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Full text of "Atti e memorie"

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THE  POYAL  CANAPA'  INSTITUTE 


\ 

ANNO    SESTO     1889 


ATTI  E  MEMORIE 


DELLA 


SOCIETÀ  ISTRIANA  DI  ARCHEOLOGIA 

E  & 


STORIA  PATRIA  ^^d   %/Zt^- 


Volume  V.  —  Fascicolo  i.°  b  2. 


PARENZO 

nilSO    LA    SOCIETÀ    ISTRIANA    DI    ARCHEOLOGIA    E    STORIA    PATRIA 

Tip.  Gaetano  Coana 
18S9. 


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SENATO    MISTI 


COSE  DELL'ISTRIA 


(Continuazione  del  fascio,  i"  e  2°,  1888) 


Senato  Misti  voi.  XXX. 


Capta. 

1361.  3  giugno.  —  Per  la  sicurezza  della  città  di  Capodistria  e  di 
Castel  leone,  e  per  economia  non  procedtltur  ad  initlcuduin  punctonos  nec  ad 
cavandum  cum  eis,  ma  si  commetta  al  podestà  che  andrà  ivi  quod  f acini  omnem 
txperientiam  quatti  poteri!  de  faciendo  cavati  ad  manus,  e  perciò  si  spediscano 
navi  ed  altre  cose  necessarie  ;  il  podestà  poi  faccia  cavare  tisque  XX  passns 
de  ilio  territorio  quod  fnit  alias  eavatum  ad  videndum  si  sub  eo  est  plus  de  ter- 
ritorio vel  non,  et  si  invenerit  quod  opus  sii  utile  proceda!  in  eo,  avvisando  ciò 
che  tara  (carte  2  tergo). 

Quia  terrilorium  paludis  Iustinopolis  e  talmente  aumentato  che  se  non 
si  provvede  circa  cavalionem   potrebbe  risultarne   pericolo,  i  Savi    all'  Istria 

propongono  vi  si  mandino  duo  ex  pitnclonis  cavatoriis cum  platis 

ed  altri  arnesi,  dovendosi  scavare  circa  800  passi  in  lunghezza  e  io  almeno 
in  larghezza. 

Capta.  —  E  dicendosi  che  le  porporerie  di  Capodistria  sunl  amonile  et 
devastale  ita  quod  devono  essere  escavate,  si  ordina  al  podestà  di  farle  esca- 
vare sicché  le  barche  di  guardia  alla  terra  passini  ire  circumcirca  ierram  cum 


omni  qua,  come  in  addietro,  et  quia  in  aliqno  loco  sunt  nimis  prope  terram, 
reduci  debcant  extra  ad  latus  maris  sicut  erant  prima  (carte  2  tergo). 

1361.  8  giugno.  —  Si  delibera  di  assoldare,  e  spedire  a  Capodistna, 
al  più  presto,  due  comestabiles  boni  et  sufficiente  cum  pagis  XX  il  mese  per 
ciascuno,  et  quia  tales  comestabiles  cum  dictis  pagis  possunt 

ad  soldum  solitimi,  habere  debeant  dicti  soldati  soldandi  libras  XV  in  mense 
prò  quolibet,  et  comestabiles  predicti  sint  cum  postis  ex  et  uno  Roncino  prò  quo 
habere  debeant  libras  MI  in  mense,  et  de  aliis  soldatis  postea  providebitur 
(carte  5   tergo). 

Si  vieta  al  capitano  di  Grisignana  di  far  lavori  in  quel  castello  ;  potrà 
conservare  la  calce  che  ha  e  quella  che  trarrà  dalla  fornace  che  fece  fare, 
ed  anche  venderla  agi'  istriani  sudditi  di  Venezia  (carte  5  tergo). 

1361.  28  giugno.  —  Si  concede  ad  Antonio  Zucharino  di  Pirano  di 
condurre  in  quella  terra  le  rendite  dei  beni  di  sua  moglie  nel  distretto  di 
Emonia  (carte  6). 

1361.  5  luglio.  —  In  premio  dei  lunghi  servigi  prestati  da  Maranfege, 
ora  fatto  vecchio,  gli  si  accorda  il  soldum  unius  poste  equestris  in  S.  Lau- 
renzio senza  obbligo  di  servizio  effettivo  (carte  7). 

1361.  5  luglio.  —  Si  ordina  al  capitano  Riperie  Istrie  di  far  visitare  di 
frequente  da  uno  dei  suoi  legni  la  città  di  Pola,  e  di  andarvi  egli  stesso 
se  la  sicurezza  di  quella  terra  il  richiedesse;  altrettanto  faccia  per  Capodistria, 
e  per  tutte  le  altre  terre  di  quella  provincia  se  avesse  sentore  che  ne  fosse 
minacciata  la  sicurezza  (carte  7  tergo). 

1361.  22  luglio.  —  I  connestabili  destinati  a  Capodistria  ultra  sex  postas 
specificatas  habere  debeant  unam  postam  mortaam  per  ciascuno  (carte  9  tergo). 

In  premio  dei  lunghi  servigi  prestati  da  Antonio  de  Cortusiis,  gli  si 
concede  unam  postam  equestrem  in  S.  Lorenzo  (carte  9  tergo). 

1361.  25  luglio.  —  Si  risponda  ad  ambasciatori  del  comune  di  Trieste 
quod  de  novitate  strate  quaw  dicunt  fecisse  homines  Iiistìnopolis,  non  cognoscimus 
nec  cognoscere  possutnus  quod  sit  super  territorio  suo,  ymo  dicitur,  et  sic  habuimns 
quod  sit  super  territorio  Comilis  Goricie  partim,  et  partim  super  territorio  Iustì- 
nopolis, ac  distai  a  quadam  ecclesia  S.  Vetri  de  Madroso  tre  o  quattro  miglia, 
la  qual  chiesa  benché  paghi  censo  al  vescovo  di  Trieste,  sorge  nel  territorio 
del  conte,  onde  Trieste  non  ha  ragione  di  lagnarsi,  poiché  quello  che  gli 
uomini  di  Capodistria  faciunt  in  dieta  strafa  lo  fanno  per  proprio  comodo 
come  fanno  e  farebbero  i  triestini  nelle  loro  faccende.  Però,  non  volendo 
Venezia  molestare  i  vicini,  se  gli  ambasciatori  potranno  dimostrare  che  Trieste 
abbia  giurisdizione  in  ipsa  strafa  si  provvederà  quod  nulla  fiet  navitas  inusitata 
per  nostros  ;  si  invitano  però  efficacitcr  gli  ambasciatori  stessi  a  far  che  i  trie- 


stini  si  astengano  da  qualsiasi  novità  o  molestia  a  danno  dei  sudditi  veneti 
di  Capodistria,  me  in  dieta  stinta  seti  atiis  pei  ipsam  tranietmtibus,  quoti  nullo 
modo  id  pati  possinuis (carte   u). 

Avendo  il  Conte  di  Gorizia  chiesto  al  capitano  di  Capodistria  licenza 
di  far  passare  sue  genti  per  quel  territorio,  si  scrive  al  podestà  medesimo 
ed  ai  rettori  di  Pirano  e  d' Isola  di  dar  libero  transito  ai  sudditi  d'  esso 
conte  e  alle  loro  cose  e  merci,  trattandoli  amichevolmente  ;  trattone  il  caso 
in  cui  andassero  a'  danni  d'alcuno,  nel  quale  il  transito  sarà  vietato  come 
sarà  vietato  dai  detti  rettori  il  passo  a  genti  che  volessero  offendere  il  conte 
o  i  suoi  (carte  1 1). 

1361.  27  luglio.  —  Si  scrive  al  podestà  di  Capodistria:  Si  mandano 
colà  due  bandiere  equestri  di  20  poste  1' una,  connestabili  Petoto  [?]  ultra 
montanus  e  Simone  sclavus;  il  podestà  ridurrà  le  milizie  ivi  ora  esistenti  in 
due  altre  bandiere  di  20  poste  l'ima,  e  tutte  saran  pagate  a  15  lire  il  mese 
la  posta  (carte  1 1). 

1 36 1 .  31  luglio.  —  Ad  evitare  scandali,  l'avvogadore  inviato  a  Capo- 
distria per  procedere  contro  quel  consigliere  Luca  Caravello  per  ingiurie 
contro  il  podestà  e  capitano,  potrà  obbligare  il  Caravello  a  venire  a  Venezia 
davanti  la  Signoria  (carte   1 1   tergo). 

1361.  8  agosto.  —  Licenza  a  Nanino  da  Bologna,  soldato  di  cavalleria 
in  Capodistria,  di  accompagnare  in  Terrasanta  Marto  Soranzo  cav.  (carte  12). 

1361.  9  agosto.  —  Si  scrive  al  podestA  e  capitano  di  Capodistria  ac- 
consentendo che  le  bandiere  di  cavalleria  sieno  di  25  poste  (carte  12  tergo). 

1361.  11  settembre.  —  S'intima  a  Moreto  Tamado  capitano  del  legno 
della  Riviera  dell'  Istria  di  recarsi  in  giornata  al  suo  ufficio  (carte  22). 

1361.  19  settembre.  —  Il  podestà  di  Grisignana  faccia  riparare  il  muro 
di  quel  castello,  in  parte  caduto  (carte  22  tergo). 

1361,  20  settembre.  —  Licenza  a  Simone  Sciavo,  comandante  una 
bandiera  equestre  in  Capodistria,  di  venire  nel  Veneto  per  15  giorni,  per 
prendere  la  sua  famiglia  che  stava  in  Treviso  (carte  23  tergo). 

1361.  21  settembre.  —  Consultata  dai  Savi  all' Istria  la  domanda  fatta 
dal  comune  d' Isola,  di  poter  riattare  a  proprie  spese  ed  aprire  la  strada  fra 
essa  terra  e  Capodistria  ;  considerando  che  ciò  sarebbe  dannoso  a  questa 
ultima,  specialmente  per  la  diminuzione  del  prodotto  dei  dazi,  e  pei  guasti 
che  produrrebbero  gli  animali  nelle  vigne  circostanti  ;  si  scrive  al  podestà 

ila  che  circa  la  strada  stessa  .non  si  facciano  novità;  se  è  rovinata  o 
guasta  dovrà  essere  riattata  dagli  abitanti  di  Capodistria  entro  il  lor  terri- 
torio, come  offrirono  di  fare  gli  ambasciatori  di  questi  ultimi  (carte  28  tergo). 

Si  scrive  al  capitano  di  Pola  :  sospenda  l'esazione  delle  400  lire  dovute 


dal  comune  di  Dignano  allo  Stato  ;   faccia  sapere  le  condizioni   finanziarie 
del  medesimo,  informandosene,  se  necessario,  sul  luogo  (carte  29). 

In  seguito  a  lagni  del  comune  di  Pola  si  ordina  a  quel  conte  di  vietare 
al  suo  cancelliere  di  esigere  alcunché  sul  vino  ed  olio  che  si  esportano  da 
quella  terra,  o  per  le  licenze  relative,  oltre  il  grosso  consueto  (carte  29). 
Non  essendo  il  vino  di  Pola  paragonabile  col  riboleo,  si  delibera  che 
sia  equiparato  a  quello  del  Trivigiano  pel  dazio  all'  entrata  in  Venezia,  esi- 
gendosi su  esso  2  due.  l'anfora.  Il  conte  di  Pola  farà  registrare  la  quantità 
del  vino  che  si  esporterà  per  Venezia,  e  lo  accompagni  con  sue  licenze. 
Quel  capitano  poi  trasmetta  alla  Signoria  un  prospetto  della  quantità  di 
vino  che  si  trova  in  Pola,  col  suo  valore,  e  ciò  si  faccia  anche  in  seguito 
ad  ogni  vendemmia  da  quei  rettori,  i  quali  esigeranno,  da  chi  ne  fa  il  tras- 
porto, malleveria  che  il  liquido  è  portato  a  Venezia  e  non  altrove  (carte  29). 
1361.  6  novembre.  —  Ad  istanza  del  comune  di  Parenzo  si  accorda 
al  medesimo  di  esportare  da  quel  territorio  l'olio  prodottovi,  a  paesi  amici 
[restando  in  facoltà  della  Signoria  di  fare  eccezioni],  alle  condizioni  già  fatte 
in  simil  materia  agli  abitanti  di  Pola  (carte  30). 

1361.  25  ottobre.  —  Licenza  ad  Obizzone  de'  Generdoni,  connestabile 
di  cavalleria  in  Capodistria,  di  venire  per  un  mese  a  Venezia  (carte  3 1  tergo). 
136 1.  2  novembre.  —  Non  avendo  il  comune  di  Montona  trovato  il 
miglio  che  era  obbligato  a  comperare  coi  150  ducati  già  prestatigli,  gli  si 
accorda,  per  questa  volta,  di  acquistare  frumento,  che  vale  colà  soldi  40  lo 
staio  (carte  32). 

1361.  7  novembre.  —  Si  concede  a  Cristoforo  Barbo  abitante  in  Mon- 
tona, una  delle  tre  poste  pedestri  che  teneva  in  quel  castello  il  defunto  suo 
fratello  Domenico.  Esso  Cristoforo  aveva  già  una  posta  in  proprio  (carte  34). 
1361.  28  novembre.  —  Ad  istanza  di  Beatrice  vedova  del  fu  Giovanni 
Grampa  di  Capodistria,  i  beni  del  quale  erano  stati  sequestrati  da  quel  co- 
mune, si  ordina  al  podestà  di  detta  terra  di  restituire  alla  mentovata  donna 
lire  550  sui  beni  sequestrati,  a  titolo  di  restituzione  di  dote  (carte  39). 

1361  m.  v.  8  gennaio.  —  Sono  eletti  Savi  all'Istria:  Francesco  Mo- 
rosini  Zanacola,  Giovanni  Priuli,  Francesco  Caravello  e  Pantaleone  Barbo 
—  cancellati  (carte  49  tergo). 

1361  m.  v.  22  gennaio.  —  Si  prolunga  di  due  anni  il  termine  ad 
consequendum  fura  sua  a  Biriola  vedova  di  Guexdini  de  Sabinis  di  Capodistria, 
anche  a  nome  di  Giovanni,  Ugone  e  Sehiavolino  suoi  figli,  davanti  al  po- 
destà di  detta  città,  diritti  spettanti  ai  suddetti  come  eredi  di  Sehiavolino 
avo  di  Guecellino  (carte  51  tergo). 

1361  m.  v.  15  gennaio.  —  Per   impedire  i  contrabbandi   di  sale  che 


si  commettono  in  gran  numero  dagli  uomini  di  Pirano,  si  ordina:  che  la 
produzione  di  quella  derrata  da  circa  7000  moggia  si  ristringa  a  5000  Tanno 
in  quel  distretto  ;  che  lo  stato  acquisti  cum  ista  conditione  videlicet  quod 
quocicns  vendetta  de  eo  per  illos  qui  depuialmntur  super  hoc  duri  debeat  UH  cuius 
fumi  soldo  XL.  parvorum  de  modio  et  vendi  ducatis  ditobtts  almeno  ;  ogni 
proprietario  di  saline  abbia  una  tessera  per  salina,  ognuna  delle  quali  risponda 
per  8  moggia  et  sic  reiterelur  tribus  vicibus  ita  quod  ultima  vice  respondeant 
ipse  iexere  prò  Villi  modiis  ;  le  tessere  saranno  custodite  in  apposita  cassa 
e  vi  si  inscriveranno  le  vendite  del  sale,  et  secundum  quod  evenerii  de  sale 
vendendo,  ita  solvaiur  ei  cuius  fuerit  dicttts  sai  vetiditus  ;  i  proprietari  potranno 
ottenere  dai  salinieri  anticipazioni  a  prestito  sul  loro  sale,  fino  a  16  lire 
ciascuno,  verso  malleveria  ;  il  ricavato  delle  vendite  si  deporrà  in  una  cassa 
di  cui  il  podestà  terrà  una  chiave,  l'altra  il  saliniere  ;  e  ne  sarà  reso  conto 
agli  Ufficiali  alle  rason;  è  proibito  di  asportar  per  mare  il  detto  sale  tranne 
pel  Friuli. 

Per  l'esecuzione  di  tali  cose  si  nominerà  un  salinarius  in  Pirano  con 
1.  12  di  grossi  l'anno  di  stipendio,  e  soldi  XII  per  l'affitto  della  casa;  esso 
dovrà  tenere  un  famiglio  a  sue  spese  ;  eseguirà  le  vendite  del  sale,  ne  esi- 
gerà il  prezzo  e  lo  deporrà  nella  detta  cassa  ;  curerà  che  la  produzione  del 
sale  non  ecceda  la  quantità  mentovata  ;  né  venga  trasportato  altrove. 

Nei  tre  luoghi  del  distretto  di  Pirano  nei  quali  si  suol  levare  il  sale 
si  porranno  due  postaroli  per  ciascuno  con  lire  5  di  picc.  il  mese  di  salario  ; 
nel  luogo  detto  Fa^olus  i  postaroli  saranno  tre,  essendovi  più  facili  i  con- 
trabbandi ;  abbiano  una  barca,  e  sorveglino. 

Si  accrescerà  di  200  lire  di  piccoli  l'anno  lo  stipendio  al  podestà,  da 
pagarsi  col  prodotto  del  sale  ;  egli  terrà  4  servitori  di  barca,  oltre  i  soliti, 
per  sorvegliare  i  contrabbandi  di  sale  ;  egli  poi  resta  esente  a  conducendo 
equtwi. 

I  Piranesi  contravventori  ai  presenti  ordini  pagheranno  il  doppio  eius 
de  quo  contrafecerint,  perdano  il  diritto  di  produr  sale  e  le  sue  saline  sian 
distrutte;  l'accusatore  dei  correi  sia  esente  da  tali  pene  ed  avrà  il  terzo  del 
prodotto  della  pena,  il  terzo  pure  avrà  qualunque  denunziatore. 

Tali  prescrizioni  resteranno  in  vigore  due  anni  dal  giugno  venturo  in 
via  di  esperimento. 

II  forestiere  che  contravvenisse  a  quanto  sopra  sarà  bandito,  oltre  la 
pena  suesposta,  da  Pirano  e  distretto  in  perpetuo,  sotto  comminatoria  di 
un  anno  di  carcere  ogni  volta  vi  si  lasciasse  trovare. 

Il  settimo  del  prodotto  del  sale  in  tutto  il  distretto  che  compete  al 
comune  di  Pirano,  e  che  si  suol  vendere  all'  asta,  sarà  consegnato  al  sali- 


—  8  - 

niere,  prò  quo  septimo  poni  debeant  omni  anno  tot  denatii  in  commune  Pironi 
de  sale  alio  vendilo  quantum  fuit  hoc  anno  incantatimi. 

Appena  il  saliniere  da  nominarsi  sani  a  Pirano,  si  farà  consegnare  tutto 
il  sale  soggetto  alla  sua  gestione. 

Quando  la  quantità  del  sale  prodotto  in  un  anno  sorpassasse  le  5000 
moggia,  l'eccedenza  sarà  portata  in  conto  dell'anno  seguente.  11  podestà 
farà  publicare  il  divieto  a  tutti  di  far  saline  nuove  nel  distretto,  sotto  pena 
di  L.   100  per  contravventore  e  di  distruzione  della  salina. 

Il  saliniere  condurrà  seco  uno  scrivano  con  1.  200  di  annuo  stipendio, 
pagabile  sulla  cassa  del  sale  ;  questo  terrà  un  libro  di  entrata  ed  uscita  del 
sale  stesso  in  corrispondenza  coi  quaderni  del  podestà  e  del  saliniere. 

Chi  esporta  sale  darà  malleveria  di  riportare  entro  un  mese  la  prova 
che  quella  derrata  fu  recata  nel  luogo  dichiarato. 

*  Proposte  di  Giovanni  Priuli. 

Avendo  ambasciatori  del  comune  di  Pirano  esposto  quod  propter  novi- 
tates  guerrarum  que  fuerunt  in  partibus  suis,  ammalia  sua  et  vinee  multipliciler 
defecerunt  ita  quod  ipsos  opportuit  prò  substentamento  victus  sui  reducere  se  ad 
jaciendum  salinas;  et  quìa  in  facto  contrabannorum  salis  multimi  habentur  su- 
specti,  libenter  vellent  quod  dominatio  talein  regulam  eis  imponeret  quod  purga- 
rentur  ab  infamia  et  facta  sua  cum  ordine  facere  possent  ;  Giovanni  Priuli  pro- 
pone :  Che  non  si  possano  levare  in  Pirano  più  di  6000  moggia  di  sale 
l'anno,  produzione  da  ripartirsi  proporzionalmente  su  tutte  le  saline  presen- 
temente in  esercizio,  affidandone  a  quel  podestà  e  al  saliniere  1'  esazione 
regolare  e  la  custodia.  —  Chiunque  avrà  sale  potrà  venderlo  purché  non 
sia  esportato  per  mare  che  in  Friuli,  sotto  la  sorveglianza  del  podestà  e  del 
saliniere.  —  Si  eleggerà  in  Maggior  Consiglio  un  saliniere  per  2  anni  con 
lire  13  di  grossi  l'anno,  che  terrà  due*  famigli.  —  Il  sale  che  si  esporta 
per  mare  pagherà  il  dazio  di  lire  4  '/,  a  grossi  il  moggio  da  esigersi  dal 
saliniere  e  dal  socio  del  podestà.  —  Il  podestà  di  Pirano  condurrà  seco  un 
socio  a  cui  pagherà  almeno  4  lire  di  grossi  1'  anno  ;  prenderà  due  famigli 
[oltre  quelli  che  tiene].  Il  socio  terrà  registro  del  sale  misurato  e  attenderà 
col  saliniere  all'  amministrazione  della  derrata.  —  Il  podestà  e  il  saliniere 
manderanno  ogni  giorno  uno  dei  loro  famigli  ad  miidam  [alla  Dogana  ?] 
per  sorvegliare  onde  non  avvengano  contrabbandi  di  sale.  —  Ambidue,  ap- 
pena giunti  a  Pirano,  provvederanno  alla  costruzione  di  magazzini  in  legname, 
in  luogo  adatto,  per  riporvi  il  sale;  alle  relative  spese  provvederà  la  Signoria, 
che  sarà  rimborsata  col  prodotto  del  dazio.  —  Comminatorie  pei  contrab- 
bandi. —  Ognuno  dei  legni  della  custodia  dell'  Istria  terrà  8  balestrieri.  — 


Tali  prescrizioni  dureranno  in  vigore  due  anni,  in  fine  dei  quali  dovranno 
confermarsi  o  abrogarsi  dal  Senato. 

Per  evitare  i  contrabbandi  si  eleggeranno  4  uomini  per  sorvegliare 
alle  bocche  dei  fiumi  i  burchi  che  vanno  in  Friuli,  ed  i  postanti,  onde  non 
seguano  contrabbandi  di  sale  (carte  57  e  59  tergo). 

NB.  Queste  disposizioni,  relative  al  sale  di  Pirano,  non  hanno  alcuna 
nota  che  indichi  siano  state  prese  ossia  deliberate. 

1362.  23  aprile.  —  Spirato  il  termine  assegnato  ai  Savi  all'Istria  per 
conferire  cum  illis  de  Gingia  et  Pirano  e  proporre  rimedi  al  contrabbando 
del  sale  in  Pirano,  si  dà  eguale  incarico  ai  tre  savi  da  eleggersi  per  Negro- 
ponte  (carte  69  tergo). 

1362.  30  aprile.  —  Quia  bonum  estero  novitatibus  que  videntur  sonare 
de  partibus  Alamannk  et  Foroiulii,  quod  habeatiir  provisis  de  factis  Istrie,  vadit 
pars  quod  elligantur  tres  sapientes,  qui  secundum  nova  que  habenttir  et  habe- 
buntur  in  posterum,  examinent  et  provideant  de  hiis  que  pertinerent  ad  conser- 
vacionem  et  bonum  terrarnm  et  locorum  nostrorum  Istrie,  et  super  omnibus  que 
sibi  viderentur  utilia,  nobis  dent  suum  consiliutn  in  scriptis,  cum  quo  eriinus  hic, 
et  fiet  sicut  videbitur,  et  quilibet  possit  ponere  partem.  Et  cum  simili  libertate 
examinent  et  provideant  super  ista  novitate  facta  ser  Paulo  Quirino  ambaxatori 
nostro  retento  cum  navigio  in  partibus  Sclavonie,  et  super  hoc  et  aliis  factis  que 
haberemus  vel  habere  possemus  in  posterum  facere  cum  Rege  Hungarie  vel  cum 
terris  et  locis  Sclavonie  et  aliis  partibus  intra  Culfum,  dent  nobis  suum  consilium 
in  scriptis,  cum  que  similiter  erimtts  hic,  et  fiet  sicut  videbitur,  et  quilibet  possit 
ponere  partem.  Et  habeant  terminimi  usque  totum  mensem  mai)  juturum.  Et  possint 
accipi  de  omni  loco,  exceptis  procitratoribus  et  patronis  et  judicibus  palatii  ac 
consulibus,  et  fiat  una  manus  per  Dominum,  consiliarios  et  capita  et  alie  due  per 
electionem  in  isto  Consilio. 

Omnes  de  parte, 

ser  Marcus  Mauroceno 
Elecli  sapientes     ser  Marinus  Gradonico 
ser  Andreas  Trivisano 
(carte  70  tergo). 

1362.  29  maggio.  —  Licenza  a  Simeone  Sciavo  connestabile  di  caval- 
leria in  Capodistria,  di  venire  a  Venezia  e  dimorarvi  un  mese  (carte  80). 

1362.  4  giugno.  —  Si  risponde  ad  ambasciatori  del  podestà  e  del  co- 
mune di  Muggia  :  Spiacque  alla  Signoria  1'  udire  i  fatti  derivati  dalle  que- 
stioni [anche  con  vie  di  fatto  e  con  danni  materiali]  vertenti  fra  essi  e  il 
podestà  e  gli  uomini  di  Capodistria,  s' invitano  a  far  liberare  i  cittadini  di 
quest'  ultima   arrestati  dai  muggesi,  e  restituire  le  loro  cose  sequestrate,  e_ 


—    IO 


si  esortano  a  far  che  simili  fatti  non  si  ripetano  in  avvenire.  Si  scriverà  a 
Capodistria  in  conformità  onde  sieno  liberati  i  muggesi  e  restituite  le  cose 
tolte  a  questi.  —  [La  lettera  fu  scritta  il  giorno  stesso]  (carte  82). 

1362.  6  giugno.  —  Avendo  Almerico  de  Ganzo  di  Capodistria  lasciato 
suoi  beni  a  Nicoletta  e  Bonafede  figlie  di  suo  fratello  Eleazaro,  a  condizione 
che  non  si  potessero  maritare  senza  il  consenso  del  suo  esecutore  testa- 
mentario Michele  de  Pahnerio  di  Francesco  del  fu  Pietro  e  di  Bertolotta 
sorella  d'esso  Almerico;  morta  ora  Bonafede,  il  de  Pahnerio  vorrebbe  ma- 
ritare Nicoletta  a  Valerio  del  fu  Bernardo  de  Almerigogna,  ma  al  matrimonio 
si  oppone  un  ordine  di  Marco  Soranzo  già  podestà  a  Capodistria  dichia- 
rante dover  concorrere  al  matrimonio  della  detta  fanciulla  il  consenso  d'esso 
podestà  o  de'  suoi  successori  onde  non  sia  data  a  ribelli.  —  Ora  dietro 
istanza  della  medesima  si  dichiara  ch'ella  possa  sposarsi  a  qualsiasi  suddito 
non  ribelle  a  Venezia  (carte  83  tergo). 

1362.  9  giugno.  —  Licenza  a  Peroto  de  Valacho,  connestabile  di  caval- 
leria in  Capodistria,  di  venire  a  Venezia  e  starvi  per  un  mese  (carte  84). 

1362.  18  giugno.  —  Si  commette  al  capitano  del  Pasinatico  di  definire 
al  più  presto  le  questioni  vertenti  fra  i  comuni  di  Pola  e  di  Valle,  recan- 
dosi sui  luoghi  ed  esaminando  accuratamente  le  vertenze. 

Il  capitano  della  Riviera  dell'  Istria  accompagni  a  Torcello  i  milites  et 
gentes  domini  Padue  qui  iverunt  cunt  eius  sorore  Iustinopolim  (carte  86  tergo). 

1362.  8  luglio.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di  Rovigno, 
esaminati  i  documenti  prodotti,  uditi  i  beccai  di  Venezia,  si  delibera  la  revoca 
dell'  articolo  di  quello  statuto  che  ordinava  non  potersi  esportar  bestie  da 
quel  comune  senza  pagare  6  denari  ogni  bestia  minuta,  ed  1  soldo  per  bovino, 
den.  8  per  testa  pei  porcini,  in  quanto  riguarda  i  beccai  di  Venezia  i  quali 
devono  poter  condurre  animali  alla  dominante  senza  pagamento  di  diritto 
alcuno  al  detto  comune.  —  Parte  non  approvata. 

I  beccai  di  Venezia  potranno  comperare  in  Rovigno  e  distretto  animali 
per  uso  della  dominante;  se  i  detti  animali  fossero  comperati  altrove,  e 
solo  di  passaggio  in  Rovigno  possano  starvi  per  5  giorni  senza  pagamento 
di  diritti  ;  restandovi  maggior  tempo  paghino  come  sopra  ;  nel  rimanente 
il  detto  articolo  di  statuto  resti  in  vigore  (carte  92  tergo). 

1362.  20  luglio.  —  Licenza  al  podestà  e  al  comune  di  Capodistria  di 
procedere  alla  elezione  di  arbitri  per  giudicare  questioni  relative  a  territorio 
indeterminato  col  comune  di  Muggia  (carte  95  tergo). 

1362.  31  luglio.  —  Prolungamento  di  15  giorni  della  licenza  data  a 
Simone  Schiavo  connestabile  di  cavalleria  in  Capodistria  (carte  97  tergo). 

1362.  8  agosto.  —  Al  capitano  di  Grisignana  :  Intellectis  litteris  vestris 


II 


datis  quinto  mensis  augusti  presentis  super  facto  colloquii  haliti  iuter  comitem 
Zitte,  comitem  Pixini,  illuni  de  Losso  et  alias  in  dicìis  litteris  contenlis,  qitod 
dicebatur  esse  ad  damnum  et  Jestructionem  locorum  nosirorum  ;  gli  si  ordina  di 
conferire  in  proposito  col  capitano  di  S.  Lorenzo,  e  riferire  alla  Signoria, 
stando  oculatissimo  alla  sicurezza  di  quei  luoghi.  Super  jacto  autein  intro- 
mittendi  et  comburendi  biada  et  fenum  suum,  non  faccia  novitatem  per  non  ir- 
ritare quei  signori  ;  mano  quia  putamus  totum  hoc  accidere  propter  novitates 
factas  per  vos  de  animalibus  subditorum  filiorum  ser  Heurardi  Castellai:!  in 
Pedemonte  captis  et  intromissis  per  vos,  gli  si  ingiunge  di  trovar  modo,  d'ac- 
cordo col  detto  capitano,  conconìandi  hoc  seenni  que  nostro  honori  videritis 
convenire.  In  conformità  si  scrive  al  capitano  di  S.  Lorenzo,  al  pod.à  e  ca- 
pitano di  Capodistria  (carte   ioo  tergo). 

1362.  13  agosto.  —  Si  concede  a  Marco  Semitecolo  connestabile  di 
fanteria  in  Capodistria  di  mandare  altra  persona  in  piazza  colla  bandiera  in 
luogo  di  esso.  Ciò,  essendo  il  Semitecolo  devastatus  aliquantulum  in  persona 
nella  guerra  contro  il  re  d'  Ungheria,  e  non  trovandosi  il  podestà  presente 
Giovanni  Dandolo  facoltà  sufficienti  a  tale  concessione  (carte  101). 

1362.  18  agosto.  —  Il  consiglio  convocato  per  l'affare  del  sai  di  Pirano 
si  adunerà  sabbato  venturo,  i  membri  mancanti  pagheranno  3  lire  (carte 
103  tergo). 

1362.  20  agosto.  —  Provvedimenti  relativi  alla  repressione  dei  con- 
trabbandi, ed  alla  produzione  del  sale  in  Pirano  —  riformati  il  3  settembre 
(carte  104). 

1362.  3  settembre.  —  La  precedente  deliberazione  è  riformata  come 
segue  ;  dietro  consilium  degli  ufficiali  al  Cattaver  :  Per  ovviare  ai  contrab- 
bandi di  sale,  qui  de  partibus  Istrie  vel  inde  ultra  cotidie  por  tallir  cantra  banna 
nostra,  i  colpevoli,  oltre  la  perdita  delle  navi,  del  sale,  e  le  altre  già  com- 
minate, staranno  per  due  anni  in  uno  carcerimi  inferiorum,  per  la  prima  volta  ; 
per  le  recidive  la  detta  pena  sarà  raddoppiata  e  quindi  saran  banditi  dal 
paese  che  abitano.  I  marinai  dei  legni  contrabbandieri  che  dessero  in  mano 
alla  Signoria  i  rispettivi  patroni,  saranno  assolti  da  ogni  pena  e  riceveranno 
200  lire,  più  la  metà  del  legno  e  del  contrabbando  ;  per  la  cattura  d'altri 
marinai  avranno  100  lire  per  testa  presentata.  Chiunque  potrà  arrestar  con- 
trabbandi e  contrabbandieri,  riceverà  la  metà  di  ciò  che  avrà  preso  più 
le  somme  summentovate  pei  patroni  e  pei  marinai.  Lo  stato  si  rimborserà 
sui  beni  dei  colpevoli  del  denaro  speso  pei  detti  premi  ;  se  quelli  nulla 
possedessero  staranno  in  prigione  finché  pagheranno.  L'esecuzione  di  tutto 
ciò  è  affidata  agli  ufficiali  al  Cattaver  e  a  tutti  i  rettori  veneti.  Essi  faranno 
publicamente  gridare  queste  disposizioni  ogni  tre  mesi  nelle  rispettive  giù- 


12    — 


risdizioni.  Delle  dette  pene  non  si  potrà  mai  far  grazia.  La  Signoria  prov- 
veder;! ad  aumentare  le  guardie.  I  Capitana  posta  rum  potranno  pur -essi  pro- 
cedere contro  i  contrabbandi  come  gli  Uff.  al  Cattaver  (carte  107). 

1362.  io  settembre.  —  Si  scrive  al  capitano  in  S.  Lorenzo  commetten- 
dogli: di  verificare  i  fatti  attribuiti  da  ambasciatori  del  conte  Alberto  al  capi- 
tano veneto  in  Grisignana,  d'avere  cioè  sequestrato  alcuni  animali  del  conte; 
di  sentire  esso  capitano  e  di  prendere  quelle  deliberazioni  gli  parranno  del  caso 
con  onor  di  Venezia,  ma  evitando  di  far  sorgere  scandali.  Definirà  eziandio 
una  questione  fra  il  detto  capitano  di  Grisignana  e  il  conte  super  facto  aliquortim 
confinium  prò  quadam  seminai  ione  facta  per  illos  de  Bentenegla  (carte   108). 

1362.  io  settembre.  —  Al  podestà  di  Capodistria  :  In  caso  che  i  due 
giudici  arbitri  per  le  questioni  fra  quella  città  e  Muggia  non  potessero  ac- 
cordarsi nella  sentenza,  egli  sarà  terzo  arbitro  ;  ciò  dietro  preghiera  delle 
parti.  Curerà  che  la  compilazione  del  compromesso  dia  appigli  a  far  poi 
annullare  il  verdetto,  come  già  ebbe  a  succedere  (carte  108  tergo). 

1362.  25  settembre.  —  Essendosi  Paolo  de  Ancona  civis  Poh  lagnato 
che  il  conte  di  Fola  [Andrea  Loredan]  aveva  esatto  da  lui  400  lire  in  pa- 
gamento di  pena  a  cui  era  stata  condannata  Caterina  moglie  di  esso  Paolo 
per  aver  tentato  di  avvelenare  il  marito  stesso  ;  si  ordina  al  detto  conte  e 
a'  suoi  consiglieri  di  restituire  al  querelante  la  detta  somma,  non  essendo 
giusto  sia  pagata  de  bonis  dotalibus,  ma  dei  propri  della  donna,  e  se  questa 
non  ne  ha  potest  eam  compellere  in  personam  (carte   no  tergo). 

1362.  6  ottobre.  —  Naninus  de  Tiononia  è  nominato  connestabile  di 
cavalleria  in  Capodistria  in  luogo  di  Peroti  de  Valach  (carte   112). 

1362.  9  ottobre  —  In  seguito  ad  istanza  in  cui  Giovanni  Alberto  cit- 
tadino veneziano  abitante  in  Capodistria  esponeva  come  nel  1353  fosse  stata 
venduta  da  Paolo  cerdone  ivi  pure  abitante  quadam  eius  vinea  sita  in  Pomo- 
grabo  [?]  cuidam  Martino  de  Vrancho  de  Monte  de  Listinopoli  suo  cognato,  alla 
quale  vendita  aveva  sottoscritto  il  podestà  Filippo  Orio;  come  quel  contratto 
per  essere  fittizio  doveva  annullarsi,  ma  non  voler  a  ciò  assentire  il  presente 
podestà  per  rispetto  alla  firma  del  suo  predecessore  ;  —  si  ordina  al  podestà 
medesimo  di  iniziare  la  procedura  sulla  questione  e  giudicarla  senza  riguardo 
alla  detta  firma  (carte   1 1 2). 

1362.  27  ottobre.  —  Proposta  di  procedere  contro  Pietro  Bragadin  già 
podestà  a  Parenzo  inculpatum  de  septem  capitulis  commissis  in  dicto  regimine 
contra  formam  sue  commissionis  (carte  114). 

1362.  2  novembre.  —  Deliberazione  di  eleggere  in  Senato  tre  savi  prò 
factìs  Istrie,  Hungarie,  Sclavonie  con  mandato  di  proporre  provvedimenti 
super  omnibus  et  singulis  spectantibus  ad  dictas  partes  (carte  1 14  tergo). 


—  i3  - 

Eletti  :  Pantaleone  Barbo  il  giovane  —  Pietro  Giustinian  fu  Bernardo 
—  Lorenzo  Zane  (carte  114  tergo). 

1362.  24  novembre.  —  Deliberazione  di  procedere  contro  Conte  Venier 
già  podestà  a  Isola  accusato  :  di  aver  ingiuriato  certa  Lucia  che  non  volle 
assentire  sibi  sua  figlia  Milora;  di  aver  bastonato  certo  Pentium  de  Pirauo, 
carcerato  e  condannato  a  pagar  100  lire;  di  aver  esrorto  100  lire  a  Nicoletto 
de  Vitis  [o  de  lutis?];  fatto  bastonare  fino  a  morte  Georgiani  Guercium  di 
Trieste;  bastonato  di  propria  mano  quemdam  fratrem  elemosinarium ;  estorto, 
a  danno  di  Franceschino  de  Monsignore,  certi  beni  che  dovevano  vendersi 
all'  incanto  ;  di  aver  fatto  cancellar  condanne  postquam  dederat  bachetam  suc- 
cessori suo  ;  bastonato  di  sua  mano  Giovanni  Scalionum,  facendolo  legare  ad 
pignam,  senza  motivo;  fatto  imprigionare  Iacobum  Groto  [o  Greco?]  becarium 
che  chiedeva  licenza  di  condur  animali  a  Venezia,  e  poi  fattolo  partire  con 
tempo  burrascoso. 

Seguono  varie  proposte  di  pene  ;  è  preso  : 

Il  Venier  sia  bandito  in  perpetuo  da  Isola,  e  suo  distretto,  sotto  pena 
di  carcere  per  un  anno  se  vi  si  lasciasse  trovare;  ciò  per  la  morte  dell'uomo 
bastonato.  Sia  poi  escluso  in  perpetuo  da  ogni  carica  di  rappresentanza,  e 
per  due  anni  da  ogni  ufficio  e  beneficio  in  Venezia;  paghi  400  lire  e  re- 
stituisca ai  condannati  le  pene  percepite  dalla  sua  familia  (carte  118  tergo). 

1362  m.  v.  9  gennaio.  —  Si  delibera  di  commettere  agli  ambasciatori 
inviati  a  Roma  per  la  confermazione  da  parte  della  S.  Sede  di  Simone  da 
Venezia,  arcidiacono  a  Capodistria,  a  vescovo  di  Cittanova  (carte  125). 

Quei  birri,  banditori  o  cabalarli  del  podestà  di  Capodistria,  che  pre- 
senteranno a  questo  alcun  bandito  o  condannato,  e  esigeranno  qualche  pena, 
avranno  la  metà  del  quarto  della  pena,  l'altra  metà  del  quarto  è  assegnata 
al  comune  di  Capodistria  (carte   125). 

1362  m.  v.  4  febbraio.  —  Si  commette  agli  ambasciatori  di  raccoman- 
dare al  papa  e  ai  cardinali  il  vescovo  e  il  vescovado  di  Capodistria  (carte  131). 

1362  m.  v.  23  febbraio.  —  La  Signoria  chieda  al  conte  Paolo  de  Gruppa 
e  ad  Ottone  de  Squar^enich  risarcimento  dei  danni  dati  a  Michele  Tiocho 
beccaio  veneziano  che  fu  derubato  da'  sudditi  di  quei  signori  ncll'  andare 
alla  fiera  di  S.  Maria  de  Ga^etis  ;  si  ordina  al  podestà  di  Capodistria  di  pro- 
cedere per  via  di  rappresaglia  contro  quelli  di  Squar^enich  in  caso  che  il 
risarcimento  non  venisse  dato  (carte   135). 

1363.  18  marzo.  —  Moltiplicandosi  oltre  misura  i  contrabbandi  tani 
per  Ripcriam  Marchie  quam  per  Riperiam  Istrie,  si  delibera  l'elezione  di  tre 
savi  in  Senato  con  mandato  di  proporre  rimedi  a  tale  inconveniente. 

Eletti:  Andrea Trevisan,  Pantaleone  Barbo  e  Giovanni  Priuli  (carte  137). 


—  14  — 

1363.  20  marzo.  —  Licenza  a  Marino  Gisi,  deputato  super  porta  di  Ca- 
podistria,  di  venire  a  Venezia  (carte  137  tergo). 

Nicolò  Cavazza  di  Capodistria,  decaduto  dal  diritto  di  membro  di  quel 
consiglio  in  virtù  di  ordine  del  podestà  Marco  Soranzo,  che  n'  escludeva 
coloro  che  non  v'  intervenissero  entro  tre  mesi  [e  ciò  per  essere  stato  esso 
Cavazza  in  servizio  militare  in  Lombardia],  sarà  riammesso  al  consiglio  stesso 
alla  prima  vacanza  (carte  137  tergo). 

1363.  8  aprile.  —  Si  conferma  per  altri  due  anni  l'ufficio  di  bollare 
i  recipienti  da  vino  e  da  olio  che  si  mandano  da  Capodistria  a  Venezia  a 
Nicoletto  Gradenigo  portolano  alla  porta  di  S.  Martino  in  Capodistria  (carte 
143  tergo). 

1363.  io  aprile.  —  Onde  i  capitani  delle  Riviere  della  Marca  e  di  quella 
dell' Istria. siano  persone  sufficicntes  per  combattere  il  contrabbando,  si  de- 
libera :  Saranno  eletti  per  quattro  mani  di  elezioni  in  Maggior  Consiglio  ; 
resteranno  in  carica  quattro  mesi  con  salario  di  lire  tre  di  grossi  il  mese  ; 
non  potranno  abbandonar  la  custodia  se  non  è  loro  dato  il  cambio,  sotto 
pena  di  200  lire  ;  gli  ufficiali  M'armar  provvederanno  al  pagamento  degli 
stipendi  e  ai  cambiamenti  dei  legni  e  degli  equipaggi.  I  capitani  e  i  corniti 
non  entreranno  per  più  di  un  giorno  in  porti  ove  non  è  solito  farsi  il  con- 
trabbando ;  non  dormiranno  né  mangeranno  con  alcun  rettore  in  terra,  salvo 
il  caso  di  malattia  o  di  fortuna,  di  ordine  superiore  o  altro  di  necessita, 
sotto  pena  come  sopra. 

Sopra  ogni  legno  s' imbarcheranno  io  balestrieri,  fra  i  quali  4  noc- 
chieri che  sappiano  al  bisogno  esercitare  naucleriam,  collo  stipendio  di  lire  io 
di  picc.  il  mese,  e  siano  ben  forniti  di  armi. 

I  capitani  saranno  tenuti  di  spedire  tutti  i  contrabbandi  arrestati,  fattone 
prima  l'inventario,  agli  Ufficiali  al  Cattaver  a  Venezia,  e  saranno  respon- 
sabili degli  ammanchi,  come  pure  ne  saranno  responsabili  coloro  cui  fu 
affidato  il  trasporto  (carte  144  tergo). 

Entro  un  mese,  uno  dei  detti  Ufficiali  anderà  con  tre  uomini  esperti 
temptando  et  scrutando  tutti  i  luoghi  delle  due  riviere  ove  è  solito  farsi  il 
contrabbando,  al  ritorno  proporrà  i  provvedimenti  opportuni. 

S' ingiungerà  ai  rettori  delle  due  riviere  di  non  por  più  alcuno  alla 
tortura  nelle  inquisizioni  in  materia  di  contrabbando  (carte  145). 

1363.  20  aprile.  —  Le  carte  della  procedura,  commessa  a  Giovanni 
Querini  già  capitano  del  Pasinatico  di  S.  Lorenzo,  nelle  questioni  per  confini 
fra  Pola  e  Valle,  si  trasmettano  al  presente  suo  successore  con  commis- 
sione di  definire  quelle  vertenze  ;  pendente  la  causa,  le  parti  si  asterranno 
da  qualsiasi   atto  o  novità  nei  luoghi  in  questione;   il  capitano   poi  abbia 


presente  i  diritti  del  comune  di  Venezia  nelle  ville  di  Magnolie  e  Migdulini 
(carte  146  tergo). 

1363.  20  aprile.  —  Pene  comminate  a  tutti  i  deputati  alla  guardia 
contro  i  contrabbandi  che  in  qualsiasi  modo  si  accordassero  coi  contrab- 
bandieri, o  non  ne  impedissero  avvertitamente  l'azione  (carte  147  tergo). 

1363.  27  aprile.  —  Licenza  a  Nicolò  Rttbeo  connestabile  di  fanteria  in 
Capodistria  di  venire  a  Venezia  e  starvi  un  mese  (carte  148  tergo). 

Senato  Misti  voi.  XXXI. 

1363.  20  maggio.  —  Si  scrive  al  podestà  di  Cittanova  di  habere  in  suis 
juribus  commendai ttm  quel  nuovo  vescovo  Simone  (carte  9  tergo). 

1363.  20  maggio.  —  Si  commette  al  Capitano  di  Grisignana  il  giu- 
dicare questioni  di  confini  fra  i  comuni  di  Montona,  S.  Lorenzo  e  Parenzo 
(carte  io  tergo). 

1363.  20  maggio.  —  Spirato  il  termine  del  compromesso  per  arbitrato, 
di  cui  è  parola  nella  deliberazione  io  settembre  1362,  né  avendo  voluto 
quelli  Capodistria  rinnovarlo,  quod  videlur  dare  solum  procedere  ex  mala  in- 
tentione,  onde  terminare  le  questioni  fra  quella  città  e  Muggia  si  ordina  al 
podestà  della  prima  di  far  in  modo  che  il  compromesso  sia  rinnovato  nel 
modo  altra  volta  prescritto,  ed  esso  podestà  [o  il  suo  successore  Fantino  Mo- 
rosini]  sia  terzo  arbitro,  e  la  lite  sia  finita  al  più  presto  (carte  io  tergo). 

J3^3-  *7  g'ugno-  —  Continuando  a  fiorire  il  contrabbando  nella  Ri- 
viera dell'  Istria,  si  ordina  :  Che  le  bocche  di  quei  fiumi  siano  custodite  da 
torri,  palate,  o  catene,  come  parrà  meglio  alla  Signoria  e  agli  Ufficiali  al 
Cattaver;  fatti  i  lavori,  vi  si  porranno  custodi  e  barche;  all'uopo  si  assegna 
un  fondo  di  300  ducati  d'oro  ;  i  lavori  si  comincieranno  almeno  entro  un 
anno  per  essere  finiti  al  più  presto  ;  a  sorvegliarli  saranno  eletti  due  sopra- 
stanti ;  terminati  i  lavori  resterà  un  solo  legno,  quello  del  capitano,  alla 
guardia  della  Riviera. 

Il  Collegio  elesse  Micheletto  Bon  e  Lorenzo  Giustinian  a  soprastanti, 
con  lire  12  di  grossi  l'anno  di  stipendio  (carte  20  tergo). 

Tutte  le  custodie  riperie  et  postarum  dell'  Istria  e  nei  reggimenti  di  Caorle 
e  di  Grado  sono  commesse  all'  ufficio  del  Cattaver  ;  uno  dei  membri  del 
medesimo  visiterà  ogni  quattro  mesi  la  detta  Riviera,  verificare  se  tutto  vi 
è  in  ordine  e  pagarvi  le  persone  impiegate,  mutarne  le  inette  (carte  21). 

Quelli  che  porteranno  riboleum  da  Muggia  o  Trieste  dovranno  accipere 
contralti teram  dai  podestà  di  Capodistria,  Isola  o  Pirano,  dar  pieggieria,  far 


—  i6  — 

bollare  le  botti,  riportare  entro  un  mese  al  rettore  che  rilasciò  la  prima, 
altra  contraìitteram  degli  ufficiali  competenti  di  Venezia  provante  1'  arrivo 
quivi  del  vino  ;  chi  non  adempirà  tali  pratiche  subirà  le  pene  comminate  ai 
contrabbandieri.  Gli  ufficiali  al  Cattaver  sono  incaricati  dell'esecuzione. 

Revocata  il  22  ottobre  (carte  21). 

Chiunque  porterà  ad  stimam  gradi  olio,  cacio,  vettovaglie  e  altre  merci 
dalla  Marca,  dall'  Istria,  dalla  Schiavonia  e  da  altre  parti,  dovrà  accipere  con- 
traìitteram dai  podestà  di  Parenzo  o  di  Pirano,  o  dal  conte  di  Pola,  e  ri- 
portare poi  al  rettore  che  rilasciò  la  prima,  altra  contraìitteram  del  conte  di 
Grado  provante  l'arrivo  in  detta  città  della  merce  ecc.  come  sopra  (carte  21). 

1 363.  17  giugno.  —  Licenza  ad  Andrea  Gamba  connestabile  di  fan- 
teria in  Capodistria  di  venire  per  15  giorni  a  Venezia  (carte  21  tergo). 

1363.  1  luglio.  —  Si  concede  a  Tomasino  de  Ruynis  di  Reggio,  habenti 
imam  postarti  equestrem  in  Capodistria,  di  poter  porre  in  suo  luogo  unum 
sufficientem  equitatorem  ;  il  de  Ruynis  al  tempo  della  ribellione  di  Capodistria 
aveva  prestato  strenui  servigi,  era  stato  ferito  dai  nemici  e  gli  era  stato 
ucciso  il  cavallo  (carte  23). 

1363.  30  luglio.  —  Maria  moglie  di  Giovanni  da  Capodistria  espone 
che  suo  marito  amisit  contractam  per  aver  ucciso  un  uomo,  e  sui  suoi  beni 
pende  il  sequestro  ;  che  al  tempo  della  guerra  dei  genovesi  fefellit  a  duabus 
arniatis  per  cui  essa  dovette  acconsentire  alla  vendita  della  maggior  parte 
de'  suoi  beni  metà  dei  quali  spettavano  ad  essa,  come  si  usa  in  Capodistria 
nei  contratti  di  nozze;  essendole  ora  rimaste  due  vineole  per  unico  sosten- 
tamento suo  e  di  quattro  figlie  piccole,  chiede  le  siano  assegnate  le  dette 
vigne  qual  sua  competenza  dotale.  E  ciò  è  accordato  (carte  29  tergo). 

1363.  12  agosto.  —  Licenza  agli  abitanti  di  Umago  di  portar  per  mare 
ove  vorranno  l'olio  prodotto  nei  loro  possedimenti,  purché  non  si  porti  a 
nemici  di  Venezia;  ciò  alle  condizioni  prescritte  in  simil  cosa  agli  uomini 
di  Pola.  Simil  grazia  è  accordata  a  quelli  di  Cittanova  (carte  3 1  tergo). 

Ai  medesimi  abitanti  di  Umago  si  concede  di  portare  a  Venezia  il  vino 
prodotto  come  sopra,  pagando  due  ducati  per  anfora;  ciò  alle  condizioni 
come  sopra.  Simile  a  quelli  di  Cittanova. 

Si  accorda  pure  ai  medesimi  di  portare  il  grano  prodotto  sui  loro  beni  in 
tutte  le  terre  dell'  Istria  veneta  con  esenzione  da  ogni  dazio  (carte  3  1  tergo). 

1363.  20  agosto.  —  Godendo  già  da  tempo  le  monache  di  S.  Teodoro 
di  Pola  [in  compenso  dei  danni  patiti  nella  guerra  col  re  di  Ungheria]  il 
diritto  di  esportare  da  quella  città  6  migliaia  d'olio  all'anno  per  tre  anni, 
e  non  avendo  esse  ancora  esercitato  tal  diritto,  impedendolo  i  conti  pel 
motivo  che  i  beni  di  quel  monastero  non  davano  la  quantità  concessa  ;  si 


—  17  — 

dichiara   ferma  la  concessione   anche   per   olio  non   prodotto  sui   beni  del 
monastero  (carte  33). 

1363.  17  settembre.  —  Si  ordina  al  capitano  di  Capodistria  che  dopo 
il  tempo  della  vendemmia,  ordinet  et  deputet  personas  habitantes  in  Iustinopoli 
ad  publicum  onde  riparare  la  publica  fontana  ;  intelligendo  quod  ad  dictum 
pubìicum  intclligantur  tam  stipendiarti  quam  alie  quecumque  persone  habitantes 
in  Iustinopoli;  e  venendo  l'acqua  da  lungi,  i  villici  di  quel  distretto  por- 
teranno o  faranno  portare  i  legnami  necessari  per  la  conduttura  (carte  40). 

1363.  17  settembre.  —  La  Signoria  elegge,  per  mandato  del  Senato, 
Pietro  Giustinian  e  Pantaleone  Barbo  a  savi  all'  Istria  (carte  40  tergo). 

1363.  3  ottobre.  —  Essendo  la  sede  vescovile  di  Cittanova  contesa 
da  due  sedicenti  vescovi,  uno  eletto  dal  patriarca  di  Aquileia  ed  uno  dal 
papa,  si  ordina  a  quel  podestà  di  far  custodire  le  rendite  maturantisi  del 
vescovado  dal  decano  della  cattedrale  o  da  altri,  che  ne  sarà  responsabile, 
fino  a  questione  finita  (carte  41). 

1363.  5  ottobre.  —  Si  delibera  l'elezione  di  tre  savi  all'Istria.  — 
Eletti  :  Iacopo  Dolfin,  Orio  Pasqualigo  e  Taddeo  Giustinian  (carte  44  tergo). 

1363.  18  ottobre.  —  Proposta  per  l'abolizione  dell'obbligo  delle  con- 
trolettere pei  portanti  riboleum  da  Muggia  e  da  Trieste.  —  Non  ap- 
provata. 

Segue  annotazione  che  fu  approvata  il  22  (carte  42  tergo). 

1363.  26  ottobre.  —  In  seguito  a  notizie  di  radunamenti  di  genti  sotto 
Prem  [?],  che  sono  una  minaccia  per  Pola,  ora  tnnltum  desolata  gentibus,  si 
ordina  al  capitano  di  S.  Lorenzo  di  mandar  tosto  in  quella  città  ttnam  bonam 
banderiam  equestrem  che  vi  faccia  buona  guardia,  anche  nel  distretto,  e  vi 
stia  fino  a  nuovo  ordine.  Occorrendo  poi  buona  guardia  anche  nel  castello 
Mommarani,  riattato  di  recente  dai  conte  veneto  in  Pola,  il  detto  capitano 
col  conte  provvedano  d'accordo  all'  uopo  (carte  43). 

I  pagatori  all'armamento  assoldino  al  più  presto  due  bandiere  di  fan- 
teria da  spedirsi  in  Istria  come  provvederà  la  Signoria  (carte  43). 

Si  eleggano  due  provveditori  da  spedirsi  a  Pola  al  più  presto,  i  quali, 
con  quel  conte,  provveggano  alla  sicurezza  di  quella  città  e  del  distretto 
[a  maggioranza  di  voti].  Tutti  i  rettori  dell'  Istria,  il  capitano  e  i  legni  della 
Riviera  saranno  posti  a  loro  disposizione  per  dar  loro  gli  aiuti  che  doman- 
dassero, dovendo  però  uno  dei  detti  legni  restar  sempre  alla  guardia.  I 
provveditori  non  s' immischieranno  de  regimine  civitatis.  In  caso  di  necessità 
uno  di  loro  potrà  fare  escursioni  nella  provincia,  restando  però  1'  altro  in 
Pola.  Saranno  eletti  in  Senato,  potranno  spendere  4  ducati  al  giorno  [fra 
tutti  e  due],  avranno  tres  famulos  ab  armis  ciascuno,  un  notaio  con  un  servo, 


—  18  — 

ed  un  cuoco.  Gli  eletti  partano  domenica  prossima.  —  Eletti  :  Pantaleone 
Barbo  juniore,  che  si  rifiutò  (carte  43  tergo). 

1363.  11  novembre.  —  Si  ordina  nuova  missione  della  seguente  ducale 
al  podestà  di  Capodistria,  e  l'ingiunzione  ad  esso  della  sua  stretta  os- 
servanza. 

In  seguito  ad  istanza  del  comune  di  Muggia,  dopo  la  sentenza  arbi- 
tramentale  pronunziata  da  Giovanni  Dandolo  podestà  a  Capodistria  e  dagli 
altri  due  giudici  circa  territorio,  que  sunt  hominum  Mugli  super  districhi  Iu- 
stinopolis  che  formarono  oggetto  della  questione,  della  qual  sentenza  si  in- 
chiude copia  ;  si  dichiara  che  i  muggesi  aventi  territoria  nel  distretto  di 
Capodistria,  debbano  pagare  imposte  e  dazi  ut  faciunt  olii  babentes  de  ipsis 
territoriis  ;  in  quanto  poi  ai  territoria  di  cui  si  occupa  la  sentenza,  quelli 
che  son  soliti  pagare  2  soldi  per  orna  sul  vino  prodotto,  paghino  ut  dietimi 
est,  e  quelli  che  non  sogliono  fare  tal  pagamento  per  ora  siano  lasciati  in 
pace  (carte  45). 

1363.  12  novembre.  —  Gli  uomini  della  galea  di  Capodistria,  que  est 
quasi  disarmata  possono  esser  licenziati,  refundendo  comuni  et  aliis  de  tempore 
quo  non  serviverunt  ;  quelli  che  fino  ad  oggi  fefellissent  teneantur  ad  capitale 
et  penam  (carte  45). 

1363.  27  novembre.  —  Si  ordina  ai  consiglieri  di  Capodistria  di  non 
distribuere  nec  mutuare  de  pecunia  communis  alieni  persone  neque  cambire  unum 
debitorem  prò  alio  senza  il  consenso  del  podestà  (carte  46  tergo). 

1363.  12  dicembre.  —  Licenza  al  capitano  del  Pasinatico  di  S.  Lorenzo 
di  accettare  d'esser  giudice  arbitro  in  questioni  per  confini  fra  i  comuni  di 
Pola  e  di  Valle  (carte  47  tergo). 

1363  m.  v.  6  gennaio.  —  Licenza  a  Flandria  connestabile  di  fanteria 
in  Capodistria  di  venire  a  Venezia  per  15  giorni  (carte  49  tergo). 

1363  m.  v.  9  gennaio.  —  A  richiesta  del  capitano  del  Pasinatico  la 
bandiera  di  cavalleria  già  mandata  da  S.  Lorenzo  a  Pola  è  richiamata  alla 
prima  sede  (carte  50). 

1363  m.  v.  29  gennaio.  —  Licenza  ad  Obizzone  degli  Arnardoni  con- 
nestabile di  cavalleria  in  Capodistria  di  venir  per  un  mese  a  Venezia  (carte  51). 

1363  m.  v.  15  febbraio.  —  Si  commette  al  capitano  di  Grisignana  di 
assumere  precise  informazioni,  e  trasmetterle  al  Senato,  su  questioni  fra  gli 
abitanti  di  Capodistria  e  di  Muggia  per  sequestri  di  animali  operati  da  questi 
a  danno  di  quelli.  Si  ordina  pure  al  podestà  di  Capodistria  che  ammalia 
illorum  de  Iustinopolis  que  reperiuntur  in  eo  statu  quo  sunt  ad  presens  accipi  et 
reassumi  faciat  per  illos  quorum  sunt  ab  illis  de  Mugla  qui  ea  habent  et  tenent  ; 
stimati  gli  animali,  faccia  restituire  ai  muggesi  i  beni  che  fece  loro  seque- 


—  i9  — 

strare.  Ciò  per  essersi  quelli  di  Muggia  rimessi  al  giudizio  della  Signoria 
(carte  52). 

1363  m.  v.  15  febbraio.  —  In  seguito  ad  istanza  di  Francesco  quondam 
Petri  Azpnis  di  Capodistria,  e  a  relazione  di  quel  podestà,  quest'  ultimo  è 
autorizzato  a  vicedominare  una  procura  e  tutti  gli  altri  istrumenti  con  cui 
Costantino  fratello  del  detto  petente,  domiciliato  in  Fiume,  cedeva  al  ripe- 
tuto Francesco  la  quarta  parte  di  tre  inansi  posti  nella  villa  di  Figarola, 
distretto  di  Capodistria,  posseduti  già  dal  padre  dei  due  (carte  52). 

1364.  io  marzo.  —  Licenza  ad  Obizzone  degli  Arnardoni  di  prolungare 
di  un  altro  mese  la  sua  dimora  in  Venezia  (carte  53  tergo). 

1364.  18  marzo.  —  Non  essendosi  mai  dato  mano  ai  lavori,  già  or- 
dinati, per  /adendo  cavati  ai  manum  territorium  paludis  Instinopolis,  si  ordina 
a  quel  podestà  di  far  procedere  per  omnem  modum  a  detta  escavazionc  per 
la  lunghezza  di  almeno  800  passi  e  io  di  larghezza  ;  si  ordina  ai  Patroni 
all'arsenal  di  mandar  colà  4  burchi  dei  più  leggeri  ed  istrumenti  da  scavare. 
Il  podestà  faccia  pur  escavare  certas  barenas  que  Stilli  ibi,  in  modo  che  al 
giungere  dei  pontoni  questi  possint  jodere  sitte  obstaculo. 

Vista  la  frequenza  dei  mercanti  in  Capodistria,  specialmente  dopo  che 
Jacta  fuit  Ma  slrata,  pei  riparare  ad  una  sentita  mancanza,  si  delibera  che 
sia  eretta  in  quella  città  ima  sufficiens  hostaria,  o  si  prenda  all'uopo  ad  affitto 
una  casa,  come  e  dove  parrà  più  opportuno  al  podestà,  il  quale  la  darà  in 
conduzione  per  3  anni  mediante  incanto  a  persona  die  presenti  sufficiente 
guarentigia  di  buon  servizio,  e  sia  cittadina  veneta  originaria.  L'oste  dovrà 
denunziare  ogni  sera  al  podestà  le  persone  ospitate. 

Si  assegnano  lire  500  di  picc.  al  podestà  di  Capodistria,  per  sopperire 
alle  spese  di  lavori  pubblici,  per  la  ricostruzione  delle  mura  e  per  la  for- 
tificazione Castri  leonis  (carte  54  tergo). 

1364.  19  marzo.  —  Francesco  Querini,  professor  sacre  pagine  e  vescovo 
di  Capodistria  è  approvato  per  essere  raccomandato  alla  S.  Sede  come  aspi- 
rante al  vescovado  di  Corone  (carte  55). 

1364.  17  aprile.  —  Il  podestà  e  capitano  di  Capodistria  procuri  di 
avere  in  mano  quei  sudditi  Comitis  Georgii  de  Raspurch  che  commisero 
ruberie  in  quel  territorio,  ne  faccia  la  dovuta  giustizia  e  veda  di  ottenere 
dai  colpevoli  il  risarcimento  dei  danni  (carte  57). 

Si  delibera  poi  di  scrivere  alla  moglie  del  detto  conte,  il  quale  è  assente, 
onde  faccia  restituire  le  cose  rubate,  ed  impedisca  il  rinnovarsi  di  simili 
fatti,  il  che  la  Republica  non  sarà  per  tollerare,  poiché  al  caso  userà  di  mezzi 
coercitivi  ;  che  intanto  risponda  sulle  sue  intenzioni.  Il  capitano  di  Grisignana 
sarà  incaricato  della  trasmissione  della  lettera  e  della  risposta  (carte  57). 


—   20   — 

1364.  14  maggio.  —  Licenza  a  Bertuccio  Sottili  connestabile  equestre  in 
Grisignana  perchè  possa  andare  per  suoi  affari  in  varie  terre  dell'  Istria,  durante 
il  giugno,  facendosi  sostituire  da  suo  fratello  Assalone  (carte  61  tergo). 

1364.  18  maggio.  —  Si  ordina  al  podestà  di  Capodistria  di  conservare 
i  beni  del  fu  Nicolai  fratris  Cavrete  olim  filie  Iohannis  de  Verciis  finché  non 
sia  cognitum  de  iure  partium  provvedendo  intanto  al  vitto  della  pupilla  di 
detto  Nicolò  (carte  62). 

1364.  18  maggio.  —  Ad  istanza  di  Michele  figlio  di  Castellani  Mare- 
scalchi, e  in  seguito  ad  informazioni  del  podestà  di  Capodistria,  si  ordina 
la  restituzione  a  costui  di  una  casa  edificata,  avanti  la  ribellione  della  città, 
dal  padre  d'  esso  Michele  su  terreno  di  quel  vescovado,  ma  poi,  morto  il 
padre  stesso  lasciando  i  figli  minorenni,  la  casa  fu  data  a  Guasparino  ma- 
rescalco stipendiarlo  che  tuttavia  vi  abita  (carte  62). 

1364.  11  giugno.  —  Giovanni  Giustinian  capitano  del  Pasinatico  di 
S.  Lorenzo  è  richiamato  alla  sua  sede  da  Pola  ove  la  sua  presenza  non  è 
più  necessaria.  I  soldati  in  Pola  resteranno  all'obbedienza  del  conte  (carte  65). 

1364.  20  giugno.  —  Si  spedisce  a  Capodistria,  dietro  domanda  del 
podestà,  un  pontone  per  quei  lavori  di  scavo  (carte  65  tergo). 

1364.  20  luglio.  —  A  richiesta  del  podestà  di  Montona,  avendo  il  pa- 
triarca di  Aquileia  eletto  Leone  della  Torre  a  giudice  arbitro  per  la  parte 
patriarcale  nelle  questioni  confinarie  fra  i  comuni  di  Montona  e  di  Portole, 
si  commette  al  capitano  di  Grisignana  di  esser  giudice  arbitro  per  la  parte 
veneta  (carte  69  tergo). 

1364.  23  luglio.  —  Si  accorda  a  Lorenzo  de'  Faganelli  capitano  alla 
porta  Buxardaga  in  Capodistria,  che  nella  ribellione  di  quella  città  aveva 
perduti  i  suoi  beni,  di  poter  tenere  un  famulum  pagato  dallo  stato  [lire  4 
il  mese]  che  lo  assista  nel  suo  servizio  (carte  71). 

1364.  23  luglio.  —  Riconosciuto  insufficiente  il  presidio  di  Capodistria, 
si  delibera  la  elezione  di  due  connestabili  equestres  con  25  paghe  benefurnitas 
per  ciascuno  ;  di  scegliere  nelle  bandiere  che  sono  in  quella  città  due  con- 
nestabili magis  sufficientes  riducendo  a  due  le  bandiere  stesse  tutte  di  uomini 
adatti. 

Le  15  bandiere  di  fanteria  che  sono  in  Capodistria  si  ridurranno  a  io 
di  25  paghe  V  una  ;  tre  d' esse  bandiere  saranno  formate  in  Venezia,  le 
altre  7  si  costituiranno  colle  presentemente  esistenti  in  Capodistria  (carte 
71  tergo). 

1364.  22  agosto.  —  Super  factis  Istrie  si  eleggano  tre  savi,  uno  dalla 
Signoria  e  due  dal  Senato,  onde  propongano  provvedimenti  per  le  cose  di 
quella  provincia. 


—    21    — 

Eletti  sapientes  :  Ser  Andreas  Lauredano  q.m  ser  Marci 
Ser  Iohannes  Bondemiro  [cancellato] 
Ser  Iohannes  Darpino  [cancellato] 
Expiraverunt  Ser  Nicolaus  superando  S.«  Marine 
[A  lato  dopo  i  suddetti]:  Ser  Petrus  Gradonico  S.  Canciani 

Ser  Iohannes  Bembo  filius  ser  Marci 
Ser  Petrus  Cornano  S.  Felicis 
(carte  74). 

1364.  3  settembre.  —  Licenza  ai  figli  ed  eredi  dei  furono  Giovanni  e 
Nicolò  de  Verciis  di  Capodistria  di  portare  in  quella  città  i  redditi  di  loro 
beni  posti  in  Pola  e  nel  suo  distretto  (carte  75). 

1364.  ié  settembre.  —  Riconosciuta  necessaria  una  più  diligente  cu- 
stodia in  Capodistria,  si  nomina  Taddeo  de  Ecillo  di  Treviso,  uomo  provato, 
a  connestabile  con  incarico  di  raccogliere  una  bandiera  equestre  di  25  paghe 
con  16  lire  di  picc.  il  mese  per  paga  (carte  76  tergo). 

1364.  ié  settembre.  —  Chiedendo  il  podestà  di  Capodistria  anche  100 
fanti  per  la  riforma  di  quelle  bandiere  di  fanteria,  gli  si  commette  di  mandare 
a  Venezia  4  fra  i  migliori  connestabili  i  quali  formino  una  bandiera  ciascuno 
di  25  paghe  da  lire  8  di  picc.  ciascuna  il  mese,  pei  primi  due  mesi,  e  lire  6 
nei  successivi.  Giunte  queste  milizie  in  Capodistria,  quel  podestà  cxjkrarc 
debeat  le  bandiere  di  fanteria  ivi  esistenti,  riducendole  a  io  con  250  paghe 
complessivamente  (carte  77). 

1364.  24  settembre.  —  Licenza  a  Nichus  Rosso  connestabile  di  fanteria 
in  Capodistria  di  venire  a  Venezia  per  un  mese  (carte  77  tergo). 

1364.  9  ottobre.  —  Si  risponde  al  capitano  di  Grisignana  che  perora 
non  si  permette  di  far  alcun  lavoro  di  riparazione  al  molino  di  Gradole 
(carte  88  tergo). 

1364.  9  novembre.  —  Avendosi  notizie  de  motu  gentium  que  nuper 
descenderunt  ad  partes  Istrie,  per  assicurare  quelle  terre,  si  delibera  1'  assol- 
damelo di  quattro  bandiere  di  fanteria  da  spedirsi  colà  (carte  81). 

Pei  lavori  e  scavamenti  intorno  a  Castel  Leone  si  delibera  d' inviare  a 
Capodistria  due  boni  viri  in  talibus  experti,  i  quali  studino  con  quel  podestà 
i  lavori  da  farsi  e  il  modo  di  condurli  colla  maggiore  economia,  e  ritornino 
a  riferire  (carte  81). 

1364.  9  novembre.  —  Avendo  Fantino  Morosini  già  podestà  e  capitano 
a  Capodistria,  in  virtù  di  sentenza  dei  giudici  di  Petinon  [che  aggiudicava 
ducati  1 150  sui  beni  paterni  alla  moglie  di  Secondo  Avventurado  figlia  di 
Filippo  de  Mari]  venduto  all'incanto  certe  possessioni  del  de  Mari,  l'Avven- 
turado  le  acquistò  per  lire  1850;  ma  il  podestà  lo  costrinse  a  restituire  gli 


—    22    — 


istrumenti  ai  Visdomini  fino  a  che  esso  Secondo  o  la  moglie  provassero  de 
pecunia  recepta  si  (interior  creditor  apparerei.  Appoggiato  però  alle  leggi  in  vigore 
l'Avventurado  chiede  che  possano  servire  a  guarentigia  dei  creditori  le  posses- 
sioni acquistate  e  gli  siano  restituite  le  carte.  —  Il  che  è  accordato  (carte  83). 
1364.  9  novembre.  —  Licenza  a  Nanino  da  Bologna  connestabile  c- 
questre  in  Capodistria  di  andare  a  Zara  a  prendere  la  sua  famiglia  e  le  sue 
cose,  sempre  coll'assenso  del  podestà  (carte  83). 

1364.  21  novembre.  —  Per  riparazione  del  molo,  delle  mura,  delle 
poste  e  della  riva  di  Parenzo,  si  accorda  a  quel  comune  un  prestito  di  400 
ducati  sulla  Camera  del  frumento,  da  restituirsi  in  4  anni  ['/<  l'anno]  col- 
l' interesse  solito  (carte  84  tergo). 

1364  m.  v.  7  gennaio.  —  Quia  civitas  nostra  Iustinopolis  que  est  prin- 
cipalis  membrum  quod  habeamus  in  Istria  potest  dici  conservari  per  castrwn 
leonem  quod  si  conservatur  potest  dici  verisimiliter  ipsam  civitatem  non  posse 
deficere;  si  delibera,  udito  il  consiglio  di  quel  podestà  e  capitano  e  dei  tre 
esperti  uomini  di  Chioggia  colà  spediti  :  che  si  scavi  per  300  passi  a  ponente 
in  modo  che  si  possa  approdare  al  castello  senza  impedimento. 

E  poiché  la  palude  che  stava  presso  la  città  e  il  castello  è  in  gran  parte 
rasciutta,  e  vi  si  formarono  barene,  il  podestà  farà  scavar  queste  ami  una 
manu  vange  in  modo  che  l'acqua  crescente  copra  quel  terreno  e  lo  mantenga 
molle;  la  terra  escavata  sia  gettata  in  mare. 

Pro  obviando   monitionibus   che  si  formano   presso  la  città  e  il  castello 

propter  impetum  maris  venientis  a  parte    cBoree  et  invenientis  pontem  lapidami 

et  jacere  nequeuntis  cursutn  suum;  Vadit  pars  quod  scava^etur  et  aperiatur  dictus 

pons  a  capite  pontis  lignei  che  mette  dal  castello  alla  città,  e  dal  detto  ponte 

di  pietra  accipiantur  vias  circa  XII  passus  et  fiat  de  Ugno  contigue  coll'altro 

ponte  di  legno,  et  in  capite  dicti  pontis  lignei  versus  civitatem  fiat  dictus  pons 

da  potersi  levare  di  notte  verso  il  castello.  Dalla  parte  Starce  in  capo  al  ponte 

di  legno  per  cui  si  esce  dal  castello,  scava%entur  de  ponte  lapideo  etiam  XII 

passus;  et  totum  illud  quod  scave%abitur  fiat  de  Ugno  contigue  ami  alio  ponte 

ligneo  et  in  capite  ipsius  versus  Staream  si  faccia  levatoio  da  quelli  del  castello  ; 

così  il  mare  avrà  il  suo  corso. 

Il  fiumicello  che  scorre  dalla  parte  di  levante  al  mare,  sia  condotto  dalla 

parte  di  ponente  a  capite  Salinarum  sicché  scorra  nella  fossa  presso  il  castello  ; 

il  podestà  poi  faccia  poni  mentem  de  die  in  die  se  tal  lavoro,   che  sarà  co- 

,    minciato  solo  dopo  eseguiti  i  qui  sopra,  sia  veramente  utile,  sicché  si  possa 

al  caso  sospendere. 

Si  manderanno   da  Venezia  o  da  Chioggia  due   uomini   esperti  a  so- 
printendere ai  suddetti  lavori  (carte  88). 


—  23  — 

Si  ordina  V  invio  di  due  catene  nuove  pel  pontone  essendosi  guastate 
le  vecchie  (carte  88  tergo). 

Ai  tre  boni  homines  di  Chioggia,  che  assistettero  il  pod.a  e  capitano  di 
Capodistria  negli  studi  pei  suddescritti  lavori,  e  stettero  colà  24  giorni,  si 
assegnano   15  soldi  di  grossi  per  ciascuno. 

Il  detto  pod.»  e  capit.  prenda,  colla  minor  possibile  spesa,  uno  scrivano 
per  tenere  i  conti  dei  lavori  ;  esso  podestà  manderà  ogni  mese  i  conti  alla 
Signoria. 

Faccia  poi  riparare  il  meglio  possibile  corredoria  et  manteleti  di  quella 
città;  gli  saranno  spediti,  a  sua  richiesta,  i  legnami,  i  ferramenti  e  ciò  che 
altro  occorresse  a  tal  uopo  ;  faccia  pure  riparare  le  mura  nei  punti  che  ne 
hanno  bisogno. 

Avendo  poi  anche  Pola  bisogno  di  essere  rafforzata  e  di  riparazioni 
alle  mura,  porte  e  torri,  si  delibera  la  elezione,  da  farsi  dalla  Signoria  e  dal 
senato,  di  un  solenne  provveditore,  il  quale  recandosi  colà  studi  i  bisogni 
e  riferisca,  proponga  i  lavori,  e  soprintenda  all'esecuzione  di  quelli  che  sa- 
ranno approvati;  pei  primi  due  mesi  abbia  200  lire  di  picc,  e  50  per  ciascuno 
dei  successivi,  e  terrà  due  famigli,  un  notaio  con  un  servo,  ed  un  cuoco, 
a  sue  spese  ;  potrà  spendere  due  ducati  al  giorno  ;  le  spese  di  trasporto 
saranno  a  carico  dello  stato  [non  presa]. 

1364.  16  gennaio.  —  Riproposta  la  parte  della  missione  del  provveditore 
a  Pola,  fu  approvata,  salvo  la  misura  dell'onorario,  stabilita  in  20  ducati  il 
mese  pei  primi  due  (carte  88  tergo). 

1364  m.  v.  12  gennaio.  —  Cum  propter  nova  sonantia  iam  bonis  diebus, 
abbiasi  a  pensare  alla  sicurezza  dell'  Istria  ;  essendosi  già  scritto  a  tutti  quei 
rettori  onde  propongano  i  provvedimenti  opportuni,  ed  avendo  vari  già 
risposto  ;  si  commette  a  Vittore  Pisani,  provveditore  a  Pola  che  nel  ritorno 
dalla  sua  missione  colà  visiti  omnes  alias  terrai  et  loca  nostra  Istrie,  confe- 
risca con  quei  rettori  e  con  altri,  e  faccia  fare  a  spese  dei  singoli  comuni 
ea  qne  comode  fieri  possent  ;  dei  lavori  aus  non  sunt  fienda  honeste  dai  comuni, 
e  ch'ei  troverà  necessari,  prenda  nota  e  venga  a  riferirne  al  più  presto  al 
Senato  (carte  91  tergo). 

1365.  31  marzo.  -  Licenza  a  Franceschino  Bomben,  connestabile  di 
cavalleria  in  Capodistria,  di  stare  assente  per  un  mese  per  recarsi  a  Roma  a 
sciogliere  un  voto,  ponendo  in  sua  vece  uno  dei  suoi  due  consanguinei  che 
hanno  due  poste  di  cavalleria  per  ciascuno  in  detta  città  (carte  92  tergo). 

Si  concedono  per  grazia  duas  postas  equestres  in  Grisignana  a  Tiso  Lu- 
gnano  da  Capodistria  il  cui  padre  fu  ucciso  nella  ribellione  di  quest'ultima 
città  dai  sollevati  (carte  92  tergo). 


—  24  - 

1365.  22  agosto.  -  Licenza  a  Pietro  Marcello,  capitano  a  Grisignana, 
di  spendere  300  lire  di  picc.  sui  redditi  di  quella  terra  prò  laboreriis  balla- 
torum  et  belrescarum,  et  prò  reparando  fontem  et  tecturam  palatii  dicti  loci 
(carte  108). 

Il  podestà  e  eap.n0  di  Capodistria  paghi  a  lire  16  il  mese  le  due  ban- 
diere di  cavalleria  ultimamente  ivi  mandate,  come  si  pagano  le  già  ivi  stan- 
ziate (carte  108). 

Si  ordina  l'invio  di  5  migliaia  cupporum  et  tabule  joo  de  taiolo  a  Ro- 
vigno  per  fare  i  solai  di  quelle  due  torri  ;  il  lavoro  sarà  fatto  da  quella 
comunità,  come  consigliò  Vittore  Pisani  ritornato  da  provveditore  (carte  108). 

In  tutte  le  commissioni  dei  rettori  dell'  Istria  si  aggiungerà  :  Sotto 
vincolo  di  giuramento  ciascun  rettore  visiterà  ogni  tre  mesi  personalmente 
munitiones  bladorum,  armorum  et  aliorum  de  quibus  fiunt  munii 'iones,  e  ne 
manderanno  gì'  inventarli  alla  Signoria  che  li  passerà  agli  Ufficiali  alle  rason. 
In  tali  visite  i  rettori  provvederanno  alle  riparazioni  a  edilìzi  ed  altre  ne- 
cessarie per  la  buona  conservazione  delle  munizioni  (carte  108). 

1365.  28  agosto.  —  Trovandosi  da  relazioni  di  Marino  Venier  pod. 
e  cap.  in  Capodistria  e  dei  tre  pratici  da  Chioggia  stati  colà,  dannosa  l' in- 
troduzione del  Fiumicello  nelle  fosse  del  Castel  Leone,  si  delibera  che  quel 
corso  d'acqua  mutetur  et  conducatur  per  subtus  vìam  a  Risiano  usque  in  mare 
faciendo  hoc  fieri  per  publicum  [a  carico  di  quel  comune  e  degli  abitanti] 
(carte  109  tergo). 

1365.  5  ottobre.  —  Licenza  ad  Andreolo  de  Margarito  e  a  Matteo  de 
la  Columpna,  veneziani,  di  far  trasportare  a  Muggia  per  mare  una  grande 
quantità  di  cerumen  da  essi  acquistato  in  varie  terre  dell'  Istria,  per  ivi  farlo 
lavorare  e  poi  portarlo  a  Venezia.  L'  esecuzione  è  affidata  alla  sorveglianza 
degli  Ufficiali  al  Catta  ver  (carte  117). 

1365.  5  ottobre.  —  Elezione  di  Savi  all'Istria: 
Scr  Paulus  Marcello 
Ser  Symon  Michael  cancellati 

Scr  Landus  Lombardo 

Ser  Paulus  Mauroceno  q.»'  ser  Alexandri  [cancellato] 
Ser  Philippus  Dandulo 
Scr  Iacobus  Quirino 
Ser  Iohannes  Dalpino  [cancellato] 
.  Ser  Daniel  Cornarlo  —  Ser  Victor  Trivisano  [cancellati] 
Ser  Zaninus  Zane  [cancellato] 

Ser  Marcus  'Barisano  die  /;  septembris  1)67  [cancellato].  —  Debcbat 
scribi  in  libro  )2  in  parte  Rogatorum  (carte  118), 


o 

a. 


e 
3 
"Se 

< 


—  25  — 

1365.  12  ottobre.  —  Approbati  fuemnt  prò  episcopatu  Emoniensi.  Rev. 
pater  domimi!  Symon  episcopus  Chisimensis  de  Veneciis. 

Veti,  vir  D.  Marinus  Michael  cappellano  di  S.  Marco,  canonico  di  Ra- 
venna e  giurisperito  in  ius  canonico  (carte  119  tergo). 

1365.  13  ottobre.  —  Licenza  a  Taddeo  de  Eceìlis,  connestabile  di  ca- 
valleria in  Capodistria,  di  recarsi  per  suoi  affari  a  Venezia  e  a  Treviso 
(carte  120). 

1365.  16  ottobre.  —  Pro  novitatibus  et  novis  gentium  che  si  sanno  essere 
in  partibus  Istrie  si  commette  ai  due  connestabili  di  fanteria  mandati  a  Ve- 
nezia dal  pod.à  di  Capodistria  di  arruolare  50  uomini  per  un  anno,  e  di 
ritornare  al  più  presto  in  quella  città  ;  il  detto  pod.à  ripartirà  i  soldati  ar- 
ruolati fra  le  13    bandiere  che  sono  cola  (carte  120). 

1365.  18  ottobre.  —  Si  accordano  duas  postas  pedestres  in  Capodistria 
a  Tomaso  Marasca  già  connestabile  di  fanteria  in 

1365.  26  novembre.  —  Dovendo,  secondo  la  sentenza  già  pronunziata 
da  Giovanni  Dandolo,  stato  pod.à  e  cap.no  a  Capodistria,  gli  abitanti  di  questa 
e  quelli  di  Muggia  godere  pacificamente  i  territorii  che  gli  uni  possedevano 
nel  distretto  degli  altri,  territori  designati  nella  sentenza  ;  si  ordina  ai  ret- 
tori di  Capodistria  di  permettere  ai  Muggesi  l'esportazione  esente  da  ogni 
dazio  del  vino  e  delle  uve  prodotti  nei  detti  territori,  facendo  loro  restituire 
i  dazi  che  già  avessero  pagato.  Le  possessioni  d'  essi  muggesi  fuori  dei 
confini  stabiliti,  e  quelle  che  acquistassero  di  nuovo  nel  distretto  di  Capo- 
distria non  godranno  di  alcun  privilegio  (carte   124  tergo). 

1365.  29  novembre.  —  Si  concedono  a  Lorenzo  del  fu  Adamo  de 
Londres  duas  postas  equestres,  le  prime  che  saranno  vacanti  in  Grisignana 
(carte   124  tergo). 

1366.  9  maggio.  —  Avendo  il  conte  di  Pola  chiesto,  per  porre  un 
termine  alle  ruberie,  ai  furti  ed  ai  danni  che  continuamente  gli  Sciavi  com- 
mettono in  quel  territorio,  che  si  rimettesse  in  essere  la  bandiera  equestre 
che  vi  stava  in  passato  ;  si  concede  allo  stesso  di  arruolare  una  bandiera  di 
soldati  forestieri,  col  connestabile  nominato  dalla  Signoria.  12  dei  soldati 
saranno  pagati  dai  cittadini  di  Fola,  oltre  quelli  che  devono  pagare  pel  Pa- 
sinatico  di  S.  Lorenzo;  per  gli  altri  13,  due  si  prendano  dal  detto  Pasinatico, 
tre  da  quello  di  Grisignana,  5  si  paghino  riducendo  le  due  bandiere  di  fan- 
teria di  Grisignana,  gli  altri  tre  col  contributo  di  Montona  e  Parenzo  al 
Pasin.  di  S.  Lor.°  La  detta  bandiera  starà  nel  castello  di  Momarano  a  di- 
sposizione del  conte  di  Pola,  il  quale  la  manderà  al  capitano  del  Pasinatico 
di  S.  Lorenzo  qualunque  volta  siri  domandata  a  ditesa  del  paese;  e  così 
pure  tutte  le  milizie  che  dipendono  dal  conte.  Il  capitano  manderà  le  mi- 


—    26    — 

lizie  al  conte  entro  tre  giorni.  --  Questi  provvedimenti  dureranno  per  un 
anno,  o  più  (carte  137). 
Annotazioni  in  margine  : 

1366.  12  settembre.  —  Si  dichiarano  esenti  gli  uomini  di  Parenzo  dal 
concorrere  al  mantenimento  dei  tre  soldati  come  sopra. 

1367.  29  maggio.     ■    Disposizione  simile  alla  precedente  (carte  137). 
1366.  21  maggio.  —  Licenza  a  Nicolò  Zane  nob.  veneziano,  al  quale 

erano  state   date  tres  postas  equestres  in  Capodistria,   di  farsi    sostituire   da 
altra  persona  approvata  da  quel  pod.à  e  cap.n0;  e  ciò  per  un  anno  (carte  138). 

Senato  Misti  voi.  XXXII. 

1366.  9  agosto.  —  Licenza  a  Pietro  Contarini,  capitano  a  Grisignana, 
di  spendere  lire  100  a  carico  di  quel  comune  in  riparazioni  al  palazzo  di 
sua  residenza  (carte  4  tergo). 

1366.  16  agosto.  —  Il  18  agosto  1350  era  stato  decretato  in  Senato 
che  tutti  i  cittadini  veneziani  dovessero  presentarsi  a  farsi  inscrivere  ad 
factiones  sotto  pena  di  1.  50  di  multa,  e  di  perdita  del  diritto  di  cittadinanza. 
Donato  Grasso  cittadino  veneziano  da  più  generazioni,  abitante  a  Capodistria 
ora,  e  prima  in  vari  luoghi  dell'  Istria,  e  specialmente  a  Trieste,  essendo 
assente,  non  adempì  alla  detta  prescrizione,  ma  due  suoi  figli  [Nicolò  e 
Francesco]  domiciliati  a  Capodistria  sostennero  sempre  le  gravezze  e  le  fa- 
zioni di  Venezia.  Morti  ora  i  figli,  persone  interessate  si  opponevano  a  che 
il  Grasso  entrasse  in  possesso  della  loro  successione  adducendo  aver  esso 
perduto  la  cittadinanza  Veneta.  Il  Senato,  seguendo  il  parere  del  pod.h  di 
Capodistria,  assolve  il  Grasso  da  ogni  penalità  (carte  5). 

1366.  17  agosto.  —  Nicolò  Gradenigo  portolano  ad  portam  portns  S. 
Martini  di  Capodistria  è  confermato  per  due  anni  nell'  ufficio  di  bollatore 
dei  vasi  vinari  e  da  olio  che  vengono  da  quella  città  a  Venezia  (carte  5). 

1366.  29  agosto.  —  A  Manfredino  de  Casto  di  Capodistria,  a  carico 
del  quale  stanno  due  figli  di  suo  fratello  Alberiguccio,  morto  in  Candia  in 
servizio  dello  stato  qual  connestabile  di  fanteria,  viste  anche  le  informazioni 
del  pod.à  e  cap.no  di  detta  città,  è  concesso  l' ufficio  di  unius  exquatttor 
Iusticiariis  Iustinopolis  (carte  9  tergo). 
,  1366.  13  settembre.  —  Si  delibera  la  trasmissione  al  podestà  di   Pa- 

renzo, onde  informi  in  argomento,  della  seguente  : 

Giorgio  ed  Enrico  figli  del  fu  Ottone  del  fu  Floriamonte  da  Parenzo 
'^espongono  a  Lodovico  Falier  podestà  e  al  consiglio  di  quella   città   come 


—  27    - 

prima  della  distruzione  della  medesima  ninno  in  quel  distretto  poteva  tenere 
equas,  trattone  Enrico  del  fu  Floriamonte  che  aveva  facoltà  di  tenerne  60 
con  obbligo  di  risarcirne  i  danni  che  facessero  e  liberti  di  esportare  il  grano 
lucrato  ;  che  morto  Enrico  la  facoltà  fu  confermata  ad  Ottone  suddetto,  e 
dopo  la  morte  di  questo,  essendo  podestà  Giannino  Zeno,  agli  esponenti 
con  istromento  rogato  dal  notaio  del  pod.à  Pietro  da  Civitavecchia,  docu- 
mento che  a/idò  smarrito  nella  distruzione  della  città.  Ora  chiedono  che 
sia  rinnovata  la  facoltà  a  loro  favore.  —  Il  detto  podestà  e  consiglio  con- 
cedono quanto  è  richiesto,  e  dà  licenza  ai  petenti  di  andar  colle  cavalle  a 
tablare  segetes  di  chiunque  ne  li  chiedesse,  e  di  portare  ove  volessero  il  grano 
avuto  in  correspettivo  della  prestazione.  —  Ciò  fu  inscritto  nelle  Riforma- 
gioni  di  Parenzo  il  30  nov.  1365  per  mano  del  notaio  Monteforte  detto 
Francesco  da  Monclassico  (carte  14). 

1366.  13  settembre.  —  A  Paolo  Fradello,  che  essendo  stipendiarius 
equester  in  S.  Lorenzo,  andò  a  servire  in  Candia  al  tempo  di  quella  guerra 
citm  tribiis  postis  eqitestribus  con  grave  suo  danno,  saranno  concesse  le  prime 
due  poste  equestre*  vacanti  nella  detta  terra  di  S.  Lorenzo  (carte  14  tergo). 

1366.  15  settembre.  —  Ad  istanza  di  Giovanni  e  Pietro  figli  quondam 
Marci  aurificis,  veneziani,  già  stipendiarli  pedestri  in  Capodistria,  condannati 
da  quel  pod.1  Nicolò  Zeno  ad  esser  privati,  il  primo  per  uno  il  secondo 
per  due  anni  d'ogni  stipendio  in  detta  città,  e  ciò  per  rissa  con  altri  loro 
commilitoni  ;  —  si  accorda  per  grazia  l'assoluzione  da  detta  pena  (carte  15). 

1366.  19  settembre.  —  Licenza  a  Guglielmo  Rnbeo  contestabili  equestri 
in  Grisignana,  di  stare  a  Venezia  un  mese  per  suoi  affari  (carte  16). 

1366.  19  settembre.  —  Alla  partecipazione  data  dal  podestà  di  Capo- 
distria delle  ruberie  commesse  in  quel  distretto  per  iilum  Mcnsperger  de  Castro 
lame,  Gcorgium  de  Planinis  et  Iohannem  de  Castro  novo  ed  altri,  si  risponde  : 
Mandi  nuncios  suos  agli  autori  delle  scorrerie  a  reclamare  restituzione  del 
tolto  e  risarcimento  dei  danni,  con  minaccia  che  in  caso  di  negativa  la  Si- 
gnoria provvederebbe  con  rappresaglie.  Scorso  il  termine  ch'esso  assegnerà 
al  risarcimento,  il  podestà  e  tutti  i  rettori  dell'Istria  publichino  che  saran 
date  400  marche  a  chi  presenterà,  vivo  o  morto  uno  dei  suddetti  (carte  16). 

Si  aggiunge  che  se  uno  o  più  dei  colpevoli  ucciderà  o  consegnerà  vivo 
un  correo,  sarà  assolto  e  riceverà  la  taglia  (carte   16  tergo). 

1366.  1  ottobre.  —  Si  delibera  la  elezione  di  tre  Savi  all'Istria.  — 
Eletti  : 

ser  Daniel  Cornano  [cancellato] 

ser  lacobus  Civrano 

ser  Petrus  Superantio  [cancellato] 


—    28    - 

ser  'Bartholomeus  Quirino  [cancellato] 

ser  Aluysius  Dalmario  [cancellato] 

ser  Paulus  Mauroceno  [cancellato]  frater  ser  Albertini 

ser  Daniel  Cornano  [cancellato] 

ser  Marcus  Harixano.  1)67  die  15  septembris 

ser  Andreas  Venerio  sancte  Margarite  (carte  18). 

1366.  11  ottobre.  —  Si  dà  facoltà  al  pod.à  e  capitano  di  Capodistria, 
che  ne  aveva  fatto  sentire  la  necessità,  sia  di  ampliare  il  locum  custodie 
equestris,  sia  con  un  allargamento  del  presentemente  occupato,  sia  traspor- 
tandolo ove  stava  già  in  addietro  sotto  il  palazzo  vecchio  (carte  19). 

1366.  18  ottobre.  —  Dovendo  uno  dei  legni  della  Riviera  dell'  Istria 
portarsi  in  Candia,  la  Signoria  provveda  a  quella  custodia  (carte  19  tergo). 

1366.  16  novembre.  —  Ad  ambasciatori  del  conte  di  Gorizia  che  s'erano 
lagnati  de  gente  nostra  que  equitavit  ad  damnum  Castri  novi,  si  risponde  :  Es- 
sere sempre  stata  Venezia  amica  della  casa  di  Gorizia,  ed  essere  ancora,  sed 
causa  istius  novitatis  processit  ex  manifesta  culpa  illorum  de  Ca  tro  novo  et 
suorum  compliciuin  quia  alias  pluries  et  hiis  diebus  bis  exiverunt  de  Castronovo 
et  aliunde  damnificando  et  derubando  enormiter  quelli  di  Capodistria,  et  se  cum 
preda  reducendo  in  castrimi  novum  et  alia  loca;  e  poiché  il  conte  manifestò 
il  suo  dispiacere  per  l'accaduto,  si  richiameranno  tosto  le  milizie,  ma  se  lo 
prega  di  far  rendere  buona  giustizia  e  la  roba  ai  danneggiati,  e  d'impedire 
in  avvenire  simili  fatti  (carte  23). 

1366.  30  novembre.  —  Essendo  sorte  questioni  fra  il  conte  di  Pisino 
e  i  cittadini  di  Pola,  per  la  proprietà  cuiusdam  territorii,  si  commette  al 
capitano  di  S.  Lorenzo  di  scrivere  come  da  sé  al  detto  conte,  esortandolo 
a  non  inasprire  la  contesa,  ed  offrendosi  mediatore  per  un  componimento. 
—  Intanto  esso  capitano  s' informi  come  stiano  le  cose,  e,  se  il  conte  as- 
sente, lo  si  autorizza  a  concludere  il  componimento  (carte  25  tergo). 

1366.  27  dicembre.  —  Ad  un  ambasciatore  del  conte  di  Gorizia  venuto 
prò  facto  ballarum  detentarum  per  ipsum  comitem,  si  dichiara  che  se  non  ha 
altro  a  dire,  può  andarsene,  e  che  si  risponderà  per  mezzo  di  ambasciatore 
a  ciò  che  espose  a  nome  del  suo  mittente  (carte  28). 

1366  m.  v.  2  gennaio.  —  Si  delibera  la  elezione  di  un  ambasciatore  al 
conte  di  Gorizia;  potrà  spendere  in  tutto  5  due.  d'oro  il  giorno;  terrà  tre 
famigli,  un  notaio  con  un  servo  ed  unum  marescalcum  (carte  28  tergo). 

Eletto  Pietro  Giustinian  del  fu  Marco  (carte  28  tergo). 

1366  m.  v.  5  gennaio.  —  Il  detto  ambasciatore,  oltre  l'assegno  fattogli, 
potrà  spendere  30  due.  d'oro  in  regali  ecc.  (carte  28  tergo). 

1366  m.  v.  5  gennaio.  —  Commissione  a  Pietro  Giustinian.  Vada  prima 


—   29   — 

al  patriarca  di  Aquileia,  il  quale  aveva  fatto  pregare  per  mezzo  di  amba- 
sciatore [che  s'  era  unito  a  quello  del  conte  di  Gorizia]  che  fosse  levato 
P  assedio  da  Castelnuovo,  e  gli  dica  :  avere  Venezia  ritirato  le  sue  milizie 
da  quell' impresa,  in  grazia  d'esso  patriarca,  quamvis  fideles  nostri  justissimam 
et  notoriam  causarti  haberenl  damnificandi  illos  de  dicto  loco,  quia  de  ilio  et  aliis 
locis  pluries  exiverant  predones  qui  eos  enormiter  leserant  et  cum  preda  se  inibì 
receptaverant  ;  e  il  ritiro  fu  ordinato  anche  perchè  il  conte  aveva  promesso 
che  avrebbe  fatto  indennizzare  i  danneggiati.  Esponga  che  in  onta  alle  di- 
chiarazioni di  amicizia  del  conte,  questi  fece  sequestrare  sulla  publica  via 
20  balle  di  mercanzie  di  cittadini  veneziani  che  venivan  di  Fiandra  ;  che  alle 
proteste  di  Venezia  rispose  con  vuote  parole;  preghi  il  patriarca  ad  inter- 
porre i  sui  uffici  onde  le  merci  siano  restituite.  Vada  poi  al  conte  e  cerchi 
di  ottenere  la  detta  restituzione  colle  persuasive,  dopo  la  quale  la  Signoria 
è  pronta  a  sottoporre  a  un  giudizio  di  arbitri  le  questioni  pendenti.  —  Non 
ottenendo  lo  scopo,  ritorni  a  Venezia  dopo  aver  fatto  formali  proteste,  non 
senza  averne  riferito,  nel  passare,  al  patriarca  (carte  29). 

1366  m.  v.  5  gennaio.  —  Si  concede  al  comune  e  agli  uomini  di 
Rovigno  qui  in  miserrima  paupertate  constituti  sunt  di  poter  esportare  per 
terra  e  per  mare  l'olio  prodotto  in  quel  territorio,  pagando  il  dovuto  dazio; 
la  grazia  durerà  due  anni.  Il  podestà  provveda  a  che  tale  esportazione  non 
produca  poi  la  carestia  dell'  olio  in  quella  terra,  ed  esiga  il  dazio,  come 
factum  fiat  illis  de  Parendo  et  Pola  (carte  29  tergo). 

1366  m.  v.  19  gennaio.  —  Licenza  a  Taddeo  Debelli  connestabile  di 
cavalleria  in  Capodistria  di  venire  per  un  mese  a  Venezia  (carte  29  tergo). 

1366  m.  v.  16  febbraio.  —  Giovanni  de  'Buy a  tintori,  qui  fui I  de  Pa- 
rentio  è  dichiarato  cittadino  veneziano  de  annis  vigintiquinque  (carte  33  tergo). 

1367.   18  marzo.  —   Votazione  per  la  scelta,  fra  gli  aspiranti  al  vesco- 
vado di  Parenzo,  di  quello  da  raccomandarsi  alla  S.  Sede. 
Nicolò  Foscarini  episcopus  Foliensis  -  24 
>J(  Giberto  Zorzi  frate  dell'  ordine  dei  Predicatori  -  46 
Biagio,  episcopus  Melensis  -  30  (carte  36). 

1367.  17  aprile.  -  Missione  di  un  avogadore  di  Comun  a  Capodistria  per 
istruire  processo  circa  estorsioni  ed  altre  colpe  di  cui  erano  accusati  [in  lettera 
di  quei  consiglieri]  il  bargello,  i  birri  ed  altri  della  familia  di  quel  podestà  ; 
fra  le  facoltà  che  si  danno  all'avogadore,  v'  ha  pur  quella  di  farsi  spedire  genti, 
per  la  sicurezza  della  città,  dai  podestà  di  Pirano  e  di  Isola  (carte  43). 

1367.  25  maggio.  —  Angelo  de  Codetta  di  Conegliano  eletto  conne- 
stabile di  cavalleria  in  Capodistria  [della  bandiera  che  fu  di  Taddeo  de  Ecelo 
rinunziante]  è  confermato  nella  detta  carica  (carte  54). 


—  3o  — 

1367.  2  giugno.  —  Si  dà  facoltà  alla  Signoria  di  scrivere  al  podestà 
di  Rovigno  e  ad  altri  rettori  in  favorem  juriutn  Facine  de  Tolta  fidelis  nostri 
cantra  Episcopum  parentinum  et  Capii 'ulum  Rubini  (carte  54  tergo). 

1367.  14  giugno.  —  Si  scrive  al  conte  di  Pola  e  successori  :  Facciano 
osservare,  in  quanto  loro  spetta,  le  richieste  contenute  nella  petizione  se- 
guente, che  furono  tutte  accordate. 

Ducali  benignitati  eiusque  honorabili  et  sapienti  Consilio  cum  omni  reverenda 
exponunt  devotissimi  cives  et  fideles  vestri  Franciscus  et  F or  ella  de  Castro  Poh 
Quod  Deus  et  Vestrum  Dominium  bene  novit  fidelitatem  et  devotionem  quam 
progenitores  sui  semper  babuerunt  ad  honores  et  mandata  Vestri  Domimi.  Nani 
dominus  Forella  proavus  eorum  misit  ad  armatemi  vestram  Cruzple  imam  galeatn 
armaiam  de  qua  nullus  rediit,  quia  omnes  perierunt  prò  defensione  honoris  vestri. 
Item  misit  ad  guerrum  Ferrarle  ad  servicium  vestrum  homines.  LXXX.  Dominus 
etiam  Sergius  pater  dicti  Francisci  et  avus  dicti  Forelle  fuit  consumptus.  de 
possessionibus  suis  combustis  et  bonis  suis  derobatis  per  quamdam  ligam  factam 
inter  Patriarcham  aquilegensem,  Comitem  Goricie  et  'Banum  Sclavonie,  prò  eo 
quod  noluit  intrare  ligam  predictam  contra  Dominium  Venetiarum.  Nicolaus 
etiam  de  Castro  Pole  frater  quondam  dicti  Francisci  et  pater  dicti  Forelle  ex 
fervore  fidelitatis  ivit  personaliter  propriis  expensis  cum  duodecim  socìis  cum  galeis 
vestris  contra  Ianuenses  cum  armata  magna  nobilis  viri  domini  Pangratii  Iusti- 
niano.  Et  apud  Constantinopolim  defendendo  honorem  vestrum  extitit  vulneratus 
et  captus,  taliter  quod  stetit  in  carcere  Ianue  mensibus.  XXX.  Et  dici  potest 
cum  omni  ventate  quod  dictum  factum  fuit  consumptio  domus  sue.  Dominatio 
miteni  prò  fidelitate  sua  disposita  semper  fuit  subvenire  et  gratiam  facere  eisdem 
Nicolao  et  Francisco,  et  inter  alia  fuit  consultum  per  Dominium  quod  contentante 
malori  parte  consilii  Pole  unus  eorum  Veneciis,  et  sic  consilium  Pole  fuit  con- 
tentus.  Scd  interim  suprascriptus  Nicolaus  fuit  prò  honore  dominii  graviter  vul- 
neratus, taliter  quod  numquam  fuit  sanus  de  persona,  et  opportuit  continue  stare 
in  manibus  medicorum,  et  tandem  decessit,  unde  dictum  factum  nlterius  non 
processit.  Post  cuius  obitum  facta  eorum  remanserunt  in  debili  condicione,  et  semper 
in  deterius  devenerunt,  tam  ex  culpa  factorum,  quam  etiam  quia  non  babuerunt 
personam  que  haberet  diligentiam  agendorum  suorum,  que  ad  tantam  extremi- 
tatem  deducta  sunt,  quod  ubi  solebant  babere  ducatos.  M.  prò  quolibet  annuatim 
de  redditibus,  vix  recipiunt  ducatos.  C.  et  sentiunt  atque  portant  ita  onera  et 
faciiones  sicut  faciebant  quando  redditus  sui  predicti  erant  in  prima  magna  quan- 
litate  predicta.  Unde  non  habentes  aliquod  remedium  nisi  vestri  Dominii,  de  quo 
semper  sperarunt,  supplicant  humiliter  et  reverenter  quatenus,  ne  in  totum  sub 
umbra  vestra  pereant,  dignemini  sibi  gratiose  concedere  quod  unus  eorum  duobus 
mensibus  in  anno  possit  ire  ad  procurandum  possessiones  et  facta  sua  deinde, 


—  3i  — 

remanente  altero  eorum  in  Tarvisio  ad  stipendium  et  mandatimi  vestrum,  sicut 
presentialiter  est.  Nani  diclus  Francis chinus  a  pueritia  nutritus  est  Venetiis,  et 
dictus  Forella  in  Venetiis  natus  est,  et  eorum  fidelitas  est  pienissime  probata. 
Non  enim  cognoverunt  nec  cognoscere  intendunt  aliam  patriota  nisi  hanc  betie- 
dictam  civitatem  in  qua  intendunt  vivere  et  mori  (carte  55). 

1367.  2  luglio.  —  A  Giovanni  de  Chynnano  —  nativo  di  Trieste,  ban- 
dito da  quella  città  per  omicidio,  il  quale,  riparato  a  Zara,  vi  ebbe  una.  posta 
di  cavalleria,  poi  venne  a  servire  in  Capodistria,  quindi  a  Pola,  poscia  in 
Lombardia,  e  ultimamente  nella  guerra  contro  di  Ungheri  —  si  accordano 
due  poste  di  cavalleria  in  Capodistria  non  ostante  sia  triestino  (carte  57). 

1367.  2  luglio.  —  Si  accorda,  ad  istanza  di  Donato  Grasso,  al  podestà 
di  Capodistria  facoltà  di  giudicare  circa  la  nullità  del  testamento  fatto  da 
Francesco  Grasso  [figlio  di  quello]  senza  1'  assenso  del  padre  voluto  dalle 
leggi.  Il  podestà  non  si  credeva  autorizzato  a  tal  giudizio  perchè  il  suo 
predecessore  Nicolò  Zeno  aveva,  ad  istanza  di  Bonafede  da  Trieste,  dato 
corso  all'esecuzione  del  testamento,  non  riconoscendo  a  Donato  la  qualità 
di  cittadino  veneziano  perchè  non  aveva  fatto  le  fazioni  durante  la  guerra, 
infamia  dalla  quale  s'era  posteriormente  purgato  (carte  57  tergo). 

1367.  7  luglio.  —  Si  accorda  ai  figli  minori  del  fu  Nicoiò  del  fu  Gio- 
vanni de  Quer^iis  di  Capodistria  di  affittare,  senza  incorrere  in  penalità,  a 
uomini  di  Valle  alcuni  loro  territoria  posti  parte  nel  distretto  di  Valle  e 
parte  in  quello  di  Pola  ;  ciò  perchè  quelli  di  Pola  né  volevano  prender  essi 
ad  affitto  quei  beni,  né  permettere  che  si  dassero  in  conduzione  a  persone 
di  Valle  (cane  58). 

1367,  24  luglio.  —  A  togliere  ogni  contesa  fra  i  sudditi  veneti  e  quelli 
del  patriarca  di  Aquileia  in  Istria,  mostrandosi  a  ciò  il  medesimo  assai  pro- 
penso, si  commette  al  capitano  del  Pasenatico  di  S.  Lorenzo  e  al  podestà 
di  Montona  di  unirsi  ai  nun\ii  patriarcali  per  giudicare,  dopo  accurata  pro- 
cedura, le  dette  contese  ;  per  lo  che  si  accorda  loro  le  opportune  facoltà. 

Al  nunzio  poi  del  patriarca  si  risponde  che  quel  prelato  può  mandare 
quando  vuole  i  suoi  mandatari  in  Istria  all'effetto  suddetto  (carte  61). 

1367.  24  agosto.  —  Si  risponde  a  lettere  del  conte  Alberto  di  Pisino 
che  s'era  lagnato  degli  uomini  di  Pola,  i  quali  avevano  tolto  aliqua  biada 
ai  suoi  sudditi  :  Anche  i  sudditi  di  Venezia  ebbero  a  lagnarsi  di  molti  danni 
dati  loro  da  quelli  del  conte  ;  il  podestà  di  Capodistria  denunziò  quod  nuper 
aliqui  s/òditi  vestri  de  Vragna  et  Lupoglavo  abstulerunt  in  villa  vocata  Vulxi- 
gradum  del  distretto  di  Capodistria  alcuni  animali  e  li  condussero  in  Vragna; 
i  danni  dati  al  conte  non  furono  né  comandati  né  approvati  dalla  Signoria, 
anzi  le  dispiacciono  ;  lo  si  invita  a  mandare  suoi  commissari  entro  la  prima 


—  32  — 

metà  di  settembre,  i  quali  espongano  le  ragioni  sue  specialmente  circa  le 
questioni  con  Pola,  al  qual  comune,  avuta  l'adesione  del  conte  a  tale  invito, 
si  ordinerà  di  mandar  pure  a  Venezia  suoi  incaricati,  e  la  Signoria  vedrà 
di  definire  le  vertenze  con  soddisfazione  di  tutti  (carte  69). 

1367.  4  settembre.  —  Si  autorizza  il  podestà  e  capitano  di  Capodistria 

a  dare  duas  postas  equestre*  a  Daniele  detto  Amido  da  Lodi  (carte  71  tergo). 

1367.  23  settembre.  —  Avendo  il  podestà  di  Montona  dichiarato  che 

^ìgM  recarsi  su  alcuni  dei  luoghi  in  questione  fra  gì'  Istriani  veneti  e  i  sud- 

1     •  ' XT     Ì,pi:li  delle  quali  questioni  era  uno  dei  giudici,  non  avrebbe  potuto 

qual  giudice  U  puW     .  ^  delibera  che  per  tali  località  lo  sostituisca 

1367.   17  ottobre.  -  a...'  e 

messo  ad  Albano  Morosini  capitano  del  1  „      ^J'  .      .    c. 

,.  „  .        „  ,  .     .         „.     .  r     ,.   „  "o  scorso  settembre  la  Signoria  com- 

di  Pola  e  rulcheno  e  Morino  di  Castropola       ...  ■       ,• 

.     .  .  .  .  v.ico  di  procurare  che  gli  uomini 

mutue  loro  questioni,  e  specialmente  intorno  alla  r   ,.  .  .         ,  „ 

n      T.        .     r      ..  ,  .  ,.  „  .      chiamassero   arbitro    delle 

torto;  vennero  a  Venezia  nuncu  del  comune  di  rola  offre.       .    ,    ,. 

'  ,    .  ,    .  ......       ->onetà  di  certo  tern- 

promesso  de  j tire,  ma  non  de  facto  ;  si  ordina  al  medesimo  e  ,     ,.   ,       ., 

dai  Castropola  se  assentono  a  ciò.  In  tal  caso  giudichi  la  lite,     .  ,. 

•  r      11    j-  n  11     e-  u-    a-   e       •      '!ltan0  dl  sentire 

parti  lacoltà  di  appellare  alla   Signoria  ;   e  cerchi   di   favorire  1    ,      .      ,      ,. 

Venezia.  Circa  i  grani  presi  da  quei  di  Pola  sul   territorio  in  lite,       , ,.  .    ,. 
"  .,     fa.    .  .r .  n        n  .    r  'sudditi  di 

non  furono  già  restituiti  ai  Castropola  [come  era  stato  ingiunto  in  adi-t 

faccia  che  restino  presso  i  polensi  fino  a  vertenza  finita  ;    e  se  corre.'M ,.       -, 

pericolo  di  guastarsi,   o  che  i  Castropola  si  opponessero,  il  conte  di    1  1 

farà  vendere  i  grani  stessi  e  il  capitano  suddetto  ne  custodirà  il  denaro  ,jno  , 

conto  del  vincitore  della  causa  (carte  91  tergo).  :s£ 

Avendo  poi  gli  ambaxatores  del  comune  di  Pola  esposto  come,  esseny^ 

ivi  conte  Andrea  Loredan  del  fu  Marco  proc.r,  andando  Zanotus  de  Btich.co,. 

manzjnis  et  alti  polenses  pel  distretto  a  difesa  dai  predoni,  alcuni  di  Barbane 

sudditi  del  conte  di  Pisino,  gli  aggredirono  armata  mano,  ferirono  il  dettyrtrt 

Zanotto  ed  altri,  gli  tolsero  un  cavallo  e  lo  menarono  in  prigione  in  Ba  n0h  ' 

bana  ;   ferirono  a  morte  i  cavalli  di  due   altri,  e  loro   tolsero  varie    cose^/,^ 

come  il  conte  di  Pola,  fatto  processo  dell'accaduto,  sospese  ogni  azione  pc, 

risarcimento  di  danni,  avendo  la  Signoria  commesso  al  capitano  del  Pasi 

natico  di  trattarne  col  conte  di  Pisino  ;  —  si  delibera  di  ordinare  al  conte  .„ 

di  Pola  di  chiedere  al  conte  di  Pisino  risarcimento  dei  danni,   castigo  dei    1 

colpevoli,  con  minaccia  di  procedere  nelle  vie  di  diritto  ;  se  otterrà  quanto 

chiede  bene,  altrimenti  riprenda  il  processo  sospeso  et  proceda!  prout  de  jure 

debuerit,   sequestrando  i  beni  dei  colpevoli  che  potesse   trovare  in  partìbus 

sui  regiminis  a  vantaggio  dei  danneggiati  (carte  92). 


v-uui 


')ii-x 


—  33  — 

In  seguito  a  rimostranze  dei  detti  ambasciatori,  si  commette  al  conte 
di  Pola,  che  se  i  figli  del  fu  Nicolò  del  fu  Giovanni  de  Ver%iis  di  Capo- 
distria  [vedi  7  luglio]  affittassero  i  loro  territorio,  ad  altri  che  a  polensi, 
esamini  se  le  rendite  di  quei  beni  abbiano  ad  essere  esenti  ab  oneribus  et 
factionibus  commitnis  Poh;  se  nò,  costringa  i  conduttori  di  essi  ad  faciendum 
et  sopportandum  i  detti  pesi  (carte  92). 

Ed  essendosi  lagnati  i  medesimi  ambasciatori  che  Fulcherio  e  Fiorino 
di  Castropola  continuano  a  restare  in  Istria  contro  il  trattato  di  dedizione 
di  Pola  a  Venezia  del  133 1,  si  commette  al  capitano  di  S.  Lorenzo  che 
intimi  al  più  presto  a  quei  due  signori  di  comparire  entro  due  mesi  [dal- 
l' intimazione]  davanti  la  Signoria  (carte  92). 

La  Signoria  risponda  al  vescovo  di  Trieste,  che  si  scriverà  al  podestà 
di  Capodistria  qiwd  audiat  requisitiones  suas  et  faciat  illnd  quod  de  pire  tenetur , 
e  se  gli  paresse  quod  subventio  nostra  ei  necessaria  foret,  Venezia  è  pronta 
ad  assisterlo  prò  consecutione  juriiim  suorum.  Si  commette  poi  al  detto  podestà 
di  sentire  le  pretese  del  vescovo  e  d' informare  la  Signoria.  —  Ad  illud  vero 
quod  offerrebat  dictus  dominus  episcopus  de  facto  Tergesti,  rcspondeatur  ei  lu- 
ianando  nos  a  dicto  facto  (carte  92  tergo). 

1367.  17  ottobre.  —  Facoltà  a  Vincenzo  de  Valandis  stipendiano  eque- 
stre in  Grisignana,  che  servì  per  24  anni  lodevolmente,  di  permutare  le  due 
postas  equestres  che  tiene  in  detta  terra  con  altre  due  in  Capodistria  (carte 
92  tergo). 

1367.  20  ottobre.  —  Licenza  a  Giorgio  Sciavo,  connestabile  di  caval- 
leria in  Capodistria,  di  venire  a  Venezia  per  22  giorni  (carte  94  tergo). 

Ad  Aldrigo  de  Vincentia,  che,  essendo  [dopo  lunghi  servigi]  stipendiano 
in  Capodistria,  fu  reso  inabile  per  caduta  mentre  faceva  la  guardia  di  notte, 
si  concede  una  postam  pedestrem  in  quella  città,  con  licenza  di  farsi  sostituire 
nel  servizio  (carte  94  tergo). 

1367.  8  novembre.  —  Licenza  a  Crescio  de  Molino  capitano  a  Grisi- 
gnana di  spendere  120  lire  di  quelle  rendite  in  riparazione  del  castello  e 
del  palazzo  di  detta  terra  (carte  95  tergo). 

1367.  8  novembre.  —  Si  delibera  la  elezione  di  tre  savi  all'Istria  in 
Senato. 

Eletti  :  Bernardo  Sanuto  tnagnus 
Marco  Barisano. 

1 1   novembre  :  Nicolò  Minio. 

Pietro  Contarini  (carte  95  tergo). 

1367.  25  novembre.  —  Ad  istanza  di  Fiorino  di  Castropola,  comparso 
davanti  la  Signoria  anche  in  nome  di  Fulcherio  malato,  gli  si  concede  di 


—  34  - 

recarsi  a  S.  Vincenti  per  far  valere  i  suoi  diritti  nelle  vertenze  cogli  uomini 
di  Pola  davanti  il  capitano  di  S.  Lorenzo.  Gli  si  intima  poi  di  comparire 
davanti  la  Signoria  alla  fine  d'aprile  p.  v.,  o  prima  se  saranno  definite  le 
vertenze  suddette  ;  della  cui  definizione  si  ordina  al  capitano  di  S.  Lorenzo 
di  dare  a  suo  tempo  pronta  comunicazione  (carte  98). 

1367.  7  dicembre.  —  Proposta,  non  approvata,  di  Bernardo  Sanuto, 
della  missione  in  Istria  di  provveditori  per  porre  argine  alle  extorsiones  et 
gravammo,  que  cotidie  fiunt  per  socios,  notarios  et  alios  de  familia  potestatum 
et  rectorum  nostrorum   Ystrie  (carte  99  tergo). 

1367.  20  dicembre.  —  Licenza  alla  badessa  e  al  convento  di  S.  Chiara 
di  Capodistria  di  trasportar  colà,  libere  et  expedite,  de  terris  Ystrie  et  Sclavonie 
res  omnes  quas  constabit  nostris  rectoribus  ipsas  mvniales  habuisse  elenio sinaliter 
(carte  101). 

1367.  28  dicembre.  —  Patente  ducale  relativa  alla  concessione  prece- 
dente (carte  101). 

1367  m.  v.  4  gennaio.  —  Si  risponde  ad  ambasciatori  del  conte  di 
Pisino  :  esser  veri  i  danni  dati  da  sudditi  veneti  a  quelli  del  conte,  ma  veri 
altresì,  e  ben  più  gravi,  i  recati  dai  secondi  ai  primi  ;  il  Senato  però  de- 
sidera che  cessi  ogni  motivo  di  lagno,  e  riconoscendo  che  causa  precipua 
di  tutto  sono  i  confini  mal  determinati,  si  commise  al  capitano  di  S.  Lo- 
renzo un'  imparziale  relazione  sulle  contese  e  sui  diritti  delle  parti,  in  seguito 
alla  quale  il  doge  sequens  formarti  pactorum  determinabit  sicut  prò  utraque  parte 
juerit  conveniens  atque  iustum  (carte  103  tergo). 

1367  m.  v.  15  febbraio.  —  Giberto  Zorzi  vescovo  di  Parenzo  e  Marino 
Michiel  vescovo  di  Cittanova  sono  notati  fra  i  concorrenti  all'arcivescovado 
di  Candia  (carte  105  tergo). 

1367  m.  v.  25  febbraio.  —  Licenza  a  Nanino  da  Bologna,  connestabile 
di  cavalleria  in  Capodistria,  di  venire  a  Venezia  per  15  giorni  (carte  105  tergo). 

1368.  2  marzo.  —  Esposizione  fatta  da  Colando  Barbo  e  Colando  Po- 
lesino  sindici  e  procuratori  di  Ermolao  Venier  podestà  e  del  comune  di 
Montona  : 

Quel  comune  prestò,  il  19  giugno  1333,  lire  1000  di  picc.  a  Pietro 
del  fu  Vicardo  di  Pietrapelosa,  allora  signore  di  Grisignana,  il  quale  diede 
in  cauzione  una  sua  posta  di  molini  de  Layme  con  tutte  le  sue  pertinenze 
e  diritti  [istrumento  inatti  di  Anthonii  q.m  domini  Visini];  Montona  godette 
il  molino  tranquillamente,  affittandolo  a  chi  stimò  meglio  e  traendone  i 
redditi  già  da  24  anni  ;  ora  Cressius  de  Molino  capitano  a  Grisignana,  senza 
alcun  diritto  pretende  di  pagare  solo  4  soldi  per  istaio  pel  grano  che  vi 
fa  macinare  per  la  sua   famiglia,  invece  del  decimo  in  natura;   non  vuol 


—  35  — 

concedere  l'esportazione  del  grano  che  i  molini  guadagnano  sulle  macinature, 
pretendendo  molini  e  grano  de  sua  iurisdictione;  e  perchè  il  mugnaio  rifiutò 
di  comparire  dinnanzi  ad  esso  capitano,  adducendo  dipendere  dal  podestà 
di  Montona  e  non  da  esso  capitano,  lo  condannò  ad  afictum  in  libris  L  ed 
a  due  giorni  di  berlina.  Si  conchiude  pregando  la  Signoria  a  tutelare  i  diritti 
del  comune  di  Montona  contro  le  pretese  del  detto  capitano  (carte  108  tergo). 

1368.  13  marzo.  —  Si  ordina  ai  capitani  di  Grisignana  presenti  e  fu- 
turi di  astenersi  dal  fare  o  iar  fare  predictis  de  Montana  aliquam  novitatem 
in  facto  macinature  ;  di  pagare  il  decimo  sui  grani  che  faran  macinare,  di 
permettere  l'esportazione  di  quelli  guadagnati  dai  mugnai,  tranne  il  caso  di 
necessità  per  la  conservazione  del  luogo  ;  che  trattino  favorabililer  et  benigne 
tutti  i  cittadini  di  Montona  (carte  109). 

1368.  12  marzo.  —  Facoltà  a  Bertuccio  de  Serravallo  di  trasportarsi 
in  S.  Lorenzo  colle  due  poste  equestri  che  tien  in  Grisignana  (carte  109). 

1368.  12  marzo.  —  Si  concedono  due  postas  eqnestres  in  Grisignana  ad 
Almerico  Subtili  da  Pola,  quantunque  istriano  (carte  no  tergo). 

1368.  13  marzo.  —  Avendosi  notizie  della  discesa  dell' imperatore  in 
Italia  per  la  prossima  Pasqua  rispetto  anche  alle  nuove  d'  Ungheria,  è  ne- 
cessario provvedere  alla  sicurezza  specialmente  dell'Istria,  e  quindi  si  deli- 
bera la  elezione  di  tre  provveditori  solenni  che  si  rechino  colà  per  delibe- 
rare con  quei  rettori  ciò  che  sia  necessario  per  la  conservazione  delle  sin- 
gole terre  ;  abbiano  facoltà  di  cassare  e  rimpiazzare  gli  stipendiarli  inabili. 
I  provveditori  potranno  spendere  sei  ducati  il  giorno,  dovranno  tenere  due 
famigli  per  ciascuno,  un  notaio  con  un  servo  (carte  no  tergo). 

1368.  13  marzo.  —  Dovendosi  provvedere  alla  sicurezza  dell'Istria,  in 
occasione  della  discesa  dell'  imperatore  in  Italia,  si  ordina  ai  capitani  di  S. 
Lorenzo  e  di  Grisignana  e  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  esami- 
nare tutti  i  luoghi  loro  soggetti,  di  cassare  tutti  gli  stipendiarii  non  suffi- 
cicntes,  ed  informino  sui  bisogni  delle  singole  località  (carte  ni). 

Spendendosi  molti  danari  nei  viaggi  delle  persone  che  portano  le  pa- 
ghe, ogni  tre  mesi,  alle  milizie  di  Capodistria,  S.  Lorenzo  e  Grisignana,  si 
delibera  di  mandare  le  dette  paghe  di  4  in  4  mesi  per  mezzo  del  legno 
della  Riviera  dell'  Istria  a  cura  dei  Camerlenghi  di  comun  e  degli  ufficiali 
M'armar  (carte  in). 

1368.  14  marzo.  —  Onde  i  provveditori  suddetti  sint  solempnes  si  eleg- 
geranno in  Senato  per  scruptinium,  avranno  3  servi  ciascuno  e  potranno 
spendere  3  due.  il  giorno  ognuno. 

Eletti  :  Lorenzo  Dandolo  [cancellato],  Pietro  Marcello,  Pantaleone  Barbo 
(carte  ni). 


_  36- 

Si  rinnova  per  5  anni  la  grazia  già  concessa  nel  1360  agli  abitanti  di 
Umago,  di  poter  affittare  i  loro  herbatica  scu  pasaut  tatti  forensibus  quatti 
circa  vicinis  (carte  ni). 

Ermolao  Venier  eletto  provveditore  in  Istria  è  assolto  dall'  obbligo  di 
accettare  il  carico  (carte  ni). 

1368.  23  marzo.  —  I  provveditori  eletti  il  14  partano  da  Venezia  prima 
di  giovedì  venturo,  sotto  pena  di  100  lire  ciascuno,  e  senza  ulterior  dila- 
zione ;  si  da  loro  facoltà  di  recarsi  nei  vari  luoghi  di  loro  competenza  anche 
separatamente;  si  mettono  a  loro  disposizione  i  legni  della  Riviera  dell'I- 
stria (carte  113  tergo). 

1368.  29  marzo.  —  Si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
[Giovanni  Dandolo]  che  appena  spirato  il  tempo  per  cui  la  villa  di  quel 
distretto  detta  Vicinale  S.  Pietro  fu  concessa  a  Jacopo  Zen  primicerio  in 
Candia,  la  venda  all'asta  come  gli  altri  dazi  (carte  115  tergo). 

1368.  17  aprile.  —  Non  trovandosi  abbastanza  presto  gli  uomini  per 
armare  i  tre  legni  domandati  dai  provveditori  in  Istria,  si  ordina  a  Lorenzo 
Contarmi  capitano  lignorum  nostrorum  Istria,  che  finito  il  suo  tempo  non 
si  parta  di  là,  ma  continui  nel  comando  obbedendo  agli  ordini  dei  detti 
provveditori  (carte  118  tergo). 

Onde  trovar  presto  gli  homines  de  pede  sive  balistarii  per  le  navi  alla 
difesa  dell'Istria  i  pagatores  armamenti  daran  loro  12  lire  di  piccoli  il  mese 
per  ciascuno  invece  di  io  (carte  118  tergo). 

Si  mandano  al  capitano  del  Pasinatico  di  S.  Lorenzo,  Domenico  Mi- 
chiel,  150  ducati  d'oro,  300  tabule  de  tayola  per  fare  alcuni  lavori  in  quel 
castello  (carte  118  tergo). 

1368.  20  aprile.  —  Facoltà  alla  Signoria  di  provvedere  all'invio  in  Istria 
di  munizioni,  armi  e  materiali  domandati  da  quei  provveditori  pei  bisogni 
di  quelle  terre;  ciò  fin  che  durano  le  presenti  novitates  (carte  119). 

1368.  20  aprile.  —  Non  trovandosi  uomini  de  pedibus  per  armare  i 
legni  destinati  all'Istria,  Donato  Vallaresso,  capitano  dei  legni  stessi,  possit 
et  debeat  ire  scribendo  i  balestrieri  che  gli  parranno  convenientes  et  sufficientes  ; 
i  pagatori  dell'  armamento  faranno  la  scelta  fra  i  così  inscritti,  e  li  paghe- 
ranno (carte  119). 

1368.  30  aprile.  —  Essendo  difficile  di  trovar  soldati  per  fornire  le 
terre  dell'  Istria,  come  domandano  quei  provveditori,  si  ordina  ad  Antonio 
,  Venier  sopracomito  in  Golfo  di  partire  nella  ventura  notte  per  l' Istria,  e  vi 
stia  a  disposizione  dei  provveditori  stessi.  Avendosi  poi  nuove  che  l' impe- 
ratore da  Udine  sta  per  andare  a  Gorizia  o  in  Aquileia,  si  ordina  a  Nico- 


—  37  - 

letto  Marioni  di  andare  a  Capodistria,  vi  si  mostri,  postea  vadat  per  Istriani 
baltando  directe  ad  suum  viagium  (carte  122). 

1368.  3  maggio.  —  In  seguito  all'intimazione  fatta  il  25  novembre  1367 
a  Fulcherio  e  Fiorino  di  Castropola,  essi  comparvero  davanti  la  Signoria, 
mettendosi  a  piena  disposizione  di  essa  ;  ma  si  dichiara  ai  medesimi  che 
per  ora  ritornino  a  S.  Vincenti  aspettandovi  di  esser  chiamati,  et  qttod  in- 
terim quidquid  senserint  de  novis  nobis  faciant  manifestimi  (carte  123). 

1368.  13  maggio.  —  Non  avendo  il  podestà  di  Capodistria  trovato 
alcuno  che  voglia  assumere  la  decima  della  villa  Vici  S.  Petri  per  un  anno, 
gli  si  dà  facoltà  di  deliberarne  all'asta  l'appalto  per  5  anni,  o  meno  come 
meglio  potrà  (carte  124). 

1368.  15  maggio.  —  Per  evitare  spese  non  necessarie,  si  ordina  ai 
provveditori  in  Istria  di  ritornare  a  Venezia  al  più  presto  lasciando  le  op- 
portune istruzioni  ai  singoli  rettori  pei  provvedimenti  ancora  da  attuarsi 
(carte  127). 

Si  ordina  pure  a  Lorenzo  Contarini  capitano  dei  legni  della  Riviera  di 
tornare  coi  due  legni  a'  suoi  ordini,  restando  ivi  altri  tre  legni  e  una  galea 
(carte  127). 

1368.  31  maggio.  —  Licenza  a  Maria  madre  di  Forella  di  Castropola 
iture  Ulne  [a  Pola]  per  suoi  affari,  di  condur  seco  un  figlio  d'esso  Forella 
di  43  mesi  circa,  essendo  la  madre  di  questo  nell'  impossibilità  di  attendervi. 
Il  bambino  dovrà  esser  di  ritorno  in  Venezia  prima  del  venturo  S.  Martino 
(carte  128  tergo). 

1368.  io  luglio.  —  Licenza  a  Peratio  de  Raciis  di  Ravenna,  stipendiano 
in  Pola  di  recarsi  in  patria  per  suoi  affari  per  un  mese  (carte  132). 

1368.  3  luglio.  —  Gli  affari  di  Trieste,  commessi  già  dalla  Signoria 
per  lo  studio  ai  savi  agli  ordini  e  dell'  Istria,  si  commettono  tanto  agli  uni 
che  agli  altri,  onde  ambi  i  collegi  possano  proporre  provvedimenti  (carte  136). 

1368.  3  agosto.  —  Cum  iste  excessus  commissns  per  communitatem  Ter- 
gesti cantra  lignum  nostrum  Riperie,  occidendo  comitum  et  percnciendo  plures  de 
Ugno  predicto  sii  enormis  et  gravissimus  et  valde  cantra  honorem  nostrum,  si 
delibera  di  far  proclamare  :  che  tutti  i  triestini  esistenti  nei  dominii  di  Ve- 
nezia ne  sortano  entro  15  giorni  dal  dì  della  publicazione,  con  tutte  le  lor 
cose,  sotto  pena  della  persona  e  dei  beni;  —  che  tutti  i  veneziani  che  sono 
in  Trieste  e  suo  territorio  ne  partano  entro  1 5  giorni  dall'avviso  ;  —  scorso 
il  detto  termine  nessun  triestino,  ne  altro  forestiero  con  merci  o  cose  di 
triestini  si  lasci  trovare  negli  stati  veneti  sotto  pena  come  sopra  ;  e  niun 
veneziano  osi  recarsi  o  mandar  merci  in  Trieste  sotto  pena  di  1000  lire 
per  ciascuno  ai  nobili,  e  500  ai  popolani  che  vi  andassero  personalmente, 


-  38  - 

e  di  perdita  delle  merci  o  cose  mandatevi  ;  —  che  nessun  forestiero  porti 
in  detta  città  cose  o  merci  prese  in  Venezia,  sotto  le  dette  pene.  L'esecu- 
zione del  presente  è  delegata  in  Venezia  agli  Ufficiali  ai  contrabbandi,  e 
fuori  ai  singoli  rettori  ;  un  terzo  delle  pene  spetterà  agli  accusatori. 

Si  risponde  poi  agli  ambasciatori  del  comune  di  Trieste,  che  i  fatti 
summentovati  e  quello  di  togliere  al  legno  veneto  la  nave  col  contrabbando 
si  considerano  come  commessi  dal  comune  stesso,  e  qual  gruvem  iniuriam 
nostrum  et  nostri  honoris  e  quindi  nostre  intentionis  est  omnino  non  sufferre 
tantum  oltruzium  allo  modo  ;  volere  Venezia  e  d'esso  e  di  tutte  le  infrazioni 
ai  trattati  commesse  in  addietro  talem  emendam  et  sutisfuctionem  quod  habea- 
mus  merito  contentati  ;  gli  ambasciatori  perciò  ritornino  ai  loro  mandanti  ai 
quali  annunzino  le  disposizioni  prese  come  sopra;  se  poi  entro  15  giorni 
Trieste  non  avrà  dato  conveniente  soddisfazione,  si  provvederà  come  esige 
1'  onore. 

Si  ordina  al  capitano  della  Riviera  dell'  Istria  quod  sepe  vudut  supru 
portimi  Tergesti  vegliando  all'  esecuzione  dei  divieti  fatti  come  sopra  (carte 
137  tergo). 

1368.  14  agosto.  —  Astolfo  da  Trieste  connestabile  equestre  in  Tre- 
viso, che  si  diportò  valorosamente  in  Candia,  alcuni  banditi  da  Trieste  che 
furono  stipendiarli  al  servizio  di  Venezia,  ed  alcuni  abitanti  d'Isola  oriundi 
triestini,  tutti  sempre  mostratisi  assai  fedeli,  si  dichiarano  non  compresi  nel 
bando  dato  a  quelli  di  Trieste  nel  decreto  precedente. 

Il  Collegio  assolve  dal  detto  bando  : 

Astolfo  predetto,  suo  fratello,  il  suo  socius,  'Berthonus  de  Francho  abi- 
tante in  Capodistria,  Doniinicus  Descalcius,  Coìandi  de  Scoìana  o  (Stolana), 
Bertonus  qj»  Nicolai,  Servulus  ;  —  tutti  gli  abitanti  e  stipendiari  delle  città 
e  terre  dell'  Istria  ;  ma  si  autorizzano  i  singoli  rettori  a  sfrattare  i  triestini 
sospetti  (carte  139). 

1368.  14  agosto.  —  Dovendosi  provvedere  ad  una  accurata  custodia 
in  Castel  Leone  in  quo  pendet  totu  securitas  Istrie,  tu;n  proptcr  epidimiam  ani 
nunc  est  in  Iustinopoli,  tum  propter  cuswn  nobilis  viri  ser  Petri  Frudello  ca- 
stellani Castri  predicti  qui  graviter  infinnatur ;  si  delibera  la  elezione  di  un 
nuovo  castellano.  —  Non  approvata  in  4  votazioni  (carte  139  tergo). 

1368.  21  agosto.  —  Ritornati  gli  ambasciatori  del  comune  di  Trieste 
cum  sindicatu  ad  plenum  si  delibera  di  risponder  loro,  fatta  prima  risaltare 
.  la  gravità  delle  offese  recate  a  Venezia  :  Primo,  quod  statini  navigium  con- 
trabanni  cum  foto  carico,  vel  valore  eius  detur...  officialibus  nostris  de  cut  avere, 
qui  de  ipso.,  disponent  prò  ut  teneniur  per  siami  officium.  —  Secundo,  Quod 
singulariter  omnes  UH  de  generali  Consilio  Tergesti  personaliter  nomine  suo  et 


—  39  — 

totius  comnumitatis  prestcnt  nobis  et  successoribus  nostris,  seu  ambaxatoribus  et 
mmciis  nostris  perpetue  fidelitatis  juramentum.  —  Tertio,  Quod  in  signum  diete 
fidelitatis...  accipiant  a  nobis  et  successoribus  nostris...  vexillum  nostrum  sancii 
Marci  et  illud  levare  et  tenere  debeant  quemadmodum  faciunt  alte  terre  nostre 
Istrie.  —  Quarto,  che  Trieste  osservi  scrupolosamente  i  trattati  stipulati  con 
Venezia  dal  tempo  del  doge  Enrico  Dandolo  in  poi.  —  Quinto,  si  riservano 
tutti  i  diritti  di  Venezia  per  le  infrazioni  commesse  dai  triestini  ai  detti 
trattati  (carte  140  tergo). 

Si  domanda  ai  detti  ambasciatori,  che  i  due  giudici  Michele  de  Adamo 
e  Domenico  de  Lio,  qui  fuerunt  causa  istius  facti  e  il  capo  dei  triestini  qui 
fuerunt  ad  defendendum  navigium  vengano  entro  un  mese  a  Venezia  ad  obe- 
diendum  siati  terminabìtur  per  istud  cotisilium  ;  colui  che  non  venisse  sia 
bandito  in  perpetuo  da  Trieste  e  suo  distretto,  e  lo  sarà  pure  da  tutti  gli 
stati  e  territori  di  Venezia  ;  se  rompessero  tali  bandi,  saranno  posti  in  car- 
cere per  sei  mesi  e  di  nuovo  banditi  (carte  140  tergo). 

Seguono  altre  proposte,  non  approvate,  fra  le  quali  una  che  voleva 
che  dodici  membri  del  consiglio  di  Trieste,  a  scelta  del  Senato,  venissero 
a  Venezia  a  starvi  a  confine  per  6  mesi  (carte  141). 

1368.  24  agosto.  —  Licenza  ad  Andrea  Gradenigo  capitano  a  Grisi- 
gnana  di  spendere  lire  100  di  piccoli  in  riparazioni  di  quel  palazzo  publico 
quod  transpluit  (carte  141). 

1368.  24  agosto.  —  Si  permette  ad  uno  o  ad  ambi  gli  ambasciatori 
di  Trieste  di  recarsi  in  patria  ad  induciendum  illos  de  inde  quod  faciant  de 
hiis  que  sint  placibilia  nostro  dominio,  intimando  loro  di  ritornare  perento- 
riamente entro  otto  giorni  ;  non  venendo  in  tal  termine  si  provvederà  sicut 
conveniet  prò  honore  nostro  (carte  141  tergo). 

1368.  3  settembre. —  Cum  tergestini  humiliter  et  reverenter  contenti  sint 
de  omnibus  hiis  que  nobis  placuerunt  si  fa  publicare  :  esser  dessi  venuti  ad 
obedientiam,  revocarsi  partem  pridie  captam  contra  eos,  et  ipsos  recepimus  ad 
gratiam  et  misericordiam  noslram.  Si  ordina  a  tutti  i  rettori  di  far  fare  ana- 
logo proclama  (carte  143  tergo). 

1368.  5  settembre. —  Si  delibera  la  missione  a  Trieste  di  un  nobile, 
da  eleggersi  in  Senato,  prò  executione  eorum  que  firmata  sunt  cum  tergestinis. 
—  Eletto  il  6  :  Lodovico  Falier  (carte  143  tergo). 

Ognibene  detto  Menino  da  Vicenza  è  confermato  connestabile  di  fan- 
teria in  Capodistria  in  luogo  del  defunto  Gazano  da  Mazzorbo  (carte  143 
tergo). 

Similmente  Guariento  di  Angarano  in  luogo  di  Andrea  Gamba  (carte 
143  tergo). 


—  4o  — 

Similmente  Giannino  da  Pontevico  in  luogo  di  Nichi  Rosso  (carte  143 
tergo). 

Similmente  Jacopo  da  Ravenna  in  luogo  di  Nicoluccio  suo  padre.  — 
Tutti  i  suddetti  furono  eletti  dal  podestà  e  capitano  di  Capodistria  (carte 
143  tergo). 

1369.  28  agosto.  —  Essendosi  i  triestini  adattati  a  quanto  si  esigette 
da  loro,  dicatur  cis  quod  placet  nobis  ut  vexillum  nostrum  S.  Marci  nunc  re- 
cipiant  ab  ambaxatoribus  seti  nuntiis  nostris,  e  similmente  ad  ogni  creazione 
di  doge,  tenendo  ipsum  honorìfice  ad  palatium  suum  supra  plateam  extenso  uno 
die,  a  mane  usque  ad  vesperas  ;  si  terrà  pure  esposto  nel  dì  di  Pasqua  d'ogni 
anno  (carte  144). 

1368.  16  settembre.  —  Andrea  Boldù  è  confermato  capitano  alla  porta 
di  S.  Martino  in  Capodistria,  in  luogo  del  defunto  Marino  Gisi  (carte  144 
tergo). 

1368.  16  settembre.  —  Licenza  ad  Angelo  de  Coderta,  connestabile 
equestre  in  Capodistria  di  recarsi  per  un  mese  a  Treviso  in  seguito  a  sua 
malattia  (carte  145). 

1368.  22  settembre.  —  A  Franceschino  da  Pola  stato  già  per  12  anni 
stipendiano  equestre  in  Treviso  e  distintosi  specialmente  tempore  guerre  Hun- 
garorum  quo  captus  fuit,  si  concedono  quattro  postas  equestres  vivas  ed  una 
mortuam  prò  persona  sua;  è  destinato  a  prestar  servizio  in  Conegliano,  e 
poscia  dove  sarà  mandato  (carte  147  tergo). 

1368.  30  settembre.  —  Si  delibera  la  elezione  di  cinque  Savi  super 
factis  Istrie  et  Tergesti. 

Eletti  :  Giovanni  Mocenigo  [cancellato,  sostituito  con  Pietro  Giustinian 
fu  Marco],  Zaccaria  Contarini,  Paolo  Loredan  [cancellato],  Pietro  Zane, 
Francesco  Bembo. 

Pietro  Morosini  di  S.  Antonino  —  il  12  maggio. 
1.  ottobre.  —  Nicolò  Falier  e  Nicolò  Giustinian  procuratore  di  S.  Mar- 
co, in  luogo  di  Lorenzo  Dandolo  e  di  Lodovico  Molin  (carte  148  tergo). 
1368.  5  ottobre.  —  Si  confermano  le  elezioni,  fatte  dal  podestà  di 
Capodistria  Giovanni  Dandolo,  di  Pietro  Axp  da  Ravenna  a  connestabile 
equestre  in  luogo  del  defunto  Franceschino  Bombea  e  Pietro  Ferrovero  da 
Venezia  in  luogo  di  'Bitini  da  Bologna  (carte  149  tergo). 

1368.  5  ottobre.  —  Licenza  al  capitano  del  Pasinatico  e  al  conte    di 
t  Pola   di  nominare   il  connestabile  alla    bandiera  di  cavalleria   deputatam  in 
Mommorano  (carte  150). 

Licenza  ad  Andrea  Gradenigo,  capitano  a  Grisignana,  di  spendere  300 
lire  di  piccoli  nella  fortificazione  di  quel  castello  (carte  150). 


—  4i   — 

1368.  ro  ottobre.  — Si  prolunga  di  15  giorni  la  licenza  data  ad  An- 
gelo de  Coderta  il  16  settembre  (carte  150). 

Si  prolunga  d'  un  anno  dal  S.  Martino  venturo  la  licenza  data  a  Maria 
di  Castropola  il  31  maggio  (carte  150). 

1368.  16  ottobre.  —  Essendo  morto  il  preposto  al  monastero  dei  Cro- 
ciferi in  Trieste,  si  permette  al  priore  dello  stesso  ordine  in  Venezia  di 
mandar  colà  un  suo  religioso  non  veneziano  (carte  150  tergo). 

1368.  7  novembre.  —  Si  conferma  la  elezione  fatta  dal  podestà  di 
Capodistria,  di  Giorgio  da  Treviso  a  connestabile  della  bandiera  di  fanteria 
del  fu  Turlono  da  Ferrara  (carte  152  tergo). 

,  1368.  9  novembre.  —  Francesco  de  'Berto  di  Capodistria,  che,  fuggito 
da  quella  città,  per  timor  della  peste,  Benedetto  Bembo  uno  dei  visdomini 
fu  a  questi  sostituito,  è  confermato  per  grazia  speciale  in  quell'ufficio  (carte 
154  tergo). 

1368.  16  novembre.  — Morto  Petrolino  connestabile  equestre  in  Mom- 
morano,  distretto  di  Pola,  si  conferma  a  suo  figlio  Rinaldo  una  posta  eque- 
stre datagli  dal  conte  di  detta  città  per  sostegno  della  superstite  famiglia  ; 
e  non  essendo  esso  Rinaldo  ancora  in  età  adatta  al  servizio,  farà  prestar 
questo  da  persona  idonea  (carte  155). 

1368.  28  novembre.  —  Marco  notaio,  del  fu  Bartolomeo  da  Venezia 
è  confermato  nell'  ufficio  di  scribaniatus  camere  consiliariorum  et  communis  di 
Capodistria,  nel  quale  fu  sostituito  da  quel  podestà  al  fu  Luchino  da  Cre- 
mona (carte  156). 

1368.  1  dicembre.  —  Licenza  al  comune  e  uomini  di  Cittanova,  vista 
la  loro  indigenza,  di  affittare  per  cinque  anni  i  loro  pascoli  forasteriis  et  cir- 
cavicinis,  come  fu  accordato  ad  Umago  (carte  156  tergo). 

Senato  Misti  voi.  XXXIII. 


1368.  22  dicembre.  —  Si  conferma  per  altri  due  anni  a  Nicoletto  Gra- 
denigo  portulano  alla  porta  di  S.  Martino  in  Capodistria  l' ufficio  btdlandi 
vasa  vini  que  mittuntur  a  Venezia  (carte  3). 

1369.  6  marzo.  —  Savi  eletti  super  monstra  stipendi ariorum  iturorum  ad 
bastitam  contra  Tergestum:  Andrea  Navager,  Luca  Vallaresso,  Franceschino 
Bragadin  (carte  io). 

1369.  28  marzo.  —  Privilegio  di  cittadinanza  veneziana,  per  dimora 
di  25  anni,  a  Sinwneto  Floravante  del  fu  Giovanni  da  Capodistria  (carte, 
12  tergo). 


—  42  — 

1369.  15  m;lggi°-  —  Licenza  ad  Andrea  Gradenigo,  capitano  di  Gri- 
signana,  di  spendere  lire  300  in  vettovaglie  per  munizione  (carte  17  tergo). 

1369.  5  giugno.  —  Si  ordina  al  podestà  di  Capodistria  di  giudicare 
una  lite  vertente  fra  Dardi  [Leonardo]  Grioni  del  fu  Benedetto,  che  per 
cause  note  non  può  venire  a  Venezia,  e  la  vedova  ed  una  figlia  di  Ge- 
remia Gisi,  suocero  del  Grioni,  per  certi  terreni  posti  in  quel  territorio 
(carte  22). 

1369.  8  giugno.  -  Si  lascia  in  arbitrio  del  podestà  di  Capodistria  di 
annullare  l'affittanza  della  decima  Vicinatus  S.  Petri  a  Nanino  da  Bologna 
connestabile  equestre  in  quella  città,  se  questi  vi  assente,  e  di  riaffittarla 
includendovi  la  condizione  del  pagamento  del  quarantesimo  al  prete  di  detta 
villa,  che  l'aveva  reclamato  ;  intanto,  per  quest'  anno,  il  quarantesimo  sarà 
pagato  dallo  Stato  (carte  23). 

1369.  8  giugno.  —  Essendosi  ambasciatori  della  contessa  di  Gorizia 
[assente  il  conte]  lagnati  quod  nonnulli  massarii  et  rustici  sui  laborantes  in 
vineis  dicti  domìni  comitis  de  licentia,  ut  dicunt,  nostri  capitana  generalis  terre 
captìvati  fuerint,  qui  capti  redemerunt  se  prò  quatuor  milibus  libris  parvorum, 
e  non  avendo  potuto  aspettare  a  Venezia  la  risposta,  questa  si  dà  alla  con- 
tessa come  segue  :  Francesco  de  Castellerio  ed  altri  inviati  di  quella  signora, 
abboccatisi  col  capitano  generale  per  venire  ad  accordo  circa  i  danni  datisi 
vicendevolmente  da  goriziani  e  veneziani,  andarono  sui  luoghi  in  quibus 
rustici  capti  fuerunt,  cioè  a  Lìcimagnas  Vallem  de  Mocho  et  ad  molendinum 
Petri  Tìelli  de  Tergesto,  che  appartengono  alla  giurisdizione  di  Trieste,  ed 
ove  essi  rustici,  circa  90,  laborabant  vineas  sub  banderia  domini  comitis,  e 
tutti,  compresi  gli  arrestati,  riconobbero  d'esserlo  stati  su  terreno  non  go- 
riziano. Di  più  avendo  i  goriziani  chiesto  al  detto  capitano  che  permettesse 
loro  di  lavorare  certe  terre,  nel  territorio  di  Trieste,  su  cui  il  conte  van- 
tava diritti  di  decima,  n'ebbero  replicate  negative  e  minacele  che  sarebbero 
trattati,  se  il  facessero,  come  triestini  ;  ma  essi  ciò  non  ostante,  con  altri 
di  Duino,  di  Trieste  e  di  Moccò  vennero  e  lavorarono,  e  si  opposero  ar- 
mata mano  alle  genti  veneziane  andate  a  far  eseguire  i  divieti  ;  e  quei  ru- 
stici, sotto  pretesto  di  lavoro,  portavano  vettovaglie  ai  triestini,  et  per  istum 
modum  laborare  ceperant  totani  vallem  de  Mucho  et  Locimagnis  usque  ad  ma- 
rinam  et  ab  inde  supra  fino  ai  confini  di  Muggia.  —  Alla  richiesta  poi,  fatta 
dai  detti  inviati  al  capitano,  di  risarcimenti  di  danni  dati  a'  sudditi  gori- 
<•  ziani  dalle  sue  genti,  ei  si  dichiarò  pronto  a  venire  ad  accordi  dopo  pro- 
duzione delle  prove,  che  non  vennero  mai  offerte.  —  Concludendo,  la  Si- 
gnoria è  disposta  quod  damna  utriusque  partis  videantur,  et  qui  debet  refun- 
dere  refundat  (carte  23  e  23  tergo). 


—  43  — 

1369.  14  giugno.  —  Per  il  buon  servizio  reso  dalle  due  banderie  pe- 
ditum  civinm  Iustinopolis  iam  mensibns  XIII  elapsis  in  Treviso,  si  condonano 
ad  una  7  e  all'  altra  8  giorni  che  avrebbero  ancora  servire  (carte  24). 

1369.  25  luglio.  —  Bartolomeo  da  Crema,  già  stipendiano  in  S.  Lo- 
renzo, è  confermato  connestabile  della  bandiera  di  cavalleria  già  comandata, 
in  Capodistria,  da  Pietro  A^onis  che,  gravato  di  debiti,  s'era  ritirato  (carte  28). 

1369.  12  settembre.  —  A  Matteo  dola  Penna,  stipendiano  in  castro 
Momorani,  distinto  per  servigi,  si  accordano  per  eccezione,  benché  sia  ita- 
liano, due  postas  eqncstres  vacanti  in  S.  Lorenzo  (carte  31). 

1369.  1  ottobre.  —  Licenza  a  Simoneto  da  Canal,  capo  dei  balestrieri 
nell'esercito  contro  Trieste,  di  venire  a  Venezia  per  15  giorni  onde  rista- 
bilire la  sua  salute  (carte  33  tergo). 

1369.  3  novembre.  —  Si  prolunga  fino  alla  ventura  Pasqua  la  licenza 
data  alla  madre  di  Forella  di  Castropola,  di  tener  seco  in  Pola  il  figlio 
bambino  di  quest'  ultimo  (carte  39). 

1369  m.  v.  io  gennaio.  —  Pei  servigi  resi  dal  fu  Nicolò  de  Castegneto 
già  caporalis  equestri*  in  Capodistria,  si  accorda  ai  suoi  figli  minori,  per  loro 
sostentamento,  una  delle  due  poste  che  aveva  il  medesimo,  con  obbligo  di 
far  prestare  da  persona  idonea  il  servizio.  I  figli  erano  :  Bertuccio,  Benade 
e  Giovanni  (carte  44). 

1370.  1  aprile.  —  È  nominato  Francesco  di  Castropola  come  conces- 
sionario di  quattro  poste  di  cavalleria  in  Treviso  (carte  49). 

1370.  22  aprile.  —  Licenza  a  Checco  da  Rovigo  connestabile  equestre 
in  Capodistria,  di  venire  per  un  mese  a  Venezia  (carte  52). 

1370.  13  maggio.  —  Essendo  pendente  una  lite  davanti  al  podestà  di 
Trieste  fra  Caterina  moglie  del  fu  Pietro  figlio  quondam  magistri  Forici  e 
Giovanni  Cigolimi  di  Trieste,  il  quale  per  essere  bic  ad  nostra  mandata  non 
può  far  valere  le  sue  ragioni,  si  concede  al  medesimo,  o  a  suo  figlio  [se 
così  parrà  al  collegio  Istrie]  di  andare  a  Trieste,  e  si  scrive  a  quel  podestà 
di  finire  al  più  presto  l'affare;  dopo  la  sentenza  il  Cigoto  tornerà  a  Venezia 
(carte  54  tergo). 

1370.  14  maggio.  —  In  seguito  alla  petizione  qui  sotto  si  dichiara  che 
i  beni  mobili  e  immobili  di  Giannino  de  Vedano  di  Trieste  siano  ad  esso 
restituiti  libere  integre  et  absolute  : 

Giannino  de  Vedano  espone  che  quando  Astidfns  surripuit  castrum  Macho 
qnod  tunc  erat  Tergestitioriim,  egli  vi  si  trovava,  e  fu  mandato  dal  medesimo 
Astolfo  ad  bastitas  dei  veneziani  ai  quali  narravi!  quidquid  sibi  imposuerat 
Astulfus  il  quale  dabat  sibi  inldligerc  quod  tractareì  cani  tergestinis  prò  vestro 
dominio,  per  lo  che  gli  furono  dai  giudici  di  Trieste  confiscati  i  beni  come 


—  44  — 

a  ribelle  di  quel  comune.  Il  de  Vedano  allora  si  rivolse  al  capitano  veneziano, 
il  quale  gli  disse  non  poter  accogliere  triestini,  ma  gli  promise  la  restitu- 
zione dei  beni  non  appena  avesse  in  mano  la  città.  Il  Vedano  si  recò  poi 
a  Monfalcone  e  vi  stette  fino  alla  venuta  del  duca  d'Austria,  e  servì  di  in- 
formatore ai  veneziani  di  quanto  facevano  quel  principe  e  il  patriarca  di 
Aquileia.  Caduta  Trieste  in  mano  alla  Republica,  servì  continuamente  contro 
i  ribelli  ed  i  nemici  di  quella.  Chiede  perciò  che  gli  si  restituiscano  i  beni 
confiscati,  tanto  più  che  la  sentenza  non  fu  pronunziata  nelle  forme  volute 
dalla  procedura,  come  lo  attesta  il  podestà  di  Trieste  Pietro  della  Fontana  : 
Segue  la  lettera  informativa  di  quest'ultimo  che  dichiara  i  fatti,  e  la  man- 
canza di  forme  legali  nella  sentenza  (carte  55  tergo  e  56). 

1370.  11  giugno.  —  Si  accorda  un  ufficio  in  Treviso  a  Federico  de 
Ecelo  di  detta  città  in  premio  dei  servigi  da  esso  prestati  contro  Trieste  e 
di  quelli  del  di  lui  padre  Taddeo  (carte  61). 

1370.  11  giugno.  —  A  Gasparino  Bonacursio  cittadino  veneziano,  che 
abbandonò  tutto  il  suo  in  Trieste  per  venire  a  Venezia,  e  servì  poi  d'in- 
formatore ai  provveditori,  et  stetit  ad  bastitas  nostras  cum  filio  suo  duobus 
mensibus  absque  provisione  si  assegna  la  paga  di  un  balestriere  in  Trieste, 
facendosi  sostituire  da  suo  figlio  se  avesse  ad  allontanarsene  (carte  61). 

1370.  16  giugno.  —  Ad  Alessio  da  Vigonza,  stipendiano  equestre  in 
Trieste,  che  preso  già  da  quelli  di  Duino  pagò  40  ducati  di  prò  talia,  fuitque 
multis  verberibus  afflictus  propter  que  verbera  et  sinistra....  ipse  crepuit,  si  con- 
cede che,  onde  possa  procurare  la  sua  liberazione,  il  podestà  di  Trieste 
ponat  loco  sui  quondam  eius  fratrem  a  prestar  servizio  prò  postis  suis  per  due 
mesi  (carte  61  tergo). 

1370.  17  giugno.  —  A  Marco  de  Pavionis  veneziano,  che  al  comin- 
ciare delle  novità  in  Trieste,  ove  s'era  stabilito,  lasciò  quella  città  abban- 
donandovi i  suoi  beni,  i  quali  furono  confiscati,  poi  servì  nelle  bastite  qual 
socio  del  capitano  Paolo  Loredan,  si  accorda  quod  sit  ad  conditionem  unius 
balistarii  veneti  in  Ter  gesto  con  lire  16  il  mese,  sotto  gli  ordini  di  quel  ca- 
pitano (carte  62). 

1370.  11  luglio.  —  Avendo  il  legno  della  Riviera  dell'Istria  coman- 
dato dal  capitano  Lorenzo  Contarini,  e  due  galedelli,  uno  di  Pola,  l' altro  di 
Medolino,  preso  un  cBarcosio  armato  con  21  persone  hostibus  nostris  de 
Flumine,  e  ricuperato  un  legno  carico  di  frumento  di  Venezia,  catturato 
•  dal  detto  barcosio,  si  assegna  ai  tre  navigli  un  premio  di  200  ducati,  tre 
quinti  al  legno  e  uno  per  ciascuno  ai  galedelli,  più  si  lasciano  loro  il  bar- 
cosio, le  armi  e  gli  arnesi  trovativi;  i  prigionieri  restano  allo  Stato  (carte 
65  tergo). 


—  45  - 

I37°-  !5  luglio.  —  Pietro  'Bono  veneziano  è  confermato  connestabìle 
ad  imam  banderiam  veterem  di  fanteria  in  Capodistria  (carte  65  tergo). 

1370.  19  luglio.  —  Vito  Trevisan  capitano  a  Trieste  è  condannato  a 
perdere  l'ufficio  e  a  pagare  ducati  100  di  multa  prò  biis  in  quibus  contra- 
fecit  in  odo  capittdis. 

Pietro  della  Fontana  podestà  a  Trieste  è  condannato  alla  perdita  del- 
l' ufficio  e  a  pagar  100  lire  prò  hiis  in  quibus  contrafecit  in  tribus  capittdis 
(carte  67). 

1370.  29  luglio.  —  A  Facino.  Delia  di  Capodistria,  già  connestabile  di 
fanteria  nelle  milizie  contro  Trieste,  il  quale  in  una  spedizione  a  Vragna 
con  alcuni  compagni  fu  preso  dai  nemici  e  dovette  pagare  200  ducati  d'oro 
di  riscatto  facendo  un  debito,  si  permette  per  grazia  di  portare  da  Capo- 
distria a  Trieste,  per  ivi  venderle,  200  umas  ribolei  fino  al  prossimo  S.  Mi- 
chele, pagando  i  dazi  prescritti  (carte  68  tergo). 

1370.  26  settembre.  —  Licenza  ad  Alberto  conte  di  Barbiano  qui  est 
ad  servicium  nostrum  iti  partibus  Istrie  cum  aliquibus  lanceis,  di  andare  ad 
partes  suas  pel  matrimonio  d'  un  suo  fratello,  per  un  mese  (carte  77). 

1370.  3  ottobre.  —  Deliberazione  dell'elezione  di  savi  prò  factis  Istrie 
et  Tergesti,   Tarvisane  et  Cenete  (carte  79  tergo). 

1370.  20  ottobre.  —  A  Sityno  da  Vicenza  e  a  Federico  de  Aucisburg  [?] 
già  stipendiari  equestri  in  Grisignana,  cassati  per  vecchiezza  da  quel  capitano, 
si  accordano  io  lire  il  mese,  in  premio  dei  servigi  resi,  e  purché  continuino 
ad  abitar  quella  terra  colle  loro  famiglie  (carte  84  tergo). 

1370.  12  novembre.  —  Non  potendo  il  podestà  di  Trieste  dar  termine 
ad  alcuni  processi  criminali,  perchè  il  capitolo  Vili  del  libro  III  di  quegli 
statuti  [ai  quali  ei  deve  attenersi],  sotto  la  Rubrica  de  arengo  fiendo  in  sen- 
tenciis  criminalibus  prescrive  quod  quandocumque  potestas  Tergesti  facere  voluerit 
arengum  de  processibus  criminalibus  debeat  facere  proclamari  maius  consilium  et 
arengum  super  scalis  palatii  communis  et  in  quolibet  quarteris  civitatis  etc;  si 
delibera  che  quell'  articolo  sia  annullato  (carte  85). 

Non  potendo  il  podestà  di  Trieste  metter  Lucia  filia  quondam  Ymi  ga- 
ledarii  veneziano  in  possesso  della  successione  di  Franceschino  detto  Fraseto 
figlio  del  fu  Giovanni  galledarii  già  cittadino  di  Trieste,  ma  in  origine  ve- 
neziano, opponendovisi  il  capitolo  39  del  libro  II  di  quegli  statuti  sotto  la 
rubrica  de  legato  vel  alio  relieto  non  fiendo  per  civem  alieni  forensi  quod  non 

Ifaciat  vicinitatem  in  civitate  tergesti  et  facliones  ut  f aduni  alii  cives  Tesgesti  etc; 
si  delibera  che  detto  statuto,  in  quantum  faceret  conlra  suprascriptam  succes- 
sionem  vel  cantra  similes  casus,  sia  annullato  (carte  85). 
1370.  21  dicembre.  —  Licenza  a  Giovanni  Villano  e  a  Nicolò  de  Bar 


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silio  da  Trieste,  giA  stipendiati  nel  Trivigiano,  ora  cassati,  di  recarsi  ai  servigi 
dei  Visconti  signori  di  Milano  (carte  87). 

1370.  23  dicembre.  —  Simile  a  Iacopo  de  Garrula  da  Trieste  (carte  87). 
Privilegio  di   cittadinanza   veneziana  per   dimora  di  25  anni  a  Nicolò 

Quartato  samitario,  del  fu  Tomaso  da  Capodistria  (carte  87). 

1370  m.  v.  5  gennaio.  —  A  Milano  da  Milano  già  connestabile  di 
cavalleria  in  S.  Lorenzo,  ridotto  a  vecchiezza,  si  concedono  per  grazia  imam 
postam  mortuam  et  imam  vivant  equestre*  in  detto  luogo,  senza  però  aumentare 
il  numero  degli  stipendiari,  e  tenendo  bene  fulcitam  la  posta  viva  (carte  87). 

1370  m.  v.  26  gennaio.  —  A  Sercio  Rubco  di  Trieste,  che  al  tempo 
della  guerra  contro  quella  città  servi  con  zelo  nel  guidare  le  genti  vene- 
ziane per  passus  et  semitas,  ostendendo  nostris  loca  abilia  ad  ponendum  insidias 
et  discooperiendo  insidias  itiìmicorum,  si  concede  imam  postam  equestrem  in 
detta  città  (carte  89). 

1371.  2  marzo.  —  Si  conferma  la  elezione  fatta  dal  podestà  e  capi- 
tano di  Capodistria,  di  Iacopo  de  Goderla  a  connestabile  della  bandiera  di 
cavalleria  già  comandata  dal  fu  Angelo  di  lui  padre  (carte  95  tergo). 

1371.  11  marzo.  —  Si  concedono  duas  postas  equestre*  in  Trieste  a 
Themali  de  Mechelich  che  prestò  buoni  servizi  nelP  esercito  contro  quella 
città  (carte  96  tergo). 

1371.  11  marzo.  —  Al  nobile  Alessio  da  Vigonza  —  che  preso  dai 
nemici  nella  guerra  di  Trieste  ebbe  a  far  valere  le  proprie  ragioni  in  duello 
contro  chi  lo  fece  prigioniero  [un  tedesco],  e  sortitone  vincitore  iniliciain 
acquisivit  —  onde  possa  sostener  con  decoro  l'onore  della  cavalleria  conse- 
guito, si  assegnano  30  ducati  d'  oro  il  mese,  in  Trieste  o  altrove,  come 
giudicherà  la  Signoria,  con  obbligo  di  tenere  quatuor  bonos  equos  ab  armis 
et  tres  bonos  homines  ab  armis,  restando  egli  personalmente  esente  dal  ser- 
vizio (carte  97). 

1371.  13  marzo.  —  Si  riportano  alcuni  articoli  delle  commissioni  di 
alcuni  rettori,  fra'  quali  del  capitano  di  Trieste,  da  aggiungere  a  quella  del 
capitano  il  Candia  (carte  98). 

1 37 1.  1  aprile.  —  Si  concede  a  Giovanni  del  fu  Nicolino  de  Vedano 
da  Milano,  cittadino  ed  abitante  a  Trieste,  ora  dimorante  in  Venezia  a  di- 
sposizione della  Signoria,  di  andar  per  l'Italia  ove  vorrà,  trattine  il  Friuli 
e  l' Istria,  finche  non  abbia  la  grazia  di  ripatriare  (carte  100). 

Similmente  ad  Acharisio  Francisci  de  Ter  gesto  (carte  100). 

1371.  14  aprile.  —  Regolato  il  21  dicembre  passato  dal  Senato  il  nu- 
mero delle  milizie  per  Trieste  in  6  bandiere  equestri,  125  balestrieri  ve- 
neziani e  20  bandiere  di  fanteria,  furono  mandate  poi  colà,  prò  casti  occurso 


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dei  connestabili  di  fanteria,  1'  8  febbraio  scorso  altre  6  bandiere  di  fanti, 
con  ferma  di  4  mesi  ;  a  scanso  di  spese  si  ordina  al  capitano  di  Trieste  di 
cassare  6  delle  predette  20  bandiere  che  non  sono  impegnate  con  ferma 
(carte   ioj). 

1371.  14  aprile.  —  Si  ordina  ai  pagatori  veneziani  in  Trieste  di  licen- 
ziare, per  economia,  i  due  massari  populares  deputati  ad  recipiendum  et  con- 
servandum  biada,  farinam,  fenum  et  Ugnammo  dello  stato  (carte  101). 

Ad  istanza  di  Francesco  de  Bonomis  di  Trieste  si  ordina  a  quel  podestà 
che,  avuta  la  prova  del  credito  di  quello  verso  Michele  quondam  Gregorii 
Ade  e  Pietro  de  Armano,  anteriore  alla  confisca  dei  beni  di  questi,  faccia 
pagare  il  creditore  coi  beni  stessi  (carte  101  tergo). 

1371.  27  aprile.  —  Licenza  a  Stefano  de  Picardis,  provisionalo  in  Trieste, 
di  recarsi  per  un  mese  per  affari  in  Lombardia  (carte  103). 

1 37 1.  29  aprile.  —  Si  ordina  a  tutti  i  rettori  dell' Istria  di  eseguire,  in 
materia  di  munizioni,  quanto  prescriveranno  gli  ufficiali  alle  rason  (carte  104). 

1371.  6  maggio.  —  Si  concede  una  posta  equestre  in  S.  Lorenzo  a 
Diatrico  già  caporale,  che  servi  a  lungo  in  detto  luogo  (carte  104). 

1371.  6  maggio.  —  Licenza  ad  Andrea  de  Octobono  di  Trieste,  existenti 
hic  ad  obedientiam  doininationis,  di  recarsi  ad  una  sua  villa  detta  Proseco  che 
stava  per  essergli  usurpata  dal  signore  di  Duino,  coi  beni  del  quale  confi- 
nava (carte  104). 

1 37 1.  6  maggio.  —  Si  riduce  da  80  a  éo  il  numero  degli  uomini  da 
remo  sopra  ciascuno  dei  due  legni  della  Riviera  dell'  Istria,  e  così  se  ne 
tolgono  4  balestrieri,  portando  su  ciascun  legno  da  17  a  13  gli  homines 
de  pede. 

Il  salario  dei  capitani  della  Riviera  è  ridotto  da  30  a  20  ducati  il  mese 
(carte  106). 

137 1 .  6  maggio.  —  Deliberazioni  di  procedere  e  condanne  contro  En- 
rico Talamacium  da  Cremona  e  Copelletto  da  Parma,  già  connestabili  di 
fanteria  in  Trieste,  prò  unione  ciun  aliis  coinestabilibns  et  sacramento  facto  inter 
ipsos  contro  il  giuramento  prestato,  e  contro  la  Signoria. 

Sono  condannati  a  due  anni  di  carcere,  e  poi  al  bando  perpetuo  dai 
dominii  veneti,  con  pena  di  tre  anni  di  carcere  per  ogni  rottura  di  bando 
(carte  106). 

1 37 1 .  26  maggio.  —  In  considerazione  dei  meriti  di  Guidolino  de  Po- 
lisiis  e  dei  suoi,  stati  lungo  tempo  ad  stipendimi!  et  servicium  in  Istria,  si 
concede  a  'Bartole  di  lui  figlio  una  posta  equestre  in  San  Lorenzo  (carte 
112  tergo). 

1371.  29  maggio.  —  Deliberazione  relativa  alla  riduzione  delle  milizie 


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in  Pola  e  in  Mommorano,  non  approvata;  da  essa  risulta  che  in  Pola  si 
tenevano  20  provisionati  equites  pagati  da  quel  comune,  ed  in  Mommorano 
stava  una  bandiera  equestris  di  25  paghe,  12  delle  quali  a  carico  del  detto 
comune  (carte  114  tergo). 

Pro  expedicione  operis  castri  Tergesti fiat  unus  superstes  popularis 

(carte  1 14  tergo). 

1371.  29  maggio.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di  Pola, 
considerati  i  danni  patiti  da  esso  per  le  ultime  guerre,  e  la  pace  che  ora 
regna  nell'  Istria  ;  si  delibera  che  siano  cassati  tutti  i  provvisionati  in  Pola 
e  la  bandiera  che  si  tiene  in  Mommorano.  Quest'ultima  verrà  sostituita  da 
altra  di  nuova  formazione,  di  20  paghe,  con  lire  18  il  mese  per  cavallo, 
12  delle  quali  pagate  da  Pola;  il  connestabile  avrà  4  paghe,  computate 
la  paga  doppia  e  quella  del  piffero.  Questa  bandiera  risiederà  in  Mommo- 
rano, dipenderà  dal  conte  di  Pola  il  quale  dovrà,  a  richiesta,  mandarla  al 
capitano  di  S.  Lorenzo  (carte  115). 

1 37 1.  26  maggio.  —  Proposte  di  mandare  a  Trieste  ed  in  Istria  tre 
provveditori  per  la  riduzione  delle  spese  superflue  (carte  116)  —  Non  prese. 

137 1.  3  giugno.  —  Si  dà  facoltà  al  podestà  e  al  capitano  di  Trieste 
di  provvedere  prò  mansione  del  vescovo,  delle  monache  e  dei  frati  Minori 
in  quella  città,  pagando  i  luoghi  eh'  essi  sceglieranno  a  prezzo  di  stima 
(carte  116  tergo). 

Si  accordano  due  postas  equestres  in  Trieste  a  Nicolò  Belli  di  quella 
città,  che  servì  bene  nella  guerra  contro  di  essa  (carte  117). 

Pei  meriti  guerreschi  di  Giovanni  del  Preto  di  Pirano,  è  nominato  con- 
nestabile della  bandiera  equestre  da  formarsi  in  Mommorano,  facendosi  ec- 
cezione alla  legge  che  esludeva  friulani  ed  istriani  dal  servizio  in  Istria 
(carte  117). 

1371.  3  giugno.  —  Avendosi  notizie  de  isto  traclatu  qui  dicitur  velie 
fieri  per  Astulphum  Pilosum  et  Melchionum  (Melchion)  de  auferendo  civitatem 
Poh,  si  delibera  la  elezione  di  tre  provveditori  solenni,  i  quali  si  rechino 
colà  e,  d'accordo  col  capitano  di  S.  Lorenzo  e  col  conte  di  Pola,  indaghino 
come  stia  la  cosa  e  provvedano  come  stimeranno  meglio,  deliberando  a 
maggioranza.  Expediti  de  Pola,  vadano  a  Trieste  e  con  quei  podestà  e  ca- 
pitano examinent  condicionem  castri  quod  fit,  sollecitando  la  sua  messa  in 
istato  di  difesa,  e  studino  e  propongano  in  iscritto  quello  crederanno  doversi 
fare  per  la  sicurezza  dello  stato.  Poscia  vadant  Macho  et  Mocholanum  e  prov- 
vedano al  necessario  per  la  loro  difesa.  Passino  quindi  a  Capodistria,  S.  Lo- 
renzo, Grisignana  e  nelle  altre  terre  della  provincia  studiandone  i  bisogni 
di  difesa  coi  rettori  locali.  Si  dà  loro  facoltà  di  fare,  d'accordo  coi  rettori 


—  49  — 

i  mutamenti  di  personale  che  stimeranno  utili  nelle  milizie.  Tornati,  rife- 
riscano, e  possano  proporre  deliberazioni  al  Senato.  Possano  spendere  due 
ducati  il  giorno  per  ciascuno,  oltre  i  noli  e  i  trasporti,  tenendo  due  servi 
ognuno,  un  notaio  con  servo,  e  un  cuoco. 

Eletti  :  Pietro  Mocenigo,  Nicolò  Vallaresso,  Paolo  del  fu  Alessandro 
Morosini  (carte  117  tergo). 

1371.  22  giugno.  —  Licenza  a  Giovanni  Cigoto  di  Trieste,  di  recarsi 
colà  per  un  mese  a  difendere  una  sua  causa  davanti  a  quel  podestà  (carte  1 19). 

1371.  7  luglio.  —  Si  risponde  al  capitano  di  Trieste  di  far  sapere  a 
quegli  stipendiarli  che  saranno  trattenuti  in  servizio  anche  dopo  spirata  la 
ferma  in  corso  (carte  121). 

Lorenzo  Barisano  castellano  a  Trieste  è  assolto  dalla  carica,  accettandosi 
in  suo  luogo  Frisone  Zen  (carte  121). 

1371.  15  luglio.  —  Sopra  proposta  del  Vallaresso  e  del  Mocenigo 
provveditori  in  Istria  e  di  Pietro  Mocenigo  [lo  stesso?]  e  Zaccaria  Morosini, 
si  delibera  la  erezione  di  un  castello  ad  marinam  in  Trieste. 

Su  proposta  del  Vallaresso,  si  delibera  la  elezione  in  Senato  di  dieci 
provveditori  che  si  rechino  a  Trieste  ove  d'accordo  con  quei  rettori  stabi- 
liscano, a  inaggioranza,  il  luogo  e  la  forma  del  decretato  castello.  Si  as- 
segnano ai  medesimi  ducati  20  d'oro  il  giorno,  non  comprese  le  spese  di 
trasporto,  due  servi  ciascuno,  un  notaio  con  servo,  un  cuoco.  Conducano 
seco  cinque  artieri  esperti  in  simili  lavori.  Non  si  comincieranno  i  lavori 
prima  che  non  sia  finito  e  in  istato  di  difesa  il  castello  di  S.  Giusto. 

Eletti  :  Nicolò  Vallaresso,  Pietro  Mocenigo,  Francesco  Morosini  Zana- 
cola,  Zaccaria  Contarmi,  Andrea  Badoer,  Nicolò  Falier  da  S.  Toma,  Andrea 
Venier  di  S.  Giovanni  decollato,  Giovanni  Foscari,  Francesco  Bragadin 
magnus  e  Simone  Michiel  (carte  122  tergo). 

1371.  20  luglio.  —  Si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
permettere  ad  Antonio  New  [o  Novo],  maccellaio,  di  condurre  a  Venezia  gli 
animali  da  questo  acquistati  in  Ungheria  e  che  quel  magistrato  voleva  trat- 
tenere in  Capodistria  pretendendo  che  fossero  venduti  colà  (carte  124  tergo). 

137 1.  3  agosto.  —  Avendo  Nicolò  de  Mossalto  e  Tomaso  Agrimonis 
triestini  chiesto  di  essere  accolti  in  grazia  per  non  aver  potuto  comparire 
ad  terminimi  aride,  si  permette  loro  di  andar  ad  abitare  in  Orsaro,  distretto 
di  Pirano,  con  obbligo  di  presentarsi  ogni  settimana  al  podestà  di  quella 
città  (carte  124  tergo). 

1371.  3  agosto.  —  Ad  istanza  di  fra'  Viviano  priore  dei  Crociferi  di 
Venezia,  gli  si  permette  di  acquistare,  malgrado  il  disposto  dagli  statuti  di 
Trieste,  stabili  in  quella  città  per  lire  1190    ricavate    dalla  vendita    d'una 


-  $6- 

casa,  colà  posta,  allo  stato  ed  assegnata  parte  a  quel  vescovo  e  parte  a  mo- 
nache (carte  124  tergo). 

1371.  3  agosto.  —  Ad  istanza  di  Vergerlo  de  Ver^eriis  abitante  a  Isola, 
tutore  testamentario  di  Rantolfo  del  fu  Pietro  del  Tacho,  il  quale  in  forza 
dello  statuto  di  quella  terra  «  quod  contro,  hominem  mortuum  nulla  testium 
probatio  audiaturi)  non  poteva  riscuotere  certa  somma  dagli  eredi  del  fu 
Dionisio  del  fu  Paolo,  altro  tutore  di  Rantolfo  suddetto,  che  l'aveva  avuta 
per  conto  di  quest'  ultimo,  ma  non  posta  in  inventario  ;  si  ordina  al  po- 
destà d'Isola  di  far  giustizia  al  petente  malgrado  la  prescrizione  dello  sta- 
tuto (carte  125). 

Si  conferma  per  altri  due  anni  a  Nicoletto  Gradenigo  portulario  alla 
porta  di  S.  Martino  di  Capodistria,  1'  ufficio  di  bollare  i  vaso,  vini  et  olei 
che  da  quella  città  et  aliunde  si  mandano  a  Venezia  (carte  125). 

1371.  14  agosto.  —  Paulicitus  de  Sancto  Severino  è  confermato  conne- 
stabile  equestre  della  bandiera  che  fu  di  Paino,  resosi  assente,  ufficio  da- 
togli dal  capitano  di  Trieste  (carte  125). 

1371.  17  agosto.  —  Presentatosi,  per  mettersi  a  disposizione  della  Si- 
gnoria, scusandosi  di  non  aver  conosciuto,  per  assenza,  il  proclama  publi- 
cato,  Nicolò  de  Listila;  esso  viene  ricevuto  in  grazia  (carte  125  tergo). 

1371.  8  agosto.  —  Non  essendosi  eseguiti  tutti  i  provvedimenti  presi 
per  Capodistria  al  tempo  che  vi  era  podestà  e  capitano  Marino  Venier,  sic- 
ché tuttavia  si  può  andare  ad  pedem  siccum  ad  Castrum  Leonis,  et  a  parte 
civitatis  etiam  ;  si  ordina  ai  provveditori  inviati  a  Trieste  che,  terminate  ivi 
le  loro  incombenze,  si  rechino  a  Capodistria,  ove,  d'accordo  con  quel  po- 
destà e  capitano,  a  maggioranza  di  almeno  7  voti,  facciano  porre  ad  ese- 
cuzione quelli  dei  detti  provvedimenti  che  stimeranno  necessarii  (carte  126). 

1371.  24  agosto.  —  Giusto  da  Trieste,  che  non  potè  presentarsi  al 
tempo  stabilito  nel  proclama,  per  essere  stato  infermo  in  Friuli,  è  ricevuto 
in  grazia. 

Similmente  Nicolò  de  Prebe^  (carte  126  tergo). 

1371.  31  agosto.  —  Si  risponde  al  capitano  di  Grisignana  essersi  de- 
liberato un  prestito  di  lire  1200  ai  soldati  quorum  habitationes  et  domus  com- 
buste sunt  onde  riattarle  ;  essi  faranno  la  restituzione,  rilasciando  ogni  mese 
40  soldi  per  posta  sulle  paghe,  mallevadori  i  connestabili.  Si  manda  l' im- 
porto ad  esso  capitano,  incaricato  della  distribuzione  ai  danneggiati  (carte 
128  tergo). 

1371.  3  settembre.  —  Ad  istanza  di  prete  Ermagora  pievano  di  S. 
Silvestro  di  Venezia,  il  quale  aveva  fatto  erigere  una  cappella  dedicata  ai 
SS.  Ermagora  e  Fortunato   presso  la  chiesa  di  Umago,   provvedendola   di 


—  Si  — 

libri  ed  arredi  sacri,  ed  instituendovi  una  mansioneria  quotidiana,  si  ordina 
che  quei  rettori  prò  tempore  riscontrino  ogni  anno,  coli'  inventario  datone 
dal  detto  pievano,  la  esistenza  nella  cappella  dei  detti  arredi  e  libri 
(carte  129). 

1371.  7  settembre.  —  Simone  detto  Taffarello  da  Trieste,  che  igno- 
rando il  proclama,  per  essere  in  Friuli,  non  si  era  presentato  a  tempo,  è 
accolto  in  grazia;  la  Signoria  lo  manderà  a  confine  (carte  130). 

1371.  2  ottobre.  —  Si  delibera  la  elezione  di  cinque  savi  super factis 
Istrie  et  Tergesti  ac  Tarvisane  et  Cenete  (carte  135  tergo). 

137 1.  12  ottobre.  —  In  seguito  a  querela  di  certo  ser  Folcherio  de 
sancto  Vincentio  per  danni  recatigli  dagli  uomini  di  Pola  ne'  suoi  beni, 
udite  le  parti  dai  savi  all'  Istria  e  Trivigiano,  si  commette  al  capitano  di  S. 
Lorenzo  di  istruire  regolare  processo,  e  spedirlo  col  suo  voto  alla  Signoria 
(carte  138  tergo). 

1371.  23  novembre.  —  Si  rinnova  per  due  anni  la  licenza  già  con- 
cessa al  monastero  di  S.  Teodoro  di  Pola,  di  far  condurre  6  migliaia  d'olio 
1'  anno  da  quel  distretto  a  Capodistria  con  esenzione  da  dazi  (carte  141 
tergo). 

1371.  31  dicembre.  —  Licenza  ad  Andrea  Paradiso,  capitano  a  Gri- 
signana,  di  spendere  lire  300  di  piccoli  in  riparazioni  a  quel  castello  (carte 
145  tergo). 

1371  m.  v.  15  febbraio.  —  Licenza  ad  Oliviero  da  Oleggio,  conne- 
stabile  equestre  in  Grisignana,  di  andar  per  un  mese  a  Ferrara  a  visitare 
un  suo  fratello  malato  (carte  149). 

1371  m.  v.  20  febbraio.  —  Gervasio...  è  confermato  connestabile  della 
bandiera  di  cavalleria  residente  in  Mommorano  (carte  149). 

1371  m.  v.  20  febbraio.  —  In  seguito  a  reclami  dell'abadessa  e  delle 
monache  di  S.  Benedetto  di  Trieste  —  luogo  notevole,  che  soleva  conte- 
nere da  20  a  30  suore,  occupava  vasto  terreno  con  due  chiese  [la  minore 
a  S.  Chiara],  due  dormitorii,  tre  pozzi,  orto  ed  altri  edificii  —  perchè  quel 
monastero,  espropriato  per  includerlo  nel  castello  di  S.  Giusto,  era  stato 
stimato  meno  di  éooo  lire  mentre  valeva  il  doppio  ;  per  l'assegnazione  lor 
fatta  del  luogo  di  S.  Cristoforo  che  manca  d'acqua,  ed  è  sulla  via  publica  ; 
si  delibera,  sentito  il  parere  di  Leonardo  Contarini  podestà  e  di  Domenico 
Michiel  capitano  in  detta  città,  che,  non  potendosi  dare  alle  petenti  le  case 
dei  Burli,  di  assegnare  alle  stesse  tre  o  quattro  case  contigue  a  S.  Cristo- 
foro, includendovi  un  pozzo;  e  si  incarica  dell'  esecuzione  il  podestà  (carte 
149  tergo). 


—  52  — 


Senato  Misti  voi.  XXXIV. 


1372.  2  marzo.  —  In  considerazione  della  povertà  dei  parentini,  si 
ordina  al  capitano  del  Pasinatico  di  S.  Lorenzo  di  non  far  novità  per  due 
anni  relativamente  all'esigere  la  tassa  del  Pasinatico  dai  medesimi.  Essi  però 
dovranno  pagar  ciò  che  lor  tocca  per  la  bandiera  in  Mommorano  (carte 
1  tergo). 

1372.  15  aprile.  —  È  fatta  menzione  di  Gabriele  del  fu  Giovanni  da 
Serravalle  che  nella  guerra  di  Trieste  fu  capo  dei  suoi  compatriota  (carte  4). 

Licenza  ad  Oliviero  da  Oleggio,  connestabile  equestre  in  Grisignana, 
di  fermarsi  in  Venezia  per  un  mese  per  procurare  la  liberazione  di  suo  fra- 
tello Rolando  prigione  a  Ferrara  (carte  4). 

1372.  2  maggio.  —  Licenza  ad  Andrea  de  Octobono,  avente  divieto  di 
avvicinarsi  a  Trieste  meno  di  tre  miglia,  di  entrare  in  quella  città,  per  le 
occorrenze  d'  una  sua  causa  davanti  a  quel  podestà  (carte  5). 

1372.  15  maggio.  —  Ad  istanza  di  Maddalena  vedova  Tomaso  Si^a 
di  Trieste,  morto  al  principio  della  guerra  di  quella  città,  ed  ebbe  due  dei 
suoi  figli,  i  maggiori,  Natale  notaio  e  Nicolò,  confinati  a  Capodistria,  si 
permette  al  minore  di  questi  di  ritornare  a  Trieste  onde  aiuti  la  madre  a 
nutrire  i  fratelli  più  piccoli  (carte  6). 

Licenza  a  Nicolò  Venerio  di  Trieste  di  recarsi  colà  e  starvi  fino  al  S. 
Michele,  essendo  malato  (carte  6). 

1372.  4  giugno.  —  Prete  Giovanni  Belli  veneziano  cappellano  di  Pie- 
tro Mocenigo  podestà  e  capitano  di  Capodistria,  potrà  continuare  ad  occu- 
pare tale  ufficio  anche  sotto  i  successori  di  quest'ultimo  (carte  13). 

A  Jacopo  Balardi  da  Trieste,  versante  in  povertà,  si  assegna  la  prov- 
vigione che  si  paga  agli  altri  triestini  abitanti  in  Venezia  (carte  13). 

1372.  11  giugno.  —  Licenza  a  Cbeco  da  Rovigo  connestabile  di  ca- 
valleria in  Capodistria  di  venire  a  Venezia  per  15  giorni  per  affari  (carte  15). 

1372.  17  giugno.  —  Ad  istanza  di  Allegranza  figlia  del  fu  Michele 
Ade  di  Trieste,  il  quale  per  essersi  allontanato  da  Venezia,  ove  stava  ad 
mandatimi,  aveva  avuto  confiscati  i  beni  ;  si  ordina  al  podestà  di  Trieste  di 
procedere  agli  atti  di  diritto,  per  il  pagamento  alla  petente  della  dote  ma- 
terna, sequestrata  col  resto  de'  beni  del  defunto  (carte  15  tergo). 

1372.  29  luglio.  —  Ad  istanza  di  Domenico  Gruato  tagliapietra  di  Ve- 
nezia, si  ordina  al  podestà  di  Rovigno  di  fargli  giustizia  relativamente  ad  un 
credito  che  vantava  verso  il  defunto  Oliviero  di  quella  città  (carte  22  tergo). 


—  S3   - 

1372.  19  agosto.  —  A  moderare  lo  sciupio  dell'olio  prò  luminaribus 
seu  cesetidelis  che  si  accendono  la  notte  in  Capodistria  prò  custodia  et  aìiis 
occasionibus  inhonestis,  si  proibisce  a  quei  podestà  di  lasciar  consumare  più 
di  metro,  quatuordecim  ohi,  a  misura  di  Venezia,  tenendo  accesi  dodici  ce- 
sendelos  per  le  guardie,  cioè  :  2  in  sala  del  podestà,  uno  ai  due  soci  del 
medesimo,  uno  ai  birri,  uno  in  anditu  famulo-rum  del  podestà,  uno  nel  cam- 
panile, 4  prò  custodia  equestri  que  fit  de  nocte,  due  prò  custodia  pedestri. 

Si  vieta  ai  detti  podestà  di  spendere  danaro  publico  in  acqua  per  loro 
uso  (carte  24  tergo). 

1372.  24  settembre.  —  Licenza  a  Giovanni  Cigoto  da  Trieste,  di  an- 
dare e  stare  per  sei  mesi  a  Muggia  per  affari  (carte  29). 

1372.  28  settembre.  —  In  seguito  a  reclami  del  vescovo  di  Trieste 
perchè  quel  podestà  volle  pagasse  il  dazio  su  certo  vino  portato  in  città 
dai  beni  di  esso  vescovo  in  Umago,  mentre  per  gli  statuti  i  prodotti  dei 
beni  dei  triestini  in  Istria  n'  erano  esenti  ;  si  fa  grazia  per  questa  volta  al 
vescovo  medesimo  ordinando  che  sia  trattato  come  cittadino,  ed  esentato 
dal  dazio  (carte  29). 

Colocius  Venerius  da  Trieste  abbia  provvisione  pel  vitto  come  i  suoi 
concittadini  (carte  29). 

Similmente  Giuliano  de  Juliano,  e  vada  ove  vorrà,  non  però  in  terre 
veneziane  (carte  29). 

1372.  22  ottobre.  —  Licenza  al  nobile  Pietro  de  la  Fontana,  eletto 
podestà  a  Trieste,  di  condur  seco  per  socium  il  nobile  Antonio  Nadal  (carte 
31  tergo). 

1372.  28  ottobre.  —  A  Domenico  de  Leo  triestino,  che  da  lungo  tempo 
è  a  Venezia  ad  mandatimi,  si  assegna  la  provvisione  goduta  dagli  altri  suoi 
concittadini  (carte  32  tergo). 

1372.  25  novembre.  —  Al  veneziano  Antonio  Erizzo  si  assegna  una 
paga  di  balestriere  in  Trieste  [lire  16  il  mese],  come  già  ad  Antonio  de 
Bonacursio  e  a  Marco  de  Pavionibus,  col  solo  obbligo  di  far  guardia  la  notte 
come  per  gli  altri  balestrieri  (carte  33). 

1372.  2  dicembre.  —  A  Francesco  Corno  [o  Corvo']  di  Trieste  si  asse- 
gna la  provvisione  pel  vitto  (carte  33  tergo). 

1372.  14  dicembre.  —  Avendo  il  patriarca  di  Aquileia  e  i  nobili  del 
Friuli  partecipato  novitatem  Mugle  pregando  per  aiuto,  e  di  poter  estrarre 
vettovaglie  dallo  stato  veneto  ;  si  risponde  con  voti  di  pace,  che  si  diede 
sempre  nei  casi  possibili  assistenza  ai  patriarchi,  ma  che  la  terra  e  il  co- 
mune di  Muggia  per  antiqua  pacta  et  iura  tenentur  nobis  de  fidelitate  et  re- 
galiis  et  non  esset  nobis  honor  exhibere  favorem  contra  eam,    onde  contempla- 


—  54  — 

tione  sue  paiernitatis  et  nobilumi  Venezia  resterà  imparziale  nel  fatto  e  nelle 
sue  conseguenze  (carte  34  tergo). 

1372  m.  v.  17  gennaio.  —  Rolando  di  Oleggio  tniles  è  nominato  con- 
nestabile  della  bandiera  di  cavalleria  in  Grisignana  in  luogo  del  defunto  suo 
fratello  Oliviero  (carte  37). 

1372  m.  v.  17  gennaio.  —  Patente  ducale,  ai  rettori  ed  altri  ufficiali 
in  Istria.  Fu  concesso  al  monastero  di  S.  Chiara  di  Capodistria  di  portar 
colà  libere  et  expedite,  tutto  ciò  che  quelle  monache  raccogliessero  limosi- 
nando in  Istria  e  in  Schiavonia.  Valevole  per  5  anni  (carte  37). 

1372  m.  v.  20  gennaio.  —  Licenza  ad  Andrea  Barbarigo  capitano  a 
Trieste  di  spendere  lire  300  di  piccoli  in  riparazioni  a  quelle  mura  e  in 
loca  custodie  (carte  37). 

1373.  29  marzo.  —  Ad  istanza  di  Zanini  de  Bernardo  veneziano,  che 
servì  al  tempo  della  guerra  di  Trieste,  fatto  prigioniero  dai  nemici  stette 
in  Mocho  fino  all'  acquisto  di  detta  città,  e  dai  ruoli  degli  stipendiati  in  essa 
fu  cassato  per  aver  moglie  triestina,  si  concede  per  grazia  al  medesimo  di 
restarvi  come  stipendiano  a  patto  che  non  abiti  con  parenti  della  sua  donna 
(carte  42). 

1373.  24  maggio.  —  Per  la  spedizione  del  legno  della  Riviera  del- 
l'Istria, non  potendosi  fare  altrimenti,  si  pagherà  ai  suoi  balestrieri,  per 
ora,  fino  a  lire  14  di  piccoli  il  mese  (carte  52). 

1373.  24  maggio.  —  Ad  istanza  di  Sadorus  (?)  notaio  e  di  Pietro  de 
Gusmeriis  di  Muggia,  andati  ad  abitare  in  Trieste,  si  accorda  loro  facoltà 
di  far  trasportare  in  quest'  ultima  città  le  rendite  delle  saline  e  degli  altri 
beni  che  tengono  in  Muggia  alle  condizioni  stesse  degli  altri  cittadini  di 
Trieste  (carte  52  tergo). 

1373.  9  giugno.  —  Ducale  simile  alla  qui  addietro  17  gennaio  1372  m.  v., 
a  favore  delle  monache  di  S.  Biagio  di  Capodistria  (carte  53  tergo). 

1373.  14  luglio.  —  Licenza  a  Filippo  de connestabile  di  fan- 
teria in  Montona,  di  venire  a  Venezia  per  15  giorni  (carte  59). 

1373.  16  luglio.  —  Essendo  le  terre  dell'Istria  bene  regniate  et  fidate, 
e  tranquilla  quella  provincia,  si  richiamano,  per  togliere  spese  inutili,  i  tre 
provveditori  inviativi  (carte  59  tergo). 

1373.  4  agosto.  —  Si  rinnova  per  un  anno  alle  monache  di  S.  Be- 
nedetto di  Trieste  la  facoltà  di  portar  ivi  dall'  Istria  vettovaglie  ed  altre  cose 
raccolte  in  elemosina  (carte  62  tergo). 

1373.  io  agosto.  —  Spirando  l'anno  della  condotta  di  mastro  Giovanni, 
chirurgo  salariato  in  Trieste,  uditi  Andrea  Zen  e  Nicolò  Orio,  già  rettori 


—  55  — 

in  quella  città,  e  visto  quanto  scrive  Baldo  Queruli  vicepodestà  ivi  ;  si  con- 
ferma per  altri  due  anni  la  condotta  stessa  (carte  62  tergo). 

1373.  5  settembre.  —  Ad  istanza  di  Andrea  del  fu  Oliveto  de  Bullis 
e  di  Domenico  quondam  Satulini,  ambi  convicini  di  Montona,  già  condannati, 
al  tempo  della  prima  guerra  d'  Ungheria,  con  Domenico  Spezzaferro,  per 
1'  uccisione  di  lurius  de  Zumesco  al  bando  da  Montona  e  distretto,  ed  es- 
sendosi lo  Spezzaferro,  venuto  a  morte  in  Grisignana,  dichiarato  solo  col- 
pevole dell'uccisione  perpetrata  perchè  il  Zumesco  [?]  ingiuriava  la  Republica  ; 
si  dichiara  che  i  due  supplicanti  possano  presentarsi  al  podestà  di  Montona 
et  uii  juribus  suis  sicut  si  comparuissent  ad  terminum,  e  quel  magistrato  faciat 
quod  sit  justum  (cane  64  tergo). 

1373.  6  settembre.  —  A  Nicoletto  Gradenigo,  portulano  alla  porta  di 
S.  Martino  in  Capodistria,  si  conferma  per  altri  due  anni  l'ufficio  bullandi 
vasa  del  vino  e  dell'  olio  destinati  a  Venezia  (carte  65). 

1373.  13  novembre.  —  Ad  Anichino  de  Petrassano  stipendiano  in  San 
Lorenzo,  ridotto  a  vecchiezza,  si  assegna  la  provvigione  di  lire  io  di  picc. 
il  mese,  in  premio  de'  suoi  boni  servigi  (carte  70). 

1373.  15  dicembre.  —  A  Nicoletto  Ruieo  veneziano  si  fa  grazia,  in 
seguito  ai  servigi  resi,  che  possa  avere  stipendio  in  Trieste  benché  abbia 
moglie  in  quella  città,  a  patto  che  non  abiti  con  triestini. 

Ad  Antonio  de  Cortusiis  abitante  in  Trieste  e  che  servì  per  28  anni, 
si  concede  la  bandiera  di  cavalleria  che  comandava  colà  il  testé  defunto 
Bellosio  Rnsca  (carte  72  tergo). 

1373  m.  v.  26  gennaio.  —  Pro  gravitate  persone  di  Tomaso  Sanino 
capitano  a  Trieste,  si  ordina  al  Capitano  della  Riviera  dell'  Istria  di  andare 
tosto  con  un  legno  alla  custodia  di  quella  città,  e  vi  stia  fino  a  nuovo  ordine 
all'  obbedienza  di  quel  podestà  e  capitano  (carte  75  tergo). 

1373.  23  febbraio.  —  Licenza  a  Bartolomeo  de  Serravallo,  connestabile 
di  cavalleria  in  Trieste,  si  concede  di  recarsi  per  un  mese,  per  suoi  affari, 
nel  Trivigiano  (carte  81). 

1373.  27  febbraio.  —  Si  ordina  al  Capitano  della  Riviera  dell'Istria 
di  ritornare  ad  custodiam  suam  appena  giunto  a  Trieste  il  nuovo  capitano 
Marco  Giustinian  (carte  81  tergo). 

1374.  2  marzo.  —  Al  veneziano  Virgilio  de  Canali  che  servì  al  tempo 
della  guerra  di  Trieste,  poi  vi  ebbe  stipendio  per  due  anni,  e  dovette  al- 
lontanarsene per  aver  preso  donna  di  quella  cittì  in  moglie,  si  concede 
che  possa  avervi  di  nuovo  stipendio  purché  non  abiti  con  triestini  (carte 
82  tergo). 

1374.  17  marzo.  —  Licenza  a  Pietro  Badoer,  capitano  a  Grisignana, 


-56- 

di  spendere   altre  lire  300  per  riparare  il  ponte  del  castello,   le  case  delle 
munizioni  ed  altri  edifizi  (carte  91). 

Al  Corniti  Nicolao  Vegle  provvisionato   in  Trieste  si  concede  di  venire 
a  Venezia  per  15  giorni  (carte  91). 

1374.  21  marzo.  —  In  seguito  a  rimostranze  di  Giovanni  Mocenigo, 
podestà  e  capitano  di  Capodistria,  che  aveva  esposto  esservi  colà  alcune 
saline,  con  22  lavoranti,  li  quali  danno  allo  stato  chi  il  sesto,  chi  il  settimo, 
chi  1'  ottavo  ;  sed  tempore  opportuno  non  reperiuntur  laboratores  sufficientes  i 
quali  potius  attendunt  ad  alias  salinas  per  le  quali  pagano  solo  il  decimo, 
que  babent  in  summa  circa  300  lavoratori  ;  a  togliere  le  differenze  e  gì'  in- 
convenienti si  delibera  che  tutte  le  saline  solvant  tantum  decimum  (carte  92). 
1374.  28  marzo.  —  Ad  istanza  e  per  i  meriti  di  Rolando  Naldi  abi- 
tante a  Capodistrh,  Tomaso  figlio  quondam  Zare  già  di  detta  città,  ma  da 
trent'  anni  stabilito  in  Isola,  non  sarà  considerato  come  cittadino  ma  come 
forensis  della  città  stessa,  benché  natovi  e  statovi  in  casa  del  petente  (carte 
93  tergo). 

1374.  9  aprile.  —  Quod  prò  novis  Istrie  il  capitano  della  Riviera  della 
Marca  è  mandato  ad  terras  nostras  Istrie  prò  securitate  earum  (carte  95). 

1374.  23  aprile.  —  Licenza  a  Giannino  Gexp  abitante  a  Udine  di  por- 
tare da  Umago  ad  partes  Aquilegie  12  urnas  di  olio  (carte  100  tergo). 

1374.  23  aprile.  —  Ad  Angelo  de  Presenoro  stipendiarlo  pedestre  in 
Montona,  che  servì  per  oltre  20  anni  in  S.  Lorenzo,  si  assegna  il  soldo 
pedestre  senza  obbligo  di  servizio,  essendo  fatto  vecchio  (carte  101). 

Su  proposta  di  Paolo  Morosini  podestà  e  capitano  a  Capodistria,  ed 
in  esecuzione  della  sua  commissione  che  prescriveva  l'età  degli  stipendiarii 
fra  i  20  ed  i  50  anni,  essendo  stato  tolto  il  comando  di  una  bandiera  di 
infanteria  a  Lorenzo  Flandria,  fatto  sessagennario,  gli  si  assegna  in  premio 
de'  suoi  servigi  unam  postam  pedestrem  in  detta  città  (carte  101  tergo). 

1374.  9  maggio.  —  Stefano  de  Picardis  provvisionatus  in  Trieste  ob- 
bligato a  tenere  6  cavalli  con  5  sodi  per  lire  50  il  mese,  essendo  stato  in 
Romans  durante  la  guerra  di  Padova,  e  portatosi  valorosamente,  terrà 
d'ora  in  poi  solo  5  cavalli  e  4  socii  senza  diminuire  la  provvigione  (carte  104). 
1374.  30  maggio.  —  Deliberazione  di  procedere  e  condanna  ad  am- 
menda di  Giovanni  Priuli  già  governatore  in  exercitu  contra  Tergestinos,  per 
appropriazione  di  200  ducati  (carte  112). 

r374.  17  giugno.  —  Non  trovandosi  chi  voglia  andar  vicario  del  conte 
di  Pola  pei  troppo  piccoli  proventi  di  quell'  ufficio,  ad  istanza  degli  amba- 
sciatori di  quel  comune  si  delibera  :  quod  de  oneribus  limitatis  comitibus  Poh 
dejalchentur  duo  domicelli,  cochus  et  duo  equi,  que  omnia  capiunt  summam  dti- 


—  57  — 

catomm  cenlum  ami  et  ultra  ;  così  alleggerite  le  spese  del  conte,  esso  pa- 
gherà al  vicario,  sufficienti  jurisperito,  80  ducati  Y  anno  invece  di  40  che 
dava  in  passato  (carte  117). 

Si  rinnova  per  altri  due  mesi  la  ferma  delle  due  bandiere  d' infanteria 
a  Pola  (carte  117). 

1374.  27  luglio.  —  Si  rinnova  per  un  anno  la  licenza  alle  monache 
di  S.  Benedetto  di  Trieste  di  portare  dall'  Istria  in  quella  città  vettovaglie 
e  cose  raccolte  in  elemosina  (carte  125  tergo). 

1374.  27  luglio.  —  In  seguito  a  sollecitazioni  del  podestà  e  capitano 
di  Capodistria  super  remocione  paludis  et  barinartim  prò  securitate  Castri  no- 
stri Lconis,  si  approva  che  tutti  i  podestà  ogni  anno  per  una  settimana, 
subito  dopo  Pasqua  facere  debeant  cavare  et  laborare  omnes  salinarìos  deinde 
in  dieta  pallide,  come  parrà  meglio  ai  podestà  stessi  ;  il  presente  intanto 
regulet  istud  factum  nel  modo  più  utile  (carte  126). 

1374.  31  agosto.  —  Al  podestà  di  Trieste,  —  che  si  era  lagnato  che 
avendo  quei  cittadini  sotto  i  suoi  predecessori  vendute  molte  possessioni  a 
uomini  della  contea  di  Gorizia  e  di  Duino,  questi  volevano  asportarne  i 
prodotti  senza  pagar  dazio  -  si  risponde  che  impedisca  quindinnanzi  simili 
vendite,  se  sien  fatte  senza  espressa  licenza  della  Signoria,  e  similmente 
1'  esportazione  dei  detti  prodotti  quando  non  sia  autorizzata  da  eguale  li- 
cenza (carte  134). 

1374.  31  agosto.  —  Si  ordina  al  conte  di  Pola  di  cassare  le  due  ban- 
diere nuove  di  fanteria  che  stanno  per  finire  la  ferma  ;  similmente  al  po- 
destà di  Valle  per  la  prima  bandiera  nuova  di  finteria  che  finirà  la  ferma  ; 
essi  rettori  rimpiazzeranno  con  soldati  validi  delle  bandiere  cassate  gli  in- 
suficientes  di  quelle  che  si  conservano  (carte  134). 

1374.  7  settembre.  —  Licenza  a  Francesco  Corbo  di  Trieste,  di  re- 
carsi in  patria  per  20  giorni  onde  tutelare  i  suoi  interessi,  essendogli  morto 
il  padre;  lasciando  la  moglie  e  i  figli  a  Venezia  (carte  136). 

1374.  18  ottobre.  Licenza  al  conte  di  Gorizia  di  esportar  da  Trieste 
100  urnas  vini  ribolii  per  suo  uso  ;  de  facto  salis  et  ohi  fiat  excusatio 
(carte  143). 

1374.  3  novembre.  —  Si  ordina  che  sulla  torre  Cucherla  del  castello 
di  S.  Giusto  in  Trieste,  quia  ibi  clainatur,  et  fit  custodia  magna,  si  continui 
a  tener  di  notte  accesa  una  lanterna  [cesendeltts]  a  spese  dello  stato  (carte 
143  tergo). 

1374.  21  novembre.  —  Nicolò  da  Verona  è  confermato  connestabile 
della  bandiera  di  cavalleria  in  Capodistria  già  comandata  da  Checco  da  Ro- 
vigo (carte  144  tergo). 


-  58  - 

1374.  26  novembre. — Si  accresce  al  podestà  di  Capodistria  l'assegno 
dell'olio  prò  luminarìis  custodiarum  da  14  a  22  nutra  l'anno  (carte  144  tergo). 

1374.  28  novembre.  —  Ordine  a  Nicolò  Polani  capitano  della  Riviera 
dell'  Istria,  qui  complevii,  di  tornare  col  suo  legno  a  Venezia  (carte  145). 

1374.  26  novembre.  —  Sorte  contese  verbali  fra  le  due  bandiere  di 
fanteria  de  tergestinis  di  presidio  in  Asolo,  una  di  esse  è  trasferta  a  Treviso 
(carte  145). 

1374.  8  dicembre.  — Licenza  al  conte  Nicolò  di  Veglia  provvisionato 
in  Trieste  di  venire  a  Venezia  per  15  giorni.  — Prolungata  il  13  gennaio 
d'altri  15  giorni  (carte  146). 

1374.  15  dicembre.  —  Licenza  al  podestà,  al  comune  e  agli  uomini 
di  Cittanova  di  affittare  i  pascoli  comunali  per  altri  cinque  anni  (carte  147). 

1374  m.  v.  20  gennaio.  —  Licenza  a  Polliceto,  connestabile  di  caval- 
leria in  Trieste,  di  venire  a  Venezia  per  otto  giorni  (carte  153  tergo). 

1374  m.  v.  23  gennaio.  —  A  Tiso  Lugnano  di  Capodistria,  che  rese 
lodevoli  servigi,  si  accordano  per  grazia  duas  postas  equestres  in  Trieste 
(carte  154  tergo). 

Senato  Misti  voi.  XXXV. 

1375.  2  marzo.  —  Licenza  a  Luchino  de  Pisis  connestabile  di  caval- 
leria in  Trieste  di  recarsi  in  patria  per  un  mese  (carte  1  tergo). 

1375.  20  marzo.  —  Simile  a  Nanino  da  Bologna  connestabile  di  ca- 
valleria in  Capodistria  (carte  6). 

1375.  5  aprile.  —  Filippo  de  Villa,  stipendiarius  equester  in  Grisignana 
il  quale,  propter  percussione™  avuta  in  un  braccio  pugnando  contra  predones 
qui  venerunt  ad  derobandum  fideles  nostros  Istrie,  factus  est  impotens,  è  cas- 
sato a  posta  equestri  quam  habet  ad  presens  e  gli  si  assegnano  per  grazia  8 
lire  il  mese  coll'obbligo  di  restare  in  detta  terra  (carte  13  tergo). 

1375.  io  aprile.  —  Avendo  Fantino  Morosini,  quando  era  capitano  del 
Pasinatico  di  S.  Lorenzo,  comperato  100  staia  di  frumento  (esistenti  in 
Valle)  pei  bisogni  delle  sue  milizie,  e  non  volendo  il  podestà  di  Valle  per- 
metterne l'esportazione  ;  si  ordina  a  quest'  ultimo  di  desistere  da  ogni  op- 
posizione, e  se  vuol  trattenere  il  grano  rimborsi  il  detto  capitano  delle  spese 
fatte  (carte  15). 

1375.  6  maggio.  —  Baldassare  Burlo  di  Trieste  è  accettato  qual  prov- 
visionato in  Treviso  cum  uno  equo  bono  ab  armis  et  bene  fulcito,  cum  ducatis 
decem  ami  in  mense  (carte  j8). 


—  59  — 

1375-  JI  magg'°-  —  Proposte  fatte  da  Paolo  Morosini  già  podestà  e 
capitano  in  Capodistria,  e  approvate. 

Si  delibera  doversi  scavare  il  palude  fattosi  circa  Costrutti  Leonis  in  modo 
da  potervi  andare  in  barca  cum  omni  aqua,  e  così  sia  sempre  mantenuto. 

Volti  quos  alias  captimi  fuit  fieri  debere,  fiant,  così  iste  amunitiones  et 
indurationes  terreni  sive  paludis  cessabunt,  nam  aqua  discurrens...  non  permittet 
indurari...  paludati. 

Al  Flumicello  corrente  apud  travoltimi  detur  alia  via...  versus  Rexanum, 
per  impedire  che  continui  l' interrimento,  giacché  ora  unus  eques  cum  toto 
equo  posset  ire  usque  ad  Purpurarias. 

Invece  dei  16  uomini  destinati  alla  custodia  notturna  della  citta  con  4 
barche  [pagati  lire  7^  il  mese  ciascuno],  i  quali  per  essere  sciavi  et  labo- 
ratores  terreni  et  vineanim,  in  luogo  di  far  la  guardia,  fessi  dormiunt  ;  si  assu- 
meranno dodici  veneti  pagati  con  io  lire  il  mese,  senz'altro  obbligo  di  cu- 
stodie od  angarie. 

Cum  cirche  rastellorum  non  sint  bene  clause,  si  ordina  ut  status  noster 
Iustinopolis  sit  securior,  quod  omnes  porte,  orti  et  loca  claudantur,  sicché  non 
possit  veniri  intra  dictos  rastellos  per  aliam  viam  nisi  per  ipsos  (carte  21). 

Essendo  il  Costrutti  Leonis  conservatio  non  solum  Iustinopoli,  sed  etiam 
totius  Istrie,  e  quindi  importantissimo  il  ben  custodirlo,  si  delibera  che  niuno 
degli  stipendiari  alla  guardia  di  esso  possa  aver  famiglia  in  Capodistria  ;  i 
pagatori  all'armamento  sono  incaricati  di  assoldare  i  balestrieri  et  pavesarios 

quot  deficient occasione  predicta.  È  però  lecito  agli  stipendiari  il  tener  le 

mogli  o  le  famiglie  in  castello  (carte  21  tergo). 

1375.  18  maggio.  —  Ad  istanza  del  comune  di  Parenzo  gli  si  accorda 
un  prestito  di  150  ducati  prò  optando  niuros  et  fondamenta  diete  terre  que 
vadiint  in  ruinam ;  li  restituirà  in  tre  anni  a  50  l'anno  (carte  22  tergo). 

1375.  7  giugno.  —  Si  concedono  quattro  page  equestres  in  Candia  a 
Pellegrinato  de  Romano  che  servì  valorosamente  nella  guerra  di  Trieste. 

Si  accordano  duas  postas  equestres  in  Capodistria  a  Francesco  Crocho 
del  fu  Corrado  de  Raspurgo  de  Bassa  Alamanea,  stati  ambidue  (padre  e  fi- 
glio) stipendiarli  in  Trieste  e  in  Capodistria,  malgrado  che  abbia  colà  pa- 
renti e  vi  sia  nato.  Ciò  in  seguito  al  voto  favorevole  di  quel  podestà  e 
capitano  Pantaleone  Barbo  (carte  27  tergo). 

1375.  22  giugno.  —  Si  accorda  al  patriarca  di  Aquileia  licenza  tnit- 
tendi  de  cellario  sive  campa  sua  ad  terram  Mugle  per  mare  200  staia  venete 
di  frumento  (carte  30). 

Licenza  a  Simone  di  Valvasone  di  trasportare  per  mare  vettovaglie  ed. 
arnesi  per  uso  di  suo  figlio  che  va  podestà  a  Muggia  (carte  30). 


—  6o  — 

1375.  26  giugno.  —  Presentatosi  alla  Signoria  Facina  de  Canciano, 
uno  dei  triestini  trattenuti  a  Venezia,  espose  come  Nicolò  Cigolo,  ottenuto 
dal  podestà  di  Trieste  un  proclama  con  cui  s' invitavano  gli  aventi  diritto 
all'  eredità  del  fu  Pietro  de  Fonia  a  far  valere  le  loro  ragioni  entro  un  dato 
termine,  potè  intromittere  per  20  marche  di  beni  dell'  eredità  stessa,  con 
pregiudizio  dei  figli  minori  di  esso  Facina  ai  quali  spetta  la  successione  in 
discorso,  e  pei  quali  esso  esponente  non  potè  adoperarsi  essendo  in  Ve- 
nezia. Si  ordina  perciò  al  podestà  suddetto  di  informare  sulla  questione  e 
di  non  procedere  ad  altri  atti  senza  ordine  della  Signoria  (carte  31). 

1375.  3  luglio.  —  Avendo  fatto  buona  prova  la  deliberazione  di  Se- 
nato 11  dicembre  1374,  con  cui  si  permetteva  di  esportare  da  Capodistria 
e  da  Trieste  vino,  sale  ed  olio  a  coloro  che  vi  portassero  frumento,  fa- 
rina o  altri  grani,  essa  si  estende  anche  all'  introduzione  nei  detti  luoghi 
di  grascie  ed  altre  vettovaglie  (carte  3 1  tergo). 

Essendovi  gran  carestia  in  Capodistria,  si  mandano  mille  lire  a  quel 
podestà  onde  dar  mano  ai  lavori  ad  Castrum  Leonis  e  dar  così  guadagno 
a  quei  poveri  (carte  31  tergo). 

1375.  13  luglio.  —  Giovanni  de  Cherio  chirurgo  salariato  dallo  stato 
in  Trieste,  rimasto  ivi  per  medico  dopo  1'  acquisto  fattone  dai  veneziani,  è 
confermato  nell'  ufficio  per  due  anni  (carte  32  tergo). 

1375.  13  luglio.  —  Licenza  ai  rettori  di  Trieste  di  esportare  da  Ca- 
podistria, cum  ordine  solito,  500  altre  staia  di  sale  per  uso  della  prima 
(carte  33). 

1375.  19  luglio.  —  Si  vieta  a  tutti  i  rettori  dell'  Istria,  del  Trivigiano 
e  del  Cenedese  di  removere  vel  destruere  aliquod  laborerium  factum  per  pre- 
decessores  suos,  senza  licenza  del  Governo  (carte  36). 

1375.  24  luglio.  —  Rinnovazione  per  un  anno  della  licenza  alle  mo- 
nache di  S.  Benedetto  di  Trieste  come  al  27  luglio  1374  (carte  40). 

1375.  io  agosto.  —  Il  nobile  Bellino  Vallaresso  eletto  connestabile 
d'  una  bandiera  di  fanteria  dal  podestà  e  capitano  di  Capodistria  è  confer- 
mato in  quella  carica  invece  del  fu  Ognibene  da  Vicenza  (carte  42). 

I375-  r3  agosto.  —  Ad  istanza  d'  un  ambasciatore  del  vicario  del  si- 
gnore di  Duino,  considerato  il  contegno  amichevole  di  quest'  ultimo  e  dei 
suoi  dipendenti,  si  scrive  al  podestà  e  al  capitano  di  Trieste  che  permet- 
tano ai  medesimi  di  esportare  da  quel  territorio  le  rendite  e  i  prodotti  dei 
beni  che  vi  posseggono  pagando  i  dazi  prescritti  (carte  44). 

1375.  17  agosto.  —  Si  permette  ad  Ermolao  Venier,  podestà  a  Trie- 
ste, di  aggiungere,  se  vorrà,  un  cavallo  agli  otto  che  è  obbligato  a  tenere 
in  forza  della  sua  Commissione  ;  presolo,  non  potrà  venderlo  (carte  45). 


*       —  6i  — 

1375.  21  agosto.  —  Licenza  al  podestà  di  Umago  di  affittare  ad  estra- 
nei gli  herbatica  di  quel  comune  (carte  46). 

1375.  31  agosto.  —  Si  accorda  a  Sacho  de  Codetta  di  Conegliano,  con- 
nestabile  equestre  in  Capodistria,  di  recarsi  per  suoi  affari  in  patria  per  20 
giorni  (carte  48  tergo). 

Si  conferma,  per  due  anni,  Nicoletto  Gradenigo  nell'ufficio  di  bollare 
i  vasi  di  vino  e  di  olio  che  si  portano  da  Capodistria  a  Venezia  (carte  48 
tergo). 

1375.  4  settembre.  —  Ad  istanza  di  Angelo  vescovo  di  Trieste  e  del 
suo  Capitolo  si  accorda  loro  di  riedificare  de  suo  proprio  vel  elemosinis,  una 
cappella  dedicata  alla  Vergine,  che  s'  ergeva  cimi  quodam  suo  cimiterio  cir- 
cumquaque,  extra  muros  civitatis,  ex  qtdbus  ut  asserunt,  oh  reverentiam  voca- 
boli magnani  utilitateui  rccipiebant,  sed  fuit  destructa  tempore  guerre  ;  la  rie- 
dificazione deve  seguire  construendo  soluminodo  ab  altari  ubi  erat  chorus,  et 
levando  muritm  Cimilerii...  per  medium  passimi  circumcirca  (carte  49). 

1375.  4  settembre.  —  Avendo  il  già  capitano  di  Grisignana  Nicolò 
Zen  fatto  cassare  dai  ruoli  di  quelle  milizie  Iacopo  de  Beluti,  fatto  vecchio, 
si  accorda  al  medesimo  la  provvisione  di  lire  8  il  mese,  in  premio  de'  suoi 
servigi,  coli'  obbligo  di  abitare  in  detta  terra  (carte  49  tergo). 

1375.  11  settembre.  —  Essendovi  bisogno  di  sale  in  Trieste,  si  ordina 
al  podestà  di  Pirano  di  tenerne  1000  staia,  di  quello  acquistato  ultima- 
mente dallo  stato,  a  disposizione  dei  rettori  triestini  a  20  soldi  di  piccoli 
lo  staio  (carte  50  tergo). 

Il  20  settembre  si  assegna  il  detto  sale  da  prendersi  in  Capodistria, 
del  prodotto  di  quella  decima  ;  i  rettori  di  Trieste  lo  faranno  vendere  in 
città  al  maggior  prezzo  possibile  (carte  50  tergo). 

1375.  3  ottobre.  —  Elezione  di  tre  nuovi  savi  all' Istria,  Trivigiano  e 
Padovano  (carte  53  tergo). 

A  Bartolomeo  da  Ravenna,  cassato  dai  ruoli  delle  milizie  di  Montona, 
dopo  30  anni  di  servizio,  da  quel  podestà  Maffeo  Contarini  cavaliere,  si 
accorda  la  riammissione  allo  stipendio,  assegnandogli  4  lire  il  mese,  con 
esenzione  dalla  guardia  (carte  54). 

1 375.  27  settembre.  —  Pro  subvenlione  nostrorum  fidclium  Istrie  et  Ter- 
gesti, si  delibera  che  s'  abbiano  a  pagare  solo  2  ducati  per  anfora  sui  vini 
che  si  portano  da  quelle  terre  [a  condizione  però  che  vi  siano  nati]  a  Ve- 
nezia (carte  55). 

1375.  3  ottobre.  —  Si  porta  da  4  a  6  ducati  per  anfora  il  dazio  sul 
vino  ribolo  che  [venuto  dall'  Istria]  si  esporta  da  Venezia  per  l' estero 
(carte  55). 


—   62   — 

1375-  I2  ottobre  —  Si  conferisce  a  Menegino  figlio  del  fu  Pietro  Mal- 
fato  il  comando  della  bandiera  di  fanteria  già  tenuta  da  esso  Pietro;  ciò 
su  proposta  di  Simon  Michiel  capitano  del  Pasinatico  di  Grisignana  (carte 

55  tergo). 

Si  porta  a  8  ducati  1'  anfora  il  dazio  sul  vino  ribolo  all'  esportazione 
come  più  sopra  (carte  55  tergo). 

1375.  18  ottobre.  —  Si  scrive  ai  rettori  dell'Istria  di  permettere  a 
tutti  che  lo  dimandano   di   portare   de  Riboliis  et  vinis  ivi  prodotti  (carte 

56  tergo). 

1375.  21  ottobre.  —  Si  accorda  a  Santuccio  del  fu  Jacopo  de  Tadal- 
dino  di  subentrare  al  defunto  suo  padre  nella  posta  equestre  che  quest'  ul- 
timo tenne  per  40  anni  in  Capodistria,  quam  servire  faciebat  per  unum  bonum 
et  suficientem  jamulum  et  bonum  equum  (carte  57). 

1375.  30  ottobre.  —  Licenza  al  podestà  e  al  capitano  di  Trieste  di 
spendere  200  lire  di  piccoli  in  mittendo  extra  prò  sentiendo  de  novis. 

Licenza  al  podestà  di  Grisignana  di  spendere  lire  200  di  piccoli  pel 
compimento  dei  lavori  di  quel  castello. 

Facoltà  al  medesimo  di  far  la  spesa  necessaria  alle  riparazioni  al  bur- 
chio esistente  ad  passimi  nostrum  pontis  marchionis  (carte  57  tergo). 

1 375.  30  ottobre.  —  Divieto  rigoroso  ai  notai,  giudici,  scrivani  e  sodi 
dei  rettori  dell'  Istria,  del  Trivigiano  e  del  Cenedese  di  lasciare  il  lor  posto 
sotto  pena  di  privazione  d'  ogni  ufficio  per  io  anni  e  di  100  lire  di  multa 
(carte  58  tergo). 

1375.  13  novembre.  —  Facoltà  al  podestà  di  Trieste  di  spendere  20 
ducati  d'oro  per  la  sua  abitazione,  giacche  finora  non  potè  se  locare  cum 
filiis  et  f umilia  sua  que  magna  est  (carte  72). 

1375.  20  novembre.  —  Quia  multotiens  expedit  quod  cives  et  fideles  no- 
stri Tergesti  mittantur  extra  in  cavalcatis  vel  aliter  ad  procurandum  nostrum 
honorem,  si  delibera  che  in  tali  spedizioni  si  paghino  in  ragione  di  lire  io 
di  piccoli  [il  mese  ?]  per  testa,  e  prò  rata  temporis  quo  servient  (carte  72 
tergo). 

1375.  7  dicembre.  —  Licenza  al  priore  e  frati  di  S.  Domenico  dei 
Predicatori  di  Capodistria  di  condurre  per  mare  in  quella  città  le  elemo- 
sine che  raccorranno  in  provincia.  Valevole  per  un  anno  (carte  73). 

1375.  20  dicembre.  —  Essendovi  bisogno  di  sale  in  Trieste,  si  dà  fa- 
coltà a  quei  rettori  di  esportarne  1000  staia  da  Capodistria,  e  si  scrive  al 
podestà  di  quest'  ultima  in  proposito  (carte  74). 

1375  m.  v.  io  gennaio.  —  Licenza  a  Stefano  de  Piccardis,  provvisio- 
nato in  Trieste,  di  andare  per  un  mese  in  Lombardia  (carte  76  tergo). 


-63  - 

1375  m-  v-  29  gennaio.  —  Si  acconsente  che  il  nobile  Bellino  Val- 
laresso  connestabile  di  una  bandiera  di  cavalleria  in  Capodistria  occupi  ivi 
l'ufficio  di  socio  di  Giovanni  Trevisan  testé  nominato  podestà  e  capitano  di 
quella  città  ;  si  farà  sostituire  da  altra  persona  nel  comando  della  bandiera 
(carte  78  tergo). 

1375  m.  v.  6  febbraio.  —  In  premio  dei  servigi  prestati  nel  Trivi- 
giano,  in  Istria  e  a  Trieste  in  cavalcatis  et  aliter  da  Jacopo  Balardo  trie- 
stino, gli  si  assegnano  ducati  5  il  mese  de  introitibus  communis  Tergesti, 
obbligo  di  esser  sempre  pronto  ad  honorem  et  status  communis  Venetiarum 
(carte  8r  tergo). 

1375  m.  v.  8  febbraio.  —  Licenza  a  Nicolò  del  fu  conte  Schinella, 
provvisionato  in  Trieste,  di  venire  a  Venezia  per  15    giorni  (carte  82). 

1375  m.  v.  18  febbraio.  —  I  dieci  triestini  destinati  ad  andare  sulle 
galee,  non  sapendo  balistare  restino  in  sopranumero,  dovendo  quei  navigli 
avere  i  balestrieri  nel  numero  normale  (carte  86). 

1376.  3  marzo.  —  In  premio  dei  servigi  resi  dal  triestino  Gregorio 
de  Basilio,  che  stette  in  Candia  4  anni  agli  stipendi,  gli  si  accorda  di  ri- 
tornar a  star  in  patria  (carte  90). 

1376.  4  marzo.  —  Zampetrus  da  Venezia  nominato  capo  di  una  ban- 
diera di  balestrieri  da  Nicolò  Loredan,  capitano  a  Trieste,  è  confermato 
nella  carica  (carte  91). 

1376.  9  marzo.  —  Si  acconsente,  udite  le  informazioni  di  Iacopo  Dolfin 
già  podestà  e  di  Marco  Giustinian  già  capitano  a  Trieste,  che  il  triestino 
Andrea  de  Octobono  [il  quale  dopo  la  guerra  si  era  ritirato  in  una  villa 
presso  la  città]  possa  tornare  ad  abitare  entro  le  mura  (carte  91  tergo). 

1376.  13  marzo.  —  Si  autorizza  il  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
a  nominare  il  connestabile  di  una  bandiera  di  cavalleria,  colà  stanziata,  in 
luogo  del  defunto  Nicolò  da  Verona  (carte  94). 

1376.  27  marzo.  —  Al  capitolo  della  commissione  del  podestà  di  Ca- 
podistria che  gli  permette  di  erogare  1500  lire  in  spese  straordinarie,  si 
aggiunge:  quod  non  possit  expendert  dictam  pecuniam  nisi  in  expensis  que per- 
tineant  communi,  et  quod  ipse  non  possit  recipere  aliquas  regalias  a  communi 
exceptis  libris.  XXXII.  parvorum,  quas  soliti  siati  habere  potestates  prò  nabulo 
barcharum  tam  prò  eundo  quam  redeundo  (carte  96  tergo). 

1376.  27  marzo.  —  Prescrivendosi  nelle  commissioni  dei  rettori  del- 
l' Istria  che  i  banditi  da  uno  di  essi  per  furto,  tradimento  ani  robaria  non 
possa  abitare  in  alcuna  terra  di  quella  provincia,  si  aggiunge  al  capitolo 
relativo  :  quod  omnes  rectores  nostri  Istrie  teneantur  et  debeant  in  fine  suorum 
regiminum  scribere  unus  alteri  jorbannitos  de  terris  suis  prò  furto,   robaria 


_64- 

aut  tradimento  sive  alio  notabili  excessu,  ut  intentio  terre  plenius  observetur 
(carte  97). 

1376.  29  marzo.  —  Rimproverando  il  podestà  di  Parenzo  per  non 
aver  obbedito  ancora  a  ripetuti  ordini  di  restituire  i  loro  animali  agli  uo- 
mini di  S.  Lorenzo,  si  rinnovano  gli  ordini  stessi  comminandosi  al  podestà 
la  pena  di  lire  100  se  non  obbedisce.  —  Similmente  restituisca  gli  animali 
agli  uomini  di  Montona. 

Si  comunica  al  capitano  di  S.  Lorenzo,  e  se  gli  ordina  1'  esecuzione 
della  seguente  deliberazione  :  Maffeo  Contarini  già  podestà  a  Montona  espose 
che  a  Belleto  e  Zanino  Barbo  uomini  di  Parenzo  avevano  tolto  13  buoi, 
ed  alcuni  di  Rovigno  40  cavalle  ;  che  in  onta  a  ripetute  domande  il  Con- 
tarini, allora  in  carica,  mai  potè  ottenere  dal  capitano  di  S.  Lorenzo  la 
restituzione  degli  animali;  perciò  si  commette  a  Leonardo  Contarini  eletto 
a  quest'  ultima  carica  di  studiare  la  questione  e  di  giudicarla  in  modo  che 
a  quelli  di  Montona  sia  fatta  giustizia  (carte  104). 

1376.  6  maggio.  —  Attenta  magna  fidelitate  nostrorum  fidelium  de  Pi- 
rano,  si  prestano  loro  100  ducati  d'  oro,  da  restituirsi  metà  dopo  6  mesi, 
il  resto  dopo  altri  6. 

Si  ordina  che  sia  lor  dato  un  magistrum  curazarium  dell'  arsenale  per 
due  mesi,  prò  reparando  et  optando  curacias  suas  (carte  108  tergo). 

1376.  6  marzo  [sic,  maggio?].  —  Trovandosi  soverchio  il  salario  asse- 
gnato ai  castellani  di  S.  Giusto  di  Trieste  [lire  24  di  grossi  l'anno  per  cia- 
scuno], esso  si  riduce  a  20  lire  di  grossi  (carte  109). 

Si  riduce  inoltre  il  salario  di  quei  camerlenghi  [obbligati  a  tenere  un 
servo  e  un  cavallo]  da  lire  20  a  lire  16  di  grossi  (carte  109). 

1376.  6  maggio.  —  Al  podestà  di  Parenzo,  che  percepisce  lire  800  di 
piccoli  l'anno  da  quel  comune,  e  lire  200  a  grossi  dallo  stato,  di  stipendio 
si  accresce  di  100  lire  a  grossi  quest'  ultima  parte,  dovendo  tenere  un  socio, 
un  notaio,  sei  servi  e  tre  cavalli. 

Il  salario  del  podestà  di  Umago,  di  300  lire  pagate  da  quel  comune 
e  di  lire  152,  soldi  4,  piccoli  4  a  grossi  dallo  stato,  è  pure  aumentato  di 
100  lire  a  grossi,  dovendo  egli  tenere  tre  servi  e  due  cavalli. 

Cosi  il  salario  del  podestà  d' Isola  è  aumentato  di  100  lire  a  grossi 
pagabili  dallo  stato  ;  esso  riceveva  da  quel  comune  lire  600  di  piccoli  ed 
era  obbligato  a  tenere  un  notaio,  quattro  servi  e  tre  cavalli. 

Similmente  il  salario  del  podestà  di  Rovigno  che  percepiva  lire  500 
di  piccoli  da  quel  comune,  dovendo  mantenere  un  notaio,  tre  servi  e  due 
cavalli. 

Similmente  quello  del  podestà  di  Cittanova,   che    riscuoteva   lire  500 


-  65  - 

di  piccoli  da  quel  comune,  avendo  a  suo  carico  un  notaio,  quattro  servi 
e  due  cavalli. 

Egualmente  quello  del  podestà  di  Valle  che  aveva  pure  500  lire  da 
quel  comune  e  doveva  tenere  tre  servitori  e  due  cavalli  (carte  109  tergo). 

Dovendo  il  podestà  e  capitano  di  Capodistria  tenere  due  socios,  16 
servi,  dei  quali  6  equitatores,  e  12  cavalli,  6  per  gli  equitatores  e  6  per  la 
podesteria  [e  fra  questi  ultimi  uno  da  lire  100,  e  due  da  lire  3  di  grossi 
ciascuno];  si  delibera  che  quindinnanzi  i  podestà  e  capitani  successori  deb- 
bano tenere  quattro  soìios  venetas  qui  non  sint  nobìles  Veneciariim,  14  servi- 
tori, 4  cavalli  per  la  podesteria,  dei  quali  uno  da  50  ducati  d'oro  almeno, 
gli  altri  da  lire  3  di  grossi  l'uno  ;  i  cavalli  equitatorum  saranno  del  valore 
di  ducati  15  d'oro  almeno  (carte   no). 

Proposta,  non  approvata,  per  la  regolazione  delle  regalie  pagate  ai  po- 
destà di  Capodistria  dai  comuni  di  quel  distretto,  cioè:  staia  172  biadi  prò 
suis  equis  pretio  soldormn  XII  stario  ;  carra  150  di  fieno  a  grossi  4  l'uno, 
50  di  paglia  a  grossi  2  ;  carra  200  di  legne  da  fuoco  pretio  grossormn  II 
prò  plaustro  sive  unius  mcdianini  prò  somerio  lignorum  ;  galline  a  2  soldi  l'una, 
polastros  a  un  soldo  ;  ova  a  un  denaro  1'  uno.  La  proposta  veniva  fatta  per- 
chè sub  pretextu  dictarum  regaliaruin  multe  et  gravissime  extorsiones  et  man- 
carle fiunt  per  illos  qui  habent  exequi  dictas  regalias  coinunibus  antcdictis 
(carte  no). 

1376.  6  maggio.  —  A  Lodovico  de  Firmo  ciroicus  che  da  molti  anni 
esercita  la  sua  professione  in  Capodistria  senza  alcuno  stipendio,  si  accor- 
dano duas  postas  pedeslres  in  quella  città  de  gralia  speciali  (carte  ni). 

1376.  22  luglio.  —  Si  conferma  per  un  anno  la  licenza,  alle  monachj 
di  S.  Benedetto  di  Trieste,  di  esportare  dall'Istria  per  quella  città  ciò  che 
raccogliessero  in  elemosina  (carte   125  tergo). 

1376.  24  luglio.  —  Licenza  a  Domenico  de  Lio  di  Trieste  di  recarsi 
in  patria  per  15  giorni  per  render  conto  a  due  suoi  nipoti  della  loro  tutela 
da  lui  tenuta  (carte   126). 

1376.  14  agosto.  —  Si  conferma  la  nomina  fatta  dal  podestà  e  capi- 
tano di  Capodistria,  del  nobile  cavaliere  Orlando  de  Vicecomitibits  de  Aule- 
gio  a  connestabile  della  bandiera  equestre  già  comandata  dal  fu  Bartolomeo 
da  Crema  (carte   130  tergo). 

1376.  23  settembre.  —  Scadendo  il  29  il  dazio  d'entrata  sul  ribolo,  si 
delibera,  prò  bono  commutai  et  eliam  prò  botto  e!  siibucntione  nostrorum  fide- 
liinii  de  partibits  Istrie,  che  resti  in  vigore  per  altri  6  mesi  nella  misura  di 
due  ducati  per  anfora. 

Il  dazio  poi    all'  uscita,    sul  medesimo    vino,    nulla    fruttando    perchè 


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troppo  elevato  [ducati  8  d'oro  per  anfora],  si  riduce  a  ducati  4  (carte  136 
tergo). 

1376.  23  settembre.  —  Licenza  a  Pietro  Balbi  capitano  a  Grisignana 
di  spendere  lire  100  in  riparazioni  agli  edifizi  publici  (carte  137  tergo). 

1376.  1  ottobre.  —  Elezione  di  cinque  savi  all'Istria,  Trivigiano  e 
Padovano  (carte  138). 

1376.  3  ottobre.  —  Si  danno  a  prestito  150  ducati  al  comune  di  Pa- 
renzo,  per  acquistare  armi  prò  jukiinento  nostrorum  fiddium  (carte  140). 

1376.  15  ottobre.  —  Dietro  raccomandazione  di  Francesco  Venier 
conte  a  Pola  si  dà  il  comando  della  bandiera  equestre  in  Momorano,  va- 
cante per  la  morte  di  Gervasio  da  Ravenna,  a  Nicolò  de  Costabilis  di  Fer- 
rara abitante  in  Treviso,  che  s'  era  distinto  nelle  guerre  di  Trieste  e  di 
Padova  (carte  140  tergo). 

1376.  30  novembre.  —  Si  concede  grazia  di  tornare  a  Trieste  colla 
famiglia  ad  Omobono  Burlo  [di  circa  60  anni]  patruo  del  fu  Iacopo  Burlo 
già  provvisionato  in  detta  città  e  distinto  per  fedeltà  (carte  142). 

1376.  2  dicembre.  —  Si  assegnano,  dietro  sua  domanda,  ducati  100 
d'  oro  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  per  riparare  ad  un  guasto  nelle 
mura  avvenuto  per  la  caduta  di  parte  di  una  vecchia  casa  appartenente  a 
quelle  monache  di  S.  Chiara,  la  quale  est  versus  casirum  leonis,  et  pars  ip- 
sius....  est  ex  parte  anteriori  et  alia  pars  ex  parte  posteriori  de  entra  murimi 
[civitatis]  ;  et...  accidit  mine  quod  pars  ili  a  quo  apparet  de  extra  murum  ce- 
cidit...  taliter  quod  intra  unam  partem  et  aliam  muri  civitatis  remansit  un 
vacuo  di  4  \  passi  ;  restando  in  piedi,  ma  in  istato  minaccioso,  la  parte  di 
casa  verso  la  città  (carte  143). 

1376  m.  v.  io  gennaio.  —  Dietro  consiglio  dei  rettori  di  Trieste,  le 
20  bandiere  di  fanteria  ivi  stanziate  si  riducono  a  12;  e  le  6  di  cavalleria 
a  4  ;  riformando  con  militi  validi  delle  cassate  i  meno  atti  delle  conser- 
vate (carte  150). 

1376  m.  v.  16  gennaio.  —  Si  conferma  la  sentenza  pronunziata  da 
Pantaleone  Barbo,  già  podestà  e  capitano  a  Capodistria,  colla  quale  Gio- 
vanni Volta  fu  bandito  da  quella  città  in  perpetuo  ;  sotto  pena  di  perdita 
degli  occhi  se  rompesse  il  bando  (carte  157). 

1376  m.  v.  21  gennaio.  —  Licenza  a  Iacopo  Dolfin  cavalier,  podestà 
e  capitano  a  Trieste  di  mettere  Nicolaum  de  Symone  da  Venezia,  quantun- 
que suo  socio,  a  capo  di  una  bandiera  di  balestrieri  ex  illis  a  castro  a  Ma- 
rina (carte  154  tergo). 

1376  m.  v.  26  gennaio.  —  La  bandiera  di  fanteria,  che  il  podestà  di 
Valle  dice  non  necessaria,  è  cassata  (carte  157). 


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Senato  Misti  voi.  XXXVI. 

1377.  1  aprile.  —  Non  avendo  potuto  i  provveditori  teste  tornati  dal- 
l'Istria presentare  la  loro  relazione,  si  dà  loro  facoltà  di  farlo  entro  il  mese 
(carte  1). 

1377.  9  aprile.  —  Licenza  a  Jacopo  de  Coderta,  connestabile  equestre 
in  Capodistria  di  venir  per  un  mese  a  Venezia  (carte  4). 

1377.  2  maggio.  —  Stando  Pietro  Emo  per  andar  podestà  e  capitano 
a  Trieste,  si  porta  da  due  a  tre  il  numero  dei  suoi  soci,  prò  bona  custodia 
civitaìis  ;  per  tale  aumento  di  spese  si  assegnano  all'Emo  in  compenso  lire 
3  di  grossi  prò  suo  regimine  (carte  7  tergo). 

1377.  8  maggio.  —  Per  proteggere  Negroponti  ed  altri  luoghi  si  or- 
dina 1'  arruolamento  di  milizie  ;  in  ordine  a  ciò  si  delibera  :  Quod  per  po- 
testatem  et  capi'aneum  Tergesti  soldentur  a  centum  itsque  CL  tergestini  suffi- 
cientes  sub  sex  connestabilibus ,  cum  soldo  librarum  XIIII  parvorum  pavesarlo 
bene  armato  et  fulcito,  et  XVIII  balistario,  ad  suas  expensas,  dando  pagani  de 
quatuor  mensibus  et  firmande  aliis  duobus,  in  quibus  sint  quampìures  baìistarii 
esse  potermi! ;  procuri  però  di  aver  gli  uomini  a  minor  prezzo;  saranno  tras- 
portati a  destino  gratuitamente,  e  cosi  nel  ritorno. 

Si  arruolino  altri  50  uomini  in  Capodistria  alle  stesse  condizioni 
(carte  8). 

1377.  20  maggio.  —  Nelle  commissioni  del  podestà  e  del  capitano  di 
Trieste  si  ordinava  che  uscendo  l'uno  di  città,  vi  rimanesse  l'altro;  unifi- 
cate ora  quelle  due  cariche,  se  il  podestà  e  capitano  avesse  a  sortire  dalle 
mura,  la  custodia  civitaìis  sarà  affidata  al  castellano  di  S.  Giusto  o  a  quello 
del  castello  a  Marina,  a  quello  cioè  che  non  erit  dieta  die  de  custodia.  Il 
podestà  non  potrà  mai  hospitare  extra  terram  (carte   io). 

1377.  29  maggio.  —  I  savi  all'Istria  e  al  Trivigiano  presenti  e  futuri 
non  potranno  rinunziare  sotto  pena  di  100  ducati  per  testa  sotto  vermi 
pretesto  (carte   io  tergo). 

1 377.  17  giugno.  —  Avendo  Almerico  de  Adam  ordinato  nel  testa- 
mento che  la  sua  casa  nella  contraici  Ribiirgi  in  Trieste  fosse  venduta  e  col 
ricavato  istituito  un  ospitale  ;  Nicolò  Cigoto  commissaritis  del  detto  testatore 
chiese  licenza  di  passare  alla  ve  'dita  della  casa  stessa,  ove  abitava  il  capi- 
tano della  città  ;  considerandosi  poi  esser  essa  necessaria  allo  stato,  si  de- 
libera, annuente  il  Cigoto,  di  acquistarla  per  2500  lire  di  piccoli  (carte  15 
tergo). 


-  68  - 

1377-  27  g'ugn0-  —  Provisiones  posite  per  nobiles  viros  Thadeum  htsti- 
niano  militem,  Victorem  Pisani,  tamen  absentem,  et  Simonem  Michaelem  provi- 
sores  missos  ad  partes  Istrie. 

Capta.  —  Quia  penitus  opportet  providere  de  bona  custodia  castri  nostri 
a  Marina  Tergesti  ;  Vadit  pars  quod  rnandetur  Solutoribus  Tergesti,  quod  ambo 
de  cetero  debeant  habitare  in  castro,  ita  quod  in  mete  ambo  semper  sint  in  ca- 
stro ;  de  die  aittem  saltem  unus  eorum  ibi  rananeat.  Et  ex  mine  ordinetur  quod 
quam  celerius  esse  potest  hedificentur  eorum  habitationes  in  castro,  non  dejfpZciendo 
propterea  quod  ipsi  solutores  vadant  statini  ad  slandum  in  castro....  in  illis  do- 
mibus  que  ad  presens  facte  sunt.  Et  propter  hoc  onus  allevientur  prefati  solu- 
tores ab  onere  unius  equi  quem  babere  tenentur.  Et  buie  stricture  de  abitando 
et  stando  in  castro  teneantur  penitus  castellani  castri  S.  Insti.  —  E  veggasi 
«Archeografo  triestino»,  nuova  serie,  voi.  II,  pag.  366-371. 

1377.  3  luglio.  —  Quod  prò  Dei  reverentia  ordinetur  quod  cassatis  sol- 
datìs  Tergesti  sicut  captum  est  in  Consilio  rogatorum  et  Zonte,  infrascripti  ter- 
gestini  fideles  nostri  qui  usqite  nunc  steterunt  ad  confinia  in  Veneciis,  multum 
obedientes,  et  cimi  magna  paupertate,  possint  redire  Tergestum  ad  libitum  suitm. 

Nomina  eorum  sunt  :  Facina  de  Cantiano  —  Hector  de  Cantiano,  Fran- 
ciscus  Corno,  Bertulinus  Bote^,  Dominicus  de  Lio,  Natalis  de  Iudicibus  (carte  19). 

1377.  13  luglio.  —  Nicoletto  de  Medio  potrà  stare  come  balestriere 
in  Trieste,  quantunque  sia  stato  socio  del  podestà  e  capitano  Iacopo  Dolfin 
(carte  21  tergo). 

1377.  16  luglio.  -  Nicolò  Civran  eletto  provveditore  a  Trieste  è 
assolto  dall'obligo  di  andarvi  avendo  la  moglie  gravemente  inferma  (carte  23). 

1377.  28  luglio.  —  Licenza  alle  monache  di  S.  Benedetto  di  Trieste 
come  al  22  luglio   1376;  per  un  anno  (carte  23  tergo). 

Prolungazione  fino  al  S.  Michele  del  termine  accordato  ai  provvedi- 
tori qui  fuerunt  in  Istria,  per  proporre  in  senato  le  rimanenti  provvigioni 
(carte  23  tergo). 

1377.  16  luglio.  —  Si  delibera  di  mandare  a  Trieste  due  provveditori, 
da  eleggersi  in  Senato,  per  riferire  sullo  stato  di  quelle  fortificazioni  e  per 
ridurre  il  numero  di  quelle  milizie  (carte  25). 

1377.  28  agosto  —  Ad  istanza  di  Fiorito  e  Bernardo  del  fu  Manfre- 
dino  de  Casto  si  accorda  al  primo  la  successione  al  padre  testé  morto  nel- 
1'  ufficio  di  uno  dei  quattro  giustizieri  di  Capodistria.  Manfredino  aveva 
avuto  tale  ufficio  in  considerazione  dei  meriti  di  suo  fratello  Alberiguccio, 
'il  quale  morì  nella  guerra  di  Candia,  essendo  connestabile  di  fanteria;  e 
perchè  potesse  mantenere  due  figli  di  quest'  ultimo.  Morto  uno  di  questi 
[maschio],  il  Fiorito  dovrà  mantenere  1'  altro  eh'  era  una  ragazza  (carte  32). 


-  69  - 

Si  conferma  per  altri  due  anni  nell'  ufficio  di  chirurgo  salariato  in 
Trieste  (carte  32). 

1377.  20  settembre.  —  Nicoletto  Gradenigo  è  confermato  per  altri 
due  anni  nell'ufficio  di  bollitore  dei  recipienti  da  vino  e  da  olio  in  Capo- 
distria  (carte  33  tergo). 

1377.  20  settembre.  —  Si  dà  facoltà  al  capitano  di  Grisignana  di  spen- 
dere lire  300  di  piccoli  in  riparazioni  :  alla  casa  abitata  dal  marescalco,  crol- 
lata, alle  case  grande  e  piccole  in  cui  stavano  officiala  et  famili  del  capitano, 
alla  lobia  stipendiariorum  equestri/un,  ubi  debent  facere  custodiam  nocte,  ai  co- 
reda  qui  suiti  circa  castra  ove  non  si  può  far  la  guardia  senza  pericolo;  ai 
tetti  del  palazzo  e  delle  case  del  comune  ecc.  (carte  34). 

1377.  24  settembre.  —  Licenza  di  rimpatrio  al  triestino  Nicolò  Mis- 
salto,  uno  dei  confinati,  il  quale  non  potendo  mantenersi  a  Venezia,  era 
stato  relegato  in  Parenzo  (carte  39). 

'377>  3  novembre.  —  Licenza  a  Nanino  da  Bologna  connestabile  eque- 
stre in  Capodistria  di  andar  per  un  mese  in  patria. 

Andrea  de  Mercatello  eletto  connestabile  di  una  bandiera  di  fanteria  in 
Capodistria  vacante  per  la  rinunzia  di  Checco  Longo,  è  confermato  nel 
comando  (carte  42  tergo). 

1377.  io  novembre  —  Facoltà  ad  Andrea  Paradiso,  capitano  del  Pa- 
sinatico  di  S.  Lorenzo,  di  spendere  lire  200  di  piccoli  del  tesoro  dello  stato, 
in  riparazioni  alla  casa  abitata  da  un  connestabile,  al  tetto  del  palazzo,  ed 
ai  balaloriis  castri  (carte  43  tergo). 

Facoltà  al  podestà  e  capitano  a  Trieste  di  spendere  lire  100  di  piccoli 
prò  miltendo  extra  nun'ios  ad  senticndum  de  novis  (carte  43  tergo). 

Licenza  di  ripatriare  a  prete  Iacopo  da  Trieste,  che  esigliato  da  quella 
città  si  condusse  in  Muggia  traendovi  vita  lodevole  (carte  43  tergo). 

Licenza  per  un  anno  ai  frati  Predicatori  di  S.  Domenico  di  Capodi- 
stria di  condurre  al  loro  convento  liberamente  le  elemosine  che  raccoglie- 
ranno in  tutta  l' Istria  (carte  43  tergo). 

1377.  18  novembre.  —  Licenza  di  ripatriare  a  Quagliettino  figlio  del 
fu  Paolo  da  Trieste,  il  quale  partito  a  circa  9  anni  da  quella  città,  andò 
per  raga^inns  con  Astulfo  dalle  mani  del  quale  ora  extractus  fuit  (carte 
44  ^rgo). 

1377.  1  dicembre.  —  Licenza  per  cinque  anni  alle  monache  di  S. 
Chiara  di  Capodistria  di  portar  liberamente  al  loro  convento  le  cose  limo- 
sinate nell'  Istria  e  in  Schiavonia  (carte  45  tergo). 

1377  m.  v.  io  febbraio.  —  Licenza  a  Baldassare  Burlo,  provvisionato 
in  Treviso,  di  recarsi  per  un  mese  a  Trieste  (carte  50). 


—  70  — 

1378.  4  marzo.  —  Nominatosi  Nicolò  Soranzo  capitano  della  Riviera 
dell'  Istria,  si  ordina  al  capitano  cessante  che  torni  a  Venezia  col  suo  legno, 
dhniilcndo  alìnd  Ugnimi  ad  custodiam  (carte  51). 

1377  m.  v.  15  febbraio.  —  Facoltà  al  capitano  di  S.  Lorenzo  di  spen- 
dere lire  200  di  piccoli  in  riparazioni  alle  mura  del  castello  e  per  far  fare 
imam  calcheriam  seu  fornacem. 

Si  accorda  un  prestito  di  100  ducati  al  comune  di  Rovigno  per  com- 
piere i  lavori  ordinativi  per  fortificazione  dal  provveditore  ivi  mandato.  Re- 
stituzione entro  un  anno. 

Similmente  al  comune  di  Umago  per  fornirsi  d'armi,  le  quali  saranno 
acquistate  per  conto  e  desiderio  di  quello  dai  Patroni  dell'arsenale. 

Si  accorda  a  prestito  al  comune  d' Isola  il  danaro  occorrente  per  l'ac- 
quisto [da  farsi  dai  Patroni  all'  arsenale]  di  40  bacinelli,  40  corazze  e  20 
buone  balestre.  Restituzione  come  sopra  (carte  52). 

1378.  22  marzo.  —  Licenza  a  Rolando  de  Olegio  connestabile  eque- 
stre in  Capodistria  di  venire  a  Venezia  per  un  mese,  per  maritarvi  una  sua 
figlia  (carte  54). 

1378.  20  aprile.  —  Facoltà  a  Marco  Gisi,  eletto  capitano  del  Pasina- 
tico  di  S.  Lorenzo,  di  condur  seco  e  tenere  per  socio  o  vicario  certo  Gio- 
vanni da  Cremona  (carte  56). 

1378.  20  maggio.  —  Facoltà  a  Marco  Giustinian  eletto  podestà  e  ca- 
pitano a  Capodistria  di  condur  seco  per  sodi  Zaninum  de  Palude  e  Lodo- 
vico da  Asolo  quantunque  non  siano  veneziani  (carte  58). 

1378.  24  maggio.  —  Facoltà  a  Saraceno  Dandolo  eletto  podestà  e  ca- 
pitano a  Trieste  di  condur  seco  un  socio  oltre  il  numero  concessogli  dalla 
sua  commissione  (carte  58  tergo). 

1378.  20  luglio.  —  Deliberazione  di  procedere  contro  Giovanni  Diedo 
già  podestà  a  Montona,  e  proposte  di  pena,  prò  istis  septem  capitidis  sibi 
oppositis.  È  privato  in  perpetuo  del  reggimento  di  Montona  ;  è  privato  di 
di  quello  di  Pola  ove  era  stato  nominato  ;  restituirà  tutto  ciò  che  si  tro- 
verà abbia  preso  illecitamente  (carte  62  tergo). 

1378.  20  luglio.  —  Deliberazione  di  procedere  contro  Iacopo  Nigrum 
sartorem  già  socium  del  Diedo,  e  sua  condanna  a  non  poter  riavere  mai  più 
1'  uffizio  e  a  pagare  ammenda  di  lire  25  di  piccoli  (carte  63). 

1378.  12  agosto.  —  Si  rinnova,  per  l'anno  presente,  la  licenza  con- 
cessa il  28  luglio  1377  alle  monache  di  S.  Benedetto  di  Trieste  (carte  65). 
1378.  12  settembre.  —  Licenza  per  5  anni  alle  monache  di  S.  Biagio 
di  Capodistria  di  portare  liberamente  al  loro  convento  le  vettovaglie  e    le 
cose  avute  in  elemosina  nel!'  Istria  e  in  Schiavonia  (carte  67). 


—  7i  — 

1378.  24  ottobre.  —  Licenza  di  ripatriare  al  notaio  Giovanni  de  Afone 
di  Capodistria,  il  quale  venuto  a  Venezia  cogli  altri  suoi  concittadini,  non 
fu  licenziato  con  essi  perchè  allora  fu  mandato  a  Pirano  ad  complendum 
chartas  de  qitibus  fuerat  rogatus  (carte  68  tergo). 

1378.  29  dicembre.  —  Pietro  Giustinian  eletto  provveditore  in  Istria, 
è  dispensato  dalla  carica  prò  gravitale  persone  (carte  70). 

1378  m.  v.  26  febbraio.  —  Avendo  il  podestà  e  capitano  di  Trieste 
mandato  a  Venezia  illos  dnos  qui  proditorie  acceperunt  costrutti  nostrum  Mo- 
cholani,  che  però  restituirono,  si  delega  la  procedura  contro  i  mede- 
simi agli  Avogadori  di  Comun  e  il  giudizio  successivo  alla  Quarantia 
(carte  73). 

1379.  22  novembre.  —  Facoltà  al  Collegio  di  mandare  a  Pirano,  come 
chiesero  quei  cittadini  per  loro  sicurezza,  un  legno  di  20  banchi,  che  sarà 
armato  dai  cittadini  stessi  ;  quel  podestà  manderà  a  Venezia  gli  uomini 
occorrenti  a  condur  colà  il  legno  (carte  83  tergo). 

1379.  23  dicembre.  —  Si  ordina  la  liberazione  dal  carcere  di  Paolo 
capitano  delle  prigioni,  postovi  perchè  sospetto  di  aver  agevolato  la  fuga 
del  vescovo  di  Cittanova  carcerati  ad  petitionem  del  patriarca  di  Grado  ora 
cardinale  (carte  83  tergo) 

1379  m.  v.  18  febbraio.  —  Quod  iste  ser  Vitus  Hotw  olim  potestas 
Humagi,  retentus  occasione  terre  Humagi  date  in  manibus  inimicorum,  prò  nane 
relaxetur  (carte  84  tergo). 

1380.  7  agosto.  —  Il  consiglio  dei  savi  alla  guerra  delibera  l'arresto 
di  Antonio  di  Leonardo  Venier,  castellano  di  Moccolano  quando  quel  ca- 
stello cadde  in  mano  ai  nemici,  ed  ordina  agli  Avogadori  di  comun  di  pro- 
cedere contro  di  lui  e  mandare  ad  esso  consiglio  il  risultato  dell'istruzione 
(carte  93  e  95  tergo). 

1380.  8  ottobre.  —  Angelo  Bragadin  nominato  capitano  del  Pasina- 
tico  di  S.  Lorenzo  potrà  esser  portato  a  Parenzo  cuin  istis  duobus  lignis, 
cum  eius  artnis  et  familia. 

Gli  stessi  legni  porteranno  a  Pirano  Simone  Dalmario  elettovi  podestà 
(carte  101  tergo). 

1380.  13  ottobre.  —  Michele  figlio  di  Gavardo  de  Gavardi  è  liberato 
dal  carcere,  perchè  infermo,  verso  malleveria  di  1000  ducati  prestata  da 
Matteo  de  Spellato  (carte  102  tergo). 

1380.  24  dicembre.  —  Trovandosi  Simone  Dalmario  capitano  a  Pi- 
rano gravemente  infermo,  lo  si  autorizza  a  venir  per  un  mese  a  Venezia 
lasciando  in  sua  vece  nel  reggimento  Michele  Dalmario  (carte  106  tergo). 

1381.  2  giugno.  —  Zardinus  frater  Tachi  Schincha  di  Capodistria,  abi- 


—  72   - 

tante  a  Venezia,  benemerito  per  servigi  resi,  è  autorizzato  a  iar  costruire 
unum  navegotum  novum  ampbor arimi  XXXII  vel  circa  (carte  122). 

1381.  7  settembre. — I  provveditori  all'Istria  partano  domenica  pros- 
sima (carte  133  tergo). 

138 1.  io  settembre.  —  Facoltà  al  Collegio  di  deliberare  i  provvedi- 
menti per  la  guardia  alle  Riviere  dell'  Istria  e  della  Marca  contro  i  con- 
trabbandi. I  capitani  dei  legni  dell'  Istria  si  eleggeranno  in  Maggior  Consi- 
glio (carte   134  tergo). 

Senato  Misti  voi.  XXXVII. 

1381.  13  settembre.  —  Per  la  custodia  della  Riviera  dell'Istria  ad 
obviandum  contrabannis,  si  eleggerà  in  Maggior  Consiglio  un  capitano  con 
15  ducati  il  mese  di  stipendio;  esso  armerà  una  galeotta,  oltre  il  brigan- 
tino già  destinato  (carte  6). 

I  contrabbandi  presi  saranno  divisi  per  tre  quarti  fra  il  capitano  e  i 
marinai,  per  un  ottavo  fra  gli  ufficiali  al  Cattaver  e  i  loro  ministri,  l'altro 
ottavo  andrà  allo  Stato  (carte  6). 

1381.  22  settembre.  —  Si  scrive  a  Simone  Dalmario  podestà  a  Pirano. 
Intellccta  peticìone  Petri  Fora  et  Marci  Caviano...  de  Pirano,  continente  quod 
ipsi...  in  ista  guerra  remanserunt  consumpti  et  deserti  in  honorem  et  statuiti 
nostri  domimi,  quia  ammalia  sua  per  inimicos  acrobata  fueriint,  et  pater  dicti 
Marci  captus  fuit  ab  inimicis,  et  tandem  mortuus,  et  quidam  eius  frater  etiam 
captus  fuit....  et  solvit  taleam  ducatorum  C,  et  quod  alia  dampna  etiam  recepe- 
runt,  in  considerazione  di  tutto  ciò  chiesero,  malgrado  le  leggi  in  contrario, 
di  poter  ricostruire  unum  fundamentum  salinarum...  in  Valle  Sizplarum.  Es- 
sendo poi  le  informazioni  del  podestà  giunte  favorevoli  a  tal  domanda,  si 
deliberò  di  assentirvi  e  si  incarica  il  podestà  dell'  esecuzione  (carte  6). 

1381.  27  settembre.  —  Si  aderisce  a  proposta  di  Nicolò  Soranzo  po- 
destà a  Montona  di  esonerare  quel  comune  per  sei  mesi  dalla  contribu- 
zione pel  Pasinatico  di  S.  Lorenzo  a  patto  che  l' importo  relativo  venga 
impiegato  nel  rialzare  circa  14  passi  del  muro  caduto  di  quel  castello 
(carte  io). 

1381.  1  ottobre.  —  Risposte  a  domande  di  ambasciatori  del  comune 
di  Pola  : 

Si  rifiuta  un  prestito  di  danaro. 

Quando  quel  conte  erit  ad  regimen  si  provvederà  circa  il  concedere  a 
quei  cittadini  la  esportazione  da  Venezia  e  dal  rimanente  dello  stato  di  le- 


—  73   - 

gnami,  tegole,  mattoni  et  agutos,  con  esenzione  da  dazio,  prò  reparationc 
ipsius  terre. 

Si  accordano  30  balestre,  50  tavolacii  vel  targoni,  200  lancie  a  manti, 
15  casse  di  verettoni  ;  si  daranno  le  istruzioni  al  conte  per  riscuoterne  il 
pagamento. 

Il  Maggior  Consiglio  eleggera  il  conte  alle  condizioni  solite  tempore 
pacis,  quia  UH  de  Pola  solvimi  (carte  1 1  tergo). 

1381.  5  ottobre.  Qnod  fiat  sicut  consulunt  Provisores  Istrie,  videlicet  : 
Quod  de  datio  vini  quod  venditur  ad  spinam  in  Iustinopoli  sicut  solvitur  ter- 
tium  denarium  ita  redncatur  ad  quartum  denarium  protit  erat  ante  guerram 
Padue  ;  il  dazio  poi  sul  vino  che  si  raccoglie  in  quel  territorio  vieti  ridotto 
da  2  ad  un  soldo  per  urna;  tutto  ciò  per  un  anno  (carte  12  tergo). 

1381.  29  ottobre.  —  Ad  istanza  degli  ambasciatori  del  comune  di  Pola 
si  concede  al  medesimo  per  un  anno  il  prodotto  del  dazio  dell'olio,  solito 
ad  esigersi  da  quel  conte  per  lo  stato,  in  compenso  delle  spese  prò  labo- 
rerio  et  reparatione  del  palazzo  del  conte  stesso  (carte  24). 

Si  concede  a  Nicolò  de  Honasiis  ambaxatori  commttnis...  Poh  facoltà  di 
far  portare  liberamente  legnami  [pel  valore  di  100  ducati]  dal  Friuli  a 
quella  città  per  le  riparazioni  ad  una  sua  casa  bruciata  (carte  24). 

Similmente  a  'Bonasino  de  Tìonasiis  altro  ambaxatori,  pel  valore  di  50 
ducati  (carte  24). 

1381.  21  novembre.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di  Pi- 
rano  si  concede  al  medesimo  di  provvedersi,  per  uso  di  quegli  abitanti,  di 
grani  e  legumi,  per  6000  staia  l' anno,  in  Istria  e  nella  Marca,  et  a  Pa- 
rendo sitpra,  e  in  Puglia  ;  et  non  aliunde  ;  acquistando  il  grano  in  Puglia, 
si  adopererà  come  mediatore  il  fattore  veneto  ;  i  singoli  acquisti  dovranno 
essere  autorizzati  dai»  podestà  di  Pirano,  e  cosi  pure  lo  sbarco  delle  der- 
rate. Valevole  per  due  anni. 

Facoltà  ai  Piranesi  di  portar  a  vendere  il  loro  olio  in  Umago,  Citta- 
nova,  Parenzo,  Rovigno  e  Pola  pagandovi  i  dazi  dello  stato.  Per  2  anni. 

Simile  per  portare  alle  dette  terre  aglio  e  cipolle,  come  fanno  gli  abi- 
tanti di  Caorle,  di  Grado  e  delle  altre  contrade  della  Venezia. 

Si  ordina  ai  podestà  di  Pirano  di  vegliare  all'esecuzione  di  tutto  ciò, 
che  le  concessioni  non  servano  di  pretesto  a  contrabbandi. 

I  savi  non  vogliono  occuparsi  della  riduzione  del  dazio  del  Ribolii  che 
si  conduce  a  Venezia,  e  dell'  autorizzare  i  piranesi  a  pasculare  super  terri- 
torio Htimagi,  Sipari,  Emonie  et  Insule  (carte  35  tergo). 

1381.  29  novembre.  —  I  cittadini  di  Pirano  potranno  provvedersi  di 
grani  ecc.  come  qui  sopra,  e  cosi  pure  de  grassa,  de  qualibet  parte  ut  melius 


—  74  — 

poterttnt....  Et  predichi  ci  omnia  alia  cis  pridie  concessa...  dnrenl  ad  benepla- 
cilum  nostri  dominii  (carte  36). 

138 1.  29  novembre.  —  Cnm  sinthic...  jam  midiis  diebus preteritis  qui- 
dam ambaxatores  Adignani  petentes....  rectorem  per  se  sicut  habent  tilt  de  Pota 
comitati  per  se,  et  offerunt  solvere  solarium  dicti  rectoris  ;  si  risponde  quod... 
non  intendimus  facere   novitatem,    ymo  est  nostra  intentio  qnod  ipsi....   tam   de 

Pota  quam  de  Adignano  vivant  inter  se  pacifice  et  quiete Ma  se    quelli  di 

Pola  molestassero  o  danneggiassero  in  modo  alcuno  gli  adignanesi,  questi 
potranno  portar  querela  in  Venezia  davanti  gli  Avogadori  di  comun  e  gli 
Auditori,  i  quali  faran  loro  giustizia,  sicut  fit  de  omnibus  aliis  Regiminibus 
nostris  (carte  37  tergo). 

1381.  26  novembre.  —  Deliberazione  di  procedere  contro  Francesco 
Zane  gii  capitano  del  Pasinatico  di  S.  Lorenzo  prò  istis  undecim  capitulis 
eidem  opposiiis  super  aliquibus  per  ipsum  commissis  contra  honorem  et  statum 
Dominationis  et  damnum  manifestum  civium   Vallis  et  civium  S.  Laurentii. 

È  privato  in  perpetuo  del  reggimento  del  Pasinatico  suddetto,  e  per 
due  anni  d'ogni  altro  ufficio  e  beneficio;  condannato  a  pagare  1000  lire, 
riservato  il  diritto  dell'  ufficio  delle  Rason  vecchie  ;  restituirà  tutto  ciò  quod 
in  alìquo  decepisset  personam  aliquam  in  vendicione  suorum  territorium  (carte 
42  tergo). 

1381.  31  dicembre.  —  Al  capitano  di  S.  Lorenzo,  che  aveva  scritto 
non  volere  in  alcuno  modo  gli  abitanti  di  Dignano  stare  sub  regimine  illoriim 
de  Pola,  ma  chiedere  un  rettore  per  se,  si  risponde  ordinandogli  di  fidare, 
quam  citius  esse  poterit,  castrum  Adignani  de  bona....  custodia  de  nostris  fide- 
libus  Pole,  vel  alitar  ;  e  quindi  mittere  ad  presentiam  nostrani  quatuor  vel  sex 
de  principalioribus  Adignani  (carte  43  tergo). 

Ad  ambasciatori  del  comune  di  Parenzo  si  risponde  aderendo  quod  fiat 
ratio   ordinate  eius   quod   habere  debet  commune  Parenlii  a  nostris   sapientibiis 

Terre  nove  de  denariis  sequestratis  apud  eos,  nomine  dicti  communis de 

pagis  soldatorum  nostrorum.  Fatti  i  conti  del  frumento  dello  stato  rimanente 
in  Parenzo,  se  ne  manderanno  100  staia  a  S.  Lorenzo,  il  resto  sarà  dato 
al  comune  parentino  a  conto  del  suo  credito  a  lire  5  £  di  piccoli  lo  staio 
(carte  43   tergo). 

1381  m.  v.  5  gennaio.  —  Licenza  al  podestà  di  Capodistria  di  spen- 
dere lire  300  di  piccoli  di  quel  dazio  della  beccheria  prò  faciendo  fieri  imam 
tcoperturam  ubi  solebat  esse  becharia  e  per  altre  cose  (carte  45). 

Aderendo  a  proposte  del  podestà  e  capitano  suddetto,  gli  si  ordina  di 
dare  et  deliberare  per  viam  teratici  alcune  case  bruciate  e  rovinose  di  poco 
valore,  appartenenti    allo  stato,  in  modo  che  quelli    che  le    acquisteranno, 


—  75  — 

pagandole  in    rate  annuali,   habeanl  causam    Iaborandi  et  hcdificandi    eas  prò 
bono  terre  predicte  (carte  45). 

Licenza  agli  abitanti  di  Pola,  ove  è  scarsezza  di  grano,  di  mandarne 
a  comperare  dove  ne  possano  avere  fino  a  1500  staia  (carte  45). 

Simile  agli  abitanti  di  Rovigno,  limitando  l'acquisto  al  Friuli  e  a  Fiu- 
me, per  1000  staia. 

Ai  medesimi  si  accorda  di  esportare  per  mare  il  loro  olio  [circa  12 
migliaia  l'anno],  e  di  mandarlo  anche  in  Friuli  e  a  Fiume,  com'è  concesso 
a  Pola,  Parenzo,  Pirano,  Cittanova  ed  Umago,  pagando  i  dazi  consueti 
allo  stato  (carte  45). 

1381  m.  v.  28  gennaio.  —  Si  risponde  ad  ambasciatori  del  comune 
di  Umago  concedersi  le  armi  domandate,  cioè  20  corazze,  20  balestre  for- 
nite, io  casse  di  verettoni,  io  arma  de  testa,  da  pagarsi  giusta  la  stima, 
quando  videbitur  Dominio. 

Si  accorda  pure  a  quegli  abitanti  l'estrazione  dal  Friuli  di  legnami  prò 
refectione  domorttm  sitarum  (carte  49  tergo). 

1381  m.  v.  15  febbraio.  —  Licenza  agli  abitanti  di  Valle  di  andar  ad 
acquistare  in  Friuli  e  a  Fiume  fino  a  joo  staia  di  grano,  e  condurle  a 
quella  terra. 

Licenza  agli  abitanti  d' Isola  di  esportare  per  mare  il  loro  olio  come 
è  concesso  a  quelli  di  Pirano,  Parenzo  ecc.  (carte  52). 

1382.  1  marzo.  —  Licenza  agli  abitanti  d'Isola  di  condur  cola  dal 
Friuli  liberamente  1000  tabitìas  prò  reparatione  illiits  terre  et  domorum  et  pos- 
sessionwn  deinde  (carte  55). 

1382.  20  marzo.  —  Non  potendosi  dal  capitano  di  Grisignana  tenere 
in  culmine  quella  taberna  opponendovi  altri  bisogni  dello  stato,  gli  si  pre- 
scrive di  porne  all'  asta  l' appalto  per  tempo  in  cui  esso  capitano  starà  in 
carica  (carte  63). 

1382.  20  marzo.  —  Si  risponde  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
accettando  le  sue  proposte,  di  concedere  cioè  a  certo  mastro  muratore  li- 
cenza di  erigere  colà  una  fornace  da  calce,  tegole  e  mattoni,  su  terreno 
in  parte  publico  e  in  parte  di  privati,  cedendo  a  questi  in  compenso  altro 
terreno  publico,  e  prestando  al  detto  muratore,  verso  malleveria,  100  du- 
cati ;  e  se  lo  incarica  dell'  esecuzione  (carte  63  tergo). 

1382.  27  marzo.  —  Nomi  degli  aspiranti  al  vescovado  di  Cittanova; 
fra  i  quali  Lodovico  Morosini  vescovo  di  Capodistria  ut  fiat  administrator 
ecclesie  Civitatis  nove  ut  possit  rejormare  Ecclesiam  Iuslinopolitanam  (carte  66. 
tergo). 

1382.  31  marzo.  —  Licenza  al  comune  e  agli    uomini  di  Trieste    dì 


-76  - 

far  portare  coli  dal  Friuli,  per  proprio  uso,  iooo  staia  di  frumento,  eundo 
ad  extimariam  Gradi  secundum  usuili  ;  e  ciò  entro  il  luglio  venturo  (carte  67). 

1382.  io  maggio.  —  Ad  istanza  fatta  da  Iacopo  Zorzi,  anche  a  nome 
di  Domenico  de  Adamo  da  Pirano,  patrono  d'  una  galea  datagli  dallo  stato, 
una  giunta  di  savi  riferì  :  Esser  vero  che  la  Signoria  diede  a  Domenico 
suddetto  una  galea  ut....  irei  ad  guadagnimi  contra  tutte  inimicos  nostros,  il  che 
esso  non  potè  fare,  avendo  avuto  ordine  dalla  Signoria  stessa,  prima  di 
accompagnare  in  Istria  navi  cariche  di  grano,  e  quindi  stette  per  22  giorni 
ad  custodiam  Pironi,  più  tardi  accompagnò  a  Venezia  navi  cariche  di  sale; 
avere  constatato  dai  registri  di  bordo  le  spese  fatte  per  la  detta  galea  e  pel 
suo  equipaggio  [23  uomini  de  pede  e  159  de  remo].  In  seguito  a  ciò  si  de- 
libera di  pagare  al  Zorzi  e  al  de  Adamo  lire  30  di  grossi,  a  compenso  di 
quanto  sopra  (carte  85  tergo). 

1382.  20  giugno.  —  Si  rinnova  per  cinque  anni  la  licenza,  alle  mo- 
nache di  S.  Chiara  di  Capodistria,  di  trasportare  liberamente  dall'  Istria  e 
dalla  Schiavonia  al  loro  convento  le  cose  raccolte  in  elemosina  (carte  86). 

1382.  9  luglio.  —  Licenza  a  Nicolò  Soranzo  podestà  a  Montona  di 
venire  per  un  mese  per  suoi  affari  in  Venezia,  lasciando  in  suo  luogo  colà 
Lorenzo  Zeno  (carte  94  tergo). 

1382.  4  luglio.  —  Si  scrive  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  ap- 
provando le  sue  proposte,  ed  ordinandogliene  l'esecuzione.  Esse  erano  :  du- 
rante la  passata  guerra  multi  latrunculi  et  predones  fuerunt  taliter  asueti  vi- 
vere de  rapto,  quod  mine...  se  abstinere  non  possunt  a  latrociniis  et  rapinis  etc. 
Per  purgare  il  paese  dal  mal  seme  si  instituiscano  octo  bonos  cabaìarios.... 
cum  uno  capite  qui  bene  cognosceret  contratam,  et  bonos  et  malos,  et  ponendo 
cum  ipsis  octo  cabalariis  duas  postas  capitana  nostri  sclavorum  vernati  esse 
decem  ;  ai  cabalarii  si  daranno  lire  16  di  piccoli  il  mese,  da  ottenersi  stor- 
nando 7  delle  16  paghe  dei  birri,  dando  lo  stato  lire  600  l'anno,  e  facendo 
supplire  il  resto  occorrente  dalle  ville  del  distretto  ;  i  cabalarii  custodi- 
ranno anche  la  Fovea  hospi,  quia  medietas  ipsorum  continue  stabit  ibi  (carte 
97  tergo). 

1382.  6  settembre.  —  Licenza  ad  Egidio  Morosini  di  ritirar  da  Trie- 
ste con  esenzione  da  dazio  una  partita  di  pepe  mandatovi  da  Venezia,  spe- 
cialmente perchè  quella  città  est  in  maxima. .  turbatione  (carte   108). 

1382.  24  ottobre.  —  Essendosi  taciuto  [nel  provvedere  che  i  vina  Ri- 
bolea  de  Istrie  paghino  solo  due  ducati  per  anfora  (?)  all'importazione]  circa 
i  vini  di  Umago  e  di  Pola,  multium  debiliora  Riboleis,  i  vini  stessi  sono  pa- 
reggiati ai  detti  Riboleis  (carte  147). 

1382.  14  novembre.  —  si  conferma  nell'ufficio  Massarie  di   Capodi- 


—  77  — 

stria  Damiano  Grisoni,  mandatovi  ad  esercitarlo,  cum  ser  Marco  Simiteado, 
a  principio  quando  dominatio  nostra  disposuit  reducere  quella  città  (carte  120), 

1382.  17  novembre.  -  Licenza  al  capitano  di  Grisignana  di  spendere 
lire  100  di  piccoli,  di  ragione  dello  stato,  prò  aptando  palatam  Marchionis 
sive  Pontem  (carte  120  tergo). 

1382.  17  novembre.  —  Essendosi  in  addietro  ridotto,  per  l'anno  pas- 
sato, de  tertio  denario  ad  quartum  il  datium  vini  tabernarum  di  Capodistria, 
et  datium  totius  vini  civitatìs  et  villarum  da  due  ad  un  soldo  prò  urna,  e  ver- 
sando tuttavia  quegli  abitanti  in  gravi  strettezze  sì  per  la  passata  guerra 
che  per  la  successavi  epidemia  ;  in  seguito  al  voto  favorevole  di  Iacopo 
Dolfin  cavaliere,  ivi  podestà  e  capitano,  e  del  suo  predecessore  Marino 
Memmo  ;  si  prolunga  per  un  altro  anno  la  riduzione  a  favore  dei  cittadini. 
Gli  abitanti  del  contado  invece,  vista  la  lor  condizione  migliorata  e  l'ab- 
bondante raccolto,  pagheranno  i  due  soldi,  uno  dei  quali  sufficiet  prò  impo- 
sitione  que  eis  fieri  debebat  prò  facto  cabalariorum  (carte  121). 

1382  m.  v.  20  gennaio.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di 
Muggia,  gli  si  permette  di  esportare  per  mare  dal  Friuli  500  staia  di  fru- 
mento [la  domanda  era  per  2000]  per  uso  di  quegli  abitanti  (carte  129  tergo). 

Senato  Misti  voi.  XXXVIII. 


1382  m.  v.  20  gennaio.  —  Si  accorda  per  grazia  a  Pietro  Morosini 
di  far  caricare  su  un  suo  legno  nelle  acque  di  Parenzo  milliaria  quinque 
galle  che  fece  comperare  in  quella  città  (carte  1  tergo). 

1383.  3  marzo.  —  Licenza  ad  Angelo  Bragadin,  nominato  capitano  a 
S.  Lorenzo,  di  spendere  100  ducati  dello  stato  prò  laborerio  palatii  quod 
vadit  in  riiinatn  et  prò  coredoriis  et  aliis  laboreriis  (carte  12). 

Simile  di  spendere  200  lire  di  piccoli  per  riparare  il  muro  del  castello 
di  Grisignana,  rovinato  per  circa  8  passi. 

Simile  di  erogare  400  lire  di  piccoli  per  riattare  il  muro  del  castello 
di  Montona  minacciante  su  una  lunghezza  di  circa  16  passi  (carte  12). 

1383.  16  marzo.  —  Spirando  a  Pasqua  il  tcrminus  datti  Ribolci  d'Istria 
[dazio  di  ducati  2  soldi  30  1'  anfora  all'  importazione  in  Venezia],  si  pro- 
lunga fino  al  venturo  S.  Michele  ;  alla  stessa  condizione  sit  Riboleum  de 
Ter  gesto  et  de  Mugla  (carte  13). 

1383.  30  marzo.  —  Proposta,  non  approvata,  per  la  elezione  del  nuovo 
capitano  del  Pasinatico  di  Grisignana,  con  modificazioni  alle  sue  condizioni, 
diminuzione  delle  paghe  equestri  [erano  42]  ivi  stanziate,  ecc.  (carte    17). 


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1383.  6  aprile.  —  Donato  Bocho  veneziano,  che  nella  passata  guerra 
servi  nel  castello  di  S.  Giusto  di  Trieste,  poi  in  Capodistria  ove  fu  fatto 
prigioniero  dai  genovesi  e  tenuto  a  Genova  fino  alla  pace,  è  confermato, 
per  grazia,  capo  alla  porta  di  S.  Martino  in  Capodistria.  Avrà  un  famiglio 
e  12  lire  il  mese  di  salario,  come  gli  assegnarono  i  provveditori  colà  spe- 
diti (carte  21  tergo). 

1383.  28  aprile.  —  Licenza  a  Zentilino  Tarcllo,  capii  amo  sclavorum  in 
Capodistria,  di  venire  a  Venezia  per  un  mese  per  a  (Tari  (carte  24  tergo). 

1383.  29  agosto.  —  Si  prolunga  fino  al  15  settembre  venturo  la  so- 
prariferita licenza  (carte  64). 

1383.   15  settembre.  —  Simile  per  un  altro  mese  (carte  70  tergo). 

1383.  24  settembre.  —  Si  prolunga  a  tutto  ottobre  venturo  la  vali- 
dità della  deliberazione   16  marzo  circa  dazi  sul  vino  (carte  76). 

1383.  9  novembre.  —  Licenza  al  vescovo  di  Trieste  di  far  condurre 
colà  da  Rovigno,  per  mare  ed  acque  venete,  staia  40  di  frumento  ed  urnas 
40  di  vino  delle  sue  rendite  (carte  84). 

1384.  3  marzo.  —  Deliberazioni  proposte  da  Iacopo  Dolfin  già  po- 
destà e  capitano  a  Capodistria. 

Le  otto  e  mezza  page  cabalariorum  colà  create  al  tempo  del  podestà 
Marino  Memmo  sono  ridotte  a  quattro. 

Le  decem  page  baroeriorum  et  unus  preco,  si  riducano  a  cinque  che  fac- 
ciano l'  ufficio  di  birri  e  di  banditori  ;  ai  quali  si  daranno  6  invece  di  8 
lire  il  mese  ciascuno. 

Si  pongono  a  carico  del  cancelliere  di  quel  podestà  e  capitano  le  spese 
di  carta  e  cera  per  le  quali  lo  stato  soleva  sborsare  oltre  60  lire  di  piccoli 
l'anno,  ciò  visto  che  quel  funzionario  trae  bonum  lucrum  et  utilitatem  dal 
suo  uffizio. 

Al  capitano  Sclavorum  si  riduce  il  salario  da  lire  35  a  24  il  mese,  con 
obbligo  di  tener  due  cavalli  invece  di  tre. 

Si  ordina  la  distruzione  delle  stalle  et  habitationes  erette  al  tempo  del- 
l' ultima  guerra  ad  Foveam  hospì,  essendo  esse  multum  pericidose  e  dannose 
allo  stato  (carte  103). 

1384.  22  marzo.  —  Proposta  del  suddetto  Dolfin,  non  approvata. 

Dodici  ville  soggette  alla  podesteria  di  Capodistria  son  tenute  a  pagare 
galline,  ova,  paglia,  fieno,  grani  e  legna  al  podestà,  in  correspettivo  delle 
quali  angarie  e  regalie  quei  villici  sono  esentati  dalle  factiones  a  cui  sono 
'  obbligati  gli  abitanti  delle  altre  ville,  ai  loro  patroni  ;  ciò  porta  allo  stato 
un  danno  di  oltre  2500  lire  l'anno.  Propone  il  Dolfin  di  esonerare  i  detti 
villici  dalle  accennate  angarie,  trattane  quella  del  grano,  e  di    obbligarli    a 


—  79  — 

contribuire  allo  stato  quello  pagano  le  altre  ai  loro  patroni,  appaltando  a 
terzi  1'  esazione  di  quelle  imposte.  Propone  poi  di  compensare  il  podestà 
della  perdita  che  gliene  verrebbe  accrescendogli  di  ioo  ducati  il  salario 
(carte   108  tergo). 

1384.  5  maggio.  —  Onde  regalare  soldalos  equestres  Grisignana  si  de- 
libera che  vi  debbano  stanziare  page  equestres  XXXII  in  totum,  de  melio- 
ribus....  sub  ditobus  comesi abilibus,  i  quali  debbano  avere  5  paghe  in  totum, 
cioè  una  viva  ed  una  mortila  per  ciascuno,  una  pel  banderario  e  due  per 
cqititatoribns  (carte  119). 

1384.  6  giugno.  —  Non  essendo  sufficiente  il  numero  di  5  a  cui  fu- 
rono ridotti  i  birri  di  Capodistria,  si  riportano  a  ro,  come  per  l'addietro, 
collo  stipendio  di  lire  6  il  mese  ciascuno  (carte  134). 

1384.  14  giugno.  —  Si  concede  per  grazia  al  nobile  Francesco  de  Ca- 
stropola  di  andare  a  Pola  e  starvi  per  un  anno  ad  attendervi  a'  suoi  inte- 
ressi. Questo  in  considerazione  che  esso  e  il  defunto  suo  fratello  Nicolò  si 
mostrarono  fedelissimi,  giacche  quest'ultimo  tempore  alterius  guerre  lamie 
juit  super  armata  nostra  cum  odo  sociis  et  duobus  famulis,  et  stetit  omnibus 
suis  expensis  donec  captus  juit,  e  stette  prigioniero  3  2  mesi  ;  —  che  Fran- 
cesco suddetto  stette  a  lungo  in  Treviso  al  servigio  militare  dello  stato  ; 
e  nell'  ultima  guerra  ebbe  bruciate  le  sue  case  in  Pola  ed  altri  danni,  onde 
ora,  vecchio  ed  infermo,  è  ridotto  a  povertà  (carte   134  tergo). 

Licenza  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  spendere  fino  a  lire 
200  di  piccoli  di  quelle  rendite,  in  riparazioni  ai  ponti  e  ad  altre  parti  del 
Castel  Leone  (carte   134  tergo). 

1384.  17  giugno.  —  Licenza  a  Francesco  di  Strasoldo  di  esportare 
dall'  Istria  pel  Friuli  un  carico  di  nave  di  pietre  per  farne  calce  (carte  136). 

Senato  Misti  voi.  XXXIX. 

1384.  24  settembre.  —  Aderendo  a  proposta  del  podestà  di  Capodi- 
stria, si  riducono  da  quattro  a  tre  i  custodes  campanilis  [messivi  prò  intelli- 
gcndo  se  cum  Castro  Leone],  con  assegno  di  lire  6  di  piccoli  il  mese  per 
ciascuno  invece  di  8  ;  si  raccomanda  al  detto  podestà  e  capitano  di  trovar 
modo  che  tal  paga  venga  soddisfatta  dalle  ville  di  quel  distretto  (carte  7 
tergo). 

Poiché  il  capitaneus  Pedemontis  esige  che  paghino  dazio  ad  suos  passus 
tutti  quelli  che  vogliono  condur  injerius  ad  marinam  legname  dei  boschi 
di  Montona  ;  si  ordina  al  capitano  di  Grisignana  di  imporre  un  dazio  eguale 


—  fio  - 

sui  legnami  tagliati  nel  distretto  di  Pedemonte  che  si  condurranno  ad  pon- 
tem  marchionis  o  si  caricheranno  nelle  acque  di  Grisignana  (carte  7  tergo). 
1384.  2  ottobre.  —  Licenza  a  Iacopo  Gradenigo  capitano  del  Pasina- 
tico  di  Grisignana  di  spendere  lire  100  di  piccoli  in  riparazioni  a  quel  pa- 
lazzo (carte  1 1  tergo). 

1384.  29  dicembre.  —  Si  risponde,  fra  altre  cose,  ad  un  ambasciatore 
del  patriarca  di  Aquileia  sollecitando  quel  prelato  a  far  pagare  dagli  abi- 
tanti di  Buje  il  dovuto  ai  soldati  di  Grisignana  prò  facto  illius  butirri  ecc. 
—  Si  risponde  ad  altro  capitolo,  assentendo  a  sottoporre  al  giudizio  di 
arbitri,  eletti  da  esso  patriarca  e  dalla  signoria,  le  differentie  territorii  S. 
Georgii  cum  illis  de  Buleis  (carte  30). 

1384  m.  v.  17  febbraio.  —  Facoltà  al  doge,  consiglieri,  capi  di  40, 
savi  del  consiglio  e  agli  ordini  di  mandare  messi  al  cardinale  patriarca  di 
Aquileia,  per  avere  in  mano  Nicoletto  Rizp  veneziano  ed  altri,  l'atti  prigio- 
nieri da  quelli  di  Albona  per  aver  esercitato  la  pirateria.  Il  detto  collegio 
potrà  scrivere  a  chi  crederà  necessario  allo  scopo  voluto  (carte  43    tergo). 

1384  m.  v.  23  febbraio.  —  Facoltà  al  collegio  di  eleggere  i  due  ar- 
bitri per  Venezia  nella  vertenza  del  territorio  di  S.  Giorgio  con  quelli  di 
Buje  (carte  47  tergo). 

1384  m.  v.  28  febbraio.  —  Proposta  non  approvata,  relativa  a  do- 
manda fatta  da  Iacobuccio  di  Porcia,  ora  capitano  a  Sacile,  del  castello 
di  Grisignana  pire  cessionis  etc.  offerens  se  paratimi  dare  nostro  dominio  et  re- 
stituire pecuniam  nostrani  prò  qua  ipsum  habemus  in  pignore,  et  in  caso  quo 
pur  velìmus  ipsum  locum,  quod...  teneamus  modum  erga  ipsum  in  dando  sibi 
id  quod  sit  justum  et  conveniens  (carte  48). 

1384  m.  v.  28  febbraio.  —  Facoltà  al  Collegio  di  scribendi  et  mittendi 
nuntios  ad  illos  de  Albona  et  ad  alios...  aggravando  factum  et  modum  quetn 
tenuerunt  et  tenent  in  nolendo  as signare  nobìs  Nicoktum  Ri%o  et  socios...  et  per- 
sonas  et  bona  capta  per  eos  (carte  51). 

1385.  19  marzo.  —  Licenza  a  Nicolò  Contarini  cavalier,  podestà  e 
capitano  di  Capodistria,  di  spendere  fino  a  100  ducati  in  riparazione  a  Ca- 
stel Leone  (carte  51  tergo). 

1385.  24  marzo.  -  Tro  bono  et  conservatione  status  nostri  si  ordina  la 
formazione  di  due  banderie  pedìtum  de  piranensibus  fidclibus  nostris  cum  ilio 
soldo  et  firma  qui  poterunt  meliti!  obtineri....  prò  mittendo  ad  Ma  loca  nostra 
et  sicut  videbitur  Collegio  (carte  59). 

1385.  6  aprile.  —  Non  potendosi  avere  le  sopradette  due  bandiere  di 
piranesi,  si  delibera  di  farle  de  aliis  gentìbus  (carte  61). 

1385.  6  maggio.  —  Facoltà  alla  Signoria  di  mandare    unum    nuntium 


—  81  — 

suffiaentem  al  duca  Leopoldo  d'Austria,  venuto  a  Bolzano,  per  trattare  con 
lui,  fra  altro,  dei  danni  dati  dai  suoi  sudditi  a  quelli  di  Venezia  in  Istria 
(carte  76  tergo). 

1385.  25  maggio.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di  Mon- 
tana, si  concede  agli  abitanti  di  essa  terra  di  far  condurre  e  vendere  a 
Venezia  vino  nato  in  quel  distretto,  pagando  i  dazi  come  quelli  di  Pola, 
Parenzo  ecc.  (carte  81). 

1385.  8  giugno.  —  Facoltà  al  capitano  del  Pasinatico  di  Grisignana 
di  spendere  circa  200  lire  in  riparazioni  alle  mura  di  Grisignana  in  parte 
rovinate.  Gli  si  manda  un  barile  di  chiodi  (carte  91). 

1385.  25  maggio.  —  Deliberazioni  proposte  da  Guglielmo  Querini  già 
podestà  e  capitano  a  Capodistria. 

Usandosi  tenere,  il  15  agosto,  una  fiera  super  flumine  Rixani...  que  fiera 
custoditur  per  homines  Iustinopolis  ai  quali  si  pagano  40  soldi  se  a  cavallo  e 
20  se  a  piedi,  ed  essendo  essi  pagati  dai  villani  de  extra  non  ostante  che 
questi  pure  vengano  ad  custodiam...  fiere,  e  di  più  trasportino  e  lavorino  i 
legnami  ad  jaciendum  palancatam  per  la  fiera  stessa  ;  si  delibera  che  i  vil- 
lani sieno  esentati  dal  detto  pagamento,  ma  continuino  le  solite  prestazioni, 
e  i  cittadini  suddetti  faccian  la  guardia  gratuitamente. 

Per  ovviare  ai  numerosi  contrabbandi  di  vino  e  grassa  che  si  com- 
mettono nella  detta  città  da  padroni  di  barche,  si  commette  ai  podestà  e 
capitani  di  far  perquisire  dai  loro  sodi  ogni  barca  0  burchio  nella  notte 
precedente  la  partenza  ;  tutto  ciò  che  vi  si  trovasse  contro  le  regole  sarà 
contrabbando.  I  navigli  che  partissero  senza  essere  stati  perquisiti  paghe- 
ranno lire  50  di  multa.  I  portolani  riferiranno  ogni  mattina  al  podestà  sui 
navigli  partiti  nella  notte,  e  questo  verifichi  se  i  suoi  soci  abbian  fatta  la 
perquisizione. 

Essendovi  in  quella  città  multa  casalia  et  terrena  vacua  dello  stato,  si 
dà  facoltà  a  quel  podestà  e  capitano  di  affittarli  od  allivellarli  come  stimerà 
più  utile  (carte  102). 

Esso  rettore  dovrà  una  volta  durante  il  suo  reggimento  cambiare  la 
farina,  le  carni  salate  e  il  formaggio  della  munizione  del  Castel  Leone  ;  la 
provvigione  ne  sarà  commisurata  pei  bisogni  d'un  anno  almeno  ;  così  pure 
farà  cambiare  il  biscotto,  il  sorgo,    il  miglio  e  le  fave. 

Uno  dei  castellani  dovrà  esser  sempre  in  Castel  Leone  sotto  pena  di 
soldi  40  d'ammenda. 

I  camerlenghi  o  massari  della  città  non  potranno  esiger  danari  se  non 
ambidue  insieme  e  nel  locale  della  massaria  ;  dovranno  inscriver  tosto  al- 
l' entrata  le  riscossioni.  Così  per  gli  esborsi.  Ogni  sabbato  verseranno  nella 


-    82    - 

cassa  del  comune  [tenuta  dal  podestà  e  capitano]  il  denaro  rimasto  in  lor 
mano.  Tutto  ciò  sotto  pena  della  perdita  dell'  ufficio. 

Il  daziario  alla  stadera,  ove  si  pesa  il  frumento  e  la  farina,  deve  esi- 
gere solo  4  piccoli  lo  staio  dal  compratore  [il  venditore  è  franco]  ;  ma  si 
sa  che  fa  pagare  un  soldo  al  venditore  ed  uno  al  compratore  ;  perciò  d'ora 
in  poi,  a  suo  tempo  i  podestà  e  capitani  porranno  all'  incanto  quel  dazio 
e  gli  appaltatori  non  esigeranno  più  di  un  soldo  dal  venditore  ed  uno  dal 
compratore  per  ogni  staio. 

I  misuratori  del  grano  a  la  Piera  esigeranno  tanto  dal  venditore  che 
dal  compratore  sulle  misurazioni;  sed  de  bladis  que  ponderabuntur  et  non 
mensurabuntur  non  possint  accipere  plus  eo  quod  acciphmt  ad  presens,  cioè  due 
piccoli  lo  staio,  quia  ponderator  habebit  soldum  unum  prò  stario  de  ilio  quod 
ponderabitur. 

I  daziari  della  muda  devono  esigere  8  piccoli  per  cavallo  caricato  si 
all'  entrata  che  all'  uscita  nella  o  dalla  città,  6  piccoli  per  saumerio  ;  ora  in- 
vece per  consuetudine  esigono  un  soldo  per  bestia.  Si  delibera  perciò  che 
quel  dazio  venga  posto  all'  incanto  sul  dato  di  quest'  ultima  tariffa  (carte 
102  tergo). 

1385.  26  giugno.  —  Avendo  il  vescovo  di  Capodistria  Lodovico  Mo- 
rosini  esposto  :  che  il  porticam  di  quella  cattedrale,  detto  volgarmente  atrium 
sotto  il  quale  stanno  varie  sepidture  clericorum  et  laicorum,  e  sotto  il  quale 
soleva  essere  la  staterà  ubi  ponderabantur  farine  et  alia,  fu  bruciato  dai  ge- 
novesi et  remanet  discopertum  ;  che  il  territorium  quod  est  ante  dictum  por- 
ticum  per  passus  communìs  tres  vel  circa  recto  tramite  usque  ad  campanile  per- 
tinet  ad  ipsam  ecclesiam  come  appare  per  modiones  affixos  in  muro  ipsius  atrii; 
che  sopra  esso  territorio  sunt  constructe....  ad  presens  due  staliones  de  ligna- 
mine  et  aliud  territorium  remanet  sic  vacuum  ;  che  i  rettori  di  Capodistria 
alias  affittarono  territoria  predicta,  una  parte  a  Marco  Semitecolo,  una  a 
Rinaldo  de  Arimino,  il  resto  a  Tomaso  Marasca  o  a  Beatrice  quondam  eius 
uxor,  traendone  circa  25  lire  di  piccoli  ;  —  chiese  che  il  detto  atrio  e  il 
territorium  siano  rilasciati  libere  prò  fabrica  et  reparatione  della  chiesa.  Udito 
il  parere  di  Nicolò  Contarini  cavalier,  podestà  e  capitano  in  quella  città  e 
di  Guglielmo  Querini  suo  predecessore,  si  delibera  di  restituire  l'atrio  alla 
chiesa  in  modo  che  le  utilità  che  se  ne  ritraggano  vadano  spese,  dal  pro- 
curatore di  quella,  nelle  riparazioni  necessarie  (carte  104  tergo). 

1385.  8  agosto.  —  Cum....  Cardinalis  et  Patriarcha  aquilegensis  multum 
gravari  videatur  de  ambaxatore  nostro  ser  Francisco  Zane,  de  aliquibus  verbis 
que  dicit  ipsitm  ambaxatorem  dixisse  contra  ipsum....  patriarcham,  sicut  in  suis 
litteris  quas  misit  illis  de  Patria  Foroiulii  piene  cavetur  ;  e  trovandosi  oppor- 


-83  - 

tuno  di  mitigare  quel  prelato  ut  habeat  causam  recedendi  de  loco  suspecto  e 
di  venire  a  Venezia  o  recarsi  in  locum  non  suspectmn  ;  —  si  commette  al 
vescovo  di  Parenzo  di  recarsi  dal  Patriarca  stesso  e  persuaderlo  essere  lo 
scopo  di  Venezia  di  ricondur  la  concordia  fra  esso  e  i  friulani,  ed  essere 
state  a  ciò  rivolte  le  disposizioni  prese  finora  da  essa  (carte  125  tergo). 

1385.  20  agosto.  —  In  seguito  a  lettere  di  Iacopuccio  di  Porcia  ca- 
pitano di  Sacile,  e  per  tenerlo  affezionato,  si  ordina  agli  ambasciatori  in 
Friuli  di  recarsi  a  Sacile,  et  esse  cum  eo  super  facto  castri  Grisignane  quod 
dicit  ad  eum  spedare,  et  sustinere  jura  nostri  communis  sicut  eis  videbitur .... 
In  fine  vero,  ut  ipse  Iacobinus  habeat  causam  se  gerendi  de  bono  in  melius  in 
factis  Vige,  i  detti  ambasciatori  hanno  facoltà  di  promettere  al  Porcia  fino 
a  1000  ducati,  vel  inde  infra  quam  minus  poterunt,  verso  cessione  assoluta 
per  parte  di  esso  di  tutti  i  diritti  che  vanta  sul  detto  castello.  Se  a  ciò 
non  si  arrendesse,  gli  ambasciatori,  prò  imponendo  finem  prò  modo  buie  facto 
sin!  contenti  quod  dare  debcamus  dicto  Iacobuiio  dictos  mille  ducatos,  vel  illam 
qnanlitatem  de  qua  erunt  concordes  cum  eo,  sempre  il  meno  possibile,  a  patto 
che  finiti  i  torbidi  del  Friuli  il  Porcia  debba  restituire  il  danaro,  e  Venezia 
gli  restituirà  Grisignana  (carte  132). 

1385.  17  settembre.  —  Fra  altre  risposte  date  ad  un  ambaxatori  Utini 
si  contiene  :  Circa  gli  animali  tolti  dal  podestà  e  capitano  di  Capodistria  a 
quelli  di  Buje,  per  far  cosa  grata  ai  signori  rettori  del  Friuli,  sarà  ordinata 
la  restituzione  degli  animali  stessi,  a  pitto  che  i  bujesi  diano  malleveria 
che  staranno  a  ciò  che  verrà  deciso  in  giudizio  quando  vi  si  sottoporrà 
quella  questione  (carte  147). 

1385.  26  settembre.  —  Pro  botta  custodia  et  conservatione  di  Capodistria 
si  delibera  1'  elezione  in  Senato  d'  un  provveditore  presso  quel  podestà  e 
capitano,  il  quale  provveditore  parta  il  secondo  giorno  dopo  eletto  ;  avrà 
1  |  ducato  al  giorno  da  spendere  e  terrà  tre  famigli.  Porrà  ogni  cura,  d'ac- 
cordo col  podestà  alla  custodia  e  conservazione  della  città  e  del  Castel 
Leone  ;  et  omnia  spectantia...  ad  factum  custodie  et  dependentia  ab  hoc  fiant 
per  ipsos  ambos  de  societate,  riservata  al  podestà  la  giurisdizione  civile  e 
criminale  (carte   153). 

1385.  29  settembre.  —  Il  provveditore  suddetto  sarà  eletto  in  Senato 
per  scrutinio  (carte  153). 

1385.  5  ottobre.  —  Il  detto  provveditore  avrà  40  ducati  il  mese  di 
salario  e  la  paga  di  due  mesi  ;  terrà  tre  famigli  a  sue  spese  ;  non  potrà 
essere  eletto  alcun  membro  della  Signoria  ;  si  faccia  per  duas  manus  elec- 
tionum  in  Senato  et  imam  per  scruptinium  in  Collegio. 

Eletto  Andrea  Navager  (carte  153).  (Continua) 


RELAZIONI 

DI    PROVVEDITORI    VENETI   IN   ISTRIA') 

(Continuazione  del  fascic.  30  e  40,  1886) 


Relatione  dell'Illustrissimo  Signor  Francesco  Basadonna  ritor- 
nato di  Proveditor  in  Istria,  1625. 

Serenissimo  Principe 

Due  furono  le  cause  per  le  quali  io  Francesco  Basadonna  fui  dall'  EE." 
VV.  eletto  Proveditore  nella  Provincia  dell'  Istria. 

L'  una  per  il  sollievo  di  quei  sudditi  dalle  estorsioni,  oppressioni,  mali 
trattamenti,  et  per  renderli  quanto  più  fosse  possibile  consolati  conforme 
al  proprio  della  somma  pietà  dell'  Eccellentissimo  Senato. 

L'altra  per  ben  incaminare  l'importante  negocio  de'  sali,  nella  riforma 
del  quale  sono  stati  tali  gli  accidenti  che  vi  sono  concorsi,  et  li  contrarij 
che  si  sono  convenuti  superare,  che  non  è  stato  possibile  eh'  io  abbia  in- 
tieramente soddisfatto  all'obbligo  della  visita  di  quella  Provintia,  come  ho 
in  più  mano  di  lettere  all'  EE.  VV.  significato. 

Tuttavia  trattarò  sopra  1'  una  e  1'  altra  materia,  et  restringendomi  alle 


')  Da  copia  esistente  nell'Archivio  provinciale, 


—  86  — 

cose  esentiali,  rappresentare  con  brevità  quanto  mi  parerà  degno  della  loro 
notitia,  et  co  '1  solito  della  mia  riverenza  ricordarò  quelli  rimedii  che  alla 
mia  debolezza  pareranno  più  proprij,  così  per  il  sollievo  di  quei  sudditi  et 
servitio  della  Provintia,  come  per  il  stabilimento  del  negocio  de'  sali,  del 
quale  dirò  prima. 

Che  havendo  conosciuto  Vostra  Serenità  essere  necessario,  che  questo 
pregiatissimo  regalo  proprio  de'  Principi,  dovesse  restare  nella  sola  potestà 
di  lei,  per  poter  con  esso,  si  può  dire,  dar  leggi  a'  vicini  popoli  austriaci, 
che  ne  tengono  eccessivo  bisogno,  et  per  ricevere  non  solo  utile  et  certo 
beneficio,  con  notabile  servitio  anco  de'  suoi  sudditi,  ma  per  rimuovere  li 
passati  danni,  et  notabili  pregiuditij  eh'  apportava  il  mal  uso  d'  esso. 

Deliberò  perciò  quest'  Ecc."10  Senato  di  ricever  in  se  non  solo  il  sale 
di  Capo  d' Istria,  ma  anco  quello  di  Muggia,  com'  io  riverentemente  ricordai, 
quello  di  Pirano  et  altre  saline  sparse  per  la  Provintia,  et  si  compiacque 
d' imponermi  con  duplicate  espeditioni,  eh'  io  dovessi  con  ogni  spirito  ado- 
perarmi, et  essere  puntuale  esecutore  della  deliberatione  suddetta,  acciò 
eh'  ella  fosse  ridotta  con  la  perfezione  a  quel  fine,  al  quale  gì'  interessi 
d' alcuni  pochi  potenti,  involti  in  guadagni  ingiustissimi,  ad  oppressione  de' 
poveri,  et  a  notabilissimo  danno  publico,  s'  attraversavano. 

Opponendosi  alla  dilucidatione  della  verità  di  questa  grave  materia, 
havendo  sotto  varij  falsi  pretesti  intorbidata  la  ragione  di  questo  publico 
affare  ;  per  il  che  non  sono  anco  mancate  a  me  mortificationi  per  farmi 
desistere  dall' operare,  se  bene  altro  non  era,  che  l'esecutione  puntuale  de- 
gl'  ordini  di  Vostra  Serenità,  da'  quali  non  mi  son  mai  partito. 

Ma  perchè  al  presente  io  non  devo  discorrere  se  non  quanto  appar- 
tiene al  pubblico  servitio,  tralasciare  qual  si  sia  altro  mio  particolare  in- 
teresse. 

L'  utilità  pubblica  che  rende  questo  negocio,  deviene  da  due  cause  ; 
1'  una  rispetto  all'  avanzo  che  si  fa  dal  comprar  sali  a  L  19  il  mozo  al 
venderli  a  maggiori  et  più  alti  pretij,  il  che  segue  anco  con  beneficio  de' 
Venditori,  come  provarò. 

L'altra  dalla  diversione  de'  contrabandi,  che  capitavano  in  diversi  lochi 
dello  Stato  della  Ser.  Vostra,  dove  vendendosi  il  sale  a  ducati  20  il  mozo, 
et  conducendoscne  per  il  passato  delle  migliara  di  moza,  riesce  molto  facile 
conoscere  questo  grandissimo  avanzo. 

Né  per  esser  stati  assunti  li  sali  in  publico  viene  da  Vostra  Serenità 
interrotto  privilegio,  o  prerogativa  alcuna  a'  suoi  sudditi,  perchè  io  mi  sono 
reso  bene  informato  che  non  ne  hanno  di  sorte  alcuna. 

Né  si  può  alcuno  dolere  del  prezzo  al  quale  Vostra  Serenità  li  paga, 


-  87  - 

perché  non  erano  da  particolari  venduti,  computato  un  anno  per  1'  altro, 
più  di  lire  15  in  1 6  il  mozo,  oltre  che  gli  affitti  de'  magazeni,  cali  de'  sali, 
et  altro,  diminuivano  considcrabilmente  detto  prezzo,  et  li  poveri  salineri, 
poiché  non  li  potevano  sostentare,  ne  trahevano  insensibili  utilità,  rispetto 
alle  molte  estorsioni  usategli  da  quelli  che  ne  incanevavano  ;  sì  che  per  la 
deliberatione  di  questo  Eccellentissimo  Senato,  essendo  pagati  a  Lire  19  il 
mozo,  gli  viene  non  solo  levata  l'occasione  d' ogni  condoglianza,  ma  anzi 
devono  sempre  farsi  maggiori  le  loro  obbligationi  verso  1'  EE.  VV. 

Oltre  che  havendogli  elle  con  benignità  singolare  permessa  l' incorpo- 
ratone, durante  la  caneva  publica,  utilità  grande  che  gì'  è  stata  evidente- 
mente donata,  non  potendo  essi  sostentarli  a  quel  prezzo  che  sono  stati  fatti 
valere,  tenendo  il  publico  tutto  il  negocio,  perchè  la  loro  concorrenza  nel 
venderli  cagionava  la  bassezza  dei  pretij  con  beneficio  solamente  d'Austriaci. 
Non  aggiungerò  altro  a  questo  particolare,  solo  che  se  non  fossero  stati 
gratiati,  sarebbero  pervenuti  nella  Cassa  publica  di  detta  ragione  ducati 
quarantaquattromille  incirca. 

Et  posso  assicurare  l'Ecc.0  VV.,  anzi  conviene  esserle  noto,  ch'ai  pre- 
sente 1'  universale  di  Capo  d' Istria  vive  in  gran  consolatione  et  commo- 
dità,  et  quella  Città  s'andarà  sempre  maggiormente  popolando,  poiché  al 
presente  si  trovano  li  poveri  liberi  dalle  estorsioni,  et  quel  territorio  resterà 
meglio  coltivato  ;  come  seguirà  anco  di  quello  di  Muggia  per  la  commo- 
dità  che  hanno  quei  sudditi  al  presente  di  farlo,  correndo  il  danaro,  che 
per  inanzi  per  la  loro  povertà,  et  miserie  non  lo  potevano  fare,  et  seguì 
anco  al  presente  il  spazzo  più  facile  d'ogni  qualità  d'  entrata,  che  si  cava 
da  quei  territorij  per  la  medesima  causa  della  commodità  del  danaro  che 
capita  nelle  mani  de'  particolari,  et  perciò  si  vede  essere  sino  al  primo  anno 
stati  spegnati  dal  Monte  di  pietà  in  Capo  d' Istria  pegni  per  il  valore  di 
molti  migliara  de'  ducati,  come  anco  sono  d'altri  migliara  de'  ducati  se- 
guite francationi  di  debiti  d'  esso  Monte.  La  communità  di  Muggia  haverà 
pagato  in  poco  tempo  sei  mille  ducati  de'  debiti,  quella  di  Capo  d' Istria 
ha  considerabilmente  accresciute  le  sue  entrate,  et  i  fondi  delle  saline  an- 
ch'essi augumentati  di  prezzo. 

Utilità  et  benefici  seguiti  dopo  l' introduttione  della  nuova  forma  di 
vender  li  sali,  et  non  ostante  le  insidiose  machinationi  usate  per  abbattere 
questo  negocio,  delle  quali  più  volte  ne  ho  reso  ragguagliate  le  Eccellenze 
Vostre,  si  sono  nondimeno  nel  tempo  che  mi  sono  trattenuto  in  Provincia 
venduti  sali  per  il  valore  di  ducati  104.600,  che  sono  stati  compartiti  tra 
Vostra  Serenità  et  particolari  per  le  ragioni  de'  loro  sali  incorporati,  e 
tratta  la  publica  portione  per  la  somma  de'  ducati  62,000  (sessantaduemille) 


da  un  capitale  d'  alcune  farine  che  di  publico  ordine  furono  date  alla  Com- 
mutimi di  Capo  d'Istria  al  tempo  della  guerra  del  Friuli  per  il  valore  de 
ducati  tremilleottocentonovantadue  (3892),  per  il  pagamento  delle  quali  ri- 
cevè 5085  mozza  di  sale  et  da  altri  3000  ducati  mandati  dall'Illustrissimo 
Magistrato  del  sale,  che  formano  in  tutto  capitale  solamente  seimilleotto- 
centonovantadue  (6892),  che  ha  moltiplicato  in  utilità  di  Vostra  Serenità 
sino  alla  summa  dei  suddetti  62000  ducati. 

Di  tutto  questo  giro  di  negocio,  dal  principio  dell'  introduttione  della 
Caneva  publica  sino  al  mio  ripatriare,  ho  fatto  formare  un  diligente  conto, 
1'  ho  presentato  neh"  Eccellentissimo  Colleggio,  et  supplicato  quegli  Eccel- 
lentissimi Signori  farlo  vedere  per  comprobatione  di  quanto  ho  più  volte 
scritto  delli  beneficij,  et  utilità  publiche  et  private  che  rende  questo  negocio. 
Lo  hanno  le  loro  Eccellenze  commesso  agli  Illustrissimi  Signori  Regolatori 
sopra  la  scrittura,  perchè  dalla  prudenza  di  quegli  Illustrissimi  Signori  sia 
ventilato,  et  portati  li  loro  sensi  a  questo  Eccellentissimo  Senato,  come 
stimo  sarà  seguito. 

Et  perchè  dall'essersi  assunti  tutti  li  sali  della  Provintia  in  publico,  e 
dall'  haver  io  quanto  più  ho  potuto  impediti  li  contrabandi,  fu  stimato  che 
li  Triestini,  et  gli  altri  lochi  austriaci  non  potessero  più  trahere  per  l'av- 
venire quella  quantità  de'  sali  che  prima  solevano  di  contrabando,  sono  se- 
guiti gli  avantaggiosi  partiti  quali  apportano  anco  altri  rilevanti  beneficij 
così  al  publico,  come  a  private  persone,  perchè  restando  obbligato  il  Par- 
Mante  a  levar  9400  mozi  di  sale  a  prezzo  di  lire  48  il  mozo,  che  impor- 
tano ducati  72770  all'  anno,  de'  quali  detratta  quella  quantità  che  dev'  es- 
sere impiegata  nelli  pagamenti  di  quelli  eh'  annualmente  raccolgono  parti- 
colari nelle  saline  della  Provincia,  quali  pagati  restano  anch'essi  di  publica 
ragione,  viene  il  rimanente  in  contanti  a  restare  in  avanzo  di  Vostra  Se- 
renità. 

Non  si  può  sapere  così  puntualmente  la  quantità  del  danaro  che  habbia 
ad  essere  impiegata  annualmente  nelli  predetti  pagamenti,  perchè  le  annate 
seguono  abbondanti,  et  sterili  secondo  la  qualità  delle  stagioni,  che  riescono 
più  o  meno  proprie  per  congelar  sali.  —  Alcune  volte  si  sono  in  un  anno 
raccolti  fra  Capo  d' Istria  et  Muggia  dodici  in  quattordici  mille  mozi,  et  in 
altri  tremille  et  duemille  solamente  ;  si  che  si  fa  giuditio  dalle  passate  rac- 
colte in  più  anni  che  uno  per  l'altro  si  possano  impiegare  in  pagamento 
de'  sali  vintitre  in  vintiquattro  mille  ducati  in  circa  ;  onde  Vostra  Serenità 
conviene  avanzare  ogni  anno  in  contanti,  detratte  le  spese,  ducati  47000. 

Ma  seguano  le  raccolte  sterili  o  fertili,  si  viene  a  cavar  al  presente  da 
sudditi  austriaci  ducati  72.000  all'  anno,  che  vanno  compartiti    tra  Vostra 


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Serenità  et  suoi  sudditi,  che  per  il  passato  mentre  li  sali  erano  in  potere 
de'  particolari,  rispetto  alla  bassezza  del  prezzo,  a'  quali  li  vendevano  a' 
medesimi  Austriaci,  non  se  ne  traheva  se  non  ducati  quindici  in  sedicimille, 
quali  se  bene  capitavano  tutti  in  solo  potere  de'  particolari,  erano  però  in 
molto  minor  summa  di  quello,  che  al  presente  gli  stessi  particolari  cavano 
de'  loro  sali  ;  ma  Vostra  Serenità  non  ne  riceveva  utilità  alcuna,  e  tutto  il 
beneficio  restava  nelli  soli  sudditi  austriaci,  perchè  all'hora  per  la  concor- 
renza de'  venditori  havevano  il  sale  a  vilissimo  prezzo. 

Et  dovendo  per  le  conditioni  del  partito  di  commissione  dell'Impera- 
tore restar  prohibiti  li  contrabandi  nei  lochi  austriaci,  onde  non  potendo  li 
Triestini  vendere  se  non  il  sale  che  raccolgono  nelle  loro  saline,  che  è 
poco,  rispetto  a  quei  bisogni,  conviene  diminuirsi  grandemente  il  corso  a 
quella  Città,  et  conseguentemente  accrescersi  quello  di  Capo  d'Istria  e  Mug- 
gia,  perchè  secondo  la  quantità  maggiore  et  minore  de'  sali  che  si  esitano 
in  Trieste,  tanto  maggiore  e  minore  conviene  seguire  il  corso  delle  merci, 
et  spazzo  d'  essi  in  Capo  d' Istria  et  Muggia,  oltre  che  l' Imperatore  dopo 
l'approbatione  del  partito,  et  espedittione  de'  Commissarj  per  questo  effetto 
a'  confini,  come  ne  diedi  avviso  all'  Eccellenze  Vostre,  havendo  permesso 
in  quella  Provintia  di  Vostra  Serenità  la  introduttione  di  pellami,  telami, 
carnaggi,  et  altre  sorti  di  merci,  che  per  inanzi  erano  sospese,  apporta  gran- 
dissimo beneficio  all'Universale  di  essa,  et  pare  che  gli  Austriaci  a  quei 
confini  non  trattino  più  con  quell'  acerbità  colli  sudditi  della  Serenità  Vo- 
stra, come  per  il  passato  solevano,  ma  con  molta  desterità,  et  amore- 
volezza. 

Viene  anco  questa  approbatione  dell'  Imperatore  a  levare  li  transiti 
molesti  de'  sali  alla  navigatione  del  Golfo,  quali  dalli  Stati  del  Papa,  et  del 
Re  di  Spagna  si  potriano  trarre  per  gli  Austriaci,  et  ho  saputo  per  via  di 
Trieste,  che  prima  che  restasse  concluso  il  presente  partito  con  Vostra  Se- 
renità, era  stato  strettamente  trattato  col  Cardinal  Barberino  per  concluder 
per  quella  Città  altri  partiti  de'  sali  di  Cervia,  il  che  haverebbe  potuto  fa- 
cilmente far  seguire  qualche  sinistro  accidente  tra  Vostra  Serenità  et  l'Im- 
peratore' per  occasione  della  navigatione. 

Li  reciprochi  commertij,  l' interesse  della  Camera  Imperiale,  che  cava 
anch'ella  utilità  d'  una  lira  per  staro  di  detto  partito,  et  medesimamente 
P  interesse  che  li  principali  Ministri  della  Corte  tengono  in  esso,  conven- 
gono partorire  se  non  buoni  effetti  con  Austriaci,  così  che  conoscendosi 
riuscire  fruttuosissimo  a'  publici  et  a  privati  interessi,  sarà  il  mantenerlo, 
et  sostentarlo  effetto  proprio  della  prudenza  singolare  di  questo  Eccellen- 
tissimo Senato. 


—  90  — 

S'opposero  ai  partito  li  Signori  della  Provintia  del  Cragno,  li  Trie- 
stini, Fiumesani,  et  con  espresse  Ambascierie  esposero  al  Principe  d' Ecchem- 
bergh,  et  all'  istesso  Imperatore  li  loro  gravami,  et  in  particolare  perchè  le 
venisse  prohibito  di  non  poter  ricevere  dallo  Stato  di  Vostra  Serenità  con- 
trabandi, né  per  terra,  né  per  mare,  come  prima  facevano. 

Asserivano  inoltre,  che  la  confirmatione  fatta  da  Sua  Maestà  Cesarea 
pregiudicava  notabilmente  alla  libera  navigatione,  che  nel  Golfo  veniva  pre- 
tesa dalla  medesima  Maestà,  con  tutto  ciò  restarono  licentiati. 

Solo  alcuni  Paghesani  sedotti  da  contrabandieri  continuano  sotto  colore 
di  miserie  universali  di  quell'  Isola  ad  opponersi  per  restar  privi  dicono  del 
spazzo  di  parte  de'  loro  sali  nelle  scale  di  Buccari  e  Fiume,  che  gli  sono 
state  levate,  et  assignate  al  Partitante,  non  gli  potendo  quella  di  Obro- 
vazzo,  che  gli  è  sola  rimasa,  servire  allo  spazzo  del  restante  de'  loro  sali, 
oltre  li  seicento  mozi,  quali  per  compenso  di  quella  quantità,  che  potevano 
esitare  nelle  predette  scale  di  Buccari  e  Fiume,  gli  vengono  pagati  a  prezzo 
avantaggioso  de  ducati  dodeci  il  mozo,  parte  dall'Ili."10  Magistrato  del  sale, 
et  parte  dal  Partitante. 

Et  se  bene  di  ordine  di  Vostra  Serenità  ho  rappresentato  li  miei  ri- 
verenti sensi  sopra  altre  supplicationi  delli  medesimi  Paghesani  per  occa- 
sione dell'  istesso  partito,  devo  nondimeno  anco  al  presente  aggiungere,  che 
come  essi  mentre  gli  restarono  intercette  le  scale  di  Buccari  e  Fiume  du- 
rante la  passata  guerra  del  Friuli  hanno  colla  sola  scala  d'  Obrovazzo  non 
solo  ispedito  tutti  li  propri  loro  sali,  ma  anco  intaccato  in  grossa  quantità 
quelli  di  publica  ragione,  come  dalle  sentenze  della  felice  memoria  del  già 
Illustrissimo  Signor  Francesco  Valier,  quando  fu  in  quell'  Isola  Proveditor 
de'  sali  si  può  vedere,  per  le  quali  restarono  condannati  a  pagarli,  così  non 
so  conoscere  come  al  presente  possano  con  ragione  sostentare,  che  non  le 
serva  a  sufficienza  la  predetta  scala  d'  Obrovazzo  per  assai  minor  quantità. 
Ma  io  resto  anco  informato,  che  intanto  li  Paghesani  vengono  facilmente 
mossi  a  comparire  a'  piedi  di  Vostra  Serenità,  in  quanto  che  non  gli  sono 
pagati  altri  sali  dall'  Illustrissimo  Magistrato  del  sale,  che  hanno  cessi,  per- 
ché sì  come  appare  che  altre  volte  per  parti  prese  nei  loro  Consegli  hab- 
biano  volutto  venderli  tutti  al  publico,  così  quando  non  dubitassero  di  con- 
seguirne il  pagamento  non  solo  desisterebbero  dalle  presenti  loro  condo- 
lenze,  ma  li  rinuntiarebbero  intieramente  nello  stesso  modo  che  altre  volte 
,   deliberarono  d'eseguire. 

Per  sostentare  il  Partito  è  di  necessità  haver  cura  particolare  del  corso 
in  Capo  d' Istria  et  Muggia,  eh'  è  quella  frequenza  de'  sudditi  austriaci  che 
vengono  a  levar  sali,  acciocché  possa  vender  intieramente  la  sua   entrata, 


—  91  — 

ovviando  alle  fraudi  di  quelli  che  essendo  soliti  ridurre  a  se  stessi  questo 
traffico,  ad  altro  non  mirano  che  a  macchinare  contro  il  spazzo  d'essi,  per 
farlo  cadere,  et  con  tal  mezo  rihavere  il  pristino  rilasciato  modo  di  nego- 
tiare  a  publico  pregiuditio,  et  a  distruttione  de'  poveri. 

É  anco  sopra  modo  necessario  prendere  altre  risolutioni  per  impedire 
li  contrabandi,  perchè  se  bene  sono  dall'  Imperatore  prohibiti  per  li  suoi 
Stati,  s' inzegnano  molti,  hora  che  li  sali  si  vendono  a  più  alti  prezzi,  d'esi- 
tarne per  terra  et  per  mare  nascosamente  a'  sudditi  austriaci,  et  per  esser 
stati  li  sali  di  quest'  anno  passato  sopra  le  saline  di  Pirano  per  il  corso  di 
mesi  cinque  più  di  quello  comandano  gli  ordini  di  questo  Eccellentissimo 
Senato,  il  Partitante  ha  certamente  ricevuto  grave  colpo  nelli  suoi  interessi, 
et  resta  questo  danno  in  parte  provato  dalla  quantità  de'  sali  che  sono  man- 
cati nelle  saline,  et  da  diversi  processi  formati. 

Se  ne  ha  egli  grandemente  più  volte  doluto  con  me,  perchè  nel  prin- 
cipio del  suo  partito  siano  stati  lasciati  per  tanto  tempo  4000  mozi  di  sale 
sopra  quelle  saline  in  libertà  d'  ognuno,  sicome  con  più  mano  di  lettere 
ho  rappresentato  all'EE.  VV.,  non  essendo  possibile  che  quantità  di  barche 
et  di  gente  nelle  fredde  et  lunghe  notti  dell'  inverno  possano  impedire  per 
terra  et  meno  per  mare  li  contrabandi,  essendo  quelle  saline  situate  in  tre 
Valli  tra  esse  molto  lontane,  dove  difficilmente  possono  le  barche  por- 
teggiare. 

Oltre  che  essendo  quelle  povere  genti  grossamente  creditrici  de'  paga- 
menti de'  loro  sali  dall'Ili."10  Magistrato  del  sale,  sono  astrette  per  non  veder 
morire  le  loro  famiglie  dalla  fame,  invitati  massime  da  tanta  commodità, 
a  commettere  contrabandi,  né  il  farli  prigioni  riesce  così  facile,  come  viene 
creduto,  perchè  stanno  molto  ben  avvertiti,  et  scoperti,  vanno  ad  habitare 
nei  Paesi  Austriaci,  et  il  devenire  a  sentenze  de'  bandi  segue  con  troppo 
pregiuditio  de'  publici  interessi,  come  altre  volte  è  stato  considerato. 

Fu  però  dalla  prudenza  di  questo  Eccellentissimo  Senato  per  impedire 
tali  inconvenienti  deliberato  che  detti  sali  per  li  primi  di  novembre  doves- 
sero ordinariamente  essere  incanevati  ;  ma  io  non  l' ho  potuto  a  tempo  se- 
guire spettandosi  quel  negotio  all'  Ill.mo  Magistrato  del  sale. 

In  sostanza  se  non  saranno  ordinate  altre  provisioni  per  rimuovere  li 
contrabandi  di  Pirano  in  particolare,  che  seguono  per  terra  e  per  mare,  a 
pregiuditio  del  Partito,  si  rendano  certe  TEE.  VV.  che  non  sarà  possibile 
che  possa  continuare,  dimostrando  1'  esperienza  che  le  passate  non  hanno 
sufficientemente  servito  per  impedirli,  ne  per  mio  riverente  senso  si  pos- 
sono applicare  più  proprij  et  sicuri  rimedij  a  questo  male,  che  il  serrare 
le  saline  con  fossi  dalla  parte  di  terra,  et  con  palificate  dalla  parte  di  mare, 


—  92  - 

come  per  il  passato  erano,  et  se  ne  vedono  le  vestigie,  lasciandole  un  solo 
ingresso  et  una  sola  uscita  coli'  assistenza  sopra  d'  un  Guardiano  che  tenga 
conto  de'  sali,  che  di  tempo  in  tempo  si  levaranno,  et  per  tal  via  render 
impossibili  i  contrabandi  ;  opera  che  non  riuscirà  difficile,  perchè  li  Pira- 
nesi  a  mia  persuasione  presero  ultimamente  parte  di  farla  a  loro  spese  in 
quella  maniera  ch'io  scrissi. 

Se  li  Guardiani  stipendiati  grossamente  dall'  Illustrissimo  Magistrato 
del  sale  per  custodia  delle  saline  di  Pirano,  quali  se  ne  stanno  infruttuo- 
samente in  questa  Città,  fossero  astretti  conforme  alli  loro  obblighi  ad  habi- 
tare  nelle  case  situate  in  esse,  che  con  ottima  avvertenza  sono  state  fabbri- 
cate per  ovviare  a'  contrabandi,  riuscirebbe  di  publico  servitio  ;  ovvero  per 
non  continuare  a  spendere  inutilmente  quel  danaro,  ch'è  in  somma  consi- 
derabile di  molti  centinara  di  ducati  all'  anno,  prendere  altro  espediente, 
acciò  che  restasse  per  altra  via  impiegato  alla  medesima  custodia. 

Et  se  l' EE.  VV.  risolvessero  di  far  pagare  alcune  poche  saline  che 
sono  a  Isola,  Brioni,  et  in  certi  altri  lochi  sparse  per  la  Provintia  per  farle 
poi  distruggere,  il  che  non  seguirebbe  con  molta  spesa,  et  mi  persuado 
anco  con  sodisfattione  di  propri  patroni  d'esse,  riuscirebbe  medesimamente 
di  considerabile  publico  servitio,  perchè  per  essere  queste  per  il  spatio  di 
decene  di  miglia  lontane  1'  una  dall'  altra,  non  solo  non  si  possono  impe- 
dire li  contrabandi  di  quei  sali,  ma  servono  anco  a  fomento  di  maggiori 
d'altre  parti,  et  sarà  anco  di  necessità  di  fermar  il  corso  alli  contrabandi 
che  da  Pago  vengono  condotti  alle  scale  di  Buccari  e  Fiume  a  notabile 
pregiuditio  del  Partito. 

Apportarebbe  anco  gran  giovamento  a  publici  interessi  ordinare,  per 
qualche  tempo  almeno,  una  diligente  inquisitione  alle  riviere  del  Golfo,  nel 
Trivisano,  Friuli  et  altri  lochi  sino  al  Lisonzo  contro  quelli  che  spalleg- 
giano et  ricettano  contrabandi,  restando  io  informato  che  da  barche  de' 
Chiozoti  vengono  condotti  in  quelle  parti  sali  di  Cervia,  perchè  castigati 
quelli  che  tengono  intelligenza  et  facilitano  il  loro  esito  ne  restarebbe  le- 
vata F  occasione. 

Ho  più  volte  scritto  a  Vostra  Serenità,  che  regolato  che  sia  questo  ne- 
gocio,  doverà  render  d'  entrata  al  publico  considerabile  summa  d'  oro,  per- 
chè oltre  1'  annua  rendita  del  partito,  sì  come  resta  provato,  di  ducati  47,000 
il  solo  Partitante  del  Friuli  ha  levato,  nel  tempo  eh'  io  ho  servito  all'  Ec- 
cellenze Vostre  nella  provincia,  sali  più  di  quello  che  faceva  per  il  passato 
per  il  valore  di  ducati  25,000,  il  qual  beneficio  è  devenuto  dalla  diversione 
che  in  parte  è  seguita  de'  contrabandi.  Dico  in  parte,  perchè  non  è  pos- 
sibile sino  che  le  provisioni  di  sopra  espresse  non  siano   effettuate,   impe- 


—  93  - 

dirli  affatto,  e  dalla  quantità  de'  sali  che  si  danno  in  nota  nelli  libri  del 
scrivano  in  Pirano  rispetto  a  quella  che  le  saline  producono,  si  conosce 
manifestamente  passarne  di  contrabando,  non  ostanti  le  ordinarie  passate 
provisioni,  quantità  grande  et  viene  il  danno  annualmente  ad  ascendere  alle 
dicene  di  migliara  di  ducati. 

Hor  aggiunto  alla  rendita  del  partito  quanto  si  viene  haver  avanzato 
nel  solo  dacio  del  Friuli,  quanta  maggior  utilità  possono  anco  render  gl'altri 
datij,  instituite  che  siano  le  altre  regole,  parmi  che  resta  provato  quanto 
di  già  da  me  è  stato  scritto  delli  beneficij,  et  utilità  grandi  che  ne  viene 
a  conseguire  il  pubblico  dall'haver  assunto  in  se  li  sali,  oltre  gl'altri  pub- 
blici interessi,  et  privati  beneficij. 

E  dovrà  poi,  per  il  mio  debol  senso,  essere  tutto  il  negocio  finalmente 
con  piena  auttorità,  anco  sopra  il  corso,  maneggiato,  come  propria  materia 
dalla  prudenza  di  quegli  111. mi  Senatori,  che  assisteranno  nel  Magistrato  del 
sale,  perchè  non  tenendo  il  Proveditore  dell'  Istria  auttorità  sopra  il  partito 
de'  sali  di  Pirano,  non  può  a  suo  debito  tempo  risolvere  l'incanevo  d'essi, 
né  ordinare  altre  provisioni  che  convengono  per  impedire  li  disordini  che 
possono  seguire  a  danno  del  partito  degli  altri  sali  di  Capo  d' Istria  e 
Muggia. 

Altre  cose  si  potrebbero  generalmente  riferire,  ma  perchè  molte  sono 
le  relationi  copiosissime  de'  prestantissimi  Senatori  che  hanno  praticata  et 
ventilata  questa  importantissima  materia,  più  grave  nel  suo  essere  che  nella 
mia  espressione,  terminarò  questo  ragionamento. 

Et  passare  a  considerare  il  stato  presente  di  questa  Provintia,  la  quale 
servendo  come  per  antemurale  di  questa  stessa  Città,  et  di  sicuro  ricapito 
per  li  suoi  Porti  e  terre  maritime  alle  Armate  della  Serenità  Vostra,  et  ad 
altri  Vascelli  che  navigano  per  negocio,  essendo  ella  aperta,  senza  ripari, 
poco  atta  alle  armi,  circondata  tutta  da  confini  austriaci,  alligati  molti  di 
quei  sudditi  in  parentela  cogl'  Imperiali,  et  per  l' importanza  del  porto  di 
Puola,  deve  muovere  la  somma  prudenza  della  Serenità  Vostra  ad  applicare 
qualche  opportuno  rimedio  almeno  alle  sue  miserie  e  necessità. 

In  tutta  la  Provintia  sono  sei  Città,  vintiotto  lochi  tra  Terre  e  Ca- 
stelli, compresa  anco  quella  parte  che  è  possessa  da  Austriaci,  et  il  Castello 
d'  Orsera  giurisdittione  Pontificia  :  ha  molti  porti,  ridotti,  boschi  in  quan- 
tità :  è  lunga  miglia  120,  et  nella  sua  maggior  larghezza  40,  ne  circonda 
doicento  (200).  —  Principia  il  suo  confine  a  San  Zuanne  di  Duino,  ter- 
mina al  fiume  Arsa  che  passa  sotto  Albona,  et  sbocca  nel  Quarnaro.  Ha 
solamente  quattro  piccoli  Fiumi,  un  torrente,  et  in  diversi  lochi  vi  sono 
alcune  Fontane,  ma  nel  resto  patisce  in  estremo  d'acque. 


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Capodistria  città  alla  marina,  metropoli  della  provintia,  è  convenien- 
temente popolata  d'  aria  salubre  ;  ha  il  suo  territorio  grande,  et  assai  ben 
coltivato  per  il  qual  passa  il  fiume  Risano  :  ha  fontane  d' acque  pretiose  : 
ha  un  Monte  di  pietà  di  capitale  considerabile  che  serve  a  sollievo  de'  po- 
veri ;  è  ben  retto  ed  amministrato  :  ha  un  castello  fatto  all'  antica,  che  non 
serve  per  alcuna  difesa  et  è  in  stato  di  rovinare,  dà  spesa  inutile  a  Vostra 
Serenità  di  Cap.°  et  sei  soldati,  che  assistono  a  quella  custodia.  Riceve 
quella  Città  danno  notabile  da  un  ramo  del  fiume  eh'  entra  in  un  canale 
che  la  disgiunge  da  Terraferma,  et  l'aria  da  quella  parte  si  va  facendo  pe- 
stilente, perchè  il  canale  s'atterra,  ne  si  può  divertire  questo  danno  se  non 
difficilmente  et  con  grandissima  spesa. 

Pirano,  Rovigno,  Isola  e  Muggia  sono  Terre  alla  marina  anch'  esse 
convenientemente  popolate  in  buonissima  aria;  hanno  commodità  di  acque 
vive.  Li  suoi  Territorij,  se  bene  ristretti,  sono  assai  ben  coltivati  ;  hanno 
marinari  in  buona  quantità,  gente  svelta  et  brava,  buon  numero  di  barche, 
massime  Rovigno  e  Pirano. 

Le  altre  Terre  e  Città  marittime,  che  sono  Puola,  Parenzo,  Cittanuova 
et  Umago,  se  bene  hanno  porti,  sono  però  quasi  spopolate,  ripiene  di  ro- 
vine, d'immonditie,  d'aria  morbosa,  poco  differenti  l'una  dall' altra  nel  nu- 
mero degli  habitanti  ;  ma  li  loro  Territorij  sono  amplissimi,  fertilissimi, 
non  bene  coltivati,  per  non  essere  quelle  Città  habitate. 

Sono  poi  altre  Isolete  o  scogli,  come  Brioni,  et  simili  lochi  alla  ma- 
rina di  poca  consideratione. 

Le  altre  Terre  più  popolate  discoste  dalla  marina  che  sono  in  buon'aria, 
et  li  loro  Territorij  ben  tenuti,  sono  Dignano,  Montona,  Bugie  e  Pinguente, 
che  per  esser  residenza  degli  Ill.mi  Sig.ri  Capitani  di  Raspo,  è  popolata, 
ha  buon  territorio,  coltivato,  e  tiene  sotto  di  se  li  Castelli  di  Rozzo,  Dra- 
guch  e  Colmò,  lochi  murati,  et  di  qualche  consideratione  per  esser  situati 
a'  confini  austriaci. 

Anco  Albona  e  Fianona  sono  buone  Terre  in  saluberrima  aria  con 
suoi  territorij  assai  ben  tenuti  e  coltivati  per  esser  popolate  :  hanno  com- 
modità d'acque  vive  ;  sono  poste  in  assai  buona  difesa  per  esser  situate  a' 
confini  più  pericolosi  per  la  vicinanza  d'  Uscocchi,  et  più  lontane  d'  altre 
Terre  della  provintia. 

Le  altre  che  continuano  fra  terra,  d'  assai  inferiore  conditione,  d'  aria 
non  molto  salubre,  rispetto  alle  rovine  che  sono  in  esse,  che  hanno  li  ter- 
ritorij per  il  più  ristretti,  et  non  molto  bene  coltivati,  poco  popolate  sono 
Valle,  San  Lorenzo,  Grisignana,  Portole,  Doi  Castelli,  et  il  Castel  di  Raspo, 
ch'è  affatto  distrutto  et  spopolato. 


—  95  — 

Sono  li  Castelli  di  San  Vincenti,  Barbana,  Piemonte,  Momiano,  e  Pie- 
trapelosa  giurisdittioni  possesse,  parte  da  Nobili  di  questa  Città,  e  parte 
da  altri  Soggetti.  Questi  sono  per  il  più  assai  ben  tenuti,  et  li  loro  terri- 
tori] coltivati. 

In  tutte  le  città  et  lochi,  giurisdittioni  possesse  dalla  Serenità  Vostra 
nella  Provincia,  possono  essere,  non  compresi  gli  habitanti  nuovi,  anime 
trentasei  milla  cinquecento  in  circa  (36,500). 

La  città  di  Trieste,  quella  di  Pedena,  il  Contado  di  Pisino,  Duino, 
Cosliaco,  Lupoglavo,  et  certi  altri  piccioli  lochi  posseduti  nella  provintia 
da  Austriaci,  sarebbero  con  li  loro  territorij  in  assai  miglior  stato,  siccome 
erano  per  il  passato,  se  non  havessero  patito  grandissimi  danni  al  tempo 
della  passata  guerra  del  Friuli. 

Non  hanno  gì'  Austriaci  fortezze  d' alcuna  consideratione,  se  non  il 
Castello  di  Trieste,  quale  essendo  predominato  da  molte  eminenze,  può 
esser  facilmente  battuto,  et  per  dubbio  che  hebbero  Triestini  al  tempo  della 
guerra,  che  le  genti  di  Vostra  Serenità  s' impatronissero  di  certo  colle,  che 
sta  a  cavaliero  di  esso  castello,  risolsero  di  piantare  sopra  quell'  eminenza 
un  fortino,  qual  al  presente  domina,  a  pregiuditio  di  Vostra  Serenità,  la 
Valle  di  Muggia. 

Di  tutte  quelle  conditioni  che  si  ricercano  alla  preservazione  d'una  pro- 
vintia,  quali  sono  salubrità  d'aria,  copia  d'acque,  agricoltura,  mercantia,  fre- 
quenza d'  habitanti,  sicurezza,  l' Istria  se  ne  ritrova  per  il  più  manchevole. 

Alla  purificatione  dell'  aria  gioverebbe  assai  instituire  qualche  ordine 
per  far  tener  nette  quelle  Città  e  Terre  dalle  rovine  et  immonditie,  et  me- 
desimamente quelle  radunanze  d'acque  piovane,  che  s'  usano  per  manca- 
mento d'  acque  vive,  che  vengono  nel  paese  chiamati  laghi,  et  che  s'ado- 
prano  in  quella  provintia  in  tutte  le  cose  necessarie,  se  bene  per  le  immon- 
ditie sono  corrotte  et  putrefatte. 

Alli  bisogni  dell'acqua,  il  fare  delle  Cisterne,  almeno  nelle  Terre  che 
non  hanno  altre  acque,  cagionarebbe  se  non  ottimi  effetti  per  la  sanità  de' 
corpi  in  particolare,  et  rispetto  agli  altri  grandissimi  benefici),  che  conven- 
gono esser  noti  eh'  apportarebbe  quest'  opera,  la  spesa  certamente  non  sa- 
rebbe considerabile. 

Quanto  all'agricoltura  se  fossero  esseguiti  gli  ordini  di  questo  Eccel- 
lentissimo Senato  per  la  coltivatione  della  Provintia,  et  le  parti  per  piantar 
olivari,  et  se  s'aggiungesse  la  debita  diligenza  al  beneficio  della  natura,  es- 
sendo quei  terreni  fertili  et  vedendosi  che  gli  olivari  s'allevano  tanto  facil- 
mente, et  che  rendono  il  frutto  in  pochi  anni;  si  ridurebbe  la  provintia 
in  buonissimo  stato,  et  fu  in  altri  tempi  tanto  stimato  il  frutto  dell'oliva, 


-96- 

che  di  ordine  publico  furono  tolti  in  nota  tutti  gli  olivarj  perchè  se  ne  ri- 
mettessero, et  restassero  ben  coltivati. 

Li  traffichi  et  le  mercantie  della  provintia  sono  perse  rispetto  alli 
Principi  che  al  presente  confinano,  perchè  dominando  la  Casa  d'  Austria 
parte  della  stessa  provincia,  li  negoci  delle  provincie  del  Cragno,  della  Stiria 
et  Carintia,  et  altri  lochi  convicini,  sono  devoluti  a  Trieste,  a  Fiume,  et 
ad  altri  lochi  austriaci.  Si  potrebbe  nondimeno  quando  vi  fosse  nella  parte 
possessa  da  Vostra  Serenità  altra  qualità  di  governo,  introdurre  delle  arti 
che  gli  apportarebbero  molta  utilità  et  beneficij. 

Per  la  rivolutione  et  per  li  mali  influssi  de'  tempi  cominciarono  man- 
care il  numero  delle  genti,  et  massime  nell'anno  1527,  che  fu  quella  cru- 
delissima pestilenza  nell'  Istria,  che  la  disertò  et  la  ridusse  tutta  in  estrema 
calamità,  dalla  quale  le  sue  Città  non  si  sono  ancora  riscosse,  dove  per  il 
mancamento  degli  habitanti  per  la  maggior  parte  le  case  sono  cadute  et 
rovinate,  et  il  paese  per  il  più  restato  horrido  et  inculto. 

Et  come  non  è  cosa  alla  quale  devono  li  Principi  più  attendere  che  a 
conservare  et  moltiplicare  gì'  habitanti,  da'  quali  procede  la  grandezza  d'ogni 
Stato,  così  nel  governo  dell'Istria  vi  concorrono  di  quelli  disordini  che  per 
1'  ordinario  cagionano  le  spopolationi  ;  però  è  di  necessità  risolvere  altra 
qualità  di  governo  per  la  sua  sicurezza  intrinsica,  ritrovandosi  il  tutto  in 
estrema  confusione. 

L'  entrate  delle  Communità,  Scuole  e  lochi  simili,  et  li  medesimi  Fon- 
tici,  tanto  necessari  per  quelle  povere  genti,  sono  per  il  più  molto  mal  te- 
nuti, et  governati,  et  quello  eh'  è  peggio  per  conseguir  pene,  si  sono  la- 
sciati per  il  passato  studiosamente  intaccare  ;  et  mentre  li  Rettori  non  po- 
tevano da  quelli  che  hanno  fatti  gl'intacchi  per  la  loro  povertà  conseguirle, 
se  le  facevano  pagare  del  danaro  che  si  ritrovava  nelle  Casse  delli  mede- 
simi Fontici,  et  altri  simili  lochi,  facendone  formar  debitori  quelli  che  ma- 
neggiavano, et  così  buona  parte  di  quei  Capitali,  in  loco  di  essere  effetti- 
vamente saldati,  passavano  in  giro  et  s'  andavano  consumando,  cosistendo 
in  crediti  di  miserabilissime  persone  :  onde  la  concessione  di  pene  permessa 
a'  Rettori  con  ottimo  fine,  perchè  li  maneggi  publici  restassero  saldi,  ca- 
giona effetti  contrarij,  et  queste  qualità  d' intacchi  sono  tanto  invecchiati, 
che  li  debitori  sono  per  la  maggior  .parte  morti,  et  absentati  senza  lasciar 
beni,  in  modo  che  poco  si  può  sperare  per  il  resarcimento  d'essi. 

Le  ragioni  di  Vostra  Serenità  nelli  Datij,  nelle  condanne,  et  altre  utilità 
simili,  sono  evidentemente  pregiudicate. 

Li  feudi,  le  livellationi  de'  beni,  peschiere  et  diverse  altre  ragioni  pu- 
bliche  sono  godute  con  poca  regola. 


—  97  — 

Li  boschi  sono  danneggiati  con  pregiuditio  della  Casa  dell'Arsenale,  et 
anco  quelli  da  legne  da  foco,  per  tagliarsi  legne  bastarde  senza  alcun  riguardo. 

Della  Valle  di  Montona  non  ne  parlo  al  presente  per  esser  sottoposta 
all'  auttorità  dell'  Ecc.80  Consiglio  di  X.ci 

Quantità  de  contrabandi,  che  vengono  da  questa  Città,  et  d'altri  lochi, 
passano  liberamente  nelli  paesi  austriaci,  et  li  datij  publici  per  tal  causa 
restano  anco  grandemente  defraudati  ;  et  essendo  la  giustitia  mal  ammini- 
strata viene  a  seguire,  che  li  poveri  cadono  in  maggior  miserie,  et  sono 
dalli  più  potenti  tiranneggiati  con  usure,  et  diverse  altre  estorsioni,  facen- 
dosi anco  molti  lecito  di  commettere  delitti  gravissimi,  de'  quali  passano 
impuniti:  onde  non  è  maraviglia  se  seguì  l'accidente  in  Muggia,  poiché  è 
stato  sempre  solito  di  quelle  genti  di  sollevarsi,  et  di  commettere  enormis- 
simi  eccessi,  per  li  quali  non  hanno  per  il  passato  ricevuto  castigo  alcuno, 
ma  sicome  molte  volte  occorre  che  un  male  apre  la  strada  ad  un  bene,  è 
avenuto  che  succedendo  molto  facilmente  tumultuationi  nelle  Terre  dell'  Istria, 
pare  che  per  l'esempio  seguito  in  Muggia  si  siano  restati  quei  popoli  posti 
in  obedienza. 

Per  levar  gl'inconvenienti,  et  perchè  la  giustitia  segua  incorrottamente, 
sono  stato  da  molti  principalissimi  Senatori,  che  hanno  esercitato  carichi 
supremi,  fatte  molte  Terminationi  per  quella  Provintia,  che  puntualmente 
provedono  a  tutti  li  disordini  ;  ma  perchè  non  erano  queste  eseguite,  et 
malamente  interpretate,  ho  procurato  la  loro  esecutione  colli  suoi  veri  sensi, 
non  essendo  certamente  necessario  farne  d'  altre. 

10  non  intendo  d'  haver  parlato  indifferentemente,  perchè  molti  sono 
stati  li  Rettori  che  hanno  con  laude  et  merito  esercitato  li  loro  carichi,  et 
esemplarmente  amministrata  la  Giustitia. 

11  Reggimento  di  Capo  d'  Istria  è  stato  degnamente  sostentato  dal- 
l' Ill.mo  Signor  Marco  Valier,  il  quale  per  la  sua  virtù  ottimamente  usata 
nella  retta  giustitia,  non  meno  che  per  la  sua  prudenza,  desteriti,  vigilanza, 
ha  lasciato  di  se  un  sommo  desiderio  negl'  animi  di  quei  sudditi. 

Et  se  bene  suppongo  che  dagl'  IH. mi  Sig.'1  Capitani  di  Raspo,  Senatori 
prudentissimi  et  vigilantissimi  nel  publico  servitio  sia  stato  pienamente  rap- 
presentato all'  EE.  VV.,  quale  sia  il  stato  presente  de'  nuovi  abitanti,  come 
Carica  propria  delle  loro  Signorie  Illustrissime,  tuttavia  per  soddisfare,  anco 
in  questa  parte  al  mio  obligo,  riferirò  qualche  particolare  d'  essi. 

Sono  gli  abitanti  nuovi  di  tre  sorte  :  Vecchi  fatti  nuovi  co  '1  mezo  di 
investiture  de'  terreni.  —  Nuovi  a'  quali  restano  prorogate  le  prerogative 
e  privileggi  con  replicate  investiture  che  ottengono  ;  et  li  Novissimi,  che 
non  hanno  ancora  finito  il  tempo  delle  loro  esentioni. 

7 


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Li  primi,  se  bene  per  leggi  non  restano  esentati  dalle  fattioni  ordinarie, 
s' industriano  nondimeno  sotto  varii  pretesti  di  liberarsene  :  onde  restando 
compartite  le  gravezze  in  minor  numero  di  persone  tra  vecchi  seguono 
inconvenienti  pregiuditiali  a'  publici  et  privati  interessi. 

Li  secondi  facendosi,  in  quella  maniera  che  è  stato  detto,  prorogare  il 
tempo  delle  esentioni,  non  apportano  medesimamente  alcun  sollievo  alli 
poveri  abitanti  vecchi  per  compenso  delli  danni  che  gli  hanno  dati. 

Et  li  Novissimi,  terza  fonte  d'  abitanti  nuovi,  essendo  poverissimi,  et 
miserabilissimi,  sono  per  la  maggior  parte  ladri,  fanno  danni  notabili  alli 
abitanti  vecchi  nelli  loro  animali  et  raccolti,  et  possono  queste  tre  condi- 
tioni  d'  abitanti  essere  anime  in  numero  di  tremille  (3000)  in  circa. 

Li  terreni,  de'  quali  seguono  le  investiture  sono  di  due  sorti,  alcuni 
di  buona  conditione  stati  per  il  passato  coltivati,  quali  per  diversi  accidenti 
che  hanno  incontrato  li  patroni  d'essi  di  povertà,  come  di  mortalità  d'ani- 
mali, danni  ricevuti  al  tempo  della  passata  guerra,  et  altre  miserie  che  in- 
contrano li  poveri,  per  le  quali  cause  li  terreni  restano  per  qualche  tempo 
incoltivati,  et  essendo  per  leggi  terminato  a  fine  di  mantenere  la  provintia 
in  coltura,  che  quando  per  certo  tempo  li  terreni  non  sono  stati  lavorati 
cadano  li  Patroni  dalle  ragioni  che  tengono  sopra  d'  essi,  et  ne  possano 
essere  altri  investiti,  cagiona,  che  molti  si  fanno  lecito  di  farsi  investire  di 
questa  qualità  de'  terreni,  perchè  gli  riesce  molto  facile  il  farli  coltivare,  et 
ne  succede  1'  esterminio  de'  loro  primi  Patroni. 

Altri  terreni  sono  poi  sassosi,  et  spinosi,  de'  quali  seguono  molte  altre 
investiture,  et  sono  quelli  che  l'Eccellenze  Vostre  hanno  avuto  per  fine  di 
far  ridurre  a  coltura  ;  et  perchè  dagl'  Illustrissimi  Signori  Capitani  di  Raspo 
deve  esser  rappresentato  il  stato  presente  cosi  di  questi  come  di  quegl'altri 
che  per  gli  accidenti  sopranomati  ne  sono  li  loro  Patroni  restati  privi,  et 
delli  danni  et  latrocini  continui  che  gli  abitanti  nuovi  fanno  alli  vecchi,  et 
degl'  incomodi  grandi  che  li  medesimi  ricevono,  convenendo  per  le  diffe- 
renze che  passano  tra  loro  et  li  novi,  litigare  a  Pinguente,  et  delle  tante 
spese  fatte  da  Vostra  Serenità  nel  condurre  et  mantenere  quelle  genti,  non 
entrarò  in  più  lunghi  discorsi,  riportandomi  all'  esattissime  informationi  di 
essi  111. mi  SS."  con  quelli  rimedij  che  alla  loro  prudenza  parono  proprij, 
acciò  che  dalla  introduttione  de'  nuovi  abitanti  ne  sortiscano  effetti  conformi 
alle  prudentissime  deliberationi  di  questo  Eccellentissimo  Senato. 

Et  se  con  esemplar  castigo  non  resterà  fermata  la  temerità  de'  Capitani 
che,  tenendo  ordine  di  far  soldati  forestieri,  vengono  a  levar  li  sudditi  di 
quella  povera  et  afflitta  Provintia,  si  renda  certa  Vostra  Serenità,  che  s'an- 
darà  sempre  più  desertando,  perch'  essendo  in  essa  molti  porti  et  lochi  non 


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abitati  per  dove  si  può  sbarcare,  et  incaminarsi  per  vie  non  visitate  alle  Ville, 
in  particolare  degli  abitanti  nuovi,  non  è  possibile,  per  diligenza  che  possa 
venir  usata,  impedire  tali  inconvenienti,  né  io  ho  mancato  di  rappresentarli 
più  volte  a  Vostra  Serenità,  et  mandarle  anco  li  nomi  delli  Capitani,  et 
delli  soldati  da  essi  levati,  avuti  per  mezzo  dell'opera  di  D.  Pietro  Mattiazzo, 
quale  essendo  stato  conosciuto  da  me  colmo  di  divoto  affetto  verso  le  cose 
pubbliche,  1'  ho  adoperato  in  diversi  pubblici  servitij,  et  lo  feci  fermare  a 
Puola  nelli  mesi  dell'  estate  più  pericolosi  quando  la  Città  era  senza  Reg- 
gimento per  la  morte  di  quel  Clarissimo  Rettore  per  impedire  diversi  in- 
convenienti de'  latrocini)  et  d'  altri  danni  che  seguivano  a  pregiuditio  di 
quei  sudditi.  Ha  egli  in  altri  tempi  condotto  genti  dal  Paese  turchesco,  ne 
per  li  servitij  prestati,  né  per  li  viaggi  fatti  ha  avuto  alcun  premio,  né  re- 
facimento,  ma  essendosi  sempre  reso  obediente  senza  riguardo  alcuno  a' 
suoi  proprij  interessi,  m'obbliga  ad  attestare  la  sua  prontezza  et  divotione 
verso  il  publico  servitio. 

Non  porto  alla  notizia  dell'  EE.  VV.  la  grandezza  distintamente  et  nu- 
mero de'  campi  di  tutti  li  territorij  delle  Città  e  Terre  della  Provintia  col- 
tivati ed  inculti,  perchè  al  mio  partire  il  dissegno  che  con  misure  et  per- 
ticationi  si  va  facendo  da  D.  Francesco  Cappi  dovendo  contenere  molti 
particolari,  et  per  essere  opera  lunga  et  difficile  non  è  stato  possibile  che 
resti  fin'  ora  perfettionato,  oltre  che  è  stato  ritardato,  cosi  per  la  morte  di 
D.  Costantino  suo  fratello,  che  ne  teneva  egli  prima  l'ordine,  seguita  nella 
tumultuatione  di  Muggia,  come  per  esser  esso  D.  Francesco  stato  occupato 
in  far  acconciare  in  diversi  lochi,  di  ordine  di  Vostra  Serenità,  le  muraglie 
di  alcune  Terre  della  provintia  resterà  nondimeno  in  pochi  mesi  ridotta  a 
perfettione,  et  sarà  veramente  opera  degna,  fatta  con  ogni  avvertenza,  con 
molta  spesa,  et  fatica  del  medesimo  Ingegnerò,  che  lo  rende  meritevole  di 
esser  riconosciuto  dalla  benigna  grafia  et  munificenza  dell'  EE.  VV.  e  tanto 
maggiormente,  quanto  che  suo  fratello  mentre  s' adoperava  in  pubblico 
servitio,  fu  trucidato. 

Et  sebene  la  conservatione  dell'  Istria,  essendo  provintia  di  tanta  ge- 
losia, et  che  per  tante  importanti  conseguenze  deve  esser  stimata  al  pari 
d'ogni  altra  parte  del  Stato  della  Serenità  Vostra,  tuttavia  nella  sua  sicu- 
rezza estrinseca,  che  consiste  in  fortezze  et  soldatesca,  si  ritrova  in  malis- 
simo stato,  perchè  sebene  la  maggior  parte  delle  Terre  sono  murate,  hanno 
però  bisogno  quelle  muraglie  in  molti  lochi  d'esser  acconciate  et  restaurate, 
né  vi  è  alcuna  Fortezza  che  possa  resistere  al  cannone,  poche  armi,  mal'  in 
ordine,  l'artiglieria  non  è  ben  cavalcata,  né  vi  sono  apprestamenti  necessarii 
per  maneggiarla,  de'  quali    mancamenti  non  ho  tralasciato  di  darne  conto 


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a  Vostra  Serenità,  riducendo  il  tutto  in  quel  miglior  stato  che  fu  possibile, 
et  ho  mandato  gì'  Inventari]'  così  di  quelle  cose  che  sono  in  essere,  come 
di  quelle  che  potessero  far  bisogno. 

Quella  poca  cavalleria  di  Raspo,  che  è  in  numero  de'  soldati  trenta- 
quattro, si  ritrova  in  mal  stato  rispetto  alla  paga  che  è  così  poca,  che  non 
è  possibile  mantener  in  essa  soldati  di  fortuna,  ne  buoni  cavalli.  Bombar- 
dieri sono  se  non  nella  Città  di  Capo  d' Istria  al  numero  di  centosedici, 
comandati  da  un  Capo  di  poca  esperienza.  Li  ho  fatti  armare  di  moschetti 
perchè  s'  esercitino  anco  nel  maneggio  di  quell'  arma.  Ho  raffinate  le  Cer- 
nide,  quali  sono  in  numero  di  3656,  comandate  anch'esse  da  Capitani  poco 
esperimentati.  Le  ho  armate,  ma  non  tutte,  perchè  non  ho  avuto  arme  a 
sufficienza,  come  ne  diedi  conto  ;  sono  però  ridotte  in  buonissimo  stato, 
rispetto  a  quelle  eh'  erano.  —  Sarebbe  di  necessità  che  Vostra  Serenità  si 
compiacesse  far  mandar  altri  500  moschetti  per  finir  d'armarle,  e  raffinarle. 
È  vero  che  nelle  munitioni  di  Capo  d' Istria  ve  ne  sono  500,  mandati  di 
qui  nel  tempo  eh'  io  era  in  provintia,  ma  non  m'  è  parso  bene,  non  ve  ne 
essendo  d' altri,  spogliare  affatto  quelle  munitioni  a'  confini  di  Trieste,  per 
qualche  accidente  improviso  che  potesse  occorrere  per  armar  altre  genti. 
Non  ho  mancato  d' introdurre  buoni  ordini  perchè  siano  disciplinate,  et  se 
li  Capitani  fossero  atti  a  far  il  loro  debito,  riuscirebbe  quella  gente  conve- 
nientemente atta  a  qualche  difesa  del  proprio  Paese. 

Io,  se  bene  per  diversi  accidenti  occupato  nel  negocio  de'  sali,  che  per 
ridurlo  al  fine  abbia  convenuto  travagliar  assai,  et  per  li  continui  sospetti 
di  peste  alli  confini  di  Muggia  et  Capo  d'Istria,  non  abbia  potuto  per  molto 
tempo  allontanarmi  da  quella  Città,  ho  con  tutto  ciò  avuto  sempre  a  cuore 
gì'  interessi  publici  et  privati,  et  operato  quel  più  che  per  me  è  stato  pos- 
sibile per  il  servitio  dell'  Eccellenze  Vostre,  et  mirato  sopra  tutte  le  cose  al 
sollievo  di  quei  sudditi,  et  senza  pensare  a  castighi  ho  procurato  di  tener 
in  ufficio  et  ubbidienza  ogn'uno.  Se  avessi  voluto  co '1  castigo  correggere 
tutti  li  mancamenti  passati,  conveniva  in  gran  parte  seguire  la  spopolatione 
di  quella  provintia.  Ho  perciò  dissimulato  assai.  Mi  sono  astenuto  in  par- 
ticolare di  devenire  contro  gli  absenti  a  sentenze  de'  bandi,  perchè  vanno 
di  subito  gli  banditi  ad  abitare  nelli  paesi  austriaci,  et  si  danno  alle  rapine 
et  al  corso,  che  difficilmente  se  gli  può  impedire,  anziché  ne  ho  liberati 
alcuni  in  conformità  dell'  auttorità  concessami,  et  co  '1  debito  riguardo  al 
decoro  della  Giustitia. 

Per  li  suffraggi  dati  da  me,  sentenze  fatte,  processi  formati,  così  in 
cause  civili,  come  in  cause  criminali,  né  per  qualsivoglia  altra  causa,  non 
ha  alcuno  sentito  minima  spesa,  avendo  io  voluto  che  per  la  povertà  di  quei 


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miserabili  sudditi  sia  fatto  il  tutto  gratis  ;  altrimenti  molti  sarebbero  restati 
per  la  loro  calamità  di  venire  ad  usare  delle  loro  ragioni. 

Ho  posto  ogni  spirito  per  sostentare  la  patronia  assoluta  che  la  Sere- 
nità Vostra  tiene  sopra  il  Golfo,  et  perchè  li  Triestini  navigavano  et  toc- 
cavano li  porti  di  Vostra  Serenità  senza  ricognitione  li  ho  ridotti,  dopo  una 
gagliarda  resistenza  che  hanno  fatto,  a  pagare  il  transito  et  li  datij,  et  hanno 
esborsato  in  più  volte  conveniente  summa  di  danaro.  Ho  fatto  menare  le 
partite  nella  Camera  di  Capodistria  per  manutentione  delle  ragioni  di  Vostra 
Serenità,  et  questa  ricognitione  è  stata  da  me  in  maniera  fermata,  che  il 
Capitanio  di  Pisino  mi  dimandò  con  lettere  licenza  di  poter  far  passare  certo 
suo  formento  per  mare  da  Trieste. 

Et  perchè  nel  porto  di  Orsera  capitano  continuamente  Vasselli  di  Sot- 
tovento, et  di  Trieste,  per  far  passaggio  dove  sono  destinati,  tenendosi  da 
molti  opinione  che  quel  porto  non  sia  di  Vostra  Serenità,  ma  di  ragione 
di  quella  Terra,  1'  ho  fatto  alcune  volte  scorrere  et  che  li  medesimi  Vascelli 
de'  sudditi  di  Sua  Santità  paghino  la  ricognitione,  come  ultimamente  mentre 
ero  in  provintia  seguì  senza  alcuna  resistenza. 

Ho  atteso  medesimamente  a  mantenere  le  ragioni  di  Vostra  Serenità 
celli  confini  usurpati  da  Austriaci  nella  Villa  di  Grimalda  nel  Marchesato 
di  Pietra  pelosa,  giurisdittione  dei  signori  Gravisi  gentil'  huomini  di  Capo- 
distria, né  ho  mancato  a'  suoi  debiti  tempi  di  renderne  ragguagliata  Vostra 
Serenità,  et  è  questo  negocio  degno  del  suo  prudentissimo  riflesso,  perchè 
appare  manifestamente  che  quei  confini  siano  stati  da  Austriaci  per  il  pas- 
sato intaccati  assai.  Ho  fatto  raccogliere  tutte  quelle  scritture  che  si  hanno 
potuto  ritrovare,  et  che  contengono  le  publiche  ragioni.  Le  ho  fatte  riponere 
in  loco  sicuro,  sotto  la  custodia  degl'  Ill.mi  SS.rl  Rettori  di  Capo  d' Istria, 
et  di  doi  Proveditori  sopra  li  confini,  uno  de'  quali  è  il  Dottor  Corelio 
Avvocato  fiscale,  quale  applicandosi  con  ogni  spirito  negl'  interessi  dell'  EE. 
VV.  si  rende  degno  della  loro  gratia. 

Né  mancai  in  conformità  delle  commissioni  della  Serenità  Vostra  di 
far  conoscere  con  destra  maniera  al  Capitanio  di  Pisino,  che  con  ragione 
non  può  l' Imperatore  pretendere  alcuna  annua  ricognitione  sopra  il  Castello 
di  San  Lorenzo,  che  gì'  anni  passati  assai  strepitosamente  ricercava,  et  ho 
impiegato  tutta  la  debolezza  del  mio  spirito  per  levar  l'ombre  et  le  gelosie 
a  quei  confini  per  mantenere  la  tranquillità  et  quiete  tanto  necessaria  agli 

(interessi  di  quella  povera  et  afflitta  provintia,  per  la  preservatione  della  quale, 
et  per  tanti  pubblici  et  privati  rilevanti  rispetti  che  concorrono  in  essa,  et 
per  consolatione  di  quei  sudditi,  non  saprei  col  solito  della  mia  riverenza 
ricordare  altro,  se  non  l'assistenza  ordinaria  d'un  Proveditore  in  essa  con 


—    102    — 

pienissima  auttorità,  facendo  l'esperienza  conoscere,  che  il  fondar  speranze 
sopra  parti  o  Terminationi  riesce  vano,  perchè  sono  queste  in  tanto  numero 
che  abbondantemente  provedono,  come  ho  detto,  a  tutti  gl'inconvenienti; 
ma  li  disordini  sono  seguiti  per  non  vi  essere  ordinariamente  soggetto  nella 
Provintia  che  li  facci  intieramente  esequire. 

La  sopraintendenza  de'  quali  importanti  affari  è  al  presente  appoggiata 
alla  virtù  et  valore  singolare  dell'  Illustrissimo  Signor  Giulio  Contarmi  mio 
successore,  et  Signore  che  assiste  alla  Carica  con  quel  publico  servino,  con 
quella  soddisfattione  et  consolatione  di  quei  sudditi,  eh'  è  nota  all'  EE.  VV. 
mantenendo  la  riputatione  della  Carica  con  quel  splendore  che  è  proprio 
della  grandezza  del  suo  animo. 

Et  per  essere  la  Religione  anco  fondamento  principale  delli  Stati  et 
Governi,  non  devo  tralasciare  di  notificar  qualche  particolare  aH'Ecc.ze  Vo- 
stre dell'  uso  d'essa  in  molti  lochi  della  provincia. 

È  questa  molto  mal  esercitata,  essendovi  Religiosi  che  tengono  cui  a 
d'anime  di  scandalosissimi  costumi  et  pessima  vita. 

Molti  lochi  pij  con  abuso  delle  loro  rendite  vengono  distrutti,  le  Chiese 
profanate,  fatte  stalle,  ridotti  d'animali  brutti.  Questo  succede  perchè  li  Ve- 
scovi non  stanno  nelle  loro  Diocesi,  l'assenza  dei  quali  fa  anco  pregiuditio 
alla  frequenza  degli  abitanti,  che  concorreriano  avanti  di  loro  per  diverse 
cause,  anziché  quello  di  Parenzo  se  ne  sta  in  Orsera,  giurisdittione  Ponti- 
ficia, et  giova  alla  popolazione  di  quella  Terra  con  pregiuditio  grande  della 
stessa  Città  di  Parenzo. 

Mi  resta  solo  rappresentare  alla  Serenità  Vostra  il  mio  riverente  senso 
intorno  l' importanza  del  porto  di  Puola,  del  quale  se  bene  in  mie  lettere 
ne  ho  altre  volte  trattato,  tuttavia  non  devo  per  esecutione  delle  mie  com- 
missioni tralasciar  di  replicarlo. 

È  quel  porto  capacissimo  d'ogni  grande  Armata,  ha  ottimo  sorgitore, 
è  sicurissimo  da  tutti  li  venti.  Nella  bocca  ha  il  fondo  di  passa  25,  e  die- 
tro alle  rive  15.  È  lungo  3  miglia.  Fra  le  due  punte  di  fuori  s'  allarga  1 
et  nel  suo  seno  2.  AH'  ingresso  d'  esso  s'  affacciano  due  scogli.  È  situato 
nella  vista  di  due  seni  di  mare,  et  è  il  primo  passo  di  tutti  li  Vascelli  che 
capitano  nella  Provintia  et  vengono  in  questa  Città.  Ha  una  Fontana  inde- 
ficiente, che  può  servire  per  bisogno  d'acqua  ad  ogni  grand'  Armata.  Ha 
boschi  convicini  per  ogni  quantità  di  legne,  et  è  se  non  discosto  dalla 
<•  parte  di  terra  per  il  spatio  di  desdotto  miglia  da  confini  Austriaci,  per  cam- 
pagna aperta,  piana,  et  commodissima,  et  è  insomma  porto  che  pare  alla 
mia  debolezza  si  convenga  averne  gelosia,  et  particolar  custodia  per  la  po- 
tenza massime  et  unione  delle  due  Case   d'Austria,  perchè    potendo    Spa- 


—  io3  — 

gnuoli  co'l  favore  de'  venti  far  passare  da'  loro  porti  in  pochi  giorni  in 
quelle  rive  le  loro  armate  da  mare,  restando  il  porto  et  la  città  abbando- 
nata, come  al  presente  si  ritrova,  l'occuparlo  gli  riuscirebbe  facilissimo,  et 
co'l  fabbricare  due  forti  o  cavalieri  di  terreno  e  fassine,  opera  di  pochi 
giorni,  possono  facilmente  fortificarsi  in  esso,  et  mantenere  la  loro  armata 
sicura  da  invasione,  la  quale  potendo  essere  dall'  Imperatore  sovenuta  di 
vettovaglie,  et  di  tutte  le  cose  necessarie,  et  ponervi  sopra  per  la  via  di 
terra  delle  genti  assai,  sono  cose  che  quanto  più  si  conoscono  di  non  dif- 
ficile riuscita,  tanto  più  si  rendono  degne  delle  debite  riflessioni. 

Ne  il  dire  che  vi  siano  altri  porti  nell'Istria,  capaci  d'ogni  grossa  Ar- 
mata è  ragione  che  vaglia,  perchè  non  si  abbia  a  custodire  et  guardare  il 
porto  di  Puola,  rispetto  che  negl'  altri  mancanti  di  prerogative  naturali,  le 
armate  non  possono  se  non  porteggiare,  ma  non  fortificarsi,  né  mantenersi 
in  essi. 

Quello  che  poi  finalmente  possa  operare  un'  Armata  d' un  Principe 
grande  in  un  porto  discosto  da  Venetia  se  non  cento  miglia,  dove  vi  è 
acqua  et  legne  in  abbondanza,  nel  quale  si  può  fortificare  et  mantenere 
senza  poter  essere  astretta  a  combattere,  et  che  può  essere  da  altro  Prin- 
cipe grande  confederato  rinforzata  di  gente,  vettovagliata,  et  fornita  d'ogni 
altra  cosa  necessaria,  non  ha  bisogno,  vedendola  la  singoiar  prudenza  del- 
l' Eccellenze  Vostre,  del  mio  debole  discorso. 

Per  prevenire  dunque  quelli  disegni  che  potessero  entrar  in  pensiero 
a'  nemici,  mio  riverente  senso  sarebbe  il  fortificarlo,  perchè  seguito  il  ri- 
medio, caderebbero  le  machine,  et  convenirebbero  col  prezzo  di  sangue  far 
il  tentativo. 

Ho  veduto  li  siti  sopra  quali  si  può  fondare  le  fortificationi.  Uno  è 
lo  scoglio  di  Sant'Andrea  posto  nell'  entrata  del  porto,  dove  sarebbe  ne- 
cessario un  forte  per  poter  co'l  cannone  impedire  l'ingresso  alla  bocca  prin- 
cipale, potendosi  l'altro  ingresso  tra  detto  scoglio,  et  quello  di  Santa  Cana- 
rina serrare  col  fondare  due  Arsili. 

L'  altro  dalla  parte  di  terra  è  un  colle  dentro  la  Città,  dove  antica- 
mente era  il  Castello,  sopra  la  qual  eminenza  è  pure  di  necessità  formare 
un  altro  forte  che  abbia  a  servire  a  difesa  della  città,  et  del  medesimo  porto, 
perchè  occorrendo  che  il  nemico  se  ne  impatronisse  per  la  parte  di  terra, 
stando  detta  eminenza  a  cavalliero  del  porto,  potrebbe  offendere  li  Vascelli 
di  Vostra  Serenità  che  si  ricoverassero  in  esso. 

La  qualità  della  fortificatone,  et  la  quantità  della  spesa  sia  rimessa 
alla  peritia  d' Ingegneri  ;  ma  io  credo  che  per  ponerlo  semplicemente  in  di- 
fesa, non  dovesse  essere  di  tanta  importanza. 


—  104  — 

Con  questa  occasione  si  darebbe  anco  qualche  principio  alla  riabita- 
tione  della  Città,  della  quale  chiaro  appare  dalle  superbissime  fabbriche,  et 
da  altre  grandi  apparenze,  che  dagl'  antichi  ne  sia  stata  fatta  grandissima 
stima.  S'  aggiungerla  la  presenza  d'un  pubblico  Rappresentante  d'auttorità, 
più  necessaria  in  quella  Città,  che  in  ogni  altro  loco  dell'Istria,  al  quale  il 
sottoponere  tanto  li  vecchi  quanto  li  nuovi  abitanti  riuscirebbe  di  grandis- 
simo beneficio,  et  consolatione  a  quei  popoli,  et  il  suo  amplissimo  et  fer- 
tilissimo Territorio  eh'  era  anticamente  di  settantadue  (72)  Ville,  s'  anda- 
rebbe  per  più  rispetti  sempre  maggiormente  popolando  ;  et  se  il  Vescovo 
co'l  suo  clero  vi  facesse  la  residenza,  le  apportarebbe  molto  giovamento, 
oltre  quello  di  più  ch'è  stato  altrevolte  ricordato  ;  saranno  tutti  mezzi  per 
dar  principio  alla  popolazione  della  medesima  citta,  l'aria  della  quale  essendo 
naturalmente  temperata,  et  salubre,  da  altro  non  riceve  la  sua  infettione 
che  dalle  sepolture  di  tante  rovine,  ripiene  di  putrefatti  umori  che  corrom- 
pono l'aria,  pessimo  alimento  di  quei  poveri  abitanti. 

Io  so  che  così  della  presente  materia,  come  dello  stato  di  tutta  la  pro- 
vintia  et  delli  rimedij  proprij  per  il  suo  sollievo  et  preservatione  hanno 
eminentissimi  Senatori  con  fondatissime  informationi  portati  li  loro  senti- 
menti alla  notitia  dell'  EE.  VV.  onde  conosco  d'  haver  toccato  se  non  la 
superficie  di  cosi  gravi  et  importanti  negoci  ;  nondimeno  nudrito  anch'  io 
da  purissimo  zelo  verso  gì'  interessi  della  patria,  ho  voluto  con  questi  de- 
bolissimi discorsi  et  pareri  soddisfare  alle  commissioni  della  Serenità  Vostra 
assicurandomi  che  dall'  infinita  sua  benignità  saranno  graditi  come  parti 
d'ubbidienza  et  iscusando  le  mie  imperfettioni  riceverà  l' infiammatissima 
mia  applicazione  in  riverente  testimonio  di  quelP  ardore  co'l  quale  mi  sono 
impiegato  nel  suo  servitio. 

(Secreta  -  Relazioni.  —  Filza  segnata  Istria-Proveditori). 


Relazione  del  Provveditor  in  Istria  ser  Giulio  Contarini. 
6  Febbraio  1626. 

Serenissimo  Principe 

La  relazione  di  me  Giulio  Contarini,  la  qual  con  ogni  possibile  brevità 
io  faccio  per  il  mio  ritorno  dalla  carica  di  Provveditor  in  Istria  non  con- 


—  io5  — 

tenirà  descrition  della  Provincia,  o  suoi  confini  e  grandezza,  non  il  numero 
degli  abitanti,  nò  meno  la  importanza  con  quale  sta  unita  a  questo  dominio 
particolarmente  per  la  navigazione,  perchè  queste  cose  sono  benissimo  note 
alla  Serenità  Vostra  ;  la  quale  e  dall'  Eccellentissimo  Basadonna  e  da  altri 
signori  che  precedentemente  hanno  esercitata  la  carica  di  Provveditore,  ne 
può  haver  havuta  già  piena  contezza  presso  a  quel  resto  che  è  parto  della 
sua  singolarissima  prudenza.  Vi  saran  dunque  descritti  solo  quei  disordini 
che  ho  possuti  osservare  e  quei  rimedii  che  per  mio  debol  senso  stimo  poter 
esser  opportuni  per  regolarli. 

Il  negotio  de'  sali  è  importantissimo  di  tutti  gli  altri,  che  oggidì  dalla 
provintia  d' Istria  deono  esser  portati  alla  information  dell'Eccellenze  Vostre, 
acciochè  colla  lor  virtù  possano  aggiongervi  esse  quella  regola  che  sia  pari 
e  propria  al  bisogno. 

I  sali  per  quanto  si  vede  vanno  giornalmente  crescendo,  quali  ora  si 
ritrovano  in  numero  di  trentanove  millia  moggia  fra  Capo  d' Istria  e  Muggia 
et  poco  meno  d'altri  tanti  in  Pirano,  n'  è  possibile  sperar  mai  con  il  partito 
di  darne  via  tanta  quantità,  perchè  volesse  Dio  che  non  se  ne  facesse  più 
ogn'anno  di  quello  che  si  smaltisse  per  il  parcido.  E  siamo  ridotti  in  stato 
di  far  grossa  spesa  di  Magazzeni,  de'  quali  non  se  ne  trovano  neanco  più 
da  potervi  metter  il  sale,  onde  è  necessario  o  far  provvigione  de  Magazzeni, 
o  gettarli  in  aqua  con  perdita  del  costo  d'essi,  et  si  fanno  al  presente  molta 
quantità  de'  sali  di  quello  si  faceva  prima.  La  causa  onde  questo  succede, 
è  che  sendo  le  genti  sicure  d'  haver  per  tutti  quei  sali  che  raccolgono  lire 
diecinove  il  moggio  dalla  Serenità  Vostra,  la  quale  senz'  alcuna  difficoltà  li 
riceve  sempre  ;  non  solo  procurano  di  raccoglier  il  sale  che  già  si  faceva 
posso  dire,  quasi  naturalmente,  ma  con  ogni  artificio  s' ingegnano  di  au- 
mentar il  modo  per  haverne  maggior  quantità,  che  perciò  al  presente  si 
sono  posti  e  ogni  giorno  si  mettono  in  uso  di  far  sale,  infinità  di  cavedini  ; 
cioè  luochi  di  salina,  li  quali  vanno  bonificando  e  tirando  a  coltura  nelle 
Marezane  ;  né  in  questo  può  credersi  che  sian  per  tralasciar  mai  qualunque 
immaginabil  diligenza  ;  poiché  essendo  questa  entrata  del  sale  stimata  hog- 
gidì  pretiosissima  di  tutti  gli  altri  beni  nell'  Istria,  rispetto  alla  certezza  di 
venderli  a  Vostra  Serenità  a  lire  diecinove  il  moggio,  sono  i  Cavedini  che 
già  si  vendevano  ducati  vinticinque  l'uno,  saliti  a  prezzo  di  sino  sessantasei. 
I.a  seconda  causa  onde  questi  sali  cresceranno  ogni  giorno  ad  eccessiva 
quantità  con  impiego  del  molto  danaro  che  convengon  sborsar  1'  Eccellenze 
Vostre  a  quelli  che  ad  esse  li  vendono  oltre  al  dubbio  dannoso  che  sovrasta 
come  ho  predetto,  procede  dal  non  se  ne  smaltir  tanti  quanti  se  ne  rac- 
colgono del  continuo  come  appunto  dimostra  e  dovrà  dimostrare  l'esperienza 


—  io6  — 

del  partitante  di  Capo  d' Istria  il  quale  non  si  può  presumer  certo,  che  sia 
per  dar  via  del  continuo  quella  quantità  eh'  à  promesso,  perciochè  sebben 
pare  che  1'  anno  passato  n'  habbia  levati  8000  moggia,  tuttavia  riguardan- 
dosi bene,  questa  quantità  non  è  stata  in  un  anno  solo  ma  in  diecisette 
mesi,  che  tanti  appunto  entrano  da  maggio  1625  a  ottobre  1626,  il  qual 
tempo  si  può  però  chiamar  a  computar  di  doi  anni,  quanto  che  cora'  è  noto 
durando  da  principii  di  Maggio  sin  a  Ottobre,  la  stagion  che  fa  smaltir  il 
sale  di  quasi  tutto  l'anno  nei  diecisette  mesi  predetti  in  quali  il  Partitante 
ne  ha  levati  8000  moggia  vi  è  due  volte  entrata  la  stagione  da  maggio  a 
ottobre. 

Deve  essere  però  certa  Vostra  Serenità  di  rimaner  sempre  in  avanzo 
maggiore  de'  sali  con  infruttuoso  impiego  del  danaro  che  spende  nella  com- 
preda di  essi,  e  non  con  speranza  d'  utile,  ma  di  dover  anzi  pagar  affitto 
di  magazzeni  per  serbarli  come  ho  detto,  ovvero  gettarli  in  mare  proce- 
dendo questo  dalla  quantità,  che  se  ne  raccoglie  e  raccoglierà  sempre  mag- 
giore e  dal  poco  smaltimento  che  ne  segue  e  dovrà  seguire. 

L'ovviar  che  seguan  contrabandi  è  qualche  rimedio  in  questo  proposito, 
quanto  al  doversene  smaltir  maggior  quantità  di  ragion  publica,  perchè  se 
le  genti  non  ne  possono  haver  d'  altra  sorte,  convengono  tuor  il  sale  dal 
Partitante  di  quello  di  Vostra  Serenità.  E  per  questo  posi  io  ogni  studio, 
sollecitando  gli  Albanesi  con  libertà  anco  di  offender  nella  vita  chi  faccia 
resistenza  e  con  dar  loro  di  libero  bottino  le  cose  che  sono  de  contraban- 
dieri  ed  anco  il  sale,  cioè  il  prezzo  d'esso  di  Lire  trentasie  il  moggio,  che 
tanto  dev'esser  loro  pagato  nella  consegna,  quale  devon  farne  al  Partitante 
per  il  suo  accordo,  quando  lo  trovano  di  contrabando.  Che  per  ciò  guidati 
essi  dalla  speranza  dell'  utile,  hanno  fermati  diversi  contrabandi,  come  da 
mie  lettere  haveranno  havuto  già  riverente  ragguaglio  1'  Eccell.e  Vostre.  La 
medesima  buona  opra  se  ne  deve  anco  sperar  nell'avvenire,  valendo  di  gran- 
d' invito  e  sprone  a  soldati  la  speranza  del  bottino  o  sia  del  guadagno.  Ma 
non  è  già  che  per  queste  diligenze  si  possa  credere  di  dar  via  la  quantità 
sì  grande  di  sale  che  ora  si  trova  in  essere  e  che  giornalmente  cresce  in 
avanzo  alla  Serenità  Vostra,  o  che  totalmente  s' impedisca  o  vieti  il  far  con- 
trabandi ;  perochè  quanto  ai  contrabandi  se,  o  non  si  spianta  affatto  Pirano, 
o  faccia  si  che  in  quella  terra  non  vi  sia  pure  un  granello  di  sale,  mai  si 
leverà  via  l' introduzion  dei  contrabandi,  nei  quali  i  Pirinesi  han  fatto  l' habito 
de  sorte  che  piuttosto  che  spogliarlo  si  contentan  perder  la  vita. 

La  principal  causa  però,  onde  i  sali  di  ragion  publica  si  smaltiscono 
in  sì  poca  quantità,  mi  si  creda  dall'  Eccellenze  Vostre  esser  e  continuare 
dal  solo  eccessivo  prezzo  di  L.  72  il  moggio  in  che  sono  al  presente.  Con- 


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ciosiachè  nel  sale  come  nell'altre  cose  tutte,  gli  huomini  per  ordinario  met- 
tono in  uso  e  consumano  non  la  quantità  della  roba,  ma  la  quantità  del 
denaro  che  spendono  o  posson  spendere  facendo  nel  rimanente  di  necessità 
virtù  e  accomodando  1'  adempimento  del  loro  bisogno  alla  possibilità  della 
borsa.  Voglio  dire  che  come  per  il  passato,  quando  il  sale  valea  molto 
manco,  ne  haveva  molto  con  un  ducato,  consumavan  quel  molto  dandone 
largamente  alli  lor  animali,  perchè  non  gli  costava  più,  così  anco  adesso 
spendono  quel  Ducato,  e  se  ne  hanno  poco,  il  danno  è  degli  animali  che 
poco  ne  godono,  perchè  le  genti  non  voglion  ecceder  nel  spender,  la  pos- 
sibilità delle  lor  borse.  Ed  in  questo  modo  non  si  potendo  sperar  che  le 
genti  voglian  comprar  maggior  quantità  de  sali  ;  Vostra  Serenità  non  può 
nemeno  credere  di  smaltir  maggior  quantità  de  suoi,  o  di  cavar  nella  ven- 
dita più  somma  di  danaro,  di  che  faceva  quando  valean  meno  ;  dove  all'  in- 
contro sente  certamente  il  danno  molto  grande  del  pagarli  lire  diecinove  il 
moggio  a  chi  li  raccoglie,  prezzo  molto  maggiore  di  eh'  era  per  innanzi. 

Questo  crescimento  di  prezzo  nel  venderli  causa  anco  la  pertinacia  nel 
far  contrabandi  perchè  i  contrabandieri  sperando  di  vender  bene  i  sali  av- 
venturano la  vita,  né  si  curano  dei  pericoli.  La  dove  se  tanto  non  vales- 
sero, né  costoro  prezzariano  un  sì  periglioso  traffico,  né  le  genti  si  cura- 
riano  di  comperar  sali  da  contrabandieri,  ma  tuorebbon  di  quelli  di  Vostra 
Serenità  quando  il  prezzo  fusse  minore  e  così  anco  per  questo  maggior 
quantità  di  sali  si  smaltirebbe. 

Per  rimedio  a  questo  disordine  due  cose  però  raccordo,  le  quali  stimo 
poter  giovare  sì  per  smaltirsi  più  sali,  come  per  dar  occasione  che  più  tanti 
non  se  ne  raccolgano. 

La  prima  quanto  al  darsi  via  maggior  sali  è  che  il  prezzo  d'  essi  si 
sminuisca,  perchè  così  le  genti  si  condurranno  a  comprarne  e  consumarne 
maggior  quantità  e  quasi  il  doppio  di  che  fanno  al  presente  ;  Vostra  Se- 
renità per  conseguenza  sminuendo  il  prezzo  nel  venderli  scemerà  anco  per 
porzione  il  pagamento  a  chi  raccoglie  i  sali,  farà  minor  sborso  di  danaro 
e  non  ne  terrà  impegnata  tanta  somma,  come  ora  fa  con  poco  frutto,  i 
contrabandieri,  calando  il  prezzo  de  sali  ed  anco  i  guadagni  loro,  non  sa- 
ranno cosi  precipitosamente  guidati  a  condurne  di  furto  come  fanno,  come 
ne  anco  le  genti  saranno  allettate  di  tuorne  da  essi,  quando  ne  possano 
haver  a  mezzano  prezzo  di  ragion  publica. 

Questo  tutto  potrà  succedere  col  calarne  il  prezzo,  ma  quello  che  poi 
molto  importa,  calandosi  poi  anco  il  pagamento  dei  sali  a  chi  li  raccoglie 
cesserà  nei  popoli  la  tanta  cura  e  diligenza  che  impiegano,  sì  nell'  ajutar 
con  arte  e  spesa  i  cavedini  già  fatti,  come  nel  ridurne  e  perfezionarne  altri 


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da  nuovo  nelle  Marezane,  come  giornalmente  segue  :  perchè  col  mancar 
la  certezza  dell'  utile,  o  col  ridursi  a  poco,  mancarà  di  ragione  anco  la 
tanta  inclinatione  delle  persone  in  questo  impiego  e  sminuirà  insieme  di 
necessità  la  tanta  somma  di  sale  che  si  raccolgono.  L'altra  delle  due  cose 
ch'ho  dette,  quanto  al  sminuirsi  il  raccolto  de  sali,  e  che  si  come  è  di  ra- 
gion il  mantenere  a  popoli  le  concession  dei  luochi,  ed  il  possesso  di  quello 
che  giustamente  godono,  così  è  anco  ragionevole,  che  i  popoli  non  levino 
al  principe  quello  che  è  suo  proprio  ed  a  se  stessi  1'  arroghino  ingiusta- 
mente. Ordini  Vostra  Serenità  che  tutti  quei  che  posseggono  Cavedini  di 
salina,  portino  le  concession  o  investite  loro  e  si  contermin  quelle  tutte, 
che  sian  giuste  e  reali.  A  quelli  poi  che  non  porteranno  investite  o  con- 
cessioni, che  dimostrin  la  loro  giusta  padronia,  sia  levato  e  prohibito  im- 
mediate 1'  uso  della  salina  e  torni  il  tutto  in  Marezana,  com'  era  innanzi 
con  legge  anco  espressa  che  de  cetero  nessuno  possa  appropriarsi  le  mare- 
zane,  le  quali  sono  altrettanto  senza  dubbio  di  ragion  del  Principe,  quanto 
che  sendo  del  Principe  tutte  l'aque,  sue  sono  pur  anco  quelle  terre  che 
nelle  acque  sorgono  o  si  muniscono,  come  sono  le  marezane.  Così  senza 
farsi  ingiuria  a  nessuno,  ma  solo  esercitandosi  il  dover  e  la  ragione  si  le- 
verà 1'  uso  d' infinità  de  Cavedini,  e  il  modo  di  farne  degli  altri,  et  li  sali 
scemeranno  di  quantità,  come  si  dee  desiderare  per  publico  beneficio. 

Insomma  cred'  io,  che  con  queste  provvigioni  causandosi  maggior  riu- 
scita de  sali  e  minor  raccolto,  si  leverà  per  certo  1'  occasione  che  più  ne 
avanzino  sempre  tanti  all'Ecc.e  Vostre,  con  mancamento  di  luoco  per  ser- 
barli e  con  infruttuoso  impiego  del  danaro. 

Né  questo  è  mio  spirto,  ma  deliberation  di  cotesto  Eccellentissimo 
Senato,  il  quale  diede  in  commissione  all'Illustrissimo  signor  Francesco  Va- 
lier  che  andò  in  Istria  come  Provveditor  al  Sai  di  dover  far  disfar  tutti  i 
Cavedini,  eh'  erano  stati  fatti  già  venticinque  anni. 

Quanto  agli  habitanti  nuovi  della  provincia  segue  un  importantissimo 
disordine  perchè  dove  il  Principe  per  habitarla  concede  a  chi  ne  vien  da 
nuovo  terreni  ed  altre  commodità  con  esenzion  di  vinti  anni  da  gravezze 
e  da  fettoni,  sperando  poi  che  passato  questo  tempo  gli  huomini  habbiano 
a  rendergli  il  beneficio  delle  facioni  e  impositioni  in  comune  con  gli  altri 
Istriani,  non  ne  succede  questo  altramente  ma  vien  defraudato  nella  sua 
credenza  dall'abuso  che  sempre  continua.  Il  quale  è  che  i  figliuoli  di  quelli 
^che  già  venuti  come  habitanti  nuovi  hanno  goduto  il  privilegio  dell'esen- 
zione e  dei  beneficii  per  sottrarsi  dal  sentire  coli'  eredità  delle  possessioni 
godute  dai  padri  loro,  il  peso  delle  fationi  e  gravezze,  a  che  son  sottoposti 
per  giustitia  e  dovere,  si  appresentano  e  come  che   lusserò  habitatori    ve- 


—  109  — 

nuti  da  nuovo  si  fanno  investir  di  terreno  e  godono  le  immunità  che  a 
loro  non  si  convengono.  E  così  di  mano  in  mano  succedendo  Vostra  Se- 
renità non  ha  mai  altri  habitatori  che  quei  medesimi,  né  da  essi  può  sperar 
mai  beneficio  alcuno,  perchè  coli'  artificio  abusano  la  legge  ne  v'  è  posta 
avvertenza. 

Per  rimedio  raccordo  esser  forse  bene  prohibirsi  de  cetero  il  far  simil 
investite  ai  figliuoli  o  nepoti  dei  già  fatti  habitatori  della  Provincia,  i  quali 
benché  manchi  loro  questa  comodità,  saranno  nientedimeno  fermi  di  stanza 
come  quelli  che  non  vorranno  lasciar  le  possessioni  lavorate  dai  padri  e 
parenti  loro,  nò  la  Provintia  fatta  lor  patria,  ma  rimanendovi  resteranno 
anco  col  peso  delle  gravezze  e  fationi,  come  gli  altri  Istriani  a  quali  par 
molto  strano  vedere  la  disparità  dalla  lor  conditione  a  quella  di  costoro, 
sendo  che  loro  per  heredità  son  sempre  sottoposti  alle  gravezze  e  fationi 
ed  i  nuovi  habitanti  vanno  sempre  hereditando  il  benefitio  dell'  esentione 
mediante  la  fraude  sopradetta  delle  nuove  investite. 

È  concetto  che  in  quella  Provincia  sia  per  natura  cattivo  (sic)  aria  e  che 
da  questo  sia  proceduto  principalmente  la  dishabitatione  di  molti  luochi, 
ma  questo  non  è  poi  così,  poiché  la  verità  è  che  anzi  per  la  dishabitation 
delle  terre  e  mancanza  di  fuochi  1'  aria  divenuto  cattivo  (sic)  si  fa  sempre 
peggiore.  La  dishabitation  però  delle  terre  da  molte  cause  é  proceduta  ;  la 
prima  è  che  il  qualche  traffico,  quale  in  altri  tempi  vi  si  faceva  s'è  andato 
poi  nihilando  ed  al  presente  ò  totalmente  distrutto  e  gli  huomini  a  poco 
a  poco  si  sono  andati  partendo,  sendo  vero  che  quando  manca  l'occasion 
del  guadagno,  mancan  gli  habitatori,  i  quali  dov'  è  il  bene  e  l'utile  e  dove 
il  lor  commodo  li  chiama  si  conducono  ;  la  seconda  ò  stata  l' introdutione 
non  avvertita  nei  principii,  la  qual  presero  le  genti  di  partirsi  dalle  terre 
principali  per  andar  a  star  nelle  ville  più  vicine  e  più  commode  al  godi- 
mento e  lavoro  dei  terreni,  lontane  anco  dalla  vista  e  fastidio  che  rendon 
le  genti  delle  Galee,  né  cosi  vicine  e  presenti  all'  Imperio  ed  autorità  de 
Reggimenti.  Allettamento  che  tirata  dopo  il  principio  la  continuatione, 
ha  rese  col  tempo  dishabitate  molte  terre  e  riempite  molte  ville.  Imper- 
ciocché Pola  rimasta  cadavero  di  città,  ha  ingrossato  la  terra  di  Dignano 
e  quella  di  Gallisano,  che  prima  erano  sue  ville,  Parenzo  in  molte  ville 
ha  i  suoi  già  cittadini  così  che  è  rimasta  vacua  di  gente.  Lo  stesso  è  suc- 
cesso ad  Umago  E  con  la  dishabitation  di  Cittanova  si  é  riempito  Verte- 
nigo  e  Torre  sue  ville.  Per  la  qual  dishabitatione  mancati  i  fuochi  che  pur- 
gavan  l' aria,  cadute  le  case  e  riempiutesi  d' immonditie,  come  anco  le 
strade,  si  mantien  per  il  fettore  l'aria  sempre  impuro  e  malsano. 

Questo  male  però  non  succede  in   Capo  d'Istria,    Pirano  e  Rovigno, 


—  no  — 

liei  quali  luochi  continua  l'aria  buono,  per  questo  che  le  genti  vi  habitano 
perchè  non  havendo  sotto  d'esse  ville  con  habitatione,  escono  la  mattina 
le  persone  a  lavorare  e  la  sera  tornati  dentro,  che  in  Capo  d'Istria  tal  sera 
ho  vedute  numerare  sin  1500  persone  che  entravano  di  ritorno  dal  lavo- 
riero  ;  E  così  col  fuoco  che  convengon  fare  massime  nel  verno,  e  colle 
case  e  strade  tenute  in  piedi  e  nette  dalle  immonditie,  V  aria  si  mantien 
buona  e  salubre.  Io  nella  visita  della  Provincia  a  ciò,  in  quanto  sia  pos- 
sibile il  provvedimento  non  manchi,  ho  fatto  escavar  alcuni  stagni  a  Pa- 
renzo  e  Umago  i  quali  per  l'aqua  corrotta  rendeano  gravezza  all'aria,  e  ho 
dato  ordine  a  ciò  le  immonditie  sieno  sgombrate  da  tutte  le  terre  e  le 
strade  fatte  nette  ed  accomodate,  havendo  per  ciò,  dove  non  v'erano  fatti 
crear  sindici  e  data  loro  commissione  di  far  operare  ed  autorità  di  formar 
anco  processo  contro  gl'innobedienti. 

La  terza  causa  dell'  inhabitatione  delle  terre  viene  dall'  esservi  quasi 
affatto  chiusa  la  porta  della  religione  e  della  giustitia,  rispetti  che  più  degli 
altri  mirano,  o  colla  diligenza  alla  conservazione,  o  colla  negligenza  alla 
desolation  de'  luochi. 

Io  nella  visita  c'ho  fatta  ho  vedute  le  terre  e  città  vacue  de  Vescovi 
e  senza  Rettori,  i  quali  bastando  loro  i  salarii  ed  altri  emolumenti  poco  vi 
risiedono  e  così  la  giustitia  non  ha  il  suo  dovere,  ovvero  che  standovi  anco 
guidati  dalla  dolcezza  dell'  utile,  invigilano  solo  a  cavar  danari,  invehendo 
unitamente  co'  Cancellieri  loro  nella  miseria  dei  sudditi,  senza  carità  o 
pietà  alcuna.  Hor  perchè  Vostra  Serenità  conoscendo  quanto  sia  pernicioso 
l'esser  le  città  e  terre  marittime  vuote  d'habitatori  e  di  difesa,  rispetto  che 
possono  esser  facilmente  occupate  e  Pola  in  particolare,  la  quale  per  il 
Porto  tiene  importante  unione  colla  conservatione  della  provintia  e  col  ser- 
vigio publico,  conoscendo  questo  dico  Vostra  Serenità,  mira  e  non  trala- 
scia qualunque  provvigione  per  renderle  habitate.  Anderò  raccordando  io 
quello  che  potria  valer  per  rimediar  ai  disordini  che  forse  aggiungono  im- 
pedimento a  così  buono  ed  util  fine. 

Del  far  che  i  Vescovi  stian  alla  residenza  dipendendo  in  gran  parte 
dalla  presenza  del  Prelato,  e  dall'esercitio  delle  funzioni  spirituali  e  cura 
dell'anime,  la  union  de  popoli,  perchè  son  cose  che  non  solo  mantengono 
stabili  gli  habitatori,  ma  invitano  anco  altri  di  venire  ad  habitare  ;  io  non 
dirò  altro  solo  che  se  fosse  posto  qualche  impedimento  sopra  il  riscuotere 
l'entrate  i  vescovi  si  risolverian  di  necessità  a  star  alle  loro  chiese  ;  né  in 
questo  saria  occasion  di  querele,  già  che  se  sono  Vescovi  ed  hanno  1'  utile, 
deono  anco  sentir  il  peso  della  cura. 

Quanto  poi  ai  Rettori,  dirò  per  prima  che  per  far  che  vi  stiano,  gio- 


—  in  — 

vera  l'autorità  del  maggior  Consiglio,  terminando  che  cadauno  nel  ritorno 
dal  Reggimento  non  possa  andar  a  Capello  senza  fede  d'haver  fatta  la  re- 
sidenza tutto  il  tempo  del  Reggimento,  la  qual  fede  sia  fatta  dal  Reggi- 
mento di  Capo  d' Istria  mediante  1'  attestazione  di  tal  residenza,  che  con 
giuramento  dovranno  fare  pur  in  Capo  d'Istria  i  Sindici  di  cadauna  terra  : 
senza  la  qual  attestatione  dei  Sindici  non  possano  haver  ne  meno  il  salario 
loro.  E  se  i  Sindici  faranno  queste  attestationi  falsamente  siano  et  s'inten- 
dan  privi  in  perpetuo,  non  solo  d'  esercitar  ufficii  ma  dei  consegli  anco 
delle  terre  di  dove  sono. 

E  circa  ai  disordini  ed  inconvenienti  che  seguono  nei  Reggimenti  a 
pregiuditio  principalmente  dei  sudditi  e  della  giustitia,  gli  anderò  raccon- 
tando d'uno  in  uno,  insieme  col  rimedio  che  può  esser  opportuno. 

Sono  per  le  terre  d' Istria  molti  debitori  di  comunità,  di  fonteghi,  di 
scuole  e  d'altro  che  sono  caduti  in  pena  o  vanno  cadendo.  Da  questi  tutti 
i  Podestà  un  dopo  l' altro  si  fan  lecito  contro  le  leggi  scuoder  la  pena 
senza  il  capitale,  bastando  loro  di  ricever  quell'utile  che  può  spettargli  niente 
curandosi  nel  resto  che  il  danaro  del  capitale  sia  contato  o  nò  ;  come  che 
anco  il  debitore  con  sicurezza  di  non  esser  astretto  mai  ad  altro,  che  del 
pagar  la  pena  a  cadaun  Reggimento,  la  paga  volentieri  e  si  conferma  in 
risolutione  di  mai  soddisfar  il  capitale.  E  così  non  riscuotendosi  il  denaro 
i  bisogni  nelle  terre  non  posson  haver  i  loro  effetti,  e  i  popoli  ne  sentono 
notabilissimo  danno. 

Per  rimediar  a  questo  abuso  importante,  stimo  esser  a  proposito  il 
terminare  che  al  fine  del  Reggimento  di  cadaun  luoco  d' Istria  si  debba 
in  Capo  d'Istria  formar  immediate  e  con  diligenza  processo  per  inquisi- 
tione  e  trovando  debitori  delle  ragion  sudette  o  altre  si  debba  astringerli 
subito  al  pagamento  del  capitale  con  la  pena  la  quale  debba  essere  dei 
Consiglieri,  perchè  così  seguendo  nell'avvenire  vedendo  i  debitori  non  gio- 
var più  loro  l'accomodamento  che  facessero  col  Rettore,  cioè  il  pagarli  la 
pena,  ma  esser  sottoposti  poi  nel  fine  del  Reggimento  a  pagar  il  capitale 
con  nuova  pena,  dismetteranno  per  lor  medesimi  questo  abuso,  che  non 
al  dar  loro  comodità  ma  mirerebbe  al  mandarli  in  total  esterminio  e  più 
tosto  si  risolveranno  di  pagar  il  debito  con  commodo  e  beneficio  univer- 
sale delle  terre  e  dei  popoli.  Nei  quali  processi  trovandosi  che  i  Rettori 
habbian  scosse  di  simil  pene  senza  il  capitale,  debba  il  Regimento  di  Capo 
d' Istria  fargliele  restituir  in  Camera,  dandone  conto  alla  Serenità  Vostra. 

Scuodono  poi  i  Rettori  le  condanne  dai  rei  per  le  sentenze  che  fanno 
o  non  le  danno  alle  Communità  o  mettono  in  publico,  ma  le  convertono 
in  proprio    uso  con    danno  del   Principe  o  delle    Comunità  e  per    conse- 


—    112   — 

guenza  dei  popoli,  i  quali  quando  non  vi  è  danaro  in  comune  restan  privi 
de'  varii  beneficii  che  mirano  al  lor  sollievo  e  conservatone. 

Per  vietar  questo  abuso  sarà  forse  bene  1'  ordinare  che  ogni  Rettore 
finito  il  reggimento  debba  andar  in  Capo  d'Istria  a  far  i  suoi  conti,  con 
intervento  anco  ed  assistenza  dei  sindici  come  di  sopra  facendo  constar  di 
non  haver  tenuta  alcuna  condanna  per  se,  ma  contato  il  tutto  come  con- 
viensi  sotto  pena  di  privation  come  di  sopra  alli  sindici  se  si  troverà  che 
habbiano  attestato  diversamente  dal  vero  in  questo  proposito. 

Succede  anco  che  i  Rettori  per  haver  danari  se  ne  fanno  dar  dalle 
Comunità  sotto  pretesto  d'acconciar  i  palazzi  e  poi  nei  bisogni  d'essi  non 
spendendo  un  quattrino,  ma  tutto  convertendo  in  lor  medesimi  se  ne  causa 
che  sempre  rimanendo  ed  accrescendo  i  mancamenti  e  difetti  nei  stessi  pa- 
lazzi e  le  necessità  di  concieri,  infine  le  Communità  convengono  per  ripa- 
rar al  total  precipitio  de  Palazzi,  spender  di  molto  oltre  quello  che  per  lo 
innanzi  han  dato  per  questo  in  mano  dei  Rettori  ;  il  che  riede  pure  a  pre- 
giudicio  dei  popoli. 

Per  rimedio  sarà  proprio  1'  ordinarsi  che  nell'avvenire  non  si  possa  più 
dar  ai  Rettori  denari  per  far  concieri  di  palazzi,  ma  debbano  far  la  spesa 
le  medesime  Comunità  mediante  i  loro  Deputati. 

E  perchè  i  Rettori,  presso  a  che  proibisce  la  parte  Basadonna,  circa 
il  poter  essi  cavar  danari  di  condanne,  di  concieri  e  d'altre  cose,  come  in 
essa  parte,  temono  sempre  di  nuovo  rigore  in  simil  proposito,  si  lasciano 
però  intendere  che  nell'avvenire  non  condanneranno  più  alcuno  in  denari 
ma  in  Galea  quei  che  saran  poveri  e  con  gli  altri  daranno  opra  al  far  dei 
Comodini.  Disordine  e  voce  già  notissimo  per  tutta  Istria  e  posto  assai  in 
uso,  il  quale  è  della  seguente  maniera. 

O  prima  o  dopo  presentato  che  sia  un  reo  per  qualche  caso,  si  tratta 
col  Rettore  e  pattuisce  in  un  tanto  con  questo  che  nella  speditione  o  me- 
diante le  difese  aiutate  dalla  forza  dell'accordo  seguito,  o  stante  la  costanza 
ai  tormenti,  che  non  se  gli  danno  ma  solo  si  mostrano,  sarà  o  assoluto  o 
spedito  prò  nunc,  o  lievemente  condannato,  benché  per  il  delitto  meritasse 
molta  pena. 

Questo  inconveniente  mira  però  non  solo  a  pregiudicio  della  giustitia 
ma  a  desolation  de  sudditi  perchè  le  genti  risolute  di  far  qualche  male  o 
offesa  ad  altri  e  sapendo  di  poter  col  danaro  liberarsi,  preparando  prima 
il  danaro,  non  è  cosa  della  quale  si  astengano  né  in  questo  riguardan  punto 
la  rovina  che  se  ne  causa  nelle  lor  fortune,  convenendo  spendere  assai  ed 
i  offesi  pure  sapendo,  o  credendo  che  in  ogni  modo  il  reo  sarà  accomo- 
dato, convengono  anch'essi  contentarsi  d'ogni  cosa,  piangendo  la  condition 


—  ii3  — 

miserabile  in  che  si  trova  la  giustitia  in  quella  Provincia.  Né  per  rimediar 
a  si  fatto  disordine  giova  dir  che  1'  appellation  in  Capo  d' Istria  vaglia  di 
freno,  perchè  il  Reo  non  si  dovrà  mai  appellare  di  che  egli  medesimo  ha 
accordato  e  1'  offeso  che  sarà  già  rimasto  contento  d'  ogni  poco  come  ho 
predetto,  né  meno  si  appellerà,  oltre  che  anco  per  il  più  le  meschine  genti 
non  hanno  comodità  di  far  spesa  per  andar  in  appellatione. 

Per  riparar  dunque  a  questo  brutto  disordine  potria  esser  proprio  l'or- 
dinarsi che  i  Rettori  nell'avvenire  mandino  sempre  di  mese  in  mese  tutte 
le  sentenze  che  fanno,  in  Capo  d'Istria,  il  quale  per  inquisitione  sopra  qual 
si  voglia  caso  potendo  procedere,  possa  se  stimerà  esser  cosi  dovere,  col 
tagliar  qualunque  sententia,  chiamar  anco  i  rei  a  presentarsi  per  esser  spe- 
diti pur  da  esso  Reggimento,  come  vorrà  la  giustitia,  non  più  dal  Rettore, 
dove  havran  fatti  i  mali.  Che  così  vedendo  i  rei  che  la  sentenza  del  Ret- 
tore non  impone  silentio  nei  casi  ma  che  rimangon  sottoposti  all'inquisi- 
tion,  presentation,  prigionia  ed  al  castigo  in  Capo  d'Istria  non  si  cureranno 
più  di  accomodarsi  con  sborso  di  danaro,  e  col  cessare  questa  cattiva  in- 
trodutione  ognuno  guarderà  meglio  a  casi  suoi  nel  commettere  mali,  ces- 
seranno anco  i  dispendii  delle  genti  non  servendo  più  l'accordo  al  liberarli, 
e  le  lamentationi  degli  offesi  non  saranno  sì  grandi  con  sì  mal' e  pessimo 
esempio. 

Questo  ho  io  raccordato  per  il  meglio,  poiché  il  procedersi  contra  a 
Rettori  saria  difficilissimo  sendo  che  gli  accordi  non  si  fanno  palesi  e  con 
testimonii,  ma  in  secreto  e  a  quattr'occhi  come  si  suol  dire. 

Al  danno  e  pregiudicio  e  per  conseguenza  alla  consumation  dei  popoli, 
sono  principal  causa  anco  i  Cancellieri  i  quali  guidati  dall'avidità  colludono 
con  i  Rettori  a  cose  esorbitanti  e  maggiormente  rigorose  di  che  si  con- 
viene, quanto  alle  formationi  dei  processi,  oltre  che  nella  medesima  for- 
matione  mettono  tanti  atti  improprii  ed  infruttuosi  ed  esaminano  tanti  te- 
stimoni che  in  casi  privati  chiaramente  da  quattro  si  veggono  esaminati  sin 
quaranta  testimonii.  Di  modo  che  per  questo  benché  le  mercedi  siano  per 
il  resto  deboli,  ascendono  i  processi  a  tanto  che  nella  spedinone  gli  huo- 
mini  per  pagare  convengono  totalmente  estcrminarsi.  S'aggiunge  anco  che 
i  Rettori  di  qualunque  cosa  poi  che  pari  o  sia  mal  fatta,  gettano  il  tutto 
adosso  ai  Cancellieri  scusandosi  coll'ignoranza  o  coll'avarizia  loro. 

Crederei  che  per  rimediar  a  questo  fusser  proprie  due  cose.  L'  una 
quanto  al  procurar  che  siano  i  Cancellieri  sufficienti  e  senz'  interesse  col 
Rettore,  che  de  cetero  non  giurassero  più  qua  le  cancellarle,  perchè  quasi 
tutti  quelli  che  qua  giurano  non  vanno  poi,  ma  altri  in  lor  vece  l'eserci- 
tano e  s' intendono  con  i  Rettori,  ma  debbano  andar  a  giurarle  in   mano 

8 


—  ii4  — 

del  Reggimento  di  Capo  d'Istria,  conforme  nel  resto  alle  leggi;  per  dover 
anco  da  Dottori  esser  li  esaminati  e  conosciuti  se  sono  atti  e  sufficienti 
alla  professione  :  le  qual  esamine  debbano  notarsi  sopra  un  libro  da  tenersi 
sempre  in  esser,  acciò  vedendosi  i  nomi  d'ognuno,  non  sia  più  ammesso 
uno   che  una  volta  fosse  stato  registrato. 

L'altra  cosa  è  che  de  cetero  non  possano  i  Cancellieri  farsi  pagar  più 
che  sei  testimonii  ad  offesa  e  tutti  gli  altri  siano  gratis,  non  siano  loro 
pagati  altro  che  gli  atti  necessarii  ed  opportuni  alle  formationi  non  quelli 
che  fanno  posso  dire  di  capriccio  e  totalmente  superflui  alle  medesime  for- 
mationi. Non  possano  più  proclamar  per  altro  che  per  casi  ove  possa  entrar 
pena  di  sangue  e  in  tutte  le  altre  occasioni  debbano  far  citar  a  difesa, 
omettendo  per  sempre  il  chiamar  ad  informar  la  giustitia,  poi  che  questa 
è  introdutione  non  necessaria,  ma  costume  solamente  per  cavar  1'  utilità, 
che  è  tanta  quanto  quella  del  proclamare,  fuori  solo  che  non  v'  entra  il 
Mocenico  quale  va  a  Vostra  Serenità. 

Con  queste  provvigioni,  cred'io,  che  si  riparerà  all'  ignoranza  de  Can- 
cellieri alle  collusioni  che  posson  haver  con  i  Rettori,  ed  ai  eccessivi  pa- 
gamenti di  spese  che  cavano  dai  rei  con  esterminio  posso  dire  delle  mise- 
rabil  famiglie. 

Hora  io  ho  discorso  quali  disordini  ho  possuti  osservare  e  raccordati 
quei  rimedj  ch'ho  stimati  buoni  per  ripararvi,  onde  il  dover  habbia  il  suo 
luoco  e  i  popoli  nel  sollievo  loro  e  nell'eccitation  delle  fraudi  godono  mag- 
giormente il  beneficio  della  Religione  e  il  compimento  della  giustitia,  cose 
che  accrescono  le  popolationi  e  invitano  ognuno  a  venerar  la  provvidenza 
del  Principe. 

Dirò  in  aggiunta  alcuna  cosa,  circa  a  che  si  può  sperare  intorno  a 
maggior  popolatione  in  quella  Provincia,  il  che  è  tanto  necessario  quanto 
bene  è  conosciuto  dall'Eccellenze  Vostre. 

Il  popolar  un  paese  in  gran  parte  disertato  fu  sempre  difficile  perchè 
se  non  succede  che  o  si  possa  spiantar  un  popolo  intiero  d'  altra  parte, 
conducendolo  colla  forza  ad  habitar  dove  si  vuole,  ovvero  che  allettata 
gran  quantità  di  gente  o  dalla  fertilità  dei  terreni  o  dai  guadagni  nei  ne- 
gotii  o  da  altre  simil  cose,  per  se  stessa  vi  s'introduca  con  continuata  fre- 
quenza, difficilmente  si  può  riempir  il  dishabitato  non  nascendo  gli  huo- 
mini  come  le  formiche,  la  provigion  di  dar  l' investita  di  terreni  d' Istria 
'  con  esention  a  chi  da  nuovo  venga  ad  habitarvi,  fu  santa  e  buona  ma  non 
fa  però  quell'  effetto  che  si  desidera,  perchè  quelli  che  novissimamente  ven- 
nero ad  habitare,  son  tutti  fuggiti  né  alcuno  ve  ne  rimane,  come  eh'  erano 
gente  cattiva,  avvezza  ed  inclinata  alla  rapina  e  nemica  di  fatiche  ;  e  quelli 


—  ii5  — 

che  sottonome  di  nuovi  habitanti  stanno  hoggidl  in  Provintia,  già  ho  di  sopra 
discorso  quali  siano  e  qual  bene  e  frutto  ne  può  sperar  Vostra  Serenità. 

Tre  cose  io  stimo  poter  assai  giovare  alla  popolation  delle  terre  hoggi 
mai  presso  che  distrutte. 

