cade il secondo centenario
della nascita di quel Grande, che nell'arte de' suoni e in quella delle teorie
musicali fu sommo maestro, tanto ch'egli occupa un posto molto distinto
nella storia del terzo rinascimento italiano. Voi intendete eh' io parlo del
grande violinista piranese Giuseppe Tartini.
Già nell'anno 1872 era sorto il proposito in alcuni egregi compro-
vinciali e piranesi — fra cui figuravano i nomi degli indimenticabili prof.
Carlo dott. Combi, prof. Matteo dott. Petronio e prof. Vicenzo De Castro,
e degli ancor viventi dott. Giovanni Tagliapietra, conte Stefano Rota, ed
altri se ve n' erano — era sorto il proposito, io diceva, di festeggiare in
quell' anno il primo centenario della morte di G. Tartini. Per una serie
però di fatali circostanze, affatto indipendenti dalla buona volontà dei su
lodati signori, il nobile divisamento di quegli egregi non ebbe altrimenti
seguito, e la cosa rimase in sospeso.
L' idea tuttavia non era tramontata e manco spenta ; che tutti sentivano,
e specialmente Pirano, l' alta convenienza di onorare uno dei più eletti
ingegni che l' Istria ha prodotto. Pirano, ripeto, sopra tutti, non poteva,
senza grande suo disdoro, lasciar passare anche quest'ultima occasione, forse
più propizia della prima, per rendere il suo tributo d' omaggio al grande
suonatore e compositore.
« Inspirata da queste considerazioni — così una Circolare testé emanata
dallo spettabile Comitato provinciale pel centenario Tartini — la Rappre-
sentanza comunale di Pirano, accettando con unanime plauso la proposta
della sua Deputazione, deliberava addì 14 aprile 1888 di celebrare solenne-
mente nel 1892 la seconda secolare ricorrenza della nascita di Giuseppe
Tartini, di questo Massimo tra i suoi figli, che fu tra pochi a cui natura
fu larga del privilegio del genio, e che nel campo della scienza e dell'arte
lasciò orme immortali ».
Il Municipio di Pirano ben pensò in tale circostanza di allargare il
concetto della festa, dandole un' impronta più che cittadina, provinciale.
Si rivolse con questo intento a tutti i maggiori Municipi dell' Istria, i quali
anche risposero con entusiasmo alla chiama.
Addì io maggio poi dell' anno corr. tutti i rappresentanti delle città
istriane convennero a Pirano, dove ebbe luogo la costituzione del grande
• Comitato, ed eleggendone la Direzione.
E siccome in questa prima convocazione si era pensato di ricorrere
alle sole città istriane continentali e capi distretto giudiziario, il neo-costi-
— 523 —
tuito Comitato s'avvisò di estendere maggiormente gl'inviti e di aggregarsi
degli altri rappresentanti di ogni comune locale, nonché di Corporazioni,
di Società scientifiche ecc. Fu allora che, fra altri molti, anche la nostra
Società storica fu chiamata -di far parte al detto Comitato. Ella annuì, ed
elesse un suo proprio rappresentante ai futuri Congressi comiziali per le
feste tartiniane.
In quell'incontro fu parimenti definita l'azione del Comitato, che sa-
rebbe quella : i° di erigere un monumento a G. Tartini nella piazza di
Pirano, 2° di provocare una pubblicazione di carattere musicale, 30 di met-
tere assieme possibilmente un qualche lavoro concernente la vita e le opere
del grande violinista.
Questo naturalmente sarebbe il desiderato, ma la piena effettuazione
del programma dipende da tantissime accidentalità, che potrebbero essere
contrarie al buon volere dei signori che si sono messi all'opera con tanto
slancio di patriottismo. Ad ogni modo noi facciamo ardentissimi voti, che
1' anzidetto programma raggiunga il suo pieno compimento.
Imperocché l'onoranze rese ai Passati, che in qualche modo illustrarono
la patria nostra, sia non soltanto debito di dovuta riconoscenza, ma espres-
sione di gentilezza d'animo, di nobiltà di sentimento, e sopra tutto, come
nel caso presente, manifestazione di alta coscienza nazionale.
Credo inutile di dire, che G. Tartini fu un Grande, non solo come
artista compositore ed esecutore musicale, ma eziandio come innovatore,
come scienziato, come dotto. Tant' è vero che da tutti i contemporanei,
nostrani e stranieri, fu chiamato il « Maestro delle Nazioni ». Che se l'Italia
non tardò tanto di rendere insigni onoranze al nostro grande istriano, or
spetta a noi di farci vivi e di addimostrare che non é tralignato il nostro
lignaggio, nella pietà nel sentimento nell' arte. E P opera sarà tanto più
grande, quanto è tardata a comparire ; e sarà tanto più significativa, quanto
ci si presuma avviliti spossati affranti ; tanto più efficace, quanto più infelici
ci premono i tempi d' intorno.