L'una  che  come  Vostre  Eccellenze  hanno  di  già  fatto  in  altri  così  con- 
tinuassero nell'avvenire  a  dar  investite  di  terreni  della  provintia  a  nobili 
veneti  che  fussero  danarosi  e  i  quali  nella  coltivazione  e  neh'  introdurre 
gente  per  operare  dassero  effetto  non  all'  apparenza  delle  parole,  ma  alla 
sostanza  della  borsa  e  della  diligenza,  tirando  innanzi  senza  intermissione 
alcuna,  potendosi  star  sicuri  che  quando  Nobili  Veneti  vi  porran  le  mani 
ma  della  conditione  c'ho  detta  faran  miracoli  nel  desiderio  che  tiene  e  con 
ragione  Vostra  Serenità  di  riempir  la  provincia.  Di  alcuni  i  quali  hanno 
già  havute  investite  non  posso  dir  cosa  che  rilievi,  perchè  non  si  vede  opra 
di  consideratione,  ma  di  uno  attesto  bene  che  in  poco  tempo  col  spendere 
colla  diligenza  assidua  e  coll'aver  introdute  in  paese  molte  persone  ad  ope- 
rare e  mantenuto  assai  numero  di  gente  col  proprio  danaro  ha  ridotto 
hoggidì  in  essere  un'opera  v'ha  del  rimirabile. 

La  seconda  roba  propria  a  questo  bisogno,  sarebbe  che  le  genti  dalle 
ville  di  Cittanova,  da  quello  di  Umago,  di  Parenzo  e  di  Pola  tornassero  ad 
habitar  nelle  terre  e  città  ove  ebbero  la  prima  habitatione,  dismettendo  e 
abbandonando  le  habitationi  di  campagna,  poiché  come  fanno  quei  di  Capo 
d' Istria,  Pirano,  Rovigno  ed  Isola,  potriano  anco  questi  andar  a  coltivar 
li  loro  terreni  e  far  nientedimeno  1'  habitation  continua  nelle  città  e  terre 
sudette.  Non  dico  già  che  Dignano,  gii  villa  di  Pola  ed  bora  fatta  terra 
grossa  si  dishabiti  ma  sibbene  l'altre  rimanenti,  importando  molto  bene  a 
Vostra  Serenità  che  i  luochi  marittimi  della  provincia  non  solo  si  riempi- 
scano di  gente  e  si  rendano  perciò  atti  a  ditesa  per  ogni  caso,  ma  che  con 
i  molti  habitatori  e  molti  fuochi  oltre  alla  rifabbricatione  e  conciamento 
delle  case  e  strade  nette  e  purgate  dall'  immonditie,  il  che  succederebbe  di 
necessità  quando  le  terre  si  riempissero  di  gente,  1'  aria  si  rendesse  salubre 
e  buona  ed  invitasse  del  continuo  altri  di  venirvi  a  fermar  stanza. 

La  terza  cosa  eh'  io  raccordo  in  questo  proposito  è  che  questi  marit- 
timi luochi  ma  disabitati  della  provincia  si  dichiarino  asili  e  franchigia  ge- 
nerale per  le  cose  passate  a  tutte  le  persone  per  cinquant'anni  almeno,  con 
promessa  anco  di  assegnationc  di  terre  e  d' altre  comodità  in  prestanza  e 
di  esentione  a  chi  verrà  ad  habitarvi  potendo  però  i  rappresentanti  publici 
metter  le  genti  più  in  uno  che  in  un  altro  luoco  secondo  il  gusto  di  Vostra 
Serenità  ;  la  importanza  e  il  bisogno  dell'  habitatione  massime  di  Pola  e  la 
qualità  delle  persone  che  venissero  ad  habitare. 


-  né  - 

In  aggiorna  a  tutte  queste  cose  per  il  buon  governo  della  provincia 
per  la  soddisfation  de'  sudditi  e  per  il  publico  decoro,  stimo  che  possa 
esser  conveniente  dar  qualche  regola  anco  al  Reggimento  di  Capo  d'Istria. 
Il  quale  sebben  al  presente  da  quell'  Illustrissimo  signor  Podestà  e  consi- 
gliere è  ben  retto,  onde  la  lor  vertù  si  rende  riguardevole,  riavendo  io  veduto 
uscirne  di  molte  belle  terminationi,  con  tagli  di  sentenze,  condanne  di  Can- 
cellieri, privation  anco  di  Reggimenti  ed  altro  che  vai  di  corretione  tuttavia 
perchè  è  Reggimento  grande  che  ha  1'  appellatione  di  tutta  la  Provintia  e 
la  Vicegerenza  totale  della  Serenità  Vostra,  gli  sarà  conveniente  l'accresci- 
mento d'  ogni  dignità  ed  honore,  quando  che  ben  è  noto  che  nei  passati 
tempi,  mentre  che  non  Generali  e  non  Provveditori  frequentavano  i  comandi 
dell'  Istria,  ma  a  quel  solo  Tribunale  tutte  le  cose  immediatamente  pende- 
vano, concorrevar.  in  dimanda  e  come  Podestà  e  Capitano  e  come  Consi- 
glieri soggetti  di  maggior  conditione  e  stima  di  che  segue  al  presente.  La 
pristina  redintegratione  di  dignità  ad  esso  Reggimento  non  è  meno  neces- 
saria al  ben  della  provincia,  massime  potendosegli  aggiunger  maggior  cure 
ed  autorità  nella  giustitia  di  che  la  desiderano  ardentemente  i  popoli  tutti 
e  la  città  di  Capo  d' Istria  in  particolare,  dove  sono  stato  instantemente 
pregato  di  farne  moto  alla  Serenità  Vostra. 

Il  mio  senso  dunque  sarebbe  che  acciochè  alla  carica  di  Podestà  e  Ca- 
pitano e  Consiglieri  concorressero  gentiluomini  più  eminenti  di  grado  se 
gli  accrescesse  per  prima  il  salario  e  F  utilità,  le  quali  son  cose  desiderate 
altrettanto  quanto  gli  honori.  Così  che  il  Podestà  havesse  altri  Ducati  qua- 
ranta al  mese  in  tutto  cento,  i  quali  potrà  ricevere  da  quella  camera  che 
oggidì  è  resa  assai  comoda  per  le  rendite.  Ed  ai  consiglieri  fusse  concesso 
uno  per  cento  di  tutto  quello,  che  scuodono  in  materia  di  sali,  e  soldi 
quattro  per  ogni  moggio  di  sale  di  quelli,  che  pagano  a  quelli  che  danno 
il  sale.  Utilità  che  quasi  d' insensibil  peso  al  publico  ed  al  privato,  a  loro 
saria  posso  dir  conveniente,  servendo  essi  alla  Cassa,  e  valerla  d'allettamento 
grande  nella  diligenza  del  tutto  che  importasse,  oltre  che  moverebbe  poi 
certamente  in  dimanda  soggetti,  quali  erano  nei  passati  tempi  titolati  anco 
sopraquaranta,  i  quali  uscendo  di  quella  scola,  nella  quale  sola  s' impara  il 
vero  et  giusto  modo  di  giudicar  e  col  patir  la  pacienza  dell'  ascoltar,  cosa 
tanto  gustosa  a  popoli,  massime  persuasi  dal  vedere  che  anco  di  più  decorata 
condition  sarebbono  gli  eletti  alla  carica  di  Podestà  e  Capitano  (con  gran- 
dissima consolatione  di  tutte  quelle  genti)  la  quale  dovendosi  in  avvenire, 
per  mio  senso  per  render  più  riguardevole  elegger  per  scrutinio  di  Pregadi 
e  per  Maggior  Consiglio,  invitarebbe  assai  gentiluomini  che  adesso  non  vi 
pensano  a  ricercarla,  perchè  in  particolare  è  Reggimento  vicino  e  colla  di- 


—  U7   - 

gnità  maggiore  havrebbe  l'accrescimento  dell'utile  in  paese  dove  è  buono 
il  vivere  nò  si  può  molto  spendere,  benché  si  voglia.  Et  essendo  li  consi- 
glieri come  duoi  brazzi  del  Reggimento,  potrebbe  il  podestà  valersene  per 
mandar  a  Pirano  ed  a  Muggia  per  occasione  de  sali,  che  sarebbono  più 
stimati  che  li  Rettori  ordinaria  Decorato  in  questa  maniera  il  Reggimento 
e  reso  di  maggior  rispetto  potrebbe  in  avvenire  supplir  di  vantaggio  a  tutte 
le  occorrenze  della  provincia  e  di  sali  e  di  contrabandi  e  di  qualunque  cosa 
senza  la  continuatone  di  Proveditore,  che  oltre  la  spesa  che  rende,  anichila 
la  dignità  ed  il  riguardo  del  Reggimento. 

Gradiscano  1'  Eccellenze  Vostre  questo,  che  è  parto  della  mia  osserva- 
tone e  spirto  della  mia  debolezza.  E  honorando  nel  poco  la  mia  sincerità 
e  la  grande  mia  divotione,  unita  a  pienezza  di  volere  e  di  disposinone  verso 
il  publico  servigio,  esercitino  la  benignità  di  vertuoso  Principe.  Credendo 
come  le  supplico,  che  niun'  altra  cosa  è  in  me  maggiore  che  il  desiderio 
ardentissimo  di  spender  anco  la  vita:  Onde  se  l'opre  non  possono  dal  mio 
talento  riuscire  qual  è  1'  obbligo  mio  immenso  verso  la  Patria,  almeno  la 
riverenza  dell'  animo  humile  sia  ricevuta  nel  grembo  della  publica  gratitu- 
dine a  mia  singolarissima  consolatione.  Gratie. 

(Archivio  di  Stato  in  Venezia  —  Relazioni  dei  Provveditori  in  Istria). 


Relazione  15  maggio  1629  del  Provveditore  in  Istria 
Zaccaria  Bondumier. 

Serenissimo  Principe. 

Alla  propria  vita  in  età  grave  et  con  pericolo  evidentissimo  della  me- 
desima non  ho  perdonato  immaginabile  fatica  per  sostener  il  peso  dell'  im- 
portante carica  di  Provveditor  sopra  i  sali  in  Istria  adossato  alla  mia  de- 
bolezza del  modo  che  conferiva  al  debito  di  buon  cittadino  et  come  m'in- 
dirizzava la  pienezza  del  talento  di  servire  perfettamente  ai  bisogni  della 
patria. 

Qual  fosse  il  stato  de  negocii  commessi  alla  mia  puoca  pratica  in  quella 
carica  e  come  fossero  malissimo  trattati  gli  publici  interessi,  Vostra  Serenità 


—  u8  — 

n'  era  informata  ;  e  di  ciò  che  nel  corso  di  disnove  mesi  che  ho  travagliato 
in  essa  Provincia  sia  da  me  stato  operato  ed  eseguito  in  prò  e  vantaggio 
delle  rendite  publiche  di  quando  in  quando  ne  ho  fatte  consapevoli  1'  Ec- 
cellenze Vostre.  Ma  perchè  spezzatamente  gli  ne  sono  pervenute  le  notitie 
et  conferisse  all'  importanza  dei  negocii  per  il  publico  interesse  un  intiera 
istruzione,  discorrerò  il  tutto  riverentemente  con  quella  maggior  brevità  che 
mi  concederanno  gli  affari  passatimi  per  mano.  E  comincierò  a  trattar  della 
vendita  dei  publici  sali  come  materia,  a  che  per  capo  principale  deve  ten- 
dere il  discorso,  essendo  questo  il  parto  di  grossa  entrata  alla  Serenità 
Vostra,  che  per  il  fine  di  ciò  appunto  m' incarnino  di  là. 

Il  partito  che  fu  concluso  con  il  Porta  e  Fustignoni  di  nove  mille  moza 
de  sali  di  Capo  d' Istria  e  Mugia  all'  anno  per  smaltirli  ad  Austriaci,  con 
facoltà  però  di  spedirne  di  questi  per  mare  a  Bucari  e  Fiume  due  mille 
moza  et  di  quattrocento  moza  da  esitar  a  sudditi  veneti  per  l'Istria  doveva 
ragionevolmente  portar  a  Vostra  Serenità  quel  grosso  beneficio  di  entrata 
che  allo  stabilimento  di  esso  fo  calcolata.  Et  io  appunto  ho  messo  particolar 
studio  a  sostentar  il  medesimo  partito  con  levarle  quanti  pregiudicii  sapevano 
gli  agenti  di  detti  partitami  rappresentarmi  di  ricevere,  al  fine  stesso,  che 
con  la  continuazione  di  quello  continuasse  al  publico  1'  utile  rilevante  che 
se  ne  supponeva.  Ma  gì'  interessati  nel  partito  tutti  tendevano  al  commodo 
e  beneficio  proprio,  senza  avvertire  a  quello  che  anco  era  di  loro  debito 
verso  la  Serenità  Vostra,  come  si  deve  conoscere  da  questo,  che  li  piezi  e 
carattadori  dopo  haversi  dichiarato  di  non  voler  star  obbligati  per  tale  partito 
si  sono  nondimeno  per  il  corso  d'  un  anno  anco  dopo  intrigati  nel  denaro 
cavato  dai  sali,  che  intanto  continuano  li  partitami  a  ricevere. 

E  perciò  è  succeduto  che  il  publico  non  ha  havuto  1'  entrata  che  le 
toccava  ;  si  è  fatto  manco  smaltimento  de  sali  di  quelli  che  si  sono  ogni 
anno  incanevati,  per  lo  che  si  è  andato  sepellendo  buona  parte  dell'  oro 
che  1'  Eccellenze  Vostre  dovevano  fruire  ;  con  la  missione  annuale  di  detti 
duemille  moza  de  sali  a  Bucari  e  Fiume  hanno  favorito  gì'  interessi  d'Au- 
striaci, introducendo  e  sempre  più  fomentando  quelle  scale  con  quali  resta 
aperto  a  mercanti  esteri  il  trafico  per  il  golfo  dagli  uni  agli  altri  luochi 
alieni  in  detrimento  dei  dacii  della  Serenissima  Republica  contro  ogni  giusto 
servitio  di  Vostra  Serenità  che  ha  d'  ogni  hora  invigilato  a  non  lasciar  in- 
trodur  scale  d'  altri  stati  et  in  beneficio  manifestissimo  d'  Ancona  e  Seni- 
gaglia  per  il  negocio  d'  ogni  mercantia  da  partitami  indrizzato  per  di  là  et 
di  Ferrara  in  particolare  per  il  traffico  de  tormenti  inviato  con  la  scala  di 
Goro,  come  ne  hebbero  aperto  lume  Vostre  Eccellenze  dal  processetto  che 
di  ciò  le  inviai  con    lettere  di  2  Novembre   passato,  dal  qual  si  cava   che 


—    in- 
detti partitami  mandassero  in  Goro  tre  mille  stara  de  formenti  a  conto  d'un 
partito  che  ne  haveano  fatto  di  ottomille  stara  con  mercanti  ferraresi. 

Né  cos' alcun'  altra  che  li  sali  poteva  inviar  detta  scala  di  Bucari  perchè 
gli  Coceveri  e  Crovati  in  particolare  calano  là  a  levarli,  portando  a  baratto 
di  essi  ogni  loro  robba  e  merce,  legnami,  pelli,  lane  e  grani,  che  perciò 
tutto  casca  in  mano  de'  medesimi  partitanti,  trattenendosi  ivi  a  posta  uno 
di  loro  principali,  che  hanno  al  medesimo  fine  tolta  per  dieci  anni  ad  affitto 
con  molto  interesse  quel  posto  dai  Conti  di  Sdrino. 

E  coli'  ispeditione  de  sali  così  a  Buccari  e  Fiume,  come  a  moltissime 
caneve  introdotte  per  loro  nell'  Istria,  per  quali  non  meno  eran  smaltiti  sali 
ad  esteri  sudditi  hanno  levato  gran  stimma  di  denaro  alla  Serenità  Vostra 
del  dacio  della  nuova  imposta  de  soldi  cinque  per  staro  de  sali. 

Et  per  sigillo  de  danni  invece  di  mantenersi  alla  città  di  Capo  d' Istria 
et  alla  terra  di  Mugia  il  corso  de  Cranzi,  questo  è  stato  anzi  tanto  debole, 
che  quei  luochi  si  sono  desertati,  perchè  la  città  di  Capo  d' Istria  in  par- 
ticolare col  perder  il  commercio  perde  1'  entrata  d'  un  suo  dacio  di  circa 
ducati  trecento  che  è  il  maggiore  delle  sue  rendite,  qual  cava  con  alcuni 
bagattini  per  cavallo  eh'  uscisse  da  essa  e  quei  sudditi  hanno  vigore  nelle 
loro  entrate  d'  oli  e  vini  specialmente  quando  possono  spazzarli  col  corso 
d'Austriaci  che  pur  anco  le  porgono  trafico  de  legnami  e  sovvegno  de  grani 
e  grassine.  E  cessando  questo  puoco  cavano  dell'entrate,  sicché  intaccandosi 
un  anno  nell'altro  s'impoveriscono  che  poi  nelle  loro  miserie  manco  sono 
da  stimar  buoni  per  Vostra  Serenità,  essendo  regola  di  Stato  che  i  sudditi 
possenti  faccino  più  vigoroso  anco  il  suo  Principe. 

Dunque  si  meritarono  esso  Porta  e  compagni  di  decadere  da  quel  partito 
al  qual  non  attendevano  veramente  per  posseder  il  negocio  de'  sali  ma  per 
esser  con  il  mezzo  di  quello  patroni  d'  ogni  trafico  della  scala  di  Bucari. 
Il  che  deve  restar  confirmato  e  da  una  straordinaria  semanza  de  sali  che 
fecero  colà  fino  nelle  chiese  la  estade  1627,  che  prima  del  mio  andar  in  Istria 
con  molti  vascelli  ne  condussero  da  Capo  d'Istria  a  Buccari  circa  mille  moza 
in  manco  d'  un  mese  e  pur  erano  al  fine  del  secondo  anno  del  partito  che 
li  piezi  (com'  ho  avanti  detto)  s'  erano  dichiarati  già  di  non  voler  più  pie- 
zarlo  e  dalli  continui  tentativi  fatti  per  loro  all'  Ill.mo  Officio  del  Sale  di 
haverne  per  essa  scala  qualche  quantità  anco  dopo  licenziati  dal  detto  primo 
partito  e  dall' haver  finalmente  con  accrescimento  di  pretio  e  con  loro  maggior 
interesse  rennovato  per  quelle  rive  medesime  altro  simile  partito. 

Né  mi  faccino  consideratione  che  i  loro  difetti  sieno  avvenuti  per  li 
contrabandi  seguiti  nei  primi  due  anni,  poiché  anco  nel  terzo  eh'  io  pur 
(come  ho  detto)   gì'  ho   riparato  et  ai  contrabandi,   che  non  ne  sono  stati 


—    120   — 

commessi  et  ad  ogn'  altro  pregiudicio  che  pretendevano  ;  ho  veduto  che 
niente,  o  puoco  meglio  di  prima  ha  camminato  il  negotio,  non  essendosi 
loro  mossi  dal  passo  che  havevano  preso  e  drizzato  ai  proprii  interessi  so- 
lamente. 

Io  so  che  nell'animo  d'alcuno  corre  pensiero  che  risultasse  al  publico 
di  miglior  servitio  il  restituir  a  popoli  di  Capo  d'Istria  e  di  Muggia  la  li- 
bertà primiera  di  quei  loro  sali,  coli'  impositione  di  dacio  di  doi  lire  per 
staro  ;  ma  come  per  contraposto  di  questo  doverebbe  bastare  la  conside- 
ratione,  che  quando  l' Eccellentissimo  Senato  capitò  alla  deliberatione  di 
volerli  tutti  in  publico,  fusse  discussa  al  vivo  questa  materia  e  gli  tanti  ri- 
spetti uniti  con  quella,  che  da  tutti  gl'Ili. mi  Rappresentanti  che  l'hanno  per 
tanti  anni  maneggiata,  furono  ponderati,  né  io  devo  adesso  con  tedio  del- 
l'Eccell.6  Vostre  repetere,  consigliassero  prudentemente  tale  risolutione  per 
non  lasciar  correr  più  avanti  alla  Serenissima  Republica  la  soppresa  del  suo 
decoro,  che  pativa  detrimento  mentre  i  sali  sono  di  regalo  del  Principe  e 
gli  sudditi  di  quei  due  luochi  soli  dentro  il  suo  dominio  ne  tenivano  la 
patronia  ;  così  stimo  d'aggiugnere  per  total  distrutione  di  si  fatto  pensiero 
che  restituendo  al  libero  stato  di  prima  il  negocio,  né  Vostra  Serenità  né  gli 
stessi  suoi  sudditi  goderiano  quel  beneficio  ch'ella  et  quelli  adesso  sentono. 
E  non  sia  discaro  a  Vostre  Eccellenze  l' intenderne  le  cause. 

Quando  essi  sudditi  erano  padroni  di  smaltir  gli  loro  sali  che  vende- 
vano per  ordinario  una  lira  e  mezza  e  due,  o  puoco  più  in  ragion  di  staro 
per  la  concorrenza  che  uno  coll'altro  si  faceva,  portando  servitio  e  van- 
taggio considerabilissimo  ad  Austriaci,  il  traffico  d'essi  sali  restava  io  mano 
d'alcuni  puochi  principali  della  piazza,  che  li  comperavano  per  miche  et  a 
pezzi  di  pane  dai  più  poveri  e  dai  salinari,  incanevandoli  essi  e  facendone 
esito  a  loro  miglior  commodo,  onde  1'  universale  e  la  povertà  in  partico- 
lare mai  ha  cavato  tanto  denaro  della  portione  de'  suoi  sali,  quanto  ne 
trahe  dopo  chi  li  vende  al  publico.  E'1  dever  pagar  di  dacio  lire  due  per 
staro,  se  toccasse  a  patroni  dei  sali  assorbirebbe  il  pretio  tutto  quasi  che 
lo  vendessero  a  Cranzi,  o  se  si  facesse  pagar  a  detti  Cranzi  costarebbe  loro 
tanto  quanto  che  si  può  vender  anco  per  caneva  publica,  né  perciò  essi 
Cranzi  fariano  corso  maggiore  del  solito,  il  che  è  quanto  bramano  quei 
popoli  per  loro  conservatione.  Dunque  quest'  impositione  non  farebbe  il 
servitio  di  quei  sudditi  in  generale,  ma  neanco  portarla  alla  Serenissima 
Republica  il  suo  utile. 

Poiché  tra  Capo  d'Istria  e  Mugia  si  fa  conto  che  un  anno  per  l'altro 
si  assumino  X."1  moza  de  sali  i  quali  costano  a  Vostra  Serenità  lire  dis- 
nove il  mozo,  né  gli  ha  mai   venduti    meno  di   lire  quarantaotto,  che   dà 


—    121    — 

d'utile  in  ragion  di  mozo  lire  ventinove,  onde  sopra  tutti  li  X.m  ascende 
il  guadagno  a  lire  ducento  nonanta  mille.  E  con  la  detta  impositione  di 
due  lire  per  staro  si  cavarebbono  per  mozo  lire  vintiquattro,  che  in  tutto 
summariano  lire  ducento  quarantamille,  facendo  il  discavedo  ogn'  anno  de 
lire  cinquantamille.  Ma  tanto  maggiore  sarebbe  anco  questa  perdita  quanto 
più  alto  delle  quattro  lire  fusse  il  pretio  a  che  si  vendessero  li  sali  a  Cranzi 
che  ben  spesso  potria  succeder  in  mancamento  dei  sali  di  Trieste  ;  non 
volendo  qui  lasciar  nel  silentio  l'oppositione  che  mi  si  facesse  che  sopra 
detto  utile  dalle  comprede  in  publico  alle  vendite  vi  sia  l' interesse  del  callo 
dei  sali  e  d'  affitti  de  magazzeni  ;  per  risolverla  con  la  risposta  che  per  il 
callo  ha  Vostra  Serenità  di  vantaggio  un  staro  per  ogni  mozo  de  sali,  li 
quali  è  pratica  osservata,  che  mentre  sono  in  buoni  magazzeni  mai  calano 
tanto,  onde  la  spesa  d'  affitti  restarla  scansata  certamente  col  civanzo  del 
beneficio  che  si  riceve  per  callo.  E  se  pur  vi  concorresse  alcun  puoco  in- 
teresse si  ha  d'haver  per  certo  anco  che  detta  impositione  mai  sarebbe  pa- 
gata intieramente,  che  mille  stratageme  per  le  fraudi  vi  sariano,  oltre  che 
quei  popoli  accettarebbono  ogn'  altro  partito  che  di  pagar  le  due  lire  ha- 
vend'io  dai  publici  Reggenti  sotratto  che  malcontenti  restariano  anco  del 
pagamento  di  una  sola  lira  per  staro. 

E  tale  libertà  a  particolari  di  vender  quei  sali  porterebbe  danni  gra- 
vissimi al  dacio  de  sali  per  Friuli,  perchè  essendo  per  quelli  lochi  alto  il 
pretio  non  mancarebbono  huomini  tristi  che  per  il  guadagno  gli  ne  por- 
tassero e  da  Capo  d'Istria  e  da  Mugia  frequentemente. 

Ma  ove  si  lascia  il  pensar  qual  esito  si  dovesse  dare  a  moza  22  mila 
de  sali  che  sono  ancora  in  Capo  d'Istria  et  ad  altri  moza  due  mila  cin- 
quecento che  si  trovano  a  Mugia,  che  rilasciandosi  ai  sudditi  la  pristina 
libertà  essi  attenderiano  al  spazzo  di  suoi  e  quelli  di  Vostra  Serenità  resta- 
rebbono  nei  magazzeni.  Se  chi  ha  il  pensiero  dell'Impositione  sudetta  tiene 
pratica  di  vero  ispediente  al  smaltimento  dei  detti  sali  vecchi,  oltre  la  uscita 
per  mezzo  dei  Cranzi  da  quella  parte  lo  facci  palese  e  lo  raccordi  che  anco 
senza  essa  impositione  può  valersene  il  publico  a  molto  miglior  vantaggio 
suo  nel  negocio  stesso  al  modo  eh'  e  incamminato. 

Non  trovo  però  partito  che  per  varii  rispetti  oltre  il  maggior  guada- 
gno di  Vostra  Serenità  sia  più  accettabile  che  la  vendita  per  caneva  pu- 
blica.  È  vero  che  si  ha  d'usar  ogni  mezzo  possibile  perchè  li  dacii  restino 
affittati  né  corano  per  conto  della  Serenissima  Signoria,  ma  talvolta  torna 
di  miglior  servitio  che  stiano  in  publica  mano  com'ho  in  diversi  conosciuto 
per  prova  et  isperienza  nella  carica  ch'esercitai  fievolmente  in  terraferma,  e 
vi  è  anco  la  differenza    dall'  uno  all'altro,   e  questo  in    particolare  è  diffe- 


—    122    — 

renassimo  et  diverso  di  negocio  e  maneggio  dagli  altri  ;  onde  mi  si  deve 
concedere  che  discorra  ogni  bene  che  ne  risultasse  dal  farlo  camminar  per 
Signoria. 

Vostra  Serenità  facendo  partito  di  quei  sali  li  valuta  circa  lire  quattro 
il  staro  e  da  chi  leva  il  partito  si  vendono  fino  lire  sette  né  mai  sarà  pos- 
sibile che  un  partitante  venda  li  sali  al  pretio  che  lui  li  paga  al  publico, 
perchè  ne  gì'  interessi  che  le  corrono,  né  il  suo  travaglio  et  impiego  con 
la  mira  di  guadagnare  le  concederanno  di  così  fare.  E  se  gli  Austriaci  in 
tempo  di  comperarli  da  partitanti  a  sei  e  sette  lire  vengono  a  levarne 
la  summa  di  tnoza  sei  e  sette  mille,  non  è  già  fallo  a  credere  che  coll'i- 
stesso  denaro  che  spendono  in  tempo  de  partitanti,  levariano  la  metà  di 
più  de'  sali  quando  gl'havessero  a  lire  quattro,  o  poco  più  alla  caneva.  Il 
che  serviria  per  smaltirne  ogni  anno  questa  tanta  quantità  di  più  con  an- 
darsi la  Serenità  Vostra  rimborsando  quel  grosso  capitale  che  tiene  morto 
nei  magazzeni  e  sollevandosi  dell'  interesse  che  per  affitti  dei  medesimi  sente 
da  qualche  anno  in  qua  :  darebbe  modo  a  quei  sudditi  di  migliorar  le  loro 
conditioni  con  servitio  pure  della  patria,  alla  quale  è  da  stimar  anco  che 
s'avanzassero  li  beneficii  con  la  continuatione  del  negotio  in  questo  modo. 
Perchè  li  Triestini  che  prima  del  partito  fatto  col  Porta  e  Fustignoni  erano 
in  miseria,  né  tenivano  pensiero  alla  costrutione  di  saline  e  nel  corso  di 
tale  partito  vendendo  anch'  essi  li  loro  sali  a  pretio  alto  a  corrispondenza 
de  partitanti,  si  sono  arrichiti  e  dal  commodo  invitati  alla  fabbrica  di  molti 
cavidini  de  nuove  saline,  a  che  hanno  atteso  et  attendono  nell'  aque  d' in- 
dubitata ragione  della  Serenissima  Republica  nella  valle  di  Mugia,  come 
opportunamente  a  Vostre  Eccellenze  ho  significato,  essendovi  di  loro  che 
perciò  hanno  anco  tolto  denari  ad  interesse  ;  tornariano  alla  conditione  di 
prima,  che  se  volessero  smaltir  gli  loro  sali  converrebbono  darli  a  quel 
basso  pretio  che  corressero  anco  di  là  e  mentre  riavessero  detti  Triestini 
questa  necessità  perderiano  l'animo  a  maggiori  costrutioni  di  saline  ;  anzi 
di  quelle  fatte  gl'andarebbono  a  male  che  non  trovariano  quanti  salinari  le 
bisognassero  a  governarle,  perchè  costumando  essi  al  San  Martino  di  pagar 
a  detti  salinari  la  portion  di  loro  sali  a  quel  che  corrono  a  tal  tempo,  sa- 
riano astretti  a  diminuirle  dall'ordinario  il  pagamento  e  li  salinari  lascia- 
rebbono  d'andar  a  lavorar  ad  esteri,  il  che  non  stimano  di  far  per  quante 
altre  prohibitioni  rigorose  s'habbino  publicate,  che  appunto  a  tre  Mugisani 
che  mi  sono  capitati  nelle  forze,  convenni  ultimamente  per  la  loro  inob- 
bedienza dar  castigo  d' esempio  anco  agli  altri,  ma  attenderiano  al  lavoriero 
di  quelle  de'  sudditi  nei  luochi  delle  loro  habitationi. 

Se  queste  ragioni  che  sono  palpabili  dimostrano  di  quanto  servitio  sia 


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a  questa  patria  et  ai  popoli  di  Capo  d' Istria  e  Mugia  il  vender  gli  sali 
circa  quattro  lire  per  staro.  E  se  la  vendita  a  tal  pretio  non  può  eseguirsi 
col  mezo  di  partito,  perchè  non  è  da  continuarsi  in  nome  della  Serenità 
Vostra  che  sola  può  farlo  ?  Ella  dandoli  a  partitami  alle  lire  quattro  perde 
per  certo  il  commodo  di  tanti  benefìcii  quanti  di  sopra  ho  raccontato,  fa 
sempre  maggiori  le  calamità  di  quei  suoi  sudditi  e  manifestamente  arri- 
chisse chi  ne  piglia  l'appalto. 

Che  facendo  far  la  caneva  publica  per  goder  questo  tanto  servitio  che 
se  ne  prevede  non  ha  altro  aggravio  de  ministri  et  affitto  di  caneve  tra 
Capodistria  e  Mugia,  che  de  ducati  800  in  ragion  d'anno  et  intorno  a  du- 
cati cinquecento  per  le  mercedi  de  misuradori  e  portadori  dei  sali  dalli  ma- 
gazzini alle  dette  caneve,  il  che  può  prender  accrescimento  e  diminutione 
dalla  quantità  de'  medesimi  sali,  che  si  spazzassero,  facendosi  il  pagamento 
a  detti  mercenari  sopra  la  quantità  stessa  che  misurano  e  portano.  Ma  non 
è  dubbio  che  queste  spese  restariano  scansate  col  tratto  solamente  di  quei 
sali  che  si  risparmiano  dall'honoranze  che  se  ne  danno  a  partitami,  perchè 
a  questi  ministri  che  vendono  per  nome  publico,  non  ho  permesso  e  non 
si  deve  conceder  alcun  callo,  essendo  s?.sonati  gli  sali,  che  se  le  danno,  anzi 
alcuno  di  loro  s'haverebbe  contentato  di  far  la  vendita  dei  publici  a  tutte 
sue  spese  con  il  solo  beneficio  di  tre  per  cento  di  callo. 

Il  successo  in  sette  mesi  giusti,  ch'io  ho  fatto  spazzar  nei  detti  due 
luochi  li  sali  per  nome  della  Serenità  Vostra  fu  indubitatamente  conoscer 
riuscita  di  questo  negocio  ;  perchè  in  detto  tempo  se  ne  sono  spazzati  cin- 
que mille  ducento  moza  che  farebbe  a  ragion  d'  anno  il  smaltimento  di 
quasi  novemille  moza,  come  succederà  certamente  quando  nella  vicina  sta- 
gione de'  sali  non  si  lasci  rennovar  il  danno  de  contrabandi,  havendo  ca- 
vato puoco  meno  di  70  mila  ducati,  che  hanno  valso  a  sollevar  1'  Eccel- 
lenze Vostre  dal  debito  eh'  havevan  a  quelli  di  Capo  d' Istria  e  Mugia  de 
ducati  32  mila  settecento  cinquanta  per  gli  sali  che  furono  da  loro  incor- 
porati e  venduti  gli  anni  passati  e  per  affitti  de  magazzeni  et  altri  trenta 
mille  n'ho  mandati  in  Cecca  a  Vostra  Serenità  e  4  mila  lasciati  nella  Ca- 
mera fiscal  di  Capo  d'Istria,  essendosi  il  rimanente  con  l'altro  denaro  con- 
tato da  partitami  in  quella  cassa,  impiegato  oltre  li  mille  ducati  dati  all'il- 
lustrissimo signor  Capitano  di  Raspo  per  commissione  dell' Eccell."  Senato, 
nel  pagamento  dei  sali  nuovi  di  due  stagioni,  nelle  fabbriche  dei  due  pu- 
blici magazzeni,  in  restaurarne  de'  vecchi,  nell'escavatione  e  panificate  per 
serraglio  delle  saline  di  Pirano,  in  paghe  e  suvventioni  di  barche  armate, 
per  concieri  di  esse,  in  salarii  ai  publici  ministri  e  mercedi  ad  operatori 
per  il  negocio  de'  sali,  et  in  spese  de  Galeotti    da  me  condannati    al  nu- 


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mero  di  sedici,  et  in  altre  cose  necessarie  per  la  carica  a  servitio  di  Vostra 
Serenità,  che  queste  però  non  eccedono  la  stimma  di  duecento  cinquanta 
ducati,  come  rimane  tutto  difusamente  descritto  nei  conti  eh'  ho  presen- 
tati all'  Illustrissimi  Signori  Revisori  alla  scrittura. 

So  esservi  da  considerare  che  1'  annata  scorsa  lasciasse  i  Triestini  vuoti 
di  sali,  onde  possa  esser  questo  anno  il  spazzo  maggiore  degli  altri  ;  et 
riavendosi  potuti  vender  al  pretio  di  sei  lire  e  meza  e  sette,  come  ho  fatto 
eseguire  con  sicurezza,  che  altrove  non  erano  per  riceverli  a  miglior  prezzo 
sia  conseguentemente  maggiore  anco  il  tratto  d'essi  sali.  Ma  oltre  la  cer- 
tezza che  a  Trieste  non  se  ne  facci  sumanza  maggiore  di  2  mila  moza 
all'anno  che  in  diffalco  di  tal  summa  pur  la  medesima  stagion  ne  habbino 
cavati  circa  quattrocento  moza  e  che  se  si  havessero  venduti  a  basso  pretio, 
potrebbe  dirsi  che  il  smaltimento  sarebbe  arrivato  in  un  anno  intiero  a  io 
mila  moza,  perchè  nelle  robbe  rare  si  tiene  la  mano  stretta  e  si  mira  il 
risparmio,  s'ha  d'haver  per  costante  questa  verità  che  essendo  stata  1'  an- 
nata stessa  scarsa  anco  di  biave  neh'  Imperio,  che  li  somari  Cranzi,  che 
sogliono  condur  formenti  in  baratto  de  sali,  non  hanno  essi  potuto  far  il 
trafico  che  facevano  gli  altri  anni,  anzi  anco  ai  mercanti  di  Lubiana  sten- 
tavano a  spazzare  quei  puochi  che  vi  conducevano  per  non  trovar  di  essi 
denaro,  né  cambio  di  biave.  Onde  il  beneficio  che  si  poteva  ricever  colla 
scarsezza  de  sali  a  Trieste  è  stato  contrapesato  col  maleficio  della  penuria 
de  grani  nei  paesi  superiori,  che  accomodano  gli  Cranzi  de  denari,  con  che 
possano  far  maggiori  comprede  di  sali.  Manco  ho  da  tacere  che  se  a  Trie- 
stini non  vengono  portati  sali  di  contrabando,  presto  esitano  li  proprii  ch'io 
lo  provai  nei  primi  mesi  che  uscii  alla  carica,  perchè  cessando  immediate 
li  contrabandi  sebbene  la  stessa  stagione  prima  della  mia  andata  n'  havevano 
havuto  qualche  quantità,  in  corto  tempo  nondimeno  ne  fecero  il  spazzo, 
che  loro  medesimi  per  la  sua  città  mandavano  a  pigliarne  a  Mugia.  Anzi 
tanto  prima  li  smaltirebbono  quando  alla  stagion  d'essi  et  per  quel  tempo 
solamente  che  durasse  il  nerbo  di  detti  loro  sali  si  abbassasse  dall'  ordinario 
il  pretio  di  quelli  alle  caneve  di  Vostra  Serenità,  che  converiano  ancor  essi 
far  il  simile.  Poiché  non  è  bugia  che  in  parità  di  pretio  con  quei  di  Mu- 
gia sempre  li  sali  di  Trieste  saranno  li  primi  spazzati,  per  esser  commoJi 
a  Cranzi  meglio  d' una  giornata.  E  dopo  fatto  da  Triestini  1'  esito  della 
loro  maggior  parte,  si  potrebbono  li  pretii  restituir  al  loro  primo  segno, 
et  anco  alterar  secondo  la  scarsezza  che  ve  ne  fusse. 

Ma  sia  come  si  voglia.  Se  pur  anco  quegli  anni  che  a  Trieste  si  rac- 
cogliessero  sali,  si  facesse  con  la  vendita  in  nome  della  Serenissima  Signoria 
minor  spazzo  di  quello  che  bilanciati    tutti  gli  accidenti    ho  calcolato   per 


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l'anno  corrente,  non  è  fallo  che  tanto  meno  ancora  seguirebbe  col  mezzo 
di  partito.  Onde  stabilisco  la  conclusione,  che  scansata  anco  la  summa  di 
Trieste  avrà  V."  Serenità  l'esito  per  altri  otto  mille  mozza  infallantemente 
ogni  anno,  che  mai  un  partitante  li  smaltirà  per  le  ragioni  avanti  dichia- 
rite et  così  Vostre  Eccellenze  faranno  più  presto  1'  uscita  de'  suoi  sali  vec- 
chi, e  cavaranno  anco  assai  più  denaro  di  quello  trahessero  per  via  di  par- 
tito, che  mai  sarà  meno  di  ducati  64  mila. 

Tuttavia  quando  alcuno  coli'  obbligo  di  tanta  somma  volesse  essere 
conduttore,  né  usasse  gli  difetti  dei  passati,  non  s'  allontanarebbe  il  mio 
pensiero  che  se  ne  abbracciasse  l' incontro,  sebben  poi  immediate  caderebbe 
la  speranza  che  Triestini  perdessero  le  forze,  ma  potendo  tenir  alti  li  loro 
sali  a  corrispondenza  del  partitante,  continueriano  la  strada  che  hanno  e 
per  gli  anni  venturi  prepararebbono  a  Vostre  Eccellenze  maggiori  pre- 
giudicii. 

Mai  però  nel  terminar  alcun  partito  la  mia  debolezza  stimarà  bene  che 
si  concedano  sali  per  Bucari  e  Fiume  contro  la  parte  dell'Eccell.*™0  Senato 
1589,  12  sett.  qual  prohibisce  il  far  partiti  de  sali  da  S.  Giovanni  de  Duino 
fino  a  Bucari  inclusive,  intorno  a  che  pure  sopra  il  partito  renovato  ulti- 
mamente con  quegl'  istessi  che  l'avevano  anco  prima,  tuttoché  debitori  a 
Vostra  Serenità,  discorsi  per  commissione  dell'Eccell.m<>  Collegio  a  23  d' a- 
prile  passato  con  mio  giuramento  ogni  particolare  ;  perchè  è  un  dar  modo 
et  eccitamento  a  stessi  partitami  d'avanzar  quelle  scale  et  altre  estere  con 
quei  trafichi,  che  si  sono  da  loro  usati  per  l'addietro,  come  hanno  inteso 
1'  Eccellenze  Vostre  in  pregiudicio  evidentissimo  dei  publici  dacii  e  danno 
palpabile  alla  città  dominante,  ma  bensì  debbano  lasciarsi  levarli  in  Capo 
d'Istria  e  Mugia  ove  li  vanno  a  pigliar  i  sudditi  dei  conti  di  Sdrino  e  di 
Corovia  che  gli  somministrano  et  a  Buccari  et  per  ogn'  altro  luoco  della 
Crovatia  come  havevano  ritornato  in  costume  dopo  decaduto  il  publico 
partito  di  detto  Porta  con  gran  beneficio  a  quei  sudditi  veneti.  E  l'evento, 
oltre  alcune  attestationi  che  si  possono  veder  nel  prenominato  processo, 
facci  testimonianza  della  verità  contro  chi  ha  disseminato  il  contrario. 

Nei  sudetti  sette  mesi  che  si  è  fatta  caneva  publica,  senza  spedir  sali 
alle  predette  scale  se  ne  sono  pur  (com'ho  detto)  essitati  tanti  che  in  ra- 
gion d'  anno  superano  di  molto  la  quantità  che  da  sudetti  partitami  è  stata 
smaltita  con  tutto  che  avessero  la  libertà  di  mandar  e  li  mandassero  due 
mille  moza  a  Buccari  e  Fiume.  Et  è  pur  anco  vero  che  l' istesso  spazzo 
fatto  per  caneva  publica  viene  in  proportione  del  tempo  a  superar  di  tre- 
mila moza  il  partito,  che  la  està  passata  propose  il  medesimo  Porta  da  re- 
golar in  sei  mille  moza  con  la  predetta  libertà  dell'ispcditione  per    Bucari 


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e  Fiilme,  anzi  con  altra  facoltà  di  più  di  spedirne  mille  inoza  per  Gradisca 
e  Goritia  per  ove  si  saria  inferita  la  rovina  del  dacio  dei  sali  nel  Friuli, 
perchè  di  la  s'havrebbe  sparsa  gran  quantità  di  quelli  che  s'havessero  dati 
al  Porta  per  essere  a  più  bassa  conditione.  Segno  chiaro  dunque  per  ogni 
calcolo  che  anco  gli  popoli  che  in  tempo  di  detto  partito  se  ne  provvede- 
vano a  Buccari,  sono  venuti  et  hanno  mandato  a  levarli  alle  caneve  della 
Serenità  Vostra  :  non  ostando  in  ciò  quello  si  dice  da  alcuno  che  per  es- 
sere quelle  genti  un  puoco  lontane  non  vadino  alle  medesime  caneve,  poi- 
ché li  somari  s'  hanno  diviso  li  viaggi  già  tanti  anni  che  attendono  a  tale 
esercitio  di  condur  sali  che  quelli  che  vanno  in  Capo  d' Istria  o  a  Mugia 
non  passano  col  suo  carico  il  luoco  destinato,  ove  altri  le  danno  cambio 
e  così  di  man  in  mano  passano  gli  sali  fin  agi'  ultimi  luochi  ove  ne  ten- 
gono il  bisogno. 

Né  si  tema  dei  protesti  che  furono  divulgati  quando  si  cessò  tale 
missione  di  voler  gli  Austriaci  attender  di  fabbricar  saline  per  le  rive  del 
Vinadol,  perchè  se  vi  havessero  siti  a  proposito  non  sarebbono  tardati  fin 
ora  a  fabbricarle  essendo  pur  adesso  gli  stessi  siti  quei  medesimi  ch'erano 
anco  già  tanti  anni  nel  corso  de'  quali  non  haverebbono  voluto  ricever  li 
sali  di  Vostra  Serenità  se  gli  havessero  potuti  cavar  nelle  proprie  rive  ;  il 
che  si  deve  assicurar  dal  non  haversi  di  ciò  sentita  dopo  in  tanti  mesi  al- 
cuna mossa. 

E  se  pur  anco  ne  trovassero  il  commodo,  non  è  da  credere  che  a  tali 
novità  si  mettessero  per  non  andar  alle  caneve  di  Vostra  Serenità  a  com- 
perar i  sali,  ma  bene  per  quei  fini  che  difusamente  rappresentai  nelle  let- 
tere di  1 1  Decembre  prossimo  passato  in  quella  materia,  di  tender  li  pen- 
sieri del  general  di  Orovatia  ad  haver  nel  stato  proprio  li  sali  da  mantenir 
quelle  scale  e  di  Segna  in  particolare  con  Turchi,  senza  la  necessità  di  pi- 
gliar di  quelli  della  Serenissima  Republica,  anzi  per  mortificarle  il  negocio 
stesso  de  sali  et  ogni  altro  trafico  con  perdita  delle  sue  rendite.  A  che, 
quando  così  fosse,  neanco  ostarebbe  il  continuarsi  a  mandar  da  Capo  d'Istria 
colà  gli  sali. 

Manco  s'ha  da  consigliar  tale  missione  con  li  tanto  gravi  pregiudicii 
di  sopra  rappresentati  per  il  riguardo  di  levarne  un  solo  di  molto  minor 
danno,  che  è  il  voler  rimover  l'occasione  che  da  altri  stati  gli  siano  con- 
dotti li  sali  ;  il  che  neanco  con  questo  temperamento  si  devierebbe.  Poiché 
in  ogni  modo  siccome  è  verissimo  che  anco  in  tempo  de  partitami  pre- 
detti, quei  popoli  ne  hanno  voluti  dei  forestieri,  non  per  la  bontà,  perchè 
anzi  quei  somari  affermano  che  rodono  gl'interiori  agli  animali,  per  cui  è 
grande  il  consumo  d'  essi,  ma  per  il  vii  pretio  a  che  li  hanno,  che  ve  ne 


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sono  stati  portati  non  puochi,  come  dagli  agenti  de'  stessi  partitanti  fui 
avvisato  sebbene  per  la  ricognitione  che  asserivano  di  dar  alla  camera  Im- 
periale d'una  lira  per  staro,  mostravano  di  haver  da  quella  Maestà  editto 
di  prohibitione  che  nel  suo  stato  non  si  ricevessero  altri  sali  che  del  loro 
partito:  et  altri  vascelli  con  carichi  simili  si  sono  in  Quarnero  naufragati; 
così  è  argomento  chiaro  et  infallibile  che  sempre  dette  genti  havranno  il 
pensiero  medesimo  di  volerne  de  forestieri  qualche  quantità  da  mescolar 
con  di  quei  di  Vostra  Serenità  per  sparagno  e  per  stabelir  il  commercio 
con  gli  luochi  di  sotto  vento  da  dove  gli  potessero  havere.  Onde  mi  par 
in  ciò  propria  la  regola  praticata  comunemente,  che  di  due  mali  si  elegga 
il  minore,  et  che  a  levar  dunque  questo  solo  maleficio  non  si  debbano 
trovar  modi  di  peggior  detrimento  e  che  causino  danni  infiniti  più  impor- 
tanti, ma  basterebbono  quelle  diligenze  di  guardie  che  hanno  valso  in  tan- 
t' altre  gravissime  occasioni  e  che  pur  per  altri  interessi  si  tengono  per 
quelle  rive  e  sarà  insieme  bisognevole  di  tenirvi  per  il  medesimo  fine  anche 
durante  lo  partito  renovato  ;  non  tacendo  perciò  che  il  transito  d'ogni  na- 
viglio a  Bucari  e  Fiume  per  la  via  del  Quarnero  da  due  barche  armate 
eh'  essistano  una  in  porto  della  Faresina  dell'  isola  di  Cherso  e  1'  altra  di 
qua  nel  porto  del  Castel  di  Fianona  ov'è  un  stretto  di  soli  cinque  miglia, 
hessendo  la  navigation  in  cosi  angusto  sito  si  possa  impedire  senza  alcuna 
fatica,  o  contrario. 

E  quesf  ostaggio  di  presente  ancora  si  pratica  in  fatti  facilissimo  e 
riuscibile,  mentre  si  vede  e  lo  devono  aver  a  memoria  Vostre  Eccellenze 
che  l' illustrissimo  signor  general  in  Dalmatia  et  Albania  li  giorni  passati 
avvisò  d'  haver  fatto  arrestare  quel  vascello  che  con  sali  et  oli  passava  verso 
Buccari  et  come  il  farsi  da  lui  gettar  detti  sali  in  mare  ha  conferito  in 
questo  proposito  al  publico  interesse,  così  mi  pare  che  il  servino  sarebbe 
stato  più  perfetto  quando  havesse  contra  il  padrone  del  naviglio  esseguito 
il  rigore  delle  prudentissime  leggi  che  in  ciò  dispongono  ;  perchè  con  maggior 
facilità  ancora  s'  haverebbe  dagli  altri  l'obbedienza,  nò  pensariano  a  far  questi 
pregiudici  alla  Serenissima  Republica. 

Se  dunque  con  l'effetto  delle  guardie  che  per  altro  si  tengono  in  quelle 
aque,  si  distrugge  questo  supposto  danno,  io  non  so  discerner  altra  necessità 
di  mandarsi  li  sali  alle  dette  scale.  Mi  pare  sentir  a  dirmi  ancora  che  non 
habbia  avvertito  al  gravame  che  eseguendosi  la  vendita  de  sali  per  nome 
publico  vi  è  da  mantenir  in  Istria  un  Provveditore  per  la  sopraintendenza 
del  negocio  con  la  diversione  particolarmente  dei  contrabandi.  E  per  questo 
dirò  che  tal  interesse  non  si  deve  poner  in  bilancio  alla  rendita  della  caneva. 
Perchè  anco  in  tempo  di  partito  quando  non  vi  fosse  Rappresentante  prin- 


—    128    — > 

cipale,  non  passarebbe  sèmpre  bene  quel  traffico,  che  se  le  incontrariano 
di  quei  stessi  pregiudicii,  che  pur  alla  caneva  potessero  esser  portati  :  Oltre 
che  molti  altri  interessi  gravi  et  importanti  al  servitio  della  Serenità  Vostra 
ricercano  ben  spesso  in  quelle  rive  la  ressidenza  di  prudente  Senatore.  Ma 
per  schifarsi  la  spesa  d'  un  Provveditore  non  possono  Vostre  Eccellenze 
capitar  a  risolutione  migliore,  che  di  regolar  il  Reggimento  di  Capo  d' Istria, 
acciò  vi  si  conduchi  di  tempo  in  tempo  soggetto  che  possi  esser  incaricato 
di  quelle  stesse  punitioni  che  s' impongono  al  Provveditore.  E  per  molti 
considerabili  rispetti,  anzi  per  la  conservatione  di  quei  puochi  rimanenti 
sudditi  nell'  Istria  come  intenderà  la  Serenità  Vostra  nel  fine,  vi  deve  tendere 
tutto  '1  pensiero  dell'  Eccellenze  Vostre. 

Soggiungerò  qui  quanto  fa  a  proposito  per  il  luoco  di  Pirano  come 
primo  che  praticai.  Quella  terra  tiene  tre  scali  di  saline  ;  la  maggiore  no- 
minata Cizzole  ;  la  mediocre  Fasano  ;  et  F  ultima  Strognano.  E  tra  tutte 
formando  cavidini  due  mille  seicento  ottantacinque  di  saline,  è  ordinario 
che  un  anno  coli'  altro  rendino  circa  7  mila  moza  de  sali,  de  quali  la  co- 
munità ha  beneficio  della  settima  parte  per  il  ius  che  tiene  sopra  li  fondi 
delle  medesime  saline,  essendo  antichissime.  E  detti  sali  sono  comperati  per 
conto  della  Serenissima  Signoria  a  lire  quindici  e  meza  il  mozo  con  mer- 
cato rennovato  l'anno  1625  dall' Eccell.mo  Collegio  del  sale,  incanevandosi 
hora  di  là  et  hora  mandandosi  di  qua,  secondo  si  ha  commodo  de  magaz- 
zeni ;  che  anzi  talvolta  sono  rimasti  alla  sbaraglia  nelle  valli  tutto  l' inverno 
et  fino  quasi  alla  fabbrica  dei  nuovi  sali,  da  che  poi  ne  sono  avvenuti  li 
contrabandi  dannosissimi  a  publici  interessi. 

Ma  non  rimane  a  questo  segno  il  danno  al  publico  con  la  costrutione 
di  tanti  sali  in  quel  solo  luoco,  che  nel  pagamento  di  essi  ne  segue  un 
impiego  di  molto  denaro,  qual  poi  resta  sepolto  nei  magazzeni  che  mai  si 
possono  vuotare  perchè  la  quantità  che  si  smaltisce  tra  l' una  e  l' altra  sta- 
gione non  è  tale  che  non  sia  sempre  maggiore  la  somma  che  se  ne  riceve 
de  nuovi  e  così  va  facendosi  grosso  il  negocio  senza  speranza  di  poterlo 
(Dio  sa  quando)  veder  a  un  fine,  che  appunto  adesso  se  ne  trovano  in  quei 
magazzeni  de  vecchi  meglio  de  15  mila  moza.  E  quanti  più  magazzeni  se 
ne  incanevano,  tanti  più  sali  si  discavedano  per  pioggie,  o  per  altro  mal 
stato  dei  stessi  magazzeni,  come  potranno  conoscere  F  Ill.mi  Signori  Prov- 
veditori al  sale  quando  vedranno  il  fondo  all'  incanevi  e  discanevi  di  quelli 
f  di  Cezza  particolarmente  fabbricati  dal  Proto  Pelandi,  il  qual  osservo  haver 
in  tali  fabbriche  mal  servita  Vostra  Serenità. 

Fu  pertanto  sommamente  a  proposito  per  divertire  ognuno  dei  sopra- 
detti danni  e  pregiudicii  l'ordine  di  Vostre  Eccellenze  che  si  dovesse  eseguir 


—  129  — 

la  deliberatione  dell'  Eccell.0  Senato  1428,  che  le  saline  di  Piran  non  po- 
tessero fabbricar  più  di  quattro  mille  settecento  moza  de  sali  annualmente, 
compreso  il  settimo  spettante  a  detta  Comunità.  Et  il  stabilire  fermamente 
questa  osservatione,  come  la  Serenità  Vostra  anco  ultimamente  ha  mostrato 
d'  haver  pensiero,  et  ho  pur  io  reverentemente  più  volte  racordato  e  spe- 
cialmente dichiarito  in  lettere  di  15  Agosto  1628  per  l'ordine  impostomene, 
sarà  rimedio  potentissimo  ad  ogni  male,  perchè  ogni  anno  vi  saranno  ma- 
gazzeni da  logar  i  sali  nuovi  senza  lasciarli  in  potere  de'  contrabandieri, 
non  essendo  meraviglia  che  tali  siano  e  vogliano  sempre  mantenersi  li  Pi- 
ranesi  in  particolare  per  non  degenerare  da  quei  famosi  corsari  pirati,  che 
diedero  pianta  e  forma  a  quella  terra  et  furono  l'origine  della  prava  volontà 
nei  successori  ;  Vostra  Serenità  non  haverà  obbligo  d' impiegare  ogni  anno 
gran  summa  d'oro,  ma  quello  isborsarà,  con  utile  tosto  ricupererà  che  non 
s' invecchiarano  i  sali  nei  magazzeni  e  così  anco  ben  spesso  si  potranno 
veder  li  danni  che  portassero  li  stessi  magazzeni  e  che  bisogno  tenissero 
di  restauratione,  e  non  meno  il  celere  smaltimento  de  sali  gioverebbe  a 
riveder  li  conti  dei  maneggi  di  publici  scrivani  di  tali  magazzeni,  tornando 
le  lunghezze  se  non  in  evidente  pregiuditio  della  Serenissima  Signoria. 

E  però  vero  che  come  Iddio  ha  concesso  a  me  che  coll'esemplar  ca- 
stigo di  un  solo  e  con  la  pena  in  altri  adeguata  a  loro  demeriti  per  con- 
trabandi commessi  fin  sotto  la  cura  e  comando  d'altri,  siano  vissuti  con 
tanto  rispetto  alla  dignità  publica  che  non  hanno  osato  di  traghettar  sali 
per  Gollo,  tutto  che  la  prima  stagione  che  uscii  alla  carica  per  non  haver 
da  salvarli  convenisse  tenersene  grossa  quantità  in  saline  fin  alla  Pasqua  ; 
cosi  posso  affermar  viridicamentè  che  ogni  volta  che  li  Rappresentanti  che 
saranno  fuori,  accurarano  il  levar  li  contrabandi,  potranno  farlo  e  non  ne 
saranno  commessi. 

E  questa  diversione  de'  contrabandi  nei  Piranesi  si  renderà  in  avvenire 
anco  più  facile  come  si  può  veder  dal  modello  presentato  per  me  in  se- 
creta ;  poiché  in  adempimento  delle  commissioni  della  Serenità  Vostra,  col- 
1'  escavatione  molto  fonda  e  larga  de  fossi  da  terra  alla  quantità  di  passa 
duemille  e  più  in  longhezza  e  con  pallificate  attorno  li  paludi  per  circuito 
di  circa  altri  passa  2  mila  ho  fatto  serrar  d'ogni  parte  le  dette  saline  della 
valle  maggiore,  che  con  le  barche  hanno  un  solo  foro  d'  uscire,  da  star 
serrato  anco  quello  con  una  pallata  custodita  e  guardata  da  publico  mini- 
stro et  altro  foro  d'andar  per  terra,  da  star  pur  serrato  e  guardato  d'altro 
ministro  :  1'  eledone  de'  quali  ho  racordata  all'  Eccellentissimo  Collegio  del 
sai,  et  non  v'è  tempo  da  perder  a  mandarli  ai  carichi,  perché  sono  hormai 
le  giornate  opportune  a  far  sali  ;  non  havendo  io  voluto  farne  la  deputa- 


—  130  — 

tione  per  non  destinarvi  di  quei  del  paese  interessati  et  per  risparmiar  a 
Vostra  Serenità  buona  stimma  di  danaro  delli  salarii  che  le  sariano  corsi 
più  d'  un  anno  eh'  ho  fatto  eseguir  il  publico  servitio  senza  questa    spesa. 

Né  in  tali  escavationi  e  palificate  che  costano  ducati  cinquemille  hanno 
Vostre  Eccellenze  altro  aggravio  che  della  metà,  perchè  per  l'altra  metà  se 
ne  risarciranno  col  mezzo  dell'  Illustrissimo  Magistrato  del  sale,  ove  n'  è 
stata  apportata  debitrice  la  detta  comunità  nel  pagamento  di  nuovi  sali.  Et 
questa  summa  anco  è  diminuita  non  puoco  con  l'applicatione  alle  mede- 
sime escavationi  di  ducati  settecento  cinquanta  di  condanna  che  feci  contra 
diversi  dello  stesso  luoco  per  quelle  colpe  che  significai  alla  Serenità  Vo- 
stra in  lettere  di  20  maggio  1628. 

Oltre  le  quali  opere  ho  tatto  che  dalla  stessa  Comunità  coll'aiuto  del- 
l' estimo  generale  per  l' obbligo  toltosi,  si  sia  escavato  l' alveo  del  gran 
fiume  di  passa  mille  nonanta  otto  che  scorre  per  le  saline  dentro  dalle  pa- 
lificate, qual  era  aterrato,  acciò  necessariamente  per  esso  e  non  per  altra 
parte  ognuno  transiti  a  condur  li  sali  et  a  far  ogni  altra  cosa  :  et  parimenti 
un  altro  alveo  di  passa  circa  mille  che  conduce  l'aque  piovane  dai  monti, 
perchè  la  furia  di  quelle  habbia  largo  esito  e  non  porti  otturatione  alli  fossi 
escavati  come  di  sopra  per  il  serraglio  delle  saline. 

Anco  le  altre  della  valle  mediocre  di  Fasano  sono  state  rinchiuse  con 
escavatione  de  fossi,  e  con  palificate  coll'ordine  istesso  delle  sudette  di  Ciz- 
zole,  ma  però  senza  interesse  di  Vostre  Eccellenze,  perchè  ho  indotto  con 
destro  modo  gli  patroni  di  quelle  a  farne  tutta  la  spesa  per  non  essere 
stata  molta. 

E  non  meno  gioverà  a  levar  il  commodo  de  contrabandi  il  magazzeno 
che  dentro  la  detta  terra  ho  fatto  costruire  di  tenuta  di  più  di  tre  mille 
moza  con  la  spesa  sola  di  ducati  mille  settecento  quaranta  che  anco  si  ri- 
ducono a  ducati  cento  di  meno  d' interesse  di  Vostra  Serenità,  perchè 
tanta  summa  applicai  alla  medesima  fabbrica  di  condanna  che  feci  contra 
reo  della  mia  giustitia  in  negocio  di  biave  ;  poiché  vi  sarà  questo  et  altro 
magazzeno  vuoti  da  ricoverar  di  giorno  in  giorno  per  la  vicina  stagione  li 
sali  che  si  faranno  e  nel  corso  dell'altra  susseguente  annata  coll'espeditione 
de  sali  per  Dalmatia  et  Albania  si  farà  luoco  all'  incanevo  de'  sali  dell'altra 
stagione  quando  però  non  si  permetta  il  farne  summe  esorbitanti. 

Vi  resta  1'  altra  valle  inferiore  di  Strognano  della  quale  non  s'  è  sta- 
bilito alcuna  cosa  perchè  la  Serenità  Vostra  ha  da  terminar  il  suo  volere 
sopra  la  supplicatone  posta  ai  suoi  piedi  dalla  predetta  Communità  et  in- 
teressati, sopra  di  che  pur  ho  io  espresso  il  mio  debolissimo  senso  molte 
volte  et  in  particolare  con  giuramento  in  lettere  di   io    ottobre  1628    ha- 


—  I3I  — 

vendo  osservato  che  non  si  possono  serrare  queste  perfettamente  e  che  per 
il  sito  in  che  si  trovano  poste  torni  più  conto  al  publico  o  d'impiegar  una 
puoca  summa  di  danaro  per  satisfattone  dei  padroni,  o  di  darle  per  con- 
cambio di  quei  fondamenti  inculti  che  sono  dentro  la  recinta  e  serraglio 
della  valle  grande  di  Cizzole  e  disfarle,  che  di  tenirle  in  piedi  con  man- 
tenir  anco  vivo  il  maleficio  e  danno  che  dalle  altre  sarà  levato.  Il  che  non 
mi  sarà  mentito  dal  successo  negli  ultimi  giorni  del  mio  partir  da  quella 
Provincia  che  gli  ladri  per  la  commodità  del  sito  appunto  poterò  tagliar  il 
cadenazzo  della  porta  e  romper  esso  magazzeno  asportando  qualche  quan- 
tità di  quei  publici  sali  nelle  rive  di  Duino.  Oltre  di  ciò  quando  si  pre- 
servino dette  saline,  sarà  necessitata  tosto  Vostra  Serenità  a  fabbricar  ivi  un 
nuovo  magazzeno  poiché  quello  vi  si  trova  per  l' incanevo  dei  sali  d'  essa 
valle  sta  per  rovinare  che  pur  io  convenni  fargli  restaurar  una  testa  della 
muraglia  con  non  puoca  spesa  per  non  lasciar  andar  a  male  li  sali  di  che 
è  pieno. 

Ma  perchè  trovai  essere  fomentata  l' inosservanza  dell'  accennata  de- 
liberatione  dell'  Eccellentiss.0  Senato  1428  di  farsi  soli  quattromille  sette- 
cento moza  de  sali  a  Pirano,  da  un  abuso  introdotto  perniciosamente  di 
mettersi  a  lavoro  de  sali  anco  quei  fondamenti  e  quadri  di  terra  che  si 
chiamano  servitori  de  cavidini,  perchè  ad  altro  non  sono  permessi  che  per 
il  scaldar  dell'  aque  da  trasmetter  poi  nei  veri  cavidini  per  far  congelar  i 
sali  ;  con  qual  modo  era  inventato  di  fabbricarsi  ogn'anno  almeno  due  mille 
moza  de  sali  ;  ho  con  provvisione  opportuna  di  ordine  statuito  e  publi- 
cato,  posto  regola  a  questo  inconveniente  al  quale  valerà  il  rimedio  fino  a 
tanto  che  la  Serenità  Vostra  risolvi  alcuna  cosa  per  la  sicura  osservatione 
della  parte  predetta. 

Così  per  mantenere  in  servitio  publico  eternamente  le  opere  antedette 
del  serraglio  d'  esse  saline  di  Cizzole  e  di  Fasano  con  puoco  o  niente  di 
spesa  fra  1'  anno,  senza  dover  ogni  corto  tempo  nel  renovarle  sentir  un 
aggravio  di  tanto  denaro  quanto  questa  volta  s'  ha  convenuto  consumare, 
per  non  haversi  posto  pensiero  dopo  fatte  l'opre  la  prima  volta,  a  mante- 
nirle  in  concio  et  in  buon  stato  ;  ho  publicati  e  fatti  registrare  nelle  Can- 
cellane di  Piran  e  di  Capo  d'Istria  et  anco  all'Officio  illustrissimo  del  Sale 
in  questa  città  ordini  che  sul  proprio  fatto  ho  ben  osservati  e  ponderati 
riuscire  a  proposito  e  ben  conferire  con  ragione  agi'  interessi  di  V.  Serenità 
et  al  minor  incommodo  de  Piranesi.  La  validezza  però  di  queste  provvi- 
sioni rimane  da  me  appoggiata  al  solo  beneplacito  dell'Eccellenze  Vostre, 
da  quali  vi  potrà  essere  apposta  la  confermazione,  quando  considerate  anco 
dalla  loro  somma  sapienza  le  conoschino  di  quel  buon  effetto  per   cui  ho 


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stimato  d' istituirle.  Non  dovendole  parer  di  rigore  le  pene  che  nei  capi 
più  esentiali  ho  imposto  ;  perchè  ai  Piranesi  la  galea  per  puoco  tempo  non 
è  di  pena,  ma  di  favore  e  beneficio,  essendo  praticato  che  per  il  loro  saper 
della  navigatione  vengono  da  sopracomiti  posti  in  liberti  et  al  fine  poi 
usciscono  anzi  con  qualche  civanzo. 

Alcuno  ,dei  medesimi  di  Pirano  che  nutrisce  qualche  buon  talento 
verso  gF  interessi  della  Serenità  Vostra  non  sa  negare  che  le  dette  provvi- 
sioni siano  il  vero  rimedio  alla  diversione  de  passati  mali,  ma  altri  e  forse 
la  maggior  parte  se  ne  torzono  e  piegano  senza  aprir  la  bocca,  perchè  par- 
lando sanno  di  manifestar  il  loro  cattivo  naturale  e  colla  torta  di  vita  le 
basta  a  dichiarar  che  non  la  volontà  sia  stata  pronta,  tutto  che  si  riaves- 
sero in  altro  tempo  obbligati  con  publica  parte  del  loro  Consiglio,  ma  lo 
mio  stimolo  e  le  punture  continue  gli  habbiano  fatti  ridur  a  perfetione  il 
negotio  dell'  opere  prescritte  poiché  nel  progresso  di  quelle  non  hanno  la- 
sciato inventivo  di  metter  in  conquasso  gli  appaltatori,  gli  operari  et  ognuno 
che  v'  applicava  1'  anima  con  oggetto  di  non  vederne  il  fine  :  non  essendo 
bugia  che  loro  concorsero  a  prender  la  sudetta  parte  di  contribuir  alla 
spesa,  com'era  stato  costumato  l'altra  volta  per  compiacer  a  chi  allora  gli 
ne  faceva  la  richiesta,  ma  non  perchè  credessero  di  veder  alcun  Rappre- 
sentante che  si  curasse  di  volerne  intiero  l'effetto. 

Per  ultimo  capo  di  ciò  che  posso  toccar  di  Pirano  devo  considerare 
che  nel  mercato  1625  dell'  Eccellentissimo  Collegio  del  sai  è  concesso  a 
quei  padroni  e  salinari  per  il  loro  uso  un  mezzo  staro  de  sali  per  ogni 
cavidino  di  saline  eh'  hanno  riponendolo  però  sotto  chiavi  in  un  magaz- 
zeno della  Comunità  commesso  alla  cura  di  un  di  quei  cittadini  eletto  dal 
Consiglio,  il  qual  tenendo  conto  di  quei  che  portano  sali  in  esso  magaz- 
zeno, all'  incontro  del  loro  credito  gli  va  notando  per  aggiustamento  quella 
quantità  de  sali  ch'ai  nome  medesimo  si  restituiscono  a  suo  arbitro  e  ri- 
chiesta con  un  semplice  bollettino  di  qucU'Eccell."10  Podestà. 

Quest'  ordine  forma  disordine  di  notabile  danno  a  Vostra  Serenità  e 
si  degni  sentir  come.  Un  patrone  di  saline  n'haverà  settanta  cavedini,  che 
pur  assai  ve  ne  sono  di  questa  eonditione  e  de  maggiori  et  in  virtù  del 
mercato  predetto  per  se  e  per  il  suo  salinaro  metterà  trentacinque  stera  de 
sali  nel  magazzeno  sud."  chiamato  del  quinto.  E  nondimeno  all'  uno  et  al- 
l'altro puochissimi  di  detti  sali  bastarano  d'usare,  sicché  restando  il  sopra- 
più  nella  loro  disposinone  o  li  vendono  a  quei  d'  altri  luochi  che  dove- 
riano  comprarli  alle  eaneve  di  Vostra  Serenità,  o  più  volentieri  li  renon- 
tiano  ad  alcun  parente,  o  compare  (che  tutti  sono  congiunti  o  di  parentela, 
o  di  comparanza),  il  qual  sotto  pretesto  di  volerli  per  sé  li  cava  di  detto 


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magazzeno  e  li  asporta  con  occasione  d'altre  robe  nelle  rive  del  Friuli,  ove 
ha  manco  timore  d' incontrar  nelle  guardie.  E  questi  sono  li  contrabandi 
impossibili  da  scoprire  perchè  li  commettono  quando  non  sono  sali  nelle 
valli,  che  le  guardie  attendono  ad  altro  et  quando  manco  è  da  pensare 
che  alcuno  conduca  sali  per  golfo. 

Anco  a  questo  grave  abuso  si  deve  porre  freno.  E  perchè  non  mi  par 
ragionevole  il  trattar  che  se  gli  levi  il  sai  per  loro  bisogno  per  doverli  ne- 
cessitare a  comprarlo  alle  caneve  al  pretio  che  lo  pagano  gl'altri,  che  sa- 
rebbe un  volerli  far  più  arguti  e  perspicaci  (se  però  in  questa  materia  pos- 
sono esser  più  del  loro  naturale)  a  provvedersene  senza  denari  ;  stimarci 
di  vera  norma  al  servitici  della  Serenità  Vostra  ch'ella  si  facesse  da  detti 
Piranesi  consegnar  intieramente  gli  loro  sali,  senza  lasciargliene  alcuna  mi- 
nima quantità  sotto  qual  si  sia  pretesto  et  facendo  fare  una  ragionevole 
descritione  delli  sali  che  potessero  annualmente  consumare  detti  Piranesi, 
ne  facesse  consegnar  la  quantità  necessaria  al  sudetto  Deputato  dal  Consi- 
glio il  qual  havesse  cura  di  dispensare  a  cadauna  famiglia  la  summa  limi- 
tatagliene col  riceverne  il  pagamento  a  ragion  di  quel  stesso  pretio  de  lire 
quindeci  e  meza  il  mozo  di  dodeci  stera  solamente  (ritenendo  il  tredici  per 
il  callo)  che  Vostra  Serenità  li  paga  a  detta  Comunità,  la  qual  riceverla  il 
medesimo  denaro  per  pagamento  di  tanti  suoi  sali  quanti  restasse  di  pa- 
gargli l'Ili. mo  Officio  del  sale  per  li  restituiti  da  dispensare  come  di  sopra. 
In  tal  modo  senza  aggravio,  o  spesa  della  Serenità  V.*  maggiore  dell'  or- 
dinario si  darebbe  il  commodo  ragionevole  dei  sali  ai  Piranesi,  e  li  con- 
trabandi anco  di  questa  natura  sarebbono  totalmente  sradicati. 

Passo  al  trattar  di  ciò  che  mi  resta  in  specialità  del  luoco  di  Capo 
d'Istria. 

Quella  città  con  suoi  habitanti  tiene  sparse  in  diverse  paludi,  che  for- 
mano quasi  una  recinta  alla  stessa  città,  molte  saline  che  ascendono  al  nu- 
mero di  doimille  novecento  trentatre  cavidini  da  quali,  un  anno  per  l'altro, 
cavano  poco  più  di  seimille  moza  de  sali  e  della  maggior  parte  d'essi  ha 
Vostra  Serenità  per  ricognitione  la  X.m* 

Dopo  la  sapientissima  deliberatione  di  Vostre  Eccellenze  di  ricever  in 
publico  tutti  li  sali  dell'Istria  che  per  certo  da  moltissimi  rilevanti  rispetti 
era  dannata  la  libertà  che  ne  lenivano  gli  sudditi,  si  sono  continuamente 
col  pagamento  di  lire  disnove  il  mozo  incanevati  nei  magazzeni  de  parti- 
colari essendo  stato  empito  prima  quel  magazzino  grande  sul  porto  con 
tre  altri  piccoli  di  publica  ragione.  E  la  necessità  de  magazzeni  in  detta 
città  ha  porto  danni  gravissimi  alla  Serenità  Vostra  perché  negli  anni  pas- 
sati che  le  stagioni  furono  feconde  di  sali,  si  convenne,    per  non    lasciarli 


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alla  sbaraglia  nelle  saline  in  mano  de  contrabandieri  empirne  ogni  magaz- 
zenetto  e  buono  e  cattivo,  fino  delle  scuole  di  confraternita,  che  o  hanno 
le  pioggie  disfatti  i  sali,  o  sono  le  porte  o  li  palmenti  stati  rotti  e  rubata 
qualche  quantità  dei  medesimi. 

Per  questo  l'haver  Vostre  Eccellenze  ordinata  la  costrutione  di  magaz- 
zeno che  con  manco  di  duemille  ducati  ho  fatto  fabbricar'  in  detta  città 
grande  per  la  tenuta  di  quattro  mila  moza  de  sali  e  fortissimo  per  la  con- 
servatione  più  longa  di  quello  è  solito  durare  ogn'altro  magazzeno  che  si 
sia  in  alcun  tempo  fatto  fabbricar  a  spese  publiche,  ha  da  giovar  a  preser- 
vare sicuri  senza  danno  gli  sali  di  Vostra  Serenità  et  a  dar  adito  che  in- 
tanto s' empirà  quello,  s'andaranno  vuotando  col  spazzo  dei  sali  di  quegli 
altri  magazzenetti  privati  soggetti  al  discavedo.  E  la  fabbrica  d'altro  simile 
magazzeno,  sendovi  luochi  da  costruirlo  con  lo  stesso  sparagno  di  spesa 
dell'Eccell.e  Vostre,  valerebbe  unitamente  a  rimover  l'occasioni  de  contra- 
bandi, poiché  non  essendo  possibile  il  metter  quelle  saline  in  serraglio,  o 
guardia  sicura  per  dilatarsi  sparsamente  et  essere  li  fondamenti  di  quelle  a 
padrone  per  padrone  separati  che  ad  ognuno  è  necessario  un  angolo  d'en- 
trarvi per  terra,  qual  servirebbe  anzi  di  commodo  passo  ai  contrabandi  ; 
non  vi  è  il  miglior  riparo  che  '1  far  portar  dai  salinari  di  sera  in  sera  li 
loro  sali  ai  magazzeni  che  pur  senza  difficoltà  anzi  prontamente  il  fariano 
quando  havessero  apparecchiato  li  magazzeni  da  consegnarli  a  Ministri  della 
Serenità  Vostra,  tornando  loro  conto  di  levarli  dalla  rapina  de  contraban- 
dieri che  li  rubano  e  dalle  pioggie  che  glieli  disfanno  per  non  haver  in 
saline  casette  da  ricoverarli.  Ne  troppo  tardarebbe  il  publico  a  rimborsarsi 
la  spesa  di  tali  fabbriche  col  risparmio  degli  affitti  de  privati  magazzeni  e 
con  li  sali  che  s'avanzarebbono  dai  danni  che  si  ricevono  nei  medesimi  ma- 
gazzenetti. 

Non  però  tutte  le  volte  quando  si  lasci  il  freno  di  fabbricar  ogn'anno 
la  quantità  de  sali  che  gì'  interessati  premono  di  raccogliere,  vi  sarà  adito 
nei  magazzeni  da  salvarli  perchè  una  sola  stagione  a  loro  dosso  ne  empi- 
rebbe tre  o  quattro  di  grandi  come  il  fabbricato,  se  tanti  ve  ne  fussero, 
tendendo  il  loro  studio  a  semarne  ogni  maggior  quantità  che  per  questo 
molti  tralasciano  di  lavarli  e  riescono  negri,  che  di  tali  appunto  ne  rifiutai 
ad  alcuni  e  glieli  feci  gettar  in  mare. 

Onde  quel  pensiero  dell'  Eccellenze   V.e  dell'  osservatione    della    parte 

,  1428  per  la  limitata    quantità  de  sali  da  farsi  a  Pirano  (com'  ho  discorso) 

potrà  drizzarsi  per  gli  stessi  fini  del  publico  servitio  anco  a  Capo  d'Istria, 

a  ciò  ogni  luoco  cammini  con  la  regola  aggiustata  e  ventilata  sopra  i  suoi 

siti  e  bisogni. 


—  135  — 

E  la  limitatione  doveri  esser  di  stimma  tanto  inferiore  alla  quantità 
che  annualmente  se  ne  può  spazzare,  quanto  esito  vorrà  il  publico  che  si 
facci  ogni  anno  di  quelli  già  immagazcnati.  Il  che  si  potrebbe  introdur  per 
qualche  tempo  fino  si  distacesse  la  massa  dei  22  mila  moza  che  se  ne  trova 
V.a  Serenità  in  quel  luoco. 

Né  in  tale  regolatione  per  il  tempo  stesso  solamente  che  quella  si  os- 
servasse, stimarei  cattiva  risolutione  1'  accrescerle  piuttosto  di  qualche  cosa 
il  pagamento  di  essi  sali  per  non  sentir  quei  popoli  a  lagnarsene  e  per  non 
dar  adito  a  molti  salinari  di  andar  a  Trieste  a  lavorar  di  quelle  saline 
come  vi  pensariano  quando  non  riavessero  nella  loro  patria  commodità  da 
trarsi  il  vitto. 

Ad  altro  disordine  pur  nell'  istesso  luoco  convien  dar  il  rimedio.  Nel 
tempo  de'  nuovi  sali  vengono  ogni  sera  dalle  saline  portati  nella  città  sali 
in  non  puoca  summa  sotto  pretesto  d'  usarli  nelle  sue  case  ;  ma  come  la 
quantità  che  in  una  stagione  portano  dentro  eccede  il  bisogno  loro,  così 
col  sopra  più  che  ne  avanzano  dannifìeano  le  caneve  publiche  perchè  di 
nascosto  ne  fanno  vendita  a  chi  capitarebbono  a  comperar  di  quelli  di  V.* 
Serenità,  alla  quale  però  non  faccio  questa  riverente  commemoratione  per 
alcuna  propria  regola.  Soggiungendole  di  più  che  il  scrivano  dei  sali  di 
quel  luoco  per  tertninatione  antica  haveva  la  ricognitione  di  tre  per  cento 
sopra  la  quantità  di  sali,  che  qualche  anno  alcun  degli  111.""  Provveditori 
al  sai  andava  L'i  a  comperar  e  far  incanevar  per  Vostra  Serenità.  E  sebbene 
dopo  si  sono  comperati  tutti  li  sali  a  nome  publico  che  essendo  in  ragion 
d'anno  somma  grossissima  viene  ad  esser  il  suo  utile  tale  che  assorbe  a 
Vostre  Eccellenze  troppo  denaro,  nondimeno  non  si  è  di  ciò  fatto  alcuna 
regolatione  et  è  però  necessario  di  levarne  1'  esorbitanza. 

In  quella  Magnifica  Camera  coli'  indirizzo  del  Dottor  Lucio  del  Bello 
avvocato  fiscale  di  essa,  ministro  d'integra  fede  e  d'applicatione  diligente 
nei  publici  affari,  ho  potuto  osservare  che  per  il  sviamento  del  corso  d'Au- 
striaci causato  dai  difetti  dei  passati  partitami,  come  a  principio  ho  dichia- 
rato, siano  poco  meno  che  estinti  molti  dacii  di  Vostra  Serenità  che  hanno 
polso  sopra  la  venuta  d' istcssi  Austriaci  in  detta  città.  —  E  per  poca  cura 
di  chi  per  obbligo  alla  patria  Jeverebbono  usar  maggior  diligenza  erano  in 
quei  libri  debitori  di  qualche  momento,  sebbene  l'Ili."10  sig.r  Francesco  Ba- 
doer  podestà  e  capitano  presente  con  la  sua  virtù  s'  ha  in  questo  et  in 
ogn'  altro  interesse  di  publica  satisfatione  impiegato  con  tanto  spirito  e  con 
affetto  cosi  vivo  che  per  il  bene  di  Vostre  Eccellenze,  a  che  ha  atteso,  me 
le  ho  obbligato. 

Della  terra  di  Mugia  mi  tocca  dire  che  quelle  saline  poste  in  quattro 


-  i36  - 

luochi,  in  Stimma  tra  tutte  de  cavidini  millecinquecento  trentasette,  oltre 
qualche  fondamento  lasciato  andar  in  baredo  et  inculto,  sogliono  un  anno 
per  1'  altro  dar  rendita  di  puoco  più  di  tre  mille  moza  de  sali,  che  pari- 
menti si  comprano  per  Vostra  Serenità  come  quelli  di  Capo  d'Istria  a  lire 
disnove  il  mozo  e  quella  Comunità  da  molti  dei  particolari  possessori  di 
dette  saline  è  riconosciuta  dell'ottavo  di  quei  sali,  perche  s'asserisce  ch'ella 
anticamente  dasse  a'  suoi  habitanti  con  quest'obbligo  li  fondi  per  la  costru- 
tione  delle  medesime  saline. 

Queste  sono  veramente  contigue  a  Trieste,  che  niuna  cosa  è  più  fa- 
cile che '1  commetter  di  quei  sali  i  contrabandi;  ma  però  chi  dicesse  di 
disfarle  tutte  sarebbe  iniquo  e  puoco  christiano,  che  con  la  distrutione  di 
quelle  si  spiantarebbe  la  terra  et  andariano  raminghe  le  famiglie  che  si  so- 
stentano per  il  più  con  quell'entrata,  e  con  l'occasione  dei  Cranzi  che  colà 
si  conducono  a  comprar  i  sali,  ricevono  l'alimento  dei  grani,  perchè  quel 
territorio  n'è  sterilissimo. 

Ben  per  riparar  agi'  inconvenienti  nella  maggior  parte,  racorderò  ri- 
verentemente a  Vostra  Serenità  che  sarebbe  adeguata  al  bisogno  la  risolu- 
tione  di  serrare  da  terra  e  da  mare  la  valle  maggiore  chiamata  di  S.  Cle- 
mente, che  è  il  grosso  di  dette  saline,  potendosi  facilmente  senza  molta 
spesa  effettuare,  che  pur  io  1'  havrei  speditamente  eseguito  se  Vostre  Ec- 
cellenze vi  s'havessero  risolto  quando  gli  ne  diedi  conto.  E  dodici  cavi- 
dini sali,  che  sono  immediate  fuori  delle  porte  della  terra,  non  farebbono 
danni,  perchè  di  sera  in  sera  si  possono  introdur  dentro  et  incanevare. 

Dei  quarantaotto  cavidini  poi  che  sono  costrutti  nel  centro  d'una  valle 
detta  S.n  Bartolomio  all'  ultime  parti  inferiori  di  Mugia  in  sito  cosi  acco- 
modato a  passar  in  Trieste  con  il  transito  di  quattro  soli  miglia  di  mare 
che  in  tempi  d'altri  fino  di  mezzo  giorno  sono  stati  condotti  in  contra- 
bando  di  quei  sali  da  chi  capitati  dopo  nelle  mani  della  giustitia  hanno  da 
me  sentito  il  castigo  :  E  d'  altri  cavidini  cento  settantaquattro  dei  signori 
conti  Torri  posti  lontanissimi  dalla  terra  nei  confini  Austriaci  in  valle  di 
Zaule  congiunti  con  le  saline  dei  Triestini,  che  vi  è  framezzo  un  solo  stretto 
alveo  che  riceve  e  restituisce  al  mare  l'acque  del  flusso  e  riflusso  servendo 
detto  alveo  ad  adacquare  le  saline  dall'una  e  l'altra  parte,  che  anzi  quando 
fui  a  vederle  giudicai  che  fusse  più  proprio  il  nomarle  de'  Triestini  che 
de'  Mugisani  perchè  anco  si  osserva  che  puoca  parte  dei  sali  di  quelle  veniva 
condotta  nei  magazzeni  a  Vostra  Serenità  ;  io  non  so  nasconder  la  neces- 
sità dell'  Eccellenze  Vostre  a  disfarli,  perchè  né  vi  è  modo  da  serrar  il  passo 
ai  contrabandi,  né  quando  anco  si  potesse  recingerle,  torna  conto  di  far  la 
spesa  e  mantenir  a  posta  di  così  poche  saline  due  guardiani,  che  a  niente 


—  i37  — 

in  ogni  modo  valeriano,  sendo  tanto  distanti  dall'  ajuto  che  gli  tristi  pen- 
sarebbono  anzi  di  offenderli  e  farsi  strada  sempre  maggiore  al  male.  Et  o 
li  padroni  possono  ricevere  in  concambio  fondamenti  dentro  la  sudetta  valle 
grande  che  si  può  serrare,  che  ve  ne  sono  molti  lasciati  da  altri  in  baredo, 
o  Vostra  Serenità  può  con  non  troppo  denaro  satisfarli,  essendo  mal  buoni 
detti  cavedini. 

Né  per  quel  luoco,  mentre  si  può  risolver  il  spiantar  detti  due  fonda- 
menti di  saline,  stimo  far  motivo  di  limitare  la  quantità  dei  sali  da  farsi 
da  quelle  genti,  poiché  in  riguardo  del  numero  dei  cavedini  non  è  somma 
esorbitante  quella  che  ad  anno  per  anno  sunano. 

Mi  sibbene  devo  toccar  il  bisogno  di  dar  alcun  ordine  nell'abuso,  che 
pur  in  Mugia  è  introdotto  come  a  Capo  d' Istria,  di  portarsi  nella  terra 
quantità  de  sali  dai  salinari  sotto  coperta  del  loro  uso,  che  nascostamente 
somministrano  a  schiavi  e  sudditi  et  alieni  in  detrimento  delle  caneve  pu- 
bliche. 

Anco  mi  conosco  obbligato  di  raccordar  humilmente  che  si  fabbrichi 
sul  porto  d'  essa  terra  un  magazzeno,  che  vi  è  il  sito  da  costruirne  uno 
capace  d'  assai  somma  de  sali,  che  della  spesa  si  risarcirebbero  Vostre  Ec- 
cellenze in  corto  tempo,  con  scansare  quella  degli  affìtti  de'  particolari  ma- 
gazzeni e  con  l'avanzo  dei  sali  che  in  molta  quantità  si  discavedano  in  essi 
magazzeni,  così  per  danni  d'  acque,  come  de  ladri,  perchè  non  essendovi 
pur  un  magazzeno  di  ragion  publica,  si  hanno  sempre  incanevati  li  sali  in 
casette  private,  eh'  eran  di  quando  in  quando  soggette  alle  pioggie  et  in 
istanze  terrene  che  agli  habitatori  sopra  li  palmenti  d'esse  è  stato  libero  il 
rubarli  a'  suoi  appetiti  ad  ogni  hora,  senza  potersene  avveder  se  non  al 
tempo  di  discanevarli,  che  perciò  ad  alcuno  che  ho  potuto  haver  prigione, 
oltre  al  refacimento  a  Vostra  Serenità  del  sai  rubato,  ho  data  la  pena  ne- 
cessaria. 

Delle  saline  di  Pola,  che  sono  puochi  cavidini  et  mal  buoni  fabbricando 
rossi  li  sali,  non  ho  potuto  cavar  maggior  istrutione  che  d'esser  per  verità 
antiche  non  tenendo  li  patroni  d'  esse  altri  titoli  che  gì'  istromenti  di  pos- 
sesso, o  per  acquisti  e  doti,  o  per  rieredità. 

Di  serrarle  non  mi  basta  l'animo  parlare,  perchè  non  torna  conto,  né 
di  distruggerle  mi  par  ragionevole  il  discorrere  :  dovendosi  considerar  che 
quella  sia  città  che  la  Serenità  Vostra  ha  bramato  di  tenir  in  piedi  et  ha- 
vervi  qualche  popolo  ;  che  se  si  disfacesse  dette  puoche  saline,  tante  casate 
che  ne  hanno  la  patronia  e  con  quella  rendita  si  conservano  vive  si  dareb- 
bono  all' estintione. 

Anzi  per  questo  fine  di  dar  pratica  di  gente  agli  habitanti  di  detta  città, 


-  i38  - 

ho  fatto  continuar  ivi  la  vendita  in  publico  nome  a  popoli  d' Istria  Veneta 
di  quei  sali  rossi  che  vi  si  trovano  immagazzenati  alla  somma  di  circa  500 
moza,  che  con  tal  modo  anco  haveranno  esito,  non  potendosi  spazzare  per 
altri  luochi. 

Et  con  la  stessa  mira  d'  hajutar  1'  habitatione  della  città  di  Parenzo,  ho 
parimente  in  essa  fermata  per  conto  di  V.  Serenità  la  caneva  de  sali  per 
Istria  Veneta,  che  vi  si  mandano  da  Capo  d' Istria  riavendo  levate  diverse 
di  quelle  altre  caneve  introdotte  per  innanzi  dai  partitanti  con  molto  anti- 
vedere a'  loro  beneficii. 

A  questo  segno  nel  negocio  confusissimo  di  sali  è  arrivato  l'uso  della 
mia  applicatione,  l' impiego  della  quale,  oltre  ad  altri  affari  commessimi 
dall'  Eccellenze  V.e  manco  ho  trascurato  nella  gravissima  materia  de  for- 
menti  che  nel  corso  della  mia  carica  n'  ho  mandati  all'  Ill.mo  Magistrato  alle 
Biave  27  mila  stara  de  forestieri,  fatti  da  me  arrestar  in  quelle  rive  che 
andavano  in  Goro  et  assicurati  altri  stara  90  mila  de  Perastini  et  altre  na- 
tioni,  che  sebbene  asserivano  di  venir  qui,  nondimeno  cercavano  sempre  di 
poterne  far  passar  in  Goro  qualche  quantità. 

Con  le  diligenze  che  facevo  osservare  dalle  barche  armate  e  per  sali 
e  per  formenti,  tenivo  invigilato  anco  al  passaggio  di  navighi  con  altre 
merci  per  Trieste  et  da  quel  porto  per  sotto  vento  ;  onde  come  m'  è  suc- 
ceduto di  farne  fermar  alcuna  barca  e  conservar  alla  Serenità  Vostra  il  do- 
minio marittimo  col  far  destramente  riconoscer  delli  ordinarli  dretti  e  dacii, 
così  altri  che  per  non  capitar  nelle  guardie  hanno  voluto  partir  con  prin- 
cipio di  bora  gagliarda,  sono  andati  in  marina  in  Ancona  con  la  perdita 
delle  merci  e  delle  barche,  facendo  con  tal  modo  la  penitenza  del  peccato. 

Qui  però  ho  debito  di  considerare  che  quando  dalle  barche  armate  si 
facci  ha  ver  continuamente  occhio  al  transito  d'  essi  navigli  da  Trieste  per 
sottovento,  o  converranno  risolversi  coloro  a  riconoscer  (coni'  è  ragionevole) 
la  Serenissima  Republica,  o  tante  volte  quante  per  schifar  le  guardie  par- 
tiranno con  venti  forzati,  s'andaranno  a  romper  e  da  se  stessi  si  causaranno 
la  rovina  propria,  come  pur  per  tali  rispetti  ho  havuto  informatione  che  di 
assai  siano  deteriorati  li  trafichi  di  diversi  mercanti  Triestini. 

La  Provincia  in  universale  continua  '1  frettoloso  passo  alla  sua  destru- 
tione,  perchè  quelli  che  per  interesse  publico  doveriano  assister  (coni'  è  niente 
della  Serenità  Vostra),  alla  preservatione,  anzi  all'augumento  della  medesima, 
sono  ventose  e  sansughe  continue  a  poveri  sudditi,  da'  quali  mai  staccan- 
dosi a  succhiar  il  sangue,  gì'  hanno  affatto  estenuati  e  ridotti  mal  buoni  a 
viver  per  sé,  nonché  da  poter  esser  riguardati  per  servitio  di  Vostra  Serenità. 
E  per  queste  cecità  delle  sostanze  altrui  in  alcuno  dei  Rettori  nei  luochi 


—  139  — 

a  marina  in  particolare,  anco  la  navigatione  riceve  non  puoco  detrimento, 
venendo  a  vascelli  e  naviglii  che  toccano  li  porti  dell'  Istria,  usati  senz'altra 
ragionevole  causa  che  con  tal  iniquo  oggetto,  rigori  e  straniezze  che  fanno 
passar  al  cielo  le  voci  e  i  gridi  lamentevoli  dei  mercanti  e  patroni  de'  stessi 
vascelli. 

Né  occorre  che  pensino  d'esser  suffragati  dal  Magistrato  di  Capo  d'Istria, 
perchè  il  signor  Podestà  e  Capitano,  tutto  che  sia  d'ogni  buona  intentione 
non  può  esercitarla,  che  gli  altri  attendono  a  ciò  solo  che  conferisse  ai 
proprii  commodi  senza  curar  il  giusto  so vvegno  a'  poveri  et  agli  oppressi  ; 
anzi  incontrano  ogni  gusto  e  satisfatione  a  Rettori  delle  Terre  e  Castelli 
che  fino  in  persona  per  ogni  cosuccia  si  conducono  avanti  il  detto  Magi- 
strato, ove  però  manco  gì'  avvocati  osano  d'  usar  contro  di  essi  le  ragioni 
de'  loro  principali. 

Ho  pertanto  goduto  sommamente  di  non  esser  stato  incaricato  della 
sopraintendenza  di  tutti  li  negoci  et  affari  della  provincia,  perchè  ad  adempir 
il  servino  di  Vostra  Serenità  dei  popoli  con  la  satisfatione  della  conscienza, 
m'  havrei  acquistato  il  premio  e  le  ricognitioni  che  si  sanno  dare  ne'  mo- 
derni tempi. 

Non  per  questo  in  alcuna  cosa  ove  non  poteva  la  mano  ho  voluto 
trascurare  d'  usare  le  parole  che  valessero  a  distruggere  le  iniquità  et  in- 
decenze. 

Dunque  si  concluda  che  la  risolutione  di  regolar  il  Reggimento  della 
città  di  Capo  d' Istria  darà  respiro  ai  popoli  della  Provincia  e  rimediare  a 
tanti  danni  che  la  prudenza  di  Vostre  Eccellenze  può  discernere,  senza  che 
io  le  dia  maggior  tedio. 

Non  posso  nondimeno  contenermi  in  questo  fine  di  soggiungere  che 
coli'  occasione  d'  haver  tenuto  nei  bisogni  della  mia  carica  l' Ingegner  D. 
Francesco  Capi  incaricato  per  innanzi  dall'  Eccellentissimo  Senato  di  ridur 
in  disegno  tutta  l' Istria  con  la  descritione  e  catastico  dei  luochi  di  essa, 
ha  egli  con  la  diligenza  et  assiduità  nel  servitio  adempito  all'uno  et  all'altro 
bisogno  con  isquisitezza  commendabile  e  piena  mia  satisfatione,  trovandosi 
haver  il  sudetto  disegno  in  stato  di  perfetione,  che  manca  solo  d' abellirsi 
per  condimento  dell'  opera  propria  della  sua  virtù  immitatrice  del  buono 
talento  del  padre  e  del  fratello  maggiore,  che  per  altro  publico  servitio  lasciò 
la  vita  in  Mugia  trucidato  da  coloro  in  tempo  dell'  Illustrissimo  Basadonna. 

Quanto  ha  potuto,  quanto  ha  saputo  la  fiacchezza  del  mio  spirito 
operare  et  eseguire  in  prò  della  patria  e  de'  suoi  sudditi,  Vostra  Serenità 
e  1'  Eccellenze  Vostre  1'  hanno  udito.  Mi  resta  solo  di  supplicarle  humil- 
mente  che  come  tutto  si  è  da  me  effettuato  con  ottimi  fini  et  con  l' interi-. 


—  140  — 

tione  sempre  del  giusto  loro  servitio,  cos'i  benignamente  abbandonando  l'os- 
servatione  a'  miei  difetti,  si  degnino  di  mirare  semplicemente  V  interno  della 
buona  volontà  e  lo  vivo  mio  talento.  Gratie. 
In  Venetia  a  XII  Maggio   1629. 

Zaccaria  Bondumier  Prowcditor. 

(Archivio  di  Stato  in  Venezia  —  Relazioni  dei  Provveditori  in  Istria). 


Relazione  17  agosto  1632  del  Provveditore  in  Istria 
Nicolò  Surian. 

Serenissimo  Principe 

A  capo  del  mio  longo  humilissimo  servitio  di  Provveditor  nell'  Istria 
ritorno  a  piedi  dell'  Eccellenze  Vostre.  In  quella  laboriosa  carica  che  si  con- 
cerne sotto  due  capi,  de  sali  et  di  sanità,  mi  consolo  di  haver  incessante- 
mente impiegato  tutto  quel  zelo  et  applicatone  maggiore  verso  i  publici 
interessi  che  conviene  al  debito  di  buon  cittadino  et  con  soddistatione 
(cred'  io)  di  quei  popoli  et  in  particolare  di  Capo  d' Istria,  quali  al  mio 
arrivo  trovai  in  congiontura  funesta  afflitti  di  una  fierissima  peste. 

Ogni  cura  in  così  infelice  stato  di  quella  povera  città  usai  ad  impedire 
con  li  ordini  et  regole  bone  il  progresso  al  contaggio,  assistendo  con  la 
presenza  di  continuo  con  li  miei  ministri,  senza  riguardo  a  pericolo  della 
mia  salute  et  della  famiglia,  che  pure  evidentissimo  ho  scorso  per  l' incontro 
del  male  che  tre  volte  è  stato  nella  propria  mia  casa  con  la  morte  di  due 
servitori  et  d'  una  massera,  et  l' istesso  è  successo  anco  in  quelle  de  miei 
ministri,  et  senza  la  qual  diligenza  essendo  già  abbandonata  la  città  da  cit- 
tadini tutto  saria  stato  in  maggior  confusione  et  scorreva  pericolo  che  il 
sacro  Monte  di  Pietà  et  il  Fornico,  sostegni  et  ornamento  della  medesima, 
fossero  svalizati  ;  et  quello  che  maggiormente  importa  non  si  saria  trovato 
modo  di  ricever  li  sali  novi  et  quelli  de  magazzeni  erano  in  descrittione 
'd'ognuno  di  poter  esser  rubati. 

In  quelle  miserie  che  la  città  per  se  stessa  povera  d'entrate  et  il  popolo 
languiva   dalla    lame  non    haveva    modo  di  soccorrerla,  la  Serenità  Vostra 


-  I4I  - 

esercitando  la  solita  paterna  carità  le  fece  donativo,  con  beneditione  uni- 
versale di  tutti  quei  fedelissimi  sudditi,  una  volta  di  ducati  trecento  et  un 
altra  di  reali  cento  che  si  compartirno  a  poveri  intetti  et  per  ordine  publico 
fu  anco  posta  da  cittadini  una  tansa  di  ducati  trecento,  che  poi  io  in  quel- 
1'  estreme  urgenze  feci  radoppiare  ;  ma  questa  per  la  strettezza  di  fortune 
di  quei  popoli  appena  con  gran  difficoltà  si  potè  esigere  per  la  metà  :  et 
se  in  cosi  gran  penuria  di  tutte  le  cose  et  nella  necessità  estrema  di  danaro 
non  mi  fosse  successo  d'  agiutare  quei  infelici  del  Lazzaretto  et  sequestrati 
con  diverse  condanne  alla  summa  di  circa  ducati  ottocento  che  le  applicai, 
non  era  possibile  che  in  altra  maniera  si  potesse  supplire  al  bisogno  tanto 
grave  di  numero  grande  de  languenti,  privi  di  ogni  soccorso  umano. 

Il  resto  da  riscuotersi  di  questa  tansa  io  ho  con  terminazione  mia  ap- 
plicato al  pagamento  di  spese  in  quell'urgenze  non  soddisfatte  et  l'avanzo 
suo  destinato  ad  agiutare  la  costrutione  della  chiesa  che  si  deve  erigere  al 
loco  dove  sono  sepolti  li  morti  da  contaggio  col  beneplacito  già  concesso 
a  quella  città  dall'  Eccellenze  Vostre. 

Finalmente  dopo  le  continuate  incessanti  diligenze  a  fermar  il  corso 
al  male,  piacque  al  signor  Dio  et  alla  Beatissima  sua  Madre,  che  ne  seguisse 
la  liberatione  di  quella  città,  nella  quale  sono  stati  li  morti  in  tal  calamità 
per  la  metà  et  nel  suo  territorio  per  il  terzo. 

A  tutte  le  parti  della  provincia  ardendo  il  male  io  spinsi  ordini  et  re- 
gole opportune  con  la  mira  di  preservarle,  come  successe,  da  incontri  si- 
nistri ;  non  essendosi  latto  sentire  il  contaggio  in  altri  lochi  che  solo  a 
Muggia,  Fasana  et  Verteneglio,  che  anch'  essi  poi  riebbero  la  consolatione 
della  primiera  salute. 

Queste  turbolenze  di  peste  han  reso  gran  detrimento  alle  rendite  di 
Vostra  Serenità  per  esser  mancanti  alcuni  de  conduttori  de  Datii  et  altri 
terminando  le  condotte,  ha  portata  la  necessità  che  passino  a  conto  publico, 
riuscendo  l' incontro  per  il  più  sempre  dannoso  ai  publici  interessi. 

Per  l'istessa  causa  essendo  stati  tenuti  serrati  del  continuo  li  passi  di 
Arciducali,  ha  ciò  impedito  per  longo  tempo  affatto  il  concorso  di  danzi 
et  d'altri  sudditi  imperiali  alle  caneve  de  sali.  Et  con  tutto  che  in  cosi  im- 
portante affare  io  impiegassi  incessantemente  tutta  la  cura  maggiore  del 
spirito  mio  et  a  trovare  espediente  proprio  per  l'apertura  della  saliera  che 
concertai  dopo  molti  trattati  col  capitan  Pettazo,  acciò  si  portasse  in  Zaule 
con  le  cautele  tutte  per  li  rispetti  di  sanità,  sempre  mi  era  divertito  l'effetto 
dall'opera  di  Triestini  per  l' interesse  proprio  colle  pratiche  tenute  in  Ancona, 
di  dove  frequentemente  ricevevano  trasporti  de  vascelli  con  carico  di  sali 
forestieri.   Come   anco   con    1'  intelligenze   di  Zuanne   Apostoli  suddito    di 


—  142  — 

Muggia,  sopra  il  qual  uso  ho  lasciato  il  processo  all'  illustrissimo  mio  suc- 
cessore. 

Alla  diversione  di  così  importante  disordine  et  pregiuditio  sono  da  me 
sempre  state  tenute  in  esercizio  le  due  barche  armate  et  quelle  longhe,  et 
ne  successe  anco  la  presa  della  Marciliana,  quale  dopo  haver  scaricato  sale 
in  Trieste  si  conduceva  in  Ancona  con  ferro;  onde  io  condannai  all'ultimo 
supplitio  Alvise  Garbin  padron  di  essa  ;  la  cui  sentenza  Vostre  Eccellenze, 
come  proficuo  a  dichiarare  la  sovranità  del  mare,  comandorno  fosse  in  quelle 
Cancellarle,  Camera  et  Vice  Dottrinaria  registrata  a  perpetua  memoria.  Una 
Marciliana  grande  pur  carica  di  sale  partita  di  Ancona  che  si  trasportava 
a  Trieste  et  altre  barche  ancora  de  sudditi  con  contrabandi  de  sali  sono 
state  arrestate,  fra  quali  una  con  sci  Piranesi  che  si  conducevano  a  Duino 
a  venderli  et  con  la  confession  loro  alla  tortura  si  scopri  che  contraban- 
dieri  a  loro  piacere  ricevendo  le  chiavi  de'  publici  magazzeni  coll'opera  del 
nipote  stesso  di  quel  scrivano,  1'  havevano  più  volte  aperti  et  rubati  i  sali 
da  quei  publici  depositi.  Li  delinquenti  capitati  nelle  forze  sono  da  me  stati 
puniti  con  castigo  esemplare  della  vita  et  della  Galera  altri,  et  li  absenti  rei 
di  così  importante  eccesso  a  pena  di  bando  perpetuo. 

Il  quinto  del  sale  concesso  a  Piranesi  per  uso  delle  proprie  case  ogni 
annata,  che  è  un  staro  di  sale  per  ogni  cavedino  et  assende  a  stimma  con- 
siderabile, riesce  pregiuditiale  all'  Eccellenze  Vostre,  poiché  lo  smaltimento 
suo  in  gran  parte  va  in  contrabando  et  il  levarlo  sarà  che  solo  di  pubblico 
beneficio,  perchè  anche  sotto  il  pretesto  di  questa  concessione  ne  portano 
alle  case  loro  per  il  doppio  che  le  dà  1'  obbligo  suo. 

Anco  le  Saline  in  Strugnan  di  quel  territorio,  come  situate  in  sito  non 
proprio  et  di  commodo  a  contrabandieri,  stimerei  bene  si  distruggessero, 
provvedendo  li  possessori  d'  altre  alle  parti  di  Sizzole  o  in  altro  luoco  lontano 
dalli  abusi. 

Sul  fiume  Timao  fra  Monfalcone  et  Duino  neh"  ultimi  giorni  della 
partenza  mia  ho  penetrato  siano  stati  fabbricati  di  novo  due  molini  da  Ar- 
ciducali, a  quali  Piranesi  principiano  condursi  ;  et  col  pretesto  di  portarli 
li  grani  per  macinare  si  vagliano  dell'  occasione  opportuna  a  commetter 
contrabando. 

Nella  revision  delle  saline  tutte,  le  palificate  a  quelle  di  Sizzole,  che 
col  raccordo  prudentissimo  dell'  Eccell."10  Signor  Provveditore  Basadonna  si 
erano  esseguite  dall'opera  diligentissima  dell'  Eccell.'"0  Signor  Provveditore 
Bondumier,  trovai  in  gran  parte  aperte,  con  altri  gravi  disordini,  ordinai 
che  da  Piranesi  si  acconciassero  con  la  contributione  conforme  1'  obbligo 
impostole  dalla  terminazione  del  medesimo  Eccell. mo  Bondumier.  Et  a  con- 


—  H3  — 

servar  opera  così  profittevole  secondo  la  publica  intentione  sarà  proprio  sia 
aggionto  all'  Illu.m<>  Magistrato  al  Sale  di  non  farle  pagamento  di  denaro, 
se  di  volta  in  volta  non  portaranno  tede  dell'  Illustrissimi  Provveditori  in 
Provintia  che  siano  in  accontio  esse  saline. 

È  situato  nella  medesima  valle  di  Sizzole  un  magazzeno  il  più  grande 
di  ogn'  altro  con  quantità  considerabile  di  sale  :  questo,  come  in  loco  im- 
proprio, lontano  dal  cargatore  et  che  riceve  anco  gran  danno  dalle  aque, 
sarà  servitio  publico  levarlo  con  la  costrutione  d'  altro  in  sito  più  a  pro- 
posito ;  come  ciò  già  intendo  si  era  deliberato  di  eseguire. 

Con  ordini  bene  espressi  in  ogni  parte  ho  tenuto  il  riguardo  clic  li 
sali  si  fabbrichino,  siano  di  buona  conditione  et  ben  graniti  et  si  rifiutino 
e  gettino  al  mare  quando  siano  diversamente  ;  a  questo  proposito  per  poter 
eseguire  la  publica  volontà  che  parla  espressamente  di  questa  construtione 
de'  sali,  et  anco  perchè  non  se  ne  faccia  maggiore  quantità  di  quello  porta 
l' obbligo  dato  dall'  Eccellentissimo  Senato,  ho  più  volte  con  riverentissime 
instanze  ricercato  le  parti,  che  mai  mi  è  successo  poter  haverle. 

Ho  fatto  formare  diligente  catastico  di  tutte  le  saline  di  Capo  d' Istria, 
Muggia,  Pirano  et  Isola,  per  ordinare  che  si  distruggessero  quelle,  che  se- 
condo il  publico  comando  si  trovassero  costrutte  senza  l'approbatione  del- 
l'Eccellentissimo  Senato  o  del  Collegio  del  sale:  gran  parte  de  Patroni  di 
esse  porta  assertione  de  possessi  continuati  antichi  ;  ne  ha  mostrato  istru- 
mento  de  aquisti  dicendo  riaverli  già  presentati  all'  Eccellentissimo  Signor 
Francesco  Valier,  da  quale  non  le  siano  stati  restituiti. 

Il  maggior  disordine  che  in  quella  carica  mi  è  successo  d' incontrare 
con  infinita  mia  passion  d'  animo  per  il  zelo  del  pubblico  servitio,  è  stato 
il  vedere  la  confusione  della  scrittura  tenuta  da  scrivani,  causata  questa  dalla 
morte  per  il  conteggio  di  quattro  di  essi  et  per  rimediare  all'  importanza 
dell'affare,  ho  rappresentato  all' Eccellenze  Vostre  il  bisogno  et  ricercato  in 
diverse  volte  con  dieci  riverentissime  lettere  mie  la  provvisione  di  Ragio- 
nato o  scontro  ben  pratico  che  valesse  a  rivedere  con  tutta  la  diligenza  et 
aggiustare  essa  scrittura  et  sebene  mi  fu  promessa  l'espeditione  di  così  ne- 
cessario ministro  non  però  ne  sucesse  mai  1'  effetto  suo. 

L' incanevo  che  si  è  fatto  de  sali  l'anno  163 1  della  peste  è  stato  in 
Capo  d' Istria  de  moza  duoi  mille  quattrocento  sessantaotto,  stara  quattro. 
In  Magia  de  moza  milla  duccnto  settanta  quattro,  stara  uno  :  In  Isola  de 
moza  dieci  et  in  Pirano  di  moza  quattromille  dusento  settanta  nove,  stara 
sette;  et  per  il  staro  per  mozo  altri  moza  tresento  ottantasei,  stara  sette; 
che  tutto  assende  alla  summa  di  moza  ottomille  tresento  ottanta  otto,  stara 
sette  in  ragion  di  stara  dodici  per  mozo. 


—  144  — 

Il  modo  de  ricever  l' incanevo  de  sali,  incamminato  già  colle  regole 
prudentissime  dell'  Eccellentissimo  Signor  Provveditor  Basadonna  et  conti- 
nuata con  ristessi  buoni  ordini  l'osservatione  da  me  pontualmente,  secondo 
ben  si  vede  dal  libro,  che  ha  levato  dal  scontro  l' IH  mo  Avogador  Morosini, 
succede  con  un  bolletino  a  stampa,  formato  dal  scrivano,  con  sottoscritione 
del  Provveditor  ;  di  questo  si  tiene  il  rincontro  in  libro  a  parte  :  si  paga 
dal  sig.  Consiglier  et  si  menano  dopo  distintamente  tutte  le  partite.  Il  disca- 
nevo  dei  medesimi  non  passa  che  solo  con  mandati  dei  Provveditori  o  in 
virtù  di  lettere  del  Magistrato  al  sale. 

Incamminata  la  saliera  in  Zaule  dopo  infinite  difficoltà  frapposte  si 
principiò  lo  spazzo  de'  sali  in  fine  di  Genaro  passato,  che  prima  riusciva 
1'  esito  tenuissimo  et  coli'  apertura  finalmente  affatto  de  passi  seguendo  il 
corso  de  Cranzi  si  sono  nel  spatio  di  quella  carica  mia  venduti  alle  Caneve 
di  Zaule,  Muggia  e  Capo  d' Istria  moza  doi  mille  cento  trentacinque  che 
hanno  importato  il  valore  di  lire  cento  ottanta  sie  mille  dusento  ottanta 
quattro,  de  quali  1'  Olmo  ha  fatto  l' intiero  suo  saldo  in  quella  Camera 
Vostre  Eccellenze  dal  conto  sottoscritto  da  me  che  hora  presento  vederanno 
distinto  meglio  tutto  l' incanevo  e  discanevo:  Et  il  denaro  scosso  et  che 
si  è  speso  nel  corso  di  quella  carica  mia. 

Li  Triestini  che  sempre  hanno  procurato  li  mezzi  tutti  a  pregiudicare 
l'interesse  dell'Eccellenze  Vostre,  come  principale  conoscendo  quello  delì'au- 
gumento  delle  Saline  loro,  da  certo  tempo,  et  già  due  anni  senza  riguardo 
a  spese  incomparabili,  ne  hanno  construtte  fuori  del  loro  porto  et  in  Zaule 
dentro  li  confini  del  mare:  Questo  in  loco  che  facevano  sale  per  la  metà  di 
Muggia,  camminano  seco  al  pari  nella  quantità  et  quasi  li  avanzano.  Come 
anco  ne  segue  che  volendo  li  primi  esitare  li  suoi,  sino  che  li  durano,  im- 
pediscono la  frequenza  del  corso  o  lo  Talentano  assai  a  quelle  publiche  caneve. 

La  vigilanza  debita  alla  custodia  de'  confini  ho  tenuto  fissa  et  col  Ca- 
pitan Pettazzo  procurato  di  vicinar  bene  et  conservare  tra  quei  sudditi  con 
quelli  di  Vostra  Serenità  amorevole  corrispondenza  :  ben  mi  pare  che  assai 
habbia  mancato  il  medesimo  Pettazzo  a  relassar  li  due  prigioni  rei  del  sval- 
liso  importante  commesso  alla  casa  dell'  Illustrissimi  Tiepoli  la  ricoverati, 
mentre  già  li  erano  ricercati  a  nome  dell'Eccell.  Vostre  et  per  la  transmis- 
sion  loro  teneva  espressi  ordini  dalla  Corte  Cesarea. 

Lo  mantenimento  del  corso  alla  Caneva  di  Capodistria,  come  neces- 
sario sostegno  di  quella  povera  città  per  il  beneficio  et  utile  che  ne  cava, 
sarà  effetto  della  carità  publica  senza  che  veniranno  a  declinare  le  rendite, 
li  traffichi  et  li  datii  di  quei  poveri  sudditi  la  fede  et  devotion  de'  quali  è 
incomparabile  verso  la  Serenità  Vostra. 


—  H5  - 

Alla  medesima  città  ho  osservato  che  siano  li  paludi  verso  ìa  parte  dì 
terra  tanto  accresciuti  che  appena  l'aque  li  sormontano  col  corrente;  tale 
alteratione  diviene  dalla  discesa  da  monti  vicini  dell'aque  dolci  et  del  Fiu- 
mesello,  il  cui  corso  impedito  dall'ostacolo  che  ha  dall'eretione  dei  ponti  della 
stessa  città  et  da  serragli  de  Pescaggioni  sopra  essi  paludi  viene  a  deponere 
e  riempire  per  tutto  di  terra;  senza  il  rimedio  opportuno  sarà  per  unirsi  la 
città,  hora  in  isola,  con  la  terra  ferma  et  fatti  maggiori  li  paludi,  con  aria 
pessima  in  conseguenza  si  renderà  disabitata;  il  che  già  anni  prevedendo  quei 
cittadini,  offersero  dodecimille  opere  a  loro  spese  per  l'escavatione,  la  quale 
in  parte  sarebbe  necessaria  eseguirsi  a  riparare  che  maggiore  non  si  facesse 
il  danno,  o  almeno  le  barche  potessero  in  ogni  tempo  circondarla. 

Per  strettezza  de  magazzini  da  riponer  li  sali  che  s'incanevano,  Vostre 
Eccellenze  con  dispendio  di  qualche  consideratione  ne  tengono  ad  affitto 
molti  da  particolari  in  quella  città  ;  per  evitare  spesa  tale  et  assicurar  anco 
da  furti  li  sali,  deliberorno  P  eretione  d'  un  novo  magazzen  grande  et  già 
elevato  sino  a  fondamenti  dall'  111."'0  Sig.r  Contarini  mio  precessor.  Io  im- 
pedito dalla  peste,  non  havendolo  potuto  proseguire,  ho  però  facilitato 
P  eretione  sua  con  l'applicatione  di  diverse  condanne  et  d'altre  materie  ne- 
cessarie alla    fabbrica. 

Neil'  angustia  di  quella  camera,  a  cui  vantaggio  ho  agiutato  et  solle- 
citato a  mio  potere  l'essatione  da  debitori  publici,  non  trovandosi  denaro 
in  cassa  corrente,  comandorno  P  Ecc."  Vostre  che  da  quella  de  sali  si  sal- 
dasse il  salario  di  lire  mille  al  clarissimo  Consiglier  Zane,  che  dalla  mede- 
sima già  si  riaveva  cavato  di  propria  autorità,  et  si  pagassero  anco  sovven- 
tioni  a  Capitani  di  cernide  et  provvisionati,  che  hanno  importato  altre  lire 
due  mille;  con  espressa  commissione  però  che  l'istessa  cassa  de' sali  venisse 
reintegrata  dalla  corrente  col  primo  denaro  che  le  capitasse;  ma  con  tutto 
io  havessi  per  l'affitto  aggiorno  ordini  proprii  et  mandati,  niente  si  è  es- 
seguito per  la  poca  obbedienza  de  signori  Consiglieri. 

Quali  uniti  con  quel  Signor  Podestà  fatto  pensiero,  con  tutto  che  non 
vi  habbiano  fondamento  di  giusta  ragione  di  dividersi  li  ducati  tresento 
cinquanta  che  sono  P  intiero  di  tutto  il  fisco  senza  diminutione  di  Annibal 
Bottoni  da  Trieste  bandito  da  me  come  giudice  delegato  dall' Eccell.0  Se- 
nato per  turbata  giurisditione  et  morte  di  un  suddito  di  Carisana,  mentre 
io  mi  ero  dichiarato  non  pretenderne  parte  alcuna  col  fine  che  tutto  calasse 
in  pubblico  beneficio.  Il  processo  con  la  Sentenza  del  medesimo  Bottoni 
io  presento  all'  Eccellenze  Vostre  secondo  il  loro  comando  acciò  se  ne 
possano  valere  all'  istanze  che  le  venissero  da  Ministri  Imperiali,  perchè 
conoscano  P  esseguito  sia  aggiustato  al  termine  debito  della  giustitia. 

io 


—  146  — 

Il  datio  dell'  olio  in  quella  provincia,  come  il  sforzo  maggiore  di  ogni 
altro,  cammina  di  presente  per  signoria,  riscosso  a  luogo  per  luogo  dalla 
mano  di  quei  publici  rappresentanti  ;  quanto  riesca  dannoso  per  molti  rispetti 
et  da  fuggirsi  l'espediente,  mentre  con  facilità  si  ritroveranno  conduttori 
che  lo  levino  a  luogo  per  luogo  io  lo  considero  a  Vostre  Eccellenze  per 
publico  servitio. 

Al  risparmio  del  publico  danaro  et  strettissimo  nel  dispensarlo  ho 
sempre  tenuta  fissa  l'application  maggiore  che  ben  possono  1'  Eccell.e  Vostre 
vedere  dall'  istesso  conto  della  carica  mia.  A  questo  proposito  racorderò 
riverentemente  che  fosse  bene  nell'occasioni  de  condannati  alla  Galera, 
ordinare  che  le  spese  de  processi  non  si  paghino  che  dopo  finita  la  con- 
danna dei  medesimi  perchè  accadendo  che  molti  prima  moiono,  ne  sente 
il  publico  interesse  per  la  perdita  del  danaro  pagato  ;  come  anco  potrà 
complire  levar  1'  uso  di  pagarsi  dalle  Camere  le  cavalcate  a  Curiali,  o  Can- 
cellieri mentre  si  conducono  alla  formatione  dei  processi  delegati,  o  di  altri, 
ma  siano  queste  da  rei  soddisfatte,  che  solo  dopo  l' espeditione  de  casi.  Il 
Luzzago  mio  cancelliere  versato  nella  professione  per  tanti  servitii  a  molti 
senatori  in  cariche  importantissime  prestate;  ha  egli  fatte  diverse  cavalcate 
nella  Provincia  in  casi  delegati,  quali  rimasti  inespediti  non  ha  scosso  da 
questa  Camera,  ne  da  altri  spese  alcune.  Passarò  con  silentio  del  servitio 
prestato  dall'Olmo,  solo  accennando  altro  fine  non  sia  stato  il  suo  che  di 
ben  servire  senza  riguardo  a  fatica,  né  a  spesa  con  fedeltà  incomparabile. 

Ho  lasciato  con  le  scrittture  tutti  quei  lumi  et  altre  instrution  mag- 
giori che  la  mia  debolezza  ha  meglio  stimato  possa  complire  per  il  buon 
indrizzo  del  publico  servitio  all'  Ill.mo  Signor  Carlo  Contarmi  mio  succes- 
sore, il  quale  con  la  virtù,  col  splendore  e  con  la  propria  prudenza  si  è 
già  applicato  alla  funzione  di  quella  carica,  a  cui,  come  Vostre  Eccellenze 
degnamente  hanno  appoggiato  la  sopraintendenza  de'  confini  delle  militie 
et  cernide  tutte  della  Provincia,  riuscirà  anco,  anzi  la  necessità  lo  ricerca, 
che  solo  di  maggior  bene  a  publici  rispetti  et  di  consolatione  universale  di 
quei  sudditi,  le  sia  aggiorna,  secondo  anco  racordai  con  riverentissime  mie, 
l' autorità  dell'  Inquisitione  nel  modo  già  impartito  et  con  infinito  benefitio 
dei  medesimi  popoli  essercitata  dalli  Eccell.mi  Sig.'  Provveditori  Basadonna 
et  Giulio  Contarini,  mentre  molti  oppressi  da  Rappresentanti  non  hanno 
luogo  di  ricorrere,  o  non  conseguiscono  il  sollievo  debito;  oltre  che  altri 
.  come  quelli  di  Montona,  Muggia,  Pirano,  Valle  et  Cittanova  sono  impediti 
di  far  ricorso  ai  soliti  suffragi  di  quel  Magistrato  per  esser  con  esso  li 
Rappresentanti  di  quelle  terre  congionti  et  uniti  strettamente  di  sangue. 

Il  desiderio  mio  di  rifferire   all'  Eccell.8  Vostre    tutti  quei   particolari 


—  H7  — 

che  ho  stimati  degni  della  notitia  loro  mi  ha  fatto  allongare  il  discorso 
più  di  quello  che  comportava  il  riguardo  delle  pubbliche  occupationi.  Con 
ogni  riverenza  le  supplico  iscusarmi  non  sdegnando  di  gradire  la  debolezza 
del  servitio  mio,  quale  col  consumo  di  tutte  le  sustanze  sarò  per  impiegare 
sempre  ad  ogni  comando  di  questa  eccelsa  Republica,  a  cui  il  Signor  Dio 
conservi  et  accresca  maggiore  l' Imperio  suo.  Gratie. 
Di  Venetia  li  17  Agosto   1632. 

Nicolò  Surian  Provveditor. 

(Archivio  di  Stato  in  Venezia  -    Rela^imii  dei  Provveditori  in  Istria). 


Relazione  16  novembre  1634  del  Provveditore  in  Istria 
Giuseppe  Civran. 

Serenissimo  Prencipe,  Illustrissimi  et  Eccellentissimi  Signori. 

Dalla  relatione  di  molti  prestantissimi  Senatori  che  hanno  governato 
l' interesse  di  Vostra  Serenità  sopra  li  sali  di  Capo  d'Istria  e  Muggia  ha- 
verà  pienamente  inteso  il  stato  di  quel  negotio  del  quale  io  Iseppo  Civran, 
che  ritorno  da  quella  carica  non  passerò  a  quelle  cose  che  gli  sono  benis- 
simo note  per  non  portarle  tedio.  Dirò  solo  che  per  obbedienza  del  pu- 
blico  comandamento  capitai  alla  soddisfatione  di  quelle  fontioni,  benché 
poco  atto  si  ritrovasse  il  mio  talento  et  a  due  soli  principali  fini  disposi  la 
mia  applicatione.  L'uno  di  procurare  l'esito  di  quelli  sali  perchè  seguisse 
abbondantemente  et  con  avantaggio  publico  et  l'altro  di  stabilire  ordine  di 
scrittura  che  dovesse  valere  per  chiara  intelligenza  del  publico  interesse  a 
diversione  de'  disordini  e  fraudi  che  ivi  potessero  accadere. 

Era  al  mio  ingresso  sospesa  la  venuta  de  Cranzi  a  quelle  caneve  et 
travagliato  l'animo  de  sudditi  che  non  potevano  ricevere  soddisfatione  delli 
sali  che  havevano  incanevato  l'anno  1633.  La  causa  proveniva  dalle  nove 
Gabelle  di  due  fiorini  che  havevano  posto  gì'  Imperiali  sopra  cadaun  ca- 
vallo che  capitava  a  levare  di  quei  sali  di  Vostra  Serenità  et  penetrai  che 
il  fine  principale  derivava  da  quello  concertava  il  conte  di  Porcia  et  il  Ve- 
scovo di  Pedena  con  il  Prencipe  Echemperch  et  l'Ausper,  passati  ad  altra 
vita,  con  promissione  di  molti  miera  di  Fiorini,  con  che  guadagnorono  fa- 


—  148  — 

cilmente  l'avidità  dell'Echemperch,  per  ridurre  secondo  il  loro  disegno  il 
partito  che  era  procurato  con  Vostre  Eccellenze  acciò  la  dispensa  di  quei 
sali  pervenisse  nel  loro  arbitrio,  che  restorono  anco  disgustati  perchè  non 
seguisse  la  conclusione. 

Il  tentativo  che  fecero  per  il  spatio  di  mesi  quattro  d'alterare  e  dimi- 
nuire il  predetto  aggravio,  sotto  colore  che  si  facesse  per  ordine  della  Corte 
e  della  Camera  di  S.  Maestà,  non  portò  altro  effetto  che  l'esito  de  sali  del 
Petazzo  et  altri  che  ne  tenevano  in  Trieste  con  quel  vantaggio  di  pretio  che 
seppero  desiderare,  ma  non  ritrovorono  modo  di  sostenerlo  lungamente 
perchè  li  Cranzi  che  si  vedevano  astretti  di  perder  la  libertà  con  questi 
mezzi  procuravano  di  passare  in  grosso  numero  e  con  la  forza  levar  li  sali 
di  Vostra  Serenità  et  defraudare  li  Dadi  dell'  Imperio  novi  e  vecchi,  come 
successe  d'alcuni  che  animavano  gli  altri  a  questa  disposinone,  nella  quale 
l' andavano  nutrendo  maggiormente  dopo  l'effetto  seguito  della  diminutione 
del  prezzo  decretato  da  Vostra  Serenità,  sopra  il  mio  riverentissimo  rac- 
cordo, et  avvedutisi  della  risolutione  de'  proprii  sudditi  et  del  danno  che 
portavano  alla  Maestà  dell'  Imperatore,  ne  Datii  ordinarli  che  non  venivano 
questi  parimenti  pagati,  si  risolsero  di  levare  ogni  impedimento  e  di  tornare 
il  commercio  nel  suo  stato,  che  fecero  allora  quelle  caneve  spazzo  di  sale. 

Dopo  la  diminutione  predetta  è  seguito  l'esito  di  stara  trenta  due  mille 
settecento,  settantaquattro,  che  in  ragion  di  lire  cinque  il  staro  con  l' ag- 
giorni rileva  lire  cento  settanta  due  mille  e  sessanta  tre,  che  uniti  con  li  du- 
cati dieci  mille  mandati  dall'  offitio  illustrissimo  del  sale  et  due  mille  tolti 
da  quel  monte  di  pietà,  si  sono  impiegate  nel  pagamento  di  M."  8997-10-3 
incanevate  l'anno  1633  et  il  rimanente  nelle  occorrenze  della  carica  in  bar- 
che armate  et  in  altre  ordinate  da  Vostra  Serenità  et  vi  resta  in  quella 
cassa  de  sali  lire  ventiun  mille  trecento  e  disisette,  soldi  tredici,  che  servi- 
ranno per  il  pagamento  di  quelli  fabbricati  et  consegnati  1'  anno  presente 
che  sono  state  M.a  3055-7-2  che  detratta  la  Decima  di  quelli  di  Capo  d'I- 
stria resteranno  da  pagarsi  M.a  2678-1-  che  in  ragion  di  lire  disnove  il 
mozzo  rilevano  lire  trentaun  mille  ottocento  nonantauna  e  soldi  dieci,  il 
supplimento  de  quali  capiterà  con  il  continuo  esito  di  quei  sali  venendo 
da  sudditi  bramata  la  soddisfatione  per  la  necessità  in  che  si  trovano.  Giovò 
molto  alla  diversione  de'  mali  pensieri  de'  sudetti  Ministri  Imperiali  la  mia 
applicatione  all'  esecutione  del  publico  comandamento  nel  portare  agli  altri 
Joro  interessi  con  il  mezzo  di  quelle  barche  armate  et  con  quella  maniera 
moderata  che  stimai  più  propria  degl'  incommodi  dalli  quali  si  mossero  a 
sollecitare  la  liberatione  della  perturbatione  portavano  a  quelli  sali  di  Vo- 
stra Serenità.  Per  conservatione  del  corso  mi  disposi  a  quelle  habilità  mag- 


—  149  — 

giori  che  si  potevano  concedere  a  Cranzi  et  ritrovandosi  le  strade  vicine 
alla  città  di  Capo  d' Istria  malagevoli  e  ruinose  che  impediscono  il  cam- 
mino de  cavalli,  non  tralasciai  opportunità  d'  eccitare  quei  cittadini  all'  ac- 
comodamento che  feci  con  gran  fatica  et  persuasioni  ridurne  buona  parte 
a  perfetione. 

Secondo  la  publica  deliberatione  venci  (sic)  al  descanevo  di  un  solo  ma- 
gazzeno per  luoco  et  di  tre  incanevati  con  sali  vecchi  feci  1'  esperienza  et 
disposi  nella  consegna  veniva  fatta  alle  caneve  l'assistenza  del  Noseni  scon- 
tro alla  Cassa  corrente,  non  avendovi  trovato  alcuno  obbligato  ne  mai  ca- 
pitata la  persona  che  doveva  per  ordine  di  Vostra  Serenità  assistervi  ;  vi 
ho  ritrovato  della  diminutione  et  anco  qualche  accrescimento,  come  si  è 
veduto  dal  discanevo  di  detti  sali,  che  sospesi  per  attendervi  il  soggetto  vi 
fosse  stato  destinato  da  Vostre  Eccellenze. 

Alla  venuta  di  Zuanne  Vascotto  destinato  scrivano  sopra  quei  sali 
dagl'  111."1'  signori  Provveditori  non  volendo  aver  la  cura  delli  sali  incane- 
vati  d'altri,  né  riceverli  in  altro  modo  che  con  la  misura  ordinaria  di  molta 
spesa  e  di  perdita  grave  di  tempo,  giudicai  publico  avantaggio  d'obbligarlo 
al  discanevo  di  quelli  fatta  da  Girolamo  Curti,  che  con  la  sua  presenza  et 
note  necessarie  le  tenessero  cadauno  distintamente  ;  questo  è  seguito  di  ma- 
gazzeni disdotto  et  mi  è  riuscito  vedervi  dell'  accrescimento  et  anco  della 
diminutione,  ma  non  già  fraude  alcuna,  che  non  può  seguire  mentre  vi  è 
l'obbligo,  coli'  interesse  del  detto  Curti,  tenuto  render  conto  delli  manca- 
menti ;  la  continuatione  la  giudicarci  propria  con  termine  che  il  Curti  se 
vi  potesse  trattenere. 

Con  più  mano  di  lettere  eccitai  li  predetti  Ill.mi  Signori  Provveditori 
ad  espedire  persona  che  riscotesse  il  Datio  della  nova  imposta  colle  regole 
proprie  si  dovessero  osservare,  affine  di  vedere  assicurato  il  publico  capitale 
nelle  conditioni  dell'  esito  de'  sali  e  nell'  avantaggi  vi  potessero  essere  nel- 
l'espeditore  ;  non  è  mai  seguita  alcuna  risolutione  et  pure  il  negotio  porta 
seco  quelle  maggiori  considerationi  si  possono  fare  nella  mente  sapientis- 
sima di  Vostre  Eccellenze,  delle  quali  è  propria  la  risoluta  deliberatione. 

Ho  lasciati  in  Capo  d'Istria  Magazzini  cento  con  sali  vecchi  vintisei  et 
con  novi  settantaquattro,  nei  quali  doveria  ritrovarsi  per  le  note  che  mo- 
strano li  libri  stara  trecento  sessantamille  cento  settantauno;  nella  terra  di 
Muggia  magazzini  quarantacinque,  con  sali  vecchi  tredici,  et  novi  trentadue 
con  stara  settanta  un  mille  novecento  settantasei.  A  Isola  magazzeni  uno 
con  stara  settecento  e  otto,  che  in  tutta  summa  rilevano  magazzeni  cento 
quarantasei  con  stara  quattrocento  trentadue  mille  ottocento  sessanta  quattro. 

È  considerabile  questa  summa  et  quantità  ;  il  suo  esito  si  farà  annual- 


—    I50    — 

mente  difficile  per  l' impedimento  ricevono  dalla  Caneva  di  Buccari,  dalli 
contrabandi  vengono  portati  a  Fiume  con  vascelli  di  grossa  portata  e  da 
quelli  di  Pago  con  le  proprie  barche,  ma  molto  più  dell'augumento  delle 
saline  che  vengono  fabbricate  da  Triestini  nelle  Valli  di  Zaule  et  San  Ser- 
volo, con  violatione  delle  ragioni  di  Vostra  Serenità  sopra  quelle  acque 
havendo  quest'  anno  superato  la  metà  più  con  la  fabbrica  del  sale  li  sud- 
diti di  Muggia  che  in  altri  tempi  erano  di  gran  lunga  inferiori,  et  la  cauta 
ridutione  colla  quale  mi  portai  a  vederle  et  che  rilevai  il  dissegno  già  in- 
viato neh'  Eccell.m"  Senato  mi  fece  considerare  che  nel  spacio  di  quindici 
o  venti  anni  sarà  da  loro  cavato  tanto  sale  che  abbondantemente  soddisfarà 
ad  ogni  bisogno  di  sudditi  Imperiali  et  quello  di  Vostre  Eccell.e  resterà  in- 
disposto con  considerabile  pregiuditio  de  loro  interessi. 

Nell'annata  presente  sono  stati  poco  favoriti  dalla  malagevole  conditione 
de'  tempi,  in  riguardo  di  quello  solevano  fabbricare  per  il  passato.  Potrà 
Vostra  Serenità  dall'esito  dei  suoi  sali  cavare  buona  summa  di  danaro  che 
valerà  per  le  occorrenze  gli  potessero  accadere  fuori  di  quel  negotio.  Temo 
però  che  li  contrabandi  di  Fiume  le  portino  qualche  molestia  ;  et  se  reste- 
ranno divertiti  dalla  propria  custodia,  ne  vederà  ottimo  frutto  dall'esperienza. 

Dalla  parte  di  Trieste  si  deve  poco  dubitare,  quando  siano  quelle  bar- 
che armate  sollecitate  alla  soddisfatione  del  proprio  debito,  et  havendole  io 
esercitate  nel  modo  che  si  conveniva  ho  fatto  anco  contenere  Piranesi  dalli 
contrabandi,  qualche  minutia  de'  quali  non  può  essere  alcuna  volta  impe- 
dita, come  l'altre  mercantie  in  Trieste  ne'  tempi  fortunevoli  nei  quali  fa- 
cilmente possono  transitare,  non  potendo  esse  resistere  all'  impetuose  furie 
del  mare.  Non  vedo  però  volentieri  li  sali  di  Pirano  permanere  lungamente 
nelle  valli  per  il  solo  interesse  de  Gabelloti  e  ministri  delle  Doane  che 
causa  non  si  possi  vedere  i  fondi  di  quelli  magazzeni  incanevati  che  pure 
è  necessario  si  faccia  per  cautela  del  publico  interesse  :  perchè  ricevono 
nella  consegna  stara  tredici  per  mozzo,  et  li  sali  ritrovandosi  ne'  Casselli 
di  quelli  particolari  incontrano  poco  callo  e  persuadono  per  avantaggio  pu- 
blico il  risparmio  delia  spesa  dell'  incanevo,  che  a  ragion  di  tre  per  cento 
rileva  lire  quindici  per  ogni  cento  mozza.  Sebben  la  cura  di  quelli  sali  è 
tutta  degl'  Ill.mi  Signori  Provveditori,  ho  però  usata  ogni  applicatione  per 
divertir  li  pregiuditii,  havendo  il  sale  che  feci  gettar  neh'  acqua  l'anno  pas- 
sato fraudolente  et  contro  la  forma  delle  conditioni  obbligate,  prodotto  ef- 
,  fetto  che  nel  presente  si  sono  a  tempi  debiti  quei  sudditi  disposti  al  lavo- 
riero  e  fabbricato  sale  bianco  e  ben  granito  et  di  quello  si  trova  in  cam- 
pagna ne  ho  fatto  hora  ridurre  duecento  mozza  in  un  magazzeno  che  era 
in  luoco  molto  pericoloso. 


—  IJJ  — 

In  quelle  valli  di  Pirano  vi  è  tuttavia  mozza  due  mille  di  sale,  in  ma- 
gaseni  undeci,  stara  duecento  tremille,  seicento  e  sessantaquattro,  che  unite 
con  quelle  di  Capo  d'  Istria  e  Muggia  sono  stara  seicento  sessanta  mille 
cinquecento  e  vinti  otto  ;  et  ogni  anno  più  moltiplicheranno  havendo  quelli 
sudditi  augumentato  il  lavoriero  di  molti  cavedini  di  saline  che  prima  an- 
davano in  baredo  e  senza  cura. 

Per  l'esito  di  quelli  sali,  per  facilitare  la  diversione  de  tanti  pregiuditii 
et  mali  pensieri  a  che  si  dispongono  li  principali  Ministri  dell'  Imperio  et 
per  toglier  affatto  l'applicatione  a  Triestini  di  ampliare  le  loro  saline  sotto 
alettamento  della  grossa  utilità  che  cavano  dall'  esito  de'  loro  sali  et  per 
levare  finalmente  le  radici  de  contrabandi  crederei  fosse  propria  risolutione 
di  deliberate  che  non  fosse  nell'avvenire  fatto  partito  alcuno  per  introdurre 
Caneva  a  Buccari,  che  è  il  principal  fomento  delli  contrabandi,  di  conser- 
vare in  mano  publica  la  vendita  de  sali  in  Capo  d'Istria  et  Muggia  et  ve- 
nire a  diminutione  maggiore  riducendo  il  prezzo  a  lire  quattro  il  staro 
altre  volte  stabilito,  con  chi  haveva  il  partito  di  Buccari,  che  siccome  nel 
stato  presente  viene  avanzare  Vostra  Serenità,  detratte  le  spese  della  prima 
compreda  di  lire  disnove  il  mozzo,  salario  de  ministri,  affitto  de  magazzeni 
et  altre  spese  che  vi  corrono,  lire  trentauna  in  trenta  due  per  mozzo,  cosi 
stimarei  anco  suo  avantaggio  la  nova  degradatione  di  dodeci  lire  per  ve- 
dere intieramente  et  in  breve  spatio  di  tempo  esitata  quella  quantità  di  sale 
che  tiene  indisposta,  con  tanto  suo  interesse,  levati  li  contrabandi  che  non 
tornerà  conto  ad  alcuno  interessato  di  farne  capitare  a  Fiume,  né  altro 
luoco  per  le  grosse  spese  che  vi  corrono  et  per  la  difficoltà  dell'  esito  in- 
contreranno e  Triestini  perderanno  l'applicatione  alla  fabbrica  delle  loro  sa- 
line, et  l' inventioni  caderanno,  mentre  in  pratica  con  l'autorità  dei  princi- 
pali ministri  di  Cesare  non  si  potè  ritrovar  modo  da  sostenerle  per  impe- 
dire le  risolutioni  di  quei  sudditi  che  senza  pagamento  di  Dadi  volevano 
passare  alla  levata  di  quei  sali  di  Vostra  Serenità. 

L'  applicationi  mie  alla  regola  et  stabilimento  di  quella  scrittura  è  stata 
in  primo  luoco  di  svodare  un  magazzino  per  volta  secondo  la  publica  de- 
liberatione,  di  non  lasciar  seguire  la  consegna  all'  espeditore  et  ad  altri, 
senza  il  mandato  di  volta  in  volta  con  specificatione  della  quantità,  numero 
del  magazzeno  et  anno  del  suo  incanevo,  portandosi  subito  a  quello  il  suo 
credito  et  debito  al  ricevitore  ;  havendo  coti  la  propria  pontualità  veduto 
saldato  per  tutto  il  mese  di  ottobre  caduto  ii  sale  capitato  nelle  mani  di 
Paolo  Recchi  destinato  venditore  a  quelle  caneve  che  ha  fatto  il  spazzo  di 
m.a  2731,  et  contato  il  danaro  di  tempo  in  tempo  a  quelli  Ill.ml  Signori 
Consiglieri  che  l'hanno  continuamente  maneggiato  et  disposto  secondo  la 


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forma  delle  commissioni  et  occorrenze  che  succedevano,  vedute  da  V."  Sere- 
nità nel  mensuale  ristretto  del  scosso  e  speso  che  facevo  capitare  in  confor- 
mità delle  mie  obbligationi.  —  Anco  il  pagamento  de'  sali  dell'anno  passato 
è  seguito  con  1'  osservanza  delle  proprie  regole  et  con  la  mia  particolar 
assistenza  nelli  giorni  che  restavano  stabiliti,  nelle  partite  nominato  cadaun 
bollettino  veniva  pagato  et  tenuti  gì'  incontri  che  han  divertito  le  confu- 
sioni et  li  pregiuditii  che  succedevano  nel  riceverli  et  zirar  in  monte  le 
partite  et  fatto  il  calculo  con  l' incanevo  seguito,  non  vi  nasce  ninna  va- 
riatione  ;  et  conservandosi  a  questo  segno  quel  maneggio,  senza  che  vi  se- 
gua niuna  immaginabile  alteratione  ne  riceverà  V.  Serenità  il  proprio  ser- 
vitio,  il  quale  sempre  procurai  di  avantaggiare  et  di  mettere  quel  negotio 
nelli  più  facili  et  chiari  termini  che  mi  è  stato  permesso  di  poterlo  ridurre, 
e  ne  porto  agi'  Il!.mi  Signori  Regolatore  alla  scrittura  et  Provveditori  al  sale 
il  giaro  (sic)  di  quella  scrittura  che  resterà  in  tre  luochi  conservato. 

Anco  all'  altre  occorrenze  di  quella  Provincia  commessemi  da  Vostra 
Serenità  non  ho  tralasciato  di  applicarvi  pensiero  et  portarvi  frutto,  mas- 
sime nella  diversione  degli  altri  pregiuditii,  che  succedono  a  quella  guardia 
col  mezzo  delle  mercantie  che  escono  e  capitano  di  sotto  vento  in  Trieste, 
havendo  tenuto  quelle  barche  armate  in  continua  osservanza  del  loro  de- 
bito, malamente  sentite  dal  Petazzo  che  vorrebbe  vedere  libero  il  transito 
a  quelle  mercantie. 

La  militia  delle  ordinanze  che  si  ritrova  costituita  in  numero  di  3500 
soldati,  1'  ho  esperimentata  molto  sufficiente  et  atta  a  ricevere  ogni  disci- 
plina, ma  gli  viene  mancato  dalla  poca  esperienza  de  Capitani  et  Officiali 
da'  quali  è  comandata.  Sostiene  il  publico  interesse  la  virtù  del  Governator 
Cresù  che  s'affatica  per  fare  che  nell'occorrenze  V.R  Serenità  si  prometta 
sicura  la  loro  applicatione. 

Agli  accidenti  dei  confini  vi  disposi  il  proprio  pensiero  per  divertire 
il  progresso  delle  violationi  e  le  contese  con  li  sudditi  Imperiali,  ne  ricercai 
le  più  vive  ragioni  di  V.a  Serenità  che  unite  col  disegno  feci  capitare  per- 
chè fosse  risoluto  l'aggiustamento.  Il  Luogotenente  del  Petazzo  l'attendeva 
per  parte  di  quei  sudditi  di  Cernotica  e  veniva  anco  desiderato  da  quelli 
di  Popecchio  nel  territorio  di  Capo  d'Istria.  Non  è  possibile  ritrovare  lume 
maggiore  alti  fondamenti  che  sono  stati  portati  all'  Eccellenze  Vostre,  né 
dell'  ingeniero  Capis  si  ritrova  in  quelli  Archivii,  né  in  altro  luoco  cosa 
alcuna  delle  sue  operationi  sopra  la  dichiaratione  di  quei  confini,  per  li 
'  quali  nascono  qualche  discordia,  perchè  non  vengono  visitati  come  si  de- 
verebbe una  volta  all'anno. 

Terminai  secondo  la  publica  intentione  gli  affari  di  Dignano  et  le  cor- 


—  153  — 

rutele  che  offendevano  il  publico  interesse  nella  deliberatione  de  Datii  della 
comunità  di  Pola  et  li  capitoli  stabiliti  et  confermati  dall'  Eccell.m0  Senato 
ho  latto  registrare  nel  libro  ordinario  degli  incanti  ;  onde  spero  si  possi  in- 
contrare dell'augumcnto  et  quella  citta  ricevi  qualche  respiro  dalla  concor- 
renza de  viveri  che  ora  vi  possono  capitare. 

La  discretione  dell'  olio  che  vien  fatto  in  quella  Provincia  fu  molto 
propria  del  publico  servitio,  per  quello  mi  fu  permesso  di  scoprire  1'  au- 
gumento  che  prendevano  li  pregiuditii  et  per  le  regole  che  si  sono  potute 
dare  dalla  publica  prudenza  :  tiene  però  tuttavia  la  mia  riverenza  che  non 
possi  seguire  l' intiero  servitio  di  V.  Serenità  se  il  Datio  delli  due  soldi 
per  lira  non  viene  riscossa  in  quella  Provincia  et  ivi  deliberata  a  luoco  per 
luoco  et  appoggiare  il  negotio  tutto  all'  autorevole  mano  di  publico  Rap- 
presentante che  vi  sarà  il  proprio  avantaggio  e  la  distrutione  de  contra- 
bandi col  mezzo  del  timore  e  dell'  interesse  de  Datiari. 

Queste  occorrenze  che  mi  portorono  in  ogni  parte  della  provincia  mi 
fecero  vedere  li  continuati  disordini  nel  maneggio  di  quelle  communità, 
scole,  Monti  e  Fonteghi  malamente  regolati  colla  distrutione  di  quei  capi- 
tali, che  offendono  li  più  miserabili  habitanti  et  portano  l'intiero  nocumento 
all'  interesse  di  V.a  Serenità  nella  prudentissima  consideratione  della  quale 
devono  rimanere  questi  pregiuditii. 

Quella  Camera  di  Capo  d' Istria  va  riducendo  alla  declinatione  e  suc- 
cede principalmente  dalla  diminutione  delle  genti  et  dalla  mancanza  del 
negotio  che  li  Datii  ordinarii  non  vengono  affittati  ne  si  cava  di  essi  quelle 
summe  di  denaro  che  si  soleva,  ma  anco  perchè  non  le  vedo  quell'intiera 
cura  et  dispositione  al  publico  interesse  che  si  dovrebbe  stimo  si  riduca  in 
peggior  stato,  ne  potendo  Vostra  Serenità  con  quelle  rendite  soddisfare  le 
spese  ordinarie  conviene  il  più  delle  volte  commettere  siano  li  stipendiati 
soddisfatti  con  il  denaro  della  cassa  de  sali.  Con  miglior  cura  potriano  li 
Datii  incontrare  qualche  augumento,  ma  non  in  tutta  sufficienza  che  vagli 
al  pagamento  di  quello  è  tenuta  annualmente  detta  Camera.  Per  solleva- 
tione  della  quale  pare  alla  mia  riverenza  di  raccordare  a  Vostra  Serenità  che 
venendo  la  città  e  territorio  di  Capo  d'Istria  obbligati  di  pagare  soldi  due 
per  orna  del  vino  imbottato  et  cavato  nelli  proprii  terreni,  si  possino  ob- 
bligare anco  gì'  altri  sudditi  della  Provincia,  niuno  eccettuato  al  medesimo 
pagamento  che  venirà  a  cavare  danaro  bastevole  che  intieramente  pagarà 
le  spese  ordinarie  d'essa  Camera,  ma  ne  sopravanzerà  per  altre  occorrenze. 
È  aggravio  insensibile  che  non  sarà  sdegnato  da  quei  sudditi,  mentre  deve 
servire  a  sollievo  del  publico  interesse  et  resta  in  mano  di  quelle  comunità 
ogni  altro  datio.  Suol  essere  copiosa  la  raccolta    de  vini  in  tutta  la    Pro- 


-   '54  — 

vincia  e  stimo  anco  facile  il  ritrovar  persone  che  levino  1'  obbligation  di 
riscuotere  questo  Datio  che  porterà  a  Vostre  Eccellenze  l' intiero  solievo 
che  ricerca  quell'  interesse. 

All'  Illustrissimo  signor  Capitano  di  Raspo  ho  lasciati  i  lumi  proprii 
concernenti  l' interesse  et  negotio  di  quei  sali  et  la  particolar  prudenza  di 
quel  signore  valerà  molto  per  il  suo  vantaggio  et  servitio.  É  necessaria  la 
sua  assistenza  non  solo  nel  tempo  della  fabbrica  de'  sali  et  incanevo  loro, 
ma  anco  nel  pagamento  di  essi,  che  è  la  più  propria  fontione  di  quella 
carica,  per  tanti  rispetti  vi  concorrono.  Molto  più  si  deve  al  discanevo  et 
vendita  che  ne  fa  le  caneve,  non  potendo  quelle  riceverne  senza  la  notitia 
del  Rappresentante,  che  tiene  una  delle  chiavi  dell'armaro  ove  sono  riposte 
quelle  de  Magazzeni,  et  consistendo  in  questi  due  effetti  il  principal  ser- 
vitio potria  la  lontananza  del  predetto  111.™"0  signor  Capitano  et  l'applica- 
tione  degl'  interessi  della  sua  carica  facilitar  li  contrabandi  et  li  pregiuditii 
nelli  ministri  et  sudditi  poco  ben  disposti  al  servitio  di  quel  negotio.  L'ob- 
bligatione  delle  barche  armate  si  renderebbe  inutile  et  il  rispetto  di  quelli 
confini  come  altri  importanti  interessi  della  Provincia,  potriano  prender  del- 
l'alteratione  a  publico  pregiuditio. 

Gli  accidenti  di  contaggio  che  moltiplicano  e  si  dilatano  nella  provincia 
del  Vipaco  et  per  impedire  la  fuga  di  quei  sudditi  nel  Stato  di  Vostra  Se- 
renità, diedi  ai  confini  li  proprii  ordini,  confirmati  et  fatti  eseguire  dal  pre- 
detto Ill.m°  Signor  Capitano,  i  Triestini  hanno  sospesa  la  pratica  ad  ogni 
altro  suddito  Imperiale  che  a  quelli  del  suo  territorio,  fermata  la  venuta 
de  Cranzi  et  delle  mercantie  et  pensano  ad  ogni  provvisione  per  divertire 
li  mali  incontri.  In  quelli  giorni  seguì  nella  città  improvvisamente  la  morte 
di  una  donna.  Si  porta  la  causa  alle  battiture  che  gli  furono  date  il  giorno 
avanti;  né  seguì  per  questo  altra  novità.  Ho  però  consigliato  il  predetto 
illustrissimo  signor  Capitano  di  portar  la  saliera  di  Muggia  in  Zaole,  ove 
altre  volte  fo  stabilita,  a  ciò  ivi  segua  la  dispensa  del  sale  con  sicurezza 
della  salute  et  continuatione  dell'esito,  nel  che  si  dispone  con  prontezza  e 
volontà  di  pienamente  soddisfare  ad  ogni  più  importante  effetto  di  quelle 
occorrenze  nelle  quali  la  mia  applicatione  non  hebbe  altro  oggetto  che  di 
ben  servire,  come  farò  sempre  con  l'impiego  delle  proprie  sostanze  in  altre 
occorrenze.  Grazie  etc. 

(Archivio  di  Stato  in  Venezia  —  Relazioni  dei  Provveditori  in  Istria). 


ISOLA  ED  I  SUOI  STATUTI 

PER  CURA 

DEL 

Prof.  LUIGI  MORTEANI 


(Continuazione  del  fascic.  30  e  40,  1 


GLI    STATUTI   D'  ISOLA 


III. 
Incipiunt  rubrice  tercii  libri. 

I.  De  hiis  qui  possunt  esse  de  Consilio  et  de  hiis  quibus  prohibitum  est. 
II.  De  numero  hominum  qui  debent  esse  de  maiori  Consilio. 

III.  Quod  aliquis  de  Consilio  non  possit  decetero  accipere  breve  vel  balotam 

nisi  fecerit  faciones. 

IV.  De  interogandis  omnibus  de  Consilio  super  partibus  positis  ut  omnium 

sciatur  volumtas. 
V.  Sacramentum  illorum  de  maiori  Consilio. 
VI.  Quod  aliqua  persona  non  possit  accipere  breviselam  nec  balotam  prò 

aliqua  persona  absente. 
VII.  Quod   aliquis  non  possit   esse  de  maiori   Consilio  nisi  habuerit  XV. 

annos. 
VIII.  De  pena  elligentis  aliquem  de  Consilio  prò  simonia. 
IX.  Quod  i  1  lì  qui  ellecti  fuerint  ad  aliquod  officium  debeant  iurare  illud, 
in  tercium  diem. 


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X.  De  ellectis  in  officiis  qui  debent  cessare  ab  ipsis  officiis  per  quatuor 

menses. 
XI.  De  iuramento  iudicum. 
XII.  De  salario  et  officio  iudicum. 

XIII.  Quod  iudices  debeant  se  presentare  omni  mane. 

XIV.  De  testibus  productis  super  questione  inmobilium  rerum  qui  debent 

eam  examinare  supra  locum  questionis  presente  uno  Iudice. 
XV.  De  solutione  fienda  iudici  comunis  notario  et  vicedomino  qui  erunt 

convocati  causa  eundi  super  tenutas  in  terram  vel  extra. 
XVI.  De  sacramento  iusticiariorum. 

XVII.  Quod   becarii  non  audeant  vendere  de  duabus  carnibus   insimul, 

nisi  accipere  aliquam  grassam  de  animali  preterpostquam  fuerit 

extimatum. 

XVIII.  Quod    iusticiarii  debeant    habere   salarium   stando  in  terra  insule 

aliter  non. 

XIX.  Quod    mensuratores   comunis    teneantur    habere   urnas   tres   prò 

quolibet  '). 
XX.  De  mensurando  vinum. 
XXI.  Quod   nullus   audeat   vendere   vinum  ad  minutum   sine   licencia 

iusticiariorum. 
XXII.  De  pena  illorum  qui  vendiderint  oleum  vel  blavam  nisi  ad  men- 
suram  comunis. 

XXIII.  De  paniscogolis   carnisficibus  et  tabernariis   et   hospitatoribus  qui 

non  possint  habere  officium  iusticiarie. 

XXIV.  De  paniscogolaria. 
XXV.  De  medris  comunis. 

XXVI.  «  Che  li  pancogoli   debbano   far  il  pan  da  vender,   et  non   altre 

persone  »  —  Quod   pancogoli   debeant   facere   panem  ad  ven- 

dendum,  et  non  alie  persone.  — 
XXVII.  De  pena    piscatoris  qui    portaverit   pisces   extra   insulam  ad  ven- 

dendum. 
XXVIII.  De  pena  piscatorum  qui   non   vendiderint   pisces  in  platea   alieti 

apud  becariam  vel  gradatam. 
XXIX.  Quod  vendentes  pisces  putridos  solvant  comuni  soldos  XX. 


')  Errore  del  numero  nel  codice  italiano. 


—  157  — 

XXX.  De  agnis  non  inflandis. 

XXXI.  De'  custodibus  tempore  vindemiarum. 

XXXII.  Quod  custodes  debeant  denunciare  intra  tres  dies. 

XXXIII.  De  dampnum  dantibus. 

XXXIV.  De  leufis  et  capris  in  insula  non  tenendis. 
XXXV.  De  banno  fossati. 

XXXVI.  De  pena  illius  qui  interfecerit  aliquod  animai  alienum  in  dampno 

vel  extra. 
XXXVII.  De  animalibus  forensium  in  dampno  inventis. 
XXXVIII.  De  animalibus  civium  bobis  asinis  et  porcis  inventis  in  dampno. 
XXXIX.  De  ovibus  inventis  in  dampno. 
XL.  De  equo  invento  in  dampno. 
XLI.  De  galinis   interfectis  in  suo   dampno,   vel  in  alio   loco   causa 

malicie. 
XLII.  De  pena  illius  qui   fecerit   fenum  super  teritorio   comunis  ante 

festum  sancti  petri. 
XLIII.  De  pratis  custodiendis  a  sancto  Georgio  in  antea  usque  ad  festum 

sancti  Michaelis. 
XLIV.  De   pena   illorum  qui   inciderint   suum   vincum  vel   alienum  a 

mense  aprilis  usque  ad  festum  sancti  Michaelis. 
XLV.  De  lignis  domesticis  virdibus  vel  siccis  non  incidendis  a  medio 

mense  iulii  usque  ad  medium  mensem  augusti. 
XLVI.  Quod  aliquis  habens  de  teritorio  comunis  non  sit  ausus  incidere 
aliquam  arborem  fructiferam. 
XLVII.  De  conducendo  pomarios  domum. 

XLVIII.  De  procuratoribus   comunis  qui  tenentur   dare  viam  vineis  vel 
campis  non  habentibus. 
XLIX.  De  pena  illius  qui  aquam  mundam  vel   immundam  vel  aquam 
spurciam  proiecerit  supra  aliquem. 
L.  De  pena   illius   qui   stercum   bestiarum   sive   scopaturas  in  viis 

proiecerit. 
LI.  De  pena  illius  qui  aliquod  hedificium  hedificaverit  supra  stratam 

vel  viam  publicam. 
LII.  De  frascariis  non  faciendis  super  teritorio  comunis  sine  licencia 

potestatis. 
LUI.  De  salario  procuratorum  comunis. 

LIV.  De  pena  illius  qui  usurpaveritvel  intromiserit  de  teritorio  comunis. 
LV.  De  mercationibus  omnibus  que  possunt  conduci  ad  vendendum 
in  insula  excepto  de  vino. 


-  iS8- 

LVI.  De  non  pignerando  nec  impedimentum  aliquod  faciendo  illis  qui 
venerint  cum  frumento  vel  alia  biava  insulam  vel  qui  venerint 
prò  vino  emendo. 
LVII.  De  pena  iuratorum  regalie  qui  vendiderint  aliquam  terram  regalie 

nisi  sit  sua. 
LVIII.  De  lacubus  interdictis  non  affectandis  nec  prò  lacubus  habendis. 
LIX.  De  pena  illorum  qui  miserint  aquam  in  viam  comunem  vel  con- 

sorcium. 
LX.  De  andronis  interdictis  mondandis  in  anno. 
LXI.  De  iuratis   regalie  qui  non  debent   plus  affectare  viam  comunis 

quam  alii. 
LXII.  De  pena  illorum  qui  acceperint  lapides  cadentes  de  ripis. 
LXIII.  De  potestate  qui  tenentur  solvere  debita  comunis  facta  suo  tem- 
pore. 
LXIV.  De  pena  illorum  qui  fecerint  viam  publicam  per  agros  laboratos 

vel  per  vineas. 
LXV.  De  viis  ordinatis  permanendis  in  eo  statu  et  de  viis  aptandis  in 

mense  augusti. 
LXVI.  De  pena  illorum  qui  in  plateis  comunis  projicerint  vinaciam  non- 

glum  vel  aliud  sordidum. 
LXVII.  De  non  ponendo  ledamen  in  vetore  porte. 
LXVIII.  De  verminibus  in  molis  et  porporariis  comunis  non  cavandis. 
LXIX.  De  metis  feni  fiendis. 

LXX.  Qualiter  procuratores  comunis  debent  perticare   teritorium  co- 
munis. 
LXXI.  De  terra  regalie  comunis   insule  vel  de  teritorio   comunis  non 

vendendo  nisi  ad  incantum  in  maiori  Consilio. 
LXXII.  De  teritorio  valiselle  non  laborando. 
LXXIII.  De  denariis   mutuo   acceptis  prò   comuni  ab  aliquo  cive   insule 

reddendis  in  denariis. 
LXXIV.  De  portu,  quod  nullus  audeat  discarigare  fenum.  Et,  quod  becarii 

non  audeant  proicere  sanguinem  vel  alias  immundicias. 
LXXV.  Incipit  capitulum  de  vicedominis. 
LXXVI.  De  salario  vicedominorum  et  eorum  officio. 
LXXVII.  Quod  vicedomini  debeant  esse  exempti  ab  omnibus  facionibus. 
LXXVIII.  Quando    vicedominus    erit    vocatus    ad    aliquod    instrumentum 
fiendum. 
LXXIX.  Quod  aliquis  non  audeat  intrare   vicedominariam  sine  licencia 
domini  potestatis. 


-  159  - 

LXXX.  Quod  vicedomini  tenentur  dare  in  scriptis  camerlengis  sancti 

mauri  omne  legatum  dimissum  ecclesiis  insule. 
LXXXI.  Quod  aliquis  vicedominus  vel  notarius  insule  non  possit  esse 

procurator. 
LXXXII.  De  vicedominandis  instrumentis  possessionum  que  tenentur 

comuni. 
LXXXIII.  De  camerario  comunis  qui   tenetur  dare  plecariam  de  libris 

ecce. 

LXXXIV.  De  pena  camerarii  qui  non  restituerit  denarios  et  res  comunis 

succedenti  camerario. 
LXXXV.  De  officio  et  salario  camerarii  comunis. 
LXXXVI.  De  camerario  comunis  qui  tenetur  facere  rationem  cum  do- 
mino potestate  vel  suo  vicario  de  omnibus  introitibus  et 
exitubus  insule. 
LXXXVII.  De  advocatoribus  et  eorum  solutione. 

LXXXVIII.  De   plecaria   quam   tenentur   dare   extimatores  et  de  eorum 
sacramento. 
LXXXIX.  De  fontigario  comunis. 

LXXXX.  De  modo  et  forma  elligendi  capita  contratarum. 
LXXXXI.  De  sacramento  capitum  contratarum. 

LXXXXII.  De  capitibus   contratarum   qui   non   debent   habere   aliquod 
salarium  a  comune  preter  coltam  suam  a  XX.  soldis  imo 
et  non  tenentur  facere  custodiam. 
LXXXXIII.  Quod  quilibet   officialis  debeat   habere  in  scriptis  suum  ca- 
pillare. 
LXXXXIV.  De  ambassiatoribus  mittendis  prò  comuni. 
LXXXXV.  De  ellectione  cameriorum  s.  mauri. 
LXXXXVI.  De  clavibus  capse  santi  mauri. 
LXXXXVII.  De  dacio  vini.  VI  soldis  prò  urna. 
LXXXXVIII.  Dacium  piscarie. 
LXXXXIX.  De  emptore  mecinarum. 
C.  De  emptore  salinarum. 
CI.  De  emptore  bracolariorum  et  statere. 
CU.  De  torclariis. 
CHI.  De  mecinis  pomorum. 
CIV.  De  stario  ceresorum  et  pomorum. 

CV.  De  eo  qui  habet  de  salinis  comunis  qui  tenetur  reddere  ra- 
tionem comuni. 
CVI.  De  emptore  dacii  pomorum  ceresorum  et  aliorum  fructuum. 


—  i6o  — 

CVII.  Dacium  vini  VI.  p.  prò  urna. 

CVIII.  De  vino  quod  venditur  ad  spinam   quod  venditor  teneatur   solvere 
soldos  XX  quolibet  mense. 
CIX.  Dacium.  VI.  den.  p.  prò  urna. 

CX.  Quod  orrmes  habentes  salarium  a  comune  teneantur  omnes  banitos 
tam  in  persona  quam  rebus  a  C.  soldis  supra  notificare  domino 
potestati  cum  ipsos  in  insula  viderint. 
CXI.  De  salario  cancelarii. 
CXII.  Quod  quilibet  de  pirano  habitans  in  insula,  et  faciens  angarias  possit 

emere  possessiones  in  insula  et  eius  districtu. 
CXIII.  Ordines  facti  inter  comune  iustinopolis  et  comune  Jnsule. 
Festivitates. 


Incipit  liber  tercius  continens  in  se  omnes  officiales 
et  eorum  officia. 

I.  De  bis  qui  possimi  esse  de  Consilio  et  de  bis  quibus  est  prohibitum. 

Jm  primis  statuimus  quod  aliquis  servus  vel  bastardus  non  possit  esse 
de  maiori  Consilio  nec  possit  esse  iudex  nec  cancellarius  nec  camerarius. 
Et  si  in  dictis  ellectus  fuerit  careat  firmitate.  Item  quod  aliqua  alia  persona 
legiptima  cuiuscumque  condictionis  sit.  non  possit  esse  de  maiori  Consilio 
neque  Judex  cancelarius  nec  camerarius.  nisi  fuerit  avus  illius  persone  le- 
giptime.  pater,  vel  frater.  patruus  filius  vel  nepos  solum  modo  descendentes 
ex  parte  sue  proprie  parentele  seu  linee  ex  parte  patris.  Et  si  ille  talis 
persona  legiptima  fuerit  ellectus.  ellectio  careat  firmitate.  Et  breve  sive  balota 
in  capellum  revertatur.  Et  alius  loco  eios  ponatur.  Et  qui  ellegerit  aliquem 
de  Consilio  contra  formam  supradictam  condempnetur  in  libris  C.  p.  quarum 
due  partes  sint  comunis  et  tercia  accusatoris  et  tenebitur  secretum.  Et  si 
aliqua  persona  haberet  de  gratia  secundum  formam  sue  gratie  procedatur. 

II.  De  numero  hominum  qui  debent  esse  in  maiori  Consilio. 

Statuimus  et  firmamus  quod  centum  homines  debeant  esse  in  maiori 
Consilio  comunis  insule  secundum  quod  scripti  sunt  in  registro  ipsius  co- 
munis. et  quod  a  modo  in  antea  aliquo  modo  vel  ingenio  plures  nec  pau- 


—  161  — 

ciores  esse  possint  de  dicto  Consilio.  Et  si  aliquis  de  dicto  Consilio  de  numero 
predicto  decederet.  Jnfra  decem  dies  Alius  loco  illius  in  maiori  Consilio 
ad  brevia  elligatur. 

III.  Quod  aliquis  de  Consilio  non  possit  decelero  accipere  breve,  vel  balotam 
nisi  jecerit  faciones  et  angarias  coniunis. 

Item  statuimus  quod  homines  de  Consilio  insule  non  morantes  insule 
oec  faciones  ve!  angarias  comunis  predicti  aliqualiter  facientes  nullatenus 
possint  venire  ad  dictum  consilium  congregatum  ad  accipiendum  aliquod 
breve  vel  balotam  nisi  fecerint  faciones  et  angarias  comunis  insule  ut  faciunt 
illi  qui  continue  resident.  et  morantur  ibi  sub  pena  cuilibet  contrafacienti 
sold.  Centum  p.  et  qualibet  vice.  Et  quilibet  possit  esse  accusator  et  teneatur 
de  credencia.  cui  medietas  predicte  pene  detur.  si  per  eius  accusationem 
veritas  habebit.  Et  alia  medietas  comuni  applicetur.  Et  Jnsuper  omnis  el- 
lectio  sic  facta  nullius  sit  valoris. 

IV.  De  interogandis  omnibus  de  Consilio  super  partibus  posilis 
ut  omnium  sciatur  volumtas. 

Statuimus  quod  quandocumque  pars  aliqua  ponetur  in  maiori  Consilio 
per  potestatem  vel  per  vicariano  potestatis.  quod  quilibet  de  maiori  Consilio 
per  se  interogari  debeat  super  quo  pars  illa  posita  fucrit  ut  volu ntas  quo- 
rumlibet  sciatur  vel  per  ballotas  ponatur,  ut  domino  potestati  placucrit. 

V.  Sacramentum  illorum  de  maiori  Consilio. 

Consiliarii  de  maiori  Consilio  iurant  ad  sancta  dei  evangelia  bona  fide 
me  (rande  consulere  domino  potestati.  vel  vicario  insule  honorem  et  bonum 
statum.  et  proficuum  insule  quandocumque  consilium  ab  cis  postulaverit. 
et  venire  ad  consilium  quando  audicrint  signum  vel  preceptum  si  fuerint 
in  terra  nisi  iusto  impedimento  retempti.  et  de  Consilio  egredi  nisi  prius 
fuerit  a  domino  potestate  vel  vicario  data  licencia  et  conservare  secreta 
Consilia,  et  de  cumctis  porcionibus  sibi  a  domino  potestate  vel  vicario  factis 
sccundum  suam  consientiam  meliorem  partem  assumere. 

VI.  Quod  aliqua  persona  non  possit  accipere  breviscluin,  nec  balotam 
prò  aliqua  persona  abscente  a  Consilio. 

Jtem  statuim  us,  quod  aliqua  persona  non  possit  nec  debeat  accipere 
in  maiori  Consilio  brevexellam  nec  balotam  de  aliquo  officiali  comunis  prò 
aliqua  alia  persona  de  Consilio  abscente,  tam  si  fuerit  in  ambasaria  comunis 
quam  si  fuerit  in  aliquo  alio  servicio  comunis  vel  sui  propri.  Et  si  acceperit 

u 


—    lé2    — 

illam  talis  acceptio  prò  nichilo  habeatur  et  omnis  consuetudo   loquens  in 
contrarium  prò  nichilo  habeatur. 

VII.  Quod  aliquis  non  possit  esse  de  dicto  Consilio  nisi  habuerit  XV.  annos. 

Statuimus  et  ordinamus  quod  amodo  nullus  possit  esse  de  maiori  Con- 
silio nisi  habuerit  a  quindecim  annis  supra.  et  si  ellectus  fuerit.  ellectio  non 
valeat.  Etiam  quod  nullus  tam  de  Consilio  quam  non  de  Consilio  non  possit 
habere  aliquod  officium,  nisi  habuerit  a  vigiliti  annis  supra,  nec  facere  ali- 
quam  ellectionem,  nec  ponere  aliquam  partem  in  Consilio,  donec  pervenerit 
ad  plenam  etatem  XX.  annorum.  et  si  contrafactum  fuerit  omnino  careat 
firmitate. 

Vili.  De  pena  elligentis  alìquem  de  Consilio  prò  simonia. 

Jtem  statuimus  et  ordinamus,  quod  si  quis  de  Consilio  cui  contingerit 
habere  breve,  vel  balotam  causa  elligendi  aliquem  de  Consilio,  elligeret  alì- 
quem prò  symonia  sive  prò  spe  alicuius  pecunie,  vel  precii.  et  clarefactum 
fuerit  domino  potestati  qui  prò  tempore  erit,  quod  talis  ellectio  non  valeat. 
Et  condemnetur  qui  elligerit  et  ellectus  etiam  in  libris  XXV.  Et  ambo  sint 
privati  a  Consilio.  Et  quod  nunquam  possint  esse  de  dicto  Consilio.  Et  qui- 
libet  possit  esse  accusator  et  habeat  dimidiam  banni  et  condempnationis. 

IX.  Quod  UH  qui  ellecti  fuerint  ad  aliquod  officium  debeant  iurare  illud 

infra  tercium  diem. 

Statuimus  quod  quicumque  fuerit  ellectus  ad  offitium  iudicatus  came- 
rarie  cancellane  et  anciani.  quod  infra  tercium  diem  teneatur  iurare  suum 
offitium  postquam  per  preconem  comunis  fuerit  requisitus.  quod  si  non 
fecerit  perdat  suum  offitium.  Et  alius  loco  eius  elligatur.  Omnes  vero  ahi 
officiales  qui  elliguntur  in  maiori  Consilio  tencantur  iurare  sua  officia  infra 
tercium  diem  postquam  requisiti  fuerint  per  preconem  comunis.  Sub  pena 
soldorum  XL.  Et  potestas  teneatur  infra  diem  Vili,  cuilibet  officiali  facere 
perlegi  capitulum  sui  offitii. 

X.  De  ellectis  in  officiis  qui  debent  cessare  ab  ipsis  officiis  per  quatuor  menses. 

Statutum  est  ut  decetero  aliquis  qui  habuerit  aliquod  officium  iudicatus 
vel  camerarie,  aut  cancellane  aut  extimarie,  aut  procurane  vel  iusticiarie 
vel  aliquod  aliud  officium  completis  quatuor  mensibus  in  quibus  permansit 
in  dicto  officio  infra  quatuor  menses  sequentes  ad  illud  officium  non  elli- 
gatur et  si  ellectus  fuerit  ellectio  non  valeat.  Et  si  se  ad  iurandum  obtul- 
lerit.  vel  iurabit  offitium  infra  quatuor  menses  in  quibus  cessare  debet  solvat 


-  1*3  - 

comuni  XL.  soldos  p.  Et  alius  eius  loco  elligatur  ab  inde  vero  inantea 
possit  esse  in  quolibet  offitio  in  quo  ellectus  fuerit.  Et  pater  non  elligat 
filium  nec  filius  elligat  patrem  nec  frater  elligat  fratrem  et  unus  ellector 
non  elligat  alterum.  Et  quod  pater  cum  filio  frater  cum  fratre,  nec  consan- 
guineus  germanus  cum  consanguineo,  cognatus  cum  cognato  nec  socer  cum 
genero,  nec  patruus  cum  nepote  non  possint  esse  ambo  insimul.  in  uno 
simili  officio.  Et  qui  habuerit  breve  elligendi  aliquem  officialem.  et  etiam 
illi  qui  ellecti  erunt  in  officiis  non  possint  esse  ad  accipiendum  breve  in 
sequenti  muta  officialium.  Et  qui  iret  ad  accipiendum  breve,  solvat  comuni 
XL.  soldos  par.  Et  breve  revertatur  in  capellum.  Et  qui  primo  ellectus 
fuerit  in  ilio  officio  debeat  confirmari. 

XI.  De  iuratnento  indiami. 

Item  statuimus,  quod  quicumque  fuerit  in  officio  iudicatus  iurare  de- 
bcant  facerc  dictum  officium  bona  fide  sine  fraude.  et  consulere  domino 
potestati  vel  suo  vicario  legaliter  de  omnibus  de  quibus  fuerint  requisiti 
per  dominum  potestatem  vel  suum  vicarium.  Et,  quod  non  adiuvabuiu 
unicum,  nec  nocebunt  inimicum  per  fraudem.  et  nullum  premium  aut  do- 
nimi vel  servicium  per  se  vel  ab  aliis  prò  eis  reccipere  aut  recipi  facient 
aut  pcrmittent  in  pena  sacramenti.  Et  si  acceptum  fuerit  reddere  facient 
bona  fide  quam  cicius  sciverint  vel  poterint.  Et  scivcrint  vel  senseria!  fieri 
vel  oriri  aliquam  discordiam  inter  aliquas  personas  insule  tam  de  verbis, 
quam  de  factis,  teneantur  manifestare  domino  potestati  vel  suo  vicario,  si 
potestas  non  esset  in  terra  quam  cicius  poterint.  In  pena  XL.  soldorum. 
Et  tcnebuntur  de  credencia. 

XII.  De  salario  et  officio  indiami  cornimi  insule. 

Statuimus  et  ordinamus  quod  prò  comune  Jnsule  debeant  esse  qua- 
tuor  iudiees  qui  stare  debeant  in  officio  per  quatuor  menses.  Et  habere 
debeant  octo  libras  venetas  p.  prò  quolibet,  et  si  aliquis  ipsorum  indiami 
aut  alius  officialis  moriretur,  stando  in  officio  liabeat  de  sallario  suo  tantum 
quantum  steterit  in  officio,  et  non  plus.  Et  si  staret  extra  terroni  liabeat 
tantum  minus  de  suo  sallario  per  diem  secundum  ratam  que  capit  in  die, 
si  iverit  sine  liccncia  domini  potestatis. 

XIII.  Quod  iudiees  debeant  se  presentare  omni  mane. 

Item  quod  iudiees  teneantur  toto  tempore  sui  Judicatus  omtii  mane 
se  personaliter  presentare  corani  domino  potestati.  Sub  pena  prò  qualibct 
vice  unius  veneti  grossi.  Et  similiter  ipsi  iudiees  toto  tempore  sui  iudicatus 


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non  audeant   exire  de  terra  insule   absque    licencia  domini    potestatis    sub 
pena  unius  grossi  prò  quolibet  et  qualibet  vice. 

XIV.  De  testibus  produclis  super  questione  inmobillium  rerum  qui  debcnt 
examinari  super  locum  questionis  presente  tino  Judice, 

Quocies  net  questio  rerum  inmobilium  inter  aliquos  testes  utriusque 
partis  reccipiantur  et  esaminentur  atente.  et  ipsorum  dieta  per  notarium 
potestatis  vel  per  cancellarium  comunis  super  locum  ipsius  questionis  pre- 
sente uno  de  iudicibus  comunis  ordinate  scribantur.  et  secundum  dieta 
eorum  testium  qui  magis  ydonei  sint.  et  utilius  dixerint  iudicentur  et  ap- 
probentur. 

XV.  De  solutione  fienda  indici  comunis  notorio  et  vicedomino  qui  erutti  convocati 
causa  eundi  super  tenutas  intus  vel  extra  ìerram  insule. 

Statuimus,  quod  iudex  comunis  Jnsule,  qui  erit  per  aliquem  vel  ali- 
quos convocatus  causa  eundi  super  tenutas  tam  intus  quam  extra  terram 
insule  causa  trahendi  testes  de  aliqua  possessione  vel  tenuta  de  qua  csset 
questio  inter  aliquos  habere  debeat  XII.  denarios  p.  a  quolibet  illorum,  qui 
ipsum  convocaverint.  Si  vero  unus  solus  testis  introduceretur  et  iudicem 
convocaret  prò  ilio  solo  teste  solvat  dicto  iudici  grossos  duos.  Et  quod 
dictum  est  de  iudice  illud  idem  observetur  de  notario  domini  potestatis 
vel  de  cancellano  comunis.  Et  tantum  plus,  quod  prò  quolibet  teste  quem 
scripserit  recipere  debeant  ab  ilio  vel  ab  illis  qui  ipsos  testes  producit  de- 
narios p.  VI.  Sic  ab  inde  retrocurit  usus.  Et  quilibet  testis  qui  productus 
fuerit  per  aliquem  ut  dictum  est  similiter  habere  debeat  soldos  duos  ab 
ilio  qui  ipsum  convocaverit  ad  testificandum.  Et,  omnes  predicti  teneantur 
sibi  facere  solvi  antequam  vadant  super  tenutas  et  ille  qui  perdiderit  que- 
stionem  perdet  omnes  expensas  secundum  formam  statuti.  Salvo,  quod  ìli ì 
qui  se  concordarent  de  suis  questionibus  solvere  teneantur  de  societate 
omnes  expensas  quas  fecissent. 

Orda.  Item  debeant  convocare  iudicem  comunis  notarium  domini  po- 
testatis vel  cancelerium  comunis  et  testes  quos  introducere  voluerint.  et 
adversam  partem  ac  edam  unum  vicedominum  et  ire  super  tenutam  que- 
stionis, et  iudex  et  notarius  super  locum  questionis  teneantur  attente  exa- 
minare  ipsos  testes  ut  temporibus  elapsis  in  terra  insule  est  observatum 
habendo  dictus  iudex  solutionem  ut  supra.  Et  examinatis  testibus  inconti- 
nenti vicedominus  qui  interfuerit  manu  sua  propria  dieta  ipsorum  testium 
per  ordinem  de  verbo  ad  verbum  in  scriptis  accipere  teneatur,  et  dieta  ipso- 
rum testium  in  se  retinebit.  et  nulli  ostendet  nec  denunciabit,  donec  publice 


-  i65  - 

fuerint  publicata.  In  pena    sui  sacramenti,    et  habeat    vicedominus    tantum 
quantum  habet  notarius  sive  cancelerius  comunis. 

XVI.  Del  Sagramento  di  Giuslicieri. 

Item  statiamo,  che  li  Iustitieri  del  comun  de  Isola  debbano  giurar  di 
far  l'Officio  della  Iustitiaria  con  bona  fede  senza  (rande,  e  dar  le  misure 
giuste,  et  pesi,  quali  siano  tenuti  dar  per  il  loro  officio,  et  che  non  fo- 
gliano oltra  soldi  quattro  de  piccoli  per  ciascuna  mesura,  et  peso,  et  siano 
tenuti  ricercare  almeno  due  volte  alla  settimana,  et  più  se  vorranno  tutte 
le  cose  pertinenti  al  loro  officio  in  pena  de  soldi  vinti  per  ciascuno,  et 
debbano  haver  la  terza  parte  de  tutte  le  pene,  che  per  il  loro  officio  per- 
veniranno  in  Comun  ;  Item  che  all'  amico  non  gioveranno,  ne  al  nemico 
noceranno  per  fraude,  don,  premio,  ò  servitio  non  piglino,  né  promettano 
pigliar,  et  se  saveranno,  ò  sentiranno  alcun  don,  premio,  ò  servitio  per 
questo  esser  tolto,  che  lo  faccino  restituir  quanto  prima  potranno  con  bona 
fede,  senza  fraude  in  pena  de  soldi  quaranta  Venetiani  per  ciascuno,  et  ogni 
volta,  che  contrafaranno  ;  Et  se  saveranno,  o  sentiranno  nascer  alcuna  di- 
scordia tra  alcuna  persona  de  Isola  tanto  de  parole,  quanto  de  fatti,  sieno 
indilatamente  tenuti  notificarlo  quanto  prima  al  sig.r  Podestà,  ò  al  suo 
Vicario,  se  il  podestà  non  fusse  in  Isola  in  pena  de  soldi  diese  de  piccoli, 
et  saranno  tenuti  secreti. 

XVII.   Che  li  Heccari  non  ardiscano  vender  de  due  sorte  carne  insieme,  né  levar 
alcuna  grassa  dalli  animali  se  non  dopo  che  saranno  stimati 

Statuimo,  et  ordinamo,  che  ciascuna  persona,  che  ammazzarà  alcun 
animale  nella  Beccaria  di  Comun  per  occasione  de  venderlo  debba  pagar 
il  Datio  a  quello  che  1'  bavera  per  tempo  il  Datio  della  Beccaria  ;  Et  che 
ciascuno  Beccaro,  overo  quello,  che  ammazzarà  debba  esse  Carne  per  gli 
Iustitieri  di  Comun  far  estimar  secondo  la  forma  de  suoi  Capitoli,  et  siano 
tenuti  vender  la  Carne  secondo  la  stima  fatta  per  li  detti  Iustitieri,  né  ar- 
discano portarle  à  Casa  in  alcun  modo,  ò  ingegno  per  occasion  di  venderle. 
Et  ancora  niun  Beccaro  ardisca,  né  in  alcun  modo  presuma  vender,  ne  far 
vender  carne  mescolata,  cioè  de  due  anemali  in  alcun  modo,  ò  ingegno  in 
pena  de  soldi  quaranta  de  piccoli,  la  metti  della  qual  pena  pervenga  al 
Comun,  et  l'altra  metti  al  Denonciante.  Item  che  niun  Beccaro  ardisca  in 
alcun  modo  levar  alcuna  grassa  de  alcun  animale  doppo,  che  sarà  Iusti- 
tiato,  ò  stimato  sotto  la  pena  predetta. 


—  166  — 

XVIII.  Che  li  Iuslitieri  debbano  haver  il  Sallario  stando  nella  Terra  de  Isola 

alcuno  d'  essi. 

Statuimo  perpetuamente,  che  li  Iustitieri  del  Cornuti,  che  al  presente 
sono,  ò  che  per  l'avvenire  saranno,  debbano  haver  per  ciascuno  di  loro 
soldi  vinti  de  picoli  al  mese  per  suo  salario  talmente  che  siano  tenuti  al- 
cuno di  loro  star  nella  Terra  de  Isola  ogni  giorno,  et  far,  et  esercitar  il 
loro  Officio  della  Iustitiaria  fra  il  giorno,  et  se  contrafaranno  caschino  alla 
pena  de  soldi  diese  de  piccoli  per  ciascun  giorno,  et  ciascun  possi  accusar 
et  habbia  la  metta  di  detta  pena. 

XIX.  Che  li  Mesuratori  di  Comun  siano  tenuti  haver  tre  orne  per  ciascuno. 

Statuimo  perpetuamente,  che  per  l'avvenire  quelli,  che  saranno  misu- 
ratori del  vino,  siano  tenuti  haver  ciascun  di  loro  tre  orne,  et  più  se  vor- 
ranno per  misurar  il  vino  ben  giusticiate,  et  preparate,  le  qualli  Orne  siano 
tenuti  ogni  mese  una  volta  far  Iustitino  per  li  Iustitieri  di  Comun,  Et  siano 
tenuti  accomodar  ogn'  uno,  che  vorrà  mesurar  vin,  havendo  il  pagamento 
dà  quelli  per  nollo  di  ciascuna  Orna  denari  dui  per  ogni  giorno;  Nel  fine 
veramente  del  suo  termine  li  Mesuradori  novi,  che  à  essi  succederanno 
siano  tenuti  tuor  le  Orne  de  suoi  Precessori  per  quel  valore,  che  saranno 
estimate  per  li  Iustitieri  di  Comun  Et  così  quelli  altri  mesuratori  siano  te- 
nuti dar  le  loro  Orne  alli  suoi  successori  per  il  predo  secondo  la  stima 
delli  Iustitieri,  che  per  tempo  saranno  per  il  Dazio  veramente  di  esse  Orne 
ciascun  Mesuradore  sia  tenuto  pagar  al  Comun  soldi  vinti  de  piccoli.  Item, 
che  li  Iustitieri  di  Comun  siano  tenuti  iustitiar  le  Orne,  con  le  quali  se 
misura  ogni  mese  una  volta,  et  debbano  aver  per  le  loro  fatiche  dà  essi 
Mesuradori  denari  otto  de  piccoli  per  ogni  Orna  per  una  volta  tanto,  tutto 
il  tempo  del  loro  Officio,  et  questo  sotto  pena  de  soldi  quaranta. 

XX.  Del  Mesurar  il  Fino. 

Item  che  alcuna  persona  non  ardisca  mesurar  Vino  venale  se  non  con 
le  Orne  di  Mesuratori,  ne  alcuno  ardisca  cambiar  Orna,  ò  Orne  per  me- 
surar sin  sotto  pena  de  soldi  cento  de  picoli  Venetiani. 

XXI.  Che  ninno  ardisca  vender  Vino  alla  Mentita  sen^a  licentia  di  Iusticieri. 

Volendo  ressister  alla  fraude  di  quelli,  che  venderanno  vino  alla  Me- 
nuta  in  ascoso  senza  la  mesura  di  Iustitieri  in  fraude  del  Comun,  et  di 
quelli,  che  conducono,  et  comprano  il  Datio.  Statuimo,  che  non  sia  alcuna 
persona  Maschio,  ò  Femina,  Terriera,  ò  Forestiera,  quali,  ò  quale  in  alcun 


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modo  ardiscano,  ò  presumano  in  palese,  ò  in  secreto  vender  vino  alla  me- 
ntita senza  la  Mesura  de  Iustitieri  sotto  pena  de  lire  diese  de  piccoli  per 
ogni  volta,  che  sarà  contrafatto,  et  più  ad  arbitrio  del  sig.r  Podestà. 

XXII.  Della  pena  di  quelli  che  venderanno  Oglio,  et  biava  se  non 
alla  Mesura  di  Commi. 

Niuno  Mercante  ardisca  vender  Oglio,  se  non  à  Miro,  et  à  Orna,  overo 
alla  lira  di  Comun  et  non  ad  altra  misura.  Quanto  alla  biava  al  Mcxcn  di 
Cornuti  senado  con  Croce,  et  alla  Mesura  de  Comun  di  Pietra,  che  sono 
in  Piazza  di  Comun  appresso  l'hastaria,  chi  contrafarà,  paghi  per  ogni  volta 
al  Comun  soldi  quaranta,  et  chi  accasar!  habbia  il  terzo. 

XXIII.  Delle  Pancogole,  Beccati,   Tavernieri,  et  Hosli,  quali  non  possino 
haver  V  Officio  di  Iustitier. 

È  statuito,  che  per  l'avvenir  niun  Pancogolo,  niun  Beccaro,  niun  Ta- 
vernaro,  et  Hosto  debba  haver  l'Officio  de  Iustitier,  et  se  sarà  elletto  sia 
cassada  la  ellettion,  et  un'altro  sia  elletto  à  quell'Officio. 

XXIV.  Della  Pancogolaria. 

Ciascuno,  che  incantarà,  et  comprarà  le  raggioni  della  Pancogolaria 
habbia,  e  guadagni  otto  soldi  per  ogni  quarta  di  formento,  che  vendarà  al 
far  del  pan  per  vender  in  Isola,  et  debba  haver,  et  tegna  cinque,  over  sei 
pancogole,  et  non  meno  in  pena  de  soldi  quaranta  ;  Et  niuno  fazza  pan  dà 
vender  se  non  quelli,  à  quali  sarà  concesso,  et  ciascuno,  che  haverà  del 
detto  Dacio  sia  tenuto  a  pagar  il  Dacio  in  tre  termini,  siccome  si  pagano 
gli  Dacii  sotto  pena  del  Doppio. 

XXV.  Di  Midri  di  Comun. 

Ciascuno,  che  haverà  li  Midri  di  Comun  habbia  dui  denari  per  ogni 
Midro  de   Oglio,  che  misurerà. 

XXVI.  Che  li  Pancogoli  debbano  far  il  pan  di  vender,  et  non  altre  persone. 

Statuimo,  che  niuna  persona  debba  far  pan  dà  vender  se  non  li  pan- 
cogoli,  à  quali  è  concesso  per  il  Comune,  et  se  li  detti  pancogoli  non  po- 
tranno far  del  pan  à  sufficientia  sia  in  arbitrio  del  sig.r  Podestà  à  far  far 
del  pan  come  meglio  li  parrerà. 


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XXVII.  Della  pena  di  Pescatori,  che  portar  anno  il  pesce  vender 
fuori  della  terra  de  Isola. 

Niuno  Pcscator  habbia  ardire  di  portar  il  pesce  fuori  della  Terra  de 
Isola  per  vender  ad  altri  se  non  in  Isola  se  dalla  severità  del  tempo  non 
sarà  astretto,  ò  senza  licentia  del  sig.r  Podestà  sotto  pena  de  pagar  del  Co- 
mun  soldi  quaranta,  et  pagar  il  Dacio  del  pesce,  che  avesse  venduto  al- 
trove, et  chi  acusarà  habbia  soldi  vinti. 

XXVIII.  Della  pena  di  Pescatori,  che  non  vendaranno  il  pesce  nella  piazza 
de  Alieto  appresso  la  Beccaria,  overo  Gradata. 

È  consultato,  et  ordinato,  che  tutti  li  Pescatori  de  Isola  debbano  vender 
il  pesce  secco,  ò  recente  nella  piazza  di  Comun,  et  non  in  Casa  sotto  pena 
de  soldi  quaranta  de  piccoli,  et  più,  et  meno  in  arbitrio  del  sig.r  Podestà, 
et  ognuno  di  nostri  vicini  siano  tenuti  manifestar  li  contraddenti,  et  deb- 
bano chi  manifesterà,  haver  soldi  vinti.  Et  la  pescarla  debba  esser  in  piazza 
de  Alieto  appresso  la  Beccaria,  ò  gradata,  et  niun  pescator  possa  di  pesci, 
che  vorrà  vender  portarli  à  Casa  sotto  pena  predetta.  Et  dapoi  che  bave- 
ranno  portato  il  pesce  à  Casa,  non  debbano  più  portar  detto  pesce  in  pe- 
scaria  à  vender  nella  pena  sopradetta.  Et  ciascun  pescator  sia  tenuto  vender 
dà  per  se  tutto  il  pesce,  che  haverà  incominciato,  et  tutto  il  detto  pesce 
cavar  di  Barca,  et  ponerlo  in  Terra.  Et  li  detti  Pescatori  siano  tenuti  portar 
esso  pesce  al  palazzo  del  sig.  Podestà,  overo  dimandarli  licentia  di  ven- 
derlo, ò  alla  sua  famiglia  avanti  che  incomincino  a  venderlo  in  pena  de 
soldi  quaranta  per  ogni  volta. 

XXIX.  Che  li  Venditori  di  pesce  putrido  paghi  al  Commi  soldi  vinti. 

Item  statuimo,  et  ordinammo,  che  niun  pescator  ardisca  vender  ad 
alcuno  pesce  fracido,  ò  putrido  sotto  pena  de  soldi  vinti  de  piccoli  da 
esser  pagata  ogni  volta,  che  contrafarà,  et  che  tali  pesci  siano  gettati  in 
mar  per  li  Iustitieri  di  Comun  dapoi  che  il  sig.  Podestà  sarà  fatto  chiaro 
di  questa  cosa  :  Et  lo  accusator  habbia  la  Metta  della  detta  pena,  et  il  Co- 
mun 1'  altra  metta. 

XXX.  De  non  infiar  lì  Agnelli. 

È  statuito,  che  niun  Beccare  per  1'  avvenire  ardisca  infiar  li  Agnelli, 
è  altre  bestie  nella  Beccaria  di  Comun  quando  li  ammazzerà  in  essa  bec- 
carla, et  non  ardisca  infiar  Bovi,  Vacche,  pecore,  ò  Capre,  overo  alcuna 
altra  bestia  con  il  Sevo  di  altre  bestie    abbellir,   se  non    solamente   con  il 


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suo  sevo,  et  siano  tenuti  pigliar  la  coda  di  Bovi,  et  Vacche  insieme  con 
il  Budello,  et  non  pesarlo,  et  non  lassar  del  figado  ad  alcun  quarto  delle 
Bestie,  et  tutte  queste  cose  in  pena  de  soldi  diese  ogni  volta,  che  contra- 
faranno, la  metta  al  Comun,  et  l'altra  al  manifestante. 

XXXI.  Dclli  Guardiani  al  tempo  delle  Findemie. 

Statuimo,  et  ordinamo,  che  tutti  li  Guardiani,  ò  Saltari,  che  saranno 
al  tempo  delle  Venderne  siano  tenuti  con  ogni  loro  potere  tior  il  pegno  a 
tutti  quelli,  che  faranno  danno,  et  se  non  ritroveranno  quelli  che  daranno 
danno,  siano  tenuti  essi  guardiani  A  pagar  il  detto  danno. 

XXXII.  Che  gli  Guardiani  debbano  nel  termine  de  giorni  tre  denonciar 
quelli,  che  daranno  danno. 

Item  se  alcuno  guardiano  ritrovarà  alcuno,  che  faccia  danno  in  alcun 
lavoriero  tanto  dentro,  quanto  fuori  della  Terra  de  Isola,  ò  andasse  coatta 
li  mandati  del  Sig.  Podest'i,  che  quel  guardiano  sia  tenuto  senza  dimora, 
et  nel  termine  di  tré  giorni  doppo  che  1'  baveri  ritrovato  denonciarlo,  et 
debba  esser  citato  per  il  Comandador  di  Comun  à  far  le  sue  diffese,  et 
passati  tré  giorni  della  detta  citatione,  et  accusa  non  sia  più  ascoltado. 

XXXIII.  Di  quelli,  che  daranno  danno. 

Item  statuimo,  che  se  alcuno  tanto  Maschio,  quanto  femina,  saia  ri- 
trovato dar  alcun  danno  nelle  Vigne,  ò  Campi  d'altri  mangiando,  ò  colle- 
xendo  in  grande,  ò  poca  quantità,  Uva,  peri,  pomi,  ò  alcuna  altra  sorte  de 
frutti,  ò  biava,  ò  alcuna  altra  cosa  paghi  al  comun  soldi  trenta  de  picoli 
per  pena,  et  paghi  il  danno  al  patron  della  vigna,  ò,  campi  ;  Della  qual 
pena  dui  parte  siano,  et  pervenir  debbano  nel  Comun,  et  la  terza  parte  sia 
dell'  accusator  se  per  la  sua  accusatione  si  saverà  la  verità  :  Et  se  alcuno 
sarà  ritrovato  dar  danno  nelli  Horti  in  Isola,  ò  fuori,  paghi  al  Comun  soldi 
diese  de  picoli,  et  sia  pagato  il  danno  al  patron,  dividendo  la  pena  come 
di  sopra.  Et  se  sari  ritrovato  dar  danno  nelle  mede  di  fieno,  sia  in  arbi- 
trio del  sig.  Podestà. 

XXXIV.  Che  Porci,  et  Capre  non  siano  tenuti  in  Isola. 

Si  proibisce  il  tenir  in  questa  terra  de  Isola  porchi  grandi,  ò  picoli 
oltra  otto  giorni,  sotto  pena  de  soldi  quaranta  al  Comun,  et  chi  quelli  ri- 
troverà à  darli  danno,  et  li  amazzarà  non  patisca  alcuna  pena.  Et  che  al- 
cuna persona  non  debba  tenir  alcuna  capra,  se  non  in  Casa  sua  serada, 
sotto  pena  de  soldi  quaranta,  se  sarà  ritrovata  fuori  di  casa,  della  qual  pena 


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dui  parte  pervenghino  nel  Coni  un,  et  la  terza  sia  del  accusato!",  se  per  la 
sua  accusatione  si  potrà  haver  la  verità. 

XXXV.  Del  bando  del  Fossado. 

È  statuito  che  per  1'  avvenir  dal  primo  giorno  del  mese  di  Aprii  fin, 
à,  san  Pietro,  tutti  li  animali  siano  banditi  dal  fosado  di  Comun  in  pena 
di  pagar  soldi  quattro  per  ciascuno,  et  ogni  volta  che  saranno  ritrovati, 
cioè  Bovi,  Cavalli,  et  Asini,  le  pecore  veramente  siano  in  perpetuo  ban- 
dite del  fosado;  Et  se  alcuno  le  ritroverà  ne  pigli  dui  da  un  quarnaro  in 
su,  et  una  da  un  quarnaro  in  giù  di  quelle  che  sarano  ritrovate  in  danno, 
et  della  pena  dui  parte  pervenghino  nel  Comun,  et  la  terza  all'inventor  ; 
Per  li  porci  veramente  paghi  soldi  quattro  per  ciascuno,  et  in  ogni  tempo 
siano  banditi  dal  fossado  ;  Et  se  Bo,  Cavallo,  ò,  Asino  sarà  ritrovato  de 
notte  pascolando  in  esso  fossato  fra  li  suoi  termini  paghi  soldi  diese  per 
ciascuno. 

XXXVI.  Della  pena  di  quello  che  ammattirà  alcun  animai  de  altri  in  danno, 

ò,  fuori  de  danno. 

Se  alcuna  persona  amazzarà  alcun  animai  alieno  nella  Terra  ò,  di- 
stretto de  Isola  per  sua  ignorantia,  ò,  malitia  in  danno,  ò,  fuori  di  danno 
sia  tenuto  pagar  quel  animai  sicome  sarà  stimato  per  li  stimatori  di  Comun, 
et  sicome  parerà  giusto  al  Sig.r  Podestà  esser  successo  per  sua  ignorantia, 
o  malizia,  et  sia  condannato  pagar  soldi  vinti  al  comun,  et  soldi  vinti  al 
patron  del  animai,  et  più,  et  meno  in  discretion  del  Sig.r  Podestà. 

XXXVII.  Delli  Animali  de  Forestieri  ritrovati  in  Danno. 

Se  alcuno  Bo,  ò,  Vacha  de  forestieri  sarà  ritrovato  pascolar,  ò,  dar 
danno  sopra  il  distretto  de  Isola,  ò,  in  Isola,  il  patron  paghi  soldi  vinti  de 
picoli  per  ciascuno,  la  qual  pena  dui  parte  sia  del  comune,  et  la  terza  del 
acusator,  et  paghi  il  danno  al  patiente  presentando  li  animali  al  Sig.r  Po- 
destà. Item  se  ritrovara  Cavallo,  ò,  Mullo  paghi  per  ciascun  di  loro  soldi 
vinti  de  picoli,  dividendoli  come  di  sopra.  Item  se  ritrovara  Asino  paghi 
soldi  Diese  de  picoli  dividendoli  come  di  sopra.  Item  per  ogni  animai  me- 
nudo  paghi  soldi  sei,  de  picoli  per  ciascuno  dividendo  come  di  sopra. 

XXXVIII.  Delli  Animali  de  Cittadini,  ritrovati  in  danno,  cioè  'Bovi  et  Asini. 

Statuimo,  che  se  Bovi,  Asini,  ò.  Porci,  di  alcuno  sarà  ritrovato  in 
danno  paghi  al  comun  per  ogni  volta  soldi  quattro  per  pena,  la  terza  parte 
venga  al  comun,  et  un  terzo  al  manifestante,  et  1'  altra  terza  al  patron  del 


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danno,  et  di  più  paghi  il  danno  al  patron,  et  l'accusator   sia  tenuto    tuor 
il  pegno  al  pastor. 

XXXIX.  Delle  pecore  ritrovate  in  danno. 

Statuitilo,  che  se  le  peccore  di  alcuno  sarano  ritrovate  in  danno,  se 
sarano  da  quaranta  in  su,  sia  condonato  il  patron  in  soldi  Vinti  et  se  sa- 
rano da  quaranta  in  giù  sia  condanato  in  soldi  diese,  la  qual  pena  la  terza 
parte  sia  del  coraun,  et  una  terza  parte  del  patron  del  danno,  et  1'  altra 
terza  parte  del  manifestante.  Et  oltra  di  ciò  debba  pagar  il  danno  al  patron, 
et  1'  accusator  debba  haver  il  pegno  altramente  non  se  li  debba  creder. 

XL.  Del  Cavallo  ritrovato  in  danno 

Statuimo  che  se  il  Cavallo  di  alcuno  sarà  ritrovato  in  danno  sia  con- 
danato in  soldi  sie,  della  qual  pena  la  terza  parte  devenghi  nel  Comun,  et 
un  terzo  al  patron  del  danno,  et  1'  altro  terzo  al  manifestante.  Et  oltra  di 
ciò  debba  pagar  esso  danno,  al  patrone,  et  il  manifestante  sia  tenuto  tuorli 
il  pegno,  se  veramente  il  manifestante  non  potrà  pigliar  esso  cavallo,  et 
havera  un  testimonio  appresso  di  se  che  gaverà  visto  esso  cavallo  in  danno 
se  li  debba  creder  al  loro  sagramento. 

XLI.  Delle  Galine  amavate  con  malitia  in  danno,  ò,  in  altro  Itwcbo. 

Item  Statuimo  che  se  alcuno  amazzara  alcuna  galina,  che  faccia  danno 
nel  suo  horto,  ò,  in  altro  suo  luoco,  che  non  debba  in  modo  alcuno  pa- 
tir pena  affermando  per  sagramento  quello,  che  1'  havera  amazzata,  che  li 
faceva  danno.  Et  se  alcuno  amazzara  galina,  ò,  polastro  con  malitia,  ò,  in 
altro  modo  paghi  soldi  diese,  di  quali  soldi  cinque  sia  del  comun,  et  soldi 
cinque  del  patron  della  galina,  ò  polastro  al  patron. 

XLII.  Della  pena  di  quello  che  fard  fieno  sopra  il  territorio  di  Comun  avanti 

la  festa  di  s.  Pietro. 

Statuimo,  che  niuno  vicino,  ò,  schiavo  ardisca  far  fieno  sopra  il  ter- 
reno di  comun  avanti  la  festa  di  san  Pietro  sotto  pena  de  soldi  quaranta 
al  comun,  restando  esso  fieno  nel  comun;  Et  chi  manifestarà  habbia  la 
terza  parte  della  pena. 

XLIII,  Che  li  pradi  debbano  esser  custoditi  da  san  Giorgio,  sino  alla  festa 

di   san  Michiel. 

Statuimo,  che  tutti  li  pradi,  per  l'  avenir  siano  in  bando  da  la  festa 
di  san  Giorgio,  sino  alla  festa  di  san  Michiel  a  tal  che  ciascuno,  che  sarà. 


—  172  — 

ritrovato  doppo  la  festa  di  san  Giorgio  far  nerba,  ò    segar  sia    tenuto  in 
nome  di  pena.  ') 

L.  Della  pena  di  quelli  che  gtlarano  nelle  strade  slorcho  di  Bestie,  ò,  scovadure. 

È  statuito  che  niuno  debba  getar  nelle  strade  regali  malitia  di  Bestie, 
ò,  scovadure,  sotto  pena  de  soldi  Diese  al  comun,  et  diese  al  Manifestante. 
Et  niuno  per  le  strade  communi  debba  congregar  ledame,  ò,  fango  sotto 
la  detta  pena  ;  Et  ancora  niuno  getti  acqua  neta,  ò,  inmonda  per  le  strade 
comuni  d'alto,  ò,  da  basso  sotto  la  detta  pena. 

LI.  Della  pena  di  quello  che  fabbricara  alcun  Edificio  sopra  la  strada, 

ò,  via  publica. 

Statuario  che  niuno  presuma  edificar  sopra  la  strada,  ò,  via  publica 
alcun  Edificio  senza  parola,  ò,  licentia  del  sig.r  Podestà,  sotto  pena  di  ri- 
mover quel  Edificio,  et  lire  quattro  Venetiane  de  picoli  al  Comun. 

LII.  De  non  far  frasche  sopra  il  territorio  de  Comun  serica  licentia 

del  sig.'  Podestà. 

Statuario  che  niuna  persona  non  possi  far  frasche  sopra  il  territorio 
de  Comun  senza  licentia  del  sig.r  Podestà,  sotto  pena  de  soldi  quaranta  et 
quella  licentia  non  debba  durar,  se  non  il  tempo  di  quel  Podestà  che  li 
haverà  datto   licentia. 

LUI.  Del  salario  di  Procuratori  di  Comun. 

Niun  Procurator  habbia  dal  Comun,  se  non  solamente  la  terza  parte 
di  quelli  beni  mobili  che  per  il  loro  officio  ritroveranno,  et  il  Comun  due 
parti. 

LIV.  Della  pena  di  quello,  che  usurparti,  ò,  intrometera  del  terreno  di  Comun. 

Statuario  che  niuna  persona  ardisca  in  alcun  modo  intrometer,  ò,  usur- 
par del  terreno  di  Comun,  sotto  pena  de  soldi  Cento  per  ciascuna  volta, 
et  sia  tenuto  restituir  integralmente  il  terreno  de  Comun  che  havera  preso 
nel  termine  de  giorni  otto  sotto  la  predetta  pena  ;  Et  se  havera  fatto  alcun 
lavoriero  sopra  esso  terreno,  quel  lavoriero  sia  di  Comun;  et  ciascuno  che 


')  I  Capitoli  43-50  non  corrispondono  all'indice  generale  del  terzo  libro  ed  i  Ca- 
pitoli intromessi  sono  quelli  del  primo  libro. 


—  i73  — 

accuserà  habbia  il  terzo  della  pena,  se  per  la  sua  accusation  si  ritroverà  la 
verità,  et  sarà  tenuto  secretto. 

LV.  Che  si  possi  condur  in  Isola  à  vender  ogni  sorte  di  Mercantici 

eccetto  che  Vino. 

Statuimo  che  ogni  persona,  possa  condur,  a,  vender  in  Isola  ogni  cosa, 
et  Mercantie,  et  essa  vender  secondo  il  corso  de  Isola  ;  eccetto  che  del 
Vino  che  niuno  ne  possa  condur  in  Isola  per  occasione  di  revenderlo,  ma 
ne  possi  condur  per  occasione  di  bever,  con  licentia  del  Sig  r  Podestà;  lìt 
chi  contrafarà  paghi  al  Commi  per  ogni  volta  lire  diese,  et  perda  esso  Vino 
et  chi  accusara  habbia  il  terzo. 

LVI.  De  non   pignorar,  ne  far    alcun    impedimento  à  quelli  che  venirano    con 
formatto,  ò,  altra  biava  in  Isola,  ò,  d  quelli  che  venirano  per  comprar  vino. 

Statuimo,  et  ordinamo,  che  per  1'  avenir  se  alcuno  Mercante  venuta 
con  formento,  ò,  altra  biava  in  Isola,  overo  venira  per  comprar  Vino  ri- 
torni securo  fuori  della  terra  de  Isola  con  tutte  le  sue  mercantie  senza  alcun 
impedimento  di  nostri  vicini  ;  Et  niuno  di  nostri  Cittadini  possa  quelli 
pcgnorar. 

LVII.  Della  pena  di  Giuriti  delle  Regalie,  quali  venderanno  alcuna  lena 
delle  Regalie,  se  non  sarà  sua. 

Statuimo  che  ninno  Giurato  delle  Regalie  de  Isola  habbia  potestà  di 
vender  alcuna  terra  delle  Regalie,  se  non  sarà  sua,  sotto  pena  de  lire  Vin- 
ticinque  Venetiane  quale  vadino  al  Comun. 

LVIII.  Delti  lachi  Interdirti  non  dover  esser  ajfiladi,  ne  haverli  per  lochi. 

Niuno  vicino  ardisca  affitar  alcuno  di  lachi  interditi,  ne  in  perpetuo 
haverli  per  lachi,  sotto  pena  de  lire  diese  Venetiane  de  picoli,  senza  alcuna 
remision. 

LIX.  Della  pena  di  quelli  che  metarano  acqua  nella  via  comune,  ò,  consortiva. 

Se  alcuno  bavera  campo,  ò,  vigna  apresso  la  strada  comune,  ò,  con- 
sortiva, non  ardisca  mcter  acque  in  dette  strade  sotto  pena  de  soldi  qua- 
ranta senza  remission. 

LX.  De  lutar  le  androne  Interdite  nel  Anno. 

Statuimo  che  le  Androne  che  sono  interdite  per  le  strade  de  Isola  di 
sopra,  et  da  basso,  che  per  li  vicini  siano  netade  tre  volte  all'Anno  in  pena 


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de  soldi  quaranta,  cioè  nel  mese  di  Aprii,  nel  mese  di  Agosto,  et  nel  mese 
di  Novembre.  Et  queste  sono  le  Androne  interditte.  In  primis  una  Androna 
appreso  la  Casa  de  Almerico  q.  Carlo  Albin  appreso  la  Casa  de  Iacomel 
Civran,  appreso  la  strada  di  Comun.  Item  una  Androna  appreso  la  Casa  de 
Mauro  q.  Zuane  Pinzan,  et  appreso  la  Casa  de  Nicoleto  Civran.  Item  nella 
Piazza  un'  altra  Androna  appreso  Nicolò  ditto  Colossi  q.  s.  Piero  de  Gri- 
maldo  appreso  Jacomello  Civran.  Item  nella  piazza  un'  altra  Androna  ap- 
preso il  sopradetto  Colossi,  et  appreso  la  Casa  che  fu  de  Nicoletto  Coman- 
dador.  Item  un'  altra  Androna  nella  Piazza  appreso  s.  Mongolin  q.  s.  Odo- 
rigo  de  Federigo,  et  appreso  la  Casa  nella  qual  habita  Catterina  stazonera, 
ò,  Bottegera.  Item  una  Androna  appreso  la  Piazza  appreso  la  Casa  de  s. 
Vidal  q.  Valtrame,  et  appreso  la  Casa  di  Manidati.  Item  un'altra  Androna 
appreso  Verzero  q.  Zuane  Coiman,  et  appreso  Toma  de  Baiardo.  Item  un 
Androna  appreso  la  Casa  de  pre  Nicoletto  q.  s.  Novello,  et  il  detto  Ver- 
zerio  dalla  banda  di  sopra  della  strada  comune.  Item  una  Androna  dalla 
parte  di  sotto  della  strada  fino  al  Mare  appreso  s.  Papo  de  Orso  di  Capo- 
distria,  et  il  detto  pre  Nicoleto.  Item  una  Androna  dalla  parte  di  sotto 
della  strada  comun  appreso  la  Casa  de  Thoma  Gaiardo,  et  appreso  la  Casa 
de  Bertuzi  Stariza.  Item  una  Androna  dalla  parte  di  sopra  della  ditta  strada 
appreso  li  beni  del  q.  Venier  de  Pelegrin,  et  appreso  Dona  q.  Marco  de 
Marco.  Item  una  Androna  dalla  parte  di  sotto  della  ditta  strada  appreso  li 
beni  del  ditto  Thoma  Gaiardo,  et  li  beni  de  Bertuzi  q.  Dardo  Pasqual  et 
appreso  li  beni  de  s.  Mongolin  q.  s.  Odorico  de  Federigo.  Item  una  An- 
drona dalla  casa  di  sopra  della  detta  strada,  et  appreso  il  Casal  de  Alberigo 
fiol  q.  Domenego  Guecili  de  Paisana,  et  appreso  la  Casa  che  fu  de  Andrea 
Rita,  et  al  presente,  è  di  Pasqualin  Mugisan.  Item  una  Androna  dalla  parte 
di  sotto  della  strada  appreso  la  Casa  piana  del  detto  Pasqualin,  et  appreso 
la  Casa  de  Zuane  q.  Almerigo  Carbogno,  con  altri  confini.  Item  un  altra 
Androna  dalla  parte  di  sotto  della  strada  di  Comun  appreso  la  Casa  de  An- 
drea q.  Bernardo  Paisan,  et  appreso,  i  beni  de  s.  Michiel  q.  s.  Mauro  de 
Varnerio,  con  li  altri  suoi  confini  sino  al  Mare.  Item  una  Androna  dalla 
parte  di  sopra  della  strada  appreso  la  Casa  de  pre  Nicolo  q.  s.  Novel,  et 
appreso  Marinel  q.  Venerando.  Item  una  Androna  dalla  parte  di  sotto  della 
strada  di  Comun  appreso  li  beni  de  s.  Michiel  de  Vernerio,  et  appreso  Ni- 
coleto q.  s.  Marco,  et  appreso  la  Casa  che  fu et  altri  confini. 

Item  una  Androna  nel  medemo  luogo  dalla  altra  parte  della  detta  Casa,  di 
Eredi  de  s.  Marco  da  dui  bande.  Item  una  Androna  dalla  parte  di  sotto 
della  strada  di  Comun  appreso  la  Casa  de  m.ro  Anzolo  stazonaro,  et  ap- 
preso la  Casa  de  Colando  da  Capodistria.  Item   una   Androna  dalla   parte 


-  175  - 

di  sotto  della  strada  di  Cornuti  appreso  il  Casal,  et  orto  de  pre  Nicolo  q. 
s.  Novello,  et  appreso  il  Casal  de  s.  Piero  q.  Almerigo  Maran  sino  alli 
muri  di  Cornuti.  Item  una  Androna  dalla  parte  di  sopra  della  strada  di 
Cornuti  appreso  la  Casa  de  s  Almerigo  Sulcherio,  et  appreso  la  Casa  de 
s.  Vidal,  q.  s.  Valtetno  di  Vidali.  Item  una  Androna  dalla  parte  di  sotto 
della  detta  strada  nel  medemo  luogo  appreso  li  beni  di  s.  Berticho  q.  s. 
Zuane  Albertin  et  appreso  li  beni  del  ni.  pre  Thoma  Piovati,  con  altri  con- 
sorti, sino  alla  strada  comuna  di  sotto.  Item  una  Androna  dalla  parte  di 
sopra  della  strada  di  Cornuti  appreso  la  Casa  de  Andrioli  de  Griffo,  et  ap- 
preso la  casa  che  al  presente,  è,  di  Leon  de  Leo. 

LXI.  Di  furali  delle  Regalie  quali  non  debbano  più  affilar  la  strada 
di  Commi,  quanto  altri  vicini. 

Item  è  statuito,  che  li  zuradi  delle  Regalie  non  debbano  più  affitar  la 
strada  di  Comun,  quanto  altri  vicini,  da  alto,  ne  da  basso  sotto  pena  de 
soldi  Cento  senza  remission. 

LXII.  Della  pena  di  quelli  che  forano  pietre  che  cascano  delle  Rive  di  Canedo. 

Statuimo  che  alcuna  persona  tanto  terriera,  quanto  forestiera  non  ar- 
disca pigliar  li  sassi  delle  rive  del  distretto  de  Isola  senza  espressa  liccntia 
del  sig.r  Podestà,  il  quale  al  presente  si  ritrova,  overo  che  per  tempo  sar.\, 
sotto  pena  de  soldi  Cento,  et  perder  le  pietre,  la  qual  pena  la  meta  sia 
dell'acusator,  et  sarà  tenuto  sccretto. 

LXIII.  Del  podestà  qual  sia  tenuto  pagar  li  debiti  del  Comun  fati  al  suo  tempo. 

£  ordinato  che  ogni  Podestà  che  per  tempo  sar;\  al  Regimento  di 
questa  terra  de  Isola,  sia  tenuto  pagar  con  li  beni  di  Comun  tutti  li  debiti 
che  saranno  fatti  nel  tempo  del  suo  Regimento  se  potrà,  et  se  non  potrà 
pagarli,  li  sucesori  siano  tenuti  pagar  il  detto  debito  di  beni  di  Comun. 

LXIV.  Della  pena  di  quelli  che  jarano  strada  publica  per  li  campi  lavoradi, 

overo  per  vigne  lavorade. 

È  statuito,  che  niuno  ardisca  far  strada  publica  per  li  campi,  ò,  vigne 
da  altri  lavorade,  ò,  lavoradi  sotto  pena  de  soldi  otto,  la  qual  per  la  meta 
sia  del  Comun,  et  l'altra  meta  del  patron  delle  vigne,  ò,  campi. 

LXV.  Delle  strade  ordinarie,  dover  star  in  quel  stato  che  si  ritrovano  et  delle 
strade  da  esser  con^e  nel  mese  di  Agosto. 

Statuimo,  et  ordinamo  che  tutte  le  strade,  che  sono  composte,  et  or- 


—  176  — 

dinate  nelli  confini  de  Isola  debbano  esser,  et  permaner  così  per  Pavenir, 
sicome  son  poste,  et  ordinate,  et  ciascun  Podestà,  ò,  Vicario  del  Podestà, 
con  li  procuratori  di  Comun,  et  con  dui  Giudici  di  Comun  che  per  tempo 
sarano  in  Isola  siano  tenuti  andar  sopra  dette  strade  ogni  Anno  nel  mese 
di  Agosto  fra  otto  giorni  nel  intrar  di  detto  mese  di  Agosto,  et  sopra 
veder  le  predette  strade.  Et  se  in  alcuna  cosa  farà  bisogno  ad  esse  strade 
all'hora  siano  tenuti  farle  acomodar  come  meglio  li  parerà  da  esser  fato  da 
quelli  che  haverano  li  suoi  beni  più  appreso  à  dette  strade  ;  Dovendo  liaver 
il  Giudice  con  il  Nodaro  soldi  quattro  per  ciascun  giorno  che  andarano,  et 
li  Procuratori  habbino  il  terzo  della  pena  di  quelli  die  cascaranno  in  pena 
et  che  non  acomodarano  esse  strade. 

LXVI.  Della  pena  di  quelli  che  nelle  pia^e  di  Comun  getarano  Vinate, 
Polpame,  ò,  altro  sporcherò. 

Item  statuimo  che  niuno  ardisca  gietar  nelle  Piazze  de  Alieto,  et  sopra 
il  mare,  et  nella  piazza  nuova,  vinaza,  ledame,  polpame,  ne  alcun  spor- 
chezo  nelle  predette  piazze,  ne  in  esse  in  alcun  modo  far  alcun  sporchezzo 
sotto  pena  di  pagar  soldi  vinti  al  Comun  de  Isola  per  ciascuna  volta,  che 
alcuno  contrafara,  et  ciascuno  sia  tenuto  manifestar  il  contrafaciente  al 
Podestà,  et  sarà  tenuto  secretto.  Item  che  li  conduti  di  esse  Piazze  deb- 
bano esser  netati  et  pallati  quando  haveranno  bisogno,  et  quello  ledame 
qual  sarà  appallato  debba  esser  levato  fra  tre  giorni  nella  pena  predetta.  Et 
ciascuno  che  cavara  nel  palu  del  porto  di  Comun,  et  lo  ponera  nelle  piazze 
predette,  sia  tenuto  portarlo  fuori  delle  dette  piazze  nel  termine  de  giorni 
quindece  doppo  che  haveranno  cavato  detta  Palude  in  pena  de  soldi  vinti 
per  ciascuna  volta  che  sarà  contrafatto. 

LXVII.  De  non  meter  ledame  nel  Barbacan  delle  porte. 

Niuno  ardisca  meter,  ò,  mandar  ledame  nel  barbacan  della  porta,  ò, 
avanti  la  porta,  et  nel  Arzere  drio  al  fossato,  et  appreso  il  ponte  di  Comun 
et  atorno  la  fontana  in  pena  de  soldi  diese,  et  non  preiudichi  li  lachi  che 
sono  in  capo  di  campi. 

LXVIII.  De  non  cavar  vermi  nelli  moli,  et  porporari  di  Comun. 

È  statuito,  et  ordinato  che  niun  Homo,  ò,  Dona  grande,  ò,  picolo  sia 
'ardito  cavar  vermi  di  Moli,  ò,  porporari  di  Comun  in  pena  de  soldi    tre, 
la  mita  sia  del  comun,  et  l'altra  mita  del  acusador,  et  ciascuno  che  vedar.i 
possa  manifestar,  et  sarà  tenuto  secretto. 


—  i77  — 
LXIX.  Del  far  le  mede  de  feti. 

È  decretato,  et  providamente  affermado,  che  niuno  sia  ardito  far  mede 
di  fieno  in  Isola  tra  le  Case,  ne  nelle  Case  che  haverano  pariete,  ne  in  so- 
laro  nel  qual  si  facia  fuoco  di  sotto,  ò,  di  sopra  in  pena  de  soldi  quaranta 
et  restituir  il  dano  dato  al  patiente,  et  le  dette  mede  che  vora  far  sia  te- 
nuto farle  nel  fossato  di  Comun,  ò,  nel  Viero,  ò,  nelli  luochi  predetti  dove 
gli  parerà  meglio  di  farle,  et  non  in  altri  luochi  nella  pena  predetta  ;  Resti 
ancora  in  discretion  del  Sig.r  Podestà,  che  si  possi  far  dette  mede  in  altri 
luochi  dove  non  sia  pericolo. 

LXX.  In  qual  maniera  li  Procuratori  di  Comun  devono  per  legar  il  terreno 

di  Comun. 

Statuimo,  et  ordinamo,  che  li  Procuratori  di  Comun  deputadi  a  per- 
tegar  il  terreno  di  Comun,  siano  tenuti,  et  debbano  quel  terreno  che  an- 
darano  à  perticar  ad  alcuna  persona  perticarlo  sotto  questa  condicion,  et 
forma,  cioè  che  siano  tenuti,  et  debano  perticar  ciascuna  piuina  da  per  se, 
et  perticar  da  dui  ladi  per  longhezza  pertiche  di  comun  cinquanta,  et  da 
ciascun  Capo  perteghe  Dodese  è  meza  Dovendo  haver  gli  ditti  Procuratori 
per  suo  salario,  et  faticha  soldi  due  de  picoli  per  ciascuno  per  ogni  volta. 

LXXI.  De  non  vender  la  terra  delle  Regalie  del  Commi  de  Isola,  overo  del 
terreno  di  Comun,  se  non  al  Incanto  nel  magior  Conseio. 

Item  è  statuito,  che  niun  Podestà  debba  per  l'avenir  vender  ad  alcuno, 
ò,  alienar  della  terra  delle  Regalie  de  Isola,  ò,  del  terreno  di  Comun  se 
non  al  Incanto  solamente  nel  magior  Conseio  et  siano  date  al  più  offerente, 
et  se  sari  fatto  altramente  manchi  di  fermeza. 

LXXII.  De  non  lavorar  il  terreno  della  Valesella. 

Item  statuimo,  et  ordinamo  che  niuno  Cittadino  de  Isola  ardisca  per 
l'avenir  lavorar  del  terreno  della  Valesella,  cioè  dalla  strada  che  va  à  san 
Basso  verso  Isola  de  sotto  la  sera  in  pena  de  pagar  lire  Vinticinque  Ve- 
netiane  al  Comun  de  Isola,  et  il  lavoriero  che  sarà  fatto  sopra  sia  reduto 
in  niente.  Et  il  podestà  non  debba  dar  licentia  ad  alcuno  che  volesse  la- 
vorar del  predetto  terreno.  Et  niuno  nostro  cittadino  sia  ardito  conoser,  ò, 
ricever  del  detto  terreno  da  alcun  huomo  de  Pirano  overo  da  alcun  altro 
forestiero  sotto  la  predetta  pena  da  esserli  tolta  dal  Comun  inremisibilmente. 
Et  tamen  sia  in  arbitrio  del  Sig.r  Podestà  di  lavorar,  ò,  dar  licentia  di  la- 
vorar del  ditto  terreno. 

ìs 


-I78- 

LXXIII.  Di  denari  tolti  ad  imprestido  dal  Cornuti  da  alcuno  Cittadin  de  Isola 

de  restituirli  in  danari. 

Statiamo  che  ciascun  Podestà  che  per  tempo  sarà  al  Regimento  di 
questa  terra  de  Isola,  che  li  denari  quali  torà  ad  imprestido  da  alcun  nostro 
Cittadino  de  Isola,  sia  tenuto  restituirli  in  denari  solamente  della  Camera 
di  Comun. 

LXXIV.  Che  niuno  ardisca  discargar  feno  nel  porto,  et  che  li  beccari  non 
ardiscano  gelar  dentro  sangue,  ò,  altre  inmondicie. 

Item  statuimo  che  alcuna  persona  terriera,  ò,  forestiera  non  ardisca 
discargar  fieno  nel  porto  del  Comun  de  Isola.  Et  ancora  che  li  beocari  non 
ardiscano  getar  sangue,  ò,  far  getar  altre  inmondicie  in  esso  porto.  Item 
che  alcuno  non  ardisca  lavar  alcuna  barca  in  esso  porto  :  Et  ancora  non 
ardisca  getar  la  savorna,  ò,  inmondicie  in  porto,  ò,  sopra  il  muoio  di  esso 
porto,  sotto  pena  de  soldi  quaranta  de  picoli,  la  qual  pena  la  meta  sia  del 
acusator  :  Item  che  alcuno  non  ardisca  fichar  alcun  palio  in  esso  Porto,  ne 
tenir  alcun  vivaro  di  pesse  sotto  la  detta  pena  :  Item  che  alcuno  non  ar- 
disca tenir  alcun  Navilio,  ò,  zoppo  affondato  ad  porto  sotto  la  predetta 
pena.  Item  che  niuno  ardisca  sechar  l'acqua  del  suo  Navilio,  ò,  barella  sotto 
la  predetta  pena. 

LXXV.  Incomincia  il  Capitolo  di  Vice  Domini. 

Statuimo  che  siano  fatti  dui  Vice  Domini  nel  magior  Consiglio,  et 
siano  elletti  come  gli  altri  officiali  djl  Comun,  quali  Vice  Domini  debbano 
esser,  et  permaner  nell'officio  della  Vicedominaria  per  un  Anno  compido, 
cominciando  dal  primo  di  de  Maggio,  alle  mani  de  quali,  et  nella  lor  cu- 
stodia debba  pervenir  tutti  li  Instrumenti,  et  abreviatare,  et  ragion  si  come 
si  contien  nelli  infrascritti  Capitoli. 

LXXVI.  Del  Salario  di  Vice  Domini,  et  suo   officio. 

Primieramente,  che  li  Vicedomini,  che  per  tempo  sarano  debbano  haver 
dal  Comun  de  Isola  per  loro  salario  di  un'Anno  per  ciascuno,  et  ognun 
di  loro  grossi  quindese  de  denari  grossi  Venetiani,  con  queste  condicioni, 
che  essi  Vice  Domini  non  possino  haver  alcun  altro  officio  nella  terra  de 
Isola,  mentre  sarano  in  officio  della  V.  Dominarla  ;  tamen  possino  ben 
andar  in  Consiglio  quando  si  farà  di  qualunque  cosa,  et  se  occorera  pigliar 
qualsivoglia  breve  della  ellecion  di  officiali,  et  far  la  ellecione  che  li  occo- 
rera   per  il    breve,  osservato    tamen  in   ogn'  uno  di  V.  Domini  quali  per 


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tempo  sarano  il  statuto,  nel  quale  si  contiene  della  elletion  di  officii.  Et  li 
detti  V.  Domini  debbano  haver  il  detto  suo  salario  la  meta  nel  principio 
dell'Anno,  et  l'altra  meta  nel  principio  del  altro  mezo  Anno. 

LXXVII.  Che  li  Vice  Domini  debbano  esser  esenti  da  tutte  le  fationi. 

Itern  che  li  V.  Domini  quali  per  tempo  sarano  debbano  esser  esenti 
da  tutte  le  facioni  della  terra  de  Isola,  cioè  dalla  guardia  di  Notte,  et  di 
giorno  dall'  Esercito,  et  delle  altre  facioni  di  lavorieri,  et  Angarie  che  si 
faranno  per  il  Comun  :  Eccetto  che  dalla  colta,  ò,  Avedaticho,  et  dal  Dacio 
del  Vino,  et  delli  altri  Datii  di  Comun  dalli  quali  non  sien  essenti. 

LXXVIII.  Quando  il  V.  Domino  sarà  chiamato  al  far  di  alcun  lustramento. 

Itein  qualunque  volta,  et  ciascuna  volta,  che  alcun  V.  Domino,  sarà 
chiamato  al  far  di  alcun  Testamento,  Instrumento  di  Dotte,  ò,  Matrimonio, 
ò,  Inventario,  ò,  Instrumento  de  Division,  sia  tenuto,  et  debba  andar  in 
quel  luogo,  et  il  Nodaro  che  sani  chiamato,  et  rogato,  à  scriver  tal  Instru- 
mento, sia  tenuto  alla  presentia  delle  parti  abreviar,  et  scriver  il  testamento 
secondo  la  volontà  del  Testador,  et  secondo  la  forma  del  Statuto,  et  simil- 
mente li  altri  soprascritti  Instrumenti  alla  presentia  delle  parti,  et  Vice  Do- 
mino presente  le  parti,  et  coutente,  abreviarli,  secondo  li  patti,  et  volontà 
di  contrahenti.  Et  li  Vice  Domini  debbano  haver  appreso  di  se,  et  conservar 
in  Vice  Dominarla  la  Inbreviatura  di  Testamenti  Dotte,  Inventarli,  et  Di- 
visioni, Et  quel  Vice  Domino  che  sarà  chiamato  ad  alcun  Testamento,  ò, 
Instrumento  di  Dotte,  debba  haver  per  sua  mercede,  et  faticha  de  ciascuna 
imbreviatura  di  testamento  et  Instrumento  di  Dote  picoli  dodese;  Et  simil- 
mente di  ciascuna  Imbreviatura  de  Inventario,  et  Divisioni.  Et  qualunque 
volta  che  alcuno  di  essi  Instrumenti,  de  Testamenti,  Dotte,  Inventarli,  et 
Divisioni  sarano  autenticati  per  il  Nodaro,  tutti  dui  li  Vice  Domini  deb- 
bano il  detto  Instrumento  Vici  Dominar,  se  uno  di  loro  per  iusta  causa 
non  sarà  absente,  per  infirmita,  ò,  che  non  fusse  nella  Terra  ;  Et  all'hora 
il  V.  Domino,  che  sarà  nella  terra  debba  scriver  la  causa  della  absentia 
dell'  altro  Vice  Domino,  che  non  sarà  nella  terra,  ò,  se  sarà  infermo.  Et 
essi  V.  Domini  debbano  haver  da  quello  che  esso  Instrumento  di  Dotte, 
Testamento,  Inventario,  ò,  Division,  farà  V.  Dominar  denari  sedese  de  pi- 
coli  di  qualunque  tal  sorte  de  Instrumento  autentico  da  esser  V.  Domi- 
nato :  Et  che  il  Nodaro  che  autenticara  l'Instrumento,  Testamento,  ò,  Dotte 
sia  tenuto  esso  Instrumento  quanto  prima  sarà  relevado  scriverlo  in  auten- 
tico di  sua  man  propria  nei  quaderni  della  Vice  Dominaria,  cioè  de  Inven- 
tarli, et  Instrumenti  de  Division,  ne  li  Vice  Domini,  ne  li  Nodari  che  ha- 


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verano  scritto    essi  Instrumenti,    non  siano   tenuti    scriverli  nelli   quaderni 
delli  V.  Domini,  ma  solamente  siano  tenuti  li  V.e  Domini  la    abreviatura 
scritta  per  il  Nodaro,  tanto  de  Inventario,  quanto  de  Division,  per  essi  V. 
Domini  debba  esser  salvata  in  Cancellarla  havendo  per  Vice  Dominar  cia- 
scuno di    tal  sorte    de  Instrumento    autentico  danari    sedese  de    picoli,  da 
qualunque  che  tal  Instrumento  venira  in  favor  :  Et  se  alcuno  delli  V.  Do- 
mini sarà  chiamato  ad  alcuno  contratto  di  Matrimonio  doppo  che  l'Instru- 
mento  di  Dotte  sarà  abreviato  per  il  Nodaro,  ò,  Instrumento  di  Matrimo- 
nio, esso  V.  Domino  chiamado  sia  tenuto  far  lezer  essa  abbreviatura    da- 
vanti le  parti,  et  salvar  quella  nella  V.  Dominarla  et  debba  con  testimonii 
chiamar  il  sposo,  et  sposa,  et  far  che  si  diano  la  mano  in  fede  ad  Invicem 
per  affermar  il  matrimonio    se  le  parti   contrarienti  sono  contente    di  esso 
matrimonio.  Item  ogni  volta  che  sarà  presentato  ad  alcuno  delli  V.  Domini 
alcuna  sententia,  ò,  comandamento  fatta  per  il  Sig.r  Podestà,  per  li  Giudici 
ò,  Vicario  del  Podestà,  ò,  per  Arbitri  scritta  tra  alcuno,  tanto  per  il  No- 
daro del  Podestà,  ò,  per  il  Cancelliero  esso  V.  Domino    debba  quella    V. 
Dominar  essendo  contente  le  parte  fra  quindese  giorni  :  Et  se  le  parte  non 
contentarano,  sia  in  arbitrio  del  sig.r  Podestà  farla  V.  Dominar,  secondo  li 
altri  Instrumenti,  similmente  facia  delle  Carte  de  incanti  fatte  con  autorità 
del  Sig.r  Podestà  :  Et  debba  haver  da  quello  al  quale  essa  sententia,  ò,  pre- 
cetto aspeta,  per  ciascuna    sententia  ò,    precetto  da  soldi    quaranta  in    su, 
quattro  picoli,  et  da  soldi  quaranta  in  giù  dui  picoli  tra  essi  V.    Domini, 
et  non  più  :  Et  li  V.  Domini    non  siano    tenuti  a  scriver  nelli  loro    qua- 
derni le  sententie,  ne  precetti  fatte  per  il  sig.'  Podestà,  Giudici,    ò,   Vica- 
rio: Item  che  il  Cancelliero  di  Cornuti  et  della  Estimarla,  compiti  li  quat- 
tro mesi,  del  loro  officio  della  Cancellaria,  et  Estimarla  siano  tenuti  a  pre- 
sentar alli  V.  Domini  nel  termine  di  un  mese  li  quaderni  che    haveranno 
havuto  per  il  loro  officio  della  Cancellaria,  et  Estimarla  :  Et  il  Nodaro  del 
Podestà,  che  per  tempo  sarà,  similmente  sia  tenuto  compido  il  suo  tempo 
presentar,  et  consigliar  alli  V.  Domini,  ò,  a,  uno  di  essi  li  suoi    quaderni 
di  ragion,  et  atti  della  Chorte,  li  quali  quaderni  siano  tenuti  li  V.  Domini 
salvar  appreso  di  se  nella  V.  Dominarla  :  Item  che  li  V.  Domini  che   per 
tempo  sarano,  overo  uno  di  loro  siano  tenuti  ricever,  et  V.  Dominar,    et 
scriver  ordinatamente  nei  suoi  quaderni,  overo  uno  di  loro  quel  che   sarà 
chiamato  ò,  quello  che  li  sarà  presentato  V  Instrumento  delle  parti  presenti, 
et  contenti,  et  alla  presentia  delle  parte  legier  l' Instrumento,  atti,  contrari 
seguiti  tra  le  parte.  Tutti  li  Instrumenti  di  vendicion,  proclamation  di  de- 
biti, suppignoratim,  ò,  obligation,  Donation,  location,  et  altri    Instrumenti 
fatti,  et  contrati  tra  li  convicini  della  Terra  de  Isola,  overo  da   Cittadino, 


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a  forestiero  da  soldi  quaranta  in  su,  et  da  soldi  quaranta  in  giù  li  V.  Do- 
mini, ne  alcuno  di  loro  siano  tenuti  registrarli  nelli  loro  quaderni.  Et  deb- 
bano haver  li  V.  Domini  per  il  suo  pretio,  ò,  lavoriero  da  ciascuno  In- 
strumento  de  quaranta  soldi  in  su  denari  quattro  tra  di  loro,  et  da  qua- 
ranta soldi  in  giù  denari  de  picoli  dui  et  non  più,  et  tutti  dui  li  V.  Do- 
mini debbano  Vice  Dominar  tal  sorte  de  Instrumenti,  et  ragioni:  Item  che 
li  V.  Domini,  ò,  uno  di  loro  almeno  debbano  continuamente,  e  ogni  giorno 
esser  et  restar  nella  Terra  de  Isola  sotto  pena  de  soldi  vinti  de  denari  pi- 
coli  per  ciascuno  di  loro,  et  ciascun  giorno  :  Item  che  nelli  giorni  di  Mer- 
core  et  di  Venere  neli  quali  il  Sig.r  Podestà  sarà  in  ragion,  li  V.  Domini 
debbano  aprir,  et  tener  aperta  la  Vice  Dominaria,  et  in  quella  star  fin  tanto 
che  il  Sig.r  Podestà  stara,  a,  render  ragione  sotto  la  predetta  pena  per  cia- 
scun di  loro,  et  ciascun  giorno  :  Item  che  li  V.  Domini,  overo  uno  di  loro 
debbano  haver,  et  siano  tenuti  copiar  nelli  loro  quaderni,  et  tener  appreso 
di  loro  tutte  le  condane  fatte  per  il  Sig.r  Podestà  per  tutto  l'anno  del  suo 
officio.  Et  debbano,  et  siano  tenuti  scriver  nelli  loro  quaderni  tutte  le  In- 
trade,  et  spese  del  Comun,  le  quali  pervenirano  alle  mani  di  Camerari  di 
Commi  per  tutto  l'anno,  et  li  Vice  Domini  debbano  haver  dal  Comun  li 
quaderni,  et  Carta  bombacina,  à  loro  necessario  bisogno  per  essercitar  il 
loro  officio. 

LXXIX.  Che  alcuno  non  ardisca  intrar  nella  V.  Dominaria  senio,  licentia  del 

Sig.T  Podestà. 

Item  statuitilo,  che  alcuno  non  debba  intrar  nella  V.  Dominaria  senza 
licentia  delli  signori  in  pena  de  soldi  vinti  de  picoli  per  ciascuno,  a  simil 
pena  caschi  il  V.  Domino  che  li  lassara  intrar,  et  se  tutti  dui  li  V.  Do- 
mini li  lassarano  intrar,  tutti  dui  paghino  soldi  Vinti  per  ciascuno. 

LXXX.  Che  li  V.  Domini  siano  tenuti  dar  in  scrittura  olii    Camerlenghi 
de  s.  Mauro  tutti  li  legati  tassodi  alle  Chiese  de  Isola. 

Statuitilo,  che  per  l' avenir  perpetuamente  li  V.  Domini  di  Comun, 
overo  alcuno  di  loro,  siano  tenuti  dar  in  scrittura  alli  Camerlengi  della 
Chiesa  di  S.  Mauro  ogni  legato  lasado,  à  ciascuna  Chiesa  del  distretto  de 
Isola  per  alcun  Testamento,  à,  loro  pervenuto:  Et  questo  fra  quindese 
giorni  doppo  la  morte  del  Testator,  ò,  Testatrice  di  essi  testamenti,  la  qual 
cosa  se  non  farano  per  pena  paghino  al  Comun  soldi  quaranta  de  picoli  : 
Et  dati  li  sopradetti  scritti  per  loro,  ò,  alcuno  di  loro  V.  Domini,  li  Ca- 
merlengi sopradetti  essi  siano  tenuti  riscuoter  tutte  le  cose  contenute  in 
essi  Testamenti  pertinenti  alle  chiese  de  Isola  :  Item  delle  cose  (assade  nelli 


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testamenti  fatti  il  tempo  passato,  resti  in  discretion  del  Sig.r  Podestà  et 
suoi  Giudici,  à,  mandar  le  cose  predette  in  essecution.  Et  fu  fatto  questo 
statuto  del  1338. 

LXXXI.  Che  alcuno  V.  Domino,  ò,  Nodqro  de  Isola  non  possi  esser  Procurator. 

Item  statuàrio,  che  alcun  V.  Domino,  ò,  Nodaro  de  Isola,  non  possi 
esser  Procurator  di  alcuno  Cittadino,  ò,  forestiero  sotto  qual  si  voglia  modo, 
ò,  ingegno. 

LXXXII.  Del  V.  Dominar  li  lustramenti  delle  Possessioni,  che  sono  obligate 

al  Comun. 

Item,  che  alcuno  V.  Domino,  per  1'  avenir  in  niun  modo  ardisca,  ne 
debba  V.  Dominar  alcun  Instrumento  di  Vendicion,  Donation,  Alienation, 
ò,  Cession  di  alcuna  possession,  terreno,  ò,  Vigna  per  la  quale  paghi  affato 
al  Comun,  se  prima  non  sarà  traslatado  tal  sorte  di  terreno,  sopra  il  Re- 
gistro delli  terreni  di  Comun,  in  quello  al  quale  sarà  alienata  essa  posses- 
sion, ò,  pignoration  cascata  di  termino  per  alcun  debito  sotto  pena  de  lire 
Vinticinque  de  picoli,  la  qual  pena  il  terzo  sia  dell' accusator,  et  sia  tenuto 
secreto,  et  le  altre  dui  parte  devengano  nel  Comun. 

LXXXIII.  Delli    camerari  di  Comun  quali  siano    tenuti  dar  Piegarla  de    lire 

quattro  Cento. 

Statuimo,  che  ciascuno  che  sarà  Cameraro  di  Comun,  avanti  che  ri- 
ceva in  se  alcuna  cosa  di  beni  del  Comun,  sia  tenuto  dar  una  piezaria  al 
Comun  de  lire  quatrocento  de  piccoli,  et  in  tanto  di  più  siano  tenuti  li 
Piezzi,  quanto  di  più  fusse  intacato  per  esso  Cameraro. 

LXXXIV.  Della  pena  di    Camerari,  che    non  restituiscono  li  denari,    et  Cose 
del  Comun  al  sucedente  Cameraro. 

Item  statuimo,  che  ciascun  Cameraro  di  Comun,  fra  1'  ottavo  giorno 
doppo  che  sarà  uscito  del  suo  officio  debba  restituir,  et  designar  al  suce- 
dente Cameraro,  tutte  le  cose,  et  tutti  li  denari  spetanti  al  Comun  et  non 
debba  ritener  appreso  di  se  alcuna  cosa,  sotto  pena  del  dopio  di  tutto  quello 
che  non  restituirà,  et  designara  come  si  è  detto. 

LXXXV.  Del  officio  et  salario  di  Camerari  del  Comun. 

Item  statuimo,  che  ciascun  Cameraro  di  Comun  debba  haver  dal  Co- 
mun per  suo  salario  de  quattro  mesi  lire  cinque,  et  sia  tenuto  render  conto 
al  sig.r  Podestà  alla  presentia  di  Giudici  di  Comun  de  tutte  le  intrade,  et 


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uside  del  Cornuti  :  Et  debba  far  tutte  quelle  cose  pertinenti  al  suo  officio 
che  sarano  necessarie  per  il  Comun.  Et  sia  tenuto  pagar  la  colta  :  Et  li 
conti  di  ciascun  Cameraro  nel  usir  del  suo  officio  si  debba  leger,  et  pu- 
blicar  nel  magior  Consiglio. 

LXXXVI.  Del   Cameraro   di  Commi  qnal  sia  tenuto  far  li  suoi  conti  con   il 
Sig.*  Podestà,  ò,  suo  Vicario,  de   luti  e  le  In!  rade,  et   Uscide  del  Comun. 

Statai mo,  che  ciascun  Cameraro  di  Comun  sia  tenuto  far  conto  con 
il  Sig.r  Podestà,  ò,  suo  Vicario  de  tutte  le  Intrade,  et  Uscide  di  Comun 
de  tutto  il  tempo  della  sua  Podestaria,  et  quelli  conti  leger  nel  magior 
Conseglio,  et  non  voglia,  ne  possa  di  denari,  ò,  di  beni  del  Comun,  overo 
de  tutte  le  altre  cose,  ò,  denari  di  alcuno  alle  sue  mani  pervenuti  pigliar 
per  se,  ne  ad  alcuno  in  alcun  modo  imprestar,  ò,  alienare,  se  non  sola- 
mente de  mandato  del  Sig.r  Podestà,  ò,  suo  Vicario  sotto  pena  de  soldi 
quaranta  per  ogni  volta  che  sari  contrafato:  Oltre  di  ciò  se  saverano,  ò, 
sentirano  che  nasca  alcuna  rissa  di  parole,  ò,  di  fatti,  o,  advenira  tra  al- 
cuno, ò,  alcuni  Indecentemente,  essi  siano  tenuti  manifestarlo  al  Sig.r  Po- 
desta,  ò,  suo  Vicario,  se  il  Podestà  non  sarà  in  Isola,  quanto  prima  potrà, 
et  sia  tenuto  secretto. 

LXXXVII.  Dilli  Advocati,  et  loro  pagamento. 

Statuitilo,  che  ogni  quattro  mesi,  si  debba  ellezzer  nel  Magior  Con- 
seglio per  il  Comun  quattro  Advocati,  quali  siano  tenuti  giurar  di  far  ret- 
tamente, et  legalmente  l'officio  dell'Avocato,  a,  tutte  le  sorte  di  persone 
che  loro  prima  ricercarano,  quali  debbano  haver  di  ogni  placito  da  qua- 
ranta soldi  in  giù  denari  dodese  de  picoli,  et  da  quaranta  in  su  soldi  dui 
de  picoli,  tanto  di  cosa  mobile,  quanto  di  cosa  inmobile  perseverando  nella 
causa  fin  al  fine,  et  possino  haver  ogni  altro  officio,  et  breve. 

LXXXVIII.  Della  Piegarla  quale  sono  tenuti  dar  li  Eslimatori,  et  del  loro 

sagramento,  et  officio. 

Statuimo,  che  li  Estimatori  di  Cornuti  de  Isola  quali  per  tempo  sarano 
in  officio  della  Estimarla,  siano  tenuti  dar  al  Comun  una  piezzaria  de  lire 
Cento  Venetiane  de  picoli  per  ciascuno,  et  giurarano  di  far,  et  essercitar 
tutte  le  cose  pertinenti  al  suo  officio,  con  bona  fede,  senza  fraudò  secondo 
la  forma  del  statuto  della  Estimarla,  et  che  non  gioveranno  al  amico,  ne 
BOCerano  al  nemico  per  fraude,  premio.  Dono,  ò,  servicio  non  riceverono, 
ne  fatano  ricever  da  altri  per  loro  in  alcun  modo,  ò,  ingegno;  Et  se  save- 
rano alcuna  cosa  esser  tolta  per  si,  ò,  per  altri  quello  facino  restituir  quanto 


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prima  lo  saverano,  ò,  potrano:  Et  tutte  queste  cose  osservarano  con  bona 
fede  senza  fraude  in  pena  di  sagraniento,  è,  più,  à  volontà  del  Sig.r  Po- 
desta  :  Et  oltra  di  ciò  siano  tenuti  li  Estimatori  conservar  tutte  le  carte, 
et  segurta  che  pervenirano  in  loro  potestà  :  Et  se  nasera  alcuna  discordia 
sotto  al  suo  governo  tra  alcuni  de  parole,  ò,  de  fatti  Indecentemente  siano 
tenuti,  à  denonciarli  al  Sig.r  Podestà,  et  non  essendo  in  Isola  il  sig.  Po- 
desta  al  suo  Vicario  in  pena  de  soldi  diese,  et  siano  tenuti  secretti  :  Et  il 
Cancelliero  delli  Estimatori  sia  tenuto  giurar  di  osservar  tutte  le  sopradette 
cose,  ma  non  sia  tenuto  dar  Piezaria. 

LXXXIX.  Del  Fontegaro  di  Comun. 

Statuimo  che  quello,  che  sarà  Eletto  aPofEcio  della  fontegaria,  et  re- 
stara in  detto  officio,  compido  il  suo  officio  non  possi  esser  eletto  in  detto 
officio  in  sei  mesi  prossimi  Venturi,  et  se  sarà  eletto  manchi  di  fermezza 
detta  elettione. 

LXXXX.  Del  modo,  et  forma  di  elegier  li  Capi  delle  Contrade. 

E  statuito,  et  ordinato  che  l'officio  di  Capi  delle  Contrade  debba  andar 
per  breve  del  Magior  Consiglio,  talmente,  che  per  ciascuno  capo  delle  con- 
trade si  debba  poner  un  breve,  et  quel  huomo  del  magior  Conseglio  al 
quale  uno  di  quelli  brevi  tochara  debba  ellezer  uno  huomo  per  sacramento 
della  sua  contrada,  qual  sia  utile  per  capo  della  contrada  in  pena  de  soldi 
quaranta  da  esser  pagati  al  Comun  senza  remission,  et  la  detta  ellecion  sia 
revocada  per  niente,  et  tutti  li  homeni  de  Conseglio  che  sarano  di  quella 
contrada  in  quella  volta  debbano  desender  dal  Palazzo  nella  predetta  pena, 
et,  à  niuno  sia  lecito  elezer  quel  Capo  de  contrada  che  fusse  stato  in  quel 
Anno  passato,  sotto  la  medesima  pena,  et  oltra  di  ciò  la  predetta  ellecion  sia 
Cassada  ;  et  ciascuno  che  sarà  nel  detto  officio  de  Capo  di  Contrada  possi 
haver  altro  officio,  non  pregiudicando  a  lui  alcun  Capitolo  del  Statuto  di 
Capi  delle  contrade. 

LXXXXI.  Del  sagraniento  di  Capi  delle  Contrade. 

Item  è  statuito,  che  i  capi  delle  contrade  del  Comun  de  Isola,  che  per 
tempo  sarano  in  Isola,  giurarano  far,  et  essercitar  tutte  le  cose  pertinenti 
al  suo,  ò,  suoi  officii,  et  non  giovarano  al  amico,  ne  nocerano  al  nemico 
per  fraude,  premio,  Don,  ò,  servitio  non  pigliarano,  ne  farano  pigliar  per 
,se,  ne  da  alcun  altro  per  loro,  in  alcun  modo,  ò,  ingegno.  Et  se  saverano 
alcun  per  loro  haver  ricevuto  alcun  Don,  premio,  ò,  servitio  quello  facino 
restituir  quanto  prima  lo  saverano,  ò,  potrano  le   qual  tutte   cose,    i  detti 


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Capi  osservarano,  con  bona  fede,    senza    fraude  in  pena  di  sagramento,  et 
più,  à,  volontà  del  Sig.r  Podestà. 

LXXXXII.  Di  Capi  delle  contrade  quali  non  debbano  haver  alcun  salario  del 
Comun,  eccetto  la  sua  Colta  da  soldi  vinti  in  giù,  et  non  siano  tenuti  far 
guardia. 

Niuno  Capo  delle  contrade  de  Isola  debba  haver  alcun  salario,  ò,  altro 
dal  Comun,  ecceto  la  sua  Colta,  sotto  pena  de  soldi  diese  de  picoli  se  non 
lavorase  in  deffension,  o,  honor  della  Terra  de  Isola,  et  anco  sia  in  arbi- 
trio del  sig.r  Podestà  ;  et  niun  capo  de  contrada  sia  nel  medesimo  officio 
se  non  solamente  da  quattro  mesi,  et  sia  tenuto  pagar  la  colta  da  Vinti 
soldi  in  su,  ritenendo  li  detti  vinti  soldi  in  si,  et  non  sia  tenuto  far  guardia 
in  la  terra  ne  di  giorno  ne  di  note. 

LXXXXIII.  Che  ciascuno  officiai  debba  haver  in  scrittura  il  suo  Capitulare. 

Ifem  statuimo,  che  ciascun  ufficiai,  che  per  V  avvenir  nella  terra  de 
Isola  sarà  elletto  in  alcun  officio  del  Iudicato,  Cameraria,  Cancellarla,  An- 
cianaria,  Procurarla,  Avocarla,  Iusticiaria,  et  in  tutti  li  altri  officii,  debba 
haver  in  scrittura  tutto  il  capitular  pertinente  al  suo  officio,  avanti  che  entri 
in  officio,  in  pena  de  soldi  vinti  per  ciascuno,  et  ciascuna  volta  che  sarà 
contrafatto  :  Qual  veramente  scritto,  et  copia  debba  esser  copiata  in  carta 
bergamina  a  spese  del  Comun,  et  darla  a  tutti  li  officiali,  quali  officiali 
siano  tenuti  atentamente  conservar  la  detta  copia,  et  nel  fine  del  termine 
del  suo  officio,  siano  tenuti  presentar  il  detto  capitular  al  Sig.r  Podestà,  ò, 
Vicario  che  per  tempo  sarà  ;  Et  il  detto  sig.r  Podestà,  ò,  suo  Vicario  pre- 
sentata la  detta  copia  alli  officiali  presenti  nella  seconda  muda,  quali  siano 
tenuti  farsi  legier  il  suo  capitular  almeno  una  volta  al  mese  in  pena  di 
sagramento. 

LXXXXIV.  Delli  Ambasciatori  che  saranno  mandati  per  il  Comun. 

Statuimo,  che  qualunque  volta,  per  necessaria  causa,  et  utilità  il  Comun 
sari  astretto  mandar  Ambasciator,  ò,  Ambasciatori  in  alcuna  parte,  per  il 
Sii,r.r  Podestà,  et  per  li  suoi  Giudici,  debba  ellegersi,  et  mandar  quello,  ò, 
quelli  che  saranno  più  discretto,  ò,  discretti,  et  suficienti,  il  quale,  ò,  per 
li  quali  li  negotii,  a,  lor  commessi  debbano  con  il  magior,  et  melior  utile 
compirsi.  Et  niun  Ambasciator  del  Comun  de  Isola  non  debba,  ne  possi 
far  altramente,  se  non  secondo  che  li  sarà  commesso,  senza  volontà  del 
signor  Podestà,  et  del  magior  Conseglio:  Il  pagamento,  et  salario  di  essi 
sia  in  arbitrio,  et  discretion  del  sig.r  Podestà, 


—  186  — 
LXXXXV.  Della  Eìletion  di  Camerari  di  S.  Mauro. 

Statuitilo,  che  li  Camerari  della  Chiesa  de  m.  san  Moro  debbano  esser 
elicti  nel  magior  Conseglio  secondo  che  si  ellegono  li  altri  offitiali,  et  deb- 
bano star  in  esso  officio  per  un'  Anno  compido,  et  non  possino  haber  alcun 
officio  fin  che  non  compirano  esso  Anno.  Et  debbano  haver  picoli  sei  per 
ciascuna  lira  de  danari  quali  essi  manegiarano  :  Et  in  quel'hora  che  sarano 
Elieti  in  esso  Conseglio  possino  se  vorano  refudar  esso  officio,  et  non  al- 
tramente. Et  quelli  che  ellegerano  essi  Camerari  non  debbano  perder  per 
il  detto  officio  alcun  breve,  se  non  secondo  che  perdono  li  altri  offitiali 
che  hanno,  et  ellegono  in  esso  Conseglio  :  Et  similmente  nel  detto  Conse- 
glio si  debba  ellezer  al  breve  un  Nodaro,  il  quale  sia  Nodaro  di  detti  Ca- 
merari per  un'Anno,  et  esso  officio  non  li  debba  preiudicar  il  quale  possi 
haver  altro  officio.  Et  detto  Nodaro  per  suo  salario  debba  haver  in  detto 
Anno  lire  tre,  et  li  elletori  del  detto  Nodaro  non  debba  perder  il  breve, 
se  non  secondo  che  si  osserva  nelli  altri,  che  ellegono  li  altri  offitiali:  Et 
li  detti  Camerari  siano  tenuti  ogni  quattro  mesi  far  conto  con  il  Sig.  Po- 
desta  delle  Entrade,  et  spese  della  detta  Cameraria;  Et  debbano  haver  dui 
libri  uno  delle  intrade,  et  l'altro  delle  spese:  Et  similmente  il  Sig.r  Po- 
desta  come  sarà  nella  fine  del  suo  Regimento  debba  mostrar  li  conti  al 
suo  sucessor  con  li  Camerari  predetti  della  detta  cameraria:  Et  essi  Came- 
rari debbano  esser  nella  terra,  et  così  si  facia  li  conti,  come  si  fa  della 
Intrada,  et  usida  del  Comun.  Et  se  tutti  dui  per  iusta  causa  non  sarano 
nella  Terra  li  facia  con  li  suoi  officiali  che  sarano  nella  Terra:  Et  non  sia 
iecito  ad  alcuno  di  essi  Camerari  spender  del  haver,  et  beni  de  essa  Ca- 
meraria senza  1'  altro,  et  senza  licentia  del  Sig.r  Podestà.  Et  quando  sarano 
elletti  siano  tenuti,  à,  giurar  di  far  il  suo  officio  legalmente,  et  secondo  il 
modo  predetto,  Et  tutti  li  doni  che  sarano  offerti,  et  Ellemosine,  ò,  dimis- 
sorie  lassade,  à,  essa  Chiesa,  debbano  esser  Comuni  ;  Et  essi  Camerari  siano 
tenuti  riscuoter  tutte  le  cose  lassade  à  esse  Chiese,  Et  tutte  le  raggioni  di 
esse  Chiese  ;  Et  medesmamente  siano  tenuti  far  accomodar  una  chiesa,  come 
l'altra  quando  sarà  de  bisogno. 

LXXXXVI.  Delle  Chiave  della  Ca  sa  di  santo  Mauro. 

Statuimo,  et  ordinamo  che  la  Cassa  nella  quale  stano  li  Calici,  et  Croce, 
et  le  altre  cose  della  Chiesa  di  S'°  Mauro,  habbia  dui  Chiave,  una  delle 
tjuali  tenga  il  Podestà,  et  1'  altra  la  tenga  uno  delli  Camerari  ;  et  1'  altro 
Cameraro,  che  non  ha  chiave  debba  tener  la  Cassa,  con  le  cose  dentro 
delja  detta  Chiesa  :  Et  che  nisuno  Cameraro  debba,  overo  presuma  dar,  ò, 


-  i87  - 

prestar  alcuna  cosa  delle  dette  robbe  di  S'°  Mauro  ne  con  segurta,  ne  senza 
ad  alcuna  persona,  salvo  per  necessita  del  dir  la  messa  possano  prestar  alcun 
Calice,  et  il  detto  giorno  se  lo  facino  restituir  :  Et  ciascuna  festa  solenne, 
Ct  principale  li  detti  Calici,  et  Croce  si  debbano  poner  sopra  1'  altare  :  Et 
finito  li  oìficii  si  debbano  reponer  nella  detta  Cassa. 

LXXXXVII.  Del  Dacia  del  Fin  de  soldi  16  per  orna. 

Statuimo,  che  ciascuna  persona  che  nelle  Taverne  venderanno  Vino 
in  Isola  debbi  pagar  al  Comun  soldi  sedese  per  ciascuna  orna. 

LXXXXVIII.  Del  Dado  della  Pescarla. 

Statuimo,  che  qualunque  che  al  Incanto  levara  il  Dacio  della  Pescarla 
del  Comun  de  Isola  debba  haver  da  ciascun  venditor  di  pesse  un  danaro  per 
ciascun  soldo  di  pesse,  che  si  vendara  in  Isola,  ò,  freschi,  sechi,  ò,  Insalati. 

LXXXXIX.  Del  comprator  di  Mexeni. 

Item  statuimo,  che  ciascuno  che  incantare,  ò,  comprarti  il  Dacio  di 
Mezeni,  et  stari  di  formento,  et  altre  biave,  et  pomi  habbia,  et  guadagni 
danari  sei  del  Mozo  de  pomi,  et  della  biava  che  in  Isola  se  ne  mesurara 
per  vender,  et  chi  vendara  biava  al  staro  in  piena  per  l'avenir  non  sia  te- 
tenuto  pagar  cosa  alcuna. 

C.  Del  Comprator  delle  Saline. 

[tem  e  statuito  che  se  alcuno  incantara,  et  comprara  la  ragion  delle 
vendite  di  Comun  del  sale  habbia,  et  guadagni  la  setinia  parte  del  sale  elic- 
si cavara  delle  saline  de  Isola. 

CI.  Del  Comprator  di  Bra^olari,  et  stadiera. 

Item,  è  statuito  che  ciascuno,  che  comprara  et  bavera  il  Dacio  di  Bra- 
zolari  del  Comun,  et  stadiera  habbia,  et  guadagni  danari  sie  per  ogni  cen- 
tcnaro  di  pano,  ò,  lire  che  con  il  brazolaro,  ò,  stadiera  del  Comun  si  me- 
surara, ò  pesara  in  Isola. 

CU.  Dell'i  Torchiali. 

Statuimo,  et  orJinamo  che  ogni  persona  che  farà  far  oglio  al  Torchio 
in  Isola,  debba  pigliar  per  si  mesure  diece  di  esso  oglio,  et  la  undecima 
mesura  sia  tenuto  dar  alli  Torchiari  che  lavoreranno  esso  oglio  :  Et  li  detti 
Torchiari,  siano  tenuti  pagar  le  ragion  della  Torchiarla,  et  caldiere,  et  li 
Torchiari  non  debbano  pigliar  più,  ne  alcun  debba  dar  più  in  pena  di  pagar 


—    18»   — 

soldi  vinti  al  Comun  quello  che  darà,  ò,  pigliara  più  ;  Et  ogni  Torchio 
sia  tenuto  haver  una  orna,  ò  desetina  iusta  sotto  pena  de  soldi  vinti  per 
ogni  volta  che  contrafara. 

CHI.  Della  Brenta  di  Pomi. 

Statuimo  che  ciascun  homo,  che  Incantara,  et  comprara  le  rason  della 
brenta  di  Pomi,  et  altri  fruti  del  Comun  de  Isola  habbia,  et  guadagni  un 
denaro  picolo  de  ogni  brenta  de  pomi,  da  ciascun  venditor  de  pomi  che 
in  Isola  se  mesurarano,  et  dal  comprator  denari  sei  de  ogni  Mozo  de  fruti; 
Et  non  si  debbano  partir  tanto  il  venditor,  quanto  il  comprator  dal  luoco 
dove  détti  fruti  si  vendono,  se  non  pagarano  la  detta  rendita  al  Comun, 
overo  al  comprator  del  detto  Dacio  in  pena  de  soldi  otto,  la  meta  di  quali 
sia  del  Comun,  et  l'altra  del  comprator  del  detto  Dacio. 

CIV.  Del  staro  delle  Ceriese,  et  pomi. 

Statuimo,  che  il  staro  delle  Ceriese  debba  esser  de  peso  de  lire  Cento 
alla  stadiera,  et  che  il  staro  de  tutti  li  pomi  debba  esser  dui  mezene  colme 
et  non  si  debba  meter  alcuna  cosa  atorno  la  mezena. 

CV.  Di  quello  che  bavera  delle  saline  di  Comun,  che  sia   tenuto  render    conto 

al  Comun  di  esse  saline. 

Statuimo,  che  se  alcuno  havera  delle  saline  di  Comun,  che  esso  debba 
render  conto  al  Comun  :  Et  se  esse  Saline  non  lavorerà  ogni  anno  che  il 
patron  di  quelle  saline  sia  tenuto  render  conto  al  Comun  in  quel  Anno  per 
ratta;  tanto  come  delle  altre  saline,  che  sarano  lavorate  del  predetto  Anno, 
et  per  l'avenir. 

CVI.  Del  comprator  del  Dacio  di  Tomi,  Ceriese,  et  altri  frutti. 

Item,  è  statuito,  ciascuno,  che  comprara  le  ragioni  di  Mezeni  di  Pomi, 
et  altri  fruti,  debba  pesar  le  Ceriese,  havendo  per  peso  un  denaro  de  picoli 
per  ogni  mezena  de  Ceriese  dal  Venditor  tanto  ;  Et  della  quarta  delle  Ce- 
riese in  giù,  non  debba  haver  cosa  alcuna,  et  niuno  altro  debba  pesar  le 
dette  Ceriese,  se  non  il  comprator  del  Dacio,  ò,  altri  per  lui  de  ciascun  Mozo 
di  Calcina  picoli  sei,  per  ogni  mezena  di  fecie  picoli  uno  dal  Venditor. 

CVII.  Del  Dacio  del  Fin  de  picoli  sei  per  orna. 

'  Item  statuimo,  che  per  l'avenir  ciascuna  persona  che  vendara,  ò,  farà 
vender  vino,  à,  orna  sia  tenuto  pagar,  à,  quel  Daciaro,  sotto  il  quale  sarà 
travasato  picoli  sei  per  orna. 


—  189  — 

CVIII.  Del  vino  che  si  vende  a  spina,  che  il  Venditor  sia  tenuto  pagar   soldi 

vinti  per  ogni  mese. 

Statuimo  che  ogn'uno,  di  uno,  et  1'  altro  sesso,  che  vendara  vino  à 
spina,  ò,  a  Taverna  nella  Terra  de  Isola,  altro  vino,  che  delle  sue  proprie 
vigne,  sia  tenuto  pagar  per  ciascun  mese  al  condutor  del  Dacio,  ò,  al  suo 
Nontio,  soldi  vinti  de  picoli,  mentre  pero  che  tavernino  altro  vino,  che  del 
suo  proprio  :  Intendendo  che  ogn'  uno  similmente  di  uno,  et  l'altro  sesso 
adiuvando  le  cose  humane,  et  utilità  delle  altre  persone,  che  chi  tavernara 
del  suo  proprio  vino,  sia  tenuto  il  tavernaro  pagar  il  detto  Dacio  de  soldi 
vinti  per  ogni  mese  al  condutor  sopradetto,  non  intendendo,  che  più  de 
uno  debba  pagar  il  detto  Dacio,  se  più  sarano  che  tavernino  insieme  con 
Vino,  à,  compagnia. 

CIX.  Il  Dacio  de  Danari  sei  de  picoli  per  orna. 

Statuimo,  et  ordinamo  che  ciascun  Citadin,  ò,  habitante  in  Isola,  ó 
forestiero,  che  al  presente  ha  vigne,  ò,  che  per  l'avenir  ne  havera  nel  di- 
stretto de  Isola,  et  volendo  le  Uve,  ò,  vino  cavato  di  esse  Vigne  cavar, 
ò,  portar  fuori  della  Terra  de  Isola,  ò  distretto,  sia  tenuto  et  debba  pagar 
per  ciascuna  orna  de  Vin  il  Dacio  al  Comun  de  denari  sei  de  picoli,  et  se 
lo  vora  estrazer  in  uva  similmente  sia  tenuto  pagar  danari  sie  de  picoli 
per  orna,  secondo  che  sarano  estimate,  et  se  condurano  uva,  ò,  vino  in 
Isola,  et  quel  vino  vendarano  in  alcun  modo,  ò,  ingegno  siano  tenuti  pagar 
ciascun  venditor  denari  sie  de  picoli.  Et  ciascun  che  comprara  vino  da  al- 
cuno, ò,  alcuni,  et  esso  vino  vorano  revender  in  qual  si  voglia  modo,  ò, 
ingegno,  sia  tenuto  pagar  esso  Dacio  al  Comun,  denari  sei  per  orna,  et 
tante  volte  quante  il  vino  sarà  venduto,  all'  hora  il  Venditor  sia  tenuto 
pagar  al  Comun  denari  sei  per  ciascuna  orna,  Et  a  ciò  non  se  intendano  i 
Pretti  in  quanto  delle  vigne,  et  possessioni  che  haverano  di  suo  patrimonio 
ma  delle  vigne  aquistate  siano  tenuti  pagar  come  di  sopra:  Et  ciascuno  che 
comprara  vino  dal  alcun  prette,  del  Vino  che  sarà  de  suo  patrimonio,  il 
comprator  sia  tenuto  pagar  al  Comun  denari  sei  per  ciascuna  orna. 

CX.  Che  tutti  quelli  che  haverano  salario  del  Comun,  siano  tenuti  notificar  al 
Sig.'  Podestà  tutti  li  banditi,  tanto  nella  persona  quanto  nella  robba  da 
soldi  Cento  in  su  quando  quelli  vedarano  in  Isola. 

Statuimo,  che  tutti  li  Giudici,  et  altri  officiali,  che  haverano,  ò,  rice- 
verano  alcun  salario  dal  Comun  de  Isola,  siano  tenuti,  et  debbano  acusar 
al  Sig.r  Podestà,  ò,  suo  Vicario  tutti  li  banditi  della   terra  de  Isola   tanto 


—  li- 
neila persona  quanto  nella  robba  da  soldi  Cento  in  su  quando  li  vedarano, 
et  con  ogni  suo  poser  prestar  aiuto  et  favor,  che  essi  banditi  siano  presi, 
et  siano  condotti  nelle  forze  del  Sig.r  Podestà  et  del  Commi,  la  qual  cosa, 
se  non  farano  paghino  al  Comun  soldi  Cento  in  nome  di  pena  per  cia- 
scuno, et  ciascuna  volta  nel  terzo  giorno  che  contrafarano,  sotto  pena  del 
quarto.  Se  alcun  altro  acusara  alcuno  di  detti  officiali,  et  dira  essi  officiali, 
alcuno,  ò,  alcuni  banditi  havera  visto;  et  non  1' bavera  acusato  al  Sig.r 
Podestà,  ò,  suo  Vicario  debba  haver  il  terzo  della  detta  pena,  se  per  la 
sua  acusa  si  potrà  ritrovar  la  verità  della  Cosa,  et  siano  tenuti  secretti. 

CXI.  Del  salario  di  Cancellieri. 

Statuimo,  che  per  1'  avenir  il  Cancelliere  che  al  presente,  è,  et  che 
per  l'avenir  sarà,  debba  haver  per  suo  salario  lire  vinti  de  picoli  à  ragion 
de  Anno  da  esserli  pagati  dal  Commi  secondo  la  consuetudine:  Con  questa 
condicion  et  agionta,  che  esso  sempre  sia  tenuto,  et  debba  esser  alla  obe- 
dientia  del  Sig.r  Podestà,  che  per  tempo  sarà,  cioè  in  accompagnarlo  con- 
tinuamente et  star  con  lui  come  sono  tenuti  li  suoi  Giudici  secondo  la 
consuetudine.  Et  oltra  di  ciò  siano  tenuti,  et  debbano  haver,  et  continua- 
mente tener  un  libro  sopra  il  quale  debbano  scriver  tutte  le  intrade,  et 
spese  del  predetto  Comun.  Similmente,  che  scriva  il  Nodaro  del  Sig.r  Po- 
desta,  et  Cameraro  di  Commi  et  li  V.  Domini  ciascuno  sopra  il  suo  libro: 
A  tal  che  ciascuna  volta,  et  qualunque  volta,  che  il  Cameraro  di  Comun 
riceverà  alcuna  Intrada  del  Comun,  overo  farà  alcuna  spesa  per  il  Comun, 
che  insieme  con  li  detti  Nodaro  del  Podestà,  Cameraro  di  Comun,  et  V. 
Domini  concordemente  debbano  scriver  esse  Intrade,  et  spese. 

CXII.  Che  ciascuno  de  Pirano  h abitante  in  Isola,  et  facendo  le  Angarie  possi 
comprar  possession  in  Isola,  et  suo  distretto. 

Statuimo,  che  per  1'  avenir  ciascun  de  Pirano  tanto  maschio,  quanto 
femina  habitante  in  Isola,  ò,  che  per  1'  avenir  venirano  ad  habitar,  facendo 
le  facioni  et  Angarie  del  Comun  de  Isola  possino,  et  valiano  comprar,  et 
acquistar  possessioni  di  qual  si  voglia  qualità,  tanto  dentro  della  terra  de 
Isola  quanto  di  fuori  in  tutto  il  suo  distretto,  qual  meglio  à  loro  piacerà, 
sicome  puole  ciascun  Cittadino  de  Isola,  le  qual  possessioni  così  comprate, 
ò,  acquistate  non  possi  in  alcun  tempo,  per  modo  alcuno,  ò,  ingegno,  ven- 
derle, ò,  Donarle,  supignorarle,  obligarle,  cambiarle,  ò  permutarle,  alienarle, 
'ne  per  lanima  Iudicare,  ò,  per  testamento  in  alcun  modo  obligar  ad  alcuno 
Cittadino,  ò,  habitante  in  Pirano,  eceto  che  alli  Cittadini  de  Isola,  ò,  habi- 
tanti  in  Isola,  che  farano  le  Angarie  con  esso  Comun  de   Isola,  se   vera- 


—   I9i  — 

mente  da  poi  in  alcun  tempo  si  assentarano  de  Isola  per  andar  ad  habitar 
in  alcun  luoco,  et  habitarano,  siano  tenuti,  et  debbano  dappoi  che  si  par- 
tirano,  et  non  habitarano  in  Isola  fin  A  dui  Anni  prossimi  sucessivi  vender, 
et  alienar  quelle  possessioni  i  Cittadini,  ò,  habitanti  in  Isola,  Et  se  io  al- 
cuna delle  predette  cose  alcuno  contratari  perda  esse  possessioni  quali  de- 
venghino  nel  Comun  de  Isola  senza  remission.  Et  se  di  ciò  alcuno  sarà 
acusator,  se  per  la  sua  acusa,  si  bavera  la  verità  debba  haver  il  terzo  del 
valor  di  esse  possessioni  de  quali  bavera  (luto  la  denontia,  et  sarà  tenuto 
secretto,  et  le  altre  dui  parte  siano  del  Comun  de  Isola  ;  Se  veramente 
non  sari  niun  acusator,  esse  possessioni  devenghioo  nel  Comun  de  Isola. 

Del  Salarili  del  Nodaro  del  Sig.r  Podestà,  et  suo  officio  '). 

Statuitilo,  che  il  Nodaro  del  Sig.r  Podestà  debba  haver  dal  Comun  de 
Isola  ogni  Anno  per  suo  salario  lire  cinquanta  de  denari  Venetiani  de  pi- 
coli,  et  ogni  quattro  mesi  la  terza  parte,  et  non  più  oltre.  Et  che  siano 
tenuti,  et  debbano  scriver  fìdelmente,  et  legalmente  tute  le  scritture  nelli 
libri,  nelli  Registri  autentichi,  che  si  t'arano  necessariamente  per  parte  del 
Comun  da  esser  scritte,  delle  quali  non  debbano  haver  niun  pagamento 
dal  Comun  per  esse  scritture  da  esser  scritte,  publicade,  registrate,  auten- 
ticade,  ò,  di  alcun  Sindicato.  Et  che  non  debbano  ricever  don,  ne  premio 
di  alcuna  persona  della  terra  de  Isola,  ò,  habitante,  per  don,  amor  ò,  be- 
nivolentia:  Et  se  sari  espediente  che  esso  debba  andar  fuori  delia  Terra 
de  Isola  in  servitio  del  Comun,  non  debba  haver  cosa  alcuna  per  salario, 
se  non  le  spese  della  sua  persona,  barche,  ò,  cavalli. 

CXIII.  Hordini  fatti  tra  il  Comune  di  Capodistria,  et  il  Comun  de  Isola. 

Essendo  che  si  faceva  molta  querimonia  per  li  custodi,  ò,  guardiani 
della  Citta  di  Capodistria,  davanti  li  Podestà  della  detta  Citta  di  Capodi- 
stria, et  della  Terra  de  Isola,  per  causa  delle  quali  nasevano  discordie  e 
contentioni,  et  che  possono  naser  :  Et  per  evitar  ogni  scandalo,  et  male, 
fu  provisto,  et  tratato  per  li  Egregii  et  potenti  homini  li  ss.  Marco  More- 
sini  honorando  Podestà,  et  Cap"  di  Capodistria,  et  per  Ubaldino  Giusti- 
niano honorando  Podestà  de  [sola,  per  il  buon  tranquillo,  et  pacifico  stato 
de  tutti  dui  li  Comuni,  et  firmato  per  il  Conseio  della  detta  Citta  di  Ca- 


')  Siccome  a  questo  capitolo  non  è  accennato  nell'indice  generale  del  codice    latino, 
ritengo  che  sarà  stato  aggiunto  più  tardi. 


—  192  ■* 

podistria  et  della  Terra  de  Isola  li  infrascritti  patti,  et  conventioni  per  cia- 
scuno di  Comuni  da  esser  inviolabilmente  osservati,  secondo  1'  ordine  di 
statuti  della  detta  Citta  di  Capodistria,  cioè  di  danni  datti,  la  pena,  et  bandi 
paghino  li  contrafatori,  come  per  ordine  di  sotto  sarà  descritto  :  Che  se 
alcuno  Cittadino,  ò,  habitante  nella  Terra  de  Isola  darà  danno  nel  distreto, 
ò,  nelli  confini  di  Capodistria  per  occasion  di  alcuna  briga  che  sarà  fatta 
con  alcuno  Cittadin,  ò,  habitante  in  Capodistria  per  la  quale  incorerà  ad 
alcuna  pena  pecuniaria,  il  Podestà,  che  per  tempo  snrà  al  Regimento  de 
Isola,  sia  tenuto,  et  debba  costringer  quel  tale  Cittadin,  ò,  habitante  in 
Isola  che  havera  datto  il  danno  nel  detto  distretto,  ò,  confin  di  Capodi- 
stria. Et  se  quello  che  havera  datto  il  danno,  et  sarà  incorso  nella  pena  non 
si  potrà  haver,  sia  tenuto  il  Sig.r  Podestà  de  Isola  che  per  tempo  sarà  di 
beni  di  quello  che  non  havera  potuto  bavere,  et  facia  satisfar  il  detto 
danno,  et  pena  se  di  suoi  beni  si  potrà  ritrovar.  Et  all'  incontro  se  alcun 
Cittadin,  ò,  habitante  in  Capodistria  darà  dano  nel  distretto,  ò,  confini  de 
Isola,  overo  per  occasione  di  alcuna  briga  qual  facese  con  alcuno  Isolano, 
incorerà  ad  alcuna  pena  pecuniaria,  il  Podestà  che  per  tempo  sarà  al  Regi- 
mento della  Citta  di  Capodistria,  sia  tenuto,  et  debba  constringer  quel  tale 
Cittadin,  ò,  habitante  di  Capodistria,  che  havera  datto  il  danno,  nel  detto 
distretto,  ò,  confini  de  Isola,  overo  a  pena  pecuniaria  per  occasion  de  briga 
fatta  con  alcuno  de  Isola  occorera  à  pagar  la  pena  nella  quale  sarà  incorso, 
secondo  la  forma  di  statuti,  et  bandi  del  Comune  di  Capodistria,  et  à  sa- 
tisfar il  danno  datto  per  esso  nel  distretto,  ò,  confini  sopradetti  de  Isola  : 
Et  se  quello  che  havera  datto  il  danno  et  sarà  incorso  alla  pena  non  si 
potrà  haver,  sia  tenuto  il  sig.r  Podestà  di  Capodistria,  che  per  tempo  sarà 
di  beni  di  quello  che  non  havera  potuto  havere,  et  farà  satisfar  quel  danno, 
et  pena,  se  delli  suoi  beni  si  potrà  ritrovar,  le  qual  tutte  cose  siano  ferme, 
et  inviolabilmente  osservate. 

Questi  sono  li  statuti  generali  del  Commi  di  Capodistria  sopra  li 
danni  dati. 

Ciascuno  che  tagliara,  ò,  segara  Arbori,  ò,  vide  frutifere  de  altri,  sia 
condanato  una  Marcha  la  meta  al  Comun,  et  l'altra  meta  al  patron  della 
casa,  et  satisfacia  il  danno  al  detto  patron,  et  se  non  havera  donde  pagar 
sia  posto  alla  berlina,  et  sia  frustado  per  la  terra. 

Item  statuimo  che  ciascuno  Cittadino,  et  habitante  in  Isola,  et  Capo- 
distria de  uno,  et  l'altro  sesso,  qual  con  sui  Asini,  Cavalli,  Muli,  suoi  ò, 
d'altri  sarà  al  pascolo  sia  tenuto  tenir  quelli  ligati  in  ogni  tempo  nel  suo 
lavoriero,  ó  in  tal  luoco,  che  non  possino  dar  danno,  ecceto  che  il  tempo 
delle  vendemie,  sotto  pena  de  soldi  vinti  de  picoli  al  Comun  per  ciascuna 


—  193  — 

volta  che  sarà  contrafatto.  Et  ciascuno  possi  esser  accusator,  et  habbia  la 
meta  della  pena,  se  per  la  sua  acusa  si  potrà  ha  ver  la  verità,  et  niente  di 
meno  satisfacia  il  danno  al  patiente.  Et  se  in  giorni  di  festa  sarano  mesi 
al  pascolo  li  predetti  Asini,  Cavalli,  et  Muli,  et  darano  danno  cadino  alla 
pena  de  soldi  desdotto,  de  picoli  per  ciascuno  tal  animale,  et  satisfacia  il 
danno  al  patiente  et  all'hora  non  cadino  alla  pena  de  vinti  soldi,  ma  so- 
lamente di  desdotto  predetti,  et  la  terza  parte  sia  del  Comun,  la  terza  del 
acusator,  et  l'altra  terza  sia  del  patron  della  cosa,  ò,  possession.  Item  se 
alcuno  ritroverà  Bove  ò,  Vacha  nel  lavoriero  di  alcun  Cittadino  di  Capo- 
distria  paghi  soldi  desdotto  per  ogn'uno  tal  animale,  et  paghino  quelli  de 
chi  sarano,  di  quali  debba  haver  il  Comun  soldi  sie,  l'Inventor  soldi  sie,  et 
il  patron  del  lavoriero  soldi  sie,  et  paghi  il  danno  al  patiente  :  Et  ciascuno 
possi  esser  accusator,  et  pignorator  di  tali  animali  ritrovati  nelli  suo  lavo- 
rieri,  ò,  d'  altri,  et  denonciarli  alli  patroni  quel  giorno  nel  quale  sera  fatto 
il  danno,  ò,  il  seguente  :  Item  chi  ritroverà  pecore  in  essi  lavorieri  ne  pigli 

dui  da  un  quarnaro  in  su,  et  una  da  un  quarnaro  in   giù Et 

paghi  il  danno  sotto  pena  di  una  Marcha  al  Comun.  Et  se  sarano  ritro- 
vati nelli  Pradi  dalla  festa  di  S'°  Giorgio,  fin  alla  festa  di  ogni  santi  ca- 
schino alla  pena  de  soldi  vinti  de  picoli  da  un  quarnaro  in  giù,  et  da  un 
quarnaro  in  su  de  soldi  quaranta  de  picoli  :  Item  statuimo,  et  ordinamo 
che  ciascuno  che  sani  ritrovato,  ò,  accusato  dalli  guardiani  publici  delle 
vigne  far  danno  di  usufruti,  se  quel  danno  valera  manco  de  un  soldo  pa- 
ghi lire  tre  de  picoli  ;  Et  se  valera  più  de  un  soldo  paghi  lire  otto  de  pi- 
coli,  delle  quali  pene  la  terza  parte  sia  del  patron  del  usufrutto  tolto,  la 
terza  del  acusator,  et  il  terzo  del  Comun.  Et  niente  dimeno  quello  che 
bavera  fatto  il  danno  quello  paghi  al  patiente  :  Et  chi  sarà  ritrovato  de 
notte  à  pigliar  di  usufrutti  da  soldi  cinque  in  giù  paghi  lire  otto  de  picoli, 
et  da  soldi  cinque  in  su  lire  vinticinque  de  picoli,  et  tal  pene  venghino 
come  di  sopra  cioè  la  terza  parte  al  patron  della  Cosa,  la  terza  all'acusator, 
et  la  terza  al  Comun,  et  paghi  el  danno  al  patiente  :  Et  se  li  detti  custodi 
ò,  guardiani  sarano  ritrovati  far  danno  siano  tenuti  alla  predetta  pena:  Item 
che  alcun  forestiero,  ò,  terriero  non  debba  andar  per  li  lavorieri  de  fuori, 
ò,  in  essi  lavorieri  dar  danno  dal  predetto  giorno  de  Aprile  fin  alla  festa 
de  ogni  santi  sotto  pena  de  lire  tre. 


13 


DOCUMENTI 


Importanti  sono  i  seguenti  documenti  perchè  ci  spiegano  tutte  quelle 
continue  controversie  sorte  fra  il  monastero  di  S.  Maria  d'  Aquileia  ed  il 
comune  d' Isola  per  le  decime  da  cui  Isola  voleva  liberarsi  per  togliere 
affatto  tali  prestazioni  che  ricordavano  l'antica  dipendenza  feudale.  Ad  ec- 
cezione dei  documenti  A,  E  e  G,  gli  altri  sono  pergamene  inedite  che  si 
conservano  nell'Archivio  civico  di  Trieste,  e  li  devo  alla  ben  nota  genti- 
lezza dell'  illustre  Attilio  dott.  Hortis,  cui  porgo  i  miei  ringraziamenti  per 
avermi  concesso  di  trascriverli,  offrendomi  in  questo  modo  occasione  di 
aggiungerli  in  appendice  al  presente  mio  studio. 


Documento  A. 

Anno   1220 
Sexto  die  exeunte  Nov.  Indict.  XIII.  Aquileje  '). 

Convegno  fra  il  Monastero  di  S.  Maria  d'Aquileia  ed  il  connine  d'Isola 
per  la  nomina  del  gastaldo  in  Isola. 

Anno  Domini  MCCXX.  Indictione  XIII  die  .  .  .  Actum  Aquilejc  in 
ecclesia  monasterii  sancte  Marie  sexto  die  exeunte  novembre.  In  presentia 
Domini  Philippi  et  Rodolfi  de  Arena  aquilegensium  Canonicorum.  Oron  . .  . 
de  Sancto  Stephano,  Alberonis  de  jamdicto  Monasterio,  Nicolai  notarii  de 
Insula,  Canili  jurati  de  Insula,  Venerii  Longi.  Cum  Comune  de  Insula 
elegissct  Adeloldum  de  Insula  in  gastaldionem  Insule  sine  verbo  requisito 
Domine  Giselrade  dei  gratia  Abbatisse  Monasterii  nominati  et  eundem  Ade- 
loldum Petrus  de  'Ribellione  ac  Venerius  Longus  et  Iolv.mnes  Faba  ac  Ja- 
cobus  de  Panzoffo  nuncii  dicti  comunis  ut  ipsi  asserebant  diete  Abbatisse 
representarcnt  ut  eum  investiret  de  Gastaldionatu  Jnsulae,  ipsa  vero  noluit 
lacere,  dicens  quod  non  debebant  eligere  in  absentia  diete  Abbatisse  aut 
sui  certi  Nuncii  aliquem  gastaldum  et  quod  idem  Adeloldus  et  Comune 
Jnsule  offenderant  in  hoc  eam  et  suam  ecclesiam  prefatus  Adeloldus  vero 
vadia  de  offensione  in  manibus  diete  Abbatisse  dedit.  fideiussit  ad  hoc  no- 
minatus  Notarius.  Ibidem  nominata  Abbatissa  dietimi  Adeloldum  de  ga- 
staldia  Jnsule  bene  regenda  sine  fraude  investiva  a  festo  beati  Andree  modo 
venturo  proximo  usque  ad  tres  annos  modo  venturos  primiores.  Ibidem 
Inter  dictam  Gisclradam  Abbatissam  et  Comune  de  Jnsula   de    Gastaldione 


')  Esiste  la  pergamena  nell'Archivio  triestino.  È  stato  pubblicato  nel  Codice  diplo- 
matico istriano. 


—  198  — 

eligendo  et  ponendo  in  Jnsula  taliter  factum  est,  quod  numquam  de  cetero 
nominatimi  Comune  sine  verbo  prefate  abbatisse  et  ejus  successorum  in 
dicto  monasterio  et  ejus  certi  nuncii  non  debeat  facere  nec  eligere  gastal- 
dionem  in  Jnsula.  Sed  ipsa  Abbatissi  aut  eius  successore^  aut  eius  certus 
nuncius  et  saniori  parti  honorum  virorum  Jnsule  Consilio  habito  debeant 
facere  gastaldionem  ibi  et  eum  investire  de  Gastaldionatu  ipsam  recipiente 
honoraciones  solitas  ab  ipso  gastaldione  qui  prò  tempore  fuerit  et  solite  sunt 
impendi  Abbatissis  cjusdem  monasteri!.  Promiserunt  partes  supfamemorate 
quod  superius  legitur  inter  se  in  perpetuum  firmum  habere  sub  pena  decem 
marcarum  puri  argenti.  Et  si  aliqua  pars  ex  predictis  partibus  voluerit  fran- 
gere quod  superius  legitur  solvat  penam  nominatam  pars  parti  fidem  servanti 
rato  hoc  instrumento  in  perpetuum  manente. 

Ego  Albertus  Jmperialis  aule  Notarius  interfui  et  rogatus  utriusque 
partis  duas  cartulas  in  uno  tenore  scripsi  unam  uni  parti  et  unam  alteri 
tradidi. 


Documento  B. 
1346.  29  Settembre. 

//  comune  d'Isola  crea  un  procuratore  perchè  concorra  a  por  fine  e  comporre  le 
differente  tra  il  monastero  e  quel  comune  per  le  decime  d'Isola  spettanti  da 
molto  tempo  al  monastero. 

In  Christi  nomine  Amen  Anno  nativitatis  eiusdem  millesimo  trecente- 
simo quadragesimo  sexto.  Indictione  quintadecima  die  penultimo  septembris, 
scriptum  Insule  apud  palacium  comunis,  presentibus  discretis  viris  dominis 
Francisco  filio  domini  ardiconi  de  pitegotis  bononia,  Lamberto  q.  domini 
tignosij  de  soldaneriis  Guidone  q.  marci  gretolo  de  Venetiis,  baldinacio 
domini  bruni  de  erris  de  Fior.  Antonio  q.  pauli  de  bonomo  de  Venetiis, 
nicolao  s.  clarii  de  bochamanginis  de  pola,  testibus  ad  hoc  vocatis  Rogatis  et 
aliis:  s.  carlus  albini,  Albinus  eius  filius,  pellegrinus  q.  ursignani,  Tramus 
Dragogne,  petrus  q.  almerici  marano,  grimaldus  petri  grimaldi,  pasqualis  de 
balduino  dominicus  eius  filius,  franciscus  Balduini  bettus  peritoni,  domina 
yma  uxor  q.  Rantulfi  sacheto,  maurus  Cericha,  maurus  de  parentio,  s.  gue- 
celus  paysani,  dominicus  eius  filius,  Catadinus,  uxor  guidonis  gassi,  fiordo- 


—  199  — 

monte  uxor  q.  Guiducij,  gratianus  de  Justinopolis,  Tram us  Similianus  Nicolaus 
eius  frater  Tirandus  albertini,  tolfucius  de  Turri,  domina  matelda  uxor 
francisci,  bertucius  bertaldi,  dominicus  de  aviano,  Renoardus  miehael  paulus 
et  franciscus  q.  marci  de  Varnerio,  Johanes  tolmanni,  Vergenus  de  Iusti- 
nopolis,  domina  dunisia,  rubeus  griffi,  uxor  q.  binucij  tiralius,  tramus  may- 
nardi,  franciscus  de  specacadena,  mengosius  nandoli,  soror  presbiteri  petri, 
uxor  q.  sandri  de  bena,  petrus  eius  filius,  nicolaus  diete  domine,  franciscus 
eius  propinquus,  odorlicus  petri  griffi,  franciscus  barba,  uxor  q.  guidoni, 
maurus  frater  q.  presbiteri  Adalgerii,  uxor  q.  Odorlici  presbiteri  Adalgerii, 
Andreas  et  genius  q.  Insulani,  domina  fuscha,  franciscus  q.  atini  eius  filius, 
Coletus  Vignuti,  dominicus  mateus  marani,  Andreas  facine  griffi,  s.  domi- 
nicus  vereij,  saraxinus  donatus,  similianus  giraldi,  Andreas  Anezuti,  mateus 
henrici,  Odorlicus  Justo,  nicolaus  eius  Irater,  filius  luxei,  petrus  de  barono 
marinus  de  proseebo,  mengus  carbogne,  franciscus  de  menis,  giullius  de 
plasentia,  petrus  tiralus,  Adamus  eius  filius,  Uxor  q.  dardulini,  Mengolinus 
pisani,  Clanius  nepos  s.  Zeni,  uxor  q.  dicti  s.  Zeni,  filia  betti  peritoni,  uxor 
q.  Iohanis  bonvino,  Clariellus  barberius  Nicolaus,  et  dominicus  q.  Iohanis 
grissi  Andreas  Almerici  Andree,  Iohannes  rantulfi  armani,  Almus  albini 
carli,  Adamus  almerici  armani  Venerius  s.  pellegrini,  mateus  marchus  pe- 
trus et  nicolaus  q.  dominici  marani,  nicolaus  de  meviza  Almericus  et  de- 
temarius  eius  filii,  Nicoletus  canini  tiralus,  tramus  marani,  dominicus  fran- 
cisci moroxini,  betonus  et  dominicus  sclavoni  grimaldi,  Vitalis  trami  Vitalis, 
maurus  sclavus,  odorlicus  spellaleporum,  s.  paulus  tuschanus,  uxor  q.  dardi 
Vicedomini,  uxor  q.  gasperucij  bensii,  Odorlicus  q.  almerici  grimaldi,  Scla- 
vonius  bertocij  Grimaldi,  Iohanes  mengolinus  q.  odorlici  Federici  uxor  q. 
daynesij,  Colosius  petri  grimaldi,  uxor  q.  marani  clarielli  s.  mateus  leonis, 
leonus  eius  filius,  tramo  bettonus  et  odorlicus  griffi,  colletus  de  cambreto, 
Venerius  de  victis,  Nicolaus  del  pisano,  uxor  q.  Andrioli  aniadei,  uxor  q. 
dominici  ab  Aquila,  Nicolaus  de  pirano,  marcus  aturri,  mateus  superbus, 
Michael  de  pirano,  petrus  Valperti,  uxor  Nicolai  cantiani,  s.  maurus  ursi, 
petrus  Zume,  bridonius  eius  filius,  presbiter  Nicolaus  Valentinus,  donatus 
dominici  Valperti,  bertucius  mauri  de  parendo,  talmus  dominici  de  talino, 
Andreas  Iohanis  premedici,  similianus  et  petrus  simeonis  catarini,  carlinus 
et  mengusius  q.  martini  scarapini,  petrus  spilati,  simon  alexandri,  Novellus 
maranus  Iohanes  et  bertucius  ursignani  s.  facina  Vicedominus  et  presbiter 
petrus  de  torvolino  omnes  cives  et  habitatores  diete  terre  Insule  ipsi  omues 
et  singuli  ut  Universi  et  prò  Universitate  et  tamquam  Universitas  diete  terre, 
prò  se  ipsis  et  quilibet  eorum  Insolidum  :  singolari  ter  uro  se  ut  singuli  om- 
nibus  vii    et  modis  quibus  de  Iure  melius  potuerunt  et  voluerunt  fecerunt  et 


—    200    — 

statuerunt  et  ordinaverunt  suos  et  cuilibet  ipsorum  actorem  factorem  veruni 
legittimum  ac  generatemi  proeuratorem  sindicum  et  certuni  nuncium  s.  do- 
minicum  q.  almcrici  marani  de  insula  presentem  volentem  et  hoc  mandatum 
sponte  suscipientem  generaliter  in  omnibus  suis  causis,  et  specialità'  ad  pa- 
ciscendum  transigendone!  conponendum  convinciendum   modo   quocumque, 
forma    et   faciendum    omnes  conventiones   transactiones   acordium   pactutn 
promissiones  et  compositiones  factas  vel  fiendas,   Instrumento,  super  facto 
questionis  principalis,  vertentis,  et  que  versa  est  decimarum  Inter  comunem 
et  homines  supradictos  constituentes  et  quemlibet  eorum  singulariter  et  per 
se  vicissim   ex  una   parte,   honestam  ac   religiosam    dominam    Rustigellam 
abatissam   monasterii   s.  marie   maioris  de  aquilegia,    moniales,  conventum 
suum  et  dictum    monasterium   ex  altera.    Insuper  et  sententie  et  super   ea 
interpositas   partes,   late  ac  pronunciate  per  Revcrendum   virum    dominimi 
giullium  decanum  aquilegensem  Iudicem  in  ipsa  causa  delegatum  per  sedem 
apostolicam  contra  dictos  comune  et  homines  et  quemlibet  eorum  consti- 
tuentes et  in  favorem  diete  domine  abatisse  conventus,  monialium  antedicti, 
ac  appellationis  facte  nomine  dictorum  constituentium  et  eorum  cuiuslibet 
ad  cum  sententia  decimarum  lata  contra  predictos  comune  et  homines  Insule 
et  quemlibet  ipsorum  ut  supra  et  ad  roborandum  adprobandum  ratificandum 
ac  confirmandum   etiam  compositionem   et  conventionem   factam  in  grado 
per  delaiutum  de  Flagognia,  Nepotem  diete  domine  abatisse,  et  guidonem  de 
picossis  de  Aquilegia  ut  nuntios  speciales  et  amichabiles  compositores  dic- 
tarum  domine  abatisse  monasterii,  et  conventus  ex  una  parte,  et  s.  franciscum 
dominum   Ardiconum   de    picegotis   et   dominicum  q.  almerici   marano  ut 
nuntios  speciales  et  compositores   amichabiles   dictorum    constituentium  et 
cuiuslibet  eorum  ex  altera,  Videlicet  de  dando  et  mensurando  annuatim  dictis 
domine  abatisse,  conventui,  et  monasterio  vel  eorum  nuntiis  vel  nuntio,  Ultra 
illas  centum  urnas  vini  que  prius  ipsis  abatisse  conventui  et  monasterio  an- 
nuatim a  comuni  Insule  redebantur,  urnas  trescentum  vini  boni  et  puri  urnas 
sex  boni  et  puri  olei  et  staria  sex  boni  et  neti  furmenti  prò  integris  et  totis 
decimis  dictorum  constituentium  et  cuiuslibet  eorum  debitis  et  debendis  quo- 
modolibet  et  quomodocumque  omni  yure  et  viam  (sic)  dictis  domine  abatisse 
conventui,  monasterio,  Item  ad  recipiendum  et  petendum  omnem  finem  re- 
misionem  et  pactum  de  ulterius  non  petendo,  a  predictis  abatissa  conventu 
et  monasterio  de  supradictis  et  super  omnibus  predictis  ultra  predictas  urnas 
vini  urnas  sex  olei  et  stariis  sex  frumenti,  et  in  predictis  omnibus  et  circha 
predicta  omnia  et  singula,  et  ab  hiis  et  supradictis  omnibus  dependentibus 
et  conexis  ad  petendum  recipiendum  rogandum  et  fieri  faciendum  omnes  et 
singulas  scripturas  publicas,  et  Instrumenta  cuiuslibet  maneriei  cum  quibus^ 


—    201    — 

cunque  stipulatioiiibus  cautelis  promissionibus  obligationibus  fideiussionibus 
sollepnitatibus  et  roboribus  tam  de  Jure  quam  de  consuetudine  opportunis,  de 
conscilio  cuiuslibet  Jurisperiti  cum  pactis  omnibus  necessariis  et  opportunis 
tam  de  Jure  quam  de  facto  Juxta  consuetudinein  cuiuscunque  civitatis  ville 
castri  et  loci  et  gcneraliter  in  predictis  omnibus  et  singulis  et  circha  ipsa 
ad  faciendum  et  procurandum  contractandum  omnia  et  singola  que  qui- 
libet  verus  et  legimus  procurator  et  negotiorum  gestor  facere  potest  et  sicut 
ipsi  met  constituentes  et  eorum  quilibet  si  pcrsonaliter  interessent,  dantes 
et  concedentes  predicti  constituentes,  et  quilibet  eorum  ut  supra  insolidum 
omnes  ipsi  ut,  singulariter  et  singuli  ut  universi  eorum  et  cuiuslibet  pre- 
dictorum  nomine  procuratori  antedicto  plenam  meram  et  liberam  ac  gene- 
ralem  potesiatem  auctoritatcm,  generalem  mandatum  cum  piena  libera  et 
generali  administratione,  et  si  talia  sint  que  de  Jure  mandate  exigunt  spe- 
cialem  predictum  omnia  et  singula  faciendum  tractandum  et  procurandum.  Ac 
promitentes  mihi  notario  infrascripto  tamquam  persone  publice  stipulanti  et 
recipienti  vice  et  nomine  omnium  quorum  interest  vel  interesse  de  Jure 
potest  firmum  ratum  gratum  et  aceptabilem  et  illibatum  perpetuo  habere 
servare  et  tenere  ornile  totum  id  et  quidquid  per  prefatum  suum  pro- 
curatorem  et  sindicum  in  predictis  et  circha  predicta  omnia  et  singula 
predictorum  actum  fuerit  vel  modo  aliquo  procuratum  et  tractatum  et  non 
contrafacere  vel  venire  per  se  vel  per  alios  aliqua  ratione  vel  causa  de  Jure 
vel  de  facto  Rellevantes  ctiam  dicti  constituentes  ut  supra  prefatum  suum 
procuratorem  ab  omni  honere  satisdationis  de  Juditio  sisti  et  Judicato  sol- 
vendo in  omnibus  et  singulis  predictis  clausulis  necessariis  sub  ypoteclia  et 
obligatione  omnium  et  singulorum  bonorum  predictorum  constituentium 
et  cuiuslibet  eorum  tam  habitorum  quam  in  posterum  habendorum.  Ego 
petrus  canne  q.dai»  s.  Mauri  Vicedominus  subscripsi  absentc  socio  meo  s. 
Facina  quia  erat  infirmus. 

Ego  Franciscus  Cavianus  de  Venetiis  ymperiali  auctoritate  notarius  et 
Judex  ordinarius  ac  cancellarius  domini  presentis  Insule  potestatis  hijs  om- 
nibus predictis  interini,  et  Rogatus  scribere  scripsi  plumbo  et  Roboravi. 


202    

Documento  C. 

1346.   29  Settembre. 

Procura  falla  dai  comune  d'Isola  nella  persona  di  Mengolino  Marano  perché 
ratifichi  al  monastero  la  composizione  falla  per  le  decime. 

In  Christi  nomine  amen  Anno  eiusdem  Nativitatis  Millesimo  Trecen- 
tesimo Quadragesimo  sexto  Indietione  quinta  decima  Actum  Insulle  supra 
sala  maiori  palacij  comunis  Insulle  die  penultimo  exeunte  mense  septem- 
bris  pfesentibus  s.  Lamberto  q.  domini  Tignosi]  militis  de  soldaneriis  de  flo- 
rentia  liabitatore  Insulle  s.  Guidone  q.  s.  Marci  gretullo  de  Venetijs  s.  Bal- 
dinacio  q.  domini  Bruni  de  Erris  de  Florentia  habitatore  Insulle  s.  Antonio 

q.  Pauli  de  bonomo  de  Venetiis  Et  Nicolao  filio de  boccamanzinis 

de  Pola  testibus  vocatis  ad  hec  specialiter  et  Rogatis  et  aliis  Congregato 
maiori  et  generali  Consilio  hominum  et  Vniversitatis  terre  Insulle  supra  sala 
maiori  palacij  dicti  comunis  Insulle  ad  sonura  campane  et  voce  preconis 
ut  moris  est  in  dieta  terra  Jnsulle,  Mandato  et  licentia  Discreti  viri  domini 
francisci  filii  domini  Ardiconi  de  picegatis  de  bononia  Vicarij  Nobilis  et  po- 
tentis  viri  domini  petri  Dandullo  honorabilis  potestatis  Insulle  de  voluntate 
ipsius  domini  potestatis  et  suorum  Judicum  s.  Gradini  de  plista  s.  Nicolay 
q.  s.  petri  de  grimaldo  et  Odorlici  q.  s.  Almerici  de  grimaldo  absente  s. 
Mateo  leonis  qui  erat  infirmus.  Jn  quo  quidem  conscilio  fuerunt  congregati 
consciliarii  octuaginta  duo  Videlicet  s.  Guecellus  de  paysana,  dominicus  eius 
filius  s.  Odorlicus  spelaleporum,  Andreas  almerici  Andrec,  Iohanes  Rantulfi 
Armani,  Albinus  filius  s.  carli  albini,  s.  similianus  giraldi  Adamus  Almerici 
Armani,  dominicus  et  odorlicus  eius  fratres,  Venerius  s.  pellegrini,  Matheus 
q.  dominici  Marani,  pasqualis  baldoyni  s.  nicolaus  merixe,  Almericus  dete- 
marius  Iohanes  et  castus  eius  fratres  Petruscanne  et  Bredonus  filii  s.  Mauri 
Ursi  Nicoletus  canini  tiralius  s.  Tramus  Martini  marani  s.  Novellus  eius  frater 
dominicus  francisci  Morexini  Marcus  petrus  et  nicolaus  q.  ser  Dominici  ma- 
rani s.  Gualtramus  Similiani  s.  Almericus  armani  donatus  q.  dominici  gual- 
perti  Matheus  eius  filius  Mengossius  q.  nandi  Nicolaus  Michaelis  griffi  petrus 
filius  Nicolaus  Iusti  ser  Odorlicus  Justi  Nicolaus  Antonij  Sacheti  perolus  ti- 
ralius Marcus  arpi  s.  Carolus  Albini  Simonis  Andreas  eius  filius  ser  Odorlicus 
petri  de  griffo  dominicus  et  ser  Bertocius  filii  q.  sclavonis  grimaldi  Sclavo- 
iinus  et  Grimaldus  filii  dicti  ser  Bertocij  Nicoletus  ser  Odorlici  spjlalepo- 
rum  ser  Andreas  farine  griffi  Marcus  de  parendo  Mengolinus  ser  Guecelli 
de  paysana  ser  dominicus  Vercij  Mengucius  eius  filius  Sarximus  q.  donati, 


—  203    — 

Renoardus  paulus  Michael  filii  ser  Marci  quaroerij  Vitalis  q.  giialtrami  Vi- 
talis  dominicus  Bertutius  et  Johanes  filii  q.  ser  ursignani,  talinus  q.  domi- 
nici talini  Andreas  q.  Iohanis  premedici  Tramus  dragogne  Ursi  Matheus 
q.  Henrici  Rantulfus  odorlici  armoni  petrus  et  Iohanes  eius  filii  petrus  q. 
ser  almerici  marani  Grimaldus  q.  ser  petri  grimaldi  Justus  Mathei  Vitalis 
Venerius  q.  vitoris  notarius  petrus  Simonis  catarini  Iohanes  ser  odorlici 
federici  similianus  Simonis  catarini  adamus  peroli  tiralius  franciscus  morexini 
et  petrus  de  grampa,  contantinus  q.  carli,  faronus  Jeremie  Mcngolus  ser 
odorlici  federici,  petrus  ser  carli  albini  Andreas  albini  Andree  et  ser  perolus 
tiralius  qui  sunt  ultra  quam  due  partes  hominum  dicti  conscilii  ibidem  exi- 
stentes  prò  infrascriptis  specialiter  agendis  Ibique  dictus  dominus  Franciscus 
Vicarius  dicti  domini  potestatis  terre  Jnsule  mandato  dicti  domini  potestatis 
una  cum  predictis  Judicibus  et  hominibus  de  dicto  Consilio  Jnsulle  et  ipsorum 
consensu  et  voluntate  nemine  discrcpante  Et  ipsi  omnes  et  singuli  ibidem 
presentes  una  cum  dicto  domino  francisco  vicario  et  ipsius  consensu  et  vo- 
luntate prò  se  ipsis  et  suo  comuni  successoribus  suis  et  dictus  dominus  fran- 
ciscus vicarius  presenti  tempore  prò  se  et  successoribus  dicti  domini  potestatis 
fecerunt  constituerunt  citaverunt  et  ordinaverunt  discretum  virum  Mengo- 
linum  maranum  filium  ohm  ser  almerici  marani  de  Insulla  Jbidem  presentem 
et  hoc  mandatimi  sponte  scuscipientem  suum  et  dicti  comunis  Jnsulle  actorem 
factorem  et  sindicum  generalem  in  quibuscumque  eorum  causis  litibus  con- 
troversiis  et  questionibus  habitis  et  habendis  corani  quocunque  Judice  eccle- 
siastico civili  ordinario  delegato  Et  instiper  ad  paciscendum  trasingendum  et 
componenduni  concordium  faciendum  quocumque  modo  et  forma  in  questione 
et  super  questionem  principalem  decimarum  que  versa  est  Jnter  dictum  co- 
mune et  homines  diete  terre  ynsulle  ex  una  parte  Et  honestam  et  Religiosam 
dominam  dominam  Rustigellam  abbatissam  Monasterij  sancte  Marie  Maioris  de 
aquilegia  et  dicti  monasteri)  Moniales  ac  ipsum  Monasterium  prò  se  et  dicto 
Monasterio  e*  altera  corani  Reverendo  domino  domino  Giulio  honorabili 
aquilegensi  decano  yudice  in  dieta  causa  per  sedem  apostolicam  delegato  ac 
sententie  late  et  pronunciate  per  dietimi  dominimi  decanum  in  favorem  diete 
domine  Abbatisse  et  Monasteri]  antedicti  et  contra  ac  adversus  comune  et 
homines  diete  terre  ynsulle  Insuper  appellationìs  facte  et  interposte  a  dieta 
sententia  decimarum  per  sindicum  dicti  comunis  et  hominum  diete  terre 
nec  non  et  ad  afhrmaiidum  probandum  ratificandum  et  ad  implendum  robo- 
randum  pactum  et  concordium  per  dictum  Mengum  maranum  tamquam 
sindicum  et  procuratorem  comunis  Jnsulle  ex  parte  una  et  discretos  viros 
dominos  Deolaiutum  de  fiagonia  procuratorem  aquilegensem  et  Guilielmum 
de    picossio  de    aquilegia  tamquam  nuntios    et  negotiorum    gestores    diete 


—  204  — 

domine  abbatisse  Monialiuin  monasterii  et  conventus  saacte  Marie  Aquile- 
gensis  factum  in  dieta  questione  que  longo  tempore  versa  est  ynter  ipsam 
dominam  Abbatissam  Moniales  Monasterii  et  conventus  predictas  super  facto 
decimaram  vini  oley  furmenti  et  alliorum  in  dieta  terra  Insilile  sive  eius 
districtus  nascentium  et  conexorum  et  dependentium  Rogandum  et  fieri  fa- 
ciendum  quaslibet  scripturas  Jnstrumenta  cuiuscumque  maneriei  cum  qui- 
buscumque  promissionibus  obligationibus  realibus  et  personalibus  bonorum 
quorumeumque  dicti  comunis  et  omnium  ipsius  terre  Insulle  et  conscilii 
cautellis  plecariis  solepnitatibus  et  alliis  quibuscumque  necessitatibus  et  de 
Juris  consuetudine  cum  conscilio  cuiuslibet  sapientis  et  Jurisperiti  cum  penis 
quibuscumque  prout  tuerit  necessarium  et  opportunum  et  ad  recipiendum 
etiam  finem  Remissionem  et  pactum  de  ulterius  non  petendo  dictas  de- 
cimas  prò  tempore,  preteryto  et  futuro  ultra  penas  conventas  transactas  ha- 
bitas  tractatas  et  firmatas  et  roboratas  per  ipsum  et  circha,  predicta  que 
fuerunt  necessaria  et  opportuna.  Item  ad  eonservandum  indempnem  comu- 
nem  gradi  seu  quemeumque  allium  comunem  faciendum  fidiussionem  prò 
dicto  comune  et  hominibus  terre  Jnsulle  et  ad  faciendum  confitendum  af- 
firmandum  et  Roborandum  publica  Instrumenta  conservata  dicto  comuni 
gradi  sive  quocumque  allio  comuni  fìdeiussionem  faciendum  prò  dicto  comuni 
et  hominibus  Jnsulle  cum  ornili  .  .  .  robore  firmitate  et  obligandum  omnia 
bona  dicti  comunis  et  hominum  diete  terre  Jnsulle  mobillia  et  immobillia 
presentia  et  futura,  dantes  et  concedentes  dicti  dominus  Vicarius  Judices  .  .  . 
conscilium  antedictum  plenum  liberum  et  generale  mandatum  ipsi  sindico 
antedicto  omnia  gercndi  faciendi  complendi  promittendi  cum  obligatione 
omnium  suorum  bonorum  presentium  et  futurorum  prò  se  et  dicto  suo  co- 
muni, ac  si  ipsi  et  dictum  suum  comune  Juxta  possibillitatem  p.ersonaliter 
interesset  promittentes  dicti  dominus  vicarius  Judices  conscilium  et  comune 
se  firmimi  ratuni  et  gratina  perpetuo  habere  et  tenere  quicquid  per  dictum 
suum  sindicum  actum  gestum  seu  procuratum  fuerit  in  preilictis  et  circha 
predicta  volentes  que  dietimi  suum  sindicum  ab  omni  honere  satisdationis 
relevare  Et  promixerunt  mihi  notario  infrascripto  tamquam  publice  persone 
stipulanti  et  recipienti  nomine  et  vice  omnium  quorum  interesse  poterint 
de  Judicio  sisti  et  Iudicato  solvendo  in  omnibus  suis  clausulis  sub  ypotecha 
et  obligatione  omnium  bonorum  comunis  predicti  mobillium  et  immobil- 
lium  presentium  et  futurorum. 

Ego  Benvenutus  filius  ser  Odorlici  spelaleporum  de  ynsulla  ymperiali 
auctoritate  notarius  et  yudex  ordinarius  hijs  omnibus  Interfui  et  Rogatus 
scribere  scripsi  et  Roboravi. 


—  205  — 

Documento  D. 
1346.  9  Ottobre. 

Sentenza  e  lodo  tra  il  monastero  ed  il  comune  d'Isola  sopra  le  decime 
spettanti  al  monastero. 

In  Christi  nomine  amen.  Anno  a  Nativitate  eiusdem  domini  millesimo 
trecentesimo  quadragesimo  sexto.  Indictione  quintadecima,  die  nono  mensis 
octobris.  Cum  corani  Sapienti  et  Reverendo  viro  domino  Giullio  Aquilc- 
gensi  decano  diutius  fuerit  et  sit  quedam  questio  decimarum  vini,  olei,  fru- 
menti, legummis,  ceterorumque  in  terra  Insule  nascentium,  conexorum  etiam 
ac  dependentium  ab  eisdem  prout  et  secundum  plus  aut  tantum  in  infra- 
scripte  domine  Abbatisse  petitione  expositum  extitit  et  petitum,  agitata, 
tamquam  et  sicut  judice  in  dieta  causa,  seu  ad  dictam  causam  per  sedem 
Apostolicam  delegato  inter  comunem  et  homines  Jnsule  ut  ipsius  terre  co- 
mune vcl  Universitas  necnon  et  singulares  personas  diete  terre  ex  una  parte, 
Et  Religiosam  et  honestam  dominam  dominam  Rustighellam  dei  gratia  Mona- 
sterij  sancte  Marie  de  Aquilegia  Abbatissam,  et  tamquam  Abbatissam,  Mo- 
niales,  Conventum  Capitolum  totum  dicti  monasterij  et  ipsum  Monasterium, 
prò  se  presente  Abbatissa  et  monialibus  antedictis  successoribusque  suis  in 
dicto  officio  et  di>mitate  ac  religione  ex  altera,  necnon  cum  inlraseiiptis 
personis  et  hominibus  diete  terre  Insule  Videlicet  S.  Carlo  Albini.  Albino 
eius  filio.  Pelegrino  quondam  Ursignani,  Tramo  Dragogne.  Petro  quondam 
Almerici  marnai.  Grimaldi  petri  Grimaldi.  Pasquale  de  Balduino.  Dominici) 
eius  filio.  Francesco  Balduini.  Betto  Pertoni.  domina  Yma  uxore  quondam 
Rantulfi  Sacheto.  Mauro  Cericba.  Mauro  de  Parentio.  Scr  Guezolo  Paysani. 
Dominico  eius  filio.  Cbatadino.  Uxore  Guidonis  Gossij.  Flordelmonte  uxore 
quondam  Guiducij.  Gratiano  de  Justinopoli.  Tramo  Symiliani.  Nicolao  eius 
fratre.  Tyraudo  Albertini.  Tolfucio  de  Turri.  domina  Matelda  Uxore  Fran- 
ósa. Bertucio  Bertaldi.  Dominico  de  Armani.  Renoardo.  Micbaele.  Paulo 
et  Francisco  quondam  Marci  de  Varnero.  Iohanne  Colmani.  Vergerlo  de 
Justinopoli.  domina  Dunisia  rubeis  Griffi.  Uxore  quondam  Binucij  tyralio, 
Tramo  Maynardi.  Francisco  de  Spezacadena.  Mengossio  Nandoli.  Sorore  pre- 
sbiteri petri.  Uxore  quondam  Sandri  de  Benna.  Petro  eius  filio.  Nicolao 
dicto  domine.  Francisco  eius  propinquo.  Odorlico  Petri  Griffi.  Francisco 
barba.  Uxore  quondam  Guidotti.  Mauro  fratre  quondam  presbiteri  Adal- 
gerii.  Uxore  quondam  Odorici  presbiteri  Adalgerij.  Andrea  et  Genijs  quon- 
dam Jnsulani.  domina  francisca  et  francisco  quondam  Atini  eius  filio.  Co- 


—   206   — 

letto  Vignuti  dominico  Mathei  marani.  Andrea  Facine  Griffi.  Ser  Domi- 
nico  Vercij.  Saranno  Donati.  Symiliano  Giraldi.  Andrea  Anezuti.  Matheo 
henrici.  Odorlico  Justi.  Nicolao  eius  filio  fratte  Lusci.  Petro  de  Barone 
Marino  de  Prosecho.  Mengho  Carbogne.  Francisco  de  Menis.  Giullio  de  Pla- 
sentia.  Petro  Tyralo.  Adamo  eius  filio.  Uxore  quondam  dardulini.  Mengo- 
lino  Pisani.  Clanio  nepote  Ser-Zeni.  Uxore  quondam  dicti  Ser  Zenni.  filia 
Betti  Peritoni.  Uxore  quondam  Johannis  Bonvino.  Clariele  barberio.  Nicolao 
et  dominico  quondam  Johannis  Grissij.  Andrea  Almerici  Andree  Iohanne 
Rantulfi  Armani.  Almo  albini  carli.  Adamo  Almerici  Armani.  Venerio  Ser 
Pelegrini.  Matheus,  Marchus.  Petrus  et  Nicolaus  quondam  dominici  Ma- 
rano. Ser  Nicolaus  de  Merixa.  Almericus  et  Dethemarius  eius  filij.  Nico- 
lettus  Zanini  tyralo.  Tramo  Marani.  Dominico  Francisci  Moresini.  Bettono 
et  dominico  Sclavoni  Grimaldi.  Vitale  Trami  Vitalis.  Mauro  Sciavo.  Odor- 
lieo  Spelaleporum,  Ser  Paulo  Tuscano.  Uxore  quondam  Dardi  Vicedomini. 
Uxore  quondam  Gasparucij  Bensij.  Odorlico  quondam  Almerici  Grimaldi. 
Sclavono  Bertocij  Grimaldi.  Johanne  Mengolino  quondam  Odorlici  Federici. 
Uxore  quondam  Daynesij.  Colosio  Petri  Grimaldi.  Uxore  quondam  Marani 
Clarieli.  Ser  Matheo  Leonis.  Leono  eius  filio  Tramo.  Bettono  et  Odorlico 
Griffi.  Coletto  de  cambreto.  Venerio  de  Vittis.  Nicolao  del  Pisano.  Uxore 
quondam  Andrioli  Amadei.  Uxore  quondam  dominici  ab  Aquila.  Nicolao 
de  Pirano.  Marco  a  turri.  Matheo  superbo.  Michaele  de  pirano.  Petro  Val- 
perti.  Uxore  Nicolai  cantiani.  Ser  Mauro  Ursi.  Petro  Zume.  et  Bridono  eius 
filio.  presbitero  Nicolao  Valentini.  Donato  dominici  Valperti.  Bertucio  Mauri 
de  Parentio.  Talino  dominici  de  Talino.  Andrea  Iohannis  premedici.  Symi- 
liano et  Petro  Symonis  Chatarini.  Carlino,  et  Mengutio  quondam  Martini 
Scarapini.  Petro  Spilat.  Symone  Alexandri.  Novello  Marano.  Iohanne  et 
Bertucio  Ursignani.  Ser  Facina  Vicedomino,  et  presbitero  Petro  de  Torve  - 
lino  omnibus  civibus  et  habitatoribus  diete  terre  Jnsule  cum  unoquoque 
eorum  vicissim,  singulariter  et  per  se  ex  una  parte.  Ac  dictam  dominam 
Abbatissam.  moniales.  Monasterium,  Conventum  ac  Capitolum  antedictum, 
modo,  forma  in  causa  et  super  causa  infrascripra  ex  altera.  Et  super  dictis 
causis  et  questionibus  sic  modo  causidico  ventilatis  forent  et  essent  in  eis, 
et  in  una  quaque  earum  per  dictum  dominum  decanum,  ut  in  ipsis  Judi- 
cem  a  Sede  Apostolica  delegatum  ut  supra,  late  promulgate  sententialiter 
et  diffinitive  pronuntiate  sunt  :  silicet  due  sententie  seu  plures  tote  et  ambe 
in  favorem  diete  domine  Abbatisse,  Monialium,  Convenctus  Monasterij  et 
'Capitulij  antedicti  in  omni  et  qualibet  sui  parte  contra  et  adversus  dictum 
comunem  et  homines  Jnsule,  ut  diete  terre  Comune  et  Universitatem,  ac 
etiam  contra  et  adversus  prefatos  seu  nominatos  homines  vicissim  seu  sin- 


—  207  — 

giilariter  et  per  se,  dictum  comunem  per  se  ac  antescriptos  et  superius  nó- 
minatos  per  se  in  florenos  centum  vel  circa  prò  expensis  et  nomine  expen- 
sarum  in  ipsis  questionibus  fitarum  ipsi  domine  Abbatisse,  Monialibus  Mo- 
nasterio  Convenctui  et  Capitulo  antedictis  sententialiter  et  diffinitive  con- 
dempnando,  ut  de  predictis  constat  publico  instrumento  sententiarum  ante- 
dictarum  scripto  per  Romanum  notarium  filium  Stephani  de  Romans,  a 
me  infrascripto  notario,  viso  et  lecto,  a  quibus  sententijs  et  earum  qualibet, 
per  se,  illieo  et  statini  eis  latis  et  pronuntiatis  modo  et  forma,  ut  supra, 
per  discretum  virum  Ser  Petrum  Ursignanum  de  Jnsula  tamquam  sindicum 
dicti  comunis  et  hominum  in  Universiratc,  ac  ut  dictarum  singulariarum 
personarum  procuratorem  viva  voce  ad  summum  Pontificem  tamquam  ad 
superiorem  extitit  appellatum.  Qua  quidem  appellatione,  a,  dictis  sententiis 
interposita,  gratia,  et  spiraculo  dei  divinitate  precedente,  comunibus  utra- 
rumque  partium  hinc  inde  amicis  intervenientibus  tamquam  super  re  dubia 
et  lite  incerta,  sic  super  dictis  questionibus  per  ipsos  transactum  modo  ami- 
cabilis  compositionis  et  coneordij  extitit  et  promissum.  Videlicet  quod  dictum 
comune  Insule  prò  se  et  dictis  hominibus  superius  nominatis  etiam  nomine 
dictarum  decimarum  vini,  olei,  frumenti  leguminis  et  ceterorumque  per  dictam 
dominam  Abbatissam  et  monasterium  petitorum  et  sententiatorum  annua- 
tim  et  quolibet  anno  reddere  dare,  et  assignare  debeaat  in  Jnsula  ultra  illas 
centum  duas  Urnas  vini  quas  iam  multo  tempore  dicti  homines  Insule  et 
comune  dederunt  et  consignaverunt  eisdem,  Treccntas  urnas  vini  yusulani 
boni  puri  et  netti  de  tinacijs  aut  bottis  tempore  suarum  vindemiarum  et 
sex  urnas  boni,  clari,  et  netti  olei  tempore  carnisprivìj,  seu  vigesima  quinta 
die  post  festum  circumeisionis  domini,  ac  staria  sex  insulana  boni,  scletti, 
et  nitidi  frumenti,  in  festo  Sancte  Margherite  de  Julio  dicto  comuni  et  Con- 
silio ac  hominibus  antescriptis  ut  singulis  et  universis  ac  ut  Universitari 
diete  terre  ynsule  obligantibus  se  realiter  et  personaliter,  si  predictis  tem- 
poribus predicta  convencta  non  attunderentur,  hijs  facieutibus,  dieta  domina 
abbatissa  prò  se  et  successoribus  suis  et  ipsis  monialibus,  convenctu,  et 
capitulo  toto  dicti  Monasterij  Sante  Marie  Maioris  de  Aquilegia,  ac  etiam  per 
sollcmpncm  stipulationem  et  promis sionem  cum  omni  cuiusque  comunis  seeu- 
ritate  per  dictum  comunem  et  homines  Jnsule  petita  reali  et  personali,  prout 
melius,  comodius,  strictius,  firmius,  omni  via  et  modo  de  Jure  fieri  potcst, 
tam  in  obligatione  ipsius  Monasterij,  Capituli  et  Convenctus  antedicti,  quam 
securitatis  petite  ut  supra,  finem,  remissionem  pactum  de  non  petendo  ali- 
quid  nomine  dictarum  decimarum  et  sententiarum  super  eis  et  de  eis  la- 
tarum  et  pronuntiatarum  ultra  quantitatem  vini,  olei,  frumenti,  ac  etiam 
qualitatem  supradictam.  Necnon  et  conservantibus  dictum  comune,  homines 


—    208   — 

ìpsius  terre  Jnsule  indempne  et  indempnes  ab  omni  danipno  ynteresse,  ex- 
pensis  yuditialibus  et  extra  quod  et  quas  pateretur  et  paterentur  quoque  tem- 
pore occasione  alicuius  questionis  mote  et  in  perpetuum  movende  dictarum 
decimarum  contemplatarum,  tam  a  dicto  Conventu  et  monasterio  quam  ab 
alio  quocumque  ecclesiastico  et  seculari  prelature  cuiuscumque  offitij,  digni- 
tatis  et  religionis,  Jpsamque  litem  et  lites  dictum  Convenctum,  Capitulum 
et  monasterium  ad  requisitionem  comunis  et  hominum  Terre  Jnsule  modo 
iuridico,  denuntiatione  eisdem  facta,  suis  expensis  et  periculis  quibuscumque 
suscipiendo  et  terminando,  in  omnem  et  quemcumque  casum  et  e  venturo 
cum  dictis  securitatibus  realibus  et  personalibus  de  tantum  ut  supra.  Jdcirco 
discretus  et  sapiens  vir  Ser  Dominicus  Marano  dictus  Menghus  quondam 
Almerici  Marnili  de  Jnsula  sindicus,  sindacano  ac  procuratorio  nomine  dicti 
comunis  et  hominum  subscriptorum  ut  de  eius  mandato  procuratorij  et 
sindacatus  patet  pubiico  Jnstrumento  scripto  per  ser  Francischinum  Cavianum 
de  Venetijs,  a  me  infrascripto  notano  viso  et  lecto  prò  se,  dicto  comuni 
Consilio  et  antedictis  hominibus  ut  singulis  et  universis,  ac  tamquam  diete 
terre  Universitate,  omnibus  vijs,  modis,  sollepnitatibus  quibus  melius  de 
Jure  potuit  et  potest  iuxta  conventa,  tractata,  amicnbiliter  composita  et 
transacta  per  sollepnem  stipulationem  promisit  Ser  Debilito  de  Flagonia 
habitanti  Aquilegie  ibidem  presenti  sindico  et  sindicario  nomine  diete  domine 
Abbatisse  Monialium  Convenctus,  Capituli  et  Monasteri]  Sancte  Marie  Maioris 
de  Aquilegia,  ut  de  eius  sindacatu  patet  pubiico  Jnstrumcntu  scripto  marni 
Thome  notarj  quondam  Salamonis  de  Flambri,  a,  me  infrascripto  notano 
viso  et  lecto  stipulanti  et  recipienti  nomine  antedicto  dare,  solvere,  reddere, 
mensurare  et  consignare  annuatim  et  anno  quolibet  sine  alicuius  temporis 
prefinitione  tempore  vindimiarum  hominum  Jnsule,  ultra  illas  centum  duas 
urnas  vini,  quas  dictum  comune  et  homines  dicto  monasterio  dare  debent, 
et  huc  usque  tempore  transacto  dederunt,  faciente  dieta  domina  Abbatissa 
et  monasterio  antedicto  pastum  hominibus  Jnsulanis  ut  hactenus  consuevit, 
trecentas  urnas  boni  puri  et  nitidi  vini  de  tinacijs  aut  bottes  in  Jnsula  do- 
mine Rustighelle  abbatisse  presenti,  et  eius  successoribus  prò  tempore  aut 
earum  et  dicti  monasterij  et  prò  dicto  Monasterio  recipientibus  nuntijs  fac- 
toribus,  gastaldionibus,  negotiorum  gestoribus  quibuscumque,  mandato  dicti 
Conventus  et  Monasterij  legitimo  in  hoc  precedente,  Et  Urnas  sex  boni, 
clari,  nitidi,  olei,  vigesima  quinta  die  post  festum  Circumcisionis  domini,  et 
sex  staria  boni,  nitidi,  et  seletti  frumenti  in  festo  Sante  Margarite  Virginis 
de  Julio,  modo,  et  forma  antedicta.  Jncipiente  dicto  comuni  Jnsule  dare  et 
solvere  ac  reddere  et  mensurare  ut  dictum  est  in  omnibus  et  per  omnia  se- 
cundum  eius  terminum  ab  anno  presenti,  et  hoc  cum  obligatione  omnium 


—  209  — 

suorum  honorum,  dicti  comunis,  consilij,  hominum  prenominatorum,  et  reli- 
quorum  etiam  de  Insula  non  nominatorum,  ac  si  forent  et  essent  specialiter 
nominati  tamquam  honorum  singularium  personarum,  ut  singulares  persone, 
ac  ut  comunis  et  universitatis  ut  Universitas  diete  terre  nsule  quecumque 
fuerint  et  sint  eorum  bona  mobilia  et  imobilia  prcsentia  et  futura,  Jura  et 
actiones  acquisitas  per  eos  contra  quoscumque  et  quascumque  personas, 
homines,  collegia  et  Universitates,  terras,  castra,  villas  et  loca  obligando 
omnia  predicta  generaliter  et  specialiter,  ac  si  de  eis  specialis  mentio  facta 
foret  et  stipulatio  in  omni  actu,  casu,  puncto  quo  de  Jure,  seu,  a  Jure  re- 
requiretur  specialis  promissio,  stipulatio  et  obligatio,  et  nedum  per  satis- 
factionem  omnium  supradictorum  termini*  et  temporibus  supradictis  obligans 
se  prò  dicto  comuni,  hominibus  nominatis  et  non  nominatis  ac  Consilio,  ut 
omnibus  singulis  et  ut  Universis,  nominibus  antedictis  sollepni  stipulationc 
Ser  Delaiuto  nomine  quo  super  realiter  immo  etiam  personaliter,  ita  quod 
dicti  homines  Jnsule  nominati  et  non  nominati  prò  ipso  comuni  ut  universi 
et  prò  Universitate  diete  eius  terre  quilibet  eorum,  et  ut  singuli  possint  et 
valeant  capi  et  detineri  loco  quocumque,  terra,  vel  castro,  ubi  ipsi  et  quilibet 
reperti  prò  tempore  fuissent,  cessantibus  dicto  comuni  et  hominibus  diete 
terre  in  solutione  omnium  dictorum  et  promissorum  secundum  tempus  et 
terminimi  supra  specificatum,  retinendis  et  retentis  dictis  hominibus  Jnsule 
in  carceribus,  donec  de  debitis  secundum  supra  promissa  fuisset  Monasterio 
integraliter  satisfactum,  aut  aliter  fuissent  in  concordia.  Promittens  prò  sol- 
lempncm  stipulationem  quoque  dictis  nominibus  non  prosequi,  nec  prosequi 
facere  unquam  appellationcs  in  pena  et  sub  pena  infrascripta.  Jurans  insupcr 
ad  sacra  dei  evangelia  prò  se  dicto  comuni  Consilio  et  hominibus  nominatis 
et  non  nominatis  terre  Jnsule  ut  singulis  et  Universis,  nominibus  quibus  supra 
predictis  aut  alicui  predictorum  in  nullo  contrafaciere  aut  venire  de  Jure  et 
de  tacto  nec  obtentu  alicuius  fictionis,  simulationis  fraudis,  doli  mali  decep- 
tionis,  sessionis,  aut  in  integrum  restitutionis,  si  prò  eius  re  publica,  si  de 
Jure  res  publica  dici  posset,  in  integrum  restitutionem  petere  posset,  aut  velie 
ipso  nomine  dicti  comunis,  aut  alias  dicto  nomine,  ob  aliquem  contra  pre- 
dictam  causam,  Jus  aut  rationem.  Quibus  omnibus  appellationibus  etiam  dictis 
nominibus  renuntiavit  express  et  per  patum.  Et  lice  omnia  cimi  pena  et  sit 
pena  librarum  Mille  parvarum  Veronensium  prò  quolibet  termino,  et  capitalo 
non  servato,  totiens  committenda  et  exigenda  cum  effectu,  quotiens  in  pre- 
dictis, aut  in  aliquo  predictorum  fucrit  contraiactum  aut  contraventum,  rato 
tamen  presenti  contractu,  et  in  sui  roboris  firmitatc  manente.  Et  econversus 
dictus  Ser  Delaiutus  sindicus  et  sindicario  nomine  diete  domine  Abbatisse, 
Monialium,   conventus,    capituli,    ac  monasterij    diete  Sante   Marie   maioris 

u 


—    210    — 

de  Aquilegia  pio  dieta  domina  Abbatissa  presente,  successoribus  suis  in  po- 
sterum  et  dictis  monialibus,  conventi]  et  Monasterio  ;  omnibus  vijs,  modis, 
quibus  de  Jure  melius,  firmius,  ac  validius  potuit  per  sollepnem  stipulationem 
fecit  finem  remissionem,  transactionem  et  promissionem  dicto  Ser.  Domi- 
nico  Marano,  dicto  Mengho  de  Jnsula  sindico  dicti  comunis  et  hominum 
et  sopranominatarum  personarum  presenti,  stipulanti  et  recipienti  nominibus 
antedictis  prò  se  et  dicto  comuni,  Consilio,  hominibus  prenominatis  et  non 
nominatis  presentialiter  et  in  posterum,  et  pactum  de  ulterius  non  petendo 
aliquid  occasione  sententiarum  iam  dictarum  decimarum,  latarum  in  favorem 
diete  domine  Abbatisse,  et  contra  comune  et  homines  supernominatos  et 
non  nominatos  terre  Jnsule,  aut  occasione  aliquorum  aliorum  suorum  Jurium 
precedentium  separatorum  conexorum  aut  dependentium  ab  eisdem,  aut  que 
possent  tempore  aliquo  subsequenti  imposterum  titulo  aliquo  lucrativo  et 
non  lucrativo  seu  oneroso  per  viam  cessionis  acquiri  aut  aliter  ex  testamento 
aut  ab  intestato  ultra  pacta  seu  transactionem  supernominatam  expressam, 
et  stipulationem  sollepni  promissam  temporibus  et  terminis  suprascriptis. 
Et  si  quo  aut  aliquo  casu,  eventu  et  tempore  moveretur  dicto  comuni  aut 
supranominatis  et  non  nominatis  de  Jnsula  lis  aut  questio  per  quoscumque 
aut  quascumque  personas,  homines,  collegia,  Universitates,  terras,  aut  castra, 
villas,  vel  loca,  quod  dieta  domina  Abbatissa  presens,  vel  que  prò  tempore 
fuerit,  moniales,  conventus  et  ipsum  Monasterium  ad  requisitionem  dicti 
comunis  Jnsule  et  hominum  suseipient  in  se  questionem  et  litem  suis  pe- 
riculis  et  expensis.  Et  ipsum  Comune  et  homines  supranominatos  et  non 
nominatos,  ut  comune,  singulos  et  universos  conservabunt  indempnes  de 
Jure  tantum  suis  expensis  et  periculis  cum  totius  dampni  et  interesse  ex- 
pensis, modo  quocumque  per  id  aut  comune,  eos  vel  aliquem  eorum 
factarum  in  Judicio  seu  extra  cum  obbligalione  omnium  honorum  dicti 
monasterij,  conventus,  capituli  et  monialium  mobilium  et  imobilium  pre- 
sentium  et  futurorum  Jurium  et  actionum  aquisitorum  et  acquirendarum, 
Et  quod  prò  predictis  et  quolibet  predictorum  dicto  comuni  et  hominibus 
Jnsule  non  servatorum  possit  et  valeat  ad  postulationem  et  requisitionem 
antedicti  comunis  et  hominum  per  habentem  auctoritatem  dictum  Monaste- 
rium, moniales  exeomunicari  et  eis  officium  celebrationis  cuiuspiam  interdici 
donec  dicto  comuni  et  hominibus  fuerit  iuxta  conventa  non  servata  inte- 
graliter  satisfactum  et  restitutum.  Promittens  quoque  dictus  Ser.  Delaiutus 
per  sollepnem  stipulationem  nomine  antedicto,  Ser.  Dominico  Marano  sti- 
pulanti et  recipienti  nominibus  quibus  supra,  quod  appellationem  interpo- 
sitam,  a,  sententijs  antedictis  et  antedictos  non  prosequetur  coram  Summo 
Pontefice,  aut  quocumque  alio  eius  auditore,  vel  aliter  delegato  aut  impe- 


—    211     — 

trato,  vel  prosequi  faciet  sub  obligatione  antedicta  in  omnibus  et  per  omnia 
consimili.  Renuntians  nomine  quo  supra  ipse  Ser  Delaiutus  specialiter  et 
expressim  per  pactum  omni  exceptioni,  fictioni,  contractus  simulati,  decep- 
tioni,  fraudi,  dolomalo  in  integrum  restitutioni  si  Jure  aliquo  contra  et 
adversus  predicta,  Monasterium  posset  restitutionem  in  integrum  postulare, 
omnibus  insuper  legibus,  decretis,  seu  canonibus  vel  decretalibus  circa 
predicta  aut  nliquod  predictorum  impedimentum  facientibus,  aut  si  de  eis 
et  qualitet  earum  foret  et  esset  facta  mentio  specialis  cum  pena  et  sub  pena, 
aut  nomine  pene  librarum  Mille  parvorum,  totiens  committenda  et  exigenda 
cum  effectu,  quotiens  in  aliquo  termino,  capitolo  vel  parte  capituli  non  fuerit 
per  ipsum  Monasterium  attenditum  et  observatum  ut  superius  promissum 
est,  rato  nichilominus  presenti  contractu,  manente,  et  in  sui  roboris  firmitate, 
Pro  quibus  omnibus  et  singulis  supradictis  melius  attendendis  et  observandis 
per  dominam  Abbatissam,  Monasterium,  Capitulum  et  eius  conventum  an- 
tedictum,  discretus  vir  s.  Giullius  quondam  domini  Johannis  Picossij  de 
Aquilegia  sindicus  et  sindicario  nomine  comunis  et  hominum  ac  Universi- 
tatis  Aquilegie,  ut  patet  publico  Jnstrumento  sindicatus  scripto  per  Romanum 
notarium  filium  Stephani  de  Romans,  prò  se  et  dicto  comuni  et  hominibus 
Aquilegie  in  omnibus  clausulis  supradictis,  et  per  dictum  Ser  Delaiutum 
suprascripto  nomine  promissis  comuni  et  hominibus  Insule,  seu  eius  sindico 
extitit  fideiussor  prò  dieta  domina  Abbatissa  eiusque  successoribus,  conventu, 
capitulo,  et  monasterio  antedictis,  cum  obligatione  omnium  suorum  honorum 
mobilium  et  imobilium  presentium  et  futurorum  Jurium  et  actionum  acqui- 
sitorum  et  acquirendarum  et  ne  dum  realiter  imo  et  personaliter  ut  Ubi- 
cumque  et  quocumque  possint  personaliter  detineri  ad  petitionem  comunis 
et  hominum  Jnsule  ubi  reperti  fuerint,  terra,  castro  villa  aut  alio  loco,  Et 
exinde  non  possint  uqc  debeant  relaxari,  donec  fuerint  secundum  promissa 
supra  comuni  et  hominibus  Jnsule  eisdem  non  servata  in  concordia,  aut 
integraliter  satisfactum  Renuncians  speciaiiter  et  per  pactum  expressum 
dictus  Ser  Giullius  Ser  Johannis  Picossij  dicto  nomine  Epistole  divi  adiiani, 
costitutioni  nove  et  veteri  de  duobus  et  pluribus  reis  debendi,  et  maxime 
constitutioni  de  fìdeiussoribus  et  mandatoribus  et  specialiter  in  ca  parte  qua 
cavetur  quod  prius  conveniatur  et  conveniri  debeat  principalis  quam  fideiussor 
certioratus,  a,  me  notano  quid  sit  unumquoque  istorimi.  Et  generaliter  omni 
alio  cuilibet  Juri  quo  se  dicto  nomine  tueri  et  defendere  posset,  ac  si  de 
ipsis  et  quolibet  predictorum  specialis  foret  facta  mentio  in  omni  et  qualibet 
sui  parte.  Jnsuper  dictus  Ser  Delaiutus  dicto  nomine  ac  Ser  Giullius  an- 
tedictus  nomine  quo  supra  ex  una  parte,  Et  Ser  Dominicus  Marano  nomi- 
nibus   supradictis  ex  altera  et  omnes   insimul    et  una   pars   alteri   vicissim 


—    212    — 

promisserunt  sollempni  stipulatione,  et  cum  sacramento,  omnia  predicta  atten- 
dere et  observare  et  in  nullo  contrafacere  aut  venire  de  Jure  et  de  facto 
cum  penis  et  sub  penis  et  obligationibus  antescriptis,  que  bona  alterius  partis 
non  attendentis,  altera  pars  attendens  possit  sua  propria  auctoritate  ingredi 
sine  cuiusquam  Judicis  aut  superioris  licentia,  et  ea  sua  auctoritate  vendere  et 
alienare  sine  alicuius  contradictione  donec  eidem  fuerit  integraliter  satis- 
factum.  Et  quod  unusquisque  eorum  possit  forbaniri  et  forbaniri  facere 
prò  predictis  et  quolibet  predictorum,  et  conveniri  et  conveniri  facere  Padue, 
Tervisij,  Venetijs,  Vincentie,  Verone,  Aquilegie,  Insule,  Iustinopolis,  Pirani, 
Utini  et  in  quocumque  alio  loco,  terra,  vel  castro  ubi  reperirentur,  Re- 
nuntiahtes  etiam  ferijs,  diebus  ferialis,  statutis  et  consiliorum  reformationibus 
factis  et  fiendis  imposterum,  in  quocumque  loco  nominato  et  non  nominato 
in  aliquo  predictis  preiudicantibus  omni  remedio  appellationis,  consultationis 
supplicationis  nullitatis  quibus  renuntiaverunt  expressim,  specialiter  et  per 
pactum.  Cuius  contractus  duo  vel  plura  debeo  facere  Jnstrumenta  in  om- 
nibus et  per  omnia  ad  idem  et  circa  idem  consonantia.  Per  predicta  omnia 
tamen  non  intelligitur  renuntiatum  prò  parte  dicti  Monasterij,  sex  urnis 
vini,  quas  idem  Monasterium  habere  debet  et  consuevit,  a,  Mengucio  Pas- 
qualis  et  heredibus  Martini  Scotina,  et  filio  quondam  Lesci  et  Petro  Valperti. 

Actum  in  Grado  in  ecclesia  maiori  Sancti  Hermacore.  presentibus  fratre 
Laurentio  de  Venetijs  abbate  monasterij  Sancte  Marie  de  Barbana.  Iohanino 
de  Verona  mansionario  ecclesie  maioris  Aquilegensis  Nicolao  filio  domini 
Gabrielis  de  Cremona  Canonico  Utinense.  Domino  Thoma  Nanni  de  Ve- 
netijs extimatore  in  Grado.  Domino  paulo  de  Gaijs  de  Venetijs.  Domino 
Gherllo  gabbo  de  Grado.  Domino  Jacobo  gabbo.  Ser  Petro  Scalgia.  Marino 
Ser  Facij.  Dorlicho  Cucholini.  Iohanne  Scazano  Iohanne  Gabbo.  Andrea 
Merlato.  Ligo  quondam  Alexij  omnibus  civibus  de  Grado.  Cristoforo  de 
Rimino  domicello  domini  decani  Aquilegensis.  Romano  notario  filio  Stepbani 
de  Romans  Aquilegie  comorante,  et  alijs  pluribus  testibus  ad  predicta  vo- 
catis  et  rogatis. 

(Signo)  Ego  Petrus  domini  Francescbini  de  Fosdenona  publicus  Jmpe- 
riali  autoritate  notario  predictis  omnibus  internai,  et  rogatus  scripsi  meuni- 
que  signum  apposui  consuetum  : 


—  213  — 

Documento  E. 
Anno   1382  circa  '). 

//  doge  Antonio  Vernerò  raccomanda  all'  abbadessa  del  monastero  di  Aqnileia 
di  stabilire  l' accordo  colla  Comunità  d' Isola,  la  quale  era  stata  interdetta. 

Anthonius  Venerio  dei  gratta,  dux  Vcnetiarum,  etc.  Venerabili  et  Re- 
ligiose domine  Abbatisse  Monastcrij  sancte  marie  maioris  Aquilegie  sibi 
dilecte  Salutem  et  sincere  dilectionis  affectum.  Ex  relatione  nobis  facta  prò 
parte  comunitatis  terre  nostre  Jnsule  nuper  sensimus  :  quod  dum  cuiusdam 
differentia  existentis  inter  vos  et  illam  comunitatem  de  compositione  et 
concordio  tractaretur,  fecisti  fieri  ipsi  comunitari,  quoddam  interdictum,  de 
quo  certe  aliter  non  possumus  quam  mirari,  quia  postquam  tunc  de  con- 
cordio sperabatur,  non  debebat  illa  comunitas  interdici  postea  vero  com- 
pentibus  nuntiis  ipsius  comunitatis  nostre  corani  vobis,  ad  eorum  precarnina 
terminum  dicti  interdicti  usquam  diem  XIIII  mensis  presentis  Junij  proro- 
gastis.  Cum  enim  optemus  quod  dieta  diferentia  per  compositionem  et  con- 
cordium  amicabiliter  terminetur  et  dictus  terminus  sit  ita  brevis,  quod  ra- 
tionabiliter  in  ea  concludi  non  posset,  Rogamus  sinceritatem  vestram,  qua- 
tenus  placeat  et  vellitis  prorogare  terminum  interdicti  usquam  per  totum 
mensem  Augusti  proximum  sequiturum.  ut  ipsi  differentie  finis  debitus 
imponatur 

Data  in  nostro  ducali  palatio  die  secondo  Junij.  Indictione  secunda. 


Documento  F. 
1382.   12  ottobre. 

D."  Emilia  di  Strassoldo  Abbadessa  col  suo  Capitolo  crea  a  Procurator  Eliseo 
figlio  di  E.  Ritardo  di  Strassoldo  per  la  causa  che  ha  il  Monastero  colla 
Comunità  d' Isola. 

In  Xliristi  nomine  amen,  Anno  domini  Millesimo  Trecentesimo  Octua- 
gessimo    secundo    Indictione    quinta  die  vero  duodecimo    mensis  octobris. 


')  Stampato  nel  Codice  dipi,  colla  data  1379  e  col  nome  del  doge  errato:  in  luogo 
ili  Antonio  Andrea. 


—  214    — 

Actum  in  Monasterio  maiori,  Aquilegensis  ecclesie,  presentibus  Iacobo  q 
Nicolai  de  biadeno,  ser  Lunciano  q.  Antoni]'  de  Malazupicha  et  Nicolao 
q.  Laurentii  de  puzulio  testibus  et  allijs  ad  infrascripta  vocatis  et  Rogatis, 
Venerabiles  et  Religiose  domine  Jmiglia  de  Strasoldo  Abbatissa,  Benevenutta 
de  Barino  porissa,  Ratina  de  lature  Zacharia  Aquila  Zesaria  Margareta  de 
goritia  Beatrix  Margareta  de  Civitate,  Ratina  et  francisa  moniales  Capitulum 
et  conventus  Monasteri!  maioris  sancte  marie  de  Aquilegia  ad  infrascripta 
vocate  et  in  Capitolo  congregate  in  loco  solito  ad  sommi  campane  ut  moris 
est,  omni  via  modo  iure  et  forma  quibus  melius  sciverunt  et  potuerunt 
non  revocando  allios  procuratores  sed  potius  eos  conservando  fecerunt  con- 
stituerunt  et  ordinaverunt  Nobilem  virum  Elizevum  q.  Nobilis  viri  domini 
Rizardi  de  Strasoldo  ibidem  presentem  et  sponte  recipientem  eorum  sindicum 
procuratorem  actorem  factorem  negotiorum  gestorem  ac  nuncium  specialem 
specialiter  in  causa  quam  habent  vel  habere  intendunt  cum  hominibus  con- 
scilio  et  comuni  Jnsule  de  certa  quantitate  vini  oley  et  frumenti  in  quibus 
homines  conscili um  et  comunitas  supradicta  tenentur  annuatim  solvere  pre- 
diete  domine  Abbatisse  et  dicto  conventui  coram  Magnifico  domino  Mietateli 
Mauroceno  Jnclito  duci  Venetiarum  et  eius  conscilio  et  generaliter  ad  omnes 
et  in  omnibus  eius  causis  litibus  et  contraversijs  quas  habent  vel  habere 
possent  tam  in  agendo  quam  in  defendendo  cum  aliquo  vel  aliquibus  coram 
quocumque  iudice  tam  ecclesiastico  quam  seculari  supra  quibuscumque 
negotijs  ad  libelos  offerendos  vel  recipiendas  lites  contestandas  exceptiones 
proponendos  terminos  et  dillationes  petendas,  recipiendos  testes  et  instru- 
menta producenda  et  reprobanda  Judices  eligendos  et  recusandos  suspcctos 
dandos  sententias  audiendas  appellandas  comittendas  et  prosequendas  et  ad 
omnia  et  singula  facienda  que  merita  causarum  exigunt.  Item  ad  petendum 
exigendum  et  recipiendum  supradictam  quantitatem  vini  oley  et  frumenti 
et  omne  id  et  quidquid  ipsis  domine  Abbatisse  Monialibus  et  conventui 
antedicto  ex  quacumque  causa  ab  alliquo  vel  alliquibus  deberetur,  Et  de 
recepiendo  finem  getationem  et  remissionem  faciendo  de  ulterius  non  petendo 
ad  solutiones  faciendas  ad  paciscendum  componendum  et  transigendum  et 
compromittendum  et  laudum  et  arbitrum  audiendum  et  ad  prosequendum 
et  conroborandum  debita  et  ad  constituendum  sibi  alios  debitores  et  ad 
venditores  emptores  locatores  et  cuiuscumque  generis  contractus  faciendum 
Et  ab  obligando  se  nomine  ipsius  monasterij  et  conventus  et  bona  ipsius 
monasterij  et  conventus  supra  quocumque  contractu  et  generaliter  ad  omnia 
eorum  negotia  tractanda  et  gerenda  et  ad  omnia  et  singula  facienda  que 
circa  predicta  vel  aliquid  predictorum  sibi  utilia  videbuntur,  Et  que  per 
quemlibet   legittimum  sindicum  et  procuratorem  et  nuncium  fieri   possint, 


21)     — 

dare  ei  plenam  et  liberali]  potestatem  et  mandatilo]  predicta  omnia  et  singula 
tacere  et  supra  predictis  et  quolibet  predictorum  quotics  expedierit  et  voluerit 
procuratorem  unum  et  plures  substituendum,  Et  promittent  se  firma  et  rata 
habere  quecumque  dictus  procurator  vei  allius  vel  allij  ab  eo  substituti  circa 
predi  età  vel  aliquid  predictorum  duxerint  faciendi  sub  obligatione  omnium 
bonorum  monasteri)  et  conventus 

Et  Ego  franckscus  q.  peroti  de  Civitate  austria.  publicus  Jmperiali  auc- 
toritate  Notarius  hijs  omnibus  interim  et  Rogatus  scribere  scripsi  signaculum 
Oleum  consuetum  apposui  antea  testimonium  premissorum. 


Documento  G. 

Anno   1384. 
2  Aprile.  Indizione  VII.  Venezia  '). 

Concordio  per  il  censo  di  ribolla  ed  olio  che  Isola  doveva  al  convento 
di  S.  Maria  di  Aquileia. 

In  Cbristi  nomine  Amen.  Anno  nativitatis  eiusdem  millesimo  tercen- 
tesimo  octuagesimo  quarto,  Indictione  septima,  die  secundo  mensis  Aprilis. 

Cum  alique  lites  dilferentie  et  controversie  forent  inter  venerabilem  et 
religiosam  dominam  ymiliam  de  Strassoldo  Abbatissam  monasteri]  sancte 
Marie  de  prope  Aquileiam  ordinis  sancti  benedicti.  Et  comune  et  homines 
Insule.  Super  facto  urnarum  quadrigentarum  duarum  vini  ribolei,  urnarum 
sex  olei  et  stariorum  sex  frumenti.  Quas  Urnas  Ribolei,  olei  et  staria  fru- 
menti ipsa  domina  Abbatissa  dicebat  predictos  comune  et  homines  Insule 
sibi  teneri  et  debere  solvere  ornai  anno  vigore  pactorum  antiquorum  et 
instriimentorum  celebratorum  ut  dicebat  ipsa  domina  Abbatissa  inter  eccle- 
siam  suam  et  predictos  comune  et  homines  Insulae  Et  predica  comune  et 
homines  Insule  contradicebant  dicentes  ad  predicta  non  teneri  de  iure.  Qua- 
liter  ipsa  domina  Jmilia  Abbatissa  predicta  cum  suo  capitulo  prò  se  et  suc- 
cessoribus  suis  ex  una  parte.  Et  providi  viri  S.  loliatines  de  Mirissa,  et 
S.  Meneginus  Maran  Civea  et  habitatores  Insule  sindici  et  procuratores 
comunis  et  nominimi  Insule  habentes  ad  hoc  pltnissimam  libertatem  ut  de 
corum*  sindicatu  piene  constat  pubbxo  instrumento  scripto  manu  Petri  Pauli 


')  Dal  CoJ.  dipi.  istr. 


—   2l6   — 

S.  Mundi  publici  imperiali  auctoritate  notarii  civitatis  tervisine  et  nunc 
notarii  et  scribe  domini  potestatis  et  comunis  Insule  in  millesimo  trecen- 
tesimo octuagesimo  quarto  Indictione  septima  die  vigesimo  mensis  Marci 
a  me  notarlo  et  testibus  istis  viso  et  de  verbo  ad  verbum  lecto  ex  parte 
altera  ad  istantiam  oppositionem  et  concordium  devenerunt  amicabiliter, 
Videlicet  quod  comune  et  homines  Insule  promiserunt  et  convenerunt  dare 
et  consigliare  domine  Jmiliae  Abbatisse  predicte  presenti,  stipulanti  et  re- 
cipienti nomine  suo  ac  sui  capituli  et  eius  successorum  que  prò  tempore 
erunt  et  monialibus  ac  conventui  Sancte  Marie  prope  Aquilejam  ordinis 
sancti  benedicti  seu  nuntiis  eorum  a  modo  usque  quinqne  annos  proxime 
futuros  incipiendo  de  hoc  anno  presenti  de  millesimo  trecentesimo  octua- 
gesimo quarto  Indictione  septima.  Urnas  centum  duas  de  Ribolio  solito 
dari  per  eos  per  alia  tempora  et  sic  successive  omni  anno  usque  quinque 
annos  predictos.  Et  a  quinque  annis  supra  usque  ad  alios  quinque  annos 
tunc  proxime  futuros  urnas  ribolei  predicti  ducentum  et  duas  prò  quolibet 
anno  usque  ad  complementum  decem  annorum  predictorum.  Completis  vero 
decem  annis  predictis  quod  ipsa  domina  Abbatissa  et  eius  successores  ac 
moniales  et  conventus  dicti  Monasterii  sint  et  esse  intelligantur  in  ilio  stata 
jure  et  forma  quibus  erant  ante  guerram  preteritali].  Salvo  si  comune  et 
homines  Insule  interim  vel  in  spatio  decem  annorum  predictorum  probarcnt 
vel  monstrarent  quod  istud  vel  partem  ejus  non  tenerentur  de  jure.  Itera 
quod  in  totum  cessare  debeat  pactum  fiendum  illis  de  Jnsula  per  dominam 
Abbatissam  et  moniales  predictas  vel  prò  tempore  decem  annorum  predic- 
torum. Et  predicta  omnia  et  singula  promiserunt  diete  partes  nominibus 
quibus  supra,  attendere  et  observare  et  non  contrafacere  vel  venire  modo 
aliquo  sive  forma  aliqua  ratione  vel  causa  de  jure  vel  de  facto  sub  pena 
librarum  centum  parti  contrafacienti  et  pena  contrafacientis  veniat  in  partem 
observantem,  qua  pena  soluta  vel  non  presens  instrumentum  et  omnia  et 
singula  suprascripta  in  sua  remaneat  firmitate.  Pro  quibus  omnibus  et  sin- 
gulis  firmiter  observandis  suprascripte  partes  dictis  nominibus  obligaverunt 
sibi  omnia  sua  bona  mobilia  et  immobilia  presentia  et  futura.  Actum  Ve- 
neciis  sub  porticu  Ecclesie  Sancti  Zacharie  de  Veneciis  presentibus  Nobili 
et  sapiente  Viro  domino  Francisco  Venerio  q.  domini  Belleti  honesto  civc 
Venec.  honesto  viro  presb.  Pasquale  S.  Trinitatis  de  Venec.  ac  circumspectis 
viris  S.  Gabriele  nov  G.  S.  Thomasii  de  Veneciis  S.  Iohanne  de  Andalo 
not.  ducatus  Venet.  et  aliis  testibus  ad  premissa  vocatis  specialiter  et  rogatis. 
-  Ego  Iohannes  Fiumano  filius  S.  Bertuici  de  Venetie  pub.  Imp.  Auct. 
Not.  et  ducet  Venet.  scriba  premissis  omnibus  et  singulis  presens  fui  eaque 
rogatus  scripsi  signumque  meum  consuetum  apposui. 


—  217  — 

Documento  H. 
1394.  22  Luglio. 

//  monastero  crea  a  suo  procuratore  Giovanni  de'  Sibilitis,  notaio  di  Gemona 
e  cittadino  d'Aquileia,  nelle  liti  col  podestà  e  col  comune  d'Isola. 

In  Xhristi  nomine  amen  Anno  nativitatis  eiusdem  domini  Millesimo 
Trecentesimo  Nonagesimo  quarto  Jndictione  secunda  die  vigesima  secunda 
mensis  Julij.  Acta  sunt  infrascripta  in  Monasterio  monialium  sancte  marie 
de  prope  Aquilegia  presentibus  Venerabili  viro  domino  Bartolomeo  de  bobio 
Canonico  ecclesie  Aquilegensis  presbitero  Michaele  prebendario  in  dieta  ec- 
clesia Aquilegense,  Bonhomo  de  Aquilegia  ser  Moretto  de  Jnsula  Justono- 
politane  diocesis  et  petro  de  spilimbergo  habitans  in  visinali  dicti  Monastcrij 
testibus  et  allijs  ad  premissa  vocatis  et  Rogatis.  Nobilis  et  Religiosa  domina, 
domina  Jmiglia  de  strasoldo  dei  grazia  Abbatissa  Monasterij  sancte  marie 
de  prope  Aquilegia  cum  voluntate  et  consensu  infrascriptarum  dominarmi! 
monialium  super  infrascripta  specialiter  ad  capitolum  in  ipso  loco  ad  sonum 
campanelle  congregatarum.  Videlicet  Benvenute  priorisse,  Catherine  de  la- 
turre  Clarucie  Agnule,  Cesarie  de  strasoldo  margarete  de  Civitate  austrie 
pidrussie,  Clare  de  Trichano,  Magdalene,  Morose,  helisabete,  et  Zillie  :  nec 
non  ipsa  domina  pririssa  et  moniales  que  erunt  ultra  quam  due  partes 
capituli  ecclesie  et  monasterij  prelibati  facientes  capitulum  super  infrascripta 
et  ut  capitulum  cum  consensu  et  voluntate  diete  earum  domine  Abbatisse, 
Jpse  omnes  domine  Abbatissa,  priorissa  et  moniales  ordinis  sancti  Benedicti 
nnanimiter  et  concorditer,  nemine  earum  discrepante  prò  se  ipsis  ac  vice 
et  nomine  dictorum  earum  Conventus  et  Monasterij,  omnibus  modo  via 
Jure  et  forma  quibus  melius  et  efficacius  sciverunt  et  potuerunt  fecerunt 
constituerunt  creaverunt  ed  ordinaverunt  providum  et  Circumspectum  virum 
MS  Iohanem  notarium  q.  ser  Luchini  de  Sibilitis  de  Glemona  civem  Aqui- 
legensem  Absentem  tanquam  presentem,  earum  et  dictorum  Conventus  et 
monasterij,  veruni  certum  et  legitimum  sindicum  procuratorem  factorem 
deiensorem  compositorem  et  nuncium  specialem  et  generalem,  specialiter  et 
expresse,  ad  comparcndum  et  se  prò  eis  et  earum  nomine  presentandum 
coram  Jnclito  et  excelso  domino,  domino  Antonio  Venerio  dei  gratia  Ve- 
netiarum  duce  etc,  et  ibidem  seu  alibi  corani  quolibet  dominio  et  Judice 
ecclesiastico  et  civili  eis  competenti  vel  competituro,  ordinario  vel  extraor- 
dinario  in  omnibus  causis,  questionibus  litibus  contravcrsijs  et  diferentiis 
quas  habent  liabere  separatili!,  possunt  et  possent  tam  in  agendo  quam  in. 


—    2l8    — 

defendendo,  cuna  nobile  .  .  .  potestate  Consilio  Comune  et  Univei  sitate  terre 
Jnsule  Justinopolitane  diocesis  seu  eoruxn  sindkis  et  procuratoribus,   prò 

decimis  et  Jure  decimarum  diete  terre  Jnsule  eis  et  dieto  Monasterio  debendis 
et  debendarum  seu  vigore  aliquorum  pactorum  et  concordiorum  factorum 
et  tractatorum  inter  dictum  conventum  monialium  dicti  monasterij  seu 
eorum  sindicos  et  proeuratores  ex  parte  una,  et  dictam  Comunitatem  et 
Universitatem  diete  terre  Jnsule  seu  eius  sindicos  et  proeuratores  ex  altera, 
et  super  quibuscumque  conventionibus  inter  dietas  partes  factis  et  initis 
quoiusmodo  et  ratione  quacumque  et  alia  dependente  et  connexa,  et  dam- 
norum  et  expensarum,  et  de  et  super  litibus  deferentijs  et  causis  predictis 
et  alijs  quibuslibet  decimis,  introitibus,  pactis,  concordiis  et  conventionibus, 
transigendum,  paciscendum,  componendum  concordandum,  compromitten- 
dum,  laudandum  et  arbitrum  ferri  petendum  ed  audiendum  et  acceptandum, 
et  alijs  introitibus  et  bonis  permutationem  et  transactionem  faciendum  trac- 
tandum  et  complendum  cuoi  quibuscumquam  promissionibus  bonorum  obli- 
gationibus  et  penarum  adiectionibus  clausulis  opportunis,  nec  non  super 
ipsis,  consensum  confirmationem  et  decretum,  a,  Beatissimo  domino  nostro 
domino  Bonifacio  pontifice  nono,  seu  Reverendissimo  domino,  domino 
Iohane  dei  grada  patriarcha  Aquilegense,  seu  quoius  alio  si  opus  fuerit  im- 
petrandum  et  inferri  petendum  et  heiendum;  et  super  et  de  predictis  finem 
remissionem  absolucionem,  quietacionem,  et  pactu'm  de  ulterius  non  petendo 
faciendum  et  recipiendum  ac  si  opus  fuerit  plura  instrumenta  et  scripturas 
fieri  et  scribi  faciendum,  Vaiata  et  Valanda,  roborata  et  roboranda  omnibus 
et  singulis  modis  formis  condicionibus  et  clausulis  opportunis  et  coram 
ipso  beatissimo  patre  et  domino,  domino  Bonifacio  papa  nono,  seu  ipsi 
Reverendissimo  domino,  domino  Iohane  sancte  sedis  Aquilegensis  patriarcha, 
vel  eorum  seu  alterius  eorum  conservatoribus  Auditoribus  et  Vicarijs,  seu 
quoius  alio  Judice  ecclesiastico  et  civili  ordinario  vel  extraordinario  dato 
vel  dando  delegato  vel  subdelegato  Agendum  et  defendendum  placitandum 
Judices  et  Advocatos  eligendum  et  recusandum  libellos  dandum  et  reci- 
piendum, litem  seu  lites  contestandum  protestandum,  excipiendum  et  repli- 
candum,  terminos  et  dilaciones  petendum  ponendum  et  articulandum,  posi- 
cionibus  et  articulis  respondendum,  testes  instrumenta  litteras  privilegia  Jura 
et  alias  privatas  scripturas  producendum,  et  producta  per  partem  adversam 
reprobandum,  in  causa  et  causis  concludendum,  sintentiam  et  sententias  Cam 
interlocutoria  quam  diffinitivas  ferri  petendum  et  audiendum,  et  si  opus 
fuerit  ab  ipsis  apellandum  et  apellacionem  prosequendum  et  intimandum, 
apellos  petendum  et  recipiendum  cura  istancia  instancius  et  instantissime. 
Et  ad  substituendum  unum  vel  plures  procuratorem  sive  proeuratores,  qui 


—  219  — 

in  premissione  habeat  voi  habeant  similem  potestatem  eosque  revocandum 
et  alios  de  novo  substituendum,  quociens  sibi  videbitur  expedire.  Et  gene- 
ralitcr  ad  omnia  alia  et  singula  faciendum  et  procurandum  qnc  veri  et  le- 
ghimi sindici  et  procuratores,  et  ipse  met  domine  constituentes  tacere  possent 
si  in  premissione  personaliter  interessent.  dantes  et  concedentes  dicto  suo 
sindico  et  procuratori  plcnam  liberarli  et  generalem  et  specialem  administra- 
cionem,  cum  pieno  libero  generali  et  speciali  arbitrio  et  mandato  in  omnibus 
et  singulis  antedictis  et  ab  eis  dependentibus  et  connexis.  Promiserunt  quoque 
ipse  domine  constituentes  per  se  ipsas,  ac  vice  et  nomine  earum  conventus 
et  Monasterij  Jurantes  ad  sancta  dei  evvangelia  tactis  sacris  scriptum  michi 
notano  pubblico  infrascripto  ut  persone  publice  stipulanti  et  recipienti  vice 
et  nomine  omnium  quorum  interest  vel  peterit  interesse  se  perpetuo  firmum 
ratum  et  gratum  habere  et  tenere  orane  id  totum  et  quicquid  per  dietimi 
earum  sindicum  et  procuratorem  et  ab  eo  substituto  vel  substituendis  actum 
factum  et  procuratum  fuerit  in  predictis  vel  quolibet  predictorum  tam  in 
perdendo  quam  in  lucrando.  Volentes  insuper  prefate  domine  constituentes 
dietimi  suum  sindicum  et  procuratorem  et  ab  eo  substituto  vel  substituendis 
ab  omni  satisdacionis  onere  relevare  promiserunt  mihi  notano  infrascripto 
stipulanti,  de  Judicio  sisti  et  iudicatum  solvi  cum  omnibus  suis  clausulis 
oportunis  sub  ypotecha  et  obligacione  omnium  suorum  et  dictorum  Con- 
ventus et  Monasterij  bonorum  mobillium  et  immobilium  tam  presentami 
quam  futurorum  et  omnium  damnorum  et  expensarum  litis  et  extra,  ac 
interesse  refectionis. 

(Sigilo)  Et  ego  Nicolaus  natus  olim  ser  Pauli  de  spilimbergo  publica 
Apostolica  et  Jmperiali  auctoritate  notarius,  supradictis  omnibus  et  singulis 
supranarratis  una  cum  prenominatis  testibus  presella  interfui,  eaque  rogatus 
scribere,  scripsi  in  fidem  testimonium  omnium  premissorum. 


Documento  I. 
1401.  30  Settembre. 

Caterina  di  Prodolone  nomina  a  suoi  esattori  e  fattori  delle  rendite  </'  Isola 
D.  Artico  di  Prodolone,  suo  fratello,  P.  Martino,  cappellano  de!  monastero, 
e  Paulo,  gastaldo  del  suddetto  monastèro. 

In  Xhristi  nomine  amen.  Anno  a  nativitate  eiusdem  Millesimo   Qua- 
drigentesimo  primo  Jndictione  nona  die  ultimo    mensis  septembris  Actum 


—    220    — 

in  ecclesia  Monasteri)  sancte  Marie  ordinis  sancti  Benedicti  extra  muros 
Aquilegie  presentibus  providis  viris  Xristoforo  q.  ser  petri  dicti  perincini 
de  marano  magistro  dominico  q.  Antoni)  de  muzana  habitatori  Marani  et 
Thomaso  q.  Marci  de  pratta  habitatori  flumiselli  testibus  ad  infrascripta 
vocatis  et  rogatis  et  alijs  pluribus  Cumvocatis  et  ad  sonum  campanelle  more 
solito  congregatis  ad  capitulum  supra  infrascriptis  maxime  Venerabilibus  et 
relligiosis  dominabus  Abbatissa  et  Monialibus  monasterij  sancte  Marie  ordinis 
sancti  Benedicti  extra  muros  Aquilegie  cum  capitulo  interfuerunt  domine 
infrascripte  Videlicet  Caterina  de  prodolono  Abbatissa  Caterina  de  laturre 
priorissa  Augnula  de  saneto  Daniele.  Cesaria  de  strasoldo  Margarete  de  Ci- 
vitate  Margareta  de  Goriccia  francisca  et  Clara  de  arenano.  Azila  de  Ca- 
stellano Morosa  de  Attemps  Johana  de  Civitate  et  Zilia  de  omnes  moniales 
professe  Monasterii  antedicti  facientes  representantes  ac  constituentes  totum 
capitulum  et  conventum  Monasterij  prelibati  cum  tunc  non  essent  plures 
que  dicto  Capitullo  possent  comode  Jnteresse  vocatis  omnibus  convocandis 
Jbique  prefate  domine  Abbatissa  Moniales  conventus  monasterij  antedicti 
omnibus  modo  via  Jure  et  forma  quibus  melius  et  efficacius  potuerunt  atque 
sciverunt  fecerunt  constituerunt  ordinaverunt  et  deputaverunt  suos  veros  et 
legiptimos  procuratores  actores  factores  negotiorum  gestores  generales  sin- 
dicos  ac  certos  nuncios  speciales  et  quidquid  melius  et  efficacius  dici  possunt 
Nobilem  (sic)  et  Circumspectos  viros  dominos  Articum  de  prodolono  patrem 
diete  domine  Abbatisse  presbiterum  Martinum  de  brixia  capellanum  dictarum 
dominarum  Monialium  et  paulum  de  goricia  Gastaldionem  antedicti  mona- 
sterij et  conventus  ibidem  presentes  et  hoc  mandatum  in  se  sponte  susci- 
pientes  et  quemlibet  eorum  in  solidum  ita  quod  occupantis  condictio  potior 
non  existat  sed  quod  unus  ipsorum  Jnceperit  alter  prosequi  mediare  valeat 
ac  finire  specialiter  et  expresse  ad  petendum  exigendum  et  recipiendum 
predictis  dominabus  Abbatissa  Monialibus  monasterio  et  conventu  consti- 
tuentibus  et  earum  nomine  ab  hominibus  et  comunitate  terre  Jnsule  ac 
etiam  a  quibuscumquam  alijs  hominibus  et  personis  locorum  ubilibet  con- 
stitutis  omnes  et  singulas  bladorum  vini  oley  denariorum  et  aliarum  qua- 
rumeumque  rerum  quantitates  et  summas  eisdem  dominabus  Abbatisse  mo- 
nialibus monasterij  et  Conventus  constituentibus  tam  per  dictos  homines  et 
personas  ac  comune  diete  terre  Jnsule  quam  etiam  per  alias  quascumque 
comunitates  seu  singulares  homines  et  personas  quorumeumque  locorum 
villarum  seu  terrarum  existant  dictis  dominabus  monialibus  et  conventui 
mo,do  quocumque.  debitas  et  debendas,  et  de  hijs  que  receperint  seu  alter 
eorum  receperit  absolvendum  liberandum  quietandum  et  finalem  quetacionem 
absolutionem  et  pactum  de  ulterius  non  petendo  faciendum  cum  clausulis 


—    221    — 

necessarijs  et  oportunis.  Et  generaliter  in  omnibus  et  singulis  litibus  causis 
questionibus  et  contraversijs  quas  diete  domine  constituentes  et  predictum 
Monasterium  habent  habiture  sunt  et  possunt  habere  cum  quibuscumquam 
hominibus  et  personis  causis  nominibus  et  rationibus  quibuscumquam  tara 
in  agendo  qnam  in  defendendo  Corani  quocumque  Judice  ecclesiastico  vel 
seculare  delegato  vel  subdelegato  dato  vel  dando  Ad  agendum  et  defen- 
dendum  ad  libellum  et  libellos  petitionem  et  petitiones  dandum  et  reci- 
piendum  causam  et  causas  presequendum  litem  contestandum  sacramentum 
tam  calupnie  quam  veritatis  et  cuiuslibet  alterius  generis  licitimi  Juramentum 
in  animam  dictarum  constituentium  prestandum  exceptiones  quaslibet  pro- 
ponendum  ponendum  et  articulandum  et  prepositionibus  et  articulis  ren- 
dendum.  Testes  instrumenta  literas  et  quaslibet  probaciones  et  Jura  produ- 
cendum  et  inducendum  et  partis  adverse  testes  Jurare  videndum  reprobandum 
et  de  falso  accetandum  termina  et  defectus  opponendum  beneficium  resti- 
tutionis  integrum  et  absolutionis  simpliciter  et  ad  cautelam  in  quocumque 
articulo  et  exquavis  causa  implorandum  et  obtinendum  literas  et  rescripta 
tam  gratiam  quam  Justiciam  continentes  impetrandum  et  impetita  contra- 
dicendum,  terminos  et  dilationes  petendum  et  alteri  parti  assignari  videndum 
Judices  et  notarios  eligendum  et  recusandum  de  loco  conveniendum  in  causa 
et  causis  concludendum  suspectos  et  confidentes  dandum  sintentiam  unam 
et  plures  prò  se  ferri  petendum  audiendum  et  ab  ea  vel  eis  et  a  quolibet 
alio  gravamine  illato  vel  inferrendo  appellandum  provocandum  supplicandum 
committendum  intimandum  et  appellationis  causam  prosequendum  usque  ad 
Imeni.  Et  ad  substituendum  et  subrogandum  loco  eorum  et  cuiuslibet  eorum 
in  premissis  et  eorum  quolibet  unum  et  plures  procuratores  illuni  et  illos 
revocandum  et  illum  ac  alios  de  novo  reassumendum  Et  generaliter  ad 
omnia  alia  et  singula  facienda  gerenda  procuranda  et  exequenda  que  in 
premissis  et  eorum  quolibet  neccessaria  fuerint  et  occurrerint  utilia  seu  etiam 
opportuna  et  que  merita  causarum  et  Juris  ordo  exigunt  et  requirunt  et 
que  ipscmet  constituentes  facere  possent  siparaliter  interessent  Quibus  pro- 
curatoribus  suis  et  substituendis  ab  eis  vel  altero  eorum  diete  domine  con- 
stituentes dederunt  plenum  liberimi  et  generalem  mandatum  arbitrium  et 
potestatem  cimi  piena  libera  generali  et  absoluta  administratione  predicta 
omnia  et  singula  procurandum  exercendum  et  exequendum  etiam  si  mandata 
exigant  plus  speciale  promittentes  mihi  notano  infrascripto  ut  publice  persone 
stipulanti  et  recipienti  vice  et  nomine  quorumeumque  Jnterest  interesse 
posset  et  poterit  sicut  perpetuo  firmum  ratum  et  gratum  habere  tenere  et 
observare  quicquid  predictos  carimi  procuratores  et  substituendos  ab  eis  vel 
altero  eorum  factum  gestum  et  procuratum  fuerit  in  premissis  sub  ypotheca 


—   222    — 

et  obligatione  omnium  honorum  dicti  Monasteri]  et  conventus  Et  volentes 
constituentes  prefate  rellevare  et  rellevatos  esse  dictos  suos  procuratores  et 
substitutos  ab  eis  ab  omni  satisdationis  que  prestatur  in  Judicio  de  Judicio 
sisti  et  Judicato  solvendo  in  omnibus  suis  clausulis  opportunis  sub  ypotheca 
et  obligatione  predictis. 

Ego  ysachinus  quondam  ser  petri  de  Merlatis  de  grado  scolasticus 
Aquilegensis  publicus  Jmperiali  auctoritate  notarius  predictis  omnibus  presens 
fui  alijsque  negotiis  oocupatus  per  alium  scribi  et  in  liane  publicam  formam 
redigi  feci  Jdeoque  me  subscripsi  signo  et  nomine  meis  appositis  consuetis. 


Documento  L. 
15 li.  26  Ottobre. 

72  doge  Leonardo  Loredana  raccomanda  al  podestà  d'Isola  d'appoggiare 
il  nunzio  deli 'abbadessa  nella  riscossione  delle  decime. 

Leonardus  Lauredanus  Dei  gratia  Dux  Venetiarum  etc.  Nobili  et  sa- 
pienti viro  Zacharie  Zentano  :  de  suo  mandato  potestati  Jnsule.  Fideli  dilecto. 
Salutem.  et  dilectionis  affectum  :  El  procurator  dele  Venerabili  Monache  de 
madonna  Santa  Maria  fu  ora  deli  muri  de  Aquilegia  è  comparso  avanti  de 
Nui,  dolendosi  grandemente,  che  essendo  sta  brusate.  et  minate  le  Jntrade 
sue  existente  ne  la  patria,  anchor  li  è  azonto  un  altro  male  :  adeo,  che  non 
essendo  provisto,  le  non  haranno  modo  de  viver  ;  qual  è  che  quella  fede- 
lissima Comunità  se  fi  renitente  in  pagarli  el  suo  annuo  affitto  de  libre 
trecento  trenta,  et  orne  sei  de  oglio  vel  circa  :  pertiò,  considerata  la  iusta 
petitione  sua,  né  è  parso  farvi  la  presente,  Jmponendovi,  che  prestar  debiate 
al  nuntio  dele  monache  antedicte  :  qual  per  tal  causa  vieti  de  li  tutti  li  Justi 
et  convenienti  suffragii  el  vi  rechiederà  per  scoder  ditte  sue  Jntrade.  over 
quelle  de  Jure  le  dieno  haver  :  acciò  le  possino  viver  cum,  et  suo.  et  su- 
sten  tarsi. 

Data  Jn  nostro  Ducali  palatio  Die  XXVI°  Octobris  Jndictione  XIVa 
MDXI. 


LE  NECROPOLI  PREISTORICHE  DEI  PIZZUGHI 


Partendo  da  Parenzo,  il  primo  castellicre  che  si  presenta  nella  dire- 
zione di  levante-scilocco,  a  quattro  chilometri  circa  di  distanza  in 
linea  retta  dalla  cittA,  è  quello  di  monte  S.  Angelo,  alto  107  metri  sopra  il 
livello  del  mare.  È  desso  un  ampio  castelliere  a  tre  cinte  concentriche,  di 
cui  la  superiore  conserva  ancora  alcuni  avanzi  delle  antiche  mura,  torniate 
da  grandi  massi  rettangolari  di  pietra  calcare  sovrapposti  1'  uno  all'  altro 
senza  legame  di  cemento,  e  conserva  pure  la  soglia  ed  uno  degli  stipiti 
della  porta  d' ingresso.  Questo  monte  dà  il  nome  alla  sottoposta  amplissima 
valle,  che  si  distende  a'  suoi  piedi  a  guisa  di  un  grande  quadrilatero,  or- 
goglio e  speranza  dei  bravi  agricoltori  parentini,  che  in  breve  volgere  di 
anni  1'  hanno  quasi  per  intiero  trasformata  in  un  vasto  vigneto  modello. 

A  poca  distanza  da  S.  Angelo,  verso  settentrione,  sorge  l'altro  castel- 
liere di  monte  Mordelle,  egualmente  a  tre  cinte  concentriche,  ma  di  dimen- 
sioni molto  più  ristrette  del  primo.  Ormai  di  questo  castelliere  poco  più 
rimane,  essendovi  stata  aperta  nel  monte  una  cava  di  pietre. 

Proseguendo  infine  il  cammino  da  monte  S.  Angelo,  nella  stessa  di- 
rezione di  levante-scilocco,  si  giunge,  dopo  altri  quattro  chilometri  circa 
di  percorrenza,  ai  colli  dei  Pizzughi,  i  quali  chiudono  da  questo  lato  le 
ultime  propaggini  della  valle  suddetta. 

Questi  colli,  quasi  allineati,  sono  tre:  due  di  essi  sono  immediatamente 
attigui  ;  il  terzo  è  distante  dal  colle  mediano  di  circa  300  metri.  Il  colle 
maggiore  ha  l'altezza  di   no  metri  sopra  il  livello  del  mare. 

Intorno  a  cadami  colle  girano  tre  cinte  concentriche,  segno  indubbio 


i —   226   — 

di  castelliere  preistorico.  Delle  antiche  mura  di  difesa  non  vedesi  più  che  qua 
e  là  qualche  rara  vestigia.  Diboscati  i  colli,  le  acque  travolsero  nel  loro 
corso,  non  più  frenato  da  alcun  impedimento,  buona  parte  del  rivestimento 
terroso;  laonde,  venuto  meno  alle  mura  il  sostegno,  lentamente  si  sfasciarono, 
precipitando  a  valle  i  massi  rettangolari  di  pietra,  ond'  erano  formate. 

Per  ampiezza  di  cinte,  i  tre  castellieri  dei  Pizzughi  tengono  un  posto 
di  mezzo  in  confronto  di  molti  altri  castellieri  del  territorio  parentino.  Non 
credo  di  esagerare,  assegnando  in  media  a  ciascuno  di  essi  una  popolazione 
di  almeno  200  abitanti. 

Con  questa  proporzione,  i  31  castellieri  sinora  noti  del  distretto  giudizia- 
rio, che  su  per  giù  corrisponde  all'antico  agro  parentino  —  e  probabilmente 
non  sono  ancora  tutti  —  darebbero  nella  campagna  la  complessiva  popola- 
zione di  allora  di  6200  abitanti.  Ma  essendovene  taluni  di  amplissimi,  non 
dubiterei  che  la  campagna  fosse  popolata,  in  tempi  anteriori  alla  occupazione 
romana,  forse  quanto  adesso,  che  conta  complessivamente  7744  abitanti. 

Una  prova  abbastanza  convincente  della  numerosa  popolazione  del- 
l'Istria ai  tempi  preromani  l'abbiamo,  del  resto,  nei  rinnovati  tentativi  degli 
Istri  ad  impedire  la  fondazione  della  colonia  romana  in  Aquileja  (a.  183  a.  C.) 
e  nella  fiera  lotta  da  essi  opposta  alle  legioni  romane,  condotte  prima  dai 
consoli  Manlio  e  Giunio,  e  poscia  dal  console  Claudio,  le  quali  non  riu- 
scirono che  a  grande  stento,  e  con  molto  eccidio  di  popolo,  a  rendere 
soggiogata  l' Istria  (a.   177  a.  C). 

L'origine  dei  castellieri  risale  ad  un'epoca  molto  remota,  cui  però,  allo 
stato  odierno  delle  indagini  e  delle  osservazioni  raccolte,  non  si  lascia  ancora 
nemmeno  approssimativamente  fissare.  Certo  è  tuttavia  che  i  castellieri  vanno 
attribuiti  ad  uno  stesso  popolo  immigrato  nell'Istria  in  tempi  quando  l'uso 
del  bronzo  era  bensì  noto,  ma  non  ancora  intieramente  cessato  quello 
della  pietra  polita  ;  non  essendo  raro  il  caso  di  rinvenire  nei  castellieri  degli 
esemplari  di  ascie,  di  punte  di  freccia,  di  nuclei  di  selce,  di  ossa  di  cervo 
lavorate  ecc.,  cose  tutte  che  caratterizzano  quest'ultima  epoca.  Così  riusciva 
al  chiar.  dott.  de  Marchesetti  di  rinvenire  ai  Pizzughi,  confusa  fra  altre  pie- 
truzze  calcaree  sparse  sul  terreno,  una  bellissima  punta  di  freccia  silicea  ad 
alette  e  peduncolo. 

Questo  popolo  immigratore  alcuni  vogliono  che  fosse  celtico,  altri 
tracico,  ed  altri  illirio,  strettamente  affine  alle  famiglie  ellenica  ed  italica,  il 
quale  si  distese  appunto  intorno  alle  rive  dell'  Adria,  ed  alle  contermini 
regioni  interne,  fra  le  quali  la  veneta  principalmente,  di  modo  che  Veneti 
ed  Istri  sarebbero  della  stessa  origine.  Quest'ultima  opinione,  oltreché  fondata, 
pei  Veneti  particolarmente,  nelle  fonti  classiche,  sembra  essere  anche  la  più 


—   227   — 

corrispondente  ai  risultati  archeologici  dell'  anzidetta  vastissima  regione  ; 
ma  abbisogna  ancora,  per  quanto  riguarda  l'Istria,  di  una  migliore  con- 
ferma che  non  potrà  venire  che  dal  tempo  e  da  più  vaste  esplorazioni 
archeologiche. 

La  Tavola  I  rappresenta  la  topografia  dei  Pizzughi  e  delle  rispettive 
necropoli  ').  È  d'  avvertire  però  che,  essendo  stati  proseguiti  gli  scavi  in 
varie  direzioni  dopo  disegnata  la  detta  Tavola,  essa  non  rappresenta  quelle 
sezioni  delle  necropoli,  che  vennero  successivamente  esplorate.  Uno  scavo 
metodico  di  quei  sepolcreti  non  è  del  resto  effettuabile,  avendosi  da  fare 
con  campi  coltivati  a  vigna,  e  per  lo  più  a  stretto  filare. 

Le  necropoli  dei  Pizzughi  sono  due,  quella  cioè  del  castellierc  I,  e 
1'  altra  del  castelliere  IL  L  probabile  che  anche  il  castelliere  III  abbia  la 
propria  necropoli  ;  V  indagine  non  ne  fu  però  ancora  tentata.  Le  dette  ne- 
cropoli si  distendono  nel  vento  di  ostro  a  piedi  del  rispettivo  castelliere, 
fuori  della  cinta  inferiore.  Occupano,  su  per  giù,  ciascuna  una  superficie  di 
oltre  due  ettari  di  terreno  inclinato  a  dolce  pendio  verso  la  valle. 

Il  terreno  della  necropoli  del  castelliere  I  è  di  proprietà  di  Giovanni 
Radollovich  detto  Bus,  villico  di  Monsalice  ;  l' altro  della  necropoli  del 
castelliere  II  appartiene  in  parte  a  Domenico  Tamburin,  agricoltore  di 
Parenzo,  ed  in  parte  a  Matteo  Pilato  ed  alla  nob.  famiglia  de  Vergottini, 
pure  da  Parenzo.  L'  uno  dei  fratelli  de  Vergottini,  il  sig.  Giuseppe,  donò 
anzi  cortesemente  al  Museo  parecchi  vasi  di  tombe  fatte  da  lui  escavare  ne! 
proprio  podere,  di  che  mi  è  debito  di  farne  qui  particolare  menzione,  in 
attestazione  anche  del  mio  animo  grato  verso  l'egregio  donatore.  Laddove 
gli  scavi  vennero  però  eseguiti  su  più  larga  scala,  dovunque  permettevalo  le 
colture  del  campo,  si  tu  nel  fondo  Tamburin,  il  quale  prestò  pure,  assieme 
ai  suoi  figli,  premurosa  ed  intelligente  opera  in  tutti  gli  scavi,  che  via  via 
si  sono  andati  facendo  dall'autunno  1883  sino  al  tempo  presente. 

D'allora  in  poi  furono  scoperte  meglio  di  500  tombe.  Molti  vasi  fittili 
in  esse  rinvenuti  furono  dovuti  intieramente  abbandonare  sul  sito,  perché 
schiacciati  sotto  il  peso  delle  sfaldature,  oppure  frantumati  dalla  punta  del 
vomere,  specie  nelle  parti  più  elevate  delle  necropoli,  dove  la  corrosione 
delle   acque   rese   più    superficiali    le   sepolture.  I  vasi   ricuperati,  raramente 


')  Le  Tavole  furono  disegnate  dal  nostro  bravo  istriano  Giulio  De  Franceschi,  ar- 
tista accademico  domiciliato  in  Venezia,  al  quale  la  Direzione  coglie  ben  volentieri  questa 
occasione  per  porgere  publicamente  le  proprie   azioni  di  grazie. 


—    228    — 

intieri,  vennero  ricomposti  con  somma  pazienza  e  perizia  dal  sig.  Michele 
Ghersina,  il  quale  prestò  pure  la  zelante  opera  sua  nell'  ordinamento  dei 
bronzi  riferibili  ad  ogni  vaso,  e  nell'  assetto  materiale  dell'  intiero  Museo. 
Il  sito  delle  tombe  non  è  indicato  da  nessun  segno  esterno.  Esse  non 
seguono  neppure  un  determinato  ordine  di  disposizione.  In  alcune  sezioni, 
e  particolarmente  nella  necropoli  del  castelliere  I,  le  tombe  si  trovarono 
riunite  a  gruppi,  ed  aderenti  l'una  all'altra,  per  vasto  tratto  di  terreno  ;  in 
altre  sezioni  esse  apparvero  isolate,  oppure  largamente  qua  e  là  disseminate  ; 
in  altre  sezioni,  infine,  sebbene  collocate  nel  bel  mezzo  delle  necropoli,  non 
fu  rinvenuta  nemmeno  una  tomba. 

Le  maniere  di  sepolture  si  riducono  a  quattro.  La  prima,  e  più  pre- 
valente in  confronto  di  ogni  altra,  è  quella  della  fossa  cilindrica  irregolare, 
riparata  da  scaglie  di  calcare,  e  coperta  da  una  o  due  lastre  parimenti  di 
pietra  calcarea,  conosciuta  sotto  la  denominazione  di  tomba  a  pozzetto. 

La  seconda  maniera  consiste  in  celle  quadre  di  un  metro  circa  per  lato. 
Queste  tombe  erano  recintate  ai  quattro  lati  da  un  muro  largo  50-60  cm., 
formato  da  massi  poligonali  bene  combaciami  fra  loro,  ma  senza  legame 
di  cemento,  sì  da  non  poter  essere  demolito  che  coli'  impiego  del  piccone. 
Due  grosse  sfaldature  di  pietra  calcarea  ne  copriva  tutto  il  recinto.  Di  questa 
categoria  di  tombe,  disposte  l'una  appresso  l'altra  in  direzione  nord-sud,  ne 
furono  rinvenute  quattro  nella  necropoli  del  castelliere  II. 

Il  numero  e  la  qualità  dei  vasi  di  bronzo  e  di  argilla  trovati  in  queste 
tombe  lasciano  supporre  che  le  medesime  appartenessero  a  famiglie  parti- 
colarmente agiate. 

Qualche  attinenza  con  questa  forma  di  tombe  venne  constatata  nella 
stessa  necropoli  in  altre  quattro  tombe  a  celletta  quadra,  ma  di  più  piccole 
dimensioni  delle  suddescritte,  formate  da  scaglioni  calcari  con  rincalzi  di 
muriccioli  a  secco.  Anche  queste  tombe  aderivano  l'una  all'altra,  ed  erano 
coperte  da  una  enorme  sfaldatura  calcarea  di  quasi  sette  metri  di  superfìcie 
e  dello  spessore  di  30  cm.  —  Ciascuna  tomba  avea  poi  in  separato  altro 
lastrone  di  copertura,  immediatamente  sottoposto  alla  grande  sfaldatura. 
L'apparato  esterno  di  queste  tombe  non  corrispose  però  al  loro  contenuto 
di  vasi  —  in  tutto  13  —  dei  quali  uno  solo  di  bronzo,  consistente  in  una 
conchetta  emisferica,  priva  dei  manichi;  mentre  tutti  gli  altri  vasi  cinerari 
erano  plasmati  di  argilla  grossolana.  Poverissimo  si  presentò  pure  il  corredo 
dei  bronzi,  avendo  le  suddette  tombe  offerto  soltanto  un  ago  crinale  a  globetti 
ed  altri  due  aghi  della  stessa  categoria,  coli'  asta  di  ferro. 

Come  terza  maniera  di  sepoltura  apparve  la  deposizione  del  vaso  in 
semplice  buca,  senza  alcun  presidio  di  muro  od  altro. 


—    229    — 

Quarta  ed  ultima,  la  collocazione  delle  ossa  combuste  nel  nudo  terreno 
al  tondo  della  tomba,  coperte  da  una  lastrella. 

Le  due  ultime  forme  di  seppellimento  devono  considerarsi  però  come 
eccezionali,  essendo  occorse  in  dieci  casi  soltanto. 

Le  tombe  a  pozzetto  contenevano  di  regola  un  solo  ossuario,  ed  ecce- 
zionalmente non  mai  più  di  tre. 

L'ossuario  deposto  nel  terreno,  ed  incuneato  tutt'ah"  ingiro  con  scaglie, 
veniva  coperto  sopra  la  bocca  con  una  o  due  lastrelle.  In  sei  casi  soltanto 
la  lastrella  fu  sostituita  dalla  ciotola  capovolta  sulla  bocca  del  vaso. 

Molto  frequente  si  è  presentata  pure  la  collocazione  del  vaso  fra  sei 
scaglie  a  guisa  di  piccola  cassetta,  sebbene  il  vaso  fìttile  così  presidiato  non 
si  raccomandasse  poi  per  speciale  finitezza  d' impasto,  né  per  la  sua  de- 
corazione. 

I  vasi  di  bronzo  erano  per  lo  contrario  tutti  incassettati,  ed  adibiti,  al 
pari  di  quelli  d'  argilla,  come  ossuario.  Cosi  fu  pure  dell'  elmo  conico,  di 
cui  si  parlerà  più  avanti. 

Ma  mentre  ai  vasi  fittili  non  venivano  di  regola  spezzate  le  anse,  nessun 
vaso  di  bronzo  fu  rinvenuto  coi  manichi  intieri.  AH'  infuori  della  ciotola, 
non  vi  hanno  nelle  tombe  altri  vasi  accessori.  Anche  questa  comparisce  però 
per  sola  eccezione,  quando  come  coperchio  dell'ossuario,  e  quando  deposta 
semplicemente  sull'  alto  della  tomba. 

I  vasi  fittili  aveano  in  generale  un  corredo  più  ricco  di  oggetti  orna- 
mentali dei  vasi  di  bronzo,  sebbene  anche  i  primi,  nel  maggior  numero, 
difettassero  di  ogni  oggetto  ornamentale  :  segno  manifesto  della  povertà  del 
defunto  e  dei  suoi  prossimi  parenti,  od  indizio  che  quelle  tombe  risalgono 
forse  ad  un'  epoca,  nella  quale  il  bronzo  era  ancora  poco  diffuso  fra  quella 
gente  antica.  Gli  oggetti  ornamentali,  quasi  sempre  spezzati,  stavano  depo- 
sitati nello  strato  superiore  dei  resti  cremati,  raramente  al  fondo  dell'  os- 
suario, e  mai  fuori  di  questo. 

La  parte  superiore  di  ogni  ossuario  è  invariabilmente  riempita  di  terra 
mista  a  carbone.  La  pia  cerimonia  dell'ossilegio  veniva  praticata  colla  mas- 
sima accuratezza,  non  essendosi  mai  rinvenuto  fra  le  ossa  combuste  resti 
di  carbone  o  di  altre  materie  eterogenee. 

La  stratificazione  delle  tombe  in  entrambe  le  necropoli  è  sempre  una 
sola.  Come  unica  eccezione  fu  rinvenuto  nella  necropoli  del  castelliere  II,  a 
60  cm.  di  profondità,  un  rozzo  vaso  fìttile,  coperto  da  scodella,  riempiuto 
di  ossa  cremate,  con  entro  alquante  boccettine  lagrimarie  di  vetro,  ed  una 
moneta  enea  dell'Imperatore  Tib.  Claudio  (a.  41-54  d.  C).  Sotto  di  esso 
vaso,  ad  altrettanta  profondità,  e'  era  poi  1'  ossuario  preistorico. 


—  230  — 

Poco  distante  si  è  trovata  pure  un'  urna  cilindrica  di  pietra,  munita  di 
coperchio,  col  contenuto  di  ossa  cremate.  In  prossima  vicinanza  giaceva 
nel  terreno  una  lucerna  fittile  di  argilla  rossa,  sul  piattello  della  quale  è 
rappresentato  un  genietto  in  rilievo,  che  sostiene  colle  mani  un'  umetta. 

Il  rito  funebre  unicamente  osservato  dal  popolo  che  lasciò  le  necropoli 
dei  Pizzughi,  fu  quello  della  cremazione  ed  incinerazione.  Ma  mentre  le 
lastre  calcari  annerite  dal  fuoco,  la  terra  fortemente  nericcia  ed  untuosa,  e 
così  pure  i  resti  di  carbone,  lascierebbero  supporre  che  la  ustione  dei  ca- 
daveri seguisse  nella  necropoli  del  castelliere  I,  sul  sito  stesso  della  sepol- 
tura ;  sembra  che  la  necropoli  del  castelliere  II  andasse  per  lo  contrario 
fornita  di  apposito  rogo,  non  presentando  le  sfaldature  delle  tombe  intense 
macchie  di  annerimento,  ed  apparendo  la  terra  delle  sepolture  soltanto  leg- 
germente venata  di  nero,  con  mescolanza  di  cenere. 

Il  cadavere  veniva  cremato  con  tutti  i  suoi  indumenti  ed  oggetti  or- 
namentali, portando  quest'  ultimi  traccie  indubbie  di  sofferta  combustione. 
Come  prova  ulteriore  che  i  castellieri  dei  Pizzughi  fossero  abitati  anche 
durante  il  più  tardo  periodo  romano,  valga,  per  ultimo,  il  rinvenimento  di 
tre  scheletri  umani,  a  breve  distanza  1'  uno  dall'  altro,  col  capo  volto  a 
ponente  e  le  braccia  tese  lungo  i  fianchi.  L'  uno  di  essi,  che  per  la  parti- 
colarità del  sito  tu  potuto  intieramente  discoprire,  giaceva  disteso  sopra 
una  sfaldatura,  col  corpo  alquanto  inclinato  a  sinistra.  Sotto  la  nuca  vi  era 
collocato  un  vasetto  fittile  inverniciato,  altri  due  vasetti  erano  deposti  sotto 
l'avambraccio  destro.  Lo  scheletro  misurava  in  lunghezza  m.   1.60. 

I  due  crani,  che  furono  ricuperati,  sono  dolicocefali  con  sporgenza 
marcatissima  degli  archi  sopraccigliari  e  forte  depressione  dell'osso  frontale. 
Su  questi  crani  verrà  più  estesamente  riferito  da  persona  competente  nei 
prossimo  volume. 

Nel  terreno,  fra  i  detti  scheletri,  si  trovarono  due  lucerne  di  argilla 
grigio-cinerea  colia  marca  FORTIS  ;  alquante  boccettine  lagrimatorie  di 
vetro;  un  chiodo  di  ferro;  sei  vasetti  fittili  senza  vernice;  due  ampolle  di 
vetro  ansate,  quadrilatere,  una  delle  quali  porta  esternamente  sul  fondo  a 
lettere  leggermente  rilevate,  doppiamente  ripetute,  secondando  i  lati  del 
quadratola  marca:  P.  ACCIVS  ALCIMVS  ');  ed,  infine,  quattro  monete 
enee,  1'  una  dell'  Imperatore  Vespasiano  (a.  69-79  d.  C.),  la  seconda  di  Do- 


')  Gregorutti  don.  Carlo.  La  figulina  imperiale  i'ansiana  ed  i  prodotti  fittili  del- 
l'Istria. («Atti  e  Memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  »  —  Parenzo,  voi.  II,  fase.  i,° 
e  2.0,  anno  1886). 


—    231    — 

iniziano  (a.  81-96),  la  terza  di  Trajano  (a.  98-117)  e  la  quarta  non  più 
decifrabile  '). 

In  altra  sezione  del  campo,  dove  il  terreno  era  stato  profondamente 
sconvolto  già  in  tempi  precedenti,  apparve  parimenti  il  frammento  di  un  vaso 
aretino  colla  marca  entro  un  quadrilatero  ad  angoli  rotondati,   contornato 

LVCC 

da  quattro  cerchielli   leggermente  rilevati  :     +  T  *  .    —   Neil'  interno    porta 

graffite  le  lettere  :  L  '  AS  *).  Per  ultimo,  si  rinvenne  un  fondo  di  tazza  colla 
marca:  PRISCI  '). 

Prescindendo  da  questi  ritrovati  d' inoltrata  epoca  romana,  le  necropoli 
preistoriche  dei  Pizzughi,  oltreché  non  differire  nei  caratteri  essenziali  da 
quella  di  Verino  4),  corrispondono  quindi  pei  sistemi  usitati  delle  sepolture 
e  pel  rito  costante  della  cremazione,  alle  necropoli  della  prima  età  del  ferro 
di  Este,  Villanova,  Bologna  ecc.  nell'Italia  superiore;  ed  al  di  là  delle  Alpi, 
per  accennare  alle  più  prossime  soltanto,  a  S.  Margarethen,  Zirknitz  e 
Watsch  nella  Carniola,  Villacco  nella  Carintia,  e  Maria  Rast  nella  Stiria. 

Fo'  qui  seguire  l' inventario  del  materiale  archeologico  sinora  raccolto 
nelle  necropoli  predette,  il  quale  giugne  sino  alla  chiusa  dell'  anno  li 

1 

2 

4 
5 

6 

7 
8 


Vasi  fittili  a  varia  forma,  senza  decorazione N.r  130 

»  »      decorati  a  rilievo »  io 

»  »            »        a  graffito »  15 

»  »      dipinti  a  pennello »  6 

»  »      a  vernice  lucida  di  ocra  e  grafite »  3 

»  »      a  stralucido »  1 

»  »  con  rappresentazione  animale  (anitre  graffite)   .     .  »  1 

»  »      a  granitura »  1 

»  »      colla  spirale  conimi  dietro  a  rilievo »  4 


')  La  lettura  non  facile  di  queste  monete  molto  consumate  dall'ossido  è  dovuta  alla 
gentilezza  del  Socio-direttore  prof,  l'uschi,  il  quale  si  è  prestato  pure  alla  classificazione 
di  molte  altre  monete  possedute  dal  Museo  provinciale 

*)  Gregorutti  dott.  Carlo.  Op.  cit. 

3)  Ibidem. 

')  Amoroso.  /  castellieri  istriani  e  la  necropoli  di  Verino.  («Atti  e  Memorie  della 
Società  istriana  di  archeologia  »,  fase,  unico,  1885).  —  Marchesetti.  La  necropoli  di  Verino 
presso  'Pisino  nell'Istria  {* Bollettino  della  Società  adriatica  di  scienze  naturali  in  Trieste», 
voi.  Vili,  1883).  —  Moser.  'Bericht  ùber  di  Necropole  v.  Verino  (Band.  LXXXIX  d.  Sitzb. 
d.  Akad.  d.  Wissenschaftcn,  I  Abth.  Mai-Heft.  1884,  mit.  V.  Taf.). 


—  232  — 

io.  Vasi  fittili  con  listelli  di  piombo N.r  i 

11.  »        »  situle  a  zone  cordonate »  2 

12.  »        »  a  cordoni  rilevati »  1 

13.  »        »  frammenti   di  diversi   vasi    apuli  di   bassa  età,   ed 

etrusco-campani »        8 

14.  Ciotole  ad  ansa  quadra  o  rotonda »       13 

15.  »        senza  ansa »        9 

Di  queste  :  decorate  a  meandro  rettilineo  colla  im- 
pressione della  verghetta  spiraliforme    N.r    6 

a  meandro  graffito »       1 

con    rappresentazione    animale    (  anitre 

graffite) »       1 

coli'  orlo  periato »       1 

senza  decorazione »     13 

16.  Scodelle-coperchio »        5 

17.  Coppa  a  triangoli  graffiti »         1 

18.  Anse  a  cornettini »        2 

19.  Pesi  di  argilla »        1 

20.  Cista  a  cordoni  di  bronzo ' »        1 

21.  Situle  di  bronzo »        7 

22.  Conche  emisferiche  di  bronzo »        5 

23.  Elmo  conico  di  bronzo »         1 

24.  Fibule  a  barchetta  di  bronzo »        2 

25.  »  a  sanguisuga  di  bronzo »  2 

26.  »  serpeggianti  di  bronzo »  6 

27.  »  ad  arco  e  lunga  staffa  di  bronzo »  2 

28.  »  a  bottoni  di  bronzo »  1 

29.  »  con  staffa  a  testina  di  animale  di  bronzo     ....  »  1 

30.  »  ad  arco  laminare  di  bronzo »  1 

31.  »  Certosa  di  bronzo »  4 

32.  »  (frammenti)  di  ferro »  2 

33.  »        di  tipo  gallico  (La  Tene)  di  bronzo »         1 

34.  Aghi  crinali  a  globetti  di  bronzo »        8 

35.  »  »       »        »        con  asta  di  ferro »        2 

36.  »  »       »        »        (frammenti)  di  ferro »        2 

,  37.      »  »       con  testa  a  piattello  di  bronzo »         2 

38.      »  »  »        »      a  riccio  di  bronzo »         1 

39.' Spilloni  di  bronzo »        7 

40.  Anelli  laminari  di  bronzo    .     .     ; »      *4 


—  233  — 

41.  Anelli  a  spirale  di  bronzo N.r  16 

42.  Armille  a  nastro  piatto  di  bronzo »  8 

43.  »        a  spirale  di  filo  rotondo  0  quadrangolare  (molti  fram- 

menti) di  bronzo »  14 

44.  »        ad  un  solo  filo  rotondo  liscio  di  bronzo    ....  »  32 

45.  »         »     »       »       »         »         grallito  di  bronzo      ...»  3 

46.  »         ad   uncino  di  bronzo »  io 

47.  »        a  cannello  vuoto  di  bronzo »  6 

48.  »        a  nastro  piatto  e  cordonato  esternamente  di  bronzo  ».  1 

49.  »        con  un  solo  cordone  longitudinale  (molti  frammenti)  »  1 

50.  »        a  lamelle  riunite,  di  cui  la  superiore  lavorata  a  sbalzo 

(frammenti) »  1 

51.  Placche  di  centurone  di  bronzo »  19 

52.  Orecchini  di  bronzo »  3 

53.  Bottoni               »           »  59 

54.  Rotella                »           »  1 

55.  Saltaleoni           »          »  2 

56.  Pendagli  :  capsulette  triangolari  lavorate  a  sbalzo,  di  bronzo  .  »  3 

»          secchielli  di  bronzo »  2 

»          pettini              »         »  4 

»          triangolari  a  lamina  di  bronzo »  3 

»          a  forma  di  uccelletto  di  bronzo »  3 

57.  Manichi  a  doppia  orecchietta  in  forma  di  croce  latina  di  bronzo  »  3 

58.  Disco  (umbone)  di  bronzo »  1 

59.  Aste  massiccie  ritorte  (d'  incerto  uso)  di   bronzo      ....  »  4 

60.  Coltelli  di  bronzo »  2 

61.  »        di   ferro »  2 

62.  Mollettine  di  bronzo »  1 

63.  Cura-orecchie  di  bronzo »  2 

64.  Ami  di  bronzo »  1 

6j.      »     di  ferro »  1 

66.  Lande  di  ferro »  6 

67.  Perle  di  vetro  di  colore    bluastro  con  incrostazione  di  giallo  »  8 

68.  »       »       »       di  vari  colori »  6 

69.  Dischetti  di  ambra  per  collana »  26 

70.  Anello  d'  ambra  inlìlato  in  un'  armilla  di  bronzo     ....  »  1 

71.  Aghi  di  osso »  1 

72.  Figurina  di  argilla »  1 

73.  Fusajole »  40 


—  234  — 

74-  Pestelli  di  pietra N.'      3 

75.  Cote  di  arenaria »        2 

76.  Ossa  di  cervo  lavorate  (raschiato)) »        4 

77.  Punteruoli »        6 

78.  Scheggie  di  selce. 

79.  Frammenti  di   macina  di  trachite. 

80.  Corna  di  cervo,  di  capriolo,  di  pecora,  denti  di  bue  e  di  cavallo. 

Delle  molte  tombe  scoperte  dò  appresso  la  descrizione  soltanto  di  quelle 
che  per  la  qualità  o  forma  dei  vasi,  oppure  pel  loro  contenuto  archeologico, 
possono  destare  un  interesse  speciale  e  meglio  caratterizzare  le  necropoli 
in  discorso. 

Necropoli  del  Castelliere  I. 


i') 


0.80 


0.90 


0.80 


0.70 


Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  d'argilla  rude,  di  colore  rossastro, 
non  lisciato  esternamente,  a  ventre  rigonfio,  col  cono  supe- 
riore tozzo,  mancante  di  collarino  del  labbro,  ed  ornato  al 
sito  della  maggiore  rigonfiatura  di  tre  semiovali  equidistanti 
a  rilievo  (Tav.  II,  fig.  7).  Nel  vaso  due  armille  di  bronzo 
a  nastro  piatto,  ornate  di  meandri  incisi  a  bullino  (Tav.  Vili, 

fig.  4)- 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  d'  argilla  depurata,  privo  di  anse, 
a  doppio  cono  rigonfiato  a  mezzo,  lisciato  esternamente, 
e  decorato  di  zone  verticali  bicrome  a  tinte  evanescenti 
(Tav.  Il,  fig.  2). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  d'argilla  rude,  rigonfiato  a  mezzo, 
abbandonato.  Entro  il  vaso  un  ago  di  bronzo  a  globetti,  la 
fibula  serpeggiante  con  dischetto  infilzato  nell'arco  (Tav.  VII, 
fig.  3),  ed  altre  tre  fibule  della  stessa  forma. 

Tomba  a  pozzetto.  —  Situla  d'argilla  alquanto  depurata,  lisciata 
esternamente,  col  maggiore  rigonfiamento  sotto  il  collo,  dove 
ripiegandosi  orizzontalmente  con  rapida  strozzatura  forma  il 
breve  collo  cilindrico,  col  labbro  spianato  in  fuori  (Tav.  II, 


')  Il  primo  è  il  numero  delle   tombe   secondo  il  giornale   degli    scavi  : 
numero  indica  la  profondità  di  cadauna  tomba. 


il  secondo 


—  235  — 


fig.  6).  Nel  vaso  il  pendaglio  di  bronzo  a  pettine,  ornato  di 
cerchietti  incisi  e  puntino  nel  mezzo  (Tav.  VII,  fig.  23), 
franamenti  di  armilla  a  filo  sottile  colle  estremità  a  fiorellino 
rotondo  ed  uncino,  un  anello  laminare  e  frammenti  di  placca 
di  centurone. 

0.80  Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  d'argilla  rude,  rigonfiato  a  mezzo. 
Nel  vaso  un  coltello  spezzato  di  ferro  serpeggiante  ed  iden- 
tico a  quello  raffigurato  nella  Tav.  IX,  n.  20,  il  secchiolino 
di  bronzo  della  Tav.  VII,  fig.  17,  un  anello  di  bronzo  a 
spirale,  e  due  aste  ritorte  con  testina  piatta. 

0.70  Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  a  forma  di  situla,  di  argilla  gros- 
solana, ornato  sotto  il  collo  di  quattro  bugitene  equidistanti 
e  con  labbro  spianato  in  fuori  (Tav.  II,  tìg.  8).  Nel  vaso 
il  pendaglio  a  pettine  decorato  di  puntini  incisi  (Tav.  VII, 
fig.  22),  frammenti  di  armilla  a  filo  rotondo  e  quadrangolare, 
e  l'anello  di  bronzo  a  nastro  piatto,  con  nervatura  longitu- 
dinale (Tav.  IX.  fig.  4). 

0.70  Tomba  a  pozzetto.  —  Frammenti  di  due  vasi  di  bronzo  e  di 
altro  vaso  di  argilla  rude.  Al  fondo  della  tomba,  fra  le  ossa 
combuste,  Y  armilla  spirale  di  bronzo  a  filo  rotondo,  col- 
l' intreccio  di  nn  nodo  nel  filo  superiore  (Tav.  Vili,  fig.  5), 
frammenti  di  altra  armilla  pure  a  filo  rotondo,  ed  un'  asta 
di  bronzo  ritorta  colla  testa  a  capocchia.  —  Sull'  alto  della 
tomba  il  coltello  di  ferro  serpeggiante  ed  a  lungo  còdolo 
(Tav.  IX,  fig    20). 

0.80  Tomba  a  pozzetto.  —  Situla  fittile  cordonata  e  zonata,  a  tinte 
alternative  di  ocra  e  grafite  (Tav.  Ili,  fig.  5).  Entro  il  vaso 
n.  36  bottoni  di  bronzo  con  peduncolo  (Tav.  IX,  fig.  16), 
due  capsule  triangolari,  vuote,  fatte  di  sottilissime  lamelle, 
ornate  l'ima  di  lineette  e  punteggiature  a  sbalzo,  e  l'altra  di 
cerchietti  con  fiorellino  nel  mezzo  (Tav.  VII,  fig.  16,  18), 
anelli  di  catenella  a  filo  rotondo,  ed  infine  la  fibula  a  bottoni 
e  lunga  staffa,  ornata  di   lineette  incise  (Tav.   VII,  fig.  8). 

0.70  Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  rude,  rossastra,  rigon- 
fiato a  mezzo.  Nel  vaso  un' armilla  di  grosso  filo  cilindrico 
a  cinque  giri  di  spirale,  altra  armilla  a  cannello  vuoto,  fram- 
mento di  una  terza  armilla  a  filo  quadrangolare,  un  anello 
a  spirale,  e  la  fibula  serpeggiante,  raffigurata  nella  Tav.  VII, 
n.  4. 


236 


14 


o.6o 


20 


1.20 


22 


0.80 


26 


0.80 


28 


1.00 


31 


32 


1.00 


I.IO 


Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  grossolana,  abbandonato. 
Nel  vaso  frammenti  di  armilla  a  grosso  filo  cilindrico,  due 
anelli  laminari,  un  frammento  di  asta  ritorta,  e  la  fibuletta 
a  sanguisuga,  ornata  di  lineette  incise  e  di  sette  cerchietti 
riempiuti  di  materia  biancastra,  disposti  simmetricamente 
sulla  sommità  dell'  arco  (Tav.  VII,  fig.  5). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  rude  rigonfiato  a  mezzo, 
ansato,  col  labbro  sporgente  in  fuori.  Nel  vaso  il  frammento 
della  placca  di  centurone  con  decorazione  a  bullino  di  ani- 
trelle  disposte  su  due  file,  divise  da  fascette  di  linee  parallele 
e  da  zone  a  %ig-%ag  ed  a  meandro  ;  le  anitrelle  della  prima 
fila  corrono  in  direzione  opposta  a  quelle  della  seconda 
(Tav.  X,  fig.  8). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  fittile  di  pasta  ordinaria,  rossastro, 
lisciato  esternamente,  di  forma  sferica  e  fondo  piatto,  collo 
alto  e  labbro  cordonato  all'  ingiro  dell'  orlo  alquanto  spor- 
gente in  fuori.  Alla  sommità  del  ventre  è  decorato  di  quattro 
sigle  in  rilievo  equidistanti  (Tav.  Ili,  fig.  3).  Una  ciotola 
fittile  priva  di  ansa  e  di  decorazione,  e  frammenti  di  un  terzo 
vaso  di  argilla  rude. 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  d' impasto  ordinario,  ab- 
bandonato. La  bocca  del  vaso  era  coperta  da  una  ciotola 
capovolta  pure  di  pasta  ordinarissima,  non  ingubbiata,  con 
ansa  quadra  ed  orifizio  rientrante,  e  decorata  intorno  al  corpo 
di  un  meandro  rettilineo,  ottenuto  coli'  impressione  di  una 
verghetta  spiraliforme,  il  cui  cavo  era  riempiuto  di  materia 
biancastra  (Tav.  VI,  fig.   1). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  ordinaria,  di  colore  ros- 
sastro, lisciato  esternamente,  tozzo  al  cono  superiore  tronco 
ed  ornato  intorno  al  ventre  della  spirale  corrimi  dietro  in 
rilievo,  serrata  fra  due  cordoni  orizzontali,  dei  quali  il  su- 
periore forma  il  contorno  dell'orifizio  del  vaso  (Tav.  II,  fig.  4). 
Nel  vaso  due  anelli  laminari  di  bronzo. 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  d'impasto  ordinario,  non 
lisciato  esternamente,  a  ventre  rigonfio  e  colle  anse  spezzate, 
ornato  di  bugnette,  con  collo  ricurvo  e  labbra  spianate  in 
fuori  (Tav.  II,  fig.  12). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  fittile  di  pasta  grossolana,  abban- 
donato.  Sulla  bocca  del  vaso  una  ciotola   capovolta,  d' im- 


—  237  — 


42 


0.70 


45 


46 


0.70 


0.70 


48 


0.70 


49 
52 


1.00 


0.50 


pasto  ordinario,  lisciata  esternamente,  con  ansa  quadra,  ori- 
fizio rientrante,  decorata  di  meandro  rettilineo  graffito  con 
punta  di  stecca,  e  riempiuto  nel  cavo  di  materia  bianca 
(Tav.  VI,  fig.  3).  Nella  ciotola  la  rotella  di  bronzo  e  l'orec- 
chino munito  di  gancio  (Tav.  IX,  fig.  io,  6).  Nel  vaso  il 
saltaleone  (Tav.  VII,  fig.  21),  due  anelli  per  catenella,  l'uno 
dei  quali  ritorto  e  1'  altro  liscio. 

Tomba  a  pozzetto.  —  Ciotola  fittile  decorata  di  un  giro  di  perle 
sotto  all'  orlo,  fra  due  cordoni  orizzontali  a  rilievo,  di  cui 
il  superiore  forma  1'  orlo  del  vaso  (Tav.  VI,  fig.  5).  Nella 
ciotola  la  placca  di  centurone  a  meandro  inciso  e  fascie  di 
Vg-KPg  (Tav.  X,  fig.  1). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  ordinaria,  abbandonato. 
Entro  il  vaso  resti  di  placca  di  centurone  a  meandro  inciso 
e  fascie  a  zig-^ag  (Tav.  X,  fig.  7. 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  depurata,  munito  di  ansa 
anulare,  lucidato  a  grafite,  con  ventre  rigonfio,  collo  slan- 
ciato e  labbra  spianate  in  fuori.  Alla  sommità  del  ventre  è 
decorato  di  una  fila  di  anitrelle  graffite,  che  corrono  da  si- 
nistra a  destra  tutto  all'  ingiro  del  vaso,  serrate  da  linee  oriz- 
zontali graffite,  mentre  la  zona  inferiore  è  occupata  da  un 
meandro  spezzato  e  contornato  parimenti  da  una  triplice 
fascia  orizzontale  di  linee  graffite.  Il  graffio  delle  anitrelle  e 
delle  linee  è  riempiuto  di  materia  biancastra  (Tav.  IV,  fig.  3). 
Nel  vaso  il  frammento  di  placca  di  centurone  decorato  di 
anitrelle  smilze,  che  corrono  in  direzioni  opposte,  fra  tre 
zone  a  meandro  (Tav.  X,  fig.  9). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  rude  di  colore  rosso, 
lisciato  esternamente,  non  ingubbiato,  ornato  della  spirale 
corrimi  dietro  a  rilievo  (Tav.  II,  fig.  3).  Nel  vaso  due  fram- 
menti di  placca  di  centurone,  identici  nel  disegno  a  quello 
della  Tav.  X,  fig.  3. 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  simile  a  quello  della  tomba  N.  46, 
decorato  di  fascette  a  x'g~\"g  c  meandro  spezzato  (T.  IV,  f.  1). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Và"so  di  argilla  rude,  non  lisciato  ester- 
namente, del  solito  colore  rossastro,  a  doppio  tronco  di  cono, 
privo  di  ansa  e  col  labbro  spianato  in  fuori.  Nel  vaso  due 
fibule  ad  arco  e  lunga  staffa,  che  finisce  in  bottone  (Tav.  VII, 
fig.  6),  resti  di  placca  di  centurone  e  di  anelli  laminari, 


—  238  — 


54 


SS 


0.60  Tomba  a  pozzetto.  —  Basso  vaso  cilindrico  di  argilla  ordinaria, 
non  lisciato  ed  ornato  di  quattro  cordoni  a  rilievo  ritorti, 
che  girano  intorno  al  corpo  (Tav.  VI,  fìg.  4).  Nel  vaso  i  due 
pendagli  laminari  di  forma  triangolare,  ornati  di  cerchietti 
incisi  con  puntino  nel  mezzo,  all'uno  dei  quali  sono  appese, 
mediante  un  anellino,  tre  figurine  umane  aventi  il  capo  co- 
perto da  una  specie  di  pileo,  colle  braccia  arcuate  e  corpo 
tozzo  (Tav.  VII,  fìg.    19,  20). 

0  g0  Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  ordinaria,  abbandonato. 
Nel  vaso  lo  spillone  di  bronzo  con  testina  ad  ombrello  e 
sottopostovi  globetto  e  disco  ;  la  punta  dello  spillone  entra 
in  un  astuccio  di  osso  ornato  di  lineette  parallele  e  cerchietti 
(Tav.  VII,  fìg.   15). 


Necropoli  del  Castelliere  II. 


1  1  1.20 


1.20 


1.10 


Tomba  a  grande  cella  quadra.  —  Nella  tomba  due  situle  di 
rame,  formate  di  una  sola  lamina  sottile,  riunita  dall'alto  al 
basso  da  borchie  dello  stesso  metallo,  la  quale  si  congiunge 
mediante  rimboccatura  e  chiodi  disposti  orizzontalmente  ad 
altra  lamina,  che  forma  il  fondo  del  vaso,  ed  una  cista  a  cor- 
doni di  bronzo.  Cadauno  di  questi  vasi  era  protetto  da  una 
cassetta  formata  di  sci  scaglie  (Tav.  VI,  fig.  7,  9,   io). 

Tomba  a  grande  cella  quadra.  —  Entro  a  cassetta  di  sei  scaglie 
la  conca  di  bronzo  decorata  di  doppia  zona  di  meandro  fra 
due  linee  orizzontali  di  dentelli,  coi  manichi  spezzati  (Tav.  VI, 
fig.  12).  Nel  vaso  un  ago  crinale  a  globetti,  coll'asta  spezzata 
di  ferro.  Situla  fittile  cordonata  e  zonata  a  tinte  alternative 
di  ocra  e  grafite.  Altra  situla  d' impasto  ordinario,  col  labbro 
spianato  in  fuori,  lisciata  esternamente,  ma  non  ingubbiata 
(Tav.  II,  fig.  9). 

Tomba  a  grande  cella  quadra.  —  Fra  sei  scaglie  il  vaso  di 
forma  quasi  sferica,  con  bocca  recinta  da  una  slabratura,  due 
anse  anulari  ed  un  esile  sottopiede  emisferico.  È  plasmato 
di  argilla  finissima  di  -colore  arancio-pallido  e  dipinto  a  pen- 
nello largo  di  fascie,  triangoli,  scacchi  e  cerchielli  di  colore 
brunastro,  sopra  fondo  non  verniciato  (Tav.  V,  fig.  2).  Pa- 
rimenti fra  sei  scaglie  la  brocca  sferica  con  collo  cilindrico. 
Questo  vaso  rassomiglia  perfettamente  al  primo  peli' impasto 


—  239 


1.00 


18 


19 


0.80 


0.80 


di  argilla  depurata  e  pel  modo  di  dipintura  (Tav.  V,  fig.  1). 
Parte  inferiore  di  altro  vaso  sferico  eguale  al  primo. 

Tomba  a  grande  cella  quadra.  —  Conchetta  di  bronzo  emisfe- 
rica, riposta  entro  ad  altra  urna  di  argilla  ordinarissima, 
coli'  orlo  decorato  di  fascie  incise  a  Z}g-?fig  e  di  lineette 
parallele.  Manca  delle  anse  a  croce,  simili  a  quelle  della 
Tav.  VI,  fig.  il.  Situìa  di  argilla  depurata  di  colore  rosso, 
lisciata,  con  piedino  ed  orlo  formato  da  un  cordone  (Tav.  Ili, 
fig.  6).  Nel  vaso  l'armilla  spirale  a  filo  quadrangolare  della 
Tav.  Vili,  fig.  6.  Vaso  fittile  d' impasto  ordinario,  lisciato 
esternamente,  di  forma  schiacciata  e  colore  rossastro,  deco- 
rato della  spirale  corrimi  dietro  a  rilievo.  Nel  vaso  due  ai- 
mille  di  bronzo  a  filo  rotondo,  le  cui  estremità  finiscono  a 
gancio  ed  uncino  (Tav.  Vili,  fig.   1). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  conico  di  argilla  grossolana,  privo 
di  anse.  Nel  vaso  l'armilla  di  bronzo  ad  un  solo  filo  rotondo, 
ornata  di  due  nodi  rigonfiati  a  cordone  (Tav.  Vili,  fig.  2). 

Tomba  a  pozzetto  coperta  da  una  grande  sfaldatura.  —  Elmo 
conico  di  bronzo  coi  fianchi  curvilinei,  formato  da  una  sola 
lamina  tirata  a  martello,  senza  congiunture,  alto  cm.  20, 
con  un  diametro  alla  base  di  cm.  23  ed  una  grossezza  della 
lamina  di  mm.  1  '/»•  Pesa  57°  gr-  Alla  base  la  lamina 
è  internamente  ripiegata  per  17  mm.  Su  questo  campo 
corre  esternamente  una  ornamentazione  orizzontale  di  trian- 
goli riempiuti  di  linee  parallele,  coi  vertici  rivolti  in  dire- 
zione opposte  e  scavalcati,  sì  da  farne  risaltare,  nello  spazio 
vuoto  intermedio,  la  figura  del  X}g-%*g  ').  Nei  punti  corri- 
spondenti alle  tempie,  l'elmo  è  munito  di  due  forellini  per 
parte,  ai  quali  stava  probabilmente  fissata  la  coreggia  per  il 
soggolo.  Dall'  alto  al  basro  dell'  elmo,  sino  alla  linea  oriz- 
zontale, formata  dalla  ripiegatura  della  lamina,  si  dipartono 
dall'  una    parte   due  fila  di  undici    forellini   rotondi    e   dalla 


')  Il  disegno  dell'elmo  venne  dato  per  la  prima  volta  nelle  Mitlh.  dtr  k.  k.  Ctntral- 
Commission  di  Vienna  (voi.  XI,  fase.  2,  1885),  e  poscia  nel  Bullettino  di  paletnologi»  ila- 
liana  (a.  1S85).  In  entrambi  quei  disegni,  l'elmo  figura  privo  di  ogni  ornamentazione,  la 
quale  fu  appena  più  tardi  scoperta,  cioè  dopo  esperita  qua  e  l.ì  qualche  ripulitura  della 
incrostazione  di  ossido  che  lo  ricopre  intieramente. 


—  240  — 


20 


o.8o 


21 


23 


27 


30 


0.80 


O.7O 


1.00 


32 


0.70 


35 


0.60 


parte  opposta  parimenti  due  fila  di  cinque  forellini,  l'ultima 
avendone  invece  tre  (Tav.  VI,  fig.  8).  Sotto  lo  stesso  lastrone, 
e  nella  stessa  tomba,   fu  rinvenuta   una  conca  emisferica  di 
bronzo  decorata  intorno   all'  orlo  di   fascie    incise  a  zjg-^fig 
e  di  gruppi  di  lineette  parallele.  —  Ciascuno  di  questi  vasi 
era  collocato  in  cellette  di  sei  scaglie. 
Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  grossolana,  abbandonato. 
Nel  vaso  l'ago  crinale  di  bronzo  a  globetti  alternati  da  dischi 
e  la  fibula  a  barchetta  ad  arco  ampio  e  ventricoso,  decorato 
d' incisioni  a  Z}g~\fig,  con  un  anello  alla  sommità  dell'arco, 
per  appendervi  qualche  gingillo  (Tav.  VII,  fig.  7,  9). 
Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  ordinaria,   abbandonato, 
la  cui  bocca  era  coperta  dalla  ciotola  (Tav.  VI,  fig.  6),  pure 
d' impasto  ordinarissimo. 
Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  rude,  non  lisciato,  di  forma 
rotondeggiante  e  col  collarino  del   labbro  appena    sbozzato 
(Tav.  Ili,  fig.  9). 
Tomba  a  pozzetto.  —  Situla  di   bronzo  a  frammenti,   formata 
di  lamina  sottile,  riunita  mediante  rimboccatura  e  chiodi  a 
testa  piatta.  Manca  dei  manichi. 
Tomba  a  pozzetto.  —  Grande  vaso  di  argilla  rude,  di  tinta  ne- 
rastra, non  lisciato  esternamente,  rigonfiato  a  mezzo  e  privo 
di  anse,  collo  slanciato  e  labbra  alquanto  ripiegate  in  fuori. 
Nel  vaso  1'  ago  crinale  con  testa  a  piattello  e  margini  forati, 
per  appendervi  dei  gingilli  (Tav.  VII,  fig.   13),  un  anello  a 
otto  giri  di  spira  di  filo  sottile  (Tav.  IX,  fig.  2),  frammenti 
di  anelli  laminari,  un  bottone  con  peduncolo,  e  due  fusajole 
sferiche  di  argilla,  una  delle  quali  è  decorata  a  spirale  otte- 
nuta colla  impressione  di  una  verghetta  spiraliforme  (Tav.  IX, 

fig-  7)- 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  alquanto  depurata,  di  co- 
lore brunastro,  lisciato  esternamente  colla  stecca,  non  ingub- 
biato,  a  due  tronchi  di  cono,  dei  quali  il  superiore  viene  a 
formare  con  bella  curva  il  collo  del  vaso,  avente  le  labbra 
spianate  in  fuori  (Tav.  II,  fig.  5). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  conico  di  argilla  ordinaria,  di  co- 
lore rossastro,  non  lisciato  esternamente,  fornito  di  ansa 
anulare,  rigonfiato  alla  sommità  del  ventre  e  con  collo  cilin- 
drico (Tav.  Ili,  fig.   12). 


—  241 


I.IO 


1.40  Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  a  forma  di  situla,  di  argilla  gros- 
solana e  tinta  rossastra,  non  lisciato  esternamente,  coperto  da 
una  scodella  dello  stesso  impasto  e  colore  (Tav.  Ili,  fig.  8). 

1.40  Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  d'argilla  ordinaria,  rossastra,  col 
cono  tronco  superiore  tozzo,  non  lisciato  e  decorato  allo 
ingiro  da  zig-zag  rilevati  fra  due  cordoni  orizzontali  a  rilievo 
ed  orlo  parimenti  cordonato  (Tav.  II,  fig.  io). 
Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  fittile  d' impasto  ordinario  e  colore 
rossastro,  non  lisciato,  rigonfiato  a  mezzo,  privo  di  anse, 
fondo  schiacciato,  ornato  di  tre  bugnette  e  col  labbro  ripie- 
gato in  fuori.  Nel  vaso  1'  armilla  laminare  di  bronzo,  colla 
pagina  esteriore  longitudinalmente  cordonata  (Tav.  VIII,  fi- 
gura 8),  l'ago  crinale  di  bronzo  a  due  globetti,  lo  spillone 
(Tav.  VII,  fig.  12,  14),  e  resti  di  un  pendaglio  triangolare 
a  pettine. 
Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  d'argilla  rude  rigonfiato  a  mezzo, 
abbandonato.  Nel  vaso  placche  di  centurone  frammentate, 
lavorate  a  bullino  con  incisioni  a  ZJg-ZJig  e  meandri  vaga- 
mente intrecciati  con  combinazioni  svariate  (Tav.  X,  fig.  4,  5). 
Tomba  a  pozzetto.  —  Coppa  di  argilla  ordinaria  di  colore  bruno, 
lisciata  esternamente  colla  stecca,  munita  di  piedino  cordonato 
e  decorata  all'  ingiro  del  labbro  di  triangoli  graffiti  riempiuti 
di  linee  parallele.  Nel  cavo  delle  linee  veggonsi  ancora  i  resti 
di  una  materia  biancastra  (Tav.  VI,  fig.  2). 

0-9°  Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  grossolana  di  colore  ros- 
sastro, non  lisciato,  rigonfiato  a  mezzo,  privo  di  anse  e 
decorato  di  z}g~Z.ag  rilevati  fra  due  linee  orizzontali  in  cavo 
(Tav.  II,  fig.   11). 

0.40  Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  d' argilla  ordinaria,  abbandonato. 
Nel  vaso  sei  perle  vitree  di  colore  opaco,  ornate  di  cerchietti 
circolari,  incrostati  di  giallo  (Tav.  IX,  fig.  1 1),  e  due  anelli 
a  spirale. 

0.40  Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  ordinaria,  abbandonato. 
Nel  vaso  sei  perle  vitree,  quattro  di  forma  sferica  e  due  al- 
quanto schiacciate.  Una  perla  è  di  colore  bluastro,  due  di 
colore  opaco;  le  altre  di  vetro  bianco  (Tav.  IX,  fig.  14,  15). 
Si  rinvennero  altresì  dieci  piccoli  dischetti  di  ambra  con  fio- 
rellino nel  mezzo,  ed  i  resti  della  placca  di  centurone  a  mean- 
dri punteggiati  (Tav.  X,  fig.  6). 


0.90 


1.00 


i« 


—  242  — 


45 


0.40 


46 


0.60 


52 


53 


0.80 


0.80 


54 


1.10 


56 


59 


0.60 


0.60 


73 


0.90 


Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  rude,  abbandonato.  Nel 
vaso  vari  frammenti  della  placca  di  centurone  a  meandro 
spezzato  fra  due  zone  di  fascie  reticolate  (Tav.  X,  fig.  2),  e 
1'  armilla  spirale  a  filo  rotondo  (Tav.  Vili,  fig.  7). 

Queste  tre  tombe  erano  attigue  l'una  all'altra,  e,  per  es- 
sere quasi  alla  superficie  del  terreno,  i  vasi  erano  ridotti  a 
minutissimi  pezzi. 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  rigonfiato  di  argilla  di  mediocre 
impasto,  coli'  ansa  spezzata,  lucidato  a  grafite  e  decorato  a 
granitura,  coi  cavi  riempiuti  di  materia  biancastra  (Tav.  IV, 
fig.  4).  Nel  vaso  molti  resti  di  armille  a  verga  rotonda  e 
quadrangolare,  ed  un' armilla  a  cannello  vuoto,  con  una  delle 
estremità  rastremata  sino  a  finire  in  punta,  la  quale  entrava 
nel  cannello  dell'  altra  estremità  (Tav.  Vili,  fig.  3). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  nerastra  d' impasto  or- 
dinario, rigonfiato  nella  parte  superiore,  lisciato  esternamente 
e  munito  di  due  anse  ad  aletta  quadra,  con  foro  rotondo  e 
bugnetta  nel  mezzo  del  vaso  (Tav.  Ili,  fig.  11). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  alquanto  depurata  di  colore 
rosso,  lisciato  esternamente,  ma  non  ingubbiato,  di  forma 
cilindrica,  decorato  di  tre  cordoni  orizzontali  internamente 
vuoti,  munito  di  alto  manico  ad  orecchia  impostato  sui  due 
cordoni  superiori  e  coll'orlo  a  cordone  ritorto  (Tav.  II,  fig.  1). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  alquanto  depurata,  lisciato 
esternamente,  di  tinta  nerastra,  rigonfiato  a  mezzo  e  colle 
labbra  spianate  in  fuori.  Nel  vaso  1'  anello  spirale  e  1'  altro 
anello  laminare  con  nervatura  longitudinale  mediana  (Tav.  IX, 

fig-  i,  3)- 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  ordinaria,  abbandonato. 
Nel  vaso  la  mollettina  ed  il  cura-orecchie  di  bronzo,  raffi- 
gurati nella  Tav.  IX,  n.   17,   18. 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  rude,  abbandonato.  Nel 
vaso  la  fibula  Certosa,  la  cui  staffa,  anziché  finire  nel  solito 
bottone,  presenta  una  testina  di  animale  colle  orecchie  di- 
ritte (Tav.  VII,  fig.  2),  ed  il  pendaglio  a  forma  di  uccello 
(Tav.  IX,  fig.  13). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  nerastra,  lisciato  esterna- 
mente, di  forma  emisferica,  breve  collo  cilindrico  e  manico 
impostato  sul!'  orlo  (Tav.  Ili,  fig.  2). 


—  243 


1.20 


o.8o 


0.70 


1.20 


1.00 


0.80 


0.80 


0.80 


Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  grossolana  nerastra,  di 
forti  pareti,  lisciato  esternamente,  rigonfiato  al  ventre,  con 
alto  collo  cilindrico,  ansa  anulare,  e  decorato  di  bugnette  alla 
sommità  del  ventre  (Tav.  Ili,  fig.   io). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  rude,  abbandonato.  Nel 
vaso  due  fibule  Certosa  (Tav.  VII,  fig.  1),  e  gli  spilloni 
(Tav.  VII,  fig.   io,   11). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  grossolana,  non  lisciato, 
a  ventre  rigonfio,  col  cono  tronco  superiore  tozzo  e  privo 
di  collarino  del  labbro.  Nel  vaso  il  coltello  di  bronzo  fuso, 
tutto  di  un  pezzo,  colla  schiena  grossa  e  rialzata,  e  manico 
semilunato  ritorto.  Vi  si  rinvennero  altresì  alquanti  resti  di 
centurone,  un  bottone  e  n.  16  dischetti  di  ambra  con  forel- 
lino  nel  mezzo  (Tav.  IX,  fig.  23). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  fabbrica  etrusco-campana  di  ele- 
gantissima forma  (Tav.  Ili,  fig.  7)  ed  il  vasetto  a  vernice 
lucida  (Tav.  Ili,  fig.  1). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  d' impasto  ordinario,  a 
doppio  tronco  di  cono  e  labbro  spiegato  in  fuori.  Nel  vaso 
la  figurina  umana,  plasmata  di  argilla,  della  Tav.  IX,  fig.  8. 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  di  argilla  alquanto  depurata,  lucidato 
a  grafite,  rigonfiato  a  mezzo,  ansato,  decorato  all'  ingiro  del 
ventre  di  meandro  a  linee  spezzate,  graffite,  riempiute  di 
materia  biancastra,  collo  slanciato  e  labbro  spianato  in  fuori 
(Tav.  IV,  fig.  5). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  simile  al  precedente,  ornato  sotto 
il  collo  di  fregi  a  dentello  ed  intorno  al  ventre  di  triangoli 
graffiti  (Tav.  IV,  fig.  6). 

Tomba  a  pozzetto.  —  Vaso  simile  ai  due  precedenti,  decorato 
di  meandro  e  fascie  a  ^jg-^ag  graffite  (Tav.  IV,  fig.  2).  Nel 
vaso  il  coltellino  serpeggiante  di  bronzo  a  manico  piatto, 
decorato  a  bullino  sulle  due  faccie  della  lama  di  piccoli  rombi 
disposti  su  due  fila  parallele,  e  sul  manico  di  una  fila  sola 
(Tav.  IX,  fig.  24). 


Passando  ora  alla  compendiosa  rivista  di  tutto  questo  materiale  ar- 
cheologico, convienmi  innanzi  tutto  rilevare  la  svariata  serie  dei  fittili 
rinvenuti  nelle  due  necropoli,  i  quali  indubbiamente  appartengono  alle  in- 
dustrie locali. 


—  244  — 

Come  il  lettore  se  ne  sarà  già  avveduto  dalla  descrizione  dei  singoli 
vasi  e  dall'  ispezione  delle  Tavole  in  cui  ne  sono  raffigurate  le  principali 
forme,  la  tecnica  dei  medesimi  si  manifesta  in  generale  semplicissima  assai. 
Plasmati  a  mano,  senza  il  sussidio  del  tornio  e  raramente  lisciati  ed  in» 
gubbiati,  detti  vasi  sono  cotti  al  fuoco  libero  ed  in  modo  disuguale, 
scorgendosi  nelle  parti  più  cotte  una  zona  nericcia  in  mezzo  a  due  di  colore 
rosso,  mentre  nelle  meno  cotte  la  pasta  apparisce  totalmente  nera.  La  quale 
è  pur  essa  molto  grossolana,  essendo  composta  di  argilla  rude,  unita  a  car- 
bone e  a  granuli  di  spato  calcare. 

Le  forme,  come  dissi,  sono  svariatissime,  prevalendovi  però  sopra  tutte 
le  altre  quella  del  vaso  rigonfiato  a  mezzo  o  presso  il  labbro. 

Vi  ricorre  pure  frequente  la  forma  a  doppio  cono,  in  cui  il  collarino 
del  labbro  manca  od  è  rudimentale,  ed  il  cono  tronco  superiore,  anziché 
essere  sviluppato  e  slanciato,  rimane  come  tozzo  ;  poi  viene  quella  a  cono 
rovescio;  ed  infine  la  siiula  imitante  il  noto  tipo  di  Este. 

Nelle  decorazioni  dei  vasi  veggiamo  di  preferenza  usitato  1'  ornato  a 
rilievo  consistente  in  cordoni  orizzontali  lisci,  oppure  ritorti,  in  fregi  a  ^ig-Xflg, 
in  bugnette,  perle  ecc.,  e  nella  spirale  corrimi  dietro. 

La  decorazione  graffata  a  triangoli,  dentelli  e  meandri,  o  con  rappre- 
sentazione animale,  spicca  particolarmente  nel  gruppo  dei  vasi  riprodotti 
nella  Tav.  IV,  e  così  pure  nelle  ciotole  e  nella  coppa  raffigurate  nella 
Tav.  VI,  n.  i,  2  e  3. 

La  decorazione  a  granitura  è  rappresentata  da  un  solo  esemplare  di 
vaso,  in  quello  cioè  della  Tav.  IV,  n.  4. 

La  riempitura  del  cavo  delle  linee  con  materia  biancastra,  quale  mezzo 
di  ornamentazione  dei  vasi,  ricorda  quella  stessa  decorazione  che  vediamo 
usitata  a  Este  nel  primo  e  più  antico  periodo,  a  Golasecca  egualmente  nel 
primo  periodo,  a  Bismantova,  a  Bologna  ecc. 

Nei  riscontri  dei  fittili  con  quelli  di  altre  necropoli,  il  chiar.  prof.  Orsi, 
che  ha  studiato  con  amore  e  con  quella  rara  erudizione  che  lo  distingue 
queste  nostre  necropoli  '),  ha  già  rilevato  qualmente  i  cinerari  della  Tav.  II, 
fig.  2  e  5,  richiamino  particolarmente  alla  foggia  tipica  dei  vasi  atestini  del 


')  Orsi.  Scoperte  archeologiche  nell'Istria  («  Bullettino  di  corrispondenza  archeologica  », 
febbraio  1885,  Roma).  —  Sopra  le  recenti  scoperte  nell'Istria  e  nelle  Alpi  Giulie  («  Bullettino 
di  paletnologia  italiana»  anno  XI,   1885. 


—  245  — 

secondo  e  terzo  periodo  '),  e  rammentino  pure  l'ossuario  di  Villanova.  La 
stessa  forma  di  vasi  ricorrerebbe  anche,  secondo  lui,  a  Maria  Rast  nella 
Stiria,  a  Pilichsdorf  nell'Austria  inferiore,  a  Watsch  nella  Carniola  e  nei 
sepolcri  di  quel  gruppo  ;  benché  io  debba  confessare  di  non  essere  stato 
capace  di  ravvisarla  dal  confronto  di  questi  nostri  vasi  coi  disegni  di  quelli 
rinvenuti  in  queste  ultime  necropoli. 


')  Per  maggiore  intelligenza  dei  lettori  non  faniigliarizzati  con  questi  studi,  trovo 
utile  di  avvertire  che  il  prof.  Alessandro  Prosdocimi  constatò  nella  sua  esauriente  rela- 
zione sulle  necropoli  di  Este,  publicata  nelle  «Notizie  degli  scavi  di  antichità  comunicate 
alla  R.  Accademia  dei  Lincei  ecc.»  (Roma,  1882)  che  quelle  necropoli  non  vanno  oltre  la 
prima  età  del  ferro,  e  si  chiudono  colla  civiltà  romana,  e  rappresentano  quattro  distinti 
e  successivi  periodi. 

Il  prof.  Helhig  in  una  lettera  diretta  al  prof.  Prosdocimi  e  publicata  nel  «  Bullettino 
dell'Istituto  di  corrispondenza  archeologica  (Roma,  1882)  si  e,  alla  sua  volta,  provato  di 
stabilire  una  cronologia  assoluta  delle  antiche  necropoli  atestine.  —  Secondo  1'  Helbig  il 
quarto  od  ultimo  dei  periodi  stessi  sarebbe  rappresentato  (sino  allora)  da  due  sole  tombe. 
Esaminando  le  monete  romane  trovate  nell'  una  e  gli  oggetti  di  stile  e  foggia  celtica 
rinvenuti  nell'altra,  egli  opina  «  che  il  periodo  medesimo  siasi  svolto  fra  il  quarto  secolo 
a.  Cr.  e  la  seconda  meta  del  secondo,  senza  che  si  possa  stabilirne  *  né  il  principio  ne 
la  line  ».  Taluni  vasi  dipinti,  usciti  da  tombe  del  terzo  periodo,  forniscono  all'A.  il  prin- 
cipale argomento  per  «stabilire  il  principio  del  terzo  periodo  della  civiltà  atestina  nella 
seconda  metà  del  quinto  secolo  a.  Cr.  »,  il  quale  periodo  poi  «ha  durato  almeno  una 
buona  parte  nel  quarto  secolo».  Da  ciò  consegue  che  il  secondo  periodo,  «per  il  quale 
»  sono  caratteristici  i  vasi  di  argilla  con  sovrinfisse  borchie  di  bronzo,  e  che  generalmente 
»  mostra  una  civiltà  analoga  a  quella  che  si  scorge  nel  secondo  stadio  Beateci  e  nel  se- 
»  polcreto  arcaico  Arnoaldi-Veli  (anieinlue  del  suburbio  di  Bologna),  ha  durato  fin  dentro 
»  la  metà  del  quinto  secolo  a.  Cr.  ».  Quanto  alla  data  del  primo  periodo  dei  sepolcri  ate- 
stini  e  al  principio  del  secondo,  1'  Helbig  non  esprime  alcuna  opinione.  Dice  solo  del  primo 
che  le  tombe,  «  nella  costruzione,  come  nel  contenuto,  si  raffrontano  a  quelle  scoperte 
»  presso  Bologna  e  Villanova  e  nel  predio  Benacci  »  e,  a  quanto  pare,  col  più  arcaico 
dei  due  stadii,  nei  quali  il  Zannoni  ha  diviso  le  menzionate  necropoli  bolognesi  ». 

(Pigorixi.  «Bull.  pai.  it.  »,  a.  1883,  pag.  no). 

Il  prof.  G.  Gherakdini,  nell'erudito  suo  lavoro  sulle  Antichità  scoperte  nel  fondo  Ba- 
rattila tiene,  io  massima,  parimenti  ferma  la  divisione  dei  periodi  fissata  dal  Prosdocimi, 
diversificandola  alquanto  solamente  per  i  criteri  che  la  informano.  Secondo  il  Ghcrardini 
«  1'  unico  divario  consisterebbe  nella  fusione  di  due  dei  periodi  del  Prosdocimi  in  un  pe- 
riodo solo,  che  in  ogni  caso  è  poi  da  suddividere  in  due  stadi  diversi».  Di  modo  che  «il 
materiale  archeologico  primitivo  di  Este  dovrebbesi  considerare  partito  in  tre  grandi  gruppi 
e  riferirsi  a  tre  periodi  strettamente  connessi,  ma  in  pari  tempo  distinti  l'uno  dall'altro: 
un  periodo  più  antico,  Italico  ;  uno  mediano,  Veneto  ;  uno  più  recente,  Gallico.  11  primo 
corrisponderebbe  al  tipo  di  Villanova  ;  il  secondo  sarebbe  il  vero  tipo  di  Este  ;  ed  il  terzo 
il  tipo  di  La  Tene  »  («  Notizie  degli  scavi  ecc.  »,  giugno  1888). 


—  246  — 

Notevole  è  altresì  il  vaso  della  stessa  Tav.  fig.  1,  il  quale  ricorderebbe 
le  ciste  fittili  a  cordoni  di  Villanova  presso  Bologna,  note  dalle  publicazioni 
del  compianto  senatore  conte  Gozzadini,  alle  quali  ciste  farebbe  pure  ri- 
scontro il  frammento  di  vaso  fittamente  cordonato,  raffigurato  nella  Tav.  IX, 
n.  5. 

Un'  altra  particolarità  di  vasi  frequenti  nelle  necropoli  dei  Pizzuglii, 
rilevata  dall'Orsi,  è  quella  del  gruppo  rappresentato  dalla  Tav.  II,  fig.  3,  4, 
7,  io  e  11,  i  quali  vasi  ripeterebbero  nella  forma  più  elementare,  fornitaci 
dal  n.  7,  l'ossuario  arcaicissimo  di  Bovolone  ')  e  passerebbero  poi  a  ricor- 
dare, nel  progressivo  loro  sviluppo,  le  forme  dell'ossuario  di  Bismantova  2). 

Non  è  meno  degno  di  nota  il  vaso  in  forma  di  coppa  della  Tav.  VI, 
fig.  6,  il  quale,  secondo  quanto  egli  opina,  sarebbe  però  un  mero  capriccio 
di  artefice,  non  rinvenendosi  di  tale  foggia  di  fittili  nessun  esemplare  ad 
Este,  e  neppure  nelle  necropoli  camiche. 

Una  specialità  delle  necropoli  dei  Pizzugbi  sarebbero  per  lo  contrario 
le  ciotole  raffigurate  nella  Tav.  VI,  n.  1,  3  e  6,  le  quali,  come  osserva 
l'Orsi,  non  troverebbero  altro  riscontro  per  l'orifizio  rientrante  e  per  l'ansa 
quadra,  che  in  una  serie  molto  consimile  di  scodelette,  che  proviene  da 
necropoli  picene,  e  si  conserva  ancora  inedita  nel  Museo  preistorico  di  Roma. 
Non  prestandosi  per  la  loro  conformazione  ad  essere  adoperate  da  vaso 
potorio,  direi  che  quelle  ciotole  servissero  molto  probabilmente  da  vaso 
rituale,  per  ispegnere  con  vino,  secondo  1'  antichissimo  costume,  le  ceneri 
ardenti,  quando  il  rogo  era  tutto  bruciato,  oppure  per  aspergere  con  latte 
e  vino  le  ossa  del  morto. 

Meritano  pure  particolare  menzione  le  situle  ad  imitazione  di  quelle  di 
Este  (Tav.  II,  fig.  6,  8,  9,  e  Tav.  Ili,  fig.  8),  la  prima  delle  quali  per  la 
sua  forma  ricorderebbe  più  specialmente  le  situle  atestine  dell'  epoca  di 
transizione  dal  secondo  al  terzo  periodo  3).  Egualmente  rimarchevoli  sono 
le  anse  che  portano  al  disopra  due  cornetti,  e  ricorrono  ad  Este  nel  terzo 
periodo  (Tav.  IX,  fig.  9). 

Sebbene  di  secondaria  importanza,  vanno  pure  ascritte  alla  produzione 
fittile  locale  le  cosidette  fusajole  ed  il  peso  d'argilla  della  Tav.  IX,  fig.  12. 
Le  prime  variano  di  forma,  essendo  ora  sferiche  o  coniche  ed  ora  schiac- 


')  «Bull.  pai.  it.  ».  Tav.  XII,  n.  1  e  4,  a.  1879. 
'     *)  Ibidem.  Tav.  Vili,  n.  2-8,  a.  1876. 

')  Prosdocimi.  «Bull.  pai.  it.  »,  1880,  p.  91,  Tav.  VI,  fig.  1  e  «Not.  d.  scavi  ecc.» 
Tav.  IV,  fig.  1, 


—  247  — 

date  ;  le  sferiche  vanno  di  frequente  ornate  della  spirale  ricorrente,  sem- 
plice o  doppia  (ib.  fig.  7),  ottenuta  coli'  impressione  di  un  girellino,  o  di 
una  verghctta  spiraliforme. 

Il  fìgulo  istriano  volle  provarsi,  per  ultimo,  anche  colla  riproduzione  in 
plastica  della  figura  umana  (Tav.  IX,  fig.  8):  rozzo  modello,  se  vuoisi,  ma 
del  quale  ne  va  pure  tenuto  conto. 

Fra  i  fittili  di  provenienza  estera,  il  posto  di  onore  appartiene  senza 
dubbio  ai  due  vasi  della  Tav.  V.  —  Premessane  la  descrizione,  il  prof.  Orsi, 
che  di  questa  categoria  di  vasi  ha  fatto  argomento  di  diligentissimo  studio, 
esprimevasi  nel  suo  primo  articolo,  inserito  nel  «  Bullettàio  di  corrispon- 
denza archeologica  »  come  segue  :  «  Per  la  loro  foggia  non  si  richiamano 
a  nessuna  forma  tipica  greca,  ma  uno  di  essi  potrebbe  aver  qualche  comu- 
nanza collo  slamnos,  un  altro  con  un'  hydria,  e  sopra  tutto  con  quelle  forme 
cipriote  scoperte  e  pubblicate  dal  Cesnola.  Se  non  che  in  Italia  una  sola 
regione  ha  dato  vasi  non  verniciati  e  dipinti  a  puro  stile  geometrico  di 
fabbrica  locale,  lì  questa  è  i'Apulia  e  la  Calabria.  Accennerò  solo  di  volo 
ai  più  antichi  tra  essi,  trovati  dal  Viola  a  Taranto  {Bull.  1881  p.  178),  di 
forme  in  genere  svariate  ma  piccole  ;  esse  non  si  conoscono  molto  esatta- 
mente per  lo  scarso  numero  dei  medesimi  fino  ad  ora  pubblicato,  sebbene 
non  sia  scarsa  la  messe  dei  rinvenuti.  Ma  in  fine  ci  richiamano  molto  ai 
vasi  precorìnzii  dell'arcipelago  greco,  ed  ai  ciprioti.  Questo  genere  di  sto- 
viglie in  Italia  comincia  almeno  col  70  secolo,  continua  a  fabbricarsi  anche 
durante  l' importazione  dei  vasi  attici  a  figure  rosse  e  nere  (saggi  a  Canosa 
AcaJcmy  1880  pag.  14),  e  rappresenta  la  ceramica  indigena  volgare,  usata 
dai  poveri  e  dal  volgo  fino  al  chiudersi  del  secolo  5,  ossia  per  stabilire  un 
termine  medio  fino  al  400. 

»  Nei  due  secoli  successivi  s' incontra  invece  nei  prodotti  di  fabbrica 
locale  la  comparsa  di  un  nuovo  tipo,  che  il  Lenormant  propose  di  chiamare 
anfora  iapigia,  essa  pure  di  creta  giallo-pallida,  con  decorazioni  brunastre 
e  rossastre  pure  geometriche,  ma  meno  rigide  delle  precedenti,  poiché  si 
inizia  qualche  dettaglio  preso  dal  mondo  vegetale,  ed  in  pochissimi  esem- 
plari (tre  o  quattro)  si  trovano  pure  rappresentazioni  di  animali  ed  uomini, 
ma  condotte  in  maniera  ben  trascurata  :  una  delle  principali  caratteristiche 
di  tali  anfore  è  anche  la  rotula,  con  teste  dipinte  a  raggi  di  ruota,  quale 
appunto  la  si  vede  in  uno  dei  nostri  esemplari.  Che  tali  due  vasi  istriani 
debbano  assegnarsi,  se  non  nettamente  all'una  od  all'altra  delle  due  citate 
categorie,  almeno  però  al  periodo  di  fabbricazione  locale  ora  ricordato,  che 
comincia  col  VII  secolo  e  finisce  col  II,  nissuno  lo  negherà  ;  e  poiché  i 
nostri  tipi  presentano  una  rigida  decorazione  geometrica,  senza  indizio  ve- 


—  248  — 

runo  di  clementi  presi  dal  mondo  vegetale  od  animale,  ed  uno  di  essi 
offre  simiglianza  incontestata  colle  brocche  cipriote  (Cesnola-Stern  Cypern, 
Tav.  LXXXVI,  2,  4  et  alibi)  sovratutto  pel  beccuccio  cilindrico,  sono  in- 
dotto a  crederli  forme  intermedie  fra  i  due  gruppi  suddescritti,  col  secondo 
dei  quali  hanno  affinità  per  la  tipica  rotula.  Così  che  in  tondo  essi  potreb- 
bero attribuirsi  al  400  circa. 

»  Colla  quale  epoca  vanno  in  perfetto  accordo  anche  i  bronzi  trovati 
e  sopratutto  le  fibule,  che  nei  loro  tipi  segnano  una  cronologia,  se  non 
assoluta,  pure  abbastanza  esatta;  e  poi  anche  le  ciste  a  cordoni,  proprie 
esse  pure  del  quinto  secolo,  e  che  dopo  le  scoperte  di  Taranto,  di  Rugge 
e  di  Grathia  (Ga^.  archéol.  VII  p.  93)  pare  non  si  possa  più  disconoscere, 
ripetano  la  loro  origine  dalla  Grecia  ». 

Rispetto  agli  altri  frammenti  di  vasi  forestieri  rinvenuti  nelle  necropoli 
dei  Pizzughi,  il  prenominato  professore  osservava  poi  nel  secondo  suo  scritto 
inserito  nel  «  Bull  di  palet.  italiana  »  quanto  appresso  :  «  In  molte  di  esse 
(tombe)  si  trovarono  cocci  di  vasi  pure  meridionali,  che  mi  fu  dato  esaminare 
in  originale,  ma  che  disgraziatamente  per  la  loro  piccolezza  lasciano  appena 
determinare,  ed  in  una  maniera  larga,  la  fabbrica  onde  provengono.  La 
maggior  parte  dimostrano  frattura  antica,  e  taluni  anche  forellini  per  le 
cuciture  col  filo  metallico.  Pare  dunque  che  non  sieno  stati  deposti  nelle 
tombe  vasi  interi,  ma  solo  frammenti,  se  non  si  voglia  pensare  ad  una  spo- 
gliazione antica,  della  quale  non  fa  parola  l'Amoroso  ').  Tra  questi  avanzi 
ho  riscontrati  due  o  tre  frammenti  di  quelle  ceramiche  che  una  volta  si 
dissero  impropriamente  di  Gnathia,  ma  che  sono  diffuse  per  tutta  l'Apulia 
ed  abbondano  nei  musei  di  Bari,  Lecce,  Oria  e  Taranto  ;  probabilmente 
anche  queste  sono  di  fabbrica  tarantina,  od  almeno  da  Taranto  si  diffusero 
i  fabbricatori  delle  medesime  ed  appartengono  al  periodo  in  cui  l' impor- 
tazione attica  è  cessata.  Le  loro  caratteristiche  furono  fissate  sopratutto  dal 
de  Witte  e  consistono  in  una  vernice  nera  di  qualità  cattiva  e  facilmente 
alterabile,  con  leggerissime  decorazioni  bianche,  gialle  e  violacee,  che  ripro- 
ducono simboli  dionisiaci.  Il  migliore  dei  tre  saggi  della  necropoli  istriana 
presenta  la  spirale  «  corrimi  dietro  »,  sotto  cui  dei  festoni  a  foglie  d'edera 
con  cirri  di  vite.  Per  ultimo  si  raccolsero  pochi  altri  cocci  apuli  di  bassis- 
sima età,  decorati  a  grandi  palme  e  a  foglie  di  lauro;  e  poi  gli  avanzi  sicuri 
del  fondo  di  almeno  due  vasi  indeterminabili,  di  fabbrica  etrusco-campana 


')  Furono  rinvenuti  in  un  terreno  già  in  precedenza  profondamente  rimaneggiato. 


—  249  — 

a  vernice  nera  iridiscente,  e  coperti  di  baccellature  verticali  ;  genere  di  ce- 
ramiche che,  come  ognuno  sa,  si  attribuisce  al  finire  del  3.°  secolo  ed  a 
tutto  il  secondo  ». 

In  una  nota  a  pie'  di  pagina  di  quesf  ultimo  scritto,  è  rilevata  la 
circostanza  che  anche  a  Verino  si  è  trovato  un  vaso  d' importazione,  e 
probabilmente  di  fabbrica  apula,  il  quale  «  disgraziatamente  si  conosce  solo 
per  un  cattivo  disegno  pubblicato  dallo  Schram  con  una  notizietta  sugli  scavi 
di  Verino  nelle  Milibeihmgen  della  Commissione  di  Vienna  per  la  conser- 
vazione dei  monumenti  (1884,  pag.  CLIV).  Posso  dire  soltanto  che  presenta 
la  forma  di  un  askos,  ed  è  decorato  di  poche  linee  e  di  una  doppia  fascia  a 
spina  di  pesce  ').  Si  badi  che  degli  askos  di  fabbrica  locale  si  trovarono  anche 
negli  striti  bolognesi  e  cornetani  più  antichi  ». 

E  conchiudeva  questi  studi  gii  nel  primo  dei  succitati  articoli,  colle 
testuali  che  qui  riferisco  : 

«  Mi  sono  molto  diffuso  sopra  questi  fittili  extralocali  ed  ho  tentato 
fissarne  con  qualche  accuratezza  la  cronologia,  perchè  è  la  prima  volta,  per 
quanto  mi  consta,  che  non  solo  alle  estremità  superiori  dell'  Italia,  ma  in 
tutto  il  bacino  del  Po  si  trovano  i  prodotti  delle  fabbriche  del  sud-est  della 
penisola.  Sebbene  vasi  a  vernice  nera,  molto  simili  a  quelli  etrusco-campani 
siensi  persino  trovati  in  una  necropoli  catalana  del  3.°  secolo  a.  C.  {Ga^. 
arch.,  VII,  5).  Importa  dunque  il  poter  spiegare  questo  fatto,  e  tosto  si 
ricorrerA  colla  mente  ai  famosi  commerci  dei  Tarentini  ;  non  parlo  delle 
ciste  a  cordoni,  che  si  trovano  diffuse  ovunque  per  l' Italia,  e  nell'  Europa 
centrale  e  persino  in  Polonia,  ma  che  certo  non  si  potr.i  dire  vi  siano  state 
portate  dai  Tarentini  stessi.  Ma  sono  indizi  di  commerci  coli'  Italia  centrale 
le  monete  di  zecca  tarentina,  che  non  di  rado  si  trovano  in  quel  di  Ancona 
e  Macerata  ("Bull.  List.  1882,  p.  84);  e  dalla  spiaggia  picena  alla  opposta 
dell'  Istria  e  della  Dalmazia  non  è  lunga  la  traversata,  che  oggi  ancora  si 
compie  in  poche  ore  con  navi  a  vela,  sicché  è  tutt'  altro  che  improbabile 
1'  esistenza  di  relazioni  tra  le  due  coste  opposte  ;  relazioni  esercitate  dagli 
Istriani  colle  loro  agili  e  veloci  scriììa  ricordate  da  Verrio  (presso  L.  Pomp. 
Fest.  De  s.  v.  Serrila  Verrius  appeìlari  pula!  navigia  Hislrica  ac  Liburnica) 
o  con  trabicula  (ibidem),  foggia  di  naviglio,  che  lasciò  il  nome  ai  moderni 
trabacoli.  Anzi  siamo  in  grado  di  concretare  e  dire  di  più.   Floro  (I,   18) 


')  Un  vaso  di  forma  consimile,  plasmato  di  argilla  finissima  e  di  pareti  sottili,  ma 
senza  decorazione,  proveniente  dalle  necropoli  di  Vermo,  è  pure  posseduto  dal  Museo 
provinciale. 


—  250  — 

afferma  che  Taranto,  centro  della  Calabria  Lucania  ed  Apulia  (e  noi  po- 
tremmo anche  aggiungere  delle  fabbriche  industriali,  che  spandevano  i  loro 
prodotti  fittili  fino  all'  Istria)  «  in  omnes  terras  Hislrias,  lllyricum,  ecc.  vela 
dimittit  ».  Ecco  dunque  una  attestazione  molto  utile  al  caso  nostro,  di  quei 
viaggi  commerciali  dei  Greci  dell'  Italia  meridionale,  limitati  non  solo  alla 
costa  adriatica  dell'  Italia  (ove  dopo  il  450  circa  sorgono  fattorie  ad  Adria, 
Spina  e  poi  ad  Ancona,  Numana  ecc.)  ma  pur  anco  sulla  opposta.  Viaggi 
che  però  erano  giudicati  molto  pericolosi  nell'alto  Adriatico  (Lisia  Or.  32 
e.  25),  ove  scorrazzavano  coi  pirati  Histri  i  Liburni  e  gli  Illirici,  che  furono 
il  terrore  di  quelle  acque,  fin  quando  nel  228  a.  C.  1'  opera  energica  dei 
Romani  spazzò  non  solo  il  mare  dai  corsari,  ma  segnò  anche  l'iniziamento 
della  potenza  loro  nell'Adriatico». 

Alla  categoria  dei  fittili  estranei  alle  industrie  locali  vanno  aggiunti  : 
1'  oinochoe  di  argilla  depurata,  di  colore  grigio,  coli'  ansa  intrecciata  a  nodo, 
rinvenuta  in  un  terreno  altra  volta  profondamente  lavorato  (Tav.  Ili,  fig.  4), 
dove  furono  trovati  altri  quattro  manichi  identici  ;  il  bel  vaso  di  fabbrica 
etrusco-campana  (ib.  fig.  7),  servente  da  ossuario  nella  tomba  n.  82  della 
necropoli  del  castelliere  II  ;  ed  infine  le  note  situle  cordonate  e  zonate, 
oppure  liscie  e  col  cordone  intorno  al  collo  soltanto,  le  quali  costituiscono 
una  specialità  del  terzo  periodo  della  necropoli  di  Este  (ib.  fig.  5  e  6). 

Come  a  Verino,  così  anche  ai  Pizzughi,  i  vasi  di  bronzo  si  riducono 
a  tre  forme,  cioè  situle,  ciste  a  cordoni,  e  vasi  emisferici,  ossia  conche, 
che  l'Orsi  chiama  anche  lebeti,  per  la  loro  assoluta  simiglianza  coi  vasi 
greci  di  tal  nome  e  di  tipo  arcaico. 

Le  prime  sono  raffigurate  nella  Tav.  VI,  n.  7  e  9,  e  si  raffrontano 
perfettamente  colle  situle  rinvenute  negli  strati  umbri  de  Lucca,  Benacci  ed 
Arnoaldi-Veli  di  Bologna  '),  nel  Bellunese,  dove  si  fanno  molto  più  nume- 
rose, a  Vadena  nel  Trentino,  a  Hallstatt  ecc.  per  non  dire  delle  stupende 
situle  figurate  a  sbalzo,  o  graffite,  di  Bologna,  Este  e  Watsch  nella  Carniola. 
Altre  quattro  situle  furono  pure  rinvenute  nella  necropoli  di  S.  Lucia  *). 

La  cista  a  cordoni  della  stessa  tavola  fig.  io  è  la  settima  rinvenuta 
in  Istria,  avendone  dato  cinque  la  necropoli  di  Vermo,  ed  una  la  caverna  di 
S.  Daniele  sul  Carso  di  Trieste,  esplorata  dal  sunnominato  dott.  Marchesetti. 
Il  centro  industriale  di  queste  ciste  a  cordoni,  secondo  quanto  affermava  il 


')  Gozzadini.  Intorno  agli  scavi  archeologici  falli  dal  signor  xA.  lArnoaldi-Veli  presso 
Bologna  (Tav.  Vili,  fig.  4). 

2)  Marchesetti.  La  necropoli  di  S.  Lucia  presso  Tolmino,  pag.  27. 


—    2J  I    — 

conte  Gozzadini  '),  dovrebbe  riportarsi  nella  Circumpadana.  Il  chiar.  prof. 
Helbig  stabiliva  poi  la  teoria  che  la  loro  origine  fosse  dovuta  alla  Grecia, 
dalla  quale  sarebbero  stati  importati  nell'  Italia  meridionale  i  primi  archetipi 
di  tale  forma  di  vasi.  —  Per  la  statistica  delle  ciste  aggiungo  ai  nuovi 
esemplari  rinvenuti  in  Italia,  e  menzionati  dall'Orsi,  la  cista  a  cordoni  fornita 
di  due  manichi  rinvenuta  a  S.  Lucia  8),  e  le  quattordici  ciste  a  cordoni 
trovate  a  Kurd  nell'Ungheria  alla  riva  del  fiume  Kapos,  nell'estate  1884, 
collocate  entro  ad  una  situla  di  bronzo  di  straordinaria  dimensione  s). 

Le  conche  emisferiche  in  grossa  lastra  di  bronzo  e  colla  orecchietta 
a  croce  latina,  delle  quali  è  dato  un  saggio  nella  medesima  Tav.  VI,  fig.  11 
e  12,  meritano  pure  speciale  considerazione,  tanto  più  che  questa  foggia 
di  vasi  sembra  essere  molto  comune  alle  necropoli  istriane,  essendosene 
rinvenuti  due  esemplari  anche  nella  necropoli  di  Vermo  *). 

Relazionando  su  questa  categoria  di  vasi,  il  prof.  Orsi  osserva: 
«  Fino  ad  ora  gli  archeologi  non  han  fatto  gran  che  attenzione  a  co- 
desti recipienti,  ma  io  li  reputo  degni  di  non  minore  studio  delle  situle  e 
delle  ciste.  Ed  invero  nell'  alta  Italia,  essi  fan  difetto  nei  gruppi  di  Este  e 
di  Felsina,  mentre  si  riscontrano  in  copia  in  depositi  tardi  delle  necropoli 
bellunesi  di  Caverzano  e  di  Lozzo  e  poi  di  Asolo.  Dal  Veneto  procedendo 
a  sud  dobbiamo  arrivare  fino  a  Tolentino  prima  di  trovare  nuovi  esem- 
plari, due  altri  li  vediamo  a  Cere,  e  parecchi  nel  famoso  tesoretto  di  Pa- 
lestrina,  ora  conservato  al  museo  Kirchcriano.  Nel  nord  si  trovarono  sparsi 
in  punti  molto  diversi,  cioè  ad  Anelati  presso  Stettino,  ad  Hallstatt,  a  Pakzek 
nella  Gallizia  ed  a  Byciskala  nella  Moravia  (Correspomìcn^-Blalt  der  deutschen 
Gesétlschafi  far  Atithropologie,  Bibliologie  tmd  Urgtschichtt.  Monaco  1882,  fa- 
scicolo di  giugno,  fig.  14  della  tavola).  Quanto  agli  esemplari  nordici  per 
comune  consenso  degli  archeologi  sono  ritenuti  di  fabbricazione  ed  impor- 
tazione italica  ;  gli  esemplari  bellunesi  sono  di  data  recente,  ed  i  più  antichi 
restano  i  cerctani  ed  i  prenestini,  appartenenti  al  principio  del  500  a.  C. 
Se  si  aggiunge  che  tali  bacini  sono  rappresentati  sopra  vasi  attici  a  figure 
nere  e  rosse,  sostenuti  da  tripodi,  e  che  dalle  officine  vascularie  greche  an- 


')  Gozzadini.  Op.  cit.  pag.  51. 

*)  Marchesetti.  Op.  cit.  pag.  27. 

*)  Wosinsky.  Etrushische  Uronie-Gefàsse  in  Kurd.  («  Ungarische  Revue  »,  IV  Hcft 
VI  Iahrg.  Budapest). 

')  Negli  scavi  intrapresi  ai  Pizzughi  durante  la  corrente  primavera  furono  scoperte 
due  nuove  ciste  a  cordoni,  quattro  situle  di  rame,  e  tre  conche  emisferiche. 


—    2J  2    — 

ciche  altri  ne  uscivano  di  terracotta,  si  arriverà  senz'  altro  alla  conclusione, 
che  essi  sono  di  fàbbrica  meridionale  (greca  od  anche  etnisca),  donde  furono 
importati  nell'  Italia  superiore,  subendo  forse  lievi  modificazioni  per  adattarli 
agli  usi  ed  ai  capricci  dei  popoli  presso  i  quali  venivano  importati.  In  ogni 
modo  resta  fermo  che  il  tipo  fondamentale  deve  cercarsi  nella  media  e  bassa 
Italia,  e  chi  sa  che  non  se  ne  abbiano  a  riscontrare  esemplari  anche  nella 
Grecia,  paletnologicamente  ancora  pochissimo  esplorata  »  '). 

L'  uccelletto  di  bronzo  fuso  colla  estremità  spezzata,  raffigurato  nella 
Tav.  IX,  n.  19,  avrà  probabilmente  ornato  qualche  altro  piccolo  vaso,  di 
che  ne  abbiamo  esempi  a  Hallstatt !). 

Ogni  altro  ritrovamento  cede  però  di  gran  lunga  per  importanza  alla 
scoperta  dell'  elmo  conico,  riprodotto  nella  tavola  succitata  fìg.  8. 

E  qui  convienmi  rendere  nuovamente  omaggio  alla  particolare  erudi- 
zione del  prof.  Orsi,  riportando  quanto  egli  scrisse  intorno  a  quest'  elmo 
nel  «  Bull,  di  Palet.  ital.  »  : 

«  Anche  a  Vermo  fungeva  da  ossuario  un  recipiente  simile  ;  lo  ha  pub- 
blicato il  Moser,  ma  poiché  mancava  del  vertice  della  callotta,  egli  lo  ha 
confuso  con  una  situla.  In  realtà  pare  dal  disegno  un  elmo  eguale  in  tutto 
a  quello  dei  Pizzughi.  Comunque  sia,  di  elmi  conici  in  forma  di  pilei,  ma 
da  ben  distinguersi  dai  veri  e  propri  pilei,  non  mancano  esemplari;  a  mio 
modo  di  vedere  essi  vanno  divisi  in  due  diverse  categorie,  cioè  in  elmi 
conici  ad  apice  acuminato,  e  ad  apice  arrotondato.  In  altre  parole,  elmi  che 
presentati  in  sezione  porgono  nella  calotta  un  arco  a  sesto  acuto,  oppure 
un  arco  a  sesto  tondo.  Alla  seconda  categoria  appartengono  gli  elmi  fittili 
ed  in  lamina  di  Corneto-Tarquinia,  di  Beitsch  nella  bassa  Lusazia  e  di  Selsdorf 
nel  Meklemburgo,  di  Blankenburg  presso  Stettino  e  di  Rovische  in  Carniola, 
e  questi  piuttosto  che  conici  si  potrebbero  chiamare  emisferici  con  bottone. 
Sono  invece  del  tutto  eguali  al  nostro  i  seguenti  : 

»  In  un  bassorilievo  assiro  edito  dal  Layard  e  riprodotto  dal  Rawlinson 
è  rappresentato  un  combattimento  navale;  da  una  parte  si  veggono  arcieri 
assiri  con  le  teste  riparate  da  svariate  forme  di  elmi,  uno  dei  quali  è  identico 
a  quello  di  Vermo,  solo  che  va  munito  di  bandelle  o  guanciali. 


')  In  appoggio  di  quest'ultima  opinione,  mi  giova  citare  le  conche  rinvenute  nella 
vetusta  necropoli  di  Vetulonia,  nella  tomba  del  duce.  Tav.  IV,  fig.  7  «  Not.  d.  scavi  ecc.  » 
a.  i3$7.  —  Di  queste  conche  colle  anse  a  croce  latina  ne  furono  rinvenute  anche  nel- 
1'  Ungheria.  Vedi  Hampei..  Alkrlhiiimr  ier  Bronzai  in  Ungarn,  Tav.  LXVII,  fig.   1. 

2)  Sacken.  Grabf.  v.  Hallst.  Tav.  XXIV,  fig.  4. 


—   2)3    — 

»  Altro  elmo  identico  in  lamina  di  ferro  adorno  di  poche  bullette  pro- 
viene dagli  scavi  di  Nimrud. 

»  Altro  portato  da  due  guerrieri  combattenti  da  un  carro  è  raffigurato 
in  bassorilievi  tebani  della  XVIII  dinastia;  nella  metà  posteriore  è  munito 
di  breve  tesa  o  grondaia. 

»  Due  figurine  militari  in  terra  cotta,  appartenenti  alla  collezione  Piot 
e  provenienti  da  Cipro  presentano  lo  stesso  tipo  di  elmo  con  guanciali. 

»  Molti  altri  monumenti  dell'antica  arte  cipriota  mostrano  assai  diffuso 
in  quell'  isola  una  tal  maniera  di  elmo.  Lo  porta  di  fatti  una  intera  serie 
di  teste  (avanzi  di  statue)  in  pietra  calcarea  provenienti  da  Golgoi  ;  ed  in 
un  sarcofago,  dove  è  rappresentata  una  caccia  al  toro  ed  al  cignale,  latta 
da  soldati  elmati  e  scutati,  un  arciere  porta  un  elmo,  il  quale  non  è  che 
una  replica  dei  sopra  ricordati. 

»  Ma  seguendo  la  trasmigrazione  di  questa  forma  dall'oriente  nell'oc- 
cidente, ne  troviamo  a  Dodona  un  esemplare  perfetto,  a  pan  di  zucchero, 
in  lamina  di  bronzo,  munito  di  breve  tesa  continua,  adattata  all'orifizio  non 
orizzontalmente  ma  a  gronda.  A  Dodona  si  trovò  ancora  una  figurina  in 
bronzo  di  personaggio  reale,  dichiarata  dal  Witte  lavoro  del  VI  secolo,  la 
cui  testa  è  pure  coperta  da  un  pileo  cuneiforme  identico  al  nostro  ;  ma 
non  si  può  stabilire  con  certezza  assoluta,  se  esso  sia  una  copertura  di  feltro 
od  un  vero  elmo. 

»  Un  vero  elmo  in  tutto  eguale  al  nostro,  ma  che  porta  per  aggiunta 
dopo  una  breve  strozzatura  una  visiera  a  grondaia  che  ne  recinge  il  lembo 
inferiore,  e  che  per  ciò  si  può  reputare  una  replica  dell'elmo  di  Dodona, 
proviene  da  Canosa  di  Puglia. 

»  Anzi  a  ragione  si  può  dichiarare  essere  questo  un  tipo  speciale,  proprio 
a  quella  regione  ed  ai  guerrieri  apuli,  poiché  appunto  le  tombe  militari 
della  regione  apulo-tarentina  ne  hanno  dato  bellissime  riproduzioni  in  terra 
cotta,  delle  quali  molti  esemplari  si  veggono  nel  museo  di  Lecce.  Una 
novella  prova  di  che  è  pure  il  tatto  che  esso  elmo  si  vede  portato  quasi 
sempre  dalle  figure  d' indigeni  combattenti  contro  i  Greci,  le  quali  sono 
dipinte  nei  vasi  apuli  a  ligure  rosse. 

»  Di  simili  elmi  conici  se  ne  rinvennero  pure  alcuni  esemplari  nella 
Francia;  l'uno  a  Berru,  che  dal  suo  stesso  illustratore  fu  dichiarato  per  non 
gallico,  l'altro  fu  raccolto  dal  letto  della  Saóne  ed  ha  una  brevissima  cresta. 
Ed  altri  due  derivano  da  Gorge-Meillet,  e  da  Cuperly  (E.  Fourdrignier. 
Les  casques  gaulois  à  jormc  coniqut;  f  influence  or  ioti  aie.  Tours,  1880).  Tutti 
questi  elmi  francesi,  meno  quello  della  Saònc,  si  staccano  alquanto  dal 
gruppo  che  ora  esaminiamo  ;  in  quanto  presentano  un  apice  molto  acumi- 


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nato,  che  richiami  però  benissimo  dei  tipi  assiri.  Come  questi  modelli 
orientali  sieno  arrivati  in  Gallia  è  difficile  dirlo  ;  forse  mediante  i  Greci  ed 
i  Fenici.  Certo  però  che  la  teoria  formulata  in  tale  riguardo  dal  Fourdrignier 
è  insostenibile. 

»  Dopo  tutto  questo  non  esito  a  vedere  nell'  elmo  dei  Pizzughi  un 
tipo  la  cui  prima  forma  si  deve  rintracciare  nella  civiltà  militare  assiro-egizia, 
donde  fu  importato  in  Cipro,  e  con  mille  altri  elementi  orientali  forse  anche 
in  Grecia,  sebbene  della  vera  Grecia  io  non  conosca  esemplari.  Ma  l'elmo 
dei  Pizzughi  è  in  più  intimi  rapporti  con  quello  di  Dodona  e  con  gli  altri 
del  sud-est  d' Italia,  ed  è  una  nuova  prova  dei  molteplici  contatti  fra  queste 
due  estreme  regioni  della  penisola.  Insieme  ai  vasi  dipinti  lo  portò  nell'Istria 
o  un  audace  pirata,  preda  di  qualche  naviglio  mercantile  sorpreso  nell'Adria- 
tico, od  un  ardito  commerciante  che  scambiava  sulla  costa  istriana  i  suoi 
articoli  industriali,  coi  prodotti  primi  dell'  interno  ». 

Fra  gli  oggetti  d' ornamento  tengono  un  posto  distinto,  almeno  per 
la  loro  copia,  le  armille  di  bronzo.  Abbondano  sopratutto  quelle  ad  un  filo 
rotondo  o  quadrangolare,  colle  estremità  riunite,  o  sovrapposte,  oppure 
finienti  in  punta,  od  in  un  uncino  rialzato,  avendo  l'altra  estremità  alquanto 
schiacciata  e  fornita  di  un  foro  rotondo,  in  cui  entra  l'uncino  (Tav.  VIII, 
fig.  i,  2  e  3).  Queste  forme  di  armille  ricorrono  nel  terzo  e  quarto  periodo 
di  Este  ;  mentre  le  armille  a  spirale,  delle  quali  si  hanno  esempi  nella  stessa 
tavola  fig.  5,  6  e  7,  sarebbero  invece  una  specialità  del  secondo  periodo  '). 
Bellissima  è  pure  l'armilla  a  nastro  piatto  a  due  giri,  fregiata  di  meandro 
inciso  a  bullino  (ib.  fig.  4),  ed  una  specialità  sarebbe  pure  1'  altra  armilla 
di  bronzo  cordonata  orizzontalmente  alla  faccia  esteriore  e  liscia  nella  pa- 
gina interiore  (ib.  fig.  8).  Di  queste  due  ultime  forme  di  armille  manca, 
se  non  erro,  la  corrispondenza  ad  Este. 

Alla  dovizia  delle  armille  fa  strano  contrasto  la  relativa  povertà  delle 
fibule.  Fra  le  foggie  rinvenute  manca  affatto  la  fibula  ad  arco  semplice, 
ma  vi  ricorrono  invece  più  frequenti  le  fibule  serpeggianti  del  tipo  più 
semplice  ed  arcaico  (Tav.  VII,  fig.  3  e  4),  e  quelle  a  navicella  (ib.  fig.  7), 
le  quali  forme  di  fibule  vengono  riferite  alla  civiltà  umbro-italica;  la  fibula 
tipo  Certosa  (ib.  fig.  1),  propria  della  civiltà  etrusca,  di  cui  l'altra  fibula 
n.  6  non  sarebbe  che  una    leggera  modificazione;  la  fibula  a  sanguisuga, 


')  Prosdocimi.  «Not.  d.  scavi  ecc.»  pag.  22,  29,  36,  e  Tavole  IV,  fig.  33,  V  fig.  67, 
Vili  fig.  56  e  57. 


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ed  a  globetti  (ib.  fig.  5  e  8).  Anche  la  fibula  il.  2  colla  staffa  finiente  in 
una  testina  di  animale,  appartiene  al  tipo  Certosa.  Memorabile  si  è  il  fatto 
del  rinvenimento  di  una  sola  fibula  gallica  a  doppio  ardiglione,  coli'  ago 
in  continuazione  della  spirale. 

Rispetto  ai  riferimenti  di  queste  varie  foggie  di  fibule  noterò  soltanto 
che  le  serpeggianti  ricorrono  a  Este,  secondo  e  terzo  periodo  '),  si  fanno 
molto  numerose  a  S.  Lucia s),  nelle  necropoli  carniche,  a  Bologna,  nella 
necropoli  italica  di  Torre  del  Mordillo,  comune  di  Spezzano  Albanese,  pro- 
vincia di  Cosenza,  ecc. 

La  fibula  a  navicella  è  rappresentata  a  Este  nel  secondo  periodo  3),  a 
Watscli  e  nelle  necropoli  del  gruppo  affine  della  Carniola,  in  quelle  del- 
l'alta Italia,  a  Bologna,  a  Hallstatt  ecc.  La  fibula  Certosa,  oltreché  ricorrere 
molto  numerosa  nella  celebre  necropoli  che  le  ha  dato  il  nome,  e  nei  cor- 
relativi sepolcreti  italici,  non  manca  parimenti  a  S.  Lucia  4),  a  Vermo  5),  a 
Corridico  (museo),  a  Gorizia  ecc.  Il  dott.  Marchesetti  ne  rinvenne  pure 
degli  esemplari  a  Cattinara  presso  Trieste,  a  S.  Daniele  e  sul  Castelliere  di 
S.  Polo  presso  Monfalcone.  La  fibula  a  sanguisuga  trovasi  egualmente,  ma 
più  rara  delle  summenzionate,  a  Este6),  nelle  necropoli  dell'alta  Italia,  a 
Watsch,  a  Hallstatt  ecc.  La  fibula  a  globetti,  rinvenuta  a  Vermo  ')  e  nel  ri- 
postiglio di  bronzi  presso  Gorizia  8)  ricorre  egualmente  a  Watsch,  a  Hallstatt, 
a  Bologna  negli  scavi  Arnoaldi-Veli,  a  Villanova  di  Bologna  ed  in  altre 
necropoli  italiche  del  primo  periodo  dell'  età  del  ferro  ;  ma  scomparisce 
affatto  nel  periodo  etrusco  di  Marzabotto  e  della  Certosa  di  Bologna  °). 

L'ago  crinale  a  globetti  (Tav.  VII,  fig.  9  e  12)  si  riporta  al  secondo 
periodo  di  Este  ,0)  Una   specialità  di  queste  necropoli   sarebbe   lo  spillone 


')  Prosdocimi.  «Bull.  pai.  it.  »,  1880,  Tav.  V,  fig.  5.  —  Soranzo.  Scavi  e  scoperte 
nei  poderi  Naturi  di  Este,  Tav.  IV,  fig,  769. 

J)  Marchesetti.  Op.  cit.  Tav.  VI,  fig.  7-14. 

3)  Prosdocimi.  «Bull.  pai.  it.  »,  1880,  Tav.  V,  fig.  8. 

')  Marchesetti.  Op.  cit.  Tav.  V,  fig.  12-16. 

■j)  Marchesetti  «Boll.  Soc.  AJr.  »,  i88j,  Tav.  Ili,  fig.  16,  11.  —  Amoroso.  Op. 
cit.  Tav.  VII,  fig.  2. 

•)  Soranzo.  Op.  cit.  Tav.  IV,  fig.  11. 

*)  Marchesetti.  Op.  cit.  Tav.  Ili,  fig.  19. 

*)  Pigorini.  «Bull.  pai.  it.  »,  Tav.  VI,  fig.  2,  15,  anno   1877. 

9J  Ibidem  pag.   121,  a.  1877. 

■°)  Prosdocimi.  «Bull.  pai.  it.  »,  a.  1880,  pag.  81,  Tav.  IV,  fig.  13,  14.  «Notizie 
d.  scavi  ecc.»,  1882,  pag.  21,  Tav.  IV,  fig.  39.  —  Soranzo.  Op.  cit.,  Tav.  VI,  fig.  9  e  11. 


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crinale  fig.  13,  con  testa  a  piattello  e  margini  forati,  dai  quali  pendevano 
probabilmente  gingilli  appesi  a  catenine.  Degli  altri  spilloni  merita  di  essere 
rilevato  quello  della  fig.  15,  la  cui  punta  immettesi  in  un  astuccio  di  osso. 
Il  Museo  possiede  altro  bellissimo  esemplare  di  ago  crinale  a  globetti  col- 
l' astuccio  di  bronzo,  corrispondente  agli  esemplari  rinvenuti  a  Hallstatt '). 
L'  ago  crinale  a  nodi  ricorre  frequente  a  S.  Lucia  '),  a  Vermo  s)  e  nelle 
necropoli  dell'  alta  Italia,  a  Hallstatt  ecc.,  e  manca  nelle  necropoli  del  Bo- 
lognese e  dell'  Italia  meridionale. 

La  rotella  a  quattro  raggi,  senz' altre  appendici  (Tav.  IX,  fig.  io),  ha 
servito  certamente  di  capocchia  ad  un  ago  crinale.  Le  rotelle  radiate  non 
mancarono  a  Este  e  nelle  necropoli  arcaiche  di  Cornetto -Tarquinia  e 
Vetulonia. 

L'orecchino  della  Tav.  IX,  fig.  6,  colla  sola  differenza  che  ha  la  pagina 
esteriore  liscia,  riscontra  perfettamente  nella  forma  gli  orecchini  di  S.  Lucia  '), 
quello  di  Hallstatt 5),  che  è  però  d'oro  con  ornamenti  rilevati,  e  gli  orec- 
chini di  Watsch  6).  Non  mi  consta  dalle  publicazioni  che  l'orecchino  sia  stato 
trovalo  ad  Este. 

Rimarchevole  è  pure  la  copia  degli  anelli  a  spira  (Tav.  IX,  fig.  1  e  2), 
i  quali  pareggiano  in  numero  gli  anelli  laminari  lisci,  oppure  decorati  di 
una  nervatura  longitudinale  (ib.  fig.  3  e  4). 

L'  anello  a  spira  ricorre  frequente  a  Este  nel  secondo  periodo  "'),  a 
Vermo  8),  a  Bologna  nei  predii  Amoaldi 9),  a  Vadena  l0),  dove  troviamo  pure 
gli  anelli  da  dito  a  laminella,  particolarmente  numerosi  nel  Bellunese.  Nella 
necropoli  di  Hallstatt,  1'  anello  è  per  lo  contrario  rarissimo. 

Pel  loro  numero  abbastanza  rilevante  e  per  1'  artistica  decorazione  a 
bullino,  meritano  non  minore  considerazione  le  placche  rettangolari  di  cen- 
turone  (Tav.  X,  fig.   1-9).  L' uno    dei   due   capi   è   munito   di   un   gancio 


')  Sacken.  Op.  cit.,  Tav.  XV,  fig.   io,   12,   14. 

2)  Marchesetti.  Op.  cit.,  Tav.  IX,  fig.  1-16. 

3)  Marchesetti.  Op.  cit.,  Tav.  Ili,  fig.  10-12.  —  Amoroso.  Op.  cit ,  Tav.  VII,  fig.  1. 
—  Moser.  Op.  cit.,  Tav.  IV,  fig.  2,  6,   12. 

4)  Marchesetti.  Op.  cit.,  Tav.  Vili,  fig.  1-4. 

5)  Sacken.  Op.  cit.,  Tav.  XVI,  fig.  17. 

")  Deschmann  u.  Hochstetter.  Die  Gràb.  v.  Watsch,  Tav.  XIII,  fig.  2. 
7)  Prosdocimi.  «Bull.  pai.  it.  »,  Tav.  IV,  fig.  11. 
'8)  Amoroso.  Op.  cit.,  Tav.  VII,  fig.  8.  —  Marchesetti.  Op.  cit.,  Tav.  Ili,  fig.  i-S. 
9)  Orsi.  La  necropoli  italiana  ài  Vadena,  pag.  65. 
">)  Orsi.  Op.  cit.  Tav.  IV,  fig.  20,  28,  30. 


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allungato  di  bronzo  fissato  con  borchia,  e  1'  altro  di  un  fiorellino  rotondo 
in  cui  immettesi  il  gancio.  —  Il  centurone  lavorato  a  sbalzo  apparisce  a 
Este,  in  tutto  il  suo  splendore  artistico,  nel  terzo  periodo  ').  A  questo  pe- 
riodo sono  da  riferirsi  pure  i  bellissimi  centuroni  di  Hallstatt,  e  quello 
pregevolissimo  scoperto  a  Watsch.  Placche  di  centurone  consimili  a  quelle 
dei  Pizzughi,  iurono  rinvenute  a  Verino  2),  e  trovatisi  anche  nei  sepolcreti 
bellunesi  di  Lozzo  e  Cavezzano.  Nel  suo  magistrale  lavoro  sui  centuroni 
italici,  il  prof.  Orsi  osserva  «  che  il  gruppo  bellunese  ha  dato  capi  di  cin- 
tura di  epoca  tardissima,  certo  non  estranei  a  contatti  con  Galli;  mentre 
le  necropoli  istriane  presenterebbero  pure  delle  placche  con  elementi  geo- 
metrici non  nuovi,  ma  combinati  e  complicati  alquanto  diversamente  del- 
l' ordinaria  maniera  atestina  »  *). 

I  pendagli  di  bronzo  quali  sarebbero  le  capsulette  triangolari  lavorate 
a  sbalzo  (Tav.  VII,  lìg.  16  e  18),  le  laminctte  triangolari  incise  a  bullino 
(ib.  fig.  19  e  20),  delle  quali  è  particolarmente  rimarchevole  la  prima  per 
la  sua  appendice  di  due  figurine  umane,  i  pendagli  in  forma  di  pettine 
(ib.  fig.  22  e  23),  di  secchielli  (ib.  fig.  17),  di  uccelletti  (Tav.  IX,  fig.  13), 
e  di  mollettine  e  cura-orecchie  (ib.  fig.  17  e  18),  costituiscono  parimenti 
un  bel  corredo  di  oggetti  ornamentali,  il  quale  vieppiù  dimostra  che  i  nostri 
preistorici  non  fossero  rimasti  estranei  a  quell'  influsso  di  civiltà  italica  dei 
più  avanzati  stadi  della  prima  età  del  ferro,  della  quale  Ateste  fu  indubbia- 
mente il  centro  più  vicino  ed  importante  d' irradiazione. 

Cosi  noi  troviamo  frequentissime  nel  terzo  periodo  di  quelle  necropoli, 
come  appendici  di  collane  di  ambra  o  di  vetro,  le  capsule  e  le  laminette 
triangolari,  decorate  a  sbalzo  od  a  bullino  '),  i  pettinini  *),  i  secchielli  6), 
gli   uccelletti  '),    le  mollettine  ed   i  cura-orecchie,  i  quali    ultimi    strumenti 


')  Prosdocimi.   «Noi.  d.  scavi»,  Tav.  V,  fig.  63;  Tav.  VII,  fig.   15. 

')  MaKCUESETTL  Op.  cit  ,  Tav.  IV,  fig.   1,  2. 

')  Orsi.  Sui  centuroni  italici  della  prima  età  del  ferro  ecc.  Estratto  dagli  «Atti  e  Me- 
morie della  R.  Deputazione  di  storia  patria  per  le  provincie  di  Romagna»,  III. Serie, 
voi.  III,  fase.  I  e  II. 

*)  Prosdocimi.  «Bull.  pai.  it.  »,  Tav.  IV,  fig.  2,  a.  1880. 

s)  Prosdocimi.  «  Not.  d.  scavi  ecc.»,  Tav.  V,  fig.  72. 

*)  Prosdocimi.  «  Not.  d.  scavi  ecc.  »,  Tav.  VII,  fig.  4,  6.  —  Soranzo.  Op.  cit., 
Tav.  II,  fig.  y. 

1)  Soranzo.  Op.  cit.,  Tav.  II,  fig.  io, 


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venivano  infilzati  in  varie  eleganti  guise  nell'ago  delle  fibule,  onde  servire 
da  pendaglio  '). 

Le  capsule,  o  bulle  che  vogliansi  chiamare,  comparvero  a  Verino  2),  e 
cosi  pure  il  pettinino  8).  Il  Museo  possiede  un  secondo  pettinino  proveniente 
dalla  stessa  necropoli. 

Il  pettinino  di  bronzo  ed  il  cura-orecchie  ricorrono  a  Bologna  negli 
scavi  Arnoaldi-Veli  *),  la  mollcttina  ed  il  cura-orecchie  a  Hallstatt s),  i  sec- 
chielli a  Watsch  6)  ecc. 

Lo  stesso  dicasi  di  quelP  ornamento  spiraliforme,  conosciuto  sotto  il 
nome  di  saltaleoni,  e  dei  bottoni  di  bronzo  peduncolati  nella  parte  concava. 
Tanto  i  primi,  quanto  i  secondi,  sono  comunissimi  a  Este  nel  secondo  e 
terzo  periodo  7),  ricorrono  egualmente  in  quasi  tutte  le  necropoli  italiche 
della  prima  età  del  ferro,  e  si  trovano  pure  a  Vermo  8),  a  S.  Lucia  '),  a 
Watsch,  a  Hallstatt  ecc. 

Come  si  è  veduto  dall'inventario,  l'ambra  apparisce  ben  raramente 
nelle  necropoli  dei  Pizzughi.  Più  frequenti  sono  invece  le  perle  di  vetro, 
fra  le  quali  particolarmente  notevoli  quelle  di  colore  bluastro  incrostate  di 
una  pasta  vitrea  gialla  (Tav.  IX,  fig.  1 1).  Se  ne  ebbero  esemplari  a  Vermo  '"), 
a  Este  nel  terzo  periodo"),  negli  scavi  Arnoaldi-Veli  presso  Bologna"),  a 
Marzabotto,  alla  Certosa  di  Bologna,  a  Hallstatt  "),  a  Vadena,  a  Watsch  ecc. 

Ripongo  fra  gli  utensili  domestici  i  coltelli  di  ferro  di  forma  serpeg- 
giante ed  a  lungo  còdolo  (Tav.  IX,  fig.  20),  e  cosi  pure  il  coltellino  di 
bronzo  fregiato  a  ballino  (ib.  fig.  24),  e  F  altro  coltello  spezzato  e  molto 
consunto  dall'  ossido,    ma  che  potrebb'  essere  stato  anche  un  rasoio,  raffi- 


')  Prosdocimi.  «  Not.  d.  scavi  ecc.  »,  Tav.  V,  fig.  77. 

*)  Marchesetti.  Op.  cit.,  Tav.  V,  fig.  12  e   13. 

*)  Moser.  Op.  cit.,  Tav.  V,  fig.  6. 

•)  Gozzadini.  Op.  cit.  Tav.  X,  fig.  7  e  Tav.  XIII,  fig.  3. 

5)  Sacken.  Op.  cit.,  Tav.  XIX,  fig.  16  e  17. 

6)  Deschmann  u.  Hochstetter.  Op.  cit.,  Tav.  XIV,  fig.  5. 

')  Prosdocimi.  «Not.  d.  scavi  ecc.»,  Tav.  V,  fig.  71,  e  «Bull.  pai.  it.»,  Tav.  IV,  fig.  io. 
*)  Marchesetti.  Op.  cit.,  Tav.  V,  fig.  8,  e  Museo. 
9)  Marchesetti.  Op.  cit.,  Tav.  VIII,  fig.  19-21,  25  e  26. 
,'•)  Marchesetti.  Op.  cit.,  Tav.  IV,  fig.  li.  —  Amoroso.  Op.  cit.,  Tav.  VI,  fig.  10. 
")  Prosdocimi.  «Not.  d.  scavi  ecc.»,  pag.  22. 
")  Gozzadini.  Op.  cit.,  pag.  84,  Tav.  XIII,  fig.  9. 
»)  Sacken.  Op.  cit.,  Tav.  XVII,  fig.  34. 


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gurato  nella  stessa  tavola  n.  23.  —  Il  coltello  di  ferro  si  riporta  per  la 
forma  ai  coltelli  dello  stesso  metallo  rinvenuti  a  Este,  secondo  periodo  '), 
a  Hallstatt  *),  a  Watsch  *),  a  Vadena  *),  ed  è  perfettamente  simile  ad  altro 
coltello  trovato  a  Vermo,  e  che  conservasi  nel  Museo  provinciale.  —  Il 
coltellino  di  bronzo  (fig.  24)  riscontra  a  quelli  di  Este,  secondo  periodo  i), 
e  si  ravvicina  ancora  di  più  per  la  forma  e  per  la  decorazione  a  bullino, 
ai  coltelli  di  bronzo  della  necropoli  di  Vadena  *).  -  Per  la  forma  lunata 
e  per  il  manico  ritorto,  il  coltello  della  fig.  23  si  riporta  a  quello  di  Bis- 
mantova  '),  e  non  differisce  neppure  dal  coltello  rinvenuto  a  Blatnicza  rid- 
i' Ungheria  8).  Ci  sarebbero  ancora  gli  ami,  1'  uno  di  bronzo  e  1'  altro  di 
ferro,  dei  primi  dei  quali  si  ebbero  esemplari  a  Este  "),  a  Hallstatt  '"),  e  nel- 
1'  Ungheria  ").  —  Fra  gli  utensili  domestici  troviamo,  per  ultimo,  i  pestelli 
di  pietra,  le  corna  di  cervo  segate  o  lavorate  a  punta,  ricorrenti  a  Este  negli 
avanzi  delle  più  antiche  abitazioni  e  nel  secondo  periodo  "),  i  raschiatoi,  le 
coti  di  arenaria,  ed  i  frammenti  di  macina  di  trachite,  i  quali  rendono  in- 
dubbia testimonianza  della  conoscenza  della  mola  versatilis,  l'odierno  pcstrino 
a  mano,  ignota  ai  terremaricoli,  e  che,  secondo  Varrone,  sarebbe  stata  in- 
ventata dai  Volsini  "). 

In  tanta  abbondanza  di  scavi,  e  dirò  anche  di  materiale  archeologico, 
apparvero  ben  rare  le  armi  di  ferro.  Consistono  esse  unicamente  in  poche 
punte  di  lancia  (Tav.  IX,  fig.  21  e  22),  col  gambo  cilindrico  e  vuoto,  per 
innestarvi  1'  asta,  rinvenute  in  una  sezione  della  necropoli  appartenente  al 
castelliere  II,  il  cui  terreno  fu  in  altri  tempi  profondamente  rimescolato.  — 
La  vicinanza  di  queste  lancie  ai  frammenti  di  vasi  apuli  di  bassa  età,  che 


')  Prosdocimi.  «  Not.  d.  scavi  ecc.»,  Tav.  IV,  fig.  44  e  45. 
')  Sacken.  Op.  cit.,  Tav.  XIX,  fig.  1  e  2. 
')  Dfschmaxs'  u.  I Iochstetter.  Op.  cit.,  Tav.  XVI,  (ig.  5-8. 
')  Orsi.  Op.  cit.,  Tav.  VII,  fig.  5. 
5)  Prosdocimi.  Op.  cit.,  Tav.  IV,  fig.  42,  43,  si. 
')  Orsi.  Op.  cit.,  Tav.  VII,  fig.  1-4. 
*)  Chierici.  «Bull.  pai.  it. »,  Tav.  II,  fig.  2,  a.   1875. 
»)  Hampel.  Op.  cit,  Tav.  XVI,  fig.  5. 
»)  Prosdocimi.  «Bull,  pai    it. »,  Tav.  IV,  fig.  16,  a.   1880. 
'•)  Sackem.  Op.  cit.,  Tav.  XIX,  fig.  18. 
")  Hampel.  Op.  cit.,  Tav.  XVII,  fig   io. 

I!)  Prosdocimi.  <-  Bull.  pai.  it.  »,  Tav.  VII,  fig.  28-55,  '•  '887,  e  «  Not.  d.  scavi  ecc.  », 
Tav.  IV,  hg.  46  e  47. 

I3)  Helbig.  Die  Italiker  in  der  Toebene,  pag.  27. 


—  26o  — 

vennero  pure  ivi  dissotterrati,  fa  supporre  che  le  medesime  risalgano  ad  una 
epoca  forse  di  poco  anteriore  o  concomitante  alla  conquista  romana  del- 
l' Istria  (a.  177  a.  C).  Le  lande  di  ferro  col  gambo  vuoto,  apparvero  a 
Este  nel  terzo  periodo  '),  e  non  mancarono  neppure  a  Vermo,  a  Hallstatt, 
a  Watsch,  ed  in  altri  sepolcreti  dei  più  tardi  periodi  dell'  epoca  del  ferro. 
Tanta  pochezza  di  armi,  meglio  che  attestare  forse  dell'  indole  pacifica  della 
popolazione,  i  cui  resti  ci  furono  conservati  nelle  tombe  della  vasta  necro- 
poli, dimostra  il  suo  fine  accorgimento  di  non  disperdere  le  armi  in  un 
inutile  sfoggio  di  pompa  dei  morti  ;  ma  di  conservarle  piuttosto  in  mano 
dei  vivi,  a  scudo  della  propria  sicurezza  ed  indipendenza,  della  quale  ultima 
sopratutto  gli  antichi  Istri  si  mostrarono  fieri,  allorquando  occorse  di  di- 
fenderla contro  le  invadenti  forze  della  potentissima  Roma. 

La  cronologia  delle  necropoli  preistoriche  dei  Pizzughi  riesce  abbastanza 
accertata  dai  frequenti  riferimenti  che  ho  istituito,  alla  necropoli  dell'antica 
Ateste,  che  ha  esteso,  come  abbiamo  veduto,  la  propria  civiltà  sopra  il 
popolo  ivi  sepolto,  col  quale  ebbe  non  solo  rapporti  di  vicinanza,  ma  pro- 
babilmente anche  comunanza  di  origine. 

Questa  cronologia  si  aggira  fra  la  fine  del  secondo  periodo  di  Este, 
di  cui,  se  non  si  conosce  il  principio,  è  però  abbastanza  certo  che  ha  durato 
almeno  sino  al  450  a.  C,  ed  il  terzo  periodo  che  vi  sussegue. 

La  necropoli  entra  poi  in  piena  romanità  coi  cocci  letterati,  coi  vetri 
e  colle  monete  imperiali  del  primo  e  del  secondo  secolo. 

Il  secondo  periodo  sarebbe  particolarmente  segnato  dagli  aghi  crinali 
a  globetti,  dalle  armille  e  dagli  anelli  a  spirale,  dalle  fibule  a  navicella  e 
serpeggianti,  dai  coltelli  di  bronzo  ecc.;  ed  il  terzo 'dalle  ciste  a  cordoni, 
dalle  situle  di  rame  e  di  argilla,  con  lucide  zone  rosse  e  nere,  dalle  fibule 
Certosa  ecc. 

Notevole,  come  fu  altrove  rilevato,  si  è  l'apparizione  di  una  sola  fibula 
di  tipo  gallico,  rinvenuta  da  un  lavoratore  nella  necropoli  del  castelliere  I, 
ma  di  cui  non  mi  sono  note  le  particolarità  del  ritrovamento.  Le  fibule 
di  tipo  gallico  non  mancarono  a  Vermo  s)  ;  altri  esemplari,  posseduti  dal 
Museo  provinciale,  furono  casualmente  sterrati  nel  castelliere  di  Corridico, 
posto  sul  ciglione  destro  del  canale  di  Leme.  Non  è  facilmente  spiegabile 
questa   mancanza   d' influenza    celto-gallica,  che  si  appalesa  nella  necropoli 


')  Prosdocimi.  Op.  cit.,  Tav.  VII,  fig.  8. 

>)  Marchesetti.  Op.  cit.  Tav.  Ili,  fig.  20  e  21. 


—    26l    — 

dei  Pizzughi,  in  tempi  quando  i  Galli  avevano  largamente  estesa  questa 
influenza  nella  pianura  padana,  nei  paesi  lungo  le  alpi  orientali  e  nel  ter- 
ritorio dei  Veneti  stessi.  Sarebbe  questa,  forse,  una  lontana  conferma  delle 
antiche  tradizioni,  secondo  le  quali  vuoisi  che  l' Istria  fosse  abitata  da 
due  differenti  popolazioni,  i'uoa  distendeutesi  nella  parte  montana,  e  l'altra 
lungo  la  costa  del  mare  ?  Arduo  quesito  questo,  che,  come  tanti  altri  del 
nostro  lontano  passato,  attende  ancora  una  convincente  soluzione. 

E  qui  prendo  commiato  dai  miei  lettori  —  per  ritornare  un'altra  volta, 
se  farA  d'uopo,  ad  illustrare  gli  scavi  dei  Pizzughi,  che  ancora  non  riposano 
—  assicurandoli  però,  come  dice  il  Manzoni,  che  non  fu  mia  colpa  se  li 
ho,  per  avventura,  troppo  a  lungo  annoiati  con  questo  scritto. 

'Parendo,  nel  Giugno  1889. 

Dott.  Andrea  Amoroso. 


ANNO    SESTO     1889 


ATTI  E  MEMORIE 


DELLA 


SOCIETÀ  ISTRIANA  DI  ARCHEOLOGIA 


STORIA  PATRIA 


Volume  V.  —  Fascicolo  3.°  e  4. 


PARENZO 

PRESSO    LA    SOCIETÀ    ISTRIANA    DI    ARCHEOLOGIA    E    STORIA    PATRIA 

Tip.  Gaetano  Coana 
1889 


SENATO    MISTI 


COSE  DELL'ISTRIA 


(Continuazione  del  fascic.  i"  e  2°,  1889) 


Senato  Misti  voi.  XL. 


1385.  25  ottobre.  —  Si  prendono  provvedimenti  per  assicurare  la  ri- 
cuperazione delle  merci  che  formavano  il  carico  d'una  nave  comandata  da 
Jacobello  Trevisan  e  naufragata  nelle  acque  dell'  Istria  [Rovigno]  (carte  7). 

1385.  13  novembre.  —  Facoltà  al  provveditore  e  al  podestà  e  capitano 
di  Capodistria  di  spendere  fino  a  25  ducati  d'  oro  di  quelle  rendite  prò 
/adendo  fieri  aliqua  rastella  per  sicurezza  della  città  (carte  9). 

1385.  9  dicembre.  —  Si  mandano  a  Paolo  Zulian  capitano  del  Pasi- 
natico  di  Grisignana  300  lire  e  200  tavole  di  larice  prò  reparatione  murorum 
et  coredorìorum  et  spalai  (carte  9  tergo). 

1385.  14  dicembre.  —  Licenza  a  Pcpolino  de  Vaitistain  vicecapitano 
a  Trieste,  di  far  trasportare  coli  da  Monfalcone,  per  mare,  40  urnas  vini 
per  suo  uso  (carte  9  tergo). 

1385.  17  dicembre.  —  Si  commette  a  Donato  Moro,  capitano  del  Pa- 
sinatico  di  S.  Lorenzo,  recatosi  a  Rovigno,  al  podestà  di  Rovigno  Nicolò 
Latibolo,  ai  dodici  tubila  mercatores  coche  Tervisane  naufragata  presso  la  detta 
lena,  di  far  pagare  quanto  compete  a  Michele  Trevisan  e  Leonardo  Lorcdan 
inviati  a  soprintendere  alla  ricuperazione  delle  mercanzie  (carte  io). 


—  266  - 

1385  m.  v.  27  febbraio.  —  Ad  istanza  di  Francesco  di  Castropola,  gli 
si  rinnova  per  un  altro  anno  la  licenza  di  fermarsi  in  Pola  (carte  21  tergo). 

1386.  22  marzo.  —  Si  accorda  a  Leonardo  Bembo,  nominato  podestà 
e  capitano  a  Capodistria,  di  spendere  lire  200  di  quelle  entrate  in  ripara- 
zioni al  Castel  Leone  (carte  22  tergo). 

1386.  1  maggio.  —  Licenza  al  suddetto  di  spendere  lire  100  di  picc. 
in  riparazione  ad  alcuni  ponti,  spectantes  comuni,  i  quali  propter  aquas  tnagnas 
devastati  sunt  (carte  25  tergo). 

1386.  8  maggio.  —  Licenza  a  Bernabò  figlio  naturale  del  fu  Fulcherio 
di  Castropola,  essendo  ragazzo  di  13  anni,  di  andare  a  stare  in  Pola  con 
suo  zio  Andrea  Morosini  (carte  25  tergo). 

1386.  8  maggio.  —  Avendo  il  signore  di  Duino,  capitano  in  Pisino 
per  Leopoldo  duca  d'Austria,  fatto  sapere  al  capitano  del  Pasinatico  di  San 
Lorenzo  che  il  detto  duca  manderebbe  fra  breve  nuntios  suos  per  esaminare 
e  definire  amichevolmente  con  quelli  di  Venezia  le  vertenze  antiche  e  nuove 
per  confini  fra  il  comune  di  Montona  e  quelli  del  Comitatus  di  Pisino  ;  si 
commette  a  Donato  Moro  capitano  del  detto  Pasinatico  e  al  suo  successore 
Bernardo  Marcello,  a  Paolo  Zulian  capitano  del  Pasinatico  di  Grisignana  e 
a  Francesco  Dolfin  suo  successore,  quelli  cioè  d'  essi  che  si  troveranno  in 
carica,  e  ad  Antonio  Bembo  podestà  a  Montona,  di  rappresentare  nel  con- 
vegno la  Signoria  veneta,  difenderne  i  diritti,  e  conchiudere  definitivamente 
gli  accordi  [la  rappresentanza  è  data  solidalmente  alla  maggioranza  dei  sud- 
detti] (carte  26). 

1386.  5  luglio.  —  Licenza  al  capitano  di  Trieste  di  esportare  dal  Co- 
mitatu  Pisini  e  condur  per  mare  a  quella  città  200  staria  biadi  (carte  35). 

1386.  9  ottobre.  —  Licenza  a  Zentilino  Taralo,  capitaneo  sclavorum  in 
Capodistria,  di  venire  e  stare  per  un  mese  in  Venezia  per  suoi  affari 
(carte  46). 

1386.  30  ottobre.  —  Licenza  al  capitano  del  Pasinatico  di  Grisignana 
di  spendere  300  lire  di  picc.  in  riparazioni  alle  mura  di  quella  terra,  la 
maggior  parte  delle  quali  cecidit  in  ruinam,  e  ai  ponti  bastile  Marchionis 
che  sunt  dirupti  (carte  47  tergo). 

1386  m.  v.  28  febbraio.  —  Si  delibera  di  scrivere  al  papa,  ai  cardi- 
nali ecc.  in  favorem  et  commendationem  generalem  di  Guido  Memmo  vescovo 
di  Pola  (carte  61  tergo). 

1386  m.  v.  20  febbraio.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
dipendere  200  lire  di  picc.  in  riparazioni  al  pozzo  devastato  di  Castel  Leone 
(carte  62  tergo). 


—  267  — 

1384.  4  marzo.  —  Licenza  a  Francesco  di  Castropola  di  rimanere  in 
Pola  per  un  altro  anno  (carte  63  tergo). 

1384.  26  marzo.  —  Si  ordina  al  conte  di  Pohi,  sotto  pena  dell'am- 
menda personale  di  200  lire,  di  far  pagare,  entro  otto  giorni  dal  ricevi- 
mento dell'  ingiunzione,  tutti  gli  arretrati  della  contribuzione  dovuta  pel 
Pasinatico  di  S.  Lorenzo  ;  quel  rettore  trasmetterà  pure  tal  ordine  ai  giudici 
di  Pola  che  saranno  multati  di  100  lire  ciascuno  se  non  l' eseguiranno 
(carte  64  tergo). 

1387.  17  maggio.  —  Licenza  alle  monache  di  S.  Chiara  di  Capodistria 
di  trasportare  colà  liberamente  [per  cinque  anni]  tutto  ciò  che  raccoglieranno 
in  elemosina  nell'  Istria  e  nella  Schiavonia  (carte  68  tergo). 

1387.  28  maggio.  —  A  Guido  del  Campanili  —  che  servì  la  Repu- 
blica  per  40  anni  ;  ebbe  morti  in  servizio  il  padre  e  il  fratello,  stette  in 
Trieste  con  una  bandiera  di  cavalleria,   donec  soldati  fuerunt  ibi  intus  ;  poi 

in  Capodistria  con  tribus  postis  equestribiis donee  illa  eivitas  fuit 

aceepta,  et  ibi  tane  perdidit  quidquìd  habebat;  poscia  servì  al  Lido  cum  duobus 
lanceis  usque  guerram  finitatn  ;  nunc  vero  sit  in  Iustinopoli  cum  una  posta  ca- 

valarii  a  pace  cifra  —  si  concede   per   grazia  quod  dictam  postam 

possit  facere  scribi  uni  homini  sufficienti  qui  serviat  dictam  postam  (carte  69). 

1387.  29  maggio.  —  Si  concede  per  grazia  ad  Andreolo  del  fu  Fiorino 
di  Castropola  di  recarsi  a  Pola  e  starvi  quanto  piacerà  alla  Signoria,  per 
ricuperare  alcuni  suoi  beni  ed  ordinare  i  suoi  affari  (carte  69  tergo). 

1387.  24  maggio.  —  Traendosi  poco  vantaggio  dalla  decima  che  pa- 
gano annualmente  le  saline  di  Capodistria  sul  sale  prodottovi  ;  si  delibera 
di  cessare  dall'  appaltarne  con  incanti  1'  esazione,  e  di  farla  esigere  diretta- 
mente da  quei  massari  ;  la  Signoria  curerà  il  trasporto  a  Venezia  del  sale 
così  raccolto  (carte  69  tergo). 

1387.  7  giugno.  —  Licenza  a  Lorenzo  Gradenigo  podestà  e  capitano 
di  Capodistria  di  spendere  lire  1000  nella  continuazione  della  rifabbrica  del 
palazzo  di  quella  città,  cominciata  per  ordine  della  Signoria  dal  podestà 
Leonardo  Bembo  (carte  73  tergo). 

1387.  23  giugno.  —  Si  concedono  a  Zanino  'Barbo  di  Montona,  qui 
ob  honorem  nostrum  multa  operatus  est  et  damna  plurima  substinuit,  tres  pagas 
in  quella  terra  appena  si  rendano  vacanti  ;  terrà  unum  famulum  sufficientem 
per  fare  custodias  et  angarias  d'  obbligo  (carte  84  tergo). 

1387.  27  giugno.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  altre  lire  1000  di  piccoli  a  compimento  della  rifabbrica  di  quel 
palazzo  (carte  84  tergo). 

1387.  4  luglio.  —  Leonardo  Bembo  tornato  da  podestà  e  capitano  a 


—  268  — 

Capodistria  avrà  tempo  tutto  il  corrente  mese  per  presentare  e  proporre 
suas  provisiones. 

Si  ordina  al  capitano  di  Grisignana  di  passare  al  suo  successore  Nicolò 
Dolfìn  le  ioo  lire  avanzate  delle  300  assegnategli  per  riparazioni  a  quel 
castello  (carte  79). 

1 588.  30  luglio.  —  Si  annulla  il  divieto  fatto  ai  podestà  e  capitani  di 
Capodistria  dalla  lor  commissione,  di  dar  conviti  a  quei  cittadini,  quia  terra 
non  est  custodie  ut  tunc  erat  (carte  84  tergo). 

Cum   capitaneus  Sclavorum in  Iustinopoli  habeat  regulare  omnes 

rusticos  villarum  di  quella  città,  qui  miiltociens  angari^jintur  contra  dcbittim 
rationis  in  servizio  d'esso  capitano;  si  vieta  a  quest'ultimo  di  esigere  ser- 
vizi per  sé  e  pei  suoi  dai  villani  delle  14  ville  dello  stato,  sotto  pena  di 
25  lire. 

Si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  nominare  una  com- 
missione di  quei  cittadini,  per  esaminare  le  condizioni  delle  ville  che  con- 
tribuiscono ad  esso  podestà  la  regalia  di  175  staja  di  biada  da  cavalli,  es- 
sendo la  popolazione  di  alcune  d'esse  variata;  quindi  commisuri  la  quantità 
della  contribuzione  per  ciascuna  villa  sui  risultati  dell'  inchiesta. 

Il  podestà  e  capitano  suddetto  sarà  esente  dal  pagamento  dei  dazi  sulle 
cose  per  uso  suo  e  della  sua  famiglia  (carte  84  tergo). 

Le  precedenti  deliberazioni  furono  prese  su  proposte  di  Leonardo  Bembo 
ritornato  da  podestà  e  capitano. 

L'avogadore  di  cornuti  e  l'ufficiale  al  Cattaver  destinati  ad  sindicariaiu 
in  Istria  partiranno  entro  1'  agosto  per  eseguire  le  loro  incombenze,  oltre 
le  quali  esamineranno  col  podestà  e  capitano  di  Capodistria  gli  statuti  di 
quella  città,  riferendo  poi  in  Senato  sull'opportunità  di  riformarli,  e  facen- 
dovi le  relative  proposte  (carte  84  tergo). 

1387.  30  agosto.  —  Per  consilium  officialium  tabule  sì  accorda  a  Marco 
Alberto  di  Capodistria  di  far  ricondurre  a  Venezia,  con  esenzione  da  dazi, 
una  balla  pannorum  lombardoruin ,  che  nello  scaricarla  in  Capodistria  era  ca- 
duta in  acqua,  per  farla  aptare  (carte  87). 

1387.  3  ottobre.  —  Il  capitano  della  Riviera  dell'Istria  vada  col  suo 
legno  ad  custodiam  della  Riviera  della  Marca  durante  la  temporanea  assenza 
del  capitano  di  quest'  ultima  (carte  96  tergo). 

1387.  25  ottobre.  —  Licenza  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 

spendere  300  lire  di  picc.  a  compimento  di  lavori  in  quel  palazzo  (carte  94). 

,     1387.   io  gennaio.   —    Provvedimenti   proposti    da    Remigio    Soranzo 

avogadore  di  comun  e  da  Domenico  Contarini  ufficiale  al  Cattaver,  tornati 

da  sindici  in  Istria, 


—  269  — 

Per  togliere  gli  abusi  invalsi  nella  esazione  delle  regalie  dovute  al 
podestà  e  capitano  di  Capodistria  dalle  44  ville  di  quel  distretto  [biade]  e 
dalle  14  dello  stato  [polli,  ova,  legne  ecc.],  si  delibera  che  le  dette  14  ville 
possano,  volendo,  invece  delle  regalie  come  furono  esatte  finora  per  lire  1024 
circa,  esentarsene  mediante  il  pagamento  annuo  di  lire  2048  ;  nel  caso  di 
esenzione,  il  podestà  e  capitano  avrà  il  salario  portato  da  4  a  500  ducati 
d'  oro  F  anno. 

Lo  stesso  rettore,  che  è  obbligato  ad  avere  5  cavalli,  non  potrà  tenerne 
più  di  7  (carte  101  tergo). 

Per  togliere  abusi  introdottisi  nel  pagamento  del  salario  al  podestà  di 
Isola  [lire  600  date  da  quel  comune  e  lire  100  ad  grossos  dallo  stato]  quin- 
dinnanzi  si  pagheranno  loro  lire  xoo  ad  grossos,  come  è  detto,  dallo  stato 
e  lire  14  di  grossi  dal  comune  mentovato,  sicché  abbia  lire  18  di  grossi 
circa  l'anno,  e  tenga  illam  familiam  che  deve  secondo  la  sua  commissione. 

È  abolita  la  contribuzione  di  io  ducati  che  solevano  esigere  i  podestà 
d'Isola  prò  luminaria  et  cariis  (carte   102). 

1388.  3  marzo.  —  Deliberazione  di  procedere  contro  Francesco  Dolfin 
già  capitano  a  Grisignana,  quia  in  orto  capitulis  sibi  oppositis  contrajecit  re- 

gimini  suo,  conlra  honorem  dominationis,  contra  sacramentum  suum 

et  in  vituperinm  et  infamiam  regiminis  antedicti  e 

parecchie  proposte  di  pena,  è  approvata  la  condanna  alla  privazione 
perpetua  del  carico  di  rettore  a  Grisignana,  a  quella  del  reggimento  di  Mestre 
a  cui  era  stato  eletto,  a  pagar  1000  lire,  a  restituire  totum  stipendium  quod 
solviì  et  dedit  Groatino  quem  temiti  in  domo  et  Garathono  de  Ymola  prò  eo 
tempore  quo  fuit  stitts  sociits  seti  miles  (carte  106). 

1388.  4  marzo.  —  Si  ripete  al  conte  di  Pola  Domenico  Bon  [che  vi 
si  era  mostrato  restio]  l'ordine  di  consegnare  Turrim  Adignani  al  capitano 
del  Pasinatico  di  S.  Lorenzo,  per  ristaurarla  per  abitazione  del  nuovo  po- 
destà di  Dignano  (carte   105  tergo). 

1388.   1  aprile.  —  Pro  compiendo  salam  palatii  atta  aliquibus  aliis  ne- 

cessariis  diete  sale  de  subtus videlicet sedilibus  seu  lalrinis 

prò  comodo  familie  et  aliorwn,  e  per  riedificare  altra  sala  ubi  jus  teneri 

solebaf,  ove  potranno  ridursi  la  cancellarla  e  la  massaria,  si  dà  facoltà  al 
podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  spendere  lire  700  di  piccoli  (carte 
1  io  tergo). 

1388.  29  aprile.  —  Provisiones  proposte  da  Lorenzo  Gradenigo  tornato 
da  podestà  e  capitano  di  Capodistria  : 

Facoltà  alla  Signoria  di  fare,  al  bisogno,  scavare  pahidem  Castri  Leonis 
et  circa  dicium  castrum  XXV  piedi  di  larghezza  e  cinque  in  fundo, 


—  270  — 

Si  ordina  il  risarcimento  del  coperto  d'esso  castello,  facendovi  gurnas 
circumcirca  de  lapidibns  prò  dando  aquam  putto  barbacani  (carte  114). 

1388.  3  maggio.  —  È  mentovato  Lodovico  da  Agordo  fisico  qui  per 
triennium  fuit  ad  salarium   Tergesti  (carte  113). 

1388.  30  giugno.  —  Si  risponde  a  lettere  del  podestà  e  capitano  di 
Capodistria,  del  17,  continentes  enormes  excessus  et  pes simam  dispositionem  illius 

Guarienti  Lignano contra  honorem  et  statum  nostri  domimi  et  fidelium 

nostrorum,  ordinandogli  quod,  estendendo  quod  faciat  a  se  ipso,  prometta  il 
premio  di  1000  lire  a  chi  consegnerà  vivo  il  Lignano  ad  esso  podestà  o 
ad  altro  rettore  veneto  [la  taglia  pagabile  dal  comune  di  Capodistria],  e  di 
500  lire  a  chi  lo  consegnerà  morto  ;  in  ciò  agisca  con  destrezza.  Gli  si 
ordina  poi  di  confiscare  i  beni  del  Lignano,  come  propose  (carte  121). 

1388.  6  luglio.  —  Si  prolunga  a  tutto  luglio  a  Lorenzo  Gradenigo, 
stato  podestà  e  capitano  a  Capodistria,  terminus  ducendi  in  Senato  provisiones 
suas  (carte  122). 

Facoltà  a  Francesco  Zorzi,  nominato  capitano  del  Pasinatico  di  Grisi- 
gnana,  di  spendere  lire  300  in  lavori  necessari  al  castello  e  al  palazzo  di 
quella  terra  (carte   122  tergo). 

1388.  8  agosto.  —  Domandando  di  spesso  i  comuni  dell' Istria  e  del 
Dogado  sovvenzioni  prò  expensis  aptationum  diclorum  locorum  che  poi,  sotto 
pretesto  di  povertà,  non  restituiscono,  si  delibera  che  i  rettori  d'essi  luoghi 
al  loro  uscir  di  carica  portino  a  Venezia  i  conti  di  entrata  ed  uscita  dei 
comuni  stessi  onde  siano  esaminati  dagli  uffiziali  alle  Rason,  i  quali  abbiano 
a  rilevarne  il  benestare,  i  difetti,  e  la  legalità  degli  introiti  e  delle  spese 
in  essi  conti  inscritti  (carte  128  tergo). 

1388.  30  agosto.  —  Proposta  da  Lorenzo  Gradenigo  già  podestà  e 
capitano  a  Capodistria. 

A  mastro  Bonaventura  medico,  cerusico  di  Capodistria,  che  si  presta, 
senza  salario,  quando  fit  justitia  et  ad  videndum  mortuos  et  aliter,  si  assegna 
il  salario  di  100  lire  l'anno  (carte  130  tergo). 

1388  m.  v.  11  gennaio.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di 
Parenzo  si  autorizza  lo  stesso  di  colmare  le  fosse  a  parte  maris  fatte  a  quella 
città  al  tempo  della  guerra,  le  quali  corrompevano  1'  aria  (carte  143). 

1388  m.  v.  23  febbraio.  —  Si  delibera  l' Istruzione  del  processo  contro 
Antonio  Donato  già  scrivano  del  legno  della  Riviera  dell'  Istria,  mandato 
[il  Donato]  a  Venezia  da  Antonio  Ferro  castellano  del  Castel  Leone  (carte  153). 
,  1388  m.  v.  23  febbraio.  —  Per  conciliare  le  questioni  fra  i  comuni 
di  Pola  e  di  Dignano  si  ordina  ai  capitani  di  S.  Lorenzo  e  di  Grisignana 
di  recarsi  sui  luoghi  contestati  e  quindi  di  pronunziare  la  sentenza  ;  se  non 


—  271  — 

fossero  d'accordo,  entri  qual  terzo  giudice  il  podestà  di  Pirano,  e  il  giudizio 
segua  a  maggioranza  (carte  153  tergo). 

1388.  14  febbraio.  —  Facoltà  al  capitano  di  S.  Lorenzo  di  spendere 
lire  200  in  lavori  ivi  necessari. 

Il  salario  del  medico  chirurgo  di  Capodistria  è  portato  da  100  a  200 
lire  [pagabili  su  quelle  rendite]  (carte  154  tergo). 

1389.  9  marzo.  —  Facoltà  al  capitano  di  Grisignana  di  spendere  lire 
300  di  picc.  in  riparazioni  a  quelle  mura,  cadute  per  6  passi  e  per  altri  6 
minaccianti  (carte  161  tergo). 

1389.  20  aprile.  —  Facoltà  a  Remigio  Soranzo  podestà  e  capitano  a 
Capodistria  di  spendere  lire  400  dello  stato  per  lavori  necessari  alla  sua 
abitazione  in  quel  palazzo  (carte  167  tergo). 

Senato  Misti  voi.  XLI. 

1389.  18  maggio.  —  Avendo  il  notaio  Desiderato  Lucio  scritto  che 
il  duca  d'Austria  [presso  il  quale  era  stato  inviato],  prò  sedandis  differentiis 
existentibus  in  partibus  Istrie,  de  certis  confinibus  territoriorum,  cum  domino  Duini, 
invierebbe  nella  quindicina  dopo  la  Pentecoste  due  suoi  rappresentanti;  si 
ordina  al  capitano  di  S.  Lorenzo  e  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
trovarsi  coi  detti  rappresentanti,  e,  informati  delle  questioni,  pronunziare 
con  quelli  la  inappellabile  sentenza  arbitramentale.  Per  tal  missione  avranno 
dallo  stato  due  ducati  il  giorno  ciascuno.  Il  Collegio  provvederà  per  la 
commissione  (carte  4  tergo). 

1389.  18  maggio.  —  Cum  multa  mala  abhominabilia  horribilesque  excessus 
cantra  nos  et  statum  nostrum  nostrosque  fideles  commissi  fuerint  per  Archidiaconum 
Iustitiopolitanum,  hominem  iniquissimum  et  sceleratissimum,  il  quale  si  sa  che 
fu  captus  per  communitatem  di  Pordenone  ;  si  dà  facoltà  al  Collegio  di  spen- 
dere fino  a  2000  lire  per  aver  nelle  mani  il  detto  arcidiacono  (carte  5). 

1389  31  maggio.  —  Uno  dei  due  soci  assegnati  dalla  sua  commis- 
sione al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  è  cassato  ;  il  restante  in  ufficio 
avrà  metà  delle  apuntature,  l' altra  metà  anderà  a  vantaggio  dello  stato 
(carte  6). 

1389.  31  maggio.  —  Licenza  alle  monache  di  S.Caterina  d'Isola  di 
far  libere  portar  colà  le  vettovaglie,  i  legumi  e  il  vino  che  raccoglieranno 
limosinando  nelle  ville  dell'  Istria.  Valevole  per  quattro  anni  (carte  7  tergo). 

1389.  15  luglio.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  fino  a  300  lire  di  picc.  dello  stato  prò  reparatione  pontium  diete 
terre  (carte  21). 


—    272    — 

1389.  29  luglio.  —  Non  avendo  Andrea  Dona  ultimo  capitano  a  San 
Lorenzo  compiuti  i  lavori  di  riparazione  permessigli,  si  pone  a  disposizione 
del  suo  successore  Marino  Storiato  il  denaro  per  ciò  lasciato  dal  Dona  e 
gli  si  permette  inoltre  di  spendere  altre  lire  200  di  picc.  (carte  25). 

Si  proroga  a  tutto  agosto  il  termine  a  Simone  Dahnarìo,  stato  podestà 
e  capitano  a  Capodistria,  per  produrre  in  Senato  le  sue  provvisioni  prò 
factis  di  quella  città  (carte  25). 

1389.  io  agosto.  —  Proposte  di  Simone  Dalmario  già  podestà  e  ca- 
pitano come  sopra  (carte  27  tergo). 

Cimi  in  partibus  Iustinopolis  sit  quoddam  hospitale  sancii  Liaxari  vel  domus 
Dei,  quod  est  dotatimi  per  cives  et  habitatores  Iustinopolis  et  habet  reditum  panis, 
vini  et  olei  ad  sujficientiam  prò  decem  pauperìbus,  et  habet  alios  redditus  ad 
valorem  in  totum  librarum  XIII  grossorum  ;  propone  che  vi  si  elegga  priore 
unus  sufficiens  et  bonus  homo  maris,  prescrivendo  le  modalità  della  elezione. 
—  Non  approvata  (carte  27  tergo). 

Quod  ut  civitas  nostra  Iustinopolis,  que  ad  presens  regitur  sine  statutis 

regatur  ordinate propone  di  mandare  colà  ista  copia  statutorum  que 

est  hic  riformata  e  corretta  dal  podestà  e  capitano  e  dai  due  sindici  inviativi, 
e  di  ordinarne  l'osservanza,  salve  ulteriori  modificazioni.  —  Non  approvata 
(carte  28). 

1389.  13  settembre.  —  Licenza  al  Collegio  di  rispondere  a  domande 
di  dichiarazioni  fatte  dal  podestà  e  capitano  di  Capodistria  e  dal  capitano 
di  S.  Lorenzo,  per  le  trattative  nelle  questioni  di  confini  cogli  inviati  del 
duca  d'Austria  (carte  33). 

Si  prolunga  a  tutto  ottobre  il  termine  ad  Andrea  Dona,  tornato  da 
capitano  del  Pasinatico  di  S.  Lorenzo,  per  fare  in  Senato  le  sue  proposte 
di  provvisioni  (carte  33  tergo). 

1389.  19  settembre.  —  Ad  istanza  del  vicecapitano,  dei  giudici  e  del 
comune  di  Trieste,  si  concede  a  quelle  monache  di  S.  Benedetto,  di  man- 
dare delle  loro  sorelle  a  limosinare  in  Polisanam,  e  di  trasportare  per  mare 
al  loro  monastero  ciò  che  avranno  raccolto.  Valevole  per  5  anni  (carte 
33  tergo). 

1389.  7  ottobre.  —  Trovandosi  vantaggiosa  la  deliberazione  24  mag- 
gio 1387,  di  riscuotere  direttamente  la  decima  del  sale  in  Capodistria,  si 
autorizza  quel  podestà  e  capitano  a  spendere  fino  a  lire  300  di  picc.  dei 
denari  dello  stato  prò  /adendo  fieri  salaria  per  accogliervi  il  prodotto  di  detta 
decima  ;  si  ordina  poi  che  quindinnanzi  quei  rettori  trattengano  colà  circa 
500  moggia  di  sale  a  disposizione  del  Collegio  del  sale  di  Venezia,  e  il  di 
più  sia  mandato  alla  capitale  (carte  39). 


—  273  — 

1389.  7  ottobre.  —  Avendo  il  capitano  di  S.  Lorenzo  e  il  podestà  e 
capitano  di  Capodistria  lasciato  interrotte  le  trattative  per  definire  le  ver- 
tenze confinarie  coi  rappresentanti  il  duca  d'Austria,  si  dà  facoltà  al  Collegio 
di  inviare,  invece  dei  primi,  un  rappresentante  di  Venezia  e  di  dargli  le 
istruzioni  e  i  poteri  occorrenti.  Chiedendo  poi  un  nuntius  dei  rappresentanti 

il  duca  qnod  nulla  novitas  fiat  donec   ipsi fucrint  ad  presentiam 

domini  ducis  et  dance  habebììnr  ab  eo  responsio,  si  risponde  che  si  farà  in  modo 
che  il  duca  sarà  contento  (carte  40). 

Avendo  poi  il  detto  nitneius  offerto  a  Simone  Dalmario  per  parte  del 
Signore  di  Duino  che  questi  farebbe  in  modo  di  far  venire  in  mano  alla 
Signoria  veneta  illum  pessimimi  archidiaconum  traditore»!,  si  accetta  l'offerta, 
e  si  promette  che  la  Signoria  farà  il  possibile  per  far  poi  assolvere  il  detto 
signore  dalla  Curia  romana,  se  per  tal  fatto  egli  avesse  ad  incorrere  in  pene 
spirituali  (carte  40). 

In  seguito  ad  altra  comunicazione  fatta  dal  nuncins  al  Dalmario,  cioè 
che  mostrandosi  i  triestini  male  dispositi  contro  il  duca,  desiderava  sapere 
se,  nel  caso  che  il  signor  di  Duino  movesse  guerra  ai  medesimi,  Venezia 
si  asterrebbe  dall'  aiutarli,  e  vieterebbe  ad  altri  di  soccorrerli  per  mare  ;  — 
si  ordina  al  Dalmario  di  rispondere  dispiacere  al  governo  che  gli  abitanti 
di  Trieste  nutrono  sentimenti  ostili  al  loro  signore  ;  Venezia  non  li  soc- 
correrà ;  ma  circa  l' impedire  che  altri  li  aiuti,  non  asti  honestum  nec  de 
more  nostro  est  nos  impedire  de  guerris  et  jactis  aliorum  sine  causa  (carte  40). 

1389.  12  ottobre.  —  Si  risponde  ad  ambasciatori  del  patriarca  di 
Aquileia  : 

[i0].  Dalle  informazioni  date  dai  rettori  di  Grisignana,  Cittanova  e 
Pirano  non  risulta  che  i  sudditi  veneti  abbiano  occupato  territoria  patriar- 
cali, ma  bensì  il  contrario  ;  però,  se  il  patriarca  acconsente,  Venezia  è  di- 
spostissima a  mandar  commissari  sui  luoghi  per  togliere  [d'  accordo  con 
quelli  del  patriarca]  ogni  causa  di  questione  (carte  41). 

[i2c].  E  vero  che  il  podestà  e  capitano  di  Capodistria  vendette  in  addietro, 
in  forza  ordinimi  diete  terre,  saline  ed  altri  beni  come  proprietà  di  nemici 
dello  stato,  al  quale  ne  fu  devoluto  il  ricavato,  perchè  il  Capitolo  di  Ceneda, 
proprietario,  o  i  suoi  dipendenti  multa  damna  intulerant  (carte  41  tergo). 

1389  m.  v.  n  gennaio.  —  In  seguito  alla  risposta  data  come  qui  sopra 
[sub  i°],  si  delibera  di  partecipare  ai  rettori  di  S.  Lorenzo  e  di  Capodistria 
la  proposta  fatta  agli  ambasciatori  aquiieiesi  ;  e  di  incaricarli  di  rappresen- 
tare e  difendere  i  diritti  di  Venezia  in  faccia  ai  rappresentanti  del  patriarca, 
e  di  venire  con  questi  ad  accordo  sulle  questioni  preaccennate;  potranno, 
stando  in  missione,  spendere  2  due.  per  ciascuno  il  giorno  (carte  54). 


—  274  — 

1389  m.  v.  27  febbraio.  —  Le  40  lire  di  picc.  spese  da  Simone  Dal- 
mario  in  palatio  Iustinopolis,  recipiantur  in  juribns  suis  (carte  58  tergo). 

1390.  28  marzo.  —  Facoltà  a  Leonardo  Bembo  podestà  e  capitano  a 
Capodistria  di  spendere  lire  200  per  lavori  in  quel  palazzo  (carte  69  tergo). 

1390.  26  maggio.  —  Licenza  a  Sergio  del  fu  Forella  di  Castropola 
di  recarsi  e  stare  per  due  mesi  in  Pola  per  attendere  a'  suoi  affari  (carte  79). 

1390.  29  luglio.  —  Licenza  a  Leonardo  Bembo  podestà  e  capitano  a 
Capodistria  di  spendere  lire  100  dello  stato  in  lavori  nel  Castel  Leone 
(carte  96). 

1390.  21  agosto.  —  Facoltà  al  capitano  di  S.  Lorenzo  di  spendere 
lire  400  prò  recuperatione  murorum  castri  et  aptatione  cuiusdam  doinus  communis 
(carte  99). 

Ad  istanza  del  comune  di  Capodistria  si  porta  da  200  a  300  lire  di 
piccoli  il  salario  annuale  di  Manfredo  da  Sacile  medico  salariato  in  quella 
città  ;  ciò,  minaciando  esso  Manfredo  di  andarsene  se  non  gli  si  dava  da 
vivere  (carte  99). 

1390.  20  settembre.  —  Si  delibera  la  elezione  in  Senato  di  tre  savi 
ai  quali  si  commette  1'  esame,  articolo  per  articolo,  degli  statuti  di  Capo- 
distria ;  essi  proporranno  al  Senato  entro  il  venturo  ottobre  le  riforme  che 
crederanno  utili  ai  detti  statuti.  Eletti  Federico  Giustinian,  Simone  Michiel 
avogadore  e  Simone  Dalmario  [l'elezione  seguì  il  18  ottobre]  (carte  106). 

1390.  6  ottobre.  —  Comparso,  iam  bono  tempore,  unus  atnbaxator  del 
conte  e  del  comune  di  Pola,  diede  scritti  certa  capitula  differentiarum  vertenti 
fra  quel  comune  e  gli  uomini  di  Dignano,  le  parti  furono  invitate  a  man- 
dare suos  nuncios  informatos  de  iuribus  suis;  ora,  per  por  fine  a  ogni  que- 
stione, si  risponde  come  segue  ai  detti  capitulis: 

Gli  uomini  di  Dignano  che  hanno  in  affitto  terreni  e  stabili  da  quelli 
di  Pola,  pagheranno  i  correspettivi  di  affitto  alle  case  dei  proprietari  [di 
Pola]  come  si  fece  finora  ;  se  non  sono  di  ciò  contenti  potranno  refutare 
ferri toria  et  possessiones  predictas. 

Si  scriverà  al  podestà  di  Dignano  di  restituire  al  comune  di  Pola  le 
munizioni  di  proprietà  di  quest'  ultimo  eh'  erano  nella  torre  di  Dignano. 

Restino  al  comune  di  Pola  le  80  lire  ancora  in  mano  di  quel  conte 
delle  200  che  il  comune  stesso  aveva  sborsato  al  conte  come  acceptas  illis 

de  comitatu  Pisini  pignoratis  per  commune  Pale  prò  herbaticis  factis 

in  comitato  suo  e  che  si  dovevano  restituire  dictis  sclavonicis  de  ipso  comitatu 
secundum  quod  scriberel  potestas  Adignani.  Se  alcuno  degli  sclavonici  suddetti 
dimostrasse  in  seguito  habere  debere  prò  ipsis  pignorationibus,  sarà  pagato 
sulle  suddette  80  lire. 


-  275  — 

Circa  i  confini  odo  villarum  regalie,  quattro  delle  quali  furono,  con 
sentenza  dei  capitani  di  S.  Lorenzo  e  di  Grisignana,  assegnate  a  Pola  e 
quattro  a  Dignano,  confini  che  ora  dan  luogo  a  frequenti  questioni,  si  or- 
dina ad  Albano  Badoer  capitano  a  S.  Lorenzo,  al  conte  di  Pola  e  al  podestà 
di  Dignano  di  studiare  i  diritti  dei  contendenti,  e  quindi  tutti  tre,  a  mag- 
gioranza, stabilire  e  determinare  per  sempre  i  detti  confini.  Ciò  fatto,  se 
risulterà  che  i  dignanesi  pignoravi  jecisse  i  polensi  nei  terreni  a  questi  spet- 
tanti, i  primi  restituiranno  ai  secondi  il  tolto;  e  viceversa  (carte  112  e 
112  tergo). 

Gli  stessi  giudici  veggano  se  nei  boschi  del  comune  di  Pola  sianvi 
legnami  adatti  alla  costruzione  di  case  e  di  navigli,  e  riferiscano  ;  ciò  per 
avere  i  polensi  chiesto  di  poter  avere  di  siffatti  legnami  dal  bosco  dello  Stato 
commesso  al  podestà  di  Dignano  (carte  112  tergo). 

1390.  27  ottobre.  —  Fra  gli  aspiranti  al  vescovado  di  Castello  [Venezia] 
trovansi  :  Vito  Memmo  vescovo  di  Pola,  licenziato  in  diritto  canonico,  e 
fra' Giovanni  Lombardo  vescovo  di  Parenzo  (carte  116). 

1 39 1 .  17  marzo.  —  Fra  gli  aspiranti  alla  dignità  di  abbate  della  Fol- 
lina  si  trova  fra'  Benedetto  de'  Caronelli  abbate  in  S.  Michele  di  Pola 
(carte  130). 

1391.  6  aprile.  —  Licenza  ad  Albano  Badoer,  capitano  del  Pasinatico 
di  S.  Lorenzo,  di  spendere  40  lire  di  picc.  prò  aptandis  collonellis  scale  palatii 
(carte  132). 

1391.  27  aprile.  —  Facoltà  a  Michele  Contarini  podestà  e  capitano  a 
Capodistria  di  spendere  100  lire  di  picc.  in  lavori  in  quel  palazzo  (carte 
135  tergo). 

Ut  in  facto  statutorum  Iustinopolis  procedatur  ordinate,  et  ut  quilibet  se 
intelligat,  si  delibera  l'elezione  in  Senato  di  tre  savi,  ai  quali  è  commesso 
l'esame  dei  singoli  articoli  di  quegli  statuti,  per  poi  proporre,  entro  il  ven- 
turo maggio,  le  modificazioni  che  troveranno  opportune.  —  Eletti  :  Leonardo 
Bembo,  Simone  Michiel  e  Simone  Dalmario  (carte  135  tergo). 

1391.  27  aprile.  —  Provisiones  proposte  da  Leonardo  Bembo  tornato 
da  podestà  e  capitano  di  Capodistria  : 

Per  stimolare  lo  zelo  dei  camerlenghi  di  Capodistria  alla  sollecita  esa- 
zione delle  condanne  pronunziate  dai  podestà,  si  assegnano  tanto  ai  primi 
che  ai  secondi  un  soldo  per  ciascuna  lira  sulle  riscossioni  di  condanne  pro- 
nunziate da  predecessori  del  podestà  in  carica.  I  detti  soldi  saranno  pagati 
dai  condannati.  Ogni  podestà  allo  entrare  in  carica  farà  publicare  di  dar 
tempo  1  j  giorni,  a  tutti  i  debitori  di  tal  partita,  a  pagare  senza  l'aggravio 
dei  due  soldi. 


—  276  — 

Essendo  la  popolazione  ili  detta  città  in  aumento,  e  succedendovi  fre- 
quenti offese  personali,  specialmente  nelle  feste,  sicché  molti  muoiono  per 
mancanza  di  cure  e  molti  [i  colpevoli]  se  absentant  ;  si  delibera  che  quel 
podestà  e  capitano  assoldi  un  medico-chirurgo  coll'annuo  stipendio  di  200 
lire  di  picc.  a  carico  dello  stato  (carte  136  tergo). 

1391.  3  giugno.  —  Avendo  il  Bembo  e  il  Dalmario,  nominati  il  27 
aprile  sapientes  super  statuto  di  Capodistria,  proposto  di  mandar  colà  onde 
sia  posta  in  vigore  la  copia  degli  statuti  già  corretti  e  riformati  da  quel 
podestà  e  capitano  coi  sindici  ivi  inviati  dal  Senato  ;  si  accoglie  invece  la 
proposta  del  loro  collega  Michiel  facendo  inserire  nella  commissione  del  detto 
podestà  e  capitano  :  Omni  autem  a  te  querenti  rationem  facies  adherendo  sta- 
tutis,  ordinibus  et  consuetudinibns  nostris  Veneiiarum  quantum  plus  poteris.  Et 
in  casibus  quibus  hoc  rationabiliter  facere  non  posses,  facies  sicut  tue  discretioni 
videbitur  secundum  Deum  et  honorem  nostri  Dominii  (carte  143). 

Senato  Misti  voi.  XLII. 


1391.  4  luglio.  —  Avendo  il  podestà  e  capitano  di  Capodistria  dimo- 
strato esser  difficile  1'  uniformarsi  alla  prescrizione  precedente  nelle  vendite 
e  nelle  compere  di  possessioni,  per  le  lungherie  del  metodo  veneziano  ; 
cosiderato  che  la  maggior  parte  di  quelle  transazioni  non  supera  il  valore 
di  20  lire  ;  si  delibera  che  sia  in  facoltà  dei  contraenti  di  far  quegli  affari 
sia  secondo  le  norme  di  legge  di  Venezia,  sia  secondo  le  vecchie  in  uso 
in  Capodistria  (carte  6  tergo). 

139 1.  11  luglio.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  lire  500  di  picc.  in  riparazioni  ai  ponti  levatoi  di  Castel  Leone 
ridotti  in  pessimo  stato,  alle  scale,  al  tetto  e  ad  altre  parti  d'esso  castello, 
ed  alla  casetta  ove  abitano  i  conduttori  del  dazio  nitide  pontis  di  quella 
città,  fattasi  rovinosa  (carte  7  tergo). 

1391.  11  agosto.  —  Avendo  maxima  tempestas  danneggiato  moltissimo 
i  prodotti  agrari  e  delle  saline  nel  territorio  di  Pirano;  ad  istanza  di  am- 
basciatori espressamente  inviati  da  quel  comune,  si  rilascia  ai  produttori  il 

sale  raccolto  in  quest'anno,  purché  ponatur  totus  in  manibus po- 

iestatis  nostri  di  quella  terra,  il  quale  rilascierà  i  permessi  di  vendita  ai  singoli. 
Valevole  per  l'anno  corrente  (carte  18  tergo). 

1391.  7  settembre.  —  Licenza  al  nobile  Michex  Wexistayner  viceca- 
pitano di  Trieste  di  far  condurre  colà  da  Monfalcone  per  mare,  liberamente, 
80  urnas  vini  terroni  entro  il  venturo  ottobre  (carte  22  tergo). 


—  277  — 

I391-  2  ottobre.  —  Ad  istanza  dei  cittadini  di  Capodistria,  che  ave- 
vano offerto  di  concorrere  alle  spese  con  300  ducati,  si  dà  facoltà  a  quel 
podestà  e  capitano  di  spendere  220  due.  delle  rendite  locali  per  far  riattare 
conductus  et  gurnas  solitas  que  deferebant  aquam  fontis  di  detta  citta,  e  che 
erano  stati  rotti  in  eversione  et  combustione  diete  terre;  ciò,  essendo  quel  lavoro 

necessarium  tam  prò  comoditate  civium quam  etiam  castri  nostri  cui 

adherebunt  gurne  predicte,  quam  etiam  musolatorum  et  aliorum 

euntiuin  ad  civitatem  (carte  28). 

1391.  12  ottobre.  —  Avendosi  notizia  che  due  legni  vanno  pirateg- 
giando in  partibus  Istrie  usque  Pulmentorias  et  Bredonos,  si  delibera  d' inviare 
ìignmn  nostrum  Istrie  et  Ugnimi  maius  Marchie  cum  capitaneis  suis,  i  quali, 
dopo  deciso  dal  Senato  chi  debba  avere  il  comando,  si  uniscano  in  Pirano, 
ove  armeranno  i  legni,  pel  che  furono  già  dati  opportuni  ordini  a  quel 
podestà,  daranno  la  caccia  ai  pirati  ;  —  e  seguono  le  istruzioni  all'  uopo 
(carte  29). 

1 3  9 1 .  13  ottobre.  —  Si  dà  facoltà  a  Francesco  Zorzi  capitano  del  Pa- 
sinatico  di  Grisignana  di  spendere  500  lire  di  picc.  in  riparazioni  al  muro 
di  quel  castello,  in  parte  rovinato,  e  alla  bastita  Pontis  marchesii  (carte  29). 

1391.  24  ottobre.  —  Facoltà  a  Pietro  Querini  capitano  del  Pasinatico 
di  S.  Lorenzo  di  spendere  lire  400  di  picc.  in  riparazione  alle  mura  della 
terra,  al  palazzo  di  abitazione  di  lui  e  per  rifabbricare  lo  stabulimi  palacii 
(carte  30). 

1391  m.  v.  4  gennaio.  —  Si  prolunga  a  tutto  febbraio  il  termine  ad 
Antonio  Michiel,  tornato  da  podestà  di  Parenzo,  ponendi  suas  provisiones  in 
Senato  (carte  37  tergo). 

1391  m.  v.  20  febbraio.  —  Similmente  fino  a  tutto  marzo  (carte  43). 

1392.  8  marzo.  —  Si  delibera  di  scrivere  al  papa  a  favore  di  Lodo- 
vico Morosini  già  vescovo  di  Capodistria  ed  ora  di  Modone  (carte  46  tergo). 

1392.   15  marzo.  —  Proposte  da  Antonio  Michiel:  —  Cum  in  Parendo 

per  consuelinliucm  fiant  qnatuor  judices  qui  sitnt  per  qualnor  tnenses,  et  isti 

ad  suum  compìementum  fatiant  loco  sui  alios  quatuor  judices et  facilini 

etiam  duos  insticiarios,  duos  camerario* ,  unum  scribam  et  quatuor  advocatos  ; 
et  elapsis  quatuor  aliis  mensibus  UH  judices  facilini  simìliter.  Utide  Siati  circa 
tredecim  persone  que  habenl  istmi  regimai  sciupa-  in  manibtis,  de  quo  male  con- 
tentai ur  alia  bona  gens  ittita  terre,  vedendo  la  prerogativa  dell'  elettorato 
ridotta  in  poche  mani,  nò  avendosi  alcun  documento  scritto  che  assicuri  la 
prerogativa  stessa  a  quelli  che  la  godono,  i  quali  van  dicendo  quod  quando 
civitas  Parencii  data  fui!  ducali  Dominio  fueriint  quatuor  domus  que  fnerunt 
causa  quod  ipsa  daretur,  et  quod  diclis  domibus  lune  reservatum  fitil  quod  habacnl 


—  278  — 

isiàm  auctorìtatem  jaciendi  indices  et  officiales,  del  che  non  vi  è  testimonianza 
scritta  ;  di  più  le  quattro  famiglie  sono  estinte  e  il  diritto  elettorale  passò 
in  altre;  si  delibera  che  i  giudici  e  tutti  gli  ufficiali  di  Parenzo  d'ora  in- 
nanzi fiant  per  consiliitm  Parentii  per  electionem  ad  busolos  et  ballotas  secundum 
ordinem  qui  dabitur  per  potestatem  et  consilium  diete  terre  (carte  49  tergo). 

Insuper  cum  tempore  guerre  Ianuensium  que  fuit  13  jj  capta  civitate  Pa- 
rentìi per  inimicos  multe  de  pulchrioribus  domibus  que  erant  super  ruga  magislra 
et  alibi  per  illam  terram  combuste  fuerit,  et  volentes  UH  quorum  sunt  eas  vendere, 
compareant  propinqui  vel  laleranei  presentantes  et  aquirentes  eas,  nec  reficiunt 
eas,  sed  ipsas  dimiltant  sic,  et  si  non  presentarent,  UH  qui  eas  emunt  laborarent 
eas,  il  che  gioverebbe  allo  stato  e  alla  città;  si  delibera  che  gli  acquirenti 
di  tali  case  debbano  ricostruirle  prò  ornamento  et  commodo  della  terra  (carte 
49  tergo). 

1392.  29  marzo.  —  Fra  gli  aspiranti  al  vescovado  di  Castello  appari- 
scono Vito  Memmo  vescovo  di  Pola,  Giovanni  Loredan  vescovo  di  Capo- 
distria  e  Giovanni  Lombardo  vescovo  di  Parenzo  (carte  5 1  tergo). 

1392.  1  aprile.  —  Fra  gli  aspiranti  alla  dignità  di  abbate  in  S.  Tomaso 
de'  Borgognoni  di  Torcello  evvi  fra'  Benedetto  de'  Caronelli  abbate  di 
S.  Michele  presso  Pola,  postulatus  per  fratres  et  capitulum  monasterii  de  Bnr- 
gundionibus  (carte  52  tergo). 

1392.  9  aprile.  —  Avendo  gli  ambasciatori  veneti  già  inviati  al  patriarca 
di  Aquileia  stabilito  con  questo  la  dominica  dei  SS.  Apostoli  pel  convegno 
dei  rappresentanti  delle  parti  ad  discernendum  le  vertenze  inter  suos  rectores 
de  Bulleis  et  nostros  prò  territorio  Sancti  Georgii;  si  commette,  come  già  altra 
volta,  al  capitano  di  S.  Lorenzo  e  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
rappresentare  Venezia,  autorizzandoli  a  restituire  ai  patriarcali  quanto  fosse 
stato  dai  veneti  indebitamente  occupato,  a  condizione  di  reciprocità  ;  e  a 
por  fine  definitivamente  alle  questioni.  Si  assegnano  ai  medesimi  ducati  due 
al  giorno  durante  la  missione  (carte  53). 

1392.  26  aprile.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  lire  600  di  picc,  denari  dello  stato,  in  riparazioni  alle  terratie  di 
Castel  Leone,  alla  cisterna  di  palazzo  che  non  tenet  aquam,  al  tetto  dello 
stesso,  e  al  campanile  in  piazza  in  superiori  parte,  videlicet  in  girlanda  et 
tabulatus  ita  est  derupatus  quod  custodes  ibi  stare  non  possunt  (carte  54). 

1392.  26  aprile.  —  Sanatoria  a  Michele  Contarmi  già  podestà  e  capitano 
a  Capodistria  per  io  ducati,  spesi,  oltre  i  20  assegnatigli,  in  riparazioni  ai 
condotti  dell'acqua  della  fontana  di  quella  città  (carte  55). 

1392.  30  aprile.  —  Provisiones  proposte  da  Michele  Contarmi  suddetto: 
Aumentando  l' interrimento  della  palude  fra  la  città  e  Castel  Leone,  i  podestà 


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di  Capodistria  facciano  ogni  anno  publicare  che  tutti  coloro  che  vorranno 
optare  et  jacere  fundainentuin  suanan  saliiiantm  debbano  ire  ad  accipiendmn 
de  dicto  terreno  f  d' interrimento]  prò  dieta  causa,  sotto  pena  di  lire  25  ai 
contraffacienti. 

Non  esistendo  più  la  casa  destinata  dal  comune  prò  comodo  et  reductu 
musiolatorum,  come  avanti  la  guerra,  si  autorizza  quel  podestà  e  capitano 
a  far  costruire  presso  la  piazza  una  casa  pel  detto  scopo,  e  a  spendere 
all'uopo  fino  a  500  ducati  dei  denari  di  quel  comune;  e  ciò  per  l'utile  e 
comodo  che  recano  quei  musiolatores  nei  trasporti  delle  derrate  e  altro. 

Non  essendo  più,  per  la  cresciuta  popolazione,  sufficiente  il  numero  dei 
birri  assegnati  a  quella  città,  agli  otto  ora  esistenti,  comandati  dal  conne- 
stabile,  se  ne  aggiungono  altrettanti,  pure  sotto  un  connestabile,  i  birri  con 
6  lire  il  mese  di  paga,  i  ccnnestabili  con  12.  Gli  ultimi  otto  saranno  con- 
dotti dai  singoli  podestà  all'  entrare  in  carica. 

Per  aumentare  la  popolazione  in  città,  quel  podestà  e  capitano  farà 
publicare  che  chiunque  andrà  ad  abitarvi  con  famiglia,  entro  un  anno  dalla 
proclamazione,  sarà  esente,  per  cinque  anni  dal  di  dell'  ingresso,  da  angarie 
reali  e  personali  ;  non  sono  compresi  in  tal  beneficio  i  sudditi  dimoranti 
nell'  Istria. 

Quel  podestà  e  capitano  omni  anno  in  die  lune  post  pascha  maii  debeat 
jacere  proici  ad  palittm  cum  balistis  possendo  expendere  prò  primo,  secando  et 
tertio  meliori  ictu  fino  a  ij  ducati  d'oro  in  regali;  da  tali  esercitazioni  di 
tiro  a  segno,  istituite  per  procurarsi  buoni  tiratori,  sono  esclusi  i  non  sud- 
diti e  gli  estranei  all'  Istria  (carte  56  tergo). 

Cum  ante  guerram  in  Ecclesia  cathedrali Iustinopolis  darenlur 

duodecim  lauda  Serenissimo  domino  Duci  et  potestati  et  capitaneo  qui  se  repe- 
riebal  ibidem  cum  magno  gaudio  et  jesto  totius  terre  ;  et  ad  presens  nitrii  fiat, 
si  commette  a  quei  rettori  presenti  e  futuri  quod  omni  anno  debeant  facere 
dari  quatuor  lauda,  una  a  Pasqua,  una  il  giorno  di  S.  Marco,  una  nella  festa 
di  S.  Lazzaro,  caput  illius  terre,  ed  una  a  Natale,  colla  spesa  di  lire  4  per 
ciascuna,  denari  di  quel  comune  (carte  57). 

1392.  1  giugno.  —  Avendo  artieri  periti  dichiarato  non  bastare  le  eoo 
lire  destinate  ai  lavori  di  riparazioni  in  Castel  Leone,  si  dà  a  Simone  Michiel 
podestà  e  capitano  a  Capodistria  di  spendervene  fino  a  900  (carte  64  tergo). 

Facoltà  al  podestà  di  Pirano  di  far  costruire  presso  il  porto  unum  sa- 
lerium  ad  collocandum  salem  nostri  communis  prò  vitatione  conlrabannorum  con 
un  granaio  nel  piano  superiore  per  tenervi  tniinilionem  bladorum  di  quel 
comune,  spendendo  ducati  120  dello  stato,  sostenendo  il  resto  della  spesa 
quel  comune.  Come  poi  il  detto  salerium  non  basterà  a  contenere  tutto  il 


—  280  — 

sale,  sì  destinano  a  riceverlo  loca  Ma  ubi  ad  presens  sani  granaria  communis 
Pirani  et Ma  camera  polestalis  ubi  collocai  jenum  sitimi,  il  che  al- 
lontanerà il  pericolo  d' incendio  dal  palazzo,  e  il  fieno  potrà  tenersi  in  medis 
sicut  faciunt  alii  cives  (carte  64  tergo). 

1392.  17  settembre.  —  In  seguito  allo  scarsissimo  raccolto  di  sale  fat- 
tosi in  Istria,  il  che  porterebbe,  se  non  vi  si  provvedesse,  la  perdita  del 
traffico  dei  grani,  que  conducuntur  deinde  Venetias,  et  salis  qui  dispensati/r 
deinde,  si  delibera  la  elezione  di  cinque  savi  in  Senato  per  istudiare  e  pro- 
porre provvedimenti  atti  a  togliere  o  mitigare  le  tristi  conseguenze  del  fatto, 
che  est  res  satis  ponderosa  et  que  tangit  communiter  totani  patriam.  —  Eletti 
Michele  Steno  procuratore  di  S.  Marco,  Donato  Moro,  Vitale  Landò,  Gu- 
glielmo Querini  avogadore  di  comun  e  Marco  Zeno  procuratore  di  S.  Marco 
(carte  78  tergo). 

1392.  30  settembre.  —  Licenza  a  Michxe  Weyxinstain  vicecapitano  a 
Trieste,  devoto  nostri  domimi  di  far  condurre,  libere  per  mare  da  Monfalcone 
a  quella  città  70  urnas  di  vino  per  suo  uso  (carte  80  tergo). 

1392.  7  ottobre.  —  Cum  volendo  tenere  in  culmine  trafficum  sive  cursum 
bladorum  que  conducuntur  de  partibus  superioribus  Iustinopolim,  et  de  Iustinopoli 
Venetias,  tanto  vantaggioso  allo  stato,  non  vi  sia  miglior  mezzo  che  man- 
tenere in  quella  città  abbondanza  di  sale,  qui  placet musiolaìis, 

onde  questi  non  abbiano  a  rivolgersi  a  Fiume  od  altrove  ;  veduto  che  il 
sale  di  Alessandria  non  piace  ai  medesimi  ;  si  delibera  :  di  mandare  a  Ca- 
podistria  900  moggia  di  sale  al  prezzo  di  3  ducati  il  moggio,  di  far  venire 
altro  sale  da  Modone  e  da  Corfù  con  una  galea  grossa  ivi  spedita  ;  di  or- 
dinare ai  rettori  di  quelle  due  città  di  noleggiare  itsque  lotum  mensem  februarii, 
quanti  navigli  potranno  e  spedirli  carichi  di  sale  direttamente  a  Capodistria  ; 
di  ordinare  agli  Ufficiali  al  sai  di  spedire  anch'  essi  navigli  a  Corfù  per 
caricarvi  sale  da  portare  a  Capodistria.  Intanto,  in  attesa  di  tali  spedizioni, 
gli  Ufficiali  predetti,  quando  fosse  scarsezza  di  sale  in  Capodistria,  conse- 
gneranno, ai  provveditori  alle  biade,  per  spedirlo  colà,  tutto  il  sale  che 
tengono,  prò  jaciendo  vendi  in  Venezia  e  nel  Mestrino,  nei  quali  luoghi  sarà 
sostituito  con  sale  di  Alessandria  (carte  82  e  82  tergo). 

1392.  7  ottobre.  —  Si  ordina  al  podestà  di  Capodistria  di  far  vendere 
il  sale  da  35  a  40  soldi  lo  staio  a  tutti  quelli  che  porteranno  frumento  colà, 
ai  musiolatis  recanti  grano,  a  soldi  50.  Informi  di  frequente  sulla  quantità 
di  sale  che  ha  a  disposizione  e  sul  prezzo  salis  illarum  partium  (carte  82 
tergo). 

1392.  6  dicembre.  —  Licenza  ad  Andrea  Cocco  capitano  a  Grisignana 
di  spendere  200  lire  dello  stato  in  lavori  di  riparazione  (carte  88  tergo). 


—   28l    — 

1392  m.  v.  3  febbraio.  —  Licenza  a  Simone  Michiel  podestà  e  capi- 
tano a  Capodistria  di  far  erigere  unum  magagnimi  a  frumento  coi  materiali 
e  col  denaro  sopravanzati  dai  lavori  in  Castel  Leone  ecc.  (carte  96). 

1392.  27  febbraio.  —  Faccoltà  ad  Andrea  Vitturi  podestà  a  Dignano  di 
spendere  due.  50  di  quelle  rendite  dello  stato  prò  /adendo  unum  granarium  supra 
lobiam  communis  que  rehedificatur  per  illos  de  Adignano,  cum  fuerit  passa  ruinam, 
in  quo  reponi  possint  regalie  nostri  communis  de  introitibus  Adignani  (carte  96). 

1393.  19  aprile.  —  Avendo  i  giudici  e  la  comunità  di  Lubiana  chiesto 
la  consegna,  per  farne  giustizia,  di  certo  Ianes  Capus  de  Vernico  districtus 
Lubiane,  homicida,  latro  et  stratarum  predator,  carcerato  nelle  prigioni  di 
Capodistria,  si  autorizza  quel  podestà  e  capitano  a  farla,  quando  quelli  di 
Lubiana  promettano  reciprocità  in  casi  simili,  mentre  in  passato  fecero  giu- 
stiziare malfattori  rei  di  crimini  in  territorio  veneto  arrestati  nel  loro  di- 
stretto (carte  105). 

1393.  29  aprile.  —  Si  delibera  di  sospendere  l'esecuzione  della  pre- 
cedente, e  di  ordinare  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  ottenere  dal 
prigioniero,  anche  colla  tortura,  la  dichiarazione  s'egli  abbia  commesso  alcun 
crimine  negli  stati  veneti,  informando  se  etiam  cum  aliis  de  hoc  (carte  109). 

1393.  20  maggio.  —  Facoltà  a  Marco  Venier  podestà  e  capitano  di 
Capodistria  di  spendere  da  1000  a  1200  lire,  danaro  dello  stato,  per  far 
escavare  il  porto  di  S.  Martino  che  est  totaliter  siccus,  e  riattare  il  molo. 
Potrà  spendere  anche  100  lire  per  rinforzare  le  prigioni  (carte  112  tergo). 

1 393-  7  giugno.  —  Si  prolunga  fino  a  tutto  luglio  a  Simone  Michiel, 
stato  podestà  e  capitano  a  Capodistria,  il  termine  per  portare  in  Senato 
provisiones  suas  (carte   1 1  j   tergo). 

1393.  17  giugno.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  lire  200  in  lavori  in  Castel  Leone  (carte  116  tergo). 

Si  rinnova  per  4  anni  alle  monache  di  S.  Caterina  d' Isola  la  licenza 
di  far  portare  liberamente  al  loro  monastero  legumi,  vettovaglie  e  vino 
raccolti  per  elemosina  in  Istria  (carte   116  tergo). 

1393.  21  luglio.  -  Nuova  proroga,  a  tutto  agosto  a  Simone  Michiel 
(carte   118  tergo). 

1393.  7  settembre.  —  Procurandosi  i  piranesi  il  grano  necessario,  per 
grazia  concessa,  de  locis  et  partibus  circumsìantibus,  ma  con  incomodo  e  spese 
per  mancanza  di  mnsiolatorum  qui  non  portant  ad  Ulani  terram  granum  sicut 

ad  alias  terras  Istrie,   ad  istanza  dei  cittadini  stessi  si  concede 

che  quei  podestà  trattengano  colà  400  moggia  l'anno  del  sale  che  riscuo- 
tono per  conto  dello  stato,  e  lo  vendano  alle  migliori  condizioni  possibili, 
onde  i  mitsolati  siano  allettati  a  portar  grano  in  città  (carte  129). 


—   282    — 

1393-  7  ottobre.  —  Licenza  a  Micbxe  Veyxinslain  vicecapitano  a  Trieste 
di  far  condurre  colà  dal  Friuli  liberamente  70  urnas  vini  terrani  per  suo 
uso  (carte   136). 

1393.  13  novembre  —  Si  accorda  a  Marco  Venier  podestà  e  capitano 
a  Capodistria  facoltà  di  spendere   100  lire  in  riattare  e  ricollocare  a  posto 

gurne  per  quas  conducebatur  aqua  fontis prò  maiore  parte  remote  de 

palis  super  quibus  stabant  et  revolute  in  mare  propter  diluvium  aquarum  que  bis 
diebus  preteritis  creverunt  ibi  tam  de  mare  quam  de  celo  (carte   138  tergo). 

1393  m.  v.  io  febbraio.  —  A  Paolo  Zulian,  andato  a  prender  possesso 
del  castello  di  Raspurch,  e  che  trovandovisi  a  disagio  infermò,  si  accorda 
di  partirsene  e  di  lasciarvi  a  custodia  Paolo  de'  Polesiis  connestabile  equestre 
in  S.  Lorenzo  con  20  uomini  equestribus  dei  Pasinatici  ed  una  bandiera  di 
fanteria  di  Grisignana,  dando  gli  ordini  opportuni  a  conservazione  del  luogo; 
esso  Zulian  torni  a  S.  Lorenzo,  ove  era  capitano,  e  si  mantenga  in  rela- 
zione col  detto  connestabile  per  essere  a  giorno  di  ciò  che  succede  in 
Raspurch  (carte  151). 

1393  m.  v.  24  febbraio.  —  Si  prolunga  a  tutto  marzo  il  termine  per 
presentare  provisiones  suas  ad  Consilia  a  Raynucio  Vitturi  già  podestà  a  Pirano 
(carte  151  tergo).    . 

1394.  13   marzo.  —  Cum  priàie,  quando  fuit  acceptum  castrum  Raspurch 

acceptum  fuit  duabus  de  causis  pr incipollì er ,  et  ad  duos  fines,  primo 

prò  securitate  et  conservatone  terrarum  et  fulelium  nostrorum  Istrie,  secundo  prò 

possendo  scansare   expensas  et  augere introitus  nostri  communis  ;  si 

delibera  di  mandar  colà  persone  competenti  per  istudiare  i  provvedimenti 
opportuni,  e  si  decreta  la  elezione  in  Senato  di  due  provveditori,  i  quali 
condurran  seco  tre  famigli  ciascuno,  e  un  notaio,  con  un  servo,  e  potranno 
spendere  5  ducati  il  giorno  fra  tutti  e  due,  non  comprese  le  spese  di  tra- 
sporto. Si  rechino  dapprima  a  Raspurch,  et  ibi  examinare  debeant  condicionem 
et  situm  eius  et  omnes   introitus  loci,  ac  quot  gentes  forent  necessarie  et  cuius 

conditionis  ad reducendum  ibi  paysanatica  et  ad  sccuritatem  contrate 

et  cum  quanto  soldo  et  sub  quot  capìtibus,  come  si  possa  provvedere  all'abi- 
tazione dei  soldati  e  a  quella  del  rettore  da  inviarvisi,  alle  riparazioni  al 
castello,  et  modos  qui  sibi  vitìcrcntur  de  faciendo  ibi  nostrum  rectorem  et  cum 
quanta  familia  et  expensa,  et  prò  quanto  tempore,  et  quomodo  ac  linde  debercl 
recipere  solutionem  suam,  come  abbiano  a  regolarsi  le  rendite  del  luogo,  et 

de  modo  regiininis  soliti  fieri  et  servari  ibi,  et si  esset  modus  reducendi 

genfes  ad  habitandum  contratam,  ecc.  Riferito  su  ciò  al  più  presto,  vadano 
a  S.  Lorenzo  e  a  Grisignana,  et  ibi  similiter  providere  debeant  de  modo  regu- 
landi  ipsa  loca  ad  complementum  rectorum  qui  nunc  sunt  ibi  tam  circa  factum 


—  283  — 

lettor  imi  quomoào  fieri  dehebunt  et  cnm  quanto  salario  et  expensa,  et  qiiomodo 
debebniit  rimanere  {ideila  custodia,  ecc.  Visiteranno  anche  gli  altri  luoghi  del- 
l' Istria  per  informarsi  su  ciò  che  occorresse  ;  e  per  provvedere  al  modo 
con  cui  il  rettore  di  Raspurch  potesse  corrispondere  cogli  altri  della  pro- 
vincia, per  via  di  segnali  o  altro  in  caso  di  bisogno  di  soccorso.  Del  tutto 
riferiranno  e  faranno  le  loro  proposte  in  Senato  (carte   154  tergo). 


Senato  Misti  voi.  XLIII. 

1394.  12  maggio.  —  Quia  una  de  principalibus  causis  propter  quas 
dominano  nostra  haberc  voluit  castrarli  Raspurch  fuit  prò  reducendo  ibi 
Pasanatica  nostra,  tam  prò  meliori  custodia  totius  Istrie  quam  etiam  prò 
scansando  expensas,  quia  locus  est  aptissimus  ad  ipsam  custodiam,  et  prop- 
tcrea    necessarium  sit  providere  ibi  de  uno  sufficienti   rectore  et  capitaneo 

et  de custodia Vadit  pars  quod eligi  debeat 

unus  capitaneus  dicti  loci in  malori  Consilio per  duos 

annos  et donec  successor  suus  illue  ire  distulerit.  Et  habeat  de 

salario  in  anno libras  sexaginta  grossorum tenendo  ad 

suum  salarium  et  expensas  quinque  domicellos,  duos  ragacios  et  sex  equos 

annorum  quatuor  vel  inde  supra unum  socium  venetum 

annorum  XXV  vel  inde  supra,  qui  placeat  nostro  dominio,  et  ipsi  dare 
debeat  aut  unam  robam  et  soldos  XL  grossorum,  aut  robas  duas  et  soldos  XX 
gross.  in  anno.  Insuper  tenere  debeat  unum  notarium  ad  suas  expensas  oris 

solummodo,  qui habeat  utilitates  quas  soliti  erant  habere  notarii 

cura  capitaneis  nostris  S.  Laurentii.  Ipsum  salarium  recipere 

debeat  dictus  capitaneus  per  illum  modum quod  recipiebat  ca- 
pitaneus S.  Laurentii. 

Et  quia  ville  supposite  ipsi  castro  Raspurch  solvunt  et  dant  omni  anno 
multas  regalias  et  honorifìcencias  tam  curie  quam  capitaneo  et  tam  in  pe- 
cunia quam  multi*  aliis  rebus,  inter  qua  sunt  ligna,  fenum,  et  ova 

habeat  dictus  capitaneus  de predictis  tantum  quantitatem  quanta 

erit  ei  necessaria  prò  domo  sua  et  prò  equis  suis,  et  omnia  ova  que  pre- 

sentantur  ipsi  curie.  Omnes  autem  alic  regalie  et  honorifìcentie 

remaneant in  nostrum  commune 

Pro  custodia  vero  et  securitate  dicti  castri  et  totius  Istrie,  ordinetur 
quod  in  castro  e  .se  et  ^tarc  debeant  duodecim  boni  ballistarii  de  Veneciis 
vel  de  locis  nostris  sub  uno  capite,  qui  habeant  de  soldo  libras  XIIII  par- 
vorum  in  mense,  et  caput    habeat  XX.    Et  istos  conducere   debeat    dictus 


—  284  — 

capitaneus  secum  quando  ibit  ad  reginien,  sed  fiant  per  solutores  armamenti 

Veruni  ut  semper  ibi  sint  persone  sufficientes,  quilibet  rector 

conducere  debeat  ballistarios  quatuor et  quando  erit  deinde  casset 

totidem  de  minus  sufficientes 

Insuper  debeant  ibi  deputari  XX  bone  lancce  ad  duos  equos  prò  lancea, 
et  XX  ballistarii  equestres,  vel  ballistarii  et  arcerii,  secundum  quod  utilius 

videbitur,  bene  muntati  et  cum  bonis  armis sub  duobus  bonis 

comestabilibus  de  gentibus  Paysanaticorum,  si  erunt  sufficientes,  et  si  non 

accipiantur  de  aliis  ;  quorum  comestabitium  unus  sit  Paulus  de 

Polesiis,  qui  est  homo  expertus et  notus  in  partibus,  et  alii  tres 

comestabiles  Paisanaticorom  probentur  in  Consilio  rogatorum 

Habeant  de  soldo  prò  qualibet  lancea,  includendo  ballistarium  vel  arcerium, 
libras  XXXXV  parvorum  in  mense.  Comestabiles  vero  habeant  prò  sua 
lancea  in  qua  sit  unus  balistarius  predictorurh  et  prò  uno  tubeta  libras 
LXXXXV  parvorum  in  mense  (carte  3). 

Omnes  autem  alie  gentes Paysanaticorum  S.  Laurencii  et 

Grisignane  cassari  debeant,  salvo  quod  ad  custodiam  Grisignane  et  S.  Lau- 
rentii  remanere  debeant  due  banderie  peditum,  una  prò  quolibet  loco 

Verum  ex  nunc  detur  libertas  capitaneo  supradicto  possendi  expendere 
in  reparando   coperturas   palacii  et  habitationis   sue,  at  in  aliis    rebus  sibi 

necessariis usque  ad  quantitatem  ducatorum  centum 

Et  insuper  quia  diverse  opiniones  sunt  de  faciendo  habitationes  soldatorum 

nostrorum  equestrium comminami-  dicto  capitaneo  quod 

fieri  faciat diligentem    examinationem  ubi  erit  utilius  eas  facere 

quia  postea  providebitur  per  consilium  rogatorum 

Commissio  autem  sua  formetur  per  collegium  de  commissionibus  lo- 
corum  duorum  predictorum  secundum  quod  necessarium  eis  apparebit  .... 
(carte  3  tergo). 

1394.  21  giugno.  —  Facoltà  a  Fantino  Zorzi  cav.  podestà  e  capitano 
a  Capodistria  di  spendere  lire  200  in  riparazioni  ai  ponti  della  città,  alle 
scale  di  Castel  Leone  e  in  altri  luoghi  (carte  12  tergo). 

1394.  21  giugno.  —  Comparsi  davanti  la  Signoria  alcuni  cittadini  di 
Capodistria,  chiesero,  in  nome  di  tutti  quei  comunisti,  quod  regantur  per 
nostros  rectores  in  civilibus  et  criminalibus  secundum  ordines  et  statuto,  sua  solita, 
sicché  quei  rettori  abbiano  soli  il  diritto  di  giudicare  e  di  reggere,  e  di 
eleggere  gli  ufficiali,  oltre  quelli  che  sono  nominati  per  grattata  nostri  do- 
mimi. Si  delibera  [considerato  quod  omnes  die  terre  nostre  Islric  reguntur  cum 
statutis  et  ordinibus  suis,  quos  credendum  est  suos  aniecessores  condidisse  quia 
cognoverunt  eos  uliles  et  necessarios]  di   ordinare   a  tutti  i  rettori   di   quella 


—  285  — 

città,  e  di  far  inserire  nelle  rispettive  Commissioni  :  Quod  de  cetero  debeant 
non  testante  aliquo  alio  nostro  mandato  nec  alia  forma  sue  commissionis  regere 
Ulani  civitatem  in  civilibus  et  criuiinalibus  seciindum  formatti  et  ordinali  statu- 
tornili  suoriun,  ami  ista  declaratione  quod  ipsa  statata  et  ordines  non  habeant 

loaiui,  sed  anulìenliir in  quacumque  farle  faciunt  mentioneni  quod 

postestas  iudicet  et  jacial  ami  volitatale  et  consensu  suoram  ojficialium,  et  quod 
ojjiciales  eligantur  per  tartan  consilium  ;  sed  sit  solus  ad  judicanduni  et  ad  eli- 
gendmii  ojficiales   necessarios  ultra  conslitutos  et  constituetidos  per  nostrum  do- 

minitim Cum  hac  eliam  declaratione  capitali  CVI  libri  Starnai  con- 

tinentis  quod  de  debitis  pecunie  mutuate  vel  deposite  nulla  testificatis  valeat  a 
libris  decan  parvorum  saprà  nisi  fuerit  per  publicuin  instrumentum,  et  a  decem 
libris  infra  nisi  probatnm  fuerit  per  duos  ydoneos  tcstes  vocatos  sive  rogatos  a 
partibus,  et  quod  nulla  probatis  testimonii  de  predictis  mutuo  vel  deposito  valeat 
contra  defunctos.  Quod  hec  locum  habeant  in  civibus  et  habitatoribas  Iustinopolis 
et  districtus.  In  aliis  autem  forinsecis  retnaneat  in  liberiate  rectorum  nostrorum 
qui  per  tempora  fuerint  accipiendi  et  non  accipiendi  testificationes  superinde,  sen- 
tentiandi  et  terminandi  prout  eis  secundum  Dettili  et  suam  bonam  conscientiam 

indebitar Et  ita  intelligatur  et  declaretur  ultima  pars  capituli  odavi 

didi  libri  continens  quod  cantra  defunctos  nulla  probatis  testium  prò  aliquo  debito 
recipiatur  (carte  12). 

1394.  9  luglio.  —  Essendosi,  al  tempo  dell'istituzione  dei  capitani  in 
Grisignana,  stabilito  di  non  tener  più  in  Pirano  i  20  cavalli  che  vi  si  so- 
levano tenere,  risulta  inutile  al  podestà  di  quest'ultima  l'avere  i  tre  cavalli, 
come  è  obbligato  per  la  sua  commissione,  e  perciò  invece  di  questi  terrà 
duos  famulos  ami  una  bareba  [oltre  i  già  prescritti  dalla  commissione]  i  quali 

avranno  partem  contrabannorum  inventorum  per  eos  sicut olii  famuli 

et  ojficiales  nostri  (carte  15   tergo). 

1394.  24  luglio.  —  Si  delibera  di  sovvenire  il  capitano  di  Raspurch  di 
300  ducati  per  costruire  mansiones  stipendiariorum,  e  per  altri  lavori  ;  al  po- 
destà e  capitano  di  Capodistria  si  ordina  di  mandare  al  detto  capitano  la 
paga  di  due  mesi  per  gli  stipendiarli  (carte  19). 

1394.  27  agosto.  —  Ridottisi  in  Raspurch  i  Pasinatici,  si  delibera  che 
il  Maggior  Consiglio  elegga  un  podestà  in  S.  Lorenzo  con  lire  30  di  grossi 
di  salario  annuo,  obbligo  di  tenere  tres  famulos,  unum  ragacium  et  tres  equos 
ac  unum  notarium,  quest'ulmimo  ad  suas  expensas,  gli  altri  ad  suum  solarium 
et  expensas  ;  il  Collegio  è  autorizzato  a  riformare  la  relativa  commissione. 

Deliberazione  simile  alla  precedente  per  Grisignana,  il  podestà  avrà 
lire  25  di  grossi  l'anno,  terrà  duos  famulos  e  gli  altri  come  sopra  (carte  27). 

1394.  29  agosto.  —  Trovandosi,  a  quanto  scrive  il  capitano  di  S.  Lo- 


—  286  - 

renzo,  in  quella  terra  numerosi  uomini  validi  e  fedeli,  che  se  fossero  ar- 
mati renderebbero  inutile  la  presenza  della  bandiera  di  fanteria  ivi  stanziata 
a  difesa  del  luogo,  si  accorda  a  quei  terrazzani  il  prestito  di  iooo  di  piccoli 
onde  si  forniscano  di  armi  [e  non  per  altro],  la  qual  somma,  guarentita 
come  offrono,  sarà  restituita  in  tre  anni.  Acquistate  le  armi  e  distribuite, 
la  detta  bandiera  sarà  cassata  (carte  27  tergo). 

1394.  13  settembre.  —  In  seguito  a  rapporti  di  Pietro  Emo  cavalier 
capitano  a  Raspitrcb  si  delibera  :  che  gli  Ufficiali  alle  rason  acquistino  e 
mandino  al  più  presto  colà  le  cose  sotto  notate  per  munizione  del  castello  ; 
che  il  podestà  e  capitano  di  Capodistria  compri  per  conto  dello  Stato  un 
miliare  d'olio,  io  me%enas  di  carni  salate,  100  staia  di  miglio,  due  staia  di 
sale,  e  mandi  il  tutto,  o  se  non  tutto,  in  parte,  e  pel  resto  il  danaro  oc- 
corrente, a  Raspurch. 

Cose  da  spedirsi:  2  anfore  di  aceto,  formai  de  Creta  libbre  1000,  ferro 
in  verghe  libbre  1000,  verettoni  casse  20,  freccie  casse  5,  chiodi  d'ogni 
sorte  migliaia  5,  ^aponos  io,  badilia  io,  pali  di  ferro  2,  roaconos  vel  OtffU 
aut  speltos  io,  marìellos  et  cha^as  prò  muris  5,  follos  2,  fibbie  e  chiodi  per 
corazze  migliaia  5   (carte  28). 

1394.  28  settembre.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
di  spendere  lire  200  dello  Stato  prò  opere  et  aptatione  della  fontana  (carte  30). 

1394.  4  ottobre.  —  Facoltà  a  Tomasino  Giustinian  eletto  podestà  a 
S.  Lorenzo  di  spendere  fino  a  500  lire  in  riparazioni  alle  mura  vecchie  del 
castello  ;  il  capitano  Paolo  Zulian  consegnerà  al  suo  partir  di  là,  il  danaro 
che  gli  resta  in  mano  di  conto  dello  Stato,  per  tal  lavoro,  al  detto  capitano 
(carte  3 1  tergo). 

1394.  25  ottobre.  —  Si  delega  al  podestà  di  S.  Lorenzo  l'istruire 
processo  e  il  pronunziare  sentenza  in  causa  fra  1'  abate  di  S.  Michele  di 
Murano  e  il  comune  di  S.  Lorenzo.  La  questione  era  :  Il  generale  dell'or- 
dine a  cui  apparteneva  il  convento  di  S.  Michele  aveva  annesso  a  questo 
quello  di  S.  Michele  de  Latto;  nel  verificare  le  proprietà  di  questo,  l'abate 
aveva  riscontrato  che  alcune  di  esse  erano  state  occupate  dagli  uomini  di 
S.  Lorenzo  [in  quel  territorio];  la  Signoria,  in  seguito  a  querele,  aveva 
incaricato  il  capitano  di  S.  Lorenzo  di  verificare  le  cose,  di  riferire  e  di 
mandare  la  dotationem  del  convento,  e  una  sentenza  pronunziata  nel  1344 
da  Marco  Corner  che  faceva  menzione  dei  confini  in  questione.  Poscia  si 
venne  alla  suddetta  delegazione  (carte  34). 

,  1394.  25  ottobre.  —  Non  avendo  il  ntmcins  del  comune  di  S.  Lorenzo, 
venuto  a  Venezia  ad  aquistare  le  armi  di  cui  è  cenno  sotto  il  29  agosto, 
1'  importo  per  pagare  il  dazio  per  le  medesime,  gli  si  dà  a  prestito  la  somma 


—  287  — 

necessaria  che  andrà  in  aumento  delle   1000  lire  concesse  in  detta  delibe- 
razione (carte  34  tergo). 

1394.  24  novembre.  —  In  seguito  a  rapporti  del  capitano  di  Raspo  e 
del  podestà  di  Montona,  si  ordina  ai  medesimi  e  agli  altri  rettori  dell'Istria, 
di  accogliere  tutti  coloro,  che  fuggendo  dalle  terre  rese  malsicure  dalla 
guerra  vigente  fra  Corrado  Crayer  e  il  capitano  di  Trieste  da  una  e  la 
Patria  del  Friuli  dall'altra  parte,  quando  vengano  coli' intenzione  di  stabilirsi 
come  vicini  nelle  terre  venete  e  si  assoggettino  alle  prescrizioni  relative,  e  di 
respingere  tutti  coloro  che  vi  venissero  per  temporanea  sicurezza,  ciò  per  non 
dar  causa  ai  belligeranti  di  danneggiare  il  territorio  veneto  (carte  35  tergo). 

1394.  12  dicembre.  —  Le  parti  belligeranti  accennate  nel  precedente 
recarono  danni  parecchi  sul  territorio  veneto,  tam  in  animalibns  existentibus 
ad  herbaticum  quam  in  socedam,  et  etiam  animalibns  nostrorum,  et  specialiter 
in  comitati!  Pale  per  illos  de  Dnobus  Castellis  [patriarcali]  qui  venerimi  ad  ac- 
cipiendum  imam  socedam  capitana  Tergesti  equarum  L  vel  circa,  et  imam  al- 
teram  nostrorum  fideìiiim.  Il  conte  di  Pola  riuscì  ad  impedire  1'  asporto  di 
quegli  animali  e  ad  arrestare  i  predoni,  i  quali  in  parte  si  trovarono  essere 
di  Due  Castelli,  parte  di  Pola  e  parte  di  Dignano.  In  seguito  a  ciò,  com- 
parve davanti  la  Signoria  quidam  episcopus  a  chiedere  in  nome  del  comune 
di  Due  Castelli  la  liberazione  dei  carcerati  che  vi  appartenevano  ;  e  il  Senato, 
considerando  che  i  belligeranti  fecero  tregua,  colla  mediazione  della  Signoria, 
fino  al  S.  Giorgio  p.  v.,  delibera  di  rispondere  al  medesimo  che  i  detti 
prigionieri  saranno  rilasciati  quando  si  avrà  certezza,  da  parte  del  conte  di 
Pola,  che  tutto  ciò  che  fu  preso  è  stato  restituito.  Si  ordina  poi  al  detto 
conte  di  procedere  in  via  di  criminale  contro  i  suddetti  sudditi  veneti  di 
Pola  e  di  Dignano  (carte  43). 

1394  m.  v.  14  febbraio.  —  Morto  Paolo  de  cPolesiis,  connestabile  in 
Raspo,  si  delibera  di  portare  da  2  a  3  il  numero  di  quei  connestabili  ; 
quello  che  ora  vi  è  vi  resterà,  i  due  nuovi  saranno  nominati  dal  Senato 
(carte  46  tergo). 

1395.  20  aprile.  Si  danno  a  prestito  al  comune  e  agli  uomini  di 
Montona,  de  pecunia  sibi  danda  per  potestatem  nostrum  Iustinopolis,  1000  lire 
per  2  anni,  per  acquistare  armi  a  difesa  di  quella  terra  (carte  52  tergo). 

1395.  2  luglio.  —  Licenza  ad  Egidio  Morosini,  podestà  e  capitano  a 
Capodistria,  di  spendere  39  '/,  ducati  in  riparazioni  a  Castel  Leone  e  in 
rinnovarne  certe  munizioni  (carte  67  tergo). 

1395.  2  luglio.  —  Si  assegnano  40  ducati  a  Paolo  Zulian,  per  essere 
stato  mandato,  con  suo  incomodo  e  spese,  a  prender  possesso  del  castello 
di  Raspo,  mentre  era  capitano  a  S.  Lorenzo  (carte  70). 


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1395-  6  luglio.  —  Licenza  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  spen- 
dere ducati  12  in  riparazioni  al  ponte  de  Travolto,  rottosi,  pel  quale  pas- 
sano i  mussolati  e  quelli  che  vengono  in  città  (carte  70). 

1395.  19  luglio.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  100  ducati  d'oro  prò  coboperiendo  palatium  et  prò  aptando  cistcrnam 
palatii  e  per  rifare  un  muro  rovinato  nel  cortile  del  palazzo  (carte  72  tergo). 

1395.  20  agosto.  —  Si  concedono  tres  postas  cabalariorum  di  Treviso 
a  Lorenzo  Crocho  da  Capodistria  (carte  77  tergo). 

1395.  20  agosto.  —  Essendo  morti  di  peste  alcuni  dei  12  balestrieri 
stanziati  in  Raspo,  ed  alcuni  essendo  infermi,  quel  capitano  li  sostituì  con 
sei  di  S.  Lorenzo,  ma  chiese  di  non  dover  cassare  i  malati,  sembrandogli 
ciò  inumano,  e  di  poterne  tener  sempre  13  di  sani;  gli  si  risponde  lodan- 
dolo ed  approvando  (carte  77  tergo). 

1395.  3  ottobre.  —  Licenza  a  Michxe  de  Vexinstayn  vicecapitano  a 
Trieste  di  far  condurre  colà  liberamente  per  mare  dal  Friuli  50  itrnas  di 
vino  ferrano. 

Licenza  al  podestà  e  comune  di  Rovigno,  mancando  da  due  anni  il 
prodotto  delle  viti  in  quel  territorio  propter  mala  temporalia,  di  esportare 
dalle  altre  terre  dell'  Istria,  da  Capodistria  a  Pola,  60  anfore  di  vino  ;  va- 
levole per  un  anno  (carte  88). 

1395.  16  novembre.  —  Licenza  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
di  spendere  25  ducati  dei  fondi  dello  stato  in  riparazioni  culminis  et  tedi 
Castri  Leonis,  infracidito,  il  tetto,  dalle  pioggie  (carte  <)i  tergo). 

1395.  29  novembre.  —  Avendo  quidam  vicecomes  Duymus  de  Grobenich 
chiesto  al  capitano  di  Raspo  in  nome  della  contessa  di  Segna,  che  per  evi- 
tare danni,  per  parte  dei  nemici  di  quella  signora,  alle  gentes  et  districtuales 
castri  Raspurch,  esso  capitano  ricevesse  quelle  genti  e  distrettuali  sub  pro- 
tezione et  gubernatione  di  Venezia,  reddendo  cuilibet  ius  et  iustitiam  ut  primitus 
faciebat,  o  almeno  consentisse  fosse  divulgato  e  facesse  divulgare  che  quella 
protezione  era  stata  accordata  ;  —  si  ordina  al  capitano  di  rispondere  :  La 
contessa  saprà  che  dopo  i  primi  patti  che  accordavano  a  Venezia  la  prote- 
zione di  tutti  i  sudditi  di  Raspo,  volle  modificar  le  condizioni  dei  medesimi 
nel  senso  che  la  Republica  non  avesse  a  se  impedire  de  eis  [dei  sudditi  pre- 
detti] ;  quindi  non  è  onesto  far  credere  cose  non  vere.  Il  capitano  è  auto- 
rizzato a  interporsi  per  riconciliare  la  contessa  coi  suoi  nemici  (carte  94  tergo). 
1395.  23  dicembre.  —  Quia  multis   respectibus  et  special-iter  eorum  que 

habemus  a  domina  comitissa  Segnie  de  volendo  exlrahcre de  manibus 

nostris  locum  Raspurch,  jaceret  prò  nobis  et  secnritate  locorum  nostrorum  Isiric 
di  aver  in  mano  il  luogo  di  Pietrapelosa  ora  tenuto  da  Hordiborgo  olim  Istrie 


—  289  — 

marchiane  pio  domino  Patriarcha,  quia  si  haberentus  illuni  quando  adirne  dietimi 
castrimi  Raspurch  nobis  acciperelur,  loca  nostra,  mediante  dieta  custodia  [di  Pie- 
trapelosa]  custodirentitr  et  salvare» tur  ;  si  delibera  di  dar  facoltà  al  capitano 
[di  Raspo]  possendi  intrare  in  tractalu  de  habendo  istuni  locuni,  e  di  riferire 
quanto  andrà  facendo  in  argomento  ;  lo  si  avverte  che  si  amerebbe  meglio 
l'ottenerlo  pio  ali  quo  censii  che  in  altro  modo  ;  se  trattasse  di  averlo  in  pegno 
di  un  credito,  procuri  che  della  spesa  per  custodia  et  reparatione  venga  pro- 
messo il  rimborso  assieme  al  denaro  che  si  prestasse  (carte  96  tergo"). 

1395  m.  v.  8  gennaio.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
di  spendere  ducati  25  d'oro,  per  rifare  certo  muro  di  quel  palazzo  ;  e  sa- 
natoria per  altri  io  ducati  spesi  in  più  dei  concessigli  altra  volta  (carte  99). 

1395  m.  v.  28  gennaio.  —  Si  prolunga  a  tutto  il  venturo  marzo  a 
Giovanni  Moro,  già  conte  di  Pola,  il  termine  per  riferire  in  Senato  le  cose 
notate  per  cui»  (carte  102  tergo). 

1396.  8  giugno.  —  Il  capitolo  delle  commissioni  dei  rettori  dell'Istria 
che  prescrive  :  Quod  ipsi  non  debeant  tenere  in  suis  tetris  aliqiicm  forbanituiu 
da  altro  di  essi  prò  furto,  raubaria  vel  tradimento  suaruin  terrarum  ;  che  cia- 
scuno d'essi  rettori,  all'uscir  di  carica,  mandi  agli  altri  la  lista  dei  forbaniìi 
da  lui  per  le  dette  cause,  o  per  altro  notabili  excessu  ;  —  si  modifica  or- 
dinando :  che  i  rei  di  tradimento  e  di  assassinio  si  arrestino  e  si  mandino 
al  luogo  ove  fu  commesso  il  delitto  ;  e  che  i  rettori  non  aspettino  il  finir 
della  carica  per  dar  notizia  di  simili  malfattori  ai  colleghi  d'altre  terre,  ma  la 
diano  subito  onde  quelli  possano  essere  presi  dovunque  si  trovino  (carte  137). 

1396.  22  giugno.  —  Perchè  non  si  produca  in  Pirano  maggior  quan- 
tità di  sale  della  voluta  dalle  convenzioni  fatte  con  quei  cittadini,  si  ordina 
al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  recarsi  tosto  a  Pirano,  ed  ivi  visitare 
e  rilevare  lo  stato  delle  saline  già  in  esercizio  nel  1362,  e  delle  piantate 
posteriormente  ;  e  di  riferire  particolareggiatamente.  Andrà  a  spese  dello 
Stato,  e  potrà  star  di  notte  fuori  della  sua  residenza,  se  fosse  necessario 
(carte  138). 

1396.  6  luglio.  —  Facoltà  a  Marino  Storiato  eletto  capitano  a  Raspo 
di  spendere  lire  50  [dello  Stato]  in  riparazioni  alla  sua  abitazione  (carte 
138  tergo). 

Simile  ad  Andrea  Bembo,  podestà  e  capitano  a  Capodistria,  di  spendere 
70  ducati  in  riparazioni  e  lavori  in  quel  palazzo  e  in  Castel  Leone  (carte 
140  tergo). 

1396  m.  v.  20  febbraio.  —  Facoltà  a  Bertuccio  Dolfin,  podestà  a  Gri- 
signana,  di  spendere  250  lire  di  piccoli  [fondi  dello  Stato]  in  riparazioni  al 
castello,  al  palazzo  rettorile,  alla  torre  super  qua  clamantur  custodie  alla  porta 


—  290  — 

Roche  e  alla  casa  del  cancelliere;  si  ordina  poi  ai  patroni  dell'Arsenale  di 
mandargli  legnami  e  ferramenta  pei  lavori  (carte  171). 

1397.  11  marzo.  —  Facoltà  al  suddetto  di  provvedersi  di  un  maran- 
gone per  servirsene  nelle  occorrenze,  dandogli  203  lire  il  mese  oltre  la 
solita  paga  (carte   175). 

1397.  9  marzo.  —  Si  mandano  un  avogadore  di  comun  ed  uno  degli 
ufficiali  al  caltaver  in  Istria  in  qualità  di  sindici,  i  quali  visitino  tutte  le 
terre  dotate  di  rettore,  con  le  facoltà  e  prerogative  già  godute  dagli  inviati 
nel  15  ottobre  1386  (carte  176  tergo). 

1397.  19  marzo.  —  Dovendosi  provvedere  a  moderare  la  esuberante 
produzione  di  sale  in  Pirano,  si  delibera  la  elezione  di  tre  savi  in  Senato 
per  istudiare  i  provvedimenti  opportuni  (carte  176  tergo). 

1397.  14  aprile.  —  Facoltà  ad  Andrea  Bembo  podestà  e  capitano  a 
Capodistria  di  spendere  25  ducati  [fondi  dello  Stato]  a  compimento  di  lavori 
in  Castel  Leone  e  in  palazzo  (carte  183). 

1397.  4  maggio.  —  Licenza  a  Vito  Bon  podestà  a  S.  Lorenzo  di  ac- 
quistare 100  tavole  di  abete  ed  un  barile  di  chiodi  prò  f adendo  apiari  quel 
fonticum  (carte  184). 

Senato  Misti  voi.  XLIV. 

1397.  17  giugno.  -  Pietro  Arimondo  podestà  e  capitano  a  Capodistria 
è  autorizzato  a  spendere  ducati  50  [dello  Stato]  in  lavori  in  palazzo  (carte 
7  tergo). 

1397.  5  luglio.  —  Licenza  al  podestà  di  Parenzo  di  far  importare  colà, 
per  comodo  di  quei  cittadini,  dieci  migliaia  di  cacio  e  sei  migliaia  di  carni 
salate  dalla  Schiavonia  (carte  9  tergo). 

1397.  5  luglio.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  ducati  100  [dello  Stato]  in  lavori  ai  ballatoi  di  Castel  Leone  ro- 
vinati, e  in  altre  opere  ivi  (carte   12). 

1397.  15  luglio.  —  Si  autorizza  il  podestà  di  S.  Lorenzo  a  spendere 
lire  200  di  piccoli  prò  reparatione  fontici  bladorttm  et  ntimitionum  castri,  di 
un  pistrini  communis  fracti,  di  ditorum  follorum  a  fabro  ed  altre  cose  in  quel 
castello  (carte  12). 

1 397.  3  agosto.  —  Licenza  al  vescovo  di  Trieste  di  far  passare  per 
mare  da  Umago  a  Trieste  50  staia  di  frumento  e  50  urnas  di  vino  de  red- 
ditibus  suis  (carte   16). 

1397.  5  ottobre.  —  Licenza  al  podestà  e  capitano   di  Capodistria  di 


—  291  — 

spendere   150  ducati  [dello  Stato]  in  vari   lavori  al  tetto  del   palazzo,   alla 
loggia  comuni*  ed  altri  (carte  22). 

1397  m.  v.  5  gennaio.  —  Si  prolunga  a  Iacopo  Valaresso,  già  conte 
a  Pola,  fino  a  tutto  febbraio  il  termine  per  produrre  in  Senato  le  sue  prov- 
vigioni (carte  25  tergo). 

r  397  ni.  v.  7  febbraio.  —  In  seguito  a  lagni  dei  gastaldi,  vicini  e  rustici 
di  Ficus  S.  Pe'ri  e  di  5.  Petti  de  la  Macta  distretto  di  Capodistria  contro 
le  estorsioni  di  coloro  che  atomi  decimam  dictarum  villarum,  le  quali  fini- 
scono col  ridurre  quei  villici  alla  disperazione  e  a  costringerli  a  emigrare  ; 
si  scrive  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  accordando  che  la  riscossione 
della  detta  decima  sia  ceduta  ai  gastaldi  e  uomini  delle  ville  stesse  verso 
l'annuo  correspettivo  di  lire  520  di  piccoli  (carte  33). 

1398.  20  marzo.  —  Licenza  a  Sergio  del  fu  Forella  di  Castropola  di 
andare  a  stare  in  Pola  quanto  gli  piacerà.  Valevole  per  4  anni  (carte  36  tergo). 

1398.  11  maggio.  —  Non  avendo  i  savi  già  eletti  per  la  questione 
del  sale  di  Pirano  potuto  occuparsene,  e  spirato  il  termine  del  loro  ufficio, 
si  delibera  la  elezione  di  tre  nuovi  savi,  da  farsi  dalla  Signoria  (carte  39). 

1398.  31  maggio.  —  Risposte  date  a  capitoli  presentati  da  un  inca- 
ricato del  comune  di  Dignano  dopo  sentito  in  argomento  Tribuno  Memmo, 
già  podestà  in  detta  terra  : 

Pretendendo  quei  comunisti  che  i  podestà  e  rettori,  specialmente  dal 
tempo  di  Iacopo  Soranzo  in  poi,  li  costringano  ingiustamente  a  pagare  ogni 
anno  per  ogni  paio  di  buoi,  seminando  meno  di  io  moggia  di  frumento, 
un  moggio  di  quel  grano  ed  uno  d'  orzo,  et  sic  ab  inde  supra  per  ralam, 
chiedono  che  tale  esazione  sia  ridotta  alle  pristine  misure,  cioè  che  semi- 
nando con  io  paia  di  buoi  e  moggia  30  per  paio,  non  pagavano  un  moggio 
di  frumento  ed  uno  d'  orzo  ;  —  si  risponde  non  risultare  dalle  informa- 
zioni la  pretesa  alterazione,  e  quindi  non  farsi  luogo  all'  istanza. 

Si  assente  a  restituire  a  quel  comune  il  prodotto  delle  pene  nialarum 
mcnsi<nvitiii,  onde  stimolare  una  maggior  sorveglianza  in  argomento  [a  detta 
del  Memmo  tali  pene  producevano  circa  25  lire  di  piccoli  l'anno;  egli  non 
ne  riscosse  che  io]. 

.  Si  restituiscono  eziandio  al  medesimo  le  pene  acciisarnm  fiutarmi  de 
ammalibus  lain  venientibus  ad  berbalicum,  reperlis  ultra  confines,  e  degli  ani- 
mali appartenenti  a  quei  terrazzani  ;  anche  questo  per  eccitare  gli  accusatori 
ai  quali  si  accorda  la  metà  della  pena. 

Per  incoraggiare  la  viticoltura  si  permette  di  proibire  la  vendita  del 
vino  ad  spinam  in  quella  terra. 

Non     i  assente  ad  abolire  il  dazio  di  due   soldi  per  moggio   sul  fra- 


—    29Ì   — 

mento  quod  ibi  emilur  et  conducitur  in  terris  et  locis  domimi,  sapendosi,  con- 
trariamente alla  loro  asserzione,  che  fu  sempre  pagato. 

Si  ordinerà  al  rettore  di  Dignano  di  prestare  a  quei  terrazzani  300  lire 
dalle  rendite  locali,  da  restituire  in  rate  eguali  in  5  anni,  per  erigere  unum 
torculare. 

Non  si  acconsente  ad  abolire  il  dazio  di  4  soldi  per  capo  sugli  ani- 
mali grossi  che  si  esportano  da  quel  territorio  (carte  41). 

1398.  31  maggio.  —  Si  ordina  al  capitano  eletto  dai  paysanaticorum 
Raspurch,  di  procedere,  dopo  studiate  le  questioni,  a  definire  in  via  di  di- 
ritto le  vertenze  fra  i  comuni  di  Parenzo  e  di  S.  Lorenzo  prò  factis  suonivi 
herbaticorwn,  negando  il  primo  valore  ad  una  terminazione  che  il  secondo 
asseriva  emessa  da  un  capitano  di  S.  Lorenzo  (carte  44). 

1398.  9  luglio.  —  Provisiones  super  sale  Pirani  proposte  da  due  dei 
savi  eletti  super  dicto  sale,  ma  non  approvate  (carte  50-51  tergo). 

È  approvata  invece  la  seguente  proposta  da  Tomaso  Mocenigo  savio 
del  Consilio. 

Non  essendo  abbastanza  studiata  la  questione,  si  delibera  di  eleggere 
in  Senato  tre  provveditori,  i  quali  visiteranno  le  bocche  dei  fiumi  pei  quali 
si  fa  il  contrabbando  e  studieranno  il  modo  d'impedirlo;  si  porteranno  a 
Pirano  e  studieranno  con  quel  podestà  l' impianto  di  magazzini  per  serbarvi 
il  sale  colà  raccolto,  ed  esamineranno  lo  stato  delle  saline.  Ritornati,  por- 
teranno in  Senato  le  loro  proposte,  e  questo  sarà  convocato  a  loro  richiesta. 

Eletti:  Francesco  Marcello  [18  luglio],  Iacopo  Trevisan  [18  luglio]  e 
Antonio  Barbaro  [23  luglio]  (carte  51  tergo). 

13  98.  18  luglio.  —  Comminatoria  di  50  ducati  di  multa  agli  eletti  che 
rifiutassero  il  suaccennato  ufficio  (carte  51  tergo). 

1398.  16  agosto.  —  Iurius  de  Monte,  Gregorius  de  Antignano  et  Litcas 
de  Ospo,  portarono  querela  alla  Signoria,  anche  a  nome  degli  altri  abitanti 

villarum  et  curiarum font  nostri  coininimìs  quam  specialiuni  perso- 

naruni  del  distretto  di  Capodistria,  di  essere  costretti  da  quei  rettori,  a  ri- 
chiesta dei  cittadini,  a  condurre  in  città  tutto  il  vino  che  si  produce  nelle 
ville  e  che  sopravanza  al  consumo  dei  produttori,  aut  quod  non  possunt  pa- 

stenare  nec  plantare  vineas ,  et  preter  decem  capaturas  prò  unoquoquc 

manso  permiitant  omnes  alias  ire  in  desolationem  et  in  bareto,  onde  l'agricol- 
tura e  i  villici  soffrono  gravi  danni  ;  perciò  si  delibera  di  ordinare  ai  po- 
destà e  capitani  di  detta  città  di  non  prendere  alcun  provvedimento  in  tal 
riguardo  senza  licenza  ed  ordine  della  Signoria,  onde  i  villici  non  siano 
impediti  nei  lavori  e  miglioramenti  agricoli  (carte  59  tergo). 

1398.  29  agosto.  —  Lodovico  Morosini    podestà  e  capitano  a  Capo- 


—  m  — 

distria  è  autorizzato  a  spendere  ducati  80  [dello  Stato]  in  riparazioni   alle 
carceri  e  in  altri  lavori  (carte  60  tergo). 

Facoltà  a  Francesco  Malipiero  capitano  dei  Pasinatici  di  Raspo  di  spen- 
dere lire  100  di  piccoli  [dello  Stato]  in  riparazioni  necessarie  in  quel  luogo 
(carte  6o  tergo). 

1398.  17  dicembre.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  a  Capodistria  di 
spendere  lire  200  di  piccoli  prò  reperiendo  aliquos  predones  qui  enormia  damila 
et  robarias  committunt  occulte  in  quella  città  e  suo  distretto  (carte  75). 

E  di  spendere  100  ducati  [dello  Stato]  prò  aptando  campanile  et  zirlandas 
della  città  (carte  75). 

1399  2  marzo.  -  Si  sospende  la  trattazione  delle  proposte  portate 
al  Senato  da  Francesco  Marcello  e  Iacopo  Trevisan  provveditori  già  inviati 
a  Grado  e  a  Pirano,  per  por  argine  al  contrabbando  del  sale  (carte  90  tergo). 

1399.  11  aprile.  —  Fra  gli  aspiranti  al  vescovado  di  Ceneda  sono  in- 
scritti Pietro  Marcello  studente  leggi  in  Bologna,  canonicus  parentinus  e  Guido 
Memmo  vescovo  di  Pola  (carte  98  tergo). 

1399.  21  aprile.  —  Si  delibera  che  sia  fatto  il  sindicato  per  autorizzare 
il  podestà  e  capitano  di  Capodistria  e  il  capitano  di  Raspo  a  trattare  in 
nome  di  Venezia  coi  rappresentanti  il  patriarca  di  Aquileia  l'accomodamento 
delle  vertenze  fra  i  sudditi  della  prima  e  del  secondo  (carte  98  tergo). 

1399.  3  giugno.  —  Francesco  Malipiero  capitano  dei  pasinatici  di  Raspo 
è  autorizzato  a  spendere  lire  3  di  piccoli  il  mese  per  assumere  un  interprete 
della  lingua  slava  a  lui  necessario  (carte  104  tergo). 

1399.  4  luglio.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria,  di 
spendere  60  altri  ducati  a  compimento  di  lavori  già  autorizzati  (carte  113). 

1399.  22  luglio.  —  Stando  per  ritornare  dalla  carica  il  podestà  e  ca- 
pitano di  Capodistria,  si  danno  al  suo  successore  Bernardo  Foscarini  le  com- 
missioni e  le  facoltà  conferite  al  primo  e  delle  quali  è  cenno  nella  delibe- 
razione  11  aprile  (carte  nj  tergo). 

1 399.  5  agosto.  —  Ad  Enrico  Marescalco  già  caporale  equestre  in  Gri- 
signana,  il  quale  prestò  buoni  servigi  e  perdette  l'uso  d'una  mano  per  un 
colpo  avuto  in  un  braccio,  si  restituisce  una  paga  in  detta  terra,  toltagli, 
in  causa  dell'età,  da  quel  podestà;  con  obbligo  di  fare  aistodias  di  giorno 
e  di  notte  (carte  117  tergo). 

1399.  12  agosto.  —  Licenza  al  patriarca  di  Aquileia  di  mandare  armi 
e  vettovaglie  per  mare  a  Muggia  pei  suoi  armigeri  (carte  119  tergo). 

1399.  1  settembre.  —  Si  prolunga  a  Rainieri  Vitturi,  stato  podestà  a 
Parenzo,  fino  alla  fine  del  mese  il  termine  per  produrre  in  Senato  le  sue 
provvisioni  (carte   121). 


—  294  — 

ì 399.  23  ottobre.  —  Facoltà  a  Iacopo  Dandolo  podestà  a  S.  Lorenzo 
di  spendere  lire  125  di  piccoli  in  riparazioni  a  quel  palazzo  vecchio,  e  lire 
200  prò  optando  il  palazzo  di  sua  residenza  (carte   128). 

1399  m.  v.  15  gennaio.  —  Si  accorda  la  grazia  chiesta  come  segue, 
a  patto  che  il  petente  compensi  i  danni  fatti.  Guariento  Lagnano  di  Capo- 
distria  espose  alla  Signoria  che  avendo  sotto  il  podestà  Simone  Daltnario, 
presi  super  Chersis  tre  suoi  debitori  dimoranti  nel  distretto  di  Capodistria, 
e  condottili  ad  Villani  Lutto  per  averne  il  pagamento  de'  suoi  crediti,  il  Dal- 
mario  lo  pose  in  bannum  civitatis  Iustinopolis  et  districtus  con  taglia  a  chi 
lo  desse  in  mano  vivo  o  morto  all'autorità.  Per  ciò  fu  costretto  ad  andar 
mendicando  fuor  di  patria,  ma  non  ristette  dal  notificare  nostris  rectoribus 
Iustinopolis  quando  persenserit  de  aliqua  cavalchata  et  congregatone  gentitim 
fienda  per  teuthonicos  super  Chersis  a  danno  degli  istriani,  e  ciò  con  molto 
pericolo  suo  e  dei  suoi.  Fece  considerare  i  meriti  della  sua  famiglia,  sempre 
fedele,  la  morte  di  suo  fratello  Tiso  ucciso  ad  honorem  nostri  domimi  per 
homines  de  Bulleis  ;  e  chiese  di  poter  rientrare  nello  Stato.  In  seguito  si 
verificò  il  bando,  la  taglia  di  500  lire  decretata  dal  Senato  colla  confisca 
dei  beni,  si  ebbero  le  informazioni  dei  rettori  di  Capodistria,  commendatizie 
in  favore  del  Lugnano  da  Alberto  duca  d'Austria  e  da  Rodolfo  di  Waldsee 
(carte  146). 

1399  m.  v.  29  gennaio.  —  Facoltà  a  Bernardo  Foscarini  di  spendere 
lire  250  di  piccoli  pei  tetti  del  palazzo  di  Capodistria  e  della  sua  cappella, 
per  riparazioni  ai  condotti  della  cisterna  del  palazzo,  al  camatatus  di  una 
torre  di  Castel  Leone  in  cui  si  conservano  le  armi  (carte  139). 

Senato  Misti  voi.  XLV. 

r/poo  26  marzo.  —  Si  ordina  al  podestà  di  Parenzo  di  esigere  tutte 
le  rendite,  affitti  ecc.  delle  possessioni  de  Orsal  [sic]  clic  sono  in  questione 
fra  Ursus  de  Arlizpnibus  e  quel  vescovo,  tanto  per  la  parte  spettante  al  detto 
Orso  quanto  per  quella  toccante  all'  arcidiacono  e  agli  altri  fratelli  ;  le  ri- 
scossioni saranno  depositate  presso  persone  di  fiducia  del  podestà  ;  e  ciò 
si  osservi  fino  a  nuove  disposizioni  (carte  7  tergo). 

1400.  14  maggio.  —  Licenza  per  5  anni  alle  monache  di  S.  Chiara 
di  Capodistria  di  trasportar  colà  liberamente  quanto  raccoglieranno  in  ele- 
mosina nell'Istria  e  in  Schiavonia  (carte  15  tergo). 

1400.  5  giugno.  —  Non  risultando  sufficienti  i  due  ducati  al  giorno 
assegnati  ai  Sindici    destinati  in  Istria,   si   autorizzano   a  spendere    id  qttod 


—  295  — 

fuerit  opportunum,  a  condizione  che  i  lor  conti  vengano  poi  sottoposti  agli 
ufficiali  alle  rason  (carte   15  tergo), 

1400.  3  luglio.  —  Non  avendo  Iacopo  Dandolo  spesi  i  danari  con- 
cessigli il  23  ottobre  1399,  si  autorizza  il  suo  successore  Rainieri  Venier 
a  tare  quelle  spese  (carte  21). 

1400.  16  luglio.  —  Essendovi  in  Parenzo  grande  scarsezza  di  carne 
salata  e  di  cacio,  si  dà  licenza  a  quei  cittadini  di  farne  venire  io  migliaia 
per  ciascuna  merce  dalla  Marca  [d'Ancona]  e  dalla  Puglia  (carte  24). 

1400.  16  luglio.  —  Si  delibera  di  concedere  una  lanceam  equestrem,  fra 
le  prime  vacanti,  in  Raspo  a  Manfredino  Lagnano  di  Capodistria  figlio  del 
fu  Tiso  il  quale,  al  tempo  della  guerra  contro  Genova  fu  più  volte  man- 
dato in  Ungheria  dagli  ambasciatori  veneti  colà  inviati,  e  morì,  essendo 
stipendiarlo  equestre  in  Grisignana,  in  una  cavalcata  contro  quelli  di  Buje 
(carte  24  tergo). 

1400.  26  luglio.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  lire  150  [dello  Stato]  in  riparazioni  a  Castel  Leone  (carte  24  tergo). 
1400.  16  agosto.  —  Si  prolunga  a  tutto  settembre  venturo  il  termine 
ai  sindici  stati  in  Istria  per  riferire  in  Senato  sulla  loro  missione  (carte  26). 
1400.  19  agosto.  —  Licenza  a  Giovanni  Zorzi  podestà  e  capitano  a 
Capodistria  di  spendere  100  ducati  in  riparazione  carcerum  et  loci  torture  di 
quella  città  (carte  26  tergo). 

1400.  23  settembre.  —  Fra'  Giovanni  qui  fnit  de  Tergeste,  alias  epi- 
scopus  albati  [di  Albania  ?]  ora  traslato  al  vescovado  di  Cittanova  dal  papa, 
è  accettato  come  tale  (carte  33  tergo). 

1400.  23  settembre.  —  Essendo  quasi  tutti  gli  stipendiarli  della  ban- 
diera che  sta  in  Grisignana  possidenti  ed  abitanti  in  quel  paese,  il  che  non 
conviene  ;  si  delibera  di  assoldare  una  bona  banderia  pedituni  jorensium  cum 
ilio  numero  ballistariorum  et  pavesar ioritm  che  ha  quella  presente,  sotto  un 
buon  connestabile,  con  lire  otto  il  mese  prò  pavesano,  e  io  prò  bai  listano  ; 
in  essa  non  potranno  arruolarsi  istriani  nò  tedeschi  ;  la  nuova  bandiera  stara 
agli  ordini  del  rettore  locale,  e  tosto  giunta  a  Grisignana  questa,  la  vecchia 
sarà  cassata  (carte  34). 

Smerius  Quirino  podestà  a  Grisignana  scrisse  che  pervenuti  colà  Filippo 
Correr  ed  Andrea  Barbaro,  sindici  in  Istria,  gli  uomini  e  vicini  di  quel 
castello  si  lagnarono  coi  medesimi  esser  stati  privati  della  licenza  di  poter 
vendere  liberamente  il  lor  vino,  dovendo  darlo  alla  taberna  esercitata  dallo 
Stato,  e  chiesero  si  desse  loro  tale  licenza,  verso  pagamento  di  congruo 
dazio,  dopo  che  sarà  smaltito  nella  detta  taberna  quello  riscosso  per  conto 
dello  Stato  per  decime.  I  sindici  non  vollero  immischiarsi  dell'  affare  ;   ma 


—  296  — 

il  podestà  studiò  la  questione,  e  riferì  che  tenendosi  hi  taberna  per  conto 
dello  Stato,  questo  habet  de  introiti!  ultra  vinum  communi*  quod  exigitur  de 
decimis  et  tcrraticis  quo  supra  prò  urnis  quam  pimi  CC  in  CCC  libr.  parvoruiu 
ad  rationem  lucri  sold.  30  prò  urna  totius  illius  quod  emitur,  et  ipsi  libenter 
solverent  de  dado  libram  I.  sic  quod  lo  Stato  n'avrebbe  danno  di  circa  lire  100 
e  non  più  di  150,  quod  non  potest  dici  lucrimi  giacche  i  rustici,  mancando 
loro  la  speranza  del  guadagno,  trascurano  la  coltivazione,  ne  viene  la  ca- 
restia del  vino  e  il  minor  reddito  delle  decime,  e  i  contadini  emigrano  ; 
mentre  in  vece  assentendosi  alla  domanda  si  vedrebbe  aumentarsi  la  popo- 
lazione per  immigrazione,  rifiorire  l'agricoltura  e  quindi  aumentare  le  ren- 
dite dello  Stato.  Tali  considerazioni  furono  appoggiate  da  Nicolò  Badoer 
e  da  Nicolò  Morosini,  stati  rettori  in  Grisignana;  e  quindi  si  delibera  che  : 
venduto  nella  publica  taverna  di  Grisignana  per  conto  dello  Stato  il  vino 
prodotto  dalle  decime  e  terratici,  quei  terrazzani  potranno  vendervi  il  vino 
loro  particolare,  purché  prodotto  in  quel  distretto,  verso  pagamento  di  una 
lira  prò  urna  (carte  34). 

1400.  3  dicembre.  —  Mandatosi  Francesco  Beaciani  notaio  ducale  a 
Muggia  per  ricuperare  il  danaro  preso  da  quegli  abitanti  a  Zaccaria  Cri- 
stiano fattore  dei  Provveditori  alle  Biade,  n'  ebbe  in  risposta,  non  essere 
stata  presa  la  somma  che  si  pretende  e  altri  pretesti  per  evitare  la  restitu- 
zione ;  ora  per  venire  a  conclusione,  si  scrive  al  Beaciani  di  cercar  di  ot- 
tenere la  restituzione  integrale,  minacciando  altrimenti  misure  energiche,  e 
facendo  publica  protesta  in  atti  notarili  (carte  44  tergo). 

1400  m.  v.  11  febbraio.  —  Ad  istanze  di  ambasciatori  del  comune 
di  Pola  si  risponde  : 

Si  ordinerà  a  quei  conti,  onde  riporre  in  buon  stato  le  mura  di  detta 
città,  di  farne  riparare  ogni  anno  100  passi,  a  spese  di  quel  comune  ;  si 
accorda  poi  una  piata  seu  bircio  fornito  de'  suoi  attrezzi  per  trasportare  i 
materiali  necessari  al  detto  lavoro. 

Non  potendo  quegli  uomini  vendere  gli  animali  grossi  che  eccedono 
i  loro  bisogni,  e  non  conducendosene  a  Venezia  ove  sono  rifiutati  proptcr 
ferocitatem  ipsorum  quia  situi  ammalia  quasi  silvesir'ui  ;  si  concede  loro  di 
esportarli  per  la  Marca  [di  Ancona]  e  per  ogn'altro  paese,  verso  pagamento 
di  mezzo  ducato  per  animale  a  favore  dello  Stato  ;  tale  licenza  durerà  due 
anni,  o  più  se  piacerà  alla  Signoria. 

Si  ordina  ai  rettori  di  Pola  di  permettere  che  quei  cittadini  possano 
comprare  ogni  anno,  con  esenzione  da  dazi,  per  uso  dei  poveri,  sei  migliaia 
di  formaggio  forestiero  dai  legni  che  approdano  colà,  e  coli'  adesione  dei 
venditori  (carte  56). 


—  297  — 

140 1.  6  marzo.  —  Essendo  stato  ordinato  al  Ugnimi  Riperie  Istrìe  di 
condurre  il  patriarca  di  Aquileia  in  Puglia,  la  Signoria  è  incaricata  di  prov- 
vedere interinalmente  alla  custodia  di  quella  Riviera. 

Il  7  marzo  la  Signoria  ordinò  ai  Pagatori  dell'armamento  di  mandare 
sulla  detta  Riviera  tre  barche  armate  (carte  61  tergo). 

1401.  22  marzo.  —  Per  eccitare  i  sudditi  istriani  a  portare  il  lor 
vino  a  Venezia  si  diminuisce  da  3  '/,  a  2  '/,  ducati  1'  anfora  il  dazio  che 
pagavano  all'  importazione  quelli  di  Capodistria,  Isola  e  Pirano,  e  da  2  '/, 
a  2  il  dazio  simile  pagato  da  quelli  di  Umago,  Cittanova,  Parenzo,  Mon- 
tona,  Grisignana  e  Pola.  Valevole  fino  al  Natale  del  1402  (carte  66  tergo). 

1401.  7  aprile.  — Avendo  quidam  sta^onarius  di  Capodistria  comperato 
in  quella  città  uni  tentila  casalium  diruptorum  contigua  curie,  stabulo  e!  bospitio 
palatii,  per  lire  300  di  piccoli,  coli' intenzione  di  fabbricarvi  aliquod  hospicium 
con  grave  inconveniente  pel  palazzo,  ob  occupatione  lucis,  si  accorda  al  po- 
destà di  detta  città,  poiché  si  è  ancora  in  tempo,  di  acquistare  i  detti  beni 
rovinosi  per  conto  dello  Stato  per  la  detta  somma,  a  comodo  del  palazzo 
(carte  70  tergo). 

1401.  15  aprile.  —  Facoltà  a  Pietro  Duodo  podestà  in  Dignano  di 
spendere  lire  roo  di  picc.  [dello  Stato]  prò  facicndo  fieri  unum  aliud  hospicium 
in  palatio  sue  habitationis  ut  possil  ibi  comode  stare  cum  familia  (carte  69). 

1401.  6  maggio.  —  Ad  istanza  degli  abitanti  di  Rovigno  si  delibera 
la  restituzione  a  quella  terra  del  corpo  di  S.  Eufemia,  protettrice  da  700 
anni  della  medesima,  asportatone  dai  genovesi  quando  presero  Rovigno  al 
tempo  dell'  ultima  guerra,  e  trasferito  a  Chioggia,  quindi,  a  guerra  finita, 
a  Venezia  [da  Saraceno  Dandolo]  nella  chiesa  di  S.  Canciano  (carte  77 
tergo). 

1401.  3  giugno.  —  Facoltà  a  Giovanni  Zorzi  podestà  e  capitano  a 
Capodistria  di  spendere  150  lire  [dello  Stato]  in  riparazione  ai  tetti  delle 
quattro  torricelle  di  Castel  Leone  nelle  quali  si  conservano  le  munizioni 
d'  armi  e  d'  altro  (carte  83  tergo). 

1401.  6  settembre.  —  Deliberatosi  di  arruolare  otto  bandiere  di  fan- 
teria il  Collegio  ordinò  ai  rettori  di  Capodistria  e  di  Pirano  di  assoldare 
fra  tutti  e  due  100  uomini  sotto  quattro  connestabili  ;  si  revoca  l'ordine, 
cessato  il  motivo  dell'  arrotamento  di  truppe  (carte  105). 

1401.  25  settembre  —  In  seguito  ad  istanze,  da  cinque  anni  ripetute, 
degli  uomiti  di  Pirano,  non  potendo  vivere  quel  comune  sinc  sale  suo,  si 
delibera  di  rispondere  ai  suoi  oratori,  or  presenti  a  Venezia  :  Concedersi 
al  comune  stesso,  per  5  anni,  di  prelevare  dall'annual  prodotto  delle  saline 
ora   esistenti  la  settima  parte,   come  e  1'  uso,  la  quale  sarà    riposta  in  un 


—  298  — 

magazzino  di  cui  terrà  le  chiavi  il  rettore,  e  sarà  venduta  ai  mussolatis  e 
ad  altri  per  l'esportazione  per  terra,  a  profìtto  di  quel  comune.  Il  Governo 
farà  levare  per  5  anni,  ogni  anno  dai  propri  ufficiali  3500  moggia  di  quel 
sale  che  sarà  pagato  a  lire  4  di  piccoli  il  moggio  dopo  misurato.  Se  nel 
primo  anno  sarà  prodotta  da  quelle  saline  una  quantità  maggiore  delle 
3500  moggia  [oltre  il  settimo  spettante  al  comune],  l'eccedente  sarà  posto 
in  magazzini,  apparecchiati  da  quel  comune  a  supplemento  dell'  eventuale 
deficienza  dell'anno  dopo,  e  così  d'anno  in  anno.  Sarà  però  vietato  l' im- 
pianto di  saline  nuove,  oltre  le  esistenti  ora,  il  che  è  demandato  alla  sor- 
veglianza del  podestà,  il  quale  ne  farà  compilare  un  catasto  ').  I  proprietari 
di  saline  che  facessero  contrabbando  del  loro  prodotto,  oltre  le  solite  pene, 
avranno  distrutte  le  saline  stesse,  e  non  potranno  più  far  sale.  Il  divieto 
d' impianto  di  nuove  saline  si  estende  anche  a  coloro  che  avendo  avuto  la 
permissione  per  grazia  non  le  avessero  ancor  fatte,  né  tali  grazie  si  potranno 
più  concedere  (carte  ni  tergo). 

140 1.  30  settembre.  —  Avendo  il  conte  di  Pola  e  il  podestà  di  Pa- 
renzo  denunziato  che  alcuni  exititii  di  Spalato  andavano  pirateggiando  con 
un  brigantino,  dal  quale  fino  nel  Jeme  (Leme)  furono  aggredite  due  barche  ; 
si  ordina  al  capitano  della  Riviera  dell'  Istria  di  andare  a  Pirano,  prendervi 
quattro  balestrieri  e  dar  la  caccia  ai  pirati  fino  a  Zara,  ove  giunto  [se  non 
avesse  ancor  catturato  il  detto  legno]  esponga  a  quei  rettori  la  cosa,  si 
lagni  che  il  comune  di  Spalato  abbia  permesso  il  fatto  e  fornito  il  legno, 
e  li  preghi  d' impedire  la  continuazione  dell'  inconveniente  e  la  sua  rinno- 
vazione (carte  112  tergo). 

1401.  21  ottobre.  —  Essendosi  congedato  mastro  Manfredo  da  Sacile 
medico  salariato  dallo  Stato  in  Capodistria,  si  dà  facoltà  a  quel  podestà  e 
capitano  Fantino  Loredan  di  procurare  altro  medico  collo  stipendio  pagato 
al  primo  di  lire  350  di  piccoli  l'anno  (carte  115). 

1401.  6  dicembre.  —  Licenza  al  podestà  e  capitano  suddetto  di  as- 
sumere, in  luogo  del  defunto  Bertoldo  da  Conegliano  cabalarli',  un  trom- 
betta che  eserciti  ambi  gli  uffici,  collo  stipendio  di  lire  22  il  mese,  cioè 
16  come  caballarius  e  6  come  trombetta  (carte  120). 

1401.  17  dicembre.  —  Facoltà  al  medesimo  podestà  di  spendere  lire 
200  di  piccoli  in  riparazioni  a  un  ponte,  al  palazzo  ecc.  (carte  121  tergo). 


')  In  margine  è  annotato  che  le  lettere  del  podestà  di  Pirano  recanti  il  censimento 
delle  saline  si  conservano  dagli  Ufficiali  al  sai. 


—  299  — 

Senato  Misti  voi.  XLVL 

1402.  3  marzo.  —  Menzione  di  un  Gualengo  da  Pirano  connestabile 
in  Polesine  (carte  1). 

1402.  18  marzo.  —  Provvedimenti  proposti  da  Rainieri  Venier  tornato 
da  conte  di  Pola  : 

Nel  1384  essendo  conte  in  Pola  Andrea  Paradiso  venne  proibito  agli 
abitanti  di  quel  distretto  di  condur  vino  in  città,  sotto  pena  di  io  soldi 
prò  baio  vini  e  di  soldi  32  per  carda  uve;  e  inoltre  di  vendere  il  lor  vino 
prima  che  sia  smaltito  quello  degli  abitanti  la  citta  ;  tali  disposizioni  cau- 
sarono la  partenza  di  molti  contadini  che  andarono  in  Albona,  a  Castel- 
nuovo,  a  S.  Vincenti,  con  danno  del  territorio  ;  perciò,  considerandosi 
anche  che  i  detti  contadini  simt  satis  apti  ad  navigandum  ;  si  delibera  l'a- 
bolizione dei  suaccennati  divieti,  permettendosi  a  tutti  gli  abitanti  del  con- 
tado di  portare  a  vendere  in  Pola  il  loro  vino  e  le  uve  liberamente. 

Reggendosi  i  cittadini  di  Pola  secondo  il  proprio  statuto,  e  non  se- 
condo il  diritto  comune,  ed  attenendosi  nelle  sentenze  d' ultime  istanze 
alle  leggi  venete,  si  delibera  che  i  conti  inviati  colà  d'ora  innanzi  in  luogo 
del  vicario  giurisperito  conducano  seco  unum  socium  ed  un  famiglio,  al 
primo  dei  quali  paghino  lire  100  di  piccoli  e  le  spese  di  bocca  (carte  4  tergo). 

1402.  18  marzo.  —  Vedendosi  come,  dacché  Raspo  è  in  mano  a  Ve- 
nezia, tutta  l' Istria  vada  prosperando,  si  trova  utile  che  vi  resti,  e  perciò 
si  delibera  di  accordare  a  prestito  al  conte  di  Segna  1500  ducati  ch'egli 
aveva  chiesti  per  mezzo  d'ambasciatore,  purché  quel  castello  resti  obligato 
per  13000  ducati  invece  che  per  11500  [Proposta  non  approvata]. 

Con  successiva  deliberazione  si  nega  al  detto  conte  il  prestito  doman- 
dato (carte  7). 

1402.  6  aprile.  —  Licenza  a  Fant.  Loredan  podestà  e  capitano  a  Ca- 
podistria  di  spendere  300  lire  di  piccoli  [dello  Stato]  in  riattare  le  vie  onde 
i  musolati  melius  venire  possint  in  città  (carte  12). 

1402.  29  aprile  —  In  seguito  a  questioni  vertenti  inter  dominimi  Io- 
batmem  qui  se  dicit  Episcopum  Emonienìcni  sai  vintm  nobiìem  ser  Fantimim 
Grili  et  quondam  Mixonem  Vincivera  de  Moiniano  suddito  di  Guglielmo  duca 
d'Austria,  per  avere  il  vescovo  investito  il  Gritti  delle  decime  di  Merischie  e 
Topolove^e,  sulle  quali  Mixo  suddetto  vantava  diritti  come  dipendenze  del 
castello  di  Momiano  da  remoti  tempi  dato  in  pegno  alla  sua  famiglia  dai 
duchi   d'  Austria,  —  e  trattandosi  la  lite  davanti  al  podestà  e  capitano  di 


—  300  ~~ 

Capodistria,  —  il  Mixo,  che  aveva  promesso  starsene  tranquillo  fino  al  pas- 
sato S.  Giorgio,  fece  togliere  da  uomini  armati  15  animali,  appartenenti  a 
sudditi  veneti,  in  Mcrischie,  a  titolo  di  compenso  di  danni,  minacciando 
di  fare  altrettanto  nell'  altra.  Il  detto  podestà  mandò  a  Venezia  il  notaio 
ducale  Baisino  de  Baisio  ad  informare  dell'accaduto,  e  a  chiedere  istruzioni. 
Perciò  si  delibera  di  scrivere  : 

Al  duca  d'  Austria  :  Fu  già  risposto  a  sue  lettere  con  cui  raccoman- 
dava il  Vincivera,  avere  la  Signoria  incaricato  il  podestà  di  Capodistria  di 
giudicar  la  questione  imparzialmente.  Ora  quest'  ultimo  fece  sapere  che  il 
detto  signore,  dopo  avere  egli  stesso  assegnato  per  termine  a  comparire  in 
giudizio  il  giorno  di  S.  Giorgio  passato;  il  giorno  8  del  corrente  fece 
asportare  dai  suoi  colla  forza  i  15  animali  come  è  detto  di  sopra  ;  ed  alle 
osservazioni  del  detto  podestà  sull'  illegalità  di  tale  operare  rispose  con 
nuove  minaccie.  La  Signoria  non  avrebbe  sopportato  in  pace  tal  procedere, 
se  non  fosse  stato  il  riguardo  all'  amicizia  del  duca,  il  quale  è  pregato  di 
far  si  che  il  Vincivera  restituisca  gli  animali  tolti  e  si  astenga  da  ulteriori 
violenze,  che  il  podestà  di  Capodistria  farà  pronta  e  buona  giustizia  nella 
questione,  e  la  investitura  data  ad  altri  dal  mentovato  vescovo  sarà  annullata. 

A  Mixoni  Vincivera  :  Fatta  1'  esposizione  dell'  accaduto,  si  fa  risaltare 
la  illegalità  e  sconvenienza  del  suo  procedere,  si  dichiara  d'averne  scritto 
al  duca  d'  Austria,  a  riguardo  del  quale  la  Signoria  si  astenne  da  misure 
di  rigore  ;  lo  si  invita  a  restituire  gli  animali  ad  un  nuncio  del  podestà  di 
Capodistria  e  ad  astenersi  in  avvenire  da  simili  atti  che  non  sarebbero  più 
tollerati  ;  il  podestà  predetto  ha  l' incarico  di  sbrigare  al  più  presto  e  se- 
condo la  più  rigorosa  giustizia  il  processo  ;  e  si  ordinò  al  vescovo  di  re- 
vocare qualsisia  investitura  avesse  data  ad  altri  delle  decime  in  questione. 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  :  Si  loda  il  suo  procedere,  gli  si 
comunicano  le  due  lettere  precedenti,  le  quali  egli  invierà  a  destino;  scriva 
egli  pure  al  Vincivera  invitandolo  alla  restituzione  e  a  seguire  la  via  di 
diritto  ;  procuri  poi  con  ogni  mezzo  che  quegli  qui  se  dicit  Episcopnm  Emo- 
niensem  [che  rimprovererà  per  aver  pendente  la  lite  disposto  delle  decime 
in  causa]  revochi  l' investitura  data  al  Gritti,  col  quale  pure  si  adoprerà 
[imponendoglielo  anche  con  l'autorità  del  Senato]  perchè  vi  rinunzi  (carte 
17  tergo  e  18). 

1402.  20  maggio.  —  Ad  istanza  di  oratori  del  comune  di  Pola  — 
considerandosi  che  nei  casi  pei  quali  non  provvede  lo  statuto  di  quella  città 
si  ricorre  al  diritto  civile,  che  la  deliberazione  del  18  marzo  con  cui  si 
toglie  a  quel  conte  il  vicario  giurisperito  è  contraria  ai  patti  vigenti  fra 
Pola  e  Venezia,  che  quel  comune  paga  al  vicario  il  salario  —  si  delibera 


-  301  — 

che  il  detto  conte  [e  i  suoi  successori]  debba  conducete  un  vicario  alle  solite 
condizioni,  tenendolo  a  sue  spese  e  in  sua  casa  col  salario  di  80  ducati  a 
carico  del  detto  comune.  Contemporaneamente  si  stabilisce  il  salario  dei 
conti  stessi  in  lire  44  di  grossi  1'  anno  (carte  20). 

1402.  1  giugno.  —  Facoltà  a  Saladino  Premano  podestà  a  Grisignana 
di  spendere  lire  300  in  riparazioni  e  lavori  da  farsi  a  quel  castello  e  alla 
bastita  Pontis  Marcbionis  (carte  26). 

1402.  6  luglio.  —  Considerato  l'utile  che  reca  alla  sicurezza  dell'Istria 
il  possesso  del  castello  di  Raspo,  essendo  dacché  esso  è  in  potere  di  Ve- 
nezia cessate  le  scorrerie  di  ladri  e  predoni  stranieri,  prima  frequentissime; 
si  dà  facoltà  al  Collegio  [doge,  consiglieri,  capi  di  XL,  savi  del  consiglio] 
di  trattare  con  Giovanni  da  Rabata  capitano  a  Gorizia  ed  ambasciatore  di 
Enrico  e  Mainardo  conti  di  Gorizia,  a  ciò  venuto,  la  compera  del  detto 
castello  e  dipendenze  per  parte  di  Venezia  per  non  più  di  20000  ducati, 
compresi  in  tal  somma  gli  11500  dati  a  prestito  alla  sorella  dei  conti  verso 
cessione  in  pegno  del  castello  stesso  (carte  34). 

1402.  13  luglio.  —  Venutisi  a  buona  conclusione  con  Paolo  de  Leone 
e  Giovanni  da  Rabata,  procuratori  dei  conti  di  Gorizia,  per  la  definitiva 
vendita  a  Venezia  del  castello  di  Raspo,  mancano  alla  perfezione  dell'affare 
alcuni  documenti  relativi  ai  diritti  dei  conti  di  Segna  sul  castello  medesimo; 
essendosi  poi  offerto  il  da  Rabata  di  procurar  egli  i  detti  documenti,  si 
autorizza  il  Collegio  a  spendere  100  ducati  all'  uopo  mentovato  e  per  fare 
aliquam  atrialitatein  ipsi  Iobanni,  qui  multimi  potest,  ymo  quasi  totum  coi  conti 
suoi  signori  (carte  34  tergo). 

1402.  14  luglio  —  Facoltà  a  Fantino  Loredan  di  spendere  altre  200 
lire  [oltre  le  300  già  concesse]  in  riparazioni  alle  strade  e  ponti  di  Capo- 
distria  (carte  33). 

1402.  17  agosto.  —  Licenza  a  Leonardo  Dona  capitano  dei  Pasinatici 
di  Raspo  di  spendere  100  lire  in  riparazioni  al  tetto  del  palazzo  ed  in  altri 
lavori  (carte  37  tergo). 

1402.  13  settembre.  —  Facoltà  a  Lodovico  Morosini  podestà  e  capi- 
tano a  Capodistrh  di  spendere  ciò  che  sarà  necessario,  a  carico  dello  stato, 
prò  reparatione  ponlium  de  Rexano  per  quos  Musatati  vengono  a  quella  città 
con  grani  ecc.  (carte  42  tergo). 

1402  27  settembre.  —  Licenza  a  Lazzaro  Darpiiw  podestà  a  S.  Lo- 
renzo di  spendere  400  lire  di  piccoli  delle  rendite  di  quella  terra  o  di  Ca- 
podistria  prò  reparatione  palatii  logiarum,  dell'abitazione  del  cancelliere  e  per 
fare  una  calcaria  (carte  44  tergo). 

1402.  3  novembre.     -    Non  essendosi  il  podestà   d'Isola  uniformato 


—  3°2  — 

al  disposto  nella  seguente,  inviatagli  già  da  tempo,  gli  si  ordina  di  osser- 
varne strettamente  le  prescrizioni  : 

Ducale  a  Schiavo  Magno  podestà  di  Isola  e  a  suoi  successori  :  Non 
avendo  i  di  lui  predecessori  mai  obbedito  alle  replicate  ingiunzioni  lor  fatte 
dalla  Signoria  di  ottemperare  al  mandato  che  segue,  s' impone  al  detto 
podestà  e  successori  la  rigorosa  osservanza  del  medesimo  :  Giovanni  Lo- 
redan  vescovo  di  Capodistria  e  quel  Capitolo  fecero  esporre  alla  Signoria 
di  non  aver  potuto,  non  ostante  le  ingiunzioni  di  questa,  ottenere  il  pa- 
gamento di  ciò  che  dovevano  avere  dal  comune  e  dagli  uomini  d' Isola  ; 
il  podestà  di  quella  terra  aveva  risposto,  il  22  novembre  [non  si  dice  l'anno], 
non  poter  esser  fatto  tal  pagamento  mancandone  i  mezzi  ;  in  onta  a  ciò  si 
replica  l'ordine  di  eseguire  la  sentenza  pronunziata  in  favore  del  vescovo 
e  del  Capitolo  da  Simone  Dalmario  podestà  a  Capodistria,  Marco  Barbo 
podestà  a  Pirano  e  Leonardo  Loredano  podestà  d' Isola,  i  quali  condan- 
narono i  detti  comune  ed  uomini  a  pagare  al  vescovo  e  Capitolo  14  marche 
l'anno  da  lire  8  di  piccoli  l'una  ;  e  di  costringere  nelle  vie  legali  i  debitori 
al  pagamento  (carte  51). 

1402.  1 1  novembre.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
di  spendere  100  lire  di  piccoli  in  duobus  ho^piciis  inferioribus  prò  suo  socio 
et  prò  cancellano,  ducati  io  prò  napa  cavimi  sui  principalis  hospicìi,  e  ciò  che 
sarà  necessario  pel  tetto  del  palazzo  e  della  cappella  ubi  potestates  audiunt 
tnissam  (carte  55). 

1402.  17  novembre.  —  Il  podestà  e  capitano  suddetto  scrisse  che  allo 
entrare  in  carica  fece  riparare  pontes  Rixani,  e  che  ora,  entrato  in  conva- 
lescenza, fece  visitare  il  lavoro  da  esperti,  i  quali  trovarono  i  ponti  in  cat- 
tivissimo stato  e  necessaria  la  loro  ricostruzione  ;  consigliare  perciò  di  ri- 
farli in  pietra.  Gli  si  risponde  consentendo  a  far  di  pietra  le  fondazioni  e 
il  resto  in  legno,  in  modo  che  la  parte  in  legno  possa  essere  all'occasione 
distrutta  ;  potrà  spendere  lire  400,  o  più  se  sarà  d'  uopo,  faciendo  fieri  per 
publicum  illud  quod  est  fieri  solitum  (carte  55). 

1402.  17  novembre.  —  Cristoforo  da  Lizzana  che  a  pueritia  servì  la 
Republica,  è  confermato  connestabile  della  bandiera  pedestre  in  Grisignana, 
posto  a  cui  era  stato  eletto  da  quel  podestà  in  luogo  di  Pietro  Malfato  de- 
funto (carte  55  tergo). 

1402.  23  novembre.  —  Licenza  a  Iacopo  Trapp  capitano  di  Trieste 
di  far  condurre,  da  Monfalcone  a  colà,  per  mare  70  urnas  vini  terroni  per 
suo  uso  domestico  (carte  56  tergo). 

1402  m.  v.  30  gennaio,  —  Licenza  a  Sergio  del  fu  Forella  di  Castro- 


-  3°3  — 

pola  di  recarsi  a  Pola  e  in  Istria  ad  videndum  facta  sua  et  utendutn  jura  sua  ; 
valevole  per  5  anni  (carte  62  tergo). 

1403.  24  marzo.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  lire  200  di  piccoli  in  riparazioni  alla  trabatitre  superiori  di  Castel 
Leone,  et  tenacie  ipsitis  (carte  68  tergo). 

1403.  26  aprile.  —  Licenza  a  Leonardo  Doni,  capitano  a  Raspo,  di 
spendere  200  lire  in  riparazioni  a  quel  castello  (carte  78). 

1403.  21  maggio.  —  Si  ordina  ai  podestà  di  Valle  e  di  Dignano  di 
impedire  ai  rispettivi  soggetti  il  danneggiarsi  o  molestarsi  vicendevolmente 
in  causa  delle  questioni  insorte  fra  essi  ;  si  delega  poi  il  capitano  Paysina- 
torum  Rasparci)  qual  giudice  per  le  questioni  stesse  ;  la  spesa  che  incontrerà 
in  tale  missione  sarà  pagata  dal  comune  soccombente  (carte  84). 

1403.  17  giugno.  —  Morto  Giberto  Zorxi  vescovo  di  Cittanova,  onde 
quella  sede  cada  in  mano  di  un  veneziano  anziché  di  uno  straniero,  si  de- 
libera di  scrivere  al  papa  e  alla  Curia  romana  a  favore  di  Giovanni  Loredan 
primicerio  di  S.  Marco  (carte  89). 

1403.  7  luglio.  —  Licenza  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
spendere  lire  500  in  riparazioni  al  tetto  delle  beccherie,  al  muro  del  suo 
giardino,  al  tetto  della  vicedominaria  e  alla  strada  di  Risano  (carte  90  tergo). 

1403.  15  luglio.  —  Si  risponde  ad  ambasciatori  di  Guglielmo  duca 
d'  Austria  che  al  prossimo  S.  Michele  sarà  inviato  a  Capodistria  un  nobile 
veneziano,  il  quale  assieme  al  podestà  e  capitano  di  detta  città  e  al  capi- 
tano di  Raspo,  avrà  l' incarico  di  venire  ad  accomodamento  coi  rappresen- 
tanti il  detto  duca  nelle  questioni  vertenti  fra  i  sudditi  veneti  dell'  Istria  e 
quelli  del  duca  stesso. 

Si  dà  poi  facoltà  alla  Signoria  di  procedere,  a  suo  tempo,  all'  elezione 
del  summentovato  nobile  (carte  91). 

1403.  28  settembre.  —  Il  nobile  accennato  qui  sopra  potrà  essere  scelto 
anche  de  torpore  Rivoalti  [magistrature  ed  uffici  residenti  in  Rialto]  senza 
perdere  la  carica,  e  fra  quelli  che  hanno  uffici  scadenti  al  S.  Michele;  non 
potrà  rifiutare  sotto  pena  di  ducati  100;  potrà  spendere  I  '/t  ducati  il 
giorno  [non  compresi  i  trasporti]  e  condurrà  seco  tre  famigli.  —  Eletto 
Paolo  Zane  (carte  104). 

1403.  29  settembre.  —  Ad  istanza  di  un  ambaxatoris  del  comune  di 
Trieste,  si  concede  a  quest'  ultimo  di  esportare  dal  Friuli  e  condur  colà 
libere  grani,  polli,  carni,  ova  ed  altre  vittuarie  durante  la  dimora  in  quella 
città  del  duca  d'Austria  che  veniva  [con  2000  cavalieri]  a  ricevervi  la  sua 
sposa,  Giovanna  sorella  di  re  Ladislao  (carte   104  tergo). 

Si  delibera  la  elezione  di  due  ambasciatori  ad  honorandum  le  nozze  del 


—  3°4  — 

summentovato  duca  ;  per  maggior  decoro  si  ordina  al  capitano  della  Riviera 
dell'  [stria  di  venir  col  suo  legno  fino  a  Caorle  a  prenderli  e  portarli  in 
Istria  e  di  là  a  Trieste.  Ai  rettori  poi  delle  terre  marittime  dell'  Istria  si 
scrive  che  se  l'augusta  sposa  [imbarcata  su  navi  di  re  Ladislao]  declinarci 
ad  una  di  esse  o  ad  uno  di  quei  porti,  l'accolgano  honorifice  et  amicabiliter, 
al  qual  uopo  si  pongono  a  disposizione  del  rettore  del  luogo  ove  ciò  ac- 
cadesse 50  lire  di  piccoli,  o  più  secondo  i  casi,  in  doni  di  vettovaglie 
(carte   104  tergo). 

1404.  13  marzo.  —  Comparsi  davanti  la  Signoria  due  ambaxatores  del 

comune  di  Rovigno,  dichiararono  quod sunt  parati  edificare  castrimi 

ordinatimi  per  nos  fieri  in  sumitate  montis  Scncte  Eufemie  de  Rubino  suis  propriis 

expensis ma  fatti  impotenti  dalle  conseguenze  della  guerra  «0» 

possimi  se  fidare  armis  ;  perciò  si  delibera  di  spedire  a  quel  podestà  per  150 
ducati  di  armi  da  distribuire  a  quelli  abitanti  che  le  pagheranno  metà  al 
S.  Michele  e  metà  a  Natale  prossimi  (carte   120  tergo). 

1403  m.  v.  15  gennaio.    -   Si  ordina  che  tutti  quelli  che  hanno  uffizi 

in  aliquo  locorum  nostrorwn  Istrie debbano  infra  IIII  rnenses  esse 

fulcitos  arinis  competentibus  a  proprie  spese,  e  non  pretendano  di  averle  dallo 
stato  ;  i  rettori  veglieranno  all'  osservanza  di  tal  disposizione  facendo  dili- 
gentem  dream  due  volte  1'  anno  almeno  ;  gli  ufficiali  trovati  in  difetto  sa- 
ranno privati  per  5  anni  d' ogni  uffizio  e  benefizio  nel  luogo  ove  sono 
impiegati  (carte   122). 

1403  m.  v.  16  febbraio.  —  Trovandosi  Capodistria,  in  caso  di  guerra, 
senza  difese  verso  il  mare,  e  dovendosi  poi  avere  principal  riguardo  alle 
fortificazioni  verso  terra,  veduto  il  rapporto  inviato  da  quel  podestà  e  ca- 
pitano e  dal  capitano  di  Raspo  ;  si  ordina  al  primo  di  convocare  quei  cit- 
tadini, ed  espor  loro  :  esser  contento  il  Senato  di  contribuire  con  metà  della 
spesa  magistranlie,  non  intelligendo  manuaìes,  con  metà  della  spesa  per  la 
ferramenta  e  il  legname,  e  di  mandare  platas  et  navigia  necessaria  per  la 
fortificazione  della  città  ;  ma  volere  che  prima  di  tutto  Castrimi  Leonis  re- 
ducatur  in  illa  fortitudine  et  magnitudine  que  sit  utilis,  bona  et  necessaria,  ci 
quod  postea  fiat  unum  fortilicium  super  loco  Muselle.  Se  i  detti  cittadini  ade- 
riranno a  solvere  residuimi  omnium  expensarum  necessariarum  prò  dicto  laborerio, 
tunc  in  bona  grafia  debeant  convenire  quel  podestà  e  capitano,  il  capitano  di 
Raspo  e  il  capitano  di  Montona,  e  si  manderà  maestro  Pixinus  ed  altri  in- 
gegneri per  consigliare  i  detti  rettori,  i  quali  delibereranno  a  maggioranza 
sui  lavori  da  fare  (carte  124). 

1403  m.  v.  18  febbraio.  —  Si  risponde  al  podestà  di  Capodistria  super 
factum  illius  scellerati  hominis  quem  detentum  habet,  che,  considerando  il  van- 


—  3°S  — 

taggio  di  aver  le  strade  sicure,  esso  podestà  imiti  il  capitano  di  Raspo 
stipulando  delle  convenzioni  coi  castellani  delle  provincie  limitrofe  per  la 
sicurezza  delle  vie  contro  i  malfattori  ;  potendole  concludere,  esso  podestà 
farà  fare  rigorosa  giustizia  dei  malfattori  che  dai  paesi  esteri  circostanti 
riparassero  nel  suo  territorio,  quando  i  detti  castellani  facciano  altrettanto 
dei  malfattori  fuggenti  dagli  stati  veneti.  Farà  poi  publicare  le  convenzioni 
che  facesse  in  materia.  Il  malfattore  suaccennato  sarà  trattato  a  norma  della 
libertà  data  al  podestà  dalla  sua  commissione  (carte  128  tergo). 

1403  m.  v.  29  febbraio.  —  Si  ordina  al  podestà  di  Rovigno  di  con- 
vocare quei  cittadini,  e  di  dichiarar  loro  che,  uditi  i  rapporti  del  podestà 
e  capitano  di  Capodistria  e  il  capitano  di  Raspo  e  le  opinioni  dei  cittadini 
stessi,  il  governo  aderisce  che  siano  eseguite  le  fortificazioni  e  riparazioni, 
tanto  in  monte  che  in  piano,  secondo  le  proposte  dei  due  rettori  suddetti 
(carte   124  tergo). 

Si  scrive  al  podestà  di  Parenzo  approvando  il  cominciamento  e  la  pro- 
secuzione dei  lavori  di  riparazione  e  fortificazione  sue  porpererie  et  bala- 
taritm  [?]  e  promettendo  che  si  manderanno  i  navigli  necessari  (carte  124 
tergo). 

1404.  19  maggio.  —  Si  riduce  da  éo  a  45  lire  di  grossi  il  salario  del 
capitano  di  Raspo,  diminuendo  di  un  famiglio  e  di  un  cavallo  il  suo  se- 
guito (carte  133). 

1404.  19  luglio.  —  Si  riduce  da  30  a  25  lire  di  grossi  l'anno  il  sa- 
lario del  podestà  di  S.  Lorenzo  (carte   154  tergo). 

1404.  28  luglio.  —  Si  ordina  a  Marino  Vitturi  podestà  di  Umago  di 
restituire  ad  Andrea  di  Nicolò  di  quella  terra,  bandito  dalla  stessa  ed  abi- 
tante a  Pirano,  il  frumento  che  gli  era  stato  confiscato,  mentre  lo  portava 
a  Pirano,  essendo  nato  su'  suoi  beni  (carte   147). 

1404.  9  settembre.  —  Per  incoraggiare  l' importazione  a  Venezia  del 
vino  dell'  Istria,  essendosi  già  ridotto  da  3  '/,  «1  2  '/,  ducati  per  anfora  il 
dazio  su  quel  liquido  così  importato,  si  delibera  che  tale  ribasso  accordato 
al  ribolmm  proveniente  da  Capodistria,  Isola  e  Pirano,  sia  esteso  anche  a 
quello  che  viene  da  Trieste  e  da  Muggia.  Valevole  fino  alla  ventura  Pasqua 
(carte  156  tergo). 

1404.  23  ottobre  —  Il  vino  che  si  porta  da  Buje  è  pareggiato,  relati- 
vamente ai  dazi,  a  quello  che  viene  ab  Hutnago  supra  tisque  Polam  (carte  162). 

1404.  4  novembre.  —  Licenza  al  comune  di  Muggia  di  far  traspor- 
tare colà  dal  Friuli  per  mare  100  staia  di  frumento  (carte  162). 

1405  [sic,  recte  1404]  30  dicembre.  —  A  procurare  affluenza  di  vini 
in  Venezia  si  riconferma  la  diminuzione  di  un  ducato  per  anfora  sul  dazio 


—  3°6  — 

dei  vini  provenienti  da  Trieste  e  dall'  Istria  fino  al  venturo  Natale.  I  vini 
di  Buje  saranno  equiparati  a  quelli  che  vengono  dal  tratto  fra  Pirano  e 
Trieste  (carte  163). 

1404  m.  v.  12  gennaio.  —  Facoltà  a  Pietro  Venier  podestà  e  capitano 
a  Capodistria  di  spendere  25  ducati  in  riparazioni  a  quel  palazzo  (carte  163). 

Simile  a  Domenico  Contarmi  podestà  a  S.  Lorenzo  di  spendere  lire  100 
di  piccoli  (carte  163). 

1405.  11  aprile.  —  Il  nobile  da  inviarsi,  coi  rettori  di  Raspo  e  di 
Capodistria,  a  stipulare  coi  rappresentanti  il  duca  d'Austria,  l'accordo  sulle 
questioni  vertenti  fra  i  due  potentati  per  confini,  possit  accipi  de  corpore 
Rivoalti,  ecc.  come  al  28  settembre  1403  (carte  173). 

Senato  Misti  voi.  XLVII. 


1405.  26  maggio.  —  Facoltà  ad  Antonio  Bembo  cav.  capitano  a  Raspo 
di  spendere  600  lire  di  piccoli  [che  gli  saranno  pagate  dal  podestà  e  ca- 
pitano di  Capodistria]  in  lavori  necessari  in  quel  castello  (carte  5  tergo.) 

1405.  2  giugno.  —  Facoltà  a  Pietro  Venier  podestà  e  capitano  a  Ca- 
podistria di  spendere  60  ducati  per  riattare  i  ponti  che  da  quella  città  met- 
tono al  Castel  Leone  (carte  6). 

1405.  28  giugno.  —  Si  concede  agli  abitanti  di  Parenzo  di  condur 
colà  dalla  Schiavonia  tre  migliaia  di  cacio,  sicut  soliti  sumus  eisdem  in  incuori 
Stimma  benignius  dar  giri  (carte  8  tergo). 

1405.  28  agosto.  —  Licenza  a  Maffeo  Manolesso  podestà  a  Grisignana, 
di  spendere  lire  300  in  certis  reparationibus  (carte  17). 

1405.  3  dicembre.  —  Si  prolunga  fino  al  Natale  1406  il  vigore  della 
riduzione  dei  dazi  sui  vini  dell'Istria  (carte  22  tergo). 

1405  m.  v.  26  gennaio.  —  Licenza  a  Bernardo  Sagredo  podestà  a 
S.  Lorenzo  di  spendere  lire  300  di  piccoli  in  riparazioni  a  quel  castello,  al 
palazzo  ed  in  altri  lavori  (carte  25). 

1405  m.  v.  26  febbraio.  —  Si  concede  al  comune  di  Pirano  ed  a 
quegli  abitanti  di  poter  soli  portare  e  far  portare  salem  aan  Imlleta  potcstatis 
nostri  Pirani  per  culfum  de  Dixeocto  [sic]  ed  in  Friuli,  senza  pagar  dazi,  dal 
porto  di  Caorle  in  là  [verso  Trieste],  sotto  pena  di  contrabbando  a  chi  ne 
introducesse  nei  porti  da  Caorle  in  qua  verso  Venezia.  Il  detto  comune 
farà  a  proprie  spese  sorvegliare  che  non  siano  fatti  contrabbandi;  i  trasporti 
di  sale  non  coperti  dalla  mentovata  bolletta  saranno  deferiti  agli  Ufficiali  al 
Cattaver  che  pronuncieranno  le  pene  competenti  ;  tali  pene,  il  sale  e  i  legni 


—  307  — 

che  lo  portano  spetteranno  per  un  quarto  agi'  inventori  del  contrabbando, 
un  quarto  ai  detti  ufficiali,  un  quarto  ciascuno  al  comune  e  al  podestà  di 
Pirano,  sui  quali  due  ultimi  quarti  spetteranno  due  soldi  per  lira  al  notaio 
del  podestà.  Per  effettuare  la  sorveglianza  l'arsenale  fornirà  al  detto  comune 
un  brigantini/m  decerti  bancorum  completamente  armato  e  arredato.  —  Valevole 
per  5  anni,  e  più  fin  che  sia  revocata  (carte  41  tergo). 

Si  ordina  al  podestà  di  Pirano  di  far  tosto  stimare  da  periti  giurati 
tutto  il  sale  posseduto  in  quella  terra  e  suo  distretto  dai  privati,  di  farne 
compilare  un  registro  da  tenersi  in  cancelleria,  e  di  esigere  da  tutti  i  pro- 
prietari di  quella  derrata  per  conto  dello  stato  lire  3  di  piccoli  il  moggio 
in  tre  rate,  scadenti  alla  fine  dei  mesi  di  maggio,  settembre  e  gennaio 
venturi  (carte  41  tergo). 

Il  detto  podestà  farà  publicare  :  che  il  sale  da  portarsi  a  vendere  come 
sopra  non  potrà  caricarsi  su  navigli  senza  suo  permesso  ;  che  il  carico  di 
ciascun  naviglio  dovrà  essere  dichiarato  ad  esso  podestà  che  lo  farà  stimare 
e  annotare  in  uscita  nel  registro  summentovato  alla  partita  del  proprietario 
onde  aver  sempre  sott'occhio  la  quantità  realmente  esistente.  Tutti  coloro 
che  elevabunt  salem  novum  ne  faranno  monti  separati  dal  vecchio,  né  po- 
tranno toccar  quello  fino  a  che  questo  non  sia  smaltito  ;  chi  non  ha  sai 
vecchio  potrà  caricarne  legni  per  1'  esportazione  denunziandolo  al  podestà, 
il  quale  farà  redigere  un  altro  registro  per  la  inscrizione  del  successivo 
raccolto.  I  trasgressori  saranno  puniti  come  contrabbandieri  :  se  i  consorte* 
fondamenti  non  accusassero  al  podestà  il  loro  consorte  trasgressore  fra  otto 
giorni,  ftindamentum  in  quo  sunt  saline  illins  qui  contrafecerit  destruatur  in  totum, 
né  alcuno  di  detti  consorti  potrà  mai  più  ricostruirlo  (carte  42). 

Il  podestà  di  Pirano  si  recherà  personalmente  ogni  anno  su  tutti  quei 
fondamenta  salinarum  cogli  stimatori,  per  rilevare  la  quantità  del  sale  pro- 
dotto iiell'  anno,  ne  farà  compilare  un  registro  in  cui  s' inscriveranno  le 
partite  dei  singoli  produttori  ;  la  iscrizione  deve  esser  fatta  prima  della  festa 
di  S.  Luca;  i  produttori  pagheranno  3  lire  di  piccoli  per  moggio  allo  stato 
in  tre  rate,  scadenti  come  sopra.  È  assegnata  al  comune  di  Pirano  la  set- 
tima parte  del  sale  descritto  nel  registro,  libera  dalla  tassa  delle  3  lire, 
quando  venga  la  derrata  esportata  per  terra.  Il  podestà  curerà  l'osservanza 
di  tutto  ciò  sotto  pena  di  lire  1000  (carte  42). 

Se  il  comune  di  Pirano  non  potesse  usufruire  della  esportazione  con- 
cessagli come  sopra,  la  solutio  supra  specificata  sarà  sospesa  fino  a  che  si 
renda  possibile  la  detta  esportazione  ;  il  medesimo  comune  sarà  tenuto, 
quando  ne  fosse  richiesto,  di  dare  allo  stato  fino  a  1000  moggia  di  sale 
l'anno  alle  condizioni  praticate  fin' ora,  diffalcando  il  dazio  a  favore  dello 


—  308  — 

stato.  Omnes  Mi  qui  facient  bulleta  sui  salis  pagheranno  unum  me^aninum  il 
moggio,  da  devolversi  per  metà  al  podestà,  il  resto  al  suo  notaio  e  agli 
stimatori.  Il  podestà  poi  porterà  seco  a  Venezia,  e  presenterà  agli  Ufficiali 
alle  rason,  il  registro  delle  descrizioni  del  sale  e  delle  esazioni  fatte  nel 
tempo  del  suo  reggimento,  lasciandone  copia  nella  cancelleria  di  Pirano  ; 
i  danari  prodotti  in  forza  di  questi  provvedimenti  saranno  trasmessi  di  tempo 
in  tempo  ai  Camerlenghi  di  cornuti  (carte  42). 

1406.  8  marzo.  —  Divieto  agli  Uffiziali  al  sai  in  Rialto  di  vender  sale 
di  Pirano  con  destinazione  in  Lombardia  e  in  Romagna,  riservata  al  sale 
di  Chioggia  (carte  42  tergo). 

1406.  23  marzo.  —  Non  essendo  andati  al  loro  destino  Paolo  Zane 
e  poi  Vito  da  Canal  inviati  a  trattare  la  questione  dei  confini  dell'  Istria 
coi  commissari  del  duca  d'Austria,  si  dà  facoltà  al  Collegio  di  eleggere  un 
nuovo  sindico  (carte  36  tergo). 

1406.  30  marzo.  —  Vito  da  Canal  è  inviato  in  Istria  prò  confinibns 
invece  di  Francesco  Lion,  essendo  questi  di  ciò  contentissimo  (carte  34 
tergo). 

1406.  17  ottobre.  —  Bernardo  Negro  capitano  della  Riviera  dell'Istria, 
menzione  di  lui  (carte  77). 

1406.  30  dicembre.  —  Si  prolunga  fino  al  venturo  Natale  la  durata 
in  vigore  del  disposto  il  3  dicembre  1405   (carte  87  tergo). 

1407.  21  aprile.  —  Si  conferma  per  altri  sei  mesi  la  deliberazione 
18  maggio  relativa  alle  agevolezze  concesse  per  l'importazione  a  Venezia 
e  nella  Terraferma  di  animali  de  parlibus  Istrie  et  aliitnde  per  transitimi 
(carte  109). 

1407.  28  luglio.  —  Non  trovandosi  alcuno  che  voglia  l'ufficio  di  ca- 
merlengo a  Capodistria  per  l'esiguità  del  salario,  si  dà  facoltà  a  quel  podestà 
e  capitano  di  accrescere  a  quello  ch'egli  nominerà  al  detto  ufficio  l'onorario 
fino  a  lire  200  di  piccoli  l' anno,  cogli  altri  proventi  consueti  ;  il  detto 
podestà  farà  riporre  i  denari  dello  stato  in  una  cassa  chiusa  con  tre  diverse 
chiavi,  una  tenuta  da  lui,  le  due  altre  una  per  ciascuno  dai  due  camerlenghi. 
La  cassa  starà  nel  palazzo  del  podestà  il  quale  dovrà  rivedere  ogni  mese  i 
conti  dello  stato  (carte  122  tergo). 

1407.  13  settembre.  —  Facoltà  a  Melchiorre  Grimani  eletto  podestà 
a  S.  Lorenzo  di  spendere  lire  300  di  piccoli  in  riparazioni  a  quel  palazzo 
(carte  137). 

1407.  14  settembre.  —  Licenza  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
di  spendere  140  lire  di  piccoli  per  rinnovare  il  tetto  del  palazzo  ove  abita 
(carte  137). 


—  3»9  — 

1407.  4  novembre.  —  Licenza  ad  Ermolao  Lombardo  capitano  a  Raspo 
di  spendere  100  ducati  prò  certis  laboreriis  (carte  150  tergo). 

1407.  20  novembre.  —  Simile  ad  Antonio  Michiel  podestà  e  capitano 
a  Capodistria  per  100  lire  in  riparazioni  a  Castel  Leone  (carte  152). 

1407.  20  dicembre.  —  Simile  al  podestà  di  S.  Lorenzo  per  lire  300, 
in  lavori  necessari  (carte  160). 

1407  m.  v.  3  gennaio.  —  Facoltà  ad  Ermolao  Lombardo  capitano  a 
Raspo  di  spendere  ducati  100  in  riparazioni  a  quel  castello,  alle  sue  torri, 
ai  corridoi,  et  prò  /adendo  unum  pistritutm  ;  il  podestà  e  capitano  di  Capo- 
distria terrà  la  somma  a  disposizione  del  capitano  (carte  160  tergo). 

1408.  22  marzo.  —  Si  ordina  ai  rettori  in  Istria  di  vietare  l'esporta- 
zione delle  legne  da  fuoco  per  ogni  luogo  che  non  sia  Venezia,  sotto  pena 
di  perdere  la  merce  (carte  168). 

Senato  Misti  voi.  XLVIII. 

1408.  1  aprile.  —  Si  prolunga  fino  al  venturo  Natale  la  riduzione,  di 
un  ducato  per  anfora,  del  dazio  sui  ùboleis  dell'Istria  (carte  1  tergo). 

1408.  3  aprile.  —  Essendo  stato  approvato  quanto  aveva  deciso  Vito 
da  Canal,  già  ambasciatore  in  Istria,  per  terminare  le  questioni  di  confini 
fra  gli  abitanti  di  Parenzo  e  quelli  di  S.  Lorenzo,  e  lagnandosi  i  primi  che 
i  secondi  non  volevano  uniformarsi  al  giudicato  dal  Canal;  si  ordina  ai 
podestà  delle  due  terre,  e  lor  successori,  di  eseguire  la  sentenza  predetta, 
e  che  le  parti  paghino  ciascuna  una  metà  delle  spese  pel  giudizio  (carte 
2  tergo). 

1408.  9  maggio.  —  Licenza  per  cinque  anni  a  Sergio  del  fu  Forella 
di  Castropola  di  andare  a  Pola  e  in  Istria  pei  suoi  affari,  e  di  starvi  a  pia- 
cimento (carte  5). 

1408.  19  giugno.  —  Proposta  da  Antonio  Michiel  tornato  da  podestà 
e  capitano  di  Capodistria.  Si  commette  al  di  lui  successore  Pietro  Onoro 
di  far  riattare  i  ponti  del  fiume  Risano  [rotti  dalla  piena  di  esso]  col  pro- 
dotto introytus  predictt  chitatis  e  spendendo  lire  200  di  piccoli  ;  e  ciò  onde 
non  isviarc  i  mussolati  dal  continuare  a  portar  grani  in  città  (carte  18). 

Il  medesimo  propone  la  missione  di  sindici  in  Istria,  essendo  già  scorsi 
nove  anni  dall'  invio  degli  ultimi.  —  Non  è  approvata  (carte  18). 

1408.  ié  ottobre.  —  Dopo  la  sentenza  pronunziata  da  Vito  da  Canal 
per  definire  le  vertenze  fra  i  comuni  di  Parenzo  e  S.  Lorenzo,  sorsero 
nuove  contese  fra  gli  stessi  abbastanza  vive,  e  la  sentenza   medesima  non 


—  3r0  ■" 

è  osservata  ;  perciò  si  commette  al  capitano  di  Raspo,  al  quale  fu  già  affidata 
l'esecuzione  di  quel  giudicato,  di  recarsi  sui  luoghi,  di  esaminare  coi  podestà 
delle  due  mentovate  terre  la  ripetuta  sentenza,  di  far  porre  i  seguali  dei 
confini  nei  posti  in  quella  designati,  e  di  stabilire  le  pene  agli  infrattori 
delle  disposizioni  date  con  essa  ;  dovendo  poi  tal  missione  essere  a  carico 
dei  comuni  interessati,  il  detto  capitano,  per  non  aggravarli,  userà  la  maggior 
possibile  economia  (carte  38  tergo). 

1408.  5  novembre.  —  Facoltà  al  podestà  di  Grisignana  di  spendere 
400  lire  di  piccoli  in  riparazioni  a  quel  castello  (carte  42). 

1408  m.  v.  5  febbraio.  —  Facoltà  a  Leonardo  Molin  podestà  a  S.  Lo- 
renzo di  spendere  lire  400  di  piccoli  in  riparazioni  a  quel  palazzo  (carte  52). 

1409.  13  maggio.  —  Ristabilito  in  salute  Stefano  Pisani,  eletto  podestà 
e  capitano  a  Capodistria,  gli  si  concede  proroga  fino  al  io  luglio  per  entrare 
in  carica,  onde  possa  passar  cosi  in  quiete  la  convalescenza  (carte  76  tergo). 

1409.  29  maggio.  —  Non  trovandosi  chi  voglia  esser  trombetta  nel 
castello  di  Raspo,  per  la  troppo  esigua  paga  ;  si  delibera  di  ordinare  ai 
Pagatori  all'armamento  che  procurino  di  trovare  un  trombetta  colla  minore 
spesa  possibile  ;  al  capitano  di  Raspo  si  commette  di  cassare  una  di  quelle 
paghe  a  vantaggio  del  trombetta  stesso  (carte  79  tergo). 

1409.  3  agosto.  —  Quia  est  necessarinm  provider  e  quod  habeamus  presto 
apud  provisores  nostros  Jadre  de  fidelibus  nostris  Istrie,  ut  in  omni  casti  passini 
facere  nostrum  honorem  ;  si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  e  ai 
rettori  di  Pirano,  Parenzo  e  Pola  di  assoldare  immediatamente  da  25  a  30 
uomini  validi  e  fedeli  per  ciascun  luogo  e  di  mandarli  colle  loro  armi  e 
balestre  a  Zara  per  mezzo  di  barche  ;  il  capo  dei  medesimi  [da  eleggersi 
dai  detti  rettori]  dovrà  presentarsi  ai  summentovati  provveditori  e  stare  coi 
suoi  uomini  a  loro  disposizione.  Ai  detti  uomini  sarà  data  la  paga  di  un 
mese,  scorso  il  quale  quelli  che  volessero  potranno  rimpatriare  (carte  98). 

1409.  7  settembre.  —  Si  prolunga  fino  al  Natale  1410  la  riduzione 
d'  un  ducato  per  anfora  del  dazio  sul  riboleo  che  viene  a  Venezia  da  Ca- 
podistria, Isola  e  Pirano  (carte   105  tergo). 

1409.  12  settembre.  —  Si  ordina  a  Baldovino  Balastro,  eletto  capitano 
della  Riviera  dell'  Istria,  di  andare  a  mettersi  a  disposizione  dei  provveditori 
in  Zara,  e  starvi  col  suo  legno  fino  a  che  giunga  colà  la  galeotta  destina- 
tavi, lasciando  intanto  alla  custodia  della  Riviera  un  piccolo  legno  (carte 
106  tergo). 

1409.  12  settembre.  —  Per  armare  la  galeotta  da  spedirsi  a  Zara  si 
ordina  ai  rettori  di  Capodistria,  Pirano  e  Parenzo  di  assoldare  fra  tutti  50 
uomini  da  remo,  con  paga,  al  massimo,  de  lire  18  il  mese  (carte  109  tergo). 


—  3ii  — 

1409.  28  settembre.  —  Licenza  a  Stefano  Pisani  podestà  e  capitano  à 
Capodistria  di  spendere  lire  450  in  riparazioni  al  palazzo,  al  tetto  di  Castel 
Leone  e  ai  ponti  (carte  104  tergo). 

1409.  28  settembre.  —  Licenza  a  Bellelo  Civran  capitano  a  Raspo  di 
spendere  400  lire  di  piccoli  in  lavori  ivi  necessari  (carte  108). 

1410.  31  marzo.  —  Si  ordina  al  capitano  di  Raspo  di  dare  agli  am- 
basciatori inviati  in  Ungheria,  se  passassero  per  quel  luogo,  la  scorta  ne- 
cessaria ed  altre  comodità  pel  viaggio  facendoli  accompagnare  fino  a  Fiume, 
ed  anche  fino  a  Segna  e  a  Bregna,  se  ne  lo  chiedessero. 

Si  ordina  poi  al  capitano  della  Riviera  dell'  Istria  di  recarsi  a  Caorle 
colla  sua  galea,  imbarcarvi  i  detti  ambasciatori  e  condurli  fino  a  Capodistria, 
o,  se  il  volessero,  anche  fino  a  Segna  (carte  125   tergo). 

1410.  1  aprile.  —  Licenza  a  St.  Pisani  podestà  e  capitano  a  Capodistria 
di  spendere  lire  100  di  piccoli  prò  reparatione  gurnarum  (carte  132-137). 

1410.  23  aprile.  —  Trovandosi  bonam  sitmmam  pecunie  in  Capodistria, 
si  ordina  a  quel  podestà  e  capitano  di  contare  a  Paolo  Bianco  2000  ducati 
da  portare  a  Zara  e  consegnare  a  quei  rettori  che  ne  hanno  bisogno  per 
le  occorrenze  locali  (carte  133-138  tergo). 

14 io.  23  giugno.  —  Non  potendo  Nicolò  Contarini  cav.  ottenere  il 
pagamento  di  lire  27  di  grossi  al  cui  esborso  era  stato  condannato  il  co- 
mune di  Muggia  dai  giudici  del  Procurator  ;  si  delibera  di  esortare  per 
iscritto  quel  comune  a  compiere  il  suo  dovere,  minacciandolo,  in  caso  di- 
verso, di  efficaci  provvedimenti  perchè  il  Contarini  abbia  il  suo  (carte 
156-163  tergo). 

1410.  27  settembre.  —  Facoltà  al  capitano  di  Raspo  di  spendere  200 
ducati  in  riparalione  muri  barbachani  di  quel  castello  (carte  174-18  r). 

1410.  5  ottobre.  —  Licenza  al  podestà  di  S.  Lorenzo  di  spendere  lire 
150  in  vari  lavori  (carte  174-181   tergo). 

1410.  2  dicembre.  —  Licenza  a  Bernabò  Loredan  podestà  e  capitano 
di  Capodistria  di  spendere  lire  100  in  riparazioni  alla  sua  abitazione  (carte 
183-189  tergo). 

1410  m.  v.  20  gennaio.  —  Avendo  già  in  passato  i  Provveditori  alle 
biade  dichiarato  libero  in  Capodistria  il  traffico  dei  grani,  quel  podestà  e 
capitano  non  osservò  il  relativo  regolamento,  poiché  volle  determinare  esso 
i  prezzi  ;  gli  si  ordina  quindi  di  astenersi  da  simili  procedimenti,  di  rispet- 
tare la  libertà  accordata  e  di  osservare  le  norme  prescritte  facendole  publi- 
care  (carte  189-195). 

1410  m.  v.  25  gennaio.  —  Si  prolunga  il  vigore  della  riduzione  sul 
dazio  d'importazione  del  vino  ribolei  (carte   189-195). 


—  312  — 

1410  m.  v.  15  febbraio.  —  Licenza  al  podestà  di  Grisignana  di  spen- 
dere lire  150  in  riparazioni  (earte   191-197  tergo). 

Senato  Misti  voi.  XL Villi. 

141 1.  31  marzo.  —  Si  autorizza,  anche  in  seguito  ad  informazioni  date 
da  Bertolino  de  Zanebono,  il  capitano  di  Raspo  a  far  erigere  unum  palan- 
chatum  cum  aliquibus  habitationibus  per  gli  stipendiarì  ivi  di  presidio,  e  si 
ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  fornire  il  danaro  occorrente. 

Al  podestà  di  Parenzo,  pure  su  rapporto  del  Bertolino,  si  commette 
di  far  rifare  la  bastita  ad  pontem  Marchionis,  di  riparare  le  bertesche  ed  una 
palata  ivi  piantata. 

Si  ingiunge  sia  cassata  una  bandiera  in  Grisignana,  trovata  male  in 
ordine,  e  di  mandarvene  al  più  presto  due  nuove  (carte  io  tergo). 

141 1.  20  aprile.  —  Si  accorda  a  Fantino  Pesaro  eletto  podestà  a  Mon- 
tona  di  differire  a  tutto  maggio  p.  v.  la  sua  andata  a  quella  carica  ;  ciò 
per  grave  malattia  di  sua  moglie  (carte  17  tergo). 

141 1.  28  aprile.  —  Si  delibera  di  far  uffici  presso  la  Curia  romana 
perchè  Bartolomeo  de'  Recovrati  primicerio  di  S.  Marco,  eletto  vescovo  di 
Capodistria  dal  capitolo  di  quella  cattedrale,  abbia  la  conferma  pontificia 
(carte  18  tergo). 

141 1.  6  giugno.  —  Tutti  quelli  che  porteranno  a  Venezia  vino  nato 
nei  distretti  di  Parenzo,  Montona,  Grisignana,  Rovigno,  Pola  ed  Umago 
pagheranno  solo  2  ducati  per  anfora.  Valevole  per  un  anno  (carte  25). 

141 1.  13  settembre.  —  Si  autorizzano  il  capitano  di  Raspo  e  il  po- 
destà di  Capodistria  a  mandare,  colla  maggior  possibile  economia,  esplora- 
tori per  tener  d'  occhio  le  mosse  degli  ungheresi  che  si  pretendevano  in 
procinto  di  scendere  in  Istria  (carte  52  tergo). 

141 1.  13  settembre.  —  Licenza  a  Nicolò  Cappello  podestà  e  capitano 
a  Capodistria  di  spendere  fino  a  200  lire  di  piccoli  per  fodere  unum  foveam 
et  facere  duo  restellos  et  unum  pontem  levatorem  per  medium  miliare  distantem 
a  Castro  Leone  (carte  53). 

1411.  17  settembre.  —  Il  capitano  di  Raspo  scrisse,  il  io  corr ,  che 
trovandosi  gli  ungheresi  in  Zerienich  d'onde  minacciano  e  l' Istria  e  il  Friuli, 
aveva  invitato  gli  istriani  ad  villani  Popehii,  luogo  in  medio  patrie  e  fortis- 
simo, onde  provvedere  alla  difesa  ;  ma  che  il  podestà  e  capitano  di  Capo- 
distria si  era  opposto  a  tal  misura  onde  i  suoi  amministrati  non  avessero 
danno  a  gentibus  Paisinaticorum  ;  essendo  però  conveniente  di  non  intralciare 


—  $*?  — 

e  menomare  1'  autorità  e  i  poteri  del  capitano  di  Raspo,  si  ordina  al  detto 
podestà  e  capitano  di  lasciare  che  il  capitano  stesso  aduni  le  genti  dei  Pa- 
sinatici  in  qualunque  luogo  del  territorio  di  Capodistria  ;  e  se  ciò  avesse  a 
seguire  in  città  si  osservi  il  capitolo  della  Commissione  del  ripetuto  capitano 
circa  1'  amministrazione  della  giustizia  (carte  54  tergo). 

141 1.  24  settembre.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
di  spendere  50  ducati  in  riparazioni  alle  gurnis  di  Castel  Leone  e  al  suo 
palazzo  (carte  55  tergo). 

141 1.  19  novembre.  —  Si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
di  fornire  al  capitano  di  Raspo  il  danaro  e  ogni  altro  aiuto  necessario  per 
mandare  in  quella  città,  ad  marinam,  le  stdlas  da  remi  che  esso  capitano, 
di  commissione  dei  Patroni  all'  arsenale,  aveva  fatto  tagliare  nei  dintorni  di 
Raspo  (carte  65). 

141 1.  19  novembre.  —  Il  capitano  Pixini  è  ricevuto  in  udienza  come 
inviato  del  signore  di  Balsa  [albanese]  (carte  65   tergo). 

141 1.  23  novembre.  —  Essendo  chiusa  la  strada  di  Lubiana  per  l' Istria, 
onde  impedire  che  i  grani  che  solevano  portarsi  per  quella  non  scendano 
invece  a  Segna  e  a  Fiume,  si  autorizza  la  Signoria  a  far  armare  i  legni 
opportuni  per  vietare  che  dai  due  ultimi  luoghi  i  grani  vengano  trasportati 
per  mare  altrove  che  a  Venezia  (carte  66). 

141 1.  2  dicembre.  —  Si  autorizza  Marco  Zen  eletto  podestà  a  S.  Lo- 
renzo a  differire  la  sua  partenza  per  colà  fino  alla  metà  di  febbraio  (carte 
67  tergo). 

141 1.  3  dicembre.  —  Si  dà  facoltà  al  capitano  di  Raspo.se  credesse 
di  non  poter  mantenere  con  sicurezza  le  genti  dei  Pasinatici  in  quel  luogo, 
di  condurle  in  quell'altro  luogo  dell'Istria  stimasse  opportuno;  a  provve- 
dere poi  alla  sicurezza  di  Raspo,  ove  sono  soli  13  balestrieri,  se  il  capitano 
ne  partisse,  scriverà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  che  vi  mandi  altri 
7  balestrieri  con  un  buon  capo.  In  conformità  si  scrive  al  detto  podestà  e 
capitano  (carte  68). 

141 1.  5  dicembre.  Non  potendosi  sovvenire  di  grani  il  comune  di 
Muggia,  che  n'  ha  grande  penuria,  lo  si  autorizza  a  procurarsene  da  qua- 
lunque luogo  potrà,  eccetto  dagli  stati  veneti  (carte  68). 

141 1.  5  dicembre.  —  Facoltà  a  Nicolò  Cappello  podestà  e  capitano  a 
Capodistria  di  spendere  100  ducati  per  far  escavare  una  fossa  davanti  Castel 
Leone  ;  prima  però  cerchi  per  ogni  via  di  far  che  sia  fatta  per  pitbliatm  come 
vuoisi  si  usasse  in  passato  (carte  68  tergo). 

1411.  11  dicembre.  —  Trovandosi  in  Pola,  Dignano  e  in  altri  luoghi 
dell'  Istria  buona  quantità  di  biada  da  cavalli,  si  ordina  ai  rispettivi  rettori 


—  3H  — 

di  acquistarla  e  mandarla  ai  Provveditori  alle  biade  in  Venezia,  i  quali  la 
pagheranno  [se  non  lo  potessero  fare  gli  stessi  rettori]  ai  consegnanti  in 
Venezia  (carte  69). 

141 1  m.  v.  1  gennaio.  —  Si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
di  mandare  ai  Provveditori  alle  biade,  a  rischio  e  pericolo  dello  stato,  il 
danaro  ricavato  dalla  vendita  del  frumento  speditogli  dai  detti  Provveditori, 
avendo  egli  rifiutato  di  mandarlo  sotto  la  propria  responsabilità  (carte  75). 

141 1  m.  v.  1  gennaio.  —  Si  prolunga  fino  al  venturo  S.  Michele  il 
vigore  della  diminuzione  del  dazio  del  ribolei  che  si  porta  dall'  Istria  a  Ve- 
nezia (carte  75). 

141 1  m.  v.  14  gennaio.  —  In  seguito  a  domanda  di  ambasciatori  del 
comune  di  Pola,  si  acconsente  a  che  quei  cittadini  facciano  a  loro  spese 
fortificar  quel  castello  —  minacciando  il  re  d'  Ungheria  la  invasione  ed 
essendo  Pola  assai  debole  —  impiegandovi  i  100  ducati  annui  destinati  allo 
stipendio  del  vicario  ;  i  cittadini  in  tempo  di  guerra  potranno  riparare  in 
castello  colle  lor  cose  ;  in  tempo  di  pace  si  dovrà  demolire  quella  parte  che 
stimerà  la  Signoria  ;  tutte  le  spese  per  riparazioni  che  il  conte  di  Pola  cre- 
desse dover  fare  per  la  difesa  della  stessa  saranno  a  carico  di  quel  comune; 
il  conte  recentemente  eletto  e  i  suoi  successori  non  conducano  seco  vicario 
(carte  77  tergo). 

141 1  m.  v.  28  gennaio.  —  Risposta  a  domande  fatte  dal  capitano  di 
Raspo  per  mezzo  del  suo  cancelliere  :  Sembrano  sufficienti,  alla  custodia  di 
quel  castello,  le  persone  che  vi  stanno  dopo  l'arrivo  dei  7  balestrieri  man- 
dativi dal  podestà  e  capitano  di  Capodistria  ;  però  se  tale  non  fosse  il  parere 
del  capitano,  si  ordina  al  podestà  di  Pirano  che  mandi,  ad  ogni  richiesta 
di  quello   io  o   12  balestrieri  a  rinforzare  il  presidio. 

Quantunque  il  capitano  abbia  avuto  facoltà  di  abitare  ove  gli  piace, 
gli  si  ordina  di  stare  a  dimora  in  castello  e  tenervi  tutti  i  soldati  che  sarà 
possibile;  quelli  che  non  potessero  trovarvi  luogo,  li  mandi  all'obbedienza 
del  podestà  e  capitano  suddetto. 

Gli  si  lascia  piena  libertà  circa  il  cambiamento  dei  40  uomini  esistenti 
in  Due  Castelli,  facendo  il  meglio  che  saprà. 

Si  diedero  ordini  al  podestà  e  capitano  mentovato  circa  le  riparazioni 
e  la  custodia  al  Ponte  del  Marchese. 

Circa  il  provvedere  denari  per  la  sicurezza  dei  luoghi,  la  Signoria  farà 
ciò  che  si  potrà,  provvegga  il  conte  per  parte  sua  colle  disposizioni  che 
saranno  da  lui  ritenute  necessarie. 

Gli  si  spediscono   io  casse  di  verettoni,    5  barili  di  polvere  da  bom- 


—  3i5  — 

barda,  sei  sclopetos,  300  baloias  di  piombo  ;  provvedere  sul  luogo  il  cuoio 
e  lo  spago  prò  ca^afustis  (carte  80  tergo). 

141 1  m.  v.  12  febbraio.  —  Si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capo- 
distria  [non  volendo  egli  uniformarsi  a  tal  disposizione  già  data  in  addietro] 
di  permettere  la  libera  esportazione  da  quella  città  di  vino,  olio  e  sale  per 
parte  dei  mussola! i  e  di  altri  che  vi  portano  frumento,  biade  e  grascie  ;  ciò 
per  dar  vita  al  traffico  della  medesima,  e  sotto  pena  al  podestà  di  500  lire; 
così  pure  permetterà  ai  veneziani  di  acquistar  colà,  per  condurre  a  Venezia, 
grani,  vino  ed  altro  (carte  93  tergo). 

141 1.  23  febbraio.  —  Essendosi  deliberato  che  Iacopo  da  Riva  capitano 
di  Raspo  torni  colà,  tenendo  seco  tutti  i  soldati  a  cavallo  che  vi  stessero, 
e  mandando  gli  altri  a  Capodistria  [per  la  ristrettezza  del  castello]  ;  onde 
provveder  meglio  alla  sicurezza  della  provincia  si  ordina  che  il  detto  capi- 
tano tenga  sempre  seco  tutte  le  sue  genti,  e  ponga  stanza  ove  stimerà  meglio 
e  disponendo  delle  genti  stesse  a  suo  beneplacito  (carte  93  tergo). 

1412.  4  aprile.  —  Si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria,  sotto 
pena  di  200  lire  di  pagare  al  capitano  di  Raspo  ciò  che  gli  deve  per  sua 
quota  di  Pasinatico  (carte  102). 

1412.  5  maggio.  —  Avendo  i  rettori  dell'Istria  avvisato  che  500  cavalli 
uniti  agli  uomini  di  Buie  vennero  ai  danni  dei  sudditi  veneti,  si  delibera 
che  Lodovico  Buzzaccarini,  con  200  cavalieri,  dal  campo  vada  in  quella 
provincia  colle  commissioni  che  gli  darà  il  Collegio,  al  quale  si  dà  facoltà 
di  provvedere. 

Il  Buzzaccarini  sarà  spedito  al  più  presto,  dietro  a  lui  e  alla  sua  gente 
de  domo  si  manderanno  60  cavalieri,  lancie  spezzate,  e  di  tempo  in  tempo 
altri  fino  al  numero  deliberato  (carte   107  tergo). 

Non  essendo  il  capitano  di  Raspo  persona  in  termino  per  provvedere 
in  occasione  dell'  invasione  dell'  Istria  per  parte  dei  nemici,  si  delibera  di 
mandar  colà  da  Venezia  un  provveditore,  coi  pieni  poteri  che  ha  il  detto 
capitano  circa  la  custodia  e  difesa  del  paese.  Si  commette  poi  al  podestà  e 
capitano  di  Capodistria  e  a  tutti  i  rettori  di  quelle  terre,  compreso  Raspo, 
di  tenere  tutte  le  milizie  a  disposizione  del  provveditore,  il  quale  sarà  eletto 
in  Senato,  e  starà  in  carica  fin  che  cessi  il  pericolo  per  l' Istria.  Il  Collegio 
determinerà  sul  suo  seguito  e  stipendio.  Il  Buzzaccarini  sarà  mandato  in 
Istria  con  50  lancie  (carte  107  tergo). 

1412.  9  giugno.  —  Mose  Grimani,  eletto  conte  di  Pola  potrà  differire 
fino  alla  fine  di  giugno  la  sua  partenza  per  quella  città  (carte  120  tergo). 

1412.  18  giugno.  —  Avendo  il  podestà  di  Dignano,  Leonardo  Michiel, 
preso,  in  seguito  ad  informazioni  dategli  dal  conte  di  Pola,  due  predoni  i 


-  3i6  - 

quali  avevano  partecipato  all'  incendio  di  ville  nei  territori  di  Capodistria  e 
di  Raspo;  gli  si  ordina  di  mandarli  al  conte  di  Pola  quia  coinmisserunt  predimi 
sul  territorio  di  questa;  al  conte  poi  s'ingiunge  di  esaminarli  per  sapere 
se  vennero  a'  danni  degli  istriani  come  nemici,  oppure  se  son  rei  comuni; 
quindi  faccia  ciò  che  giustizia  impone  (carte  123). 

1412.  1  luglio.  —  Ad  ambasciatori  del  comune  di  Capodistria,  che 
chiesero  provvedimenti  perchè  quella  città  non  restasse  spopolata,  si  risponde 
Si  accorderà  una  galeotta  armata  per  difesa  contro  i  nemici.  Non  si  può 
rinunziare  a  chiamare  anche  gli  abitanti  di  Capodistria  alla  difesa  del  loro 
paese,  gli  adunamenti  di  genti  si  fanno  a  tutela  di  tutta  l' Istria  ;  del  resto 
si  manderanno  fra  breve  anche  milizie  a  cavallo.  La  Signoria  provvederà  a 
fornirli  di  verettoni  e  d'altre  cose  domandate  (carte   124  tergo). 

1412.  7  settembre.  —  In  seguito  ad  informazioni  date  dal  capitano  di 
Raspo  e  dai  podestà  di  Pirano,  Isola  ed  Umago,  su  Nicolò  quondam  Nicolò 
Renaldi  di  Buje  abitante  a  Pirano,  il  quale,  in  istis  novitatibus  que  fuerunt  in 
partibus  Istrie,  servi  fedelmente  e  valorosamente  ed  ebbe  a  perdere  un  occhio, 
gli  si  assegnano,  in  Buje  o  altrove,  tre  paghe  di  fanteria,  una  morta,  una 
per  lui  e  la  terza  per  un  ragacio  (carte  135). 

1412.  12  settembre.  —  Licenza  a  Lodovico  Buzzaccarini,  ora  a  Buje, 
di  ritornare  a  Venezia  coi  suoi  cavalli  e  famigli,  essendo  morte  due  sue 
nipoti,  e  malati  la  moglie  ed  altri  di  casa  sua.  Il  capitano  di  Raspo  andrà 
a  Buje  e  vi  starà  a  custodia  ;  se  dovesse  recarsi  a  qualche  altro  luogo  del- 
l'Istria,  sostituirà  persona  idonea  in  Buje  (carte  136). 

1412.  21  ottobre.  —  Si  prolunga  fino  al  Natale  1413  la  riduzione  di 
un  ducato  per  anfora  del  dazio  sul  riboleo  che  si  porta  dall'Istria  a  Venezia 
(carte   139). 

1412.  27  ottobre.  —  Si  accorda  dilazione  [fino  all'ottavo  giorno  che 
avrà  avuto  il  suo  salario]  per  andare  ad  assumere  la  sua  carica,  ad  Antonio 
da  Riva  eletto  podestà  a  Grisignana  (carte  139  tergo). 

1412  m.  v.  23  febbraio.  —  Dovendosi  spedire  al  più  presto  65  soldati 
di  fanteria  in  Istria,  si  ordina  a  Troilo  Malipiero  sopracomito  della  galea 
del  Golfo  di  farne  il  trasporto  ;  si  scrive  poi  al  capitano  di  Raspe  di  dispor 
di  quelli  per  la  sicurezza  del  paese  (carte  156). 

141 3.  14  marzo.  —  Cum  omnibus  sii  manifesta  fidelitas  fidelium  subditorum 
nostrorum  de  Valle,  qui  modo  nuper  contra  exercitum  Regis  Hungarie  se  tam 
probe  et  virililer  defenderunt  et  passi  fuerunt  omnia  incomoda  et  damna,  usque 
-ad  ultimimi  prò  faciendo  honorem  nostrum,  et  tandem  longa  et  potenti  obsidione 
affecti,  et  non  valentes  amplius  se  tenere,  fuerunt  subacti  per  hungaros  cum  torma 
inextimabili  damno  atque  iacìura,  in  tantum  quod  ipsa  terra  dirupta  fuit  ;  si 


—  3*7  — 

delibera,  a  loro  istanza  :  che  siano  esenti  da  ogni  contribuzione  tanto  pel 
rettore  che  pei  Pasinatici,  e  cosi  potranno  rialzare  quel  castello,  come  of- 
frono di  fare  a  loro  spese  ;  nei  detti  5  anni  si  eleggeranno  i  propri  giudici 
con  giurisdizione  civile  ;  la  criminale  e  le  appellazioni  sono  demandate  al 
capitano  di  Raspo  ;  se  scorsi  i  5  anni  il  castello  sarà  rifatto,  Valle  avrà  il 
suo  rettore  e  quegli  abitanti  pagheranno  come  in  passato  ;  terminandosi  il 
castello  prima  dei  5  anni,  quella  terra  avrà  il  rettore  ma  resterà  esente  pel 
detto  tempo  come  sopra  (carte   iéi). 

141 3.  16  marzo.  —  A  Matteo  Maserazp  di  Valle,  il  quale,  per  infor- 
mazioni del  Capitano  in  Golfo,  dei  rettori  dell'  Istria,  e  degli  ambasciatori, 
non  tamquam  homo  sed  tamquam  leo,  mirabiliter  se  gessit  cantra  Hungaros  et 
eorum  esercitimi  prò  defensione  et  conservaiione  terre  Vallis,  si  accordano  tre 
pagas  pedestres  in  Duobus  Castris  Istrie,  fra  le  quali  una  paga  morta,  e  gli 
si  antecipano  50  ducati  sul  salario  (carte  162). 

1413.  18  marzo.  —  Si  accordano  200  staia  di  frumento  agli  abitanti 
di  Valle  da  restituirsi  al  raccolto  venturo,  dando  di  ciò  malleveria  ai  prov- 
veditori alle  biade,  il  grano  sarà  trasmesso  al  podestà  di  Rovigno  per  la 
consegna  (carte  163  tergo). 

1413.  18  aprile.  —  Si  delibera  di  spendere  20  ducati  per  mandare  una 
barca  in  Istria  e  in  Schiavonia  con  notizie  e  lettere  circa  la  tregua  (carte  174). 

14 13.  4  maggio.  —  Si  autorizzano  gli  Ufficiali  al  cattaver  a  spendere 
400  ducati  d'oro  in  riparazioni  alle  palate  sive poste  partium  Istrie,  rovinate 
in  modo  da  non  potervi  habitare,  sicché  i  passanti  vi  commettono  gran 
danni  (carte   177). 

1413.  4  maggio.  —  Si  delibera  di  consegnare  a  Iacopo  da  Riva  cav. 
capitano  di  Raspo  certo  Andrea  de  Baio  suo  captivus,  già  da  più  mesi  car- 
cerato in  Venezia,  e  così  pure  di  consegnare  a  chi  spettano  tutti  gli  altri 
prigionieri  [di  guerra]  che  stanno  nelle  carceri  del  governo  (carte  177  tergo). 

141 3.  23  maggio.  —  Cum  conies  nosler  Poh,  anteqitam  aliquid  occurreret 
de  locis  Adignani  et  Momarani  in  hac  guerra  cum  rege  Hungarie,  daret  nobis 
inforinalionein  qitod  ipsa  loca  non  possent  teneri  et  conservari  cantra  aliquam 
potentiam,  et  quod  bonum  esse!  providere  ut  relinquerent  loca  et  se  reducerent 
cum  bonis  suis  ad  loca  proximiora  et  tutiora,  et  per  capitanimi  nostrum  Raspuv eh 
ci  ipsum  comilem  fiierit  datns  bonus  ordo  habitatoribus  ipsorum  locorum,  qui 
nohieiunt  ipsum  ordinem  observare,  in  tantum  quod  secutum  est  de  ipsis  locis 
id  quod  est  omnibus  manifestum  ;  avendo  poi  il  detto  conte  chiesto  provve- 
dimenti pei  detti  due  luoghi,  e  specialmente  per  Dignano  affatto  rovinato 
dagli  ungheresi,  e  consigliando  di  tenerli  aperti  e  non  fortificati  ;  —  si  de- 
libera che  nei  medesimi  non  si  ricostruiscano  fortificazioni,  ma  si  distruggano 


-3i8- 

anche  gli  avanzi  delle  antiche  ;  che  Momarano  resti  soggetto  alla  giurisdi- 
zione di  Pola;  circa  Dignano,  il  capitano  di  Raspo  vi  si  rechi  e  senta  da 
quegli  abitanti  ubi  sunt  magis  contenti  ire  ad  jus  et  ad  quam  terram  et  juditium 

rectoris  et  secundum  quod  eligent ita  complaceatur  et  observari  debeat  ; 

e  così  Dignano  resti  soggetto  a  quel  rettore  e  a  quella  terra  quem  et  quam 
ìibentius  elegerint  i  suoi  abitanti  ;  pei  dazi,  le  regalie  e  le  vendite  dello  Stato, 
si  osserverà  il  consueto  (carte  183). 

1413.  3  giugno.  —  Gli  Ufficiali  al  caltaver  facciano  costruire  Mas  palatas 
S.  Andree  et  Busi,  e  intanto  il  capitano  della  Riviera  dell'  Istria  faccia  egli 
o  faccia  far  buona  guardia  a  quei  luoghi  (carte   187). 

1413.  21  giugno.  —  In  seguito  ai  lagni  fatti  fare  dal  podestà  e  ca- 
pitano di  Capodistria  che  gli  ufficiali  dei  duchi  d'Austria  in  Lubiana  avessero 
imposto  un  nuovo  dazio  di  14  soldi  su  ogni  cavallo  carico  di  vettovaglie 
diretto  all'  Istria,  cioè  colle  altre  gravezze  solite  soldi  28,  il  che  impedisce 
l' importazione  di  viveri  in  quella  provincia  da  parte  dei  musolati  ;  si  delibera 
che  d'  ora  in  poi  tutti  i  cavalli  venuti  scarichi  in  Istria,  i  quali  ne  espor- 
teranno sale,  vino,  olio  ed  altro,  pagheranno  allo  Stato  io  soldi  l'uno  al- 
l'uscire e  i  singoli  rettori  li  esigeranno  ;  ciò  durerà  finché  sia  in  vigore  il 
provvedimento  preso  dagli  austriaci  (carte  195). 

1413.  26  giugno.  —  Si  sospende  fino  alla  venuta  a  Venezia  di  Andrea 
da  Riva  la  disposizione  presa  il  4  maggio  circa  Andrea  de  Baio  (carte  196 
tergo). 

(Continua) 


LA  MALARIA  IN   ISTRIA 

RICERCHE 
SULLE  CAUSE  CHE  L'  HANNO  PRODOTTA  E  CHE  LA  MANTENGONO 

DEL   DOTTOR 

BERNARDO   SCHIAVUZZI 


Atque  ea  vis  omnis  morborum,  pestilitasque, 
Aut  extrinsecus,  ut  nubes  nebulaeque  superne 
Per  coelum  veniunt,  aut  ipse  saepe  coorta 
De  terra  surgunt,  ubi  putrorem  humida  nacta  est, 
Intempestivis  pluviisque,  et  solibus  icta. 

T.  Lucretii  Cari  —  De  rtrum  natura 
Lib.  VI,  v.  1094-1100. 


I. 


I'  Istria  e  situata  in  forma  di  penisola  fra  il  parallelo  boreale  del  440 
e  44'  e  quello  del  450  e  38',  nonché  entro  i  meridiani  del  3i°.9' 
e  32°.8'  verso  l'oriente.  Escorre  dal  versante  meridionale  delle  Alpi  Giulie 
ed  a  forma  di  cuneo  si  protende  in  mezzo  all'Adriatico,  fra  il  golfo  di  Trieste 
ed  il  Quarnaro.  Disposte  dinanzi  il  lato  meridionale  del  continente  stanno 
le  isole,  situate  le  minori  in  forma  di  scogli  al  suo  lato  occidentale  e  le 
maggiori  nel  golfo  del  Quarnaro.  L'  estensione  superficiale  della  penisola 
ammonta  34001.23  chilometri  □  ed  ha  una  popolazione  di  292,006  abitanti, 
suddivisi  in  1030  località  '). 

La  sua  conformazione  orografica  è  dipendente  dalla  vicinanza  delle  Alpi, 
a  cui,  quasi  vi  derivasse,  deve  l'elevatezza  del  suo  lato  settentrionale,  eleva- 
tezza che  sensibilmente  va  riducendosi,  man  mano  che  il  terreno  s'avvicina 


')  Bohata  dott.  Adalb.  Die  Cboìtra  ies  Jahrtt  1SS6  in  Itlrien  una  Gói^-Gmdisca. 
Triest.  !..  Herrmanstorfer,  188S,  pag.  2. 


—   320   — 

alla  costa.  Troviamo  perciò  che  alle  altezze  di  oltre  iooo  metri  sul  livello 
del  mare  ne  seguano  a  poco  a  poco  di  minori,  le  quali  nel  centro  della 
provincia  si  riducono  a  soli  400  metri.  Tale  diminuzione  però  non  procede 
in  ogni  parte  uniforme,  perchè  mentre  il  lato  Sud-Ovest  della  provincia 
riduce  il  proprio  livello  diminuendone  1'  altezza  in  proporzione  regolare  e 
continuata,  mantenendo  degli  esatti  ed  uniformi  paralleli;  il  lato  Nord-Est 
e  buona  parte  dell'orientale  conservano  delle  elevatezze  di  400  metri,  dalle 
quali  il  terreno  precipita  d' improvviso  al  livello  del  mare. 

Le  isole  del  Quarnaro  non  tengono  un'eguale  graduazione  nei  livelli 
orografici.  In  generale  però  si  può  dire  che  in  esse  i  più  alti  trovinsi  al 
lato  orientale. 

Tale  succedersi  delle  altezze  non  si  mantiene  intatto,  giacché  lo  sche- 
letro orografico  viene  intersecato  da  valli,  in  cui  hanno  l' alveo  fiumi  o 
torrenti.  Le  principali  fra  queste  sono  quella  di  Sicciole  in  cui  scorre  il  tor- 
rente Dragogna,  che  comincia  sotto  gli  altipiani  del  comune  di  Topolovaz; 
quella  di  Montona,  attraversata  dal  Quieto,  che  ha  principio  nel  comune 
di  Pinguente  ;  e  finalmente  la  Val  d'Arsa  bagnata  dall'Arsa,  che  comincia 
nel  comune  d'Albona.  Tali  intersecazioni  però  non  tolgono  che  il  carattere 
principale  orografico  della  provincia,  cioè  la  riduzione  delle  proprie  altezze 
in  ragione  che  il  terreno  s'  avvicina  alla  costa,  si  conservi  intatto. 

Lo  scheletro  della  penisola  e  delle  isole  nei  riguardi  della  loro  com- 
posizione geologica  si  divide  in  tre  parti,  fra  di  loro  distinte  ')  : 

i°  L'altipiano  calcare,  col  gruppo  del  Montemaggiore,  dal  torrente 
Rosandra  alla  punta  di  Fianona  ; 

2°  La  zona  marmo-arenacea,  dal  golfo  di  Trieste  al  lago  di  Cepich  ; 

30  L'  altipiano  pure  calcare,  ma  ricoperto  da  terreno  siderolitico,  che  a 
guisa  di  triangolo  ha  i  suoi  vertici  alla  punta  di  Salvorc,  al  capo  di  Pro- 
montore  ed  al  seno  di  Fianona. 

Queste  regioni  sono  distinte  da  una  litologia  superficiale  tanto  diversa, 
da  presentare  ciascuna  di  esse  una  tinta  particolare,  che  forma  il  fondo  del 
paesaggio,  in  modo  che  con  appellativi  non  molto  scientifici  ma  corrispon- 
denti, queste  regioni  furono  dette:  l' Istria  bianca,  V Istria  gialla  e  {'Istria 
rossa. 

I  terreni  calcari  appartengono  per  la  maggior  parte  alla  creta  e  sono 
calcari  a  radioliti  e  ad  altri  foraminiferi  (Cenomaniano  in  senso  lato),  calcari 


')  Taramelli  dott.  Torquato.  Diserzione  geognostica  del  Margraviato  a"  Istria. 
Milano.  Fr.  dott.  Vallardi,   1878,  pag.    19. 


—  321  — 

scarsi  di  fossili  (Neocomiano  ecc.)  o  banchi  dolomitici  irregolari,  oppure  nel 
minor  numero  appartengono  all'eocene  quali  calcari  nummolitici  con  alveolina 
longa  (Londoniano)  o  calcari  lacustri  ligniti/eri  (Liburnici  :  Thanetiano).  La 
zona  arenaceo-marnosa  appartiene  all'  eocene  ed  è  costituita  di  Arenarie  e 
di  Marne  (Masegno)  (Tongriano  inferiore)  ;  di  banchi  di  conglomerati  con 
fossili  del  Parigino  (eocene  medio)  e  da  marne  del  tassello  (eocene  medio, 
prive  di  fossili).  Le  valli  poi  sono  coperte  da  un'  alluvione  postglaciale. 

La  disposizione  degli  strati  è  irregolare.  In  alcune  località  lo  strato 
mantiene  una  linea  orizzontale;  in  altre  invece  l'obliqua  ed  anco  la  verticale. 
Prevale  però  in  generale  la  disposizione  orizzontale  intersecata  qua  e  là  da 
curve  e  da  sollevamenti. 

La  direzione  degli  strati  e  la  impermeabilità  di  quelli  posti  inferiormente, 
influiscono  in  modo  sensibile  sulla  ricchezza  d'acque  del  territorio.  Vediamo 
perciò  come  nella  zona  marno-arenacea  —  la  quale  presenta  ad  una  certa 
profondità  degli  strati  impermeabili  i  quali,  per  le  curve  frequenti,  devono 
coll'uno  o  coll'altro  dei  loro  capi  far  sporgenza  alla  superficie  del  terreno  — 
le  sorgenti  d'acqua  sieno  frequenti  ed  abbondanti  ;  mentre  ciò  non  avviene 
nelle  zone  calcari,  ove  la  roccia  é  permeabile  anche  ad  una  certa  profondità, 
e  gli  strati  sono  interrotti  da  caverne.  La  zona  calcare  però  dà  pure  in 
alcune  località  delle  ricche  sorgive,  p.  e.  in  Pola  ed  al  lato  orientale  della 
provincia,  nonché  qua  e  là  lungo  la  costa  occidentale. 

Il  clima  dell'Istria  è  in  generale  mite  e  temperato,  sebbene  variato  nei 
diversi  distretti  ').  Alla  costa  gì'  inverni  sono  di  regola  miti  e  gli  estati 
temperati  dai  venti  di  mare.  Le  regioni  del  Carso  invece  soffrono  di  grandi 
freddi  a  cagione  della  bora,  e  nell'estate  d'enormi  calori  per  l'irradiazione 
dal  terreno  nudo.  In  queste  ultime  regioni  possono  per  questi  motivi  ma- 
nifestarsi entro  poche  ore  delle  differenze  di  temperatura  di  12  a  150  C. 
In  questa  regione  essa  può  però  assumere  un  massimo  di  32  a  3 6°  C  ed 
un  medio  di  19  a  20°  C,  con  uu  minimo  di  io"  C.  Alla  costa  invece  le 
differenze  sono  meno  rilevanti,  giacché  nell'estate  di  rado  il  calore  supera 
i  300  C,  e  d' inverno  appena  si  riduce  sotto  lo  zero. 

Neil'  interno  della  provincia  ha  luogo  un  cangiamento  delle  stagioni 
più  normale  che  alla  costa;  la  di  cui  sezione  occidentale  offre  appena  traccie 
di  primavera  o  d'  autunno,  mentre  l'  orientale,  per  essere  esposta  alle  in- 
fluenze della  bora,  soffre  d' inverni  antecipati  e  prolungati. 

Da  tale  spartizione  irregolare  del  calorico   dipende  pure  quella  riflet- 


')  Bohata.  Op.  cit.,  pag.  6. 


—  322  — 


tente  le  cadute  d'acqua  meteorica.  Nelle  parti  settentrionali  della  provincia 
durante  l'estate  quasi  in  ogni  seconda  settimana  cade  pioggia  abbondante, 
mentre  nelle  altre  parti  della  provincia  e  specialmente  al  Sud  decorrono 
persino  degli  interi  mesi  senza  che  vi  cada  una  goccia  d'  acqua. 

In  quanto  riguarda  le  cifre  medie  annue  su  tali  fenomeni  citiamo  i 
dati  raccolti  dalle  due  stazioni  d'osservazioni  meteorologiche,  cioè  dell'Os- 
servatorio dell'  i.  r.  Accademia  di  commercio  e  nautica  in  Trieste  e  di  quello 
dell'  i.  r.  Istituto  idrografico  in  Pola,  posti  Y  uno  al  confine  settentrionale 
della  provincia  e  l' altro  al  suo  estremo  lembo  meridionale,  limitandoci  alla 
temperatura,  alla  pressione  atmosferica  ed  alla  pioggia,  quali  fattori  che  in 
molti  anni  stanno  in  nesso  collo  sviluppo  delle  endemie  malariche. 


MESI 

Pressione  dell'  aria 

in 

millimetri  a  0° 

Temperatura 

in 

centigradi 

Quantità  di  pioggia 

caduta 

in  millimetri 

Trieste 

Pola 

Trieste 

Pola 

Trieste 

Pola 

Gennaio  .... 
Febbraio.     •     .     . 

Marzo 

Aprile      .... 
Maggio    .... 
Giugno    .... 
Luglio     .... 
Agosto    .... 
Settembre    .     .     . 
Ottobre    .... 
Novembre    .     .     . 
Decembre    .     .     . 

Anno     .     . 

761.0 
760.2 
758.0 
757.4 
757.8 
758.5 
758.4 
758.6 
759.9 
759.1 
759.0 
760.4 

761.0 
760.6 
757.7 
756.9 
758.0 
758.7 
758.4 
757.7 
759.7 
762.7 
759.3 
759.3 

4.6 

5.9 

8.4 

13.4 

17.9 

22.2 

24.4 

23.7 

19.9 

15.2 

9.5 

5.8 

5.6 

6.1 

8.2 

12.8 

16.7 

21.6 

24  0 

23.9 

19.8 

15.0 

9.7 

6.1 

62 

60 

68 

78 

97 

95 

78 

92 

130 

161 

109 

75 

60 

49 

54 

77 

80 

68 

50 

71 

101 

128 

114 

90 

759.0 

759.0 

14.2 

14.1 

1105 

948 

Da  tali  fenomeni  viene  influenzata  anche  la  flora  istriana,  la  quale,  a 
tipo  nordico  nelle  parti  settentrionali  della  provincia,  acquista  caratteri  più 
vivaci  mano  a  mano  che  si  va  avvicinandosi  al  mezzogiorno.  Diffatti  mentre 
al  Nord  trovatisi  boschi  di  Conifere,  —  che  in  macchia  isolata  manifestatisi 
pure  nella  pineta  di  Sorbar  vicino  Momiano,  ed  in  guisa  artificiale  per  vari 
ettari  nel  bosco  erariale  di  Corneria  vicino  Sterna  —  vi  predomina  tuttavia 
'la  quercia  che  vegeta  con  tutto  vigore  ;  al  Sud  prendono  luogo  estesissime 
macchie  di  sempreverdi,  composte  dalle  specie  botaniche  Phillirea,  Erica, 
Cislus   monspeliensis,  Pistacia   lentiscus,   Mirto,    Buxus,   Iuniperus   oxycedrus, 


—  323  — 

Quercus  ilex,  Arbtitns  Unedo,  Launis  nobiìis  ecc.  ecc.,  che  col  loro  verde 
mantello  abbelliscono  il  paesaggio  da  Parenzo  fino  a  Pola,  vegetando  sulla 
terraferma  e  sugli  scogli,  che  frastagliano  e  rendono  si  graziosa  la  costa 
occidentale  dell'  Istria. 

La  coltura  del  terreno  varia  in  sommo  grado,  in  modo  che  come  lo 
dimostrano  le  tabelle  che  seguono,  predomina  nei  diversi  distretti  ora  l'uno 
ed  ora  1'  altro  metodo. 


I.  Riduzione  ad  i/oooo  dell'estensione  d'ogni  singola  specie  di  coltura 

DEI  FONDI  RELATIVA  AI  DISTRETTI  CENSUARI  DELL'  [STRIA  ') 


S  U  P  E  R  F 

I  C  I  E 

DISTRETTI 

censuari 

> 

E 

< 

T3 

6 

c 
> 

"o 

P- 

'S. 

< 

O 

-3 

Oh 

tri 

< 

Capodistria .  . 

865 

1288 

541 

1566 

3304 

2136 

10000 

Pinguente 

905 

1332 

76 

566 

4277 

— 

2844 

— 

10000 

Pirano  . 

1456 

556 

2139 

1734 

1230 

— 

2885 

— 

10000 

Cherso  . 

282 

— 

452 

527 

5910 

— 

2«29 

— 

10000 

Lussino  . 

419 

— 

1050 

766 

4319 

— 

3446 

— 

10000 

Veglia  . 

1321 

62 

171 

531 

4905 

— 

3009 

1 

10000 

Buje  .  . 

1509 

680 

873 

1600 

1305 

— 

3853 

180 

10000 

Montona. 

1225 

91'J 

234 

1841 

1402 

— 

4323 

56 

10000 

Parenzo  . 

1402 

136 

280 

2113 

KH3 

— 

5021 

35 

10000 

Albona  . 

779 

766 

116 

863 

3903 

— 

3523 

50 

10000 

Pisino 

1428 

1314 

58 

1345 

3171 

— 

2684 

— 

10000 

Dignano. 

2343 

546 

74 

1208 

3199 

— 

2607 

23 

10000 

Poh!  .   . 

2415 

156 

223 

639 

3528 

3038 

1 

10000 

Rovigno . 

1550 

82 

1182 

1166 

1580 

4432 

8 

10000 

Castelnuovo 

716 

1785 

37 

12 

3513 

— 

3937 

— 

10000 

Volosca  .  . 
Totale 

439 

682 

150 

482 

3153 

— 

5094 

— 

10000 
10000 

1160 

746 

338 

982 

8319 

— 

3435 

20 

')  Queste  tabelle  vennero  desunte  in  massima  parte  dall'opera  Materiali  per  la  sla- 
lislica  dell'Istria  del  dott.  Francesco  Vidulich,  e  si  riferiscono  ai  risultati  dell'ultimo  catasto; 
nonché  dal  II  fascicolo  Forst  una  lagd- Slalislih  del  Manuale  statistico  dell'i,  r.  Ministero 
d'Agricoltura  per  l'anno  l8S;  (Stalistisches  Iahrbuch  des  k.  k.  Ackerbau-Ministcrium  fùr  das 
Iahr  iSSf.  —  Wien.  Druck  und  Verlag  der  k.  k.  Hof-und  Staats-Druckerei). 

*)  Sotto  il  titolo  «Orti»  vengono  compresi  in  buona  parte  anche  gli  estesi  oliveti, 
i  quali  trovanti  specialmente  nei  distretti  censuari  di  Buje,  Pirano,  Capodistria  e  Rovigno. 


—  324  — 


II.  Quota  proporzionale  di  ciascun  distretto  censuario 


SUPERFICIE 

DISTRETTI 

censuari 

.E 

ri 
< 

o 

a 

> 

"o 

e- 

'E. 
< 

IH 

y 

O 

m 

-3 
3 

E 

Capodistria  .     . 

56 

82 

35 

K>1 

213 

157 

644 

Pinguente 

71 

104 

6 

45 

334 

— 

223 

— 

783 

Pirano     .     . 

29 

11 

44 

36 

25 

— 

59 

— 

204 

Cherso    . 

19 

— 

31 

36 

401 

— 

192 

— 

679 

Lussino  . 

15 

— 

37 

28 

153 

— 

123 

— 

356 

Veglia     . 

114 

5 

15 

45 

424 

— 

258 

1 

862 

Buje  .    . 

81 

37 

47 

86 

70 

— 

208 

9 

538 

Montona. 

77 

58 

15 

116 

88 

— 

270 

4 

628 

Parenzo  . 

61 

6 

12 

92 

44 

— 

218 

1 

434 

Albona    . 

49 

49 

8 

54 

250 

— 

226 

3 

639 

Pisino 

149 

43 

7 

146 

344 

— 

291 

— 

1080 

Dignano . 

159 

37 

5 

82 

219 

— 

178 

2 

6^2 

Pola    .     . 

119 

7 

10 

29 

160 

— 

138 

— 

463 

Rovigno  . 

69 

4 

53 

52 

70 

— 

198 

— 

446 

Castelnuovo 

62 

156 

3 

1 

305 

— 

343 

— 

870 

Volosca  .     . 
Totale 

30 

47 

10 

33 

219 

— 

353 

— 

692 

1160 

746 

338 

982 

3319 

— 

3435 

20 

10000 

Vediamo  perciò  come  la  specie  di  coltura,  che  per  estensione  di  terreno 
supera  tutte  le  altre,  sia  quella  dei  boschi,  giacché  su  ioooo  parti  di  terreno 
3405  appartengono  ad  essa.  A  questa  coltura  seguono  i  pascoli  con  3319 
parti  ;  indi  gli  arativi,  le  vigne,  i  prati,  gli  orti  e  le  paludi  con  una  pro- 
porzione complessiva  di  3246  parti.  Ne  risulta  per  conseguenza  come  un 
terzo  circa  della  provincia  sia  posto  veramente  a  coltura,  mentre  gli  altri  due 
terzi  devono  alle  sole  forze  della  natura  la  loro  produttività.  —  A  tali  ultimi 
fondi  si  aggiungano  indi  altri  28448  jugeri  di  terreno  improduttivo,  che 
costituiscono  la  trentesima  parte  dell'  area  complessiva  della  penisola. 

Nei  singoli  distretti  censuari  i  boschi  occupano  il  terreno  in  propor- 
zioni differenti  fra  di  loro.  Il  distretto  censuario  più  imboschito  è  quello 
di  Volosca  con  5094  parti  su  10000,  indi  quello  di  Parenzo  con  5021  parti; 
ai  quali  seguono  quelli  di  Rovigno  e  di  Montona,  ed  indi  gli  altri.  Pren- 
dendo invece  in  esame  i  distretti  politici,  troviamo  che  sono  maggiormente 
coperti  da  boschi  quelli  di  Volosca  e  di  Parenzo  ;  il  primo  dei  quali  è 
formato  dai  distretti  censuari  di  Castelnuovo  e  di  Volosca,  ed  il  secondo 


—  325  — 

da  quelli  di  Buje,  di  Montona  e  di  Parenzo.  Riguardo  poi  a  tale  specie  di 
coltura,  la  seconda  tabella  ci  indica  come  su  3435  parti  di  terreno  boschivo, 
che  costituiscono  un  terzo  abbondante  di  tutta  la  superficie  coltivata  della 
provincia,  696  provengano  dai  distretti  politici  di  Volosca  e  di  Parenzo,  i 
quali  anche  in  tale  quota  tengono  la  preminenza. 

Rispetto  infine  ai  boschi  risulta  dal  prospetto  che  segue  la  proporzione 
di  distribuzione  delle  singole  loro  qualità  ')  nei  vari  distretti  politici  : 


DISTRETTO  POLITICO 
(censuario) 


ALTO  FUSTO 


Frondiferi   Coniferi 


in  Ettari 


o/o 


BASSO 
o  medio  fusto 


Ettari 


°/oo 


Totale 


Ettari 


Capodistria 
(Capodist.,  Pinguente,  Pirano) 

Lussino 
(Lussino,  Cherso,  Veglia).     . 

Pisino 
(Pisino,  Albona) 

Parenzo 
(Buje,  Montona,  Parenzo).     . 

POLA 

(Dignano,  Pola,  Rovigno).     . 

Volosca 
(Castelnuovo,  Volosca).     .     . 

Totale     .     . 


5.136 

700 

1>79 


11.191 

18  016 


244 

15.8C7 

756 

- 

— 

27.416 

1000 

- 

28 

24.054 

972 

28 

57 

1 
31.494. 

943 

" 

— 

24.619; 

1000 

138  ! 

337 

21.993 

1 

663 

166 

115 

145.443 

885 

21.003 

27.416  ' 

24.754 

33.401 

24.619 

33.332 
164."  25 


Si  rileva  per  conseguenza  come  i  distretti  di  Volosca  e  di  Capodistria 
si  distinguano  per  avere  la  massima  parte  dei  boschi  ad  alto  fusto,  e  come 
di  questi  ne  sieno  privi  quelli  di  Lussino  e  di  Pola,  i  quali  per  tale  motivo 
segnano  i  permille  più  alti  in  riguardo  ai  boschi  di  basso  o  di  medio  fusto. 
Risulta  poi  come  di  boschi  di  quest'ultima  categoria  vada  pure  molto  for- 
nito il  distretto  di  Parenzo,  che  con  quello  di  Pisino  è  il  più  ricco  di  boschi 
in  riguardo  a  superficie  assoluta. 


')  Per  1'  anno  1885. 


—  326  — 

La  specie  botanica  è  rappresentata  prevalentemente  dalle  quereie  e  mo- 
dicamente dalle  conifere. 

Il  distretto  politico  più  provvisto  di  pascoli  è  quello  di  Lussino,  in 
modo  che  la  superficie  da  quelli  occupata  supera  la  metà  della  complessiva  ; 
proporzione  questa  che  spicca  specialmente  neh"  isola  di  Cherso.  Siffatta 
specie  di  coltura  (se  può  così  venir  chiamata)  è  rappresentata  in  tale  distretto 
in  cifra  sì  alta,  da  costituire  quasi  un  quarto  di  tutti  i  terreni  dell'  intera 
provincia.  Il  distretto  politico  invece  che  ne  possiede  il  minor  numero  è 
quello  di  Parenzo. 

Gli  arativi  predominano  nel  distretto  politico  di  Pola,  e  specialmente 
nel  distretto  censuario  omonimo  ed  in  quello  di  Dignano,  in  modo  da 
costituire  complessivamente  un  quinto  di  tutte  le  colture.  Il  più  povero  di 
arativi  è  quello  di  Volosca  quale  distretto  politico  e  quello  di  Cherso  quale 
distretto  censuario. 

Gli  orti  predominano  in  quello  di  Capodistria,  rispettivamente  di  Pi- 
rano,  e  ne  sono  meno  provvisti  quelli  di  Pisino,  relativamente  il  censuario 
di  Pisino,  e  di  Castelnovo  su  quel  di  Volosca.  Quest'ultimo  distretto  cen- 
suario (Castelnovo)  spicca  invece  per  la  grande  quantità  di  prati.  Le  vigne 
predominano  nei  distretti  politici  e  censuarì  di  Parenzo,  di  Montona  e  di 
Pirano. 

Le  poche  paludi  che  riscontransi  in  provincia,  trovansi  nei  distretti 
politici  di  Parenzo,  di  Pisino  e  di  Dignano  ed  occupano  appena  il  20  su 
10000  parti  dell'area  complessiva. 


II. 


Premessi  questi  brevi  cenni  intorno  ai  caratteri  geografici,  geologici, 
climatici  ed  agricoli  dell'  Istria,  come  quelli  che  possono  esercitare  un'  in- 
fluenza sullo  sviluppo  e  sul  mantenimento  dell'  infezione  malarica  del  suolo 
istriano  e  dell'  ammorbamento  dell'  atmosfera  che  lo  circonda,  passo  a  se- 
gnare nel  modo  il  più  ampio  che  mi  è  dato,  l'estensione  della  malaria  nella 
provincia,  seguendo  in  questo  riguardo  i  risultati  dell'  inchiesta  malarica, 
promossa  con  lodevole  intento  dall'  inclita  Giunta  provinciale  dell'  Istria, 
negli  anni  1873  e  1879,  in  seguito  ad  iniziativa  della  allor  esistente  Società 
agraria  istriana,  e  più  tardi  dall'i,  r.  Consiglio  sanitario  provinciale. 

Si  deve  però  confessare  che  non  tutte  le  idee  espresse  nelle  relazioni 
sono  sane  e  corrispondenti  alla  realtà;  tuttavia  dal  complesso  dell'inchiesta 
risultano  dei  dati,  che  per  essere  corrispondenti  a  quanto  ora  si  sa  di  pò- 


—  327  — 

sitivo  intorno  alla  genesi  malarica,  riesciranno  di  certo  a  dilucidare  la  que- 
stione grave  di  tale  endemia,  a  spiegarne  la  produzione  e  per  conseguenza 
a  suggerirne  i  mezzi  onde  debellarla.  Giova  dichiarare  in  questo  proposito, 
qualmente  tali  risultati  corrispondano  quasi  perfettamente  con  quelli  derivati 
dagli  studi  analoghi  intrapresi  in  Italia,  ove  Parlamento  e  Senato  con  prov- 
vidi ordinamenti  tentano  a  tutt'  uomo  di  sanare  il  suolo  che  circonda  la 
capitale  ed  altri  siti  ancora,  come  sarebbero  le  regioni  già  ricche  e  fiorenti 
della  Magna  Grecia,  dell'  Etruria  e  dell'  estuario  veneto,  si  da  ridurle  ria- 
bitabili ;  —  e  combinano  eziandio  con  quelli  iniziati  in  varie  regioni  della 
Germania  ed  in  alcune  provincie  dell'  America  settentrionale. 

Ai  risultati  di  tale  inchiesta  farò  seguire  un'  esposizione  per  quanto 
possibile  esauriente  sullo  stato  sanitario  ed  igienico  dell'  Istria  nei  secoli 
passati,  e  ciò  onde  colmare  una  lacuna  a  cui  le  indagini  attuali  non  possono 
riuscire.  Essendo  evidente,  come  si  vedrà  in  seguito,  essere  stati  l'atmosfera 
ed  il  suolo  istriano  nei  tempi  antichissimi  e  fino  circa  il  secolo  XIV  sani 
perfettamente,  ne  viene  che  desta  un  vivo  interesse  la  ricerca  delle  cause 
che  hanno  prodotto  l'ammorbamento  del  suolo  e  dell'aria.  Siccome  però 
collo  studiare  lo  stato  attuale  della  provincia  a  ciò  non  si  riesce,  cosi  alla 
esposizione  dei  risultati  dell'  inchiesta,  corredati  da  quelli  derivanti  dai  miei 
studi  e  dalle  mie  esperienze,  farò  seguire  le  indagini  storiche,  raccolte  da 
me  con  non  lieve  fatica,  dalle  quali  spero  risulteranno  in  guisa  abbastanza 
chiara  non  solo  le  cause  che  hanno  prodotto  la  malaria  in  provincia,  ma 
eziandio  i  mezzi  atti  a  sanarla,  e  ciò  col  sussidio  dei  dati  statistici  ed  agricoli 
da  me  raccolti. 

LOCALITÀ  SOGGETTE  ALLA  MALARIA: 

Capodistria.  In  questo  comune  vanno  soggette  alle  febbri  di  malaria 
alcune  località  di  Lazzaretto  (Risano),  nonché  talvolta  la  città  stessa  di  Ca- 
podistria. In  essa  però  non  avvengono  che  forme  sporadiche  e  scarse  '). 

Decani.  Una  parte  di  questo  comune  va  pure  soggetta  alla  malaria  *), 
specialmente  quella  costituente  il  comune  censiiario  omonimo. 

Muggia.  Le  località  soggette  souo  quelle  poste  in  vicinanza  delle  val- 
late, come  la  Noghera,  Falle  e  Zaule.  Ne  soffre  anche  la  città  di  Muggia, 
ove   regna   costantemente  fra  certi   poveri   che   hanno  le  abitazioni   site  a 


')  Relazione  del  dott.  Zaccaria  Lion  dell'  anno  1875. 

J)  Ibid. 


—  328  — 

Levante  in  prossimità  d'un  fosso  posto  fuori  delle  mura  ').  Indi  m  S.  Barbara 
sita  nel  comune  censuario  di  Monti,  come  avveniva  in  modo  speciale  nel 
187 1  2),  e  neppure  ne  viene  risparmiata  Flavia  nel  qual  comune  censuario 
dominava  in  modo  epidemico  nel   1860  3). 

Pinguente.  Nel  distretto  di  Pinguente  dominano  le  febbri  in  ogni  anno 
durante  1'  estate  tanto  nelle  valli  che  nelle  località  poste  sui  colli,  ed  in 
ispecialità  fra  la  gente  povera  *). 

Isola.  Il  comune  censuario  d' Isola  va  esente  dall'endemia  e  se  essa 
si  manifesta,  ciò  avviene  in  modo  sporadico  5);  però  in  quello  di  Cortedisola 
nelle  località  prospettanti  la  valle  di  Sicciole  si  sviluppano  non  di  rado 
durante  l'estate  alcuni  casi.  Anzi  nel  1864,  anno  generalmente  di  forte 
endemia  malarica,  irrompeva  il  morbo  con  violenza  sì  marcata  e  con  tale 
pertinacia  da  durare  dal  29  agosto  fino  al  27  ottobre,  attaccando  179  in- 
dividui sopra  una  popolazione  di  469  anime  6). 

Pirano.  Nel  comune  locale  di  Pirano  molte  località  vanno  esenti  dalle 
febbri;  e  queste  sono  i  colli  marno-arenacei  posti  vicino  alla  città,  ad  ec- 
cezione però  della  gola  di  Figarola  che  la  sovrasta  dal  lato  orientale,  ove 
in  alcuni  anni,  p.  e.  nel  1879,  si  manifestano  non  pochi  casi  di  febbre.  In 
altri  siti  del  comune  censuario  omonimo  invece  sviluppasi  la  malaria,  ora 
sporadicamente  ed  in  alcuni  anni  a  guisa  di  vera  endemia,  p.  e.  nella  valle 
salifera  di  Slrugnano  di  rado,  in  quella  di  Sicciole  (Porto  della  Madonna, 
Fontanelle,  Lontano  e  Scodellino)  T)  e  nella  vallicella  di  Fasan  8).  Oltre  a  questo 
comune  censuario  vanno  pure  colpiti  con  molta  violenza  quelli  di  Salvore 
ed  in  modo  più  mite  quello  di  Castelvenere.  Nel  primo  di  questi  l'endemia 
è  estesa  quasi  dappertutto  ;  però  essa  domina  preferentemente  in  vicinanza 
al  porto  ed  alle  vallicelle  di  Valfontane  e  di  Valcadin  ').  In  Castelvenere  il 
morbo  appare  senza  interruzione  di  luogo  e  di  circostanze;  però  d'alcuni 
anni  ad  oggi  si  nota  un  notevole  miglioramento.  Rarissimi  casi  avvengono 


')  Relazione  del  dott.  Floriano  Ubaldini  del  12  aprile  1873. 
')  Relazione  del  dott.  Achille  Savorgnani  del  31  marzo  1873. 

3)  Relazioni  del  dott.  Zaccaria  Lion  del  1873  e  del  14  febbraio  1880. 

4)  Relazioni  del  dott.  Floriano  Ubaldini  del  12  aprile  1873  e  28  febbraio  1880. 

5)  Relazione  del  dott.  Domenico  Tamaro  del  12  giugno   1873. 

6)  Relazione  del  dott.  Melchiorre  Linder  del  26  aprile  1873. 

')  Ibid.  e  Relazione  del  dott.  Giovanni  Tamaro  del  febbraio  1880. 
*)  Relazione  del  dott.  Bernardo  Schiavuzzi  del  16  febbraio  1880. 
♦)  Ibid. 


—  329  — 

invece  nel  comune  censuario  di  S.  Pietro  dell'Amata,  ove  appena  in  epoche 
di  gravi  endemie  scoppia  qualche  caso  sporadico  nelle  località  poste  sul 
versante  ai  lati  della  valle  di  Sicciole  e  mai  sulle  alture  maggiori  di  Vilìanova 
e  di  Padena  ').  Nel  comune  locale  di  Pirano  si  sono  osservate  delle  endemie 
gravissime  di  malaria  negli  anni  1S62  e  186},  specialmente  in  Castelvenere, 
ove  il  morbo  durava  dall'agosto  del  primo  anno  al  febbraio  del  secondo, 
e  ne  venivano  colpiti  quasi  tutti  gli  abitanti.  Nel  susseguente  1S64  si  ve- 
rificarono dei  casi  anche  nelle  località  del  comune  di  S.  Pietro  dell'Amata  *), 
che  in  questo  riguardo  sono  eccezionali.  Gravemente  veniva  poi  invaso  il 
comune  nel  periodo  1878- 1879,  nel  decorso  del  quale  la  malaria  dominava 
in  tutta  la  provincia. 

Umago.  La  malaria  suole  in  qualche  anno  manifestarsi  sporadicamente 
nella  città  all'epoca  del  cambiamento  delle  stagioni.  Lo  stesso  avviene  nei 
comuni  consuari  di  Petrovia  e  di  Matterada  e  nella  campagna,  che  dai  cosi 
detti  Cmeti  s'  estende  lungo  il  versante  dinanzi  al  mare  fino  al  fanale  di 
Salvare.  Nel  comune  censuario  di  S.  Lorenzo,  ove  di  regola  non  è  molto 
frequente,  scoppiava  la  malaria  in  forma  di  gravissima  endemia  nel  1862 
durante  i  mesi  di  settembre,  ottobre  e  novembre  ed  in  modo  tale  che  su 
680  abitanti  circa,  si  contavano  in  qualche  giornata  fino  a  100  gl'individui 
d'  ogni  sesso  ed  età  attaccati  dalla  febbre.  Allora  si  osservava  come  la  fra- 
zione di  S.  Lorenzo  sita  in  vicinanza  al  mare  fosse  la  meno  infestata  in 
confronto  delle  altre  sparse  sulle  colline  ed  in  altri  siti  più  elevati  sul  livello 
del  mare  '). 

Cittanova.  La  malaria  infieriva  in  altri  tempi  io  questo  comune.  La 
città  di  Cittanova  deve  all'  escavo  del  Mandracchio  ed  all'  imbonimento  di 
una  gran  parte  della  laguna,  se  il  morbo  è  ora  quasi  completamente  estinto. 
In  Dalla  pure  abbenchè  ancor  presentemente  domini,  esso  è  tuttavia  sen- 
sibilmente diminuito.  Si  devono  anche  per  Cittanova  notare  degli  anni  sfa- 
vorevoli come  il  1877,  1878,  1879')  ed  il  decorso  1888,  nei  quali  l'en- 
demia infieriva  molto  acremente. 

Buje.  In  questa  città  le  intermittenti  mai  ebbero  a  comparire  in  forma 
endemica  ;  avvengono  solamente  di  quando  in  quando  in  alcune  annate  dei 
casi  sporadici  sul  finire  dell'  estate  e  nel  principio  dell'  autunno.  Lo  stesso 


')  Relazione  del  dott.  Under  citata. 

*)  Ibid. 

')  Relazione  del  dott.  Francesco  Guglielmo  del  26  febbraio  1880. 

•)  Relazioni  Ubaldini  citata  e  del  dott.  Leone  Levi  del  24  febbraio  1880. 


—  330  — 

vale  pei  luoghi  contermini  siti  a  Levante  ed  a  Settentrione.  L'anno  1861 
però  faceva  eccezione,  giacche  durante  esso  nel  comune  censuario  di  Tribuno 
ed  in  una  frazione  di  quello  di  Momiano,  infuriava  una  lunga  ed  ostinata 
endemia  di  febbre  malarica.  Altrettanto  non  si  può  dire  dei  villaggi  e  degli 
sparsi  abituri  situati  a  Mezzogiorno  ed  a  Ponente,  prossimi  alla  valle  del 
Quieto  ed  alla  marina,  p.  e.  delle  parti  del  comune  censuario  di  Crassi^. 
prospettanti  verso  la  suddetta  valle  '). 

Grisignana.  Va  soggetta  alle  febbri,  di  regola  però  scarsamente, 
quella  parte  di  questo  comune  censuario  che  prospetta  la  valle  del  Quieto. 
Lo  stesso  deve  dirsi  di  quelle  frazioni  dei  comuni  censuarì  di  Castagna  e 
di  Piemonte  che  pure  vi  sono  situate.  Nei  comuni  invece  di  Cuberton  e  di 
Sterna  manifestaci  dei  casi  sporadici  sui  pendii  verso  la  valle  di  Cepich. 
Tale  genio  malarico,  che  del  resto  in  tempi  normali  rimane  sempre  allo 
stadio  di  sporadicità,  si  manifesta  in  modo  palese  negli  anni  di  endemie 
gravi,  come  avveniva  p.  e.  nell'estate  ed  autunno  del  1879  5). 

Verteneglio.  In  questo  comune  censuario  ed  in  quello  di  Villanova 
le  febbri  scoppiano  nelle  località  che  guardano  verso  la  valle  del  Quieto 
ed  anzi  più  di  frequente  in  Villanova  che  in  Verteneglio  ').  Quest'  ultimo 
comune  del  resto  trovasi  in  condizioni  sanitarie  molto  migliorate,  e  solo 
negli  anni  di  generale  malaricità  viene  assalito  dalle  febbri,  p.  e.  come  av- 
venne nel  decorso  1888. 

Parenzo.  Le  febbri  di  malaria  sono  frequentissime  quasi  in  ogni  estate 
ed  in  ogni  autunno,  e  manifestatisi  sì  nella  stessa  città  di  Parendo,  che  in 
tutto  il  comune  locale.  Nelle  vicinanze  di  Parenzo  vi  è  la  località  detta 
Molinderio  che  viene  ritenuta  enormemente  infetta  e  nei  pressi  della  città 
stessa  i  siti  posti  attorno  alla  chiesa  di  S.  Eleuterio  *).  I  comuni  censuarì 
poi  di  Torre,  Abrega,  Draceva\,  Foscolino,  Monghebbo,  Monsalice  con  Val- 
carino,  Villanova  vengono  ogni  anno  assaliti  dalla  malaria,  la  quale  in  anni 
di  forti  endemie  ne  decima  sensibilmente  la  popolazione,  come  p.  e.  acca- 
deva nel  1878  e  1879  5).  Alquanto  risparmiato  ne  è  il  comune  censuario 
di  Mompaderno,  il  quale  viene  pure  assalito,  ma  con  poca  intensità. 


')  Relazione  del  don.  Francesco  Crevato  del  21  febbraio  1SS0. 
-1)  Relazioni  Crevato  e  Levi  ora  citate. 
3)  Relazione  Crevato  citata. 

')  Relazione  del  dott.  Michele  Calegari  del  29  aprile  1873. 

5)  Relazioni  del   dott.  Giuseppe   Doblanovich   del  5  aprile  1880  e  del   dott.  Pietro 
Ghersa  del  3  marzo  1880. 


—  33i  — 

Orsera.  In  questo  comune  vengono  invasi  con  violenza  quasi  ogni 
anno  i  comuni  censuarì  di  Gcroldia  e  di  Leme  ').  Nel  primo  specialmente 
la  località  Marassi  a  nel  secondo  i  pressi  del  canale.  L'anno  1879  fu  anche 
per  questo  comune  apportatore  di  grave  endemia. 

Visignano.  La  borgata  di  Visignano  come  pure  le  vicine  contrade  non 
offrono  che  scarsi  casi  di  febbre  intermittente.  Si  deve  fare  eccezione  per 
le  località  Colombera  e  Rados,  nelle  quali  il  morbo  domina  con  più  vigore, 
come  p.  e.  s'osservava  nell'anno  1879.  Anche  i  comuni  censuarì  di  S.  Vitale 
e  di  5.  Giovanni  di  Sterna  vanno  soggetti  alla  malaria,  ma  in  modo  non 
molto  forte,  mentre  ciò  avviene  più  marcatamente  nel  comune  censuario 
di  Mondellebotte.  Nell'anno  1879  vi  fu  endemia  gravissima  in  tutto  il  comune 
locale,  la  quale  durava  nei  mesi  d'  agosto  e  di  settembre  *). 

Visinada.  Nel  comune  locale  di  Visinada  sembra  che  non  dominino 
le  febbri  di  malaria.  Solamente  nel  comune  censuario  di  5.  Domenica  scop- 
piano alcuni  casi,  in  ispecialità  negli  anni  di  generale  endemia,  come  s'os- 
servava nel  1879  '). 

Montona.  In  Montona  la  malaria  non  presentasi  che  di  rado  e  sempre 
in  forma  sporadica.  Lo  stesso  dicasi  della  vallata  del  Quieto  nella  sua  parte 
più  vicina  alle  sorgenti  del  fiume,  mentre  ne  è  estremamente  malarica  la 
parte  attigua  alle  foci  di  esso4).  Però  nel  periodo  decorso  dagli  anni  1837 
al  1844,  in  cui  la  valle  di  Montona  era  quasi  sempre  coperta  da  acque 
stagnanti,  questa  città  ed  i  colli  sovraposti  alla  valle  erano  zeppi  di  febbri- 
citanti e  di  cachettici,  in  modo  che  in  quegli  anni  molte  persone  venivano 
tosto  cólte  dalla  febbre,  solamente  per  aver  nei  mesi  estivi  attraversato 
questa  valle  dopo  il  tramonto  del  sole  o  durante  la  notte  *). 

Portole.  Nel  comune  di  Portole  la  malaria  non  si  presenta  che  spo- 
radicamente, in  ispecialità  nei  dimorili  della  valle  di  Cepich.  Nei  mesi  del- 
l'estate e  dell'autunno  del  1879  si  manifestava  però  in  modo  endemico  sì 
nella  borgata  che  nelle  vicinanze  '). 

Rovigno.  Nella  città  la  malaria  si  manifesta  nelle  vicinanze  della  sta- 
zione   ferroviaria  sita  a  piccola    distanza  dal  lago  detto  «  nuovo  »  ;  inoltre 


')  Relazione  Doblanovich  citata. 

')  Relazione  Ghersa  citata. 

»)  Ibid. 

•)  Relazione  del  dott.  Giuseppe  Corazza  del  3  marzo  1880. 

')  Relazione  Lion  citata. 

•)  Relazione  Levi  citata. 


—  332  — 

nei  pressi  della  fabbrica  dei  tabacchi  a  ridosso  del  macello  ed  anche  assai 
scarsamente  entro  1'  abitato.  La  campagna  circostante  è  malarica  in  grado 
di  gran  lunga  superiore.  In  particolarità  poi  nei  mesi  di  agosto,  settembre, 
ottobre  e  novembre  dell'anno  1879  dominavano  le  febbri  in  questo  comune 
endemicamente  ed  in  modo  ostinatissimo  '). 

Dignano.  In  Digitano  le  febbri  si  manifestano  in  forma  sporadica.  Lo 
stesso  avviene  nei  dintorni  della  città,  ove  però  sono  più  frequenti.  Invece 
nei  comuni  censuari  di  Roveria,  di  Camita  e  di  Mariana  nelle  località  di 
Permeili,  Camita,  P  rodai,  Moina  ratto  la  malaria  domina  ogni  anno  in  forma 
d'endemia,  specialmente  nelle  situazioni  collocate  sui  fianchi  verso  la  valle 
della  Maddalena  e  di  Badò.  In  queste  località  scoppiava  una  gravissima 
endemia  nel   1879  2). 

Barbana.  Il  comune  di  Barbana  ò  malarico  per  eccellenza.  La  stessa 
borgata  ne  soffre  annualmente,  ma  in  guisa  di  molto  più  grave  il  comune 
censuario  di  Porgnana  colle  località  di  Porgnana,  Pontiera  e  Cherbocchi, 
specialmente  Pontiera.  Neppure  il  comune  censuario  di  Castelnuovo  ne  va 
esente  3). 

Canfanaro  e  S.  Vincenti.  Questi  due  comuni  soffrono  pure  di 
febbri,  in  particolarità  il  primo  nelle  vicinanze  della  Draga  *). 

Pola.  La  città  di  Pola  che  era  infetta  dalla  malaria  nel  modo  il  più 
grave  trovasi  ora  in  uno  stadio  di  sensibile  miglioramento  delle  sue  con- 
dizioni sanitarie.  Il  morbo  che  prima  tutta  la  invadeva,  si  limita  presente- 
mente a  svilupparsi  nei  rioni  esterni  della  città,  come  p.  e.  nei  borghi  di 
S.  Policarpo,  S.  Michele,  S.  Martino,  Arena,  Siana  e  Stagione,  in  modo  ora 
più  ed  ora  meno  intenso.  Endemie  gravi  avevano  luogo  negli  anni  1863, 
1864,  1866,  1877  6),  1879  e  finalmente  nel  1886,  offrendo  nei  primi  tre 
anni  il  620,  relativamente  880  e  760  casi  per  mille  sul  contingente  di 
guarnigione  ").  I  comuni  censuari  invece  sono  aggravati  dal  morbo  molto 


')  Relazione  del  dott.  Domenico  Pergolis  del  6  febbraio  1880. 

2)  Relazioni  del  dott.  Giovanni  Baggio  del  21  settembre  1873  e  del  dott.  Giovanni 
Cle va  del  2  marzo  1880. 

s)  Relazione  Cleva  citata. 

')  Relazioni  dei  dott.  Giovanni  Fonda,  Francesco  laschi  e  Mrach  del  6  marzo  1880 
e  del  dott.  Ubaldini  citata. 

6)  Relazione  del  dott.  Grubissich  dell' 11  febbraio  1880. 

6)  Dott.  Aug.  Ritter  v.  Iilek.  Ueber  das  Verhalten  des  Malariafiebers  in  Vola.  — 
Wien,  k.  k.  Hof  und  Staats-druckerei,  1881,  pag.  30. 


—  333  - 

crudelmente.  In  quello  di  Pola  abbiamo  le  posizioni  malariche  di  Vintian, 
Vincural,  Veruda,  V alni  ale  ;  in  quello  d' Altura,  Altura  stessa,  la  valle  di 
Badò  e  le  località  che  la  fiancheggiano  ;  in  quello  di  Covrano  le  stesse  po- 
sizioni e  quasi  tutto  il  comune  ;  in  quello  di  Fa^ana,  la  borgata  coi  din- 
torni, le  isole  dei  Brioni  (molto  malariche);  in  quello  di  Lavarigo  il  territorio; 
in  quello  di  Lisignano  i  dintorni  ;  in  quello  di  Medolino  il  villaggio  ed  i 
dintorni;  in  quello  di  Monticchio  egualmente  i  dintorni;  io  quello  di  Poiner, 
Pomer  stesso,  i  suoi  dintorni  e  specialmente  la  località  detta  Valdibecco;  in 
quello  di  Promontore  la  località  di  Bagnale  e  finalmente  in  quello  di  Sissano 
e  Stignano  oltre  le  ville,  i  dintorni.  In  tutto  il  vasto  territorio  insomma  la 
febbre  domina  in  guisa  endemica  per  quasi  tutta  la  durata  dell'  anno,  ma 
io  ispecialit à  nei  mesi  di  agosto,  settembre,  ottobre  fino  in  novembre,  par- 
ticolarmente negli  fatali  d'endemia  ').  Gallesano  ne  va  quasi  sempre  esente. 

Pisino.  Il  comune  di  Pisino  non  è  soggetto  alla  malaria  che  negli  anni 
di  gravi  endemie  nel  resto  della  provincia.  Allora  soltanto  si  nota  lo  sviluppo 
di  alcuni  casi  nelle  località  poste  in  vicinanza  al  lago  di  Cepich,  nelle  valli 
limitrofe  appartenenti  al  comune  censuario  di  Cberbune,  nel  comune  di  Tu- 
pliaco  e  di  Novacco,  come  avvenne  nell'  anno   1879  *). 

Bogliuno.  Lo  stesso  dicasi  di  questo  comune,  nel  quale  la  febbre  si 
manifesta  nei  censuari  di  Borutto,  Lcllai  e  Susgntvhga  '). 

Gimino.  Taluni  anni  io  questo  comune  domina  la  malaria  endemi- 
camente 4). 

Albona.  Nel  comune  d' Albona  le  località  infette  trovansi  allineate 
lungo  il  tratto  di  costa  che  percorre  dal  canale  dell'  Arsa  fino  all'  ultima 
diramazione  dei  monti  Caldiera,  da  là  verso  mezzogiorno  lungo  il  versante 
del  Montemaggiore,  la  valle  di  Cepich,  quella  dell'Arsa,  nelle  località  poste 
sull'altipiano  che  la  sovrasta,  fino  allo  sbocco  del  canale  stesso.  I  comuni 
censuari  più  colpiti  sono  quelli  di  Cugn,  di  Vettua,  di  Bergod  colle  località 
Stalie,  Carpano  e  Traghetto,  di  Vlacovo  e  di  Cene.  In  queste  situazioni  con 
più  o  meno  d' intensità  1'  endemia  è  costante  ogni  anno.  All'  opposto  i 
comuni  censuari  di  Albona,  di  S.  Domenica,  di  Cerovizza  sono  scarsamente 
malarici,  giacché  sebbene  in  essi  il  morbo  scoppi  quasi  ogni  anno,  tuttavia 


')  Relazioni  del  dott.  Angelo  Demartini  del  29  settembre  1875  e  del  dott.  Grubis- 
sich  citata. 

*)  Relazioni  Fonda,  laschi  e  Mrach  citate. 

')  Ibid. 

*)  Relazione  Ubaldini  citata. 


—  334  — 

lo  fa  in  guisa  sporadica,  ed  appena  ogni  3,  4,  6  anni  formansi  delle  en- 
demie intense  '). 

Fianona.  Le  stesse  circostanze  riguardo  alla  distribuzione  topografica 
delle  febbri  valgono  anche  per  questo  comune,  ove  in  esso  pure  il  morbo 
si  produce  nelle  località  che  circondano  la  valle  al  lago  di  Cepich,  mentre 
nei  comuni  censuarì  di  Fianona,  di  Chersano  e  di  Cosliaco  il  morbo  mani- 
festasi di  rado  e  sporadicamente  !). 

Volosca.  Nel  distretto  censuario  di  Volosca  talvolta  sviluppatisi  casi 
sporadici  di  malaria.  Nel  1872  se  ne  verificavano  parecchi  sotto  forma  per- 
niciosa e  colpivano  a  preferenza  gli  operai  friulani  e  lombardi  occupati  nelle 
costruzioni  ferroviarie.  È  degno  di  menzione  che  tali  lavori  congiunti  allo 
scoppio  delle  febbri  avvenivano  per  la  massima  parte  nel  comune  di  Castità, 
indicato  sempre  come  immune  dalla  malaria  *). 

Castelnuovo.  Nel  comune  di  Castelnuovo  si  sviluppano  pure  in  alcuni 
anni  singoli  casi  di  malaria  '). 

Lussingrande.  Questo  comune  è  immune  dalla  malaria  5). 

Lussinpiccolo.  Il  comune  locale  di  Lussinpiccolo  è  pure  di  regola 
esente  dalle  febbri;  però  nel  1879  nei  mesi  di  agosto  e  di  settembre  in- 
sorgeva nel  comune  censuario  di  Unie,  nell'  isola  omonima  un'  intensa 
endemia  di  malaria  6). 

Ossero.  Il  comune  locale  di  Ossero  va  molto  soggetto  alla  malaria, 
specialmente  i  comuni  censuarì  di  Ossero  e  di  Puntacroce.  Ne  vanno  pure 
oltre  modo  soggette  le  località  prossime  alla  palude  chiamata  Gias  7). 

Cherso.  Il  comune  locale  di  Cherso,  eccettuati  i  comuni  censuarì  di 
Orle^  e  S.  Giovanni  nonché  Lubeni^e  e  S.  Martino,  è  completamente  infetto 
dalla  malaria.  Specialmente  lo  sono  nel  comune  di  Belici  i  luoghi  di  Belici 
e  di  Cacichie  ;  in  quello  di  Frana  i  luoghi  di  Frana,  Stanicb  e  Sbissina, 
in  quello  di  S.  Martino  le  località  Fidovich,  Ghermovi  e  Micogli^c  (ora  de- 
serto); in  quello  di  Podol  il  territorio;  in  quello  di  Cherso  i  luoghi  di  5.  Vito, 


')  Relazione  del  dott.  Antonio  Palaziol  del  12  aprile  1880. 
")  lbid. 

3)  Relazione  del  dott.  Cesare  Radoicovich  del  14  agosto  1873  e  del  29  febbraio  1880, 
nonché  del  dott.  Gollob  del  26  febbraio  1880. 

4)  Relazione  Ubaldini  citata. 

B)  Relazione  del  dott.  Angelo  Boscolo  del  24  febbraio  1880. 
6)  Relazione  del  dott.  Matteo  Nicolich  del  5  febbraio  1880. 
')  Relazione  del  dott.  Fedele  Maver  del  17  febbraio  1880. 


-  335  - 

di  Cherso,  di  Smergo  e  di  Losnati  ;  in  quello  di  Caisole  le  località  di  Cone^, 
di  Ivagne,  di  Vasmine^,  di  Minsca,  di  Sredgni,  di  Petricevi,  di  S.  P/c/ro  e  di 
Rossuie  ed  in  quello  di  Dragosichi  quella  di  Filosicbi.  In  particolare  le 
prossimità  del  /a^v  rfi  Frana  e  della  palude  chiamata  Piscino  vengono  de- 
signate come  prevalentemente  malariche  '). 

Veglia.  Nel  comune  locale  di  Veglia  la  malaria  regna  con  molta  in- 
tensità. Vanno  accennate  come  situazioni  particolarmente  infette  i  comuni 
censuari  di  Ponte,  Veglia  e  Monte. 

Dobasnizza.  In  questo  comune  sono  eminentemente  malarici  i  cen- 
suari di  Dobasni^a,  di  5.  Fosca- Linardich  e  di  Bogovich,  specialmente  il 
luogo  di  Malinsca. 

Castelmuschio.  L' intero  comune  omonimo  è  infetto,  in  ispecialità 
la  località  di  Gnivi^e. 

Dobrigno.  Oltre  al  comune  censuario  colla  località  omonima  sono 
pure  infetti  quelli  di  Saline  e  di  Sitsana,  coi  due  luoghi  di  Susana  e  di 
Cisischie.  Nell'intera  isola  poi  vengono  indicati  come  malarici  i  dintorni  del 
lesero  (lago)  e  del  lago  Panighe,  nonché  della  valle  di  Litghe. 


III. 


Dall'  esposizione  ora  fatta  delle  diverse  località  nelle  quali  domina  la 
malaria,  risulta  come  esse  distinguansi  fra  di  loro  pel  grado  d'infezione  più 
o  meno  elevato,  oppure  per  andarne  del  tutto  esenti.  Di  quest'  ultima  ca- 
tegoria ce  ne  sono  però  pochissime,  ed  anche  queste  figurano  come 
tali  perchè  le  notizie  che  si  hanno  intorno  ad  esse  non  godono  d'  una 
esattezza  inappuntabile.  Tuttavia  si  deve  confessare  che  alcune  località  site 
nelle  parti  settentrionali  dell'  Istria  e  molto  in  alto  sul  livello  del  mare, 
vadano  del  tutto  esenti  dalle  febbri,  come  p.  e.  sarebbero,  fra  le  altre,  i 
villaggi  del  comune  di  Portole  appartenenti  alle  frazioni  di  Gradina  e  di 
Topolovaz,  disposti  sopra  una  catena  di  colli  dai  394  ai  400  metri  sul 
livello  del  mare. 

Nelle  pagine  antecedenti  veniva  esposto  un  quadro  fugace  intorno 
ai  caratteri  geognostici  ed  orografici  della  provincia.  Dallo  stesso  risulta 
come  lo  scheletro  di  questa  sia  costituito  da  tre  formazioni  geologiche,  cioè 


')  Relazioni  del  Jott.  Giovanni  Filimeli  del  12  aprile  1873  e  24  febbraio  1880. 


-  336  — 

dall'  alluvione  postglaciale,  dall'  eocene  e  dalla  creta.  La  prima  di  queste  forma 
il  fondo  delle  valli,  le  due  ultime  i  monti  e  gli  altipiani.  Se  si  confrontano 
tali  formazioni  coi  risultati  dell'  inchiesta  da  me  presa  in  esame,  si  vedrà 
tosto  come  la  massima  parte  dei  terreni  malarici  riposi  sopra  uno  scheletro 
cretaceo,  mentre  la  minima,  nonché  i  terreni  più  liberi  ed  esenti  dalla 
malaria,  abbiano  per  base  la  formazione  eocenica  ').  Riassumendo  perciò 
tali  dati  geologici  riflettenti  ogni  singolo  comune  censuario  citato  nelle 
relazioni  dei  medici,  risulta  che  tali  comuni  si  estendono  su  terreni  consi- 
stenti di  7  differenti  specie  di  roccie,  appartenenti  alle  alluvioni  postglaciali, 
all'eocene  ed  alla  creta,  oppure  combinati  da  queste  tre  formazioni,  le  quali 
in  molti  di  essi  sono  assieme  rappresentate.  Abbiamo  perciò  : 

i.  Marne  commiste  con  alluvioni. 

2.  Marne  pure  o  quasi. 

3.  Marne  e  calcari  eocenici. 

4.  Marne  con  calcari  eocenici  e  cretacei. 

5.  Calcari  eocenici. 

6.  Calcari  eocenici  e  cretacei. 

7.  Calcari  cretacei. 

Le  formazioni  ora  segnate  si  comportano  riguardo  alla  malaricità  del 
suolo  nel  modo  e  proporzioni  indicate  nel  seguente  specchio  : 


')  Vedi  il  prospetto  in  fine  della  monografia. 


—  337  — 


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-  338- 

Dall'esame  di  questo  prospetto  si  deduce,  che  la  metà  abbondante  dei 
terreni  malarici  (52.54%)  appartiene  ai  calcari  cretacei,  mentre  l'altra  metà 
scarsa  suddividesi  fra  le  altre  formazioni,  con  un  massimo  del  15.26%  per 
le  marne  e  calcari  eocenici.  La  formazione  geologica  complessiva  poi  segna 
pure  il  52.54  %  per  la  creta  pura,  il  33.90  %  per  l'eocene  puro  ed  il  13.56  % 
per  quei  comuni  in  cui  le  due  formazioni  si  trovano  simultaneamente  rap- 
presentate. La  qualità  invece  litologica  del  terreno  depone  in  favore  della 
simpatia  dei  terreni  calcari  per  la  malaria  col  69.49  %  ed  in  isfavore  per 
le  marne  pure  o  miste  col  30.51  %• 

Se  invece  si  prende  in  esame  la  relazione  in  cui  il  grado  di  malaricità 
trovasi  colla  formazione  geologica,  si  viene  a  scoprire  come  di  48  comuni 
poco  infetti  35  appartengano  all'eocene  (72.92%)»  8  alla  creta  (16.66%)  e 
5  alle  formazioni  miste  (10.42%);  di  15  comuni  infetti  in  grado  medio 
2  appartengano  all'eocene  (13.34%),  I0  a^a  creta  Pura  (66.66%)  e  3  alle 
formazioni  miste  (20.00%);  invece  di  55  comuni  molto  infetti  3  apparten- 
gano all'eocene  (5.46%),  44  alla  creta  (80.00%)  ed  8  alle  formazioni 
miste  (14.54%)- 

Nell'eocene  poi  le  marne  pure  sono  le  più  libere  dalla  malaria  (33.34%), 
mentre  i  calcari  dell'  epoca  cretacea  ne  sono  i  più  soggetti  (70.98  %)•  La 
stessa  cosa  dicasi  della  qualità  litologica  del  terreno,  nel  qual  riguardo  si 
vede  come  i  calcari  figurino  col  92.73  %  nei  comuni  censuarì  molto  infetti, 
mentre  le  marne  mantengono  un  livello  bassissimo  nei  terreni  molto  ma- 
larici (5.45  e  1.82%),  ed  un  livello  al  doppio  più  alto  in  confronto  dei 
calcari  nei  terreni  poco  malarici.  La  stessa  cosa  risulta  quando  si  stabilisca 
il  confronto  percentuale  della  formazione  geologica  col  grado  di  malaricità, 
nel  qual  confronto  spicca  viemaggiormente  la  preferenza  della  malaria  pei 
terreni  della  creta  dinanzi  a  quelli  dell'  eocene. 

I  comuni  censuarì  colpiti  più  o  meno  dalla  malaria  sono  situati  a 
diverse  altezze  sul  livello  del  mare.  Nel  prospetto  posto  alla  fine  del  lavoro 
sono  segnate  le  varie  altezze,  indicate  approssimativamente,  non  essendo 
possibile  per  le  molte  differenze  di  livello  nei  singoli  comuni,  di  precisare 
esattamente  le  cifre  ').  Dallo  stesso  desuntesi  lo  speccbio  seguente  : 


')  Tarameli.!.  Op.  cit.  —  Carta  geogn.  dell'Istria,  e  Carte  dello  Stato  maggiore. 


—  339 


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200-299 
300-399 
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37.50 

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12.45 

40.00 

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27.08 

3 

27.09    44.83, 

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13.33 
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13.34 


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12.71 


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5.45 

37  50 

8 

6.78 

7 

12.73 

46.66 

15 

12.71 

24 

43.64 

61.87 

37 

3136 

13 

23.63 

44.83 

29 

24.58 

7 

12.73 

33.34  : 

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12.50 

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100.00 

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100  00 

100.00 
100.00 
100.00 
100.00 
100.00 
100.00 


100.00 


Da  questo  specchio  risulta  chiaro  come  la  circostanza  delle  altezze  eser- 
citi pure  la  sua  azione  sulla  malaria  istriana.  Si  vede  nello  stesso  come  di 
48  comuni  scarsamente  colpiti  dal  morbo,  oltre  alla  metà  sieno  situati  ad 
un  livello  del  mare  superiore  ai  200  metri,  e  come  di  55  comuni  molto 
bersagliati  dalla  malaria,  oltre  alla  metà  trovinsi  ad  un  livello  inferiore  ai 
200  metri,  circostanza  che  risulta  anche  dal  confronto  delle  cifre  totali.  Ne 
viene  di  conseguenza,  che  la  malaricità  diminuisce  nella  provincia  in  ragione 
dell'  elevarsi  del  terreno  sul  livello  del  mare. 

Alla  stessa  conclusione  si  viene  anche  quando  si  prendano  in  disamina 
i  vari  livelli.  Mentre  le  differenze  nel  grado  di  malaricità  danno,  pei  terreni 
poco  od  in  grado  medio  aggravati,  delle  cifre  che  succedonsi  nella  serie  dei 
vari  livelli,  aumentando  di  valore  coli'  inalzarsi  degli  stessi  ;  pei  terreni  molto 
aggravati  tali  cifre  all'  opposto  vanno  diminuendo  colla  progressione  degli 
stessi  livelli  ;  fatta  eccezione  di  quelli  dall'  o  ai  99  metri  nei  quali  la  ma- 
laricità segna  un  aumento  in  tutti  e  tre  gradi.  Né  deve  imporre  il  contrasto 
che  si  scorge  evidente  fra  i  tre  gradi  di  malaricità  rispetto  al  comportarsi 
dei  medesimi  dinanzi  all'  elevazione  sul  livello  del  mare,  inquantochè  nei 
terreni  poco  od  in  grado  medio  malarici,  differenti  siano  le  condizioni  tel- 
luriche e  d' altro  genere,  come  s'  è  veduto  e  si  vedrà  in  appresso  ;  e  pre- 
cisamente pei  comuni  censuarì  posti  a  grandi  altezze  sul  livello  del  mare 
valgono  altri  fattori  ad   esercitare  la  loro  azione  deleteria,  quali  sarebbero 


—  34°  — 

le  paludi.  Così  abbiamo  Borutto  p.  e.  che  ha  il  0.12  °/„  di  paludi,  e  Visinada 
che  ne  ha  1'  1.86  %>  mentre  giova  ricordare  che  in  tutta  la  serie  dei  comuni 
poco  malarici,  tale  condizione  è  quella  stessa  che  pel  suo  contrasto  con 
1'  altra  rilevata  nei  terreni  molto  malarici,  serve  a  maggiormente  disporre 
in  favore  igienico  per  le  alte  regioni. 

È  naturale  che  sotto  questo  rapporto,  le  condizioni  nei  comuni  colpiti 
in  grado  massimo,  devono  essere  differenti.  Esse  si  manifestano  colà  con 
caratteri  più  spiccati,  giacché  il  terreno  ne  è  più  idoneo  all'allignare  del 
morbo,  e  questo  trova  sviluppo  in  proporzioni  più  o  meno  vaste  a  seconda 
che  le  circostanze  favoriscono  in  grado  maggiore,  o  minore,  l' attitudine 
malarigenica  del  suolo.  In  questo  riguardo  diffatti  vediamo  come  la  mala- 
ricità  diminuisca  coli' elevarsi  della  superficie  del  suolo  sul  livello  del  mare, 
specialmente  dai  100  metri  in  su. 

Le  cause  che  influiscono  in  senso  contrario  alla  produzione  del  germe 
malarico  nelle  regioni  alte,  devono  risiedere  in  buona  parte  nella  tempera- 
tura media  dell'atmosfera  e  del  suolo,  di  certo  inferiore  a  quella  che  notasi 
nelle  regioni  basse;  oltre  a  ciò  nel  maggior  dominio  dei  venti  e  nello  scolo 
più  repentino  delle  acque.  Purtroppo  non  ho  a  mia  disposizione  esatte 
misurazioni  in  proposito,  né  mi  consta  che  di  simili  ne  sieno  state  eseguite 
nella  provincia,  almeno  per  quanto  si  riferisce  alle  regioni  alte;  mentre  per 
le  basse  si  hanno  le  esatte  osservazioni  raccolte  nell'Ufficio  idrografico  della 
marina  di  guerra  in  Pola,  e  nell'  Istituto  agrario  provinciale  in  Parenzo. 

Visto  che  in  base  agli  studi  eseguiti  da  apposita  Commissione  nomi- 
nata dal  regio  Governo  italiano  li  6  aprile  1881  onde  esaminare  se  i  boschi 
esercitassero  un'  azione  qualsiasi  sulla  genesi  della  malaria  dominante  nella 
regione  marittima  della  provincia  di  Roma  '),  e  che  a  sensi  delle  idee  espresse 
dal  prof.  Tommasi-Crudeli  nella  sua  opera  II  clima  di  Roma  !),  risultava 
che  i  boschi  a  basso  e  ad  alto  fusto,  quando  non  sieno  regolarmente  tenuti 
e  non  siasi  provvisto  negli  stessi  ad  un  regolare  scolo  delle  acque,  anziché 
essere  utili  contro  l'importazione  dei  germi  malarici,  come  prima  si  cre- 
deva *),    riescono    invece    in    tale   riguardo    dannosi,    e    divengono    fomite 


')  Delia  influenza  dei  boschi  sulla  malaria  dominante  nella  regione  marittima  della  pro- 
vincia di  Roma.  «Annali  di  Agricoltura,  1884».  —  Roma.  Eredi  Botta,  1884. 

2)  Corrado  Tommasi-Crudeli.  Il  clima  di  Roma.  —  Roma.  Ermanno  Loescher  e 
Comp.,  1886. 

')  Io.  Maria  Lancisio,  De  noxiis  paludum  effluviis.  —  Romae.  Ex  tipys  Io.  Mariae 
Salvioni,  1717. 


—  341  — 

allo    sviluppo  del  morbo  ;    io  mi  decideva  ad   esaminare  se   in   Istria   pure 
l' imboschimento  possa  da  parte  sua  esercitare  un'  azione  malarigenica. 

Come  si  vede  a  pag.  323,  i  boschi  coprono  nella  provincia  un  terzo 
abbondante  della  superficie,  alla  pag.  325  si  scorge  come  di  mille  parti 
di  boschi  885  appartengano  al  basso  od  al  medio  ed  appena  115  all'alto 
fusto.  Neil'  elenco  poi  dei  comuni  colpiti,  che  trovasi  in  fine  del  lavoro, 
ove  vengono  segnate  le  varie  proporzioni  percentuali  d' imboschimento 
riferentesi  ad  ognuno  di  essi,  risulta  come  tale  quota  sia  di  molto  dif- 
ferente per  cadauno.  Lo  specchio  seguente  risultante  dalle  varie  quote 
dimostra  il  modo  di  contenersi  del  grado  di  malaricità  in  confronto  delle 
stesse. 


1 

PERCENTO 

imboschimento 
intera  superficie 

Grado  di  malaricità  e  numero  dei  comuni  censuari 

rolpiti 

Poco 

Medio 

Molto 

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y. 

grado 

d  im- 
bosch. 

z 

.       d'im- 
8rado    bosch. 

X 

grado 

d' im- 
boschi. 

z. 

grado 

d' im- 
bosch. 

0-10 

6 

12  50 

50.00 

1 

6.66 

8.33 

6 

9.09 

41.67 

12 

10.17 

100.00 

10-20 

11 

22.91 

50.00 

2 

13.34 

9.10 

9 

16.36 

40.90 

22 

18.64 

100.00 

20-30 

6 

1250 

50.00 

— 

— 

— 

6 

10.95 

50.00 

12 

10.17 

100.00 

30-40 

13 

27.09 

44.82 

4 

26.66 

13.78 

12 

2182 

41.40 

29 

24.58 

100  00 

40-50 

7 

14.59 

31.82 

5 

33.34 

22.72 

10 

18.18 

45.46 

22 

1864 

100.00 

50-60 

4 

833 

26.66 

3 

20.00 

20.00 

8 

14.54 

53.54 

15 

12.72 

100.00 

60-70 

1 

2.08 

25.00 

— 

— 

— 

3 

5.43 

75.00 

4 

339 

100.00 

70-80 

Totale 

48 

2 

3.63 

100  00 

2 

1.69 

100.00 

100.0 

40.67 

15 

100.00 

12.71 

55 

100.00 

46.62 

118 

100.00 

100.00 

Da  questo  specchio  si  rileva  come  dei  118  comuni  censuari  colpiti  in 
grado  più  o  meno  grave,  29,  cioè  il  24.58  %  abbiano  avuto  dal  30  al 
40  "/„  di  terreno  coperto  da  bosco,  la  qual  proporzione  su  per  giù  si  os- 
serva anche  rispetto  al  grado  differente  di  malaricità.  Tale  cifra  però  non  ha 
che  un  valore  relativo,  giacché  rappresenta  la  media  d'imboschimento  del- 
l' intera  provincia,  ed  è  naturale  che  essa  debba  pure  comparire  come  pre- 


—  342  — 

valente  in  uno  studio  in  cui  viene  preso  in  esame  un  numero  abbastanza 
rilevante  di  comuni.  Lo  studio  perciò  sul  valore  del  grado  d'imboschimento 
rimpetto  a  quello  della  produzione  malarica,  deve  esser  diretto  ad  indagare  in 
quali  relazioni  numeriche  trovinsi  le  quote  percentuali  risultanti  dal  confronto 
del  grado  di  malaricità  nei  vari  percenti  d' imboschimento.  Ed  estendendo 
in  tale  riguardo  le  investigazioni,  lo  specchio  surriferito  ci  mostra  come  di 
12  comuni  imboschiti  dal  0-10%  6,  cioè  il  50%»  sieno  malarici  in  infimo 
grado,  1,  cioè  1' 8.33  %,  lo  sia  in  grado  medio  e  finalmente  5,  vale  a  dire 
il  41.67%,  ili  grado  alto.  Press' a  poco  la  stessa  proporzione  troviamo  pel 
10-20%  d'imboschimento;  e  mentre  il  20-30%  ci  dà  cifre  pari  in  am- 
bidue  i  gradi  di  malaricità,  al  30-40  %  si  ripetono  le  stesse  proporzioni, 
però  non  tanto  spiccatamente.  Da  questo  limite  percentuale  in  poi  le  cifre 
s' invertono,  e  troviamo  che  al  40-50%  di  22  comuni  infetti,  il  31.82% 
appartiene  al  grado  minore  di  malaricità,  il  22.72  %  a  quello  medio  ed  il 
45.46%  al  massimo.  Tali  proporzioni  spiccano  viemaggiormente  coli' inol- 
trarsi nelle  cifre  percentuali  più  alte  d' imboschimento,  ove  e'  incontriamo 
con  un  53.54%,  con  un  75.00%  e  finalmente  con  un  100.00%,  risultati 
numerici  questi  che  depongono  in  favore  dell'azione  che  i  boschi  esercitano 
sui  terreni  malarici.  È  naturale  però  l'ammettere,  che  perchè  i  boschi  eser- 
citino tale  azione,  fa  d'  uopo  che  essi  stessi  trovinsi  su  d'  un  terreno  per 
sua  natura  favorevole  alla  malaria.  Su  tale  argomento  mi  riservo  di  ritornare 
in  seguito,  quando  le  cause  che  mantengono  la  malaria  in  Istria  verranno 
poste  in  confronto  fra  di  loro. 

Ci  giova  però  ricercare  quale  sia  l'azione  d'un  bosco  sul  terreno  che 
ricopre  e  sull'  aria  che  lo  investe,  ricerche  queste  che  tolgo  dalla  relazione 
commissionale  citata  antecedentemente1).  Per  le  indagini  eseguite  in  Sassonia 
sotto  la  direzione  dei  professori  Von  Berg  e  Krutzsch,  in  Baviera  dal  pro- 
fessor Ebcrmayer,  in  Francia  ed  in  Italia  negli  Osservatori  meteorico-forestali 
in  Vallombrosa  ed  in  Camaldoli  di  Toscana,  nonché  nella  foresta  del  Can- 
siglio  in  provincia  di  Treviso,  risultano  dei  dati  interessantissimi,  atti  a  porre 
in  vista  le  grandi  differenze  meteorologiche  esistenti  nell'atmosfera  boschiva 
ed  in  quella  sul  terreno  nudo. 

Risulta  dai  dati  raccolti  in  tali  esperimenti,  qualmente  il  bosco  moderi 
le  oscillazioni  diurne  della  temperatura  del  terreno,  riscaldandosi  quest'ul- 
timo sensibilmente  meno  del  terreno  nudo.  Tale  differenza  e  in  media  annuale 


')  Vedi  Nota  1  a  pag.  340, 


-  343  — 

del  21  %  in  meno  del  calore  che  acquista  un  terreno  non  boscoso,  la  quale 
s'accentua  maggiormente  nella  primavera  (28%)  e  nell'estate  (24%)-  I" 
autunno  sarebbe  del  16  %  ed  in  inverno  dell'  1  %•  La  temperatura  dell'aria 
stessa  per  entro  un  bosco  si  mantiene  pure  alquanto  minore  di  quella  di 
un  luogo  nudo.  Le  medie  annuali  ci  danno  delle  differenze  dell'  o°.78,  pro- 
nunciandosi queste  specialmente  nei  mesi  più  caldi  da  maggio  a  settembre 
e  nei  boschi  di  piante  a  larghe  foglie.  Anche  in  questo  riguardo  abbiamo 
perciò  nel  bosco  una  forza  moderatrice.  Nelle  ore  di  notte,  invece,  quasi 
in  nessun  mese  dell'anno  l'aria  del  bosco  si  raffredda  tanto,  quanto  sopra 
un  terreno  nudo,  differenza  che  risulta  per  l'estate  di  i°.52,  nell'autunno 
di   i°.9i,  nell'inverno  di  o°.94  ed  in  primavera  di  o°.42. 

Mentre  1'  umidità  assoluta  dell'  aria  d'  un  bosco  non  presenta  apprez- 
zabili differenze  con  quella  dell'  aria  soprastante  ad  un  terreno  nudo,  la 
umidità  relativa  ne  è  notevolmente  maggiore,  per  il  che  verificandosi  un 
abbassamento  di  temperatura,  ha  luogo  più  facilmente  ed  in  maggior  quantità 
una  separazione  d'  acqua  dall'  aria  d'  un  bosco  in  confronto  d'  un  campo 
nudo.  Tale  maggiore  umidità  risulta  specialmente  nell'estate,  quando  è  quasi 
doppia  di  quella  dell'  aria  sopra  un  terreno  nudo. 

Dove  poi  1'  azione  del  bosco  si  manifesta  in  modo  enorme,  si  è  sul 
fenomeno  dell'  evaporazione.  Venne  osservato  in  Baviera,  che  mentre  una 
superficie  d'acqua  all'aperto  evapora  in  un  anno  uno  strato  dello  spessore 
di  millimetri  574.30,  una  pari  superficie  di  bosco  non  ne  perde  che  per 
millimetri  212.97,  ossia,  la  evaporazione  in  un  bosco  di  poco  supera  il  terzo 
di  quello  che  si  verifica  in  un  terreno  nudo.  Riguardo  alle  stagioni  la  di- 
stribuzione dell'  evaporazione  si  comporta  come  segue  : 


In 

estate         in  1 

.110 

» 

primavera  » 

» 

» 

autunno      » 

» 

» 

inverno       » 

» 

,  mrn 


in  bosco  80  55" 


170.63"""    » 

» 

73.45°"° 

1 14.81"""    » 

» 

38.20°"° 

58.93mm   » 

» 

20.77°"° 

Ne  risulta  (il  che  ha  un  valore  precipuo  per  lo  studio  attuale)  che  si 
può  ritenere  che  questa  massima  limitazione  dell'evaporazione  in  un  bosco 
dipenda  principalmente  dal  minor  movimento  dell'aria  che  vi  succede,  ed 
in  grado  minore  dalla  temperatura. 

Lo  stesso  avviene  per  riguardo  alla  evaporazione  dell'acqua  contenuta 
nel  terreno.  Anzi  specialmente  nei  mesi  più  caldi,  da  maggio  sino  a  luglio, 
il  bosco  contribuisce  potentemente  al  mantenimento  dell'umidità  del  terreno, 
più  che  negli  altri  mesi  dell'anno,  nella  quale  minorazione  il  bosco  viene 


—  344  — 

anche  aiutato  dalla  copertura  determinata  mediante  i  detriti  vegetali  che 
esso  abbandona,  quali  sono  p.  e.  i  fogliami  ecc.  ecc. 

Dall'  esposto  si  deduce,  che  mentre  per  entro  ai  boschi  domina  una 
atmosfera  molto  umida,  la  pioggia  che  cade  in  essi  arriva  alla  superficie  del 
terreno  appena  nella  proporzione  del  74  °/0,  in  modo  che  circa  un  quarto 
viene  trattenuto  dal  fogliame.  Ponendo  ora  a  confronto  la  quantità  di  pioggia 
che  arriva  in  un  terreno  boscoso,  colla  evaporazione  che  vi  subisce,  risulta 
con  tutta  evidenza  che  uno  stagno,  un  lago,  un  acquitrino  formato  entro 
un  bosco  dall'  acqua  piovana,  si  asciuga  assai  lentamente  e  difficilmente, 
ed  anzi  nella  maggior  parte  dei  casi  non  può  affatto  asciugarsi;  perchè  la 
quantità  di  pioggia  che  vi  arriva,  sebbene  ridotta  d'un  quarto  od  anche  d'un 
terzo,  è  sempre  maggiore  di  quella  che  perde  in  grazia  dell'evaporazione. 

Tali  fenomeni  notati  nei  surriferiti  Osservatori  valgono  essi  pure  pei 
boschi  istriani  ?  Purtroppo  finora  non  abbiamo  delle  osservazioni  dirette 
atte  a  decidere  il  quesito  ;  tuttavia  il  carattere  dei  nostri  boschi  ci  autorizza 
a  ritenere  che  i  fenomeni  in  altri  siti  osservati  ripetansi  puranco  da  noi. 
Abbiamo  veduto,  come  di  boscaglie  ad  alto  fusto  poche  ne  esistano  in  Istria 
e  come  prevalentemente  la  coltura  boschiva  sia  rappresentata  da  boschi  cedui 
a  basso  ed  a  medio  fusto.  Chi  poi  talvolta  è  penetrato  in  tali  boschi,  sa 
benissimo  che  essi  non  sono  regolati  da  un  metodo  razionale,  ma  lasciati 
generalmente  in  balìa  delle  forze  naturali,  concedendo  loro  al  più  e  non  di 
frequente  una  cura  del  tutto  empirica.  Perciò  chi  si  addentra  in  quelle  cep- 
paie  trova  sbarrato  il  passo  da  rovi,  da  spini  d'  ogni  genere,  da  arbusti  di 
ogni  qualità  e  bassissimi,  da  un'  erba  alta  talvolta  fino  oltre  il  ginocchio. 
Le  piante  stesse,  non  regolate  da  un  metodo  razionale,  s'addensano  1'  una 
all'  altra,  intrecciandosi  fra  loro  i  rami  sì  da  precluderne  il  passaggio.  È 
naturale  che  in  tali  boschi  siano  intercettati  i  raggi  solari  ;  che  la  tempe- 
ratura vi  sia  minore  che  all'  aria  aperta  ;  che  1'  umidità  v'  aumenti  e  che 
non  vi  circoli  1'  aria  con  tutta  libertà.  S'  aggiunga  poi  che  i  nostri  boschi 
in  buona  parte  si  trovano  in  terreni  oltremodo  accidentati,  con  avvallamenti, 
fessure,  irregolarità,  ove  facilmente  si  raccoglie  1'  umidità  condensata,  for- 
mando acquitrini  e  stagni. 

Onde  estendere  maggiormente  le  indagini  intorno  all'  azione  che  le 
varie  colture  del  terreno  ed  i  cambiamenti  che  allo  stesso  ne  derivano, 
possono  esercitare  sullo  sviluppo  della  malaria,  si  posero  in  confronto  coi 
vari  gradi  di  malaricità  del  suolo  i  terreni  coltivati  ed  arativi,  orti  e  vigne, 
■unendo  queste  tre  specie  di  coltura  in  una  sola  categoria,  nonché  ponendo 
in  altra  categoria  quelli  non  coltivati,  cioè  i  prati  ed  i  pascoli.  Lo  specchio 
seguente  dimostra  i  risultati  numerici  di  tale  indagine  : 


—  345 


Percento  di    terreno 

posto  a  coltura 

(arativi,  orti,  vigne) 

siili'  intera  superficie 

Grado  di  malaricità  e  numero  dei  comuni  censuari  colpiti 

Poco 

Medio 

Molto 

Totale 

o 
e 

i 

3 

z 

o/o 

o 
S 

3 
Z 

o/o 

o 

Ih 

6 

E 

3 

z 

% 

o 

Ut 

V 

s 

3 

z 

o/o 

sul 
grado 

sul  •/„ 

di 
coltura 

sul 

grado 

sul  % 

di 
coltura 

sul 

grado 

sul  •/, 

di 
coltura 

sul      sul  •/, 

•do       di 
°          coltura 

0-10 

4 

8.34 

36.36 

_ 

_ 



7 

1273 

63.64 

11 

9.82 

100.00 

10—20 

9 

18.75 

52.94 

1 

6.66 

5.88 

7 

12  73 

41.18 

17 

14.40 

100.00 

20-30 

9 

18.75 

31.03 

1 

6.66 

3.45 

19 

34.54 

6552 

29 

24.59 

100.00 

30-40 

12 

25.00 

36  36 

8 

53.35 

24.24 

13 

23.63 

39.40 

33 

27.98 

100.00 

40—50 

7 

14.59 

41.17 

4 

26.67 

23.52 

6 

10.91 

35.31 

17 

14.40 

100.00 

50-60 

3 

6.25 

60.00 

1 

6.66 

20.00 

1 

1.82 

20.00 

5 

4.23 

100.00 

60-70 

3 

6.25 

100.00 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

3 

2.54 

100.00 

70—80 

1 

2.09 

50.00 

— 

— 

— 

1 

1.82 

50.00 

2 

1.69 

100.00 

80-90 

Totale 

48 

— 

— 

— 

— 

— 

1 

1.82 

100.00 

1 

0.85 

100.00 

100.00 

40.67 

15 

100.00 

12.71 

55 

100.00 

46.62 

118 

1 

100.00 

100.00 

Anche  qui  come  pei  boschi  vediamo  che  il  massimo  numero  dei  comuni 
censuari  colpiti,  rappresentato  dal  27.98  %  appartenga  alla  categoria  di  quelli 
che  hanno  il  30-40  %  della  loro  superficie  posta  a  coltura,  il  che  non  deve 
recar  meraviglia  quando  si  consideri  che  le  colture  propriamente  dette  su- 
perano il  terzo  della  superficie  produttiva  della  provincia.  Quando  poi  si 
prenda  in  considerazione  il  modo  di  comportarsi  delle  cifre  percentuali  nei 
diversi  gradi  di  malaricità,  si  osserva  come  le  quote  si  succedano  in  modo 
da  deporre  per  un'  influenza  della  coltura  del  terreno  sulla  malaricità  del 
suolo.  Vedesi  perciò,  come  nel  grado  di  molta  malaricità,  questa  prevalga 
nei  terreni  poco  coltivati  e  come  in  quello  di  poca  malaricità  la  prevalenza 
sia  nei  terreni  coltivati  in  maggior  proporzione.  Tale  progressione  delle  cifre 
è  però  irregolare,  mostrandosi  saltuariamente  qua  e  là,  senza  segnare  una 
distribuzione  progressiva  da  un  percento  all'  altro.  Si  deve  da  ciò  inferire 
che  la  circostanza  dell'essere  il  terreno  posto  a  coltura,  sebbene  trovisi  in 
una  relazione  col  grado  di  malaricità,  non  eserciti  però  che  un'  influenza 
poco  sensibile  sulla  produzione  della  malaria,  limitandola  alquanto  coli' au- 
mento dei  terreni  posti  a  coltura. 

I  terreni  non  coltivati  non  offrono  pure  un  carattere  in  tale  riguardo, 
se  si  eccettui  forse,  che  a  differenza  degli  altri  generi  di  terreni,  questi 
segnano  il  maggior  numero  di  comuni  colpiti  nel  grado  percentuale  sulla 


-  34^  — 

superficie  del  10-20%  eJ  indi  nel  20-30%.  Invece  tale  distribuzione  nei 
diversi  gradi  di  malaricita  si  comporta  differentemente  ed  in  modo  saltuario, 
sì  in  riguardo  al  percento  colturale  che  al  grado  di  malaricita.  Ne  viene 
perciò  che  anche  i  prati  ed  i  pascoli,  che  pure  presentano  un  vasto  terreno 
della  superficie  produttiva  della  provincia,  non  offrono  in  riguardo  ai  comuni 
malarici  nulla  di  positivo. 


A.  cu 

3 

<U    "? 

■z  2 

rt   tu 


rt   3 


Grado  di  malaricita  e  numero  dei  comuni  censuari  colpiti 


Poco 


o/o 


sul       sul  % 

j         dei 
grado  L 
6  terreni 


Medio 


S  ! 


o/o 


sul     I  sul  % 
Srado  !  terreni 


Molto 


o/o 


sul 


sul  •/, 

,     i     dei 
grado  ' 
5  terreni 


Totale 


o/o 


S       sul 

3 

!Z     grado 


sul  •/. 

dei 
terreni 


0—10 
10—20 
20-30 
30-40 
40-50 
50-60 
60-70 
70-80 
80-90 
oltre  i  90 

Totale 


5 

10.41 

27.77 

6 

4000 

33.33 

7 

12.73 

11 

22.90 

45.83 

3 

20.00 

12.50 

io'  1818 

11 

22.90 

50.00 

3 

20.00 

13  63 

8!  14.54 

6 

12.46 

33.33 

— 

— 

— 

12!  21.82 

2 

4.16 

16.66 

1 

6.66 

8.83 

7  12.73 

7 

H.58 

53.84 

1 

6.66 

7.69 

5 

1091 

5 

10.41 

83.33 

— 

— 

— 

1 

3.63 

1 

2  08 

33.33 

1 

6.66 

33.33 

li  1.82  j 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

li  1.82 

— 

- 

— 

— 

— 

— 

li  1.82 

48 

100  00 

40.67 

15 

100.00 

12.71 

55 

100.00' 

1 

39.90 
41.67 
36.37 
66.66 
75.01 
38.47 
16.67 
33.33 
100.00 
100.00 


18 

15.26 

24 

20  30 

22 

18.64 

18 

15.26 

12 

10.17 

13 

11.03 

6 

5.08 

3 

2.54 

1 

0.85 

1 

0  85 

118 

100.00 

1 

10000 

100.00 
100.00 
100.00 
100.00 
100.00 
100.00 
100.00 
100.00 
100.00 


100.00 


Esaurite  per  tal  modo  le  indagini  che  da  me  vennero  dirette  onde 
scoprire  l' influenza  che  le  varie  specie  di  coltura  possono  esercitare  sullo 
sviluppo  della  malaria,  rivolsi  lamia  attenzione  allo  studio  d'un' altra  cir- 
costanza, che  sotto  date  condizioni  può  pure  trovarsi  in  una  qualsiasi  re- 
lazione collo  sviluppo  o  meglio  ancora  col  mantenimento  della  malaricita 
del  suolo.  Intendo  dire  della  proporzione  in  cui  trovasi  la  popolazione  nei 
diversi  comuni  colla  superficie  degli  stessi  ;  od  a  meglio  dire  sul  riparto 
della  superficie  totale  sulla  popolazione  complessiva,  nonché  sul  riparto  della 
superficie  produttiva  sulla  popolazione  agricola.  Ed  anche  per  tale  studio  io 
attinsi  all'  opera  preziosa  prima  citata  dell'  or  defunto  cav.  dott.  Vidulich, 
opera,  che  egli  due  giorni  prima  d'abbandonarci,  porgevami  in  dono,  ultimo 
forse  dei  tanti  che  egli  fece  nella  sua  benemerita  carriera  vitale. 


—  347  — 

Le  cifre  desunte  da  quell'  opera  vennero  poste  in  margine  agli  altri 
dati  che  si  riferiscono  ai  comuni  colpiti,  nella  tabella  che  trovasi  in  fine 
del  lavoro,  ed  indi  raccolte  nei  due  specchi  che  seguono  : 


Riparto  della  super- 
ficie totale  sulla  po- 
polazione complessiva. 

Jugeri  per  individuo 

Grado  di  malaricità  e  numero  dei  comuni  censuarì  colpiti 

Poco 

Medio 

Molto 

Totale 

o 

fa 
ti 

E 

3 

o/o 

o 

H 

E 

3 

o/o 

o 
ì-. 

V 

E 

3 

r 

o/o 

o 
e 
D 

E 

a 

o/o 

sul 
grado 

sulla 
popo- 
lazione 

sul 
grado 

sulla 
popo- 
lazione 

sul 
grado 

sulla 
popo- 
lazione 

sul        sulla 

grado    ."  / 
6           lazione 

0-4 
5-9 
10-14 
15-19 
20-24 
25-29 
30-34 
35-39 
40-45 

Totale 

43 
3 
1 
1 

89.59 
6.25 
2.08 
2.08 

53.08 
12.00 
20.00 
33.33 

12 
3 

80.00 
20.00 

14.81 
12.00 

26 

19 

4 

2 

1 
2 

1 

47.27 
34.54 
7.27 
3.63 
1.82 
363 

1.82 

32.1 1 
76.00 
80.001 
6666  i 
100.00 
100.00 

100.00 

25 
5 
3 
l 
2 

1 

118 

6^.64 
21.18 
4.23 
2.54 
0.85 
1.69 

0.85 

100.00 
100.00 
100.00 
100.00 
100.00 
100.00 

100.00 

■18 

100.00 

40.07 

15 

100.00 

12.71 

55 

100.00 

46.62 

100.00 

100.00 

Riparto  della  super- 
ficie produttiva  sulla 
popolazione  agricola 
Jugeri  per  individuo 

Grado  di  malaricità  e  numero  dei  comuni  censuari  colpiti 

Foco 

Medio 

Molto 

Totale 

o 

fa 
V 

E 

3 

% 

o 
e 
D 

E 

3 

0 

fa 

sulla 
popo- 
lazione 

o 
ti 

V 

E 

3 
% 

o/o 

o 
e 
D 

E 

3 

* 

o/o 

sul     1  sulla 
6rado    laz°one 

sul 

grado 

sul 
grado 

sulla 
popo- 
lazione 

sul 
grado 

sulla 
popo- 
lazione 

0-9 
10-19 
20-29 
30  -39 
40-49 
50-59 
60-69 
70-79 
80-89 
90-99 
100—109 

Tolale 

86 

8 
1 

3 

75  00 

16.66 

208 

6.26 

55.38 
21.62 
16.66 

60.00 

10 
5 

66.06 
33.34 

15  38 
13  78 

19 

24 
6 
1 
2 

1 

1 

1 
1 

34,r»4 

43.64 

9.09 

1.82 

3.63 

182 

1.82 
1.82 
1.82 

29.24 
64.60 
83.34 
100.00 
40.00 

100.00 

100  00 
100.00 
100.00 

|« 

37 
0 
1 
5 

1 

1 
1 

1 

55.08 

31.36 

5.08 

0.85 

4.23 

0.85 

0.85 
0.85 
0.85 

100.00 
100.00 
100  00 
100.00 
100.00 

100.00 

100.00 
100.00 
100.00 

48 

100.00 

40.67 

15 

100.00 

12.71 

55 

100.00 

46.62 

118 

100.00 

100.00 

-  34»  - 

Dalle  stesse  cifre  risulta  come  1*  addensamento  della  popolazione  sulla 
superficie  sia  sfavorevole  allo  sviluppo  della  malaria,  giacché  troviamo  che 
nei  comuni  in  cui  per  ogni  individuo  toccano  dai  o  ai  4  jugeri  di  terreno, 
la  malaria  vi  regna,  ma  in  grado  leggiero  a  preferenza,  il  che  significa  che 
di  100  comuni  di  siffatta  categoria,  oltre  alla  metà  appartengono  ai  poco 
colpiti  ;  proporzione  questa  che  spicca  più  chiaramente  nel  riparto  della 
superficie  produttiva  sulla  popolazione  agricola,  ove  la  prima  categoria  porta 
anzi  la  proporzione  di  0-9  jugeri  per  individuo.  Avanzandosi  nelle  ulteriori 
categorie  di  riparto  si  vede  come  i  dati  vengano  in  conferma  di  una  mag- 
giore malaricità  del  suolo,  la  quale  progredisce  col  diminuire  della  quota 
di  popolazione  della  campagna  ;  caratteri  questi  che  risaltano  ancor  di  più, 
quando  si  studino  sopra  il  secondo  specchio. 

Ne  deve  imporre  1'  alta  cifra  percentuale  che  deriva  dall'  ammassarsi 
della  maggior  parte  dei  comuni  nella  prima  categoria  di  riparto,  ove  nel 
primo  specchio  troviamo  il  68.64%  e  nel  secondo  il  55.08  %>  quando  si 
consideri  che  tali  cifre  sono  in  consonanza  al  riparto  generale  nell'  intera 
provincia,  nella  quale  per  la  popolazione  complessiva  sulla  superficie  totale 
abbiamo  2  jugeri  e  15 17  klafter,  e  per  la  popolazione  agricola  sulla  super- 
ficie produttiva  abbiamo  8  jugeri  e  535  klafter. 

Tali  cifre  parlano  assolutamente  in  favore  dell'  influenza  che  un  au- 
mento di  popolo  sopra  una  data  superficie  può  esercitare  sulla  salubrità 
del  suolo  ;  influenza  questa,  derivante  da  quei  lavori  che  il  contadino  deve 
eseguire  onde  ridurre  ad  una  maggiore  produttività  il  terreno  a  lui  affidato, 
pei  quali  ne  viene  mutata  la  coltura,  ridotta  ad  altro  aspetto  la  superficie, 
col  praticarne  lavori  diretti  non  solamente  al  primo  scopo,  ma  anche  ad 
ottenerne  uno  scolo  migliore  delle  acque,  ed  una  migliore  livellazione  dei 
terreni. 

Specialmente  qui  in  Istria  l'aumento  o  la  diminuzione  di  popolo  non 
riescirono  indifferenti,  e  quanto  si  esporrà  in  seguito,  verrà  di  certo  a  pro- 
vare come  colla  sua  diminuzione,  sia  anche  sorvenuto  un  peggioramento 
nelle  condizioni  igieniche. 

IV. 

Riassumendo  i  risultati  delle  indagini  or  ora  esposte,  in  modo  che 
dagli  stessi  emerga  come  la  malaria  trovisi  in  relazione  alle  diverse  condi- 
zioni del  suolo  e  dell'  atmosfera  che  lo  copre,  puossi  dedurre  quanto  segue  : 

i°  La  malaria  preferisce  i  terreni  appartenenti  alla  formazione  geologica 
della  creta; 


—  349  — 

2°  Essa  diminuisce  coli'  elevarsi  del  terreno  sul  livello  del  mare  ; 

3°  Viene  favorita  dai  boschi  densi  ed  a  basso  o  medio  fusto; 

4°  Viene  alquanto  limitata  dalla  coltura  del  terreno  non  boschivo; 

5°  Sviluppasi  a  preferenza  in  località  povere  di  popolo,  od  a  meglio 
dire  un  aumento  di  questo  giova  a  diminuirne  lo  sviluppo. 

Sebbene  tali  corollari  servano  ad  indicare  le  relazioni  suaccennate  ; 
essi  nulla  dicono  ancora  intorno  alla  genesi  della  malaria  od  almeno  alle 
cause  che  ne  favoriscono  lo  sviluppo.  Onde  venire  alla  indicazione  di  tali 
cause  fa  d'  uopo  di  osservare  negli  anni  di  forte  sviluppo  dell'  endemia  il 
comportarsi  di  questa  coi  fenomeni  meteorologici,  in  confronto  a  quanto 
avviene  negli  anni  d'  una  media  normale  ;  giacché  è  logico  l' ammettere, 
che  se  la  malaria  è  strettamente  congiunta  a  speciali  condizioni  geologiche, 
altimetriche  od  idrografiche  del  suolo,  l' accrescere  od  il  diminuire  della 
endemia  in  alcuni  anni,  deve  stare  in  relazione  con  taluni  fattori,  capaci 
di  favorire  o  di  diminuire  la  predisposizione  del  suolo  allo  sviluppo  del 
morbo.  Tali  fattori  non  possono  naturalmente  ricercarsi  che  nell'  avvicen- 
damento dei  fenomeni  meteorologici. 

Si  raccolsero  perciò  gli  anni  designati  quali  gravi  di  malaria  dai 
medici  che  risposero  all'inchiesta  giuntale,  nonché  quelli  notati  nelle  opere 
contenenti  le  ricerche  fatte  in  Pola  dall'ora  medico  ammiraglio  cav.  dottor 
Augusto  Iilek,  desumendone  i  dati  da  quelle  qui  citate  '),  ed  anche  dalle 
esperienze  da  me  raccolte  negli  anni  1SS6  e  1887  nella  stessa  citta  ed  esposte 
nelle  due  relazioni  da  me  lette  dinanzi  alla  Commissione  sanitaria  polese. 

Da  queste  opere  e  relazioni  vengono  indicati  come  gravi  per  febbre 
gli  anni  1860,  1861,  1862,  1863,  1864,  1866,  1871,  1872,  1877,  1878,  1879, 
1886  e  1888.  Intorno  ai  tre  primi  anni  ed  al  1871  non  mi  fu  dato  di  poter 
fare  dei  raffronti  coi  fenomeni  meteorologici.  Intorno  agli  ultimi  ciò  mi  è 
invece  possibile,  coll'approfittare  dei  dati  che  trovatisi  nelle  opere  succitate  del 
dott.  Iilek,  oppure  delle  osservazioni  dell'Istituto  idrografico  dell'i,  r.  marina 
di  guerra  in  Pola,  e  di  quelle  dell'  i.  r.  Accademia  della  marina  in  Fiume. 
A  tali  annate  io  contrapposi  i  dati  di  sei  anni  non  malarici,  vale  a  dire  degli 
anni  1876,  1880,  1881,  1883,  1885,  1887,  ritraendoli  dalle  osservazioni 
eseguite  dall'  Accademia  di  commercio  e  nautica  in  Trieste,  che  trovansi 
pubblicate  nel  bollettino  della  Società  adriatica  di  scienze  naturali  in  Trieste, 
e  da  quelle  dell'  Istituto  idrografico  dell'  i.  r.  marina  in  Pola.  Dai  dati  per- 


')  Iilek.  Op.  cit.  e  Ueber  die  Ursachen  dir  Malaria  in  Vola.  —  Wien,   1868. 


-  350  - 


tìnentì  ad  ambedue  le  categorie  di  annate  io  trassi  la  media  annuale,  e  questa 
confrontai  colla  media  normale,  si  mese  per  mese,  che  per  ogni  singolo 
trimestre. 

In  primo  luogo  interessa  di  studiare  le  differenze  vigenti  fra  il  quan- 
titativo d'acqua  meteorica  caduta  negli  anni  normali  e  di  quella  caduta  negli 
anni  malarici,  al  quale  scopo  veniva  composta  la  tabella  seguente  : 

Media  delle  idrometeore  negli  anni  malarici  1863,  1864,  1S66,  1872, 
1877,  1878,  1879,  1886  e  1888,  confrontata  con  quella  degli  anni  non 
malarici  1876,  18S0,  1881,  188),  i88;  e  1887. 


MESI 


ANNI 


malarici 


Millimetri 


Differenza 
colla  normale 


non  malarici 


Millimetri 


Differenza 
colla  normale 


Gennaio  , 
Febbraio 
Marzo  .  , 
Aprile  .  . 
Maggio .  . 
Giugno .  . 
Luglio  .  . 
Agosto  .  . 
Settembre  . 
Ottobre 
Novembre  . 
Decembre  , 


51.4 

107.3 

109.3 

70.0 

61.4 

79.8 

73.6 

50.4 

102.7 

151.0 

107.6 

105.7 


—  9.6 
+  52.4 
+  48.1 

—  7.5 

—  27.3 

—  2.0 
+    9.3 

—  31.2 

—  14.4 
+    6.2 

—  4.1 
+  23.1 


39.3 

63.9 

81.1 

73  8 

108.8 

117.0 

73.9 

111.0 

145.3 

132.1 

121. 5 

77.7 


—  21.7 
+  9.0 
+  19.9 

—  3.7 
+  201 
+  35.2 
+  9.6 
+  29.4 
+  28.2 

—  12.7 
+   9.8 

—  4.9 


I.  Trimestre 
II.  » 

III.  » 

IV.  » 


Totale 


268.5 
225.9 
226.0 
368.4 

1088.8 


+  91.4 

—  22.2 

—  37.1 
+  29.2 

+  61.1 


184.4 
299.9 
332.0 
331.5 

1147.8 


+  7.3 
+  51.8 
+  69.0 
—    7.7 

+  120.1 


—  35i  - 

Lo  studio  di  tale  tabella  ci  mostra  come  nella  distribuzione  delle  idrome- 
teore durante  i  diversi  mesi  e  trimestri  degli  anni  malarici,  esista  una  grande 
differenza  dinanzi  a  quella  degli  anni  non  malarici.  Nel  mentre  la  quantità 
media  delle  pioggie  cadute  nel  I  trimestre  degli  anni  malarici  supera  di  91.4 
millimetri  la  media  normale,  quella  degli  anni  non  malarici  la  supera  appena 
con  7.3  millimetri.  Per  l'opposto  vediamo  come  nel  II  e  III  trimestre  pre- 
valga tale  differenza  in  favore  degli  anni  non  malarici,  nei  quali  supera  di 
51.8  rispettivamente  di  69.0  millimetri  la  media  normale,  in  confronto  degli 
anni  malarici,  nei  quali  la  quantità  delle  idrometeore  è  di  molto  inferiore 
alla  media.  Nel  IV  trimestre  invece  troviamo  che  tali  differenze  si  ripetono 
a  somiglianza  del  I  trimestre,  cioè  in  favore  degli  anni  malarici,  nei  quali 
le  idrometeore  superano  di  29.2  millimetri  la  media,  mentre  i  non  malarici 
ne  sono  inferiori  di  millimetri  7.7.  In  corrispondenza  a  tali  proporzioni 
riassunte  vediamo  ripetersi  le  stesse  circostanze  anche  nei  singoli  mesi  del- 
l' anno. 

Quali  conclusioni  derivano  da  tali  osservazioni  ?  Evidentemente  devesi 
conchiudere  che  la  malaria  viene  favorita  nel  suo  sviluppo  dalla  caduta  di 
pioggie  abbondanti  nel  I  trimestre  e  da  scarsezza  di  queste  nel  II,  mentre 
non  la  favoriscono  o  forse  s'  oppongono  alla  stessa  la  scarsezza  di  pioggie 
nel  lei'  abbondanza  nel  II  e  III  trimestre. 

Tale  spiccato  carattere  degli  anni  malarici  con  quelli  non  malarici  in 
riguardo  alla  distribuzione  media  delle  idrometeore,  pone,  come  abbiamo 
veduto,  la  malaricità  del  suolo  in  istretta  dipendenza  coli'  abbondanza  di 
pioggie  nei  mesi  del  I  trimestre,  e  colla  scarsezza  di  esse  nei  susseguenti 
due  trimestri.  Ciò  vuol  dire  che  se  il  terreno  viene  inzuppato  bene  nel 
I  trimestre,  col  succedersi  dei  mesi  primaverili  ed  estivi  scarsi  oppure  nor- 
malmente forniti  di  pioggie,  lo  sviluppo  dei  germi  malarici  viene  esuberan- 
temente favorito.  Ne  viene  che  oltre  all'umidità  del  terreno  debba  susseguire 
un  periodo  di  bei  tempi,  favoriti  dal  sole,  forniti  perciò  d' una  temperatura 
media  o  più  alta  del  solito.  —  Devesi  adunque  ammettere,  assieme  alla 
distribuzione  delle  idrometeore,  la  presenza  d'  un  altro  fattore,  cioè  della 
temperatura  dell'  aria. 

Le  due  tabelle  che  seguono  registrano  le  temperature  atmosferiche 
medie  negli  anni  malarici  ed  in  quelli  non  malarici. 


—  352  — 


Temperatura  media  negli  anni  malarici  186},  1864,  1866,  1877,  1878, 
i8jy,  1886  e  1888  confrontata  con  quella  degli  anni  non  malarici  1876, 
1880,  1881,  1883,  188;  e  1887. 


MESI 


ANNI 


malarici 


Centigradi 


Differenza 
colla  normale 


non  malarici 


Centigradi 


Differenza 
colla  normale 


Gennaio  . 
Febbraio  . 
Marzo  .  . 
Aprile  .  . 
Maggio .  . 
Giugno .  . 
Luglio  .  . 
Agosto  .  . 
Settembre 
Ottobre .  , 
Novembre . 
Decembre  , 


I.  Trimestre 
II.  » 

III.  » 

IV.  » 


Totale 


5.36 

6.46 

9.03 

12.35 

16.73 

21.51 

22.87 

23.03 

20.05 

14.27 

9.90 

6.08 


6.95 
16.86 
21.78 
10.01 

13.90 


+  0.19 
+  051 
+  0.65 

—  0.85 

—  0.72 

—  0.49 

—  1.14 

—  0.49 
+  0.11 

—  0.76 
+  0.22 
+  0.04 


+  0.45 

—  0.69 

—  0.72 

—  0.24 

—  0.38 


3.80 

5.98 

7.93 

12.80 

16.11 

21.11 

24.96 

23.23 

19.50 

14.10 

9.63 

6.60 


5.90 
16.67 
22.81 
10.11 

13.87 


—  1.37 
+  0.03 

—  0.45 

—  0.40 
-1.34 

—  0.89 
+  0.92 

—  0.29 
-0.44 

—  0.93 

—  0.05 
+  0.56 


—  0.60 

—  0.88 
+  0.31 

—  0.14 

—  0.41 


—  353  — 


Massimi  e  minimi  medii  della  temperatura 

negli  anni  suddetti. 


MESI 


MASSIMI 


MINIMI 


ANNI 


malarici        non  malarici        malarici        non  malarici 


Gennaio  . 
Febbraio  . 
Marzo  .  . 
Aprile  .  . 
Maggio  .  . 
Giugno  . 
Luglio  . 
Agosto  .  . 
Settembre  . 
Ottobre .  , 
Novembre , 
Deccmbre  . 


8.32 
9.44 
11.33 
15.83 
20.50 
25.62 
25.97 
27.25 
23.57 
17.89 
13.11 
8.98 


5.89 
8.69 
11.05 
16.35 
20.05 
25.77 
29.74 
27.67 
23.49 
17.19 
11.88 
8.68 


2.25 

3.65 

5.34 

8.65 

12.49 

17.24 

18.78 

18.81 

16.30 

10.62 

6.13 

2.62 


0.63 

3.60 

4.77 

8.35 

12.32 

16.61 

20.71 

19.21 

15.72 

11.54 

7.20 

4.28 


I.  Trimestre 
II. 
III.  » 

IV. 


Totale 


9.69 
20.65 
25.53 
13.32 

17.29 


8.54 
20.72 
26.96 
12.58 

17.20 


3.74 
12.79 
17.99 

6.45 

10.24 


3.00 
12.42 
18.54 

7.64 

10.40 


—  354  — 

Fa  d'  uopo  però  distinguere  che  le  cifre  segnanti  le  temperature  diffe- 
riscono notevolmente  a  seconda  che  le  stesse  sieno  state  desunte  dalle  medie 
generali  dei  mesi  o  dalle  medie  dei  massimi  o  dei  minimi,  giacché  per  la 
influenza  della  nebulosità  quest'  ultime  possono  deviare  sensibilmente  dalla 
gradazione  seguita  dalle  temperature  degli  anni  malarici  e  non  malarici,  nel 
passaggio  da  un  mese  o  da  un  trimestre  all'altro.  Vediamo  diffatti,  se  con- 
frontiamo i  dati  offerti  dal  calcolo  medio  delle  nebulosità  (Vedi  prossima 
tavola  :  Annuvolamento),  come  questo  fenomeno  trovisi  quasi  completamente 
in  opposizione  ai  dati  offerti  dalle  temperature  medie  generali,  vale  a  dire, 
che  sebbene  le  temperature  medie  generali  negli  anni  malarici  superino  sen- 
sibilmente nei  due  primi  trimestri  quelle  degli  anni  non  malarici,  troviamo 
nonostante  che  le  cifre  indicanti  le  medie  della  nebulosità  sono  superiori  in  tre 
trimestri  dei  primi  in  confronto  di  quelle  degli  ultimi.  Ciò  non  avviene  invece 
quando  si  confrontino  le  medie  dei  massimi  mensili  e  trimestrali,  nel  qual  caso 
si  vede  come,  eccettuato  il  I  trimestre,  il  fenomeno  della  nebulosità  trovisi  in 
proporzione  numerica  e  fisica  esatta  con  quella  delle  temperature  ;  il  che 
avviene  in  parte  puranco  in  quanto  riguarda  la  relazione  fra  i  minimi  medi 
ed  il  fenomeno  in  parola,  ove  eccettuati  il  II  ed  il  IV  trimestre,  questo 
fenomeno  mantiene  la  proporzione  regolare. 

Premessa  tale  spiegazione,  necessaria  onde  porre  in  rilievo  qualmente  la 
temperatura  stessa  possa  trovare  un  moderatore  nella  nebulosità,  la  quale 
coli' intercettare  parzialmente  i  raggi  del  sole,  ne  diminuisce  l'azione  calo- 
rifica, vediamo  come  complessivamente  le  varie  temperature  nei  diversi  mesi 
o  nei  trimestri  degli  anni  malarici  differiscano  di  poco  da  quelle  negli  anni 
non  malarici,  giacché  trattasi  tutt'  al  più  di  frazioni  di  grado,  che  non  pos- 
sono di  certo  esercitare  molta  influenza.  Solamente  deve  colpire  la  supe- 
riorità notata  nel  I  trimestre,  la  quale  può  forse  essere  di  una  certa  importanza 
sullo  sviluppo  o  sul  mantenimento  dei  germi  malarici  nel  suolo  durante 
il  verno. 

Ammessa  perciò  tale  uniformità  nel  fenomeno  del  calore,  devesi  esa- 
minare se  l' inalzarsi  della  temperatura  nei  mesi  del  II  e  del  III  trimestre 
produca  degli  altri  fenomeni,  che,  pei  dati  che  possono  offrire,  differiscano 
essenzialmente  negli  anni  malarici  e  negli  anni  non  malarici. 

La  seguente  tabella  espone  tali  dati  meteorologici  negli  anni  precedenti, 
eccettuati  il  1863,  1864,  1866,  pei  quali  non  si  poterono  ottenere  le  os- 
servazioni : 


—  355  — 


MESI 


Pressione 

dell'aria  in  mm. 

ridotta  a  o° 


Pressione 
del  vapore  nel- 
l'aria in  mm. 


Umidità 
dell'aria  in  per- 
cento del  mass. 


Annuvolamento 


ANNI 


malarici 


non 
malarici 


malarici 


non 

malarici 


malarici 


non 
malarici 


malarici 


non 
malarici 


Gennaio 
Febbraio 
Marzo  . 
Aprile  . 
Maggio  . 
Giugno  . 
Luglio  . 
Agosto  . 
Settembre 
Ottobre. 
Novembre . 
Decembre  . 


761.25 

762.90 

5.06 

4.35 

73.32 

73.21 

6.26 

759.28 

762.37 

5.36 

5.03 

74.24 

70.61 

6.16 

758.32 

758.42 

6.06 

5.76 

73.76 

70.28 

5.74 

756.06 

757.38 

8.02 

7.56 

73.72 

67.65 

5.92 

759.46 

758.29 

9.90 

9.36 

68.46 

68.13 

5.42 

758.70 

758.83 

13.85 

12.48 

69.70 

66.85 

5.10 

758.52 

759.94 

14.17 

14.53 

68.00 

61.76 

4.32 

759.08 

758.62 

14.58 

13.36 

66.36 

63.00 

4.02 

760.56 

759.63 

12.12 

11.98 

68.00 

70.61 

4.12 

761.06 

759.36 

9.06 

9.10 

73.42 

73.75 

4.92 

760.60 

761.81 

6.84 

6.90 

75.62 

76.23 

6.16 

761.12 

760.66 

4.95 

5.60 

71.24 

74.23 

6.28 

5.51 
5.01 
5.63 
5.71 
5.30 
4.61 
3.36 
3.71 
4.40 
5.88 
6.21 
5.95 


I.  Trimest. 

780.61 

761.23 

5.49 

5.04 

73.86 

71.36 

6.04 

II.       . 

758.07 

75816 

12.59 

9.80 

70.62 

67.54 

5.48 

III.       » 

759.38 

759.39 

13.62 

13.29 

67.45 

65.12 

4.16 

IV.      » 

760.92 

760.57 

6.95 

7.20 

73.44 

74.73 

6.78 

Totale 

759.49 

759  83 

9.66 

8.83 

71.34 

69.43 

5.38 

5.38 
5.09 
3.80 
6.01 


5.07 


Degna  di  menzione  è  fra  tutti  la  pressione  del  vapore  neh"  aria.  La 
quantità  media  di  millimetri  segnata  dalla  tabella  depone  per  gli  anni  ma- 
larici una  notevole  superiorità,  che  spicca  specialmente  nei  tre  primi  trimestri, 
principalmente  nel  II,  prevalenza  questa  che  sta  in  relazione  colle  pioggie 
abbondanti  nel  primo  trimestre  e  col  successivo  e  progressivo  inalzarsi  della 
temperatura  del  suolo  ;  mentre  per  gli  anni  non  malarici,  tale  fenomeno  è 


-  356  - 

in  prevalenza  appena  nel  IV  trimestre,  in  correlazione  colle  pioggie  abbon- 
danti nel  II  e  nel  III,  superiori  di  molto  a  quelle  degli  anni  malarici. 

Gli  stessi  risultati  ci  offrono  le  cifre  in  percenti  dell'umidità  relativa, 
le  quali  indicano  pure  come  questo  fenomeno  prevalga  negli  anni  malarici 
in  confronto  degli  anni  non  malarici,  indizio  certo  dell'azione  che  le  pioggie 
primaverili  possono  esercitare  sullo  stato  dell'  atmosfera. 

Gli  altri  fenomeni  meteorologici  non  istanno  in  nessuna  relazione  colla 
malaria,  come  p.  e.  la  pressione  atmosferica,  mentre  il  dominio  di  certi  venti, 
se  forse  per  alcune  località  può  essere  favorevole  al  trasporto  dei  germi,  in 
generale  però  non  ha  alcuna  importanza  nel  complesso  della  provincia. 

Dal  confronto  di  tali  fenomeni  ultimamente  citati  risulta  adunque  che 
la  temperatura  atmosferica  nei  mesi  del  II  e  III  trimestre  esercita  sul  suolo 
molto  umido  negli  anni  malarici  una  notevole  azione,  la  quale  si  manifesta 
con  un' aumentata  pressione  del  vapore  e  coli' elevazione  del  percento  della 
umidità  relativa.  È  logico  perciò  il  dedurre,  che  il  pronunciarsi  di  tali  fe- 
nomeni in  modo  straordinario  in  quei  mesi,  potrebbe  servire  a  presagio  di 
uno  sviluppo  di  febbri  malariche  nei  mesi  d'estate  e  d'autunno.  Ne  viene 
di  conseguenza  il  doversi  ammettere,  che  per  lo  sviluppo  delle  febbri  ma- 
lariche esercitino  un'  importante  azione  i  calori  nel  II  e  nel  III  trimestre, 
in  quanto  che  mediante  questi  viene  riscaldato  il  terreno  diggià  umidissimo, 
il  quale,  divenuto  adatto  allo  sviluppo  dei  germi  infettivi,  non  solo  li  man- 
tiene, ma  dà  loro  adito  ad  espandersi  nell'  atmosfera  col  mezzo  delle  correnti 
ascendenti  che  si  formano  coli'  evaporazione  dalla  superficie  del  suolo. 

A  dilucidare  in  miglior  guisa  tale  fatto,  io  citerò  ad  esempio  l'anno  1886, 
durante  il  quale  la  malaria  dominava  con  estrema  violenza  nella  provincia 
e  specialmente  in  Pola.  Sebbene  esso  faccia  eccezione  alle  medie  ora  citate, 
per  avere  avuto  il  massimo  delle  pioggie  in  giugno,  tuttavia  pel  motivo 
che  queste  furono  anteriori  ad  enormi  calori  e  siccità  estive,  può  benissimo 
servire  ad  esempio  luminoso. 

Durante  l'anno  1886,  dunque,  dopo  alcuni  mesi  di  relativa  scarsezza 
di  pioggia,  nei  quali  il  pluviometro  dell'  Istituto  idrografico-magnetico  del- 
l' i.  r.  marina  di  guerra  in  Pola,  non  segnava  oltre  gli  84.8  millimetri  ed 
anzi  in  maggio  s' abbassava  a  soli  28.0,  nel  giugno  avvenivano  si  forti  cadute 
d'acqua,  che  l'istrumento  registrava  200.7  millimetri.  A  tali  pioggie  abbon- 
dantissime seguiva  un'estrema  siccità  in  luglio  con  soli  14.2  millimetri  di 
caduta  d'acqua,  ed  appena  gradatamente  crescendo  si  raggiungeva  nel  de- 
'cembre  la  cifra  di  millimetri  189.0.  Nel  luglio  susseguente  alle  grandi  cadute 
d'acqua,  quando  il  terreno  era  saturo  d'umidità,  la  durata  media  del  sole 
arrivava  ad  ore  12  e  24  centesimi  giornaliere,  raggiungendo  li  20  un  mas- 


—  357  — 

simo  di  97.4  in  percenti.  La  temperatura  dell'aria  arrivava  perciò  alla  media 
di  gradi  23.26,  quella  del  suolo,  in  media,  durante  tutte  le  ore  del  giorno 
alla  superficie  libera,  a  31°,  ed  a  25  centimetri  di  profondità  a  gradi  27, 
per  poi,  nei  mesi  susseguenti,  diminuire  gradatamente.  Col  crescere  della 
temperatura  aumentava  pure  la  pressione  e  l'evaporazione,  la  quale  ultima 
s'alzava  di  tanto,  fino  a  raggiungere  nel  settembre  l'apice  di  3.00  millimetri, 
assieme  col  massimo  sviluppo  di  casi  di  malaria. 

Il  succedersi  regolare  di  tali  curve  senza  saltuarietà,  per  poi  com- 
binare esattamente  con  quelle  della  malaria ,  serve  a  provare  che  una 
qualunque  relazione  pur  vi  esistesse  fra  tali  fenomeni  meteorologici  ed  il 
decorso  dell'  endemia.  Se  a  titolo  di  confronto  vengono  esaminate  le  cifre 
offerteci  da  un  anno  di  forte  endemia,  come  fu  il  1879,  troviamo  che  nei 
mesi  primaverili  si  avessero  115.94  millimetri  di  pioggia,  nel  luglio  gradi 
26.6  e  nell'agosto  24.7  di  temperatura  dell'aria,  con  siccità  quasi  assoluta 
in  questi  due  mesi,  ai  quali  seguiva  un'  endemia  che  dava  il  500  °/00  di 
ammalati  alla  guarnigione  ed  il  275  %o  alla  popolazione  civile.  Se  invece 
osserviamo  un  anno  relativamente  immune  (dico  relativamente,  che  d' im- 
munità assoluta  in  Pola  non  si  può  ancora  parlare),  nel  1875  p.  e.,  troviamo 
che  il  massimo  della  caduta  d'acqua  avveniva  in  giugno  con  61  millimetri, 
mentre  in  agosto  pioveva  abbondantemente,  in  modo  che  il  pluviometro 
segnava  120  millimetri,  in  un'epoca  cioè,  in  cui  negli  anni  d'endemia  regnava 
la  siccità.  Diffatti  nel  1875  il  contingente  malarico  era  relativamente  piccolo 
e  la  guarnigione  non  dava  che  il  uo%o  di  malarici. 

Queste  esperienze  ch'io  riassumeva  nel  1886  e  che  indi  esponeva  di- 
nanzi alla  Commissione  sanitaria  di  Pola,  parlano  evidentemente  in  favore 
della  teoria  malarigenica  prima  accennata  ;  e  diffatti  se  vuoisi  ammettere  che 
un  germe  qualsiasi,  appartenga  esso  al  regno  animale  o  vegetale,  alligni  e 
viva  in  tutti  quei  terreni  ove  regna  la  malaria,  e  che  questo  germe  per  la 
sua  nascita,  pel  suo  sviluppo  e  per  la  sua  esistenza  e  propagazione  abbisogni 
d'  umidità  e  di  calore  ;  se  si  ammette  inoltre  che  questo  germe  non  viva 
nell'acqua  lungi  dall'aria,  ma  che  sia  aerobio,  cioè  avido  d'aria,  non  riescirà 
arduo  l'avvicinarsi  alla  soluzione  del  problema.  Dal  momento  che  si  ammette 
come  provato,  che  solamente  l'aspirazione  dell'aria  infetta  valga  a  produrre 
le  febbri,  si  deve  ritenere,  che  esclusivamente  nell'aria  si  debba  trovare  il 
germe  malefico. 

Neil'  inverno  e  nei  primi  mesi  della  primavera,  quando  i  prati  e  le 
vallicelle  sono  coperti  d'  acqua  ed  in  generale  il  terreno  ne  è  inzuppato, 
quando  la  temperatura  è  inferiore  ai  150  C,  i  germi  in  parola  per  due  motivi 
rimangono  inattivi  ;  in  primo  luogo  perchè  sono  coperti  dalle  acque,  ed  in 


-  358  - 

secondo  luogo  perchè  di  essi  non  esistono  che  pochi  esemplari  intatti,  com- 
misti ad  un  numero  rilevante  di  spore  (se  trattasi  d'uno  schizomicete),  o  di 
un'essere  in  istadio  inferiore  (se  trattasi  d'un  animale),  che  di  regola  resistono 
persino  al  gelo.  Quando  dopo  le  pioggie  autunnali  od  invernali  succede  la 
siccità  ed  il  terreno  si  essicca  quasi  perfettamente,  periscono  i  germi  nello 
stadio  primitivo  per  mancanza  delle  condizioni  necessarie  alla  loro  esistenza, 
o  si  sviluppano  in  piccolo  numero.  Ma  se  invece  nei  primi  mesi  dell'anno 
cadono  delle  forti  pioggie,  che  ovunque  umettano  il  terreno,  ed  a  queste 
succedono  i  calori  estivi,  i  germi  si  sviluppano  abbondantemente  nel  suolo, 
e  col  formarsi  delle  correnti  ascendenti  in  seguito  all'evaporazione,  vengono 
inalzati  nell'aria  e  si  espandono  nelle  regioni  circostanti.  Pel  sopraggiungere 
indi  delle  pioggie  autunnali  ed  invernali,  il  terreno  viene  coperto  dalle 
acque  ed  in  questo  modo  i  germi  vengono  trattenuti  nel  suolo,  epperciò 
è  reso  ad  essi  impossibile  d'  elevarvisi. 

Questo  fenomeno,  che  noi  in  ogni  anno  di  malaria  osserviamo  in  Istria, 
venne  pure  osservato  nella  Campagna  romana  ed  in  altri  siti  '). 


V. 


Osservate  le  varie  fasi  dei  fenomeni  meteorologici,  quali  si  succedono 
negli  anni  d'endemia  od  in  quelli  che  ne  vanno  immuni,  sorge  la  domanda 
come  esse  possano  stare  in  relazione  favorevole  coi  corollari  dipendenti  da 
altri  fattori  ed  esposti  al  principio  del  capitolo  antecedente. 

Accettandosi  per  provato  che  due  sono  i  fattori  meteorologici  che  fa- 
voriscono la  malaria  :  1'  umidità  del  terreno  (o  meglio  dire  la  pioggia)  ed 
il  calore,  ci  resta  d' indagare  come  i  momenti  accennati  nei  corollari  possano 
contribuire  a  favorire  l'effetto  degli  stessi. 