Finita la lettura, e aperta dal Presidente la discussione in proposito,
prende la parola l'ili, cav. Campitelli. Crede opportuno di lodare l'attività
sociale, e di far voti che non vengano mai meno, ma s' accrescano quei
morali e materiali soccorsi, mercè i quali la Società nostra possa mantenersi
e progredire.
Quindi il Direttore-Cassiere on. conte Guido dott. Becich fa la seguente
esposizione del conto consuntivo dell'anno 1889, e di quello di previsione
per l'anno 1891.
— 524 —
RELAZIONE
colla quale vengono presentati al Congresso il conto consuntivo per l'anno 1889
e quello di previsione dell'anno 1891 della Società istriana di archeologia
e storia patria.
Onorevoli Signori !
La Direzione si onora di presentare col mio mezzo al Congresso ge-
nerale il Resoconto dell'amministrazione per l'anno 1889 ed il Preliminare
per T anno 1891 ; — corredati, il primo dagli allegati che giustificano le
singole partite di spesa, ed il secondo dalla specifica riassuntiva dei Soci
secondo lo stato del 28 agosto a. e. compilato con riguardo alle rinuncie
annunciate per l'anno p. v. Il numero dei Soci è di 193, — fra i' quali
14 Municipi della Provincia che contribuiscono assieme fior. 185 ; — con un
aumento di io sul numero complessivo dei Soci di confronto all'anno 1889.
I conti non presentano rilevanti differenze da quelli degli anni ante-
cedenti. Mi limiterò quindi ad esporne brevemente i risultati :
I.
Conto Consuntivo 1889.
Introito :
1. Civanio di cassa colla chiusa del iSSS fior. 710.96
2. Contributi dai Soci:
a) per l'arretrato fior. 16
b) pel corrente » 668
e) dai Municipi » 181
assieme ... » 865. —
dunque in meno del preventivo, ch'era di fior. 881,
fior. 16.
3. Vendita di pubblicazioni sociali » 8.40
cioè fior. 21.60 in meno dell'importo preliminato, per
mancata ricerca d'acquisto.
4. Dotazioni e doni :
dal fondo provinciale istriano » 500. —
come preventivati.
Assieme quindi . . . fior. 2084.36
con un'eccedenza di fior. 673.36 sulla somma preliminata.
— 525 —
Esito :
i. Spese di stampa eco fior. 759.
Il risparmio di fior. 241 sull' importo .preventivato di-
pende dal fatto che le tavole degli scavi ai Piaghi,
unite al voi. V fase. i° e 2° degli Atti e Memorie pub-
blicato nell'anno 1889, erano state pagate in antece-
denza, e che il fase. 30 e 40 dello stesso voi. V è
venuto a pagamento nell'anno corrente.
2. Acquisti dì libri, monete, oggetti antichi ecc » 261.61
con un sorpasso di fior. 61.61 per acquisto di libri.
3. Spese e sussidi di scavi, escursioni ecc , . » 318.30
cioè fior. 118.30 oltre la somma preventivata. Tale
spesa maggiore è derivata dall'assegno fatto dalla Di-
rezione del sussidio di fior. 200 per gli scavi archeo-
logici nella basilica eufrasiana e nelP orto vescovile.
4. Spese postali e varie » 125.28
con una eccedenza sull' importo preliminato di fio-
rini 25.28. Nella detta somma è compresa la spesa per
una ghirlanda deposta sulla tomba del socio benemerito
comm. Francesco dott. Vidulich, e per l'acquisto d'un
di lui ritratto.
Somma dell'esito . . . fior. 1464.19
Diffalcato questo importo dalla somma dell'introito di fior. 2084.36
resta il avanzo di fior. 620.17 da portarsi in conto nuovo.
II.
Conto di previsione per l'anno 1891.
Esigenza :
Si mantengono le cifre preliminate nel conto prò 1890, e cioè :
1. Spese di stampa, disegni, tavole ecc fior. 1000. —
2. Acquisti di libri, monete ecc » 200. —
3. Scavi ed escursioni » 200. —
4. Spese postali e varie » 100. —
Assieme . . . fior. 1500.
— 526 —
Coprimento :
i. Civanxp di cassa alla chiusa del 1890 fior. — . —
La gestione dell' anno corrente darà sicuramente un
civanzo; se anche probabilmente minore del 1889 sarà
sufficiente però a coprire 1' esigenza.