I.  Esaminando  i  risultati  della  tabella  geologica,  vediamo  che  la  malaria 
evita  possibilmente  le  marne,  i  tasselli,  e  preferisce  i  terreni  calcarei,  spe- 
cialmente se  cretacei.  Chi  ha  attraversata  la  cosidetta  Istria  gialla,  percor- 
rendo i  monti  da  Pirano  verso  Momiano,  Berda  ecc.  oppure  si  è  recato 
nei  dintorni  di  Pisino,  avrà  veduto  che  gli  strati  geologici  si  sovrappongono 
1'  uno  all'  altro  in  serie  esatte  parallele  ;  avrà  osservato  eh'  essi  non  sono 
disposti  in  linea  verticale  al  suolo,  ma  bensì,  nella  maggior  parte  dei  casi, 


')  Vedi  le  opere  citate  a  pag.  340. 


—  359  - 

in  linea  orizzontale  ;  avrà  veduto  od  udito  dire  ancora,  che  il  paesaggio  è 
fornito  d'acque,  che  sgorgano  abbondanti  da  molte  sorgenti,  trovantisi  alle 
falde  dei  poggi,  sempre  verdeggianti,  od  a  metà  del  declivio.  Né  mai  gli  sarà 
riescito  di  scoprire  stagni  d'  acque  ferme,  ma  invece  avrà  osservato  che  i 
contadini  abbeverano  gli  animali  ai  laghetti  d' acque  disposti  attorno  alle 
sorgenti. 

Su  questi  terreni  non  alligna  che  scarsamente  la  malaria.  La  causa  di 
tale  favorevole  condizione  igienica  però  non  è  a  ricercarsi  nella  qualità 
speciale  della  roccia  o  della  formazione  geologica  in  generale,  ma  bensì 
nello  scolo  facilitato  delle  acque,  dipendente  sì  dalla  disposizione  degli  strati, 
che  dalla  elevatezza  dei  terreni  sul  livello  del  mare.  Si  osserva  diffatti  come 
le  acque  piovane  che  cadono  sui  terreni  appartenenti  alle  formazioni  marnose, 
trovino  facile  il  defluvio  verso  le  sottostanti  valli,  inquantochè  le  stesse  dopo 
aver  attraversato  lo  strato  superficiale  di  humus,  raccolgonsi  su  quello  for- 
mato da  una  dura  roccia  d'arenaria,  e  scorrono  su  questo  seguendo  il  declivio 
dello  stesso,  raccogliendosi  alla  base  delle  colline,  ove  formano  dei  corsi 
d'acqua.  Talvolta  tali  acque  sgorgano  alla  superficie  del  suolo  alla  metà  dei 
colli  ed  anche  sugli  altipiani  formati  dagli  stessi,  nei  siti  ove  fanno  capolino 
alla  superficie  le  teste  degli  strati  marno-arenacei,  recanti  le  acque  raccolte 
in  località  più  elevate.  È  in  tal  modo  che  hanno  origine  le  numerose  sorgenti 
d'acqua  eccellente,  che  riscontratasi  ovunque  sulle  formazioni  eoceniche  della 
marna. 

Dunque,  tanto  per  la  disposizione  stratigrafica  di  tali  terreni,  quanto  per 
la  loro  elevatezza,  ha  luogo  in  essi  una  specie  di  drenaggio  naturale  o  di 
fognatura,  in  grazia  della  quale  l'acqua  viene  smaltita,  ed  il  terreno  asciu- 
gato facilmente  ed  in  corto  tempo  dopo  le  pioggie,  per  quanto  abbondanti 
esse  sieno  state. 

Milita  però  in  favore  di  tale  fenomeno  anche  la  configurazione  oro- 
grafica dei  terreni  arenaceo-marnosi.  Di  confronto  a  quelli,  di  cui  si  di- 
scorrerà in  avanti,  consistenti  d' una  continuazione  non  interrotta  di  altipiani, 
intersecati  qua  e  là  da  basse  collinette  o  da  vallicelle  insignificanti,  la  zona 
istriana  marno-arenacea  offre  un  continuo  avvicendarsi  di  colli  alti,  talvolta 
di  centinaia  di  metri,  uniti  spesso  fra  di  loro  in  modo  da  formare  delle 
catene  lunghe  parecchi  chilometri,  fra  i  quali  decorrono  gole  anguste  e  talora 
spaziose,  allungantesi  a  foggia  di  ridenti  vallate.  Le  acque  piovane  perciò 
trovano  facilmente  lo  scolo,  e  giù  per  il  declivio  dei  colli  o  per  l' imo  delle 
valli  s'  aprono  il  passaggio,  e  vanno  a  sboccare  nell'alveo  dei  fiumi  o  dei 
torrenti. 

É  naturale  quindi,  che  nelle  località  ora  indicate  il  calore   dell'  estate 


—  360  — 

non  offra  alla  malaria  occasione  a  svilupparsi,  giacché  quella  stagione  col- 
pisce terreni  regolarmente  drenati. 

Altrimenti  avviene  nei  terreni  della  zona  cretacea,  ove  la  malaria,  come 
s'  è  veduto,  vi  spadroneggia. 

A  primo  aspetto  il  passeggiero  distingue  facilmente  le  parti  che  appar- 
tengono alla  zona  cretacea.  Colpisce  all'istante  il  colorito  del  terriccio,  rosso 
in  varie  gradazioni,  consistente  d' un'  argilla  ocracea,  densa  e  pesante,  che 
dal  Taramelli  viene  indicato  col  nome  di  terreno  siderolitico,  prodotta  da 
vulcani  sottomarini  nell'epoca  miocenica;  e  colpisce  ancora  la  configurazione 
del  suolo,  che  decorre  a  guisa  di  continui  altipiani  dall'  Est  all'  Ovest,  così 
da  diminuire  in  elevazione  mano  a  mano  che  si  avvicina  alla  costa  occi- 
dentale della  provincia. 

Tale  declivio  quasi  regolare  della  zona  cretacea  verso  le  sponde  del 
mare,  specialmente  rimarcabile  nei  distretti  politici  di  Parenzo  e  di  Pola  ed 
anche  nelle  isole  del  Quarnero,  dovrebbe  riescire  adatto  a  mantenere  uno 
scolo  permanente  delle  acque  piovane.  Invece  non  è  così.  Raramente  riscon- 
transi  nell'  Istria  rossa  i  ruscelli,  mentre  di  fiumi  o  di  torrenti  non  se  ne 
possa  neppur  fare  parola;  e  scarsissime  vi  sono  pure  le  sorgenti.  Le  acque 
meteoriche  perciò  non  scorrono  al  mare,  ma  fermansi  nel  terreno,  dal  quale 
vengono  assorbite,  per  ritornare  all'atmosfera  in  forma  di  vapore,  o  passare  pel 
terreno  poroso  nel  sottosuolo,  pieno  di  anfratti,  di  sinuosità  e  di  caverne. 

Per  qual  motivo  avviene  ciò  ?  La  causa,  come  ora  ho  accennato,  è  a 
ricercarsi  in  buona  parte  nella  qualità  litologica  del  suolo,  il  quale,  composto 
di  strati  calcari-cretacei,  screpolati  e  sparsi  di  fessure,  permette  l'approfon- 
darsi delle  acque  piovane.  In  buona  parte  lo  scolo  mancato  è  d'  attribuirsi 
alla  configurazione  stessa  del  suolo  negli  altipiani  cretacei.  Ho  detto  più 
sopra  che  il  declivio  regolare  verso  il  mare  degli  altipiani  in  parola,  dovrebbe 
favorire  lo  smaltimento  delle  acque  piovane,  il  che  allora  soltanto  potrebbe 
avvenire  quando  esso  declivio  fosse  realmente  regolare.  Invece  si  osserva 
che  gli  altipiani  stessi  sono  formati  in  parte  da  lunghe  ed  irregolari  vallicelle, 
decorrenti  in  tutte  le  direzioni,  e  di  basse  collinette,  le  quali,  a  seconda  che 
sono  isolate  od  unite  fra  di  loro  da  elevazioni  del  suolo,  precludono  spesso 
il  varco  alle  vallicelle,  che  restano  perciò  altrettante  conche  prive  di  sfogo. 
In  aggiunta  a  ciò,  qua  e  là,  ad  ogni  pie'  sospinto,  s'ha  occasione  di  im- 
battersi in  abbassamenti  del  suolo  in  superficie  limitatissime,  formanti  delle 
forate  a  guisa  d' imbuto,  in  fondo  alle  quali  trovasi  raccolta  buona  quantità 
'  di  humus.  Inoltre  ricorrono  frequenti  nell'  Istria  rossa  le  voragini,  profonde 
talvolta  più  diecine  di  metri,  le  quali  quasi  sempre  mettono  capo  a  caverne, 
di  cui  è  fornitissimo  il  sottosuolo. 


-  $€i  - 

È  evidente  che  tali  caratteri  del  suolo  rendono  frustranea  la  favorevole 
disposizione  del  declivio  verso  il  mare,  per  il  che  le  acque  piovane,  non 
trovando  libero  il  corso  verso  di  esso,  chiuse  entro  le  conche  o  convogliate 
nelle  forate  o  nelle  voragini,  debbono  venir  assorbite  dal  terreno,  mante- 
nendolo umido,  e  favorendo  in  tal  guisa  all'  epoca  dei  grandi  calori  una 
enorme  evaporazione  dal  suolo  e  lo  scoppio  delle  febbri.  E  che  ciò  avvenga 
di  fatto,  lo  manifesta  il  senso  d'umidità  che  si  avverte  nelle  ore  pomeridiane 
dell'  estate  nei  paesi  cretacei. 

II.  L'  elevazione  del  suolo  sul  livello  del  mare  influisce  sullo  sviluppo 
della  malaria  in  ragione  inversa  di  se  stessa.  Vediamo  diffatti  che  coli'  inal- 
zarsi del  suolo  sul  livello  del  mare,  diminuisce  la  malaria.  Tale  diminuzione 
dipende  in  primo  luogo  dallo  scolo  delle  acque,  che  avviene  in  modo  più 
facile  nei  paesi  posti  a  grandi  altezze,  ed  in  secondo  luogo  dalla  temperatura 
dell'  aria  e  del  suolo,  che  in  essi  si  mantiene  ad  un  livello  più  basso,  di 
confronto  ai  paesi  vicini  alla  costa.  Devesi  però  aggiungere  che  i  siti  più 
alti  della  provincia  appartengono  nella  massima  parte  alle  zone  marno-are- 
nacee,  per  sé  stesse  poco  favorevoli  allo  sviluppo  della  malaria. 

III.  Riguardo  ai  boschi  abbiamo  veduto  anteriormente  coni'  essi,  ab- 
benchè  intercettino  una  quarta  parte  delle  acque  piovane,  pure,  attesa  la 
poca  perdita  che  di  esse  avviene  mediante  l'evaporazione,  —  di  due  terzi 
inferiore  che  all'aria  aperta  —  la  quantità  d'acqua  che  trattengono  mantiene 
un  grado  d' umidità  di  molto  superiore  a  quella  che  riscontrasi  nei  siti 
aperti.  Sebbene  nei  boschi  la  temperatura  mantengasi  in  media  annuale  in- 
feriore del  21%  a  quella  dei  terreni  nudi;  considerato  però  che  ad  onta 
di  tale  abbassamento  la  temperatura  conserva  un  grado  abbastanza  alto  nel- 
l'estate, in  modo  da  favorire  lo  sviluppo  della  malaria  ;  visto  anche  che  la 
temperatura  nelle  ore  di  notte  nel  suolo  dei  boschi  si  mantiene  più  elevata 
che  nei  terreni  nudi,  devesi  inferire  che  i  boschi  influiscano  potentemente 
alla  genesi  ed  allo  sviluppo  dei  germi  malarici.  S'aggiunga  che  la  diminuita 
circolazione  dell'aria  entro  un  bosco,  oltre  al  mantenere  l'umidità,  trattiene 
entro  di  esso  i  germi  malarici  e  ne  favorisce  lo  sviluppo.  Differenti  possono 
divenire  le  condizioni  entro  i  terreni  boschivi,  quando  la  coltura  di  essi, 
abbenchè  boschiva,  divenga  razionale,  e  si  provvegga  ad  un  regolare  scolo 
delle  acque  ;  giacché  in  tal  guisa  diversi  fattori,  causa  di  malaria,  verrebbero 
eliminati. 

IV.  I  terreni  coltivati  altrimenti  esercitano  un'azione  contraria,  benché 
in  grado  ristrettissimo,  alla  malaria,  probabilmente  pei  lavori  di  drenaggio 
od  almeno  di  scolo,  che  negli  stessi  a  scopo  agricolo  devono  venir  praticati. 
I  terreni  incolti  invece  non  esercitando  alcuna  speciale  influenza  sullo  svi- 


—  362  — 

luppo  della  malaria,  vanno  soggetti  alle  condizioni  generali  e  perciò  non 
meritano  uno  studio  speciale. 

V.  Un  aumento  di  popolazione  può  influire  efficacemente  contro  lo 
sviluppo  della  malaria,  in  quanto  molti  lavori  d' indole  agricola  possono 
contribuire  a  sanare  il  terreno,  fra  i  quali  l'escavo  di  fossi,  l'allontanamento 
dei  boschi,  oppure  un  miglioramento  nelle  condizioni  di  questi.  I  cenni 
storici  però,  eh'  io  esporrò  sulle  condizioni  igienico-malariche  della  pro- 
vincia nei  secoli  decorsi,  serviranno  di  certo  a  rendere  evidente  quanto  il 
diminuire  o  l'accrescere  della  popolazione  indigena  dell'  Istria  abbia  contri- 
buito a  favorire  o  ad  arrestare  1'  endemia. 

Mentre  i  dati  finora  esposti  hanno  specificato  le  cause  che  nel  complesso 
della  provincia  sono  apportatrici  di  malaria,  devesi  notare  ancora  che  altre 
particolari  condizioni  esercitano  in  speciali  località  la  loro  influenza,  come, 
per  esempio,  le  maremme,  ed  i  paludi,  i  quali,  per  essere  molto  limitati 
nella  provincia,  non  hanno  che  un'  importanza  locale,  e  non  influiscono 
perciò  in  qualsiasi  modo  sulla  teoria  or  ora  esposta. 


VI. 


Che  se  le  osservazioni  antecedentemente  esposte  valgono  forse  a  di- 
mostrare in  quale  relazione  trovami  i  vari  fenomeni  meteorologici  colle 
proprietà  telluriche  dei  paesi  malarici,  apprendiamo  da  quelli  e  contempo- 
raneamente dalle  stesse  relazioni  mediche  un  altro  momento  di  non  minore 
importanza. 

Quando  noi  prendiamo  in  considerazione  la  serie  delle  località  della 
provincia,  che  sono  più  o  meno  infette  dal  morbo  malarico,  troviamo  che 
questa  serie  abbraccia  un'  ampia  periferia,  e  che  essa  non  si  limita  a  com- 
prendere dei  comuni  censuari  aggruppati  isolatamente  in  certe  posizioni  della 
provincia,  ma  che  la  loro  rete  s'  estende  dappertutto,  senza  risparmiare  né 
monti,  o  valli,  né  formazioni  eoceniche  o  cretacee,  escludendo  forse  i  paesi 
posti  al  di  là  del  ciglione  del  Carso.  Tutt'  al  più  1'  endemia  nel  colpire  i 
vari  comuni  osserva  una  certa  gradazione  d'intensità,  e  perciò  essa  colpisce 
alcuni  molto  gravemente  ed  altri  soltanto  lievemente. 

Vediamo  indi  come  tale  gradazione  si  renda  più  manifesta  in  alcuni 
'anni  ed  in  altri  meno,  a  seconda  delle  varie  vicende  meteoriche. 

Tale  fenomeno  ci  porta  perciò  nell'  idea  che  in  tutta  la  provincia,  ove 
finora  ebbero  a  svilupparsi  delle  endemie  malariche,  esista  la  predisposizione 


—  3^3  — 

al  morbo,  e  che  questa  allora  soltanto  si  manifesti,  quando  nel  terreno 
avvengano  dei  cangiamenti  termici  ed  idraulici  atti  a  favorirne  lo  svi- 
luppo. 

Siccome  la  predisposizione  al  morbo  presume  1'  esistenza  nello  stesso 
dei  germi  malarici  in  uno  stadio  di  latenza  più  o  meno  grande,  ne  viene 
che  si  deve  ammettere  che  questi  germi  debbansi  trovare  nel  suolo  di  forse 
tutta  la  provincia. 

Se  non  si  ammettesse  tale  principio,  farebbe  d' uopo  d' arrampicarsi 
sugli  specchi,  onde  cercare  la  causa  per  la  quale  alcune  località  di  solito 
ritenute  immuni,  vengono  invece  talfiata  colpite  dalle  febbri.  Diffatti  se  cer- 
chiamo tali  cause  nei  fenomeni  che  vengono  osservati  negli  anni  malarici, 
dovremmo  di  primo  acchito  attaccarci  alla  pioggia  ed  ammettere  che  i  germi 
malarici  fossero  contenuti  in  quelle  goccie,  formate  dal  concentramento 
dell'  umidità  atmosferica.  Ma  se  ciò  fosse,  siccome  le  nubi  camminano,  la 
pioggia  apporterebbe  la  febbre  dappertutto  e  non  in  certi  siti  soltanto.  In 
secondo  luogo  la  fantasia  ci  porterebbe  a  ricercarle  in  quelle  correnti  aeree, 
le  quali,  per  esser  passate  per  luoghi  malarici,  potrebbero  essere  pregne  di 
miasmi.  Lasciata  in  disparte  la  circostanza  che  quelle  correnti  aeree,  come 
sono  veloci  per  gli  altri  siti,  lo  sono  anche  per  i  nostri,  e  che  come  servono 
colà,  potrebbero  servire  anche  qui  da  scopa,  restano  quindi  ferme  le  espe- 
rienze del  dott.  Iilek  l)  —  confermate  anche  da  quelle  eseguite  in  Roma 
dal  Denza  e  dal  Tommasi-Crudeli l)  —  secondo  le  quali  resta  esclusa  ogni 
relazione  delle  dette  correnti  colla  malaria. 

Del  resto  il  pregiudizio  dell'  influenza  morbigena  delle  correnti  aeree 
è  molto  radicato  nelle  menti  dei  medici.  Basta  leggere  le  relazioni  mediche 
appartenenti  all'inchiesta  per  formarsene  un'idea.  In  quelle  la  malaria  viene 
indicata  come  prodotto  di  paludi  più  o  meno  lontane,  e  vi  si  accusano  i 
vari  venti  quali  apportatori  della  stessa  ;  senza  talvolta  neppur  pensare  se 
il  vento  sia,  per  la  sua  natura  o  per  la  sua  direzione,  atto  a  siffatto  uf- 
ficio. Capro  espiatorio  di  tale  accusa  è  in  ispecialità  lo  scilocco.  Circostanza 
questa  davvero  curiosa,  giacche  non  si  può  comprendere  come  venga  ac- 
cusato questo  vento  quale  apportatore  di  miasmi,  quand'esso,  per  la  tem- 
peratura della  corrente  che  lo  costituisce,  sta  nelle  alte  regioni  dell'atmosfera 


')  Iilf.k.  Op.  citate. 

')  Tommasi-Crudeli.  Clima  di  Roma  ;  e  'Della  influenza  dei  boschi  sulla  malaria.  Re- 
lazione citata. 


—  3^4  — 

e  da  queste  appena  discende,  quando  l'equilibrio  termico  sia  avvenuto.  Altro 
vento  accusato  gravemente  è  il  libeccio,  ed  a  questo  specialmente  alcuni 
vecchi  medici  attribuivano  la  malsanìa  di  Pola,  ammettendo  che  esso  recasse 
i  miasmi  delle  paludi  di  Comacchio  e  della  Venezia  ! 

Non  si  può  negare  che  di  spesso  il  miasma  provenga  nei  paesi  sani 
da  alcune  paludi  poste  in  una  certa  vicinanza,  ed  in  tal  caso  non  è  necessario 
di  ricorrere  ai  venti  per  cercarne  l'apportatore;  ma  basta  pensare  a  quelle 
correnti  aeree,  che  formansi  localmente,  quale  conseguenza  del  cambiamento 
nella  temperatura  del  suolo. 

Non  potendosi  ammettere  un  trasporto  di  germi  malarici  da  altre  lo- 
calità, devesi  inferire  che  essi  preesistano  nel  suolo  e  che  in  esso  restino 
in  uno  stato  di  latenza  fino  a  che  si  presentino  delle  circostanze  atte  a 
favorirne  lo  sviluppo. 

L' Istria  ci  porge  in  questo  riguardo  degli  esempi  luminosi.  Abbiamo 
p.  e.  i  monti  di  Muggia,  di  Capodistria  e  di  Pirano,  alcune  località  del 
distretto  di  Pisino,  alcune  situazioni  presso  Portole,  ove  la  malaria  non 
comparisce  che  negli  anni  di  grandi  endemie,  come  avvenne  p.  e.  nel  1861, 
1862,  1863,  1864,  1879  ecc.,  mentre  in  alcune  di  esse,  ogni  anno,  qualche 
raro  caso  vi  scoppia  in  forma  affatto  sporadica.  Interessanti  esperienze  su 
questo  proposito  ci  offre  la  valle  del  Quieto,  chiamata  valle  di  Montona. 
Questa  è  paludosa  quasi  completamente  fino  a  buon  tratto  dalle  foci  del 
fiume.  Fino  a  che  ci  sono  paludi  vere,  il  morbo  domina  con  forza  ed  am- 
morba il  paesaggio  che  fiancheggia  la  valle.  Dal  punto  delle  paludi  in  su, 
verso  le  sorgenti  del  fiume,  la  valle  è  sana,  perchè  non  è  paludosa,  ed  ap- 
pena in  alcuni  anni  di  grave  endemia  generale  a  tutta  la  provincia,  vengono 
colpiti  i  paesi  che  stanno  sui  pendi  meridionale  e  settentrionale,  come  si 
ebbe  ad  osservare  in  Crassezza  nel  1861.  Prima  di  quest'  epoca,  cioè  nel 
periodo  intercedente  dal  1837  al  1844,  quando  la  valle  era  coperta  di  acque 
stagnanti  a  basso  livello,  la  città  di  Montona  avea  terribilmente  a  soffrirne. 
Ora  ciò  non  avviene  perchè,  con  un  eccellente  sistema  di  scolo,  le  acque 
vengono  smaltite  defluendo  nell'  alveo  del  Quieto.  Il  che  vuol  dire  che 
presentemente  le  condizioni  necessarie  allo  sviluppo  del  male  non  esistono, 
e  che  quando  queste  esistevano,  il  morbo  compariva  con  tutta  la  sua 
forza. 

Tale  teoria  dell'autoctonicità  della  malaria  non  è  nuova.  Il  Tommasi- 

Crudeli  ebbe  ad  avvertirne  la  giustezza   delle   condizioni   malariche   della 

'Campagna  romana  e  di  Roma  stessa.  In  questa  città  p.  e.  si  osservava  che 

dopo  il  1870  la  malsanìa  diminuiva  mano  a  mano  che  in  città  aumentava 

il  numero  dei  nuovi  fabbricati  e  l'espansione  del  lastricato  delle  vie,  il  quale 


-  3^5  - 

ei  quali  avrebbero  precluso  l'adito  nell'atmosfera  ai  numerosi  germi  ma- 
larici contenuti  nel  suolo  '). 

Se  ciò  non  bastasse  a  provare  1'  autoctonicità  della  malaria  nel  suolo, 
contribuirebbero  ancora  i  numerosi  bonificamenti  eseguiti  con  ottimo  esito 
in  molti  Stati,  fra  i  quali  voglio  citare  ad  esempio  quello  offerto  dai  din- 
torni di  Monaco  in  Baviera,  i  quali,  una  volta  malarici,  ora  sono  divenuti 
sani,  in  grazia  dei  lavori  di  drenaggio  eseguitivi !).  Il  Michigan  negli  Stati 
uniti  d'America,  malarico  per  eccellenza,  diveniva  alla  sua  volta  sano  com- 
pletamente a  merito  anche  qui  degli  eseguiti  lavori  di  drenaggio,  mentre 
nell'anno  1887  un  inalzamento  delle  acque  del  sottosuolo  portava  con  sé 
un  pronto  sviluppo  di  febbri  malariche  a  caratteri  tifosi,  indizio  questo  della 
morbilità  latente  del  suolo  8). 

Ci  sono  adunque  delle  località  in  provincia  nelle  quali,  perchè  si  svi- 
luppi la  malaria,  deve  succedere  delle  cadute  enormi  d'acqua  nel  I  trimestre 
dell'anno,  scarsezza  di  pioggie  nel  II  e  nel  III,  con  grandi  calori  nell'estate. 
Ce  ne  sono  delle  altre,  invece,  in  cui  la  malaria  domina  ogni  anno,  ed  in 
cui  il  numero  dei  colpiti  varia  più  o  meno  a  seconda  delle  vicende  me- 
teoriche prima  accennate.  Si  deve  però  ritenere  che,  eccettuate  le  località 
conosciute  per  assolutamente  sane,  il  miasma  malarico  esista  nel  suolo  in 
tutti  quei  siti  nei  quali  il  morbo  si  manifesta  in  forma  endemica  ogni  anno 
o  di  tratto  in  tratto,  e  che  la  frequenza  di  tale  sviluppo  si  trovi  in  con- 
nessione colle  condizioni  speciali  del  suolo,  colla  posizione  più  o  meno  ele- 
vata, colla  coltura  e  col  numero  della  popolazione.  Esclusi  poi  alcuni  siti, 
in  omaggio  a  circostanze  del  tutto  locali  e  speciali,  la  malaria  non  viene 
importata  mediante  le  correnti  aeree,  ma  si  sviluppa  nel  suolo  stesso  ove 
essa  domina  e  preesiste. 


■)  Tommasi-Crudeli.  Op.  cit. 

*)  Schneller  Albert.  Ueber  die  Verbrcitutig  des  fVechselfiebers  in  "Bayem  und  dessett 
Abnahme  in  den  ìet^len  lahr^ebnlen.  Mit  2  Kartcn.  —  Miinchen.  Ios.  Ant.  Finstcrlin,  1887. 

*)  Henry  B.  Baker.  Typhoid  Fever  and  ìow  WaUr  iti  We\h.  —  Lansing  Mich.  :  W. 
S.  George  &  Co.  State  Printers  and  BinJers,  1885. 


—  366  — 

Condizioni  igieniche  e  demografiche  della  provincia 
nei  secoli  passati  e  loro  nesso  colla  genesi  della  malaria. 


VII. 


Le  indagini  fatte  negli  ultimi  decenni  da  esimi  patriotti  intorno  alle 
condizioni  demografiche  ed  economiche  dell'  Istria  antica,  ci  sono  scorta  a 
giudicare  con  criteri  abbastanza  esatti  sulle  condizioni  sanitarie  di  essa,  sì 
nei  tempi  preistorici,  che  nei  posteriori.  E  già  si  venne  a  conoscere,  con 
probabilità  d'  aver  colto  nel  segno,  chi  fossero  gli  abitatori  dei  castellieri, 
che  cingono  i  vertici  di  buon  numero  delle  colline  isolate  dell'Istria  e  di 
molte  altre  eminenze,  e  a  penetrare  negli  usi  e  costumi  loro.  Codeste  no- 
tizie ci  porgono  il  filo  che  serve  a  svolgere  con  maggiore  facilità  il  gomitolo 
arruffato  delle  condizioni  igienico-telluriche  di  quei  tempi. 

Il  dott.  Kandler,  trascorrendo  la  provincia,  enumerava  321  castellieri. 
Presentemente  si  sa  che  il  loro  numero  è  maggiore.  Le  ricerche  del  dottor 
Andrea  Amoroso  ')  davano  per  risultato  che  dei  castellieri  noti,  42  appar- 
tengono all'  Istria  superiore  (negli  attuali  distretti  giudiziari  di  Trieste,  Ca- 
stelnuovo  e  Volosca);  123  all'Istria  media  (distretti  di  Capodistria,  Pirano, 
Pinguente,  Montona,  Pisino  ed  Albona)  e  141  all'  Istria  inferiore  (distretti 
di  Buje,  Parenzo,  Rovigno,  Dignano  e  Pola),  nonché  altri  15  nelle  isole  di 
Veglia,  di  Cherso  e  dei  Lossini,  dei  quali  Cherso  sola  ne  conta  8. 

Tale  distribuzione  ci  offre  buon  indizio  a  giudicare  quanto  differenti 
fossero  le  condizioni  igieniche  di  quei  tempi  dalle  attuali,  imperocché  ve- 
diamo che  quelle  parti  della  provincia  che  nei  tempi  preromani  erano  molto 
abitate,  ora  sono  invece  o  spopolate  o  scarse  molto  di  popolazione,  in  seguito 
appunto  alle  stragi  prodotte  dalla  malaria.  Colpisce  infatti  il  vedere  come 
l' Istria  inferiore,  ove  la  malaria  attualmente  domina  con  fierezza,  fosse  la 
parte  più  abitata,  e  come  il  numero  dei  castellieri  andasse  sensibilmente 
diminuendo  in  proporzione  inversa  coll'attuale  salubrità  del  suolo  nell'Istria 
media  e  notevolmente  nelP  Istria  superiore,  ora  sana  del  tutto. 


')  Andrea  dott.  Amoroso.  /  castellieri  istriani  e  la  necropoli  di  Fermo.  Negli  «  Atti 
e  memorie  della  Società  istriana  d'archeologia  e  storia  patria».  Annoi,  volume  unico, 
pag.  53-74. 


-  3*7- 

Volendo  anche  attribuire  tali  circostanze  a  cause  indipendenti  affatto 
dalle  condizioni  igieniche,  come  p.  e.  alla  maggiore  o  minore  fertilità 
del  suolo,  all'  ubicazione  esposta  a  più  o  meno  facile  difesa  ecc.,  non  si 
menoma  perciò  la  chiarezza  delle  cifre  ed  il  valore  della  testimonianza  da 
loro  offerta.  S'aggiunga  che  tale  testimonianza  accresce  di  pregio,  quando 
si  consideri  che  nelle  regioni  malariche  i  castellieri  occupano  appunto  i  punti 
più  infetti,  come  accade  di  osservare  nelle  vicinanze  di  Parenzo,  i  cui  colli 
circostanti,  un  di  sede  di  castellieri,  se  rendono  pittoresco  e  svariato  l'agro 
paremmo,  non  si  può  negare  tuttavia  che  vi  domini  intorno  ad  essi  un'at- 
mosfera mefitica  e  grave  di  germi  della  malaria. 

Tali  fatti  ci  dicono  adunque  come  nei  tempi  preromani  fosse  salubre  il 
suolo  istriano,  e  corri'  esso  fosse  ricco  d'abitanti  robusti  e  forti,  dediti  alla 
caccia,  alla  pastorizia,  all'  agricoltura,  alla  pesca,  ed  alla  navigazione. 

Il  Kandler  li  vuole  120,000  di  numero1)  ed  il  De  Franceschi  160,000*), 
valorosi  e  capaci  di  tener  fronte  gagliardamente  alla  potenza  romana,  e  di 
tentare,  dopo  le  gravi  perdite  subite  nel  177  a.  C,  una  riscossa  nell'  anno 
128  a.  C. 

Le  isole  stesse  del  Quarnero,  nelle  quali  oggi  la  popolazione  non  è 
molto  abbondante,  aveano  a  quei  tempi  un  numero  assai  più  grande  d'abi- 
tanti. Scimno  Chio,  geografo  anteriore  d'un  secolo  all'èra  cristiana,  assegna 
alle  isole  Assirtidi,  Liburne  ed  Elletridi  cento  cinquanta  migliaja  di  barbari, 
i  quali  erano  coltivatori  d'  ottimo  terreno,  che  loro  somministrava  ricchi 
prodotti  ed  animali  fecondi  '). 

E  tali  condizioni  perdurarono  nelle  epoche  del  dominio  romano,  durante 
il  quale  l' Istria  fioriva  per  straordinario  numero  di  popolazione,  forse  il 
doppio  del  presente  *),  per  la  serie  di  belle  città  che  adornavano  la  sua  costa 
e  P  interno,  le  quali,  secondo  P  Anonimo  ravennate,  scrittore  del  VII  od 
Vili  secolo  della  nostra  èra  sarebbero  state  in  numero  di  dodici,  mentre 
altri  autori,  come  Plinio,  Tolomeo,  Strabone,  le  fanno  ascendere  a  venti. 

Salubre  doveva  essere  il  suolo  istriano  nell'epoca  romana.  Lo  stato  di 
floridezza  di  molte  città,  cui  nei  secoli  posteriori  la  malaria  distruggeva  o 


')  Kandler.  Istria.  Anno  VI,  N.  18. 

*)  De  Franceschi.  L'Istria.  Note  storiche.  —  Parenzo.  G.  Coana,  1879,  pag.  49. 

*)  Scimno  Chio.  Urbis  descriptio,  v.  372  e  scf.  :  «  Sinum  Adriaticum  ferunt  barba- 
rorum  multitudinem  circumhabitare  centum  fere  et  quinquaginta  myriadibus,  regionem 
optimam  colentium  et  fructuosani,  gemellos  enim  parere  ctiam  pecora  ajunt». 

')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  57. 


—  368  — 

quasi,  come  Cktanova,  Parenzo,  Pola,  Umago  ;  le  rovine  di  molte  ville  ro- 
mane, di  bagni,  di  opifici  ecc.  che  noi  troviamo  sparse  ad  ogni  pie'  sospinto 
lungo  la  nostra  costa  e  anche  neh'  interno,  ci  fanno  credere  per  lo  meno 
alla  innocuità  del  terreno  in  quei  tempi  fortunati,  e  quindi  alla  mancanza 
di  quell'  atmosfera  mefitica,  che  ovunque  ora  si  solleva  dal  suolo  ocraceo 
dell'  Istria  media  e  meridionale. 

Ed  anche  quando  le  aquile  romane  cominciavano  a  piegarsi  alle  orde 
feroci  dei  barbari,  che  irruenti  attraverso  le  Alpi  gettavansi  con  rabbida 
fame  sul  decrepito  colosso  romano,  l' Istria  continuò  a  godere  d' un  benessere 
relativo.  La  costa  era  ancora  adorna  di  ville;  le  città  facevano  ancora  pompa 
di  splendidi  palazzi;  tant' è  vero  che  allorquando  nel  538  Cassiodoro,  mi- 
nistro del  re  Vitige,  dirigeva  ai  nostri  antenati  la  famosa  Epistola,  ei  non 
trova  che  espressioni  di  grande  meraviglia  ').  «  L' Istria  —  scriveva  egli  — 
»  è  provincia  prossima  a  noi  (Ravenna)  posta  sull'Adriatico,  coperta  di  olivi, 
»  ornata  di  granaglie,  abbondante  di  viti,  dai  quali,  come  da  tre  mammelle 
»  abbondantissime,  fluisce  con  desiderabile  fecondità  ogni  prodotto.  La  quale 
»  meritatamente  vien  detta  la  Campania  di  Ravenna,  la  dispensa  della  città 
»  reale,  voluttuoso  e  delizioso  diporto,  progrediente  verso  settentrione  in 
»  mirabile  temperatura  d'  aere.  Ha  sue,  che  non  a  torto  direi,  Baje,  nelle 
»  quali  il  mare  ondoso  entrando  nella  concavità  del  suolo,  s'arresta  placido 
»  in  bella  forma  di  stagni.  Questi  luoghi  nutriscono  molti  crostacei,  e  sono 
»  in  fama  per  l'abbondanza  dei  pesci.  Ne  un  solo  Avemo  vi  ha,  numerose 


')  Epistolario  di  Cassiodoro.  XXII.  22  (Kandler.  Istria.  IV,  anno  1849,  N.  5,  e 
Codice  diplomatico  istriano).  Estratto  :  «  Est  enim  proxima  nobis  regia  supra  sinum  maris 
Ionii  constituta,  olivis  referta,  segetibus  ornata,  vite  copiosa  ;  ubi  quasi  tribus  uberibuì, 
egregia  ubertate  largitis  omnis  fructus  optabili  foecunditate  profluvit.  Quae  non  immerito 
Ravennae  Campania,  urbis  regiae  cella  penuria,  voluptuosa  nimis  et  delitiosa  digressio, 
fruitur  in  Septentrione  pregressa,  coeli  admiranda  temperie.  Habet  et  quasdam,  non  absurde 
dixerim,  Baias  suas;  ubi  undosum  mare  terrenas  concavitates  ingrediens,  in  faciem  decoram 
stagni  aequalitate  deponitur.  Haec  loca  et  garismatia  plura  nutriunt,  et  piscium  ubertate 
gloriantur.  Avernus  ibi  non  unus  est.  Numerosae  conspiciuntur  piscinae  neptuniae  ;  quibus 
etiam  cessante  industria,  passim  astrea  nascuntur  injussa.  Sic  nec  studium  in  nutriendis, 
nec  dubietas  in  capiendis  probatur  esse  deliciis.  Praetoriae  longc  lateque  lucentia,  in  mar- 
garitarum  speciem  putes  esse  depositas  ;  ut  hinc  appareat  qualia  fuerint  iliius  provinciae 
Majorum  judicia,  quam  tantis  fabricis  constat  ornatam.  Additur  etiam  illi  litori  ordo  pul- 
cherrimus  insularum,  qui  amabili  utilitate  dispositus,  et  a  periculis  vindicat  naves,  et  ditat 
magna  ubertate  cultores.  Reficit  piane  comitatenses  excubias,  Italiae  ornat  imperium,  pri- 
mate delitiis,  mediocres  victualium  pascit  expensis,  et  quod  illic  nascitur,  pene  totum  in 
urbe  regiae  possidetur  ». 


—  3^9  — 

»  si  vedono  le  piscine  di  mare,  nelle  quali,  anche  cessando  l'industria,  na- 
»  scono  spontanee  le  ostriche;  cosicché  non  occorre  studio  nel  nutrire,  né 
»  incertezza  nel  pigliare  le  cose  delicatissime.  Crederesti  i  palazzi  da  lontano 
»  ed  ampiamente  splendenti,  essere  disposti  a  guisa  di  perle,  per  li  quali  è 
»  manifesto  quanto  ben  giudicassero  i  maggiori  nostri  questa  provincia,  se 
»  la  ornarono  di  tante  fabbriche.  Aggiungi  quella  bellissima  serie  d'  isole 
»  lungo  il  litorale,  la  quale  disposta  a  gradito  vantaggio,  ripara  le  navi  da 
»  pericoli,  ed  arricchisce  i  coltivatori  con  grande  ubertà.  Fornisce  di  tutto 
»  la  milizia  comitatense,  adorna  l'impero  d'Italia,  dà  delizie  ai  primati,  vitto 
»  ai  mediocri,  e  quanto  produce  passa  alla  citta  regale  ')  ». 

Siffatte  condizioni  felici,  ad  onta  delle  irruzioni  dei  barbari,  delle  distru- 
zioni e  depredazioni  dei  luoghi,  continuarono  per  diversi  secoli  ancora.  Ce 
ne  offre  una  prova  il  geografo  arabo  Abu-Abdallah-Mohamed-al  *),  cono- 
sciuto sotto  il  nome  di  Edrisi,  il  quale  avendo  viaggiata  la  provincia  nel 
secolo  XII,  la  descriveva  nella  sua  Geografia  nubiense  e  faceva  cenno  di 
splendide  e  popolose  città,  di  cui  alcuni  secoli  più  tardi  molte  perdevano 
ogni  importanza,  riducendosi  a  semplici  villaggi.  Riproduco  il  brano,  attesa 

la  sua  speciale  importanza  ')  :  «  b.rnnah  (Pirano)  è  città  ragguardevole 

»  bub.lah  (Buje),  città  grande  e  popolata um.lah  che  dicesi  pure 

»  'ngjab  (Insula.  Isola),  città  popolata  di  Franchi  (italiani) àmag'.ii 

»  (Umago),  la  popolazione  é  di  Franchi  e  la  città  è  posta  alla  marina 

»  g'.b.hntbab  (Cittanova),  che  è  la  nuova  città  appartenente  ai  Franchi 

»  Essa  è  divisa  in  due  pani,   delle  quali  una  è  al  piano,   1'  altra  sopra  un 

»  monte  che  domina  il  mare b.r.n'g'.ii,  che  altri  chiamano  b.r.n^tl 

»  (Parenzo)  é  città  popolata,  molto  fiorente,  ed  ha  legni  da  guerra  e  navi 

»  numerose rig.nù  (Rovigno),   che  appartiene  ai  Franchi 

»  é  città  grande  con  dintorni  ameni  e  molto  popolata bulab  (Pola) 

»  è  bella,  grande  e  popolata,  ed  ha  naviglio  sempre  allestito mu.diilituìb 

»  (Medolino),  città  ragguardevole  e  popolata albiinab  (Albona) 

»  /.làmina  (Flanona.  Fianona).  Queste  due  città  sono  popolate 

»  àl.wranah  (Lovrana)  é  città  grande  popolata,  in  prospere  condizioni  ;  ha 
»  navi  sempre  pronte  e  costruzioni  navali  incessanti.  Sul  confine  orientale 
»  di  questa  regione  trovatisi  montagne  continue  e  deserte  lande  ».  Nomina 
poi  quali  luoghi  notevoli  tamal.r.s  (Mattcrada)  e  d.sl.ri.s  (Capodistria). 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  56. 

')  Nacque  a  Ccuta  nel  1099. 

')  "Provincia  dell'Istria.  Periodico  bisettimanale  in  Capodistria,  anno  XIX,  N.   11. 


—  370  — 

Due  secoli  dopo,  abbenchè  le  floride  condizioni  dell'Istria,  per  cause 
che  più  tardi  si  passerà  in  rassegna,  fossero  diggià  sensibilmente  depresse, 
troviamo  che  l'aria  ed  il  clima  si  mantenevano  ancora  favorevoli.  La  città 
di  Capodistria,  su  cui  nei  secoli  posteriori  la  malaria  aggravava  la  sua  azione 
fatale,  godeva  nel  1363  fama  di  tale  salubrità  e  mitezza  di  clima,  che  il 
Petrarca  invitava  da  Venezia  il  Boccaccio  a  passarvi  alcuni  giorni,  onde  fug- 
gire, se  egli  le  temesse,  le  mefitiche  emanazioni  della  palude  veneta.  «  Ibimus 
»  hinc  —  egli  scriveva  —  erisque  tu  mihi  secessionis,  fonasse  utilis  at  pro- 
»  fecto  delectabilis,  auctor  et  comes.  Commigrabimus  Iustinopolim  ac  Ter- 
»  gestum,  unde  mihi  fidelibus  votiva  temperis  nunciatur ')  ». 

Appena  nel  secolo  XIV  parlano  le  memorie  d'  un'  insalubrità  del  suolo 
istriano.  La  prima  testimonianza  infatti,  la  troviamo  in  alcuni  dati  che  ci 
offrono  i  Senato  misti,  dai  quali  risulta  appunto  come  il  doge  concedesse  al 
podestà  di  Cittanova  di  poter  passare,  fai  causa  dell'insalubrità  dell'aria*), 
tre  mesi  dell'  anno  a  Venezia.  E  la  malsania  dei  luoghi  s'  andava  vieppiù 
estendendo  per  la  provincia  e  per  le  isole  contribuendo  ad  aumentare  la 
desolazione  e  lo  spopolamento,  causati  dalle  pesti  e  dalle  guerre  di  quei 
tempi. 

Accennato  così  per  sommi  capi  all'antica  salubrità  del  suolo  istriano, 
mi  farò  a  cercare,  per  quanto  le  notizie  raccolte  lo  possano  permettere,  le 
cause  che  nel  corso  dei  secoli  lo  deteriorarono. 


Vili. 


Abbiamo  veduto  nei  capitoli  precedenti,  come  il  miasma  malarico,  di 
cui  si  deve  ammettere  la  preesistenza  nel  suolo,  venga  favorito  nel  suo 
sviluppo  dall'umidità  e  dal  calorico.  Le  notizie  storiche  esposte  or  ora  in 
succinto  farebbero  credere  che  l' Istria  nei  tempi  antichi  fosse  sana.  Ne  viene 
di  conseguenza,  doversi  ammettere  la  mancanza  nei  detti  tempi  di  quei  fe- 
nomeni meteorologici,  che  sono  sorgente  di  umidità  e  di  calore.  Ma  siccome 
ciò  non  è  ammissibile,  si  deve  pensare  che  il  suolo  si  trovasse  sotto  l' influsso 


')  Fr.  Petrarca.  Ep.  Seti.  Lib.  III.  Ep.  1  verso  la  fine  (7  settembre  1563).  «Ar- 
cheografo  triestino  »;  serie  vecchia,  voi.  I,  pag.  236. 

*)  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  »  voi.  Ili, 
pag.  30. 


—  37i  — 

di  circostanze  speciali,  mercè  le  quali  l'azione  dei  detti  fenomeni  rimanesse 
in  buona  parte  paralizzata. 

Le  ricerche  antecedentemente  esposte  ci  davano  per  risultato  che  la 
umidità  del  suolo  proviene  dal  deficiente  drenaggio,  dalla  coltura  boschiva, 
dalla  poca  elevatezza  del  terreno  sul  livello  del  mare,  ed  anche  dalla  man- 
canza di  popolazione.  Citiamo  quest'  ultimo  momento  perchè  esso  può  in- 
fluire sulla  mancata  attivazione  di  bonifiche  idrauliche  e  sul  dissodamento 
del  terreno. 

Sarebbe  arrischiato  l'ammettere  che  nei  tempi  preromani  venissero  ese- 
guiti dei  lavori  di  drenaggio.  Almeno  qui  in  Istria  non  se  ne  hanno  vestigia. 
La  vita  semplice  delle  tribù  che  l'abitavano  prima  dell'occupazione  romana, 
non  richiedeva  certo  1'  attivazione  di  bonifiche  ;  ed  anzi  in  quei  tempi  il 
ristagno  delle  acque  era  di  certo  minore  che  al  giorno  d'  oggi,  attesa  la 
elevatezza  maggiore  del  terreno  sul  livello  del  mare.  Forse  che  nei  tempi 
romani  vennero  praticati  dei  lavori  di  scolatura  delle  acque,  ma  per  quanto 
a  me  consta,  almeno  nell'aperta  campagna,  non  ne  vennero  scoperte  mai 
traccie  ;  mentre  tali  lavori  venivano  eseguiti  nelle  citta  con  ammirabile  arte, 
come  s'ebbe  campo  di  accertarsene  a  Pola  ed  a  Parenzo  nel  tracciato  dei 
canali  romani. 

La  mancanza  di  lavori  di  fognatura  nei  predi  romani  in  Istria  è  cosa 
che  sta  in  aperta  contradizione  cogli  usi  di  quella  nazione,  la  quale  attribuiva 
ai  lavori  di  drenaggio  una  speciale  importanza.  Il  passo  di  Columella  che 
qui  citiamo  ')  varrà  di  certo  a  darcene  un'idea.  «Parleremo  —  dice  egli  — 
»  come  si  possa  apparecchiare  a  coltura  una  regione  selvatica,  perchè  pre- 
»  parasi  prima  il  terreno  e  poi  si  coltiva.  Consideriamo  adunque  se  il  terreno 
»  è  umido  o  secco,  coperto  di  giunchi,  o  vestito  di  gramigna  o  impedito 
»  di  selci  ed  altri  arboscelli.  Se  sarà  umido  si  facciano  i  fossi,  i  quali  sono 
»  di  due  maniere;  coperti  (fognature)  e  scoperti  (affossature)  *).  Nelle  regioni 
»  di  terreno  compatto  e  cretoso  si  facciano  le  affossature,  ma  ove  la  terra 
»  è  più  sciolta  alcuni  fanno  le  affossature,   altri  le  fognature,   che  mettono 


')  Columella.  Lib.  II,  2.  Dall'opera  :  Manzi  Luigi.  L' igiene  rurale  degli  antichi  romani 
in  relazione  al  bonificamento  dell'agro  romano.  «Annali  d'agricoltura»  1885  (Ministero  di 
agricoltura,  industria  e  commercio).  —  Roma.  Er.  Botta,  1885,  pag.  76. 

*)  «In  cultum  igitur  locum  consideremus,  siccus  an  humidus-nemorosus  arboribus; 
an  lapidibus  confragosus  ;  juncone  sit  an  gramine  vertitus,  ac  silictis  aliisve  frutetis  im- 
peditus.  Si  humidus  erto,  abundantia  uliginis  ante  siccetur  fossis.  Earum  duo  genere  co- 
gnovimus,  caecarum  et  patentium ». 


—  372  — 

»  capo  alle  affossature.  Facciami  queste  più  larghe  di  sopra  e  pendenti  re- 
»  stringendosi  in  fondo,  come  un  capo  volto  in  giù.  Perchè  in  quelli  che 
»  hanno  i  lati  erti,  cioè  sono  rettangolari,  si  corrompono  più  facilmente  le 
»  acque,  e  la  terra,  che  vi  precipita  di  dentro,  le  ricolma.  Le  fognature  si 
n  scavano  alla  profondità  di  tre  piedi;  la  metà  si  riempie  con  ghiaja  e  piccole 
»  pietre,  e  si  appiana  il  terreno.  Non  essendovi  ghiaja  o  pietre,  vi  si  buttano 
»  fascine,  le  quali  formino  una  graticciata,  sicché  copra  il  suolo.  Si  cercherà 
»  poi  di  coprirle  con  terra  calcata,  mista  a  foglie  di  pino  e  di  cipresso  ed 
»  altre  frondi.  Si  mettano  ai  due  lati  di  sopra  della  fossa  grosse  pietre,  come 
»  si  pratica  appunto  per  i  piccoli  ponti,  e  sopra  di  esse  una  terza  per  as- 
»  sodarne  in  tal  modo  le  sponde  e  per  facilitarne  le  scolo  delle  acque1)». 

Di  tali  lavori  finora  non  ne  vennero  scoperti  in  Istria,  circostanza 
questa  rimarchevole,  quando  si  consideri  quanto  estesa  fosse  nella  provincia 
la  colonizzazione  romana.  Ciò  ci  autorizza  a  supporre  che  tali  affossature 
o  fognature  non  fossero  necessarie,  per  la  mancanza  in  generale  d'una  so- 
verchia umidità  del  terreno,  la  quale  circostanza  attesta  pure  la  salubrità  del 
clima  d'  allora. 

Ciò  che  ora  esporrò,  servirà  a  maggiormente  avvalorare  una  tale  sup- 
posizione. Si  ha  motivo  a  ritenere  positivamente  che  i  coloni  romani  co- 
noscessero benissimo  il  morbo  ;  giacché  la  malaria  esisteva  in  Roma  e  nei 
suoi  dintorni  persino  nelle  epoche  del  massimo  suo  splendore,  e  tutt'  al 
più  era  limitata  a  piccole  dimensioni  dai  lavori  praticati  e  dalla  saggia  coltura 
agricola.  Ai  tempi  in  cui  l' Istria  passava  divisa  fra  i  coloni  romani,  la  ma- 
laria regnava  in  quelle  località  della  regione  romana  ove  trovavansi  Ardea, 
Anzio,  Lavinio  e  Pomezia,  delle  quali  quest'  ultima  spariva  ai  tempi  di 
Tiberio.  Un  esempio  luminoso  della  conoscenza  del  morbo  malarico  da  parte 
dei  coloni  romani  lo  troviamo  in  Tito  Livio,  il  quale  racconta  che  nel 
secolo  V  di  Roma  (anno  413  U.  C. ;  339  a.  C),  durante  la  guerra  San- 
nitica,  Capua,  che  si  era  resa  per  capitolazione  ai  Sanniti,  veniva  ripresa 
dalle  legioni,  e  che  dopo  la  vittoria  i  legionari  si  ammutinarono.  La  ragione 
dell'  ammutinamento  era  questa  :  trovavano  strano  che  la  gente,  la  quale 
non  era  stata  capace  di  difendere  le  ubertose  terre  dell'agro  campano,  tor- 
nasse a  godersele,  e  domandavano  se  fosse  giusto  che  essi  invece,  che  si 
erano  rovinata  la  salute  nella  guerra,  dovessero  ritornare  a  lavorare  nel  suolo 
ingrato  e  pestifero  dell'  agro  romano,  ovvero  restare  dentro  Roma  a  discre- 


')  Vedi  anche  Plinio  H.  N.  Lib.  XVIII,  49. 


—  373  — 

zione  degli  usoraj  ').  Notisi  in  aggiunta  il  fatto  che  a  Roma  era  da  molto 
tempo  stabilito  il  culto  alla  Dea  Febbre.  Ad  essi  perciò  non  potevano  essere 
ignoti  i  lavori  di  drenaggio  praticati  nella  capitale  e  nei  dintorni  della  stessa; 
lavori  esattissimi  e  capaci  di  smaltire  prontamente  le  acque  del  sottosuolo 
e  di  sanare  per  conseguenza  il  terreno  *).  Il  non  aver  i  romani  eseguito  tali 
lavori  in  Istria,  che  pure  occupavano  dall'alto  al  basso,  immedesimandosi 
cogli  antichi  abitatori  ed  abitandone  le  sedi,  vuol  dire  che  di  tali  lavori  non 
faceva  d'uopo  perchè  il  terreno  era  sano. 

Altrimenti  sta  la  facenda  riguardo  ai  boschi.  Le  testimonianze  degli 
antichi  autori  recano  che  l' Istria  fosse  coperta  da  folte  ed  alte  selve,  in- 
signi per  la  bontà  del  legname;  composte  di  quercie,  di  aceri  e  di  pini'). 
A  motivo  di  queste  selve,  il  terreno  sarebbe  stato  più  umido  d'oggidì,  cosi 
almeno  lo  descrive  Scimno  Chio  4),  mentre  esse  avrebbero  prodotto  una 
maggiore  mitezza  di  clima  in  confronto  dell'  epoca  presente.  L' umidità 
maggiore  del  suolo  nei  terreni  imboschiti  doveva  esistere  realmente,  e  per 
essa  sarebbe  stato  certamente  favorito  lo  sviluppo  del  germe  malarico, 
quando  il  suolo  lo  avesse  contenuto.  Siccome  però  i  boschi  non  sono  fattori 
di  malaria  che  in  maniera  indiretta,  vale  a  dire  non  producono  il  morbo, 
ma  lo  favoriscono  soltanto  quando  ricoprono  terreni  malarici 5),  la  loro  presenza 
parlerebbe  in  favore  della  salubrità  del  suolo  istriano  di  quei  tempi,  perchè 


')  Tiro  Livio.  Libro  VII,  Capit.  XXXVIII.  Da  Tommasi  Crudeli  op.  cit.  pag.  55 
«  An  aequum  essct  dcdititios  suos  (Capuae)  illa  fertilitatc  atque  amoenitatc  pcrfrui,  se, 
militando  fessos,  in  pestilente  atque  arido  circa  urbeni  solo  luctari,  aut  in  urbem  insidentem 
tabem  crescentis  in  dies  foenoris  pati?». 

')  Tommasi-Crudeli.  Op.  cit.  pag.  50-51. 

*)  Strabone.  (Strabonis  Geographica  Graece  cum  versione  reficta  curantibus  C.  Mol- 
lerò et  F.  Dubnero  —  Parigi,  1853).  5.  1.  12.:  «Et  quae  colitur  terra,  omnis  generis 
copiosos  praebet  fructus;  et  sylvae  tantum  glandis  suppeditant,  ut  ex  porcorum  gregibus, 
qui  ibi  pascuntur,  Roma  fere  alatur».  —  Indi  Plinio  H.  N.  16,  15  :  «Acer  ejusdem  fere 
amplitudinis,  operum  elegantia  ac  subtilitate  cedro  secundum.  Plura  ejus  genera.  Album 
quod  praecipui  candoris,  vocatur  gallicum,  in  transpadana  Italia  transque  Alpes  nascens. 
Alterum  genus  crispo  macularum  discursu,  qui  cum  excellentior  suit,  a  similitudinae  caudae 
pavonum  nomen  accepit,  in  Istria  Rhaetiaque  praecipuum».  —  Benussi.  L' Istria  sino  ad 
Augusto.  —  Trieste.  Herrmanstofer,  1883.  (Estratto  dall'  «Archeografo  triestino»)  pag.  258. 

')  Scimno  Chio.  Op.cit.  v.  372.  «Aer  autem  a  Pontico  diversus  apud  eos  est,  quamvis 
vicini  Ponto  sint.  Non  nivosus  enim  neque  nimis  frigidus,  sed  humidus  omnino  usque 
permanet  ;  subito  vero  turbulentus  ad  mutationes,  praesertim  aestate,  presterumque  et 
jactus  fulminum  dictosque  habet  typhones.  —  Vedi  anche  Benussi,  op.  cit    pag.  260. 

*)  Tommasi-Crudeli.  Op.  cit.  pag.  100. 


—  374  — 

se  questo  non  fosse  stato  salubre,  la  maggior  umidità  avrebbe  reso  impos- 
sibile 1'  abitarlo. 

Però  l'umidità  del  suolo  e  dell'atmosfera  dominante  in  quei  tempi  nel- 
T  Istria,  in  un  grado  a  quanto  sembra  maggiore  d'oggidì,  trovava  un  mo- 
deratore nell'elevatezza  del  terreno  sul  livello  del  mare  superiore  alla  odierna. 
Per  tale  circostanza  lo  scolo  delle  acque  era  più  facile,  così  pure  la  tem- 
peratura dell'  aria  dovevasi  mantenere  ad  un  grado  inferiore  dell'  attuale  ; 
ed  anzi  in  questo  riguardo,  in  grazia  delle  selve  che  coprivano  in  maggior 
estensione  le  montagne  settentrionali  che  cingono  la  provincia,  le  vicende 
atmosferiche  e  per  conseguenza  anche  i  mutamenti  nella  temperatura  non 
dovevano  essere  sì  repentini  come  adesso.  Ciò  ammette  mitezza  di  clima 
sì  nell'  inverno  che  nell'  estate,  condizioni  queste  che  depongono  per  una 
maggior  salubrità  della  provincia  a  quei  tempi. 

Si  fece  cenno  superiormente  dei  mutamenti  nell'  elevatezza  del  suolo 
istriano,  i  quali  sarebbero  avvenuti  dall'epoca  romana  fino  ai  nostri  giorni. 

È  cosa  ormai  accertata,  che  la  costa  orientale  dell'Adriatico  —  e  per 
conseguenza  anche  quella  dell'  Istria  —  va  abbassandosi  lentamente,  ma 
costantemente.  Questo  abbassamento  viene  calcolato  da  qualcuno  per  0.3  m., 
e  da  altri,  con  più  ragione,  per  2  centimetri  ogni  secolo  ').  Di  tale  abbas- 
samento abbiamo  diverse  prove.  Troviamo  notate  negli  autori  che  scrissero 
sull'Istria,  delle  isole  che  ora  più  non  esistono.  Dalla  punta  di  Salvore  in 
giù  vediamo  segnate  le  isole  Sepomaja  o  Sepomago  s),  che  ora  sono  ridotte 
probabilmente  alle  secche  di  Sipar.  Più  a  mezzogiorno  c'erano  le  isole  di 
Cervera,  ora  semplici  scogli,  visibili  soltanto  durante  le  basse  maree  ').  Da 
Rovigno  a  Pola  lungo  la  costa  s'estendevano  due  gruppi  d' isole  :  le  Ossane 
e  le  Pullari.  Cissa  s'estendeva  in  continuazione  all'  isola  di  5.  Andrea  (chia- 
mata allora  Sera)  fino  alla  punta  Barbarica,  che  mantiene  tuttora  il  nome 
di  punta  Cissana,  ed  era,   come  si  ha  motivo  a  ritenere,   molto  abitata  *). 


')  Benussi.  Op.  cit.  pag.  26.  —  Filiasi  Giac.  Memorie  storiche  dei  Veneti  primi  e 
secondi.  Voi.  5.  17.  —  Carli.  ^Antichità  italiche.  3.  —  Kandler.  Istria.  1.  5.  —  Dott.  G. 
F.  Hahn.  Untersuchungen  ùber  das  Aufsteigen  und  Sinken  der  Kùsten.  Lipsia,  1879,  §  91.  — 
Iilek.  Op.  cit.  pag.  47. 

*)  Tabula  Peutingeriana  0  Teodosiana.  Marco  Welser.  —  Venezia,  1591.  —  Sonvi 
segnate  le  isole  Sepomaja,  Ursaria,  Pullaria. 

'  »)  Ravennatis  Anonymi  (Guidonis  presbyteri  IX  saeculi).  Geographia,  Lib.  V,  varie 

edizioni.  —  Segna  le  isole  Poraria,  Sera,  Cissa,  Pullaria,  Ursaria,  Cervaria. 

4)  Kandler.  Istria,  anno  3,  n.  52  e  Codice  diplomatico  istriano,  a.  750. 


—  375   - 

Quest'  isola  sprofondava  nel  salso  sul  finire  del  secolo  Vili,  e  tuttora,  quando 
il  mare  è  calmo,  si  possono  scorgere  nel  fondo  estese  rovine  di  fabbricati  '). 

Tale  abbassamento  del  suolo  viene  in  aggiunta  confermato  da  altre 
circostanze.  Praticando  degli  scavi  in  quelle  che  già  furono  città  romane 
dell'  Istria  litoranea,  avviene  spesso  d' imbattersi  in  pavimenti  formati  di 
magnifici  mosaici  di  pretto  lavoro  romano,  i  quali  trovansi  nella  massima 
parte  ad  un  livello  inferiore  dell'attuale  alta  marea.  Siccome  non  è  ammis- 
sibile che  quei  pavimenti  sieno  stati  costruiti  originariamente  a  quel  livello, 
il  che  avrebbe  assoggettato  1'  abitazione  ad  un  continuo  allagamento,  ne 
viene  che  si  deve  ammettere  che  dall'epoca  della  loro  costruzione  ad  oggi 
sia  avvenuto  un  notevole  abbassamento  del  suolo.  Rimarcabilissimo  fu  ed 
è  questo  fenomeno  a  Parenzo,  dove  anche  di  recente,  scavandosi  le  fonda- 
menta per  erigere  la  nuova  ala  del  palazzo  provinciale,  e  cosi  pure  negli 
scavi  praticati  nella  Cattedrale  a  scopo  archeologico,  si  ebbe  a  constatare 
qualmente  il  livello  dell'impiantito  romano,  tuttora  visibile  nei  residui  dei 
mosaici,  fosse  di  circa  60  centimetri  inferiore  dell'  attuale,  e  quindi  acces- 
sibile all'  acqua  del  mare  nell'  alta  marea. 

Un'altra  prova  di  ciò  la  troviamo  in  quanto  ci  è  narrato  dal  Kandler  '). 
Il  fu  marchese  Francesco  Polesini  partecipava  li  7  agosto  1849  al  dottor 
Kandler  quanto  segue  :  «  In  un  orto  del  sig.  Francesco  Corner,  degno  nostro 
»  Podestà,  quasi  a  filo  di  terra  esistono  alcune  traccie  di  archi,  sulli  quali 
»  erano  state  inalzate  le  antiche  civiche  mura.  —  Spinto  da  quella  lodevole 
»  curiosità  di  conoscere  le  cose  andate,  ha  pensato  di  fare  un  escavo,  onde 
»  assicurarsi  fino  a  qual  punto  giungessero  le  loro  fondamenta.  Levata  in 
»  parte  la  terra  che  li  ingombravano,  si  presentarono  infatti  due  grandi  archi 
»  di  uno  stile  gentilissimo,  non  comune,  benché  costrutti  da  semplici  pietre, 
»  senza  segni  d' architettonici  fregi.  Sono  sostenuti  questi  da  un  pilastro 
»  della  doppia  grossezza  di  quello  di  ciascun  arco.  Al  fondo  ove  sorgono  si 
»  trovò  un  selciato  durissimo  e  bene  compatto  di  ciottoli,  il  quale  fa  conoscere  che 
»  eravi  una  strada  formale;  questo  suolo  è  al  livello  del  mare  ».  È  naturale 
che  tale  strada  non  venne  costrutta  al  livello  del  mare,  ma  che  invece  vi 
giunse  pel  consecutivo  abbassamento  del  suolo. 

Sebbene  tale  abbassamento  non  corrisponda,  come  fu  detto,  che  a  forse 
due  centimetri  per  secolo,  pure,  calcolando  i  secoli  che  sono  decorsi  dal- 


')  Benussi.  Op.  cit.  pag.  26.  Nota  41  in  fine. 
')  Kandler.  Istria,  anno  VI,  n.  45. 


—  376  — 

l'epoca  dell'occupazione  romana  fino  a  noi,  nel  numero  di  circa  diecinove, 
avremmo  d'  allora  ad  oggi  una  differenza  di  38  centimetri,  cifra  di  certo 
non  indifferente.  Le  conseguenze  di  tale  abbassamento  si  possono  supporre, 
ma  difficilmente  decifrare  ;  giacché  i  cambiamenti  apportativi  in  linea  idro- 
grafica, possono  essere  stati  influenzati  favorevolmente  o  sinistramente  anche 
da  altre  circostanze. 

Se  noi  esaminiamo,  a  cagion  d'  esempio,  le  descrizioni  che  ci  danno 
gli  antichi  scrittori  delle  cose  istriane  intorno  ai  corsi  d'  acqua  della  pro- 
vincia, troviamo  delle  enormi  differenze  fra  quei  tempi  ed  i  nostri,  special- 
mente in  quanto  riguarda  l' interrimento  delle  valli  in  cui  scorrono. 

La  valle  di  Stagnone,  nella  quale  scorre  il  fiume  Risano,  noto  ai  tempi 
romani  sotto  il  nome  di  Formione  (Formio),  era  allora  occupata  dal  mare 
per  un'  estensione  molto  più  vasta  che  al  presente  ').  In  essa  valle  il  colle 
di  Sennino  formava  un'  isola,  quando  in  oggi  per  le  alluvioni  è  unito  alla 
terraferma.  Le  alluvioni  quindi  succedutesi  alla  costa,  specialmente  alle  falde 
dei  monti  di  formazione  marno-arenacea,  producevano  ulteriori  interrimenti, 
pei  quali  l' isola  Capraria,  sulla  quale  ora  sta  Capodistria  veniva  unita  alla 
terraferma.  Altrettanto  può  dirsi  dello  scoglio  su  cui  ora  sorge  Isola. 

La  stessa  cosa  avveniva  nella  valle  AtW'Argaon  o  Dragogna,  ora  nota 
sotto  il  nome  di  valle  di  Sicciole.  Il  mare,  che  ora  appena  arriva  ad  una 
linea,  che  dalla  punta  di  Sezza  si  estende  fino  al  Porto  Madonna,  a  quei 
tempi  lambiva  il  colle  di  Castelvenere. 

Più  manifesti  sono  tali  mutamenti  nella  valle  del  Quieto,  detta  Valle 
di  Montana.  Il  fiume  che  la  percorre  è  il  Quieto,  forse  l' litro  degli  antichi, 
il  Nengon  dell'Anonimo  ravennate  s).  La  valle  principia  presso  Pinguente  a 
piedi  del  ciglione  del  Carso  con  due  braccia;  l'una  attraversata  dalla  Braz- 
zana,  l'altra  percorsa  dal  Quieto.  Riunitisi  i  fiumi  sopra  Sovignacco  e  ri- 
cevuta a  sinistra  la  Bottonegla,  continua  il  Quieto  il  suo  corso  per  la  valle 
fino  al  porto  Quieto.  Il  fiume  ora  non  lascia  il  passaggio  che  a  barche 
piccole,  le  quali,  appena  quando  il  colmo  d'  acqua  lo  permetta,  possono 
ascenderlo  fino  sotto  Montona.  Anticamente  invece  tutta  la  parte  inferiore 
era  canale  marittimo,  pel  quale  il  mare  penetrava  fino  sopra  Pietrapelosa, 
ed  anzi  fino  alle  Porte  di  ferro  verso  Pinguente.  Ora  pei  depositi  alluvio- 
nali che  rialzano  la  valle  da  metri  1  a  1.5  per  ogni  secolo,  e  per  la  tra- 


')  Benussi.  Op.  cit.  pag.  13.  Note. 
2)  Ibid. 


—  377  — 

scurata  canalizzazione,  il  canale  è  ridotto  ad  un  fiume  d'  un  alveo  molto 
ristretto.  Le  alluvioni  interrirono  pure  in  parte  il  porto  Quieto,  che  alcuni 
secoli  sono  era  capace  per  ogni  naviglio.  Diggià  nel  secolo  XVII  l'inter- 
rimento era  notevole  e  si  rimpiangevano  i  tempi  quando  le  galere  venete 
ascendevano  il  fiume  per  8  o  io  miglia  '). 

La  stessa  cosa  si  ripete  nella  valle  dell'Arsa,  nella  quale  oggidì  il  mare 
s'interna  per  15  eh  'ometri,  mentre  anticamente  s'internava  per  23  *). 

È  naturale  che  tali  mutamenti  nell'aspetto  delle  valli,  tanto  per  la  re- 
strizione avvenuta  nella  libertà  di  decorso  delle  acque,  quanto  per  la  perdita 
di  terriccio  sofferta  dai  monti,  non  potevano  essere  scevri  d'influenza  sulla 
intera  idrografia  della  provincia,  e  favorire  l'effetto  del  progressivo  abbas- 
samento del  suolo. 


IX. 


Mentre  le  circostanze  esposte  nel  precedente  capitolo,  e  che  servono  a 
provare  la  salubrità  dell'  Istria  nei  tempi  preromani  e  romani,  furono  attinte 
solamente  alla  comparazione  di  fatti  d' indole  del  tutto  orografica  ed  idro- 
grafica, si  tenterà  in  questo  di  cercare  anche  in  altri  momenti  un  appoggio 
alla  tesi  impostaci. 

Abbiamo  veduto  nel  capitolo  VI  come  gli  antichi  abitatori  preromani 
dell'  Istria  ponessero  le  loro  sedi  sulla  cima  dei  colli,  oppure  sulle  promi- 
nenze degli  altipiani  e  dei  monti  istriani.  L'essere  buona  parte  di  tali  sedi, 
ora  dette  castellieri,  site  in  posizioni  che  ora  sono  notoriamente  malariche, 
e'  indusse  a  ritenerle  quale  prova  della  salubrità  dell'  Istria  a  quei  tempi. 
Diffatti  se  presentemente  a  qualcuno  saltasse  il  ticchio  di  passar  delle  notti 
d'estate  p.  e.  sui  colli,  che  sono  castellieri,  di  S.  Angelo  o  delle  Mordelle 
vicino  a  Parcnzo,  potrebbe  essere  sicuro  di  buscarsi  la  febbre.  Eppure  a  quei 
tempi  impunemente  vi  si  abitava,  ed  allorché  i  Romani  divennero  padroni 
dell'  Istria,  essi  pure  vi  posero  dimoia  ')  senza  detrimento  della  loro  salute. 


')  Tommasini  Giac.  Fil.  (+  1654).  Dei  Commentarli  storici-geografici  della  provincia 
dell'Istria.  Libri  otto  (nell'  « Archeografo  triestino»  voi.  IV,  1837)  Lib.  I,  Cap.  1. 

')  Bexl'ssi.  Loc.  cit.  pag.  14. 

')  Dott.  A.  Amoroso.  Le  necropoli  preistoriche  dei  Pogugbi.  «  Atti  e  memorie  della 
Società  istriana  d'archeologia  e  storia  patria».  Voi.  V,  pag.  226-261,  con  io  Tavole. 


-  378  _ 

Oltre  a  ciò  esistevano  allora  una  serie  di  città  e  di  luoghi  abitati,  che 
ora  più  non  esistono,  e  di  cui  buon  numero  riposavano  sopra  terreni  pre- 
sentemente malarici.  Cominciando  dal  settentrione,  troviamo  alla  punta  di 
Salvore  collocato  un  luogo  chiamato  dall'Anonimo  Ravennate  ora  Silbio  ed 
ora  Silbonis.  Di  questo  luogo  non  esiste  che  la  tradizione,  essendone  com- 
pletamente sparite  le  traccie.  Quando  sia  avvenuta  la  sua  distruzione  non  ci 
fu  dato  di  rilevare.  Ciò  successe  forse  nel  secolo  IX,  per  opera  dei  corsari 
narentani.  Più  ad  oriente,  alla  punta  chiamata  ora  di  Catoro,  nella  località 
detta  Sipar,  trovavasi  un  luogo  abbastanza  di  rilievo,  se  si  osservano  le  ampie 
rovine  che  coprono  tutta  la  superficie  della  punta  e  s'estendono  entro  terra, 
nonché  nel  fondo  del  mare.  L'Anonimo  Ravennate  lo  chiama  Siparis,  adom- 
brato forse  nel  termine  Sepomaja  (Sipar-Umago)  della  Tavola  Peutingeriana. 
Questo  luogo  conservava  una  certa  importanza  fino  neh"  875,  quando,  di- 
strutto dal  Bano  Domogoi  capo  dei  Narentani,  si  riduceva  ad  un  umile 
villaggio,  esistente  ancora  nel  1650'). 

A  mezzogiorno  di  Rovigno  sull'  antico  agro  polese  trovavasi  la  città 
di  Vistro,  la  quale,  almeno  come  città,  avrebbe  cessato  di  esistere  forse 
prima  del  secolo  V,  giacché  non  ne  viene  fatto  cenno  dall'Anonimo  Ra- 
vennate. In  continuazione  dell'odierna  isola  di  S.  Andrea  (di  Sera)  vicino  a 
Rovigno,  s'estendeva  l'isola  sopra  la  quale  giaceva  la  città  di  Cissa,  impor- 
tante per  numero  di  popolo  e,  come  da  taluni  si  pretende,  per  essere  stata 
più  tardi  sede  vescovile.  Di  questa  città  viene  fatta  menzione  nella  Notitia 
ulriusque  imperii  compilata  nel  428  ;  sprofondavasi  nel  mare  verso  l'anno  740 
o  745,  in  modo  che  la  sommità  del  colle  è  ora  a  15  tese  sotto  l'acqua  !).  Si 
dice  che  la  causa  di  tale  sprofondamento  sia  stata  provocata  dal  crollo  d'una 
caverna  di  saldarne,  poiché  questo  venne  dilavato  dal  mare  *). 

All'oriente  di  Pola,  nelle  vicinanze  dell'odierna  Altura,  esisteva  la  città 
od  oppidum  di  Nesa^io  (Nesactium).  Ultimo  baluardo  delle  tribù  primitive 
contro  i  conquistatori  romani,  dopo  essere  caduto  nelle  loro  mani,  veniva 
da  quelli  prima  distrutto  e  poi  ricostruito.  Nominato  da  Tito  Livio  là  dove 
parla  della  conquista  dell'  Istria  fatta  dai  Romani,  viene  da  Plinio  (23-79  &•  C.) 
e  da  Tolomeo  (II  secolo  d.  C.)  indicato  quale  oppidum,  e  come  tale  segnato 
nella  Tavola  Peutingeriana  (250  d.  C.)  e  dall'Anonimo  Ravennate  (V  secolo). 
La  memoria  di  questa  città  si  perde  indi  nella  storia,   così  da  non  sapere 


')  Tommasini.  Op.  cit.  Voi.  IV,  pag.  292. 
*)  Kandler.  ninnali. 
*)  Ibid. 


—  379  — 

persino  dove  fosse  ubicata.  Ora  si  ritiene,  e  non  senza  fondamento,  che  la 
detta  città  fosse  situata  al  fianco  occidentale  della  valle  di  Badò  nel  luogo 
detto  Visone,  (corruzione  di  Nesazio),  dove  estese  rovine  attestano  la  pregressa 
esistenza  d'  un  grande  luogo  abitato. 

Se  noi  indaghiamo  nelle  pagine  della  storia,  troveremo  che  a  queste 
città  e  luoghi  importanti,  giacenti  in  località  eminentemente  malariche  (Cissa 
forse  eccettuata),  molti  altri  luoghi  di  secondaria  importanza  si  potrebbero 
aggiungere,  i  quali  ora  non  esistono  più.  Avremo  p.  e.  la  stazione  di  Nengon 
all'  odierno  Ponte-porton  in  valle  del  Quieto  ;  il  sito  di  Nigrignanttm  sul 
monte  Formento  a  ponente  di  Visinada,  che  durava  fino  al  1324,  ridotto  già 
nel  1277  a  trovarsi  in  mezzo  ad  una  landa  spopolata1);  Castel  S.  Giorgio 
(S.  Giorgio  in  Laimis)  forse  1'  antico  Novetium,  sito  importante,  collocato 
in  vista  del  mare  sul  versante  settentrionale  della  valle  del  Quieto,  vicino 
alla  foce  del  fiume.  Esso  esisteva  ancora  nel  1371  quale  luogo  decaduto*). 
Traccie  di  numerosi  villaggi  si  riscontrano  inoltre  in  molte  località  della 
provincia,  p.  e.  sulla  spiaggia  di  Peroi,  ora  affatto  deserta,  ove  esistono 
rovine  di  tre  villaggi,  ed  abbondanti  ne  sono  gli  indizi  sulla  costa  ora  dis- 
abitata da  Ro vigno  a  Dignano  *). 

S' aggiunga  che  ad  ogni  pie'  sospinto  lungo  la  riva  o  nell*  interno 
dell'Istria  noi  c'imbattiamo  in  avanzi  di  ville,  di  bagni,  di  depositi  figulini 
grandiosi,  come  p.  e.  a  Laron  presso  Cervera.  Oltre  a  ciò  le  numerose 
iscrizioni  che  vennero  scoperte  in  molti  punti  della  provincia  ci  parlano  di 
templi  eretti  agli  Dei  nei  siti  più  svariati  di  essa.  Abbiamo  p.  e.  testimo- 
nianza d'  un  tempio  a  Giunone  Feronia  a  Villanuova  di  Verteneglio,  di 
templi  all'Istria  ed  alla  Fortuna  nelle  vicinanze  di  Rovigno  o  forse  di  Vistro 4). 
Né  mancano  le  testimonianze  di  edifizi  balneari  in  siti  ora  eminentemente 
malarici,  come  p.  e.  sull'  isola  maggiore  dei  Brioni  nel  seno  di  Val  Cadena, 
nella  valle  marina  del  Quieto  sotto  Villanuova  coli'  iscrizione  :  Colonis. 
Incolis.  Peregrinis.  Lavandis.  Gratis.  D.  D.  P.  P.  P.  *),  e  forse  alla  punta 
di  Pizzale  vicino  Parenzo,  ove  estese  rovine  venivano  scoperte  alcuni  anni 
or  sono,  in  terreno  che  ora  è  frammisto  notevolmente  a  rottami  di  mattoni 
ed  a  frammenti  di  calcinaccio. 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  140-141  e  Codice  diplomatico  istriano. 
*)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  205. 
•)  lbid.  pag.  57. 
')  lbid.  pag.  60. 
•)  lbid.  pag.  61-62. 


—  380  — 

Giustificato  era  perciò  l'entusiasmo  di  Cassiodoro  quando  descrivendo 
la  costa  dell'  Istria  esclama  :  «  Praetoria  longe  lateque  lucentia  in  margari- 
»  tarum  speciem  putes  esse  depositas  :  ut  hinc  appareat  qualia  fuerint  illius 
»  provinciae  Majorum  judicia,  quam  tantis  fabricis  constat  ornatam  ». 

A  queste  felici  condizioni  s'  aggiunga  una  popolazione  più  numerosa 
di  quella  d'oggidì.  Il  De  Franceschi  ritiene  che  sotto  i  Romani  essa  fosse 
pervenuta  ad  un'  altezza  almeno  doppia  della  presente  ;  il  che  non  può 
sembrare  esagerato  quando  si  consideri  che  Pola  raggiungeva  nell'  epoca 
della  sua  floridezza  persino  la  cifra  di  35000  abitanti,  e  Parenzo  quella 
di  10000. 

Da  tutte  le  circostanze  ora  esposte  risulterebbe  quindi  abbastanza  ac- 
certato il  fatto,  che  l' Istria  non  avesse  insalubrità  d'aria  nei  tempi  preromani 
e  romani.  E  mentre  gli  autori  latini,  sia  pure  per  incidenza,  fanno  talora 
cenno  della  malsanìa  dell'  aria  intorno  a  Roma,  non  ne  troviamo  invece 
alcuna  allusione  in  quelli  che  si  occuparono  della  nostra  provincia,  e  che 
abbiamo  più  sopra  ricordato.  Tale  circostanza  vale  pure  a  confermare  la 
nostra  supposizione. 

Rendesi  perciò  interessante  di  scoprire  quando  e  per  quali  motivi  il  suolo 
dell'  Istria  sia  addivenuto  malsano  nei  secoli  posteriori. 


X. 


Veduti  i  cambiamenti  del  suolo  dopo  l'epoca  romana,  e  specialmente 
specificati  quelli  che  furono  in  intima  relazione  cogli  abbassamenti  di  esso 
e  con  l'interrimento  delle  valli;  poco  o  nulla  ci  resta  a  dire  dei  successivi 
fenomeni  tellurici,  essendoché  le  cronache  posteriori  non  ne  facciano  men- 
zione. Tuttavia  citeremo  quelli  che  per  la  loro  rilevanza  possono  ritenersi 
quale  espressione  di  movimenti  importanti  della  crosta  terrestre,  nonché 
effetto  di  squilibri  atmosferici.  Cercheremo  invece  di  dare  particolare  rilievo 
a  quegli  avvenimenti  pei  quali  l' Istria  dovette,  per  diminuzione  di  popolo 
o  per  altri  motivi,  perdere  la  salubrità  del  clima,  che  prima  godeva. 

Dal  I  al  VI  secolo.  —  Fino  al  II  secolo  dell'era  nostra  sembra  che  l'Istria 
sia  stata  risparmiata  da  disgrazie  rilevanti.  Non  consta  se  la  peste,  che  nel- 
l'anno ventesimosecondo  dopo  Cristo  ha  colpito  gravemente  l'Italia  '),  rispar- 


')  Kandler.  Annali. 


-  38i  - 

miasse  l' Istria.  £  certo  però  che,  quand'  anche  essa  ne  fosse  visitata,  la 
estensione  del  male  siasi  limitata  a  lievi  proporzioni,  incapaci  di  recare  gravi 
conseguenze  ;  imperocché  a  quest'  epoca  susseguivano  anni  di  floridezza  e 
di  grandezza  per  la  nostra  provincia.  Nel  192  d.  C.  invece  vi  scoppiava 
un'esizialissima  pestilenza,  cosi  da  indurre  la  citta  di  Pinguente  ad  erigere 
una  lapide  votiva  in  ringraziamento  d'  esserne  la  città  andata  esente  '). 

Nei  secoli  immediatamente  posteriori  ai  succitati,  l' Istria  non  deve 
aver  molto  sofferto  dalle  incursioni  barbariche  che  sfasciarono  l' impero 
romano,  se  Cassiodoro  potè  tessere  di  lei  nel  538  la  splendida  descrizione, 
che  dianzi  ho  citata.  Sembra  però  che  del  tutto  la  provincia  non  sia  stata 
risparmiata.  Un  passo  di  S.  Girolamo,  tolto  da  un  suo  commento  alla  pro- 
fezia di  Abacuch  intorno  alle  desolazioni  delle  città  che  il  profeta  vedeva, 
suona  nel  modo  seguente  :  «  Nonne  hoc  impletum  audivimus  in  nostrae 
»  originis  regione  finium  Pannoniae  atque  Illirici;  ubi  post  varias  barbarorum 
»  incursiones  ad  tantam  desolationem  est  perventam  ut  nec  humana  ibi  re- 
»  manserit  creatura,  nec  animai  superesse  conversarique  dicatur,  et  his  quae 
»  hominum  amicari  et  convivere  consueverunt*)  ».  Il  sommo  Dottore  sarebbe 
nato  a  Sdregna  nel  353  o  341  e  moriva  nel  420*);  per  conseguenza  il 
passo  si  riferirebbe  all'  Istria  del  IV  secolo,  oppure  ai  primi  anni  del  V,  ed 
alluderebbe  alle  due  irruzioni  dei  Visigoti,  i  quali  gettandosi  sull'  Italia 
avrebbero  danneggiato  anche  la  nostra  provincia  ').  Lo  stesso  può  forse  esser 
avvenuto  nel  452,  quando  Attila  coi  suoi  Unni  si  precipitava  sul  bel  paese  5). 
Diciamo  forse,  giacché  sembra  che  le  irruzioni  di  Attila  abbiano  recato  alla 
nostra  provincia  piuttosto  un  vantaggio  anziché  un  danno,  dal  momento 
che  molti  abitanti  di  Aquileja,  e  forse  anche  di  altri  luoghi  circonvicini, 
fuggivano  dalle  stragi,  ricoverandosi  in  Istria  6).  Noto,  del  resto,  di  passata, 
essere  la  leggenda  d'Attila  «  flagello  di  Dio  »  popolarissima  nel  nostro  volgo, 
il  quale  attribuisce  non  ad  altri  che  a  quel  barbaro  condottiero  la  distruzione 
delle  città  o  luoghi  abitati  istriani,  or  più  non  esistenti. 


')  Notizie  storiche  di  'Poìa.  Parenzo.  G.  Coana,  1876,  pag.  230.  —  Vedi  anche  la 
mia  memoria  :  Le  epidemie  di  peste  bubbonica  iti  Istria,  negli  «  Atti  e  Memorie  della  Società 
di  archeologia  e  storia  patria  »,  voi.  IV,  pag.  428. 

*)  Tqmm asini.  Op.  cit.  pag.  544.  È  però  controverso  se  S.  Girolamo  sia  istriano. 

*)  Stancovicii.  "Biografie  degli  uomini  distinti  dell'  Istria.  Capodistria.  Priora,  1888, 
pag.  48  e  seg. 

')  Benussi.  Storia  documentata  di  Rovìgno.   1888,  pag.  36. 

s)  Ibid. 

')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  71. 


—  382  — 

Un  anno  solo  dopo  che  Cassiodoro  dirigeva  ai  provinciali  dell'  Istria 
la  sua  famosa  epistola,  sbarcarono  i  Bizantini  nella  provincia  con  proposito 
di  pigliare  alle  spalle  gli  Eruli,  i  Rugi  ed  i  Goti,  e  sostituirono  quest'ultimi 
nel  governo  che  durò  a  lungo  ad  onta  degli  sforzi  dei  Longobardi.  Diffatti 
a  tali  tentativi  si  devono  le  stragi,  gli  incendi  e  le  depredazioni  avvenute 
nella  provincia  nell'anno  588,  quando  il  re  longobardo  Autari  muoveva 
contro  l' Istria  con  un  esercito  condotto  da  Evino  duca  di  Trento  '). 

Sembra  però  che,  ciononostante,  le  condizioni  della  provincia  a  quel 
tempo  fossero  floride,  giacché  il  duca,  firmata  la  pace  coli'  Esarca  di  Ravenna, 
tornava  in  Lombardia  recando  al  re  grande  quantità  di  denaro. 

Tali  depredazioni  longobardiche,  dalle  quali  però,  a  quanto  pare,  so- 
lamente l' Istria  superiore  sarebbe  stata  danneggiata  *),  non  erano  che  il 
preludio  di  altre  più  terribili,  successe  ad  opera  degli  Slavi,  chiamati  allora 
Sciavi  e  Sclavini,  e  degli  Unni-Avari.  Non  è  scopo  di  questo  lavoro  il 
seguire  le  mosse  di  quei  popoli  dalle  loro  sedi  fino  nell'Istria;  ci  limiteremo 
perciò  ad  indicare  quando  avvenissero  le  loro  irruzioni,  e  possibilmente  a 
segnare  i  danni  da  quelle  recati. 

Noteremo  però  che  prima  che  spirasse  il  VI  secolo,  fatale  per  l' Istria, 
è  molto  probabile  che  altri  fattori  abbiano  contribuito  a  far  scemare  la 
popolazione  e  con  essa  la  floridezza  del  paese.  Fra  questi,  principali  sarebbero 
le  epidemie  di  peste  violentissime,  che  devastarono  l'Italia  negli  anni  557, 
565,  566,  568  e  591  *),  le  quali  molto  probabilmente  avranno  raggiunto 
anche  la  nostra  provincia,  che  ad  essa  geograficamente  e  politicamente  ap- 
parteneva, e  con  cui  trovavasi  in  continue  relazioni  di  commercio.  Oltre 
a  ciò  succedeva  in  codest' ultimo  secolo  nelle  limitrofe  provincie  un  avve- 
nimento meteorologico  straordinario,  il  quale  indubitatamente  deve  aver 
esercitata  una  triste  azione  anche  sulla  nostra  provincia.  Vale  a  dire,  noi 
troviamo  nel  587  in  tutta  l'Italia  delle  grandissime  rotture  causate  dall'acqua. 
Nello  stesso  Friuli,  l' Isonzo  ed  il  Frigido,  raccolti  in  un  lago,  che  aveva 
l' emissario  nell'  estuario  di  Monfalcone,  rompevano  l' argine  naturale  di 
Gradisca  e  si  gettavano  all'aperto  correndo  verso  Aquileja;  mentre  il  Timavo 
contemporaneamente  scemava  d'  acque  alla  foce  *). 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  74.   — -  Paoli  Warnefridi  Longobardi  Diaconi 
Forojuliensis.  De  gestis  Longobardorum.  Lib.  VI.  Varie  edizioni.  Lib.  HI,  2,  Cap.  XXVII. 
,—  Kandler.  Annali.  (Egli  pone  però  l'anno  568). 
a)  Kandler.  Annali. 
')  Ibid. 
V  lbid. 


-3*3  - 

VII  secolo.  —  Nel  secolo  seguente,  precisamente  nei  primordi  di  esso, 
nel  600  o  eoi  avveniva  la  prima  irruzione  degli  Slavi  nella  provincia,  con- 
dottivi dalle  schiere  di  Agilulfo  re  dei  Longobardi.  Secondo  Paolo  Diacono 
la  devastarono  col  fuoco,  col  ferro  e  colle  rapine  ').  Il  Kandler  pone  un'altra 
incursione  nel  604,  per  la  quale  gli  Slavi  saccheggiarono  l'Istria  interna, 
uccidendone  le  guarnigioni  a).  Dura  tutt'  oggi  la  tradizione  che  in  quel 
tempo  cadesse  Bogliuno,  e  che  la  valle  dell'  Arsa  rimanesse  coperta  di  ca- 
daveri. Un  contadino  romanico  raccontava  al  De  Franceschi,  che  in  quella 
occasione  la  stretta  valle  fra  le  colline  di  Lettai  ed  il  Montemaggiore  fosse 
il  campo  d'  un  grande  combattimento,  in  seguito  al  quale  essa  rimaneva 
coperta  di  cadaveri  ').  Nel  610  o  613  sembra  eziandio  che  schiere  numerose 
di  Slavi  fossero  penetrate  nell'  Istria,  apportandovi  desolazione  e  morte  *). 

Il  De  Franceschi  ci  narra  che  la  memoria  di  spaventevoli  incursioni 
nemiche  si  conserva  anche  in  altre  parti  della  nostra  provincia.  A  quelle 
epoche  si  riferisce  la  tradizione  della  valorosa  difesa  di  Momorano  che  fu 
tra  i  pochi  luoghi  non  presi  ;  Fianona,  Albona,  Pedena,  Gallignana,  Pisin- 
vecchio,  Verino  sarebbero  allora  state  distrutte.  Il  villaggio  di  Caroiba  sa- 
rebbe stato  arso,  meno  un  paio  di  case  nella  villa  or  detta  Mocibobi.  Ancor 
oggi  veggonsi  presso  1'  odierna  chiesa  di  S.  Quirino,  sulla  strada  romana 
che  attraversava  sopra  Cosliaco  il  Caldiera,  le  rovine  d'  un  antico  paese,  di 
cui  si  perdette  il  nome,  e  che  dicesi  essere  stato  abbruciato  da  nemici  scesi 
per  quella  strada,  la  quale  poi  continuava  per  Albona  a  Pola,  Parenzo  e 
Trieste  '). 

A  tali  fazioni  di  guerra,  apportatrici  di  desolazioni,  di  stragi,  di  perdite 
d'uomini  e  di  distruzioni  di  luoghi,  s'aggiunga  l'azione  di  freddi  eccessivi, 
specialmente  nelP  anno  603,  dei  terremoti,  dei  quali  si  ha  memoria  nel- 
l'anno 615  '),  fenomeno  quest'ultimo  che  nei  secoli  posteriori  si  riproduce 
di  spesso,  ed  è  indizio  che  la  crosta  terrestre  della  nostra  zona,  per  un 
ciclo  d'anni,  si  trovasse  sotto  l'influenza  di  mutamenti  avvenuti  sia  super- 


')  Paolo  Diacono.  Op.  cit.  IV,  XXV.  «  Longobardi  cum  Avaribus  et  Scl.ivis  Istro- 
rum  fines  ingressi,  universa  ignibus  et  rapinis  devastatimi  ».  —  De  Franceschi.  Op.  cit. 
pag.  76. 

')  Kandler.  Annali.  Egli  vuole  però  che  questa  fosse  la  prima. 

')  Ibid. 

•)  Paolo  Diacono.  Op.  cit.  IV,  XL1I.  —  De  Franceschi.  Op.  cit.  p.ig.  76. 

6)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  77. 

•)  Kandler.  Annali. 


-  3*4  - 

finalmente,  oppure  nell'  interno  di  essa,  e  che  di  certo  non  possono  essere 
rimasti  senza  conseguenza  sulla  configurazione  del  suolo  e  sull'  elevatezza 
dello  stesso  sul  livello  del  mare. 

A  tali  fenomeni  devonsi  aggiungere  le  epidemie  di  peste,  la  quale,  do- 
minando in  Italia  nel  665,  non  può  non  aver  fatto  capolino  anche  in  Istria, 
cagionandovi  perdite  d'uomini1)  e  desolazioni. 

Vili  secolo.  —  Nel  decorso  dell'  Vili  secolo  l' Istria  non  ebbe  a  soffrire 
molto  per  le  fazioni  di  guerra,  abbenchè  essa  abbia  dovuto  sostenere  delle 
serie  lotte  coi  Veneti  sotto  il  doge  Diodato  Ipato  dal  737  al  739,  ed  anehe 
sia  stata  il  campo  di  alcuni  combattimenti  sostenuti  antecedentemente  dal 
duca  longobardico  Pemmone  cogli  Slavi  vicino  a  Lauriana  (Lovrana)  nel 
718;  ed  80  anni  più  tardi  (799)  dal  duca  franco  Enrico  pure  vicino  a 
Laurana  contro  gli  Avari  che  tentavano  di  penetrare  neh'  Istria  *).  Però, 
allorché  nel  753  i  Longobardi  muovevano  contro  la  nostra  provincia  e  ne 
prendevano  buona  parte,  molte  famiglie  istriane  ricoveravano  in  Venezia. 

Ciò  che  invece  distingue  questo  secolo  è  la  frequenza  dei  terremoti. 
Diggià  nel  737")  grandi  terremoti  venivano  segnati  in  tutta  l'Europa,  i 
quali,  come  indizio  di  mutamenti  idraulici  e  termici  del  sottosuolo,  non 
rimanevano  senza  conseguenza  per  la  nostra  provincia.  Probabilmente  a 
quest'epoca  è  da  riferirsi  lo  sprofondamento  dell'  isola  di  Cissa,  o  forse  agli 
anni  740  o  745,  durante  i  quali  avvenivano  grandissimi  moti  di  terra  nel- 
1'  estuario  veneto.  Come  s'  è  detto,  l' isola  calava  a  segno  che  la  sommità 
del  colle  è  ora  a  15  tese  sotto  il  livello  del  mare4).  Il  Kandler  ammetteva 
che  lo  scoscendimento  fosse  avvenuto  pella  corrosione  dell'  acqua  nel  sai- 
dame  (sabbia  quarzosa),  di  cui  era  formato  il  sottosuolo  dell"  isola,  mentre, 
a  quanto  pare,  tale  sprofondamento  sarebbe  a  ricercarsi  in  circostanze  più 
generali  e  forse  in  quegli  scoscendimenti,  che  avvengono  non  difficilmente 
in  un  terreno  intersecato  ovunque  da  grotte  e  da  caverne  ampie  e  profonde, 
specialmente  in  tempi  di  fortissimi  e  frequenti  moti  di  terra.  Nel  754  tale 
fenomeno  tellurico  si  ripeteva  nella  provincia  in  modo  molto  violento  5). 


')  Kandler.  ^Annali. 

')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  82-85. 

3)  Kandler.  Annali. 

*)  Caenazzo  cau.  Tommaso.  Del  prodigioso  approdo  del  corpo  di  S.  Eufemia  Calcedo- 
uese  in  Rovigno.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  0, 
voi.  I,  pag.  303.  —  Kandler.  Annali. 

hl  Benussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.  36. 


-  3*5  - 

Si  aggiunsero  nel  763  freddi  intensissimi  '),  e  nel  793  una  grande  ca- 
restia e  la  fame  !). 

duale  indizio  del  deperimento  delle  condizioni,  un  dì  sì  floride,  della 
nostra  provincia,  troviamo  che  nel  780  le  chiese  di  Cissa  (indi  in  Rovigno), 
di  Umago  e  di  Capodistria,  prive  di  prelati,  venissero  date  in  commenda, 
Capodistria  ed  Umago  a  Trieste,  Cissa  a  Parenzo  '). 

Tuttavia  sembra  che,  ad  onta  di  tanti  infortuni,  le  condizioni  di  sa- 
lubrità dell'atmosfera  e  del  suolo  si  mantenessero  buone,  giacche  troviamo 
che  nel  740  venisse  fondata  in  Barbana  sull'Arsa  *)  l'abbazia  di  S.  Domenica 
e  quella  della  Ss.  Trinità  dei  Benedettini  "),  abbazie  d' indole  agricola  che 
venivano  piantate  anche  se  in  terreni  incolti,  però  buoni  e  sani. 

IX  secolo.  —  Neil' 804  ha  luogo  il  famoso  placito  nella  valle  del  Risano, 
in  cui  gì'  Istriani  porgono  lagnanze  ai  commissari  dell'  imperatore  Carlo- 
magno  (Missi  dominici)  per  le  angherie  sofferte  dal  duca  Giovanni.  Nel 
placito  non  si  fa  cenno  di  un  deterioramento  delle  condizioni  generali  della 
provincia,  ma  esso  ci  fa  sicura  testimonianza  della  decadenza  delle  condizioni 
economiche  della  stessa. 

Neil' 819  principiarono  le  incursioni  dei  Saraceni  nell'Adriatico.  Infatti 
essi  si  presentarono  formidabili  sotto  il  comando  di  Saba  dinanzi  ad  Ossero 
nell'  838  ")  e  lo  devastavano.  Neil'  842  7),  sotto  lo  stesso  condottiero,  si 
ripresentarono  ancora  dinanzi  ad  Ossero,  reduci  d'aver  commesso  orrende 
stragi  nelle  Calabrie  e  nella  Puglia.  Per  tali  incursioni  venivano  posti  sos- 
sopra  territori  e  città,  ai  quali  ed  alle  quali  si  apportavano  desolazioni  e 
stragi.  Finalmente,  dopo  aver  inflitte  due  gravi  sconfitte  ai  Veneziani,  ve- 
nivano battuti  nella  splendida  battaglia  navale  di  Taranto  '). 

Superate  le  conseguenze  di  tali  incursioni,  ad  altre  ancora  più  gravi 
andava  soggetta  la  provincia  per  opera  degli  Slavi  Croati  e  Narentani,  i 
quali,  sotto  il  comando  del  Bano  Domagoi,  in  odio  al  Governo  di  Venezia, 
ponevansi  a  scorrere   le   rive   settentrionali    dell'  Adriatico.    Comparso    tale 


')  Kandler.  Annali. 

')  Ibid. 

')  Ibid. 

*)  Ora  malarica  per  eccellenza. 

')  Kandler.  Annali. 

*)  11  Tommasini,  op.  cit.  pag.  168,  pone  tale  fatto  nell' 848. 

7)  Secondo  il  Kandler  (Annali)  nel  secondo  giorno  di  Pasqua  dell' 843. 

";  RoklANlN  Samuele.  Storia  documentata  di  Venezia.  Venezia.  Naratovich,  1848,  I.  e.  2. 


—  386  — 

condottiero  nell'  876  ')  alle  nostre  coste,  prendeva  e  saccheggiava  con  grande 
strage  di  uomini  Umago,  Siparo,  Cittanova,  Rovigno  e  Muggia,  preparan- 
dosi all'  assalto  di  Trieste  e  di  Grado.  Neil'  887,  dopo  aver  arrecato  altri 
malanni,  veniva  finalmente  domato  dai  Veneziani.  Tali  irruzioni  furono 
gravide  di  tristi  conseguenze,  giacché  sembra  che  per  esse  sieno  state  di- 
strutte, per  mai  più  risorgere,  le  città  d'  Arsia,  di  Nesazio,  di  Vistro,  di 
Salvore  e  di  Sipar,  ridotte  forse  a  quel  tempo  a  luoghi  piccoli  e  di  poca 
importanza,  nonché  la  località  di  Saline  alla  bocca  di  Leme  *j. 

Anche  in  questo  secolo  alla  mano  distruttrice  dell'uomo  s'aggiungeva 
quella  della  natura,  inquantoché  troviamo  qualmente  dall'  800  all'  801  s) 
continuassero  a  manifestarsi  quei  terribili  terremoti,  che  da  oltre  un  secolo 
di  frequente  e  con  violenza  si  succedevano  nella  provincia.  Neil'  811  occor- 
revano dei  freddi  straordinari  *).  Altri  terremoti  succedevano  in  Venezia 
nell'840,  ripercuotendosi  di  certo  anche  in  Istria5).  Avveniva  indi  nell' 858 
una  marea  straordinaria,  e  nel  seguente  anno  un  freddo  si  intenso,  che  le 
lagune  venete  restarono  agghiacciate  e). 

A  tali  fenomeni  meteorologici  e  tellurici,  apportatori  d' infortuni,  si 
aggiunga  un'epidemia  di  peste  occorsa  in  Italia,  con  molta  probabilità  estesasi 
anche  in  Istria  '). 

Però  neppure  in  questo  secolo  ci  si  presentano  fatti  o  notizie  che  ci 
possano  autorizzare  a  supporre  un  deterioramento  nelle  condizioni  di  salu- 
brità dell'atmosfera  e  del  suolo,  ed  anzi,  al  contrario,  come  nel  secolo  Vili, 
vediamo  nell' 853  fondarsi  un'abbazia  di  Benedettini  nelle  vicinanze  di  Vi- 
signano  in  S.  Michele  sottoterra  "),  le  di  cui  rovine  tuttora  visibili  riposano  su 
d'  un  terreno  presentemente  malarico. 

X  secolo.  —  Le  condizioni  interne  della  provincia  non  erano  felici  al 
principiare  del  X  secolo.  Vediamo,  fra  altro,  che  a  Rovigno  si  doveva 
sospendere  il  lavoro  della  Collegiata  iniziato  nel  904,  a  cagione  delle  fre- 
quenti calamità,  miserie  e  pestilente,  e  soltanto  a  poco  a  poco  lo  si  riprendeva 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  92.  —  Il  Kandler  (Annali)  pone  ciò  nell'  875. 

2)  Kandler.  Annali. 

')  Benussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.  36. 

4)  Kandler.  Annali. 

»)  Ibid. 

•)  Ibid. 

')  Ibid. 

»)  Ibid. 


-  3»7  - 

dopo  20  e  più  anni  ').  Oltre  a  ciò,  per  le  angherie  e  persecuzioni  usate 
nel  932  ai  Veneti  dimoranti  in  Istria  dal  marchese  Vintero,  che  la  governava 
per  il  re  Ugo,  a  cagione  delle  quali  oltre  ai  danni  nella  proprietà  venivano 
uccise  anche  persone,  il  doge  proibiva  ogni  commercio  coli'  Istria,  ed  appena 
mediante  forti  umiliazioni  s'  otteneva  la  revoca  di  tale  proibizione  2).  Un 
altro  indizio  della  miseria  dominante  allora  nella  provincia  la  troviamo  nel 
tatto,  che  i  Veneziani  nel  944  vietavano  che  si  comperassero  uomini  in 
Istria  e  che  si  trasportassero  su  navi  venete  s),  il  che  vuol  dire  che  tale 
commercio,  forse  per  effetto  di  guerra,  a  quei  tempi  pur  esisteva. 

A  tali  infortuni  s' aggiungevano  poscia  le  scorrerie  degli  Ungheri,  i 
quali  penetrati  nel  949  in  Istria,  facevano  devastazioni  nei  territori  di  Trieste 
e  di  Capodistria  *).  Nel  960  poi  i  Narentani,  che  mai  desistevano  dall'  in- 
traprendere scorrerie  sulle  coste  istriane,  distruggevano  Rovigno,  che  allora, 
come  vuoisi,  sarebbe  stata  sede  vescovile,  in  luogo  della  sommersa  Cissa,  in 
modo  che  sei  anni  più  tardi  questo  vescovato  veniva  dato  al  vescovo  Adamo 
di  Parenzo  5)  per  sollevare  quest'ultima  chiesa  caduta  in  somma  miseria  '). 

In  questo  secolo  veniva  pure  l' Istria  invasa  dalle  pestilenze,  special- 
mente negli  anni  954  e  958  e  fors' anco  nel  991,  allorquando  la  peste 
bubbonica  menava  stragi  in  Venezia  '). 

Ed  anche  per  questo  secolo  dobbiamo  ammettere  che,  ad  onta  di  tante 
calamità,  di  tante  miserie,  si  mantenesse  ancora  intatta  la  salubrità  del  suolo 
e  dell'  atmosfera,   venendo  menzionate  siccome  allora  esistenti  alcune  loca- 


')  Caenazzo  can.  Tommaso.  Op.  cit.  pag.  333. 

*)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  94. 

')  Kandler.  Annali. 

•)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  94.  —  Schoenleben  I.  L.  Corniola  antiqua  et  nova, 
sive  inelyti  Ducalus  Carnioìae  annales  sacro-profani  etc.  Labaci  I.  B.  Mayr  1681.  Par.  II,  p.  509. 
—  Scussa  D.  Vincenzo.  Storia  monografica  di  Trieste  dai  tempi  più  remoti  fino  al  169J.  — 
Manoscritti  dell'Archivio  diplomatico  di  Trieste,  pubblicati  in  Trieste.  Coen,  1863. 

6)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  75.  —  Codice  diplomatico  istriano  ad  a.  966  «Rubinum 
quod  proh  dolor,  nuper  a  nefandis  sclavis  ac  duris  Barbaris  destructum  fuit».  —  Indi 
Kandler,  Annali,  e  Caenazzo,  op.  cit.  pag.  333. 

6)  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  170.  «  Successe  la  consecrazione  della  chiesa  di  Parenzo 

delegata  al  Patriarca  d' Aquileja  Rodoaldo  da  Papa  Giovanni  XII In  questo  gli 

Slavi  corsero  ncll'  Istria,  abbrugiarono  Rovigno,  ed  il  resto  di  quei  contorni,  onde  caduta 
in  somma  miseria  quella  chiesa  di  Parenzo,  il  patriarca  l'anno  966,  22  Gennajo  in  Aquileja, 
le  donò  Rovigno  per  le  sue  calamità,  a  petizione  e  supplicazioni  dei  vescovi  dell'  Istria 
Gasparo  di  Pola,  Giovanni  di  Trieste  e  Giovanni  di  Cittanova  »• 

7)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  334. 


—  388   - 

liti  abitate  ora  scomparse,  e  che  in  buona  parte  risiedevano  su  terreni  ora 
malarici.  Nel  diploma  di  donazione  dell'  imperatore  Ottone  ad  Adamo  ve- 
scovo di  Parenzo  (983)  sono  nominati  Rosarium,  Nigrignanitin,  Medelanum, 
Duo  Castella,  i  due  primi  situati  su  quel  di  Visinada,  il  terzo  presso  San 
Martino  di  Leme  e  V  ultimo  nel  vallone,  qualche  chilometro  distante  dal 
culeo  di  Leme  '). 

Oltre  a  ciò  venivano  fondate  intorno  al  980  circa  le  abbazie  di  S.  Pe- 
tronilla, cessata  nel  1321,  e  quella  di  S.  Michele  in  Leme  per  opera  dello 
stesso  S.  Romualdo,  che  vi  stava  a  governo  per  tre  anni  *),  e  nel  990  quella 
di  S.  Michele  in  Monte  di  Pola3);  mentre  si  ha  notizia  ancora  nel  950  di 
un'  abbazia  di  monache  benedettine  dette  di  S.  Teodoro,  situata  fuori  le 
mura  della  stessa  citta.  Ora  tutte  queste  regioni  sono  malariche. 

XI  secolo.  —  Il  decimoprimo  secolo  non  veniva  funestato  da  fazioni 
guerresche.  I  Principi  che  durante  esso  tenevano  il  possesso  della  provincia, 
andavano  invece  a  gara  nel  fare  donazioni  ai  vescovi  ed  alle  abbazie  istriane. 
Nei  documenti  riflettenti  le  donazioni  noi  e'  incontriamo  in  luoghi  abitati 
che  ora  non  lo  sono  più,  ed  altri  sono  posti  in  rilievo  per  una  certa  im- 
portanza che  allora  avevano,  i  quali  in  oggi  sono  affatto  irrilevanti.  Vediamo 
di  nuovo  nominato  digrignano  presso  il  Quieto,  indi  Montesello  presso  il 
Leme  e  S.  Pietro  di  Montrin  presso  Buje.  Troviamo  per  la  prima  volta  men- 
zionato Castelvenere  in  un  atto  di  donazione  del  107 1  fatto  da  Artucio  e 
Bona  da  Pirano  al  marchese  Volrico  d' Istria  *),  poi  le  ville  di  Covedo, 
Lonche,  Ospo,  Rosariol,  Truscolo  (Trusche),  Cisterna  (Sterna),  Srengi  o 
Stenghi,  forse  presso  Pinguente,  e  Bagnol  (Bogliuno)  5). 

Nel  104 1  aveva  luogo  la  consacrazione  della  chiesa  di  S.  Michele  in 
Leme")  e  negli  anni  1040-43  Azzica  figlia  di  Werigant  conte  d'Istria  donava 
il  castello  di  Caliselo  al  Leme  (ora  Geroldia,  Gradina)  ai  vescovi  di  Trieste 
ed  assieme  alla  madre  Wilpurga  dotava  di  terreni  la  neo-eretta  abbazia  di 
S.  Michele  in  Leme  7). 


')  Kandler.  Annali.  —  Questo  e  l'altro  diploma  di  Adamo  sono  molto  sospetti  di 
falsificazione  (N.  d.  D.). 
»)  Ibid. 
')  Ibid. 
4)  Ibid. 
6)  Ibid. 

6)  Ibid. 

7)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  98. 


-  389   - 

Tali  citazioni  di  luoghi  e  di  tatti  concorrono  di  certo  a  provare  che 
l' Istria  fosse  a  quei  tempi  molto  popolata,  specialmente  in  quanto  riguarda 
le  ultime  località,  e  che  l1  aria  ed  il  clima  si  mantenessero  perfettamente 
salubri,  mentre  oggigiorno  codeste  località  (di  Geroldia  e  di  Leme)  sono 
molto  infestate  dalla  malaria. 

Sebbene  da  tali  circostanze  si  possa  indurre  che  le  condizioni  della 
provincia  fossero  in  generale  abbastanza  buone,  dobbiamo  tuttavia  osservare 
clic  se  questa  non  ebbe  a  soffrire  per  fazioni  guerresche,  veniva  però  fu- 
nestata da  una  forte  epidemia  di  peste  che  introdottasi  nel  1006  o  nel  1007 
dal  Cranio,  vi  durava  tre  anni  e  vi  menava  stragi  ').  È  lecito  anzi  supporre, 
che  questa  epidemia  non  fosse  la  sola,  ma  che,  importatavi  da  Venezia,  ove 
seriamente  dominava,  infierisse  anche  nel  1010,  1073  e  nel  1080  *).  A  tale 
malanno  aggiungevasi  una  carestia  generale  nel  1098,  sensibile  anche  nella 
nostra  provincia,  ed  un  terremoto  nel  1093  notato  in  Venezia  e  di  certo 
propagatosi  anche  in  Istria  *). 

Nonostante  vediamo  fondarsi  nuovi  monasteri  ;  vale  a  dire  1'  abbazia 
di  S.  Anastasia  sullo  scoglio  di  Parenzo,  di  cui  si  ha  cenno  nel  1014,  di 
S.  Cassiano  entro  le  mura  di  Parenzo  nel  1028,  mentrechè  troviamo  notizie 
di  quello  di  S.  Michele  in  Monte  presso  Pola  negli  anni  1028  e  1087  *); 
indizio  certo  della  salubrità  e  prosperità  tuttora  vigenti  di  quei  luoghi. 

XII  secolo.  —  Abbiamo  veduto  a  pag.  369  che  l'arabo  Edrisi  viag- 
giando P  Istria  nei  primordi  di  questo  secolo,  notasse  nella  sua  Geographia 
nubiensis  quali  città  e  siti  importanti  Pirano,  Buje,  Isola,  Uwago,  Cittanova 
(che  egli  distingueva  in  due  parti,  una  al  monte,  forse  S.  Giorgio  in  Laimis, 
e  1'  altra  al  mare),  Parendo,  Rovigno,  Pola,  Medolino  (che  egli  chiama  città 
ragguardevole  e  popolata),  Albona,  Fianona,  Lovrana,  Capodistria  e  perfino 
Matterada.  Di  alcune  di  tali  località  egli  fa  una  descrizione  breve,  ma  chiara 
abbastanza  per  rilevarne  le  floride  condizioni.  Per  es.  egli  chiama  Parendo 
città  popolata  e  molto  fiorente,  e  Pola,  bella,  grande  e  popolata,  ecc. 

Che  se  vogliamo  estendere  ancora  di  più  le  ricerche,  noi  troviamo  nei 
documenti  di  donazione,  frequenti  a  quei  tempi,  citati  luoghi  e  villaggi  mol- 
tissimi, indizio  certo  di  popolazione  numerosa.  Così  vediamo  in  quelli  citati 


')  Kandler.  Annali. 
')  Ibid. 
»)  Ibid. 
♦)  Ibid. 


—  390  — 

Socerga  (S.  Siro  o  S.  Sirico),  Castello  di  Rivin  o  Ruvin  sopra  Sdregna  '), 
Roni  presso  Pinguentc,  i  castelli  di  Cernogrado  e  di  Belligrado  presso  Rozzo 
(gli  antichi  Nigrignamm\tàAlbiniawim),  Pinguentc,  Colmo,  Baniol  (Bogliuno), 

Frajana  (Vragna),  Letaj,  S.  Martino  (presso  Bellai),  Gosilach  (Cosliaco),  Cori 
alba  inter  latino*,  Castrimi  Veneris,  Villa  Cuculi,  Villa  Mimiliani,  Villa  Ci- 
sterne, Villa  petrae  Albae  (Pietrabianca  presso  Covedo),  Villa  Dravuie  (Dra- 
guch?),  Villa  Marceniga,  Villa  Cavedel  (Codoglie),  Castrimi  Btdge  (Buje), 
Costrutti  Grisiniana,  Villa  Castan  (Castagna),  Castrimi  Castiloni  (che  più  non 
esiste,  presso  Buje),  Villa  Sancti  Retri  (Montrin)  cimi  Monasteriis  Sancii  Retri 
e  Sancii  Michaelis 2)  ;  e  troviamo  pure  che  digrignano  al  Quieto  durava  ancora, 
ed  era  plebania  s). 

Quale  segno  poi  della  salubrità  e  delle  condizioni  favorevoli  della  pro- 
vincia, noteremo  che  anche  in  questo  secolo  si  stabilirono  qua  e  là  varie 
comunità  religiose,  e  per  la  maggior  parte  in  terreni  e  località,  le  quali  di 
certo  oggigiorno  non  godono  buon'aria.  Istituitosi  nel  1118  l'ordine  dei 
Templari,  questi  fondarono  tosto  delle  commende  anche  in  qualche  parte 
dell'  Istria.  Li  vediamo  p.  e.  stabilirsi  al  Risano,  a  S.  Clemente  di  Muggia, 
a  S.  Maria  di  Campo  presso  Visinada,  nei  pressi  di  Parenzo  ed  al  lato 
orientale  del  campo  di  Marte  in  Pola,  località  codeste  ora  esiziali.  Troviamo 
del  pari  notata  nel  11 18  la  fondazione  dell'abbazia  di  Moggio  presso  Citta- 
nova  e  nel  1 134  di  quella  di  S.Pietro  in  Selve,  abbiamo  notizia  nel  1125 
e  1 1 33  di  quelle  di  S.  Pietro  del  Carso  e  di  Montrino  presso  Buje,  nel  11 18 
delle  abbazie  di  S.  Michele  in  Monte  di  Pola,  di  S.  Maria  del  Monte  presso 
Capodistria  nell'anno  1152,  di  S.  Nicolò  d' Oltra  nello  stesso  anno,  d'un 
ospizio  in  Isola  pure  nel  1152,  di  S.  Martino  di  Tripoli  presso  Verteneglio 
nel  1176,  di  S.  Maria  di  Valle  nel  1 177,  di  S.  Nicolò  di  Parenzo  pure  nel 
1 177  e  di  S.  Barbara  presso  Montona  nel  1191  e  nel  1194,  tutte  apparte- 
nenti all'  ordine  dei  Benedettini  '). 

Il  XII  secolo  però  non  fu  scevro  di  malanni  per  la  provincia.  L'op- 
posizione che   alcune  città    facevano  alla  ognora   crescente   preponderanza 


')  Forse  il  posteriore  di  Pietrapelosa  ;  però  sul  versante  che  da  Sdregna  mena  alle 
sontuose  rovine  di  quest'  ultimo,  e'  è  un  villaggio  che  porta  il  nome  di  Rumini. 

5)  Codice  diplomatico  istriano,  e  diploma  esistente  nell'Archivio  provinciale  dell'  Istria, 
copia  dell'  originale  dell'Archivio  generale  di  Venezia. 

3)  Kandler.  Annali, 

«)  Ibid. 


—  39i  — 

marittima  di  Venezia,  cui  altre  città  si  erano  date  invece  in  protezione,  era 
occasione  ad  ostilità  gravide  di  serie  conseguenze  Pola  viene  assalita  dai 
Veneziani  nel  1150  ')  e  nel  1153  2),  ed  abbandonata  al  saccheggio;  la 
vediamo  quindi  nel  11935)  presa  dai  Pisani,  e  ritolta  dai  Veneti  che  ne 
diroccano  le  mura.  Altre  ostilità  scoppiarono  nel  1176  fra  Parenzo  e  S.  Lo- 
renzo pel  castello  di  Calisedo  al  canale  di  Leme,  appianate  con  sentenza  del 
conte  d' Istria  Alberto  I  '). 

L'  essersi  posti  sotto  la  protezione  della  Repubblica  migliorò  le  sorti 
di  alcuni  luoghi  della  provincia,  la  quale  pure  alla  sua  volta  guadagnò 
colla  quiete  quello  che  le  frequenti  guerre  combattute  non  solo  fra  le  sol- 
datesche, ma  anche  fra  le  popolazioni  delle  stesse  città,  le  avevan  fatto  per- 
dere, sciupare  e  sperperare.  Un  esempio  lo  si  ha  nella  città  di  Rovigno,  la 
quale  dopo  il  11 49,  assieme  al  commercio,  sviluppava  la  prosperità  interna, 
tant'  è  vero  che  vedeva  aumentati  i  suoi  abitanti  ed  accresciuto  il  numero 
delle  case  5). 

Sembra  che  in  questo  secolo  la  provincia  sia  stata  risparmiata  dalle 
pesti  bubboniche.  Giova  però  notare  che  il  contagio  infieriva  con  grande 
veemenza  in  Venezia  negli  anni  ri02,  1118,  1137,  1 149,  M>3,  1 1 77  e 
1 182  *)  ;  per  la  qual  cosa  non  si  può  escludere  la  possibilità  che  il  terribile 
morbo,  molto  focile  ad  essere  trasportato,  fosse  penetrato  anche  nell'Istria. 

Noteremo  pure  che  anche  in  questo  secolo  i  moti  di  terra  si  manife- 
starono di  frequente  nelle  regioni  finitime  all'Istria.  Dal  1 100  al  1102  essi 
si  succedevano  con  tale  violenza,  specialmente  nell'estuario  veneto,  da  far 
sprofondare  Malamocco,  mentre  altri  moti  si  facevano  sentire  in  Venezia 
nel  1105,  11 14,  1117').  Nel  1102  apparve  una  marea  straordinaria,  e  nel 
1122  un  freddo  si  intenso  da  gelare  le  lagune  venete. 

Ad  onta  però  di  tali  avvenimenti,  i  quali  possono  aver  influito  mol- 
tissimo sulla  configurazione  orografica  ed  idrografica  della  provincia  e  ri- 
spettivamente sul  numero  della  popolazione,  non  troviamo  alcun  cenno  che 


V  Memorie  sloriche  di  "Pala,  pag.  76. 

Ji  De  Franxeschi.  Op.  cit.  pag.   107. 

*)  Memorie  sloriche  di  Fola,  pag.  76.  —  Da  Francischi.   Op    cit.  pag.   112. 

';  Kandlf.r.  Annali. 

'•)  Benussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.   55. 

*)  Kaxdler.  Annali. 

')  IbW. 


—  392  — 

ci  attesti   un  deterioramento  nella  salubrità    dell'  aria  o  del  suolo,  la  quale 
continuò  in  generale  a  mantenersi  buona. 

XIII  secolo.  —  Ma  ben  presto  mutarono  le  condizioni  della  provincia 
nel  secolo  successivo.  Ad  esporle  tutte  ci  vorrebbe  la  penna  d'uno  storico 
di  polso,  e  non  quella  d'  uno,  che  fra  le  notizie  qua  e  là  racimolate  fa 
tesoro  sol  di  alcune  che  servir  possano  al  suo  intento.  Tra  i  fatti  di  sangue 
o  di  violenza  ne  citeremo  parecchi  degni  di  nota.  Nel  1224  Monfiorito  di 
Castropola,  per  contese  avute  col  vescovo  Adalberto  di  Parenzo,  entrò  colle 
sue  masnade  in  questa  città,  invase  il  palazzo  del  vescovo,  che  fu  costretto 
a  fuggire  ').  —  Nell'ottobre  del  1242  il  doge  Giovanni  Tiepolo  e  Leonardo 
Queruli  assalirono  Pola,  e  poiché  se  ne  furono  impadroniti  l' incendiarono 
in  più  parti,  dopo  averne  diroccate  ie  mura2).  Anche  nell'interno  dell'Istria 
le  cose  non  volgevano  meglio  ;  di  che  ci  offrono  testimonianza  le  tristi 
condizioni  in  cui  si  trovava  la  diocesi  di  Pedena,  fiorente  nei  secoli  ante- 
riori, mentre  nel  1262  il  patriarca  Gregorio,  onde  soccorrerne  il  titolare, 
affidava  il  benefizio  di  Lint  al  vescovo  eletto  Weinardo  pel  motivo  che  Ec- 
clesia propter  guerrarum  discrimina  in  temporalibus  pene  penitus  est  collapsa, 
ita  quod  idem  electus  nequit  de  ipsius  reditibus  sibi  et  sue  familie  vite  necessaria 
ministrare*).  —  Nel  1267  nella  guerra  di  Capodistria,  che  sosteneva  le  parti 
del  patriarca,  contro  il  conte  Alberto,  venivano  distrutti  Castelverde  (Berdo  ?), 
la  Torre  di  Pingucnte,  Carsano  e  Pietrapelosa  *).  In  Pola  stessa,  diggià  rovinata, 
avvenivano  sommosse  sanguinose,  fra  le  quali  quella  dei  Sergii-Castropola 
nella  notte  del  venerdì  santo  del  1271  s).  Quattr'anni  dopo,  in  fazioni  guer- 
resche fra  il  patriarca  ed  il  conte  Alberto,  avvenivano  di  bel  nuovo  stragi, 
incendi,  sperpero  di  popolo  e  di  averi,  per  i  quali  infortuni  ne  soffrivano 
specialmente  Capodistria  e  Pirano  6).  Durante  la  guerra  accesasi  fra  i  Veneti 
ed  il  conte  Alberto  nel  1278,  veniva  da  quest'ultimo  assalita  Montona  senza 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  118. 
*)  Ibid.  pag.  125.  —  Notizie  storiche  di  Pota,  pag.  76. 
')  Ibid.  pag.  131.  Dal  Codice  diplomatico  istriano. 
*)  Ibid.  pag.  129. 

5)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  1 30-131. 

6)  Codice  diplomatico  istriano.  Tregua  fra  i   belligeranti  :  «  Humani  generis  inimico 
procurante  inter  Reverendum  Patrem  et  Dominum  Dei  gratia  S.  S.  Aquilej.  Patriarcham 

et  Aquilej.  Ecclesiam  ex  parte  una,  et  Nob.  Virum  D.  Albertum  Comitem  Goricie  prò 
se  et  civitate  Iustinopolitana  et  prò  Pirano  et  eorum  fautoribus  ex  altera,  diu  magne  di- 
scordie et  guerre  discrimen  per  quod  utriuque  strages  horum  locorum  incendia  cum  de- 


—  393  — 

frutto,  preso  S.  Lorenzo,  guastata  Capodistria  dai  Veneti,  depredato  il  ter- 
ritorio fino  a  Parenzo  con  grande  rapina  d' uomini  e  di  animali,  distrutto 
Capelvenere  e  guastato  Pinguente,  mentre  nell'  anno  seguente  veniva  at- 
taccata vigorosamente  anche  Isola  ').  Uno  specchio  delle  tristi  condizioni 
dell'  Istria  a  quei  tempi  ci  viene  offerto  dal  Tenor  sententiae  Tridentinae  per 
sedare  le  contese  insorte  fra  i  sudditi  di  Pisino  imperiale  e  Montona  veneta, 
perduranti  per  il  corso  di  due  secoli,  —  sentenza  proclamata  nell'anno  1535. 
Dal  tenore  di  quella  sentenza  rileviamo,  che  250  anni  prima,  vale  a  dire  nel 
1285,  hanno  avuto  luogo  hominum  caedes,  depopulationes,  incendia  et  vasta- 
tioncs,  diversaque  alia  dammi  utrinque  s).  Eguali  attestazioni  ci  vengono  offerte 
dal  trattato  di  pace  fra  il  patriarca  e  Venezia  del  1286,  nel  quale  troviamo 
come  super  diversis  et  variis  insitrt exerunt  jurgia,  contentioncs,  et  lites,  ex  quibus 
postmodum  tanta  guerrarum  discrimina  pervenerunt  maxime  in  provincia  Istrìac, 
quod  praeter  incendia,  depopulationes,  spolia  et  infinitae  rapinae  crudeli  caede 
suiti  cacsi  qnamphtres  '). 

Divampata  di  nuovo  la  guerra  nel  1287  e  ripresa  Capodistria  dai  Veneti, 
le  circostanti  campagne  venivano  devastate  dai  patriarchini,  e  la  provincia 
crudelmente  colpita  da  stragi  e  da  perdita  di  gente.  Il  territorio  di  Capo- 
distria aveva  a  soffrire  anche  nel  1289,  a  cagione  d'un  nuovo  assalto  dei 
patriarchini,  congiunto  a  fatti  d'  arme,  fecondi  di  eccidi  e  di  disgrazie  '). 

Il  Castello  di  S.  Giorgio  al  Quieto  (in  Laimis),  che  fino  a  quel  tempo 
manteneva  una  certa  importanza  quale  proprietà  del  patriarca,  veniva  pur 
esso  guastato  nel  1290  b).  Nel  1297  poi,  avendo  il  vescovo  di  Parenzo 
rinnovate  a  voce  più  alta  le  pretese  pel  dominio  di  Parenzo,  il  popolo  con- 
dotto dal  podestà  assaliva  il  palazzo  del  vescovo,  obbligandolo  a  salvarsi 
colla  fuga.  In  aggiunta  gli  veniva  abbruciata  anche  Orsera,  suo  castello  di 
residenza  *). 

A  tali  malanni,  prodotti  dalla  mano  e  dall'ira  dell'uomo,  s'aggiungevano 
in  questo  secolo  quelli  prodotti  dalle  epidemie  di  peste  bubbonica,  le  quali 


populatione  etiam  et  rerum  destructione  plurima  provenerunt  ».  —  Nonché  De  Franceschi, 
Op.  cit.  pag.  134. 

')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  135-136. 

J)  Soii^ie  storiche  di  Montona,  pag.  208. 

3)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  137. 

')  Ibid.  pag.  138-140. 

6)  Ibid.  pag.   139. 

•)  Kandler.  Annali. 


-   394  — 

infuriarono  nella  nostra  provincia  negli  anni  1222,  1234,  I23^,  1245  e  nel 
1248  ')  in  modo  veramente  orribile.  É  probabile  però  che  il  morbo  com- 
parisse anche  negli  anni  1205,  1217,  1218,  1277,  1284  e  1293,  quando 
esso  menava  orrende  stragi  in  Venezia  '). 

Né  devesi  trascurare  di  far  menzione  dei  fenomeni  tellurici  e  meteo- 
rologici, i  quali  in  questo  secolo  possono  aver  esercitala  la  loro  funesta 
azione  sia  sulla  crosta  del  suolo,  che  sullo  scheletro  lapideo  della  provincia, 
in  modo  da  cangiarne  più  ò  meno  la  forma  ed  i  livelli.  Cosi  leggiamo 
che  nel  1223  forti  terremoti  si  manifestassero  in  tutta  l'Italia,  pei  quali 
cadeva  Siponto');  che  nel  1234  si  sviluppassero  enormi  freddi4),  i  quali 
si  ripetevano  nel  1238  in  grado  sì  pronunciato  da  farvi  perire  molti  alberi 
e  viti,  causandovi  grave  carestia  e  mortalità  d'animali5).  Nel  1240  ve- 
diamo apparire  una  straordinaria  marea,  e  nel  1275  ripetersi  i  terremoti  in 
Venezia,  la  di  cui  azione  rendevasi  sensibile  certamente  anche  nell'  Istria  8). 
Nel  1280  succedevano  forti  escrescenze  d'acque  e  terremoti  fortissimi,  che 
atterravano  parecchi  edifizi 7)  ;  il  qual  fenomeno  accompagnato  da  una  marea 
straordinaria  ripetevasi  pure  nel  1282  e  nel  1283  8).  Troviamo  pure  dagli 
autori  notata  una  marea  straordinaria  nel  1286  ed  una  eguale  nel  1297  *). 

Sebbene  gli  avvenimenti  ora  esposti  avessero  di  certo  posta  la  provincia 
sulla  via  del  regresso,  non  pertanto  le  condizioni  non  si  presentavano  dap- 
pertutto egualmente  tristi.  Vediamo  anzi  che  nelle  isole  dei  Lossini,  come 
ci  viene  indicato  dal  Portolano  del  mare  di  Alvise  da  Mosto  "),  comincia- 
vano ad  affluirvi  gli  abitanti.  Nei  primordi  del  secolo  XIII,  di  queste  isole 
erano  abitate  solamente  Sansego,  che  viene  indicata  «  con  una  scola  et  una 
chiesa  al  capo  di  ponente  »  ;  Unie  «  Nia,  isola  accasata,  con  una  masiera 
suso  in  monte  »  ;  5.  Pietro  de'  Nembi,   «  S.  Piero  in  Nieme  con    abitazioni, 


')  Vedi  mio  lavoro  prima  citato. 

2)  Kandler.  Annali. 

3)  Ibid.  —  Le  rovine  di  Siponto  sono  al  sud  del  Gargano  nella  provincia  di  Foggia. 
♦)  Ibid. 

5)  Muratori.  Annali  d'Italia.   —  Marsich  abate  Angelo.  Annali  istriani.  —  Tro- 
vinola, XVI,  18. 

6)  Kandler.  Annali. 
')  Ibid. 

•)  Ibid. 
9)  Ibid. 

,0)  Venne  scritto  nel  secolo  XV,  ma  si  riferisce  indubbiamente  al  secolo  XIII.  (Vedi 
Bonicelli  Gaspare.  Storia  dell'isola  dei  Lossini.  —  Trieste  1869,  pag.  24. 


—  395  — 

chiesa  et  acqua  »  ;  Selve  che  è  denominata  «  isola  bassa  et  boscuda  et  habì- 
tada  »,  mentre  in  Lossino,  la  di  cui  valle  detta  d'Augusto  viene  descritta 
in  quel  Portolano  con  sufficiente  esattezza,  non  vengono  notate  né  case, 
né  macerie,  ne  altro  che  serva  d' indizio  di  abitatori  o  di  coltura  ').  Si  è 
appena  nel  1240  che  si  ha  motivo  a  fissare  il  principio  dell'  esistenza  dei 
Lossini,  originata,  secondo  quanto  afferma  il  Bonicelli,  dalla  fuga  degli 
abitanti  dalle  altre  isole,  dinanzi  all'  irrompere  degli  Ungheri.  L' isola  però 
dipendeva  dai  signori  di  Ossero  e  Cherso,  i  quali  di  tratto  in  tratto  man- 
davano a  pascere  le  loro  mandre  di  maiali  nei  densi  boschi  di  cui  era 
coperta,  formati  specialmente  di  elei  ricche  di  ghiande  !). 

Anche  Capodistria  sembra  che  fosse  al  principio  del  secolo  in  floride 
condizioni,  perchè  la  troviamo  nel  1208  fatta  capitale  della  provincia  in 
luogo  di  Pola,  e  residenza  del  governo  civile  *). 

Abbiamo  poi  memorie  del  castello  di  Nigrignano,  il  di  cui  territorio 
era  però  nel  1277  incolto  e  spopolato  *),  e  troviamo  nominati  in  carte  e 
documenti  di  quell'epoca  Castel  Parentin  e  Moncastello  presso  il  Lente  (121 1), 
Fontana  de  Badò-Pirin  (12 15),  Ravanzolo  presso  Montona  (1221),  nel  1275 
Castel  S.  Pietro,  Zuccola,  Ortenegla,  Topolo,  Momiano,  Siziole,  Oscurus, 
Sorbaria,  Cubertum,  Sterna,  Gradina,  Trebesat,  Figarola,  Dobravizza,  località 
quest'ultime  appartenenti  al  feudo  di  Momiano.  Indi  Casser,  Volta  e  Padova 
vicino  Montona  5). 

Che  ad  onta  di  tanti  infortuni  le  condizioni  sanitarie  della  provincia 
non  fossero  sensibilmente  peggiorate,  lo  comprovano  anche  per  questo 
secolo  le  notizie  che  esistono  intorno  alle  comunità  religiose  che  continua- 
vano a  stabilirvisi.  Infatti  vediamo  fondarsi  nel  1226  conventi  di  Francescani 
in  Istria  per  opera  dello  stesso  S.  Antonio  di  Padova;  nel  1230  si  erige  in 
Capodistria  un  cenobio  di  frati  minori  Domenicani,  e  nel  1287  uno  di  Paulini 
alla  B.  V.  al  lago  d'Arsa.  Nel  1221  S.  Giovanni  del  Prato  di  Pola  passa 
in  mano  dei  Templari,  del  qual  monastero,  nonché  di  quello  di  S.  Maria 
del  Campo  presso  Visinada,  si  ha  memoria  anche  nel  1229.  Egualmente 
vie  fatto  cenno  di  quello  di  S.  Pietro  in  Selve  nel  1222  e  1275,  di  quello 


')  Bonicelli.  Op.  cit.  pag.  24. 


')  Bonicelli.  Op.  cit.  pag.  24. 

*)  Ducale  di  Lorenzo  Tiepolo  del  3  marzo  1274  in  Bonicelli,  op.  cit.  pag.  26. 

*)  Kandler.  ^Annali. 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  141. 
i)  Kandler.  Annali 


—  396  — 

di  S.  Martino  di  Tripoli  presso  Verteneglio  nel  1230  e  del  monastero  di 
S.  Michele  presso  Pisino  nel  1238.  —  Sta  il  fatto  però  che  nel  1299,  al 
chiudersi  del  secolo,  il  più  dei  monasteri  di  Benedettini  venissero  abban- 
donati, a  causa  delle  guerre  e  delle  pestilenze  '). 

XIV  secolo.  —  La  tendenza  alle  fazioni  di  guerra  che  fu  sì  fatale  nel 
secolo  decimoterzo  alle  condizioni  economiche  della  provincia  e  che  diminuì 
sensibilmente  la  popolazione,  continuava  anche  nel  secolo  XIV  ad  esercitare 
la  sua  triste  azione.  Molte  delle  ville  che  qua  e  là  nelle  campagne  esistevano 
negli  antecedenti  secoli,  dovevano  venir  abbandonate,  inquantochè  le  con- 
tinue scorrerie  delle  truppe  ora  patriarchine  ed  ora  venete,  congiunte,  come 
era  usanza  a  quei  tempi,  a  rapine,  ad  incendi  e  ad  uccisioni  d'uomini,  ren- 
devano impossibile  il  mantenersi  in  quelle  a  sicura  dimora.  A  tale  causa 
d' abbandono  devonsi  aggiungere  le  pesti,  che  infuriando  colla  massima 
violenza,  decimavano  la  popolazione,  arrivando  talora  a  distruggerla  com- 
pletamente. La  provincia  trovavasi  quindi  in  uno  stato  di  regressione  rile- 
vante, tanto  economica  per  l'abbandono  dei  campi,  quanto  demografica  per  la 
continua  diminuzione  di  popolo.  Non  può  perciò  recar  meraviglia  se  alcuni 
potenti  signori,  valendosi  del  loro  diritto  feudale  allora  in  vigore,  impie- 
gassero tutti  i  mezzi  onde  ripopolare  le  campagne,  coli'  intento  è  vero  di 
procacciarsi  in  tal  guisa  della  gente  atta  alle  armi,  ma  puranco  allo  scopo 
di  migliorare  le  condizioni  agrarie  divenute  tristi. 

Vediamo  p.  e.  che  tra  il  1302  ed  il  1306*),  il  vescovo  di  Trieste 
Rodolfo  de  Pedrazzani  per  riacquistar  i  diritti  della  sua  chiesa,  tentasse  di 
ripopolare  la  villa  di  Sllvola  (Servola)  che  era  priva  d'abitanti  in  conseguenza 
delle  guerre  sostenute  fra  il  comune  di  Trieste  ed  i  Veneti,  e  com'  egli  a 
questo  scopo  chiamasse  dalla  sua  provincia  natia  alcuni  coloni  del  Solicino 
a  trasferirsi  nella  sua  villa  per  attendere  ai  campi,  e  coli'  intenzione  di  tra- 
mutarli indi  in  soldati 3).  Questi  coloni  si  propagarono,  ed  ancora  oggi  la 
provenienza  delle  loro  famiglie  viene  confermata  dai  molti  Sancii  (corruzione 
di  Soncin)  che  abitano  la  villa,  abbenchè  coli'  andar  dei  secoli  la  lingua 
italiana  dei  Soncinesi  sia  un  po'  alla  volta  divenuta  pretta  slovena.  Così  va 
il  mondo  ! 

La  guerra  riaccesasi  fra  il  patriarca  ed  i  Veneti  coli'  intervento  del  conte 


')  Kandler.  Annali. 

")  Ughelli  Ferd.  Italia  sacra.  —  Venetiis  1717-1722. 

»J  P.  T.  nella  «Provincia»  XVIII,  16. 


—  397  — 

Alberto  II  di  Gorizia  ora  in  favore  del  primo  ed  ora  contro,  che  durava  dal 
1304  al  13 io,  era  causa  di  lunghe  e  crudeli  devastazioni.  L'Istria  ne  ri- 
maneva esausta  d'uomini,  in  modo  tale  da  non  poter  resistere  alle  truppe 
venete,  che  tentavano  di  togliere  al  patriarca  i  luoghi,  ch'egli  ancor  posse- 
deva nella  provincia.  Durante  questa  guerra  veniva  incendiato  Castelvenere, 
e  ne  rimasero  pure  depredate  da  alcuni  uomini  di  Cittanova  le  ville  di 
Servarla  (oggi  Sorbar)  su  quello  di  Momiano  e  la  villa  di  Merischa  (Meri- 
schie)  nello  stesso  territorio  :  indizio  deplorabile  delle  condizioni  dell'  Istria 
a  quei  tempi  '). 

Le  terre  patriarcali  istriane  avevano  ancora  a  soffrire  terribili  devasta- 
zioni nella  lotta  impegnatasi  nel  13 13  fra  il  conte  Enrico  ed  il  patriarca, 
fino  a  che  per  interposizione  di  altre  potenze,  veniva  conchiusa  la  pace 
nello  stesso  anno  8). 

Egualmente  per  la  guerra  scoppiata  nel  1329  fra  la  tutela  del  conte 
Giov.  Enrico  ed  il  patriarca,  aveano  luogo  devastazioni  di  molti  territori 
della  contea,  tra  cui  S.  Vincenti,  Piagne  e  Tabanelle,  ma  specialmente  ne 
soffriva  Barbana,  che  assalita  dai  patriarchini  veniva  arsa  e  condannata  a  veder 
passati  a  fil  di  spada  i  suoi  abitanti  ").  Notisi  poi  che  un  anno  prima,  Pola 
veniva  saccheggiata  dai  Genovesi. 

Le  condizioni  della  provincia  erano  a  quei  tempi  molto  lagrimevoli. 
Abbiamo  testimonianza  di  ciò  in  un  ordine  del  18  giugno  1336  dato  dal 
patriarca  al  gastaldione,  al  consiglio  ed  al  popolo  di  Pinguente,  che  per  im- 
pedire possibilmente  ai  ladri  ed  ai  predoni  i  pravi  loro  tentativi,  gli  animali 
e  le  robe  poste  in  vendita  a  Pinguente  da  altri  che  da  conosciuti  mercanti, 
dovessero  per  tre  giorni  stridarsi  sul  piazzale  innanzi  la  chiesa,  ed  appena 
spirato  questo  termine  potessero  essere  vendute  4). 

Anche  in  Pola  in  quel  tempo  sussistevano  le  stesse  condizioni.  Colà 
risiedeva  un  vescovo,  Sergio  da  Cattaro,  il  qual  per  ordine  del  patriarca 
veniva  processato  perchè  esercitava  la  pirateria  con  depredazioni  ed  uccisioni  ; 
esso  maltrattava  e  spogliava  i  cittadini,  dilapidava  le  rendite  dei  canonici 
ed  i  beni  della  Chiesa  '). 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  147-150. 

*)  Ibid.  pag.  152. 

')  Ibid.  pag.  163,  e  P.  T.  nella  «Provincia»  XII,   19. 

')  Codice  diplomatico  istriano  e  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  173. 

'*;  Db  Franceschi   Op.  cit.  pag.  176. 


-  398  - 

Nel  1343  Beachino  di  Momiano  arrecava  danni  rilevanti  ed  ingiurie  a 
quelli  di  Cittanova,  in  modo  da  indurre  il  Senato  veneto  ad  ordinare  in 
data  4  settembre  al  capitano  del  Paesanatico  di  prendere  severe  misure1); 
e  nello  stesso  anno  il  comune  di  Montoua  invadeva  le  terre  ed  i  boschi  di 
Portole,  attirando  sopra  di  sé  la  scomunica  del  patriarca  Bertrando  2).  Con- 
temporaneamente succedevano  fatti  d'armi  in  Istria  fra  i  Veneti  ed  il  conte 
Alberto,  pei  quali  questi  perdeva  Antignana,  e  cadeva  anche  prigioniero  $). 
Causa  le  depredazioni  che  nel  decorso  di  questa  guerra  venivano  esercitate 
dagli  aderenti  del  conte  nel  territorio  di  Montona  ed  in  quello  di  Capo- 
distria,  buona  parte  della  popolazione  abbandonava  il  territorio  di  quest'ul- 
tima città,  recandosi  per  timore  ad  abitare  in  quello  della  contea,  e  disertando 
completamente  le  ville,  in  modo  che  il  Senato  veneto  ne  rimaneva  profon- 
damente impressionato 4).  Accusato  ne  era  principalmente  il  condottiero 
AnziI  di  Postoina  (Anzil  de  Postoyna)5).  È  naturale  che  tali  distruzioni 
provocassero  rappresaglie,  e  vediamo  diffatti  il  Senato  decidere  li  17  giugno 
1344  e  seguenti,  che  venissero  inferti  eguali  danni  nel  territorio^della  contea') 
ed  in  quello  del  patriarca.  In  questa  guerra  veniva  danneggiato  il  castello 
di  Momiano  e  distrutto  quello  di  Castione  '). 

Nell'ottobre  del  1347  nascevano  gravi  disordini  e  ribellioni  in  Isola 
contro  il  governo  veneto,  le  quali  spingevano  il  Senato  a  serie  misure  8). 
Nel  maggio  di  quello  stesso  anno  il  Senato  diminuiva  le  gravezze  pubbliche 
ed  accordava  speciali  favori  alla  città  di  Pola,  onde  impedire  la  diminuzione  di 
popolo  cui  essa  andava  incontro,  a  motivo  dell'avversità  e  sterilità  sofferte9). 

Nell'anno  seguente  aveva  luogo  la  tremenda  ribellione  di  Capodistria, 
organizzata  da  alcuni  partigiani  del  conte  Alberto  III,  capitanati  dal  conte 
d'Ortenburg  con  Volrico  di  Reifenberg  vassallo  del  conte  di  Gorizia,  i  quali 


')  Senato  9/Cisti.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  »> 
voi.  IV,  pag.  20-21. 

')  Kandler.  Annali. 

*)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  177. 

')  Senato  Misti.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  ■ 
voi.  IV,  pag.  31. 

»)  Ibid.  pag.  35  e  37. 

•)  Ibid.  pag.  34  e  35. 

')  Ibid.  pag.  35,  36  e  38. 

*)  Ibid.  pag.  45,  50  e  51. 

•)  Ibid.  pag.  48. 


—  399  — 

supponendo  in  buona  parte  estinti  dalla  peste  che  allora  infuriava  i  partigiani 
veneti  della  città,  facevano  una  scorreria  sino  alle  sue  porte,  arrestavano 
il  podestà  Marco  Giustiniani  ed  atterravano  il  vessillo  di  S.  Marco,  sosti- 
tuendovi quello  del  comune.  Il  Castel  Leone  che  teneva  fermo,  domava  poi 
la  città  '). 

Le  ostilità  fra  il  conte  e  la  repubblica  erano  cagione  anche  di  altri  danni, 
dappoiché  quelli  di  Barbana,  di  Castelnovo  sull'Arsa,  di  Albona,  di  Grisi- 
gnana  e  di  Salise  '),  sudditi  patriarchini  si  gettassero  sulle  terre  venete, 
devastando  le  campagne  di  Capodistria  e  di  Pola.  Sembra  eziandio  che 
nello  stesso  anno  (1348)  l' Istria  venisse  corsa  da  una  masnada  di  Croati  se- 
gnani,  sbarcati  all'Arsa  e  forse  mandati  dal  conte  di  Veglia  in  aiuto  a  quello 
di  Gorizia  ').  Ed  anche  in  Pola  avvenivano  in  quell'  anno  seri  trambusti 
e  guai  '). 

Quattro  anni  appresso  (1352)  Capodistria  tentava  un'altra  riscossa  dal 
giogo  veneto5).  Nel  1353  i  Triestini  infliggevano  molti  guai  per  mare  e 
per  terra  a  quelli  di  Muggia,  in  guisa  da  costringere  questi  a  chiedere  l' in- 
tervento del  Senato  veneto  '). 

L'anno  1354  era  poi  oltremodo  luttuoso  per  l'Istria,  giacche  le  sue 
principali  città  e  luoghi  della  costa  dovevano  soccombere  agli  assalti  dei 
Genovesi,  i  quali  in  odio  ai  Veneti,  prendevano  e  saccheggiavano  Pola, 
Parenzo,  Capodistria  ed  altre  città,  e  distruggevano  Muggia,  Due  Castelli 
e  S.  Giorgio  al  Quieto  '). 

Nel  135 j  alle  tristi  conseguenze  degli  assalti  da  parte  dei  Genovesi  si 
aggiungevano  le  incursioni  e  derubazioni  nei  territori  di  Pola,  Dignano, 
Valle  e  Rovigno,  contro  le  quali  il  Senato  veneto  disponeva  che  il  capitano 
di  S.  Lorenzo  stanziasse  buona  mano  di  truppe  a  guardia  del   borgo  di 


')  Vesnaver  Giov.  Grisignana  d'Istria.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di 
archeologia  e  storia  patria»  voi.  Ili,  pag.  195.  —  Senato  Oi/Cisti.  Ibid.  voi.  IV,  pag.  61.  — 
Notizie  storiche  di  Pola,  pag.  157.  —  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.   193. 

J)  Senato  Misti.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria» 
voi.  IV,  pag.  56-61. 

')  Kandler.  Annali.  —  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.   186. 

')  De  Franceschi.  Ibid. 

8)  P.  T.   «  Provincia  »   XIV,  4. 

*)  Senato  Misti.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria» 
voi.  IV,  pag.  97. 

')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  189.  —  Kandler.  Annuii. 

10 


—  400  — 

Dignano  (in  Burgo  Adignani)1).  Nello  stesso  anno  Parenzo  otteneva  dal  Se- 
nato un  prestito  di  mille  ducati  per  la  durata  di  cinque  anni,  allo  scopo  di 
riparare  i  guasti  arrecati  dall'assalto  dei  Genovesi,  e  specialmente  il  palazzo 
del  podestà,  il  quale  per  mancanza  di  conveniente  ricovero  avea  dovuto 
abitare  nell'  episcopio  2). 

Non  meno  esiziali  per  la  provincia  riescivano  i  saccheggi  praticati  nel 
r 356  dalla  squadra  numerosa  mandata  dal  re  Lodovico  d'  Ungheria  sulle 
coste  istriane  per  danneggiare  i  Veneti,  coi  quali  egli  si  trovava  in  guerra*). 
In  questa  guerra  molto  ne  soffriva  Montona,  alla  quale  il  Senato  a  titolo 
di  sollievo  condonava  alcuni  debiti  di  paghe.  E  veniva  danneggiato  gran- 
demente anche  Dignano,  in  modo  tale  che  gli  abitanti  dovettero  abbandonare 
il  borgo  e  ridursi  alla  campagna,  dalla  quale  fecero  ritorno  nel  1358,  rie- 
dificando il  borgo  coi  soccorsi  del  Senato  '). 

Fatali  condizioni,  note  ovunque,  persino  al  Petrarca,  il  quale  in  una 
epistola  deplorando  nel  1359  le  cose  d'Italia,  diceva  dell'Istria  «magno 
»  bellorum  sonitu  nec  parvae  stragis  impie  deservierunt:  Ianuenses  et  Veneti 
»  in  armis  sunt 5)». 

Nel  1370  i  Genovesi  prendevano  ed  abbruciavano  Umago  6).  Nel  di- 
cembre del  1374  Raffaele  di  ser  Steno,  confinato,  assaliva  per  sorpresa 
Muggia,  uccideva  i  giudici  e  se  ne  impadroniva,  tenendola  per  due  anni, 
decorsi  i  quali  il  patriarca  la  ricuperava  '). 

Li  7  maggio  1379  aveva  luogo  la  battaglia  nel  canale  dei  Brioni  fra 
i  Genovesi  ed  i  Veneziani  colla  rotta  totale  di  questi.  Pola  veniva  presa  dai 
Genovesi  e  diroccata,  uccisi  gli  abitanti,  incendiato  1'  archivio  e  portati  a 
Genova  gli  oggetti  preziosi,  fra  i  quali  le  porte  di  bronzo  della  cattedrale  '). 
I  Genovesi  prendevano  quindi  Rovigno,  la  depredavano  e  le  rapivano  il 
corpo  di  S.  Eufemia  ;  poi  consegnavano  la  città  al  luogotenente  del  patriarca 


')  Senato  Misti.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  » 
voi.  IV,  pag.  104. 

J)  Ibid.  pag.  108. 

3)  Benussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.  65. 

')  Senato  Misti.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria» 
voi.  IV,  pag.  126,  134. 

6)  Kandler.  Annali. 

6)  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  293.  —  Benussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.  66.  —  De 
Franceschi.  Op.  cit.  pag.  201. 

7)  Kandler.  ninnali. 

*)  Ibid.  —  De  Franceschi.  Op    cit.  pag.  211-212. 


—  401  — 

d'Aquileja,  che  diggià  con  numeroso  esercito  aveva  invasa  la  penisola1). 
Ed  anche  nel  1380,  dopo  esser  stati  battuti  presso  Chioggia,  i  Genovesi 
devastavano  l' Istria  *),  prendendo  Capodistria  senza  il  castello,  bruciandola 
in  parte,  e  saccheggiandola  senza  risparmiare  ne  monumenti  antichi,  né 
archivi,  ne  fabbriche,  ed  asportandone  persino  i  corpi  santi  1).  —  Invece 
Pirano  e  Parenzo  respingevano  l'assalto,  e  quello  contro  Isola  andava  pure 
a  vuoto,  mentre  Pola  veniva  di  bel  nuovo  presa  ed  arsa.  Nello  stesso  anno 
il  provveditore  veneto  Alvise  Loredan  assaltava  Besca  e  la  saccheggiava. 
Sembra  che  nel  1381  anche  Due  Castelli  venisse  assalito  e  preso  dai  Genovesi, 
alleati  a  quelli  di  S.  Lorenzo  *),  colla  strage  degli  abitanti,  col  saccheggio 
ed  incendio  del  luogo,  nel  qual  anno  anche  Capodistria  veniva  nuovamente 
aggredita  dai  Genovesi  e  posta  a  ruba  ed  a  fuoco  6). 

Nel  1349  succedeva  presso  Grisignana  un  piccolo  fatto  d'  armi,  pro- 
babilmente fra  veneti  e  patriarchini e).  La  città  patriarchina  di  Muggia  doveva 
alla  sua  volta  nel  1398  sostenere  coi  Triestini  serie  ostilità  7). 

Riepilogati  di  tal  guisa  i  fatti  d'  armi  e  le  fazioni  guerresche,  per  le 
quali  la  provincia  nostra  ebbe  a  soffrire  terribilmente,  altre  cause  s'aggiunsero 
in  questo  secolo,  come  negli  antecedenti,  a  favorirne  il  deperimento,  fra  le 
quali  vanno  ricordate  in  primo  luogo  le  pesti. 

Abbiamo  memoria  di  dodici  anni  d'epidemie  di  peste  scoppiata  entro 
i  confini  della  provincia,  e  precisamente  negli  anni  1312,  1330,  1343,  1347, 
1348,  1360,  1361,  1368,  1371,  1380,  1382,  1397  8).  Tali  epidemie  furono 
fatalissime  pelle  loro  conseguenze.  Muggia  perdeva  la  metà  della  popolazione, 
Pirano,  Rovigno,  Parenzo,  Pola,  Montona  ed  Ossero  rimanevano  sensibil- 
mente diminuite  dei  loro  abitanti,  anzi  l'agro  polese  veniva  del  tutto  spo- 


')  Benussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.  66.  —  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  213. 

2)  Benussi.  Ibid. 

*)  «Provincia»  XI,  24.  —  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  218-220. 

•)  Tommasini.  Op.  cit. 

')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  321. 

•)  Kandler.  ^Annali. 

*)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  233. 

*)  Vedi  mio  lavoro  citato.  In  questo  e  indicato  falsamente  quale  anno  di  peste  anche 
il  1338,  dipendendo  ciò  da  un  errore  di  stampa  nel  testo  citato,  ove  invece  del  1338, 
doveva  leggersi  1348.  La  peste  dell'anno  1368  non  comparisce  menzionata  nella  mia 
monografia,  perché  la  trovava  menzionata  dopo  la  pubblicazione  della  stessa  nei  Senato  Misti 
(«Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria»  voi.  V,  pag.  38,  41). 
Essa  invadeva  la  città  di  Capodistria. 


—  402  — 

polato.  Capodistria  poi  riducevasi  alle  più  tristi  condizioni  economiche,  in 
modo  che  nel  1386  il  clero  non  era  al  caso  di  pagare  la  decima  papale  '). 

È  inoltre  probabile  che  il  contagio  superasse  i  confini  della  provincia 
anche  in  altre  annate,  giacché  troviamo  la  peste  nelle  provincie  venete  ed 
in  Venezia  stessa,  negli  anni  1307,  1349,   1350,   1 3 5 1,   1359,   1393  *). 

In  questo  secolo  manifestaronsi  ancora  molti  fenomeni  tellurici  e  me- 
teorologici, i  quali  non  possono  non  aver  esercitata  una  certa  azione  funesta 
sulla  conformazione  del  suolo.  Primi  fra  tutti  notiamo  i  terremoti  che  oc- 
correvano nella  regione  veneto-istriana,  negli  anni  1301,  1343,  1348,  1 349- 
Indi  le  maree  straordinarie,  manifestatesi  nel  1 3  14,  1340,  1341,  1343,  1385, 
fra  le  quali  è  memorabile  in  Istria  quella  del  1343,  durante  la  quale  Pirano 
minacciata  dalla  enorme  escrescenza  delle  acque  volle  nella  sua  pietà  attri- 
buire la  propria  salvezza  dall'  essere  ingoiata  dalle  acque  alla  apparizione 
del  martire  S.  Giorgio  3). 

Finalmente  devesi  far  menzione  dei  freddi  eccessivi  del  1339  e  d'una 
invasione  di  locuste,  che  nel  1309  devastarono  le  campagne  dell'Istria4). 

Conseguenze  sì  delle  guerre,  che  delle  pesti,  nonché  delle  circostanze 
ultimamente  menzionate  erano  le  carestie  sofferte  nel  1312  e  nel  1375,  e  la 
fame  nell'anno  del  freddo  1339;  e  mentre  nell'anno  13 17  —  anno  ricordato 
fra  i  più  prosperi  —  le  campagne  producevano  del  vino  in  abbondanza, 
vediamo  in  breve  codeste  sorgenti  di  ricchezza  a  poco  a  poco  scemare  in 
modo  che  sotto  la  data  dei  5  aprile  1349  il  veneto  Senato  concedeva  al 
comune  di  S.  Lorenzo  del  Pasenatico,  che  molto  ne  scarseggiava,  di  poter 
ritirare  dalle  parti  di  Trieste  25  anfore  di  ribolla  e  da  quelle  della  Marca 
25  anfore  di  vino,  pagandone  il  dazio  5).  La  stessa  cosa  avveniva  in  data  25 
marzo  del  1350,  quando,  per  esservi  stata  nel  1349  grande  scarsezza  di  vino 
su  quel  di  Parenzo,  si  concedeva  a  questa  città  di  poter  ritirare  dalle  parti 
di  Capodistria  e  da  quelle  verso  Trieste  50  anfore  di  ribolla  6).  Si  ripeteva  la 
stessa  grazia  al  comune  di  S.  Lorenzo  del  Pasenatico  colle  parti   prese  in 


')  Vedi  mio  lavoro  citato.  —  Marsich.  Effemeridi  giustinopolitane  «Provincia»  XI,  20. 

2)  Kandler.  Annali. 

3)  Ibid. 
«)  Ibid. 

6)  Senato  Misti.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria» 
voi.  IV,  pag.  59. 

6)  Ibid.  pag.  81. 


-  4°3  — 

data  29  luglio  1349,  4  novembre  1350,  16  agosto  135  1  e  16  agosto  1353  '), 
di  poter  estrarre  dalla  Marca  e  da  luoghi  dell'Istria  150  anfore  di  vino.  Li 
19  aprile  1357  avveniva  lo  stesso  pel  comune  di  Umago,  reiterando  in  tal 
guisa  una  grazia  concessa  allo  stesso  nel  1356.  Da  tutto  ciò  si  rileva  come 
scarsa  fosse  la  produzione  del  vino  negli  anni  1348,  1349,  1350,  1352,  1355 
e  1356.  In  aggiunta  a  ciò  v'era  tanta  scarsezza  di  granaglie  in  quasi  tutta 
l'Istria  nel  1381,  da  costringere  il  Senato  veneto  nel  gennaio  1382  a  con- 
cedere agli  abitanti  di  Pola,  di  Rovigno  e  di  Valle  di  poter  acquistare  nel 
Friuli  lino  a   1500,  rispettivamente  1000  e  500  staia  di  grano*). 

Nel  decorso  di  questo  secolo  troviamo  che  l'estuario  di  Capodistria  si 
fosse  avanzato  fino  ai  pressi  della  città,  in  modo  che  o  per  la  sicurezza 
contro  gli  assalti  guerreschi  o  per  motivi  di  salute  pubblica  venivano  presi 
dal  governo  veneto  seri  provvedimenti.  Il  Senato  colla  parte  9  novembre  1329 
ordinava,  in  seguito  al  parere  di  Gradenigo  Bertucci,  d' impedire  l'ulteriore 
dilatazione  della  palude,  colla  erezione  di  un  muro  di  chiusa.  Senonchè  con 
tale  rimedio  giungevasi  ad  un  risultato  del  tutto  opposto,  poiché  deviatone 
il  corso  regolare  del  Risano,  la  palude  estendevasi  ancora  maggiormente  '). 
Impensierito  il  Senato  di  tale  fatto,  decideva  in  seguito  alle  informazioni  del 
podestà  di  Capodistria  di  procedere  all'  escavo  della  palude.  L'  argomento 
diveniva  oggetto  di  serie  pertrattazioni  nelle  sedute  del  23  febbraio  1343  e 
19  aprile  1344,  ed  i  protocolli  delle  stesse  ci  dicono,  che  allo  scopo  di  co- 
prire le  ingenti  spese  relative,  il  Senato  decideva  d'addossarne  una  parte  ai 
cittadini  di  Capodistria,  imponendo  loro  una  gabella  sul  vino  *).  Però  sino 
al  3  giugno  1361  e  18  marzo  1364  non  s'era  ancora  fatto  nulla,  per  il  che 
il  veneto  Senato  ordinava  al  podestà  allora  in  sede,  di  far  procedere  in  ogni 
modo  a  detto  escavo  per  la  lunghezza  di  almeno  800  passi  e  io  di  larghezza, 
e  commetteva  ai  patroni  dell'arsenale  di  mandar  colà  quattro  burchi  dei  più 
leggieri  e  gli  istrumenti  da  scavare  *).  La  palude  tuttavia  era  sì  interrita  che 
certe  barene  che  vi  si  erano  formate,  impedivano  ai  pontoni   d'  avvicinarsi 


')  Senato  Misti,  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria» 
voi.  IV,  pag.  69,  83,  86,  97. 

*)  Ibid.  voi.  V,  pag.  75. 

*)  «Archivio  veneto»,  fase,  si,  1886,  N.  354.  —  Porla  orientale,  1858,  pag.  50.  — 
«Provincia»  XX,  13. 

*)  Senato  Misti  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  » 
voi.  IV,  pag.  26,  27,  30. 

')  Ibid.  voi.  V,  pag.  3  e  19. 


—  404  — 

al  luogo  di  escavo,  e  perciò  si  ordinava  al  podestà  di  previamente  allonta- 
narle. In  data  20  giugno  del  1364,  dietro  domanda  del  podestà,  spediva» 
un  pontone  per  l'escavo  '),  e  sotto  quella  dei  9  novembre  delegavansi  due 
boni  viri  in  talibus  experti,  i  quali  avessero  a  studiare  col  podestà  i  lavori 
da  farsi  ed  il  modo  di  condurli  a  termine  colla  maggior  economia.  Questi 
esperti  (che  erano  di  Chioggia),  uditi  dal  Senato,  fecero  deliberare  dallo 
stesso  nel  giorno  7  gennaio  1365  2),  che  si  avesse  a  scavare  per  300  passi 
a  ponente  in  modo  da  poter  approdare  al  Castel  Leone  senza  impedimenti. 
La  palude  che  stava  intorno  al  detto  castello  ed  a  quella  parte  della  città, 
era  in  gran  parte  rasciutta  e  vi  si  formavano  barene,  cosi  che  il  podestà 
veniva  di  nuovo  incaricato  di  farle  escavare,  onde  1'  acqua  ne  potesse  co- 
prire l'estuario.  Sembra  che  l' interrimento  dipendesse  dall'  impeto  del  mare 
proveniente  dal  lato  di  Borea,  il  quale  trovandosi  impedito  nel  suo  libero 
movimento  dal  ponte  di  pietra,  infrenato  l' impeto,  deponeva  le  sostanze 
pesanti  che  seco  trascinava.  Ordinavasi  perciò  che  tale  ponte  venisse  rotto 
(scava^etur)  ed  aperto  al  punto  ov'esso  s'univa  a  quello  di  legno  che  metteva 
verso  la  città,  in  guisa  che  vi  restasse  uno  spazio  di  circa  12  passi,  unendo 
le  due  teste  con  un  ponte  levatoio  di  legno.  La  stessa  cosa  doveva  farsi 
alla  testa  di  ponte  verso  il  castello,  chiamato  starea.  Aprendo  in  tal  guisa 
un  varco  di  24  passi,  il  mare  avrebbe  riottenuto  il  suo  movimento  regolare. 
Oltre  a  ciò  fu  ordinato  che  il  fiumicello  scorrente  dalla  parte  di  levante  al 
mare  venisse  immesso  nella  fossa  del  castello.  A  tali  lavori  vennero  sopraposti 
quali  sorveglianti  due  esperti  di  Venezia  e  Chioggia.  Questi  esperti,  avendo 
però  ritenuta  dannosa  tale  immissione,  fu  deliberato  sotto  la  data  dei  28 
agosto  dello  stesso  anno,  che  il  fiumicello  venisse  sotterraneamente  condotto 
dal  Risano  al  mare. 

Ma  siffatto  lavoro  non  ebbe  che  un  effetto  temporaneo  :  il  veneto  Senato 
colla  parte  27  luglio  1374  s),  sollecitato  dal  podestà  e  capitano  di  Capo- 
distria,  ordinava  che  tutti  i  podestà  ogni  anno  per  una  settimana,  subito 
dopo  Pasqua,  dovessero  far  scavare  dai  salinari  in  una  data  proporzione  le 
paludi  e  barene.  Neil'  anno  seguente,  li  1 1  maggio,  in  base  a  proposta  del 
cessato  podestà  e  capitanio  Paolo  Morosini,  fu  deliberato  di  far  scavare  la 


')  Senato  Misti.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria» 
voK  IV,  pag.  20. 

5)  Ibid.  pag.  22. 
3)  Ibid.  pag.  57. 


—  405  — 

palude  formatasi  attorno  il  Castel  Leone  in  modo  che  con  qualsiasi  marèa 
vi  si  potesse  avvicinare  una  barca.  Venne  poi  deciso  di  girare  il  Fiumicino 
verso  Risano  per  impedire  l'interrimento  di  cui  era  causa').  Tale  interri- 
mento era  sì  avanzato  e  solido,  che  un  cavaliere  col  suo  cavallo  poteva  re- 
carsi alle  porporelle  2). 

Sembra  tuttavia  che  le  condizioni  sanitarie  di  Capodistria,  almeno  in 
quanto  riguarda  la  salubrità  dell'aria,  non  fossero  sfavorevoli  nel  decorso  di 
questo  secolo,  perché  ad  onta  dell'  impaludamento,  delle  guerre  e  delle  pesti, 
abbiamo  nella  lettera  del  Petrarca  al  Boccaccio,  riportata  a  pag.  370,  la  te- 
stimonianza delle  buone  condizioni  igieniche  della  città,  nell'anno  1363. 

In  generale  non  si  può  dire  altrettanto  del  resto  della  provincia.  Troviamo 
diffatti  nella  Commissione  del  doge  Antonio  Venier  degli  anni  1382-1400, 
che  è  data  facoltà  ai  podestà  di  Cittanova  e  di  Parenzo  di  rimanere  assenti 
per  tre  mesi  dalle  città  loro  assegnate  e  ciò  a  cagione  della  insalubrità  del- 
l'aria ').  Questa  notizia  è  importantissima,  essa  è  forse  il  più  antico  docu- 
mento che  parli  della  malaria,  della  quale  pare  che  solamente  quelle  due 
città  fossero  aggravate,  mentre  accenandosi  a  Pola  si  deplorano  in  generale 
le  tristi  condizioni  e  lo  stato  di  desolazione  4)  in  cui  era  caduta,  si  da  dover 
costringere  il  governo  veneto  a  porgere  in  varie  guise  un  sollievo  all'  infelice 
città 5).  La  popolazione  vi  era  in  essa  di  molto  scemata,  e  le  campagne 
mancavano  di  trebbiatori  per  le  biade,  che  si  dovevano  far  venire  da  altri 
siti.  Onde  impedirne  il  totale  spopolamento,  il  governo  proibiva  ai  Polesi 
di  portarsi  ad  abitare  in  Dignano,  come  s'era  principiato;  indizio  questo  che 
probabilmente  anche  in  Pola  1'  aria  non  era  buona  '). 

Parenzo  però  aveva  ancora  alla  metà  del  secolo  oltre  3000   abitanti, 


')  Senato  Misti.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  » 
voi.  V,  pag.  57.  —  Dunque  di  ciò  nel  1365  non  s'era  fatto  nulla. 

')  Ibid.  pag.  59  «unus  eques  cum  toto  equo  posset  ire  usque  ad  Purpurarias  ». 

3)  Commissioni  dei  dogi  ai  podestà  veneti  dell'Istria,  con  introduzione  del  prof.  Bernardo 
don.  Benussi.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria», 
voi.  Ili,  pag.  7  e  30. 

')  Senato  iVCiili.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  » 
voi.  V,  pag.  17.  —  Nella  seduta  del  veneto  Senato  del  26  ottobre  1363  essa  viene  chia- 
mata «  multum  desolata  gentibus». 

5)  Commissioni  dei  dogi  ecc.,  pag.  18  e  72-73.  —  Fra  altri  favori  il  veneto  Senato 
cambiava  nel  1350  il  contributo  d'una  galea  con  un  pagamento  rateale  della  stessa. 

«;  Ibid. 


—  4°6  — 

popolazione  assai  abbondante  tenuto  conto  della  piccolezza  del  recinto  '). 
Ad  onta  di  ciò  nel  1372  la  città  era  ridotta  ad  estrema  povertà,  in  modo 
che  con  deliberazione  del  2  marzo  di  quell'anno  il  Senato  veneto  l'esonerava 
del  pagamento  della  tassa  del  Pasenatico  2).  Come  s'è  veduto  a  pag.  398, 
Capodistria  ed  il  suo  territorio  erano  invece,  nel  1358,  scarsamente  popolati, 
causa  le  guerre  e  le  pesti.  In  aggiunta  a  ciò  nel  1375  vi  regnò  un'estrema 
carestia,  cui  il  governo  alleviava  impiegando  mille  lire  pei  poveri  della  citta, 
ai  quali  affidò  i  lavori  ad  castrimi  Leonis  s). 

Il  castello  di  Valle,  che  nel  1344  contava  200  abitanti  *),  si  lagna  pure 
di  gravi  infortuni  toccatigli  nel  1358  per  le  fazioni  di  guerra,  in  seguito  ai 
quali  perdeva  oltre  quattromila  animali  fra  grandi  e  minuti.  Perciò  chiedeva 
una  riduzione  delle  imposizioni,  che  il  Senato  accordò  6).  —  Rovigno  stessa 
era  ridotta  in  questo  secolo  ad  estrema  povertà.  Il  veneto  Senato  li  5  gen- 
naio 1366,  per  sollevare  in  qualche  modo  il  comune  e  gli  uomini  di  quella 
città  qui  in  miserrima  patipertate  constituti  sunt,  concedeva  di  poter  esportare 
per  due  anni  per  terra  e  per  mare  1'  olio  prodotto  in  quel  territorio,  pa- 
gandone il  dovuto  dazio  e). 

La  terminazione  27  luglio  1375  contenuta  nella  Commissione  del  doge 
Antonio  Veniero  al  podestà  di  Capodistria  del  13  82- 1400,  nella  quale  per- 
mettevasi  ai  sudditi  di  rifarsi  dei  danni  arrecati,  sia  coli'  inseguire  i  predoni 
o  con  altre  misure,  attribuisce  a  tali  danneggiamenti  il  fatto  quod  tota  Istria 
dici  pot est  deserta  ista  de  causa'1),  cosi  che  un  anno  più  tardi,  nel  17  no- 
vembre 1376,  il  Senato  ordinava  a  tutti  i  rettori  della  provincia,  che  per 
ripopolare  le  città  e  le  campagne  (prò  bono  et  habitatione  terrarum  et  locorum 
nostrorum  Istriae),  facessero  proclamare  ovunque,  che  tutti  coloro  i  quali 
entro  un  anno  venissero  ad  abitare  colla  famiglia  in  alcuna  terra  o  luogo 
veneto   dell'  Istria,   sarebbero  liberi  da  ogni   angheria   personale  e  reale  di 


')  Negri  mons.  Gasparo.  Memorie  storiche  della  città  e  diocesi  di  Parendo.  «  Atti  e 
memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  »,  voi.  Ili,  pag.  1 36.  — 
Kandler.  ^Annali. 

*)  Senato  Misti.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  » 
voi.  V.  pag.  52. 

3)  Ibid.  pag.  60. 

*)  Ibid.  voi.  IV,  pag.  30-31. 

5)  Ibid.  pag.  121. 

•)  Ibid.  voi.  V,  pag.  29. 

')  Commissioni  dei  dogi  ecc.,  pag.  17  e  53-54. 


—  407  — 

dette  terre  o  luoghi  per  lo  spazio  di  cinque  anni  ;  ma  al  tempo  stesso  rac- 
comandava ai  rettori  di  non  accogliere'  persone  sospette,  e  di  trattare  con 
benigniti  i  venuti  '). 

Nel  1356  per  deliberazione  del  Senato  del  21  marzo  venne  creato  il 
nuovo  Pasenatico  citta  aquam  Quieti  Fu  dapprima  stabilito  in  Sterna,  luogo 
che  venne  riedificato  e  destinato  a  permanente  dimora  del  capitano,  al  quale 
era  data  facoltà,  durante  la  riedificazione,  di  abitare  in  Umago  od  in  Citta- 
nova8).  Codesta  sede  dura  però  soli  due  anni.  In  data  19  decembre  1358 
avendo  il  Senato  accettata  la  domanda  di  Volrico  di  Reifenberg,  il  castello 
di  Grisignana  passava  in  pegno  alla  Repubblica  per  4000  ducati,  dove  il 
Pasenatico  atra  aquam  vi  veniva  trasferito5)  durandovi  fino  al  1394,  nel 
qual  anno  i  Pasenatici  cioè  questo  e  quello  di  S.  Lorenzo,  furono  concentrati 
in  uno  solo,  in  Raspo  *).  Tali  notizie  servono  a  testimonio  delle  buone  con- 
dizioni di  queste  tre  località. 

Nelle  isole  del  Quarnero,  specialmente  in  quella  dei  Lossini  verificavasi 
durante  il  decorso  di  questo  secolo  un  sensibile  aumento  di  popolazione  ; 
ed  anzi  ora  appena  si  hanno  per  quest'ultima  isola  notizie  di  due  villaggi 
abitati.  Una  cronaca  manoscritta,  in  cui  trovasi  esposta  la  famosa  lite  degli 
Osserini  contro  i  Lussignani  pel  pagamento  del  tributo  imposto  dai  primi 
agli  ultimi,  ci  può  offrire  qualche  lume  intorno  all'  origine  dei  Lossini. 
«Seguita  l'amichevole  divisione  —  dice  quello  scritto  —  del  possesso  del- 
»  l' isola  tra  Cherso  ed  Ossero,  fu  accordato  a  quest'  ultimo  dal  Principe 
»  in  via  di  privilegio  tutta  quella  terra,  che  dalla  punta  del  Monte  d'Ossero 
»  fino  a  S.  Pietro  de'  Nembi  s'estende,  ed  in  quel  tempo  (anno  1384)  non 
»  vi  era  alcuno,  che  abitasse  quella  terra.  Dopo  qualche  tempo  sono  venute 
»  dagli  stati  esteri  otto  famiglie,  le  quali  hanno  ottenuto  dalla  Comunità  di 
»  Ossero  il  permesso  di  fermare  colà  la  loro  dimora,  e  precisamente  quattro 
»  per  ogni  luogo.  Queste  poche  famiglie  piantarono  le  prime  loro  casupole 
»  di  paglia  in  quelle  località  che  oggi  si  chiamano  Lussingrande  e  Lussin- 
»  piccolo,  e  venivano  distinte  nella  prima  origine  col  nome  di  Pastori  dei 
»  Signori  a"  Ossero.  Questo  permesso  di  stabile  domicilio  fu  loro  concesso 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  208  e  nota. 

*)  Senato  Misti.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria» 
voi.  IV,  pag.  109. 

3)  Ibid.  pag.   132. 

•)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  227, 


—  408  — 

»  a  condizione,  che  a  titolo  di  tributo  annuo  dovesse  ogni  famiglia  pagare 
»  un  ducato  d'oro».  Nel   1398  tali  famiglie  erano  aumentate  a  trenta'). 

Mentre  Lossino  sorgeva  dal  nulla,  la  vetusta  città  di  Ossero  precipitava 
al  basso.  Incendiata  e  devastata  dai  Genovesi  e  desolata  dalle  pesti,  essa 
trovavasi  in  così  tristi  condizioni,  che  il  suo  vescovo  Michele  l'abbandonava 
e  conducevasi  a  vivere  in  Zara  2). 

Nei  documenti  di  quei  tempi  troviamo  citate  varie  località,  di  cui  ora 
alcune  non  esistono,  oppure  non  hanno  alcuna  importanza,  come  p.  e.  Ca- 
stello e  Villa  di  Sipar,  Fontana  georgica  (forse  nel  comune  di  Barbana  nel 
luogo  ora  detto  Iurevikal  :  Stagno  georgico)  3),  Villa  di  Calsen  in  Monte 
(Pisino)  '),  Nigrignano  5),  Villa  di  Albuzzan  o  di  Castagnedo  (Pirano)  "), 
Villa  di  Cogor  (Cozur  ?)  (Albonese-Vettua),  Villa  Lazara  (alla  destra  del 
Quieto),  Villa  Visanez,  Rosario  e  Medelino  (Vismada)'),  Casteglione  presso 
Buje  8). 

Quale  indizio,  che  le  condizioni  non  fossero  dappertutto  tristi,  abbiamo 
però  il  fatto  che  anche  in  questo  secolo  fondaronsi  dieci  monasteri  in 
vari  luoghi  della  provincia.  Così  troviamo  che  nel  1301  fondavasi  un  con- 
vento di  monache  della  Cella  colla  regola  di  S.  Chiara  in  Capodistria,  nel 
13  18  uno  d'Agostiniani  ed  un  terzo  di  Domenicani  nel  1324.  Cessano  in- 
vece nel  13 14  le  abbazie  di  Benedettini  in  S.  Vincenti,  nel  1391  quella  di 
S  Michele  in  Valle,  di  S.  Barbara  di  Visinì,  di  S.  Petronilla  e  di  S.  Maria 
d'Orsera,  nel  1396  quella  di  S.  Maria  al  lago  d'Arsa;  mentre  nel  1 3 14 
sussisteva  ancora  quella  di  S.  Michele  di  Leme,  nel  1330  quella  di  S.  Pietro 
d'  Isola  nella  diocesi  parentina,  nel  1337  quella  di  S.  Martino  di  Tripoli 
presso  Verteneglio  e  nel  1385  quella  di  S.  Michele  sottoterra.  Vediamo  allo 
stesso  tempo  fondarsi  un  convento  di  Francescani  in  Muggia  nel  1338,  uno 
di  S.  Paolo  eremita  al  lago  d'Arsa  nel  1396,  ed  uno  di  Minori  osservanti 
in  Valle,  nell' edifizio  che  era  già  dei  Benedettini,  nel  1399  9). 


')  Nicolich.  Op.  cit.  pag.  134,  155. 
a)  Bonicelli.  Op.  cit.  pag.  39. 
3)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  170. 
*)  Kandler.  Annali. 
5)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  ija. 
«)  Ibid.  pag.  157. 

')  Ibid.  pag.  157.  —  Notizie  storiche  di  Montona,  pag.  76.  —  Medelino  allora  villa, 
'già  Castello  detto  Montelino  nell'  odierno  comune  di  S.  Vitale. 
*)  De  Franceschi.  Op,  cit.  pag.  191. 
9)  Kandler.  ^Annali. 


—  409  — 

Però  se  tale  aumentarsi  dei  monasteri  nelle  diverse  località  della  pro- 
vincia accenna  alla  conservazione  di  una  tal  quale  relativa  salubrità,  tuttavia 
la  circostanza  che  in  questo  secolo  e  nell'anteriore  andassero  diminuendo  le 
abbazie  ed  i  priorati  dei  Benedettini,  dimostrerebbe  a  sufficienza  che  le  condi- 
zioni materiali  della  provincia,  e  la  salubrità  stessa  dell'aria,  si  fossero  sensi- 
bilmente peggiorate  È  noto  come  l'ordine  dei  Benedettini  seguisse  nei  secoli 
decorsi,  come  lo  segue  oggidì,  un  indirizzo  agricolo,  e  come  per  opera  di 
quest'  ordine  molte  località  inproduttive,  molti  terreni  aridi,  oppur  troppo 
maremmosi,  fossero  resi  produttivi  coli' introduzione  di  razionali  sistemi  di 
agricoltura  o  di  fognatura  e  con  una  savia  amministrazione  ').  È  lecito  quindi 
dedurre  che  non  la  produttività  del  suolo,  giacché  questa  dovrebbe  nei  molti 
secoli  di  residenza  essere  stata  raggiunta,  ma  bensì  altre  cause  abbiano  co- 
stretto i  monaci  ad  abbandonare  i  terreni.  Ammettiamo  pure  le  stragi  delle 
pesti  ;  però  siccome  queste  sono  d'  un  effetto  passeggiero,  è  più  logico  il 
ritenere  che  un  peggioramento  nelle  condizioni  igieniche  dell'  aria  abbia 
costretto  i  monaci  a  lasciare  i  luoghi  di  loro  secolare  dimora,  collocati  quasi 
sempre  all'aperta  campagna  ed  in  situazioni  divenute  poi  di  fama  tristissima 
nei  riguardi  di  salubrità. 

Il  governo  non  trascurava  di  porgere  con  ogni  mezzo  qualche  sol- 
lievo a  tali  tristi  condizioni  della  provincia.  Nelle  pagine  anteriori  abbiamo 
menzionato  le  riduzioni  di  dazi,  le  facilitazioni  nel  pagamento  d' imposte, 
i  permessi  d' introduzione  di  vini,  ed  i  lavori  di  escavo  delle  paludi.  In 
aggiunta  a  questo  il  governo  volgeva  la  sua  attenzione  acche  i  comuni 
fossero  provvisti  di  buone  acque,  e  faceva  a  tale  scopo  erigere  cisterne 
e  fontane  ove  non  n'  esistevano,  come  per  esempio  in  S.  Lorenzo  del  Pa- 
senatico  *),  o  riparare  quelle  diggià  esistenti,  come  in  Capodistria  s).  Gli 
statuti  poi  di  quei  tempi  contenevano  buon  numero  di  savie  disposizioni  sì  in 
riguardo  alla  nettezza  delle  vie,  che  alla  vendita  delle  carni,  nonché  all'uso 
dell'acqua  dei  laghi  *).  Neppure  il  personale  sanitario  vi  scarseggiava,  che  anzi 
in  questo  secolo,  e  precisamente  sotto  la  data  4  settembre  1343,  il  Senato 


')  Vedi  Regola  di  S.  -Benedetto,  cap.  XXXI  e  XXXII,  nonché  le  dichiarazioni  de'  PP. 
della  Congregazione  cassinese. 

*)  Salato  Misti.  «Atti  e  memorie  della  Società  Istriana  di  archeologia  e  storia  patria» 
voi.  IV,  pag.  43. 

')  lbid.  voi.  V,  pag.  17  (decisione  17  settembre  1363). 

')  Un  mio  lavoro  diggià  pronto  alle  stampe  s'occupa  dell'igiene  in  questi  statuti. 


—  4IQ  — 

ordinava  al  capitano  di  S.  Lorenzo  del  Pasenatico  di  stipendiare  un  medico  '). 
Né  vi  mancavano  medici  che  esercitassero  nelle  principali  città  dell'  Istria. 
Nel  J339  fungeva  da  medico  in  Capodistria  Marco  da  Fermo,  a  quanto  pare 
capacissimo2).  Nel  1363  esercitava  nella  stessa  città  Andrea  Bonacata  degli 
Albarisani,  chirurgo.  Venuto  da  Chioggia,  ov'era  in  antecedenza  stipendiato, 
percepiva  la  mercede  di  100  ducati  d'oro  all'anno  e  la  casa3).  Nel  1376 
troviamo  sempre  a  Capodistria  un  Lodovico  da  Ferino  (Lod.  de  Firmo  ciroicus), 
il  quale  da  molti  anni  esercitava  la  sua  professione  senza  percezione  d'alcun 
stipendio,  per  cui  il  Senato  veneto  gli  accordava  con  decreto  del  6  maggio 
duas  postas  pedestres  in  quella  città  de  grafia  speciali*).  Nel  1374  era  medico 
in  Pola  Bonaventura  di  Rustigello  5).  In  Pirano  ove  diggià  nel  secolo  anteriore 
esercitavano  la  professione  medica  Domenico  Andrei  nel  1291  e  Giovanni 
Claudo  nel  1290,  nel  secolo  XIV  i  medici  godevano  d'  uno  stipendio  re- 
golare, ammontante  a  lire  piccole  400  all'anno,  circa  374  fiorini  austriaci 
in  oro.  In  questo  secolo  vi  esercitarono  tale  professione  Giovanni  di  Tortona 
e  Tomaso  de  Castro  Sardagna  nel  1328,  Bonifacio  di  Ferrara  nel  1345,  Daniele 
de  Campo  nel  1346,  Antonio  di  Manina  nel  1365,  Giovanni  Gherardi  di  Cremona 
nel  1360,  Antonio  di  Vicenza  nel  1352,  Giovanni  Grimani  nel  1387,  Michiele 
de  Matifredis  di  Chioggia  nel  1397  6). 

Tali  erano  le  condizioni  demografiche  e  sanitarie  neh'  Istria  durante  il 
decorso  del  secolo  decimoquarto  ;  secolo  fatale,  perchè  segnava  un  manifesto 
decadimento  generale  della  provincia  e  la  comparsa  della  malaria. 

XV  secolo.  —  Le  fazioni  di  guerra  cominciavano  per  tempo  ad  eser- 
citare la  loro  azione  deleteria  nel  secolo  XV,  e  sebbene  nei  primi  anni 
non  sorgessero  che  litigi,  circoscritti  a  piccoli  luoghi,  come  sarebbero  a 
Castelvenere,  a  Castiglione  ed  a  Cernigrado,  i  quali  si  fomentavano  e 
sviluppavano    fra   gli   aderenti  del    patriarca    e    quelli    della    Repubblica 7), 


')  Senato  Misti.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  » 
voi.  IV,  pag.  22. 

2)  «Archivio  veneto»  anno  XIII,  fase.  51,  pag.  254.  —  Cecchetti.  La  medicina 
in  Venezia. 

')  «  Archivio  veneto  »  cit.  pag.  92. 

')  Senato  Misti.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria» 
voi.  V,  pag.  65. 

5)  «Archivio  veneto»  cit.  pag.  254. 

6)  Morteani  prof.  Luigi.  Notizie  storiche  della  città  di  Tirano.  «  Archeografo  trie- 
stino »,  nuova  serie,  voi.  XII,  pag.  142-143. 

7)  De  Franceschi.  Op.  ciu  pag.  235. 


—  4"  — 

tuttavia  di  fatti  d'armi  di  qualche  entità  con  perdite  d'  uomini  ecc.  non 
si  può  parlare  che  appena  nel  141 2,  quando  i  Veneziani  facevano  smantellare 
le  mura  di  Buje,  Rozzo  e  Colmo,  luoghi  tolti  al  patriarca  in  lega  coli' im- 
peratore Sigismondo  ').  Durante  questa  guerra  la  penisola  venne  scorsa 
dagli  Ungheri  dell'  imperatore.  Fu  allora  che  si  attaccarono,  però  senza 
successo,  Capodistria,  Isola,  Parenzo  e  Pola,  e  si  occupò  Valle  e  Dignano  '). 
La  cronaca  Dolfina  ci  offre  un  quadro  espressivo  dei  danni  arrecati  alla 
provincia  da  tale  incursione  '). 

La  conquista  avvenuta  negli  anni  seguenti  da  parte  dei  Veneziani  di 
altri  luoghi  dell'  Istria  soggetti  al  patriarca,  costava  pure  la  vita  a  molte 
persone,  in  ispecialità  le  operazioni  di  guerra  contro  Pinguente').  Nel  1439, 
a  quanto  ci  narra  il  Valvasor,  abbenchè  non  esistessero  motivi  di  guerra 
fra  gli  Stati  cui  apparteneva  la  provincia,  una  masnada  di  carniolici  condotta 
da  Enrico  Freybach  intraprendeva  da  Lubiana  un'  incursione  nell'  Istria 
veneta,  abbruciando  parecchi  villaggi,  per  rimpatriare  indi  carica  di  bottino  5). 

Grave  di  conseguenze  riesci  di  certo  anche  l'assedio  di  Trieste  condotto 
con  tutto  l'accanimento  da  parte  dei  Veneziani  nel  1463,  al  quale  parte- 
ciparono pure  alcune  città  istriane,  contribuendovi  nelle  spese  ').  L'  assedio 
durò  quattro  mesi,  dal  4  luglio  all' 11  di  novembre.  La  fame  prodotta  era 
tale  che  molti  ne  morivano,  e  coloro  che  volevano  scamparvi  erano 
costretti  a  cibarsi  di  animali  immondi  e  di  cuoj  ').  Arroge  le  depredazioni 
dei  Turchi  nel  Carso  di  Trieste  e  dell'Istria  negli  anni  1470,  1471  e  1472, 
rinnovatesi  nel  1482,  [494  e  nel  1499,  per  le  quali  depredazioni  Raspo, 
Semich,  Colmo,  Draguch  restavano  devastate  e  saccheggiate,  nonché  private 
in  parte  della  popolazione,  che  quei  predoni  conducevano  in  schiavitù  8). 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  141. 

2)  Ibid. 

5)  Ibid.  pag.  242.  Citata  :  «  Da  puoi  avanti  che  il  Re  partisse  d'  Istria,  per  grande 
»  sdegno  concepito  fece  bruciar  Molini  e  tagliar  Oliveri,  e  poi  s'appresentò  a  Parenzo  e 
»  Pola;  e  per  quelli  di  drento  fu  molto  ben  resposo  di  Bombarde  e  Balestre,  e  fatto  gran 
»  preda  di  Bestiame  si  levò  di  là  per  mancamento  di  Vittuarie  per  non  poter  dimorar». 
—  Vergottini.  Saggio  di  storia  della  città  di  Varenxp.  —  Manzano.  Annali. 

•)  Ibid.  pag.  243. 

s)  Ibid.  pag.  250. 

')  Ibid.  pag.  260. 

')  Kandler.  ^Annali. 

*)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  263,  266,  270. 


—  412  — 

Sembra  che  in  questo  secolo,  a  quanto  narra  la  tradizione,  neppur 
le  isole  del  Quarnero  andassero  esenti  da  tali  incursioni,  giacché  nel  1476 
alcuni  pirati  (che  la  tradizione  vuole  Narentani),  sbarcati  al  porto  Cigale, 
avrebbero  assalito  il  nascente  paese  di  Lussinpiccolo,  portandovi  il  terrore 
e  la  desolazione  fra   gli  abitanti,  e  decimandone  il  fiore  della  gioventù  '). 

Agi'  infortunii  cagionati  dai  fatti  di  guerra  contribuirono  potentemente 
a  danno  della  provincia  le  epidemie  di  peste  bubbonica  che  comparvero 
negli  anni  1413,  1427,  1429,  1449,  1456,  1467,  1468,  1476,  1477,  1478, 
1483,  1497,  e  1499,  e  fors' anco  in  altri  anni,  dal  momento  che  troviamo 
il  morbo  nella  vicina  provincia  di  Venezia  eziandio  negli  anni  140J,  1423 
e  1447.  Le  cronache  ci  offrono  tristissime  descrizioni  delle  stragi  arrecate 
da  tali  epidemie,  le  quali,  dove  scoppiavano,  distruggevano  le  popolazioni, 
annientavano  le  città,  spopolavano  le  campagne  2). 

S'  aggiunse  ancora  una  lunga  serie  di  annate  di  desolanti  carestie,  fra 
le  quali  spicca  quella  dell'anno  14048).  Nel  1499  questo  flagello  afflisse 
siffattamente  il  comune  di  Cittanova,  che  il  governo  veneto  fu  costretto 
permettere  a  quei  cittadini  di  recarsi  nella  Puglia  o  nella  Marca  onde 
acquistarvi  500  staja  di  frumento  per  sopperire  ai  bisogni  della  popolazione'). 
E  quasi  tutto  ciò  non  bastasse  svilupparonsi  nella  provincia  freddi  intensi 
negli  anni  1408  e  1441,  e  terremoti  che  misero  a  soqquadro  tutta  la 
regione  negli  anni  1402,  1403,  1410,  e  maree  straordinarie  negli  anni  1410, 
1423,  1428,  1429,  1430,   1440,   1441   e  1444 5). 

Il  deterioramento  progressivo  della  provincia  in  questo  secolo  viene 
attestato  da  vari  fatti  documentati  dalla  storia.  Troviamo  p.  e.  come  nel  1432 


')  Nicolich.  Op.  cit.  pag.  26. 

')  Vedi  la  mia  monografia  sulle  pesti  citata. 

3)  Kandler.  ^Annali. 

*)  «Nos  Melchior  Trevisanus  prò  S.mo  Ducali  D  no  Venetiar.  etc.  Caps.  General  is 
»  Maris  :  tenore  presentium  :  —  Concedemo  a  la  fedelissima  comunità  nostra  de  Cita- 
»  nova  ecc.  per  uso  di  essa  città  et  populo  possino  con  loro  Nuncij,  et  messi  trasere  da 
»  la  parte  de  la  Marca,  et  de  la  Puglia  stara  cinquecento  for.to,  et  quali  condur  al  dicto 
»  logo  de  Citanova  per  uso  in  necessità  sua  come  è  dicto  senza  alchuna  molestia  ouer 
»  impedimento.  Et  valeant  pn.tes  sornel.  et  prò  una  vult.  tantum.  In  quo  fidem  et. 

»  Dat.  ex  Triremi  in  portu  Parentij  die  II.a  Octob.  1499 

»  Marinus  B. 
»  not.  m .  o.  » 

D.  V.  «Provincia»  XXI,  17.  (Dall'Archivio  comunale  di  Cittanova). 

6)  Kandler.  ^Annali. 


—  4i3  — 

il  papa  Eugenio  IV  ordinasse  1'  unione  della  diocesi  di  Cittanova  a  quella 
di  Parenzo,  tosto  avvenuta  la  morte  del  vescovo  vivente.  Sebbene  tale  bolla 
non  fosse  stata  allora  eseguita,  è  noto  però  che  lo  stesso  vescovato  veniva 
nel  1449  per  la  sua  povertà  dato  in  commenda  ai  patriarchi  di  Venezia,  e 
congiunto  appena,  ma  per  breve  tempo,  nel  1454  a  quello  di  Parenzo, 
trovandolosi  ripristinato  già  nel  1466  ').  Cosi  Montona,  fra  il  1450  ed  il 
1460,  la  quale  in  epoche  anteriori  era  florida  e  ricca,  riducevasi  per  le 
guerre  e  le  incursioni  a  tale  stato  di  povertà,  da  dover  essere  soccorsa  dal 
comune  di  Pirano,  onde  sollevarla  per  qualche  anno  d'un  terzo  delle  librai 
nonnigentas  parvorum,  che  doveva  annualmente  versare  per  il  Pasanatico  '). 
Antignana,  Vermo,  Terviso,  Momian  e  Crassan  (Chersano),  vedevano  invece 
nel  frattempo  migliorate  le  loro  sorti  col  trasformarsi  in  forti  castella  '). 
Pola  stessa  era  ridotta  dalle  pesti  a  tali  estremi,  che  i  suoi  canonici  per 
campare  la  vita,  dovevano  dedicarsi  alla  coltura  dei  campi  '). 

Tuttavia  alcuni  paesi  mantenevano  ancora  una  certa  floridezza.  Vediamo 
p.  e.  Parenzo  —  che  il  Flavio  Blondio  chiama  nel  1482  Civitas  vetusta  5) 
ad  onta  delle  stragi,  delle  pesti  e  di  mille  altri  infortuni  —  innalzare 
nel  1403  sull'isola  di  S.  Nicolò  una  torre  ad  uso  lanterna  pei  naviganti; 
la  vediamo  nel  1419  costruire  un'ampia  cisterna  in  piazza  di  Marafor  e 
mantenere  le  saline  che  erano  in  S.  Eleuterio  ed  a  Molin  de  rio  *).  Vediamo 
Medolino,  che  ora  è  un  villaggio  abitato  da  contadini,  aspirare  nel  1446 
a  sottrarsi  alla  soggezione  di  Pola,  e  pretendere  un  podestà  come  altre 
terre  dell'  Istria').  Pirano  stessa  figura  nel  1483  popolata  di  7000  abitanti B). 

Anche  nei  Lossini  la  popolazione  trovavasi  in  via  di  aumento  *).  Il 
diggià  citato  Flavio  Blondio  che  sembra  scrivesse  la  sua  opera  nel  1482, 
chiama  Umago  nobile  oppidwn,  dal  che  pare  accertato  che  questo  luogo  si 
trovasse  pure  in  buone  condizioni. 


')  Kandler.  ^Annali. 

*)  Notizie  storiche  di  Montona.  Artic.  di  Tommaso  Luciani,  pag.  264. 

*)  Ibid.  pag.  204.  Aricordo  di  Ant.  Venier  e  Francesco  Cavodelista  al  doge  nel  1457. 

*)  Notici  storiche  di  Toh,  pag.  210. 

')  Blondh  Flavii  Foruvensis.  Italiae  illustratele,  undecima  regio  Histriae.  «  Archeo- 
grafo  triestino»,  vecchia  serie,  voi.  II,  pag.  Si, 

*)  Kandler    annali. 

7)  Ibid. 

•)  Marin  Sanudo.  TDiarii.  «Provincia»  IV,  13. 

•)  Nicolich  Op.  cit.  pag.  135.  —  Bonicelli.  Op.  cit.  pag.  37.  —  Nei  1438  vi  erano 
diggià  50  famiglie. 


—  4*4  — 

In  aggiunta  a  tutte  queste  cause  di  decadimento  economico  e  sanitario, 
cui  andava  incontro  la  provincia  in  questo  secolo  e  donde  trasse  fomite  in 
alcune  località  il  morbo  malarico  '),  giova  ricordare  eziandio  altri  fatti  par- 
ticolari che  possono  aver  contribuito  al  regresso  igienico  della  provincia. 
E  giova  parlare  altresì  di  alcuni  provvedimenti  presi  dai  comuni  o  dal 
governo,  sia  contro  la  malsanìa  generale,  sia  contro  la  scarsezza  delle  acque 
potabili,  sia  in  fine  a  scopi  di  guerra,  ma  in  ogni  caso  proficui  anche  dal 
lato  sanitario. 

In  primo  luogo  sono  degne  di  menzione  le  distruzioni  delle  selve 
che  coprivano  le  vette  del  Carso,  avvenute  tra  il  1400  e  1490  per  opera 
dei  mandriani,  i  quali  tagliavano  gli  alberi,  oppure  cacciavano  i  loro  animali 
a  pascersi  entro  le  stesse,  per  cui  ne  venivano  mozzati  i  germogli.  Contro 
tali  devastazioni  cercava  inutilmente  d' opporsi  l'imperatore  Federico  colla 
risoluzione  13  marzo  1490 8).  Il  veneto  Senato  provvedeva  pure  alla 
conservazione  dei  boschi  colla  terminazione  del  Consiglio  dei  Dieci 
7  gennaio  1475  8).  I  boschi  godevano  a  quei  tempi  la  lama  di  essere 
fonte  di  salubrità,  e  la  loro  conservazione,  oltreché  richiesta  dal  bisogno 
di  legna  a  scopi  di  guerra  e  per  F  uso  domestico,  era  in  alcuni  siti  osservata 
per  1'  opinione  invalsa  che  essi  fossero  un  antemurale  alle  correnti  aeree 
provenienti  dai  luoghi  malsani.  —  Vediamo  in  riguardo  a  ciò  il  Consiglio 
di  Cittanova  proibire  severamente  nel  1459  a  chicchessia  il  taglio  delle  legna 
nel    bosco    Licello    per    ragioni    igieniche  *)  ;    dalla    quale  deliberazione  si 


')  Bonicelli.  Op.  cit.  pag.  39.  —  Citiamo  ad  esempio  Ossero,  ove  il  morbo  ma- 
larico infuriava  in  siffatta  guisa  che  il  conte  era  costretto  ad  abbandonarla  ed  a  porre 
nel  1463  la  sua  residenza  in  Cherso  ;  mentre  ancor  prima  il  suo  vescovo  Michele  doveva 
fare  lo  stesso,  conducendosi  a  vivere  in  Zara. 

J)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  268. 

3)  Cubich.  Notizie  storiche  dell' isola  di  Veglia,  pag.  145. 

*)  Statuto  di  Cittanova  del  14SO.  (Trieste  185 1).  Cap.  XXV  Del  bosco  de  Licello  e  suo 
Vando.  —  «  Mill.CCCCLIX  (1459)  Indinone  septima  die  quinta  septembris  Corani  spec- 
»  tabile,  et  Generoso  viro  Domino  Ioanne  Gradenigo  Potestate  Emonie  Dignissimo  Capta 
»  fuit  pars  infrascripta,  Videlicet  cum  sit  quod  tempore  Regiminis  spectabilis,  et  Generosi 
»  Domini  Antonij  a  Canallo  hon.  Pot.  in  Consilio  hominum  Emonie  vetitum  fuisset  qui- 
»  buscumque  tam  Terigenis,  quam  Forensibus  cujuscumque  conditionis  existerent  quod 
»  non  auderent  modo  aliquo,  neque  presumerent  incidere,  nec  incidi  facere  ligna  in  Busco 
'  »  de  Liciis  Teritorii  Emonie  sub  pena  lib.  vigintiquinque  parvorum,  et  considerato  quod 
»  Buscus  sive  nemus  esset  salus,  ac  Sanitas  Isiius  Loci  Emonie  propter  Caligos,  qui  ibi  descendunt, 
»  et  intus  franguntur,  et  ulterius  non  procedunt  undc  non  procedunt,  unde  non  existente  timor* 


—  4'5  — 

apprende  altresì  che  la  valle  bassa  del  Quieto  fosse  malarica,  e  come  anche 
in  Cittanova  stessa  e  nei  suoi  dintorni,  l' endemia  si  fosse  in  questo 
secolo  introdotta. 

In  questo  secolo  cominciavano  pure  ad  imporsi  alla  previdenza  del 
governo  l' impaludamento  delle  valli  e  l'avanzarsi  costante  e  progressivo  degli 
estuari  nel  mare.  Infatti  emanò  ordini  per  l'escavo  delle  paludi  che  eransi 
estese  malgrado  le  misure  adottate  nei  secolo  decorsi,  fino  alle  porte  di 
Capodistria.  Nel  1424  il  doge  Francesco  Foscari  faceva  riprendere  i  lavori 
perchè  Castel  Leone  rimanesse  sempre  circondato  dal  mare1);  e  nel  1477 
il  doge  Vendramin  obbligava  la  città  e  le  ville  del  distretto  all'escavo  della 
palude,  dividendone  il  lavoro  per  giusta  metà5).  —  Nello  stesso  anno  ancora 
il  governo  ordinava  l'escavo  e  la  regolazione  del  fiume  Quieto,  tassandone 
pel  lavoro  tutta  la  provincia  *). 

Il  senato  veneto  provvedeva  poi  assieme  ai  comuni  contro  la  scarsezza 
delle  acque  potabili.  Cosi  avvenne  che  nel  141 9  si  costruisse  una  grandiosa 
cisterna  in  piazza  Marafor  in  Parenzo  ').  Ed  altre  cisterne  furono  costruite  in 
tutti  i  castelli  e  rocche  venete  dipendenti  dal  capitano  e  podestà  di  Capo- 
distria Domenico  Malipiero,  il  quale  ne  veniva  perciò  lodato  dal  doge  Ago- 
stino Barbarigo  colla  ducale  25  settembre   1492  b). 

Le  perdite  di  popolo  avvenute  per  le  guerre  e  per  le  pesti  erano  state 
così  sensibili  da  rendere  deserte  molte  località  dell'  Istria  con  danno  dell'agri- 
coltura. Il  più  colpito  si  fu  il  contado  di  Pola,  e  Pola  stessa.  Onde  porvi 


»  illi  descenderent  in  Civitatem  islam  Emonie  front  prius  Jaciebanl,  et  Considerato  quod  pars 
»  predicta  erat  Salubris,  et  bona,  Loco  hinc,  et  quia  videtur  esse  smaritam,  et  non  inve- 
»  nitur  adnotata  in  Actis  prefacti  Domini  Antonii,  idcirco  bonum  esset  quod  miteretur, 
»  et  contìrmetur  ad  busulos,  et  ballotas  per  Consilium  vestruni  cura  pena  superius  annotata, 
»  et  quod  illi  qui  usque  nunc  inciderent,  et  incidi  facerent  ligna  in  dicto  neniore  Cadet 
»  ad  predictam  penam,  et  perdat  bestias,  ac  plaustra,  quibus  ligna  conducent  ex  dictis  Licis, 
»  et  quod  in  nocte  nemo  possit  tenere  ammalia  intus,  nec  facere  ignem  sub  pena,  sed 
»  in  die  omnibus  sit  licitum  pasculare  ammalia  intus,  et  dieta  Pars  confirmata  fuit  per 
»  Dominum  Potestatem,  Iudicesque  suos  existentes  Consiliari)'  sex  secundi,  et  duo  in  Con- 
»  trarium  ». 

')  Kandler.  Annali. 

')  Liber  niger  nell'Archivio  di  Capodistria  pag.  21 S-  —  Marsich.  Effemerini  justino- 
poìitane,  nella  «Provincia»  XI,  II. 

")  Kandler.  ^Annali. 

•)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  253. 

')  Ibid.  pag.  270. 

ti 


—  4T6  — 

in  qualche  modo  riparo,  il  comune  di  Pola  imprendeva  direttamente  nel 
1421  la  ripopolazione  dei  Brioni  ');  ed  il  governo  per  favorire  il  risorgi- 
mento della  città,  concedevale  un'annua  fiera  franca  di  otto  giorni  da  tenersi 
nell'  anfiteatro  !). 

Né  si  può  dire  che  ad  onta  delle  condizioni  depresse  della  provincia 
1'  assistenza  pubblica  vi  fosse  mancante,  giacché  nel  1454  esisteva  in  Ca- 
podistria  1'  ospitale  di  S.  Basso,  dato  in  amministrazione  alla  fraterna  di 
S.  Antonio  abate,  la  quale  dedicava  ad  esso  tutte  le  proprie  rendite  3).  In 
Rovigno  istituivasi  nel  149 1  una  confraternita  di  S.  Rocco,  destinata  di 
certo  all'assistenza  degli  ammalati,  specialmente  in  tempo  di  peste  4).  Non 
scarseggiava  neppure  il  personale  sanitario.  Infatti  si  ha  memoria  nel  14 18 
di  un  Pietro  q.m  Venier  ceroico  (chirurgo)  in  Rovigno  6),  e  di  un  Giacomo 
da  Bologna  chirurgo  in  Isola  nel  1444 6).  In  Capodistria  veniva  da  Udine 
e  vi  si  fermava  un  tal  Giovanni  Nu%io  o  Muzio  chirurgo  o  barbiere  ad  eser- 
citare la  professione1).  In  Pirano  esercitavano  Pier  Paolo  da  Treviso  nel  1400, 
Raimondo  Donati  nel  1401,  Giovanni  de  Seraval  nel  1406,  e  Nicolò  dey  Sol- 
daneri  nel  1476  8). 

L'abbandono  dei  monasteri  da  parte  dei  monaci  e  delle  monache  del- 
l'ordine di  S.  Benedetto  continuò  progressivamente  anche  in  questo  secolo; 
segno  caratteristico  del  peggioramento  avvenuto  nelle  condizioni  igieniche 
della  campagna.  Così  troviamo  rimanere  deserto  per  mancanza  di  monache 
nel  1410  il  monastero  di  S.  Stefano  di  Cimare  presso  Parenzo,  dato  perciò 
in  commenda  all'  abate  di  S.  Petronilla  che  vi  prendeva  stanza  ;  vediamo 
quindi  il  priorato  in  S.  Catterina  di  Rovigno,  derelitto  dai  Benedettini,  pas- 
sare nel  1429  in  proprietà  dell'Ordine  di  Malta,  per  poi  trapassare  ai  Serviti, 
che  vi  si  stanziano  nel  1474.  All'opposto  si  hanno  ancora  notizie  nel  1440 


')  Kandler.  Annali. 

»)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  253. 

3)  Kandler.  ^Annali. 

*)  Benussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.  180.  —  Dopo  la  peste  del  1630  aveva  l'obbligo 
di  tenere  accesa  una  lampada  dinanzi  all'  altare  del  Santo. 

B)  Ibid.  pag.  199. 

*)  Morteani.  Isola  ed  i  suoi  statuti.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  ar- 
cheologia e  storia  patria»,  voi.  V,  pag.  184. 

*)  Stancovich.  Op,  cit.  n.  187,  pag.  212.  —  Nel  1442  veniva  aggregato  a  quel 
Consiglio  dei  Nobili.  Fu  il  capostipite  della  celebre  famiglia  Muzio. 

*)  Morteani.  Notizie  storiche  di  Pirano,  pag.  143. 


-  4*7  - 

dell'esistenza  dell'abbate  di  Leme,  nel  1445  del  priorato  di  S.  Nicolò  d'Oltra, 
nel  1459  di  S.  Michele  di  Pisino,  nel  1460,  1467  e  1469  di  S.  Pietro  in 
Selve,  di  S.  Maria  del  Lago  d'Arsa  nel  1459,  1469,  1484,  la  qual  abbazia 
per  esser  cessata  nel  secolo  antecedente  ed  unita  a  quella  di  S.  Pietro  in 
Selve,  viene  ripristinata  in  questo  secolo  '). 

Gli  ordini  religiosi  di  recente  fondazione  continuavano  invece  a  stabilirsi 
di  preferenza  nelle  varie  città  istriane,  e  ciò  farebbe  supporre  che  in  esse,  a 
differenza  delle  campagne,  le  condizioni  non  fossero  tanto  tristi.    Avvenne 
perciò  che  nel   1434  la  famiglia    Luciani    fondasse  un  convento  di   Minori 
conventuali  in  Albona;  nel  1442  uno  di  Minori  osservanti  sull'isola  di  Sera, 
ad  opera  di  S.  Giovanni  da  Capistrano  ;    nel   1447  uno  di    Francescani  in 
Cassione  di  Veglia,  ove  eravi  prima  un'abbazia  di  Benedettini  ;  nel  1452  uno 
di  Minori  osservanti  in  S.  Bernardino  di  Pirano  per  opera  pure  di  S.  Giovanni 
da  Capistrano;  nel  1453  uno  di  Serviti  in  Capodistria;  nello  stesso  anno  uno 
di  Agostiniani  in  Pola  ;    nel   1458  uno  di  S.  Teodoro  di  Dame  in   Pola  ; 
nel   1460  uno  di  Serviti  in  Capodistria;  nel  1467  uno  di  Minori  conven- 
tuali e  Terziari  in  Capodistria;  nel  1469  uno  di  Francescani  in  S.  Giovanni 
di  Salvore;  nel  1474  altri  di  Serviti  in  Isola,  in  Montona,  in  Umago,  in 
S.  Catterina  di  Rovigno  ;  nel   1481   uno  di  Riformati  in  Pisino;  nel  1489 
uno  di  Agostiniani  in  Salvore,  e  nel  1494  uno  di  Domenicani  in  Cittanova*). 
Tutte  queste  fondazioni    di    monasteri  nelle  varie  parti  della   penisola 
proverebbero  che  almeno  i  luoghi  dove  venivano  essi    eretti  si  trovassero 
in  condizioni   igieniche  sufficientemente  buone.    Diffatti  se  si  riflette  che  i 
monaci  nello  scegliere  le  sedi  dei  loro  conventi,  cercavano  anzitutto  le  po- 
sizioni  più  ridenti  e  più  sane,    congiunte  sempre  a  buona    produttività  — 
nò  si  può  dire  altrimenti  quando  cadono  sott'occhio  le  rovine  dei  monasteri 
collocate  sugli  scogli  ameni  e  salubri  di  S.  Andrea  di  Sera,  di  S.  Catterina 
di  Rovigno,  di  S.  Nicolò  di  Parenzo,  oppure  sulla  pittoresca  punta  di  san 
Bernardino  alle  Rose  in  Pirano  —  devesi  ammettere  che  cercassero  anche, 
oltre  al  possibile  disimpegno  dei  deveri  imposti  dalla  regola,  una  vita  quieta 
e  tutelata  dagl'  infortuni  provocati  dall'uomo,  oppure  derivanti  dalla  natura. 
Di  certo  che  i  monaci  non  avrebbero   raggiunto   questo   duplice  scopo  se 
avessero  collocate  le  loro  sedi  in  siti  malsani  e  soggetti  alle  febbri. 

Perciò,  come  l'abbandono  dei  monasteri  sparsi  nell'agro  è  prova  sicura 


')  Kandler.  i/limali. 
')  Ibid. 


—  418  — 

dell'  insalubrità  iniziatasi  nel  suolo,  la  fondazione  di  nuovi  conventi  nelle 
città  o  nella  loro  immediata  vicinanza  depone  viceversa  per  uno  stato  igie- 
nico soddisfacente  di  quest'  ultime  sedi. 

XVI  secolo.  —  In  questo  secolo  la  popolazione  istriana  ebbe  molto  a 
soffrire  dalle  incursioni  che  accompagnarono  la  guerra  accesasi  fra  1'  im- 
peratore Massimiliano  I  e  la  Repubblica  di  Venezia,  nonché  per  le  aggres- 
sioni dei  Turchi  e  degli  Uscocchi.  Noteremo  fra  i  fatti  d'armi  la  presa  di 
Castelnovo  avvenuta  li  29  settembre  1509  da  parte  degli  imperiali,  ricupe- 
rato più  tardi  dai  Veneziani  ').  Nello  stesso  anno  il  Frangipani  scorreva 
l'Istria  con  500  cavalli  devastandola,  attaccava  senza  esito  Dignano,  e  ricu- 
perava Pisino  s)  caduto  in  mano  della  Repubblica.  Sembra  che  in  questo 
anno  l' imperatore  s' impadronisse  anche  di  Pola,  occupandola  per  breve 
tempo8).  Nel  1511  i  Veneziani  conquistavano  Piemonte,  Racize,  Draguch, 
Sovignaco,  Verh,  Colmo,  Lindaro,  Chersano  e  Barbana.  Nello  stesso  anno 
gì'  imperiali  diroccavano  il  castello  di  Raspo  '),  mentre  Muggia  soffriva  ter- 
ribilmente per  gli  assalti  da  parte  dei  triestini.  Abbiamo  citato  questi  fatti 
siccome  quelli  che  furono  principale  causa  di  spopolamento  e  decadenza 
economica  della  provincia,  omettendo  per  brevità  di  fare  menzione  di  molti 
altri  che  pure  concorsero  a  spingerla  su  questa  china. 

Colle  tregue  conchiuse  nel  15 14  fra  comuni  e  comuni  e  fra  i  due  Stati 
belligeranti,  finirono  in  parte  le  tristi  lotte.  E  ne  era  tempo,  giacché  tale 
guerra,  ora  interrotta  ed  ora  ripresa,  diveniva  gravida  di  fatali  conseguenze. 
«  Imperocché,  dice  il  De  Franceschi,  non  essendovi  allora  eserciti  stabili,  le 
»  guerre  si  facevano  in  gran  parte  con  bande  mercenarie  di  venturieri,  le 
»  quali  oltre  al  pattuito  soldo  calcolavano  sulle  prede  che  si  procurerebbero 
»  da  sé,  e  su  quelle  che  loro  deriverebbero  dai  permessi  saccheggi  dei  luoghi 
»  conquistati  con  forza.  Le  popolazioni  prendevano  parte  alla  guerra  in  con- 
»  corso  dei  soldati  tanto  per  ripulsare  il  nemico,  quanto  per  invaderne  i 
»  territori  a  sfogo  di  vendette  pei  danni  patiti,  dei  quali  volevano  rifarsi,  e 
»  di  gelosie  municipali,  commettendo  a  gara  coi  soldati  stragi  d'  uomini, 
»  depredazioni,  incendi,  guasti  di  luoghi  e  di  campagne,  che  protraendosi 
»  a  lungo  la  guerra,   assumevano  proporzioni  spaventevoli,  e  conseguenza 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  277. 
")  Ibid. 

')  Ibid.  pag.  274.  —  Kandler.  ^Annali. 
')  Ibid.  pag.  281. 


—  419  — 

»  naturale  ne  erano  la  miseria  generale,  la  fame,  i  terreni  incolti,  lo  spo- 
»  polamento  dei  paesi.  Allora  le  sfinite  popolazioni  di  ambe  le  parti  sentivano 
»  la  necessità  di  far  tregue,  lasciando  che  i  governi  continuassero  le  ostilità 
»  coi  loro  soldati  ')  ». 

Alle  desolazioni  di  queste  guerre  s' aggiunsero  le  depredazioni  dei 
Turchi,  per  le  quali  furono  desolati  il  Carso2)  nel  1501  e  15  if,  ed  in 
quest'  ultimo  anno  anche  la  contea  di  Pisino  *).  Secondo  il  De  Franceschi 
dura  ancora  tradizione  che  i  luoghi  murati  dell'  Istria  interna,  e  tra  gli  altri 
Lindaro  e  Gollogorizza,  avessero  resistito,  non  così  però  quelli  aperti,  che 
vennero  saccheggiati  ed  arsi,  le  campagne  devastate,  uccise  o  tratte  in  ischia- 
vitù  le  persone. 

Al  finire  del  secolo  occorrevano  le  incursioni  degli  Uscocchi,  dalle  quali 
soffersero  nel  1597  Rovigno  e  Veglia,  poi  nel  1599  Albona  per  l'assalto 
del  19  gennaio,  sebbene  respinto,  nonché  Fianona.  Fra  i  paesi  danneggiati 
primeggiano  le  isole  dei  Lussini,  alle  quali  tanti  danni  vennero  arrecati,  che 
ne  seguì,  a  quanto  narra  il  Bonicelli,  poco  meno  che  la  distruzione.  Molte 
ville  furono  abbandonate,  dispersi  il  gregge  e  gli  armenti,  che  erano  nu- 
merosi, e  le  genti  atte  alle  armi  ed  alle  fatiche  corsero  prontamente  ad 
ascriversi  sulle  barche  lunghe,  che,  sino  al  numero  di  trenta,  si  andavano 
armando  dalla  Repubblica  come  più  atte  ad  inseguire  i  ladroni  *). 

Le  pesti  che  decimarono  le  popolazioni  nei  secoli  decorsi,  non  rispar- 
miarono 1*  Istria  neppure  in  questo  secolo.  Scoppiarono  qui,  e  a  Trieste, 
negli  anni  1505,  1511,  1512,  1525,  1527,  1543,  1553,  1554,  1555,  1556, 
1557,  1558,  1573  e  1577.  Di  questi  anni  si  hanno  notizie  esatte;  né  manca 
la  probabilità  che  il  contagio  si  manifestasse  isolatamente  anche  negli  anni 
1503,  1506,  15  13,  1536,  1539,  1575,  in  cui  dominava  nella  limitrofa  pro- 
vincia di  Venezia,  e  nel   1599  in  cui  infuriava  nella  Carniola  *). 

Anche  nel  decorso  di  questo  secolo  i  fenomeni  tellurici  e  meteorologici 
funestarono  la  provincia  colle  loro  deleterie  manifestazioni.  E  principiando 
dai   terremoti,   giova  ricordare  qualmente   la   regione   veneta   andasse  tra- 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  282.    —    P.  T.    Del  decadimento  dell'  Istria.  «  Pro- 
vincia »,  XIV,  5.  —  Morteani.  Xoti^ie  sloriche  di  Pirano,  pag.  56. 
*)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  270. 
•)  Ibid.  pag.  280.  —  Kandler.  annali. 
*)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  45 
')  Vedi  mia  monografia. 


—  420  — 

vagliata  da  moti  tellurici  negli  anni  1504,  ijio,  1511,  1517');  vennero  poi 
le  maree  straordinarie  degli  anni  1511,  1535,  1550,  1559,  1574,  1599  2)  ;  ed 
indi  le  siccità  così  esiziali  degli  anni  1546  *),  1548  4),  1559,  1561  e  1562  6) 
che  in  taluni  luoghi  dell'  Istria  insulare  perirono  molti  alberi  da  frutto,  e 
le  messi  ne  andarono  totalmente  distrutte.  A  tali  disgrazie,  bastevoli  da  per 
se  sole  a  stremare  la  provincia,  s'aggiunsero  necessariamente  le  carestie,  la 
sterilità  e  la  fame.  Sotto  questo  aspetto  furono  terribili  gli  anni  15  io,  1546. 
1581   e  1590  6). 

Quello  che  però  rende  specialmente  caratteristico  questo  secolo,  si  è 
la  condizione  antigienica  di  molte  parti  del  suolo  istriano.  Abbiamo  memorie 
estese  e  particolareggiate  sull'  estensione  della  malaria,  e  sui  mezzi  che  il 
governo  ed  i  comuni  adottarono  onde  debellarla. 

A  Capodistria  specialmente  preoccupava  sempre  più  l' impaludamento 
crescente  dell'  estuario  intorno  alla  città.  Ad  onta  dei  lavori  intrapresi  nel 
secolo  antecedente,  resesi  necessario  nel  15 11  di  approfondare  il  canale  che 
metteva  al  Castel  Leone,  formando  col  lato  estrattone  lo  stradale  che  dal 
porto  va  a  porta  Ognisanti  ').  Anche  le  paludi  prendevano  sempre  maggior 
estensione,  in  guisa  tale  che  dopo  la  metà  del  secolo  esse  erano  sì  vaste 
e  solide,  che  la  città  vedeva  in  esse  non  solo  un  pericolo  in  caso  di 
guerra,  ma  anche  una  causa    di   corruzione    dell'  aria.    Perciò  nella  seduta 


')  Kandler.  ^Annali.  —  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  278. 

2)  Kandler.  ^Annali. 

*)  Stancovich.  Op.  cit   pag.  104. 

4)  Relazione  al  ven.  Seti,  del  27  agosto  ISS4  di  Maffeo  Girardo  provveditore  in  Veglia 
e  del  i$S4  di  Domenico  Gradenigo,  Vod.  e  Capii,  di  Capodistria.  «Provincia»,  Vili,  5. 

5)  Cubich.  Op.  cit.  pag.  37-38. 

6)  Kandler.  ^Annali.  —  Specialmente  in  Capodistria,  come  dice  la  seguente  parte 
del  Consiglio  di  Capodistria  del  3  agosto  1590  (Vatova.  La  colonna  di  S.  Giustina.  «Pro- 
vincia», XX,  6):  «Si  dà  incarico  all' Eccell.  Verona  et  Sig.r  Demosthene  Carrerio  am- 
»  basciatori  eletti  a'  piedi  di  S.  Ser.tà  di  supplicar,  che  stante  questi  calamitosi  tempi  la 
»  povertà  di  questo  fideliss.o  popolo,  et  l'estrema  inopia  nella  quale  al  pre.nte  si  ritroua 
»  in  modo  tale,  che  non  habbi  pane  per  otto  giorni  con  pericolo  manifestiss.mo  di  sol- 
»  leuatione  di  popolo  et  total  mina  di  questa  Città,  di  accommodarci  di  stara  6000  di 
»  robba  per  il  uiuer  quotidiano  per  sostam.to  di  questo  pouero  ma  fideliss.mo  popolo,  a' 
»  quel  precio  che  parerà  alla  Ser.tà  Sua,  la  qual  robba  sia  satisfatta  di  tempo  in  tempo 
»  secondo  che  si  estragara  il  denaro».  —  La  domanda  venne  accolta  colla  deliberazione 
6  agosto  1590  in  Pregadi,  dando  300  staja  di  miglio,  200  di  frumento  e  300  d'altro  genere 
verso  restituzione. 

^  Kandler.  ^Annali. 


—  421   — 

consigliare  del  9  agosto  1579  venne  deciso  di  mandare  un  ambasciatore 
al  doge  a  chiedere  l'escavo  sopradetto').  Li  19  marzo  1580  il  governo 
veneto,  in  base  all'  esposizione  dell'  ambasciatore  Pietro  Vergerio,  decideva 
di  prendere  delle  disposizioni  in  proposito  ').  Da  quella  esposizione  si  ap- 
prende che  l' impaludamento  derivasse,  come  nei  secoli  antecedenti,  dalle 
alluvioni  depositate  dai  fiumi  Risano  e  Fiumicino.  La  spesa  per  il  lavoro 
d'escavo  venne  calcolata  di  10,000  lire  (m/x)  ').  Tuttavia  nel  dicembre  1581 
non  erasi  fatto  ancora  nulla,  di  modo  che  il  maggior  Consiglio  di  Capodistria 
prolungava  in  data  21  decembre  di  quell'anno  le  credenziali  al  suo  amba- 
sciatore, che  fortunatamente  trovavasi  ancora  in  Venezia,  allo  scopo  di 
sollecitare  presso  il  governo  1'  attuazione  del  lavoro  *).  Finalmente  il  doge 
Nicolò  da  Ponte  ne  decretava  l'esecuzione  li  20  marzo  1582,  emanando 
al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  la  lettera  ducale,  che  in  nota  riportiamo 
per  esteso  5),  colla  quale  ordinavasi  la  deviazione  del  Fiumisino  e  la  esecu- 


')  Vatova.  La  colonna  di  S.  Giustina.  «Provincia»  XIX,  16.  —  Li  27  decembre  1576 
il  Giudice  Pietro  Vergerio  Favonio  ed  i  Sindici  Francesco  Gavardo  ed  Aurelio  Vittorio 
aveano  diggià  su  tal  argomento  presentato  una  scrittura  al  Provveditor  del  sai  Francesco 
Venier.  Vedi  in  fine  del  lavoro. 

')  Ibib.  XIX,  22. 

J)  Ibid.  XIX,   16. 

')    Ibid.    XIX,    20. 

s)  «  Nicolaus  de  ponte  Dei  gratta  'Dux  Venetiarum  etc.  Nobilibus  et  sapientibus  viros 
»  Aloysios  Mauroceno  de  suo  mandato  potestati,  et  cap.o  Iustinopolis  et  successores  fi- 
»  delibus  dilectos  salutem,  et  dilectionis  affectum.  perchè  il  negotio  della  atteracion  di 
»  quella  palude,  la  qual  va  ogni  dì  peggiorando  con  quei  publici  gravi  maleffitij  che  ci 
»  sono  più  volte  stati  esposti  in  voce,  et  in  scrittura  dall'  Ecc.te  D.  petro  Vergerio  Favonio 
»  Dottor,  et  che  anco  voi  ci  significate  E  di  tale  importanza,  che  non  si  deue  differir  più 
»  oltre  il  dar  principio  al  farui  prouisione  con  rimover  per  ora  le  cause  principali  di  esso 
»  alteramento  che  sono  il  corso  del  Fiumisino,  che  sbocca  in  quella  laguna,  il  scolar  delle 
»  acque  delle  coline,  et  le  immondicie,  che  si  gitano,  et  scolano  per  le  pioggie,  però  havendo 
»  nui  veduto  così  quelle,  che  voi  col  cap.o  de  raspo  rispondete  in  tal  materia  come  anco 
»  la  relacione  del  fedel  paulo  da  ponte  Ingegnerò,  vi  cometemo  col  senato  che  dobbiate 
»  per  hora  col  nome  di  Dio  attender  a  deuiar  l'acque  del  Fiumesino  con  farle  entrar  et 
»  scorcr  per  il  cauamento  novo  altre  volte  principiato  a  tal  effetto,  et  condurle  per  quello 
»  fino  in  capo  delle  saline  verso  Isola,  a  sbocar  nel  mare  :  Et  oltre  ciò  farete  far  una 
»  masiera  doppia,  la  qual  nella  sua  estremità  s' intesti  con  li  arzeri  delle  saline,  et  tutto 
»  ciò  nel  modo,  et  forma,  che  si  contiene  nelli  capitoli,  che  vi  mandamo  inclusi,  della 
»  relacion  del  detto  Ingignero,  secondo  i  quali  vi  gouernarete  in  tutto,  et  per  tutto  ; 
»  prouedendo  anco  quanto  immondicio,  si  che  non  facciano  danno  nel  auenire,  come  esso 
»  Ingignero  ricorda  0  in  qual  altro  miglior  modo,  che  alla  vostra  prudentia  parerà  ;  per 


—  422  — 

zione  di  varie  altre  opere  dirette  a  sviare  le  continue  alluvioni.  Abbenchè 
tali  lavori  fossero  effettuati  secondo  un  piano  eseguito  accuratamente,  sembra 
tuttavia  che  gli  stessi  non  avessero  raggiunto  lo  scopo,  imperocché  vediamo 
il  maggior  Consiglio  di  Capodistria  nel  luglio  1584  creare  ad  ambasciatore 
in  Venezia  il  signor  Josepho  Verona,  affinchè  esponga  alla  Serenissima  il 
fatto  che  la  diversione  effettuata  del  Fiumisino  non  aveva  condotto  ai  risultati 
sperati  dal  governo,  per  cui  era  conveniente  provvedervi  in  altra  guisa  '). 
L' ambascieria  però  nulla  otteneva,  ed  anzi  nel  maggio  1586  il  maggior 
Consiglio  s'esprimeva  accusando  i  Piranesi  ed  i  Muggiesani  di  malignamente 
opporvisi  sino  ai  piedi  del  Senato*).  E  l'impaludamento  s'avanzava  sempre 
più,  e  con  esso  la  malaricità  dell'atmosfera,  come  se  ne  conserva  memoria 
nella  ducale  di  Pasquale  Cicogna  del  22  novembre  1588,  colla  quale  de- 
cretavasi  la  fabbrica  d' un  ponte  di  pietra  dalla  città  alla  terraferma,  in 
cambio  del  rovinato  di  legno.  Da  essa  si  rileva  come  il  popolo  temesse 
di  passare  per  le  paludi,  attraverso  alle  quali  s'era  tracciata  una  strada  prov- 
visoria, ove  s'  avea  certezza  d' infettation  d' aere  "). 

Gli  scrittori  di  cose  istriane  —  e  ne  abbiamo  parecchi  di  questo 
secolo  —  distinguono  perfettamente  nei  loro  lavori  le  località  dell'  Istria 
che  godevano  fama  di  salubrità,  da  quelle  che  erano  infette  dalla  malaria. 
Pietro  Coppo  che  scriveva  intorno  al  1540,  cita  fra  i  luoghi  salubri  Isola 
sua   patria  *),    e   fra   gì'  insalubri    Umago    ed   anzi  dice  che  l' aria  nociva 


»  li  quali  sop.ti  effetti  del  deuiar  il  Fiumisino,  et  far  la  masiera  per  le  acque  che  scolano, 
»  vi  mandamo  Ducati  500  cinquecento,  con  condicione  che  non  possano  esser  spesi  in 
»  altro  tenendo  della  spesa  particular  conto,  con  mandarlo  poi  di  qua  all'  off.o  Nostro 
»  sop.a  le  fortezze  :  et  ui  ualerete  in  ciò  di  quella  parte  che  ui  farà  bisogno  à  ratta  por- 
»  tione  delli  m/18  opere,  che  si  offeriscono  (come  ci  scrivete)  quei  fedelissimi  Nostri  cosi 
»  della  città  come  del  teritorio  procurando  con  ogni  diligentia,  che  tal  opera  sia  fornita 
»  quanto  prima,  acciò  che  si  continui  poi  à  far  il  restante  di  cauar  il  canale  et  terreno 
»  appresso  il  ponte  conforme  à  quanto  ci  scrivete  col  cap.o  di  raspo  con  darci  aviso  alla 
»  giornata  di  quanto  andarete  operando,  et  di  quello,  che  ui  occorrerà  per  la  escavatione 
»  della  pre.te  p.  Data  in  nostro  Ducali  palatio  Die  X  Martij  Indictione  X.ma  MDLXXXII. 
»  Caelius  Magnus  scr. ».  —  Vatova.  La  colonna  di  S.  Giustina.  «Provincia»,  XIX,  20. 

')  Ibid.  XIX,  22. 

')  Ibid.  XX.  s- 

»)  Statuto  Iustinopolis,  Metropoli!  Istriae.  Venet.  1668  pr.  Francesco  Salerno  e  Gio- 
vanni Cagnolino,  pag.  191. 

«)  Pietro  Coppo.   Del  sito  dell'  Istria  a  Giosefo  Faustino.    «  Archeografo  triestino  », 
serie  vecchia,  voi.  II,  pag.  35  :  «l'aria  vi  è  saluberrima,  per  essere  diffeso  da  dette  colline, 


—  423  — 

comincia  ad  essere  tale  dalla  punta  di  Salvore  in  giù  per  tutta  la  riviera 
marittima  fino  all'Arsa,  soltanto  ch'essa  era  più  o  meno  insalubre  secondo 
l' essere  e  la  qualità  dei  luoghi.  Cosi  Cittanova,  ove,  secondo  il  Coppo, 
l'insalubrità  derivava  dagli  estuari  del  Quieto1).  Fra  i  luoghi  malarici 
cita  poi  Parenzo.  Leme  e  Due  Castelli,  Rovigno  ove  l' aria  era  alquanto 
migliore,  Brioni  e  S.  Lorenzo  del  Pasenatico.  —  Nello  stesso  anno  il 
medico  piranese  G.  B.  Goineo  indicava  quali  malariche  le  località  di 
Parenzo,  cui  diceva  ridotto  a  quei  tempi  a  meschine  proporzioni  *),  nonché 
Umago  e  Cittanova  ')  mentre  celebrava  Buje  e  Montona  per  la  salubrità 
dell'  aria  e  per  1'  amenità  del  sito  4).  Press'  a  poco  nella  medesima  epoca 
o  forse  una  decina  d'  anni  più  tardi  il  vescovo  Percichi  nativo  da  Portole 
scriveva  un'opera  sull'  Istria,  dalla  quale  nel  secolo  seguente  il  benedettino 
Fortunato  Olmo,  traendone  le  principali  notizie,  compilava  il  suo  lavoro 
intitolato  Descriltione  dell' Histria6).  In  quest'opera  sono  indicati  come  salubri 
le  seguenti  località  :  Muggia,  Capodistria,  Isola,  Dignano,  Albcna,  Decani, 
Gollogorizza,  Novacco  di  Pisino,  Gherdosella,  Zumesco,  Padoa,  Rozzo, 
Verch,  Colmo,  Senizza,  Draguch,   Momiano,   Piemonte,  Portole,  Sdregna, 


»  contro  ogni  vento  pestifero,  ostro  scirocco  e  garbino  ;  abbondante  di  fontane  non  solo 
«presso  alla  terra  ma  anche  in  più  luoghi  delle  vigne». 

')  «  Il  Quieto  scorre  in  mare  tra  alti  monti  per  lo  spazio  di  miglia  venti  ;  è  navi- 
»  gabile  fino  alla  Bastia,  osteria  ;  quasi  alla  metà  in  su  è  impedito  ai  lati  da  paludi,  ma 
»  fino  alla  detta  osteria,  ha  dapertutto  la  profondità  di  passa  otto  in  dieci  d'  acqua,  e  si 
»  può  dire  canale  e  fiume.  Imperocché  vi  entrano,  sopra  la  detta  osteria  non  pochi  (rami) 
»  che  derivano  dalla  valle  di  Montona  così  detta  dal  luogo  Montona  non  molto  distante  ; 
»  e  canale  si  può  dire,  perchè  l'acqua  salsa  vi  entra,  e  si  mescola  colla  dolce.  Per  questo 
»  appunto  l'aria  divien  peggiore,  dimodocchè  né  in  esso  (Quieto)  né  in  Cittanova  è  buona, 
»  e  certamente  la  peggiore  che  sia  in  tutta  l' Istria  e  Polesana    È  certamente  bel  luogo 

» ma  nessuno  può  vivere  lungamente  in  prospera  valetudine,  e  perciò  è  quasi 

»  deserto,  benché  il  territorio  sarebbe  propizio  al  viver  umano,  se  vi  potessero  durar  le 
»  persone,  e  coltivarlo  con  diligenza  ».  —  Ibid.  pag.  58. 

*)  «  Exignus  est  nostra  aetate  locus  ;  et  quia  ventis  meridionalibus  est  objectus,  et 

»  potabilis  aquae  laborat  copia,  non  valde  frequens ».  —  Ioh.  Bapt.  Goyneus 

Pyrranensis.  De  situ  Islriae.  «  Archeografo  triestino  »  serie  vecchia,  voi.  II,  pag.  59. 

*)  «Humacum  deinde  Civilas  nova,  civitates  ambae  ob  aeris  intemperiem  hand  omnino 
»  tutae.  Humacum  tamen  est  portu,  et  clementiori  coelo  alteri  praestat  ».  Ibid.  pag.  64. 

*)  «  In  mediterraneis  vero  sunt  Bulae  et  Montona  amoena  et  frequentia  satis  loca 
»  et  cum  aeris  clementia  tum  etiam  rerum  copia  valde  prestantia  ».  Ibid.  pag.  64. 

s)  Olmo  dott.  Fortunato.  Descriltione  dell'  Istria.  «  Atti  e  memorie  della  Società, 
istriana  di  archeologia  e  storia  patria»  voi.  I,  pag.  150  e  seg. 


—  424   — 

Salise.  Quali  luoghi  eminentemente  malarici  nomina  egli  Salvore,  Umago, 
Daila,  Cittanova,  Parenzo,  Leme,  Valle  Bandon,  Pola,  Medolino  e  S.  Lorenzo 
del  Pasenatico.  Dotati  d'  un'  atmosfera  più  salubre,  però  sempre  sospetta, 
cita  Verteneglio,  Orsera,  Rovigno,  Fasana  e  Castagna.  Anche  Fra  Leandro 
Alberti  corografo  di  quest'  epoca  dice  malariche  le  posizioni  in  vicinanza 
del  canale  di  Leme  fino  ai  Due  Castelli  e  nomina  quali  siti  in  cui  1'  aria 
non  è  del  tutto  salubre,  la  città  di  Rovigno  e  le  isole  vicine  di  S.  Catterina, 
di  S.  Andrea  e  di  S.  Giovanni  in  Pelago  '). 

In  Pola  e  nel  suo  territorio  l'aria  era  assolutamente  pessima,  in  modo 
che  gli  abitanti  introdotti  dal  governo  veneto  per  ripopolare  1'  agro  e  la 
città  rimasti  deserti  in  conseguenza  specialmente  delle  gravi  epidemie  di 
peste  bubbonica,  non  potendo  resistere  alle  tristi  influenze  di  quell'atmosfera, 
perivano  nella  massima  parte  o  si  salvavano  col  fuggire  da  quelle  località 
infette.  In  tal  modo  rimanevano  incolte  estesissime  superficie  di  terreno,  il 
cui  abbandono  s' imponeva  gravemente  all'  animo  del  governo.  A  porvi 
riparo,  venivano  nel  1556  delegati  tre  provveditori  coli' incarico  di  proporre 
il  modo  di  ridurre  a  coltura  i  terreni  abbandonati  nella  Polesana.  Passati 
nel  1563  tali  terreni,  che  misuravano  135,632  campi  padovani,  in  possesso 
del  cosidetto  Magistrato  dei  beni  inculti  per  ridurli  a  nuova  coltura,  veniva 
stabilito  di  distribuirli  a  poveri  abitanti,  provenienti  da  altri  paesi 8). 

La  città  di  Pola  trovavasi  in  quell'  epoca  nella  massima  desolazione, 
tant'è  vero  che  veniva  abbandonata  dai  già  scarsi  suoi  abitanti.  Gli  edifizì 
pubblici  cadevano  in  rovina,  in  modo  da  lasciare  la  più  triste  impressione 
sull'  animo  dei  passanti s).  Sembra  tuttavia  che  al  cadere  del  secolo  (anni 
1588  e   1590)  l'aria  di  Pola  si  fosse  di  alquanto  migliorata*). 

Pirano,  invece,  godeva  d' un'  atmosfera  purissima,  tanto  che  il  vescovo 
di  Verona,  Agostino  Valerio,  che  la  visitava  nel  1580,  scriveva  «  potersi 
»  gloriar  Pirano  terra  marittima  delle  cose,  che  preparano  felicità  agli 
»  homeni,  essendo  dotata    di    temperatura   d' aere,    moltitudine   di   popolo, 


')  Fra   Leandro   Alberti.   Hislria,  TDecimanona  regione  della  Italia.    «  Archeografo 
triestino  »  serie  vecchia,  voi.  Ili,  pag.  80. 

»)  Petronio  dott.  Prospero.  Dalla  parte  II  delle  Memorie  sacre  e  profane  dell'Istria. 
—  Notizie  storiche  di  Pola,  pag.  245. 
'  %)  Ibid.  pag.  238.    —  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  470. 

')  Relation  del  Clarissimo  M.  Nicolò  Salomon  al  veneto  Senato  del  5  marzo  1588. — 
Notizie  storiche  di  Vola,  pag.  373,  378  e  395. 


—  42S  — 

»  fertilità  della  terra  ed  ingegni  industriosi  »  ').  Sebbene  gli  corografi 
sopracitati,  e  con  essi  il  profugo  Lodovico  Vergerlo  2),  nominassero,  verso 
la  metà  del  secolo,  Capodistria  siccome  luogo  dotato  d'  un  clima  salubre, 
tuttavia,  da  quanto  abbiamo  poco  più  sopra  narrato  e  dalla  relazione  al  veneto 
Senato  del  podestà  e  capitano  Dona  '),  si  deve  arguire  che,  attesa  la  causa 
del  tutto  locale  d' infezione,  vale  a  dire  l' interrimento  della  palude,  1'  aria 
non  vi  fosse  buona. 

Fino  a  questo  secolo  nelle  isole,  eccettuato  Ossero,  non  s' era  constatata 
la  malaria.  Invece,  verso  la  metà  del  secolo  essa  comparisce  nell'  isola  di 
Veglia,  ed  a  quanto  sembra  con  molta  forza.  Abbiamo  testimonianza  di 
questo  nella  Relazione  del  Provveditore  di  Veglia  al  veneto  Senato,  Domenico 
'Bembo  estesa  nel  1587'),  nella  quale  sta  scritto  che  la  città  cominciava  a 
declinare  da  14  o  15  anni,  a  cagione  della  malaria;  per  il  qual  morbo 
moriva  molta  parte  della  popolazione,  le  case  diroccavano,  i  campi  erano 
abbandonati,  lasciate  incolte  le  vigne.  Il  morbo  affliggeva  eziandio 
Castelmuschio,  mentre  risparmiava  Verbenico  e  Dobrigno,  luoghi  che  la 
relazione  dice  sani. 

Conseguenza,  come  s'è  veduto,  delle  guerre,  delle  pesti  e  dell'avanzarsi 
dell'infezione  malarica  era  una  marcata  diminuzione  di  popolo,  iniziatasi 
ancora  nei  secoli  decorsi,  ma  specialmente  in  questo  e  nei  successivi.  Una 
tale  diminuzione  la  troviamo  testificata  dalle  cifre  ufficiali  od  approssimative, 
le  quali  ho  creduto  di  esporre  nel  prospetto  particolare  in  fine  della  presente 
monografia.  Eloquenti  sono  in  proposito  i  dati  numerici  che  si  riferiscono 
all'  isola  di  Veglia  ed  alla  città  di  Capodistria.  In  queste  località  notasi 
infatti  una  diminuzione  marcatissima  di  abitanti,  mentre  i  luoghi,  che  ancor 
oggi  godono  d' una  certa  salubrità,  segnano  anche  in  questo  secolo  un 
aumento  di  popolazione. 

Né  in  taluni  luoghi  la  popolazione  soltanto  diminuiva,  che  alcuni 
venivano  persino  del  tutto  abbandonati.  Per  esempio  Due  Castelli,  località 
che  nei  secoli  decorsi  era  di  qualche  importanza,  nel   1550  cominciava  già 


';  Mortean'i.  Op.  cit.  pag.  99. 

*)  Lettera  di  Lodovico  Vergerlo.  «  Archeografo  triestino  »  s.  v.,  voi.  II,  pag.  89. 
\  Copia  dall'  originale  nell'Archivio  provinciale  e  «  Provincia  »  X,  7. 
*)  «  Atti  e  memorie   della  Società   istriana  di  archeologia  e  storia   patria  »  voi.  II, 
pag.  1 1 1  e  seg. 


—  426  — 

a  venir  abbandonata  dalla  popolazione,  così  che  ioo  anni  più  tardi  il  ve- 
scovo Tommasini  non  vi  trovava  che  tre  soli  abitanti  '). 

Conseguenza  della  diminuzione  progressiva  degli  abitanti  si  fu  il 
bisogno  di  ripopolare  le  regioni  abbandonate;  il  che  è  avvenuto  mediante 
l' immigrazione  in  Istria  di  genti  affini  o  straniere,  raccolte  dalle  provincie 
venete,  ma  in  maggior  numero  dalla  Dalmazia  e  persino  dall'  Albania  e 
dalla  Grecia  2).  Anche  nella  Contea,  spopolata  specialmente  per  le  guerre, 
venivano  nel  1533  introdotti  i  così  detti  Cicci,  che  si  rendevano  famosi 
per  le  uccisioni  e  le  rapine  che  commettevano  '). 

In  questo  secolo  però  i  provvedimenti  sanitari  procedevano,  si  può 
dire,  di  pari  passo  coli' estendersi  della  malaria.  La  città  di  Capodistria, 
che  teneva  nel  secolo  antecedente  un  medico  al  proprio  servizio  colla 
paga  di  120  ducati  all'anno,  nel  1571  portava  tale  stipendio  a  ducati  200  4). 
In  quest'  epoca  vi  esercitavano  l' arte  medica  il  fisico  Alvise  Crivello  (morto 
nell'ottobre  1548),  poi  il  capodistriano  Leandro  Zarotto  (nato  nel  15 15, 
morto  a  Venezia  nel  1596),  persona  insigne,  che  abbandonava  il  posto 
nell'agosto  1557,  per  differenze  avute  col  comune,  per  cagione  della  cura 
degli  appestati 6).  A  lui  succedeva  Giovanni  Secondi  da  Muggia,  che  rimaneva 
un  solo  anno  in  carica.  Ritorna  nel  luglio  1558  lo  Zarotto,  che  rimane 
fino    all'aprile   del  1560.    In    questa    città    poi    vedeva  la  luce   nel  dì  29 


')  «  Lontani  5  miglia  da  S.  Vincenti  sono  li  due  castelli Quello  verso  po- 

»  nente  chiamato  la  fortezza  Parentina  è  tutto  distrutto,  e  si  vedono  antichissime  muraglie. 
»  Rimane  solo  abitato  quel  da  levante,  che  tiene  il  nome  dei  Due  Castelli,  il  quale  per 
»  il  sito  forte  e  per  la  comodità  del  porto  vicino  di  Leme  fu  sicuro  ricetto  avanti  che  li 
»  Genovesi  rovinassero  la  provincia  ed  era  pieno  di  abitatori  come  si  congettura  dalle 
»  vestigie  di  tante  case  rovinate,  che  vestivano  non  solo  il  colle,  ma  parte  della  costiera 
»  contigua  e  tutta  la  valle,  che  si  frappone  tra  l'uno  e  l'altro  castello,  onde  li  Genovesi 
»  rotta  1'  armata  veneta  a  Fola  passarono  nel  canal  di  Leme  discosto  cinque  miglia  ed 
»  all'  improviso  presero  questi  due  castelli  e  li  rovinarono  abbrucciandoli,  e  sino  al  giorno 

»  d'oggi  si  vedono  li  segni  dell'incendio Crebbe  ancora  dopo  il  luogo  e  furono 

»  ristaurate  le  case  in  modo  che  si  annoveravano  da  duecento  fuochi,  ma  da  cento  anni  in 
»  qua  per  varii  casi  o  forse  per  1'  aria  cattiva,  è  andato  mancando,  che  al  presente  non 
»  vi  è  più  alcuno  naturale  del  luogo  e  solo  è  abitato  da  tre  poveri  contadini  » .  Tommasini. 
Op.  cit.  pag.  432. 

')  Vedi  in  proposito  De  Franceschi,  op.  cit.  cap.  XXXIX. 

3)  Kandler.  Annali. 

*)  Ducale  di  Alvise  Mocenigo  del  31  agosto  1571  negli  Statuii  di  Capodistria. 

*)  Vatova.  Op.  cit.  «  Provincia  »  XXI,  4. 


—  427  — 

marzo  1561  il  celebre  medico  Sartorio  Santorio,  il  quale  moriva  in  Venezia 
li  22  febbrajo  1636,  lasciando  ammirata,  oltre  a  parecchi  altri  lavori  di 
medicina,  1'  opera  De  statica  Medicina,  che  ebbe  1'  onore  di  più  di  venti 
edizioni  e  della  traduzione  in  cinque  lingue  europee1).  Contemporaneamente 
al  sunnominato  Leandro,  esercitavano  la  medicina  con  molto  onore  Ottaviano 
e  Zarotto  Zarotto,  i  quali  avrebbero  poi  occupata  una  cattedra  all'Università 
di  Padova  !). 

In  Pirano  esercitava  la  professione  altro  insigne  medico  Giov.  Battista 
Goina  o  Goineo,  autore  di  otto  opere,  fra  le  quali  la  corografia  De  situ  Istriae 
che  venne  da  me  spesso  consultata  nella  presente  pubblicazione.  Ingegno 
di  vaste  vedute,  incorre  però  nei  rigori  dell'  inquisizione  al  tempo  della 
riforma,  per  cui  è  costretto  di  fuggire  dalla  sua  patria  per  finire  indi  i  suoi 
giorni  nell'esilio  *).  In  Rovigno  si  ha  memoria  di  certa  Donna  Bortola,  morta 
nel  1582,  la  quale  sarebbe  stata  me^a  ceroica  e  dolorada*). 

Però  non  può  dirsi  che  vi  fosse  ovunque  in  Istria  abbondanza  di 
personale  sanitario.  Ad  esempio,  il  vescovo  Girolamo  Vielmi  di  Cittanova 
si  lagnava  in  una  supplica  diretta  li  29  dicembre  1570  alla  comunità,  che 
attesa  la  mancanza  di  medici,  molti  muojono  che  non  morirebbero,  e  che 
chi  vuole  avere  il  medico  o  le  medicine,  deve  ricorrere  fino  a  Capodistria 
o  ad  altri  luoghi s). 

Oltre  al  benefizio  derivante  alle  località  dal  personale  sanitario,  altro 
vantaggio  loro  proveniva  dalle  istituzioni  di  beneficenza,  che  creavansi  in 
questo  secolo,  oppure  perfezionavansi.  Così  vediamo  istituita  nel  1554  in 
Capodistria  la  casa  ospitale  dei  poveri  colla  Confraternita  di  S.  Antonio 
abbate  '),  ed  aprirsi  a  Trieste  il  primo  ufficio  di  sanità  marittima  e  terrestre, 
dipendente  dal  magistrato  di  sanità  in  Venezia  7),  —  ottimo  provvedimento 
in  tempi  tanto  di  frequente  desolati  dalle  pesti.  A  Capodistria  ancora  vediamo 
fondarsi  nel  1555   un  asilo  d'esposti*);  e  nel  1578,  atteso  il  pericolo  d'im- 


')  Stancovicu.  Op.  cit.  n.  209,  pag.  242-2*2. 
*)  Ibid.  n.  441,  pag.  431  e  nota. 

3)  Processi  di  luteranismo  in  Istria.  «  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeo- 
logia e  storia  patria»   voi.   II,  pag.   179. 

')  Benussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.   199. 
•)  Tommasin'i.  Op.  cit.  pag.  201. 
•;  Kandler.  Annali. 
r)  Ibid. 
•>  Ibid. 


—  428  — 

portazìone   della   peste,   venir  creato  un  ufficio   di  provveditori   alla  sanità 
provisor  salutis  ampliato  allo  scopo  '). 

Rispetto  ai  boschi,  a  questo  ramo  di  coltura  che  esercita  sì  grande 
influenza  sulla  malaria  istriana,  dobbiamo  registrare  il  fatto,  essersi  in  questo 
secolo  posto  mente  alla  loro  regolare  manutenzione,  tanto  in  grazia  del 
magistrato  pel  buon  governo  degli  stessi,  istituito  nel  1533  dall'imperatore 
Ferdinando  per  le  parti  ad  esso  appartenenti  della  provincia,  quanto  in 
conseguenza  del  catasto  generale  dei  boschi  pubblici  della  parte  veneta 
assunto  dal  governo  di  S.  Marco  nel  1553.  Nel  qual  anno,  il  sunnominato 
imperatore  emanava  ancora  1'  ordinanza  montanistica  pei  boschi  e  per  le 
caccié  nel  Carnio  e  nell'Istria').  Ciò  però  non  toglieva  che  nel  1583,  nel- 
l' Istria  e  nella  Carsia,  i  boschi  non  venissero  recisi  per  ordine  dell'  arci- 
duca Carlo  '). 

In  questo  secolo  le  memorie  sui  monasteri  dell'  Ordine  benedettino 
sono  scarse.  Si  sa  appena  che  quello  di  S.  Michele  di  Leme  venisse  nel  1528 
restituito  all'  Ordine  ed  unito  a  S.  Michele  di  Murano  ;  e  che  il  monastero 
di  S.  Giacomo  al  Palo  presso  Volosca,  lasciato  deserto  per  timore  dei  Turchi, 
fosse  dato  nel  1555  in  commenda  ai  vescovi  di  Segna,  e  quindi  agli  Ago- 
stiniani di  Fiume  4).  Sembra  adunque  che  i  monaci  di  tal  ordine  avessero 
diggià  abbandonata  la  provincia.  Ed  anche  di  fondazioni  di  altri  chiostri  non 
si  ha  memoria,  fuor  che  nel  15 14  d'uno  di  donne  di  S.  Catterina  in  Pola 
presso  porta  Gemina;  d'altro  di  Domenicani  in  Capodistria  nel  1522;  di 
un  terzo  di  Francescani  terziari  in  S.  Maria  di  Campo  presso  Visinada  nel 
1537;  d'un  quarto  di  Francescani  in  Isola  nel  1582;  e  finalmente  d'uno 
di  Serviti  in  Montona  nel  1598  6). 

XVII  secolo.  —  Le  fazioni  guerresche  che  afflissero  l' Istria  durante  il 
secolo  decimosettimo  si  compendiano  nelle  lotte  contro  gli  Uscocchi,  e  nella 
guerra  coli' imperatore  cessata  nel  1617  colla  pace  di  Madrid.  Gli  Uscocchi 
depredarono  nelle  loro  incursioni  parecchie  località  e  territori  istriani,  come 
per  esempio  nel  1602  Lanischie,  asportando  animali  ed  uccidendo  persone*). 


')  Vatova.  Op.  cit.  «Provincia»  XIX,  15. 

2)  Kandler.  Annali. 

»)  Ibid. 

*)  Ibid. 

«)  Ibid. 

»)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  505. 


—  4*9  — 

V'ha  tradizione  secondo  la  quale,  fino  dal  1600,  Sansego  avrebbe  sofferto 
terribili  devastazioni  da  parte  di  codesti  predoni,  in  modo  che,  distrutti 
dal  fuoco  nemico  i  pochi  casolari,  gli  abitanti  sarebbero  siati  costretti  a 
ricoverarsi  colle  loro  greggi  nel  castello  e  da  colà  difendersi  ').  E  degli 
incendi,  degli  svaligiamenti,  delle  rapine  e  delle  violenze  d' ogni  sorta 
perpetrate  in  quest'epoca  dagli  Uscocchi  ce  ne  sarebbero  troppe,  perchè  io 
mi  soffermi  a  registrarle  tutte.  Dirò  solo,  coll'autorità  del  Sarpi,  che  codesti 
predoni,  nel  1607,  dopo  aver  svaligiati  alcuni  navigli  sull'isola  di  Cherso, 
riuscivano  a  penetrare  persino  a  Pola,  derubandola  ').  Qualche  tempo  dopo 
depredarono  le  isole  di  Cherso  e  dei  Lussini,  spogliando  la  gente  peranco 
delle  loro  vestimenta  *);  poi  attaccarono  Rovigno,  Veglia  ecc.  ecc. 

Per  tali  fatti  si  accese  una  guerra  di  rappresaglia  fra  la  Repubblica  e  l'Au- 
stria, per  la  quale  vennero  da  quella  attaccate  con  gravissimo  danno  nel  16 12 
Lovrana,  Moschienizze,  Cosliaco,  Cepici,  Malacrasca,  Jessenovico,  Chersano, 
Bogliuno,  Barbana  e  Sumberg  ').  Due  anni  appresso  venivano  aggrediti 
Ossero  5),  Fianona,  i  dintorni  di  Pisino,  Chersano,  Cepici  e  Cherbune,  indi 
nuovamente  Lovrana,  scorrendo  i  comuni  vicini  di  Abbazia,  Volosca,  Ve- 
prinaz  e  Castua").  Nel  1615,  s'impegnò  poi  fra  i  due  contendenti  una  guerra 
regolare  nel  Friuli  e  nell'Istria,  in  seguito  alla  quale  vennero  guastati  Po- 
pecliio,  Caresana  ed  altri  luoghi  vicini  ;  Cernical,  Cernotich,  Ospo,  Gabro- 
vizza,  Bassovizza,  Lonche,  Marcenigla  ed  i  territori  di  Barbana  e  Sanvicenti. 
Successivamente  Zazid,  Grimalda,  Rosariol,  Figarola,  Rachitovich,  Valmovrasa, 
Gracischia,  Socerga,  Cernizza  e  Barato,  le  ville  del  territorio  di  Dignano, 
e  molte  di  quello  di  Rovigno,  poi  Draguch  e  Colmo,  Due  Castelli  e  Can- 
fanaro7).  Nel  16 16  restarono  arsi  i  villaggi  di  Vodizze,  Gischierga,  Chersicla, 
Borutto  e  Previs;  quindi  le  ville  del  territorio  di  Pedena;  saccheggiato 
Gimino  ;  incendiate  le  tenute  attorno  Sovignaco,  Brest  sul  Monte  maggiore, 
Cerouglie,  Sejane,  Mune  grande  e  piccolo.  Nel  1617  veniva  posto  assedio 
a  Gallignana  e  fatta  una    scorreria  sotto  Pedena.  Finalmente  in  data  del  26 


')  Nicolich.  Op.  cit.  pag.  125. 

*)  Fra  Paolo  Sarpi.  Storia  degli  Uscocchi,  e.  I. 

')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  309. 

')  Ibid.  pag.  3 10-3 11. 

')  Bonicelli.  Op.  cit.  pag.  46.  —  Nicolich.  Op.  cit.  pag.  127. 

•)  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  313.  —  Valvassor.  Op.  cit, 

*)  Ibid.  pag.  317-318. 


-  430  - 

settembre  1617  segnavasi  in  Madrid  la  pace,  e  li  io  novembre  pubblicavasi 
in  Istria  la  sospensione  delle  armi  '). 

Il  Tiepolo  descrive  nettamente  le  conseguenze  di  questa  guerra,  fatali 
per  la  provincia:  «  Per  la  passata  guerra,  egli  dice,  è  restata  l' Istria 
»  sommamente  afflitta,  e  particolarmente  gli  abitanti  delle  Poglie  (campagne) 
»  e  dei  Carsi  in  somma  calamità  et  miseria,  fatto  perdita  di  tutti  gli 
«animali,  né  potendo  per  ciò  esercitar  la  coltura,  mi  rifiutarono  nel  1616 

»  le  terre,  le  quali  restano    inculte Il  rimanente   degli  altri  paesani 

»  sono  quasi  alla  condizione  medesima,  restati  afflitti  non  pure  dalle  invasioni 
»  e  depredazioni  dei  nemici,  quanto  aggravati  dalla  propria  nostra  soldatesca, 
»  dalle  molteplici  e  estraordinarie  fattioni  di  carizar  li  bagagli  delle  milizie, 
»  li  biscotti  e  le  munitioni  dei  castelli  »  *). 

Con  questa  guerra  si  chiudono  nel  secolo  le  fazioni  combattute  sul 
suolo  istriano,  tant'  è  vero  che  in  seguito  la  provincia  non  ebbe  a  soffrire 
che  solamente  pei  ripetuti  arruolamenti  della  cernide.  Maggiori  danni  però 
arrecava  ad  essa  1'  unica  epidemia  di  peste  bubbonica,  iniziatasi  nel  1630 
e  cessata  appena  nel  1632.  Importata  dalle  provincie  venete,  assaliva 
successivamente  Muggia,  Capodistria,  Umago,  S.  Lorenzo  di  Daila,  Ver- 
teneglio,  Cittanova,  Parenzo,  Fasana,  Pola,  e  nel  1632  di  nuovo  Capodistria'). 
Nel  1600  e  iéoi  infuriò  a  Trieste,  ma  la  provincia  nostra  rimase  risparmiata. 
Le  conseguenze  di  questa  peste  furono  tremende.  Oltre  che  decimava  la 
popolazione  ed  in  alcuni  luoghi  quasi  distruggevala,  gravi  danni  ne  derivò 
dai  commerci  spenti,  dalle  industrie  sospese  e  dallo  scoraggiamento  generale, 
che  s' impose  su  tutta  la  provincia.  Nei  riguardi  della  popolazione,  le  cifre 
che  addurrò  più  avanti,  potranno  indicare  con  precisione  le  perdite  causate 
dal  contagio.  Le  pesti  del  1630,  163 1  e  1632  furono  le  ultime  in  Istria;  ma 
queste,  unitamente  alle  altre  già  ricordate  nei  secoli  anteriori,  nonché  le 
conseguenze  delle  guerre  or  ora  passate  in  rassegna,  influirono  in  modo 
spaventevole  sul  deperimento  progressivo  delle  condizioni  demografiche  ed 
economiche  della  provincia*).  Le  città  principali,  anzi  le  sole  che  storicamente 


')  De  Franceschi.  Op.  cit.  pag.  330. 

2)  Relazione  di  Bernardo  Tiepolo  al  veneto  Senato.  «Archivio  veneto». 

3)  Vedi  mio  lavoro. 

4)  Qjaale  segno  infausto  dei  tempi,  le  autorità  venete  se  la  prendevano  coi  prelati 
e  col  clero  istriano  ai  quali  attribuivano  in  buona  parte  le  cause  dello  spopolamento. 
Riferiamo  in  prova  i  seguenti  due  passi  della  relazione  al  Senato  veneto  del  prowe- 
ditor  Francesco  Basadonna,  letta  nel  1625  («  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  ar- 


—  43i  — 

avessero  diritto  a  tale  titolo,  vale  a  dire  Capodistria,  Cittanova,  Parenzo  e 
Pola,  riducevansi,  come  meglio  si  esporrà  innanzi,  a  contare,  verso  la  metà 
del  secolo,  appena  un  terzo  degli  abitanti,  ed  anzi  le  tre  ultime  erano  ridotte 
ad  esserne  quasi  assolutamente  prive.  Allo  spopolamento  aggiungevasi  l'avan- 
zarsi sempre  più  ardito  del  morbo  malarico,  che  esercitò  alla  sua  volta  grande 
influenza  deleteria  sul  paese. 

A  codeste  calamità  devonsi  aggiungere  ancora  i  malanni  arrecati  da 
altri  morbi  epidemici.  Sappiamo  p.  e.  che  a  Buje  durante  gli  estati  degli 
anni  1648  e  1649  regnava  un'infermità,  che  uccideva  più  di  120  persone 
all'anno,  per  cui  nel  luogo  scemò  di  molto  la  popolazione;  e  che  a 
Momiano  nel  1640,  1641  e  1642  dominavano  le  pleuritidi  in  modo  tale, 
da  cagionare  la  morte  ad  un'  infinità  di  persone  ').  Né  rimasero  inoffensivi 
i  fenomeni  meteorologici,  rispetto  alla  mala  influenza  da  essi  esercitata 
sui  raccolti,  o  sullo  sviluppo  malarico.  Di  fatti  negli  anni  1621  e  1622 
la  gragnuola  distruggeva  quasi  tutto  il  raccolto*),  nel  1629  infieriva  la 
fame,  nel  1643  ci  tu  un'invasione  di  locuste  oltremodo  devastatrice  nelle 
vicinanze  di  Trieste,  nel  1644  e  1646  scoppiarono  ripetutamente  tremende 
burrasche,  nel  1625,  1643,  1644   e    1646    furono    forti    maree,   nel  1648 


cheologia  e  storia  patria»  voi.  V,  pag.  102  e  104):  «Et  per  essere  la  Religione  anco 
»  fondamento  principale  delli  Stati  et  Governi,  non  deve  tralasciare  di  notificar  qualche 
»  particolare  all'  Ecc.ze  Vostre  dell'  uso  di  essa  in  molti  lochi  della  provincia  ->. 

»  È  questa  molto  mal  esercitata,  essendovi  Religiosi  che  tengono  cura  d'  anime  di 
»  scandalosissimi  costumi  et  pessima  vita. 

»  Molti  lochi  pi j  con  abuso  delle  loro  rendite  vengono  distrutti,  le  Chiese  profanate, 
»  fatte  stalle,  ridotti  d'animali  brutti.  Questo  succede  perchè  li  Vescovi  non  stanno  nelle 
»  loro  Diocesi,  1'  assenza  dei  quali  fa  anco  pregiudizio  alla  frequenza  degli  abitanti,  che 
»  concorreriano  avanti  di  loro  per  diverse  cause,  anziché  quello  di  Parenzo  se  ne  sta  in 
»  Orsera,  giurisdittione  Pontificia,  et  giova  alla  popolazione  di  quella  Terra  con  pregiuditio 
»  grande  della  stessa  Città  di  Parenzo. 

» ; 

»  et  se  il  Vescovo  co  '1  suo  clero  vi  facesse  la  residenza  (in  Pola),  le  apportarebbe  molto 
»  giovamento ». 

In  quella  del  Provveditor  Giulio  Contarini  del  6  febbraio  1626  (Ibid.  pag.  no)  si 
legge  :  «  Del  far  che  i  Vescovi  stian  alla  residenza  dipendendo  in  gran  parte  dalla  presenza 
»  del  Prelato,  e  dall'  esercitio  delle  funzioni  spirituali  e  cura  delle  anime,  la  union  de 
»  popoli,  perchè  son  cose  che  non  solo  mantengono  stabili  gli  abitatori,  ma  invitano  anco 
«altri  di  venire  ad  habitare». 

')  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  287-289  e  297. 

')  Relazione  del  Podestà  e  Capitanio  di  Capodistria  Barbaro  Marin.  «Provincia»  X,  8. 


—  432  — 

il  freddo  fu  intensissimo  ')  e  finalmente  il  1649  fu  anno  di  grave  carestia. 
L'estate  del  1650  fu  fatale  ai  territori  di  Pola  e  Dignano  per  cagione  di 
un  fiero  uragano,  che  distrusse  le  biade  mature  e  le  uve  pendenti,  e  sradicò 
persino  grande  quantità  di  olivi  *),  provocando  grande  carestia. 

Le  notizie  che  si  hanno  in  questo  secolo  intorno  alla  malaricità  del 
suolo  istriano  sono  copiosissime.  Già  nel  primo  scorcio  trovansi  dei  cenni 
interessanti  l' isola  di  Veglia,  ove  la  malaria  erasi  sviluppata  in  modo 
micidiale.  Documento  importante  è  il  seguente  brano  della  relazione  al 
Senato  veneto  d'  uno  dei  provveditori  della  Repubblica  *)  :  «  Altre  volte 
»  habitata  da  grosso  numero  de  genti,  per  il  qual  rispetto  fioriva  et 
»  abondava  di  vino,  grani,  animali  et  altre  vettovaglie,  onde  veniva 
«chiamata  l'Isola  d'oro;  il  che  non  succede  hora  per  ritrovarvisi  pochi 
»  abitanti  che  causa  che  molti  terreni,  de  quali  abonda  in  grande  fecondità, 
»  vanno  inculti,  le  case  rovinano  et  le  entrate  publiche  et  private  ogni 
»  giorno  declinano. 

»  Ho  procurato  d'  intendere  le  cause  della  perdita  delli  habitanti,  et 
»  mi  è  stato  referto  che  nasce  nella  città  dall'intemperie  dell'aere  cattivissimo 
»  in  particolare  il  tempo  dell'estate;  et  nelli  Castelli  et  altri  Villaggi,  per 
»  li  molti  patimenti  a'  quali  sono  sottoposti  quelli  contadini  più  degli  altri, 
»  per  rispetto  delli  romori  che  corrono  con  Uscocchi,  convenendo  questi 
»  sottogiacere  ad  insoportabili  fattioni  personali  estraordinarie,  se  bene 
»  potrebbe  anco  succedere  per  altra  causa  incognita  a  quelli  Medici  et  a 
»  quelle  genti 

»  Nella  città  vi  sono  mille  doicento  anime e  in  faccia  all'  austro 

»  et  sirocco,  li  quali  regnando  assai  il  tempo  dell'  estate,  per  rispetto  di 
»  essi  monti  concentrano  eccessivo  caldo  che  travaglia  grandemente  tutti 
»  gli  habitanti 

»  La  parte  superiore  della  città  è  tutta  desolata,  che  non  si  vede  altro 
»  che  muri  et  sassi,  cosichè  è  ridotta  nella  metà,  solamente,  et  perchè  mi  fu 
»  detto  nel  principio  che  andai  là,  in  quelli  casali  distrutti  venivano  gettate 
»  immonditie,  quali  causavano  maggior  corrutione  d' aere,  feci  fare  un 
»  proclama  che  ogn'  uno,  chi  pretendeva  patronìa  sopra  di  quelli,  dovesse 


')  Kandler.  Annali. 

a)  Ibid.  e  Relazione  del  Podestà  e  Capitano  di  Capodistria  Pietro  Basadonna.  «  Pro- 
vincia »  X,  8. 

')  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria»  voi.  II,  p.  115. 
Il  nome  del  Provveditore  non  è  noto. 


—  433  — 

»  farli  nettare,  et  così  conservarli  ».  —  Quali  differenze  della  Veglia  del 
secolo  decimoquarto,  quando  essa  dettava  uno  statuto  splendido  ed  esemplare, 
ed  era  ricca  e  popolata  ! 

In  condizioni  parimenti  tristi  si  trovavano  allora  le  città  del  continente 
istriano.  Parendo,  il  di  cui  regresso  accentuavasi  sin  dal  secolo  antecedente, 
erasi  in  questo  ridotto  tfl  tale  stato  d'insalubrità  che  il  vescovo  Lippomano 
(i  598-1 608)  doveva  trasferire  altrove  il  seminario  istituito  dal  vescovo  Noris 
(1574-1591),  proponendo  d'erigerlo  in  Rovigno,  dove  il  vescovo  dimo- 
rava la  maggior  parte  dell'anno').  La  chiesa  di  Parenzo  era  a  quei  tempi 
per  lo  spopolamento  della  città  sì  poco  frequentata,  che  lo  stesso  vescovo 
faceva  nel  1602  trasferire  un  privilegio  della  chiesa  cattedrale  all'altare  di 
S.  Croce  e  della  Ss.  Trinità,  in  Rovigno  ").  Gli  scrittori  tutti,  fra  i  quali 
nel  161 1  Nicolò  Manzuoli  3),  che  s'occupano  in  questo  secolo  delle  cose 
istriane,  fanno  cenno  dello  stato  triste  di  Parenzo,  e  dello  scarso  numero 
dei  suoi  abitanti.  Nel  1646,  allorché  il  vescovo  Tommasini  la  visitò,  non 
presentava  che  un  ammasso  di  case  cadenti;  abbandonata  dai  suoi  abitanti, 
con  due  soli  canonici  e  due  chierici,  i  quali  avevano  appena  di  che 
sfamarsi  ').  Le  strade  e  la  piazza  erano  coperte  da  folta  erba  e  di  sterpi, 
ed  i  casali  pieni  d' immondezze,  d' assenzi,  di  sambuchi  e  di  edere 6).  E 
1'  aria  pestilenziale  era  così  temuta,  specie  nella  state,  che  i  peotieri  costretti 
a  frequentare  questo  porto,  onde  prendere  la  rotta  per  Venezia,  lo  evitavano 
di  proposito  in  quest'  epoca  dell'  anno,  poggiando  di  rilascio  piuttosto  a 
Rovigno  ").  Il  governo  veneto  cercò  di  provvedere  all'  aumento  della 
popolazione  della  città,  tanto  coli'  invitare  gli  abitanti  dei  luoghi  vicini  a 
prendervi  dimora,  quanto  col  far  riparare  le  case  cadute,  o  col  proibire 
che  1'  area  di  queste  fosse  convertita  in  orti  '). 


')  Relazione  di  Angelo  Barbarigo  gii  vicario  generale  del  vescovo  Lippomano.  — 
Notizie  storiche  di  Monlona,  pag.  222. 

')  Bekussi.  Storia  ili  Rovigno,  pag.  270. 

*)  Manzuoli.  Descrizione  della  provincia  dell'Istria.  «  Archeografo  triestino  »  voi.  Ili, 
pagina   186. 

*)  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  375. 

*)  Negri  mons.  Gasparo.  Op.  cit.  pag.  143. 

•)  Olmo.  Op.  cit.  pag.  157. 

')  Dalla  lettera  ducale  di  Alvise  Contarini  al  Podestà  e  Capitano  di  Capodistria 
Gabrielle  Contarini  del  27  agosto  togliamo  il  seguente  passo  che  si  riferisce  a  Parenzo  : 
«  Per  render  anco  maggiormente  popolata  la  città  stessa  crederessimo  proprio  il  raccordo, 
»  che  avessero  a  rimanere  coperte  altre  venti  di  quelle  Case  più  abili  ad  accomodarsi,  e 


—  434  — 

In  non  migliori  condizioni  versava  in  questo  secolo  Cittanova.  I  vescovi 
ed  i  podestà  l' abbandonavano  durante  l' estate,  recandosi  ad  abitare  in 
Verteneglio,  luogo  più  salubre.  L'aria  vi  era  sì  maligna,  che  pochi  individui 
campavano  oltre  i  50  anni  ').  Nel  1650  i  padri  Domenicani  che  abitavano 
l' ospizio  a  S.  Maria  del  Popolo  fuori  della  citta,  dovevano  abbando- 
narlo per  diminuzione  di  lucro,  essendo  la  città  divenuta  ricovero  di 
pochi  pescatori,  la  chiesa  cadente,  i  campi  ridotti  a  pascoli  ed  il  convento 
in  stalla  d' animali 2).  Dei  borghi  fuori  della  città  siti  alle  riviere  di 
S.  Antonio  e  S.  Lucia,  non  restavano  nel  1650  che  squallide  rovine,  e 
la  città  stessa  di  cento  casati  di  cittadini  e  di  duecento  di  plebe  e 
pescatori,  non  rimanevano  a  quell'  epoca  che  sei  o  sette  di  questi  e  venti- 
cinque degli  altri  ').  Le  famiglie  rimaste  fra  tanta  desolazione  erano  i 
Busin,  i  Rigo,  gli  Occhiogrosso,  i  Soleti,  i  Pantatera,  divenuti  poveri,  ed 
i  Carlini,  più  altre  della  plebe  o  del  popolo  *).  Nel  1686  tali  condizioni 
peggioravano  ognor  più,  in  guisa  tale  che  il  Consiglio  comunale  si  com- 
poneva di  sole  sette  persone  comprese  quelle  del  podestà  e  del  cancelliere; 
per  la  qual  cosa  venne  deciso  di  ascrivere  allo  stesso  dei  nuovi  cittadini, 
che  avessero  stabile  dimora  nella  città  e  fossero  abili  a  coprire  la  cittadinanza, 
fra  i  quali  14  col  nome  dei  Pauletich,  Marchesan,  Zanne,  Arcangeli,  Cime- 
gotta,  Manzin,  Zanonati,  Rossi,  Gregolin,  Rimondi,  Ronzan,  Frielli,  Lanzi, 
Colomban,  la  quale  decisione  fu  poscia  confermata  dal  doge  colla  ducale 
15  marzo  1698  6). 

La  maggior  parte  del  territorio  era  lasciata  incolta  per  mancanza 
di  braccia;  i  pochi  contadini  che  vi  dimoravano,  erano  poveri  ed  oltre  a 
ciò  pigri,  così  da  non  poter  coltivare  quei  terreni,  proprietà  in  tempi 
anteriori  di  50  cittadini,  ed  ora  appena  di    io   o  12.    Tutta    la    campagna 


»  se  per  la  via  di  Proclama,  o  altro  invito  a  quei  Abitanti  de'  luoghi  vicini  fosse  per 
»  riuscire  l'esecuzione  senz'altro  stipendio  pubblico,  sarebbe  Vostro  il  merito  di  tale  og- 
»  getto.  Altrettanto  pregiudiciale  alla  Popolazione  ben  incamminata  della  Città  medesima 
»  riconoscendosi  l'abuso  di  ridurre  le  Case  dirocate  in  Orti,  o  siano  Casali,  vogliamo,  che 
»  tali  investiture  rimangano  del  tutto  intieramente  proibite,  e  sarà  parte  Vostra  ordinar 
»  quelle  note,  che  valessero  anche  a  successori  Vostri  per  vietar  tali  Concessioni  contrarie 
»  alla  Pubblica  Mente  ».   —   Dalle  Leggi  statutarie  del  Paruta,  lib.  IV,  pag.  76-77. 

')  Olmo.  Op.  cit.  pag.  157. 

5)  Dall' Injormatione  del  vescovo  Gabrieli  (1684-171 7).  «Provincia»  XXI,  5.  D.  V. 
'       ')  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  194,  195,  199. 

4)  Ibid.  pag.  204. 

')  Kandler.  Istria,  a.  I,  1846,  n.  io. 


—  435   - 

era  perciò  in  abbandono  e  tutto  quel  territorio  lungo  quasi  nove  miglia  e 
largo  tre,  non  aveva  che  dieci  stazioni  di  contadini,  lavoratori  della  terra  '). 

La  dimora  in  Cittanova,  come  si  disse,  era  impossibile  nella  state  e 
di  autunno,  così  che  il  vescovo  Tommasini,  ridottosi  a  qualche  delizia  rurale 
1'  episcopio  ed  il  terreno  dinanzi  ad  esso,  vi  passava  solamente  i  mesi  dal 
principio  di  novembre  fino  a  mezzo  maggio,  trattenendosi  negli  altri  a  Buje, 
a  differenza  del  suo  antecessore  don  Eusebio  Caimo  da  Udine  (1619-1640), 
che  dimorava  la  maggior  parte  dell'  anno  a  Verteneglio,  ove  visse  fino 
all'età  d'anni  75,  morendo  li   19  ottobre  1640  in  casa  di  Orazio  Busin  *). 

La  causa  di  tale  ammorbamento  dell'aria,  gli  autori  di  quel  tempo  e 
specialmente  monsignor  Tommasini,  l' attribuiscono  all'  interramento  del 
porto  della  città,  che  in  brevi  anni  diveniva  un  mandracchio  puzzolente, 
poi  all'  impaludamento  della  foce  del  Quieto,  al  taglio  dei  boschi  *),  e 
finalmente  all'ammassarsi  nella  città  e  nei  suoi  dintorni  d'immonde  rovine. 
Più  tardi  nel  parlare  dei  provvedimenti  in  generale,  ritornerò  su  tale  ar- 
gomento. 

Il  vescovo  Tommasini  attribuiva  a  ragione  la  gravità  del  male  anche 
allo  scarseggiare  degli  abitanti:  «In  anni  12,  dice  egli,  ch'io  qui  dimoro, 
»  sono  mancate  30  e  più  case.  Qui  si  vede  con  quanta  difficoltà  s'allevano 
»  i  fanciulli,  e  quanto  poco  vi  vivano  le  donne,  come  complessioni  più 
»  gentili.  Qui  si  vedono  con  volti  macilenti  esser  le  persone,  e  le  creature 
»  con  ventri  gonfi,  camminar  cadaveri  spiranti.  Vi  sono  sempre  ammalati, 
»  ed  a  questi  per  consueto  non  vi  è  alcun  sollievo,  non  essendovi  né 
»  medici,  ne  medicine,  ne  chirurgici,  o  speziali  *)  ». 

La  cittì  di  Capodistria  sebbene  invasa  continuamente  dal  timore  d'una 
infezione  malarica,  a  cagione  del  progressivo  interramento  delle  paludi, 
s'era  tuttavia  alquanto  rimessa  dopo  la  peste  del  1573,  in  modo  che  il 
Proveditor  General  da  Mar  Filippo  Pasqualigo,  con  terminazione  datata  dalla 
galea  in  porto  di  Pirano  del  26  novembre  1608,  concedeva  la  riapertura  del 
monte  di  pietà  istituito  li  15  aprile  1550  e  rimasto  poi  chiuso  pel  soprag- 
giungere delle  pesti 5).  Sembra  però  che  l'aria,  come  si  rileva  dalle  Corografie 


')  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  204. 

')  lbid.  pag.  214,  249.  —  Kandler.  Istria,  VI,  48. 

*)  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  193,  194,  195,  199. 

';  lbid.  pag.   199. 

')  Statuto  di  Capodistria. 


—  436  — 

dell'Olmo  e  del  vescovo  Tommasini  '),  vi  si  mantenesse  salubre,  abbenchè 
nel  1615,  si  temesse,  come  sopra  si  è  detto,  che  l'avanzarsi  delle  paludi 
producesse  un  inquinamento  dell'aria  e  conducesse  per  conseguenza  la  città 
ad  uno  stato  di  desolazione  peggiore  di  quello  di  Pola  2). 

Però,  sopraggiunta  la  peste  del  1630  che  per  tre  anni  ad  interruzioni 
invase  la  città,  la  temuta  desolazione  era  raggiunta.  Il  Kandler  vuole  che 
vi  perissero  circa  cinquemila  persone,  computate  le  perdite  fatte  nel  territorio, 
restando  così  abbattuto  il  meglio,  anzi  il  fiore  dell'antico  popolo  giustino- 
politano  3).  Le  relazioni  dei  podestà  fanno  ascendere  le  perdite  a  due  terzi 
degli  abitanti  nella  città  ed  a  tremila  nel  territorio  *).  Una  prova  certissima 
delle  tristi  condizioni  in  cui  essa  versava  nella  seconda  metà  del  secolo, 
l'abbiamo  nella  parte  presa  dal  Consiglio  cittadino  in  data  22  agosto  1660, 
nella  quale  si  decretavano  preghiere  pei  defunti  e  veniva  votato  d' invocare 
la  benedizione  apostolica  sopra  la  città  desolata  pei  molli  anni  penuriosi, 
sterili  ed  infelici,  abbondanti  solo  di  povertà  e  di  miserie  in  questa  Patria  e  suo 
territorio  B). 

Le  condizioni  di  Pola  erano  ancor  peggiori.  Ridotta  la  città  dalle 
varie  epidemie  di  peste  a  pochi  abitanti  ed  inquinatosi  il  suolo  dal  germe 
malarico,  in  modo  che  i  nuovi  coloni  non  potevano  abitarlo,  le  condizioni 
diggià  tristissime  divenivano  ancor  più  squallide  pel  sopraggiungere  della 
peste  del  1630.  Pola  ne  soffriva  orrendamente.  I  suoi  abitanti  riducevansi 
a  soli  trecento,  risultanti  la  maggior  parte  dalla  soldatesca  della  fortezza  e 
dal  clero.  Era  sprovvista  di  medico,  di  chirurgo  e  di  speziale6).  Il  Kandler 
distingue  tale  epoca  come  quella  della  massima  dejezione  di  Pola  ").  Nel 
1638  il  provveditore  Vincenzo  Bragadin   ritornando   in   Venezia  esponeva 


')  Olmo.  Op.  cit.  pag.  155.  —  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  331. 

*)  Relazione  del  "Proveditor  ed  Inquisitor  general  d' Istria  Marco  Loredan,  del  19  Giu- 
gno 161$.  «Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria»  voi.  II, 
pagina  49. 

3)  Kandler.  Istria,  a.  II,  1847,  n-  25-  —  Vedi  mio  lavoro. 

4)  "Prelazione  del  Pod.  e  Cap.o  Gabriel  Alvise  del  i6]2  e  quella  del  Pod.  e  Cap.o  Capello 
'Pietro  del  16}}.  «  Provincia  »  X,  8. 

5)  Statuto  di  Capodistria. 

6)  %elaiione  di  Pietro  Basadonna  al  veti.  Sen.  del  9  Giugno  16}...  —  Notizie  storiche 
di  Pola,  pag.  406.  —  Secondo  il  Kandler  (Annali)  però  nel  1689  veniva  aperta  in  Pola 
una  farmacia. 

7)  Kandler.  ^Annali.  —  Notizie  storiche  di  Pola,  pag.  77. 


—  437  — 

intorno  allo  stato  miserando  di  quel  comune  la  seguente  descrizione:  «La 
»  città  è  ridotta  in  sole  tre  famiglie  di  Cittadini,  e  le  più  principali  Capitani, 
»  Pelizza,  e  Contin,  tutte  le  altre  sono  in  poco  numero,  in  povertà  costituite, 
»  et  la  nation  Cipriotta  solita  in  gran  numero  habitarvi,  sono  parte  morti, 
»  et  parte  abbandonato  il  paese,  tal  che  in  tempo  dell'  estate,  quando  la 
»  stagion  e  l' aria  è  più  pericolosa,  tutti  si  ritirano  nelle  vicine  Ville,  et 
»  ivi  dimorano,  si  può  dir  tutto  obbrorio;  onde  se  per  tal  pauroso  estremo 
»  e  per  la  rarità  delle  genti,  che  rimangono,  non  praticasse  per  la  Città 
»  qualche  soldato  di  Fortezza,  non  si  vedaria  altro  che  le  case  da  per  tutto 
»  distrutte,  e  li  avanzi  deplorevoli  dell'andate  memorie;  il  che  quando  dal 
»  supremo  volere  et  virtù  matura  di  V.  V.  S.  S.  non  sij  applicato  qualche 
»  provido  rimedio,  li  mali  sempre  più  andranno  crescendo  con  total  dimi- 
»  nutione  et  esterminio  del  resto  ')  ».  Press' a  poco  lo  stesso  quadro  offre 
il  provveditore  Polo  Minio  li  4  luglio   1639'). 

I  caratteri  sintomatici  della  malaria  polese  assumevano  in  questo  secolo 
tale  gravità,  che  nel  1645  morivano  in  un  mese  sedici  monache  benedettine 
del  convento  di  S.  Teodoro,  con  molto  spavento  delle  altre  e  del  prelato 
che  allora  le  governava,  nonché  di  tutta  la  città  *). 

Delle  72  ville  che  la  città  aveva  sotto  di  sé,  nel  1655  tutte  erano 
diggià  in  rovina,  eccettuate  16  col  castello  di  Momorano ').  Sembra  però 
che  in  appresso  la  città  andasse  alquanto  migliorando  nelle  sue  condizioni, 
giacché  troviamo  nel  1663  un  aumento  di  popolazione6),  la  quale  nel  1669 
saliva  da  400  a  500  anime  8). 

Anche  i  corografi  istriani  di  questo  secolo  distinguevano  nettamente 
le  località  salubri  della  provincia  da  quelle  malariche.  Nicolò  Manzuoli 
indicava  nel  leu  quali  salubri  le  posizioni  di  Isola,  Pirano,  Rovigno, 
Dignano,  Albona,  Valle,  Montona    e    Visinada  ').  Nella  relazione  Loredan 


')  Rela\ione  di  Vincenzo  'Bragadin,  ritornato  Provveditore  di  Tola.  —  'hLoti^ie  storiche 
di  Tola,  pag.  412. 

*)  Relazione  di  Polo  OtCinio,  ritornato  Provveditore  di  Poìa.  Ibid.  pag.  416. 

')  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  472. 

4)  Loca  da  Linda.  Estratto  delle  relazioni  e  descrizioni  e  particolari  del  mondo.  «  Ar- 
cheografo  triestino  »  serie  vecchia,  II,  92. 

s)  Relazione  del  Vod.  e  Cap.o  di  Capodistria  Zuslo  Angelo.  «  Provincia  »  X,  8. 

')  Relazione  del  io  Aprile  1669  di  Agostino  Tìarbarigo,  ritornato  'Podestà  e  Capii,  di 
Capodistria.  Nelle  Notizie  storiche  di  Montona,  pag.  223-224. 

7)  Manzuoli.  Op.  cit.  pag.  182  e  seg. 


-  438  - 

del  1 6  giugno  1616  viene  indicata  perniciosissima  l'aria  nei  dintorni  di 
S.  Vincenti,  ove  morivano  di  malaria  molti  soldati  cola  stazionati  in  occa- 
sione della  cosidetta  guerra  di  Gradisca').  Il  vescovo  Tommasini  che  scriveva 
la  sua  Corografia  circa  nel  1650,  opera  ricca  di  notizie  importanti  per  la 
storia  istriana,  menzionava  quali  salubri  le  località  di  Montona,  Verteneglio, 
Gradina  (Portole),  Cucibrech,  Cuberton,  Cernovaz,  Topolovaz,  Momiano, 
Berda,  Buje,  Piemonte,  Castagna,  Grisignana,  Portole,  Cepich  (Portole), 
Gapodistria,  Decani,  Maresego,  Costabona,  S.  Nicolò  d' Oltra,  Isola,  Pirano, 
Orsera,  Torre,  Visinada,  Gimino,  Antignana,  Corridico,  S.  Vincenti,  Can- 
fanaro,  Mompaderno,  Dignano,  Albona,  Pedena,  Gallignana,  Lindaro,  Pin- 
guente,  Muggia,  Rovigno,  Gallesano,  Sissano.  Quali  posizioni  meno  sane 
egli  indicava  Matterada  e  quali  malariche  Cittanova,  il  territorio  attorno 
Verteneglio,  S.  Lorenzo  di  Daila,  Villanova  di  Verteneglio,  Umago,  Parenzo, 
Due  Castelli,  S.  Lorenzo  del  Pasenatico,  Barbana,  il  territorio  attorno 
Pinguente,  Pola,  Brioni,  Scoglio  di  S.  Girolamo  e  Veruda !).  Luca  da 
Linda  che  scriveva  circa  nel  1655  '),  citava  quali  luoghi  sani  Isola,  Pirano, 
Rovigno,  Dignano,  Albona,  Valle,  Montona,  Visinada,  e  quali  malarici 
Cittanova,  Parenzo,  Pola  ed  Umago. 

Eguali  testimonianze  ci  vengono  offerte  dalle  relazioni  di  altri  prov- 
veditori veneti  nella  provincia,  come  p.  e.  da  quelle  di  Francesco  Basadonna 
letta  nel  1625  e  di  Giulio  Contarmi  del  6  febbraio  1626,  nelle  quali  Pirano, 
Roviguo,  Isola,  Muggia,  Dignano,  Montona,  Buje,  Pinguente,  Albona,  Fianona 
vengono  dichiarate  località  d'  aria  saluberrima  ;  mentre  Valle,  S.  Lorenzo, 
Grisignana,  Portole,  Due  Castelli,  sono  date  sotto  questo  aspetto  siccome 
sospette;  Pola,  invece,  Cittanova  ed  Umago  figurano  come  malsane  in 
sommo  grado  quasi  spopolate,  ripiene  di  rovine,  d' immomditie,  d'aria  morbosa, 
poco  differenti  V  una  dall'  altra  nel  numero  degli  habitanti  *). 

Naturalmente  la  densità  della  popolazione  della  provincia  stava  in 
relazione  collo  stato  igienico  del  suolo.  Astrazione  fatta  dalla  campagna, 
ove  le  successive  importazioni  di  genti  straniere    erano    riescite  a  colmare 


')  Relazione  del  Provveditor  general  Marco  Loredan  del  16  Giugno  1616.  Negli  «Atti 
e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria»  voi.  II,  pag.  65. 

2)  Tommasini.  Op.  cit.  voi.  IV. 

*)  Luca  da  Linda.  Op.  cit.  pag.  92  e  seg. 

')  Relazione  di  Francesco  'Basadonna,  ritornato  di  Trovveditor  in  Istria  del  162}  e  di 
Giulio  Contarmi,  ritornato  di  Trovveditor  in  Istria  li  6  Febbrajo  1626.  Negli  «Atti  e  me- 
morie della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria»  voi.  V. 


—  439  — 

in  parte  i  vacui  lasciati  dalle  pesti  e  dalle  febbri;  nelle  citta,  eccettuate 
forse  Pirano  ed  Isola,  che  per  essere  state  risparmiate  dall'  ultima  peste  e 
per  essere  altresì  immuni  dalla  malaria,  erano  ricche  di  popolazione,  le 
tabelle  poste  in  appendice  al  presente  lavoro  dimostreranno  come  la 
popolazione  istriana  fosse  generalmente  diminuita. 

Col  cessare  però  del  periodo  delle  pesti,  la  popolazione  andò  lentamente 
qua  e  là  aumentando,  mentre,  si  può  dire,  diminuiva  di  pari  passo  1'  insa- 
lubrità dell'aria.  Ciò  risulta  specialmente  per  Capodistria,  Parenzo  e  Pola. 
Tuttavia  alcune  località  furono  del  tutto  abbandonate,  come  p.  e.  Due  Castelli, 
ove  la  malaria  continuava  a  regnare  con  violenza,  favorita  a  quanto  sembra 
dalle  paludi  del  Culeo  di  Leme  '). 

Contro  tali  sventure  il  governo  ed  i  comuni  cercavano  di  provvedere 
particolarmente  coli' attirare  in  provincia  nuovi  abitanti,  come  s'è  visto  più 
sopra.  I  quali  però  non  tutti  potevano  resistere  alla  malignità  dell'atmosfera, 
tant'è  vero,  che  spesso  si  dovette  sostituirli  con  altri  ulteriormente  importati. 
In  tal  guisa  vennero  colmate,  almeno  parzialmente,  le  lacune  lasciate  dalle 
pesti  e  dalla  malaria,  specialmente  negli  agri  di  Parenzo  e  Pola,  ove  alla 
estintasi  razza  latina,  veniva  sostituita  la  slava  proveniente  dalla  Dalmazia, 
dalla  Bosnia  e  dal  Montenegro,  oppure  dall'  Albania  *). 


')  Tommasini.  Op.  cit.  pag.  432.  —  Vedi  pag.  426. 

*)  Dalla  relazione  del  Provveditore  Giulio  Contarmi  prima  citata  rilevasi  che  molti 
ritenevano  che  la  malaria  fosse  la  causa  dello  spopolamento  ;  altri  opinavano  invece  con 
ragione  che  lo  spopolamento  delle  terre  avesse  prodotto  l'ammorbamento  dell'atmosfera. 
Citiamo  il  passo  per  la  sua  importanza  : 

«  E  concetto  che  in  quella  Provincia  sia  per  natura  cattiva  P  aria  e  che  da  questo 
»  sia  proceduto  principalmente  la  dishabitatione  di  molti  luoghi,  ma  questo  non  è  poi 
»  cosi,  poiché  la  verità  e  che  anzi  per  la  dishabitation  delle  terre  e  mancanza  di  fuochi 
»  V  aria  divenuta  cattiva  si  la  sempre  peggiore.  La  dishabitation  però  delle  terre  da 
»  molte  cause  è  proceduto  ;  la  prima  è  che  il  qualche  traffico,  quale  in  altri  tempi  vi  si 
»  faceva  s'  è  andato  poi  nihilando  ed  al  presente  è  totalmente  distrutto  e  gli  uomini  a 
»  poco  a  poco  si  sono  andati  partendo,  sendo  vero  che  quando  manca  l' occasion  del 
»  guadagno,  mancan  gli  habitatori,  i  quali  dov'  è  il  bene  e  l'utile  e  dove  il  lor  commodo 
»  li  chiama  si  conducono  ;  la  seconda  è  stata  V  introdutione  non  avvertita  nei  principii, 
»  la  qual  presero  le  genti  di  partirsi  dalle  terre  principali  per  andar  a  star  nelle  ville  più 
»  vicine  e  più  commode  al  godimento  e  lavoro  dei  terreni,  lontane  anco  dalla  vista  e 
»  fastidio  che  rendon  le  genti  delle  Galee,  né  cosi  vicine  e  presenti  all'  Imperio  ed  autorità 
»  de  Reggimenti.  Allettamento  che  tirato  dopo  il  principio  la  continuatione,  ha  rese  col 
»  tempo  dishabitate  molte  terre  e  riempite  molte  ville.  Imperciocché  Pola  rimasto  cadavero 
»  di  città,  ha  ingrossato  la  terra  di  Dignano  e  quella  di  Gallisano,  che  prima  erano  sue 
»  ville,  Parenzo  in  molte  ville  ha  i  suoi  già  cittadini  così  che  è  rimasta  vacua  di  gente, 


—  44°  — 

Oltre  all'immigrazione,  si  poneva  mano  qua  e  là  a  fornire  le  città  e  le 
campagne  di  acqua  potabile  buona,  ad  ordinare  o  consigliare  la  costruzione  di 
cisterne  e  l'espurgo  dei  laghi  ').  Il  qual  provvedimento  diventava  necessario 
specialmente  nell'  Istria  rossa,  ove  l' acqua  non  solo  scarseggiava,  specie 
nelP  estate,  ma  per  essere  ancora  torbida,  siccome  proveniente  dalla  melma 
degli  stagni  artificiali,  doveva  venir  filtrata  o  chiarificata,  il  che  facevasi 
con  mandorle  peste  di  pesche  o  di  pruni.  Ed  erano  anche  felici  quei  luoghi 
ne'  quali  1'  acqua,  comunque  fosse,  non  mancava  mai  ;  che  spesso  invece 
avveniva  che  i  poveri  contadini  fossero  costretti  di  percorrere  grandi  distanze 
per  attingerla  2). 

Certo  non  senza  salutare  effetto  deve  esser  riescito  l'escavo  del  Quieto 
ordinato  diggià  nel  secolo  XV  (vedi  pag.  415),  e  del  quale  si  ha  notizia 
ancora  nel  1610").  Nel  1626  il  lavoro  non  era  peranco  compiuto'),  ed 
anzi  nel  1631  l'ingegnere  Mombini  proponeva  di  rendere  navigabile  il 
fiume  fino  sotto  Pinguente  "). 

Le  paludi  attorno  Capodistria,  conformemente  alle  tristi  previsioni  di 
quei  cittadini,  nel  1615  erano  così  avanzate  da  minacciare  l'interrimento  del 
porto.  Pare  però  che  durante  questo  secolo  nulla  siasi  fatto  in  vantaggio 
di  quell'  estuario  6). 


»  Lo  stesso  è  successo  ad  Umago.  E  con  la  dishabitation  di  Cittanova  si  è  riempito  Ver- 
»  tenigo  e  Torre  sue  ville.  Per  la  qual  dishabitatione  mancati  i  fuochi  che  purgavan  l'aria, 
»  cadute  le  case  e  riempiutesi  d' immonditie,  come  anco  le  strade,  si  mantien  per  il  fettore 
»  1'  aria  sempre  impura  e  malsana. 

»  Questo  male  però  non  succede  in  Capo  d' Istria,  Pirano  e  Rovigno,  nei  quali  luochi 
»  continua  1'  aria  buona,  per  questo  che  le  genti  vi  habitano,  perchè  non  avendo  sotto 
»  d'  esse  ville  con  habitatione,  escono  la  mattina  le  persone  a  lavorare  e  la  sera  tornan 
«dentro,  che  in  Capo  d'Istria  tal  sera  ho  vedute  enumerare  sin  1500  persone  che  en- 
»  travano  di  ritorno  dal  lavoriero  ;  E  così  col  fuoco  che  convengon  fare  massime  nel  verno, 
»  e  colle  case  e  strade  tenute  in  piedi  e  nette  dalle  immonditie,  l'aria  si  mantien  buona 
»  e  salubre  ». 

')  Relazione  del  Cap.o  di  Raspo  e  Vice  Generale  in  Istria  Bernardo  Tiepolo,  del  1618. 
«  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  »  voi.  11,  pag.  1 1 5  e 
Relazioni  citate  Basadonna  e  Contarmi. 

*)  Prospero  dott.  Petronio.  Memorie  sacre  e  profane  dell'  Istria.  1681.  —  ti,otizie 
sloriche  di  Pola,  pag.  245. 

')  Statuti  di  Tirano.  Asserte  dimande  ecc.  pag.  4. 

«)  Statuto  di  Cittanova,  lib.  Vili,  cap.  VII. 

5)  Kandler.  Annali. 

6)  Relazione  del  Provveditore  ed  Inquisitore  generale  Marco  Loredan  del  i<)  Giugno  ióij. 
«  Atti  e  memorie  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  »  voi.  II,  pag.  42. 


—  44i  — 

Il  governo,  diretto  dall'idea  di  poter  migliorare  la  triste  qualità  dell'at- 
mosfera, metteva  dopo  la  cessazione  delle  pesti  grande  attenzione  all'espurgo 
delle  città.  Sembra  effettivamente  che  in  proposito  si  sieno  anche  ottenuti 
buoni  risultati.  Troviamo  difatti  che  il  provveditore  dell'  Istria  Giulio 
Contarmi,  visto  il  buon  effetto  ottenuto  dall'  espurgo  effettuato  nelle  città 
e  terre  a  lui  sottoposte,  ordinasse  nel  1626  ai  cittadini  di  Cittanova  che 
ognuno  dovesse  ogni  otto  giorni  spazzare  dinanzi  alle  proprie  case  le 
immondizie,  e  che  i  letami  fossero  ogni  quindici  giorni  condotti  fuori  della 
città.  Dallo  stesso  ordine  si  rileva  anche,  che  il  capitano  di  Raspo  aveva 
ingiunta  in  antecedenza  la  rimozione  delle  rovine  dai  luoghi  abitati  '). 

In  ogni  città  esistevano  fino  dai  secoli  precedenti  i  provveditori  alla 
sanità,  e  dove  ancor  non  vi  erano,  venivano  in  questo  secolo  nominati  appo- 
sitamente. Essi  risiedevano  specialmente  nelle  città  costiere,  e  loro  scopo  era 
quello  di  sorvegliare  acchs  non  s'introducessero  le  pesti.  Cosi  li  troviamo 
da  parecchi  secoli  in  Capodistria  ed  in  Pirano  ');  a  Cittanova  furono  istituiti 
nel  1626  *).  Nelle  isole  dei  Lussini  tale  incarico  era  demandato  al  cosidetto 
Collegietto  di  Ossero,  il  quale  mandava  ancora  dal  secolo  decimoquinto  due 
dei  suoi  membri  ai  Lussini,  onde  attendere  a  tale  ufficio,  coli'  obbligo  di 
rimanere  colà.  Però  nel  1674  Per  ovviare  a  seri  inconvenienti  che  succe- 
devano in  causa  di  tale  delegazione,  il  provveditore  della  provincia  accor- 
dava che  tale  ufficio  di  deputato  fosse  affidato  a  due  persone  del  luogo  '). 

Nelle  città  il  personale  sanitario  veniva  notevolmente  accresciuto. 
Rovigno  salariava  due  medici  con  300  ducati  all'anno,  ed  in  questo  secolo 
teneva  pure  due  chirurghi  con  pari  salario  di  300  ducati,  facendo  obbligo 
a  quest'  ultimi  di  abitare  nella  torre  del  ponte.  Più  tardi  ne  aggiungeva 
un  terzo  4).  In  questa  città  emerse  il  dott.  Giuseppe  Sponda  per  abnegazione 
e  carità,  in  modo  che  il  popolo,  dopo  la  sua  morte  avvenuta  li  io  ottobre 
1680,  gli  decretava  agli  8  settembre  1682  una  lapide  commemorativa"). 
Capodistria  dava  al  ceto  medico  la  spiccata  personalità  di  Marcantonio 
Va hlera  (1604)  amico  del  Santorio,  che  oltre  alle  scienze  mediche  coltivava 


'>  Stallilo  di  Cittanova,  lib.  XXIII,  cap.  Vili. 

')  Statuto  di  Virano.  Asserto  dimande  ecc.,  pag.  5. 

')  Statuto  di  Cittanova,  lib.  XXIII,  cap.  Vili. 

')  Bomcelli.  Op.  cit.  pag.  57  e  58.   —   Nicolich.  Op.  cit.  pag.  139,  140,   141. 

';  Besussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.  200. 

•)  Ibid. 


—  44-2  — 

con  passione  le  belle  lettere  ');  —  quindi  il  dott.  Prospero  Petronio  (morto 
nel  1688)  medico  insigne,  che  esercitò  la  professione  con  grande  successo 
non  solo  a  Capodistria,  ma  anche  a  Trieste2).  A  lui  devesi  l'opera: 
Memorie  sacre  e  profane  dell'  Istria  e  sua  metropoli;  —  poi  il  dott.  Girolamo 
Vergerlo  (nato  nel  1622,  morto  nel  1678)  che  fu  professore  alle  università 
di  Pisa  e  di  Padova*);  —  il  dott.  Cesare  Zarolti  (1610-1670),  che  oltre  ai 
grandi  meriti  acquistatisi  come  medico,  ne  attinse  anche  di  preclari  nel 
campo  delle  lettere  e  della  poesia4).  Anche  Muggia  concorreva  all'illustra- 
zione del  ceto  medico  col  dare  i  natali  a  Nicolò  Robba  (1609)  medico  e 
consigliere  dell'arciduca  d'Austria;  ed  a  Giovanni  Secondis  (1612)  medico 
riputatissimo  in  Lubiana  5).  In  Isola  esercitava  nel  1643  un  Iseppo  della 
'Bella  medico  *). 

A  Pola  si  sarebbe  aperta  nel  1689  una  farmacia  '). 

Però,  ad  onta  che  l' amministrazione  sanitaria  dell'  Istria  veneta  fosse 
molto  progredita,  tuttavia  pare  che  nelle  parti  interne  ben  di  rado  si  chia- 
masse il  medico,  ma  che  piuttosto  si  ricorresse  alla  pietà  religiosa,  oppure 
al  solito  espediente  empirico  dei  pregiudizi  e  delle  superstizioni. 

Il  rispetto  che  la  contadinanza  nutriva  verso  la  religione,  e  la  fede 
che  essa  aveva  nell'ajuto  dei  santi,  faceva  sì  che  in  molte  malattie  aH'ajuto 
di  questi  si  ricorresse  esclusivamente,  e  se  anche  si  accettavano  le  medicine 
allora  in  uso,  non  si  cessava  dall'  implorare  il  celestiale  soccorso.  Troviamo 
a  cagion  d'esempio,  che  per  le  febbri  si  soleva  affidarsi  ai  sacerdoti,  i  quali 
scrivevano  un  breve  col  nome  del  santo  protettore  del  luogo,  ovvero 
l'evangelio  nella  parte  in  cui  narrasi  della  suocera  di  Simeone  febbricitante. 
Gli  ammalati  ancora  recavansi  dal  parroco,  che  loro  consegnava  un  poliz- 
zino  contro  la  febbre,  contenente  il  nome  di  Gesù  e  Maria  con  alcuni  santi 
protettori  del  luogo,  oppure  dell'  ammalato.  'Contro  le  pleuriti  adopravasi 
un  cucchiajo  nuovo,  nel  quale  si  metteva  un  po'  di  aceto,  che  si  beveva. 
Però  sul  cucchiajo  dovevano  venir  scritte  le  parole:  et  Verbum  caro  factum 


')  Stancovich.  Op.  cit.  pag.  239. 

*)  Ibid.  pag.  255. 

J)  Ibid.  pag.  256. 

*)  Ibid.  pag.  431  (nota). 

')  Ibid. 

6)  Morte  ani.  bota  ed  i  suoi  statuti,  pag.  184. 

T)  Kandler.  Annali. 


-  443  — 

est.  Contro  il  morso  d'  un  cane  rabbioso  segnavasi  la  fronte  colla  chiave 
di  S.  Bellino,  recitandosi  prima  di  segnarsi  tre  pater,  tre  ave  ed  un  credo; 
ed  al  cane  sospetto  d' idrofobia  veniva  dato  a  mangiare  un  pezzo  di  pane 
sul  quale  si  scriveva  le  seguenti  parole  del  profeta  Davide:  Homines,  et 
jumenta  salvabis  Domine  qitemadmodum  miiltiplicasti  super  nos  tnisericordiam 
tuam.  La  risipola  segnavasi  col  dito  grosso  della  mano  destra  facendo  croci 
sopra  il  male,  e  dicendo  tre  volte  il  pater  noster.  Però  coloro  che  facevano 
tali  segni,  dovevano  digiunare  la  vigilia  dell'  Epifania.  Contro  il  mal  di 
denti  scrivevasi  il  versetto  del  profeta:  Et  stetit  Phinces,  et  placavit  et  cessavit 
quassatio,  e  per  i  vermi  dei  bambini  quell'  altro  verso  :  Qui  tribulant  me 
inimici  mei,  infirmati  sunt. 

Le  superstizioni  sempre  eccitatrici  la  fantasia  popolare,  non  mancavano 
di  suggerir  strani  spedienti  anche  in  argomento  di  medicina.  Mentre  p.  e. 
alcuni  ricorrevano  al  sacerdote  se  nutrivano  il  sospetto  che  un  cane  era 
idrofobo,  altri  preferivano  di  scrivere  sul  pane  da  gettarsi  al  cane,  invece 
del  motto  davidico,  le  seguenti  cabalistiche  parole  :  Sator  arepo  tenet  opera 
rotas.  Si  pretendeva  di  guarire  un  animale  dai  vermi,  senza  vederlo,  col  solo 
piegare  un  certo  spino  sulla  terra  e  col  sovrapporgli  delle  pietre,  ripetendo 
per  ogni  pietra  le  parole  :  spino  io  non  ti  voglio  lasciare  fino  che  tu  non  scacci 
li  vermi  dal  tale  o  tale  animale. 

Se  un  uomo  riducevasi  infermo,  si  dava  la  colpa  alle  fate,  siccome  a 
quelle  che  lo  avessero  broato  ovvero  scottato;  e  per  togliere  l'incantesimo, 
o  meglio  dire  la  supposta  influenza  magica,  mandavasi  una  scarpa  o  la 
cintura  a  certe  vecchie  donnicciuole,  le  quali,  dopo  aver  osservato  quegli 
oggetti,  gettavano  nell'  acqua  dei  carboni  accesi,  mentre  nominavano  una 
fra  le  varie  infermità  ad  ogni  carbone  gettato.  Era  credenza  che  l' infermità 
nominata  all'atto  del  getto  nell'acqua  del  carbone  che,  smorzandosi,  faceva  il 
maggior  strepito,  tosse  quella,  di  cui  era  affetto  l'individuo,  ed  allora  consi- 
gliavasi  il  rimedio,  consistente  per  lo  più  in  un  profumo  fatto  colla  polvere 
delle  spazzature  del  luogo,  ove  l' individuo  veniva  colpito  dal  male. 

L'  uso  dei  rimedi  non  era  troppo  esteso.  Si  hanno  però  memorie  di 
alcuni  farmaci  popolari.  Contro  la  febbre  p.  e.  usavasi  tale  cura  :  pigliavasi 
del  vino  potente,  lo  si  faceva  bollire,  ponendovi  entro  un  pizzico  di  cannella 
e  pepe,  e  lo  si  dava  in  tal  modo  preparato  e  caldo  a  bere  al  febbricitante, 
che  allo  scopo  di  provocare  il  sudore  veniva  coperto  accuratamente.  Da 
altri  usavasi  il  decotto  di  centaura  minore  e  sembra  con  buon  esito,  e  da 
altri  ancora  1'  assenzio,  i  geccoli  ed  i  cocomeri  marini.  Contro  la  punta 
(pleuriti)  usavasi  mangiare  tre  grani  d' incenso  arrostiti  entro  un  pomo, 
rimedio  insegnato  dai  cappuccini;  nonché  le  sementi  di  olonia.  Altri  pre- 


—  444  — 

ferivano  il  majestro  ed  i  fiori  di  rosmarino  posti  nell'  olio,  il  quale  caldo 
applicavasi  sulla  parte  offesa  '). 

In  questo  secolo  la  peste  aveva  fatto  scomparire  molti  conventi,  e  so- 
lamente in  alcune  città  e  luoghi  ne  venivano  fondati  dei  nuovi.  Senonchè 
i  conventi  perdono  in  questo  secolo  la  loro  importanza  sanitaria,  quale  la 
avevano  negli  antecedenti  ;  quindi  non  giova  neppure  di  occuparsene  d'av- 
vantaggio. 

XV III  secolo.  —  Eccettuato  il  saccheggio  di  Lovrana  avvenuto  nel  1702 
dalla  flotta  Gallo-Ispana  durante  la  guerra  di  successione  spagnuola  accesasi 
fra  la  Francia  e  l'Austria,  la  pace  di  Madrid  pose  fine  nell'  Istria  alle  deva- 
stazioni ed  ai  flagelli  delle  guerre. 

Né  si  hanno  più  ricordi  di  pesti  dopo  l'ultima  del  163 1.  Ed  ora 
l' Istria,  benché  stremata  di  forze,  ed  esausta  di  molte  risorse,  avrebbe  potuto 
sfruttare  la  lunga  pace  per  avanzarsi  sulla  via  d'  un  miglioramento,  delle 
condizioni  demografiche,  ed  economiche.  Ma  questa  ricostituzione  ope- 
ravasi  in  alcune  località  soltanto,  non  nell'  Istria  intera,  perocché,  sebbene 
i  tempi  fossero  favorevoli,  oltre  alla  decadenza  del  governo  della  Repub- 
blica veneta,  che  estendevasi  anche  a  quella  dei  paesi  da  essa  retti,  avvenis- 
sero dei  fatti  d'ordine  meteorologico,  dannosissimi  alle  risorse  agrarie  della 
provincia. 

E  primi  fra  tutti,  gli  enormi  freddi  degli  anni  1709,  17 11,  17 13, 
1740,  1755,  1762,  1763,  1782,  1788,  1789,  1795  2).  Da  quello  del  1709 
perivano  molti  olivi.  Neil'  isola  di  Veglia  un  orrido  vento  boreale,  sca- 
tenatosi li  12  marzo  1763,  produceva  un  freddo  tanto  intenso,  che  vi 
perivano  quasi  tutte  le  piante,  né  un  sol  frutto  vi  rimaneva.  Ai  27  di 
maggio  il  vento  di  borea  rinnovavasi  devastando  di  bel  nuovo  il  paese,  e 
particolarmente  i  villaggi  di  Sugari  e  Susana  nel  comune  di  Dobrigno  s). 
In  modo  parimenti  intenso  manifestavasi  il  freddo  anche  a  Rovigno  ').  Nel 
1782  un  improvviso  ed  eccessivo  freddo,  che  durava  dai  13  ai  16  febbrajo, 


')  Tali  notizie  in  generale  sulle  cure  degli  ammalati  vennero  tratte  dalla  Corografia 
citata  del  vescovo  Tommasini.  «  Archeografo  triestino  »  voi.  IV,  pag.  60,  61,  62,  63. 

2)  Benussi.  Storia  di  Rovigno,  pag.  ili,  144.  —  Kandler.  Annali.  —  Cubich.  Op. 
'cit.  pag.  38,  e  Relazione  Badoer,  nella  «  Provincia  »  X,  9. 
a)  Cubich.  Op.  cit.  pag.  38. 
*)  Benussi   Op.  cit.  pag.  144. 


—  44S  — 

faceva  perire  la  massima  parte  degli  olivi  ').  In  quello  del  1789  e  del  1795 
cadevano  agli  olivi  tutte  le  foglie  2). 

A  codesti  malanni  andava  compagna  la  fame,  che  bersagliò  ripetuta- 
mente la  provincia.  Terribile  in  generale,  e  specialmente  per  Capodistria,  fu 
l'anno  1752').  Il  1764  fu  altrettanto  grave  di  tristi  conseguenze  per  l'isola 
di  Veglia,  ove  infierì  la  fame  universale  per  la  mancanza  di  ogni  sorta  di 
biade  e  di  vino.  «  Se  vi  fosse  stato  (è  il  cronista  citato  dal  Cubich  che  scrive) 
»  una  provvidenza  che  tendesse  al  bene  comune,  e  non  al  proprio  interesse, 
»  non  vi  sarebbe  successa  una  carestia  di  viveri  così  sterminata,  da  obbligare 
»  i  miseri  abitanti  dell'  isola  a  vendere  stabili,  animali,  mobili  e  per  fino  le 
»  serrature  delle  casse  e  delle  porte  della  propria  abitazione.  Una  massima 
»  parte  camminava  e  cadeva  estinta  dalla  sete  e  dalla  estenuazione  e  molti 

»  vi  perivano  dalla  fime Il  pane  di  biscotto  vendevasi  a  soldi  otto 

»  e  dieci  alla  libbra  dagli  usuraj  ;  il  fermento  dopo  Natale  a  lire  40  lo  stajo 
»  veneto;  il  vino  a  soldi  9  il  boccale,  prezzi  per  quei  tempi  esorbitantissimi  ». 
La  carestia  cresceva  pure  nell'anno  seguente  *).  Nell'estate  del  1782,  l'anno 
medesimo  del  grande  freddo,  una  lunga  siccità  abbruciava  in  Rovigno  le 
messi;  quindi  infuriavano  violenti  uragani,  pei  quali  annegavansi  12  persone. 
Non  vi  fu  in  quell'anno  raccolto  alcuno  né  di  grani,  né  di  olive;  dovunque 
carestia,  malattie  e  costernazione.  Il  prezzo  della  farina  nel  Fontico  saliva  a 
lire  50  lo  stajo  s).  La  carestia  perdurava  ancora  nel  1784,  così  che  la  pro- 
vincia assumeva  un  aspetto  triste  e  desolante  *). 

L'anno  1788,  oltre  che  disastroso  pell'estremo  freddo,  lo  fu  anche  per 
una  siccità  ostinata  7).  Le  isole  dei  Lossini  soffrirono  particolarmente  in 
conseguenza  di  tali  vicissitudini  meteoriche,  specie  nel  1794,  quando  l'estrema 
siccità  riduceva  l'isola  a  grame  condizioni8).  Il  1795  fu  pure  anno  di  scarsi 
raccolti,  e  fatale  ancora  pel  deperimento  degli  olivi  *).  In  aggiunta  a  ciò, 
dal    12    luglio    in    poi    cadde    con    persistenza    tanta    pioggia,    da    rendere 


')  Benussi.  Op.  cit.  pag.  in,  114.  —  Kandler.  Annali. 

')  Relazione  Badoer,  «  Provincia  »  X,  9. 

')  Relazione  del  Pod.  e  Cap.o  di  Capodistria  Enrico  Dandolo.  «  Provincia  »  X,  9. 

')  Cubich.  Op.  cit.  pag.  38. 

•)  Benussi.  Op.  cit.  pag.   m. 

*)  Relazione  del  Tod.a  e  Cap.o  di  Capodistria  Lodov.  Morosini.  «  Provincia  »  X,  9. 

*)  Relazione  del  Tod.a  e  Cap.o  di  Capodistria  Z\Cattio  Dandolo.  «  Provincia  »  X,  9. 

')  Nicolich.  Op.  cit.  pag.  250. 

*)  Relazione  Badoer  1.  e. 


—  446  — 

impossibile  la  trebbiatura  delle  scarse  biade  raccolte  alla  spicciolata,  le  quali 
per  la  eccessiva  umidità  rinascevano  nei  covoni  '). 

Agli  infortuni  ora  specificati  s'aggiunsero  forti  maree  negli  anni  1727, 
1746,   1750,   179 r,   1794  ed  un  terremoto  nel   1741  2). 

Degna  di  nota  è  pure  l'epidemia  vajuolosa  del  1740  scoppiata  in 
Rovigno,  per  la  quale  in  un  sol  mese  morivano  oltre  250  fanciulli  '). 

Anche  la  malaria  dominò  in  questo  secolo  in  parecchi  luoghi  della 
provincia.  Troviamo  nominati  come  malsani  Umago,  Cittanova,  Pola  e  come 
luoghi  sani  Isola,  Pirano  e  Rovigno  *). 

Ad  onta  che  al  principio  del  secolo  alcune  località  avessero  migliorato  le 
proprie  sorti  —  come  p.  e.  Parenzo,  la  quale  aumentava  di  popolazione  nel 
primo  decennio,  in  grazia  dei  commerci  accresciuti  e  favoriti  dallo  stan- 
ziamento nel  porto  della  flotta  veneta,  mandata  a  presidio  del  golfo  all'epoca 
della  guerra  di  successione  spagnuola,  —  tuttavia  nel  resto  della  provincia 
non  avvenivano  notevoli  miglioramenti,  sia  in  linea  demografica  che  igienica; 
ma  anzi  abbiamo  testimonianze  che  le  cose  in  generale  pigliassero  una 
triste  piega. 

A  Capodistria  p.  e.  oltre  agli  anni  di  fame  già  notati  intorno  al  1752, 
nel  1773,  il  podestà  e  capitano  Cassetti  Zuanne,  ritornando  a  Venezia, 
lamentava  le  contingenze  calamitose  e  moleste,  testimoni  della  più  squallida 
miseria,  notate  da  lui  in  Capodistria  durante  la  sua  reggenza  5).  A  Pola  le 
condizioni  non  eransi  per  nulla  migliorate,  che  anzi  la  malaria  vi  regnava 
a  tutta  oltranza.  Sembra  che  alle  cause  che  nei  secoli  decorsi  l' avevano 
fatta  produrre,  in  questo  secolo  altre  se  ne  fossero  aggiunte.  L'abate  Fortis, 
mentre  riconosce  l'azione  deleteria  manifestatasi  nei  secoli  antecedenti  ad 
opera  delle  devastazioni  e  delle  pesti,  accusa  i  vescovi   d'  aver   favorito  lo 

sviluppo  del  male.  « Malore,  egli  dice,  a  cui  come  pastori  di  quella 

»  popolazione  avrebbero  dovuto  metter  riparo  spontaneamente  in  questo 
»  secolo  umano,  senz'  aspettare  che  la  sovrana  clemenza  mossa  a  pietà  di 
»  una  porzione  riguardevole  di  sudditi  e  d'  un  territorio  importante,  li 
»  determinasse  a  far  buon  uso   delle    loro  ricchezze.   Invece  di  far  scavare 


')  Cubich.  Op.  cit.  pag.  39. 
J)  Kandler.  Annali. 

3)  Manoscritto  del  canonico  Caenazzo  in  Benussi,  op.  cit.  pag.  199  (nota). 

4)  Negri  mons.  Gaspare.  Op.  cit.  pag.  154  e  seg. 

s)  %ela\ioM  del  Vod.a  e  Cap.o  di  Capodistria  Cassdli  Zuanne.  «  Provincia  »  X,  9. 


—  447  — 

»  a  qualunque  costo  un  canale  di  comunicazione  fra  gli  stagni  suburbani  e  '1 
»  mare,  vi  fu  negli  anni  ultimi  scavato  uno  scolo  alla  fontana,  con  intenzione 
»  d'impedire  così  molte  erbe  acquatiche,  le  quali  vi  alignano  perchè  il  fondo 
»  di  essa  non  è  stato  purgato  fino  all'  amico  pavimento.  Questo  canale 
»  comunica  col  mare  eontinguo,  e  nelle  alte  maree  serve  di  veicolo  all'acqua 
»  salsa  che  ascende,  e  guasta  la  lontana,  con  pregiudizio  sommo  della  salute 
»  di  quella  infelice  popolazione  che  deve  attingervi  »  '). 

Interessante  parimenti  per  le  condizioni  sanitarie  di  Pola  in  quei 
tempi,  è  1*  esposizione  del  dott.  Giovanni  Vincenzo  Benini  nella  relazione 
del  dott.  Arduino  medico  di  Pola,  scritta  nel  1798  2).  Il  dott.  Arduino 
annovera  le  seguenti  cause  accidentali  della  malariche  di  Pola  «  la  molti- 
»  tudine  de'  gelsi  e  d' altre  piante  che  ingombrai!  non  meno  i  contorni 
»  che  l'interno  della  città;  le  acque  stagnanti  che  cuoprono  i  contigui  prati; 
»  le  vicine  caverne  formate  dall'estrazione  della  terra  vetraria;  i  cimiteri 
»  urbani,;  gli  olivi;  i  letamai,  l'immondezza  delle  strade;  i  succidi  abiturj 
»  de'  mendici,  e  finalmente  le  pubbliche  mura  che  rinserrano  le  perniciose 
»  esalazioni,  o  ne  difficultano  almeno  la  dissipazione.  Tali  rappresentanze, 
»  seguite  da  ragionate  insinuazioni,  diedero  motivo  alla  detta  Terminazione, 
»  la  quale  porta  in  sostanza  :  che  abbiansi  a  sradicare  tutti  i  gelsi  e  a  rarificare 
»  le  altre  piante  ne'  luoghi  sopraindicati;  che  agevolar  si  debba  lo  scolo 
«delle  acque  del  prato  e  della  palude  coli' annuo  escavamento  de'  fossi 
»  conterminanti  ;  che  si  chiudan  tosto  le  bocche  delle  nominate  caverne; 
«che  sieno  d'ora  in  poi  tumulati  i  cadaveri,  anzi  che  nelle  chiese  della 
»  ritti,  in  un  cimitero  extra-urbano;  che  polir  si  debban  sovente  le  strade,  le 
»  stalle  e  tutti  gl'impuri  ricettacoli  d'acqua  che  in  Città  si  ritrovano;  che  la 
«  Città  non  abbia  più  ad  esser  1'  ordinario  soggiorno  d'  animali  vaccini  e 
»  porcini;  che  demolite  sieno  le  volte  d'alcune  porte  della  città,  e  che  sia 
»  permesso  a  particolar  comodo  e  vantaggio  di  chiunque,  d' atterar  le 
»  pubbliche   mura,   onde    render   la   Città   meglio   esposta   ad  una  benefica 


')  Fortis  dott.  Alberto.  Saggio  d'osservazioni  sopra  V  isola  di  Cherso  ed  Ossero.  Ve- 
nezia, 1771.  —  Kandler.  Istria,  a.  I,  1846,  n    8. 

*)  Consulta  sulla  malaria  di  Pola.  esposizione  del  dott.  Giovanni  Vincenzo  Benini 
medico  in  Capodistria  e  fungente  le  veci  di  protomedico  della  Provincia  in  evasione  al 
Decreto  20  ottobre  1798  n.  4268  del  e.  r.  Governo  provvisorio,  intorno  alla  Relazione  del 
dott.  Arduino  medico  della  Città  di  Pola,  e  sulla  Terminazione  di  quel  R.  C.  Collegio  di 
Sanità,  intorno  ai  bisogni  ed  ai  mezzi  di  render  possibilmente  salubre  1'  aria  della  citta 
stessa.  —  Kandler.  Istria,  a.  IV,  1849,  N.  16, 

II 


-  448  - 

»  ventilazione».  Il  Berlini  poi  nella  sua  esposizione  propugnava  la  costruzione 
di  cisterne  '),  il  prosciugamento  delle  paludi,  la  cessazione  delle  sepolture 
nelle  chiese,  1'  abbassamento  (non  demolizione)  delle  mura  della  citta  J),  il 
gettito  della  calce  viva  nelle  fogne  che  venivano  aperte,  il  trasporto  del 
macello,  l'allontanamento  delle  fabbriche  antigieniche;  ed  infine  la  proposta 
d'importare  nuovi  abitanti.  «  Allora,  egli  scrive,  le  aque  che  or  marciscono 
»  sui  terreni  raccolte  nei  rivoli;  le  terre  innalzate;  1' agricoltura  migliorata; 
»  le  manifatture  e  le  arti  poste  in  attività;  il  commercio  ravvivato  e  sostenuto 
»  da.  uno  dei  più  bei  porti  del  Mondo  e,  in  conseguenza  di  tutto  ciò,  le 
»  moltiplicate  agitazioni  dell'  atmosfera,  renderebbon  l' aria  più  elastica, 
»  intanto  che  i  moltiplicati  fuochi  la  renderebbon  più  pura,  e  la  salubrità 
»  andrebbe  allora  del  pari  coli'  abbondanza  ». 

Siffatte  condizioni  ripetevansi  in  altre  località  della  provincia.  Di  Cit- 
tanova  abbiamo  diggià  fatto  cenno  anteriormente.  Aggiungiamo  ora  che  le 
tristi  condizioni  in  cui  si  trovava,  non  lasciavano  adito  alla  speranza  d'un 
qualunque  risorgimento.  Il  podestà  veneto  di  Capodistria  Badoer  voleva  nel 
1748  ripopolarla  con  abitanti  tolti  a  Rovigno,  che  ne  abbondava.  Ma  la  triste 
fama  di  malsania  che  godeva  Cittanova,  trattenne  i  rovignesi,  che  preferirono 
di  recarsi  a  coltivare  le  terre  più  vicine  e  salubri,  di  Valle  e  Dignano  '). 

Il  borgo  di  Due  Castelli  veniva  del  tutto  abbandonato.  Nel  17 14  la- 
sciavasi  cadere  in  rovina  1'  antica  chiesa  di  S.  Sofia,  e  trasferivansi  le  of- 
ficiature  in  quella  di  S.  Silvestro  di  Canfmaro  allora  consacrata  4).  Di  quel 
castello  tanto  importante  nei  secoli  decorsi  non  rimasero  che  eloquenti  ro- 
vine, estese  sopra  i  due  versanti  del  pittoresco  vallone  di  Leme. 

Ben  differenti  erano  le  sorti  di  altri  luoghi  dell'  Istria.  Parenzo,  pei 
motivi  suesposti,  aumentò  rapidamente  di  popolazione,  in  guisa  tale  che  i 
pochi  abitanti  allo  scorcio  del  secolo  XVII,  alla  fine  del  secolo  XVIII 
raggiungevano   la   cifra  di    3000 5).   Anche   Rovigno   si    avanzò    di  rapido 


')  Nel  1792  erasi  costrutta  un'ampia  cisterna  presso  il  duomo,  nella  credenza  di 
giovare  coli'  acqua  pluvìatile  alla  pubblica  salute,  sebbene  ci  fosse  l' acqua  perenne  ed 
abbondantissima  dell'  antica  sorgente. 

2)  Allo  scopo  di  preservare  in  parte  la  città  dal  vento  australe,  ritenuto  a  quei  tempi 
apportatore  di  malaria. 

3)  Benussi.  Op.  cit.  pag.  132. 

4)  Kandler.  ^Annali. 

5)  Kandler.  Istria,  a.  IV,  10.17,  n.  si-  —  t\*1a\ione  del  2S  novembre  ijjg  del  PoJ. 
(  Cap.  di  Capodistria  Nicolò  Maria  9/CichùL 


—  449  — 

passo  sulla  via  della  prosperità.  Abbenchè  al  principio  del  secolo  XVIII  le 
famiglie  cittadine  di  Rovigno  si  fossero  ridotte  a  sole  15,  sia  per  cagione 
delle  morti  naturali,  e  sia  della  partecipazione  alle  numerosa  guerre  della 
Repubblica,  vediamo  subito  progredire  negli  anni  seguenti  le  condizioni 
demografiche  verso  un  marcato  miglioramento.  Nel  1710  la  popolazione 
raggiungeva  la  cifra  di  5643  abitanti;  di  7357  nel  1740;  di  8782  nel  1750;  e 
di  9816  nel  1788.  Tale  aumento  di  popolazione  imponeva  al  governo,  pel 
motivo  che  gran  parte  di  essa,  attesi  i  ristretti  guadagni,  lottava  giornalmente 
coi  bisogni  della  vita  e  venivasi  formando  un  proletariato  pericolosissimo. 
A  prevenirne  i  mali,  il  podestà  capitano  di  Capodistria  Badoer  proponeva  nel 
1748  al  governo  di  traslocare  varie  famiglie  rovignesi  a  Pola  od  a  Cittanova, 
il  che,  come  si  disse,  non  ebbe  effetto.  Oltre  che  a  Dignano  e  Valle,  molti 
rovignesi  stabilironsi  in  Orsera  e  Parenzo,  come  agricoltori,  o  marinai  '). 

Anche  Pirano  abbondava  di  popolazione.  E  cosi  pure  aumentossi  rapi- 
damente la  popolazione  i  Lussini.  Mentre  la  vetusta  città  di  Ossero  decadeva 
sempre  più,  così  da  ridursi  alla  metà  del  secolo  al  livello  d'  una  borgata 
più  che  umile  con  poco  meglio  d'  un  centinajo  d'  abitanti,  i  Lussini,  che 
da  essa  dipendevano,  chiedevano  ed  ottenevano  la  loro  indipendenza.  Nel 
1754,  quando  ciò  avveniva,  la  loro  popolazione  era  notevolmente  accresciuta*), 
in  modo  che  Lussingrande  nel  1784  aveva  1700  anime  ')  e  Lussinpiccolo  nel 

1759,  187J  *)■ 

Le  città  quasi  tutte  erano  provvedute  di  medici.  Li  troviamo  persino 
nei  Lussini,  ove  però  non  conducevano  vita  troppo  splendida.  Sembra  che 
il  primo  medico  che  esercitasse  la  sua  arte  in  Lussinpiccolo,  fosse  il  dottor 
Barloloinineo  Scacciarti,  il  quale  sudava  molto  a  raccogliere  le  piccole  mercedi 
a  lui  dovute  per  la  cura  degli  ammalati 5).  In  Rovigno  vivevano  più  lau- 
tamente. Essi  venivano  pagati  colle  rendite  del  fornico,  e,  come  scriveva 
il  podestà  e  capitano  Michiel  "),  stavano  a  spese  esclusive  dei  poveri. 
Percepivano  joo  ducati  all'anno  di  salario,  ed  erano  tre  di  numero. 


')  Bf.kussi.  Op.  cit.  pag.  tJ2.  —  Magione  del  Tod.  e  Cap.  dì  Capodistria  Michiel,  del 
20  novembre  i~]4<). 

J)  Bonicelll  Op.  cit.  pag.  53.  —  Nicolich.  Op.  cit.  pag.  149. 
*)  Bonicelll  Op.  cit.  pag.  64. 

4)  Fede  del  parroco  Michele  Cosulich  del  26  febbraio  1759  hi  Nicolich,  op.  citati:, 
pagina  260. 

5)  Boxici- lli.  Op.  cit.  pag.  67  (nota). 

')  Relazione  sui  Fonlici  dei  6   fiugno   1766  del  Pod.  e  Cap.  di  Capodistria  OnCichùì, 


—  450  — 

Abbiamo  veduto  emergere  in  Pola,  per  la  sua  relazione  sulla  malaria, 
il  dott.  Arduino,  il  quale  visse  colà  intorno  agli  ultimi  anni  del  secolo. 
Contemporaneo  di  Arduino,  esercitava  a  Capodistria  il  dott.  Giovanni 
Vincemmo  Benini  medico  di  vaglia,  divenuto  poi  sotto  il  primo  governo 
austriaco  protomedico  provinciale.  A  Pirano,  ingegno  eletto,  medico  distinto, 
devoto  fino  alla  passione  alla  Repubblica  veneta,  di  cui  pianse  la  caduta, 
visse  ed  esercitò  il  dott.  Giacomo  Pantani,  autore  di  vari  opuscoli  e  d'una 
storia  naturale  dell'  Istria,  accennata  dal  Carli  nelle  Antichità  italiche.  La  di 
lui  memoria  non  è  ancor  spenta  a  Pirano,  e  di  lui  abbiamo  udito  parlare 
con  affetto  dal  defunto  collega  dottor  Melchiorre  Linder,  che  rammen- 
tavasi  gli  elogi,  che  di  quell'  uomo  egregio  tesseva  il  dottor  Apollonio 
suocero  del  Linder,  e  successore  al  Panzani.  Abbiamo  veduto  il  suo  nome 
in  un  diploma  di  membro  dell'allor  esistente  accademia  piranese  dei  Virtuosi, 
di  cui  egli  era  preside.  —  In  Albona  distinguevasi  per  titoli  letterari  'Bar- 
toloinmeo  Giorgini  (1733)  farmacista,  autore  di  molti  lavori  storici  riflettenti 
la  sua  patria  '). 

La  triste  impressione  rimasta  in  conseguenza  delle  pesti  bubboniche, 
e  più  ancora  il  timore  che  questa  malattia  non  avesse  di  bel  nuovo  a 
ricomparire  in  provincia,  divenne  la  causa  che  i  magistrati  istituiti  nelle 
città  costiere  sotto  il  titolo  di  Provveditori  alla  sanità  venissero  rivestiti  di 
maggiori  diritti,  e  che  la  sfera  delle  loro  attribuzioni  venisse  ampliata.  In 
alcune  città,  come  p.  e.  a  Rovigno,  si  destinavano  appositi  locali  ad  uso 
di  contumacia,  chiusi  da  rastelli  all'  accesso  del  pubblico  '"').  Egualmente 
ai  confini  terrestri  venivano  adottate  severe  misure  contro  l' importazione 
delle  pesti.  Il  dispaccio  21  ottobre  17 io  del  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
Aurelio  Contarmi,  contiene  appunto  la  esposizione  di  tali  misure  contro  le 
provenienze  da  Trieste  e  dai  luoghi  arciducali  dell'  Istria  e  del  Friuli  ;  e  così 
l'altro  del  1  febbraio  1712  del  podestà  e  capitano  di  Capodistria,  Francesco 
Malipiero,  al  capitano  del  castello  di  Piemonte,  con  cui  ordinavasi  contumacie 
e  bando  alle  provenienze  dalla  Schiavonia,  Croazia,  Albania,  Dalmazia,  dalle 
isole  del  Quarncro,  da  Fiume,  Buccari,  Buccovizza  e  da  altri  luogi  della  riviera 
austriaca3).  Nel  1743,  quando  scoppiava  la  peste  in  Ungheria,  in  Transilvania 
ed  in  Messina,  il  provveditore  Pietro  Dona  difendeva  la  provincia  erigendo 


')  Stancovicii.  Op.  cit.  pag.  263. 
3)  Benussi.  Op.  cit.  pag.  155-156. 
3)  «Provincia^  XVIII,  22.  Estratto  di  G.  V. 


—  45i  — 

rastelli,  tagliando  strade,  armando  le  linee  di  confine  ed  i  porti,  e  tenendo 
in  armi  a  questo  fine  le  poche  cernide.  Dalla  parte  di  mare,  in  mancanza 
di  legni  armati  per  la  custodia  del  vasto  litorale,  si  eccitavano  tutti  alla 
custodia  dei  propri  lidi.  A  tale  scopo  nel  maggio  1744  veniva  in  ajuto  del 
Dona  il  provveditore  straordinario,  Dolfin.  Scoppiata  nel  1783  la  peste  in 
Dalmazia,  il  provveditore  Lodovico  Morosini,  d'accordo  col  provveditore 
generale  di  Palma,  creava  addirittura  una  linea  armata  d'osservazione,  po- 
nendo in  azione  più  di  300  individui,  impiegandoli  nelle  sentinelle,  negli 
appostamenti  avanzati  ed  in  una  mai  interrotta  crociera  di  barche  armate  '). 

Sotto  i  francesi  nel  1797  la  municipalità  di  Rovigno  istituiva  pure  un 
Magistrato  di  sanità  formato  di  tre  membri,  cui  incombeva  anche  la  polizia 
della  città  8) 

Due  enormi  cisterne  venivano  erette  in  questo  secolo,  una  in  Pirano 
per  opera  dell'architetto  Simeone  Battistella  nel  1776,  ed  una  simile  in 
Visinada  nel  1782  '). 

Riguardo  ai  boschi,  troviamo  in  questo  secolo  la  terminazione  del  6 
dicembre  1775  di  Vincenzo  Morosini  deputato  ai  boschi  dell'Istria,  destinata 
a  regolarne  la  buona  coltura,  custodia  e  conservazione,  approvata  dal  Col- 
legio deputato  sopra  i  boschi,  ed  avvalorata  dalla  terminazione  del  Senato 
dei  9  maggio.  Appartiene  poi  agli  anni  1791-1792  il  piano  completo  di 
amministrazione  forestale  nell'  isola  di  Veglia  *). 

XIX  secolo.  —  Colla  fine  delle  guerre  napoleoniche,  per  le  quali  poco 
danno  veniva  recato  all'  Istria,  cessavano  anche  da  noi  completamente  le 
fazioni  guerresche.  Però  la  instabilità  dell'amministrazione  nei  primi  decenni 
del  secolo,  conseguenza  dei  cambiamenti  repentini  di  governo,  recò  pregiu- 
dizio al  benessere  provinciale,  e  devesi  forse  ad  essa  attribuire  i  gravi  dissesti 
economici,  dai  quali  ebbero  origine  gli  anni  della  fame.  Tale  terribile  flagello 
faceva  la  sua  comparsa  nell'anno  18 15  e  cessava  appena  nel  18 18.  Nei  paesi 
colpiti  dura  ancora  presentemente  l' infausta  memoria  di  quelP  epoca,  ed  i 
vecchi  rammemorano  con  raccapriccio  quei  tempi  tristissimi. 

A  Rovigno,  nel  1817,  alla  fame  s'aggiungeva  il  tifo,  che  scoppiato 
al  principiare  del  maggio,  continuava  fino  al  gennaio  dell'anno  seguente,  e 


')  Relazioni  in  copia  nell'Archivio  provinciale. 

2j  Bemussi.  Op.  cit.  pag.  210. 

3)  Kandler.  Attuali. 

')  Cubich.  Op.  cit.  pag.  146. 


—  452  — 

colpiva  oltre  a  1200  individui,  di  cui  ne  morirono  j2i;  cosi  che  non  ba- 
stando più  il  cimitero  sul  monte  di  S.  Eufemia,  se  ne  dovette  aprire  un 
secondo  a  S.  Gottardo  ').  In  Momiano  la  lame  cominciava  a  mieter  vittime 
diggià  ai  21  novembre  1815,  e  cessava  nel  2  gennaio  1818,  cagionando 
5 1  morti.  Nel  registro  parrocchiale  2)  le  cause  di  morte  sono  indicate  coi 
termini  :  penuria,  inedia,  indigenza  e  fame.  Purtroppo  non  furono  questi 
i  soli  anni  d'indigenza.  Riproducevansi  nel  1854,  l%7°>  1874  e  1880,  e 
se  riuscirono  meno  funesti  dei  precedenti  alla  popolazione,  ciò  va  ascritto 
solamente  al  progresso  dei  tempi,  alle  grandi  carità  pubbliche  e  private, 
all'aprimento  di  lavori  di  pubblica  utilità,  ai  mezzi  facilitati  di  comunicazione 
pei  necessari  approvigionamenti,  ed  a  quei  pronti  provvedimenti  ammini- 
strativi, sconosciuti  in  altri  tempi. 

Un  brano  di  lettera  che  trovasi  inserito  nella  Provincia  (a.  XIV,  n.  2), 
che  qui  riportiamo,  ci  offre  uno  sguardo  molto  chiaro  delle  condizioni 
economiche  dell'  anno  1870.  «  Ho  passato  i  sessanta  anni,  dice  l'autore, 
»  ho  assistito  quindi  molte  volte  al  succedersi  dei  periodi  di  miseria  nella 
»  provincia,  ma  una  rovina  simile  non  ho  veduto  mai  !  e  non  so  come 
»  andrà  a  finire.  —  Ogni  giorno  vengono  trenta,  quaranta  affamati  dalla 
»  campagna,  e  non  sappiamo  dove  dare  la  testa  per  soccorrerli.  La  città 
»  (Parenzo,  da  dove  è  datata  la  lettera)  più  o  meno  si  difende,  ma  le  ville 
»  di  Abrega,  Fratta,  Torre,  Sbandati,  non  hanno  né  un  grano,  né  un  soldo, 
»  né  il  crepuscolo  di  credito.  O  soccorrerli,  o  vederli  morire  di  fame.  C'è 
»  di  più  che  verso  Dracevaz  si  è  sviluppata  una  febbre  che  li  coglie  meschini 
»  ed  estenuati.,  e  muojono  subito.  Questa  passata  settimana  credo  ne  sieno 
«morti  nove»').  La  stessa  cosa  ripetevasi  nell'autunno   1879*). 

Apportatori  di  rilevanti  danni  furono  pure  gli  enormi  freddi  degli  anni 
18135),  1819,  18326)  e  18467).  Nell'isola  di  Veglia,  diggià  abbastanza  per- 
seguitata da  disgrazie,  accadeva  nel  18 14  altro  disastroso  avvenimento,  pel 


')  Bexussi.  Op.  cit.  pag.  241. 

5)  Qui  devo  rendere  grazie  al  mio  amico  M.  R.  Don  Antonio  Urbanaz,  parroco  del 
luogo,  il  quale  mi  rendeva  avvertito  di  tali  cause  di  morte  e  mi  offriva  all'  ispezione  i 
registri  parrocchiali. 

*)  La  lettera  venne  scritta  li   16  gennaio  1870. 

♦)  «Provincia»  XIII,  22,  23,  24. 

5)  Benussi.  Op.  cit.  pag.  144.   —   Nel  181 3  cadde  una  terribile  grandinata. 

6)  Kandler.  ^Annali. 

')  Benussi.  Op.  cit.  pag.  144. 


—  453   - 

quale  poco  mancò  che  la  borgata  di  Ponte  non  andasse  distrutta.  Il  13  giugno 
giugno,  dopo  un'ostinata  siccità,  un  denso  nuvolone  spinto  dai  venti  meri- 
dionali s' infrangeva  sulle  vette  del  Triscavaz,  e  scaricava  improvvisamente 
una  tale  quantità  d' acqua,  che  precipitando  dagli  alti  dirupi,  né  potendo 
sfogarsi  pei  soliti  canali  verso  il  mare,  trascinava  seco  grandi  massi  di  pietra. 
Intere  valli  ne  venivano  sconvolte  ed  assieme  colle  viti  andavano  perduti 
gli  alberi,  gli  olivi  e  le  quercie,  devastando  in  tal  guisa  buona  parte  del 
territorio  '). 

Ricordiamo  anche  il  terremoto  avvenuto  nel  distretto  di  Volosca,  nel- 
l'anno 1870,  come  quello  che  fu  causa  di  molti  danni  ad  un  vasto  territorio. 
Esso  manifestavasi  li  26  febbraio,  aumentava  di  forza  nel  28  dello  stesso 
mese,  producendo  quasi  ogni  giorno  delle  scosse  fino  ai  27  maggio.  La 
scossa  principale  ebbe  luogo  il  1"  marzo  (martedì  di  Carnevale)  circa  alle 
9  di  sera,  ed  altre  gagliardissime  avvennero  il  io  maggio,  circa  alle  ore 
6  di  sera,  e  li  1 1  maggio  circa  alle  ore  3  del  mattino.  Vennero  specialmente 
danneggiati  il  villaggio  di  Ciana,  e  ne  ebbero  a  soffrire  pure  gli  altri  villaggi 
contermini  di  Skalnizza,  Lippa,  Lissaz,  Novakracina,  Sussak,  Zabice,  Podgraje 
e  Studena. 

E  poiché  nell' esporre  le  peripezie  disastrose  occorse  nei  secoli  decorsi 
abbiamo  parlato  delle  epidemie  di  peste,  non  possiamo  passare  ora  sotto 
silenzio  quelle  di  eholera  asiatico,  che  in  questo  secolo  manifestaronsi  per 
la  prima  volta.  Sebbene  queste  non  abbiano  prodotto  vuoti  pari  a  quelli  delle 
pesti,  tuttavia  per  alcune  località  furono  causa  di  grande  mortalità.  Il  morbo 
irrompeva  negli  anni  1836,  1849,  1855,  1865,  1866,  1867,  1873  e  1886. 
Negli  anni  1836,  1849,  1855,  1866  e  1886  scoppiava  in  modo  grave,  at- 
taccando le  principali  città  istriane  e  la  campagna,  negli  altri  in  modo 
leggiero  2). 

In  tale  riguardo  si  presenta  però  interessante  il  fatto  che  a  Pola,  nelle 
epidemie  di  eholera  degli  anni  1849,  1855  e  1866,  il  morbo  preferiva  quelle 
situazioni  ove  di  regola  domina  la  malaria.  Il  dott.  Bossi,  che  desumeva 
tale  circostanza  da   un  esame  attento  ed  esatto  dei  documenti  rinvenuti  a 


UBICH.  Op.  cit.  pag.  46. 
[struttiva  in  questo  riguardo  e  l'opera  'Die  Choìeia  des  lahres  1SS6  in  IstrUn  und 
Gòr\-Gradisca  pubblicata  dal  capo-.nedico  provinciale  dott.  Adalberto  Bohata,  i.  r.  Con- 
sigliere di  Luogotenenza  (Trieste,  editore  l' i.  r.  Consiglio  sanitario    provinciale.   Tipi  di 
L.  Herrmanstorfer,  1888),  nella  quale  sono  riassunte  le  epidemie  di  eholera  del  Litorale. 


—  454  — 

Pola,  ammetteva  la  causa  di  tale  predilezione  nella  circostanza,  che  le  regioni 
malariche  sono  a  preferenza  le  meridionali  e  poco  elevate,  quindi  le  più 
soggette  alla  umidità  ed  al  calore,  fattori  questi  indispensabili  alla  moltipli- 
cazione dei  germi  dell'una  e  dell'altra  malattia').  Però  mentre  il  cholera 
fa  il  suo  decorso  e  poi  poco  a  poco  svanisce  ;  la  malaria  non  scompare,  ma 
continua  a  sussistere. 

Non  meno  esiziali  riescirono  le  frequenti  epidemie  di  difterite,  che  dalla 
meta  del  secolo  in  poi  fecero  la  loro  comparsa  in  questa  provincia.  La 
mortalità  da  loro  causata  raggiunse  finora  una  media  del  1.74  °/0„  sull'intera 
popolazione,  superiore  di  molto  a  quella  delle  comuni  malattie  epidemiche, 
escluso  forse  il  solo  cholera  asiatico.  Fra  molti  altri,  dei  quali  ci  manca  la 
statistica,  furono  esiziali  gli  anni  1883  col  3.30700,  il  1884  col  2.90  %<, 
ed  il  1882  col  2.21,  vale  a  dire  il  triennio   1882-1884  col  2.80  %o- 

Nei  primi  capitoli  del  presente  lavoro  abbiamo  esposto  chiaramente  le 
condizioni  sanitarie  dell'Istria  in  questo  secolo,  o  meglio  anzi  negli  ultimi 
decenni.  Da  esse  risulta,  come  alcuni  luoghi  che  nei  secoli  decorsi  erano 
malarici,  ora  sono  avviati  ad  uno  stato  soddisfacente  d  isalute.  Emergono 
in  proposito  Cittanova,  Parenzo  e  Pola.  Di  quest'  ultima  sono  conosciute 
le  sorti.  Ridotta  nei  secoli  decorsi  all'estremo  della  miseria,  rialzavasi  ad 
una  grandezza  quasi  pari  a  quella  che  godeva  ai  tempi  della  romana 
dominazione;  e  ciò  in  grazia  dei  lavori  iniziati  nel  1848,  che  facevano  di 
quella  città  il  porto  di  guerra  della  Monarchia.  Da  quelF  epoca  in  poi,  di 
1 100  abitanti  circa  che  la  città  contava,  la  popolazione  aumentò  talmente 
da  raggiungere  nel  1885  la  cifra  di  19,165  abitanti,  senza  la  guarnigione  di 
altri  8000  uomini.  Nuovi  ed  eleganti  edilìzi  coprono  ora  l'area  della  antica 
città,  coperta  già  d'informi  rovine;  e  la  malaria  che  nei  primordi  del  risor- 
gimento cittadino  ammorbava  ancora  sinistramente  l' atmosfera,  allontanasi 
adesso  parallelamente  all'estendersi  dei  fabbricati  e  del  selciato  delle  vie.  Però 
i  suoi  dintorni  non  si  sono  potuti  ancora  risanare  ad  onta  degli  sforzi  fatti 
dallo  Stato,  dal  Comune,  e  dall'apposita  Commissione  sanitaria  provinciale  *). 
Ci  sono  degli  anni  in  cui  il  morbo  alza  vigoroso  il  suo  capo,  spargendo 
le  mefitiche  esalazioni  sulla  città,  e  precipuamente  sui  sobborghi  che  la 
uniscono  alla  campagna. 


')  Bossi  dott.  Giovanni.  Rapporto  sanitario  per  la  città  di  Tola  per  V anno  iSS6.  — 
Pola,  Seraschin  1887,  pag.  13. 

J)  Legge  19  marzo  1874,  n.  8  Boll.  prov. 


—  455  — 

Già  vedemmo  rialzate  le  sorti  di  Parenzo  nei  primi  anni  del  secolo  scorso. 
Nella  seconda  metà  del  corrente,  la  città  progrediva  ancora  maggiormente, 
dopoché  vi  si  stabilivano  le  autorità  provinciali  autonome.  Per  il  quale  latto 
e  per  la  solerzia  dei  suoi  abitanti  nel  dare  vigoroso  impulso  alla  viticoltura, 
donde  presero  pure  alimento  le  industrie  ed  i  commerci,  la  città  assumeva  un 
aspetto  più  signorile,  ed  ampliava  notevolmente  la  sua  periferia.  Sebbene  non 
siasi  ancora  rialzata  al  livello  che  occupava  ai  tempi  romani,  quando,  secondo 
Kandler,  agitavansi  in  essa  [ 0,000  abitanti;  tuttavia  la  vita  sociale  e  culturale 
si  è  sviluppata  in  maniera  da  tornire  al  forestiero  opportunità  di  compia- 
cenza e  di  studio.  Le  sue  condizioni  igieniche,  tuttoché  non  ancora  perfette, 
sono  tuttavia  soddisfacenti,  ed  é  lecito  di  sperare  che  1'  atmosfera  che  la 
invade,  divenga  sempre  migliore,  in  grazia  del  suo  progresso  economico  e 
demografico. 

Anche  le  sorti  di  Cittanova  mutavansi  in  meglio,  dopoché  negli  anni 
1862,  1863  e  nei  seguenti,  venivano  eseguiti  i  lavori  d'  assanamento  della 
città  mediante  l'interramento  parziale  del  mandracchio,  e  l'escavo  della 
parte  lasciatavi  intatta,  intrapresi  dall'i,  r.  Governo  marittimo  per  iniziativa 
del  dott.  Fedele  Maver,  ora  i.  r.  fisico  distrettuale  in  Lussino,  ed  allora 
medico  comunale  in  Cittanova.  La  città  che  prima  di  quell'  epoca  era  un 
focolajo  enormemente  malarico,  dopo  quel  lavoro  riacquistava  per  intero  la 
sua  antica  salubrità.  Qui  trattava»  perciò  d'  un  focolajo  puramente  locale, 
tant'  é  vero  che  essendosi  di  nuovo  interrito  il  mandracchio,  da  due  anni 
a  questa  parte  ricominciano  a  comparire  le  febbri. 

In  oggi  l' Istria,  sebbene  le  sue  condizioni  siensi  migliorate,  non  è 
ancora  libera  del  morbo  fatale,  il  quale  anzi  in  certe  località,  e  specialmente 
in  alcuni  anni,  si  manifesta  molto  acerbamente,  esercitando  ovunque  la  sua 
azione  deprimente,  e  cagionando  gì  avi  sacrifizi  pecuniari. 


XI. 


Nello  scorrere  fugacemente  i  secoli  che  ci  precedettero,  abbiamo  posto 
in  rilievo  i  fatti  che  influirono  sinistramente  sia  sulla  compagine  della  crosta 
terrestre,  che  sulle  condizioni  economiche  e  demografiche  della  provincia. 
L'abbassamento  progressivo  del  suolo,  il  quale  deve  di  molto  aver  contribuito 
al  cambiamento  idrografico  della  provincia,  veniva  di  certo  favorito  dai 
frequenti  moti  di  terra,  dei  quali  appena  una  sola  e  forse  piccola  parte  ci 
venne  dato  di  poter  precisare.  Anche  le  maree,  accompagnate  sempre  da. 


—  4)-6  — 

fortissime  correnti  d' aria  del  mezzogiorno,  avranno  di  certo  esercitato  una 
notevole  azione  sulla  configurazione  delle  coste,  siili'  allontanamento  del 
terriccio  che  ne  copriva  le  roccie,  e  sullo  sbocco  dei  fiumi. 

Però  tali  cause,  per  quanto  possano  aver  influito  sinistramente  sulla 
salubrità  dell'  atmosfera,  limitaronsi  solamente  a  predisporre  il  terreno  alla 
invasione  della  malaria.  lì  realmente,  l'esposizione  degli  avvenimenti  storici 
pone  in  esatta  relazione  la  comparsa  della  malaria  non  con  quelle  cause, 
ma  bensì  colla  diminuzione  del  popolo,  col  deperimento  delle  condizioni 
economiche,  coll'abbandono  susseguente  della  coltura  dei  campi  e  dei  boschi, 
avvegnaché  tutte  queste  circostanze  rendessero  impossibile  di  ovviare  con 
un  razionale  sistema  di  drenaggio  all'  umidità  sempre  progrediente  del 
sottosuolo,  e  di  provvedere  con  una  razionale  coltura  o  colla  diminuzione 
dei  boschi,  ad  una  maggiore  ventilazione,  o  meglio  ancora,  ad  un  asciu- 
gamento dell'  aria.  Venne  a  mancare  in  tal  guisa  un  moderatore  capace 
ad  opporsi  ai  tristi  effetti  dei  mutamenti  avvenuti  nell'  equilibrio  idraulico 
della  provincia. 

E  naturale  che  sviluppatosi  sotto  tali  condizioni  il  germe  malarico, 
esso  trovava  nel  suolo  umido  un  fattore  necessario  e  favorevole  alla  sua 
esistenza,  e  propagavasi  perciò  in  modo  enorme.  Ciò  ammesso,  si  presenta 
per  la  sua  soluzione  il  quesito  della  provenienza  di  tali  germi.  Devesi 
per  certo  ritenere,  da  quanto  si  è  veduto,  che  essi  non  esistessero  nella 
provincia  ai  tempi  preromani  e  romani,  giacche  le  notizie  che  di  quei 
tempi  e  dei  posteriori  si  hanno,  parlano  con  esattezza  delle  pesti  e  di  altri 
infausti  avvenimenti,  e  non  fanno  mai  cenno  della  malaria,  che  comparisce 
appena  nel  secolo  XIV.  La  formazione  autoctona  dei  germi  nel  suolo  è 
contraria  alla  scienza  attuale.  La  loro  preesistenza  essendo  negata  dai  fatti, 
non  resta  altro  che  ammettere  una  importazione  degli  stessi  da  località 
infette,  vicine  alla  provincia.  La  quale  importazione  sebbene  non  si  possa 
provare,  ed  anzi  cozzi  colle  teorie  odierne  sul  trasporto  dei  germi  malarici, 
devesi  pur  tuttavia  accettare,  nel  senso  di  ritenere  che  essa  sia  avvenuta 
in  varie  epoche,  durante  le  quali  i  germi  importati  non  attecchivano  che 
quando  il  terreno  per  l' aumentata  umidità  era  divenuto  idoneo  al  loro 
sviluppo. 

Forse  gli  studi  avvenire  —  quando  la  scienza  su  tale  argomento  si 
staccherà  dal  campo  puramente  patologico  e  si  estenderà  su  quello  più 
utile  e  pratico  dei  terreni  malarici  —  chiariranno  il  quesito  dell'infezione 
dei  terreni  e  dei  germi  che  producono  la  malaria.  Quando  la  scienza  ci 
avrà  ciò  detto,  alle  cause  che  produssero  o  meglio  che  favorirono  il  morbo, 
aggiungeremo    allora   la   descrizione   dell'  ente   botanico   o  zoologico,   che 


—  457  — 

entrato    nel    terreno    ha    potuto    renderlo    infetto  '),   e   l' esposizione  delle 
condizioni  di  sua  esistenza. 

Frattanto,  essendosi  potuto  dimostrare  colla  scorta  delle  indagini  esposte 
in  questa  memoria,  che  il  morbo  ha  trovato  nel  deperimento  economico 
e  demografico  della  provincia,  avvenuto  nel  corso  dei  secoli,  le  condizioni 
idonee  al  suo  sviluppo  enorme  ed  estesissimo,  e  che  col  miglioramento  di 
queste  condizioni  anche  il  morbo  diminuiva  d'estensione  e  d'intensità,  ne 
viene  che  la  speranza  di  vedere  un  giorno  risanata  l'Istria  dalla  malaria,  riposa 
principalmente  nelle  cure  di  chi  ne  regge  le  sue  sorti.  Ed  è  per  tal  modo  e 
non  altrimenti  che  questo  miglioramento  potrà  ottenersi  ;  giacché  prescin- 
dendo dalle  cause  locali,  ristrette  a  singole  e  minime  proporzioni,  essendo 
la  malaria  generalizzata  poco  più,  poco  meno,  a  tutta  la  provincia,  solamente 
quelle  misure  che  tutta  la  comprendano,  possono  condurre  a  risultati  sod- 
disfacenti e  decisivi.  La  qual  cosa  se  anche  non  di  tanto  celere  attuazione, 
sari  certamente  di  molto  facilitata  da  quel  progresso  cui  va  visibilmente 
incontro  la  provincia,  il  quale,  com'  è  riuscito  efficace  nel  decorso  degli 
ultimi  due  secoli,  non  potrà  non  partorire  i  suoi  buoni  effetti  anche  in 
questo  secolo,  che  volge  ormai  al  suo  declino,  e  maggiormente  ancora  nei 
tempi  avvenire,  così  da  ricondurla  all'antica  prosperità  e  salubrità,  e  meritarle 
ancora  una  volta  il  titolo  di  voluptiiosa  nimis  et  delitiosa  digressio  *). 


')  È  probabilmente  nota  la  polemica  scientifica  mossa  dall'  illustre  prof.  Golgi  della 
R.  Università  di  Pavia  intorno  l'appoggio  da  me  prestato  alla  teoria  di  Klebs  e  Tommasi- 
Crudeli  sull'  ente  organico,  che  si  presume  causa  della  malaria.  Il  professor  Golgi,  col 
quale  mi  sono  trovato  in  corrispondenza  epistolare  sull'argomento,  m' ha  gentilmente  da 
oltre  tre  mesi  fatto  dono  della  sua  monografia  Ueber  den  angeblieben  'Bacillus  malaria*  von 
Klebs,  Toinniasi-Crudeli  una  Schiavaci  (Beitrage  jur  palbo!.  Anatomie  nini  ^ur  aììgemeinen 
Patbologie  l'on  'Pro/ess.  Di:  Ernest  Ziegìer.  Iena.  Band  IV),  nella  quale  combatte  a  tutta 
oltranza  le  teorie  delle  due  prime  insigni  persone,  appoggiate  da  me  cogli  esperimenti 
eseguiti  in  Pola.  Il  Golgi  vagheggia  una  teoria  del  tutto  differente.  Però  egli  stesso  si 
trova  nel  campo  delle  ipotesi,  giacché  l'organismo  da  lui  ammesso,  scoperto  alcuni  anni 
or  sono  dai  prof.  Marchiatavi  e  Celli,  venne  trovato  bensì  nel  sangue  dei  malarici,  ma 
non  nelle  atmosfere  infette.  Sicché  tale  argomento  di  molto  interesse  scientifico,  ma  di 
poca  importanza  pratica,  si  trova  sulla  via  molto  inoltrata  delle  indagini  e  per  conseguenza 
della  polemica,  ed  è  sperabile  che  da  tutto  ciò  risulti  una  luce  vivida  e  chiara. 

5)  Cassiodoro.  Epist.  cit. 


}59 


PROSPETTO   I. 


COMUNI 

CENSUAR1 
di 

Grado  di  malaricità 

formazioni: 
geologica 

|  Altezza  media  sul  livello 
del  mare,  metri 

P 

;rcento 

lugen 

per 

individuo 

sulla 
popolaz. 

ri                « 
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di  terreni  incolti 

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Capodistria  .     .     . 

poco 

marno 

60 

5 

18 

Lazzaretto    .     .     . 

» 

id. 

100 

4 

16 

56 

3 

6 

Decani     .... 

i 

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200 

30 

30 

32 

1 

4 

Muggia    .... 

» 

id. 

50 

4 

41 

41 

— 

4 

Valle 

)> 

id. 

2» 

17 

25 

51 

1 

3 

Monti 

» 

id. 

100 

19 

32 

44 

1 

3 

* 

id. 

150 

50 

18 

27 

6 

2 

Pinguente  (distr.). 

» 

marne  e  calcari  eocenici 

350 

27 

57 

16 

3 

12 

» 

marne 

50 

17 

9 

08 

— 

2 

» 

id. 

270 

48 

5 

48 

1 

3 

Pirano     .... 

» 

id. 

50 

8 

6 

63 

— 

2 

Salvore    .     . 

molto 

calcari  cretacei 

70 

26 

43 

28 

9 

29 

Castelvenere    .    . 

» 

calcari  cretacei  ed  eocenici 

150 

49 

20 

27 

4 

11 

S  Piet.  dell'Amata 

poco 

marne 

250 

3 

12 

37 

2 

6 

Umago    .... 

» 

calcari  cretacei  ed  eocenici 

20 

37 

22 

38 

2 

10 

Matterada     .     .     . 

» 

id. 

60 

30 

11 

49 

2 

5 

Petrovia  .... 

» 

calcari  cretacei 

40 

16 

9 

70 

2 

6 

S.Lorenzo  di  Daila 

medio 

calcari  cretacei  ed  eocenici 

10 

48 

7 

41 

2 

7 

Cittanova     .     .     . 

» 

calcari  cretacei 

20 

35 

8 

46 

2 

7 

poco 

marne  e  calcari  eocenici 

290 

17 

17 

65 

1 

6 

Tribano  .... 

» 

calcari  cretacei  ed  eocenici 

260 

36 

24 

34 

2 

7 

Momiano      .     .     . 

» 

marne  e  calcari  eocenici 

270 

44 

17 

3^ 

2 

8 

Crassizza.     .     .     . 

)> 

id. 

Un 

34 

18 

39 

3 

12 

Grisignana   .     .     . 

» 

id. 

290 

39 

25 

31 

3 

7 

Castagna     .     .    . 

» 

id. 

HO 

39 

15 

39 

1 

4 

Piemonte     .     .     . 

»> 

id. 

250 

28 

33 

33 

2 

7 

Cuberton      .     .     . 

» 

id. 

330 

59 

19 

18 

4 

11 

Sterna      .... 

» 

calcari  eocenici 

300 

60 

23 

•n 

4 

10 

Verteneglio.     .     . 

medio 

id. 

140 

45 

9 

38 

2 

8 

ViUanova     .    .    . 

molto 

calcari  eocenici  e  cretacei 

140 

25 

31 

24 

5 

13 

Parenzo  .... 

» 

calcari  cretacei 

50 

39 

11 

42 

1 

6 

—  460  — 


COMUNI 
C  E  N  S  U  A  R  I 

di 

■ri 
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E 

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o 

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la 

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FORMAZIONE 
GEOLOGICA 

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sulla 
popolaz. 

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0           co 

Torre ..... 

molto 

calcari  cretacei 

100 

44 

16 

36 

2 

8 

Abrega    .... 

» 

id. 

90 

46 

17 

31 

3 

8 

Dracevaz      .     .     . 

» 

id. 

100 

45 

7 

44 

3 

8 

Foscolino     .     .     . 

» 

id. 

100 

51 

9 

37 

8 

17 

Monghebbo .     .     . 

» 

id. 

100 

45 

10 

41 

7 

13 

Monsalice     .     .     . 

» 

id. 

100 

22 

16 

57 

4 

10 

Villanova     .     .     . 

» 

id. 

130 

43 

4 

37 

4 

12 

Mompaderno    .     . 

medio 

id. 

260 

47 

17 

32 

5 

15 

Orsera     .... 

)> 

id. 

50 

34 

5 

51 

2 

7 

Geroldia  .... 

molto 

id. 

130 

59 

10 

23 

7 

15 

Leme 

» 

id. 

130 

71 

3 

15 

11 

13 

Visignano    .     .     . 

medio 

id. 

250 

50 

4 

42 

2 

6 

S.  Giov.  di  Sterna 

» 

id. 

300 

47 

12 

36 

4 

10 

Mondellebottc  .     . 

molto 

id. 

220 

60 

6 

30 

6 

16 

S.  Vitale.     .     .     . 

medio 

calcari  eocenici 

360 

43 

20 

33 

4 

10 

Visinada  .... 

poco 

marne  e  calcari  eocenici 

260 

54 

9 

31 

3 

9 

S.  Domenica    .     . 

medio 

calcari  cretacei 

190 

65 

4 

38 

5 

13 

Montona.     .     .     . 

poco 

marne  e  calcari  eocenici 

250 

27 

24 

45 

1 

8 

Portole    .... 

» 

id. 

400 

33 

27 

33 

2 

5 

Cepich     .... 

medio 

calcari  cretacei  ed  eocenici 

400 

50 

29 

17 

5 

12 

Rovigno  .... 

molto 

calcari  cretacei 

100 

25 

6 

65 

1 

8 

Dignano  .... 

poco 

id. 

130 

29 

18 

49 

2 

8 

Roveria   .... 

molto 

id. 

160 

26 

40 

33 

5 

16 

Carnizza  .... 

8 

id. 

200 

37 

35 

24 

6 

17 

Marzana  .... 

■ 

id. 

200 

36 

25 

35 

4 

14 

Barbana  .... 

» 

id. 

280 

17 

47 

20 

2 

5 

Porgnana     .     .     . 

» 

id. 

340 

14 

58 

23 

6 

13 

Castelnovo  (Arsa) 

medio 

id. 

180 

18 

49 

29 

4 

9 

Canfanaro    .     .     . 

» 

id. 

290 

38 

19 

38 

2 

5 

S.  Vincenti  .     .     . 

» 

id. 

300 

35 

26 

44 

2 

7 

Pola 

molto 

id. 

50 

12 

49 

32 

— 

11 

Altura 

)) 

id. 

150 

42 

29 

25 

7 

11 

Cavrano  .... 

» 

id. 

150 

59 

16 

20 

6 

9 

Fasana     .... 

» 

id. 

40 

31 

20 

42 

5 

12 

—  461  — 


COMUNI 

4t 

>  ___ 

Percento 

lugeri 
per 

._ 

individuo 

sulla 
popolaz. 

CENSUAR1 
di 

s 

o 

"Z 

o 

FORMAZIONE 
GEOLOGICA 

7.   £ 
.2  o 

S  E 

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o 

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•5 

> 

VI      .H 

iì 

o 

!  + 

ti 

so 

Lavarigo .... 

molto 

calcari  cretacei 

100 

38 

25 

34 

8 

11 

Lisignano     .     .     . 

» 

id. 

60 

6 

57 

34 

3 

4 

Monticchio  .    .    . 

» 

id. 

150 

27 

22 

42 

6       9 

Pomer     .... 

» 

id. 

20 

— 

6 

86 

4       6 

Promontore.     .     . 

medio 

id. 

50 

— 

74 

21 

2 

3 

Sissano    .... 

molto 

id. 

70 

40 

29 

27 

5 

9 

Stignano .... 

» 

id. 

40 

32 

34 

30 

4 

8 

Gallesano     .     .     . 

poco 

id. 

100 

45 

2:', 

29 

4 

7 

Pisino 

» 

marne  e  calcari  eocenici 

400 

15 

44 

34 

2 

3 

Tupliaco .... 

» 

marne 

350 

18 

41 

33 

2 

3 

Novaco    .... 

» 

id. 

300 

49 

20 

4 

7 

Bogliuno.     .     .     . 

» 

marne  e  calcari  eocenici 

250 

14 

64 

16 

4 

6 

Borutto    .... 

» 

marne 

350 

32 

51 

10 

6 

10 

Lettai 

rt 

id. 

140 

29 

53 

12 

4 

6 

Susgnevizza .     .    . 

» 

marne,  calcari  eoe.  e  cret. 

90 

12 

62 

8 

4 

6 

Gimino    .... 

medio 

calcari  cretacei 

400 

13 

44 

37 

2 

4 

Albona     .... 

poco 

marne  e  calcari  eocenici 

loo 

29 

34 

34 

— 

8 

Cugn 

molto 

calcari  eocenici  e  cretacei 

350 

46 

38 

13 

4 

7 

Vettua     .... 

« 

id. 

850 

36 

38 

24 

3 

5 

Bergod    .... 

» 

id. 

350 

44 

41 

15 

7 

12 

Vlacovo  .... 

» 

id. 

33 

44 

19 

5 

8 

Cerre 

» 

id. 

20i  1 

48 

34 

25 

3 

10 

S.  Domenica  (Alb.) 

poco 

calcari  eocenici 

350 

40 

30 

23 

2 

6 

Cerrovizza  .     .    . 

» 

id. 

350 

33 

58 

9 

8 

13 

Fianona  .... 

» 

marne 

400 

30 

56 

12 

4 

7 

Ceppich(d'Albona) 

molto 

marne  ed  alluvioni 

200 

15 

40 

24 

3 

4 

Chersano     .     .     . 

poco 

calcari  eocenici 

350 

35 

37 

25 

2 

3 

Cosliaco  .... 

» 

marne  e  calcari  eocenici 

300 

38 

29 

12 

4 

5 

Volosca  .... 

i) 

calcari  cretacei 

100 

47 

22 

25 

— 

45 

Castua     .... 

» 

id. 

500 

63 

9 

22 

— 

2 

Unie 

» 

calcari  cretacei  ed  eocenici 

100 

10 

67 

21 

•i 

16 

Ossero     .... 

molto 

calcari  cretacei 

150 

37 

59 

4 

26    104 

Puntacroce  .     .     . 

» 

id. 

100 

64 

25 

10 

«! 

89 

Orlez 

poco 

id. 

250 

10 

79 

10 

19  | 

42 

—   462    — 


COMUNI 

CENSUARI 
di 


O 


Percento 


FORMAZIONE 
GEOLOGICA 


.2  «r 
E  0 


Iugeri 

per 

individuo 

sulla 
popola?.. 


f 


S.  Giovanni.  . 
Lobenizze  .  . 
Belici .... 

Vrana.  .  .  . 
S.  Martino  .  . 
Podol.  .  .  . 
Chcrso  .  .  . 
Caisole  .  .  . 
Dragosichi  .  . 
Veglia  .  .  . 
Ponte.  .  .  . 
Monte.  .  .  . 
Dobasnizza  .  . 
S.  Fosca  Linardich 
Bogovich  .  . 
Castelmuschio  . 
Dobrigno  .  . 
Saline.  .  .  . 
Susana    .    .    . 


poco 

» 
molto 


calcari  cretacei  250  31  62  7  14 

id.  300  27  56  8  9 

id.  200  11  83  5  24 

id.  290  3  92  3  29 

id.  200  19  68  8  10 

id.  200  13  38  4  17 

id.  300  17  44  38  2 

id  400  74  20  5  10 

id.  350  57  37  5  15 

id.  350  4  51  41  2 

id.  100  6  78  15  2 

id.  124  60  39  23  12 

id.  200  32  33  31  4 

id  150  53  18  20  6 

id.  150  57  16  22  2 

marne  e  calcari  eocenici   ;  100  18  60  18  3 

id.                       j  250  55  16  24  1 

id.  50  37  32  26  3 

calcari  cretacei  100  19  50  22  8 


463  — 


PROSPETTO   II. 


Abitanti 
secondo  le 

LOCALITÀ 

j    Anno 

cifre 

FONTI 

ufficiali 

appros- 
KimatiTe 

Antignana ;    1650 

160 

Tommasini.  Op.  cit  pag.  422. 

1   Antignano  (parrocchia) 

1620 

232 

— 

Atti  del  vesc.  G.  Rusca.  Provin- 
cia, Vili. 

»                    » 

|    1744 

210 

— 

Atti  del  vesc.  Ag.  Brutti,  ib.  VII. 

Barbana  (comune)  .     .     . 

1799 

— 

2000  '] 

Provincia,  XI,  4. 

Berda  (parrocchia)  . 

H550 

— 

2I02 

Tommasini.  Op,  cit.  pag.  279. 

»              »             . 

L806 

267 

— 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani.  'Pro- 
vincia, XX. 

Besca  (col  territorio) 

1527 

1580 

— 

Atti  e  meni.  Soc.  islr.  v.  II,  p.  103. 

»                » 

1^7 

— 

USO 

Ibid.  pag.  112. 

»                » 

1600 

— 

1080 

Ibid.  pag.  1 1  |. 

»                » 

1806 

2478 

— 

Cttbich.  Op.  cit.  pag.  i;(. 

Brioni  (isole) .     .     . 

1650 

50 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  481. 

Buje  .     .     . 

1520 

_ 

374 

Kandlcr.  Annali  (poco  attendibile) 

. 

1596 

1520 

— 

■Provincia,  X,  7. 

» 

1650 

1000 

Tommasini   Op.  cit.  pag.  297. 

»     •    ■ 

(    1806 

1478 

— 

Rapporto  Balbi  ecc.  Prov.XX,  17 

Caldicr  . 

1     1806 

242 

— 

Kandlcr.  Istria,  VI,  11. 

»       ■ 

,     1851 

223 

— 

Ibid. 

1   Canfanaro 

1650 

— 

250 

Tommasini.  Op.  cit. 

» 

comune) 

,    1806 

1165 

— 

Kandlcr.  Istria,  VI,  1 1 . 

»                 » 

1    1851 

1801 

Ibid. 

I   Capodistria      .     .     . 

1    1533 

— 

7-  1000* 

■Provincia,  X,  7. 

» 

;    1548 
1553 

— 

10000 3 
2300 

Ibid. 
Ibid. 

» 

1554 

— 

9000 3 

Ibid. 

« 

1560 

— 

350) 

Ibid. 

» 

1577 

— 

4000 

Ibid. 

„ 

|    1579 

:    1580 

1581 

5280 
1252 

8600 

Ibid. 

Relazione  N.  Dona.  Prov.  N,  7. 

Relazione  Zorzi.  Ibid. 

» 

1583 

'.'■'Jil 

4800 

'Provincia,  X,  7. 
Ibid. 

')  Fat 

nia 

lie 

4] 

B. 

— 

1 

Famiglie  . 

0.  -  ', 

Forse 

col  territorio. 

—  464  — 


Abitanti 

secondo  le 

LOCALITÀ 

Anno 

cifre 

FONTI 

ufficiali 

appros- 

simative 

Capodistrìa 

1588 

5000 

"Provincia,  X,  7. 

» 

.     . 

1589 

3935 

— 

Ibid. 

» 

.     .     . 

1592 

3597 

— 

Ibid. 

» 

.     . 

1593 

— 

3300 

Ibid. 

N 

1596 

— 

5000 

Ibid. 

» 

. 

1598 

4360 

— 

Ibid. 

» 

.     . 

1600 

— 

4067 

Ibid. 

» 

. 

1601 

— 

4300 

Ibid. 

)> 

. 

1603 

— 

5000 

Ibid. 

»                       . 

.     , 

1606 

3905 

— 

Ibid. 

» 

, 

1614 

— 

5000 

Ibid. 

» 

.     . 

1620 

— 

6000 

Ibid. 

» 

.       B 

1621 

— 

5000 

Ibid. 

»           (pa 

rrocchia 

» 

1623 

4065 

— 

Atti  del  vesc.  Rusca.  Prov.  Vili. 

»        , 

.     . 

162(5 

— 

3500 

"Provincia,  X,  7. 

» 

. 

1627 

— 

5000 

Ibid. 

» 

.     . 

1629 

— 

4500 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  331. 

»        . 

. 

1632 

2000  ' 

Provincia,  X,  8.  Relaz.  Gabriel. 

» 

.     . 

1633 

— 

1800 

Ibid.  Relazione  Cappello. 

»       t 

. 

1641 

— 

4000 

Ibid. 

»        . 

. 

1652 

— 

5000 

Ibid. 

» 

.     . 

1669 

— 

5000 

Relaz.  Barbarigo.  Notizie  sloriche 

di  Montona,  pag.  224. 

»           (parrocchia) 

1744 

4105 

— 

Atti  del  vesc.  Brutti.  "Prov.  VII. 

»              .... 

1762 

5000 

Provincia,  X,  8. 

Capodistrìa  (territorio) 

1520 

— 

1320 

Kandler.  Annali. 

»                   » 

1560-79 

— 

6000 

"Provincia,  X,  7. 

»                   » 

1581 

6577 

— 

Relazione  Zorzi.  Provincia,  X,  7. 

»                   » 

1583 

5494 

— 

"Provincia,  X,  7. 

»                   » 

1584 

5790 

— 

Ibid. 

»                   » 

1588 

6000 

Ibid. 

»                   » 

1589 

5556 

— 

Ibid. 

»                   » 

1592 

5025 

— 

Ibid. 

»                   » 

1593 

— 

5600 

Ibid. 

»                   » 

1596 

— 

5000 

Ibid. 

»                   »               , 

1598 

4873 

— 

Ibid. 

')  Scarsi. 

—  4^5  — 


Abitanti 

secondo  le 

LOCALITÀ 

Anno 

cifre 

FONTI 

■Ostali    apl,r.08' 

slmative 

1 

Capodistria  (territorio)     .     . 

1600 

4067 

'Provincia,  X,  7. 

»                  j>               . 

1601 

— 

3700 

Ibid. 

»                   »               . 

1603 

— 

5000 

Ibid. 

«                   »                    . 

1606 

5155 

— 

Ibid. 

»                   »               .     . 

1621-27 

— 

4000 

Ibid. 

»                   »               .     . 

1641 

- 

4200 

Ibid. 

»                   »                    . 

1652 

— 

3000 

Ibid. 

1744 

283 

— 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

1806 

235 

— 

Kandler.  Istria,  VI,  1 1 . 

1851 

388 

— 

Ibid. 

Carsette  (parrocchia)   .     .     . 

1806 

122 

— 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

1650 

— 

180' 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  279. 

»         (parrocchia).    .     . 

180(5 

257 

— 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

1806 

579 

— 

Kandler  Istria,  VI,  1 1 . 

1851 

773 

— 

Ibid. 

1527 

1195 

— 

Alti  e  meni.  Soc.  istr.  v.  II,  p.  103. 

1587 

— 

650 

Ibid.  pag.  112. 

1600 

— 

390 

Ibid.  pag.  1 17. 

1806 

1327 

— 

;  Cubich.  Op.  cit.  pag.  154. 

1686 

187 

— 

Atti  del  vescovo  Rusca. 

1744 

113 

— 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

1810 

— 

5000 

Nicolich.  Op.  cit.  pag.  249. 

1506 

976 

— 

'Provincia,  X,  7. 

1630 

-- 

10 

Kandler.  Not.  st.  Montana,  p.  841. 

1669 

— 

100 

Relazione  Barbarigo.  Prov.  X,  8. 

1806 

825 

— 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

Colmo 

1545 

— 

240 

Relazione  Loredan   Prov.  VII,  4. 

»        (col  territorio).     .     . 

1650 

— 

480 

Tommasini.  Op.  cit.  531-538. 

1693 

265 

- 

Archeografo  triestino,  II,  9. 

1650 

— 

70 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  422. 

Cortedisola  (parrocchia)  .     . 

1744 

304 

— 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Costabona            »            .     . 

1744 

294 

— 

Ibid. 

Covedo  (con  Cristoglie,  Duo] 

1626 

352 

— 

Atti  del  vescovo  Rusca. 

Crassizza  (parrocchia) .     .     . 

1806 

606 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

Decani                »          ... 

1744 

434   |     — 

|    Atti  del  vescovo  Brutti. 

')  Fuochi  30. 

4éé 


Abitanti 

secondo  le 

LOCALITÀ 

Anno 

ci 

re 

FONTI 

ufficiali 

appros- 
simative 

1527 

2352 

Atti  e  meni.  Soc.  islr.  v.  II,  p.  103. 

Ibid  pag.  112. 

Ibid.  pag.  117. 

Cubicli.  Op.  cit.  pag.  154. 

Atti  e  meni.  Soc.  istr.  v.  II,  p.  103. 

1587 

1156 

1600 

680 

»              .... 

1806 

1632 

Dobrigno  (col  territorio) 

1527 

676 

— 

»                     » 

1587 

•- 

1100 

Ibid.  pag.  112. 

»                     » 

1600 

— 

670 

Ibid.  pag.  114. 

»                     » 

1806 

1603 

— 

Cubich.  Op.  cit.  pag.  154. 

Dolina  (parrocchia) 

1693 

7293 

— 

^Archeografo  triestino,  II,  8. 

1545 



220 

Relazione  Loredan.  Prov.  VII,  4. 

»         (col  territorio) 

1650 

— 

480 

Tommasini.  Op.  cit.  p.  531-538. 

»         (parrocchia)  . 

1693 

168 

— 

Archeografo  triestino,  II,  9. 

1650 

3 



Tommasini.  Op.  cit.  pag.  432. 

Kandler.  Istria,  VI,  11. 

Ibid. 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  484. 

Kandler.  Istria,  VI,  11. 

Ibid 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  27. 

1806 
1851 
1650 

182 

287 

300 

Geroldia 

1806 
1851 
1596 

120 

287 

900 

Grisignana  (col  territorio 

)    • 

1650 
1806 

1058 

564  ' 

Ibid. 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

»            (parrocchia) 

Isola  (e  territorio)  .     . 

1596 

1490 

— 

Trovinola,  X,  7. 

»      (parrocchia)    .     . 

1626 

1549 

— 

Atti  del  vescovo  Rusca. 

»                 »              . 

1744 

1849 

— 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Lanischie     »             .     . 

1693 

550 

— 

^Archeografo  triestino,  II,  8. 

Lonche        »             .     . 

1693 

540 

— 

Ibid. 

Lussini  in  generale 

1398 

— 

180' 

Nicolich.  Op.  cit.  pag.  135. 

»                 » 

1438 

— 

3003 

Ibid. 

»                 » 

1754 

— 

4000 

Ibid.  149.  -  Bonicelli.  Op.  cit.  53. 

»                 » 

1810 

— 

3000 

Ibid.  pag.  249. 

1784 



1700 

Bonicelli.  Op.  cit.  pag.  64. 

Nicolich.  Op.  cit.  pag.  50. 

Ibid.  260.  -  Bonicelli.  Op.  cit.  65. 

Ibid.  pag.  206. 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

1598 

_ 

230 

1759 

1875 

1871 

62i8 

Maresego  (con  Centora,  266) 

1744 

506 

— 

Matterada  (parrocchia)     .     . 

1806 

413 

— 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

')  Fuochi  94.  —  2) 

Fan 

liglie  30. 

-  »)F 

amiglie 

50. 

—  4^7 


LOCALITÀ 


Anno 


Abitanti 

secondo  le 

cifre 


uffl.-iali     aPPros- 
simative 


FONTI 


Medolinc 

Momiano  (parrocchia) . 
Mondellebotte     .     .     . 


Monghebbo    (con   Dracevaz, 
179,  e  Foscolino,  90).     . 

Idem.  Idem 

Mompaderno 


Monte  (con  Gason)      .     .     . 

»  »  ... 

Montona  (con  Bercaz,  142) . 

»  ....... 

Montreo 

»  

Muggia  (e  territorio)  .     .     . 

» . 

Novaco  (Montona)  .... 

» 

Orsera 


Ospo 
Ossero 


Padena  (parrocchia) 
Parenzo      .... 


1540 
1806 
1S06 
1851 

1806 
1851 
1650 
1806 
1851 
1626 
1744 
1806 
1851 
1806 
1851 
1596 
1696 
1806 
1851 
1806 
1851 
1693 
1754 

1744 
Ep.  rom. 
1350 
1580 
1601 
1630 
1646 
1606 
1734 
1749 
1796 


500' 

175 

— 

243 

— 

384 

— 

310 

_ 

312 

— 

— 

600 

346 

— 

714 

— 

349 

— 

401 

1506 

2341 

253 

317 

827 
505 
624 
474 
849 
670 


86 


698 


1600 


100 


10000 
3000 

300 

30 

100 

3K0 

500 

3000 

2000 


Pietro  Coppo.  Op.  cit.  pag.  35. 
Rapporto  Balbi  a  Bargrtani. 
Kandler.  Istria,  VI,  11. 
Ibid. 

Ibid. 

Ibid. 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  438. 

Kandler.  Istria,  VI,  1 1 . 

Ibid. 

Atti  del  vescovo  Rusca. 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Kandler.  Istria,  VI,  n. 

Ibid. 

Ibid. 

Ibid. 

"Provincia,  X,  7. 

^Archeograjo  triestino,  II,  8. 

Kandler.  Istria,  VI,  11. 

Ibid. 

Ibid. 

Ibid. 

lArcheografo  triestino,  II,  9 

Nicolich.  Op.  cit.  pag.  149.  -  Bo- 

nicelli.  Op.  cit.  pag.  53. 
Atti  del  vescovo  Brutti. 
Kandler.  ^Annali. 
Negri.  Op.  cit.  pag.  141. 
Atti  e  mem  Soc.  istr.  v.  Ili,  p.  144. 
Negri.  Op.  cit.  pag.  144. 
Kandler.  Not.  st.  Montona,  p.  141. 
Negri.  Op.  cit.  pag.  144. 
Vergottini.  Op.  cit. 
Relazione  Michiel. 
Ibid. 
Kandler.  Annali.  -  Vergottini. 


')  50  case. 


468 


Abitanti 
secondo  le 

LOCALITÀ 

Anno 

cifre 

FONTI 

ufficiali 

appros- 

simative 

Parenzo 

1806 

2005' 

Kandler.  Istria,  VI,  11. 

»            

1851 

3103 

— 

Ibid. 

Paugnano  

1626 

139 

— 

Atti  del  vescovo  Rusca. 

»           

1744 

145 

— 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Piemonte 

1596 

— 

850 

Provincia,  X,  7. 

»           

1650 

— 

370 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  279. 

»           

1806 

694 

— 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

Piemonte  e  Visinada  .     . 

;    1520 

— 

497 

Kandler.  ^Annali. 

Pietrapelosa  (marchesato)     . 

1    1520 

— 

311 

Ibid. 

» 

1596 

— 

1750 

Provincia,  X,  7. 

Pinguente  .     .     .     è     .     .    . 

1520 

— 

333 

Kandler.  ^Annali. 

»          

1545 

— 

600 

Relazione  Loredan.  Trov.  VII,  4. 

»          

1650 

— 

350 

Notizie  sloriche  di  Pola,  pag.  427. 

»          

1693 

820 

— 

lArcheografo  triestino,  II,  8. 

Pirano 

1483 

— 

7000' 

Marin  Sanudo.  Provincia,  IV,  13. 

»        (parrocchia) 

1626 

3496 

— 

Atti  del  vescovo  Rusca. 

»        (col  territorio) 

1650 

— 

6000 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  350. 

»                    » 

1655 

— 

5000 

Luca  da  Linda.  Op.  cit.  pag.  92. 

»        (parrocchia) 

1744 

3994 

— 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

n        (col  territorio) 

1816 

— 

6700 

Provincia,  IV,  13. 

»                    » 

1870 

— 

10500 

Ibid. 

Pola 

Ep.  rom. 

— 

12000 

Luciani.  Articolo  sul  Di%.  cor. 

» 

I  secolo 

— 

25000 

Kandler.  Cenni  al  foresi. 

» 

più  tardi 

— 

35000 

Ibid. 

» 

1631 

— 

300 

Kandler.  Not.  st.  Montona,  p.  141. 

» 

1638 

— 

183 

Notizie  storiche  di  Pola,  pag.  4 1 2. 

» 

1669 

— 

450 

Relazione   Barbarigo.  -  tLetkfìe 
storiche  di  CKContona. 

» 

1797 

— 

600 

Kandler.  Cenni  al  foresi. 

»     .     .     .     . 

1845 

— 

1300 

Ibid. 

» 

1848 

— 

1100 

Vola,  scine  Vergangenheit,  ecc. 

»     •     .     •     . 

1850 

1106 

— 

Luciani.  Articolo  sul  T)i\  cor. 

» 

1857 

— 

2f'004 

Ibid. 

»     .     •     .     . 

1867 

— 

120005 

Ibid. 

»     .... 

1869 

10473 

— 

Anagrafe. 

,».... 

|     1880 

11777 

— 

Ibid. 

')  Con   Maj 

o  2185.  —  3)  Forse  e 

ol  territorio.  — 

-  s)  3  famiglie.  —   ')  Sotto.  — 

*)  Forse  colla  t 

'uppa. 

—  469  — 


LOCALITÀ 


Anno 


Abitanti 

secondo  le 

cifre 


«■•'•»  r.«°;; 


FONTI 


Pola 

Portole 

»        (castello)     .    . 

»        (territorio)  .     . 

»  (con  Gradena). 
Racizze 


Raccotole 


Risano  (parrocchia). 
Rovigno     .     .     .     . 


I   Rozzo    .     .     . 

»         ... 

j  Saline  (Veglia) 

Salvore  .     .     . 

S.  Antonio     . 


S.  Domenica  (di  Visinada) 

»  » 

S.  Giovanni  di  Sterna 

S.  Lorenzo  del  Pasenatico 


1885 
1520 
1646 
1646 
1806 
1650 
1693 
1806 
1851 
1744 
1595 
1650 
1687 
1710 
1740 
1750 
1788 
1806 
1840 
1851 
1880 
1880 
1545 
1693 
1527 
1744 
1626 
1744 
1806 
1851 
1806 
1851 
1550 
1650 
1806 
1851 


19166 

348 

783 

2300 

175 
160 
234 
713 


4008 
5643 
7357 
8782 
9816 
9665 
10263 
11176 
11750' 
9522 

740 
430 
128 
288 
283 
331 
387 
328 
873 


756 
1177 


278' 


280 


2800 
4000 


400 


1200 
240 


Pola,  scine.  Vergangenheit,  ecc. 

Kandler.  Annali. 

Tommasini.  Op.  cit.  p.  280-282. 

Ibid. 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  539. 

^Archeografo  triestino,  II,  9. 

Kandler.  Istria,  VI,  11. 

Ibid. 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Benussi.  St.  di  Rovigno,  pag.  1 30. 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  424. 

Benussi.  Op.  cit.  pag.  131. 

Ibid. 

Ibid. 

Ibid. 

Ibid.  pag.  8  e  131. 

Kandler.  Istria,  VI,  n. 

Benussi.  Op.  cit.  pag.  8. 

Kandler.  Istria,  VI,  11. 

Registro  parrocchiale.  -  Benussi. 

Benussi.  Op.  cit.  8.  -  Anagrafe. 

Relazione  Loredan.  Prov.  VII,  4. 

lArcheografo  triestino,  II,  9. 

Mie  mem.  Soc.  istr.  v.  III,  p.  103. 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Atti  del  vescovo  Rusca. 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Kandler.  Istria,  VI,  il. 

Ibid. 

Ibid. 

Ibid. 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  437. 

Ibid 

Kandler.  Istria,  VI,  11. 

Ibid. 


')  Per  conseguenza  cogli  assenti.  —  *)  Senza  il  marchesato. 


-  470 


LOCALITÀ 


Anno 


Abitanti 

secondo  le 

cifre 


ufficiali 


appros- 


FONTI 


i  S.  Lorenzo  di  Dada    .     .     . 

I 

i  »  ... 

S.  Michiel  sotto  terra  (fraz.) 

S.  Pietro  dell'Amata    .     .     . 

S.  Vincenti 


S.  Vitale 


Sbandati 


Sdregna. 

Segnaeh 

Socerga     (con     Valmovrasa, 

Figarolla  e  Trebesse).     . 

Socerga 


Sovignaco 


Sterna  (parrocchia) . 


»        (parrocchia) 

Terviso 

Torre 

Idem.  Idem.    .     .     . 
Tribano      .... 

Trusche 

Umago 


Valle 


1650 
1800 
1800 
1744 
1650 
1806 
18ól 
1806 
1X51 
1806 
1851 
1693 
1650 

1626 
1742 
1745 
1515 
1650 
1693 
1600 
1650 
1806 
1650 
1806 
1851 
1806 
1744 
1630 
1693 
1806 
1344 

1806 
1851 


370 

14 

157 

1471 
2279 
285 
523 
361 
551 
600 


344 
H22 
246 


356 


520 

531' 
842 
241 
541 

380 
1000 


1020 
1412 


216s 


500 


113 


150 
490 

1387; 
818' 

80 


10 


200 


Tommasini.  Op.  cit.  pag.  258. 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

Kandler.  Istria,  VI,  11. 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Tommasini.  Op.  cit.  p.  450-431. 

Kandler.  Istria,  VI,  11. 

Ibid. 

Ibid. 

Ibid. 

Ibid. 

Ibid. 

^ircheografo  triestino,  li,  8. 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  538. 

Atti  del  vescovo  Rusca. 

Provincia,  VII,  18. 

Ibid. 

Relazione  Loredan.  Prov.  VII,  4 

Tommasini.  Op.  cit.  pag.  538. 

^ircheografo  triestino,  II,  9. 

Tommasini.  Op.  cit.  pag  285. 

Ibid. 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

Tommasini.  Op  cit.  pag  421. 

Kandler.  Istria,  VI,  1 1. 

Ibid. 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Kandler.  \'ot  si.  Monlona,  p.  141. 

tArcheografo  triestino,  II,  9. 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

Senato-Misti.  Provincia,  XIII,  8,  e 

Alti  e  meni.  Soc.  istr. 
Kandler.  Istria,  VI,  11. 
Ibid 


*      ')  Con  Abrega  76  e  Fratta  116.  —  »)  36  famiglie. 
nione.  —   ')  450  anime  di  com. 


—    3)  743  anime  di  comu- 


—  47'   — 


LOCALITÀ 


Anno 


Abitanti 

secondo  le 

cifre 


ufficiali     a"pr°a 
si  mative 


FONTI 


Valmovrasa  (con  Figarolla) 
Veglia  (col  contado)    .     . 


Veglia  (isolai 


Verbenico  ('col  suo  territorio) 


Verch 

»       (col  territorio) 


Vermo  .    . 
Verteneglio 


Villa  di  Rovigno 

» 
Villanova  di   Pafenzo 

Villanova  di  Pirano 
Villanova  di  Verteneglio 

» 
Visignano 

» 
Visinada  ' 


Zumesco 


1744  ; 

330 

1527 

3393 

— 

1587 



1750 

lfr;0 

— 

1200 

1806 

2477 

— 

1527 

10461 

— 

1554 

— 

11500 

1559 

— 

9000 

1571-87 

— 

8000 

1600 

— 

3600 

1806 

10712 

— 

1527 

835 

— 

1587 

— 

1000 

1600 

— 

780 

1806 

1194 

— 

1545 

— 

240 

1650 

— 

480 

1693 

244 

— 

1650 

— 

100 

102!» 

— 

914'i 

1634 

— 

457 

Il  06 

740 

— 

18  >G 

254 

— 

1851 

897 

— 

1806 

2.->9 

— 

18">1 

745 

— 

1744 

74 

— 

1650 

- 

288»j 

180". 

878 

— 

1806 

737 

— 

1851 

1111 

— 

1650 

— 

800 

1806 

1053 

— 

1?51 

1476 

— 

1806 

96 

— 

Atti  del  vescovo  Brutti. 

Relaz.  del  Podestà.  Atti  e  inem. 

Soc.  islr.  voi.  Ili,  pag.  103. 
Ibid.  pag.  1 12. 
Ibid.  pag   1 17. 
Cubich.  Op.  cit.  pag   154. 
Alti  e  meni.  Soc.  istr.  Ili,  103. 
Ibid.  pag.  8|. 
Ibid.  pag.  92. 
Ibid.  pag   106  e  1 12. 
Ibid.  pag.  1 17. 
Cubici).  Op.  cit.  pag.  154. 
Alti  e  nuin.  Soc.  islr.  HI,  103. 
Ibid.  pag.  1 1 2. 
Ibid.  pag.  1 1 .). 
Cubich.  Op.  cit.  pag.  154. 
Relazione  Loredan.  l'rov.  VII,  4. 
Tommasini.  Op.  cit.  p.  531-538. 
^4rcheografo  triestino,  II,  9. 
Tommasini.  Op.  cit   pag.  421. 
Ibid.  pag.  268. 
Ibid. 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 
Kandler  Istria,  VI,  1 1. 
Ibid. 
Ibid. 
Ibid. 

Atti  del  vescovo  Brutti. 
Tommasini.  Op.  cit.  pag.  271. 
Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 
Kandler.  Istria,  VI,  li. 
Ibid. 

Tommasini.  Op.  cit.  p.  407-409. 
Kandler.  Istria,  VI,  II. 
Ibid 
Ibid. 


')  Vedi  Piemonte.   —  ')   500  anime  di  com.  —  ')  150  anime  di  com. 


-   472  — 


LOCALITÀ 


Anno 


Abitanti 

secondo  le 

cifre 


ufficiali    aPPr(0!' 
simative 


FONTI 


ISTRIA  (PROVINCIA) 


Tutta  la  provincia 


Istria  veneta 


Contea  di  Pisino 
Istria  veneta  .     . 


Tutta  la  provincia 
» 


av.  Cr. 

177 

— 

160000 

sotto 

i  romani 

— 

645776 

primadel 

1580 

— 

5000O1 

dopo  del 

1580 

— 

70000 

1587 

— 

oltre 
60000 

1649 

49332 

— 

1650 

5000 

1655 

— 

64000 

1669 

— 

50000 

1670 

— 

60000 

1678 

— 

60000 

1741 

71395 

— 

1766 

— 

84000 

1806 

89251 

— 

1869 

254905 

— 

1879 

292006 

De  Franceschi.  Istria. 
Ibid. 

"Provincia,  X,  7. 
Ibid. 

Ibid.  X,  9. 

Kandler.  Annali  (13514  dai  16  ai 
60  anni).  -  Anagrafe  fatta  per 
ordine  del  Governo  veneto. 

Luca  da  Linda.  Op.  cit.  pag  99. 

Relazione  Barbarigo.  Prov.  X,  8. 

Relazione  Morosini.  "Prov.  X,  9. 

Provincia,  X,  9. 

Ibid. 

Ibid.  XX,  17. 

Rapporto  Balbi  a  Bargnani. 

Anagrafe,  31  dicembre. 

Ibid. 


BIBLIOGRAFIA 


"  L' Archeografo  Triestino,,  edito  per  cura  della  Società  del  Gabinetto 
di  Minerva;  —  voi.  XIV,  fase.  II  (luglio-dicembre  1888),  e  voi.  XV, 
fase.  I  (gennaio-giugno  1889),  e  fase.  II  (luglio-dicembre  1889). 


Nel  fascicolo  ultimo  del  volume  IV  di  questo  nostro  Bullettino,  ri- 
cordati (pag.  469-473)  i  titoli  di  benemerenza  che  V  Archeografo  Triestino 
numerosi  vanta  a  prò  di  quegli  studi  che  hanno  particolare  attinenza  colla 
storia  della  nostra  provincia,  esposi  in  breve  sunto  il  contenuto  dei  lavori 
editi  dal  detto  periodico  nel  voi.  XIII  e  nella  prima  parte  del  XIV.  Con- 
tinuando ora  nell'esposizione,  dirò  brevemente  della  materia  trattata  nei  tre 
sopra  ricordati  fascicoli. 

Quello  del  luglio-dicembre  1888  contiene  (pag.  265-297)  la  continua- 
zione dei  Documenti  goriziani  del  secolo  XV  raccolti  dall'  infaticabile  biblio- 
tecario udinese  il  sig.  Vincenzo  Ioppi.  Questi  documenti,  in  numero  di  23, 
vanno  dal  20  settembre  1336  al  7  aprile  1340,  e  sono  quanto  mai  inte- 
ressanti per  la  storia  del  Friuli  e  del  Goriziano  ;  alcuni  d'  essi  anche  per 
la  storia  di  Trieste. 

Il  sig.  Eugenio  Pavani  ci  d;\  in  questo  fascicolo  (pag.  298-332)  col 
titolo  //  podere  di  Triestinico  ed  i  Bonomo  la  storia  della  lunga  serie  di  brighe 
che  i  Bonomo  ebbero  a  soffrire  per  difendere  la  loro  tenuta  di  Triestinico 
contro  le  invasioni  delle  genti  del  Carso.  La  collina  in  questione,  allora 
coperta  da  fitto  bosco  di  cerri,  è  ricordata  già  in  un  documento  del  1338: 
«  in  loco  qui  dicetur  Trestenico  ».  Oggi  non  più  Trestenico,  ma  Terstenik 
la  chiamano  storpiandone  il  nome  originario.  Cagione  principale  della  lunga 


—  474  — 

contesa  si  fu  1'  attigua  pendice  al  di  qua  del  monte  di  Opicina,  «  che  la 
gente  del  contado  suole  designare  col  nome  di  Grisa,  verosimilmente  per 
il  colorito  bigio  o  grigio  che  presenta  la  roccia  calcare  spoglia  del  sorriso 
della  vegetazione  »,  grisa,  sulla  quale  gli  Opicinesi  pretendevano  in  oppo- 
sizione ai  Bonomo,  ed  in  forza  dell'investitura  del  1671,  il  diritto  di  publico 
pascolo.  I  Bonomo  in  quella  vece  volevano  comperarla  dal  Comune  di 
Trieste  appunto  per  liberarsi  delle  molestie  e  dei  danni  che  i  Carsolini 
recavano  di  continuo  alle  loro  possessioni  di  Trestenico. 

Le  questioni  cominciate  nel  1754  continuarono  sino  al  1790,  nel  quale 
anno  il  Magistrato  donava  l' implorato  tratto  di  grisa  ad  Andrea  Giuseppe 
Bonomo  «  in  riflesso  delli  prestati  utili  servigi  a  questa  città  e  particolar- 
mente in  premio  della  dedica  fatta  a  questo  Publico  Magistrato  della  Dis- 
sertazione sopra  le  monete  de'  vescovi  di  Trieste  ». 

Con  questo  atto  di  donazione  non  cessarono  le  liti,  che,  riprese,  ven- 
nero troncate  appena  nel  1879  con  speciale  convenzione  dinanzi  alla  Com- 
missione per  1'  abolizione  degli  oneri  fondiari. 

Nelle  due  ultime  pagine  di  questo  diligente  lavoro  l'autore  ci  da  una 
breve  biografia  del  sopra  ricordato  Andrea  Giuseppe  Bonomo,  che  tanto 
s'  adoperò  per  ottenere  la  detta  Grisa. 

Nell'appendice,  pag.  313-332,  sono  stampati  una  serie  d'interessanti 
documenti  riguardanti  la  lite  in  questione. 

Il  sig.  Giulio  Grablovitz  descrive  da  pag.  333-343  i  Terremoti  avvertiti 
nella  città  di  Trieste  dal  1869  al  1886.  Furono  in  numero  di  41,  cioè  4 
nel  70,  5  nel  73,  2  nel  74,  1  nel  75,  3  nel  77,  3  nel  79,  3  nel  80,  9  nel  81, 
3  nel  82,  2  nel  83,  5  nel  85,  1  nel  86  :  i  più  forti  quelli  del  29  giugno  1873 
e  del  9  novembre  1880.  Osserva  in  tale  proposito  il  Grablovitz  a  pag.  335 
che  «  da  ripetuti  confronti  fatti  in  occasione  di  parecchi  terremoti,  ed  in 
base  ad  informazioni  raccolte,  si  poteva  stabilire  che  la  linea  di  mag- 
giore sensibilità  lungo  la  quale  il  fenomeno  si  manifesta  con  maggiore  forza 
e  durata,  corre  lungo  il  limite  del  piano  alluvionale  del  tassello,  però  sul- 
l'alluvione stessa,  mentre  un'altra  linea  di  sensibilità  ancor  maggiore  cor- 
risponde ai  terreni  di  riporto,  ossia  a  tutta  quella  parte  che  ancora  nel 
decorso  secolo  era  occupata  dal  mare». 

Il  dott.  Gregorutti  da  pag.  345-398,  col  titolo  Le  marche  di  fabbrica 
dei  laterizi  di  Aquilcia  ci  offre  1'  elenco  dei  bolli  delle  antiche  figuline  di 
Aquileia  applicati  sulle  tegole,  sugli  embrici  e  sui  mattoni.  I  bolli  da  lui 
raccolti,  ad  eccezione  d'  una  marca  della  figulina  imperiale  col  nome  di 
Costantino,  non  vanno  al  di  là  dell'  imperatore  Caracalla.  «  Sembrerebbe, 
scrive  il  dotto  archeologo,  che  la  protezione  della  marca  industriale  sia  stata 


-  47S  — 

introdotta  da  Augusto  all'epoca  del  triumvirato,  e  fosse  andata  in  disuso  alla 
fine  del  secondo  secolo,  riscontrandosi  la  stessa  cosa  anche  nelle  lucerne  ». 

Le  località  ove  questi  bolli  furono  rinvenuti  ci  somministrano  la  prova 
dell'esportazione  aquileiese  per  le  vie  fluviali  sino  ai  monti  del  territorio 
friulano,  nonché  dell'  esportazione  marittima  che  procurava  all'  Istria,  alla 
Dalmazia,  al  Piceno  e  forse  anche  ad  altre  spiagge  dell'Adriatico  questo 
•  articolo  di  prima  necessità.  Che  il  grande  commercio  di  laterizi  aquileiesi 
fosse  bene  organizzato,  ne  fanno  prova  anche  i  magazzini  centrali  che 
le  scoperte  hanno  finora  constatato.  Uno  d' essi  esisteva  al  ponte  del 
fiume  Cormor  presso  Udine,  un  altro  deposito  era  a  Loron  presso  Cervera 
nelP  Istria. 

Tra  le  marche,  la  più  frequente  era  quella  di  Quinto  Clodio  Ambrosio, 
la  cui  fabbrica  doveva  trovarsi  a  S.  Giorgio  di  Nogaro. 

Queste  sono  le  osservazioni  di  maggiore  entità  che  l'autore  premette 
all'elenco  dei  bolli  qui  pubblicati  in  numero  di  216,  molti  dei  quali  ap- 
partengono a  laterizi  scoperti  in  varie  parti  dell'  Istria.  E  precisamente,  di 
questi  spettano  :  alla  città  e  circondario  di  Trieste  27,  di  Umago  24,  di 
Pola  11,  di  Parenzo  10,  di  Albona  io,  di  Bujc  9,  di  Capodistria  6,  di 
Cittanova  4,  di  Pirano  3,  di  Isola  3,  di  Muggia  2,  di  Rovigno  1,  di  Fia- 
nona   1,  di  Dignano   1,  di  Antignana   1. 

Il  prof.  dott.  Francesco  Swida,  distinto  cultore  degli  studi  storici,  dà 
alle  stampe  (pag.  399-425)  16  Documenti  friulani  e  goriziani  da  lui  trascritti 
dagli  originali  esistenti  nel  Museo  provinciale  di  Gorizia,  e  che  vanno  dal 
1 126-1300,  osservando  giustamente  nell'introduzione  «fino  a  che  non 
avremo  cosi  per  il  Friuli  come  per  il  Goriziano  un  Codice  diplomatico 
stampato  che  comprenda  tutti  i  documenti  più  antichi,  dovremo  procurare 
di  raccogliere  in  un  numero  più  ristretto  possibile  di  opere  e  di  periodici 
i  singoli  documenti  ».  E  questo  eh'  egli  dice  per  il  Goriziano,  vale  anche 
per  la  nostra  Istria. 

Di  speciale  interesse  è  il  documento  n.  13  (1  agosto  1261)  per  le 
notizie  che  vi  si  contengono  concernenti  il  commercio  friulano  di  quel- 
1'  epoca. 

Il  nuovo  studio  del  dott.  P.  Pervanoglù  Attinente  dell'isola  di  Leinnos 
colle  antichissime  colonie  sulle  coste  del  mare  Adriatico  (pag.  426)  ha  lo  scopo 
di  confermare  il  risultato  delle  sue  dotte  investigazioni  pubblicate  nei  pre- 
cedenti volumi  dcWArcbeografo,  e  di  cui  spesse  fiate  ne  parlò  anche  il  nostro 
Bullettino;  cioè:  «Non  solo  i  coloni  che  dal  settimo  secolo  prima  dell'era 
volgare,  solcando  il  mare  Adriatico,  toccavano  questi  paesi,  ma  eziandio  i 
popoli  di  stirpe   greco-italica   che  vi  erano   pervenuti   per  la   via  di  terra, 


—  476  — 

avevano  qui  diffuso  l'arte  e  la  civiltà  propria  delle  stirpi  che  abitavano  quelle 
regioni  ove  le  medesime  avevano  avuto  la  loro  origine  ».  Del  quale  fatto, 
meglio  che  gli  scarsi  e  vaghi  passi  degli  antichi  scrittori,  ci  accerta  sempre 
più,  come  osserva  l'autore,  la.  ricca  suppellettile  che  si  va  raccogliendo  nelle 
nostre  necropoli. 

Pochi  anni  or  sono  venne  scoperta  siili'  isola  di  Lemnos  un'  antichis- 
sima iscrizione  in  un  dialetto  anteriore  alla  lingua  greca,  dialetto,  che,  se- 
condo le  investigazioni  del  Pauli,  sarebbe  quasi  del  tutto  identico  a  quello 
che  comunemente  si  appella  lingua  etrusca  settentrionale,  e  della  quale  non 
poche  iscrizioni  si  raccolsero  nelP  Italia  del  Nord  non  lungi  dalle  pendici 
delle  Giulie. 

Prima  però  d'occuparsi  di  tale  iscrizione,  l'autore  ci  dà  diffuse  notizie 
sul  sito  dell'  isola  e  sui  Sititi  che  V  abitavano,  popolo,  quanto  celebre  per 
l' industria  nei  metalli,  altrettanto  temuto  per  la  sua  rapacità  e  ferocia  (si- 
nomai  —  distruggere).  Ci  parla  inoltre  del  culto  di  Efesto  (il  fuoco  celeste 
che  in  forma  di  folgore  cadde  sull'isola  vulcanica  di  Lemnos,  ed  in  pari 
tempo  il  fuoco  terrestre  da  quello  generato).  —  e  dei  Cabiri,  —  e  di  Chryse, 
la  dea  dorata  della  luce  qui  venerata,  —  e  delle  l.ggende  particolari  a 
quest'  isola.  Si  sofferma  alquanto  a  pag.  436  a  riepilogare  quello  che  altrove 
scrisse  sulle  trasmigrazioni  di  genti  asiatiche  attravero  la  regione  Balcanica 
nell'alta  Italia,  ove  li  incontriamo  col  nome  di  Veneti  e  di  Etruschi,  e  sulle 
loro  divinità,  quali  Vesta,  Diomede  il  selvaggio  trace,  Pallade-Atene,  Diana, 
la  Magna  dea  frigia,  Elettra,  Medea  ;  —  e  tocca  in  fine  delle  deità  della 
forza  produttrice  della  natura  venerate  per  eccellenza  su  quest'isola  di  Lemnos, 
cioè  di  Mercurio  dio  fecondatore  del  genere  animale  incarnato  in  Pan  ed 
in  Priapo,  nominato  sull'  isola  Imbramo  dio  della  forza  virile  e  «  del  cui 
culto  nell' Istria  (così  a  pag.  443)  ricorda  l'iscrizione  trovata  a  Pola  Numini 
Melosoco  Aug.  sacrimi,  essendoché  Socos  era  l' antica  denominazione  del 
dio  Hermete,  il  dio  salvatore,  padre  dei  Cureti,  dio  di  origine  frigia,  della 
stessa  natura  dei  Dioscuri  detti  Soci  (Sotires)  corrispondente  al  Seches  dei 
Babilonesi  ». 

Chiude  il  volume  la  Bibliografia  in  cui  si  parla  delle  pubblicazioni  del 
dott.  Benussi,  del  dott.  Ive,  del  conte  Girolamo  de  Renaldis,  del  sig.  Giu- 
seppe Caprin,  della  Società  istriana  d'archeologia  e  storia  patria,  del  dottor 
Giovanni  Cesca,  del  sig.  Ebner  von  Ebenthal,  del  prof.  Luigi  Morteani  e 
del  sig.  Alberto  Puschi. 

Il  fascicolo  I  (gennaio-giugno  1889)  del  volume  XV,  sia  per  la  quantità, 
sia  per  la  varietà  dei    lavori  di  storia  patria  in  esso  contenuti,    è  uno  dei 


—  477  — 

più  ricchi  e  poderosi  che  sieno  stati  pubblicati  dalla  benemerita  Società  di 
Minerva. 

Comincia  coi  Castellani  Bassianensis  Venelianae  pacis  Inter  Ecclesiam  et 
Imperatorem  libri  II  pubblicati  per  la  prima  volta  dall'  illustre  bibliotecario 
triestino  dott.  Attilio  Hortis.  In  questo  fascicolo  il  dott.  Hortis  ci  dà 
soltanto  il  testo  del  poema  da  lui  con  grande  diligenza  e  studio  riscontrato 
sui  migliori  codici  esistenti,  riservandosi  di  pubblicare  il  proemio  e  le  note 
nei  venturi  fascicoli. 

Il  castellano  Bassanese,  narrate  nel  suo  poema  le  cause  della  discordia 
fra  V imperatore  e  la  chiesa,  la  distruzione  di  Milano  e  la  fuga  di  Ales- 
sandro III,  si  ferma  a  preferenza  sulla  venuta  di  questo  pontefice,  incognito, 
a  Venezia  nel  1177  nel  convento  di  S.  Maria,  sul  modo  con  cui  fu  scoperto, 
sulle  onoranze  che  ricevette  dal  doge,  sui  privilegi  da  lui  concessi  alla 
Repubblica  ;  e  dopo  altri  fatti  di  minor  importanza,  ci  narra  la  battaglia 
navale  fra  il  duca  Ottone  figlio  dell'  imperatore  ed  il  doge  veneto,  la  vit- 
toria di  Venezia  e  la  prigionia  del  duce  teutonico.  Il  poeta  cosi  descrive 
al  verso  519  e  seg.  il  sopraggiungere  dei  nemici: 

Puppis  ab  Histriacis  veniebat  nuntia  terris 
Quae  festina  duci  properantes  nuntiat  hostes  : 
Iamque  Polam  transisse  refert,  transisse  Rubignum 
Atque  gradie  celeri  scopulos  superasse  Parenti 
Et  iam  Salboiae  penetrasse  per  invia  linguam 
Aequora  nec  Caprulis  longe  distare  vadosis. 

Nel  libro  II  racconta  in  quale  modo  si  venne  a  pace  fra  l' imperatore 
ed  il  pontefice,  le  onoranze  da  questo  a  Venezia,  alle  sue  chiese,  al  suo 
doge  concesse,  da  ultimo  estesamente  si  descrive  il  solenne  ritorno  del 
pontefice  a  Roma. 

Del  sig.  Vincenzo  Ioppi  havvi  anche  in  questo  fascicolo  la  continua- 
zione dei  Documenti  goriziani  del  secolo  XIV.  Qui  ne  sono  pubblicati  altri  30 
che  vanno  dal  23  aprile  1340  al  24  luglio  1 345,  importantissimi  anche 
questi  per  la  storia  del  Goriziano,  meno  per  quella  dell'  Istria.  Noto  il  do- 
cumento 26  maggio  1343  col  quale  il  conte  Alberto  di  Gorizia  promette 
al  patriarca  di  aiutarlo  con  tutte  le  sue  forze  «  si  infra  huiusmodi  quinque 
annorum  terminum  guerram  habere  contingeret  in  Istria,  in  Foroiulio  vel 
in  Charstis  ». 

Il  sig.  G.  Vassilich  in  altre  sue  pubblicazioni,  quali  —  //  mito  degli 
Argonauti  e  le  Assirtidi,  I  due  Tributi,  e  Dopo  i  due  Tributi,  —  aveva  preso 
in  esame  i  punti  più  salienti  della  storia  delle  isole  del  Quarnero  in  generale 


-  47»  - 

e  di  quella  di  Veglia  in  particolare  sino  agli  anni  1126-1130  in  cui  le  dette 
isole  vennero  in  mano  della  Repubblica  di  S.  Marco. 

Ora,  col  titolo  Da  dedizione  a  dedizione  il  detto  scrittore,  in  questo 
numero  MYArchcograjo,  da  pag.  9 1-1 37  s'occupa  del  periodo  fra  il  1 126-1480. 
«In  quest'epoca,  scrive  egli  a  pag.  92,  essendo  stata  conferita  l'isola  di 
Veglia  in  feudo  alla  famiglia  detta  più  tardi  dei  Frangipani,  famiglia  che 
in  questo  lasso  di  tempo  entrò  in  rapporto  di  vassallaggio  coi  re  d'Ungheria 
per  alcuni  feudi  siti  nel  presente  litorale  croato,  ha  bisogno  ancora  che 
qualche  singolo  momento  controverso  della  sua  interessante  istoria  venga 
discusso  e  chiarito  »,  tanto  più  che  qualche  storico,  o  parziale,  o  ignaro, 
asseverò  essere  stata  l'isola  di  Veglia  sempre  feudo  della  corona  di  S.  Stefano 
fino  al  1480,  e  molti  compilatori  di  storie  lo  ripeterono.  Laonde  scopo  di 
questo  lavoro  si  è  il  dimostrare  come  Venezia  esercitasse  realmente  i  suoi 
diritti  di  signoria  tanto  sulle  isole  del  Quarnero  in  generale,  quanto  su 
quella  di  Veglia  in  particolare  dal   1126  al   1358. 

Sotto  il  doge  Micheli  (11 18-1130)  la  Repubblica  diede  in  feudo  Veglia 
(la  città  e  l' isola)  a  Doimo  capostipite  della  famiglia  più  tardi  detta  Fran- 
gipani, e  dopo  la  morte  di  Doimo,  avvenuta  probabilmente  nel  1162,  ai 
suoi  due  figli  Bartolomeo  e  Guidone.  Morto  Bartolomeo  nel  1198,  ebbero 
la  contea  i  suoi  due  figli  Guido  ed  Enrico  ed  il  nipote  Giovanni.   ' 

E  qui  il  sig.  Vassilich,  con  quella  diligenza  ed  acume  che  distinguono 
anche  gli  altri  suoi  scritti,  viene  ad  esaminare  se  Venezia  pur  anco  in  questo 
periodo  di  tempo  continuasse  a  fruire  dei  diritti  di  dominio  su  Veglia  ;  ed 
analizzando  (pag.  95-103)  i  documenti  del  5  maggio  1198,  dell'aprile  1199, 
del  maggio  1213,  quelli  del  1229  e  del  1232,  documenti  ch'egli  riporta 
quasi  integralmente,  viene  egli,  e  con  lui  anche  il  lettore,  ad  una  conclu- 
sione categoricamente  positiva. 

Frattanto  Bela  IV  re  d'Ungheria,  sconfitto  dai  Mongoli,  s'era  da  ultimo 
riparato  sulP  isola  di  Veglia,  ove,  dai  conti  Bartolomeo  e  Federico  successi 
al  padre  Guidone,  trovò  splendida  ospitalità  e  larghi  aiuti  in  armi  e  denaro 
per  l'ammontare  di  20,000  marche. 

Ma  la  Repubblica  venuta  a  cognizione  del  contegno  dei  Frangipani, 
contegno  che  contrastava  coi  doveri  di  vassallaggio  a  lei  dovuti  per  il  feudo 
di  Veglia,  li  bandì  da  questo  nel  1243  (44)  e  spedi  a  reggere  la  contea 
«  de  mandato  domini  ducis  »  dapprima  Lorenzo  Tiepolo,  poi  Marco  Con- 
tarmi, il  che  il  sig.  Vassilich  dimostra  e  coi  cronisti  e  coi  documenti  del 
;a48,  1253  e  1257. 

Durante  l'epoca  del  loro  bando  da  Veglia  (1243-1260),  i  Frangipani 
vennero   ricompensati  dal  re  Bela,   per  i  sacrifici  sostenuti  a  suo  favore  e 


—  479  — 

per  1'  aiuto  prestatogli  a  ricuperare  il  trono,  con  alcune  terre  nel  litorale 
croato,  cioè  col  Vinodol  e  Modrussa,  cui  in  progresso  di  tempo  fu  aggiunta 
anche  la  città  di  Segna. 

Ben  presto  anche  Venezia  scese  a  più  miti  consigli,  e  nel  1260  decise 
di  ridare  la  contea  di  Veglia  ai  Frangipani.  Questa  volta  però,  fatta  esperta 
dagli  avvenimenti  precedentemente  occorsi,  impose  loro  condizioni  tali  che 
la  suprema  signoria  della  Repubblica  sul  feudo  di  Veglia  ne  venisse  più 
accentuata;  e  l'eredità  nel  detto  feudo  fu  limitata  soltanto  alla  discendenza 
mascolina,  cose  tutte  che  il  sig.  Vassilich  comprova  colla  pubblicazione  dei 
relativi  documenti. 

I  Frangipani  pertanto,  riammessi  al  possesso  della  contea  di  Veglia, 
per  il  possesso  di  questa  continuarono  ad  essere  vassalli  di  Venezia,  mentre 
in  pari  tempo  rimanevano  sudditi  dell'  Ungheria  per  i  possedimenti  acquistati 
nel  litorale  croato. 

Dimostrato  cosi  come  Venezia  dal  11 16  al  1260  disponesse  di  Veglia 
come  di  cosa  propria,  passa  il  sig.  Vassilich  a  confutare  (pag.  118-126)  con 
solidi  argomenti,  assoggettando  a  minuziosa  analisi  critica  tutti  i  documenti 
relativi,  rilevando  talvolta  la  malafede  dello  scrittore,  tal  altra  le  contradi- 
zioni e  gli  errori  esistenti  nei  privilegi  suppositizi,  l'opinione  del  Kercelkh, 
il  quale  nega  avervi  avuto  in  quest'  epoca  dominio  veneto  in  Veglia,  ma 
il  dominio  averlo  esercitato  il  regno  d'  Ungheria. 

«  Seppure  i  documenti  portati  dal  Kercelich  si  volessero  supporre 
genuini  malgrado  tutte  le  incongruenze  ed  inesattezze  notate,  essi  prove- 
rebbero —  così  il  sig.  Vassilich  a  pag.  127  —  non  già  il  dominio  di  Bela  III, 
di  Andrea  II,  né  tampoco  di  Bela  IV  su  Veglia,  bensì  che  questi  re  donarono 
Modrussa  e  Vinodol  ai  conti  di  Veglia  ». 

A  pag.  129  l'autore  fa  una  breve  sosta  per  ricordare  gli  avvenimenti 
accaduti  in  questo  spazio  di  tempo  sull'isola  di  Cherso  (Ossero).  Nel  1126 
essa  fu  data  in  feudo  a  Guido  figlio  del  doge  Polani,  nel  1 1 66  a  Leonardo 
figlio  del  doge  Michieli  II,  poi  ai  Morosini  sul  finire  del  secolo  XII. 

Fino  qui  nel  presente  fascicolo  ;  la  continuazione  nei  seguenti. 

II  prof.  Nicolich  nell'eccellente  suo  lavoro  pubblicato  nel  1882  Cenni 
slorico-statislici  sulle  saline  di  Pirano  espose  lo  sviluppo  dell'  industria  salifera 
di  quella  città,  studiandola  dalle  origini  sino  ai  nostri  giorni  in  modo  da 
lasciare  ben  poche  lacune  intorno  a  questo  importantissimo  soggetto.  Tut- 
tavia, abbenchè  egli  si  estenda  anche  sui  mercati  del  sale,  i  quali  sotto  forma 
di  contratto  venivano  stipulati  di  solito  ogni  dieci  anni,  non  ne  riporta 
nemmeno  uno.  Il  prof.  Luigi  Morteani,  a  riempiere  quasi  tale  lacuna, 
pubblica  qui  a  pai;.   138  il  Contralio  de'  sali  stipulato  fra  Venexja  e  Pirano 


—  480  — 

nel  1616.  Il  testo  venne  a  lui  dato  dal  conte  Stefano  Rota,  il  benemerito 
ordinatore  dell'  Archivio  di  Pirano. 

Sino  al  1283,  anno  in  cui  la  città  si  diede  a  Venezia,  i  Piranesi  avevano 
libero  il  commercio  del  sale,  sia  per  la  via  di  terra,  che  per  quella  di  mare. 
Da  quest'anno  la  Repubblica  riserbò  a  se  l'esclusivo  monopolio  del  com- 
mercio salino  per  la  via  marittima,  ed  assieme  anche  il  diritto  di  comperare 
il  sale  dai  Piranesi.  Da  ciò  ne  venne  l'uso  di  stipulare  dei  formali  contratti 
col  Collegio  dei  venti  savi  rappresentanti  i  producenti  di  Pirano.  E  lunghe 
e  difficili  erano  di  solito  le  trattative  in  proposito,  poiché  ambedue  le  parti 
contraenti  s' adoperavano  a  ritrarne  il  maggiore  avvantaggio  possibile.  Il 
comune,  rassegnato  a  perdere  il  libero  commercio  del  sale  per  la  via  di 
mare,  difendeva  validamente  il  diritto  consuetudinario  che  il  settimo  del 
prodotto  spettasse  alla  comunità,  ed  il  quinto  ai  padroni  e  salinari,  il  quale 
settimo  e  quinto  poi  essi  vendevano  per  proprio  conto  per  la  via  di  terra 
ai  Carniolici  (mussolati)  che  qui  scendevano  dai  monti  a  comperarlo  od  a 
scambiarlo  colle  loro  derrate.  Ed  è  per  questo  motivo  specialmente  che  le 
condizioni  sotto  le  quali  concludevasi  il  «  mercato  »  aveva  importanza  vitale 
per  tutte  le  classi  della  popolazione. 

A  queste  notizie,  che  io,  compendiando,  ho  qui  riportate  e  che  fanno 
parte  dell'introduzione  premessa  dal  prof.  Morteani  (pag.  138-144),  fa  se- 
guito (pag.   145-165)  il  più  detto  «mercato»  per  il  decennio   1616-1626. 

Interessantissima,  col  titolo  Ristaitro  della  Cattedrale  di  S.  Giusto,  è  la 
Relazione  della  Commissione  delegata  dalle  Società  d' ingegneri  ed  architetti, 
Circolo  artistico  e  Gabinetto  di  Minerva  sul  divisato  ristauro  della  Cattedrale 
di  S.  Giusto,  in  quanto  che  prima  di  venire  alle  sotto  enunciate  conclusioni, 
ci  dà  con  esattezza  e  precisione  la  storia  della  detta  Cattedrale. 

Sull'  alto  del  Campidoglio,  sulle  rovine  dell'  antico  tempio  di  Giove 
Giunone  e  Minerva  fissarono  i  fedeli  la  sede  della  loro  maggiore  basilica 
dedicata  alla  B.  Vergine  Assunta  in  cielo  ;  la  quale  sussiste  tuttora,  ma 
totalmente  trasformata.  Neil'  abside,  il  mosaico  dei  dodici  apostoli  è  testi- 
monio della  sua  antichità.  È  opera  anteriore  al  sesto  secolo.  Delle  sue  navate 
laterali,  quella  di  sinistra  rimane  tuttora,  mentre  l'altra  venne  atterrata  nel 
successivo  ampliamento  della  chiesa. 

Accanto  a  questa  maggiore  basilica  venne  dal  vescovo  Frugifero,  vissuto 
attorno  il  550,  eretta  una  seconda  chiesa,  di  minor  mole,  e  destinata  a 
raccogliere  le  reliquie  di  S.  Giusto  e  S.  Servolo.  La  vòlta  dell'  abside  era 
pure  adorna  di  mosaico  di  scuola  bizantina,  ma  di  epoca  relativamente  più 
tarda,  rappresentante  il  Redentore  in  mezzo  ai  detti  due  santi.    La  chiesa, 


—  481  ~ 

sormontata  nel  mezzo  da  una  cupola,  aveva  la  forma  di  croce,  senza  però 
che  le  braccia  si  protendessero  oltre  ai  muri  perimetrali. 

La  basilica,  coll'andare  de'  secoli,  più  non  si  prestava  nella  sua  prima 
disposizione  alle  molte  innovazioni  introdotte  nelle  cerimonie  ecclesiastiche, 
ed  assieme  era  divenuta  troppo  angusta  all'accresciuto  numero  della  popo- 
lazione ;  laonde,  nel  corso  del  1300,  le  fu  dato  nuovo  assetto;  cioè  della 
antica  basilica  e  del  sacello  di  S.  Giusto  che  le  stava  a  fianco  si  formò  una 
sola  chiesa  col  sopprimere  le  due  ali  che  si  trovavano  in  prossimità,  e  col 
costruire  in  loro  vece  una  spaziosa  navata  mediana,  in  capo  alla  quale  si 
collocò  la  sedia  vescovile  e  la  nuova  mensa.  Né  qui  si  arrestarono  ;  che  la 
basilica  di  S.  Giusto  ebbe  a  subire  nei  secoli  susseguenti  varie  ed  importanti 
modificazioni  che  vengono  descritte  a  pag.   175. 

Premessi  questi  cenni  storici,  esaminati  (pag.  1 75-1 8.1)  i  vari  progetti 
di  ristauro,  dati  alcuni  consigli  sul  modo  da  tenersi  nell'effettuarli,  i  relatori 
concludono  col  rinnovare  i  voti  già  espressi  nel  1829  dal  dott.  Kandler 
«  che,  nel  ristauro,  il  tempio  non  abbia  da  perdere  nessuna  delle  sue  par- 
ticolarità sia  nel  campo  dell'  arte,  sia  in  quello  dell'  archeologia  ». 

Alla  descrizione  s'  accompagna  una  bellissima  tavola  topografica. 

Il  chiar.  dott.  Perv.woglù,  il  più  zelante  collaboratore  dell'Ari  heografo, 
pubblica  a  pag.  186,  ad  illustrazione  di  alcune  terrecotte  rinvenute  fra  le 
rovine  dell'antica  città  di  Taranto  ed  acquistate  dal  Civico  museo  d'antichità 
di  Trieste,  un  articolo  col  titolo  Le  Gorgoni. 

Esposta  (pag.  188)  la  leggenda  di  Perseo  e  delle  Gorgoni,  esaminate 
le  varie  interpretazioni  di  questa  antichissima  leggenda,  anche  il  dott.  Per- 
vanoglù  pensa  essere  la  Gorgone  «  l' immagine  fedele  della  nera  e  densa 
nube,  che  veloce  e  spaventevole  solca  il  firmamento,  cui  Perseo,  l'asiatico 
Dio  del  sole,  disperde  coi  raggianti  suoi  strali  ».  Ed  infatti  dall'  uragano 
che  impetuoso  s'avanza  fra  il  turbinare  dei  venti,  lo  scrosciare  della  pioggia, 
il  ribombare  de'  tuoni  ed  il  guizzare  delle  folgori  si  svolse  il  concetto  mi- 
tologico del  terribile  mostro.  Il  suo  nome  stesso  proveniente  dalla  voce 
indo-europea  gardar  =  gridare,  urlare,  lo  confermerebbe. 

Questa  leggenda  dall'Asia  passò  nella  Grecia,  quindi  nell'Italia  e  nella 
Sicilia,  ove  il  mito  di  Perseo  lo  troviamo  raffigurato  nella  metopa  di  Se- 
linunte  città  dei  Megaresi.  Coli'  andare  del  tempo  il  Gorgonio  perdette  il 
primitivo  suo  tipo  mostruoso  e  ricevette  un  aspetto  più  umano,  conservando 
però  sempre  1'  espressione  di  tristezza  che  gli  era  proprio.  Quest'  ultimo 
predomina  sui  monumenti  dal  V  sino  a  tutto  il   III  secolo  av.  Cr. 

Detto  ciò  a  guisa  d'introduzione,  passa  l'autore  a  pag.  195  ad  esa- 
minare gli  esemplari  acquistali  dal  Museo  archeologico  triestino  e  qui  ri- 


—  482  — 

prodotti  in  una  tavola  allegata  al  testo.  Di  questi,  due  sono  di  stile  arcaico, 
con  faccia  mostruosa,  un  terzo  rappresenta  il  tipo  posteriore  con  faccia 
muliebre  anguicrinita,  il  quarto  porta  una  testa  di  donna  di  soave  aspetto, 
che  forse  potrebbe  essere  una  dea,  ma  che  manca  affatto  del  carattere  par- 
ticolare di  Medusa. 

A  pag.  199  il  prof.  dott.  Swida,  in  continuazione  ai  Documenti  goriziani 
e  friulani  dal  1126-1)00  pubblicati  nell'ultimo  volume  dell' A  rcheografo  triestino 
e  dei  quali  si  fece  precedentemente  parola,  stampa  qui  il  Regesto  dei  docu- 
menti conservati  nel  Museo  provinciale  di  Gorizia  dal  secolo  XII  sino  al  1500, 
sino  alla  morte  cioè  dell'ultimo  conte  di  Gorizia.  In  questo  fascicolo  del- 
YArcheografo  vi  sono   103  numeri  che  vanno  dal   1126-1361. 

Il  sig.  Em.  Frauer  prosegue  anche  in  questo  volume  i  suoi  studi  filo- 
logici, e  col  titolo  Traccie  di  popolazioni  semitiche  in  Italia  ci  offre  il  risultato 
delle  sue  ricerche,  per  le  quali  si  verrebbe  a  ritrovare  nel  semito  le  radici 
di  molti  nomi  italici,  come  ad  esempio  Italia,  da  àtal  —  sera,  oscurità  ; 
Petalia  (nella  Lucania)  da  beth-hel  ~  casa  di  Dio;  il  Gargano  da  charcas  — 
elevazione. 

Combatte  a  pag.  239  l'opinione  che  vuole  affini  l'antica  lingua  mes- 
sapica  e  1'  odierna  albanese,  e  tenta  di  spiegare  il  culto  di  Diomede  fra  i 
Iapigi.  «Tra  gli  antichi  popoli  d'Italia,  i  Veneti  rassomigliavano  maggior- 
mente ai  Messapi Il  culto  di  Diomede  ne  sarebbe  anche  una  prova. 

La  teoria  d'una  discendenza  illirica  non  va  però  accolta,  e  la  pretesa  affinità 
fra  i  Messapi  e  gl'Illirici  non  è  per  nulla  comprovata  ». 

Il  nome  di  Antenore  duce  veneto  è  orientale  contenendo  nelle  ultime 
sillabe  la  parola  semitica  nor~ luce.  Patavium  è  il  semitico  beth-even z=  casa 
degli  idoli;  il  nome  stesso  degli  Heneti  potrebbe  essere  l'orientale  Cheiliti  — 
uomini  armati  ;  Beleno  dio  venerato  dai  Veneti  è  identico  al  dio  semitico 
Bel;  il  nome  Eridano  deriva  da  jarden  =  fiume;  quello  di  Capris  da  chabor  = 
lungo;  e  Spina  forse  da  ruspina  — capo;  ragioni  tutte  che,  secondo  il  signor 
Frauer,  vengono  ad  accrescere  il  numero  di  quelle  che  ci  porterebbero  a 
considerare  i  Veneti  quale  un  popolo  orientale  con  mescolanze  semitiche. 

Nel  voi.  IV,  fase.  30  e  4°,  pag.  483  nel  nostro  Bullettino,  parlai  dif- 
fusamente dell'  articolo  del  dott.  Od.  Zenatti  La  vita  comunale  ed  il  dialetto 
di  Trieste  nel  1426  studiati  nel  quaderno  d'un  Cameraro,  pubblicato  neWAr- 
cheograjo  (voi.  XIV  pag.  60-191)  nei  quali  conchiudeva  che,  nei  Saggi  ladini 
dell'Ascoli,  il  dialetto  triestino  dovrebbe  trovar  posto  non  già  nei  territori 
friulani  ma  nel  Ladino  e  Veneto 

Il  prof.  Ascoli  non  lasciò,  com'era  da  attendersi,  senza  risposta  questo 
articolo,  e  nel  voi.  X  de\Y  Archivio  glottologico  italiano  vi  risponde  con  uno 


-  4§3  - 

scritto  intitolato  //  dialetto  ter  gestirlo.  Koterelle.  Questa  risposta  del  professor 
Ascoli,  per  concessione  dell'autore,  venne  riprodotta  nel  fascicolo  testé  uscito 
<\v\Y  A  r  chea  grafo  triestino. 

Oltrepasserei  i  limiti  imposti  a  questa  Bibliografia  se  volessi  analizzare 
in  tutte  le  sue  particolarità  l'interessante  pubblicazione  del  dottissimo  filologo. 
Mi   limiterò  quindi  a  notare  i  momenti  più  rilevanti. 

La  varietà  di  Muggia,  borgata  a  breve  distanza  da  Trieste,  basterebbe 
—  scrive  il  prof.  Ascoli  —  da  sola  ad  accettare  la  friulanità  d'  un  antico 
filone  che  si  estendesse  al  lido  adriatico  orientale.  Il  numero  poi  dei  cimeli 
notevolmente  accresciuto  negli  ultimi  anni  viene  a  comprovare  la  legittimità 
delle  deduzioni  tratte  dai  dialoghi  del  Mainati. 

Il  Tergestino,  sino  dal  secolo  XIV,  non  poteva  essere  se  non  il  lin- 
guaggio plebeo  o  rustico,  del  quale  a  stento  arrivavano  alla  dignità  della 
scrittura  molto  poveri  esempi.  Mentre  poi  negli  antichi  documenti  la  parlata 
plebea  non  mai  riuscita  ad  assicurarsi  l'alfabeto  faceva  capolino  a  grandis- 
simo stento,  nei  Dialoghi  del  Mainati  all'incontro  si  trattava  di  raccoglierla 
con  avidità  o  anzi  di  arfoltarla  perchè  ne  andasse  conservato  tutto  quanto 
si  poteva.  Nel  1828,  l'antico  linguaggio  che  rappresentava  un  filone  d'in- 
digeni sempre  più  scarso  ed  ecclissato,  finiva  per  tramontare  cedendo  alla 
prevalenza  del  linguaggio  ch'era  proprio  ai  nuovi  strati  delle  maggioranze 
civili.  Non  avviene  già  che  A  generi  B,  o  B  si  svolga  da  A;  ma  avviene 
che  A,  prima  convissuto  con  B  e  poi  insidiato  da  lui,  cessi  d'  esistere  e 
lasci  a  B  libero  il  campo.  Così  ad  esempio  1'  odierna  parlata  dell'  isola  di 
Veglia,  che  ancora  altro  non  è  se  non  una  parlata  veneziana,  non  proviene 
già  da  quel  ben  diverso  idioma  neo-latino  ch'era  il  veglioto,  ma  ha  con- 
vissuto con  questo  e  fini  per  inghiottirlo. 

A  pag.  251-254  esamina  il  prof.  Ascoli  i  caratteri  di  friulanità  dei  cimeli 
tergestini,  dimostrando,  con  sottile  esame,  l'erroneità  delle  conclusioni  a  cui 
era  venuto  in  tale  riguardo  il  dott.  Zenatti. 

L'argomentazione  principale  addotta  da  quest'  ultimo  a  sostegno  della 
sua  tesi  si  era  che  i  Dialoghi  del  Mainati  fossero  una  solenne  impostura. 
Il  prof.  Ascoli  in  quella  vece,  con  una  serie  di  argomenti  intrinseci  ed 
estrinseci,  dimostra  tale  accolta  del  tutto  infondata. 

In  una  modesta  città  quale  era  Trieste  nel  1828  chi  avesse  voluto 
spacciare  simile  impostura,  il  giorno  dopo  della  pubblicazione  si  avrebbe 
sentito  chiedere  dall'uno  o  dall'altro  dei  sottoscrittori  c<  fatemi  sentire  uno 
che  parli  cotesto  dialetto  »;  e  ciò  tanto  più  in  quanto  che  fra  i  sottoscrittori 
vi  sono  nomi  d'individui  e  di  famiglie  dai  quali  e  nelle  quali  le  cose  patrie 
erano  amorosamente  studiate.  «  Per  l' invenzione  del  dialetto  dei  Dialoghi, 


-  484- 

osserva  il  prof.  Ascoli  a  pag.  257,  ci  sarebbe  voluto  non  il  rozzo  falsifi- 
catore che  la  temeraria  fantasia  del  sig.  Zenatti  ci  descrive,  ma  il  miracolo 
dei  miracoli,  cioè  un  linguista  che  avesse  preceduto  i  Grimm  ed  i  Diez  ». 
L'esame  dei  caratteri  intrinseci  dei  detti  Dialoghi  occupa  cinque  pagine 
(pag.  258-263)  condotto  con  quella  scienza  e  competenza  per  cui  nel  campo 
filologico  va  sopra  tutti  distinto  il  prof.  Ascoli  ;  e  da  questo  esame  egB 
ritrae  la  conclusione  «  essere  i  Dialoghi  del  Mainati  quello  di  più  genuino 
che  si  possa  volere  ;  e  1'  accusa  che  il  sig.  Zenatti  ha  avventurato  contro 
il  povero  sagrestano  risulta  quello  di  più  infondato  che  mai  dare  si  possa  ». 

Nel  fase.  II  del  voi.  XV  (luglio-dicembre  1889)  si  leggono  due  dot- 
tissimi studi  del  sig.  Carlo  Tanzi  ;  —  il  primo  (pag.  239-412)  s'intitola: 
La  cronologia  degli  scritti  di  Magno  Felice  Ennodio  ;  il  secondo  :  Un  papiro 
perduto  dell'  epoca  di  Odoacre. 

Gi:ì  O.  Seek  aveva  luminosamente  dimostrato  quale  sussidio  possano 
prestare  alla  storia  dei  periodi  meno  conosciuti,  le  raccolte  di  scritti  fami- 
gliari contemporanei.  Di  M.  Felice  Ennodio,  sincrono  alla  dominazione 
ostrogota  in  Italia,  finora  erano  sembrati  materiali  degni  di  considerazione 
solamente  la  Vita  di  Epifanio,  Y  Apologia  del  sinodo  romano  ed  il  Panegirico 
di  Teodorico.  Il  sig.  Tanzi  viene  ora  a  provarci  come,  per  il  regno  di  Teo- 
dorico, spetti  il  carattere  di  vera  fonte  storica  anche  agli  scritti  minori  di 
Ennodio,  e  specialmente  alle  lettere  ;  «  essendoché  esse  forniscano  un'  infinità 
di  dettagli  atti  a  ricostruire  il  quadro  delle  condizioni  della  vita  italiana 
durante  gli  anni  501-513,  un  quadro  più  sincero,  se  anche  meno  grandioso 
nell'apparenza,  di  quello  che  ci  è  dato  dagli  atti  ufficiali  della  raccolta 
cassiodorana  ». 

Siccome  una  cagione  precipua  del  dispregio  in  cui  vennero  tenuti  tali 
scritti  sta  nelP  incertezza  della  loro  cronologia,  il  signor  Tanzi  tenta  collo 
stabilire  in  questa  sua  pubblicazione  l'ordine  cronologico  dei  medesimi,  a 
rendere  più  facile  l'uso  del  materiale  ch'essi  possono  fornire  allo  studioso. 

Esaminati  pertanto  i  codici  di  Brusselles  e  del  Vaticano,  stabilito  (pa- 
gine 341-348)  il  metodo  da  tenersi  nelP  ordinare  le  lettere  famigliari  che 
formano  la  parte  più  rilevante  di  questi  scritti,  con  fina  critica  e  grande 
corredo  di  erudizione  passa  a  precisare  1'  anno  cui  appartengono  i  singoli 
scritti,  cominciando  dal  496  e  giungendo  sino  al  513. 

Di  questo  studio,  che  viene  a  colmare  numerose  lacune  nella  storia  di 
Jtalia  in  quel  periodo  di  tempo,  rileverò  soltanto  una  notizia  riguardante 
i  vescovi  d'Aquileia  Marcelliano  e  Marcellino  (pag.  369-371).  L'esistenza 
d'ambedue  questi  prelati  è  confermata  anche  dalle  lettere  d'  Ennodio,  dalle 


-  485  - 

quali  risulta  che  Marcelliano  intervenne  alle  prime  sessioni  del  Concilio 
romano  del  500,  che  fu  avversario  al  papa  e  fra  quelli  oppositori  che  la- 
sciarono Roma  prima  della  sentenza  definitiva,  e  probabilmente  morì  scisma- 
tico ;  mentre  Marcellino  che  gli  successe  fu  partigiano  del  pontefice  e  la 
sua  elezione  accadde  quando  non  era  ancora  cessato  lo  scisma,  cioè  prima 
del  506. 

Il  papiro  perduto  dell'epoca  di  Odoacre,  e  ricordato  dal  milanese  Tri- 
stano Calchi  nelle  sue  Historiae  patriae,  conteneva  la  donazione  di  alcune 
«  massae  et  fundi  »  fatta  ad  un  certo  Virgilio  in  cambio  dei  suoi  beni  che 
gli  erano  stati  confiscati  alla  venuta  di  Odoacre.  Tale  notizia  viene  a  com- 
provare che  quando  i  beni  confiscati  erano  per  precedente  concessione  ormai 
passati  in  mano  di  terzi,  il  principe  adottava  come  misura  di  risarcimento 
1'  assegno  di  altri  beni  fiscali. 

Anche  in  questo  fascicolo  trovansi  pubblicati  (pag.  417-453)  numerosi 
Documenti  goriziani  raccolti  dal  signor  V.  Ioppi,  e  precisamente  dal  n.  185 
(io  agosto  1345)  al  n.  212  (1  ottobre  1350)  in  continuazione  a  quelli  resi 
già  di  pubblica  ragione  nei  fascicoli  precedenti. 

Il  sig.  Vassilich,  che  nel  precedente  fascicolo  era  giunto  col  suo  studio 
critico-storico  sulle  isole  del  Quarnero  Da  dedizione  a  dedizione  a  Marino 
Morosini  ultimo  conte  feudale  di  Cherso,  qui  continuando  (pag.  454)  prova 
contro  il  Lucio  ed  il  Farlati  come  i  Chersini,  già  nel  1301,  adunque  prima 
ancora  della  morte  del  Morosini  avvenuta  nel  1302,  avessero  chiesto  a 
Venezia  un  conte  biennale,  e  che  il  primo  d'essi  non  fosse  Andrea  Doro, 
il  quale  probabilmente  mai  ebbe  a  fare  con  quest'  isole,  sibbene  Giacomo 
Zeno  (1302-1304).  Passa  quindi  l'autore  in  rivista  tutti  i  documenti  che 
si  riferiscono  alla  storia  di  Cherso  dal  1280-1358,  per  indi  ritornare  a  quella 
di  Veglia,  e  precisamente  all'anno  1261  in  cui,  richiamati  gli  espulsi  conti, 
Venezia  dava  la  contea  di  Veglia  ai  figli  di  Guidone  ed  ai  suoi  parenti 
Schincla  ;  ai  di  cui  discendenti  —  i  Frangipani  —  Venezia  continuò  a  con- 
cedere in  feudo  l'isola  senza  interruzione  sino  al  1358.  Questi  Frangipani, 
vassalli  com'erano  di  Venezia  per  il  feudo  di  Veglia,  e  dell'  Ungheria  per 
il  Vinodol  e  per  gli  altri  feudi  del  litorale  croato,  cercarono  costantemente 
dall'un  canto  di  sottrarsi  agli  onerosi  obblighi  del  feudo  vegliense,  dall'altro 
di  stringersi  sempre  più  ai  re  d' Ungheria,  i  quali  alla  loro  volta  presero  a 
servirsi  dei  Frangipani  quale  mezzo  per  giungere  al  dominio  delle  coste 
adriatiche.  Ed  anche  qui  il  sig.  Vassilich  ci  dà  in  ordine  cronologico  il  sunto 
delle  fonti  dal  1271-1302,  dalle  quali  rileviamo,  come  fu  diggià  ricordato, 
la  ritrosia  dei  conti  nell'adempiere  agli  obblighi  contratti  verso  Venezia  di 
mano   in  mano   che   s' accresceva  la  loro   potenza   sul   litorale  croato   sia 


—  486   — 

per  le    inieudazioni  ottenute  dai    re    ungheresi,   sia  per   i  favori  da  questi 
ricevuti. 

Segue  il  sunto  dei  documenti  che  vanno  dal  1303-1377,  dai  quali 
meglio  si  conosce  il  comportamento  d'essi  conti,  la  loro  renitenza  a  sod- 
disfare alle  regalie,  la  parte  eh'  ebbero  in  varie  guerre  istriane  e  dalmate, 
le  intromissioni  talvolta  energiche  di  Venezia,  i  diritti,  gli  obblighi,  le 
magistrature  di  Veglia  e  la  sfera  d'  azione  di  quest'  ultime  sia  per  diritto 
consuetudinario,  sia  codificati  negli  statuti. 

Ai  18  febbraio  del  1358  Venezia  firmava  la  pace  di  Zara  con  Lodovico  I 
re  d'Ungheria  per  la  quale,  oltre  ad  altre  terre,  gli  cedeva  anche  le  isole 
del  Quarnero.  E  qui  il  sig.  Vassilich  chiude  la  seconda  parte  del  suo  studio. 

Del  prof,  don  Pietro  dott.  Tomasin,  diligente  e  dotto  cultore  delle 
cose  patrie,  si  legge  a  pag.  501-508  la  'Biografia  delio  storiografo  triestino 
don  Vincenzo  Scussa.  Discendente  da  famiglia  istriana  trasferitasi  da  Muggia 
nella  seconda  metà  del  sec.  XV,  nacque  lo  Scussa  a  Trieste  il  6  giugno  1620. 
Educato  dal  pubblico  precettore  Fattorelli,  quindi  dai  Gesuiti,  passò  alla 
Università  di  Padova  e  poscia  fu  ordinato  sacerdote  nel  1645.  Dopo  avere 
coperte  varie  altre  cariche  nel  ministero  sacerdotale,  fu  eletto  canonico  nel 
1672,  cancelliere  vescovile  nel  1674,  nel  1700  canonico  scolastico  e  nel  1701 
vicario  generale.  Moriva  il  13  settembre  1702  nell'età  d'anni  82. 

Detto  della  vita,  il  dott.  Tomasin  parla  dei  singoli  lavori  dello  Scussa, 
cioè  :  —  1)  della  Synopsis  tergestinorum  praesulum  quorum  nomina  reperiuntur  ; 
—  2)  della  Descritione  della  caverna  chiamata  da  Latini  lugea  specus  et  da 
sciavi  hiama;  —  3)  della  Descrizione  della  diocesi  triestina  (ora  perduta);  — 
4)  della  Storia  di  Trieste;  —  e  5)  di  Trieste  crono  grafico  che  fu  1'  ultima 
opera  dello  Scussa. 

«  E  poteva  —  scrive  il  dott.  Tomasin  a  pag.  503  —  in  certa  tal  guisa 
compiacersi  di  questi  suoi  lavori  alla  fine  della  sua  vita,  andarne  santamente 
superbo,  e  benedire  anzi  la  divina  provvidenza  per  il  tempo,  la  pazienza  e 
l' ingegno  occupati  in  favore  della  nostra  storia  patria.  Ciò  dovette  essere 
nel  giorno  nefasto  delle  ceneri  dell'anno  1690  in  cui  arsero  e  furono  consunti 
ambedue  i  palazzi  del  comune,  dove  tra  le  altre  cose  di  valore  non  esiguo, 
si  custodivano  gelosamente  le  memorie  ed  i  documenti  interessanti  la  nostra 
storia  patria  ». 

Alla  biografia  fa  seguire  (pag.  512-529)  la  Synopsis  tergestinorum  prae- 
sulum tuttora  inedita,  ed  il  cui  manoscritto  venne  scoperto  dallo  stesso 
dott.  Tomasin  l'anno  1876  nel  civico  Archivio  diplomatico  di  Trieste.  In 
questa  Sinopsis  è  rimarchevole  che  al  vescovo  Frugifero  si  fanno  precedere 
tre  altri  vescovi,  Giacinto,  Martino  è  Sebastiano. 


-  4§7  - 

Chiude  il  volume  una  brillante  Relazione  dell'annata  LXXIX  della  Società 
di  Minerva   come  la  sa  dettare  il  suo    illustre   presidente   dottor  Lorenzo 

LORENZUTTl. 


V  Architettura  in  Italia  dal  secolo  VI  al  mille  circa.  —  Ricerche  storico- 
critiche  del  Prof.  Raffaele  Cattaneo.  —  Venezia.  Tip.  Emiliana, 
1888.  Ferd.  Ongania  edit. 

La  sera  del  6  dicembre  1889  moriva  a  Venezia,  fulminato  dal  vaiuolo, 
a  soli  29  anni,  Raffaele  Cattaneo,  giovane  di  alto  e  di  acuto  ingegno,  di 
vastissima  coltura  e  di  profondi  studi.  Oltreché  scrittore  e  critico,  era  già 
architetto  e  scultore  di  bella  fama. 

Venezia,  dunque,  e  l'arte,  hanno  fatto  una  grave  perdita  colla  morte 
di  R.  Cattaneo.  Il  quale  ebbe  anche  a  visitare  Parenzo,  Pola,  Trieste,  Grado, 
Aquileja  per  istudiare  diligentemente  le  rispettive  basiliche,  e  per  illustrarle 
dottamente  nell'  opera  che  qui  imprendo  ad  esaminare. 

Ma,  prima  di  dar  principio  a  codesto,  sento  il  bisogno  di  dire,  che  la 
morte  di  un  tant'uomo  ha  profondamente  costernato  parecchi  egregi  istriani 
eh'  ebbero  la  ventura  di  conoscerlo  di  persona  ;  sia  perchè  1'  avvicinarlo 
equivalesse  ad  amarlo  e  ad  ammirarlo  nelle  preclare  doti  dell'  ingegno  e 
dell'animo;  sia  perchè  si  concepisse  le  più  promettenti  speranze  d'avvantag- 
giarsene dei  suoi  lumi  e  del  suo  consiglio  negli  studi  archeologici  che  si 
sono  iniziati  nella  basilica  Eufrasiana  di  Parenzo.  Ed  infatti  il  chiarissimo 
mons.  Deperis  —  che  iniziò  degli  escavi  importantissimi  intorno  alla  detta 
basilica,  dai  quali  emergerebbe,  prima  dell'  attuale,  la  preesistenza  di  due 
altre  basiliche  cristiane  all'  incirca  sullo  stesso  piano  —  aveva  impegnato  il 
povero  Cattaneo  a  ritornare  a  Parenzo  per  darvi  il  suo  dotto  parere.  E  il 
compianto  professore  annuiva  di  venirci  subito,  proprio  ora  al  ritornar  della 
primavera  !  Ed  è  così  che  la  disgrazia  della  sua  morte  si  riflettè  anche  su 
di  noi,  e  specialmente  su  coloro  che  facevano  sicuro  assegnamento  delle 
apprezzate  sue  consultazioni,  prima  di  publicare  l'opera  illustrativa  la  basilica, 
Eufrasiana. 


—  488  — 

Premessi  questi  pochi  cenni  a  sfogo  di  sentimento  di  dolore,  passo 
all'  esame  dell'  opera. 

La  quale  si  compone  di  una  prefazione,  di  una  introduzione  e  di  cinque 
capitoli. 

Nella  prefazione  1'  autore  dice  subito  che,  sin  da  quando  si  pose  a 
studiare  sui  libri  la  storia  dell'  Arte,  la  troppo  larga  lacuna  che  trovò  in 
Italia  tra  il  secolo  VI  e  IX,  le  discrepanti  opinioni  degli  scrittori  intorno 
ai  pochi  monumenti  di  questo  oscuro  e  barbaro  periodo  e  intorno  all'Arte 
che  ne  nacque,  fortemente  l' impressionarono.  E  dominato  da  una  certa 
naturale  inclinazione  a  portare  il  suo  studio  sulle  cose  più  oscure  e  recondite, 
gli  punse  vivo  desiderio  di  abbandonarsi  a  quel  campo  di  ricerche  e  tentare 
se  gli  venisse  dato  di  recar  luce  in  questo  argomento. 

Si  mise  dunque  con  baldanza  a  ricercare  prima  negli  scritti,  a  copiare 
all'  uopo  disegni,  e  a  fornirsi  di  opportune  fotografie.  Poscia  potè  uscire 
spesso  dal  suo  nido,  viaggiare,  studiare  e  toccar  con  mano  i  monumenti. 
Allora  gli  si  aperse  largo  campo  all'osservazione  e  ai  confronti,  e  scoprendo 
alcun  che  d'ignorato,  e  venendogli  sotto  gli  occhi,  più  frequenti  che  non 
s'aspettasse,  gli  strafalcioni  e  gli  errori  di  certi  scrittori,  si  fece  più  coraggioso 
e  si  provò  a  ragionare  colla  sua  tata. 

Ed  è  così  che  si  trovò  spesso  in  contraddizione  con  quanto  era  stato 
scritto  e  argomentato  sulle  cose  d' arte  dagli  autori  che  lo  precedettero. 
Ma  le  sue  ricerche  e  conclusioni,  dopo  otto  anni  di  studi,  erano  tuttavia 
lontane  dall'essere,  per  quanto  gli  pareva,  compiute,  e  se  ne  accorse  appunto 
allora  quando  dal  signor  cav.  Ongania  gli  era  stato  offerto  l' incarico  di 
tessere  per  la  sua  grandiosa  publicazione  sulla  basilica  di  S.  Marco  di 
Venezia  la  storia  architettonica  del  mirabile  monumento  ').  L' amore  per 
la  diletta  basilica  lo  sorresse,  rese  in  lui  più  gagliarda  1'  antica  passione  e 
in  questa  trovò  impulso  e  vigore  efficace  al  perfezionamento  di  quegli  studi 
che  due  anni  appresso  (nel  1888)  presentò  al  lettore,  prima,  cioè,  della  pub- 
blicazione sul  S.  Marco. 

Mi  parve  buono  d' estendermi  sulla  prefazione,  non  solo  per  far  notare 
gì'  intendimenti  dell'  Autore  nel  condurre  il  suo  lavoro,  ma  per  far  rilevare 
più  ancora  l'originalità  dell'opera  stessa;  in  quanto  essa  si  stacchi  affatto 


')  Per  buona  sorte  anche  quest'opera  potè  essere  compiuta  dal  Cattaneo  pochi  giorni 
prima  di  morire,  tant'  è  vero  che  ora  si  trova  sotto  stampa. 


-  489  - 

dal  sistema  tenuto  in  siffatte  publicazioni  da  precedenti  scrittori,  dai  quali 
non  accettò  che  quel  poco  clic  dallo  spoglio  dei  documenti,  dai  fondati 
criteri  dell'arte,  e  dal  diligente  confronto  dei  cimeli  fatto  coi  propri  occhi, 
ha  potuto  constatare  per  vero. 

Neil'  introduzione  afferma  l' esistenza  di  uno  stile  bizantino,  cui  di- 
vide in  tre  distinti  periodi,  chiamandoli  con  tre  differenti  nomi  :  proto- 
bizantino,  bixaniino-barbaro  e  neo-bizantino.  Non  si  rifa  ai  tempi  romani,  ne 
ai  primi  secoli  cristiani,  essendo  questi  abbastanza  noti;  ma  dove  convien 
portare  attento  esame  si  è  sui  secoli  successivi,  secoli  di  decadenza  e  della 
massima  oscurità.  «  E  appunto  perchè  nella  loro  decadenza  e  nella  scarsezza 
dì  monumenti  superstiti  si  mostrarono  sempre  poco  attraenti  e  di  troppo 
arduo  studio,  furono  generalmente  lasciati  da  parte  da  tutti  gli  scrittori 
d'arte;  omissione  questa  doppiamente  riprovevole,  sia  perchè  mantenne 
interrotta  la  catena  storica  dell'  arte  con  tanta  confusione  negli  studiosi, 
sia  perchè  impedi  si  trovasse  mai  il  nodo  a  cui  attaccare  le  anella  seguenti  ». 

Enumera  quindi  gli  autori  che  di  codesto  periodo  oscuro  si  sono 
occupati,  fermandosi  particolarmente  sul  conte  Corderò  di  S.  Quintino  che, 
ira  gli  altri,  ha  veduto  giusto,  quantunque  il  suo  studio  non  sia  che  inci- 
piente. E  conclude  col  dire,  esser  necessario  di  rifare  tutta  la  strada  cosi 
male  battuta;  alla  quali' opera  egli  si  accinge,  corredando  la  storia  con 
opportuni  disegni,  senza  i  quali  l' intento  non  si  raggiungerebbe  che  per 
metà. 

Il  capitolo  I  tratta  dell' 'Architettura  Latino-barbara  durante  la  dominazione 
Longobarda  (da  pag.  15-61).  —  Dal  VII  secolo  al  mille  trascorre  un  periodo 
di  assoluta  decadenza  per  l'arte  —  decadenza  che  più  attribuiscono  alla 
devastatrice  conquista  longobardica.  Ma  oltre  a  questa  ci  sono  ben  altre 
cause;  fra  cui  una  peste  fierissima  nel  566,  una  grande  carestia  due  anni 
appresso,  altra  pestilenza  di  buoi  nel  570  e  altre  epidemie  ancora,  e  final- 
mente un  terribile  diluvio  d'acque  nel  589,  che  travolse  e  disperse  molte 
colline.  E  questi  ed  altri  flagelli  si  alternarono  fino  alla  fine  del  secolo. 

«  Si  guardi  ora  all'  arte  e  si  consideri,  che  se  per  prosperare  ha  sempre 
bisogno  di  pace  lunga  e  di  generale  agiatezza,  in  questo  periodo  d'invasioni, 
di  guerre  e  di  tutte  le  possibili  calamità,  ella  non  poteva  che  spegnersi 
quasi  affatto».  Questo  letargo  dell'arte,  durato  tutto  il  periodo  della 
dominazione  longobardica,  si  protrasse  anche  dopo  questo  fino  a  tutto  il 
secolo  IX,  in  qualche  regione  fino  al  X,  e  in  qualche  altra  perfino  alla 
prima  metà  del  secolo  XI. 


—  49°  — 

Ma  qui  cerca  di  spiegare  un  altro  fatto;  come  cioè  avvenisse  che  mentre 
nella  prima  nutà  del  secolo  VI  l'arte  bizantina  era  venuta  a  ristorare  al- 
quanto F  italiana,  noi  facesse  eziandio  in  sullo  scorcio  del  secolo  stesso.  E 
conchiude  col  dire  che  la  misera  arte  italiana  fosse  dai  Bizantini  per  tutto 
il  secolo  VII  abbandonata  a  sé  stessa,  tant'ò  vero  che  persino  in  Ravenna, 
la  quale  fino  al  752  durò  nella  soggezione  dei  Greci  che  vi  mantenevano 
un  Esarca,  l'arte  segui  la  stessa  precipitosa  decadenza  a  cui  era  trascinata 
nelle  altre  città  d'  Italia. 

Esaminato,  in  prova  della  sua  tesi,  alcune  opere  esistenti  a  Ravenna, 
passa  a  Roma  (pag.  26),  mettendo  in  evidenza  un  fatto  che  non  tu  mai 
bene  avvertito  da  altri,  ed  è  che  l'architettura  proto-bizantina  penetrò  anche 
in  Roma.  Il  che  può  riscontrarsi  nella  chiesa  di  santo  Stefano  al  Celio  eretta 
dal  pontefice  S.  Simplicio  fra  il  468  e  il  482.  È  una  vasta  rotonda  anulare 
formata  da  due  giri  concentrici  di  colonne  raccerchiati  da  muraglie.  Un 
lusso  veramente  orientale  pare  sfoggiasse  questa  rotonda  nelle  decorazioni 
musive,  ma  più  specialmente  nelle  incrostazioni  marmoree  delle  pareti  — 
«decorazioni  analoghe  a  quelle  del  S.  Vitale  di  Ravenna  e  del  Duomo  di 
Parenzo,  costruzioni  bizantine  del  medesimo  secolo  ».  —  Oltre  che  in  santo 
Stefano,  trovansi  anche  in  altre  chiese  della  città  lavori  che  accennano  in- 
discutibilmente la  presenza  degli  artisti  greci.  E  si  estende  a  parlare  parti- 
colarmente sulla  basilica  di  S.  Lorenzo,  avvertendo  che  in  origine  ne  erano 
due,  unite  in  una  sola  da  Onorio  III  (1216-1227).  Poi  passa  alla  basilica 
di  S.  Agnese,  che  somiglia  tanto  a  quella  di  S.  Lorenzo,  e  ad  altre  ancora. 

Lasciata  quindi  la  valle  del  Tevere  per  risalire  a  quella  del  Po,  a  mezza 
corsa  si  ferma  a  Lucca  per  ammirarvi  due  cospicui  monumenti,  cioè  la 
chiesa  di  S.  Fedriano  eretta  dal  re  Bertari  nel  686,  e  quella  di  S.  Michele 
in  Foro  riedificata  da  Temprando  e  da  Gumpranda  nel  764  (pag.  43). 

Passando  all'  alta  Italia,  il  pensiero  corre  difilato  a  Pavia,  capitale  dei 
Longobardi.  «  Ma  quella  città  cadde  tante  volte  sotto  i  picconi  dei  conqui- 
statori e  fu  sì  spesso  preda  delle  fiamme,  che  invano  si  cerca  in  essa  una 
sola  pietra,  nonché  un  edificio,  dei  parecchi  che  vi  hanno  inalzati  i  re  lon- 
gobardi al  cadere  del  secolo  VI  e  nel  seguente». 

Ma  il  peggio  si  è  che  una  tale  assoluta  mancanza  di  monumenti  di 
quel  tempo  è  da  deplorarsi  in  tutta  la  Lombardia.  E  si  ferma  a  considerare 
la  chiesa  non  più  esistente  che  la  regina  Teodolinda  eresse  in  Monza  ad 
onore  di  S.  Giovanni  Battista  dappresso  al  suo  palazzo.  Alcuni  autori  hanno 
creduto  riferirsi  al  tempo  di  Teodolinda  certe  parti  del  Duomo  «  che  si 
riferiscono  invece  alla  sua  totale  riedificazione  avvenuta,  come  palesa  lo  stile 
rjei  suoi  capitelli,  nel  secolo  XII  »  (pag.  45). 


—  49i  — 

La  regione  italiana  nella  quale  con  qualche  profitto  porta  quindi  le 
sue  ricerche  è  il  Veneto,  ove  trova  tre  edifici  della  seconda  meri  del  VI 
secolo,  e  sono  due  chiese  ed  un  battistero  della  un  di  celebre  cittì  di  Grado. 

Descritto  il  duomo  ed  il  battistero  di  Grado,  soggiunge  :  «  Non  resta 
più  traccia  delle  decorazioni  in  musaico  e  in  marmi  che  avranno  senza 
dubbio  resa  quest'abside  (quella  del  Duomo)  non  inferiore  alla  splendidis- 
sima del  Duomo  di  Parenzo,  come  presentano  egual  carattere  e  magnifi- 
cenza i  pavimenti  a  musaico  di  ambedue  le  chiese.  Ma  per  compenso  il 
pavimento  di  Grado  si  conserva  in  gran  parte,  e  considerata  l'epoca  in  cui 
fu  fatto  e  la  rarità  di  simili  lavori,  è  la  cosa  più  preziosa  che  in  questo 
genere  si  possa  vedere.  Il  suo  disegno,  a  motivi  svariati  e  sempre  eleganti, 

ritrae  del  gusto  romano  e  bizantino  insieme Ciò  che  rende  questo 

di  Grado  ancor  più  prezioso  sono  le  molte  iscrizioni  pure  a  musaico  che 
presenta,  e  ricordano  i  nomi  di  coloro  che  contribuirono  con  danaro  alla 
sua  fabbricazione  e  il  numero  dei  piedi  quadrati  equivalenti  all'offerta.  Né 
questa  fu  una  particolarità  della  basilica  di  Grado,  che  noi  la  ritroviamo 
pure  nei  resti  del  S.  Felice  di  Aquileja,  ne'  pochi  avanzi  del  pavimento  del 
Duomo  di  Parenzo  '),  in  quelli  di  recente  scoperti  nella  vecchia  cattedrale 
di  Verona  e  nei  resti  dell'antico  Duomo  estivo  di  Brescia  »  (pag.  48,  49). 

Parlando  poi  della  seconda  chiesa  di  Grado  (S.  Maria)  e  delle  sue 
sacristie,  dice  :  «  Anche  la  basilica  di  S.  Maria  Formosa  a  Pola  eretta  nel 
546,  della  quale  restano  rovine,  aveva  due  sacristie  circolari  con  nicchioni 
all'  ingiro,  e  nel  Duomo  di  Parenzo  pare  servissero  da  sacristie  alcune  celle 
ad  esso  unite  tuttavia  superstiti  »  (pag.   54). 

E  da  Grado  1'  autore  salta  a  Venezia,  nella  quale  trova  tre  opere  di 
scultura  che  a  lui  paiono  riferirsi  a  quei  calamitosi  tempi,  «  e  furono  forse 
raccolte  fra  le  fumanti  rovine  dell'  infelice  Aitino  distrutta  dai  Longobardi 
nel  641  ». 

Queste  tre  opere  sono  :  una  fronte  di  sarcofago  che  vedesi  nell'atrio 
di  S.  Marco  ;  altro  sarcofago  che  vedesi  nella  facciata  della  chiesa  dei  santi 
Giovanni  e  Paolo  ;  e  un  terzo  sarcofago  esistente  nd  Museo  archeologico 
del  palazzo  Ducale  (pag.   58). 

Finalmente  si  ferma   1'  autore  a  Torcello,  la  cui  cattedrale  fu  a  torto 


')  Nei  recenti  scavi  fatti  eseguire  d.i  mons.  Deperis  al  lato  nord  della  basilica 
Kufrasiana,  furono  ritrovati  nuovi  bellissimi  musaici,  con  analoghe  iscrizioni  alla  foggia 
di  quelle  qui  ricordate,  ma  indubbiamente  di  data  molto  più  antica. 


—  492  — 

dal  Selvatico  sostenuto  essere  la  stessa  che  i  fuggiaschi  Altinati  eressero  dopo 
il  641.  Di  quest'epoca  non  rimane,  in  effetti,  che  l'abside  maggiore,  mentre 
tutto  il  resto  fu  indiscutibilmente  costruito  neh'  864.  E  confuta  altri  asserti 
del  Selvatico  su  questa  chiesa,  e  sul  luogo  dove  esisteva  il  battistero.  Il 
quale,  come  quelli  di  Aquileja  e  di  Parenzo,  sorse  anche  a  Torcello  dirimpetto 
alla  cattedrale,  e  le  fu  congiunto  a  mezzo  di  portici. 

Finisce  il  capitolo  con  le  seguenti  : 

«  Ma  le  nostre  ricerche  nel  buio  di  questi  secoli  somigliano  molto  al 
viaggiare  di  notte  per  incognite  vie  durante  un  vero  temporale  ;  e  già  il 
viandante  corre  rischio  di  smarrire  la  strada  o  di  pericolare,  ove  qualche 
benefico  lampo  non  lo  soccorra  col  suo  splendore.  Anche  noi  abbisognamo 
spesso  di  qualche  lampo,  e  sono  quei  monumenti  i  quali  vantando  un'età 
accertata  da  documenti  d'  autenticità  indiscutibile,  diventano  preziosa  guida 
per  ricercare  le  opere  contemporanee  e  colmare  certe  lacune.  E  il  secolo 
Vili  ci  somministra  tosto  molta  luce  ». 

Il  capitolo  II  tratta  del  Secondo  influsso  dell'arte  bizantina  sull'italiana. 
—  Stile  bizantino-barbaro  (da  pag.  62-139).  —  Enumera  la  grande  sequela 
di  lavori  condotti  sotto  il  regime  dei  Longobardi,  i  quali  lavori  spiccano 
sui  già  considerati  per  sentita  diversità  di  carattere  e  minore  imperfezione, 
epperciò  vogliono  essere  classificati  a  parte  e  seriamente  studiati. 

L' arte  italiana,  al  sorgere  del  settecento,  se  non  era  proprio  estinta, 
non  dava  più,  ad  ogni  modo,  segni  di  vita.  «  A  mezzo  il  seicento  ella  si  era 
spogliata   d'  ogni  ultimo    brandello  di  veste   straniera  ed  era  rimasta   nella 

più  rigida scheletrica  nudità  natia ;  ma  in  sull'esordio  del 

settecento  noi  e'  incontriamo  in  lavori  i  quali  contrastano  vivamente  con 
quanto  si  è  fino  ad  ora  veduto  ».  Ne  questo  stile  si  limitò  ad  una  sola 
regione,  ma  si  estese  per  tutta  la  penisola  come  risulta  dalle  tracce  che  si 
trovano  in  più  luoghi. 

Però  questo  nuovo  stile  fu  importazione  d'artisti  stranieri  venuti  dalla 
Grecia.  Il  quale  asserto  1'  autore  cerca  di  addimostrarlo  con  le  opere  che 
rimangono  di  quell'epoca,  e  coi  documenti  che  vi  si  riferiscono.  E  si  ferma 
ad  esaminare  quel  pluteo  che  si  vede  sui  matronei  di  S.  Marco  a  Venezia, 
e  lo  dichiara  del  secolo  VII,  a  quel  periodo  cioè  di  decadenza  che  appa- 
recchiò lo  stile  del  secolo  Vili. 

«  Ma  eccoci  in  S.  Marco  un  altro  lavoro  di  scultura,  indubbiamente 
bjzantino,  che  si  conserva  nel  Tesoro.  È  desso  quella  cattedra  di  marmo, 
che  la  tradizione  dice  regalata  intorno  al  630  dall'  imperatore  Eraclio  al 
patriarca  di  Grado    Primigenio,   per  essere  creduta  la  stessa  su  cui  sedeva 


—  493  — 

1'  evangelista  S.  Marco  in  Alessandria  ».  Il  Selvatico  1'  attribuì  al  X  o  XI 
secolo  ;  ma  il  nostro  autore,  a  cui  kcc  giustizia  valenti  archeologi,  l'attri- 
buisce agli  ultimi  anni  del  secolo  VI,  o  piuttosto  alla  prima  metà  del 
seguente. 

E  da  queste  sculture  che  si  trovano  in  Italia  passa  ad  altre,  di  quell'epoca, 
esistenti  in  Oriente. 

Quindi  investiga  quali  cause  possano  aver  indotto  nel  secolo  Vili  pa- 
recchi artisti  greci  di  venire  in  Italia.  E  ne  trova  parecchie,  fra  le  quali 
gli  sembra  più  certa  quella,  avere  aperti  gli  italiani  finalmente  gli  occhi,  e, 
veduto  lo  stato  miserando  e  indegno  in  cui  era  caduta  l'arte  in  Italia,  sentirne 
rossore  e  stabilire  di  chiamarvi  artisti  greci,  o  di  condurseli  seco  al  ritorno  di 
qualche  viaggio  in  Grecia.  Ma  più  ancora  di  questo,  avrà  contribuito  all'esodo 
degli  artisti  dalla  Grecia  in  Italia  la  terribile  persecuzione  degli  iconoclasti 
iniziata  dall'  imperatore  Leone  III  1'  Isaurico,  il  quale  nel  726  pubblicò  un 
editto  contro  il  culto  delle  immagini  sacre,  e  nel  728  lo  soppresse  affatto. 
In  quell'  incontro  molti  artisti  monaci  e  artisti  laici  ripararono  in  Italia,  ove 
trovarono  asilo  e  protezione  nel  Pontefice  e  in  Luitprando,  i  quali  fecero 
eseguire  parecchie  opere. 

Fra  i  più  antichi  lavori  di  stile  bizantino-barbaro  del  secolo  Vili  sono 
quelli  fatti  eseguire  nella  basilica  di  S.  Felice  in  Cimitile  presso  Nola  dal 
vescovo  Leone  III,  del  quale  si  sa  che  governò  quella  chiesa  nel  principio 
del  settecento.  —  Da  qui  passa  in  Ancona  nella  chiesa  della  Misericordia 
ad  esaminare  un  parapetto  d'ambone  semicircolare.  —  Poscia  va  nel  Museo 
lapidario  di  Verona  ad  esaminare  due  colonnette  già  appartenute  alla  chiesa 
di  S.  Giorgio  in  Valpolicella.  Ma  non  si  accontenta  di  ciò,  e  si  reca  al 
paesello  dove  è  fortunato  di  trovare  le  due  altre  colonnette  con  i  loro  ca- 
pitelli sostenenti  con  le  prime  il  ciborio,  e  tre  ricchi  archivolti  con  testate, 
che  dovevano  comporre  la  parte  superiore  del  ciborio  stesso.  —  E  salta  poi 
ad  esaminare  brevemente  i  resti  d'un  altare  venuti  alla  luce  or  fanno  pochi 
anni  nella  chiesa  abaziale  di  Ferentillo  presso  Spoleto,  per  ritornare  subito 
appresso  neh'  alta  Italia,  a  Cividale,  dove  si  possono  vedere,  se  non  i  mi- 
gliori, certo  i  più  numerosi  e  meglio  conservati  lavori  di  questo  stile  che 
offra  l' Italia. 

A  Cividale  infatti  s'ammira,  fra  altre  cose,  il  fonte  battesimale,  edificato 
dal  patriarca  Calisto  (737...),  e  nel  secolo  XVII  trasportato  entro  il  duomo 
dal  distrutto  battisterio  che  sorgeva  li  presso.  Questo  battistero  merita  spe- 
ciale considerazione,  anche  per  essere  uno  dei  primi  esempì  in  Italia  di 
rappresentazioni  bestiarie,  che  poi  divennero  di  carattere  più  spiccato  del- 
l'ornamentazione scolpita  dello  stile  romanico.  E  a  Cividale  stessa  esamina 


-  494  — 

un  altare  nella  chiesa  di  S.  Martino,  nel  quale  altare  le  rozze  figure  di  sacro 
soggetto  lo  riconferma  nel  principio  che,  quanto  abili  erano  tutti  gli  artefici 
dell'epoca  nell'ornamentazione,  altrettanto  goffi  invece  nel  trattar  la  figura. 
E  più  si  ferma  l'autore  sulla  chiesetta  di  S.  Maria  in  Valle  (Cividale),  sulla 
quale  furono  gli  artisti  e  gli  storici  molto  dissenzienti,  e  per  l' età  sua, 
come  per  le  sei  statue  che  dentro  vi  si  trovano.  Per  Cattaneo  quella  chiesetta 
è  una  rifabbrica  del  noo  di  quella  ornata  da  Pertrude  (secolo  Vili),  nella 
quale  rifabbrica  però  si  sono  conservate  alcune  cose,  ch'egli  riporta,  della 
chiesa  primitiva. 

E  parlando  di  alcuni  capitelli  di  Cividale,  soggiunge  :  «  Di  proporzioni 
più  svelte,  ma  di  gusto  analogo,  se  ne  vedono  due  su  snelle  colonne  nel 
Duomo  di  Trieste,  impiegatevi  alla  meglio  in  un  restauro  del  secolo  XI, 
ma  evidentemente  riferentisi  all'  Vili.  Di  sotto  hanno  un  giro  di  rozze  foglie 
qui  bizzarramente  tagliate  in  tre  rovesci  per  ciascheduna  ;  più  sopra  le  solite 
scantonature,  e  sulla  faccia  una  convessità  scanalata  con  magri  caulicoli 
reggenti  1'  abaco  ». 

»  Dell'  indole  stessa,  ma  di  più  ruvida  e  scorretta  mano,  è  un  capi- 
tellino  nel  Museo  di  Pola,  e  ve  n'  è  un  altro  che  se  ne  discosta  ma  si 
mostra  del  medesimo  stile  »   (pag.  97). 

E  da  Pola  passa  a  Treviso,  Venezia,  Murano,  Concordia,  Grado,  Vi- 
cenza, Monseiice,  Adria,  Ravenna,  Bagnacavallo,  Ferrara,  Modena,  Bologna, 
Milano,  Bergamo,  Brescia,  Pavia,  Libarna  (Apennini  al  nord  di  Genova), 
Albenga,  Osimo,  Perugia,  Spoleto,  Narni,  Roma,  Capua,  Sant'  Angelo  in 
Formis,  Benevento  —  in  ciascuna  delle  quali  città  si  ferma  a  considerare 
e  ad  analizzare  qualche  cimelio  dell'epoca,  correggendo  quasi  sempre  erronei 
giudizi  che  sugli  stessi  cimeli  furono  dati  dai  critici  dell'  arte  suoi  prede- 
cessori. Quindi  passa  sotto  lo  sguardo  del  lettore  una  serie  di  capitelli,  di 
plutei,  di  frontispizi,  di  finestrelli,  di  frammenti  d'ambone,  di  pilastrini,  di 
vasche  battesimali,  di  archi,  di  sarcofagi  e  così  via.  Non  trova  che  tre  soli 
monumenti  pressocchè  intatti  dell'  epoca  :  la  chiesetta  delle  sante  Fosca  e 
Teuteria  di  Verona  (consacrata  nel  751),  e  la  Rotonda  o  Duomo  vecchio 
di  Brescia,  e  la  chiesa  di  S.  Salvatore  nella  stessa  città. 

Il  capitolo  III  tratta  de  L'architettura  italiana  dalia  fine  del  secolo  FUI 
al  mille.  —  Stile  il aio-bizantino  (pag.  140-234).  —  Premesso  che  i  monu- 
menti studiati  nell'  ultimo  capitolo  nuli'  altro  sono  che  1'  opera  di  artisti 
'immigrati,  la  cui  arte  sta  entro  il  breve  giro  di  poco  più  di  mezzo  secolo, 
tuttavia  codesta  visita  di  artefici  greci  in  Italia  fu  di  sommo  ammaestra- 
mento agli  indigeni.   L' esempio  delle  opere   greche  valse,   non    foss'altro, 


«-  495  — 

a  destare   nei   nostri  l' amore   alla   ricchezza,   alla   profusione  e  varietà   di 
decorazioni. 

Essi  si  studiarono  dunque  d' imitare  le  sculture  greche,  ma  non  così 
servilmente  che  tra  l'ima  e  l'altra  scuola  non  esistano  spiccate  dissomiglianze. 
«  I  loro  lavori  si  distinguono  per  una  certa  larghezza  di  composizione  e 
di  scalpello,  che  potè  anche  derivare  dalla  ruvidezza  loro,  ma  che  agli  occhi 
di  molti  può  forse  rispondere  all'  indole  ed  al  pensiero  architettonico  più 
che  le  minuterie  greche  ».  E  qui  l'autore  dà  i  caratteri  principali  delle  opere 
dell'epoca  (pag.  141),  negando  che  gli  arabi  vi  hanno  avuta  alcuna  influenza 
nella  parte  decorativa. 

Se  nel  VII  secolo  e  nel  principio  dell'  VII!  non  esisteva  in  Italia  un 
vero  stile,  verso  la  fine  di  quest'ultimo  e  nel  seguente  la  cosa  fu  ben  diversa  ; 
«  poiché  quelle  stesse  maniere  d'ornare  che  veggonsi  a  Roma,  appariscono 
pure  nel  Napoletano,  nelle  Marche,  nell'  Umbria,  nella  Toscana,  a  Ravenna, 
nella  Lombardia,  nel  Veneto  e  perfino  nell'  Istria  e  nella  Dalmazia,  restando 
spenti  o  sopiti  i  vecchi  modi  indigeni  ».  Dove  prende  però  più  largo  svol- 
gimento si  è  in  Lombardia,  siccome  quella  che  era  il  centro  più  vitale  del 
regno  longobardico. 

Ciò  premesso  ripete  il  giro  per  l' Italia,  ricercandovi  i  monumenti  o 
le  traccie  di  questo  stile  nalo-bizantino,  che  rappresenta  i  primi  crepuscoli 
dell'  Arte. 

E  prima  d'ogni  altra  città  tocca  Roma,  dove  trova,  in  compenso  dei 
pochi  del  secolo  Vili,  numerosi  resti  dei  lavori  operativi  dagli  artefici  lom- 
bardi in  sullo  scorcio  di  quel  secolo  e  nei  successivi,  ed  anche  alcuni  interi 
edifizi. 

Fra  quest'  ultimi  ricorda  S.  Maria  in  Cosmedin  fatta  costruire  sulle 
rovine  dell'amica  chiesa  da  Adriano  I  (772-795).  Una  delle  particolarità 
di  questa  chiesa  si  è  d'aver  tre  absidi,  cosa  mai  prima  usata.  Il  qual  uso 
è  venuto  in  Italia  dall'oriente.  Dallo  stesso  papa  l'autore  sospetta  venisse 
restaurata  la  basilica  di  S.  Saba  all'  Aventino.  E  cosi  pure  S.  Lorenzo  in 
Lucina.  Parimenti  restaurò  ed  abbellì  l'antico  Patriarchio  presso  S.  Giovanni 
Laterano,  cioè  1'  antica  residenza  papale  d'  allora.  Di  qualche  altra  chiesa, 
invece,  mette  in  dubbio  l'edificazione  in  questo  secolo,  almeno  nelle  forme 
in  cui  ora  si  trova. 

Quindi  si  volge  a  considerare  qualche  avanzo  del  tempo  di  Leone  III 
(795-816).  Ma  le  più  rilevanti  costruzioni  si  devono  al  successore  di  Leone, 
a  Pasquale  I  (817-824). 

Fra  queste  è  la  basilica  di  S.  Prassedc  siili'  Esquilino,  eh'  egli  edificò 
dai  fondamenti,  e  nel  secolo  XII  restaurata  con  cambiamenti,    e  più  tardi 

io 


—  496  - 

ancora  guastata  con  altri  goffi  ristauri.  Ma  la  cosa  più  ragguardevole  che 
racchiuda  S.  Prassede  fra  i  resti  del  secolo  IX  è  la  preziosa  cappelletti  di 
S.  Zenone,  dovuta  pure  a  papa  Pasquale.  Il  quale  ricostrussc  pure  le  chiese 
di  S.  Cecilia  in  Trastevere  e  di  S.  Maria  in  Domnica  sul  Celio.  Quest'ultima 
è  la  meglio  conservata  che  resti  in  Roma  del  secolo  IX. 

Il  pontefice  Eugenio  II  (824-827)  molto  fece  operare  in  S.  Sabina 
all'Aventino. 

Dopo  Pasquale  I  però,  il  papa  del  IX  secolo,  il  cui  nome  sopravvive 
meglio  d'  ogni  altro  nei  propri  lavori,  è  Gregorio  IV  (827). 

Fu  da  questo  ricostrutta  la  chiesa  di  S.  Marco,  della  quale  resta  tuttavia 
l'abside  con  i  suoi  musaici.  —  A  questo  papa  sono  pure  dovuti  i  più  con- 
siderevoli avanzi  di  sculture  italo-bizantine  che  sieno  in  Roma. 

Al  successore  di  Gregorio  IV,  Sergio  II  (844-847),  è  dovuta  una  ra- 
dicale rifabbrica  della  basilica  lateranense.  Passa  quindi  l'autore  ad  esaminare 
varie  altre  sculture  esistenti  in  Roma,  sempre  del  secolo. 

«  Una  basilica  di  Roma  fondata  nell'anno  900,  e  perciò  appartenente, 
più  che  al  IX,  al  X  secolo,  è  quella  di  S.  Maria  in  Araeoeli»  (pag.  163). 

Poi  l'autore  adduce  le  prove  essere  stato  lo  stile  italo-bizantino  il  solo 
dominante  a  Roma  per  tutto  il  X  secolo,  e  anche  per  qualche  tempo  oltre 
il  mille. 

E  da  Roma  va  a  Capua,  dove  trova  nel  Museo  vari  frammenti  di 
codest'arte,  ed  una  chiesetta,  dedicata  al  principe  S.  Michele  (come  la  chiama 
il  popolo),  oggidì  chiusa  al  culto  per  essere  in  pessime  condizioni. 

Poi  risale  a  settentrione  e  si  ferma  a  Toscanella,  a  Spoleto,  in  Ancona, 
in  Assisi,  a  Pisa,  a  Ravenna.  In  quest'  ultima  ritorna  «  a  S.  Apollinare  in 
Classe  per  vedervi  il  monumento  scultorio  più  ragguardevole,  perchè  quasi 
intatto,  che  ci  sia  rimasto  in  Italia  nello  stile  italo-bizantino  del  secolo  IX. 
È  questo  il  ciborio  dell'  altare  di  S.  Eleucadio,  che,  giusta  un'  iscrizione, 
un  prete  Pietro  faceva  scolpire  sedente  l'arcivescovo  Valerio  (806-816)» 
(pag.  170).  In  questa  basilica,  e  fuori,  l'autore  trova  altre  sculture  di  stile 
italo-bizantino. 

Ricordata  una  croce  stazionale  di  marmo  esistente  in  Budrio,  passa  a 
S.  Maria  Matricolare  di  Verona,  rifatta  dal  vescovo  Loterio  nel  780,  ed 
eletta  dal  vescovo  Ratoldo  (802-840)  per  cattedrale.  Senonchè  l'attuale  non 
è  quella  di  Loterio,  la  quale  alla  sua  volta  fu  rifatta  nel  secolo  XII.  E  lo 
prova.  Viste  poi  alcune  altre  sculture  a  Verona,  procede  a  Villanova  nel 
Veronese,  e  da  qui  al  Museo  di  Padova,  poi  nella  cripta  del  duomo  di 
Treviso,  per  ritornare  ancora  a  Cividale.  Da  dove  passa  a  Trieste  nel  Museo 
Vinckelmann  che  racchiude,  «  fra  pochi  rimasugli  di  lavori  bizantino-barbari 


—  497  — 

del  secolo  Vili,  alcune  sculture  italo-bizantine  del  secolo  IX.  Sono  fram- 
menti di  plutei  coperti  di  girate  crucifere;  un  pezzo  di  pilastrino  adorno 
d' intrecciature  di  giunchi  ;  vari  fregi  scolpiti  ad  arcatine  e  mezze  rose, 
ovvero  a  treccie  e  caulicoli  ;  in  fine  una  colonnina  da  cancello  con  unito 
capitellino  a  rozze  foglie  e  a  semplici  volute»   (pag.    179). 

A  questo  secolo  ascrive  anche  la  chiesa  di  S.  Maria  di  Muggia  vecchia. 
Ciò  gli  pare  in  qualche  modo  confermato  dai  cancelli  del  presbiterio,  i  quali 
sono  senza  dubbio  lavoro  italo-bizantino  del  IX  o  del  X  secolo. 

«  In  un  angolo  del  quadriportico  della  famosa  cattedrale  del  VI  secolo 
di  Parenzo,  fra  molte  sculture  di  varia  età  ivi  raccolte,  si  vede  una  sedia 
di  marmo  senza  schienale,  solo  fiancheggiata  da  due  alti  bracciali  stranamente 
profilati.  La  fronte  di  essi  va  adorna  di  una  treccia  di  vimini  e  di  due  croci, 
e  i  fianchi  di  gigli,  caulicoli  e  cordoni.  Accusa  por  ciò  il  secolo  IX. 

»  Lo  stesso  secolo  ha  lasciato  in  Fola  ragguardevoli  lavori. 

»  Il  duomo  di  questa  città  dovette  sorgere  nel  VI  secolo,  e  somigliare 
alla  basilica  paruntina  e  alle  ravennati.  Lo  dicono  chiaro  alcuni  capitelli 
bizantini  delle  sue  navi,  certi  resti  di  pavimento  musivo  con  iscrizioni  di 
oblatori,  ritrovati  nell'  ultimo  ristauro,  insieme  con  parecchi  plutei  ecc. 

»  Una  particolarità  degna  di  nota  presentava  peraltro  questa  chiesa  nella 
sua  parte  posteriore,  offrendo  al  di  là  dell'abside  un  ambiente  rettangolare 
spartito  in  tre  campate  comunicanti  fra  loro  per  mezzo  di  arcate  sorrette 
da  colonne.  Quest'appendice  alle  navi  della  basilica  pare  fosse  destinata  ad 
accogliere  le  reliquie  dei  santi,  supplendo  in  qualche  modo  alla  mancanza 
di  confessione 

»  Nella  chiesa  odierna,  che  sorge  sulle  stesse  fondazioni  dell'antica,  è 
sparita  l' abside,  della  quale  non  avanza  che  l' arco  trionfale  alla  romana 
sorretto  da  due  colonne  isolate;  e  quello  che  nella  basilica  del  VI  secolo 
era  la  cappella  delle  reliquie  risultò  quindi  un  vero  prolungamento  delle 
navi  e  il  nuovo  presbiterio  ».  Si  chiede  poi  quando  sorse  la  presente  chiesa. 
La  lastra  di  marmo  in  forma  di  frontispizio  incastrata  nel  muro  di  fianco 
con  iscrizione  ecc.  è  di  stile  italo-bizantino  del  secolo  IX.  Riporta  qui 
le  opinioni  del  D'Agincourt  seguito  dal  Corderò,  del  Kandler,  e  da  ultimo 
del  Cleva,  col  quale,  còme  col  Pulghcr,  si  mostra  affitto  dissenziente.  Dopo 
i  lavori  di  abbassamento  del  suolo  del  presbiterio  operati  nel  1884,  appar- 
vero parecchi  capitelli  e  una  lunga  serie  di  sculture  che  all'occhio  dell'  in- 
telligente si  appalesano  tosto  dello  stile  del  secolo  IX,  e  non  del  VI.  «  I 
capitelli  rimessi  in  luce  sono  quelli  delle  colonne  oggidì  incastonate,  dividenti 
la  vecchia  cappella  delle  reliquie,  scolpiti  come  quelli  dell'arco  trionfale, 
in  quel  rozzo  corintio  a  foglie  liscie  e  a  duri  caulicoli  che  vedemmo  do- 


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minare  nelle  costruzioni  italo-bizantine  di  Roma  e  di  Verona.  Le  altre 
sculture  sono  numerosi  frammenti  di  archivolti,  di  plutei,  di  fregi,  di  pi- 
lastrini con  unita  colonnetta,  senza  dubbio  avanzi  di  qualche  recinto  di 
cappella  o  di  coro  ;  e  un  rozzissimo  leone  alato  con  libro,  simbolo  di  san 
Marco.  Ivi  lo  stile  è  prettamente  italo-bizantino  :  croci,  rose,  palme,  caulicoli 
rampanti,  ma  sopratutto  le  caratteristiche  intrecciature  di  vimini. 

«  Ora  tutte  queste  sculture  provano  ad  evidenza,  che,  se  non  tutta 
intiera  la  basilica,  certo  la  sua  abside  e  la  cappella  posteriore  ricevettero 
nel  secolo  IX  un  radicale  ristauro.  Ne  sarebbe  certo  avventato  attribuirlo 
a  quell'Andegiso  che  ricevette  nel  duomo  stesso  onorevole  sepoltura,  della 
quale  è  superstite  il  frontone  scolpito  con  ogni  probabilità  da  quelli  stessi 
artefici  che  lavorarono  entro  la  chiesa. 

»  Oltre  al  duomo,  Pola  potrebbe  mostrare  allo  studioso  un  ragguar- 
devole monumento  nel  suo  vetusto  battistero,  se  non  fosse  stato  distrutto.  Il 
Kandler,  che  ebbe  agio  di  vederlo,  ce  ne  conservò  la  descrizione  ».  L'autore 
la  riporta  (pag.  181)  e  continua  :  «  Questa  descrizione  ci  annunzia  una  sem- 
plicità tale  di  forme  e  una  tale  povertà  e  rozzezza  di  particolari,  da  farci 
nascere  il  sospetto  che  il  battisterio  risalisse  ne  più  né  meno  al  secolo  IX, 
e  che  i  suoi  capitelli  fossero  fratelli  a  quelli  ruvidissimi  del  presbiterio  del 
duomo.  Il  sospetto  poi  si  muta  quasi  in  certezza  qualora  si  guardino  i  resti 
del  tegurio  che  copriva  la  vasca  battesimale,  che  il  Kandler  scrive  essere 
stato  esagono,  formato  di  archivolti  di  marmo  sorretti  da  colonne.  Uno  di 
questi  archivolti,  per  la  maggior  parte  tuttavia  conservato,  presenta,  al  dire 
dello  stesso  scrittore,  un  monogramma  con  lettere  A  ed  E  ;  ma  da  quello 
che  ne  resta  si  capisce  che  le  lettere  erano  tre  A  N  E.  Il  Kandler,  che  non 
aveva  idea  dello  stile  del  secolo  IX  giudicò  riferirsi  il  monogramma  ad 
Antonius  Episcopus  che  sedette  nella  prima  metà  del  VI  secolo  ;  ma  con 
evidente  errore,  perchè,  palesando  gli  archivolti  nelle  belle,  complicate  ed 
ingegnose  intrecciature,  di  cui  vanno  tutti  ricoperti,  il  secolo  IX,  il  mo- 
nogramma si  dovrà  riferire  ad  un  vescovo  di  questo  tempo  e  forse  al  nostro 
Andegiso,  l'unico  nome  che  rompa  l'ampia  lacuna  esistente  nella  serie  dei 
vescovi  polani  del  secolo  IX  ». 

E  ricorda  ancora  due  colonne  con  uniti  capitelli  che  si  attribuiscono 
alla  distrutta  abbazia  di  S.  Maria  del  Canneto.  Queste,  con  una  pietra 
scolpita,  1'  autore  le  attribuisce  pure  al  secolo  IX.  E  soggiunge  : 

«  Ricco  di  sculture  di  stile  italo-bizantino  è  pure  il  Museo  di  Pola, 
stabilito  entro  e  intorno  al  famoso  tempio  d'Augusto.  Vi  sono  capitelli  di 
colonne  di  varie  misure  e  di  vario  merito,  ma  sempre  arieggiami  il  corintio  : 
taluni  con  dure  e  disadorne  foglie  e  con  barbari  caulicoli  a  %ig-%ag  ;  altri 


—  499  — 

di  buone  proporzioni  e  di  accurato  scalpello,  con  un  giro  di  eleganti  foglie, 
disgraziatamente  assai  malconce,  e  con  le  volutine  dei  caulicoli  separate  da 
certi  cordoni  verticali  distaccati  dal  vivo.  Oltre  a  questi  capitelli  vi  hanno 
numerosi  frammenti  di  fasce,  con  treccie  semplici,  iscrizioni  e  caulicoli,  fra 
le  quali  una  angolare,  con  sottoposta  guscia  gentilmente  arricchita  da  una 
scacchiera  rilevata  ;  e  da  ultimo  un  pluteo  quadrato  adorno  di  circoli  in- 
trecciati con  rette,  e  di  colombe,  similissimo  ad  uno  esistente  nel  battisterio 
di  Concordia,  e  perciò  assai  probabilmente  dello  stesso  autore»  (pag.  182). 

Colla  scorta  dell'  opera  del  Jackson,  l' autore  procede  in  Dalmazia  ; 
per  ritornare  ancora  a  Brescia  nella  Rotonda,  che  non  può  risalire  oltre 
1'  XI  secolo,  e  non  1'  Vili  o  il  IX,  come  vollero  i  più,  fra  cui  il  Dartein. 
Verosimilmente  fu  riedificata  dopo  il  terribile  incendio,  che  nel  1097  devastò 
quasi  tutta  la  città.  —  Poi  passa  a  Como  nella  chiesa  di  S.  Abondio  ;  a 
Milano  in  S.  Ambrogio,  monumento  che  minaccia  di  mettere  a  soqquadro 
tutti  i  criteri  fin  qui  esposti  dall'autore,  ma  che  viceversa  lo  conferma  in 
essi.  E  qui  si  estende  in  una  dotta  e  lunga  dissertazione,  confutando  bril- 
lantemente quanto  fu  dagli  altri  detto  su  alcune  parti  di  questo  importante 
monumento. 

«  Ma  il  più  prezioso  edifizio  del  secolo  IX  che  conservi  Milano  non 
sono  le  absidi  or  menzionate  (di  S.  Ambrogio,  di  S.  Calimero,  di  S.  Vin- 
cenzo in  Prato,  di  S.  Eustorgio  e  di  S.  Celso),  né  il  sacello  di  S.  Satiro, 
bensì  un'  intiera  e  non  piccola  basilica  da  quasi  un  secolo  fino  ad  oggi  chiusa 
al  culto,  e  per  questo,  e  perchè  confinata  in  un  angolo  della  città  assai 
remoto,  rimasta  ignorata  quasi  da  tutti  gli  studiosi  :  è  dessa  la  chiesa  di 
S.  Vincenzo  in  Prato  »  (pag.  211).  Qui  pure  l'autore  si  diffonde  dottamente, 
e  combatte  l' idea  del  nostro  prof.  Paolo  Tedeschi,  il  quale  proponeva  di 
abbattere  l'alto  presbiterio  di  questa  chiesa  aggiunto,  secondo  lui,  più  tardi. 

«  La  vecchia  maniera  basilicale,  oltre  che  dal  S.  Vincenzo  di  Milano, 
ci  ò  pure  affermata  dalla  non  meno  conservata  e  non  meno  preziosa  chiesa 
del  villaggio  di  Alliate,  nella  Brianza  »,  chiesa  eretta  dall'arcivescovo  Ansperto 
nell'  881. 

A  questo  gruppo  di  edifici  del  IX  secolo  si  rannoda  per  somiglianza 
di  stile  il  battistero  della  cattedrale  di  Biella. 

E  ritorna  a  Milano  in  S.  Eustorgio,  chiesa  rifabbricata  sul  cadere  del 
secolo  IX,  o  sul  principio  del  X,  e  che  rappresenta  il  primo  passo  dall'uso 
di  colonne  monoliti  verso  i  pilastri  a  fascio.  —  Da  qui  viene  alla  chiesa 
dei  SS.  Felice  e  Fortunato  di  Vicenza,  che  «  offre  il  più  antico  esempio 
finora  conosciuto  di  pilastrate  alternate  con  colonne,  il  più  antico  saggio  di 
piloni  a  fascio,  i  più  antichi  capitelli  di  carattere  spiccatamente  lombardo  e 


;  oo 


il  più  antico  esempio  di  base  munita  di  speroni.  Ella  perciò  è  un  monu- 
mento della  più  grande  importanza,  è  il  più  prezioso  esempio  di  transizione 
fra  il  barbaro  stile  italo-bizantino  ed  il  romanico  »  (pag.  229).  —  Quindi 
gli  da  argomento  di  dotte  riflessioni  l'abside  della  chiesa  di  S.  Stefano  di 
Verona,  opera  del  secolo  X.  Dimostra  che  l' arte  lombarda  non  è  sorta 
improvvisamente  dopo  il  mille,  ma  che  ella  andò  preparandosi  nei  secoli 
precedenti.  E  finisce  il  capitolo:  «  Epperò  quando  sonava  l'ultima  mezzanotte 
dell'  anno  mille,  gli  architetti  lombardi  dovevano  già  avere  in  serbo,  se 
non  tutti,  almeno  gli  essenziali  elementi  della  loro  nuova  arte,  frutto  dei 
lenti  ma  continui  studi  svoltisi  nello  stesso  loro  paese  per  il  corso  di  due 
secoli,  e  dei  quali  ci  fanno  sicura  testimonianza  gli  ultimi  edifizì  da  noi 
veduti  ». 

Il  capitolo  IV  tratta  de  L'Archilei  tura  nelle  Lagune  venete  dal  principio 
del  secolo  IX  all'  anno  976  (pag.  234-268). 

«  Sarebbe  tempo  sprecato  andar  in  traccia  per  Venezia  di  monumenti 
anteriori  al  secolo  IX  ».  Rialto  dovette  alla  sicurezza  della  sua  posizione 
l'alto  onore  di  diventare  circa  l'anno  810  la  sede  del  governo  della  Re- 
pubblica. Non  è  possibile  indagare  se  innanzi  l'8io  l'arte  italo-bizantina 
fosse  già  penetrata  nelle  isole  della  laguna.  Codest'arte  però  dovette  appro- 
dare a  quei  lidi  quando  i  dogi  Agnello  e  Giustiniano  Partecipazì,  intorno 
1'  anno  820,  fondarono  sul  margine  della  laguna  ad  occidente  di  Venezia 
la  celebre  chiesa  abaziale  de'  SS.  Ilalio  e  Benedetto.  E  racconta  le  vicende- 
di  questa  chiesa,  eh'  or  più  non  esiste  che  in  pochi  avanzi.  E  prima  di 
proseguire  apre  una  lunga  parentesi  per  far  notare,  che  fu  assai  breve  nelle 
lagune  il  dominio  assoluto  dell'arte  italo-bizantina,  poiché  ben  presto  ella 
si  trovò  di  fronte  all'  arte  greca,  «  la  quale  venne  a  contrastarle  il  campo 
e  a  rubarle  molte  belle  occasioni  d'  esercitarsi,  terminando  col  sopraffarla 
e  spegnerla  totalmente  »  (pag.  237).  La  qual  tesi  viene  poi  dall'autore  ap- 
poggiata con  fatti  storici.  Prima  che  a  Venezia  però,  gli  artisti  greci  ap- 
prodarono a  Grado,  «  allora  la  Gerusalemme  delle  lagune,  e  vi  avevano 
operato  parecchi  lavori  ».  E  li  nomina. 

Ritornando  a  Venezia,  non  si  ferma  a  stabilire  la  primitiva  forma,  le 
dimensioni  ecc.  di  S.  Marco.  Il  lettore  troverà  questi  particolari  «  ampia- 
mente svolti  nella  parte  seconda  del  testo  della  grand'opera  edita  dall'Ongania 
intorno  alla  basilica  stessa,  ove  io  scrivo  la  storia  architettonica  dell'edificio, 
C  per  ciò  mi  restringo  qui  alle  conclusioni  di  quello  studio  »  (pag.  242). 

Del  resto  Venezia  sa  offrire  del  secolo  IX  quello  che  nessun'altra  cittì 
d' Italia  potè  mostrarci,  cioè  alcuni  avanzi  di  abitazioni.  E  le  nomina. 


—  501  _ 

Fuori  di  Venezia  e  di  Grado,  non  si  trovano  nelle  lagune  altri  lavori 
greci  del  secolo  IX  che  nel  Museo  di  Torcello. 

Fuori  delle  lagune  venete,  in  tre  sole  cittA  egli  ha  trovato  traccie  dello 
stile  bizantino  del  detto  secolo,  a  Padova,  a  Bologna  e  ad  Ancona. 

«  L'arte  italo-bizantina  del  secolo  IX  e  della  prima  metà  del  X  non  è 
rappresentata  in  Venezia  da  alcuna  costruzione  superstite,  poiché  1'  unica 
che  gli  resta  da  accennare,  offrendo  nei  particolari  piuttosto  il  fare  bizantino 
che  l' italiano,  non  può  testimoniare  l' intervento  dell'  arte  indigena.  Tale 
è  la  cripta  di  S.  Zaccaria  »  (pag.  258). 

«  Le  sole  opere  d"  architettura  italo-bizantina  che  i  secoli  ci  abbiano 
risparmiato  sono  a  Torcello  »  (pag.  263).  E  insieme  con  questo  duomo 
dev'  essere  stata  edificata  o  rifabbricata  la  chiesa  attigua  di  S.  Fosca. 

«L'isola  più  ricca  di  sculture  italo-bizantine  è  Murano»  (pag.  265). 
Il  suo  celebre  duomo  dovette  certo  subire  nel  secolo  IX  una  riedificazione, 
od  un  radicale  restauro. 

Il  capitolo  V  tratta,  infine,  de  L'Architettura  nelle  lagune  e  nel  Veneto 
—  Dall'  anno  yj6  alla  metà  del  secolo  XI  (pag.  268-294). 

«  La  basilica  di  S.  Marco,  quale  fu  inalzata  dai  Partecipazì,  durò  fino 
al  976,  nel  quale  anno,  essendosi  il  popolo  sollevato  contro  il  doge  Pietro 
Candiano  IV  e  avendo  appiccato  il  fuoco  al  palazzo  ducale,  le  fiamme  di 
qui  si  comunicarono  pure  alla  chiesa  e  la  guastarono  considerevolmente. 
Rimastovi  ucciso  1'  odiato  principe,  il  berretto  ducale  fu  posto  sul  capo  a 
Pietro  Orseolo  I,  del  quale  fu  prima  cura  di  restaurare  con  le  sue  proprie 
sostanze  insieme  col  palazzo  anche  la  basilica  di  S.  Marco  ».  Né  la  rifece 
per  intiero,  ma  solo  risarcì  1'  edificio  dai  danni  patiti.  Ed  esamina  quanto 
è  rimasto  di  codesto  risarcimento.  «  La  basilica  di  S.  Marco  ebbe  la  buona 
ventura  di  esser  preda  delle  fiamme  nel  tempo  in  cui  l'arte  bizantina,  giunta 
all'apogeo  di  questo  primo  risorgimento,  potè  restaurarla  con  magnificenza 
e  impreziosirla  con  le  sue  belle  produzioni  »  (pag.  270). 

Poi  esamina  alcuni  cimeli  dell'epoca  rimasti  dalla  chiesa,  ora  dirutta, 
di  S.  Maria  in  Gerusalemme,  o  delle  Vergini. 

«  Intorno  all'anno  mille  dovett'essere  riedificata  la  chiesa  di  S.  Eufemia 
alla  Giudecca,  e  di  questo  tempo  sono  le  colonne  e  capitelli  dell'odierna, 
frammisti  ad  altri  di  più  vecchia  data  ». 

Di  maggiore  importanza  è  in  Venezia  la  troppo  dimenticata  chiesa  di 
S.  Giovanni  decollato  costruita  nel  1007. 

«  Venezia  conserva  un  numero  abbastanza  considerevole  di  sculture 
neo-bizantine  della  fine  del  X  secolo,  o  del  principio  del  seguente,  che  hanno 


—  502  — 

ornato  case  e  palazzi  di  quel  tempo,  e  poi  furono  rimesse  in  opera  su  nuove 
costruzioni  »  (pag.  278).  E  l'autore  conduce  il  lettore  intorno  per  Venezia 
a  mostrargliele. 

E  ritorna  a  Torcello,  nella  cui  basilica,  riabbellita  nel  1008,  trova  molte 
pregevolissime  sculture  dell'epoca.  Ed  altre  sculture  trova  ancora  nel  duomo 
di  Murano,  e  in  quello  di  Caorle  «  la  costruzione  più  ragguardevole  della 
prima  meta  del  secolo  XI  che  resti  »  (pag.  289)  —  nel  chiostro  del  con- 
vento di  S.  Antonio  di  Padova,  e  nella  chiesa  di  S.  Sofia  in  Padova. 

«  Ma  dove  non  arrivò  il  benefico  raggio  dell'  arte  neo-bizantina,  ivi 
l' arte  indigena  anche  verso  la  metà  del  secolo  XI  si  mantenne  rozza  e 
direbbesi  barbara,  come  quella  del  IX  secolo.  Ciò  è  chiaramente  dimostrato 
dalla  cattedrale  di  Aquileja  inalzata  dal  patriarca  Popone  fra  il  1019  e 
il  1025  »  (pag.  292). 

Ed  accenna  che  la  vasta  basilica  forse  fu  ricostrutta  sulle  basi  di  una 
del  IV  secolo.  L'  origine  romana  del  duomo  aquilejese  è  confermata,  fra 
altro,  anche  dal  battisterio  che  gli  sorge  dinanzi.  «  Esso  è  discosto  tanto 
dalla  fronte  della  basilica,  da  poter  concedere  lo  spazio  ad  un  quadriportico 
anche  più  vasto  di  quello  di  Parenzo  »  ;  e  non  dubita  che  in  origine  vi 
fosse. 

E  chiude  il  bel  libro  : 

«  Se  da  Aquileja  movessimo  ora  per  l' Istria ci  accorgeremmo 

esser  stata  questa  il  prototipo  di  parecchie  chiese  erette  lungo  le  coste  di 
quella  penisola,  chiese  che  appartengono  all'  XI  secolo  avanzato,  e  per  ciò 
si  avvantaggiano  spesso  per  arte  sul  loro  modello  aquilejese.  Ma  ciò  mi 
farebbe  dilungare  dal  programma  che  mi  sono  imposto,  al  quale  spero  aver 
soddisfatto  a  sufficienza,  anche  fermando  qui  le  mie  ricerche.  Il  risultato 
di  queste,  niuno  può  negarlo,  ha  rovesciato  la  vecchia  storia  dei  monumenti 
dei  secoli  che  abbiamo  scorso  ;  ma  le  loro  ultime  conseguenze  si  ranno- 
deranno forse  esattamente  e  si  accorderanno  pacifiche  con  la  storia  che 
comunemente  corre  dell'arte  in  Italia  dopo  il  mille  ?  Io  ne  dubito  assai,  ed 
ho  anzi  motivo  di  credere  per  fermo,  che  uno  studio  di  monumenti  po- 
steriori a  quella  data,  ampio,  profondo,  minuzioso,  scevro  da  preconcetti  e 
da  partigianerie  condurrebbe  a  risultati  così  inattesi  e  nuovi  da  far  mutare 
faccia  anche  alla  storia  della  nostra  arte  romanica.  Un  simile  tema  ha  su 
me  cosi  seducenti  attrattive,  che  assai  difficilmente,  se  avrò  vita  e  mezzi, 
potrò  sfuggire  alla  tentazione  di  farlo  soggetto  de'  miei  futuri  studi  e  di 
rvuovo  libro  ». 

Ma  fatalmente  il  nuovo  libro  non  potrà  altrimenti  esser  fatto,  per  la 
morte  ahi  !  troppo  prematura  del  suo  autore,  5VC.  T, 


ATTI  DELLA  SOCIETÀ 


IL  IV  CONGRESSO  ANNUALE 


DELLA 


SOCIETÀ  ISTRIANA  DI  ARCHEOLOGIA  E  STORIA  PATRIA 


|l  giorno  7  settembre  1889  ebbe  luogo  a  Parenzo,  nella  sala  della 
3  Dieta  provinciale,  il  quarto  Congresso  sociale,  presieduto  dal  Vice- 
presidente on.  aw.  Andrea  don.  Amoroso,  delegato  dal  Presidente  on.  Carlo 
De  Franceschi,  impedito  per  malattia. 

Stavano  all'  ordine  del  giorno  i  seguenti  punti  : 

/.  Resoconto  morale  della  Società  per  gli  anni  1887  e  1888  ; 

2.  Esposizione  dei  conti  consuntivi  degli  anni  18S7  e  1S88,  e  di  quelli  di 

previsione  per  gli  anni  1889  e  1890; 
j.  Elezione  della  Direzione  per  la  durata  del  VI  anno  sociale; 
4.  Eventuali  proposte  di  singoli  soci. 

Aperto  il  Congresso  poco  dopo  le  ore  1 1  ant.,  1'  on.  dott.  Amoroso 
scusò  dapprima  l'assenza  del  Presidente,  poi  commemorò  un  lungo  stuolo 
di  carissimi  colleghi,  fra'  quali  alcuni  particolarmente  benemeriti  della  nostra 
Associazione.  Cominciò  dal  tanto  compianto  comm.  Francesco  dott.  Vidulich, 
siccome  quello  che,  comprendendo  l'altissimo  concetto  civile  che  è  riposto 
nell'Associazione  storica,  pose  in  essa,  fino  dalla  sua  origine,  ogni  migliore 


—  5°6  — 

affezione,  e  le  fu  annualmente  munifico  di  generosi  doni.  Perciò  la  Direzione 
si  associò  al  lutto  generale  al  momento  della  sua  morte,  deponendo  in  nome 
della  Società  su  quella  tomba  venerata  fiori  e  corone. 

E  con  lui  lamentò  pure  la  morte  avvenuta  dei  soci  P.  Cerovaz  da 
Pinguente,  C.  d' Ambrosi  da  Buje,  A.  march.  Gravisi  da  Capodistria,  P. 
dott.  Millevoi  da  Albona,  L.  de  Venier  da  Parenzo,  D.  Verginella  da  Cit- 
tanova,  F.  Danelon  da  Parenzo,  avv.  A.  dott.  Barsan  ed  E.  Schram  da  Pola, 
G.  N.  Mahorsich  da  Trieste  e  F.  Zudenigo  da  Parenzo,  in  tutto  12  soci: 
un  vero  cimitero  di  croci  alzatesi  fra  le  nostre  file  non  molto  numerose. 

Premesso  questo,  il  dott.  Amoroso  invita  gì'  intervenuti  ad  alzarsi  dai 
loro  seggi,  dando  così  espressione  della  partecipazione  di  tutti  a  tanti  lutti, 
il  che  è  anche  seguito. 

Ma  oltre  ai  morti  —  continua  l'oratore  —  abbiamo  avuto  in  questo  scorcio 
di  tempo  7  rinuncie  di  soci,  mentre  altri  8  soci  si  dovettero  considerare 
come  usciti  di  fatto  dalla  Società  pel  mancato  pagamento  di  più  annate  del 
canone  sociale.  Così  la  Società,  da  più  che  200  soci  che  contava,  è  scesa 
rapidamente  a  183  soltanto,  nonostante  l'aggregazione  successiva  di  alquanti 
nuovi  soci  ;  numero  questo  ben  esiguo  di  confronto  alla  mitezza  dell'annuo 
canone,  largamente  ricompensato  ai  soci  dal  valore  materiale  delle  periodiche 
pubblicazioni,  ed  a  quella  più  impressata  partecipazione  alla  Società  che  noi 
fidavamo  di  trovare  nella  parte  colta  degli  istriani,  i  quali  non  possono 
ignorare,  che  il  più  valido  campo  di  difesa  e  preservazione  della  nostra  lingua 
e  civiltà  da  ogni  nemico  attacco,  ci  viene  appunto  somministrato  da  quella 
millenaria  storia  nostra,  che  non  si  cancella,  e  dinanzi  alla  quale  è  pure 
forza  che  s' inchinino,  abbenchè  riluttanti,  anche  coloro  che  vorrebbero 
disconoscere  i  suoi  limpidissimi  dettati. 

Però  —  soggiunse  —  noi  abbiamo  argomento  di  confortarci  nel  fatto, 
che  le  pubblicazioni  sociali  e  il  Museo  provinciale  vadano  fermando  sempre 
più  su  di  noi  l'attenzione  d'insigni  Società  scientifiche  indigene  e  straniere, 
nonché  di  dotti,  accrescendo  in  tal  modo  i  nostri  rapporti  con  questi  e  con 
quelle,  non  senza  vantaggio  e  decoro  della  provincia  nostra.  Finanziariamente 
si  può  tirare  innanzi,  ma  più  che  il  danaro  noi  invochiamo  1'  appoggio 
morale  e  la  cooperazione  dei  nostri  comprovinciali,  sui  quali  principalmente 
fondiamo  la  forza  della  nostra  Società. 

A  questo  punto  il  Presidente  concede  la  parola  al  sig.  dott.  M.  Tamaro, 
Segretario,  per  1'  esposizione  del  resoconto  morale  della  Società  nell'  anno 
peste  decorso.  Ciò  stante  il  Segretario  dà  lettura  della  seguente 


—  507  — 

RELAZIONE. 

Onorevolissimi  Signori. 

È  già  trascorso  da  oltre  un  mese  il  primo  lustro  dal  giorno  in  cui  noi 
ci  raccoglievamo  in  questo  stesso  luogo,  pieni  di  fede  e  di  patria  carità,  a 
mettere  le  prime  basi  della  nostra  storica  Associazione.  Non  fu  quello  il 
prodotto  di  momentanei  esaltati  propositi,  fu  l'affermazione  esplicita  e  solenne 
d'  un  bisogno  lungamente  sentito  e  seriamente  maturato  dai  più  chiari  e 
benemeriti  comprovinciali.  Avvegnaché  si  reputasse,  nell'infelicità  dei  tempi 
che  corrono,  essere  codesta  la  più  nobile,  la  più  eloquente  delle  affermazioni 
che  un  popolo  aspirante  a  civiltà,  a  coltura,  a  rispetto  possa  dare.  Questa 
eziandio  la  pietra  di  paragone  di  quanto  amore  veramente  efficace  sieno 
avvinti  tutti  gl'istriani  alle  loro  antiche  tradizioni,  alla  loro  lingua,  alla  loro 
storia,  al  culto  delle  loro  sacre  memorie. 

Però,  voi  ben  sapete,  o  Signori,  quanto  sieno  difficili  i  principi,  e  quanto 
tempo  debba  trascorrere  perchè  una  Società  di  natura  puramente  scientifica 
possa  disviluppare  i  benefici  della  sua  attività,  della  sua  influenza.  Nel  giorno 
24  luglio  del  1884  —  che  fu  giorno  inaugurale  della  «Società  istriana  di 
archeologia  e  storia  patria  »  —  noi  tutti  eravamo  bensì  compresi  dell'alta 
missione  a  cui  ci  sentivamo  chiamati  di  fronte  a  noi  stessi  ed  agli  estranei;  ma 
difficile  se  non  dubbio  tuttavia  ci  si  parava  ai  nostri  piedi  il  sentiero,  incerto 
l'avvenire.  Si  navigava,  per  noi,  in  un  mare  ancora  ignoto;  mal  sicuri  erano 
i  mezzi  per  raggiungere  la  meta  che  ci  eravamo  prefissa.  Or  gode  l'animo 
di  poter  dire,  che  i  primi  più  scabrosi  scogli  furono  felicemente  superati, 
e  che  il  mare  che  sta  ora  aperto  dinanzi  a  noi  può  essere  con  meno  esitanze 
navigato.  Giunti  pertanto  alla  fine  del  primo  quinquennio,  non  sarà  forse 
senza  frutto,  volti  indietro,  di  «  rimirar  lo  passo  »,  sia  a  conforto  di  quelli 
che  si  resero  iniziatori  del  nostro  sodalizio,  sia  a  sprone  agli  altri  di  seguirne 
le  traccie  già  ben  delineate. 

Due  scopi  principali  e  pratici  ebbe  la  nostra  Società  :  1°  rendersi  editrice 
d'  una  pubblicazione  periodica,  nella  quale  si  dovesse  ammassare,  come  in 
un  magazzino  o  in  un  archivio,  degli  utili  materiali  allo  sviluppo  ed  al 
completamento  della  nostra  storia,  presa  in  lato  senso  —  20  conservare 
in  un  Museo  provinciale  tutto  quanto  di  prezioso  in  senso  etnografico 
ed  archeologico  fosse  dato  di  raccogliere  entro  i  confini  della  nostra  pe- 
nisola. 


—  jo8  — 

Ed  or  vediamo  quanto  e  in  che  modo  noi  abbiamo  raggiunto  codesti 
scopi. 

Per  quanto  concerne  alle  pubblicazioni  sociali  —  considerati  ben'  inteso 
i  mezzi  di  cui  si  poteva  disporre  —  io  credo  di  non  esagerare  dicendo  : 
essersi  persino  superate  le  aspettative  dei  più  esigenti.  Le  Direzioni  che  si 
sono  seguite,  quantunque  non  avessero  presa  formale  impegnativa  sulla 
quantità  e  qualità  del  materiale  da  pubblicarsi,  hanno  mantenuto  tuttavia  il 
costume  di  darvi  ad  ogni  semestre  un  volume  che  superò  sempre  le  200 
pagine  di  stampa,  buona  metà  del  quale  fu  sempre  riempiuto  di  documenti 
o  di  regesti  affatto  inediti,  mentre  l'altra  metà  era  conceduta  a  lavori  ori- 
ginali di  nostri  consoci  e  collaboratori.  Calcolato,  dunque,  il  Fascicolo  unico 
edito  all'inaugurazione  della  nostra  Società,  noi  abbiamo  dato  19  fascicoli 
di  pagine  complessive  223  1  —  il  che  importa  appunto  oltre  200  pagine  per 
semestre,  nei  dieci  semestri  superati  dall'  esistenza  sociale. 

Ma  le  pubblicazioni  non  si  valutano  dal  numero  delle  pagine,  sibbene 
dall'entità  loro,  che  è  quanto  dire  dalla  bontà  del  materiale  in  esse  capito. 
Ora  io  credo,  per  quanto  almeno  riguarda  i  documenti  e  i  regesti,  che 
la  parte  già  pubblicata  corrisponda  a  quella  bontà  che  è  ricercata  e  desiderata 
dagli  studiosi  di  cose  patrie    -   ch'essa  sia,  cioè,  di  grande  valore  storico. 

Voi  sapete,  a  cagion  d'esempio,  quanta  importanza  ora  si  annetta  dai  dotti 
alle  Relazioni  degli  ambasciatori  o  provveditori  veneti.  Quella  forte  aristo- 
crazia di  mercanti  ch'era  la  Repubblica  veneta  aveva  stabilito  fin  dall'anno 
1268,  che  ciascun  ambasciatore,  compiuto  il  suo  ufficio,  dovesse  fare  al 
Senato  una  Relazione  delle  cose  operate  ed  osservate  durante  la  legazione: 
ed  un'  altra  legge  1'  obbligava  a  scrivere  la  Relazione  e  a  depositarla  negli 
archivi  della  Repubblica,  dove  rimaneva  segreta  e  non  poteva  essere  letta 
neppure  dai  Senatori.  Ed  altrettanto  avveniva  per  i  provveditori  veneti  che 
erano  spediti,  a  guisa  dei  prefetti,  dei  commissari  governativi  o  dei  luogo- 
tenenti d'  oggi,  nelle  varie  provincie  dello  Stato.  Ed  ecco  perchè  codeste 
Relazioni  acquistarono  grande  fama,  e  negli  ultimi  tempi  se  ne  sono  pub- 
blicati dei  grossi  volumi.  Noi  pure  abbiamo  pubblicato  sei  Relazioni  di 
provveditori  veneti  suli'  isola  di  Veglia  —  cinque  del  secolo  XVI  ed  una 
del  secolo  XVII  —  undici  di  provveditori  che  ressero  la  provincia  al  tempo 
della  guerra  di  Gradisca  e  dopo  (1616-1634);  ed  altre  dieci  dei  capitani  di 
Raspo,  dal  1635  al  1784.  In  tutto,  dunque,  ventisette  Relazioni,  le  quali, 
unite  a  quelle  che  furono  già  stampate  nei  due  volumi  :  Notizie  storiche  di 
Pola  e  Notizie  storiche  di  Montona,  ci  danno  un  materiale  copioso  quanto 
interessante  e  veritiero  per  conoscere    almeno  una  parte   della  storia   della 


—  5°9  — 

nostra  provincia.  Vero  è  che  le  Relazioni  dei  nostri  provveditori  non  si 
possono  paragonare  a  quelle  degli  ambasciatori  più  sopra  ricordati,  imperocché 
quest'ultime  riflettessero  nazioni  e  stati  che  hanno  avuto  una  storia  propria; 
mentre  la  nostra  non  è  che  storia  di  riflesso  ;  tuttavia  anche  le  nostre  sono 
molto  pregevoli,  non  solo  per  la  parte  che  ci  riguarda,  ma  come  documento 
del  governo  veneto  nelle  parti  a  lui  aggregate.  Credo,  infine,  che  codesto 
sia  un  pregevole  contributo  non  solo  per  la  nostra  storia,  ma  anche  per  la 
veneta  e,  in  qualche  parte,  per  1'  universale. 

Ed  altrettanto  importanti  sono  le  Commissioni  dei  Dogi  ai  Podestà  veneti 
dell'  Istria  da  noi  pubblicate,  con  una  dotta  prefazione  dell'  on.  consocio 
prof.  Benussi.  Come  sapete,  queste  Commissioni  appartengono  in  massima 
parte  al  secolo  XIV,  e  per  varie  terminazioni  risalgono  ben  addentro  nel 
secolo  XIII  —  epoca  ingarbugliatissima  e  per  la  nostra  storia  molto  incerta, 
in  quanto  coincida  col  tempo  in  cui  i  nostri  Comuni,  approfittando  della 
debolezza  del  dominio  patriarchino.  tentassero  da  una  parte  di  rendersi  o 
mantenersi  indipendenti,  mentre,  stretti  da  fortuite  angustie,  cercassero  dal- 
l'altra la  protezione  della  veneta  Repubblica,  pronta  sempre  ad  accordarla, 
fino  al  punto  di  convertirla  in  stabile  dominio.  Le  Commissioni,  pertanto, 
come  scrisse  il  cav.  Luciani,  ci  svelano  tutto  un  sistema  di  governo,  il 
sistema  veneto  applicato  all'  Istria,  sistema  del  quale  non  sarebbe  esagerato 
il  dire  —  come  argutamente  osservò  il  Benussi  —  che  perdurano  le  con- 
seguenze, perchè  incarnatosi  nelle  abitudini  e  nelle  opinioni  del  popolo 
nostro.  «  Ci  fanno  conoscere,  in  una  parola,  le  norme  direttive  eh'  esso 
governo  seguiva  nell'  amministrazione  della  provincia  e  delle  citta,  e  gli 
scopi  cui  intendeva  sì  in  linea  politica  che  economica  »  '). 

Né  meno  interessanti  per  la  storia  del  diritto  sono  i  due  Statuti  da  noi 
pubblicati,  quello  di  Veglia  e  l'altro  d' Isola  —  Il  primo  preceduto  da  una 
esauriente  prefazione  dell'on.  consocio  Vassilich  ;  il  secondo  da  una  lunga 
e  ben  elaborata  monografia  dell'on.  consocio  prof.  Morteani.  Non  parlo  di 
questa  ne  di  quella  per  non  offendere  la  modestia  degli  egregi  autori,  sic- 
come quelli  anche  che  mi  furono  colleghi  nella  Direzione.  Dirò  bensì  che 
in  questo  —  nella  pubblicazione  degli  Statuti  —  la  Direzione  si  è  fatta  un 
dovere  di  seguire  le  orme  del  tanto  benemerito  dott.  Kandler,  che  fu  il  primo 
a  ricuperare  non  solo  parecchi  di  codesti  codici,  che  altrimenti,  forse,  sa- 


')  Benussi.  Prefazione. 


-  fio  - 

rebbero  andati  smarriti,  ma  anche  si  diede  a  stampare  o  a  ristampare  i  più 
importanti,  assicurandone  in  tal  modo  la  loro  perpetuità.  Cosi  possediamo 
ora  ristampati,  oltre  ai  su  detti,  gli  Statuti  di  Capodistria,  di  Firano,  di 
Buje,  di  Cittanova,  di  Parenzo,  di  Rovigno  e  di  Pola.  Si  conservano  poi 
manoscritti  quelli  di  Umago,  di  Due  Castelli,  di  S.  Lorenzo  del  Pasenatico, 
di  Pinguente,  di  Valle,  di  Ossero,  di  Muggia  e  di  Montona.  Non  dico  che 
tutti  sieno  meritevoli  di  ristampa  ;  di  alcuni  basterà  forse  riassumere 
il  contenuto,  come  ha  fatto  lodevolmente  1'  on.  consocio  Vesnaver,  nella 
diligente  sua  monografia  su  Grisignana  da  noi  pubblicata,  per  lo  Statuto 
spettante  a  quel  castello,  già  residenza  del  Pasenatico  citra  aquam.  Come 
si  vede,  anche  in  questo  proposito,  abbiamo  già  raccolto  un  ricco  ed  im- 
portante materiale  ;  ed  ora  «  sarebbe  desiderabile  —  ripeterò  quello  che 
disse  il  prof.  Morteani  ')  —  che  qualche  dotto  si  mettesse  a  fere  uno  studio 
comparativo  degli  Statuti  istriani,  ne  rilevasse  le  antiche  consuetudini,  in- 
vestigasse le  traccie  rimaste  dell'  influenza  straniera  e  ne  studiasse  la  parte 
derivata  dal  diritto  romano,  perchè  soltanto  dopo  un  simile  esame  critico 
si  potrà  avere  un  criterio  completo  della  legislazione  statutaria  dell'Istria». 

Vi  ho  già  parlato  altra  volta  della  preziosità  delle  Pergamene  rintracciate 
nell'  Archivio  arcivescovile  di  Ravenna,  siccome  quelle  che  ci  tratteggiano 
i  sistemi  processuali  e  di  giudicatura,  e  le  relazioni  allora  (secolo  XI  e  XII) 
esistenti  fra  la  Polesana  e  l'Arcivescovato  della  detta  città.  Di  quel  tempo, 
generalmente  oscuro,  si  hanno  scarse  ed  incerte  notizie  ;  fu  dunque  provvi- 
denziale di  rovistare  negli  archivi  ravennati,  i  quali,  se  non  diedero  copiosa 
messe  di  documenti,  la  bontà  dei  pochi  ritrovati  ci  venne  a  compensare 
della  scarsità  loro.  Alle  16  Pergamene  da  noi  già  pubblicate,  dei  secoli  XII 
e  XIII,  faranno  sèguito  delle  altre  ritrovate  nell'Archivio  classense,  per  la 
decifrazione  delle  quali  abbiamo  ancora  impegnato  il  noto  paleografo  mons. 
can.  de  Rosa. 

Dobbiamo  alla  munificenza  della  Dieta  provinciale  ed  all'instancabilità 
del  nostro  comprovinciale  on.  cav.  Luciani  se  abbiamo  potuto  già  pubblicare 
più  centinaia  di  pagine  di  quei  regesti  che  s' intitolano  dai  Senato  Misti  e 
Senato  Segreti.  Dalle  compendiose  quanto  precise  notizie  che  il  sullodato 
cav.  Luciani  ha  premesso  ai  Senato  Misti  *)  rileviamo,  che  sotto  codesto 
titolo  «  si  comprende  la  più  antica  serie  conosciuta  delle  Parti  (deliberazioni, 


')  Prefazione  allo  Slattilo  a"  Isola. 

*)  Vedi  voi.  Ili,  fase.  3  e  4,  pag.  209. 


—  su  — 

decreti)  del  Senato  (Rogatorum,  Pregadi)  trascritte  in  volumi  denominati 
Registri.  La  serie  incominciava  nel  1293,  ma  dei  Registri  anteriori  al  1332 
non  esiste  che  un  solo  brano,  né  si  ha  per  supplirvi  che  la  Rubrica  (Indice) 
la  quale  va  fino  al  1336.  —  Dal  1332  la  serie  dei  Registri  è  continuata 
fino  al   1440  ». 

«  Le  principali  serie  particolari  uscite  dai  Misti  (ai  quali  dopo  la  isti- 
tuzione dei  Secreti,  non  era  rimasta  che  la  parte  strettamente  amministrativa) 
sono  i  Senato-terra  e  Senato-mar.  Incominciate  nel  1440  continuarono  senza 
interruzione  fino  alla  caduta  della  Repubblica  (1797)  ». 

Ora  di  codesti  Senato  noi  non  abbiamo  pubblicato  che  una  piccola 
parte;  e  precisamente  i  Misti  vanno  dal  marzo  del  1332  all'ottobre  del  1385  ; 
i  Secreti  dal  novembre  1403  al  marzo  1502.  Quanto  materiale  resti  ancora 
da  estrarre  dall'  Archivio  di  Venezia,  e  quindi  da  pubblicarsi,  lascio  a  voi 
il  pensare.  Certo  è  ad  ogni  modo  che  siffatta  pubblicazione  andrà  acqui- 
stando sempre  più  grandissimo  interesse,  avvegnaché  essa  costituisca  una 
vera  miniera  dalla  quale  i  nostri  studiosi  potranno  trarre  copia  di  peregrine 
notizie,  non  solo  politiche  ed  amministrative,  ma  sociali,  personali  e  locali, 
nonché  conoscere  molteplici  relazioni  di  consuetudini  e  rapporti  di  diritto. 

E  importantissimi  documenti  sono  del  pari  quelli  da  noi  pubblicati  sotto 
il  titolo  di  Processi  di  luteranismo  in  Istria  ;  e  quelli  di  mons.  can.  Caenazzo 
nei  due  lavori  :  /  Morìacchi  nel  territorio  di  Rovigno  —  Origine  e  progresso 
di  alcuni  istituti  di  beneficenza  a  Rovigno  ;  e  gli  altri  del  prof.  Benussi  in 
appendice  al  suo  lavoro  Abitanti,  animali  e  pascoli  in  Rovigno  e  suo  territorio 
nel  secolo  XVI  —  per  non  dire  di  parecchi  altri  documenti  inediti  occasio- 
nalmente intarsiati  quasi  in  ogni  libero  lavoro  da  noi  pubblicato;  e  di  quelli 
dati  alla  luce  a  guisa  di  note  volanti,  come  per  esempio  furono  i  Documenti 
dell'Archivio  di  Ragusa  riguardanti  l'Istria,  regalatici  dall'on.  prof.  Gelcich, 
e  così  via. 

La  Direzione  ha  poi  pensato,  come  tributo  di  ammirazione  e  di  rico- 
noscenza verso  il  nostro  grande  archeologo,  dott.  Pietro  Kandler,  di  pub- 
blicare subito  nei  primi  fascicoli  l'ancora  inedita  di  lui  Introduzione  al  Codice 
delle  Epigrafi  romane  scoperte  in  Istria  —  memori  che  il  genio  del  Kandler 
significa  per  noi  romanità  perfetta,  che  é  quanto  dire,  in  senso  culturale  e 
geografico,  perfetta  italianità.  Né  questo  é  un  criterio  avventato  o  di  cir- 
costanza ;  così  ci  hanno  sempre  giudicati  e  geografi  e  storici  e  politici  e 
prosatori  e  poeti  dai  tempi  antichissimi  fino  ai  nostri  giorni.  Nella  nostra 
provincia  nessun'altra  civiltà,  mai,  fuorché  la  latina  prima,  l' italiana  di  poi, 
si  é  affermata  in  qualche  modo.  Verità  questa  che  é  divenuta  coscienza 
pubblica,  perché  confermata  da  tutti  gli  scrittori  e  cresimata  dai  secoli.  Al 

11 


—    512    — 

principio  del  secolo  XVII  D.  Fortunato  Olmo  che  dettava  la  Descrittione 
dell'  Histria  —  operetta  da  noi  pubblicata  —  giudicava  storicamente  la 
nostra  provincia  come  la  giudicò  Plinio,  come  la  fece  conoscere  Kandler. 
Mons.  Gasparo  Negri  —  del  quale  abbiamo  potuto  pubblicare  12  capitoli, 
i  soli  rinvenuti,  delle  sue  Memorie  sloriche  della  città  e  diocesi  di  Parendo  — 
avrebbe  pur  esso  convalidata  col  largo  e  sereno  suo  ingegno  codesta  verità, 
in  un  libro  organicamente  elaborato,  se  la  morte  non  lo  avesse  cólto  proprio 
allora  che  stava  correggendo  il  suo  lavoro. 

Ben  disse  il  massimo  dei  nostri  poeti,  Dante  Alighieri  '),  che  gì'  istriani 
s' esprimevano  con  «  aspri  accenti  »  ;  i  saggi  linguistici  che  abbiamo  dati 
noi  di  quel  tempo  circa,  vengono  a  testimoniare  la  sentenza  del  primo 
filologo  italiano.  Intendo  ricordare  lo  Statuto  della  Confraternita  della  B.  V. 
di  Campagnana  di  Rovigno,  scritto  in  volgare  del  1323,  e  pubblicato  da 
mons.  Caenazzo  nel  voi.  II  fase.  30  e  40  dei  nostri  Atti  e  Memorie.  E  di 
egual  valore  filologico  sono  pure  i  6  Testamenti  dei  secoli  XIV  e  XV  da 
noi  pubblicati  nel  voi.  Ili  fase.  30  e  40,  e  appartenenti  alla  raccolta  dei 
testamenti  della  Vicedominaria  di  Pirano.  Ma  questi,  ripeto,  non  sono  che 
saggi,  tanto  da  richiamare  l'attenzione  degli  eruditi  anche  su  codesto  campo 
della  filologia,  per  quanto  almeno  concerne  la  lingua  parlata  dai  nostri  an- 
tichi avi  ;  la  quale,  se  era  aspra,  non  cessava  per  questo  di  essere  sempre 
italiana,  discendente  cioè,  come  ogni  altro  dialetto  italico,  dalla  madrelingua, 
la  latina. 

Dal  campo  storico,  documentale  e  filologico  passo  all'  archeologico. 

La  Direzione  fu  sempre  vigile  nel  rintracciare  e  conservare  le  antiche 
iscrizioni,  sieno  state  romane  o  cristiane.  Dal  1884  al  1888  se  ne  sono 
potute  ricuperare  50,  d'una  e  d'altra  sorte,  che  voi  vedeste  riprodotte  in 
vari  fascicoli,  illustrate  dai  chiariss.  signori  avv.  Gregorutti  e  cav.  Luciani. 
Al  primo  noi  dobbiamo  ancora  le  dotte  illustrazioni  della  Tessera  ospitale 
di  Parendo,  e  dell'  Instrumentum  domeslicum,  che  è  quanto  dire  dei  cocci 
bollati  da  noi  raccattati  nei  vari  siti  della  nostra  provincia.  Dobbiamo  poscia 
all'  on.  prof.  Alberto  Puschi  l' illustrazione  D'  un  conlorniato  inedito  trovato 
in  Istria;  come  dobbiamo  all'on.  cav.  D.  Pulgher  la  Relazione  ed  illustrazione 
di  alcuni  cimeli  ritrovati  negli  scavi  del  duomo  di  Pola.  Il  qual'  ultimo  lavoro 


')  Nel  De  Vulgarì  Eloquio. 


—  5i3  — 

mi  richiama  alla  memoria  l'altro  del  pari  diligente  e  dotto  di  mons.  Cleva, 
il  quale  ci  diede,  con  qualche  iscrizione  inedita,  le  Notizie  storiche  del  duomo 
di  Pola. 

E  per  salire  più  addentro  ancora  ricorderò  i  lavori  preistorici  del  nostro 
Vicepresidente,  on.  dott.  Amoroso,  siccome  quelli  che  richiamarono  sopra 
di  sé  e  sopra  le  scoperte  da  noi  fatte  nei  vetusti  castellieri  l'attenzione  dei 
più  chiari  cultori  delle  paletnologiche  discipline.  Intendo  dire  dei  due  lavori: 
/  castellieri  istriani  e  la  necropoli  di  Verino  e  Le  necropoli  preistoriche  dei  Pi%- 
l'ighi,  maestrevolmente  illustrati  dall'  artistica  matita  del  nostro  Giulio  De 
Franceschi. 

Finalmente  dovrei  passare  in  rassegna  i  lavori  di  tutti  coloro  che  col- 
laborarono con  sommo  disinteresse  e  con  altrettanto  patrio  amore  alla  nostra 
impresa.  Ma  la  mia  non  è  una  rivista  critica,  sibbene  una  fugace  ricapito- 
lazione di  quanto  fu  operato  da  noi,  nei  riguardi  delle  pubblicazioni,  da 
un  quinquennio  a  questa  parte.  Però,  oltre  a  quelli  de'  quali  le  circostanze 
mi  portarono  di  parlarvi,  mi  corre  obbligo  di  designare  alla  gratitudine 
vostra  ed  a  quella  del  paese,  gli  on.  signori  Vassilich;  marchese  Anteo  Gravisi, 
pur  troppo,  defunto;  E.  Frauer;  prof.  G.  Vattova  ;  dott.  B.  Schiavuzzi, 
del  quale  ultimo  posso  annunziarvi  la  prossima  pubblicazione  di  altro 
diligentissimo  e  copioso  lavoro. 

Ma  non  fu  soltanto  nelle  pubblicazioni,  come  dissi  in  prefazione,  che 
si  è  estrinsecata  l'attiviti  della  Direzione  :  quest'ultima  doveva  ancora  prov- 
vedere alla  creazione  d' un  Museo  provinciale.  Vi  ricordate,  o  signori, 
quando  per  la  prima  volta  avete  assistito  al  Congresso  inaugurale  della 
nostra  Società,  come  nella  sala  dietale,  li,  su  quella  parete  in  fondo,  ci  fossero 
due  piccoli  scaffali,  ad  uso  libreria,  ne'  quali  avevamo  raccolti  religiosamente 
alcuni  cimeli  preistorici.  C'  erano  poche  urne  cinerarie,  alquanti  bronzi  ed 
altri  oggetti  neolitici  e  romani,  per  lo  più  regalati.  Ebbene,  ora  noi  possiamo 
dire  di  avere,  quantunque  ancor  modesto,  un  vero  museo  preistorico,  in 
cui  sono  raccolti  meglio  di  300  fittili,  qualche  migliaio  di  oggetti  in  bronzo, 
tra  grandi  e  piccoli,  e  moltissimi  altri  avanzi  di  storico  interesse.  Non 
sono  io  che  lo  dico.  Testé  siamo  stati  onorati  dalla  visita  di  quell'  illu- 
strazione archeologica  che  è  il  dott.  Tisehler  di  Kònigsberga,  venuto  a 
bella  posta  a  Parenzo  per  vedere  il  nostro  Museo.  Del  quale,  per  quanto 
s'espresse,  restò  ammirato,  non  tanto  per  la  quantiti  quanto  per  la  qualità 
degli  oggetti  in  esso  conservati.  Certamente,  gli  stati  e  le  grandi  città  pos- 
sono, in  breve,  far  molto,  perchè  di  molto  possono  anche  disporre.  Ma 
noi  abbiamo  limitati  i  mezzi;  il  canone  sociale  basta  appena,  e  non  sempre, 


-  5M  — 

a  pagare  le  pubblicazioni,  diminuendo  sempre  più  il  numero  dei  soci. 
Furono  le  contribuzioni  della  Dieta  provinciale,  di  qualche  generoso  mece- 
nate, e  di  qualche  Municipio,  che  ci  hanno  permesso  di  mettere  assieme 
quel  tanto  che  vedete. 

Ed  a  proposito  del  Museo,  devo  dirvi  ancora,  che  la  Direzione  ha 
trovato  nello  zelantissimo  e  intelligentissimo  parroco-decano  mons.  Deperis 
un  efficace  coadiutore  nell'  impianto  d'un  Museo  di  antichità  cristiane.  Fu 
disposto  in  modo,  cioè,  che  i  cimeli  cristiani  vengano  conservati,  tutti  uniti, 
nel  battistero  della  basilica  Eufrasiana,  mentre  le  lapidi  romane  saranno 
conservate  separate  in  altro  sito,  ancora  da  destinarsi.  E  sempre  a  merito 
principale  dello  stesso  monsignore,  vi  sarà  dato  di  ammirare  anche  in  questa 
occasione  gli  stupendi  scavi  di  antichità  cristiane  da  lui  iniziati  e  diretti, 
entro  e  fuori  della  detta  basilica,  le  quali  formeranno  oggetto,  a  suo  tempo, 
di  speciale  relazione,  illustrata  dal  corredo  di  numerose  tavole. 

E  qui  pongo  fine  al  mio  troppo  lungo  e  disadorno  dire.  Prima  però 
di  licenziarmi  da  voi,  benevoli  uditori,  non  posso  a  meno  di  gettare  un 
rapidissimo  sguardo  al  passato.  Prima  del  1860  la  provincia  nostra,  come 
tale,  non  aveva  in  suo  particolare  una  carta,  un  libro,  un  cimelio,  nulla  ; 
fu  sapiente  previdenza  di  pochi  di  raccogliere  a  poco  a  poco,  e  senza  addarsi, 
un  molto  interessante,  se  non  ricco  patrimonio  di  documenti  antichi,  di 
pergamene  ecc.  riguardanti  la  nostra  cara  patria  ;  rendendoli  poi  accessibili 
all'esame  di  quelli  che  n'erano  interessati  e  vogliosi  di  rovistarli.  Onde  si 
può  esclamare  col  poeta  Recanatese  ')  che 


In  un  balen  feconde 

Venner  le  carte  ;  alla  stagion  presente 
I  polverosi  chiostri 
Serbaro  occulti  i  generosi  e  santi 
Detti  degli  avi 

Certo  senza  de'  numi  alto  consiglio 
Non  è  eh'  ove  più  lento 
E  grave  è  il  nostro  disperato  obblio, 
A  percoter  ne  rieda  ogni  momento 
Novo  grido  de'  padri 


')  Canzone  ad  Angelo  Mai. 


—  5i)   — 

Ed  alle  carte  fece  sèguito  un  Museo  ed  una  Biblioteca  provinciale,  ed 
una  Società  storica,  che  accomuna  le  menti  e  le  dirige  a  più  eccelsi  fastigi. 
L' Istria  nostra  deve  dunque  affermarsi,  sempre  più,  non  soltanto  pel  valore 
dei  singoli,  ma  per  le  volontà  collettive  dei  più  nei  campi  elettissimi  delle 
più  pure  idealità.  Non  è  dunque  tempo  di  soffermarsi,  ma  di  procedere 
sempre  più  vigorosi  e  compatti  al  fine  supremo  che  tutti  ci  siamo  proposti. 
È  necessario  di  spingere  lo  sguardo  sempre  più  in  alto,  di  ridestare  e  dif- 
fondere il  sentimento  al  bello,  al  buono,  al  vero;  di  rinvigorire  insomma 
la  pubblica  coscienza,  la  quale,  rispecchiandosi  nel  passato,  possa  trovar  lena 
di  resistere  al  presente,  e  di  aspirare  serenamente  e  fermamente  al  futuro. 
Osservate  con  diligenza  —  concludo  col  grande  Guicciardini  —  le  cose  dei 
tempi  passati  perchè  fanno  lume  alle  future.  Codesta  sarà  opera  altamente 
civile  e  sociale  insieme,  alla  quale,  chiunque  abbia  intelletto  d'amore  e  sen- 
timento di  patria  carità  deve  tenerci,  e  quindi  soccorrerla  ed  alimentarla 
con  tutte  le  forze. 

Alla  nostra  Società,  dunque,  che  felicemente  ha  trascorso  il  primo 
lustro,  non  potrei  che  augurare,  come  già  Fra'  Paolo  Sarpi  a  Venezia  : 
Esto  perpetua  ! 


Finita  la  lettura,  il  Presidente  apre  la  discussione  tanto  sul  presente 
che  sul  resoconto  morale  dell'  anno  scorso  —  in  quanto,  se  fu  stampato, 
non  è  stato  messo  in  discussione  pel  fallito  Congresso  sociale.  —  Nessuno 
prende  la  parola  in  merito.  Solamente  l'on.  dott.  Campitelli  crede  di  ren- 
dersi interprete  di  tutti  gl'intervenuti  e  degli  assenti,  lodando  l'attività  della 
Direzione,  alla  quale  porge  vivissime  azioni  di  grazie. 

L'on.  Direttore-Cassiere  sig.  conte  Guido  dott.  Becich  fa  poi  la  seguente 
esposizione  del  conto  consuntivo  dell'anno  1888,  e  di  quello  di  previsione 
per  1'  anno  1890. 

Onorevoli  Signori  ! 

Facendo  sèguito  alla  Relazione  sui  conti  1887  e  1889,  pubblicata  nel- 
l'ultimo fascicolo  1888  degli  Atti  e  memorie  della  nostra  Società,  ho  l'onore 
di  presentare  al  Congresso  generale  il  conto  consuntivo  per  l'anno  1888, 
e  quello  di  previsione  dell'anno  1890,  corredato  il  primo  degli  allegati 
occorrenti  a  giustificare  le  principali  partite  d'introito  e  d'esito,  il  secondo 
della  specifica  riassuntiva  dei  Soci  secondo  lo  stato  del  5  settembre  corr. 

Eccone  brevemente  i  risultati  : 


-  si6 


I.  —  Conto  consuntivo  i 


Introito  : 

i.  Civan^p  di  cassa  colla  chiusa  del  i88j. 
2.  Contributi  dai  soci  : 

a)  canoni  arretrati 

b)  »      correnti  

e)       »      anticipati  prò  1889  .     . 
d)  contributi  dai  Comuni.     .     .     . 


fior.     651.32 


fior. 

24.— 

» 

680.— 

» 

4-— 

» 

I/7-— 

con  una  diminuzione  di  fior.  32  sull'importo  preven- 
tivato di  fior.  917,  dipendente  da  pagamenti  ritardati. 

Dalla  vendila  di  pubblicazioni  sociali  si  sono  ottenuti  nel- 

1'  anno 

cioè  f.  6.85   in  meno  della  cifra  preliminata  di  f.  40. 

Dotazioni  e  doni 

e  precisamente  fior.  500  di  sovvenzione  accordata  come 
di  metodo  dall'eccelsa  Dieta,  e  fior.  100,  dono  del  com- 
pianto comm.  Francesco  dott.  Vidulich. 

Somma  dell'  introito     .     .     . 


»        885. — 

»         33-iS 

»       600. — 

fior.  2169.47 


con  un  aumento  dunque  di  fior.  712.47  sull'importo  preliminato  di  fior.  1457. 


Esito  ; 


1.  Spese  di  stampa,  disegni,  tavole  ecc 

col  risparmio  di  fior.  284.35  sulla  cifra  di  fior.  1000 
portata  dal  preventivo,  pel  fatto  che  la  spesa  di  stampa 
dell'ultimo  fascicolo  1888  degli  Atti  e  memorie  è  venuta 
a  pagamento  appena  nell'anno   1889. 

2.  Acquisti  di  libri,  monete,  oggetti  antichi  in  genere    .     .     . 

col  sorpasso  di  fior.  354.50  sulla  cifra  preliminata,  de- 
rivato dal  pagamento  effettuato  della  seconda  ed  ultima 
rata  sul  prezzo  d'acquisto  della  collezione  di  monete 
antiche  ceduta  dall'  egregio  cav.  Tomaso  Luciani. 

3.  Spese  di  scavi,  escursioni  ecc » 

4.  Spese  postali  e  varie » 


fior.     715.65 


»       554-50 


Somma,  quindi,  dell'  esito 
di  confronto  all'importo  preventivato  di  fior,  1500. 


125.30 
63.06 

fior.  1458.51 


~  5 17  — 

Diffalcato  detto  importo  da  quello  totale  dell'  introito,  di  fior.  2169.47, 
resta  il  civanzo  colla  chiusa  del  1888,  di  fior.  710.96,  da  portarsi  nel  conto 
dell'anno  1889. 

II.  —  Conto  di  previsione  per  l'anno  1890. 

Esigenza  : 

Si  mantengono  inalterati  anche  per  quest'anno  gli  importi  calcolati  nel 
precedente  conto  preventivo,  e  cioè  : 

1.  Spesj  di  stampa,  disegni,  tavole  ecc fior.  1000. — 

2.  Acquisti  di  libri,  monete  ecc »  200. — 

3.  Scavi  ed  escursioni »  200. — 

4.  Spese  postali  e  varie »  100. — 

Assieme     .     .     .     fior.   1500. — 
Coprimento  : 

1.  Civanzo  di  cassa  alla  chiusa  del  1889 fior.       — . — 

In  difetto  di  dati  positivi  nulla  si  prelimina  a  questa 
posta;  tuttavia,  e  malgrado  le  maggiori  spese  occorse 
ed  occorribili  nell'anno  in  corso  per  stampa,  scavi  ecc., 
si  ha  motivo  da  ritenere  che  anche  la  gestione  1889 
offrirà  dei  civanzi  più  che  sufficienti  a  coprire  l'esigenza 
totale  dell'  anno  venturo. 

2.  Contributi  dai  soci  e  dai  Municipi »        861. — 

cioè  per  canoni  annuali  a  fior.  4  da  170  soci,  come  ri- 
sultano dalla  qui  unita  specifica  .     .     .     fior.  680. — 
contributi  assicurati  da  13  Municipi  della 
provincia »      181. — 

Assieme     .     .     .     fior.  861. — 

3.  Ricavato  dalla  vendita  di  pubblicazioni   sociali,   come  per 

l'anno   1889 »         30. — 

4.  Dotazioni  e  doni: 

a)  dal  fondo  provinciale »        500. — 

b)  doni »  — .  — 

Somma  dell'introito  .  .  .  fior.  1 39 1 .  — 
che,  posta  a  confronto  dell'esigenza  di  fior.  1500,  lascia  l'ammanco  di 
fior.  109. — ,  che  sarà  coperto  dal  civanzo  di  cassa  risultabile  alla  fine  del- 
l' anno  corrente. 


-  jx8- 

In  base  alle  premesse  risultanze  ho  l'onore  di  proporre  che  piaccia  al 
Congresso  : 
i°  Approvare  il  resoconto  per  l'anno   1888,  coli' introito  di  fior.  2169.47, 

coli' esito  di  fior.  1458.51,  e  col  civanzo  di  cassa  di  fior.  710.96  da 

passarsi  nel  conto  dell'  anno  seguente  ; 
2°  Approvare  il  conto  di  previsione  per  l'anno  1890  coll'esito  di  fior.  1500, 

coli' introito  di  fior.   1 391,  e  col  disavanzo  di  fior.   109,    da  coprirsi 

col  civanzo  di  cassa  che  risulterà  alla  fine  dell'anno  1889. 

Il  Presidente  apre  la  discussione  sui  due  conti. 

Anche  qui  1'  on.  dott.  Campitelli  si  alza  per  dire,  che  le  cifre  nulla 
lasciano  a  desiderare.  Deplora  soltanto  l'apatia  d'una  gran  parte  dei  com- 
provinciali per  la  nostra  Società,  e  crede  e  spera  si  possa  trovar  modo  per 
iscuotere  tale  indifferenza,  tanto  più  che  la  Società  stessa  ha  dato  già  così 
belli  risultati.  Non  crede  di  fare  proposte  concrete  ;  ma  se  esprime  un  grande 
dispiacere  per  la  scarsa  partecipazione  degli  istriani  alla  Società  storica,  nutre 
al  tempo  stesso  una  grande  speranza,  che  è  quella,  che  nel  prossimo  anno 
l'Associazione  stessa  possa  presentarsi  rinforzata  di  nuovi  soci  in  quantità 
tale,  da  essere  veramente  di  lustro  e  di  decoro  alla  patria  nostra. 

Posti  a  voti  i  conti,  sono  approvati  all'  unanimità. 

Il  Presidente  sospende  indi  per  pochi  istanti  la  seduta  affine  d'intendersi 
sull'  elezione  delle  cariche  sociali.  —  Ripresa  la  seduta  e  fatto  lo  spoglio 
delle  schede,  risultano  eletti  : 

Avv.  Andrea  dott.  Amoroso  —  Presidente 

Prof.  Bernardo  dott.  Benussi  —  Vice-Presidente 

Dott.  Marco  Tamaro  —  Segretario 

Conte  Guido  dott.  Becich  —  Cassiere 

Dott.  Giovanni  Cleva  —  Direttore 

Gio.  Batt.  de  Franceschi      id. 

Prof.  Alberto  Puschi  id. 

Dott.  Bernardo  Schiavuzzi     id. 

Prof  Giuseppe  Vatova  id. 

Chiesto  dal  Presidente  se  qualcuno  avesse  proposte  da  fare,  Fon.  Cam- 
pitelli propone  semplicemente  d' inviare  all'autore  de  L'Istria  -  Note  storiche, 
all'  illustre  Carlo  De  Franceschi,  i  migliori  auguri  per  la  sua  prosperità  e 
longevità.  La  proposta  è  accolta  con  applausi. 

Dopo  ciò  la  seduta  è  levata  circa  al  botto. 


ELENCO 

dei  Soci  inscritti  alla  Società  istriana  di  archeologia 
e  storia  patria,  peli'  anno  1889 


-*~-&m*i-m 


1.  Amoroso  dott.  Andrea,  avvocato, 

2  Barsan  dott.  Luigi,  medico, 

3.  Bartole  Antonio  fu  Antonio, 

4.  Baseggio  cav.  Giorgio,  avvocato, 

5.  Baseggio  dott.  Giorgio, 

6.  Baseggio  dott.  Giulio,  avvocato, 

7.  Basilisco  don  Antonio  Maria,  parroco-decano, 

8.  Basilisco  cav.  dott.  Giuseppe,  avvocato, 

9.  Battistella  Michele,  professore, 

io.  Becich  conte  dott.  Guido,  assessore  provinciale, 

11.  Beltramini  Antonio, 

12.  Bembo  Antonio,  notaio, 

13.  Bembo  dott.  Giacomo,  medico, 

14.  Bembo  cav.  Tomaso,  podestà, 

15.  Benedetti  dott.  Giacomo, 

16.  Benigher  dott.  Nicolò,  avvocato, 

17.  Benussi  dott.  Bernardo,  professore, 

18.  Benussi  Giovanni  fu  Valerio, 

19.  Biscontini  Angelo, 

20.  Bolmarcich  dott.  Matteo,  medico, 

21.  Bronzin  Antonio, 


Parenzo 

Rovigno 

Pirano 

Milano 

Parenzo 

Pola 

Pola 

Rovigno 

Trieste 

Parenzo 

Parenzo 

Rovigno 

Dignano 

Valle 

Parenzo 

Trieste 

Trieste 

Rovigno 

Capodistria 

Pola 

Rovigno 


520  — 


22. 

23- 
24. 
25. 
2é. 
27. 
28. 
29. 
30. 

31- 
32. 

33- 
34- 
35- 
36. 

37- 
38. 

39- 
40. 
41. 
42. 

43- 

44. 

45- 
46. 

47- 
48. 

49- 
50. 

5i- 
52. 

53- 
54- 
55' 
56. 

57. 
58. 
59. 
éo. 


Bubba  dott.  Giuseppe,  notaio,  Pirano 
Buje  Municipio 

Caccia  Antonio,  Trieste 

Caenazzo  don  Tomaso,  canonico,  Rovigno 

Calegari  dott.  Michele,  medico,  Parenzo 

Cambon  dott.  Luigi,  avvocato,  Trieste 

Camera  di  Commercio  ed  Industria  dell'  Istria,  Rovigno 

Campielli  cav.  dott.  G.  Matteo,  capitano  provinciale,  Parenzo 

Camus  Carlo,  Parenzo 

Camus  Ernesto,  Trieste 

Camus  Fedele,  Pisino 

Canciani  dott.  Giovanni,  avvocato,  podestà,  Parenzo 

Candussi-Giardo  Domenico,  Rovigno 

Candussi-Giardo  Vittorio,  Rovigno 

Candussio  de  Giovanni,  farmacista,  Parenzo 
Capodistria  Municipio 

Carbucicchio  Pietro,  farmacista,  Pola 

Cavalli  ab.  Iacopo,  professore,  Trieste 

Cech  dott.  Giuseppe,  notaio,  Pisino 

Cesca  dott.  Giovanni,  professore,  Arezzo 

Cleva  dott.  Giovanni,  medico,  assessore  provinciale,  Parenzo 

Coana  Gaetano,  Parenzo 

Cobol  Giorgio,  podestà,  Capodistria 

Cobol  Nicolò,  maestro,  Trieste 

Cociancich  don  Carlo,  parroco,  Grisignana 

Combi  Cesare,  Trieste 

Comisso  Luigi,  Pisino 

Corva-Spinotti  Nicolò,  Grisignana 

Costantini  dott.  Francesco,  avvocato,  Pisino 

Covaz  Antonio,  Pisino 

Covrich  Matteo,  professore,  Verteneglio 

Crismanich  Domenico,  ingegnere,  Parenzo 

D'  Andri  Giovanni,  Trieste 

Danelon  Angelo,  Parenzo 

Danelon  cav.  cap.  Corrado,  Parenzo 

Dardi  Francesco,  maestro,  Trieste 

De  Franceschi  Carlo,  Pisino 

Del  Bello  dott.  Nicolò,  notaio,  Capodistria 

Del  Negro  Giovanni,  Pola 


-    521    — 


61.  Depiera  Antonio, 

62.  Depiera  Camillo,  notaio, 

63.  Dignano  Municipio 

64.  Diminich  Giacomo, 

65.  Doblanovich  dott.  Giuseppe,  medico, 

66.  Doria  Costantino,  ingegnere, 

67.  Draghicchio  Gregorio,  professore, 

68.  Dukich  dott.  Antonio,  avvocato, 

69.  Fachinetti  de  Giovanni, 

70.  Fanganel  Domenico, 

71.  Fragiacomo  Antonio, 

72.  Fragiacomo  dott.  Domenico,  avvocato,  podestà, 

73.  Franceschi  de  Giovanni  Battista, 

74.  Franceschi  de  dott.  Giacomo,  medico, 

75.  Frank  Carlo, 

76.  Franco  dott.  Giorgio,  avvocato, 

77.  Frauer  Emilio, 

78.  Friedrich  dott.  Francesco,  professore, 

79.  Gabinetto  di  lettura, 

80.  Gabrielli   Italo, 

81.  Gambini  dott.  Pier' Antonio,  avvocato,  assess.  prov., 

82.  Gandusio  Zaccaria,  dirigente  magistratuale, 

83.  Ghersa  dott.  Pietro,  medico, 

84.  Giachin  don  Giacomo,  parroco, 

85.  Gioseffi  Alessandro,  professore, 

86.  Glezer  dott.  Felice,  notaio, 

87.  Gonan  Lorenzo,  maestro, 

88.  Gramaticopolo  don  Francesco,  canonico, 

89.  Granich  P.  Girolamo  Maria, 

90.  Grisignana  Consiglio  d'amministrazione  comunale 

91.  Grossmann  Guglielmo,  maestro, 

92.  Gumer  cav.  Carlo,  Consigliere  di  Luogotenenza  in 

pensione, 

93.  Hortis  dott.  Attilio,  bibliotecario  civico, 

94.  Hugues  Carlo,  professore, 

95.  Isola  Municipio 

96.  Ive  dott.  Antonio,  professore, 

97.  Kagnus    Raimondo,    capitano    d'artiglieria    marina 

in  pensione, 


Antignana 
Castelnuovo 

Pola 

Rovigno 

Trieste 

Trieste 

Pisino 

Visinada 

Pola 

Pola 

Pirano 

Seghetto  (Umago) 

Seghetto  (Umago) 

Pola 

Buje 

Trieste 

Trieste 

Pola 

Pirano 

Parenzo 

Trieste 

Albona 

Gallesano 

Pisino 

Pola 

Trieste 

Pola 

Cherso 

Lo  v  rana 

Trieste 
Trieste 
Parenzo 

Trento 

Trieste 


522 


98.  Kuder   Federico,    maggiore   nel    corpo   veterani 

validi, 

99.  Laginja  dott.  Matteo, 

ed  in- 

Napoli 
Volosca 

100.  Lazzarini  Carlo, 

Pola 

101.  Lazzarini-Battiala  barone  Giacomo, 

Albona 

102.  Madonizza  de  Nicolò, 

Capodistria 

103.  Madonizza  de  dott.  Pietro, 

Capodistria 

104.  Majonica  Enrico,  professore,  i.  r.  Conservatore, 

Gorizia 

105.  Malusa  Domenico, 

Pola 

106.  Malusa  Francesco, 

Pola 

107.  Manzoni  de  Domenico, 

Capodistria 

108.  Manzutto  comm.  dott.  Girolamo, 

Umago 

109.  Marchesi  Antonio, 

Dignano 

no.  Marsich  ab.  Angelo, 

Capodistria 

in.  Martinolich  Carlo, 

Pola 

112.  Mattiassi  Giovanni, 

Pola 

113.  Mendler  Edoardo, 

Pola 

114.  Minach  dott.  Girolamo,  avvocato, 

Volosca 

115.  Mizzan  don  Giovanni,  parroco, 

Corridico 

116.  Montona  Municipio 

117.  Morpurgo  barone  dott.  Emilio, 

Trieste 

118.  Morteani  Luigi,  professore, 

Trieste 

119.  Mrach  dott.  Adamo,  avvocato, 

Pisino 

120.  Mrach  dott.  Egidio, 

Pisino 

121.  Muggia  Municipio 

122.  Nacinovich  Ernesto,                                               S. 

Domenica  di  Albona 

123.  Negri  Nicolò  fu  Girolamo, 

Pola 

124.  Parentin  Giuseppe,  maestro, 

Cittanova 

125.  Parenzo  Municipio 

126.  Parisini  Giuseppe, 

127.  Pavani  Eugenio, 

Pisino 
Trieste 

128.  Pervanoglù  dott.  Pietro, 

Trieste 

129.  Petris  de  dott.  Andrea, 

Cherso 

130.  Petronio  Giuseppe, 

Pirano 

131.  Pirano  Municipio 

132.  Pisino  Municipio 

133.  Pola  Municipio 

134.  Polesini  marchese  Benedetto, 

Parenzo 

135.  Polesini  marchese  dott.  Giorgio, 

Parenzo 

523  — 


136.  Pons  Rodolfo, 

137.  Prinz  Martino,  giudice, 

138.  Privileggi  Pietro  di  Giuseppe, 

139.  Pulgher  cav.  Domenico,  architetto, 

140.  Pulgher  dott.  Francesco,  medico, 

141.  Puschi  prof.  Alberto,  direttore  del  Museo  civico, 

142.  Rigo  Gregorio  fu  Domenico, 

143.  Rismondo  Alvise,  notaio,  podestà, 

144.  Rizzi  dott.  Lodovico,  avvocato,  podestà, 

145.  Rizzi  Nicolò, 

146.  Rocco  Giuseppe  fu  Rocco, 

147.  Rota  conte  Stefano, 

148.  Rovigno  Magistrato  civico 

149.  Santini  Attilio,  Rosa 

150.  Savorgnan  Giovanni, 

151.  Sbisà  Francesco  fu  Sebastiano, 

152.  Sbisà  Luigi  di  Francesco, 

153.  Sbisà  Pietro,  notaio, 

154.  Scampicchio  dott.  Antonio,  avvocato, 

155.  Schiavuzzi  dott.  Bernardo,  medico, 

156.  Società  degli  Artieri, 

157.  Società  Filarmonico-Drammatica, 

158.  Società  Fratellanza  polense, 

159.  Società  Operaia, 

160.  Sotto  Corona  Tomaso, 

161.  Spincich  Luigi,  professore,  assessore  provinciale, 

162.  Stanich  dott.  Domenico,  notaio, 

163.  Stenta  dott.  Michele,  professore, 
[64.  Stossich  Michele,  professore, 

165.  Suran  dott.  Giovanni,  avvocato,  podestà, 

166.  Tamaro  dott.  Domenico,  professore,     Grumello  del 
[67.  Tamaro  dott.  Giovanni,  medico, 

[68.  Tamaro  dott.  Marco, 

[69.  Totto  conte  Gregorio, 

[70.  Trani  dott.  Giorgio,  medico, 

171.  Tromba  Giovanni,  farmacista, 

[72.  Umago  Municipio 

[73.  Urizio  dott.  Giovanni,  medico,  podestà, 

[74.  Vassilich  Giuseppe,  maestro, 


Pola 

Pola 

Parenzo 

Trieste 

Trieste 

Trieste 

Parenzo 

Rovigno 

Pola 

Pola 

Rovigno 

Pirano 

(Rossano  Veneto) 
Pola 
Parenzo 
Parenzo 
Dignano 
Albona 
Parenzo 
Pola 
Trieste 
Pola 
Pola 
Dignano 
Parenzo 
Pola 
Trieste 
Trieste 
Montona 

Monte  (Bergamo) 
Volosca 
Parenzo 
Capodistria 
Rovigno 
Rovigno 

Cittanova 
Trieste 


—  52-4  — 

175-  Vatova  Giuseppe,  professore,  Trieste 

176.  Vana  Domenico,  professore,  Pirano 

177.  Venezian  dott.  Felice,  avvocato,  Trieste 

178.  Venier  Domenico,  Pirano 

179.  Venier  Nicolò,  Pirano 

180.  Venier  de  dott.  Silvestro,  avvocato,  podestà,  Buje 

181.  Ventrella  Almerico,  Pirano 

182.  Vergottini  de  Fabio,  Parenzo 

183.  Vergottini  de  Giuseppe,  Parenzo 

184.  Vesnaver  Giovannf,  maestro-dirigente,  Trieste 

185.  Vettach  Giuseppe,  direttore  del  Ginnasio  comunale,  Trieste 

186.  Vidacovich  dott    Antonio,  avvocato,  Trieste 

187.  Vidali  Gio.  Antonio,  farmacista,  Parenzo 

188.  Videucich  Eugenio,  Pisino 

189.  Visignano  Municipio 

190.  Volpi  de  Giuseppe,  Parenzo 

191.  Wassermann  cav.  Gio.  Antonio,  Pola 

192.  Zamarin  cav.  don  Giovanni,  canonico-parroco,  Isola 

193.  Zarotti  Nicolò  di  Lorenzo,  Pirano 


ELENCO 

dei  doni  pervenuti  al  Museo  Archeologico  provinciale 
ed  alla  Biblioteca  sociale  durante  l'anno  1889 


OGGETTI  ANTICHI. 


Dal  M.  R.  Don  Giovanni  Mi^an  parroco  a  Corridico  :  una  statuetta  di 
bronzo  dell'  epoca  romana,  rappresentante  una  Venere  uscente 
dal  bagno,  rinvenuta  nella  Stanzia  grande  a  Corridico;  ed  un 
frammento  d'iscrizione  romana,  trovato  nella  rifabbrica  del  cam- 
panile di  Corridico. 

Dal  signor  Francesco  Tnbusson  maestro  a  Bescavalle  :  una  moneta  enea 
dell'  imperatore  Decio,  ed  altra  dell'  imperatore  Gordiano,  rin- 
venute a  Bescavalle. 

Dal  Rev.mo  mons.  canonico  Don  Tomaso  Caenaqp  da  Rovigno  :  una  raccolta 
di  150  monete  argentee  tra  romane  e  venete,  73  monete  di 
bronzo,  ed  altre  varie. 

Dal  M.  R.  Don  Giuseppe  Corata  parroco  a  Torre  :  due  situle  ed  altri  fram- 
menti di  oggetti  preromani  di  bronzo,  rinvenuti  a  S.  Martino 
di  Torre. 

Dal  signor  Luigi  Comisso  da  Pisino  :  una  moneta  d'  oro  dell'  imperatore 
Giustiniano,  rinvenuta  nel  territorio  di  Antignana. 


—    $26   — 

Dal  signor  Giuseppe  Parentin  maestro  a  Cittanova  :  un'anfora  romana,  pe- 
scata nelle  acque  marine  di  Cittanova. 

»  Luigi  Girellici}  da  Pedena,  ora  Vice  Console  austriaco  a  Rio  de 

Janeiro:  una  collezione  di  monete  greche  e  romane  trovate  nella 
Rumelia  durante  i  lavori  della  ferrovia  orientale  ;  alcuni  antichi 
para  turchi,  e  due  monete  chinesi. 

»  cav.  Giovanni  Augusto  Wassermann  da  Pola  :  un  pezzo  di  5  lire 

italiane  d'argento,  del  Governo  provvisorio  di  Lombardia,  1848. 

»  dott.  Antonio  Scampicchio  d'Albona:  tre  monete  romane  d'argento 

ed  una  di  bronzo;  sei  medioevali  d'argento;  sei  venete  d'argento, 
e  quattordici  venete  di  rame. 


LIBRI. 


Dal  signor  dott.  Pietro  Pervanoglù  da  Trieste  :  opuscoli  «  Attinenze  dell'  isola 
di  Lemnos  colle  antichissime  colonie  sulle  coste  del  mare  Adria- 
tico »  ;  —  «  Le  Gorgoni  -  illustrazione  di  alcune  terrecotte 
acquistate  dal  civico  Museo  di  antichità  di  Trieste  »  con  2  tav. 
Estratto  dall' «  Archeografo  triestino»  a.   1889. 

»  dott.  Pietro  de  Madonna  da  Capodistria  :  opuscoli  «  Degli  errori 

sull'Istria»  e  «Del  decadimento  dell'Istria»  — articoli  pubblicati 
nel  periodico  «  La  Provincia  dell'  Istria  »  da  Paolo  Tedeschi. 

»  prof.  Paolo  Orsi  da  Siracusa:  Recensione.  Gherardini  Gherardo, 

contributi  all'  archeologia  dell'  Italia  superiore.  La  collezione 
Baratella  di  Este  illustrata,  pubblicata  nella  «  Rivista  storica  », 
Torino,  1889.  —  Recensione.  Campi  Luigi,  Kupfer-Gegenstànde 
aus  den  tridentinischen  Alpen,  nella  «  Antiqua  »  di  Zurigo 
n.  6  e  7,  i* 


conte  Stefano  Rota  da  Pirano:  copia  manoscritta  di  tre  fascicoli 
autografi  di  Pasquale  Besenghi  degli  Ughi,  contenenti  un  copioso 
estratto  dell'opera  del  canonico  Bertoli  sulle  Antichità  di  Aquileja. 


INDICE  DEL  VOLUME  V 


Fascicolo  i.°  e  2° 

Senato  Misti.  Cose  dell'  Istria.  —  Direzione  (continua) pag.       j 

Relazioni  di  Provveditori  veneti  in  Istria.  —  Direzione »        85 

Isola  ed  i  suoi  Statuti,  per  cura  del  prof.  Luigi  Morteani  (Gli  Statuti  d'Isola)  »     155 

Le  Necropoli  preistoriche  dei  Pizzughi.  —  Andrea  dott.  Amoroso   ....  »      225 

Fascicolo  3.0  e  4.0 

m 

Senato  Misti.  Cose  dell'Istria.  —  Direzione  (continua) »      265 

La  malaria  in  Istria.  Ricerche  sulle  cause  che  P  hanno  prodotta  e  che  la  man- 
tengono del  dott.  Bernardo  Schiavuzzi »      319 

Bibliografia.  —  B.  B.  e  M.  T »     472 

Jilti  della  Società. 

Il  IV  Congresso  annuale  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria.  »     505 

Elenco  dei  Soci »     519 

Elenco  dei  doni  al  Museo   archeologico   provinciale  ed  alla    Biblioteca  sociale 

durante  l'anno  1889 »     525 


S,  Angelo  Mordelle 


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?r  Lit.  M.  Fontana  Venezia 


Topograf 


j[«  Pizzughi 


Tav  I. 


G.De  Franceschi  dis. 


Pizzughi 


Tav  II. 


2. 


3. 


10. 


II. 


ana,  Vene  zia. 


12. 

G.  De  Franceschi  cris. 


, 


Tav.  TU. 


rttana.Vene 


zia 


&.De  Franceschi   dis. 


Tav.  W. 


3** 


"Xit  UFonlana,  Venezia 


G.De  Franceschi  dis. 


Tav.V. 


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ancesshi 


.   f 


Tav.VI. 


z. 


5. 


6. 


7. 


3. 


IO. 


12 


Fontana.  Venezia 


G.  De  "Frane esc"hi  dis. 


Tav.  VII. 


Lit.  K  Fontana,  Vene  zia 


G.De  Francescìii  dis. 


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13 


Tav.  IX. 


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3. 


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M. 


13. 


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Pr.Lit.  MTontana,  Venezia 


G-.De  Francasela  die. 


Tav.  X. 


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•  Mentana  Venezia. 


G.De  Franceschi  dis. 


ANNO    SETTIMO     1890 


ATTI  E  MEMORIE 


DELLA 


SOCIETÀ  ISTRIANA  DI  ARCHEOLOGIA 


STORIA  PATRIA 


Volume  VI.  —  Fascicolo  i.°  e  2. 


PARENZO 

PRESSO    LA    SOCIETÀ    ISTRIANA    DI    ARCHEOLOGIA    E    STORIA    PATRIA 

Tip.  Gaetano  Coana 
1890 


SENATO    MISTI 


COSE  DELL'ISTRIA 


(Continuazione  del  fascio.  30  e  40,  1889) 


Senato  Misti  voi.  L. 


1413.  4  luglio.  —  Risposte  date  ad  istanze  di  alcuni  cittadini  di  Ca- 
podistria  venuti  personalmente  a  Venezia  :  Onde  quella  città  non  corra 
pericoli  come  in  passato,  si  accorda  eh'  essa  venga  murata  contribuendovi 
gli  abitanti  le  pietre,  la  rena  e  la  calce,  i  legnami  pei  ponti  ed  i  mano- 
vali ;  il  podestà  e  capitano  ripartirà  tali  prestazioni  [angarias]  fra  cittadini 
e  rustici,  et  faciat  nichilominus  facere  alia  publica  consueta  ;  il  dazio  della 
muda  che  produce  da  1500  a  2000  lire  l'anno  resterà  devoluto  alla  erezione 
delle  dette  mura,  e  alla  riparazione  delle  strade  battute  dai  mussolali,  di 
Castel  Leone,  dei  ponti,  del  porto,  della  fontana  ecc.  Le  mura  saranno 
cominciate  dalla  parte  di  S.  Pietro,  et  sequendo  murum  inceptum  et  veniendo 
ab  Arsenatu  usqne  portavi  Busadrage,  et  postea  incipere  debeat  ab  alia  parte 
porte  maioris  pontis  et  venire  usque  portum  Sancii  Martini  ;  fatti  tali  tratti,  si 
erigerà  un  castello  in  angulo  Musele  secondo  sarà  ordinato  dalla  Signoria  ; 
da  quest'ultimo  luogo  fino  alla  porta  Busadrage  non  si  faranno  le  mura  se 
non  dopo  finito  il  castello  ;  i  podestà  e  capitani  terranno  esatto  conto  di 
tutte  le  spese. 


Si  restituisce  a  quel  comune  Consilium  suum;  il  podestà  e  capitano  ne 
eleggerà  i  membri  nel  numero  che  stimerà  conveniente  ;  il  consiglio  no- 
minerà offitiales  snos  per  un  anno,  lo  stipendio  dei  quali  non  eccederà  le 
lire  450  l'anno  a  carico  del  comune  [nostri  communis  deinde];  i  quattro  giudici 
che  eleggerà  quel  consiglio  sederanno  presso  il  podestà  e  capitano,  il  quale 
nelle  cause  civili  domanderà  il  loro  consiglio,  ma  giudicherà  da  solo  ;  le 
cause  criminali  spettano  esclusivamente  al  detto  podestà  e  capitano  (carte  2). 

Alla  domanda  che  le  grascie  per  uso  della  città  possano  esser  portate 
colà  per  mare  [come  fa  Pirano]  quando  strate  claiiduntur  anche  pei  cattivi 
raccolti  in  partibus  superioribiis  ;  si  risponde  che  ciò  potrà  essere  accordato 
quando  lo  chieggano  nei  singoli  casi  (carte  2  tergo). 

141 3.  7  luglio.  —  Si  richiama  dall'Istria  a  Venezia  Bartolomeo  Val- 
laresso  sopracomito  in  Golfo  (carte  3). 

1413.  17  luglio.  —  Avendo  il  podestà  e  capitano  di  Capodistria  proi- 
bito ad  alcuni  di  quei  cittadini  di  andare  a  comprar  400  staia  di  frumento 
a  Muggia,  e  ciò  in  seguito  a  divieto  fatto  anteriormente  dal  governo,  i 
muggensi  offrirono  il  grano  a  quei  di  Pirano,  i  quali,  col  permesso  del 
rispettivo  podestà  lo  acquistarono.  Il  podestà  e  capitano  chiese  al  detto 
podestà  la  ragione  del  permesso  dato,  e  n'  ebbe  in  risposta  che  il  divieto 
non  era  stato  fatto  cum  consiliis  ordinatis  [nelle  forme  volute  per  esser  valido]. 
Considerandosi  ora  che  se  simili  cose  avessero  a  ripetersi  il  commercio  di 
Capodistria  e  le  rendite  dello  Stato  ne  soffrirebbero,  si  ordina  a  tutti  i  rettori 
dell'Istria  di  proibire,  per  publico  bando,  a  tutti  quegli  abitanti  l'andar  a 
comperare  e  a  caricare  frumento  nei  luoghi  di  quella  provincia  non  soggetti 
a  Venezia,  sotto  pena  di  perdita  della  merce,  delle  barche,  di  sei  mesi  di 
carcere  e  di  lire  200  di  multa  (carte  7  tergo). 

1413.  11  settembre.  —  Si  ordina  a  Rainieri  Coppo  podestà  a  Parenzo 
di  mandare  a  Venezia,  un  mar  unum  ibi  retententum  al  tempo  della  guerra 
passata  tamquam  de  bonis  maranensium  (carte  27). 

1413.  2  ottobre.  —  Iacopo  figlio  di  Giovanni  de  Carlino  ambassiator 
del  comune  d' Isola,  ripetendo  la  domanda  già  fatta  da  altri  inviati  dello 
stesso  comune,  chiese  che,  avendo  quest'ultimo  sequestrato,  durante  l'ultima 
guerra  e  la  susseguita  tregua,  un  affidimi  di  274  orne  di  vino  e  3  di  olio 
che  esso  doveva  annualmente  al  monastero  di  S.  Maria  di  Aquileia,  quei 
liquidi  restassero  a  benefizio  del  comune  stesso.  Si  risponde  rilasciando 
come  è  domandato  tutti  gli  affitti  dovuti  da  Isola  al  detto  monastero  tam 
prò  tempore  elapso  quam  per  totum  tempus  treuguarum,  a  patto  che  siano  de- 
voluti in  fortificationem  et  reparationem  diete  terre,  incaricandosi  quel  podestà 
dell'  esecuzione.   Se  poi   nella   pace  che  si  stipulerà   col   re   d'  Ungheria  si 


pattuisse  la  restituzione  di  quei  redditi  al  monastero,  il  comune  d' Isola  vi 
sarà  obligato,  e  perciò  dieci  fra  i  più  agiati  di  quei  cittadini  staranno  mal- 
levadori dell'  eventuale  pagamento  (carte  37). 

1413.  5  ottobre.  —  Essendo  il  castello  di  Raspo  importantissimo  per 
la  difesa  dell'  Istria,  si  ordina  che  Filippo  Moliti  elettovi  capitano  e  i  suoi 
successori  vi  tengano  stabile  dimora,  sotto  pena  di  500  ducati.  —  E  non 
potendo  srare  li  presso  gli  stipendiari  per  esser  bruciate  le  ville,  si  commette 
al  detto  capitano,  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  e  ai  podestà  di  Pirano 
e  di  Montona  di  recarsi  a  Raspo  e  tutti  d'accordo,  a  maggioranza,  prov- 
vedere a  far  costruire,  nei  luoghi  e  modi  più  convenienti  e  sicuri,  intorno 
al  castello  abitazioni  pei  detti  stipendiari  colla  maggior  possibile  economia; 
la  spesa  relativa  sarà  sostenuta  proporzionalmente  da  tutti  i  luoghi  dell'Istria 
contribuenti  pei  Pasinatici  ;  i  rettori  poi  di  tali  luoghi  si  accordino  per 
mandare  di  15  in  15  giorni  due  per  comune  a  sorvegliare  il  lavoro  e 
l' impiego  del  danaro.  —  Intanto  gli  stipendiari  abiteranno  in  castro  Ro^ii.  — 
Il  Molin  partirà  da  Venezia  entro  il  mese  sotto  pena  di  500  ducati  (carte  38). 

141 3.  io  ottobre.  —  Nel  1408  era  stato  vietato  il  portar  legna  da 
fuoco,  nata  nell'  Istria,  altrove  che  a  Venezia;  due  ambasciatori  del  comune 
di  Pola  vennero  a  chiedere  fosse  tolto  il  divieto  per  le  legne  qui  nascuntur 
ultra  Polmentorias  per  Riperias  versus  Quarnarium,  le  quali  una  volta  por- 
tavansi  nella  Marca  con  vantaggio,  ed  ora,  essendo  troppo  lungo  il  viaggio 
a  Venezia,  ne  resta  impoverito  il  paese,  e  gli  abitanti  emigrano  ai  luoghi 
esteri  vicini  ove  non  vigon  divieti.  Si  acconsente  alla  domanda  a  patto  che 
la  legna  non  si  porti  a  nemici  di  Venezia,  e  che  coloro  che  ne  caricheranno 
dovranno  prima  far  ispezionare  i  rispettivi  navigli  dal  conte  di  Pola  perchè 
constati  non  contenere  essi  merci  di  contrabbando  (carte  40). 

1413  m  v.  8  gennaio.  —  Essendosi  veduto,  nella  recente  discesa  degli 
Ungheresi,  non  potersi  sostenere  il  castello  di  Raspo  contro  grosse  genti, 
tanto  che  in  quella  occasione  tutti  quelli  che  vi  erano  dovettero  riparare  in 
Capodistria;  si  prese  la  deliberazione  5  ottobre  passato.  In  esecuzione  della 
quale  adunatisi  Marco  Correr,  presente  podestà  di  Capodistria,  i  podestà  di 
Pirano  e  di  Montona,  Iacopo  da  Riva  cav.,  e  Vitale  Miani,  i  tre  primi 
proposero  de  jaciendo  duas  alas  muri  a  parte  superiori  inferius  prò  reductu 
stipenàiariorum,  i  due  ultimi,  invece  [essendo  della  stessa  opinione  Filippo 
Molin  capitano  a  Raspo]  quod  circumcirca  castrimi  subtus  inuros,  quia  ibi  est 

aliqua  via  ubi  fieri  possent  habitationes,  debeat  fieri una  circa  de 

muro  infra  quam  poterunt  stare  gentcs  equestres.  Sembrando  quest'  ultimo 
progetto  più  opportuno,  per  concorrere  a  maggiore  difesa  del  luogo,  lo  si 
approva,  e  se  ne  ordina  1'  esecuzione  al  capitano  di  Raspo  (carte  62). 


1413  m-  v-  26  gennaio.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di 
Due  Castelli  [che  per  la  sua  fedeltà  restò  molto  danneggiato],  i  quali  avevano 
sporto  gravi  lagni  contro  Lugnano  Lugnano  nominatovi  capitano  dai  rettori 
dell'Istria,  si  commette  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  mandare  in 
detta  terra  un  nuovo  rettore  scelto  fra  i  cittadini  di  quella  città,  il  quale 
stia  in  carica  un  anno,  col  salario  di  lire  390  e  colle  altre  condizioni  che 
si  lascia  al  detto  podestà  e  capitano  di  stabilire.  Il  Lugnano,  all'arrivo  del 
suo  successore  sarà  dal  podestà  e  capitano  suddetto  invitato  a  recarsi  a 
Venezia  per  esser  sentito  e,  se  del  caso,  per  giustificarsi  (carte  64). 

1413  m.  v.  io  febbraio.  —  Risposte  date  ad  istanze  [capitala]  fatte  dal 
comune  di  Pirano  [le  istanze  sono  in  volgare,  le  risposte  in  latino]  : 

Alla  richiesta  che  il  luogo  di  Buje,  per  ridurre  il  quale  alla  condizione 
presente  molto  si  adoperarono  i  piranesi  nell'ultima  guerra,  venga  concesso 
a  Pirano,  si  risponde  non  potersi  a  ciò  consentire  in  forza  della  tregua 
conchiusa  col  re  dei  Romani  ;  si  permette,  per  sicurezza  di  Pirano  e  d'altri 
luoghi,  che  sia  demolito  il  campanile  di  Buje,  dandone  notizia  al  capitano 
di  Raspo. 

Avendo  la  soppressione  della  stima  dei  vini  in  Grado  pregiudicato  assai 
il  commercio  di  Pirano,  il  cui  più  proficuo  sbocco  era  il  Friuli,  si  domandò 
che  i  piranesi  potessero  esportare  direttamente  pel  Friuli  i  lor  vini  [ribuole], 
poiché  altrimenti  convigneria  abandonar  quella  terra  perchè  etti  no  porta  viver  ; 
dichiarandosi  pronti  a  pagare  il  dazio  che  avanti,  siando  la  dita  stima,  se 
scodeva  per  miser  lo  patriarca  ;  che  quindi  la  detta  stima  e  relativo  dazio 
venisse  riattivata  in  Grado  o  in  altro  luogo  comodo.  Si  risponde  essersi 
preso  per  misura  generale  che  i  vini  ed  altre  merci  trasportate  per  mare 
vengano  tutte  a  Venezia  pel  trattamento  daziario,  perciò  non  potersi  aderire 
alla  domanda.  Si  prolunga  però  per  un  anno  la  riduzione  già  concessa  sul 
dazio  del  vino  portato  a  Venezia. 

Alla  richiesta  motivata  che  si  torni  all'osservanza  rigorosa  delle  con- 
venzioni, tuttora  vigenti  relative  al  sale,  e  che  venga  aumentato  il  prezzo 
del  medesimo,  si  risponde:  L'accrescimento  delle  mercedi  ai  lavoranti  [famei] 
delle  saline  [da  lire  4  a  5  a  lire  io  a  12  il  mese]  dipende  dall'essere  rad- 
doppiato il  numero  di  queste.  Il  sale  tutto  prodotto  nelle  stesse  sarà  portato 
in  città  entro  15  giorni  dalla  raccolta,  e  denunziato  al  podestà  [al  quale  è 
affidata  la  sorveglianza  all'  esecuzione  rigorosa  di  tal  ordine  e  i  relativi 
provvedimenti  anche  penali],  e  lo  Stato  lo  pagherà  a  lire  5  il  moggio,  e 
non  potrà  essere  esportato  senza  l'assenso  del  podestà.  La  settima  parte  di 
tutto  il  prodotto  resterà  a  quel  comune  sotto  chiavi  tenute  dal  podestà, 
e   potrà   esser   venduto   agli   abitanti   dell'  interno    del   paese   che   portano 


vettovaglie  in  città.  Si  richiameranno  le  persone  cui  spetta  all'  osservanza 
delle  prescrizioni  nella  misurazione  del  sale  medesimo  (carte  71  tergo  e 
72  tergo). 

141 3  m.  v.  io  febbraio.  —  Si  prolunga  per  un  anno,  da  oggi,  il  vigore 
della  tariffa  daziaria  vigente  nell'  anno  decorso  pei  vini  [ribolea]  che  dal- 
l' Istria  vengono  a  Venezia  (carte  72  tergo). 

1414.  8  maggio.  —  Ambassiatores  del  comune  di  Capodistria,  in  se- 
guito alla  proibizione  fatta  dal  duca  d'Austria  ai  suoi  sudditi  di  provvedersi 
di  sale  in  aliqua  terra  latina  chiesero  che  quei  cittadini  potessero  portare 
il  lor  sale  in  Friuli,  pagando  lire  3  di  dazio  per  moggio.  —  Enrico  de 
Petrogna  poi  assuntore,  con  altri  soci,  del  dazio  del  sale  in  detta  città,  espose 
averlo  assunto  per  lire  2010,  e  averne  tratto  nell'anno  in  corso  250  moggia 
di  sale  che  non  si  potè  vendere  pel  divieto  mentovato,  e  pregò  di  poter 
esso  pure  esportare  in  Friuli  il  sale  che  riscuote  per  decima. 

In  risposta,  si  concede  al  detto  comune  di  portare,  per  questa  sola  volta, 
300  moggia  di  sale  in  Friuli,  pagando  un  ducato  per  moggio  allo  Stato; 
al  Petrogna  si  fa  egual  concessione  per  100  moggia  ;  1'  esportazione  avrà 
luogo  entro  un  mese.  —  Questa  non  fu  approvata. 

Si  risponde  che,  non  potendosi  aderire  alle  suesposte  domande,  per  gli 
inconvenienti  che  ne  deriverebbero,  si  commette  ai  savi  del  Consiglio  di 
stipulare  l'acquisto  dai  petenti  di  500  moggia  di  sale  [fra  le  quali  100  del 
Petrogna]  a  16  soldi  di  piccoli  lo  staio,  per  conto  dello  Stato  (carte  107). 

1414.  22  maggio.  —  Si  risponde  al  capitano  di  Pisino  inviato  dal 
signore  False  [di  Waldsee],  il  quale  per  mezzo  di  Iacopo  da  Riva  cav.  aveva 
fatto  offrire  a  Venezia  la  cessione  di  Fiume  e  di  un  fortilizio,  non  esser 
cosa  possibile  né  decorosa  l'aderire  alle  sue  domande  ed  offerte  delle  quali 
la  Signoria  è  gratissima  (carte   109  tergo). 

1414.  24  maggio.  —  Ad  istanza  degli  abitanti  delle  ville  sottoposte 
alla  giurisdizione  di  Raspo,  che  soffrirono  grandissimi  danni  dagli  Ungheresi 
nell'  ultima  guerra,  le  ville  stesse  sono  fatte  esenti  per  5  anni  dalle  corri- 
sponsioni  di  grano,  di  agnelli,  dalla  decima  degli  agnelli  e  dalla  contribu- 
zione pel  gastaldo,  restando  in  vigore  tutte  le  altre  imposte  e  gravezze  solite. 
Sono  eccettuate  da  tale  esenzione  Mima  maior,  Mima  minor  e  Seyanum  che 
non  mantennero  integrarti  fidelitatem  al  tempo  della  guerra  (carte  111). 

1414.  8  giugno.  —  Continuando  a  recar  danno  ai  sudditi  istriani  i 
due  banditi  Gaspare  Cremer  e  Giorgio  Simich  [questi  ribelle  e  traditore] 
già  colpiti  di  taglia,  si  delibera  che  se  uno  d' essi  venisse  ucciso  da  un 
bandito  dall'  Istria,  1'  uccisore,  oltre  guadagnar  la  taglia,  sarà  assolto  dal 
bando,  e  se  l'uccisore  sarà  uomo  non  bandito,  potrà  liberar  dal  bando  un 


—  8  — 

altro,  trattine  i  condannati  per  tradimento  od  assassinio.  Tutti  i  rettori  del- 
l'Istria  osserveranno  la  presente  (carte  né). 

1414.  12  giugno.  —  Fra  altre  risposte  date  ad  ambasciatori  del  pa- 
triarca di  Aquileia  si  legge  : 

Alla  domanda  o  meglio  alle  querele  contro  UH  de  Iustinopoli,  i  quali 
detinent  Florido  quatti  plura  bona  ;  item  Albino  rivi  in  Mugla  vendita  fuerunt 
certa  bona  eie.  ;  item  domine  Altasie  accepte  fuerunt  certe  domus  et  una  vinca  ; 
item  Georgio  fuerunt  accepta  quatnplura  bona  et  XXIIII  ducati  prò  uno  captivo 
capto  post  treuguas  per  potestatem  Iustinopolis  ;  —  si  risponde  che  tuttociò 
seguì  al  tempo  della  guerra,  e  quindi  non  vi  è  luogo  a  restituzioni;  se 
però  aliter  ostendere  vellent  [gli  ambasciatori],  Venezia  è  pronta  ad  faciendum 
ea  que  sint  juris  et  justitie. 

Alla  domanda  della  liberazione  e  restituzione  di  Filotasio  e  di  Bertone 
da  Muggia  e  delle  loro  cose,  presi  in  mare  dal  capitano  veneto  d'  un  ga- 
ledello  del  Golfo,  si  risponde  esser  anche  queste  catture  seguite  in  tempo 
di  guerra  e  come  sopra  (carte  118). 

1414.  12  giugno.  —  Sentendosi  che  Gaspare  Cremer,  di  cui  si  occupa 
la  deliberazione  8  corrente,  è  alla  testa  di  60  pedites  e  di  40  cavalli,  coi 
quali  est  dispositus  datnnificare  i  sudditi  veneti  dell'Istria,  si  accresce  la  taglia 
contro  di  lui  a  1000  lire,  ferme  nel  resto  le  condizioni  portate  dalla  detta 
deliberazione.  E  la  presente  sarà  publicata  in  tutta  l'Istria  (carte  118), 

1414.  13  giugno.  —  Ad  istanza  degli  ambasciatori  di  Capodistria  si 
accordano  a  difesa  di  quella  città  50  balestre,  50  crochi,  50  lancie  e  25  casse 
di  verettoni  ;  i  patroni  dell'  arsenale  ne  faranno  la  consegna  a  prezzo  di 
stima  che  verrà  sborsato  entro  tre  mesi  dal  comune  di  detta  città  (carte 
118  tergo). 

1414.  3  luglio.  —  Avendo  il  capitano  di  Raspo  ricusato  di  obbedire 
al  seguente  ordine  della  Signoria  perchè  non  dato  ex  auctoritate  Consilii 
rogatorutn,  gli  si  replica  1'  ordine  stesso  e  quello  d'  eseguirlo. 

Essendosi  il  comune  di  Dignano  lagnato  che  il  capitano  di  Raspo  esi- 
geva lire  240  prò  resto  pagarum  quatuor  dell'anno  scorso  pel  Pasinatico,  e 
dimostrato  avendo  l'insussistenza  di  tale  pretesa,  perchè  otttni  anno  in  festo 
dedicationis  S.  Michaelis  Arde  mense  septembris  dare  et  solvere  [quegli  abitanti] 
tenentur  nostro  rectori,  recipienti  nomine  nostri  domimi  libras  CCCXXVII,  si 
ordina  al  capitano  stesso  di  desistere  dalle  sue  esigenze  (carte  126). 

1414.  12  luglio.  —  Quia  bonum  est  providere  super  facto  salis  istorum 
piranensium,  si  ordina  agli  ufficiali  al  sai  di  noleggiare  i  legni  necessari  e 
m'andarli  a  Pirano  per  portare  a  Venezia  il  sale  colà  raccolto  ;  non  potendosi 
caricar  tutto,   quei  podestà  farà  misurare  alla  presenza   dell'  incaricato  dei 


—  9  — 

detti  ufficiali  il  sale  rimanente,  tenendone  conto.  Si  delibera  poi  che  uno 
degli  ufficiali  alle  Rason  vecchie  ed  uno  di  quelli  al  Cattaver  si  rechino  in 
detta  città  e  d'  accordo  con  quel  podestà  provvedano  per  l' apprestamento 
di  magazzini  onde  collocarvi  il  sale  (carte  129). 

1414.  20  agosto.  —  Si  manda  a  Raspo  uno  degli  ufficiali  alle  rason 
nove  per  esaminare  i  conti  delle  spese  di  quel  capitano.  —  Il  Collegio  darà 
la  commissione  relativa  (carte  143  tergo). 

1414.  23  agosto.  —  Invece  dell'  ufficiale  alle  Rason  nove  [veggasi  20 
agosto]  si  manda  a  Raspo  un  ufficiale  alle  Rason  vecchie,  non  essendo  il 
primo  competente  (carte  148  tergo). 

1414.  24  agosto.  —  Non  volendo  il  presente  cancelliere  del  podestà 
e  capitano  di  Capodistria  adattarsi  a  dividere  i  proventi  degli  atti  civili 
col  cancelliere  di  quel  comune  [che  si  elegge  ogni  quattro  mesi  dal  con- 
siglio comunale,  giusta  l' antica  consuetudine  richiamata  in  vigore  colla 
deliberazione  4  luglio  141 3,  e  come  ebbe,  per  grazia,  il  fu  Baisino  de'  Baisi]; 
si  ordina  al  detto  podestà  e  capitano  di  obligare  il  suo  cancelliere  a  far 
partecipi  quelli  del  comune  dei  mentovati  proventi  [s/5  a  quello,  */»  a  quest'] 
e  così  si  osservi  in  avvenire  (carte   147). 

1414.  23  ottobre  —  Si  prolunga  fino  al  Natale  1415  la  riduzione  di 
un  ducato  per  orna  sul  vino  importato  in  Venezia  dall'  Istria,  da  Trieste 
e  da  Muggia  (carte  168  tergo). 

14 14.  5  novembre.  —  Per  terminare  le  questioni  fra  i  comuni  di  Di- 
gnano  e  di  Valle  per  certi  pascoli  in  Mascarada  [i  quali  solevano  affittarsi 
dal  primo]  si  commette  al  capitano  di  Raspo,  al  podestà  e  capitano  di  Ca- 
podistria e  al  podestà  di  Parenzo  d'esserne  giudici,  a  maggioranza,  riservato 
alle  parti  il  ricorso  in  appello  agli  auditori  delle  sentenze,  e  della  sentenza 
sarà  esecutore  il  predetto  capitano  (carte  171). 

Senato  Misti  voi.  LI. 


1415.  20  giugno.  —  Essendo  gli  stipendiari  di  Raspo  carichi  di  debiti 
[per  5000  lire]  perchè  i  comuni  dell'  Istria  non  vogliono  pagare  ciò  che 
devono;  si  ordina  a  tutti  i  rettori  di  quella  provincia  di  obbligare  le  terre 
sotto  la  loro  dipendenza  a  pagare  le  competenti  contribuzioni  pel  Pasinatico, 
e  si  autorizza  il  capitano  di  Raspo  a  pignorare  quelli  che  non  pagassero. 
Si  ordina  poi  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  sovvenire  il  detto 
capitano  con  quella  maggior  somma  che  potrà  (carte  37). 

1415.  24  giugno.  —  Si  scrive  al  podestà  di  Pirano:  Il  podestà  e  ca- 


—    IO    — 

pitano  di  Capodistria,  il  capitano  di  Raspo,  il  podestà  di  Buie  con  due  di 
quella  terra,  riferirono  che  gli  abitanti  di  Pirano,  alla  presenza  del  loro 
podestà,  tagliarono  il  frumento  dei  terrazzani  di  Buie  ;  di  ciò  si  fa  aspro 
rimprovero  al  podestà  stesso  e  gli  si  ordina  di  far  risarcire  immediatamente 
il  danno  dato  ;  se  poi  i  piranesi  hanno  giusti  motivi  di  lagno  contro  quelli 
di  Buie,  si  rivolgano  al  governo  che  farà  loro  giustizia  (carte  37  tergo). 
Non  approvato. 

141 5.  27  giugno.  —  Scusatisi  i  piranesi,  per  mezzo  di  due  ambasciatori, 
del  fatto  qui  sopra  riferito,  adducendo  che  il  frumento  fu  tagliato  nel  ter- 
ritorio di  Castel  Venere  dato  dalla  Signoria  al  loro  comune,  si  ordina  al 
podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  tenere  in  sequestro  250  delle  332  lire 
eh'  ei  doveva  pagare  al  detto  comune  per  ispese  da  questo  fatte  nell'armar 
barche  spedite  a  Latisana  ;  di  recarsi  personalmente  sul  luogo  del  fatto, 
stimare  il  danno,  convocare  il  podestà  di  Pirano  e  quei  cittadini  di  Pirano 
e  di  Buie  che  crederà,  udirne  le  ragioni,  e  decidere  di  esse,  e  i  contendenti 
eseguiranno  la  sua  sentenza;  se  le  dette  lire  332  non  basteranno  ad  in- 
dennizzare quelli  di  Buie,  si  supplirà  con  denari  della  camera  di  Capodistria 
(carte  38  tergo). 

141 5.  9  luglio.  —  Il  neo  eletto  capitano  di  Raspo,  Daniele  Loredan, 
in  luogo  di  due  dei  quattro  balestrieri  che  è  tenuto  condur  seco,  condurrà 
un  legnaiuolo  [marangonuni]  e  un  muratore  che  sappiano  adoperare  la  ba- 
lestra ;  essi  si  occuperanno  nei  lavori  di  riparazione  necessari  al  castello 
(carte  45  tergo). 

1415.  12  agosto.  —  Per  frenare  i  numerosi  contrabbandi  si  prendono 
le  disposizioni  opportune  per  la  sollecita  spedizione  della  galea  della  Riviera 
dell'  Istria  (carte  54). 

141 5.  24  agosto.  —  Il  giorno  19  il  capitano  di  Raspo  fece  asportare 
da  uomini  armati  molti  cavalli  ed  altri  animali  dal  territorio  d' Isola,  e 
benché  la  Signoria  avesse  già  ordinato  al  detto  capitano  che  se  gì'  isolani 
pagassero  200  lire  entro  agosto  ed  altre  200  prima  della  sua  partenza  dalla 
carica  non  li  molestasse.  Si  ordina  quindi  al  capitano  stesso,  premessi  gravi 
lagni  per  la  sua  disobbedienza,  di  restituire  immediatamente  gli  animali 
tolti  per  suo  ordine  come  sopra,  sotto  pena  di  500  lire,  e  di  eseguire  quanto 
è  detto  di  sopra  circa  l'esazione  del  danaro.  —  Si  ingiunge  poi  a  tutti  gli 
altri  rettori  dell'  Istria  di  far  restituire  dai  compratori  gli  animali  summen- 
tovati  che  fossero  stati  venduti  ;  restituendo  loro  il  denaro  (carte  éo  tergo). 
141 5.  9  settembre.  —  Essendosi  saputo  che  i  capitani  della  Riviera 
dell'  Istria  sogliono  scendere  e  stare  a  lungo  in  quelle  terre,  e  permettono 
ai  loro   dipendenti  di  andar  ad   attendere  a  lavori   rurali,    con  pregiudizio 


1 1 


grave  della  custodia  loro  incombente  ;  si  delibera  che  i  detti  capitani  non 
possano  sbarcare  che  un  giorno  al  mese  in  ciascuna  terra,  sotto  pena  di 
ioo  lire  di  piccoli  ogni  volta  contravvenissero  [un  terzo  delle  quali  a  van- 
taggio dell'accusatore]  e  di  privazione  d'ogni  comando  navale  per  due  anni  ; 
—  si  ordina  poi  a  tutti  i  rettori  litorani  dell'  Istria,  sotto  vincolo  di  giu- 
ramento, di  vegliare  all'  osservanza  di  tale  disposizione.  La  quale  servirà 
anche  pei  comandanti  i  legni  piccoli  di  detta  custodia.  I  capitani  stessi  vi- 
gileranno anche  sui  porti  fra  Monfalcone  e  Caorle  (carte  64  tergo). 

[415.  9  settembre.  —  Avendo  ricusato  il  podestà  e  capitano  di  Ca- 
podistria  di  osservare  il  disposto  dalla  deliberazione  24  agosto  1414,  si  ordina 
al  medesimo  [Pietro  Zaccaria]  di  obbligare  il  cancelliere  del  suo  predecessore 
[se  si  trova  in  quella  città]  a  pagare  ai  cancellieri  eletti  da  quel  consiglio 
quanto  il  primo  riscosse  di  competenza  dei  secondi  giusta  la  detta  delibe- 
razione ;  e  di  imporre  al  proprio  cancelliere  la  rigorosa  osservanza  della 
deliberazione  stessa  con  restituzione  delle  somme  riscosse  indebitamente  ; 
ciò  sotto  pena  di  lire  500  al  cancelliere,  e  1000  al  podestà.  Si  ordina  poi 
la  stretta  osservanza  dell'accennato  decreto  14 14  a  tutti  i  successivi  rettori 
di  Capodistria  (carte  64  tergo). 

141 5.  21  novembre.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di 
Pirano  si  delibera  di  ordinare  risolutamente  al  capitano  e  podestà  di  Ca- 
podistria il  pagamento,  più  volte  commesso  e  mai  effettuato,  di  lire  338  circa 
al  detto  comune  per  5  barche  ivi  armate  e  spedite  a  Latisana  per  comando 
della  Signoria  (carte  80  tergo). 

1415  m.  v.  14  gennaio.  —  Avendo  alcuni  comuni  dell'Istria  dichiarato 
di  non  potere,  in  seguito  ai  danni  sofferti  nell'  ultima  guerra,  pagare  le 
quote  loro  incombenti  pel  pasinatico,  la  Signoria  convocò  due  abitanti  per 
ciascuno  d' essi  comuni  per  udirne  le  ragioni,  ed  il  Senato,  su  proposta 
dei  savi  del  consiglio,  che  le  esaminarono,  delibera  :  Pola  porterà  il  suo 
contributo  da  960  a  1200  lire,  Parenzo  da  360  a  450,  Montona  da  768  a  900, 
Isola  da  960  a  500;  tutti  gli  altri  comuni  pagheranno  come  in  addietro; 
e  questa  disposizione  durerà  in  vigore  5  anni  e  più  se  non  sarà  revocata 
dal  Senato  (carte  86  tergo). 

1415  m.  v.  18  febbraio.  —  Si  prolunga  fino  al  15  marzo  il  termine 
alla  partenza  per  il  suo  posto  a  Ordelaffo  Falier,  eletto  podestà  a  Grisignana, 
deffectu  salarti  (carte   102  tergo). 

1416.  io  aprile.  —  Facoltà  al  capitano  di  Raspo  di  spendere  30  ducati 
per  il  tetto  della  casa  dei  balestrieri  e  per  comperare  duas  pilas  ab  oleo 
(carte  120). 

1416.  28  luglio.  —  Si  ordina  agli   ufficiali  al  sai  di  misurare  il  sale 


—    12   — 

che  giunge  a  Venezia  da  Pirano,  non  ostante  sia  già  stato  misurato  colà, 
e  di  porlo  nei  magazzini  in  monti  speciali,  non  mescolandolo  con  altri 
(carte  148  tergo). 

141 6  m.  v.  26  gennaio.  —  Si  prolunga  a  tutto  settembre  venturo  la 
solita  riduzione  d'un  ducato  per  anfora  sul  dazio  del  vino  portato  a  Venezia 
da  Capodistria,  Isola  e  Pirano  (carte   184  tergo,). 

Senato  Misti  voi.  LII. 

1417.  13  marzo.  —  Si  scrive  a  Marco  Polani  podestà  e  capitano  di 
Capodistria  essere  stato,  ad  istanza  sua  e  degli  abitanti  di  Due  Castelli, 
confermato  per  un  altro  anno  a  podestà  di  quest'  ultima  terra  Antonio 
Albanensis  di  Capodistria  (carte  2). 

1417.  22  marzo.  —  Facoltà  al  podestà  di  Grisignana  di  spendere  100 
lire  in  riparazioni  ad  un  molino  di  spettanza  dello  Stato,  che  dava  buon 
reddito  (carte  4). 

1417.  26  aprile.  —  Facoltà  al  podestà  di  S.  Lorenzo  di  spendere  200 
lire  in  riparazioni  a  quelle  mura  e  in  altri  lavori  (carte  9  tergo). 

1417.  8  maggio.  —  Non  trovandosi  chi  voglia  andare  per  medico 
fisico  del  comune  di  Capodistria  pel  salario  di  350  lire  l'anno  finora  pagato; 
si  concede  che  il  detto  salario  possa  essere  portato  a  lire  500  (carte  12  tergo). 

1417.  19  luglio.  —  Si  scrive  a  molti  rettori,  e  fra  questi  al  podestà 
e  capitano  di  Capodistria,  al  podestà  di  Montona  e  al  capitano  di  Raspo, 
rinnovando  il  divieto  fatto  il  21  febbraio  1403  m.  v.  a  tutti  i  connestabili, 
soldati,  provvisionati,  connestabili  di  birri  e  caballariorum,  che  hanno  sti- 
pendio dallo  Stato,  di  aver  parte  direttamente  od  indirettamente  in  alcun 
dazio  [cioè  di  farsene  appaltatori  o  soci  di  appaltatori]  in  qualsiasi  luogo 
dei  dominii  di  Venezia,  sotto  pena  perpetue  privationis  officii  vel  beneficìi  et 
stipendii  (carte  36). 

1417.  20  settembre.  —  Restando  da  riscuotersi  in  Capodistria  molti 
crediti  dello  Stato,  si  ordina  a  quel  podestà  e  capitano  di  far  publicare 
dovere  i  debitori  estinguere  tali  debiti  entro  un  mese,  sotto  pena  di  un 
soldo  per  lira.  Questa  pena  sarà  divisa  per  terzo  fra  il  podestà  e  capitano 
e  i  due  camerlenghi  quando  si  tratti  di  debiti  nati  prima  ch'entrassero  in 
carica  i  detti  rettori  (carte  46). 

1417.  27  settembre.  —  La  pena  qui  sopra  mentovata  invece  che  per 
terzo  sarà  divisa  per  quarto,  un  quarto  al  podestà  e  capitano,  uno  per  ciascuno 
ai  due  camerlenghi,  ed  uno  agli  scrivani  e  fanti  di  questi  ultimi  (carte  47  tergo). 


—  13  — 

1417-  27  settembre.  —  Essendo  stato  dagli  ufficiali  al  sai  mandato  a 
Pirano  un  mtntium  per  prendere  sale,  giusta  il  prescritto  dalla  deliberazione 
io  febbraio  141 3,  quei  cittadini  l'obbligarono  ripetutamente  e  con  mali  modi 
a  tornarsene  a  Venezia  coi  navigli  quasi  vuoti  di  sale  ;  si  ordina  perciò  al 
podestà  di  detta  terra  di  intimare  a  quei  cittadini  Nicolò  Foya,  Almerico 
de  Petrogna,  Giorgio  de  Majeo,  Giorgio  de  Garofalo,  Severino,  Enrico  de 
Caroto  di  comparire  dinanzi  la  Signoria  ut  possimus  sibi  declarare  nientem 
nostrani.  Giunti  i  predetti  a  Venezia  si  farà  ciò  che  si  stimerà  conveniente 
per  1'  onore  e  l' interesse  publico  (carte  48). 

1417.  25  novembre.  —  Facoltà  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria, 
Vittore  Marcello,  di  mandar  persone  in  Ungheria  prò  sentiendo  de  novis 
(carte  58  tergo). 

1417.  29  novembre.  —  Molti  piranesi,  invece  di  consegnare  il  sale  di 
lor  produzione  dovuto  allo  Stato,  non  obbedendo  alle  ingiunzioni  di  quel 
podestà,  ne  fecero  contrabbando  ;  si  delibera  perciò  di  dichiarare  ai  venuti 
a  Venezia  volere  il  Senato  che  lo  Stato  abbia  assolutamente  il  sale  che  gli 
spetta,  che  coloro  che  ancora  non  lo  consegnarono  debbano  aver  ciò  fatto 
entro  un  mese  ;  chi  noi  farà  pagherà  due  ducati  per  ciascun  moggio  che 
avrebbe  dovuto  dare  (carte  59  tergo). 

1417.  21  dicembre.  —  Al  tempo  dell'acquisto  di  Pola  si  decretò  che 
Nascinguerra,  Sergio  e  il  figlio  del  fu  Glizesii  [?]  di  Castropola  e  i  loro 
eredi  maschi  restassero  per  sempre  esclusi  da  quella  città  e  dal  suo  distretto, 
conservandovi  i  beni  ;  essendosi  però  i  membri  di  quella  famiglia  mostrati 
sempre  fedeli  e  buoni  sudditi,  si  concede  a  Sergio  del  fu  Forella  ed  a'  suoi 
discendenti  di  andare  e  stare  nella  città  stessa  e  suo  circondario  quando  e 
per  quanto  tempo  vorranno  (carte  65). 

1418.  21  aprile.  —  Presentatisi  quattro  ambasciatori  del  comune  di 
Muggia  alla  Signoria,  dichiararono  essere  il  detto  comune  disposto  a  vivere 
in  pace  con  Venezia,  aver  mandato  a  dire  al  patriarca  di  Aquileia  che  in 
caso  di  guerra  fra  questo,  il  re  dei  Romani  e  la  Republica,  Muggia  se  ne 
starebbe  tranquilla  ;  avendo  poi  quella  terra  facoltà  possendi  se  concordare 
cum  quibuscumque,  gli  ambasciatori  offrirono  di  stipulare  un  patto  eh'  essa 
starebbe  neutrale  fra  Venezia  e  i  suoi  nemici,  né  darebbe  a  questi  aiuto  o 
comodità  di  sorta.  Si  delibera  di  rispondere,  che,  scordando  le  offese  pas- 
sate, il  Senato  è  disposto  ad  avere  i  muggesi  in  bonos  amicos,  ad  accettare 
le  proposte  degli  ambasciatori  ;  esigersi  però  che  le  condizioni  vengano 
stipulate  con  regolare  istrumento  e  che  i  muggesi  promettano  di  non  am- 
mettere nel  loro  territorio  beni  o  animali  dei  nemici  di  Venezia  (carte 
89  tergo). 


—  i4  — 

I4'i  8.  2  maggio.  —  Facoltà  a  Francesco  Basadonna  capitano  a  Raspo 
di  spendere  40  ducati  per  la  rinnovazione  del  tetto  del  castello  ed  altro 
(carte  90  tergo). 

1418.  12  maggio.  —  Licenza  al  comune  di  S.  Lorenzo  di  spendere 
per  io  anni  annualmente  200  lire  delle  rendite  del  luogo  prò  possendo 
hedijìcari  jacere  ac  reparari  castrum  di  quella  terra,  e  per  far  costruire  imam 
calcheriam.  I  podestà  del  luogo  sono  incaricati  di  sorvegliare  l'impiego  del 
danaro  (carte  91). 

1418.  11  giugno.  —  Facoltà  a  Castellano  Minio  podestà  a  Grisignana 
di  spendere  ducati  100  [già  accordati  al  suo  predecessore  e  da  questo  non 
usati]  in  riparazioni  a  quelle  fortificazioni.  La  somma  è  assegnata  sulla 
camera  di  Capodistria  (carte  94  tergo). 

1418  m.  v.  2  gennaio.  —  In  risposta  a  lettera  20  dicembre  p.  p.  del 
podestà  e  capitano  di  Capodistria  si  approvano  la  condotta  di  esso  e  le 
convenzioni  da  lui  stipulate  cum  illis  qui  venernnt  ad  vos  [podestà  e  capitano] 
nomine  capitana  Reifenbergi,  videlicet  quod  subditi  nostri  possint  tute  libere  et 

impune  accedere  ad  loca  sui  capitaneatus et  e  converso  sui  subditi  ad 

loca  nostra  venire.  Circa  proposte  di  tregua  e  buona  vicinanza  fatte  al  me- 
desimo podestà  e  capitano  da  Michele  nuntius  capitana  Vipami  [sic],  il  Senato 
approva  si  tratti,  e  che  ogni  convenzione  che  si  facesse  sia  osservata,  quando 
ciò  pure  avvenga  per  parte  degli  altri  contraenti  (carte  140). 

14 18  m.  v.  23  gennaio.  —  Licenza  al  podestà  di  Dignano  presente 
e  successori  di  spendere  per  un  triennio  lire  500  1'  anno  per  ristaurare  il 
palazzo  di  sua  abitazione  rovinato  dagli  Ungheresi.  Ciò  in  quanto  il  podestà 
è  costretto  ad  abitare  una  casa  presa  in  affitto,  per  cui  quel  comune  paga 
lire  40  1'  anno  (carte  145  tergo). 

1418  m.  v.  29  gennaio.  —  Essendo  consueto  che  coloro  che  fanno 
de  cineribus  nei  luoghi  dell'  Istria  pagano  ai  rispettivi  comuni  soldi  40  per 
ogni  migliaio  di  ceneri  che  si  porta  a  Venezia  ;  a  Dignano  invece  si  fa 
pagare  un  ducato,  il  che  impedisce  1'  esercizio  in  quella  città  della  detta 
industria  ;  si  dichiara  che  anche  Dignano  sia  trattata  come  gli  altri  luoghi 
(carte   147  tergo). 

141 8  m.  v.  3  febbraio.  —  Si  ordina  al  podestà  di  Capodistria,  al  ca- 
pitano di  Raspo  e  ai  podestà  di  Montona  e  d' Isola  di  giudicare  sulle  que- 
stioni vertenti  fra  i  comuni  di  Capodistria  e  d'Isola,  non  ostante  la  sentenza 
già  pronunziata  da  Andrea  da  Mosto  podestà  a  Pirano  contro  la  quale  ri- 
corsero gli  uomini  d' Isola.  La  nuova  sentenza  dovrà  essere  pronunziata 
col  voto  di  almeno  tre  dei  giudici  (carte  148). 

14 18  m.  v.  3  febbraio.  —  Si  delibera  che  i  ribolea  condotti  a  Venezia 


—  i5  — 

da  Capodistria,  Isola  e  Pirano  paghino  solo  2  '/,  ducati  per  anfora  di  dazio. 
—  Durata  un  anno  (carte  148  tergo). 

1419.  23  marzo.  -  Per  evitare  la  frequenza  dei  contrabbandi,  che 
succede  sempre  fra  l'uscir  di  carica  dei  capitani  delle  Riviere  della  Marca 
e  dell'  Istria  e  l'entrarvi  dei  loro  successori,  si  delibera  che  i  capitani  stessi 
restino  ai  rispettivi  posti  fino  all'arrivo  dei  successori  (carte   157). 

1419.  21  aprile.  —  In  seguito  ad  informazioni  di  Biagio  Venier,  e 
ad  istanza  di  due  abitanti  di  Momorano  venuti  all'  uopo  a  Venezia,  e  ri- 
sultando da  informazioni  1'  importanza  di  fortificare  il  detto  luogo  per  la 
sicurezza  di  Pola  e  del  resto  dell'  Istria  da  quella  parte  ;  si  permette  al  detto 
conte  di  far  riparare  e  fortificare  Momorano  a  spese  degli  abitanti  della  città 
e  dell'  ultimo  luogo  ;  il  conte  poi  vi  manderà  un  capitano,  e  in  tempo  di 
guerra  vi  manterrà  il  presidio  necessario  a  spese  come  sopra,  e  così  lo  farà 
guarnire  delle  armi  necessarie  (carte  165). 

1419.  ij  maggio.  —  Avendo  i  giudici  delegati  per  le  vertenze  fra 
Capodistria  ed  Isola  [vedi  3  febbraio  1418  m.  v.]  riferito  non  versare  le 
questioni  solo  sui  confini  mentovati  nella  sentenza  di  Andrea  da  Mosto,  ma 
anche  su  altri  punti,  i  quali  se  non  fossero  definiti  produrrebbero  nuove 
liti  ;  si  ordina  ai  rettori  nominati  nella  deliberazione  3  febbraio,  aggiunto 
il  podestà  di  Grisignana,  di  giudicare,  a  maggioranza,  tutte  le  questioni 
fra  i  detti  due  comuni,  che  furono  oggetto  della  sentenza  da  Mosto  e  ne 
derivarono;  e  poiché  le  parti  non  producono  regolarmente  i  loro  documenti, 
asserendoli  perduti  nella  guerra  dei  genovesi,  i  giudici  giudicheranno  de 
jure  et  de  jacto,  come  pure  sulle  spese  della  sentenza  antecedente  e  della 
procedura  pendente,  onde  sia  posto  termine  definitivamente  ad  ogni  vertenza 
(carte  168  tergo). 

141 9.  1  giugno.  —  Si  approva  un  capitulum  deliberato  dal  consiglio 
del  comune  di  S.  Lorenzo  con  cui  si  proibisce  l' importazione  del  vino  fo- 
restiero in  quel  castello  e  suo  distretto,  prò  incanipando  illud  e  per  farne 
commercio,  sotto  pena  di  lire  50  a  favore  dello  Stato,  e  di  perdita  del  liquido 
e  degli  animali  o  barca  che  lo  portassero.  Si  eccettua  la  festa  di  S.  Lorenzo, 
in  cui  per  tre  giorni  [vigilia,  festa  e  dì  seguente]  si  potrà  vendere  qualsiasi 
vino.  In  caso  di  mancanza  di  questo  in  paese,  i  podestà  potranno  provvedere 
(carte  172  tergo). 

14 19.  13  giugno.  —  Giovanni  Benintendi  di  Capodistria  appaltò,  al 
tempo  che  Vitale  Miani  vi  era  podestà  e  capitano,  per  un  anno  il  dazio  di 
quei  molini  ;  ma  avendoli  gli  ungheresi  distrutti  nella  loro  discesa,  nulla 
riscosse,  e  non  potè  pagare  il  dovuto  allo  Stato  ;  a  sua  istanza  gli  si  fa 
rcstaurum  de  tribus  mensibus  prò  rata  eius  quod  solvere  debebat  (carte  174  tergo). 


—  ié  — 

1419.  20  giugno.  —  Si  encomia  la  diligenza  usata  dal  podestà  e  ca- 
pitano di  Capodistria  nel  procurarsi  e  nel  comunicare  (con  sua  leu.  15  corr.) 
Illa  nova  ch'ebbe  a  Cancellarlo  Lubiane  de  partibus  Hungarie,  e  gli  si  per- 
mette di  pagare  50  lire  di  piccoli  promesse  al  detto  cancelliere  per  le  notizie 
date  (carte   179). 

1419.  30  giugno.  —  Non  trovandosi  nave  ne  barca  alcuna  alla  custodia 
della  Riviera  dell'  Istria,  onde  crescono  i  contrabbandi  ;  si  delibera  che,  come 
in  passato,  s'  armino  di  tempo  in  tempo  5  barche  da  mandarsi  alla  detta 
custodia  sotto  gli  ordini  d' un  capitano  eletto  dalla  Signoria  fra  i  membri 
del  Maggior  Consiglio,  col  salano  di  ducati  16  il  mese,  tenendo  un  servo. 

Si  ordina  poi  che  il  capitano  della  Riviera  dell'  Istria  non  possa  stare 
più  di  5  giorni  ogni  mese  nelle  terre  di  quella  provincia,  salvo  legittimo 
impedimento  (carte   182). 

1419.  io  luglio.  —  Provvedimento  finanziario  per  affrettare  1'  andata 
al  servizio  di  Bernardo  Marcello  eletto  capitano  della  Riviera  dell'  Istria,  e 
delle  barche  destinatevi  (carte  183  tergo). 


Senato  Misti  voi.  LUI. 


1419.  22  settembre.  —  Facoltà  a  Nicolò  Pizzamano  podestà  a  S.  Lo- 
renzo di  spendere  lire  150,  oltre  le  già  concesse  da  spendere  in  io  anni 
per  quella  terra,  in  riparazioni  al  fondaco  delle  munizioni  e  alle  case  del 
cancelliere  e  dello  speziale  (carte  3  tergo). 

1419.  2  ottobre.  —  Essendo  state  bruciate  dagli  Ungheresi,  nell'ultima 
guerra  al  fine  della  tregua,  le  ville  di  Crestenich  e  Vodke,  i  loro  abitanti, 
così  consigliando  anche  il  capitano  di  Raspo,  sono  esonerati  per  tre  anni 
dal  pagamento  delle  decime  dovute  allo  Stato. 

Trovandosi  poi  disabitate  dopo  l' incendio  di  vari  anni  addietro  le  ville 
di  Melonixa  e  di  Novach,  si  dichiarano  esenti  per  cinque  anni  da  decime 
tutti  quelli  che  si  recheranno  ad  abitarvi,  quando  sieno  o  antichi  abitanti 
delle  stesse  o  persone  non  suddite  di  Venezia  (carte  4  tergo). 

1419.  io  ottobre.  —  Avendosi  sentore  de  progressibus  degli  Ungheresi 
a  partibus  superioribus  Iustinopolis,  si  dà  facoltà  ad  Omobono  Gritti  eletto 
podestà  e  capitano  di  detta  città  di  spendere  in  esploratori  ed  informatori, 
come  fu  già  concesso  al  suo  predecessore  Giovanni  Garzoni  (carte  6). 

1420.  12  marzo.  —  Si  concede,  come  fu  concesso  ai  suoi  predecessori, 
a  Giovanni  Corner  eletto  capitano  di  Raspo,  di  assumere  mastro  Alegreto 


—  17  — 

qual  magistro  marangono  et  murario,  colla  solita  paga  di  lire  35  il  mese 
(carte  33  tergo). 

1420.  12  marzo.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di  Grisi- 
gnana,  cum  maior  pars  illius  terre  accidcntaliter  sii  combusta  modo  nuper,  si 
accordano  al  comune  stesso  100  ducati,  100  staia  di  frumento  e  200  tavole 
a  prestito  da  restituirsi  in  5  anni,  un  quinto  all'  anno  (carte  34). 

1420.  19  marzo.  —  Si  prolunga  il  termine  per  recarsi  al  suo  posto  a 
Pietro  Gritti  eletto  podestà  a  Grisignana,  non  avendo  esso  avuto  ancora  il 
danaro  dovutogli  (carte  35). 

1420.  30  marzo.  —  Fra  altre  cose  dette  ad  ambasciatore  del  comune 
di  Ancona,  si  parla  di  danni  dati  da  anconitani  a  Domenico  Cimarosto  di 
Pola  (carte  36  tergo). 

1420.  13  luglio.  —  Disposizioni  finanziarie  per  la  sollecita  spedizione 
di  Basilio  Malipiero  eletto  capitano  della  Riviera  dell'  Istria,  spedizione  im- 
pedita dalla  mancanza  di  fondi  (carte  60). 

1420.  29  luglio.  —  Altre,  non  potendosi  eseguire  le  deliberate  come 
sopra  (carte  63). 

1420.  1  agosto.  —  Ad  istanza  dei  comuni  e  dei  podestà  di  Cittanova, 
Pirano  ed  Umago  si  delibera  di  scrivere  alla  Santa  Sede  a  favore  di  fra' 
Pietro  da  Pirano  dell'ordine  dei  Minori  eletto  vescovo  di  Cittanova  (carte 
65  tergo). 

1420.  19  agosto.  —  Si  prolunga  fino  alla  fine  del  mese  a  Bernardo 
Sagredo  eletto  conte  di  Pola  il  termine  per  recarsi  al  suo  posto,  per  ma- 
lattia d'  un  suo  figlio  (carte  69). 

Si  prolunga  a  tutto  ottobre  il  termine  a  venire  in  Senato  colle  sue 
proposte  a  Biagio  Venier  stato  conte  a  Pola  (carte  69). 

1420.  2  settembre.  —  Si  permette  a  Vittore  Duodo  eletto  podestà  a 
Muggia  [parendo  che  colà  seviat  pestisi  quod,  accepta  designatane  et  bacillo 
regiminis  Mugle,  et  posito  in  ordine  dicto  regimine,  et  castellano  in  castro  Mugìe, 
possa  ritirarsi  in  Capodistria  o  in  altro  luogo  più  vicino  alla  detta  terra 
donec  cessabit  epidemia  (carte  25). 

1420.  3  settembre.  —  Fra  altre  pene  proposte  per  Nicolò  Contarmi, 
contro  il  quale  si  procedette  per  trasgressioni  dei  suoi  doveri  come  camer- 
lengo a  Treviso,  v'  è  pur  quella  della  destituzione  dal  reggimento  di  Umago, 
che  però  non  fu  approvata  (carte  25  tergo). 

1420.  7  dicembre.  —  Provvedimenti  per  impedire  il  contrabbando  del 
sale  dall'  Istria  in  Friuli  (carte  90). 

1420.  30  dicembre.  —  Dovendosi  provvedere  alla  maggior  possibile 
fortificazione  di    Raspo,  si    ordina  a  quel   capitano  di    far    costruire   unum 


—  18  — 

spironum  muri  a  capite  castri  versus  ecclesiam  S.  Elene,  in  quo  spirono  faccia 

fare  una  cisterna  cui  detur  aqua  ab  una  parte  culminis  castri faccia 

erigere  unum  turisinum  super  angiilo  poste  S.  Petri  simile  a  quello  poste 
S.  Marci  ;  si  concede  poi  al  detto  capitano  di  far  fare  duas  calcherias  calcis 
pei  detti  lavori,  e  per  riparare  murum  barbacani  e  murari  Ulani  parte  burgi 
que  murari  poterit  (carte  94). 

1420  m.  v.  23  gennaio.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di 
Montona,  trovandosi  quel  luogo  sprovvisto  di  munizioni  perchè  adoperate 

prò  subventione  gentium quas  din  tenuimus   contra  Pinguentum,    si 

ordina  ai  Patroni  dell'  arsenale  di  mandare  alla  detta  terra  per  munizione 
di  quel  castello  :  1 5  casse  di  verettoni  a  pede,  casse  5  di  verettoni  a  muli- 
nello, io  barili  di  polvere  da  bombarda,  20  rotelle  e  targoni,  200  tavole 
de  abieta,  20  balestre  a  pede,  5  balestre  a  mulinello,  3  bombardellas,  2  barili 
di  più  qualità,  20  corazze  cum  armis  de  testa  (carte   101  tergo). 

1420  m.  v.  3  1  gennaio.  —  In  seguito  a  lagni  del  conte  di  Pago  che 
da  Pola  e  da  Medolino  si  portava  molto  sale  a  Fiume,  con  pregiudizio 
della  produzione  dell'  isola  ;  si  vieta  al  conte  di  Pola  di  rilasciare  bollette 
per  sale  destinato  a  Fiume,  e  gli  si  ordina  di  mandar  tosto  a  Venezia  la 
descrizione  di  tutto  il  sale  esistente  nel  territorio  di  Pola  (carte  105). 

1420  m.  v.  7  febbraio.  —  Si  prolunga  per  un  anno  il  vigore  della 
riduzione  dei  dazi  sul  vino  che  viene  a  Venezia  dall'  Istria.  —  Il  dazio  da 
pagarsi  era  [colla  riduzione]  ducati  2  '/,  per  anfora  (carte  to8  tergo). 

1420  m.  v.  15  febbraio.  —  Si  assegnano  a  Vanto  da  Pirano  7  ducati 
il  mese.  Costui  dopo  aver  servito  lungo  tempo  in  vari  luoghi,  nella  guerra 
di  Chioggia,  in  quella  di  Padova  ecc.,  fu  per  vari  anni  capitano  della  rocca 
di  Lonigo  alla  testa  d'  una  bandiera  con  ducati  9  il  mese,  diminuiti  poi 
a  5  per  riduzione  delle  milizie  e  dei  loro  stipendi.  Essendo  ora  morto  il 
suo  figlio  maggiore,  ucciso  da  un  colpo  di  bombarda  mentre  stava  sotto 
Pinguente  alla  testa  di  50  piranesi,  Vanto  suddetto  dovette  raccogliere  i  di 
lui  figli,  e  chiese  gli  fosse  aumentata  la  paga  (carte  no). 

1420  m.  v.  15  febbraio.  —  Un  ambasciatore  del  comune  di  Muggia 
espone  :  Per  ordine  del  capitano  di  Raspo  molti  di  quei  cittadini,  in  cinque 
volte,  andarono  contro  Pinguente;  tre  vi  furono  uccisi,  parecchi  feriti;  ora 
il  detto  capitano,  il  podestà  e  capitano  di  Capodistria  e  il  marchese  Taddeo 
[d'Este]  pretendono  a  queir  impresa  un  nuovo  contingente;  l'ambasciatore 
sostiene  Muggia  non  esservi  tenuta  non  essendo  soggetta  al  pasinatico.  Si 
'  risponde  riconoscersi  la  indipendenza  di  quella  terra  dal  pasinatico  di  Raspo, 
quindi  il  Senato  manderà  direttamente  al  podestà  della  stessa  i  suoi  ordini. 

Ad  istanza  del  podestà  predetto  si  accorda  esenzione  dal  dazio  d'espor- 


—  19  — 

tazione   per   legnami,   pietre  ed    armi   acquistate  a  Venezia  per   lavori   di 
fortificazione  della  mentovata  terra. 

Si  concede  sia  aperta  la  porta  a  mare  di  quel  castello  costruendovi  un 
barbacanuiii  e  un  ponte  levatoio,  le  spese  saranno  pagate  col  prodotto  delle 
condanne  del  luogo. 

Ascendendo  a  lire  io  15  il  contributo  di  Muggia  allo  Stato,  e  la  spesa 
di  quel  castello  a  864,  la  differenza  superhabitndante  a  pctgis  stipendiariornm 
sarà  impiegata  in  acquisto  di  munizioni  (carte   114). 

1421.  28  marzo.  —  Si  prolunga  a  tutto  luglio  ad  Omobono  Gritti, 
tornato  da  podestà  e  capitano  di  Capodistria,  il  termine  per  proporre  in 
Senato  le  sue  provvisioni  (carte  124). 

142 1.  6  maggio.  —  Fra  i  provvedimenti  presi  per  la  ritorma  della 
legislazione  relativa  al  commercio  del  vino  in  Venezia  si  decreta  che  dal 
1  venturo  settembre  il  dazio  dei  vini  portati  dalla  terraferma  e  dall'  Istria 
sia  di  ducati  2  '/,  per  anfora  (carte   135). 

1421.  23  maggio.  —  Si  dichiara  che  per  vino  d'Istria,  nella  delibe- 
razione precedente,  si  deve  intendere  quello  nato  nelle  terre  di  quella  pro- 
vincia suddite  di  Venezia  (carte   142  tergo). 

1421.  5  giugno.  —  Sono  liberate  da  sequestro  alcune  possessioni  ven- 
dute da  Giovanni  signore  di  Spilimbergo  a  Sergio  di  Castropola  poste  nel 
territorio  di  Pola  (carte  147  tergo). 

1421.  7  giugno.  —  Si  destina  a  Corfù  un  mar  annui  catturato  da  abitanti 
di  Albona  e  spedito  a  Venezia,  e  si  assegna  ai  medesimi  partem  sibi  tan- 
gentem,  per  la  presa  di  quel  legno,  sull'ufficio  del  sale  (carte  147  tergo). 
142 1.  7  giugno.  —  Si  accorda  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di 
confermare;  Antonio  Cerca  nell'officio  di  camerlengo  in  quella  città,  essendosi 
mostrato  abile  e  zelante  in  passato  (carte  148). 

1421.  17  giugno.  —  Nicolò  Coppo  podestà  e  capitano  di  Capodistria 
è  autorizzato  a  far  trasportare  a  spese  dello  Stato  le  vettovaglie  ed  altre 
cose  necessarie  all'esercito  (carte  153  tergo). 

1421.  28  giugno.  —  Fra  altre  risposte  date  ad  un  ambasciatore  domini 
Romperli  de  Valse  [di  Waldsee]  si  legge  : 

La  Signoria  si  informerà  sulla  veracità  dei  danni  che  si  pretendono 
dati  nella  villa  de  Adevin  dalle  milizie  del  marchese  Taddeo  che  andarono 
in  Istria. 

Benchc  il  inarannin  catturato  da  uomini  di  Albona  sia  di  presa  legit- 
tima, pure  per  mostrare  al  signor  di  Valdsee  l' amicizia  di  Venezia  per 
lui,  si  farà  restituire  al  proprietario  ;  [quel  legno  aveva  sbarcato  nel  porto 
di  Jrignoìc  alcuni  romei,  ed  uscendone  con  merci  di  tedeschi  diretti  a  Fiume, 


—    20   — 

era  stato  preso].  —  Ma  Venezia  non  può  tollerare  che  si  portino  per  mare 
a  Fiume  merci  di  sorte. 

Gli  ambasciatori  denunziano  :  Stando  le  milizie  veneziane  sotto  Pin- 
guente,  saccheggiarono  la  villa  di  Dragrìchìe,  asportandone  320  animali 
minuti,  24  maiali,  alcuni  animali  grossi,  viveri,  masserizie  ecc.  Ma%araxp 
da  Valle  soldato  in  Raspo  tolse,  nel  territorio  di  S.  Vincenti,  contado  di 
Pisino,  200  animali  minuti  ;  altri  rubarono  8  maiali  nella  villa  di  Siam, 
4  animali  grossi  nella  villa  di  Lindar  ;  uomini  di  Cittanova  rubarono  600 
animali  a  quelli  di  Visinada  ;  gli  abitanti  di  Montona  tolsero  100  animali 
minuti  e  18  grossi  agli  stessi  di  Visinada,  ed  arrestarono  due  uomini  di 
quest'ultima  terra  esigendone  riscatto  ;  Taddeo  marchese  venne  da  Portole 
con  sue  genti  in  Visinada,  vi  stette  alcuni  dì  e  vi  si  commisero  devastazioni 
per  oltre  1000  ducati;  gli  uomini  di  Montona  tolsero  a  quelli  di  Piemonte 
19  animali  grossi  ed  una  soma  di  frumento;  agli  stessi  gli  abitanti  di  Gri- 
signana  tolsero  28  animali  grossi  e  98  minuti,  quelli  di  Capodistria  346 
animali  minuti,  12  grossi  e  60  agnelli  ;  sudditi  veneziani  tolsero  agli  stessi 
di  Piemonte  io  animali  grossi,  37  agnelli,  14  animali  minuti,  e  per  lire  12 
di  pelli  a  un  pellicciaio.  Quelli  di  Montona  e  Grisignana  robano  de  dì  in 
dì  el  molin  del  prefato  magnifico  signor,  e  vi  spezzarono  due  macine  ;  nella 
villa  di  Castagna  furono  tolti  6  man-itoli,  un  maiale,  mannaie  ed  altri  oggetti 
dagli  abitanti  di  Grisignana,  ed  il  podestà  di  Capodistria  fece  pigliare  uno 
della  stessa  villa  ;  uomini  di  Fianona  tolsero  a  quelli  di  Carsan  7  animali 
grossi,  2  buoi;  la  gente  del  campo  sotto  Pinguente  tolse  335  animali  minuti 
e  15  grossi;  gli  uomini  di  Montona  tolsero  373  animali  minuti,  8  grossi, 
3  cavalli  e  190  agnelli  a  quelli  di  Sovignacbo;  al  capitano  di  quest'ultimo 
luogo  i  Montonesi  tolsero  264  animali  minuti  e  5  cavalli,  Mazara^o  7  ani- 
mali grossi  e  60  pecore  ;  i  soldati  di  Raspo  devastarono  il  molino  di  So- 
vignacho  e  vi  presero  12  moggia  di  frumento.  Agli  abitanti  della  villa  de 
Monte  furono  tolti:  da  quelli  del  campo  sotto  Pinguente  14  animali  grossi, 
11  porci,  no  pecore,  un  somier,  oggetti  sacri  nella  chiesa  del  valore  di  circa 
200  marche  [con  rottura,  per  due  volte,  delle  porte  del  tempio];  da  quelli 
di  Montona  215  animali  piccoli.  E  danni  giornalieri  vengono  dati  conti- 
nuamente dai  sudditi  di  Venezia  a  quelli  del  Waldsee.  —  Il  Senato  risponde: 
meravigliarsi  che  vengano  fatti  simili  lagni,  sanno  gli  ambasciatori  quanti 
danni  abbian  dati  i  sudditi  del  loro  mandante  a  quelli  di  Venezia  e  come 
abbiano  aiutato  Rotor  e  i  nemici  di  questa  ;  il  podestà  di  Montona  fece 
'restituire  tutto  ciò  che  fu  portato  in  quella  terra;  il  podestà  di  Cittanova 
scrive  che  gli  animali  che  si  pretendono  tolti  ai  sudditi  del  Waldsee  erano 
di  sudditi  veneziani  ;  in  ogni  modo,  si  assumeranno  informazioni  sui  danni 


21    


dati  dai  ed  ai  sudditi  di  Venezia,  e  poi  si  procurerà  che  le  questioni  relative 
finiscano  con  reciproca  soddisfazione.  —  Non  si  può  rispondere  sopra  la 
cattura  di  due  barche  fatta,  nel  1417,  nel  fiume  di  S.  Giovanni  de  la  Tuba, 
per  esser  trascorso  lungo  tempo,  e  perchè  Marco  Polani,  allora  podestà  e 
capitano  a  Capodistria,  è  lontano  da  Venezia  (carte   163  e  163  tergo). 

1421.  15  dicembre.  —  Facoltà  a  Giovanni  Corner  capitano  di  Raspo 
di  spendere  100  lire  in  ristauri  alla  casa  del  connestabile  dei  birri,  e  ai 
corridoi  del  castello  (carte  202). 

142 1  m.  v.  5  gennaio.  —  Per  porre  argine  ai  continui  contrabbandi 
di  sale  che  si  commettono  dai  piranesi  si  delibera  :  Se  i  contrabbandieri  o 
i  loro  complici  sono  proprietari  di  saline,  queste  saranno  stimate  poi  di- 
strutte per  sempre,  e  quelli  non  potranno  più  far  sale;  del  valore  delle  saline 
un  quarto  sarà  dato  all'accusatore  e  un  quarto  al  podestà  di  Pirano  a  carico 
di  quel  comune. 

Niun  privato  potrà  vendere  in  Pirano  sale  ai  mussolati  né  ad  altro 
privato,  sotto  pena  di  50  lire  per  soma  e  di  perdita  della  merce. 

Dal  1  maggio  venturo  lo  stato  pagherà  il  sale  ai  produttori  7  lire, 
invece  di  5,  il  moggio,  a  condizione  che  se  avvenisse  un  contrabbando  di 
sale  prodotto  in  quelle  saline  e  dentro  otto  giorni  non  fosse  scoperto  il 
reo,  si  tornerà  a  pagare  il  sale  a  lire  5.  Il  podestà  di  Pirano  farà  personal- 
mente il  catasto  di  tutte  le  saline  di  quel  distretto,  e  non  permetterà  che 
se  ne  accresca  il  numero,  né  che  le  esistenti  vengano  ampliate. 

Il  Pien  Collegio  eleggerà  un  ufficiale,  cui  committatur  custodia  supra- 
scriptorum,  collo  stipendio  di  200  lire  l'anno  a  carico  del  comune  di  Pirano 
e  con  partecipazione  al  prodotto  delle  multe  pei  contrabbandi. 

E  perchè  in  quella  terra  tutti  siano  trattati  egualmente  in  fatto  di  an- 
garie,  si  ordina  al  podestà  di  fare,  d'  accordo  coi  cittadini,  la  stima  delle 
facoltà  di  tutti,  e  che  secondo  la  misura  di  queste  ognuno  sia  tassato  ;  gli 
stimatori  saranno  nove,  tre  scelti  fra  i  ricchi,  tre  fra  i  mediocri,  tre  fra  i 
poveri  (carte  212  e  212  tergo). 

Tutti  quelli  che  in  Istria  faranno  o  coadiuveranno  contrabbandi  di  sale, 
oltre  le  pene  già  stabilite,  se  sono  proprietari  di  saline,  saranno  trattati  come 
è  detto  di  sopra  per  Pirano  (carte  212  tergo). 

Per  aumentare  il  prestigio  del  podestà  di  Pirano  si  porta  il  suo  salario 
da  1000  a  2000  lire;  esso  poi  terrà  a  sue  spese  7  fanti  armati,  una  barca, 
unum  socium  tnilitem  con  100  lire  l'anno  e  il  vitto;  l'elezione  d'esso 
podestà  si  farà  in  Maggior  Consiglio  per  qualuor  manus  electionum  ;  egli 
sarà  libero  di  non  tenere  i  cavalli  di  cui  parla  la  sua  commissione  (carte 
212  tergo). 


—   22   — 

1421  m.  v.  26  febbraio.  —  Avendo  due  ambasciatori  del  comune  di 
Montona  [accompagnati  da  lettere  di  quel  podestà]  domandato  che  per  poter 
rifabbricare  la  tutte  grande  rovinata  dal  fulmine  il  comune  stesso  fosse 
autorizzato  a  devolvere  a  tal  lavoro  la  contribuzione  che  soleva  pagare  pel 
Pasinatico  ;  si  risponde  non  potersi  aderire  intieramente,  condonarsi  però 
per  cinque  anni  11  lire  il  mese  che  Montona  paga  in  più  del  contributo 
per  l' addietro  (carte  221  tergo). 

Senato  Misti  voi.  LIV. 

1422.  ié  maggio.  —  Essendo  sorvenuto  male  ad  una  gamba  ad  An- 
tonio da  Riva  nominato  podestà  a  Grisignana,  gli  si  prolunga  il  termine 
per  recarsi  colà  (carte  29  tergo). 

1422.  13  settembre.  —  Licenza  a  Francesco  Contarmi  capitano  di  Raspo 
di  spendere  lire  70  in  riparazioni  alle  case  degli  stipendiari  e  del  cancelliere 
(carte  53). 

1422.  27  ottobre.  —  In  seguito  ad  istanze  di  ambasciatore  del  conte 
di  Segna,  si  ordina  ai  rettori  della  Dalmazia  e  dell'  Istria  di  permettere 
l' ingresso  nei  rispettivi  porti  agli  uomini  di  Segna  con  loro  merci,  a  con- 
dizione che  le  merci  stesse  non  si  estraggano  poscia  dai  detti  porti  se  non 
per  essere  trasportate  a  Venezia.  I  detti  uomini  potranno  esportare  dalle 
mentovate  provincie  per  Segna  cose  prodotte  in  quelle,  verso  pagamento 
dei  dazi.  È  vietato  ai  medesimi  di  trasportar  per  mare  a  Segna  merci  e 
cose  provenienti  da  paesi  non  soggetti  a  Venezia. 

Non  si  aderisce  che  il  conte  faccia  venire  olio  dalla  Marca  d'Ancona, 
essendo  autorizzato  a  provvedersene  in  Dalmazia  e  neh'  Istria  o  a  Venezia 
(carte  59  e  59  tergo). 

1422.  17  novembre.  —  Spirato  il  tempo  dell'esenzione  da  certe  imposte 
a  coloro  che  andassero  a  ripopolare  le  ville  circostanti  a  Raspo  devastate 
al  tempo  della  guerra,  ed  essendone  ancora  alcune  in  istato  di  desolazione, 
i  pochi  abitanti  di  queste  sono  costretti  a  pagare  smini  priegium  come  quelli 
delle  terre  ritornate  in  buona  condizione,  e  quindi  ad  abbandonarle  ;  si 
delibera  che  i  capitani  di  Raspo  esigano  il  priegium  solo  prò  rata  mansorum 
babitatorum  in  dictis  villis,  da  tutti  poi  le  altre  angarie  e  consuetudine* 
(carte  64). 

1422  m.  v.  18  febbraio.  —  Si  accorda  ad  Alessandro  Zorzi  sanatoria 
per  le  spese  da  lui  fatte  finora  in  nunciis  et  exploratoribus  prò  senciendo  et 
advisando  nos  de  novis  occurrentibus ,  e  lo  si  autorizza  a  spendere  siatt  sibi 


—  2j   - 

videbitur ut  semper  simus  informati  de  tangentibus  statuiti  nostrum 

(carte  85). 

1423.  3  marzo.  —  Si  autorizza  il  Collegio  a  ratificare  e  modificare 
certa  statata  presentati  da  alcuni  ambasciatori  del  podestà  e  capitano  e  del 
comune  di  Capodistria,  votati  in  quel  consiglio  ;  ed  a  rispondere  aliis  capitulis 
presentati  per  parte  di  quel  comune  (carte  89  tergo). 

Il  Collegio  delibera  si  scriva  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  e 
successori  : 

Fuerunt  ad  presentiam  nostrani  ecc.  veggasi  il  tenore  della  ducale  8 
marzo  1423  nel  libro:  «  Statuta  Iustinopolis  metropolis  Istriae.  Augustino 
Barbadico  Praet.  atque  Praef.  ecc.  Venetiis,  MDCLXVIII.  Apud  Franciscum 
Salerni  &  Ioannem  Cagnolini  »  pag.  124-127,  fino  alle  parole  memoriam 
registraci  inclusive  (carte  89  tergo  e  90). 

1423.  8  marzo.  —  Deliberata  in  Collegio.  Si  scrive  al  podestà  e  ca- 
pitano di  Capodistria  concedersi  ai  frati  Minori  di  S.  Francesco  e  ai  pro- 
curatori del  monastero  de'  SS.  Caterina  e  Biagio  di  quella  città  di  vendere 
case  e  casali  ruinati  appartenenti  a  quei  conventi,  a  condizione  che  il  ricavato 
delle  vendite  [a  Pietro  de  Petrogna  e  ad  altri]  venga  depositato  presso  il 
podestà  e  capitano  stesso,  il  quale  si  assoderà  due  di  quei  cittadini  e  tutti 
tre  insieme  impiegheranno  quel  danaro  presso  la  camera  degli  imprestiti  a 
beneficio  dei  conventi  stessi  (carte  90  tergo). 

Ducale  come  la  precedente.  Facoltà  al  detto  podestà  e  capitano  di 
porre  all'  asta  l' affittanza  di  una  casa  bruciata  posta  in  brolio  parvo  loco 
pulcriori  ill'uis  civitatis,  per  non  meno  di  28  lire  l'anno.  La  casa  era  stata 
concessa  pel  detto  prezzo  a  Iacopo  Tionfante  con  obbligo  di  rimetterla  in 
buono  stato;  da  tredici  anni,  né  fu  pagato  l'affitto,  ne  s'  ha  notizia  del 
Bonfante  (carte  90  tergo). 

1423.  13  marzo.  —  In  seguito  a  reclami  del  comune  e  degli  uomini 
della  villa  Culmi,  distretto  di  Raspo,  la  quale  per  descensionem  Rother  fu 
distrutta  in  modo  che  vi  rimasero  solo  tre  famiglie,  si  dichiarano  esenti  da 
ogni  regalia  e  consuetudine  tutti  quelli  che  vi  stanno  al  presente  e  che  an- 
dranno ad  abitarvi  dopo  esserne  partiti  ;  l' esenzione  comprende  tutto  il 
passato  e  si  estende  fino  all'ultimo  settembre  venturo.  Il  capitano  di  Raspo 
presente  e  futuro  potrà  affittare  e  concedere,  a  chi  gli  piacerà,  mansos  suos 
pel  maggior  vantaggio  dello  Stato  (carte  92). 

1423.  21  maggio.  —  Per  evitare  che  il  podestà  e  capitano  di  Capo- 
distria, il  quale  nomina  fra  quei  cittadini  i  podestà  di  Due  Castelli,  Buie, 
Portole  e  Pinguente,  vi  mandi  persone  inette  o  invise  agli  abitanti  dei  detti 
luoghi,  si  delibera  che  cessi  nel  detto  podestà  e  capitano  tale  diritto,  e  si 


—  24  — 

concede  a  quelle  comunità  di  eleggere  i  propri  giudici  et  regendi  se  prout 
per  antea  solebant,  oppure  accipiendi potestates  et  rectorcs ;  le  prime  pagheranno 
annualmente  alla  camera  di  Capodistria  quelle  somme  che  prima  solevano 
sborsare  ai  podestà  ;  le  appellazioni  delle  sentenze  dei  mentovati  giudici 
saranno  portate  davanti  al  capitano  di  Raspo  ;  —  le  seconde,  quelle  che 
vogliono  eleggersi  il  rettore,  dovranno  scegliere  un  istriano  suddito  di  Ve- 
nezia, che  dovrà  essere  confermato  dal  rettore  veneto  della  terra  di  cui  è 
cittadino  ;  i  detti  rettori  eletti  godranno  lo  stesso  trattamento  che  quelli 
mandati  da  Capodistria,  e  dopo  sortiti  di  carica  non  possono  esser  rieletti 
nella  stessa  per  tre  anni.  —  Proposta  non  approvata  (carte  ni). 

Si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  mandare  annualmente 
a  Pinguente,  Portole,  Due  Castelli  e  Buie,  per  podestà  nei  primi  due  luoghi 
e  per  rettori  nei  due  ultimi,  cittadini  di  Capodistria  appartenenti  a  quel 
consiglio,  che  sappiano  scrivere  e  siano  idonei;  chi  coprirà  uno  di  tali  posti 
non  potrà  esser  rieletto  l' anno  successivo  (carte  1 1 1  tergo). 

1423.  4  giugno.  —  Licenza  al  podestà  di  Grisignana  di  spendere  60 
ducati  in  riparazioni  solariorum  culminis  palatii,  domorum  communis  que  solent 
affictari,  sub  quibus  reponuntur  vina  et  die  decime  nostre  (carte  114). 

1423.  18  luglio.  —  Licenza  a  Nicolò  Pizzamano  rettore  di  Albona  e 
Fianona  di  venir  per  un  mese  a  Venezia  ponendo  altra  persona  in  suo  luogo 
(carte  129  tergo). 

1423.  21  dicembre.  —  Si  autorizza  il  luogotenente  in  Friuli  a  vendere 
licenze  d'importazione  in  quella  provincia  di  vino  dell'Istria,  il  quale  dovrà 
stimarsi  in  Grado  ed  ivi  pagare  il  dazio  come  in  passato  (carte  166). 

1423  m.  v.  io  febbraio.  —  Licenza  a  Nicolò  Pizzamano  podestà  di 
Albona  e  Fianona  di  venire  a  Venezia  perchè  infermo,  quantunque  Antonio 
da  Riva  suo  successore  non  siasi  ancora  recato  colà;  fino  all'arrivo  di  questo 
governeranno  quei  giudici  (carte  177  tergo). 

1423  m.  v.  24  febbraio.  —  Si  delibera  di  scrivere  ai  rettori  di  Capo- 
distria, Raspo,  Isola  e  Pirano  in  conformità  di  quanto  fu  scritto  ai  medesimi 
il  3  marzo  scorso  relativamente  ai  danni  dati  ai  sudditi  veneziani  dai  fami- 
gliari di  Giorgio  Ausperger  (carte  182). 

Senato  Misti  voi.  LV. 

t  1424.  30  marzo.  —  Si  prolunga  ad  Alessandro  Zorzi  già  podestà  e 
capitano  di  Capodistria  il  termine  per  produrre  in  Senato  provisiones  suas 
a  tutto  il  venturo  giugno  (carte  8). 


—  25  — 

1424.  io  aprile.  —  Essendosi  formati  degli  interrimenti  fra  Castel  Leone 
e  la  terra  ferma  dalla  parte  di  ponente,  considerata  l' importanza  di  quel 
fortilizio,  si  delibera  :  I  rettori  di  Capodistria  faranno  che  i  proprietari  delle 
25  saline  per  ratam  dataritm  da  essi  rettori,  senza  profitto  dello  Stato,  dal 
1410  in  poi,  cioè  io  a  parte  Semodele  e  15  a  parte  Sermini,  tolgano  i  detti 
interrimenti,  portandone  il  materiale  in  mare,  o  dove  vorranno,  in  modo 
che  tutta  la  palude  sia  ridotta  libera  ;  ciò  si  farà  al  più  presto  sotto  pena 
di  lire  500  ai  rettori  contrafacienti.  Se  poi  altre  persone,  oltre  i  detti  pro- 
prietari di  saline,  volessero  accipere  de  dictis  barinis,  prò  comodo  suo,  potranno 
Mas  accipere.  Resterà  vietato  a  chiunque  il  far  saline  nuove  fra  il  Castel 
Leone  e  la  terraferma  sotto  pena  di  lire  1000  ai  rettori  che  ne  dessero  la 
licenza  e  di  perdita  delle  saline  ai  proprietari  ;  parimenti  è  annullata  ogni 
simile  concessione  che  fosse  stata  fatta,  senza  consenso  della  Signoria,  dopo 
la  partenza  di  Alessandro  Zorzi  da  quel  reggimento  (carte  14  tergo). 

1424.  9  maggio.  —  Licenza  a  Iacopo  Correr  podestà  a  S.  Lorenzo 
di  spendere  lire  40  per  la  fabbrica  della  casa  del  fabbro  dimorante  in  quel 
castello  (carte  29). 

1424.  28  giugno.  —  Licenza  a  Iacopo  Duodo  podestà  di  Umago  di 
piantar  per  due  mesi  stanza  fuori  di  quella  terra  [sempre  però  in  Istria] 
propter  epidemiam  sevientem  in  essa  (carte  36). 

E  similmente  ad  Andrea  Marcello  podestà  a  Muggia  (carte  36). 

1424.  28  giugno.  —  Facoltà  al  podestà  di  Grisignana  di  spendere 
lire  300  [ed  ordine  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  fornirgliele]  in 
riparazioni  alle  mura  di  quel  castello  (carte  36). 

1424.  7  luglio.  —  Licenza  a  Secondo  Pesaro  podestà  a  Pirano  di  venire 
a  Venezia  per  io  giorni  a  curarsi  dalle  febbri. 

Simile  a  Iacopo  Duodo  podestà  di  Umago  (carte  40). 

1424.  21  luglio.  —  Si  prolunga  fino  al  15  agosto  la  licenza  al  Duodo 
malato  per  imam  panochiam  (carte  44  tergo). 

1424.  18  novembre.  —  Essendo  riuscito  a  Girolamo  Caotorta  podestà 
a  Pirano  con  destre  negoziazioni  d' indurre  Antonio  Toplocher  dominum 
castri  5\Cimiani  a  sottoporre  a  giudizio  d'arbitri  le  lunghe  questioni  vertenti 
fra  quest'ultimo  e  il  comune  di  Pirano  pei  confini  del  territorio  di  Castel 
Venere  ;  si  autorizza  il  detto  podestà  a  condurre  a  termine  le  pratiche  e 
a  far  che  segua  il  giudizio,  approvandosi  anticipatamente  quanto  sarà  per 
fare  (carte  67  tergo). 

1424.  18  novembre.  —  Si  conferma  per  cinque  anni  la  convenzione 
stipulata  dal  comune  di  Pirano  cum  Iudeis  fenerantibus  in  quella  terra 
(carte  68). 


—    26    — 

1424-  4  dicembre.  —  A  togliere  abusi  invalsi  si  delibera  che  dal  20 
corrente  mese  in  poi  tutto  il  vino  che  si  porta  dall'  Istria  a  Venezia  si  dovrà 
stimare,  nei  riguardi  del  dazio,  per  vino  genuino  et  non  prò  xpniis  [vino 
misto  ad  acqua]  (carte  72). 

1425.  9  marzo.  —  Licenza  a  Francesco  Diedo  capitano  della  Riviera 
dell'Istria  di  venire  per  un  mese  a  Venezia  per  suoi  affari,  lasciando  in  sua 
vece  suo  fratello  Marco  (carte  97  tergo). 

Si  accorda  ai  Canonici  di  S.  Giorgio  in  Alga  di  vendere  beni  che  pos- 
seggono in  Capodistria  e  suo  distretto  (carte  98). 

1425.  3  maggio.  —  Facoltà  a  Gaspare  da  Mosto  potestati  di  Raspo  di 
spendere  200  lire  in  riparazioni  a  quel  castello  (carte  no  tergo). 

1425.  18  giugno.  —  Cresciuta  oltre  il  bisogno  la  produzione  del  sale 
in  Pirano,  dopo  il  decreto  che  ne  portò  il  prezzo  a  7  lire  il  moggio,  per 
attendersi  con  più  cura  al  lavoro  della  produzione  stessa  dagl'  interessati  ; 
uditi   gli   ambasciatori   di   quel    comune,    si  delibera  :    di   ricevere  ab  ipsis 

fidelibus prò  solutione  per  nostrum  commune  soltanto  1000  moggia 

di  sale  1'  anno  a  lire  6  1'  uno,  il  rimanente  sale  potrà  dai  medesimi  esser 
venduto  ed  asportato  per  mare  a  Polmentoriis  citra  fino  a  Caorle,  e  per  terra 
a  Capodistria  e  a  Muggia  ;  queste  vendite  non  potranno  esser  fatte  se  prima 
non  sarà  smaltito  il  deposito  di  proprietà  del  comune  di  Pirano  proveniente 
dal  settimo  del  prodotto  che  gli  spetta  per  legge.  Si  ordina  ai  podestà  di 
Pirano  di  recarsi  ogni  anno  personalmente  cogli  stimatori  a  rilevare  la  quan- 
tità del  sale  prodotto  dalle  singole  saline,  e  registrandolo  in  apposito  libro 
in  cui  ogni  salina  avrà  la  sua  partita;  ciò  sotto  pena  di  1000  lire.  Coloro 
che  volessero  esportare  per  mare  sale  prima  della  stima,  possa  farlo,  pagando 
al  podestà,  quando  accipiunt  bulletam,  tercium  prò  datio.  Restano  in  vigore 
le  discipline  vigenti  pei  contrabbandi.  Tutti  coloro  che  faran  far  bollette 
per  sale  pagheranno  un  soldo  per  moggio  da  dividersi  fra  il  podestà,  il  suo 
notaio  e  gli  stimatori  come  è  disposto  dalla  deliberazione  26  febbraio  1405 
(carte  129). 

1425.  5  agosto.  —  Risposte  date  ad  istanze  [capitula]  fatte  dal  comune 
di  S.  Lorenzo. 

Si  acconsente  ad  ordinare  a  quel  podestà  di  far  costruire  un  torchio 
da  olio  colla  spesa  di  200  lire,  le  quali  il  detto  comune  restituirà  entro 
due  anni. 

Per  comodo  di  quegli  abitanti  e  prò  meliori  conservatione  piscariarum 
A  rettori  che  si  eleggeranno  faranno  d'ora  in  poi  il  loro  ingresso  nel  mese 
di  maggio. 

Avendo  alcuni   rettori   speso  ed  altri  no  le  200  lire  annue  accordate 


-  27  — 

per  io  anni,  il  12  maggio  1418,  per  la  ricostruzione  di  quel  castello,  si 
accorda  che  i  rettori  futuri  possano  spendere  al  detto  scopo  ciò  che  ancor 
resta  del  complessivo  importo  assegnato  (carte  153  tergo). 

1425.  11  agosto.  —  Si  approvano  le  convenzioni  stipulate  dal  comune 
di  Capodistria  il  di  8  agosto  139 1  con  David  Vemnar  [o  Veninarì~\  e  Sa- 
lomone de  Cruci!  latis,  e  P  II  aprile  1409  col  detto  David  e  con  Manoclo 
del  fu  Simeone,  tutti  ebrei,  ut  mutuarmi  ad  uxuram  (carte  155). 

1425.  3  dicembre.  —  Si  approva  la  convenzione  fatta  fra  il  comune 
di  Pola  e  certi  ebrei  per  l'esercizio  del  prestar  danari  (carte  175  tergo). 

Senato  Misti  voi.  LVI. 

1426.  23  maggio.  —  Avendo  il  capitano  di  Raspo  scritto,  il  13  corr., 
che  Andrea  da  Cormons,  nuncius  di  Federico  conte  di  Gorizia,  gli  aveva 
esposto  che  quest'  ultimo  sarebbe  disposto  a  dare  in  pegno  di  un  prestito 
di  3000  ducati  Castelnuovo  e  le  sue  giurisdizioni  e  dipendenze;  considerato 
che  quel  luogo  è  lontano  io  miglia  da  Raspo,  che  per  esso  passano  i 
mitsolali  che  scendono  in  Istria  e  specialmente  a  Capodistria,  che  Trieste 
offrì  al  conte  2500  ducati,  e  se  il  conte  accettasse  l'offerta  l' Istria  veneta 
ne  avrebbe  gran  danno  poiché  i  musolati  porterebbero  il  loro  grano  e  com- 
prerebbero il  sale  nell'ultima  città  mentovata  ;  —  si  scrive  al  detto  capitano 
di  far  sapere  al  conte  che  Venezia  è  disposta  a  dare  il  danaro  da  lui  chiesto 
[cercando  di  darne  meno  che  sarA  possibile],  ed  autorizza  il  capitano  stesso 
ad  aprire  le  negoziazioni,  a  concluderle,  a  ricevere  Castelnuovo  in  nome  di 
Venezia,  a  mandarvi  a  custodia  io  degli  stipendiari  di  Raspo  ;  scriva  poi 
il  risultato  delle  sue  pratiche,  e  il  Senato  provvederA  al  pagamento  stipulato 
(carte  18  tergo). 

1426  m.  v.  9  febbraio.  —  Si  permette  al  guardiano  e  al  convento  di 
S.  Francesco  di  Pirano  di  cambiare  una  casa  appartenente  a  quel  monastero 
ed  un  pezzo  di  terra  contigua  al  medesimo,  contro  altra  casa  che  darA  due 
ducati  1'  anno  mentre  la  prima  non  ne  dA  che  uno  e  mezzo  (carte  83). 

1427.  11  maggio.  —  È  accordato  il  diritto  di  cittadinanza  de  inttis  et 
extra  a  Giovanni  del  fu  Pietro  da  Capodistria,  bottegaio  (carte  95). 

1427.  6  giugno.  —  Licenza  ad  Amadeo  Molin  podestA  a  Parenzo  di 
recarsi  per  1 5  giorni  a  Pago  a  visitarvi  un  suo  fratello  infermo  ;  perderà 
il  salario  pel  detto  tempo  (carte  98). 

1427.  7  settembre.  —  Si  ordina  al  conte  di  Pola  di  riferire  sullo  stato 
della    galeotta  di  guardia  nel   Quarnero,  e,  trovandola  in  cattivo   stato  di 


—    28    — 

mandarla  a  Venezia  ;  al  capitano  di  quel  legno  si  ingiunge  di  obbedire  al 
detto  conte  (carte  124  tergo). 

1427.  30  dicembre.  —  Ad  istanza  del  comune  di  Capodistria  si  per- 
mette che  Mosè  di  Samuele  e  Samuele  di  Salomone,  ebrei,  possint  mutuare 
in  Iustinopoli  ad  denarìos  tres  prò  libra,  e  colle  condizioni  già  in  uso  rela- 
tivamente agli  ebrei  soliti  abitare  ed  esercitare  il  prestito  in  quella  città, 
condizioni  che  colla  presente  vengono  confermate  (carte  140  tergo). 

1428.  21  marzo.  —  Si  confermano  per  tre  anni,  e  per  due  successivi 
ad  arbitrio  del  comune  di  Pola,  i  patti  che  questo  tiene  cogli  ebrei  (carte  173). 

1428.  io  aprile.  —  Si  delibera  che  il  comune  di  Buie  sia  assolto  dal 
pagamento  di  certo  censo,  che  soleva  esigere  il  marchese  d'Istria,  per  quanto 
spetta  al  passato;  in  avvenire  il  luogotenente  in  Friuli  esigerà  il  censo  stesso 
(carte  178). 

Senato  Misti  voi.  LVII. 


1428.  7  giugno.  —  Dovendosi  provvedere  circa  il  sale  di  Pirano  respectu 
damnorum  portati  dal  contrabbando,  gli  effetti  del  quale  si  risentono  in  Friuli, 
nel  Trivigiano  e  fino  nel  Vicentino,  si  delibera  : 

In  Pirano  non  si  potranno  levare  oltre  4700  moggia  di  sale  1'  anno  ; 
700  di  queste  andranno  al  comune  di  Pirano  pel  suo  settimo,  esse  saranno 
depositate  nei  magazzini  di  cui  tiene  le  chiavi  quel  podestà  il  quale  non 
permetterà  che  si  vendano  ad  altri  che  ai  musellatis. 

Il  rimanente,  4000  moggia,  sarà  dato  allo  Stato  che  lo  farà  pagare  a 
lire  8  il  moggio  dagli  ufficiali  al  sai. 

Gli  ufficiali  stessi  provvederanno  al  riattamento  dei  magazzini  in  Pirano 
per  accogliervi  il  sale. 

Il  massaro  riceverà  il  sale  in  detta  terra,  lo  farà  misurare  scrupolosa- 
mente, accipiendo  de  callo  XV  prò  centenario. 

Gli  scarsi  raccolti  di  un  anno  potranno  esser  suppliti  coi  più  abbondevoli 
degli  anni  successivi.  Le  presenti  disposizioni  dureranno  in  vigore  per  4  anni 
o  più,  se  cosi  piacerà  alla  Signoria. 

I  piranesi  che  vi  contrafacessero  avranno  distrutte  le  saline  né  mai 
potranno  produr  sale. 

II  sale  dovrà  esser  buono  e  mercantile,  altrimenti  il  massaro  lo  farà 
gettare  in  acqua  sotto  sua  diretta  responsabilità  se  ne  accettasse  di  cattivo. 

I  produttori  porteranno  almeno  il  sabato  il  sale  fatto  in  ciascuna 
settimana  e  lo  consegneranno  al  massaro;   chi  non  osserverà  questa  pre- 


—   29   — 

scrizione  non  potrà  più  far  sale  ed  avrà  distrutte  le  saline,  salvi  i  casi  di 
giusto  impedimento. 

E  per  impedire  i  contrabbandi,  quando  i  piranesi  andranno  alle  saline 
non  potranno  portar  seco  l'albero,  la  vela  né  il  ferititi  ad  sumergendum,  né 
tener  tali  oggetti  fuor  di  Pirano;  i  contravventori  perderanno,  a  benefizio 
degli  inventori,  le  dette  cose  e  le  barche,  e  pagheranno  lire  25  per  volta 
(carte  3). 

Per  l'esecuzione  di  quanto  sopra  la  Signoria  nominerà  un  massaro  che 
risiederà  a  Pirano,  vi  terrà  la  contabilità  del  sale,  avrà  100  ducati  d'  oro 
1'  anno,  dovrà  ricevere,  deporre  nei  magazzini  e  dispensare  a  chi  gli  sarà 
ordinato,  quella  derrata,  e  renderà  giornalmente  conto  al  podestà  del  mo- 
vimento di  essa  nei  magazzini. 

Il  detto  podestà  terrà  anch'esso  una  contabilità  del  movimento  del  sile 
a  controlleria  di  quella  del  massaro,  e  di  quando  in  quando  le  due  saranno 
confrontate. 

Il  medesimo  podestà  farà  far  buona  guardia  da  una  barca  con  suoi 
famigliari  per  impedire  il  contrabbando  ;  il  prezzo  del  sale  trovato  di  con- 
trabbando sarà  diviso  fra  il  podestà  e  i  suddetti  guardiani  (carte  3  tergo). 

Gli  ufficiali  al  sai  manderanno  ogni  anno  a  Pirano,  al  tempo  del  rac- 
colto, quattro  officiale*  sufficientes  et  fidos,  pagati  per  metà  a  spese  dello  Stato 
e  per  metà  a  carico  di  quel  comune;  due  dei  detti  officiales  saranno  destinati 
a  Siciole,  uno  a  Fasano  ed  uno  a  Strugnano  ;  sorveglieranno  che  non  si 
facciano  contrabbandi,  terranno  nota  del  sale  che  si  produce  di  giorno  in 
giorno,  e  ne  informeranno  il  podestà  e  il  massaro  in  città  per  gli  opportuni 
riscontri  (carte  3  tergo). 

1428.  14  giugno.  —  Creazione  dei  provveditori  al  sai;  contempora- 
neamente si  delibera  de  emendo  totum  salem  Clugie  et  Pirani  nomine  nostri 
domimi.  I  detti  provveditori  sopraintenderanno  soli  a  tutta  la  gestione  relativa 

al  sale;  essi  dovranno  almeno  una  volta  l'anno  ire  Clugiam,  Piranum 

ad  videndum  facta  nostra  dicti  salis  (carte  9  tergo). 

1428.  19  luglio.  —  Si  prolunga  fino  al  15  agosto  il  termine  della 
partenza  di  Ambrogio  Malipiero  per  Grisignana,  ove  era  stato  eletto  podestà 
(carte  21  tergo). 

1428.  14  agosto.  —  Non  avendo  i  Piranesi  potuto  consegnare  che 
3000  moggia  invece  di  4000,  per  aver  le  pioggie  impedita  una  produzione 
maggiore,  si  delibera  di  non  aspettare  la  consegna  di  tutte  le  4000  dovute, 
prima  di  fare  il  pagamento,  ma  di  pagar  tosto  il  già  ricevuto  (carte  27  tergo). 

1428.  27  novembre.  —  Si  prolunga  a  tutto  dicembre  a  Nicolò  Arimondo, 
eletto  podestà  di  Pola,  il  termine  per  recarsi  a  quella  carica  (carte  58  tergo). 


—  3o  — 

1428  m.  v.  14  gennaio.  —  Licenza  a  Taddeo  da  Ponte  podestà  di 
Umago  di  venire  a  Venezia  per  un  mese,  perdendo  il  salario  per  detto  tempo 
(carte  70  tergo). 

A  Marco  Barbaro  eletto  podestà  d' Isola  si  prolunga  a  tutto  febbraio 
il  termine  per  recarsi  al  suo  posto  (carte  70  tergo). 

1428  m.  v.  5  febbraio.  —  Si  delibera  l'elezione  in  Senato  e  la  missione 
di  due  solenni  sindici  e  provveditori  in  Albania,  Dalmazia  ed  Istria,  e  in 
tutti  i  domini  veneti  intra  Culphum  (carte  73). 

1429.  io  aprile.  —  Commissione  a  Pasquale  Malipiero  e  Paolo  Val- 
laresso  sindici  e  provveditori  come  sopra  (carte  89). 

1429.  9  giugno.  —  Licenza  ad  Antonio  Lepori  castellano  a  Pietrapelosa 
di  andare  a  Roma  a  sciogliere  un  voto,  lasciando  nel  detto  castello  un 
sostituto  approvato  dal  podestà  e  capitano  di  Capodistria  (carte  1 1 1  tergo). 

1429.  6  agosto.  —  Licenza  a  Girolamo  Lombardo,  podestà  di  Albona 
e  Fianona,  di  venire  a  Venezia  per  20  giorni  per  suoi  affari  (carte  142  tergo). 

1429.  13  agosto.  —  Licenza  a  Marco  Gradenigo  podestà  a  Rovigno 
di  venire  a  Venezia  per  15  giorni  essendogli  morto  il  padre  e  un  fratello 
(carte   143  tergo). 

1429.  21  settembre.  —  Facoltà  a  Rainieri  Coppo  podestà  a  S.  Lo- 
renzo di  spendere  lire  150  in  riparazioni  al  palazzo  di  sua  residenza  (carte 
156  tergo). 

1429.  7  ottobre.  —  Deliberazione  per  l'arresto  e  la  procedura  contro 
Pietro  Arimondo  figlio  di  Nicolò  già  conte  a  Pola  accusato  di  adulterio 
con  Menega  moglie  di  Simeone  Tipse  banditore  in  quella  città. 

Simile  per  1'  arresto  e  1'  esame  di  Pietro,  Guido  ed  Antonio  Morelus 
ragacius  et  famuli  del  detto  conte  (carte   161  tergo). 

1429  m.  v.  1  gennaio.  —  Chonziosia  che  ale  orechie  de  la  nostra 
Signoria  sia  peruegnudo  le  molte  e  teribele  destrucion  et  manzarie  fate  et 
ogni  dì  se  fano  per  li  zudei  che  habita  in  listria  a  tuti  nostri  fidelissimi 
Istriani  si  de  tuor  de  vxura  denari  6  per  lira  al  mexe  e  pluy,  chomo  etiam 
de  le  desonestissime  e  sforzade  comprede  de  vini,  ogli,  sali  et  altri  suo  fruti 
in  erba,  per  modo  che  non  solamente  le  suo  fadige,  et  ogni  vsifruti  reuerte 
in  loro,  ma  etiam  fina  el  sangue,  la  qual  cossa  e  abomineuele  apresso  dio 
et  agli  homeni  cuna  maximo  incargo  de  la  signoria  nostra,  E  necessario  sia 
proueder  per  trar  questi  nostri  fedeli  de  tanta  seruitu  et  miseria,  L'andera 
parte  chel  sia  comandado  per  questo  conseglio  a  tuti  nostri  Rectori  de  Istria 

'  da  Pola  per  fina  a  Mugle,  che  debia  far  publice  proclamar  in  li  suo  reamenti 
le  sotoscripte  prouixion,  E  mandarle  ad  effeto  de  ogni  solicitudine  i  sera 
possibele  azio  i  diti  nostri  fedeli  se  possi  aleuiar  da  tante  teribele  strussion, 


—  3i  — 

E  sia  azonte  in  le  commission  se  farà   a  tuti  nostri  Rectori   de  Istria  per 
lauegnir. 

Primo  che  algun  zudio  in  i  luogi  soprascripti  non  possa  dar  ad  vsura 
ad  algun  Istrian  subdito  nostro  pluy  de  denari  tre  per  lira  sopra  pegni,  et 
denari  quatro  per  lira  sopra  carta  soto  pena  de  perder  quelo  i  avera  im- 
prestado  del  qual  '/3  **a  del  nostro  comun,  '/»  dil  Rector,  '/5  del  accusador 
sei  ne  sera. 

Secondo  che  passado  lano  alguna  vxura  non  cora  pluy  sopra  algun 
pegno,  se  quel  pegno  non  apresentara  al  rezimento,  ma  da  pò  apresentado 
possa  aver  vsura  fin  ala  so  vendeda,  non  passando  mexe  uno  al  pluy,  per 
el  qual  rezimento  sia  dcpuiado  uno  zudexe  et  do  altri  officiali  che  per  il 
rezimento  sera  termenado,  tanto  che  sia  al  numero  de  tre,  i  quali  al  publico 
incanto  debia  vender  i  diti  pegni  che  sera  apresentadi,  e  sia  tegnudi  de  far 
incanto  uno  di  ala  domada  al  men,  del  trato  di  qual  pegni  se  debia  tuor 
denari  tre  per  lira,  de  quali  den.  uno  sia  de  vn  noder  o  scriuan  a  questo 
deputado  con  i  diti  tre  per  tegnirne  conto  ordenadamente,  e  parando  al 
Rector  ne  possa  meter  el  so  cancelier,  i  quali  conti  debia  semper  esser 
acopiadi  in  gli  acti  del  Rcctore,  I  altri  denari  do  per  lira  sia  de  queli  che 
al  vender  sera  deputadi  vngualmente,  del  resto  se  debia  pagar  el  zudio  dil 
suo  cauedale  e  de  quel  lauera  liurado,  E  remanendo  oltra  questo  alguna 
cossa  se  debia  dar  a  quela  persona  de  chi  sera  stadi  i  pegni,  E  per  il  Rectore 
sia  vezude  queste  raxon  ogni  do  mexi  almeno. 

Terzo  che  uxura  non  cora  sopra  alguno  se  non  quando  i  viuera,  E 
inanellando  quela  persona  che  avera  tolta  la  vxura,  sia  el  zudio  tegnudo 
dar  ala  vendeda  i  pegni  laverà  de  quel  defonto  conio  e  dito  de  sopra  de 
queli  che  pasa  lanno,  e  pluy  vxura  non  li  ocorra,  E  voliandoli  scoder  la 
sua  heredita  abia  termene  mexe  uno  da  può  aprexentadi  a  la  vendeda  pagando 
la  vxura  per  quel  mexe,  E  scodandosse  i  deputati  ala  vendeda  non  habia 
alguna  cosa  ne  el  scriuan  suo. 

E  sia  per  intexi  esser  aprexendadi,  quando  per  gli  diti  zudey  sera  dado 
in  nota  al  Scriuan  di  diti  tre  officiali  a  questo  deputadi,  semper  stando  i 
diti  pegni  in  guarda  a  gli  zudey. 

4.  Chel  sia  commesso  expresse  a  i  diti  nostri  rectori  de  Istria  che  se 
algun  auera  abudo  ad  vsura  pluy  de  quelo  contien  i  so  priuilegii  fin  a 
questo  di  che  la  vsura  gli  corra  non  obstante  stesse  in  altra  terra  cha  in 
quella  che  el  zudio  auesse  preuilegio  o  pacto  debia  solamente  fargli  raxon 
fin  quanto  parla  il  suo  preuilegio  asoluandoli  de  quel  pluy  il  se  auesse 
obligado  e  questo  a  tuti  fazi  manifesto. 

5.  Item  che  algun  zudio  per  algun   modo  non  possa  comprar  ne  far 


—  32  — 

comprar  sa],  ne  vin,  ne  oglio  ne  altra  cossa  che  nassia  in  le  dite  nostre 
terre  de  Istria,  se  quela  tal  cossa  che  i  comprerà  non  sera  arcolta,  soto 
pena  de  perder  quello  lauera  comprado,  del  qual  '/,  sia  del  nostro  Comun, 
'/,  del  Rector,  '/3  del  accusador  sei  ne  sera. 

6.  Item  che  non  sia  concesso  ad  algun  zudio  lizenzia  special  de  portar 
arme  deffensibele  ne  offensibelle  saluo  per  andar  per  camin  come  per  lo 
passado  vxitado. 

De  parte  75  —  de  non  8  —  non  sinceri   11. 

Corniti  Pole  —  Capitaneo  Raspurch  —  Potestati  Montone  —  Pot. 
S.  Laurentii  —  Pot.  Vallis  —  Pot.  Grisignane  —  Pot.  Mngle  —  Pot.  Adi- 
gnani  —  Pot  Parentii  —  Pot.  Emonie  —  Humagi  —  Insule  —  Pirani  — 
Iustinopolis  (carte  179  tergo  e  180). 

1430.  3  marzo.  —  Licenza  al  podestà  di  Grisignana  di  spendere  lire 
200  in  refeclione  passuum  quatuordecim  muri  minati  et  turris  magistre  et  pontis 
(carte  200). 

1430.  6  luglio.  —  Provisiones  proposte  da  Paolo  Corner  già  podestà 
e  capitano  di  Capodistria. 

Si  delibera  che  il  dazio  sul  vino,  di  soldi  due  per  orna  —  il  quale 
finora  soleva  riscuotersi  entro  la  città  da  due  di  quei  cittadini,  e  da  due 
altri  nel  territorio,  verso  il  compenso  di  lire  tre  di  piccoli  per  ciascuno  — 
sia  quindinnanzi  appaltato  al  maggior  offerente,  il  quale  darà  malleveria  e 
pagherà  l' importo  totale  in  tre  rate  1'  anno. 

Coloro  che  facessero  false  denunzie  del  vino  rispettivamente  prodotto 
pagheranno  soldi  io  l'orna  a  benefizio  dell'appaltatore  del  dazio,  il  quale 
potrà  dare  un  premio  agli  accusatori. 

Concesso  nel  14 13  al  comune  di  Capodistria  il  dazio  della  muda  col- 
l'obbligo  di  murar  la  terra,  e  restato  tal  lavoro  interrotto  ;  ed  essendo  ne- 
cessario far  luto  da  nuovo  la  strada  dal  ponte  de  tra  Volcho  fina  a  Rexam 

praticata  dai  musolati che  son  queli  che  fa  bona  quela  terra  ;  —  si 

delibera  che  si  faccia  la  detta  strada  per  extimo,  si  per  i  zjtadini 

chomo  per  i  vilani,  el  qual  extimo  ogni  cinque  anni  se  delia  far  da  nuovo  per 
quel  mior  modo  parerà  al  Podestade  e  Capetanio  ;  il  dazio  summentovato  re- 
sterà al  comune  per  aidar  lextimo  e  per  recon^ar  i  ponti  e  porte  de  castello 
Lion,  e  el  castello,  e  la  fontana  ecc.  L'  estimo  sarà  fatto  subito  ;  si  comin- 
ceranno  tosto  i  lavori    della  strada   nomenada  de  Sovran ehm  le 

sponde  dai  ladi  de  piera  marmoregna e  tra  mexp  implir  de  teren,  e 

.  sovra  meter  giara,  e  sia  finita  prima  del  verno  (carte  232  tergo). 

1430.  29  luglio.  —  Essendosi  il  comune  di  S.  Lorenzo  appellato  contro 
la  sentenza  già  pronunciata  da  Nicolò  Arimondo  fu  conte  di  Pola  in  causa 


—  33  — 

fra  esso  comune  e  quello  di  Due  Castelli,  condannando  il  primo;  si  com- 
mette al  podestà  di  Pirano  di  giudicar  la  lite  in  seconda  istanza,  recandosi 
sui  luoghi  in  questione  (carte  236). 

Licenza  a  Manfredino  Lugnano  castellano  a  Lavrana  di  venir  per  un 
mese  a  Capodistria  e  a  Venezia  pel  matrimonio  d'una  sua  figlia  ;  perdendo 
pel  detto  tempo  lo  stipendio  e  lasciando  il  figlio  in  suo  luogo  (carte  236). 

1430.  21  agosto.  —  Il  monastero  di  S.  Mattia  di  Murano  è  autoriz- 
zato a  vendere  alcuni  beni  da  esso  posseduti  in  Parenzo  (carte  245). 

1430.  25  agosto.  —  Proposta  da  Paolo  Corner:  Si  confermano  i  se- 
guenti provvedimenti  già  emanati  dal  suddetto  in  Capodistria.  L'  ufficiale 
deputato  alla  pesa  del  grano,  ferro  ecc.  dovrà  quindinnanzi  annotare  le 
singole  pesate  coi  nomi  dei  venditori  e  compratori  dei  vari  generi  soltanto 
sopra  un  registro  che  gli  consegnerà  il  podestà  e  capitano,  contrassegnato 
dallo  stemma  di  questo.  —  Non  potrà  trafficare  ne  per  sé  né  per  conto 
d'  altri  in  grano,  o  altra  merce  soggetta  alla  pesa.  —  L'  ufficiale  contrav- 
ventore perderà  per  sempre  l'ufficio  e  pagherà  lire  100  di  piccoli,  metà  a 
benefizio  dello  Stato  e  metà  all'  accusatore. 

Ogni  sera  i  Camerlenghi  riscontreranno  i  conti  del  pesatore,  e  in  capo 
a  ogni  mese  ne  riceveranno  gì'  incassi,  sotto  pena  di  lire  5  per  ogni  con- 
travvenzione, metà  allo  Stato  e  metà  ai  rettori  locali  (carte  246  tergo). 

Senato  Misti  voi.  LVIII. 


1430.  30  settembre.  —  Si  assegnano  a  Marco  da  Pago  lire  500  per 
avere,  come  scrisse  Pietro  Cocco  capitano  di  Raspo,  procurato  la  cattura 
di  Iacopo  Radozich  pirata  della  banda  di  Decano,  appiccato  poi  a  Lovrana 
[il  Radozich]  (carte  8). 

1430.  4  ottobre.  —  Non  trovandosi  alcuno  che  voglia  assumere  in 
appalto  il  dazio  del  vino  in  Capodistria  [vedi  6  luglio]  ;  si  delibera  di 
scrivere  a  quel  podestà  e  capitano  che  procuri  in  ogni  modo  di  trovare 
l'appaltatore,  e  se  non  lo  trovasse  pel  correspettivo  annuale  eguale  al  pro- 
dotto medio  dei  quattro  ultimi  anni,  faccia  riscuotere  il  dazio  stesso  per 
conto  dello  Stato,  come  in  addietro,  da  persone  di  sua  scelta  (carte  io  tergo). 

1430.  2J  ottobre.  —  Licenza  a  Pietro  Cocco  capitano  a  Raspo  di  spen- 
dere lire  100  in  riparazioni  all'abitazione  sua  e  degli  stipendiarti  (carte  13  tergo). 

143 1.  15  ottobre.  —  Licenza  al  convento  di  S.  Elena  di  Venezia  di 
vendere  terreni  infruttiferi  di  poco  valore  da  esso  posseduti  in  Pirano  e  nel 
distretto  di  Capodistria  (carte  84). 

3 


—  34  - 

143 1-  I2  gennaio.  —  Si  prolunga  a  tutto  gennaio  il  termine  per  re- 
carsi al  suo  posto  a  Marco  Barbaro  eletto  podestà  a  Grisignana  (carte  93). 

143 1  m.  v.  21  febbraio.  —  Ad  istanza  di  Cristoforo  de  Tarsia  e  di 
Almerico  de  Ver^iis,  ambasciatori  del  comune  di  Capodistria,  non  essendosi 
ancora  adempiuto  ai  provvedimenti  presi  nel  1413  per  la  fortificazione  di 
quella  citta,  e  potendo  essa  venire  in  ìstis  noviiatibus  guerre  marilime  facil- 
mente danneggiata  dalla  parte  di  mare  ;  si  permette  al  detto  comune,  a 
sue  spese,  la  costruzione  delle  mura  fra  le  porte  di  S.  Martino  e  di  Bu- 
serdaga,  circa  400  passi,  a  condizione  clic  sia  sempre  in  obbligo  di  erigere 
il  castello  progettato  super  anguìo  Musscle  quando  piaccia  alla  Signoria 
(carte  97). 

143 1  m.  v.  21  febbraio.  —  Ad  istanza  del  comune  di  Buie,  ove  so- 
levasi  mandare  per  podestà  un  cittadino  di  Capodistria,  e  ultimamente  per 
grazia  della  Signoria  un  nobile,  si  delibera  che  il  comune  stesso  possa  eleg- 
gere d'  ora  innanzi  alla  detta  carica  un  membro  del  Maggior  Consiglio  di 
Venezia  ;  durerà  in  carica  due  anni  e  non  potrà  essere  rieletto  che  dopo 
altri  4  ;  l'elezione  dovrà  essere  confermata  dalla  Signoria  (carte  97  tergo). 

1432.  6  giugno.  —  Facoltà  al  comune  di  Pola  di  far  portare  colà  per 
mare  dalla  Marca  d'  Ancona  e  dalla  Puglia  1000  staia  di  frumento  (carte 
122  tergo). 

1432.  5  settembre.  —  Essendo  nate  in  Albona  e  Fianona,  in  causa 
della  nomina  del  podestà,  questioni  fra  cittadini  con  inimicizie,  risse  e  per- 
cosse, e  con  turbamento  della  pace  delle  famiglie;  molti  di  quelli  ricorsero 
al  conte  di  Pola,  il  quale  si  recò  colà  per  sedare  le  cose,  e  chiesero  che 
per  evitare  si  rinnovassero  simili  fatti,  il  podestà  fosse  mandato  da  Venezia; 
perciò  si  delibera  quod  in  primo  maiori  Consilio  eligi  debeat  per  duas  inanus 
electionum  unns  potestas  ipsarum  Insularum  [sic]  cimi  salario,  ulilitatibns  et 
aliis  omnibus  conditionibus  quibus  soliti  sunt  esse  Potestates  dictorum  locorum, 
et  de  commissione  sua  provideatur  per  dominili  m. 

Segue  annotazione  posteriore  che  nella  commissione  di  Marco  Zantani 
eletto  podestà  delle  dette  due  terre  fu  posto  quod  esset  per  duos  annos 
(carte  143). 

1432.  2  ottobre.  —  Licenza  a  Giovanni  Nadal  podestà  di  Valle  di 
venire  a  Venezia  per  15  giorni  per  la  morte  di  suo  padre  e  di  suo  fratello 
(carte  148). 

1432.  29  novembre.  —  Si  prolunga  di  altri  15  giorni  la  licenza  pre- 
'cedente  (carte  157). 

1432  m.  v.  8  gennaio.  Considerati  gli  inconvenienti  dell'andata 
dei  podestà  di  Muggia  alla  lor  sede  in  gennaio,  si  delibera  che  il  podestà, 


—  35  — 

che  sarà  eletto  resti  in  ufficio  fino  al  15  giugno  1434,  e  i  suoi  successori 
vi  entrino  sempre  alla  metà  del  detto  mese  (carte  168  tergo). 

1432  m.  v.  27  gennaio.  —  Si  ordina  al  podestà  e  capitano  di  Capo- 
distria  ed  al  luogotenente  in  Friuli  di  far  sequestrare  tutti  i  beni,  che  si 
trovassero  in  quelle  giurisdizioni,  di  spettanza  dei  sudditi  del  conte  di  Cilli. 
Ciò  in  seguito  al  fatto  che  alcuni  uomini  di  Capodistria  recatisi  al  mercato 
in  partibus  Goricic  furono  nel  ritorno,  in  un  bosco  nel  territorio  goriziano, 
presi  e  derubati  da  famigliari  di  Rotber  e  da  sudditi  del  detto  conte,  e  fu 
loro  imposta  talea,  con  danno  di  ben  750  ducati  oltre  il  personale;  —  e 
per  essere  rimasti  inefficaci  gli  uffici  ripetuti  fatti  dal  podestà  e  capitano 
di  Capodistria  col  conte  di  Gorizia  perchè  s' intromettesse  pel  risarcimento. 
Si  dà  poi  facoltà  al  Collegio  di  scrivere  in  argomento  allo  stesso  conte  di 
Gorizia  (carte  174  tergo). 

1433.  2  marzo.  —  Facoltà  al  podestà  di  Grisignana  di  spendere  200 
lire  in  riparazioni  a  quel  palazzo  (carte  182). 

1433.  22  maggio.  —  Ad  istanza  del  comune  di  Dignano  si  ordina  a 
quel  podestà  di  pagare  a  quel  comune  [sulle  rendite  locali  e  dopo  soddisfatto 
il  salario  suo  e  del  cancelliere]  200  lire  di  piccoli  pel  compimento  del  for- 
tilizio e  del  palazzo  (carte  206  tergo). 

1433.  30  giugno.  —  Ambasciatori  del  comune  di  Pirano  si  lagnarono 
per  avere  il  comune  d' Isola  ordinato  che  i  piranesi  non  potessero  vendem- 
miare sine  bitlletino  nelle  possessioni  da  essi  tenute  in  quest'ultimo  comune; 
che  non  potessero  vendere  le  possessioni  stesse  nisi  fecerinl  procìamationes 
in  platea  Insule  etiam  si  Coiminitas  Pironi  venderei  sotto  comminatoria  della 
perdita  di  metà  dei  beni  venduti  ;  —  aggiunsero  che  tali  disposizioni, 
benché  emesse  da  tempo,  non  furono  mai  osservate,  mentre  ora  il  comune 
di  Pirano  si  trovò  minacciato  della  pena  a  sua  insaputa,  credendosi  protetto 
da  una  sentenza  emanata  nel  1321  per  nobiles  Ulne  missos. 

A  queste  querele  ambasciatori  del  comune  d' Isola  opposero  hos  ordines 
esse penitus  necessarios  pel  bene  di  quel  comune.  —  Il  Senato  delibera:  Tutte 
le  condanne  pronunziate  in  argomento  siano  sospese,  se  fu  riscossa  qualche 
multa  si  restituisca  il  danaro;  tutti  i  beni  posseduti  dai  piranesi  fino  al  1321 
siano  liberi  ed  esenti  come  vuole  la  mentovata  sentenza  ;  il  medesimo  valga 
pei  beni  di  quelli  d' Isola  nel  comune  di  Pirano.  I  beni  acquistati  dopo  il 
1321  dai  comunisti  di  Pirano  nel  territorio  d'Isola  e  viceversa  siano  soggetti 
agli  ordinamenti  locali.  Quind'  innanzi  niuno  dei  due  comuni  potrà  emanare 
provvedimenti  circa  beni  posseduti  nel  rispettivo  territorio  da  comunisti 
dell'  altro  senza  1'  approvazione  della  Signoria. 

Ad  istanze  poi  degli  ambasciatori  d' Isola  si  risponde  : 


-  36  - 

Doversi  osservare  la  consuetudine  circa  la  domanda  che  il  podestà,  o 
suo  rappresentante,  di  Pirano  non  possano  recarsi  nel  territorio  d' Isola  per 
studiare  o  decidere  questioni  intorno  a  beni  immobili  posti  nel  medesimo  ; 
e  così  il  podestà  d'Isola  rispetto  a  Pirano  (carte  215). 

Non  si  può  proibire  ai  piranesi  di  porre  all'asta  e  vendere  i  lor  beni, 
come  è  consueto,  ma  nei  casi  di  vendite  di  proprietà  dei  medesimi  nel 
distretto  d'Isola  si  faranno  le  cride  della  vendita  e  della  stima  anche  nella 
detta  terra,  mancando  le  quali  cride  le  vendite  saranno  nulle. 

I  piranesi  dovranno  dare  in  nota  ogni  cinque  anni  i  beni  che  posseg- 
gono nel  distretto  d'Isola,  sotto  pena  di  lire  25.  —  Ciò  ut  datia  et  affictus 
cummunis  possint  exigi  (carte  215). 

1433.  29  luglio.  —  Consumandosi  in  Friuli  molto  sale  trasportatovi 
da  Trieste  per  terra,  senza  utile  dello  Stato,  si  delibera  di  instituire  nella 
detta  provincia  tre  magazzini,  in  Monfalcone,  in  Portogruaro  ed  in  Udine 
da  alimentarsi  con  sale  di  Pirano  (carte  221  tergo). 


Senato  Misti  voi.  LIX. 


1433.  16  novembre.  —  Pretendendo  il  comune  d'  Isola  che  i  piranesi 
possidenti  in  quel  distretto  si  rechino  ogni  cinque  anni  personalmente  colà 
per  dare  in  nota  i  lor  beni  ;  dietro  reclamo  del  comune  di  Pirano  si  de- 
libera esser  bastante  che  le  notificazioni  dei  beni  stessi  siano  consegnate 
al  podestà  di  Pirano  che  le  trasmetta  per  mezzo  di  un  nunzio  comunale  ad 
Isola  ;  il  podestà  di  quest'  ultima  verificherà  le  singole  denunzie,  e  potrà 
punire  gli  autori  di  quelle  che  non  fossero  veritiere  nella  descrizione  dei 
possedimenti  coi  loro  confini  ecc.  con  multa  di  lire  25,  citando  però  prima 
gli  autori  stessi  a  comparire  davanti  a  lui  entro  un  mese  a  dir  le  loro 
ragioni,  dopo  il  qual  tempo  proceda  alla  riscossione  della  multa  anche 
mediante  vendita  degli  stabili. 

Lagnandosi  poi  quelli  di  Pirano  che  quando  alcuno  di  essi  si  reca  alla 
vendemmia  ne'  propri  beni  nel  distretto  d'  Isola,  se  lascia  il  cavallo  a  pa- 
scere su  prati  del  comune  o  su  terreni  incolti  [come  fan  tutti]  il  podestà 
d'Isola  gì' infligge  rammenda  di  lire  io  per  cavallo;  uditi  gli  ambasciatori 
delle  due  terre,  si  delibera  :  i  detti  piranesi  potranno  lasciare  legati  sui  beni 
del  comune  o  in  luoghi  inculti  i  loro  cavalli  come  gli  stessi  comunisti  di 
Isola.  —  Essendo  poi  parecchie  possessioni  dei  piranesi  libere  vigore  unius 
sententie  e  ricercandosi  dagl'  interessati  dichiarazioni  in  argomento  si  ordina 


—  37  — 

ai  podestà  dei  due  ripetuti  luoghi  di  fu  ragione  nel  rispettivo  territorio  ai 
singoli  che  volessero  provare  tal  liberti  (carte  14  tergo). 

1433.  3  dicembre.  —  Tornando  inutile  il  mantenere  un  castellano  con 
7  paghe  [soldati]  nel  castello  di  Pietrapelosa,  colla  spesa  di  oltre  100  lire, 
non  servendo  ad  alcuna  difesa  esso  castello,  ridotto  anche  rovinoso;  si  ordina 
al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  cassare  immediatamente  il  castellano 
e  le  paghe  suddetti,  di  far  demolire  senza  ritardo  le  mura  del  castello  stesso 
[non  presa]. 

Si  chiedono  informazioni  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria,  al  po- 
destà di  iMontona  e  al  capitano  di  Raspo  sulle  condizioni  del  castello  di 
Pietrapelosa,  col  loro  voto  sulla  opportunità  di  conservarlo  o  no.  Il  detto 
capitano  attingerà  le  sue  informazioni  e  convinzioni  in  una  visita  personale 
(carte  17  tergo). 

1433  m.  v.  28  gennaio.  —  Licenza  di  spendere  lire  100  di  piccoli  in 
riparazioni  al  palazzo,  data  a  Paride  Soranzo  podestà  a  S.  Lorenzo  (carte  25). 

1434.  2  aprile.  —  Licenza  al  capitano  di  Raspo  di  spendere  lire  100 
prò  reparatione  barbachani  (carte  41). 

1434.  27  luglio.  —  Si  abbuonano  a  Cristoforo  dalla  Corte  di  Capo- 
distria lire  350  di  piccoli  sulle  2220  [all'anno]  per  le  quali  egli  aveva 
assunto  il  dazio  della  muda  di  quella  città  ;  ciò  per  essere  restate  chiuse  le 
strade,  e  quindi  improduttivo  il  dazio,  per  oltre  tre  mesi  (carte  65  tergo). 

1434.  30  luglio.  —  Essendo  necessario  riparare  il  castello  di  Raspo,  in 
taluni  combustimi,  ed  avendo  quel  capitano,  col  podestà  e  capitano  di  Ca- 
podistria progettato  con  persone  competenti  il  da  farsi;  si  commette  al  detto 
capitano  di  dar  mano  ai  lavori  e  sorvegliarne  1'  esecuzione  sollecita.  Am- 
montando poi  le  spese  a  800  ducati,  si  ordina  al  podestà  e  capitano  di 
Capodistria  di  somministrare  il  danaro  necessario  sui  fondi  che  dovrebbe 
portare  a  Venezia  al  suo  uscir  di  carica  ;  si  spenderanno  pure  nel  lavoro 
i  redditi  del  dazio  della  muda  di  Raspo. 

Tutti  i  soggetti  al  Pasinatico  di  Raspo  dovranno  contribuire  pel  detto 
lavoro  imam  operaia  prò  quoHbet,  sia  personalmente,  sia  pagando  una  tassa 
da  determinarsi  dal  podestà  e  capitano  e  dal  capitano  mentovati.  —  Segue 
annotazione  essersi  scritto  in  argomento  ai  rettori  di  Capodistria  e  di  Raspo 
il  2  ottobre  (carte  66  tergo). 

1434.  30  luglio.  —  Licenza  alle  monache  di  S.  Giacomo  de  Palude 
di  vendere  certa  tei  ritorta  che  possedono  nel  territorio  di  Capodistria  (carte 
66  tergo). 

1434.  30  luglio.  —  Ad  istanza  di  ambasciatori  del  comune  di  Dignano 
si  concede  a  quel  podestà  di  spendere  200  lire  prò  rendendo  et  cooperiendo 


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unum  lobiam  veterem  per  serbarvi  i  grani  dello  Stato.  La  detta  somma  sarà 
prelevata  sulle  rendite  locali  (carte  67). 

1434.  16  settembre.  —  Essendo  bruciata  la  casa  di  abitazione  del  ca- 
pitano di  Raspo,  si  autorizza  Benedetto  Barozzi,  eletto  a  quella  carica,  a 
prendere  in  affitto  una  casa  in  Capodistria  per  collocarvi  la  sua  famiglia, 
finché  sia  riparato  1'  edifizio  bruciato  ;  egli  poi  dovrà  stare  personalmente 
in  Raspo  (carte  74). 

1434.  12  ottobre.  —  Avendo  alcuni  rappresentanti  il  comune  di  Fia- 
nona  chiesto  la  riforma  della  sentenza  già  pronunziata  da  Pietro  Cocco 
capitano  di  Raspo  e  Benedetto  Barozzi  conte  di  Pola,  giudici  delegati  dalla 
Signoria,  in  questioni  per  confini  fra  il  detto  comune  e  quello  di  Albona, 
e  prò  nonnullis  accusis  factis  indebile  a  quelli  di  Fianona,  et  prò  herbaticis  ; 
—  si  ordina  al  conte  di  Pola  e  ad  Alessandro  Marcello  conte  di  Cherso  ed 
Ossero  di  recarsi  insieme  sui  luoghi  delle  questioni,  udire  le  ragioni  dei 
contendenti,  e  giudicare  definitivamente  e  senza  ulteriore  appello  (carte  75). 

1434.  29  novembre.  —  Licenza  all'  ospitale  di  Pirano  di  permutare 
con  altro  uno  stabile  di  sua  proprietà  (carte  81). 

1435.  5  settembre.  —  Essendo  molto  diminuite  le  rendite  dell'Istria, 
della  Dalmazia  e  dell'Albania  si  delibera  di  mandarvi  uno  degli  ufficiali  alle 
rason  ed  uno  dei  provveditori  al  sai,  per  rivedere  di  luogo  in  luogo  i  conti, 
riscuotere  i  crediti  dello  Stato  ecc.  (carte  128). 

1435  m.  v.  25  febbraio.  —  Si  proibisce  a  tutti  i  rettori  della  Dal- 
mazia e  dell'  Istria  di  rilasciar  permessi  per  F  esportazione  da  Fiume  e  da 
Segna  di  ferro  e  d'altre  merci  proibite  portarsi  in  Puglia  e  nell'Abbruzzo 
(carte  145). 

1436.  9  marzo.  —  Si  accorda  all'abate  di  S.  Felice  di  Ammiana  di 
vendere  certi  terreni  di  poco  valore  posseduti  da  quel  monastero  in  Capo- 
distria (carte   147). 

1436.  20  aprile.  —  Si  ordina  al  podestà  di  Muggia  di  vendere  all'  in- 
canto una  casa  posta  sulla  piazza  di  quella  terra,  otto  cavedini  di  saline  ed 
altri  terreni  posseduti  colà  dall'ospitale  di  S.  Marco,  e  di  spedire  il  ricavato 
ai  provveditori  di  Comun  (carte  155  tergo). 

[436.  io  agosto.  —  Si  autorizzano  le  monache  di  S.  Chiara  di  Ca- 
podistria a  vendere  certe  lor  case  bruciate  al  tempo  della  guerra  dei  Genovesi, 
e  certe  terre  allora  devastate  e  rimaste  incolte;  il  denaro  ricavato  sarà  de- 
positato presso  il  podestà  e  capitano  fino  a  che  con  esso  le  dette  monache 
'acquistino  altri  stabili  (carte  168  tergo). 

1436.  17  settembre.  —  Essendo  scarsezza  di  candele  di  sego  in  Venezia 
ed  abbondanza   in   Istria  ;   si   delibera   che  si  possa   condurne   in  Venezia 


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liberamente  e  con  esenzione  da  ogni  dazio,  e  si  vieta  ai  mercanti  veneziani 
di  rivenderle  a  forestieri  (carte   175  tergo). 

1436.  27  settembre.  —  Non  essendo  il  palazzo  d'abitazione  del  capitano 
di  Raspo  ancora  finito,  si  concede  a  Iacopo  Morosini,  eletto  a  quella  carica, 
di  stare  intanto  in  Capodistria  (carte   177). 

1436.  22  ottobre.  —  Non  potendosi  ottener  che  parole  vane  dai  trie- 
stini, ai  quali  era  stata  chiesta  soddisfazione  per  danni  dati  in  quel  territorio 
a  sudditi  veneti  dell'Istria,  si  delibera  di  dichiarar  loro  per  lettera:  conoscere 
il  Senato  che  sono  in  colpa,  aver  pazienza  finora,  ma  se  pel  giorno  15 
novembre  gli  istriani  arrestati  non  saranno  rimessi  in  libertà  e  i  danni  dati 
non  saran  risarciti,  tutti  i  triestini  che  si  troveranno  in  territorio  veneto, 
e  i  loro  beni  saranno  presi  e  sequestrati.  —  E  di  ciò  si  decreta  sin  d'ora 
la  effettiva  esecuzione  (carte   180). 

1436.  13  novembre.  —  Per  gli  uffici  di  Federico  duca  d'Austria  [pre- 
sente a  Venezia  nel  suo  ritorno  da  Terrasanta]  si  acconsente,  dopo  respinta 
la  proposta  in  una  prima  votazione,  a  prolungare  di  due  mesi  il  termine 
qui  sopra  assegnato  ai  triestini  per  la  liberazione  dei  piranesi  arrestati  e  il 
risarcimento  dei  danni;  promettendo  il  duca,  per  mezzo  di  suoi  incaricati, 
il  suo  efficace  intervento  (carte  182). 

1436  m.  v.  25  gennaio.  —  In  seguito  a  proposta  di  Lorenzo  Minio 
podestà  e  capitano  di  Capodistria  si  annulla  la  terminazione  emanata  da 
Omobono  Gritti  la  seconda  volta  che  fu  in  quella  carica,  la  quale  vietava 
a  tutti  coloro  che  non  fossero  cittadini  ed  abitanti  di  detta  città  nò  sudditi 
veneti  di  incampare  colà  frumento  o  sale,  e  di  partecipare  ad  appalti  di 
dazi  ;  e  si  dichiara  dover  essere  iforenses  nella  condizione  in  cui  si  trovavano 
prima  di  quel  divieto.  Si  prescrive  poi  che  tutti  gli  appaltatori  di  dazi 
debbano  prestar  solida  malleveria  (carte   189). 

1436  m.  v.  3  febbraio.  —  Licenza  a  Cristoforo  Zancani,  podestà  di 
Dignano,  di  star  20  giorni  in  Venezia  (carte  190). 


Senato  Misti  voi.  LX. 


1437.  7  luglio.  —  Sentendosi  che  in  Pola  infierisce  la  peste,  si  vieta 
agli  abitanti  di  quella  città  e  suo  distretto  di  venire  a  Venezia  fino  alla 
cessazione  del  morbo  (carte  24  tergo). 

1437.  17  agosto.  —  Commettendosi  molte  frodi  col  condurre  a  Ve- 
nezia dall'  Istria  molto  vino  ribolo  facendolo  passare  per  \onta  con  danno 


—  4o  — 

dei  dazi  publici,  si  prescrive  che  d'  ora  innanzi  omnia  viltà  de  Istria  non 
cxpediantur  aiuplins  prò  ^onta  sei  prò  riboleo  (carte  32). 

1437.  24  agosto.  —  Licenza  a  Francesco  Querini  podestà  di  Albona 
di  venire  a  Venezia  per  due  mesi  per  suoi  affari,  lasciando  in  sua  vece  suo 
fratello  Marco  e  perdendo  il  salario  (carte  33). 

1437.  2  settembre.  —  Licenza  a  Girolamo  Lombardo  podestà  a  Gri- 
signana  di  spendere  lire  300  in  riparazioni  alle  mura  del  castello,  al  palazzo 
e  al  ponte  detto  del  Marchese. 

Si  riducono  da  dodici  a  quattro  le  paghe  ora  di  presidio  in  Grisignana 
(carte  34). 

1437.  8  ottobre.  —  Avendo  gli  abitanti  di  Rovigno,  che  per  ordine 
della  Signoria  si  prestarono  alla  ricuperazione  della  nave  già  comandata  da 
Iacopo  Contarini,  naufragata  in  quelle  acque,  e  delle  merci  in  essa  conte- 
nute, chiesto  il  promesso  pagamento;  si  commette  l'affare  ai  savi  di  Ter- 
raferma (carte  39). 

1438.  31  maggio.  —  Si  delibera  che  Nicolò  Soranzo,  eletto  podestà  a 
Capodistria,  abbia  due  mesi  di  tempo  per  recarsi  al  suo  posto,  come  è 
consueto,  malgrado  la  legge  che  i  podestà  e  capitani  di  quella  città  deb- 
bano eleggersi  a  Pasqua  ed  assumere  la  carica  il  dì  di  S.  Vito.  Ciò  per 
essersi  fatta  1'  elezione  solo  il  25  corrente  (carte  86  tergo). 

1438.  12  luglio.  —  Licenza  a  Leone  Barozzi  podestà  a  Grisignana  di 
venire  a  Venezia  per   15  giorni  (carte  95  tergo). 

1438.  23  settembre.  —  Licenza  a  Pietro  Pasqualigo  podestà  a  Buie 
di  venire  a  Venezia  per  un  mese  per  salute.  A  di  lui  spese  il  podestà  e 
capitano  di  Capodistria  porrà  un  sostituto  (carte  104). 

1438  m.  v.  2  gennaio.  —  Si  delibera  l'elezione  di  due  sindici  e  prov- 
veditori in  Istria,  Dalmazia  e  Albania.  —  Eletti  Orsato  Morosini  fu  Vittore 
e  Lorenzo  Onorati  major  (carte  116). 

1439.  12  maggio.  —  Commissione  ai  due  sindici  e  provveditori  sud- 
detti :  Visiteranno  tutti  i  dominii  di  Venezia  intra  Ciiìfum  nostrum 

ut  fideles  et  siediti  nostri sentiunt  justìtiam  et  benignitatem  nostrani 

in  nolendo  aut  permittendo  quod  aliquis  eorum  oblique  vel  indir  e  et  e  tractctur, 
aut  contra  debìtum  rationis  et  honestatis.  Comincieranno  la  visita  da  Durazzo; 
abboccatisi  coi  rettori  dei  vari  luoghi  inviteranno  per  proclama  tutti  coloro 
che  avessero  a  lagnarsi  dei  rettori  stessi  e  degli  ufficiali  publici  a  presen- 
tare le  loro  querele  colle  relative  prove.  —  Esamineranno  le  dette  querele 
colla  procedura  usata  dagli  Avogadori  di  Comun,  porteranno  a  Venezia  i 
processi,  ed  entro  18  mesi  dal  loro  rimpatrio  dovranno  expedivisse  et  pla- 
ccasse nei  competenti  Consigli  tutte  quelle  cause  con  autorità  di  Avogadori, 


—  4i   — 

—  Si  danno  le  norme  per  la  procedura  contro  i  rettori  accusati,  e  facoltà 
ai  sindici  di  farli  anche  arrestare  e  tradurre  a  Venezia.  —  I  sindici  non 
potranno  essere  eletti  ad  alcuna  carica  od  ufficio  fino  a  che  non  avranno 
esaurito  il  loro  mandato,  cioè  18  mesi  dopo  il  loro  ritorno.  —  Potranno 
sindacare  in  tutti  i  luoghi  1'  amministrazione  del  publico  danaro  per  parte 
di  coloro  che  ne  sono  incaricati,  con  autorità  di  Ufficiali  alle  rason  ;  i  con- 
dannati da  essi  per  tal  causa  avranno  ricorso  in  appello  alla  Signoria.  — 
Per  venire  in  chiaro  sulla  condotta  dei  singoli  rettori  ed  ufficiali,  si  dà 
facoltà  ai  sindici  di  convocare  in  ciascun  luogo  almeno  12  abitanti  onde 
depongano  sotto  giuramento  la  verità.  —  Esamineranno  coi  rettori  dei 
singoli  luoghi  tutto  ciò  che  fosse  utile  e  necessario  prò  commodo  et  conser- 
vatione  dei  luoghi  stessi  ed  entro  sei  mesi  dal  loro  ritorno  presenteranno 
al  Senato  le  relative  proposte.  —  Studieranno  le  condizioni  delle  rendite 
dello  Stato  in  ciascun  luogo,  e  riferiranno  sulla  possibilità  di  aumentarle 
o  di  diminuire  le  spese.  —  Riferiranno  sullo  stato  delle  munizioni  nei  vari 
luoghi.  —  Passeranno  la  mostra,  luogo  per  luogo,  di  tutti  gli  stipendiati 
militari,  e  casseranno  gì'  inabili,  trattine  i  godenti  stipendio  per  grazia.  — 
Procederanno  contro  coloro  che  comperarono  stipendi  di  militari  con  con- 
tratti usurari.  —  Procureranno  la  riscossione  dei  crediti  vecchi  dello  Stato. 

—  Per  tal  missione  avranno  lire  25  di  grossi  ciascuno,  colle  competenze 
degli  Avogadori  e  degli  ufficiali  alle  rason  nelle  singole  procedure.  —  Con- 
durranno seco  due  famigli  ciascuno,  un  notaio  con  un  servo,  un  cuoco  ; 
potranno  spendere  due  ducati  il  giorno  1'  uno,  non  compresi  i  trasporti 
(carte  144-146  tergo). 

1439.  20  agosto.  —  In  seguito  alla  deliberazione  del  141 3  che  ap- 
provava 1'  erezione  di  fortificazioni  ed  altri  lavori  a  Capodistria.  devol- 
vendovi il  prodotto  del  dazio  della  muta,  si  die'  mano  alle  opere,  che 
restarono  poi  interrotte;  il  6  luglio  1430  si  decretò  di  lasciare  il  detto  dazio 
a  favore  di  quel  comune  per  far  la  strada  Trivulci  nsijiie  Rixanum  ;  il  21 
febbraio  143  1  m.  v.  si  autorizzò  il  comune  stesso  a  erigere  a  proprie  spese 
le  fortificazioni,  non  parlandosi  più  del  mentovato  dazio  che  s' intendeva  di 
spettanza  d'esso  comune.  Ora  i  sindici  spediti  colà  pretendono  appartenere 
il  dazio  medesimo  allo  Stato,  e  condannarono  quel  podestà  e  capitano  a 
pagare  quanto  aveva  pagato  sul  prodotto  relativo  al  comune,  salvo  al  primo 
il  ripeterne  dal  secondo  il  rimborso.  Perciò,  ad  istanza  di  sei  oratori  di 
esso  comune  si  ordina  che  malgrado  il  decreto  dei  sindici  i  podestà  e 
capitani  debbano  continuare  a  sborsare  i  danari  del  dazio  medesimo  aj 
comune  per  la  costruzione  delle  mura  (carte  167  tergo). 


-  42  — 

1439-  !7  ottobre.  —  Si  delibera  che  chi  facesse  in  Pirano  più  sale 
del  permesso  dagli  ordinamenti  vigenti,  abbia  il  sale  eccedente  gettato  in 
acqua;  se  vi  si  opponesse,  pagherà  due  ducati  d'oro  per  moggio  prodotto 
in  più.  La  pena  divisa  per  terzo  all'  accusatore,  all'  ufficio  del  sale,  e  al 
podestà  e  al  massaro  di  Pirano.  —  Niun  piranese  potrà  portar  sale  a  casa 
senza  permesso  di  competenti  autorità,  sotto  pena  di  soldi  ioo.  —  Nessuno 
potrà  recar  con  barche  munite  di  albero,  vela,  fero  e  canevo  in  alguna  de 
le  vale  dove  se  lieva  sai  sotto  alcun  pretesto  senza  permesso  come  sopra. 
—  Ogni  produttore  di  sale.  —  Ogni  anno,  entro  un  mese  dopo  raccolto 
il  sale,  e  da  poi  fondado  le  saline,  i  produttori  pagheranno  al  comune  di 
Pirano  il  settimo  del  prodotto,  come  di  legge,  sotto  pena  di  lire  ioo.  — 
I  produttori  dovranno  ad  ogni  richiesta  del  massaro  portar  il  loro  sale  alla 
nave  destinata  ad  asportarlo.  —  Si  ordina  al  podestà  di  Pirano  e  al  mas- 
saro di  tener  registro  di  tutto  il  sale  che  per  decreto  del  giugno  1428  può 
essere  venduto  in  luogo  ai  mussolati  [moggia  700  l'anno];  esso  sale  sarà 
deposto  in  magazzini  dai  quali  il  sale  non  potrà  esser  tolto  senza  la  pre- 
senza del  massaro,  il  quale  terrà  nota  del  movimento.  —  Segue  annota- 
zione che  altri  provvedimenti  furono  deliberati  in  Collegio  il  4  marzo  1440 
(carte   174  tergo). 

1439  m.  v.  12  febbraio.  —  Si  prolunga  ad  Antonio  Malipiero  eletto 
podestà  a  Montona  il  termine  per  recarsi  al  suo  posto  (carte   193). 

1439.  26  febbraio.  —  Ad  istanza  di  oratori  del  comune  di  Pirano, 
riconoscendosi  che  le  deliberazioni  17  ottobre  p.  p.  contengono  provvedi- 
menti inopportuni,  si  delega  al  Collegio  e  ai  provveditori  al  sai  la  facoltà 
di  riformarle  (carte  194). 

1440.  16  marzo.  —  Licenza  a  Bernardo  Foscarini,  podestà  di  Albona 
e  Fianona,  di  venire  per  15  giorni  a  Venezia  per  ammogliarsi  (carte  201). 

1440.  18  maggio.  —  Licenza  ad  Antonio  Erizzo  podestà  a  Parenzo 
di  anticipare  il  suo  ritorno  a  Venezia  perchè  infermo  (carte  214  tergo). 

1440.  8  agosto.  —  Ad  istanza  del  comune  di  Capodistria  si  approva 
la  deliberazione  di  quel  consiglio  [che  è  riferita  testualmente  in  volgare], 
con  cui,  per  provvedere  di  rendite  la  cattedrale  d'essa  città,  che  non  aveva 
proventi  fissi,  si  deliberò  di  devolvere  alla  stessa  iati  i  legati  fati  prò  male 
ablatis   incertis  0  non   specificati  a  chi  0  dove   se   debia  fare,    come   pure   la 

metà  de  luti  legati  facti a  dispensar  denari  per  charitade  ;  delle 

varie  somme  terran  conto  i  procuratori  della  chiesa,  e  saranno  riposte  in 
una  cassa  della  quale  una  chiave  sarà  tenuta  dal  vescovo,  una  dal  podestà 
ed  una  dai  detti  procuratori  ;  il  clero  della  cattedrale  celebrerà  ogni 
mese  una   messa  e  un  vespero   per  le  anime   dei  testatori.  —  Gli  oratori 


—  43  — 

che   chiesero   tale   approvazione    furono    Guariento  e   Giovanni  de   Tarsia 
(carte  238). 

1440.  16  settembre.  —  Si  prolunga  per  un  altro  anno  la  conces- 
sione già  data  al  comune  di  Pinguente  di  spendere  per  due  anni  lire  150 
l' uno  delle  rendite  locali  per  finire  le  mura  e  il  palazzo  publico  (carte 
251  tergo). 


FINE  DEI  MISTI  DEL  SENATO. 


RELAZIONI 

DEI   PODESTÀ  E  CAPITANI  DI  CAPODISTRIA 


I-opo  le  pubblicazioni  di  Nicolò  Tommaseo,  di  Eugenio  Alberi  e 
Tommaso  Gar,  di  Samuele  Romanin,  di  M.  Gachard,  di  Nicolò 
Barozzi  e  Guglielmo  Berchet,  di  Alfredo  Arneth,  di  Rawdon  Brown  e  di 
Giuseppe  Fiedler  '),  e  dopo  gli  studi  di  Leopoldo  Ranke,  del  nominato 
Gachard,  di  Armando  Baschet  e  di  altri  dotti  pubblicisti  italiani,  tedeschi, 
francesi,  inglesi  e  di  tutte  le  colte  nazioni  d'  Europa  *),  le  Relazioni  degli 
Ambasciatori  Veneti  hanno  acquistato  una  grande,  diffusa  e  meritata  celebrità. 

Ma  le  Relazioni,  particolarità  della  Repubblica  di  Venezia  al  confronto 
degli  altri  Stati,  non  sono  una  specialità  della  sua  diplomazia  o  della  sua 
politica  estera  :  esse  entrano  in  tutto  il  sistema  del  suo  governo. 

Anche  i  Rappresentanti  del  governo  nello  Stato,  Podestà,  Capitani,  Pro- 
veditori, Sindici  ecc.  ritornati  dalle  loro  cariche  o  dalle  loro  missioni  do- 
vevano comparire  in  Senato  o  in  Collegio  per  fare  a  voce  la  loro  Relazione, 
e  quindi  dovevano  presentarla  alla  Cancelleria  Ducale  in  iscritto. 

Coteste,  che  diremo  Relazioni  interne,  se  non  hanno  importanza  per 
la  storia  generale  d'Europa,  certo  1* hanno  e  grandissima  per  la  storia  della 
Repubblica  e  dei  paesi  che  ne  costituirono  il  territorio. 

Samuele  Romanin  nella  sua  Storia  documentata  di  Venezia  (voi.  Vili, 
pag.  393  e  seg.),  dopo  aver  parlato  delle  Relazioni  e  dei  Dispacci  degli 
Ambasciatori,  non  dubitò  di  soggiungere:  «E  mentre  delle  Relazioni  esterne 
»  copiosamente  e  dei   Dispacci   altresì,   sebbene  in  più   ristretto   limite,  si 


-46  - 

»  giovarono  parecchi  dei  moderni  storici,  e  se  ne  fecero  parecchie  pubbli- 
»  cazioni,  non  giunsero  ancora  a  pari  rinomanza  i  dispacci  e  le  relazioni 
»  delle  interne  provincie,  che  per  nulla  cedono  agli  altri,  se  pur  non  li 
»  superano  per  le  preziose  notizie  che  forniscono  dei  veneti  possedimenti 
»  nella  Terra  ferma  ed  oltre  mare.  Sono  fonti  della  storia  di  Venezia  che 
»  ormai  non  è  lecito  trascurare  per  ben  giudicare  delle  condizioni  sociali 
»  ed  economiche  di  questa  Repubblica  ». 

La  Relazione  è  1'  ultimo  atto  d'  una  Carica  o  Missione  pubblica,  è  il 
rapporto  finale,  sulle  cose  operate  e  osservate,  e  insieme  una  proposta, 
consultazione  od  avviso  sulle  cose  da  operarsi  nell'  interesse  generale  dello 
Stato,  o  particolare  del  paese  o  dell'  azienda  pubblica  avuta  in  governo. 

La  Relazione  differisce  dal  Dispaccio  in  ciò,  che  i  dispacci  o  lettere, 
spesso  secrete,  sono  informazioni,  domande,  proposte  o  risposte  speciali 
scritte,  al  Senato  od  al  Consiglio  dei  dieci,  dai  pubblici  Rappresentanti  nel 
pieno  esercizio  della  loro  Carica  o  Missione,  mentre  la  Relazione  è  il  quadro 
d'insieme  fatto  a  servigio  o  a  missione  compiuta:  in  quelli  maggiore  brevità 
e  domestichezza  di  linguaggio,  e  spesso  l' ansia  del  momento,  in  queste 
maggiore  studio,  calma  e  solennità  ;  nei  dispacci  1'  osservazione  a  spizzico 
e  quasi  a  dire  l'analisi,  nelle  relazioni  l'osservazione  generalizzata,  ossivero 
la  sintesi. 

Chi  conosce  per  poco  il  sistema  dei  Veneti,  capirà  facilmente  che 
delle  Relazioni,  come  d'ogni  altro  atto  di  governo,  tutto  era  regolato  per 
legge,  il  tempo,  il  luogo,  il  modo,  la  sostanza,  la  forma. 

A  principio  le  Relazioni  consisterono  in  poche  note,  e  soltanto  col 
processo  dei  tempi  presero  quel  maggiore  sviluppo  del  quale  porremo  sotto 
occhio  gli  esempj . 

—  Un  decreto  del  1268  si  esprime  così:  Oratores  (valga  lo  stesso  per 
i  Rettori)  in  reditu  dent  in  nota  ea  quae  sunt  utilia  dominio. 

—  Altro  decreto  del  1425  dice:  In  script is  relationes  facere  teneantur. 

—  «  Nel  1325  il  Maggior  Consiglio  decretò  che  le  Relazioni  dei  Rettori 
«dello  Stato  si  consegnassero  (le  già  esistenti  eie  nuove)  ai  Provveditori 
»  di  Comun  perchè  le  facessero  eseguire  nella  parte  relativa  ai  bisogni  delle 
»  terre  soggette  »  (Cechetti.  Costituzione  istorica  degli  Archivii  veneti  antichi). 

—  Nel  1524  (19  novembre)  il  Senato  dava  obbligo  ai  Rettori  di  scri- 
vere le  Relazioni  fra  giorni  15  dappoi  che  le  averanno  fatte  in  voce,  e  di 
consegnarle  assieme  ai  ricordi,  consigli  ecc. 

,'         Nel  1560  (29  giugno)  lo  stesso  Senato  decretava  che  le  Relazioni, 

dopo  consegnate  dai  Rettori  ed  altri  Rappresentanti,  nel  loro  ritorno  dai 
reggimenti,   al  Segretario   della   Cancelleria   incaricato   di  registrarle,   esso 


—  47  — 

Segretario  «  immediate,  sotto  pena  di  privazion  del  loco  suo,  sia  tenuto 
»  far  saper  di  aver  avuto  la  detta  Relazione,  et  darla  ad  uno  delli  Savii 
»  nostri  da  esser  eletto  per  questo  effetto,  et  a  questo  di  tempo  in  tempo 
»  deputato  per  ballottazione  del  Collegio  nostro  ».  Esso,  ben  considerata  la 
Relazione,  fra  tre  giorni  metterà  in  consulta  nel  Collegio  quei  capi  di  essa 
che  meritano  provvedimento. 

—  Nel  1620  (11  agosto).  Fu  prescritto,  sempre  dal  Senato,  che  le 
Relazioni  sieno  fatte  subito  che  i  rettori  sono  tornati. 

—  Nel  1654  (^  agosto)  Il  Senato  ordinava  che  i  Rettori  o  Rappre- 
sentanti portino  al  Collegio  nel  loro  ritorno  le  Relazioni. 

Ci  dispensiamo  dal  citare  altre  leggi,  perchè  chi  desiderasse  conoscerle 
le  troverà  riprodotte,  secondo  l'ordine  dei  tempi,  nel  celebre  libro  di  Ar- 
mando Baschet  La  Diplomatie  vénitknne  (Vedi  le  Note). 

Ma  prima  della  Relazione  scritta,  il  Rappresentante  ritornato  dalla  sua 
carica,  doveva  (entro  termine  fissato,  come  si  disse,  dalla  legge)  comparire 
in  Senato  o  in  Collegio  e  farla  a  voce.  Ed  era  comparsa  di  grande  solen- 
nità. Fra  i  Codici  storici  della  Collezione  Foscarini,  che  conservasi  nella 
Biblioteca  imperiale  di  Vienna,  havvene  uno,  cartaceo,  del  secolo  XVII, 
comprendente  la  Serie  di  tutti  i  Reggimenti  veneti  dal  140J  ai  1626,  nella 
Introduzione  del  quale,  tra  le  altre,  sta  scritto,  che  i  Veneti  Rappresentanti 
nel  ritorno  dai  loro  reggimenti  vanno  con  veste  ducale  nel  Collegio,  accom- 
pagnati da  lunga  coda  di  parenti  et  di  amici,  esponendo  lo  stato  delle  città 
governili  e,  el  li  bisogni  che  occorressero  in  quelle  ;  et  ne  riportano  con  la  patria 
merito  grande  per  ottenere  gli  altri  honori  di  quella 

Fortunatamente  nell'Archivio  generale  veneto  è  rimasta  una  Collezione 
abbastanza  copiosa  di  Relazioni  dei  Veneti  rappresentanti  che  furono  in 
Istria.  Ne  sono,  unite  e  sparse,  dei  Podestà  e  Capitani  di  Capodistria,  dei 
Capitani  di  Raspo,  dei  Conti  e  Provveditori  di  Pola,  dei  Provveditori  di 
Veglia,  dei  Provveditori  generali  da  mar,  in  Golfo,  contro  gli  Uscocchi, 
nonché  dei  Snidici  di  Dalmazia  (che  sindacavano  anche  le  cose  delle  isole 
del  Quarnaro,  Cherso,  Ossero,  Veglia),  e  dei  Provveditori  sopra  sali,  sopra 
boschi  e  roveri,  sopra  beni  comunali,  alla  sanità  ecc.  ecc.  Queste,  trascritte 
per  esteso  o  per  estratto,  forniranno  spiegazione  e  ragione  di  quanto  abbiamo 
qui  detto,  non  solo,  ma  ci  additeranno  insieme  assai  cose,  generali  e  speciali, 
indispensabili  a  sapersi  oramai  per  intendere  e  giudicare  rettamente  il  nostro 
paese. 

Venezia,   1   agosto  1873. 

Tomaso  Luciani. 


NOTE 


')  1838.  Relation!  sur  les  Affaires  de  France  au  XVI  sitile,  recueillies  par  N.  Tommaseo. 
Paris,  1838.  —  Sono  due  volumi  della  Collezione  dei  documenti  inediti  per  servire  alla 
storia  di  Francia.  Importa  constatare  che  N.  Tommaseo,  esule  in  Francia,  è  stato  il  primo 
a  rivelare  all'  Europa  questo  sacro  deposito  d' italiana  sapienza. 

1839.  Le  Relazioni  degli  Ambasciatori  Veneti  al  Senato  durante  il  secolo  XVI,  raccolte 
ed  illustrate  da  Eugenio  Alberi.  Firenze,  volumi  15,  dal  1839  al  1863.  —  Abbenchè  la 
Collezione  corra  col  nome  del  solo  Alberi,  sta  il  fatto  che  le  Relazioni  della  Corte  di  Roma, 
formanti  due  volumi,  furono  raccolte  e  annotate  egregiamente  da  Tommaso  Gar. 

1853.  Storia  documentata  di  Venezia  di  Samuele  Romani*.  Venezia,  volumi  io,  dal 
1853  al  1861.  —  Vedausi  i  Documenti  nei  quali  è  riprodotto  l'intiero  testo  di  alcune 
interessanti  Relazioni. 

1855.  Relaiions  des  Ambassadeurs  Vénitiens  sur  Charles  Quint  et  'Philippe  II,  par  M. 
Gachard.  Bruxelles,  1  voi.,  1855. 

1856.  Relazioni  degli  Stati  Europei  lette  al  Senato  dagli  Ambasciatori  Veneti  nel  secolo  XVII, 
raccolte  ed  annotate  da  Nicolò  Barozzi  e  Guglielmo  Berchet.  Venezia,  1856  e  seg. 
—  Sono  stati  pubblicati  8  volumi  e  se  ne  attende  con  desiderio  la  continuazione. 

1863.  Die  Relationen  der  Botschafter  Veneti igs  iibcr  Ocsterrcich  ini  atiiìienten  Iahrhundert, 
nach  dea  Originaltn  hcrausgegeben  von  Alfred  Ritter  v.  Arneth,  ossia  Le  Relazioni  degli 
Ambasciatori  Veneti  intorno  l'Austria  nel  XVIII  suolo,  pubblicate  dagli  originali  da  Alfredo 
cav.  d'Arneth.  Vienna,  1863,  voi.  I. 

1864.  Calendar  of  State  Papers  and  manuscripts,  relating  to  English  affairs  ecc.,  ossia 
Regesti  delle  Carte  di  Stato  e  dei  MSS  risguardanti  gli  affari  inglesi,  esistenti  negli  Archivi 
e  Raccolte  di  Venezia,  ed  in  altre  Biblioteche  dell'  Italia  settentrionale,  editi  da  Rawdon 
Brown,  pubblicati  per  ordine  dei  Lordi  commissari  del  Tesoro  di  S.  M.  sotto  la  direzione 
del  Direttore  degli  Archivii.  London,  1864  e  seg.  —  Sono  pubblicati  quattro  grossi  volumi. 

1866  e  1867.  Relationen  Venetianischer  Botschafter  ecc.,  ossia  Le  Relazioni  degli  Am- 
basciatori Veneti  per  la  Germania  e  l'Austria  nel  XVII  secolo  pubblicate  da  Giuseppe  Fiedler. 
Vienna,   1866  e   1867,  voi.  2,  nelle  Fontes  rerum  austriacarum,  serie  III,  voi.  26  e  27. 

1870.  %_elationen  Venetianischer  'Botschafter  ecc.,  ossia  'R^elaijoni  degli  Ambasciatori 
veneziani  intorno  la  Germania  e  l'Austria  nel  secolo  XVI,  pubblicate  da  Giuseppe  Fiedler. 
Vienna,  1870,  voi.  1,  nelle  Fontes  rerum  austriacarum,  serie  II,  Diplomataria  et  Ada,  voi.  30. 

')  L' illustre  Leopoldo  Ranke  fece  uso  sapiente  delle  Relazioni  veneziane  in  tutte 
le  sue  opere  storiche  sui  secoli  XVI  e  XVII. 

1853.  Les  Monuments  de  la  Diplomatie  Vénitienne  considéris  sous  le  point  de  vue  de 
V  hiftoire  moderne  en  general  et  de  V  hisloirc  de  la  'Belgique  en  parliculier,  par  M.  Gachard 


—  5o  — 

membro  dell'Accademia  e  della  Commissione  Reale  di  Storia  del  Belgio  e  Archivista  ge- 
nerale del  Regno. 

1862.  La  Dipìomatie  Vénitienne  e  le  Princes  de  l'Europe  au  XVI  siede,  d'apres  le  rapporti 
des  lAmbassadeurs  véniliens,  par  Armand  Baschet.  Parigi,  1862,  un  voi.  in  8°  di  pag.  610. 
—  La  comparsa  di  questo  libro,  nel  quale  trovasi  la  serie  completa  e  ordinata  cronolo- 
gicamente di  tutte  le  parti  e  decreti  che  si  riferiscono  alle  Relazioni,  diede  occasione 
ai  più  grandi  pubblicisti  di  Europa  di  parlare  nei  loro  periodici  sul  merito  di  queste 
e  sulla  politica  dei  Veneziani,  e  se  furono  più  copiosi  gli  scritti  comparsi  in  francese, 
non  mancarono  però  gli  Italiani  Tra  questi  è  notabile  uno  scritto  dell'  illustre  Fedele 
Lampertico  stampato  nell' ^Archivio  Storico  Italiano,  nuova  serie,  1862,  tom.  XVI,  parte  II, 
pag.  104  a  114. 


Relatio  Viri  Nobilis  Ser  Ioannis  Minoto  qui  fuit  Potestas  et 
Capitaneus  Iustinopolis.  —  Presentata  Die  2.a  Martij  1525. 

Per  debita  execution  di  Ordeni  de  questa  Jnclijta  Cita,  et  per  satisfare 
al  debito  mio,  io  Zuan  Minoto  ritornato  ultimamente  Potestà  et  Capitano 
suo  de  Capodistria  reverentemente  ricordo  alla  Sublimità  Vostra  Princeps 
Serenissime  che  per  conservation  et  augumento  de  dieta  sua  Cita  et  a  be- 
neficio de  Vostra  Sublimità,  la  vogli  far  le  infrascritte  molto  necessarie 
provision,  et  primo  : 

Che  essendo  il  Conseglio  de  la  XLtia  novissima  del  mese  de  octubrio 
proxime  passato  per  disordine  del  processo  tagliata  la  Sententia  facta  per 
i  Signori  Sindici  da  Terra  ferma  come  Judici  delegati  per  la  Vostra  Su- 
blimità facta  in  favor  de  la  Camera  sua  phiscal  de  Capodistria  et  la  Comunità 
de  Mugia  circa  la  Valle  de  S.  Helero,  et  dopoi  tal  taglio  per  Vostra  Serenità 
iterum  commessa  et  delegata  alti  Magnifici  suoi  Capitaneo  de  Raspo  et 
Podestà  de  Montona,  et  a  me  commesso  la  expedition  de  dieta  causa  qual 
per  il  breve  tempo  che  alhora  mi  restava  a  fornir  il  rezimento  mio  da  me 
non  fu  expedita,  che  la  voglia  per  sue  lettere  commettere  al  presente  suo 
Podestà  et  Capitaneo  de  dieta  Cita  mio  successor  juxta  la  Commission  a 
me  per  sue  de  14  octubrio  data  che  al  tutto  el  voglia  far  expedir  dieta 
causa  de  la  qual  dieta  sua  Camera  è  in  grandissima  ragion,  et  de  dieta  Vale 
ne  potrà  conseguir  ogni  anno  da  ducati  50  in  suso  de  utilità. 

Item  che  essendo  de  certo  tempo  in  qua  mollo  accresciute  le  pallude 
da  la  banda  verso  Terraferma,  et  molto  minuita  dieta  sua  Cita  de  dieta 
banda  per  modo  che  non  provedendo  a  tal  cossa  de  breve,  è  per  redurse 
in  terra  ferma  per  modo  che  dieta  sua  Cita  de  fortissima  che  la  è  da  parte 
de  terra  deventarebbe  debilissima,  sicché  necessario  è  che  per  Vostra  Su- 
blimità sia  provisto  alla  cavation  de  dieta  pallude,  et  perchè  tal  cavation 
sarebbe  che  in  supportabil  spesa  a  dieta  sua  Cita  reverenter  li  aricordo  che 
la  voglia  far  che  tuta  la  Istria  debbia  contribuir  a  far  tal  bon  effecto. 

(Serie  Relazioni  —  Registro  I  —  1521  a  1536  gii  Codice  Brera  n.  197 
pag.  21  tergo). 


—    S2    — 

Relatio  Viri  Nobilis  Ser  Leonardi  Venerio  qui  fuit  Potestas  et 
Capitaneus  Iustinopolis.  —  Presentata  die  i."  Junij  1533. 

Serenissimo  Principe,  per  non  manchar  dal  debito  mio,  et  per  esser 
obsequentissimo  ali!  Ordenj  et  Leze  di  Vostra  Serenità,  io  Lunardo  Venier 
olin  podestà  et  Capitanio  di  Capodistria  per  la  presente  mia  scriptura  li 
dirò  quanto  mi  parerà  degno  della  intelligentia  di  quella,  a  beneficio  di 
questo  Illustrissimo  Stado  ed  utilità  di  quella  sua  Cita  Justinopolitana. 

Vostra  Excellentia  saperà  prima  essa  sua  cita  esser  situata  in  uno  bel- 
lissimo sito  et  fortissimo,  circumdata  intorno  da  le  aque  salse,  et  murata 
circumcirca  di  mure  vechie  et  antique  debelissime  fabricate  per  questo  Ex- 
cellentissimo  Dominio  de  circuito  de  meia  uno  et  quarti  tre  incirca,  nelle 
quale  mura  ne  sono  porte,  salva  veritate,  da  dodese  ordinarie  et  alchune 
extraordinarie,  alchune  de  le  qual  sonno  in  case  de  privati  citadini.  cosa 
che  mi  parve  insolita  anchor  che  dieta  Cita  sia  fidelissima  quanto  alchuna 
altra  di  V.  S.a  Le  chiave  de  le  qual  porte  stanno  nelle  mani  de  alchuni  de 
bassa  conditione  che  se  dimandano  Cavedierj,  li  quali  hanno  il  carico  di 
aprir  la  marina  et  serar  la  sera  esse  porte.  Questa  cossa  essendo  cussi  sempre 
observata  da  poi  che  quel  loco  è  alla  devotione  sua,  non  mi  parve  di  far 
altra  innovatione  anchor  che  fusse  cossa  di  grandissimo  momento  per  di- 
versi rispetj. 

Vi  è  una  strada  fondata  sopra  il  palludo  la  qual  va  da  la  Terra  et 
passa  per  il  Castello  a  terra  ferma,  la  qual  strada  è  causa  di  far  accrescer 
il  palludo  da  una  parte  et  l' altra  per  haver  retenuto  il  corso  delle  aque, 
che  non  se  li  provedendo  in  breve  tempo,  la  Cita  sera  in  terra  ferma.  Di 
quanto  maleficio  possi  esser  tal  cossa,  quella  per  sua  prudentia  pò  con- 
siderar. Universal  opinion  è  non  vi  esser  altro  rimedio  salvo  che  cavar  essa 
strada  et  poner  la  miti  in  volti,  siche  le  aque  possino  haver  corso  da  luna 
et  laltra  banda,  et  certo  questo  è  la  più  importante  cossa  se  habia  a  far  a 
quella  Cita,  perchè  essendo  situata  in  mare,  et  mantenendo  quello  intorno, 
è  sito  da  far  una  Cita  fortissima  et  inexpugnabile,  et  cum  pocha  spesa. 

Il  Castel  se  dimanda  Castel  lion,  al  presente  debelissimo  et  mal  con- 
ditionato, che  non  se  li  provedendo  ruinerà,  dove  che  volendo  poi  restaurarlo 
V.  S.  ne  haverà  grandissima  spesa.  Ditto  Castello  è  tra  la  città  et  terra 
ferma  quasi  a  mezo  la  strada  dieta  de  supra.  Se  ritrova  in  quello  uno 
Contestabile  cum  sei  compagni,  et  è  per  gratia  de  Dio  assai  mal  custodito 
et  mal  fornito  de  ogni  cossa. 

La  Cita  pò  far  da  sette  in  otto  millia  anime  ;  da  fati  se  potria  trovar 


—  53  — 

da  800  in  1000  homeni.  Sono  la  magior  parte  che  viveno  de  lavorar  terre 
et  saline,  excepto  aldi  uni  pochi  Citadini  che  viveno  de  le  loro  intrade  et 
qualche  pocho  de  industria  et  mercantia.  Sono  universalmente  poveri  rispeto 
al  sito  et  edam  che  non  vogliano  molta  faticha. 

La  Camara  è  assai  debile  et  tenue  si  come  V.  S.  ha  potuto  veder  per 
li  Conti  altre  volte  mandatolj,  et  più  è  la  spesa  cha  la  intrata  :  ben  è  vero 
che  chi  volesse  potria  meter  bona  quantità  de  danarj  in  essa  Camara  de 
che  pagando  tuti  anchor  se  potria  avanzar  almeno  da  ducati  mille  al  anno. 

Il  territorio  è  assai  sterile  si  per  la  mala  qualità  del  paese  come  etiam 
che  li  contadini  sonno  di  sorte  che  non  vogliano  fatica  di  lavorar  et  sonno 
per  questo  poverissima  gente. 

In  esso  territorio  se  ritrova  molte  Fortezze  de  importantia  de  le  qual 
ne  scrissi  per  mie  lettere  a  V.  S.  et  alli  Excellentissimi  Signori  Capi,  alle 
qual  non  facendo  alchuna  provisione,  oltra  che  poriano  minar,  potriano 
etiam  patir  alchun  senistro  a  qualche  tempo  cum  maleficio  grande  de  la 
excellentia  Vostra,  et  di  quel  territorio  come  fu  nelle  preterite  guerre  per 
la  perdeda  di  Castel  nuovo.  S.  Servolo  et  Cernical  ;  tra  le  qual  forteze  è 
prima  la  fossa  de  Ospo,  il  Castel  di  Camignan  et  de  Popechio.  Quella  ne 
farà  quella  consideratione  li  parerà. 

El  territorio  pò  far  persone  da  fatti  da  600. 

Non  resterò  di  riverentemente  aricordar  a  V.1  S.*  che  ritrovandosi  nel 
Istria  molti  lochi  nelli  qual  ne  vanno  sui  Rectori,  quali  hanno  el  civil  et 
criminal,  dove  che  volendo  li  poveri  subditi  appellarsi  convengono  venir 
in  questa  Cita  cum  grandissima  loro  spesa,  interesso  et  total  loro  ruina, 
de  sorte  che  molti  per  la  impotentia  sua  lassano  andar  le  ragion  sue  senza 
diffinirle,  perchè  saria  bone  se  cussi  par  alla  Signoria  Vostra  proveder  che 
tutte  appellation  andassero  al  Podestà  et  Capetanio  di  Capodistria,  el  qual 
havesse  a  terminar  et  diffinir  essa  causa  come  fu  delle  cause  de  lonir  pe- 
rnia (sic)  Grisignana,  et  altri  lochi  sottoposti  a  quel  rezimento,  la  qual  cossa 
saria  di  grandissimo  contento  et  beneficio  alli  poveri  che  non  hanno  il 
modo  de  venir  in  questa  Cita.  Ben  è  vero  che  ne  sono  alchuni  pochi  in 
ditti  lochi  li  quali  per  poter  menar  le  cause  a  suo  modo  et  continuamente 
ruinar  li  poveri,  non  voriano  tal  cossa.  V.  S.  sapientissima  farà  quanto  li 
parerà  a  beneficio  suo,  et  de  li  subditi  sui. 

Questo  è  quanto  mi  occorre  che  degno  sia  della  intelligentia  et  sa- 
pienza di  quella,  alla  qual  reverentemente  mi  ricomando. 

(Serie  Relazioni  —  Registro  I.  1521-1536  già  Codice  Brera,  n.  197, 
pag.   145  e  seg.). 


—  54  — 

Relatio  Viri  Nobilis  Ser  Donati  Maripetro  reversi  Potestatis  et 
Capitanei  Iustinopolis.  —  Presentata  in  Collegio  die  24  Ian- 
nuarij  1545. 

Essendo  provisto  per  leze  che  li  Rezimenti  al  ritorno  suo,  oltra  la 
Relazion  a  bocha,  debbino  anche  in  scriptura  deponer  tutto  quello  sia  ne- 
cessario, per  ho  io  Donado  Malipiero  al  presente  retornado  dal  rezimento 
dela  Città  de  Capodistria,  dirò  quello  mi  parerà  esser  necessario  brevissi- 
mamente. 

Et  prima  dico  la  città  di  Capodistria  esser  fondata  in  un  sino  nel  mare 
circumdato  de  monti  che  verso  tramontana  son  lontani  da  la  città  per  miglia 
tre  in  circa,  et  continuando  verso  levante  se  restringeno  in  miglia  doi,  et 
verso  mezo  giorno  miglia  uno,  verso  ponente  li  monti  si  slargano  per 
miglia  doi  et  mezzo,  et  parte  ha  del  mare  aperto. 

Tra  levante  et  mezo  giorno  ha  porto  sicurissimo  per  ogni  gran  quan- 
tità de  legni,  né  per  la  largeza  tra  li  monti  et  la  terra  poriano  esser  offesi 
da  la  città. 

Questa  città  è  conzonta  al  presente  cum  la  terra  ferma,  che  prima  era 
isola,  per  una  strada  fatta  a  mano  larga  passa  doi  intraverso  mezozorno. 

Sopra  questa  strada  lontan  da  la  città  per  un  tratto  di  balestra  è  fon- 
dato il  Castello,  se  Castel  si  pò  dir,  dove  li  va  un  Magnifico  Castellano  et 
vi  è  un  Caporal  cum  dodese  Compagni  salariadi  da  la  Camera. 

Questa  strada  fu  fatta  a  posta  per  conzonzer  la  città  cum  terra  ferma, 
et  ditto  Castello  per  securtà  de  quella  Ma  molto  più  secura  saria  se  non 
li  fusse  ne  la  strada,  né  il  Castello,  ma  fosse  in  isola  come  prima  era. 

Da  questa  strada  è  causado  chel  mar  non  possendo  scorrer  li  intorno, 
et  venendo  nel  mar  verso  levante  una  aqua  de  un  fiumesello  ditto  el  fiu- 
mesin,  ha  talmente  munito  et  consolidato  da  la  parte  de  levante  tra  la  città 
et  la  terra  ferma  per  farsi  cento  passa  a  traverso,  che  senza  la  strada  su 
pel  ditto  paludo  et  jara  si  pò  andar  fino  a  le  mura  de  la  città,  la  qual  ha 
porte  debilissime,  et  quella  risponde  al  Castello  fatta  a  zelosia,  et  in  alchuni 
lochi  le  mura  basse  et  che  da  se  Caschano. 

A  presso  le  chiave  de  le  porte  de  la  terra  stanno  dì  et  notte  in  man 
de  quelli  de  la  terra,  le  qual  quando  andai  nel  rezimento  erano  24  e  hor 
sono  13,  et  cussi  le  Contrade  elezo  un  Ciavedier  per  contrada  qual  tegni 
4e  chiave. 

Però  stante  le  cose  sopraditte  fino  che  mazor  provision  si  facesse,  doe 
cose  mi   par  che  sariano   necessarie.   Prima  serar   anchora  doe  porte,   zoè 


—  55  — 

porta  S.  Michiel  et  porta  nuova  verso  la  muda,  la  qual  non  incomoderia 
in  conto  alchuno  per  esser  appresso  di  quelle  altre  porte.  Questo  renderla 
più  frequente  le  altre  porte,  il  che  reputo  non  picol  securtà  de  la  città. 
—  Secundo  far  far  a  traverso  el  paludo  per  mezo  el  Castel  un  canal,  et 
cossi  appresso  la  terra,  che  saria  per  longezza  de  passa  cento  l'uno,  et  non 
più,  de  quella  largezza  parerà.  Questi  fariano  la  città  secura  de  terra  ferma, 
et  comandar,  come  ho  fatto  in  mio  tempo,  non  aldendo  alchuno,  il  castello 
si  serasse,  una  hora  da  poi  al  sole  a  monte,  et  si  aprisse  meza  hora  avanti 
si  levasse. 

Questa  città  essendo  incolfada  per  mia  X  dentro  la  ponta  de  Piran. 
non  havendo  comercio  da  mar,  fo  fabricada  da  viver,  dirò  cussi,  co  le  parti 
superiori,  perchè  mancando  el  territorio  de  biave  che  non  faria  quello  nasce 
sul  territorio  mesi  doi,  havendo  al  incontro  assai  quantità  de  vini,  sali,  de 
ogli  necessarii  a  le  parte  superiori.  Fino  che  li  Cranci  da  ditte  parte  superior 
sono  venuti  a  levar  le  ditte  loro  entrate  de  vini,  sai,  de  oglio,  se  ha  be- 
nissimo sustentada  vendendo  le  loro  robe  a  bonissimi  pretii  :  hora  essendo 
diminuito  el  corso  de  Cranci  de  più  de  la  mità  del  solito,  non  potendo 
smaltir  le  loro  entrate,  et  a  quelli  pochi  vengono  volendo  tutti  vender  li 
danno  le  robe  per  vilissimo  pretio,  è  redutta  in  grandissima  povertà. 

La  causa  per  la  qual  si  existima  sia  diminuito  el  corso  di  Cranzi 
alcuni  dicono  che  l'entrar  de  Turchi  in  l' Ongaria,  è  sta  causa  ;  altri  chel 
sai  se  fa  ne  la  città  del  Halla  (d' Innsbruck)  et  lo  interditto  fatto  novamente 
chel  sai  dell' Ystria  non  passi  uno  loco  ditto  Sili  (forse  Cilli)  sovra  Lubiana 
una  zornata,  è  sta  causa  del  sminuir  el  corso  di  Cranci.  Alchuni  poi  dicono 
che  una  strada  fatta  per  Mugiesani  che  ha  molto  comodato  li  Cranzi  et 
breviatoli  molto  el  camino  è  causa  che  li  Cranzi  non  vengono  in  Capo- 
distria,  et  per  la  verità  a  Mugia  de  continuo  non  manca  Cranzi  che  vengono 
a  tuor  le  loro  entrate. 

Et  per  dir  qualche  cosa  di  questa  strada  fatta  per  Mugiesani,  dico  che 
per  quella  hanno  invidado  Cranzi  a  venir  a  levar  le  robe  loro,  perchè  per 
quella  vengono  a  dreto  a  Mugia,  dove  prima  volendo  venir  a  Mugia  con- 
venevano  lontanarsi  da  Mugia  et  venir  un  gran  pezo  per  la  strada  che  veniva 
in  Capodistria  et  se  volevano  andar  a  Mugia  tornar  come  indredo,  siche 
era  tacil  cosa  essendo  cossi  avanti  che  havesseno  a  venir  in  Capodistria, 
perchè  anche  hanno  qualche  avantazo  nel  comprar,  perchè  a  soldati  sempre 
si  vendeno  meno  in  Capodistria  che  a  Mugia  per  la  mazor  distantia.  Ma 
se  ditti  Mugesani  hanno  potuto  far  sul  suo  ditta  strada  o  no,  non  havendo 
a  questo  effetto  ne  mai  aldito  le  ragion  de  l'uno,  né  de  l'altro,  questo  a 
me  non  appartien. 


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Dico  etiani  questo  che  la  città  de  Capodistria  è  reduta  in  gran  povertà 
per  non  poter  smaltir  le  loro  entrate,  nò  per  mio  juditio  poriano  sopportar 
alchun  cargo,  et  se  alchun  pensasse  a  li  Venditori  o  Compradori  de  vini 
et  ogli  darli  alcun  cargo,  saria  un  ruinar  quella  città,  et  metter  tutto  quel 
populo  in  desperatione. 

Quanto  aspetta  al  sai  del  qual  danno  ogni  anno  la  Xma,  quella  se 
haveria  integramente  se  dal  Offitio  del  sai  si  mandasse  de  aprii  li  danarj 
per  pagar  le  barche  che  conduceno  el  sai  nel  magazeno,  et  questo  anno  ho 
tanto  scritto  che  son  sta  mandadi  in  tempo,  et  si  ha  scosso  el  sai. 

Da  poi  chel  sai  è  condutto  da  li  privati  nella  Terra,  existimo  non  si 
faci  contrabandi  et  meno  al  presente  se  ne  faranno  che  son  fabricade  le 
mura  et  sor  ...(?)  molte  persone,  et  anche  meglio  sera  da  poi  serada  porta 
S.  Michiel,  et  porta  nova;  et  li  contrabandi  si  fanno,  si  fanno  a  tempo  che 
si  fa  el  sale  da  le  saline  proprie,  il  che  senza  barche  è  diffidi  prohibire. 

A  presso  dico  che  in  mio  tempo  essendo  seguito  un  contrabando  de 
sale,  non  ho  trovato  leze  che  decidi  tal  contrabando  ;  et  in  questa  materia 
saria  necessario  far  nova  leze  per  l' Istria  solamente. 

Essendo  la  Camera  povera  et  non  possendo  quasi  supplir  alla  spesa 
ordinaria  multiplicando  per  le  cose  criminal  le  spese,  saria  bene  solevar  con 
raxon  de  molte  spese  fanno  in  mandar  fuori  li  Cavallari  per  l' Istria  per 
haver  da  la  Comunità  o  carrizzi  de  li  qual  sono  debitori,  o  altri  debiti, 
come  fu  per  la  cavation  de  la  Valle  de  Montona  et  simili,  et  far  che  quelle 
Communità  che  non  hanno  satisfatto  al  suo  tempo  essendo  debitrici,  debbino 
sattisfar  li  Cavallarj. 

Essendo  el  Fontego  de  Capo  d' Istria  el  sustentamento  de  tutta  quella 
città  ne  le  Commission  di  Rettori  si  doveria  azonzer  che  fosseno  obligati 
render  conto  cossi  de  quelli  come  della  Camera  acciò  non  lasasseno  che 
iosse  robato  li  danari,  et  quello  come  se  faceva  per  avanti. 

Saria  de  dignità  de  questo  Stado  far  nuovi  Ordeni,  anci  Ordeni  per 
non  esser  mai  stato  ordine  alchuno,  nelle  cose  criminal  per  tutta  l' Istria, 
perchè  alchuni  lochi  che  hanno  supplicato  de  haver  le  appellatione  in  Histria 
non  le  possono  haver  più  per  la  malitia  de  alchuni  Cancellieri  et  per  non 
venir  a  Venetia  supportano  assai. 

A  presso  che  appellandosi  alchuno  de  alchuna  sententia  criminal  per- 
sonal o  pecuniaria  li  fosse  dà  tanto  tempo  che  potesseno  venir  a  Vetìfetia, 
perchè  molte  volte  li  tempi  li  interdicono,  et  sono  poi  astretti. 

Essendo  sta  fatta  Termination  cerca  la  regalia  delli  Rettori  de  Capo- 
distria per  el  quondan  Magnifico  Messer  Sabastian  Iustinian  P or  alhora 

del  1504    Potestà  et  Capetanio  in  quel   loco,  et  essendo    d'  alhora  in  qua 


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variate  le  cose,  essendo  necessario  far  nova  dcchiaratione,  si  doveria  a  qualche 
Rettor  dell'  Histria,  o  alli  primi  Syndici  andaranno  fuori,  commetter  che 
havesseno  a  reveder  tal  cose  et  regolarle,  perchè  cognosso  haver  lassato 
quello  che  per  Justitia  non  doveria. 

Questo  è  quanto  per  hora  mi  ha  parso  dir  in  scriptura,  et  accadendo 
alchuna  dcchiaratione  sempre  sarò  rechiesto  sarò  promptissimo. 

(Da  copia  ufficiale  contemporanea  riportata  nel  Secundits  Liber  Relatioiittm 
Maiilimarum,  già  Codice  Brera  segnato  col  n.  207  a  carte  44  tergo  45,  46). 


Relation  del  Nobel  Homo  Ser  Francesco  Navagier  ritornato 
Podestà  et  Capitanio  di  Capodistria.  —  Presentata  a  dì  9 
settembre  1548. 

Serenissimo  Principe 

Per  osservar,  come  il  dover  ricerca,  le  Leggi  di  Vostra  Sublimità,  io 
Francesco  Navagier  stato  de  suo  mandato  Podestà  et  Capitanio  di  Capo- 
distria, se  ben  alla  sua  presentia  nel  suo  Excellentissimo  Collegio  ho  fatta 
la  mia  relatione,  anco  in  scrittura  gliela  presento,  qual  è  questa  : 

Prima  mi  ho  afforzato  con  tutto  il  core  di  regere  et  ben  governare 
il  populo  di  essa  città,  et  del  suo  destretto,  secondo  che  ho  conosciuto 
esser  il  voler  de  Dio  et  la  mente  di  Vostra  Celsitudine. 

Nel  tempo  del  mio  Rezimento  in  Capodistria  non  è  successo  homicidio 
alcuno. 

Ho  atteso  con  tutti  li  spiriti  a  regolar  la  camara  di  Vostra  Serenità, 
reseccando  alcune  spese,  cioè  alcune  paghe  morte,  che  erano  pagate  nel 
Castello  di  essa  Città  contro  la  forma  delle  Lezze. 

Ho  atteso  et  sollicitato  a  far  scuoder  diversi  debiti  vecchi  alla  sua 
camara,  la  quale  ha  de  intrata  all'anno  da  lire  quatordesemille  incirca,  et 
di  spesa  da  lire  undesemille  cinquecento  incirca. 

Alli  di  passati  per  il  saldo  della  Cassa  del  Magnifico  Camarlengo, 
havendo  visto  che  in  essa  camara  sopravanzavano  da  circa  ducati  mille,  ne 


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mandai  a  Vostra  Serenità  ducati  800,  li  quali  furono  contadi  agli  Magnifici 
Camarlenghi  de  Commun. 

La  Città  de  Capodistria,  come  è  ben  noto  a  Vostra  Celsitudine,  è 
posta  io  sito  da  se  fortissimo,  quando  che  si  tegna  provisto  che  dalla  banda 
di  Terra  ferma  le  palude  non  si  atterrino,  come  già  si  vede  esser  dato 
principio,  di  maniera  che  non  li  provedendo  che  siano  cavate,  et  presto, 
fra  pochi  anni  la  Terra  ferma  sarà  fino  alle  mura  della  città,  et  all'ora  poi 
la  cavatione  sarà  difficile,  et  la  città  non  potrassi  più  dir  forte  ma  debilis- 
sima, la  qual  non  ha  terragli  né  spalti  dentro  né  de  fuori,  ma  solamente 
mura  debile  antiquissime. 

Vostra  Serenità  del  1539  alli  29  de  marzo  nello  suo  Excellentissimo 
Conseglio  de  Pregadi  prese  parte,  che  delli  danari  sui  fusseno  mandati  a 
Capodistria  ducati  ducento,  li  quali  si  havesseno  a  spender  per  repararioni 
delle  muraglie  et  turrioni  di  Belvedere,  et  che  fusse  commesso  al  Rettore 
di  essa  città  et  successori,  che  tutti  li  danari  che  occorresseno  a  cavarsi  delle 
condennationi  pecuniarie,  che  per  essi  Rettori  fusseno  fatte,  dovessero  esser 
applicadi  alla  fabrica  del  muoio,  et  poi  alla  cavatione  del  canale  delle  palude 
sopraditte,  et  alla  fortificatione  del  Castello,  che  è  a  mezzo  il  ponte,  cioè 
a  mezzo  della  strada  che  va  in  Terra  ferma.  Per  virtù  de  ditta  parte,  la 
Comunità  di  Capodistria  ha  pretendesto,  che  li  danari  de  ditte  condennationi 
fusseno  concesse  a  loro,  et  con  permissione  delli  Rettori  precessori  le  fa- 
cevano scoder  da  uno  suo  Camerlengo  con  utilità  de  soldi  dui  per  lira,  et 
non  dimeno  dal  detto  tempo  in  qua,  mai  alcun  danaro  de  ditta  ragione  è 
stato  speso  in  alcuna  delle  sopraditte  tre  cose,  alle  quali  dovevano  esser 
applicadi,  ma  li  hanno  dispensati  et  spesi  in  altre  cose  che  ad  essi  ha  parso 
contra  la  mente  et  intentione  della  parte  presa  nello  Excellentissimo  Senato. 
Il  che  havendo  io  visto,  parendomi  esser  cosa  da  non  tollerar,  et  esser  cosa 
di  danno  alla  Camara  di  Vostra  Sublimità,  ho  provisto  a  questo  modo,  che 
tutte  le  condannationi  pecuniarie  per  me  fatte  le  ho  applicade  alla  Camara 
di  Vostra  Serenità  con  animo  che  quando  poi  si  facessero  li  lavori  alli 
quali  sono  destinate,  si  havesse  a  levar  di  Camara  il  danaro  di  esse  per  via 
di  bollette  ;  et  penso  che  saria  bene,  che  anco  per  li  Magnifici  Successori 
fusse  ciò  osservato,  ad  effetto  che  ditto  danaro  fusse  conservato  e  non  speso 
in  altre  cose  che  in  quelle  a  quali  è  destinato. 

Del  sito  della  città,    et  quanto    che  la  sia  atta  alla    fortificatione  non 

referirò   altrimenti,   sapendo  che   alli  mesi   passati   per  il  fidelissimo   Zuan 

'Alvise  Brugnolo  Inzegniero  di  Vostra  Sublimità  il  tutto  è  stato  referto  alli 

Carissimi  Proveditori  sopra  le  Fortezze,  et  che  per  lui  fu  anco  presentato 

il  dissegno  della  città  fatto  per  esso  mentre  là  fusse  mandato  per  la  refattione 


—  59  — 

delle  muraglie  che  erano  cadute  a  porta  d'  Ognisanti.  Questo  solamente 
dirò  che  la  città  ha  porte  XIII,  le  quali  tutte  serveno  alla  marina,  excetto 
quella  di  Ponte,  per  la  quale  si  va  fuori  in  Terra  ferma.  Le  chiave  di  esse 
porte  tengono  li  cavalieri  delle  contrade,  che  sono  nomini  eletti  ogni  anno 
a  questo  effetto  di  aprire  et  serrare,  et  ogni  Contrada  ha  il  suo  cavalliero 
eccetto  la  porta  San  Michiel,  la  qual  sta  serrata,  et  le  chiave  di  essa  tiene 
il  Cavallier  del  Rettore. 

Sono  al  presente  nella  citta  di  Capodistria  a  cornati  giudicio  da  circa 
anime  Xmila  (diecimila)  et  il  populo  di  essa  dimostra  esser  fedelissimo,  ne 
potria  esser  altrimenti,  essendo  già  tanti  et  tanti  anni  nasciuto  et  arlevati 
sotto  1'  ombra  del  felice  Stato  di  Vostra  Celsitudine. 

La  ditta  città  al  presente  si  attrova  esser  fornita  di  bella  et  honorevole 
monitione  di  Artellarie  di  bronzo  con  li  sui  fornimenti,  et  altre  cose  ad 
esse  pertinenti  mandate  per  Vostra  Sublimità  per  deliberatione  fatta  con  il 
suo  Illustrissimo  Conseglio  di  X. 

Restami  a  dire  del  Fontego  qual  è  di  sustentamento  del  populo  di  essa 
città  et  delli  distrittuali  del  Territorio.  Quando  io  andai  al  Redimento,  che 
fu  il  primo  dì  de  maggio  1547,  trovai  in  esso  Fontego  stara  900  de  tru- 
mento,  et  in  scrigno  non  trovai  pur  un  soldo,  et  trovai  che  il  fontegaro, 
che  quattro  mesi  era  stato  in  officio,  cioè  da  primo  Zenaro  per  fin  tutto 
aprile,  havea  dato  farine  a  credenza  per  lire  settemille  in  circa,  et  il  Fon- 
tegaro intrato  il  primo  dì  de  maggio  in  termine  de  giorni  45,  diede  a 
credenza  per  più  de  tremille  lire,  et  se  io  accorto  di  tal  cosa  non  gli  havessc 
impedito  con  un  mio  mandato  fattogli  in  scrittura,  credo  che  anche  lui 
haveria  passato  le  sette  millia  lire.  Quando  fu  alla  fin  d'  avosto,  che  si 
doveano  elegere  li  nuovi  Fontegari  per  altri  quattro  mesi  subsequenti,  trovai 
una  parte  presa  nel  Conseglio  di  Capodistria  del  1504,  che  non  si  potesse 
dar  farine  a  credenza  per  più  de  lire  500,  et  trovai  la  parte  dell'  Excellen- 
tissimo  Conseglio  de  Pregadi  del  1530  che  provede  che  li  Fontegari  in 
termine  de  giorni  otto  da  poi  compito  l'Officio  loro  dovesseno  haver  saldato 
la  Cassa.  Queste  parte  io  feci  publicare,  et  ordenai  che  fusseno  servate. 
Quando  poi  fu  alla  fine  di  deccmbre,  vedendo  che  se  bene  per  la  parte 
dell'  Fxcellentissimo  Senato  del  1530  è  provisto  che  il  Fontegaro  Cassiero 
sia  tenuto  ogni  sabato  a  portar  li  danari  tratti  delle  farine  in  scrigno,  non 
dimeno  io  non  poteva  saper  se  tutto  intieramente  lo  portasse,  essendomi 
affirmato  per  alcuni  de  loro  cittadini,  che  tali  Fontegari  si  servivano  de 
bona  quantità  de  danari,  desideroso  di  regolar  le  cose  de  ditto  Fontego 
almeno  per  il  tempo  che  io  havea  a  star  de  lì,  mi  parve  espediente  di 
deputare  uno  cittadino  che  fusse  homo  da  bene,  qual  havesse  a  stare  con- 


_.  6o  — 

tinuamente  tutto  il  giorno  in  fontego  a  tenir  conto  delle  farine,  che  si 
vendessero,  sì  a  contadi,  come  a  credenza,  et  ogni  sera  mi  presentasse  la 
polizza,  et  che  appresso  anchor  lui  dovesse  tenir  una  chiave  del  Fontego, 
acciò  li  Fontegari  senza  lui  intrar  non  potessero,  et  per  sua  mercede  gli 
deputai  ducati  doi  al  mese.  Tal  provisione  per  me  fatta  fu  cagione,  che  dal 
Fonteg?.ro  sempre  ogni  sera  era  portato  al  Scrigno  il  danaro  tutto  intiero 
tratto  dalle  farine,  di  modo  che  quando  si  facevano  le  comprade  di  frumenti 
si  haveva  li  danari  in  Scrigno  da  pagarli,  le  qual  comprede  sempre  sono 
sta  fatte  per  il  Collegio  delle  biave,  nel  qual  intervengono  persone  undese 
computata  quella  del  Rettore.  Al  partir  mio  ho  remosso  il  ditto  per  me 
deputato,  per  non  dar  legge  al  mio  successor. 

Ho  tenuto  anche  quest'  altro  ordine,  che  a  credenza  per  più  de  lire 
cinquecento  non  ho  voluto  che  se  dia  senza  mia  licentia,  et  questo  a  be- 
neficio delti  poveri,  perchè  li  Fontegari  con  la  credenza  servivano  li  sui 
Amici  non  solamente  de  farine  per  uso  loro,  ma  anco  da  vendere  per  servirse 
delli  danari;  et  io  havendogli  tagliata  la  strada,  faceva  darne  se  non  a  quelli 
che  io  conosceva  haverne  bisogno  per  uso  loro  et  delle  famiglie  sue,  et 
non  si  ha  perso  cosa  alcuna,  perchè  tutti  hanno  pagato  senza  alcuna  spesa,  et 
se  alcuno  è  restato  debitore  per  non  esser  ancora  il  tempo  del  compir  delli 
quattro  mesi  del  Fontegaro  che  era  al  partir  mio,  qual  haveva  a  compir 
per  tutto  avosto,  esso  Fontegaro  li  ha  tolti  a  scuoder  sopra  di  se,  sapendo 
che  tutti  hanno  il  modo  da  pagare,  et  a  questo  modo  ho  satisfatto  alla 
povertà  senza  danno  del  Fontego. 

Nel  tempo  del  mio  Rezimento  ho  usato  ogni  diligentia  in  scuoder  et 
recuperar  dalli  debitori  del  detto  Fontego,   di  modo  che  al  partir  mio  ho 

lasciato  di  cavedale  per  lire che  quando  io  là  vi  andai  non  trovai 

che  ditto  fontego  havesse  di  cavedal  se  non  lire 

Voglio  per  conclusion  di  questa  mia  Relatione  dir  una  cosa  non  per 
gloria  mia,  ma  per  gloria  et  a  laude  de  Dio  padre  celeste,  che  nel  tempo 
tutto  del  mio  Rezimento  mediante  le  debite  provisioni  fatte,  le  tarine  in 
Fontego  non  si  hanno  venduto  più  de  soldi  36  la  quarta  delle  quali  ne 
vanno  tre  per  staro,  eccetto  che  dalli  8  d'Avosto  passato  in  qua  che  furono 
accresciute  a  soldi  quaranta  la  quarta,  havendo  così  parso  al  Collegio  delle 
biave  per  rispetto  del  crescer  che  facevano  li  frumenti  de  pretio,  ancor  che 
in  Fontego  fusseno  frumenti  tanti,  comprati  per  avanti  a  pretio  che  per 
tutto  avosto  potevansi  dare  le  farine  alli  soldi  36,  senza  perdita.  —  Et 
questa  è  la  Relatione  che  per  ora  mi  occorre  fare  a  Vostra  Celsitudine  alla 
cui  grazia  humilmente  mi  raccomando. 


-  6i  — 

Spesa  della  Camara  de  Caodistria,  principiando  adì  i"  Zugno  2747 
et  finito  adì  ultimo  ma%p  IS4S. 

El  (alarissimo   Potestà  et  Capitaneo  ha   all'  anno  de  salario  a 

rason  de  lire  68  soldi  6  p.  8  al  mese L.  820. — 

Per  nollo  della  barca  l'ha  condutto  in  questa  città.     ...»  32. — 

Per  sua  regalia  dell' oglio »  25. — 

Officio  delli  Clarissimi  Governadori  per  uno  anno  ....  »  2455. — 

Salario  del  Magnifico  Camarlengo  a  L.  34  sol.  3  p.  4  al  mese      .  410. — 

Fitto  della  Casa  della  sua  habitatione »  200. — 

Regalia  de  cera,  carta,  ingiostro »  io. — 

Salario  del  Magnifico  Castellati  de  Castel  Lion »  487.10 

Salario  del  Caporal  de  Castellion  a  L.  20  al  mese  ....  »  240. — 

Salario  de  otto  Compagni  a  Lire  8  al  mese »  768. — 

Salario  de  un  Bombardier  mandato  dall'  Excellentissimo  Con- 
segno de  X,  ha  due.  6  al  mese,  a  rason  de  8  paghe  .  »  297.12 
Un  delli  Compagni  del  Castello  ha  L.  2  al  mese  p.  nettar  l'arme  »  24. — 
Salario  de  quattro  Zudesi  a  L.  16  s.  4  per  uno  ogni  4  mesi  »  267.12 
Salario  del  Capitano  de  i  Schiavi  con  4  cavalli  et  3  famegi.  »  948. — 
Salario  de  do  Vicedomini  a  L.  45  per  uno  all'  anno  ...»  90. — 
Salario  de  do  Soprastanti  a  ogni  4  mesi  L.  8  s.  2  ...  »  48.12 
Salario  de  un  Contestabile  a  L.   12  al  mese,   et  6  Officiali  a 

L.   6  per  uno  al  mese »  576. — 

Salario  de  do  Cavallari  li  quali  hanno  L.  16  per  uno  al  mese  »  384. — 

Salario  de  4  lustisieri  a  L.  7  s.  4  per  uno  ogni  4  mesi  .     .  »  86.  8 

Salario  de!  Fisicho  ha  L.   62  al  mese »  774. — 

Salario  del  Precettor  a  L.   18  s.   18  al  mese »  226.16 

Scontro  della  Camara  a  L.  20  al  mese •     .  »  240. — 

Un  Mistro  della  tortura  a  L.  6  al  mese »  72. — 

Offerte  quatto  solite  più  et  meno »  24. — 

Elemosina  al  Convento  de  S.  Domenego »  32. — 

Salario  de  un  Marascalcho  qual  ha  lire  3  al  mese  ....  »  36. — 

Stimadori  di  vini »  51. — 

Un  Comandador  con  la  Trombetta  ha  lire  8  per  comandador, 

et  lire  4  per  la  Trombetta »  144. — 

Un  altro  Trombetta  ha  lire  4  al  mese »  48. — 

Un  Capellan  ih  S.u  Catharina  in   Corte   de  Palazzo,    ha  L.  5 

al  mese »  60  — 

Un  altro  Capellan  in  Castel  Lion  a  L.  2  s.   11   al  mese   .     .  »  30.12 


—   62   — 

Un  Contestabile  della  Villa  di  vini  a  L.  8  al  mese  .  .  .  L.  96. — 
Do   altri   Contestabili   delle  Ville  a  L.  4   per   uno,    uno    de 

Orgeo  (sic)  et  uno  de  Popecio »  96. — 

Bolette  vecchie  se  desconta  ogni  anno »  300. — 

Spese  extraordinarie  del  sopraditto  anno »  871.  6 

Salario  del  Cavalier  del  Magnifico  Potestà  a  Lire  2  al  mese  »  24. — 

Un  Vice  Cavalier  a  L.  6  al  mese »  72.— 

Provision  dell'Orbo  de  Popecio  a  L.  8  al  mese    ....  »  99-12 

Un  Fante  della  Camara  a  L.  6  al  mese »  72. — 

Somma  in  tutto  Lire  11441. — 

Intrada  della  Camara  per  el  ditto  anno. 

Datio  di  Molini  havi  Ser  Alvise  Bonzanni,  fa   12  paghe.     .  L.  2013. — 

Datio  delle  Taverne  della  citta  a  Ser  Stephano  Becher  .     .  »  3100. — 

Datio  di  Legnami  a  Ser  Piero  de  Lignago,  fa  4  paghe.     .  »  45. — 

Datio  delle  Taverne   delle  Ville  Ser  Zuan  Antonio  da  Salò  »  850.  — 

Datio  del  pan  ha  Ser  Hieronimo  Zaroti,  fa  paghe  12  all'anno  »  510. — 

Datio  dell'  oglio  a  Ser  Piero  de  Zuane,  fa  3  paghe    ...»  850. — 

Datio  della  Ternaria  a  Ser  Piero  Lignago,  fa  4  paghe   .     .  »  125. — 

Datio  della  Pescarla  a  Mistro  Zaro  Sartor,  fa  4  paghe  .  .  »  770. — 
Datio  delle  misure  delle  Orne  havudo  Ser  Zulian  de  Azofa, 

4  paghe  all'anno »  550. — 

Datio  de  i  soldi  2  per  orna  delle  citta  et  ville »  1408.  8 

Livelli  scossi  al  ditto  anno »  664.14 

Datio  delle  Becharie  della  città  Ser  Francesco   Ronzini  fa  4 

paghe  all'anno »  1660. — 

Datio  delle  Becharie  delle  Ville  a  Ser  Hieronimo  del  Poro  »  200. — 
Priegi  (sic)  paga  le  Ville  iti  due  paghe,  una  de  Carneval,  et 

1'  altra  de  San  Zorzi »  992. — 

Datio  della  Valle  de  San  Clero  (sic)  a  Ser  Zuan  Amarolo,  fa 

do  paghe  all'anno,  se  vende  per  anni  5,  vai  p.  un  anno  »  132. — 

Condannason  suole  quest'anno »  212. — 

Somma  in  tutto  Lire  14052.  2 

»  11441. — 

È  più  l' Intrada  della  Spesa  infrascritta  Lire  261 1.  2 


, 


(Da  copia  ufficiale  riportata  nel  Secundtis  Liber  Relationum  Maritimarum, 
già  Codice  Brera,  segnato  col  n.  207  a  carte  71,  72,  73  e  74). 


-63  - 


MDLIIII.  Relatio  Viri   Nobilis  Ser   Dominici  Gradonici  reversi 
Potestatis  et  Capitanei  Iustinopolis.  —  1554. 

Illustrissimo  Principe  et  Serenissima  Signoria 

Anchor  che  mi  persuada  chel  sia  superfluo  aggionger  alla  sapientia  di 
Vostra  Sublimità  informatione  alcuna  delle  cose  sue,  perchè  da  se  molto 
bene  la  intende  et  fa  il  tutto,  oltra  che  da  molti  Magnifici  Precessori  più 
compiutamente  gli  sono  state  esposte,  ma  per  non  mancare  di  quello  santo 
instituto  et  laudabil  stile  che  sogliono  servar  tutti  i  sui  Magnifici  Rettori 
mandati  per  lei  nelle  sue  Città  et  maxime  più  nobile  et  di  maggior  con- 
sideratione,  che  ritornati  da  sui  regimenti  sogliono  dinanzi  al  Serenissimo 
Tribunal  di  Vostra  Serenità  referir  et  esponer  quelle  cose  che  gli  pareno 
di  maggior  importantia.  Io  adunque  essendo  col  nome  di  Dio  ritornato  dal 
Regimento  della  sua  città  di  Capodistria,  con  quella  maggior  brevità  che 
potrò,  le  esponerò  tutto  quello  che  di  essa  Città  mi  parerà  degno  di  relation. 

Arrivai  in  essa  Città  di  Commissione  di  Vostra  Celsitudine  alti  ié  di 
ottobre  del  1552,  ove  per  la  buona  memoria  del  quondam  Messer  Zuan 
Maria  Contarini  di  ordine  di  quella  mi  fu  consignato  il  regimento,  nel  qual 
ritrovai  la  Città  quieta  et  pacifica,  et  in  molte  parti  per  sua  Magnificentia 
restaurata  di  strade,  porto,  palazzo,  et  Castello.  —  Non  mi  estenderò  a 
dichiarire  la  bellezza  del  sito  et  la  naturai  fortezza  di  quella,  per  ciò  che 
a  Vostra  Serenità  è  notissimo.  Ma  ben  panni  conveniente  dechiarir  qual- 
mente la  si  ritrova  ben  fornita  di  uno  fidelissimo  populo  et  di  bona  religione, 
et  di  cittadini  honorati  et  di  elevati  intelletti,  ma  poveri  per  rispetto  delli 
olivarj  morti. 

Il  regimento  tutto  saria  stato  quietissimo,  perchè  per  gratia  di  Dio  in 
tutto  il  mio  tempo  non  è  seguito  in  tanto  populo,  da  forse  9000  persone, 
homicidio  né  scandolo  alcuno  notabile,  sei  non  fusse  stato  il  disturbo  del 
morbo  di  Mugia  vicino  miglia  5,  et  Trieste  miglia  X,  il  qual  ha  durato 
mesi  8  in  circa,  nel  qual  tempo  la  Città  per  il  mancar  del  commercio  de 
Cranci,  che  sogliono  dargli  il  viver,  ha  patito  grandissimo  incomodo,  et 
tamen  mediante  la  gratia  della  Divina  Maestà  et  il  buon  governo  che  con 
quelli  sopradetti  Proveditori  habbiamo  havuto,  se  siamo  conservati  sani. 

In  mio  tempo  è  occorso  che  dietro  la  Chiesa  di  Sant'Anna  cascò  un 
pezzo  di  muraglia  de  passi  circa  30,  la  qual  con  1'  aiuto  di  Vostra  Celsi- 
tudine è  sta  ristaurata,  la  qual  certo  è  muraglia  bellissima,  et  Dio  volesse 


_é4- 

che  tutta  la  Città  fosse  cinta  di  una  tale,  che  la  saria  inespugnabile.  Ser 
Alvise  Inzegnero  ')  nepote  de  Maestro  Michiel  da  San  Michiel  in  quella  opera 
et  del  Belveder  ha  dimostrato  la  sufficientia  sua. 

Ho  visto  le  artellaria  et  munitioni,  li  quali  sono  in  loco  commodo 
alla  piazza  et  in  ottimo  conciero,  governate  et  custodite  con  ogni  diligentia 
et  fede  da  Antonio  Santorio  a  quelle  deputato,  delle  qual  il  Magnifico 
Colonello  Cluson  ha  dato  particolar  notitia  a  Vostra  Serenità. 

I  paludi  dalla  parte  del  Castello  sono  molto  cresciuti,  talché  io  mi 
persuado  che  se  da  Vostra  Celsitudine  non  gli  tosse  provisto  con  prestezza, 
la  Città  rimanerla  fra  poco  tempo  in  terra  ferma. 

II  Capitaneo  Zuan  dal  Nievo  con  i  20  soldati  per  Vostra  Sublimità 
deputati  alla  custodia  della  piazza,  invero,  per  quanto  compresi,  stanno 
molto  invigilanti  all'  officio  suo  con  molta  fedeltà  et  devotione. 

Et  perchè  fu  apportata  certa  nova  che  uno  della  Maestà  Regia  si  vantò 
al  suo  Re  di  saper  in  che  modo  rubar  il  Castello  et  la  Città  con  astutia, 
cioè  con  far  venir  gente  dentro  con  cavalli  da  soma,  del  che  con  mie  lettere 
diedi  reverente  notitia  a  Vostra  Serenità  ho  provisto  che  tutte  le  porte, 
maxime  le  principali,  et  il  Castello,  sia  continuamente  guardato  da  persone 
fidelissime,  lasciando  la  cura  al  Magnifico  Messer  Alvise  Iustinian  et  al  Signor 
Conte  Sforza  di  Avogadri  relegati  per  Vostra  Celsitudine  in  questa  Città, 
che  giorno  et  notte  vadino  a  torno  svegliando  le  guarde  fin  che  Vostra 
Serenità  Sapientissima  darà  altro  ordine,  qual  peso  et  manezo  de  loro  gen- 
tilhomeni  è  sta  prontamente  accettato  et  essequito  ;  le  qual  operationi  sotto 
il  mio  successor  si  continuano,  le  information  che  de  ciò  hebbi,  da  per  se 
in  altro  foglio  presentare  a  Vostra  Serenità. 

La  città  è  povera  in  particolare  et  etiam  in  publico,  però  che  non  ha 
altro  che  la  muda  de  soldi  i  per  soma  che  va  fuora,  la  qual  si  affitta 
Lire  1200,  con  i  quali  si  mantien  i  ponti  il  Castello,  la  Fontana,  il  palazzo, 
et  altre  cose  publiche,  oltra  che  si  paga  parte  del  salario  del  Maistro  di 
scola,  Ceroico,  et  quello  che  governa  1'  horologio. 

Non  voglio  pretermetter  questo  ricordo  con  ogni  debita  reverentia,  che 
quando  forno  serrate  le  porte,  forse  per  inadvertentia,  fu  serrato  un  portello 
non  distante  dalla  porta  Maistra  del  ponte,  se  non  per  la  grossezza  di  un 
muro,  per  il  qual  se  soleva  condur  i  sali,  et  le  uve  de'  cittadini  con  gran 


')  Ser   Alvise   Brugnoli    noto   per   altre   opere   militari   e   degno   nepote   del   gran 
Samraichiele. 


-65  - 

suo  commodo,  et  hora  che  è  serrata,  la  citta  patisse  interesse  grandissimo, 
convenendo  condur  le  intrate  sue  per  via  molto  più  lontana  con  gran  di- 
spendio, et  tamen  alla  fortezza  della  Terra  non  dà  nocumento  alcuno  :  però 
mi  pareria,  salvo  sempre  miglior  giudicio,  che  per  commodo  dei  cittadini 
ditto  portello  se  potria  aprir,  facendo  una  porta  forte  et  secura,  et  tenendo 
sempre  le  chiavi  nel  palazzo,  salvo  nel  tempo  del  bisogno,  et  solamente 
di  giorno. 

Sono  di  grandissimo  sussidio  alla  povertà  di  quel  loco  il  Fontico  et 
il  Monte  di  pietà,  quali  con  tutto  il  potere  si  sustentano  dai  Rettori  et 
dalli  Ministri  deputati. 

(Da  copia  ufficiale  esistente  nel  Libro  II  RelaHonum  Mixtarum  a  IS49 
usque  1)62  già  Codice  Brera  a  carte  45  e  46). 


Relatio  Viri  Nobilis  Ser  Nicolai  Salamono,  qui  fuit  Potestas  et 
Capitaneus  Iustinopolis  per  ipsum  presentata  et  lecta  in 
Excellentissimo  Collegio  die  17  Martij  1558. 

Essendo  stato,  Serenissimo  Principe,  al  governo  della  vostra  fìdel  città 
di  Capodistria,  conosco  esser  debito  mio  brevemente  narrarli  in  che  termini 
essa  si  ritrovi.  —  Sappia  adunque  Vostra  Sublimità  che  quella  s'  attrova 
poverissima,  perchè  1'  anno  passato  et  questo  per  la  contrarietà  di  tempi 
hanno  fatto  di  sali  per  la  quinta  parte  dell'  ordinario,  vini  pochissimi,  et 
niente  de  ogli,  onde  per  tal  causa  s'aitrova  in  mal  termine.  Malamente  poi 
s' ha  potuto  negociar  per  causa  della  peste  che  d' ogni  intorno  ardeva  ; 
ma  per  la  gratia  del  Signor  Iddio  et  con  quelle  provisioni  che  mi  sono  parse 
necessarie,  è  sta  la  città  col  territorio  preservati  da  sì  spaventoso  male. 

Il  Monte  di  pietà  commodissimo  sostenimento  de'  cittadini  quasi  tutto 
era  eshausto  et  anichilato,  si  per  causa  della  peste  passata,  come  per  altri 
infortunij  occorsi  alla  città,  ma  per  novi  ordeni  da  me  postivi,  è  ridotto  in 
buon  termine,  che  osservandosi,  come  si  osservano,  in  meno  di  dui  anni 
sarà  del  tutto  ristorato. 

Il  Fontico  medesimamente,  qual  nutrisse  quel  populo  sì  per  la  gran 
povertà  et  miseria  come  per  intacco  di  molti  Ministri  di  quello,  era  talmente 
dilapidato  che  non  si  ritrovava  sorte  alcuna  di  danaro;  tuttavia  mi  son  posto 


—  66  — 

al  forte,  et  con  quella  destrezza,  che  mi  è  sta  possibile  a  scuoder  da  debitori 
avanti  il  morbo  per  la  summa  de  Lire  6000,  senza  pena,  oltre  alle  Lire  2255 
da  me  esborsate  al  presente  all'  Officio  delle  biave  per  li  formenti  havuti. 
Di  maniera  che  ho  sempre  tenuta  quella  Città  a  laude  dell'Altissimo  Iddio, 
et  gloria  di  Vostra  Serenità,  abbondante  et  ubertosa,  et  al  mio  partir  ho 
lassato  in  ditto  Fontego  stara  500  de  formento,  come  per  le  fede  appar, 
cum  il  populo  in  pace  et  unione.  —  La  città  è  poverissima  et  ha  maggior 
la  spesa  che  l'entrata,  perchè  i  datij  non  si  vendono  come  si  solevano  innanzi 
la  peste.  —  Le  muraglie  della  Città  in  più  luoghi  minacciano  ruina,  et  molte 
case  gli  sono  contigue,  che  per  commodità  si  fanno  molti  contrabbandi. 
—  Il  Castello  è  in  malissimo  termine,  ma  più  importa  che  le  palude  intorno 
alla  Città  et  Castello  sono  in  tal  modo  accresciute,  che  se  non  se  li  fa 
gagliarde  provisioni  in  spacio  di  poco  tempo  si  farà  terra  ferma,  oltre  che 
per  la  mortalità  delle  genti  è  stata  col  accrescimento  di  esse  paludi  causa 
un  aere  corruttibile  et  cattivo  nella  Città,  et  massimamente  alle  parti  più 
vicine,  però  che  sono  molte  case  abandonate,  et  poche  habitate.  —  Per  la 
penuria  delle  biave  che  gli  anni  passati  è  stata,  molti  cittadini  fanno  cavar 
le  vide  per  far  campi  et  far  semenar  del  grano,  cosa  molto  laudabile,  perchè 
sono  molti  luoghi  inculti  che  coltivandosi  si  potrà  da  quelli  trazer  gran 
quantità  di  biave  che  d'  avantaggio  sovenirà  quella  Terra. 

Queste  sono,  Serenissimo  Principe,  le  cose  che  io  Vostro  fidel  Ministro 
ho  voluto  narrar  a  Vostra  Celsitudine  :  quella  farà  le  provisioni  che  per 
sua  prudentia  et  sapientia  giudicarà  convenevole,  et  alla  buona  gratia  Sua 
humilmente  mi  raccomando. 

(Da  copia  ufficiale  esistente  nel  Libro  Relationes  Maritimarum  a  ijjo 
usque  IJ64  sept.s  già  Codice  Brera  segnato  col  n.  223  a  carte  79  tergo). 


Relatio  Viri  Nobilis  Francisci   Mauro   Potestatis   et   Capitanei 
Iustinopolis  —  1559.  22  Augusti. 

Serenissimo  Principe  et  Illustrissimi  Signori 

Essendo  io  stato,  per  gratia  di  Vostra  Serenità,  podestà  et  Capitanio 
di  Capodistria,  mentre  mi  ho  attrovato  in  esso  Regimento,  consignato  da 
me  di  ordine  suo,   al  Magnifico  Messer  Guido   Morosini   mio   successore, 


-  é7  - 

m'  ho  sforzato  con  ogni  mio  sapere  et  potere,  di  ben  regere  et  governare 
gli  habitanti  di  essa  Citta  et  suo  Territorio,  con  amministrarli  equalmente 
giustitia,  cercando  la  loro  quiete,  beneficij  et  abondantia  del  viver  suo,  con 
tenirli  ben  edificati  nella  fede  et  devotione  di  Vostra  Serenità,  come  a  me 
si  conveniva,  et  da  loro  all'  incontro  di  continuo  ho  ricevuto  obedientia  et 
molta  prontezza  d'animo,  et  ben  volere  con  ogni  fideltà   verso   V.a  Ser.,k 

La  città  s' attrova  in  fortissimo  sito  della  quale  alti  mesi  passati  feci 
far  un  disegno  con  le  soe  circonferentie  clic  sono  fuori  di  essa  Città,  et 
con  le  soe  misure,  il  qual  Desegno  mandai  alli  Sui  Clarissimi  Proveditori 
sopra  le  Fortezze,  come  da  quello  Vostra  Serenità  potrà  vedere,  alla  qual, 
per  non  attediarla,  circa  ciò  non  dirò  altro. 

Il  paese  è  assai  fertile  d'  ogni  sorte  di  frutti  et  vini  et  ogli,  ma  con 
poca  sua  utilità,  perchè  nel  far  acconciar  le  vigne  vogliono  spesa  grandissima, 
perchè  altrimenti  non  fruttarebbono. 

Di  biave  non  se  ne  fanno  molte,  et  quelle  poche  che  si  fanno,  li  Con- 
tadini le  consumano,  et  non  li  fanno  per  tutto  l'anno.  Ma  il  sostentamento 
di  quella  Città  è  il  far  delli  sali,  li  quali  son  levati  da  Cranci,  over  altri 
sudditi  Regij,  che  al  tempo  della  estate  ne  viene  in  gran  quantità,  li  quali 
oltra  che  portano  il  danaro,  portano  ancor  formenti  et  molte  altre  cose, 
che  li  accomoda  la  detta  città,  onde  io  concludo  che  questo  inviamento  è 
lo  nutrimento  suo  per  molte  altre  cause. 

Delli  qual  sali  Vostra  Serenità  n'  ha  la  Xm",  et  questo  anno  passato 
se  ne  riebbero  mozza  635  stara  6  et  si  ha  scossi  da  debitori  vecchi  mozza  212 
st.  1.  Questo  presente  anno  fin  al  partir  mio  s'ha  fatto  mozza  6300  stara  — 
et  della  Sua  Xma  la  n'  riavrà  mozza  521,  et  di  tal  materia  ho  da  dir  più 
cose,  le  quali  conferirò  con  li  sui  Clarissimi  Proveditori  del  sale,  il  che 
penso  sarà  molto  utile  al  ditto  suo  Officio. 

Al  presente  la  predetta  Città  è  custodita  da  vinti  Fanti,  sotto  il  Ca- 
pitano Righetto,  che  alla  piazza  vi  si  stanno  dì  et  notte,  facendo  le  lor 
guardie,  et  in  visitar  le  porte,  et  per  la  sollicitudine  del  detto  Capitanio 
molto  diligente  et  fedele  di  Vostra  Serenità,  il  qual  è  degno  della  gratia 
soa.  Le  paghe  loro  sono  mandate  dalli  Clarissimi  Proveditori  sopra  le  Ca- 
mere. Sopra  ditta  Piazza  si  attrova  un  loco  idoneo  nel  quale  è  posta  la 
monitione,  nella  quale  sono  bellissimi  pezzi  d'artegliaria,  con  altre  sorte  di 
arme  le  quali  sono  custodite,  et  governate  da  M.co  Antonio  Santorio  Bom- 
bardiera provisionato  di  Vostra  Serenità.  La  quantità  et  sorte  di  essa  mu- 
nitione  si  contiene  nella  Fede  fatta  da  esso  Magnifico  mio  Successor,  portata 
da  me  alli  Clarissimi  Proveditori  sopra  le  Fortezze,  segondo  il  solito,  alla 
quale  mi  riporto. 


—  68  — 

Il  Castello  è  un  tiro  di  balestra  a  largo  della  città  sopra  la  strada  che 
va  in  terra  ferma,  il  quale  è  antiquissimo  et  molto  mal  all'ordine,  custodito 
dal  suo  Castellano  con  un  Caporal  insieme  con  Fanti  9,  li  quali  riavevano 
al  mese  lire  8,  ma  per  il  poco  soldo  li  detti  soldati  si  facevano  cassar,  onde 
non  si  trovava  alcuno  che  vi  volesse  star,  di  modo  che  fui  forzato  ad  ac- 
crescerli lire  doi  al  mese,  che  son  in  tutto  lire  io;  ma  il  tutto  a  beneplacito 
di  Vostra  Serenità.  Il  ditto  Castellano  ha  di  salario  da  quella  soa  Camera 
ogni  mese  ducati  sette  et  in  Venetia  dalli  Clarissimi  Camerlenghi  de  Commun 
ducati  3  '/,,  che  fanno  in  tutto  ducati  io  '/2.  La  spesa  del  detto  Caporal 
et  soldati  è  ogni  mese  de  lire  100  incirca. 

Delli  Castelli  che  sono  posti  et  desegnati  nel  suo  Territorio  sono  al 
presente  mal  in  ordine  et  di  custodia,  oltra  che  hanno  bisogno  di  concieri 
et  reparation,  come  occulatamente  ho  veduto,  per  esser  io  cavalcato  in 
compagnia  del  Capitano  de  schiavi  de  questa  città  nel  tempo  delle  corrane 
turchesche,  che  sono  state  questo  anno,  per  le  quali  tutti  li  predetti  Castelli 
con  el  resto  del  paese  erano  in  grandissima  fuga.  Ma  essendo  poi  visitati 
da  noi  con  portarli  polvere  et  arme,  restorono  tutti  consolati,  come  appar 
per  mie  lettere  scritte  a  Vostra  Serenità  sotto  di  1 5  marzo  passato  alle  quali 
mi  riporto,  non  gli  dicendo  altro  per  non  attediarla. 

Mi  resta  a  referir  a  Vostra  Serenità  della  soa  Camera  quello  1'  ha 
d' intrada  lire  undesemille  cento  e  cinquanta  cinque  cavata  dalli  suoi  datij, 
livelli  et  altro,  delle  quali  se  traze  per  la  limitation  in  tre  rate  all'  anno 
lir.  2400  soldi  4,  quali  si  portano  a  i  Signori  Governadori  dell'  Intrade, 
benché  questi  anni  preteriti  non  sono  stati  portati  per  causa  del  morbo, 
per  lo  qual  la  detta  Camera  era  restata  exhausta  che  non  podeva  supplir 
al  pagamento  delli  stipendiarij  ;  et  sappia  la  Serenità  Vostra  che  la  spesa  è 
qualche  cosa  di  più,  come  si  può  vedere  per  il  Conto  con  queste  incluso, 
delle  quali  limitationi  presenti  et  preteriti  mi  ho  sforzato  di  scuoder,  et  con 
tutta  la  diligentia  possibile  ho  scosso  lire  4582,  li  quali  contarò  alli  Clarissimi 
Governadori  delle  Intrade.  Ma  al  presente  la  ditta  Camera  si  attrova  libera 
da  debiti,  attenta  la  sollicitudine  et  ottima  diligentia  fatta  et  usata  dal  Ma- 
gnifico Messer  Antonio  Dona  suo  Camerlengo,  il  qual  è  degno  della  buona 
gratia  di  Vostra  Serenità. 

La  Communità  di  essa  Città  è  molto  povera,  ha  dui  datij  delli  quali 
si  trazeno  ogn'anno  lire  domillia  dusento  e  cinquanta,  spendendo  esso  da- 
naro nel  pagar  el  Piovan  de  Grao,  il  Maestro  di  scuola,  il  Ceroico,  et  nel 
conciar  li  ponti  et  altre  spese  necessarie,  et  volendo  far  qualche  spesa  estra- 
ordinaria  convengono  metter  tansa  fra  loro.  —  La  Serenità  Vostra  va 
creditrice  di  essa  Communità  de  bona  summa  di  danari,  che  sono  per  biave 


-  69  - 

mandate  al  tempo  del  morbo  delli  quali,  con  grandissima  fatica  mia  per 
esser  poverissimi,  da  quelli  a  chi  fu  dato  di  essa  biava,  ho  scosso  ducati  230, 
lire  4,  soldi  18,  li  quali  presenterò  alli  Sui  Clarissimi  Proveditori  delle  biave 
per  parte  di  detto  suo  credito. 

Si  attrova  il  Monte  della  pietà,  il  qual  è  assai  ben  custodito  dalli  sui 
Proveditori. 

Ancora  se  gli  attrova  il  Fontego,  il  quale  questi  anni  passati  è  sta 
molto  mal  trattato,  et  intaccado  dalli  sui  Ministri.  Pur  mi  ho  sforzato  con 
ogni  mio  potere  di  farlo  reintegrar  in  qualche  parte,  et  in  mio  tempo  s'  ha 
scosso  da  Debitori  di  esso  Fontego  lire  7600  come  appar  per  la  fede  delli 
Sindici  et  Procuratori  della  Città,  delle  quali  mi  veniva  di  pena  soldi  quattro 
per  lira,  et  a  laude  de  Dio,  et  a  honor  di  Vostra  Serenità  non  ho  voluto 
cosa  alcuna.  Il  qual  Fontego  è  la  vita  di  quella  Città,  che  quando  non  li 
fosse  si  morena  da  fame.  —  Questo  è  quanto  circa  essa  Città  gli  ho  a  dire. 

La  Serenità  Vostra  si  ha  degnato  in  tempo  di  questo  mio  Regimento 
darmi  diversi  carichi,  come  appar  per  diverse  sue  lettere,  nelli  quali  m'  ho 
sforzato  con  ogni  mio  studio  et  desiderio  di  satisfarla  di  quanto  la  mi  ha 
imposto,  non  mi  sparagnando  in  conto  alcuno  si  nel  cavalcar  come  andar 
per  barca,  con  usar  quella  maggior  diligentia  et  sollicitudine  che  a  me  sia 
stato  possibile,  non  dando  spesa  alla  Serenità  Vostra  in  cosa  alcuna,  segondo 
ch'era  il  debito  mio,  et  similmente  nell'avvenir  non  son  per  mancar,  dove 
possi  esser  buono  de  metter  ogni  mio  bavere,  sapere  et  potere  per  giovar 
alla  Serenità  Vostra,  alla  buona  gratia  ecc. 

(Da  copia  ufficiale  esistente  nel  Libro  Relatioues  Maritimarum  a  ijjo 
usque  IJ64  septJ  già  Codi:e  Brera  segnata  col  n.  223  a  carte  86-87  e  88). 


1560.  13  octobris.  Presentata  per  Virum  Nobilem  Vitum  Mauro- 
cenum  reversum  a  Regimine  Iustinopolis. 

Serenissimo  Principe  e  Illustrissima  Signoria 

Io  Vido  Moresini,  stato  Podestà  et  Capitanio  in  Capo  d'Istria,  per  debita 
essecutione  delle  leggi  et  ordini  di  Vostra  Sublimità,  riverentemente  referirò 
tutte  quelle  cose  che  mi  pareno  et  sono  parse  necessarie  et  utili  in  quella 
Città  et  Territorio,  inclinandomi  sempre  al  sapientissimo  parer  suo. 


—  7o  — 

La  città  de  Capo  d'Istria  fa  de  anime  3500  circa.  —  Dentro  ha  un 
Capo  con  fanti  20  messavi  per  custodia  d'  ordine  di  Vostra  Sublimità,  et 
ha  anco  un  luogo  di  monitioni,  dove,  tra  le  altre  cose,  è  un  buon  numero 
de  schioppi,  archibusi,  arme  d'  hasta  de  diverse  sorti,  che  per  esser  le  haste 
parte  rotte,  parte  marze,  molti  ferri  vecchi  senza  hasta,  et  i  schioppi  et 
archibusi  molti  senza  fiasche,  polverini,  forme  da  balle,  con  casse  triste  et 
rotte,  li  fogoni  guasti,  tutte  sono  inutili,  perchè  in  una  occorrentia  non  si 
potrebbono  adoperare.  I  muri  poi  della  città  in  diversi  luoghi  con  certi 
turrioni  sono  sì  mangiati  et  lassati,  che  minacciano  mina.  —  Medesimamente 
il  Castel  Lion,  che  è  appresso  la  città  con  un  Castellano  Nobile  Venitiano, 
un  Caporale  et  otto  Fanti,  ha  alcuni  pezzi  d'arma  d'  hasta,  et  archibusi  con 
le  haste  marze  et  carolate  ;  et  li  archibusi  con  le  casse  guaste  et  parte  senza 
fogoni,  et  nel  mal  termine  de  gli  altri,  oltra  che  i  muri  dentrovia  stanno 
malissimo,  et  due  cisterne  tutte  due  guaste  dal  salso,  che  l'acqua  non  si 
può  bevere,  ne  adoperare,  ancor  che  io  habbia  riparato  alcune  cose  più 
importanti.  Ricordarci  humilmente  che  sarebbe  bene  et  utile  farne  provisione, 
con  rinnovar  quelle  arme  delle  monitioni  nella  Città,  et  quelle  del  Castello 
per  ogni  rispetto  ;  et  così  far  riparar  et  conzar  quei  muri  et  turrioni  che 
hanno  bisogno  sì  nella  città,  come  nel  Castel  predetto,  acciò  non  ruinino 
del  tutto,  che  poi  vi  entrarebbe  molto  maggior  spesa,  si  come  diverse  volte 
ho  dinotato  a  Vostra  Sublimità  essendo  de  lì.  Et  appresso  direi  che  fusse 
a  proposito  crescer  il  numero  delli  otto  fanti  nel  Castello,  et  mettervi  almeno 
un  Bombardiere  con  un  poco  di  monitione  et  farle  conzar  una  delle  due 
cisterne,  che  sono  guaste. 

Quella  sua  Camera  ha  maggior  la  spesa  et  gravezza  che  l'entrata, 
perchè  de  Datij,  Valli  et  ogni  altro  suo  utile  non  cava  più  di  ducati  1728, 
et  di  spesa  fra  pagar  salario  de  Rettori,  provisionati,  limitationi  et  altre 
spese  estraordinarie,  paga  ducati  1963,  di  modo  che  ogn'anno  va  debitrice, 
et  sarebbe  necessario  che  li  fosse  provisto  a  qualche  modo,  affine  che  non 
discavedasse,  e  fosse  reintegrata. 

Il  Territorio  di  Capodistria  fa  de  anime  6000,  et  ha  dodici  luoghi 
murati,  da  quelli  del  paese  chiamati  Castelli,  non  molto  distanti  dalli  confini 
Cesarei,  parte  de  quali,  et  quasi  tutti  per  il  tempo  et  per  non  esser  sta 
governati,  sono  in  mal  termine,  et  alquanti  di  essi  stanno  in  andar  di  male 
se  non  se  le  provede,  che  sarebbe  poi  in  qualche  tempo  danno  grandissimo 
a  quel  paese,  per  salvarsi  in  essi  le  robbe  et  animali  di  tutte  le  Ville  cir- 
.cumvicine  in  tempo  de  invasioni  cum  moti  di  guerra.  Alli  quali  tutti  luoghi 
si  provederebbe  di  riparo,  et  a  quelli  più  importanti  di  maggior  custodia 
con  poca   spesa  di  Vostra    Sublimità,   perchè  i  contadini,   purché  le  fusse 


—  7i  — 

pagata  la  Maestranza  di  far  due  o  tre  calcare  di  calcina  cum  datole  un  poco 
di  legname,  si  contentarebbono  metter  del  suo,  et  a  sue  spese  il  resto  di 
Maistranza,  opere,  cum  altra  materia,  et  massimamente  questi  che  non 
haverebbono  gran  fatto  bisogno  di  altro  :  Rosaruolo,  Lonche,  Valmorasa, 
Monte,  Cristavia,  Costabona,  Gemme  et  Gradina. 

Antignano,  un  altro  di  questi  luoghi  murati,  per  esser  sopra  un  monte 
eminente,  distante  tre  in  quattro  miglia  dalli  confini,  che  scuopre  tutti  i 
passi  che  sono  a  quella  banda,  et  dal  quale  in  tempi  de  incursioni  si  suol 
dar  segno  a  gl'altri  luoghi  et  massimamente  alla  città  di  Capo  d' Istria,  è 
custodito  da  un  homo  solo  pagato  dalli  villani,  et  hora  si  attrova  in  mal 
termine  che  si  lassa  un  pezzo  di  muro,  et  ruina  il  colmo  di  esso  Castello 
nel  qual  habita  il  Custode  et  si  ritirano  quei  della  villa  in  sospetti  d' incur- 
sioni con  le  loro  robbe.  Questo  luogo,  oltra  un  poco  di  riparo  nel  coperto 
et  muro,  haverebbe  bisogno  d'un  altro  homo  per  guardiano,  il  che  si  farebbe 
con  poco  interesse  di  Vostra  Celsitudine. 

Vi  è  anche  un'  altro  luogo  ditto  Hospo  posto  nella  concavità  di  un 
monte  delle  alpi  di  Alemagna  da  loro  dette  la  Vena,  che  è  sul  confin  fra 
dui  Castelli  della  Cesarea  Maestà  nominati  uno  S.  Servolo,  l'altro  Cernicale, 
al  quale  non  si  va  se  non  per  una  via,  per  1'  ascesa  di  un  monte  assai 
ardua  et  stretta,  et  dentro  è  spacioso,  che  in  ogni  tempo  quella  Villa  et 
un'  altra  vi  salva  le  sue  biave  et  vini,  et  salvarebbe  oltra  le  robbe,  cento 
fameglie,  con  aqua  che  mai  le  manca,  anzi  a'  tempi  di  pioggia  cresce  di 
sorte  che  convengono  lassar  aperta  una  certa  porta  per  la  qual  si  potrebbe 
facilmente  entrar  dentro,  et  alla  guardia  non  vi  è  se  non  un  solo  homo, 
che  gli  altri  stanno  a  basso  nella  villa,  et  a  giuditio  de  molti,  che  se  si 
perdesse,  potrebbe  esser  ia  perdita  et  ruina  di  quel  territorio.  Questo  luogo 
harebbe  bisogno  di  tavole  200,  travi  30,  per  riconzar  i  corridori,  et  di 
qualche  pezzo  d'artegliaria  appresso  alcuni  pezzi  di  ferro  tristi  che  vi  sono, 
et  sopra  tutto  bisognarebbe  una  sarasinesca  di  ferro  per  sicurar  quella  porta 
dall'aqua,  che  non  si  potesse  entrar  per  essa,  et  di  un  altro  homo  che  di 
continuo  stesse  dentro  alla  guardia. 

Cuovedo  un'  altro  Castello  posto  in  mezzo  del  Territorio,  in  un  bel 
sito  sopra  un  monte,  dal  quale  si  può  dar  ajuto  agli  altri  luoghi  per  esser 
anco  spacioso,  che  alloggiarebbe  dusento  fanti  et  cinquanta  cavalli,  et  al 
tempo  delle  guerre  passate  era  il  ridotto  dove  stava  il  Proveditor  Civrano 
con  li  Stradioti.  Hora  va  in  ruina,  et  non  ha  pur  le  porte  da  serarlo,  et 
senza  custodia  alcuna.  Crederei  che  fusse  bene  ripararlo,  chel  non  vadi  del 
tutto  in  ruina,  et  poi  metterle  un  poco  di  custodia,  et  un  poco  d'artegliaria 
et  di  arme,  perchè  la  Villa  fa  da  120  homeni  da  fatti,  delli  quali  si  potrebbe 


—  72  — 

prevalersene  quando  fossero  armati,  et  perchè  non  vi  sta  se  non  il  prete. 
Si  potrebbe  dar  il  carico  alli  Capi  della  villa  che  andassero  ad  habitarvi  con 
le  loro  famiglie,  come  sarebbe  il  Zuppano  et  Pozupo. 

Vi  è  anco  un  altro  Castello  ditto  Popecchio  in  modo  di  una  Rocca 
posto  nella  cima  di  una  grotta  della  Vena  altissima,  et  sotto  pur  nel  monte 
è  una  cava,  dove  quei  della  Villa  salvano  in  ogni  tempo  le  loro  entrate; 
alla  quale  si  va  per  strada  strettissima  et  ardua.  Quivi  è  acqua  sufficiente- 
mente et  di  continuo,  che  supplirebbe  all'uso  di  gran  numero  di  persone, 
et  vi  si  salverebbero  cinquanta  fameglie.  Il  Castello  è  assai  fornito  di  ar- 
tigliarla, et  è  guardato  da  un  homo  pagato  dalli  villani  oltra  ducati  quattro 
che  tocca  ogn'  anno  da  quella  Camera  ;  et  la  fossa  medesimamente  è  cu- 
stodita da  un  altro  homo  pagato  dalli  istessi  villani.  Questo  luogo  haverebbe 
bisogno  di  un  poco  di  arme  perchè  fa  homeni  da  fatti  120  che  in  occorrentie, 
se  havessero  delle  arme,  potrebbero  difendersi. 

Il  medesimo  bisogno,  oltra  un  poco  di  riparatione,  haverebbe  anco 
Valmorasa,  uno  delli  Castelli  nominati  di  sopra,  il  quale  se  ben  non  è 
sopra  passo,  è  luogo  murato,  posto  sopra  un  monte  et  custodito  da  uno 
che  vi  sta  di  continuo  dentro,  et  se  havesse  un  poco  di  arme  si  difende- 
rebbe sufficientemente  perchè  fa  homeni  da  fatti  n.°  60. 

Né  sarebbe  forse  fuori  di  proposito  per  questa  causa  anco  a  quelli  altri 
Castelli  detti  di  sopra,  cioè  Rosaruolo,  Gemme,  Gradina,  Cristavia,  Monte 
et  Costabona,  dappoi  che  fusser  riparati,  darli  un  poco  di  arme,  et  mas- 
simamente ad  Hospo  che  fa  homeni  da  fatti  n.°  80,  et  Antignano  n.°  70. 

Sono  per  il  Territorio  tre  Contadini  intitulati  Contestabili,  quali  tirano 
ogni  mese  un  poco  di  paga  da  quella  Camera,  et  non  fanno  fattione  alcuna, 
se  non  qualche  fiata  commandar  per  il  Territorio,  il  che  occorre  rarissime 
volte.  Questi  tre  si  potrebbono  compartire  et  mettere  uno  per  cadauno  delli 
luoghi  detti  di  sopra,  eh'  io  ricordai  haver  bisogno  di  maggior  custodia, 
cioè  Antignano,  Hospo  et  Cuovedo,  con  crescerli  un  puoco  di  salario,  obli- 
gandoli  ad  haver  custodia  del  luogo,  et  a  tenir  in  ordine  et  governar  le 
arme,  et  artegliarie.  Et  quando  occorresse  andar  a  commandar,  che  uno 
della  villa  fra  tanto  stesse  in  luogo  suo.  Il  crescimento  di  salario  tengo  che 
sarebbe  poco  et  tale  che  le  ville  potrebbono  pagarlo,  almeno  la  maggior 
parte,  senza  grande  incomodo. 

Essendo  nella  città  homeni  da  fatti  900,  che  la  maggior  parte  lavorano 
alla  campagna,  et  nel  Territorio  da  fatti  n.r0  1500,  credo  che  potrebbe  far 
una  bonissima  cerneda  all'usanza  di  Terra  ferma,  de  homeni  300  nella  Città 
et  de  500  nel  Territorio,  i  quali  come  fossero  disciplinati,  non  sarebbono 
raen  buoni  de  gli  altri  da  ogni   fattione,   con  utile  di  Vostra  Celsitudine, 


—  73  — 

et  beneficio  di  quei  paesi  per  i  bisogni  che  potrebbono  occorrer,  perchè,  né 
in  quel  Territorio,  nò  in  tutta  l' Istria,  vi  è  Compagnia  alcuna  disciplinata, 
o  da  disciplinare,  salvo  40  cavalli  sottoposti  al  governo  del  Clarissimo  Ca- 
pitano di  Raspo,  con  tutto  che  si  sii  su  li  confini,  o  poco  distanti  da  quelli. 
Questa  cosa  è  stata  un  tempo  conosciuta  per  buona  et  utile  et  servata  nella 
Città  che  vi  erano  dieci  Capi  con  homeni  45  per  cadauno,  et  un  altro  Capo 
sopra  di  loro,  tutti  pur  della  Terra,  quali  esercitavano  li  homeni  che  erano 
450;  ma  hora  è  andata  in  abuso,  da  quello  che  si  può  giudicar  per  non 
vi  esser  ordine  et  regola  né  homeni  che  habbino  esperienza  alcuna  di  tal 
professione,  et  delle  ville  et  anco  per  la  Città  ho  veduto  che  già  ne  è  sta 
havuta  sopra  consideratione  et  maneggiata  tal  cosa  fino  del  155 1  a'  28 
Giugno,  nel  qual  tempo  fo  commesso  al  Clarissimo  Messer  Zuan  Maria 
Contarmi  all'  ora  Rettor  in  Capo  d' Istria,  che  dovesse  tuor  informatione 
del  n.c  de  homeni  che  si  potesse  descriver  così  nella  Città  come  nel  Ter- 
ritorio, con  quello  che  bisognarebbe  per  far  l'effetto  predetto,  la  qual  quando 
si  facesse  et  fusse  instituita  con  quel  buon  ordine  et  governo  che  spererei, 
sarebbe  forse  causa  di  farne  introdurre  negli  altri  luoghi  di  quella  provincia, 
che  sarebbe  una  riputatione  et  sicurezza  di  quei  paesi.  Et  quando  paresse 
a  Vostra  Serenità  di  volerla  fare,  io  raccorderei  che  il  carico  di  quelli  della 
Città  si  potrebbe  dare  al  Capitano  della  piazza  che  sta  di  continuo  nella 
Terra,  et  al  Capitanio  de  Schiavi  la  cura  di  quelli  del  Territorio,  perchè 
a  lui  spetta  tal  carico,  et  lui  come  prattico  delli  costumi  et  della  lingua, 
che  quasi  tutti  parlano  schiavo,  et  non  intendono  gran  fatto  altra  lingua, 
li  ridurrebbe  meglio  all'essercitio,  et  disciplina  predetta.  Et  questi  doi  Capi 
si  haverebbeno  col  stipendio  medesimo  che  tirano  al  presente.  Si  potrebbe 
poi  accrescer  un  poco  di  paga  al  Sergente  et  Tamburro  del  Capitano  della 
piazza  predetta,  et  darli  obligo  che  or  ad  uno  or  all'altro  servissero,  et 
far  detta  essercitazione  in  Campo  marzo,  che  è  un  luogo  piano  spaciosissimo 
et  vicino  alla  Città,  acciochè  il  Capitano,  Sergente  et  Tamburo  la  notte 
potessero  essere  nella  Terra,  et  attender  alle  loro  guardie.  La  maggior 
difficoltà  che  io  veda  sarebbe  il  modo  di  armarli,  perchè  il  paese  et  la  città 
sono  di  una  povertà  estrema,  et  tale  che  non  so  come  potessero  sopportar 
senza  grandissimo  risentimento  la  spesa  massimamente  in  trovar  ad  un  tratto 
tante  arme,  et  penso  che  questo  più  che  ogn'altra  cosa  li  potrebbe  mover 
a  dimostrarne  risentimento,  et  per  tal  conto  venir  alli  piedi  di  Vostra  Cel- 
situdine, et  perciò  credo  che  sarebbe  necessario  le  fossero  date  per  questa 
fiata  le  arme  da  Vostra  Serenità. 

Ho  fatto  far  un  volto  del  ponte  che  va  dalla  città  verso  Terra  ferma, 
et  anco  fatto  far  la  cavatione  dell'alveo  da  divertir  il  Fiumesino  a  mariqa, 


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verso  ponente,  et  ridotto  l'una  et  l'altra  opera  in  termine  che  poco  li  manca 
ad  esser  compito  secondo  la  deliberatione  di  Vostra  Sublimità,  alla  quale 
non  resterò  di  dire  che  i  paludi  tra  la  Terraferma  et  la  Città  sono  di  sorte 
grandi,  et  alla  giornata  crescono  che  hanno  fatto  una  presa,  che  quasi  sopra 
tutti  caminano  le  persone  in  tempo  di  secca,  et  in  alcuni  luoghi  alla  volta 
massimamente  dove  è  la  bocca  del  Fiumesino  vecchio  sono  sì  saldi,  che  i 
Cavalli  vi  caminarebbono  senza  difficoltà.  Et  per  quello  dicono  i  homeni 
vecchi  pratici  di  quei  siti  sono  fatti  a  quel  modo  da  pochi  anni  in  qua,  et 
dapoi  che  quella  strada  che  va  da  Terraferma  nella  Città  è  sta  munita  et 
empita  di  terra,  la  qual  si  stesse  cosi  alla  longa  sarebbe  causa  che  si  mu- 
nirebbe et  consolidarebbe  quel  paludo  maggiormente,  et  in  pochi  anni  si 
farebbe  quasi  Terra  ferma  fino  appresso  la  Città,  con  danno  di  quella  per 
rispetto  del  mal  aere  che  nascerebbe,  et  anco  perchè  a  quella  parte  sarebbe 
men  sicura.  Onde  se  ben  sono  sta  a  ciò  fatte  da  Vostra  Sublimità  le  pro- 
visioni di  levar  via  quella  strada  et  divertir  quel  fiume,  che  non  più  entri 
nella  laguna,  ricordarci  humilmente  che  fusse  commessa  la  executione  di 
così  buon  ordine  con  più  prestezza  che  si  potesse,  acciò  tanto  piuttosto  si 
removesse  la  causa  di  essa  atterratione  ;  et  appresso  che  Vostra  Celsitudine 
desse  qualche  ordine  che  fusse  movesto  esso  terreno  di  sopravia  almeno  per 
un  piede  perchè,  come  dissi,  in  molti  luoghi  ha  fatto  una  presa  di  tanta 
durezza  che  è  impossibile  moverla  col  flusso  et  reflusso  dell'acqua,  che  si 
spera  farà  quando  sij  più  libera  et  più  gagliarda  dapoi  levato  l' ostaculo 
della  via  predetta.  Et  acciochè  l'opera  duri  et  possi  partorir  il  buon  frutto 
che  se  ne  spera,  dirò  anco  che  sarà  bene  et  necessario  al  capo  dell'  alveo 
che  si  fa  per  divertir  il  Fiumesino  alla  parte  verso  la  marina  in  faccia  di 
tramontana  farle  uno  speron  che  separi  il  Fiume  dal  mare,  et  lo  conduca 
un  poco  in  fuori  a  quel  modo,  affine  che  non  si  atterri  et  munisca  in  ditta 
bocca,  come  senza  dubbio  farebbe  in  pochissimo  tempo  quando  si  lassasse 
così  aperto. 

(Da  copia  ufficiale  esistente  nel  Libro  Relationes  Marìtiniarum  a  ijjo 
nsque  IJ64  septJ  già  Codice  Brera  segnato  col  n.  223  a  carte  100  tergo, 
101,  102,  103  e  104). 


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Relatione  del  Nobel  Huomo  Ser  Alvise  di  Priuli  ritornato  Podestà 
et  Capitanio  di  Capo  d' Istria.  —  1577.  —  Non  data  in  tempore. 

Serenissimo  Principe  et  Illustrissima  Signoria 

Se  ben  sia  certo  che  la  serenità  Vostra,  di  tempo  in  tempo,  sia  stata 
da'  Magnifici  Rettori  precessori,  a  pieno  certificata  del  stato  della  sua  città 
di  Capodistria,  et  territorio,  nientedimeno  occorrendo  col  tempo  nuovi 
accidenti  degni  di  sua  intelligentia,  et  per  confìrmar  nella  sua  memoria 
l'esser  di  detta  città,  non  mancherò  ancor  io  Alvise  di  Priuli  per  la  cognition 
che  ho  havuto  in  quel  Regimento  di  rappresentarli,  che  si  come  per  il  passato 
vi  era  introdutto  alcune  opinioni  della  Religione,  hora  si  ritrova  tutta  cat- 
tolica et  veramente  può  dirsi  un  convento  de  religiosi,  governata  come  si 
ritrova  dal  Reverendissimo  Patriarca  di  Jerusalem  et  Vescovo  della  Città 
con  contento  et  soddisfatione  universale,  e  perchè  gli  successe  infelice  l'anno 
del  53,  et  per  la  peste,  de  cosi  numeroso  populo  che  vi  era,  restò  solamente 
da  anime  2300,  restando  la  città  in  gran  calamità,  havendo  perdute  la 
maggior  parte  delle  vigne  che  restorno  inculte,  che  era  uno  di  membri 
principali  del  viver  de  tutta  l'università,  né  sin  hora  si  ha  potuto  ristorare 
accrescendoli  ogni  anno  novi  infortunij,  et  augumentando  l' anime  come 
hora  se  ritrovan  al  numero  di  4000,  resta  in  maggior  calamità  per  le  continue 
carestie,  tempeste  et  farsi  puochi  sali,  et  il  peggior  di  tutti  i  altri  è  stato 
l'anno  prossimo  passato  1573,  et  le  tempeste  gli  han  levati  tutti  i  vini,  ogli, 
et  per  l' indesposition  dell'  estate  pluvioso  i  sali,  che  maggior  calamità  et 
miseria  non  potria  rappresentare  a  V.  S.  et  se  non  vi  fusse  sta  alcuni  depositi 
de  sali  serbati  dell'anno  1571  die  si  fece  quella  gran  quantità  fino  20m 
moza,  che  sono  stara  12  venetiani  per  mozo,  tenirei  per  fermo  che  la 
maggior  parte  di  habitanti  se  ne  sarebbono  sgombrati  via,  ma  questi  sali 
così  serbati  causano  che  i  sudditi  imperiali  che  da  le  parte  di  sopra  calano 
per  levarli  come  fanno  coi  cavalli  portando  di  formenti  et  altre  vitovarie, 
che  questi  della  città  se  intertengono  con  un  puoco  di  merce  che  vendono 
per  1'  uso  del  paese,  né  in  altro  maggior  fondamento  consiste  il  minuir 
questa  città  che  1'  haver  sali  per  dar  a  quei  popoli,  et  quelli  levar  un  anno 
con  1'  altro  concorreno  40  in  50  mille  cavalli  accompagnati  da  30  e  più 
mille  persone  che  oltra  il  portar  che  fanno  le  biave  et  altre  robe,  lassano 
buona  summa  de  danari  nella  città,  che  causa  con  tutte  le  carestie  et  in- 
fortunij conservarsi  ;  et  quando  questo  corso  mancasse,  sia  certa  la  Serenità 
Vostra   che  a  peggior   termine  si  redurebbe   detta  città   che  non  è  Puola, 


-76  - 

mancandoli  il  passo  da  mar,  dove  per  il  sito  non  capita  ne  concorre  alcun 
vassello.  Crederò  per  questa  causa,  che  il  levar,  come  ho  veduto  in  questo 
Reggimento,  l'anni  che  si  fan  pochi  sali  dal  Commesso  dell'excellentissimo 
Ufficio  del  sale,  sia  una  espressa  ruina  di  questo  populo,  et  con  puoco  per 
avventura  utile  delle  cose  di  Vostra  Serenità  levandosi  puochi  sali,  la  qual 
Stimma  restando  nella  città  causerebbe  maggior  concorso  et  beneficio  a 
quella  ;  et  acciò  V.  S.  sappia  la  causa  del  danno  che  ne  sente  tutta  questa 
università  levandoli  sali  nelle  stagion  cattive  si  è,  che  redutta  la  povertà 
l'invernata  alla  solita  miseria  dal  Commesso  di  detto  Ufficio,  gli  vien  contato 
danari  per  i  sali  venturi  a  mercato  de  Lire  5  il  mozo,  che  per  la  necessità 
torrebbero  anco  Lire  3/4,  se  ben  se  ne  fan  poi  restarle  puoco,  et  che  vale 
come  è  sta  al  presente  anno  Lire  8  et  io;  tuttavia  convengono  darle  alle 
lire  5  con  molto  ramarico  del  populo;  perciò  credarò  che  sia  cosa  degna 
de  V.  S.  che  i  anni  che  sono  de  sason  de  far  molti  sali,  al  hora  per  quel 
clarissimo  ufficio  investito  fusse  in  sali  non  alle  Lire  5  ma  ai  presij  correnti, 
che  in  quei  tempi  non  passano  Lire  6  in  7  al  più  al  mozo,  et  in  uno  sol 
anno  potrà  empir  il  magazzeno  novo  fatto  di  tenuta  di  6ma  et  più  moza, 
et  1'  altro  vecchio  appresso  de  mozza  miile,  et  quel  sera  un  deposito  de 
V.  S.  con  utile  suo  et  soddisfation  de  tutta  la  città,  et  tanto  più  fondata- 
mente può  fare  al  presente,  che  non  pagherà  più  affitti  de  magazeni  come 
faceva  per  avanti,  che  di  manco  de  3m  moza  de  sali,  correva  de  affitto  più 
de  100  scudi  l'anno  oltra  altre  gravezze  de  conduture  et  portadure  per  i 
magazeni  che  eran  lontani,  e  questi  de  V.  S.  vicini  al  mare;  quel  che  non 
succederà  se  ben  la  S.  V.  ne  havesse  jm  moza,  essendo  i  magazeni  sui,  di 
quali  sali  la  S.  V.  come  li  venirà  più  comodo,  potrà  e  far  condur  per  Venetia 
per  smaltire  in  altri  luochi,  et  ne  potrà  anco  serbarne  una  parte  in  Capo- 
distria  per  conservar  et  mantener  il  corso  1'  anni  che  non  si  facesse  sali, 
et  che  non  ne  fusse  nella  città,  con  utile  delle  cose  pubbliche  di  cento  per 
cento,  et  con  sodisfacion  universale,  et  conservation  della  città,  poiché  si 
vede  che  l'anno,  per  non  tuor  di  anni  più  avanti,  157 r,  che  fu  si  bona 
sason  di  sali  non  passorno  lire  6  il  mozo  fin  6  '/, ,  et  tuttavia  quest'anno 
continuamente  i  salvati  per  deposito  del  ditto  anno  sono  sta  venduti  Lire  13 
et  14  il  mozo,  che  se  quell'anno  fusse  sta  investito  in  sali,  comodamente 
il  pubblico  ne  poteva  havere  6  et  7  mille  moza  et  più  con  universal  contento, 
quel  che  all'incontro  succede  l'anni  che  si  fan  pochi  sali,  nel  qual  tempo 
comprandone  e  con  male  sodisfation  della  città  ne  restarò  di  raccordare  a 
V.  S.  che  i  suoi  sali  delle  Xm0  si  mettessero  apartati  dai  comprati,  per 
remover  qualche  fraude,  che  può  fare  chi  maneggia  tal  denaro  de  comprar 
gali. 