2. Contribuii dei Soci e dei Municipi » 901. —
cioè da 179 Soci a fior. 4 . fior. 716
da 14 Municipi » 185.
3 Ricavato dalla vendita di pubblicazioni sociali » 30. —
benché realmente sia difficile di realizzare l' intiero
importo.
4. Dotazioni e doni :
dal fondo provinciale » 500. —
Assieme . . . fior. 1431. —
d'introito presunto, che messo a confronto coli' esito di fior. 1500 lascia
un ammanco di fior. (><), che sarà coperto dal sopravanzo del 1890.
In base a queste risultanze ho l'onore pertanto di proporre che piaccia
al Congresso :
I. di approvare il resoconto per l'anno 1889, coli' introito di fior. 2084.36,
coli' esito di fior. 1464.19 e col civanzo di cassa di fior. 620.17 da
passarsi nel conto dell'anno susseguente;
II. di approvare il conto di previsione per l'anno 1891 coli' esito di fio-
rini 1500, coli' introito di fior. 143 1, e col disavanzo di fior. 6^ da
coprirsi col civanzo di cassa che risulterà alla fine dell'anno 1890.
Aperta la discussione sui conti, nessuno prende la parola ; sono invece
approvati all' unanimità.
Poi si passa all'elezione delle cariche sociali, e restano rieletti gli stessi
signori dell' anno antecedente, cioè :
Avv Andrea dott. Amoroso — Presidente
Prof. Bernardo dott. Benussi — Vice-Presidente
Dott. Marco Tamaro — Segretario
Conte Guido dott. Becich — Cassiere
Dott. Giovanni Cleva — Direttore
G10. Batt. de Franceschi id.
Prof. Alberto Puschi id.
Dott. Bernardo Schiavuzzi id.
Prof. Giuseppe Vatova id.
— 527 —
Prima di chiudere il Congresso, l'on. prof. Luigi Morteani esprime il
desiderio che in ogni cittaduzza dell' Istria, dove esiste un archivio comu-
nale, esso sia non solo gelosamente custodito ed elencato, ma che possa
sorgere taluno che dia un copioso regesto delle carte in esso contenute.
Sul quale oggetto si apre una discussione, diremmo, accademica e confi-
denziale fra parecchi soci, i quali tutti condividono il desiderio del primo
preopinante.
Dopo ciò il Congresso è chiuso. Ore 1.30 pom.
ELENCO
dei doni pervenuti al Museo Archeologico provinciale
ed alla Biblioteca sociale, durante l'anno 1890
OGGETTI ANTICHI.
Dal Socio-Direttore sig. Giovanni dott, Cleva da Parenzo : 90 monete venete,
4 patriarchine, una del conte Mainardo di Gorizia, d' argento, e
15 monete romane, d'argento e di bronzo ; — un Paalstab ad alette
di bronzo, rinvenuto nel castelliere di Valmadorso, ed una lucerna
fittile dell'epoca cristiana, trovata a Zabronich nell'anno 1882.
Dal Socio-Direttore sig. prof. Bernardo dott. Benussi da Trieste : una moneta
d'argento del doge Dandolo, ed altra d'argento del patriarca Lodo-
vico Della Torre, rinvenuta ai Turrini presso Villanova del Quieto.
Dal sig. Lorenzo de Sincich da Parenzo : una moneta d' argento del doge
Andrea Gritti, dell'anno 1523.
Dal sig. Francesco Fava da Dignano : 18 monete di rame ed una d'argento,
romane ; 7 di rame e 2 d'argento, venete ; 6 d' argento e due di
rame, moderne.
Dal Socio sig. Nicolò Ri^i da Pola : tre lucerne di cotto, cristiane, ed una
di bronzo, romana, rinvenute nell' agro di Pola.
— 530 —
Dal Socio sig. Tomaso Sottocorona da Dignano : una moneta di bronzo im-
periale (Livia Augusta).
Dal Socio sig. Antonio Depiera d' Antignana : due monete venete e due
medioevali, d' argento.
Dal sig. Gerolamo Basilisco da Canfanaro : una moneta d'argento, romana ;
una d'argento ed una di rame, venete ; e due medioevali, d'argento.
Dal Socio sig. Marchese Benedetto de Polesini da Parenzo : un denaro d'argento
del doge Pietro Gradenigo (a. 1289-13 11).