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Restami  rappresentarli  il  sito  della  città,  circondata  tutta  da  l'aque  salse, 
et  che  dalla  parte  del  castello,  che  è  fuori  della  città  verso  terra  ferma, 
lontano  dalle  muraglie  passa  ioo,  sono  tutte  palude  che  solamente  con 
1'  aque  grosse  è  coperte,  et  in  quella  parte  rende  cattivo  stare  alla  città, 
causato  il  non  haver  tenuto  cavato  i  paludi  sotto  il  ponte  fatto  della  città 
fin  al  castello  con  24  archi,  riavendo  i  pillastri  a  poco  a  poco  causato  lo 
amonirsi  per  non  haver  l'aque  il  suo  corso,  et  se  tra  un  pillastro  et  l'altro 
non  si  cava  acciò  l'aqua  per  i  canali  scorrer,  in  breve  cresserà  più  il  paludo, 
più  cativo  aer,  et  finalmente  si  redurà  a  terra  ferma,  vedendosi  hora  acanto 
i  pillastri,  che  sin  al  castello  si  può  commodamente  cavalcare,  quel  che  già 
tempo  andava  una  galea,  crederò  perciò,  e  per  sicurezza  dell'  aere,  e  per 
sicurtà  della  città,  che  ogni  anno  si  cavasse  tra  un  pillastro  et  l'altro  con 
i  sui  canali,  che  1'  acque  scorressero,  spendendo  i  denari  de  condenationi, 
o  per  quali'  altra  via  che  paresse  più  espediente  alla  Serenità  Vostra  che 
seria  de  gran  beneficio  a  questa  città  et  alle  cose  pubbliche,  poiché  si  re- 
moveria  l'aer  cattivo,  et  si  redurebbe  con  puoca  spesa  per  conto  della  terra 
ferma  in  ogni  sicurtà. 

Il  territorio  veramente  non  è  manco  pieno  di  miseria  et  calamità  per 
esser  anco  così  sta  sempre  questa  provincia  povera,  et  alla  giornata  per 
l' infortunij,  carestie,  gravezze  diventa  più  calamitosa,  et  specialmente  questo 
territorio  nel  qual  sono  anime  6m,  tra'  quali  1500  da  fatti;  ma  tanto  miseri 
che  ho  cavalcato  la  maggior  parte  del  territorio,  che  si  può  dir  la  miseria 
istessa,  et  molto  più  belle  et  comode  sono  le  stale  di  terraferma,  dove  stan 
li  animali  bruti,  che  in  questo  territorio  dove  habitan  li  huomini  con  piccoli 
tugurij  quasi  tutti  di  paglia,  et  ogni  giorno  cresce  maggior  calamità  per  chi 
vende  i  buò,  chi  si  parte  ad  habitar  in  altre  jurisditioni  parendoli  di  esser 
più  angarizati  de  tutto  '1  restante  dell'  Istria,  et  più  volte  la  contadinanza 
si  ha  doluta,  che  essendo  obbligati  nella  carata  generale  de  tutta  l' Istria  a 
carezar  i  legnami  per  la  Casa  dell'Arsenal,  et  che  poi  lor  soli  siano  angarizati 
a  carizar  i  remi  che  si  conducono  da  luoghi  Imperiali,  et  se  questa  gravezza 
continuerà  dubiterò  che  continueran  a  vender  i  buò,  et  sminueranno  i  habita- 
tori,  per  il  che  crederò  che  se  ben  hora  soldi  20  per  carezo  (sic),  che  molti 
per  esser  lontani  non  lo  farian  con  dui  ducati  carezando  per  danari,  seria 
cosa  honesta  che  li  fusse  fatti  boni  per  ogni  carezo  de  remi,  oltra  i  soldi  20 
che  hanno  mezo  carezo  o  un  quarto  nella  carata  general  de  tutta  1*  Istria, 
sopra  li  carizi  dei  legnami  e  simil  cose,  tanto  che  li  paresse  non  esser  lor 
soli  angarezati  più  che '1  restante  dell' Istria,  con  qual  mezo  s'aquieteran  di 
rumori  che  fanno  quando  occorre  tal  carezi  de  remi,  et  così  si  conserveran 
i  buò,  et  li  habitanti  nel  stato  di  V.  S.  e  ritrovar  qualch'  altro  espediente 


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che  conoscessero  esser  eguali  con  tutti  i  altri  della  provincia;  si  come  sa 
ben  la  S.  V.  per  sua  sapienza,  che  essendo  gravati  più  uno  che  l'altro,  e 
con  qualche  mala  sodisfatione,  et  con  sua  bona  gratia  facendo  fine  gli  de- 
sidero da  Dio  ogni  felicità. 

(Serie  Relazioni  —  Registro  4 —  '575-1576  già  Codice  Brera  11.  196 
pag.  49  tergo  e  seg.). 


Relatione  del   nobel  homo  Ser  Nicolò   Bondumier  ritornato  di 
Podestà  e  Capitanio  di  Capodistria.  —  1579  dopo  Giugno. 

Serenissimo  Principe,  Illustrissima  Signoria 

Essendo  ritornato  dal  mio  Reggimento  di  Capo  d' Istria  io  Nicolò  Bon- 
dumier, et  sapendo  che  è  ordinario  et  disposto  dalle  lezze  di  rifferir  in  questo 
Eccellentissimo  Collegio  tutto  quello  che  possi  esser  degno  di  sua  saputa, 
intorno  alle  cose  di  quel  governo,  non  resterò  di  dirle  con  brevità  quanto 
che  io  stimo  esser  ben  et  servitio  suo. 

La  qualità  della  città,  grandezza  et  sito  suo  a  Vostra  Serenità  è  am- 
piamente noto,  et  mi  par  superfluo  doverla  attediar,  essendo  stata  informata 
da  tutti  altri  miei  Clarissimi  Precessori.  Il  sito  è  sopramodo  bello,  ma  temo 
molto  che  dalla  parte  di  terraferma,  dove  sta  il  Castel  lion  et  il  ponte,  fra 
pochi  anni  quel  poco  di  paludo  si  monisca  del  tutto,  et  che  si  faccia  terren 
accessibile,  si  come  si  vede  in  caminar  che  già  è  cresciuto  tanto,  che  co'  il 
flusso  dell'aqua  si  scovre  tutto  come  fa  queste  lagune,  né  li  vedo  rimedio, 
essendo  la  cosa  troppo  innanzi.  Dicono  quei  pratici,  che  la  potissima  causa 
dell'  augumento  del  terreno  procede  da  un  rivolo  che  discende  in  quella 
parte  dai  monti,  ditto  da  loro  fiumesino,  del  qual  avvertita  già  anni  la 
Serenità  Vostra  a  supplicatione  di  quei  sudditi,  diede  ordine  che  si  facesse 
un  cavamento  per  divertir  quel  corso,  et  redurlo  nel  fondo  del  mar,  et 
mandò  dinari,  et  fu  anco  fatto  poco  meno  di  tutto  esso  cavamento.  Si  rimase 
poi  dall'  opera,  che  poco  restava  a  desboccar  nel  gran  fondo,  et  per  l' im- 
psrfetione  è  monito  assai  ben,  et  quel  fiumesin  continua  tuttavia  per  il  suo 
alveo,  et  monisse  maggiormente,  menando  a  tempo  di  pioggie  dentro  in 
quella  parte  gran  quantità  di  terra,  et  gera,  facendo  il  fondo  sodo  in  modo 


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che  hora  dalla  terra  ferma  alla  città  si  può  caminare  gagliardamente  ad  ogni 
tempo  senza  impedimento  alcuno  con  doi  piedi  poco  più  d'acqua.  Quando 
si  ritornasse  a  cavar  ditto  alveo,  farebbe  grandissimo  servitio  per  impedir 
che  quel  terreno  non  si  alzasse  più,  et  conservarlo  che  non  si  monisca 
maggiormente,  havendo  inteso,  che  al  tempo  della  fondation  del  Castel  lion 
fu  fondato  esso  Castello  in  13  piedi  d'acqua,  et  adesso  è,  si  può  dir,  ito 
secco,  per  occasion  del  quale  disordine  al  mio  parere  è  bene  in  quella  parte 
così  monita  ad  ogni  bon  fine  et  per  sicurtà  in  ogni  occasion  di  quella  città, 
che  si  allarghi  et  profondi  un  cavalleto  già  fatto  a  costo  via  li  muoli,  ma 
stretto  adesso,  reducendolo  in  una  bona  fossa  di  40  piedi  almeno,  si  come 
anco  intendo  che  raccordò  già  1'  Eccellentissimo  Signor  Sforza  quando  fu 
a  veder  essa  città,  il  qual  cavalleto  nel  stato  che  si  ritrova  adesso  con  il 
flusso  dell'acqua  è  cosi  magro,  che  non  può  condursi  per  lui  una  barchetta 
piccolina,  et  sarà  servitio  notabile,  et  il  maggiore  per  mia  opinion,  che  la 
Sublimità  Vostra  potesse  procurar  appresso  il  cavamento  predetto  ad  essa 

città,  et  crederei  che  si  farebbe con  non  molta  spesa  della  V. 

Serenità,  perchè  quel  populo  menudo,  che  per  il  più  ogniuno  di  loro  ha 
la  sua  barchetta,  potriano  con  le  opere  a  rodolo  aiutar  et  condur  via  il 
terreno,  et  di  già  fin  sotto  il  Reggimento  del  Clarissimo  M.r  Andrea  Giu- 
stiniano precessor  presero  parte  in  quel  Consiglio  di  dar  per  la  fortificatione 
di  quella  città,  et  escavation  del  paludo  tre  Rotoli  di  opere,  che  importa- 
riano  circa  )m  opere. 

La  città  poi  ha  la  sua  muraglia  ordinaria  antiqua  attorno  ;  vi  è  una 
sola  apertura  dalla  parte  di  tramontana,  che  ne  cascò  un  pezzetto,  per  zornata 
si  potrà  rinovar  di  bon  mura  del  publico,  perchè  la  città  è  tanto  povera, 
che  tengo  per  fermo  che  nel  Stato  di  V.  Serenità  non  sia  la  più  miserabile 
con  tutto  che  dicano  che  già  anni  era  commoda  per  li  traffichi  di  mercanzia  ; 
tanta  è  la  revolution  dei  tempi  portano  così  di  questi  frutti,  né  bisogna 
pensar  di  adossarli  spese,  essendo  la  povertà  loro  infinita. 

Hanno  un  Fontico,  il  quale  è  la  bastantia  et  fondamento  di  quel  populo, 
et  con  quello  si  sustentano  tutti  non  facendo  il  terreno  per  la  sterilità  del 
paese  pan  per  tre  mesi  all'  anno.  Al  mio  arrivo  trovai  chel  haveva  de  ca- 
vedal  circa  8m  lire,  et  al  mio  partir  l'ho  lasciato  di  n",  et  spero  chel 
Clarissimo  mio  successor  lo  conserverà,  et  con  augumento  insieme. 

Le  cose  dei  sali  sono  molto  ben  note  alla  Serenità  Vostra  per  relatione 
delli  Clarissimi  Proveditori  suoi  al  sai,  che  sono  stati  de  lì  molte  volte. 
Quella  intrada  a  quei  sudditi  è  commoda,  et  senza  spesa.  Quest'  anno  ne 
hanno  fatto  circa  iom  moza,  V.  Serenità  ne  ha  in  quella  città  una  bella 
monition  procurata  dalli  Clarissimi  Proveditori  suoi  al  sai,  comprati  oltre 


-  8o  — 

la  Xm*  che  è  sua.  Non  voglio  Testardi  dirli  in  questo  proposito,  che  l'oc- 
casion  dei  sali  oltra  il  prelevarsi  di  quei  sudditi  col  tratto,  apporta  grandissimo 
commodo  alla  città  per  il  corso  di  Cranzi,  li  quali  andando  a  pigliar  li  sali, 
conducono  fermenti  et  diverse  altre  sorte  di  robe,  con  notabil  beneficio 
anco  dei  datij  della  Sublimità  Vostra,  par  però  che  questo  anno  il  corso 
sia  stato  debile. 

L'accidente  delle  Saline,  che  Triestini  procuravano  di  far  vicino  a  Mugia 
era  di  grandissima  importantia,  perchè  oltra  la  interruptione  della  jurisdittion 
della  Serenità  Vostra  nel  Mare,  quando  havessero  effettuato  quanto  disse- 
gnavano quietamente,  senza  dubbio  in  pochi  anni  serravano  tutta  quella 
Valle  con  tanto  numero  di  Saline  che  haveriano  appresso  poco  supplito 
loro  solo  di  sali  al  bisogno  del  paese  Regio,  et  quella  città  di  Capodistria 
et  la  terra  di  Muggia  restariano  dessolate,  et  li  datij  di  V.  Serenità  del  tutto 
anichilati.  La  Serenità  Vostra  gli  messe  pensiero,  et  con  molta  consideratone 
io  hebbi  alcuni  ordini  da  lei  in  ditto  proposito,  et  non  restai  di  procurarne 
l'essecutione  con  quella  diligentia  che  doveva.  Et  Dio  perdoni  a  quei  sudditi 
di  Mugia,  che  contravenendo  alla  propria  offerta  fatta  a  V.  Serenità,  si 
dimostrarno  così  tepidi.  È  vero  che  dopo  che  l'ebbe  posto  in  negotio  l'ac- 
cidente con  il  Magnifico  Ambasciador  Cesareo  rimasero  di  continuarle,  si 
bene  in  questo  mio  fine  di  Reggimento  hanno  voluto  in  ogni  modo  ritornar 
a  fornirle  si  come  facevano  che  si  erano  posti  a  lavorar  con  bon  numero 
di  persone.  Ne  avisai  la  Serenità  Vostra,  et  da  lei  hebbi  le  Ducali  sue  di 
25  Zugno  prossimo  passato  con  ordine  di  farle  distruger  si  come  feci,  che 
esseguendo  la  intention  et  prudentissima  sua  risolutione  con  le  spalle  della 
Galea  che  là  mandò,  et  con  eoo  huomini  di  quelli  di  Capodistria,  tutti 
venuti  con  ogni  prontezza  et  amore,  reduti  et  ammassati  dal  Capitano  di 
Schiavi,  in  pochissimo  spatio  di  tempo,  dimostrandosi  egli  sempre  nelle  cose 
di  Vostra  Serenità  con  molta  devotione  et  diligentia,  con  la  presentia  della 
mia  persona  fumo  distrutte,  et  spianate  tutte  quelle  innovationi  fatte  da 
loro  nella  indubitata  iurisditione  di  V.  Serenità,  si  come  le  scrissi  parti- 
colarmente. 

Non  sono  mancato  di  ben  convicinar  a  quei  confini,  et  procurato  con 
ogni  mio  poter,  di  conservar  le  cose  sue,  et  le  sue  giurisdittioni,  se  ben 
quei  sudditi  Regij  del  contado  di  S.  Servolo  non  cessano  ogni  giorno  di 
inquietarle  et  perturbarle  e  spetialmente  nelle  pertincntie  della  Villa  di 
Gabrovizza  con  pericolo  di  scandali  dalli  importantissimi  V.  Serenità  con 
molta  prudentia  ha  deliberato  mandar  Commissari)  per  terminar  le  difficukà 
sudette  con  li  Commissarij  Arciducali  in  quei  confini.  Io  non  ho  voluto 
nel  tempo  del  mio  Reggimento  dar  travaglio  con  mie  lettere  alla  Serenità 


—   Si    — 


Vra  in  ditto  proposito,  se  ben  anco  in  questi  ultimi  giorni  havendo  l' istessi 
sudditi  Regij  seminato  alcune  biave  nelle  pertinentie  della  medesima  Villa 
di  Gobrovizza,  et  quelli  della  Villa,  per  non  lasciar  violar  li  confini  della 
Serenità  Vostra  segare  tutte,  senza  cavarne  utile  di  sorte  alcuna.  Par  che 
quel  Capitano  di  S.  Servolo  sia  rimasto  alquanto  alterato.  Questi  accidenti 
sono  tutti  dipendenti  dalle  cose  passate,  delle  quali  lei  è  stata  dalli  miei 
Precessori  abondantemente  informata.  Hebbi  già  alcuni  mesi  querella  di  un 
poco  di  insulto  fatto  per  quelli  di  Cernical  sudditi  Arciducali  ad  alcuni  della 
ditta  Villa  di  Gobrovizza.  Ispediti  il  caso  riavendoli  per  terror  banditi  con 
conditione,  che  riconciliandosi  insieme,  essendo  le  Ville  vicine  con  certa 
offerta  a  una  Chiesa  in  segno  di  bona  pace,  restino  assolti.  Torno  però  a 
dir  che  quanto  prima  la  Serenità  Vostra  procurerà,  che  li  durissimi  eletti 
a  questo  servino  vadino  a  poner  fine  a  quelle  controversie,  sarà  bene  per 
li  rispetti  molto  ben  noti  alla  sua  prudentia. 

Quella  sua  Camera  de  lì  ha  d'  intr.ua  de  diversi  Datij  et  alcune  altre 
poche  gravezze  circa  14  in  15™  lire  all'anno,  un  anno  per  l'altro  secondo 
che  li  Datij  crescono  et  calano,  un  poco  più  un  poco  meno.  Paga  a  diversi 
Salariati  et  Stipendiati  lire  10398;  di  limitatione  a  diversi  offitij  lire  2526, 
et  de  spese  estraordinarie  un  anno  per  l'altro  circa  Lire  1800;  in  modo 
che  tanto  è  la  intrada  quanto  la  spesa,  né  in  quella  Camera  è  possibil  es- 
sequire  la  parte  della  scansation  delle  spese,  perchè  è  poverissima,  et  è 
necessario  che  li  Rettori  habbiano  qualche  denaro  da  spender  estraordina- 
riamente in  diverse  cose  che  occorre,  come  far  spese  a  poveri  presoni  rei, 
conciar  porte  della  città,  le  cose  della  monition,  pregion,  mandar  de  qui 
in  qualche  occasion  barche  a  posta  secondo  li  accidenti,  come  è  occorso 
in  mio  tempo  nel  mandar  gente  al  campo  di  Arciducali,  et  mantenerli  per 
circa  dui  mesi,  et  Messi  con  li  avvisi  di  quA  progressi,  et  barche  espedite 
de  qui  con  lettere  nell'accidente  delle  Saline  de'  Triestini,  et  nell'andar  a 
riveder  1'  Ordinanze  per  la  Provintia  dell'  Istria  con  il  Signor  Proveditor 
che  la  Serenità  Vostra  ha  mandato  de  li  in  essecution  del  suo  Ordine,  et 
si  convien  spender  del  dinaro  de  Camera,  perche  le  condannason  sono  tutte 
per  privilegio  di  molti  anni  di  quella  Communità,  la  essecution  de  quali 
mi  fu  anco  commessa  strettamente  per  lettere  delli  Clarissimi  Avogadori 
di  Commun  come  essecutori  della  parte  ultima. 

La  Serenità  Vostra  ha  in  quella  provincia  dell'  Istria  descritti  2400 
soldati  di  Cernede  sotto  il  governo  di  sei  Capitani.  Nel  territorio  di  quella 
città  sono  li  strenui  Antonio  Sereni  (o  Serini)  Capitanio  di  Schiavi,  et  il 
Capitanio  Antonio  Lugnano  con  400  per  uno.  Di  Montona  il  Capitanio 
Belletto  Luzco  con  400,  Pingucnte  et  Raspo  il  Capitanio  Giacomo  di  Guerzi 

e 


—   82    — 

con  500,  di  Dignano  et  Puola  il  Gap.0  Tiburtio  Valmarana  di  400,  et  di 
Albona  et  Fianona  il  Cap.°  Zan  Battista  de  Negri  con  300.  Ho  revisto  et 
rassegnato  con  la  presentia  del  strenuo  Domino  Moreto  da  Recanati  Pro- 
veditor  deputato  la  Vostra  Serenità  in  quella  provincia  sopra  le  Ordinanze 
quelle  del  territorio  di  Cavodistria  che  sono  800,  et  quelle  anco  di  Dignano, 
Pola,  Albona  et  Fianona  le  quali  sono  700,  si  .come  per  mie  lettere  ho  dato 
particolar  conto  alla  Sublimità  Vostra,  et  certo  che  con  molta  consideratione 
V.  Serenità  deliberò  mandar  proveditor  in  quella  Provintia  con  la  sopra 
intendenza  de  tutti  quei  capi,  perchè  nell'avvenire  saranno  attese  con  maggior 
diligentia,  et  faranno  ottima  riuscita,  essendo  che  per  il  passato  tepidamente 
erano  disciplinate.  Hora  tutti  faranno  il  suo  debito,  riavendo  di  già  il  Ca- 
pitanio  Tiburtio  Valmarana  per  la  sua  intelligentia  et  sollecitudine  ridutto 
a  bon  indricio  quelli  che  sono  alla  sua  cura,  et  li  altri  tuttavia  cominciano 
addestrarsi.  Si  è  dato  bonissimo  ordine  in  tutti  questi  luochi,  et  delle  mostre 
particolar  de'  capi  di  100,  le  quali  si  faranno  ogni  festa,  et  delle  general 
ancora  ogni  doi  mesi.  Li  Sargenti  et  Tamburi  sono,  si  come  le  scrissi,  del 
paese,  non  molto  boni,  ma  per  la  lingua  commodi,  et  laudarei  che  la  Su- 
blimità Vostra  aggiongesse  al  Governator  un  Sergente  et  un  Tamburo, 
perchè  quelli  disciplinariano  li  altri,  et  da  loro  sarebbono  reviste  tutte  le 
mostre  particular,  et  le  generali  si  faranno  con  la  presentia  di  esso  Gover- 
nator, con  molto  benefìcio  di  quel  negocio,  la  persona  del  qual  io  stimo 
assai  in  quel  servino,  essendo  soldato  di  valor,  et  con  1'  opera  sua  quella 
militia  farà  grande  avanzo,  dimostrandosi  molto  intelligente  et  devotissimo 
in  servirla.  La  Serenità  Vostra,  senza  incomodo  della  Provintia,  potrà  farla 
accrescer  fino  alli  3"1  perchè,  come  li  ho  scritto,  sono  stati  tralasciati  li 
contorni  di  quella  città,  li  territorij  di  Parenzo,  Humago  et  Cittanova,  nelli 
quali  sono  alcune  ville  grosse,  et  se  ne  elegerà  bon  numero.  Il  resto  fino 
alli  3m  si  potriano  descriver  nelle  terre  di  Muggia  et  Isola,  nelle  quali  vi 
sono  bellissima  gioventù,  et  si  supplirebbe  comodamente.  La  Serenità  Vostra 
1'  ha  fatto  in  Grao,  et  con  molta  consideratione  ;  se  così  le  parerà,  potrà 
ordinar  che  siano  anco  eletti  in  ditte  terre,  perchè  Isola  non  ha  saline,  né 
gente  da  marinarezza,  et  Mugia  se  ben  ha  saline,  non  paga  gravezza  alcuna 
de  decima  de'  sali  alla  Serenità  Vostra,  né  quella  meno  fa  marinarezza. 
Quelli  delti  territorj  di  Humago  et  Cittanova  si  potranno  aggionger  al  Cap.° 
Antonio  Lugnan,  et  quelli  di  Parenzo  al  Cap.°  di  Dignan  et  Pola,  et  dar 
cargo  di  quelli  di  Mugia  et  Isola  al  Governator,  il  qual  con  il  Sergente  et 
Tamburo,  che  la  Serenità  Vostra  le  darà,  quando  così  li  piacia,  commoda- 
mente  li  farà  disciplinar,  essendo  l'una  et  l'altra  terra  soli  5  miglia  discoste 
da  Cavodistria.  Et  questi  tremillia  fanti  saranno  una  bona  banda,  pronti  et 


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atti  nelle  occasion  alla  difesa  di  quei  confini  et  passi  dell'  Istria  ;  oltra  che 
saranno  eccellentissimi  in  bisogno  di  armata,  et  coll'arcobuso,  et  al  remo 
ancora,  et  per  guastadori  insieme  con  la  zappa  in  mano,  per  esser  tutte 
gente  di  montagna  assuefatte  del  continuo  alle  fatiche  di  quei  monti  che 
patiscono  ogni  asprezza  di  vita.  Io  per  me  stimo  la  qualità  di  quelle  genti 
infinitamente  per  ogni  occasion,  et  la  Serenità  Vostra  ogni  cosa  per  ac- 
crescerle a  quel  maggior  numero  la  può,  gratificandoli  dell'essendoli  personal, 
le  quali  sono  pochi  de  lì,  et  a  loro  sarà  di  molta  consolatione,  havendomela 
essi  medesimi,  nelle  rassegne  che  ho  fatto,  ricercata  ;  et  insieme  sarà  ben 
che  la  dia  ordine,  che  siano  pagati  tutti  li  Capi  di  roo,  si  come  mesi  fatto 
nelle  Ordinanze  tutte  di  terraferma,  riavendo  l' istessa  V.  Sert.a  così  ordinato 
per  leze,  et  sono  sei  ducati  per  ogni  capo  all'anno.  Quelli  del  territorio  di 
Capodistria  della  Compagnia  del  Cap.°  di  Schiavi  erano  pagati  da  quella  sua 
Camera.  Ho  dato  ordine  che  dalla  medesima  siano  pagati  anco  quelli  della 
Compagnia  del  Cap.°  Antonio  Lugnan.  Quelli  delle  Ordinanze  di  Dignan, 
Puola,  Albona  et  Fianona,  che  sono  altri  sette  Capi  di  cento,  la  Sublimità 
Vostra  potrà  ordinar  che  fossero  pagati  dalla  Camera  di  Raspo,  come  luoco 
più  vicino  et  più  comodo  ad  esse  Ordinanze,  e  non  mi  dispiacerla  che  la 
Serenità  Vostra,  lasciate  le  Ordinanze  del  territorio  di  Capodistria  et  sue 
giurisditioni  alla  revision  et  rassegna  di  quel  Carissimo  Rettor  di  quella 
città,  quelle  delli  altri  territorij  tutti  le  sotto  ponesse  alla  cura  del  Caris- 
simo Capitanio  di  Raspo  per  la  comodità,  essendo  Raspo  in  mezzo  di  detti 
luoghi,  et  il  carico  di  quel  Reggimento  particolar  di  militia,  che  da  Raspo 
al  più  lontano  luoco  non  è  più  che  miglia  26  o  28,  et  da  Capodistria  50 
et  più,  alli  quali  si  va  con  molta  spesa,  et  interesse  della  Serenità  V.a  chel 
clarissimo  di  Raspo  come  più  vicino,  lo  potrà  far  più  commodamente,  et 
con  pochissimo  interesse,  rimmettendomi  però  sempre  al  prudentissimo  voler 
della  Vostra  Sublimità. 

Scrissi  alla  Serenità  Vostra  il  particolar  bisogno  che  havevano  quelle 
compagnie  d'  arme,  che  sono  arcobusi  230  fra  quelli  del  territorio  di  Ca- 
podistria et  Albona,  con  le  sue  fiasche,  et  1300  murioni,  comprese  500  celade 
che  si  devono  permutar  in  murioni,  li  quali  poi  saranno  comodi  per  le 
galee,  fra  tutte  esse  Compagnie.  Io  credo  che  V.a  Serenità  glieli  manderà 
quanto  prima,  perchè  attendono  ad  essercitarsi,  et  dar  ordine  insieme  che 
le  sia  mandato  della  polvere  fina,  perchè  tutti  quei  Capi  erano  senza,  et 
adesso  che  frequentano  le  mostre,  si  conviene  consumar  assai,  si  come  la 
Sublimità  Vostra  sa  che  se  ne  dispensa  in  quello  di  terra  ferma. 

Quelle  mostre  et  rassegne  eh'  io  feci  far  d'ordine  suo  per  quella  pro- 
vincia hanno  messo  qualche  suspetto  nelli  animi  di  quei  Ministri  Regi]',  et 


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si  diceva  che  in  Pisin,  il  contado  del  quale  confina  con  quei  territorij  di 
V.  Ser.,à,  havevano  introdutto  alquanti  soldati,  ne  lasciavano  fermar  in 
quei  luochi  li  sudditi  della  Ser.'à  V.a  Li  suoi  Ministri  sono  ben  con  mal 
animo  et  qualche  suspetto,  ma  li  sudditi  mutariano  allegrissimamente  go- 
verno per  la  terranide  loro,  essendo  venduti  et  impegnati  ben  spesso  da 
quei  Principi  Arciducali  hor  all'  uno,  et  hor  all'  altro  di  quei  Signoroti 
del  Cragn. 

Vostra  Serenità  deliberò  già,  si  come  ho  inteso,  che  in  quella  Città  di 
Capodistria  si  levasse  una  scola  de'  bombardieri,  si  come  è  in  tutte  le  altre 
sue  città  di  terraferma,  et  la  mandò  anco  li  falconeti,  et  le  balle  per  li  palij  ; 
però  fin'  hora  non  è  mai  stato  essequito  cosa  alcuna,  et  pur  saria  bene  per 
l'util  servitio  che  la  Sublimità  Vostra  può  ricever  da  quella  sorte  di  militia 
in  ogni  occasione.  Io  laudo  che  la  dia  ordine  che  quanto  prima  sia  fatto 
la  eletion. 

Si  ritrova  alla  custodia  di  quel  Castel  lion  il  Capitano  Antonello  de' 
Cressi  con  Xci  fanti. 

La  Città  di  Capodistria  può  haver  da  3500  anime  in  circa,  et  è  po- 
verissima et  miserabil  città,  si  come  li  ho  detto,  cosi  nel  publico,  come 
nel  privato  ;  sono  devotissimi  però  della  Sublimità  Vostra,  et  con  molta 
fede  verso  le  cose  sue. 

Hanno  per  Pastor  et  Vescovo  adesso  il  Reverendissimo  Monsignor,  il 
Signor  Zuanne  d' Insegneri,  nativo  di  questa  Città,  et  suo  cittadino,  prelato 
di  bona  vita,  et  conosciuto  dalla  Serenità  Vostra.  Quei  popoli  hora  sono 
molto  ben  indricciati  alla  fede  chatolica,  et  se  pur  ve  ne  fosse  qualche 
ressiduo  di  quella  setta  Vergeriana,  stanno  cosi  secreti  che  non  si  sente 
odore  alcuno  cattivo. 

Mi  resta  dirle  per  fin,  che  in  quel  Reggimento  ho  addoperato  tutte 
le  forze  et  spiriti  miei  per  far  quanto  doveva,  per  servitio  delle  cose  sue, 
et  posso  anco  haver  mancato  in  alcuna  cosa,  come  homo  ;  però  la  mia 
meta  è  stata  sempre  con  bona  volontà,  et  intentione,  et  sarà  in  tutte  quelle 
altre  occasioni  che  la  Serenità  Vra  si  degnerà  addoperarmi,  alla  bona  gratia 
della  quale  devotissimamente  mi  raccomando. 

(Serie  Relazioni  —  Registro  4  —  i575-J576  gi;'1  Codice  Brera  n.  196 
pag.  90  tergo  e  seg.). 


«5 


Relatione  del  Nob.  Homo  Ser  Nicolò  Donado  ritornato  di  Podestà 
et  Capitanio  di  Capodistria.  1580.  —  (Non  data  in  tempore). 

Serenissimo  Principe 

Per  obedir  a  quanto  per  Vostra  Serenità  è  stato  commesso  a  me  Nicolò 
Donado,  ritornato  di  Podestà  e  Capitanio  di  Capo  d' Istria,  che  debbi  in 
scrittura  dir  quelle  cose  che  nella  mia  Relation  fatta  nell'  Eccellentissimo 
Collegio  riverentemente  aricordai  a  Vostra  Serenità  che  per  benefìcio  publico 
dovessero  esser  essequide,  dirò  brevemente  quello  che  dissi  all'hora,  lassando 
tutti  quelli  particulari  che  considerai  della  qualità  di  quella  provincia,  come 
benissimo  noti  a  Vostra  Serenità. 

Dirò  solo  quanto  al  numero  delle  anime,  che  dove  già  molti  anni  in 
tutte  quelle  parti  dell'  Istria  sottoposte  a  questa  Eccellentissima  Republica 
non  erano  più  che  cinquantamille  anime  incirca,  hora  passano  il  numero 
di  settantamille,  ma  così  come  in  tutto  il  resto  di  quella  provintia  è  tanto 
cresciuto  questo  numero  et  ogni  giorno  va  maggiormente  crescendo  sì  per 
li  molti  figliuoli  che  nascono,  come  per  molti  che  sono  venuti  et  vengono 
ad  habitarvi  di  Dalmatia  et  delli  luochi  de  Arciducali  che  sono  alli  confini 
de'  Turchi,  così  nella  propria  Città  di  Capo  d' Istria,  dove  solevano  esser 
diese,  undese,  et  fino  dodese  mille  anime,  al  presente  non  sono  più  di 
cinquemille  dusento  ottanta,  et  ogni  estimo  che  vieti  fatto  in  quella  Città 
si  vede  scemato  il  numero.  La  causa  di  questo  si  conoscerà  quando  ragionerò 
in  particular  del  sito  di  quella  Città,  et  del  paludo  che  in  buona  parte  la 
circonda. 

Dalla  Camera  di  Capodistria  cava  la  Serenità  Vostra  ogni  anno,  com- 
putando il  Datio  della  nuova  imposta  de  sali,  che  vien  portadi  in  questa 
Città,  appresso  cinquantamille  lire,  delle  qual  pur  computado  il  danaro  della 
nuova  imposta,  vien  mandato  de  qui  in  essecution  della  nuova  regolation 
appresso  trentaquattro  mille  lire  ;  il  sopra  più  resta  in  quella  Camera  per 
quelli  salariadi,  et  far  altre  spese  necessarie,  et  se  ne  sopravanza  vien  anco 
portado  all'  Officio  sopra  le  Camere.  Se  poderia  accrescer  questa  intrada 
con  dar  ordine  che  '1  Datio  del  vin  delli  soldi  2  per  orna  che  vien  scosso 
per  quella  Camera  di  tutti  li  vini  che  nascono  sopra  quel  territorio,  che  è 
datio  simile  all'  imbottadura  di  Trivisana  sii  per  1'  avvenir  affittado  all'  in- 
canto, et  non  scosso,  come  al  presente  si  fa,  per  quel  Magnifico  Camerlengo, 
perchè  si  vede  per  li  libri  de  Camera,  che  per  diligentia  che  sii  usada  da 
Camerlenghi,   non  si  ha  mai  scosso   tanto  un  anno  che   habbi  asceso  alla 


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summa  de  dusento  ducati,  et  prima  che  si  scuodi  vien  pagato  per  la  camera, 
in  mandar  a  far  le  descrittion  delli  vini,  in  stimadori,  in  quelli  che  tengono 
li  conti,  più  di  ducati  ottanta  1'  anno,  in  modo  che  non  si  cava  di  netto 
più  di  ducati  cento  incirca,  et  quando  sto  datio  fosse  affittado,  per  la  dili- 
gentia  che  useriano  li  datiari  per  il  suo  particolar  interesse,  son  sicuro  che 
si  affittarà  ducati  quattrocento  et  forse  cinquecento  all'  anno. 

Fu  anco  messo  da  Vostra  Serenità  il  datio  de  soldi  2  per  secchio  de 
tutti  li  vini  che  vanno  in  terre  aliene.  Questo  datio  fu  affittado  in  Capo- 
distria,  et  nel  suo  territorio,  et  da  miei  precessori  fu  anco  fatto  affittar  nei 
luochi  dove  i  Rettori  de  Capodistria  possono  comandar,  come  in  Bugie, 
Valle  et  altri  luochi,  et  si  affitta  appresso  ducati  400  ;  ma  nel  resto  de  tutta 
l' Istria  non  fu  mai  affittado  se  non  a  Mugia  et  Isola,  et  in  questi  luochi 
con  grandissimo  danno  publico,  siccome  considererò.  Da  questo  cava  la 
V.  Serenità  tutti  questi  maleficij,  prima  che  non  essendo  affittado  in  tutti 
i  luoghi  la  non  cava  il  Datio,  si  come  è  sua  mente,  de  tutti  li  vini,  che 
sono  estratti  del  suo  Stato  ;  l'altro  che  li  Cranci,  che  così  chiamano  quelli 
che  vengono  dalli  luoghi  superiori  a  levar  vini,  sapendo  di  poter  andar  a 
comprar  vini  in  luochi  dove  non  pagano  datio,  vanno  più  volentieri  a 
comprar  in  quelli  luochi,  che  nei  luochi  dove  vien  scosso  il  datio.  Il  terzo 
che  molti  che  fanno  quantità  de  vini  nei  territorij  dove  si  paga  datio,  li 
portano  subito  fatti  nelli  territorij  vicini  dove  non  è  datio,  con  notabil  danno 
dei  datiari  de  quali,  quando  non  fosse  questo  disordine,  leverieno  il  datio 
a  maggior  pretio.  Et  però  saria  ben  dar  ordine  che  questo  datio  fosse  at- 
fittado  per  tutta  l' Istria,  et  che  questo  carico  fosse  dato  al  Reggimento  di 
Capodistria  et  non  alti  Rettori  delle  Castella,  et  che  il  danaro  sij  portado 
dalli  Daciari  nella  Camera  di  Capodistria,  perchè  facendo  altrimenti  saria 
facil  cosa  che  questo  ordine  non  fosse  essequido,  siccome  non  è  sta  essequido 
fin'  hora,  et  sei  danaro  sarà  scosso  dalli  Rettori  delli  Castelli,  li  quali  sono 
in  libertà  di  saldar  i  suoi  Conti  in  questa  Città  ovvero  in  Capo  d' Istria, 
avvenirà  quello  che  forse  avvien  al  presente  de  altro  danaro  che  non  vien 
saldato  né  in  l'un,  né  in  l'altro  loco.  Essendo  questo  datio,  come  ho  detto, 
già  alcuni  anni  la  prima  volta  affittado  all'  incanto  in  Mugia,  et  Isola  per 
ducati  cinquanta  per  luoco,  ottennero  quelle  commodità  per  gratia  da  Vostra 
Serenità,  che  questo  datio  li  fosse  concesso  per  anni  cinque,  con  obligo  di 
pagarli  ducati  cinquanta  all'  anno  che  era  affittado.  Hora  in  questi  luoghi 
vendono  il  vino  senza  far  pagar  datio  a  quelli  che  comprano,  ma  tengono 
.conto  di  tutti  li  vini  che  sono  venduti  et  estratti  di  quelli  luochi,  et  com- 
partono poi  il  debito  che  hanno  con  Vostra  Serenità  delli  ducati  cinquanta 
all'anno  sopra  tutta  la  quantità  de  vini  venduti,  et  avvenne  l'anno  passato, 


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con  tutto  che  in  quelle  parti  fossero  pochissimi  vini,  et  non  boni,  et  perciò 
poca  quantità  ne  fosse  estratta,  che  buttando  la  rata,  dove  che  per  datio 
si  doveria  pagar  soldi  diese  per  orna,  che  tanto  importa  li  soldi  doi  per 
secchio,  fu  pagato  se  non  un  terzo  picoli  6  per  orna.  Da  questo  si  com- 
prende, che  se  questo  datio  non  fusse  concesso  a  queste  Communità  per 
così  vii  pretio  de  ducati  cinquanta  all'anno,  ma  fosse  affittado  all'  incanto, 
si  caveria  più  de  dieci  volte  tanto. 

Ha  la  Serenità  Vostra  in  quella  provincia  descritto  un  numero  de  2300 
soldati  de  Cernede,  tutti  Archibusieri,  divisi  sotto  sei  Capi.  De  questi  in 
alcuni  luochi  saria  ben  minuir  il  n.r0,  come  in  Albona,  dove  non  sono  più 
che  130  capi  di  fameglia  et  sono  descritti  300  soldati  con  loro  malissima 
satisfattion,  perchè  da  quel  Magnifico  Rettor  non  vien  permesso  che  possino 
goder  il  privilegio  della  esention  delle  facion  in  commun,  si  come  è  mente 
di  Vostra  Serenità  che  godino  tutti  quelli  che  sono  descritti  nelle  Ordi- 
nanze ;  et  questo  vien  fatto  da  quel  Magnifico  Rettor  con  ragion,  perchè 
volendo  esentar  300  homeni  in  Albona,  tutte  le  facion  resteriano  divise 
sopra  pochissimi,  et  sariano  insopportabili.  Ma  quel  numero  che  si  diminueria 
in  Albona,  si  poderia  reintegrar  et  accrescer  molto  più  con  descriverne  in 
molte  ville  dell'  Istria,  dove  non  sono  descritti  soldati,  le  qual  Ville  sono 
sotto  Puola,  Rovigno,  Parenzo,  Cittanova,  Humago  et  Piran.  Et  quando  la 
Serenità  Vostra  volesse  che  si  descrivesse  soldati  in  Mugia  et  Isola,  che  si 
potria  benissimo  farlo,  non  essendo  questi  do  lochi  siccome  li  altri  di  quella 
riviera,  che  la  Serenità  Vostra  non  vuol  forse  toccarli  per  rispetto  della 
marinarezza,  ma  in  questi  non  sono  ne  navilij,  né  marinari,  ma  tutti  sono 
homeni  che  lavorano  terreni,  poderia  la  Serenità  Vostra  descriver  almeno 
300  soldati,  et  questi  metterli  sotto  un  nuovo  Capo,  o  per  minor  spesa 
distribuirli  sotto  gli  altri  Capi  vicini. 

Cosi  come  queste  Cernede  sono  utilissime  et  per  il  luoco  dove  sono 
per  il  numero,  et  per  esser  qualità  d'  nomini  attissima  a  ogni  faticha,  et  a 
patir  ogni  incomodo,  et  delle  qual  si  poderia  servir  in  ogni  occasion,  non 
solo  in  terra,  ma  in  Galea  per  scapoli,  et  homeni  da  remo,  essendo  la 
maggior  parte  Murlachi  et  razza  de  Schiavoni,  cosi  con  ogni  spirito  si 
doveria  attender  a  procurar  che  le  fossero  con  ogni  diligenza  disciplinade, 
et  a  far  questo  son  necessarie  do  cose,  1'  una  provederli  d'  arme,  essendo 
gran  parte  de  essi  desarmadi,  et  non  havendo  archibusi  non  possono  esser 
disciplinadi.  De  questo  fu  scritto  alla  Serenità  Vostra,  et  anco  per  1'  Eccel- 
lentissimo Senato  fu  deliberato  che  queste  arme  cosi  necessarie  fossero 
mandate,  ma  non  essendo  sta  mai  fatto  la  provision  necessaria  del  danaro, 
non  sono  sta  fin'  hora  mandate,  l' altra  et  molto  più  importante  è  il  prò- 


vederli  de  Capi  che  siano  soldati,  et  siano  atti  a  disciplinarli,  perchè  da 
tutte  queste  Compagnie  solo  quelle  disciplinade  del  Capitano  Tiburcio 
Valmarana  Visentin  et  quella  del  Cap.°  Antonio  Lugnan  sono  vedute  in 
bon  stato  per  la  diligentia  et  valor  dei  loro  Capitani  ;  ma  tutte  le  altre 
sono  in  così  mal  stato  che  non  si  può  nel  termine  che  sono  sperar  in  alcun 
tempo  poter  mai  haver  bon  servitio  da  loro,  et  tutto  il  denaro  speso  fino 
a  questo  tempo  nei  Capitani),  et  altri  Officiali  sono  sta  gettati,  perchè  es- 
sendo sta  dato  il  carico  de  Capitani  a  homeni  del  paese,  che  non  hanno 
mai  veduto  né  guerre,  né  forse  altri  soldati  che  questi,  a  quali  hanno  da 
commandar,  non  è  maraviglia  se  non  sapendo  li  Capi  il  mestier  del  soldato, 
che  li  soldati  siano  poi  mal  disciplinati  et  inutili.  Io  reverentemente  ari- 
cordarei,  et  questa  è  anco  mente  del  Governator  Moreto  da  Recanati, 
mandato  ultimamente  per  Governator  de  quelle  Cernede,  homo  de  molto 
valor  et  diligentissimo,  et  tanto  inclinado  al  beneficio  di  Vostra  Serenità, 
che  ne  maggior  diligentia,  ne  maggior  amor  la  potria  desiderar  in  alcuno 
verso  le  cose  sue,  che  eccettuado  li  do  Capitani  che  ho  detto  de  sopra, 
cioè  il  Capitano  Tiburcio  Valmarana  Visentin,  et  il  Capitanio  Antonio 
Lugnan,  tutti  gli  altri  fossero  cassi  et  in  luoco  loro  fosse  messo  Capitanij 
Italiani  che  fossero  atti  a  disciplinar  Cernede,  perchè  così  facendo  in  poco 
tempo  si  reduriano  a  perfecion.  et  potria  la  Serenità  Vostra  promettersi  da 
questi  soldati  ogni  bon  servitio  così  in  terra  come  sopra  una  Armada  per 
scapoli  et  homeni  che  nelli  bisogni  si  potriano  metter  al  remo. 

Fu  commesso  dalla  Serenità  Vostra  già  molti  mesi  al  Clarissimo  Calbo 
Proveditor  in  Istria,  et  al  Clarissimo  Capitanio  de  Raspo,  che  con  un  Proto 
dell'  Officio  delle  Acque  dovessero  ritrovarsi  in  Capodistria  a  fine  che  tutti 
insieme  potessimo  veder  et  dar  essecution  a  quanto  ne  era  commesso  da 
Vostra  Serenità  con  l'Eccellentissimo  Senato  in  la  materia  dell' escavation 
di  quel  Pallido,  cosa  più  eh'  ogn'  altra  desiderada  da  quella  Città.  Questo 
non  è  sta  fin'  hora  effettuado,  perchè  prima  il  Clarissimo  Proveditor  Calbo 
ottenne  licentia  di  venir  in  questa  Città  per  purgarsi,  et  si  fermò  più  de 
doi  mesi,  poi  ritornato  in  Istria  si  amalo  il  Clarissimo  Capitano  de  Raspo, 
finalmente  esso  Calbo  s' infermò  in  Puola,  per  la  qual  infirmità  passò  a 
meglior  vita  in  modo  che  non  è  più  possibile  essequir  quell'  ordine  dato 
dall'  Eccellentissimo  Senato,  ma  bisogna  che  per  Vostra  Serenità  sij  fatto 
nuova  deliberatione. 

Questa  materia  Serenissimo  Principe,  dell'escavation  de  questo  pallido, 
ro  la  giudico  tanto  necessaria,  che  se  non  sarà  presto  provisto  dalla  Serenità 
Vostra,  sono  sicuro  che  quella  Città  si  redurrà  in  peggior  stato  che  non  è 
la  Città  de  Puola,  perchè  il  paludo,  che  è  dalla  parte  verso  terraferma,  è 


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talmente  cressudo,  che,  restando  gran  parte  del  giorno  scoperto  al  sol,  si 
levano  cattivissimi  vapori,  che  rendono  malissimo  sana  quella  Città,  et  prin- 
cipalmente quella  parte  che  è  volta  verso  terra  ferma.  Et  quest'anno  si  ha 
principalmente  conosudo  il  maleficio  che  si  riceve  dall'  aere,  che  li  mesi 
d'Agosto  et  Settembre  sono  morte  in  quella  citta  più  di  300  persone,  la 
maggior  parte  donne  et  putti,  et  de  questo  li  '/«  sono  stati  de  quelli  che 
habitano  la  parte  della  Città  verso  il  paludo  et  terraferma.  Oltra  questo 
maleficio  ne  seguita  un'altro,  che  quella  Città  che  pur  era  tenuta  per  fortezza, 
essendo  da  ogni  parte  circondata  dall'acqua,  et  con  le  sue  porporelle  assai 
sicura,  al  presente  si  puoi  dir  quasi  congionta  con  terra  ferma,  perchè  si 
camina  a  piedi  sopra  il  paludo  della  Città  a  terra  ferma,  et  dalla  terraferma 
alla  Città,  e:  presto  si  potrà  passar  con  Cavalli  et  con  Carri.  Questo  amu- 
nimento  è  causato  dalla  torbeda  che  a  tempo  delle  pioggie  vien  continua- 
mente portado  verso  la  Città  da  do  fiumi,  1'  uno  chiamato  il  Fiumesin  et 
l'altro  Risan,  et  se  dalle  fortune  che  per  la  forza  de  venti  sou  causade  in 
quella  Valle,  non  venisse  commosso  la  lea  (sic)  portada  dalli  fiumi,  che  poi 
dalla  forza  dei  venti  vien  portada  in  mare,  già  molti  e  molti  anni  quella 
Città  saria  unita  con  terraferma  ;  ma  perchè  il  maleficio  che  apportava  la 
torbida  delli  fiumi  era  scemado  per  il  beneficio  che  si  riceveva  dalla  lorza 
de  venti  et  delle  fortune,  perciò  questo  amunimento  non  è  sta  fatto  se  non 
in  longhissimo  progresso  de  tempo  ;  ma  hora  che  è  talmente  cressudo  che 
(come  ho  detto)  la  maggior  parte  del  giorno  resta  scoperta  al  sole,  et  quando 
ancho  è  coperto  non  li  è  più  che  do  over  tre  piedi  d'acqua  a!  più  al  tempo 
de  scirocali,  et  perciò  li  venti  non  possono  haver  tanta  forza  de  commover 
il  tcrren  che  è  nel  fondo  et  portarlo  in  mare,  come  faceva  prima,  et  per 
questa  causa  al  presente  maggior  ammunimento  si  fa  in  un  anno  che  non 
si  faceva  prima  in  diece.  Et  se  presto  non  sarà  dalla  prudentia  et  dalla  carità 
che  ha  sempre  habudo  et  deve  haver  la  Serenità  Vostra  verso  quella  sua 
certo  fedelissima  Città,  il  male  si  farà  irremediabile.  —  Quello  ch'io  cre- 
derla che  p.r  salute  de  quella  Città,  et  per  beneficio  de  tutta  quella  Provincia, 
siccome  so  haver  altre  volte  con  mie  lettere  et  con  la  scrittura  portada 
dall'  Ingegner  M.ilacreda  reverentemente  aricordato  a  Vostra  Serenità,  è  che 
quanto  prima  si  divertisca  li  do  fiumi  de  Risan  e  Fiumesin  siccome  facil- 
mente si  puoi  far  in  parte  dove  non  possino  apportar  la  torbida  né  far 
danno  alcuno  alla  Città  ;  et  questo  si  potrà  far  in  pochissimi  mesi,  con 
spesa  de  duciti  1500  al  più,  spesa  insensibile  rispetto  al  molto  beneficio 
che  resulterà  da  questo,  siccome  anco  fino  del  1 5 59  a  dì  30  novembre  et 
in  altri  tempi  fu  deliberato,  et  principiato  a  essequir  ;  ma  poi  per  manca- 
mento de  un  poco  de  danari  fu  intermesso  il  lavor  fino  a  questo   tempo, 


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il  che  ha  causado,  che  quel  principio  de  cavamente»  fatto  si  è  quasi  del  tutto 
ammunido.  Fatta  che  fosse  la  diversion  de  questi  fiumi,  si  haveria  redutto 
la  cosa  in  termine  che  remossa  la  causa  del  male  sariano  sicuri  che  per 
l'avvenir  non  si  anderia  peggiorando,  siccome  evidentissimamente  si  vede, 
che  al  presente  si  va.  Doppoi  con  far  una  escortication  de  quella  parte  de 
pallido  più  alto,  sì  che  1'  acqua  da  ogni  tempo  possi  coprirlo,  si  veniria  ad 
aiutar  quel  beneficio  naturai  che  vien  apportado  dalla  furia  de  venti,  et 
dalle  fortune,  et  con  questo  modo  si  haveria  remediado  alla  mala  qualità 
dell'  aere,  et  si  potria  esser  sicuri  che  in  pochi  anni  la  Città  ritorneria  in 
isola,  et  in  fortezza  si  come  era  prima.  Et  questa  escortication,  facendo 
contribuir  tutta  la  Provincia  dell'  Istria  come  quella  che  per  molti  rispetti 
sarà  per  sentirne  benefficio,  si  farà  con  pochissima  spesa  del  danaro  publico. 

Mi  resta  una  sola  cosa  de  reverentemente  ricordar  alla  Serenità  Vostra, 
che  è  la  più  importante  et  più  necessaria  provision  che  si  possi  far  per 
beneficio  et  consolation,  et  possa  dir  salute  de  tutti  quei  poveri  et  fidelissimi 
sudditi  de  quella  Provincia,  et  in  questa  materia  mi  sarà  necessario,  posposto 
ogni  rispetto,  de  liberamente  dir  a  Vostra  Serenità  il  stato  delle  cose  sue. 

I  populi,  Serenissimo  Principe,  della  maggior  parte  de  quella  Provincia, 
per  la  estrema  povertà  al  presente  restano  oppressi  dai  più  potenti,  et,  molte 
volte,  ancho  più  da  quelli  che  dalla  Serenità  Vostra  sono  mandati  per  ad- 
ministrar  giustitia,  et  sollevarli  dalle  oppression  che  li  fossero  fatte  da  altri  ; 
perchè  andando  molte  volte  Rettori  in  alcuni  de  quei  Castelli  solo  con  fin 
de  utile,  vien  escogitado  da  loro,  et  da  suoi  Cancellieri,  et  Cavallieri,  i  più 
estravacanti  muodi  de  cavar  danari  da  quei  populi  che  sij  possibile  invagi- 
narsi, ne  ad  altro  si  pensa  che  a  questo,  et  a  far  cride,  mandati  penali,  et 
proclami  sotto  pene  pecuniarie,  de  cose  lievissime,  et  queste  pene  vengono 
irremissibilmente  et  con  estremo  rigor  rescosse  dalli  transgressori  ;  vengono 
ordinariamente  fatte  sententie,  alternative  de  bando  o  Galea  da  poter  esser 
commutade  in  danari,  cose  tutte  contra  la  parte  et  mente  de  Vostra  Serenità, 
et  in  mille  altri  muodi  vien  indirettamente  cavado  danari  da  quei  poveri 
populi.  Et  nelle  cause  civil  (supposto  che  sincieramente  siano  fatte  quelle 
sententie  da  i  Rettori  che  per  conscientia  li  pare),  avvien  quasi  sempre  che 
le  sententie  fatte  a  favor  de  i  più  ricchi  restano  inappellabile,  et  quelle  fatte 
contra  di  loro  son  sempre  in  absentia  tagliade  de  qui.  In  modo  che  i  populi 
de  molti  luoghi  de  quella  Provincia  restano,  come  ho  detto,  in  diversi  modi 
oppressi  contra  la  mente,  et  voler  de  Vostra  Serenità.  Tutto  questo  nasce 
per  non  haver  altro  modo  de  esser  sollevadi  se  non  con  interponer  appel- 
lation  alli  officij  delli  Avogadori,  et  delli  Auditori  in  questa  Città,  ma  per 
1'  estrema  povertà,  per  la  lontananza  del  luoco,  per  il  molto  tempo  che   si 


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perde  et  per  le  molte  spese  che  saria  necessario  che  facessero  prima  che 
fossero  esauditi,  più  presto  sopportano  ogni  sorte  de  ingiustitia,  et  si  con- 
tentano de  accomodar  con  danari  le  cose  loro  al  meglio  che  possono,  che 
venir  a  perder  tempo  et  far  le  spese  che  son  necessarie  che  facino  quelli 
che  vengono  per  lite  in  questa  Citta,  et  forse  anco  alle  volte  morsi  contra 
alcuni  Rettori,  che  parendoli  esser  offesi,  quando  le  parte  si  appellano  de 
qualche  atto  ingiusto  fatto  contra  de  loro,  che  per  spaventarli  et  farli  de- 
sister li  perseguitano  sempre  con  nove  calumnie.  Et  nelle  cause  civil  per 
li  medesimi  rispetti  della  lontananza,  et  delle  spese  li  poveri  si  acquietano 
alle  sententie  che  li  sono  fatte  contra,  et  quelle  che  sono  fatte  a  favor  loro, 
essendosi  appellado  li  più  potenti  restano  tagliade  in  absentia  in  questa  Citta, 
riavendo  molti  luochi  dell'  Istria  cognossudo  questo  suo  miserabil  stato  in 
diversi  tempi  sono  venuti  a  supplicar  Vo.tra  Serenità  che  li  conciedi  giudice 
d'Appellation  in  Istria,  siccome  fu  concesso  a  Bugie,  Portole,  Grisignana, 
Valle,  Humago,  Cittanova,  et  ultimamente  Isola,  et  altri  luochi  con  darli 
il  Reggimento  de  Capodistria.  Ma  de  questi  alcuni  vengono  in  appellation 
assolutamente  in  civil  et  criminal,  alcuni  in  civil  solo,  alcuni  in  criminal 
solamente,  altri  in  civil  fino  a  certa  stimma  et  in  criminal  fino  a  certo  segno, 
havendosi  voluto  resservar  nelle  cause  de  maggior  importantia  de  poter 
venir  a  Venetia  per  poter  esser  giudicati  più  presto  da  un  Tribunal  de  tre 
Avogadori,  over  tre  Auditori,  che  da  un  solo  Rettor  de  Capodistria.  A 
questi  inconvenienti  io  crederla  che  si  potesse  facilmente  proveder  con  no- 
tabilissimo beneficio  de  quei  populi,  et  grandissima  satisfacion  de  tutta  quella 
provincia,  et  senza  che  li  Rettori  dell'  Istria  potessero  haver  alcuna  causa 
de  dolersi,  et  questo  è  che  così  come  tutte  le  loro  appellation  se  devolveno 
in  questa  Città  a  un  Tribunal  de  tre  Giudici,  o  sia  Avogadori  o  Auditori, 
over  alli  Sindici  de  Terra  ferma  quando  vanno  in  quella  Provincia,  così 
sia  eretto  un  Tribunal  in  Capo  d' Istria  del  Rettor,  et  do  Conseglieri  ai 
quali  si  devolvino  tutte  le  appellation  nel  modo  che  al  presente  fanno  quelle 
de  Bugie  et  Portole,  over  con  quelle  limitation  che  paresse  alla  Serenità 
Vostra.  Con  questo  modo  i  populi  haveriano  commoda  via  de  esponer  i 
loro  gravami  dove  potranno  esser  esauditi,  et  dove  che  venendo  a  Venetia 
perdono  molto  tempo,  et  fanno  molte  spese,  all'  hora  commodissimamente 
in  un  medesimo  giorno  potriano  partirsi  da  casa,  et  espedir  le  loro  cause, 
et  i  Rettori  forse  despereriano  de  far  molte  de  quelle  cose  che  fanno  al 
presente,  siccome  per  espcrientia  si  vede,  che  con  molto  maggior  satisfattion 
sono  governati  li  populi  delli  luochi  che  hanno  appellation  in  Capodistria, 
che  quelli  che  vengono  in  questa  Città  Et  anco  maggiormente  si  conosce 
da  questo,  che  ritrovandosi  in  quella  Provincia  quattro  luochi  possessi  da 


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particulari  gentil'  huomeni  de  questa  Citta,  al  governo  de  quali  sono  tenute 
da  essi  persone  de  bontà,  et  che  governano  i  suoi  populi  con  quel  paterno 
amor  che  doveriano  esser  governati  da  ogn'  uno.  Questi  sono  S.  Vincenti 
et  Visinà  delli  Clarissimi  Messer  Marin  et  Messer  Almorò  Grimani,  Piamonte 
del  Clarissimo  Messer  Zorzi  Contarini,  et  Barbana  delli  Clarissimi  Loredani, 
cosi  come  negli  altri  luochi  li  populi  sono  poverissimi  et  li  paesi  sono  inculti 
et  deshabitadi,  così  in  questi  luochi  non  si  ritrova,  si  può  dir,  palmo  de 
terra  che  non  sia  coltivado,  et  crescono  ogni  giorno  in  gran  numero  li 
habitadori  de  questi  luochi,  et  sono  respetto  a  gì"  altri  populi  dell'  Istria 
assai  più  comodi.  De  questa  provision  non  potrian  li  Rettori  sentir  alcun 
gravame,  perchè  essendo  tutte  le  sententie  loro  appellabili,  non  importa  più 
che  siano  censurade  da  giudici  che  siedano  in  questa  Città  che  in  Capo 
d' Istria.  Et  così  come  al  tempo  che  sono  li  Sindici  de  Terraferma  in  quelle 
parte  con  satisfacion  de  populi,  et  senza  intacco  della  giurisdittion  de  Rettori, 
le  cause  sono  espedite  da  loro,  così  al  presente  veniriano  ad  haver  perpetui 
Sindici  in  quella  Provincia. 

Ma  perchè  si  possino  ritrovar  gentil'  homeni  d'auttorità  che  volentieri 
vadino  a  servir  in  questo  carico  de  Conseglieri,  è  necessario  provederli  de 
conveniente  salario,  et  questo  credo  che  non  bisogneria  che  fosse  meno  de 
ducati  quaranta  al  mese  et  il  fitto  della  casa.  Questo  danaro  per  opinion  mia  si 
potria  cavar  in  questo  modo  senza  alcun  interesse  de  Vostra  Serenità.  Se  ri- 
trova in  quella  Città  un  Camerlengo  che  ha  utile  almeno  de  ducati  25  al  mese: 
questo  carico  della  Camera  potria  esser  esercitado  da  uno  delli  Conseglieri. 
Quando  le  appellacion  de  tutta  la  Provincia  venissero  in  Capodistria, 
la  Cancellarla,  che  al  presente  è  molto  utile,  saria  utilissima  et  potria  lar- 
gamente sopportar  una  tansa  de  ducati  1 5  et  forse  20  al  mese.  Oltra  questo, 
che  si  scuodessero  li  caratti  delle  sententie  nel  modo  che  si  fa  alli  Auditori. 
Et  perchè  in  quella  Città  è  antiqua  consuetudine  che  nel  tansar  le  spese  si 
tansa  soldi  4  per  ducato  per  Victoria  all'Avocato  che  vince  la  causa,  questo 
danaro  si  contentariano  quelli  Avocati,  che  fosse  applicado  a  questi  salari], 
perchè  receveriano  maggior  beneficio  per  la  maggior  quantità  de  cause  che 
haveriano.   Mettendo  insieme  tutto  questo  danaro  delli   ducati  25  al  mese 
del  Camerlengo  et  Cappellan,  li  ducati  )  5  over  20  de  tansa  sopra  la  Can- 
cellarla, li  caratti  delle  Sententie  et  li  soldi  4  per  ducato  tansadi  per  Victoria, 
si  caveria  tanto  che  si  potria  dar  li  ducati  40  al  mese  per  uno  alli  Camer- 
lenghi [sic)  et  più,  et  quando  Vostra  Serenità  dubitasse  che  questo  danaro 
non  potesse  supplir,   son  sicuro  che  quella  Magnifica  Città,   essendole  as- 
signado  queste  utilità,  toria  obligo  de  pagar  li  ducati  40  al  mese  per  uno 
alli  Conseglieri  et  provederli  de  case  per  le  loro  habitationi. 


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Queste,  Serenissimo  Principe,  sono  quelle  cose  che  io  giudicai  de  dover 
dir  alla  Serenità  Vostra,  acciò  che  se  l'effettuar  qualch'  una  d'esse  paresse 
al  suo  prudentissimo  giudicio  che  potesse  apportar  beneficio  alle  cose  sue, 
lei  potesse  proveder  in  quel  modo  che  meglio  li  parerà. 

(Serie  Relazioni  —  Registro  4  —  r 575-1576  già  Codice  Brera  n.  196 
pag.   153  e  seg.). 


Relatione  del   Nobil   Homo  Ser  Alessandro  Zorzi,   ritornato  di 
Podestà  et  Capitanio  di  Capo  d' Istria.  -     1581. 

Serenissimo  Principe,  Illustrissimi  et  Eccellentissimi  Signori 

È  così  vicina  Capo  d' Istria  a  questa  Città,  et  la  Sublimità  Vostra  ghe 
ne  ha  da  so  rappresentanti  cosi  spesse  relation,  che  giudico  che  sia  ben, 
lasciando  tutte  le  cose  soverchie,  attender  alla  brevità,  e  refferir  solamente 
quelle,  che  sono  più  degne  della  sua  intelligentia. 

Ghe  raccordarò  adonque  reverentemente,  che  quella  Città,  et  per  il  sito 
in  che  la  è  posta,  e  per  molte  altre  consequentie,  die  esser  tegnuda  ca- 
rissima dalla  Serenità  Vostra,  et  stimada  sopramodo,  essendo  essa  città, 
come  ben  sa  Vostra  Sublimità,  et  come  per  questo  dessegno  si  può  veder, 
posta  sopra  un  scoglio,  lontana  da  terraferma  passa  100,  dove  all'intorno 
ghe  discorreva  1'  aqua  del  mar,  digho  ghe  discorreva,  perchè  al  presente 
dalla  parte  verso  Terraferma  e  tanto  accressuda  la  palude,  che  molte  volte 
nel  scemo  dell'  acque  se  podeva  passar  con  il  piede  asciutto  da  T.  f.  alla 
Città  ;  il  che  de  quanto  danno  possi  esser  e  alla  salubrità  dell'aere,  et  alla 
segurtà  del  luogho,  la  Serenità  Vostra,  senza  che  digha  altro,  lo  può  per 
la  sua  molta  prudentia  benissimo  considerar,  perchè  quanto  all'aere  non  è 
possibile  che  non  vadi  sempre  deteriorando,  andando  ogn'  bora  crescendo 
et  facendosi  più  puzzolenta  essa  palude  che  prometto  alla  Serenità  Vostra 
che  alcuna  volta,  et  massime  nel  scemo  delle  acque,  come  ho  detto,  se  ne 
sentono  fetori  quasi  insopportabili.  Quanto  alla  segurtà  poi,  restando  cosi 
oppressa  dalla  palude,  non  è  dubbio,  che  gli'  è  levado  quel  stato  de  segurtà 
in  che  la  era  posta  dalla  natura,  al  che  si  deve  tanto  più  haver  1'  occhio, 


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quanto  che  confina  con  Triestini  et  altri  Arciducali,  et  voglia  Dio  che  presto 
non  confini  con  Turchi  per  le  poche  provisioni,  che  fanno  et  possono  fare 
i  Regij. 

Queste  cause  mossero  i  miei  precessori  a  raccordar  alla  Serenità  Vostra 
et  quei  Cittadini  a  supplicar  che  le  fosse  porto  quel  remedio  che  era  ne- 
cessario facendo  fare  la  escavation  di  essa  palude,  dal  che  mossa  Vostra 
Serenità  in  essecution  de  parte  dell'  Eccellentissimo  Senato  diede  cargo  alli 
Clarissimi  Calbo  all'hora  Proveditor  nell'Istria,  Donado,  Capitano  di  Raspo, 
et  al  mio  precessor,  che  conferiti  sopra  il  luoco  dovessero  sopra  ciò  ri- 
sponder ;  ma  successa  la  morte  di  esso  Clarissimo  Calbo  non  si  puote  far 
altro.  Onde  poi  parve  a  Vostra  Sublimità  di  dar  questo  cargo  al  sudetto 
Clarissimo  di  Raspo,  et  a  me,  mandando  insieme  M.  Paulo  dal  Ponte  protho 
dell'Officio  delle  Acque  per  questo  negocio.  Si  conferissemo  adonque  sopra 
il  luogo,  et  considerata  ogni  cosa  con  quella  diligentia  che  bisognava,  tro- 
vassimo che  questa  atterration  è  causada  principalmente  da  questo  Fiume 
chiamato  Fiumesin,  il  qual  sboccando  in  questa  lacuna,  et  portando  del 
continuo  da  questi  monti  et  luoghi  superiori  coltivati  nova  materia,  vien 
ogn'  hora  più  a  causar  mazor  atterramento  azzonzendovese  questa  strada 
battuda  che  vien  dal  continente  di  Terraferma  al  Castello,  et  queste  saline 
che  sono  dall'  una  et  1'  altra  parte  di  essa  ;  quale  con  la  sacba  che  si  fa 
nelli  anguli  di  quelli,  vieneno  mazormente  ad  accrescere  essa  atterratione 
verso  la  Città,  aggregandosi  massime  et  conzonzendose  con  le  immonditie 
che  scolano  da  quella.  Oltre  che  sotto  questo  ponte,  che  la  vede,  et  dalle 
bande  gh'è  il  terren  cosi  alto  et  duro,  che  non  solamente  dà  impedimento 
che  l'acqua  che  vien  dalla  parte  destra  et  sinistra  non  possi  unirsi,  et  haver 
il  suo  libero  corso,  ma  anche  se  ghe  poderia  caminar  sopra,  et  transitarghe 
con  cavalli  et  con  carri,  et  questo  è  perchè  altre  volte  ghe  era  strada  et 
fu  fatto  il  ponte  con  intention  di  cavarla  né  fu  mai  cavata. 

Concludessemo  però  di  ricordar  riverentemente  alla  Serenità  Vostra 
che  fosse  prima  bisogno  di  remover  le  cause,  et  quanto  al  resto  far  (se 
non  quella  provision  che  fosse  necessaria),  quella  che  si  potesse  ;  rispetto 
alla  molta  spesa  che  andaria  a  cavar  tutta  la  palude,  et  la  principal  dovesse 
esser  la  diversion  del  ditto  fiume  co  '1  farlo  scorrere  a  costo  questo  monte 
che  va  verso  Isola,  per  questo  alveo  che  se  vede  principiando,  el  qual  essendo 
recavado  et  allungandolo  220  perteghe  in  circa  con  una  cassa  o  doppia 
masiera  raccordata  dal  protho,  si  conduria  a  sboccar  fuori  del  porto,  et 
fontano  dalla  Città  in  mare.  Et  insieme  che  si  continuasse  la  prohibitione 
che  io  ho  fatta  che  non  si  portino  li  ledami  et  altre  immonditie  della  Città 
alle  rive,  come   facevano   per  haverle  più  commode  da  carghar  in  barcha 


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per  portarle  nelle  lor  vigne,  ma  sotto  diverse  pene,  quelle  debbano  metter 
in  luochi  serrati,  acciò  con  le  pioggie  non  scolino  in  essa  laguna,  con 
probibir  anco  che  nell'avvenire  non  fossero  fatte  saline  più  vicine  alla  Citta 
di  quello  che  sono  al  presente,  sì  per  non  strenzer  più  la  laguna,  come  per 
non  accostarsi  tanto  alla  Città,  che  si  perdesse  la  naturai  fortezza  di  quel 
sito.  Et  perchè  da  queste  colline  poste  sopra  questa  parte  di  laguna  detta 
il  slagnon  casca  in  essa  al  tempo  delle  pioze  (come  ho  detto)  molta  acqua 
con  molta  terra  levata  da  questi  terreni  superiori,  la  quale  accresce  essa 
atterration  in  quel  luogho,  però  saria  bene  che  si  facesse  una  inasterà  doppia, 
la  quale  con  le  sue  estremità  si  intestasse  con  li  arzeri  delle  saline  confi- 
nante, facendola  lontana  dalli  terreni  perteghe  15  in  20,  acciò  che  quel  vacuo 
fosse  ricetto  dell'acqua  dolce  et  terra,  che  ghe  cadesse,  la  qual  acqua  poderia 
uscir  per  una  picciola  apertura  alla  volta  di  quest'altro  fiume  detto  Risan, 
il  qual  fiume,  se  ben  da  questa  sinistra  parte  della  Città  dà  qualche  danno, 
per  esser  però  lontano  dalla  Città,  et  perciò  il  danno  non  cosi  importante, 
non  mi  par  al  presente  metterlo  in  molta  consideration,  ma  che  si  debbi 
attender  prima  a  quel  che  importa  più,  el  qual  effettuato  che  fosse,  se  poderia 
poi  pensar  de  allontanar  ancho  quel  fiume  dalla  Città. 

Saria  appresso  necessario  che  se  cavasse  queste  secche  et  dossi,  che 
ho  ditto  alla  Serenità  Vostra  che  sono  a  longo  il  ponte  dalla  Città  fino  al 
Castello,  che  restano  sempre  con  ogni  acqua  descoverte  et  dure,  acciochè 
l'acqua  podesse  haver  il  suo  libero  corso,  et  recavar  questo  canal  dal  porto 
fino  a  porta  S.  Piero,  che  è  longo  perteghe  460,  fino  alla  larghezza  de 
passa  io  in  circa,  che  fosse  profondo  piedi  cinque  sotto  il  commini  del- 
l' acqua,  il  che  causeria  che  1'  acqua  poderia  liberamente  scorrer,  et  daria 
commodità  notabile  alle  barche  et  vasselli. 

Et  perchè  il  paludo  tutto  ne  resta  scoverto  contien  per  longhezza  dal 
porto  fino  a  porta  S.  Piero  perteghe  460,  come  ho  detto,  et  per  larghezza 
dalla  Città  fino  al  Castello  perteghe  75,  et  dal  Castello  fin  alle  saline  per- 
teghe 186,  et  chi  volesse  cavarlo  tutto,  come  faria  bisogno  vi  andaria  molta 
spesa,  havevemo  deliberado  di  dirle,  che  nostra  opinion  saria  stata  di  cavar 
per  adesso  essa  palude  solamente  dalla  Città  fin  al  Castello,  così  profonda 
quanto  concedesse  la  maggior  seccha,  che  saria  di  doi  piedi  in  circa,  ac- 
ciocché in  ogni  tempo  restasse  coperta  dalle  acque,  dalli  quali  remedij  se 
ne  veneria  a  ricever  questi  beneficij  che  si  allontaneria  il  paludo  dalla  Città, 
et  si  potria  sperare,  che  essendo  remosse  le  cause  di  esso  atterramento,  così 
del  fiume  come  delle  immonditie  della  Città,  che  restando  sempre  quella 
parte  coperta  dalle  acque  potesse  con  el  flusso  et  reflusso  di  essa  andar 
ricevendo  sempre  maggior  beneficio,  ma  con  certezza  renderla   1'  aere  più 


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fresco  et  purgado,  et  più  sano,  et  a  questo  modo  anche  si  conservaria  in 
parte  quel  naturai  sito  di  sicurezza  nel  quale  è  posta  essa  Città. 

Haveressimo  di  tutto  questo  dato  conto  alla  Serenità  Vostra,  ma  perchè 
havessimo  dal  ditto  protho  che  in  tutta  questa  fattura  si  potriano  spender 
d'intorno  a  ducati  iim  in  circa,  volendo  noi  intendere  dalli  Sindici  di  quella 
Communità,  se  la  offerta  altre  volte  fatta  di  tre  rottuli,  che  intendevano 
che  fosse  iom  opere,  fosse  stata  in  pronto  per  questo  bisogno,  che  questa 
loro  offerta  era  incerta,  rispetto  che  essendo  molto  tempo  che  non  se  riaveva 
fatto  il  loro  estimo,  le  cose  havevano  bisogno  di  nova  regulatione,  onde 
fu  necessario  di  differir  la  risposta  fino  alla  riformatione  del  ditto  loro  estimo, 
la  quale  per  diversi  accidenti  fin'  hora  non  hanno  mai  fornita,  et  per  giudicio 
mio  principalmente  perchè  per  la  stretczza  delli  anni,  et  per  la  loro  ordinaria 
povertà  giudicavano  impossibile  poter  effettuar  quanto  havevano  promesso. 
E  veramente,  Serenissimo  Principe  quella  Città,  et  in  commune,  et  in  par- 
ticolare è  così  povera,  che  io  giudico  cosa  molto  difficile  (per  non  dir  im- 
possibile), che  se  possi  haver  da  loro  in  alcun  tempo  aiuto  d' importanza, 
con  tutto  questo,  essendo  1'  opera  così  necessaria,  né  andandovi  maggior 
spesa  di  quella  che  ho  detto,  giudico  che  sia  necessario  farla  nel  miglior 
modo  che  si  potrà,  perchè  in  vero  (come  ben  sa  Vostra  Serenità)  in  tutta 
la  provincia  dell'  Istria  ella  non  ha  luogo  che  in  occasion  de  bisogno  potesse 
far  qualche  resistenza  a  nemici,  et  salvar  li  habitanti,  et  sostanze  di  quella, 
fuor  che  essa  Città,  la  quale,  se  ben  non  è  fortezza  reale,  nondimeno  per 
la  sicurtà  del  sito  in  che  la  è  posta,  poderia  per  qualche  tempo  deffendersi; 
et  però  fu  degno  di  molta  laude  quel  Clarissimo  gentil'  huomo  che  ricordò 
che  si  dovessero  descriver  in  quella  provincia  i  soldadi  delle  Ordinanze,  i 
quali  non  solamente  in  occasion  de  bisogno  possono  difender  il  paese,  ma 
anche  esser  introdotti  in  essa  Città  per  sua  diffesa. 

Queste  Ordinanze,  Serenissimo  Principe,  fin'  hora  sono  in  numero  di 
2400  sotto  sei  capi,  et  si  potriano  anche  accrescer  facilmente  fino  ai  n.ro 
di  3000,  descrivendone  in  luoghi  ove  non  sono  stati  descritti,  perchè  essendo 
nel  territorio  di  Parenzo,  come  ho  hauto  informatione  cento  et  più  vicini 
Morlachi,  nel  territorio  di  Cittanova  320,  in  quello  di  Humago  120,  si 
potriano  tra  questi  cavar  facilmente  200  buoni  soldati.  In  Isola  poi,  che 
non  vi  è  marinarezza,  né  fanno  altre  fattioni,  né  hanno  saline,  si  potria  tar 
scelta  di  150  buoni  huomeni  et  150  a  Muggia  che  non  ha  marinarezza  et 
confinano  con  Regij;  et  questi  si  potriano  divider  sotto  li  medesmi  Capi, 
,che  vi  sono,  secondo  che  fossero  più  commodi,  acciò  che  la  Serenità  Vostra 
non  havesse  maggior  spesa.  Li  altri  cento  poi  che  mancheriano,  si  potriano 
descriver  in  altri  luoghi  et  spetialmente  in  Buggie,  ove  non  è  stato  descritto 


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alcuno,  se  non  del  territorio,  pretendendo  quelli  della  terra  (non  so  con 
che  ragione)  non  dover  esser  descritti,  et  se  ben  ho  fatto  più  volte  instantia 
a  quelli  Magnifici  Rettori  che  volessero  descriver  quelli  che  fossero  atti  a 
questo  servitio,  si  come  è  stato  fatto  anche  in  Montona,  et  altri  luochi  fra 
terra,  non  ho  mai  potuto  spontare.  Non  so  però  come  questi  voglino  esen- 
tarsi et  metter  il  cargo  solamente  sopra  quelli  del  territorio,  li  quali  però 
sono  pochi,  et  godono  loro  quel  beneficio  che  non  gode  alcun  altro  di 
quella  provintia. 

A  questo  modo  adunque  la  Serenità  Vostra  haveria  3m  huomini  tutti 
buoni  archibusieri,  delli  quali  in  occasion  de  bisogno,  la  se  ne  potria  valere 
in  ogni  cosa  per  esser  molto  atti  al  patire. 

Queste  Ordinanze  (come  ho  anche  scritto  diverse  volte  alla  Serenità 
Vostra),  quelle  però  di  quel  territorio,  che  le  altre  non  ho  possuto  vedere 
per  la  causa  eh'  io  dirò  più  a  basso,  sono  hormai  ridotte  in  così  buoni 
termini  per  la  diligentia  di  quel  Governador,  il  qual  certo  non  manca  mai, 
ne  in  questa,  né  in  altra  cosa  per  servitio  della  Sublimità  Vostra,  esercitando 
honoratamente  il  suo  cargo,  che  se  ne  può  sperare  ogni  buona  riuscita  ; 
ma  per  verità,  mancando  ancora  mille  morioni  di  quelli  che  si  doveva  mandar 
in  esecution  della  parte  dell'  Eccellentissimo  Senato,  si  può  dire  che  non 
possino  compitamente  esser  esercitati,  dovendo  neh'  esercitatione  assuefarsi 
anche  al  portar  dell'armi.  Ne  scrissi  perciò  alla  Sublimità  Vostra  fin  questo 
Maggio  passato,  acciò  che  la  si  degnasse  di  dar  ordine  che  fossero  mandati 
et  migliori  delli  altri  ;  né  fin'  hora  è  stata  fatta  cosa  alcuna,  onde  convegno 
hora  di  novo  riverentemente  raccordarle,  che  le  piaccia  di  farli  mandare 
quanto  prima,  acciò  non  restino  senza,  come  hanno  fatto  fin'  a  quest'  hora. 

La  causa  mò  Serenissimo  Principe,  eh'  io  non  ho  possuto  vedere  il 
resto  di  esse  Ordinanze,  come  desiderava,  ne  andare  in  visita,  o  in  pasna- 
dego  (come  lo  chiamano),  è  proceduto  così,  perchè  essendo  stata  questi  anni 
per  la  penuria  di  tutte  le  cose  quella  provintia  in  grandissima  povertà,  et 
miseria,  non  bisognava  dissegnar  di  darle  alcuna  spesa,  o  accrescerle  maggior 
aiflittione,  essendo  obligata  ad  una  parte  delle  spese  che  si  fanno,  come 
perchè  anco  quella  Camera,  che  suol  fare  il  resto  della  spesa,  è  stata  et  è 
così  eshausta  per  la  nova  assignatione  fatta  dalli  Clarissimi  sopra  la  scrittura, 
che  appena  si  ha  havuto  danari  da  pagar  le  bollette  ordinarie.  Queste 
adonque  sono  state  le  cagioni  che  non  m'  hanno  lasciato  vedere  el  resto  delle 
Cernede  della  provintia,  ma  di  quelle  del  territorio  di  Capodistria,  che  sono 
due  Compagnie  di  400  fanti  l'una  guidate  et  commandate  dal  Capitano  de 
Schiavi,  et  dal  Capitano  Antonio  Lugnano  ;  di  queste  io  posso  parlarle  con 
fondamento  certo,  havendole  vedute  più  volte  esercitare,  et  quando  unite, 

7 


-98- 

et  quando  separate  ;  et  per  la  verità,  Vostra  Serenità  ha  da  questi  due  Capi 
buono  et  conveniente  servitio,  et  se  ben  il  Capitano  de'  Schiavi  si  trova 
hormai  in  molta  età,  fa  tuttavia  quanto  può,  et  con  la  presentia  et  con 
1'  ardente  et  pronto  animo  et  consiglio  suo,  tenendo  apresso  un  Sergente 
di  molta  esperienza,  oltre  che  ancho  ha  destinato  a  questo  cargo  partico- 
larmente un  suo  Nipote,  giovane  di  molta  speranza,  il  quale  con  la  diligentia 
che  usa,  et  con  il  desiderio  che  ha,  promette  alla  Serenità  Vostra  fruttuoso 
servitio  ;  et  certo  Serenissimo  Principe,  che  in  tutto  el  tempo  del  mio  Reg- 
gimento ho  conosciuto  in  esso  Capitanio  de  Schiavi  una  singoiar  fede  et 
devotione  verso  la  Serenità  Vostra,  et  un  desiderio  ardentissimo  del  benefficio 
delle  cose  sue,  onde  io  l'ho  amado  et  stimado  assai;  perchè  anche  in  oc- 
casion  de  bisogno  saria  atto  a  persuader  et  far  far  ogni  cosa  a  quelli  populi, 
dalli  quali  è  grandemente  amato  et  honorato. 

Ha  in  quella  sua  Città  la  Sublimità  Vostra  una  scola  di  bombardieri 
descritti  già  al  n.ro  di  50,  se  ben  al  presente,  per  morti,  et  diversi  altri 
accidenti,  non  sono  più  che  44.  Ma  perchè  nelle  lettere  de  Vostra  Serenità 
vien  detto  che  fossero  descritti  se  non  quelli  che  volontariamente  volessero 
entrar  nella  ditta  schola,  convegno  perciò  dirle  che  la  maggior  parte  di  quelli 
che  sono  stati  descritti,  e  si  può  dir  la  forza  della  Città,  che  non  si  hanno 
fatto  descriver  per  altro  che  per  portar  le  arme,  et  dar  molestia  a  questo 
et  quello,  onde  io  crederla  che  fosse  bene  rimetter  al  Reggimento  di  quella 
Città,  che  potesse  descriver  tutti  quelli  che  ghe  paresse  che  fossero  a  pro- 
posito per  questo  servitio,  fino  al  n.ro  di  100,  giusta  la  parte,  che  si  tro- 
veriano  facilmente,  et  la  Serenità  Vostra  ne  haveria  in  ogni  occasione  buon 
servitio. 

È  la  Città  di  circuito  d'  un  miglio  et  mezo  in  circa,  una  gran  parte 
di  essa  quasi  rovinada  et  mal  habitada,  il  che  è  successo  per  il  contagio 
che  fu  l'anno  1556,  onde  non  è  meraviglia  se  non  vi  sono  in  essa  più  che 
anime  4252,  tra  quali  ne  sono  da  fatti  solamente   1200. 

Vi  è  in  essa  Città  una  assai  conveniente  monition  d'arme,  con  diversi 
pezzi  d' artellaria,  governata  et  tenuta  con  diligentia  da  Antonio  San  torio, 
capo  de  bombardieri. 

Tien  la  Serenità  Vostra  alla  guardia  di  questo  Castello  verso  Terra 
ferma,  chiamato  Castel  Lion,  un  Capitano  con  otto  soldadi,  il  qual  Castello, 
se  ben  non  è  forte,  ritrovandosi  però  per  sito  in  mezzo  questa  strada,  et 
'  questi  paludi,  si  potria  in  ogni  bisogno  abbassarlo  fin  al  cordon  et  empirlo 
servendosene  per  un  cav.r  Et  perchè  nel  numero  di  essi  soldadi  haveva 
obligo  di  far  la  guardia  il  Sergente  del  Capitanio  de  Schiavi,  quel  tempo 


—  99  — 

però  che  non  era  occupato  nel  esercitar  le  Ordinanze,  tirando  perciò  doppia 
paga,  havendo,  quando  io  entrai  a  quel  Reggimento,  veduto  che  in  niun 
tempo  questo  Sergente  adempiva  il  suo  obbligo  di  star  nel  Castello,  le  feci 
intendere  che  era  mia  opinione  che  lui  facesse  quanto  era  tenuto,  poiché 
così  commettevano  le  lettere  della  Serenità  Vostra  ;  il  che  inteso  da  lui  si 
lasciò  intendere  che  non  poteva  ciò  fare,  et  si  rissolse  di  rifiutar  quel  cargo 
come  lece,  di  che  ne  diedi  anco  conto  alla  Sereniti  Vostra,  et  le  dissi,  come 
le  dico  al  presente,  che  non  è  possibile  che  il  Capitano  de'  Schiavi  con 
così  poca  pagha,  et  con  quell' obligo  possi  haver  huomo  che  sia  buono  a 
quel  servizio,  et  che  era  perciò  necessario  che  la  Serenità  Vostra  facesse 
alcuna  provisione  sopra  questa  cosa;  altrimente  il  detto  Castello  saria  restato 
con  un  soldato  di  manco.  Et  perchè  non  è  stata  presa  alcuna  rissolutione, 
son  stato  necessitato,  acciocché  si  facesse  1'  essercitatione  delle  Ordinanze, 
permetter  che  esso  Sergente,  ritrovato  da  novo  dal  detto  Capitano,  huomo, 
come  ho  detto,  d'  esperienza,  fosse  libero  da  detta  fattione  fino  ad  altro 
ordine  suo.  Et  a  questo  proposito  le  dirò,  che  il  detto  Capitano  in  un  certo 
modo  si  rissente,  che  tutti  li  Sergenti  delli  altri  Capitani  siano  liberi  da 
ogni  fattione,  et  che  lui,  che  è  stato  quello  che  ha  raccordato  queste  Or- 
dinanze, habbi  questa  disgratia  di  haver  il  suo  così  obligato. 

Ha  anche  in  quella  Città  la  Serenità  Vostra,  come  lo  sa,  una  Camera, 
la  quale  è  assai  povera,  non  havendo  d'entrada  un'anno  per  l'altro  più  di 
ducati  2400  in  circa,  et  di  spesa  ducati  2500  in  circa,  talmente  che,  come 
per  questo  conto  si  può  veder  particolarmente,  computadi  li  danari,  che  si 
trazeno  delli  dati)  destinati  per  la  nova  regolatione  all'Officio  sopra  le  Ca- 
mere, che  quest'anno  si  sono  affittati  ducati  novecento  e  quindese  et  lire 
quattro,  ha  hauto  di  spesa  più  che  d'entrata  quest'anno  lire  690  soldi  4. 
Et  perchè  tra  li  datij  che  s' incantano  per  quella  Camera  vi  è  quello  delli 
soldi  2  per  secchio  del  vino  che  si  estraze  per  terre  aliene,  voglio  riveren- 
temente raccordarle,  che  questo  datio  fu  posto  sopra  tutta  l' Istria,  ma  non 
è  stado  affittado  se  non  in  quella  Città  et  suo  territorio,  et  nelli  luochi 
sottoposti  a  quella  giurisdittione,  restando  esenti  li  altri,  et  spetialmente 
Piran,  Raspo,  et  Montona  con  suoi  territorij,  dalli  quali  luoghi  estrazendosi 
delli  vini,  né  pagandosi  questo  datio,  la  Serenità  Vostra  vien  a  patir  quel 
danno.  Oltre  che  vi  sono  anche  le  terre  di  Muggia,  et  Isola,  alle  quali  è 
stato  concesso  il  detto  datio,  come  ho  inteso,  per  ducati  cinquanta  per  uno 
all'anno  per  cinque  anni,  li  quali  finiscono  al  presente;  il  che  è  di  molto 
danno  alla  Serenità  Vostra,  perchè  si  affittaria  molto  più,  et  anche  la  Città 
di  Capo  d' Istria  ne  riceve  notabil  danno,  perchè  questi  havendo  esso  datio 
per  pochissimo  pretio,  fanno  anche  pagar  o  poco  o  niente  alli  forestieri,  et 


IOO 


a  questo  modo  desviano  il  corso  di  quella  Città  con  doppio  danno  della 
Serenità  Vostra.  Saria  però  di  molto  beneficio  a  giuditio  mio  che  esso  datio 
fusse  affittato  in  tutti  li  luochi  dell'  Istria,  si  come  a  principio  fu  la  mente 
sua,  et  si  potria  fare  che  le  communità  di  essa  provintia  più  basse  portassero 
il  denaro  a  Raspo,  come  doveriano  fare  anche  di  tutto  quello  della  Serenità 
Vostra  che  scuodeno  quelli  Rettori,  et  decime  che  pagano,  del  quale  non 
so  come  se  ne  vedi  buon  conto.  Et  si  potriano  obligare  li  detti  Rettori, 
che  non  potessero  andar  a  capello,  né  esser  provati  ad  alcun  Officio,  se 
non  portassero  fede  da  essi  Clarissimi  di  Raspo  di  haver  soddisfatto  al  loro 
debito.  Et  così  quelli  sottoposti  a  Capo  d' Istria,  et  altri  vicini  a  quella  città 
dovessero  fare  il  medesimo.  Nella  qual  camera  di  Capo  d'  Istria,  havendo 
il  mio  precessore  scoperto  molte  falsità  et  intachi,  cosi  a  danno  della  Su- 
blimità Vostra,  come  di  altri  particolari,  fatte  da  un  Hieronimo  Mazzuchi 
all'  hora  Scontro  sostituto  di  un  Bello  di  Ambrosi  patron  di  esso  Officio, 
lo  convenne  bandir  perpetuamente  ;  il  che  fatto,  fece  commetter  per  l'Officio 
delle  rason  vecchie  al  sudetto  Bello  Scontro,  che  dovesse  o  andar  lui,  o 
mandar  persona  buona  et  sufficiente  per  regular  essa  scrittura.  Ma  non 
essendosi  mai  curato  lui,  né  di  andar,  ne  di  mandar  persona  atta  a  questo 
cargho,  convenne  esso  mio  Precessore  commettere  a  M.  Virginio  Sala  cit- 
tadino di  quella  Città,  huomo  di  molta  bontà  et  esperienza,  che  dovesse 
entrare  in  detta  Camera  et  regular  essa  scrittura,  la  qual  era  tutta  confusa 
et  con  molti  errori,  et  viciature,  come  ho  detto,  et  ha  continuato  anche  di 
mio  ordine,  et  redutta  essa  scrittura  (si  può  dire)  in  perfetto  stato. 

Credo  haver  detto,  Serenissimo  Principe,  Illustrissimi  et  Eccellentissimi 
Signori,  con  brevità  quelle  cose  che  ho  stimato  esser  più  necessario  di  rac- 
cordar alla  Serenità  Vostra  et  alle  V.  S.  Illustrissime  et  Eccellentissime,  in 
proposito  della  Città,  et  con  la  medesima  brevità  dirò  ancho  quelle  del 
territorio. 

Ha  la  Serenità  Vostra  in  esso  territorio,  per  la  descrittione  ultimamente 
fatta,  anime  in  tutto  6577,  computadi  li  contorni,  delle  quali  ne  sono  da 
fatti  1468  ;  et  in  quello  vi  sono  sei  castelletti  o  recettaculi  per  incursion 
de  nemici,  et  questi  sono  Ospo,  Popecchio,  Antignan,  Cristoia,  Covedo  et 
Valmorasa,  con  altre  torrete  sparse  per  esso  territorio,  dove  al  tempo  di 
esse  incursioni  li  poveri  possono  riponer  le  loro  robicciuole. 

Sono  le  terre  di  questo  territorio,  come  ben  sa  la  Serenità  Vostra,  assai 

•  aride,   onde  sì  per  questo    come  anche  per  il  poco    numero  de  habitatori, 

poiché  in  43  ville  che  vi  sono,  non  vi  sono  più  che  le  anime  sudette,  et 

per  la  naturai   loro   negligenza  in  coltivarle  a  grano,   si  traze   pochissima 


IOI 


quantità  di  formenti  attendendo  questi  per  loro  natura  et  ordinario  con  tutti 
li  loro  spiriti,  alle  vigne  et  al  vino,  del  quale  se  ne  cava  assai  copia  che 
supplisce  al  bisogno  non  solo  di  essa  Città  et  territorio,  ma  se  ne  traze  assai 
quantità  da  forastieri  per  li  luochi  superiori. 

Produce  anco  esso  territorio  mediocre  quantità  di  ogli  suavissimi,  et 
ne  produrla  anche  molto  più,  quando  fossero  piantati  delli  olivi  nelli  luochi 
ove  bisogneria,  essendo  il  terreno  molto  atto  et  buono  a  questa  cultivatione, 
et  essendovi  grandissima  quantità  di  luochi  vacui,  nel  qual  proposito  mi 
par  di  dirle,  che  essendomi  stato  scritto  dal  Clarissimo  Proveditor  dell'  Istria 
che  dovesse  a  nome  della  Serenità  Vostra  far  descriver  il  numero  delli  olivari, 
che  si  ritrovano  in  esso  territorio,  et  destretto,  ho  ritrovato  che  sono  alla 
Stimma  de  153,288,  et  che  un  anno  per  l'altro  se  ne  può  cavare  orne  3000 
di  oglio,  il  quale  si  dispensa  a  questo  modo  ;  per  il  bisogno  della  Città  et 
territorio  orne  1000  in  circa,  orne  500  vien  condotto  per  terra  nelli  luochi 
arciducali,  et  il  restante  si  dispensa  per  il  Friuli,  eccettuando  qualche  poco 
che  si  conduce  in  questa  Città. 

Sono  questi  ogli  cosi  buoni  et  così  delicati,  et  cosi  commodi  a  questa 
Città,  che  crederla  che  fosse  cosa  buonissima  che  si  pensasse  et  procurasse 
di  cavarne  maggior  quantità  che  fosse  possibile,  et  perciò  forse  che  saria  a 
proposito  che  la  Serenità  Vostra  accommodasse  li  poveri  che  non  hanno  il 
modo  di  comprarne  per  piantare,  di  tre  o  quattro  soldi  per  piede  che  pian- 
tassero, dovendo  essi  olivi  restar  sempre  obligati  per  questo  imprestido.  Et 
a  questo  modo,  la  veneria  ad  accommodar  quelli  poveri  con  beneficio  del 
suo  datio  et  commodo  di  questa  Città. 

Mi  resta,  Serenissimo  Principe,  di  raccordarle  una  cosa  non  manco  et 
forse  più  importante  di  tutte  le  altre,  che  è  la  materia  de'  roveri  così  ne- 
cessarij  alla  Casa  dell'Arsenal,  come  ben  la  sa,  delli  quali  ne  soleva  esser 
gran  quantità  in  quella  provincia,  ma  perchè  da  40  anni  in  qua,  non  se 
ne  è  fatta  alcuna  descrittione,  li  huomini  si  hanno  fatto  lecito  tagliarne  in 
grandissima  quantità,  perchè  se  ben  alcuno  da  Retori  ne  vien  castigato,  sono 
così  pochi  li  denontiati,  o  querellati,  che  questo  non  provede  a  così  fatto 
disordine,  onde  per  ciò  è  necessario  pensarvi  et  provedervi. 

Nell'ultima  descrittione  che  già  fu  fatta  furono  descritti,  secondo  l'or- 
dinario, tutti  li  legni  buoni,  et  per  venir  buoni,  descrivendo  le  ville,  le 
contrade,  et  particolarmente  in  ogni  luoco  quanti  ve  ne  erano,  consignandoli 
alli  patroni  delle  terre,  et  Zupani  delle  ville,  et  facendone  far  nota  distinta 
et  particolare  a  luoco  per  luoco,  et  lasciando  questa  nota  nelle  cancellarie, 
facendo  in  essecution  delle  leze  proclami,  che  nessun  havesse  ardire  di 
toccarli;  la  qual  provisione  può  essere  che  durasse  per  qualche  tempo;  ma. 


102 


non  essendosi  mai  dall'  hora  in  poi  fatta  altra  descrittione,  né  ravvivata 
questa  provisione,  ne  è  stata  destrutta  gran  quantità  con  tanto  danno  della 
Serenità  Vostra  quanto  la  se  può  benissimo  imaginare,  et  specialmente  per 
causa  delli  stortami,  de'  quali  la  ne  ha  tanto  bisogno,  non  ne  essendo  stati 
trovati  per  la  descrittione  che  ho  fatto  fare  ultimamente  in  quel  territorio, 
se  non  mille  e  cento  da  piedi  nove  in  suso  buoni  per  gallere. 

Raccordarla  adonque  reverentemente  alla  Serenità  Vostra  che  quanto 
prima  si  mandasse  un  patron  della  casa  dell' Arsenal,  o  quando  paresse  de 
restar  per  la  spesa,  commetter  questo  cargo  al  Clarissimo  Proveditor  nel- 
l' Istria,  che  dovesse  cavalcar  per  tutto,  tolendo  luogo  per  luogo,  et  descri- 
vendo li  buoni,  et  per  venir  buoni,  et  osservando  a  ponto  tutto  quello  che 
fu  osservato  nell'  ultima  descrittione,  come  ho  detto,  che  a  questo  modo 
si  vederiano  li  errori  passati,  et  si  veneria  a  proveder  che  non  succedessero 
nell'avvenire  questi  inconvenienti.  Nel  qual  proposito  mi  sovviene  dirli,  che 
crederla  che  fusse  necessario  che  uno  almeno  delli  quattro  deputadi  della 
provintia,  che  hanno  il  carico  di  far  le  compartite  delli  tagli  et  carezi  che 
occorreno  farsi  per  il  bisogno  della  Serenità  Vostra,  tenisse  un  libro  ben 
regolato  nel  quale  vi  fossero  per  alfabeto  notate  le  città,  terre,  castelli,  ville 
et  contrade  con  il  numero  de  legni  che  fossero  in  quelle,  et  all'  incontro 
notar  il  tratto  delli  legni  che  si  farà  di  essi  luochi,  acciò  che  sempre  si  possi 
veder  dove  sono  andati  essi  roveri. 

Ma  perchè  non  solamente  fa  bisogno  attendere  alla  conservatione  de 
quelli  che  sono  già  in  essere,  ma  ancho  procurare  che  ne  siano  allevati 
nell'avvenire,  essendo  statuito  pena  per  le  leze,  non  solamente  a  quelli  che 
ne  tagliano,  ma  anche  alli  patroni  delli  luochi  ove  fossero  tagliati,  succiede 
che  quando  alcuno  vede  nascer  alcun  rovere  nelli  suoi  luochi  subito  lo  cava,  et 
sterpa  come  suo  nemico  non  possendone  di  quello  ricevere  se  non  danno,  et 
perciò  forse  che  saria  bene  che  poi  che  sono  sottoposti  alla  pena  quando  li 
siano  tagliati,  havessero  anche  qualche  premio  quando  la  Casa  se  ne  servisse. 

Non  posso  né  debbo  tacere  alla  Serenità  Vostra  un  disordine  che  è  in 
detta  Città,  che  ciede  a  grandissimo  danno  et  pregiuditio  de  poveri,  al  qual 
stimarei  che  fosse  necessario  provedere  per  sollevatone  di  essi  poveri,  che 
è,  che  essendo  tutte  le  sententie  (quelle  però  che  fa  come  giudice  di  prima 
instanza)  appellabili,  etiam  che  siano  di  minima  quantità  di  denaro,  quando 
alcun  creditor  fa  sententiar  il  suo  debitore,  quello  incontinente  interpone 
l' appellatione,  onde  il  povero  creditore  o  conviene  con  sua  grandissima 
spesa  venirsene  in  questa  Città,  overo  (come  succiede  ben  spesso  nelli  poveri) 
è  necessitato  ad  abbandonar  il  suo  credito,  come  ho  veduto  con  molto  mio 
dispiacer  esser  successo  in  molti.  Si  potria  però,  quando  cos'i  piacesse  alla 


—  103  — 

Serenità  Vostra,  statuire  che  le  Sententie  di  quel  Reggimento  fino  a  una 
certa  summa,  come  saria  di  ducati  diese  in  circa,  fussero  inappellabili,  si 
come  sono  tutte  le  sententie  che  si  fanno  nelle  cause  d'appellatione  di  quelli 
luochi  che  sono  sottoposti  a  quella  giurisdittione,  li  quali  perciò  ne  sentono 
grandissima  sollevatione  et  contento,  per  la  comodità  che  hanno  di  poter 
haver  li  suffraggij  commodi.  Nel  qual  proposito  le  dirò  anche  che  il  resto 
delli  luochi  di  quella  povera  provincia  che  vengono  in  appellatione  a  Venezia, 
riceveno  notabile  benefficio  et  spetialmente  la  povertà  quando  havessero 
luoco  dove  potessero  esser  suffragati  de  li,  da  Magistrato  superiore,  perchè 
ne  succiede  anche  in  questi  quello  che  occorre  in  Capo  d' Istria,  che  quando 
un  povero  ha  da  far  con  un  ricco,  non  possendo  esso  povero  venir  de  qui 
a  diffendere  le  ragion  sue,  se  ne  convien  restar  oppresso.  Onde  quando  non 
paresse  alla  Serenità  Vostra  di  fare  che  ancho  questi  luochi  godessero  il 
medesimo  beneficio  che  godeno  li  altri  sottoposti  a  detta  giuridittione,  si 
potria  almeno  dar  authorità  al  medesimo  Reggimento  di  Capo  d' Istria  che 
da  una  certa  summa  in  su  potesse  intromettere  le  sententie  sdii  Eccellentis- 
simi Consigli  di  questa  Città,  et  da  quella  summa  in  giù  ne  fosse  deffinitore. 

(Serie  Relationi  —  Registro  4 —  1575-1576  già  Codice  Brera  n.  196 
pag.   159  a   166). 

(Continua) 


DI  UN  GRAMMATICO  ISTRIANO 


GIOVANNI  MOISE 


h  pochi  giorni  io  avea  fondata  Lisina,  periodico  settimanale  che  si 
stampa  a  Parenzo,  quando  mi  veniva  recapitato  per  le  poste  un  liber- 
colo, sulla  fronte  del  quale  stavano  scritte  le  seguenti:  «Dono  dell'Autore». 
Era  la  Strenna  Istriana  per  l'anno  1882  di  Nono  Cajo  Baccelli  (anno  X). 

Nono  Cajo  Baccelli  !  chi  diavolo  è  costui,  dissi  fra  me.  Chiestone  a 
qualcuno  notizia,  tanto  per  sapere  chi  io  dovessi  ringraziare,  mi  fu  risposto 
che  N.  C.  Baccelli  non  era  altrimenti  che  un  sacerdote  di  Cherso,  di  nome 
Giovanni  Moise,  grammatico  e  lunarista.  Il  grammatico  era  pronunciato 
scorrevolmente,  come  dire  uno  dei  tantissimi  scrittori  di  grammatiche  che 
nessuno  legge.  Il  lunarista,  invece,  era  detto  a  bocca  piena  e  quasi  in  tuono 
beffardo,  né  più  né  meno  come  si  volesse  significare  un  uomo  strambo,  non 
d'  altro  capace  che  di  far  lunarj,  i  quali  pure  non  si  leggevano  dalle  così 
dette  persone  che  si  rispettano. 

Ma  poiché  mi  messi  a  leggere  la  Strenna  di  sopra,  ne  rimasi  incantato 
alla  chiarezza  e  semplicità  dello  stile,  alla  vivezza  e  purità  della  lingua,  ed 
alla  forma  prettamente  toscana  del  dettato.  O,  com'era  poi  che  io,  nato  e 
cresciuto  in  Istria,  con  una  completa  —  se  anche  inefficace  per  l'utilità  che 
ne  trassi  —  istituzione  di  studj,  non  conoscessi  quasi  neppur  di  nome  una 
persona  tanto   benemerita  e  brava  quale  si  era  1'  Abate  Moise  di  Cherso  ? 


—  106  — 

Per  chi  conosce  con  quali  sistemi  e  da  quali  persone  si  tirava  su  nelle  lettere 
la  nostra  gioventù  circa  trent'  anni  addietro,  non  stenterà  a  persuadersi 
qualmente  potesse  accadere,  come  accadde  a  me  di  fatti,  che  i  nostri  migliori, 
specie  se  rannicchiati  modestamente  in  qualche  buco  della  nostra  provincia, 
restassero  incogniti  ai  più,  e  sopra  tutto  alla  gioventù  studiosa,  la  quale 
subisce  sempre  la  direttiva  di  coloro  che  sono  chiamati  a  indirizzarla.  Arrogi 
ancora,  che  i  tempi  non  corrono  molto  propizj  per  lo  studio  della  lingua 
e  della  grammatica  propriamente  tali  ;  la  politica  e  le  scienze  esatte  assor- 
bono le  menti  quasi  della  totalità  degli  uomini  colti,  così  di  collocare,  pur 
troppo,  in  ultima  linea  lo  studio  della  nostra  augusta  favella. 

Dalla  prima  lettura  che  feci  della  Strenna  del  Moise,  mi  venne  vaghezza 
di  leggere  anche  le  precedenti,  poi  altre  opere  ancora  dello  stesso  autore, 
e  finalmente  dalla  più  piccola  alla  sua  più  grande  Grammatica.  Quando  mi 
venne  sott'  occhi  quest'  ultima,  io  ne  rimasi  propriamente  sbalordito.  Non 
poteva  persuadermi  che  un  uomo  di  tanti  studj  e  di  tanta  dottrina  si  ri- 
manesse quasi  occulto  ai  miei  comprovinciali,  e,  per  quanto  stava  nelle  mie 
deboli  forze,  cercai  in  tutti  i  modi,  particolarmente  colla  pubblica  stampa, 
di  mettere  lui,  o,  per  meglio  dire  le  sue  opere  in  quella  luce  che  io 
reputava  si  meritassero. 

Devo  dirlo,  il  povero  Abate,  tutto  che  non  mi  conoscesse  di  persona  e 
men  che  meno  di  fama  —  ch'io  non  n'ebbi  né  posso  averne  —  mi  manifestò 
viva  gratitudine.  Subito  da  principio  ci  si  mostrò  quasi  diffidente  della  mia 
ammirazione  per  lui,  tant'  è  vero  che  mi  scriveva  :  «  V.  S.  salta  il  canapo 
e  mi  fa  arrossire  col  troppo  imburrarmi  di  lodi.  Buon  per  me  che  non  sono 
più  dell'erbe  d'oggi  e  che  le  lettere,  le  quali  ricevo  quasi  ogni  giorno,  de' 
più  celebri  letterati  d'Italia,  mi  fan  conoscere  d'essere  un  filologo  nano  (!)  :  se 
no,  correrei  risico  di  alzare  soverchiamente  la  testa  e  di  fare  una  qualche 
sguerguenza.  In  ogni  modo,  la  ringrazio  ecc ». 

Col  tempo  però  seppi  accaparrarmi  la  di  lui  benevolenza  ed  amicizia, 
la  quale  ultima  non  fu  mai  in  me  disgiunta  dall'  ossequiosa  ammirazione. 
Egli  mi  trattava  come  un  figlio,  ed  io  l'amai  come  un  discepolo  —  poiché 
viene  il  giorno  che  il  discepolo  giunge  ad  apprezzare  i  grandi  meriti  e  la 
straordinaria  bontà  del  suo  maestro.  Dico  maestro  ;  ma,  per  mia  sventura, 
io  non  l'ebbi  tale,  e  solo  tardi,  troppo  tardi  affé  mia!  leggicchiai  quei  libri 
che  alla  mia  età  conveniva  aver  già  imparati  e  digeriti.  E  lunga  e  in- 
cessante fu  la  nostra  corrispondenza  epistolare,  e  tale  fa  l' amorevolezza 
^el  Moise  verso  di  me,  da  indursi,  come  vedremo,  ma  non  senza  pressione, 
a  dettarmi  la  sua  autobiografia,  con  una  schiettezza  e  ingenuità  da  parere 
impossibile. 


—  107  — 

Ora,  com'  è  noto,  il  povero  Moise  riposa  da  oltre  un  anno  e  mezzo 
nella  pace  dei  giusti  nel  camposanto  di  Cherso.  La  sua  morte  fu  da  tutti 
compianta,  non  esclusi  i  più  insigni  filologi  e  letterati  d' Italia.  Il  eh.  av- 
vocato Niccoli  Castagna,  valente  filologo  napoletano,  poiché  seppe  del  decesso 
del  Moise,  scrisse  una  lettera  di  condoglianza  alla  di  lui  famiglia,  dicendo, 
fra  altro,  le  precise  :  «  Le  LL.  SS.  curino  di  quel  caro  e  dotto  estinto  le 
opere  e  i  manoscritti,  facciano  stampare  le  commemorazioni  funebri,  fac- 
ciano scrivere  ampiamente  e  stampare  la  vita  di  lui,  e  quanto  altro  crederanno 
e  potranno.  È  un  tributo  alla  sua  memoria  e  insieme  un  dovere  verso  le 
lettere  italiane  tanto  dall'  Abate  Moise  onorate  e  beneficate  ').  —  E  così 
parecchi  altri. 

Ed  ecco  che  mi  sono  proposto  di  scrivere  io  una  biografia  circostanziata 
del  Moise  ;  anzi  mi  sono  proposto,  più  d'ogn'altra  cosa,  di  rilevare  parti- 
colarmente i  di  lui  meriti  come  grammatico  e  come  filologo,  e  ciò  non 
tanto  per  i  dotti  ed  i  letterati,  quanto  per  quelli  de'  miei  comprovinciali  — 
e  ne  sono  ancor  troppi!  —  che,  come  me  fino  al  1882,  non  hanno  avuto 
il  bene  di  conoscere  le  opere  di  lui  e  il  posto  che  gli  è  assegnato  nelle 
lettere  italiane.  Imperocché  il  Moise  non  sia  soltanto  una  gloria  istriana,  ma 
sì  bene  una  gloria  italiana  ;  e  non  di  quelle  effimere  e  passeggere,  ma  di 
quelle  reali  incontestate  e  durature. 

Ma  come  farò  a  parlare  d'  un  grande  filologo  e  grammatico,  io  non 
filologo,  io  non  grammatico?  Questo  scrupolo,  per  verità,  m'è  sorto  spesso 
nell'animo,  e  con  tale  prepotenza  da  farmi  tentennare  nell'arduo  compito, 
di  troppo  superiore  alle  mie  forze.  Ma  poi,  dubitando  che  il  Moise  potrebbe, 
per  incuria,  per  ignavia  o  per  impotenza  dei  più,  rimanersene,  morto,  nel- 
l' oblio  dei  suoi  comprovinciali,  al  modo  istesso  che  rimase  negletto,  in 
suo  vivente;  e  tardando  a  me  ancora  di  fare  alcuna  cosa  verso  l'uomo  che 
ho  tanto  amato  e  stimato  in  testimonianza  appunto  del  mio  amore  e  della 
mia  stima  verso  di  lui;  ho  pensato  di  rompere  gl'indugi  e  di  scrivere,  come 
so  e  posso,  questa  biografia,  chiedendone  perdono,  prima  alla  venerata  ombra 
del  Moise,  poi  ai  veri  cultori  delle  belle  lettere  italiane,  se  mi  sono  arrischiato 
in  questa  impresa. 


')  Devo  alla  gentilezza  ed  alla  pietà  del  sig.  dott.  Gianpietro  Moise,  nipote  dell'Abate, 
questo  brano  di  lettera  ed  altre  molte  indicazioni  che  via  via  mi  vennero  in  bene  nel 
corso  di  questo  lavoro.  A  lui  dunque  devo  moltissimo,  e  ne  lo  ringrazio  ora  pubblicamente 
tanto  tanto. 


—  108  — 

Del  resto  mi  preme  subito  di  avvertire  il  benigno  lettore  che  io,  nelle 
questioni  filologiche  e  grammaticali  particolarmente,  ho  cercato  di  riprodurre 
sempre,  o  quasi  sempre,  i  concetti  e  le  idee  del  Moise,  senza  inframmettere 
alcuna  cosa  del  mio.  In  questo  adunque  ho  voluto  seguire  il  sistema  biblio- 
grafico, che  mi  pare  il  più  esatto  e  meglio  rispondente  allo  scopo  che  mi 
sono  prefisso,  che  è  quello  di  far  conoscere  il  Moise  tale  qual'era,  o  cioè 
com'egli  si  manifesta  dal  complesso  di  tutti  i  suoi  scritti. 

Da  ciò  ne  viene  ancora  che,  per  forza  di  circostanze,  e  in  conseguenza 
del  metodo  da  me  seguito,  io  debba  intrattenermi  spesso  in  lunghe  disqui- 
sizioni grammaticali  e  filologiche,  non  atte,  forse,  a  ingenerare  diletto  al 
lettore.  Mia  però  non  è  la  colpa.  Se  le  Grammatiche,  come  ogn'altra  scienza 
affine,  non  sono  dilettevoli  per  i  più,  anche  la  vita,  o  meglio  le  questioni 
e  gli  studj  d'  un  grammatico  ridonderanno  agli  stessi,  necessariamente,  di 
qualche  peso  alla  lettura.  Ma,  in  fine  in  fine,  chi  vuol  conoscer  1'  uomo 
deve  eziandio,  anzi  prima  d' ogn'altra  cosa,  conoscere  il  suo  pensiero.  Ora 
il  pensiero  del  Moise,  quasi  interamente,  fu  assorbito  dalle  infinite  questioni 
che  sorgono  sempre  nella  mente  d'  un  grammatico,  quando  non  sia  un 
grammatico  da  burla.  Il  Moise,  si  sa,  era  un  grande  grammatico,  anzi  il 
primo  grammatico  d' Italia  ;  figurarsi  dunque  se  n'  ebbe  delle  questioni 
riflettenti  la  sua  materia  ! 

Ho  voluto  premettere  questi  brevi  cenni  a  mia  giustificazione,  e  per 
annunziare  subito  il  metodo  da  me  seguito.  Se  non  avrò  corrisposto  alla 
aspettativa,  s' incolpi  la  mia  impotenza,  non  la  mia  buona  volontà.  Io  sarò 
felice  pertanto  se  qualcuno  sorgerà  dopo  di  me  a  parlare,  con  più  autore- 
volezza e  competenza,  della  vita  e  delle  opere  di  Giovanni  Moise. 


I. 


Sotto  Pola  l'Adriatico  profondo  s' interna  verso  levante  in  un  golfo 
di  mare  che  fa  capo  alla  città  di  Fiume.  Questo  mare  ancor  oggi  è  detto 
Quarnero  o  Quarnaro,  cui  il  Divino  Poeta,  nel  canto  IX  dell'Inferno,  ricorda, 
siccome  quello 

di'  Italia  chiude  e  i  suoi  termini  bagna. 

Parecchie  sono  le  isole  sparse  per  questo  golfo  ;  ma  tre  ve  ne  sono 
di  principali  :  quella  di  Veglia,  l'altra  dei  Lossini  e  la  terza  di  Cherso.  In 
quest'ultima,  che  sta  nel  mezzo  delle  due  prime,  nella  piccola  città  omonima, 


IO')    

ma  capoluogo  dell'  isola  intera,  da  secoli  esiste  una  famiglia,  illustre  per 
molti  titoli  e  per  antica  nobiltà,  detta  dei  Moise.  Originariamente  la  famiglia 
si  chiamava  De  Moysis,  ed  era  ungherese.  Dall'  Ungheria  passò  a  Segna, 
dove  si  fermò  fino  a  circa  l'anno  1400.  Già  nel  1388  ell'era  fregiata  della 
nobiltà  patrizia,  prerogativa  di  quella  città. 

Li  2  gennajo  del  1444  in  pieno  Consiglio  fu  aggregato  alla  nobiltà  di 
Cherso  un  Andreas  de  Moyse  nobilis  de  Signa,  sequens  vestigia  Magnìfici  Ducalis 
Domimi  nostri  Venetiaruin  et  incessanter  operattir  et  sollicitat  honorem  et  aitgn- 
nientnm  proefacti  nostri  Domimi  ut  prosperetnr  et  concrescat  fideliter. 

I  Moise  facevano  parte  del  Consiglio  della  città  di  Cherso  e  coprirono 
le  più  alte  cariche  civili  e  militari,  come  quella  di  Giudice  di  Consiglio 
appartenente  ai  soli  nobili,  o  quella  di  Capitano  di  galera,  e  Comandante 
di  gente  armata.  Alla  battaglia  di  Lepanto  due  fratelli  Moise,  con  due  galere 
armate  a  proprie  spese,  combatterono  per  la  Repubblica  e  diedero  prove  di 
grande  valore. 

II  1  giugno  1603  un  Zorxi  de  Moyse  fu  aggregato  alla  nobiltà  di  Ossero, 
per  la  cui  qualifica  i  Moyse  fecero  poi  parte  della  Comunità  di  Ossero. 
Codesti  Consigli,  in  virtù  dei  rispettivi  loro  privilegi,  avevano  il  diritto  di 
conferire,  oltreché  alle  proprie,  ad  altre  famiglie  ancora  la  nobiltà  ereditaria, 
ciò  che  risulta  da  Decreti  e  Carte  autentiche  de'  Consigli  stessi,  e  confer- 
mate dal  Veneto  Senato. 

Ma  oltre  che  guerrieri  ed  uomini  di  leggi,  la  nostra  famiglia  ebbe  anche 
qualche  letterato. 

Il  cav.  Luciani  ha  rinvenuto  nella  Marciana  di  Venezia  un  libriecino  di 
un  antenato  del  nostro  grammatico,  il  quale  antenato  rispondeva  al  nome 
di  Gio.  Francesco  Moise.  Il  libro  è  una  raccolta  di  rime  amorose  messe 
assieme  e  pubblicate  da  lui,  ma  di  autori  varj  ;  fra' quali  c'è  poi  un  altro 
Moise,  Gentiluomo  Cbersano  di  nome  Giorgio. 

Il  titolo  del  libro  è  questo  : 

Rose  |  d'Amore  |  Raccolte  con  nobil  pensiero  nel  |  Giardino  delle 
Muse  |  Italiane  |  Da  Gio.  Francesco  |  Moise  |  Nell'Accademia  de'  Ca- 
pricciosi |  NOMINATO   IL   FANTASTICO. 

È  stampato  a  Venezia,  in  formato  tascabile  (alto  cent.  14  largo  7),  da 
Francesco  Grossi,  nel  16 15,  e  conta  di  pagine  32  non  numerate  e  di  230 
numerate.  Le  prime  32  comprendono  il  frontispicio  ;  una  breve  protesta 
d'amore,  in  versi,  senza  nome  d'autore,  —  alia  Molto  Illustre  Signora  Fulvia 
Zttfatti  Nobile  Vicentina;  —  una  lettera  dedicatoria  del  raccoglitore  —  alli 
Molto  illustri  Signori  Giovani  Nobili  Chersani  ;  i  nomi  degli  autori,  37  di 
numero,  fra'  quali  alcuni  illustri,  come  il  Testi,  il  Guerini,  il  Marini.  Anche 


—   no  — 

parecchi  degli  altri  lasciarono  bastante  traccia  di  se  nella  storia  della  poesia 
italiana. 

Ai  nomi  degli  autori  seguono  —  i  soggetti  dell'opera;  poi  altra  lettera 
—  all'i  Cortesi  Lettori,  di  Ortibio  Accademico  Capriccioso,  e  versi  dello  stesso 
Ortibio  e  d'altri  accademici  in  lode  e  della  raccolta  e  del  raccoglitore,  da 
essi  nominato  non  Chersano  ma  Chersino.  Sono  riportate  due  lettere  del 
Moise,  le  quali  accennano  ad  altre  di  lui  pubblicazioni,  fatte  o  ideate. 

Dalla  pag.  224  alla  pag.  230  sono  poi  riportati  sette  brevi  componimenti 
del  nominato  Giorgio  Moise,  intorno  al  quale  sono  premesse  queste  parole: 

«  Giorgio  Moise  Gentilhuomo  Chersano,  il  quale  oltre  che  è  di  famiglia 
»  nobilissima  in  quella  Città,  è  nondimeno  molto  più  nobile  per  propria 
»  virtù,  et  per  le  sue  ottime  qualità.  Giovine  d'  elevato  ingegno,  spirito- 
»  sissimo,  et  senza  alcun  dubio  chiaro  in  tutti  i  suoi  componimenti,  et 
»  perciò  ben  voluto,  et  amato  dai  maggiori  letterati  della  sua  patria,  et  in 
»  particolare  dall'  illustre  Sig.  Antonio  Adrario,  nobile  Romano,  intenden- 
»  tissimo  di  molte  scienze,  et  stimatissimo  nelle  Corti  di  molti  personaggi 
»  et  Prelati  ')». 

Il  nostro  Abate  sosteneva  poi  che,  oltre  alle  Rose  d'Amore  di  Giovanni 
Francesco  Moise,  si  aveva  anche  un  altro  libro  Lettere  amorose  (in  prosa)  di 
Francesco  Moise.  Potrebbe  darsi  che  1'  una  e  1'  altra  operetta  siano  dello 
stesso  autore,  detto  in  quella  Gianfrancesco  in  questa  Francesco  semplice- 
mente ;  ma  tutto  ciò,  eh'  io  mi  sappia,  non  fu  potuto  metter  in  chiaro. 
L'  Abate  asseriva  di  aver  avuto  da  fanciullo  le  tante  volte  codeste  Lettere 
amorose  in  mano,  leggendovi  alcuna  lettera  di  Florindo  o  Lelio  o  altri  che 
sia  a  Rosalba  '). 

Lo  stemma  di  famiglia  è  uno  scudo  nel  cui  mezzo  sta  un  leone  in 
piedi  in  campo  bianco  e  azzurro,  sormontato  dalla  corona  con  cinque  palle 
e  dal  cimiero  piumato. 

La  famiglia  Moyse,  che  negli  ultimi  tempi  appena  si  mutò  in  Moise, 
oltre  che  nobile,  era  anche  una  delle  principali  famiglie  di  Cherso  per 
copia  di  possessioni.  Tant'  è  vero  che,  fino  a  mezzo  secolo  fa,  quando 
cioè    è    cessato    col    padre  del  nostro    Abate  il  fedecommesso,  la  famiglia 


,  ')  Estratto  da  una  Lettera  aperta  del  prelodato  cav.  Luciani  inserita  ne  La  Provincia 

dell'Istria  &.  XVIII  16  aprile  1884  N.  8. 

2)  Così  da  una  Responsiva  aperta  del  Moise  al  cav.  Luciani  inserita  ne  La  'Provincia 
di  sopra  1  giugno  pari  anno,  N.  ji. 


1 1 1 


Moise  possedeva  oltre  2000  jugeri  di  terreno,  Era  bosco  e  pascolo.  Poi  la 
facoltà  andò  spezzata  per  causa  di  divisione  nella  famiglia. 

Il  nonno  dell'Abate,  Francesco  Moise,  era  avvocato  di  vaglia,  e  la  sua 
capacità  era  non  solo  conosciuta  in  provincia,  ma  anche  a  Venezia,  dov'ebbe 
campo  di  farsi  spesso  conoscere  e  stimare.  Egli  ebbe  quattro  figli  :  Benedetto, 
Antonio,  Giuseppe  e  Giovanni  —  e  due  figlie  clic  si  fecero  monache. 

Da  Benedetto  Moise  e  da  Nicolina  Petris  —  appartenente  anch'  essa 
ad  antica  e  nobile  famiglia,  da  più  secoli  stanziata  a  Cherso  —  nacque 
addì  27  novembre  dell'anno  1820  Giovanni  Moise.  Tre  giorni  appresso 
egli  fu  battezzato  nella  chiesa  parrocchiale  di  Santa  Maria  Maggiore  dal 
rev.  canonico  don  Antonio  Malabotich  e  levato  al  sacro  fonte  da  Antonio 
Petris  fu  Pietro  e  Francesca  moglie  di  Antonio  Mitis,  e  fu  chiamato  Gio- 
vanni Giorgio.  Egli  era  il  quinto  dei  figli  di  Benedetto  e  di  Nicolina,  e 
il  terzultimo  dei  nati.  Prima  di  lui  vengono  Francesco,  Antonia,  Maria  e 
Giuseppe,  or  tutti  defunti  ;  dopo  di  lui  nacquero  Benedetto  e  Nicolò,  ancor 
viventi. 

Il  nostro  Giovannino,  da  ragazzo,  era  assai  sventato,  mostrava  scarso 
ingegno  e  poco  comprendonio.  Quest'  era  il  tormento  della  buona  madre, 
donna  piissima,  la  quale  ricorse  persino  agli  esorcismi  dei  sacerdoti,  nella 
credenza  che  il  figlio  suo  fosse  invasato  dal  demonio  !  Anche  i  coetanei  del 
bimbo  non  l'avevano  in  buon  concetto  e  lo  chiamavano  collo  spregiativo 
volgare  di  Nane  matto. 

Nonostante  il  fanciullo  mostrava  sempre  una  certa  propensione  per  le 
carte,  pei  libri  e  per  lo  studio  in  generale.  Di  fatti  egli  fece  in  patria,  con 
profitto,  il  corso  delle  scuole  normali,  e  a  12  anni  fu  mandato  a  studiare 
le  materie  del  Ginnasio  nel  Seminario  patriarcale  di  Venezia.  Finite,  simil- 
mente con  profitto,  le  sei  classi  ginnasiali  in  quel  Seminario,  passò  a  studiare, 
sempre  in  Venezia,  la  filosofia  nell'  in  allora  i.  r.  Liceo  di  S.  Caterina. 

Già  in  quegli  anni  giovanili  sentiva  molta  propensione  per  la  poesia, 
alla  quale  si  era  dedicato  con  grande  passione  ;  ma  più  che  in  altro  si 
occupò  a  far  versi  amorosi  o  estemporanei.  Così  il  Giovannino  era  tenuto 
in  qualche  conto  come  poeta  estemporaneo,  tant'  è  vere,  che  in  una  acca- 
demia letteraria  avuta  allora  nel  Seminario  di  Venezia,  alla  presenza  dei 
professori  e  superiori  del  Seminario,  dei  canonici  della  Metropolitana  e  di 
tutti  gli  alunni,  egli  improvvisò  due  sonetti  a  rime  obbligate  e  non  certo 
le  più  comuni,  l'uno  sul  tema  della  disfatta  di  Serse  ai  Dardanelli,  l'altro 
per  Messa  novella. 

Compiuti  gli  studj  liceali  a  Venezia,  fu  mandato  all'  Università  di 
Padova,  e  s' inscrisse  alla  facoltà  legale.  Ma  più  che    a   studiare  il  diritto, 


—    112    — 

il  Moise  continuava  a  far  versi,  e  versi  amorosi,  mosso  a  questo  da  una 
certa  passione,  del  resto  innocentissima,  che  gli  s'  era  appiccicata  al  cuore. 

Ed  ecco  com'  egli  stesso  ne  fa  ingenuo  racconto  : 

«Nel  1840  io  studiavo  il  secondo  anno  di  filosofia  nel  Liceo  di 
S.  Caterina  in  Venezia  e  stavo  di  casa  assieme  con  altri  studenti  liceali 
dalla  signora  M.  M.  in  Calle  de'  Proverbj  a  SS.  Apostoli.  Ora  avvenne 
che  nei  primi  mesi  di  quell'  anno  vennero  a  Venezia  a  passare  gli  ultimi 
giorni  di  Carnovale  un  signore,    una    vecchia  signora  e  una   signorina  di 

17    anni,    la    T Venivano  da  Treviso   e    dimoravano  in  casa  della 

signora  M.,  loro  conoscente  ed  amica.  Il  signore  era  zio  e  la  signora  era 
nonna  della  T Io  avevo  allora  19  anni.  Il  vedere  la  T e  l' in- 
namorarmene perdutamente  fu  un  punto  solo.  Però  in  quei  15  giorni 
eh'  ella  stette  a  Venezia  io  non  ci  parlai  che  una  o  due  volte  alla  presenza 
della  signora  M.,  e,  dopo  partita,  le  scrissi  una  o  due  volte  a  Treviso.  Ma 
ne  in  parlarle  ne  in  iscriverle  le  feci  mai  motto  del  mio  amore  per  lei.  E 
perchè  noi  feci?  Perchè  noi  sapevo  fare,  perchè  ero  vergognoso,  somma- 
mente   vergognoso,    e    perchè    pareva    a    me  d' essere  indegno  di  amarla. 

Partita  adunque  la  T ,  mi  detti  a  scrivere  su  lei  versi  d'amore  d'ogni 

maniera,  e  durante  quell'  anno  messi  assieme  un  piccolo  Cannoniere,  composto 
di  sonetti,  di  odi  e  di  una  canzone  petrarchesca.  Già  s' intende  che  in 
questi  versi  poco  o  nulla  e'  è  di  vero  ;  tutto  e  ideale  e  immaginario,  pro- 
veniente dalla  mia  forte  passione,  che  durò  oltre  un  anno,  sempre  però 
occulta  a  tutti.  Nel  1841  trovandomi  a  Padova  come  studente  di  legge, 
andavo  più  volte  nelle  ore  notturne  solo  soletto  a  passeggiare  alle  Acquette 

o  nel  Prato  della  Valle,  e  lì  pensavo  tuttora  alla  T e  so  d'aver  anche 

composta  una  poesia  per  lei  nel  detto  Prato  della  Valle.  L' anno  seguente, 
entrato  come  chierico  nel  Seminario  di  Venezia,  piansi  più  volte  e  mi 
pentii  d'  averla  chiamata  falsamente  nei  miei  versi  sleale,  mentitora,  traditora, 
e  simile.  D'  allora  in  poi  il  mio  amore  per  lei  si  ridusse  a  raccomandarla 
ogni  giorno  a  Dio  e  a  desiderarle  ogni  bene.  Questo  sì  posso  dire  di  lei, 

che  il  mio  amore  per  la  T fu  per  me  un  principio  di  vita  nuova  ')». 

Quanta  semplicità  e  delicatezza  di  sentimenti  ! 

Del  detto  Cannoniere,  che  non  fu  mai  stampato,  il  Moise   conservò  i 
componimenti,  tant'  è  vero  che  volendo  darmene    un  piccolo    saggio,    mi 


')  Queste  e  altre   confessioni  io  1'  ebbi  in  iscritto   dallo  stesso  Abate  con  espressa 
autorizzazione  di  renderle,  quando  che  sia,  di  pubblica  ragione. 


-   113  — 

spedì  il  primo  de'  sonetti,  che  è  come  l' esordio  del  poetare,  e  un'  ode. 
A  queste  due  poesie  amorose  vi  aggiunse  anche  una  canzone,  che,  per 
sua  asserzione,  è  l'unica  ch'ei  compose.  Siccome  i  tre  componimenti  sono 
inediti,  cosi  credo  ben  fatto  di  riportarli,  anche  per  dimostrare  l' abilità  nel 
poetare  del  nostro  giovane. 

A  te,  o  fanciulla,  che  primiera  amai, 
Del  breve  viver  mio  gioja  e  conforto, 
Che  sempre  sculta  nella  mente  porto 
Dacché  il  tuo  viso  angelico  mirai, 

A  te  consacro  la  mia  rima.  Ormai 

Non  fia  che  in  altro  tu  mi  vegga  assorto, 
Che  in  te,  mio  scampo,  mio  sicuro  porto, 
Per  cui  già  tanto  piansi  e  sospirai. 

Tu,  si  cara  al  mio  cor,  diletta  Elvira, 

Benigna  accetta  il  mio  affannoso  accento, 
Porgi  attenta  1'  orecchio  al  pianto  mio. 

Te,  te  soltanto  il  mesto  cuor  sospira, 
Te  sol  odo,  te  chiamo,  e  te  desio. 
Or  quando  fia  cessato  il  mio  tormento? 


IL  PRIMO   AMORE 


Dacché  quell'  ingenuo, 
Quel  casto  sorriso 
11  vergin  mio  core 
Da  prima  ferì, 

Ogn' ansia,  ogni  ambascia 
Spari  dal  mio  viso, 
E  1'  alma  all'  amore, 
Al  gaudio  s'  apri. 

Ogn'  atra  memoria 
Fugace  disparve, 
E  ignoto  contento 
Sul  volto  brillò  : 

A  vita  rinascere 
Novella  mi  parve, 
E  un  lieto  concento 
Il  core  mandò. 


Assorto  in  un'estasi, 
Quel  labbro  ridente, 
Quel  volto  i'  mirava, 
Quel  caro  gestir, 

E,  troppo  oimè  !  credulo 
II  core  e  fidente, 
Un  lieto  sognava 
E  dolce  avvenir. 

A  te,  come  ad  angelo 
Dal  cielo  disceso, 
Conforto  alle  pene 
Dell'  erto  cammin, 

Da  gioja,  da  insolita 
Pietade  compreso, 
Fidav'  io  la  spene 
D'  un  lieto  destin. 


—  ih  — 


Sprezzate  le  insidie 
D'  ogn'  altra  donzella, 
Il  core  languiva, 
O  Elvira,  per  te. 

Di  tutte  più  amabile, 
Di  tutte  più  bella, 
Più  cara  appariva 
Elvira  per  me. 

Invan  ne'  spettacoli 
Fra  i  suoni,  fra  i  canti, 
De'  lauti  conviti 
Fra  i  plausi  e  i  fragor 

Cercav'  io  sollecito 
Quei  cari  sembianti, 
Che  porto  scolpiti 
Neil'  anima  ognor  : 

Invan  quel  bel  ciglio, 
Quel  crin  nereggiante, 
Quell'  occhio  vezzoso, 
Quel  roseo  pudor, 

Invano  un  altr'  angelo 
A  te  somigliante 
Incerto,  ansioso 
Cercava  il  mio  cor. 

Piaceami  del  cembalo 
La  dolce  armonia 
Con  arte  toccato 
Da  giovine  man  ; 

Se  a  volte  una  vergine 
Cantare  i'  sentia, 
Assai  m'  era  grato 
Quel  canto  :  ma  invan 

Il  cor  dalla  gioia 
Frenare  i'  volea, 
Se  udia  te  le  note 
Canzoni  sonar, 

Ovver  se  1'  angelica 
Tua  voce  facea 
D'armoniche  note 
La  stanza  eccheggiar. 


Gioia  se  fra  il  gaudio 
Vedeami  da  lato 
Leggiadre  donzelle 
Festose  danzar  ; 

Ma,  se  teco  in  circolo 
Ballar  m'  era  dato, 
Pareami  alle  stelle 
Beato  volar. 

In  dolci  colloquii 
Con  giovani  spose 
Talora  i'  godeva 
La  sera  a  passar  ; 

Ma  ben  più  godevami 
Neil'  ore  amorose 
Che  insieme  i'  poteva 
Con  te  favellar. 

Cosi  fin  dal  nascere 
Del  primo  mio  affetto, 
Fanciulla  adorata, 
T'  amava  il  mio  cor  ; 

E  tu,  mio  beli'  angelo, 
Invano  nel  petto 
Tenevi  celata 
Tua  fiamma  d'  amor. 

M'  amavi  ;  dicevalo 
Quel  guardo  giocondo 
Che  dolce  nell'  alma 
A  me  penetrò. 

M'  amavi  ;  dicevalo 
Quel  dir  verecondo 
Che  spesso  la  calma 
Al  cor  ridonò. 

Quei  tempi  svanirono, 
O  amata  fanciulla  ; 
D'  amore  la  gloria 
Qual  lampo  passò  : 

Quei  gaudii  tornarono 
Nel  primo  lor  nulla  ; 
Ma  in  cor  la  memoria 
Perenne  restò. 


ii5  — 


CANZONE 

•Al  Reverendo  T.  Luigi  Chinchella. 

Tenero  fanciulletto, 

In  sul  mattin  degl'  anni, 

Quando  nessun  martir  turbava  il  core, 

Lunge  dal  rio  sospetto, 

Dal  pianto  e  dagli  affanni, 

Miser  retaggio  d' infelice  amore, 

Liete  i'  passava  l'ore 

Nel  gaudio,  e  1'  alma  apn'a 

A  soavi  speranze  : 

Di  care  rimembranze 

La  giovinetta  mente  e  il  cor  nutria  ; 

E,  riverente  e  pio, 

La  candida  mia  prece  ergeva  a  Dio. 

Oh  soavi  momenti  ! 

Oh  fortunati  giorni  ! 

Oh  liete  ore  ! . . . .  ah  !  per  sempre  io  vi  perdei  ! 

Or  non  più  di  contenti 

E  di  speranze  adorni 

Traggo  i  miei  dì  ;  ma  in  crudi  affanni  e  rei, 

In  disperati  omei 

Vivo,  né  (ahi  cruda  sorte  !) 

V  è  chi  '1  crudel  mio  stato 

E  il  mio  dolor  spietato 

Intenda  amico,  e  il  mio  duolo  conforte  : 

Onde  1'  alma  si  pasce 

Ognor  di  pianto,  e  sol  vive  d'  ambasce. 

Invan  di  Sapienza 
Alla  severa  scuola 
Volli  educar  1'  ottenebrata  mente. 
Provai  :  d'  effetto  senza 
Si  fu  la  prova,  e  sola 
In  cor  restò  la  brama,  che  repeute 
Diede  loco  all'  ardente 
Martor  che  mi  consuma, 
Per  cui  son  spenti  ornai 
I  sogni  allegri  e  gai 
E  il  fioco  raggio  che  mia  vita  alluma  ; 
E  all'  ardor  che  mi  sface 
Dal  ciel  soltanto  spero  tregua  o  pace. 


—  n6  — 

Così  'u  aspri  martiri, 

Dalla  doglia  conquiso, 

Meno  mia  vita  sconsolata  e  mesta. 

Pure  i  fieri  deliri 

Tento  celar  nel  riso, 

E  degli  affetti  1'  orribil  tempesta, 

E  la  cura  molesta 

Che  ognor  m' incalza  e  preme, 

Tal  finger  mi  conviene, 

E  1'  alma  in  crude  pene 

Si  rode  intanto,  e  mesta  piange  e  geme. 

Ahi  dura  sorte  e  rea 

Oltre  ogni  fede,  oltre  ogni  umana  idea  ! 

Ma  tu,  che  in  alti  studj 
Vivi  i  tuoi  dì  beati 
Lunge  dal  vulgo  di  virtù  nemico  ; 
Al  gaudio  il  cor  dischiudi, 
Traggi  i  tuoi  di  ignorati 
Al  mondo  cieco,  solo  al  vizio  amico. 
F  so  ben  quel  eh'  i'  dico. 
Godi,  o  Signor  ;  t'  allegra  : 
Cosi  potess'  io  pure 
Por  fine  a  mie  sventure, 
E  gioir  teco,  e  trar  mia  vita  allegra. 
Ah  !  invano,  invan  qui  in  terra 
Riposo  spero  alla  crudel  mia  guerra. 

Canzon,  che  tenti  ?  Ornai  raffrena  1'  ali. 
Col  tuo  funebre  canto 
Non  rinnovar  d'  un  infelice  il  pianto. 


Ed  ecco  che  già  in  questi  primi  parti  il  Moise  si  rivela  scrittore  forbito, 
e  dallo  stile,  sopra  tutto,  limpidissimo;  il  che  farebbe  testimonianza  della 
chiarezza  delle  sue  idee,  qualità  perspicua  d'  un  ingegno  superiore.  Vero 
però,  nei  suoi  lavori  giovanili  è  usata  la  lingua  classica,  la  lingua  cioè  che 
si  trova  tutta  nei  libri  e  di  cui  ogni  voce  è  registrata  nei  vocabolarj  ; 
mentre  la  lingua  delle  sue  opere  stampate  è  la  lingua  viva  toscana,  lingua 
che  non  si  trova  tutta  nei  libri  e  di  cui  molte  e  molte  voci  i  nostri  voca- 
bolarj non  registrano. 

A  Padova,  come  s'  è  visto,  il  Moise  si  stemperava  in  far  versi,  colti- 

'vando  l'amore  platonico;  ma  in  quanto  a  studiar  leggi,  non  n'era  niente. 

Venuto    il    tempo   di   dare  gli   esami,  ei  non  si  trovò   preparato,  per  cui 

perdette  1'  anno.  Un  coetaneo   del   Moise  mi  disse,  che  la   sua  caduta  al 


—  ii7  — 

primo  esame  di  legge  fu  proprio  fenomenale.  In  prova  mi  raccontò  il 
seguente  fatto.  Fra  le  materie  che  si  doveva  allora  studiare  nel  primo  anno 
di  legge  era  contemplata  anche  la  statistica  con  la  geografia.  Il  rispettivo 
professore  rivolge  al  Moise  una,  due  e  tre  domande,  e  delle  più  elementari  ; 
ma  questi  stava  lì  duro  come  un  piuolo  senza  risponder  sillaba.  Finalmente 
il  professore,  che  cercava  in  tutti  i  modi  di  salvarlo,  gli  disse  :  «  Da  bravo, 
mi  dica  almeno  qualche  cosa  dei  prodotti  ecc.  della  sua  Cherso  !  »  — 
Oh  sì  !  Non  seppe  dir  nulla  neppur  di  Cherso  ! 

Dato  questo  bello  spettacolo  agli  esami,  il  nostro  Giovannino  pensò  di 
abbandonare  la  carriera  legale  e  di  darsi  all'ecclesiastica  —  ciò  che  produsse 
grande  consolazione  ne'  suoi  genitori. 

A  Venezia  studiò  i  tre  primi  anni  di  teologia,  dopo  i  quali,  ritornato 
a  Cherso,  fu  ordinato  sacerdote.  Poi  andò  a  compiere  gli  studj  teologici 
nel  Seminario  vescovile  di  Ceneda,  ora  Vittorio. 

In  Seminario,  se  dimesse  di  far  versi  amorosi,  non  fece  divorzio  tut- 
tavia colle  Muse.  Egli  s'era  messo  in  testa,  anzi,  di  fare  un  Cannoniere  di 
versi  sacri,  e  compose,  in  fatti,  alquanti  sonetti;  ma  poi  li  lasciò  in  tronco 
e  non  ci  pensò  più.  Ma  ben  condusse  a  compimento  un  poemetto  in  terzine 
e  in  sei  canti,  che  intitolò  La  Visione  di  Abdald,  poemetto  che  fu  molto 
lodato  dai  suoi  amici  e  che  avrebbe  dato  alle  stampe  nel  1846,  se  il 
Tommaseo  che  allora  si  trovava  a  Venezia  e  al  quale  egli  l'aveva  dato  a 
esaminare,  non  ne  lo  avesse  distolto,  dicendogli  che  V  argomento  n'  era 
troppo  arido,  se  bene  ne  portasse  a  cielo  la  lingua  ed  i  versi.  L' Abdald 
non  era,  in  fondo,  che  una  satira,  dove  i  personaggi  reali  sono  occultati 
sotto  personaggi  astratti,  quali  sono  la  Superbia,  il  Sospetto,  il  Tradimento  ecc. 

Venuto  in  patria  nella  state  del  1845,  cominciò  l'abate  novellino  ad 
istruire  privatamente  alcuni  giovanetti  nelle  materie  ginnasiali,  e  proseguì 
in  tal  modo  parecchi  anni  a  far  scuola  privata. 

Anzi  egli  si  sarebbe  esclusivamente  dedicato  alla  nobile  professione 
dell'istruttore  e  dell'educatore,  per  la  quale  sentiva  una  grande  inclinazione, 
se  non  fosse  stato  costretto  dal  suo  Ordinario  di  darsi  alla  cura  d'anime. 
Di  fatti,  appena  ritornato  a  Cherso,  il  suo  vescovo  lo  fé'  cooperatore. 
Statovi  così  due  o  tre  anni,  il  Moise  pregò  e  fu  lisciato  in  libertà  per 
poter  attendere  alla  scuola  ed  ai  particolari  suoi  studj.  Passato  un  pajo  di 
anni,  il  vescovo  per  mancanza  di  preti,  lo  rifece  cooperatore.  E  il  Moise 
lo  pregò  ancora  di  levarlo,  ed  egli  lo  levò.  Poi,  sempre  per  mancanza  di 
preti,  lo  tornò  a  fare  per  la  terza  volta  cooperatore,  ed  egli  ad  insistere 
perchè  fosse  levato.  Finalmente,  volendo  il  vescovo  assolutamente  tenerlo 
in   cura,   ed   il  Moise  desiderando  di   occuparsi   nello   studio  (ed  essendo 


—   118  — 


cooperatore  a  Cherso  non  aveva  tempo  a  farlo),  pregò  di  esser  messo  in  cura 
in  campagna,  ed  il  vescovo  lo  mandò  prima  per  due  anni  a  Predoschizza, 
e  poi  per  due  anni  a  Lussingrande.  Nel  1872,  finalmente,  fu  liberato  affatto 
dalla  cura. 


II. 


Appena  libero  di  sé,  1'  Abate  si  messe  di  buzzo  buono  a  studiare  e 
a  far  scuola  ginnasiale  privata  per  tutti  i  sei  anni  del  vecchio  ginnasio, 
ed  ebbe  molti  ed  in  generale  bravi  allievi,  tra'  quali  parecchi  de'  presenti 
medici,  ingegneri,  sacerdoti  chersini. 

Impartendo  ogni  giorno  lezione  di  lingua  italiana  ai  giovanetti,  prese 
un  grande  amore  alla  nostra  lingua,  e  all'attenta  lettura  de'  classici  antichi 
e  moderni  aggiunse  lo  studio  indefesso  delle  opere  grammaticali  e  filologiche 
dei  più  accreditati  scrittori  italiani  antichi  e  moderni.  Fra  i  classici  italiani 
prediligeva  sopra  tutti  il  Petrarca,  l'Ariosto  e  il  Bartoli;  gli  andavano  poi 
molto  a  sangue  il  Passavanti,  i  Fioretti,  il  Guadagnoli  e  il  Giusti,  i  quali 
ultimi,  anzi,  gli  servirono,  come  vedremo,  di  esempio  nei  suoi  scritti. 

Da  codesto  studio  gli  venne  l' idea  di  compilare  una  Grammatica  della 
lingua  italiana,  e  già  nel  1846  o  lì  intorno  cominciò  a  por  mano  ad  essa; 
ma  straviato  com'era  dalla  cura  d'anime  non  poteva  assecondare  che  molto 
lentamente  questo  suo  desiderio.  Tant'  è  vero  che  appena  agli  ultimi  del 
mese  di  gennaio  del  1865  egli  1' avea  finita. 

In  questo  tempo  infatti  egli  la  dette  alle  stampe  a  Venezia  nel  premiato 
Stabilimento  nazionale  di  Giuseppe  Grimaldo  facendone  tirare  un  numero 
limitato  di  copie  ').  Il  Grimaldo  stette  a  comporla  tutto  quell'anno  e  l'anno 
appresso,  ond' essa  uscì  alla  luce  addì  20  novembre  del  1867.  L'opera  è 
divisa  in  tre  volumi  di  sedicesimo  ordinario.  Il  primo  volume  contiene 
/'  ortoepia  e  l'ortografia  (pag.  XV -381)  —  il  volume  secondo  l'etimologia 
(pag.  609)  —  il  volume  terzo  la  sintassi,  (pag.  614). 

Quale  fu  il  vero  movente  che  spinse  il  Moise  a  intraprendere  questo 


')  Mi  fu  detto  che  ne  facesse  tirare  sole  200  copie,    spendendo  la  bella  somma  di 
2000  fiorini. 


—  ii9  — 

lungo  e  faticoso  lavoro?  Lo  dice  egli  stesso  nella  Prefazione:  il  bisogno 
che  aveva  l'Italia  d'una  buona  Grammatica,  bisogno  ch'egli  intendeva  di 
supplire  in  qualche  modo.  Egli  era  ben  lungi  dal  credere  e  dal  pretendere 
di  supplirvi  in  tutto  e  per  tutto,  eh'  ci  sapeva  troppo  bene  essere  tale  la 
natura  delle  siffatte  discipline,  da  riescire  difficilissimo,  e  quasi,  anzi,  impos- 
sibile che  un'  opera  vi  riesca  perfetta;  «  perchè,  come  tutti  sanno,  ad  esser 
un  perfetto  conoscitor  d' una  lingua  (e  tale  pur  esser  debbe  un  ottimo 
maestro)  non  gli  basta  il  retto  uso  della  ragion  filosofica,  ma  gli  è  altresì 
necessaria  una  lunga  e  continuata  e  diligente  lettura  de'  classici  autori,  e 
gli  conviene  inoltre  aver  di  presente  e  attualmente  memoria  di  quanto  egli 
ha  letto,  e  di  più  gli  bisogna  aver  gran  pratica  oltre  die  della  scritta  anche 
della  lingua  parlata;  le  quali  cose  quanto  sia  difficile  che  alcuno  giunga  a 
fare,  ognuno  di  leggeri  sei  vede  ».  Ora,  come  mai  avrebbe  saputo  fare  il 
nostro  Abate,  che  di  recente  era  entrato  in  questo  arringo,  quello  che  non 
lian  saputo  fare  prima  di  lui  tanti  grammatici  e  filologi  del  primo  cerchio? 
Quand'  essi,  che,  per  lo  più,  con  tutto  loro  agio  attesero  a  questi  studj  e 
in  questi  consumarono,  per  dir  così,  tutta  la  loro  vita,  e  poterono  valersi 
al  loro  scopo  de'  migliori  testi  sieno  stampati  sieno  manoscritti  che  loro 
offrivano  in  copia  le  ricche  biblioteche  delle  grandi  città,  dimorando  tuttavia 
in  quei  luoghi  dove  la  bella  lingua  suona  tuttora  viva  nella  bocca  del  popolo; 
quand'essi,  io  dico,  non  riuscirono  con  tutto  questo  a  dare  all'Italia  una 
opera  perfetta  che  supplisce  ai  comuni  bisogni,  come  mai  poteva  riuscirvi 
egli,  immerso  tutto  giorno  nelle  gravi  e  penose  cure  del  suo  ministero,  le 
quali  molte  volte  gì'  impedivano  non  che  di  attendere,  ma  fin  di  pensare 
agli  amiti  suoi  studj  ?  Come  mai  poteva  riuscirvi  ancora  per  le  condizioni 
del  luogo  dove  soggiornava,  privo  di  una  pubblica  biblioteca  a  cui  ricorrere 
ne'  suoi  bisogni,  mentre  era  costretto  a  farsi  venire  i  libri  da  fuori  con 
suo  sommo  dispendio  e  sovente  anco  senza  aver  quelli  che  grandemente 
gli  stavano  a  cuore  e  che  caldamente  e  istantemente  ci  domandava,  non 
avendo  altri  a  mano  se  non  quelli  che  gli  offriva  la  sua  piccola  biblioteca 
domestica  e  quei  pochi  che  pietosi  e  benevoli  gli  porgevano  gli  amici  ? 
Come  mai  poteva  riuscirvi  egli,  il  quale   per  contentino  si  sentiva  a  tutte 

ore  straziare  gli  orecchi  da  un  mal  parlato  dialetto  e  da  una  pessima 
jronunzia  ?  «  Chi  vorrà  un  poco  considerare  tutte  queste  cose  —  e'  sog- 
giunge —  saprà,  io  spero,  benignamente  sorpassare  quanto  v'  ha  di  difettoso 

di  errato  per  entro  a  quest'opera  e  lodare,  se  non  altro,  la  buona  intenzione 
lei  suo  autore  o  compilatore  che  dir  si  voglia  ». 

E  che  l' Italia  non  avesse  ancora   una   buona  Grammatica,   non    ebbe 
ad  affermarlo    il   solo   Moise,   ma   egli  era   stato   confermato  prima  di  lui 


—    120   — 

anche  da  illustri  filologi,  fra'  quali  il  Nannucci,  il  quale  disse  ')  :  «  Non 
credo  che  v'  abbia  nazione  al  mondo,  che  conti  nella  propria  lingua  un 
numero  di  Grammatiche  così  grande,  come  noi  nella  nostra.  Ma  possiamo 
dire  per  questo  che  fra  tutte  le  pubblicate  ne'  tempi  andati  o  le  tante  e 
tante  che  si  sono  vedute  a'  giorni  nostri  uscir  fuori,  ne  possediamo  una 
almeno  che  non  lasci  nulla  desiderare  e  che  soddisfaccia  interamente  al 
bisogno  della  gioventù  studiosa?  Io  non  dubito  di  affermare  che  non 
l'abbiamo;  imperocché,  cominciando  dalle  prime  e  venendo  mano  a  mano 
perfino  all'  ultima,  si  troverà,  in  conclusione,  che  i  loro  autori  non  han 
fatto  finora  che  ripetere  tutti,  chi  più  chi  meno,  chi  sotto  un  aspetto  chi 
sotto  un  altro,  le  medesime  dottrine.  E  se  alcuni  di  loro  han  voluto  andare 
più  avanti,  annunziando  nuovi  metodi  e  nuove  teorie,  non  eh'  abbiano 
veramente  aggiunto  nulla  a  ciò  che  mancava  ne  provveduto  alcun  poco  a 
ciò  ch'era  errato,  ma  si  sono  invece  perduti  in  astratte  e  importune  disqui- 
sizioni, accomodate  piuttosto  a  ingenerare  il  fastidio  ed  a  mungere  e  infievolire 
gì'  ingegni,  che  ad  informare  la  materia  di  nuova  luce,  ignorando  la  sentenza 
di  Quintiliano,  esser  parte  cioè  della  scienza  d'  un  grammatico  veramente 
dotto  il  sapere  che  alcune  cose  sono  le  quali  di  sapere  non  è  mestieri.  Ma 
niuno  di  essi  si  è  dato  pur  anche  a  svolgere,  coni'  era  del  loro  ufficio,  i 
principi  fondamentali  e  le  varie  combinazioni  delle  parole,  né  ad  investigare 
la  ragione  di  quelle  trasmutazioni  alle  quali  andarono  soggette  nella  loro 
origine  primitiva  ».  —  Quanto  il  Moise  vi  sia  riuscito  in  questo,  lo  vedremo 
più  tardi.  Ora  preme  di  conoscere,  per  quale  via  il  nostro  autore  sia  venuto 
a  comprendere  tutto  ciò. 

Il  nostro  Abate  facendo  scuola  ebbe  tuttogiorno  occasione  di  persua- 
dersi di  questo  e  di  vedere  egli  stesso,  avere  i  giovanetti  bisogno  d'  una 
buona  Grammatica  italiana,  non  trovandone  alcuna  di  quelle  che  per  tali 
si  spacciano  che  tale  sia  veramente.  E  più  volte  avea  pensato  di  porsi  lui 
in  tale  impresa,  e  alla  fine  volonteroso  si  accinse  all'opera.  La  Grammatica 
venne  alla  luce,  ed  ei  la  dedicò  appunto  alli  studiosi  giovanetti,  per  utilità 
e  comodo  de'  quali  principalmente  egli  V  avea  composta  e  ai  quali  anche 
con  tutto  lo  spirito  1'  offerse  e  raccomandò. 

Or  io  non  voglio  conoscere  quanti  furono  poi  quei  giovani  che  ne 
approfittarono,  che,  a  vero  dire,  tutta  la  colpa  non  cade  sopra  di  loro.  Sì 
bene  io  so,  che  molti  che  hanno  l'Italia  e  l'italianità  sulle  labbra,  si  meritano 


')  Nella  Teorica  dei  nomi  della  lingua  italiana  -  Al  Discreto  Lettore. 


—    121    — 

il  rimprovero,  che  faceva  Tertulliano  ai  Romani  del  suo  tempo:  ubi  religio? 
ubi  veneratiti  majoribus  debita  a  vobis  ?  habitu,  victu,  et  instructu,  sensu,  ipso 
denique  sermone  proavis  renunciastis. 

E  si  badi  che  la  Grammatica  del  Moise,  fra  tutte  le  altre,  non  solo  è 
ottima  per  apprendere  lo  scrivere  e  il  parlare  corretto,  ma  è  utilissima  a 
tutti  coloro  che  avendo  in  amore  il  patrio  sermone  desiderano  conoscerlo 
ne'  suoi  principi  fondamentali,  e  bene  e  con  profitto  studiare  negli  antichi: 
a  chi  voglia  interpretare  i  dettati  dei  nostri  vecchi,  e  render  ragione  delle 
loro  maniere  di  dire. 

Viceversa  anche  fra  noi  —  come  dice  il  Nannucci  ')  —  quanti  non 
ve  ne  sono,  che  di  tutt'  altro  sapendo  che  di  lingua  e  di  buone  lettere 
pigliano  a  fare  cose,  che  sono  le  mille  miglia  distanti  dalle  forze  loro!  Ma 
questo  che  importa  ?  «  Basta  conoscere  a  fondo  l'aritmetica,  e  saper  fare  a 
meraviglia  e  da  fino  i  suoi  conti.  Ma  è  bene  dall'altro  canto  che  i  balordi 
e  gli  stolti  imparino  a  proprie  spese  ad  annusare  i  cantambanchi.  Se  non 
che  non  è  da  sopportare  in  pace  che  certe  scellerate  scritture  escan  fuori 
a  nostra  vergogna  dalle  tipografie.  Eppure  si  levano  a  cielo,  si  vola  ad  esse 
come  le  mosche  al  vaso  pieno  di  latte,  ed  ingrassa  e  chi  le  imbroda  e  chi 
le  pubblica  !  » 

Ma  vediamo  con  quale  intenzione  il  Moise  ha  scritta  la  sua  Grammatica, 
e  quale  fu  il  metodo  da  lui  tenuto  in  essa.  In  questo  egli  ebbe  sempre 
dinanzi  agli  occhi  per  tutto  il  corso  del  suo  lavoro  le  dottrine  del  chiarissimo 
grammatico  francese  Beauzée,  e  precisamente  le  seguenti,  che  il  nostro 
autore  riporta  nella  Prefazione,  togliendole  dalla  Graminaire  Generale  *). 

«  La  Grammatica,  che  ha  per  oggetto  l'enunciazione  del  pensiero  col  soccorso  della 
parola  pronunziata  o  scritta,  ammette  due  sorta  di  principj.  Gli  uni  sono  di  una  verità 
immutabile  e  d'  un  uso  universale,  s' attengono  alla  natura  del  pensiero  medesimo,  ne 
seguono  l'analisi,  non  ne  sono  che  il  risultato  ;  gli  altri  non  hanno  che  una  verità  ipotetica 
e  dipendente  dalle  convenzioni  fortuite,  arbitrarie  e  mutabili  che  han  dato  origine  ai  dif- 
ferenti idiomi.  I  primi  costituiscono  la  Grammatica  generale  ;  gli  altri  sono  l'oggetto  delle 
diverse  Grammatiche  particolari. 

»  La  Grammatica  generale  e  dunque  la  scienza  ragionata  dei  principj  immutabili  e 
generali  del  linguaggio  pronunziato  o  scritto,  in  qualsivoglia  lingua  del  mondo. 

»  Una  Grammatica  particolare  è  l'arte  d'applicare  ai  principj  immutabili  e  generali 


')  Analisi  critica  dei  verbi  italiani  —  Ai  Lettori,  —  Firenze.  Le  Monnier,  1844. 
')  Pag.  V. 


—    122   — 

del  linguaggio  pronunziato  o  scritto  le  istituzioni  arbitrarie  e  usuali  d'  una  lingua  par- 
ticolare. 

»  La  Grammatica  generale  è  una  scienza,  perchè  essa  non  ha  per  oggetto  che  la 
speculazione  ragionata  dei  principi  immutabili  e  generali  del  linguaggio. 

»  Una  Grammatica  particolare  è  un'arte,  perchè  essa  riguarda  l'applicazione  pratica 
delle  istituzioni  arbitrarie  e  usuali  d'  una  lingua  particolare  ai  principi  generali  del  lin- 
guaggio. 

»  La  scienza  grammaticale  è  anteriore  a  tutte  le  lingue,  perchè  i  suoi  principi  non 
suppongono  che  la  possibilità  dalle  lingue,  perdi'  essi  sono  quei  medesimi  che  dirigono 
la  ragione  umana  nelle  sue  operazioni  intellettuali  ;  in  una  parola,  perchè  essi  sono  d'una 
verità  eterna. 

»  L'arte  grammaticale,  al  contrario,  è  posteriore  alle  lingue,  perchè  gli  usi  delle  lingue 
debbono  esistere  avanti  che  altri  li  rapporti  artificialmente  ai  principi  generali  del  linguaggio, 
e  perchè  i  sistemi  analogici  che  formano  l'arte  non  possono  essere  che  il  risultato  delle 
operazioni  fatte  su  gli  usi  preesistenti. 

»  La  giustezza  e  la  necessità  di  questa  distinzione,  benché  ella  paja  astratta,  hanno 
tuttavia  dei  caratteri  sì  evidenti,  ch'elle  furono  scòrte  ben  di  buon'ora  dai  valentuomeni. 
Alla  natura,  dice  Quintiliano  '),  noi  dobbiamo  V  origine  e  i  fondamenti  del  linguaggio  ;  e 
all'  osservazione  dobbiamo  rapportare  V  esistenza  dell'  arte.  Ma  distinguendo  cosi  la  scienza 
grammaticale,  io  non  pretendo  altrimenti  d'  insinuare  che  se  ne  debba  o  se  ne  possa 
separar  pur  lo  studio;  la  scienza  e  l'arte  debbonsi  fra  loro  scambievolmente  soccorrere, 
senza  di  che  noi  non  potremmo  acquistarne  una  perfetta  conoscenza». 

Guidato  da  questi  sani  principj,  primo  scopo  del  Moise,  nel  compilare 
il  suo  lavoro,  si  fu  di  offrire  ai  giovani  una  Grammatica  filosofica  della 
lingua  italiana,  «  cioè  a  dire  una  Grammatica  —  son  sue  parole  —  che  non 
solo  desse  loro  le  regole  pratiche  e  materiali  del  ben  scrivere  e  del  ben 
parlare,  ma  sì  una  Grammatica  che  loro  spiegasse  la  ragione  di  queste  regole, 
una  Grammatica  che  investigasse  tutte  le  irregolarità  della  nostra  lingua,  e 
che  fin  delle  sue  capestrerie  e  de'  suoi  capricci  tentasse  di  scoprire  l'origine; 
cose  tutte  delle  quali  poco  o  nulla  si  curano  i  nostri  grammatici  :  onde 
vediamo  mal  classificate  e  definite  da  essi  le  parti  del  discorso,  mal  spiegate 
le  leggi  di  concordanza  e  di  reggimento  e  ridotto  lo  studio  grammaticale 
in  un  tormentoso  sforzo  di  memoria  », 

In  secondo  luogo  egli  si  è  proposto  di  offrire  agli  studiosi  un  sistema 
ragionato  e  costante  di  ortografia,  seguendo  in  questa  parte  quasi  in  tutto 
il  Gherardini,  la  cui  Lessigrafia,  se  bene  dai  più  non  è  voluta  ricevere,  è 
però  da  tutti  riconosciuta  per  vera,  legittima,  filosofica.  Però  non  in  tutto 


•)  Orat.  Ili,  2. 


—   123    — 

seguì  la  lessigrafia  del  Gherardini,  che  in  parte  egli  la  corresse  ;  e  non 
solamente  seguì  il  Gherardini  nelle  regole  lessigrafiche  eh'  egli  mette  in 
pratica,  ma  sì  in  quelle  ancora  eh'  egli,  quantunque  le  conosca  vere  e  ra- 
gionate, per  certi  suoi  particolari  riguardi  si  astiene  purnondimeno  dal 
praticare.  Oltre  che  poi  o  segue  o  corregge  il  Gherardini  stesso,  stabilisce 
talvolta  alcune  regole  tutte  sue  proprie,  le  quali  non  meno  che  le  gherar- 
diniane  gli  pajono  legittime  e  ragionate,  e  per  conseguenza  non  dubita  punto 
di  proporle  ai  giovanetti  studiosi. 

Così  egli  ha  seguito  per  lo  più  la  lessigrafia  da  lui  composta  non  solo 
in  tutto  quello  che  egli  scrisse,  ma  sì  ancora  nelle  cose  altrui  e  negli  esempj 
che  cita  ;  ne  poteva  fare  altrimenti,  s'  ei  voleva  pur  conservare  inviolata  la 
tanto  necessaria  uniformiti  di  scrittura.  Dissi  per  lo  più,  giacche  alcune 
poche  volte  gli  fu  necessario,  per  la  ragion  stessa  delle  cose,  di  seguire  nelle 
cose  d'altri  la  lessigrafia  da  essi  adottata,  e  alcune  altre,  nella  citazione  degli 
esempj,  non  8U  parve  necessario  di  seguitar  la  lessigrafia  da  lui  proposta, 
contentandosi  di  accennare  in  parentesi,  dopo  alcuna  voce  scritta  con  la 
lessigrafia  comune,  la  maniera  in  che  ei  la  scrive. 

L'  autore  avverte  inoltre,  che  siccome  egli  aveva  composta  questa 
Grammatica  per  comodo  principalmente  de'  giovanetti  studiosi,  così  aveva 
introdotte  in  essa  infinite  questioni,  dalle  quali  potevano  apprendere  quanto 
sieno  le  tante  e  tante  volte  fallaci  e,  per  necessario  conseguente,  da  non 
seguire,  le  dottrine  che  ex  cathedra  loro  dAnno  gli  autori  delle  comunali 
Grammatiche  e  de'  Vocabolarj  di  voci  e  maniere  errate,  delle  quali  Gram- 
matiche e  de'  quali  Vocabolarj  ne  va  pur  attorno  un  subisso.  Fa  quindi 
notar  bene  che  nell'oppugnare  gli  altrui  errori  egli  non  ha  avuto  altro  di 
mira  che  insegnare  ai  giovani  la  vera  scienza  grammaticale  e  togliere  loro 
quei  pregiudizj  che  fin  nelle  prime  scuole  furono  ad  essi  instillati  dai  più 
volte  ripetuti  insegnamenti  dei  loro  indiscreti  maestri.  Questo  solo  egli 
ebbe  di  mira  nel  confutare  gì'  innumerevoli  spropositi  degli  odierni  nostri 
grammatici  e  vocabolaristarj,  e  però  ne  condanna  le  opere  e  non  le  persone, 
e  delle  opere  stesse  riprova  gli  errori  e  loda,  all'uopo,  quanto  v'ha  di  sano 
e  di  buono. 

Dopo  ciò,  passa  ad  enumerare  gli  autori  di  cui  più  si  è  valso  nel 
compilare  la  sua  Grammatica.  E  sono  :  il  Beauzée,  il  Fabriani,  il  Parenti, 
il  Gherardini,  il  Nannucci,  il  Tommaseo,  il  Fornaciari,  il  Dal  Rio,  il  Viani, 
dei  quali  allega  di  tratto  in  tratto  interi  articoli,  abbellendone  non  pur  le 
note,  ma  sì  bene  ancora  il  corpo  stesso  dell'  opera.  Dichiara  poi  francamente, 
non  dolergli  punto  di  così  aver  fatto,  onde  s'abbia  a  vergognare  d'indicarlo 
ai    lettori  5    «  mercecchè    ognun   sa   che   una   Grammatica  non   può  essere 


—    124   — 

giammai  perfetta  per  sé  stessa  '),  vale  a  dire  eh'  ella  ha  bisogno  per  esser 
tale  di  cavar  molte  e  molte  cose  da  quelle  che  la  precedettero;  e  però  un 
Grammatico  anzi  che  Autore,  vuoisi  più  direttamente  chiamare  Compilatore, 
e  spesso  eziandio  Copiatore  ». 

Come  si  vede,  il  Moise  non  solo  s'  era  proposto  di  dare  una  Gram- 
matica filosofica  della  lingua  italiana,  ma  con  essa  ei  s'  era  prefisso  ancora 
di  riassumere  tutto  quanto  di  buono  fin  qui,  e  per  ogni  singola  regola 
grammaticale,  era  stato  detto  dai  più  eccellenti  grammatici  e  filologi  che 
lo  precedettero.  Ed  ecco  che  la  sua  opera  è  fitta  fitta  di  note  pregevolissime, 
le  quali  riproducono  codeste  svariate  e  molteplici  dottrine  elucubrate  sulla 
nostra  lingua  dai  più  insigni  linguisti.  Ond'è  che  lo  studioso  vi  trova  nel 
testo  non  solo  le  regole  e  le  osservazioni  elementari,  quelle  cioè  che  vogliono 
essere  sapute  da  tutti  quelli  che  desiderano  di  apprendere  la  nostra  lingua, 
ma  nelle  note  vi  rinviene  eziandio  le  regole  e  le  osservazioni  più  elevate, 
quelle  cioè  che  appartengono  propriamente  a  coloro  i  quali  non  solo 
desiderano  di  apprendere  semplicemente  la  nostra  lingua,  ma  sì  desiderano 
di  profondarvisi,  di  conoscerne  le  bellezze  ed  eleganze  e  di  scoprir  l'origine 
de'  suoi  usi  e  de'  suoi  abusi.  Non  è  dunque  da  meravigliarsi,  se,  come 
vedremo,  sia  stato  sentenziato,  essere  la  Grammatica  del  Moise  la  più 
completa  delle  Grammatiche  d' Italia,  in  quanto  comprenda  in  se  la  storia 
delle  regole  del  ben  parlare  e  del  retto  scrivere. 

Credo  poi  inutile  di  aggiungere,  che  le  regole  che  l'Abate  va  a  mano 
a  mano  proponendo  agli  studiosi  sieno  sempre  abbondantemente  confermate 
e    suffragate    con    1'  autorità    di    classici    esempj,  dopo  i  quali  accenna  gli 


')  Anche  il  Nannucci  dichiara  —  quantunque  scrivesse  un  grosso  volume (p.  XXVII,  792) 
soltanto  sulla  Teorica  dei  Nomi  ecc  ,  ed  un  secondo  (pag.  825)  sulla  Analisi  critica  dei 
Verbi  italiani  —  di  non  aver  inteso  di  mettere  insieme  una  grammatica  compiuta  e  ordinata 
in  ogni  sua  parte. 

Il  bibliotecario  Jacopo  Morelli  —  dice  il  Nannucci  —  soleva  dire  :  De'  libri  bisogna 
fare  come  dei  figli,  non  solo  metterli  al  mondo,  ma  poi  averne  sempre  cura.  —  E  così  fece  il 
Moise  colle  edizioni  delle  sue  Grammatiche  che  andò  via  via  pubblicando. 

Lo  stesso  Nannucci  dice  che  la  Grammatica  è  un  pelago  senza  fondo;  «e  come 
lavori  siffatti  è  assai  malagevole,  per  non  dire  impossibile,  che  riescan  finiti  di  primo  getto, 
e  come  vogliano  essere  nuovamente  e  più  d'una  volta  richiamati  ad  esame,  non  potendosi 
da,  prima  veder  tutto  chiaro  e  palese». 

Poi  soggiunge  in  -Nota  :  «  Senza  parlare  né  del  penoso  travaglio,  né  del  continuo 
tedio,  né  della  lunga  pazienza  di  scorrere  tanti  testi  di  nostra  lingua,  e  di  volgere  una 
infinità  di  carte  e  volumi».  —  E  più  volte  voleva  gettare  alle  fiamme  il  suo  lavoro. 


12*    — 


autori  e  le  opere  donde  quelli  furori  cavati.  Tutti  gli  esempj  poi  tratti 
dalle  opere  eh'  ei  possedeva  furono  da  lui  esaminati  nelle  loro  fonti  e  da 
esse  fedelmente  trascritti;  mentre  quelli  che  si  trovano  nelle  opere  eh' ei 
non  aveva,  gli  fu  forza  citarli  come  li  citano  coloro  dai  quali  1'  ha  levati. 
Né  si  creda  che  il  Moise  se  l' ha  cavata  anche  in  questo  cosi  alla  leggera 
o  con  iscarso  bagaglio  di  erudizione  sua  propria.  Basta  leggere  la  Tavola 
degli  scrittori  e  de  libri  citati,  da  lui  premessa  nella  sua  opera  —  tavola 
che  comprende  non  meno  di  61  pagine  di  fitto  carattere  —  per  ingenerare 
la  più  grande  ammirazione  dei  profondi  studj  e  della  imponentissima  fatica, 
nella  quale  il  nostro  Abate  è  durato  per  ben  vent'  anni  prima  di  condurre 
a  compimento  questo  suo  veramente  magistrale  e  colossale  lavoro.  Son 
meglio  di  380  opere  citate  —  alcune  delle  quali  molto  voluminose  — 
eh' ei  lesse  e  consultò;  ed  oltre  a  mezzo  migliajo  ascendono  poi  quelle  da 
lui  citate  appoggiato  all'  autorità  di  coloro  che  prima  di  lui  le  avevano 
allegate.  Ora  si  consideri  quanta  perseveranza,  vastità  di  cultura,  studio 
indefesso,  paziente  ricerca,  acume  critico,  gusto  estetico  e  via  via,  ci  voleva 
per  tutto  ciò;  che  non  bastava  la  semplice  lettura  di  tanti  e  sì  svariati 
autori  ma  era  pur  necessario  rileggerli  più  volte,  meditarli  e  vagliarli.  Poi 
le  noje  infinite  per  avere  le  opere  necessarie,  la  pazienza  cenobitica  per 
estrarne  quella  massa  di  esempj,  per  disciplinarli,  applicarli,  trascriverli  e 
correggerli.  Onde  la  sua  non  fu  già  una  vana  pretesa  d'intitolare  il  proprio 
lavoro  grammaticale  coli' epiteto  di  filosofico;  né  poteva  altrimenti  scegliere, 
come  ben  scelse,  a  motto  di  esso  la  seguente  sentenza  del  Borghini: 

«  La  lingua,  che  è  l' interprete  dell'  intelletto  nostro  ....  ha  in  sé  le 
»  speculazioni  cavate  dal  mezzo  della  filosofia.  Né  creda  alcuno  che,  perchè 
»  ella  si  abbia  a  proporre  ai  fanciulli,  ella  non  abbia  ad  essere  trattata  come 
»  da  uomini  ;  che  questa  è  stata  materia,  in  ogni  età  e  lingua,  de'  primi 
»  scrittori  ')  ». 


III. 


Se  è  vero  che  il  Moise  della  prima  Grammatica  grande  facesse  tirare 
soli  duecento   esemplari,    questo  vuol   dire  che,   quantunque   egli   l' avesse 


')  Vinc.  Borghini  in  Pros.  fior.  par.  IV,  voi.  4,  pag.  329  (posta  dal  Gherardini  in 
fronte  all'  Appendice  Gramm.  hai.). 


—    126   — 

composta  «per  comodo  principalmente  de'  giovinetti  studiosi»,  tuttavia  non 
intendesse  di  metterla  ancora  nel  grande  commercio  librario,  prima,  cioè, 
di  averne  udite  le  critiche  degli  uomini  competenti.  Nella  limitata  tiratura  già 
si  scorge,  dunque,  l' idea  preconcetta  di  fare  una  seconda  edizione  riveduta 
e  corretta  di  codesto  lavoro.  Ciò  che  fa  anche  manifesto  nella  prefazione, 
e  come  di  fatto  seguì. 

Ad  ogni  modo  il  Moise  mandò  subito  la  sua  Grammatica  ai  più  valenti 
filologi  e  grammatici  d' Italia,  i  quali  non  tardarono  a  portare  sulla  di  lui 
opera  i  loro  giudizj.  Sta  bene  intanto  di  premettere  che  il  nostro  Abate, 
fino  a  questo  punto,  era  un  uomo  presso  che  oscuro,  ignorato  cioè  da  tutti 
i  letterati  dell'epoca,  sia  perchè  non  si  fosse  ancora  pubblicamente  esposto 
con  alcuna  opera  filologica  o  letteraria,  sia  ancora  perchè  relegato  in  una 
piccola  isola  del  Quarnaro,  lontana  da  ogni  centro  scientifico  e  letterario. 
Egli  non  poteva,  perciò,  accaparrarsi  —  se  non  molto  limitatamente  —  la 
benevolenza  di  quelli  che  ora,  con  fronte  serena  e  sotto  l' usbergo  di 
una  coscienza  rassicurata,  ei  chiamava  a  giudicarlo  nell'  opera  che  a  loro 
spediva. 

Devo  all'egregio  giovane,  dott.  Gian  Pietro  Moise,  nipote  dell'Abate, 
anche  i  seguenti  squarci  di  lettere  che  riproducono  le  prime  impressioni 
sollevate  dalla  Grammatica  grande  nelle  menti  di  chiarissimi  letterati.  Si  dirà, 
forse,  che  codeste  non  erano  che  mere  espressioni  di  animi  cortesi  all'atto 
che  ricevevano  un  libro  in  regalo.  Se  questo  in  parte  può  esser  vero,  ve- 
dremo poi  come  la  critica  scendesse  pubblicamente  senza  riguardi  a  giudicare 
il  libro,  e  che  i  giudizj  da  essa  portati  per  nulla  differiscano  da  quelli  che 
troveremo  più  oltre  espressi. 

Pietro  Fanfani  così  gli  scriveva  da  Firenze  addì  22  gennaio  1868: 

Ebbi  ieri  l'altro  la  Grammatica  di  V.  S.  Chiarissima,  promessami  fino  dal  dì  2  del 
passato  ottobre,  e  non  me  la  sono  mai  levata  di  mano,  per  forma  che  posso  dire  di  averla 
compresa  in  tutte  le  parti. 

Nella  sua  lettera  Ella  mi  pregava  di  fargliene  una  critica  ;  ma  parrebbemi  non  per- 
donabile presunzione  il  mettermi  a  far  la  critica  di  un  lavoro  di  V.  S.  Chiarissima,  che 
sa  tanto  garbatamente  far  da  maestro  a  me,  e  riprendere  e  correggere  le  mie  ignoratile  ').  Le 
piaccia  dunque  dispensarmi  da  tale  ufficio,  e  non  mi  sgridi  se  sto  contento  a  ringraziarla 
del  ricco  dono,  ed  a  profferirmele  con  alta  riverenza  leale  servitore. 


')  Vedremo  in  seguito  com'egli  scendesse  a  battagliare,  com'era  suo  costume,  anche 
col  nostro  Moise  su  questioni  grammaticali;  e  che  non  sempre  riportasse  vittoria. 


—   127  — 

Prospero  Viotti,  il  diligente  raccoglitore  dell'Epistolario  di  G.  Leopardi, 
cosi  si  esprime  : 

AH'  entrata  dell'  anno  mi  fu  renduta  la  sua  Grammatica  ;  e,  siccome  nello  scorso 
gennajo  e  in  parte  del  febbrajo  io  stetti  tra  letto  e  tettuccio,  cosi  la  lessi  quasi  tutta  ;  e 
non  potei  non  ammirarne  I'  erudizione,  la  diligenza,  ['  ordine,  lo  svariato  sapere  che  vi 
campeggiano.  Ragionarle  alla  distesa  della  sua  Grammatica  ora  non  posso  ;  ma  posso  ben 
dirle  die  mi  pare  un  lavoro  assai  dotto  ed  osservabile,  e  di  tener  gran  conto  de'  moltissimi 
pregi  dell'opera.  E  la  ringrazio  di  tutto  amore  d'avermi  tanto  onorato  (Dio  gliel  perdoni) 
citando  spesse  volte  il  mio  nome  :  la  qual  cosa  è  mero  effetto  della  sua  bontà,  non  d'alcun 
sostanziale  mio  merito. 

Nicolò  Tommaseo,  scrivendo  al  Ricci  in  data  del  25  febbraio  1868,  dice: 

Se  Ella  scrive  al  sig.  Ab.  Moise,  gli  dica  che  lo  ringrazio  del  suo  dono  ;  che  in  quasi 
tutte  le  cose  m'accordo  co'  suoi  giudizj  ;  che  il  meglio  conoscere  l'uso  toscano  gli  sarebbe 
forse  giovato  ;  ma  che  a  tali  studj  corrono  non  favorevoli  i  tempi. 

E  Francesco  Ambrosoli  in  data  Milano  3  luglio   1868: 

Ammiro  l' infinità  degli  esempj  nei  quali  Ella  si  avvolge  e  coi  quali  con- 
valida le  sue  dottrine  :  vorrei  essere  giovane  ancora  per  ricominciare  con  Lei  questo  studio: 
spero  che  del  suo  libro  vorranno  approfittare  i  maestri  a  vantaggio  dei  loro  scolari  ;  ma 
non  è  mare  dalle  mie  braccia  ;  è  selva  nella  quale  mi  smarrirei  dopo  pochi  passi. 

La  lodo  sincerissimamente  per  quel  tanto  che  ho  pur  assaggiato  del  suo 

libro,  e  non  dispero  di  poterne  leggere  molto  più  con  mio  sicuro  profitto. 

E  1'  avv.  Niccola  Castagna  : 

Se  potessi  Le  direi  tutto  il  bene  che  qui  se  ne  dice,  e  più  quello  detto  da  coloro 
che  sanno,  anzi  se  V.  S.  sentisse  questo  Prete  o  meglio  Arciprete,  una  specie  di  Filippo 
Argenti,  Lo  fiorentino  spirito  bi^arro  di  Dante,  Ella  se  ne  farebbe  le  meraviglie.  Giorni 
fa  mi  scrisse  intorno  alla  sua  Grammatica  ed  io  mando  a  Lei  originalmente  la  lettera  di 
lui  e  gliela  dono.  Io  mi  sottoscrivo  e  approvo  in  tutto  e  per  tutto  il  giudizio  di  questo 
buon  prete. 

Del  quale  ecco  qui  la  lettera  nella  sua  integrità  : 

Al  Ghiarissimo  dott.  Nicolino  Castagna 

Città  S.  Angelo 

Carissimo  dott.  'Kjicolino. 

Egli  è  ben   quattro   e   quattr'  otto   che   la  Grammatica   della   Lingua   Italiana   del 

chiarissimo  Abate  G.  Moise  di  Cherso  è  da  mettere  a  capo  di  quante  altre  me  ne  siano 

venute  fra  mano  ;  dappoiché  1'  ordine  da  prima,  con  cui  dispone  la  bella  e  dotta  Opera 

sua,  cioè,  in  Ortoepia  ed  Ortografia  lib.  i°,  Etimologia  lib.  a0,  e  Sintassi  lib.  30,  è  dav- 


—    128    — 

vero,  per  me,  si  maraviglioso  e  condotto  a  capello  felicemente  al  suo  scopo,  che  il  Lettore 
invece  di  stancarsi  mica  nello  scorrere  que'  tanti  esempli,  di  che  va  a  dovizie  ricca 
1'  Opera  intera,  Egli  trova  anzi  in  ogni  pagina,  e  più  nel  libro  dell'  Etimologia,  giudizj 
sì  giusti  e  severi  de'  primi  Classici,  (non  la  perdonando  nemmeno  alli  stessi  più  chiari 
Accademici  Compilatori  del  Vocabolario  della  Crusca),  che  ha  per  ricogliere  copiosissim  i 
frutti  e  grandi  in  maniera  tanto  bene  ragionata  da  essere  indotto  a  conchiudere  con  Lui 
che  si  debbano  ormai  bandire  dalla  Lingua  nostra  tanti  pregiudizi  nell'  uso  di  scrivere 
talune  voci,  scongiurare  tanti  arbitrj  invalsi,  e  dissipare  tanti  madornali  errori,  per  rime- 
narla alla  sua  nativa  e  vergine  fonte.  Tutta  poi  quelP  erculea  fatica  che  il  Moisc  ha 
potuto  sol  egli  sostenere  fin  qui  per  rinvenire  la  radicale  delle  voci  veramente  italiane, 
quel  togliere  via  tutta  la  scoria  di  cui  sono  andate  fino  a  jeri  vestite,  quel  depurare 
l'uso  ed  il  significato;  e  quel  proporre,  che  fa  con  tanto  d'arte  e  di  raziocinio,  ed  in- 
sinuare l' uso  delle  patrie,  semplici,  più  proprie,  nude  e  terse,  in  confronto  di  quelle 
delle  altre  Lingue,  Inglese,  Francese,  Tedesca,  Spagnuola,  Provenzale,  Latina  ecc.,  di 
cui  si  mostra  gran  conoscitore,  a  ragione  lo  dichiarano  non  solo  sincero,  ma  ancora 
strenuo  Padre  detta  nostra  Lingua,  e  singolare  Maestro. 

E  per  darne  qualche  prova  basterà  notare  dell'  Opera  sua  i  particolari  pregi.  Una 
delle  milanta  sarebbe  quell'  annoveramento  che  ha  fatto  tra  gli  Aggettivi  distintivi,  come 
fece  il  Borsari,  degli  Articoli  -  il  -  lo  -  la  -  i  -  gli  -  le,  senza  però  togliere  ad  essi  la  de- 
nominazione di  Articoli  in  grazia  dell'uso  inveterato;  di  cui  gli  altri  Grammatici  hanno 
formato  una  Parte  del  Discorso.  E  mi  pare  più  ben  fatto,  perchè  lo  è  assai  più  ragio- 
nevolmente giusta  l'avviso  del  sig.  Abate. 

Ne  abbiamo  un  altro  luminosissimo  nel  Monosillabo  si  compreso  da  Lui  tra  gli 
^Aggettivi  indistintivi,  ove  insegna  che  si  usa  esso  da  buoni  Scrittori  per  doppio  officio, 
adoperandosi  talvolta  per  aggettivo,  ed  ora  per  nome  ancora,  per  aggettivo  in  significato 
di  uno,  taluno,  alcuno,  e  per  nome  in  quello  di  uomo,  V  uomo,  il  popolo,  la  gente.  L'  ave- 
vate Voi,  ditemi,  mai  inteso  così?  Io  mi  sono  imbattuto  spesse  fiate  con  quel  ri,  né 
affisso  e  né  pronome,  usato  da' Classici;  ma  non  ne  ho  in  vero  mai  ben  compreso  il 
proprio  significato,  avendolo  considerato  o  come  un  ripieno  di  periodo,  o  al  più  come 
vezzo  di  lingua.  Confesso  la  mia  ignoranza:  e  tantoppiù  la  confesso,  quanto  maggiormente 
sono  obligato  a  ringraziare  il  commendevolissimo  signor  Abate  Moise,  che  me  l' ha 
saputo  sì  bene  dileguare  di  mente. 

Ma  per  non  andare  neh' un  vie  uno,  contentiamoci  dell'accuratissima  Definizione 
che  ha  dato  lo  stesso  Abate  al  Verbo,  partendo  da'  principi  del  retto  definire,  e  mante- 
nendosi stretto  al  genere  prossimo,  come  alla  differenza  specifica.  =  Il  verbo,  egli  dice 
da  Maestro  sommo,  è  una  parte  del  Discorso,  la  quale  esprimendo  tempo,  afferma  1'  a- 
zione,  o  la  passione,  o  1'  esistenza,  o  il  modo  di  essere  di  una  Persona,  o  di  una  cosa. 
=r  Non  vedete  Voi  come  il  Giovanetto  col  sentire  e  riflettere  per  poco,  comprenda  sì 
bella  definizione;  e  coni'  egli  possa  noverarvi  tutte  le  principali  specie  del  verbo,  ed 
applicare  facilmente  da  sé  per  ogni  specie  la  propria  definizione  ?  Io  ho  letto  e  considerato 
tante  volte  quella  di  Salvatore  Corticelli,  di  Scavia,  Cerutti,  Parato,  Rodino,  Puoti,  Saresi, 
e  tanti  altri;  e  vi  devo  confessare  che  niuna  me  n'  è  andata  tanto  a  sangue,  quanto 
questa  del  sig.  Abate  di  Cherso,  perchè  1'  ho  trovata  più   esatta. 

Non  parliamo  delle  specialissime  regole  eh'  Egli  dà  circa  1'  uso  degli  Ausiliari  Essere 
e*d  Avere;  poiché  sarebbe  non  finirla  giammai  dal  ripetere  lodi  al  chiarissimo  Abate  ben 
dovute.  Quanti  arbitrj  si  dovranno  togliere  in  forza  di  quelle  sue  lucidissime  norme,  e 
quanti  errori  evitare  !  Oh  che  cara  e  preziosissima  lezione  è  stata  quella  per  me  ! 


—  129  — 

Conchiudendo  quindi  che  1'  Opera  di  tanto  Sacerdote  consacrato  neh"  apostolato 
all'  insegnamento  ed  istruzione  della  Gioventù  Italiana  meriterebbe  a  preferenza  di  ogni 
altra  di  essere  adottata  in  tutte  le  Itale  Scuole,  e  per  la  graude  utilità  che  ne  ricaverebbero 
i  discenti,  e  per  la  unità  tanto  necessaria  di  linguaggio,  a  cui  mira  specialmente  l'opera 
stessa. 

Non  so  se  il  mio  giudizio  così  espresso  sia  giusto.  Datene  Voi  uno  più  sano  ed 
intero,  che  '1  potete  meglio  assai  di  me,  siccome  peritissimo  nelle  umane  lettere,  e  in 
fatto  di  Lingua  Critico  saggio.  E  per  me  basti  il  ricordare  al  Reverendo  Giovanni  Abate 
Moise  che,  per  far  giungere  con  profitto  in  mano  di  tutti  1'  Opera  sua,  egli  è  d' uopo 
restringere  e  precisare  per  stimma  capita  le  Regole  tutte  con  l'applicazione  di  pochi,  ma 
trascelti  esempli,  e  dilucidati  de'  Classici,  perchè  se  ne  imbevano  facilmente  le  menti 
tenere,  e  possano  queste  poggiate  sopra  sani  e  puri  principi  dilatarsi  man  mano  da  sé 
e  spaziare  nell'amplissimo  campo  delle  proprietà  di  nostra  Madre  Lingua:  e  cosi  rendere 
immensamente  proficuo,  in  tutte  le  sue  parti,  si  bel  lavoro  uscito  di  sua  mano. 

Del  bello,  del  grande,  del  singolare  non  toglierei,  giungo  fino  a  dire,  briciola  del- 
l'Opera sua;  ma  la  ridurrci  tutta  quanta  per  facilitarne  e  generalizzarne  l'insegnamento, 
ampliando  ancora,  se  sarà  possibile,  quel  ricco  e  splendido  Catalogo  che  vi  riporta  de' 
Verbi  nel  vario  uso  che  se  ne  fa,  e  se  n'  è  fatto  da'  Classici  in  varj  e  bei  modi  del  dire 
italiano. 

Mi  piacque  oltremodo  il  Vostro  suggerimento  al  sig.  Abate,  che  aggiungesse,  cioè, 
alla  sua  Grammatica  veramente  riformatrice  di  nostra  Lingua  un  indice  esatto  in  fine  nella 
ristampa  ').  Come  un  corpo  di  leggi  ha  bisogno  di  un  Indice,  perchè  sieno  spesso,  facil- 
mente, e  continuamente  riscontrate  e  ben  riflettute,  e  nella  forza  delle  parole,  ond'  è  scritta 
ciascuna,  e  nello  spirito,  per  ottenerne  la  buona  e  retta  applicazione  ;  così  ne  ha  bisogno 
assoluto  la  Grammatica  Italiana,  e  specialmente  quella  del  sig.  Moise,  che  è  ben  volu- 
minosa, utilissima,  a  tutti,  adoperata  da  chi  sa,  a  riscontro  ancora,  se  non  si  vuole  altro. 

Mi  avveggo  però  di  essere  andato  troppo  per  le  lunghe  e  di  avere  forse  straripato 
da'  confini  di  una  lettera  :  e  perciò  qui  fo'  punto  in  atto  di  salutare  i  Vostri  tutti,  ed 
abbracciar  Voi  teneramente,  per  ripetermi  per  la  vita 

V.°  aff.° 
Tito  Arcip."  Impacciatore. 

Da  Castiknti  li  15  settembre  1868  vi  aggiunge  il  seguente  poscritto: 

D.  S.  E  vi  tedii  pure  quanto  e  come  che  sia  :  me  '1  perdonerete.  Io  non  cesserei 
mai  dal  ripetere  al  sig.  Moise  :  =  hai  ben  ragione  di  dire  in  una  delle  tue  pagine  :  alle 
gargagliate  degli  odierni  cornacchioni  le  mie  orecchie  son  chiuse.  =:  Seguita  dunque  indefes- 
samente, e  sino  a  renderti,  mercè  l'Opera  tua,  un  Nome  imperituro. 

Il  sig.   Vincenzo  Di  Giovanni  così  gli  scriveva  : 

La  sua  Grammatica  è  un  lavoro  da  pregiarne  molto  la  filologia  italiana.  Esso  sor- 
prende  per  la  tanta   erudizione   ond'  è  ricco,  e  per   i'  accuratezza  e  la  pazienza  di   tanti 


')  Ciò  che  fu  anche  fatto  dal  Moise  nella  seconda  edizione  della  sua  Grammatica. 


—   130  — 

studj  grammaticali.    Ella  intanto  è  andata  anche  più  in  là  del  Gherardini,  e  spessissimo 
tenendo  dietro  alla  buona  ragione,  la  quale  non  sempre  è  rispettata  dall'uso,  tiranno  delle 

lingue Ella  colla  sua  Grammatica  ha  voluto  dare  anche  ai  filologi  di  professione 

un  libro  in  cui  tutto  ci  sia  raccolto  sul  proposito  e  dal  quale  possano  bene  giovarsi  senza 
correre  o  ai  grossi  volumi  del  Gherardini  o  del  Nannucci. 

E  Pietro  Merìghi  da  Ferrara,  28  gennaio   1870: 

Anzitutto  questa  Grammatica  più  che  pei  giovanetti  mi  par  fatta  pei  Maestri, 

ed  anzi  pei  filologi  di  professione,  tanto  è  ricca  di  begli  insegnamenti,  copiosi,  e  non 
comuni.  Più  che  servir  di  corso  nei  primi  studj  può  giovare  a  chi  voglia  scendere  più  a 
fondo  nei  tesori  della  nostra  carissima  lingua,  e  rifiorire  il  proprio  stile  in  ogni  guisa  di 
eleganze.  Soprattutto  poi,  ripeto,  vi  è  ubertosa  messe  di  preziose  bellezze  nell'ultima  parte  ; 
e,  a  dirgliela  schietta,  anch'  io  ne  sto  sfiorando  il  meglio  per  mio  uso.  —  Quelle  grazie 
italiane,  quei  modi  proverbiali,  quelle  frasi  spiranti  atticismo,  e  tutte  recate  in  fonte,  nelle 
sue  genuine  citazioni,  come  un  frutto  insieme  colla  sua  natia  fronda,  oh  come  tornano 
gioconde  a  chi,  tanto  quanto  dilettossi  di  questi  studj  !  . . . .  A  dir  tutto  in  breve,  Ella  è 
assai  benemerita  della  cultura  della  lingua  italiana,  di  cui  vedesi  aver  fatto  studj  severi 
e  pazienti. 

E  ^Michele  Melga  : 

La  sua  Grammatica  io  vado  non  leggendo  ma  studiando.  Essa  è  opera  eccellente, 
dotta,  profonda,  meditata,  faticata.  Mi  è  paruto  un  miracolo  il  veder  venire  in  luce,  in 
mezzo  a  tanta  leggerezza  de'  tempi,  un'  opera  grave,  seria,  lo  pregio  immensamente  le 
sue  fatiche,  e  da  esse  vado  imparando  certe  cose  che  non  per  anco  sapevo.  Mi  creda 
pure  :  io  non  adulo  :  dico  quel  che  sento,  e  quando  noi  voglio  dire,  o  non  mi  conviene, 
taccio  piuttosto.  Di  cuor  sincero  dunque  mi  congratulo  con  Lei  e  con  le  lettere  altresì,  le 
quali  non  possono  non  vantaggiarsi  di  opere  cosi  dotte,  cosi  gravi,  cosi  profondamente 
meditate. 

E  L.  Del  Prete  da  Lucca  in  data  18  agosto  1872: 

Ottima  è  l' impressione  che  mi  ha  fatto  la  vostra  Grammatica  che  superlativamente 
chiamerei  Grammaticona,  essendo  un  lavoro  pienissimo,  dove  niente  mi  pare  che  manchi, 
ma  trovasi  svolto  tutto  quanto  importa  sapere  a  chi  ami  di  bene  apprendere  le  regole 
della  nostra  lingua  ;  e  ciò  con  metodo,  con  chiarezza  e  con  eleganza.  Io  vi  ho  dato  una 
corsa,  fermandomi  soltanto  sopra  alcuni  punti  principali  per  farmene  un'idea  per  le  generali. 

Ella  si  propone  colla  sua  Grammatica  grande  uno  scopo  tutto  filologico,  cioè  di 
presentare,  adunato  insieme,  quanto  i  nostri  letterati  hanno  scritto  sulle  regole  della  lingua, 
e  quanto  risulta  dallo  studio  degli  scrittori  antichi  e  moderni. 


—  i3i  — 


IV. 


Un  anno  dopo  che  era  uscita  la  Grammatica  grande  del  Moise,  e 
precisamente  intorno  alla  metà  del  mese  di  marzo  del  1868,  ecco  uscire, 
cogli  stessi  tipi  del  Grimaldo,  un  libercolo  di  oltre  un  centinajo  di  pagine 
di  sedicesimo  ordinario,  e  coll'ortografia  gherardiniana,  dal  titolo:  Regole 
del  Giuoco  del  Quintilio  —  tratte  da  un  codice  che  si  conservava  anticamente 
nella  libreria  dei  signori  Patri^j  Torriani  in  Cherso  e  che  è  ora  proprietà  del 

sig.  Annibale  P I.  —  ordinate,  corrette  e  in  alcuni  luoghi  compendiate 

per  cura  dell'  Abbate  dai  due  BB. 

Perchè  mai,  dir;\  il  lettore,  venne  in  testa  al  nostro  grammatico, 
e  Abate  per  giunta,  di  scrivere  codeste  regole  d'  un  giuoco  di  carte  ?  E 
vero  poi  eh'  egli  le  trasse  da  un  codice  privato  come  lo  annunzia  in  Pre- 
fazione ? 

Al  secondo  punto  rispondo  subito:  che  proprio  da  un  codice  egli  non 
le  ha  tratte;  ma  sì  forse  taluna  parte,  da  uno  di  quei  tanti  vecchi  libricciattoli 
che  corrono  per  le  mani  dei  giuocatori,  facendovi  quelle  aggiunte  eh'  egli 
credette  necessarie.  Il  chiarissimo  Alfredo  Lensi,  bibliotecario  della  Nazionale 
di  Firenze,  sta  ora  per  pubblicare  un  libro  interessante  che  tratterà  della 
storia  di  giuochi  di  carte.  Per  quanto  ne  so,  egli  conosce  molto  bene 
l'operetta  del  nostro  Moise  :  aspettiamo  dunque  quel  libro,  e  vedremo  che 
cosa  dirà  e  qual  posto  assegnerà  a  codeste  Regole  del  Moise. 

In  quanto  poi  al  fine  che  si  è  proposto  l'autore  nello  scrivere  codeste 
Regole,  io  credo  che  ne  avesse  due  di  ben  determinati  ;  solo  che  1'  uno 
era  occulto,  ma  che  viceversa  fa  spesso  capolino  nel  contesto  dell'  opera, 
specie  nelle  molte  e  pregevolissime  note;  l'altro  invece  era  palese. 

Rifacendomi  dalla  prima,  dirò  adunque  che  il  Moise,  famoso  e  appas- 
sionato giocator  di  carte  nelle  ore  perse,  se  1'  era  pigliata  acremente  colla 
Crusca  di  Firenze,  la  quale  non  volle  mai  far  buone  certe  voci  e  maniere 
di  dire  usate  a  tutto  pasto  anche  dal  popolo  toscano  —  voci  e  maniere 
che  si  riferiscono  appunto  ai  varj  giuochi  delle  carte.  Bisogna  leggere  codeste 
note  che  ricorrono  frequenti,  e  nelle  quali  l'  autore  dà  delle  vive  cenciate 
alla  Crusca,  per  capacitarsene  di  quel  che  dice. 

Dunque  le  Regole  del  Giuoco  del  Quintilio  fu  una  battaglia  valorosamente 
combattuta  e  vinta  dal  nostro  autore  contro  la  famosa  Accademia  della 
Crusca.  Dico  battaglia  vinta,  perchè  il  chiarissimo   Angelo   de   Gubernatis 


—    I32   — 

ci  avverte  ')  che  codesto  libercolo  del  Moise  fu  giustamente  indicato  agli 
accademici  della  Crusca,  per  estrarne  i  termini  proprj  ai  giuochi  di  carte. 
Non  ci  voleva  che  questo  libercolo  per  indurli,  come  s' indussero,  se  ben 
m'  appongo,  a  ricredersi  sulla  buona  lega  di  tante  voci,  alle  quali  fino  a 
questo  punto  non  si  avea  voluto  dar  quartiere. 

Ed  ora  veniamo  allo  scopo  palese  del  nostro  autore  nello  scrivere  le 
Regole  del  Quintilio.  Egli  ce  lo  dice  subito  in  Prefazione  2).  «  Nel  libro 
»  eh'  io  t' offero  (parla  Al  benevolo  Lettore)  apprenderai  a  passare  placide  e 
»  tranquille  le  lunghe  serate  d'inverno  in  compagnia  co'  tuoi  amici;  v' ap- 
»  prenderai  a  ridere  al  loro  ridere,  a  chiacchierare  al  loro  chiacchierare,  a 
»  cuculiare  al  loro  cuculiare;  e  ne  sarai,  io  spero,  grato  a  me  che  t'ho 
»  offerta  una  sì  bella  occasione  di  toglierti  un  poco  dal  pensar  tuttavia  a' 
»  tuoi  serj  studj,  o  a'  tuoi  gravi  affari  domestici,  o  alle  tue  penose  cure 
»  civili,  o  ad  altre  simili  noje,  che  tutto  giorno  ti  premono,  t'  incalzano,  ti 
»  tormentano,  t'imbarazzano  ». 

Poi  racconta,  che  il  manoscritto  da  cui  trasse  le  sue  Regole  contiene 
più  e  più  altre  cose  eh'  egli  non  dice;  che  il  Quintilio  è  il  più  antico  giuoco 
del  mondo,  anzi  ch'esso  è  antico  pressoché  quanto  la  terra;  ch'esso  fu 
giuocato  e  commendato  da  papi,  da  imperatori,  da  re,  da  duchi,  da  conti, 
da  marchesi,  da  baroni,  da  generali  d' eserciti,  e  fin  da  abbati  e  da  abbadesse 
tanto  dai  due  bb  che  da  un  b  solo,  da  monaci  e  da  monache,  da  eremiti  ed 
eremite,  da  soldati,  da  marinaj,  da  cacciatori,  da  pescatori,  da  pescivendoli, 
e  così  via. 

Di  alcune  di  queste  cose  egli  ragiona  diffusamente  nelle  note,  di  alcune 
altre  tratta  alla  sfuggita,  e  di  molte  e  molte  altre  non  ne  fa  pur  motto. 
È  verissimo,  continua,  eh'  egli  ha  raccolte  e  ordinate  queste  Regole  per  far 
ridere  le  brigate;  ma  eh'  ei  le  abbia  messe  insieme  con  la  mala  intenzione 
d' ingannare  il  lettore  e  vendergli,  come  si  dice,  lucciole  per  lanterne, 
questo  è  falso  falsissimo.  E  sapete  di  chi  son  queste  Regole?  Sono  del  signor 
Kin-toang-kin-toug-thian-sung,  gentiluomo  chinese,  nativo  di  Fo-chu-fu, 
appartenente  alla  setta  dei  Thian-li.  E  chi  è  costui?  Egli  è  (e  ce  lo  dicono 
in  quasi  ogni  pagina  delle  loro  Opere  tutti  li  scrittori  del  nostro  Giuoco 
e  il  Francesconi  e  il  Dazzini  e  il  Brandolini  e  il  Matteazzi  e  il  Gianelli  e 


')  Nel  'Dizionario  degli  scrittori  contemporanei,  all'  art.  Moise. 

*)  Avverto  il  lettore  che  ridussi  il  dettato  del  testo  all'ortografia  comune  ordinaria 
per  maggior  speditezza  e  opportunità  tipografica. 


-   '33  — 

1'  abbate  Zuccherino  e  il  suo  Continuatore  Reginaldario),  egli  è,  io  diceva, 
un  uomo  dottissimo  e  sapientissimo. 

Qui  avverto  il  lettore,  che  gli  autori  su  citati  non  sono  punto  reali 
ma  immaginari.  Taluno  è  stato  tratto  in  inganno  in  questo,  e  chiedendo  al 
Moise  per  lettera  chi  fossero  questi  Francesconi,  Dazzini,  ecc.,  ei  ne  fece 
le  grosse  risa,  rispondendo  eh'  essi  erano  di  conio  inventati. 

In  fine  della  Prefazione,  1'  autore  si  scaglia  indirettamente  alla  Crusca. 
Parlando,  cioè,  al  lettore,  dice  : 

v  Non  far  1'  ostinato,  come  1'  Academia  della  Crusca.  Ella  non  velie 
»  prestar  fede  né  al  sig.  Kin-toang  ecc.,  ne  alti  altri  maestri  del  nostro 
»  Giuoco  e  finse  d' ignorare  ciò  che  essi  ne  hanno  scritto.  Ma  che  ne 
»  avvenne  poi  ?  Ne  avvenne  eh'  ella,  per  voler  far  1'  ostinata  e  la  caparbia, 
»  omise  di  registrar  nel  suo  Vocabolario  molti  vocaboli  di  buon  conio  che 
»  sono  oggi  usati  e  approvati  comunemente  in  Italia  e  meritò  così  di 
»  venirne  tuttogiorno  cuculiata  e  persili  dal  popolo  minuto  e  dai  fanciulletti 
»  delle  prime  scuole.  Ella  è  cieca  e  guida  di  ciechi,  e  tu  lasciala  fare,  e  da 
»  parte  tua  fai  quello  che  testò  t'  ho  detto,  e  il  Cielo  ti  dia  ogni  bene. 
»  Intanto  stai  sano  e  allegro,  leggi,  giuoca,  ridi,  chiacchiera  e  cuculia  a 
»  tutto  pasto.  Vive,  vale  ». 

A  motto  del  libercolo  ei  pone  la  terzina  dell'Ariosto  tratta  dalla  prima 
Satira  (vers.   148-150): 

Ma  chi  fu  mai  sì  saggio  o  mai  si  santo, 
Che  d' esser  senza  macchia  di  pazzia, 
O  poca  o  molta,  dar  si  possa  vanto. 

E,  in  verità,  un  ramo,  che  Dio  mei  perdoni,  l'aveva  anche  il  Moise; 
ma  che  tutti  i  rami  fossero  come  il  suo  ! 

Ho  detto  che  codeste  Regole  sono  riccamente  illustrate  da  pregevolissime 
note;  ora  soggiungo,  che  le  note  sono  in  parte  filologiche  e  in  parte  storiche 
—  storiche  così  per  dire.  Se  le  prime  hanno  il  loro  bel  valore  scientifico, 
le  seconde  sono  la  cosa  la  più  lepida  e  più  graziosa  che  si  possa  immaginare. 
L'opera  è  divisa  in  37  capitoli  e  in  119  paragrafi.  Nulla  vi  è  dimenticato 
queste  Regole  e  che  al  giuoco  del  Quintilio  si  riferisca  :  v"  è  persino 
jn  capitolo  che  tratta  Dell'  allegria  dei  giocatori,  e  della  Cuculiata  (della 
jal  voce,  dice  V  autore,  non  ne  vogliono  punto  sapere  li  ACcademici 
2ruscobecconi).  E  sanno  i  mei  lettori  che  cosa  sia  questa  Cuculiata  ?  Ecco 
ime  la  spiega  il  Moise. 

«  Il  nostro  Giuoco  è  di  sua  natura  vivo  e  spiritoso,  e  perciò  i  giocatori 
»  tutti  debbonsi  portare  in  esso  con  allegria  e  giovialità.  Li  scherzi,  le  facezie, 


—  134  - 

»  i  sali  debbono  continuamente  tener  desta  la  compagnia,  specialmente  net 
»  ritagli  di  tempo  che  si  occupano  nel  mescolare  le  Carte  e  partirle  fra  i 
»  giocatori.  Ed  è  lecito  ancora  (purché  si  faccia  con  discrezione)  di  bellamente 
»  e  graziosamente  cuculiare  chi  ha  chiamato,  se  gli  accadde  di  dover  egli 
»  contro  sua  voglia  giocar  solo  o  toccare  un  rovescione  o  fare  un  Mottetto 
»  falso,  ecc.  Anzi  in  tutti  questi  casi  la  cuculiata  non  pure  è  lecita,  ma 
»  prescritta  dalle  leggi  del  Giuoco ». 

Poi  vi  pone  ancora,  in  versi,  un  Mottetto  colla  Coda,  e  finalmente 
un'  altra  poesia  intitolata  Lamentazione  di  Luca  Cantore,  le  quali  poesie  sono 
anche  riportate  in  musica  con  accompagnamento  del  pianoforte.  E  preci- 
samente il  Preludio  (adagio)  è  per  tenore  e  basso,  poi  vien  l'Applauso  (allegro), 
quindi  il  Cuculio  per  coro  (allegro),  poi  ancora  la  Coda  per  baritono  o  mezzo 
soprano  (andante  sostenuto),  e  finalmente  la  Lamentazione  di  Luca  Cantore, 
sempre  per  baritono  o  mezzo  soprano. 

Ne  qui  finisce  ancora  il  libercolo.  In  fine  egli  ci  messe  una  Novella 
di  Luca  Cantore,  «  tal  quale  —  ei  dice  —  ella  si  legge  nelle  ....  Conver- 
sazioni Quintiliane  »  d'  un  certo  Giannelli  di  Bologna.  Anche  qui  parecchi 
critici,  ai  quali  il  nostro  Abbate  soleva  talvolta  dare  l'erba  trastulla,  furono 
tratti  in  inganno  dall'argomento  e  più  ancora  dallo  stile  e  dalla  lingua  di 
essa  Novella.  Alcuni,  in  fatti,  la  tennero  del  500,  altri  del  400  e  altri 
del  300;  ragione  per  cui  il  chiarissimo  prof.  Veratti  raccomandò  ai  lettori 
degli  Opuscoli  Religiosi,  letterari  e  morali  di  Modena  di  non  lasciarsi  ingannare; 
dicendo  esser  ella  lavoro  de'  nostri  giorni. 

Curioso!  Le  Regole  del  Quintilio  fu  la  sola  opera  che  fruttò  qualche  cosa 
al  Moise;  mentre  in  tutte  le  altre  —  meno  forse  ancora  la  Grammatichetta  — 
ei  ci  rimise  della  propria  tasca.  Egli  fece  tirare  delle  Regole  5000  copie, 
delle  quali  non  ne  restano  che  poche  assai,  se  ben  m'  appongo.  Persino 
dopo  la  morte  del  loro  autore  vennero  alla  famiglia  moltissime  domande 
di  questo  libercolo  da  ogni  parte  d' Italia,  fino  dalla  lontana  Sicilia. 


Taluno  forse  avrà  arricciato  il  naso  nel  vedere  un  prete  occuparsi 
con  tanta  passione  dei  giuochi  di  carte  in  generale,  e  del  Quintilio  in 
particolare,  ma  non  creda  per  questo  che  il  Moise  perdesse  il  suo  tempo 
al  tavolo  dei  giuocatori;  oh  no!  Pochissimi  preti,  assai  pochi  in  verità! 
hanno  speso  tutta  la  loro  vita  nello  studio  costante  e  severo,  come  il  nostro 


—  135  — 

Abate.  Certo,  egli  non  era  un  anacoreta,  un  satrapo,  un  burbero;  ma  un 
uomo  di  conversazione,  di  società,  che  faceva  volentieri  anche  la  partita 
a  carte.  Di  tali  sacerdoti,  pur  troppo,  oggi  si  è  perduto,  o  presso  che, 
lo  stampo.  E  quanto  più  bene  non  fanno  questi  di  confronto  agli  altri,  e 
sono  i  più,  che  fecero  divorzio,  specie  negli  ultimi  tempi,  dalle  oneste  brigate, 
ostentando  un  riserbo  e  un  rigorismo  dannosissimi,  in  quanto  li  separino 
dal  contatto  di  ogni  civile  consorzio  ?  Il  Moise  però,  se  sapeva  scrivere,  con 
impareggiabile  valore,  dei  giuochi  di  carte,  ei  sapeva  ancora  dettare  con 
altrettanta  valentia,  come  vedremo,  delle  opere  religiose  ed  ascetiche,  così 
da  rendersi,  anche  in  questo  campo,  più  d'ogni  altro  benemerito. 

Nel  settembre  infatti  del  1871  egli  pubblicava  a  Modena')  la  Vita 
della  serva  di  Dio  suor  Giacoma  Giorgia  Colombis  religiosa  benedettina  del 
monastero  di  S.  Pietro  Apostolo  vicino  a  Cherso.  —  E  un  libercolo  di  135  pag. 
in  trentaduesimo,  dedicato  A  Sua  Eminenza  Giuseppe  Luigi  Trevisanato, 
cardinale  della  santa  romana  chiesa  ecc.  Il  quale  Trevisanato  —  che  molti 
dei  miei  coetani,  che  studiarono  a  Udine  dopo  il  1850  fino  al  '59,  ricor- 
deranno Arcivescovo  in  quella  città  —  era  stato  a  Venezia  maestro  del 
nostro  Abate. 

Questa  suor  Giacoma  morì  in  concetto  di  santa  addi  28  di  giugno 
dell'anno  1801  nell'età  di  sessantacinque  anni.  Scrivendo  la  sua  Vita 
l'Abate  intese  «  dall'una  parte  di  eccitare  i  buoni  all'esercizio  della  perfezione 
cristiana,  e  di  procacciare  dall'altra  lustro  e  onore  alla  patria,  rendendo  per 
essa  note  le  virtù  di  questa  sua  eroina  ». 

E  da  che  fonti  trasse  egli  codesta  Vita  ? 

Il  Canonico  Don  Marco  Lucis  che  per  dieci  anni  e  mezzo  fu  confessore  ordinario 
di  suor  Giacoma  Giorgia,  scorgendo  in  lei  una  perfezione  diversa  dalla  comune  e  giudi- 
cando esser  ella  un'  anima  privilegiata  in  cui  Dio  si  compiaceva  di  spandere  in  copia  i 
suoi  doni  celesti,  le  comandò  in  virtù  di  santa  obbedienza  di  scrivere  ogni  giorno  di  sua 
propria  mano  tutto  quello  che  passava  nel  suo  interno  e  di  consegnare  di  tempo  in  tempo 
a  lui  i  fogli  scritti.  Non  è  a  dire  quanto  la  poveretta  ne  restasse  addolorata  e  confusa; 
pur  nondimeno  non  mancò  mai  al  suo  dovere.  11  confessore  poi,  appena  ricevuto  il  foglio, 
ne  segnava  in  un  de'  margini  la  data.  Cessato  in  seguito  il  Lucis  dall'  ufficio  di  confessare 
le  monache,  coloro  che  gli  succedettero  in  quella  carica  non  restarono  di  fare  a  suor 
Giacoma  Giorgia  la  medesima  ingiunzione  ;  ella  però  porgeva  loro  le  sue  scritture,  pre- 
gandoli di  rassegnarle  ad  esso  Lucis;  e  così  fu  fatto. 

Da  ciò  ne  avvenne  che  questi  suoi  confessori  e  dalle  relazioni  da  lei  fatte  nel  tri- 
bunale   della   penitenza  e  dalle    Memorie   scritte   della   sua   vita   erano  in   grado   di    ben 


')  Tip.  dell'  Immacolata  Concezione,  che  se  ne  fece  anche  editrice. 


-  I3é- 

conoscere  le  sue  orazioni  e  penitenze,  le  sue  inspirazioni,  le  sue  predizioni,  i  fatti  pro- 
digiosi da  lei  operati  e  tutte  quelle  altre  grazie  che  Iddio  Signore  si  degnava  di  versare 
a  larga  mano  su  quest'anima  benedetta.  Laonde,  se  questi,  ancora  vivente  lei,  ne  com- 
mendavano ed  esaltavano  le  virtù,  non  è  meraviglia  che  dopo  la  sua  morte  ne  parlassero 
vantaggiosamente  e  ne  facessero  un  gran  dire.  Né  solo  i  confessori,  ma  le  monache  altresì 
andavano  magnificando  a  questo  e  a  quello  i  grandi  meriti  della  loro  consorella  defunta. 
Vivevano  ancora  due  suoi  fratelli,  Monsignor  Giorgio,  Protonotario  Apostolico,  e  Antonio. 
Questi,  all'  udir  tutiogioriio  tante  meraviglie,  e  pel  naturai  desiderio  che  avevano  in  cuore 
di  veder  glorificata  questa  loro  sorella,  e  per  gli  eccitamenti  che  loro  ad  ogni  pie  sospinto 
venian  fatti  da'  parenti  e  dagli  amici,  determinarono  di  porgere  una  istanza  all'  Autorità 
ecclesiastica  acciocché  s' instituisse  un  processo  giudiziale  e  si  chiarisse  la  verità  delle 
cose  che  per  tutta  Cherso  si  andavano  dicendo. 

Il  processo  fu  di  fatti  cominciato  e  terminato,  ma  i  documenti  che 
servirono  a  giustificarlo  furon  chiusi  in  una  cassetta,  che  rimase  lungo 
tempo  abbandonata  nell'  archivio  vescovile  di  Ossero,  senza  che  chicchessia 
se  ne  pigliasse  cura  di  sorta.  E  la  cassetta  rimase  cosi  noncurata  fino 
all'anno  1825.  Allora  il  nobile  sig.  dott.  Marco  de  Petris,  che  faceva  le 
veci  di  Commissario  distrettuale  di  Cherso,  dovendo  per  certi  affari  d'ufficio 
poitarsi  ad  Ossero  a  fin  di  visitare  quell'  Archivio,  presto  s'  accorse  che 
l'Archivio  non  era  completo:  il  vescovo  di  Veglia  Sintich  n'avea  esportati 
i  documenti  più  importanti,  lasciando  colà  quelli  soltanto  che  si  avevano 
quali  disutili  anticaglie.  Tra  queste  vide  egli  per  la  prima  volta  la  soprac- 
cennata cassetta  avente  violato  e  infranto  il  coperchio  e  disordinati  e 
scomposti  gli  scritti  e  gli  altri  documenti,  sicché  dalla  sola  soprascritta  del 
processo  discernere  si  potea  ciò  che  ella  contenesse.  «  Gli  dispiacque  al- 
l'anima di  veder  trascurate  così  le  glorie  di  questa  santa  Penitente,  ch'era 
stata  zia  di  sua  madre»,  ma  per  allora  nulla  potè  fare.  «Pochi  anni  appresso 
il  medesimo  sig.  Marco  tornò  a  visitare  quel  luogo,  e  meravigliato  che, 
prodigiosamente,  per  così  dire,  s'era  conservato  perfettamente,  incorrotto  tutto 
ciò  ch'era  contenuto  nella  cassetta  soprannominata,  si  studiò  di  far  sì  che 
a  lui  fosse  dato  in  custodia  questo  tesoro;  ondechè,  tornato  in  patria,  pregò 
il  sig.  Bernardino  suo  padre,  a  trattare  con  mons.  vescovo  Sintich  perchè 
a  lui  data  fosse  a  custodire  quella  cassetta,  ed  avutala,  fece  risoluzione  di 
tramandarla  ai  posteri  insieme  con  la  storia  del  modo  per  cui  ell'era  per- 
venuta nelle  sue  mani  ». 

Infatti  questa  Memoria  esiste,  e  fu  anche  dal  nostro  autore  riportata  a 
brani  in  Prefazione,  ed  ha  la  data  del  3  ottobre  1835. 

La  cassetta  restò  poi  in  casa  del  dott.  Marco  Petris  chiusa  e  suggellata  tino 
al  gennajo  del  1852,  quando  il  rev.  don  Lorenzo  Petris  (al  presente  vescovo 
d'  Albania)  essendo  confessore  delle  monache  di  Cherso,   chiese  al  prefato 


—  137  — 

sig.  Marco  il  permesso  di  aprire  la  cassetta  e  di  leggere  quelle  carte.  Appena 
lette  però,  egli  le  restituì.  Intanto  era  venuto  a  morte  il  dott.  Marco  (1858), 
e  le  carte  rimasero  in  proprietà  della  vedova  signora  Regina  de  Petris,  nata 
Antoniazzo. 

Qualche  anno  appresso  il  nostro  Abate,  assistito  da  mons.  Petris,  le 
chiese  alla  sua  volta,  e  dallo  spoglio  delle  medesime  estrasse  la  Vita  della 
suora  Colombis. 

Dire  che  anche  questa  Vita  è  scritta  con  un'eleganza  e  una  chiarezza 
degne  del  maggior  encomio,  credo  cosa  superflua.  Dalla  penna  del  Moise 
nulla  di  sciatto  poteva  uscire.  Il  eh.  letterato  Mauro  Ricci,  non  appena  lesse 
questa  Vita,  scrisse  le  seguenti  al  nostro  Abate  : 

«  Carissimo  amico,  la  vostra  Vitina  è  un  giojello.  Io  non  so  come 
»  abbiate  potuto  tare  a  toscaneggiare  di  costà  con  tanto  garbo  e  buon 
»  sapore,  che  vi  si  prende  per  un  fiorentino  nato  sputato.  Bravo  !  bravo  ! 
»  me  ne  rallegro  di  cuore  ».  —  E  chiudeva  la  lettera  con  questo  distico 
latino  fatto  extempore  : 

Virginis  egregins  tam  recte  scribcrc  morcs 
Egregi  tantum,  duleis  aniicc,  valent  '). 

E  poiché  sono  a  parlare  di  opere  ascetiche  —  e  questa  che  sono  per 
nominare  e  proprio  un'opera  ascetica,  al  par  della  terza  di  S.  Bonaventura, 
di  cui  discorrerò  più  tardi  —  devo  aggiungere,  che  nel  1874  e8u'  pubblicò 
a  Modena  *)  V  Esercizio  quotidiano  di  devozione  per  la  Sposa  di  Gesù. 
In  questo  tempo  l'Abate  era  confessore  delle  monache  benedettine  di  Cherso, 
ufficio  die  tenne  dall'anno  1872  al  1877,  ecco  perchè  egli  imprese  a  scrivere 
quest'operetta.  La  quale,  ei  dice,  «  è  tale  che  può  servire  a  tutte  in  generale 
»  le  religiose  e  ancora  ai  religiosi,  ai  chierici  ed  a  tutte  le  persone  laiche 
»  dell'uno  e  dell'altro  sesso  che  tendono  alla  perfezione  ».  Di  quest'opere:ta, 
dal  formato  della  precedente,  se  ne  son  fatte  due  edizioni  *),  e  conta  appena 
di  36  pagine.  In  fine  vi  è  ancora  la  traduzione  in  versi  ottonarj  del  Salmo 
103  e  del  Salmo  67.  Anche  da  questo  libercolo  spira  un'  innocenza,  un 
candore  e  una  purità  veramente  celestiali. 


■)  Vedi   Dialogo  2"  del  Lunario  pel  iSjj  a  metà  circa. 
')  Tip.  Pontificia  ed  Arcivescovile. 
*)  La  seconda  fu  fatta  nel  1876. 


io 


i38- 


VI. 


Nel  1873  il  Moise  cominciò  a  pubblicare  il  Lunario  Istriano,  libercolo 
che  continuò  ininterrottamente  a  dar  fuori  al  principio  d'ogni  anno  nuovo 
per  cinque  anni  consecutivi,  cioè  fino  al  1878.  Dal  primo  dell'anno  del  1879 
in  poi  il  Lunario  s'  è  convertito  in  Strenna  Istriana,  e  tale  durò  fino  alla 
morte  del  nostro  Abate,  cioè  fino  al  1888  ').  Cosi  abbiamo  sei  Lunarj  e 
dieci  Strenne  del  Moise,  libercoli  molto  preziosi  e  pel  modo  con  cui  sono 
scritti,  e  per  le  molte  questioni  filologiche  che  in  essi  si  disviluppano,  e 
finalmente  perchè  in  essi  si  contengono  parecchi  fatti  della  vita  del  nostro 
autore.  Ed  è  appunto  a  questa  fonte  pura  e  veritiera  che  io  di  frequente 
dovetti  ricorrere  nel  corso  di  questo  lavoro  ;  e  me  ne  prevalsi  con  tanta 
miglior  coscienza,  in  quanto  codesti  libercoli  sieno  lo  specchio  fedele  del 
pensiero  e  dell'animo  del  buon  Abate,  il  quale,  in  essi  riversava,  si  può  dire, 
tutto  sé  stesso,  senza  addarsene  quasi  dell'altro  mondo  esteriore  che  il  cir- 
condava. Chi  dunque  vuol  cercare  in  essi  quei  requisiti  onde  soglionsi  in 
oggi  infiorare  le  mille  Strenne  che  corrono  pel  mercato  librario,  trovasi 
grandemente  disilluso,  né  sa  forse  capacitarsi  come  un  uomo  di  tanto  sapere, 
com'era  il  Moise  (del  resto  simile  in  questo  al  Puoti,  al  Veratti  e  ad  altri 
filologi  o  grammatici),  trovasse  di  suo  diletto  a  scrivere  persino  dei  Lunarj, 
e  molt'altre  freddure  —  non  saprei  con  quaPaltro  nome  chiamarle  —  che  in 
essi  si  rinvengono.  Ciò  non  toglie,  ripeto,  ch'essi  libercoli  sieno  per  tanti 
altri  rispetti  preziosissimi. 

Cora'  è  noto,  tanto  i  Lunarj  che  le  Strenne  passavano  sotto  il  pseu- 
donimo di  Nono  Cajo  Baccelli  ;  in  modo  che  parecchi  de'  letterati  italiani,  a 
cui  pervenivano  essi  Lunarj  o  esse  Strenne,  non  sapevano  dapprima  chi  le 
scrivesse,  ma  certo  tutti  in  coro  le  attribuivano  a  qualche  autore  toscano, 
e  nessuno  mai  pensò  —  di  quelli  che  non  conoscevano  il  Moise  —  ch'esse 
potessero  venire  da  un  istriano;  onde,  per  ringraziamelo,  si  rivolgevano 
allo  stampatore. 


')  Il  primo  Lunario  fu  stampato  a  Venezia  dal  Tondelli,    il  secondo  a  Capodistria 
pure  dal  Tondelli,  tutti  i  seguenti,  comprese  le  Strenne,  a  Firenze,  nella  tip.  del  Vocabolario. 


—  139  — 

Perchè  egli  pigliasse  il  pseudonimo  di  Nono  Cajo  Baccelli  di  sicuro  non 
lo  saprei  dire.  Tuttavia  potrei  forse  indovinarlo  senza  giocare  di  fantasia'). 
In  Toscana,  e  precisamente  a  Firenze,  sino  dal  1832  si  pubblica  un  Lunario 
sotto  il  titolo  di  Sesto  Cajo  'Baccelli,  al  principio  del  quale  trovasi  una 
prefazione  in  poesia,  per  lo  più  in  sestine.  Il  celebre  letterato  Antonio 
Guadagnoli  scrisse  queste  prefazioni  colla  ben  nota  sua  naturalezza  e  col 
solito  spirito  dal  1832  al  1860  circa2).  Il  Lunario  veniva  pubblicato  da  un 
certo  Formigli  cartolajo  che  stava  in  via  Condotta.  Credo  che  anche  oggi 
dagli  eredi  e  successori  suoi  si  seguiti  a  stampare  il  detto  Lunario,  che  però 
non  è  più  quello  d'  un  giorno.  Ecco  dunque  che  il  Moise,  il  quale  ebbe 
in  grandissima  estimazione  il  Guadagnoli,  tanto  da  farne  il  suo  prototipo, 
volle  anche  pigliare  da  lui  il  titolo  del  Lunario,  cioè  quello  di  Cajo  Baccelli, 
solo  che  al  numero  Sesto  vi  messe  il  Nono.  Perchè  poi,  in  luogo  di  Settimo, 
com'era  naturale,  pigliasse  quello  di  Nano,  lo  vedremo  subito.  Ma  tutto  ciò 
giustifica  il  fatto,  perchè  molti,  ripeto,  che  non  conoscevano  il  Moise  da 
vicino,  credessero  che  anche  la  Strenna  istriana  uscisse  a  Firenze,  senza 
badarci  più  che  tanto  a  quell'  istriana. 

Nella  Prefazione  in  prosa,  Ai  benevoli  lettori,  del  primo  Lunario,  ei  fa 
una  lunga  storia  del  perchè  esso  Lunario  non  sia  uscito  col  nome  di  Cajo 
Settimo  o  di  Cajo  Ottavo,  ma  sì  con  quello  di  Cajo  Nono,  raccontando  tutte 
le  vicende  dei  tre  fratelli  —  avvegnaché  e  Cajo  Settimo  e  Cajo  Ottavo  e 
Cajo  Nono,  nonché  la  Burbundofora  Quarta,  ei  li  faccia  figli  di  Cajo  Sesto, 
«  di  gloriosa  memoria  »,  il  quale  in  sul  finire  dell'  annno  1852  s'era  ridotto 
al  lumicino,  e  poco  dopo  spirò,  lasciando  tutta  la  sostanza  al  figlio  maggiore 
Cajo  Settimo;  mentre  tutti  gli  altri  furono  accolti  e  fatti  educare  da  un 
amico  di  Cajo  Sesto,  certo  Stefano  Scacciapensieri,  mercatante  di  cappelli 
di  paglia,  cui  andava  provvedere  ogni  anno  in  Toscana.  Il  sor  Stefano 
affidò  i  giovinetti  Cajo  Ottavo  e  Cajo  Nono  all'  amico  suo,  l' Abate  dai 
due  BB,  perchè  li  istruisse.  Infatti  egli  insegnava  loro  «  con  tutta  pazienza 
e  pieno  di  amore  la  religione,  l' italiano,  il  latino,  la  geografia,  la  storia  e 
1'  aritmetica  »,  e  i  ragazzi  ci  fecero  grande  profitto.  Più  tardi  il  fanciullo 
Ottavo  partì  con  un  suo  zio  Bortolo  per  la  Turchia  ;  così  rimase  il  solo 


')  Le  notizie  che  seguono,    quelle  cioè  riguardanti  il  Lunario  toscano,   mi   vennero 
cortesemente  favorite  dal  eh.  sig.  Alfredo  Lensi,  bibliotecario  della  Nazionale  di  Firenze. 
io  sono  sicuro  di  questo.  Stando  a  quello  che  dice  il  Moise,  se  il  Baccelli  Sesto 
si  riferisce  al  Guadagnoli,  egli  avrebbe  dovuto  finire  al   1852,  come  si  vedrà  più  sotto. 


—  140  — 

Nono  a  scuola  dell'  Abate  dai  due  HB,  che  l' istruì  anche  nel  greco  e 
nell'  algebra  conducendolo  così  fino  al  sesto  anno  degli  studj  classici. 
Intanto  la  Burbundofora  s'era  sposata  a  un  certo  Giorgio  Rompicapi,  figlio 
di  Benvenuto  ricco  contadino  di  Vrana,  paesello  vicino  al  lago  omonimo 
di  Cherso. 

Nono,  finiti  gli  studj  in  casa  dell'  Abate  dai  due  TSB,  se  ne  ritornò 
alle  Acquette  (altro  luogo  dell'isola  di  Cherso)  a  stare  col  babbo  putativo 
Scacciapensieri  e  con  1'  unica  sua  figlia  Teresa.  I  due  giovani  si  sono  poco 
di  poi  uniti  in  matrimonio.  Prima  del  quale  intrapresero  col  babbo  un 
viaggio  a  Firenze  a  trovare  Settimo  che  si  era  sposato  con  una  ricca 
giovine  aretina,  di  nome  Nunziatina;  dalla  quale  ebbe  Cajo  Decimo,  Cajo 
Undecimo  e  Burbundofora  Quinta.  Col  tempo  da  questa  coppia  vennero 
«altri  tre  Cajni,  il  Dodecimo,  il  Decimoterzo  e  il  Decimoquarto»;  e  Nono 
pure  n'  ebbe  tre,  «  il  Decimoquinto,  il  Decimosesto  e  il  Decimosettimo,  e 
di  più  due  Burbundoforine,  la  Sesta  e  la  Settima  » .  Da  ciò  deduce,  aver 
egli  grande  speranza,  anzi  tener  per  fermissimo  che  la  razza  de'  Baccelli 
non  verrà  così  presto  a  spengersi  ne  in  Toscana,  ne  in  quest'  isola  di 
Cherso  ».  —  Se  ciò  si  riferisce  alla  famiglia  dei  Moise,  la  speranza  è  ben 
fondata. 

Questa,  in  succinto,  la  storia  dei  Baccelli.  In  quanto  al  Lunario,  ecco 
come  sta  la  cosa. 

Mi  fu  renduto  —  ei  dice  —  ai  primi  del  passato  mese  una  lettera  del  fratello 
Turco  —  (Cajo  Ottavo)  —  dove  mi  dice  che  il  'Babbo  "Bortolo  (così  egli  lo  chiama)  vuole 
ad  ogni  patto  eh'  ei  pel  prossimo  anno  iSyj  dia  alla  luce  un  Lunario  in  lingua  turca  (non 
occorre  dire  che  Ottavo  parla  il  turco  meglio  che  voi  l'italiano);  eh'  egli,  qual  figliuolo 
ubbidiente,  benché  a  malincuore,  dovrà  pur  risolversi  a  farlo,  che  perciò  ei  prega  me  a  volerne 
dar  fuori  anch'  io  uno  in  lingua  italiana,  che  così  noi  tutti  e  tre  fratelli  'Baccelli  saremo 
lunaristi,  quali  furono  Cajo  VI,  nostro  babbo,  Cajo  V,  nostro  nonno,  Cajo  IV,  nostro  bisnonno, 
e  finalmente  Cajo  III,  Cajo  II  e  Cajo  I,  babbo,  nonno  e  bisnonno  di  esso  nostro  bisnonno,  e 
che  così  facendo  io  gli  darei  grandissima  consolazione.  (Gran  cosa  peraltro  che  i  nostri 
antenati,  incominciando  dallo  stipite  Cajo  I  fino  al  nostro  nonno  Cajo  V  inclusivamente, 
abbiano  avuto  tutti  un  solo  figlio  maschio  per  ciascuno!)  Aggiunge  Megli  ardentemente 
desidera  che  nel  nostro  lunario  poniamo  per  impresa  due  baccelli,  lasciando  che  il  fratello 
Settimo  si  tenga  cara  la  sua  stella  con  la  coda;  eh'  egli  (il  fratello  Turco)  è  bensì  codino, 
ma  nell'  impresa  non  vuol  saperne  di  coda,  lasciando  che  se  V  assapori  in  santa  pace  V Arci- 
prete del  Duomo  di  Firenze  nel  suo  Buon  Senso.  Chiude  la  lettera  con  indicare  le  materie 
'  eh'  ei  pensa  di  allogare  nel  suo,  esortandomi  a  porle  io  altresì  nel  mio,  e  con  pregarmi 
e  supplicarmi  e  scongiurarmi  con  le  braccia  in  croce  ad  accettare  la  sua  proposizione  e 
a  dargli  subito  risposta.  Io  non  esitai  un  momento  a  fare  quanto  il  fratello  mi  scri%'e  e 
issofatto  gli  ho  risposto:  narrata  poi  la  cosa  al  babbo  e  alla  Teresa,  essi  ne  furono 
arcistracontentissimi.  Ed  eccovi,  lettori  miei,  esposto  e  dichiarato  tutto;  ecco  perchè  nel 
frontispizio  non  c'è  Cajo  Settimo,  né  Cajo  Ottavo,  ma  Cajo  Nono;  ecco  perchè  il  Lu- 


—  I4I  — 

nario  non  è  composto  in  Firenze,  ma  in  Cherso  ;  ecco  perchè  esso  non  si  dica  fiorentino 
ni  toscano,  ma  istriano;  ecco  finalmente  perchè  Nono  Cajo  Baccelli,  che  finora  ha  pensato 
a  tutt' altro  che  a  far  lunarj,  in  un  subito  si  fa  lunarista  e  appassionato  lunarista. 

Attendetemi  ancora  un  istante,  che  vi  dirò  adesso  le  cose  che  il  mio  Lunario  con- 
tiene. Dopo  il  frontispizio  e'  è,  come  vedete,  due  baccelli,  impresa  della  nostra  famiglia 
(ci  manca  il  terzo,  perchè  il  fratello  Settimo,  qualmente  or  ora  v'ho  detto,  s'è  incocciato 
a  volerci  tuttavia  la  cometa).  Viene  quindi  la  Prefazione  in  prosa  ai  benevoli  lettori,  eh' è 
questa  qui,  poi  la  "Prefazione  in  versi  alle  benevole  lettrici;  seguono  i  computi  ecclesiastici, 
poi  le  feste  mobili,  poi  le  quattro  tempora,  poi  l'ingresso  del  sole  nei  punti  cardinali,  poi  gli 
ccclissi,  poi  le  due  tavole  orarie,  l'ima  del  levarsi  e  del  tramontare  del  sole  e  l'altra  del- 
l' avemmaria  della  mattina  e  della  sera,  poi  la  statistica  dei  distretti  e  delle  principali 
città  dell'Istria,  con  quella  delle  più  riguardevoli  corti  d'Europa;  vengono  appresso  tutti 
i  dodici  mesi  dell'  anno  coi  Santi,  con  le  feste  di  precetto,  con  le  feste  soppresse  e  con  quelle 
di  semplice  devozione,  coi  digiuni,  con  le  fasi  della  luna,  coi  prognostici  e  con  un  ambo  o 
un  terno  o  una  quaderna  o  una  quintina  da  giocare  al  lotto;  indi  vengono  le  fiere  annuali 
dell'  Istria,  poi  i  nomi  e  titoli  del  Papa  con  le  sue  appendici,  poi  i  nomi  di  tutti  i  car- 
dinali con  l' indicazione  della  loro  nascita  e  della  loro  elezione,  poi  le  genealogie  delle 
principali  case  regnanti  d'Europa,  poi  le  tavole  degl'interessi,  poi  le  scale  per  le  tariffe  dei 
bolli,  e  per  ultimo  un  bellissimo  mottetto;  e  tutto  questo  vi  si  dà  per  la  miscea  di  venti 
soldi.  E  qui  finisce  la  Prefazione  in  prosa. 

Non  era  un  bel  tomo  il  nostro  Abate  ! 

Qualmente  s'è  veduto,  alla  Prefazione  in  prosa  l'autore  fa  seguire  la 
Prefazione  in  versi,  nella  quale  parla  della  sorella  Burbundofora.  La  quale 

ognun  loda  ed  apprezza 

Che  vicn  di  Vrana  a  visitar  il  lago  ; 
Ammira  ognun  l' ingenua  sua  gajezza 
Quell'  onesto  parlar,  quel  rider  vago, 
Quell'  aria,  a  cosi  dir,  di  paradiso 
Che  a  prima  giunta  le  si  legge  in  viso. 

Laggiù  raccapezzato  ha  un  navicello, 
Di  tutti  il  più  leggiadro  e  il  più  gentile, 
Ch'  ora  1'  acque  solcar  si  vede  snello 
Ed  ora  tutto  lento  andare  e  umile. 
Come  più  aggrada  alla  gentil  nocchiera 
Ch'  ora  mite  lo  regge  ed  or  severa. 

Cortese  ella  vi  adagia  i  viaggiatori 
E  pel  lago  gli  porta  torno  torno, 
E  a  poeti  materia  offre  e  a  pittori 
Di  far  di  gloria  il  loro  nome  adorno, 
Ai  posteri  eternando  le  memorie 
Di  queste  de'  Liburni  antiche  glorie. 

Ma  oltre  a  queste  ed  altre  ancora, 


—    [42  — 

Un'  altra  cosa  osserverete  là 
Della  quale  io  finor  non  vi  parlai 
E  che,  son  certo,  a  tutti  piacerà 
Più  eh'  altra  che  sentita  abbiate  mai  : 
Vo'  dire  che  udirete  i  contadini 
Parlar  da  veri  e  proprj  Fiorentini. 

Lo  strano  al  ver  metter  non  puote  ostacoli, 
E  cose  vere  io  narro  a  voi,  non  favole. 
Son  cose,  è  ver,  che  pajono  miracoli, 
Pajon  le  fole  delle  nostre  arcavole  : 
Ma  altra  cosa  è  parere  ed  altra  essere, 
Siccome  altro  è  avviare  ed  altro  tessere. 

Si,  Donne  mie,  e'  è  là  de'  giovanetti. 
Delle  bambine  e  fin  de'  giovanotti, 
Che,  a  udirli,  pajon  Fiorentin  perfetti, 
Nati  a  Firenze,  creanzati  e  dotti. 
Burbundofora  tali  gli  ha  ridutti 
E  tratti  su  da  piccinini  e  istrutti. 

Le  ci  volle  del  bello  a  trarli  su, 
Ma  con  gran  pazienza  ci  riuscì. 
Questo  per  essa  un  gran  tormento  fu  ; 
Ma  lei,  dura,  la  volse  pur  di  lì. 
Chi  la  dura,  la  vince.  Lei  durò 
Ed  ogni  intoppo  vinse  e  superò 


Questa  fu  proprio  la  vita  del  nostro  Abate,  il  quale  per  lunghi  anni 
si  sacrificò  a  tirar  su  tanti  giovinetti  e  giovinette,  cosi  da  rendersi  veramente 
benemerito,  anche  da  questo  lato,  della  sua  Cherso.  —  Ho  voluto  riportare 
poi  codeste  poche  strofe  per  dare  al  lettore  un  piccolo  saggio  del  nuovo 
modo  di  poetare  del  nostro  Abate,  e  per  far  vedere  come  egli  imitasse  il 
Guadagnoli.  Il  Moise  infatti  ha  col  giocoso  poeta  toscano  molta  analogia, 
particolarmente  nella  chiarezza  e  nella  semplicità  del  dettato. 

Tanto  i  lunarj  che  le  strenne  di  rado  oltrepassano  le  cento  pagine  ; 
solo  negli  ultimi  anni,  quando  cominciò  a  tradurre  i  racconti  morali  di 
Cristoforo  Schmid,  le  Strenne  si  fanno  più  voluminose,  fino  a  raggiungere, 
l'ultima  (quella  per  l'anno  1888),  le  352  pagine.  Il  formato  però  fu  sempre 
quello  stesso,  il  sedicesimo  piccolo.  Dopo  il  terzo  Lunario  l'Abate  ha  smesso 
di  fare  due  Prefazioni,  limitandosi  ad  una  sola,  cioè  a  quella  in  prosa  ; 
così  egli  andò  ogni  anno  introducendo  qualche  innovazione,  come  vedremo 
ne]  corso  di  questa  vita. 

A  dir  giusto,  il  primo  Lunario  del  Moise  non  sollevò  rumore  e 
manco  fanatismo  ;   anzi  sembra  che  gli  venissero  parecchie  critiche,   come 


-   i43  — 

appare  dal  presente  dialogo  che  si  trova  subito  al  principio  della  Prefazione 
del  Lunario  secondo  (1874): 

—  Signor  Nono  Cajo,  la  darà  fuori  anche  V  anno  che  viene  il  suo  Lunario  ? 

—  Già. 

—  Speriamo  che  ci  porrà  qualcosa  di  nuovo. 

—  La  materia  sarà  su  per  giù  quella  dell'  anno  passato. 

—  Ma  ci  metterà  dentro  anche  un  po'  di  politica. 

—  Politica  !  ohibò.  Non  ne  voglio  sapere  io  di  politica. 

—  Ma  che  vale  oggi  un  Lunario  che  non  tratti  tanto  quanto  di  politica?  Pochi  o 
nessuni  lo  leggono.  Peggio  poi  quando  1'  Autore  si  chiama  da  sé  stesso  codino.  L'  anno 
scorso  di  500  copie  che  ne  fece  stampare,  non  ne  vendette  400,  e  quest'anno  metto  pegno 
che  di  250  che  dicono  abbia  in  animo  di  pubblicarne,  non  ne  spaccerà  neppur  dugento. 

—  E  sia  !  Io  non  metto  mica  fuori  il  mio  Lunario  per  guadagnarci  su.  Grazie  al 
Cielo,  ho  di  che  campare,  e  spero  di  morir  vestito  anche  senza  Lunario.  A  me  serve  che 
io  leggano  gli  amici  di  Cherso  e  di   Toscana. 

—  Ma  porci  il  Papa  tra  i  Sovrani  regnanti  la  è  marchiana. 

—  A  me  invece  la  pare  naturalissima  e  la  si  spiega  come  un  tovagliolo.  Sanno  infatti 
i  muricciuoli  che  la  Chiesa  è  un  Principato  e  che  il  Papa  n'  è  il  capo.  Anche  Cajo  VII, 
mio  fratello,  che  sa  pure  a  quanti  di  è  S.  Biagio,  non  si  fa  scrupolo  di  chiamare  il  Papa 
'Principe  della  Chiesa. 

—  Dire  a  lei  è  dire  al  muro,  mi  pare  Signor  Cajo.  La  riverisco. 

—  Stia  benino. 

Non  occorre  ch'io  rilevi  l'arguzia  di  questo  dialoghetto;  il  discreto 
lettore  saprà  rilevarla  da  sé. 

Quasi  in  ogni  Prefazione,  Nono  Cajo  Baccelli  informa  i  lettori  delle 
avventure  della  sua  famiglia,  e  delle  innovazioni,  come  s'  è  detto,  eh'  egli 
introduce  nei  suoi  libercoli. 

Cosi  troviamo  nel  secondo  Lunario  un  piccolo  enimma,  o  indovinello, 
due  sciarade  e  un  logogrifo.  Poi  «  una  stori?,  tutta  vera  »,  Giulia  di  Bresche, 
la  quale  finisce  con  una  canzoncina.  Nei  varj  periodi  d'ogni  mese,  v'intarsia 
sempre  dei  dialoghini,  dei  pronostici  che  alterna  con  le  notizie  lunatiche  — 
e  il  tutto  è  fatto  con  una  semplicità,  con  un  candore,  anzi  con  un'ingenuità 
che  pare  impossibile  pei  tempi  che  corrono.  Ogni  suo  studio  ei  lo  mette 
nella  lingua,  nel  dettato,  togliendo  la  frase  dalla  bocca  viva  del  popolo 
toscano.  Sotto  questo  aspetto  il  nostro  Abate  può  paragonarsi  e  dar  la 
mano  all'  Abate  Giuliani  ;  anch'  egli  nato  nell'  estremo  opposto  d' Italia  '). 


■)  Sorti  i  natali,  credo,  a  Genova  ;  certo  egli  fu  Ligure,  come  il  nostro  fu  Istriano. 


—  J44  — 

Il  quale  Abate  Giuliani  scrisse  le  precise,  eh'  io  udii  ripetere  spesso 
dal  nostro  Moise,  che  le  applicava  al  nostro  paese: 

«  Cos'i  fosse  in  piacere  di  Dio,  che  le  diverse  italiche  genti  si  con- 
temperassero ad  una  tanto  imitabile  favella  (la  toscana);  e  potrebbe  allora 
esserci  men  arduo  il  costituirci  nello  stato  che  la  natura  ci  destina.  Io  non 
vo'  gii  dire  che  tutta  la  nostra  lingua  s'  aduni  e  si  conservi  in  Toscana, 
ma  egli  è  certissimo  che  ve  n'ha  il  più  ed  il  meglio,  e  che  vi  s'ode  parlare 
con  la  facile  eleganza  e  nativa  grazia  e  collo  schietto  candore  come  scrivevasi 
dagli  aurei  trecentisti.  Laonde  riesce  a  dilettosa  meraviglia  il  ravvisare  in 
tal  guisa  perpetuata  la  materna  favella».  E  più  oltre:  «  ....  Questa  viva 
lingua  italica  non  vuol  essere  studiata  soltanto  nel  singoiar  valore  delle 
parole,  ma  più  ancora  nelle  forme  di  dire,  negli  agevoli  costrutti  e  in 
quelle  figurate  espressioni,  dove  si  pare  il  sagace  istinto  del  bello,  la 
gioconda  fantasia  e  la  mitezza  de'  costumi  toscani  »  '). 

E  non  è  forse  da  piangere  che  noi  non  abbiamo  imparato  un  tale 
idioma  dalle  madri  nostre,  idioma  che  si  vuole  stimare  come  la  maggior 
gloria  e  il  tesoro  della  patria  ?  Se  non  fosse  altro  che  per  questo,  noi 
dovremmo  conservare  eterna  gratitudine  al  caro  nostro  Abate,  siccome  a 
quello  che  in  tutti  i  modi  si  studiò,  persino  coi  Lunarj  !  di  famigliarizzarci 
coli'  idioma  gentile  di  Toscana. 

Ma  i  Lunarj  di  Nono  Cajo  Baccelli  non  aumentavano  in  favore  del 
pubblico  ;  chi  aveva  tempo  d'  occuparsi  di  essi  ?  Starei  quasi  a  dire  che, 
piuttosto  che  aumentare,  concorrevano  essi  a  far  scemare  la  riputazione 
del  nostro  Abate,  che  i  più  il  pigliavano  a  godere,  chiamandolo  per  burla 
il  Lunarista.  Ma  egli  era  uomo  che  fingeva  di  non  addarsi  dei  lazzi  del 
volgo,  e  cogli  armeggioni  che  non  intendono  buccicata,  come  diceva,  non 
e'  era  il  caso  di  soffermarsi  ;  era  lo  stesso  che  sciupar  ranno  e  sapone. 

E  continuò  a  dar  fuori  il  suo  Lunario,  portandovi  sempre  una  qualche 
innovazione.  In  quello  del  '75  e'  è  di  nuovo,  per  esempio,  una  ballata  di 
Pier  di  Piero,  e  due  dialoghi.  Quest'  ultimi,  che  troviamo  d'  ora  in  poi 
inseriti  quasi  in  ogni  Lunario  o  Strenna  posteriori^  sono  per  la  più  parte 
di  argomento  obbligato,  trattano,  cioè,  0  di  lingua,  o  di  cucina,  o  di  utensili 
famigliari  ecc.,  ad  imitazione  del  Fanfani,  del  Cerquetti,  del  Veratti,  del 
Thouar  e  di  parecchi  altri.  In  quanto  alle  ballate  di  Pier  di  Piero,  l'autore 


')  Sul  vivente  linguaggio  della  Toscana,  Lettere  di  G.  B.  Giuliani.    ja  ediz.  Firenze, 
F.  Le  Monnier,  1865.  Prefazione  pag.  VI-VIII. 


—   M5  — 

finge  d'aver  tradotte  dallo  slavo  in  italiano;  in  effetti  però,  per  quanto  mi  so, 
esse  sono  originali,  né  gli  argomenti  appartengono  altrimenti  ai  canti  popolari 
slavi.  L'autore  dice  ')  d'averle  dettate  a  Venezia,  ottenendone  «  encomj  ed 
applausi  a  cofusse  »,  mentre  il  buon  Piero,  eh'  era  un  povero  agricoltore 
di  Cherso,  «  si  fece  con  quelle  un  onor  dell'  ottanta  e  tutti  lo  portarono 
e  lo  portano  in  palma  di  mano».  Due  scopi  ebbe  1' autore  nel  comporle: 
i".  di  far  conoscere  ai  popoli  illirici  dell'  Istria  e  della  Dalmazia  il  dialetto 
slavo  che  si  parla  in  Cherso  —  (che,  viceversa,  è  il  più  purgato  toscano!)  — ; 
2.°  d' incivilire  in  qualche  modo  e  ingentilire  tanto  e  quanto  gli  animi  rozzi 
ed  incolti  de'  nostri  pappatori  —  (come  son  chiamati  dai  Chersini  e  dagli 
istriani  in  generale)  —  e  surrogare  alle  laide  e  rozze  canzonacele  che  ci 
vengono  d'  oltremare  e  che  guastano  le  menti  e  i  cuori  dei  giovani,  canzoni 
pure  e  innocenti,  da  potersi,  direi  quasi,  cantare  in  chiesa  ».  —  Nel  Lunario 
del  '75  v'inserisce  intanto  la  prima,  poi  seguitano,  per  parecchi  anni,  una, 
o  più  ogni  anno. 

Alla  prima,  intitolata  Pavera  Cala  !  l'autore  premette  una  prefazioncella, 
nella  quale  spiega  il  perchè  codeste  canzoni  si  chiamino  ballate,  cioè  perchè 
si  cantano  durante  il  ballo.  «  Sono  scritte  —  prosegue  —  in  un  linguaggio 
semplice  e  casalingo,  cioè  a  dire  nel  nostro  linguaggio  chersino,  motivo 
per  cui,  se  tu  vai  rimuginando  in  questi  versi  la  illustre  e  nobile  lingua 
illirica,  li  puoi  buttar  via  di  primo  acchito,  perch'e'  non  fanno  per  te».  — 
Sfido  io  !  semplice  si,  quanto  si  voglia,  ma  la  lingua  è  sempre  purissima 
e  toscana. 

Ecco  i  titoli  delle  altre  ballate  quali  le  ha  composte  il  Moise,  e  furono 
da  lui  inserite  nei  Lunarj  successivi  :  Le  due  sorelle,  La  Celerà,  La  Spilla, 
Le  datile  de'  morti,  La  Martitccia,  La  Croce,  I  Canti  notturni,  La  Kiua, 
La  Mariticela. 

Nella  Prefazione  in  versi  di  quest'anno  (1875),  il  nostro  Abate  parla 
alle  donne,  come  il  solito,  ringraziandole  degli  scritti  che  gli  mandarono 
e  del  soccorso  prodigatogli  neh'  occasione  che  trovavasi  obbligato  a  letto 
malato  d'  enterite,  della  quale  non  guarì  perfettamente  neppur  parecchi  mesi 
dopo,  tant'  è  vero  che  non  poteva  camminar  troppo,  come  gli  nuoceva  il 
troppo  star  seduto. 


')  Vedi  Prefazione  del  Lunario  dell'anno  1875. 


i46  - 


VII. 


Allorquando  il  Moise  pubblicò  la  sua  Grammatica  grande,  in  fine  della 
Prefazione  della  medesima  aveva  pubblicamente  dichiarato,  che  non  solo 
accoglierà  di  buona  voglia  le  giuste  osservazioni  che  contro  la  sua  opera 
gli  potrebbero  venir  fatte  dai  dotti;  ma  sì  ancora,  avvertiva,  di  sapergliene 
grado  a  quei  buoni  che  sarebbero  per  fargliele,  procurando,  quando  che 
sia,  di  giovarsene  in  una  seconda  edizione.  E  conchiudeva  anche  lui  col 
Beauzée  :  Tantum  abest  ut  scribi  contra  nos  nolimus,  ut  id  etiam  maxime 
optemus  ....  Nos  qui  sequimur  probabilia  nec  ultra  id  quod  verisimile  occurrerit 
progredì  possumus,  et  refellere  sine  pertinacia  et  refelli  sine  iracundia  parati 
sumus  '). 

Di  pochi  letterati,  può  dirsi,  come  del  Moise,  che  si  mantenesse 
costantemente  fermo  a  così  fatta  massima  ;  ed  è  anche  per  questo  che  nessun 
altri  prima  di  lui  seppe  attingere  nel  campo  grammaticale  quell'eccellenza 
che  da  tutti  gli  fu  poi  riconosciuta.  Il  Moise,  pertanto,  fu  in  questo  la  più 
perfetta  personificazione  dell'  eclettico. 

Egli,  cioè,  non  ebbe  prevenzioni  di  sorta,  e  mentre  nelle  opere  letterarie 
di  libero  argomento  stette  fermo  nell'  adottare  la  lingua  toscana  parlata,  nei 
precetti  grammaticali  invece  accettò  il  buono  e  il  vero  ovunque  seppe 
trovarlo.  E  come  nei  rapporti  della  vita  pratica  era  uomo  che  non  sentiva 
predilezioni  né  nutriva  preconcette  avversioni,  trattando  ugualmente  con 
tutti  senza  distinzione  di  opinione  e  di  classe  —  salvo  a  far  di  cappello 
alla  sapienza  ed  all'  intelligenza  —  così  nella  sua  divisa  di  letterato  non 
apparteneva  a  chiesuole,  ne  sentiva  ripugnanze.  Faceva  tesoro  della  critica 
sana  d'  un  bravo  maestro,  anche  se  ignoto  alle  lettere,  al  tempo  stesso  che 
teneva  testa  ad  un  letterato  da  baldacchino  se  male  lo  appuntasse.  Era  uomo, 
in  una  parola,  che  voleva  esser  convinto,  concedendo  soltanto  alla  persua- 
sione la  rinuncia  delle  proprie  teorie,  cui  s'  era  appropriato  con  perseve- 
rante studio,  con  diuturna  meditazione. 

Fra  le  molti  lodi  fatte  alla  prima  Grammatica  del  Moise  dagli  esperti, 
non  le  mancò,  comunque  benigno,  anche  qualche   rimarco.  I  critici    con- 


')  Cic.  Tusc.  disput.  ij,  alit.  4  et  j. 


—  147  — 

cordarono  quasi  tutti  in  due  punti:  il  primo,  nel  non  approvare  la  lessigrafia 
gherardiniana  adottata  dal  nostro  autore;  il  secondo  nel  riconoscere  troppo 
ampio  il  suo  lavoro,  e  per  la  grandissima  copia  degli  esempj  quasi  stem- 
perato —  almeno  per  lo  scopo  a  cui  era  stato  diretto,  cioè  per  comodo 
principalmente  de'  giovinetti  studiosi. 

In  quanto  al  primo  appunto,  sembrerebbe  che  il  Moise  si  fosse  con- 
vinto già  in  corso  di  stampa  della  prima  Grammatica,  essere  stata  la  sua 
fatica  più  che  sciupata  nel  ritentare  la  prova  della  lessigrafia  gherardiniana  '). 
Ancora  cinque  anni  prima  che  uscisse  alla  luce  la  Grammatica  su  detta, 
il  chiar.  Prospero  Viani  —  col  quale  il  Moise  s'  era  consigliato  su  questo 
proposito  —  lo  ammoniva:  «Ella  scrive  di  seguire  la  lessigrafia  gherardiniana, 
ed  ogni  ben  gliene  venga:  certamente  delle  cento  è  ragionevole  le  novantanove 
volte;  ma,  caro  D.  Giovanni,  l'universale  non  la  vuole».  Ne  so  comprendere, 
veramente,  il  perchè  l'Abate  Moise  si  decidesse  poi  di  dar  fuori  la  sua  opera 
maggiore,  e  1'  altra  operetta,  seguita  1'  anno  appresso,  Le  Regole  del  giuoco 
del  Qiiinlilio,  nella  lessigrafia  gherardiniana,  dal  momento  eh'  egli  stesso 
cominciava  a  dubitarne,  se  non  per  la  ragion  filosofica,  almeno  per  la 
opportunità.  Di  fatti,  in  data  del  16  luglio  1862  —  dunque  5  anni  prima 
che  uscisse  la  Grammatica  grande  —  egli  scriveva  all'  ili.  B.  Veratti  di 
Modena  le  seguenti  *)  : 

duella  vecchia  Dissertazione,  che  da  più  anni  mi  avete  mandata  (allude  alla  'Disa- 
mina della  Lessigrafia  proposta  dal  Ghcrardini,  che  il  Veratti  pubblicò  nel  1844)  io  la  lessi 
e  studiai  più  volte,  e  finii  per  innamorarmene.  Non  dico  mica  che  tutte  le  sue  dottrine 
reggano  a  martello,  no:  ma  pure  dopo  averle  ben  bene  lette  e  rilette,  studiate  e  ristu- 
diate, conchiusi  che  la  lessigrafia  cruschesca,  sebbene  più  che  mai  sciancata  e  zoppicante, 
la  si  regge  tuttavia  e  sostiene  molto  meglio  che  non  la  gherardiniana;  ragione  per  cui 
io  diedi  tosto  tosto  le  pere  a  questa  e  riabbracciai  quella,  la  quale,  tuttoché  io  1'  avessi 
un  buon  pezzo  malmenata,  disprezzata,  sbeffeggiata,  non  ostante  la  mi  si  porse,  poverina! 
assai  cortese  e  la  mi  si  prestò  tutta  volonterosa.  Ho  corretto,  anzi  rifatto  di  sana  pianta 
il  primo  volume,  ho  corretto  il  secondo,  e  fra  pochi  giorni  metterò  mano  a  correggere 
il  terzo. 

Eppure,  malgrado  codesta  dichiarazione,  ci  si  mantenne  nella  prima 
sua  determinazione,  ciò  die  mi  riesce,  ripeto,    inesplicabile  davvero  ;   am- 


')  Vedi  Nota  alla  "Prefazione,  pag.  IX. 

')  Vedi  Nota  alla   biografia  del   Moise  inserita   nel  toni.  Ili  degli  Sludj  idi.  e  mot. 
fase.  9.  —  Modena,  1888,  Soc.  Tip. 


—  148  — 

menochè  la  data  di  questa  lettera  non  sia  stata  alterata  nella  stampa, 
dovendosi  attribuirla  ad  epoca  posteriore.  Ad  ogni  modo,  da  qui  ir>  avanti 
—  cioè  nelle  opere  da  lui  pubblicate  dopo  il  1868  —  il  Moise  fece  defi- 
nitivamente divorzio  dalla  lessigrafia  gherardiniana. 

In  quanto  al  secondo  punto,  dissi  che  i  più  dei  critici  convennero  nel 
dichiarare  troppo  ampia  la  Grammatica  del  Moise,  e  buona  piuttosto  pei 
maestri  o  pei  giovani  studiosi  già  pratichi  del  maneggio  della  lingua;  ma 
non  adatta  alle  piccole  intelligenze  dei  fanciulli.  Ed  anche  di  questo  l'Abate 
s' era  accorto,  prima  che  altri  glielo  facesse  rilevare.  Tant'  è  vero  che, 
quando  nel  1867  pubblicava  la  prima  edizione  della  sua  Grammatica  grande, 
già  allora  aveva  in  animo  di  farne  poco  appresso  un  Compendio,  com'egli 
stesso  ebbe  ad  esprimersi  '). 

Se  non  che  da  tal  lavoro  lo  dissuadevano,  allora,  le  osservazioni  che 
a  mano  a  mano  gli  venivan  fatte  da  non  pochi  valenti  filologi  contro  la 
lessigrafia  da  lui  ivi  adoperata  e  propugnata;  le  quali  osservazioni,  non 
dimostrando  per  la  più  parte  falsa  ed  errata  la  sua  lessigrafia,  ma  solo 
biasimandola  e  scartandola  perchè  non  seguita  dai  più,  anzi  da  nessuno  e 
quasi  nessuno  non  voluta  ricevere,  se  non  valevano  a  farlo  mutar  parere, 
valevano  bensì  a  distoglierlo  dal  comporre  e  pubblicare  il  desiderato  Com- 
pendio, che,  scritto  con  la  nuova  lessigrafia,  avrebbe  da  sé  alienato  l'animo 
dei  maestri,  i  quali  non  avrebbero  mai  dato  in  mano  ai  loro  scolari  un 
libro  che  non  approvavano  per  buono.  Dopo  alcuni  anni,  essendosi  egli, 
«  per  ben  altre  ragioni  ricreduto,  e  avendo  ripigliata  la  lessigrafia  comune 
e  divisato  di  dar  fuori  una  seconda  edizione  della  Grammatica  grande 
dettata  con  questa  lessigrafia  e  ove  di  questa  lessigrafia  si  dovevano  insegnare 
le  regole  ai  giovani  studiosi  » ,  volle  che  all'  opera  grande  andasse  avanti 
quel  Compendio  da  lui  vagheggiato  e  desiderato,  che  con  tutta  la  possibile 
brevità  e  chiarezza  proponesse  ai  fanciulli  gli  elementi  del  ben  parlare  e 
scrivere  italiano.  Esso  venne  in  luce  nel  1874  sotto  il  nome  di  Grani- 
meli ichet  tei. 

Nella  qual  Grammatiehetta  —  com'  egli  dice  —  procurò  di  adattarsi, 
per  quanto  gli  fu  possibile,  alla  capacità  de'  fanciulli,  pei  quali  segnatamente 
eli'  era  stata  scritta,  sia  nelle  definizioni  o  spiegazioni  delle  parti  del  discorso 
e  delle  loro  pertinenze,  sia  nella  dichiarazione  delle  regole,  sia  nella  scelta 
e  disposizione  delle  medesime.  Si  valse  per  lo  più  dei  termini  grammaticali 


')  Vedi  Prefazione  alla  Grammalichdta.  Firenze,  Tip.  del  Voc,  li  edizione,  1881. 


—  149  — 

più  comunemente  in  uso,  e  allora  solamente  si  discostò  dal  comune  lin- 
guaggio quando  egli  non  significa  affatto  quello  che  si  vuol  ch'ei  significhi  : 
e  che  il  comune  linguaggio  grammaticale  non  fa  sempre  all'  uopo,  chiara- 
mente può  vederlo  chi  ha  letto  le  ragioni  che  de'  nuovi  termini  da  lui 
usati  adduce  nell'opera  grande,  la  quale  quattro  anni  appresso  fu  ripubblicata 
essa  pure. 


Vili. 


Mentre  all'  uscita  della  Grammatica  grande  i  letterati,  a  cui  fu  spedita 
1'  opera,  si  sono  limitati  ad  accusarne  semplicemente  ricevimento  o  a  tesserne 
qualche  breve  elogio  al  nostro  Abate,  in  forma  del  tutto  privata;  la  critica, 
invece,  oltreché  privata,  si  fece  anche  pubblica  e  più  accentuata,  subito 
che  venne  alla  luce  la  Grammaticbetta.  In  fatti  di  essa  ne  parlarono  con 
lode  la  Civiltà  Cattolica,  e  più  diffusamente  la  Nuova  Antologia.  Più  tardi 
ne  parlò  sempre  con  molta  lode,  il  prof.  Veratti  negli  Opuscoli  Religiosi, 
Lcttcrarj  e  Morali  di  Modena,  dove,  tra  le  altre  cose,  egli  dice  che  il  Moise, 
oltre  che  «  valente  grammatico  »  è  un  «  caro  e  aggraziato  scrittore  »  '). 

Ma  prima  ancora  che  gli  anzidetti  periodici  parlassero  della  nuova 
opera,  l'autore  si  ebbe  dall'amico  toscano  —  da  lui  chiamato  «uno  scrittore 
co'  baffi»  —  L.  Del  Prete  di  Lucca,  una  lettera  molto  lusinghiera,  nella 
quale,  fra  altro,  cos'i  parla  della  Grammaticbetta: 

Per  ora  non  ho  letto  il  libro  tutto  da  cima  a  fondo,  ma  l'ho  fatto  in  gran  parte, 
e  lo  trovo  di  mia  piena  soddisfazione  e  niente  ho  saputo  scorgerci  da  riprendervi.  Essendo 
un  lavoro  da  voi  destinato  pe' giovinetti,  non  v'è  niente  di  più  né  di  meno,  ma  quello 
che  basta;  e  il  tutto  esposto  con  proprietà,  con  chiarezza  e  con  beli'  ordine.  Soltanto, 
quanto  all'ordine,  a  me  sarebbe  piaciuto  più  che  la  parte  che  tratta  dell'Ortoepia  e 
dell'  Ortografia  l' aveste  messa  per  ultima,  e  non  per  la  prima  ;  perché  a  me  pare  più 
conveniente  e  dirò  anche  più  logico,  che  della  lingua  si  conosca  la  struttura  e  la  sostanza 
prima  del  modo  di  pronunziarla  e  di  scriverla.  Ma  questo  non  guasta,  e  se  la  vostra 
pregevole  Grammatichetta  fosse  adottata  nelle  scuole  invece  di  certi  mostruosi  aborti  che 
oggi  pur  troppo  in  Italia  si  mettono  in  mano  ai  discenti,  il  maestro  potrebbe  riserbare 
in  line  la  i  parte.  Anche  assai  vi  lodo  d'  avere  abbandonato  1'  ortografia  che  volevate 
introdurre,  e  che  vi  siete    attenuto  a  quella  in  uso. 


')  Vedi  Dialogo,  inserito  nel  Lunario  a.  IV,  1876,  fra  Nono  Cajo  e  Sandrino,  dal 
quale  dialogo  attingo  ancora  i  seguenti  appunti. 


—  150  — 

Come  si  vede,  qui  tutto  si  loda  senza  eccezione.  In  quanto  poi  all'ordine 
proposto  dal  Del  Prete,  non  è  cosa  da  farne  gran  caso;  chi  ne  dice  una, 
chi  un'  altra  ;  e  tanto  il  letterato  lucchese  quanto  il  grammatico  chersino 
potrebbero  avere  tutti  e  due  ragione  ad  un  tempo.  Fatto  sta  che  il  Moise, 
quantunque  dei  giudizj  del  Del  Prete  facesse  grande  calcolo  ed  estimazione, 
tuttavia  non  si  adagiò  in  proposito  al  di  lui  consiglio,  e  nella  seconda 
edizione  che  fece  della  Grammaticbetta  conservò  1'  ordine  della  prima. 

Ed  ora  veniamo  alle  altre  critiche. 

La  Civiltà  Cattolica  tutto  lodò,  e  delle  taccole  non  ve  ne  notò  colà 
neppur  una  eh'  è  una.  Ma  non  la  passò  altrettanto  liscia  colla  Nuova 
Antologia.  La  quale,  dopo  aver  accennato  alla  Grammatica  grande  del- 
l' Abate,  dice  : 

Ora  ne  ha  fatto  un  compendiuccio  utile  ai  fanciulli  e  non  disutile  nemmeno  ai 
grandi  :  tanto  è  abbondante  nella  sua  brevità  e  chiaro  e  aggiustato  nell'  ordine  delle 
parti  ;  senza  che  gli  tolga  il  pregio  qualche  omissione  qua  e  là,  per  esempio,  a  pagina 
41  quella  nei  nomi  greci  finiti  in  ta,  poeta,  citarista,  artista  ecc.,  che,  formando  una  classe 
estesa,  dovevano  essere  accennati;  o  qualche  innovazione,  forse  non  abbastanza  giustificata, 
nella  nomenclatura,  come  quella  di  aggettivi  distintivi  e  indistintivi,  per  determinali  e  in- 
determinati, come  si  suol  dire. 

Il  Moise  riconobbe  per  giuste  codeste  critiche  ?  Non  solo  non  le 
conobbe  per  giuste,  ma  le  addimostrò  del  tutto  infondate  e  false.  E  vaglia 
il  vero,  per  quel  che  riguarda  i  nomi  greci  poeta,  citarista,  artista  e  simili, 
questi  non  potevano  in  alcun  modo  essere  accennati  a  pag.  41.  Là  in  fatti 
si  parla  dei  soli  nomi  di  cose,  quali  sono  epigramma,  diadema,  fantasma  ecc.: 
dei  nomi  di  persone,  come  poeta,  citarista,  artista  e  simili,  l'autore  aveva 
ragionato  più  indietro  a  pag.  39,  dove  sotto  il  N.  114  si  legge:  «I  nomi 
«d'uomini  o  di  esseri  che  si  dipingono  in  forma  d'uomini  sono  maschili, 
«qualunque  terminazione  si  abbiano;  e,  per  contrario,  i  nomi  di  donne  o 
»  di  esseri  che  si  dipingono  in  forma  di  donne,  sono  femminili  ». 

Ma  il  nostro  autore,  se  ribatteva  così  le  critiche  assurde  o  superficiali, 
o  leggere,  era  uomo  che,  trovato  lui  stesso  un  errore  nei  proprj  lavori, 
francamente  e  lealmente  lo  manifestava,  tanto  poteva  in  lui  la  logica  e  la 
verità  sullo  stesso  suo  amor  proprio.  Infatti,  poco  oltre  e'  dice:  che  meglio 
assai  avrebbe  fatto  il  critico  se,  anziché  il  terzo  egli  si  fosse  fermato  ad 
esaminare  il  secondo  capoverso  della  sopraddetta  pag.  41;  perchè  colà 
trovata  avrebbe  una  parola  che  veramente  non  ci  sta  bene.  Insegna  ivi  il 
Moise  che  «  De"1  finiti  in  o,  Mano,  Spiganardo  ed  alami  sostantivi  poetici 
d'  origine  latina,  come  Imago,  Testudo,  Caligo,  Dido,  Cartago,  sono  fem- 
minili ».  Ognuno  vede  che  quel  Dido  ci  sta  a  sproposito  perchè  qui  si  parla 


—  15»  — 

di  nomi  di  cose,  e  Dido  è  nome  di  persona,  e  però  va  compreso  nella 
regola- sotto  il  precedente  N.  114  da  lui  recato  or  ora.  Qui  l'autore  era 
caduto  nel  medesimo  errore  nel  quale  cadde  dappoi  il  suo  critico;  peraltro 
egli  se  n'  è  accorto  da  se  assai  prima  d'  aver  letto  1'  articolo  della  Nuova 
Antologia,  e  nella  seconda  edizione  della  Grammatica  (grande),  che  nel  1875 
era  già  in  corso  di  stampa,  ha  omessa  la  voce  Dido. 

Del  pari  dimostrò  il  torto  del  critico  nell'  addebitargli  l' innovazione 
di  distinguere  gli  aggettivi  distintivi  e  indistintivi  tee.  I  primi  son  detti 
così,  perchè  servono  a  distinguere  nei  nomi  o  il  genere  o  la  specie  o 
l' individuo;  i  secondi,  perchè  lasciano  totalmente  indistinti  i  loro  nomi;  le 
quali  denominazioni  avanti  che  dal  nostro  autore  furono  date  a  questi 
aggettivi  dal  Borsari.  Ma  posto  pur  anche  che  tali  denominazioni  Steno 
inesatte  o  false,  non  ne  viene  la  conseguenza  che  s'abbian  loro  da  preferire 
le  altre  di  aggettivi  determinati  e  indeterminati.  E  in  fatti  tutti  gli  aggettivi 
sono  determinativi,  cioè  a  dire  tutti  servono  a  qualificare,  3.  modificare,  a 
specificare,  a  detei  minare  i  loro  nomi  :  onde  tanto  sono  determinativi  il  e  lo, 
quanto  uno,  alcuno,  ninno,  tutto,  mio,  altro,  bello,  grande  ecc.  Il  dire  pertanto 
che  il  e  lo  sono  determinativi  è  lo  stesso  che  dire  che  essi  soli  sono  aggettivi, 
il  che  è  dire  uno  sproposito:  il  dire  poi  che  uno,  alcuno,  taluno,  qualche  ecc., 
sono  indermiuativi  è  lo  stesso  che  dire  che  essi  non  sono  aggettivi,  ossia  a 
dire  un  secondo  sproposito. 


IX. 


Alle  critiche  di  lode,  che  in  pubblico  o  in  privato  fecero  alla  Gram- 
matica del  Moise  i  letterati  e  filologi,  ecco  far  capolino  anche  quelle  di 
biasimo. 

La  prima  critica  fu  del  sig.  Cesare  Rosa,  che  la  inserì  nella  Rivista 
Europea  (a.  6,  v.  I  fase.  3,   1   febbraio   1876).  Ecco  che  cosa  ei  dice: 

In  questo  stesso  periodico  avemmo  altre  volte  a  manifestare  le  nostre  idee  sull'in- 
segnamento della  grammatica  ai  fanciulli,  e  dicemmo  del  come  dovrebbero  i  libri  a  tale 
scopo  diretti,  essere  compilati  ;  quindi  non  stimiamo  necessario  ripetere  oggi  cose  già 
dette;  solo  a  proposito  del  lavoro  del  Moise  che  noi  esaminiamo,  dobbiamo  dire  che 
esso  non  ha  alcun  merito  speciale  che  lo  faccia  distinguere  e  raccomandare  sopra  altri 
della  medesima  specie;  anzi  abbiamo  a  notare  che  non  tutte  le  definizioni  ci  paiono  ve- 
ramente esatte,  che  non  vediamo  la  ragione  di  certe  innovazioni,  che  valgono  più  a 
confondere  la  testa  dei  fanciulli  che  a  far  loro  imparare  a  scrivere  correttamente  :  tale  è, 


—  152  — 

a  cagioli  d'  esempio,  quella  del  distinguere  nei  nomi  quattro  generi,  maschile,  femminile, 
comune  e  neutro.  Nei  verbi  poi  non  sappiamo  il  perchè,  tornando  all'ormai  riprovato  uso 
del  Parretti,  si  classifichino  in  vari  ordini,  secondo  i  complementi  che  reggono. 

Gli  esempj  qui  citati  per  non  rendere  raccomandabile  la  Grammatica 
del  Moise,  son  veramente  pochini  ;  tuttavia  son  gravi  assai.  Vediamo  ora 
come  se  la  cavi  o  si  giustifichi  il  nostro  Abate  '). 

Pigliamo  la  Grammatichetta  là  dove  parla  del  Genere  (pag.  39).  Ecco 
come  il  nostro  autore  lo  definisce  : 

«  Il  Genere  (del  nome)  è  una  maniera  di  distinguere  per  l'espressione 
»  il  sesso  o  vero  o  supposto  delle  persone  o  delle  cose,  ed  è  o  Maschile 
»  o  Femminile  o  Comune  ». 

Come  si  vede,  qui  di  Neutro  non  se  ne  fa  parola  ! 

Ma,  per  avventura,  il  critico  intese  di  parlare  del  genere  dell'aggettivo 
—  nel  qual  caso  nome  non  è  aggettivo. 

Però,  secondo  la  vecchia  scuola,  tanto  è  nome  il  sustantivo  quanto 
l' aggettivo,  può  essere  quindi  che  il  sig.  Rosa  segua  l'uso  antico.  Sia  pur 
cosi;  ma  sarà  sempre  vero  eziandio  che,  parlando  egli  degli  accidenti  che 
il  nostro  Abate  dà  al  Nome,  doveva  prendere  questa  parola  nome  nel  signi- 
ficato che  gli  dà  esso  l' autore,  e  non  altrimenti  ;  e,  facendo  come  i'ece, 
dette  occasione  ai  lettori  di  formarsi  una  falsa  idea  dell'  operetta,  eh'  egli 
critica  e  di  giudicare  male  dell'autore  di  essa.  I  lettori,  infatti,  imparando 
dal  Rosa  che  il  Moise  dà  a  certi  nomi  il  genere  neutro  potevano  credere 
ch'esso  Moise  chiami  di  genere  neutro  i  nomi  cuore,  nutre,  sasso,  tempo  ecc., 
e  li  distingua  però  dagli  altri  fiore,  lago,  monte,  porlo  ecc.,  meritandosi  così 
una  presa  di  bue  e  peggio. 

Ma,  presupposto  peranco  che  il  critico  volesse  portare  qui  dietro  i 
principj  della  vecchia  scuola,  non  gli  potrebbe  ancora  menar  buono  il  dire 
che  il  Moise  distingue  nel  nome  quattro  generi  (ammesso  che  anche  il  Moise 
avesse  seguito  l'uso  antico):  imperciocché  i  quattro  generi  convengono  bensì 
al  nome  aggettivo,  ma  non  convengono  altrimenti  al  nome  sustantivo,  il  quale 
non  ne  ha  che  tre,  e  la  voce  nome  in  sé  comprende  e  quello  e  questo. 

Senonché  il  Corticelli  annovera  ben  cinque  generi  nei  nomi,  cioè  Ma- 
schile, come  :  uomo,  Pietro,  principe  ecc.  ;  Femminile,  come  :  donna,  Anna, 
reina  ecc.  ;  Comune,  che  si  usa  in  ambedue  i  generi,  come  :  grande,  fonte  ecc.  ; 


')  Vedi  Dialogo  inserito  nel  Lunario  a.  V,  1877. 


—  153  - 

Neutro,  che  non  è  né  maschile,  ne  femminile,  come  :  opportuno,  giusto  ecc.  ; 
e  Pro.misq.uo  o  Confuso,  il  quale  con  una  sola  voce  serve  ad  ambedue  i 
sessi,  come  :  tordo,  anguilla,  ecc.  —  È  forse  falsa  codesta  teoria  ? 

L'avvertimento  del  Corticelli  non  è  falso,  come  virtualmente  non  era 
falso  quello  che  diceva  il  Rosa,  che  seguì  appunto  il  linguaggio  del  primo; 
ma  piuttosto  il  linguaggio  del  primo  e  quello  del  secondo  sono  confusi  e 
atti  perciò  a  trarre  in  inganno  i  lettori.  E  assai  meglio  avrebbe  fatto  il 
Corticelli,  se  al  suo  avvertimento  avesse  aggiunto  queste  parole  :  t=.  I  tre 
primi  si  danno  e  ai  sostantivi  e  agli  aggettivi,  laddove  il  quarto  si  dà  ai 
soli  aggettivi  e  il  quinto  ai  soli  sostantivi.  z=  E  così  ogni  dubbio  sarebbe 
stato  tolto.  E,  similmente,  il  Rosa  assai  meglio  avrebbe  fatto  se,  invece  di 

dire  come  ha  detto,  avesse  detto  :  «  Tale  è quella  (innovazione)  del 

distinguere  nei  nomi  aggettivi  quattro  generi,  ecc.».  Così  pure  egli  si  sarebbe 
spiegato  chiaramente  ne  dato  avrebbe  occasione  ai  lettori  di  frantendere  le 
sue  parole.  E  si  sa  bene,  che  la  chiarezza  è  la  prima  dote  d'ogni  colta  favella. 

Resta  però  sempre  la  questione,  se  la  innovazione  di  dare  all'aggettivo 
quattro  generi  «  valga  più  a  confondere  la  testa  dei  fanciulli  che  a  far  loro 
imparare  a  scriver  correttamente  »,  come  affermò  il  Rosa. 

Prima  di  tutto,  questa  non  era  una  innovazione  dell'  Abate,  ma  anzi 
è  una  cosa  più  vecchia  dell'Alleluja  ;  giacche  quasi  tutti  i  nostri  Grammatici 
e  antichi  e  moderni  danno  all'aggettivo  quattro  generi.  In  secondo  luogo 
il  far  così  non  che  indurre  confusione,  serve  anzi  alla  chiarezza.  Però  in- 
tendiamoci bene.  Tutta  la  difficoltà  del  Rosa  versa  sull'ultimo  de'  quattro 
generi,  cioè  sul  neutro,  non  dovendosi  mai  supporre  ch'egli  neghi  all'aggettivo 
i  tre  primi,  cioè  il  maschile,  il  femminile  e  il  comune.  Ora,  volendo  il  Rosa 
tolto  all'aggettivo  questo  genere,  un  aggettivo  che  il  Moise  chiama  neutro, 
di  che  genere  lo  chiamerà  egli  ?  Ei  dovrà  chiamarlo,  e'  non  e'  è  dubbio, 
di  genere  maschile.  Ma  gioverà  po'  poi  alla  chiarezza  il  chiamarlo  così  ? 
Vediamolo.  Qual'aggettivo  chiamano  i  grammatici  di  genere  maschile  ?  Quello 
che  si  dà  a  un  nome  maschile  espresso  o  tacciuto.  Abbiansi  questi  due 
esempj.  —  Alessio  è  un  cattivo  figliuolo.  —  //  primo  di  agosto  voi  non  eravate 
qui.  Nel  primo  esempio  1'  aggettivo  cattivo  è  di  genere  maschile  perchè  si 
dà  al  nome  maschile  espresso  figliuolo  :  nel  secondo  1'  aggettivo  primo  è, 
similmente,  di  genere  maschile  perchè  si  dà  al  nome  maschile  tacciuto  giorno. 
Prendiamo  adesso  un  esempio  d'un  aggettivo  che  il  Moise  chiama  di  genere 
neutro.  —  Ben  altro  io  m' aspettavo  da  te.  Se  qui  1'  aggettivo  altro  è  di 
genere  maschile  ei  debbe  accordarsi  con  un  nome  maschile,  espresso  o 
tacciuto.  Ma  un  nome  espresso  al  quale  applicarlo  chi  lo  vede  ?  né  si  ha 
punto  bisogno  di  vederlo  accompagnato  con  un  nome  tacciuto;  perciocché 


—  154  — 

altro  è  un  aggettivo  che  basta  a  se  stesso,  è  un  aggettivo  sostantivo,  come 
lo  chiama  il  Moise,  cioè  un  aggettivo  che  in  sé  comprende  il  suo  nome, 
tanto  importando  qui  altro  quanto  altra  cosa:  dunque  egli  è  forza  concludere 
che  qui  1'  aggettivo  altro  non  è  di  genere  maschile,  quali  sono  gli  esempj 
seprarrecati  gli  aggettivi  cattivo  e  primo,  ed  ecco,  conseguentemente,  la 
necessità  d' introdurre  un  quarto  genere,  diverso  dai  tre  precedenti.  Nel- 
l' ultimo  esempio  V  aggettivo  altro  vale,  come  or  ora  ho  detto,  altra  cosa, 
e  corrisponde  al  latino  aliud,  che  è  di  genere  neutro  ;  e  perciò  appunto  i 
vecchi  grammatici  dissero  questo  altro  aggettivo  di  genere  neutro,  e  la  più 
parte  dei  moderni  han  fedelmente  seguitato  e  seguitano  tuttavia  a  chiamarlo 
così  e  non  hanno  alcuna  voglia  di  dargli  le  pere. 

Ed  ora  passiamo  agli  Ordini  de'  verbi. 

In  questo  non  occorrerà  spendere  di  troppe  parole.  Il  critico  riprende 
il  Moise  di  aver  seguito  il  Porretti  nel  dividere  i  verbi  ecc.  Ma  il  nostro 
autore  nel  far  così  non  seguì  alcuno,  ma  seguì  l'ordine  naturale  delle  cose. 
Trattando  del  reggimento  dei  verbi,  ei  doveva  dividere  necessariamente  essi 
verbi  in  varj  Ordini,  secondo  il  vario  loro  reggimento.  Ecco  pertanto  le 
due  prime  divisioni:  Verbi  che  hanno  un  reggimento  diretto  e  Verbi  che  hanno 
un  reggimento  indiretto.  I  primi  dovevano  poi  essere  divisi  in  più  Ordini.  — 
i.  Ordine.  Verbi  che  ricevono  dopo  di  sé  la  prepos.  A.  —  2.  Ordine.  Verbi 
che  ricevono  dopo  di  sé  la  prepos.  Da.  —  }.  Ordine.  Verbi  che  ricevono  dopo 
di  sé  la  prepos.  Di.  O  che,  voleva  il  Rosa  eh'  e'  fossero  compresi  tutti  in 
una  sola  classe  ?  Se  così  avesse  fatto  il  Moise,  e'  non  sarebbe  di  certo  stato 
chiaro,  ma  avrebbe  invece  confuse  e  imbrogliate  più  che  mai  le  tenere 
menti  de'  fanciulli. 

Tutto  ciò  sta  benissimo;  ma  forse  il  Critico,  riprendendo  in  questo 
il  nostro  autore,  non  intendeva  no  che  tutti  i  verbi  dovessero  da  lui  venir 
compresi  in  una  sola  classe,  ma  sì  intendesse  che  ai  tre  ordini  da  esso 
stabiliti  se  n'  avesse  ad  aggiungere  degli  altri  che  riguardassero  altri  reg- 
gimenti. I  verbi  che  hanno  un  reggimento  diretto  corrispondono  ai  verbi 
latini  reggenti  l' accusativo,  quelli  che  ricevono  la  Di  corrispondono  ai 
latini  reggenti  il  genitivo,  quelli  che  ricevono  la  A  corrispondono  ai  latini 
reggenti  il  dativo  e  quelli  che  ricevono  la  Da  corrispondono  ai  latini  reggenti 
l'ablativo.  Ecco  dunque  che  l'autore  s'  è  attenuto  strettamente  per  ciò  che 
riguarda  il  reggimento  dei  verbi  al  metodo  del  Porretti,  e  per  questo  appunto, 
potrebbe  credersi,  lo  riprende  il  Rosa. 

Sia  pure  anche  così;  tuttavia  il  Critico  non  aveva  ragione  in  tutto  in 
tutto.  Il  Moise,  quand'  avesse  voluto,  avrebbe  potuto  assai  facilmente  accre- 
scere un  poco  gli  ordini  de'  verbi   aventi   un    reggimento  indiretto,  come 


—  155  — 

appunto  ha  fatto  nell'  opera  grande  ')  aggiungendo  ai  tre  sopraddetti  un 
quarto  ordine  che  abbraccia  i  verbi  i  quali  si  accompagnano  con  le  pre- 
posizioni Con,  In,  Per,  Settati  ecc.  Ma  qui  ei  non  ha  creduto  bene  di  farlo, 
persuaso  che  ai  fanciulli  delle  prime  scuole  dovessero  bastare  quei  tre 
ordini.  Ora,  dei  verbi  aventi  un  reggimento  diretto,  che  formano  una  classe 
principalissima,  ei  doveva  necessariamente  trattare;  né  poteva,  similmente, 
omettere  tra  i  verbi  aventi  un  reggimento  indiretto  quelli  che  ricevono  le 
preposizioni  A,  Da,  Di,  i  quali,  essendo  i  più  numerosi,  è  necessario  che 
anco  i  fanciulli  delle  prime  scuole  tanto  o  quanto  li  conoscano.  Se  l'autore 
ha  seguito  qui  il  metodo  del  Porretti,  e'  1'  ha  fatto  per  puro  accidente,  e 
con  ciò  e'  non  ha  inteso  altrimenti  di  seguire  il  metodo  del  Porretti,  ma 
si  bene  di  seguire,  come  fu  detto,  1'  ordine  naturale  delle  cose. 

In  quanto  ad  altri  appunti  fatti  dal  Rosa,  circa  alle  definizioni  inesatte 
e  alle  innovazioni  di  cui  egli  non  seppe  veder  la  ragione,  l' autore  non 
poteva  scolparsi,  dal  momento  che  egli  da  per  lui  non  sapeva  quali  si 
fossero  queste  definizioni  inesatte,  ne  queste  innovazioni  senza  ragione. 


X. 


Il  secondo  critico,  molto  più  arcigno  del  primo,  fu  il  signor  Giammaria 
Cattaneo,  professore  all'i,  r.  Ginnasio  di  Trieste,  nativo,  credo,  di  Cremona. 
Più  di  tanto  non  so  di  lui. 

Questi  pubblicò  una  lunga  critica  sulla  Grammatichetta  del  Moise  nel 
periodico  triestino  Mente  e  Cuore  nel  giugno  dell'anno  1876  (A.  Ili  N.  6). 
Veramente  in  essa  critica  si  trovano  molte  osservazioni  che  non  appartengono 
al  nostro  autore  se  non  di  scancìo  e  molte  altre  che  non  lo  riguardano  punto 
punto.  Perciò  senza  riportare  per  intiero  l'articolo,  sarà  meglio  indicarne 
—  come  fa  il  Moise  (1.  e.)  —  una  alla  volta  quelle  parti  che  toccano  la 
Grmnniatichelta,  facendone  seguire  la  confutazione. 


')  E  cosi  anche  in  quella  di  mezzo,  cioè  nella  Grammatica  di  me^o  come  usava 
chiamarla  il  Moise,  ma  che  veramente  è  intitolata  :  Regole  ed  osservazioni  iella  lingua 
italiana  proposte  ai  giovani  studiosi. 


-  i56- 
Incomincio.  —  Pag.  205  : 

Benché  il  modo  di  considerare  le  cose  sia  vario,  pure  io  sono  d'  avviso,  che  questa 
Grammatichetta  non  possa  ispirare  ai  ragazzi  maggiore  simpatia  di  tante  altre  che  ebbero 
e  che  hanno  tra  mano.  È  un  libricciuolo  che  lascia  il  tempo  che  trova,  e  non  riempie 
minimamente  quella  lacuna,  che  fra  i  libri  scolastici  si  lamenta  da  tanto  tempo. 

Se  fosse  vero  quel  che  si  dice,  tutte  le  lodi  di  que'  letterati  onde  ho 
riportato  i  giudizj  sarebbero  false.  Ma  andiamo  avanti. 

Quando  mi  venne  alle  mani  la  Grammatichetta  del  sig.  Moise  e  vidi  che  ebbe  a 
gemere  sotto  i  torchi  in  Firenze,  mi  posi  a  leggerla  con  quell'  interesse  e  quella  dolce 
aspettativa,  che  desta  naturalmente  ogni  libro,  che  ci  venga  da  quella  città.  Ma  indarno 
vi  cercai  quel  soave  profumo  della  lingua  schietta,  leggiadra  e  vivace,  che  è  l' incanto 
di  quasi  ogni  opera  uscita  da  penna  toscana. 

Quel  quasi  ogni  opera  è  un  po'  troppo.  Qui  il  Cattaneo  intende  dire 
di  lingua  parlata,  di  lingua  d'  uso;  perchè,  parlando  di  lingua  scritta,  di 
lingua  classica,  tanto  può  esser  bello  un  libro  scritto  da  un  fiorentino  o 
da  un  pisano,  quanto  un  altro  scritto  da  un  napoletano  o  da  un  milanese, 
o,  sia  detto  pure,  da  un  istriano. 

Ma  che  1'  uso  toscano  in  generale  sia  spesso  non  buono,  lo  dicono 
e  provano  chiaramente  più  e  più  volte  dotti  e  gentili  scrittori.  Il  Ricci,  per 
esempio,  nell'  Allegra  filologia  dice  ')  :  r=  Tutte  le  volte  che  io  sfoderai 
la  penna  in  difesa  dell'  uso,  intesi  parlare  sempre  dell'  uso  di  Firenze,  e 
quidem  dell'  uso  buono;  perchè  anche  in  Firenze,  specialmente  in  fatto  di 
lingua  ci  sono  degli  usacci,  per  cui  mi  guarderò  bene,  vita  naturai  durante, 
di  mettermi  le  facciole  d'  avvocato.  =  S'  aggiunga  per  contentino  (e  ciò 
riguarda  e  la  lingua  classica  insieme  e  quella  dell'  uso)  quel  che  scrisse  un 
autore  incognito  col  pseudonimo  di  Ausonio  Vero  nel  libro  intitolato 
77  Conte  Durante !)  e  che  è  pur  riportato  dal  Ricci.  =  E  veramente,  se 
ne  eccettui  il  Fanfani,  il  Ricci,  Brunone  Bianchi  e  il  Guerrazzi,  ed  altri 
pochissimi  che  a  noi  non  sovviene,  Firenze  è  la  terra  d' Italia,  dove  oggi 
meno  si  parli  e  peggio  scrivasi  italiano.  —  Cosi  scriveva  Ausonio  Vero 
nel  tempo  del  centenario  di  Dante,  cioè  a  dire  prima  che  la  Capitale 
andasse  a  pigione  in  Firenze.  Quello  che  riguardo  a  lingua  italiana  accadde 
allora  in  Firenze,  ognuno  lo  sa. 


')  Pag.  26,  II  edizione. 
')  pag-  394- 


—  157  — 
Il  Cattaneo  continua.  —  Pag.  207  : 

Ora  non  trovando  nella  menzionata  Graminaticheìla  del  sig.  Moise  il  grato  profumo 
della  toscanità,  conclusi  che  il  libro  doveva  aver  visto  la  luce  a  Firenze,  come  quei  bimbi 
che  vennero  al  mondo  in  quella  illustre  città,  perchè  il  babbo  e  la  mamma  ci  si  ferma- 
rono facendo  un  viaggio  di  piacere. 

Curioso  !  Mentre  letterati  e  filologi  insigni,  i  primi  d' Italia,  levarono 
a  cielo  i  libri,  grandi  e  piccoli,  dell'  Abate  Moise,  lodandone  soprattutto 
la  leggiadria,  la  schiettezza  e  la  spiritosa  eleganza,  tanto  che  più  d'  uno, 
non  sapendolo  da  Cherso,  lo  credette  toscano,  anzi  fiorentino;  il  Cattaneo 
fu  il  solo  a  cui  lo  scrivere  del  Moise  non  andava  a  fagiolo  ! 

E  prosegue.  —  Pag.  209  : 

Tornando  al  sig.  Moise,  la  sua  Grammatichetta  non  ha  il  pregio  della  novità  del 
metodo,  che  la  faccia  preferire  alle  altre.  La  teoria  delle  forme  offre  né  più  né  meno 
di  quello  che  si  trova  in  ogni  altra  grammatica  elementare.  Egli  si  piacque  per  altro  di 
spostare  I'  articolo  relegandolo  fra  gli  aggettivi  ed  esponendone  la  teoria  dopo  il  compa- 
rativo. Se  questa  novità  sia  strana,  lo  lascio  a  giudicare  a  chi  ha  pratica  dell'istruzione. 

Son  ben  strani  codesti  critici  !  Mentre  al  sig.  Rosa  davan  tanto  nel  naso 
le  innovazioni  grammaticali  del  Moise,  e  medesimamente  vedemmo  allo 
scrittore  della  Nuova  Antologia;  il  sig.  Cattaneo,  invece,  non  ne  sa  trovare 
che  una,  e  quell'  unica  mal  fatta  !  Eppure  nella  Grammatichetta,  oltre  alle 
ricordate,  vi  sono  parecchie  altre  novità  che  non  furono  appuntate  dai  suoi 
critici.  Qual'altro  Grammatico,  infatti,  divide  gli  Aggettivi  in  Semplici  aggettivi 
e  in  Aggettivi  sostantivi,  e  suddivide  quelli  in  Aggettivi  propriamente  detti  e  in 
Aggettivi  pospostivi,  ponendo  così  nella  classe  degli  Aggettivi  molte  voci  che 
la  comune  dei  Grammatici  chiama  Pronomi?  Qual'altro  Grammatico  divide  i 
Verbi  transitivi  in  Attivi,  Passivi  e  Partecipanti  o  Misti  e  Neutri?  Si  dica  pure 
che  tali  innovazioni  sono  ridicole,  sono  false,  sono  fuor  di  ragione,  ma  non 
si  neghi  di  vedere  ciò  che  vede  alla  bella  prima  persino  chi  è  cìschero. 

Ei  vede  si  /'  articolo  mutato  di  luogo  e  messo  dopo  il  comparativo,  ma 
non  vede  che,  formando  /'  articolo  la  prima  classe  degli  aggettivi  di  rapporto 
doveva  necessariamente  allogarsi  subito  dopo  il  §  4  in  cui  si  ragiona  del 
comparativo,  col  quale  §  4  si  chiude  il  trattato  degli  aggettivi  concreti. 

Ma  andiamo  avanti.  Ivi. 

Strano  è  pure  il  modo  di  porre  certe  forme  in  ordine  inverso  di  quello  della  loro 
origine.  Per  esempio  pag.  46,  frutta,  fruito  ;  Ugna,  legno. 

Qui  nulla  avrebbe  ei  veduto  di  strano,  se  avesse  considerato  che 
l'autore  classifica  questi  nomi  non  per  riguardo  alla  loro  origine,  ma  solo 


-  iS8- 

per  riguardo    al   loro  ordine   alfabetico,   il   che  han  pur  fatto  alcuni   altri 
Grammatici,  come  per  esempio  il  Roster  e  il  Vanzon,   senza  che  nessuno 
desse  loro  sulle  mani. 
Pag.  210  : 

Il  sig.  Moise  s'  è  preso  la  libertà  di  accrescere  la  coniugazione  di  due  tempi,  en- 
trando coraggiosamente  nella  schiera  dei  riformatori  della  grammatica.  A  pag.  78  del  suo 
libro,  N.  252,  si  legge:  =  Il  modo  imperativo  di  tre  tempi,  il  Presente,  il  Futuro  im- 
perfetto e  il  Futuro  perfetto.  —  Leggi  -  Leggerai  -  vivrai  letto.  =  E  conseguente  alla 
sua  teoria  egli  conjuga  per  esteso  questi  tre  tempi,  come  se  queste  fossero  vere  forme 
speciali  dell'imperativo.  Questo  si  chiama  avviluppare  le  cose  semplici.  (!)  Dacché  queste 
forme  non  sono  altra  cosa  da  quelle  del  futuro  dell'  indicativo,  quindi  in  quella  parte 
della  sintassi,  in  cui  si  tocca  dell'  uso  dei  tempi,  basta  osservare  che  il  futuro  assume 
anche  il  senso  dell'imperativo.  Io  sarei  poi  vago  di  sapere  dall'  autore  quante  volte  nella 
sua  vita  si  è  servito  del  futuro  passato  per  esprimere  l' imperativo. 

Eppure  vi  sono  altri  Grammatici  che  danno  tre  tempi  all'imperativo; 
onde  la  libertà  che  si  è  presa  il  nostro  autore  è  un  sogno  del  suo  critico. 
Danno  all'  imperativo  il  futuro  imperfetto  quasi  tutti  i  nostri  grammatici, 
cominciando  col  Buommattei  e  col  Corticelli  e  terminando  col  Puoti  e 
col  Rodino.  Gli  danno  poi  il  futuro  perfetto  il  Paria,  il  Centurione  e  forse 
altri.  E  non  so  veder  la  ragione  per  cui,  essendo  questi  due  tempi  comuni 
all'  indicativo  e  all'  imperativo,  debbasi  nel  prospetto  delle  conjugazioni  darli 
all'  uno  e  toglierli  all'  altro.  Né  so  anco  se  1'  autore  ha  usato  mai  de'  suoi 
giorni  il  secondo  di  questi  futuri:  bensì  so  che  egli  ed  altri  ben  potrebbero, 
all'  uopo,  valersene. 

Continua  il  Cattaneo.  —  Pag.  216: 

Il  sig.  Moise  s'  è  arrischiato  una  sola  volta  di  entrare  nel  campo  dell'  etimologia 
per  mettere  alla  luce  una  sua  scoperta,  ma  ha  preso  un  granchio.  A  pag.  60  egli  dice 
che  la  particella  si  derivò  per  metatesi  dal  greco  v.q  (uno)  colla  pronunzia  moderna  (bis). 

Questa  asserzione  basta  da  sé  sola  a  provare  che  1'  autore  non  s'  è  mai  occupato 
dello  sviluppo  storico  della  lingua  italiana;  (!)  la  quale,  essendo  nipote  della  greca,  non 
può  avere  con  essa  che  quella  leggiera  somiglianza,  che  nell'  aria  del  volto  ed  in  qualche 
lineamento  manifesta  la  parentela  tra  nipote  e  zia.  Una  lingua  si  appropria  parole  dal- 
l' altra,  senza  riguardo  di  affinità,  ma  le  forme  grammaticali,  che  sono  l' intimo  suo 
organismo,  non  le  riceve  che  dalla  madre,  o  se  le  foggia  da  sé  combinando  elementi 
ricevuti  dalla  madre,  per  rifarsi  di  quelle  forme,  che  non  potè  assimilarsi  ed  andarono 
perdute. 

Questo  si  nel  quale  l'autore  ha  subodorato  un  greco  camuffato  all'italiana,  non  è 

/altro  che  un  pronome   riflessivo   latino  se,  i  cui  uffici  presso  la  figlia  sono  quasi   quegli 

stessi,  eh'  ei  faceva   in   casa  della  madre;   se   non   che  nell'italiano   moderno  ha  dovuto 

occupare  anche  il  posto  del  pronome  indeterminato  uomo,   frequente  nella  prosa  antica, 

ed  ora  quasi  caduto  in  disuso, 


-   159  — 

Qui  T  Abate  si  scusa  che  certe  opinioni  non  sono  direttamente  sue, 
ma  eh'  egli  1'  ha  prese  da  altri.  Con  quanta  verità  l' abbia  messo  il  Cattaneo 
tra  i  riformatori  della  grammatica  per  quel  che  spetta  ai  futuri  dell'  imperativo, 
l'abbiamo  veduto  or  ora:  con  quanta  verità  poi  ei  gli  barbi  l'altra  scoperta 
di  derivare  la  sì  indistintiva  dell'  aggiuntivo  sic,  greco,  manifesto  apparisce 
da  quanto  lasciò  scritto  il  Parenti  '). 

Del  resto  al  Moise  non  doveva  riuscir  troppo  amara  la  taccia  che  gli 
diede  il  Cattaneo  di  non  essersi  mai  occupato  dello  sviluppo  storico  della 
lingua  italiana,  se  avrei  pensato  che  prima  che  a  lui  diede  esso  Cattaneo 
questa  taccia  al  Parenti,  che  non  era  un  boto,  e  similmente  (per  non  parlar 
che  de'  morti)  al  Fabriani,  al  Gherardini  e  al  Galvani,  che  non  eran  tanti 
boti  neppur  loro.  Il  Fabriani  sta  in  tutto  e  per  tutto  col  Parenti s). 

Né  è  giusto  quel  che  dice  il  Cattaneo,  esser  la  lingua  greca  zia  del- 
l' italiana  ;  ma  piuttosto  mamma  e  nipote.  Forse  intendeva  dire,  che  le  son 
sorella  e  sorella,  e  in  questo,  sottosopra,  non  ha  torto.  Ma  ben  egli  ha 
torto  di  dire  che  la  particella  si  di  cui  parla  qui  il  Moise  non  può  derivare 
dal  greco,  confondendo  egli  malamente  questa  si  indistintiva  con  la  si  pas- 
sivante, della  quale  tratta  il  nostro  autore  a  pag.  75  sotto  il  N.  225.  E  non 
solo  con  la  si  passivante,  ma  la  confonde,  facendone  un  pasticcio,  anche 
con  la  si  particella  mutante  numero  e  persona  al  verbo  con  cui  si  accom- 
pagna, onde  ragiona  lungamente  il  Moise  nella  II  edizione  dell'opera  grande 
che  venne  alla  luce  l'anno  appresso  (1878). 

Dopo  ciò  ci  vuol  poco  a  dire,  che  il  Moise  non  s' è  mai  occupato  dello 
sviluppo  storico  della  lingua  italiana!  Se  il  Cattaneo  avesse  per  poco  esaminata 
la  prima  edizione  dell'opera  grande  del  Moise,  pubblicata  ancora  nel  1867, 
e  precisamente  li  ove  ne  parla  sulla  genesi  dei  nostri  nomi,  de'  nostri 
aggettivi  e  de'  nostri  verbi,  non  gli  sarebbe  scappata  dalla  penna  una  tale 
offesa,  che  si  risolve  in  una  palese  e  gratuita  ingiuria.  Basti  dire  che  il  nostro 
Abate  era  tenuto  in  Italia  non  qual  grammatico  puramente  grammatico, 
ma  qual  grammatico  filosofo,  e  eh'  egli  nel  comporre  la  sua  Grammatica 
non  andò  no  sulla  falsariga  dei  Boppi,  dei  Diezi,  dei  Grossrani,  degli  HofT- 
manni,    dei  Bianchi,  o  di  altri   siffatti   scrittori   forestieri,    ma  si  s'  attenne 


')  Alcuni  Opuscoli  concernenti  a  lingua  e  a  stile.  —  Modena.  Tip.  Camerale,  1837, 
pag.  80  nota  2. 

')  Vedremo  in  appresso  che  il  Moise  si  ricredette  su  codesto,  e  da  leale  avversario 
ne  fece  ampia  confessione  nella  Strenna  Istriana  per  1'  87  pag.  138. 


—    léo  — 

sempre  all'autorità  de'  sommi  nostri  grammatici  e  filologi  italiani  sì  antichi 
che  moderni,  e  a  quella  segnatamente  del  fiorentino  Vincenzo  Nannucci, 
filologo  del  primo  cerchio,  che  la  sa  lunga  assai  e  dà  papa  e  cena  a  molti 
che  si  pretendono  di  andare  per  la  maggiore. 

Ne  1'  Abate  poteva  capacitarsi  ancora  perchè  dicesse  il  Cattaneo  che 
il  pronome  riflessivo  si  «  nell'  italiano  moderno  ha  dovuto  occupare  anche 
il  posto  del  pronome  indeterminato  uomo  ».  Dunque  Dante,  ei  diceva,  il 
Boccaccio,  il  volgarizzator  di  Crescenzio  e  gli  altri  scrittori  del  300  che 
usarono  così  questa  particella,  sono  tutti,  secondo  lui,  scrittori  moderni! 

Andiamo  innanzi.  —  Pag.  220  : 

Non  vado  d'accordo  col  Blanc,  il  quale  dice  che  in  una  proposizione  come  la  se- 
guente: =  Quivi  ore  e  campane  non  s'udiva  —  (Berni,  Ori.  in  67,  54),  il  si  viene 
trattato  come  soggetto  della  proposizione,  alla  guisa  del  tedesco  man.  Il  prof.  Demattio 
va  ancora  più  innanzi,  e  dice  a  dirittura  che  il  pronome  riflessivo  si  in  siffatti  costrutti  è 
il  soggetto.  Se  questo  è  vero,  il  maestro  facendo  1'  analisi  della  detta  proposizione  doman- 
derà allo  scolare:  Chi  non  udiva?  E  se  lo  scolare  starà  in  dubbio,  egli  soggiungerà: 
C  è  forse  bisogno  di  aguzzare  V  ingegno!  Non  vedete  che  la  particella  si  fa  1'  ufficio  di  sog- 
getto? E  questa  potrà  chiamarsi  analisi  illogica. 

(Noto,  tra  parentesi,  che  altri  dopo  aver  detto  allo  scolare  che  la  particella 
si  fa  l'ufficio  di  soggetto,  o,  meglio,  è  il  soggetto,  gli  avrebbe  detto  ancora 
eh'  esso  importa  alcuno,  e  così  avrebbe  fatto  eh'  egli  non  le  desse  per  av- 
ventura un  falso  significato;  come  avvenne  al  Demattio,  che  la  spiegò  per 
un  tale).  Dunque  quest'analisi,  secondo  il  Cattaneo,  è  illogica.  Ma,  se  la  è 
così,  e'  convien  dire  che  non  solamente  il  Blanc  e  il  Demattio,  ma  con 
essi  anche  il  Moise  e  il  Fabriani  e  il  Parenti  e  il  Galvani  e  il  Borsari  e  il 
Gherardini  e  la  più  parte  de'  nostri  grammatici,  tutti  sragionano,  tutti  han 
dato  in  ciampanelle,  tutti  infine  sono  (per  dirlo  coll'autore  del  Malmantilé) 
un  monte  di  asini  e  di  buoi. 

Pag.  221  : 

Quello  che  il  sig.  Moise  (a  pag.  125  e  seg.)  scrisse  intorno  alla  sintassi  è  insuffi- 
ciente a  soddisfare  ai  bisogni  della  scuola.  Qualunque  Grammatica  per  quanto  elementare, 
deve  toccare  tutti  i  punti  più  importanti  della  sintassi;  ma  in  questo  non  è  fatto  neppur 
cenno  dell'uso  dei  modi  e  della  successione  dei  tempi  nella  proposizione  composta.  Quello 
che  si  legge  a  pag.  77-78  non  basta. 

''  Eppure,  come  vedemmo,  dei  critici  ben  più  autorevoli  del  Cattaneo 
nulla  trovarono  a  ridire  in  proposito.  La  Civiltà  Cattolica  (quaderno  1.  di 
maggio,  1875)  scriveva  ;  —  È  molto  acconcia  (la  Grammatichetta  dell'Abate 


—  i6i  — 

Moise),  sì  per  la  brevità,  che  per  altro  non  fa  mancare  il  necessario,  e  sì 
per  l'ordine  e  la  chiarezza,  alla  buona  istituzione  dei  fanciulli  e  delle  fanciulle 
negli  elementi  della  lingua  italiana.  r=  E  chi  scriveva  così,  non  era  certo 
un  grullo. 

E  la  critica  del  Cattaneo  non  era  finita  ancora  ;  sembra  eh'  ei  si  fosse 
proposto  di  far  propriamente  strazio  del  lavoro  del  povero  Abate.  La  maggior 
parte  delle  inesattezze  ei  le  trovava  nel  lib.  I  cap.  r,  3,  5  nei  quali  si  tocca 
la  teoria  dei  suoni.  Ma  qui  faccio  grazia  ai  lettori  tanto  delle  accuse  quanto 
della  difesa,  che  l'andrebbe  troppo  alla  lunga,  e  le  cose  lunghe,  si  sa,  di- 
ventano serpi,  duello  che  posso  dire  con  tutta  coscienza  si  è,  eh'  ei  spesso 
confonde  le  questioni,  e  che  fa  dire  talvolta  al  Moise  quello  che  non  ha 
detto.  Devo  tuttavia,  per  amore  di  giustizia,  ancora  soggiungere,  che  final- 
mente anche  il  Cattaneo  ebbe  ad  imbroccarne,  fra  tante,  una  di  giusta  ;  e 
precisamente  Là  ove  riprende  il  Moise  —  che  in  questo  errò  in  compagnia 
di  altri  molto  reputati  grammatici  —  quando  insegna  che  il  b  e  il  v  e  il  d 
hanno  affinità  col  g.  Ed  il  Moise,  da  uomo  veramente  superiore,  rispose: 
Piglio  amoroso  le  osservazioni  del  mio  ammonitore  e  ne  lo  ringrazio  I  E  del 
pari  lo  ringrazia  dell'  osservazione  che  gli  fa  appresso,  non  esser  vero, 
cioè,  che  la  /  abbia  stretta  parentela  col  g,  come  lui  insegnò.  In  tutto 
il  resto,  ripeto,  il  Cattaneo  contradì  non  solo  per  ispirito  di  contradire 
(meno  ancora  sulla  particella  si),  ma  disse  spropositi  da  cavallo,  assumendo 
un'  aria  dottorale  e  poco  creanzosa,  come  avesse  da  fare  con  un  bimbo 
del  Ginnasio  dove  egli  istruiva  !  Si  guardi,  per  esempio,  come  finisce  il  suo 
articolo  critico. 

Pag.  223  : 

A  pag.  31  N.  79  dice:  =  I  poeti  affiggono  talora  un  0  alle  terze  persone  singolari 
del  passato  rimoto  nei  verbi  della  seconda  e  della  terza  conjugazione;  onde  scrivono 
renato,  udio,  invece  di  rendi,  udì.  =: 

Sarebbe  ornai  tempo  di  finirla  con  questo  vezzo  di  considerare  le  cose  alla  carlona  (!), 
e  trasmettere  alla  generazione  che  cresce,  le  corbellerie  della  generazione  che  si  è  spenta 
e  si  spegne.  A  voler  parlare  logicamente  e  dire  le  cose  come  sono,  i  poeti  né  allungano, 
né  accorciano  le  forme  dei  verbi,  ma  talora  sogliono  semplicemente  servirsi  di  forme 
antiche,  che  danno  maestà  e  armonia  al  verso.  E  in  ciò  i  poeti  si  mostrano  conservativi 
ripristinando  un  uso  già  da  secoli  nella  prosa  dismesso. 

Anche  l'Abate  dice  nella  sua  opera  grande  che  rendéo,  udio  sono  forme 
antiche,  le  quali  gli  autori  dei  primi  secoli  della  lingua  usavano  indiffe- 
rentemente e  in  verso  e  in  prosa.  Ma  se  codeste  forme  sono  antiche, 
non  sono  mica  primitive  ;  perchè  in  origine  si  disse  rendè  e  udì,  le  quali 
voci  colla  aggiunta  dell'  0  diventarono  poi  rendéo,  udio.  Così  anche  il  Nati- 


—  i6z  — 

nucci  che  se  ne  intendeva  un  tanto  ').   Ora  sono   approvate  le  sole  forme 
rendè,  udì. 

E  continua  alla  pag.  224  : 

Alla  pag.  31,  N.  83  si  legge:  =  Similmente  per  eufonia  scriviamo  gire  in  cambio 
di  ire  = 

Quando  non  si  sa  rendere  ragione  di  una  cosa,  è  molto  comodo  il  dire  :  questo  si  fa 
per  eufonia  (!).  Ma  è  un'osservazione  gratuita,  che  ci  lascia  al  bujo.  L'illustre  Prof.  Diez 
a  spiegare  il  g,  stabilì  l' ipotesi  che  gire  derivi  da  de-ire,  la  cui  probabilità  trova  sostegno 
nella  forma  deambulare  che  esisteva  allato  ad  ambulare.  Egli  è  vero  che  non  tutte  le  forme 
usate  dal  popolo  vennero  registrate  negli  antichi  glossari  o  riprodotte  nella  lingua  scritta 
per  quanto  fosse  rozza;  nondimeno,  finché  non  si  rechino  esempi  che  ci  assicurino  del- 
l' esistenza  di  deire,  non  potranno  mai  avere  la  certezza  che  questa  sia  la  genesi  del  gire. 
L' ipotesi  del  Diez  però  basta  a  confutare  1'  asserzione  del  sig.  Moise,  che  il  g  sia  stato 
prefisso  per  eufonia. 

Qui  il  prof.  Cattaneo,  dando  di  ciuco  a  quadrato  al  sor  Abate,  biasima 
similmente  tutti  in  generale  i  nostri  grammatici,  i  quali  insegnano  la  stessa 
cosa,  non  escluso  il  Gherardini,  che  è  da  tutti  stimato  e  riverito  e  a  cui 
gli  stessi  toscani  fanno  tanto  di  cappello.  Ed  è  poi  curioso,  che  mentre  il 
Moise  s'attiene  all'autorità  del  Gherardini  e  di  altri  grammatici,  il  Cattaneo 
s'appoggia  all'ipotesi  incerta  del  Diez.  La  cosa  è  spiegabile  nel  senso,  che 
l'autorità,  tuttoché  incerta,  dell'  illustre  prof,  tedesco  aveva  per  il  Cattaneo 
maggior  peso  che  quella  di  tutti  insieme  i  grammatici  italiani. 

Veniamo  finalmente  alla  chiusa.  —  Ivi: 

Eppure  1'  eufonia  è  per  questo  nuovo  grammatico  la  chiave  di  tutti  i  segreti  fonetici, 
perchè  egli  se  ne  serve  perfino  a  spiegare  i  dittonghi  ie,  uo.  Sono  forse  quarant'  anni 
che  il  babbo  di  tutti  i  romanisti  predica  a  tutto  il  mondo  che  i  dittonghi  ie,  uo  hanno 
la  loro  ragione  nell'  etimologia  ;  il  prof.  Fornaciari  lo  ha  ripetuto  nel  suo  compendio 
della  grammatica  dello  stesso  babbo  ;  io  pure  feci  cenno  della  genesi  di  questi  dittonghi 
due  anni  fa,  a  pag.  127  del  già  citato  numero  del  periodico  Mente  e  Cuore.  Ora  se  il 
sig.  Moise  ha  fatto  una  delizia  degli  studii  grammaticali,  tanto  che  pare  che  la  gram- 
matica sia  proprio  il  suo  forte,  o,  come  si  dice,  il  suo  cavallo  di  battaglia,  perchè  non 
sta  in  giorno  di  tutto  quello  che  si  pubblica  in  questo  suo  campo  prediletto?  Quando 
non  si  ha  nessuna  notizia  di  tali  cose,  allora  bisogna  astenersi  dallo  scrivere  intorno  a 
questioni  grammaticali. 

La  stoccata  era  proprio  sanguinosa  per  il  pover'  uomo  che  avea  con- 
sumata la  vita  nello  studio  della  grammatica  italiana.  E  l'offesa  gli  veniva 


')  lAnal.  verb.  pag.  166. 


-  Ié3  - 

da  chi,  come  abbiamo  veduto,  non  avea  trovato  mai  tempo  di  studiare  a 
fondo  le  grammatiche  italiane,  pur  studiandone  forse  taluna  di  straniera. 
Dico  questo,  perchè  i  nostri  grammatici  insegnano  in  coro  che  nei  dittonghi 
che  chiamano  mobili,  ie,  uo,  quelP  i  e  quell'  u  sono  lettere  eufoniche  ').  E 
si  badi  ancora  che  proprio  il  prof.  Diez,  il  babbo  di  tutti  i  romanisti,  a 
proposito  di  questi  dittonghi  osserva,  che  le  voci  latine  aventi  nella  sillaba 
dove  cade  1'  accento  tonico  un'  t  un  o  breve  a  cui  tenga  dietro  una  con- 
sonante semplice,  nel  farsi  italiane  mutano,  per  ordinario,  quell'  e  o  quell'  o 
nel  dittongo  ie  o  nel  dittongo  ito  :  perciò  da  decerti  si  fa  dieci,  da  levis,  lieve, 
da  metere,  mietere,  da  bonus,  buono,  da  locus,  luogo,  da  moritur,  muore.  — 
In  ciò,  dunque,  il  Cattaneo  ha  ragione,  nel  dire  cioè  —  e  chi  noi  sa!  — 
che  essi  dittonghi  hanno  la  loro  ragione  nell'etimologia  ;  ma  ebbe  poi  torto 
tortissimo  a  sostenere  che  nei  medesimi  le  vocali  i  ed  u  non  sono  eufoniche 
e  a  tenere,  in  conseguenza,  il  Moise  per  testa  di  cinque  meno  uno  e  a  dare 
di  mattonella  una  presa  di  minchione  e  peggio  al  Gherardini  e  agli  altri 
nostri  grammatici.  Ma  si  crede  forse  che  quei  valentuomini  non  conoscessero 
la  magna  lezione  che  ci  dà  il  prof.  Diez,  lezione  che  sanno  oggigiorno  tutti 
coloro  i  quali  tanto  o  quanto  sbucciano  dal  latino  ?  Nonostante  essi  inse- 
gnarono e  insegnano  tuttora  che  quell'  :  e  quell'  u  sono  lettere  eufoniche. 
Dopo  ciò  1'  Abate  non  ebbe  alcun  riguardo  di  dire  il  perchè  non  si 
diede  gran  pensiero  di  leggere  i  lavori  filologici  che  si  pubblicavano  allora 
in  Germania,  o  quelli  che  si  davano  alla  luce  in  Italia  da  certi  scrittori, 
italiani  sì  di  nascita,  ma  di  mente  e  di  cuore  tedeschi.  Trattando  d'  una 
vecchia  dottrina  grammaticale,  della  quale  era  sicuro,  non  gli  sembrava 
punto  necessario  di  saperla  confermata  od  oppugnata  dai  novelli  grammatici, 
segnatamente  forastieri,  certo  di  non  errare  seguendo  quella  dottrina  e  pro- 
ponendola ai  giovani  studiosi.  O  sta  a  vedere  adesso  che  gì'  italiani  sono 
caduti  tanto  al  basso  da  dover  ricorrere,  per  imparare  la  propria  lingua, 
alle  grammatiche  dei  grammatici  tedeschi.  Dico  grammatici,  si  noti  bene, 
e  non  filologi,  che  è  tutta  un'  altra  cosa,  specie  se  si  tratta  di  filologia 
comparata. 


')  Basti  per  tutti  l'autorità  del  Gherardini.  V.  Appena.  Gramm.  Ital.  pag.  558. 


—  164 


XI. 


Le  confutazioni  del  Moise  alle  critiche  del  prof.  Rosa  e  del  prof.  Cat- 
taneo non  ottennero  repliche.  Convien  credere,  dunque,  che  tanto  1'  uno 
che  l'altro  dei  critici  rimanessero  persuasi  di  trovarsi  nel  torto.  Avvegnaché, 
se  così  non  fosse  stato,  non  avrebbero  mancato  di  far  conoscere  al  nostro 
Abate  le  loro  ragioni  in  contrario,  tanto  più  che  il  nostro  Abate  non  era 
mancato  di  spedir  loro  quell'annata  del  Lunario  Istriano,  in  cui  esse  con- 
futazioni erano  contenute. 

Devo  fare  però  una  restrizione  per  il  prof.  Cattaneo,  il  quale,  se  non 
trovò  argomenti  da  ribattere  al  Moise  in  merito  alle  questioni  da  lui  fatte 
insorgere,  seppe  sì  trovarne  di  nuovi,  per  tentar  di  gettare  il  discredito  sul 
bravo  e  buon  Abate  presso  coloro,  e  non  son  pochi,  che  sogliono  bever 
grosso. 

Al  Cattaneo,  dunque,  non  era  bastato  di  dire  tutto  quel  po'  po'  di 
roba  sul  conto  della  Grammatichetta  del  Moise;  caso  volle  che  gli  capitasse 
il  destro  di  dirne  dell'  altro  ancora.  Ed  ecco  come  '). 

Nell'anno  1876  era  già  da  qualche  tempo  sotto  stampa  a  Firenze,  nella 
tipografia  del  Vocabolario,  la  seconda  edizione  della  Grammatica  grande  del 
Moise,  quando  accadde  che  il  sig.  Cattaneo  vi  si  recasse,  addì  7  settembre 
dell'anno  stesso,  alla  tipografia  su  detta,  per  associarsi  al  Borghini,  periodico 
letterario.  Discorrendo  il  Cattaneo  col  direttore  della  tipografia,  sig.  Giuseppe 
Polverini,  gli  chiese  che  cosa  stampasse  di  bello  ;  e  quei  gli  rispose  : 

—  Una  Grammatica  dell'Abate  Moise. 

—  O  non  r  ha  già  pubblicata  ? 

—  Vorrà  dire  la  Grammatichetta. 

—  Sì,  giusto  quella;  ne  avrebbe  una  copiai 

E  il  Polverini  gliela  détte  e  il  Cattaneo  la  pagò. 

—  Ahi  stampa  dunque  un1  altra  Grammatica!  ripigliò  questi. 

—  Sì,  un'  altra  molto  più  grande  :  verrà  circa  un  migliajo  di  pagine  in 
ottavo. 


')  Tutto  quello  che  segue  rilevasi  dal  Dialogo  II  inserito  nel  Lunario  per  il  1878, 
anno  VI. 


-  Ié5  - 

—  Un  migliajo  di  pagine  !  non  mi  cannona  ! 

—  Vede,  siamo  già  a  ;6o  pagine  o  lì  intorno,  e  saremo  forse  a  mezjp 
lavoro. 

E  nel  tempo  che  il  Polverini  gli  faceva  la  ricevuta  delle  8  lire  del- 
l' associazione  al  Borghini,  il  sor  professore  gittò  avidamente  gli  occhi  sopra 
il  foglio  che  gli  stava  dinanzi,  leggendo  con  tutta  attenzione  o  imparando 
a  mente  o  copiando  il  primo  capoverso  del  N.  485.  —  Quest'  azionacela, 
come  la  definì  il  Moise,  venne  dedotta  da  una  lettera  del  Polverini  al 
Moise,  in  risposta  d' una  missiva  del  secondo,  che  chiedeva  al  primo,  come 
mai  potesse  accadere  che  il  Cattaneo  stampasse  a  Trieste  un  brano  della 
sua  Grammatica  che  si  trovava  appena  sotto  composizione  ! 

Imperocché  e'  convien  sapere  che  il  Cattaneo,  ritornato  a  Trieste, 
stampasse  subito  dopo  nel  periodico  Mente  e  Cuore  ')  un  nuovo  articolo 
nel  quale  diceva  (pag.  26)  : 

Io  attendo  con  impazienza  la  Grammatica  grande  del  Moise,  della  quale  intanto 
dò  ai  lettori  del  ^/Cetile  e  Cuore  il  seguente  saggio  : 

=  485  Uscire  od  Escire.  Escire  è  regolare  in  tutta  la  sua  conjugazione;  Uscire  poi 
è  difettivo  di  alcune  voci.  Ne  supplisce  la  mancanza  il  verbo  Escire,  il  quale,  benché  più 
si  avvicini  al  latino  Exire  da  cui  deriva,  è  tuttavia  assai  meno  usato.  = 

Se  tutto  il  resto  somiglia  a  questo  brano,  non  si  può  pronosticare  buona  fortuna 
al  libro.  Si  vede  che  1'  autore  è  digiuno  affatto  della  teoria  dei  suoni. 

Il  dardo  era  volato,  e  il  Moise  non  ne  rimase  indifferente.  Epperò, 
quantunque  di  mala  voglia,  pur  rispose  come  suoleva,  nel  suo  Lunario. 

Premette  di  non  saper  capire  veramente  in  qual  modo  c'entrasse  qui 
in  tutto  la  teoria  de'  suoni.  Che  escire,  esciva,  escirei  ecc.,  sian  voci  buone 
e  regolari,  perchè  provenute  direttamente  dalle  latine  exire,  exibam,  exirem 
ecc.,  ognuno  il  vede.  Che  le  altre,  uscire,  usciva,  uscirei  ecc.,  più  lontane 
dalla  loro  origine,  sieno  altresì  buone,  perchè  di  grandissimo  uso,  nessuno 
il  nega.  Ondechè  né  chi  scrive  o  pronunzia  escire,  esciva,  escirei  ecc.,  né 
chi  scrive  o  pronunzia  uscire,  usciva,  uscirei  ecc.,  s'  oppone  come  che  sia 
alle  regole  dei  suoni.  Pare  tuttavia  che  il  Cattaneo,  intendendo  malamente 
ciò  che  dicono  su  questo  proposito  alcuni  Grammatici  tedeschi,  voglia  dire 
che  chi  scrive  o  pronunzia  escire,  esciva,  escirei  ecc.,  pecca  contro  le  regole 
dell'eufonia;  dovendosi,  secondo  lui,  scrivere  e  pronunziar  sempre,  uscire, 


')  N.  1,  1  gennaio  1877. 


-    i66  — 

usciva,  uscirei,  e  non  altrimenti,  e  solo  dovendosi  scrivere  e  pronunziare 
con  la  e  le  voci  esco,  esci,  esce,  escono,  ésca,  escano,  dove  1'  accento  tonico 
cade  sulla  sillaba  iniziale. 

Se  fosse  vero  quel  che  insegna  e  par  che  insegni  il  Cattaneo,  allora 
bisognerebbe  dire  che  molti  e  molti  de'  nostri  scrittori  i  quali  diciamo 
classici  e  da'  quali  caviamo  le  regole  del  bello  scrivere  e  del  bel  favellare, 
ignorano  la  teoria  dei  suoni.  Giovanni  Gherardini  nelP  Appendice  della 
Grammatica  italiana  (pag.  498-500),  dice  che  i  nostri  scrittori  antichi  usarono 
più  volte  le  voci,  escito,  esciro,  escirò,  escente,  escire,  escimento,  escita,  esciamo, 
esciranno,  esci,  esciti,  escirà;  che  nello  Specchio  della  vera  penitenza  scritto 
da  Fr.  Jacopo  Passavanti  e  pubblicato  l'anno  1725  dagli  Accademici  della 
Crusca  si  legge  a  pag.  XX  aver  essi  giudicata  queir  opera  di  escire  in  luce; 
che  per  testimonianza  di  altri  Accademici  i  quali  curarono  l' edizione  della 
Grammatica  di  Benedetto  Buommattei,  verso  la  fine  del  passato  secolo  si 
diceva  per  tutta  la  Toscana  uscire  ed  escire,  e  che  i  compilatori  del  loro 
Vocabolario  avevano  autenticate  le  voci  escire,  escita  ed  escimento;  che 
Marco  Antonio  Parenti  nelle  sue  Annota^,  al  di^.  di  Bologna  usò  la  voce 
escire  in  Acciaio  e  in  Adoperare. 

Per  quello  poi  che  concerne  1'  uso  d'  oggidì,  abbiamo,  oltre  a  quella 
del  Parenti,  altre  autorità  ancora.  In  tutti  i  Vocabolari  del  Fanfani  e  del 
Rigutini-Fanfani  e  nel  Dizionario  di  Torino  è  registrato  Uscire  ed  Escire; 
il  Fanfani  nel  Vocab.  della  lingua  ital.  in  Uscire  ed  Escire,  dopo  aver  ac- 
cennata la  solita  regola  dell'  E  e  dell'  U,  conchiude:  L'uso  però  dèroga  in 
alami  casi  a  tal  regola  in  questo  verbo;  nel  Di%.  Tor.  in  Uscire  ed  Escire, 
terzo  capoverso  il  compilatore  dopo  aver  anch'esso  accennata  la  sopraddetta 
regola,  chiude  così  :  Ma  codesta  regola  non  è  da  intendersi  assolutamente, 
mentre  V  uso  toscano  e  quello  de'  buoni  autori  ammette  anco  Escite,  Esciva, 
Escisti,  Escirono,  Escirò,  Escirei,  Escito  e  qualcun''  altra.  Tutti  questi 
signori  adunque  sono,  secondo  il  sor  Cattaneo,  digiuni  affatto  della  teoria 
de'  suoni. 

V'ha  di  più.  Il  Rigutini  nell'  Append.  al  suo  Voc.  delia  ling.  pari, 
pag.  42,  col.  2,  sotto  Uscire  ed  Escire  si  legge  :  Nelle  voci  bisillabe  0 
sdrucciole  incomincia  sempre  per  E,  e  non  mai  per  U.  Dunque,  a  detta  di 
lui,  sempre  dovrem  dire  escivano,  escirono,  escirebbero,  escissero,  e  non  mai, 
uscivano,  uscirono,  uscirebbero,  uscissero,.  Quello  che  l'abate  Moise  insegna 
potersi  far  qualche  volta,  sembra  che  il  Rigutini  voglia  che  si  faccia  sempre, 
'  opponendosi  cos'i  non  che  alla  dottrina  del  Cattaneo,  all'  insegnamento  di 
tutti  i  Grammatici  e  all'  uso  comune. 

Senonchè  il  Moise   credeva   che  il  Rigutini  non   volesse   dir    questo; 


-  i67  - 

ma  riteneva  in  quel  cambio  per  certo  che  tra  le  voci  sdrucciole  di  questo 
verbo  ei  non  abbia  avuto  in  mente  se  non  escono  ed  escano;  onde  volle 
dire:  Nelle  voci  che  hanno  l' accento  tonico  sulla  prima  sillaba  incomincia  sempre 
per  E,  e  non  mai  per  U. 

Sia  come  si  voglia,  è  un  fatto  però  che  le  parole  del  Rigutini  suonano 
bene  altrimenti,  e  si  dà  in  tal  modo  occasione  ai  giovani  studiosi  di  scrivere 
e  di  pronunziar  male.  E  chi  si  fa  maestro  ai  giovani  non  deve  dar  loro 
falsi  precetti. 

Ma,  per  tornar  al  Cattaneo,  il  Moise  volle  fargli  un'altra  osservazione 
ancora.  Il  Cattaneo,  ei  dice,  scrive  e  pronunzia  sempre,  esco,  esci,  esce, 
escono,  e  non  inai  ùsco,  lisci,  àsce,  ùscono;  ma  perchè  poi  scrive  egli  e 
pronunzia  con  Yu  e  non  coli'  e  il  sostantivo  singolare  uscio  e  il  suo  plurale 
usci?  —  È  facile  la  risposta:  Perchè  l'autorità  e  l'uso  vogliono  che  sempre 
così  si  taccia.  Or,  similmente,  se  altri  scrive  e  pronunzia  alcuna  volta  escire, 
escite,  escito,  il  fa  perchè  1'  autorità  e  1'  uso  gli  consentono  di  far  così. 

Ma  a  fargliela  capire  al  sor  Cattaneo  !  Egli  che  voleva  tuttavia  propriare 
che  in  viene  e  buono  le  vocali  i  ed  u  non  sono  eufoniche,  ecc. 

Quindi  il  Moise  si  fa  domandare:  questa  tirata  contro  la  Grammatichetta 
che  il  Cattaneo  ha  inserito  nel  periodico  Mente  e  Cuore,  per  chi  l' ha  scritta 
egli,  per  gli  Italiani  o  per  i  Tedeschi?  —  E  si  risponde:  Io  credo  per  gli 
Italiani.  —  E  se  è  così,  perchè  egli  e'  intromette  delle  parole  tedesche  ?  A 
pag.  25  intatti,  parlando  dell'  Abate,  s'  esprime  così  :  Ma  gli  batte  nel  seno 
un  cuore  italiano,  e  tanto  basta  perchè  egli  aborrisca  la  scienza  tedesca.  E  per 
calcar  meglio  l'idea,  continua:  Jeder  Zoll  ein  ltaliener,  che  importa:  È  un 
italiano  sfegatato,  un  italiano  per  la  pelle  !  ! 

Così  scriveva  un  italiano  di  Cremona  agli  stipendj  dell'  Austria.  Ora, 
chi  sa  come  vadano  o  andassero  da  noi  certe  cose,  quelle  quattro  sole 
parole  tedesche  erano  più  che  sufficienti  perchè  le  Autorità  scolastiche 
scartassero  come  scartarono  sempre  inesorabilmente  per  le  scuole  dell'  Istria 
tutte  le  Grammatiche  del  nostro  Abate.  E  perchè  tant'  ira  ? .  .  . . 

Il  nostro  Abate  però,  a  quella  ingiustificata  insinuazione,  si  limitò  a 
rispondere,  ch'ei  non  sapeva  che  cosa  si  volesse  dire.  Giova  credere,  l'Abate 
suppose,  che  il  Cattaneo  scriveva  quel  che  scriveva  sul  Mente  e  Cuore  ad 
istruzione  specialmente  dei  suoi  scolari,  i  quali  non  erano  italiani  ma  tedeschi, 
e  in  iscuola  facevano,  come  fanno,  uso  della  lingua  tedesca  e  non  dell'  italiano. 

Ma  non  è  finita  ancora. 

Verso  la  fine  della  sua  chiacchierata,  il  Cattaneo  pone  a  pie'  di  pagina  la 
seguente  nota  —  «  A  pag.  68-69  d'ce  (l'Ab.  Moise)  ch'egli  è  d'avviso  che  la  voce 
istriana  Balladora  derivi  da  Ballatojo.  Questa  (sic)  è  fior  di  filologia'.  »  ss 


—  168  — 

Ora  Balladora  proviene,  secondo  il  nostro  Abate,  da  ballatojo,  e  ballatojo 
deriva,  se  prestiam  fede  ai  compilatori  del  Vocabolario  di  Napoli,  dal  latino 
vallalus,  particella  di  vallo,  io  stecco,  io  bastiono,  io  circondo.  Che  il  sore 
Abate  e  i  compilatori  napoletani  abbiano  ragione,  io  ne  l' affermo  né  il 
nego,  dice  Nono  Cajo  Baccelli  a  Sandrino:  dico  solo  che  il  Cattaneo,  se 
vuol  che  gli  si  dia  ragione,  e'  bisogna  che  ci  arrechi  un'  altra  etimologia 
che  apparisca  più  vera.  —  Ne  il  Cattaneo  seppe  ancor  darla. 

In  quanto,  infine,  alle  confutazioni  fatte  dal  Moise  nel  Lunario  (a.  5.), 
ecco  come  se  la  cava  onestamente  il  prof.  Cattaneo  in  fine  dell'articolo  e 
precisamente  nel  penultimo  capoverso:  Intanto  io  dichiaro  (!)  ch'egli  (l'Abate 
Moise)  nel  suo  Lunario  non  è  riuscito  a  confutare  neppur  uno  degli  appunti 
eh"1  io  feci  alla  sua  Grammatichetta. 

E  in  queste  brevi  linee  stette  tutta  la  confutazione  del  Cattaneo  !  Così 
possono  rispondere  anche  gli  spazzacamini,  osservò  Nono  Cajo  Baccelli 
a  Sandrino  :  «  Si  lavi  pur  la  bocca  il  sor  professore  della  Grammatichetta 
e  degli  altri  scritti  del  nostro  sor  abate;  ma  quanto  ad  aver  da  me  una 
risposta,  ti  so  dir  io  eh'  ei  la  farà  a  sego.  Spropositi  pure  a  suo  piacere, 
bestemmi  pure  a  tutto  pasto,  sragioni  pure  a  più  non  posso;  ma,  s'egli 
s'  aspetta  dal  sor  Abate  o  da  me  una  risposta,  egli,  lo  dirò  col  P.  Cesari, 
aspetta  il  corvo».  —  In  quanto  poi  all'azionacela  perpetrata  dal  Cattaneo  a 
Firenze  in  tipografia  del  Vocabolario,  Nono  Cajo  Baccelli  si  limitò  a  dire: 
«  A  Vrana,  che  è  quanto  dire  a  Firenze,  le  siffatte  azionacce  si  chiamano 
porcheriole,  e  chi  le  fa  lo  chiamano  porchettuolo  ».  —  Questa  è  l'unica  frase 
di  vivo  risentimento  eh'  io  lessi  in  tutte  le  opere  del  Moise. 


XII. 


Al  povero  Abate  sopravvennero  degli  acciacchi,  che  se  non  gli  tolsero 
la  volontà  al  lavoro  ed  allo  studio,  gli  scemarono  tuttavia  la  lena.  Ecco 
come  egli  la  racconta  ')  : 

L'enterite  l'andò  via  sì,  ma  non  appena  io  ne  fui  libero,  che  ni' assalsero  con  tutta 
veemenza  i  miei  antichi  dolori  reumatici  i  quali  da  qualche  anno  m'  avevano  lasciato  in 


')  Vedi  prefazione  al  Lunario  per  l'anno  1876. 


—  i6<;  — 

pace  o  quasi.  Stante  il  freddo  straordinario  del  passato  inverno  (1875)  i  dolori  s'  erano 
incruditi  più  che  mai  e  m'  avean  renduto  sciancato,  slombato,  arrembato,  insomma 
m'  avean  fatto  un  coccio.  Più  e  più  volte  quando  camminava  per  istrada,  fermandomi 
ad  ogni  passo  di  formica,  nello  scantonare  mi  sentivo  cantichiar  dietro:  S'  e'  non  ci  è 
stato,  e  ci  ha  anche  a  ire.  Ma  l'affare  del  camminare  era  niente:  il  peggio  era  che  non 
potevo  dormire  e  una  buona  parte  della  notte  me  la  passavo  insonne,  cantando  spesso 
e  volentieri  senza  averne  voglia.  Vedendo  la  cosa  al  perso  feci  animo  risoluto  e  là  sullo 
scorcio  del  mese  di  giugno  presi  il  mio  porco  e  me  ne  andai  in  Croazia  alle  Terme  di 
Crapina.  Dopo  stato  là  un  venti  giorni  e  aver  sudato  un  baule  di  camicie,  me  ne  tornai 
a  casa,  se  non  guarito  del  tutto,  un  momento  almeno  rinsanicato,  e  i  ragazzi  che  mi 
vedevano  andar  ritto,  più  non  si  attentavano  di  farmi  quando  scantonavo  la  chiucchiurlaja 
col  solito  giuoco  di  allitterazione  S'è'  non  ci  è  stato,  e'  ci  ha  anche  a  ire.  Adesso  posso 
eziandio  dormire  e  stare  in  letto  senza  cantare.  Detto  poi  qualche  cosa  di  Crapina,  con- 
tinua: Quel  soggiorno  poi  riusci  a  me  oltre  misura  gratissimo  e  deliziosissimo  per  la 
conoscenza  da  me  fatta  colà  del  sig.  Mariano  Rafanelli,  ecc....  Egli  è  di  nascita  fiorentino, 
di  professione  architetto,  ha  per  moglie  una  pistojese  ed  è  già  da  cinque  anni  domiciliato 
a  Graz.  Il  conversare  ogni  giorno  per  più  ore  col  sig.  Mariano  e  con  la  sua  degna  con- 
sorte, la  signora  Annina,  l'era  per  me  una  grande  consolazione,  e  il  mio  spirito  si  riaveva 
dell'  uggia  e  del  fastidio  che  ad  ogni  pie  sospinto  era  condannato  ad  asciugarsi  pei  continuo 
sentirsi  parlare  0  in  croato  0  in  tedesco  0  in  italiano  accio  da  stomacare  i  cani 

In  seguito,  quantunque  i  romatismi  non  lo  molestassero  più  tanto 
quanto  per  lo  passato  ;  pur  nondimeno  ebbe  bisogno  di  ricorrere  ancora  ai 
bagni  termali  :  ma,  anzi  che  a  Crapina,  cominciò  andare  nella  state  del  '76 
a  Monfalcone,  dove  si  trovò  assai  meglio.  Tanto  è  vero  che  continuò  ad 
andarvi  per  parecchi  anni  di  seguito. 

Qui  mi  preme  di  rilevare,  che  i  Lunarj  del  Moise  andavano,  d'  or 
innanzi,  crescendo  d' importanza.  Egli  bene  si  consigliò  di  omettere  molte 
cose  inutili  e  stantie,  e  in  quella  vece,  come  vedemmo,  ad  introdurvi  dei 
dialoghi  di  filologia  di  molto  valore.  Di  più,  cominciò  ancora  a  descrivere 
i  viaggi  ch'egli  taceva  ogni  anno,  e  a  narrare  le  avventure  della  sua  vita. 
Se  tutto  è  mutabile  in  questo  mondo,  ei  diceva  '),  mutabile  per  eccellenza 
è  la  luna;  onde  il  proverbio  Slultus  ni  lima  mutatiti!  Ma  se  mutabile  è  la 
luna,  forza  è  pure  che  mutabile  sia  il  Lunario  il  quale  dalla  luna  ebbe 
nome  ecc.  Ed  ecco  come,  d'ora  in  poi,  il  Moise  ci  va  raccontando,  senza 
volerlo,  parecchi  fatti  della  sua  vita. 

Sappiamo  dunque  dal  Lumaio  del  1876  che  egli  stava  di  casa  a  Mon- 


')  Prefazione  del  Lunario  del  1876. 

U 


—  170  — 

falcone  dal  sig.  Leopoldo  Goglia,  che  spesso  trattò  con  quel  parroco,  don 
Luigi  Torre,  uomo  stimato,  che  si  trovò  in  compagnia  del  dott.  Ferdinando 
Tamburlini  direttore  dei  bagni.  Conobbe  pure  il  dott.  Francesco  Verzegnassi 
di  Gorizia,  col  quale  discorse  a  lungo  di  lettere  e  di  scienze,  con  grande 
consolazione  di  tutti  e  due.  Voleva  presentarsi  al  podestà,  ma  gli  fu  risposto 
secco  secco:  «  Qui  non  c'è  uso  che  un  forestiere  vada  a  far  visite,  m'è  toccato 
con  mio  grande  sconforto  attaccar  la  voglia  all'arpione». 

La  prima  settimana  la  passò  in  città,  occupando  quasi  tutto  il  giorno 
ne'  suoi  studj,  e  stando  a  chiacchiera  la  sera  o  giocando  a  quintilio  con 
coloro  che  andavano  dal  sig.  Goglia.  In  seguito  dette  qualche  corserella  nei 
dintorni.  Il  giorno  9  luglio  andò  con  due  amici  ad  Aquileja  per  assistere 
allo  spettacolo  della  Tombola.  Gita  che  gli  fu  assai  piacevole.  Dopo  aver 
detto  dei  paeselli  pei  quali  era  passato,  ecco  come  parla  d'  Aquileja  : 

Aquileja,  metropoli  in  antico  celebratissima,  è  ridotta  oggidì  una  cittaducola  di  forse 
1900  anime:  in  quel  giorno  peraltro  la  pareva  una  grande  città,  tanta  era  la  gente  che 
v'  era  concorsa  di  tutti  i  paesi  là  intorno.  Appena  discesi  di  carrozza,  andammo  a  visitare 
il  Duomo,  che  merita  veramente  d'  essere  veduto  da  ogni  forastiero  e  che  forma  al  di 
d'oggi  l'unica  (?)  gloria  di  Aquileja.  Dopo  nominato  il  Duomo  mi  parrebbe  un  sacrilegio 
il  parlare  a'  miei  lettori  della  Tombola  e  del  ballo  che  le  tenne  dietro,  e  però  tiro  via. 
Solo  noterò  in  passando  che  durante  il  giuoco  vidi  là  in  piazza  in  mezzo  alla  folla  un 
frate  cappuccino  coi  mustacchi,  il  quale  aveva  in  mano  la  sua  brava  cartella  e  un  mi- 
colino  di  lapis  onde  di  volta  in  volta  tirava  un  frego  sotto  quelli  de'  suoi  numeri  che 
venivano  fuori.  E  sapete  chi  era  costui?  Era  il  famoso  gobbo  della  fiera  di  Veglia.  Avendo 
inteso  già  dal  dott.  Giorgio  eh'  ei  l'aveva  veduto  l'anno  scorso  sulla  via  di  Ossero  ve- 
stito bensì  di  cappuccino,  ma  senza  mustacchi,  io  credeva  dapprima  di  travedere;  ma  poi, 
osservandolo  meglio,  m'  accorsi  che  quei  mustacchi  eran  posticci  e  eh'  egli  era  lui  in 
petto  e  in  persona.  E  dodici  giorni  dopo  la  nipote  Agrippina  mi  raccontò  d'averlo  veduto 
due  settimane  innanzi  vestito  a  quel  modo  e  così  co'  mustacchi  a  Firenze  in  via  dei 
Calzajoli.  Evviva  i  bindoli  ! 

Ed  è  così  che  racconta  di  Gradisca,  di  Grado  e  di  Barbana,  paeselli 
che  vide  dopo  Aquileja.  Va  liscio  liscio  avanti,  e  nessuna  cosa  l' attira 
particolarmente,  o  l' interessa  tanto  da  entrarvici,  o  da  ragionarvici  con 
minuto  ragguaglio.  In  Aquileja,  sparsa  di  ruderi  e  di  antichità  romane  e 
bizantine  e  medievali,  non  vede  che  il  Duomo,  e  non  sa  dirne  altro,  che 
ei  forma  l'unica  gloria  di  Aquileja.  E  sempre  così.  La  sua  mente  non  sa 
riposare  né  approfondire  nessuna  cosa,  se  si  toglie  le  questioni  di  lingua, 
di  filologia  e  di  grammatica,  che  tutto  lo  assorbono.  Quando  in  queste 
'  ultime  questioni  metteva  il  becco  in  molle,  allora  sì  che  non  la  finiva 
più,  e  andava  avanti  per  quanto  lo  si  tenesse  a  bada.  Per  cavar  la  risata, 
usava  certi  spedienti  un  po'  primitivi,  coni'  era  questo  del  gobbo,  che  fa 


—  171  — 

comparire  parecchi  anni  di  sèguito  nei  suoi  Lunarj.  Insomma  tutto  il 
mondo  del  Moise  è  semplice  semplice,  ingenuo,  dabbene,  senza  malizia, 
senza  volgarità. 

Questo  suo  andare  quieto,  tranquillo,  liscio  come  l'olio,  senza  scatti, 
senza  parossismi,  senza  nervosità,  senza  addarsene  di  tantissime  questioni 
riflettenti  uomini  e  cose  che  travagliano  il  mondo  e  appassionano  la  società, 
finivano,  naturalmente,  coli' annojare  il  pubblico  e  lasciarlo  per  lo  meno 
indifferente  dei  suoi  Lunarj.  Lo  ritenevano  i  più  un  bel  tomo  di  prete, 
o,  come  da  noi  suolsi  battezzare  sì  fatti  individui,  che  si  tolgono  dalla 
taglia  presso  che  generale  o  comunale  degli  uomini,  una  cara  e  brava 
macia.  Ma  chi  bene  s'  addentra  nella  vita  e  negli  studj  del  nostro  Abate, 
non  potrà  non  consentire,  che  diversamente  da  quello  che  era  non  poteva 
essere.  A  condurre,  infatti,  a  compimento  quelle  colossali  Grammatiche, 
che  gli  costarono  immense  fatiche,  era  più  che  necessario,  indispensabile, 
tutto  il  raccoglimento  del  suo  spirito,  e  la  perenne  tranquillità  dell'animo 
suo.  Or  come  volete  pretendere  da  un  tal  uomo  la  fantasia  del  poeta,  la 
immaginazione  del  romanziere,  la  versatilità  dell'  etnografo,  e  così  via, 
quando  la  questione  d'  una  semplice  particella,  che  ai  più  sembra  cosa 
insignificante,  sia  che  così  o  così  s' adoperi  o  si  costruisca,  preoccupava 
Ini  invece,  come  vedremo,  per  anni  ed  anni  senza  dargli  pace  nò  riposo? 
Io  credo  che  tali  studj  sieno  proprio  la  negazione  dello  scrittore,  nel  senso 
di  tarsi  leggere  avidamente  dalla  generalità  dei  lettori. 

Di  che  potrei  citare  parecchi  esempj;  ma  mi  basterà  nominare  il  Varchi 
e  il  Bembo,  senza  andare  più  in  là,  fra  gli  antichi,  e  il  Puoti  e  il  Fanfani 
ira  i  moderni;  e  l'uno  e  1' altro  per  la  generalità  poco  digeribili.  Ciò  non 
toglie  peraltro,  doversi  ritenere  anche  l'opera  dei  Grammatici  e  dei  Filologi 
per  altamente  civile  e  benemerita;  e  non  disprezzarla  o  metterla  in  burla, 
come  alcuni  soglion  fare,  con  baldanzoso  criterio  e  boriosa  ignoranza.  Ai 
più,  naturalmente,  è  la  pedanteria  dei  Grammatici  in  fatto  di  lingua  che 
dà  sui  nervi.  Ma  io  non  saprei  neppur  concepire  un  Grammatico  senza  la 
qualifica  o  la  dote  di  pedante.  O  come  volete  eh'  egli  approvi  le  nostre 
forme  di  dire  o  di  scrivere  sciatte  o  scorrette,  se  è  di  suo  istituto  il  rilevarne 
gli  errori  che  sogliono  introdursi  nella  lingua,  e  suggerirvi  i  rimedj  per 
correggervi  ?  Sarebbe  lo  stesso  che  pretendere  dal  Medico  o  dal  Cerusico, 
che  lascino  l'  ammalato  arbitro  della  propria  cura,  permettendogli  di  fare 
il  suo  capriccio  nella  grave  malattia  che  lo  tormenta.  Ciascuno  segua  dunque 
1'  arte  o  il  mestier  proprj,  e  rispettino  il  sapere  e  la  scienza  di  qualunque 
forma  e  natura  esse  siano.  Questa  della  lingua  poi  è  arte  preziosissima, 
siccome  quella  che  «è  il  deposito  dei  pensieri  e  della  civiltà  di  una  nazione, 


—  172  — 

e  chi  in  tempi  corrotti  prende  a  restaurare  1'  antica  lingua,  dice  Luigi  Set- 
tembrini '),  fa  rivivere  la  gloria  e  la  civiltà  antica  ....  » 

Ed  io  mi  approprierò  quello  eh'  ei  disse  in  relazione  al  presente 
argomento  parlando  del  suo  bravo  maestro,  Marchese  Puoti;  avvegnaché 
il  giudizio  eh'  egli  dà  di  lui  calzi  a  capello  anche  pel  nostro  Moise,  quan- 
tunque il  Moise  non  fosse  po'  poi  un  arrabbiato  pedante,  anzi  taluno  lo 
disse  persino  di  manica  larga. 

«  Gli  sciocchi  soli  —  dice  Settembrini  —  non  sanno  che  la  forma 
essenzialmente  è  necessaria  al  concetto:  e  gli  sciocchi  soli  lo  accusavano 
che  ei  s' intratteneva  troppo  sulle  minuzie  e  lavorava  troppo  i  periodi. 
Quelle  minuzie  eran  la  cima  e  la  perfezione  dell'arte,  e  chi  non  è  scrittore 
perfetto  non  può  apprezzarle  giustamente,  non  può  parlarne.  Egli,  perchè 
solenne  maestro,  doveva  insegnarle;  dovevano  parere  inutili  e  superflue  a 
quelli,  che  credono  che  si  è  giunto  ad  essere  scrittore  quando  si  è  imparato 
a  schivar  gli  errori  di  grammatica.  E  pure  non  le  credevano  superflue  i 
greci  ed  i  romani  che  avevano  tanto  ingegno,  tanti  affetti  e  serbavano 
regole  minutissime  nell'eloquenza.  Studiavano  i  periodi  quegli  antichi  oratori, 
che  con  la  divina  potenza  della  parola  signoreggiavano  e  movevano  le 
moltitudini,  ed  erano  veri  sovrani  delle  menti  e  delle  opinioni;  che  l'arte 
della  parola,  come  1'  arte  del  regno,  ha  bisogno  di  grande  forza  d' ingegno 
e  di  molte  leggi.  Chi  dunque  non  è  nato  per  comandar  taccia  ed  obbedisca, 
e  scriva  scritture  da  segreterie,  da  curie,  da  giornali  ». 

Ed  il  Moise  sapeva  propriamente  addentrarsi  negli  arcani  della  favella, 
e  chi  ha  letto  o  meglio  studiato  le  sue  grammatiche  —  parlo  delle  mag- 
giori —  vi  rinviene  tutto  ciò  che  spetta  al  meccanismo  delle  parole,  ai 
loro  particolari  elementi  ;  perciò  lo  studioso  trova  in  esse  il  lume  necessario 
per  dirigersi  e  scorgervi  nel  suo  cammino,  mentre  trova  aperta  l'entrata 
alla  cognizione  dei  modi  primitivi  di  dire,  e  dove  le  regole  stabilite  per 
essi,  arbitrarie  e  parziali,  trovansi  per  la  maggior  parte  in  opposizione  con 
ciò  che  fu  praticato  nei  tempi  migliori  della  lingua. 


')  Scritti  varj  di  Letteratura,  Politica  ed  Arie.  Napoli.  Morano,  1871,  voi.  I.  —  Elogio 
del  marchese  Basilio  Puoti,  pag.  134. 


—  173 


XIII. 


Nel  1878  venne  in  luce  la  seconda  edizione  della  Grammatica  grande 
del  Moisc.  A  parlarne  in  pubblico,  e  non  più  in  privato,  fu  il  Fanfani.  Il 
quale  scrisse  nel  N.  4  del  cBorghini,  anno  su  detto,  una  critica  su  codesta 
opera  del  nostro  autore.  Vediamola;  e  con  essa  vediamo  pure  le  risposte 
che  ne  dà  il  Moise,  che  ebbe  1'  onore  questa  volta  di  misurarsi  pubblica- 
mente non  più  con  pigmei,  ma  con  un  colosso,  com'era  riconosciuto  in 
fatto  di  lingua  Pietro  Fanfani. 

Il  quale  parlando  di  codesta  Grammatica,  scrisse  : 

È  un  bel  volume  di  LVI —  11 56  pag.,  dove  e' è  tutta  quanta  la  dottrina  degli  antichi 
grammatici  fino  al  Gherardini,  ordinata  e  illustrata  con  molto  senno. 

C  è  peraltro,  come  nel  più  de'  grammatici  non  antichi,  e  nel  Gherardini  special- 
mente e  nel  Nannucci,  la  strana  contradizione  del  voler  combattere  la  pedanteria  di  coloro 
che  se  ne  stavano  all'  autorità  degli  scrittori  buoni,  con  una  pedanteria  più  pestilente, 
quella  vo'  dire,  che,  abusando  il  principio  d' autorità  per  un  altro  verso,  autentica  l'errore 
con  esempj  di  scrittori  di  autorità  molto  debole.  Io  non  mi  fermerò  sopra  tale  argomento 
da  me  trattato  altre  volte,  né  mi  fermerò  a  recarne  esempj  da  questa  grammatica;  ma 
non  posso  fare  che  non  dica  due  sole  parole  circa  a  due  coserelle  che  mi  toccano  diret- 
tamente. 

Fermiamoci  qui,  e  vediamo  di  qual  natura  sia  la  questione  intavolata 
dal  Fanfani  ').  Ei  convien  sapere  che  l' illustre  filologo  fiorentino  soleva 
chiamare  tutti  gli  scrittori  posteriori  al  1600,  scrittori  di  autorità  molto  debole; 
perciò  soleva  dire  chiaro  e  tondo  che  gli  esempj  dal  600  in  qua  non  gli 
fanno  ne  gli  ficcano,  ove  si  tratti  di  autenticare  con  quelli  voci  e  maniere 
errate  0  forestiere,  o  altrimenti  voci  e  maniere  0  errate  0  barbare,  o  altrimenti 
ancora  neologismi  0  modi  errati  e  forestieri.  Cosi  disse  egli  nel  Dialogo  che 
serve  di  Prefazione  al  Lessico  della  corrotta  italianità  pubblicato  nel  1876  in 
Milano  da  Paolo  Carrara. 

Dunque,  a  detta  del  Fanfani,  le  voci  e  maniere  forestiere  0  barbare  po- 
steriori al  eoo  non  sono  errate,  e  sono  errate  le  soli  voci  e  maniere  nostrali 
dal  600  in  qua.  Mentre  però  cosi  predicava,  nel  suo  Vocabolario  della  lingua 


')  Il  che  faccio  colla  scorta  del  Dialogo  II  inserito  nella  Strenna  Istriana  (non  più 
Lunario)  per  1'  anno  1879  a.  VII. 


-   174  — 

italiana  alle  voci  o  maniere  nostrali  dà  lo  stesso  peso  che  dà  alle  forestiere  o 
barbare,  quando  ne  quelle  né  queste  sieno  anteriori  al  600. 

Qual  conto  poi  ne  faceva  dell'  uso  ? 

Nel  Dialogo  or  ora  accennato  ei  riguarda  l' uso  sotto  due  aspetti  :  l'uso 
degli  scrittori  e  1'  uso  del  popolo.  Uso  degli  scrittori  chiama  egli  con  Quin- 
tiliano il  consenso  dei  dotti;  ond'  è  che  quest'  uso  degli  scrittori  si  riduce, 
gira  gira,  all'autorità  degli  esempi  tratti  dalle  loro  opere.  Sull'uso  poi  del 
popolo,  sta  bene  di  sentire  lui  stesso.  Ecco  qui ....  pag.  XIII  : 

C.  —  O  l'uso  del  popolo  noi  conti  nulla? 

P.  —  Lo  conto  e  non  lo  conto.  Lo  conto  se  tu  mi  parli  di  un  popolo  che  non 
abbia  comunanza  con  forestieri,  e  che  sia  stato  sempre  libero  da  straniera  signoria  :  ma 
non  lo  conto  se  mi  parli  di  un  popolo  che  è  il  contrario.  In  questo  caso  non  si  può 
parlare  altro  che  della  Toscana,  perchè  in  Italia  non  si  può  parlar  d'uso  d'altro  popolo 
che  del  Toscano:  ma  all'uso  di  questo  ci  si  può  egli  stare  in  tutto  e  per  tutto,  massi- 
mamente se  parlasi  delle  città,  dopo  che  si  passò  quella  grandinata  francese  ne'  primi 
anni  del  secolo  e  con  la  smania  che  e'  è  tuttavia  di  scimmiottare  in  ogni  cosa  i  Fran- 
cesi?   Non  ti  nego  peraltro  che  possa  bene  far  legge  l'uso  di  un  popolo  di  contado, 

ma  lontano  assai  dalle  città. 

Da  tutto  ciò  si  deduce,  che  1'  uso  del  popolo  il  Fanfani  lo  contava, 
in  generale,  assai  poco. 

Ma  di  questo  parere  non  era  il  Moise,  il  quale  non  poteva  ancora 
inghiottir  la  pillola  di  scartare  tutti  gli  scrittori  dal  600  in  qua,  accusandoli 
tutti  d'  autorità  molto  debole.  In  ciò  il  Moise,  pur  rispettando  il  Fanfani,  gli 
dava  torto  tortissimo,  e  per  due  ragioni.  La  prima,  ch'ei  non  poteva  darsi 
ad  intendere  non  avere  alcuna  autorità  un  Galilei,  un  Bartoli,  un  Segneri, 
un  Redi,  un  Magalotti,  un  Salvini  e  altri  scrittori  degli  ultimi  due  secoli 
là  dove  usarono  voci  o  maniere  non  usate  dagli  scrittori  i  quali  fiorirono 
nei  secoli  che  precedettero  al  decimosettimo  o  le  usarono  diversamente  da 
quello  che  questi  le  avevano  usate.  La  seconda,  che  altresì  non  poteva 
credere  aver  preso  errore  in  questa  parte  i  più  valenti  filologi  de'  nostri 
giorni,  quali  sono  il  Gherardini,  il  Nannucci,  il  Parenti,  il  Dal  Rio,  il  Viani, 
il  Rocco,  il  Ricci  e  se  altri  ve  n'  ha. 

E  poi,  si  crederà  forse  che  il  Fanfani  s'  attenesse  costantemente  alla 
sua  dottrina  ?  Ohibò  !  Nel  Dialogo  sopraccitato  ei  dice,  come  ora  abbiamo 
veduto,  che  gli  esempj  dal  600  in  qua  non  gli  formo  né  gli  ficcano  e  che 
l'uso  del  popolo  e'  lo  conta  e  non  lo  conta;  e,  invece,  nel  Vocabolario  della 
'  Lingua  italiana  e'  ti  registra  una  lunga  fila  di  voci  e  di  maniere,  le  quali 
non  hanno  altra  autorità  che  quella  di  taluni  di  siffatti  esempj  o  quella 
dell'  uso  comune,  o  1'  una  e  1'  altra  insieme. 


—  i75   — 

E  il  Moise  riporta  una  trentina  di  siffatte  voci  sfogliando  qua  e  là  il 
libro;  ma  chi  volesse  a  comodo  esaminarlo  tutto,  ne  troverebbe  tante  da 
farne  un  grosso  volume.  Dunque  il  Fanfani,  condannando  in  questo  riguardo 
il  Moise  e  gli  altri  Grammatici,  si  trovava  fuori  di  strada.  E  se  gli  altri 
Grammatici  gli  facevano  la  chiucehiurlaja,  avevano  non  una  ma  mille  ragioni. 

Proseguiamo  colla  critica  del  Fanfani  : 

L'autore  parla  —  ei  dice  —  della  particella  Ci  per  *A  lui,  ^4  lei,  ecc.,  e  ne  reca 
molti  esempj,  tra  buoni  e  cattivi,  e  tra  questi  uno  tolto  da  una  mia  opera,  credendo  di 
combatter  me  con  1'  arme  mia  propria.  Non  vo'  fare  una  guerra  per  il  Ci  ;  solamente 
dico  al  valente  grammatico,  che  nel  mio  esempio  il  Ci  non  vale  ^4  lui;  come  non  ha 
tal  significato  negli  esempj  di  buoni  scrittori  da  esso  recati  :  e  per  prova  gli  dirò  che, 
secondo  1'  uso  nostro,  può  in  tutti  quei  casi  sostituirsi  il  vi,  che  niuno  si  sognerà  di  dire 
significatorio  di  a  lui  o  a  lei,  e  in  tutti  que'  casi  vale  a  ciò,  a  questa  cosa,  in  questo  negozio, 
o  simili.  Creda  a  me,  che  ho  un  po'  di  studio  e  un  po'  di  pratica  della  lingua  ;  e  che 
sono  Toscano.  Qui  da  noi  chi  usa  il  Ci  per  a  lui  e  a  lei  si  conosce  subito  per  non  Toscano, 
e  un  bottegajo  che  usa  spesso  questo  modo,  da  lui  udito  dir  continuamente  a  tempo  della 
capitale,  ne  è  da  tutti  deriso  come  di  una  affettazione  forestiera. 

Il  Moise  era  qui  punto  sul  vivo;  ma  ne  trionfò,  come  vedremo,  con 
tutti  gli  onori.  E  il  Fanfani  ebbe  di  nuovo  torto. 

Prima  di  tutto,  per  ben  intendere  questa  osservazione  del  Fanfani, 
bisogna  vedere  quel  che  dice  su  questo  Ci  il  nostro  Abate. 

A  pag.  86o,  terzo  capoverso,  linea  3  della  Grammatica  grande  il  Moise 
dice  :  «  Certamente  I'  adoperano  altresì  (questa  particella)  per  A  lui,  A  lei, 
»A  loro;  ma  il  Tommaseo  (Dar.  Tor.  in  Ci,  Avv.  loc.  §  6)  c'insegna 
»  clie  —  Dire  promiscuamente  Ci  per  A  lui,  A  lei,  A  loro,  come  in  certe 
»  parti  d' Italia  si  fa,  è  sbaglio.  rz:  E  il  Fanfani  alla  sua  volta  avvertisce 
»  (Unii,  ling.,  v.  2,  pag.  153)  rr  che  questo  è  difetto  comune  a'  non 
»  Toscani  —  e  (ivi,  pag.  174)  che  —  quando  il  Ci  si  usa  per  A  lui,  A 
»  lei,  A  loro,  è  contrario  all'  uso  toscano,  e  chi  dicesse  Non  ci  scrivo  più 
»  (Non  scrivo  a  lei),  Non  ce  lo  dico  per  burla,  si  scoprirebbe  subito  per  non 
»  toscano  e  si  allontanerebbe  dall'uso  buono.  z~  E  in  altri  suoi  scritti  egli  ripete 
»  queste  medesime  osservazioni  ». 

Qui,  per  amore  di  brevità,  saltiamo  il  capoverso  che  segue  e  passiamo 
a  quello  della  pag.  861.  Dice  il  Tommaseo  (loc.  cit.)  che  «  Ci  sta  talvolta 
»  per  Gli  »  e  che  ben  si  può  dire  «  Ci  avevo  una  certa  affezione  »  per  «  Gli 
»  avevo  una  certa  affezione  »  //  ;  ma  riguardando  la  persona  quasi  luogo  hi  cai 
»  porre  V  affetto.  Onde  il  modo  de'  Francesi  e  degli  Italiani:  Porri-:  in  alto 
»  o  in  basso  luogo  l'  amore.  //  Se  vogliam  dunque  scusare  chi  dice  Ci  ho 
»  o  Ci  avevo,  ecc.,  ima   certa   affezione  per    Gli  ho   o    Gli   avevo   una   certa 


-  i76- 

»  affezione,  bisogna  che  diciamo,  secondo  il  Tommaseo,  ch'ei  considera  qui 
»  la  persona  da  esso  amata  come  un  luogo  dove  e'  pone  il  suo  amore. 
»  Ma  questa  opinione  del  Tommaseo  di  riguardare  una  persona  come  un 
»  luogo,  sia  detto  con  sua  pace,  la  non  ci  va.  Ciò  si  potrà  far  buono  in 
»  que'  soli  casi  dove  al  Ci  si  potesse  sostituire  un  Qui,  Qua,  o  un  Lì  Là; 
»  come  chi  dicesse  :  Questo  Conte  è  il  padre  de  bisognosi  :  io  Ci  ricorro 
»  spesso  e  sempre  ne  parto  consolato.  (Cioè,  ricorro  qua,  a  questa  sua  casa, 
»  ossia  a  lui).  —  Le  monache  di  San  Pietro  fanno  la  carità,  a  tutti  i  poveri 
»  di  questi  dintorni:  le  nostre  bambine  Ci  si  presentano  ogni  giorno.  (Cioè,  si 
»  presentano  là,  al  loro  convento,  ossia  a  loro).  E  questo  Ci  per  Là,  ossia 
»  A  lui,  o  Da  lui,  fu  adoperato  molti  secoli  addietro  dal  volgarizzatore 
»  delle  Vite  de'  Santi  Padri  ». 

E  qui  il  nostro  autore  porta  una  serie  di  altri  esempj,  poi  continua  : 
«  Ma,  fuori  di  questi  casi,  lo  scambiare  una  persona  con  un  luogo  la 
»  è  una  cosa  che  non  ci  entra  né  punto  né  poco.  Molto  tempo  prima  che 
»  il  Tommaseo  si  fosse  messo  a  compilare  il  Dizionario  di  Tor.  aveva  detto 
»  il  Guadagnoli  (Toes.  gioc.  pag.  136):  —  Sì  tenero  non  son,  ne  delicato, 
»  Da  svenirmi  alla  morte  d'un  piccione;  Ma  quando  mi  ci  sono  affezionato, 
»  Mi  rincresce  che  partati  le  persone  (cioè,  quando  mi  sono  affezionato  a  loro, 
»  mi  rincresce  ecc.).  Né  crediamo  che  il  Guadagnoli  abbia  considerato  le 
»  persone  da  sé  amate,  siccome  luoghi,  né  per  fermo  il  potea  fare  senza 
»  commettere  una  corbelleria  da  pigliare  con  le  molle.  Che  una  persona  o 
»  un  oggetto  mobile  qualunque  si  riguardi  a  volte  come  luogo,  passi,  via!; 
»  ma  dire  che  i  luoghi  partono  e'  ci  pare  un  po'  troppo.  Noi  siam  pertanto 
»  d' avviso  che  il  Guadagnoli  usurpò  questo  Ci  riguardando  le  persone 
»  a  sé  care  quali  erano  veramente,  cioè  a  dire  quali  persone,  e  che  l'usurpò 
»  a  bello  studio,  certo  di  non  commettere  errore  di  sorta.  E  dopo  il 
»  Guadagnoli  similmente  l' adoperarono  il  Giusti  e  lo  stesso  Fanfani.  — 
»  Ai  giovani  va  parlato  amorevolmente  ;  e,  se  è  vero  che  la  sapienza  sia 
»  Luce  ìntellettual  piena  d' amore,  è  bene  farsi  fuori  e  ripredicarrela  con 
»  aspetto  dolce  e  benigno,  quale  a  tenero  padre  si  conviene  Giust.  Epist.  295 
»  (Cioè,  ripredicarla  loro  o  a  loro).  —  Z.  Il  sig.  Gustavo  tu  lo  vedi  di 
»  buon  occhio  ....  L.  Ma  lo  so  eh'  egli  è  di  tanto  da  più  di  voi,  e  che 
»  io  non  ci  potrei  nemmen  pensare.  CB.  Ma,  se  egli  pensasse  a  te,  che  cosa 
»  ne  diresti?  Fanf.  Bamb.  pag.  101.  (Cioè,  io  non  potrei  nemmeno  pensare  a 
»  lui.  E  che  questo  Ci  importi  veramente  a  lui,  chiaro  apparisce  dallo  a  te 
■p  che  vien  dopo;  se  egli  pensasse  a  te).  —  Ma  dunque  ha  torto  esso  Fanfani 
»  quando  dice  non  potersi  così  adoperare  questo  Ci  ?  —  No,  il  Fanfani 
»  non  ha  torto.  Egli  sa  bene  che  i  Toscani  così  non  usano  comunemente 


—   '77  — 

»  questa  particella,  e  però  grida  ai  non  Toscani:  Non  la  usale  mai  così, 
»  non  avvertendo  (e  in  questo  ei  ben  ci  pare  da  compatire)  che  la  regola 
»  generale  patisce  alcuna  rarissima  eccezione  e  eh'  egli  stesso  una  qualche 
»  volta  1'  ha  trasandata.  —  Ma,  in  quali  casi  poi  avrà  luogo  questa  rarissima 
»  eccezione  ?  —  A  questo,  figliuoli  miei,  io  non  vi  posso  rispondere,  non 
»  essendo  io,  come  ben  sapete,  Toscano.  —  Ma  intanto  ?  —  Intanto  io  vi 
»  consiglio  di  attenervi  strettamente  all'  avvertimento  del  Fanfani  e  di  non 
»  dire  mai  e  poi  mai  Ci  per  A  lui,  A  lei,  A  loro  ». 

La  teoria  del  Moise  mi  pare  giustissima,  e,  per  converso,  mi  pare  che 
il  Fanfani  ebbe  torto  di  riprenderlo  in  ciò.  Però  il  nostro  autore  avverte, 
che  a  dare  un  giudizio  giusto  e'  conviene  esaminar  bene  l'osservazione  del 
filologo  fiorentino.  Il  quale  disse,  che  l'autore  reca  molti  esempj,  tra  buoni 
e  cattivi,  della  particella  Ci  per  A  lui,  A  lei,  A  loro.  Or  questi  molti  esempj 
si  riducono  in  conclusione  ai  tre  ultimi.  In  tutti  gli  altri  la  particella  Ci 
non  importa  direttamente  A  lui,  A  loro,  ma  è  vero  avverbio  di  luogo 
significante  Qua  o  Là. 

Dunque  che  voleva  dir  egli  con  quel  tra  buoni  e  cattivi  ? 

Ecco.  Se  cattivi  egli  chiama  gli  esempj  eli  scrittori  di  autorità  molto  debole, 
in  tal  caso  quelli  esempj,  e  i  primi  e  gli  ultimi,  se  ne  togli  uno  delle  Vite 
de  SS.  PP.  e  uno  del  Cecchi,  son  tutti  cattivi.  Ma  pare  che  quel  cattivi 
e'  non  io  spieghi  cosi  ;  perchè  dice  poco  appresso  che  e=  nel  suo  esempio 
il  Ci  non  vale  A  lui,  come  non  ha  tal  significato  negli  esempj  di  buoni 
scrittori  da  esso  (valente  grammatico)  recati.  =  Dunque  esempj  di  buoni 
scrittori  dovrebbero  essere  quello  del  Guadagnoli  e  quello  del  Giusti  ;  giacche 
in  quelli  soltanto  il  Moise  dà  direttamente  al  Ci  la  significazione  riprovata 
dal  Fanfani. 

Vediamo  un  poco  se  in  questi  il  Ci  si  può  spiegare,  come  dice  il  critico, 
per  A  ciò,  A  questa  cosa,  in  questo  negozio,  o  simili.  —  Mi  rincresce  che 
partano  le  persone,  quando  mi  sono  affezionato  a  ciò,  a  questa  cosa,  in  questo 
negozio.  —  Ai  giovani  va  parlato  amorevolmente;  e,  se  è  vero  che  la  sapienza 
sia  luce,  ecc.,  è  bene  farsi  fuori  a  ripredicarla  a  ciò,  a  questa  cosa,  hi  questo 
negozio  con  aspetto  dolce  e  benigno.  —  Ci  si  trova  il  senso  ? 

Esaminiamo  1'  esempio  del  Fanfani.  —  Z.  Il  sig.  Gustavo  tu  lo  vedi 
di  buon  occhio  ....  L.  Ma  lo  so  ...  .  eh'  io  non  potrei  nettimeli  pensare 
a  questa  cosa,  cioè,  a  vederlo  di  buon  occhio. 

La  spiegazione  sarebbe  per  lo  meno  stiracchiata  ;  tuttavia  convien  con- 
fessare che  il  senso  e' è  e  può  passare.  Un  esempio  simile  a  questo  il  Moise 
}'  avea  trovato,  dopo  letta  la  critica  del  Fanfani,  nt\Y Amena  Prefazione  del 


-  i78  - 

Ricci  ').  —  Così  gli  avviene  come  a  un  cavallerizzo  che  passa  per  la  strada, 
e  nessuno  ci  bada:  ma  se  entra  col  suo  cavallo  a  notar  nel  fiume,  tutta  la 
gente  si  affaccia  al  ponte  a  vedere  con  improvvisa  curiosità.  Quel  nessuno 
ci  bada  si  può  spiegare  ~  nessuno  bada  a  questa  cosa,  cioè,  a  questo,  ch'egli 
passa,  ossia  al  suo  passare.  = 

Convien  confessare  però,  che  codesta  maniera  d' interpretare  è  per  lo 
meno  artificiale,  mentre  è  più  naturale  e  più  piano  di  dare  ad  ambidue 
questi  Ci  il  valore  di  A  lui,  come  fece  il  Moise  a  quello  del  Fanfani.  Non 
vuole  questi,  e,  con  lui,  ne  anco  il  Ricci,  che  mai  si  dica  Ci  per  A  lui, 
A  lei,  A  loro,  e  sono,  chi  noi  sa?  e  l'uno  e  l'altro  toscani,  e  valenti  filologi 
e  sommi  scrittori,  e  in  materia  di  lingua  e  l'uno  e  l'altro  comandano  le 
feste  ;  ma  che  era  un  menchero  il  Tommaseo  ?  La  sua  autorità  non  avrà 
dunque  alcun  peso  ?  Che  il  bottegajo  accennato  dal  critico  faccia  male 
malissimo  a  usare  spesso  il  Ci  per  A  lui,  A  lei,  A  loro,  ognuno  sei  vede: 
perchè  il  Tommaseo  non  parla  di  spesso,  ma  di  talvolta,  e  il  Moise  non 
allegò  po'  poi  che  tre  esempj  di  tre  scrittori  diversi. 

Anzi,  convien  soggiungere,  che  non  sono  degni  di  lode  il  Fanfani  e 
il  Ricci  quando  usano  il  Ci  di  equivoco  significato. 

Ma  il  Fanfani  dice  ancora  che  nei  tre  esempj  soprallegati  al  Ci  può 
sostituirsi  il  Vi. 

Quantunque  il  Moise  non  si  ricordasse  d'  aver  veduto  mai  così  ado- 
perato il  Vi  ;  tuttavia  s'adagiò  con  buon  garbo  all'autorità  del  suo  critico. 
Disse  però  questo,  a  sua  giustificazione,  che,  se  nell'esempio  del  Guadagnoli 
e  in  quello  del  Giusti  al  Ci  si  sostituisce  il  Vi,  il  senso  resterà  tuttavia 
oscuro,  o,  per  meglio  dire,  non  ci  sarà  senso  né  col  Ci  né  col  Vi:  ma  se 
negli  esempj  del  Fanfani  e  del  Ricci,  invece  del  Ci  si  mette  il  Vi,  nessuno 
mai  dirà,  come  lo  stesso  Fanfani,  che  quel  Vi  importa  A  lui,  e  sarà  tolto 
così  ogni  equivoco. 

Andiamo  avanti  colla  critica. 

L'  altra  cosa  che  mi  tocca  è  1'  errore,  frequente  presso  gì'  idioti,  di  scrivere  e  dire 
dossi  e  stassi  per  dessi  e  stessi.  Il  Nannucci,  al  suo  solito,  volle  difender  questo  errore 
con  gli  esempj,  e  anche  a'  verbi  'Dare  e  Stare  applicò  la  sua  cervellotica  teoria;  alla  quale 
contradissi  con  uno  scritto  apposta.  Tale  scritto  è  riportato  dal  Moise  nelle  note  e  con- 
futato in  certe  note  di  note,  standosene  a' sogni  del  Nannucci;  e  qui  è  padrone,  né  c'è 
niente  di  male.  Basta  che  le  contronote  dell'  Abate  Moise  non  mi  fanno  cambiare  neni- 


')  Prose  sacre,  morali  e  filosofiche,  pag.  XII. 


—  179  — 

meno  una  virgola  della  mia  Crhscàtdh  grammaticale  su'  verbi  Dare  e  Stare.  Egli  però  tale 
errore  autentica  con  un  esempio,  di  chi?  di  Cesare  Guasti.  11  Guasti  non  so  che  faccia 
testo  di  lingua,  se  non  per  il  Granduca  Canapone  e  per  le  Sagrestie:  chi  se  ne  intende 
loda  le  sue  scritture  per  molti  pregi  non  comuni;  ma  gli  dà  nel  naso  la  smania  di  imitare 
il  Tommaseo,  l'uso  non  raro  di  neologismi,  e  la  puerile  affettazione  dell'idiotismo,  per 
la  quale,  non  solo  scrive  erratamente  Stossi  e  Dassi;  ma  Andiedt  per  Andò,  Inghilest  per 
e  simili.  Chi  dà  regole  di  buona  lingua  dee  farsi  autorità  di  questa  roba,  e  in- 
segnarla a'  giovani? 

Anche  qui,  per  giudicar  della  critica,  bisogna  leggere  ciò  che  su  questo 
argomento  dice  il  Moise.  Ecco  come  egli  si  esprime  nella  sua  Grammatica 
(Pao-  535) :  (<  Dice  il  Fanfani  :  ==  Venuto  (il  Nannucci)  all'imperfetto  del 
»  congiuntivo,  e'  dice  —  Dassi,  Basse,  Dassimo,  Daste,  Dasscro.  Cosi  co- 
»  stantemente  i  toscani.  =r  E  qui  gli  pone  la  seguente  nota  : 

»  —  Non  è  vero:  tutto  il  contado,  tutta  la  plebe  e  tutti  i  ben  parlanti 
»  dicono  in  Toscana  desse,  desti,  ecc.;  e  dossi  lo  dicono  solo  quegli  che  non 
«sono  né  carne  né  pesce  ir:  ». 

Poi  l'Abate  Moise  continua  così  la  nota  : 

«  Figlioli  miei,  leggete  questi  due  esempj.  —  Non  può  esser  mai  picciol 
»  dono  quello  che  viene  dal  sommo  Dio.  Anche  se  ne  dasse  pene  e  battiture, 
»  ci  dovrebbe  esser  gradito  (Guasti.  Imit.  Cri.,  pag.  145).  —  Quando  l'uomo 
»  dasse  via  tutt' il  suo,  sarebbe  pure  un  nulla  (Id.  ib.  pag.  149).  Leggete 
«ancora:  —  Tutti  sanno  come  il  Guasti  sia  uno  di  quei  pochissimi,  acuì 
»  la  polvere  degli  archivj  non  abbia  arruginito  la  penna,  da  letterato.  E  vero 
»  che  oggi  1'  essere  Accademico  della  Crusca  non  è  un  argomento  sicuro 
»  per  provare  che  uno  conosce  la  lingua  e  sa  scrivere  ;  ma  il  Guasti  siede 
»  sulle  gerle  ab  antico  e  prima  che  per  aver  le  fave  vere  bastasse  1'  aver 
»  trillato  :  Italia  tuia.  E  i  suoi  scritti  di  svariatissima  letteratura  provano  clic 
»  noi  non  abbiamo  preso  a  nolo  l' incensiere  da  nessuno.  —  Rice.  M.  Pros. 
»  lett.  pag.  419  (dove  appunto  ei  ragiona  di  questa  traduzione  dell'  Imit. 
»  di  Cristo  fatta  da  Cesare  Guasti).  Anche  nelle  Tessitore,  che  tanto  furon 
»  lodate  dal  Giusti  e  che,  a  giudizio  del  Rigutini,  sono  forse  la  più  gentile 
»  e  la  più  cara  cosa  che  uscisse  dal  cuore  e  dalla  penna  di  Pietro  Tbouar,  leg- 
»  giamo  (pag.  30)  :  —  Io,  vedete,  i'  starei  a  patto  di  non  toccar  mai  la 
»  palla  d'un  quattrino,  purché  la  zappa  e  la  vanga  mi  dassero  il  campamento 
»  all'  aria  aperta  rr  ». 

Curioso  ebe  il  Fanfani  non  abbia  fatto  menzione  dell'  esempio  del 
Thouar,  la  cui  autorità,  se  vogliam  prestar  fede  al  Giusti  e  al  Rigutini, 
vale  pur  qualche  cosa.  Ne  si  capisce  ancora  perchè  il  Fanfani  facesse  sì  poco 
conto  del  Guasti,  specialmente  dopo  che  il  Ricci,  scrittore  del  peso  e  della 
misura  che  tutti  sanno,  n'  ha  detto  quel  che  n'  ha  detto.  Se  il  Moise,  dunque, 


—  180  — 

ha  qui  errato  —  e  non  credo  affé  eh'  ei  abbia  errato,  con  tutto  il  rispetto 
all'  illustre  Fanfara  —  ei  si  trova  in  ottima  compagnia. 

Del  resto  il  Moise,  lungi  dall'  aversela  a  male  dei  pochi  appunti  che 
gli  avea  fatti  il  Fanfani  sul  suo  immane  lavoro,  se  ne  gloriò  di  molto,  e 
la  critica  l'ebbe  gradita  che  mai,  si  fattamente  gradita,  che  pregò  il  tipografo 
Polverini  a  fare  al  sig.  Fanfani  un  monte  di  ringraziamenti. 


XIV. 


Il  Fanfani  lesse  la  risposta  che  dette  il  Moise  alla  sua  critica,  e  non  si 
acquetò,  tanto  gli  cuoceva  di  essere  stato  battuto,  o  quanto  meno  contra- 
riato dall'Abate  chersino.  È  noto,  infatti,  che  il  Fanfani  era  d'animo  assoluto 
e  autoritario,  e  talvolta,  persino,  bizzoso.  Premesso  questo,  ei  pigliò  la 
penna  e  scrisse  nel  solito  Giornale  di  Filologia  e  di  Lettere  Italiane,  il 
'Borgbini  '),  la  sua  bella  replica,  cui  intitolò  :  L'  Abate  Moise  Grammatico- 
Lunarista.  Già  nel  titolo  il  grande  Maestro  di  filologia  italiana  mostrava 
il  fianco  del  risentimento,  avvegnaché  chiamasse  il  Moise  Lunarista,  non 
per  lode,  ma  per  istrazio,  come  di  primo  acchito  può  ad  ognuno  scattare 
all'occhio.  Ma  anche  il  titolo  era  sbagliato,  imperocché  il  Moise  avea  cessato 
da  più  di  un  anno  di  fare  Limar],  e  in  quella  vece  dava  fuori  ogni  anno 
la  Strenna  istriana,  nella  prima  delle  quali  appunto  egli  si  era  difeso  dalla 
critica  del  Fanfani.  E  di  fatti  nella  Strenna  non  c'era  materia  che  autorizzasse 
più  nessuno  a  battezzarla  per  Lunario.  E  poi,  Strenna  o  Lunaiio,  poco 
importa.  Dovere  di  un  critico  é  di  confutare  le  ragioni  eh'  egli  legge  in 
uno  scritto,  qualunque  esso  sia,  e  non  già  di  sbertare  il  titolo  di  esso  e 
il  trattare  eh'  e'  fa  in  alcun  luogo  di  materie  estranee  al  suo  argomento. 
Il  vero,  qualunque  autore  lo  dica  e  in  qualunque  libro  si  trovi  scritto,  sarà 
sempre  e  poi  sempre  vero.  —  Così  la  pensava  il  Moise,  e,  non  c'è  che 
dire,  avea  ragione  da  vendere.  Ma,  veniamo  all'  articolo.  Eccolo  : 

Al  mio  scritto  sopra  la  sua  Grammatica,  che  si  legge  nel  "Bor girini  ecc.,  1'  Abate 
Moise  risponde  nel  suo  Lunario  del  Baccelli  di  quest'anno  medesimo,  combattendo  una 


')  Anno  V,  n.  13,  1  gennajo  1879,  pag.  205. 


—   ISI   — 

mia  dottrina  su' modi  errati;  e  ajutandosi  degli  argomenti  dell'  Ipse  dixit.Vnma.  di  com- 
battere una  dottrina,  si  cerca  d'intenderla  per  il  suo  verso;  ma  l'Abate  Moise  mostra  di 
aver  franteso  la  mia,  né  io  vo'  perdere  il  tempo  a  chiarigliela.  Si  ferma  poi  molto  sul 
voler  provare  che  il  Ci  per  a  lui,  a  lei  è  dell'uso  toscano;  ma  io  Toscano  l'accerto  che 
s'inganna  in  grosso;  e  che  di  tutti  quegli  esempj  che  reca,  se  sono  di  Toscani,  non  ce 
n'  è  uno  solo  dove  il  Ci  stia  assolutamente  per  a  lui  o  a  hi.  Almanacchi  pure  quanto 
vuole  co'  suoi  autoritarj,  coi  suoi  esempj  del  Guasti,  e  con  altri  suoi  sottigliumi,  che  io 
starò  fermo  nel  mio  proposito,  e  lo  lascerò  dire,  sapendo  che  in  opera  di  Toscanità  si 
crederà  sempre  più  a  me  che  a  lui  e  a'  suoi  Autori  (!). 

Questa  breve  stoccata  l'appunta  poi  con  tre  note;  la  prima  delle  quali 
dice  che  il  Moise  gli  fa  dire  le  più  strane  corbellerie;  affermando  che  ei 
chiama  dì  autorità  mollo  debole  gli  scrittori  anteriori  al  secento,  quando 
aveva  detto  appunto  il  contrario;  che  lo  fa  conchiudere  che  le  voci  e  maniere 
forestiere  o  barbare  posteriori  al  600  non  sono  errate,  e  sono  errate  le  sole  voci 
e  maniere  nostrali  dal  600  in  qua.  Proposizione  assurda  e  pazza,  alla  quale 
non  aveva  mai  pensato.  La  seconda  gli  rimprovera  di  aver  citato  a  sproposito 
alcuni  suoi  esempj,  ne'  quali  vorrebbe  dare  al  ci  il  significato  di  a  luì, 
«  quando  esso  è  lontano  da  tal  significato  quanto  gennaio  dalle  more  ». 
E  sentenzia:  «non  si  fermi  (il  Moise)  troppo  a  disputare  di  proprietà 
»  toscane  ».  Nella  terza  dice  :  «  Padrone  il  Moise  di  tenere  il  Guasti  per 
»  testo  di  lingua;  lo  teneva  anche  Canapone  (!).  Ne  io  dico  che  il  Guasti 
«sia  cattivo  scrittore;  dico  che  gli  nuoce  l'affettata  imitazione  del  Tom- 
»  masèo,  e  l'abuso  ch'ei  fa,  a  bella  posta,  dell'idiotismo,  scrivendo  Ingbilese, 
»  andiede,  dasse  per  desse  e  simili  ». 

Come  si  vede,  la  replica  era  corta,  ma  pepata.  Controdimostrazioni 
però  non  ne  porta  punte  punte.  Quelle  del  Fanfani  non  sono  che  parole, 
mentre  quelli  del  Moise  eran  fatti,  come  il  lettore  avrà  potuto  convincersi. 
Dunque  il  Moise  non  s'  era  ajutato  degli  argomenti  dell'  Ipse  dixit.  E  che 
la  teoria  del  Fanfani  fosse  falsa,  basta  il  vedere  eh'  egli  stesso  —  grande 
scrittore  come  tutti  sanno  —  ci  fa  contro  le  mille  volte,  ed  è,  conseguen- 
temente, con  se  stesso  in  contraddizione. 

Però  il  Moise,  a  questa  seconda  critica,  si  trovò  imbrogliato  a  rispondere. 
Il  Fanfani,  poco  dopo  la  replica,  era  passato  nel  numero  dei  più,  e  la  sua 
morte  accuorò  molto  il  nostro  Abate,  che  di  lui  aveva  grande  estimazione. 
Malgrado  tuttavia  codesta  estimazione,  egli  si  proponeva  di  rispondergli  per 
le  rime  nella  prossima  Strenna.  Sopravvenuta  la  morte  del  suo  contradditore, 
si  senti  in  gran  parte  disarmato.  Considerato  tuttavia  che  gli  scrittori  non 
muojono  —  e  il  Fanfani  ne'  suoi  scritti  è  ancor  vivo  e  verde  —  e  che 
il  difenderci  contro  di  chi  falsamente  ci  accusa  non  è  un  dir  male,  quando 
la  difesa  non  oltrepassa  i  termini  del  giusto  e  dell'onesto,  pensò  di  smettere 


—     182    — 

ogni  dubbiezza  e  di  purgarsi,  come  fece,    delle   accuse   che   gli    eran  state 
fatte  nel  cBorghini  '). 

E  prima  di  tutto  si  accusa  d'  un  errore  di  penna.  Nella  fretta  dello 
scrivere  il  Moise  in  cambio  di  posteriori  pose  anteriori.  Egli  era  facile  a 
chiunque  il  vedere  che  quello  era  uno  sbaglio  puramente  involontario,  un 
errore  di  penna  e  non  d' intelletto;  e  il  Fanfani  stesso  lo  intese,  ma  finse 
di  non  intenderlo.  In  siffatti  errori,  sì  nel  parlare  e  si  nello  scrivere,  più 
e  più  volte  tutti  si  cade  :  e  ci  cadde  lo  stesso  Fanfani  in  questo  medesimo 
articolo,  come  ebbe  a  dimostrarlo  il  Moise  s). 

Sapeva  anche  il  Moise,  che  le  voci  e  maniere  forestiere  o  barbare  posteriori 
al  600  non  sono  errate,  e  sono  errate  le  sole  voci  e  maniere  nostrali  dal  600 
in  qua  era  una  proposizione  assurda  e  pazza,  e  alla  quale  il  Fanfani  non 
ci  aveva  mai  pensato:  ma  pur  l' aveva  detta.  Ecco  come  il  Fanfani  si 
esprime  nel  Lessico  della  corrotta  italianità  3)  :  «  Tu  sai  come  a  questi  giorni 
»  è  più  accesa  che  mai  tra'  filologi  italiani  la  disputa,  non  così  lieve  per 
»  avventura  ne  così  oziosa  come  pare  ad  alcuno,  di  queste  benedette  voci 
»  e  maniere  0  errate  0  forastierc  ».  Dunque,  secondo  che  dice  lui,  le  voci  e 
maniere  forestiere  non  sotto  errate.  E  più  oltre  '):  «  O  senti:  chi  per  difendere 
»  voci  straniere  0  errate  0  barbare,  non  mi  portasse  esempj  di  scrittori  antichi, 
»  o  per  lo  meno  anteriori  al  1600,  e'  farebbe  un  buco  nell'acqua  ».  Dunque, 
stando  a  quel  che  dice  lui,  le  voci  e  maniere  barbare  non  sono  errate.  L' illazione 
zampilla  chiara  come  i  raggi  dalla  luce. 

Passando  al  Ci  preso  in  significato  di  A  liti,  A  lei,  A  loro,  il  Fanfani 
dice  che  il  nostro  autore  si  ferma  molto  sul  voler  provare  che  questo  Ci 
è  dell'  uso  toscano  ;  perchè,  dicendo  così,  darebbe  indirettamente  piena 
facoltà  ai  giovani  studiosi  di  adoperarlo,  quando  invece  ei  raccomanda  loro 
di  non  usarlo  mai  e  poi  mai  :  ma  dice  solamente  che  qualche  raro  esempio 
se  ne  trova  in  buone  scritture  odierne.  Ora  il  Fanfani  afferma  che  in  nessuno 
degli  esempj  addotti  dal  Moise  il  Ci  ha  quell'  accezione,  e  dice  all'  incontro 
eh'  esso  importa  ^4  ciò,  <A  questa  cosa,  In  questo  negozio,  o  simili.  Il  Moise  , 
si  è  provato,  come  vedemmo,  a  spiegarlo  così  nei  passi  del  Guadagnoli, 
del  Giusti  e  di  esso  Fanfani,  ma  o  non  ci  ha  trovato  senso  o  ci  ha  trovato 


')  Vedi  Strenna  Isti:  per  l'unito  bisestile  1880.  Dialogo  fra  N.  C.  e  Sand.,  pag.  39  seg. 

*)  L'errore  stava  Dell'aver  scritto  un  a  lei  invece  di  un  a  lui. 

3)  Pag.  Ili  in  line. 

*)  Pag.  VII,  sesto  capoverso. 


-   i83  - 

un  senso  tirato  co'  denti.  Onde  che  ne  il  Moise  né  alcun  altro  si  possono 
adagiare  nella  sentenza  del  Fanfani.  E  bisogna  conchiudere  che  in  quelli 
esempj  o  il  Ci  ha  il  significato  che  gli  dà  il  nostro  autore,  o  ha  un  significato 
diverso  e  da  quello  che  gli  dà  il  nostro  autore  e  da  quello  che  gli  dà  il 
Pantani:  altrimenti  non  se  n'esce.  Perciò  convcrria  ricorrere  ad  un  tribunale 
competente  che  pronunziasse  una  sentenza  inappellabile,  e  allora  la  gran 
questione  sarebbe  terminata  '). 

Né  il  Moise  era  ostinato  a  sostenere  fino  in  fondo  la  sua  opinione. 
Egli  era  docile  quanto  mai  e  pronto  a  ricredersi  subito,  ove  un  valentuomo 
gli  avesse  dimostrato  eh'  egli  aveva  torto.  E  una  prova  di  questa  sua 
arrendevolezza  egli  la  diede  col  prof.  Cattaneo.  Il  lettore  si  ricorderà  ancora 
che  cosa  il  Cattaneo  aveva  scritto  contro  il  Moise,  quando  la  seconda 
edizione  della  Grammatica  era  tuttavia  in  corso  di  stampa.  Ebbene,  il  detto 
professore  notò  nelle  prime  pagine  della  sua  Gramma/ichetta  alcuni  veri 
errori.  Ora  quei  medesimi  errori  notati  dal  Cattaneo  e'  erano  pure  nella 
seconda  edizione  della  Grammatica,  e,  perchè  i  primi  fogli  più  non  si 
potevan  correggere,  essendo  già  stampati,  il  nostro  autore  die'  ordine  al 
tipografo  che  in  tutte  le  copie  della  Grammatica  i  luoghi  errati  si  segnassero 
con  un  lapis  celeste  e  nell'  Errata-Corrige  si  dicesse  a  suo  tempo  che  le 
linee  così  segnate  s' intendevano  tolte  via  dal  testo;  e  così  fu  fatto.  Oltre 
a  ciò  egli  confessò  —  caso  rarissimo  nei  letterati  e  nei  filologi  partico- 
larmente —  pubblicamente  que'  suoi  errori  e  ne  rese  grazie  al  prof.  Cattaneo. 
Di  tal  tempra  era  il  nostro  grammatico  !  E  degli  esempj  consimili  ne  ve- 
dremo ancora.  Però,  fosse  pur  Fanfani  o  qualsiasi  altro,  non  si  rimetteva 
all'ingrosso  nel  giudizio  altrui,  ma  voleva  restarne  persuaso.  Onde  deside- 
rava ardentemente  che  i  filologi  d' Italia  gli  distrigassero  codesta  questione 
del  Ci. 

Nò  si  creda  che  l'articolo  del  Fanfani  lo  istizzisse.  Racconta  egli  stesso  8) 
di  averlo  letto  appena  ebbe  desinato,  e  quella  lettura  servì  ad  ajutargli  la 
digestione.  Ma  prima  ancora  eh'  egli  si  mettesse  a  leggerlo,  il  solo  titolo 
lo  fé'  andare  in  visibilio.  E  soleva  poi  dire,  che  a  lui  fu  di  lunga  mano 
più  caro  il  biasimo  che  gli  die'   il  Fanfani,  che  non  i  grandi  elogi  che  gli 


')  La  questione  rimane  tuttavia  insoluta  ;  perché  nessuno,  che  io  mi  sappia,  spiegò 
il  significato  di  questa  particella  nei  tre  esempj  addotti  nella  Grammatica  grande  dal 
nostro  Abate. 

*)  Nel  Dialogo  sopra  citato. 


—  184  — 

dettero  dappoi  la  Civiltà  Cattolica,  le  Nuove  Effemeridi  Siciliane  e  1'  Unione 
di  Capodistria.  Non  gli  pareva  vero  che  quel  pezzo  grosso  ch'era  il  Fanfani 
si  fosse  degnato  di  mettersi  con  esso  a  tu  per  tu. 

Questo  fatto  (della  contesa  col  Fanfani)  aveva  solleticato  ancora  l'amor 
proprio  dei  chersini  e  degli  amici  istriani  del  Moise,  i  quali  tutti  fecero  a 
lui  un  monte  di  congratulazioni,  e  per  somma  lode  gli  recitavano,  ponendole 
in  bocca  al  Fanfani,  quelle  parole  che  nella  Gerusalemme  Liberata  (VI,  32) 
rivolge  Argante  ad  Ottone  : 

Per  tua  gloria  basti 
Che  dir  potrai  che  contra  me  pugnasti. 

Il  Fanfani  non  si  limitò  di  rispondere  al  nostro  Abate  nelle  poche  righe 
che  riportammo  più  sopra,  ma  prendendo  a  pretesto  nel  numero  sopraccitato 
del  rBorgbini  d'una  critica  —  la  qual  critica  precede  immediatamente  quella 
onde  finora  s'  è  parlato  —  che  faceva  al  eh.  prof.  Bartolommeo  Veratti, 
autore  degli  Studj  filologici,  Strenna  pel  1879,  Modena,  1878,  di  mattonella 
egli  di  tratto  in  tratto  si  rivolge  contro  il  Moise  e  lo  combatte  su  due 
punti,  sulla  dottrina  de'  modi  errati  e  sul  verbo  Venire  preso  come  ausiliario. 
L'articolo  è  lungo  e  comprende  sette  pagine;  a  noi  basterà  di  accennare 
alcuni  luoghi  soltanto,  quelli,  cioè,  che  riflettono  il  nostro  Abate. 

Il  Fanfani  dice  dunque  a  pag.   197  : 

Sulla  materia  de'  modi  errati  io  scrissi  venti  anni  sono  un  dialogo,  stampato  e  ri- 
stampato più  volte,  nel  quale  pongo  distesamente  la  dottrina  che  prolesso  in  questa 
materia:  e  secondo  tal  dottrina  mi  son  sempre   conformato. 

Il  Moise  dimostra,  non  esser  vero  eh'  egli  si  sia  conformato  sempre 
alla  sua  dottrina;  perchè  nel  suo  Voc.  ling.  ital.  registra  per  buone  e  legittime 
più  e  più  voci  e  maniere  posteriori  al  1600,  e,  conseguentemente  alla  sua 
dottrina,  non  buone  né  legittime:  e  a  sincerarsene  basta  vedere  quelle  poche 
dal  Moise  addotte  nella  Strenna  del  '79. 

Andiamo  avanti.  Ivi,  nota  : 

Il  Grammatico  Abate  Moise  in  un  Lunario  (sic)  fa  prova  di  combattere  tal  dottrina; 
ma  siccome  egli  mostra  di  non  l'aver  compresa,  e'  mi  fa  dire  il  rovescio  di  quel  che  dico, 
non  credo  conveniente  il  rispondere  all'autore  dell'almanacco  (sic). 

Ma  di  ciò  ho  già  parlato  altrove,  onde  non  accade  di  parlarne  più. 
Seguitiamo.  —  Pag.   199  : 

Circa  agli  esempj  (di  Venire  verbo  ausiliario)  recati  dal  Moise,  è  vero  che  ce  ne 
sono  alcuni  antichi,  ma  non  del  Trecento  (non  è  necessario  che  sieno  del  Trecento,  ma 


-  i85  - 

serve  che  sieno  anteriori  al  secento),  perchè  quella  Regola  pastorale  di  S.  Gregorio,  da 
cui  ne  cita  tre  esempj,  non  è  del  sec.  XIV,  ma  del  XV,  e  non  di  uno  scrittore  di  prima 
nota;  e  tutto  il  restante  è  appunto  roba  dal  secento  in  qua. 

Questa  conclusione  è  falsa  ;  perchè  a'  tre  esempj  tratti  dalla  Reg.  past. 
ne  seguono  altri  tre  del  500,  l' uno  del  Salviati,  l' altro  del  Berni  e  il  terzo 
del  Baldi.  Ai  quali  il  Moise  poteva  aggiungere  per  quarto  V Egli  vieti  morto 
dell'Ariosto  (Fur.  XIX,  58)  da  lui  citato  a  pag.  442,  e  altri  e  altri  ancora. 
Dunque  non  è  vero  che  tutto  il  restante  è  roba  dal  secento  in  qua. 

Tiriamo  innanzi.  —  Pag.  200  : 

Quel  veniva  (in  veniva  leggendo,  veniva  facendo  ecc.)  parve  a  qualcuno  che  rendesse 
odore  come  di  ausiliare  (né  si  capisce  davvero  come  ciò  possa  essere;  perchè  l'ausiliare 
si  unisce  ai  paiticipj  passati  degli  altri  verbi,  e  non  ai  gerundj  quali  sono  leggendo,  fa- 
cendo ecc.)  e  credè  di  poter  adottare  esso  verbo  ai  participi  passati,  facendolo  servir 
come  di  ausiliare;  e  venne  a  dare  il  tracollo  il  Boccaccio,  il  quale,  coartando,  come  spesso 
faceva,  la  lingua,  aggiunse  al  participio  passato  quel  venire  sino  allora  unito  ai  gerundj, 
e  scrisse  ri  venne  scontrato  per  si  scontrò  ;  dove  il  Gherardini  spiega  bene,  ri  scontrò  per  caso. 

Il  per  caso  del  Gherardini  non  e'  entra  per  niente.  Ecco  per  intiero 
il  passo  del  Boccaccio  ')  :  Così  andando  (Andreuccio),  si  venne  scontrato  in 
que'  due  suoi  compagni,  li  quali  a  trarlo  dal  pozzo  venivano.  —  Il  Fanfani 
dice  che  il  verbo  Venire  in  questo  e  in  simili  esempj  è  adoperato  unicamente 
a  indicare  una  certa  eventualità  dell'azione;  ma  qui  l'eventualità  dell'azione 
non  è  già  indicata  dal  verbo  Venire,  sibbene  è  indicata  dal  verbo  Scontrarsi: 
laonde,  ove  al  venne  fosse  surrogato  il  fu,  noi  ci  vedremmo  indicata  altresì 
1'  eventualità  dell'  azione.  Ognun  vede  pertanto  che  qui  tanto  importa  il 
venne  quanto  il  jtt;  onde,  se  questo  ci  sta  come  ausiliario,  e'  ci  deve  stare 
come  ausiliario  anche  quello.  Per  chiarire  meglio  1'  uffizio  del  Venire,  verbo 
ausiliario,  starà  bene  di  recare  un  esempio  ancora  più  chiaro.  —  Non  se 
ne  potè  condurre  (grano  né  orzo)  per  la  via  di  Pisa  in  tutto  più  che  moggia 
ventiduemila  di  grano,  e  moggia  millesettecento  d'orzo,  il  quale  venne  costato, 
posto  a  Firenze,  fiorini  undici  d'  oro  il  moggio  del  grano,  e  fiorini  sette 
il  moggio  dell'orzo  s).  —  Ora  che  importa  qui  il  venne  costato?  Esso  importa 
1"  tesso  che  fu  costalo,  ossia  costò,  come  spiega  il  Dal  Rio5);  e,  se  in 
jit  costato  il  fu  è  verbo  ausiliario,  verbo  ausiliario  debb' essere  anche  il  venne 


')  g-  2.  "•  5.  v-  2»  pag-  no. 

'',   Vili.  Giov.  lib.   12,  cap.  73,  pag.  487,  v.  2. 

')  .-U:  m.  pag.  287,  not.  8. 


11 


—  186  — 

in  venne  costato.  E  qui  il  venne  costato  non  esprime  certo  quell'  eventualità 
dell'azione  che  nel  superiore  esempio  vediamo  indicato  dal  si  venne  scontrato. 

Il  ragionamento  mi  par  tirato  a  fil  di  logica.  Peccato  che  l'Abate  Moise 
non  abbia  potuto  mettere  questi  due  passi  in  capo  alla  lunga  sfilata  di  esempj 
da  sé  addotti.  Però  è  da  osservarsi  ch'egli  rigorosamente  non  poteva  farlo, 
perchè  qui  si  tratta  di  verbi  intransitivi,  e  lì  egli  parla  di  verbi  passivi. 

Il  Fanfani  ancora.  —  Pag.  201  : 

Signori  Grammatici,  quando  si  comincia  a  sgarrare,  non  si  sa  dove  si  va  a  finire.... 
Ma  vo'  darvi  un  esempio  del  vostro  bel  senno  nel  citare  per  autorità  i  viventi.  Io,  io 
stesso,  usai  in  certe  scritture  stampate  1'  una  20  anni,  e  l'altra  più  di  io  anni  sono,  questo 
verbo  venire  a  modo  di  ausiliare,  e  non  mi  diede  nell'  occhio  quando  le  ristampai.  Un 
amico,  non  cruscante  e  non  grammatico,  mi  avverti  dell'ineleganza:  mi  ci  fermai  su; 
studiai  la  materia:  conobbi  che  l'amico  aveva  ragione,  e  lo  ringraziai,  correggendo  quei 
luoghi  per  il  caso  di  una  terza  edizione.  Bene  :  il  Grammatico  Moise,  tra'  suoi  esempj 
in  difesa  del  Venire  ausiliare,  cita  anche  quei  due  esempj  da  me  riconosciuti  per  errore 
e  corretti!!  Ecco  che  cosa  valgono  gli  esempj. 

Ma  qui  il  Fanfani  si  lamenta  a  torto.  Quando  dieci  o  venti  anni  addietro 
egli  dava  in  luce  que'  due  scritti,  il  Venire  così  adoperato  e'  lo  teneva 
certo  per  buono,  e  quando  ultimamente  li  ripubblicava  e'  lo  teneva  simil- 
mente per  buono.  Perchè  dunque  condannare  il  nostro  Moise  s'egli  allega 
anche  que'  due  esempj  a  confermare  la  sua  dottrina  ?  Ma  ora  il  nostro 
critico  riprova  quel  Venire  siccome  inelegante,  anzi  siccome  erroneo!  E  sia! 
si  serva  pure,  ma  non  condanni  il  Moise  s'  ei  dimostra  lui  essere  con  sé 
stesso  in  contraddizione.  Sennonché  non  è  da  credersi  che  quando  il  Fanfani 
buttava  giù  quella  tirata  contro  l'Abate,  egli  tenesse  veramente  quel  Venire 
per  inelegante  e  per  erroneo.  Tant'è  vero  che,  mentre  in  gennajo  lo  diceva 
inelegante  ed  erroneo,  in  febbrajo,  cioè  un  mese  appresso,  ei  1'  usurpava 
da  capo  in  un  articolo  sul  Carme  latino  De  Sole  del  prof.  Giovanni  Bacci  '). 
Ecco  qua:  «  Il  Bacci  dunque,  tuttora  giovane,  e  i  pochi  simili  a  lui,  lavori 
»  senza  riposo  per  fare  argine  in  qualche  modo  a  quella  barbane,  che  viene 
»  insegnata  su  per  certe  cattedre  sotto  titolo  di  civiltà  ».  Ora,  si  domanda, 
a  chi  si  deve  credere  ?  al  Fanfani  che  insegna  agli  altri  le  regole  del  bello 
scrivere,  o  al  Fanfani  che  scrive  a  conto  suo  ? 

Ed  il  Moise  giustamente  sentenzia:  al  Fanfani  che  scrive  a  conto  suo: 
perchè  le  parole  son  femmine,  dice  il  proverbio,  e  i  fatti  son  maschi.  E  lo 


5  Borghini  a.  5,  n.  15,  pag.  257. 


-  i87  - 

stesso  Fanfani  la  pensava  così  riguardo  al  nostro  autore,  quando  nell'  ora 
citato  N.  15  del  Borghini  inseriva  (pag.  238)  un  articolo  sulle  Quattro  operette 
ascetiche  di  S.  Bonaventura  da  esso  volgarizzate;  cioè  a  dire  credeva  più  al 
Moise,  volgarizzatore  di  S.  Bonaventura,  che  non  al  Moise,  autore  della 
Grammatica. 

Ecco  l'articolo  del  Borghini: 

Questo  traduttore  è  quello  stesso  Moise,  autore  di  una  Grammatica  della  quale  ho 
parlato  nel  N.  4  di  questo  periodico.  Egli  e  da  Cherso,  sul  Littorale  Austriaco  ;  ma  è 
tra'  pochissimi  che  comprendano  assai  bene  la  Toscanità,  benché  non  Toscani;  e  che  abbiano, 
scrìvendo,  il  sapore  e  la  schiettezza  della  lingua  italiana  :  della  qual  cosa  è  prova  parlante 
la  presente  traduzione,  tutta  semplice,  tutta  pura,  tenuti  vani  fronzoli,  sen^a  ombra  di  affet- 
tazione. L'  Abate  Moise  nella  sua  Grammatica  ha  fatto  prova  di  difendere,  per  via  di 
esempj,  molti  modi  improprj,  e  anche  falsi:  ma  nella  sua  versione  non  se  ne  trova  pur  uno; 
e  si  veggono  fuggiti  studiosamente.  Ma,  se  gli  fugge  egli  con  tanta  lode,  perché  non 
insegnarli  fuggire  anche  a'  giovani?  Padre  Zappata  predicava  bene  e  razzolava  male:  il 
Moise,  al  contrario,  in  qualche  caso  predica  male,  ma  ra^ola  sempre  bene.  La  sua  può 
essere  una  bizzarria;  ma  non  è  però  ipocrisia,  come  quella  dello  Zappata:  e  però  non 
gli  facciamo  colpa  della  prima  parte,  e  lo  lodiamo  schiettamente  dell'  altra. 

Codesto,  si  può  ben  dire,  è  un  bocconcino  per  la  quale,  e  il  nostro 
Abate  se  ne  tenne  come  d'  un  fiore  al  petto.  Ma,  tuttavia,  egli  è  proprio 
vero  che  il  Moise  difende  nella  sua  Grammatica  molti  modi  improprj  o 
falsi  ? 

Ciò  non  è  vero.  Ei  difende  sì  molte  voci  e  locuzioni  che  sono  giudicate 
improprie  o  false  dai  filologi  troppo  severi.  Tali  sono  Onde  per  Affinchè  o 
Affine  di  ;  Ovunque  o  Dovunque  per  Da  per  tutto  ;  Lo  o  II  aggettivo  invariabile 
per  il  Le  de'  Francesi;  Limitarsi  per  Restringersi;  Porsi  a  contatto  di  alcuno 
per  Cominciare  a  trattarsi,  >cc.  Or  queste  voci  o  locuzioni,  tuttoché  buone, 
perchè  confortate  dall'autorità  d'innumerevoli  esempj  di  classici  autori,  egli 
in  seguito  costantemente  le  sfuggiva  nelle  sue  scritture,  siccome  quelle,  che, 
a  suo  giudizio,  non  sono  né  belle  né  necessarie  e  sono  per  lo  più  fuggite 
dai  migliori. 

Stando  così  le  cose,  quantunque  non  ne  fosse  in  tutto  in  tutto  persuaso, 
pur  tuttavia  il  savio  e  amorevole  rimprovero  del  Fanfani  commosse  altamente 
il  beli'  animo  del  Moise  :  ondechè  in  un  secondo  Compendio  eh'  egli  stava 
allora  preparando  dell'opera  grande  —  Compendìo  che  riuscì,  come  vedremo, 
più  esteso  assai  del  primo,  cioè  della  Grammatichetla  —  egli  s'era  proposto 
di  raccomandare,  come  raccomandò,  ai  giovani  studiosi  di  fuggire  tutte  le 
siffatte  voci  e  locuzioni;  e  lo  kce  e  per  sua  intima  persuasione  e  per  grato 
animo  verso  il  Fanfani,  il  quale  poco  avanti  di  morire  gli  lasciava  come 
in  testamento  questo  savio  avviso. 


i88  — 


XV. 


Abbiamo  veduto  testé  portare  a  cento  cieli  da  un  Fanfani  il  nostro 
Moise,  nella  sua  qualità  di  volgarizzatore  di  S.  Bonaventura.  Infatti  nel- 
l'anno 1878  ei  pubblicava  a  Firenze  (Tip.  del  Vocabolario)  un  volume  di 
264  pagine  di  160  ordinario,  dal  titolo:  Quattro  operette  ascetiche 
del  Serafico  Dottore  San  Bonaventura  volgarizzate  dall'Abate  G.  Moise. 
O  com'  è  che  il  nostro  Abate  si  mettesse  in  questa  impresa  ? 

Egli  era  da  parecchi  anni  amico  del  padre  maestro  Pacifico  Rubini  de' 
Minori  Conventuali,  dotto  e  pio  religioso  del  Convento  di  S.  Francesco  di 
Cherso  ').  Or  questo  Padre  gli  dette  a  leggere  un  giorno  un  libricciuolo 
dove  si  contenevano  i  quattro  opuscoli  ascetici  del  dottore  S.  Bonaventura 
che,  due  anni  appresso,  volgarizzati,  egli  mise  alla  luce.  Con  ciò  egli  intendeva 
di  fare  un  gran  bene  non  che  ai  giovani  del  Convento  di  Cherso,  a  tutti 
in  generale  i  Novizj  dell'Ordine  Serafico  che  parlano  l' italiano.  «  E  in  tatti 
i  Superiori  danno  a  tutti  i  loro  Novizj  questo  libricciuolo  e  caldamente  ne 
raccomandan  loro  la  lettura  e  lo  studio,  ond'  essi  Novizj  1'  hanno  tutto 
giorno  tra  mano  e  tutto  giorno  lo  leggono  e  lo  studiano  ».  Ma  il  Moise 
coli'  amico  suo  P.  Rubini  non  eran  persuasi  che  i  giovani  dalla  lettura  e 
dallo  studio  di  esso  ne  cavassero  quel  profitto  che  cavar  ne  dovrebbero. 
«  Primo,  perchè  la  più  parte  di  essi  e  per  la  loro  tenera  età  e  per  il  poco 
studio  che  han  fatto  della  lingua  latina,  non  sono  in  grado  di  saperne  quel 
tanto  che  si  richiede  a  intendere  un  libro  che  in  quella  lingua  sia  scritto. 
Secondo,  perchè  quand'anche  taluno  di  loro  ne  sappiali  tanto  di  latino,  da 
poter  bastantemente  intendere  un  classico  autore  che  visse  nel  secolo  di 
Augusto  o  giù  di  lì,  non  ne  sanno  però  tanto,  da  poter  intendere  bastan- 
temente un  autore  che  fiorì  molti  secoli  dopo,  quando  il  latino  s'  era  di 
molto  corrotto,  accogliendo  non  poche  voci  barbare  e  perdendo  in  gran 
parte  quelle  maniere  semplici  e  schiette  che  si  trovano  nelle  opere  degli 
antichi  scrittori  ».  Per  tutto  ciò  era  necessaria  una  buona  traduzione  volgare 
di  queste  operette. 


')  Vedi  Prefazione. 


—  189  — 

Il  Moise  prese  dunque  il  libricciuolo  e  lo  lesse  da  cima  a  fondo  con 
sommo  piacere,  e  conobbe  che  avrebbe  fatto  un'opera  santissima  se  l'avesse 
tradotto  nella  nostra  lingua.  Prima  peraltro  di  mettersi  a  volgarizzarlo  gli 
bisognava  sapere  se  altri  lo  avesse  tradotto  prima  di  lui,  e  se  quella  tra- 
duzione fosse  una  traduzione  a  garbo,  nel  qual  caso  sarebbe  stato  inutile 
che  si  ponesse  lui  a  farne  una  seconda.  Seppe  dal  P.  Rubini  che  non  ne 
esistevano  altre  traduzioni  se  non  una  antica,  cioè  anteriore  a  questo  secolo, 
della  quale  ignorava  l'autore,  e  una  moderna  del  P.  Antonio  da  Rignano 
de'  Minori  Osservanti.  L'antica,  ornai  rara,  non  potè  vederla  ;  ma  ben  vide 
la  moderna,  la  quale,  più  che  una  traduzione,  poteva  chiamarsi  una  parafrasi. 
Allora  finalmente  si  messe  di  buzzo  buono  al  lavoro  e  il  di  24  marzo  1877 
la  traduzione  era  beli'  e  terminata,  e  un  anno  appresso  stampata. 

Nel  iar  questo  volgarizzamento  l'Abate  s'è  servito  dell'edizione  latina 
sopra  detta,  e  ne'  luoghi  di  dubbia  od  oscura  interpretazione  ha  consultata 
la  versione  italiana  del  P.  Antonio  da  Rignano  ;  ma,  per  sua  mala  ventura, 
ne  cavò  per  lo  più  assai  poca  di  luce.  Da  per  tutto  egli  ha  seguito  l'ordine 
del  testo  latino,  salvo  che  la  prima  parte  dello  Specchio  della  Disciplina  che 
è  li  tutta  tutta  d'  un  pezzo,  egli  1'  ha  divisa  in  due  sezioni  come  1'  aveva 
divisa  il  santo  dottore,  qualmente  apparisce  da  quel  che  si  legge  verso  la 
fine  del  Prologo.  Oltre  a  ciò,  dei  Ricordi  del  buon  vivere  che  il  da  Rignano 
pone  malamente  alla  fine  dell'ultimo  capo  della  Regola  de'  Novizi,  egli  fa, 
come  veramente  va  fatto,  un  trattato  speciale,  e  ne  fa  un  trattato  speciale 
anco  il  da  Rignano  nella  sua  traduzione.  Per  comodo  dei  lettori,  ha  notato 
di  mano  in  mano  nel  margine  la  pagina  dell'edizione  latina,  e  nella  seconda 
sezione  della  prima  parte  dello  Specchio  al  numero  esterno  di  ciascun  capo 
ha  aggiunto  in  parentesi  il  numero  che  porta  esso  capo  nella  edizione 
sopraccennata.  A  pie'  della  pagina  poi,  ov'era  bisogno,  ha  messo  di  tratto 
in  tratto  alcuna  breve  nota. 

Questo  volgarizzamento  1'  Abate  1'  ha  fatto  con  grande  amore  e  con 
somma  pazienza,  tenendosi  sempre,  per  quanto  gli  fu  possibile,  fedele  al 
testo.  «  In  esso  nulla  e  è  di  grandioso,  di  sublime,  di  magnifico,  ma  tutto 
è  piano,  umile  e  dimesso,  come  nel  latino.  La  lingua  è  pura  sì,  ma  non 
ricercata;  lo  stile  è  spigliato  ma  non  licenzioso».  Questo  libro  del  Moise 
tanto  lo  capisce  un  maestro  di  teologia,  come  un  semplice  contadino  toscano. 

Del  merito  intrinseco  del  testo  latino  l'Abate  non  parla,  dice  solo  che 
egli  lo  reputa  una  seconda  Imitazione  di  Cristo,  «  la  quale  se  lo  sorpassa 
in  sublimità,  non  lo  sorpassa  e  neppur  forse  l'eguaglia  in  unzione;  e  sebbene 
il  santo  dottore  l'abbia  dedicato  ai  Novizj  del  suo  Ordine,  pur  nonostante, 
per  la  sapienza  e  la  grazia  che  in  sé  contiene,  può  tornare  utilissimo  non 


—  190  — 

pure  ni  Novizj  degli  altri  ordini  religiosi,  e  ai  giovani  cherici  secolari,  ma 
sì  ancora  ai  sacerdoti  e  dell'  uno  e  dell'  altro  clero  e  perfino  ai  laici  ». 

Il  corpo  dell'  opera  è  preceduto  da  Brevi  cernii  sulla  vita  del  Serafico 
dottore  San  Bonaventura,  e  da  una  Lauda  allo  stesso  dottore  di  S.  Giuseppe 
da  Copertalo,  voltata  pure  dal  Moise  in  versi  settenari  e  endecasillabi. 

Sul  merito  di  questa  traduzione  non  intendo,  e  sarebbe  superfluo,  di 
spendere  più  parole  dopo  quanto  fu  detto  dal  Fanfani.  Dirò  solo,  che  di 
quest'opera  furon  tratte  mille  copie,  ma  fino  agli  ultimi  anni  della  vita  del 
Moise  non  se  ne  esitarono  che  appena  cento  !  E  l'opera  rimase  in  deposito 
dal  Polverini  a  Firenze. 


XVI. 


Fin  qui  non  si  è  fatto  che  parlare  delle  critiche  che  contenevano  un 
qualche  biasimo  verso  alcuni  precetti  grammaticali  insegnati  nella  sua 
Grammatica  dal  Moise;  ora,  per  giusto  compenso,  egli  conviene  sentire  le 
critiche  di  lode.  Ma  prima  ci  resta  ancora  da  esaminare  una  critica  di  biasimo 
(che  viene  in  parte  a  rinforzare  quella  del  Fanfani),  ed  è  quella  del  Veratti, 
che  si  legge  nella  Strenna  di  Modena  per  l'anno  1879  ').  Ecco  qui. 

Il  eh.  Abate  Moise  con  una  Giunta  non  molto  felice  posta  a  pag.  1082  della  citata 
sua  Grammatica,  ha  creduto  di  far  vedere  adoperato  anche  in  forme  composte  il  Venire 
come  ausiliare.  Ma  nei  suoi  esempj  si  ha  la  frase  Venir  fatto,  nella  quale  il  Venire  è  verbo 
principale,  che  tutta  mette  in  opera  la  propria  forza,  e  non  è  punto  verbo  ausiliare.  Per 
la  qual  cosa  quella  frase  è  ammessa  ancora  da  chi  più  vigorosamente  rigetta,  come  novità 
del  Senato,  1'  ausiliare   Venire. 

Il  Moise  per  primo  osservò  che  negli  esempj  da  lui  allegati  si  ha  non 
solo  la  frase  Venir  fatto,  ma  sì  ancora  la  frase  Venire  accennato.  Ciò  peraltro 
non  inferma  per  nulla  1'  avvertimento  del  critico;  stantechè  quel  che  dice 
il  Veratti  di  Venir  fatto  V  intende  detto  altresì  di  Venire  accennalo  e  di  tutti 
gli  altri  modi  sì  fatti.  Ma  non  s'  intende  bene  che  cosa  il  Veratti  voglia 
significare  quando  dice  che  in  Venir  fatto  il  verbo  Venire  tutta  mette  iti 
opera  la  propria  foraci.  Per  poter  comprendere  ciò  ch'egli  dice,  bisognerebbe 


')  Nella  nota  a  pag.  72. 


—  191  — 

sapere  in  qual'  accezione  ei  prende  il  verbo  Fenile  ;  perchè,  s'  ei  lo  prende 
nel  suo  primo  significato,  il  Moise  non  era  in  grado  di  rilevare  né  manco 
un  numero  dal  suo  discorso.  Avverte  in  fatti  il  Gherardini,  ')  che  il  verbo 
Venire,  coniugato  col  partìc.  pass,  di  ccrli  verbi  che  non  sono  passivi,  si  appropria 
la  loro  forza;  e  il  Fanfani  da  al  Gherardini  piena  ragione. 

In  secondo  luogo  osservò  che  il  critico  ha  di  là  da  ragione  quando 
dice  che  in  Venir  fatto  (e  così  pure  in  Venire  accennato  e  in  tutti  gli  altri 
modi  simili)  il  verbo  Venire  non  è  ausiliario,  e  che,  per  necessario  conse- 
guente, il  nostro  autore  ha  torto.  Infatti  il  Moise,  quantunque  a  pag.  735-36 
della  sua  Grammatica  dimostra  con  sane  ragioni  la  verità  della  sua  dottrina, 
tuttavia,  dopo  questo  avvertimento,  la  disconobbe  e  non  volle  più  saperne, 
ma  s'  attenne  (nella  Grammatica  di  mezzo)  in  questa  parte  in  tutto  e  per 
tutto  all'  opinione  del  Gherardini,  del  Fanfani  e  degli  altri  filologi. 

Né  le  sue  ragioni  sono  false  affatto  affatto,  anzi  sono  vere  per  gli 
esempj  da  esso  addotti  a  pag.  735-36,  ma  sono  false  per  quelli  ch'egli 
addusse  a  pag,  1082-83  m  quella  Giunta  che  il  Veratti  disse  a  tutta  ragione 
non  molto  felice. 

Ma  il  lettore  dirà  :  bastò  dunque  quella  noterella  del  Veratti  a  fare 
questo  rivoltolone  nella  mente  del  nostro  autore  ? 

Non  fu  la  noterella  no  che  fece  fare  al  sor  Abate  questo  rivoltolone, 
ma  fu  l' osservazione  del  Veratti  che  si  legge  nella  pagina  antecedente, 
alla  quale  osservazione  appunto  si  riferisce  quella  noterella.  Eccola  : 

Solo  le  forme  semplici  di  Venire  possono  entrare  in  composizione  a  modo  di  ausiliare  : 
perché  esse  sole  mostrano  l'atto.  Le  forme  composte  (son  ventilo,  era  venuto  ecc  )  indicando 
esse  medesime  attribuzione  di  qualità  in  effetto,  e  non  in  atto,  non  valgono  a  significare 
attualità  ;  ne  consentono  d'andar  congiunte  coi  participi  passati  di  altri  verbi  e  produrre 
con  essi  forme  composte  di  questi. 

Ora,  quando  il  nostro  autore  insegnava  ai  giovani  che  in  Gli  venne  sentito, 
Mi  verrà  fatto  ecc.,  il  verbo  Venire  è  preso  come  ausiliario,  ei  non  pensava 
nemmen  per  sogno  che  si  potesse  dire  ancora  Gli  è  venuto  sentito,  Mi  verrà 
venuto  fatto  ecc.  Ma  poiché  vide  che  si  può  dir  benissimo  altresì  nella 
seconda  maniera  e  che  i  siffatti  esempj  s' incontrano  più  volte  ne'  buoni 
scrittori,  e'  dovette  necessariamente  confessare  che  negli  esempj  della  seconda 
maniera  il  Venire  non  è  e  non  può  essere  preso  come  ausiliario,  ne  viene 


')  Appena.  Granivi.  Ita]. 


—   192  — 

di  conseguenza  eh'  esso  non  è  e  non  può  esser  preso  come  tale  ne  anco 
nei  primi,  e  che  però  Venir  sentilo,  Venir  fallo  ecc.  non  sono  altrimenti  ne 
possono  essere  verbi  passivi. 

Ed  è  curioso  come  l' Abate  abbia  aspettato  tanto  a  bene  intendere 
1'  avvertimento  del  critico  modenese,  tanto  più,  quando  si  sappia  eh'  egli 
insegna  con  tutti  i  Grammatici  che  le  nostre  forme  passive  io  vengo  amato,  io 
veniva  amato  ecc.,  corrispondono  sempre  alle  latine,  amor,  amabar  ecc.  Ho 
detto  di  sopra  che  l'Abate  aveva  aspettato  troppo  a  intendere  l'avvertimento, 
perchè  il  Veratti  1' aveva  fatto  sette  anni  prima  nella  Strenna  pel  1872,  la 
qual  Strenna  era  stata  letta  dall'  Abate  da  un  pezzo,  com'  egli  stesso  ebbe 
a  confessare.  Ma  chi  non  piglia  delle  cantonate  ?  Ne  ha  prese  il  Bartoli,  il 
Corticelli,  il  Cesari,  il  Monti.  Non  è  pertanto  da  meravigliarsi  che  ne  abbia 
presa  qualcuna  anche  il  nostro  autore.  Il  quale  lesse  bensì  quell'  avvertimento 
del  Veratti,  ma  non  ci  aveva  badato,  ecco. 

Questo  è  un  nuovo  esempio  della  docilità  e  arrendevolezza  del  Moise, 
delle  quali  ho  fatto  cenno  più  sopra. 

Del  resto  abbiamo  veduto  che  il  nostro  Abate  non  aspettava  sempre 
gli  avvertimenti  o  le  critiche  degli  altri  per  correggersi  di  qualche  errore; 
io  potrei  anzi  dimostrare  il  contrario,  col  confronto  delle  varie  edizioni 
eh'  ei  fece  a  mano  mano  delle  sue  Grammatiche.  Ma  questo  lavoro  mi 
porterebbe  molto  lontano,  ne  riuscirebbe  piacevole  ai  lettori.  Tuttavia  mi 
proverò  di  addurre  un  qualche  esempio  a  testimonianza  di  quanto  dico,  e 
in  ripiova  della  scrupolosa  onestà  letteraria  del  nostro  Grammatico.  Il  quale, 
non  contento  talvolta  di  correggere  l'errore  commesso,  s'affrettava  in  altro 
modo  —  per  esempio  coi  Dialoghi  che  andava  ogni  anno  pubblicando 
nelle  sue  Strenne  —  di  renderlo  palese,  nel  senso  di  rilevare  e  abj tirare  al 
fallo,  e  di  additare  al  pentimento. 

Così  avvenne  che  nella  prima  edizione  della  Grammatica  grande  ei 
cominciasse  il  capo  VI  del  libro  III  colle  precise:  Onde  procedere  ordinatamente, 
diremo,  ecc.  Nella  seconda  edizione  della  stessa  Grammatica,  al  medesimo 
punto  si  trova  corretto  :  Per  procedere  ecc. 

Nello  stesso  tempo,  pigliando  il  pretesto  d'  una  lettera  che  gli  era 
recapitata,  e  che  cominciava  con  un  Onde,  il  Moise  intesse  un  Dialogo  '), 
nel  quale  dà  fuori  tutta  la  teoria  di  codesto  aggettivo  congiuntivo,  come 
lui  lo  chiama. 


')  Vedi  Dialogo  secondo  nella  Strenna  istriana  per  1'  anno  1884. 


-   193  — 

Infatti  Y  Onde  importa  Di  citi,  Da  cui,  Con  cui,  Per  cui  ecc.  I  Gram- 
matici della  nuova  scuola  insegnano  però,  che  lo  si  può  usare  per  Affinchè, 
Acciocché.  Ma  egli  osserva,  che  ove  YOnJc  vale  per  Affinchè  e  Acciocché,  o 
Per  o  A  fine  di  e'  è  sempre  un'  ellissi,  e,  se  questa  ellissi  non  ci  potrà 
essere  o  converrà  tirarla  co'  denti,  YOnde  non  potrà  mai  avere  questi  signi- 
ficati. Ora,  se  si  usa  l' Onde  in  sul  bel  principio  del  discorso,  non  avrà  più 
luogo  certamente  1'  ellissi. 

Del  resto  non  fu  solo  il  Moise  a  cadere  in  sì  fatto  errore.  Giuseppe 
Giusti,  ne!  primo  dei  suoi  famosi  brindisi,  non  si  peritò  di  scrivere:  Il  luogo 
eletto  Onde  servire  a  Dio  di  ricettacolo ....  /  Cristiani  lo  chiamano  Ciborio. 
Quell'Onde  noi  si  potrà  prendere  altrimenti  che  in  senso  di  Per  o  Affine  di, 
non  vedendecisi  ellissi  di  sorta. 

L'abate  addusse  appunto  questo  passo  a  mostrare  il  mal  uso  di  questo 
Onde.  Il  Giusti  qui  1'  usò  malamente,  e  però  non  è  da  imitare. 

Ma  l'Onde,  preso  a  tempo  e  a  luogo  in  sentimento  di  Affinchè,  Acciocché, 
sta  bene,  ossia  può  passare,  secondo  il  giudizio  dell'Abate.  Il  che  significa, 
eh'  ei  non  lo  riteneva  in  tutto  in  tutto  per  buono.  Tant'  è  vero  eh'  ei  si 
astenne  sempre  di  adoperarlo  nelle  sue  scritture  in  questo  senso.  E  quantunque 
se  ne  trovino  degli  esempj  in  parecchi  classici,  tuttavia  i  buoni  scrittori  de' 
nostri  giorni  V  usano  assai  di  rado  o  non  mai. 

Proseguendo  nell'analisi  filologica  della  detta  lettera,  trova  la  seguente 
frase:   «  Darò  al  servitore  cinque  fiorini  di  fisso  al  mese  ». 

Qui  il  Moise  avverte  subito  che  e'  è  uno  sproposito  da  pigliar  con  le 
molle.  E  corregge  :  va  detto  :  «  Cinque  fiorini  il  mese  »  ;  e  cosi  similmente 
«venti  soldi  il  giorno»,  «due  volte  la  settimana»,  «tre  volte  /'anno». 

E  continua  a  dare  dei  precetti  sapientissimi  sull'  uso  della  particella  da 
invece  della  particella  per;  dell'avverbio  affatto  —  sinonimo  di  In  tutto, 
Appieno,  Interamente,  Totalmente  —  malissimo  usato  in  luogo  Per  niente, 
In  alcun  modo.  E  corregge  il  Di^.  di  Torino  che  approva  quest'  uso. 

È  poi  da  farne  le  meraviglie  dei  lunghi  studj  eh' ei  faceva  in  ogni  parte 
del  discorso,  e  starei  per  dire  d'ogni  frase,  persino  delle  semplici  locuzioni. 

A  taluno,  a  cagion  d' esempio,  piace  di  mettere  tra  le  congiunzioni 
aggiuntive  anche  la  locuzione  Non  che,  che  dice  importare  E,  E  anche, 
E  ancora,  Come  pure,  ecc.  e  ne  adduce  a  prova  il  seguente  esempio,  allegato 
dal  Cinonio.  —  Nuli' al  mondo  è  che  non  possano  i  versi;  E  gli  aspidi 
incantar  sanno  in  lor  note,  Non  che  '1  giclo  adornar  di  novi  fiori.  Petrarca 
nella  sestina  Là  ver  l'aurora,  st.  5  (Cioè,  E  il  gielo  adornar  ecc.).  Questo 
è  T  unico  esempio  del  Non  che  aggiuntivo  che  troviamo  nelle  classiche 
scritture.  Ma  varrà  poi  un  solo  esempio,   per   quanto  e'    sia  autorevole,  a 


—  194  — 

stabilire  una  regola  ?  Il  Moise  non  lo  credeva,  e  perchè  questo  passo  del 
Petrarca  abbia  forza,  ei  diceva  eh'  esso  abbisogna  d' essere  confermato  dal 
buon  uso  toscano.  Ma,  quantunque  usitatissimo  in  Toscana,  non  pare  che 
questo  Non  che  sia  del  buon  uso,  perchè  non  s'  ode  mai  o  quasi  mai  in 
bocca  al  popolo,  al  vero  popolo. 

Il  Parenti,  nel  Catalogo  di  spropositi  (40)  dice  : 

Non  che.  «  Questa  particella,  ossia  locuzione  (ci  aggiunge  il  Moise)  mette 
»  benissimo  a  riscontro  due  termini,  per  l' un  de'  quali  vuoisi  dare  all'altro 
»  maggior  risalto.  —  Non  gli  rimaneva  danaro  per  le  spese  ordinarie,  non  che 
»  per  le  straordinarie.  —  Lieta  si  dipartì,  non  che  sicura.  —  Farebbero  tremare 
»  gli  uomini  fortissimi,  non  che  le  donne  imbelli.  —  Ogni  gran  cosa,  non 
»  che  una  sì  piccola  farei  volentieri.  —  Nulla  speranza  gli  conforta  mai, 
»  non  che  di  posa,  ma  di  minor  pena.  Quindi  impropriamente  si  fa  servire 
»  per  semplice  congiunzione  ....  » 

Ossia,  per  la  congiuntone  aggiuntiva  E  . . .  . 
....  «  anzi  in  cotale  abuso  avviene  sovente  d'  applicar  la  forza  della 
»  dizione  alla  parte  di  minor  conto.  —  Sostenuto  dal  voto  dei  causidici, 
»  non  che  dal  decreto  dei  giudici.  —  Dona  a  lei  le  sue  vesti,  non  che  tutto 
»  il  danaro  e  le  gioje.  Schiva  questa  falsa  ed  affettata  maniera,  né  ti  sappia 
»  troppo  volgare  1'  uso  dell'  E  congiuntiva  ». 

E  a  questa  dottrina  raccomandava  il  Moise  di  attenersi. 

Ed  ora  passiamo  ad  esaminare  le  critiche  di  lode. 

Nella  Civiltà  Cattolica  del  2  novembre  1878  p.  348  sta  scritto: 

Godiamo  poter  annunziare,  che  alcuni  più  principali  difetti,  che  noi  osservammo 
nella  prima  edizione  di  questa  Grammatica,  e,  a  parer  nostro,  la  sfregiavano,  sono  stati 
dal  eh.  autore  emendati  nella  presente  ristampa.  Si  per  questo  e  sì  per  le  nuove  cure 
ond'  è  stata  notevolmente  migliorata,  possiamo  senza  quasi  eccezione  ripetere  il  giudizio 
che  l'altra  volta  con  qualche  riserva  ne  formammo:  che  cioè  la  Grammatica  dei  eh.  Abate 
Moise  merita  un  posto  assai  ragguardevole  fra  le  opere  filologiche,  ed  è  una  delle  più  ricche  per 
{sceltela  di  materie  e  di  osservazioni  filologiche.  Essa  veramente  ci  sembra  più  destinata  ai 
maestri  che  ai  discepoli.  Ma  se  l'egregio  autore  ne  traesse  un  compendio,  sceverando  le 
materie  meno  necessarie  ad  una  prima  istituzione  e  tenendo  un  metodo  più  facile  nel 
ragionare  i  precetti,  renderebbe  assai  buon  servizio  alla  studiosa  gioventù. 

L'  Unione  si   stampava  in  questo   tempo  a  Capodistria,   ed  era  diretta 

dal  tanto  bravo  quanto  modesto  e  buono  D.  dott.  de  Manzoni.  Questi  fu  il 

'primo  e  per  lungo  tempo  il  solo  in  Istria  che,  sempre  vigile  e  tenero  delle 

glorie  paesane,  mettesse  in  qualche  luce  il  nostro  Abate.  Il  quale  si  sentiva 

mortificato  di  questo  abbandono  in  cui  lo  lasciavano  i  suoi  comprovinciali; 


—  195  — 

e  lo  disse  a  me  tanto  in  privato  che  per  lettera;  del  quale  suo  lagno  però 
m'ingiunse,  in  suo  vivente,  di  non  rivalermene  mai  contro  chicchessia;  che 
egli,  alla  fin  fine,  non  era  uomo  da  commuoversi  per  così  poco,  ed  aspirava 
solo  alla  benevolenza  ed  alla  ricognizione  dei  primi  letterati  e  filologi  d'Italia, 
meta  eh'  ei  seppe  anche  raggiungere  col  valore  e  colla  virtù  del  proprio 
gno. 

U  Unione  ')  pertanto  si  fece  debito  di  riportare  1'  articolo  delle  Nuove 
Effemeridi  Siciliane  premettendovi  il  seguente  cappello: 

L'  abate  Moise  (per  quei  pochi  Istriani  che  non  lo  conoscessero)  è  ingegno  quanto 
mai  girevole;  vedete  i  suoi  più  recenti  lavori;  egli  manda  fuori  annualmente  quella 
strennetta  piena  di  brio  chiamata  TsLono  Cajo  Vacuili,  d'onde  sprizza  serena  giocondità; 
poi,  fattosi  d'  un  tratto  serio,  volgarizza  opere  di  S.  Bonaventura  ;  un'  altra  volta,  da  serio 
fattosi  grave,  ha  il  cervello  tanto  muscoloso  da  potersi  travagliare  nell'  aspra  fatica  di 
mettere  giù  una  Grammatica  filosofica  di  oltre  mille  pagine;  e  ci  vuole  proprio  muscola- 
tura, e  di  quella  gagliarda,  sapete,  nel  cervello  e  non  fosforo,  per  scrivere  un  libro  di 
tal  fatta  e  tanto  grosso!  E  uno  scrittore  leggiadrissimo,  festevole,  che  maneggia  la  lingua 
con  garbo  tutto  toscano,  benché  taltiata,  a  dirla  schietta,  vi  trasmodi  un  tantinetto.  Questo 
caro  abate  vive  a  Cherso  sua  patria,  nell'  estrema  e  pittoresca  isola  istriana,  ove  battono 
tanti  cuori  fratelli  ai  nostri  nell'amare  la  patria  e  nel  servirla,  ecc. 

Veniamo  ora  alla  critica  delle  Nuove  Effemeridi  Siciliane  di  Palermo, 
delle  quali  mi  manca  il  numero  del  giornale,  perche  l'autore  della  critica, 
che  fu  il  prof.  Vincenzo  Di  Giovanni,  mandò  al  nostro  abate  quel  solo 
foglietto  dove  e'  era  1'  articolo  di  lode.  Ecco  1'  articolo  : 

Mentre  nelle  scuole  la  Grammatica  si  va  immiserendo,  1'  abate  Moise  le  consacra 
un  grosso  volume  di  minuto  e  compatto  carattere  di  pag.  1156,  nel  quale  si  raccolsero, 
oltre  le  giunte,  i  tre  volumi  della  ia  edizione  del  1867.  Detto  poi  dei  criteri  direttivi 
secondo  i  quali  il  Moise  fece  il  suo  grande  lavoro,  e  che  furono  da  lui  espressi  nella 
prefazione,  prosegue.  «Insieme  all'arte  l'autore  ha  dato  la  scienza  grammaticale  nel  senso 
più  morale  che  linguistico;  e  tutto  vi  è  confortato  da  esempi  di  classici  scrittori  e  dal 
giudizio  di  valenti  grammatici  e  filologi,  colla  distinzione  di  regole  ed  osservazioni,  oltre 
le  note  elle  sono  ricchissime  di  erudizione  grammaticale,  letteraria  e  storica.  Molte  con- 
siderazioni e  risoluzioni  di  questioni  grammaticali  sono  ingegnose  e  sottili,  benché  qualche 
volta  l'autore  sia  di  maniche  un  po'  larghe  e  non  più  rigido  come  nella  prima  edizione,  della 
quale  in  questa  seconda  non  ha  continuata  l'ortografia  che  aveva  accettata  dal  Gherardini 
e  da  qualche  altro  lombardo.»  Poi  discorre  della  divisione  dell'opera,  dicendo  che  «la 
parte  de'  verbi  è  di  molta  importanza    tanto  nel  libro   dell'  etimologia,  quanto    nell'  altro 


')  N.  13,  9  aprile  1879. 


—   196  — 

de  Ila  sintassi.  Noi  non  possiamo  —  soggiunge  e  conchiude  —  in  un  brevissimo  annunzio 
dire  di  tutti  i  pregi  dell'  opera  che  fa  molto  onore  all'autore  e  agli  studi  grammaticali 
in  Italia;  e  ci  compiacciamo  che  dall'  Istria  e  da  Cileno  sìa  uscito  un  lavoro  tanto  importante 

quanto  questo  del  chiarissimo  professore  Moise,  della  cui  amicizia  da  più  anni  ci  onoriamo. 


XVII. 


Le  critiche  non  erano  ancora  finite.  Ma  anche  questa  volta  esse  vennero 
da  un'  illustrazione  filologica  d' Italia,  e  precisamente  dal  prof.  Alfonso 
Cerquetti. 

E'  convien  sapere  pertanto  che  il  Moise,  parlando  nella  sua  Grammatica 
della  maniera  Di  sorta  per  Di  sorta  alcuna,  la  disse  d'  uso  comune,  tanto 
che  valenti  autori  toscani  de'  nostri  giorni  non  si  peritano  d' adoprarla, 
quando  occorra,  ne'  loro  scritti. 

Il  Cerquetti,  invece,  chiamò  erronea  codesta  maniera.  Ma  il  Moise 
valorosamente  la  difese,  dimostrando  che  il  primo  aveva  torto  marcio  a 
condannarla. 

Quella  difesa  peraltro  non  valse  a  far  ricredere  il  Cerquetti,  il  quale 
affermò  tuttavia  che  la  maniera  Di  sorta  è  erronea;  e  nella  Sentinella  del 
Musone  ')  che  nel  1880  si  pubblicava  in  Osimo  il  giovedì  di  ogni 
settimana,  ripetè  che  il  torto  l'aveva  il  Moise  e  non  lui.  Il  Cerquetti  peraltro 
replicò  indirettamente  al  Moise.  Ecco  come. 

In  quel  tempo  il  sig.  Francesco  Zambaldi  aveva  data  fuori  la  terza 
edizione  d'  una  Grammatica,  la  quale  non  andava  a  sangue  al  Cerquetti, 
tanto  che  quest'  ultimo  inserì  un  Dialogo  tra  un  Esaminatore  e  uno  Scolare 
nel  predetto  periodico,  nel  qual  dialogo  dimostrava  ch'essa  Grammatica  non 
era  degna  che  la  si  mettesse  in  mano  ai  giovinetti  studiosi.  Or  bene,  tra 
le  altre  maniere  usate  dal  Zambaldi  e  biasimate  dal  Cerquetti  c'è  anche  la 
maniera  Di  sorla  per  Di  sorta  alcuna,  difesa  dal  Moise  nella  seconda  edizione 
delle  sue  Grammatiche.  Ed  è  così  che  il  critico,  combattendo  lo  Zambaldi, 
combatte  anche  il  Moise. 

Il  quale  dice  s)  :  —  «  Con  la  voce  Sorta  facciamo  la  maniera  Di  sorta 
»  che  il  buon  uso  moderno  ci  consente  di  adoperare  dopo  una  negativa  in 


')  Anno  IV,  n.  31,  29  luglio. 

*)  Vedi  lunga  nota  a  pag.  614-615. 


—  197  — 

»  cambio  dell'  intera  Di  sorla  veruna  o  Di  sorta  alcuna  o  Di  veruna  sorta 
»  o  Di  alcuna  sorta,  di  cui  più  e  più  esempi  si  leggono  ne'  classici  autori. 
»  V.  il  Gherardini,  Appena,  p.  486,  N.  28.  Esso  Gherardini  poi  afferma  (ivi) 
»  che  questa  locuzione  Di  sorta  è  monca  e  non  dice  proprio  nulla,  e  la 
»  condanna  (Sappi,  in  Sorta)  siccome  erronea.  E  col  Gherardini  sta  il 
»  Cerquetti,  il  quale  condanna  d'  errore  1'  odierna  Crusca  per  aver  usurpato 
»  questo  Di  sorta  A  strappacavezza  (Correi,  e  Giunte,  ivi).  Ma  con 
»  buona  pace  del  Gherardini  e  del  Cerquetti,  e'  mi  pare  che  tutti  e  due 
»  abbiano  torto  ».  = 

Ora  il  Cerquetti  a  dimostrare  che  il  torto  era  invece  del  Moise.  Non 
pure  lui  e  il  Gherardini  condannano  questo  modo,  ma  il  Viani  eziandio, 
che  in  fatto  di  lingua  la  sa  lunga.  Il  quale  ultimo  sosteneva  che  gli  antichi 
non  lo  scrissero  mai.  Poi  condanna  il  Rigatini,  che  mentre  non  aveva 
contaminato  di  questo  Di  sorla  il  Vocabolario  della  lingua  parlata,  volle 
fregiarne  1'  Appendice.  Soggiunge  ancora  che  gli  esempj  recati  dal  Moise 
dello  Zannoni,  del  Giusti,  del  Guasti  —  che  scrive  medioevale,  e  più  e  più 
altre  di  queste  eleganze  —  e  del  Frassi  (e  più  altri  se  ne  potrebbero  allegare 
anche  del  Cesari,  del  Giordani,  del  Bresciani  ecc.)  non  gioverebbero  ad 
altro,  che  a  provare  come  non  sia  punto  difficile  il  trovar  le  prove  della 
corruzione  anche  in  pregiati  scrittori.  E  se  è  invocata  l'ellissi  per  Di  sorta, 
perchè  non  invocarla  ancora  per  Di  guisa,  Di  maniera?  Ne  alcun  cinque- 
centista 1'  ha  usato  questo  Di  sorta.  Se  ne  trova  soltanto  un  esempio  nel 
Guidiccioni  (Lettere  storiche  di  Luigi  da  Porto  dall'anno  1509  al  1528),  ma 
esso,  il  Cerquetti,  come  il  Viani,  dubitavano  che  il  dettato  dello  scrittore 
antico  sia  stato  raffazzonato  da  un  moderno. 

Ora  il  Moise  francamente  dichiarò  d'aver  letto  e  studiato  il  Dizionario 
di  Pretesi  Francesismi,  ed  anche  la  'Prefazione  di  esso,  con  una  nota  citata 
dal  Cerquetti,  e  dettata  dal  Viani  in  condanna  del  Di  sorta.  Ma  quando 
nel  1878  il  Moise  rivedeva  gli  stamponi  della  Grammatica,  non  se  ne 
rammentava  più,  perchè  altrimenti  alle  autorità  del  Gherardini  e  del  Cerquetti 
avrebbe  pure  aggiunta  quella  del  Viani.  Ch'  egli  n'  abbia  tacciuto  a  bella 
posta,  non  è  da  parlarne.  Chi  conobbe  la  lealtà  e  il  galantomsmo  del 
nostro  Abate  non  potrà  di  certo  mettergli  addosso  questa  posola. 

Una  condanna  del  Viani  doveva  certo  aver  gran  peso  pel  Moise,  eppure 
ei  non  si  die'  per  vinto.  Ma  che  era  un  ciuco  vestito  il  Tommaseo  ?  che 
non  deve  più  valer  nulla  la  sua  autorità?  Ora,  se  il  Viani  condanna  questo 
Di  sorla,  il  Tommaseo  in  quella  vece  lo  approva. 

Di  fatti  nel  Di^.  di  Torino,  alla  lettera  5,  parola  Sorte  e  Sorta,  s.  f. 
Specie  ecc.,  ultimo  capoverso  del  N.  1  si  legge  : 


—  198  — 

«  [  T]  Colla  negazione,  e  assol.  e  accompagnato  da  altra  voce.  Senza 
»  incomodo  di  sorte;  Senz'  affettazione  di  sorte  veruna.  —  Non  c'è  Governo 
»  di  sorta;  di  nessuna  sorte  ». 

Come  si  vede,  qui  non  è  apposta  alcuna  nota  di  biasimo;  il  che  vuol 
dire  che  1'  approva  in  tutto  e  per  tutto. 

Ma  al  Moise,  a  conferma  della  sua  dottrina,  non  gli  venne  in  mente 
d'  andare  a  consultare  il  Di^.  di  Torino.  D'  altra  parte  non  gli  pareva  che 
fosse  necessario  di  accattare  altre  autorità,  credendo  lui  che  le  prove  da 
sé  addotte  bastassero  a  mostrare  la  legittimità  di  questo  modo.  Per  le  stesse 
ragioni  egli  tralasciò  di  dare  un'  occhiata  all'  Appendice  del  Rigutini. 

Dunque  dalla  parte  del  Cerquetti  stava  il  Viani,  pezzo  grosso,  e  da 
quella  del  Moise  il  Tommaseo,  altro  pezzo  grosso.  E  il  Rigutini  ? 

Certo  che  di  lingua  ne  sa  anche  lui  qualcosina,  anzi,  com'  ebbe  ad 
esprimersi  lo  stesso  Moise,  di'  mollo,  di'  moltissimo,  o,  per  parlare  più 
classicamente,  assaissimo;  e  n'è  prova  il  suo  Vocabolario  della  Lingua  Parlata, 
il  quale  s'ebbe  da  tutte  le  parti  d'Italia  tanti  applausi  e  tanti  elogi,  che  se 
n'  ode  tuttavia  il  rumore.  E  quello  che  fa  più  autorevole  il  suo  giudizio 
si  è  1'  esser  lui  un  Filologo  di  maniche  strette,  da  non  lasciar  passare  nem- 
manco  a  scappellotto  una  qualunque  voce  o  maniera  meno  che  buona  e 
legittima,  sebbene  usata  da  scrittori  di  chiaro  grido.  E  al  contrario  accade 
talvolta  che  alcuna  maniera  d' uso  comune  e  avuta  generalmente  per  buona 
e  usata  senza  scrupolo  da  buoni  scrittori,  egli  non  la  passa  a  nessun  patto, 
anzi  la  condanna  e  riprova.  Per  esempio  i  modi  Fare  in  un  viaggio  due 
servici,  san  casi  che  accadono,  Esser  trincato,  Esser  un  tiro  di  sottobanco, 
Mandare  i  moccoli  a  uno,  usato  dal  P.  Ricci  nella  commedia  Le  tre  lire, 
fatta  a  imitazione  del  Trinummo  di  Plauto,  ei  li  dice  senza  esitazione  falsi 
e  sbagliati,  non  avvertendo  che  il  primo  modo  egli  pur  lo  registra  nel  suo 
Vocabolario  in  Servizio.  (E'  non  dice  proprio  Fare  in  un  viaggio  due  servi^j, 
che,  tarabaralla,  è  quel  medesimo).  Ed  egli  nota  ancora  che  chi  dice  Insieme 

a invece  di  Insieme  con ,  non  dice  bene,  quantunque  di  Insieme 

a s'abbiano  varj  esempj  antichi,  e  tra  gli  scrittori  de'  nostri  giorni 

l'abbiano  adoprato  più  volte  il  Giusti  e  il  detto  P.  Ricci  e  talora  anche  il 
Fanfani  '). 

Ma,  alla  fin  fine,  il  modo  Di  sorta,  così  assoluto,  gli  antichi  non  lo 
scrissero  mai  ? 


')  Vedi  Moise,  Cramm.  II  ediz.,  pag.  830,  not. 


—  199  — 

Il  Cerquetti  intanto,  nella  sua  critica,  ne  cita  un  esempio  di  Luigi  da 
Porto,  autore  del  500.  È  vero  che,  appoggiato  all'autorità  del  Viani,  ei  lo 
dice  non  molto  sicuro;  ma  con  questo  ei  non  lo  prova  certamente  falso.  Oltre 
di  che,  può  egli  asserire  con  certezza  non  averci  di  questo  modo  nessun 
altro  esempio  nelle  antiche  scritture?  Ma  concediamo,  via!  che  altri  esempj 
antichi  non  ve  ne  abbia.  E  che  perciò  ?  Dovremo  noi  dargli  le  pere  e  dire 
eh'  è  erroneo  per  questo  solo  che  gli  antichi  non  lo  scrissero  mai  ?  Sì,  gli 
antichi  nel  fatto  della  lingua  se  ne  intendevano  un  pochino  più  di  noi,  ragionava 
il  Moise;  ma  quante  voci  e  maniere  avute  da  tutti  per  buone  e  legittime 
non  usiamo  noi,  che  gli  antichi  non  adoprarono  mai  ne'  loro  scritti  ?  II 
Giusti  dice  in  una  sua  lettera  a  Tommaso  Grossi  :  Ella  ha  ragione  di  dire, 
che  /'Italia  ha  una  lingua  viva  e  vera,  e  che  si  trova  a  mala  pena,  e 

NON    TUTTA,    NEI    LIBRI    E    NEI    VOCABOLARJ. 

Se  non  che  la  maniera  di  sopra  riprovata  dal  Cerquetti  è  detta  monca, 
che  non  dice  proprio  nulla.  Or  perchè  ella  diventa  buona  e  legittima  pel 
Moise  ?  Come  se  la  cava  egli  in  questo  ? 

Per  intender  bene  il  come  se  la  sia  cavata  il  nostro  autore,  combattendo 
il  Gherardini  e  il  Cerquetti,  e'  fa  d'  uopo  prima  riportare  quel  tanto  della 
nota  che,  non  si  sa  il  perchè,  dal  Cerquetti  non  fu  riportato  di  sopra  nel 
Dialogo,  accontentandosi  d'  una  parte  soltanto. 

«  ==  La  locuzione  Di  sorta  per  Di  sorta  alcuna,  Di  sorta  veruna 
»  è  monca  e  non  dice  proprio  nulla,  come  sono  monche  e  non  dicono  proprio  nulla 
»  tutte  in  generale  le  locuzioni  ellittiche.  Prendiamo  ad  esaminare  un  poco 
»  una  sola  e  questa  sia  la  locuzione  Invece,  scambio  di  In  quella  vece,  In 
»  quel  camino,  In  vece  di  questo,  ecc.  Che  cosa  ci  dice  per  sé  stessa  questa 
»  locuzione  ?  Nulla,  proprio  nulla  ;  e,  se  vogliamo  ch'essa  importi  qualche 
»  cosa,  bisogna  che  le  aggiungiamo  un  nome  o  aggettivo  o  pronome  retto 
»  dalla  preposizione  Di.  Per  questo  suo  intrinseco  difetto  o  per  checché 
»  altro  si  sia,  pare  eh'  ella  non  sia  andata  gran  fatto  a  fagiuolo  ai  nostri 
»  antichi  scrittori.  I  Vocabolarj  non  ne  arrecano  esempj  anteriori  al  500. 
»  K  quali  sono  poi  questi  esempj?  E'  si  riducono  a  due  soli  di  L.  Alamanni 
»  (Avarch.  25.40,  e  Gir.  Cori.  1.  20,  p.  149)  addotti  dal  Gherardini,  ai  quali 
»  si  aggiunga  un  terzo  del  medesimo  Alamanni  {Coltiti.  1.  1,  ver.  351) 
»  trovato  più  tardi  da  Michele  Golminelli  ed  un  quarto  trovato  da  me 
»  l' altrieri  nell'  Edite,  di  Silvio  Antoniano.  E  dopo  l'Alamanni  e  l'Anto- 
»  niano  chi  l'usò  mai  fino  a  questi  ultimi  tempi  ?  Io  non  ne  conosco  alcun 
»  esempio  del  secolo  170  o  del  susseguente.  Eppure  chi  oserebbe  oggi  di 
»  vietarne  l'uso,  quand'essa  è  adoperata  tutto  giorno  dai  nostri  più  valorosi 
»  scrittori,  cioè  a  dire  dal  Cesari,  dal  Colombo,  dal  Guadaguoli,  dal  Bre- 


—    200    — 

»  sciani,  dal  Giusti,  dal  Ricci,  dal  Rigutini  e  dagli  odierni  Accademici  della 
»  Crusca  ?  »  n: 

Come  la  pensasse  il  Cerquetti  su  questo  Invece  non  mi  consta.  Avrebbe 
potuto  bensì  dire  anche  questo  modo  errato,  ma  a  provarlo  ti  voglio. 
Del  resto  non  si  deve  suppore  eh'  ei  condanni  questo  Invece,  ma  si  deve 
credere  in  quello  scambio  eh'  ei  l'approvi  :  altrimenti  egli  avrebbe  riportato 
intero  l' avvertimento  del  Moise,  e  insieme  col  Di  sorta  avrebbe  confutato 
anche  Y  Invece. 

È  da  notarsi  ancora,  che  sono  ellittiche  altresì  le  maniere  In  cambio, 
In  iscambio,  Al  contrario,  All'opposto,  quando  s'usano  in  modo  assoluto,  il 
che  avviene  spessissimo,  segnatamente  delle  ultime.  Dunque,  posto  che  sia 
erronea  la  maniera  Invece,  sono  erronee  anche  queste. 

Ma  il  Critico  pretende  ancora  che,  se  è  buona  la  locuzione  Di  sorta, 
buone  similmente  dovrebbero  essere  le  locuzioni  Di  maniera,  Di  guisa. 

L'argomento  non  persuadeva  il  Moise;  che  non  tutte  le  voci  o  maniere 
che  sono  fra  loro  sinonime  hanno  gli  stessi  usi.  Tanto  per  esempio  im- 
porta In  vece  di quanto  In  luogo  di ;  ma  In  vece  s'  usa  bene 

assolutamente  e  In  luogo  no.  Nessuno  infatti  direbbe:  Tu  sei  giovine;  io  in 
luogo  san  vecchio;  laddove  si  direbbe  benissimo  Tu  sei  giovane;  io  invece 
son  vecchio. 

Se  non  che,  prima  di  rispondere  se  sia  ben  detto  (come  ragionava  il 
Cerquetti  per  dar  torto  al  Moise)  Non  ci  tran  libri  Di  Maniera  o  Di  Guisa, 
converrebbe  vedere  se  è  ben  detto  Non  ci  cran  libri  Di  Maniera  ALCUNA 
o  Di  Guisa  alcuna,  ossia  se  è  buona  la  locuzione  intera  Di  maniera  alcuna 
o  Di  guisa  alcuna.  Il  nostro  autore  aveva  i  suoi  riveriti  dubbj;  onde  che 
nelle  sue  scritture  non  avrebbe  mai  dato  luogo  a  queste  locuzioni,  quando 
non  ne  avesse  veduti  esempj  ne'  buoni  scrittori.  E  con  lui,  se  non  in  tutto, 
almeno  in  parte  sta  il  Tommaseo.  Egli  anzi  va  più  avanti  del  Moise;  per- 
chè questi  si  restringe  a  dubitare  della  legittimità  di  queste  locuzioni,  e 
quegli  in  quel  cambio  dice  chiaramente  che  la  prima  non  è  da  usare.  ') 
Perciò,  secondo  lui,  Non  ci  cran  libri  di  fatta  alcuna  o  di  specie  alcuna, 
non  è  ben  detto.  Dell'  altra  locuzione  poi  di  guisa  alcuna  ei  non  dice 
nulla. 


')  Vedi  Nuovo  Dizionario  dei  Sinonimi,  n.  2772.  Egli  spiega  qui  i  varj  usi  dei  nomi 
Falla,  Sorte,  Specie,  Maniera,  e  nell'ultimo  capoverso  dice  così  :  —  Di  sorta  alcuna,  Uxo 
per  sorte,  Due  per  sorte,  son  modi  proprj  di  questa  voce,  non  d'  altra.  = 


—    201    — 

In  conclusione,  la  critica  del  Cerquetti  fece  per  il  Moise  come  la 
nebbia,  che  lascia  il  tempo  che  trova.  La  maniera  assoluta  Di  sorta  egli 
l'aveva  prima,  come  dopo,  per  buona. 

Dopo  ciò,  il  nostro  Abate  fece  buon  viso  alla  critica  del  Cerquetti, 
come  egli  aveva  in  costume  di  far  sempre  alle  osservazioni  che  altri  faceva 
a'  suoi  lavori.  Queste  osservazioni  gli  eran  gradite  che  mai,  perchè,  come 
spesso  soleva  dire,  egli  e'  imparava  sempre  qualche  cosa.  Se  le  erano  in 
lode,  gli  brillava  l'anima  a  vedere  che  eran  buoni  gli  avvertimenti  i  quali 
ei  proponeva  ai  giovani  studiosi,  e  li  lasciava  stare  come  erano  :  se  poi 
le  erano  in  biasimo  ed  ei  le  conoscesse  giuste,  allora  gli  sapeva  male 
d'aver  dato  ai  giovani  falsi  ammaestramenti,  e  s'affrettava  a  darci  di 
penna  e  correggerli,  grato  tuttavia  al  pietoso  ammonitore  che  gli  avea 
scoperto  gli  errori  e  lo  iacea  ricredere.  —  E  di  questa  tempra  non  sono, 
affé,  tutti  i  Filologi  —  la  maggior  parte  dei  quali,  anzi,  s' incocciano  a 
sostenere  fino  all'  ultimo  le  loro  tesi,  anche  se  non  ne  sono  in  tutto  in 
tutto  persuasi. 

Le  osservazioni  però  del  Cerquetti  non  valsero  ancora  a  persuaderlo, 
ed  egli  stette  fermo  nella  sua  opinione.  Si  dichiarava  tuttavia  pronto  a 
ricredersi  anche  in  questo,  quando  il  Cerquetti  fosse  ritornato  a  portargli 
prove  più  concludenti. 

Il  Cerquetti,  poiché  lesse  la  bella  difesa  che  il  Moise  fece  in  sostegno 
della  propria  dottrina,  scrisse  un'  altrettanto  bellissima  lettera  al  nostro 
Abate,  ringraziandolo  della  garbatezza  usatagli  e  lodando  la  giustezza  e 
assennatezza  delle  ragioni  da  lui  addotte.  In  quella  lettera  e'  gli  diceva 
ancora  che  a  suo  tempo  avrebbe  risposto  alle  prove  allegate  dal  nostro 
autore,  perchè,  nonostante  il  gran  bene  che  se  ne  dice,  egli  continuava 
tuttavia  a  tener  la  locuzione  Di  sorta  per  meno  che  buona. 

Ma  volle  ben  rivalersi  su  un'  altra  questione  che  avea  col  Moise,  il 
quale  sosteneva  che  si  può  usare  il  SU  di  una  torre  per  su  una  torre,  cor- 
redando la  tesi  con  due  esempj  tratti  dal  Cellini  e  dal  Galilei.  A  giusto 
rigore  il  Moise  non  sosteneva  che  sia  ben  fatto  usare  il  su  di  ecc.,  anzi  il 
condannava;  ma  in  una  nota  della  sua  Grammatica  (pag.  952)  dice  che 
taluni  si  fan  lecito  di  dare  a  queste  preposizioni  (su,  in  su)  l'accompagnatura 
della  di.  Conchiude  poi  sentenziando  col  Tommaseo,  che  questo  modo  non 
è  del  buon  uso. 

Ora  il  Cerquetti  inseri  sulla  presente  questione  un  Dialogo  ne  «  La 
Sentinella  del  Musone  »  del  9  febbraio  1882,  riprovandone  1'  uso  e  dimo- 
strando che  gli  esempj  recati  dal  Moise  erano  apocrifi. 

u 


—    202    — 

Il  Moise  questa  volta  capitolò  ')  su  tutta  la  linea  e  scrisse  la  seguente 
lettera  al  eh.  professore  : 

Mio  caro  Alfonso,  A  leggere  il  vostro  dialoghetto  inserito  nella  Sentinella  del  Musone 
del  9  febbrajo  io  rimasi  di  stucco,  e  ancora  non  giungo  a  raccapezzarmi.  L'edizione  della 
Vita  del  Cellini  ond'  io  mi  valgo  nella  Grammatica,  è  appunto  quella  del  Le  Mounier  da 
voi  citata,  e  1'  es.  della  pag.  106  io  lo  trassi  di  là.  Ma  coni'  è  poi  che  oggi  io  vi  leggo, 
qualmente  leggete  voi,  in  su  una,  laddove  in  addietro  vi  lessi  in  su  di  una?  Io  non  so 
davvero  davvero  in  qual  modo  spiegare  questa  differenza.  Comunque  sia,  voi  avete  ra- 
gione da  vendere  e  io  ho  il  torto  marcio:  onde  mi  fa  specie  che  non  m'abbiate  dato 
una  presa  d'impostore  o  peggio  e  m'abbiate  invece  trattato  con  sommo  rispetto,  appli- 
candomi perfino  1'  oraziano  quandoque  bonus  dormitat  Homerus;  nel  qual  passo,  se  volevate 
esser  giusto,  dovevate  a  bonus  sostituir  malus  e  a  dormitat,  meniilur ;  quantunque  non  sia 
stata  mia  intenzione  di  mentire  e  d'ingannar  chicchessia.  Grazie  dunque  e  rigrazie  mio 
buon  Professore. 

Oltre  all'  esempio  da  me  addotto,  altri  due,  tratti,  come  quello,  dalla  Vita  di  B. 
Cellini,  voi  ne  allegate  della  preposizione  su  avente  un  reggimento  diretto  ;  ma  bisogna 
dire  che  questi  li  abbiate  citati  male,  perchè  né  il  primo  io  trovo  a  pag.  237,  né  il  se- 
condo a  pag.  442,  dove  voi  dite  che  si  trovano.  Dell' es.  poi  del  Galilei  nulla  vi  dico.  Il 
Golminelli  me  lo  avea  dato  per  vero,  ed  io  per  vero  lo  allegai.  Ora  godo  a  imparare 
da  voi  ch'esso  è  falso.  Nella  Gramm.  di  me^o  ridurrò  alla  vera  lezione  il  passo  del  Cellini 
e  torrò  via  affatto  quello  del  Galilei,  tornando  a  ringraziar  voi  d'avermi  cavato  d'errore. 

Addio,  mio  caro  Alfonso,  state  bene  e  allegramente,  studiate  con  amore  e  seguitate 
a  benvolere  e  ajutare  ne'  suoi  studj  il  vostro  affettuoso  e  leale  amico  Giovanni  Moise  - 
Cherso,  28  febbrajo  1882. 

E  questo  fu  un  nuovo  esempio  della  sua  onestà. 

Ne  il  Veratti  (di  cui  si  parlò  nel  precedente  capitolo)  rispose  nulla, 
durante  l'anno,  al  Moise,  ma  si  riservò  peraltro  di  parlarne  nella  sua  Strenna 
per  l'anno  1882.  Di  ciò  fu  avvertito  il  Moise  dagli  Opuscoli  di  Modena, 
che  rilevarono  il  torneo  letterario  impegnatosi  fra  il  nostro  e  il  grammatico 
modenese. 

Il  Veratti,  infatti,  scese  ancora  in  lizza  nella  sua  Strenna  per  l'anno  1884. 
E  il  Moise  continuò  a  rispondergli  nella  propria  delle  Strenne  per  l'anno  '85. 
La  questione  erasi  fatta  grossa  fra  i  due  strenui  competitori,  tant'  è  vero 
che  il  Veratti  ritornò  alla  carica  l'anno  appresso  (1886)  nagli  Opuscoli  Reìig. 
Leti,  e  Mor.  di  Modena.  E  il  Moise  ancora  a  ribatterlo  e  a  confutarlo  nella 
Strenna  dell'  87. 


')  Vedi  Dialogo  terzo  della  Strenna  istriana  per  l'anno  1883. 


—  203  — 

Ma  io  non  intendo  più  oltre  di  seguire  i  nostri  bravi  filologi  nell'ardua 
e  avviluppata  matassa  ;  prima  di  tutto  perchè  temo  d'  aver  già  di  troppo 
stancata  la  pazienza  del  lettore  con  sì  fatte  disquisizioni  filologiche  ;  in 
secondo  luogo  perchè,  virtualmente,  non  si  venne,  dopo  tanto  dibattito,  ad 
una  conclusione  definitiva  fra  i  contendenti.  Ciascuno  dei  quali,  nell'essenza, 
è  rimasto  nella  propria  opinione,  senza  che  1'  uno  facesse  muovere  1'  altro 
d'  un  sol  passo,  né  in  avanti  né  in  dietro. 

L'amico  suo,  il  eh.  Prospero  Viani  da  Reggio  d'Emilia,  bibliotecario 
della  Riccardiana  in  Firenze,  ringraziando  il  nostro  Abate  con  lettera  della 
Strenua  istriana  del  1887  che  aveva  ricevuto  in  dono  —  Strenna  eh'  ei  chiama 
scritta  «  con  molto  garbo  e  senno  e  dottrina  filologica  »  —  gli  dice  in 
chiusa  :  «  Ammiro  che  abbiate  tanta  pazienza  e  non  perdiate  la  testa  in  quei 
sottigliumi   metafisici  da  fare  spesso    morire.   Io  ho  quasi   abbandonati  gli 

stiulj  filologici Divertitevi  voi,  e  Dio  ve  ne  feliciti »  ').  E  ciò 

è  vero.  Fa  proprio  meraviglia  ed  è  altamente  d'ammirarsi  il  nostro  Abate 
per  la  sua  diligenza  e  pazienza,  né  si  può  quasi  comprendere  com'egli  abbia 
resistito,  non  già  a  tanti  studj,  ma  alla  pubblicazione  di  tanti  grossi  volumi, 
in  ispecialità  delle  tre  Grammatiche  tutte  poderose  di  centinaja  e  centinaja 
di  pagine. 

Ma  per  ritornare  al  battibecco  del  Veratti  col  Moise,  è  d'  ammirarsi 
ancora  una  cosa,  in  verità  assai  rara  fra  filologi,  poco  o  troppo  la  maggior 
parte  bizzosi.  Intendo  dire  della  moderazione  e  pulitezza  colle  quali  si  sono 
scambiate  le  loro  idee  il  filologo  modenese  e  il  filologo  chersino. 

Su  di  che,  anzi,  scriveva  in  data  di  Roma  17  gennajo  1887  *)  al  nostro 
Abate  il  eh.  Ludovico  Passarini,  celebre  scrittore  romano,  che  da  più  anni 
l' onorava  della  sua  benevolenza  : 

Or  debbo  farle  le  mie  più  vive  congratulazioni  per  la  nobiltà,  la  dignità,  l'amore- 
volezza e  la  generosità,  con  le  quali  si  è  difeso  ed  ha  combattuto  col  sig.  Veratti,  altro 
mio  dolce  amico.  Io  non  mi  faccio  tra  loro  due  né  padrino,  né  giudice.  Lodo  altamente 
la  sua  temperanza,  e  il  raro  sentimento  della  giustizia,  che  anima  Lei  a  difendersi  dove 
ha  ragione,  ad  emendarsi  dove  crede  di  avere  mal  detto,  e  liberamente  lo  confessa.  Bravo! 
Se  una  volta  noi  potessimo  vederci  qui,  faremmo  a  quattr'occhi  una  buona  chiacchierata 
linguistica  :  ma  ora,  e  per  lettera  e  nelle  mie  molte  faccende  non  saprei  di  dove  mi  co  - 
minciare,  e  molto  meno  proseguire. 


';  Vedila  nella  Strinila  istriana  per  il   1888    pag.  24. 
*)  lbid.  pag.  20  e  seg. 


—  204  — 

Continui  pertanto  a  giovare  a  cotesta  gioventù,  eh'  io  credo  più  alacre  e  più  modesta 
di  questa,  che  non  studia  e  sdottoreggia;  e  con  la  solita  sua  umanità  mi  abbia  per  suo  ecc. 

A  questa  lettera  del  Passarmi  rispondendo  pochi  giorni  dopo  l'Abate 
Moise,  chiedevagli  spiegazione  di  certe  espressioni  ch'ei  non  intendeva  bene; 
ed  ecco  il  Passarmi  a  far  subito  il  piacer  suo.  Spiegandogli,  dunque,  ciò 
eh'  ei  non  intendeva,  e  rinnovandogli  le  lodi  precedenti,  continua  ')  : 

Ammirai  ed  ammiro  in  ambedue  i  combattenti  l'onestà  dell' intendimento,  la  lealtà 
di  dirsele  chiare,  senza  offendere,  e  la  vicendevole  gara  di  accordarsi,  persuadersi,  e  sco- 
prire il  vero  per  finire  di  dirsi  (o  l'uno,  o  l'altro)  hai  ragione;  ho  torto.  A  questa  garbata 
e  santa  maniera  di  polemizzare  era  diretto  il  mio  plauso.  Vero  è  che  il  buon  Veratti 
anche  co'  suoi  70  in  80  anni  sa  mettere  a  prova  la  sua  vivacità;  ma  è  vivacità  di  gen- 
tiluomo e  di  galantuomo,  coni'  è  pur  vero  eh'  Ella  è  gentiluomo  e  galantuomo  suo  pari, 
ma  (forse  perchè  più  giovane)  è  di  lui  più  disposto  a  rimettersi,  più  desideroso  d'accordo. 

Appunto  de'  suoi  Dialoghi  e  delle  sue  carissime  versioni  dello  Schmid  io 

intesi  e  intendo  rallegrarmi.  Ho  detto  sempre  tra  me  eh'  Ella  sembra  nato  in  Toscana; 
ma  non  essendoci  nato,  s'è  nudrito  sempre  di  latte  toscano.  Voglio  dire:  Ella  ha  studiato, 
penetrato,  fatte  sue  le  opere  dei  migliori  nostri  cinquecentisti,  e,  se  non  sbaglio,  predi- 
lige i  familiari,  i  burleschi,  i  faceti.  E  ha  fatto  e  fa  benissimo  a  nutrirsi  di  loro.  Insomma 
Ella  scrive  come  oggi  pochi  scrivono  in  Italia,  e  malauguratamente  pochissimi  in  Toscana. 
E  qui  metto  un  altro  Bravo;  e  tiri  innanzi  sempre  così. 

E  qui  la  lascio  con  la   sicurezza  di   avermi   assicurata  la  conferma   della 

sua  benevolenza,  e  perciò  me  le  confermo  ecc. 


XVIII. 


Come  ho  detto  a  suo  luogo,  il  Moise  s'era  messo  di  buzzo  buono  a 
fare  un  nuovo  Compendio  della  Grammatica  grande,  Compendio  eh'  ei  chiamò 
Grammatica  di  mesgp  ;  anzi  verso  la  fine  del  1 880  egli  1'  aveva  già  beli'  e 
terminato.  Ma  il  nostro  autore  non  se  la  sentiva  di  metterlo  per  ancora  alla 
luce.  Perchè  ?  Prima  di  tutto,  perchè  in  quel  libro  egli  proponeva  ai  gio- 
vinetti studiosi  alcune  nuove  dottrine,  delle  quali  non  era  in  tutto  in  tutto 
sicuro  ;  poi  —  ed  era  questo  che  lo  faceva  stare  più  perplesso  —  era  la 
dottrina  del  Sì,  particella  mutante  numero  e  persona,  com'egli  la  chiama,  che 
gli  tormentava  il  cervello  2). 


')  Loco  cit.  pag.  22. 

')  Vedi  Strenna  istriana  pel  l'anno  1881,  Dialogo  secondo. 


—  205  — 

Ei  conviene  pertanto  sapere,  che  nel  corpo  dell'opera  grande  codesta 
Si  la  chiamò  il  nostro  Abate  particella  pronominale  soggettiva,  ma  poi  nelle 
Correzioni  e  Giunte  poste  in  fondi)  al  libro  egli  osserva  eh'  ella  potrebbe 
invece  considerarsi  come  particella  formativa  e  chiamarsi  particella  mutatile 
numero  e  persona  al  verbo  con  cui  si  accompagna.  Ora  nella  Grammatica  di 
mezzo  ei  la  prese  sotto  il  secondo  aspetto. 

Quantunque  il  nostro  autore  credesse  di  far  bene  così,  nonostante, 
quand'  ei  esaminava  questa  dottrina  per  lungo  e  per  largo,  sembrava  a  lui 
che  la  gli  facesse  qua  e  colà  una  qualche  grinza,  ond'egli  non  n'era  affatto 
affatto  contento.  Di  fatti,  racconta  egli  stesso,  dopo  aver  letto  quello  che 
scrisse  su  questa  5/,  non  ci  si  volle  acquietare,  e  ci  tornava  sopra  più  volte 
a  mente  fresca,  studiando  e  ristudiando  la  dottrina.  E  con  quanta  acutezza 
di  mente  e  fina  distinzione  egli  la.  risolvesse,  ora  parrà  da  quello  che  sto 
per  dire.  Pochi  assai  fra  i  grammatici  d'Italia,  come  il  Moise,  seppero  seguire 
ed  applicare  l'assioma  filosofico  del  qui  bene  distinguit  bene  docet.  Ed  in  questo, 
io  credo,  sta  la  maggiore  sua  grandezza. 

Nella  Grammatica  grande,  parlando  Del  Verbo  dice  : 

=  575)  Per  riguardo  alla  forma,  i  verbi  si  dividono  in  Verbi  di  forma  comune,  in 
Verbi  pronominali  e  in   Verbi  di  forma  pronominale.  = 

E,  detto  de'  Verbi  di  forma  comune  e  de'  Pronominali,  a  pag.  42 1  con- 
tinua così  : 

a  378)  Dì  forma  pronominale  noi  denominiamo  quei  verbi,  i  quali,  coniugandosi 
nelle  sole  terze  persone,  si  accompagnano  in  ambo  i  numeri  con  la  particella  si,  la  quale 
benché  non  sia  la  si  pronominale,  è  nondimeno  per  figura  identica  con  questa  e  dà  ai 
verbi  coi  quali  si  accompagni  la  forma  medesima  che  hanno  i  verbi  pronominali  nelle 
loro  terze  persone.  Tali  sono  lodarsi  (essere  o  venir  lodato),  leggersi  (essere  o  venir  letto), 
finirsi  (essere  o  venir  finito).  — 

Ora,  nella  Grammatica  di  mezzo,  si  trova  a  questa  regola  la  seguente 
aggiunta  : 

=  Anche  diciamo  di  forma  pronominale  que'  verbi,  i  quali,  coniugandosi  nella  sola 
terza  persona  del  singolare,  si  accompagnano  similmente  con  la  particella  si,  la  quale 
particella  si  non  è  la  si  pronominale,  ni  la  fi  di  cui  ragioniamo  qui  sopra,  ma  è  una 
particella,  che,  accompagnandosi  con  un  verbo  finito  singolare  di  terza  persona,  dà  a 
quello  la  significazione  che  ha  esso  verbo  nella  forma  della  prima  persona  del  plurale. 
Tali  sono  trovarsi  (trovare  [noi]),  parersi  (parere  [noi]),  morirsi  (morire  [noi]).  Li  diciamo 
di  forma  pronominale  per  la  medesima  ragione  che  denominiamo  cosi  i  precedenti  lodarsi, 
leggersi,  ferirsi. 

Quasi  tutti  i  Grammatici  moderni  parlano  della  prima  specie  di  questi  verbi  da  noi 


—    20é    — 

chiamati  di  forma  pronominale  ;  onde  non  occorre  che  ci  fermiamo  qui  a  spiegarli  agli 
studiosi.  Si  ci  fermeremo  piuttosto  a  spiegar  loro  questi  ultimi,  di  cui  non  fa  parola,  che 
noi  si  sappia,  nessun  Grammatico.  Ne  addurremo  parecchi  esempj,  dandone,  al  solito,  la 
spiegazione  in  parentesi,  zzi 

Ora  al  nostro  Abate  allegavano  un  poco  i  denti  quelli  infiniti  trovarsi, 
parersi,  morirsi,  perchè  i  siffatti  verbi  non  s'  usano  mai  nell'  infinito.  Ben 
sapeva  però  che  ad  indicare  un  verbo  se  ne  cita  sempre  l' infinito,  o  sia 
questo  o  non  sia  in  uso.  Infatti  tanto  ne'  Vocabolarj  che  nelle  Grammatiche 
si  leggono  Alere,  Fervere  Molare,  Tepere,  Urgere  e  altri  infiniti  di  verbi 
difettivi,  quantunque  tali  infiniti  sieno  affatto  fuor  d'  uso. 

Pigliamo,  dei  tanti  addotti  dal  nostro  grammatico,  alcuni  esempj. 

;=  Dalla  loro  archibuseria  si  sarebbe  offesi  (Cioè,  saremmo  offesi)  —  Amiamo  or 
quando  Esser  si  puote  riamati,  amando  (Cioè,  Esser  possiamo  riamati)  —  Che  la  ponete 
(1'  esistenza)  tra  le  cose  del  mondo  di  là,  eh'  ella  ci  abbia  a  toccare  solamente  quand'  e' 
s'  e'  morti?  (Cioè,  quando  siamo  morti?  In  questo  esempio  la  particella  e'  ci  sta  puramente 
per  ripieno),  ecc. 

Insegnano  alcuni  grammatici  che  questa  Si  non  è  altro  che  la  Si  pas- 
sivante e  che  i  costrutti  dove  c'entra  questa  particella  sono  ellittici,  essendovi 
sottinteso  un  nome  o  un  pronome  o  un  aggettivo  retto  dalla  preposizione 
da  il  quale  è  l'agente  del  verbo  passivo,  e  che,  quando  alla  Si  è  premesso 
un  noi  o  un'altra  voce  avente  apparenza  di  soggetto,  quel  noi  o  quell'altra 
voce  dipende  similmente  dalla  preposizione  da  la  quale  per  ellissi  rimane 
Cicciuta.  Se  non  che  a  questa  dottrina  fanno  contro  parecchi  esempj  addotti 
dal  Moise,  e  dai  da  lui  allegati  qui  sopra  subito  il  primo  —  Dalla  loro 
archibuseria  si  sarebbe  offesi.  Qui  l'agente  del  verbo  è  beli'  ed  espresso,  e  il 
sarebbe  offesi  è  da  sé  verbo  passivo  e  però  non  ha  bisogno  che  la  Si  lo  faccia 
tale.  Pigliamo  un  pajo  di  altri  esempj.  —  Si  par  di  carne  e  siamo  costole  e 
stinchi  ritti.  Non  si  capisce  qui  come  il  verbo  intransitivo  parere  possa  farsi 
passivo  e  come  gli  si  possa  suppor  sottinteso  un  agente  retto  dalla  prepo- 
sizione da;  ragion  vuole  invece  dover  avere  uno  stesso  soggetto  e  il  verbo 
si  pare  e  il  verbo  siamo  ;  onde  che,  se  soggetto  di  siamo  è  il  pronome 
sottinteso  noi,  debb'esser  pure  soggetto  di  si  pare.  —  Tutti  si  manca,  tutti 
possiamo  trovarci  nel  caso  di  meritare  un  gastigo.  Le  stesse  osservazioni  fatte 
sull'esempio  antecedente  valgono  anche  per  questo.  —  Ci  si  divertì  tanto! 
Qui  non  si  può  capire  come  il  verbo  si  divertì  possa  essere  passivo,  ne 
quale  ne  possa  essere  l'agente,  ne  che  cosa  ci  abbia  a  fare  la  particella  Ci. 

E  il  nostro  autore,  nella  Grammatica  di  mezzo,  continua  la  sua  regola 
come  segue  : 


—  207  — 

=  Come  si  vede  dagli  esempj,  i  verbi  che  si  accompagnano  con  questa  particella, 
se  non  sono  attivi,  prendono  sempre  gli  aggiunti  in  plurale;  se  poi  sono  attivi,  o  con- 
servano invariata  la  desinenza  in  o  del  loro  participio  o  accordano  il  participio  con 
l'oggetto,  e  prendono  sempre  essere  per  ausiliario  (e  prendono  sempre  essere  per  ausiliario 
anche  i  non  attivi),  allo  stesso  modo  che  nel  Capo  antecedente  abhiam  veduto  farsi  coi 
verbi  regolati  dalla  particella  Si,  nome  o  aggettivo  indistintivo. 

La  particella  Si  dei  verbi  di  forma  pronominale  della  prima  specie,  qualunque  signi- 
ficato per  sé  ella  abbia,  ha  la  proprietà  di  dare  al  verbo  attivo  o  intransitivo  o  passivo 
adoprato  attivamente  con  cui  si  accompagna  la  significazione  passiva,  e  per  questa  sua 
proprietà  di  mutare  il  verbo  di  attivo  in  passivo  è  con  tutta  ragione  denominata  dai 
Grammatici  particella  passivatile.  La  Si  poi  dei  verbi  di  forma  pronominale  della  seconda 
specie,  qualunque  ne  sia  similmente  1'  originaria  significazione,  indica,  come  qui  sopra 
abbiam  detto,  che  il  verbo  finito  in  terza  persona  singolare  con  cui  si  accompagna  piglia 
il  significato  eh'  esso  ha  nella  prima  persona  plurale,  e  però  noi  la  chiamiamo  partitella 
mutante  numero  e  persona  (sottintendi,  al  verbo  finito  col  quale  si  accompagna).  = 

r=  273)  Pronominali  e  di  forma  pronominale  noi  diciamo  quei  verbi,  i  quali,  coniu- 
gandosi nella  sola  terza  persona  del  singolare,  si  accompagnano  ad  un  tempo  con  la 
particella  pronominale  ci  e  con  la  particella  si  mutante  numero  e  persona.  Tali  sono 
amarcisi  (amarci  [noi]),  volercisi  (volerci  [noi]),  divertircisi  (divertirci  [noi]).  =  E  qui 
segue  una  serie  di  esempj  appropriati. 

Ora  la  dottrina  su  questa  Si  mutante  numero  e  persona,  oltre  che  originale, 
la  pareva  al  Moise  savia  e  ragionata;  ma  ei  prevedeva  che  codesta  novità 
la  darebbe  nel  naso  ai  Grammatici;  ecco.  Esitò  molto,  come  ho  detto,  ma 
poi  gettò  ogni  scrupolo,  come  fece  in  tant'  altre  occasioni,  quando  vedeva 
che  una  cosa  la  gli  tornava,  e  andava  dritto  come  un  fuso  fino  in  fondo, 
lasciando  che  chi  vuol  dire  dica. 

Per  i  verbi  di  forma  pronominale  della  seconda  specie  lui  non  si 
scomponeva  punto  punto;  quelli  che  lo  confondevano  erano  i  verbi  ch'egli 
dice  appartenere  a  due  classi,  ossia  quelli  che  sono  ad  un  tempo  e  pro- 
nominali e  di  forma  pronominale. 

Ma  questi  benedetti  verbi  —  ragionava  il  Moise  —  appartengono  o 
non  appartengono  a  due  classi  ?  E,  se  appartengono  veramente  a  due  classi, 
perché  s'  ha  a  dire  che  appartengono  a  una  sola  ?  —  Ecco  il  ragionamento 
che  faceva  il  Moise.  Ma  era  tentato  di  tirar  via  senza  farne  parola,  come 
se  non  ci  fossero.  Eppure  queste  forme  verbali  le  aveva  usate  anche  il 
Fanfani  e  lo  Zannoni,  e  altri  ancora  —  dai  quali  il  nostro  autore  trasse 
varj  esempj  —  e  se  ci  sono  questi  verbi,  perchè  fingere  che  non  ci  sieno? 
Quello  che  faceva  tentennare  il  Moise  era  questo,  che  gli  esempj  più  antichi 
eh'  egli  ne  adduce  sono  quelli  dello  Zannoni;  e  Io  Zannoni  è  scrittore  di 
questo  secolo. 

Ma  posto  ancora  che  gli  scrittori  de'  secoli  passati  non  abbiano  mai 
usate  queste  forme  verbali,  il  Moise,  come  Grammatico,  doveva  nonostante 


—    208    — 

farne  parola  ai  giovinetti  studiosi;  che  non  solo  la  lingua  antica  doveva 
egli  insegnar  loro,  ma  si  ancora  la  moderna,  e  non  solo  la  lingua  in  ghingheri, 
ma  si  quella  altresì  che  per  loro  uso  e  consumo  spendono  a  tutto  andare 
i  beceri  e  le  ciane. 

Dal  momento  che  avea  parlato  del  Si  pare,  approvandolo,  e'  conveniva 
necessariamente  parlare  ancora  del  Ci  si  divertì.  E  si  decise  alfine,  come 
vedemmo,  pensando  giustamente  che  quando  in  un  secolo  qualunque  della 
lingua  si  trovano  ne'  buoni  scrittori  tanti  esempj  d' una  forma  grammaticale, 
che  bastino  a  mostrarne  1'  uso,  sia  dovere  assoluto  d'  un  Grammatico  di 
far  nota  agli  studiosi  quella  forma  e  di  spiegarne  loro  la  ragione.  E  questo 
era  proprio  il  caso  nostro. 

E  fin  qui  la  delicata  coscienza  del  Moise  riposava  tranquilla.  Ma  poi 
gì'  insorgeva  lo  scrupolo  del  buon  uso  di  questi  verbi,  che  non  è  si  facile 
come  altri  per  avventura  potrebbe  credere  :  onde  noi  vediamo  talora  alcuni 
uomini  dotti  non  toscani  abusarne  sconciamente  nelle  loro  scritture  e  beccarsi 
poi  le  derisioni  de'  Toscani.  Ora,  se  questo  avviene  a'  maestri,  che  non 
avverrebbe  ai  giovinetti,  se  costoro  si  credessero  atti  ad  usarne  ?  D'  altra 
parte,  che  male  sarà,  se  i  giovinetti  in  siffatto  e  altri  esempj  si  varranno 
delle  forme  ordinarie  e  da  tutti  approvate  Ci  divertimmo  ecc.  ? 

Non  è  così.  Un  Grammatico  —  ammoniva  la  coscienza  —  deve  dare 
agli  studiosi  un'idea  chiara  di  questi  verbi  e  indicarne  il  retto  uso.  Ch'ei 
dia  poi  facoltà  ai  medesimi  di  adoperarli  liberamente,  questo  è  un  altro  par 
di  maniche.  Di  tanti  altri  usi  parla  il  nostro  autore  nella  sua  Grammatica, 
i  quali  poi  consiglia  i  giovani  di  non  imitare.  Or  bene:  faccia  egli  il 
medesimo  anche  di  questo.  Se  nella  sua  Grammatica  introdusse  tante  e 
tante  novità  di  cui  nessun  Grammatico  prima  di  lui  aveva  mai  iatto,  o 
perchè  si  farà  poi  scrupolo  d' introdurvi  questa  ancora  de'  verbi  pronominali  e 
di  forma  pronominale  ?  Il  suo  era  lo  scrupolo  del  tarlo,  il  quale,  qualmente 
dice  la  novellina,  aveva  roso  il  Cristo,  e  poi  ci  aveva  di  coscienza  a  roder 
la  croce  a  cui  quello  era  attaccato.  Tanto  più  che  nessuno  fé'  contro  a 
queste  sue  novità,  se  ne  togliamo  quel  che  disse  il  Fanfani  sulla  particella 
ci  presa  in  significato  di  A  lui,  A  lei,  A  loro;  e  quel  che  disse  il  Veratti 
della  Si,  particella  passivante;  sebbene  quest'ultima  non  sia  invenzione  del 
nostro  autore;  ma  del  Gherardini  da  cui  la  tolsero  non  solo  il  nostro  autore, 
ma  più  altri  Grammatici  e  Filologi. 


—  209  — 


XIX. 


E  qui  mi  cade  di  discorrere  di  un  altro  battibecco  che  il  nostro  autore 
ebbe  col  eh.  filologo  modenese.  Non  era  che  il  Veratti  non  approvasse  la 
Si  passivante,  ma  non  approvava  il  nome  che  il  Moise,  togliendolo  da  altri, 
addotto  di  passivante. 

In  fatti  il  Veratti  scrisse  ')  : 

Passivante.  —  Brutto  neologismo  di  Giov.  Gherardini  per  sostenere  la  sua  teoria 
che  in  italiano  si  adoperi  la  particella  Si  per  formare  veri  verbi  passivi.  Ma  nessuna  lingua 
moderna  europea  di  origine  latina,  ne  teutonica,  ha  forme  di  conjugazione  passiva  ; 
sebbene  per  mezzo  di  ausiliari  significhino  ciò  che  il  latino,  il  greco,  l'ebraico  dicevano 
con  le  forme  loro  veramente  passive. 

Chi  vuole  vero  passivo  in  lingue  moderne  europee  deve  cercarlo  nel  danese  e  nello 
svedese.  Ivi  lo  troverà,  perchè  vi  è.  Nelle  altre,  per  vedervelo,  bisogna  supporvelo  e 
travisare  la  grammatica  nostra  per  piegarla  alla  nomenclatura  de'  grammatici  latini. 

Ma  quelle  frasi  italiane  corrispondono  ad  un  passivo  latino,  e  si  potrebbe  voltare 
in  latino  con  verbi  di  conjugazione  passiva.  —  E  per  ciò?  Altre  frasi  italiane,  per  esempio 
il  verso  di  Dante 

Ambo  le  man  per  dolor  mi  morsi, 

le  potreste  tradurre  in  greco  od  in  ebraico  con  nomi  usati  nel  Duale.  Direte  per  questo 
che  tAmbo,  E n li limbo,  ^ìmbedue,  ecc.  sono  forme  italiane  pel  numero  duale,  e  che  si  ha 
da  chiamarle  dualanti?  A  senno  mio  tanto  quanto  il  diialante  vale  il  passivante. 

E  neppur  questa  osservazione  la  ci  andò  al  nostro  Abate,  per  la  ragione 
appunto  che  il  dilatante,  secondo  lui,  non  valeva  il  passivante.  Ed  ecco  il 
perché  e  il  come  ei  la  spiegava  s). 

Passivante  vuol  dire  Che  fa  passivo.  E  perchè  diciamo  noi  passivante 
la  particella  Si  ?  La  diciamo  passivante  per  la  proprietà  che  ha  questa  par- 
ticella di  far  passivo  il  verbo  attivo  che  con  lei  si  accompagna,  ossia  di 
dare  a  quel  verbo  attivo  la  significazione   passiva.    Dice,   legge,   vede   sono 


•)  Strenna  modenese  per  l'anno   1879,  Pa8-  49- 

*)  Strenna  istriana  per  l'anno  1881,  Dialogo  secondo  in  fine, 


—    210    — 

verbi  attivi,  corrispondenti  ai  latini  dicit,  legit,  videt.  Ora  mettiamo  loro 
avanti  o  dietro  la  particella  Si,  e  avremo  si  dice  o  dicesi,  si  legge  o  leggesi, 
si  vede  o  vedesi,  verbi  non  più  attivi,  ma  passivi,  cioè  aventi  la  significazione 
passiva,  e  che  corrispondono  ai  latini  dicit ur,  ìegitur,  videt ur.  —  E  ciò 
è  chiaro. 

In  quanto  al  dilatante,  osserva  in  primo  luogo  che  noi,  i  quali  nella 
nostra  lingua  non  abbiamo  il  numero  duale  e  per  i  quali  tanto  l'aggettivo 
Due  quanto  1'  aggettivo  Cento  è  di  numero  plurale,  non  diremo  mai  che 
gli  aggettivi,  Ambo,  Entrando,  Ambedue  ecc.,  sono  forme  italiane  pel  numero 
duale,  senz'  altro;  sì  bene  potrebbero  dire,  come  disse  il  Veratti,  quei  popoli 
che  nelle  loro  lingue  hanno  il  numero  duale.  Non  credeva  peraltro  ch'essi 
li  direbbero  mai  dilatanti;  perchè,  ove  dicesser  così,  si  potrebbe  credere 
intender  eglino  che  sono  appunto  le  suddette  voci  che  fanno  duali  i  nomi 
i  quali  loro  vengon  dopo,  il  che  non  è  vero.  Osserva  in  secondo  luogo 
che  gli  aggettivi  Ambo,  Entrando,  Ambedue  ecc.,  non  hanno  niente  che  fare 
colla  particella  Si,  né  si  possono  in  alcun  modo  mettere  fra  loro  a  confronto. 
E  vaglia  il  vero,  i  detti  aggettivi  hanno  ciascuno  da  sé  il  loro  proprio 
significato,  laddove  la  particella  Si  per  sé  stessa  nulla  significa,  e,  se  vogliamo 
eh'  ella  significhi  qualche  cosa,  conviene  che  la  preponiamo  o  posponiamo 
ad  un  verbo  attivo  di  terza  persona,  come  or  ora  fu  detto.  E'  non  è  vero 
dunque  che  tanto  quanto  il  dualante  vale  il  passivante;  perchè  dilatante 
sarebbe,  secondo  il  Veratti,  un  nome  o  un  aggettivo  o  un  pronome  o  un  verbo 
(le  quali  sole  tra  le  parti  del  discorso  hanno  numeri)  da  usare  nel  numero 
duale;  onde  la  Si  passivante  sarebbe,  secondo  lui,  un  verbo  (essendo  il  verbo 
la  sola  delle  parti  del  discorso  che  abbia  conjiigazione)  da  usare  nella  conju- 
gazione passiva.  Ma  la  Si  passivante  non  è  no  un  verbo  da  usare  nella 
conjugazione  passiva,  ma  sì  una  particella  che  fa  passivo  il  verbo  naturalmente 
attivo  con  cui  si  accompagna,  ossia  una  particella  che  dà  ad  esso  verbo 
naturalmente  attivo  la  significazione  passiva,  come  fu  detto  di  sopra. 

Il  ragionamento  cammina  tanto  a  vele  gonfie,  da  poter  conchiudere, 
che  l'avvertimento  del  Veratti  nulla  prova  contro  il  passivante  gherardiniano, 
difeso  oltre  che  accettato  dal  nostro  autore,  e  che  però  non  è  vero  eh'  ei 
sia  un  brutto  neologismo  e  che  lo  si  debba  proscrivere. 

Del  resto  —  osserva  sempre  il  Moise  —  il  Filologo  modenese  salta 
il  canapo  quando  dice  che  il  Gherardini  sostiene  avere  noi  Italiani  veri 
verbi  passivi,  ossia  verbi  aventi  forma  di  conjugazione  passiva,  come  li 
avevano  i  Greci  e  i  Latini.  Il  Gherardini  non  dice  questo,  ma  dice  anzi 
che  «  quanto  a'  verbi  passivi,  la  lingua  italiana  si  serve  dell'  ausiliario  Essere, 
»  o  talvolta  dell'  ausiliario  Venire,  o  pure  della  particella  passivante  Si,  con 


-      211 


»  quelle  regole  e  avvertenze  che  le  buone  Grammatiche  additano  ')  ».  E  se 
a  pag.  305  della  medesima  opera  egli  insegna  che  «  la  particella  Si  ci  serve 
»  a  dare  a'  verbi  nell'  infinito  o  nelle  terze  persone  degli  altri  modi,  o  ne' 
»  gerundj  la  forma  passiva  »,  qui  egli  adopera  abusivamente  la  voce  forma 
per  1'  altra  voce  significazione,  come  manifestamente  si  vede  da  quel  eh'  ei 
dice  nella  sottoposta  nota  :  «  I  Francesi,  in  vece  della  particella  Si,  adoperano 
»  la  loro  corrispondente  se  per  dare  talvolta  ancor  essi  ad  un  verbo  attivo 
»  la  significazione  passiva....  Il  medesimo  fanno  pur  li  Spagnuoli  ».  Che 
se  alcuna  volta  ei  parla  di  forma  attiva  e  di  forma  passiva,  dice  così  per 
distinguere  1'  una  maniera,  eh'  è  d'  una  voce  sola  ed  ha  significato  attivo, 
dall'altra,  eh' è  formata  di  due  voci  ed  ha  significato  passivo;  ma  non  dice 
già  che  come  semina  corrisponde  perfettamente  al  latino  seminalur,  e  dimostra 
in  quello  scambio  che  tra  semina  ed  è  seminalo  e'  è  una  grande  differenza 
di  significazione  '). 


XX. 


Che  la  Grammatichetla  sia  stata  gradita  e  proficua,  e  che  al  suo  autore 
non  sia  accaduto  altrimenti  d'essersi  pentito  d'averla  scritta,  manifesto  apparì 
dal  grande  spaccio  eh'  ebbe  in  Italia  e  in  ispecie  nelle  provincie  del  Piemonte 
e  della  Liguria,  dove  in  parecchie  scuole  fu  introdotta  come  libro  di  testo. 
Essendone  pertanto  esaurita  la  prima  edizione  e  venendone  al  nostro  Abate 
fatte  continue  ricerche  da  più  parti,  ei  commise  al  tipografo  Polverini, 
direttore  della  tipografia  del  Vocabolario  di  Firenze,  di  farne  una  ristampa 
e  di  appagare  cosi  i  desiderj  de'  maestri  ai  quali  non  pareva  vero  che  i  loro 
scolari  ne  facessero  uso  ').  Ed  è  così  che  nell'anno  1881  è  uscita  la  seconda 
edizione  della   Grammatichetta. 

A  parlarne  si  fé"  pronto  il  Veratti  negli  Opuscoli  di  Modena  '),  poi  il 
Gamurrini  nel  Fanfani*). 


')  Appena"    Gramm.  hai.  pag.  170,  nota. 

-)  Vedi  Op.  cit.  pag.  170-171. 

3)  Vedi  'Prefazione  alla  seconda  edizione  della  Grammatichetta.  In  fine. 

>)  Serie    |,  toni,  y,  pag.  477. 

5)  Anno  1,  n.  il,  pag.   176. 


—   212   — 

Or  ecco  quel  che  dice  il  primo  : 

Esaurita  la  prima  edizione  del  1874,  eccone  una  seconda,  dall'autore  in  varj  luoghi 
emendata  e  accresciuta.  Il  largo  spaccio  della  prima,  e  l' essere  stata  adottala  questa 
Grainmatichctta  in  non  poche  scuole  con  vantaggio  degli  scolari  e  aggradimento  dei 
maestri,  rende  assai  facile  e  sicura  la  previsione  del  non  meno  favorevole  accoglimento 
di  questa  seconda. 

Le.son  poche  parole,  ma  molte  sugose,  e  che  tornano  a  grande  onore 
al  nostro  Abate. 

Ed  ecco  quel  che  dice  il  secondo  : 

Il  sig.  Gamurrini,  dopo  aver  discorso  lungamente  del  bisogno  che 
hanno  tutti  di  studiar  la  Grammatica,  conchiude  così  il  suo  articolo  : 

L'Italia  oggidì  possiede  un  gran  numero  di  grammatiche  dalle  più  diffuse  alle  più 
elementari,  di  modo  che  ve  ne  sono  per  tutte  le  capacità.  Non  ultima  fra  tanta  dovizia 
ci  giunge  la  Grammatichetta  che  il  sig.  Abate  Giov.  Moise  dedica  ai  fanciulli  studiosi,  da 
cui,  se  questi  saranno  veramente  studiosi,  potranno  ritrarre  un  abbondante  frutto  intel- 
lettuale, ed  imparare  P  arte  assai  difficile  di  esporre  i  propri  concepimenti  con  ordine, 
con  proprietà  e  con  chiarezza.  Una  prova  per  asserire  che  questa  Grammatichella  nel  suo 
genere  racchiude  in  se  pregi  non  comuni  si  desume  dal  grande  spaccio  e  pronto  esito 
della  prima  edizione,  e  dalle  continue  richieste  che  da  più  parti  se  ne  fanno  all'autore, 
dalle  quali  venne  indotto  a  ristamparla  con  qualche  aggiunta  e  correzione.  Ci  congratu- 
liamo col  sig.  Abate  Moise  della  sua  pregevole  fatica  e  ci  lusinghiamo  che  la  gioventù 
studiosa  ne  tragga  profitto. 

Per  chi  noi  sapesse,  il  sig.  Oreste  Gamurrini,  vergatore  delle  sopra 
citate  linee,  è  un  bravo  scrittore,  addetto  alla  Libreria  Mediceo-Laurenziana 
di  Firenze  :  è  aretino  di  nascita  e  cugino  di  Gianfrancesco  Gamurrini,  celebre 
archeologo. 

A  proposito  di  questa  Grammatichetta,  io  aveva  tentato  qualche  anno 
appresso  eh'  eli'  era  uscita  per  la  seconda  volta  alla  luce,  di  farla  accettare 
anche  nelle  nostre  scuole  dell'  Istria.  Saputone  un  tanto,  il  buon  Abate  mi 
scriveva  in  data  del  31  marzo  1883  :  «  Desidero  che  vadano  a  bene  le  tue 
prove  per  la  Grammatichetta,  ma  ci  ho  poca  speranza.  Molto  meglio  vanno 
gli  affari  miei  col  Ministero  ungherese,  e  spero,  anzi  son  quasi  certo,  che 
nel  Ginnasio  di  Fiume  sarà  ammessa  come  testo  di  scuola  la  mia  Grammatica 
di  mcjgo.  A  Buda-Pest  le  cose  vanno  più  spiccie  che  non  a  Vienna.  I 
professori  di  Fiume  risolvono  di  prendere  un  libro  per  testo:  ne  scrivono 
'ài  ministro:  il  ministro  approva,  e  il  libro  senz'altro  resta  approvato.  Da 
noi  invece  ci  vuole  il  Consiglio  scolastico  e  tante  altre  cerimonie  ....  »  — 
E  il  povero  Abate  fu  vero  profeta. 


213   — 


XXI. 


Eravamo  già  all'anno  1882,  e  la  Grammatica  di  mago  del  nostro  Abate 
avea  ancor  da  comparire,  quantunque,  come  s' è  detto,  ella  fosse  beli'  e 
pronta  fino  dal  1880.  Perchè?  Sia  per  acciacchi,  sia  per  stanchezza,  sia  per 
altra  cagione,  l'Abate  non  era  più  da  riconoscerlo.  Il  suo  antico  coraggio 
se  n'era  ito:  era  diventato  sempre  dubbioso,  sempre  incerto,  pigliava  ombra 
di  tutto  e  non  dava,  per  usare  d'una  sua  espressione,  né  in  tinche  né  in  ceci. 

In  questo  frattempo  però  era  succeduto  un  fatto,  che  avea  molto  con- 
corso a  renderlo  trepidante  ').  Un  filologo  suo  amico,  né  saprei  dire  chi 
fosse,  dopo  letta  la  Strenna  del  1881,  gli  faceva  per  lettera  un  mondo  di 
elogi  e  portava  a  cielo  la  nuova  dottrina  da  lui  proposta  ; 

se  non  che,  continuava  egli,  nella  vostra  Grammatica  voi  avete  a  fare  un'altra 

innovazione,  se  volete  che  la  sia  utile  veramente  alla  gioventù  studiosa  e  la  sia  ammessi 
come  libro  di  testo  nelle  nostre  scuole. 

Bisogna  che  seguiate  anche  voi  il  metodo  de'  Grammatici  tedeschi,  come  fra  i  nostri 
hanno  latto  i  Professori  Fornaciari  e  Demanio,  i  quali  si  sono  attenuti  strettamente  al 
metodo  seguito  da  Federico  Diez  nella  sua  Grammatica  delle  lingue  romance  Né  crediate 
già  che  a  far  questo  avrete  a  durar  molta  fatica:  e'  vi  basta  aggiungere  alla  vostra  Gram- 
matica due  soli  trattati,  cioè  il  trattato  de'  suoni  e  quello  della  formartene  delle  parole. 

Oh,  una  budellata  di  nulla  !  —  Dopo  questo  avvertimento  il  povero 
Abate  avea  perduto,  come  si  suol  dire,  i  sonni  ;  era  diventato  pensieroso 
e  imbuzzito.  Infatti  ei  non  si  poteva  persuadere  che,  a  rendere  accettabile 
la  sua  Grammatica,  che  gli  aveva  costato  tanta  fatica,  e  che  l'avea  «  fatto 
per  più  anni  macro  »,  fosse  necessario  di  rimpinzarla  ora  coi  sopra  detti 
due  trattati. 

Il  metodo  del  Diez  —  chi  noi  sa?  —  è  bello  e  buono,  ma  parliamoci 
chiaro,  non  fa  per  noi.  Indubitato  che  una  Grammatica  della  lingua  italiana 
fatta  a  quel  modo  varrebbe  sì  a  infondere  ne'  giovani  studiosi  di  molta 
erudizione,  ma  non  varrebbe  a  far  loro  apprendere  a  ben  parlare  e  a  ben 
scrivere  in  italiano. 


')  Vedi  Strenna  istriana  per  l'anno  1882,  Dialogo  secondo. 


—  2r4  — 

Sorretto  da  un  tale  convincimento,  si  rimise  nell'animo  e  non  ci  pensò 
più  al  suggerimento  del  filologo.  Questi  però,  dopo  qualche  tempo,  ribattè 
ancora  con  una  nuova  lettera  al  Moise  la  sollecitazione  di  prima,  e  l'Abate 
a  ricadere  ancora  nelle  angustie  ;  finché,  considerata  e  pesata  bene  ogni  cosa 
e  passati  più  mesi,  pensò  di  consultare  su  questo  proposito  il  dotto  professore 
Raffaello  Fornaciari,  il  quale  da  parecchi  anni  l'onorava  della  sua  benevo- 
lenza ;  e  gli  scrisse  così  : 

Cherso,  4  marzo  1881.  —  Gentilissimo  e  amorevolissimo  Signor  mio,  Ricorro  a 
V.  S.  per  consiglio  in  una  cosa  che  mi  sta  grandemente  a  cuore;  e,  perch'Elia  m'intenda 
bene,  Le  racconterò  tutto  per  filo  e  per  segno.  La  stia  dunque  attento. 

Quand'  io  nel  1876  era  a  capelli  col  Cattaneo,  conosceva  sì  per  fama  il  Professore 
Federico  Diez,  ma  non  ne  aveva  letta  per  anco  la  Grammatica  detlt  lingue  romance;  se 
non  che,  dicendomi  lui,  vo'  dire  il  Cattaneo,  che  oggidì  non  si  può  fare  progressi  in  filologia 
sen^a  studiare  le  opere  de'  Tedeschi,  e  ripetendomi  alcuni  altri  letterati  che  un  Italiano  non 
può  scrivere  una  buona  Grammatica  della  sua  lingua  senz'avere  prima  ben  letta  e  studiata  quella 
del  Die\,  scrissi  in  fretta  e  furia  al  librajo  Giulio  Dase  a  Trieste  e  lo  pregai  d' inviarmela 
quanto  prima  per  mezzo  della  posta.  Il  Dase,  avuta  appena  la  mia  lettera,  die'  commis- 
sione al  librajo  Weber  di  Bonna  di  spedirmela,  e  dopo  un  dieci  o  dodici  giorni  mi  vidi 
venir  davanti  il  postino  con  un  grande  plico  dove  e  erano  tre  grossi  volumi  in  160 
grande  e  un  quarto  di  98  pagine,  che  comprendevano  appunto  1'  opera  da  me  tanto 
desiderata  del  Diez.  Mi  messi  tosto  a  leggerla  e  in  poco  tempo  1'  ebbi  corsa  tutta,  am- 
mirando sì  bene  e  lodando  il  lavoro  del  Filologo  tedesco,  non  valendo  tuttavia  a  com- 
prendere esser  vero  ciò  che  asserivano  il  Cattaneo  e  quelli  altri  letterati. 

Nella  seconda  edizione  della  Grammatica  che  pubblicai  nel  78  non  feci  uso  veruno 
dell'opera  del  Diez,  non  credendo  necessario  di  farlo.  In  seguito,  avendo  io  quasiché  in 
pronto  per  la  stampa  la  Grammatica  di  meno,  un  amico  mi  eccitava  a  introdurre  in  quel 
lavoro  o  in  tutto  o  in  parte  la  dottrina  dieziana,  e  a  ciò  mi  eccitava  per  due  ragioni  : 
i°  perchè,  non  facendo  io  cenno  dell'opera  del  Diez,  —  o  mostrerei  di  non  conoscerla, 
il  che  certo  non  mi  farebbe  onore,  —  o  mostrerei  di  sprezzarla,  il  che  alienerebbe  da 
me  l'animo  de'  Professori  che  seguono  il  metodo  del  Diez,  de'  quali  Professori  tanti  ce 
n' è  in  Italia;  20  perchè,  continuando  io  col  metodo  seguito  ne'  miei  lavori  precedenti 
senza  punto  valermi  delle  dottrine  dieziane,  priverei  gli  studiosi  di  molte  utilissime  co- 
gnizioni. Ora,  quantunque  io  fossi  pochissimo  persuaso  di  siffatte  ragioni,  pure  non  volli 
oppormi  alle  incessanti  preghiere  dell'  amico,  e,  ripresa  in  mano  l'opera  tedesca  e  datale 
da  capo  una  scorsa  generale,  conchiusi  che  le  innovazioni  le  quali  io  poteva  fare  alla 
Grammatica  di  meno  si  riducevano  (come  appunto  mi  scriveva  1'  amico)  ad  aggiungervi 
due  Capi,  l'uno  della  dottrina  de'  suoni  da  porre  nel  libro  I  dopo  l'Accento  e  l'altro  della 
formatone  delle  parole  da  porre  alla  fine  del  libro  II.  Mi  détti  dunque  di  buzzo  buono  a 
fare  un  Compendio  di  quei  due  Capi,  durante  il  qual  lavoro  (che  durò  un  mese  intero  e 
mi  fé'  sudar  sangue)  io  teneva  tuttavia  davanti  agli  occhi  1'  opera  tedesca  e  ai  lati  i 
nostri  due  Compendj,  a  sinistra  quello  del  Fornaciari  e  a  destra  quello  del  Demanio. 

Se  avanti  di  mettermi  al  lavoro  n'  era  poco  persuaso,  dopo  il  lavoro  ne  restai 
persuaso  ancor  meno,  e  conchiusi  d'  aver  fatto  con  quel  mio  Compendio  un'  opera  inutile 
o  quasi  inutile  ai  giovanetti  studiosi  per  i  quali  è  destinata  la  Grammatica  di  meno.  In 
1°  luogo,  che  importa  ai  giovanetti  di  tanta  erudizione?  la  sarà  buona  bonissima   per  i 


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maestri,  ma  agli  scolari  io  non  vedo  come  la  possa  riuscir  utile,  quando  da  quella  essi 
nulla  imparano  che  serva  loro  a  parlare  e  a  scriver  bene.  In  2°  luogo  il  Diez  tira  più 
volte  a  indovinare,  segnatamente  sulla  formazione  delle  parole;  ondechè  i  giovanetti, 
seguendo  il  Diez,  seguirebbero  un  maestro  poco  sicuro.  Voglio  recarle  qui  alcuni  esempj. 
—  Ei  vuole  che  dove  derivi  da  de-ubì  e  gire  da  de-ire:  ma  vede  chiunque  che  ciò  non 
può  esser  vero;  perchè  da  una  parte  la  prep.  de  altera  necessariamente  il  valore  di  ubi 
e  quello  d' ire,  e  dall'  altra  tutti  sanno  che  dove  importa  ubi  e  gir»  ire.  Io  non  capisco 
poi  perchè  in  gire  ei  non  iscorga  un  g  eufonico  preposto  ad  ire.  Non  dicevano  anche  i 
Latini  gnatus  per  noiosi  e  non  diciamo  noi  pure  gnudo  e  ignudo  per  nudo,  e  gradinolo  e 
graspo  per  racimolo  e  raspo  ?  —  Il  dimostrativo  esto  e'  lo  deriva  da  iste  o  istic.  Ma  chi 
non  sa  che  esto  è  lo  stesso  che  questo!  Eppure,  secondo  il  Diez,  questo  non  viene  già  da 
iste,  ma  si  d.i  eccu'  iste;  dunque  esto,  secondo  lui,  non  è  più  questo.  —  Similmente  il 
pronome  egli  ei  Io  cava  da  ille  o  illic,  e  il  dimostrativo  quello  da  eccu'  tue.  Ma  chi  ha 
detto  al  Diez  che  eccum  è  lo  stesso  che  ecce?  Secondo  i  nostri  lessicografi,  eccum  non  è 
ecce,  ma  è  ecce  eum.  Oh  che  pasticcio! 

Conchiudiamo.  Tutto  questo  io  Le  scrivo  per  sapere  che  cosa  pensa  V.  S.  su  questo 
proposito.  Che  l'opinione  di  Lei  non  sia  quella  del  Cattaneo  e  di  quelli  altri  signori,  io 
lo  so  bene;  perchè  altrimenti  Ella  non  m'avrebbe  scritto  alcuni  mesi  addietro  che  la 
mia  è  la  più  compiuta  Grammatica  che  abbia  V  Italia:  nonostante  io  vorrei  eh'  Ella  mi 
parlasse  più  diffusamente  su  questo  punto  e  mi  aprisse  francamente  e  schiettamente 
l'animo  suo.  E  scusi  se  l'ho  infastidita  con  la  mia  lungagnata. 

Io  starò  aspettando  con  impazienza  una  sua  risposta.  Ella  intanto  stia  bene,  mi 
conservi  la  sua  benevolenza  e  mi  creda  sempre  suo  obbligassimo  e  devotissimo  servitore. 

Questa,  come  ognun  vede,  fu  una  bella  lettera  e  piena  di  giusti  e  savj 
avvertimenti.  Il  Fornaciari,  poco  dopo,  gli  rispose.  Né  io  so  che  cosa  gli 
abbia  risposto,  si  può  peraltro  arguirlo  da  una  replica  del  Moise  dalla  quale 
si  rileva  di  leggeri  il  tenore  della  risposta.  Ecco  la  replica  : 

Cherso,  20  marzo  1881.  —  Amorevolissimo  Signor  mio,  Mi  sa  male  assai  che  V.  S. 
non  abbia  tempo  di  badare  a  me  e  di  chiarire  a  pieno  i  miei  dubbj.  Ella  neh"  ultima 
sua,  che  mi  riuscì  soprammodo  gradita,  mi  dice  tante  cose  eh'  io  da  per  me  non  valgo 
ad  intendere  e  che  hanno  però  bisogno  di  spiegazione.  Ma  come  si  fa  ad  avere  questa 
spiegazione,  —  la  quale  richiede  molto  tempo  — ,  da  Lei,  che,  occupato  tuttora  in  ben 
altre  cure,  può  trovare  a  mala  pena  un  quarticel  d'ora  per  iscrivere  agli  amici?  E'  mi 
pare  che  tra  galantuomini  s'abbia  a  penar  poco  ad  appianare  le  più  gravi  difficoltà.  Ecco 
come  faremo.  Io  in  questa  lettera  (che  mi  ha  l'aria  di  dover  essere  più  lunga  del  sabato 
santo)  L'  esporrò  ad  uno  ad  uno  tutti,  o,  dirò  meglio,  i  principali  miei  dubbi,  e  V.  S 
poi  me  li  chiarirà  a  pochi  per  volta  e  a  tutto  suo  comodo,  valendosi  a  questo  di  più 
lettere;  non  essendo  po'  poi  un  gran  male  se  questa  nostra  corrispondenza  epistolare 
cominciata  in  marzo  avesse  a  pena  a  finire  in  agosto  o  in  settembre.  Ecco  dunque  ch'io 
senz'altro  mi  metto  all'opera. 

i*)  Ella  è  di  parere  ch'io  non  debba  introdurre  nelle  mie  Grammatiche  i  due  trattati 
del  Diez  di  cui  ultimamente  Le  faceva  parola.  Anch'io  la  pensava  così  quando  Le  scri- 
veva quella  lettera,  ma  dopo  che  l'ebbi  scritta  e  spedita  mutai  opinione.  Sul  trattato 
della  formazione  delle  parole  son  d'accordo  con  Lei;  ma  quello  de'  suoni  e'  mi  sembra  che 


—   2l6   — 

potrei  inserirvelo  e  eh'  e'  vi  farebbe  buon  giuoco.  Finito  il  Capo  II  che  tratta  delYiAccento, 
porrei  cosi  :  =  Capo  III.  —  Dei  mutamenti  a  cui  andaron  soggette  le  lettere  dell'alfabeto 
latino  nelle  parole  che  dalla  latina  passarono  nella  nostra  lingua.  =  E  questo  Capo  111, 
perchè  non  avesse  a  occupar  troppo  spazio,  lo  stamperei  nel  carattere  delle  note.  Ella 
mi  dirà  che  questo  trattato  dei  suoni  starebbe  bene  per  avventura  nell'  opera  grande,  ma 
non  si  addirebbe  in  tutto  in  tutto  a  quella  di  mezzo.  Si;  ma  dell'opera  grande  quando 
darò  io  fuori  una  3a  edizione?  Nella  Grammatica  di  incero  io  mi  son  proposto  di  correg- 
gere gli  errori  della  grande  e  di  aggiungere  certe  nuove  dottrine  che  in  quella  mancano. 
Ne  si  dica  che  con  queste  correzioni  e  aggiunte  la  Grammatica  di  meno  comprenderà 
troppa  materia  e  per  poco  non  eguaglierà  la  grande;  perchè,  se  da  una  parte  vi  farò 
queste  aggiunte,  dall'  altra  ne  toglierò  tante  e  tante  cose,  come  per  esempio,  le  dottrine 
nannucciane  sul  nome  e  sul  verbo,  quelle  del  Gherardini  sugli  epiteti,  ecc.,  ecc.  E,  se  ai 
giovanetti  studiosi,  per  i  quali  è  scritta  specialmente  quell'  opera,  parranno  troppo  dure 
e  non  necessarie  le  dottrine  dieziane  del  Capo  III,  e'  potranno  saltarle,  e  addio. 

2°)  La  dottrina  della  particella  Si  indistintiva  a  V.  S.  non  va  a  genio,  ond'  Ella 
mi  consiglia  a  torta  via,  sostituendovi  quella  vera,  seguita  anche  da'  vecchi  Grammatici,  cioè 
a  dire  quella  della  Si  passivante.  La  dottrina  della  5/  indistintiva,  o  indefinita,  come  la 
dicono  comunemente,  fu  proposta  dal  Parenti,  difesa  dal  Fabriani,  dal  Galvani  e  dal 
Veratti  e  accolta  favorevolmente  da  Luigi  Fornaciari,  da  Francesco  Ambrosoli,  dal  Ghe- 
rardini e  dal  Paria.  Io  peraltro,  che  più  volentieri  consento  alla  ragione  che  non  all'autorità, 
son  pronto  a  lasciarla,  qualora  V.  S.  mi  dimostri  esser  ella  veramente  da  scartare.  Si 
bisognerebbe  che  Lei  m'  ajutasse  a  scoprir  l' origine  vera  della  Si  passivante  e  a  lungo 
me  ne  parlasse,  essendo  quello  che  ne  ragiona  il  Diez  troppo  poco.  Il  Galvani,  coni'  Ella 
ben  sa,  cava  il  suo  Si  soggettivo  non  dall'  accusativo  Se  del  pronome  riflesso  de'  Latini, 
ma  dal  suo  nominativo  antiquato  Si  o  Su. 

3  °)  —  Io  La  consiglio  a  correggere,  servendosi  del  Die%,  le  ragioni  eh'  Ella  dà  di  certe 
mutazioni  fonetiche  oggi  da  tutti  riconosciute  per  false,  e,  in  generale,  a  mutare  ciò  che  aper- 
tamente e  direttamente  contrasta  colle  teorie  foniche  del  T)ie\  medesimo.  —  Così  die'  Ella,  ed 
io  son  tuttavia  pronto  a  seguire  il  suo  consiglio.  V.  S.  dunque  m' indichi  le  mutazioni 
errate,  me  ne  esponga  le  correzioni,  e  tutto  sarà  accomodato. 

4°)  Le  censure  eh'  io  fo'  alle  etimologie  del  Diez  da  me  accennate  nella  lettera 
antecedente  a  Lei  non  vanno  a  sangue  e  Lei  mi  dice  eh'  io  stesso,  ripensandovi  meglio  e 
studiando  più  a  fondo  la  questione,  vedrà  d'aver  torto.  Io  ci  penso  e  ci  ripenso,  ci  studio 
e  ci  ristudio,  ma  non  ci  veggo  chiaro,  ed  ho  perciò  bisogno  del  suo  ajuto.  —  //  volgo, 
Ella  continua,  nella  formazione  delle  nuove  lingue  neolatine,  fu  portato  istintivamente  a  de- 
terminar meglio,  rafforzare  con  nuovi  elementi,  e  rendere  più  sonanti  le  forme  latine,  Stitja 
tener  conto  dei  contrasti  che  un  dotto  di  latino  poteva  trovarvi.  Da  ciò  si  spiegano  benissimo 
le  forme  ab-ante,  de-ubi  e  tante  altre,  rese  chiare  e  certe  dal  confronto  delle  lingue  sorelle.  — 
Che  il  nostro  avanti  derivi  dal  latino  abante,  io  lo  veggo  bene;  perchè  so  che  i  Latini 
in  luogo  della  particella  semplice  ante  usavano  talvolta  la  composta  abante  (dove  la  ia 
componente  ab  non  è  già  la  ab,  prep.  ablativa,  ma  è  una  particella  priva  di  significato 
e  non  per  altro  preposta  alla  ante  che  per  cagion  di  eufonia,  nella  stessa  guisa  che  nei 
composti  italiani  così  (lat.  sic)  e  cotale  (lat.  talis)  la  prima  componente  co  non  è  altrimenti 
la  preposizione  accompagnativa  con  privata  della  n  finale,  ma  è  una  particella  che  li  nulla 
significa  e  che  non  per  altro  che  per  ragion  di  eufonia  si  prefigge  alle  voci  sì  e  tale)  : 
ma  non  veggo  egualmente  bene  come  dalla  combinazione  latina  de  ubi  sia  provenuta  la 
nostra   particella  dove.  Che  si  sappia,  i  Latini   non   dissero  mai  de  ubi  per  lo  stesso  che 


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ubi.  Se  dunque  nel  latino  non  e'  era  la  particella  composta  deubi,  donde  trasse  il  volgo 
nella  formazione  della  nostra  lingua  la  particella  composta  italiana  dove?  Perchè  dovremo 
noi  supporre  aver  esso  formata  la  detta  particella  composta  coli'  aggiungere  alla  ubi  la 
de,  particella,  la  quale,  significando  ben  altro  che  ubi,  ne  doveva  alterare  tanto  o  quanto 
il  significato?  Ammettiamo  pure  eh'  e'  sia  stato  portato  quasi  per  istinto  a  determinar 
meglio,  a  rafforzare  con  nuove  lettere  e  rendere  più  sonore  le  voci  latine;  ma  non  poteva 
esso  ciò  fare  nel  caso  nostro  col  preporre  una  semplice  consonante,  la  d,  alla  detta 
particella  ubi  doventata  ove?  Cosi  facendo,  il  volgo  rafforzava  la  sillaba  iniziale  dell'  ubi 
latino,  senz'  alterare  minimamente  la  significazione  del  medesimo. 

5°)  Avevano  i  Latini  il  verbo  ire  e  il  verbo  deire,  ma  il  secondo  aveva  un  altro 
significato  che  il  primo.  Perchè  dunque  avremo  a  dire  che  il  nostro  gire  proviene  dal 
secondo  e  non  dal  primo,  del  qual  primo,  pur  conserva  il  significato?  E  perchè  s'  avrà 
a  dire  che  ad  ire  s'  è  premesso  il  g  per  togliere  l' iato,  e  non  invece  per  rafforzare  l' i 
che  ne  forma  la  prima  sillaba?  A  racimolo  e  raspo,  come  ho  già  notato,  s'  è  pur  premesso 
il  g  per  cagione  appunto  di  rafforzarne  la  r  iniziale  e  se  n'  è  fatto  gradinolo  e  graspo. 
Per  la  medesima  ragione  da  nudo  s'  è  fatto  gnndo.  Né  si  dica  che  da  nudo  fu  fatto  gnudo, 
perchè  la  »,  lettera  iniziale  di  nudo,  ha  la  tendenza  a  gonfiarsi  (come  dicono)  in  ;,-",- 
imperciocché  questo  non  accade  sempre,  anzi  il  più  delle  volte  la  n  non  comporta  innanzi 
a  sé  il  g.  Da  nobile,  per  esempio,  facciamo  ignobile  e  da  nome  cognome;  ma  da  nocito 
non  facciamo  ignocuo,  né  da  naturale  cognalurale.  Similmente,  da  nave  non  facciamo  gnave 
né  da  nodo  gnodo,  né  da  nume  gnume,  e  cosi  via   via. 

6')  Desso  si  vuol  derivato  da  id  ipsum.  Ma,  se  fosse  cosi,  desso  dovrebb'  esser  neutro 
e  noi  lo  vediamo  in  quel  cambio  adoprato  quasi  sempre  come  maschile  o  femminile,  e 
solo  per  eccezione  alcuna  rara  volta  lo  troviamo  neutro.  —  Ciò  si  vuol  che  provenga 
da  ecce  hoc;  ma  non  è  meglio  riguardarlo  come  metatesi  di  hoc,  co,  ossia,  dando  al  e  il 
suono  palatino,  ciò?  Ci  è  pur  detto  metatesi  di  hic.  Anche  il  pronome  egli  (elli)  è,  se- 
condo il  Parenti,  metatesi  di  ille. 

Non  la  finirei  più  s'  io  volessi  qui  enumerarle  tutte  le  derivazioni  e  composizioni 
del  Diez  eh'  io  considero  come  stiracchiate  e  capricciose,  e  però  fo'  punto.  E  avverta  che 
tutte  le  sopraddette  considerazioni  io  le  propongo  a  V.  S.  per  puro  desiderio  di  appren- 
dere il  vero,  con  animo  quieto  e  senza  punto  spirito  di  parte;  ed  Ella,  mio  caro  Professore, 
che  legge  i  miei  scritti,  non  dee  dubitare  altrimenti  della  sincerità  delle  mie  parole.  A 
Lei  dunque  con  tutto  1'  animo  mi  raccomando  :  esamini  per  bene  le  mie  osservazioni  e 
dia  loro  quel  molto  o  poco  o  niun  peso  eh'  elle  meritano,  lo  starò  aspettando  eh'  Ella 
chiarisca  i  miei  dubbj,  né  perderò  la  pazienza  se  passeranno  più  mesi  prima  eh'  Ella  mi 
risponda.  E  in  questo  mentre,  facendo  a  V.  S.  umilissima  riverenza  e  ringraziandola  della 
boati  eh'  Ella  ebbe  finora  con  me  e  di  nuovo  offerendomele  e  raccomandandomele  con 
tutto  lo  spirito,  mi  pregio  di  rassegnarmi  suo  obbl.mo  e  dev.mo  servitore. 

E  anche  da  questa  lettera,  come  dalla  precedente,  si  sarà  appreso,  io 
spero,  quanto  istruito,  moderato  e  savio  fosse  il  nostro  Moise.  È  naturale 
clie,  dopo  aver  tanto  lavorato  e  studiato,  sentirsi  dire  ad  un  tratto  che  le 
sue  Grammatiche  nulla  valevano,  quasi,  perchè  non  seguivano  la  Gramma- 
tica archetipa  d'  un  tedesco  —  del  resto  dottissimo  e  sommo  maestro  di 
lingue  comparate  —  non  era  pane  che  potesse  mandar  giù.  Intanto  con 
queste  missive  e  responsive  era  passato,   come  ho  detto,  il  secondo  anno, 


—    2l8    — 

che  il  Fornacciari  alla  seconda  lettera  rispose  appena  quasi  nove  mesi  dopo, 
come  vedremo  più  innanzi. 

Nel  frattempo  era  comparso  anche  nel  periodico  triestino  Mente  e  cuore  ') 
un  articolo  del  maestro  sig.  Giuseppe  Vassilich  intitolato  Grammalicalia,  dove 
si  discorre  a  lungo  della  Grammatica  italiana  dell'uso  moderno  di  Raffaello 
Fornaeiari,  e  si  dice  ch'essa  fra  le  tante  e  tante  stampate  in  Italia  dal  Cor- 
ticelli  in  qua  è  la  meglio  riuscita,  vuoi  per  i  criterii  direttivi  che  la  informano, 
per  la  distribuzione  delle  parti,  per  la  giustezza  dei  precetti,  per  la  scelta  degli 
esempi,  e  vuoi  infine  per  le  novità  introdottevi.  E  poco  dopo  1'  autore  con- 
tinua così  : 

Se  voi  prendiate  fra  le  mani  le  grammatiche  più  usitate,  come  quelle  del  Corticelli, 
del  Soave,  del  Puoti,  del  Bellisomi,  dell'Ambrosoli,  del  Calerli,  del  Rodino,  del  Paria,  del 
Mottura  e  Parato,  ecc.  voi  ci  trovate  poco  o  nulla  di  nuovo. 

E  qui  pone  la  seguente  nota  : 

L'Abate  Moisc  di  Cherso  ha  pubblicato  pochi  anni  fa  una  Grammatica  molto  vo- 
luminosa. S'  io  non  la  pongo  in  fascio  colle  sunnominate,  egli  si  è,  perchè  la  sua,  quanto 
a  giustezza  di  precetti  e  a  bontà  di  esempi,  è  pregevolissima  ;  ma  d'  altro  canto  ei  non 
volle  trar  profitto  dei  recenti  studii  filologici,  forse  perchè  in  gran  parte  opera  di  stra- 
nieri !  Intraprendendo  la  stampa  della  Grammatica  di  me^o,  ei  farebbe  bene  tenerne  conto; 
che  la  verità,  da  qualunque  parte  provenga,  bisogna  accettarla. 

Qui  il  Vassilich  diede  senza  ragione,  come  s' espresse  Nono  Cajo 
Baccelli 2),  una  cenciata  al  nostro  riverito  autore.  Infatti  il  sig.  Vassilich 
s'  ingannò  di  tutto  il  cielo  quando  disse  che  il  Moise  non  volle  trar  profìtto 
dei  recenti  studj  filologici,  forse  perchè  in  gran  parte  opera  di  stranieri.  Da  un 
anno,  infatti,  era  uscita  la  seconda  edizione  della  Grainmatichetta,  nella  quale 
il  Vassilich  avrebbe  potuto  vedere  la  divisione  che  il  nostro  Abate  faceva 
di  certe  consonanti  in  aspre  e  dolci,  la  qual  dottrina  fu  appunto  da  lui  tratta 
dal  filologo  tedesco  Diez;  e  se  nella  Grammatica  avesse  posto  mente  a 
quanto  ei  dice  sull'  ufficio  del  pronome,  e  avesse  veduto  messi  tra  i  passivi 
certi  verbi  che  i  Latini  chiamano  neutri,  avrebbe  veduto  che  quelle  dottrine 
ei  le  trasse  dal  filologo  francese  Beauzée.  Se  il  Moise  dunque  non  volle 
introdurre  nelle  sue  opere  grammaticali  certe  dottrine  dei  moderni  filologi 


')  Anno  1882,  n.  3,  pag.  88. 

*)  Dialogo  secondo  in  fine  della  Strenna   istriana   per  l'anno  1883. 


—   219  — 

tedeschi  che  il  Fornaciari  e  il  Demattio  accolsero  senza  difficoltà  di  sorta, 
non  bisognava  dire  per  questo  non  aver  egli  voluto  riceverle  perchè  opera 
di  stranieri,  ma  bisognava  dire  in  quel  cambio  non  aver  egli  voluto  riceverle, 
perchè,  non  le  ebbe  per  buone  e  legittime. 

Del  resto,  io  non  pretendo  ne  voglio  in  tutto  in  tutto  scusare  l'Abate 
Moise,  se  egli  non  diede  un  più  ampio  sviluppo,  specie  nella  Grammatica 
grande,  alle  teorie  dei  suoni  e  della  formazione  delle  parole;  riconosco 
pure  che  codeste  teorie  sono  necessarie,  anzi  indispensabili  per  i  filologi 
di  professione;  ma  dico  e  sostengo  altresì  —  a  rischio  pure  d'attirarmi 
addosso  i  fulmini  di  tutti  gì'  innovatori  moderni  —  eh'  esse  teorie  sono 
un  sopprappiù  per  i  giovinetti,  i  quali  vanno  alle  nostre  scuole  non  per 
apprendere  la  morfologia  o  la  fonetica,  ma  sì  bene  per  apprendere  il  modo 
di  parlare  e  di  scrivere  correttamente.  E  per  raggiungere  questo  intento, 
non  occorre,  io  credo,  tanto  lusso  di  erudizione  peregrina,  la  quale  anzi, 
concorrendo  a  moltiplicare  le  regole  della  Grammatica  —  il  che  non  giova 
ma  nuoce  —  non  fa  che  annebbiare  sempre  più  la  mente  piccioletta  dei 
giovanetti,  i  quali  si  disinamorano  dello  studio  grammaticale  non  appena 
entrati  sulle  soglie  di  esso.  Con  quale  efficacia  volete  d'  altronde  insegnare 
le  teorie  dei  suoni  e  della  formazione  delle  parole,  se  lo  stesso  corredo 
delle  parole  è  tanto  meschino  nei  giovinetti  da  essere  incapaci  di  formularvi 
un  discorso  e  men  che  meno  una  scrittura  ?  Questo  è  proprio  un  voler 
fabbricare  senza  essere  prima  in  possesso  dei  materiali.  «Come  per  costruire 
le  fabbriche  —  così  il  dott.  Costantino  Pescatori  ')  —  e  qualunque  artifizio 
meccanico,  prima  si  preparano  i  materiali  necessarj  e  poi  si  collocano  regolar- 
mente secondo  un  disegno  o  modello  prestabilito,  collegandoli  fra  loro  con 
cementi  od  altri  mezzi  chimici  o  meccanici,  così  per  comporre  i  nostri  discorsi 
bisogna  aver  prima  il  possesso  delle  parole,  che  sono  il  materiale  del  linguaggio, 
e  poi  disporle  e  allegarle  secondo  /(•  idee  preconcette  e  /'  indole  in  cui  si  parìa 
e  si  scrive.  Per  questa  somiglianza  e  analogia  di  operazioni  furono  adottati 
nelle  studio  delle  lingue  i  termini  di  sintassi  (ordinamento  delle  idee)  e  di 
costruzione  (ordinamento  delle  parole)  trasferendone  il  significato  dal  senso 
fisico  al  senso  morale  ».  Ora,  per  costruire  egli  è  proprio  bisogno  di  conoscere 
la  natura  fisica  e  chimica  del  materiale  da  costruzione  fino  nei  minuti  suoi 
particolari  ?   Io  credo  certo  di  no.  Che  il  geologo,  il  naturalista,  il  chimico 


')  Parlando  della  Sintassi  pag.  IOI  della  sua  Grammatica  detta  ìiug.  Hai.  Firenze,   1873. 


220 


abbiano  da  conoscere  la  natura  intima  (gli  elementi  onci' è  composta)  della 
pietra,  della  calce,  del  legno,  ecc.  ecc.  sta  benissimo,  ed  arcibenissimo;  ma 
quando  codesto  corredo  di  cognizioni  lo  si  volesse  pretendere  da  ogni 
singolo  manuale,  lo  si  capisce  da  sé,  la  sarebbe  proprio  una  vera  stupidirà. 
Or  perchè,  nel  campo  grammaticale,  si  vorrà  insegnare  ai  giovinetti  e  si 
pretenderà  che  le  conoscano  tante  cose,  bellissime  e  utili  non  v'  ha  dubbio, 
ma  che  sfuggono  al  limitato  loro  ingegno,  e  persino  a  quello  della  quasi 
generalità  degli  esseri  parlanti?  Provate  mo'  a  chiedere  ad  un  avvocato,  a 
un  medico,  a  un  sacerdote,  a  un  professionista  insomma  che  vi  dicano  che 
cosa  intendono  per  Morfologia  o  per  Fonetica,  e  sarà  da  scommettere  che 
almeno  novanta  su  cento  resteranno  a  bocca  aperta  senza  sapervi  dare  una 
adeguata  risposta.  Se  così  è,  volete  e  pretendete  che  i  giovinetti  delle  nostre 
popolari  o  elementari,  e  sieno  pure  delle  medie  apprendano  sì  fatte  astru- 
serie ?  E  poi  vi  lagnate,  che  oggi  si  scrive  male,  che  non  si  conoscono 
neppure  le  leggi  elementari  della  Grammatica,  che  appena  un  pajo  di 
giovinetti  su  cento,  che  dalle  popolari  vanno  al  Ginnasio,  sanno  abbozzare 
un  qualche  periodo  senza  strafalcioni,  e  cosi  via  di  seguito.  Ma  codesti, 
secondo  me,  sono  appunto  i  risultati  della  moderna  istruzione.  Imperocché 
e  ispettori  scolastici  e  professori  e  maestri  oggidì  di  non  altro  sono  rim- 
pinzati che  di  filologia  comparata;  ma  che  filologia  comparata!  basta  udirli 
quando  parlano,  e  leggerli  quando  scrivono  —  salve  pure  le  eccezioni 
che,  pur  troppo,  son  rarissime  —  per  far  venire  il  latte  alle  calcagna,  e 
dichiararli  subito  prodotti  e  propagatori  di  un  sistema  veramente  scrofoloso. 
—  Il  Moise,  scrivendomi  un  dì  dei  maestri  nostri,  li  definì  tutti  assai  male, 
facendo  eccezione  di  Soli  due eh'  io  mi  permetto  di  non  nomi- 
nare per  non  esporli  all'  invidia  dei  colleghi.  Mi  basti  solo  di  aver  detto 
questo,  per  giustificare  la  mia  tirata,  che  da  pezza  in  qua  ho  lo  stomaco 
ripieno,  e  conveniva  in  qualche  modo  alleggerirlo.  Imperocché  nessuno  dei 
nostri  ispettori,  dirigenti,  professori  e  maestri  sarebbe  capace  di  scrivere 
(non  parlo  delle  Grammatiche')  uno  solo  e  dei  meno  importanti  volumetti 
del  Moise;  ma  andarono  ben  tutti  d'accordo  a  proscrivere  dalle  nostre 
scuole  tutte  le  Grammatiche  del  tanto  bravo  Abate  di  Cherso.  Vergogna  ! 
Io  ne  sento,  in  verità,  rossore,  per  loro  e  per  la  patria  nostra.  Certo,  il 
Moise  non  avea  alcun  diploma  universitario  da  mostrare;  ma  avea  ben 
quello,  che  nessuno  dei  nostri  possiede,  della  considerazione  e  del  rispetto 
dei  più  dotti  filologi  e  grammatici  d' Italia  !  E  i  giovani  e  le  giovani  dal 
'  Moise  istruiti  sono  ancor  vivi  per  fare  testimonianza  del  profitto  che  ne 
hanno  fatto  tanto  nel  parlare  che  nello  scrivere.  Questi  sono  fatti,  e  non 
ciance.  • 


221    — 


XXII. 


In  su  lo  scorcio  del  1882,  o  al  principio  dell'anno  appresso,  il  nostro 
Abate,  rimosso  ogni  scrupolo,  s'  è  deciso  di  mandare  il  manoscritto  della 
Grainmalica  di  me^zp  alla  Tipografia  del  Vocabolario  a  Firenze,  allora  diretta 
dai  signori  G.  De  Maria  e  G.  Coppini.  Io  ebbi  sentore  di  questo  ai  primi 
di  febbraio  del   1883,  e  scrissi  subito  un  articolo  ne  L'Istria'). 

Premesso  che  furono  tirate  gii  parecchie  edizioni  delle  Grammatiche 
del  Moise  senza  che  fra  di  noi  quasi  nessuno  se  ne  accorgesse,  soggiunsi  : 

Pur  troppo  questo  è  il  guiderdone  con  cui  si  rimerita  chi  studia  molto  e  indefesso 
lavora  nel  silenzio  della  propria  cameretta  —  la  dimenticanza  !  In  oggi  bisogna  battere 
la  quintana  della  pubblicità  per  farsi  conoscere  ed  apprezzare,  o  bussare  umilmente  e 
insistentemente  alle  porte  dei  patroni  ;  senza  di  che  si  corre  risico  di  restare  obliati  e 
negletti.  E  tutto  ciò  noi  diciamo  pensatamente  e  deliberatamente,  non  già  per  portar  alle 
stelle  un  uomo  ancor  vivente,  nicchiato  da  molti  anni  nell'isola  di  Cherso  patria  sua,  e 
la  cui  modestia  è  pari  alla  grande  dottrina  ;  ma  per  aprire  gli  occhi,  se  mai  possibile,  a 
quelli  in  primo  luogo  che  presiedono  alle  nostre  scuole;  poi  a  tutti  gli  altri  che  amano, 
non  a  parole,  la  nostra  impareggiabile  favella  ;  e  finalmente  a  tutta  la  gioventù  studiosa, 
se  fra  questa  havvi  taluno  che  nutra  verso  di  noi  quella  considerazione  che  mai  è  negata 
ai  galantuomini. 

Diciamo  aprire  gli  occhi,  avvegnaché,  se  noi  gettiamo  uno  sguardo  alle  nostre  scuole 
medie  o  popolari,  o  meglio,  se  noi  esaminiamo  le  Grammatiche  italiane  che  in  esse  scuole 
si  adoperano,  vi  scorgiamo  una  tal  babele,  che  non  si  può  immaginare  l'eguale.  Ne  ciò 
avviene  soltanto  per  la  diversità  degli  autori,  quanto  per  il  poco  o  nessun  valore  dei 
testi.  Basti  dire,  che  nelle  nostre  scuole  medie  s' insiste  ad  accettare  la  Grammatica  del 
prof.  De  Mattio,  che  è  una  selva  selvaggia  senza  eccezione. 

Del  resto,  continuavo,  gli  effetti  che  vediamo  ttittogiorno  sono  là  a 
testimoniare  che  io  dico  il  vero. 

Il  fatto  sta  che  si  studia  male  in  oggi  la  lingua  italiana,  e  che  peggio  ancora  la 
s' insegna.  Con  tanti  studj  filologici  e  pedagogici  —  pare  impossibile  —  non  si  è  capito 
ancora,  che  imparar  regole,  che  non  giovano  praticamente,  equivale  a  portar  confusione 
e  quindi  a  nuocere  —  specie  nei  giovanetti,  ai  quali  le  scuole  insegnano  in  modo  me- 
raviglioso il  disaffezionarsi  alla  scuola    stessa.  Si  crede  di  tirar  su  bene  i  nostri   ragazzi 


')  Anno  II,  3  febbrajo  1883,  n.  58. 


—    222    — 

ingombrando  la  loro  testa  a  suon  di  regole  imparagrafate,  parlando  loro  di  proposizioni 
semplici  e  di  composte,  di  complesse  e  d' incomplesse,  di  vere  e  di  false,  di  ellittiche  e 
d'implicite,  e  via  via;  poi  di  teorie  di  suoni,  di  mutazioni  fonetiche,  di  flessioni  nominali 
e  verbali,  di  formazione  di  parole,  dì  prefissi,  di  suffissi,  e  di  cento  altre  diavolerie,  l'ima 
più  indemoniata  dell'altra.  E  il  maestro  crede  e  pretende  —  imbottito  alla  sua  volta  di 
si  fatto  ciarpame  nelle  professionali  dove  fu  istituito  —  darsi  l'aria  di  dotto  e  di  sagace 
quando  spiffera  agli  intontiti  ragazzi  una  serqua  di  nomi  altosonanti,  che  in  fondo  in  fondo 
egli  pur  non  capisce.  E  i  ragazzi  là  a  bocca  aperta  finche  trattasi  di  udire;  quando  poi 

viene  la  volta  del  parlare,   mandano alla  benedizione  di  Dio  il  sor  maestro   con 

tutta  la  sua  Grammatica. 

A  proposito  delle  quali  Grammatiche  adottate  nelle  nostre  scuole,  parlando  noi  un 
giorno  coli' Abate  Moise,  e  spronandolo  a  farsi  innanzi  almen  almeno  colla  sua  Gramma- 
tichelta  nelle  nostre  popolari  (equivalenti  alle  elementari  del  Regno),  franco  rispose,  che 
difficilmente  ella  sarebbe  accettata,  appunto  pel  fatto  ch'essa  non  corrisponde  a  tutte  queste 
esigenze  di  prefissi  e  di  suffissi  !  Poi  soggiunse  :  «  Una  Grammatica  siffatta  i'  non  la  so 
fare,  e,  se  anche  la  sapessi  fare,  non  la  farei  mai  e  poi  mai».  —  Cosi  parlano  gli  uomini 
che  si  rispettano,  e  che  hanno  consumato  1'  intera  vita  nello  studio  della  filosofia  e  della 
fisiologia  della  nostra  lingua  ;  e  il  Ciel  non  voglia  che  la  loro  voce  non  resti  ancora  la 
voce  del  deserto. 

Poi  diceva  che  le  Grammatiche  del  Moise  non  sono  una  raffazzona- 
tura qualunque,  prova  ne  sia  le  molte  lodi  che  egli  si  ebbe  da  distinti 
filologi  ecc. 

Queste  e  altre  raccomandazioni  furono  fiato  sprecato!  Qualche  giorno 
dopo  il  povero  Abate  mi  scriveva  da  Cherso  per  ringraziarmi  di  quanto 
io  aveva  detto  nel  sopraccitato  ed  altri  articoli.  Parlandomi  poi  della  Gram- 
matica di  mez^o,  mi  diceva  :  «  Gli  associati  istriani  sono  ventiquattro.  Male 
e  poi  male  !  Ma  io  per  questo  non  mi  dò  a'  cani  e  lascio  andar  1'  acqua 
alla  china  ». 

Ma  più  di  tutti  ebbero  torto  marcio  marcissimo  le  persone  addette 
all'  istruzione  pubblica,  le  quali,  o  per  ignoranza,  o  per  malignità,  o  per 
servilismo  non  vollero  proporre  o  non  vollero  insistere  anche  questa  volta 
perchè  si  accettasse  nelle  nostre  scuole  la  Grammatica  del  Moise.  E  si  sono 
trovate  scuse  e  pretesti  sciocchi  e  pretenziosi  per  scartargliela.  Si  arrivò 
fino  a  dire,  che  la  Grammatica  del  Moise  non  disponeva  bene  i  giovanetti 
a  proseguire  negli  studj  filologici  ed  universitari  —  quasi  che  tutti  quelli 
che  frequentano  le  scuole  popolari  e  le  medie  sieno  destinati  poi  ad  andare 
all'  Università  a  studiare  filologia  comparata  !  Ma  intanto  i  più  dei  nostri 
giovinetti  vanno  oggi  alle  scuole  medie  senza  conoscere  briciolo  di  gram- 
'  matica,  e  sortono  dalle  stesse,  e  persino  dalle  Università  senza  saper  scrivere 
una  lettera  !  Ecco  gli  effetti  —  sta  bene  ripeterlo  —  della  presente  istruzione 
e  dei  testi  accettati  nelle  nostre  scuole.  E  credete  forse  che  ne  sieno  ancora 


22  3    

persuasi  ?  Ohibò  !  Nella  loro  supina  pretensione,    e    maestri    e    ispettori  e 
professori  continuano  a  favorire  il  nostro  imbastardimento. 

Nel  compilare  le  mie  Grammatiche  —  mi  scriveva  il  povero  Abate  nel  188.1,  non 
appena  ci  eravamo  conosciuti  soltanto  per  lettera,  nel  qual  tempo  mi  dava  del  Lei,  per 
convertirsi  poco  dopo  nel  Voi,  e  per  tradursi  infine,  dietro  mia  istanza,  nel  domestico  Tu 
—  io  noti  ebbi  no  lo  scopo  di  empiere  di  vana  erudizione  le  tenere  menti  de'  giovanetti, 
ma  intesi  in  quel  cambio  di  far  ch'essi  imparino  a  parlare  e  a  scriver  per  bene  la  nostra 
lingua;  e  questo  pare  a  me  ch'esser  debba  lo  scopo  d'ogni  grammatico  galantuomo.  Ma 
i  signori  di  Tedescheria,  a  cui  s' accodano  alcuni  Italiani  intedescati,  non  la  intendono 
cosi,  e  avendo  io  anni  fa  mandato  a  Vienna  al  sig.  Ministro  per  la  Pubblica  Istruzione 
la  mia  Grammatichtlta  e  pregatolo  di  vedere  se  la  meritava  d'essere  introdotta  come  libro 
di  testo  nelle  nostre  scuole,  qualche  mese  dopo  la  mi  fu  restituita,  e  dell'approvarla  come 
libro  di  testo  non  ne  fu  nulla.  O  perchè  ?  —  Perchè  la  non  segue  il  metodo  del  Diez, 
ecco.  E  invece  della  mia,  sa  Ella  qual  Grammatica  fu  approvata  per  le  nostre  scuole  ? 
Quella  di  Fortunato  Demanio,  che  è  una  Grammaticaccia,  piena  zeppa  di  spropositi  da 
cavalli.  (Questo  io  lo  sapeva  per  esperienza,  e  l'aveva  anche  scritto)  ').  M'ero  altresì  rac- 
comandato ad  alcuni  professori  di  Capodistria,  e  quelli  m'avean  promesso  che  ne  avrebbero 
parlato  costi  in  una  seduta  del  Consiglio  scolastico  provinciale  ;  ma  bisogna  dire  che  quei 
signori  professori  si  sieno  scordati  della  mia  raccomandazione,  perchè  i'  non  ne  seppi  più 
mai  né  puzzo  né  bruciaticcio.  Queste  cosucciaccie  gliele  dico  non  già  perchè  V.  S.  le 
abbia  a  spiattellare  nel  suo  Periodico,  ma  gliele  dico  perchè  sta  bene  eh'  Ella  le  sappia 
e  perchè  potrebbe  anche  avvenire  che  un  giorno  o  1'  altro  elle  potessero  farle  giuoco. 

Presagiva  allora  il  povero  Abate  che  questo  brano  di  lettera  mi  verrà 
a  proposito  per  inserirlo  in  questa  biografia  ?  ! 


XXIII. 


Il  sig.  Veratti  non  si  adagiò,  come  ho  detto,  alle  osservazioni  del 
nostro  Abate  sul  Passivante,  ond' egli  replicò  nella  sua  Stroma  pel  1882. 
Io  non  riporterò  l'articolo  del  Veratti,  osservo  solo,  che  il  Moise  cadde  dal 
settimo  cielo  quando  lesse  la  replica  di  lui,  imperocché  ei  non  credeva  mai 


')  In  altra  lettera  che  il  Moise  mi  scrisse  un  anno  appresso  (d.d.  28  luglio  1883), 
fra  altre  cose  trovo  le  seguenti:  «M'evenuta  una  bella  idea,  ed  è  questa,  di  scriverti  in 
seguito  alcune  lettere  (ma  quando  potrò  farlo?)  sulla  Grammatica  del  Demanio  prescritta 
nelle  nostre  scuole,   facendoti  vedere  le  sue  molte  inesattezze  e  i  grandi   spropositi  che 

quivi  si  dicono ».  E,  pur  troppo,  non  trovò  mai  il  tempo  di  scrivere  queste  lettere. 

Forse  si  astenne  dal  farlo  per  delicatezza. 


—    224    — 

che  il  Veratti  condannasse  la  voce  Passivante  perchè  la  è  una  voce  nuova, 
ma  sì  credeva  ch'ei  la  condannasse,  perchè  la  non  esprime  ciò  ch'ella  deve 
esprimere.  Infatti,  che  bisogno  c'era  egli  di  notare,  come  notò,  che  nessuna 
lingua  moderna  europea,  eccetto  la  danese  e  la  svedese,  ha  forme  di  conju- 
gazione  passiva,  e  che,  se  la  particella  Si  è  ben  detta  Passivante,  sarà  pur 
ben  detta  Dualante  la  particella  Ambo  —  quando  non  per  altro  intendeva 
egli  scartare  la  voce  Passivante  che  per  essere  ella  una  voce  nuova?  Dopo 
aver  detto  che  Passivante  è  un  bratto  neologismo,  ei  doveva  senz'altro  addurne 
le  prove,  e  sarebbe  stata  finita  la  questione. 

Queste  prove  il  Veratti  ora  le  addusse  ;  ma  le  f  uron  prove  (sia  detto 
con  sua  pace)  che  non  provavano  nulla.  E  il  Moise  era  uomo  da  addi- 
mostrarglielo, come  in  fatti  glielo  addimostrò  '). 

Questa  però  era  una  questione  del  tutto  secondaria;  la  principale  stava 
piuttosto  nel  decidere  se  la  lingua  italiana  avesse  o  non  avesse  forme 
passive.  Il  nostro  Moise  stava  sulle  spine  ed  avrebbe  dato  non  saprei  che 
cosa  per  venirne  in  chiaro. 

Intanto  il  prof.  R.  Fornaciari  gli  avea  risposto  con  lettera  d.d.  20 
marzo  1881.  Io  farò  grazia  ai  lettori  anche  di  questa  lettera.  Chi  vuol 
vederla,  colla  rispettiva  risposta  o  confutazione  del  Moise.  legga  il  Dialogo 
terzo  della  Strenna  Istriana  per  V  anno  1883  (pag.  100  e  seg.).  Da  ciò  si 
capirà  che  il  Moise  non  ne  restò  ancora  persuaso,  ma  che  anzi  rilevò  nello 
stesso  Fornaciari  qualche  contraddizione.  Il  Fornaciari  però  persisteva  a 
consigliare  il  Moise  a  non  inserire  (e  il  consiglio  era  ornai  troppo  tardo, 
perchè  il  Moise  s'  era  deciso  a  questo  già  prima  di  ricevere  la  lettera  del 
Fornaciari)  i  due  trattati  del  Diez,  ma  limitarsi  a  togliere,  o  a  spiegar  meglio, 
certi  errori  sulle  mutazioni  fonetiche  delle  diverse  lettere,  specialmente  su 
quelle  mutazioni  che  avvengono  per  l'iato,  come  deggia  da  debeat,  ecc. 
Ma  anche  questo  secondo  consiglio  era  tardo,  perchè  il  Moise  nella  seconda 
edizione  della  Grammatica  quelle  osservazioni  ond'  egli  ragiona  le  aveva 
segnate  col  lapis  celeste,  e  già  nella  seconda  edizione  della  Grainmatichetta 
furono  del  tutto  omesse. 

E  la  questione  col  Fornaciari  è  finita  con  la  seguente  lettera  che  gli 
scrisse  il  nostro  Abate  : 

Cherso,  31  gennajo  1882.  —  Gentilissimo  e  amorevolissimo  sig.  Professore,  Ricevetti 
a'  dì  passati  la  risposta  all'  ultima  mia,  e  ne  La  ringrazio  di  cuore.  Quantunque  le  ragioni 


')  Vedi  Dialogo  secondo  della  Stnnna  istriana  per  l'anno  1883. 


—    22)    — 

da  V.  S.  addotte  non  valgano  a  farmi  ricredere,  nonostante  ho  piacere  di  saperle,  perché 
le  mi  gioveranno  a  risolvere  le  questioni  proposte  nell'  ultima  Strenna,  se  pur  nel  venturo 
autunno  avrò  tempo  e  voglia  di  rientrare  in  quel  tasto.  Stia  sano  e  allegro  e  mi  continui 
la  sua  benevolenza,  ed  io  in  questo  mentre,  pieno  di  stima,  mi  rassegno  suo  obbligatis- 
sinio  e  devotissimo  servitore.  — 

Ma,  e  la  questione  principale  della  forma  passiva  ? 
Si  racconta  che  T.  Tasso,  facile  poeta,  stentava  talvolta  a  far  tornare 
il  verso,  tant'  è  vero  che  per  comporre  i  due  versi 

Vista  la  faccia  scolorita  e  bella 
Non  scese  no,  precipitò  di  sella, 

se  ne  stette  più  di  qualche  giorno;  finché  udito  a  caso  ripetere  da  un  tale 
il  verbo  precipitare,  questo  gli  aprì  la  mente,  e  la  chiusa  dell'  ottava  venne 
liscia  e  spontanea. 

Così  accadde  al  Moise.  Il  quale,  trovandosi  a  Trieste  per  curarsi  da 
una  fiera  malattia  d' occhi  che  il  tormentava,  ebbe  la  ventura  di  trovarsi 
col  bravo  e  dotto  prof.  Vettach  che  gli  disnebbiò  la  niente.  E  ne  fece 
subito  pubblica  emenda  nella  Strenna  Istriana  per  l'anno  1887.  Ecco  come 
ei  la  racconta  (pag.   138  e   139): 

«Sì,  Sandrino  mio,  nelle  passate  Strenne  io  t'ho  sfilata  magistralmente 
(ne  mi  vergogno  a  dirtelo)  la  corona  degli  strafalcioni.  In  quella  del  1883 
i'  non  prestavo  fede  all'  opinione  del  Eornaciari,  del  Cattaneo  e  di  altri 
filologi,  i  quali  insegnano  essersi  formato  il  passivo  latino  coli'  aggiungere 
ad  ogni  persona  dell'attivo  il  pronome  riflesso  se;  ma  in  sèguito,  macinata 
bene  la  cosa,  m'accorsi  aver  essi  ragione  ragionissima,  e  il  non  trovarsi  pre- 
sentemente esempj  di  laitdose,  laudasse,  landatse')  ecc.,  non  prova  altrimenti 
non  essere  mai  esistite  queste  forme,  le  quali  più  tardi  furono  mutate  nelle 
forme  classiche  laudar,  laudaris,  laudalur  ecc.  Di  questa  importante  scoperta 
io  son  debitore  al  mio  vecchio  amico  Giuseppe  Vettach,  direttore  del 
Ginnasio  comunale  superiore  di  Trieste  e  professore  in  esso  Ginnasio  di 
greco  e  latino.  Un  giorno  t'  indicherò  a  comodo  le  osservazioni  da  esso 
fattemi  ». 

Ma,  pur  troppo,  non  arrivò  in  tempo  il  povero  Abate  d'indicare  codeste 
osservazioni,  che  subito  1'  anno  appresso  fu  colto  dalla  morte. 


')  Per  intender  questo  sappia  il  lettore  che  il  Moise  sfidava  i  suoi  contradditori  a 
dimostrargli  che  gli  antichi  usavano  queste  forme.  Perciò  si  era  anche  rivolto  al  distinto 
filologo  latino  Mauro  Ricci,  il  quale  gli  rispose  di  non  essersi  mai  imbattuto  in  tali  forme. 


—    226    — 


XXIV. 


Ho  già  avvertito  che  coi  primi  dell'anno  1879  non  è  altrimenti  uscito 
il  Lunario;  ma  sì  bene  la  Strenna  Istriana.  Quale  fu  il  motivo  di  questa 
metamorfosi  ?  Eccolo  : 

Dovete assapere  —  racconta  il  Moise  nella  Prefazione  della  Strenna  per  l'anno  1879 

-  che  dopo  il  famoso  Congresso  di  Berlino  la  tassa  de'  Lunarj  ha  fatto  in  Turchia  una 
salita  buscherona  :  da  trenta  centesimi  per  copia  (perchè  e'  intendiam  meglio  ho  ridotto 
in  centesimi  italiani  quelle  monetacce  delle  piastre  e  dei  para  turchi),  1'  è  andata  su  fino 
a  una  lira  :  quella  poi  delle  "Prefazioni  in  versi  e  delle  'Prefazioni  mezze  e  mezze  V  è  salita 
dai  tre  ai  quindici  centesimi  per  ogni  dieci  versi:  E'  s'è  fatto  di  tutti,  disse  babbo  Stefano 
quando  un  giorno  andando  a  zonzo  per  la  città  ebbe  letto  su  una  cantonata  la  nuova 
legge  stampata  a  lettere  di  scatola  ;  e  la  medesima  esclamazione  fece  poco  appresso  il 
fratello  Turco  al  quale  il  suocero  con  le  lacrime  agli  occhi  aveva  data  la  triste  nuova,  ecc. 

Ciò  premesso,  Ottavo  si  dette  lì  per  li  a  rivedere  le  cose  che  pochi  giorni  prima  aveva 
preparate  pel  Lunario  e  quattro  settimane  dopo  pubblicò  la  sua  Strenna  e  nello  spazio  di 
un  mese  o  giù  di  li  ne  spacciò  tutte  le  copie. 

Ora  io  —  soggiunge  C.  Nono  —  che  nel  mio  Periodico  avevo  per  lo  passato  seguito 
in  tutto  e  per  tutto  la  maniera  tenuta  dal  fratello  Turco,  come  potevo  adesso  fare  altri- 
menti ?  Bisognava  pertanto  che  mi  assoggettassi,  benché  non  Turco,  alle  leggi  dei  Turchi. 
Ed  ecco  spiattellata  la  ragione  delle  novità  e  sodisfatta  la  curiosità  de'  lettori. 

Racconta  poi  che  anche  nella  state  del  1878  egli  era  andato  a  Mon- 
falcone,  come  negli  anni  precedenti,  standovi  dai  5  ai  20  di  luglio.  Ma 
nell'  anno  precedente,  oltre  che  a  Monfalconc,  era  stato  ancora  a  Bescanova 
e  a  Castelmuschio  dell'  isola  di  Veglia  fermandovisi  parecchio  tempo.  Poi 
andò  ancora  a  Portorè,  piccola  citta  di  terraferma  di  fronte  all'  isola  di 
Veglia.  E  questa  medesima  gita  egli  la  rifece  nell'anno  successivo  (1879) 
sullo  scorcio  d'ottobre.  Che  cosa  egli  facesse  in  codesti  luoghi  è  da  lui 
raccontato  con  bel  garbo  nelle  prefazioni  delle  Strenne  rispettive.  In  una 
delle  quali  (in  quella  dell' 81)  trovo  ancora  che  Don  Antonio  Prete  di 
Palermo,  il  quale  aveva  commesso  al  nostro  Abate  un  Inno  alla  Vergine 
Addolorata  '),  or  lo  pregava  con  grande  istanza  di  fargli  una  versione  o 
parafrasi  del  salmo  64,  eh'  egli  desiderava  di  far  cantare  a'  suoi  ragazzi.  Il 


')  Vedilo  nella  Strenna  istriana  del   1880  in  line. 


227    — 

Moise  accettò  volentieri  la  commissione  e  tradusse,  ossia  parafrasò  il  salmo 
nel  metro  dell'Inno'),  e  lo  mandò  a  Don  Antonio,  il  quale  ne  fu  con- 
tentissimo. 

Fra  1'  uno  e  V  altro  dei  sopra  detti  viaggi,  il  nostro  Abate  era  andato 
ancora  a  Verteneglio,  a  Cittanova  e  a  Buje.  Nel  primo  luogo  e'  era  il 
parroco,  or  defunto,  Don  Luigi  Moise,  suo  cugino.  Quivi  si  banchettò,  il 
giorno  di  S.  Rocco  patrono  del  luogo,  allegramente.  Dopo  il  brindisi,  fatto 
dal  Moise,  in  versi  che  s'intende,  e  vuotati  i  bicchieri  e  cessato  il  rumore 
dei  viva,  dei  bene,  dei  bravo,  «  disse  non  so  chi  de'  commensali  :  sr  Qui 
abbiamo  un  po'  di  tutto,  qui  versi,  qui  canti,  qui  suoni:  non  ci  manca 
ormai  che  un  po'  di  ballo.  —  A  suo  tempo  ci  sarà  anco  il  ballo;  —  rispose 
il  Turco;  ma  alle  sue  parole  nessuno  allora  détte  alcun  peso.  Più  tardi 
peraltro  tutti  s'accorsero  ch'egli  aveva  detto  il  vero.  Imperciocché,  levandosi 
alcuni  di  que'  Signori  per  andarsene,  si  alzò  anche  lui  e  disse  : 

Signori  miei,  mi  facciano  il  piacere  di  badare  un  tantino  a  me  :  non  sia  loro  discaro 
di  fare  quel  che  ora  farò  io  ;  e,  presa  la  sua  seggiola,  1'  accostò  alla  prossima  parete,  e 
tutti  gli  altri  fecero  lo  stesso.  Indi,  disposti  tutti  quanti  in  circolo  nel  mezzo  della  sala, 
continuò  :  =  Di  grazia  facciati  tutti  come  me  e  dicati  tutti  come  me.  =  Poi,  stese  ambe 
le  mani  e  pigliato  con  l'una  il  compagno  che  gli  era  alla  destra  e  con  l'altra  quello  che 
gli  era  alla  sinistra,  e  fatto  così  gli  altri  e  formata  come  una  catena,  si  fé'  a  bociare  Veruni, 
Urum,  Urum  e  insieme  a  girare  a  destra,  e  poco  appresso  a  ripetere  Urum,  Untiti,  lirum 
e  a  girare  ora  in  su  e  ora  in  giù,  eh'  era  proprio  una  bellezza.  Durò  il  ballo  un  tre  o 
quattro  minuti,  dopo  di  che  si  rimesser  tutti  a  sedere  buttandosi  via  dalle  risa.  Ci  rac- 
contò poscia  Ottavo  che  il  Urum  (il  qual  nome  si  dà  non  solamente  all'  aria  del  ballo, 
ma  si  ancora  al  ballo  stesso)  è  usitatissimo  in  Turchia  e  caldamente  raccomandato  dai 
medici,  e  che  colà  non  si  fa  mai  un  pasto  qualunque  più  lauto  un  poco  dell'  ordinario 
che  non  sia  seguito  dal  Urum.  Anche  il  gobbo  avea  ballato  il  Urum  e  insieme  con  gli 
altri  s'era  congedato  poco  dappoi  ed  era  uscito  di  casa  ;  ma,  arrivati  clic  fummo  dinanzi 
alla  Chiesa,  e'  ci  spari  dagli  occhi  e  niuno  più  lo  vide.  Ch'  e'  sia  un  mago  ?  Indovinala 
Grillo. 

Tutto  l'insieme  è  una  freddura;  ma  non  si  potrà  non  ammirarne  la 
eleganza  e  la  semplicità  del  racconto.  Quanti  oggi  saprebbero  dire  le  stesse 
cose  con  altrettanta  chiarezza  e  purità  di  lingua  ?  E  si  badi  che  non  sono 
finzioni  rettoriche  codeste.  Quando  il  nostro  Moise  si  trovava  con  i  suoi 
amici  a  stare  allegramente,  egli  si  rendeva  promotore  di  siffatti  giuochi, 
facendo    tutti  smascellare  dalle  risa.    E   il    ballo   Urum,   d' ora  in  poi  lo  si 


')  In  strofe  di  quattro  versi  quinarj.  Vedilo  nella  Strenna  istr.  del  1881  pag.  93  e  seg. 


—    228    — 

trova  innestato  quasi  in  ogni  Strenna,  che  ogni  anno  aveva  motivo  di  trovarsi 
con  buoni  conoscenti  o  amici  che  fossero  qua  o  là  nei  periodici  suoi  viaggi  ; 
che  egli  era  presto  amico  di  tutti,  e  tutti  gli  volevan  un  mondo  di  bene, 
e  andavano  a  gara  neh'  invitarlo,  nel  farlo  discorrere,  raccontare,  novellare. 
Ed  era  proprio  un  piacere,  un  vero  divertimento  ad  udirlo.  Né  mai  scendeva 
a  nessuna  cosa  scurrile;  ma  era  semplicemente  piacevole,  festoso,  burlone. 
Pareva,  insomma,  ed  era  in  realtà,  uomo  d'un  altro  mondo,  di  quelli  de' 
quali  difficilmente  si  saprebbe  in  oggi  trovare  lo  stampo.  Invano  per  ciò 
si  cercherebbe  in  lui  la  fibra  d'un  forte  scrittore,  la  potenza  d'un  ingegno 
peregrino  ed  ardito.  Ma  se  questo  non  era,  egli  era  sì  bene  uomo  illuminato, 
dotto,  amoroso,  paziente,  che  solo  nelle  cose  della  vita  spicciola  si  conduceva 
come  per  mano,  mentre  nel  suo  ramo  poteva  dirsi  indipendente  maestro, 
e  in  qualche  parte  grande  operatore  di  civiltà. 

Nell'autunno  avanzato  del  1880  il  Moise  andò  a  svagarsi  a  Lussinpiccolo 
in  casa  d'  un  suo  nipote,  dove  si  fermò  per  la  bellezza  di  cento  giorni,  cioè 
dal  25  ottobre  del  detto  anno  al  5   febbrajo  dell'  anno  successivo  '). 

Ei  fa  anche  di  questo  luogo  una  breve  descrizione,  poi  parla  della 
Società  di  mutua  associazione  navale  e  di  altre  Associazioni  popolari  colà 
esistenti.  È  caso  proprio  raro  ch'egli  entri  a  parlare  di  siffatte  cose.  E  non 
solo  delle  anzi  dette,  ma  eziandio  dei  commerci  e  della  marineria  mercantile 
di  quell'  industre  isola.  I  lussignani  fecero  un  mondo  di  gentilezze  all'Abate, 
il  quale  era  «  in  fama  di  celebre  filologo  e  di  valoroso  scrittore;  sicché 
non  lo  stimavano  e  onoravano  come  Abate  puramente,  ma  come  Abate 
letterato  ». 

Durante  quella  sua  fermata,  il  Moisè  si  prestò  volonteroso  a  fare  i 
bisogni  spirituali  di  quella  popolazione,  cioè  non  soltanto  celebrava  la  messa, 
ma  in  tutti  i  giorni  e  a  tutte  l'ore  accorreva,  ove  fosse  bisogno,  al  con- 
fessionale. Alla  domenica  poi,  per  contentare  alcune  signore  che  istantemente 
ne  lo  pregavano,  vi  faceva  dopo  la  messa  un  predichino.  «  La  gente  accorreva 
in  folla  ad  ascoltarlo,  e  per  gente  non  intendo  solo  il  popolino,  ma  intendo 
pur  anche  i  signori,  le  signore,  i  maestri,  le  maestre,  i  professori,  gl'impiegati 
e  va'tene  là.  I  suoi  predichini,  o,  com'  egli  li  chiamava,  discorsini,  erano 
brevissimi,  semplici  e  alla  mano,  ma  pieni  di  espressione  e  di  affetto,  a  tal 
che  costringevano,  dirò  così,  gli  uditori  ad  ascoltarli  con  attenzione  e  ne 
commovevano  e  intenerivano  i  cuori;  e  io  vidi  —  e  non  una  sola  volta  — 


')  Vedi  cap.   Viaggi  pag.   14  e  seg.  della  Strenna  istriana  per  1'  anno  li 


—   229   — 

parecchi  che  li  stavano  a  sentire  asciugarsi  con  la  pezzuola  le  lacrime,  che, 
senza  quasi  addirsene  eglino,  loro  scendevan  dagli  occhi,  e  taluni,  fra  gli 
altri,  i  quali  erari  venuti  in  chiesa  per  ben  altro  che  per  piangere»  '). 

Partì  da  Lussino  un  mese  circa  prima  del  tempo  fissato,  e  ciò  per 
intervenire  alle  nozze  che  si  dovevano  celebrare  a  Cherso  di  altro  suo  nipote. 
Finite  le  nozze,  parla  di  scancìo  del  viaggio  di  ritorno  per  la  via  di  terra  degli 
ospiti  lussignani.  I  quali  si  sono  fermati  al  lago  di  Vrana  poi  ad  Ossero 
dove  visitarono  il  Museo  dell'arciprete  Bolmarcich,  ora  canonico  a  Veglia. 

Dopo  questo,  ei  racconta  il  viaggio  fatto  a  Plauno.  «  Così  si  chiama 
una  piccola  isola  situata  fra  la  nostra  (isola  di  Cherso)  e  quella  di  Veglia, 
poco  distante  dallo  sporto  quadrangolare  che  fa  lo  Smergo  verso  levante....»2). 

Il  Moise  partì  per  Plauno,  in  compagnia  del  padrone  dell'isola  dottor 
Nicolò  de  Petris  e  famiglia,  la  mattina  del  dì  17  luglio.  L'Abate  ci  andò 
primieramente  per  «  ribenedire  il  cinesino  di  Santo  Spirito  che  da  anni 
Domini  non  era  stato  uffiziato,  e  in  secondo  luogo  il  detto  sor  dottore 
desiderava  di  avere  in  sua  compagnia  il  suo  signor  cognato  durante  le  feste- 
che  quivi  usa  di  fare  nei  giorni  che  si  tosano  le  pecore  ».  E  racconta  codeste 
teste,  facendo  una  descrizione  graziosissima  del  modo  col  quale  sogliono 
quei  pastori  tosar  le  pecore.  Finita  la  tosatura,  tanto  l'Abate  che  i  signori 
ospiti  ritornarono  a  Cherso. 

L'Abate  racconta  ancora  un  terzo  viaggio  fatto  a  Monfalcone  al  principio 
del  luglio.  Fu  in  questo  incontro  che  conobbe  1'  egregio  prof.  Giuseppe 
Vett.ich,  in  quel  tempo  ispettore  scolastico  a  Gradisca.  Con  lui  fece  ben 
presto  amicizia,  ed  effettuò  anche  qualche  gitcrella  nei  dintorni. 


XXV. 


Da  tanti  anni  che  usciva  il  Lunario  prima,  la  Strenna  di  poi  del  nostro 
Grammatico  chersino,  nessuno  fra  noi  ne  aveva  detto  nulla  per  le  pubbliche 
stampe,  o,  se  pure,  non  si  era  fatto  niente  di  più  che  annunziarla  sempli- 


')  Sopra  tutto,  ci  dice,  facevano  grande  impressione  le  chiuse  delle  perorazioni  sue, 
due  delle  quali  ei  riporta  nella  citata  Strenna  a  pag    98  e  seg. 

3;  I.cco  altre  indicazioni  dell'isola.  Essa  comprende  1532  jugeri  di  terreno,  ai  quali 
ove  si  aggiungano  altri  26  jugeri  de'  due  isolotti  ad  essa  appartenenti,  ossia  di  quello  di 
Carnaziolo  a  scirocco  che  ne  conta  9  e  quello  di  Correlato  a  libeccio  che  ne  conta  17, 
si  hanno  in  tutto  1558  jugeri. 


—  230  — 

cernente  con  qualche  frase  obbligata  o  di  convenienza.  Ed  ecco  il  eh.  cavaliere 
Tomaso  Luciani,  noto  patriota  istriano,  mandarmi  sullo  scorcio  del  mese 
di  gennaio  dell'anno  1882  una  Lettera  aperta  all'indirizzo  del  Chiarissimo 
Abate  Giovanni  3\Coise  —  in  Cberso,  lettera  ch'io  inserii  come  appendice 
ne  L' Istria  del  4  febbrajo  di  quell'  anno,  N.  6.  Preposto  il  cav.  Luciani 
come  motto  alla  lettera  il  noto  apoftegma  latino  In  tenui  labor,  al  tennis 
non  gloria  ....  così  comincia  la  sua  lettera  : 

Ho  ricevuto  da  Firenze  la  Strenna  istriana  ài  N.  C.  Baccelli  che  avete  voluto  quest'anno 
donarmi.  Ve  ne  ringrazio,  e  per  l'affetto  che  a  ciò  vi  mosse  e  più  ancora  pel  bene  ch'essa 
apporta  nell'opinione  pubblica  al  nostro  paese.  —  Modestissima  in  apparenza  la  Strenna 
istriana  —  sotto  'l  velame  de  gli  versi  strani  —  asconde  della  bella  e  buona  dottrina.  Essa 
sopratutto  fa  toccare  con  mano  come  sul  nostro  Quarnaro  ch'ebbe  dall'Alighieri  battesimo 
incancellabile,  sia  propria  naturale  la  lingua  del  sì.  E  in  vero  dove  non  la  si  succhia 
col  latte,  dove  non  sono  pieni  e  pregni  della  letteratura  italiana  —  l'aria,  la  terra,  il  mar 
—  non  si  maneggia  la  lingua  come  la  maneggiate  voi,  in  modo  da  strappare  ad  un  Fanfani, 
ad  un  Di  Giovanni,  ad  un  De  Gubernatis  e  ad  altri  scrittori  illustri,  le  attestazioni  lusin- 
ghevolissime che,  non  chiesti  e  in  alcuni  giudizi  anche  da  voi  dissenzienti,  vi  hanno  dato 
pubblicamente.  Non  posso  trattenermi  dal  ripetere  qui,  non  per  voi,  ma  per  i  compro- 
vinciali nostri,  alcuni  brani  assai  notevoli  di  dette  attestazioni 

E  qui  riporta  dette  attestazioni,  che  i  nostri  lettori  troveranno  in  altri 
luoghi  di  questa  biografia.  Poi  parla  del  piacere  che  ha  provato  nel  leggere 
essa  Strenna,  la  quale  gli  ha  risvegliato  una  serie  di  cari  ricordi. 

Detto  dunque  questo,  e  lodati  i  Viaggi  stampati  dal  Moise,  così  pro- 
segue : 

11  dialogo  delle  tre  gentili  abitatrici  di  Vrana  mi  piacque  molto,  perchè  unisce  l'utile 
al  dolce.  Giova  infatti,  sommamente  giova,  abolire  dalla  nostra  parlata  ogni  stranierume 
e  avvezzare  le  donne  ed  il  popolo  a  chiamare  con  voci  nostre  i  mobili  e  le  masserizie  di 
casa.  La  lingua  italiana  è  ricca,  assai  ricca  e  feconda  in  ogni  ramo,  quando  la  si  studia 
filosoficamente  e  la  si  conosce  davvero.  Che  se  per  qualche  utensile,  di  novissima  invenzione 
o  introduzione  straniera,  mancasse  il  nome  nei  vecchi  depositi  della  Crusca,  ricordiamoci 
che  la  lingua  è  viva  e  come  tale  dee  muoversi,  ricorriamo  quindi  ai  derivati,  ai  composti, 
alle  analogie,  alle  somiglianze,  alle  infinite  altre  risorse  e  della  favella  comune  e  delle  sue 
varietà  dialettali  prima  di  accordare  cittadinanza  a  voci  straniere.  —  Voi  per  eccesso  di 
scrupolo  non  avete  fatto  buon  viso  alla  dormosa  (per  dormeuse)  abbenchè  uscita  dalle 
labbra  d'una  giovane  e  certo  arguta  signora.  Io,  all'  incontro,  dopo  aver  sentito  da  tutto 
il  popolo  di  Firenze  (popolo,  non  plebe),  dire  cassepotte  ai  famosi  ebassepots,  non  mi  farei 
punto  scrupolo  di  ammettere  la  dormosa  o  la  dormigliosa;  che  è  fatta  apposta  per  conciliare 
il  sonno  dopo  il  pasto  o  nelle  ore  bruciate.  Per  lo  stesso  eccesso  di  scrupolo  avete  dichiarato 
a.  pag.  69,  che  la  consolle  non  ha  in  italiano  alcun  nome  che  vi  corrisponda,  e  che  dobbiamo 
però  chiamarla  come  la  chiamano  i  Francesi,  dai  quali  Vabbiam  presa  ....  Ma  non  vi  pare 
che  talfiata  sia  stata  detta  mènsola  ?  E,  se  anche  non  fosse  stata  detta,  non  vi  pare  che 
si  possa  dirla?  che  l'uso  cui  è  spesso  destinata,  la  forma  dei  suoi  piedi  o  sostegni,  giù- 


—  23 1    - 

stificherebbero  1'  applicazione  d'  un  tale  nome  ?  A  confortarvi  più  e  più  vi  dirò  che  nel 
dialetto  popolano  e  però  antico  di  Albona,  prima  che  i  Francesi  o  chi  altri  portassero  il 
iremo  e  gì' infrancesati  la  consolle,  i  nostri  buoni  vecchi,  a  un  tavolino  di  forma  e  destinazione 
non  dissimili,  dicevano  giocola  ;  e  che  anche  presentemente  in  Albona  appellano  gio^ole 
quei  mensolini  che  si  attaccano  alla  parete  di  fianco  ai  letti  e  che  servono  a  posare  il 
lumicino  di  notte,  il  bicchier  d'  acqua,  il  libro,  gli  occhiali  e  altrettali  piccoli  oggetti,  a 
comodo  della  persona  giacente. 

Dicendo  del  dialogo  tra  il  Baccelli  e  il  Sandrino  che  tratta  di  cose  gram- 
maticali, ne  loda  lo  spirito  d'indipendenza  del  nostro  grammatico,  siccome 
quello  che  facendo  pur  di  cappello  all'  insigne  lavoro  del  Diez,  si  dichiara 
non  d'  accordo  col  dotto  Alemanno  intorno  a  parecchie  etimologie  ecc. 

Detto  poi  che  gli  piacquero  ancora  tutte  le  altre  cose  contenute  nella 
Strenna,  continua  : 

Dopo  tutto  ciò  tollerate  dal  vecchio  amico  un'ultima  osservazione.  —  Mi  pare  che  tal- 
volta vi  siete  lasciato  sedurre  da  certe  frasi  e  forinole  più  toscane  che  italiane  ;  come  dare  di 
bruscolo,  —  rimanere  cerne  Tenete,  —  andare  a  fagiuolo,  —  a  fagiolissimo,  —  non  dare  né  in 
tinche  né  in  età,  —  dondolar  la  Mattea  ....  Sì,  anche  la  Mattea  ammessa  in  tutti  i  Vocabolarj 
italiani  in  grazia  del  Varchi,  è  meno  italiana  del  cuti  dell'aja  che  è  a  tutti  notissimo. 

Lo  bello  stile  clic  v'  ha  fallo  onore  —  non  ci  guadagna  con  queste  frasi,  che  anzi  il 
lettore  non  toscano  non  afferrandone  subito  il  senso,  vi  si  ribella.  Questa  osservazione 
però  non  iscema  nell'opinione  mia  il  merito  dell'opera  vostra,  che  —  ubi  plura  nitent  .... 
non  ego  paucis  offendar  maculis.  E  quindi  per  tutte  le  ragioni  fin  qui  discorse  io  faccio  le 
mie  congratulazioni  col  vostro  alter  ego  Nono  Cajo  Baccelli,  e  raccomando  la  Strenna 
istriana  sopratutto  agli  Istriani,  perchè  non  si  ripeta  ancora  una  volta  a  lode  dell'autore 
e  a  discredito  del  paese  il  —  tiemo  piopheta  in  patria. 

Finisce  coli'  animarlo  a  dar  fuori  la  Grammatica  di  mago. 


XXVI. 


Nella  Prefazione  alla  Strenna  istriana  per  l'anno  1883  N.  C.  Baccelli 
racconta  francamente,  che  negli  anni  a  questo  antecedenti,  la  Strenna,  tut- 
toché Istriana,  era  letta  assai  poco  in  Istria,  e  a  molti  Istriani  ell'era  affatto 
sconosciuta.  Quello  che  a  tutti  la  rese  nota  ne  fu  la  lettera  qui  sopra  riportata 
del  cav.  Luciani  ').   Se  non  che  il  Luciani  e  nella   detta   lettera  e  in  altre 


')  Di  fatti  gliene  furono  commesse  700  copie  per  l'anno  venturo.  Cosi  da  una  lettera 
a  me  diretta. 


—  232  — 

susseguenti  dirette  al  sor  Abate,  da  una  parte  imburrava  di  lodi  la  Strenna,  e 
dall'altra  ne  condannava  certe  voci  e  maniere  tutte  proprie,  diceva  lui,  dell'uso 
toscano  e  dai  non  Toscani  generalmente  non  intese.  Le  medesime  osservazioni 
furon  fatte  in  seguito  anche  al  Moise  da  altri  signori  istriani,  i  quali  però  lo 
consigliavano,  stortamente,  a  mio  giudizio,  a  non  adoperare  nelle  Strenne  av- 
venire le  siffatte  voci  e  maniere  e  a  sostituire  loro  le  voci  e  maniere  della 
lingua  comune  e  da  tutti  intesa.  Ora  che  si  doveva  egli  fare  per  accontentarli? 

Togliere  dalla  Strenna  —  egli  osserva  —  quelle  voci  e  quelle  maniere  era  lo  stesso 
che  distruggerla  ;  perché  lo  scopo  principale  della  Strenna  è  quello  di  eccitare  i  suoi  lettori 
all'amore  e  allo  studio  delia  lingua  parlata  in  Toscana  '),  per  arrivare  quandochessia  ad 
ottenere  quella  unità  della  lingua  che  fu  caldeggiata  ultimamente  dai  principali  scrittori 
toscani  de'  nostri  giorni,  vo'  dire  dal  Giusti,  dal  Fanfani,  dal  Ricci,  dal  Guasti,  dal  Rigutini 
e  da  altri  ancora.  Ma  per  appagare  in  fine  in  fine  i  loro  desiderj  e'  non  era  necessario 
di  togliere  dalla  Strenna  quelle  voci  e  quelle  maniere,  ma  bastava  far  si  ch'essi  le  inten- 
dessero. Ed  ecco  spiegata  la  ragione  delle  note,  dove  appunto  vengono  chiarite  quelle 
voci  e  quelle  maniere  che  molti  non  Toscani  penano  a  intendere.  Nelle  dieci  Strenne  che 
precedettero  a  questa  qui  non  e'  eran  note,  ni  occorreva  punto  che  vi  fossero  ;  perchè  i 
loro  lettori  eran  tutti  più  o  meno  dotti,  e,  conseguentemente,  senza  bisogno  di  note 
intendevano  ciò  che  leggevano  :  ma  quest'anno  gli  è  un  altro  par  di  maniche.  Quest'anno 
non  i  soli  dotti  leggeranno  la  Strenna,  ma  la  leggeranno  altresì  tanti  e  tanti  che  non  sono 
dotti,  tanti  e  tanti  che  non  hanno  mai  veduta  in  viso  la  Grammatica  ;  e  per  costoro  le 
note  saranno  una  mano  di  Dio  2). 

E  oltre  che  le  note,  il  Moise  introdusse  ancora  una  novità  nelle  sue 
Strenne,  egli  inserì  cioè  dei  Racconti  morali  del  canonico  Cristoforo  Schmid. 
Ecco  come  passò  la  cosa  *)  : 

Il  nostro  sor  Abate  fu  più  volte  stimolato  in  addietro  da'  suoi  amici  a  fare  una  nuova 
traduzione   italiana  di  tutti  i  Racconti  dello   Schmid,   essendo  in  generale   quelle  che  ne 


')  Ad  un  Signore  che  gli  aveva  fatto  l'appunto  in  uno  scritto  di  far  parlare  le  donne 
nelle  sue  Strenne  nella  lingua  del  Padre  Cesari,  il  Moise  non  rispose,  ma  a  me  scrisse  le 
precise:  «Egli  (dicendo  questo)  sballa  un  marrone  dell'ottanta;  perchè  dalla  lingua  del 
Cesari  a  quella  usata  da  me  ne'  Dialoghi  tanto  ci  corre  quanto  da  una  stella  a  una  stalla. 
Tutti  sanno  infatti  che  la  lingua  del  Cesari  è  lingua  classica  e  in  ghingheri,  laddove  la 
mia  è  lingua  pedestre  e  famigliare  :  il  Cesari  scrive  nella  lingua  di  frate  Bartolomeo  da 
San  Concordio,  del  Cavalca  e  del  Passavanti,  ed  io  invece  metto  in  bocca  alle  mie  donnine 
la  lingua  dello  Zannoni,  del  Giusti  e  del  Guadagnoli.  Le  dico  questo  tanto  per  dirglielo. 
uè  intendo  altrimenti  che  V.  S.  se  ne  rivalga  contro  il  Signore ,  no,  no». 

2)  Nel  ristampare  che  fece  ne  L'Istria  le  Prefazioni  dei  due  primi  Lunarj,  il  Moise 
le  accompagnò  pure  di  opportune  note. 

s)  Vedi  Prefazione  su  citata  pag.  5  e  seg. 


-  233  - 

abbiamo  traduzionacce,  si  perchè  infedeli  al  testo,  si  perchè  scritte  in  pessima  lingua; 
sicché  una  traduzione  a  garbo  di  que'  Racconti  sarebbe,  dicevan  essi,  un  gran  bene  per 
l' Italia,  dove  lo  Schmid  è,  dirò  così,  per  le  mani  di  tutti.  Di  buona  voglia  accettò  il  sor 
Abate  il  consiglio  degli  amici,  e,  fattosi  venire  da  Monaco  l'intera  collezione  de'  Racconti 
pubblicata  nel  1876  da  Luigi  Finsterlin,  si  messe  tosto  all'opera  e  in  meno  d'un  anno 
ne  tradusse  due  volumi.  Ei  voleva  andare  avanti,  ma  poi  cominciò  a  dubitare  sulla  bontà 
del  suo  lavoro,  temendo  che  la  sua  versione  non  avesse  po'  poi  quelli  stessi  difetti  ch'egli 
condannava  nelle  altre.  Stando  cosi  l'affare,  gli  venne  in  pensiero  di  scegliere  uno  o  due 
Racconti  de'  più  piccoli  e  d' inserirli  nella  ....  Strenna  e  aspettare  poi  quello  che  ne 
direbbero  i  letterati,  e  tutti  i  suoi  amici  approvarono  il  disegno  ;  ed  ecco  spiegata  la  ragione 
anche  dei  Racconti. 

Dichiara  infine  ch'egli  si  atterrà  strettamente  al  giudizio  che  de'  Racconti 
da  lui  tradotti  daranno  i  letterati. 

Se  questi  ne  diran  bene,  egli  continuerà  la  sua  traduzione  e  ogni  anno  seguiterà  a 
pubblicarne  uno  o  più  d'  uno  nella  Strenna,  cominciando  dai  più  piccoli  e  andando  di 
mano  in  mano  ai  più  grandi  ;  se  poi  ne  diranno  roba  da  chiodi,  egli  smetterà  sul  momento, 
né  penserà  più  d' inserirli  nella  Strenna. 

Ed  ha  mantenuto  la  parola,  fino  a  tanto  che  restò  in  vita. 

Imperocché  delle  sue  traduzioni  dei  Racconti  schmidiani,  ne  dissero 
un  mondo  di  bene  i  meglio  periti  neh'  arte  dello  scrivere.  Stando  così  le 
cose,  mentre  1'  Abate  nella  Strenna  dell'  83  aveva  pubblicati  due  Racconti, 
//  non  ti  scordar-di-me  e  La  Lucciola;  negli  anni  successivi,  via  via  per  le 
altre  Strenne,  pubblicò  i  seguenti  :  I  Gamberi,  La  Stiacciata  (nella  Strenna 
dell'  84);  L'  anello  di  diamanti,  racconto  in  lettere  (nella  Strenna  dell'  85); 
La  Figilia  di  Natale,  Il  Nido  di  Uccelli  (nella  Strenna  dell' 86  ');  Enrico  di 
Eicbenfels,  La  Cappella  presso  a  Woljsbùhl  (nella  Strenna  dell'  87)  ;  Le  Ova 
di  Pasqua,  Il  Canarino,  La  Colombina,  L'Immagine  di  Maria  (nella  Strenna 
dell' 88).  Sono  dunque  13  i  Racconti  da  lui  tradotti.  Peccato  eh' ei  non 
sia  giunto  in  tempo  di  finire  questa  elegantissima  e  ad  un  tempo  fedele 
traduzione,  che  con  essa  le  nostre  lettere  sarebbero  state  propriamente 
arricchite  d'  un'  opera  importante  e  completa  e  in  uno  tanto  popolare.  Mi 
ricordo,  subito  che  lessi  i  primi  racconti  schmidiani  da  lui  tradotti,  d'avere 
instato  in  tutti  i  modi  presso  di    lui    perchè  lasciasse   da   banda  ogn'  altra 


')  Questa  Strenna  e  chiamata  dal  Moise  SchmiJìana,  siccome  quella  che  nient'altro 
contiene  se  non  due  Racconti  del  canonico  Schmid,  a  cui  s'aggiunge  un'Odicina  per  nozze 
pubblicata  dal  Moiic  nel  maggio   1885. 

1« 


-  234  — 

occupazione,  e  tutto  si  dedicasse  a  codesta  traduzione;  ma  era  uomo  che, 
se  ascoltava  volentieri  gli  altrui  consigli,  era  altrettanto  guardingo  nel  mettere 
al  palio,  come  diceva,  i  suoi  lavori.  Ed  io  so  che,  talvolta,  per  una  espres- 
sione tedesca  intraducibile  letteralmente  nella  nostra  lingua,  si  smaniava 
giorni  e  settimane  intere,  scrivendo  lettere  per  consulti  ai  quattro  venti. 
Questa  scrupolosità  e  i  frequenti  acciacchi  della  vita  lo  distolsero  dal  compire 
il  lavoro  prima  di  morire. 


XXVII. 


In  data  del  io  febbraio  1883  io  riceveva  dall' Abate  Moise  da  Cherso 
una  lettera,  nella  quale  mi  diceva  qualmente  da  ogni  parte  gli  venivano 
domande  per  avere  le  Strenne  antecedenti.  Or  non  potendo  egli  accontentare 
i  petenti,  che  volevano  avere  completa  la  collezione,  né  potendo  ancora 
intraprendere,  su  due  piedi,  una  seconda  edizione  delle  già  pubblicate  Strenne, 
cosi  mi  pregava  di  pubblicarle  un  po'  per  volta  nelle  appendici  de  L' Istria. 

Per  tutta  risposta  io  inserii  la  lettera  ne  L' Istria  ')  dichiarando  che 
dal  canto  mio  mi  presterò  ben  volentieri  al  desiderio  manifestato  dal 
chiarissimo  nostro  comprovinciale. 

Già  ne  L'Istria  d'un  anno  prima  (1882),  e  precisamente  nei  N.  14, 
21  e  25  aveva  pubblicati  come  appendice  due  dialoghi  (il  terzo  e  il  quarto), 
estratti  tutti  e  due  dal  Lunario  per  l'anno  1878.  Così  nello  stesso  periodico 
dell'anno  successivo  (1883)  vennero  stampate  le  prefazioni  con  altre  perti- 
nenze dei  due  primi  Lunarj,  e  precisamente  nel  N.  63  la  Prefazione  in 
prosa  e  nel  N.  64  quella  in  versi  del  Lunario  del  1873  ;  mentre  la  Prefazione 
con  altre  pertinenze  del  Lunario  del  1874  stanno  parte  nel  N.  68  e  parte 
nel  N.  76. 

Nel  N.  56  poi  dell' istesso  anno  (20  gennaio)  io  invitava  i  miei 
comprovinciali  a  provvedersi  della  Strenna  Istriana  per  l'anno  1883  colle 
seguenti  parole  : 

— Che  la  Strenna  (di  Nono  Cajo  Baccelli)  sia  un  buon  libro 

è  fiato  sprecato  ;  soggiungere  poi  che  il  libro  potrebbe  servire  siccome  testo 
di  lingua  purgata,  è  ancora  opera  vana,  essendo  noto  ìippis  atque  tonsoribus, 


')  Anno  II,  17  febbraio  1883,  n.  60. 


—  235  — 

qualmente  il  sig.  Baccelli  sia  tanto  scrupoloso  in  fatto  di  lingua,  da  volere 
financo  che  la  sua  Strenna  veda  la  luce  nella  patria  di  Dante,  di  Michelangelo 
e  di  Galileo.  E  come  il  Manzoni  mandò  /  ^Promessi  Sposi  a  purgarsi  nelle 
limpide  onde  dell'Arno,  cosi  il  nostro  Abate  manda  ogni  anno  a  stampar 
la  sua  Strenna  alla  città  dei  fiori.  Noi  salutiamo  questo  libro  con  vero 
entusiasmo,  amanti  come  siamo,  anzi  idolatri,  del  nostro  beli'  idioma,  sacro 
palladio  della  nostra  civiltà.  Chi  perde  lingua,  perde  libertà,  dice  Plutarco; 
se  cosi  è,  possiamo  andarne  orgogliosi,  sicuri  di  essere  laddiomercè  molto 
lontani  da  questo  pericolo,  finché  si  scrivono  libri  fra  di  noi  nella  lingua 
viva  del  Guadagnoli,  del  Giusti,  del  Thouar  e  del  Giuliani.  Vorremmo 
perciò  avere  mille  trombe  per  fare  la  reclame  —  non  si  scandalizzi  signor 
Abate  di  questo  forestierume  —  a  questa  Strenna,  che  dovrebbe  passare 
per  le  mani  di  tutti,  per  il  modo  purgato  e  terso  con  cui  è  scritta. 

La  comprino  dunque  i  signori  e  la  diffondano  fra  i  proprj  dipendenti 
e  la  facciano  leggere  e  rileggere  fino  a  mandarla  a  memoria.  — 

E  dopo  aver  detto  che  cosa  ella  conteneva,  soggiunsi  : 

—  E  il  eh.  Abate,  che  ci  regala  ogni  anno  un  buon  libro  e  che  tanto 
contribuisce  a  tener  fra  di  noi  immacolata  e  fulgida  la  sacra  fiamma  dell'arte 
del  bello  scrivere,  accetti  i  nostri  ringraziamenti,  le  felicitazioni  più  sincere; 
e  possa,  essendo  questo  1'  undecimo  anno  della  pubblicazione  della  Strenna, 
raggiungere  almeno  la  somma  di  tre  altre  diecine  di  Strenne.  — 

Cosi  V  Istria  non  si  è  stancata  mai  di  raccomandare  questo  libercolo 
del  Moise.  Nel  N.  118  dell'anno  1884,  mentre  diceva  che  la  Strenna  era 
uscita,  e  che  era  stata  lodata  dai  più  illustri  italiani,  soggiungeva  : 

—  Il  prof.  Bart.  Veratti,  a  cagion  d'esempio,  nei  suoi  Opuscoli  Rdig., 
Lett.  e  Mot.,  che  si  stampino  a  Modena,  nella  tornata  del  17  gennajo  1884 
tenuta   dall'  Accademia   Tassoniana,   passando   in    rivista  parecchie  Strenne, 

.  cosi  si  esprime  in  rapporto  all'  Istriana  dell'  Abate  Moise  : 

La  Strenna  Istriana  di  N.  C.  Baccelli  non  ha  quest'  anno  nessun  battibecco  gram- 
maticale; ma,  toscanissima  sempre,  dà  due  dialoghi  assai  istruttivi  (i  quali  stampati  anni 
sono,  in  Lunarj,  ora  non  erano  più  reperibili);  e  la  traduzione  che  ha  tutta  l'aria  di 
dettato  originale  in  purissima  lingua.  È  da  congratularsi  con  N.  C.  Baccelli  che  ha  trovato 
si  eccellente  tradutore;  è  da  desiderare  che  la  Strenna  Istriana  venga  in  luce  almeno  una 
volta  il  mese. 

Dal  canto  nostro  assecondiamo  volentieri  il  desiderio  espresso  dall'illustre 
prof.  Veratti.  Si  potrebbe  intanto  aprire  un  abbonamento  per  i  raccontini 
dello  Schmid,  i  quali  possono  sempre  esser  letti  con  frutto  non  solo  dalle 
persone  colte,  ma  fin  anche  dai  bassi  artieri  e  dai  contadini.  Vestiti  poi 
del  manto  che  sa  dare  ai  racconti  l'egregio  Abate,  acquistano  necessariamente 


—  236  — 

un  doppio  valore.  Non  sappiamo  se  con  questa  nostra  proposta  incontriamo 
anche  il  parere  dell'autore;  e  qui  non  istà  a  noi  il  decidere.  — 

Mi  piace  qui  di  notare  che  io  aveva  scritto  sempre,  questo  e  altro,  senza 
conoscere  di  persona  il  Moise.  Si  fu  appena  nel  novembre  del  1883  ch'io 
ebbi  proprio  il  piacere  di  fare  la  sua  conoscenza,  e  di  ospitarlo  come  potei 
e  per  brevi  giorni  in  casa  mia1),  nelP  occasione,  cioè,  eh' ei  faceva  un  giro 
per  l' Istria  a  ritrovare  gli  amici,  e  precisamente  a  Parenzo,  a  Umago,  a 
Rovigno,  a  Valle,  a  Dignano,  a  Barbana  e  a  Pola.  Partito  da  Cherso  il 
dì  8  novembre,  fu  di  ritorno  il  14  dicembre. 

Fu  detto  di  sopra,  che  nella  Strenna  dell'  84  cominciò  il  Moise  a  ri- 
pubblicare i  Dialoghi  dei  primi  Lunarj,  e  ciò  egli  fece  per  corrispondere  al 
desiderio  di  molti,  che,  valutando  a  buon  diritto  i  dialoghi  più  di  ogni  altra 
cosa  delle  Strenne,  desideravano  averne  la  raccolta  completa.  Finalmente  si 
cominciava  ad  aprire  un  po'  gli  occhi  anche  in  Istria,  che  fuori  era  ben 
d'adesso  che  ci  si  era  accorti  del  valor  loro,  come  delle  Strenne  in  generale. 
Infatti  il  eh.  Alessandro  Ippoliti,  professore  di  lettere  latine  e  greche  nel 
Liceo  Campana  di  Osimo,  dava  nella  Sentinella  del  Musone  (anno  VII,  n.  8, 
22  febbraio   1883)  il  seguente  annunzio  bibliografico: 

tLimium  ne  crede  colori.  —  In  quel  diluvio  di  Strenne  eh'  è  piovuto  addosso  al 
novello  anno  1883,  ce  n'  è  di  molte,  che,  salvo  la  copertina,  eh'  è  una  vera  galanteria, 
e  il  fine  generoso  a  cui  sono  indirizzate,  nel  rimanente  del  sugo  ce  n'  è  poco,  ma  poco 
bene.  Una  Strenna  di  quasi  nessuna  apparenza,  ma  fatta  pure  ammodino,  è  la  Strenna 
Istriana. 

La  Strenna  va  per  gli  undici  anni,  e  chi  la  mise  al  mondo  fu  Nono  Cajo  Baccelli, 
un  Professore  con  tanto  di  lombi,  il  quale  ne'  suoi  Dialoghi,  per  una  buona  metà  del- 
l' opuscolo,  tratta  questioncelle  di  lingua  con  elegante  spigliatezza  ed  arguzia,  che  ci 
ricorda  i  Diporti  Filologici  del  compianto  Fanfani  e  quelli  del  suo  degno  amico,  il  prof. 
Alfonso  Cerquetti. 

Rifioriscono  la  Strenna  alcune  descrizioncelle  di  viaggi,  fatte,  anch'esse,  con  amabile 
disinvoltura,  e  due  Racconti,  tradotti  dal  tedesco,  di  Cristoforo  Schmid.  Il  primo  dei  quali 
Racconti  —  •TvLo»  ti  scordar  di  me  —  è  come  un  romanzetto  domestico,  spirante  gentile 
malinconia  e  squisitamente  educativo  :  1'  altro,  intitolato  La  Lucciola,  ha  un  non  so  che 
di  più  drammatico  e  tinte  più  risentite;  le  quali  poi,  dal  mezzo  in  giù,  vanno  ammor- 
bidendosi e  sfumano  in  un'  imagine  lieta  e  serena.  Il  qual  effetto  nasce  non  meno  dal 
racconto  in  sé  e  dalle  circostanze  di  esso,  che  dalla  perizia  del  traduttore  (eh'  è  poi  lo 
stesso  Nono  Cajo  Baccelli)  e  dall' aver  egli  appropriato  all'originale  tedesco  la  più  schietta 
forma  italiana. 


')  Vedi  Prefazione  alla  Strenna  per  l'anno  1884. 


—  237  — 

Insomma  è  proprio  il  caso  di  ripetere:  multimi  in  parvo.  E  noi  desideriamo  e  augu- 
riamo all'  egregio  Autore  che  la  sua  Strenna  diventi  sempre  più  italiana  per  numero  di 
lettori  e  associati. 

Animato  così,  il  povero  Abate  lavorò  di  buzzo  buono  nella  traduzione 
dei  Racconti  dello  Schmid. 

Ma  pur  troppo  la  sua  salute  era  scossa.  Ai  primi  acciacchi  s'aggiunse 
ancora  una  grave  malattia  d'occhi,  che  per  poco  non  l'avea  ridotto  affatto 
cieco.  Già  sulla  fine  dell'anno  1883  andò  a  Trieste  per  consultare  il  celebre 
prof.  Brettauer,  che  gli  prescrisse  una  nojosissima  e  penosissima  cura.  E, 
continuando  tuttavia  il  suo  male,  tre  mesi  dopo  ei  fé'  ritorno  a  Trieste, 
dove  il  detto  professore  gli  ordinò  un'altra  cura  assai  più  mite.  In  questi 
due  viaggi,  sebbene  il  mal  d'occhi  lo  obbligasse  a  stare  in  casa  una  gran 
parte  del  giorno,  ei  trovò  modo  ciò  non  ostante  di  trattenersi  più  volte  e 
a  lungo  col  suo  vecchio  amico  Vettach,  e  di  conoscere  personalmente  i 
professori  de  Cega,  Friedrich  e  Cattaneo  '). 

Molto  più  allegro  di  questi  due  fu  il  viaggio  che  nel  seguente  mese 
di  luglio  ei  fece  ai  Bagni  di  Santo  Stefano  in  Istria,  del  qual  viaggio  dà 
anche  diffusa  relazione  ai  lettori  nella  Strenna  dell'  85. 

Durante  quest'ultimo  anno  L'Istria  (n.  182  e  183)  ha  potuto  pubblicare 
del  nostro  caro  Abate  due  importantissime  lettere  ;  nell'  una  delle  quali  egli 
parla  di  sé  e  fa  la  critica  a  un  libro  del  ch.mons.  Deperis  ora  parroco  a  Parenzo, 
e  nell'  altra  discorre  dell'  epigrafia  con  un  garbo  tutto  suo.  Meriterebbero 
nell'interesse  delle  belle  lettere  di  essere  ripubblicati  quei  due  scritti,  essendo 
pochissimi  forse  quelli  che  conservano  il  detto  periodico,  mentre  non  li 
conoscono  affatto  quelli  che  all'Istria  o  non  sono  associati,  o  lontani  non 
ebbero  l'opportunità  di  leggerla  mai.  Ad  ogni  modo  dico  ora,  a  proposito 
della  seconda  lettera,  che  da  essa  si  rileva  qualmente  il  nostro  Abate  avesse 
fatto  anche  dei  sodi  studj  nell'  epigrafia. 


XXVIII. 

Abbenchè  la  Strenna  del  Moise  avesse  ottenuto  dopo  1'  82,  mercè  le 
raccomandazioni  di  questo  o  di  quello,  e,  più  di  tutti,  della  stampa,  una 
maggiore,  anzi  molto  maggiore  diffusione  in  provincia  che  per  lo  passato, 
tuttavia,  devo  dirlo,  essa   fu    per  molti    una  vera  delusione.    La  forma  del 


')  Vedi  Prefazione  della  Strenna  del  1885. 


—   23»   — 

libercolo  tutt'altro  che  appariscente,  le  frequenti  disquisizioni  grammaticali 
o  filologiche  in  essa  contenute  e  delle  quali  i  più  non  capivano  buccicata, 
le  poesie  tutte  candore  e  semplicità,  le  stesse  Prefazioni,  in  cui  si  parla  delle 
avventure  della  famiglia  Baccelli  (ben  dette  ma  punto  punto  interessanti), 
o  dei  suoi  viaggi  narrati  molto  alla  buona,  e  ne'  quali  il  lettore  invano 
cercava  un  po'  di  estro  e  di  fantasia  —  tutto  ciò  concorreva  o  a  stancare 
la  maggior  parte  dei  lettori,  o  tutt'al  più  a  muovere  sulle  labbra  di  certuni 
un  risolino  di  compassione,  e  vorrei  quasi  dire  di  commiserazione.  Non 
sono  più  i  tempi  delle  Burbundofore,  dei  Baccelli,  dei  Cajini  (come  li  chia- 
mava lui),  e  della  poesia  d'Arcadia  di  non  lieta  memoria. 

Ben  presto  il  buon  Abate  s'accorse  di  questa  corrente,  dirò,  d'apatia, 
tanto  più  ch'ella  faceva  seguito  ad  un  ridesto  di  popolarità.  E  me  ne  chiese 
il  perchè.  Io  mi  ci  trovai  molto  imbarazzato  a  rispondere;  tuttavia,  qualunque 
tosse  il  mio  giudizio,  mi  decisi  a  scrivergli  la  verità,  come  io  la  sentiva. 
Fra  altro,  gli  diceva  eh'  ei  dovesse  fare  maggior  uso  della  descrizione. 

A  questa  mia  lettera  egli  rispose  molto  cortesemente,  e,  lungi  dal 
pigliarne  cappello,  mi  ringraziò  !  «  La  descrizione,  mi  rispose,  è  per  me  un 
osso  duro,  e  però  ne  fo'  a  miccino.  Quello  che  me  la  fé'  andare  in  odio 
affatto  affatto  si  fu  il  Bresciani,  il  quale  ne  abusa  in  modo  speciale  ne'  suoi 

Racconti Tanto  più  ti  son    grato  del  tuo  avviso    sulla   descrizione, 

quanto  che  nessuno  mi  fece  mai  prima  di  te  quest'  osservazione,  che  è 
giustissima  ».  E  mi  dice  infine  su  questo  proposito,  e  in  riflesso  alle  sue 
Strenne,  altre  cose  che  qui  non  accade  di  riportare. 

Chi  si  rese  poi  interprete  del  giudizio  popolare  riportato  di  sopra, 
si  fu  l'egregio  nostro  prof.  Paolo  Tedeschi,  ora  a  Lodi,  il  quale  inserì  nella 
Provincia  di  Capodistria  (a.  XVII,  i  febbrajo  1883,  n.  3)  sotto  il  titolo 
Appunti  bibliografici,  una  lunga  critica  sulla  Strenna  istriana  per  l'anno  1883 
di  N.  C.  Baccelli.  Merita  eh'  io  riporti  i  punti  principali  di  questa  critica. 

Non  una,  ma  due  Strenne  istriane  mi  pervennero  quest'  anno;  e  ciò  mi  dà  occasione 
a  parlare  di  cose  nostre;  come  faccio  sempre  volentieri,  solo  dispiacente  di  non  lo  poter 
fare  più  spesso.  E  prima  mi  venne  per  la  trafila  di  Venezia,  la  Strenna  Istriana  di  N.  C. 
Baccelli,  coi  suoi  due  bravi  baccelli  in  campo  roseo,  forse  a  significare  le  rosee  speranze 
dell'  autore,  il  quale,  come  tutti  sanno,  non  è  già  1'  Eccellenza  del  ministro  Baccelli, 
felicemente  sedente  in  Roma  sopra  le  cose  della  pubblica  istruzione,  e  gli  sterramenti 
del  Panteon;  ma  semplicemente,  e  quasi  direi  maggiorments,  l'Abate  Moise  da  Cherso, 
illustre  filologo  e  grammatico.  E  questa  Strenna  io  ho  letto,  prima  per  procurarmi  un 
/vero  piacere,  ed  anche  per  dirne  con  conoscenza  di  causa,  secondo  dice  il  proverbio: 
«Spazi  i  gusci  chi  ha  mangiato  i  baccelli».  Ma  sapete  che  gli  è  un  grande  onore  per 
l' Istria,  di  dettar  leggi  alla  lingua  dell'Arno  !  Sorge  una  voce  da  un  isolotto  del  Quarnero 
e  dice  ai   signori  di  là  dell'  acqua:  questa  è  locuzione  buona;  cotesta  è  forma   gramma- 


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ticale;  ed  i  più  illustri  filologi  e  grammatici  la  stanno  riverenti  a  sentire;  o  se  anche  si 
abbaruffano  con  l' autore,  come  troppo  sovente  accade  tra  grammatici,  finiscono  col  rico- 
noscerne l'autorità  e  l'ingegno  E  questi  miracoli  sanno  operare  gli  uomini  di  età  matura 
che  hanno  studiato  ne'  collegi  veneti,  o  che  obbligati  in  patria  a  studiare,  in  lingua 
straniera,  reagirono,  fortemente  reagirono,  e  appresero  da  sé  a  scrivere  e  a  pensare 
italiano.  Adesso  gli  è  un  altro  pajo  di  maniche;  verrà  forse  la  luce  col  tempo;  ma  ora, 
come  ora,  bujo  pesto. 

Poi  dice  che  la  Strenna  è  già  all'undecimo  anno,  e  che  fu  quel  bravo 
uomo  del  Luciani  che  ne  fece  un  cenno,  senza  di  che  non  ne  sapremmo 
nulla  neppur  oggi.  Parla  delle  troppe  note  ora  apposte  alla  Strenna,  andando 
cosi  all'estremo  opposto. 

Ma  non  è  solo  per  via  delle  parole  —  ei  soggiunge  —  che  poco  o  nulla  è  istriana  la 
Strenna;  ciò  che  più  importa  le  mancano  le  idee  e  la  rappresentazione  della  vita  istriana. 
Che  cosa  ne  sappiamo  noi  delle  questioni  di  lingua  col  Cerquetti  e  col  Fanfani,  Dio  lo 
riposi  ? 

È  vero  che  per  passare  il  titolo,  l'autore   ci  ha  introdotto  un  suo  viaggetto  a  Ver- 

teneglio  ecc.  ecc Ma,  buon  Dio,  l' Istria  non  è  tutta  lì,  e  poi  vi  si  discorre  di  cose 

inconcludenti fatterelli,   piccinerie,  aneddotucci  :   cose  tutte  che  non  ci  fanno  né 

freddo  né  caldo  ;  e  il  tutto  poi  con  una  beata  bonomia  e  semplicità,  che  eccita  un  sor- 
risetto,  che  finisce  in  uno  sbadiglio  con  relativo  sonnellino 

Nello  stesso  tempo  però  ammiro  questo  beato  idillio,  questa  cara  semplicità  d'altri 
tempi,  come  la  manifestazione  d'un  animo  buono  ed  ingenuo,  come  un  segno  della  vita 
umile,  contenta  dei  nostri  buoni  preti  istriani,  che  per  pigliarsi  uno  svago,  dopo  gli  studj 
severi  della  grammatica  o  sulla  casuistica,  attendono  a  burlette,  a  cenette,  e  scenette, 
sbarcando  il  lunario  tra  il  mondo  e  Gesù,  e  accendendo  magari  ogni  tanto  un  moccolino 
al  più  buono,  al  più  novizio  dei  diavoli.  Così  ce  ne  fossero  tanti  di  questi  preti,  che 
sarebbe  da  far  Gesù  con  tutte  e  due  le  mani  ! 

Chi  scrive  un  libro,  scrive  pel  pubblico  ;  e  tutto  ciò  che  è  troppo  soggettivo,  non 
può  destare  alcuna  curiosità  nel  rispettabile  pubblico 

Cosi  avviene  che  molti  libri  bene  scritti,  senza  francesismi  e  senza  modi  errati 
lasciano  il  tempo  che  trovano;  e  tutto  per  quella  benedetta  convenienza  che  fu  sempre, 
e  più  che  mai  oggi,  dote  precipua  dello  stile;  e  che  i  grammatici  sono  gli  ultimi  a  capire. 
Non  basta  che  le  parole  siano  pure,  è  necessario  che  le  idee,  gli  affetti,  le  parole  stesse 
siano  convenienti  al  tempo,  al  luogo,  alle  circostanze,  e  tocca  via. 

Così,  per  dirne  una,  quelle  Signore  Agrippina,  Lina,  Annetta  parlano  come  un 
libro  stampato,  ma,  dacché  mondo  è  mondo,  le  signore,  si  sa,  quando  si  trovano  assieme, 
un  po'  parlano  di  mode,  ed  anche,  se  sono  assennate,  del  modo  di  tirar  su  i  figliuoli, 
e  poi  dell'  ultimo  romanzo  che  han  letto,  e  della  sospirata  emancipazione,  che  é  sempre 
di  là  da  venire,  e  un  pochino,  l'ho  a  dire?  mordono  gentilmente  il  prossimo.  E  cosi 
faranno,  credo  bene,  anche  le  signore  di  Cherso.  Ma  potenzinterra!  l'autore  invece  me 
le  fa  viaggiare  ecc.  e  me  le  fa  montare  in  cattedra  per  dar  lezioni  di  lingua 

Non  è  adunque,  mi  affretto  dirlo,  senza  meriti  questo  dialogo,  anzi  è  scritto  con 
quella  profonda  conoscenza  della  lingua  che  ha  l'illustre  filologo,  e  torna  assai  opportuno 
per  la  cognizione  di  molti   vocaboli  d'  uso  famigliare  ;  onde  io  lo   raccomando   tanto  a 


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tutti  gli  educatori  e  maestri.  Bastava  solo  serbar  quella  benedetta  convenienza  de  quo; 
e  far  parlare  nel  dialogo  cosi  alla  buona  maestri  e  maestre,  e  tutto  era  salvato.  Un  tal 
errore  commise  anche  il  Fanfani,  il  quale  nel  suo  Plutarco  femminile  fece  peggio  dal 
lato  dell'  invenzione,  immaginando  un  viaggio  di  più  ore  intrapreso  da  una  signora,  per 
venire  a  sentir  leggere  in  un  collegio  il  componimento  d'  una  ragazza,  la  lettura  del  quale 
al  più  al  più  avrà  durato  cinque  minuti.  Questa  mancanza  d'  invenzione,  che  è  difetto 
di  vita  e  quindi  di  stile,  o  meglio  di  libri  senza  stile  rende  inutili  i  libri  popolari  di  molti 
illustri  filologi  e  grammatici,  che  quando  si  mettono  a  scrivere  libri  di  amena  lettura 
non  ne  imberciano  mai  una.  Veggansi  per  esempio  le  novelle  e  il  romanzo  del  Fanfani. 
Sono  libri  purissimi,  ma  nessuno  li  legge,  perchè  senza  stile.  E  il  popolo  continua  a 
leggere  i  libri  coi  francesismi,  perchè  si  diverte. 

Poi  propone  delle  questioni  di  lingua  al  Moise.  E  da  queste  passa  ai 
Racconti  dello  Schmid. 

Chiudono  la  Strenna  —  ei  dice  —  due  racconti  del  canonico  Schmid,  voltati  in  italiano; 
e  l'autore  prega  il  lettore  a  volergli  dire  la  sua  schietta  opinione  per  vedere  se  ha  o  meno 
a  continuare  nel  suo  lavoro.  A  dire  che  queste  novelline  sono  scritte  male,  sarebbe  un  peccare 
contro  lo  Spirito  Santo.  Due  sole  osservazioni.  Il  periodo  sia  foggiato  semplicemente  e 
con  sintassi  più  che  sia  possibile  diretta  per  rendere  lo  stile  schietto  e  facile  del  buon 
tedesco,  che  ha  scritto  proprio  alla  buona  e  pei  fanciulli.  Dunque  non  periodi  tirati  sulla 
falsariga  del  Fanfani,  non  giravolte,  non  soverchio  torniare,  non  checcberelìate  toscane,  come 

subito  a  pag.  120:  «Se  non  che,  —  ciò  che  appena  si  può  credere ».    Un  semplice 

ma,  e  via  diritto 

E  conchiude  : 

Queste  cose  voleva  io  dire  all'Abate  Moise  senza  alcun  detrimento  alla  sua  fama  di 
filologo  illustre  ;  fama  riconosciuta  anche  dal  Dizionario  Biografico  degli  scrittori  contem- 
poranei. E  se  io  avessi  il  piacere  di  trovarmi  a  tu  per  tu  con  lui,  vedrebbe  che  non  sono 
un  burbero  ed  accigliato  Aristarco,  né  un  moderno  Flegiàs  furibondo.  E  come  sarei  io 
contento  di  stringere  la  mano  ad  un  bravo  prete  di  fama  italiana,  che  onora  la  chiesa  e 
il  nostro  caro  paese  !  E  vedrebbe  come  io  sono  sempre  il  burlone  d'un  tempo  !  E  vorrei 
fargli  assaggiare  una  bottiglia  del  mio  Barolo,  o  meglio  un  fiasco  di  Chianti  paesano,  e 
poi  magari  ballare  un  lerum  al  suono  dello  scacciapensieri,  all'allegro  cinguettio  dei  passeri 
nell'orto  e  sulle  mura  della  vecchia  Laude  Pompeja,  al  tubar  dei  colombi,  e  al  crosciare 
della  mia  checa,  che  è  sempre  quella  famosa  maestra  di  versificazione  barbara  ai  nuovi 
giovinetti  incolti  e  disonesti. 

In  questo  articolo  il  Tedeschi  aveva  dette  delle  cose  buone;  ma,  a 
mio  sommesso  parere,  —  e  con  buona  pace  del  caro  e  stimato  amico  — 
egli  aveva  anche  oltrepassato  il  canapo.  Il  Moise  voleva  rispondergli  sullo 
stesso  periodico  La  Provincia,  ma  poi,  non  so  perchè,  non  ne  fece  altro. 
'  Ecco  ;  e'  mi  pare  che  per  giudicare  un'  opera,  convenga  prima  di  tutto, 
anzi  sopra  tutto,  conoscere  l'intenzione  dell'autore,  cioè  lo  scopo  con  cui 
la  scrive  e  il  fine  a  cui  la  dirige.  Ho  detto  già  quali  mire  avesse  il  Moise 


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nello  scrivere  le  sue  Strenne,  ora  poi  posso  soggiungere,  che,  per  esempio, 
i  suoi  Dialoghi  familiari  che  andò  inserendo  a  mano  a  mano  quasi  in  ogni 
Strenna,  ei  li  messe  a  bella  posta  per  togliere  dal  nostro  comune  parlare 
tante  voci,  o  brutte,  o  viete,  o  straniere.  E  che  se  ne  sieno  introdotte  nel 
nostro  paese  dal  1815  in  poi  delle  vociacele  da  far  arricciare  i  capelli,  il 
prof.  Tedeschi  non  può  negarmelo.  Non  era  dunque  opera  santa  e  civile 
e  grande  quella  del  Moise,  il  quale  s'  era  proposto  di  correggere  noi  che 
sozzamente  parliamo?  E  tanto  più  benefica  era  la  sua  opera  in  quanto  l'edu- 
cazione che  oggi  si  dà  ai  nostri  figli  sia  malvagia.  Che  un  uomo  conservi 
il  fuoco  sacro  della  lingua,  fu  sempre  cosa  degna  di  grande  venerazione. 

Non  più  tardi  dello  scorso  aprile,  e  precisamente  il  giorno  di  S.  Giorgio 
patrono  della  mia  Pirano,  io  m'imbattei  in  un  signore  capodistriano  d'antico 
e  nobile  pelo  —  di  quei  nobili  che  si  rispettano  e  che  leggono  ancora 
e  Virgilio  e  Orazio  e  Livio  —  il  quale  da  venti  anni  non  manca  mai  di 
recarsi  in  pellegrinaggio  nel  detto  giorno  alla  detta  città.  Consolatomi  di 
ritrovarlo  ancor  vegeto  e  arzillo,  ei  mi  rispose  :  No  xe  mal,  me  rastrelo  su 
come  posso.  A  questo  me  rastrelo  su,  annaspai  tanto  d'occhi,  ond'egli,  avve- 
dendosene, —  No  ghe  par  vero,  mi  disse,  de  sentir  parlar  in  'sto  modo.  Pur 
tropo  anca  da  nu  se  va  perdendo  persin  el  bel  parlar,  ci  bon  dialelo.  'Sii 
vapori  de  mar  e  de  ter  a  i  ne  porta  la  coru^ion  anca  nela  lingua!  —  E 
questa  è  storia.  Oggidì,  anche  a  Capodistria,  a  Isola,  a  Pirano,  a  Parenzo, 
a  Rovigno,  a  Dignano  ecc.  non  si  parla  più  il  buon  dialetto  d'una  volta. 
E  nomino  codesti  luoghi  perchè  sono  i  più  puri  italiani,  e  d'una  fisonomia 
alfatto  spiccata;  figurarsi  dunque  gli  altri  luoghi  che  non  hanno  le  qualifiche 
dei  primi!  E  quando  dico  il  buon  dialetto,  intendo  dire  quel  parlare  popolano 
che  non  altera  le  costruzioni  e  la  sintassi,  pur  usando  dei  modi  del  tutto 
speciali  e  arcaici,  che  fanno  sorridere ....  gì'  imbecilli.  Dal  momento  dunque 
che  tanti  barbarismi  si  sono  e  si  vanno  facendo  strada,  o  perchè,  santissimo 
Dio  !  non  metteremo  ogni  cura,  ogni  sforzo  per  far  scartar  quelli,  e,  in 
loro  vece,  —  posto  che  i  nostri  nomi  arcaici  dialettali  vanno  perdendosi  — 
non  faremo  strada,  anzi  non  apriremo  tutte  e  due  le  braccia  per  accettare 
gli  equivalenti  fiorentini  ?  Io,  come  io,  se  comandassi  negli  affari  dell'istru- 
zione pubblica  del  mio  paese,  emetterei  un  primo  editto  col  quale  ordinerei 
di  adoperare  in  ogni  nostra  scuola  le  Grammatiche  del  Moise;  poi  ne  farei 
un  secondo,  col  quale  commetterci  ad  un  editore  di  raccogliere  in  un  libro 
tutti  i  Dialoghi  familiari  delle  Strenne  del  Moise,  e  questo  libro  comanderei 
dovesse  essere  mandato  a  memoria  dal  primo  all'  ultimo  rigo  da  ogni  scolare 
indistintamente,  pena  due  digiuni  il  mese.  Ditemi  barbaro,  ditemi  quel 
che   volete,   ma   così    la   penso,    e   così   sostengo  ancora  si  dovrebbe  fare. 


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Oh  !  questa  povera  Istria,  che  a  poco  a  poco  tante  cose  va  perdendo, 
quando  avrà  un  altro  pedante  e  magari  dieci,  cento,  al  par  del  Moise  ? 
quando  avrà  un  Ministro  per  l' istruzione  pubblica  che  la  pensi  coni'  io  la 
penso  ?  E  solo  allora  —  dato  che  i  Numi  non  vengano  in  altro  consiglio  — 
la  patria  mia  sarà  salva  dall' ognor  crescente  corruzione  e  imbastardimento. 

Mi  sia  perdonata  1'  apostrofe,  e  torniamo  a  bomba. 

Taluno  dirà  ch'io  sono  innamorato  del  Moise  e  che  l'amore  non  mi 
fa  veder  giusto  e  chiaro.  Sicuro  che  ne  sono  innamorato;  ma  codesto  amore 
è  sorto  in  me  dopo  la  lettura  che  feci  delle  sue  opere.  —  Non  dico  che 
fu  studio  il  mio,  che  pur  troppo  le  svariate  occupazioni  non  mi  concedettero 
di  approfondirmi  in  esse,  specie  nella  Grammatica.  D'altronde  io  ne  so  poco, 
e  quel  poco  dovetti  procurarmelo  da  me  con  grande  fatica  e  penoso  studio, 
avendomi  le  scuole  licenziato  asino  asinissimo  quanto  si  può  essere.  Ed 
avrei  pagato  un  occhio,  vivente  il  Moise,  di  averlo  a  me  da  presso,  e 
soltanto  per  sentirmi  riprendere  e  correggere  de'  miei  strafalcioni.  Codesto 
amore  s'  è  poi  in  me  radicato  quando  lo  conobbi  più  da  presso,  quando 
cioè  ho  potuto  rilevare  la  grande  bontà,  la  straordinaria  dottrina  grammaticale 
e  filologica,  l' infinita  pazienza,  la  persino  inconcepibile  ingenuità  dell'animo 
suo.  Or  quanti  sono  da  noi  che  hanno  lette  le  opere  del  Moise?  Eppure 
si  sono  talvolta  trinciati  sul  suo  conto  dei  giudizj  che  manifestavano  l' in- 
tenzione di  demolirlo,  o  quanto  meno  di  gettargli  addosso  il  ridicolo  !  E 
le  sue  Strenne  erano  fatte  apposta,  e  si  prestavano  mirabilmente  a  questo. 
Poh!  un  Grammatico,  si  esclama,  che  cosa  poi  sono  codesti  Grammatici! 
pedanti,  non  altro  che  pedanti  !  Che  orrore  ! 

Come  un  nobile  caduto  in  miseria  —  dice  L.  Settembrini  ')  —  guardasi  di  commet- 
tere bassezza  ricordevole  della  sua  origine,  e  spesso  porta  la  fierezza  sino  all' esagerazione 
per  non  farsi  umiliare  in  minima  cosa  da  nessuno;  così  gì' Italiani,  dopo  tanto  splendore 
di  potenza  di  ricchezza  e  di  sapere,  divenuti  soggetti  allo  straniero,  ricordando  la  gloria 
passata,  hanno  voluto  almeno  nelle  scritture  rimanere  antichi,  ed  hanno  lodato  sempre 
chi  scrive  secondo  i  buoni  antichi,  non  secondo  i  moderni.  È  un'  esagerazione,  ma  nasce 
da  principio  buono.  Che  sarebbe  stato  se  l' Italia  non  avesse  avuto  questo  sentimento, 
del  quale  noi  ora  vediamo  una  manifestazione  nella  lingua?  Con  la  lingua  avrebbe  perduto 
il  pensiero,  la  coscienza,  e  la  speranza  di  risorgere  a  questa  novella  vita  cui  è  risorta. 

Or,  viste  e  conosciute  le  condizioni  nostre,  che  cosa  sarà  di  noi  se 
ce  la  prendiamo  tanto  alla  leggera  colla  questione  della  lingua  ?  !  —  Lascio 
il  giudizio  a  chi  ha  fior  di  senno. 


')  Legioni  di  leti.  it.  voi.  II,  cap.  72.  —  Le  Accademie  e  la  Crusca,  pag.  384. 


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Imperocché  io  penso  col  sopra  citato  autore  ')  che  il  rigore  sia  tanto 
più  necessario  quanto  più  corrotti  sono  i  tempi.  E  se  anche  il  Moise  fu 
momentaneamente  avversato,  o  non  curato,  io  credo  e  spero  eh'  egli  sarà 
studiato  e  benedetto  dai  posteri,  che  egli  insegnò  a  noi  italianità,  perchè  non 
ci  dimenticassimo  di  essere  italiani. 

Ma,  per  ritornar  al  Tedeschi,  a  lui  dettero  sui  nervi  le  checcherellate 
toscane  del  Moise.  E  qui  la  questione  si  farebbe  grossa,  ed  io  non  mi  sento 
tanto  forte  in  arcioni  per  affrontarla  con  lui  decisamente.  Tuttavia  mi 
proverò  di  dire  qualche  cosa,  trincerandomi  dietro  le  spalle  d'incontestate 
autorità. 

Sulla  lingua,  se  debba  essere  toscana  o  fiorentina  o  italiana,  se  n'  è 
parlato  giù  tanto  da  esserne  venuta  in  tutti  la  sazietà,  per  non  dir  la  noja. 
Quello  però  che  a  me  —  nutrito  del  resto  di  scarsi  studj  filologici  — 
parve  riassumesse  e  sentenziasse  con  giusto  criterio  su  codesta  questione, 
si  fu  il  prof.  Francesco  D' Ovidio  nei  varj  suoi  scritti,  ma  particolarmente 
in  quello  che  egli  intitola  Lingua  e  dialetto  *).  Ora  il  sig.  D' Ovidio,  mentre 
fa  larga  parte  al  dialetto  fiorentino,  tuttavia  dice  francamente,  «  che  d'at- 
tenersi del  tutto  all'uso  fiorentino  mancherebbe  a  tutti  il  coraggio;  o  che 
questo,  quando  pur  si  avesse,  si  avrebbe  a  chiamar  temerità:  la  temerità 
di  voler  imporre  modi  di  scrivere  che  riescono  o  nuovi  o  almeno  troppo 
ricercati,  e  disturbare  così  con  consuetudini  già  ferme  e  divenute  istintive 
presso  ogni  colto  Italiano  ».  E  non  è  ch'egli  ritenga  reprobe  e  spurie  cotali 
forme  (p.  e.  il  mi'  bambino,  la  mi'  figliola,  la  su  moglie,  e  ha  per  hai  ecc. 
modi  questi  usati  anche  dal  Moise),  sol  perchè  non  note  alla  lingua  colta  ; 
le  sono  anzi,  per  lui,  come  per  ogni  buon  studioso  di  linguistica,  «  forme 
spiegabilissime  e  legittime  quanto  ogni  altra  forma  di  ogni  altro  lin- 
guaggio ».  Ma  solo  gli  parrebbe  ridicolo  «  l' adottarle  artificialmente  in 
una  lingua  che  non  ne  sente  il  bisogno,  e  che  anzi  finirebbe  a  riceverne  Dio 
sa  quale  confusione,  per  via  d'  una  intera  serie  di  equivoci  del  genere  di 
quello  che  nascerebbe,  per  esempio,  tra  l' attuale  indicativo  toscano  possano 
e  il  possono  tradizionale  congiuntivo  ecc.  ecc.  ». 

Ma  il  fatto  è  cue  anche  gli  scrittori,  a  furia  di  discorrere  colla  penna, 
«  vengono  a  prendere  delle  abitudini  comuni  e  delle  intese  e  degli  accordi 


')  L.  Settembrini.  'Basilio  Vuoti,   articolo  inserito  negli  Scritti  vari  di  Lett., politica 
tà  Arte,  pag.   133  —  Napoli.  Morano,  1879. 

';  Inserito  nei  Saggi  critici,  pag.  347  —  Napoli.  Morano,   1879. 


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spontanei  od  anche  riflessi,  e  così  un  uso  letterario  si  forma;  uso  trasmutabile 

anch'esso,  ma  uso  a  sé  e  per  se Così  è  potuto  seguire  che  alcuni  prosatori, 

che  certo  non  hanno  avuta  nessuna  pretesa  di  toscaneggiare,  han  pure  scritto 
in  un  modo  di  che  il  gusto  moderno  non  si  offende  menomamente;  e  il 
Leopardi  sia  citato  per  tutti  ».  —  Fin  qui,  dunque,  d' accordissimi  col 
Tedeschi,  e  con  lui  m'  associo  nel  concedere  —  non  per  quel  che  disse  il 
D'  Ovidio,  ma  per  quel  che  mi  persuase  il  D' Ovidio  —  che  in  questo  il 
Moise,  nella  forma  dello  scrivere,  qua  e  là  trascese,  ma  assai  meno  di  quello 
che  per  avventura  si  può  credere.  Si  badi  però  che  il  Moise  ebbe,  in  suo 
vivente,  due  spiccatissime  mete  che  si  risolsero,  dirò,  in  fissazioni  :  la  prima 
era  quella  di  fare  la  più  completa  Grammatica  d'Italia;  la  seconda  di  farsi 
ritenere  per  scrittore  toscano,  anzi  fiorentino.  E  ci  riuscì  mirabilmente  tanto 
nell'una  che  nell'altra  cosa.  Se  non  avesse  scritto  poi  come  ha  scritto,  il 
secondo  intento  non  lo  avrebbe  certo  mai  raggiunto. 

Arrivati  a  questo  punto,  nasce  quindi  la  domanda:  gli  scritti  del  Moise 
(non  parlo  delle  Grammatiche)  sono  forse  rimpinzati  —  siano  pur  toscane  — 
di  parole  morte,  di  costrutti  slavati  e  senza  disinvoltura,  di  modi  astratti 
senza  alcuna  vivacità  ?  Ne  anche  per  sogno,  e  i  pochi  esempj  che  ne  ho 
dati  sono  là  a  testimoniarlo.  Anzi  egli  ci  teneva,  tanto  in  poesia  che  in 
prosa,  di  scrivere  la  lingua  fiorentina  viva  e  verde,  come  ei  la  diceva.  Ora 
ripeterò  col  D'Ovidio,  che  non  è  toscano  ma  napoletano:  «Credo  utile 
l' infiorentinarsi  {sii  venia  verbo)  bene  bene,  per  questa  ragione,  che,  coin- 
cidendo T  attuai  fiorentino  con  gran  parte  dell'  uso  letterario  tradizionale, 
ci  ajuta  a  imparare  prontamente  cotest'  uso,  e  ci  suggerisce  anche  voci  e 
modi  che,  potendo  essere  fuor  di  Toscana  generalmente  intesi,  sebbene  non 
sieno  generalmente  usati,  si  possono,  usandoli  accortamente,  divulgare  e 
sostituire  via  via  a  modi  o  troppo  slavati  o  troppo  stranieri  (ecco  il  caso 
nostro)  che  oggi  usiamo:  e  un  certo  intuito  felice,  un  certo  gusto  delicato 
avverte  lo  scrittore,  come  e  quando  possa  egli  fare  opportunamente  una 
tale  sostituzione.  Come  una  buona  tuffata  nella  letteratura  del  trecento  giova 
darci  una  buona  educazione  linguistica;  così  la  dimora  in  Toscana,  o  qua- 
lunque altro  mezzo  la  simili  (ecco  altro  caso  del  Moise  ne'  suoi  Dialoghi 
ecc.  ecc.),  conferisce  a  farci  prendere  una  certa  freschezza,  e  purezza  insieme, 
di  linguaggio.  —  Se  non  altro  perchè  ci  fa  vedere  che  molte  espressioni 
efficaci,  che  la  paura  di  cadere  nel  nostro  dialetto  e'  induceva  ad  evitare, 
son  pur  toscane  e  quindi  non  possono  stuonare  con  la  lingua  letteraria. 
'Oltreché  tante  cose,  che  pur  da  buone  grammatiche,  da  buoni  lessici, 
con  buone  e  ben  regolate  letture  di  classici  ben  commentati  si  potrebbero 
imparare,  si  imparano  più  prontamente  in  Toscana;  non  solo  perchè  quelle 


—  MS  — 

Grammatiche  e  lessici  ecc.  sventuratamente  mancano,  ma  perchè  un  maestro 
vivo  vale  più  d'  un  maestro  morto.  E  il  Toscano  è  un  maestro  vivissimo, 
poiché  vi  ride  in  faccia,  vi  fa  mille  versacci,  vi  ripiglia  senza  complimenti, 
appena  vi  senta  dire  un  mezzo  sproposito  o  una  mezza  improprietà.  Né 
credo  che  questo  dipenda  soltanto  dalla  coscienza  che  ha  dell'altezza  a  cui 
è  arrivato  nel  mondo  il  suo  linguaggio;  credo  proprio  che  nei  Toscani  la 
facoltà  linguistica  sia  anche  naturalmente  più  vivace  e  più  pronta.  Un  popolo 
può  aver  più  la  disposizione  alla  plastica,  un  altro  alla  mimica  (chi  supererà 
mai  i  Napoletani  nell'  abilità  di  far  lunghi  discorsi  con  semplici  segni  e 
smorfie  impercettibili?),  e  il  Toscano  ha  la  disposizione  alla  lingua  (non 
quella  sola).  E  certo  questa  disposizione  non  è  stata  1'  ultima  delle  cause 
che  hanno  promosso  il  predominio  del  toscano  in  Italia  ». 

Del  resto  queste  stesse  cose  furon  dette,  su  per  giù,  tanto  tempo  prima 
dal  Manzoni  e  confermate  dal  Bonghi.  Il  quale  ultimo  fa  dire  al  primo  in 
un  dialogo  col  Rosmini  ')  : 

f\Canioni Io  dico:  usate  sempre  le  locuzioni  e  le  parole  fiorentine  infin  che 

potete;  né  perche  sian  migliori  di  quelle  delle  altre  città  italiane  —  ciascuna  città  parla 
perfettamente  —  ma  perchè,  per  dirne  una,  fatto  ogni  ragguaglio,  si  trova  una  maggior 
conformità  tra  il  dialetto  fiorentino  e  tutti  gli  altri  dialetti  italiani,  che  tra  il  milanese  o 
qualunque  altro  col  fiorentino.  Ora  si  presenterà  un  caso  in  cui  il  fiorentino  non  vi  basti? 
Ebbene,  allora  introducete  quel  tanto  di  nuovo  che  vi  bisogna  e  prendetelo  donde  volete, 
purché  quel  tanto  di  nuovo  sia  necessario,  ed  adempia  quelle  due  condizioni:  conformità 
col  rimanente  del  vocabolario  e  probabilità  di  passare  nell'  uso 

%_ostnini.  Ma  se  io  trovo  bensì  nel  fiorentino  una  parola  che  risponda  al  mio  con- 
cetto, però  non  quella  propria  sfumatura,  quella  propria  gradazione  che  mi  bisogna? 

OtCan^pni.  Non  la  trova  davvero?  E  allora  metta  innanzi  lei  quella  parola,  quella 
locuzione  che  le  pare  a  lei,  che  gliela  renda  questa  gradazione 

Non  si  può  parlare  più  ragionevolmente,  soggiunge  qui  il  Bonghi,  e 
si  vede,  che  nessun  ingegno  e  dottrina  può  concepire  la  paura  di  dover 
rimanere  seppellito,  per  ciò  solo  che  si  accetti  1'  uso  d'  una  città  a  criterio 
di  lingua. 

E  poi,  voglia  e  non  voglia  —  mi  soccorre  qui  ancora  l'Abate  Giuliani  *) 
—  è  sempre  in  Toscana  che  si  conserva  nella  sua  perpetua  freschezza  la  tavella 


')  Vedi  Prefazione  pag.  XXXIV  al  bellissimo  libro  :  "Perchè  la  letteratura  italiana  non 
sia  popolare  in  Italia.  Lettere  critiche  di  R.  Bonghi  —  Terza  edizione  —  Milano.  Valen- 
tiner  &  Mues,  1873. 

*)  Vedi  Prefazione  al  volume  Moralità  e  Poesia  del  vivente  linguaggio  della  Toscana. 
Ricreazioni  di  G.  B.  Giuliani    —  Terza  edizione  —  Firenze.  Le  Mounier,  1873. 


—  246  — 

esaltata  dal  sommo  Allighieri  e  dal  Davanzati,  «  e  che  invidiabile  vanto, 
singolarissimo  d'Italia,  sia  di  persuadere  tutto  un  popolo  che  parla  l'Idioma 
de'  suoi  grandi  Scrittori.  Né  vale  spregiarlo  per  voci  e  modi  accorciati,  o 
per  soverchio  di  aspirazione;  forse  questi  al  più  al  più  uno  potrebbe  giudicarli 
mancamenti  di  pronuncia,  che  vuoisi  ben  distinguere  da  quello  che  costituisce 
1'  essenzialità  del  Linguaggio  d'  un  popolo.  Ma  chiunque  riguardi  la  cosa 
un  po'  sottilmente,  e  sappia  puranco  aggiustare  la  dovuta  ragione  all'  eufonia, 
non  avrà  in  dispetto  la  superbia  di  questi  orecchi,  formati  ad  accogliere 
la  dolcezza  de'  suoni  e  a  farla  rifluir  sulle  labbra.  Sperimentino  gì'  italiani 
delle  varie  Provincie  la  natia  e  virtuosa  bontà  di  questo  Dialetto  esemplare; 
non  lo  sdegnino  al  primo  suono,  e  prestino  ossequio  agli  Scrittori,  che 
con  ingegno,  arte  e  dottrina  valsero  a  nobilitarlo,  per  dare  fondamento  e 
sostegno  alla  nostra  Letteratura. 

»  Poiché  non  si  scrive  facile  né  bene,  se  non  in  quella  Lingua  che  si 
usa  parlando,  facciamo  dunque  di  avvezzare  or  qui  la  nostra  parola  a  tanto 
squisiti  accenti.  Nella  patria  di  Dante  gì'  Italiani,  ambiziosi  e  meritevoli  di 
questo  nome,  devono  ben  farsi  conoscere  e  ravvisar  fratelli  a  una  sola 
Favella.  La  carità  della  Nazione  ci  muova:  e  questa  carità  non  fia  che 
manchi  ne'  generosi,  che  sentono  e  credono  tutta  una  cosa  purità  di 
Favella  e  dignità  di  Nazione».  Ecco  perchè  io  dissi  di  sopra,  che  vorrei 
introdotti  almeno  i  Dialoghi  familiari  del  Moise  nelle  nostre  scuole,  nelle 
quali,  ahi  !  strazio  e  vergogna,  corrono  libri  che,  tanto  dal  lato  stilistico 
che  da  quello  della  lingua,  sono  un  vitupero. 

Ma  più  grave  accusa  mosse  il  Tedeschi  al  Moise  col  dire,  che  in  lui 
e'  è  mancanza  d' invenzione,  che  è  difetto  di  vita  e  quindi  di  stile. 

Ed  anche  qui  vorrei  dire  molte  cose  di  riscontro;  ma  non  intendo  di 
condur  il  can  per  1'  aja,  e  mi  basterà  di  farmi  semplicemente  intendere  — 
se  pur  arriverò  a  tanto;  che  codeste  son  questioni  che  alligano  i  denti 
anche  ai  letterati  di  professione,  non  che  ai  semplici  dilettanti  come 
sono  io. 

Dico,  dunque:  se  noi  neghiamo  lo  stile  al  Moise,  perchè  mancante 
d'  inventiva,  per  la  stessa  istessissima  ragione  noi  dovremo  negarlo  anche 
al  Villani,  al  Cavalca,  agli  autori  dei  Fatti  a"  Enea,  dei  Fioretti  di  S.  Francesco 
ecc.  ecc.  È  giusto  tutto  questo  ?  Io  credo  di  no,  anzi  son  fermo  nello  stare 
sulla  negativa.  Si  dica  piuttosto,  che  lo  stile  di  cotestoro  —  a'  quali  mi 
sia  lecito  a  mo'  d'  esempio  d'  aggiungere  anche  il  Moise  —  è  uno  stile 
'piano  e  naturale;  come  è  uno  stile  artificiale,  arguto  e  conciso  quello 
di  Dino  Compagni,  del  Passavanti,  di  Bartolomeo  da  San  Concordio,  e 
tocca   via. 


—  247  — 

Ma,  in  fine  in  fine,  che  cosa  è  lo  stile?  Sentenzia  qui  il  Bonghi'):  «Recipe 
della  chiarezza,  dell'  ornamento,  del  decoro,  del  carattere,  della  fantasia, 
dell'intelletto  e  dell'affetto;  e  sarai  scrittore».  Si  badi  che  i  tre  primi 
attributi  sono  gli  essenziali,  gl'indispensabili;  mentre  gli  altri  sarebbero 
appena  desiderabili  o  raccomandabili.  Ora  sfido  chiunque  a  provare  che 
negli  scritti  del  Moise  ci  sia  mancanza  di  stile;  e  se  il  prof.  Tedeschi  avesse 
lette  tutte  le  opere  del  Moise,  e  non  soltanto  un  pajo  di  Strenne,  avrebbe 
veduto  che  il  Moise  —  precisamente  come  l'altro  grammatico,  il  marchese 
Puoti,  del  quale  ci  ha  lasciato  sì  viva  pittura  il  discepolo  suo  F.  De  Sanctis*)  — 
reputava  suprema  dote  dello  scrivere  la  chiarezza.  Sicuro,  anche  il  Moise, 
come  il  marchese  napoletano,  «  aborriva  il  rettorico,  il  declamatorio,  il 
gonfio,  il  convulso,  i  concetti  e  le  antitesi:  tendeva  più  verso  l'Arcadia  che 
verso  il  seicento  ».  E  che  tutto  ciò  sia  scrupolosamente  vero,  basta  leggere 
i  molti  scritti  del  Moise,  e  persino  alcuni  brani  di  prediche  3)  eh'  egli  ci 
ha  lasciato,  ne'  quali  la  tentazione  sarebbe  stata  grande  di  cadere  nel  rettorico, 
dal  quale  invece  egli  è  fuggito  in  tutto  in  tutto.  Aveva  mente  chiara  e  giusta, 
«  ma  gli  mancava  (acconsento)  tutte  le  altre  qualità  che  danno  vigore  e 
nerbo  e  colore,  danno  il  sangue  allo  stile  ».  Ei  dava  troppa  importanza  alla 
parola  come  parola  e  alla  parte  meccanica  dello  scrivere  come  la  formazione 
del  periodo.  E  tutto  ciò  io  me  lo  spiego  come  un  tovagliolo.  Io  non  ho 
ancora  mai  veduto  alcuno  scritto  di  grammatico,  che  possieda  lo  stile  del 
Machiavelli,  o  del  Guicciardini,  o  del  Galileo,  o  di  qualche  altro  grande 
pensatore  di  scienze  esatte.  Invano  dunque  lo  si  cercherebbe  anche  nel 
Moise.  Egli  aveva  troppo  da  fare  colle  sue  Grammatiche  per  concedersi  il 
lusso  di  spaziare  in  altri  campi  dello  scibile.  Sappiamogli  grado  dunque  di 
averci  lasciato  splendidisr-imi  esempj  del  bel  parlar  toscano,  e  d'  uno  stile 
piano,  liscio,  chiaro  come  l'acqua  limpida  —  se  anche  talvolta  senza  sapore 
pei  nostri  palati,  da  piccanti  droghe  alterati.  Lo  studio  dei  suoi  libri  sarebbe, 
ad  ogni  modo,  scuola  di  gentilezza  e  di  dignità. 

Né  sono  io  solo  a  sentenziar  cosi;  ma  ben  vi  furono  i  primi  filologi 
d' Italia  —  quando  gì'  Istriani  a  malapena  sapevano  che  vi  esistesse  un 
Moise  fra  noi  —  che  lo  giudicarono  in  questo  modo.  Oltre  ai  tanti  giudizj 
qua  e  là  riportati  sullo  stile  e  sulla  lingua  delle  opere  del  Moise,  or  sog- 


')  Op.  cit.  pag.  105. 

*)  Vedi  L  ultimo  de'  Turisti  inserito  nei  Saggi  critici,   pag.  507  e  seg.  —  Seconda 
edizione  —  Napoli.  Morano,  1869. 

3)  Vedi  Strenna  istriana  per  l'anno  1882  in  fine. 


—  248  — 

giungerò  che  il  prof.  Vincenzo  Di  Giovanni  ebbe  a  sentenziare  che  le 
Strenne  istriane  erano  granosissime  e  potevano  star  a  paro  cogli  Stiidj 
filologici  o  Strenna  di  filologia,  che  esce  ogni  anno  in  Modena  per  cura 
del  cav.  B.  Veratti  ').  —  Lo  stesso  professore  Di  Giovanni  l'anno  appresso 
continuò  a  dirne  un  mondo  di  bene,  lodando  e  dicendo  eccellente  la 
prosa  del  Moise  2)  —  Il  Veratti,  negli  Opuscoli  Letterarj  ecc.  di  Modena 
dice  3)  :  «  Fra  le  Strenne  a  noi  più  care  è  la  toscanissima  Strenna  Istriana 
di  Nono  Cajo  Baccelli.  Di  questa  ha  dato  ragguaglio  il  Vice-Segretario, 
leggendone  parecchi  tratti  e  assicurando  d'averla  trovata  ancor  più  bella 
(si  parla  di  quella  per  l'anno  1882)  e  interessante  delle precedenti». 

E  non  è  ancora  finita.  Il  Veratti,  di  nuovo,  nei  soliti  Opuscoli  Letterarj 
ecc.  dell'anno  1886  (serie  4  tom.  XVI  pag.  473  e  seg.  4)  dice:  «Rimane 
a  dire  della  Strenna  Istriana  di  Nono  Cajo  Baccelli .  . . .  ,  che  istriana  finché 
si  voglia,  per  lo  scrittore  e  per  alcuna  descrizione,  è  poi  toscanissima  per 
la  lingua. 

»  Relatore  di  questa  Strenna  è  stato  il  socio  Caristo  Zeffirino.  Egli  ha 
dato  grandi  lodi  al  Dialogo  familiare  tra  quattro  donne  sopra  alquanti  termini 
di  lavori  muliebri,  e  più  ancora  alla  traduzione  d'un  Racconto  Morale  di 
C.  Schmid.  Oh  !  perchè  mai,  ha  detto  Caristo,  il  traduttore  ne  dà  soltanto 
uno  all'anno  ?  perchè  non  ne  mette  fuori  almeno  un  volumetto  o  due? » 

»  Il   merito   stragrande   della  Strenna  Istriana  non  è  scemato  da  qualche 
stramberia  caduta  dalla  penna  di  Nono  Cajo  Baccelli.  È  troppo  naturale  che 
un  baccello  pensi,  dica  e  scriva  delle  baccellerie ......  E  così  avanti.  Ed 

io  credo  che  basti,  per  ingenerare  il  convincimento,  che  le  dette  Strenne 
non  sono  po'  poi  roba  tanto  fatua  o  di  sottopanca,  da  non  farne  alcun 
conto.  Io  rispetto  1'  opinione  di  tutti  ;  ma  ho  qualche  rispetto  anche 
per  la  mia,  quand'  ella  è  suffragata  particolarmente  da  autorità  incon- 
testate. E  conchiudo.  È  duro  il  sentirsi  dire,  come  già  diceva  il  Puoti  ai 
suoi  scolari  —  ed  erano  nientemeno:  un  De  Sanctis,  un  Settembrini,  un 
Villari,  un  Marselli  ecc.  ecc.  !  —  il  sentirsi  dire,  ripeto,  imparate  l' italiano  ! 
I  più,  lo  so  anch'  io,  se  ne  offenderebbero,  tant'  è  vero  che  taluno,  per 
qualche  pubblica  lezione  di  grammatica  che  gli  détte  il  Moise,  se  ne  im- 
permalosì  in  modo  da  farsene  poi  beffe  di  lui,  con  assai  poca  di  carità  e 


')  Vedi  Strenna  istriana  per  l'anno  1880  nel  Dialogo  secondo  in  fine. 

*)  Vedi  Strenna  istriana  per  l'anno  1881  al  principio  del  Dialogo  secondo. 

3)  Serie  4,  tomo  II,  pag.  126. 

')  Vedila  al  principio  del  Dialogo  terzo  della  Strenna  per  l'anno  1887. 


—  249  — 

manco  di  rispetto  ....  almeno  della  di  lui  molto  onorata  canizie.  Eppure, 
facendo    mie  le   esortazioni    del   Puoti  e  del  Moise,  io  ripeto:   impariamo 

l'italiano,    perchè perchè   ne    abbiamo    tutti    grande   bisogno.   —  E  il 

Moise,    nei    suoi    libri,    è  ancor  vivo   per    insegnarcelo.    Perchè,  in  fin  in 
fine,  in  che  consiste  la  letteratura  ? 

La  letteratura  consiste  —  dice  E.Nencioni  ')  —  nella  scelta  dell'espressione,  nella  parola 
cercata  e  trovata  per  esprimersi  in  modo  vivo  e  efficace,  che  richiami  e  combini  le  idee, 
che  alletti  e  trattenga  1'  attenzione  del  lettore 

Diffidate  di  chi  con  la  scusa  del  pensiero  disprezza  la  forma.  Cartesio  e  Pascal, 
Galileo  e  Bacone,  avevan,  credo,  qualche  pensiero;  e  sono  pure  ammirabili  nella  forma. 
Gli  sciatti  scrittori  che  oggi  da  noi  vantano  tanto  il  pensiero  e  la  scienza,  se  Darwin, 
Littrè  e  Spencer  non  avessero  pensato  per  loro,  difficilmente  potrebbero  provare  di  aver 
avuto  un  solo  pensiero  di  suo  in  tutta  la  lor  vita.  Ma  a  forza  di  leggere  e  rileggere  i 
libri  di  quei  tre  insigni,  si  son  messi  in  testa  di  averli  pensati   loro;  e  forse  per  questo 

si   chiamano  pensatori Intanto   scema  il  numero   dei   veri   scrittori  in  proporzione 

dell'  aumento  degli  scribacchiatori.  Ciascuno  vuol  scrivere,  e  quel  che  è  peggio,  stam- 
pare, mentre  son  pochissimi  quelli  che  avrebbero  qualche  cosa  da  dire  —  e  fra  questi, 
che  son  già  rari,  i  più  scrivono  in  stile  da  lettere  commerciali.  Quindi  avviene  che  i 
pochi  che  hanno  oggi  in  Italia  il  culto  della  parola,  e  meritano  il  nome  di  scrittori, 
fanno  l'effetto  di  personaggi  solitari;  di  capi  originali  che  hanno  una  specie  di  fissazione; 
di  poveri  Robinson  Crusoè  in  un'  isola  abbandonata,  circondati  da  uno  sterminato  Atlantico 
di  doppia  barbarie. 


XXIX. 


Addì  5  del  mese  di  giugno  dell'anno  1884  era  uscita  finalmente  la 
Grammatica  di  inetto,  o,  come  ebbe  ad  intitolare  il  libro  il  nostro  autore, 
le  Regole  ed  Osservazioni  della  lingua  italiana  proposte  ai  giovanetti  studiosi. 

Dopo  il  titolo  e  il  nome  dell'  autore,  ricorre  lo  stesso  motto  latino 
della  seconda  edizione  della  Grammatica  grande,  cioè  il  quintiliano  :  Gram- 
matica plus  habet  in  recessu,  quam  fronte  promittit  (1.  1,  e.  V).  E  il  motto,  in 
verità,  non  è  punto  usurpato.  Chi  ben  s'  addentra  nello  studio  del  libro, 
presto  s'  accorge  quanta  filosofia  e  copia  d'  erudizione  ci  sia  per  entro  a 
questo  volume. 

Nulla  e'  è  nella  Prefazione  che  non  sia  stato  detto  nella  Prefazione  della 
Grammatica  grande  (seconda  edizione).  L'Abate  avverte  soltanto  che  rispetto 


')  Le  memorie  inedite  di  G.  Giusti  —  Recensione.  N.  Antologia,  fase.  16,  marzo  1890. 

17 


~     2J0    — 

alia  lessigrafìa,  egli  s'è  attenuto  all'antica  maniera  di  scrivere,  a  quella,  volle 
dire,  che  è  seguita  dalla  comune  degli  scrittori,  salvo  in  certe  poche  voci 
composte  d'un  verbo  o  d'un  affisso,  nelle  quali,  come  ha  fatto  nella  Gram- 
matica, fa  uso  tuttavia  di  quel  segno  che  alcuni  grammatici  chiamano  meigo 
apostrofo. 

Per  quanto  io  mi  sappia,  il  primo  a  parlarne  fu  il  periodico  settimanale 
L'Istria  che  si  stampa  a  Parenzo.  Io  volli  avere  codesto  onore,  e,  come 
seppi,  ne  intessei  la  critica  che  qui  subito  segue,  e  che  inserii  ne  L'Istria 
di  Parenzo  '). 

Detto  come  io  conobbi  l'Abate  Moise,  entro  a  discorrere  della  Gram- 
matica così  : 

Ora  ne  farò  qui  un  po'  di  critica,  sperando  con  questo  di  eccitare  alcuni  de'  nostri 
comprovinciali  a  leggerla  e  studiarla  anch'  essi  e  farsene  prò. 

E,  se  così  faranno,  conchiuderanno  essi  ancora,  come  ho  conchiuso  io,  aver  avuto 
ragione  Raffaello  Fornaciari  quando  disse  che  l'Abate  Moise  è  V Autore  della  più  compiuta 
Grammatica  che  abbia  V  Italia,  e  non  aver  similmente  operato  a  caso  quel  celebre  latinista 
che  è  il  Cav.  Diego  Vitrioli,  il  quale,  mandando  in  dono  al  Moise  una  copia  del  suo 
rinomato  poema  latino  intitolato  Xiphias,  scrisse  sulla  copertina  del  libro  abbati  Joanni 
Moise  Grammaticorum  sui  iemporis  facile  principi  'Didacus   Vitriolius  d. 

L'  opera  conta  quasi  700  pagine  ed  è  divisa  in  tre  Parti.  La  ia  comprende  l'Ortoepia 
e  l'Ortografia;  la  2a  l'Etimologia;  la  ja  la  Sintassi.  Di  tutt' e  tre  queste  parti  dirò  qualcosa. 

Nella  ia  parte  è  particolarmente  degno  d'osservazione  quel  che  dice  l'Autore  del 
doppio  suono  delle  vocali  E  ed  O  e  delle  consonanti  5  e  Z,  e  del  raddoppiamento  delle 
consonanti  nelle  parole  composte. 

Molti  Istriani  e  Italiani  in  generale  pronunziano  male  in  varj  casi  e  la  E  e  la  O 
e  la  5  e  la  Z;  onde  quel  che  ne  dice  il  Moise  può  servire  a  loro  di  grande  profitto. 
Molti,  per  esempio,  pronunciano  remo  con  la  E  stretta,  laddove  ella  va  proferita  larga;  e 
all'incontro  proferiscono  con  V O  stretta  coppa  (occipite),  mentre  si  dee  pronunziare  largo. 
Più  spesso  ancora  fallano  molto  nel  pronunziare  la  5  e  la  Z.  Impresario  e  Posata  (ir. 
couverl)  sono  forse  le  sole  parole  che  tutti  pronunciano  bene,  cioè  con  la  5  aspra  in 
mezzo  di  parola.  Tutte  le  altre  voci  aventi  la  5  nel  mezzo,  le  pronunziano  dando  alla  S 
il  suono  dolce,  e  però  fallano.  Tali  sono  impresa,  posare,  riso,  naso,  nascoso,  Juso,  così.  — 
Zio  e  xplfo  molti  li  pronunciano  con  la  Z  dolce,  mentre  invece  ella  va  pronunciata  aspra. 
Al  contrario  romando,  ghiribizzo,  sottra  molti  li  proferiscono  con  fa  Z  aspra,  quand'invece 
quella  si  deve  proferir  dolce. 

Per  quel  che  riguarda  poi  il  raddoppiamento  delle  consonanti,  il  Moise  dà  regole 
si  chiare  ed  esatte,  che  chi  vi  sta  attento  è  impossibile  che  falli.  Io  ho  letti  su  questo 
proposito  parecchi  Grammatici;  ma  nessuno  ne  parla  si  chiaro  come  lui. 

La  2a  Parte  è  assai  più  importante:  sovrattutto  mi  pajono  degni  d'  osservazione  i 


')  Anno  III,  n.  130,  21  giugno  1884. 


—   25  I    — 

trattati  del  Pronome,  dell'Aggettivo  e  del  Verbo.  —  L'Autore  è  il  solo  de'  Grammatici 
italiani,  il  quale  abbia  accettata  1'  opinione  del  grande  Grammatico  francese  Beauzée  sul 
Pronome  e  sul  Nome,  opinione  che  a  me  pare  verissima  e  che  non  so  capire  come  tutti 
unanimemente  non  l'abbiano  ricevuta  i  nostri  Grammatici  e  Filologi.  La  distinzione  del 
■y^onte  dal  Pronome  si  è  questa,  che  il  tLome  ci  esprime  la  natura  del  soggetto  e  il 
'Pronome  ce  ne  dimostra  la  persona.  Per  cui  si  vede  che  mal  fanno  i  nostri  Grammatici  a 
porre  nel  novero  de'  Pronomi  le  voci  Questi,  Cotesti,  Quegli,  Colui,  Costui  ecc.,  non  indi- 
cando queste  mai  e  poi  mai  la  persona  del  Soggetto,  ma  indicandone  invece  ad  un  tempo 
e  la  natura  e  la  qualità,  e  però  a  tutta  ragione  le  chiama  il  Moise  aggettivi  sostantivi. 
—  L' Aggettivo  è  diviso  dal  nostro  Autore  in  varie  classi,  le  quali  a  me  pajono  similmente 
vere  e  logiche.  Gli  Aggettivi  di  raporto  sono  compresi  in  un  lungo  articolo  che  merita 
d'esser  letto  e  riletto  e  profondamente  studiato  da'  giovanetti.  In  questo  articolo  si  danno 
alcuni  avvertimenti  contrarj  a  quelli  de'  Grammatici.  Mi  basterà  accennare  ciò  che  dice 
1'  autore  dell'  Aggettivo  Chiunque.  Insegnano  in  coro  i  Grammatici  e  i  Vocabolaristi  di 
voci  e  maniere  errate  che  il  vero  e  proprio  significato  di  Chiunque  si  è  Ognuno  che,  o 
Ciascuno  che,  mentre  il  Moise  afferma  e  dimostra  con  classici  esempj  che  il  proprio  e 
vero  significato  di  Chiunque  non  è  no  Ognuno  che  o  Ciascuno  che,  ma  è  invece  Qualsivoglia 
•  ma,  la  quale,  quand'è  aggettivo  indistintivo  congiuntivo.  —  Degne  parimenti  di  con- 
siderazione sono  le  divisioni  e  suddivisioni  che  1*  Autore  fa  del  Verbo,  aggiungendone 
meritamente  alcune  che  sono  omesse  da  tutti  in  generale  i  Grammatici  e  che  pure  ragion 
vuole  che  se  ne  faccia  parola. 

Nella  terza  Parte  sono  specialmente  degni  di  riguardo  i  trattati  della  concordanza, 
quello  del  Reggimento  dei  Verbi,  e  quelli  della  Preposizione  e  della  Congiunzione. 

Le  regole  della  Concordanza  sono  esposte  con  tutta  chiarezza  ed  esattezza,  segna- 
tamente quelle  che  concernono  la  concordanza  del  participio  col  soggetto  o  con  l'oggetto, 
che  nella  più  parte  delle  Grammatiche  si  cercano  invano. 

Il  trattato  del  Reggimento  dei  Verbi,  dove  1'  Autore  si  mostra  non  solo  sommo 
Grammatico,  ma  sì  ancora  profondo  Filosofo,  meriterebbe  da  sé  solo  che  si  studj  que- 
st'  opera.  Qui  si  trova  un  Repertorio  di  maniere  di  dire  belle  ed  eleganti  e  quasi  tutte 
vive,  insomma  un  piccolo  Dizionario  composto  a  modo  e  a  garbo. 

Non  meno  che  nel  trattato  del  Verbo  si  mostra  il  Moise  gran  Filosofo  neh"  indagare 
ed  esporre  i  veri  valori  delle  Preposizioni,  che  furono  tanto  mistrattati  dagli  antichi 
Grammatici  e  che  durano  tuttavia  ad  essere  mistrattati  da'  moderni. 

E  in  questo  della  Preposizione  e  nel  seguente  trattato  della  Congiunzione  ci  offre 
l'Autore  parecchi  modi  di  dire  immeritamente  condannati  dai  Grammatici  e  dai  Voca- 
bolaristi. 

Questo  poi  è  il  bello  del  nostro  autore,  che  i  giovanetti  studiosi  possono  ad  occhi 
chiusi  adagiarsi  nella  sentenza  di  lui.  Se  la  voce  o  maniera  è  buona  e  usabile,  ei  dice 
loro:  Adopratela  tenia  riguardo  di  sorta;  se  è  erronea,  dice  loro:  'X.on  la  usate  mai  e  poi 
mai;  se  finalmente  è  confortata  da  classici  esempj,  ma  non  fu  mai  usata  o  quasi  mai 
dai  migliori,  ei  dice  loro:  Non  i  errore  l'usarla;  io  peraltro  non  l'uso  mai,  non  essendo  ella 
né  necessaria,  né  bella,  e  consiglio  anche  voi  a  fare  il  medesimo.  —  Dirò  per  ultimo  del- 
l' indice  Generale  o  Repertorio,  che  si  trova  in  fine  dell'  opera.  Questo  Repertorio  è 
comodissimo  e  per  i  giovanetti  e  per  tutti,  particolarmente  per  coloro,  che,  occupati  in 
altri  affari,  non  hanno  tempo  d'attendere  alli  studj  grammaticali.  In  un  tratto  essi  trovano 
col  mezzo  del  Repertorio  tutto  ciò  clic  desiderano,  essendo  esso  vastissimo  e  diffusissimo. 
—  Ove  poi  il  lettore  non  conosca  di  quali  autori  siano  gli  esempj  onde  il  Moise  conferma 


—  252  — 

le   sue   regole,  egli   non   ha  a  far  altro  che  a    ricorrere   alla    Tavola   de'  Citati,  posta   in 
principio  dell'  opera,  ove  si  dà  la  spiegazione  di  tutte  le  abbreviature. 

Due  anni  dopo  ch'era  uscita  la  Grammatica  di  meigp,  il  Veratti  scrisse 
una  critica  che  inserì  negli  Opuscoli  Religiosi  ecc.  di  Modena  ').  Non  occorre 
eh'  io  trascriva  qui  tutta  la  critica  :  basterà  dire  che  il  Veratti  fa  un  monte 
di  elogi  al  nostro  sor  Abate.  Ei  loda  1'  abilità  e  perita  dell'autore,  valentis- 
simo ed  esperto  quanto  altri  qualsiasi  in  tali  studj,  e,  ciò  che  vale  anche  più, 
egregio  scrittore.  Dice  che  il  eh.  Abate  Moise  ha  dato  un  assai  buon  libro,  e 
un  ottimo  manuale,  utilissimo  anche  a  chi,  avendo  già  appresa  la  lingua,  vuole 
0  approfondirsi  in  essa,  0  chiarire  qualche  dubbio. 

Fin  qui  tutto  va  bene.  Alle  lodi  però  fa  seguito  una  censura.  Il  Veratti, 
cioè,  accusa  il  nostro  Abate  d'  essersi  messo  a  combattere  la  dottrina  del 
Fabriani  sulle  rapportanti  senza  intenderla  ! 

E  ne  seguì  un  nuovo  piato,  del  quale  faccio  ancor  grazia  ai  lettori. 

Dirò  solo  che  negli  Studj  Leti,  e  Morali  di  Modena  (t.  II,  pag.  123) 
dell'anno  1887,  parlandosi  di  esso  piato  tra  il  Veratti  e  il  Moise,  dice  Carisio 
Zeffirino  (relatore  della  Strenna  istriana  di  Nono  Cajo  Baccelli  per  l'anno  1887): 
«  Una  buona  parte  (della  Strenna  da  pag.  94  a  pag.  141)  è  data  in  piccola 
dose  all'  Accademia  Tassoniana  e  particolarmente  a  me  Caristo  Zeffirino  ; 
ma  molta  più  al  nostro  concittadino  B.  Veratti,  per  le  questioncelle  dibattute 
gli  anni  scorsi  tra  il  eh.  Abate  Gio.  Moise  ed  esso  Veratti.  Io  non  so  se 
questi  vorrà  replicare  nella  sua  futura  Strenna  di  Studj  Filologici  pel  1888, 
e  credo  che  noi  sappia  nemmeno  egli,  perchè  vi  penserà  quando  nell'estiva 
stagione  porrà  mano  a  compilarla.  Per  parte  mia  debbo  e  voglio  ringraziare 
N.  C.  Baccelli  per  avere  presentato  a'  suoi  lettori  le  ragioni  dette  da  noi; 
e  replico  il  Claudite  jam  rivos,  pueri ;  sat  prata  bibernnt  ». 

E  il  ruscello  s'  è  chiuso,  in  fatti,  definitivamente,  anche  per  la  morte 
sopravvenuta  del  povero  Abate. 

Ed  ora  mi  correrebbe  obbligo  di  dire  di  tutte  le  correzioni  introdotte 
dal  Moise  nella  Grammatica  di  meT^p,  in  rapporto  alle  due  edizioni  della 
Grammatica  grande  ;  ma  questo  mi  porterebbe  troppo  per  le  lunghe,  ed 
ingenererei,  certamente,  grande  noja  nel  lettore,  se  pure  ne  ho  avuto  qualcuno 
che  possa  aver  resistito  alla  lettura  del  presente  lavoro  fino  a  questo  punto. 
Quello  che  posso  dire  si  è  —  e  spero  d'avere  ingenerata  almeno  una  tale 
persuasione  anche  in  quel  qualcuno  lettore  di  sopra  —  che  il  Moise  non 


')  Serie  4,  tomo  XV,  pag.  475  e  seg. 


-  253  — 

pubblicò  l'una  dopo  l'altra  le  sue  Grammatiche  per  puro  capriccio  —  tanto 
più  eh'  egli  non  ne  ritraeva  un  utile  adeguato  dei  suoi  libri,  ma  anzi  ne 
rimetteva  quasi  ogni  volta  del  proprio,  e  non  poco  del  proprio  —  ma  sì 
bene  ei  le  pubblicò  col  sapiente  intendimento  di  rendere  l'opera  sua  sempre 
più  perfetta,  giovandosi  dei  buoni  consigli  degli  esperti  della  materia,  e  del 
frutto  de'  suoi  studj  diligentissimi,  ne'  quali  perseverò  indefesso  fino  alla 
morte. 

Ne  voglio  dire  con  questo,  che  la  Grammatica  dì  meqp  sia  un  libro 
in  tutto  in  tutto  perfetto,  tant'è  vero  che  lo  stesso  Moise  ebbe  ad  accor- 
gersi di  qualche  erroruccio  dopo  la  stampa  di  quello,  e  francamente  lo 
confessò,  dichiarandosi  pronto  di  levarlo  nell'  eventuale  ristampa  della  sua 
Grammatica  ').  Così  a  67  anni  ei  pensava  ancora  ad  una  quarta  edizione 
della  sua  Grammatica  grande  !  Dico  Grammatica  grande,  perchè,  alla  fin 
fine,  anche  quella  di  mezzo  è  tutt'  altro  che  piccola. 

Sia  come  si  voglia,  il  Moise  era  durato  ben  42  anni  intorno  allo  studio 
ed  alla  perfezione  della  sua  Grammatica  ;  ond'egli  scese  nella  tomba  con  la 
coscienza  che  poteva  giustamente  ripetergli  in  rapporto  ad  essa  Grammatica: 

ExEGI    MONUMENTUM   AERE    PERENNIUS. 


XXX. 


Compiuta  la  Grammatica  di  me^o,  il  Moise  volle  darsi  un  po'  di  bel 
tempo,  e  rivedere  gli  antichi  amici,  e  parte  dei  letterati  coi  quali  ebbe 
corrispondenza.  —  Nei  (iodici  mesi  che  intercedettero  dall'agosto  del  1885 
all'agosto  1886  l'Abate  intraprese  ben  cinque  viaggi,  il  primo  dei  quali, 
abbastanza  lungo,  lo  fece  nel  Regno  d' Italia  in  compagnia  di  suo  nipote, 
il  sig.  dott.  Gianpietro  Moise  ').  Veramente  egli  intraprese  questo  viaggio 
anche  per  consultare,  nelle  rispettive  Università  dove  insegnano,  i  celebri 
professori  in  oculistica  dott.  Magni  e  dott.  Limi. 

Il  dì  19  ottobre  1885  lasciò  Cherso  e  si  diresse  a  Fiume,  da  dove 
partì  il  giorno  appresso  per  Udine.  Rinfrescata  qui  l' amicizia  coli'  avvocato 
sig.  Pietro  Lorenzetti,  e  visitato  quanto  era  da  visitare,  andò   a    Venezia, 


')  Vedi  Dialogo  quarto  della  Strenna  istriana  per  l'anno  1887. 

*)  Vedi   Viaggi  inseriti  nella  Strenna  per  l'anno  i887,  pag.  9  e  seg. 


—  254  — 

dove  fé'  una  sosta  di  quattro  giorni,  rivedendo  amici,  conoscenti  e  opere 
d'  arte. 

Il  di  25  andò  a  Padova,  e  la  mattina  del  27  si  diresse  per  Bologna, 
dove  pure  si  fermò  quattro  giorni. 

Il  nostro  Abate  volle  qui  conoscere  di  persona  il  coram,  Francesco 
Zambrini,  celebre  letterato  bolognese,  col  quale  da  parecchi  anni  era  in 
corrispondenza  epistolare.  Fu  accolto  dal  buon  vecchio  con  tutta  amore- 
volezza e  si  trattenne  con  esso  in  lieti  e  istruttivi  conversari. 

Al  mezzogiorno  del  3 1  d'  ottobre  il  Moise  si  trovò  a  Firenze,  e  dalla 
stazione  di  S.  Maria  Novella  si  fé'  tosto  condurre  in  via  de'  Bardi,  dove 
lo  aspettava  a  gloria  il  cav.  Giovanni  De  Maria,  vecchio  amico  dell'Abate. 
Stette  a  Firenze  parecchi  giorni,  buona  parte  de'  quali  impiegò  a  far  visite 
a'  letterati  suoi  amici  e  conoscenti.  Da  prima  andò  dal  cav.  Cesare  Guasti, 
segretario  dell'  Accademia  della  Crusca,  e  dal  prof.  Raffaello  Fornaciari,  e 
poi  da  Prospero  Viani  e  da  Giuseppe  Rigutini,  e  tutti  e  quattro  lo  accolsero 
amorevolissimamente,  e  gli  usarono  un  mondo  di  gentilezze.  Il  Guasti  e  il 
Fornaciari  l'Abate  li  conosceva  da  pezza,  ma  il  Viani  e  il  Rigutini,  benché 
fosse  con  essi  in  relazione  epistolare,  e'  non  li  avea  mai  veduti  prima 
d'  allora. 

A  proposito  poi  del  Rigutini,  l'Abate  mi  raccontò  il  seguente  aneddoto. 
Entrato  che  fu  in  stanza,  trovò  il  eh.  filologo  tutto  inteso  a  lavorare  intorno 
alla  lettera  F  del  grande  Vocabolario  della  Crusca.  Il  suo  tavolo  era  tutto 
ingombro  di  carte,  di  libri  ecc.  ecc.  Fra  i  libri  che  teneva  aperti  e'  era 
pure  la  Grammatica  grande  del  nostro  Moise,  non  so  ora  di  preciso  se 
alla  lettera  F  del  Repertorio  delle  principali  materie  di  cui  si  ragiona  in  essa 
Grammatica,  o  in  altra  parte.  Il  fatto  sta  che  il  Rigutini,  quando  si  vide 
dinanzi  il  Moise,  gli  gettò  le  braccia  al  collo,  e  gli  additò  la  di  lui  Gram- 
matica che  allor  allora  stava  consultando  !  —  «  Questo,  mi  disse  l' Abate, 
fu  uno  de'  più  grandi  conforti  eh'  io  ebbi  in  vita  ». 

Il  Moise  visitò  pure  a  Firenze  la  famiglia  del  defunto  suo  amico  Giu- 
seppe Polverini,  benemerito  tipografo  fiorentino.  Poi  volle  conoscere  i 
tipografi  Luigi  e  Federico  Niccolai,  successori  del  cav.  De  Maria  nella 
stampa  della  Strenna  Istriana.  E,  tanto  per  non  perder  l' uso,  si  recava 
quasi  ogni  giorno  alla  tipografia  a  rivedere  gli  stamponi  di  quella  per 
l'anno  1887.  E  ne  ha  corretti  degli  stamponi  il  povero  Abate!  Tanto  da 
sciuparsi  ben  bene  la  vista,  così  che  quasi  la  perde. 

Il  giorno  de'  Morti  andò  a  visitare  il  Cimitero  del  Monte  alle  Croci, 
e  si  fermò  a  pregare  dinanzi  alle  tombe  di  Pietro  Fanfani  (col  quale  avea 
valorosamente  giostrato),  di  Pietro  Thouar  e  di  Giuseppe  Giusti  !  —  Ecco 


—  2)5  — 

il  Moise.  Di  tutte  le  magnifiche  tombe  che  stanno  nei  pressi  di  S.  Miniato, 
ei  non  ricorda  che  quelle  tre  ! 

Ai  12  novembre  di  mattina  col  primo  treno  si  pose  in  viaggio  per 
Pisa.  Ma  qui  non  si  fermò  che  poche  ore.  Col  treno  delle  tre  partì  per 
Lucca.  Neil'  uscir  dalla  stazione  gli  venne  incontro  1'  avv.  Leone  Del  Prete 
col  suo  figlio  Lorenzo.  Era  tanto  tempo  che  l'Abate  si  struggeva  dal  desiderio 
di  conoscere  di  persona  il  eh.  avvocato,  col  quale  da  venti  anni  era  in 
corrispondenza  epistolare,  e  questo  viaggio  da  Firenze  a  Pistoja  l' aveva 
fatto  a  bella  posta  per  vederlo  e  trattenersi  un  poco  con  lui.  Il  Del  Prete 
lo  condusse  in  giro  per  la  citta,  volendogli  fare  egli  stesso  da  cicerone. 
Venuta  l'ora  della  pentola,  il  sor  Leone  volle  che  l'Abate  desinasse  insieme 
con  lui  e  con  la  sua  famiglia. 

Il  giorno  dopo,  di  buon  mattino,  il  Moise  partì  per  Pistoja.  Ma  la  sera 
stessa  ripartì  per  Bologna,  dove  arrivò  sulle  ventitré. 

Desiderava  l' Abate  avanti  di  pigliar  per  Romagna  di  conoscere  di 
persona  il  prof.  Carducci,  il  che  non  avea  potuto  fare  nel  viaggio  di  andata; 
ragion  per  cui,  deposte  le  sue  sacche  ad  una  locanda  lì  vicina  alla  stazione, 
andò  senz'  altro  in  via  Mazzini,  dove,  salite  nientemeno  che  otto  scale,  fu 
amorosamente  accolto  dal  professore  che  dianzi  s'  era  levato  da  desinare. 

Raccontandomi  qualche  mese  appresso  questa  sua  visita,  mi  giustificò 
il  motivo  per  cui  voleva  conoscere  l' illustre  letterato  e  il  primo  poeta 
d'Italia.  Convien  premettere  che  qualche  tempo  prima,  parlando  della  cattedra 
di  grammatiche  ai  suo'  scolari,  il  prefato  professore  avea  lodato  molto  la 
Grammatica  grande  del  Moise,  giudicandola  la  più  completa  Grammatica 
ti'  Italia.  Venuto  a  saper  questo  il  nostro  Abate,  ne  fu  molto  consolato; 
volle  quindi  visitare  e  ringraziare  il  Carducci.  Questi  l'accolse  amorevolmente, 
come  dissi,  se  ne  compiacque  di  saperlo  istriano,  e  lo  assicurò  che  le  lodi 
che  gli  erano  uscite  dalla  bocca  partivano  da  sincero  convincimento  e  da 
verace  estimazione.  —  In  fatti,  fino  a  questo  punto,  l'uno  non  conosceva 
1'  altro  di  persona. 

E  poiché  sono  su  questo  argomento,  mi  piace  di  riferire  il  giudizio 
del  Moise  sul  Carducci  poeta.  Provocato  da  me,  l'Abate  rispose:  «Ecco, 
del  Carducci  mi  piace  assai  più  le  prime  poesie,  che  le  seconde  e  le  ultime». 
—  E  perchè  questo  ?  —  Perchè  le  prime  erano  linguisticamente  più  pure, 
o  per  meglio  dire  più  toscane  delle  altre  !  —  Io  non  discuto  se  ciò  sia 
vero  o  meno,  riferisco  e  passo  oltre. 

La  mattina  seguente  partì  per  Lugo,  dove  I'  attendeva  il  sig.  Antonio 
Golminelli  che  lo  condusse  a  Cotignola  in  casa  propria,  e  quivi  si  fermò 
cinque  giorni.  Visitò  in  questo  incontro  Faenza,  oltre  che  Lugo.  Il  19  no- 


—  256  — 

vembre  si  recò  a  Ravenna,  donde  doveva  imbarcarsi  sul  vaporino  che  parte 
ogni  settimana  per  Trieste.  Nella  breve  fermata  che  fece  a  Ravenna,  visitò 
la  tomba  di  Dante,  eh'  ei  descrive  minutamente.  —  Alle  ore  9  del  giorno 
seguente  sbarcava  a  Trieste,  da  dove,  per  Fiume,  ritornò  a  Cherso.  E  qui 
finisce  il  primo  suo  viaggio. 

Il  secondo  viaggio  il  nostro  Abate  lo  fece  nei  Lussini,  per  dove  parti 
il  di  15  febbraio.  Egli  fu  ospite  gradito  per  sette  giorni  di  Don  Francesco 
Craglietto  a  Lussingrande.  Il  qual  luogo  egli  descrive  minutamente,  come 
altra  volta  aveva  fatto  di  Lussinpiccolo.  Come  è  noto,  nel  duomo  di  Lus- 
singrande si  conservano  parecchi  oggetti  d'  arte  di  grande  valore,  fra'  quali 
un'  Addolorata  del  Tiziano,  ed  una  bellissima  statua  marmorea  della  Madonna 
del  Rosario  d' ignoto  autore,  quantunque  alcuni  vogliono  la  sia  del  Salviati. 
Poi  una  pittura  in  tavola  del  Vivarini  (Bartol.),  un  quadro  di  Francesco 
Hayez,  altro  di  Lattanzio  Querena  ecc.  ecc. 

Il  terzo  lo  fece  a  Parenzo  e  a  Visignano,  fermandosi,  fra  1'  uno  e 
1'  altro  luogo,  soli  quattro  giorni  (dal  3 1  marzo  al  5  aprile),  malgrado  le 
mie  vive  insistenze  perchè  almeno  a  Parenzo  si  fermasse  di  più.  Ed  anche 
dei  detti  due  luoghi,  specie  del  capoluogo,  ei  fa  minuta  descrizione. 

Il  dì  5  aprile  era  a  Cherso,  e  subito  il  giorno  dopo  il  Moise  ripartiva 
per  Albona  e  S.  Domenica,  donde  faceva  ritorno  a  casa  tre  giorni  dopo, 
cioè  il  9  del  detto  mese.  Del  primo  luogo  si  ferma  particolarmente  a 
descrivere  il  Museo  Luciani-Scampicchìo. 

Finalmente  il  quinto  viaggio  ei  lo  fece  a  Dignano  e  dintorni,  occu- 
pando sei  giorni,  cioè  dal  29  maggio  ai  5  giugno. 

L'anno  seguente  (1887)  l'Abate  non  fece  che  un  solo  viaggio,  nel 
mese  di  luglio,  in  Liburnia,  e  questa  volta  in  compagnia  del  nipote  suo, 
Pierino,  allor  allora  uscito  dottore  in  giurisprudenza  dalla  R.  Università  di 
Padova,  duella  costa  del  continente  istriano  era  quasi  del  tutto  ignota 
all'  Abate,  ond'  ei  la  visitò  parte  a  parte,  cioè  da  Bersez  fino  a  Volosca, 
impiegandovi  parecchi  giorni. 


XXXI. 


Circa  nove  o  dieci  anni  fa,  essendosi  iniziata  a  Torino  la  pubblicazione 
dell'  Annuario  biografico  universale,  il  eh.  Prof.  A.  Brunialti  m' interessava 
di  volergli  inviare  una  qualche  biografia  di  uomini  distinti  appartenenti  a 
questa  regione.  Io  gliene  mandai  alcune  di  codeste  biografie,  ma  tutte  di 


—  257  — 

persone  già  defunte,  fra  le  quali  mi  piace  di  ricordare  quella  del  tanto 
compianto  Prof  Carlo  Combi.  Allora  io  messi  gli  occhi,  fra  altri,  anche 
sull'  Abate  Moise,  appo  il  quale  insistetti  perchè  volesse  darmi  almeno  i 
punti  principali  della  sua  vita.  Correva  l'anno   1885. 

Il  povero  Abate  schermì  la  mia  domanda,  dicendo  eh'  era  «  diventato 
ormai  un  coccio  »  e  non  atto  più  a  scrivere  «  un  articolo  alquanto  lungo 
che  garbo  abbia».  —  «E  poi,  soggiungeva,  come  vuo'  eh'  io  stesso  scriva 
la  mia  biografia?  Nessuno,  io  credo,  potrà  mai  obbligarmi  a  biasimare  o 
a  lodare  me  stesso;  eppure  questo  dovrei  fare,  se  volessi  buttar  giù  una 
mia  coscenziosa  biografia.  D'altra  parte  io  non  credo  d'esser  un  animale 
tanto  raro,  che  la  gente  abbia  a  correre  ed  accalcarsi  per  vedermi.  Dunque 
da'ti  pace  e  non  entrarmi  più  in  questo  tasto.  Sai  bene  che  quanto  posso 
fare  per  te  lo  fo  di  buona  voglia  senza  bisogno  che  altri  mi  ci  tiri». 

Sta  bene  avvertire  che  allora  il  povero  Abate  era  affetto  da  quel  fiero 
mal  d'  occhi,  di  cui  ho  detto  più  sopra,  e  non  poteva  in  veruna  guisa 
occuparsi  nello  scrivere.  Tuttavia,  quando  il  male  cominciò  a  scemare,  io 
ritornai  alla  carica,  e  il  buon  Abate  —  quantunque  professasse  di  non 
aver  più  testa,  e  di  conoscere  «  che  non  valeva  più  a  dettar  una  pagina 
ammodo»  —  in  data  dei  5  settembre  1885  m'inviava  alcune  sue  brevi 
note  biografiche. 

Ma  io  non  mi  adattai  a  quelle  note  molto  semplici,  tutto  che  elegan- 
tissime, ed  approfittando  di  una  sua  visita  che  mi  fece  a  Parenzo,  lo  persuasi 
a  dirmi  dell'altro.  Allora  s'è  convenuto,  ch'egli  risponderebbe  —  e  poteva 
anche  non  farlo  —  a  determinate  mie  interrogazioni.  Cosi  è  avvenuto  che, 
oltre  all'  autobiografia  del  Moise,  io  venissi  in  potere  di  parecchi  altri 
squarci  di  sua  vita.  Ora  però  m'  accorgo,  e  me  ne  pento  assai,  d'avere 
troppo  poco  approfittato  della  sua  cortese  accondiscendenza,  che  di  molte 
cose  riflettenti  gli  studj  e  le  opere  del  Moise  io  rimasi  perfettamente  al- 
l' oscuro,  per  cui  ne  sono  anche  adderivate  parecchie  lacune  che  il  lettore 
avrà  riscontrate  in  queste  pagine. 

Ma,  a  quel  tempo,  era  ben  lontano  dal  credere  eh'  io  mi  deciderò  a 
questo  lavoro.  Trattavasi  allora  di  servire  l'Annuario  biografico,  comporta- 
bilmente o  proporzionatamente  al  suo  programma,  e  non  d' intessere  una 
biografia  tanto  quanto  circostanziata,  com'  è  la  presente.  Né  della  vita  e 
degli  altri  squarci  che  la  seguirono  potei  valermene  per  ['Annuario  biografico, 
avvegnaché  codesta  pubblicazione,  di  cui  erasi  fatta  editrice  l'Unione  Tipo- 
grafico-Editrice  Torinese,  venisse,  dopo  qualche  anno,  a  cessare,  sì  eh'  io 
rimasi  in  asso  colla  biografia  dell'Abate  Moise,  e  solo  me  ne  valsi  quando 
egli   fatalmente  venne    a   morire.  L'  autobiografia   del    Moise,   dunque,   la, 


—    2jS    — 

pubblicai  ne  L'Istria  (a.  VII-  n  febbraio  1888  -  N.  322);  e  parte  degli 
squarci  biografici  autografi  ne  La  Provincia  dell'Istria  che  si  stampa  a 
Capodistria  (a.  XXII  -  16  febbrajo   1888  -  N.  4). 

L'  Abate  dunque  si  sentiva  ornai  stanco,  e  ben  poteva  esserlo  il  povero 
uomo.    Egli  aveva   lavorato,    e   che    lavoro!   indefessamente    quasi    mezzo 

secolo per  la  gloria.  Si,  per  la  gloria,  perchè  dal  complesso  del  lungo 

sudato  lavoro  guadagni  ei  non  ne  trasse.  A  lui  dunque  ben  s'  attagliano 
i  seguenti  detti  del  collega  suo  in  arte,  Vincenzo  Nannucci  '). 

«  Egli  è  fuor  di  dubbio che  un  tristo    romanzo    senza   capo  ne 

coda,  e  disteso  in  una  lingua  scomunicata,  m'  avrebbe  fruttato  assai  più 
che  un  lavoro,  il  quale  s'  aggira  sopra  studii  sodi  e  severi.  Seguita  il  gusto 
che  domina,  mi  diceva  una  vecchia  volpe,  se  non  vuoi  morir  dalla  fame: 
gli  uomini  voglionsi  prendere  pel  loro  verso  e  gabbare:  briga  e  piaggia: 
il  mondo  è  degli  impostori  e  dei  furbi.  E  mi  parlava  il  Vangelo:  e  conosco 
pur  troppo  ancor  io  esser  questo  il  mezzo  sicuro  per  accattarsi  grazie  e 
favori.  Ma,  giri  la  Fortuna  la  sua  rota  come  le  piace,  io  non  comprerò  mai 
a  questo  prezzo  la  vita,  né  m' indurrò  per  colpi  eh'  ella  mi  dia  a  far  nulla 
che  sappia  di  lusingante  piacenteria,  di  viltà  e  di  bassezza;  né  cotanta  abie- 
zione di  animo  da  me  giammai  niuno  speri.  E  sieno  pure  quanto  si  vogliano 
sterili  di  ogni  frutto  i  sudori  della  mia  fronte,  purché  onoratamente  versati. 
Amo  spirar  sulla  paglia,  beato  nel  silenzio  degli  studii,  non  discendendo 
ad  atti  che  offendano  la  dignità  del  carattere,  e  scrivendo  cose,  finche  mi 
reggeranno  le  forze,  che  non  mi  tornino  a  nessun  prò,  ma  dalle  quali 
possano  ritrarre  i  miei  simili  vantaggi  e  beni  reali,  anzi  che  da  ciarlatano 
e  da  ciurmadore  nuotare,  vendendo  fumo  e  trappolando  la  gente,  nelle 
delizie,  ed  essere  poi  accompagnato  dal  dispregio  e  dall'  indignazione  dei 
sapienti  e  dei  buoni:  e» 

la  vendetta 

Fia  testimonio  al  ver  che  La  dispensa. 
(Varad.  XVII.  53) 

Ornai  il  Moise,  per  ritornare  a  capitolo,  sentiva  il  bisogno  di  riposare 
la   mente  e  di  distrarre  lo  spirito.   Perciò  accoglieva  volentieri    gì'  inviti 


')  Aliatisi  crìi,  dei  Verbi  Hai.  già  citato,  in  Prefazione. 


—  259  — 

che  gli  venivano  frequenti  dagli  amici  dell'  Istria  che  lo  volevano  con 
loro.  Chi  avrebbe  mai  detto,  che  proprio  uno  di  codesti  inviti  gli  sarebbe 
poi  stato  tanto  fatale,  da  determinare  il  suo  «  funereo  d'i  »?  ... . 

In  sullo  scorcio  appunto  del  mese  di  gennajo  dell'anno  1888  egli 
ricevè  grazioso  invito  di  recarsi  dal  suo  buon  amico  sig.  Benedetto  Minaci) 
di  Volosca  —  piccola  città  della  Liburnia  che  sta  di  fronte  all'isola  di  Cherso 
verso  levante. 

Il  Moise  di  fatti  vi  si  recò  la  mattina  del  24  del  mese  già  detto,  in 
scelta  comitiva,  nella  quale  vi  era  anche  l' egregio  suo  nipote  il  dottor 
Gianpietro  Moise.  Arrivata  la  comitiva  a  Volosca,  prima  del  pranzo  —  che 
doveva  essere  allegro  per  i  molti  commensali  che  avevano  da  parteciparvi  — 
1'  Abate  si  aggirò  per  il  luogo  a  fare  certe  visite  che  desiderava.  Nel  di- 
scendere lo  scalino  d'  un'  abitazione,  il  buon  vecchio,  piuttosto  alto  della 
persona  e  ben  portante,  scivolò,  e  nello  scivolare  si  spezzò  il  fibulo  del  piede 
sinistro.  Mandato  subito  pel  chirurgo,  questi  gli  fasciò  il  piede  come  V  arte 
chiamava.  Cosi  il  povero  Abate,  in  scambio  di  andare  a  pranzo,  fra  acuti 
spasimi  fu  trasportato  a  braccia  fino  al  porto  di  Ika,  e  là,  imbarcatolo  su 
un  vapore  del  Lloyd  allora  di  passaggio,  fu  trasportato  a  casa  sua,  a 
Cherso. 

Stette  così  parecchi  giorni,  e  sembrava  che  la  guarigione  del  piede 
procedesse  regolarmente.  Tuttavia  il  giorno  prima  della  sua  morte,  e'  volle 
confessarsi  e  comunicarsi,  non  già  perchè  da  alcuno  e  da  lui  stesso  si 
prevedesse  una  prossima  catastrofe,  ma  per  pura  divozione.  Ed  egli  stesso, 
pur  balbettando  per  la  commozione,  recitò  il  Confiteor  con  grande  sentimento, 
poi  ricevè  la  sacra  particola  con  le  lagrime  agli  occhi. 

Il  giorno  dopo  si  mostrò  di  buon  umore  più  del  solito,  e  coi  suoi 
nipoti  che  gli  facevan  compagnia,  scherzava  dicendo;  che  il  sor  Abate 
sarà  d' ora  in  poi  non  solo  cieco,  ma  anche  zoppo  ! 

Rintoccate  le  ore  8  della  sera  del  6  febbraio,  uno  dei  nipoti  si  allon- 
tanò dalla  stanza,  rimanendo  col  malato  il  solo  dott.  Gianpietro.  Poco 
stante  l'Abate  accusò  una  certa  sonnolenza  che  lo  coglieva;  appoggiò  pian 
piano  il  capo  sul  guanciale  e  prese  a  russare  molto  celermente.  Il  nipote 
allora  corse  a  lui,  e  lo  trovò  cogli  occhi  rivoltati.  Lo  scosse,  chiamò  il 
medico,  gli  fecero  delle  fregagioni invano:  egli  era  morto! 

Così,  breve,  è  finito  un  uomo  di  tanti  meriti,  di  tanto  candore,  di 
tanta  attività,  di  tanta  dottrina,  quale  si  fu  l' Abate  Giovanni  Moise.  Da 
pezza  in  qua  la  patria  nostra  non  ebbe  una  mente  tanto  disciplinata  ed 
equilibrata  quanto  questa  del  Moise,  quantunque  il  suo  sapere  possa  dirsi 
circoscritto    quasi   onninamente   alle    discipline   filologico -linguistiche.    Di 


—    2éo   — 

vivo  ingegno  e  di  animo  aperto  ad  ogni  voce  del  bene,  chi  sa  quali  cose 
altissime,  straordinarie  avrebbe  operato,  in  un  centro  maggiore  e  soccorso 
dei  mezzi  necessarj.  La  sua  mente  s'acuì  via  via  che  gli  anni  gli  crebbero; 
né  egli  fece  certo,  come  vedemmo,  tante  belle  e  buone  cose  senza  contrasti. 
Ma,  in  fine,  ebbe  il  conforto  di  vedere  i  frutti  della  sua  portentosa  operosità. 

Il  decesso  del  Moise  fu  da  tutti  sinceramente  compianto,  cioè  non 
solo  dai  chersini,  che  lo  amavano  come  un  padre  affettuoso,  ma  da  tutti 
gì'  istriani,  e  da  quanti  italiani  —  fra  cui  dei  valentissimi  letterati  e  filologi  — 
ebbero  1'  opportunità  di  conoscerlo.  Tutti  i  giornali  del  Litorale  e  alcuni 
del  Regno  ')  intessero  di  lui  dei  lunghi  e  sentiti  articoli.  Che  egli  era, 
oltre  che  dotto  molto,  buono  assai,  d'animo  mite  e  gentile,  di  cuor  aperto 
e  generoso,  molto  alla  mano,  quasi  sempre  d'  umor  gajo  e  affatto  alieno 
da  sussiego.  Nel  parlare  era  pieno  di  frizzi  e  di  motti  garbatissimi  e  pieni 
di  sale,  motti  che  gli  uscivano  dalle  labbra  frequenti  e  spontanei.  Sotto 
qualche  aspetto,  però,  egli  era  quello  che  comunemente  si  dice  un  originale. 
La  quale  originalità  la  troviamo  riflessa  in  modo  particolare  nei  suoi  Limar] 
e  nelle  sue  Strenne.  Se  contrariato  in  cose  che  gli  sembravano  veder  chiare 
—  ed  era  quasi  sempre  così  —  scattava  allora  con  qualche  irritabilità 
bizzosa;  ma  la  sua  bizza  durava  un  istante:  era  un  fuoco  di  paglia.  Egli 
candidamente  mi  confessò,  che  per  la  sua  troppa  sensibilità  e  tenerezza  di 
cuore  non  poche  volte  si  trovò  in  brutti  impicci  nel  suo  ministero  di 
sacro  oratore  e  di  confessore.  «Predicando  a  braccia,  mi  scrisse,  m'avvenne 
le  tante  volte  che  la  voce  mi  fosse  rotta  da  singhiozzi  e  che  eccitando  a 
contrizione  piangessi  di  compassione  e  per  tenerezza  sospendessi  il  discorso. 
Peraltro  ringrazio  Iddio  che  da  questo  male  ne  derivò  sempre  un  gran 
bene».  Era  di  semplicissimi  costumi.  I  suoi  spassi,  come  in  parte  abbiamo 
veduto  e  come  egli  stesso  lasciò  scritto,  erano  un  viaggetto  ogni  anno, 
un  piccolo  passeggio  ogni  giorno,  una  visita  ai  parenti  e  agli  amici  ogni 
settimana,  e  quattro  chiacchiere  in  un  cenino  fatto  con  pochi  amici  una 
o  due  volte  l' anno,  col  seguito,  talvolta,  di  qualche  partita  a  tresette,  o 
di  altro  giuoco  di  carte. 


')  Fra  quest'ultimi  ne  parlarono  con  ammirazione  L'Italia  e  La  Lombardia  di  Milano, 
la  Rassegna  na\ionah  di  Firenze,  L'Iride  di  Candia  Lomellina,  gli  Opuscoli  Lelt.  ecc.  di 
Modena  ecc.  ecc.  Più  di  tutti,  come  si  è  detto,  se  ne  sono  occupati  L'Istria  di  Parenzo 
e  La  Trovinola  di  Capodistria. 


—   2Ó1    — 

Oltre  ai  viaggi  che  andai  via  via  di  lui  enumerando,  devo  aggiungerne 
ora  degli  altri  eh'  ei  fece  in  varie  riprese  per  l' Italia,  per  la  Svizzera,  e  per 
la  Germania.  Durante  l'anno  poi  non  stava  sempre  fermo  nella  piccola  città 
di  Cherso,  ma  recavasi  nelle  buone  stagioni  al  Capo,  che  è  una  vastissima 
e  ricca  villa  appartenente  ai  signori  Moise,  posta  sul  confine  settentrionale 
dell'  isola.  Quivi  1'  Abate  attendeva  meglio,  nella  pace  e  tranquillità  della 
campagna,  ai  diletti  suoi  studj. 

Fu  istruttore  impareggiabile  e  avversario  ad  un  tempo  del  presente 
sistema  scolastico  ch'ei  l'aveva  per  falso  e  tristo,  perchè  i  giovani  s'applicano 
a  troppe  materie,  e,  conseguentemente,  imparano  assai  poco.  «C'è  —  egli 
dicevami  negli  ultimi  tempi  quando  non  insegnava  più  —  troppa  matematica, 
troppo  greco,  troppo  latino,  e  in  generale  troppe  lingue.  Fatto  sta  che  un 
bravo  giovane  che  abbia  fatto  con  distinzione  l'esame  di  maturità,  non  sa 
scrivere  una  buona  lettera  nella  propria  lingua.  Se  io  dovessi  far  scuoia 
privata  ad  un  giovane,  la  farei  secondo  il  sistema  antico  ». 

Fra  i  molti  manoscritti,  lasciò  pure  un  Trattatello  della  retta  pronuncia, 
e,  come  ognuno  può  immaginarlo,  fasci  di  lettere  de'  più  cospicui  letterati 
dell'epoca,  lettere  che  l'affettuoso  suo  nipote,  dott.  Gianpietro,  si  ripromette 
di  dare,  quando  che  sia,  alla  luce  '). 

Come  sacerdote  non  venne  mai  meno  ai  suoi  doveri  ;  fu  pio  e  non 
superstizioso,  tollerante  cogli  altri  e  mai  con  sé  stesso.  Ciò  non  tolse  che 
egli  riprovasse  l' attuale  contegno  d' una  parte  del  clero.  «  Del  presente 
stato  del  Clero,  scrivevami,  io  la  penso  molto  male,  e  credo  che  chiunque 
abbia  un  po'  di  quel  che  sì  frigge  dirà  lo  stesso.  C  è  poca  istruzione  e 
molta  presunzione,  specie  nei  preti  slavi  e  slavizzanti.  Dico  così  in  generale, 
perchè  bisogna  fare  anche  qui  qualche  eccezione ». 

Conobbe  più  lingue  antiche  e  moderne;  oltre  il  latino,  cioè,  che  manco 
si  discorre,  conosceva  anche  il  greco  e  qualche  cosa  d' ebraico  ;  delle  mo- 
derne conosceva  benissimo  il  francese,  il  tedesco,  lo  slavo  e  qualche  cosa 
di  spagnuolo. 

Quantunque  suolesse  ripetere  che  Fra'  Modesto  non  fu  mai  Priore, 
tuttavia  ei  non  brigò  mai  per  aver  posti,  cariche,  onorificenze.  Nessuno 
seppe  mai,  a  cagion  d'  esempio,  neppure  i  suoi  stessi  familiari,  che  se  ne 
accorsero  dopo  la  di  lui  morte,  ch'egli  fosse  membro  di  parecchie  Accademie 
italiane.  Ad  essere  conosciuto  più  di  quello  ch'ei  fu,  entro  e  fuori  d'Italia, 


')  Egli  ne  tiene  in  pronto  ben  551  tutte  messe  in  pulito  in  appositi  manoscritti. 


—    262    — 

io  credo  gli  possa  esser  nociuto  non  solo  il  suo  costante  recesso  in  una 
piccola  isola  del  Quamaro,  ma  anche  la  stessa  forma  o  modo  col  quale 
soleva  dar  fuori  alcune  sue  opere.  Quanti  erano  infatti  che  leggevano  i 
suoi  Dialoghi  di  filologia  —  ne'  quali  è  accumulata  tanta  sapienza  gram- 
maticale —  dal  momento  eh'  egli  li  andava  inserendo  nei  Limar j  o  nelle 
Strenne?  —  Pochi  assai.  E  ciò  è  tanto  vero,  che  la  tiratura  di  quelli  e  di 
queste  fu  da  prima  assai  limitata.  Ed  anche  quando  essi  libercoli  ebbero 
maggiore  spaccio,  coloro  a  cui  venivan  in  mano  non  erano  atti  certamente 
ad  apprezzarli  quanto  si  meritavano.  Ben  altra  cosa  sarebbe  stata,  se  le  sue 
critiche  o  le  sue  difese  egli  le  avesse  pubblicate  in  uno  dei  tanti  periodici 
letterari  e  scientifici  che  escono  tuttogiorno  in  Italia.  Tuttavia  anche  da 
questo  ne  sortì  un  gran  bene  ;  quello  cioè  d'  avere  del  nostro  autore  un 
complesso  di  opere  tutte  sue,  originalissime,  dalle  quali  egli  emerge  sempre 
vivo  e  chiaro  com'  era  di  fatto,  cioè  coi  suoi  pregi  e  colle  sue  debolezze. 
E  se  le  opere  buone  non  muojono,  quelle  del  Moise  vivranno  di  luce  im- 
peritura '). 

Come  grammatico,  si  può  affermarlo,  fu  sommo  ;  come  letterato,  dirò, 
era  un  purista  di  primissima  forza  ;  ma  non  di  quelli  della  lingua  classica 
dei  libri,  ma  sì  degli  altri  della  lingua  viva  e  parlata  della  Toscana.  Taluno, 
volendo  sputar  sentenze  sulla  lingua  da  lui  usata,  ne  disse  di  quelle  che 
non  avevano  né  babbo  né  mamma.  Ed  è  naturale,  che  non  è  cosa  più  difficile 
di  quella  di  giudicare  su  codesta  bisogna,  come  pure  sullo  stile  d'  uno 
scrittore.  E  si  fa  maledetta  confusione  fra  stile  e  lingua,  non  sapendo  quali 
sieno  i  giusti  confini  fra  l'uno  e  l'altra.  In  quanto  a  criterio  artistico  nello 
scrivere,  ripeterò  che  il  Moise  era  un  fratello  siamese  coli' Abate  Giuliani. 
Il  quale  scrisse  le  seguenti  che  calzano  appuntino  colle  idee  del  Moise  2)  : 

Oggi  più  che  mai  si  rende  fra  noi  sensibile  il  bisogno  di  mantenere  la  proprietà  e 
purezza  della  lingua,  dove  saldamente  consiste  e  di  più  in  più  risplende  la  dignità  della 
nazione.  Ma  se  davvero  questa  a  noi  preme,  dobbiamo,  quasi  vincolo  d'  amore,  di  unità  e 
fratellanza,  custodire  un  cosi  prezioso  idioma  tramandatoci  dai  nostri  padri.  Benavventurati 
i  Toscani  che  l' hanno  perenne  sulle  labbra  ed  incontaminato  !  Serbano  essi  perciò 
quell'  indole  gentile,  quel  senso  finissimo  del  buono  e,  diciam  pure,  quella  squisita  uma- 
nità e  libera  franchezza  di  spiriti,  che  è  propria  stampa  degli  italiani. 


')  E  già  si  parla  d'una  terza  edizione  della  sua  Grammatichetta  a  Firenze. 
2)  Sul   Vivente  linguaggio  della  Toscana.  Prefazione.  —  Firenze.  Le  Mounier,  1865, 
terza  edizione. 


-  263  - 

Ed  or  volesse  Iddio,  ripeterò  alla  mia  volta,  che  il  seme  gettato  dal 
nostro  Abate  sia  per  produrre  buoni  frutti,  e  non  isterilisca  mai  nel  nostro 
paese  ;  che  questa  sarebbe  la  peggiore  e  la  più  esiziale  di  tutte  le  sventure  ! 
Deh  possa 

l'  esempio 

Degli  avi  e  de'  parenti 

Porre  ne'  figli  sonnacchiosi  ed  egri 

Tanto  valor  che  un  tratto  alzino  il  viso. 

(Leopardi.  Can\.  sopra  il  mon.  di  Dante) 


Dopo  alcuni  mesi  che  l'Abate  Moise  era  morto,  la  famiglia  di  lui  ben 
pensò  di  erigere  nel  camposanto  di  Cherso  un  monumento  che  distinguesse 
le  ossa  del  primo  Grammatico  d'Italia  di  quest'epoca  da  tutte  le  altre  se- 
minate in  quel  recinto  sacro  ai  defunti. 

Il  più  volte  nominato  dott.  Gianpietro  Moise  poi,  pensò  con  molta 
saggezza  di  affidare  V  incarico  dell'  epigrafe  all'  illustre  filologo  e  letterato 
aw.  Niccola  Castagna,  siccome  a  quello  che  era  legato  coll'Abate  chersino 
da  vincoli  di  amicizia  e  di  sincera  estimazione.  E  il  prelodato  sig.  Castagna 
accettò  volentieri  il  pietoso  incarico,  e  spedì  al  dottor  Gianpietro  1'  epigrafe, 
accompagnandola  colla  seguente  lettera  : 

'Pregiatissimo  Signore  ! 


Ella  mi  diede  un  coniando  carissimo,  ma  assai  doloroso,  e  l'animo  mio  da  sventure 
domestiche  trafitto,  non  seppe  pel  momento  risponder  meglio  che  con  inviarle  un  mio 
libretto  d' iscrizioni,  col  quale  le  assicurava  clic  avrei  scritto  quella  per  1'  illustre  Moise. 
Raccoltomi  in  me  la  scrissi,  e  scrittala  la  tenni  sul  tavolino  per  le  possibili  correzioni, 
quando  mi  giunse  il  foglietto  del  Veratti,  che  Ella  mi  mandò  e  che  io  lessi  con  pio  affetto. 
Nulla  vi  trovai  che  io  non  sapessi,  salvo  quella  tanto  repentina  morte  !  Povero  e  carissimo 
amico  Giovanni  ;  Iddio  benedetto  ti  dia  alle  tue  virtù  il  premio  eh'  Egli  riserba  ai  celesti. 
Nel  quaderno  di  aprile  della  Rassegna  nazionale  di  Firenze  io  feci  annunciare  tanta  perdita, 
secondo  la  partecipazione  datamene  da  V.  S.  alla  quale  con  mia  lettera  risposi  condolendo. 

Or  eccole  l' iscrizione  che  io  scrissi  col  cuore,  e  il  cuore  diceva  la  verità,  e  mi  onoro 
sottoscriverla,  come  mi  onorai  del  comando  di  farla.  Forse  un  po'  più  breve,  non  sarebbe 
stata  male,  ma  io  non  ho  saputo  ristrignerla  di  più  ;  e  pure  altro  che  ho  taciuto,  avrei 
voluto  dire.  V.  S.  la  legga,  e  se  non  la  troverà  conveniente,  io  non  ci  avrò  colpa  ;  ed 
Ella  la  laceri.  Se  le  parrà  da  poter  andare,  e  avrà  osservazioni  a  farvi,  me  le  faccia  alla 
libera,  la  prego  ,  e  ciò  che  io  non  avrò  visto,  lo  vedrà  V.  S.  e  potremo  con  amore  con- 
cordare insieme 


>—  264  — 

In  ogni  modo  gradirò  uri  cenno  di  V.  S.  che  mi  assicuri  dell'arrivo  della  presente. 

E  qui  ossequiandola  con  la  sua  famiglia,  prego  che  mi  comandi  e  mi  voglia  bene  ; 
ed  io  che  come  V.  S.  sono  pure  un  che  piango  per  servirmi  delle  parole  di  Dante,  le 
stringo  la  mano  e  resto 

Città  Sani' Angelo,  27  agosto  1888. 

dev. 
Nicc.  Castagna. 

Ed  ora,  ecco  1'  epigrafe  : 

GIOVANNI  MOISE 

SACERDOTE  DI  NOBILE  ESEMPIO 

RIMARITÒ    A    DIO    LE    ANIME 

NEL  PATIRE  ESERCITATE 

CITTADINO  DI  MOLTE  VIRTÙ 

LARGHEGGIÒ    COI    POVERI 

E  NASCOSE  IL  BENEFICIO 

FILOLOGO    FRA    I    PRIMI    D'ITALIA 

CONVERTI  AI  GIOVANI 

I   FIORI   DEL   BELLO   IN    FRUTTI   DI    BENE 

DIMOSTRANDO  NELLE  LETTERE  LA  PATRIA 


CHERSO  GLI  FU  CULLA  E  TOMBA 

DIO  TESORIERE 

GLI  FU  LARGO  DEL  SUO  ETERNO  PARADISO 

LA  RELIGIONE  DELLA  FAMIGLIA 

GLI  COMPOSE  LE  PIE  OSSA 

SOTTO  QUESTA  CROCE 


XXVII  NOV.  MDCCCXX  —  VI  FEBBR.  MDCCCLXXXVII1 


M.  Tamaro. 


IL    "POSTEL,, 


OSSIA 


D'UNA    CHIAVE    ROMANA    RUSTICA 
USATA  NELLA  CAMPAGNA  DI  ROVIGNO 


Son  tutte  le  porte  usate  nel  territorio  di  Rovigno  per  chiudere 
8)  1'  ingresso  ai  campi  sono  di  struttura  eguale.  Oltre  a  quelle,  clic 
diremmo  moderne,  formate  cioè  da  una  serie  di  tavole  strettamente  ira  loro 
connesse  e  munite  d'una  delle  solite  serrature  in  ferro,  hawi  un'altra  specie 
di  porte  distinta  col  nome  di  poste!. 

Che  questo  nome  derivi  dalla  forma  latina  postis,  non  abbisogna  di 
dimostrazione. 

Questa  porta,  sia  per  il  modo  onde  è  costituita  la  sua  intelaiatura, 
sia  per  la  qualità  del  suo  serrarne,  non  s'assomiglia  affatto  alle  porte  mo- 
derne. 


* 
*  * 


Il  poste!  ò  formato  da  un  cancello  (o,  come  lo  dicono  anche,  da  un 
rastcllo)  ad  una  sola  banda,  a  stecche  di  legno  verticali,  tenute  ferme  me- 
diante due  traverse  (spranghe)  orizzontali  pure  di  legno.  Manca  dei  soliti 
cardini  giranti  su  arpioni  confìtti  negli  stipiti,  ma  in  quella  vece,  come  si 


—  266   - 

nota  in  tutte  le  porte  romane  '),  l' estremità  della  spranga  superiore  ed 
inferiore  sono  inchiodate  ad  un  asse  verticale  che  fa  le  veci  di  cardine  e 
gira  nel  foro  praticato  in  due  pietre  sporgenti  dallo  stipite,  l'una  alla  soglia, 
1'  altra  all'  architrave. 

La  porta  si  apre  spingendola  dall'  esterno  verso  l' interno. 

Sulla  faccia  interna  della  stecca  verticale  (regolo)  che  trovasi  vicina  al 
battente,  e  dista  dalla  stecca  prossima  così  che  nelP  interstizio  possa  passarvi 
comodamente  il  braccio,  è  assicurata  la  serratura  di  legno. 

Ed  è  appunto  della  forma  tutta  particolare  di  questa  serratura  che  qui 
si  tiene  parola. 

La  compone  una  specie  di  cassetta  A  B  C  D  (fig.  I),  la  quale  nella 
sua  parte  esterna  è  tutta  piana  e  d'  un  solo  pezzo,  nelP  altra  invece  è  in- 
cavata a  contenere  i  vari  congegni  che  servono  ad  aprire  e  chiudere.  E 
precisamente,  nella  sua  parte  inferiore  ha  un  solco  orizzontale  in  cui  si 
muove  liberamente  avanti  ed  indietro  la  stanghetta  E  F.  In  questo  solco 
orizzontale  mettono  tre  (o  più)  incavature  verticali,  nelle  quali  scorrono 
dall'alto  al  basso,  e  viceversa,  tre  (o  più)  ingegni  (o  fernette)  aa  bb  ce.  Tanto 
questi  ingegni  quanto  la  parte  dell'  intelaiatura  m  n  e  della  cassetta  r 
sono  tagliati  circa  nel  mezzo  da  un  altro  incavo  orizzontale  parallelo  al- 
l' inferiore  e  che  serve  ad  immettervi  la  chiave  G  H. 

Quando  la  stanghetta  E  F  si  trova  nella  posizione  indicata  dalla  fig.  I, 
la  serratura  è  aperta.  Se  ora  spingo  la  stanghetta  a  sinistra  verso  il  battente 
fino  a  che  le  incavature  della  stanghetta  e  f  g  vengano a)  a  collocarsi 
precisamente  sotto  gP  ingegni  aa  bb  ce,  quest'  ultimi,  per  il  loro  proprio 
peso,  discendono  nelle  dette  incavature,  e  così  la  porta  resta  chiusa  ;  nel 
qual  caso  P  interno  della  serratura  si  presenta  come  nella  fig.  IL 

Volendo  aprire,  s' introduce  la  chiave  da  destra  verso  sinistra  per  il 
buco  della  serratura  r,  la  continuazione  del  quale,  come  fu  detto,  è  il  solco 


')  Avellino.  Descrizione  di  una  casa  dissotterrata  in  Tompei.  —  Napoli,  1840. 

Overbeck.  Tompei,  fig.  156. 

Baumeister.  Denhnàìer  des  klassiseben  AUertìmms,  pag.  1805. 

Anche  nella  villa  romana  teste  scoperta  a  Trieste  si  scorge  distintamente  sulla  soglia 
il  foro  entro  il  quale  girava  il  cardine. 

J)  Si  noti  che  la  stanghetta  nella  superficie  che  rade  il  piano  della  cassetta  ha  due 

prominenze,  l'una  (L)  all'estremità  E,  la  quale  impedisce  ch'essa  possa,  nell'aprirsi,  venire 

'spinta  a  destra  oltre  ad  un  determinato  limite,   1'  altra  (I)  all'  estremità  F,  la  quale,  nel 

chiudere,  arresta  la  stanghetta  proprio  quando  le  incavature  e  f  g  trovatisi  sottoposte  agli 

ingegni. 


—  267  — 

m  n  che  taglia  orizzontalmente  parte  dell'intelaiatura  e  gl'ingegni.  Questa 
chiave  è  munita  di  tanti  denti  quanti  sono  gì'  ingegni,  e  fra  loro  alla  me- 
desima distanza  di  questi. 

Essa  si  ferma  da  se  quando  arriva  all'  orlo  della  cassetta,  ed  i  suoi 
denti  si  trovano  allora  situati  precisamente  sotto  lo  spigolo  superiore  spor- 
gente dei  singoli  ingegni  (fig.  II  e  III).  Si  muove  quindi  la  chiave  verso 
l'alto;  gl'ingegni  a  b  e,  spinti  verso  la  parte  superiore,  escono  dagl'incavi 
e  J  g  (fig.  IV)  della  stanghetta,  la  quale,  liberata  dagl'  ingegni  che  la  te- 
nevano ferma,  può  essere  tratta  verso  destra  nella  posizione  indicata  dalla 
fig.  I,  e  la  porta  è  aperta.  Per  chiuderla,  basta  di  nuovo,  come  fu  già  detto, 
spingere  la  stanghetta  in  direzione  opposta  (fig.  II),  cioè  verso  sinistra,  sino 
a  che  venga  arrestata  dalla  sua  prominenza  inferiore  /,  ed  allora  gli  ingegni 
ricadono  nel  loro  cavo.  Cosi  la  porta  è  chiusa,  e  si  leva  senza  difficolti 
la  chiave. 

Il  segreto  della  chiave  da  noi  esaminata  consiste  nel  numero,  nella 
grandezza  e  nella  forma  che  si  dà  agl'ingegni  e  nella  distanza  in  cui  essi 
fra  loro  si  trovano.  Naturalmente  alla  varietà  di  forma  degl'  ingegni  deve 
corrispondere  la  forma  dei  denti  che  sono  nella  chiave. 

La  serratura  viene  solidamente  inchiodata  sulla  faccia  interna  della  stecca 
verticale  (regolo)  trovantesi  vicino  al  battente,  ed  in  modo  che  il  piano  A 
B  C  D  della  cassetta  ove  sono  gì'  ingegni  combaci  col  detto  piano  della 
stecca  verticale,  non  restando  per  tal  modo  visibile  che  il  buco  r. 

Volendo  aprire,  chi  sta  al  di  fuori  introduce  la  destra  fra  le  due  ultime 
assi  del  cancello,  quindi  spinge  la  chiave  per  la  fessura  r  verso  sinistra  sino 
a  clic  la  chiave  stessa  si  ferma,  e  poi  mentre  con  una  mano  solleva  la 
chiave,  coll'altra,  approfittando  dell'interstizio  lasciato  fra  il  battente  e  la  prima 
stecca  verticale,  spinge  la  stangherà  a  ritroso  fino  a  che  si  arresta  da  se 
a  cagione  della  sporgenza  L.  E  quindi  si  fa  girare  la  porta  spingendola 
verso  l' interno.  Per  chiudere,  ricondotta  la  porta  al  suo  posto  primiero, 
non  si  ha  da  fare  altro  che  spingere  la  stanghetta  verso  sinistra  nella  boc- 
chetta praticata  nello  stipite,  e  poi  ritirare  la  chiave. 

Egualmente  può  essere  aperto  il  cancello  anche  da  chi  trovasi  al  di 
dentro,  nel  qual  caso  non  gli  fa  di  bisogno  introdurre  il  braccio  fra  le  due  assi. 

* 
*  * 

Mio  divisamento  non  è  di  trattare  qui  pei  esteso  delle  chiavi  e  delle 
serrature  adoperate  dagli  antichi,  ma  di  ricordare  solo  quel  tanto  che  fa 
di  mestieri  per  stabilire  alla  nostra  la  sua  vera  origine. 


—  268  - 

Che  s'adoperassero  nei  tempi  antichi  chiavi  di  legno,  lo  dice  chiaramente 
S.  Agostino  (De  doctr.  christ.  4,  11):  quid  prodeìt  cìavis  aurea  si  aperire  quoti 
voìunms,  non  potest,  aut  quid  obesi  lignea  si  hoc  potest  ? 

E  1'  uso  di  chiavi  di  legno  ci  conducono  ad  ammettere  l'esistenza  di 
serrature  d'  eguale  materia. 

Ma  le  chiavi  e  le  serrature  antiche  fatte  in  legno  non  si  poterono 
conservare  attraverso  ai  secoli  a  cagione  della  poco  durevole  sostanza  onde 
erano  formate  ;  ed  è  perciò  che  di  loro  non  si  trova  più  residuo  alcuno. 
Non  così  delle  chiavi  di  ferro,  le  quali  inalterate  poterono  sfidare  l'opera 
distruttrice  del  tempo. 

Queste  chiavi  di  ferro  si  dividono  in  due  categorie:  la  prima  comprende 
quelle  chiavi  appartenenti  in  massima  parte  all'  epoca  imperiale,  le  quali 
hanno  gì'  ingegni  (0  l' opera)  eguali  alle  moderne,  epperò  suppongono 
serrature  simili  alle  usuali  ;  la  seconda  categoria  comprende  un  altro  gruppo 
di  chiavi  romane,  in  buon  numero  dissepolte  anche  nella  nostra  provincia, 
le  quali,  introdotte  nella  toppa,  non  potevano  essere  adoperate  altrimenti 
che  collo  spingerle  verso  l'alto.  Ora,  mentre  la  durezza  del  ferro  permetteva 
di  fare  in  questo  metallo  delle  chiavi  relativamente  piccole,  adoperandovi 
in  quella  vece  il  legno  si  doveva  conseguire  la  necessaria  solidità  coll'aumen- 
tarne  le  dimensioni.  Laonde  troviamo  fino  dai  tempi  antichi  usata  una  chiave 
di  legno  conosciuta  comunemente  col  nome  di  chiave  laconica  di  forma  e 
dimensioni  somigliante  alla  nostra,  come  lo  dimostrò  già  il  Molin  ')  inter- 
pretando in  questo  senso  anche  il  passo  di  Arato  (Phaen.  192)  ove  si  parla 
della  Cassiopea  2).  Il  disegno  che  detto  scrittore  ci  dà  3)  della  chiave  laconica 


')  Molin.  De  clavibus  veterum  (publicato  nel  \ovus  Thesaurus  antiquitatum  romanarum 
del  Sallangre,  voi.  Ili,  pag.  795-843). 

a)  Molin.  Op.  cit.  libr.  I,  e.  2,  n.  14:  «  Clavis  vero  Laconica  uno  non  contenta  tres 
habuit  dentes  a  se  invicem  distinctos.  Horum  ameni  dentium  collocatio  quo  facilius  in- 
notesca,  in  subsidiuni  accersatur  locus  quidem  ex  Arati  Phaenomenis  ubi  Cassiopea 
constellatio  huic  (confr.  n.  3)  assimilatur  davi,  sive  ipsius  dentibus  ut  volunt  alii». 

Marquardt.  Vrivaiìeben  iter  Romer.  Lipsia,  1879,  Parle  L  pag-  227,  s'  accorda  in 
tutto  col  Molin,  solo  che  invece  di  3,  ascriverebbe  5  denti  alla  chiave  laconica,  perchè  5 
sono  le  stelle  della  Cassiopea. 

3)  Op.  cit.  "pag.  795  E.  Chiude  la  discussione  riguardo  al  passo  di  Arato,  e  la  de- 
scrizione della  chiave  colle  seguenti  parole  :  «  Quandoquidem  hoc  ordine  dispositi  fuere 
ta  antiqua  illa  clave  Laconica  dentes,  iure  merito  suspicari  licet,  omnes  clavium,  quas 
posterior  unquam  habuit  aetas,  a  BaXavxvpa  atque  quibus  in  externis  nonnullis  claustrorum 
generibus  reserandis  uti  coeperunt  recentiores,  distinctas,  et  modos  et  formas  deductas. 


—  269  — 

ricorda  tatto  la  nostra  ;  eccezion  fatta  del  manico,  che,  invece  d'  essere 
diritto,  è  a  foggia  ovale.  Aggiungo  che  le  sacerdotesse  incaricate  d'  aprire 
e  chiudere  il  tempio  sono  effigiate  con  una  grande  chiave  dentata  di  legno 
appoggiata  alla  spalla  '). 

Passiamo  ora  ad  esaminare  quanto  gli  antichi  autori  ci  lasciarono  scritto 
sul  modo  tenuto  al  loro  tempo  nel  chiudere  ed  aprire  la  porta. 

Apuleio  nelle  sue  Metamorfosi  4,  io  ci  descrive  colle  seguenti  parole 
un  furto   tentato  da   Lamaco   nella   casa  di  Crisero  :   Ergo  placidi  ad  buine 

primum  ferremus  aditimi Nec  mora,   cimi  iioctis  initio  forìbus  cius 

praestolamur :  quas  nec  sublevare,  ncque  demovere,  ac  nec  per} tingere  quidam 
nobis  videbatur,  ne  valvariun  sonus  cunctam  viciniain  nostro  suscitarti  exilio. 
Time  itaque  sublimis  Me  yexillarius  noster  Lamachus,  spectatac  vertntis  suae 
fiducia,  qua  davi  immitendae  forameli  patebat,  sensim,  immissa  maini,  cìaustritm 
svellere  gestieba!.  Sed  diiditm  scilicet  omnium  bipedum  ueqitissimiis  Cbrysefos 
vigiìans  et  singula  rerum  senticus,  lenein  gradimi  et  obnixum  silentium  tolcrans, 
paulatim  arrepit  ;  grandique  davo  inanimi  dncis  nostri  repente  nisu  fortissimo 
ad  ostii  tabuìam  offigit. 

Da  questo  racconto  si  conclude:  1.  che  la  serratura  era  situata  al  di 
dentro  della  porta  e  che  poteva  aprirsi  anche  da  persona  che  stesse  al  di 
fuori  ;  2.  che  questa  persona  trovantesi  sul  limitare  esterno,  se  voleva  aprire 
la  porta,  doveva  passare  il  suo  braccio  per  un  foro  praticato  nella  medesima 
ed  indi  introdurre  la  chiave  nella  toppa.  In  questo  caso  soltanto  si  rendeva 
possibile  a  Crisero  di  configgere  alla  tavola  della  porta  (alla  stecca  verticale 
presso  il  battente)  la  mano  di  Lamaco  *). 

Eguali  conclusioni  tanto  il  Molin  (op.  cit.  II,  23)  che  il  Becker  (op. 
cit.  II,  pag.  279)  traggono  anche  dal  seguente  brano  di  Petronio  Arbitro,  94: 


1     Molin.  Op.  cit.  2,  23. 

Monumenti  dell'Istituto,  VI  e  VII,  tav.  75,  n.  2;  IV  tav.  51. 

Il  disegno  d' una  divinità  romana  che  tiene  le  chiavi  nella  mano  destra  trovasi  in 
Passerii,  Lucernai  I,  tav.  97.  Confr.  Conze,  ntW'Archeologiscbe  Zeilung  di  Gerhard,  XX 
(1862),  pag.  296;  XXII  (1864)  pag.  152. 

s;  Egualmente  Rich.  'Dizionario  détte  antichità  Greche  e  Romane  :  —  «Clavis  Laconica. 
Una  specie  particolare  di  chiave  probabilmente  inventata  neh'  Egitto,  quantunque  i  Greci 
ne  ascrivano  1'  origine  ai  Lacedemoni,  che  si  supponeva  fosse  fatta  con  tre  denti,  come 
l'esempio  tolto  da  un  originale  egiziano  conservato  nel  Museo  Britannico.  Essa  era  ap- 
plicata dentro  la  porta  da  una  persona  che  stava  di  fuori,  la  quale  passava  il  braccio 
attraverso  un  buco  fatto  nella  porta  appositamente,  e  quindi  col  mezzo  di  quei  denti  spor- 
genti alzava  il  saliscendi  che  la  teneva  serrata  ». 


—  270   — 

Confusiti  hoc  deimuciatione.  Emiiolpus,  non  quaesii!  iraciindiae  causata,  sed  continuo 
limai  egressus,  abduxit  repente  ostium  cellac,  meqne  nihil  tale  expectanten  inclitsit, 
exemitque  raptim  clavem,  et  ad  Gitona  investigandum  concurret. 

Fino  qui  tutto  concorda  col  nostro  postel.  Ed  ora  si  domanda  :  intro- 
dotta la  chiave  nella  toppa,  quale  era  il  congegno  messo  in  azione  nell'aprire 
e  nel  chiudere  ? 

Ma  pur  troppo  le  notizie  in  tale  riguardo  sono  molto  scarse  e  per  di 
più  molto  oscure,  essendoché,  come  osserva  giustamente  il  Becker  ')  appunto 
nel  capitolo  intitolato  //  serrare  le  porte,  «  i  luoghi  meno  intelligibili  degli 
antichi  scrittori  sono  di  solito  quelli  che  si  riferiscono  ad  un  meccanismo 
non  più  usitato  nei  tempi  moderni.  Se  ciò  è  difficile  anche  colà  ove  pos- 
sediamo delle  descrizioni  accurate,  riesce  pressoché  impossibile  ad  essere 
sufficientemente  esplicato  quando  di  esso  lui  non  se  ne  fa  che  semplice 
menzione  come  di  cosa  allora  abbastanza  nota,  sia  pure  il  meccanismo 
semplice  quanto  si  vuole.  E  questo  vale  particolarmente  in  tutti  quei  casi 
nei  quali  si  parla  delle  chiavi,  e  più  precisamente  delle  serrature.  I  passi 
nei  quali  ciò  avviene  sono  molti,  ma  nessuno  ci  da  sul  modo  di  chiudere 
maggiori  schiarimenti  di  quanto  lo  diano  le  numerose  chiavi  antiche,  le 
quali  soltanto  confermano  ciò  che  d'  altronde  si  sa,  cioè  che  si  avevano 
delle  serrature  ». 

In  Apuleio,  Metani.  9,  20,  il  marito   geloso  batte  alla  porta  di  casa  ; 

il  servo  Mirmice  che  lo  sente  gridare  va  in  cerca  della  chiave et 

tane  Myrmex,  tandem  clave  pessulis  subiecta,  repandit  fores,  et  recipit  tutu  etiam 
fidcni  deiiin  boantem  dominum. 

Altrove  (4,  io),  Lamaco  che  vuol  penetrare  nella  casa  di  Crisero 

iinmissa  inanu  claustrum  evellere  gestiebat.  —  E  nel  cap.  1,  14  leggiamo:  Suino 
samic ulani  meam,  et  subdita  davi  pessulos  reduco.  At  illae  probae  et  fideles 
ianuae,  quae  sua  sponte  reseratae  nocte  fuerant,  vix  tandem  et  aegerrinic  itine 
clavis  suae  crebra  immissione  patefiunt  '). 


')  Becker.  Gallus  oder  ròmische  Scenen.  Lipsia,  1863. 

2)  Ometto  a  bella  posta  i  passi  di  Plauto  (Auì.  i,  2,  25):  «occlude  sis  Fores 
ambobus  pessulis»  —  di  Marcello  (Emp.  17):  «in  eo  loco  vel  foramine  in  quo  ianuae 
pessuli  descendunt,  quidquid  reperiris  collige  »  —  di  Prudentiano  (c.  Symm.  1,  65): 
«  nunc  foribus  surdis  sera  quas  vel  pessulus  artis  firmarat  cuueis  »  —  di  Apuleio  (CvCrt. 
y,  15):   «  fores  cubiculi  occludam.  Et  cum  dicto  pessulis  iniectis  et  uncino  firmiter  immisso 

sic  ad  me  reversa  » nei  quali  tutti,  i  pessuli  non  sono  altro  che  i  chiavistelli  o 

catenacci,  i  quali  agivano  senza  bisogno  della  chiave. 


—  271  — 

Il  Becker  (op.  eit.  pag.  277)  dall'esame  dei  succitati  brani  conchiude: 
«  Da  Apuleio  non  risulta  ancora  chiaramente  quale  sia  la  conformazione 
delle  antiche  serrature,  ma  non  può  esservi  dubbio  alcuno  che  qui  sotto  il 
nome  di  pessuli  debbansi  intendere  quelle  stanghette  che  mediante  la  chiave 
vengono  spinte  avanti  od  indietro.  A  differenza  degli  altri,  questi  pessuli 
sono  una  doppia  stanghetta,  la  quale  non  può  essere  mossa  senza  il  concorso 
della  chiave  »  '). 

Di  ben  altro  parere  è  il  Marquardt.  Egli,  per  venire  ad  una  conclusione 
attendibile,  prende  le  mosse  più  da  lontano,  e  scrive  nell'  opera  citata  a 
pag.  226  :  «  Neil'  Egitto  e  in  tutta  l'Africa  settentrionale  viene  usata  anche 
oggidì  nei  portoni,  porte  ed  armadi  una  chiave  di  legno  la  cui  forma  si 
rinviene  già  su  d'un  rilievo  rappresentante  una  porta  d'un  tempio  di  Karnak 
e  che  quindi  sembra  abbia  durato  costantemente  nell'Africa.  Una  stanghetta 
di  legno  lunga  da  14  pollici  a  2  piedi  è  collocata  nella  parte  esterna  della 
porta  mediante  una  serratura  rettangolare  che  vi  è  sovraposta,  e  penetra, 
se  la  porta  è  semplice,  in  un  buco  apposito  (bocchetta)  praticato  nel  muro. 
La  stanghetta  ha  nella  sua  parte  superiore  cinque  fori,  i  quali  quando  essa 
è  introdotta  stanno  sotto  la  toppa,  e  nei  quali  dalla  parte  superiore  della 
serratura  cadono  cinque  perni  (ingegni  o  fernette)  per  tener  ferma  la  stan- 
ghetta. Questa  però  è  cava  sino  circa  alla  metà.  In  questa  cavità  s'introduce 
una  chiave  di  legno  assomigliante  ad  un  grosso  regolo,  il  quale  è  munito 
di  cinque  punte  di  ferro  corrispondenti  ai  cinque  buchi  della  stanghetta. 
Col  premere  queste  punte  dal  disotto  all'  insù  nei  buchi  del  regolo,  s'alzano 
le  fernette,  ed  in  pari  tempo  si  tira  la  stanghetta.  Questa  specie  di  serratura 
spiega  esattamente  non  solo  i  passi  relativi  degli  scrittori  egiziani  ed  africani 
quali  Arato,  Apuleio  ed  Agostino,  ma  è  stata  usata  dai  Greci  e  dai  Romani 
poiché  mediante  essa  è  reso  intelligibile  non  solo  l' espressione  clavem 
suhiicere,  ma  anche  la  forma  di  quelle  chiavi  metalliche,  le  quali  provvedute 

di  pettine  servono  non  a  girare  ma  ad  alzare Nelle   espressioni 

subdita  davi  pessulos  reduce  —  davi  pessulis  subiecta  repandit  fores  i  pessuli 
sembrano  dinotare  non  i  chiavistelli  (i  catenacci)  posti  nella  parte  superiore 
ed  inferiore  della  porta,  ma  le  fernette  della  serratura  ». 


')  Di  questa  opinione  sembra  essere  anche  il  Sagittarius  (De  ianuis  l'eierum,  nel 
voi.  VII,  pag.  418  del  Grevius,  Tbtt.  antiquii,  romanarum),  il  quale  al  cap.  14  scrive  : 
«  Cum  autem  aperiretur  ianua,  hi  pessuli  supposita  davi  reducebantur ». 


—    272    — 

L' interpretazione  data  dal  Marquardt  risulta  ancora  più  probabile  ove 
si  ricordi  il  precedente  passo  di  Apuleio  (i,  14)  in  cui  lo  scrittore  con- 
trapone la  facilità  del  chiudere  alla  difficoltà  dell'  aprire  ;  il  sua  sponte 
reseraiae,  al  clavis  suae  crebra  immissione.  Nella  serratura,  quale  la  descrisse 
il  Marquardt,  e  meglio  ancora  nella  nostra,  basta  spingere  la  stanghetta 
nella  sua  bocchetta  perchè  le  fernette  cadano  da  se  negl'  interstizi  della 
chiave,  e  da  sé  medesime,  col  fermare  la  stanghetta,  stabiliscano  la  chiusura 
della  porta.  Difficoltà  maggiore  invece  s'incontra  nell'aprire;  e  qui  molto 
spesso  v'  abbisogna  della  clavis  crebra  immissione. 


* 
*  * 


Con  quello  che  il  Marquardt  disse  delle  antiche  chiavi  deducendolo 
dalle  serrature  africane,  s' accorda  quanto  Guhl  e  Koner  scrivono  sulle 
chiavi  usate  nelle  colonie  renane  in  base  agli  studi  fatti  in  tale  proposito 
dal  Cohausen  ').  Nella  loro  publicazione  La  vita  dei  Romani  (Torino,  1889), 
si  legge  a  pag.  269  :  «  Le  chiavi  provenienti  dalle  colonie  romane  de'  paesi 
renani  fatte  per  quel  genere  di  serrature  dove  la  chiave  era  spinta  ad  angolo 
retto  entro  la  toppa  ed  alzata  in  modo  che  i  denti  del  suo  ingegno  pene- 
trassero nelle  corrispondenti  aperture  della  stanghetta,  ne  cacciava  fuori  le 
punte  che  tenevano  fissa  essa  stanghetta,  e  sollevava  la  stanghetta  fino  a 
filo  della  toppa  > . 


* 


Dal  fin  qui  detto  si  scorge  come  il  nostro  serrarne  differisca  dagli  altri 
qui  pure  descritti,  da  prima  per  il  fatto  che  le  fernette,  invece  di  venir  sol- 
levate dai  denti  della  chiave  attraverso  la  stanghetta,  vengono  alzate  dalla 
chiave  stessa  muoventesi  indipendentemente  dalla  stanghetta  ;  in  secondo 
luogo  che  la  conformazione  della  nostra  serratura  costringe  chi  vuole  aprire 


''        ')  Cohausen.   Serrature  e  chiavi  dei  Romani  (Annali»  d.   Ver.  ftìr  Nassauische  Aìter- 
thumskunde,  XIII,  a.   1874,  pag.  135). 

Cfr.  anche  Nòtling.  Stadie  ùber  ali  ròmische  Thtìr-und  Kastenschlòsser .  Mannheim,  1870. 


—  273  — 

a  fare  uso  d'ambedue  le  mani,  l'uria  per  introdurre  la  chiave  nella  toppa 
e  sollevare  le  fernette,  l'altra  per  spingere  avanti  od  indietro  la  stanghetta 
a  seconda  che  si  vuole  aprire  o  chiudere.  Inoltre,  mentre  il  meccanismo 
della  nostra  serratura  è  fatto  tutto  in  legno,  nelle  altre  devono  alcune  parti 
essere  di  metallo. 

Ad  eccezione  di  queste  differenze,  la  nostra  serratura  e  la  porta  su  cui 
veniva  inchiodata  corrispondono,  come  abbiamo  veduto,  a  quanto  sulle 
porte  e  sui  relativi  mezzi  per  chiuderle  ci  lasciarono  scritto  gli  antichi 
autori. 

Resterebbe  ora  ad  esaminare  se  queste  differenze  che  si  riscontrano 
nella  nostra  serratura  di  confronto  alle  altre  sieno  essenziali  o  meno. 

Questo  non  mi  fu  possibile  di  farlo  consultando  quelle  opere  d'antichità 
di  cui  poteva  servirmi. 

Ma  più  che  colle  opere  d'archeologia,  il  migliore,  anzi  l'unico  modo 
per  venire  in  tale  proposito  ad  una  conclusione  sicura  sarebbe  stato  il  mettere 
a  confronto  la  nostra  colle  serrature  romane  tuttora  conservate  nei  vari 
Musei,  e  specialmente  in  quelli  nelle  cui  sale  si  raccolgono  quanto  di  meglio 
venne  ritrovato  negli  scavi  di  Roma  e  di  Pompei.  Non  potendo,  per  ragioni 
facili  a  comprendersi,  recarmi  io  stesso  a  fare  i  necessari  confronti,  ne 
scrissi  a  Roma  al  mio  amico  dott.  Vaglieri,  dotto  archeologo,  mandandogli 
una  particolareggiata  descrizione  della  serratura  accompagnata  dai  relativi 
disegni  ').  Il  dott.  Vaglieri,  per  maggior  sicurezza,  ne  scrisse  a  Napoli  al 
comm.  Ruggiero  ;  ed  ecco  la  sua  risposta  : 

«  La  serratura  che  mi  avete  mandata  in  disegno  ha  proprio  la  medesima 
congegnatimi  di  quelle  di  Pompei,  salvo  la  necessaria  differenza  dipendente 
dalle  materie  di  cui  sono  formate,  essendo  l'una  di  legno  e  l'altra  di  terrò 
o  di  bronzo.  E  tanto  mi  è  parso  singolare  questo  riscontro,  che  ne  sto 
facendo  fare  una  di  rilievo  per  metterla  più  chiaramente  in  paragone  colle 
antiche  da  me  studiate  ». 


Queste  parole  d'  un'  autorità  archeologica  cosi  universalmente  ricono- 
sciuta  quale  si  è  d  comm.    Ruggiero    non   lasciano   alcun   dubbio    che   la 


')  Quelli,  ed  i  disegni  qui  uniti,  li  devo  alla  gentilezza  del  mio  collega  prof.  Edoardo 
Visintini. 


-   274  — 

serratura  tuttora  adoperata  nella  campagna  di  Rovigno  a  chiudere  il  postò 
non  sia  una  delle  torme  della  chiave  romana  rustica  fatta  tutta  in  legno. 
Il  conservarsi  poi  di  tale  forma  di  chiave  nella  nostra  campagna  ci 
dimostra,  come,  non  solo  nelle  istituzioni  politiche  e  sociali,  non  solo  negli 
usi  e  costumi,  vale  a  dire  nei  tratti  caratteristici  della  vita  civile  istriana, 
si  mantenga  tenace  ed  inalterata  la  romanità  attraverso  il  medio  evo,  ma 
anche  come  essa  con  eguale  tenacità  perduri  egualmente  nelle  cose  di  minor 
momento,  quali  sono  quelle  spettanti  alla  vita  campestre. 

B.  dott.  Bknussi. 


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ANNO    SETTIMO     1890 


ATTI  E  MEMORIE 


DELLA 


SOCIETÀ  ISTRIANA  DI  ARCHEOLOGIA 


STORIA  PATRIA 


Volume  VI.  —  Fascicolo  3.'  e   |." 


PARENZO 

PRESSO    LA   SOCIETÀ    ISTRIANA    DI    ARCHEOLOGIA    E    STORIA    PATRIA 

Tip.  Gaetano  Coana 
1890 


SENATO  SECRETI 


COSE  DELL'ISTRIA 


(Continuazione  del  fascic.   30  e  40, 


Senato  Secreti,  voi.  XXXIX  (1502-1503). 

1503.  16  settembre.  —  Quattro  consiglieri  propongono  di  ordinare 
al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  di  dare  il  possesso  di  quel  vescovado 
a  Bartolomeo  de  Asonicha  di  Bergamo  dottore,  viro  gravi  al  maturo,  antiquo 
curiali,  eletto  dalla  S.  Sede.  —  42  votanti  approvano. 

Antonio  Tron  Savio  del  Consiglio  propone  di  sospendere  la  detta  col- 
lazione attento  chel  sia  sta  scripto  in  recomandation  de  nostri  benemeriti  ^en- 
lilbomeni  et  citadini  per  la  consecution  de  questo  Episcopato  ci  qual  se  dice  esser 
sta  comprato  per  el  soprascripto  D.  Bartholomeo  dal  Pontefice  dcfitnclo,  ncc  non 
per  non  esser  el  dicto  benemerito  (carte  112  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  XL  (1 504-1 506). 


1505  m.  v.  7  gennajo.  —  Dietro  proposta  degli  oratori  imperiali  si 
commette  a  Sebastiano  Giustinian  cav.r  di  andare  come  commissario  veneto 
a  visitare,  con  uno  d'essi  oratori,  i  luoghi  in  contestazione  fra  Pordenone, 
Trieste  e  Zoppola,  ed  altri  friulani,  come  pure  i  luoghi  in  questione  in  quel 
di  Capodistria;  per  poi  finir  le  questioni  (carte   134). 


278  — 


Senato  Secreti,  voi.  XLI  (1507-1509). 

1507.  29  giugno.  —  Georgi/ts  Moyse  capitano  di  Trieste  è  uno  dei 
tre  ambasciatori  inviati  dall'  imperatore  a  Venezia  (carte  26). 

1508.  25  aprile.  —  A  Giorgio  Corner  cav.  Provveditor  generale.  Ri- 
spondendo a  sue  lettere  del  23,  si  dichiara  di  lasciar  libero  al  Governatore 
[generale  dell'  esercito  —  Bartolomeo  Alviano]  e  ad  esso  Corner  il  far  la 
proposta  impresa  di  Trieste,  quando  la  trovino  di  non  difficile  riuscita 
(carte  91). 

1508.  8  maggio.  —  Al  suddetto.  In  risposta  a  sue  lettere  del  7  che 
annunziavano  l' invio  di  Antonio  Pio  a  fuor  Postoina,  il  Senato,  ritenendo 
che,  havendo  intesa  la  nova  de  Goritìa,  et  Trieste,  el  loco  de  Fiume,  Pisino  et 

quelli  altri  castelli  existenti  in  Histria cimi  pocha  dificulta  se  davano 

a  la  Signoria  nostra,  lo  si  eccita  a  studiare  col  Governatore  e  col  Provveditor 
dell'armata  se  si  potesse  procedere  alla  conquista  di  Fiume  ecc.  nonché  di 
altri  luoghi  soggetti  alla  contea  di  Gorizia,  a^io  le  cosse  nostre  de  Histria 
siano  poste  in  segurtd  (carte  93). 

Venuta  Trieste  in  potere  della  Republica,  si  delibera  di  eleggere  in 
Senato  un  provveditore  per  governare  quella  città  ;  vi  starà  un  anno  col 
salario  di  ducati  60  il  mese,  netti;  terrà  11  famigli;  il  Collegio  è  incaricato 
della  commissione.  Sarà  pure  eletto  un  castellano  in  quella  rocca,  con  du- 
cati 30  il  mese,  per  un  anno.  —  Si  differisce  a  domani  (carte  93). 

1508.  9  maggio.  —  Si  deliberano  nuovamente  le  elezioni  di  cui  è 
oggetto  la  precedente,  colle  condizioni  in  essa  notate.  —  Marco  Loredan 
capitano  delle  galee  bastarde  che  tiene  interinalmente  il  governo  di  Trieste, 
e  Vincenzo  da  Riva  sopracomito  che  custodisce  quel  castello,  ritorneranno 
ai  rispettivi  comandi.  Il  Provveditor  generale  ed  il  Governator  generale, 
prima  di  partire  da  quella  città,  studieranno  il  modo  di  fortificarla  bene  e 
riferiranno  (carte  94  tergo). 

Eletto  provveditore  a  Trieste  Francesco  Cappello  cav.  (carte  94  tergo). 

1508.  12  giugno.  —  A  Giorgio  Corner.  Si  loda  la  presa  di  Postoina, 
si  partecipa  la  conclusione  della  tregua  cogl' imperiali,  e  si  danno  disposi- 
zioni per  la  restituzione  del  detto  luogo  (carte  105  tergo). 

1508.  17  giugno.  —  A  Giovanni  Erberstainer  che  fece  spontaneamente 
omaggio  alla  Republica  del  suo  castello  di  Lupoglavo,  si  concede  in  feudo 
il  castello  stesso,  verso  la  presentazione  di  un  cero  di  15  libbre  alla  chiesa 
di  S.  Marco  nel  giorno  della  festa  del  titolare     -   ogni  anno  (carte  106). 


—  279  - 

1508.  3°  g'ugn0-  —  Avendo  il  provveditore  partecipato  di  aver  deli- 
berato le  witde  de  Corgnal  et  Xenosechia,  gli  si  commette  di  affittare  la  muda 
di  detta  città  e  tutte  le  altre,  e  quindi  di  nuovo  anche  le  suaccennate,  con 
condizione  che  Crangi  ed  ogni  altro  possino  andar  dove  vogliano,  ne  siano 
astretti  ad  andare  in  luoghi  determinati,  ma  che  la  sfrata  sia  libera  ad 
ciascuno. 

Alcuni  savi  del  Consiglio  e  di  Terraferma  vorrebbero  sospesa  la  deli- 
berazione per  udire  Giorgio  Corner  cav.  ritornato  a  Venezia  e  Giovanni 
Navager  già  capitano  a  Raspo;  —  60  votanti  approvano  (carte  108  tergo). 

1508.  3  agosto.  —  Si  ordina  al  Provveditore  a  Trieste:  Quod  ex  illis 

civibus et  ibi  habitantibus,  eis  qui  sibi   videbuntur   suspecti  et  male 

intentionis  cantra  statimi  nostrum,  imponat  quod  conferre  se  debeant  ad  preseutiam 
nostrani,  exequendo  hunc  ordinati  a  parte  ad  partem  prò  vitando  tumulti*  et 
facienda  minore  demonstratione.  Giunti  i  suddetti  a  Venezia,  si  proibirà  loro, 
sotto  pena  di  ribellione,  di  partirne  senza  licenza  del  Senato.  Tal  divieto 
si  farà  a  tutti  i  triestini  ora  presenti  a  Venezia.  —  Si  delibera  poi  l' invio 
al  più  presto  a  Trieste  d'una  galea  sottile  comandata  dal  sopracomito  Tomaso 
Moro  (carte   118). 

Senato  Secreti,  voi.  XLII  (1509). 

1509.  1  giugno.  —  Al  provveditore  a  Gorizia  ed  ai  rettori  e  castellani 
di  Fiume,  Pisino,  Cormons,  Duino  e  Belgrado.  Ordine  di  restituire  i  detti 
luoghi  agi'  imperiali  (carte  2). 

1509.  2  giugno.  —  Al  provveditore  e  al  castellano  a  Trieste.  Fu  man- 
data colà  la  galea  del  duca  de  Nixia  per  conforto  e  sicurezza  loro  fino  a  che 
sia  effettuata  la  consegna  di  quella  città  all'  imperatore  ;  procurino  di  ricu- 
perare tutto  ciò  che  vi  è  di  spettanza  della  Republica,  armi,  munizioni  ecc. 
e  lo  imbarchino  sul  detto  legno,  e  con  esso  ritornino;  sono  autorizzati  a 
far  la  consegna  ad  alcuno  dei  feudatari  imperiali  delle  vicinanze,  ed  anche 
a  incaricare  altra  persona  della  consegna  stessa  (carte  2  tergo). 

1509.  1  ottobre.  —  Al  provveditor  generale  e  viceluogotenente  del 
Friuli.  Avendo  i  rettori  dell'  Istria  annunziato  che  le  genti  le  quali,  dopo 
essere  state  a'  danni  del  Friuli,  s'  erano  ridotte  a  Gorizia,  presero  ora  a 
fare  scorrerie  nell'  Istria  e  s' impadronirono  di  Castelnuovo  ;  si  ordina  al 
provveditore  stesso  di  accorrere,  colle  milizie  che  crederà  opportune,  in 
aiuto  di  quella  provincia,  intendendosi  col  provveditore  de'  stradiotti  che 
si  trova  colà,  il  quale  dovrà  ubbidirlo.  Si  avverte  essere  i  nemici  al  numero 


—    280    — 

di  250  cavalli  e  2000  fanti.  Gli  si  raccomanda  poi  di  non  perder  di  vista 
la  sicurezza  del  Friuli,  e  di  tener  d'occhio  i  nemici  onde  dall'Istria  non 
tornino  a  quella  volta  (carte  63). 

Al  capitano  general  da  mar  si  ordina  di  venire  al  più  presto  da  Zara 
in  Istria  per  difendere  quelle  terre  ;  gli  si  suggerisce  di  mover  con  galee 
contro  Trieste  per  far  diversione  (carte  63). 

1509.  4  ottobre.  —  Al  viceluogotenente  e  provveditore  in  Friuli.  Pro- 
gredendo in  Istria  i  nemici,  i  quali  presero  anche  Raspo,  e  ritenendosi  sicuro 
il  Friuli,  gli  si  ordina  di  accorrere  volantissime,  con  Meleagro  da  Forlì  e  le 
milizie  che  stimerà  opportune,  alla  liberazione  dell'  Istria,  e  se  non  potrà 
recarvisi  per  terra,  vi  si  rechi  per  mare,  e  faccia  in  modo  che  come  lo  Im- 
perator  è  partito  da  la  impresa  de  Padoa  cum  pocho  honor  suo,  cussi  ctiam  questi 
scalci,  che  per  quanto  intendano  sono  la  inaiar  parte  villani,  siano  fugati  et 
dissipati.  Gli  si  spediscono  600  ducati,  e  il  capitano  general  da  mar  è  in- 
caricato di  soccorrerlo.  —  Di  questa  deliberazione  si  dà  notizia  al  detto 
capitano  general,  ai  rettori  dell'Istria  e  al  provveditor  de'  stradiotti,  i  quali 
rettori  e  provveditore  presteranno  obbedienza  al  viceluogotenente  che  si 
dichiara  provveditor  generale  anche  in  Istria  (carte  65). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Per  provvedere,  dopo  la  caduta 
di  Raspo  in  mano  ai  nemici,  alla  sicurezza  di  Pinguente  e  di  Montona,  vi 
mandi  tosto  un  sufficiente  presidio;  e  così  negli  altri  luoghi  che  credesse 
averne  bisogno.  Gli  si  partecipano  i  soccorsi  che  porteranno  il  provveditor 
generale  del  Friuli  e  il  capitano  general  da  mar.  Gli  si  ricorda  di  far  in 
modo  che  la  chiesa  che  sta  presso  Montona  non  cada  in  mano  ai  nemici; 
al  caso  potrà  farla  demolire  (carte  65). 

1509.  29  ottobre.  —  Il  capitano  general  da  mar  è  richiamato  dall'Istria, 
vi  lascierà  le  galee  che  stimerà  necessarie  per  quella  difesa  (carte  72). 

Senato  Secreti,  voi.  LII  (1527). 

1527  m.  v.  14  gennajo.  —  Risposta  data  dal  Senato  s\Y  Archiepiscopo 
Syponlino  et  Episcopo  Polensi  legato  apostolico  in  materie  estranee  all'  Istria 
(carte   131). 

Senato  Secreti,  voi.  LIV  (i$}o-i$}i). 

153 1.  2  novembre.  —  Essendo  per  la  morte  del  R.  legato  vacato  /'  epi- 
scopato di  Pola,  ed  essendosi  in  trattative  col  Papa  circa  le  denomi nat ioni  dei 


—    28l    — 

vescovi,  si  delibera  di  sospendere  per  ora  quella  del  successore  al  defunto 
(carte  92). 

Senato  Secreti,  voi.  LV  (15)2-)}). 

1533.  13  maggio.  —  Ad  Andrea  Rosso  segretario  ducale  inviato  al 
Convento  in  Trento  per  trattare  sulle  differenlie  di  confini  con  il  Scr.mo  Re  di 
Romani.  Tra  altro  gli  si  scrive  :  «  Circa  San  Servolo,  Cernical  et  Muda  di 
Zaule,  facto  iterum  venir  a  nui  il  Veniero,  ritornato  di  Capodistria,  el  ne 
ha  dito  che  San  Servolo  fu  già  della  Signoria  nostra,  et  da  quella  per  be- 
nemeriti donato  al  q.  D.  Zuan  Ducain,  et  per  lui  et  heredi  soi  possesso 
fino  al  tempo  che  furono  spogliati  da  Cesarei,   che  fu  edam  in  tempo  di 

treugue.  Et  se  dicesseno  li  regii  che  ditti  Ducaini  tenevano  esso  loco 

per  nome  della  Signoria  nostra,    perche  li  soldati  di  esso  venivano   pagati 

alla  Camera  di  Capodistria,  dice  esser  vero, ma    della   provisione 

delli  detti  Ducaini,  et  a  conto  loro,  et  non  del  denaro  della  Signoria  nostra. 
Che  Cernical  senza  alcun  dubbio  fu  construtto  da  particulari,  et  da  loro 
sempre  custodito.  La  Muda  veramente  di  Zaule  essere  sempre  stata  ove  la 
è  al  presente,  et  restituendose  Cernical,  quella  deve  restar  sopra  il  territorio 

che  la  è ».  Gli  si  trasmette  lettera  del  capitano  di  Raspo  circa 

«  li  sinistri  modi  che  tiene  il  Flegar  di  Castel  Novo,  et  molestia  che  dà  nel 
bosco  nostro  di  la  Visina,  et  il  Fregar  di  Lupoglavo  »,  e  gli  si  ordina  di 
procurare  «  che  cessino  da  ogni  molestia  acquietandosi  a  quanto  sera  per 
quelli  giudici  terminato  (carte  89). 

1533.  26  giugno.  —  Al  suddetto.  « Quanto  veramente  per- 

tiene  alle  cose  del  Tassis,  cioè  di  Castel  Novo,  ditto  Rachel,  et  della  villa 
di  Barbana,  havendo  il  q.  Zaneto  de  Tassis  havuto  quelli  lochi  dal  q.  Mas- 
similiano Imperator  in  pegno  per.il  credito  che  l'havea  con  sua  M.tà 

et  havendo  nui  nella  guerra  presi  quelli  lochi, se  ben  potevemo 

et  potriamo  defender  non  haver  per  ditti  loci  obligatione  alcuna,  nientedi- 
meno fussemo  contenti,  come  per  lo  incluso  exemplo  vederai  di  lettere  per 
nui  scritte  all'  orator  appresso  la  Cesarea  M.li  a  XIIII  di  Lugio  del  anno 
M.D.XXX,  di  haver  ad  dar  alli  heredi  del  ditto  Zaneto  il  denaro  »  dovuto 
dall'  imperatore  al  quale  Venezia  si  ritiene  subentrata.  Si  raccomanda  quindi 
al  Rosso  di  far  sì  «  che  non  si  devegni  ad  alcuna  sententia  di  restitutione 
del  sopraditto  castel  et  villa  »  (carte  109). 

1533.  28  giugno.  —  Al  suddetto.  Avendo  esso  chiesto  «  se  debbi  as- 
sentir et  convenir  con  li  agenti  regii  »  circa  la  interpretazione  dell'articolo 


—   282    — 

della  «  capitulatione  di  Vormatia  »  relativo  ai  beni  dell'  Istria,  «  che  riaves- 
sero ad  remaner  appresso  chi  li  possedeva,  che  si  habbi  ad  intendere  delli 
publici  solamente,  et  non  delli  privati  »  ;  gli  si  risponde  riportarsi  il  Senato 
alla  deliberazione  che  saranno  per  prendere  i  giureconsulti  della  Republica 
al  Congresso  (carte  109  tergo). 

1533.  13  dicembre.  —  A  Giovanni  Dolfin  podestà  di  Verona,  a  Trento. 
Il  Senato  desidera,  prima  di  venire  alla  conclusione  delle  trattative,  che 
siano  definite  anche  le  questioni  concernenti  i  privati. 

Senato  Secreti,  voi.  LVI  (1534-1$)!)). 

1535.  5  luglio.  —  Si  ordina  a  Giovanni  Dolfin  di  ratificare  la  sentenza 
pronunziata  dal  Congresso  di  Trento  (carte  107). 

1535.  9  settembre.  —  A  Donato  Malipiero  capitano  di  Raspo  eletto 
esecutore  della  «  sententia  arbitraria  lata  per  li  magnifici  Indici  deputati  nel 
convento  di  Trento,  insieme  con  li  magnifici  executori  deputati  per  la  regia 
M.tà  nelle  parte  dell'Istria».  Non  essendo  possibile  ch'egli  si  trovi  a  Pisino 
coi  quattro  esecutori  regi  pel  14  corr.,  come  volevano  questi  ultimi,  vi  sia 
pel  giorno  25.  Onde  poi  abbia  seco  persona  esperta  si  ordini  al  dottor 
Iacopo  Florio,  ora  a  Udine,  che  fu  presente  a  tutte  le  negoziazioni  di  Trento, 
di  mettersi  a  disposizione  d' esso  capitano,  e  cosi  pure  saranno  inviati  a 
Pisino  il  dottor  Metello  de'  Metelli  ed  Alvise  da  Pola  ;  «  con  il  parer  et 
conseglio  de  i  qual,  et  precipue  del  excellente  Florio  exequirete  la  sentencia 
preditta  in  quelle  parte  de  l' Istria  per  vigor  del  mandato  qual  con  queste 
vi  mandamo  molto  ampio  et  general  ».  Nei  casi  dubbi  riferisca.  Chiamerà 
poi  i  particolari  interessati  a  dir  le  loro  ragioni  nei  luoghi  opportuni.  Vegli 
a  che  dagli  esecutori  regi  «  sii  conformemente  eseguita  insieme  et  unita- 
mente con  vui  la  sententia  in  tutte  parte  che  a  loro  spettano  in  quella 
provincia  de  l' Istria  ».  Nel  designare  i  confini  usi  ogni  diligenza,  e  taccia 
porre  i  segni  relativi  «notabili,  acciò  habbino  a  durar  continuis  temporibus». 
—  «  Circa  il  capitulo  disponente  Rachel  et  Barbana  »  farà  «  intimar  iuri- 
dicamente  a  i  Taxis,  perchè  nui  per  vigor  della  riserva  fattane  in  la  sententia 

volemo  recuperarli Et  però  non  bisogna  darli  el  possesso 

de  quelli  ».  —  Essendosi  venduta  ultimamente  a  Girolamo  Grimani  la  giu- 
risdizione di  Visinada,  nella  quale  è  la  villa  di  Medelino,  aggiudicata  dalla 
^sentenza  di  Trento  a  Gasparo  Crisana  ;  dopo  posti  i  confini,  il  Malipiero 
farà  stimare  «  la  valuta  di  quanto  sera  restituito,  et  del  tutto  Formarete 
diligente  processo,  qual  ne  manderete  con  iustification  delli  usufrutti,  delli 


—  283  — 

qual  esso  D.  Gaspar  sera  refatto,  acciò  nui  de  qui  possiamo  far  satisfar  » 
il  Grimani  ;  e  la  villa  sarà  restituita  al  Crisana.  Il  capitano  avrà  ducati  80 
al  mese  [oltre  il  suo  stipendio]  fino  al  termine  della  missione,  terrà  sei 
cavalli,  otto  servitori,  un  segretario  con  un  servo.  Il  segretario  sarà  nominato 
dal  Collegio. 

Al  dottor  Florio  si  assegnano  ducati  160  per  due  mesi.  —  Al  luogo- 
tenente di  Udine  si  ordina  di  scrivere  agli  esecutori  regi  per  la  dilazione 
dal  14  al  25  del  convegno  a  Pisino  (carte   129). 

Commissione  data  al  Malipiero  quale  esecutore  veneto  della  sentenza 
di  Trento  in  Istria  e  luoghi  circostanti  (carte  130  tergo). 

Istruzioni  separate,  al  medesimo.  Procurerà  di  avere  esatte  informazioni 
«  da  quelle  persone  che  saranno  a  vui  condirne  per  quelli  cittadini  de  Ca- 
vodistria  hanno  interesse  in  le  sententie  arbitrarie  »,  intorno  alle  restituzioni 
che  devon  farsi  le  due  parti  vicendevolmente.  —  Esaminerà  se  il  mandato 
degli  esecutori  regi  risponde  alle  esigenze  della  sentenza  di  Trento  ed  alla 
quantità  delle  trattative.  —  «  In  qualunque  executione  si  farà,  eodem  con- 
textu,  per  voi  executori  siino  liquidati  li  frutti  et  melioramenti  per  il  tempo 
della  sententia  summariamente,  per  information  de  testimonii,  over  loca- 
tione  »  o  altro,  col  maggior  vantaggio  dei  sudditi  veneti.  —  Circa  la  «  causa 
de  Montona  ve  informerete  con  D.  Hieronymo  Malaspina  »  di  quella  terra 
«  et  farete  eleger  perite  persone  confidente  de  le  parte,  quali  habino  a  divider 
il  territorio  pretcndeno  quelli  de  Montona  esserli  sta  occupato  per  quelli 
de  Pisino,  al  tempo  della  loro  domanda  tantum  ».  —  Troverà  «  la  iustifi- 
catione  de  quelli  redditi  ha  cavato  la  Signoria  nostra  »  dai  luoghi  da  re- 
stituirsi ai  regi  colla  prima  istanza  per  gli  anni  1533,  1534,  1535  «per 
poter  iustificar  la  probarione  facesseno  li  regii  circa  detti  frutti  ».  —  Circa 
Castclnuovo  d'Istria  «non  lasserete  domandar  executione  ad  alcuno,  se  non 
a  quelli  sono  nominati  in  sententia  ».  —  Inviterà,  per  mezzo  del  podestà 
di  Capodistria,  tutti  i  cittadini  interessati  a  comparire  con  periti  dove  sa- 
ranno chiamati  dagli  esecutori  (carte   131). 

1535.  14  ottobre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Fu  sentita  con  piacere  la 
definizione  delle  vertenze  fra  Montona  e  Pisino,  e  si  loda  molto  Giovanni 
Hollcr,  uno  degli  esecutori  regi.  Avendo  il  podestà  di  Montona  condannato 
alcuni  di  Pisino  per  aver  lavorato  in  luoghi  in  questione,  si  autorizza  il 
capitano  a  cassare  la  sentenza  stessa,  per  mostrare  agli  esecutori  regi  le 
ottime  intenzioni  della  Signoria.  Domani  si  spediranno  a  Capodistria  i 
denari  «  per  la  ricuperatione  del  Castel  di  Rachel,  et  Barbana,  et  delli  usu- 
frutti di  Mumiano,  Raziza  et  Sovignaco  »  (carte  139  tergo). 


—  284  — 


Senato  Secreti,  voi.  LXI  (1540-1541). 

1540  m.  v.  26  febbrajo.  —  All'Ambasciatore  presso  il  re  dei  Romani. 

«  Vi  die  esser  ben  noto quante   siano  state  le  innovationi   fatte 

dopo  la  Sententia  di  Trento  dalli  Agenti  Regii,  sì  contra  li  subditi  nostri 
in  Histria,  et  nella  Patria  del  Friul,  come  contra  il  R.mo  Cardinal  Grimani 
in  Aquileia  »,  e  tutte  le  pratiche  per  farle  cessare.  Il  re  si  era  mostrato 
dispostissimo  a  prestarvisi,  ed  aveva  aderito  a  che  tutte  le  questioni  fossero 
sottoposte,  come  a  mediatore,  all'orator  cesareo  residente  in  Venezia;  ma 
questi,  officiato  in  proposito,  si  è  sempre  scansato  adducendo  non  aver 
commissioni  in  argomento,  e  intanto  crescono  gì'  inconvenienti.  Parli  perciò 
al  re  con  efficacia,  gli  faccia  sentire  il  risentimento  della  Republica  per 
1'  operare  degli  agenti  regi,    ed  insti  onde  faccia  subito  «  restituire  sì  esso 

R.mo  Patriarca,  come  li  Gavardi  in  Histria all'antiquo  et  giusto 

possesso  loro  »   (carte  65). 

Si  scrive  in  argomento  all'  ambasciatore  presso  l' Imperatore  (carte 
66  tergo). 

1541.  17  marzo.  —  All'ambasciatore  presso  il  re  dei  Romani.  In  ri- 
sposta a  sue  lettere  relative  all'accomodamento  delle  questioni  non  ancora 
appianate,  gli  si  ordina  d' instare  presso  il  re  per  la  restituzione  di  ciò  che 
fu  tolto  al  patriarca  di  Aquileia,  ai  Gavardo  e  ad  altri  ;  e  che  sia  mandata 
all'  orator  cesareo  a  Venezia  la  commissione  di  mediazione,  —  il  Senato 
è  dispostissimo  all'accordo  (carte  67  tergo). 

Si  scrive  in  conformità  all'  ambasciatore  presso  l' imperatore  (carte 
68  tergo). 

1541.  2  settembre.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Attenda 
colla  usata  diligenza  «  attender  alla  retractation  delle  cose  innovate  de  facto 

così  contra  Aquilegia et  per  le  cose  de  Castel  novo,  intervenendo 

li  Gavardi  (carte  100  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  LXII  (1542). 

1542.  2  settembre.  —  All'ambasciatore  presso  il  re  dei  Romani.  Si 
'intese   con   piacere    come   quel  re  abbia   elètto   due    suoi   commissari    per 

«  componer  tutte  le  differentie  che  sono  a  quei  confini  »,  ed  eletto  arbitro 
l' ambasciator  cesareo  residente  a  Venezia  ;    il  Senato  nominò  pure  i  suoi 


—  285  — 

commissari  [Francesco  Contarini  e  Francesco  Sanudo]  per  definire  al  più 
presto  le  cose.  Preghi  il  re  a  far  desistere  i  suoi  rappresentanti  ai  confini  dalle 
continue  violazioni  dei  trattati,  e  dei  diritti  di  Venezia  e  dei  suoi  sudditi, 
del  patriarca  d'Aquileia,  di  vari  friulani  e  dei  «  Gavardi  da  Castel  novo,  li 
quali  sono  grandemente  molestati  dal  capitano  di  Postoina  »  (carte  54  tergo). 

1542.  2  settembre.  —  Avendo  il  re  dei  Romani  nominato  due  suoi 
commissari  per  la  definizione  di  tutte  le  questioni,  come  è  detto  di  sopra, 
il  Senato  elegge  a  propri  commissari  Francesco  Contarini  e  Francesco  Sanudo 
cavalier  (carte  55). 

Senato  Secreti,  voi.  LXIII. 

1543.  5  aprile.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Si  partecipa 
l'arrivo  dei  commissari  del  re  dei  Romani.  —  E  cosi  pure  all'ambasciatore 
presso  quest'  ultimo  (carte  io  e   io  tergo). 

1543.  21  agosto.  —  Essendosi  lagnato  l'ambasciatore  del  re  di  Francia 
che  legni  austriaci  partiti  da  Trieste  siensi  recati  per  le  acque  venete  all'as- 
sedio' di  Marano  (nel  porto  di  Lignano)  ;  si  delibera  di  ordinare  al  capitan 
general  da  mar  di  «  mandar  in  Histria  il  Capitaneo  delle  fuste  con  la  sua 

conserva  et  due  galee et  sia  etiam  scritto  al  detto  Capitaneo  delle 

fuste  che  debba  venire,  et  a  quei  rettori  che  parerà  al  Collegio  per  far  venir 
in  Histria  con  ogni  prestezza  le  galee  et  fuste  sopradette,  le  qual  non  debbano 
partire  senza  ordine  nostro»  (carte  51  e  51  tergo). 

Essendo  terminata  la  definizione  delle  questioni  «  restate  indicise  per 
la  sententia  di  Trento  »,  tranne  quelle  di  Belgrado  e  di  Castelnuovo,  si 
autorizzano  i  commissari  Contarini  e  Sanino  a  trattare  coli'  ambasciatore 
dell'  imperatore  per  la  loro  soluzione  (carte  52). 

1544.  26  aprile.  —  Si  ordina  agli  ambasciatori  presso  l' imperatore  e 
il  re  dei  Romani  di  lagnarsi  che  «  il  Capitaneo  di  Postoina  non  cessa  di 
molestare  [in  Istria]  li  Gavardi  per  ogni  via,  et  li  ha  usurpato  tutto  '1  ter- 
ritorio nel  qual  facea  preparatione  di  fabricare  una  fortezza,  ne  li  ha  lassato 

altro  che  il  castello »  e  di  chiedere  che  si  ponga  riparo  a  simili 

azioni  (carte   127  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  LXIV. 

IJ45.  io  marzo.  —  Destinato  il  dottor  Antonio  Quetta,  a  commissario 
del  re  dei  Romani  in  Venezia  per  l'ultima  definizione  delle  questioni  rimaste 


—  286  — 

insolute  dopo  la  sentenza  di  Trento  ;  si  elegge  commissario  veneto  allo 
stesso  scopo  Girolamo  Grimani  in  luogo  di  Francesco  Sanudo  assente 
(carte  4). 

1545.  16  ottobre.  —  S'incaricano  i  commissari  Francesco  Contarmi 
e  Girolamo  Grimani  di  fare  i  primi  uffìzi  col  Quetta,  venuto  a  Venezia 
(carte  77). 

1545.  21  ottobre.  —  Francesco  Michiel  che  ebbe  gran  parte,  come 
avvocato  fiscale,  nelle  negoziazioni  per  la  definizione  delle  questioni  rimaste 

da  risolvere  dopo  la  sentenza  di  Trento,  è  «  mandato  per  commissario 

ad  essequire  le  prefate  sententie  di  Trento  et  metter  fine  alle  altre  differentie 

con  li commissari  regii,  insieme  col  quale  siano  medesimamente 

deputati  commissarii  et  esecutori  il  Podestà  et  Capitaneo  di  Cavodistria  per 
le  cose  de  Istria».  Essi  dovranno  aggregarsi  uno  o  due  «  delli  più  eccellenti 

dottori  delle  terre  nostre  a  loco  per  loco  per  consultori et  de- 

fensori  delle  raggion  publice  et  private,  acciochè  tal  essecution  sia  fatta  con 
ogni  debita  maturità  »  (carte  77  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  LXVI. 

1548  m.  v.  26  gennajo.  —  Avendo  il  re  dei  Romani  eletto  tre  com- 
missari per  1'  esecuzione  della  sentenza  di  Trento  e  per  definire  questioni 
di  confini  fra  i  sudditi  veneti  di  Raspo  e  di  Montona,  e  il  capitano  di  Pisino, 
si  delegano  quali  commissari  veneti  il  podestà  e  capitano  di  Capodistria,  il 
capitano  di  Raspo  e  il  podestà  di  Montona  ;  il  Collegio  manderà  loro  uno 
dei  segretari  del  Senato  e  il  dottore  Ottonello  Vida,  informatissimo  di  quelle 
questioni  (carte  63   tergo). 

1549.  29  luglio.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Il  Senato  non  crede  che  i 
sudditi  del  re  dei  Romani  minaccino  il  castello  dei  Gavardi,  non  avendone 
motivo  ;  però  se  Castelnuovo  venisse  davvero  minacciato,  non  manchi  il 
capitano  di  mandare  i  necessari  soccorsi  ;  avverta  però  di  non  fare  esso  ne 
lasciar  fare  ai  Gavardi  cose  dalle  quali  «  venghi  principio  di  moto  alcuno  » 
(carte  m). 

1549.  7  dicembre.  —  Risposta  data  al  segretario  del  re  dei  Romani. 
Volendo  il  Senato  vivere  in  amicizia  col  re,  udì  con  dispiacere  da  esso 
segretario  «  dell'adunatione  di  gente  ultimamente  fatta  dalli  nostri  da  Pin- 

'   guente  et  Raspo Onde  se  ben  detta  adunationc  succedesse 

per  il  romor  solamente  che  in  quei  luoghi  nostri  si  divulgò che  '1 

Capitano    Raunicher  veniva  a  quei  confini  con  buon   numero  de  huomini 


—  287  — 

non  intendendo    all'  hora  quei  nostri  la  causa  della  venuta  sua  ». 

Il  Senato  diede  però  ordini  per  venir  in  chiaro  delle  cose,  e  perchè  fra  i 
vicendevoli  sudditi  confinanti  passi  la  migliore  intelligenza;  e  spera  che  il 
re  agirà  in  conformità  (carte  124  tergo). 

1549.  19  dicembre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  e  succes- 
sori. Gli  si  fa  sapere  essersi  il  re  dei  Romani  doluto  «  d'alcune  adunation 
di  gente  che  per  li  nostri  ultimamente  sono  sta  fatte  in  quella  provincia 
con  le  quali  è  sta  cercato  di  favorire  le  cose  delli  Gavardi  da  Castelnovo 
contra  li  agenti  de  Soa  Maestà».  Accennasi  alla  risposta  data  al  segretario 
regio,  e  gli  si  ordina  di  procurare  che  nella  sua  giurisdizione  non  si  dia 
motivo  a  lagni  da  parte  dei  sudditi  regi.  Che  se  questi  dessero  causa  a 
sospetti,  indaghi,  informi  e  cerchi  di  attutire. 

Similmente  si  scrive  al  capitano  di  Raspo,  coll'aggiunta  :  «  Et  perchè 
il  sopradetto  Segretario  Regio  è  stato  molto  querellato  in  questa  causa, 
chel  non  ha  mancata  da  Antonio  Lignano  et  dalli  nostri  di  dar  occasione 

de  violar  et  alterar  la  buona  amicitia dando  all'  arme    contra  li 

deputadi  et  sudditi  di  S.  M.til  »  ;  gli  si  ordina  «  de  informarvi  particolarmente 
del  modo  che  successe  tutto  il  fatto  »  e  di  riferire  il  risultato  delle  sue 
indagini  (carte   127). 

1549  co.  v.  4  gennajo.  —  All'ambasciatore  presso  il  re  dei  Romani: 
«  Havemo  inteso  con  molta  displicentia  dell'  animo  nostro,  per  lettere  del 

Potestà  e  Cap.°  nostro   di  Capo   d'  Histria  et  del  Cap.°  di  Raspo 

il  caso  che  è  occorso  a  Castel  novo  a  30  del  mese  passato,  quale  è  stato 
occupato  da  doi  che  havrano  condutto  lì  dentro  certo  feno».  Il  Governo 
ne  fece  lagni  col  segretario  del  re  dei  Romani,  dicendosi  certo  che  il  fatto 
era  successo  contro  il  volere  d'  esso  re,  che  «  havendo  massime  havuto 
1' ostaso  nelle  mani»  non  avrà  certo  «dato  simel  commissione»;  e  chie- 
dendo che  «  li  Gavardi  fusseno  restituiti  al  possesso  del  ditto  castello  ».  Il 
segretario  promise  di  scrivere  al  re  e  ai  ministri  regi  in  Lubiana.  Il  Senato 
poi  commette  all'  ambasciatore  di  fare  ufficii  conformi  con  quel  sovrano 
(carte   129). 

Senato  Secreti,  voi.  LXVII. 

1550.  20  giugno.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  «Alcuni 
nomini  del    Rev.'10  Ambassator  della  Cesarea  M.iil  presso  di  noi    residente 

havendo  fatto  setta  ed  adunatione  de  molti  armati,  sono  andati 

nel  loco  de  Isola  et  di  ordine  del  ditto  Ambassator,    alli  XI  del   presente 


—  288  — 

ad  hore  4  di  notte,  hanno  assaltato  sopra  la  strada  publica  presso  la  piazza 
un  pover  homo  che  ivi  trattava  alcune  sue  lite  con  uno  nostro  suddito  di 
quella  istessa  terra,  et  quello  hanno  ferito  et  preso,  et  per  forza  legato  hanno 
condotto  via  con  una  lor  barca  da  Trieste,  il  qual  homo  è  stato  mandato 
a  dimandar  per  il  Potestà  nostro  de  Isola  al  Capitaneo  di  Trieste,  et  da 
esso  non  gli  è  stato  restituito  ».  È  questo  fatto  una  patente  «  violatione 
della  nostra  giuridittione,  et  per  la  gravissima  offesa  che  perciò  è  stata  fatta 
alla  nostra  dignità  »  il  Senato  non  può  tollerarlo  in  pace.  Però  cerchi  di 
aver  udienza  al  più  presto  dall'  imperatore,  in  qualunque  luogo  si  trovi,  gli 
esponga  il  fatto,  si  lagni  del  contegno  dell'  ambasciatore  «  il  quale  chiara- 
mente si  vede haver  mandato  de  qui  ad  Isola  apostatamele  », 

e  ne  chieda  con  buone  maniere  il  richiamo  [1'  ambasciatore  imperiale  era 
Don  Giovanni  di  Mendozza].  In  appoggio  si  mandano  all'  ambasciatore  i 
documenti  del  fatto  (carte  43  tergo). 

1550.  8  luglio.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Avendo  egli 
scritto  che  quel  sovrano,  udite  le  querimonie  pel  fatto  d' Isola,  gli  aveva 
risposto  attendere  la  esposizione  del  proprio  ambasciatore  ;  gli  si  ordina  di 
instare  pel  richiamo  (carte  49  tergo). 

Si  sospende  l' invio  della  lettera. 

1550.  20  luglio.  —  Avendo  l'ambasciatore  dell'imperatore  avuto  ordine 
di  restituire  l'uomo  catturato  in  Isola,  gli  si  fa  dire  che  lo  faccia  rimandare 
in  quella  terra  e  riporre  ivi  in  libertà  (carte  54). 

1550.  11  agosto.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Lo  si  loda 
per  1'  ufficio  fatto  col  cardinal  di  Arras,  a  proposito  del  fatto  d' Isola,  e 
dell'effetto  ottenutone;  ringrazi  l'imperatore  degli  ordini  dati  in  proposito, 
e  lo  preghi  di  commettere  ai  suoi  ambasciatori  di  tener  sempre  un  contegno 
amichevole  (carte  58  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  LXVIII. 

1552.  11  agosto.  —  All'ambasciatore  presso  il  re  dei  Romani.  Il  se- 
gretario regio  residente  a  Venezia  espose  di  avere  «  scritto  in  forma  efficace 
alla  M.'à  Sua  circa  li  danni  fatti  per  Uscochi  nelle  acque  e  nel  territorio 
di  Albona  et  Fianona,  et  de  redimo  che  hanno  essi  Uscochi  nelle  terre  di 
Segna  et  de  Fiume  ».  Il  re,  anche  in  seguito  ad  uffici  fattigli  dall'ambascia- 
tore, promise  di  castigare  i  colpevoli,  e  di  bandire  tutti  i  sudditi  veneziani 
che  si  trovassero  fra  questi.  Attenda  però  l'ambasciatore  a  far  che  le  pro- 
messe si  adempiano  (carte  54). 


—  289  — 

15S2  ni-  v-  23  febbrajo.  —  Al  conte  di  Pola.  «  Havemo 

ricevute  le  lettere  vostre  de  23  del  mese  de  decembrio  passato,  et  insieme 
il  processo  che  havete  formato  sopra  il  caso  de  una  delle  doe  barche  de 
schiavi  che  era  stata  intertenuta  per  il  vostro  cavallier  nel  porto  de  Bado  »  ; 

gli  si  ordina  di  far  porre  in  libertà  «  le  sei  temine  schiave ritrovate 

sopra  essa  barcha et  indricciarete  sotto  bona  custodia  alla  Galla 

Centana  de'  Condannati  li  doi  mercanti  ritrovati   sopra  essa  barca  ... 
zoe  Baptista  Basso  et  Mattio  Spadaro  ».  Farà  poi  chiamare  il  padrone  della 
barca,  Antonello  da  Pirano,  fuggito,  onde  si  presenti  entro  un  mese,  altri- 
menti proceda  contro  di  esso  in  contumacia. 

Si  delibera  poi  di  far  dire  al  segretario  del  re  dei  Romani  :  «  Che  li 
precedenti  giorni  capitorono  in  uno  delli  nostri  porti  in  Istria  due  barche 

che  venivano  da  Fiume  con  alcuni  schiavi  et  schiave,  una  delle  qual 

se  ne  andò  al  suo  viaggio,  V  altra  lassata  dal  patron  et  marinari,  li  quali 
per  esser  nostri  sudditi  si  detteno  a  fugire,  fu  intertenuta  dal  cavalier  del 
Conte  nostro  de  Puola,  et  condutta  in  porto.  In  questa  barca  furono  trovati 
doi  mercadanti,  tre  nomini  et  sei  femine  schiave.  Et  se  ben  per  esser  questa 
mercantia  de  schiavi  christiani  della  natura  e  qualità  eh'  ella  è  ;  noi  come 
quei  che  non    1'  habbiamo    mai   permessa  ne  approbata  nei   nostri    subditi 

harressimo  volentieri  fatto  qualche  demonstratione  contro  i  ditti 

mercanti  ».  Però  per  rispetto  del  re,  del  quale  i  mercanti  stessi  tenevano 
patenti,  si  crede  conveniente  informar  del  tutto  il  segretario. 

Queste  deliberazioni  non  furono  approvate  in  prima  votazione  ;  si  ap- 
prova poscia  quanto  si  riferisce  ai  «  retenuti  a  Puola  ».  Per  ciò  che  spetta 
ai  «  mercadanti  et  patron  de  navilio  che  si  attrovano  ritenuti  in  Zara  »  si 
delibererà  in  seguito  [Notasi  che  nella  filza  26  delle  deliberazioni  secrete 
del  Senato  si  trova  il  processo  fatto  a  Pola,  accompagnato  da  lettera  di 
quel  conte]  (carte  106  tergo- 109). 

Senato  Secreti,  voi.  LXIX. 

1554.  7  settembre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  In  seguito 
a  sua  lettera  29  agosto  sui  progressi  della  peste  in  quella  città,  si  diedero 
ordini  ai  provveditori  alla  sanità  per  le  disposizioni  opportune.  Essendo  poi 

«  una  parte  delli  fanti   eh'  erano  a  quella   custodia o  partiti  o 

morti  »,  si  è  dato  ordine  al  capitano  delle  fuste  «  che  fatta  venir  a  lui  una 
delle  sue  conserve,  debba  star  con  quella  a  ditta  custodia,  scorrendo  in  quei 
luogi  dove  conoscerà  esser  maggior  soa  securtà,  et  poter  prohibir  qualche 


—  290  — 

machinatione  ».  Si  approva  le  disposizioni  date  dal  podestà  e  capitano  circa 
il  frumento  ivi  mandato  per  l'approvvigionamento  (carte  44  tergo). 

Al  capitano  delle  fuste.  Si  loda  per  aver  provveduto  al  bisogno  di  fru- 
mento che  aveva  Capodistria  ;  gli  si  danno  gli  ordini  di  cui  è  parola  nel 
precedente  ;  lo  si  avverte  di  non  lasciar  scendere  a  terra,  salvo  in  caso  di 
necessità  di  difesa,  gli  uomini  della  fusta  destinata  alla  guardia,  per  evitare 
il  pencolo  di  contagio  (carte  44  tergo). 

1554.  13  dicembre.  —  «  riavendosi  inteso  dalle  lettere  del  Potestà  de 
Pirano  de  ultimo  novembre,  et  Mugia  de  29  del  ditto  mese  quello  che 
ricerca  il  Vice  Capitanio  di  Trieste  per  la  liberatione  delle  due  barche  de 
ogli  che  si  attrovano  a  Pirano,  et  che  furono  ritenute  per  il  Capitanio  delle 
fuste  ;  Et  insieme  veduta  la  terminatione  fatta  per  il  Vice  Cap.°  predetto 
della  restitutione  della  barca,  et  de  i  vini  che  per  quei  Ministri  di  Trieste 
erano  stati  ritenuti  per  avanti  sopra  una  barcha  che  venendo  da  Muggia 
andava  a  Monfalcon  —  Et  essendo  conveniente  che  havendo  loro  restituito 
li  vini,  debbano  haver  li  ogli  »,  si  propone  si  taccia  la  restituzione  di  questi 
[non  approvato]  (carte  67). 

Si  delibera  invece  che  il  Collegio  dichiari  al  segretario  del  re  dei  Romani, 
che,  essendo  stati  restituiti  i  vini,  di  cui  sopra,  non  liberamente,  ma  sotto 
condizione,  la  Signoria  farà  restituire  liberamente  1'  olio  quando  sia  tolta 
anche  la  condizione  stessa  (carte  67  tergo). 

1554  m.  v.  28  gennajo.  —  All' ambasciator  presso  il  re  dei  Romani. 
Si  loda  per  l'esito  dei  suoi  uffici  relativamente  alla  «  presa  che  aveano  fatto 
Triestini  de  una  barca  de  nostri  subditi  che  venendo  da  Muglia  andava  a 
Monfalcon  carica  de  vini  »  ;  gli  si  partecipa  la  dichiarazione  fatta  al  segre- 
tario del  re  residente  a  Venezia,  come  sopra.  Si  aggiunge  che  il  segretario 
ritornò  in  Collegio  annunziando  che  la  restituzione  del  vino  sarcbbesi  fatta 
senza  condizioni  ;  ma  che  il  podestà  di  Pirano,  ai  22  corr.,  aveva  sospeso 
la  restituzione  dell'olio  non  vedendo  effettuarsi  quella  del  vino;  faccia  uffici 
conformi  col  re,  e  veda  si  solleciti  la  definizione  dell'affare  (carte  81  tergo). 

1555  m.  v.  26  febbrajo.  —  Al  podestà  di  Rovigno.  Avendo  egli  se- 
questrato «  alcuni  ferri  ch'erano  sopra  una  barca  capitata  in  quel  porto  », 
ad  istanza  del  Nuncio  pontificio,  gli  si  ordina  la  restituzione  dei  medesimi 
a  Lodovico  Sasoto  ;  mandi  poi  il  processo  relativo  (carte  177  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  LXX. 

1557.  3  luglio.  —  Al  podestà  di  Rovigno.  L'ambasciatore  del  re  di 
Spagna  «  ne  fece  heri  intendere  che  essendo  capitata  in  quel  luoco  nostro 


—  29*  — 

una  fregata  che  con  lettere  del  Signor  Vice  Re  di  Napoli  gli  venia  spedita, 
perchè  egli  le  havesse  ad  inviare  al  Ser.mo  Re  suo,  da  voi  era  stata  ritenuta 
con  tutti  li  nomini  di  quella,  Il  che  parimente  questa  mattina  riabbiamo 
inteso  dalle  vostre  esser  stato  perchè  la  detta  fregata  portava  la  bandiera  di 
S.  Marco  sopra  l'arboro,  et  per  le  altre  cause  che  vi  havevano  mosso  a  ciò  ». 
Si  dà  perciò  ragione  al  podestà,  ma  gli  si  ordina  «  in  gratificatione  del  detto 
Ambasciator  »  di  rilasciar  libera  la  fregata  con  tutto  ciò  che  conteneva  ;  e 
se  mai  inalberasse  ancora  la  bandiera  di  S.  Marco  la  farà  ritenere  di  nuovo 
(carte  101  tergo). 

Settato  Secreti,  voi.  LXXIII. 

1562  tri.  v.  8  gennajo.  —  Avendo  1' ambasciator  cesareo  «più  volte 
rechiesto  che  le  quattro  barche  da  Trieste,  le  quali  cariche  di  ferri  et  legnami 
per  Puglia  sono  state  questi  giorni  passati  retenute  dalla  barca  dell'officio 
di  sopra  dadi  nella  valle  di  Storgnano  giuridittione  di  Pirano,  dove  erano 

capitate  per fortuna  del  mare,    siano  liberate»;  si  delibera  di  far 

porre  le  dette  barche  in  libertà  pur  dimostrando  all'ambasciatore  la  legalità 
dell'arresto  (carte  43). 

1562  m.  v.  30  gennajo.  —  «  Al  Podestà  di  Muglia.  — Vi  mandamo 

la  forma  d'una  inquisitione,  sopra  la  quale  vi  commettemo,  che 

come  da  voi facciate  nei  luoghi  soliti  proclamare  così  il  giudice 

del  maleficio  de  Trieste  et  suoi  curiali come  etiamdio 

i  suoi  noncii  giurati,  che  a  giorni  passati venne  due  volte  a  Muglia 

a  presentarvi  le  lettere  de  citatione assignandogli  i  termini  soliti 

a  comparere non   alterando  in  modo  alcuno  la  sustantia    d'  essa 

inquisitione  ».  In  nessun  atto  però  dovrà  comparire  che  ne  sia  stata  data 
commissione  dal  Governo  ;  né  pronunzierà  sentenza,  «  ma  se  per  a  ventura 

esso   giudice   procedesse  ad  ulteriora    contro  di  voi subito  ne 

aviserete  ». 

Segue  l' inquisizione  : 

«  Hec  est  qmedam  inquisitio   qua;  fit  et  fieri  intenditur  per  M.oum  D. 

Franciscum  Georgio Potestatem  Mugbe  contra  D.  Hieronymum 

Garzonium    Auxitnanum    Iudicem    maleficiorum    civitatis    Tergesti    et   eius 

curiales ex  co  quod  ita  fuerit  audax  ut  dietimi  M.eam  Dominimi 

Potestatem  inquirere  ac  proclamare  non  dubitaverit,  ac  bis  mittere  nuncium 

suum  Muglam,  cimi  citari  (adendo  ad  coniparendum  corani  ipso » 

senza  riguardo  alla  rappresentanza  del  Governo  veneto  di  cui   il  podestà  era 

2 


—    292    — 

investito,  e  con  perturbazione  della  giurisdizione  della  Republica.  E  perciò 

esso  podestà  «  procedere    intendit  contra    praedictos    inquisitos 

eosque  culpabiles  repertus,  punire  et  condemnarc »  (carte  44  tergo). 

1563.  19  giugno.  —  «  All'Ambassator  presso  l' Imperator.  —  Li  Ga- 
vardi  de  Capo  d' Istria  sono  comparsi  avanti  di  noi,  et  ne  hanno  esposto 
che  essendo  stati  dinanzi  alli  Commissarii  sopra  li  confini  per  trattar  della 

restitution  di  Castel  novo  sul  Carso, dalli  Cesarei  è  stato  loro 

risposto  che  non  hanno  sopra  di  ciò  commissione  alcuna Onde 

noi,  compassionando  a  quello  che  hanno  patito,  che  in  vero  è  stato  molto, 

vi  commettemo  »  di  espor  la  cosa  all'  imperatore,  e  di  procurare 

ch'esso  dia  ordine  ai  suoi  commissari  di  definire  anche  questa  questione. 

Che  se  quel  sovrano  rispondesse  essere  stati  privati  del  castello  i  Ga- 
vardi  «  per  demeriti  loro,    potrete  risponder  che  se  vi  fussc  colpa    alcuna, 

quella  non  saria  di  questi,  ma  delli  vecchi,  che  sono  tutti  morti » 

(carte  61). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXIF. 

1565.  15  settembre.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Faccia 
uffici  coli'  arciduca  Carlo,  e  al  bisogno  anche  coli'  imperatore,  perché  sia 
provvisto  «  alle  innovationi  »  fatte  recentemente  dai  Triestini  «  nella  giuri- 
dittionc  di  Muggia  circa  il  fabricarc  d'  alcune  saline  »  (carte  28). 

1565  m.  v.  r4  gennajo.  —  «  Essendo  stata  ritenuta  e  condutta  in 
questa  città  dal  capitanio  nostro  di  sopradatii  una  barca  con  ferri,  bottami 
et  altro,  qual  andava  da  Trieste  a  Fermo  »  ;  in  seguito  a  reclamo  dell'am- 
basciator  cesareo,  si  delibera  di  rilasciare  la  barca  stessa  per  compiacenza, 
ma  dichiarando  legale  l'arresto  pei  diritti  che  vanta  Venezia  sull'Adriatico 
(carte  47). 

1566.  29  luglio.  —  «Che  sia  data  libertà  al  Collegio  nostro  di  co- 
municar al  M.co  Ambassator  della  Cesarea  M.tà  la  lettera  del  Rettor  di  Ca- 
podistria  in  materia  di  quanto  dicono  Triestini,  corretta  secondo  che  parerà 
ad  esso  Collegio,  acciochè  ne  dia  avviso  a  S.  Maestà,  et  in  conformiti  sia 
scritto  all'  Amb.r  nostro  appresso  sua  Ces.a  M.t;'  perchè  ne  faccia  officio 
conveniente  con  lei  »   (carte  75). 

1566.  31  luglio.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Gli  si  manda 
kttcra  del  podestà  e  capitano  di  Capodistria  relativa  alla  «  diffidenti.!  che 
hanno  in  noi  li  triestini  »  ed  alle  «  parole  che  hanno  dette,  che  se  l'armata 
turchesca  venirà  a  loro  danni,  venirà  con  consenso  et  intelligcntia  nostra  : 


—  m  — 

le  qual  parole  mostrando  una  estrema  maligniti,  et  riavendone  dato  gran- 
dissimo risentimento  »,  ne  fu  fatta  doglianza  coll'amhasciatore  imperiale  in 
Venezia  ;  esponga  la  cosa  all'  imperatore  e  procuri  di  levargli  dall'  animo 
ogni  mala  impressione  che  avessero  potuto  produrvi  le  dicerie  infondate 
(carte  76). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXV. 

1567.  5  luglio.  —  Al  podestà  di  Pirano.  Ad  istanza  del  Nuncio  papale 
gli  si  ordina  di  rilasciar  libera  «  quella  barca  di  ferri  caricata  a  S.  Gioan 
de  Duino  per  Rimino,  che  alli  giorni  passati  in  mare  fu  ritenuta  da  Lazaro 
da  Malamocco  capo  di  barca  armata,  qual  poi  essendo  condotta  in  quel 
porto,  fu  da  voi  intertenuta  sotto  pretesto  di  contrabbando  »  (carte  26  tergo). 

1568.  20  novembre.  —  Al  podestà  di  Rovigno.  Ad  istanza  del  nuncio 
papale  e  del  comune  di  Bologna,  gli  si  ordina  di  «  rilasciar  la  barca  de 
grani  che  era  stata  caricata  nella  Marca  per  servitio  »  del  detto  comune 
«  et  dalle  nostre  galee  poi  trattenuta  e  condotta  »  a  Pirano  (carte   102). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXVII. 

1571.  14  aprile.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  «  Intendemo 
che  delti  soldati  da  noi  destinati  per  li  presidii  delle  città  et  fortezze  nostre 

di  Levante,  li  quali  faremo  passar  in  Istria  per  montar  sulle  navi 

et  già  hanno  havute  le  soventioni  e  le  paghe,  si  sbandano  dalli  loro  capi 

fuggendo  per  quella  provincia  et  nascondendosi ».  Gli 

si  ordina  perciò  di  far  rintracciare  con  ogni  diligenza  i  fuggiaschi,  arrestare 
e  «  mandar  all'  armata  nostra  per  vogar  al  remo  alla  cathena  per  mesi 
disdotto  almeno,  et  per  quel  più  anco  che  vi  parerà  meritar  il  delitto  ». 

Similmente  fu  scritto  a  Pirano,  Cittanova,  Umago,  Parenzo,  Rovigno, 
S.  Lorenzo,  Portole,  Albona  e  Fianona,  Dignano,  Grisignana,  Isola,  Muggia 
(carte  81    tergo). 

1571.  25  agosto.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  —  «  Lau- 
damo  la  diligcntia  che  insieme  con  quel  Magnifico  Governator  nostro  della 

militia    havete    usata  in  reveder  et  ben   considerar  le  provisioni 

necessarie  per  sicurtà  e  buona  custodia  di  quella  città  ».  Gli  si  ordina  poi 
di  far  condurre,  potendolo  senza  spesa,  «  entro  quella  città  quella  maggior 
quantità  di  terreno   che  si  possa,   cosa    che  oltra   che  sarà  di   beneficio  et 


—  294  — 

sicurtà  maggiore  di  quei  fideliss.1  nostri,  a  noi  sarà  gratissima  ».  Mandi 
la  nota  dei  debitori  di  quella  Camera  che  sono  in  mora  per  prendere  poi 
i  provvedimenti  che  saranno  del  caso.  Gli  si  manda  l' importo  per  la  metà 
d'  una    paga   per  gli  800  uomini  «  di  quelle   ordinanze   introdutti    in  essa 

città li  quali  licentierete  quando  più  vi  parerà  opportuno,    non 

volendo  noi  per  ciò  haver  altra  spesa per  conto  loro  »  (carte  138). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXIX. 

1573.  io  ottobre.  —  Al  capitano  e  provveditor  generali  da  mar.  Circa 
dieci  galee  da  essi  mandate  in  Istria  per  essere  disarmate,  si  comunicano 
loro  gli  ordini  dati  in  proposito  al  capitano  in  golfo  (carte  62). 

Al  capitano  in  golfo,  in  Istria.  Circa  le  suddette  galee  gli  si  scrive  : 
«  et  perchè  ci  pare  a  proposito  che  esse  galee  non  habbino  a  trattenersi 
lungamente  in  quelle  parti,  vi  commettemo »  che  mandi  a  disar- 
mare quelle  «  a  quali  per  li  detti  generali  sarà  stata  fatta  la  cerca  secondo 
'1  consueto».  Non  parta  dall'Istria  fino  a  che  giunga  colà  il  governatore 
delle  galee  de'  condannati,  al  quale  esso  capitano  consegnerà  il  governo 
della  sua  squadra  (carte  63). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXX. 

1575.  4  giugno.  —  Si  ordina  al  podestà  di  Umago  di  restituire  una 
barca  carica  di  vino  appartenente  a  Geremia  di  Leo  triestino,  arrestata  come 
contrabbando. 

Similmente  al  podestà  di  Pirano,  di  restituire  una  botte  di  olio  di  Do- 
menico Montanello  di  Trieste. 

E  al  sopracomito  Francesco  Michiel  di  restituire  due  botti  d'olio  tolte 
a  «  Michiel  Turco  da  Trieste  ». 

Tutto  ciò  ad  istanza  dell'  ambasciatore  dell'  imperatore.  Come  pure  è 
ordinata  la  restituzione  di  una  «  barca  di  Zuane  Nadalin  carica  di  ferramenti 
et  legnami  di  mercanti  triestini,    destinati  per  Puglia  »,    la  quale  era  stata 

«  ritenuta  in  aperto   mare  da  una   galea   nostra et  condotta  a 

Liescna  »  (carte   io). 

1575.  30  settembre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  «  Hab- 
biamo  inteso  dalle  vostre  de  28  del  mese  presente  l' importanti  moti  no- 
vamente  seguiti  alli  confini  della  Croatia,  et  le  commissioni  da  voi  per  questa 


—  295  — 

causa  date  alli  fanti  delle  cernede  di  star  ad  ordine  colle  loro  armi  et  pronti 
per  ogni  occasion  ;  onde  siccome  la u damo  la  diligentia  vostra  »,  gli  si  ordina 
di  continuare  a  sorvegliare  «  gli  andamenti  di  quelle  genti  »,  di  darne  conto, 
e  di  attendere  con  ogni  cura  alla  sicurezza  della  città  e  territorio  affidatigli 
(carte  45   tergo). 

1576.  3   marzo.  —  Al  podestà  e   capitano   di    Capodistria.   «  Havemo 

ricevuto  le  lettere  vostre  di  17  del  mese passato  con  la  informa- 

tione  et  atti  fatti  intorno  le  innovationi  et  usurpationi  che  sono  sta  fatte 
lino  a  questo  tempo  da  quelli  di  S.  Servolo  nella  pianura  et  confini  della 
giuridittion  di  Gabrovizza,  villa  di  quel  territorio  a  voi  commesso,  et  inteso 

parimente  il  taglio  fatto  ultimamente  da  loro  nel  bosco  di  essa  villa  ; 

volendo  che  sia  proveduto  di  quel  modo  che  fu  fatto  l'anno  1562»  al 
risarcimento  dei  danni  ;  gli  si  ordina  di  far  «  sequestrar  tutti  li  beni  delli 
predetti  sudditi  di  S.  Servolo  che  sono  nel  territorio  di  quella  nostra  città, 
tenendoli sequestrati  »   fino  a  nuovo  ordine  (carte  S5   tergo). 

1576.  7  aprile.  —  «  Al  Capitatilo  di  Raspo.  Per  risposta  delle  vostre 

lettere  de  22 di  febraro in  proposito    del    pascolo  di 

Vallona  et  delle  novità  fatte  da  quei  di  Viprinaz  sudditi  imperiali,  vi  dicemo 
col  Senato  che  non  volendo  tollerare  che  la  giuridittione  nostra  sia  in  conto 
alcuno  violata  »  che  faccia  por  di  nuovo  ai  confini  del  pascolo  mentovato 
«  alberi  postizi  »  o  vi  faccia  cavare  un  fosso,  oppure  prenda  quell'  altro 
provvedimento  che  stimerà  adatto  onde  «  il  confine  della  nostra  giuridittione 
possa  chiaramente  conoscersi  ».  Ordini  poi  ai  sudditi  da  lui  amministrati 
«  che  usino  ogni  diligentia  possibile  così  nel  custodire  il  confili  posto,  come 
per  aver  nelle  mani  li  auditori  [che  osarono]  delle  sudette  novità  »  i  quali 
saranno  banditi  o  altrimenti  castigati.  Per  togliere  poi  ogni  ulterior  motivo 
di  contese,  ponga  all'  asta  il  pascolo  (carte  96). 

Senato  Secreti,  voi  LXXXI. 

1578.   to  luglio.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  «Le  novità 

che fanno  da  certo  tempo  in  qua  li  triestini con  fabricar 

di  muraglia  et  terreno  sopra  la  nostra  giuridittione,  stringendo  anco  la  bocca 
del  fiume  Rosanda  per  construir  nove  saline  ci  hanno  dato  veramente  quel 
dispiacere  che  ricerca  una  così  ingiusta  et  ardita  innouatione,  la  qual  non 

volendo  noi  tollerare havendo  vedute  le informationi 

mandate  con  lettere  vostre  de  29  del  passato col  di- 
segno   Vi  commettemo  efficacemente  che  transferitovi  cautamente 


—  296  — 

a  Muggia,  et  intendendovi  bene  con  quel  podestà  nostro  »  facciano  che  gli 
abitanti  di  quella  terra,  che  s'  erano  all'  uopo  già  offerti,  con  altri  sudditi, 
se  ve  ne  sarà  bisogno,   «  rovinino  et  distruggalo  quanto  più  si  possa  dette 

muraglie  o  arzere  fatto  da  novo procurando  di  redur  li  lochi 

innovati nel  stato  che  erano  prima  (carte  119  tergo). 

Allo  stesso.  Se  non  bastassero  gli  uomini  di  Muggia  per  l'esecuzione 
di  quanto  è  detto  nella  precedente,  si  valga  dell'  aiuto  del  Capitano  della 
guardia  contro  Uscocchi  [al  quale  si  scrive  in  proposito];  ma  solo  in  caso 
di  vera  necessità  (carte   120). 

Al  capitano  della  guardia  contro  Uscocchi.  Gli  si  partecipano  le  novità 
fatte  dai  triestini  nella  Valle  di  Muggia;  gli  si  ordina  di  trasferirsi  tosto 
«  con  la  vostra  conserva  nelle  acque  di  Capo  d' Istria,  debbiate  abboccarvi 
con  quel  Pod.  e  Cap.  nostro  et  etiam  col  Podestà  nostro  di  Muggia  »  per 
combinare  con  essi  secretamente  il  modo  di  distruggere  le  opere  dei  trie- 
stini, unendosi  alle  genti  fornite  da  quei  due  rettori,  ed  agendo  colla  massima 
secretezza  e  celerità  d'accordo  con  essi  (carte  120  tergo). 

1578.  16  luglio.  —  Fatto  venire  in  Collegio  l'ambasciatore  dell'im- 
peratore, gli  si  esprimano  forti  lagnanze  contro  i  triestini,  «  i  quali  non  solo 
per  la  continua  violentia  che  fanno  all'  acque  della  Rosanda  apportano  in- 
finito danno  a'  nostri   sudditi,    che  spesso  restano   inondati ,  et 

usurpano  anco  con  questo  mezzo  la  nostra  indubitata  giuridittione,  ma  fanno 

ogni  dì  maggior  pregiudicio con   fabricar  in  essa  nuove  saline, 

et  altre  fondar  nel  proprio  mar  nostro  ».  Gli  si  dica  ritenere  il  Senato  che 
ciò  sia  contro  la  volontà  dell'arciduca  Carlo  ;  sperare  ch'esso  ambasciatore 
vorrà  mantenere  quanto  promise  ieri,  di  far  che  i  triestini  desistano  dalle 
offese  alla  giurisdizione  di  Venezia,  recandosi  egli  personalmente  colà.  In- 
tanto si  ordinerà  ai  sudditi  che  non  si  movano  per  reagire,  il  che  non  si 
potrebbe  impedire  se  le  offese  continuassero.  —  Non  preso  (carte   124). 

La  sopradetta  deliberazione  è  riformata  facendosi  i  lagni  contro  i  trie- 
stini, ed  esponendosi  la  speranza  che  l'arciduca  Carlo  non  permetterà  clic 
siano  turbati  i  diritti  di  Venezia  e  dei  suoi  sudditi;  che  i  triestini  «  effet- 
tualmente si  astengano  dalla  fabrica,  e  che  non  mettano  in  uso  quelle  saline 
che  sono  sta  nuovamente  fatte»  (carte   126). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Avendo  esso  scritto  il  14  di  non 
aver  potuto  «  dar  esecutione  col  potestà  nostro  di  Muggia  alla  destruttione 
delle  Saline  »  fatte  dai  triestini,  fu  spedito  ordine  al  capitano  in  golfo,  che 
si  trova  a  Rovigno,  di  unirsi  ai  due  rettori  per  mandare  ad  effetto  l' im- 
presa. Avendo  poi  l'ambasciatore  dell'  imperatore  pregato  «  che  si  sopraseda 
ad  ogni  esecutione,  promettendone  che  farà  sopraseder  alle  novità  tutte  de 


—  297  — 

Triestini  »,  si  ingiunge  al  podestà  e  capitano  di  sospendere  ogni  esecuzione. 
Ciò  comunichi  pure  al  capitano  in  golfo  (carte   125). 

Si  scrive  in  conformità  al  capitano  in  golfo  (carte   125   tergo). 

Al  podestà  di  Muggia.  Informi  «  se  sia  sta  innovato  cosa  alcuna  di 
più  di  quello  che  ne  faceste  veder  per  il  dissegno  delle  nuove  fabriche  di 
saline    che  fanno  Triestini    nella  valle  di  quella  terra  nostra,  et  se  da  ino' 

innanzi   che  il  M.co  Amb.r  di  S.  M.  Ces ne  ha   promesso  di  iar 

sopraseder  a  tutte  dette  fabriche,  si  continuerà  l'opera»   (carte  126  tergo). 

1578.  12  settembre.  —  Chiamato  in  Collegio  l'ambasciatore  dell'im- 
peratore gli  si  fanno  far  molte  lagnanze  per  danni  dati  dai  sudditi  imperiali 
ai  veneti,  e  fra  altri.  «  Nuovamente  intendemo  anco  che  quei  del  Castel  di 
Pistiio  riavendo  vivificata  a  dì  passati  certa  difficoltà  promossa  da  loro  fra 
il  lor  confine  et  quello  del  Castel  nostro  di  S.  Lorenzo  in  Istria,  sono  andati 
di  notte  et  furtivamente  hanno  tagliate  et  asportate  diverse  biave  de  i  proprii 
terreni  de  nostri  sudditi  situati  in  nostra  propria  ghindimene.  Nel  ter- 
ritorio nostro  di  Muggia  sa  V.  S.  istessa  quello  che  i  giorni  passati  si  è 
fatto  et  tuttavia  si  fa  con  gran  danno  de  nostri  sudditi  ».  Lo  si  incarica  di 
riferirne  all'  imperatore  e  di  insistere  per  la  cessazione  degli  inconvenienti 
(carte    140). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXXII. 

1579.  25  giugno.  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  «  Dalle 
lettere  vostre  de  9  et  13,  da  quelle  del  podestà  di  Muggia  de  12  del  pre- 
sente, et  dalla  relatione  lattaci  dal  fedel Antonio  Sereni  eapitanio 

di  Schiavi havemo    inteso  che  quelli  di  Trieste,   non  ostante  la 

promessa  fatta dall' Amb.'  Ces."  et  l'ordine  dato  loro  da  S!  Ma- 

gnificcncia di  levar  mano,  come  fecero,  dall'  opera  all'  hora  in- 
cominciata nelle  saline continuano   nondimeno    nelP  usurpatione 

suddetta  ».  Non  potendosi  ciò  tollerare,  si  è  commesso  a  Bartolomeo  Zen 
sopracomito,  «  che  qui  si  trova,  che  con  la  sua  galea,  tolto  sopra  di  essa 
il  sudetto    eapitanio  de  Schiavi,    se  ne  venga    immediate  a  voi  con  queste 

lettere  nostre  con  le  quali vi  commettemo  in  conformità  di  quello  » 

che  gli  fu  commesso  il  io  luglio  1578,  che  si  rechi  secretamente  presso 
la  foce  del  torrente  Rosanda,  e  distrugga  tutte  le  opere  fatte  dai  triestini, 
servendosi  della  detta  galea  per  l' esecuzione,  avendo  il  Zen  e  il  Sereni 
ordine  di  obbedirgli.  Agisca  prontamente  e  celermente;  non  potendo  recarsi 
egli  in  persona  sui  luoghi,   affidi  la  condotta  dell'impresa  al  Sereni  ;  non 


„       -  298  - 

adoperi  in  essa  che  gli  uomini  della  galea  e  uomini  e  barche  di  Capodistria 
(carte  29). 

1 579-  30  giugno.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Si  espone 
la  storia  delle  saline  che  i  triestini  si  posero  a  fabbricare  su  suolo  veneto 
alla  bocca  del  torrente  Rosanda,  della  inutilità  delle  pratiche  per  farla  ces- 
sare ;  dell'ordine  dato  nel  precedente.  Essendo  stato  eseguito  l'ordine  stesso, 
in  caso  che  l'arciduca  Carlo  ne  portasse  lagni  all'imperatore,  gli  si  ingiunge 
di  giustificare  il  fatto  reso  necessario  dalla  protervia  dei  danneggiami 
(carte  30). 

1579.  26  settembre.  —  «  Commission  del  Nob.  homo  ser  Z.  Battista 
Calbo  Proveditor  nell'  Istria.  —  Non  volendo  noi  mancare,  per  il  beneficio 
che  ne  può  seguire  a  questa  città  nostra  dalla  coltivatione  del  particolar 
territorio  di  Puola,  nonché  dell'  Istria,  di  far  ogni  sorte  di  esperientia  per 
far  riuscir  una  così  fruttuosa  et  importante  opera  ;  massime  che  per  l'offerta 
fatta  da  molti  fidel."1'  nostri  cyprioti  et  napolitani  di  andar  ad  habitarvi,  et 
condur  seco  buon  numero  de  lavoratori  per  coltivar  quei  terreni,  si  venirà 
a  coadiuvar  grandemente  la  detta  opera,  et  si  darà  a  loro  che  sono  privi 
del  naturai  nido,  occasione  di  procurar  in  quella  parte  il  vivere  alle  sue 
povere  famiglie,  Et  havendo  stimato  noi  che  l'assistentia  di  un  Proveditor 
nostro  nella  detta  provincia  dell'  Istria,  prudente  et  intelligente,  con  quel- 
1'  autorità  che  si  convenga  per  ben  incaminar  il  detto  negocio,  possa  ap- 
portar et  quel  frutto  et  servitio  che  si  ricerca  ;  Conosciuta  da  noi  per  lunga 
prova  delle  attioni  tue,  passate  in  tanti  Regimenti  et  carichi,  la  molta  virtù 
et  esperientia  di  te,  diletto  nob.  nostro  Z.  Battista  Calbo,  havemo  fatta 
elettione  della  persona  tua  per  detto  Proveditor  nostro  dell'  Istria,  sicuri 
che  conoscendo  tu  per  tua  prudentia  quanto  che  importi  questa  nova  ma- 
teria a  te  commessa,  metterai  tutti  li  tuoi  spiriti  per  farla  ben  riuscire,  si 
che  possiamo  restar  di  te  satisfatti  di  quel  modo  che  siamo  restati  sempre 
per  il  passato  delle  altre  tue  operationi. 

»  Et  perchè  nella  parte  della  elettione  tua  ti  è  aggiorno  carico  di  far 
custodir  tutti  li  boschi  che  sono  in  quelli  territorii  dell'  Istria  perchè  non 
siano  damnificati  dal  fuogo,  dal  pascolo  d'animali,  et  dal  taglio  incompe- 
tente :  In  questa  parte  non  ti  diremo  altro  che  ti  damo  copia  della  com- 
missione che  dessimo  al  diletto  nob.  nostro  Girolamo  Surian,  che  è  stato 
1'  ultimo  Proveditor  sopra  le  legne  da  noi  fin  qua  mandato  nell'  Istria,  la 
qual  commissione  esequirai  in  tutte  le  sue  parte,  volendo  noi  che  tu  habbi 
;  quella  medesima  autorità  che  ha  havuto  esso  provveditor  Sudano  et  suoi 
precessori  che  è  quella  che  hanno  li  sopra  proveditori  et  proveditori  nostri 
alle  legne,  non  potendo  alcuno  delli  rettori,  ministri  o  rappresentanti  nostri 


—  299  — 

impedirsi  in  questo,  et  intorno  il  pascolare  animali  nelli  luoghi  boni  per 
legne,  ma  riconoscerti  essi  Rettori,  siccome  gli  scrivemo,  per  loro  superiore 
in   tal  materia,  che  ha  da  esser  propria  di  te  solo. 

»  Ma  siccome  in  questo  carico  delle  legne,  che  ti  è  dato  per  accessorio, 
volemo  che  operi  et  che  babbi  l'autorità  che  predicemo,  cosi  nel  principili, 
che  è  quello  per  il  quale  specialmente  ti  mandatilo  in  materia  della  colti- 
vatone delli  luoghi  d' Istria,  edam  del  particolar  territorio  et  rehabitation 
di  Puola  ;  Volemo  che,  oltre  l'autorità  tua  di  terminar  et  diffinir  tutte  le 
difficoltà  dependenti  da  beni  inculti,  habbi  ad  essere,  come  é  stato  deliberato 
per  li  capitoli  della  tua  elettione,  giudice  inappellabile  nelle  cause  et  difficultà 
civili  che  potessero  nascere  fra  li  medesimi  novi  habitatori  et  con  quelli 
ancora  del  paese,  dove  si  tratti  dell'interesse  de  terreni  et  della  rihabitation 
di  Puola,  perché  restino  del  tutto  levate  tal  sorte  de  difficoltà,  come  quelle 
che  fino  a  quest'  hora  sono  state  causa  de  disturbar  quelli  che  per  il  passato 
hanno  voluto  intromettersi  ad  habitar  et  a  coltivar  li  predetti  luoghi. 

»  Nelle  cose  criminali  veramente  volemo  che  habbi  l' istessa  autorità 
che  hanno  li  rettori  nostri  dell'  Istria,  nelle  persone  però  che  ivi  si  ritro- 
veranno per  conto  di  detta  coltivatione  et  rehabitatione  de  Puola,  et  etiam 
in  quelli  del  paese  che  offendessero  detti  nuovi  habitatori,  overo  che  da 
quelli  fussero  offesi  nelli  luoghi  però  della  coltivatione  et  cose  dependenti 
da  quella  col  beneficio  solito  delle  appellationi,  et  scriveremo  anco  a  detti 
Rettori  che  non  debbano  in  alcun  modo  impedirsi  nel  predetto  carico  che 
ha  da  esser  proprio  tuo,  ma  debbano  prestarti  ogni  debito  aiuto  et  favore, 
potendoti  tu  servire  de  loro  officiali,  pregione  et  altro  per  far  far  le  ne- 
cessarie esecutioni. 

»  Et  perché  per  esse  esecutioni  che  ti  occoreranno  di  far  fare  possi 
haver  commodità  di  quei  ministri  che  sono  necessarii,  ti  damo  libertà  di 
tenir  doi  capitanei  con  ducati  sei  al  mese  per  uno,  con  cinque  nomini  sotto 
di  loro  con  ducati  tre  per  uno  al  mese,  de  quali  tu  ti  servirai  di  quel  modo 
che  miglior  a  te  parerà,  così  per  far  esequir  li  ordini  tui  nella  materia  della 
coltivatione  et  rehabitation  di  Puola,  come  per  il  carico  delle  legne  che  ti 
è  stato  annesso. 