Dal Socio sig. Domenico Crismanich da Parenzo: alcune monete romane e
venete, d'argento e di rame, raccolte nella città di Parenzo, e nei
territori di Montona, Buje, Piemonte, Rozzo ed Ossero; un sigillo
plumbeo del doge Giovanni Mocenigo (a. 1477-1485) trovato a
Parenzo ; ed una testina d' imperatrice romana, rinvenuta nel ter-
ritorio di Rozzo.
Dal Socio sig. Giuseppe dott. Bubba da Pirano : 7 monete romane, di bronzo.
Dal sig. Antonio Zaratin da Parenzo : 1 1 monete venete, d' argento.
Dal Socio-Direttore sig. Bernardo dott. Schiavaci da Parenzo : 9 monete
venete e moderne, di rame, 6 monete venete e moderne, d'argento,
e una medaglia commemorativa italiana.
Dai signori Giuseppe Bonassin e Giuseppe Iursich da Dignano : alcune ossa
fossili.
Dal Socio M. R. Don Giovanni Mvgan, parroco di Corridico : due monete
consolari d'argento, due imperiali romane, di bronzo, una veneta,
d'argento, due di rame, e due patriarchine ; alcuni cocci e bronzi
preromani, rinvenuti nel castelliere di Corridico, ed un frammento
d' inscrizione romana, trovata immurata nel campanile di Corridico.
Dal Socio M. R. Don Paolo Deperis, parroco-decano capitolare di Parenzo :
una mummia egiziana di metallo, rinvenuta nel Comune di Valle,
ed un medaglione di metallo dorato, cristiano.
— S3i —
Dal Socio M. R. Don Nicolò Druscovich, arciprete parroco di Cittanova
una moneta dell' imperatore Druso.
ALTRI OGGETTI.
Dal sig. Giacomo Gottardis da Parenzo : una nota di banca austriaca di
fiorini ioo dell'anno 1806, una di fiorini io dello stesso anno,
una di fiorini 5 dell'anno 1851; due pezzi di carta monetata di
soldi io dell'anno 1860; un pezzo di carta monetata di 6 caran-
tani dell'anno 1849; una moneta patriottica di Venezia da una lira
dell'anno 1848, una detta del Comune di Venezia da una lira del-
l'anno stesso; cinque numeri di Gazzette italiane degli anni 1792,
1796 e 1797.
Dal sig. Pietro Zuliani da Parenzo : due dipinti ad olio con cornici di antico
stile, ed alquante monete romane.
LIBRI.
Dall'onorevole Direzione della Biblioteca Braidense in Milano : « Catalogo
della sala Manzoniana ».
Dal sig. Paolo prof. Orsi, regio ispettore degli scavi in Siracusa: «Scoperte
archeologico-epigrafiche nella città e provincia di Siracusa ».
Dal sig. Stefano ing. Traverso, vice-direttore della Società delle miniere
Lanussi in Muravera (Sardegna) : « Note sulla geologia e sui gia-
cimenti argentiferi del Sarrabus (Sardegna), con 17 tavole ed una
carta geologico-mineraria ».
Dal sig. G. prof. Zarbarini da Spalato: «Il Palazzo, e il II della Diocleide ».
Dal Socio sig. cav. G. Matteo doti. Campitelli da Parenzo : « Catalogo del
Museo storico della città di Vienna» (2 volumetti); «Guida del
nuovo palazzo comunale di Vienna » ; « Guida dell' i. r. Museo di
storia naturale, di Corte, in Vienna ».
INDICE DEL VOLUME VI
Fascicolo
E 2.
Pag- 3
» 45
» 105
» 265
Senato Misti. Cose dell' Istria. - Direzione (fine)
Relazioni dei Podestà e Capitani di Capodistria. - Direzione' (continua) '. '
D. un grammatico istriano - Giovanni Moise. _ Marco don. Tamaro .
Il "Postel,, ossia d'una chiave romana rustica usata nella campagna di Ro-
vigno. *- Bernardo dott. Benussi (con una Tavola)
Fascicolo 3.0 e 4.0
Senato Secreti. Cose dell' Istria _ Direzione (continua) .... 2
Relazioni dei Podestà e Capitani di Capodistria. - Direzione' (continua) '. \ l 2
Bibliografia. — M. T. . . ' '
' » 443
xAttì della Società.
Il V Congresso annuale della Società istriana di archeologia e storia patria . „ 480
Le basiliche cristiane di Parenzo. _ Lettura tenuta dal Presidente Andrea
dott. Amoroso (con tre Tavole) .
,., . . , . » ivi
blenco dei doni pervenuti al Museo archeologico provinciale ed alla Biblioteca
sociale durante l'anno 1890
» 529