»  Non  si  estenderemo  a  narrarti  più  particolarmente  quale  habbia  ad 
esser  l' officio  tuo,  perché  dalla  parte  et  capitoli  presi  nel  Senato  nostro  a 
XX  di  Decembre  passato,  di  che  tutto  ti  habbiamo  fatto  dar  copia,  acciochè 
li  babbi  ad  eseguir  puntualmente,  potrai  veder  1'  autorità  tua  di  dispensar 
et  conferir  li  terreni  inculti  di  essi  luoghi  d' Istria  alli  cyprioti,  facendo  che 
essi  principalmente  siano  accomodati,  et  così  ad  altri  che  ne  ricercassero, 
et  come  sei  tenuto  di  esequir  :  et  far  esequir  le  deliberationi,  et  specialmente 


—  3°°  — 

quella  di  9  zugno  et  29  dicembre  1570,  nelli  sudetti  cyprioti,  napolitani 
et  malvasioti,  et  in  tutti  quelli  ancora  che  per  l'avvenir  si  intrometteranno 
a  coltivar  quel  territorio  ;  et  similmente  le  deliberationi  fatte  per  questo 
Consiglio  del  1556.  io  ottobre,  1560.  14  agosto,  et  1562  XI  marzo  par- 
ticolarmente disponenti  che  tutti  li  luoghi  et  terreni  inculti  del  territorio 
Polesano  siano  coltivate. 

).  Dovendo  tu  appresso  mandar  ad  esecutione  le  deliberationi  in  materia 
de  beni  usurpati,  et  specialmente  quelle  di  9  zugno  et  29  dicembre  1570. 

»  Particolarmente  appresso  ti  commettemo  che  debbi  ritrattare  tutte  le 
innovationi  che  intendesti  fraudolentemente  esser  state  fatte  da  qualsivoglia 
a  pregiudicio  de  predetti  novi  habitatori,  cyprioti  o  altri. 

»  Ti  habbiamo  assignato  per  tutte  tue  spese  di  danari  della  Signoria 
nostra  ducati  cento  al  mese  da  L.  6,  s.  4  per  ducato,  siccome  hanno  havuto 
li  altri  Proveditori  nostri  stati  in  quella  Provincia,  de  quali  non  sei  tenuto 
render  conto  alcuno,  et  sei  obligato  di  tenir  del  continuo  sei  cavalli  per 
poter  transferirti  in  tutti  quei  luoghi  d' Istria.  Et  ti  habbiamo  fatto  dar 
ducati  400,  che  è  il  salario  di  mesi  quattro,  li  quali  cominciaranno  dal 
giorno  della  tua  partita,  et  ducati  cento  per  comprar  cavalli.  Al  Secretarlo 
tuo  in  dono  ducati  cento  da  poter  ponersi  ad  ordine,  et  ducati  cinque  al 
mese  giusta  la  parte  predetta  de  20  dicembre  passato.  Ti  habbiamo  parimenti 
fatto  dare  ducati  48  per  il  salario  de  mesi  quattro  per  li  dui  capitatici  che 
haverai  teco,  et  ducati  60  pur  per  il  salario  delli  cinque  homeni  che  have- 
rantio  a  servire  sotto  di  loro  »   (carte  58). 

1 579.  19  dicembre.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Si  tanno 
lagni  contro  i  sudditi  dell'arciduca  Carlo  e  gli  ufficiali  di  lui  per  sequestri 
a  danno  de  sudditi  veneti  ed  altre  infrazioni  ai  diritti  della  Republica 
(carte  79  tergo). 

Al  capitano  di  Raspo.  Si  approva  quanto  ha  «  operato  et  scritto  in 
risposta  al  luogotenente  di  Lupoglavo  in  proposito  delli  animali  grossi  vio- 
lentemente da  sudditi  suoi  pigliati  a  quelli  di  Rozzo  nella  nostra  giuridit- 
tione  ».  In  risposta  poi  a  sue  lettere  30  novembre  gli  si  dice  :  «  come  per 
voi  stesso  havete  promesso  che  si  ristori  il  danno  da  i  medesimi  sudditi 
nostri  che  1'  hanno  patito,  et  havete  per  conservatione  della  giuridittione 
proclamati  i  dannatori,  debbiate  anco  come  da  voi  devenir  all'  espeditione 
del  processo,  et  metter  in  bando  quelli  che  vi  pareranno  »  (carte  80  tergo). 

Al  podestà  di  S.  Lorenzo.  È  dispiaciuto  al  Senato  ch'egli,  a  richiesta 
del  capitano  di  Pisino,  si  sia  arbitrariamente  recato  «  sul  luogo  contentioso 
nei  confini  »  fra  la  giurisdizione  veneta  e  pisinese  «  donde  ne  sia  anco 
succeduto  contra  '1  nostro  giudice  parole  inconvenienti  et  di  poca  dignità 


—  301   — 

di  voi  rappresentante  nostro  ».  Gli  si  intima  perciò  che  «  occorrendovi  nel- 
1'  avvenire  di  esser  ricercato  in  alcun  conto  da  ministri  et  rappresentanti 
arciducali»,  ne  riferisca  alla  Signorìa  ed  aspetti  gli  ordini,  non  facendo  però 
trasparire  agli  altri  tal  pratica  (carte  80  tergo). 

1579  m.  v.  6  febbrajo.  —  Al  gentiluomo  inviato  dall'arciduca  Carlo 
il  Collegio   risponda  :  «  Se  è  sempre   stato    grande  il  desiderio    del  Ser.'"" 

Arciduca di  veder  sopite  le  differentie   vertenti  tra  sua  Alt.a  et 

la  Republica  nostra  »,  non  minore  è  quello  della  Signoria,  la  quale  accon- 
senti già  sotto  il  defunto  imperatore  di  mandar  procuratori  alla  corte  cesarea 
«  per  tentar  et  concluder  accordo  sopra  tutte  esse  differentie  col  mezo  del- 
Pamicabile  interpositione  della  M.tó  sua  ».  Ne  poi  fu  lasciata  cadere  la  ne- 
goziazione, che  anche  recentemente  si  sollecitò  l'ambasciatore  veneto  presso 
la  detta  corte  onde  non  «più  si  differisca  a  sentir  il  frutto  dell'ottima  et 
reciproca  voi  unti  ».  Si  ringrazia  perciò  l'arciduca  delle  sue  ottime  disposi- 
zioni, e  lo  si  eccita  a  procurare  «  medesimamente  appresso  sua  Ces.a  M.a 
l'espeditione  di  questi  negotii  ».  Circa  poi  «  li  capi  particolari  del  suo  me- 
moriale 0,  fra  altro  dice  :  «  Le  saline  che  da  sudditi  nostri  non  furono 
comportate  per  li  notabilissimi  danni  che  loro  provenivano  dalla  violentia 
delle  acque  del  fiume  Rosanda,  sono  cosi  certamente  situate  nella  giuridit- 
tione  nostra,  che  non  vi  può  cader  dubbio  nessuno.  A  richiesta  dell'amb/0 

di  Sua  Ces.a  M.'-1  contenessemo    in  ufficio  li  Muggiesi per  la 

promessa  che  egli  ne  fece  »  che  si  sarebbe  desistito  da  quei  lavori  ;  ma 
vedendo  i  sudditi  veneti  che  tal  promessa  non  si  manteneva,  risolsero  di 
proteggere  i  propri  diritti,  del  che  l'arciduca  non  può  lagnarsi  (carte  90  tergo). 

1579  m.  v.  19  febbrajo.         «  Essendo  stato  esposto  alla  Signoria  nostra 

dall'  Eccellente  D.  Pietro  Vergerlo  Favonio  Ambassador  della 

communita  nostra  di  Capo  d'Istria,  il  mal  stato  nel  quale  si  trova  quella 
città  per  lo  atterramento  della  palude  dalla  quale  è  circondata,  causato  in 
gran  parte  da  dui  fiumi  »,  il  Fiumicino  e  il  Risano  ;  e  avendo  esso  chiesto 
provvedimenti  in  proposito,  offrendo  il  concorso  di  quel  comune.  —  Si 
commette  a  Gio.  Batt.  Calbo  provveditore  in  Istria  e  a  Francesco  Dona 
podestà  e  capitano  di  detta  città  «  che  quanto  prima  debbano  unitamente 
ritrovarsi  sul  luogo,    dove  si    habbia  a  condur    anco  un  proto    intelligente 

dell'officio  nostro  delle  acque,  et  principalmente  certificarsi  se 

per  il  suddetto  atterramento  sia  causata  alteratione  et  deterioramento  del- 
l'aere »  ;  e  studino  i  lavori  da  farsi,  le  spese  occorrenti,  e  quindi  riferiscano 
proponendo  un  piano  particolareggiato  (carte  95). 

1580.  io  giugno.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore  Avendo 
l'arciduca  Carlo  nominato  i  propri  commissari  per  l'appianamento  in  corte 


—  302  ~ 

cesarea  delle  questioni  fra  esso  e  Venezia,  anche  questa  elesse  i  suoi  nelle 
persone  di  Giovanni  Michiel  cav.  e  Leonardo  Dona.  Gli  si  partecipa  ciò 
per  gli  uffici  opportuni  ecc.  (carte   in). 

1580  m.  v.  11  febbrajo.  —  Commissione  a  Marino  Malipiero  ckuo 
Provveditore  in  Istria.  «Essendo  successa  li  mesi  passati  la  morte  del  diletto 
nobile  nostro  Gio.  Batt.  Calbo  già  Proveditor  nell'Istria,  il  quale  con  molta 

prudentia  et  diligentia  havea  principato  et  incaminato  il  negotio 

di  ridur  li  Cyprioti  et  Napoletani,  secondo  l'offerta  loro  ad  habitare  in  quel 
loco  et  coltivar  quelli  terreni  »;  il  Senato  nominò  esso  Malipiero  a  succes- 
sore del  Calbo  onde  condur  a  fine  la  cosa.  Procurerà  perciò  il  provveditore 
«  che  la  detta  habitatione  et  coltivatione  di  quelle  terre  habbia  a  riuscire, 
et  che  quelli  che  già  si  sono  ridotti  ad  habitarle  et  coltivarle  restino  ac- 
commodati,  sì  che  possino  mantenersi 

»  Intendemo  che  in  tutta  la Istria,  et  massime  nelli  lochi  di 

Parenzo  et  Piran  si  attrova  gran  quantità  di  oliveri,  li  quali  non  rendono 
frutto  »;  gli  si  ordina  di  fare  «  una  particolar  descrittione  di  tutta  la  quantità 
delli  predetti  alberi  »  andando,  all'uopo  e  se  sarà  necessario,  personalmente 
sui  luoghi  «  prendendo    anco    informatione  se  non    producono    per   essere 

selvatichi,  o  pure  perchè  non  siano  coltivati come  si  convenirla, 

informandoti  insieme di  quelle  provisioni  che  fusse  necessario   di 

lare  perchè  essi  oliveri  rendessero  frutto  ».  Del  tutto  informerà  la  Signoria, 
aggiungendo  «  quali  ogli  si  facciano  in  tutta  Istria  a  loco  per  loco,  et  dove 
siano  condutti,  et  con  quali  privilegi  ». 

E  prosegue   come  nella   commissione  26  settembre   1579  dalle  parole 

«  Et  perchè  nella  parte »  fino  alle  parole  «  Cyprioti  o  altri  ».  — 

Starà  due  anni  in  carica  e  risiederà  in  Pola  o  Digiuno  (carte  151  tergo). 

1580  m.  v.  11  febbrajo.  —  Ducale  con  cui  si  fa  sapere  a  tutti  i  rettori 
e  rappresentanti  in  Istria,  e  specialmente  al  conte  di  Pola,  che  al  provve- 
ditore Marino  Malipiero  fu  conferita  la  sopraintendenza  «  in  materia  delle 
legne  »;  e  si  ordina  a  tutti  i  suddetti  che  non  abbiano  ad  ingerirsi  in  modo 
alcuno  nelle  cose  riguardanti  i  rami  di  amministrazione  affidati  al  provve- 
ditore stesso  ;  e  di  dargli  anzi  ogni  aiuto,  «  potendo  esso servirsi 

di  prigioni  e  officiali»  dipendenti  da  essi  rettori  (carte  153  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXXIII  (1581-82). 

1582.  16  ottobre.  —  Si  ta  sapere  al  segretario  dell'  imperatore  residente 
in  Venezia,   che   fu  dato   ordine  a  Giovanni   Michiel   cav.  procurator  e  a 


—  303   - 

Giovanni  Gritti,  eletti  procuratori  della  Republica  in  corte  cesarea  per  l'ap- 
pianamento  di  tutte  le  vertenze  fra  Venezia  e  i  vari  membri  della  Casa 
d'Austria,  di  partire  per  la  loro  destinazione  al  principio  di  novembre  (carte 
108  tergo). 

■Senato  Secreti,  voi.  LXXXIV  (1^-84), 

1583.  31  marzo.  —  Al  podestà  di  S.  Lorenzo.  «  Ha  verno  dalle  vostre 
lettere  di  Vili  del  mese  passato  inteso  l' innovatione  che  da  quei  di  Pisino 
era  stata  fatta  con  seminar  et  coltivar  terreni  della  giuridittion  nostra,   se 

ben   al  presente  contentiosi  in  quei  confini,  et  che  havendo  voi a 

ciò  provisto  con  tornar  le  cose  nel  primo  esser quel  Capitatilo 

ha  banditi  quei  fidel.""  nostri  sudditi  diffinitivamente  et  con  taglie  dal  suo 
contado  »  cosa  assai  ingiusta.  Perciò  «  vi  damo  autorità  col  Senato,  et  vi 

commetterne)   che   ancor  voi    debbiate proclamar  et  bandir  »  da 

tutta  l'Istria  i  Pisinesi  «con  la  medesima  taglia  et  conditioni  con  le  quali 

sono  stati   banditi  i  nostri,   esprimendo nel  bando  che  essi  di 

Pisino  sono  stati  i  primi  a  far  la  detta  ingiusta  innovatione  ».  Mandi  il  bando 
al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  che  lo  comunicherà  a  tutti  i  rettori  di 
quella  provincia  per  l'esecuzione  (carte   io). 

1583.  4  giugno  —  Commissione  a  Giacomo  Renier  eletto  provveditore 
in  Istria.  Terminato  da  Marin  Malipiero  il  tempo  del  detto  ufficio,  si  elesse 
il  Renier,  il  quale  procurerà  di  condurre  a  fine  lo  stabilimento  dei  cipriotti 
e  napoletani  nel  territorio  di  Pola  ;  il  resto  dell'atto  è  analogo  a  quello  pel 
Malipiero  (carte  25). 

1583.  7  maggio.  —  Avendo  l'ambasciatore  dell'  imperatore  domandato 
in  nome  dell'arciduca  Carlo  che  sieno  mandati  commissari  per  le  differenze 
fra  Pisino  e  S.  Lorenzo  ;  si  delibera  di  affidare  tale  incarico  a  Gabriele  Emo 
capitano  di  Raspo.  Si  commette  al  podestà  di  S.  Lorenzo  di  intendersi  col 
capitano  di  Pisino  per  la  sospensione  dei  bandi  da  ambe  le  parti,  da  farsi 
contemporaneamente  (carte  49). 

1585.  30  agosto.  —  Al  capitano  di  Raspo.  «  Acciochè  si  vegna  hormai 
a  terminar  le  differentie  de  confini    tra  li  sudditi    nostri  di  S.  Lorenzo  et 

quei  di  Pisino sopra  le  quali  elegessemo  voi  in  commissario  dal 

nostro  canto  alli  VII  maggio  p.°  p.°  »  gli  si  invia  il  sindicalo  [autorizza- 
zione a  trattare]  e  alcune  scritture  concernenti  la  questione  ;  altre,  e  tutte 
le  informazioni  necessarie,  le  riceverà  dal  podestà  di  S.  Lorenzo.  Dia  principio 
alla  negoziazione  col  commissario  arciducale,    dopo  riconosciutine  regolari 


—  3«4  — 

i  poteri,  e  procuri  di  concluderla  col  maggior  possibile  vantaggio  di  Venezia. 
Se  insorgessero  difficolti,  riferisca  (carte  45). 

Sindicato  con  cui  Gabriele  Emo  capitano  di  Raspo  è  autorizzato  a 
trattare  come  sopra  (carte  45). 

1584.  26  maggio.  -  «Essendosi  inteso  dalle  lettere  del  capitanio  Molin 

contro  Uscocchi,   et del  capitanio  Contarmi alla  guardia 

di  Candia l' impedimenti   posti  et  disobedienze  usate  tanto  dalli 

homeni  delle  diverse  isole  et  lochi  dell'  Istria  et  Dalmatia,  quanto  anco 
dalli  proprii  Rettori  nel  dar  delli  nomini  da  spada  per  fornir  le  galee  che 
hanno  da  passar  in  Levante  »  il  che  non  è  da  tollerare;  si  ordina  a  Giacomo 
Renier  provveditore  in  Istria  di  recarsi  in  tutti  i  luoghi  in  cui  si  trovano 
i  recalcitranti,  e  di  formar  processo  contro  di  loro  non  meno  che  contro 
i  rettori  disobbedienti,  e  di  trasmettere  i  processi  all'  Avogaria  di  comun 
(carte  100). 

1584.  7  luglio.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  «  Havemo 
ricevute  le  vostre  lettere  di  due  del  presente  et  insieme  le  scritture  sopra 
la  difficolti  con  quelli  di  S.  Servolo,  et  inteso  il  desiderio  di  quei  sudditi 
nostri  di  veder  terminata  quella  difficoltà  per  rihaver  li  loro  animali,  et 
per  non  correr  risigo  nelli  vini  in  caso  che  si  venissero  a  guastare  ;  per  il 

che essendone  stata  data  intentione  che  sempre  che  sarà  da  voi 

proposto  un  luogo  sopra  la  nostra  giuridittione,  affermando  che  sopra  quello 
siano  stati  levati  li  animali  de  nostri  sudditi,  il  Iusdicente  di  S.  Servolo 
non  ponerà  difficoltà  in  far  la  restituzione,  si  contentamo  che  di  questa 
maniera  possiate  trattare  et  concludere  il  negotio  ».  Si  aggiunge  che  essendo 
stati  tolti  gli  animali  nel  luogo  detto  Criza  della  villa  di  Gabrovizza,  sarà 
da  vedere  se  la  difficoltà  derivi  dal  ritenere  quelli  di  S.  Servolo  che  il  detto 
luogo  non  sia  veneto,  oppure  se  asseriscano  di  aver  pigliati  gli  animali  in 
altro  luogo  di  loro  giurisdizione  (carte   112  tergo). 

1584.  18  agosto.  —  Al  provveditor  in  Istria.  I  rettori  di  Zara,  il  prov- 
veditor  generale  della  cavalleria  in  Dalmazia  ed  esso  in  Istria  scrissero  del 
«desiderio  che  hanno  diversi  sudditi  turcheschi,  ma  christiani,  di  abbandonar 
la  loro  stanza  per  venir  ad  habitar  sotto  il  Dominio  nostro  ;  et  essendone 
piaciuta  questa  risolutione  »,  gli  si  ordina  :  «  che  senza  che  appari  che  noi 
habbiamo  in  ciò  dato  alcun  ordine,  debbiate,  come  quello  che  ha  carico 
della  rchabitatione  di  quella  provincia,  ricever  gratamente  »  i  detti  sudditi 
turchi  «  assonandole  de  quei  terreni  come  a  voi  meglio  parerà  et  facendole 
buona  ciera  »  (carte   125). 

1584.  4  ottobre.  —  Al  podestà  di  Pirano.  L'ambasciator  cesareo  espose 
«  essere  state  trattenute  et  condotte  in  quel  porto  le  barche  di  Zuane  Banizza 


—  3°5  - 

et  Sebasti.™  Furiano  caricate  a  Trieste  di  cuoi  bovini,  tavole  et  ferramenta», 
e  ne  chiese  il  rilascio  ;  gli  si  ordina  perciò  di  mandar  tosto  a  Venezia  le 
barche  stesse  ai  provveditori  sopra  dazi,  pel  procedimento  d'uffìzio,  che  e 
di  competenza  di  questi  ultimi   (carte   142). 

1584.  6  ottobre.  —  Si  fa  leggere  all'ambasciatore  cesareo  per  risposta  : 
Duole  al  Senato  che  il  giusdicente  di  S.  Servolo  controperi  alle  buone 
disposizioni  del  governo  veneto  di  vicinar  bene  coll'arciduca  ;  il  rettore  di 
Capodistria  comunicò  che  quel  giusdicente  non  si  curò  nemmeno  di  rispon- 
dere agli  inviti  ad  un  convegno  per  terminare  la  questione  degli  animali 
tolti  a  Gabrovizza  ;  che  poi  essendosi  il  detto  rettore  portato  in  quel  luogo 

trovò   «che  quelli di  S.  Servolo  riavevano  usurpato  diversi  terreni 

di  nostra  indubitatissima  giuridittione,  et  segavano  sopra  essi,  volendo  con 
tali  indiretti  modi  ampliare  li  loro  confini di  modo  che  1'  eso- 
dinone dell' abruggiar  quel  fieno  segato  è  stata  necessaria  per  non  lasciai 
seguire  atto  pregiudiciale  ;  onde  non  poteino  far  che  non  ci  dogliamo  vi- 
vamente con  V.  S.  del  cattivo  procedere del  detto  jusdicente  et 

di  quelli di  S.  Servolo,  li  quali  oltra  1'  haver  nel  tempo  passato 

in  questi  medesimi  lochi  fatto  levar  li  termini  di  pietra  delli  confini  publici 

quando dovevano   star  quieti  »;   e  però  si  finisce  col 

instare  che  l'ambasciatore  faccia  vivi  uffici  onde  quelli  di  S.  Servolo  siano 
fatti  tornare  al  dovere  (carte  142  tergo). 

1584.  6  ottobre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Lo  si  loda 
per  aver  fatto  abbruciare  il  fieno  tagliato  da  quelli  di  S.  Servolo  nel  ter- 
ritorio veneto  e  cacciare  i  segatori.  L'ambasciatore  cesareo  presentò  memo- 
riale affermando  che  il  luogo  ove  fu  tagliato  il  fieno  è  di  giurisdizione 
arciducale;  ed  essendo  ciò  contrario  a  quanto  scrisse  esso  podestà,  riferisca 
sopra  di  tal  argomento  con  precisione.  «  Et  perchè  siamo  anco  informati 
dall'  Avogador  nostro  Donato,  che  fu  altre  volte  a  quel  Regimento,  che 
D.  Iscppo  Verona  dottor  di  ordine  suo  ha  posto  insieme  tutte  le  scritture, 
lettere  et  ogni  atto  pertinente  alla  giuridittione  nostra  sopra  li  lochi  pre- 
detti »;  gli  si  ordina  di  mandarne  copia  a  Venezia  col  dottore  stesso  perchè 
dia  gli  opportuni  schiarimenti;  come  pure  copia  «d'una  affittatione  di  alcuni 
di  luoghi  de  quali   bora  si  tratta  ;  la  quale  già  arciducali  tolsero  dalli  nostri 

Ma  vedendo  noi  dalle  lettere  vostre  che  da  una  vendita  fatta  alli 

arciducali  essi  hanno  preso  occasione  di  venire  ad  intaccare  il  nostro,  et 
allargarsi  sopra  la  nostra  giuridittione»,  faccia  proclamare  che  nissun  sud- 
dito possa  vendere  cosa  alcuna  a  forestieri  senza  darne  notizia  ai  rettori  di 
Capodistria,  e  il  costoro  permesso,  tenendo  nota  di  tutte  le  vendite  di  tal 


—  306  — 

genere  in  quella  cancelleria.  Veda  poi  se  gli  statuti  di  quella  città  vietino 
simili  vendite,  e  se  sì  li  faccia  osservare  (carte   142  tergo). 

1584.  17  novembre.  —  «Ai  procuratori  in  Corte  Cesarea  ».  Le  barche 
trattenute  a  sudditi  dell'arciduca  Carlo  che  furono  condotte  a  Venezia,  furono 
lasciate  libare  dai  provveditori  sopra  dazi.  L'ambasciator  cesareo  residente 
a  Venezia,  andando  a  Trieste,  si  recherà  per  ordine  del  detto  principe  a 
S.  Servolo,  dal  qual  principe  tiene  facoltà  «di  metter  fine  a  questi  disturbi» 
d'accordo  col  podestà  di  Capodistria.  A  quest'ultimo  si  dà  ordine  in  argo- 
mento con  facoltà  di  definire  la  questione  (carte   159  tergo). 

1584  m.  v.  16  febbrajo.  -  Al  podestà  di  S.  Lorenzo.  In  seguito  ad 
uffici  dell'  ambasciatore  dell'  imperatore,  gli  si  ordina  di  intendersi  col  ca- 
pitano di  Pisino  onde  tanto  dall'  uno  che  dall'  altro  siano  sospesi  per  tre 
mesi  i  bandi  pronunziati  da  ambe  le  parti  contro  i  vicendevoli  sudditi, 
sicché  questi  possano  liberamente  «  conservar  et  praticar  »  gli  uni  cogli 
altri  come  in  passato.  Ciò  si  partecipa  pure  all'  ambasciatore  suddetto,  ag- 
giungendo che  come  prima  l'arciduca  commetterà  a  qualche  suo  commis- 
sario di  cominciare  le  pratiche  d'accordo  sui  luoghi  in  questione,  si  ordinerà 
tosto  al  capitano  di  Raspo  di  unirsi  con  esso  per  terminarle  (carte   181). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXXV  (1585-86). 

1585.  22  giugno.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  «Circa  il 
fatto  di  Mune  tiene  ordine  già  alquanti  mesi  il  Rettor  nostro  di  Raspo  di 
far  restituir  quelle  robe  che  furono  levate  di  ragione  de'  sudditi  del  Ser.mo 
Arciduca  [Carlo]  le  quali  si  trovano  nella   Cancellarla  di  quel  Regimento, 

et  sono  stati  avvertiti quelli  che  passorono  nella  giuridittione  di 

S.  Alt.8;  et  di  tutto  fu  data  notitia  all'Ambassador  Cesareo  presso  di  noi  » 
il  quale  non  rispose.  Si  rinnoveranno  gli  ordini  (carte  42  tergo). 

1585.  17  luglio.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Procuri  di 
avere  i  più  esatti  particolari  sui  «danni  e  violenze  fatte  dalla  galea  Capella 
alle  rive  et  marine  di  Trieste  al  loco  di  Servola,  giuridittione  arciducale». 
Ciò  in  seguito  a  memoriale  presentato  in  argomento  dall'  ambasciatore 
cesareo.  Faccia  le  cose  in  modo  da  non  dar  occasione  «  ad  Arciducali  di 
dolersi  di  turbatione  della  giuridittione  loro»   (carte  51). 

1585.  27  luglio.  —  Chiamato  in  Collegio  l'ambasciator  cesareo  gli  si 
la  dire,  fra  altro,  avere  il  Senato  appreso  con  dispiacere  il  fatto  seguito  a 
Mune,  richiamato  il  processo  relativo  già  formato  dal  precedente  capitano 
di  Raspo  per  provvedere  senza  dilazione  (carte  54). 


—  3»7  — 

1585.  13  settembre.  —  Commissione  a  Nicolò  Salamon  eletto  prov- 
veditore in  Istria,  analoga  alla  già  data  a  Giacomo  Renier,  uscente  di  carica 
per  aver  finito  il  tempo  [v.  n  febbraio  1580  e  4  giugno  1583]  (carte  59). 

1585.  5  ottobre.  —  Al  capitauo  di  Raspo.  Lo  si  loda  per  lo  zelo  che 
adopera  «nel  buon  governo  di  quei  fideliss.'  sudditi  nostri».  Circa  il  «pa- 
lazzo principiato  a  fabricar  dal  vicecapitanio  di  Maneci  »,  di  cui  il  capitano 
scrisse  ai  capi  del  consiglio  di  dieci,  si  stima  prudente  lasciar  passare  la 
cosa  in  silenzio  per  non  suscitare  inutili  questioni  coi  vicini  arciducali,  coi 
quali  procurerà  di  vivere  in  buona  armonia,  vegliando  però  con  di'igenza 
onde  non  sia  fatto  danno  ai  sudditi  e  alla  giurisdizione  di  Venezia.  Si  ri- 
cevettero i  processi  da  lui  spediti  ;  procurerà  di  «  ricuperare  le  robbe  »  e 
ne  farà  fare  la  restituzione  (carte  72). 

1586.  13  luglio.  —  Al  podestà  di  Albona.  Dalle  sue  lettere  20  marzo 
e  24  giugno  s' intesero  «  le  usurpationi  fatte  dal  signor  di  Lupoglavo  et 
della  villa  di  Sumber,  di  diversi  terreni  di  quella  giuridittione  nostra,  et 
che  di  più  havevano  rimossi  li  confini  dell'  Arsa  e  divertite  le  acque  dalli 
soliti  alvei  ;  credemo  che  l'atto  fatto  di  devastar  le  biave  sia  stato  a  proposito 
per  conservatione  delle  ragioni  nostre  et  laudamo  la  diligentia  vostra  ».  Per 
poter  risolvere  ciò  eh'  è  conveniente,  mandi  copia  delle  scritture  di  quella 
cancelleria  che  dimostrano  la  giurisdizione  veneta  sui  luoghi  usurpati  o 
danneggiati  dagli  arciducali.  Si  è  scritto  al  provveditore  in  Istria  in  proposito 
di  quanto  sopra;  s'intenda  con  lui  (carte  144  tergo). 

Al  provveditore  in  Istria.  Comunicatogli  il  tenore  della  precedente,  e 
le  lettere  del  podestà  di  Albona  gli  si  ordina  di  recarsi  in  quella  terra, 
esaminare  come  stiano  le  cose  andando  anche  sui  luoghi  dei  danni,  e  riferirà 
esattamente  (carte  145). 

1586.  29  agosto.  —  Veduti  i  processi  e  i  documenti  mandati  dal  ca- 
pitano di  Raspo  intorno  al  fatto  di  Mune,  si  delibera  di  far  venire  a  Venezia 
Giacomo  Guerci  capitano  dei  «  Cavalli  leggeri  »  di  Raspo,.  «  che  fu  capo  nel 
detto  fatto  di  Mune»  per  esservi  esaminato  da  uno  degli  avogadori  di  commi. 
Questi  potrà  far  venire  anche  altri  partecipi  al  fatto,  e  riferirà  al  Collegio, 
i  savi  del  quale  porteranno  le  loro  proposte  in  Senato  (carte  156  tergo). 

Al  capitano  di  Raspo.  Mandi  tosto  a  Venezia  Giacomo  Guerci.  Faccia 
rintracciare  se  vi  sieno  «altre  robbe  tolte  nel  fatto  di  Mune»  oltre  le  ri- 
cuperate in  addietro,  e  dia  avviso  «  a  quel  Vice  capitanio  che  sono  pronte 
a  esser  date  a  chi  venirà  a  torle  in  suo  nome  »,  aggiungendogli  essere 
stato  procurato  con  ogni  diligenza  di  aver  tutto,  e  dichiarandosi  disposto 
a  proseguire  le  ricerche  quando  esso  vice  capitano  gli  indicasse  ove  se  ne 
trovano  altre  (carte  157). 


—  308  — 

1586.  29  agosto.  —  Il  Collegio  comunicherà  quanto  segue  all'amba- 
sciatore dell'  imperatore  in  risposta  a  memoriale  da  esso  presentato  :  Ricor- 
derà quanto  è  seguito  nella  questione  delle  saline  erette  dai  triestini  nella 
Valle  di  Muggia,  e  se  i  sudditi  veneti  tutelarono  i  propri  diritti,  dopo  le 
reiterate  promesse  dell'ambasciatore  che  si  desisterebbe  dal  turbarli,  non  è 
colpa  dei  sudditi  stessi.  Il  governo  perciò  si  meraviglia  che  ora  l'ambasciatore 
voglia  farne  questione,  come  pure  della  «difficoltà  »  tra  quelli  di  S.  Servolo 
e  Gabrovizza.  Ricorderà  che  fu  incaricato  di  trattar  1'  accomodamento  di 
quest'ultima  con  lui  il  rettore  di  Capodistria  «  il  quale  circa  la  restitutione 
delli  vini  et  animali  convenne  secondo  il  raccordo  suo  [dell'ambasciatore], 
et  quanto  alli  luoghi  controversi  »  per  mero  spirito  di  pace  «  si  contentava 
che  certo  prado  ch'ella  voleva  che  fusse  lasciato  liberamente  a  Marco  Grucel, 
restasse  insieme  con  li  altri  a  comun  servicio  et  uso  delli  sudditi  fino  alla 
decisione  de  Prencipi,  a  lei  non  parve  di  accettar  il  partito  »  proposto  sebbene 
fosse  svantaggioso  per  Venezia.  I  promotori  del  fatto  furono  i  sudditi  ar- 
ciducali ;  si  ordinò  al  rettore  di  Raspo  di  rintracciare  le  cose  lor  tolte  e 
restituirle  al  vicecapitano  di  Mune  ;  ora  si  è  fatto  venire  il  capitano  dei 
cavalleggeri  «per  far  quanto  sarà  conveniente».  Insomma  Venezia  si  mostrò 
sempre  inchinevole  ad  ogni  soddisfazione  delle  pretese  austriache  anche 
con  proprio  pregiudizio  pur  di  vivere  in  buona  armonia  cogli  arciducali 
(carte  158). 


Senato  Secreti,  voi  LXXXVI  (1587-88). 


1587.  31  luglio.  —  Si  fa  comunicare  dal  Collegio  all'ambasciatore 
dell'  imperatore  :  Circa  il  fatto  di  Mune,  in  seguito  a  nuovi  uffici  di  esso 
ambasciatore,  si  è  richiamato  il  capitano  de'  cavalleggeri,  ed  ordinato  agli 
avogadori  di  comun  la  continuazione  del  processo  «  per  far  poi  quanto 
sarà  per  giustitia  conveniente  »  (carte  48). 

1587.  8  agosto.  —  Al  podestà  di  Rovigno.  Si  sono  ricevute  sue  lettere 

dell'  1 1  luglio  che  riferivano  «  il  caso di  quel  giovane  che  nelle 

acque  del  porto  di  Orsera  fu  ferito  da  tre  malfattori,  et  poi  a  terra  in  due 
volte  finito  di  amazzare  ».  Fece  bene  a  mandare  il  carteggio  passato  in  tal 
occasione  fra  esso  e  il  rappresentante  del  vescovo  di  Parenzo,  il  quale  aveva 
^promesso  [e  non  mantenuto]  di  non  pronunziare  sentenza  sul  fatto.  Per 
salvezza  dei  diritti  publici  finisca  il  processo  e  bandisca  i  colpevoli  «  in 
particolare  dal porto  d'Orsera  ».   —   Si  delibera  poi  di  lagnarsi 


—  3°9  - 

col  vescovo  suddetto  del  procedere  del  suo  rappresentante,  invitandolo  a 
non  permettere  che  si  offendano  i  diritti  del  governo  (carte  51  tergo). 

1587.  29  settembre.  —  Si  fa  comunicare  al  segretario  cesareo  residente 
a  Venezia  :  Circa  i  lagni  da  esso  fatti  contro  quelli  di  Albona,  questi  non 
hanno  già  molestato  i  sudditi  dell'arciduca  Carlo,  ma  solo  «con  molta  pa- 

tientia  et  disturbo hanno    cercato   di    conservare  le  antique   sue 

giuridittioni.  Da  un  tempo  in  qua  il  S.or  di  Lupoglava  et  della  villa  Sumber 
ha  fatto    seminare   alcuni  terreni   dell'  Abbatia  di  S.  Piero  et  S.  Sabba,  et 

usurpati diversi  luoghi  di  ragione  di  quelli  di  Albona.  Li  nostri 

1'  anno  passato  et  il  presente hanno  portate  via  le  biave 

seminate  nelli  loro  terreni  ;  et  perchè  li  sudditi  di  Lupoglavo  et  Sumber 
havevano  asportate  di  notte  molte  biave  tagliate  in  questi  luoghi,  ne  levorno 
altre  tante  per  risarcimento  ».  Se  poi  «  sono  stati  proclamati  cinque  della 
villa  di  Sumber,  ciò  è  stato  per  haver  essi  pensatamente  morto  Bastian 
Sfinich  da  Fianona  che  era  andato  a  lavorare  certo  suo  terreno  in  quella 
giuridittione,  che  Sumbresi  [Sumberesi]  cercavano  di  usurpare.  Quanto  alla 

retentione d'alcuni  di  Sanich  sudditi  di  S.  Altezza  et  delle  diffe- 

rentie  che  pretendono  havere  con  quelli  di  Lanisca habbiamo 

dato  ordine  per  essere  informati se  bene  per  li  ordeni  che  tengono 

li  nostri  Rettori  di  ben  vicinare,  si  persuademo  che  non  haveranno  data 
giusta  causa  a  Sudditi  di  S.  A.  di  aggravarsi.  Con  questa  occasione  volemo 
aggiungere  alle  giuste  querele  che  hanno  li  sudditi  nostri  di  Albona  contro 
quelli  di  Lupoglava  et  di  Sumber,  che  hanno  cercato  di  usurparsi  li  luoghi 

della  valle  dell'  Arsa cercando  anco   levare  il  corso  delle  acque, 

et  fabricarne  un  novo  a  danno de  nostri trasportando 

di  più  li  veri  confini  et  cercando  metterli  in  parte  da  loro  pretensa  a  suo 
arbitrio,  procedendo  a  retentioni  et  a  bandi  contra  li  sudditi  nostri.  Vi  di- 
cessimo anco  l' altro  giorno  di  molte  ingiurie  che  quelli  del  contado  di 
Pisino  inferiscono  a  nostri  sudditi  al  presente  vi  replicamo  che  siamo  avisati 

che ultimamente  li  sudditi  arciducali,  adunati  al  numero  di  cento 

et  più  armati  di  arcobusi  et  altre  arme,  favoriti  dal  loro  Iusdicente,  son 
venuti  nella  villa  di  Grimalda,  soggetta  al  Marchesato  di  Pietra  Pelosa,  et 
hanno  portata  via  una  quantità  di  animali  grossi,  tagliati  li  menuti  di  al- 
quanti campi con  danno  et  spavento  de  nostri sudditi, 

minacciando  di  metterli  tutta  la  villa  a  fuoco  ».  Di  tutto  ciò  si  invita  il 
segretario  a  dar  partecipazione  all'  arciduca,  pregandolo  di  metter  rimedio 
agli  inconvenienti  e  di  far  risarcire  i  danni  (carte  66). 

1587.  2  ottobre.  —  All'ambasciatore  dell'imperatore.  Gli  si  comunica 
il  tenore  del  precedente  per  gli  opportuni  uffici  (carte  67). 


—  310  — 

1588.  17  marzo.  — All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  In  relazione 
a  quanto  fu  detto  al  segretario  imperiale  come  sopra,  e  al  desiderio  del 
Senato  di  terminare  ogni  questione  coli'  arciduca  Carlo,  particolarmente 
riguardo  all'Istria,  si  ordinò  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  che  «habbia 
da  trasferirsi  con  il  deputato  di  S.  A.  sopra  li  luoghi   contentiosi,  et  con 

amorevolezza habbino  a  diffinire  le  differentie  de  sudditi  »  giusta 

le  proposte  dell'arciduca.  Affretti  la  nomina  del  commissario  di  quest'ultimo 
e  la  formazione  delle  commissioni  e  istruzioni  relative  (carte  123  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Gli  si  partecipa  che  in  seguito 
a  proposte  fatte  fare  dall'arciduca  Carlo,  esso  podestà  e  capitano  fu  nominato 
commissario  per  terminare,  d'accordo  coli'  incaricato  di  quel  principe,  tutte 
le  questioni  per  confini  ed  altro  fra  i  vicendevoli  sudditi  confinanti.  Procuri 
di  mettersi  a  giorno  di  tutti  i  particolari  delle  medesime.  Alcune,  rimaste 
indecise,  furono  trattate  già  dal  suo  predecessore  Giovanni  Malipiero  col- 
l' ambasciatore  imperiale  Guido  Dorimberg  ;  su  altre  potrà  informarlo  il 
dottor  Giuseppe  Verona  (carte  124). 

1588.  5  maggio.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Date  spie- 
gazioni sulla  forma  dei  sindicati  da  rilasciarsi  ai  commissari  che  avranno 
da  negoziare  l'appianamento  delle  questioni  fra  istriani  e  arciducali  ;  si  di- 
chiara esser  sufficiente  che  a  quelli  «  sia  data  autorità  di  udire  li  aggravi 
delli  uni  et  altri  sudditi  sopra  le  pretese  difficoltà  de  confini  nell'  Istria, 
veder  le  scritture,  con  quel  di  più  che  fusse  necessario  per  terminare  poi 
a  ratificatione  delli  Principi  quelle  differentie  nelle  quali  accordassero  » 
(carte  139). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Si  loda  l' informazione  sulle 
questioni  dei  confini  da  lui  mandata  con  lettera  del  19  marzo,  e  per  l'ordine 
dato  di  raccogliere  le  scritture  relative  esistenti  in  quella  cancelleria  che 
farà  ordinare,  e  quindi  manderà  una  particolareggiata  relazione  su  tutte  le 
controversie  in  materia,  valendosi  dell'  aiuto  del  dottor  Giuseppe  Verona 
(carte  139  tergo). 

1588.  11  giugno.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  «Non  po- 
tressimo  mai  credere  che  li  ministri  arciducali  venissero  a  risolutione  di 
far  represaglia  de  animali  minuti  che  a  questi  tempi  sono  mandati  secondo 
l'ordinario  a  pascolare  sopra  i  monti;  perchè  questo  sarebbe  termine  hostile 

;  che  se  di  ordine  nostro  sono  state  sequestrate  le  entrate  godute 

da  sudditi  loro  nello  stato  nostro,  ciò  è  proceduto  dal  sequestro  preceden- 
temente  fatto  da  essi   sopra  li  beni  de  nostri».   In  ogni   modo   proibisca 
«  1'  andata  di  detti  animali  nella  giuridittione  »  dell'  arciduca  Carlo,  fino  a 
nuove  disposizioni  (carte  150). 


—  3n  - 

1588.  i  settembre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Furono 
emanate  in  vari  tempi  severissime  disposizioni  contro  tutti  quelli  che,  in 
qual  si  voglia  modo  riavessero  intelligenza  «o  participazione  »  cogli  Uscocchi 
«  così  nell' inferir  danni  come  nel  smaltire  le  prede  ».  Essendosi  però  saputo 
che  alcuni  botteghieri  et  mercanti  di  Capo  d' Istria  frequentano  1'  andar  a 
Segna  a  comprar  zambelloti  et  altre  merci  depredate,  quelle  conducendo  a 
Ttrieste,  et  anco  vendendone  in  quella  città  medesima»;  si  ritiene  che  ciò 
avvenga  per  la  severità  che  usano  i  rettori  della  Dalmazia  contro  simili 
manutengoli,  i  quali  ripararono  in  Istria  ove  non  furono  publicate  le  misure 
severe  suddette.  Si  manda  perciò  al  podestà  e  capitano  copia  di  tutte  le 
ordinanze  emanate  in  argomento,  ordinandogli  di  farle  publicare,  ed  eseguire 
quando  fosse  del  caso  (carte   179). 

1588.   io  settembre.  —  Al  suddetto.   Riusci  dispiacente  «  1' aviso  che 

ci  date  con  vostre  lettere  di  5 alli  capi  del  Consiglio  nostro  di 

X  del  scalar  delle  mure  et  palazzo  di  quella  città,  et  del  sforzo  di  quelle 
pregioni  ».  Continui  la  diligente  formazione  del  processo,  e,  scoperti  i  rei 

«  non  dobbiate altrimenti  proclamarli,  ma  darcene  immediate  aviso 

con  la  copia  del processo  secretamente  ».  Il  Senato  poi  prenderà 

i  provvedimenti  necessari.  —  Si  autorizza  poi  il  Collegio  a  trattare,  a  tempo 
opportuno,  col  segretario  imperiale  a  Venezia  per  la  consegna  per  parte 
dell'arciduca  Carlo  dei  rei  che  fossero  riparati  nei  costui  dominii  (carte  183). 

1588.  io  settembre.  —  Risposta  al  segretario  dell'ambasciatore  impe- 
riale a  Venezia.  Si  esprime  soddisfazione  «  della  prontezza  che  ha  mostrato 
il  Ser.mo  Arciduca  Carlo  in  farci  consignare  quel  sacrilego  da  Muggia  rite- 
nuto a  Trieste,  et  ricercato  da  noi  a  S.  Altezza  ».  Per  corrispondere  alla 
«buona  volontà»  di  quel  principe,  si  assente  alla  proposta  «  che  sia  fermata 
capitolatione  tra  la  terra  di  Muggia  con  Trieste  »  per  l'estradizione  dei  rei 
di  casi  atroci.  E  non  solo  ciò,  ma  il  Senato  darà  mano  con  piacere  a  trat- 
tative per  pattuire  tale  estradizione  per  tutti  i  dominii  di  ambi  i  potentati 
(carte  184). 

1588.  io  settembre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Avendo 
esso  dato  avviso  dei  fatti  accennati  nel  seguente,  gli  si  ordina  di  continuare 
con  diligenza  la  procedura,  e  di  parteciparne  i  risultati  inviando  copia  del 
processo  colla  massima  celerità  e  segretezza  (carte  183). 

1588.  17  settembre.  —  Fatto  venire  in  Collegio  l'ambasciatore  cesareo 
gli  si  esponga  :  saprà  «  come  ultimamente  nella  città  nostra  di  Capo 
d' Istria  »  sono  state  scalate  le  mura  da  uomini  armati  «  e  poi  anco  le  mure 
del  Palazzo  di  quel  Rettor  nostro,  rotte  le  publiche  carcere,  amazzato  con 
una  archibuggiata  il  vice  cavalier,  et  condotti  via  due  prigioni.  Dal  processo 


—  312  ~ 

formato ci  consta  che  il  principale  autor di  tanto  delitto 

è  stato  un  nostro  suddito  chiamato  Gio.  Battista    Languidis    Girugico,  ha- 

bitante  in Capo  d' Istria,  del  q.m  Antonio  Languidis  da  Castelfranco 

di  Trivisana,  et  che  egli,  dopo  il  fatto  si  salvò  con  li  compagni  a  Trieste  ». 
Si  prega  però  l' ambasciatore  di  fare  uffici  onde  1'  arciduca  Carlo  faccia 
arrestare  i  rei  e  consegnarli  alla  Republica  (carte  184  tergo). 

1588.  8  ottobre.  —  Si  fa  dire  al  segretario  cesareo,  fra  altro  :  «  Pur 
troppo  intendemo  da  ogni  parte  essere  inquietati  li  sudditi  nostri  »  da  quelli 
dell'arciduca  Carlo  «  con  represaglie  et  turbationi  continue,  et  particolarmente 
siamo  avisati  dal  podestà  et  cap.°  nostro  di  Capo  d'Istria,  che  il  Riter  del 

Pisino  con  150  fanti  in  sua  compagnia,  armati  tutti  di  archibusi 

et  altre  armi,  li  mesi  passati  violentemente  penetrarono  nelli  confini  nostri 
fino  sulle  porte  de  cortivi  della  villa  Grimalda  sottoposta  al  Mar- 
chesato di  Pietra  Pelosa  »  fugando  animali,  tagliando  grani,  e  facendo  altri 
danni  «nelli  quali  continuano  tuttavia».  Scrive  pure  il  podestà  di  S.  Lorenzo 
che  quei  di  Pisino  «  hanno  assalito  li  custodi  della  Finida  »  luogo  veneto, 
tagliando  biade,  ferendo  e  maltrattando  persone.  Si  chiede  al  segretario  di 
scriverne  all'arciduca  onde  faccia  una  volta  por  fine  a  tante  molestie  e 
risarcire  i  danni  (carte  197). 

1588.  3  novembre.  —  Al  provveditore  in  Istria  e  successori.  Gli  si 
trasmette  copia  di  supplica,  mandata  dal  provveditor  generale  della  cavalleria 
in  Dalmazia,  colla  quale  «  alcuni  Murlacchi  sudditi  turcheschi  »  esprimevano 

il  «  desiderio di  partire   dalle  loro  case   fino  al  numero  di  200 

fameglie  et  ridursi  a  vivere  sotto  il  Dominio  nostro  ».  Il  Senato  vede  con 
piacere  la  cosa.  Gli  si  trasmette  copia  della  lettera  18  agosto  1584  ai  suoi 
predecessori,  con  ordine  di  uniformarvisi  «prestando  a  tutti  quelli  Murlacchi 

che  veniranno ogni  aiuto  et  favore,  perchè  colla  col- 

tivatione  di  quei  terreni  inculti  »  possano  vivere.  Lo  si  consiglia,  se  stimerà 
conveniente  di  «  assignarli  alcun  lugo  separato,  dove,  venendo  essi  in  così 

buon  numero potessero  star  uniti  et  far  una  villa  da  per  loro  » 

per  evitare  collisioni  coi  vecchi  abitanti.  Egli  sarà  giudice  inappellabile  delle 
vertenze  che  insorgessero  fra  loro  o  con  altri  ;  il  trovar  pronta  e  buona 
giustizia  ecciterà  anche  altri  a  seguir  l'esempio  dei  primi.  Nei  riguardi  della 
conservazione  dei  boschi,  assegnerà  loro  terreni  lontani  dai  medesimi.  Potrà 
concedere  salvacondotto  a  quelli  dei  morlacchi  immigranti  che  fossero  banditi 
dagli  stati  veneti,  non  però  per  delitti  atroci,  colle  condizioni  che  stimerà 
opportune.  Egli  ha  autorità  sufficiente  per  poter  far  «  perticare  di  novo  li 

terreni   posseduti  dalli  Ciprioti,    per  le  molte  fraude  et  inganni 

seguiti  nell'assignatione  delli  terreni  »  quando  lo  creda  necessario  ;  attenda 


—  313  — 

però,  facendo  la  misurazione,  che  questa  non  «  metta  in  disordine  quanto 
finora  si  è  avanzato  con  tanto  studio  ».  Di  tutto  darà  relazione  minuta. 

Si  delibera  poi  che  quando  Pietro  Belulovich  e  Giovanni  Velanovich 
avranno  provato  di  aver  condotto  nell'  Istria  o  in  altre  isole  venete  circa 
200  famiglie  di  sudditi  turchi  «  siano  per  segno  di  gratitudine  concessi  ad 
essi  ducati  quatro  al  mese  per  cadauno  »  vita  durante  (carte  205  tergo). 

Ai  rettori  di  Zara  e  al  provveditor  generale  della  cavalleria  in  Dalmazia. 
Comunicato  loro  quanto  sopra,  si  ordina  che  procurino  che  i  morlacchi 
passino  in  Istria  a  pochi  per  volta,  onde  i  turchi  non  ne  traggano  motivo 
a  far  questioni  (carte  206  tergo). 

1588.  17  dicembre.  —  Fatto  venire  in  Collegio  il  segretario  cesareo, 
gli  si  fa  dire,  fra  altro  :  È  grata  al  Senato  l' intenzione  dell'arciduca  Carlo 
che  siano  composte  le  «  difficultà  di  Capodistria  »  e  quindi  di  stabilire 
l'epoca  del  convegno  dei  commissari;  dal  medesimo  desiderio  è  pure  animato 
il  governo  veneto  il  quale,  impedito  finora  da  altre  cure,  si  occuperà  fra 
breve  della  forma  da  darsi  al  sindicato.  Circa  l'arresto  di  Nicolò  Covaz  da 
Trieste,  fatto  da  Paolo  Favro  capo  di  barca,  se  le  cose  avvennero  come 
espose  il  segretario,  il  Senato  n'  è  dolente  ;  in  ogni  modo  essendo  gli  inte- 
ressati ricorsi  ai  competenti  magistrati,  avranno  ampia  giustizia  (carte  217). 

1 588.  30  dicembre.  —  AH'  ambasciatore  presso  l' imperatore.  Gli  si 
comunica  il  precedente  ed  il  seguente  con  ordine  di  parlare  in  conformità 
al  sig.  Guido  Dorimberg  (carte  220). 

Fatto  venire  il  segretario  cesareo  in  Collegio,  gli  si  fa  noto  :  Spiace 
che  siano  state  mandate  informazioni  false  all'arciduca  Carlo  circa  l'arresto 
di  «Nicolò  Covaz  Favro»  di  Trieste,  arresto  che  fu  opera  di  «particolari 
persone  »  senza  ingerenza  di  alcun  ufficiale,  le  quali  consegnarono  il  Covaz 
alla  giustizia.  Il  Senato  fece  procedere  in  argomento.  Il  rettore  di  Muggia 
non  ha  ancora  riscritto  circa  gli  ordini  datigli  riguardo  ai  due  prigioni 
fuggiti  da  Trieste.  —  Si  autorizza  il  Collegio  a  far  le  pratiche  «  per  venir 

in  luce  del  modo  con  che Nicolò  Covaz  è  stato  levato  di  Trieste 

et  condotto  in  Capodistria  »  (carte  220  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXXVII  (1588-89). 

1588  m  v.  13  gennajo.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore. 
«  Habbiamo  fatto  vedere  dalli  Eccellenti  Gratian,  Salvadego  et  Verona  la 
minuta  del  sindicato  che  vi  fu  data  dal  S.or  Vido  Dorimberg  sopra  le  con- 
troversie de  confini  in  Istria  ».  Quei  giureconsulti  dichiararono  che  non  si 


—  3»4  — 

poteva  ammettere,  e  ne  contraposero  un'altra  che  si  invia  all'ambasciatore. 

«  Della   persona  di  Nicolò  Covaz  Favro  da  Trieste  ritento non 

habbiamo  fin  hora  potuto  risolvere  alcuna  cosa  »  ;  ciò  si  farà  quanto  prima 
(carte  16). 

Fatto  venire  in  Collegio  il  segretario  cesareo,  gli  si  fa  leggere  :  Il 
modulo  di  sindicato  «  per  le  controversie  de  confini  in  Istria  »  mandato 
dal  sig.  Guido  Dorimberg  non  riguarda  tutte  le  questioni,  ma  quattro  soli 
punti  ;  il  Senato  ne  fece  formare  altro  più  completo  più  esauriente,  che  si 
spera  verrà  accettato  dall'arciduca  Carlo  se  veramente  desidera  una  completa 
e  duratura  concordia.  Quest'  ultimo  suona  : 

«  Cum  varia;  ortas  sint  in  finibus  Istria;  controversiae  inter  subditos 
Sermi  Archiducis  Caroli  et  nostros,  quorum  aliqua;  etiam  si  per  sententias 
et  transactiones  decisa;  fuerint,  adhuc  tamen  super  earum  executione  con- 
troversia inter  subditos  nascitur,  aliqua;  etiam  innovata;  multarum  turba- 
tionum  occasionem  prestare  videantur,  ideo  prò  subditorum  pace  et  quiete, 
et  ut  bona  vicinitas  conservetur,  conventum  est,  quod  hinc  inde  eligantur 
commissarii,  qui  in  rem  praesentem  accedant,  et  auditis  juribus  partium 
iudicata  et  transacta  exequantur,  terminos  prius  affixos  recognoscendo,  non 
affixos  vero  in  prasdictarum  sententiarum  executione  affigendo,  ut  super  his 
nulla  in  posterum  oriatur  difficultas  innovata  vero  et  non  decisa  summarie 
cognoscant,  iudicent,  transigant,  vel  amicabiliter  componant  (carte  16  tergo). 

1588  m.  v.  20  gennajo.  —  Si  dichiara  al  segretario  cesareo  :  La  di- 
sposizione mostrata  dall'arciduca  Carlo  di  dar  soddisfazione  a  Venezia  colla 
consegna  dei  Languidis  prigioni  in  Trieste,  prova  il  suo  desiderio  di  vivere 
amichevolmente  con  essa.  In  corrispondenza  di  ciò  il  Senato,  in  onta  alle 
fondate  ragioni  degli  interessati  contro  Nicolò  Covaz,  ha  deciso  di  lasciarlo 
in  libertà  [sue  colpe  erano  «haver  servito  in  quell'insulto  di  barcaruol,  et 
poi  di  favro  nel  romper  le  serrature  delle  prigion  »].  Ne  sarà  fatta  la  con- 
segna agli  arciducali  quando  questi  consegneranno  i  Languidis  [Perin  et 
Gio.  Batta]  (carte  18). 

Al  podestà  d'Isola.  Faccia  porre  in  libertà  Giusto  Giuliani,  già  arrestato 
a  richiesta  del  giudice  del  maleficio  di  Trieste  (carte  18  tergo). 

Se  il  segretario  cesareo  si  lagnasse  per  la  liberazione  di  Giusto  Giuliani, 
e  ne  chiedesse  la  consegna,  gli  si  risponda  :  A  richiesta  dell'arciduca  Carlo 
il  Senato  ordinò  al  podestà  di  Muggia  «  la  ritentione  di  quelli  dui  li  nomi 
de  quali  voi  [segretario]  dicesti  essere  stati  espressi  ad  esso  podestà»;  il 
segretario  stesso  dichiarò  posteriormente  che  i  medesimi  erano  Michele  da 
Cerniza  e  Odorico  Maganello  ;  «  et  però  haveressimo  creduto  chel  giudice 
di  maleficio  di  Trieste  non  havesse  alterata  la  prima  richiesta  con  dimandare 


—  3i5  — 

persone  delle  quali non  sapevimo  cosa  alcuna 

onde  convenimo  sentir  con  dispiacer  quanto  è  seguito  contra 

Giusto  Giuliani  et  dolersi  che  sii  stata  abusata  la  cortesia  nostra  ».  Si  è 
perciò  ordinata  la  liberazione  del  Giuliani  (carte  18  tergo). 

1588  m.  v.  25  febbrajo.  —  Fatto  venir  l'ambasciatore  cesareo  in  Col- 
legio, gli  si  comunichi  [fra  altro]:  Si  esprime  ad  esso  [Guido  Dorimberg] 
il  dispiacere  per  la  sua  partenza  da  Venezia  ').  Circa  i  negozi  coll'arciduca 
Carlo,  lo  si  ringrazia  per  1'  arresto  dei  Languidis,  al  quale  si  corrispose 
colle  misure  prese  relativamente  al  Covaz,  quantunque  fosse  «  uno  de' 
principali  complici  nel  fatto  di  Capodistria  ».  Si  giustifica  la  liberazione  del 
Giuliani,  ora  impossibile  a  riprendersi  (carte  27). 

1589.  8  aprile.  —  Si  fa  dire  al  segretario  cesareo.  Per  compiacere 
1'  arciduca  Carlo  si  farà  compilare  un  nuovo  sindicato  per  le  «  differenti-; 
dell'  Istria  »  comprendendovi  «  alcuna  particolar  specificatione  di  esse  ». 

Se  ne  di  l'incarico  al  dottor  Erasmo  Graziani  (carte  38  tergo). 

1589.  19  agosto.  —  Al  provveditore  in  Istria.  «  Il  Rev.do  Vescovo  di 
Puola  ha  fatto  con  noi  per  sue  lettere  efficace  ufficio  perchè  essendo  col 
mezzo  della  protettione  vostra  state  impedite  alcune  esecutioni  da  lui  or- 
dinate contra  dui  canonici  di  Dignan,  persone  scandalose  »,  il  governo  lo 
protegga  «  acciò  liberamente  e  senza  impedimento  possa  continuar  la  visita 

della  sua  diocese  ».  Si  ordina  perciò  al  provveditore  di  intendersi 

bene  col  vescovo,  di  «  prestargli  ogni  honesto  et  conveniente  favore,  non 
solo  nel  particolar  suddetto ma  in  ogni  altra  cosa spet- 
tante a  persone  ecclesiastiche  »  (carte  98). 

1589.  19  ottobre.  —  Si  fa  comunicare  dal  Collegio  all'  ambasciatore 
cesareo  Guido  Dorimberg,  fra  altro:  «Circa  li  prigioni  che  si  trovano  qui 

per  il  gravissimo  caso  d' Istria,  et  di  quel  Giuliano,  non  si  mancherà 

di  prender  qualche  conveniente  risolutione  »  che  sarà  poi  comunicata  al 
segretario.  [Il  Dorimberg  era  di  passaggio,  diretto  a  Roma]  (carte  126  tergo). 

1589.  1  dicembre.  —  Si  fa  comunicare  al  segretario  cesareo:  Dopo 
che  l'ambasciatore  Dorimberg  ebbe  chiesta  la  liberazione  dei  due  rei  <  nel 
gravissimo  caso  di  Capodistria  »,  asserendoli  innocenti,  il  Senato  ebbe  precise 
informazioni  che  invece  dal  processo  «  appareno  convinti  ».  In  onta  a  ciò 
essi  saranno  consegnati  alle  autorità  arciducali  se  queste  consegneranno  alle 


')  Era  stato  nominato  ambasciatore  a  Roma. 


-  3i6- 

venete  i  due  Languidis.  Giusto  Giuliani  fu  già  liberato  e  quindi  non  si  può 
far  altro  che  allontanarlo  da  Muggia. 

Si  delibera  di  scrivere  al  podestà  di  Muggia  perchè  ordini  al  Giuliani 
di  partirsi  da  quella  terra  «  et  andar  ad  habitar  dove  più  li  piace,  purché 
sia  lontano  dalli  confini  arciducali  (carte  131). 

1589  m.  v.  3  febbrajo.  —  Sindicato  da  darsi  al  commissario  veneto 
inviato  a  trattare  con  quello  dell'arciduca  Carlo  l'appianamento  delle  vertenze 
pei  confini  dell'  Istria  ;  formato  dal  dottor  Erasmo  Graziani  ;  comunicato  al 
segretario  imperiale  onde  lo  mandi  all'arciduca  e  ne  procuri  da  questo  uno 
corrispondente  (carte  140  e  140  tergo). 


Senato  Secreti,  voi.  LXXXVIII  (1590-91). 


1590.  3  aprile.  —  In  seguito  a  ripetute  istanze  del  segretario  imperiale, 
a  nome  dell'arciduca  Carlo,  si  ordina  al  podestà  di  Umago  di  far  restituire 
al  luogotenente  di  Pisino  «  il  tratto  delli  fermenti  trattenuti  già  dalla  barca 
delli  proveditori  nostri  sopra  dacii  et  condotti  et  venduti  in  quella  terra  a 
beneficio  di  quelli  fidelissimi  ».  Ciò  si  comunica  al  detto  segretario  con 
«  ufficio  perchè  sia  restituito  alli  nostri  di  Humago  quel  restante  di  farina 
che  gli  fu  trattenuta  per  occasione  di  contrabando  che  si  pretendeva  haver 
essi  fatto  »  (carte  io). 

1590.  io  aprile.  —  Al  podestà  di  Muggia.  In  seguito  a  nuove  rimo- 
stranze dei  ministri  dell'arciduca  Carlo,  ordini  di  nuovo  a  Giusto  Giuliani 
di  partire  da  quella  terra  entro  otto  giorni  dall'  intimazione,  sotto  pena  della 
galera  per  due  anni  (carte  1 1). 

1591.  22  luglio.  —  Si  delibera  che  i  consigli  di  vari  luoghi  della 
Dalmazia  e  quello  di  Capodistria  eleggano  un  sopracomito  di  galea  ciascuno 
(carte  131). 

159 1.  14  ottobre.  —  Al  podestà  di  S.  Lorenzo.  Lo  si  encomia  per 
l'oculatezza  sua  circa  le  «  operationi  fatte  da  sudditi  austriaci  a  pregiudicio 
de  nostri,  et  di  quanto  è  stato  operato  dal  canto  di  questi  per  conservation 
della  giuridittione  nostra».  Consenta  però  alla  «  restitutione  della  represaglia 
hinc  inde  fatta  »,  salva  sempre  la  sua  dignità,  facendo  che  le  trattative 
seguano  fra  gli  stessi  interessati.  Se  poi  gli  arciducali  cercassero  di  «  seminar 
nella  giuridittione  nostra,  o  vero  in  altra  maniera  intaccarla  »,  faccia  tosto 
distruggere  [arando]  i  seminati,  provvedimento  migliore  del  prender  gli 
animali  (carte  146  tergo). 


—  317  — 

1 59 x-  5  dicembre.  —  Al  suddetto.  Lo  si  loda  perchè  «  con  la  destrezza» 
pose  fine  alle  contese  «  suscitate  in  quei  confini  per  occasione  delle  repre- 
saglie  »;  lo  si  anima  a  vegliar  sempre  onde  non  sia  pregiudicato  il  territorio 
veneto,  perchè  il  luogotenente  di  Pisino  si  mantenga  nelle  buone  disposizioni 
di  ben  vicinare.  Se  costui  gli  parlerà  di  compor  seco  le  vertenze  esistenti, 
risponda  che  negoziandosi  ora  la  elezione  di  commissari  per  la  trattazione 
di  tutte  le  questioni  cogli  arciducali  relative  all'  Istria,  non  è  opportuno  di 
pensare  alle  particolari,  bastando  che  le  parti  si  astengano  da  ogni  novità 
(carte  156  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  LXXXIX  (1592-9]). 

1592.  3  ottobre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Lo  si  encomia  per  la  dili- 
genza usata  nell'  informare  sui  «  moti  turcheschi  nelle  parti  di  Crovatia  »; 
viste  poi  le  difficoltà  di  mandare  persone  in  detta  provincia,  cessi  pure  di 
farlo  ;  però  continui  a  trasmettere  tutte  le  notizie  che  potrà  avere  (carte 
59  tergo). 

1592.  29  ottobre.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore;  fra  altro: 
«  Circa  il  negotio  del  conseglier  Coraducci  »,  si  scrisse  a  Muggia  per  in- 
formazione, e  si  risolverà  ciò  che  è  di  giustizia  (carte  68). 

1593.  13  marzo.  —  Al  provveditor  generale  contro  Uscocchi,  al  ca- 
pitano in  golfo  e  ad  altri  capi  da  mare.  Ad  istanza  dell'  ambasciator  di 
Spagna,  si  ordina  loro  di  dar  libero  transito  ai  «  vascelli  »  diretti  a  Venezia 
e  carichi  di  legne  destinate  al  detto  ambasciatore,  viaggianti  per  conto  di 
«  Zorzi  da  Berces  habitante  in  Fianona  ».  Le  legne  venivano  da  Fiume 
(carte  87). 

r 593 .  io  luglio.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Si  delega  ad  esso  il  pro- 
cedere contro  alcuni  Morlacchi,  di  fresco  venuti  ad  abitare  in  Istria,  per 
grave  omicidio  commesso  nel  territorio  di  Parenzo.  Si  scrive  poi  al  podestà 
di  Parenzo  in  conformità  (carte   116). 

1593.  13  novembre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Essendosi  l'esercito  turco 
allontanato  dalla  Croazia  e  passato  in  Ungheria,  nell'encomiare  esso  capitano 
per  le  diligenti  informazioni  da  esso  procurate  in  proposito,  gli  si  ordina 
di  non  ispedire  esploratori  in  Ungheria,  ma  di  tenersi  informato  solo  di 
ciò  che  succede  in  Croazia  (carte   144). 

1593  m.  v.  12  febbrajo.  —  Si  delibera  che,  fra  altri,  il  rettore  di 
Capodistria  faccia  far  quanto  prima  1'  elezione  in  quel  consiglio  di  un  so- 
pracomito  di  galea,  che  stia  pronto  ad  ogni  chiamata  «  con  tutte  le  zurmc, 


-  3i8  — 

officiali  et  altre  cose  per  armar  »  il  naviglio  [arsile]  che  sarà  colà  spedito 
(carte  168). 


Senato  Secreti,  voi.  XC  (1594-9$). 


1594.  17  settembre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  «  Essendosi  partite  dal 
paese  Turchesco  alcune  famiglie  di  Morlacchi et  passate  nel  ter- 
ritorio di  Nona,  dicendo  di  voler  viver  sotto  il  dominio  nostro,  habbiamo 
dato  ordine   alli    Rettori  di  Zara  et  Proveditor  general   della  Cavallaria  di 

far  ogni  ufficio  per  indurli  a  passar  nell'Istria».  Se  vengono  in 

quella  provìncia,  disponga  perchè  siano  trattati  bene  e  venga  loro  assegnata 
«  una  contrada  o  villa  dove  possano  star  comodamente  »  (carte  50  tergo). 

Ai  rettori  di  Zara  e  al  provveditore  della  cavalleria  in  Dalmazia.  Per- 
suadano i  Morlacchi  accennati  nella  precedente  a  passare  in  Istria,  nel  ter- 
ritorio di  Pola  ;  quando  riescano,  provvedano  al  loro  trasporto  in  quella 
provincia;  se  poi  i  Morlacchi  non  volessero  andarvi,  procurino  di  tenerli 
il  più  possibile  lontani  dai  confini  turchi  (carte  50  tergo). 

1594.  20  ottobre.  —  Si  fa  comunicare  all'ambasciatore  dell'impera- 
tore :    «  Triestini,    et   parimente   un   Tullio    Calò    Marchiano    habitante   in 

Trieste,   in pregiudicio  della  nostra giuridittione,    hanno 

fabricato  vintiquatro  cavedini  di  saline  sopra  un  fondamento  di  sassi  vivi 
da  loro  posto,  et  spinto  fuori  nel  mare,  che  continua  alcuni  altri  fondamenti 
pur  nel  mare  al  loco  detto  de  Zaule  ».  Simili  costruzioni  furono  fatte  anche 
in  passato  ;  1'  ambasciatore  Dorimberg  aveva  promesso  che  sarebbero  state 
distrutte,  ma  senza  effetto  onde  Venezia  mandò  a  disfarle.  Si  prega  perciò 
1'  ambasciatore  di  procurare  che  i  governatori  di  Trieste  facciano  togliere 
questo  nuovo  motivo  di  lagni  (carte  65). 

1595  18  marzo.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Il  podestà  di  S.  Lorenzo 
scrive  «  dell'  insulto  fatto  da  quelli  del  contado  di  Pisino  et  altri  sudditi 
arciducali  ad  una  casa  de  nostri  sudditi  ».  S'informi  esattamente  della  cosa, 
e  procuri,  seguendo  le  istruzioni  già  date  a'  suoi  predecessori,  «  di  annullare 
li  pregiudicii  che  fussero  stati  inferiti  alla  nostra  giuridittione  »  senza  che 
apparisca  derivar  quest'ordine  dal  governo.  Quando  però  succedesse  qualche 
«  notabil  contrario  »  o  vi  fosse    pericolo  di  «  altri  inconvenienti  »  facendo 

agire  i  soli  interessati,   proclamerà  i  colpevoli  «  dello  insulto con 

espressione delli    nomi,    cognomi  et   patrie   loro    nelli   proclami 

senza  far  mentione  de  titoli  o  carichi  che  havessero  ;  et  contro  li  contumaci, 


—  P9  — 

devenirete  anco  alla  espeditione  ».  In  tutto  vada  d'accordo  col  detto  podestà 
e  con  altri  rettori  che  fosse  del  caso  (carte  ioo). 


Senato  Secreti,  voi.  XCI  (i^ó-i^yy). 


1596.  13  agosto.  —  Si  fa  leggere  al  segretario  cesareo  in  risposta  a 
memoriali  da  lui  presentati.  Circa  «  l'anullatione  del  bando  dato  a  quelli  di 
Pisino,  col  fondamento  che  il  Radotich  havesse  fabricato  sopra  l' indubitata 
giuridittione  di  S.  Alt.a  »  consta  invece  il  contrario,  essendo  «  la  turbatione  » 
stata  fatta  nel  territorio  di  S.  Lorenzo  ;  perciò  non  si  possono  ritirare  i 
provvedimenti  presi  dal  capitano  di  Raspo  (carte  51). 

1596.  4  ottobre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Avendo 
«  quei  di  Puola  »  offesa  la   persona  di  quel   podestà   «  per  causa  di  certa 

estrattion  di  formenti concessa  per  sovvegno di  Rovigno  » 

la  Signoria  spedisce  colà  un  notaio  dell'Avogaria  di  commi  per  formar  pro- 
cesso del  fatto  «  con  la  presenza  et  sopraintendenza  »  d'esso  podestà  e  ca- 
pitano, al  quale  si  commette  di  recarsi  a  Pola  per  tal  bisogna  (carte  67). 

1596.  23  novembre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Avrà  già  avuto  dal 
podestà  di  S.  Lorenzo  notizia  «  della  turbatione  fatta  a  quei  confini  d'ar- 
ciducali ».  Gli  si  ordina  di  dar  quanto  prima  «  particolar   informatione  di 

tutto  il  fatto  et  mandarci   copia   delle   scritture et  se  al  ricever 

delle  presenti  il  cancclliero  di  Pisino  non  havesse  rilasciato  1'  huomo  et  li 
animali,  et  che  non  si  havesse  accomodato  il  negotio  »,  procurerà,  con 
destrezza,  «  di  reintegrarvi  del  spoglio  colla  retention  di  alcun  suddito  ar- 
ciducale et  robbe  sue  »  onde  così  facilitare  la  «  restitutione  delle  cose  in 
pristino».  S'intenderà  bene  col  podestà  predetto  per  l'esecuzione,  la  quale 
sarà  fatta  in  nome  d'  esso  podestà  (carte  79). 

Al  podestà  di  S.  Lorenzo.  Gli  si  trasmette  copia  della  precedente  e  gli 
si  ordina  di  agire  in  conformità  (carte  79  tergo). 

1597.  22  marzo.  —  «Al  proveditor  dell'armata.  Perchè  va  in  maniera 
crescendo  l' ardir  et  insolenza  de  Uscochi,  li  quali  sono  anco  passati  ulti- 
mamente fino  nelli  luoghi  nostri  di  Puola  et  Rovigno,  rubando  a  sudditi 
et  svalleggiando  li  vasselli  nostri  »  ;  gli  si  ordina  di  lasciare  in  levante  sei 
galee,  e  di  venir  nelle  acque  di  Dalmazia  ad  unirsi  alla  squadra  del  gover- 
nator  delle  galee  de'  condannati  per  perseguitare  e  mettere  in  fuga  quei 
ladroni  (carte  97  tergo). 

1597.  25  marzo.  —  Ai  rettori  di  Zara.   Partecipati  gli  ordini  dati  al 


—  320  — 

provveditor  dell'armata,  si  ingiunge  loro  di  corrispondere  alle  sue  richieste 
di  uomini  ed  arnesi  ecc.  (carte  99  tergo). 

1597.  2  aprile.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Divenuti  insopportabili  i  danni 
che  vanno  portando  continuamente  gli  Uscocchi,  il  Senato,  per  provvedervi, 
ha  deliberato  di  eleggere  un  «  provveditor  general  da  mar  in  Colfo  et  in 
quella  provincia  di  terra  »  [Dalmazia],  ed  elesse  esso  capitano.  Si  manda 
la  presente  a  Capodistria  con  «  fregata  »  apposita  ;  e  si  danno  altre  dispo- 
sizioni. Lasci  al  reggimento  di  Raspo,  temporaneamente,  uno  de  suoi  figli, 
ed  egli  assuma  immediatamente  la  carica  (carte  102  tergo). 

Il  Collegio  comunicherà  al  segretario  cesareo  :  In  onta  alle  tante  pro- 
messe fatte  che  sarebbe  provveduto  da  parte  austriaca  a  finirla  cogli  Uscocchi 
essi  continuano  a  molestare,  ed  ultimamente  han  «  depredato  tanti  vasselli 

che  si  trovavano  nel  porto  di  Rovigno  et  usate  in  quella  terra 

intollerabili  violentie onde  sarà  debito  vostro  il  procurar 

la  restitutione  della  robba  tolta  »   (carte  104). 

Ai  rettori  di  Zara  e  provveditor  generale  della  cavalleria  in  Dalmazia. 
Si  partecipa  loro  la  elezione  del  nuovo  provveditor  generale  in  golfo  e  in 
quella  provincia;  in  attesa  che  questi  prenda  le  opportune  disposizioni  contro 
gli  Uscocchi,  si  diede  ordine  al  capitano  in  golfo  e  ad  altri  capi  marittimi 
di  recarsi  nelle  acque  del  Quarnero  ;  comunichino  tal  ordine  a  quelli  che 
si  trovassero  in  Zara  (carte   104). 

Al  capitano  in  golfo.  Accennato  ai  danni  dati  dagli  Uscocchi  in  Istria, 
e  specialmente  nel  porto  di  Rovigno,  senza  che  alcuna  publica  nave  si  sia 
mossa  per  impedirlo,  lo  si  avverte  dell'elezione  di  Almorò  Tiepolo  cav.  a 
provveditor  generale  in  golfo;  intanto  gli  si  dà  ordine  di  recarsi  nelle  acque 
dell'Istria  e  attenderà  a  combattere  gli  Uscocchi  (carte  104  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Gli  si  trasmettono  lettere  pel 
capitano  di  Raspo,  le  quali  trasmetterà  tosto  a  destino  (carte   104  tergo). 

1597.  11  aprile.  —  Commissione  ad  Almorò  Tiepolo  eletto  provveditor 
generale  in  golfo,  Dalmazia,  Istria  ed  Albania  (carte   105  tergo). 

1597.  7  giugno.  —  «Al  podestà  di  S.  Lorenzo.  Dalla  relation  di  quel 

zupan  di  Coridigo  suddito  arciducale,  che  ci  mandaste si  scopre 

l' intentione  che  hanno  quelli  ministri  confinanti  di  rilasciare  il  prigione 
suddito  nostro  »  in  cambio  di  tre  sudditi  austriaci  ritenuti  in  S.  Lorenzo. 
Se  gli  verranno  fatte  nuove  proposte  in  argomento,  accetti  come  da  se  il 
rilascio  dei  prigionieri  da  ambe  le  parti,  il  che  non  pregiudica  diritti  (carte 
,  125  tergo). 

1597.  7  agosto.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Si  loda  per 
le  risposte  date  «  alti  signori  Coraduccio  et  Conte  della  Torre nella 


-    321    — 

materia  de  Uscochi  et  delle  guardie  nostre  alle  marine  di  Trieste  ».  Si  pro- 
segue che  in  caso  di  nuovi  colloquii  in  argomento  dimostri  Venezia  non 
portarsi  mai  ad  agire  se  non  per  ineluttabile  necessità  della  tutela  de'  suoi 
diritti  ;  che  se  all'  arciduca  Ferdinando  rincresce  se  i  suoi  dazi  di  Trieste 
ebbero  a  soffrire  per  la  sospensione  del  commercio,  rincresce  non  meno  a 
Venezia  ch'ebbe  inoltie  a  patir  tanti  danni  e  spese  per  difendersi  (carte  139). 

1597  m.  v.  23  gennaio.  —  Onde  non  lasciar  isfuggire  occasione  per 
«terminare  le  controversie  de  confini  che  vertiscono  già  molti  anni  fra  li 
sudditi  di  S.  Lorenzo,  e  quei  di  Antignano  del  contado  di  Pisino  »  si  de- 
libera di  ordinare  al  podestà  di  S.  Lorenzo  di  scrivere  al  «  Rebat  »  [Rabatta] 
accettare  il  Senato  l'offerta  della  sua  mediazione,  ed  esser  pronto  a  trattare 
quando  esso  Rebat  mostri  di  avere  i  necessari  poteri  (carte  165). 

Senato  Secreti,  voi.  XCII  (1598-99). 

1 598.  6  marzo.  —  Al  provveditor  general  da  mar  in  golfo.  Gli  si 
ordina  di  «  stringere  et  incomodare  la  città  di  Trieste  »  come  fa  per  gli 
altri  luoghi  arciducali  «dove  hanno  nido  e  ricapito»  gli  Uscocchi,  «dando 
in  oltre  ordine  espresso  che  tutte  le  barche  et  vasselli  di  qualonque  sorte 

che  volessero  entrare  et  uscire  delli  luoghi  assediati vengano  gettati 

a  fondo  »  [non  presa]  (carte  1  tergo). 

Si  ordina  ad  suddetto  di  «  assediare  et  incomodare  tutti  li  luoghi  ar- 
ciducali di  marina  »,  come  è  disposto  nella  sua  commissione  (carte  3). 

1598.  13  marzo.  —  Al  capitano  in  golfo.  Nel  recarsi  all'obbedienza 
del  provveditor  general  Bembo,  gli  si  ordina  che  «  debbiate  in  questo  pas- 
saggio per  l' Istria,  trascorrere  le  marine  di  quella  Provintia  et  lasciarvi 
vedere  in  quelli  porti  et  luoghi  per  sicurtà  delli  vasselli  che  vi  si  ritrovano  » 
(carte  5). 

1598  m.  v.  15  gennajo.  —  Al  provveditor  general  in  golfo.  Stante 
le  nuove  violenze  degli  Uscocchi,  gli  si  ordina  di  nuovo  «  d' incomodare 
li  luoghi  arciducali  di  Trieste  et  del  Vinadol  »  e  di  agire  energicamente  e 
con  tutto  il  rigore  contro  i  detti  Uscocchi  (carte  89). 

1598  m.  v.  22  gennajo.  —  Al  capitano  di  Raspo.  «Siamo  avisati  dal 
potestà  di  Albona  che  Uscocchi,  sbarcati  in  terra  alli  19  di  questo  mese  in 
numero  di  600,  havevano  assaltato  la  terra  di  Albona,  et  che  ributati  con 
morte  di  alcuni  di  loro  et  alquanti  de  nostri,  havevano  saccheggiato  il  borgo 
et  quella  parte  di  territorio  che  è  verso  marina,  caricando  sopra  le  barche 
gran  quantità  de  animali  depredati;  che  a  20  poi  il  giorno  seguente  si  erano 


—    322   — 

essi  Uscochi  impadroniti  di  Fianona,  piantandovi  sopra  le  insegne  imperiali, 
con  dubio  che  potessero  tentar  di  nuovo  il  loco  di  Albona,  il  quale  scrive 
esso  podestà  che  non  saria  atto  a  difendersi  ».  Gli  si  ordina,  che  mentre 
si  dispone  per  mandargli  rinforzi,  intesosi  con  tutti  i  rettori  dell'  Istria, 
aduni  il  maggior  numero  di  fanti  e  cavalli  che  potrà,  e  li  mandi  in  soccorso 
di  Albona.  Se  crederà  di  aver  forze  sufficienti,  tenti  di  ricuperare  Fianona. 
E  perchè  possa  rintuzzare  ogni  danno  che  volessero  fare  gli  Uscocchi,  gli 
si  dà  il  supremo  potere  da  esercitarsi  in  assenza  del  provveditor  generale 
Dona.  Si  scrisse  in  proposito  ai  rettori  dell'  Istria.  Si  mandano  4  galee, 
sotto  il  capitano  della  guardia  di  Candia,  per  «  assicurar  le  marine  del- 
l' Istria  »  fino  all'arrivo  colà  del  suddetto  provveditor  generale.  Se  gli  oc- 
correrà valersi  delle  ordinante  assegnerà  loro  il  soldo  di  attività,  soldi  12 
il  giorno  ;  pel  loro  comando  si  invierà  persona  adatta. 

Si  danno  poi  ordini  in  conformità  al  capitano  della  guardia  di  Candia, 
ai  magistrati  all'  arsenale  e  all'  armar  per  gli  apprestamenti  necessari,  e  al 
Collegio  per  l' invio  della  persona  suaccennata  (carte  94). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Si  comunicano  le  disposizioni 
date  di  sopra,  e  gli  si  ordina  di  eseguir  tosto  ogni  ordine  che  il  capitano 
di  Raspo  gli  dasse  per  invio  di  forze,  tenendo  gli  uomini  pronti.  —  Simil- 
mente si  scrive  ai  podestà  di  Dignano  e  S.  Lorenzo  (carte  95). 

Al  podestà  di  Albona.  Si  loda  il  valor  suo  e  «la  fede  di  quei  habitanti 
in  difendere  quel  luogo»  contro  gli  Uscocchi.  Si  comunicano  le  disposizioni 
prese  come  sopra  (carte  95  tergo). 

1598  m.  v.  3  febbrajo.  —  Al  provveditor  general  da  mar  in  golfo. 
«  Ne  è  piaciuto  intendere  dalle  vostre  lettere  de  25  et  26  del  passato  la 
dcputatione  da  voi  fatta  de  alquanti  soldati  alla  custodia  di  Albona  et  Fia- 
nona »  che  sta  bene  siano  difesi,  essendo  «  per  la  vicinità,  li  primi  esposti 
all'invasioni  di  Uscocchi».  Il  capitano  di  Raspo  fu  «costituito  capo  della 
provincia  [dell'  Istria]  in  qualche  subito  accidente  »,  e  solo  nei  casi  in  cui 
esso  provveditor  generale  non  potesse  intervenire,  che  «  nel  resto  presente 
et  absente  che  voi  siate,  volemo  che  la  superiorità  resti  a  voi  ».  Abbia 
«particolar  cura,  non  solo  delle  isole,  ma  di  tuttala  provincia  dell'Istria». 
Quanto  poi  «  all'  incomodare  Trieste,  et  alle  barche  che  volessero  entrarvi 
et  uscirvi,  eseguirete  la  vostra  commissione.  —  Siamo  informati  che  li 
Uscocchi  che  si  sono  trovati  alla  presa  di  Fianona  et  depredatione  del  ter- 
ritorio di  Albona,  hanno  sbarcate  le  prede  fatte  nelli  luoghi  di  Lovrana, 
Moschiniza,  Caston,  et  Volosca  »,  ciò  gli  si  fa  sapere  perchè  possa,  al  caso, 
disporre  per  riaverle  (carte  98  tergo). 

1598  m.  v.   11   febbrajo.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Gli 


—  323  — 

si  manda  copia  delle  lettere  dei  podestà  di  Albona  e  Capodistria,  circa  i 
fatti  degli  Uscocclii,  e  di  tutte  le  deliberazioni  prese,  onde  possa  rispondere 
in  caso  gliene  fosse  parlato  (carte   101   tergo). 

1599.  6  marzo.  —  Si  fa  leggere  in  Collegio  a  Giuseppe  «  Rebate  » 
ambasciatore  dell'arciduca  Ferdinando,  fra  altro:  Si  riteneva  che  fosse  venuto 
a  portar  notizia  di  qualche  energica  risoluzione  contro  gli  Uscocchi  per 
parte  dell'  imperatore  e  dell'arciduca  ;  «  ma  lo  esagerare  hora  che  Lei  fa  il 
castigo  ad  alquanti  Uscocchi  che  si  ridussero  a  Lovrana,  giuridittione  di 
Pisino,  per  divider  la  preda  prima  fatta  nel  stato  nostro,  et  per  precipitarsi 

in  quello et  il  dolersi  di  una  barchetta,  quando  dalla  nostra  parte 

cadono  in  consideratione  terre  murate  combattute  et  prese,  ter- 

ritorii  devastati,  atti  di  somma  hostilità  inferiti  »,  fa  veramente  meraviglia. 
Venezia  usò  tutte  le  vie  per  mostrarsi  amica  dell'arciduca  Ferdinando,  ma 
non  può  tollerare  tante  offese  a'  suoi  diritti  e  a'  suoi  sudditi,  e  deve  prendere 
le  misure  necessarie  a  difendersi  non  solo,  ma  ben  anche  a  punire  gli  offensori. 
Confida  però  che  tanto  quel  principe,  quanto  l' imperatore  vorranno  ante- 
porre P  amicizia  di  lei  «  alli  interessi  d'  Uscocchi  a  ne  permetteranno  più 
oltre  tante  offese  ai  diritti  delle  genti.  Quando  concorreranno  a  ciò  since- 
ramente, essa  sarà  felice  di  potersene  star  tranquilla  (carte  105). 

1599.  20  aprile.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Gli  si  tras- 
mettono munizioni,  che  terrà  a  disposizione  del  capitano  general  da  mar 
in  golfo  e  del  capitano  di  Raspo  (carte   120). 

Al  provveditor  general  da  mar  in  golfo.  Gli  si  partecipa  il  summen- 
tovato  invio  di  due  migliaia  di  polvere,  piombo,  corda.  —  Cosi  pure  al 
capitano  di  Raspo  (carte    120). 

1599  m.  v.  27  genn.'jo.  —  All'ambasciatore  presso  1'  imperatore.  Circa 
la  voce  che  dice  essersi  sparsa  in  corte  di  certo  caso  accaduto  in  Capodistria, 
ha  fatto  bene  a  smentirla.  Non  si  sa  a  che  cosa  essa  s'abbia  ad  attribuire 
(carte  208). 

Senato  Secreti,  voi.  XCIII  (1600). 

1600.  13  aprile.  —  All'ambasciatore  presso  l'arciduca,  a  Graz.  Gli  si 
mandano  copie  di  lettere  relative  a  danni  dati  da  Uscocchi  nell'Istria;  come 
pure  degli  ordini  dati  al  provveditor  general  in  golfo  (carte  17  tergo). 

Crescendo  ognor  più  1'  ardimento  degli  Uscocchi  ed  essendo  urgente 
provvedere  alla  difesa  dell'Istria,  si  delibera  di  eleggere  un  «nobile  nostro 
con  titolo  di   Proveditor  in  Istria,    potendo    esser  tolto  da  cadami    luogo, 

« 


—  3^4  - 

officio  et  carico  »  trattone  il  Collegio.  Partirà  pel  suo  posto  entro  4  giorni, 
e  si  determinano  altri  suoi  obblighi;  ma  non  è  approvato  (carte  17  tergo). 

Al  provveditor  general  da  mar  in  golfo.  Gli  si  comunica  quanto  si 
scrive  al  capitano  di  Raspo  ;  gli  si  ordina  di  mandar  soldati  in  Istria  a  tutela 
dei  luoghi  che  ne  avranno  bisogno;  in  Treviso  stanno  120  fanti  francesi 
che  gli  si  manderanno  a  sua  richiesta  (carte   19  tergo). 

Al  capitano  di  Raspo.  «  Sentimo  con  grandissima  esacerbatione  del- 
l'animo nostro  gli  avisi di  perverse  operationi  di  gente  scelera- 

tissima  commesse  così  nella  villa  d'Abrega  giuridittione  di  Parenzo,  come 
in  altri  luoghi  dell'  Istria  di  svaleggiamenti  alle  case  di  nostri  sudditi,  et 
dentro  i  vasselli  nei  nostri  porti,  con  pessimi  trattamenti  delle  persone,  et 
con  molte  immanissime  atrocità».  Apparendo  ciò  essere  effetto  della  debole 
protezione  dello  Stato,  si  rinnova  al  capitano  l'autorità  già  datagli  su  tutta 
l' Istria  in  assenza  del  provveditor  generale  in  golfo,  e  si  scriverà  a  quei 
rettori  perchè  lo  ubbidiscano.  Faccia  la  rassegna  della  cavalleria  dell'  Istria, 
provvedendo  che  sia  ben  fornita  d'armi  e  d'altro  necessario,  e  che  sia  in 
condizioni  da  «  ritrovarsi  dovunque  lo  ricercassero  le  occasioni  ».  Gli  si 
manda  il  colonnello  Leone  Ramussati,  che  tiene  comando  in  Padova,  qual 
capo  di  tutte  le  milizie  dell'Istria.  «Pietro  Paolo  Bizarino  governator  che 
hora  si  trova  in  Albona  s' intenda  destinato,  et  resti  con  carico  sopra  quelle 
ordinanze  in  luogo  del  Cav/  Carriero  »  che  ha  finito  il  suo  tempo.  Si  as- 
segnano al  Bizzarini  400  ducati  l'anno.  Il  provveditor  generale  gli  manderà 
soldati,  che  saranno  distribuiti  da  esso  capitano  nei  luoghi  opportuni.  Gli 
si  manderanno  altresì  armi  e  munizioni.  Manderà  la  nota  della  distribuzione 
di  queste,  e  delle  speditegli  in  addietro,  nonché  dei  bisogni  che  ancor  ve 
ne  fossero.  Si  confida  nella  sua  abilità  per  evitare  la  rinnovazione  dei  danni 

ai  sudditi.  «Et  perchè  intorno  agli  eccessi  ultimamente  commessi  in 

Istria  sentimo  nominare  un  Cherzainer,  patron  del  Cherzainer,  come  capo, 

et  che  dopo  le  depredationi  si  riducono  in  un suo  luogo 

desideriamo  informationi  »  più  particolareggiate  sui  capi  dei  ladroni  e  sui 
luoghi  ove  riparano. 

Il  Collegio  è  incaricato  dell'esecuzione  di  quanto  gli  spetta  nelle  pre- 
cedenti disposizioni  (carte  20). 

1600.  13  aprile.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  I  rettori 
dell'  Istria   partecipano   danni  dati  a  quei  paesi  a  dai  sudditi  dell'  Arciduca 

Ferdinando  sotto  il  patron  di  Chersainer,   il  quale uscito  con 

'buon  numero  di  gente  scellerata  et  assassina  dalla  giurisdizione  arciducale» 
commise  molti  eccessi  in  terra  e  in  mare.  Perciò  gli  si  comunicano  le  dispo- 
sizioni prese  (carte  21  tergo). 


—  3^5  — 

i6oo.  io  giugno.  —  Al  provvcditor  general  in  golfo.  Gli  si  manda 
copia  della  seguente  con  ordine  di  coadiuvare  il  capitano  di  Raspo  [il  cui 
contado  ebbe  a  soffrire  ultimamente  nuovi  danni  dagli  Uscocchi]  mandan- 
dogli assistenza  di  galee;  assoldi  150  uomini  di  milizia  albanese  e  croata, 
come  quella  che  «  riesce  più  fruttuosa  et  più  atta  d'ogn' altra  nella  perse- 
cutione  di  questi  ladri  »  ;  i  quali  uomini  siano  tenuti  ai  confini  verso  il 
Carso,  o  dove  occorrerà.  E  fino  a  che  s'  abbiano  adunati,  mandi  a  quelle 
frontiere  200  fanti  italiani  «  per  spalleggiare  i  sudditi  »   (carte  37  tergo). 

Al  capitano  di  Raspo  «  e  suo  prossimo  successore  ».  Si  diede  ordine 
per  l' invio  di  200  tanti  italiani,  di  quelli  che  si  trovano  sullo  Scoglio  di 
S.  Andrea,  e  per  1'  arrolamento  di  150  albanesi  e  croati,  come  sopra,  i 
quali  coi  200  uomini  che  sono  in  Albona,  e  la  «  guarda  di  galee  »  che  gli 
manderà  il  provvcditor  generale  in  golfo,  si  spera  saranno  sufficienti  a  pro- 
teggere il  paese.  Il  quale  essendo  povero,  converrà  ch'esso  capitano  provveda 
in  tempo  perchè  le  milizie  non  abbiano  a  mancare  del  necessario.  Per 
ovviare  a  nuove  depredazioni  per  parte  degli  Uscocchi,  pare  al  Senato  che 
sarebbe  bene  «  che  nell'avvenire  i  sudditi  medesimi,  postisi  insieme  procu- 
rassero con  ogni  forza loro,  et  con  la  scorta  de  soldati , 

di  perseguitarli  per  levarli  la  preda  »  permetterà  ai  sudditi  «  come  da  voi, 

senza  mostrar  di  haver  ordine  alcuno di  penetrare  nel  paese  vicino 

per  fare  all'incontro  represaglia  d'animali  overo  d'altra  robba de 

sudditi  alieni,  purché  mostrino  di  farlo  da  se  per  risarcirsi  de'  propri  danni». 
Faccia  insomma  in  modo  che  tali  atti  appaiano  come  necessaria  reazione 
dei  sudditi  offesi  al  momento  del  danno;  e  all'uopo  potrà  farli  spalleggiare 
dalle  milizie.  Gli  si  concede  di  usare  «dei  danari  sopravanzati  nelle  paghe 

alle  ordinanze  per  spender  in  spie,    et  nel  mandar  avisi  agli  altri 

rettori  »  e  per  altre  spese  necessarie.  Se  poi  occorresse  «  qualche  fabrica  di 
consideratione  »  a  diffesa,  riferirà  sulla  spesa  Se  poi  «  quei  poveri  sudditi 
delle  quattro  ville,  ai  quali  sono  stati  levati  ultimamente  gli  animali,  spe- 
rassero» di  poterne  avere  la  restituzione,  presti  loro  il  «possibile  aiuto  et 
conveniente  indirizzo  senza  interessarvi  la  publica  dignità».  Usi  ogni  mezzo 
per  aver  in  mano  il  Chersainer,  oppure  per  «  farlo  levar  di  vita  ».  Gli  si 
manderanno  i  due  bombardieri  da  lui  domandati  (carte  38  tergo). 

1600.  1  luglio.  —  Al  provveditor  general  da  mar  in  golfo.  È  venuto 
avviso  «d'altre  scelcratissime  operationi  di  Zorzi  Chersainer  contra  nostri 

sudditi,  tre  de  quali poco  discosto  da  Albona,  sono  da  lui  et  suoi 

seguaci  a  26  giugno alla  fiera  di  Sumber,  stati  con  ogni  più  barbara 

ferità  crudelmente  trucidati  ».  Perchè  tali  eccessi  non  restino  impuniti,  il 
provveditore,  udito  il  parere  dei  capi  da  guerra  »  e  d'altri  competenti  che 


—  32é  — 

stimerà,  procuri  di  «  trovare  alcun  modo per  aver  esso  Chersainer 

nelle  mani,  overo  perchè  al  tutto  li  sia  levata  la  vita  »,  e  perciò  lo  si  auto- 
rizza a  spendere  ciò  che  crederi  necessario  e  gli  si  danno  ampi  poteri,  vo- 
lendo il  Senato  «  vivo  o  morto  nelle  mani  de  nostri  »  il  Chersainer.  In 
fine  gli  si  raccomanda  di  condur  la  cosa  colla  massima  prudenza  (carte  45). 

1600.  31  luglio.  —  Si  trasmette  al  provveditor  general  da  mar  in  golfo 
una  supplica  di  Matteo  dall'  Oglio  ;  si  insiste  sulle  commissioni  già  date 
contro  il  Chersainer,  e,  non  riuscendo  in  esse,  si  aggiunge  quella  di  «  pro- 
clamarlo, promettendo  a  chi  lo  facesse  cader  vivo  o  morto  nelle  mani  di 
nostri  rappresentanti  taglia  di  ducati  mille,  edam  in  terre  aliene  »,  oltre 
l' impunità  se  fosse  complice,  e  facoltà  di  liberar  un  bandito  ;   di  più  farà 

confiscare  i  beni  del  Chersainer  stesso  «  i  quali siano  obligati  alla 

refatione  dei  danni da  lui inferiti  a  nostri  sudditi 

dovendo  rimanere  il  resto  della  Signoria  nostra,  detratta  la  taglia  »  (carte 
53  tergo). 

Nella  minuta  del  decreto  sta  l' istanza  del  dall'Oglio.  In  essa  si  espone 
che  il  Chersainer  «  oltra  alcuni  altri  crudelmente  amazzò  il  poverino  Fran- 
cesco fratello  di  me  Mattio  dall'Oglio  abitante  in  questa  città  [Albona],  il 
qual  miserabil  cadavero  sbranato  senza  core  et  senza  interiora,  a  pena  ho 
potuto  rihaver  da  quella  barbara   canaglia  per  darli  sepoltura.    Fu  tolto  al 

sudetto mio   fratello  un  bon  groppo  de  ori quali   havea 

per  comprar  animali  da  carar  per  servicio  di  questa  Città».  Pro- 
segue lamentando  i  danni  che  il  Chersainer  continuamente  va  commettendo 
in  Istria,  ove  possiede  beni  ed  ha  persone  fidate  che  lo  spalleggiano.  Termina 
invocando  il  castigo  del  reo  e  de'  suoi  complici,  e  il  risarcimento  dei  danni 
patiti,  mediante  i  beni  di  quello.  Quali  testimoni  cita  :  Gian  Giacomo  di 
Colioni,  Girolamo  de'  Manzoni,  prete  Giovanni  Diminich,  prete  Gasparo 
Diminich,  Melchiorre  Negri,  Giacomo  Battilana  fu  Domenico,  Giacomo 
Battilana  fu  Bort.0,  Nicolò  Brus,  tutti  di  Albona,  ed  altri. 

1600.  31  luglio.  —  «L'aviso  che  si  è  ultimamente  havuto  della  preda 
fatta  da  Uscocchi  neh'  Istria,  nella  parte  del  Carso,  per  non  riavervi  trovata 
minima  resistenza,  et  per  il  tardo  arrivo  delle  militie  »  in  onta  agli  ordini 
dati,  «  fa  conoscer che  '1  rimedio  di  tali  inconvenienti  principal- 
mente consiste  nella  celerità  delle  essecutioni  »  ;  perciò  si  delibera  di  eleggere 
nel  Senato  stesso  un  «  Proveditor  alla  custodia  dei  confini  dell'  Istria  »  cogli 
obblighi  e  diritti  che  si  descrivono  nella  commissione.  Si  delibera  poi  di 
portare  da  ducati  3  a  4  la  paga  dei  cavalleggeri  di  quella  provincia  «  per 
il  tempo che  staranno  attualmente  in  servitio  nelle  presenti  oc- 
correnze ».  Il  provveditor  general  da  mar  in  golfo  manderà  in  Istria  dalla 


—  327  — 

Dalmazia  una  compagnia  di  20  cavalli  e  io  lancie  spezzate,  all'obbedienza 
del  neoeletto  provveditor  ai  confini. 

Eletto  Francesco  Corner  di  Giacomo  Alvise  (carte  54). 

1600.  2  agosto.  —  Commissione  al  suddetto.  «  L' isperienza  che  havemo 

della  prudenza  et  valore  dimostrato  da  te in  altri  carichi 

ci  ha  mossi  ad  eleggerti  Provveditor  nostro  alla  custodia  dei  confini  del- 
l' Istria Ti   commettemo    però che    debbi partir 

senza  dilatione  per  il  tuo  carico,  il  quale  sarà  d' invigilar  da  tutte  1'  hore 
alla  buona  custodia  dei  confini  di  tutta  1'  Istria,  non  dovendo  per  questo 
haver  tu  alcuna  ferma  habitatione,  ma  scorrendo  dove  più  giudicarai  ne- 
cessario per  la  sicurezza  della  Provincia,  visiterai  principalmente  i  luoghi 
et  passi  di  maggior  pericolo,  ponendovi,  accrescendovi,  mutandovi  et  con- 
firmandovi quelle  custodie  che  a  te  pareranno  sufficienti,  et  consolando  quei 
sudditi  nostri  colla  tua  presenza,  li  eccitarai  et  animerai  alla  difesa  delle  cose 
loro,  et  alla  propulsatione  delle  ingiurie  o  danni,  che  da  chi  si  voglia  se 
li  volessero  inferire».  Per  eseguir  poi  meglio  il  tuo  dovere  «subito  giunto 
nell'  Istria  procurerai  di  aver  informatione  di  tutte  le  cose  pertinenti  alla 
sicurezza  et  difesa  di  essa,  essercitando  quella  superiorità  che  ti  è  data  da 
Noi  sopra  i  Capi  da  guerra  che  si  trovano  o  troveranno  nella  Provincia, 
pigliando  il  loro  consiglio  nelle  fattioni  che  occorressero,  et  risolvendo  tu 
poi  quello  che  stimerai  di  publico  servitio,  et  medesimamente  valendoti  di 
soldati,  così  da  piedi  come  da  cavallo  tanto  delli  leggieri  della  Provincia, 
con  partecipatione  del  Capitanio  di  Raspo,  quanto  dei  soldati  dell'ordinanze, 
participando  il  bisogno  et  occorrenze  tue  con  quei  Rettori,  che  haveranno 
da  Noi  in  commissione  di  coaiuvar  l'essecutione  delli  ordeni  nostri,  et  di 
favorirli  in  ogni  occasione,  et  vi  tenirete  reciprocamente  avisati  d'ogni  ac- 
cidente. Ma  sopra  ogn'  altra  cosa,  gionto  che  sarai  al  tuo  carico  ne  darai 
aviso  immediate  al  Proveditor  Generale  da  Mar  in  Golfo  et  in  Dalmatia, 
al  quale  per  l'autorità  del  suo  Generalato  presterai  la  debita  obedienza,  et 
con  quella  buona  intelligenza  che  doverete  esercitare  insieme,  anderai  es- 
sequendo  la  nostra  intentione  ;  perchè  egli,  oltre  li  aiuti  da  mare,  ti  anderà 
anco  somministrando  quelle  forze,  collo  sbarco  delle  genti  in  terra,  et  con 
far  passar  di  Dalmatia  quelle  militie  che  facessero  bisogno,  sicome  hora  per 
deliberatione  del  Senato  farà  transitar  40  cavalli  coi  loro  capi  delle  com- 
pagnie di  Dalmatia,  et  vinti  di  quelle  lanze  spezate,  si  che  siano  in  tutto 
al  numero  di  sessanta,  dei  quali,  et  così  dell'altre  militie  ti  valerai  secondo 
che  meglio  ti  parerà,  oviando  et  sopravedendo  di  continuo  che  dalle  militie 
né  da  altri  siano  a  sudditi  nostri  usate  estorsioni,  ne  inferito  alcuna  molestia 
o  danno,   et  castigando  li  colpevoli   conforme  alle  colpe  et  demeriti   loro. 


—  328  — 

Haverai  la  medesima  autorità  nell'  Istria  che  hai  essercitata  mentre  sei  stato 
Proveditor  della  Cavallaria  in  Dalmatia,  et  non  solo  difenderai  con  ogni 
poter  li  sudditi,  et  cose  nostre;  ma  se  li  sarà  da  chi  si  voglia  inferito  alcun 
danno,  procuranti  senza  dilatione,  et  con  quella  cautione  et  sicurezza  che 
potrai  maggiore,  il  debito  risarcimento,  cosi  per  sollevatione  de  danneggiati, 
come  anco  per  reintegratione  dei  pregiudicii  che  fossero  fatti  alla  nostra 
giuridittione,  procurando  con  ogni  mezo  et  via  possibile  di  far  mal  capitar 
gli  Uscocchi,  et  procedendo  anco  nell'  istessa  maniera  contra  ogn'  altro 
colpevole  di  simili  eccessi.  Userai  ogni  diligenza,  col  mezo  di  spie,  d'esser 
di  tutti  gli  andamenti  d'  Uscocchi  et  motivi  a  quei  confini  continuamente 
avisato,  dandoti  noi  per  questa  causa  ducento  ducati,  per  doverti  nell'avve- 
nire somministrare  anco  ogn'  altro  aiuto  che  fosse  necessario.  Sarà  carico 
tuo  dar  a  tempi  debiti  le  paghe  alle  militie,  communicando  al  Capitatilo  di 
Raspo  la  presente  nostra  commissione,  et  per  1'  effetto  sudetto  condurrai 
teco  un  Rasonato  che  doverà  stare  appresso  di  te,  et  haver  in  ragione  di 
ducati  sei  al  mese,  inviando  a  noi  di  tempo  in  tempo  le  bollette,  et  facendo 
con  1'  opera  sua  li  pagamenti,  con  avvertire  che  i  cavalli  et  lanze  spezate 
di  Dalmatia  in  luogo  di  otto  paghe  all'  anno,  che  hanno  al  presente  ne 
doveranno  haver  dodeci  in  ragion  di  anno,  mentre  staranno  al  scrvitio  nel- 
l'Istria, et  cosi  doveranno  esser  pagati  de  soliti  stipendij  anco  un  Marascalco 
et  un  Trombetta,  che  doveranno  esser  tenuti  per  servitio  di  quella  Caval- 
laria ;  dicendoti  di  più  che  ai  Cavalli  leggieri  di  Raspo  et  Istria  appresso 
i  tre  ducati  che  hanno  per  paga,  gli  habbiamo  accresciuto  altri  ducati  quattro 
per  cadauno  per  il  tempo  delle  presenti  occorrenze  solamente.  Et  perchè 
possi  avisar  noi  frequentemente  di  tutto  quello  che  andarà  succedendo  et 
scrivere  anco  al  Proveditor  nostro  Generale  da  mare  et  far  quelle  altre 
espeditioni  per  avvertimento  di  Rettori,  et  altro  che  giudicherai  necessarie, 
haverai  teco  un  Cancellier  con  ducati  sei  al  mese  per  suo  salario  per  il 
tempo  che  starà  in  quel  servitio.  Assignandoti  noi  per  le  spese  che  farai 
ad  essi  Cancelliero  et  scontro  ducati  vinti  al  mese.  Haverai  per  la  tua  elet- 
tione  di  stare  col  carico  di  Proveditor  sei  mesi,  et  tanto  più  o  meno  quanto 
parerà  al  Senato,  et  haverai  per  tuo  salario,  et  per  tutte  le  tue  spese  ducati 
centocinquanta  da  L.  6  s.  4  per  ducato  al  mese,  senza  obligo  di  mostrarne 
conto  alcuno,  et  d'  esso  salario  ti  habbiamo  fatto  dar  ducati  seicento  per 
sovventione  di  mesi  quattro  et  ducati  trecento  per  metterti  a  cavallo.  Ti 
eleggerai  un  luogotenente  di  tua  sodisfattione  per  servirtene  in  ogni  occa- 
sione, al  quale  habbiamo  assegnato  ducati  vinticinque  al  mese  di  stipendio». 
Si  delibera  poi  l'assegno  degli  stipendi  al  Cancelliere,  scontro  [contabile] 
e  luogotenente  summentovati,  anticipando  loro  4  mesi;  l'assegno  al  Corner 


—  329  — 

di  200  ducati  «per  spendere  in  spie»  e  di  ducati  6000  per  pagamenti  alle 
milizie  (carte  55  tergo). 

1 600.  2  agosto.  —  Al  provveditor   general  da  mar  in  golfo.    «  Dalle 

vostre  di  29  pass,   intendemo i  danni    fatti    nelle  ville  del  Carso, 

con  quanto  per  giusto  risentimento  è  stato  d'  ordine  vostro  dalle  nostre 
militie  essequito  ai  Bellai  col  saccheggiamcnto  et  incendio  di  quel  ricetto 
d'  Uscochi,    maggiormente    dechiarito   per  le  spoglie  et  armi    de  nostri  da 

quei  scelerati depredate  ».    Lo  si  encomia  pel   fatto  ed  altresì  per 

aver  dato  gli  animali  trovati  in  quel  luogo  e  non  presi  dalle  milizie,  ai 
sudditi  danneggiati  in  compenso  delle  perdite  patite.  Gli  si  raccomanda  di 
«  andar  provvedendo  all'  indennità  de  nostri  et  alla  sicurezza,  hora  più 
d'  ogn'  altra  cosa  importante,  dell'  Istria  »  per  la  quale  si  elesse  Francesco 
Corner  a  provveditore  a  quei  confini.  A  questo  è  commesso  di  obbedire 
ad  esso  provveditor  generale.  Mandi  in  Istria  40  cavalli  e  20  lancie  spazzate. 
Lo  si  loda  di  avere  «  a  questo  tempo  principalmente  applicato  il  pensiero 
all'  Istria,  la  quale  essendo  tutta  aperta  »  sarebbe  bene  stornarne  i  nemici 
con  qualche  «  diversione  in  altra  parte  »  per  «  tenere  in  gelosia  non  solo 
gli  Uscochi,  ma  i  fautori  loro  ».  E  ciò  si  rimette  alla  sua  prudenza.  Si 
approva  poi  il  divisamento  «  di  corrisponderle  [ai  nemici]  colli  istessi  ter- 
mini hostili  con  i  quali  vanno  essi  procedendo  contra  i  sudditi  et  cose 
nostre  ».  Per  rinforzare  poi  i  presidi  di  quella  provincia  si  manderanno  colà 
una  compagnia  di  soldati  francesi,  tre  d'italiani,  e  munizioni.  Se  poi  vi  fosse 
necessità,  farà  «  sbarcar  in  terra  i  soldati  delle  due  barche  armade  alla  custodia 

di  Trieste,  facendo  che  la  galea  Contarina  attendi a  quella  custodia  ». 

Si  è  provvisto  al  bisogno  di  grani  che  vi  sarà  in  Istria  per  l'aumentato 
numero  delle  milizie;  per  le  quali  gli  si  mandano  150  «arcobusi  a  ruoda». 

Si  deliberano  poi  i  vari  provvedimenti  annunziati  nella  lettera  (carte 
57  tergo). 

1600.  2  agosto.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Si  approvano  i  provvedi- 
menti da  lui  presi  per  la  sicurezza  del  paese.  «  Per  sollevar  il  peso  alla 
grave  età  vostra  »  si  è  nominato  Francesco  Corner  a  provveditore  ai  confini, 
il  quale  egli  gioverà  dei  suoi  consigli  e  del  suo  concorso  in  tutto  ciò  che 
sarà  utile  al  servizio  della  patria.  Se  vi  sarà  bisogno  di  grani  per  le  truppe, 
lo  faccia  sapere  al  Senato  e  al  provveditor  generale  in  golfo  (carte  59  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Lo  si  encomia  pei  provvedimenti 
presi  per  la  sicurezza  di  quel  paese  ;  gli  si  avvisa  l' invio  di  polvere  e  di 
corda  da  fuoco.  Si  spera  che  1'  insieme  dei  provvedimenti  presi  varrà  a 
tutelare  la  sicurezza  di  quella  provincia.  Se  c'è  bisogno  di  grani,  lo  faccia 
sapere  (carte  60). 


—  33°  — 

Al  suddetto  ed  ai  rettori  di  Albona  e  Fianona,  Rovigno,  Parenzo, 
Pirano,  S.  Lorenzo,  Cittanova,  Dignano,  Isola,  Umago,  Portole,  Molitoria 
e  Grisignana.  Si  partecipa  la  elezione  e  l' invio  in  Istria  di  Francesco  Corner 
qual  provveditore  a  quei  confini.  Tutti  i  rettori  dovranno,  per  ciò  che  loro 
spetta  e  quando  ne  siano  richiesti,  coadiuvarlo  nell'adempimento  della  sua 
missione,  obbedirne  gli  ordini,  ed  avvertirlo  di  quanto  succedesse  contro 
la  quiete  e  la  sicurezza  del  paese  (carte  61). 

1600.  5  agosto.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Gli  si  parte- 
cipa che  per  rintuzzare  gli  Uscocchi  rientrati  in  Istria  danneggiando  quella 
provincia  fu  eletto  un  provveditore,  e  vi  si  mandarono  rinforzi  ;  e  gli  si 
inviano  copie  delle  scritture  relative  (carte  64). 

1600.  17  agosto.  —  Al  provveditore  ai  confini  dell'Istria.  Gli  si  manda 
copia  della  seguente.  Lo  si  autorizza  ad  introdurre  in  caso  di  bisogno, 
«soldati  di  ordinanze»  nei  presidi,  e  a  valersene  anche  «in  altre  fattioni  » 
pagandoli  12  soldi  al  giorno.  Gli  si  fecero  rimettere  1000  ducati  per  le  spese 
necessarie,  e  rimborserà  quelle  che  il  podestà  di  Montona  facesse  per  spie. 
Si  dispose  che  gli  vengano  spedite  munizioni;  e  così  pure  armi  «per  servitio 
della  terra  di  Buggie». 

Si  deliberano  le  suddette  spedizioni,  dandone  incarico  ai  competenti 
ufficiali  (carte  66  tergo). 

Al  podestà  di  Montona.  Lo  si  loda  per  la  «  vigilanza  et  diligenza  vostra 

in  tutto  quello  che  concerne  la  quiete  et  sicurezza  di  nostri  sudditi 

essendoci  sopra  modo  cara  la  fruttuosa  vostra  sollecitudine  in  provvedere 
a  quanto  ricercano  gli  accidenti»  e  nel  suggerire  ciò  che  è  opportuno.  Circa 
l' introdurre  soldati  d'ordinanze  in  quella  terra,  fu  scritto  al  provveditore 
ai  confini  in  proposito,  col  quale  s'intenderà  nei  casi  di  bisogno,  e  che  gli 
somministrerà  il  denaro  per  pagarli.  Il  medesimo  provveditore  lo  rimborserà 
anche  delle  spese  ch'esso  podestà  facesse  in  spie  per  sorvegliare  gli  Uscocchi 
e  i  loro  fautori.  Si  è  dato  ordine  ai  provveditori  alle  fortezze  di  mandargli 
denaro  per  riparare  le  mura,  ma  si  contenterà  di  chiuderne  le  aperture.  In 
caso  di  danni  per  parte  di  Uscocchi  o  altri,  lo  si  richiama  all'  osservanza 
della  lettera  27  gennaio  1599;  e  alla  prescrizione  di  procedere  contro  i 
danneggiami  come  «  da  essi  fosse  proceduto  contra  i  nostri  »  (carte  67  tergo). 

Al  podestà  di  Buie.  Si  dispose  che  gli  sieno  mandati  12  moschettoni 
da  cavalletto  e  100  archibugi  «  per  servitio  di  quella  terra  et  di  quei  fede- 
lissimi nostri,  al  bisogno  de  quali  sarà  anco sovenuto  dal  Pro- 

veditor  »  ai  confini  (carte  68  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.   Lo  si  avvisa  dell'  invio  di  mu- 


—  33i   - 

nizioni,  le  quali  sarà  ben  custodire  a  disposizione  del  provveditore  ai  confini 
(carte  68  tergo). 

1600.  12  ottobre.  —  Al  provveditore  ai  confini  dell'Istria.  Si  encomia 
«la  diligenza  vostra  in  andare  visitando  et  facendovi  vedere  in  tutte  le  parti 
di  quei  nostri  confini  »,  il  che  mantiene  la  tranquilliti  nel  paese  e  la  fiducia 
negli  abitanti.  Rincresce  che  i  soldati  francesi  «  che  sono  all'obedienza  vostra 
siano  riusciti  sempre  più  scandalosi,  et  a'  sudditi  nostri  d'  estraordinaria 
gravezza  per  la  licentiosa  loro  natura  ».  Fece  bene  però  a  tollerarli  tempo- 
reggiando le  misure  energiche;  ma  ora,  che  le  altre  milizie  prestano  buon 
servizio,  li  mandi  [erano  50]  col  loro  capitano  a  Venezia,  sempre  che  non 
li  creda  necessari  in  Istria.  Procuri  di  far  «  capitar  male  »  i  pochi  ladri 
comandati  da  certo  Moretto  «che  si  fanno  sentire  cosi  nel  paese  d'Arcidu- 
cali, come  anco  a  quei  confini  »  ;  perciò  s'accordi  cogli  altri  rettori  ;  lo  si 
autorizza  a  prometter  taglia  di  3000  lire  ed  altri  premi  a  chi  consegnerà 
quei  malfattori  ai  rappresentanti  di  Venezia  (carte  95). 

iéoo.  19  ottobre.  —  Al  suddetto.  Saprà  della  cattura  dell'avvocato 
Pincio,  che  dispiacque  assai.  Avrà  pensato,  si  crede,  anche  a  vendicar  quel 
fatto,  e  gli  si  ordina  «  che  quando  vediate  con  sicurezza  et  publica  dignità 
d'  haver  opportuna  occasione  di  risentirvi  di  questa  ingiuria,  dobbiate  ab- 
bracciarla per  castigo  di  quelli  scellerati  ricovratisi  nel  loco  di  Rodich 
patroneggiato  da  Giovanni  Petaz  da  Trieste  »,  e  per  intimorire  coloro  che 
accolgono  i  malfattori  e  li  aiutano  (carte  97  tergo). 

iéoo.  26  ottobre.  —  Al  suddetto.  Con  sue  lettere  17,  18  e  19  corr. 
partecipò  «  li  particolari  delle  prede  ultimamente  fatte  da  Uscocchi  nel  porto 
di  Veruda  et  delle  diligentie  che  secondo  gli  ordeni  vostri  si  sono,  per 
debito  risentimento  et  per  giusto  risarcimento  dei  danni,  fatte  dalle  nostre 
militie  con  l'opera  del  magnifico  Colonello  nostro  Ramusati  sotto  Zumino, 
dove  si  erano  ricoverati  quei  ladri».  Si  sa  anche  che  in  quell'occasione 
Marcantonio  Canal  destinato  conte  a  Zara  soffrì  danno  rilevante.  Gli  animali 
presi  a  quei  del  paese  [austriaco]  serviranno  ad  indennizzare  quelli  che 
ebbero  a  soffrir  perdite,  compreso  il  Canal,  di  ciò  avrà  cura  il  provveditore, 
come  pure  di  distribuir  parte  ragionevole  delle  prede  alle  milizie  (carte 
101  tergo). 

1600.  3  novembre.  —  Al  provveditor  general  da  mar  in  golfo.  Con- 
tinua il  bisogno  che  le  due  barche  armate  d'  albanesi  messe  in  settembre 
a  disposizione  del  provveditor  generale  in  Palma,  vi  stieno,  poiché  i  ladroni 
che  infestano  le  marine  dell'Istria  ricevono  «  non  piccoli  comodi  dalla  cittì 
di  Trieste  ;  et  essendo  con  diverse  operationi  di  male  affetto  animo  fomentati 
da  Triestini  »  occorre  porvi   riparo.   I  rettori  dell'  Istria  avvertono  che  gli 


—  332  — 

Uscocchi  stanno  progettando  nuovi  danni,  veda  perciò  il  provveditore  di 
prendere  le  disposizioni  più  energiche  per  ovviarvi.  Fra  queste  si  suggerisce 
il  blocco  di  Trieste  per  mare  da  farsi  immediatamente  ;  lo  si  avverte  di  ciò 
che  si  scrive  nelle  seguenti  (carte   103   tergo). 

Al  sopracomito  Contarmi  in  Istria.  Per  gli  andamenti  degli  Uscocchi 
è  necessaria  «  estraordinaria  diligentia  nella  custodia  commessavi  da  Trieste 
per  tenere  impedito  quel  transito  ».  Il  provveditor  generale  in  golfo  gli 
passerà  ordini  all'uopo.  In  attesa  di  essi  si  farà  vedere  il  più  frequentemente 
possibile  presso  quella  città  a  tutela  dei  naviganti  contro  i  pirati  (carte  105). 

1600.  3  novembre.  —  Al  provveditore  ai  confini  dell'Istria.  S'  hanno 
avvisi  che  gli  Uscocchi  «s'andavano  avicinando  a  ricapitarsi  a  Trieste  per 
l' intelligenza  che  tengono  con  triestini,  et  per  il  fomento  che  da  quella 
città  riceveno  le  loro  inique  operationi  ».  Si  diedero  ordini  al  provveditor 
generale  in  golfo  pel  blocco  di  Trieste;  esso  somministrerà  anche  rinforzi 
di  milizie  al  destinatario  della  presente  in  caso  di  bisogno.  Visto  il  buon 
servizio  che  prestano  i  Corsi,  fu  scritto  al  detto  provveditore  generale  di 
conservarle  e  di  portarle  a  150  uomini  ciascuna;  ecciti  quindi  i  capitani 
ad  arruolare  gli  uomini  necessari  .di  quella  nazione  (carte  105). 

1600.  7  novembre.  —  Al  provveditor  general  da  mar  in  golfo.  Gli  si 
ordina  di  assalire  e  devastare  tutti  i  luoghi  in  cui  gli  Uscocchi  trovano 
ricetto  procedendo  per  le  istesse  vie  e  termini  con  li  quali  usano  proceder 
essi  contra  i  nostri.  Si  ordinerà  al  provveditore  ai  confini  dell'  Istria  di  far 
lo  stesso,  «  et  per  stringer  maggiormente  Trieste,  dove  principalmente  in- 
tenderne) smaltirsi  le  prede  et  essere  assicurate  le  persone  di  questi  tristi, 
faremo  partir  quanto  prima  il  Capitanio  contro  Uscochi  Belegno,  per  at- 
tendere colla  galea  Contarina  conserva  a  questo  special  servino  di  incom- 
modare  et  assediare  quella  città,  non  vi  lasciando  entrar  ne  uscir  vassello 
d'alcuna  sorte».  Al  medesimo  scopo  si  invieranno  sei  barche.  Ordini  a 
Giorgio  Marcovich,  ora  in  Zara  vecchia,  di  assoldare  200  fanti  croati  e  di 
andar  con  essi  a  Capodistria  o  a  Pirano  per  servire  nelle  barche  stesse,  alle 
quali  sarà  preposto.  Ed  «  importando  grandemente  che  questo  assedio  sia 
principiato  senza  dilatione  et  continuato  con  sollecita  diligenza,  facendosi 
al  presente  quella  città  di  Trieste  nido  principale  de  gli  Uscochi»;  mandi 
colà  «uno  delli  Fano»  fino  all'arrivo  del  Belegno.  Faccia  di  più  assoldar 
200  albanesi  per  le  occorrenze  future  (carte   107  tergo). 

1600.  7  dicembre. — Al  provveditore  ai  confini  dell'Istria.  Crescendo 
V  ardire  degli  Uscocchi  che  arrivarono  a  penetrare  fino  a  Monfalcone.  ed 
avendo  essi  dato  nuovi  danni  nel  contado  di  Raspo  ;  gli  si  ordina  di  so- 
spendere il  licenziamento  dei  francesi.  Gli  si  manderanno  nuove  milizie,  ed 


—  333  — 

egli  cercherà  di  fare  i  danni  maggiori  agli  Uscocchi,  e  specialmente  quando 
«  dopo  fatta  qualche  preda  si  ritireranno  in  alcuna  delle  ville  overo  altri 
luochi  »,  procurerà  di  assalire  la  villa  o  il  luogo  e  lo  distruggerà  abbru- 
cierà  quanto  potrà.  Al  bisogno  «  vi  valerete  delle  Cernide  fino  a  tanto  che 
possiamo  somministrarvi  altri  aiuti».  Ecciterà  i  capitani  Còrsi  a  completare 
le  loro  compagnie  con  uomini  di  quelP  isola  che  prestano  ottimo  servigio 
(carte  i  io  tergo). 

1600.  io  novembre.  —  Allo  stesso.  Si  suppongono  esagerate  le  voci 
che  gli  Uscocchi  stiano  preparandosi  ad  assalir  Capodistria  o  qualche  altro 
luogo  di  quella  provincia  ;  in  ogni  modo  gli  si  manderanno  300  fanti  co- 
mandati da  Andrea  Ugoni,  da  adoperarsi  specialmente  nella  custodia  di 
Capodistra  e  di  Muggia.  Si  ordinò  anche  a  Marcello  Almerici  di  assoldare 
altri  150  fanti  forestieri.  Egli  poi  procuri  che  resti  «  repressa  la  temerità 
loro  [degli  Uscocchi]  havendo  la  mira  non  solo  alla  persecutione  di  tristi 
et  di  fautori  suoi,  ma  anco  all'indennità  delle  città  et  terre  nostre». 

E  si  delibera  1'  arrolamento  delle  suaccennate  milizie,  aggiungendosi  : 
«  Et  alla  custodia  di  Castel  Lione  dove  era  destinato  esso  Almerici  sia  futa 
elettione  d'altro  capitanio  dal  Collegio  (carte   113  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Il  provveditore  ai  confini  del- 
l' Istria  tiene  ordini  per  provvedere  in  caso  si  avverassero  le  voci  delle 
minaccie  d'assalto  per  parte  di  quei  confinanti  in  compagnia  degli  Uscocchi. 
Lo  si  autorizza  a  rinforzare,  al  bisogno,  il  presidio  della  città  con  cernide 
fino  che  vi  arrivino  la  milizie  già  destinate.  Gli  si  partecipano  le  disposizioni 
date  al  detto  provveditore  e  al  generale  da  mar  nelle  precedenti.  I  prov- 
veditori alle  fortezze  gli  manderanno  600  ducati  per  riparar  le  mura  e  le 
porte  della  città;  egli  poi  ordinerà  «che  tutte  le  porte,  fenestre  et  altri  fori 

fatti  nelle  muraglie  a  comodo  delle  case  di  particolari  siano  immediate 

chiuse a  spese  loro con  far  .sopratutto  levar  quelle  cose 

che  apportassero  impedimento  alla  sicurtà  di  dette  mura  (carte  114). 

Allo  stesso  [da  tenersi  secreta].  Circa  quello  scrive  intorno  al  «  Cav.r 
Gravisi  vecchio  »,  quando  i  sospetti  concepiti  a  suo  riguardo  si  aggravassero, 
sentito  il  parere  del  provveditore  ai  confini,  comunichi  a  quel  signore  la 
seguente,  onde  venga  a  Venezia.  Ciò  fatto  riferisca  particolareggiatamente 
«tutto  ciò  che  haverete  contro  di  lui»   (carte   iij). 

Allo  stesso.  Desiderando  il  Senato,  nelle  presenti  occorrenze,  di  avere 

«  alcune  informationi per  servitio  nostro  »  dal    cavalier  Gravisi  il 

vecchio,  «  et  stimando  grandemente  l' isperienza  sua,  haveremo  caro  che 
egli  si  transferisca  in  questa  città  ».  Quanto  più  presto  lo  farà,  sarà  più 
gradito  (carte   1 15). 


—  334  — 

iéoo.  22  dicembre.  —  Al  podestà  di  Rovigno.  Gli  si  ordina  la  con- 
segna all'  agente  del  duca  di  Mantova  di  certe  fave  da  esso  podestà  fatte 
sequestrare  (carte   129  tergo). 

1600  m.  v.  24  febbrajo.  —  Al  provveditor  general  da  mar  in  golfo. 
Lo  si  encomia  per  gli  ordini  dati  al  suo  segretario  che  trattava  in  Segna 
col  commissario  arciducale  Rabbata  accordi  per  le  questioni  degli  Uscocchi. 
Faccia  poi  sapere  al  detto  commissario  che  in  grazia  sua  saranno  svincolati 
dal  sequestro  i  beni  del  Chersainer,  la  taglia  per  1'  arresto  dal  quale  sarà 
pagata  dallo  stato  (carte   150). 

Senato  Secreti,  voi.  XCIV  (1601). 

1601.  14  marzo.  —  Al  provveditore  ai  confini  dell'Istria.  «  riabbiamo 
bisogno  di  valerci  altrove   delli  soldati   estraordinarii  della    militia    italiana 

che  si  trovano  in  Istria,  et delli  Cavalli  Dalmatini  che  sono  all'obe- 

dienza  vostra  ».  Ordini  perciò  ai  colonnelli  «  Pietro  Conte  Gabutio  et  Leon 
Ramussati  »  di  venire  a  Venezia,  e  così  pure  alla  milizia  e  cavalli,  al  più 
presto.  Si  manderanno,  per  prenderli,  in  Istria  alcune  fregate  dalmatine 
(carte  6  tergo). 

1601.  22  marzo.  —  Al  suddetto.  Mandi  a  Venezia  «  il  Governator 
D.Pietro  Bizarino;  et  oltre  li  soldati  italiani  et  cavalli  dalmatini,  nei  quali 

intendemo   comprese  le  lanze  spezzate, anco  tutti  li  soldati  Corsi 

con  li  loro  capi,  et  così  li  Francesi,  che  intendemo  essere  ridotti  in  pochis- 
simo  numero,    ritenendo    in  quella   provincia   le  altre   militie    Albanesi  et 

Crovate».  Si  mandano  all'uopo  in  Istria  «alcune  fregatone  et  barche 

con  ordine  alli  rettori  di  Umago  et  di  Parenzo  »  di  avvisare  esso  provve- 
ditore dell'arrivo  dei  navigli  (carte  15  tergo). 

1601.  31  marzo.  —  Al  provveditore  general  da  mar  in  golfo.  Per  far 
cosa  grata  al  commissario  Rabbata,  e  ad  istanza  del  segretario  imperiale  a 
Venezia,  si  acconsente  che  tutte  le  barche  «  di  Fiume,  Segna  et  altri  luoghi 

arciducali  che  navigano  per  quel  Canale con  provision  de  viveri, 

con  mercantie,  et  per  negotio  anchora possano  liberamente  tran- 
sitar   senza  obligo  di  andarsi  a  far  riconoscere  alla  torre  di  S.  Marco; 

et  quanto  poi  a  quella  di  Gliuba  »  risolverà  esso  provveditore  se  sia  da 
abolirsi  o  da  conservarsi  la  visita  delle  barche.  Il  provveditore  ai  contini 
-dell'  Istria  scrisse  il  18  di  danni  inferiti  ai  sudditi  veneti  da  abitanti  delle 
ville  di  Vodizze  e  Novato  ;  ne  faccia  querela  al  Rabbata,  come  pure  per 
gli  animali  tolti  da  Triestini  nel  territorio  di  Muggia  (carte  26). 


-  335  - 

Si  comunicano  al  segretario  imperiale  residente  a  Venezia  le  disposi- 
zioni  date  nella    precedente.  «  Quanto  al  fatto    di    Moschenizze 

successe  perchè  furono  in  quel  luogo  ricettati gli  Uscochi  mentre 

erano perseguitati dai  soldati  per  ricuperar  una  grossa 

preda   d'  huomeni  et  d'  animali    rubati  a  i  poveri  sudditi  nostri 

Et  se  si  volesse  porvi  la  man  dentro,  toccheria  a  noi  et  non  ad  altri  il 
rifacimento  di  quel  fatto.  Et  pur  hora,  mentre  noi  facemo  quanto  potemo 
per  ultimar  il  negotio,  gli  Uscocchi  delle  ville  di  Vodizze  et  Novato,  giu- 
ridittione  Arciducale,  armati,  al  numero  di  dodeci,  di  arcobusi  et  altre  armi, 
hanno  nel  territorio  di  Capo  d' Istria  svaleggiata  la  casa  di  un  suddito 
nostro,  batuti  et  feriti  gli  huomeni  della  famiglia  ».  Oltre  a  ciò  «  il  mese 

passato  alcuni  Triestini    rubarono nel  territorio  di  Muggia  150 

animali  tra  grossi  et  miuuti  »  abbattendo  le  porte  della  casa  e  ferendo  il 
pastore.  Si  invita  il  segretario  a  procurare  il  risarcimento  di  tali  danni 
(carte  27). 

1601.   17  aprile.   —  Si  delibera  «che  li  beni    che   furono  di  Giorgio 

Chersainer  siano liberamente  donati  al  Sig.r  Commissario  [imperiale] 

Rebata,  acciò  di  essi  possa  disporre  come  e  in  chi  più  le  sari  di  piacere 
et  di  gusto  (carte  44  tergo). 

Al  provveditor  general  da  mare  in  golfo.  Lo  si  avvisa  della  delibera- 
zione precedente  presa  in  seguito  a  desiderio  espressone  dal  commissario 
Rabbata,  per  donare  al  quale  si  manda  al  provveditore  una  collana  del  valore 
di  3000  ducati  (carte  45  tergo). 

1601.  12  maggio.  —  Si  richiama  a  Venezia  Francesco  Corner  prov- 
veditore ai  confini  dell'  Istria,  essendo  cessato  il  bisogno  dell'opera  sua  in 
quella  provincia  ;  e  gli  si  ordina  di  mandare  al  provveditor  generale  in 
golfo  i  75  croati  che  ancora  restano  colà  sotto  i  suoi  ordini  (carte  56  tergo). 

Si  scrive  in  proposito  ad  esso  Corner  lodandolo  dei  servigi  prestati 
(carte  56  tergo). 

1601.  15  maggio.  —  Al  provveditore  ai  confini  dell'Istria.  Mandi  al 
provveditor  generale  in  golfo  i  5588  ducati  che  gli  avanzano;  delle  libre 
7700  di  polvere  pure  avanzate  lasci  la  quantità  che  crederà  necessaria  nei 
depositi  dell'Istria  «  per  le  ordinarie  esercitationi  »,  e  il  rimanente  lo  mandi 
a  Zara  (carte  57). 

Si  scrive  in  conformità  di  quanto  sopra  al  provveditor  generale  in 
golfo  (carte  57). 

1601.  5  giugno.  —  Lagnatosi    il   segretario   cesareo    di   un    «insulto 

fatto  dalla  barca  del  sopracomito  Contarmi  ad  una  barchetta  di 

pescatori  austriaci  che  stavano  pescando  dentro  il  Zoco,  nelle  acque  vicine 


-  336  - 

alla  città  di  Trieste»;  si  ordina  al  «Capitano  della  guardia  contro  Uscochi  » 
d' informarsi  del  fatto,  e  se  vero  di  far  restituire  agli  austriaci  ciò  che  fosse 
loro  stato  tolto,  castigando  i  colpevoli  (carte  74). 

1601.  5  giugno.  —  A  «Francesco  Contarmi  sopracomito  alla  guardia 
di  Trieste  a.  Vada  a  mettersi  sotto  gli  ordini  del  «  Capitano  da  mar  sotto 
il  quale  sete  destinato  »  (carte  74). 

1601  m.  v.  18  gennajo.  —  Al  provveditor  generale  in  golfo.  Pervenuta 
la  notizia  della  morte  data  dagli  Uscocchi  al  commissario  imperiale  Rabbata, 
gli  si  ordina  di  tornar  subito  nel  Quarnero  per  ovviare  a  qualsiasi  evento 
(carte  170). 

Al  capitano  di  Raspo.  Lo  si  encomia  pei  provvedimenti  presi,  in  seguito 
alla  morte  del  Rabbata,  si  scrisse  al  provveditor  generale  in  golfo  e  al  ca- 
pitano contro  Uscocchi  «  che  stiano  bene  avvertiti,  et  sopra  tutto  procurino 
con  ogni  mezzo  possibile  di  penetrare  nella  vera  causa  di  questa  morte  » 
e  d' informarsi  di  tutti  gli  altri  particolari  che  ne  potessero  derivare;  pro- 
curi egli  pure  di  aver  le  più  possibilmente  esatte  informazioni  su  tutto  ciò; 
e  all'  uopo  sarà  rimborsato  delle  spese  (carte  170  tergo). 

1601  m.  v.  23  febbrajo.  —  Al  provveditore  in  Istria.  Mandi  a  Venezia, 
ai  Savi  alla  mercanzia,  la  barca,  col  suo  carico  ed  equipaggio,  che,  partita 
da  Trieste  per  Ancona,  era  stata  fermata,  dalle  barche  venete  armate,  nel 
porto  dell'  Olmo  grande.  Mandi  pure  il  processo  formato  in  proposito 
(carte   184). 

Senato  Secreti,  voi.  XCV  (1602-160)). 

1602.  2  marzo.  —  Al  suddetto.  Avendo  egli  risposto  alla  precedente 
che  aveva  ricevuto  da  Giusto  Morello,  padrone  della  barca  suddetta,  joo 
ducati  in  seguito  a  sentenza  da  lui  pronunciata  ;  gli  si  ordina  di  mandar 
quel  denaro  ai  cinque  savi  alla  mercanzia,  facendosi  restituire  gli  importi 
parziali  che  su  quella  somma  egli  avesse  assegnato  ad  alcuno  (carte   1). 

1602.  7  settembre.  —  «Essendosi  inteso  da  lettere  scritte  a 

Francesco  Giustinian  Savio  del  Consiglio  da  M.  Antonio  Pola  da  lui  co- 
nosciuto mentre  s'  è  trovato  Proveditor  in  Istria,  la  buona  disposinoli  di 
esso  Pola  »  di  condurre  ad  abitare  in  Istria  alcune  famiglie  forestiere  ;  si 
autorizza  il  Giustinian  a  rispondere  esser  la  cosa  grata  al  Senato,  e  che  il 
Pola  potrà  rivolgersi  al  capitano  di  Raspo  il  quale  ha  facoltà  di  trattare  in 
argomento  (carte  40  tergo). 

Al  capitano  di  Raspo.  Gli  si  comunica  che  Marco  Antonio  Pola  «  ri- 


—  337  — 

dottosi  per  occasion  di  bando  nel  paese  Arciducale  »  aveva  indotto  alcuni 
morlacchi  malcontenti  a  venire  a  stabilirsi  in  Istria  verso  concessione  di 
terreni  nei  distritti  di  Parenzo  o  Cittanova.  Gli  si  dà  poi  facoltà  di  trattar 
la  cosa  col  Pola  [e  di  accordare  all'  uopo  temporaneo  salvo  condotto  al 
medesimo]  usando  le  debite  avvertenze,  per  pei  riferire  le  condizioni  stabilite 
al  Senato  (carte  41). 

1603.  23  agosto.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Lo  si  en- 
comia pei  provvedimenti  presi  negli  ultimi  del  luglio  e  primi  del  corrente 
pei  danni  dati  da  austriaci  nella  villa  Grimaldi,  territorio  di  Pietra  Pelosa, 
e  in  seguito  ai  minacciosi  adunamenti  che  si  dicevano  farsi  in  quel  di  Pisino. 
Si  spera  che,  tornato  tutto  in  quiete,  non  abbiano  a  lamentarsi  novità.  Va 
bene  che  abbia  comunicato  il  tutto  al  capitano  di  Raspo  e  si  sia  posto 
d'accordo  con  esso.  Continui  nella  vigilanza  onde  non  insorgano  pregiudizi 
(carte  150). 

Al  capitano  di  Raspo.  Gli  si  scrive  in  conformità  alla  precedente.  Lo 
si  loda  per  le  disposizioni  prese,  per  la  buona  intelligenza  passata  col  podestà 
e  capitano  di  Capodistria,  per  le  istruzioni  date  al  sergente  Pietro  del  Zacco 
che  eseguì  le  sue  incombenze  senza  «  dar  materia  di  scandolo  »  (carte 
150  tergo). 

1603.  13  settembre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Volendo 
il  Senato  avere  alcune  informazioni  da  Gio.  Battista  Ingaldeo  di  quella  città, 
podestà  a  Due  Castelli  e  dal  cancelliere  di  questo,  gli  inviti  a  portarsi  quanto 
prima  a  Venezia  ed  a  presentarsi  al  Collegio.  Provvederà  a  sostituirli  in 
ufficio  pel  tempo  della  loro  assenza. 

Da  postilla  in  margine  si  rileva  che  la  deliberazione  fu  presa  in  seguito 
a  lettera  del  capitano  di  Raspo  del  25  agosto  (carte  162). 

Senato  Secreti,  voi.  XCVI  (1604-160)). 

1604.  20  aprile.  —  Al  provveditore  di  Novegradi.  La  sua  lettera  del  6 
porta  l' istanza  «  fattavi  dal  Conte  Cosmo  di  Carponti  e  Mattio  Visconti 
suo  fratello  di  concederli di  potersi  transferir con  le  fa- 
miglie et  robbe  loro  nell'Istria».  Gli  si  risponde  aderendo  e  che  al  capitano 
di  Raspo  si  danno  gli  ordini  opportuni,  al  quale  dovranno  i  suddetti  ri- 
volgersi. Dia  poi  loro  tutti  gli  aiuti  e  comodi  per  l'adempimento  del  loro 
progetto,  ma  senza  che  apparisca  il  suo  intervento  (carte  22  tergo). 

Al  capitano  di  Raspo.  Gli  si  comunica  la  risposta  data  come  sopra  ai 
conti  di  Carponti  sudditi  turchi.  Desiderando  il  Senato  che  siano  esauditi, 


-338- 

il  capitano  assegnerà  loro  terreni  nella  quantità  e  nel  luogo  che  crederà 
convenienti,  ordinerà  «ai  Rettori  delle  marine  dove  capiteranno»  di  trattarli 
bene  e  di  indirizzarli  alle  località  loro  assegnate.  Si  autorizza  poi  lo  stesso 
capitano  a  «poter,  per  l'indennità  di  simili  novi  venuti  et  che  veniranno 
da  paesi  alieni,  castigar  li  transgressori  degli  ordini  vostri»  anche  con  bando 
dagli  stati  tutti  della  Republica,  «  si  che  da  ognuno  se  gli  abbia  quel  rispetto 
che  si  deve  (carte  23). 

1604  18  maggio.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Con  sue 
lettere  del  24  aprile  partecipò  il  tentativo  dei  sudditi  austriaci  di  Pisino 
«con  rompere  il  confine  notabile  di  pietre»  che  separa  quella  giurisdizione 
dal  territorio  veneto  della  villa  Grimalda.  Gli  si  ordina  di  «  restaurare  il 
confin  di  pietra»,  e  poi  di  procedere  contro  gl'infrattori,  «conforme  a  quello 
che  loro  hanno  fatto  contra  il  Zuppano  et  altri  habitanti  della  villa  di  Gri- 
malda ».  Se  il  capitano  di  Pisino  lo  invitasse  «a  cavalcar  sopra  quei  confini  » 
acconsenta,  aggiungendo  «  essere  necessario  che  preceda  autorità  sufficiente 
dalli  Prencipi  di  poter  trattare,  decidere  et  amicabilmente  componere  tutte 
le  difficultà  tanto  presenti  quanto  passate  per  le  usurpationi  tentate,  conivi 
fabricati  et  altre  violenze  usate  da  sudditi  di  Pisino  a  nostri  »  che  Venezia 
è  pronta  a  prestarvisi.  Dalla  lettera  però  scritta  da  quel  capitano  al  podestà 
e  capitano  il  5  novembre,  apparirebbe  che  intenda  di  trovarsi  con  questo 
ultimo  «  sopra  il  loco  contentioso  a  solo  fine  di  far  giustificar  con  la  de- 
positione  de  testimonii  la  sua  usurpatione  et  autenticar  con  la  vostra  presenza 
il  suo  esame  sopra  le  cose  presenti,  senza  parlar  delle  usurpationi  vecchie  » 
il  che  non  si  può  ammettere.  Frattanto  procuri  «  di  conservar  il  possesso 

de'  nostri intendendovi  bene  col  Capitatilo  di  Raspo  in  tutto  ciò 

che  vi  occorresse  per  sicurezza  de  nostri  sudditi  »  (carte  30). 

1604.  io  luglio.  -  «Al  Capitatilo  di  Raspo.  Dalle  lettere  vostre  di  6 
et  7 havemo  inteso  il  modo  tenuto  da  voi  per  risarcirvi  delli  pre- 
giudizi fatti  da  quelli  di  Pisino  nella  villa  di  Grimalda  »  e  gli  se  ne  danno 
lodi  eccitandolo  a  continuar  nella  stessa  via  anche  nei  casi  eventuali  futuri. 
Rimessa  però  Venezia  in  possesso  del  suo,  si  eccita  il  capitano  a  far  prudenti 
aperture  coi  ministri  arciducali  per  iniziar  trattative  onde  venire  ad  una  de- 
finizione soddisfacente  di  tutte  le  questioni  fra  i  due  stati  (carte  47  tergo). 

1604.  io  luglio.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Essendosi 
«  li  nostri risarciti  delli  pregiudicii  fatti  loro  d'Arciducali  con  si- 
curezza et  dignità  pubblica  »,  stia  «  molto  avertito  a  tutti  li  movimenti  de 
vicini  per  oviare  ad  ogn'altro  tentativo  che  volessero  fare  ».  Queste  continue 
violenze  spiacciono  e  perciò  si  scrive  al  capitano  di  Raspo  quanto  è  esposto 
nella  precedente  (carte  48). 


—  339  — 

1604.  ié  ottobre.  —  Trovandosi  nelle  acque  di  Rovigno  «un  vassello 
con  trecento  miara  de  ogli  »  si  delibera  che  Zaccaria  Morosini  sopracomito 
«  debba  la  notte  prossima  transferirsi  con  la  sua  galea  nell'  Istria  »  ed  as- 
sicurarsi, «  per  quelle  vie  che  saranno  necessarie  »  che  il  vassello  sia  con- 
dotto a  Venezia  (carte  92). 

1604.  18  novembre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Si  approva  il  suo  ope- 
rato col  capitano  di  Pisino  per  venire  ad  un  accomodamento  delle  questioni 
vertenti,  eccitandolo  a  continuare.  Quando  si  sapranno  le  intenzioni  del- 
l' arciduca  Ferdinando,  si  daranno  al  capitano  maggiori  istruzioni  (carte 
108  tergo). 

1604.  4  dicembre.  —  Al  provveditor  generale  in  Golfo.  Dovendo 
«  capitar  in  Istria  un  vassello  carico  di  miara  300  in  circa  di  oglio,  pavo- 
neggiato da  Stefano  Vendimato,  con  disegno  di  passar in  aliena 

giuridittione  »;  si  ordina  al  provveditore  di  far  fermare  quel  legno  quando 
approdasse  in  Istria  e  di  mandarlo  a  Venezia  (carte   112). 

Senato  Secreti,  voi.  XCVII  (1606). 

1606.  8  aprile.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  ed  Albania. 
Gli  si  partecipa  che  gli  Uscocchi  assalirono  e  depredarono  «  nel  nostro 
proprio  porto  di  Vestre  sotto  Rovigno  una  fregata  nostra  da  Cattaro,  patron 
Tomaso  di  Gregorio,  che  vi  espedissimo  a  posta  a  primo  del  corr.  con 
dispazzi  nostri  di  molta  importantia  ».  Gli  si  danno  ordini  di  provvedimenti 
militari  all'  uopo,  e  di  scrivere  al  capitano  austriaco  di  Segna,  lagnandosi 
acerbamente  del  fatto  e  chiedendo  risarcimento  dei  danni  e  castigo  dei 
colpevoli  (carte  18). 

1606.  12  aprile.  —  Al  provveditore  generale  per  Corfù,  Zante  e  Ce- 
falonia,  al  Lido.  «  Gli  avisi  che  gli  Uscocchi  con  tanta  temerità  si  tratte- 
nessero nell'  Istria  a  danni  delle  barche  et  sudditi  nostri,  pervenutici  nel 
procinto  della  vostra  partita»,  persuadono  il  Senato  ad  ordinargli  «che  nel 

passar  per  Istria  con  le  tre  galee che  vi  trovate,  doveste  per  ogni 

via  possibile  perseguitarli con  autorità  di  valervi  di  huomini,  barche 

et  altro  delle  terre  »  di  quella  provincia.  Occorrendo  però  la  più  sollecita 
sua  presenza  in  Corfù,  procurerà  di  sbrigarsi  al  più  presto  in  Istria,  lascierà 
gli  ordini  che  stimerà  necessari  a  quei  rettori  «perchè  espediremo  imme- 
diate a  proseguir  quest'opera  il  Capitanio  nostro  contra  Usocchi»  (carte  21). 

1606.  25  agosto.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Dispiacciono  «le  novità 
seguite  in  villa    Grimalda   col   possessore  di  Lupoglavo  »  ;    si  approva  «  la 

5 


—  340  — 

risolutione  fatta  di  dar  licentia  a'  nostri  di  risarcirsi  con  quelli  di  Lupoglavo 

del  danno, Quanto  poi  alle  novità  seguite  nella  villa  di  Grimalda, 

il  pod.à  e  cap."  di  Capodistria  ne  scrive  che  si  saria  risarcito,  et  volemo 
sperare  che  lo  haverà  fatto  ».  Se  no,  gli  si  danno  ordini  in  proposito  [veggasi 
la  seguente].  Conseguito  il  risarcimento,  faccia  sentire  al  capitano  di  Pisino 
la  convenienza  di  terminare  una  volta  tutte  le  questioni  per  evitare  il  rin- 
novarsi di  fatti  spiacevoli  (carte  63). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Dispiacquero  «  le  novità  seguite 
in  villa  Grimalda che  possono  dare  occasione  a  mag- 
giori scandali,  massime  »  non  sapendosi  «  che  sorte  di  soddisfattone  habbiate 
data  alli  finitimi  per  l'eccesso  che  li  nostri  commessero  in  essequir  l'ordine 
che  allora  desti  loro  di  risarcirsi  di  certo  danno  ricevuto  ».  Riferisca  perciò 
sul  processo,  sulla  sentenza  e  sull'  esecuzione.  Circa  il  risarcimento  «  del 
spoglio  fatto  di  presente  alli  nostri  »,  quando  non  sia  già  seguito,  si  ac- 
consente che  i  sudditi  se  lo  procurino  da  se  «  senza  mostrare  di  haver 
vostro  ordine».  Prima  però  s'intenda  col  capitano  di  Raspo,  il  quale  darà 
«  commissione  tale  a  chi  doverà  far  1'  esseeutione,  che  non  seguano  delli 
disordini  ».  Se  dopo  accomodato  questo  particolare  il  capitano  di  Pisino 
mostrasse  desiderio  di  un  accomodamento  generale,  vi  si  mostri  propenso, 
e  scriva  (carte  63  tergo). 

1606.  5  ottobre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  «Intendendo 
noi  che  da  Trieste  et  da  altri  luochi  circonvicini  siano  portati  con  barche 

molti  grani in  alieni  paesi  »,  gli  si  mandano  «tre  barche  armate 

di  Albanesi  »  con  ordine  che  incontrando  queste  alcuna  di  quelle,  le  ob- 
blighino a  venire  a  Venezia.  —  Si  delibera  che  il  Collegio  invìi  le  barche 
e  ne  elegga  il  capo  «  di  esperienza  et  valore  »  (carte  76). 

Al  capitano  di  Raspo.  Si  apprese  con  soddisfazione  «  quanto  avevi 
operato  per  risarcimento  de  nostri  a  quei   confini,    trattando  colli  finitimi 

dell'  istessa  maniera  ch'essi  usano  con  nostri et  con  la  via  delle 

reppresaglie  et  col  mezo  delli  proclami  et  delle  indolenze  et  laudiamo  l' in— 
trodutione  fatta  col  Capitanio  di  Pisino  per  qualche  amicabile  trattatione  ; 
et  poi  che  trovate  dal  canto  di  là  buona  disposinone  a  questo  »,  procuri 
di  mantenerla  col  mostrarla  del  pari  per  parte  di  Venezia;  «fra  tanto  sarà 
bene  che  gli  interessati  mettano  insieme  »  i  titoli  dei  loro  diritti  per  farli 
valere  a  tempo.  —  E  della  presente  si  manda  copia  al  podestà  e  capitano 
di  Capodistria  perchè  vi  si  uniformi  (carte  79  tergo). 

1606.  7  novembre.  —  Si  delibera  di  far  lagni  col  segretario  cesareo 
contro  i  sudditi  arciducali  di  Pisino  e  «  il  possessor  di  Lupoglavo  »,   che 


—  34i  - 

danneggiarono  gli  uomini  di  villa  Grimalda  ;  onde  faccia  uffici  presso  l'ar- 
ciduca perchè  faccia  finire  tali  inconvenienti  (carte  87). 

1606  ni.  v.  6  febbrajo.  —  Ad  istanza  dell'ambasciatore  del  re  di  Spagna 
e  del  segretario  dell'imperatore  «di  liberare  alquante  barche  cariche  di  grano 
ed  altre  merci  che  da  Trieste  passavano  sotto  vento,  et  sono  state  ritenute 
et  mandate  in  questa  città»  per  sopperire  ai  bisogni  dell'annona;  si  deli- 
bera «  che  ahi  patroni  sia  pagato  prontamente  il  grano  et  usata  ogni  cor- 
tesia, liberando  le  barche  con  il  restante  del  carico senza  obligarli 

a  quelle  spese  che  giustamente  si  potessero  pretendere  »  (carte  1 1 1). 

1606  m.  v.  17  febbrajo.  —  Si  ordina  al  provveditor  generale  in  Dal- 
mazia e  Albania  di  spedire  nelle  acque  di  Trieste  una  galea  con  alcune 
barche  con  commissione  di  arrestare  e  condurre  a  Venezia  i  «  vasselli  »  che 
partiti  da  Trieste  e  d'  altri  luoghi  arciducali  portano  «  formenti  per  sotto- 
vento ».  Ciò  per  approvvigionare  Venezia  che  patisce  difetto  di  grani  (carte 
1 16  tergo). 

Senato  Secreti,  voi.  XCVIII  (1607). 

1607.  2  marzo.  —  All'ambasciatore  all'imperatore.  Giustifichi  con  quéi 
ministri  l'arresto  e  l' invio  a  Venezia  fatti  dalle  galee  publiche  «  di  alcune 
barche  che  da  Trieste  passavano  sotto  vento  cariche  di  formenti».  Il  che 
fu  fatto  per  la  penuria  di  grani  in  cui  è  lo  Stato,  non  per  interrompere 
il  commercio  ;  ed  è  cosa  «  permessa  dalle  leggi  et  usata  da  ogni  Principe 
in  casi  simili  di  necessità  ».  Del  resto  si  ordinò  «  che  a  i  Patroni  fusse 
pagato  prontamente  il  grano,  et  usata  ogni  cortesia,  liberando  le  barche  col 
restante  carico  »  (carte  2). 

1607.  7  aprile.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Circa 
1'  offerta  fatta  «  dal  Carambassà  di  Cherpoti  di  venir  al  servitio  della  Re- 
publica  nostra»  conducendo  15  o  20  famiglie  nelle  quali  sarebbero  «più 
di  40  eletti  archibusieri  »  ;  lo  si  eccita  a  dispor  «  1'  animo  di  esso  Caram- 
bassà di  accettare  habitatione  ordinaria  nelP  Istria  ».  Il  che  però  non  si  mette 
per  condizione  assoluta,  lasciando  al  provveditore  libera  la  scelta  del  domi- 
cilio da  assegnarsi  anche  in  Dalmazia. 

Lo  stesso  si  risponde  circa  «  al  Capo  de  Morlacchi  che  veniria  pron- 
tamente con  40  famiglie  »  (carte  24  tergo). 

1607.  7  giugno.  —  Al  podestà  di  Cittanova.  «  Il  secretano  cesareo  si 
è  doluto  con  noi  che  il  vassello  pavoneggiato  da  Antonio  Bonato  triestino, 
capitato  in  quel  porto   per  fortuna  sia  stato   trattenuto  da  vostri   ministri, 


—  342  — 

et  posti  in  prigione  li  marinari  »,  in  onta  avesse  carte  che  lo  autorizzavano 
a  navigare.  Gli  si  ordina  di  lasciar  liberi  tosto  legno  ed  uomini  (carte 
49  tergo). 

1607.   19  luglio.  —  «  All'Ambasciator  in  Corte  Cesarea.  Siamo  avisati 

dal  Podestà  di  Rovigno  con    lettere  di  XIII  del   presente  et da 

altri della  depredatione  ultimamente  fatta  da  Uscocchi  di  alcune 

nostre  fregate  et  vasselli  nelF  Istria,  con  l' asportatione  di  cavedali  di  gran 

valore et  con  la  morte  di  molti  passeggieri  Turchi  et  prigionia 

di  alcuni  Hebrei,  et  con altre  male  circonstanze  ».  Ciò  reca  tanto 

più  dispiacere  in  quanto  i  sudditi  arciducali  sono  trattati  con  ogni  amicizia. 
Si  fecero  col  segretario  imperiale  i  convenienti  reclami.  E  si  commette  all'am- 
basciatore di  farli  dal  suo  canto  all'  imperatore  reclamando  energici  prov- 
vedimenti (carte  75). 

1607.  14  agosto.  —  Si  commette  al  nuovo  provveditore  in  Dalmazia 
e  Albania  di  proseguire  le  pratiche  per  condurre  ad  abitare  negli  stati  veneti 
«  Caram  Bassa  di  Carpoti  »  ed  il  capo  di  Morlacchi,  già  mentovati  (carte 
90  tergo). 

1607.  12  ottobre.  —  All'ambasciatore  alla  corte  imperiale.  Il  capitano 
contra  Uscocchi  scrive  essere  il  generale  di  Croazia  dispostissimo  alla  re- 
stituzione delle  prede  di  cui  è  parola  nell'antecedente  del  19  luglio,  e  non 
aspetta  che  d' aver  ordine  di  consegnarle.  Procuri  esso  ambasciatore  gli 
ordini  stessi  (carte   109  tergo). 

Si  scrive  in  conformità  al  capitano  contro  Uscocchi  con  opportune 
istruzioni  (carte  no). 

Senato  Secreti,  voi.  XCIX  (1608). 

1608.  2  maggio.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Avrà  avuto  notizia  «  dell'  insulto  et  violenza  usata  da  Uscocchi  alla  città 
di  Puola,  saccheggiandola  et  depredandola  »  ;  se  gliene  mandano  le  notizie 
avutene  [in  data  30  aprile]  dai  rettori  di  detta  città  e  di  Rovigno.  La  cosa 
recò  grande  «  dispiacere  sì  per  quello  che  tocca  il  publico  interesse  di  haver 
svalleggiata  una  città  nostra,  occupato  il  palazzo  del  publico  rappresentante 

come  anco  per  quello  che  concerne  il  privato  rispetto  »  dei  poveri 

sudditi.  Non  si  sa  precisamente  chi  siano  i  malfattori  né  donde  venuti  ; 
p£ixiò  intanto  aduni  il  maggior  numero  possibile  di  navi  e  barche  da  lui 
dipendenti,  le  armi  bene,  e  procuri  «  di  risarcirvi  dell'  ingiuria  ricevuta  nel 
miglior  modo  che  potrete  ».   Se  i  malfattori   fossero  di  Segna,  o  usciti  di 


-   343  — 

là,  dovrà  «  tener   incomodata Segna,  Fiume,  Buccari,  tutto  il 

Vinadol,  et  altri  luoghi  dove  sogliono  haver  nido  e  ricetto  li  Uscocchi,  ma 
anco  Trieste,  dove  fanno  esito  delle  prede,  con  prohibire  l' ingresso  et 
uscita  ad  ogni  sorta  di  vassello  dalli  sopradetti  luoghi,  et  con  perseguitare 
i  ladri  in  tutti  i  modi  possibili  per  mar  et  per  terra  ».  Manderà  a  Venezia 
tutti  i  legni  di  Trieste  che  arresterà,  e  dividerà  «  ad  uso  di  guerra  »  quelli 
di  Segna  e  del  Vinadol,  ponendo  alla  catena  gli  uomini  di  queste  ultime; 
e  si  danno  altre  disposizioni  (carte  13  tergo). 

Al  provveditore  Priuli  in  Istria.  Gli  si  dà  parte  delle  disposizioni  con- 
tenute nella  precedente.  Il  provveditor  generale  in  Dalmazia  s' intenderà  con 
lui  per  la  difesa  dell'  Istria.  Perciò  si  dà  facoltà  ad  esso  Priuli  «  di  poter 
disporre  di  tutte  le  militie  di  quella  provincia,  tanto  di  ordinanze  et  fanti 
a  piedi,  come  di  cavalli  »  ecc.  come  nella  seguente  (carte  15). 

«  Patentes.  —  Leonardus  Donato  Dei  gratia  dux  Venetiarum  etc.  Uni- 
versis  et  singulis  Repraesentantibus  nostris  in  Istria  existentibus,  fidelibus 
dilectis,  salutem  et  dilectionis  affectum.  Commettemo  al  diletto  nobil  nostro 
Francesco  Priuli  Prov.r  sopra  la  sanità  in  quella  Provincia,  di  ben  intendersi 
col  Proveditor  nostro  General  in  Dalmatia  nelle  presenti  occorrenze  de 
Uscocchi,  et  potendo  essere  eh'  habbia  bisogno  di  valersi  delle  genti  delle 
ordinanze  et  delle  militie  a  cavallo  che  si  ritrovano  nelle  giuridittioni  sot- 
toposte a  cadauno  di  voi,  in  tutto  o  in  parte,  secondo  la  qualità  de  gli 
accidenti,  vi  commettemo  col  Senato,   che  ad  ogni  sua   rechiesta   debbiate 

inviarle  quel  numero  di  dette  militie  che  vi  ricercherà essequendo 

il  di  più  eh'  egli  vi  aviserà  in  questa  occasione  per  il  nostro  servitio  » 
(carte  15  tergo). 

Si  partecipa  quanto  sta  nelle  precedenti  all'  ambasciatore  presso  l' im- 
peratore (carte  16). 

1608.  8  maggio.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Vengono  dall'  Istria  voci  di  minaccie  per  parte  degli  Uscocchi.  Non  si  dubita 
della  sua  oculatezza  e  previdenza;  lo  si  eccita  a  stare  in  guardia,  e  perchè 
non  trovi  ostacoli  gli  si  conferisce  sull'  Istria  la  stessa  autorità  che  ha  sulla 
Dalmazia  e  l'Albania  «  onde  tutti  habbiano  a  rispettarvi  et  riconoscervi  per 
superiore,  et  obedire  alli  vostri  ordeni  et  commissioni  ».  S' intenderà  col 
provveditor  Priuli,  col  capitano  di  Raspo  e  cogli  altri  rettori  sui  provve- 
dimenti da  prendersi.  Gli  si  manderanno  rinforzi  di  «  fanti  Corsi  et  Italiani  » 
che  si  stanno  adunando  in  Padova.  Si  spediscono  munizioni  a  Capodistria. 
Gli  si  comunicano  notizie  di  «certi  successi  seguiti  alla  galea  Bragadina  et 
tre  barche  de  Albanesi  eh'  erano  seco  mentre  combattevano  tre  barche  de 
Uscocchi,  et  parimenti  alla  galea  Gritti  et  altre  genti  albanese  nel  territorio 


—  344  — 

di  Puola  »  ;  ne  faccia  formar  processo  per  castigare  i  colpevoli  (carte 
17  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Dai  provveditori  all'  artiglieria 
riceverà  libbre  3000  di  polvere,  2000  di  piombo  e  2000  di  corda  ;  conse- 
gnerà tutto  ciò  a  quel  «  monitionero  »  a  disposizione  del  provveditor  ge- 
nerale Zane  e  del  provveditore  Priuli.  Lo  si  avverte  dei  poteri  conferiti  al 
detto  Zane,  comunichi  la  cosa  agli  altri  rettori  dell'  Istria,  e  lo  riconoscano 
tutti  per  superiore  (carte   18  tergo). 

Al  provveditor  Priuli  in  Istria.  Si  spera  che  giunto  in  Quarnero  il 
provveditor  generale  Zane,  avranno  stabilito  insieme  il  da  farsi  «  per  assi- 
curar la  navigatione  et  l'Istria  dalle  invasioni  de  Uscocchi  ».  Lo  si  avvisa 
dell'  invio  delle  munizioni  come  sopra  e  dei  poteri  conferiti  al  provveditor 
generale  in  Dalmazia.  Il  capitano  di  Raspo  «  senator  della  intelligentia  et 
pratica  che  vi  è  noto  »,  scrive  di  disegni  d'  Uscocchi  contro  Venezia  ;  si 
ponga  d'  accordo  con  lui.  Si  accorda  che  in  «  caso  che  li  nostri  s'  incon- 
trino con  Uscocchi,  possano  neh"  atto  di  combatterli  et  fugarli,  seguitarli 
per  conveniente  spacio  anco  dentro  nella  giuridittione  arciducale,  et  abrug- 
giar  le  case  dove  si  riducessero  per  salvarsi  »  (carte   19). 

Al  capitano  di  Raspo.  Si  approva  quanto  fece  «  nelle  presenti  occor- 
renze d' Uscocchi»;  lo  si  avvisa  dei  poteri  accordati  al  provveditor  generale 
in  Dalmazia  che  riconoscerà  per  superiore  e  come  capo  della  provincia;  tanto 
il  predetto  quanto  il  provveditor  Priuli  tengono  ordine  di  andar  d'accordo 
col  capitano  in  «quanto  occorre».  Si  autorizza,  in  caso  di  combattimento  con 
Uscocchi,  l'invasione  del  territorio  arciducale,  come  sopra  (carte  19  tergo). 

Al  podestà  di  Albona.  Lo  si  loda  pei  provvedimenti  presi  per  la  si- 
curezza de' sudditi  contro  gli  Uscocchi,  e  per  le  ottime  sue  intenzioni;  gli 
si  comunica  1'  autorizzazione  all'  ingresso  nel  territorio  arciducale,  come 
sopra  (carte  20). 

1608.  26  agosto.  —  Al  provveditor  Priuli  in  Istria.  Gli  si  accorda  il 
ritorno  a  Venezia  essendo  cessati  i  motivi  per  cui  era  stato  mandato  in 
Istria  (carte  57). 

Senato  Secreti,  voi.  C  (1609-1610). 

1609.  26  maggio.  —  Si  delibera  che  quattro  barche  con  olio  caricato 
a  Trieste  e  dirette  a  Gradisca  e  Fiumicello,  ed  arrestate  «  dalla  barca  longa 
dell'officio  del  sai  nel  porto  di  Lisonzo  »  siano,  ad  istanza  dell'ambasciatore 
imperiale,  liberate  (carte  17  tergo). 


—  345  — 

1609.  i8  luglio.  —  In  risposta  a  reclami  fatti  dall'ambasciatore  im- 
periale per  l'arresto  fatto  da  ufficiali  del  magistrato  al  sale  d'una  barca  di 
Trieste  carica  di  sai  di  Pirano  ;  si  giustifica  l'arresto  stesso,  e  si  rifiuta  la 
liberazione.  Si  fanno  poi  lagni  «  che  li  Ministri  di  sua  Altezza  [l'arciduca] 

ogni   giorno   accrescano  le  novità  et  specialmente  a  danno  de 

sudditi  nostri  dell'  Istria,  procurando  coatra  ogni  termine  di  buona  vicinanza 
di  privarli  di  quell'  honesto  beneficio  che hanno  goduto  per  an- 
tichissima consuetudine,  et  in  virtù  de  conventioni stabilite  con 

la  città  di  Trieste  et  colli  Ser.mi  [Arciduchi] prohibendo  com- 
mercio de  sudditi  arciducali  con  nostri,  con  vittuarie  et  altra  sorte  di  robbe». 
Si  invita  l'ambasciatore  a  far  sì  che  l'arciduca  faccia  togliere  simili  incon- 
venienti. —  Si  ordina  ai  provveditori  al  sai  di  far  «  ritener  qualunque  barca 
de  sali  che  [i  loro  ufficiali]  trovassero  navigar  per  Trieste  o  altrove  »  (carte 
36  tergo). 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Mandi  al  podestà  e 
capitano  di  Capodistria  due  barche  armate  per  «  essequire  gli  ordeni  et 
commissioni  che  saranno  loro  date  dalli  Proveditori  al  sai  »  (carte  39). 

1609.   13  agosto.  —  Avendo  «Zorzi  Bucci  da  Trieste»  denunziato  che 

«  quattro  scelerati  con complicità  di  un  publico    Ministro,  da  sei 

anni  in  qua  hanno  condotto  et  tuttavia  conducono  fuori  d'una  terra  nostra 
dell'Istria  gran  quantità  di  sali,  trasportandoli  in  terre  aliene»;  si  delibera 
che,    verificata  la  cosa,    ed  avuti   in  mano    e    puniti  i  rei,    il  detto   «  Zorzi 

Bucci con  Eletto  da  Trieste,  Lorenzo  Furlan,  et  Oliviero  Carletto 

da  Marat!  siano  assoluti    dalla condanna  della  galea  »  inflitta  loro 

dai  provveditori  al  sale  (carte  41). 

1609.  20  ottobre.  —  Al  podestà  di  Albona.  Lo  si  encomia  per  la  di- 
ligenza «  da  voi  usata  nella  conservatione  de  nostri  confini  ».  Continui, 
attenendosi  al  decreto  20  settembre  1578,  e  verificando  con  cura  la  sussi- 
stenza delle  usurpazioni  ;  mandi  a  Venezia  copia  delle  carte  relative  ai  luoghi 
in  contestazione  (carte  60  tergo). 

1609.  22  ottobre.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Gli  si  raccomanda  di  non  lasciare  che  sotto  alcun  pretesto  le  due  barche 
mandate  «  in  Istria  per  oviarc  alla  condotta  de  sali  in  Trieste  et  altri  lochi 
arciducali  »  non  abbandonino  mai,  sotto  verun  pretesto,  il  loro  servizio. 
«  Et  perchè  siamo  informati  che  in  breve  devono  incaminarsi  a  Trieste 
alcuni  vasselli  grossi  carichi  di  sale  »,  gli  si  ordina  di  «  inviar  in  Istria  una 
galea  con  spetial  mandato  di  trattenere  qualunque  vassello  che  con  carico 
di  sale  si  trovasse  andar  a  Trieste  overo  in  altro  luogo  arciducale»;  il  che 


-   346  — 

faran  pure  tutti  i  comandanti  di  legni  che  si  trovassero  in  quelle  acque 
(carte  61  tergo). 

1609.  11  novembre.  —  Al  provveditor  al  sale  Zorzi  destinato  in  Istria. 
«  Siete  benissimo  informato  della  salerà  che  arciducali  hanno  introdotta  in 
Trieste,  et  della   prohibitione   che    hanno    fatta    severissima  a  tutti   li  suoi 

sudditi  di  non venir  a  pigliar  sali  nell'  Istria,  ne  haver  seco  alcuna 

sorte  di  commercio,  et  questo  sotto  rigorose  pene,  et  contra  la  dispositione 
delle  capitulationi  che  habbiamo  con  la  terra  di  Trieste  et  con  la  Ser.ma 
Casa  d'Austria.  Per oviare  al  pregiudicio  che  ne  ricevemo  com- 
mettessimo al  Magistrato  al  sai  di  usar  ogni  diligenza  con  le  sue  barche  et 
con  altre  due  de  albanesi  »,  e  si  ordina  al  provveditor  generale  in  Dalmazia 
e  Albania  di  mandarvi  una  galea  [vedi  sopra].  «  Hora  che  voi  havete  a 
fermarvi  nell'  Istria  per  essequire le  commissioni  datevi  dal  Col- 
legio del  sai  in  questi  negotii  »,  gli  si  ordina  di  usar  la  massima  diligenza 
per  impedire  che  sia  u  condotta  alcuna  quantità  di  sali  in  Trieste  et  altri 
luochi  arciducali,  non  tanto  da  nostri  sudditi  quanto  da  altri  alieni  »,  ca- 
stigando i  primi,  e  facendo  arrestare  e  mandando  a  Venezia  i  legni  dei 
secondi.  All'uopo  si  mette  a  sua  disposizione  un'altra  galea.  Gli  si  raccomanda 
poi  di  agevolare  trattative  con  Trieste  e  coi  sudditi  arciducali  per  togliere 
simili  inconvenienti,  quando  gliene  fossero  fatte  aperture  (carte  65  tergo). 

Al  provveditor   generale    in    Dalmazia  e  Albania.   «  Il  Collegio  al  Sai 

ha  espedito  in  Istria Alvise   Zorzi,    uno  delli  Provveditori  al  Sai, 

per  varie  occorrenze  spettanti  al  loro  magistrato  ».  Ad  ogni  richiesta  dello 
stesso  Zorzi,  il  provveditor  generale  gli  spedirà  un'altra  galea,  oltre  la  già 
destinata  colla  ducale  22  ottobre  (carte  66). 

1609.  19  dicembre.  —  Al  provveditor  Zorzi.  Si  approva  la  sua  con- 
dotta  nell'  esecuzione   delle  sue    incombenze.  Così  pure   1'  arresto  di  «  doi 

vasselli  usciti  da Trieste,  carichi  di  ferri  et  azzali stimando 

noi  bene  che  conoscano  da  ciò  quelli  di  Trieste  li  danni  et  incomodi  che 
se  gli  possono  apportar  da  nostri  ».  Intanto  trattenga  i  due  vascelli.  Il  prov- 
veditor generale  in  Dalmazia  ha  ordine  di  corrispondere  alle  sue  domande 
perchè  non  resti  mai  privo  di  barche  e  di  uomini  onde  vigilare  il  contrab- 
bando. Si  è  mandato  il  sopracomito  Contarmi  a  porsi  a  disposizione  d'esso 
Zorzi.  Stia  sempre  pronto  ad  accogliere  le  aperture  di  accomodamento 
che  facessero  gli  arciducali,  e  subito  ne  riferisca.  Si  hanno  lettere  da  Ca- 
podistria  [di  quel  podestà  e  capitano]  che  avvisano  «  che  da  uno  delli  ap- 
paltadori  de  sali  a  Trieste  sia  concesso  ad  ognuno  di  venir  nel  nostro  Stato 
a  levar  sali,  ma  con  aggravio  però  de  1.  5  et  s.  1 3  per  cavallo  di  più  di 
quello  che  pagavano  per  avanti  »  (carte  70  tergo). 


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i6io.  17  aprile.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Partendo  da  Pirano  il  prov- 
veditor  Zorzi,  e  non  volendo  il  Senato  interrotto  l' impedimento  dell'  im- 
portazione del  sale  a  Trieste  e  ai  paesi  arciducali,  si  danno  al  capitano,  in 
proposito,  le  commissioni  e  gli  ordini  impartiti  1'  1 1  novembre  scorso  al 
Zorzi.  Il  provveditor  generale  in  Dalmazia  gli  manderà  una  o  due  galee. 
E  si  scrive  in  conformità  a  quest'  ultima  (carte  99  tergo). 

1610.  21  maggio.  —  Al  suddetto.   «Li  ambasciatori    della 

città  di  Capodistria  ne  hanno  esposto 1'  afflinone   nella  quale  si 

si  trovano  per  causa  della  saliera  di  Trieste,  et  della  prohibitione  del  com- 
mercio fatta  da  Arciducali  alli  loro  con  li  nostri  sudditi  ».  È  questa  una 
infrazione  ai  trattati  esistenti  fra  Venezia  e  Trieste  e  la  Casa  d'  Austria  ; 
perciò  proibisca  «  a  triestini  il  commercio  non  solo  de  sali,  ma  di  qualunque 

altra    robba    solita   contrahersi  et  condursi  a  Trieste    per   mare 

dando  voi  ordine  alle  galee  et  barche  che  saranno  sotto  la  vostra  obedientia, 

di  trattener  et  rendersi  obediente,  con  ogni  maniera  possibile,  ogni 

vassello  et  barca  che  trovassero  entrare  et  uscire  di  là,  sia  de  chi  esser  si 

voglia Tutte  quelle  che  troverete  cariche  de  sali  per  Trieste, 

Fiume  et  altri  luoghi  arciducali  inviarete  in  questa  città  al  Magistrato  del 
sale.  Quelle  che  saranno  cariche  di  altra  sorte  di  robbe,  essendo  di  triestini 
et  sudditi  arciducali,  invierete  in  questa  Città  con  inventario  alli  Savii  alla 
Mercantia  ».  Le  navi  d'  altri  paesi  saranno,  per  la  prima  volta,  rimandate 
con  intimazione  di  non  tornare;  se  facessero  ciò  si  prendano  e  si  mandino 
a  Venezia.  I  legni  veneziani  o  sudditi  presi  in  contrabbando  saranno  donati 
a  quelli  che  li  prendessero.  Questi  ordini  saranno  proclamati  in  Capodistria 
e  in  altre  terre  di  quella  provincia,  premettendo  farsi  ciò  «  per  sola  indennità 
de  sudditi,  et  a  solo  fine  di  ridurre  le  cose  al  suo  dritto  e  dovere».  Si 
diede  ordine  «  al  Governator  del  Dacio  dell'  Insida  di  non  dover  espedire 
bollette  per  Trieste  ».  Il  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania  ha 
ordine  di  mandarle  al  capitano  due  buone  galee  per  usarle  nelle  presenti 
circostanze.  Gli  si  raccomanda  ogni  premura  per  adempiere  quanto  sopra 
(carte   108). 

16 io.  21  maggio.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Mandi  al  capitano  di  Raspo  due  buone  galee.  Faccia  poi  «  ritener  ogni 
vassello  che  incontraste  carico  di  sali  per  Fiume,  Trieste  et  altri  luochi 
Arciducali,  mandandolo  di  qua  »,  e  così  pure  tutti  gli  altri  legni  come  è 
detto  di  sopra  (carte  109). 

Al  capitano  in  Golfo.  Ordini  per  1'  arresto  di  legni  diretti  a  Trieste, 
come  nelle  precedenti  (carte   109  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Gli  si  manda  copia  degli  ordini 


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dati  al  capitano  di  Raspo;    coadiuvi  quest'ultimo  in  quanto  gli  sarà  pos- 
sibile,  specialmente  se  «  accadesse    valersi    dell'  aiuto  et  opera   delli    nostri 

fidelissimi,   tanto  in  rinforzar  le  galee quanto  in  concorrer   con 

barche  et  in  altra  maniera  a  far  qualche  esseeutione  »  (carte  no). 

All'ambasciatore  in  corte  imperiale.  Gli  si  partecipano  le  disposizioni 
prese  per  impedire  il  commercio  marittimo  dei  paesi  arciducali,  giustifican- 
dole col  contegno  dei  «  Ministri  di  quei  luoghi,  li  quali  per  maggiormente 
assicurarsi  che  niuno  ardisca  di  haver  commercio  hanno  deputato  Uscocchi 
alla  guardia  de  passi  et  delle  strade,  et  hanno  incrudelito  fin  contra  li  proprii 
loro  sudditi  che  secondo  1'  antico  uso  venivano  neh"  Istria,  ammazzandoli 
e  togliendoli  li  cavalli  et  robbe  che  poi  hanno  venduto  al  publico  incanto 
in  Trieste;  indicio  manifesto  del  loro  mal  animo».  Se  ha  occasione  di 
parlare  coli'  arciduca  Ferdinando  o  con  alcuno  de'  suoi  ministri,  si  valga 
di  questi  argomenti  per  giustificare  le  misure  prese  dal  Senato  (carte  no). 

1610.  7  giugno.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Trovandosi  inutile  più  lunga 
permanenza  del  provveditor  Alvise  Zorzi  in  Istria,  è  richiamato.  Il  capitano 
assumerà  quindi  da  solo  1'  attendere  a  alla  prohibitione  del  commercio  a 
Triestini  ».  Perciò  si  recherà  in  Capodistria  o  dove  crederà  poter  esercitar 
meglio  la  sorveglianza  opportuna.  Si  diedero  tutte  le  disposizioni  «  acciò 
possiate  stringer  quanto  più  vi  sia  possibile  li  Triestini,  et  incomodarli  in 
modo  »  di  affrettare  in  loro  il  desiderio  del  componimento.  Accolga  poi  le 
aperture  fattegli  dal  vescovo  di  Trieste,  senza  però  impegnarsi  ;  dimostri 
tutto  esser  derivato  dall'  agire  degli  arciducali  contrario  ai  trattati  e  alle 
consuetudini  di  buona  vicinanza  ;  Venezia  è  pronta  a  ritornare  i  buoni 
rapporti  quando  si  tolgano  le  cause  della  loro  alterazione.  Trattando  col 
vescovo,  mostri  di  farlo  come  da  se  e  senza  incarico  o  autorizzazione  su- 
periore (carte   123   tergo). 

Al  provveditor  Zorzi.  «  Per  causa  del  vostro  andare  in  Dalmatia  »  fu 
commesso  al  capitano  di  Raspo  di  sostituirlo  nel  presiedere  alle  disposizioni 
contro  il  commercio  di  Trieste  ;  ritornato  il  Zorzi  in  Istria,  lasci  che  il  detto 
capitano  continui  nell'incarico,  ed  egli  se  ne  venga  a  Venezia  (carte  124). 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Mandi  subito,  se  già 
non  1'  ha  fatto,  al  capitano  di  Raspo  le  due  galee  delle  quali  gli  fu  già 
commesso  l' invio  al  predetto  (carte   1 24  tergo). 

16 io.  26  giugno.  —  Al  capitano    di    Raspo.   Si  approva   il    modo  di 
trattare  da  lui  tenuto  col  vescovo  di  Trieste,  e  di  essersi  limitato  a  doman- 
dare «che  si  rimovano  le  novità».  Si  è  sentito  con  piacere  che  quel  prelato, 
non  trovandosi   autorizzalo  a  trattare,    ne  abbia  scritto   all'  arciduca.    Se  il 
vescovo  domanderà  nuovi  abboccamenti,  accetti,  dichiari  esser  Venezia  di- 


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spentissima  a  riannodar  buoni  rapporti,  ma  innanzi  tutto  dover  cessare  le 
novità  e  restituirsi  «  la  libertà  de'  passi  et  del  commercio  nel  termine  ch'erano 
alla  introduttione  della  Saliera  »  la  quale  così  verrà  a  restare  inutile.  Gli 
si  danno  altre  istruzioni  sul  modo  di  contenersi  in  caso  di  ulteriori  trattative. 
Intanto  continui  vigorosamente  ad  adempiere  a  ciò  che  gli  è  stato  commesso 
(carte   131  tergo). 

1610.  6  luglio.  —  All'ambasciatore  imperiale  in  Venezia  si  fa  leggere: 
Fin  da  16  mesi  addietro  gli  si  fecero  rimostranze  e  si  chiese  rimedio  contro 
le  novità  suscitate  dai  triestini,  ma  senza  avere  risposta.  Si  dimostra  il  con- 
tegno dei  triestini  offensivo  ai  diritti  sovrani  di  Venezia  ;  legittimo  quindi 
1'  agire  de'  ministri  veneti  nell'  Istria.  Vani  son  quindi  i  lagni  dell'  amba- 
sciatore in  nome  dell'  arciduca,  il  quale  ha  in  mano  i  mezzi  di  tome  i 
motivi  ;  dia  quel  principe  ordini  efficaci  perchè  cessino  le  novità  e  sia  data 
ragionevole  soddisfazione  ai  danneggiati,  e  il  Senato  sarà  prontissimo  a 
riannodare  gli  antichi  buoni  rapporti.  —  Di  ciò  si  manda  copia  al  capitano 
di  Raspo  e  al  segretario  in  corte  cesarea  (carte  134  tergo). 

16  io.  9  luglio.   —  Al    capitano   di   Raspo.    «  L'  ambasciator   Cesareo 

fece  condoglienza  dell'  incomodo  che  si  dà  alla  terra  di  Trieste, 

portò  molte  cause  del  suo  gravame,  assicurò  che  S.  Alt.  haveva  aperto  il 
passo  di  terra,  et  ricercò  noi  a  fare  il  medesimo  di  quello  di  mare  ».  Gli 
si  manda  la  risposta  data  come  sopra.  Comprendendosi  poi  da  tal  fatto 
essere  intenzione  dell'  arciduca  che  le  trattative  per  appianar  la  questione 
seguano  in  Venezia,  si  scusi  in  termini  generali  col  vescovo  di  Trieste,  se 
mai  quel  prelato  tornasse  sull'argomento,  senza  entrare  in  alcun  particolare. 
Intanto  non  differisca  l'esecuzione  «  degli  ordini  dativi  in  materia  d' inco- 
modar Trieste  »  (carte  135  tergo). 

1610.  20  agosto.  —  Si  fa  comunicare  all'ambasciatore  dell'imperatore 
e  a  quello  del  re  di  Spagna  :  Si  sono  udite  con  piacere  le  dichiarazioni 
dell'  arciduca  Ferdinando  «  che  il  commercio  delli  suoi  colli  nostri  sudditi 
dell'  Istria  sarà  libero,  et  le  strade  aperte  come  erano  di  prima,  et  che  non 
si  navigheranno  sali  forestieri  di  qualunque  sorte  per  li  luoghi  di  S.  Alt. 
Noi  adunque,  col  fondamento  di  questa  promessa espe- 
diremo quanto  prima  ordine  a  nostri  Ministri  di  lassar  libero  il  commercio 
a  Triestini secondo  che  desidera  sua  Alt.a  ». 

Si  ordina  al  «  Governator  del  dacio  dell'  insida  et  in  fontego,  et  dove 
sarà  necessario  che  espediscano  le  bollette  per  Trieste  et  altri  luochi  vicini  » 
(carte   150). 

16 io.  20  agosto.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Gli  si  partecipano  le  dichia- 
razioni fatte  fare  dall'arciduca  Ferdinando  per  mezzo  dei  due  ambasciatori. 


—  350  — 

Gli  si  ordina  perciò  «  di  restituir  il  commercio  alla  detta  città  [Trieste]  et 
luoghi  vicini  nel  modo  che  lo  havevamo  prima,  rimandando  le  galee  et 
barche  »  che  tiene  a  sua  disposizione  al  provveditor  generale  in  Dalmazia. 
Gli  si  comunicano  gli  ordini  contenuti  nel  seguente  che  eseguirà  egli  pure 
presentandosene  il  caso.  Ritorni  ai  suoi  ordinari  uffici,  «  sicuro  che  l'opera 
vostra  nella  presente  straordenaria  occasione  è  stata  fruttuosa  al  publico 
servitio,  et  a  noi  grandemente  cara  ».  Comunichi  le  presenti  disposizioni 
al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  che  attenderà  a  vedere  come  «  nell'av- 
venire passerà  il  commercio  fra  li arciducali  et  nostri,  se  piglie- 

ranno   sali, et che  si  faccia  della    saliera  di  Trieste  » 

(carte  150  tergo). 

1610.  21  ottobre.  —  «  La  provincia  dell' Histria  per  la  qualità  del  suo 
sito  et  del  suo  terreno  si  è  provata  in  altri  tempi  fecondissima,  così  di 
biade,  vini,  ogli,  et  sali,  come  di  tutto  quel  più  che  serve  all'  uso  et  al 
mantenimento  del  viver  humano  ;  per  il  che,  et  per  esser  così  vicina  et 
comoda  a  questa  Città,  fu  sempre  tenuta  in  grandissima  stima  da  nostri 
Maggiori,  i  quali  mentre  hanno  veduto  qualche  principio  di  declinatione, 
hanno  sempre  posto  molto  pensiero  alla  sua  populatione  et  coltura,  quando 
con  la  concessione  d' immunità  et  privilegii  a  quelli  che  fussero  andati  ad 
habitarui,  quando  con  la  missione  espressa  di  molto  numero  di  famiglie 
cipriotte,  napolitane  et  malvasiotte,  con  accomodarle  etiandio  del  danaro 
publico  per  la  provisione  de  animali  et  apprestamenti  rurali,  havendo  anco 
trattenuto  per  molti  anni  continui  un  Proveditor  sopraintendente  con  par- 
ticolar  autorità  in  tutta  essa  provincia,  il  quale  havesse  la  protettione  di 
essi  novi  habitanti,  et  invigilasse  sopra  la  remissione  et  restitutione  di  essa  : 
Da  che  se  ne  riceve  quel  frutto  che  per  la  remotione  del  sudetto  Proveditor 
si  è  di  poi  perduto,  con  esser  le  cose  non  solo  ritornate  nel  stato  ch'erano 
di  prima,  ma  passate  a  maggiori  inconvenienti,  perchè  essendo  trascurata 
da  chi  meno  doveria  la  essecutione  delle  leggi  et  ordeni  in  questa  materia, 
alcuni  de  novi  habitanti,  in  loco  di  ridur  a  coltura  i  terreni  de  quali  sono 
stati  investiti,  li  hanno  lasciati  andar  a  pascolo,  et  altri  coltivando  i  loro 
terreni,  per  esser  ciò  immediate  contrario  alla  intentione  et  fini  delli  vecchi 
habitanti  della  Provincia,  sono  stati  da  loro  di  maniera  perseguitati,  che 
hanno  convenuto  abbandonar  finalmente  il  paese  et  andar  ad  habitar  altrove, 
essendo  commune  opinione  che  il  numero  di  quelli  che  sono  partiti  per 
le  persecutioni  dei  naturali  del  paese  sia  molto  maggior  delli  andati  ad 
habitarvi  :  Da  che  ne  segue  la  spopulatione  di  essa  Provincia,  et  per  con- 
seguenza la  dessolatione  di  tutto  il  paese,  perchè  alcuni  pochi  tiranneggiando 
quei  poveri  contadini  che  restano,  li  vanno  estorquendo  con  usure  et  altri 


—  35i  — 

atti  illeciti,  et  arichendo   con  il  sangue    loro    senza  alcun    timor  di  Dio  o 

della  giustitia,  si  fanno  strada ad  altre  male  operationi,  per  causa 

delle  quali  sono  ridotte  all'  estremo  le  entrate  di  quelle  Comunità  et  delle 
Scole  et  Fonteghi,  come  se  ne  ha  havute  più  volte  querelle  et  rechiami, 
cose  tutte  che  devono  mover  la  prudenza  di  questo  Consiglio  ad  applicarvi 
l'animo,  il  che  non  si  può  conseguir  altrimenti  che  colla  missione  di  sog- 
getto principale,  il  quale  con  suprema  auttorità  porga  rimedio  a  tanti  in- 
convenienti ;  però 

»  L'anderà  parte  che  de  presenti  per  scrutinio  di  questo  Consiglio  sia 
fatta  elettione  di  un  honorevole  nobile  nostro  di  auttorità  et  esperienza,  con 

titolo  di  Proveditor  General  et  Inquisitor  in  Histria Debba  star 

nel  carico  anni  doi,  et  tanto    meno  quanto    parerà  a  questo  Consiglio,  et 

haver  per  sue  spese  ducati  ducento  da  L.  6,  s.  4  per  ducato  al  mese 

Il  suo  principal  carico  sia  di  far  una  general  descrittione  di  tutti  li  terreni 
di  quella  Provincia  a  territorio  per  territorio,  distinguendo  et  separando  li 
terreni  vecchi  dalli  nuovi,  sive  novali  et  inculti  con  termini  et  confini  no- 
tabili, rilasciando  i  terreni  vecchi  a  suoi  legitimi  patroni  et  possessori,  et 
catasticando  i  nuovi   et    inculti,    facendo    quelli    poner   in    dissegno   sicché 

si  possa  in  ogni  tempo  riconoscer  li  terreni  della  Signoria  Nostra, 

la  quantità  et  qualità  loro,  et  il  luoco  dove  sono  situati.  Per  poter  ben 
essequir  questa  publica  intentione  habbi  auttorità  d' inquirir  et  proceder 
sommariamente  contra  qnelli  che  hanno  per  qualsivoglia  modo  transgredito 

le  leggi  et  ordeni in  materia  della  coltivatione  dell'  Histria,  con 

facoltà  di  riveder  i  titoli  de  possessori  de  predetti  beni,  et  tutte  le  investiture 
già  fatte,  confermarle,  rivocar  quelle  che  troverà  fatte  contra  la  forma  delle 
leggi,  reinvestendo  altri  in  luogo  di  quei  che  fussero  stati  mal  investiti,  o 
possedessero  indebitamente  de  predetti  beni  :  con  facoltà  appresso  di  con- 
ceder di  essi  terreni  inculti  a  tutti  quelli  che  ne  ricercassero  in  quella  quantità 

però  che conoscerà  esser  bastante  alle  forze  di  cadauno  ;  affine 

che  si  possa  con  facilità  ridur  a  coltura  quella  maggior  quantità  che  sarà 
possibile  :  in  che  debba  esso  Prov.r  gen.1  et  Inquisitor  impiegar  ogni  suo 
spirito  et  industria  ;  et  sia  giudice  inappellabile  in  tutte  le  differenze  che 
potessero  nascer  tra  novi  et  vecchi  habitanti,  et  così  di  tutte  le  difficoltà 
dependenti  da  essi  beni  inculti,  le  quali  differenze  et  difficoltà  siano  asso- 
lutamente et  omninamente  raccomandate  et  commesse  alla  auttorità  » 
di  esso. 

«  Debba  riveder  tutte  le  entrate  et  spese  delle  Communità  et  delle  Scole, 
et  parimenti  l'administration  de  i  loro  fonteghi  regolando  il  tutto  conforme 
a  quello  che  conoscerà  ricercar  il  beneficio  di  esse,  facendo  saldar  le  casse 


—  352  — 

et  li  intacchi  che  si  ritrovassero,  et  castigando  i  colpevoli  di  quella  pena 
che  convcnirà  alla  giustitia,  ctiam  di  pena  capitale.  Et  la  medesima  auttoriù 
habbia  contra  quelli  che  ritroverà  haver  commesso  estorsioni,  magnane  et 
tirannie  in  detta  Provincia  :  dovendo  però,  quando  ritrovasse  che  Rettori 
o  altri  nobili  nostri  ("ussero  incorsi  nclli  mancamenti  predetti  formar  contra 
di  loro  diligente  processo,  et  inviarlo  alti  Capi  del  Consiglio  nostro  di  X, 
perchè debbano  esser  puniti. 

»  Debba visitar  li  boschi   della  S.  N.,    cosi    quelli  da  legne 

di  uso,  come  quelli  de  roveri,  et  le  catasticationi  et  confini  di  essi,  et 

far  custodir  tutti  essi  boschi  della  S.  N. 

»  Condur  debba   seco  un  Avocato    Fiscal  con    salario  di  ducati  15  al 

mese.  Item  un  cancelliere  pratico per  la  formatione  dei  processi 

con  salario  di  due.  io  al  mese.  Et  un  Rasonato  con  due.  io  al  mese 

per  lar  le  sudette   revisioni.    Le  siano   pagati  sei  Alabardieri   con  un  capo 

Et  partir  debba  quando  et  con  quella  commissione  che  parerà  a 

questo  Consiglio»  (carte   171). 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Restituitosi  il  com- 
mercio con  Trieste,  non  tralasci  di  sorvegliare  il  contrabbando  del  sale,  e 
trovando  qualche  legno  con  carico  di  quella  derrata,  destinato  a'  paesi  ar- 
ciducali, lo  arresti  e  lo  mandi  a  Venezia.  —  Similmente  si  scrive  al  prov- 
veditor dell'  armata,  al  capitano  del  golfo,  al  governatore  de'  condannati  e 
al  capitano  contro  Uscocchi  (carte   151). 

1610.  23  ottobre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Gli  si  trasmettono  lettere 
del  podestà  di  Albona  del  12  coi  particolari  dei  danni  dati  dagli  abitanti 
di  Sumber.  Se  il  detto  podestà  non  trovasse  facilità  all'accomodamento,  e 
chiedesse  il  concorso  del  capitano,  lo  accordi,  e  faccia  coi  ministri  arciducali 
gli  uffici  che  stimerà  necessari  (carte   174). 

Al  podestà  di  Albona.  Lo  si  approva  per  «  haver  fatto  ritener  prigione 
uno  di  quelli  di  Sumber  »  luogo  arciducale,  che  vennero  sul  territorio  veneto 
a  depredare  animali  e  violarono  i  confini,  e  «  per  haver  mandato  i  vostri 
a  predare  altri  animali  per  risarcirsi,  poiché  è  necessario  propulsar  le  attioni 
violenti  con  altretanta  violentia  ».  E  così  faccia  anche  in  avvenire.  Procuri 
però  che  le  cose  finiscano  bene,  movendo  lagni  ai  ministri  arciducali  ;  se 
poi  incontrasse  difficoltà,  ricorra  al  capitano  di  Raspo  che  ha  ordine  di 
spalleggiarlo  (carte  174  tergo). 

1610.  30  ottobre.  —  Commissione  ad  Alvise  Zorzi  eletto  provveditor 

t  generale  ed  inquisitore  in  Istria,  del  tenore,  mutatis  mutandis,  della  parte 

dispositiva  del  decreto  21   corrente;   aggiuntavi  la  facoltà  al   provveditore 

da  condur  seco  un  perito  per  le  misurazioni  dei  terreni  ed  uno  pei  disegni 


—  353  — 

con  ducati  12  il  mese  ciascuno,  ed  un  coadiutore  pel  cancelliere  con  ducati  5 
il  mese.  Gli  si  assegnano  inoltre  «  per  tutte  spese  di  bocca,  cavalcature  et 

ogn'  altra  commodità  delli  ministri  et  periti haverai   ducati  tre  al 

giorno  »  (carte   177). 

16 io.  18  novembre.  —  Al  podestà  di  Albona.  «Contentandosi  li  in- 
tervenienti del  signor  di  Sumber  di  restituir  gli  animali  che  li  giorni  passati 
levorono  a  nostri  sudditi,  purché  questi  restituiscano  a  quelli  i  presi  in 
risarcimento,  accetti  col  patto  che  le  restituzioni  avvengano  contempora- 
neamente »,  salve  le  ragioni  di  cadauno  (carte   182). 

1610.   io  dicembre.  —  Al  capitano  di  Raspo.    «  Havemo   inteso   con 

sodisfatione  la  ritentione di  uno  delli  officiali    triestini  che  hanno 

ardito  di  penetrare  dentro  la  nostra  giuridittione  nel  Bosco  di  Mozvil  a 
ritener  alcuni  sudditi  Arciducali  che  venivano  per  caricar  sali  in  Cao  d' Istria». 
Supponendo  che  1'  avrà  condannato  a  giusta  pena,  procuri  di  conoscere  i 
nomi  degli  altri,  li  faccia  «  proclamare  »  come  rei  di  «  giuridittion  turbata 
et  gente  di  mal  affare  et  perturbatori  della  publica  quiete  »,  quindi  li  giu- 
dichi in  contumacia.  Lo  si  autorizza  anche  a  bandirli  da  tutti  gli  stati  veneti, 
anche  promettendo  taglia  a  chi  li  prendesse  se  vi  venissero.  «  Essendo  se- 
guito un  simile  accidente  nella  giuridittione  di  Cao  d' Istria  nella  villa  di 
Popecchio  »  senza  poter  prendere  i  colpevoli,  si  danno  ordini  conformi  ai 
precedenti  a  quel  podestà.  Se  questi  domandasse  al  capitano  di  cercar  di 
sapere  dal  mentovato  prigioniero  i  nomi  degli  autori  dell'  ultimo  fatto  di 
Popecchio,  vi  si  presti  (carte  186). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Gli  si  scrive  in  conformità  di 
quanto  è  detto  di  sopra  circa  il  fatto  di  Popecchio,  e  lo  si  loda  di  quanto 
fece  in  quell'occasione  (carte  186  tergo). 

16 io.  26  febbrajo.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Ad  istanza  di  quattro  dei 
capi  di  famiglia  albanesi  ultimamente  venuti  a  stabilirsi  in  Istria,  si  è  scritto 
al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  che  mandi  500  ducati  al  capitano,  il 
quale  li  distribuirà  alle  dette  famiglie  in  biade  e  per  acquisto  di  strumenti 
rurali  e  d'animali;  farà  che  quegli  uomini  si  obblighino  l'uno  per  l'altro 
alla  restituzione.  Procuri  però  innanzi  tutto  che  erigano  abitazioni,  «  et  che 
vi  sia  persona  tra  loro,  et  di  loro  medesimi,  che  habbia  pensiero  della 
protettione  et  conservatione  loro»,  che  si  raccomanda  al  capitano  fino  al- 
l' arrivo  colà  del  provveditor  generale  Alvise  Zorzi  (carte  222  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Gli  si  danno  ordini  in  conformità 
di  quanto  sopra  (carte  223). 


—  354  — 


Senato  Secreti,  voi.  CI  (1611). 


161 1.  16  aprile.  —  Commissione  a  Giacomo  Pesaro  eletto  provveditor 
generale  ed  inquisitore  in  Istria,  conforme  a  quella  data  il  30  ottobre  1610 
ad  Alvise  Zorzi,  colle  aggiunte  :  che  tenga  separato  conto  delle  condanne 
pecuniarie  che  pronunzie™,  il  prodotto  di  esse  sarà  devoluto  allo  Stato  ; 
—  che  provveda  con  disposizioni  opportune  ad  impedire  e  a  castigare  le 
incursioni  e  i  danni  che  facessero  gli  Uscocchi  od  altri  ladri  in  quella  pro- 
vincia, servendosi  all'uopo  delle  milizie  e  delle  ordinante  locali;  «delle  quali 
militie  tutte  et  cose  da  guerra,  et  da  quelle  dependenti  volemo  che  tu  sii 
capo  et  che  habbi  la  sopraintendenza  »  (carte  9). 

161 1.  2  settembre.  —  Al  rettore  e  provveditore  di  Cattaro.  Provveda, 
all'  occorrenza,  al  trasporto  in  Istria  delle  famiglie  albanesi  di  cui  tratta  il 
seguente,  usando  la  necessaria  circospezione  onde  non  apparisca  la  sua  in- 
gerenza nella  cosa  (carte  53  tergo). 

Al  capitano  di  Raspo.  Accoltasi  la  proposta  di  Luca  di  Giorgio  da 
Susana  di  condurre  in  Istria  circa  200  albanesi,  prenda  con  lui  i  concerti 
opportuni  circa  i  terreni  e  le  abitazioni  da  assegnare  ai  medesimi,  stabilisca 
seco  anche  il  tempo  per  la  loro  venuta,  onde  non  abbiasi  a  ripetere  l' in- 
conveniente dell'  inverno  scorso  in  cui  capitarono  colà  altre  di  quelle  genti 
all'  improvviso.  Avviserà  il  rettore  di  Cattaro  dei  concerti  presi  con  Luca 
suddetto,  perchè  si  regoli  in  ciò  che  gì' incombe;  ed  informi  il  Senato  di 
tutto  pei  successivi  provvedimenti  (carte  54). 

Su   proposta   dei  savi  agli   ordini  si  aggiunge  :   «  riavendo  noi  infor- 

matione che  nell' Istria  tutte  le  cose  passino  con  di- 

sordene,  con  inconvenienti  grandi  de  intacchi  de  fonteghi  et  di  fraglie,  con 
usure  et  estorsioni,  con  afflittione  et  rovina  di  quelli  poveri  sudditi  »  ;  si 
ordina  al  provveditor  generale  ed  inquisitore  in  terraferma  che,  sbrigata  la 
visita  del  Friuli,  passi  a  visitare  la  mentovata  provincia  «  facendo  in  ogni 
luoco  li  debiti  proclami  per  invitar  gli  oppressi  a  venir  ad  esponervi  li  loro 

gravami rivederete  li  fornichi  et  fraglie,  facendo  saldar  gli  intacchi, 

procedendo  contra  li  usurari,  et  quelli  che  havessero  usate  estorsioni  e 
tirannie,  per  via  summaria  et  militare  con  la  vostra  autorità,  castigando  li 

colpevoli edam   con   pena  capitale,   come  meglio  vi  parerà  per 

giustitia  ».  Se  i  colpevoli  fossero  alcuno  di  quei  rettori  o  nobili  veneti, 
manderà  i  processi  al   Consiglio   dei   dieci.    «  Et  anderete   operando    tutto 


—  355  — 

quello  che  stimerete per  sollevar  et  tener  consolati  quelli  fede- 
lissimi nostri  sudditi  »   (carte  55   tergo). 

Al  capitano,  di  Raspo.  Per  la  inosservanza  delle  leggi  relative  ai  nuovi 
abitanti,  1'  Istria,  in  cambio  di  popolarsi  va  scarseggiando  sempre  più  di 
abitanti.  Per  rimediare  a  tale  inconveniente,  si  ordina  al  capitano  di  «  far 

una    general    descrittone  di   tutti  li  terreni  di   essa   Provincia » 

come  è  detto  nella  commissione  21  ottobre  1610,  «rilasciando  li  terreni 
vecchi  a  suoi  legitimi  patroni  et  possessori,  et  così  anco  li  nuovi,  a  quelli 

però  che  li  coltivano come  si  doverà  lasciar  ad  assignar  ad  ogni 

Communità  terreno,  unito  però,  et  in  un  pezzo,  abondantemente  che  possi 
bastare  per  il  pascolo  delli  suoi  animali  grossi  et  minuti  ».  Farà  la  revisione 
di  tutte  le  concessioni  di  terreni  fatte  in  passato,  togliendo  i  beni  a  chi  li 
possedesse  illegittimamente  o  non  adempissero  i  doveri  contratti  coli'  inve- 
stitura, «  come  volemo  che  indifferentemente  siano  levati  et  confiscati  li 
terreni  di  ogn'  uno  che  li  possedesse  sotto  qual  si  voglia  titolo,  quando 
siano  inculti  da  cinque  anni».  In  ciò  e  in  tutte  le  questioni  «tra  novi  et 
vecchi  abitanti,  dove  si  trattasse  di  tali  terreni,  et  di  tutte  le  difficoltà  di- 
pendenti da  essi  »  il  capitano  sarà  giudice  inappellabile.  Procurerà  inoltre 
che  sia  aumentata  e  curata  la  coltivazione  degli  ulivi.  Gli  si  manderà  un 
ingegnere  perito  per  la  formazione  del  catasto  ;  e  gli  si  assegnano  80  ducati 
il  mese  per  tutto  il  tempo  che  occuperà  nell'esecuzione  dei  suddetti  prov- 
vedimenti. —  La  presente  fu  votata  con  soli  48  affermativi,  poi  approvata 
coli'  aggiunta  alla  precedente  proposta  dai  savi  agli  ordini  (carte  54). 

161 1.  3  novembre.  —  In  risposta  a  sua  lettera  16  ottobre,  provvederà 
le  io  famiglie  albanesi  nuovamente  colà  venute  di  animali  e  strumenti  rurali 
per  via  di  prestito.  Si  approva  che  le  abbia  stanziate  vicino  alle  già  stabilite; 
cosi  potranno  formare  una  villa  sotto  un  capo  con  regolamento  che  stabilirà 
esso  capitano.  Li  sovverrà  poi  di  danari  [a  prestito]  «  per  comprar  biave 
da  seminare  et  da  vivere,  ma  principalmente  per  far  habitationi  ».  Perciò 
gli  si  fanno  spedire  500  ducati.  Per  la  formazione  del  catastico  si  è  condotto 
l' ingegnere  «  Camillo  Bergomi  »  che  da  Peschiera,  ove  ora  si  trova,  andrà 
fra  breve  in  Istria.  Circa  l'avvocato  fiscale  che  domanda,  faccia  sapere  «  la 
qualità  del  soggetto  »  però  che  non  sia  istriano,  e  si  vedrà  di  accontentarlo. 
Si  scriverà  ai  rettori  dell'  Istria  «  vi  accordino  le  loro  Corti  per  le  essecu- 
tioni  che  vi  occorrerà»  (carte  75). 

161 1.  3  dicembre.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Gli  si  mandano  notizie  di  depredazioni  fatte  recentemente  «  da  Uscocchi 
nelle  Rive  et  Porti  d' Istria  »  ;  perciò  «  tralasciando  ogn'altro  affare  »,  ese- 
guirà «  contra   essi  et  loro    fautori  le  commissioni    vostre  ».    Spedisca   nei 

« 


-  356  - 

luoghi  opportuni  barche  annate  ed  anche  galee,  e  se  e'  è  bisogno  vada  in 
persona,  per  impedire  qualunque  comunicazione  commerciale  per  mare  a 
tutti  i  «  luochi  arciducali  fin  a  Fianona  »,  e  vietando  a  tutti  i  sudditi  veneti 
il  commercio  coi  detti  luoghi  (carte  86). 

1611  m.  v.  27  gennajo.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Si  ha  «  aviso  che 
li  Uscocchi  siano  usciti  ultimamente  da  Segna  in  grosso  numero  »,  sembra 
non  diretti  per  l'Istria;  in  ogni  modo  provveda  alla  tutela  di  quella  pro- 
vincia, al  qual  uopo  gli  si  dà  autorità  su  tutti  i  rettori  della  stessa,  i  quali, 
come  pure  i  giusdicenti,  vengono  informati  di  tal  deliberazione  (carte  101). 

161 1  m.  v.  31  gennajo.  —  Allo  stesso.  Gli  si  concede  di  ritornare 
per  due  mesi  a  riposarsi  alla  sua  residenza,  encomiandolo  pel  modo  con 
cui  adempì  le  commissioni  dategli.  Prima  però  farà  «  accomodar  le  famiglie 
albanesi  »  venute  con  «  Luca  de  Zorzi  »,  sovvenendole  di  danaro  per  ac- 
quisti di  animali  ecc.,  al  qual  uopo  gli  si  mandano  500  ducati.  Si  scrive 
al  rettore  di  Cattaro  di  regolar  meglio  le  «  levate  di  Albanesi  ».  Darà 
istruzioni  all'  ingegner  Bergomi-  onde  durante  i  due  mesi  non  «  resti  in- 
fruttuoso »  (carte  101  tergo). 

Al  rettore  e  provveditor  di  Cattaro.  «  Luca  de  Zorzi  »  nella  levata  delle 
famiglie  albanesi  condotte  in  Istria  non  osservò  le  condizioni  pattuite. 
Quind'  innanzi  il  rettore  badi  che  le  pratiche  di  simili  affari  restino  secrete 
onde  i  turchi  non  abbiano  a  moverne  lagno  ;  e  che  gli  emigranti  non  si 
movano  se  prima  i  lor  capi  non  avranno  «  riconosciuti  li  terreni  et  habi- 
tationi  che  dovranno  esserle  consignate  in  Istria  »  ;  ne  che  si  mettano  in 
viaggio  d' inverno.  Su  tutto  poi  s' intenda  sempre  col  capitano  di  Raspo 
(carte  102). 

Senato  Secreti,  voi.  CU  (16 12). 

161 2.  5  giugno.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Gli  si  manda  copia  di  quanto 
fu  scritto  al  suo  predecessore  il  2  settembre,  il  3  novembre  e  il  3  r  gennajo 
passati,  onde  eseguisca  quello  vi  è  prescritto.  All'  uopo  gli  si  mandano  le 
patenti  opportune.  Faccia  che  l' ingegnere  Bergomi  dia  mano  immediata- 
mente al  lavoro  del  catasto,  pel  che  si  danno  alcune  disposizioni  d' interesse 
secondario.  Pel  tempo  che  avrà  a  star  fuori  della  sua  residenza  per  motivi 
di  colonizzazione  e  catasto  percepirà  un'  indennità  in  ragione  di  ducati  80 
,al  mese.  E  di  questi  se  gliene  fanno  anticipare  300  (carte  40). 

1612.  11  luglio.  —  Al  capitano  di  Raspo.  «Giacché  quelli  di  Pisino 
hanno  danneggiato  di  novo  li  nostri, vi  commettemo 


—  357  — 

che   procedendo   con  la  medesima    quieta    maniera  che   essi 

hanno  usato  »  ordini  «  a  gli  huomini  della villa  Grimalda  che  si 

risarciscano  del  danno  patito  del  modo  fatto  da  loro,  imponendo  voi  al  capi- 
tano Verzi  che  li  faccia  scorta  et  li  protega  ».  Faccia  però  in  modo  che  esso 
e  gli  altri  publici  rappresentanti  appariscano  estranei  alla  cosa,  anzi  se  ne 
mostri  dispiacente,  e  desideroso  di  componimento.  In  tutto  vada  d'accordo 
col  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Circa  «  alla  casetta  fabricata  da  quel- 
l'arciducale   nel  Marchesato  di  Pietra  Pelosa  »  la  faccia  abbattere 

o  no  come  gli  parrà  meglio  (carte  55). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Gli  si  scrive  in  conformità  di 
quanto  sopra  (carte  59  tergo). 

1612.  20  agosto.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Avendo  gli  Uscocchi  catturato  nel  castello  di  Besca  il  provveditcr  di  Veglia, 
gli  si  ordina  di  recarsi  tosto  nelle  acque  del  Quarnaro  con  tutte  le  navi  e 
barche  disponibili,  di  sorprendere  alcuni  di  quei  luoghi  arciducali  e  cattu- 
rarne il  governatore,  o  altro  principal  ministro  ;  di  danneggiare  il  più  pos- 
sibile i  detti  luoghi,  ma  specialmente  Segna  e  i  suoi  dintorni,  e  di  mandare 
a  picco  tutti  i  legni  che  navigassero  verso  i  detti  luoghi  o  ne  venissero  ; 
e  di  mantener  stretto  blocco  su  tutte  quelle  rive  fino  a  Fianona.  Si  con- 
ferisce poi  al  provveditor  generale  autorità  sull'  Istria  eguale  a  quella  che 
tiene  sulla  Dalmazia  e  l'Albania.  Si  sono  mandati  300  soldati  corsi  al  ca- 
pitano di  Raspo,  per  far  fronte  agli  eventuali  bisogni  fino  all'arrivo  d'esso 
provveditor  generale,  il  quale  riceverà  dal  capitano  comunicazione  di  ciò 
che  andasse  succedendo,  e  delle  disposizioni  che  prendesse,  e  insieme  con- 
certeranno il  da  farsi  per  risarcire  i  sudditi  e  punire  gli  offensori  (carte 
68  tecgo). 

Al  capitano  di  Raspo.  Per  vendicare  il  fatto  sovraccennato  e  difendere 
i  sudditi  si  diedero  ordini  al  Provveditor  generale  in  Dalmazia,  al  quale  fu 
data  autorità  anche  sull'  Istria.  Si  mandano  al  capitano  300  soldati  corsi 
comandati  dal  colonnello  Francesco  Maria  Ornano  e  coi  capitani  Pietro  Maria 
e  Pietro  Paolo  Ornani,  i  quali  staranno  a  sua  disposizione  fino  a  nuovo 
ordine.  È  poi  volontà  del  Senato  che  in  tale  occasione  i  sudditi  non  pa- 
tiscano alcun  aggravio. 

16 12.  23  agosto.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Si  approva 
il  suo  operato  «  a  favore  delle  ragioni  delli  huomini  di  Gabrovizza  »  ;  con- 
tinui «  devenendo  alla  espeditione  di  quel  Martio  dall'Argenta  et  delli  altri 
proclamati  turbatori  della  quiete  et  delli  confini  ».  E  ciò  tanto  più  che  colui 
agi  «  contra  la  mente  del  Signor  di  San  Servolo  »  e  tenta  recar  danni 
maggiori.  Gli  si  dà  facoltà  di  bandire  quei  colpevoli  da  tutti  gli  Stati  veneti 


-  358  - 

«  con  taglia  etiam  per  cinquanta  miglia  oltre  li  nostri  confini  in  terre  aliene 
de  ducati  300».  Continui  «a  far  nettar  l'acqua  della  fontana  di  Bustenich 
tante  volte  quante  porterà  l' occasione  di  farlo  ».  Mantenga  poi  sempre  i 
diritti  dello  Stato  e  dei  sudditi  con  tutta  energia  contro  chi  vi  attentasse 
(carte  71  tergo). 

All'ambasciatore  in  Francia.  Gli  si  partecipa  che  gli  Uscocchi  tornano 
a  molestare  acerbamente  colle  loro  scorrerie  i  territori  veneti  e  turcheschi; 
che  sbarcarono  in  «  Istria  al  numero  di  eoo,  dove  hanno  commesso  molti 
eccessi  in  mare  et  in  terra,   et  ultimamente  poi  riavendo  presentito  che  il 

Proveditor  di  Veglia  era  andato  al  castello  di  Besca furtivamente 

vi  sono  andati,  lo  hanno  preso  insieme  col  Cancellier  et  tre  altri  suoi  et 
li  hanno  tutti  condotti  prigioni  in  Segna  »  In  seguito  a  ciò  s' impartirono 
ordini  energici  al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania  (carte  72). 

All'ambasciatore  di  Spagna  e  a  «Stefano  da  Rovere»  capitano  di  Fiume, 
che  in  nome  dell'arciduca  Ferdinando  avevano  esposto  vari  gravami,  fra  i 
quali  quello  per  un  «  fatto  di  Albona  »,  si  risponde  rilevando  le  continue 
provocazioni  dei  sudditi  arciducali  che  producono  la  necessaria  e  legittima 
reazione  (carte  73). 

1612.  30  agosto.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  ed  Albania. 
Si  mandano  in  Istria  al  capitano  di  Raspo  cinque  compagnie  di  Corsi,  per 
ragioni  interne  d'esse  compagnie  ;  chiamerà  in  Dalmazia  le  due  che  crederà 
possano  starvi  meglio,  lasciando  in  Istria  quelle  fra  i  cui  capi  non  possano 
nascere  gelosie  per  superiorità  (carte  84). 

Si  scrive  in  conformità  al  capitano  di  Raspo  (carte  84). 

1612.  io  settembre.  —  Si  fa  comunicare  all'ambasciatore  di  Spagna 
e  al  capitano  di  Fiume  la  soddisfazione  per  essere  stato,  d'ordine  dell'arci- 
duca Ferdinando,  liberato  il  provveditore  di  Veglia,  e  la  speranza  che  vorrà 
continuare  i  buoni  rapporti  colla  Republica  e  castigare  chi  ne  danneggia  i 
beni  e  i  sudditi.  Circa  il  fatto  di  Albona,  «  tutta  la  roba  tolta  si  trova  in 
essere»  e  si  delibererà  ciò  che  sarà  trovato  conveniente  e  giusto  (carte  88). 

1612.  13  settembre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Avendo  gli  Uscocchi 
danneggiato  due  ville  nel  territorio  di  Pinguente,  si  approvano  le  disposi- 
zioni prese  per  vendicare  l'insulto  coli' incendio  delle  due  ville  arciducali; 
continui  ad  operare  con  energia  e  a  contrapporre  offesa  ad  offesa.  Gli  si 
manda  copia  della  seguente,  e  gli  si  raccomanda  di  andar  sempre  d'accordo 
col  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  di  comunicargli  quanto  anderà  suc- 
cedendo. Si  è  disposto  per  mandargli  munizioni,  ne  distribuirà  nei  vari 
luoghi  della  provincia  che  n'avranno  bisogno  ;  gli  si  mandano  anche  2000 
ducati  per  le  milizie  (carte  90  tergo). 


-  3S9  — 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Gli  si  comunica  la 
precedente  ;  si  aggiunge  che  il  Senato  intende  che  i  danni  e  le  offese  ai 
sudditi  siano  vendicati  con  danni  e  offese  congeneri,  e  che  gli  Uscocchi 
siano  energicamente  perseguitati.  Tenga  perciò  «  strettamente  assediati  ed 
incommodati  per  mare  tutti  li  luochi  arciducali  di  quelle  Rive  del  Quarnaro, 
et  la  città  et  luochi  del  capitaneato  di  Segna  ».  Impedisca  che  vi  approdino 
legni  di  qualsiasi  sorte.  Continui  ad  intendersi  col  capitano  di  Raspo 
(carte  91). 

16 12.  18  settembre.  —  «  In  gratificatione  del  Sig.r  Amb.r  Cattolico  et 
Capitanio  di  Fiume  »  si  delibera  che  siano  restituite  «  le  telle  et  altre  robbe 
trattenute  già  [a  fiumani]  dal  podestà  di  Albona,  et  che  hora  si  trovano 
presso  il  capitanio  di  Raspo Et  siano  liberati  dal  bando»  i  ban- 
diti dal  detto  podestà  per  quella  causa  (carte  98). 

1612.  21  settembre.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Si  scusa 
il  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania,  il  quale,  non  avendo  ancora 
notizia  della  sospensione  delle  ostilità  contro  gli  Uscocchi,  pattuita  coll'am- 
basciatore  di  Spagna  e  col  capitano  di  Fiume,    «  avvertito  delle  incursioni 

fatte  da  Uscocchi  nell'  Istria ha fatto  nel  Contado  di 

Pisino  quel  risarcimento  che  intenderete  dalle  sue lettere  de  12 

stante  ».  Continua  l'enumerazione  dei  danni  dati  da  Uscocchi  «  ultimamente, 

già  un  mese  in  circa  a  Rovigno riuscito  [loro]  vano  il  dissegno 

di  ritener  quel  nostro  Rappresentante,  ritenero  molti  vasselli  destinati  per 

questa  città  amazzandovi  ■ molti  mercanti  et  mannari  ; 

poi  ritennero  il  Provv.r  di  Veglia,  et hanno  abbruggiato  et  de- 
predato alcune  ville  nell'  Istria  »,  ecc.  (carte  101). 

16 12.  27  settembre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Avendo 
il  Senato  conferito  al  capitano  di  Raspo  «  la  cura  et  buona  custodia  »  del- 
l' Istria  «  nelle  presenti  congionture  »,  gli  si  ordina  di  obbedire  agli  ordini 
di  quel  rappresentante  (carte  103  tergo). 

Al  capitano  di  Raspo.  Si  approva  il  contegno  da  lui  tenuto  per  ven- 
dicare il  danno  dato  dai  sudditi  arciducali  colla  «  depredatione  fatta  in  Bar- 
barla ».  Per  aggiungere  nuove  forze  alla  difesa  di  quella  provincia,  si  è  di- 
sposto per  l' invio  nelle  acque  di  Capodistria  il  governatore  de'  condannati 
con  due  galee  e  tre  barche  armate,  a  disposizione  d'esso  capitano.  Si  terrà 
in  buona  corrispondenza  col  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania  e 
col  Capitano  in  golfo,  onde  lo  soccorrano,  al  bisogno,  come  n'  hanno  or- 
dine. Gli  si  invieranno  altri  rinforzi,  e  fra  questi  300  fanti  ;  «  et  intanto  vi 
mandamo  il  Sig.r  Horntio  del  Monte  acciò  riabbiate  presso  di  voi  soggetto 
di  esperienza  et  valore,  del  quale  vi  valerete  in  tutto  quello  che  vi  parerà 


—  3*>°  — 

ricercare  il  bisogno  ».  Gli  si  raccomanda  di  agir  sempre  con  prudenza  «  per 
levare  quanto  più  sia  possibile  le  occasioni  de  novi  disturbi».  Gli  si  man- 
dano «  250  schiavine  et  telle  pagiare  per  altri  tanti  pagiarizzi  per 

i  Corsi  ».  Gli  si  manda  copia  delle  lettere  precedente  e  seguente. 

Si  danno  le  disposizioni  per  l' invio  dei  300  soldati  e  delle  schiavine 
(carte  104). 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania  e  in  sua  assenza  al 
Capitano  in  golfo.  Mandi  il  governator  de'  condannati  con  due  galee  e  tre 
barche  armate  a  disposizione  del  capitano  di  Raspo,  col  quale  si  tenga  in 
buona  relazione.  Accomodati  i  negozi  circa  i  confini  coi  turchi,  mandi  al 
medesimo  capitano  50  lancie  spezzate  di  Dalmazia  coi  rispettivi  cavalli 
(carte  105). 

Si  fa  comunicare  all'  ambasciatore  di  Spagna  :  Secondo  quanto  erasi 
convenuto  il  15  corr.  con  esso  ambasciatore,  si  era  sospeso  ogni  atto  ostile 
contro  i  sudditi  arciducali,  supponendo  che  questi,  com'egli  aveva  promesso, 

avrebbero   fatto   altrettanto,  «  quando  contra  ogni aspettatione 

[s']  intesero  nuove  incursioni  fatte  neh'  Istria  da  gente  armata,  condotte  con 
bandiere  spiegate  in  grosso  numero  da  un  Athanasio  signor  di  un  castello 
vicino  a  Boion  [sic]  verso  il  luoco  nostro  di  Barbana,  con  depredatione  di 
molti  animali  et  ritentione  de  pastori  ».  I  veneziani  dovettero  reagire,  e 
devono  provvedere  alla  propria  sicurezza.  Ciò  gli  si  comunica  per  dimo- 
strargli da  qual  parte  vengano  le  provocazioni  (carte   105). 

1612.  28  settembre.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania, 
o  per  lui  al  capitano  in  golfo  e  al  capitano  di  Raspo.  Stamattina  l'amba- 
sciator  di  Spagna  partecipò  che  l' arciduca  Ferdinando  acconsente  che  si 
sospendano  le  offese  da  ambe  le  parti,  e  che  spedì  il  «  baron  Ghisel  »  con 
milizie  per  tenere  in  freno  i  facinorosi.  Si  dà  di  ciò  loro  notizia  perchè  si 
regolino  in  conformità  ;  stiano  però  vigilanti  passando  fra  loro  di  buon 
accordo  (carte   106). 

1612.  29  settembre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Si  ap- 
prova il  sequestro  dell'olio  fatto  dal  sopracomito  Balbi;  mandi  quella  merce 
colla  barca  che  la  portava  e  il  conduttore  al  magistrato  dei  provveditori 
sopra  dazi. 

Si  delibera  che  i  detti  provveditori  esigano  il  dazio  competente  sull'olio, 
quindi  lascino  liberi  conduttori,  barca  e  merce  (carte  108). 

1612.  5  ottobre.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Si  è  sentito 
,  con  piacere  che  l' imperatore  approvò  la  sospensione  delle  vicendevoli  de- 
predazioni e  danneggiamenti  fra  sudditi  veneti  e  arciducali.  Il  capitano  di 
Raspo  e  il  podestà  di  Albona  scrissero  «  che  li  nostri  si  erano  risarciti  nelle 


-  36i  - 

ville  confinanti  de  alcuni  animali  prima  ad  essi  levati,  senza  che  sia  seguito 
incendio  ne  morte  de  persone,  che  tutto  doverà  cessare  all'arrivo  delli  nostri 
ordeni  »  (carte  1 15). 

Al  capitano  di  Raspo.  Gli  si  comunicano  lettere  del  podestà  di  Albona 
circa  il  risarcimento,  di  cui  nella  seguente,  e  copia  di  quest'ultima  (carte  116). 

Al  podestà  di  Albona.  Si  approva  il  modo  con  cui  fu  condotto  il 
risarcimento  di  cui  è  parola  nelle  precedenti.  È  però  intenzione  del  Senato 
che  «  insistendo  voi  simplicemente  alla  difesa  et  protetione  di  sudditi  dentro 

a  vostri  confini secondo  gli  ordeni  del  capitatilo  di  Raspo,  al 

quale  habbiamo  dato  il  carico  di  quella  Provincia  in  queste  commotioni  » 
non  prenda  alcuna  deliberazione  «  per  qual  si  voglia  accidente  »,  senza  prima 
concertarsi  col  capitano  stesso,  al  quale  comunicherà  quanto  andasse  suc- 
cedendo, e  del  quale  attenderà  le  disposizioni. 

In  simil  tenore  si  scrive  a  tutti  gli  altri  rettori  dell'  Istria,  eccetto  il 
podestà  e  capitano  di  Capodistria  (carte  116). 

1612.  ir  ottobre.  —  Al  podestà  di  Albona  e  ai  rettori  suddetti.  La 
precedente  è  riformata  sostituendosi  al  capitano  di  Raspo  «  il  Proveditor 
General  [in  Dalmazia  e  Albania]  Pasqualigo,  overo  [il]  capitanio  di  Raspo, 
il  quale  in  sua  absentia  tiene  il  carico  di  quella  Provincia  »   (carte  121). 

Al  capitano  di  Raspo.  Gli  si  ordina  di  dar  notizia  al  provveditor  ge- 
nerale Pasqualigo  di  quanto  andasse  succedendo  in  Istria  «  acciò  informato 
di  tutte  le  cose,  possa  sumministrarvi  gli  ordeni  et  prendere  quelli  ispedienti 
che  saranno  necessarii  »  (carte   121). 

Il  5  ottobre  s'  era  data  la  commissione  a  Filippo  Pasqualigo  eletto 
provveditor  generale  in  Dalmazia  ed  Albania  «  con  autorità  di  Capitano 
general  per  tutto  il  Golfo  ».  Questo  implicava  anche  la  suprema  autorità 
sull'  Istria,  ma  considerandosi  che  il  Pasqualigo  ne  sarebbe  stato  quasi  sempre 
lontano,  si  dichiarava  che  «  l' inquisitione  »  in  quella  provincia  restava  af- 
fidata come  per  1'  addietro  al  capitano  di  Raspo.  E  ciò  oggi  si  conferma 
dichiarandosi  spettare  la  detta  inquisizione  al  medesimo  capitano  (carte 
121  tergo). 

16 12.  23  ottobre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Per  evitare  la  spesa  del 
mantenimento  degli  animali  predati  agli  austriaci  per  risarcimento,  li  distri- 
buisca equamente  fra  i  soldati  e  i  sudditi  che  furono  danneggiati  dai  detti 
stranieri.  Per  mezzo  di  Bernardo  Venier,  capitano  delle  galee  grosse,  che 
si  reca  a  Pirano  a  prendere  il  suo  comando,  gli  si  mandano  3000  ducati  per 
le  paghe  dei  soldati  corsi.  Perdurando  tuttavia  le  trattative  coll'ambasciatore 
di  Spagna  e  il  capitano  di  Fiume,  devono  rimaner  sospese  tutte  le  ostilità 
contro  gli  austriaci,  vegli  che  ciò  si  adempia  (carte   127). 


—  362  — 

1612.  io  novembre.  —  Al  suddetto.  Gli  si  dà  autorità  «  di  poter  dare 
tutte  quelle  realditioni  et  suffragii   che  vi  parerà  a  qual  si  voglia    bandito 

dalli  rettori  nostri  dell'  Istria,  rivedendo  li  loro  processi  et  sententie 

dando salvi  condotti,  con  quelle  altre  gratie  che  stimarete  con- 
venirsi alla  giustitia  ».  Ciò  per  «  suffragare  in  alcuna  maniera  li  banditi  di 

quella  Provincia  che  sono  in  tanto  numero fatti  esuli  anco  per 

cause  civili  et  con  maniere  estraordinarie  »  (carte  137). 

Senato  Secreti,  voi.  CHI  (161 3). 

1613.  9  marzo.  —  Nella  commissione  ad  Antonio  Civran  eletto  ca- 
pitano in  golfo,  gli  si  dà  ordine  di  proteggere  e  difendere,  ad  istanza  dei 
rettori  dei  paesi  litorani,  i  paesi  veneti  contro  gli  Uscocchi,  nonché  i  sud- 
diti naviganti.  «  Et  perchè  per  causa  delle  fiere li  corsari  si  la- 
sciano molte  volte  sentire  li  mesi  di  febraro  et  di  marzo  nelli  mari  del- 
l' Istria »  prenda  tutte  le  disposizioni  opportune  per  fugarli  e 

prenderli  (carte  4  tergo). 

16 13.  2  aprile.  —  «Al  Capitanio  di  Raspo,  Proveditor  et  Inquisitor 
nell'Istria  ».  In  seguito  a  sue  lettere  de'  28  passato  che  annunziavano  come 
in  seguito  all' adunamento  di  100  Uscocchi,  avesse  dato  ordine  ai  soldati 
corsi  di  resistere  a  qualunque  tentativo  di  quelli  ;  gli  si  risponde  :  L'  im- 
peratore, in  seguito  ad  uffici  dell'ambasciatore  veneto,  ordinò  «  che  siano 
scacciati  quei  scellerati  dai  luochi  del  Ser.m0  Arciduca  »  e  promise  «  che 
non  saranno  più  ricettati  ».  In  corrispondenza,  e  visto  che  si  cominciava 
da  parte  austriaca  a  dar  effetto  agli  ordini  imperiali,  si  è  ingiunto  al  prov- 
veditor  generale  in  Dalmazia  di  levar  l'assedio  da  Segna,  é  pur  continuando 
a  perseguitare  gli  Uscocchi,  di  non  molestare  i  luoghi  e  i  sudditi  arciducali. 
A  tali  disposizioni  si  uniformi  pure  il  capitano  (carte  15). 

1613.  23  maggio.  —  «Al  Capitanio  di  Raspo  et  Inquisitor  nell'Istria». 
Avrà  intesa  la  cattura  fatta  dagli  Uscocchi  della  «  galea  Veniera,  et  quanto 

hanno  operato nel  sfogar  la  loro  crudeltà  non  solo  contro  le 

genti,  ma  anco  contra  la  persona  del  sopracomito  ».  Stia  «  molto  avertito 
a  tutto  quello  che  potesse  occorrer  a  quei  confini,  et  dare  gli  ordini  ne- 
cessarii  alli  Rettori  di  quella  Provincia  per  oviare  ad  ogni  improviso  acci- 
dente, et  perciò  vi  espedimo  al  presente  il  Cavalier  Eugenio  Governator  di 
quelle  ordinanze  »  per  valersene  «  nel  comando  di  quelle  genti,  distribuen- 
'done  dove  vi  parerà  più  a  proposito  ».  Quanto  prima  gli  si  spedirà  il  ca- 
pitano Paolo  Guidotti  con  150  fanti  (carte  74). 


-  3^3  - 

i6i 3-  17  luglio.  —  Al  suddetto.  In  seguito  a  moti  degli  arciducali  ai 
confini,  si  è  ordinato  al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania  di  man- 
dargli due  compagnie  di  soldati  corsi,  che  egli  disporrà  in  modo  da  respin- 
gere qualunque  improvvisa  incursione  ;  all'uopo  si  valerà  anche  delle  cernide. 
Procurerà  che  tali  milizie  non  danneggino  i  sudditi,  né  sian  loro  di  peso. 
Parteciperà  quanto  succedesse  al  detto  provveditor  generale,  e  andrà  con 
esso  d'accordo  in  ogni  caso,  osservandone  gli  ordini  (carte  129  tergo). 

Si  scrive  in  conformità  al  provveditor  generale  suddetto  (carte  130). 

1613.  3  dicembre.  —  Commissione  a  Nicolò  Dona  eletto  provveditor 
generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Gli  si  dà  autorità  di  capitano  generale  da 
mar  e  supremazia  su  tutti  i  rettori  e  ministri  nelle  dette  provincie  e  nel- 
l' Istria.  Procurerà  di  combattere  con  tutte  le  forze  gli  Uscocchi,  e  di 
«  incommodar  per  hora  Segna,  Buccari  et  Fiume,  et  altri  luochi  Arciducali 
nel  Quarner,  prohibendo  il  transito  per  tutte  quelle  bocche  a  qual  si  voglia 
sorte  di  vassello  »  (carte  217). 

Senato  Secreti,  voi.  CIV  (161 4). 

16 14.  12  aprile.  —  Al  nuovo  provveditor  generale  in  Dalmazia  e 
Albania,  Lorenzo  Venier.  Perchè  la  campagna  contro  gli  Uscocchi  sia  con- 
dotta con  energia  ed  unità  di  venute,  gli  si  dà  suprema  autorità  anche 
nell'  Istria  per  tutto  ciò  che  concerne  gli  affari  d'  Uscocchi  e  la  materia 
militare.  Di  ciò  si  dà  notizia  al  capitano  di  Raspo  (carte   12  tergo). 

16 14.  26  aprile.  —  Circa  la  domanda  fatta  al  capitano  in  golfo  «  dalli 
Carapotani  [venuti  anni  sono  dalla  Turchia  nei  dintorni  di  Segna]  di  pas- 
sare sul  territorio  veneto,  il  Senato  scrive  a  quello  di  offrire  ai  medesimi 
domicilio  nell'  Istria  ove  preferirebbe  sista  bilissero,  e  di  persuaderveli 
(carte  16). 

1614.  9  maggio.  —  Al  nuovo  provveditor  generale  in  Dalmazia  e 
Albania.  Gli  si  partecipa  che  gli  Uscocchi  ultimamente  han  depredato  «alcuni 
vasselli  in  Istria  »  e  fatto  altri  danni  altrove.  Gli  si  ingiunge  di  continuare 
sempre  più  stretto  il  blocco  dei  paesi  arciducali  sul  Quarnero,  e  di  man- 
dare a  picco  qualunque  legno  navigasse  a  quei  paesi  o  ne  venisse  (carte 
18  tergo). 

Questo  decreto  non  fu  approvato  e  neppure  altri  successivi  nello  stesso 
argomento,  ma  se  ne  sospese  la  trattazione. 

1614.  24  maggio.  —  Al  capitano  in  golfo.  Si  insiste  perchè  i  Cara- 
potani assentano  a  stabilirsi  in  Istria  (carte  25). 


—  3^4  — 

1614.  4  luglio.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Visto  che  P  energica  azione  di  lui  contro  i  paesi  arciducali,  ha  prodotto 
l'iniziativa  per  parte  della  corte  imperiale  di  aprir  trattative  di  accomoda- 
mento ;  gli  si  ordina  di  continuare  a  molestare  gli  Uscocchi  e  i  loro  fautori 
(carte  46  tergo). 

1614.  8  agosto.  —  Al  suddetto.  «  Quelli  Uscocchi  che  come  ci  scrivete 
erano  usciti  di  Segna  per  inferir  danni  »  in  Istria,  trovata  energica  oppo- 
sizione colà,  «  presero  partito  di  depredare  nelF  istesso  paese  Arciducale 
5200  animali  minuti  de  nostri  sudditi,  li  quali  ab  antiquo  sono  soliti  condurli 
1'  està  alli  pascoli  di  quei  monti,  così  come  l' inverno  li  sudditi  arciducali 
riducono  li  loro  nell'Istria».  Questo  fatto  implica  connivenza  nei  sudditi 
dell'arciduca,  tanto  più  che  questi  ebbero  restituiti  animali  presi  con  quelli 
dei  veneti.  In  seguito  a  ciò  si  commette  al  provveditore  di  provvedere  al 
risarcimento  col  cercar  di  predare  nei  paesi  austriaci,  sia  al  di  qua  che  al 
di  là  del  Montemaggiore  altrettanti  animali  ;  dando,  all'occorrenza,  gli  op- 
portuni ordini  al  capitano  di  Raspo  ;  faccia  però  che  le  milizie  impiegate 
nell'  impresa  rispettino  al  possibile  il  paese  e  gli  abitanti  «  essendo  mente 

nostra  che si  essequisca  solamente  la  represaglia  de  animali  ». 

Non  potendo  conseguir  questa  interamente,  faccia  sequestrare  navigli  o  merci 
naviganti  di  triestini  o  di  sudditi  arciducali  fino  all'ammontare  approssimativo 
del  valore  degli  animali  rubati.  —  Della  presente  si  manda  copia  all'  am- 
basciatore presso  1'  imperatore  (carte  66  tergo). 

16 14.  7  agosto.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Si  riconosce  che  la  depre- 
dazione di  cui  è  detto  nella  precedente  è  avvenuta  colla  connivenza  dei 
ministri  arciducali,  che  avrebbbero  invece  dovuto  impedirla.  Gli  si  comu- 
nicano gli  ordini  dati  in  proposito  al  provveditor  generale  in  Dalmazia,  e 
gli  si  ingiunge  di  uniformarsi  agli  ordini  di  quello.  Prima  però  faccia  che 
gli  animali  di  sudditi  veneti  che  si  trovassero  nel  territorio  arciducale  ri- 
tornino in  Istria.  Gli  si  mandano  3000  ducati  per  paghe  di  milizie  (carte 
67  tergo). 

16 14.  23  agosto.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Prima  di  prendere  risoluzioni  il  Senato  desidera  maggiori  informazioni  sul- 
l' espediente   messo    in    pratica    dai  «  Fiumani  et  altri  »  di   spedire  le  loro 

merci  per  terra  per  la  via  di  Albona  «per  superar gì'  incommodi 

et  difficoltà  dell'assedio»  (carte  81). 

16 14.  5  settembre.  —  Al  provveditor  ed  inquisitor  generale  in  Istria. 
.Si  loda  per  la  prontezza  con  cui  partì  per  assumere  P  ufficio,  tanto  più 
essendo  «  necessario  si  vagliamo  della  persona  vostra  per  le  occorrenze 
contra  Uscocchi  a  quelli  confini  ;  negocio che  per  le  sue  impor- 


-  365    - 

tantissime  conseguenze  resterà  ottimamente  confidato  alla  molta  virtù  et 
prudenza  di  voi  Rappresentante  nostro  principale  in  quella  Provincia.  Vi 
commettemo  adunque  col  Senato  la  superiorità  et  sopraintendenza  di  tutte 

le  militie che   vi   sono perchè   riabbiate  da  usarle  et 

disponerle  come  meglio  vi  parerà  »  per  proteggere  i  sudditi  specialmente 
ora,  che  i  sudditi  arciducali  potrebbero  «  risentirsi  della  represaglia  fatta 
come  vi  è  noto  dal  Proveditor  General  in  Dalmatia  et  Albania  di  là  dal 
Monte  Maggior volendo  noi  se  sarà  fatto  alcun  danno  che  deb- 
biate subito  resarcirvene  »  ed  opporre  ingiurie  ad  ingiurie,  danni  a  danni. 
Di  tutto  che  accadrà  terrà  informato  il  detto  provveditor  generale  a  cui 
«  è  principalmente  confidato  tutto  il  negocio  ».  Gli  si  mandano  2000  ducati 
pel  pagamento  dei  soldati  corsi  (carte  92  tergo). 

1614.  9  settembre.  —  Al  suddetto.  D'accordo  col  provveditor  generale 
ed  inquisitore  in  Istria,  ripartisca  «  gli  animali  della  represaglia  che  faceste 

ultimamente tra  li  nostri  sudditi  dell'  Istria  a  quali  furono  robbati 

li  loro  nel  paese  Arciducale  »   (carte  96). 

16 14.  9  settembre.  —  Si  scrive  al  provveditor  ed  inquisitor  generale 
in  Istria  di  concertarsi  col  provveditor  generale  in  Dalmazia  circa  la  distri- 
buzione degli  animali  di  cui  è  cenno  nella  precedente  (carte  96). 

1614.  18  settembre.  -  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
In  seguito  ai  danni  dati  dagli  Uscocchi  nelle  Isole  di  Cherso  e  d'  Ossero 
e  altrove,  gli  si  ordina  di  «  subito  poner  1'  assedio  per  mare  alla  città  di 
Trieste  »  in  modo  che  non  possa  approdarvi  ne  partirne  alcun  legno  ; 
«  volendo  noi  che  le  mercantie  et  robbe  che  saranno  trovate  in  essi  de  ragion 

de  triestini  o  di  altri  sudditi  arciducali,  siano applicate  immediate 

per  risarcire  li  nostri Et  se  oltra  le  mercantie  et  robbe  si  troverà 

che  anco  li  vaselli  et  barche  siano  de  triestini  ed  arciducali,  volemo  che 
siano  subito  gettati  a  fondo».  Di  più  danneggerà  il  più  che  potrà  i  paesi 
arciducali  «  a  quelle  Rive  da  Scrisa  fin  a  Fianona  »  tenendo  però  sempre 
di  mira  il  risarcimento  dei  danni  sofferti  dai  sudditi.  Farà  publicare  in  Ca- 
podistria  e  Pirano  il  proclama  qui  sotto,  ed  eseguirà  tosto  i  presenti  ordini 
(carte   109). 

«  Proclama.  —  L' 111."'0  et  Ecc.mo  Sig.r  Lorenzo  Venier  per  la  Serma 
Signoria  di  Venetia  etc.  Prov.r  General  in  Dalmatia  et  Albania  etc. 

»  Fa  publicamente  sapere  che  per  li  continui  et  sempre  maggiori  danni 
che  da  tutte  le  parti  sono  inferiti  alla  navigatione  et  sudditi  di  sua  Ser.tà 
dalli  Uscocchi,  accompagnati,  favoriti,  fomentati  da  altri,  che  iniquamente 
participano  delle  prede,  et  tengono  altre  dipendenze  et  intelligenze  con  quella 
sceleratissima  gente,    vuole  che  il  comercio   per  mare  et  la  navigatione  di 


—  366  — 

Trieste  et  altri  luoghi  di  quella  ghindinone  sia  interdetta  et  prohibita,  sotto 
pena  a  quelli  che  con  vasselli  et  barche  d'ogni  sorte  saranno  ritrovati  andar 
o  venir  dalli  luochi  sudetti,  di  esser  trattenuti  li  vasselli  svaleggiati  et  anco 
gettati  a  fondo,  et  gli  uomini  posti  alla  catena  et  castigati  ad  arbitrio  » 
(carte  no). 

Al  provveditor  ed  inquisitor  generale  in  Istria.  Gli  si  trasmettono  gli 
ordini  dati  nella  precedente,  ordinandogli  di  vegliare  alla  custodia  di  quella 
provincia  contro  gli  Uscocchi  e  gli  arciducali  ;  all'  uopo  gli  si  manderanno 
rinforzi  di  milizie,  ed  intanto  gli  si  spedisce  Ottavio  Mari  «  soggetto  di 
valore  et  di  esperienza  »  per  servirsene  «  come  capo  da  guerra  et  soprain- 
tendente  di  quelle  militie».  Si  approva  quanto  dice  d'aver  operato  «con 
sumministrare  li  debiti  suffragi  a  quelli  sudditi,  et  specialmente  alli  banditi 
indebitamente  ». 

Si  delibera  l' invio  del  Mari  «  con  titolo  di  Sopraintendente  di  quelle 
militie»  (carte   no  tergo). 

1614.  23  settembre.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Per  provvedere  alla  sicurezza  dell'  Istria  mandi  a  Pola  20  lancie  spezzate 
e  due  compagnie  di  cavalleria  [60  cavalli]  all'obbedienza  di  Ottavio  Mari, 
o  al  provveditor  generale  Loredan.  Si  danno  poi  disposizioni  per  l' invio  e 
pel  pagamento  di  dette  milizie  (carte   113). 

Al  provveditor  ed  inquisitor  generale  in  Istria.  Gli  si  comunicano  le 
disposizioni   date   nella  precedente.  Si  delibera  che  al  Mari  «  siano   pagate 

quattro  lanze  spezzate fino    che   starà    in    quel   carico  »  (carte 

113  tergo). 

1614.  2  ottobre.  —  Al  suddetto.  Non  potendosi  fornirgli  un'apposita 
galea,  come  ha  domandato,  si  servi  di  quelle  che  stanno  sotto  il  comando 
del  Capitano  contro  Uscocchi  »  quando  siano  in  quelle  acque,  però  con 
certe  precauzioni  che  si  determinano.  —  E  di  ciò  si  scrive  anche  al  detto 
capitano  (carte   119). 

1614.  29  settembre.  —  Per  accrescere  difesa  all'Istria  contro  le  mi- 
nacele degli  Uscocchi  si  delibera  di  mandare  al  provveditor  ed  inquisitor 
generale  Loredan  la  compagnia  del  capitano  Mal  volti  di  150  fanti,  ora 
stanziata  al  Lido  (carte  118  tergo). 

16 14.  io  ottobre.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Procuri  che  i  Carapolanl  venuti  a  Veglia  acconsentano  a  stabilirsi  in  Istria. 
In  questo  caso  mandi  al  loro  indirizzo  le  due  lettere  seguenti  ;  se  invece 
porranno  fermarsi  in  Veglia  o  a  Nona,  provveda  lui  (carte  123). 

Al  provveditor  ed  inquisitor  generale  in  Istria.  Gli  si  comunica  la 
seguente  con  ordine  di  coadiuvare  il  capitano  di  Raspo  (carte  123  tergo). 


—  367  — 

Al  capitano  di  Raspo.  Fin  dallo  scorso  aprile  «  alcuni  che  si  chiamano 
Carapotani,  passati  già  XV  anni  dal  paese  turchesco  ad  habitare  nelF  Ar- 
ciducale, tra  Segna  et  il  Vinadol  trattorono  col  Capitano  del  Golfo  di  venir 

in  numero  di  900  anime,  compresi  300  huomini  da  fatti,  et  circa 

15000  animali,  ad  habitar  nel  Stato  nostro».  L'affare  restò  per  varie  cause 
sospeso  ;  ultimamente  fa  rimesso  al  provveditor  generale  in  Dalmazia,  e 
300  di  quelle  persone  vennero  con  numerosi  animali  nell'  isola  di  Veglia. 
Desiderando  però  il  Senato  che  prendano  stanza  nell'  Istria,  in  caso  che 
quegli  uomini  vi  si  adattino,  si  ingiunge  al  capitano  che  d' accordo  col 
provveditor  generale  Loredano  procuri  di  trovar  luogo  per  istabilirveli  colle 
lor  greggie,  ed  adatto  a  riceverne  altri.  Abbia  però  cura  di  evitar  cause  di 
liti  coi  vecchi  abitanti  e  che  i  nuovi  arrivanti  «  siano  ben  trattati  et  acca- 
rezzati »  e  «  che  habbiate  a  tenerli  in  vostra  particolar  protetione  ».  Essi 
saranno  sottoposti  esclusivamente  alla  giurisdizione  del  capitano  medesimo, 
«  et  esenti  dall'obligo  di  galeotti  nelle  nostre  galee  ».  Siano  alloggiati  il  più 
possibile  lontano  dai  confini  arciducali  per  non  essere  molestati  dagli  austriaci 
che  li  considerano  come  loro  ribelli  (carte   124). 

16 14.  16  ottobre.  —  All'ambasciatore  alla  corte  imperiale.  Gli  si  man- 
dano, per  sua  informazione,  lettere  del  io  e  del  14,  del  provveditor  ed 
inquisitor  generale  in  Istria  relative  a  nuovi  danni  dati  dagli  Uscocchi 
(carte   136  tergo). 

Al  provveditor  ed  inquisitor  generale  in  Istria.  In  seguito  a  danni  dati 
dagli  Uscocchi  in  due  ville  ai  confini,  si  è  disposto  di  fargli  mandare  tre 
compagnie  di  corsi,  non  solo  per  difesa,  ma  anche  per  procurare  il  risar- 
cimento. Provveda  poi  «  alli  caselli  per  le  guardie  di  Capodistria  et  alle 
torrette  per  quelle  di  confini  ». 

Si  delibera  di  mandare  al  provveditore  un  armaiuolo,  200  schiavine  pei 
soldati  e  due  migliaia  di  corda  da  stoppino  (carte  137  tergo). 

1614.  18  ottobre.  —  Al  suddetto.  A  sua  istanza  gli  si  accorda  facoltà 
di  pagare  «  i  soldati  di  quelle  ordinanze  »  che  per  servizio  stieno  fuori  delle 
loro  ville,  in  ragione  di  soldi  12  al  giorno  a  testa.  Gli  si  raccomanda  di 
adoperarli  solo  in  caso  di  vero  bisogno.  E  il  detto  pagamento  s' intenderà 
pei  servizi  straordinari.  Si  concede  <  un  Sargente  maggior  »  ad  Ottavio 
Mari,  il  quale  è  autorizzato  a  nominarlo,  salva  poi  l'approvazione  del  savio 
alla  scrittura  (carte  139  tergo). 

AH'  ambasciatore  alla  corte  imperiale.  Gli  si  fa  sapere  che  in  onta  a 
due  patenti  del  luogotenente  di  Pisino  che  autorizzavano  i  sudditi  veneti  ad 
andar  a  pascere  i  loro  animali  nel  territorio  arciducale,  questi  furono  de- 
predati di  gran  numero  degli  animali  stessi.  Ciò  dimostra  quale  sia  il  ma- 


—  368  — 

1  aratri  o  dei  ministri  arciducali  «  che  si  fanno  lecito  1'  uso  de  termini  così 
indebiti  per  facilitar  maggiormente  le  iniquità  de  Uscocchi  (carte   140). 

16 14.  21  ottobre.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Mandi  un'altra  galea  all'assedio  di  Trieste  ;  si  scrive  al  provveditor  ed  in- 
quisitor  in  Istria  di  sopraintendere  «  all'esecutione  de'  vostri  ordini  in  questo 
negocio  ».  Si  suggeriscono  poi  vari  provvedimenti  contro  gli  Uscocchi  e  i 
paesi  arciducali,  e  gli  si  raccomanda  di  star  sempre  in  relazione  col  suddetto 
provveditor  ed  inquisitor  generale  per  la  tutela  dell'  Istria  e  di  tutti  i  territori 
della  Republica. 

Al  provveditor  ed  inquisitor  generale  in  Istria.  «  Importando  molto 
......  che  l'assedio  di  Trieste  per  via  di  mare  sia  esattamente  essequito, 

volemo,  che  per  quanto  vi  sia  permesso  dalli  altri  vostri  carichi, 

habbiate  da  sopraintenderlo  »,  e  vegliare  che  i  sopracomiti  ed  altri  deputativi 
eseguiscano  gli  ordini  dati  dal  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Al  quale  egli  darà  conto  di  quanto  succedesse  in  materia  di  Uscocchi  e 
d'altri  confinanti,  e  col  quale  si  concerterà  per  tutti  i  movimenti  di  soldati. 
Gli  si  manderanno  2000  ducati  per  pagamenti  alle  milizie  (carte  142  tergo). 

16 14.  19  dicembre.  —  Si  approva  il  contegno  del  provveditor  generale 
in  Dalmazia  e  Albania  col  conte  Cesana,  inviatogli  per  trattare  dal  generale 
di  Croazia.  Gli  si  ordina  di  mantener  sempre  più  stretto  il  blocco  di  Trieste 
e  del  Quarnero  onde  sudditi  arciducali  né  altri  navighino  in  quelle  acque. 
Seguono  istruzioni  per  le  trattative  col  detto  conte  incaricato  di  negoziare 
un  accomodamento  delle  questioni  per  gli  Uscocchi  (carte  177). 

16 14.  20  dicembre.  —  All'ambasciatore  alla  corte  imperiale.  Gli  si 
mandano  copia  della  precedente  e  di  lettere  del  capitano  in  golfo  circa  un 
fatto  di  guerra  da  lui  compiuto  a  Lovrana  ;  e  gli  si  danno  istruzioni  pel 
suo  contegno  coi  ministri  imperiali  (carte  178  tergo). 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Il  capitano  in  golfo 
scrive  «  di  haver  devastato  la  riviera  di  Volosca  et  Lovrana  ».  Ciò  potrebbe 
mutare  il  corso  delle  negoziazioni  col  conte  Cesana;  gli  si  dà  quindi  facoltà 
di  dirigersi  come  meglio  crederà.  Attenda  poi  alla  custodia  dei  paesi  affi- 
datigli onde  gli  arciducali  non  tentino  di  vendicarsi  sopra  i  sudditi  veneti, 
dando  a  chi  spetta  gli  ordini  opportuni  (carte  180  tergo). 

16 14  m.  v.  14  gennajo.  —  Al  provveditor  ed  inquisitor  generale  in 
Istria.  Avvisando  il  provveditor  generale  in  Dalmazia  che  nei  paesi  arciducali 
si  facevano  adunamenti  d'uomini  e  che  i  Segnani  e  gli  Uscocchi  minacciano 
,  nuove  incursioni  ;  si  scrive  anche  ad  esso  provveditor  ed  inquisitor  di  sor- 
vegliare diligentemente  le  mosse  dei  nemici,  e  d'accordo  col  detto  provve- 
ditor generale  mandi  persone  nel  contado  di  Pisino  e  in  altri  paesi  arciducali 


—  369  — 

che  s'informino  degli  avvenimenti.  Si  sente  con  piacere  essere  ormai  l'Istria 
messa  in  grado  di  resistere  con  successo  alle  forze  ordinarie  dei  nemici  ; 
si  diede  però  ordine  al  provveditor  generale  a  Palma  di  mandargli  una 
compagnia  di   «  Cavalli  Capeletti  »  quando  la  domandasse  (carte   193). 

16 14  m.  v.  22  gennaio.  —  Al  provveditor  ed  inquisitor  generale  in 
Istria.  A  ben  precisare  gli  ordini  già  datigli,  gli  si  scrive  :  «  sempre  che 
Uscocchi  o  altri  sudditi  arciducali  venissero  ad  inferir  danni  in  quella  Pro- 
vincia »,  dovrà  «  risarcirvene  et  propulsare  la  offesa  da  quella  parte  del  paese 
Arciducale  dove  conoscerete  poterlo  sicuramente  fare,  et  a  quel  tempo  che 

giudicarete  più   opportuno volendo  che  le  prede  che 

saranno  da  voi  fatte  servino  al  rifacimento  de  nostri  sudditi  che  fossero 
sia  spogliati  >;.  Gli  si  mandano  4000  ducati  per  pagamenti  alle  milizie 
(carte  200). 

16 14  m.  v.  24  gennajo.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e 
Albania.  Il  podestà  e  capitano  di  Capodistria  ed  il  provveditor  ed  inquisitor 
generale  in  Istria  scrivono  «  riuscir  poco  fruttuoso  l'assedio  di  Trieste,  poiché 
dalla  parte  di  Monfalcone  per  la  via  della  Fiumara  di  S.  Antonio  vengono 
somministrate  vittuarie a  quella  città  ;  et  aggiongono  che  si  po- 
trebbe impedire  con  barche  il  transito  ».  Gli  si  ordina  quindi  di  provve- 
dere ad  impedire  quei  trasporti,  e  di  stringer  per  ogni  via  il  blocco  di 
Trieste  (carte  201). 

Al  provveditor  generale  a  Palma.  S'  informi  esattamente  sulla  verità 
dell'approvigionamento  di  Trieste  per  la  via  della  Fiumana  di  S.  Antonio, 
e  riferisca  (carte  20 1  tergo). 

16 14  m.  v.  30  gennajo.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e 
Albania.  Il  provveditor  ed  irquisitor  generale  in  Istria  scrive  che  certo  Giulio 
Pamperga,  bandito  dal  Consiglio  dei  dieci,  denunziò  che  i  Carapotani  te- 
nevano intelligenze  cogli  Uscocchi  e  «  che  havevano  concertato  con  essi 
Uscocchi  de  avisarli  con  segni  de  fuoghi  sopra  le  Promontore  colla  corri- 
spondenza de  altri  fuoghi  nella  montagna  ove  sogliono  tener  le  loro  guarde, 

quando  fusse  stata occasione    d'  impatronirsi  de  una  delle  galee 

di  mercantia  ».  Ciò  pare  inverosimile,  essendosi  i  Carapotani  mostrati  sempre 
devoti,  ne  se  fossero  stati  di  sentimenti  ostili  avrebbero  procurato  di  venire 
nello  Stato,  «  né  risolveriano  »  di  venirvi  anche  «  col  Conte  Damiano  Ca- 
rampotichi  tutti  gli  altri  di  quella  natione  ».  In  ogni  modo  stia  attento, 
senza  farne  le  mostre,  a  ciò  che  fanno.  Lo  si  informa  che  da  Trieste  «erano 

usciti  alquanti  vasselli  per  sottovento et  che vi  erano 

entrati  alcuni  altri  »  che  quella  città  era  provveduta  di  vettovaglie  per  terra 
non  solo,  ma  ben  anche  «per  via  di  Muggia  con  barchette»  (carte 204  tergo). 


—  37o  — 

Al  provveditor  ed  inquisitor  generale  in  Istria.  Si  scrive  al  medesimo 
in  conformità  alla  precedente  circa  le  pretese  intelligenze  dei  Carapotani 
cogli  Uscocchi  (carte  206). 

Senato  Secreti,  voi.  CV  (161  j). 

1615.  17  marzo.  —  I  Cirapotani  condotti  in  Istria  dal  capitano  in 
golfo,  non  avendo  avuto  colà  i  terreni  che  il  Senato  intendeva  fossero  lor 
dati,  se  ne  partirono.  Si  scrive  perciò  al  provveditor  generale  in  Dalmazia 
di  stanziarli  in  Nona  e  suo  contado  (carte  30). 

1615.  2  giugno.  —  Al  podestà  di  S.  Lorenzo.  Gli  si  ordina  che  «  per 
rimuovere    i'  usurpatane   fatta   da   Arciducali    nella   contrada   detta   Fineda 

nella  villa  di   Mompaderno  »,  faccia  che  gli  abitanti   «  della  villa 

come  da  loro lievino,  se  si  può  senza  pericolo 

1'  herha  et  il  frutto nelli  terreni  occupati,  et  se  non,  lo  guastino 

in  modo  che  ne  anco  li  medesimi  Arciducali  possano  ricoglierlo,  guastando 
tanto  del  terreno  loro  proprio,  quanto  è  il  nostro  usurpato  ».  E  ciò  dovrà 
sempre  osservarsi  in  simili  casi,  sempre  però  accordandosi  prima  col  capitano 
di  Raspo  e  col  podestà  di  Capodistria  (carte  86). 

Al  capitano  di  Raspo.  Gli  si  comunica  copia  della  precedente,  con 
ordine  di  aiutare  il  capitano  di  S.  Lorenzo  (carte  86). 

1615.  23  luglio.  —  Al  capitano  di  Raspo.  In  seguito  alla  comunica- 
zione fatta  a  lui  e  ai  rettori  di  Capodistria,  Montona  e  S.  Lorenzo  dal  luo- 
gotenente di  Pisino,  cioè  «  circa  l'espeditione  de  Commissarii  fatta  dal  Ser.mo 
Arciduca  Ferdinando  per  occasione  delle  controversie  che  sono  alli  confini 
di  quella  Provincia  »,  gli  si  ordina  di  rispondere  come  segue  al  luogotenente 
stesso  : 

Il  capitano  partecipò  alla  Signoria  il  contenuto  delle  lettere  del  luogo- 
tenente ;  quella  però,  dispostissima  alle  trattative,  ritiene  che  debbano  pre- 
cedere negoziazioni  diplomatiche  in  via  regolare  col  mezzo  degli  ambasciatori 
alla  corte  imperiale  e  a  Venezia  (carte   113  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  e  ai  podestà  di  Montona  e  San 
Lorenzo.  Se  il  luogotenente  di  Pisino  insistesse  nell'argomento  della  «  trat- 
tatane de  confini  col  mezzo  de  Commissari  »  rispondano  che  il  capitano 
di  Raspo  ha  incarico  di  comunicargli  le  intenzioni  del  Governo  (carte  114). 

161 5.  11  agosto.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania. 
Per  impedire  che  i  sudditi  arciducali  trasportino  le  loro  merci  nel  territorio 
di  Albona  e  in  altri  dell'  Istria,  il  che  rende  vano  il  blocco,  dando  agio  a 


—  37i  — 

quelli  di  approvvigionarsi,  si  è  proibito  assolutamente  ogni  commercio  coi 
medesimi.  Dia  perciò  gli  ordini  necessari.  Faccia  che  il  blocco  di  Trieste 
sia  sempre  rigoroso.  Accresca  le  barche  di  guardia  [4  invece  di  2];  e  all'uopo 
gli  si  danno  disposizioni  (carte  124). 

1615.  11  agosto.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Si  è  risaputo  che  i  sudditi 
austriaci  «  servendosi  dei  luoghi  et  porti  dell'  Istria,  conducono  vettovaglie 
et  altre  robe  »  nei  loro  paesi  per  la  via  di  terra.  Si  ordina  quindi  «  che  in 
ogni  modo  resti  prohibito  anche  per  via  di  terra  il  commercio  de  nostri 
sudditi  et  altri  con  Arciducali  ».  Inviti  quindi  i  sudditi  che  avessero  animali 
nel  paese  arciducale,  a  ritirarli  ;  proibisca  con  proclami  a  tutti  ogni  com- 
mercio col  paese  stesso,  sotto  pena  di  perdita  delle  merci  e  di  severo  ca- 
stigo. S' intenda  col  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania,  al  quale 
già  si  è  scritto  in  proposito  in  conformità,  e  con  tutti  gli  altri  rappresentanti 
per  un'  esecuzione  uniforme. 

Si  scrive  similmente  al  podestà  e  capitano  di  Capodistria,   al  quale  si 

.aggiunge  che  per  compensare  quei  sudditi  delle  perdite  loro  ridondanti  dalle 

presenti   disposizioni  si  è  dato  ordine  a  Giacomo  Corner  «  destinato  Pro- 

veditor  de  Sali  in  quella  Provincia  che  debba,  per  il  tempo  solamente  che 

durerà  la  predetta  prohibitione,  comprar  li  sali  dei sudditi  et  di 

quei  di  Muggia  »  a  prezzi  giusti  [s'intende  sali  che  di  solito  si  smaltivano 
nei  paesi  arciducali]. 

Si  ordina  al  savio  alla  scrittura  di  provvedere  i  pagliericci  per  le  milizie 
dell'Istria  (carte  125  tergo). 

Al  podestà  et  capitano  di  Capodistria.  Si  approva  quanto  ha  fatto  per 
impedire  ai  triestini  l'introduzione  di  barche  con  sale  nella  loro  città.  Si  è 
disposto  perchè  il  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania  accresca 
«  quella  guardia  di  forze  marittime  ».  Acconsenta  che  i  capitani  «  che  stanno 

a  quella  custodia  »  adoperino  «  le  barche  triestine per  mandar  a 

pigliar  le  cose  al  vitto  loro  necessarie,  per  non  si  mover  con  le  loro  »  ; 
avvertendoli  di  usar  prudenza  onde  non  siano  ripigliate.  Tutti  i  Triestini 
che  venissero  presi  saranno  mandati  al  provveditor  generale  perchè  faccia 
loro  il  processo.  S'informi  circa  la  salina  che  dice  piantarsi  dai  Triestini  a 
Zaule  e  riferisca  esattamente  ;  facendo  capo  in  tutto  al  detto  provveditor 
generale  (carte  127). 

1615.  14  agosto.  —  Si  partecipano  all'ambasciatore  presso  l'imperatore 
le  disposizioni  prese  nelle  precedenti  ;  e  il  fatto  successo  «  fra  certe  nostre 
barche  armate  et  alcune  di  Trieste  spalleggiate  da  qualche  numero  di  genti 
arciducali  che  si  erano  messe  in  alcuni  siti  atti  ad  assicurarle»  (carte  128 
tergo). 

7 


—  372  — 

1 6 r 5-   i  settembre.  —  «Essendo  sommamente  necessario 

che  nella  Provincia  d' Istria,  in  ogni  parte  esposta  a  incursioni,  vi  sia  un 
capo  che  non  solo  abbia  principal  carico  di  essequire  celeremente  le  com- 
missioni che  le  fussero  da  noi  date,  ma  che  per  se  stesso  sia  atto  alla  sof- 
ferenza di  quei  incomodi  che  converrà  sostener,  dovendo  star  si  può  dire 
in  continuo  moto  et  farsi  vedere  »  qui  e  li  per  la  provincia,  per  ripulsarc 
minacele  d' invasioni,  per  assicurare  i  sudditi,  ed  animarli,  per  incoraggiare 
le  milizie;  —  si  delibera  di  eleggere  per  scrutinio  in  Senato  un  provveditore 
nella  provincia  stessa  con  quei  diritti,  doveri  e  poteri  che  si  espongono 
nella  commissione  (carte  136). 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Per  assicurare  gli  animi 
degli  istriani,  essendo  morto  il  capitano  di  Raspo,  il  Senato  stimò  bene 
eleggere  un  provveditore  in  quella  provincia,  al  quale  darà  gli  ordini  sug- 
geriti dalle  circostanze.  Gli  si  comunica  la  lettera  seguente  ;  si  è  ordinato 
a  «  D.  Precioso  di  S.  Fiorenzo  soldato  di  esperienza  et  di  valore  che  vada 
in  Istria,  dove  anco  espediremo  il  Capitan  Alfonso  Valdera  »  agli  ordini  del 
detto  nuovo  provveditore  (carte  137). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Gli  si  partecipa  la  presa  di  Novi 
fatta  dal  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania,  e  l'elezione  del  prov- 
veditor in  Istria  ;  intanto  stia  avvertito  «  a  tutte  le  occorrenze  di  quei 
confini  »  disponendo  delle  milizie  come  stimerà  meglio  ;  il  provveditor  ge- 
nerale a  Palma  ha  ordine  di  mandargli  cappelletti  s' esso  podestà  gliene 
domandasse  (carte  137  tergo). 

1615.  3  settembre.  —  Commissione  a  Benedetto  da  Lezze  eletto  prov- 
veditore in  Istria.  Parta  immediatamente.  Sua  incombenza  sarà  «  d1  invigi- 
lare da  tutte  le  hore  alla  buona  custodia  di  tutta  l' Istria,  non  dovendo 
haver  alcuna  ferma  habitatione,  ma  scorrendo  dove  più  giudi- 
cherai necessario, visiterai li  luochi  et  passi  di  maggior 

pericolo  »  disponendovi  guardie  sufficienti,  eccitando  e  animando  i  sudditi 
alla  difesa  «  risarcendo  per  quella  via  che  stimerai  oportuna  li  danni  che  li 
fussero  fatti  ».  Appena  giunto  in  Istria  si  procurerà  «  informatione  di  tutte 
le  cose  pertinenti  alla  sicurezza  et  difesa  di  essa,  essercitando  quella  supe- 
riorità che  ti  è  data  da  noi  sopra  li  Capi  da  guerra  che  si  trovano 

nella  Provincia,   pigliando  il  loro    consiglio  nelle   fattioni    eh'  occorressero, 

et  risolvendo  tu  poi  quello  che  stimerai  di  publico  servitio  :   et 

valendoti  »  di  tutti  i  soldati,  tanto  di  milizie  assoldate  che  d'  ordinanze. 
I  rettori  di  detta  provincia  hanno  ordine  di  obbedirlo  e  favorirlo  in  ogni 
occasione,  e  di  tenersi  con  lui  in  rapporto  per  tutto  ciò  che  succedesse. 
Gli  si  manderanno  poi  nuovi  rinforzi  di  truppe.  Presidieri  fortemente  i  luoghi 


—  373  — 

più  importanti,  specialmente  Albona,  Fianona  e  Dignano,  più  esposti  degli 
altri  ;  il  provveditor  generale  a  Palma  terrà  a  sua  disposizione  50  cappel- 
letti a  cavallo.  Sarà  soggetto  al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania, 
il  quale  gli  somministrerà,  all'occorrenza,  forze  sia  di  mare,  sia  da  sbarco. 
Curerà  sempre  dir  \  suoi  subordinati  non  rechino  danni  o  molestie  non 
necessarie  ai  sudditi,  e  castigherà  severamente  i  colpevoli  in  tal  materia.  In 
Istria  avrà  autorità  pari  a  quella  che  tiene  il  provveditor  della  cavalleria  in 
Dalmazia.  Difenderà  i  sudditi  da  ogni  offesa,  e  procurerà  il  risarcimento  dei 
danni  che  quelli  e  la  sovranità  di  Venezia  avessero  a  soffrire  «  procurando 

con  ogni  mezzo  et  via  possibile  di  far  mal  capitar  gli  Uscocchi  et 

ogn' altro  colpevole  de  simili  eccessi».  Procurerà  d'essere  informato  esat- 
tamente di  tutti  i  movimenti  degli  Uscocchi  stessi  e  di  quanto  succederà 
ai  confini,  e  per  le  spese  relative  gli  si  assegnano  200  ducati.  Pagherà  le 
milizie,  e  per  la  relativa  contabilità  potrà  nominare  un  ragionato  con  du- 
cati 6  al  mese  a  carico  dello  Stato.  Avrà  pure  un  cancelliere  con  eguale 
stipendio.  A  questo  ed  a  quello  «sei  tenuto  di  far  le  spese».  Starà  in  carica 
6  mesi,  o  più  o  meno  secondo  parrà  al  Senato,  con  ducati  180  [da  L.  6.4] 
il  mese.  Eleggerà  un  luogotenente,  al  quale  si  assegnano  ducati  25  il  mese. 
Gli  si  donano  300  ducati  «  per  mettersi  a  cavallo  ».  Gli  si  assegnano  10000 
ducati  per  pagar  le  milizie.  —  Si  ordina  al  provveditor  generale  in  terra- 
ferma di  mandare  a  Venezia,  per  essere  poi  spedite  in  Istria,  due  compagnie 
[150  uomini  ciascuna]  di   fanteria  italiana  (carte   138). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria  e  ai  rettori  di  Albona  e  Fianona, 
Pola,  Rovigno,  Parenzo,  Pirano,  S.  Lorenzo,  Raspo  e  Cittanova.  Si  par- 
tecipa la  elezione  e  la  missione  del  provveditore  da  Lezze,  con  autorità  su 
tutte  le  milizie  dell'Istria.  Si  ordina  quindi  a  tutti  i  suddetti  di  «coadiu- 
vare la  cssecutione  delle  commissioni  et  ordeni  suoi,  tenendolo 

avisato  di  ogni    accidente concernente  la  quiete  et  sicurezza  » 

della  provincia  (carte   140). 

16 15.  5  settembre.  —  Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  Da  sue 
lettere  del  2  corr.  si  è  inteso   ciò  che  è  avvenuto  in  Pinguente  «  et  delle 

insolenze  et  tumultuose  conventicole  seguite  in  quella  terra,  le  quali 

si  possono  propriamente  dir  seditioni,  fomentate  et  accresciute  da  Marc'An- 
tonio  dal  Seno,  uno  de  giudici  della  medesima  comunità  ».  Sono  molto 
dispiaciuti  quei  fatti,  tanto  più  che  gli  autori  degli  stessi  hanno  «  anco 
ardito  col  consiglio  di  pochi  inobedienti  mandar  in  questa  città  persone 
.sse  sotto  mentito  nome  d'Ambasciatori,  oltre  1' haver  tentata  la  fede 
delle  nostre  militie  ».  Si  loda  quanto  il  podestà  e  capitano  fece  in  tale  oc- 

ìc;  gli  si  ordina  di  recarsi  a  Pinguente,  e  «cautamente  e  senza  strepito 


—  374  — 

devenire  alla   ritentione  di  tre  o  quattro  dei  più   colpevoli capi 

di  questa  sedinone»  e  particolarmente  del  dal  Seno  «che  come  giudice  ha 

havuto  ardire  di  ridurre  contra le  leggi,  nella  Chiesa  maggiore, 

et  non  nel  luogo  consueto  »  i  mal  contenti.  Mandi  gli  arrestati  col  processo 
da  lui  fatto  agli  avogadori  di  comun  a  Venezia.  Poscia,  convocato  il  con- 
siglio di  quella  terra,  dichiari  la  dispiacenza  del  Senato  pei  fatti  avvenuti, 
la  sua  buona  disposizione  verso  i  sudditi  ossequenti,  e  dover  essi  riconoscere 

«  per  superiore  il  Consiglier  Priuli  da  voi  mandato  per  reggerli 

per  occasione  della  morte  del  capitanio  Gabriel  ;  et che  essendo 

il  Reggimento  di  Capodistria  superiore  a  tutti  li  Rappresentanti  nostri  in 
quella  Provincia,  debbano  anco  nell'avvenire  in  simili  occorrenze  essequir 
il  medesimo  ».  Si  farà  dar  le  chiavi  del  castello  e  vi  porrà  presidio,  affidando 
le  une  e  l'altro  al  Priuli.  Si  approva  le  disposizioni  prese  in  seguito  a  voci 
di  adunamento  «  di  genti  Arciducali  a'  confini  ».  Al  bisogno  si  valga  delle 
milizie  e  delle  cernide  per  presidiare  i  luoghi  più  esposti. 

Si  delibera  l' arresto  di  «  quei  che  sotto  nome  di  Ambasciatori  di 
Pinguente  sono  venuti  in  questa  citta»  (carte   141). 

161 5.  12  settembre.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  ed  Al- 
bania.   Sta   bene    che   siasi   occupato    efficacemente   per   la  «  indemnità   de 

nostri,  et  alla  custodia  dei  passi  et  luoghi  da  mare,  et  che  habbiate 

applicato  il  pensiero  alla  difesa  dell'  Istria  et  al  sumministrare  ogni  aiuto 
et  indriccio  al  Proveditor  di  quella  Provincia,  che  già  è  partito  per  esser- 
citare  quel  carico  »  (carte  144). 

16 15.  8  ottobre.  —  Al  provveditor  in  Istria.  Lo  si  encomia  per  la 
diligenza  che  usa  nell'  adempiere  i  suoi  doveri.  Dispiacque  la  cattura,  fatta 
in  mare  da  Triestini,  d'  una  barca  di  Muggia  ;  cerchi  di  procurarne  il  ri- 
sarcimento. Gli  arciducali,  irritati  per  «  il  successo  a  Novi,  minacciano  di 
haver  improvisamente  in  loro  potere  alcuno  dei  rettori  nostri  in  cotesta 
provincia».  Li  avverta  perciò  a  star  vigilanti.  L'ambasciatore  presso  l'im- 
peratore avvisa  che  l'arciduca  Ferdinando  aduna  genti  per  invadere  gli  stati 
veneti  ;  stia  avvertito.  Si  provvederà  per  mandargli  le  munizioni  che  do- 
manda. —  S' incarica  il  Collegio  di  provvedere  a  tale  invio  (carte  158  tergo). 

16 15.  17  ottobre.  —  Al  suddetto.  Da  sue  lettere  dei  7  ed  11  corr. 
si  è  inteso  «  la  depredatione  fatta  da  Uscocchi  nella  villa  di  Popecchio  et 
suoi  confini,  et  come  da  nostri  erano  stati  levati  dalla  villa  di  Podgoria 
/nolti  animali  per  rifacimento  della  depredatione  predetta  »  ;  il  che  si  è  ap- 
preso con  piacere.  Distribuisca  il  bottino  «  alle  nostre  ville  danneggiate  »  ; 
metta  queste  in  guardia  contro  le  sorprese  dei  nemici.  Gli  si  avvisa  l' invio 
di  altri  100  pagliaricci  e  100  schiavine  (carte   166  tergo). 


—  375  — 

1 6 1 5-  22  ottobre.  —  Al  capitano  di  Raspo.  Si  e  disposto  che  gli  siano 
inviati  due  bombardieri  e  due  migliaia  di  polvere,  i  primi  avranno  ducati  8 
il  mese  e  1'  abitazione.  Si  loda  la  diligenza  con  cui  attende  a'  suoi  doveri 
(carte  170  tergo). 

Al  podestà  e  capitano  di  Capodistria.  A  sua  richiesta  si  è  disposto 
per  mandargli  50  migliaia  di  biscotto  per  la  galea  e  le  barche  di  stazione 
in  quelle  acque.  Gli  si  mandano  pure  2000  staia  di  frumento  che  farà 
vendere,  rimettendo  il  ricavato  al  provveditore  in  Istria  per  pagar  le  milizie. 
Gli  si  mandano  200  archibugi  a  ruota  che  distribuirà  in  città  facendosi 
rimborsare  da  quel  comune  lire  26  l'uno,  da  spedirsi  pure  al  detto  prov- 
veditore (carte  170  tergo). 

Al  provveditore  in  Istria.  Da  sue  lettere  14  e  17  si  sono  intese  «  le 
fattioni  ultimamente  seguite  ».  Lo  si  avvisa  che  gli  si  manda  «  il  colonello 
Fabio  Gallo  con  un  sergente  maggiore  et  quattro  lanze  spezzate,  il  qual 
habbia  a  servire  sotto  l'obedienza  vostra  per  sopraintendente,  et  commandare 
alli  capi  et  a  tutte  quelle  militie  ».  Si  è  disposto  che  due  compagnie  di 
soldati  modenesi  destinati  alla  Dalmazia,  siano  mandate  a  lui  onde  servirsene 
nelle  occorrenze.  Riceverà  8000  ducati  per  pagamenti  alle  milizie  ;  il  podestà 
e  capitano  di  Capodistria  gli  farà  avere  altri  danari  [vedi  la  precedente]. 
Gli  si  invieranno  piombo,  corda  da  fuoco,  schiavine  e  pagliericci,  con  altre 
cose  necessarie  (carte   171). 

1615.   14  novembre.    —   Al    suddetto.    «Ha   commosso   grandemente 

1'  animo  nostro  la temerità  di  Benvenuto  Petazzo che 

habbi  havuto  ardire  di  farvi  proclamare  et  da  poi  bandire inse- 
rendo nel  proclama  et  bando  parole  scandolose  et  indebite  ».  Si  approva  la 
sua  deliberazione  «  di  assalire,  depredare  et  devastare  alcuno  dei  luochi  di 
esso  Petazzo»;  procuri  però  che  «il  tutto  succeda  con  publica  dignità». 
Il  podestà  di  Capodistria  avvisa  che  «  Triestini  in  Mare,  luogo  di  nostra 
indubitata  giundittione  habbiano  di  nuovo  construite  alcune  saline,  già  da 
noi  fatte  distruggere  fin  l'anno  1579».  Vada  quindi  al  più  presto  e  segre- 
tamente a  Muggia,  e  colle    forze   che   stimerà    opportune   faccia  di  nuovo 

demolire  le  dette  saline,  «  procurando di  ridurre  li  luochi  usurpati 

quanto  sia  possibile  nel  stato  ch'erano  prima  »,  e  ciò  con  ogni  debita  cautela. 
Se  poi  sapesse  che  nel  territorio  di  Trieste  presso  le  dette  saline  ve  ne 
fossero  altre   del   Petazzo,    le  faccia  rovinare  ;    faccia   poi  «  proclamar  esso 

Petazzo  con  imputatione  che habbia  fatto  affiggere  ai  confini  del 

Stato  nostro  proclama,  et  venuto  anco a  sententia  contra 

publico  nostro  Rapresentante  »  ;  quindi  se  non  comparirà  a  giustificarsi,  lo 
bandisca  in  perpetuo  dagli  stati  della  Republica  con  pena  capitale,  e  taglia 


-   376  — 

di  6000  ducati  a  chi  lo  pigliasse  vivo  o  lo  ammazzasse  negli  stati  medesimi, 
e  di    10000  all'  estero. 

Si  delibera  che  il  sopracomito  al  blocco  di  Trieste  eseguisca  colla  sua 
galea  e  colle  barche  armate  gli  ordini  del  provveditore  (carte   175). 

16 15.  23  novembre.  —  Al  suddetto.  Si  è  sentita  con  piacere  la  deva- 
stazione da  lui  fatta  nei  beni  di  Benvenuto  Petazzi  ;  faccia  conoscere  la  sod- 
disfazione del  Senato  al  colonnello  Fabio  Gallo  e  al  luogotenente  d'  esso 
provveditor  Carbonara,  nonché  agli  altri  capitani.  Si  sono  dati  ordini  perchè 
gli  siano  spediti  dalla  Terraferma  altri  500  fanti  con  pagliericci,  coperte  ecc. 
Sono  in  Palma  570  cappelletti  a  sua  disposizione  Si  è  provvisto  perchè 
non  manchino  i  foraggi  pei  cavalli.  Attenda  ad  informarsi  degli  andamenti 
dei  nemici  e  alla  tutela  del  paese   affidatogli.   «  Ha  giovato  assai  la  vostra 

risolutione,  stata  ben  essequita  dal  sopracomito  Canale,  di  metter 

per  via  di  mare  in  gelosia  la  città  di  Trieste  »  per  distrarre  le  forze  nemiche. 
Sarà  bene  «usar  il  medesimo  in  ogn'  altra  occasione  di  loro  motivi».  Si 
scrive  anche  al  capitano  in  golfo  «  di  tener  in  continuo  suspetto  Segna, 
Fiume  et  quelle  altre  terre  sopra  il  Quarnaro  »,  al  medesimo  scopo.  Terrà 
col  capitano  stesso  «  ottima  intelligentia  et  ogni  più  esquisita  sollecitudine 
ne  gli  avvisi  ».  Si  provvederà  a  fornirgli  denari  e  munizioni.  Sembra  ra- 
gionevole «  il  suspetto  che  ricevete  dal  fermarsi  che  fa  in  Muggia  Mons.r 
Vescovo  della  Torre  per  essere  stretto  parente  del  Petazzo  »  ;  perciò  faccia 
intendere  destramente  a  quel  prelato  esser  conveniente  che  se  ne  vada 
(carte   179). 

Al  capitano  in  gollo.  Gli  si  scrive  in  conformità  della  precedente  (carte 
180  tergo). 

16 15.  26  novembre.  —  Al  capitano  alla  guardia  contro  Uscocchi  Gi- 
rolamo Morosini.  Si  rechi  colla  sua  galea  in  Istria  a  rinforzare  il  blocco  di 
Trieste,  sotto  gli  ordini  del  provveditore  in  Istria  (carte  181  tergo). 

Al  provveditor  in  Istria.  Procuri  di  rinfrancare  i  sudditi  e  le  milizie  ; 
faccia  curare  i  feriti  ;  disponga  che  sia  ritirato  lontano  da'  confini  quanto 
potesse  esser  preda  de'  nemici.  Scelga  i  migliori  soldati  fra  le  Ordinanze  e 
li  mandi  ove  sarà  bisogno  pagandoli  come  i  soldati  di  arrotamento.  Si  è 
ordinato  al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  al  capitano  in  golfo  di  as- 
sisterlo con  rinforzi,  e  gli  si  manderanno  nuove  milizie.  Gli  si  partecipano 
altre  disposizioni  in  proposito,  e  si  raccomanda  caldamente  che  si  informi 
di  ciò  che  fanno  i  nemici  (carte   182). 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania  e  al  capitano  in  golfo. 
Avranno  inteso  «  il  mal  incontro  che  le  nostre  genti  hanno  ricevuto  dalle 
arciducale  »   in  Istria  ;    mandino    in   aiuto  a  quel   provveditore   il   maggior 


—  377  — 

numero  di  genti  possibile,  specialmente  di  córsi.  Vedano  di  far  diversioni 
dalla  parte  di  Fiume  ed  altrove,  e  di  stringere  viemaggiormente  il  blocco 
di  Trieste  (carte   182  tergo). 

1615.  27  novembre.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Lunga 
esposizione  dei  fastidì  e  danni  recati  dagli  Uscocchi  e  da  altri  sudditi  austriaci, 
con  particolari  delle  offese  fatte  da  Benvenuto  Petazzi  di  Trieste  «  et  pos- 
sessor  del  castello  di  S.  Servolo  ».    Di  questo  si  dice  :   «  ha  ricapitato    nei 

suoi  luochi  Uscocchi  et  altre  genti   triste et  servendosene,  ha 

fomentato  varie  depredationi  contra  nostri  sudditi Li  nostri  mi- 
nistri et  sudditi  hanno  procurato  risarcirsi  delli  torti et 

gli  hanno  reso  le  medesime  molestie.  Costui  vedendo  qualche  oppositione 
del  Proveditor  Leze  a  suoi  pensieri  »,  il  5  corr.  lo  fece  proclamare  e  citare 
ai  confini  con  parole  ingiuriose,  e  pronunziò  contro  lui  sentenza  capitale 
«  et  taglia  in  terre  aliene  ».  Il  provveditore  rispose  prendendo  eguali  misure 
contro  il  Petazzi,  e  facendo  devastare  i  beni  di  questo,  senza  toccare  quelli 
circostanti  di  altri.  Si  aggiunge  che  avendo  il  Petazzi  costruito  saline  vicino 
a  Muggia,  il  provveditore  [il  24  novembre]  le  distrusse,  ma  nel  ritirarsi 
dopo  il  fatto,  fu  assalito  dalle  genti  di  quello  ed  ebbe  la  peggio  con  morte 
di  120  de'  suoi  ;  quindi  andò  io  Capodistra  per  pensare  alla  difesa  della 
provincia.  Tutto  ciò  si  porta  a  notizia  dell'  ambasciatore  a  sua  norma 
(carte   184). 

16 15.  27  novembre.  —  Al  provveditore  in  Istria.  Si  sono  mandati 
alcuni  pezzi  d' artiglieria  a  Pinguente  ;  d'  accordo  col  capitano  di  Raspo 
pensi  ad  assicurar  quella  terra.  Si  spedirono  tre  altre  galee  al  capitano  contro 
Uscocchi,  al  quale  comunicherà  le  proprie  commissioni  e  col  quale  andrà 
d'accordo  in  ciò  che  spetta  al  publico  servizio  (carte   187). 

161 5.  28  novembre.  —  «Moltiplicano  in  modo  gli  accidenti  nel- 
l' Istria  »  che,  non  potendo  quel  provveditore  attendere  a  tutte  le  occor- 
renze, si  trova  necessario  e  si  delibera  di  eleggere  in  Senato  un  «  Proveditor 
General  dell'  Istria  »,  coli'  autorità,  gli  obligli!  e  le  condizioni  che  ha  il 
provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Partirà  fra  tre  giorni  su  una 
galea  publica  che  si  mette  a  di  lui  disposizione  (carte  188). 

Si  ordina  al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania,  di  adunare 
tutte  le  forze  che  ha  a  sua  disposizione  e  di  andar  con  esse  a  recare  i 
maggiori  danni  possibili  agli  arciducali  (carte  188  tergo). 

161  j.  30  novembre.  —  Commissione  a  Marco  Loredan  eletto  prov- 
veditor generale  in  Istria. 

Ivi  dovrà  essere  «  da  tutti  obedito  »  con  autorità  di  «  castigar  gli  ino- 
bedienti  et  li  colpevoli con  quelle  pene  che  ti  parerà,  procedendo 


-  378- 

per  via  summaria  et  militare  ».  Informatosi  dello  stato  delle  milizie,  prov- 
vede™ a  presidiar  bene  i  luoghi  opportuni,  ad  eccitare  gli  abitanti  a  con- 
correre alla  difesa  de'  loro  beni,  a  mandare  al  sicuro  animali  e  mobili  che 
potessero  esser  predati  dai  nemici.  Darà  poi  opera  «  al  risarcimento  delle 
ingiurie  et  della  riputatione  publica  »  inferendo  ai  nemici  danni  congeneri 
a  quelli  da  essi  dati  ai  sudditi  veneti.  Nelle  occorrenze  si  servirà  delle  milizie 
esistenti  nella  provincia,  delle  quali  gli  si  dà  il  comando  e  l'amministrazione, 
come  pure  delle  ordinante.  Si  pone  sotto  i  suoi  ordini  il  capitano  contro 
Uscocchi  con  5  galee  ed  altre  barche  armate  colle  quali  stringerà  il  più 
possibile  Trieste  ed  i  paesi  arciducali  per  mare.  Stia  in  buona  corrispon- 
denza, ed  operi  di  concerto  col  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania, 
e  in  sua  assenza  col  capitano  in  golfo.  Procuri  d' esser  bene  informato 
degli  andamenti  dei  nemici,  tenendone  instrutti  il  provveditor  generale 
suddetto,  il  capitano  di  Raspo  e  i  rettori  del  Friuli.  Procuri  che  le  milizie 
non  rechino  danni  a'  sudditi.  Regoli  1'  amministrazione  delle  munizioni  e 
degli  oggetti  di  proprietà  dello  stato  ad  uso  delle  milizie,  affidandone  al 
caso  il  carico  ad  apposito  uffiziale.  Gli  si  assegnano  20000  ducati  pel  pa- 
gamento delle  milizie;  si  manderanno  500  tavole  d'abete  per  Capodistria, 
100  migliaia  di  biscotto  per  le  galee  e  le  barche;  di  più  1000  staia  di  farina 
e  50  migliaia  di  risi  da  vendere  e  far  servire  il  ricavato  a  pagamenti  delle 
truppe.  Si  è  disposto  pel  fieno  per  la  cavalleria.  Starà  in  carica  fino  a  che 
sarà  richiamato.  Condurrà  seco  un  segretario  della  cancellarla  ducale,  un 
cancelliere  pei  processi  criminali  con  5  ducati  il  mese,  un  ragionato  con 
io  ducati,  12  alabardieri  col  loro  capo,  un  «cavalier  »  [bargello]  con  8  ducati 
e  4  «  officiali  »  con  4  ducati  il  mese.  Gli  si  assegnano  220  scudi  da  L.  7 
al  mese  ;  200  per  acquisto  di  cavalli,  30  per  coperte  e  forzieri,  200  per 
spese  straordinarie;  100  ducati  al  segretario  per  «mettersi  in  ordine»  (carte 
190  tergo). 

1615.  4  dicembre.  —  All'ambasciatore  presso  l'imperatore.  Continuano 
le  ostilità  degli  arciducali,  i  quali,  «  aggiorno  buon  numero  di  cavalleria  et 

fanteria  di  Crovatia  alle  genti  unite  dal  Petazzo hanno  da  più 

parti  invaso  l' Istria  et  abbruggiato  le  ville  di  Ospo,  Gabrovizza,  Besovizza 
et  Lonchi  »  nella  qual  ultima  devastarono  e  profanarono  anche  la  chiesa. 
Le  «  medesime  depredationi  hanno  fatto  nella  villa  di  Marceniglia,  territorio 
di  Raspo,   nelli  territorii   di   Barbana  et  di  San  Vincenti   et   nel   Carso  di 

Pinguente ».  Poi  sono  passati  a  far  guasti  nel  territorio  di  Mon- 

falcone.  Il  Senato  ha  preso  le  disposizioni  necessarie  per  opporsi  ai  progressi 
,  dei  nemici  e  vendicarne  i  danni.  Ciò  gli  si  comunica  per  sua  informazione 
e  per  gli  uffici  opportuni  (carte  195). 


—  379  — 

1 6 1 5 -  8  dicembre.  —  Al  provveditor  generale  in  Istria.  Procuri,  d'ac- 
cordo col  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania  o,  in  sua  assenza,  col 
capitano  in  golfo,  di  recare  i  maggiori  possibili  danni  agli  arciducali,  e  per 
terra  e  per  mare,  per  tenerli  «  da  ogni  parte  occupati,  molestati  et  dan- 
neggiati ».  —  Altrettanto  si  scrive  ai  due  rappresentanti  suddetti  (carte 
202  tergo). 

Al  capitano  di  Raspo.  Si  sono  avute  notizie  di  «  dissegni  di  Arciducali 

contro  quella  terra per  via  di  Giovanni  Vecchioni  che  si  trova 

qui  con  un  altro  prigione,  al  quale  è  stato  scritto  da  un  suo  che  si  ritrova 
in  Trieste  ».  Potendo  servire  tal  mezzo  a  nuove  informazioni,  si  è  delegato 
ad  esso  capitano  «  il  suo  caso  »  e  gli  si  mandano  i  due  «  acciò  possiate 
valervene  come  stimarete  meglio  »  (carte  203). 

161 5.  12  dicembre.  —  Al  suddetto.  Lo  si  encomia  per  la  diligenza  con 
cui  attende  alla  difesa  di  quella  terra  e  sue  vicinanze,  e  a  procurarsi  informa- 
zioni delle  mosse  degli  austriaci  ;  continui,  e  comunichi  quanto  saprà  anche 
ai  rappresentanti  a  cui  fosse  opportuno.  Il  provveditor  generale  gli  summini- 
strerà  danaro  per  ciò  e  per  altre  necessità.  Mandi  a  lui  i  conti  delle  milizie  e 
d'altro.  —  Di  ciò  si  dà  parte  al  provveditor  generale  in  Istria  (carte  205). 

1615.  12  dicembre.  —  Commissione  al  nuovo  provveditor  generale  in 
Dalmazia  e  Albania.  Fra  i  primi  articoli  relativi  alle  sue  incombenze  è 
quello  di  danneggiare  il  più  possibile,  previo  accordo  col  provveditor  ge- 
nerale in  Istria,  gli  austriaci  (carte  205). 

16 15.  18  dicembre.  —  All'ambasciatore  alla  corte  imperiale.  Gli  austriaci 
continuano  a  danneggiare  specialmente  nell'  Istria,  ove  «  oltre  1'  haver  ab- 
bruggiato  diverse  altre  ville  a  Rovigno,  sotto  Pinguente  et  nelle  giuridittioni 
di  Barbana  et  San  Vincenti, hanno  appresso  assalito  et  combat- 
tuto a  bandiere  spiegate  un  luogo  murato  detto  li  Castelli  et  la  terra  di 
S.  Vincenti,  facendo  forza  d'  impatronirsene,  il  che  non  gli  è  riuscito  es- 
sendone stati    ributtati  dalli   presidii  ».   Il  Senato  «  vedendo che 

le  forze  loro  [degli  arciducali]  non  hanno  il  fine,  che  sempre  hanno  havuto 

le  nostre,  di  frenare  l'ardire  de  ladri ma  sì  ben  di  fomentare  li 

perniciosi  pensieri  di  Uscocchi,  distruggere  li  nostri  sudditi  »  si  trova  in 
necessiti  di  aumentare  le  proprie  forze  per  rispondere  come  conviene  a  tante 
provocazioni.  E  continua  dimostrando  la  mala  fede  con  cui  agi  la  parte 
avversaria  nelle  questioni  d'  Uscocchi  (carte  209). 

In  conformità  si  scrive  a  tutti  gli  ambasciatori  e  rappresentanti  all'estero. 

Al  provveditor  generale  in  Istria.  Si  approva  quanto  ha  fatto  relativa- 
mente «  all'indemnità  de  sudditi  et  al  risarcimento  de  danni»;  gli  si  rac- 
comanda di  stringere   sempre  più  per  mare  Trieste   per  tener  occupati  da 


—  380 

quella  parte  gli  arciducali  e  poter  operare  più  sicuramente  altrove.  «Stimatilo 
bciu  che  per  queste  occorrenze  il  Sig.r  Paulo  Emilio  Martinengo  sia  presso 

di  voi  »  per  a  valervi  del  suo  consiglio  et  della  sua  opera Oltre 

le  militie  che  vi  sono  gii  capitate,  si  trovano  qui  di  partenza 

ottocento  soldati  in  circa  »  ;  si  stanilo  formando  «  dodici  compagnie  di  co- 
razze »  [cavalleria]  che  si  manderanno  a  Palma  e  si  darà  ordine  a  quel 
provveditor  generale  di  mandargliene  se  ne  chiederà.  Si  è  provvisto  e  si 
provvede  per  mandargli  fieno,  coperte,  pagliericci  ed  archibugi.  Il  capitano 
contro  Uscocchi  ha  lasciato  5  pezzi  d'artiglieria  in  Parenzo,  disponga  che 
siano  ben  custoditi  e  tenuti.  Il  medesimo  capitano  ha  date  buone  disposi- 
zioni per  la  custodia  di  detta  città,  se  le  trova  opportune  veda  che  siano 
osservate.  S' informi  dei  bisogni  d'artiglierie  in  Rovigno,  Muggia  ed  Umago 
e  riferisca  (carte  211). 

1 6 1  j.  21  dicembre.  —  Al  suddetto.  Le  milizie  venete  hanno  occupato 
alcune  terre  arciducali,  come  Cormons,  Mjdea,  Merari  e  Sagra;  si  rendono 
più  che  mai  opportune  le  diversioni  per  disperdere  in  più  luoghi  le  forze 
nemiche.  Si  sentì  con  soddisfazione  che  i  sudditi  si  muovano  per  risarcirsi 
da  se  dei  danni  sofferti,  e  che  il  provveditor  da  Lezze  sia  sortito  in  cam- 
pagna con  truppe;  sarà  bene  che  le  milizie  destinate  alle  fazioni  in  campagna 
siano  le  migliori,  e  si  lascino  i  vecchi  e  le  ordinanze  a  presidio  dei  luoghi 
(carte  218  tergo). 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  Gli  si  scrive  in  con- 
formità alla  precedente,  onde  attachi  i  paesi  arciducali,  che  così  lo  saranno 
da  tre  parti,  in  Friuli,  in  Istria  e  da  lui  (carte  219). 

161 5  m.  v.  2  gennajo.  —  All'ambasciatore  alla  Corte  imperiale.  Si 
approvano  gli  uffìzi  da  lui  fatti  nell'  argomento  degli  Uscocchi.  Parte  di 
questi  con  altri  sudditi  arciducali  continuano  nelle  ostilità  contro  i  paesi  e 
sudditi  veneti.  «  Dopo  1'  haver  combattuto  gli  due  Castelli,  luoco  nostro 
cinto  di  muraglia,  nell'  Istria,  che  con  valore  da  nostri  soldati  s'  è  difeso, 
ultimamente  hanno  posto  il  fuoco  ne'  contorni  di  Pinguentc  nella  villa  di 
Bergodaz,  et  procedevano  a  bandiere  spiegate  verso  Grimalda,  se  da  paesani 

non  erano  impediti  ;  asportarono  ad  ogni  modo  et  vini  et  biade, 

facendo  anco  nuovi   abbruggiameati  :    Et uniti  in  gran   numero 

d' Uscocchi  et  di  Tedeschi  sono  venuti  con  sei  insegne  sotto  il  Castello  di 
S.  Vincenti  »  ma  furono  «  costretti  ad  abbandonar  l' impresa  ».  Si  contrap- 
pongono le  operazioni  di  guerra  fatte  dalle  milizie  venete  che  per  lo  più 
si  limitano  a  respingere  gì'  invasori  e  a  vendicare  le  offese  e  risarcire  i  danni. 
/Venezia  è  sempre  proclive  a  venire  ad  equo  accomodamento,  continui  perciò 
le  pratiche  (carte  237). 


-  38t  - 

1 6 1 5  m.  v.  15  gennaio.  —  Al  provveditor  generale  in  Istria.  Si  en- 
comia il  suo  agire  e  si  loda  «  la  fattione  seguita  contro  arciducali  che  ria- 
vevano depredato  presso  a  Puola,  et  se  ben  erano  in  maggior  numero  de 
nostri,  siano  stati  fugati  con  morte  et  prigionia  de  molti  et  ricuperationc 
del  bottino  ».  Provveda  a  tener  stretta  Trieste,  avendo  egli  scritto  che  quegli 
abitanti  «  si  mostrino  arditi  anco  per  mare  »  essendo  sortiti  con  barche.  Se 
«li  mancano  forze  all'uopo,  ne  chieda  al  provveditor  generale  in  Dalmazia, 
e  si  accordi  con  esso,  al  quale  si  scrive  in  proposito,  perchè  agii  austriaci 
venga  dato  il  maggior  danno  (carte  248  tergo). 

Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  e  Albania.  «Triestini,  fatti  arditi 
et  insolenti  anco  per  mare  si  »  sono  «  in  questi  giorni  spiccati  con  14  barche 
da  quel  porto  a  lasciarsi  vedere  et  a  provocare  doi  delle  nostre  armate 
ch'erano  nel  Porto  di  Muglia,  le  quali  se  ben  uscirono  et  le  fecero  retirare, 
non  poterono  far  davantaggio  ».  Si  sono  dati  ordini  in  proposito  al  prov- 
veditor generale  in  Istria,  quindi  lo  assista  se  gli  chiedesse  aiuti  di  barche 
e  genti.  Vada  poi  d'accordo  col  medesimo  per  dare  agli  austriaci  il  maggior 
danno,  restando  ad  essi  due  devoluto  il  progettare  ed  eseguire  le  fazioni 
(carte  249  tergo). 

Al  provveditor  generale  in  Istria.  Gli  si  manda  copia  delle  seguenti  ; 
faccia  il  processo  e  castighi  il  capitano  o  giusdicente  preso.  Circa  i  prigioni 
trattenga  gli  Uscocchi  per  farne  «  quella  giustizia  che  vi  parerà  »,  e  manderà 
gli  altri  a  Venezia  (carte  2JO  tergo). 

Al  capitano  in  golfo.  Si  approva  «  quello  eh'  è  stato  operato  da  voi 
per  consolinone  et  ditesa  de  sudditi  nostri  nell'  Istria  di  quelle  ville  vicino 
al  Arsa,  l'aiuto  che  havete  opportunamente  sumministrato  alle  nostre  militie 

nel  perseguitare  et  castigare  gli  Arciducali  che havevano  depredato 

il  territorio  di  Puola  »  facendo  molti  prigioni.  Circa  quello  che  dice  del 
capitano  di  Barbana  e  dei  prigioni  arciducali  si  sono  dati  al  provveditor 
generale  in  Istria  gli  ordini  opportuni  (carte  250  tergo). 

All'amba  .ciator  in  corte  cesarea.  Toccato  dei  danni  dati  dagli  arciducali 
in  FriuK,  se  gli  fa  noto   che   «  quelli  di  Trieste  et  di  quelle    altre    Riviere 

sono  usciti  in  mare  a  far  qualche  depredatone,  come  hanno  fatto 

neh"  Istria Molte  genti  arciducali  al  numero  di  700  a  piedi  et 

50  cavalli    calorono  verso    Puola et  fatto  assai  buon  bottino  et 

abbruggiate  alcune  case,  se  ne  ritornavano  :  ma  nel  viaggio  sopraggiunti  da 
due  compagnie  de  Corsi  et  300  fanti  de  Cernide,  che  si  trovavano  in  Di- 
gnano  »  furono  posti  in  fuga  con  morte  di  102  dei  loro  e  di  solo  tre  o 
quattro  feriti  dei   veneti   (carte  251    tergo). 

161 5   m.  v.  5  febbrajo.  —  Commissione  a  Gian  Giacomo  Zane  eletto 


—  382  — 

provveditor  generale  in  Dalmazia  ed  Albania.  In  uno  degli  articoli  gli  è  im- 
posto di  danneggiare  gli  Uscocchi  e  gli  arciducali  in  mare  e  in  tutte  le  loro 
s  -di,  e  di  andare  in  ciò  d'accordo  col  provveditor  generale  in  Istria  (carte  278). 

161 5  m.  v.  20  febbrajo.  —  Al  provveditor  generale  in  Dalmazia  ed 
Albania.  Si  replicano  a  lui  ed  al  provveditor  generale  in  Istria  gli  ordini  di 
lar  con  opportuni  assalti  diversioni  nei  paesi  arciducali.  Si  ordina  poi  ad 
ambedue  di  preparare  uniti  «  qualche  impresa  di  consideratione  »  da  farsi 
«  nel  contado  di  Pisino  o  altrove  ».  Si  accenna  al  fatto  «  che  trenta  soli 
sudditi  habbino  fatto  con  il  spoglio  et  incendio  della  villa  di  Novaco  et  da 
altre  17  de  altri,  pur  in  poco  numero,  coatra  quelli  d'Antignano  con  grosso 
bottin  d'animali»  (carte  311). 

1615  m.  v.  24  febbrajo.  —  Al  provveditor  generale  in  Terraferma.  Gli 
si  ordina  di  spedire  200  corazze  [soldati  a  cavallo]  al  provveditor  generale 
in  Istria  (carte  314). 

Al  provveditor  generale  in  Istria.  Le  esigenze  di  «  quei  di  Cressan  et 
Somber  »  che  avevano  domandato  di  venire  «  alla  nostra  devotione  »  non 
sono  accettabili  ;   non  si  accoglieranno  persone  in  sudditanza  e  protezione 

«  ad  altre  conditioni se  non  di  haverli  a  ricevere  a  grado  de  cari 

et  fedeli  sudditi  ».  Intanto  faccia  che  siano  ben  trattati  quelli  che  già  pas- 
sarono nello  Stato.  Tutti  i  luoghi  «  di  quella  provincia  che venissero 

in  poter  vostro,  quando  siano  di  qualità  et  in  sito per  poterne 

ricever  beneficio,  et  atti  ad  esser  difesi,  debbiate  ordinar  che  non  siano  ab- 
bruggiati  et  devastati,  ma  tenerli  et  presidiarli  ».  Si  dispose  per  mandargli 
200  «  soldati  corazze  »,  100  «  petti  a  botta  »,  munizioni  e  danaro.  Si  disap- 
prova che  abbia  promesso  «  taglia  di  ducati  dieci  per  ogni  testa  de  sudditi 
arciducali  che  vi  fusse  stata  presentata  »,  e  gli  si  ordina  di  revocare  tal 
provvedimento.  Si  sentì  con  piacere  la  «  fattione  de  nostri  soldati  di  S.  Vin- 
centi contra  quelli  di  Zumino  con  fuga  de  inimici  et  bottino  di  molto  numero 
de  animali  (carte  314  tergo). 

1615  m.  v.  27  febbrajo.  —  Al  suddetto.  Riconosciutosi  esser  molto 
opportuno  eh'  egli  abbia  artiglierie  a  sua  disposizione  per  gli  attacchi  che 
deve  fare  contro  gli  arciducali,  gli  si  mandano  due  petardi  di  metallo.  Nelle 
imprese  che  fosse  per  fare  prenda  il  consiglio  del  provveditore  da  Lezze  e 
di  Paolo  Emilio  Martinengo.  Da  qualunque  luogo  ove  si  trovi  scriva  quanto 
succede.  Gli  si  manderanno  500  staia  di  farina,  il  ricavato  lo  impiegherà 
in  pagar  le  milizie  (carte  327  tergo). 

(Continua). 


RELAZIONI 

DEI  PODESTÀ  E  CAPITANI  DI  CAPODISTRIA 


— f  -3»r«*»oc5i-j- 


(Continuazione  del  fasck.   i°  e  2°,   1890) 


Relatione  del  Nob.  Homo  Ser  Alvise  Morosini  ritornato  di  Potestà 
et  Capitanio  di  Capo  d' Istria.  —  Presentata  nell'  Eccellen- 
tissimo Collegio  a'  17  marzo  1583. 

Serenissimo  Principe 

Nel  Reggimento,  che  è  piaciuto  alla  Serenità  Vostra  conciedermi  della 
Città  di  Capo  d' Istria,  io  ho  atteso  con  ogni  mio  spirito  a  operare  tutto 
quello  che  ho  giudicato  dover  apportare  beneficio  alle  cose  sue.  Ma  perchè 
in  molte  cose  che  sono  di  qualche  importanza,  così  per  il  buon  governo 
di  quei  sudditi,  come  per  il  servitio  eh'  ella  ne  potria  ricevere,  non  ha  il 
Rettore  maggior  auttorità  di  quella  che  gli  vien  concessa  per  essequire,  e 
pur  si  potria  per  mia  opinione  meglio  ordinarle,  perciò  ho  giudicato  bene 
far  quelle  considerationi  ch'ella  si  degnarà  d' intendere  in  questa  mia  breve 
scrittura  affine  che,  se  cosi  parerà  al  suo  sapientissimo  giudicio,  possino 
questi  Eccellentissimi  Signori  terminare  a  rissolver  quanto  le  pareri  con- 
veniente. 

Ha  la  Serenità  Vostra  la  Città  di  Capodistria,  situata  in  una  valle  di 
mare  di  quella  Provincia  sopra  uno  scoglio,  poco  lontano  dalla  Terra  ferma, 


-  384  - 

dove  si  passa  con  un  ponte  longo  intorno  passa  cento,  et  è  circondata  dal 
mare  che  la  rende  assai  forte  per  sito  naturale,  clic  per  altro  non  ha  altra 
sicurezza  che  di  una  muraglia  vecchia  et  fatta  all'antica.  È  habitat!  da 
picciol  numero  di  persone,  non  essendo  gli  habitanti  più  di  4800,  et  ha  il 
territorio  circa  5494  anime,  et  di  questi  et  di  quelli  ne  sono  di  fattione 
intorno  2400.  Sono  tutti  molto  poveri,  il  che  nasce,  per  quanto  io  credo, 
non  solo  per  la  poca  fertilità  de'  terreni  di  quel  paese,  quanto  per  la  ne- 
gligenza de  gli  habitanti,  li  quali  se  ben  sono  atti  per  ingegno  et  per  ro- 
bustezza di  corpo,  et  alli  traffichi  et  alle  fatiche,  tuttavia  stanno  in  continuo 
otio,  vivono,  come  si  dice,  a  giornata,  et  lontani  da  ogni  civiltà. 

Per  questa  causa  Vostra  Sereniti  non  cava  molto  utile  per  conto  delle 
sue  entrate,  le  quali  consistono  in  alcuni  Datij  applicati  alle  spese  di  quella 
Camera,  et  alcuni  altri  mandati  all'Officio  sopra  le  Camere.  Ha  nondimeno 
1'  entrata  de'  sali  che  importa  molto. 

La  Camera  è  poverissima  et  fra  poco  tempo  non  potrà  supplire  al 
bisogno,  poiché  la  spesa  è  certa  et  maggiore,  et  la  rendita  incerta  et  minore. 
—  Tra  salarij  de'  Rettori,  de  Camerlenghi,  de  Capi,  et  altri  salariati,  de 
limitationi  che  si  mandano  alli  Clarissimi  Governatori  dell'entrate,  et  altre 
spese  necessarie,  spende  ogn'anno  ducati  2614,  et  d'entrata  ne  riceve  2196 
poco  più  poco  meno  secondo  gli  anni,  nelli  quali  crescono  et  calano  i  datij 
che  da  quella  si  affittano  al  pubblico  incanto,  i  danari  de'  quali  non  si  puonno 
neanco  scuoder  intieramente  nel  tempo  debito,  per  occasione  de  Danari  e 
Livcllarij  che  non  forniscono  mai  di  pagare,  si  che  è  maggiore  la  spesa  più 
della  rendita  et  entrata  intorno  ducati  400  A  questo  mancamento  si  sup- 
plisce con  il  scuoder  li  debiti  vecchi  che  crederò  non  ne  sarà  di  breve  più 
da  scuoder,  per  esser  stata  con  ogni  diligenza  sollicitata  l'esattione,  et  spe- 
cialmente dal  Magnifico  M.  Zuanne  Cossazza  bora  Camerlengo,  il  quale, 
per  la  bontà  del  suo  ingegno,  et  per  la  diligenza  et  destrezza  che  tiene, 
merita  di  esser  grandemente  lodato.  Et  quanto  a  me  resto  molto  consolato 
di  haverlo  havuto  appresso  di  me  nel  tempo  del  mio  Reggimento.  Hora 
cessando  questa  esamone,  come  è  necessario  che  cessi,  non  potrà  la  Ca- 
mera mantenersi  :  però  a  questo  potria  la  Serenità  Vostra  porger  rimedio 
con  far  ritornar  in  quella  Camera  uno  o  doi  di  quei  picciol  Datij  eli 
lurono  già  levati  dalli  Sindici  di  T.  F.  precessori  delli  presenti,  che  con 
questa  via  si  venirebbe  a  supplire  alla  spesa  che  ha,  siccome  appare  dal- 
■Y  occluso  conto  fatto  di  mano  del  Scontro  di  essa  Camera. 

Ha  la  Serenità  Vostra  altri  Datij  nelle  terre  dell'  Istria,  ma  tra  gli  altri 
uno  de  soldi  8  per  quarta  del  vino  estratto  per  Terre  aliene,  il  quale  es- 
sendo altre  volte  incantato  dalli  Rettori  proprij  di  alcun  di  quei  luochi,  fu 


-  385  - 

finalmente  commesso  al  Reggimento  di  Capo  d'Istria;  per  questa  causa,  et 
perchè  gli  altri  Rettori  di  quella  Provincia  non  hanno  commodità  di  riferire 
alla  Serenità  Vostra  quello  che  occorre,  mi  par  esser  obbligato  dirle  par- 
ticolarmente, che  quanto  a  questo  Datio  ella  resta  molto  ingannata  et  poco 
obbedita  dagli  habitanti  di  quei  luochi,  et  spetialmcnte  di  Muggia,  Isola, 
Pirano  e  Mommiano,  che  da  questi  si  cstraze  la  maggior  quantità  et  il 
storzo  di  esso  vino  :  et  in  questo  consiste  l' inganno,  che  cavandosi  in 
ciascuno  di  questi  luochi  separatamente  200  et  300  ducati  et  più  all'anno 
per  conto  di  questo  Datio,  hanno  nondimeno  altre  volte  per  via  di  supplica 
ottenuta  concessione  di  pagarne  solamente  cinquanta  all'  anno  per  anni 
cinque,  et  essendo  stata  avvertita  la  Serenità  Vostra  di  questo  disordine 
commesse  al  Reggimento  di  Capo  d' Istria  in  tempo  mio  il  carico,  o  d' in- 
cantare, o  di  far  riscoter  il  detto  Datio,  secondo  che  fosse  giudicato  più  a 
proposito  :  però  diedi  ordine  che  fosse  riscosso  nella  Terra  d' Isola  essendo 
già  finita  la  sua  concessione  iusta  1'  ordine  suo,  ma  non  volendo  lor  ob- 
bedire, di  novo  supplicorono  di  haverlo  nel  medesimo  modo,  et  havendone 
ella  voluto  informatione  per  rissolvcrsene,  io  gliela  diedi  particolarmente  con 
mie  lettere  de'  29  aprile  1582,  et  dalla  mia  informatione  si  come  si  degnò 
di  scriveimi,  ella  si  mosse  a  licentiarli,  et  di  novo  commandarmi  la  essendone 
del  primo  suo  ordine.  Con  tutto  ciò  non  1'  ho  mai  potuto  essequire,  se 
bene  non  è  mancato  da  me,  perchè  hora  con  un  sutterfngio,  hora  con 
l'altro,  hanno  tirato  la  cosa  in  longo,  con  speranza  di  ottenere  il  loro  in- 
tento. Fornito  il  Reggimento  mio,  et  finalmente  pochi  giorni  inanti  il  mio 
partire,  mi  hanno  presentata  una  lettera  del  Clarissimo  Avogador  Gritti  che 
suspendeva  per  un  mese  l'essecutione,  stante  la  supplicatione  di  novo  pre- 
sentata da  loro.  Io  l'ho  obbedita  per  l'auttorità  di  quel  Clarissimo  Magistrato 
se  ben  mi  pare  di  molto  danno,  alle  cose  della  Serenità  Vostra,  spetialmente 
in  materia  de  Datij,  che  li  Clarissimi  Avogadori  così  facilmente  et  cosi  spesso 
se  ne  impediscano,  et  mi  è  parso  molto  strano,  che  essendo  stati  una  volta 
licentiati,  di  novo  sia  stata  accettata  la  loro  Supplica,  ma  non  potendo  io 
penetrar  più  oltre  mi  basterà  dirle  riverentemente  che  con  l'  essempio  di 
questi  si  moveranno  anco  tutti  gli  altri,  et  sarà  più  che  mai  la  Serenità 
Vostra  defraudata  da  alcuni  che  in  quelle  Terre  con  inganno  de  tutti  gli 
altri  assorbeno  tutte  le  utilità,  che  ne  trazeno,  et  forsi  che  il  vero  rimedio 
sarebbe  licenziarli  con  quell'ammonitione  che  a  lei  parerà  convenienti,  acciò 
non  fossero  così  renitenti  a  gli  ordini  suoi,  rimettendomi  nondimeno  alla 
sua  molta  prudenza.  Et  dopo  che  si  tratta  delli  suoi  datij,  non  posso  né 
debbo  restar  di  dirle  che  ho  ritrovato  eh'  ella  viene  parimente  ingannata 
et  di  buona  summa  di  danaro,  dagli  infrascritti  luochi,  cioè  Muggia,  Isola, 


—  386  — 

Pirano,  Buie,  Humago,  Cittanova,  Parenzo,  Puola  et  Rovigno,  in  materia 
dello  Datio  dell'  oglio,  che  si  estraze  da  esse  Terre,  il  quale  viene  affittato 
da  ogn'  una  di  esse  separatamente  dalli  Clarissimi  alle  Rason  vecchie  con 
pochissimo  suo  utile,  et  eccessivo  guadagno  de  Conduttori,  non  de  ein- 
quatene,  ma  de  centenara  et  centenara  de  ducati.  Il  che  nasce  da  questo, 
che  alcuni  delli  principali  di  quei  luochi  si  accordano  insieme,  gettando  alla 
sorte  a  chi  deve  toccare  d' incantar  esso  Datio,  facendo  un  Donativo  a 
coloro  che  ne  restano  privi,  acciò  non  concorrano  ad  incalciarlo  ;  et  quelli 
a  chi  tocca  la  sorte  vengono  a  pigliarlo  senza  alcuna  concorrenza  con 
grandissimo  suo  utile,  et  con  molto  danno  della  Serenità  Vostra,  si  come 
ella  può  sicurissimamente  congietturare.  Il  rimediare  a  questo  inconveniente 
sarebbe  facile,  perchè  potria  far  il  medesimo  di  questo  datio,  che  ha  fatto 
del  Datio  del  vino,  commettendo  al  Rettore  di  Capo  d' Istria  V  incantarlo 
o  deliberarlo,  come  si  fa  degl'  altri  datij  unito  o  separato  secondo  che  sarà 
più  espediente,  con  obbligo  poi  di  mandar  il  danaro  all'  Officio  suddetto 
delle  Rason  vecchie,  accertandola  che  a  questo  modo  venirà  ad  avanzare 
più  di  mille  ducati  netti  (quando  però  ne  sia  usata  la  debita  diligenza  da 
chi  ne  haverà  il  carico),  ove  hora  di  tutti  essi  luochi  non  ne  cava  ducento. 
Et  di  ciò  ne  sia  questa  la  prova  certa  che  nella  Città  di  Capo  d' Istria  si 
affitta  al  pubblico  incanto  questo  istesso  datio  dell'oglio  intorno  ducati  300 
all'  anno,  e  tuttavia  non  si  raccoglie  maggior  quantità  di  ogli  nel  suo  ter- 
ritorio di  quello  che  si  fa  nel  territorio  di  Pirano  solo,  et  poco  più  della 
terra  d' Isola,  la  quale  nondimeno  ha  havuto  l'anno  presente  questo  datio 
per  anni  cinque  a  ragion  de  ducati  30  solamente  all'anno,  et  viene  a  trarne 
di  utile  sicurissimamente  quattrocento  all'anno.  Et  in  questa  materia  de  ogli 
sapendo  quanto  questi  Signori  che  ne  hanno  il  carico  siano  grandemente 
travagliati  nel  fare  le  provisioni  ordinarie  per  questa  Città,  non  mi  par  di 
tacer  questo,  che  mi  pare  molto  strana  cosa  che  la  Serenità  Vostra  habbia 
nella  Provincia  dell'  Istria  tanta  quantità  di  oglio  che  supplirla  in  gran  parte 
al  molto  bisogno  di  questa  Città,  raccogliendosene  all'anno  Orne  ì6m  incirca, 
e  non  di  meno  si  lasci  in  abbandono  et  in  libertà  di  quei  habitanti  di  poterlo 
condurre  dove  piace  a  loro  sotto  questo  scudo  che  hanno  privilegio  di 
poterlo  fare  ;  perciocché  se  ben  fosse  vero  che  havessero  questo  privilegio, 
i  tempi  nondimeno  et  l'occasioni  si  vanno  mutando,  et  all' hora  che  lo 
ebbero  non  era  forsi  così  dannoso  come  hora  è.  Io  credo  che  sarebbe  ot- 
timo conseglio  provedere  di  modo  che  tutto  1'  oglio  di  quella  provincia, 
eccetto  quello  che  fa  per  uso  suo,  fosse  condotto  in  Venetia  et  se  paresse 
a  proposito  anco  senza  Datio,  et  se  si  risentissero  punto  quegli  habitanti, 
credo  che  sarebbe    meglio   concederli  qualche  altra   cosa  in  ricompensa  di 


-  3»7  - 

questa  per  loro   satisfattione,    rimettendomi  al  sapientissimo    giuditio  della 
Serenità  Vostra  et  di  questi  Eccellentissimi  Signori. 

Trovo  medesimamente  che  li  Rettori  di  quella  Provincia  sono  obbligati 
pagare  per  il  tempo  del  loro  Reggimento  le  sue  tanse  et  decime  ordinarie 
et  straordinarie  all'Officio  delli  Clarissimi  Signori  Governatori  dell'entrate, 
et  il  medesimo  li  loro  Cancellieri  et  Cavalieri.  In  questo  viene  di  buona 
somma  di  danaro  ingannata  la  Serenità  Vostra  et  potendo  più  in  me  il  debito 
che  tengo  con  lei  et  il  beneficio  suo  ch'io  sono  tenuto  procurare,  che  ogni 
altro  particolar  rispetto,  son  sforzato  dirle  che  molti  di  essi  Rettori  finito 
il  suo  Reggimento  stanno  i  mesi  et  i  mesi  che  non  vanno  a  pagare  quanto 
sono  tenuti  all'  Officio  predetto,  et  molti  ancora  non  pagano  cosa  alcuna, 
et  quelli  che  pur  vanno  a  pagare  esborsano  assai  manco  di  quello  che  è 
il  suo  debito,  havendosi  fatta  fare  una  fede  dal  suo  Cancelliero  di  molto 
manco  danaro  di  quello  sono  tenuti  pagare,  et  li  Cancellieri  et  Cavallieri. 
per  quanto  ho  potuto  informarmi,  non  pagano  in  tempo  alcuno,  sì  per  non 
venire  a  Venetia,  come  per  non  esser  alcuno  che  procuri  tal  pagamento. 
Però  per  rimediare  a  questo  inconveniente,  et  perchè  la  Serenità  Vostra 
potesse  sempre  havere  quanto  ragionevolmente  le  viene,  la  potrebbe  com- 
mettere che  cosi  li  predetti  Rettori,  come  li  suoi  Curiali,  non  potessero 
partirsi  di  Reggimento,  o  mandar  via  le  sue  robbe,  se  prima  non  riavessero 
saldato  nella  Camera  di  Capo  d'Istria  tutte  le  predette  loro  Decime  et  Tanse 
iusta  la  regolatione  et  tansa  che  s'  attrova  in  essa  Camara  fatta  dalli  Cla- 
rissimi Sindici  precessori,  et  se  non  riavessero  havuto  il  bollettino  sottoscritto 
di  mano  del  Podestà  et  Camerlengo  di  detta  Città,  che  a  questo  modo 
cessarebbe  T  inganno  et  lei  venirebbe  ad  avanzare  qualche  centenara  de 
ducati  all'  anno. 

Sente  la  Serenità  Vostra  molto  utile  di  sali  di  Capo  d' Istria,  cosi  per 
la  quantità  di  essi,  come  perchè  vengono  levati  dalli  Cranci  sudditi  Arci- 
ducali con  molto  utile  delli  suoi  datij,  levando  loro  i  sali  et  conducendo 
formenti,  biave  et  altre  robbe,  con  beneficio  suo  et  di  quelli  habitanti  ;  ma 
invero  sono  custoditi  essi  sali  con  pochissimo  ordine,  poiché  di  loro  ne  ha 
il  carico  un  Antonio  Santorio  che  ha  anco  altri  carichi  in  quella  Città,  et 
tiene  conto  del  riscuoter,  et  compreda  di  essi  in  tal  modo,  eh'  io  mi  sono 
molto  meravigliato,  perciochè  non  ha  alcuno  sopraintendente,  et  li  conti 
vanno  alla  longa,  sicome  io  credo  con  molto  suo  utile,  et  maneggiando 
egli  molto  danaro  nel  medesmo  modo  che  fanno  li  Fattori  di  alcun  parti- 
colare et  privato,  non  so  vedere  perchè  non  gli  sia  dato  un  Scontro  secondo 
l'ordinario  di  tutti  gli  Ufficij  et  maneggi  di  danaro  publico.  Io  credo  che 
li  Clarissimi  Signori  al  sale  siano  vigilantissimi  al  beneficio  della  Serenità 


—  388  — 

Vostra,  ma  forsi  non  sarebbe  fuor  di  proposito  che  da  lei  fossero  fatti  av- 
vertire di  questo  disordine,  perchè  potessero  pensare  al  levarlo. 

Essendo  patrona  Vostra  Serenità  di  tutti  li  datij  et  entrate  di  quella 
Città,  et  non  havendo  quella  Communità  cosa  alcuna  di  proprio,  pare  molto 
conveniente  che  nelli  suoi  bisogni  et  massime  dove  si  tratta  della  conser- 
vation  sua,  et  di  quei  suoi  sudditi,  ella  ne  habbia  il  carico,  et  le  dia  op- 
portuno aiuto  nelle  sue  maggior  occorrenze.  Perciò  essendo  circondata 
quella  Città  da  alcune  paludi  che  la  riducono  a  poco  a  poco  in  Terra  Ferma 
et  le  vanno  facendo  l'aere  molto  cattivo,  Vostra  Serenità  per  sua  benignità 
in  tempo  del  mio  Reggimento  si  è  contentata  a  supplicatione  di  quel  popolo 
commettermi  eh'  io  facessi  levare  dall'alveo  suo  vecchio  un  fiume  chiamato 
il  Fiumesino,  et  facendo  un  nuovo  alveo  condurlo  per  altra  strada  più  lontano 
dalla  Città,  acciò  si  levasse  con  questo  mezzo  la  causa  dell'atterratione  che 
si  faceva  ogni  giorno  maggiore  per  il  terreno  che  del  continuo,  et  molto 
più  con  le  torbide  era  portato  da  esso  Fiume  in  luoco  vicino  alla  Città. 
Questo  tanto  io  ho  essequito  con  ogni  diligenza  havendo  fatto  fare  un  alveo 
di  longhezza  di  perteghe  1042,  che  può  esser  intorno  un  miglio  e  mezzo, 
con  una  masiera  doppia  di  perteghe  80,  si  come  ne  ho  dato  particolar  avviso 
con  mie  lettere  conforme  all'  ordine  havuto  dalla  Serenità  Vostra.  Et  il 
danaro  è  stato  speso  con  quel  avantaggio  maggiore  che  è  stato  possibile; 
et  si  come  mi  fu  scritto  da  lei  non  mi  son  partito  dalla  depositione  di  M. 
Paulo  dal  Ponte  protho  alle  acque,  il  quale  è  stato  anco  presente  a  parte 
dell'  opera  secondo  il  tempo  et  bisogno  ;  ma  essendosi  levata  la  causa  di 
maggior  atterratione,  non  però  si  è  ridotta  la  Città  nel  suo  stato  proprio, 
et  quanto  alla  fortezza  naturale,  et  quanto  alla  salubrità  dell'aere,  perciochè 
il  terreno  della  palude  è  alto  in  molti  luoghi  et  spetialmente  sotto  il  ponte 
et  vicino  alle  mura  della  Città,  di  modo  che  sta  per  il  più  del  tempo  sco- 
perto all'acqua  :  però  saria  molto  bene,  anzi  pur  necessario  far  l'escavatione 
della  palude,  almanco  vicino  alle  mure,  et  sotto  et  appresso  il  ponte,  per- 
ciochè non  essendo  altro  luogo  né  più  capace,  né  più  forte  di  sito  in  tutta 
l' Istria  per  rifugio  et  ricorso  degli  altri  luoghi  di  quella  provincia,  in  certi 
tempi  di  bisogno,  oltre  il  beneficio  proprio  di  quella  Città  per  rispetto  del 
miglioramento  dell'aere,  sarebbe  anco  beneficio  universale  degli  altri  luochi 
dell'  Istria,  et  specialmente  delli  più  vicini,  li  quali  havevano  altre  volte,  et 
ultimamente  nel  tempo  dell'  ultima  guerra  Turchesca,  designato  di  retirar- 
visi  con  le  proprie  fameglie,  et  facultà  e  da  questo  mi  move  a  dirle  rive- 
'rentemente  che  continuando  la  Serenità  Vostra  a  darle  aiuto  di  danaro  per 
questo  effetto  potria  anco  far  contribuire  all'  escavatione,  sicome  fa  la  Città 
et  suo  Territorio,   alcuni  di  quei   altri    luochi   che   paresse  a  Lei   che  più 


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dovessero  farlo;  et  facendo  la  Serenità  Vostra  con  quest'opera  li  benifkij 
sopr?.detti  veniria  anco  a  dar  commodità  alle  galere  et  altri  Vasselli  di  poter 
arrivar  et  fermarsi  vicino  a  quella  Città;  il  che  staria  bene  per  molti  rispetti, 
et  conseguentemente  a  dar  un  poco  di  adito  di  commercio  et  di  utile  a 
quelli  habitanti  che  sono  in  gran  povertà.  Io  ho  voluto  lasciar  il  danaro 
che  mi  è  restato  nel  fin  del  mio  Reggimento  al  Clarissimo  mio  Successore, 
acciò  cominciasse  a  far  l'escavatione  vicino  al  ponte  et  appresso  le  mure, 
conforme  a  quanto  mi  commandò  la  Serenità  Vostra  con  le  sue  de'  13  Luglio 
passato;  ma  non  havendolo  voluto  ricever  sono  stato  sforzato  di  portarlo 
alli  Signori  sopra  le  fortezze,  havendomi  detto  di  più  che  aspetterà  di  haver 
novo  ordine  da  lei  in  questo  proposito.  Ma  perchè  più  sicuramente  si  prohi- 
bisca  l' attenatione,  non  sarebbe  forse  male  che  da  lei  fosse  novamente 
commesso,  che  non  fosse  fabbricato  maggior  numero  di  saline  di  quello 
che  è  al  presente  nelle  dette  paludi,  poiché  questa  è  stata  una  delle  principal 
cause  dell'  atterratione.  Questo  tanto  ho  voluto  dirle  parendomi  il  tutto 
necessario  per  la  conservatione  di  quella  Città  et  per  beneficio  di  tutta  quella 
Provincia. 

E  circondata  la  città  di  Capo  d' Istria  di  muraglie  vecchie  et  antiche 
et  fuori  di  essa  in  capo  al  Ponte  che  passa  alla  Terra  ferma  ha  un  Castello, 
chiamato  Castel  leone,  il  quale  ha  più  della  porta  che  del  Castello.  Le  mu- 
raglie della  città  se  ben  sono  vecchie,  tuttavia  guardandole  et  ferrandole,  non 
mi  è  parso  bene  che  dovessero  star  rotte  et  forate,  come  io  le  ho  ritrovate, 
andando  a  quel  Reggimento,  perchè  oltre  gli  altri  rispetti,  per  li  contrab- 
bandi et  di  sali  et  di  altro  che  venivano  fatti  ne  sentiva  la  Serenità  Vostra 
assai  pregiuditio.  Però  col  mezzo  delli  Signori  sopra  le  fortezze  le  ho  fatte 
racconciare  in  ogni  luogo,  et  ho  renduto  conto  a  sue  Signorie  Clarissimc 
del  danaro  speso  con  quanto  avantaggio  ho  potuto. 

Sono  in  dette  muraglie  porte  n™  dieci,  le  chiavi  delle  quali  sono  tenute 
da  particolari  che  stanno  vicini  ad  esse;  il  che  mi  pare  un  grandissimo 
abuso  et  di  mala  conseguenza,  et  giudicarci  che  fusse  bene  che,  o  il  Ca- 
valliero  del  Podestà  con  un  poco  di  accrescimento  di  salario,  havendolo 
molto  tenue,  o  altri  che  sia,  fosse  obbligato  a  serrarle  et  portar  le  chiavi 
in  mano  del  Rettore  et  essendo  conveniente  che  un  abuso  simile  sia  levato 
per  ordine  espresso  della  Serenità  Vostra,  ho  voluto  rappresentarlo  a  lei, 
acciochè  con  l' autorità  sua  immediatamente  et  senza  alcun  impedimento 
sia  essequito. 

Il  Castel  Leone,  che  è  antichissimo  e  che,  come  ho  detto,  ha  più  della 
porta  che  del  Castello,  ha  alla  custodia  sua  un  Capitanio  con  otto  soldati, 
la  qual  spesa,  a  giudicio  mio,  e  del  tutto  superflua,    perchè  già  centenara 


—  390  — 

d'anni  che  fu  fabbricato  altro  fine  s'  haveva  a  quei  tempi,  et  altra  era  l'offesa 
et  la  diffesa.  Fu  fabricato  in  acqua  molto  profonda  et  vi  si  potevano  ac- 
costar le  Galee,  et  ora  è  in  terra  del  tutto,  è  piccolissimo  et  di  niuna  diffesa 
quanto  alla  forma  con  che  è  fatto.  Ma  quello  che  è  peggio,  è  così  vecchio 
di  muraglie  et  di  ogni  altra  cosa,  che  si  può  dire  ruinoso,  et  se  non  sarà 
disfatto  da  altri,  credo  che  si  disfarà  per  sé  stesso  ;  oltre  che  in  tempo  di 
alcun  cattivo  accidente  potria  il  nemico  terrapienandolo  valersene  grande- 
mente a  maleficio  di  tutta  quella  Città.  Potria  la  Serenità  Vostra  farlo  gettar 
a  terra,  et  impiegar  quella  spesa  de'  soldati  in  altro  luoco  con  maggior 
utilità  et  riputatione  sua  ;  et  io  giudico  che  molto  meglio  sarebbe  che  quei 
soldati  fossero  posti  sotto  il  Governatore  alla  guardia  della  piazza,  perciochè, 
oltra  la  riputatione  che  se  gli  darebbe,  si  veneria  anco  a  rimediare  a  qualche 
inconveniente  che  per  mala  sorte  potesse  occorrere.  Et  mi  dispiace  gran- 
demente doverle  dire  che  ho  veduto  con  grandissimo  disturbo  et  travaglio 
d'animo  un  Vescovo  seditioso,  che  ha  pratica  strettissima  con  Principi  alieni 
confinanti,  vestito  solennemente  con  seguito  di  Preti,  mover  il  popolo  sotto 
pretesto  di  religione  a  far  quanto  particolarmente  scrissi  all'  hora  dove  bi- 
sognava :  il  che  forsi  non  sarebbe  seguito,  né  promosso  da  lui,  se  fosse 
stata  custodita  la  piazza  della  maniera  che  ho  detto.  Faccia  nondimeno  ella 
che  rissolutione  le  pare  che  quella  giudicherò  molto  megliore,  bastandomi 
accennarli  il  mio  pensiero  pieno  di  buona  volontà  verso  le  cose  sue. 

Tiene  la  Serenità  Vostra  un'Armeria  posta  sopra  la  piazza  publica  di 
quella  Città  in  governo  di  Ser  Antonio  Santorio  Massaro  delle  Monitioni 
et  Capo  de'  Bombardieri,  et  perchè  ho  voluto  più  volte  vedere  la  quantità 
delle  Arme,  che  sorte  et  che  governo  habbiano,  le  ho  ritrovate  molto  ristrette 
et  una  sopra  l'altra  rispetto  alla  strettezza  del  luoco  et  che  vengono  molto 
a  patire  non  potendo  esser  accomodate  con  quell'ordine  et  governo  che  se 
li  conviene.  Et  quello  che  a  giudicio  mio  è  peggio,  che  la  polvere  si  ritrova 
riposta  tra  le  dette  arme,  onde  per  quei  rispetti  che  puono  benissimo  esser 
considerati,  essendo  il  luoco,  come  ho  detto,  sopra  la  piazza  publica,  et 
vicino  al  Palazzo,  facilmente  potrebbe  all'  improviso  per  molti  accidenti 
apportar  molto  travaglio,  si  come  1'  esperienza  havuta  in  altri  luochi  1'  ha 
chiaramente  dimostrato.  Crederei  che  sarebbe  ottima  cosa  che  la  polvere 
fosse  levata  da  detto  luoco,  et  posta  in  altro  fuori  di  pericolo,  che  con 
pochissima  spesa  se  ne  potrà  trovare.,  essendovene  de'  vacui  in  più  parti 
della  Città. 

Et  perchè  appresso  il  luoco  suddetto  delle  munitioni  vi  era  una  casa 
di  ragione  de  un  particolare,  divisa  solamente  da  un  simplice  muro,  et 
confinante  con  le  pregioni  di  Palazzo,  et  con  la  Cancellaria  del  Sindacato 


—  39i  — 

dove  sono  le  Scritture  di  quella  Communità,  non  mi  parse  conveniente  per 
molti  rispetti  che  dovesse  star  in  mano  di  particular  persone,  et  giudicai 
che  fosse  se  non  bene  farne  patrona  la  Serenità  Vostra,  tanto  più  che  con 
poca  spesa  si  l'averebbe  potuto  racconciare,  et  aggrandir  il  luoco  delle  mo- 
nitioni  con  molto  suo  beneficio  et  di  quelle  armi  insieme,  ma  in  particolare 
delle  Artegliarie  che  per  i'  angustia  et  strettezza  del  luoco  patiscono  assai. 
Di  tutto  ciò  diedi  riverente  aviso  alla  Serenità  Vostra  et  alli  Clarissimi  sopra 
le  Artigliarie  et  fortezze,  ma  non  havendo  havuto  risposta  deliberai  di 
comprar  la  detta  Casa  a  nome  suo  con  li  danari  di  quella  Camera  sapendo 
fermamente  di  doverla  havere  con  assai  avantaggio  non  passando  il  pretio 
di  ducati  120,  quali  furono  esborsati  da  quel  Magnifico  Camerlengo,  et  fu 
per  publico  instrumento  fatta  patrona  la  Serenità  Vostra,  sempre  però  a 
beneplacito  suo.  Altro  racconciamento  non  ho  potuto  fare,  havendo  voluto 
fornir  prima  l'opera  del  Fiumesino,  che  la  mi  commesse,  et  la  fabbrica  del 
ponte  grande  della  Città  che  butta  alla  T.  F.  di  qualche  importanza  et  spesa, 
come  particolarmente  le  ne  darò  conto. 

Fu  introdutta  altre  volte  in  Capo  d' Istria,  et  non  è  molto  tempo,  una 
scuola  de  Bombardieri,  et  credo,  che  si  come  in  tutti  i  principi)  si  fa  come 
si  può,  così  ne  fosse  allora  dato  il  carico  a  un  Capo  che  dovesse  essercitarli 
et  insegnarli  quello  che  bisognava,  senza  far  molta  inquisitione  della  sua 
sofficienza,  perchè  quelP  istesso  che  è  anco  massaro  di  quelle  munitioni,  et 
di  più  ha  la  cura  di  sali  di  tutte  quelle  saline,  essendo  stato  eletto  per  Capo 
di  quei  Bombardieri,  vale  tanto  in  questo  mestiero,  quanto  Vostra  Serenità 
può  vedere  da  una  espositione  fatta  dalli  medesimi  Bombardieri  che  sarà 
con  questa,  nella  qual  dolendosi  di  non  sapere,  perchè  non  gli  vien  inse- 
gnato cosa  alcuna  che  stia  bene,  ricercano  anco  instantemente  che  li  sia 
dato  Capo  sufficiente  et  diligente  ;  et  sia  come  mi  sono  doluto  et  più  volte 
li  ho  represi  della  sua  ignoranza,  così  loro  non  sentendosi  in  colpa,  (di 
che  ne  son  certissimo  havendo  veduto  con  1'  occhio  proprio  quanto  vai 
poco  il  Capo),  si  sono  mossi  a  ricercare  di  esser  meglio  ammaestrati  di 
quello  che  sono.  Vostra  Serenità  adonque  volendo  havere  qualche  frutto  in 
cosa  di  tanta  importanza,  potrà  farne  quella  provisione  che  le  parerà  con- 
venirsi, la  quale  tanto  più  io  giudicherò  necessaria,  quanto  che  il  numero 
di  essi  Bombardieri  si  potrebbe  crescer  facilmente  et  con  aggionger  di  quelli 
della  medesima  città  di  Capo  d' Istria  senza  dar  mala  satisfattione  ad  alcuno, 
essendone  molti  desiderosi  d'esser  descritti,  et  con  descriverne  anco  alquanti 
delli  luoghi  più  vicini,  come  sono  Pirano,  Isola,  Muggia,  li  quali  riusciranno 
mirabilmente,  et  potrebbono  esser  essercitati  dal  medesimo  Capo  di  Capo 
d' Istria,  non  essendo  più  lontani  che  5,  6  et  8  miglia,  potendosi  massime 


-   392  — 

far  il  viaggio  et  per  terni  et  per  barca  in  termine  d'  un  bora  o  doi.  Timo 
ciò  le  bo  voluto  rappresentare  sapendo  quanto  le  pesi  questa  materia  de 
Bombardieri  et  di  quanta  importanza  sia  giudicata  da  tutti  questi  Eccellen- 
tissimi Signori. 

Si  ritrova  havere  la  Serenità  Vostra,  tra  quella  sua  città  di  Capo  d' Istria 
et  la  Provincia  insieme,  buomini  descritti  nella  militia  al  n.ro  di  2400,  tutti 
Archibusieri,  sotto  il  governo  di  sei  Capitani  salariati  con  la  sopraintendenza 
del  Governatore  ditto  Moretto  da  Recanatti  destinato  da  lei  Governatore 
di  quelle  Ordinanze;  et  perchè  io  giudico  questo  negotio  importantissimo 
et  di  molta  consideratione,  vengo  anco  un  poco  più  diffusamente  a  ragio- 
narne, et  si  come  è  maggiore  assai  il  zelo  et  il  desiderio  eh'  io  tengo  del- 
l' utile  et  servitio  della  Serenità  Vostra,  che  non  è  ogn'  altro  particolar 
rispetto,  le  dirò  in  questa  materia  con  ogni  sincerità  et  libertà  1'  opinion 
mia.  Sono  i  soldati  descritti  huomini  di  natura  forti  et  attissimi  così  ad 
apprender  il  mestier  dell'armi,  come  a  patire  ogni  incommodità,  et  può  di 
loro  la  Serenità  Vostra  haverne  certa  speranza  di  doverne  ricever  ottimo 
servitio,  così  in  terra  come  in  mare  sopra  le  sue  galere  per  scapoli,  et  anco 
per  galeotti  in  caso  di  bisogno,  essendo  la  maggior  parte  de  loro  de  razza 
forte  de  sebiavoni  et  murlachi,  usi  ad  ogni  fatica,  quando  che  dalli  loro 
Capitani  fossero  ammaestrati  et  disciplinati  nella  maniera  eh'  ella  crede,  et 
che  doverebbono  fare,  havendo  il  suo  danaro  ;  ma  è  bene  eh'  ella  sappia 
che  della  compagnia  essercitata  eccellentemente  dal  Capitano  Tiburtio  Val- 
marana  Vicentino,  et  quella  del  Capitano  Antonio  Lugnano  in  fuori,  che 
può  passare  convenientemente,  tutte  le  altre  sono  così  poco  ammaestrate 
dalli  suoi  Capi  che  quanto  a  me  giudico  più  che  necessario  che  ne  debba 
esser  fatta  conveniente  provisione,  et  che  gli  siano  dati  altri  Capi  et  più 
prattici  et  più  diligenti  :  altrimenti  ella  sia  sicura  di  gettar  via  la  spesa  et 
di  non  poterne  ricever  mai  alcun  servitio,  e  nondimeno  havendo  rispetto 
alla  qualità  del  paese  et  degli  huomini  atti  ad  ogni  fatica,  non  doveriano 
esser  inferiori  ad  alcun'  altra  sorte  de  soldati  di  ciascun'  altro  paese.  Et  in 
questo  proposito  non  debbo  restar  di  dirle,  che  havendomi  commesso  la 
Serenità  Vostra  per  sue  lettere  de  25  novembre  1581,  ch'io  dovessi  ac- 
crescer il  n.ro  delli  2400  che  sono  descritti  in  tutta  l' Istria  fino  al  n.r0  di  3Ó00, 
il  che  sarebbe  stato  facile  ad  essequire  per  1'  abbondanza  degli  huomini  et 
luochi  dove  si  poteva  fare  la  descrittione,  mi  è  accaduto  il  medesimo  che 
nella  cosa  del  datio  del  vino,  perchè  havendo  fatta  una  descrittione  uni- 
,  versale  insieme  con  il  Signor  Moretto  Governatore  et  il  Vice  Collaterale, 
non  ho  potuto  mai  farne  la  compartita  rispetto  all'essersi  opposti  alcuni  di 
Muggia,  per  nome  di  quella  Communità  che  furono  anco  causa  che  faces- 


—  393  — 

sero  l'istesso  Isola  et  Pirano;  li  quali  havendo  supplicato  la  Serenità  Vostra 
con  certi  suoi  asserti  meriti  di  dover  esser  esenti,  se  ben  io  le  risposi  secondo 
la  sua  commissione  dandole  informatione  particolare  del  tutto,  non  però 
ho  potuto  haverne  alcuna  rissolutione,  dal  che  è  causato,  che  gli  altri  luochi 
dell'Istria  si  risentono  di  questo  che  non  vi  sij  egualità,  e  che  non  siano 
trattati  tutti  ad  un  modo,  et  che  quelli  di  Muggia,  Isola  et  Pirano  fuori 
d'ogni  ragione  debbano  passar  esenti,  havendo  maggior  n.r0  di  persone  et 
molto  più  gioventù  riussibile  ad  ogni  esercitio,  et  che  alle  altre  terre,  non 
cosi  commodo,  et  di  maggior  numero  assai  sia  lasciato  il  peso  d'ogni  fatica, 
cosa  invero  abborrita  dalla  buona  mente  di  Vostra  Serenità,  che  non  per- 
mette nelli  sudditi  suoi  maggior  gravezza  all'  uno  che  all'  altro.  Mosso  da 
cosi  importante  negocio  et  dal  carico  eh'  io  tengo,  conoscendo  di  più  l'ot- 
timo servitio  che  li  apporteria  l'accrescimento  di  queste  Cernede,  iusta  la 
buona  deliberatione  fatta  da  lei  più  volte,  con  molte  mano  di  mie  lettere 
ho  raccordata  la  rissolutione  a  Vostra  Serenità  per  poter  essequir  l'ordine 
suo,  ne  havendo  ricevuta  risposta  alcuna,  né  meno  essendo  stati  licentiati 
gli  Ambasciatori  che  per  ostinatione  sono  fermati  in  questa  Città,  le  rac- 
cordo riverentemente  che  mi  è  convenuto  lasciar  la  cosa  imperfetta  con 
non  poco  suo  danno  et  interesse.  Io,  Serenissimo  Principe,  riverentemente 
le  raccordo,  che  non  debba  lasciar  di  fare  al  tutto  questo  accrescimento 
fino  al  n.r0  di  3000  soldati,  poiché  non  può  quella  Provincia  con  ragione 
aggravarsi  in  conto  alcuno,  et  creda  a  me,  che  ho  voluto  vedere  in  persona 
gli  huomini  et  la  gioventù  di  quelle  terre,  onde  si  deve  descrivere  il  numero 
suddetto,  et  spetialmente  quelli  di  Muggia,  Isola  et  Pirano,  gioventù  più 
disposta  et  atta  d' ogn'  altra,  si  come  anco  è  il  molto  maggior  numero. 
Ne  ho  trovata  ragione  alcuna,  perchè  ne  dovessero  restar  esenti,  et  perchè 
il  commemorar  le  ragioni  che  altre  volte  ho  rappresentate  alla  Serenità 
Vostra  sarebbe  un  attediare  l'orecchie  sue,  et  di  questi  Eccellentissimi  Signori 
che  ne  debbono  esser  ricordevoli  ;  io  mi  rimetterò  a  quanto  ho  scritto  per 
diverse  mano  di  mie  lettere,  solo  le  dirò  questo  particolare  importante, 
che  si  come  non  si  puonno  descriver  huomini  di  Militia  nel  Territorio  di 
Pirano  per  non  esserne  quindici  o  venti  propri]  di  quel  luoco,  che  il  resto 
sono  sudditi  imperiali,  condotti  a  nodrir  mandrie  et  lavorar  terreni,  così 
non  si  deve  lasciar  di  descriver  quelli  della  medesima  Terra  di  Pirano, 
huomini  pratichissimi  et  esperti  de'  quali  si  può  fermamente  sperare  ogni 
buona  riuscita,  come  è  stato  osservato  nelli  Castelli  di  Terra  ferma. 

Mi  resta  solamente  dire  alla  Serenità  Vostra  che  essendo  proprio  delli 
suoi  Rappresentanti  invigilare  in  due  cose  principalmente  per  beneficio  et 
consolationc   de'  suoi   sudditi,    cioè   neh'  amministrare  la  Giustina  et  nella 


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previsione  delle  cose  spettanti  al  loro  vivere,  nella  prima  io  non  ho  ponto 
mancato  secondo  le  forze  mie,  et  secondo  la  mia  conscienza,  postponendo 
ogn'  altro  rispetto,  et  posso  dire  con  verità  di  esser  stato  così  assiduo  nelle 
audientie,  et  neh"  espeditioni,  che  non  ho  consummato  mai  il  tempo  in 
altro,  et  sebene  può  parer  ad  alcuno  che  il  Reggimento  di  Capodistria  sia 
di  poco  peso,  et  di  mediocre  importanza,  tuttavia  le  affermo  sincerissima- 
mente che  sono  tanti  i  carichi,  et  in  tante  cose  è  impedito  il  Rettore  che 
a  me  par  impossibile  che  possi  con  la  sua  persona  sola  supplir  al  bisogno; 
perchè  havendo  da  governare  et  nel  civile  et  nel  criminale  quella  Città  et 
Territorio,  ha  anco  auttorità  di  Auditore  Sindico,  Avogadore  et  Diff.re  sopra 
molte  terre  et  luochi  di  quella  Provincia,  di  maniera  che  per  questo  rispetto, 
sicome  altre  volte  le  è  stato  raccordato,  io  giudico  che  la  Serenità  Vostra 
debba  farne  una  bonissima  opera  se  si  rissolverà  di  darle  aiuto  di  un  Vicario, 
il  quale  non  tanto  sarà  di  qualche  sollevamento  al  Rettore,  quanto  sarà  di 
grandissima  consolatione  a  tutti  quei  popoli  che  hanno  bisogno  molte  volte 
di  app.ne  et  suffragio  da  quel  Reggimento,  et  quelli  che  fin'  hora  non  si 
sono  sottoposti  in  seconda  instanza  alla  sua  auttorità,  si  moveriano  tutti  a 
farlo  con  grandissimo  loro  contento  per  quei  rispetti  che  dalla  sua  molta 
prudenza  possono  esser  molto  ben  considerati,  che  chi  volesse  dire  in  questa 
materia  certi  particolari  che  occorrono,  sarebbe  cosa  di  gran  dispiacere  a 
chi  la  sentisse  et  quasi  lachrimevole.  Oltra  che  essendo  stati  assuefatti  quelli 
di  quella  Città  ad  una  negligente  et  trascurata  inobedienza,  questo  sarebbe 
qualche  aiuto  a  metterli  in  strada  d'obedire  quando  si  conviene.  Et  il  salario 
di  questo  Vicario  si  potria  trovare  senz'alcun  interesse  di  Vostra  Serenità, 
poiché  potrebbe  il  Rettore  fare  che  fosse  pagato  con  li  caratti  che  si  sco- 
deriano  delle  sententie,  come  si  fa  da  qui  all'  Officio  delli  Avvogadori  et 
con  parte  del  danaro  delle  condanne  che  si  facessero  nel  tempo  del  suo 
Reggimento,  le  quali  ancorché  siano  di  quella  Communità  per  concessione 
fattale  dalla  Serenità  Vostra,  si  contentaria  nondimeno  che  ne  potesse  ap- 
plicare qualche  parte  a  tal  pagamento,  ritornando  ciò  in  molto  honore  alla 
sua  Città,  et  di  molta  consolatione,  et  sollevaménto  a  tutto  quel  Popolo. 
Quanto  alle  cose  spettante  al  vivere  di  quei  Popoli,  ha  gran  travaglio 
il  Rettore  per  conto  delle  biave  et  formenti  che  sono  necessarij  alla  loro 
sustentatione,  perchè  non  si  raccoglie  grano  in  quel  territorio  che  supplisca 
ad  una  minima  parte  dell'anno,  et  essendovi  un  Fontico  poco  ben^governato 
dalli  medesmi  della  Città  che  per  il  passato  sempre  sono  andati  intaccandolo, 
,si  ha  grandissimo  disturbo  in  mantenerlo  abbondante  di  formento  et  farine, 
et  se  non  ne  fosse  portato  dalli  Cranzi  sudditi  Arciducali,  che  con  il  tratto 
di  esso  portano  via  et  sali,  et  altro,   con  molto  utile  delli  datij  di  Vostra 


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Serenità,  si  trovarebbe  il  Rettore  alcuna  volta  a  strano  partito.  Però  in  tempo 
mio  ho  usato  ogni  destrezza  con  loro,  et  per  altra  via  ho  usata  ogni  dili- 
genza possibile,  di  modo  che  non  si  ha  mai  patito  né  nella  Città,  né  in 
Territorio,  né  nelli  luoghi  vicini,  i  quali  spesso,  er  spetialmente  in  tempo 
di  carestia,  venivano  a  comprar  il  pane  nella  Città  di  Capo  d' Istria.  Et 
quanto  al  cavedal  di  esso  Fontego  ho  procurato  senza  haver  rispetto  ad 
alcuno,  che  fosse  non  solamente  conservato,  ma  accresciuto,  con  far  pagar 
li  debitori  di  quello  che  havevano  intaccato,  di  maniera  che  posso  dire  con 
verità  di  riaverlo  lasciato  in  assai  miglior  stato  di  quello  eh'  io  lo  trovai 
nel  principio  del  mio  Reggimento.  —  Et  perchè  ordinariamente  li  sopradetti 
Cranzi  transitano,  et  per  portar  li  formenti,  et  per  asportar  quanto  fa  loro 
bisogno  per  il  Ponte  che  conduce  dalla  Città  alla  Terraferma,  et  non  hanno 
altra  strada  che  per  esso  Ponte,  però  havendolo  ritrovato  tutto  rovinato  et 
rotto,  di  modo  che  non  si  passava  senza  grandissimo  pericolo  de'  Viandanti, 
se  ben  era  opera  molto  difficile  rispetto  al  danaro  che  bisognava,  essendo 
longo  intorno  passa  cento,  nondimeno  ho  voluto  non  solo  farlo  racconciare, 
ma  farlo  riffar  tutto  di  novo,  applicandoli  il  danaro  di  molte  condanne, 
oltra  quelli  che  ho  havuto  dalli  Signori  sopra  le  Fortezze;  et  se  bene  da 
Sue  Signorie  Clarissime  non  si  ha  havuto  più  che  ducati  200,  tuttavia  es- 
sendo così  grande,  mi  è  bisognato  spenderne  eoo.  Et  so  che  in  quest'opera 
la  quale  è  stata  di  molta  importanza  in  quella  Città  ho  superato  l'opinione 
et  credenza  di  ogn'  uno,  perché  ogni  poco  racconciamento  che  veniva  fatto 
per  il  passato,  pareva  molto  rispetto  alla  penuria  del  danaro  et  al  bisogno 
dell'  opera  ;  pur  è  stato  fornito  del  tutto  di  novo,  et  non  haverà  bisogno 
per  molto  tempo  di  altra  spesa.  Et  invero  era  necessario  il  riffarlo,  oltra  il 
rispetto  sopradetto,  per  questa  causa  che  tutti  gli  Cittadini  et  habitanti 
nella  Città  conducono  per  quella  strada  tutte  le  sue  entrate,  e  tutto  ciò  che 
fa  loro  bisogno  per  il  vivere  ordinariamente. 

So  di  haver  con  doi  mano  di  mie  lettere  rappresentato  alla  Serenità 
Vostra  esser  stati  tagliati  in  quel  Territorio  molti  roveri  da  quei  suoi  po- 
verissimi sudditi  et  riaverle  scritto  intorno  ciò  ogni  particolare  che  giudicai 
necessario,  sì  per  servitio  suo,  come  per  iscarico  loro  ;  nondimeno  parmi 
esser  obbligato  di  doverle  brevemente  raccordare  quanto  all'  hora  a  questo 
proposito  le  scrissi,  che  sarebbe  ottima  cosa,  sì  per  benefitio  della  Casa, 
come  anco  di  quei  sudditi  che  la  Serenità  Vostra  commettesse  che  si  do- 
vessero riveder  i  boschi  di  quel  territorio  da  un  Proto  et  cavalcante  perito 
et  affettionato  alle  cose  sue,  il  quale  dovesse  segnar  i  roveri  che  fossero 
buoni  et  per  venir  buoni  per  essa  casa,  et  farne  poi  far  nota  particolare  sì 
nella  Cancellarla  di  Capo  d' Istria,  come  de  qui  all'Officio  dell'Arsenale  de 


—  396  — 

tutti  quelli  che  havesse  segnato.  Et  a  giudicio  mio  è  molto  necessaria  questa 
revisione,  non  essendo  stata  fatta  dal  1547  in  poi  che  fu  eletto  Proveditor 
nell'Istria  il  Clarissimo  M.  Lorenzo  Pisani,  mediante  la  quale  sarà  ad  ogn'uno 
levata  l'occasione  di  continuar  più  in  simil  tagli,  la  maggior  parte  de'  quali 
è  stata  de  roveri  non  segnati  ;  et  sarà  sicura  la  Serenità  Vostra  di  potersene 
sempre  prevalere,  essendone  quel  bisogno  eh'  ella  benissimo  sa. 

Questo  è  quanto  mi  occorre  considerar  et  rappresentar  alla  Serenità 
Vostra  quanto  più  brevemente  posso  intorno  al  reggimento  et  governo  che 
si  ha  contentato  di  darmi.  Il  che  so  che  sarà  accettato  da  lei,  et  da  tutti 
questi  Eccellentissimi  Signori  con  quella  benignità  che  è  sua  propria  :  di 
che  ne  ho  piena  et  certissima  confidenza,  havendo  per  compagna  et  delle 
opere  mie  et  del  mio  pensiero  una  volontà  ardentissima  di  ben  servirla 
secondo  1'  ultimo  mio  potere. 

Ho  havuto  per  mio  Cancelliero  M.  Alvise  Vendramini  da  Spalato,  al 
quale  fu  concessa  la  Cancellarla  di  quella  Città  dall'  Illustrissimo  Conseglio 
de'  dieci.  Et  perchè  per  l'ultima  regolatione  ne  è  restato  privo,  se  ben  io 
so,  che  li  suoi  meriti  per  li  quali  ebbe  la  gratia,  sono  manifestissimi  a  Vostra 
Serenità  et  a  tutte  le  Signorie  Vostre  Illustrissime  et  Eccellentissime,  non 
posso  nondimeno  restar  di  fare,  come  faccio  amplissima  et  manifestissima 
fede  et  della  sua  bontà  et  della  sua  fedeltà,  1'  una  et  1'  altra  da  me  effet- 
tualmente et  chiaramente  conosciute,  che  il  riconoscer  per  qualche  altra 
strada  li  suoi  meriti  per  conservatione  della  sua  numerosa  et  povera  famiglia, 
tocherà  al  Sapientissimo  giudicio  di  Vostra  Serenità  et  di  Vostre  Signorie 
Eccellentissime,  alla  cui  buona  gratia  riverentemente  mi  raccomando. 

(Da  copia  contemporanea  esistente  nella  Serie  Relazioni  —  Registro 
1582  ecc.  già  Codice  Brera  n.  198  da  55  tergo  a  63). 


Espositione  di  Bombardieri  di  Capo  d'Istria,  presentata  nell'Eccellentissimo  Col- 
legio a'  17  Mar^o  ij8)  per  il  Nob.  Ho.  Ser  Alvise  Morosini  ritornato  di 
Podestà  et  Capitanio  di  Capodistria. 

Dominica  2  di  Gennaro  1583. 
Comparsero  alla  presentia  del  Clarissimo  Signor  Alvise  Morosini  per 
la  Serenissima  Ducal  Signoria  di  Venetia  mentissimo  Podestà  et  Capitanio 
di  Capo  d' Istria  et  suo  distretto,  Ser  Vincenzo  Carpatio,  Gastaldo  della 
Confraternita  della  Scuola  di  S.ta  Barbara  di  Bombardieri  di  questa  Città 
ser  Nadal  Cantian,  Scrivano  della  medesima  scuola,  ser  Bortolo  Albanese, 


—  397  — 

Ser  Filippo  di  Basti,  M.r0  Nello  Mellizzotto,  Zanetto  Albanese,  Bortolo 
Callaffà,  Elio  Baldan,  Nicolò  de  Rizzo,  Antonio  Schienea,  Zorzi  Zambon, 
et  Andrea  de  Valtra,  tutti  bombardieri  descritti  nel  libro  di  detta  Scuola, 
et  così  per  nome  suo,  come  degli  altri  compagni,  la  persona  de  quali  dissero 
detti  Ser  Vincenzo  Gastaldo,  et  Ser  Nadal  Scrivano  rappresentare,  et  do- 
lendosi esposero  a  Sua  Magnificenza  Clarissima  così  dicendo.  Siamo  venuti 
qua  Clarissimo  Signore  a  dolersi  da  lei,  che  essendo  entrati  bombardieri 
nella  scuola  di  S.*"  Barbara  gii  quattro  anni  incirca  sotto  il  Reggimento 
del  Clarissimo  Signor  Nicolò  Donado  all'  hora  degnissimo  Podestà  di  questa 
Città  sotto  la  custodia  de  Ser  Antonio  Santorio  Capo  deputato,  non  per 
avidità  alcuna  di  danaro,  ma  per  servire  et  morire  al  servitio  del  nostro 
Principe,  mai  detto  Santorio  ne  ha  dato  ammaestramento  alcuno  nell'arte 
del  Bombardiere,  né  insegnata  cosa  alcuna  intorno  i  tiri,  et  altro  che  fa 
bisogno  a  quest'  arte,  e  se  pur  habbiamo  fatto  qualche  poco  di  profitto,  è 
stato  solamente  per  il  desiderio  grande  che  tenimo  d' imparare,  ma  siamo 
certi  di  dover  perder  et  la  fatica,  et  il  tempo,  poiché  non  ne  fa  essamina 
alcuna  per  instruttion  nostra  ;  et  per  dir  il  vero  lui  non  ne  sa  molto  né 
poco,  che  quando  ne  sapesse,  dove  siamo  da  42  bombardieri  descritti  fin 
hora,  tutti  gioveni,  saressimo  sicuramente  almeno  100,  non  riavendo  voluto 
molti  entrar  nella  scuola  per  la  certezza  che  havevano  di  non  dover  sotto 
detto  Santorio  ricever  ammaestramento  né  costrutto  alcuno.  Et  certo,  Signor 
Clarissimo,  che  dal  tempo  che  siamo  descritti  per  bombardieri  non  ne  ha 
disciplinati  se  non  una  sol  volta,  che  ne  menò  in  casa  sua,  dove  sotto  il 
solaro  erano  certi  pezzi  depenti,  et  ne  diceva  quello  è  un  Moschetto,  quel- 
l'altro è  un  Falconetto;  né  mai  ne  ha  insegnato  come  si  faccia  il  salmitro  (sic), 
né  la  polvere,  bene  ne  fece  un  giorno  pestar  alcune  robbe  con  dir  che  voleva 
far  della  polvere,  ma  però  non  ne  mostrò  l' effetto,  né  che  cosa  riuscisse. 
Quanto  poi  al  tiro  che  si  fa  di  mese  in  mese,  non  ne  ha  pur  una  volta 
conzato  i  pezzi,  né  dettone  cosa  alcuna  come  vogliano  andare;  né  anco  ha 
voluto  tirare  una  sol  volta,  se  bene  ogn'uno  de  noi  l' ha  pregato  con  grande 
instanza  a  voler  tirare  per  instruttion  nostra.  Pertanto  supplichiamo  humil- 
mente  Vostra  Signoria  Clarissima  che  si  degni  per  beneficio  et  honore  di 
Sua  Serenità  provederne  di  un  Capo  prattico  et  sufficiente  dal  quale  pos- 
siamo sperare  qualche  frutto,  et  non  volere  che  detto  Santorio  continui  più 
oltre  in  detto  carico  così  importante,  e  tanto  stimato  da  V.  S.  Clariss.ma, 
o  che  almeno  sia  contenta  di  rappresentare  questo  tanto  a  sua  Serenità 
affine  che  possa  farne  qualche  provisione,  perchè  certo,  se  non  ci  provede 
di  Maestro  et  Capo  esperto  et  prattico,  saremo  sforciati  abbandonar  la  detta 
scuola,  et  così  da  novo  tornamo  a  supplicare  Vostra  Sig.ria  Clar.ma  etc. 


-  398  - 

Inteso  quanto  di  sopra,  il  prefato  Clarissimo  Signor  Podestà  et  Capitanio 
commesse  dover  esser  posta  questa  loro  espositione  in  scrittura,  acciò  possa 
maggiormente  certificare  Sua  Serenità  della  verità  del  fatto,  sicome  le  parerà 
per  conscienza. 

Scipio  Hastaeus  Not.8  et  Coad.r  Canceil.riae  Crim.is 
Iustinopolis  ex  authentico  pene  Cla.ura  D. 
Pottestatem  et  Capitaneum  esistente  ext.u  et 
subscripsit  sigillavitque. 

(Da  copia  esistente  nella  Serie  Relazioni  —  Registro  1582  già  Codice 
Brera  n.   198  a  63  tergo  e  64). 


Conto  della  spesa  et  intrada  della  Camera  fiscal  della  Città  dì  Capo  d' Istria 
dell'anno  1582,  presentato  nell'Eccellentissimo  Collegio  i;8j  a'  17  Marino 
per  il  Nob.  Ho.  Ser  Alvise  Morosini  ritornato  da  quel  Reggimento. 

1582 

Dar  de  anno  uno  della  Camera  Fiscal  della  Città  di  Capo  d' Istria, 
che  non  si  può  far  di  manco. 

Ducati  Lire  Soldi 

1.  Il  Clar.mo  Sig.  Podestà  et  Capitanio 143  4  16 

2.  Il  Mag.co  S.r  Cam.0  et  Castellan 181  —  11 

3.  Il  Capitanio  di  schiavi 200  —  — 

4.  Il  Capitanio  Tiburtio  Valmarana 120  —  — 

5.  Il  Capitanio  Antonio  Lugnan 80  —  — 

6.  Il  Fisico  della  Città 120  

7.  Le  limitationi  ordinarie 407  —  — 

8.  Spese  estraordinarie  d' aviso 322  —  

9.  Doi  Bombardieri  ordinari]' 132  —  — 

io.  Li  sette  Officiali 168  —  — 

11.  Il  Pasenatico  de  aviso 100     —  — 

12.  Li  palij  de  S.  Nazario  et  Fiera  de  Risan 60     —  — 

13.  Dui  Cavallari 61      5  16 

14.  Il  Precettor  publico 36      3  12 

15.  Li  quattro  Giudici  della  Città 312  4 

16.  Le  prediche  della  Quadragesima  et  Ad  vento      ...  40     —  — 


-  399  — 

Ducati  Lire  Soldi 

17.  Il  Scontro  de  Camera 48  —  — 

18.  Le  Feste  del  Carneval 25  —  — 

19.  Li  pretij  di  Bombardieri 29  —  — 

20.  Li  dui  Capellani  del  Palazzo  et  Castello 15  —  — 

ai.  Una  elemosina  perpetua 5  1  — 

22.  Quattro  torze  alla  Chiesa 6  —  12 

23.  Uno  livello  alle  Madre  de  S.ta  Chiara 4  —  — 

24.  L'  arme  delli  Clar.ml  Rettori  et  Camerlenghi ....  5  —  — 

25.  Dui  Vicedomini  della  Città 14  3  — 

26.  Dui  Soprastanti  della  Città 8  —  — 

27.  Spese  de  stimar  vini 31  2  4 

28.  Quattro  Giustitieri  della  Città 13  3  4 

29.  Quattro  capi  de  Cento 24  —  — 

30.  Il  Tamburo  del  Capitanio  di  Schiavi 24  —  — 

31.  Tre  Contestabili  delle  Ville 31  —  — 

32.  Dui  Castellani 12  —  — 

33.  Il  Fante  de  Camera 12  —  — 

34.  II  Commandador  et  Trombeta 25  —  — 

35.  Il  Trombeta  de  fuori 8  —  — 

36.  Il  Contabile  della  Città 24  —  — 

37.  II  Cavalier  con  le  regalie 8  —  — 

38.  Il  Vice  Cavalier    .     .     , 12  —  — 

39.  Uno  che  liga  alla  corda 12  —  — 

40.  Uno  che  serra  et  apre  le  porte  della  Città    ....  6  —  — 

41.  Il  far  nettar  l'arme  delle  monition  della  Città  et  fuori  8  —  — 

Summa     ...  2614  2  3 
1582 
Haver  della  Camera  Fiscal  del  presente  anno. 

Ducati  Lire  Soldi 

1.  Datio  delle  Hostarie  della  Città 800  —  — 

2.  Datio  delle  Hostarie  delle  Ville 170  1  — 

3.  Datio  delle  Beccane  della  Città 66  4  1 

4.  Datio  delle  Beccarle  delle  Ville 107  3  — 

5.  Datio  della  Valle  di  S.'°  Ellero 21  —  — 

6.  Datio  della  grassa 41  1  16 

7.  Datio  delle  mesure 43  1  8 

8.  Datio  delli  soldi  2  per  orna  de  aviso  (sic)    ....  200  —  — 


—  400  — 

Ducati  Lire  Soldi 

9.  Datio  dell'  oglio 291      1      16 

io,  Datio  delli  soldi  2  per  secchio  delli  vini  che  si  estra- 

zeno  per  terre  aliene 287      3      io 

11.  Datio   delli   soldi  2  per  secchio   de   Buie  et  distretto, 

come  di  sopra 65      2        2 

12.  Datio  de  livelli  in  capi  n.r0  1  come  in  L.°  1     .     .     .       80     —     — 

13.  Datio  de  legnami 22      3      — 

Stimma     .     .     .       2196      3      11 
Datij  che  per  la  nova  regolation  sono  obligati  sopra  le  Camere. 

Ducati  Lire  Soldi 

1.  Datio  delli  preghi  (sic)  delle  Ville 150     —     — 

2.  Datio  del  pan 190     —     — 

3.  Datio  di  Molini 320      1      — 

4.  Datio  della  Pescarla 195      3      — 

Summa     .     .     .     855      4      — 

(Da  copia  esistente  nella  Serie  Relationi  —  Registro  1582  già  Codice 
Brera  n.   198  a  63). 


Relatione  del  Nob.  Homo  Ser  Giacomo  Lion  ritornato  di  Po- 
destà et  Capitanio  di  Capo  d' Istria.  —  Presentata  adi  28 
di  Giugno  1584. 

Serenissimo  Principe,  Illustrissimi  et  Eccellentìssimi  Signori. 

Se  io  non  fusse  certo  che  altri  suoi  Rappresentanti  gli  riavessero  par- 
ticolarmente descritta  la  Città  di  Capo  d' Istria,  il  sito,  il  circuito  di  quella, 
l'aria,  et  finalmente  tutto  quello  che  se  gli  appartiene,  non  è  dubbio  alcuno 
che  debito  mio  saria  al  presente  dar  particolar  conto  et  informatione  alla 
Serenità  V.ra,  ma  per  esser  io  certo  lei  esser  molto  instruttissima  di  tutte 
queste  cose,  per  non  attediarla  le  tralascierò,  recordandoli  solamente  quella 
Città  in  gran  parte  esser  destrutta,   et  in  publico,   et  in  particolare  pove- 


—  401  — 

rissima,  bisognosa  piuttosto  d'  esser  suffragata,  che  in  conto  alcuno  ag- 
gravata. 

In  essa  ha  la  Serenità  Vostra  anime  3921,  fra  le  quali  ne  sono  da  fatti 
solamente  848. 

Tiene  alla  guardia  et  custodia  del  Castel  Lione  vicino  ad  essa  Città 
un  Capitano  con  otto  soldati,  li  quali  per  il  vero  non  hanno  mancato, 
secondo  che  era  debito  loro,  del  continuo  riavergli  quella  cura  et  governo 
che  è  tenuto  et  obbligato  ogni  buon  Ministro  et  suo  Stipendiato. 

Ha  in  quella  una  scuola  de  bombardieri  fino  al  presente  al  numero  de 
cinquanta,  et  ogni  giorno  si  va  accrescendo,  per  quanto  m'  ha  refferto  M. 
Antonio  Santorio  loro  Capo,  et  ne  fa  fede  in  una  Scrittura  a  me  presentata 
il  strenuo  Rosso  Cechoni  d'Ascoli  al  presente  Governator  della  militia  di 
tutta  quella  Provincia.  Questi  scolari  sono  per  la  maggior  parte  Marinari, 
poveri,  et  usi  del  continuo  sopra  diversi  Vasselli,  delli  quali  la  Serenità 
Vostra,  per  opinion  mia,  in  ogni  occasione  si  potrà  servire  et  spetialmente 
per  mare.  Questi  da  detto  suo  Capo  sono  ammaestrati  et  disciplinati  secondo 
che  si  conviene,  non  mancando  farli  tirare  al  tavolazzo  per  loro  instruttione 
nelli  tempi  a  loro  statuiti  et  limitati,  sotto  la  cura  et  governo  del  qual  Capo 
ha  la  Serenità  Vostra  monitione  assai  conveniente  d'  arme,  et  pezzi  d'  ar- 
tellaria. 

Et  finalmente  in  essa  ha  una  Camera,  la  quale  se  ben  non  ha  più  de 
lire  13525  soldi  9  d' intrata  all'anno,  et  che  di  spesa  habbia  Lire  17078 
soldi  12  come  da  questi  Conti  datimi  dal  Scontro  della  medesima  si  puoi 
vedere,  nondimeno  per  esser  quella  ben  governata  dal  Magnifico  M.  Antonio 
Boldù  attuai  Camerlengo,  il  qual  con  ogni  studio  et  industria  non  manca 
accrescergli  l' intrata,  con  andar  mettendo  in  Signoria  molti  beni  che  per 
il  passato  erano  a  detta  Camera  da  diversi  stati  usurpati,  et  anco  con  l'andar 
riscotendo  diversi  crediti  che  quasi  erano  fatti  inesigibili,  supplisce  alle  spese 
et  pagamenti  de  Provisionati,  che  per  giornata  gli  convien  fare. 

Nel  Territorio  poi  ha  la  Serenità  Vostra  anime  5790,  per  quanto  ho 
potuto  vedere  dalla  descrittione  ultimamente  di  mio  ordine  fatta,  delli  quali 
ne  sono  da  fatti  solamente  1200. 

Sono  le  terre  di  quello  assai  aride,  onde  sì  per  questo,  come  per 
il  poco  numero  d'  habitadori,  poiché  in  42  ville  che  vi  sono  non  vi 
sono  più  che  le  anime  sudette,  et  per  la  naturai  loro  negligentia  a  col- 
tivar a  grano,  si  traze  pochissima  quantità  de  formenti,  attendendo  loro 
solamente  al  governo  delle  vigne  et  olivi,  de  quali  per  il  vero  ne  ca- 
vano grandissimo  utile,  et  è  il  nervo  et  principal  fondamento  delle  loro 
intrate. 


—  402   — 

Ho  sotto  la  cura  et  governo  de  diversi  Capitani  in  tutta  quella  Pro- 
vincia soldati  2300,  delle  persone  de'  quali  io  non  ragionerò,  non  riavendoli 
personalmente  potuto  vedere,  per  l' impotenza  et  vecchiezza  mia  nel  far 
delle  mostre  secondo  eh'  era  mio  desiderio,  et  è  obbligo  d'  ogni  suo  rap- 
presentante di  fare  :  nondimeno  la  Serenità  Vostra  restarà  d' intorno  ciò 
informatissima  dalla  presente  scrittura  a  me  presentata  dall'  antenominato 
Signor  Governatore,  nella  quale  dà  particolar  conto  non  solamente  delli 
soldati,  ma  etiandio  delli  loro  Capitani. 

Non  tralasciando  referirgli  quanto  da  me  è  sta  operato  nell'escavatione 
dell'  alveo  del  Fiumesino  in  essecution  di  lettere  delli  Clarissimi  Signori 
Proveditori  sopra  le  Fortezze  ;  dicogli,  adunque,  che  secondo  l'ordine  lasciato 
da  M.  Paulo  dal  Ponte  protto,  con  l'assistente  de  M.ro  Gasparo  Marangon 
dell'Arsenale  mandato  per  tal  effetto  dalli  Clarissimi  Signori  alle  Fortezze 
p."  con  ducati  415  ho  pagato  la  mercede  del  p.t0  Marangon,  ho  fatto  far 
gli  argeni,  una  grossissima  et  fortissima  intestatura,  et  cavar  quasi  tutto 
l'alveo  de  deto  fiumesino,  qual  hora  corre  senza  dar  danno  né  a  saline,  ne 
ad  altri  luochi  circonvicini.  Bene  è  vero  che  in  tempo  d' inverno,  che  le 
pioggie  durano  più  tempo,  che  non  fanno  al  presente,  potriano  le  acque 
di  esso  Fiumesino  montar  gli  argeni  delle  Saline  di  quella  Communità  et 
d' alcuni  altri  particolari  per  esser  quelli  più  bassi  delli  altri  assai,  et  in 
questi  non  ho  potuto  ingerirmi  in  farli  accommodar,  per  essermi  stato  in 
contrario  imposto  dalli  predetti  Clarissimi  Signori  alle  Fortezze,  cioè,  che 
io  dovesse  procurare  che  la  Communità  et  altri  particolari  patroni  dovessero 
a  loro  spese  far  accomodar  gli  argeni  per  quanto  importano  le  loro  Saline, 
il  che  però  non  è  stato  da  loro  fino  al  presente  essequito,  né  meno  per 
opinion  mia  nell'  avenire  faranno  cosa  alcuna,  per  esser  loro  poverissimi 
come  ho  predetto,  et  per  non  haver  quella  Communità  in  publico  cosa 
alcuna.  Et  questo  è  quanto  ho  giudicato  esser  necessario  refferirgli,  così 
d' intorno  alla  Città,  come  suo  territorio. 

Restami  solamente  dirgli  che  nel  Castello  di  San  Servolo  altre  volte 
sottoposto  a  quella  Città  et  hora,  per  quanto  ho  inteso  d'un  Dottor  Gar- 
zonio  Consegliero  del  Serenissimo  Arciduca  Carlo  et  confinante  con  diverse 
Ville  di  quel  territorio,  vi  è  per  Giusdicente  un  Marco  Callellis,  huomo 
per  il  vero  di  cosi  poca  conscientia  et  di  così  mala  et  perversa  natura,  che 
non  credo  che  Sua  Altezza  in  tutto  il  suo  Stado  ne  habbia  un  simile,  perchè 
oltre  che  questo  scrive  a'  suoi  rappresentanti  in  quella  Provincia  con  tanto 
poco  rispetto  che  manco  non  potria  essere,  usa  poi  una  tirannide  insop- 
portabile alli  sudditi  della  Serenità  Vostra  suoi  confinanti,  con  far  tuor } 
hoggi  a  questo  dui  para  di  Manzi,  dimani  dui  a  quell'altro,  et  in  fine  de 


—  403  — 

facto  et  auctoritate  propria,  secondo  gli  humori  et  capricij  che  gli  vengono 
nella  testa  fa  star  bora  questo  d'  una  cosa,  et  hora  quello  d' un'  altra.  Per 
le  quaii  sue  male  operationi  del  continuo  ho  havute  infinite  lamentationi 
da  detti  miserabili  contadini.  Le  qual  cose  per  haverle  io  conosciute  vere, 
hora  hanno  costretta  et  sforciata  la  conscientia  mia  rappresentarle  alla  Se- 
renità Vostra,  raccordandoli  riverentemente  che  continuando  lui  il  governo 
di  quel  Castello,  un  giorno  nascerà  in  quei  confini  qnalche  mottivo  d'  im- 
portanza, che  saria  poi  contra  il  volere  et  desiderio  così  della  Serenità 
Vostra,  come  di  detto  Serenissimo  Arciduca,  il  qual  quando  sapesse  queste 
sue  operationi,  son  sicuro  che  gli  faria  quella  provisione  che  l' importantia 
del  fatto  ricerca. 

(Da  copia  contemporanea  esistente  nella  Serie  Relationi —  Registro  1582 
già  Codice  Brera  n.   198  a  92  e  93). 


ijSj.  28  Giugno.  Presentato  con  la  sua  Relatione  da  Ser  Giacomo  Lion  tornalo 
di  Podestà  et  Capitanio  di  Capo  d'Istria. 

Clarissimo  Sig.r  Podestà  et  Capitanio  Sig.r  Singularissimo  ! 

Mancarei  del  mio  debito  io  Rosso  Cecconi  d'Ascoli  per  gratia  di  questo 
santissimo  et  felicissimo  Dominio  al  presente  Governatore  della  Militia  di 
questa  Provincia  dell'  Istria,  se  non  dessi  particolar  conto  a  V.  S.  Clarissima 
di  quanto  ho  ritrovato  et  veduto  nelle  Mostre  de  soldati  che  questi  giorni 
passati  son  stato  (come  e-a  mio  debito)  a  vedere.  Dicoli  adunque  in  tutta 
questa  Provincia  esser  due  millia  et  trecento  fanti  sotto  la  disciplina  et  go- 
verno di  sei  Capi,  cioè  nella  Polisana  quattrocento  benissimo  disciplinati 
dal  Capitanio  Tiburtio  Valmarana,  et  soldati  che  maneggiano  benissimo 
l' Archibuso,  et  intendono  il  Tamburo,  delli  quali  in  ogni  occasione  Sua 
Serenità  (per  opinion  mia)  si  potrà  servire  così  per  terra  come  per  mare, 
trecento  sono  del  territorio  d'Albona  et  Fianona  disciplinati  dal  Capitan 
Marsiglio  ;  quattrocento  del  Territorio  di  Montona  sotto  la  cura  del  Capitan 
Pietro  Gravise  :  altri  quattrocento  sono  de  Raspo  sotto  il  Capitan  Rizzardo 
di  Guerci,  et  quattrocento  del  territorio  di  questa  Città  commessi  alla  cura 
et  governo  di  D.no  Antonio  Sereni  Capitan  de  Schiavi,  della  maggior  parte 
di  quali  tutti  si  potrà  piuttosto  Sua  Serenità  servire  per  Guastadori  et  Ga- 
leotti che  per  huomini  di  spada,  et  archibuso,  essendone  pochi  atti  sino  al 
presente  a  tal  esercitio,   non  ostante  che  dalli    loro  Capi  li  sia  usata  ogni 


—  404  — 

sorte  di  diligentia,  et  disciplinati  secondo  che  la  professione  militare  ricerca, 
per  quanto  ho  veduto  nelle  mostre  alla  mia  presentia  fatte  per  ogn'uno  di 
detti  Capitanij.  Sono  finalmente  li  altri  quattrocento  del  Marchesato  di  Pietra 
Pelosa,  del  Castel  di  Portole,  di  Grisignana,  Piemonte  et  Visinada,  quali 
furono  sotto  la  cura  del  Capitan  Antonio  Lugnano,  et  d'uno  anno  in  poi 
sotto  il  governo  del  Capitan  Baldissera  Troncon  Cipriotto,  li  quali  simil- 
mente non  sono  cosi  atti,  come  bisognaria,  ma  la  cura  et  sollicitudine  che 
lui  li  usa,  giudico  che  con  tempo  gli  ridurr.ì  a  qualche  buon  termine. 

Non  restando  dirgli  come  tutti  questi  soldati  sono  sottoposti  a  diversi 
Reggimenti  di  questa  Provincia,  che  per  esser  sotto  tanti  con  difficoltà  si 
ponno  haver  al  tempo  delle  Mostre  per  molte  ragioni,  che  per  convenienti 
rispetti  ometto  a  dirgli.  Et  perciò  opinion  mia  saria,  che  tutti  fossero  sotto 
un  Reggimento  solo,  o  di  Capo  d'Istria,  o  di  Raspo,  come  meglio  paresse 
a  Sua  Serenità.  Et  questo  acciò  si  potessero  far  molte  provisioni  necessarie 
d' intorno  a  esse  Compagnie. 

Vi  è  poi  in  questa  Città  una  scola  di  bombardieri  al  presente  fino  al 
n.ro  di  cinquanta,  li  quali  s' essercitano  con  il  tirar  ogni  mese  al  Tavolazzo, 
et  per  opinion  mia  riusciranno  in  ogni  occasione  et  spetialmente  per  mare, 
essendo  la  maggior  parte  di  loro  Marinari  poveri  et  usi  del  continuo  sopra 
diversi  Vasselli.  Et  questo  è  quanto  posso  raccordargli  così  d' intorno  alli 
soldati  come  alli  bombardieri,  con  il  qual  fine  alla  buona  grada  di  V.  S. 
Clar.mo  mi  raccomando. 

Di  V.  S.  Clar.ma 

Servitor  Devotissimo 
Rosso  Cecconi  d'Ascoli  Governatore. 

(Da  copia  esistente  nella  Serie  Rclationi  —  Registro  1582  già  Codice 
Brera  n.   198  a  96  e  97). 


Conto  distinto  et  particolare  della  spesa  et  intruda  che  ha  la  Camera  fiscal  della 
Città  de  Capo  d' Istria ,  presentato  tuli'  Eccellentissimo  Collegio  adi  2S 
Giugno  15&4  con  la  Rclatione. 

Laus  Deo  1584. 

Spesa  che  ogni  anno  ha  la  Camera  fischal  della  Città  de  Capo  d' Istria, 

che  è  certa  et  bisogna  pagar. 

Lire      soldi 
1.  Il  Carissimo   Signor   Podestà  et  Capitanio  ha  de  salario 

ogn'  anno  lire  de  pizoli 795     — 


—  4°5  - 

Lire  soldi 

2.  Il  Mag.co  Sig.r  Camerlengo  et  Castellari,  ha  de  salario    .  1174  7 

3.  L'Officio  de  CI. mi  S.rì  Governatori  dell' Entrade  per  conto 

de  limitation  ogn'  anno 2483  8 

4.  Il  Capitando  de  Schiavi 1240  — 

5.  Dui  Capellini  uno  del  Palazzo  et  l'altro  al  Castello  .     .  96  — 

6.  Una  Elemosina  perpetua 32  — 

7.  Il  Fisico  della  Città .  682  — 

8.  Il  Precettor  pubblico      .     .     .     .     • 234  — 

9.  Giudici  quattro  della  Città "...  259  — 

io.  Uno  livello  perpetuo  alle  Madre  de  S.u  Chiara.     ...  24  — 

11.  Le  Arme   del   Cl.mo  Podestà  et  Capitanio,   et  del   Mag.co 

S.r  Camerlengo  et  Castellan 31  — 

12.  Alli  PP.  Predicatori  della  Quadragesima  et  dell' Advento  241  16 

13.  Al  Capitano  delle  Ordinanze  di  Polisana 744  — 

14.  Al  Capitano  delle  Ordinanze  del  Marcesato 595  4 

15.  Li  preti]'  overo  palij  de  San  Nazario  et  Fiera  de  Risati  .  813  12 

16.  Li  pretij  overo  palij  de  tirar  di  Falconetti  alli  bombard.ri  248  — 

17.  Il  pasenatico  del  Clar.m,>  S.r  Podestà  et  Capitanio  de  aviso  800  — 

18.  Il  Scontro  de  Camera 288  — 

19.  Il  Fante  de  Camara 36  — 

20.  Le  Feste  de  Carneval 155  — 

21.  Dui  Vicedomini  della  Città 90  — 

22.  Dui  Soprastanti  della  Città 49  4 

23.  Quattro  Giustitieri  della  Città 87  13 

24.  Stime  de  vini 194  8 

25.  Spese  straordinarie  de  aviso 2000  — 

26.  Dui  Bombardieri  con  li  fatti  de  casa 855  12 

27.  Otto  Capi  de  cento 297  12 

28.  Al  Tamburo  del  Capitanio  de  Schiavi •     .  148  16 

29.  Alli  quattro  Contestabili  delle  Ville 192  4 

30.  Alli  dui  Castellani  delli  Castelli 25  4 

31.  Al  Commandador  della  Città  et  Trombetta  de  fori     .     .  192  — 

32.  Alli  dui  Cavallari 384  — 

33.  Al  Contestabile  della  Città 144  — 

34.  Al  Cavallier  con  le  regalie 49  12 

35.  Al  Vice  Cancellier 74  8 

36.  A  uno  qual  liga  alla  corda 72  — 

37.  A  sette  Officiali,  compreso  il  straordinario 1008  — 


—  4°6  — 

Lire      soldi 

38.  A  uno  che  serra  et  apre  le  porte  della  Città     ....  36     — 

39.  A  uno  che  netta  le  arme  della  monition  della  Città  .     .  49     12 

40.  Per   quattro    torze  che  si  presenta    ogn'  anno    nel   Domo 

con  la  Eleni." 42     — 

41.  Per  il  nettar  delle  preson  per  anno 9     — 

42.  Preti]  overo  palij  delle  Ordinanze  del  Capitanio  de  Schiavi 

alle  mostre 30     — 

43.  All'Officio  della  Cancelleria  del  Carissimo  Signor  Podestà 

et  Capitanio 75     — 

In  tutto  somma     .     .     .     17078     12 

Spesa  che  ha  la  Camera  Fiscal  della  Città  de  Capo  d' Istria 
de  più  della  Intrata  ;  die  dar,  come  qui  oltra  appar,  ogni 
anno 3553       3 

(Da  copia  esistente  nella  Serie  Relationi  —  Registro  1582  già  Codice 
Brera  n.   198  da  93  a  96). 


Laus  Deo  1584. 

Intrada  che  ha  havuto  quest'anno  delli  datij  et  altro  la  Camera  fiscal  della 
Città  de  Capo  d'Istria  principiando  del  1583  de  Zugno  fino  al  1584, 
per  li  datij  affittati  con  le  regalie,  come  qui  sotto  appar,  che  poi  non 
si  scodeno  mai  de  tutti. 

Lire      soldi 

1.  Il  Datio  della  nova  imposta  de  vini,  che  si  traze  per  terre 

aliene  fittato  a  Ser  Rizzo  della  Volpe  per  anni  doi,  ma 

si  mette  per  anno  uno 11 24     18 

2.  Il  Datio   della    nova    imposta  de  vini,   come  di  sopra,  di 

Buie  et  Distretto,  fittato,  come  di  sopra,   per  anni  dui, 

per  anno  uno 327     18 

3.  Il  Datio  della  sopradetta  nova  imposta  de  vini  de  Isola,  et 

suo  territorio  per  anni  dui,  si  mette  per  anno  uno.     .         502     io 

4.  Il  Datio  della  Grassa  per  anno  uno  a  Ser  Francesco  Pi- 

schiera 172       1 

5.  Il  Datio  delle  Beccarle  della  Città,  fittato  per  anni  cinque 

tocca  per  anno  uno 501      16 


—  4°7  — 

Lire     soldi 

6.  Il  Datio  delle  Ostane  della  Città  per  anno  uno  a  Ser  F. 

Maria  del  Bello 4820       4 

7.  Il  Datio  delle  Ostane  delle  Ville  per  anno  uno  a  Ser  Giulio 

Appolonio 131318 

8    II  Datio    di    legnami    fatato   per    anni   dui   a   Ser   Dora." 

Boccabella,  vieti  per  anno  uno 112       4 

9.  Il  Datio  delle  mesure  per  anno  uno,   a  Ser  Tassina  Ap- 
polonio               267     18 

io.  Il  Datio  delle  Beccane  delle  Ville  p.  anno  uno  a  Ser  Ant.° 

Berne 782       9 

11.  Il  Datio  dell' oglio   fittato  per  anni  2  a  Ser  Tassina  Ap- 

polonio, tocca  per  anno  uno 1565       7 

12.  Il  Datio  della  Valle  di  S.to  Ellero,  si  fitta  p.  anni  cinque 

a  Ser  Piero  Manisola,  tocca  ogn' anno 134       6 

13.  Il    Datio   dell' imbottadura,   che   sono    soldi   2   per   orna, 

questo  Datio  si  mette  de  aviso  perchè  non  si  fitta,  si  mette       1400     — 

14.  Molti  livelli  di  terre  et  altro;  si  mette  de  aviso  p.  il  più         500     — 
Porto  avanti  in  dar  per  saldo  de  qui 3553       3 

Summa     .     .     .     17078     12 

Quattro  datij  che  sono  obbligati  all'Officio  sopra  le  Camere  per  la  nova 
regolation  della  scrittura,  videlicet 
Datio  di  Molini  condotto  per  Ivan  Fileppas,  monta,  per 

anno  uno Lire   1961  s.di    7 

Datio    della   Pescarla   condotta   per   Zuane   Sparno,    per 

anno  uno »      1207    »    12 

Datio   del   pan    condotto    per    Ser   Zuane    Sparno,    per 

anno  uno »     noi    »      5 

Datio  delli  preghi  delle  Ville  p  anno  uno  importa  .     .       »       900    »    — 

Summa     .     .     .     Lire  5170   »      4 

Il  tratto  delli  soprascritti  si  tiene  Cassa  a  parte,  et  si  manda  ogn'anno 
tutto  all'  Officio  sopra  le  Camere,  per  parte  presa  neh'  Illustrissimo  Con- 
siglio di  X   et  Zonta. 

Et  io  Virginio  Sallo  Scontro  della  Camera  Fiscal  della  Città  de  Capo 
d' Istria  ho  fatto  il  presente  conto  tratto  dal  Libro  fiscale  f.  L."  A,  salvo 
ogni  error. 


—  4o8  — 

Nos  Ioannes  Maripetro  prò  Serenissimo  Due.  Do.  V.  Pottas  et  Cap." 
Iustinopolis  universis  et  singulis  Cl.mis  D.nis  Magist  presentes  nostras  in- 
specturis  etc.  fidem  indubitatam  facimus  D.  Virginium  Sallo,  qui  praesens 
computum  fecit  esse  Scontrum  huius  Magnifica;  Camera;  phiscalis,  et  illud 
esse  factum  manu  propria  et  subscriptum  dicti  Scontri,  cuius  scriptis  publicis 
hic  et  ubique  locorum  piena  etc.  in  quorum  fidem  etc. 
Iustinopolis  Die  18  Iunij   1584. 

Con.s  fur 
Locus  sigilli  SJi  Marci 

(Da  copia  esistente  nella  Serie  Relationi  —  Registro  1582  già  Codice 
Brera  n.   198  da  93  a  96). 


Relatione  del  Clarissimo  M.  Zuanne  Malipiero  del  Reggimento 
di  Capo  d'Istria.  —  Presentata  nell'Eccellentissimo  Collegio 
alli  11  di  Ottobre  MDLXXXV. 


Serenissimo  Principe 

Havendo  io  Zuanne  Malipiero  fo  Podestà  et  Capitanio  in  Capo  d'Istria 
fatta  la  Relatione  nell'  arrivo  mio  in  questa  Città,  in  che  termini  ella  si 
ritrova,  et  espostoli  diverse  cose  conforme  all'  obligo  mio,  et  essendomi 
stato  imposto  da  Vostra  Sublimità  che  io  debba  in  scrittura  ponere  le  cose 
avanti  lei  per  me  narrate,  et  volendo  io  effettuar  quanto  da  Vostra  Serenità 
mi  è  stato  commesso,  con  ogni  riverenza  le  dico. 

Che  sicome  li  predecessori  de  quei  suoi  fidelissimi  sudditi  furono  pron- 
tissimi a  venire  alla  devotione  di  Vostra  Serenità,  cosi  tuttavia  questi  con- 
tinuano, ne  d'altro  se  gloriano,  che  viver  sotto  l'ombra  di  questo  felicissimo 
Dominio,  et  Dio  volesse  che  fossero  così  ricchi  de  beni  de  fortuna  come 
sono  de  devotione  verso  Vostra  Serenità,  perchè  quelli  potrebbono  mag- 
giormente spender  in  servitio  suo,  ma  quelli  al  presente  sono  in  stato  assai 
misero,  rispetto  che  il  commertio  de  Arciducali  è  in  gran  parte  cessato  per 
le  nove  gravezze  imposteli  dal  Serenissimo  Arciduca  sopra  li  sali  et  vini, 
che  da  loro  vengono  condotti  nella  giurisdittion  sua,  de  soldi  trenta  per 
somma,  oltra  li  soldi  X,  imposti  da  Vostra  Sublimità,  di  modo  che  per  le 


—  4°9  — 

dette  nove  impositioni  non  potendo  a  quelle  resistere,  esso  commertio  è 
sminuito,  ove  che  detti  suoi  sudditi  non  puonno  vender  quelle  poche  loro 
entrate  ;  et  per  poter  essi  Arciducali  affatto  destrugger  esso  commertio, 
hanno  dato  principio  a  far  alcune  saline  nella  Valle  di  Muggia,  nelle  acque 
indubitatamente  di  Vostra  Sereniti,  continuando  tuttavia  al  compimento  di 
quelle,  et  ottenendo  il  desiderio  suo,  non  è  dubbio,  oltrecchè  faranno  saline 
di  molta  importanza,  da  quali  caveranno  assai  sali,  affatto  leveranno  il 
commertio  di  Capo  d'Istria,  et  lo  redurranno  a  Trieste,  né  in  quella  sua 
Città  li  veniranno  più  formenti  et  altre  cose  necessarie  che  erano  condotte 
da  quelli  che  andavano  a  levar  li  sali  ;  per  il  che  quelli  suoi  sudditi  non 
potranno  vender  le  loro  entrate  con  la  total  ruina  della  Città. 

Queste  saline  Serenissimo  Principe,  che  di  novo  vengono  costrutte, 
sono  fondate  in  cinque  piedi  de  acqua  viva,  di  larghezza  di  passa  XXX 
in  XL  in  tal  luogo,  et  de  longhezza  de  passa  ioo  in  circa,  si  come  li  scrissi 
li  ultimi  di  Luglio  prossimo  passato,  et  li  mandai  il  dissegno.  Et  appresso 
li  altri  danni  che  fanno  povera  quella  Città,  le  aggiongo  appresso,  che 
havendo  Vostra  Serenità  ad  altro  tempo  mandato  Paulo  de  Ponte  protto 
de  là  per  veder  la  causa  delle  atterrationi  delle  lagune  della  Città  dalla  parte 
del  Ponente,  li  fu  riferto  che  quella  era  causata  dal  Fiumesino  che  scola 
le  acque  delli  lochi  superiori,  ove  che  da  lei  fu  commesso  al  suddetto  protto 
che  dovesse  far  un  novo  alveo,  devertendo  1'  acqua  del  primo,  giusta  la 
termi natione  di  Vostra  Serenità.  Et  essendo  il  primo  alveo  de  X  in  XII 
passa  di  larghezza,  et  assai  profondo  et  dovendo  esso  protto  far  il  secondo 
che  fosse  della  medesima  capacità  del  primo,  quello  ha  tenuto  talmente 
ristretto  che  1'  ha  fatto  di  larghezza  de  passa  tre  in  circa  et  di  pochissima 
profondità,  ove  che  non  potendo  capir  l'acqua  soprabonda  et  va  nelli  ter- 
reni, vigne,  pradi  et  saline,  destruggendo  essi  lochi,  con  infinito  danno  de 
detti  suoi  sudditi,  et  etiandio  con  maleficio  de  Vostra  Serenità  rispetto  alla 
Xraa  che  ella  estraze  delli  sali,  eh'  è  di  tanta  importanza,  come  è  ben  noto 
a  Vostra  Sublimità,  et  va  maggiormente  atterrando  le  lagune,  di  modo  che 
in  brevità  di  tempo  seguirà  corrottione  de  aere  ;  et  ritrovandosi  hora  in 
essa  Città  4170  anime,  se  reduranno  in  pochissime,  et  si  farà  una  Nova 
Pota  quando  che  da  Vostra  Serenità  con  la  paterna  sua  pietà  non  sij  fatta 
gagliarda  et  presta  provisione. 

Il  Castel  Leone,  che  ad  altro  tempo  fu  fatto  far  da  Vostra  Serenità 
in  13  piedi  d'acqua  per  fortezza  di  quella  Città,  et  da  quelle  circondato 
attorno  attorno  per  grandissimo  spatio,  hora  che  è  atterrata  la  laguna  non 
se  vi  ritrova  più  in  quella  fortezza,  che  in  quel  porto  li  stavano  14  galere 
al  paro,  per  la  relatione  riavuta,  et  sera  facil  cosa  che  in  tempo  d' incorsioni 


—  4ID  — 

de  nemici  si  polsino  accampare.  Oltre  di  ciò  dico  a  Vostra  Serenità  che 
riavendo  io  per  D.  Zuanne  Luco  d'Ascolo  Governatore  fatto  far  le  mostre 
dell'  Ordinanze  della  Provincia,  s'  ha  ritrovato  esservi  soldati  2300,  oltre 
l'accrescimento  de  100  soldati  hora  fatti  per  D.  Zuanne  Manzuol  Capitanio 
di  schiavi,  die  ultimamente  fu  da  Vostra  Serenità  confirmato,  il  quale  es- 
sendo desideroso  di  servirla  ha  procurato  et  procura  con  ogni  studio  il  be- 
neficio publico,  se  ben  de  questo  carico  egli  non  ne  riceve  premio,  nò  salario 
alcuno,  il  quale  anco  s'offerisse  de  farne  altri  400,  nelli  lochi  dell'Istria 
ove  non  ne  sono  fin'  hora  stati  descritti,  et  quelli  parimenti  esserci tar  con 
minor  spesa  di  Vostra  Serenità  di  quello  farebbe  Dgn'  altro  Capitanio.  — 
Esse  Cernede  sono  alla  custodia  de  sei  Capitani,  tre  de'  quali  io  le  ho  vedute, 
che  sono  quelle  del  Capitanio  Tiburtio  Vahnarana,  il  Capitanio  suddetto 
di  schiavi,  et  il  Capitanio  Baldissera  Troncon  da  Fainagosta,  da  quali  con 
ogni  valore  et  assiduità  sono  essercitati,  et  parimenti  sono  quelle  tre  altre 
Compagnie,  eccetto  che  la  Compagnia  di  M.  Piero  Gravise  Capitanio  di 
Montona,  che  non  è  molto  disciplinata,  siccome  m'  ha  rifferto  V  isresso  Go- 
vernator,  perciochè  egli  è  stato  presente  a  tutte  esse  mostre,  essercitandole 
con  ogni  valor,  non  sparagnando  ne  a  fatica  né  a  sudori. 

Riverentemente  raccordo  a  Vostra  Sublimità  che  tenendo  un  Capitanio 
con  soldati  alla  Fortezza  del  Castello  predetto,  che  quando  così  a  lei  paresse 
dar  tal  carico  al  medesimo  Governator,  volentieri  l'accettarebbe  et  prontis- 
simamente P  essercitarebbe  senza  stipendio,  si  come  s'  ha  offerto,  essendo 
persona  di  molto  valore  et  sufficienza,  et  sempre  per  l'auttorità  sua  harebbe 
a  quello  soldati  sufficienti  et  atti  ;  et  sebben  è  presa  parte  nell'  Eccellentis- 
simo Senato,  che  la  prima  Compagnia  delle  cinque  che  vaca  sij  di  esso 
Governator,  havendo  egli  un  Sargente  maggior,  farebbe  che  da  lui  quella 
fosse  essercitata  senza  premio  alcuno,  per  il  molto  desiderio  che  ha  di  servir 
Vostra  Sublimità,  a  tal  che  ella  avanzarla  Ducati  200,  tra  la  paga  del  Castello 
et  della  suddetta  Compagnia  all'  anno. 

La  constitutione  poi  del  Novo  Magistrato  de  Consiglieri  in  quella  Città 
dell'appellationi  de  tutta  la  provintia,  ha  partorito  e  tuttavia  partorisse  evi- 
dentissimo beneficio  a  tutti  quelli  suoi  sudditi  della  provintia  con  infinita 
loro  consolatone,  essendo  che  sono  liberati  da  molte  estorsioni  et  spese, 
che  le  venivano  fatte  si  da  Rettori,  come  da  suoi  Ministri,  perciocché  s'  hora 
se  sentono  aggravati  con  poca  spesa,  et  con  facilità  vengono  per  suffragio 
da  esso  Magistrato  che  per  impotenza  prima  non  potevano  venire  in  questa 
Città,  ove  che  benignamente  sono  suffragati,  et  sono  redotte  in  tal  termine 
le  cose  di  essa  Provintia  per  la  occasione  de  detta  nova  constitutione,  che 
li  Rettori  et  suoi   Ministri  si  astengono  da  molte  cose  che  malamente  fa- 


—  4"  — 

covano.  Et  perche  la  Citt'i  ha  promesso  di  satisfare  al  salario  di  essi  Con- 
seglieri,  che  si  cava  dalli  caratti  delle  cause  che  vadino  in  appellatone,  le 
quali  essendo  in  gran  parte  bora  cessate  per  le  cause  suddette,  quella  con- 
viene con  molto  suo  danno  supplire  ad  esso  salario  —  Oltre  de  ciò  le 
dico  che  la  Camera  fiscale  è  con  ogni  diligenza  governata  dalli  diarissimi 
Consiglieri  presenti,  essendo  con  ogni  realtà  et  diligenza  custodito  il  dinaro 
publico,  la  entrata  della  quale  è  de  Ducati  2193,  e  l'uscita  de  Ducati  3 118, 
a  tal  che  la  spesa  di  quella  è  da  più  de  Ducati  925  ;  ma  si  va  intertenendo 
la  spesa,  et  hora  è  accresciuta  1'  entrata,  essendo  che  io  ho  posto  alcuni 
beni  in  fischo  che  era  di  ragion  de  detta  Camera,  quali  erano  stati  usurpati 
da  particolari.  —  Più  oltra  dico  a  Vostra  Sublimità  che  in  quella  Città  si 
ritrovano  40  Bombardieri,  quali  con  ogni  diligenza  sono  essercitati  dal  loro 
Capo,  essendo  medesimamente  ben  custodita  la  Munitione  di  Vostra  Su- 
blimità. 

Se  ritrovano  anco  in  quel  territorio  sette  Castelli  per  difesa  di  esso  da 
Arciducali,  et  han  bisogno  de  adaptatione,  la  qual  hora  con  400  ducati  si 
farebbe,  che  deferendolo  con  progresso  di  poco  tempo  si  destruggeranno  si  et 
talmente,  che  Vostra  Sublimità  convenirà  spendere  qualche  miaro  de  ducati. 

I  Relegati  poi  che  sono  in  quella  Città  con  ogni  prontezza  et  obedienza 
si  sono  appresentati  al  tempo  del  mio  Reggimento  conforme  all'obligo  loro, 
et  tra'  quali  è  stato  il  Clarissimo  M.  Giacomo  Soranzo,  et  questo  è  quanto 
che  fidelmente  posso  rappresentare  a  V.  Sublimità.  Gratie  etc. 

(Da  copia  contemporanea  esistente  nella  Serie  Relationi —  Registro  1582 
già  Codice  Brera  n.   198  da   173  tergo  a  175). 


Relation  del  Nobil  Homo  Ser  Thomaso  Contarini  fu  Podestà  et 
Capitanio  in  Capo  d' Istria.  —  Presentata  nell'  Eccellentis- 
simo Collegio  a' 1587. 

Serenissimo  Premipe 

Per  soddisiar  a  quanto  ho  promesso  alla  Serenità  Vostra  nella  mia 
Relatione  io  Thomaso  Contarini,  già  Podestà  e  Capitanio  di  Capodistria, 
Le  dirò,  che  quella  Città  con  tutto  che  sia  in  paese  per  natura  sterilissimo 


—  412  — 

et  infruttuoso  di  grani,  et  tale  che  si  può  dir  con  verità,  che  non  produca 
pane  per  dui  mesi  dell'anno,  ella  non  di  meno  per  esser  vicina  a  Lubiana, 
et  a  tutto  il  Cragno,  et  alli  luochi  di  Pisino,  paesi  arciducali  fertilissimi, 
vive  commodissimamente,  et  con  maggior  avantazo  di  tutte  le  altre  Pro- 
vincie, il  che  ho  io  esperimentato  in  questo  mio  Reggimento  di  mesi 
disdotto  :  nel  quale  continovameute  è  stata  una  universal  carestia,  nò  mai 
ho  pagato  il  formento  più  di  lire  sedici  e  mezza  il  staro.  La  cagione  del- 
l' abbondanza  di  grani  in  quel  luoco  prociede  per  il  più  dalla  commodità 
di  Cranci,  che  venendo  a  levar  sali,  vini  et  ogli,  per  non  venir  vuoti  ca- 
ricano di  formenti,  se  li  vendono  o  barrattano  come  lor  torna  meglio  a 
proposito.  Et  di  questi  Cranci  ne  sogliono  venir  quasi  ordinariamente  qua- 
rantamille  et  più  cavalli  all'anno.  A  questa  commodità  vi  si  aggiunge,  che 
fra  le  saline,  lontano  dalla  città  circa  un  miglio,  passa  un  Fiumicello  nominato 
il  Risano,  sopra  il  quale  sono  fabbricati  molti  edifici)  di  molini,  nei  quali 
con  molta  facilità  e  con  pochissima  spesa  si  ponno  macinare  li  formenti 
che  con  le  barche,  senza  alcun  pericolo  in  qual  si  voglia  tempo  si  conducono 
fino  entro  a  essi  molini. 

Per  queste  commodità  et  avantazi  mi  è  venuto  in  pensiero  di  raccordare 
alla  Serenità  Vostra,  che  per  notabil  beneficio  delle  cose  sue,  e  particolar- 
mente per  servitio  della  sua  armata  saria  bene  eriger  una  quantità  di  forni 
e  magazzeni  in  quella  Città  per  far  un  deposito  di  biscotti,  de  quali  con 
maggior  commodità  ella  se  ne  potria  servire,  che  col  far  venir  de  qui  galere, 
o  ver  altri  Navilj  per  levar  essi  biscotti.  Perchè  quando  si  facesse  una  tal 
rissolutione  facilmente  questi  Cranzi  trovando  la  occasione  di  smaltir  li  for- 
menti col  venir  per  caricar  sali,  ogli  e  vini,  caricariano  li  loro  Cavalli 
avanzando  con  questa  commodità  quel  viazo  che  alle  volte  sogliono  perder 
venendo  senza  carico  alcuno.  Oltrecchè  conduriano  anco  delle  segale  quando 
facesse  di  bisogno  per  esserne  in  quei  paesi  grandissima  copia  per  conve- 
nientissimo  predo.  E  parimenti  da  Trieste  ben  spesso  veneriano  delle  bar- 
chette cariche  di  formenti  di  contrabando,  come  anco  fanno  li  nostri  di 
là  col  portar  sali.  E  quando  fosse  di  bisogno  si  potria  con  molta  facilità 
et  avantazo  trattar  mercati  con  tutti  quei  vicini,  si  che  sicurissimamente  si 
faria  ogni  anno  grossissima  quantità  di  biscotti  con  formenti  di  terre  aliene, 
con  larghissimo  utile  di  Vostra  Serenità,  et  inestimabil  commodità  nel  fa- 
bricarli.  Et  se  ne  potria  anco  servire  in  altre  occasioni,  come  questi  presenti 
dui  anni  se  ne  ha  servito  di  quei  grani  per  più  di  60"'  stara,  li  quali  e  di 
,  peso,  e  di  bellezza,  e  bianchezza  sono  simili  alli  nostri.  La  Serenità  Vostra 
adunque,  come  ho  detto,  ha  la  commodità  di  formenti  di  terre  aliene  ;  ha 
li  Molini  vicini  alla  Città  un  miglio  ;  vi  è  il  sito  comodissimo  di  fabbricar 


—  4*3  — 

nella  Città  Forni  e  Magazzeni  appresso  il  mare  in  loco  sicurissimo  ;  senza 
alcun  incomodo,  anzi  con  servizio  de'  particolari,  vi  si  aggiongc  anco  la 
commodità  delle  legna,  l'abbondanza  de'  sali  e  in  somma  tutto  quello  che 
a  così  util  servitio  si  può  immaginare  che  fia  di  bisogno.  —  Non  voglio 
anco  restar  de  dirli,  che  ne  debba  seguir  molto  utile  e  beneficio  a  quella 
povera  città,  la  quale  quasi  derelitta  per  l' accrescimento  de'  Negotij  di 
Trieste,  col  traffico  de'  Cranci,  e  delle  Gallere  e  Navilj  che  veniranno  a 
levar  li  biscotti,  si  farà  più  facilmente  abbondante  di  merci,  et  col  com- 
mercio accrescerà  li  suoi  negotj  con  smacco  forse,  et  interesse  notabile  delle 
cose  di  Trieste. 

Oltre  di  ciò  con  l' istessa  occasione  la  Serenità  Vostra  metterà  qualche 
pensiero  all'  escavatone  della  laguna,  se  non  con  cavarla  affatto,  almeno 
con  far  delli  canalazzi,  li  quali  credo  che  col  flusso  e  riflusso  del  mare  si 
teniranno  da  sua  posta  benissimo  curati,  e  ciò  facilmente  si  potria  esseguire, 
poi  che,  per  quanto  intenda,  quella  città  ha  già  offerto  quindici  millia  opere 
per  questo  servitio. 

La  maggiore  e  più  importante  provisione  che  la  Serenità  Vostra  deve 
fare  nella  materia  de'  sali,  è  l'ovviare  a'  contrabandi  che  continoamente  si 
fanno  da  quelli  di  Capodistria,  Pirano  e  Muggia,  essendo  che  se  ne  fanno 
infiniti  sì  per  la  vicinità  de'  luochi,  come  per  la  commodità  di  trasportarli, 
e  spetialmente  al  tempo  che  si  fanno  essi  sali,  talmente  che  è  tanto  ac- 
cresciuta l'audacia  de'  Contrabandieri  che  ardiscono  tenire  i  magazzeni  proprj 
di  sali  fino  in  Trieste  et  altrove,  da  che  nasce  anco  che  la  povera  città  di 
Capodistria  non  ha  quel  corso,  che  havea  prima.  E  perchè  ultimamente  per 
parte  presa  nel]1  Eccellentissimo  Senato  la  Serenità  Vostra  prudentissima- 
mente diede  particolar  carico  sopra  questi  contrabandi  al  Podestà  e  Capitanio 
di  Capodistria,  dirò  che  superflua  sarà  1'  autorità  di  esso  Rettore,  se  non 
le  sarà  provisto  de'  Ministri  che  essequiscano  li  ordeni  suoi,  perchè  ben 
spesso  suol  avvenire,  che  su  la  faccia  loro  vengono  fatti  de'  Contrabandi, 
et  non  havendo  Ministri  per  far  le  debite  provisioni  sono  sforzati  a  dissi- 
mulare così  gravi  eccessi.  Però  riverentemente  raccorderei  alla  Serenità 
Vostra  che  fossero  assegnate  a  quel  Rettore  almeno  dui  barche  ben  armate, 
ma  leggiere,  con  dieci  huomini  per  barca,  li  quali  riavessero  da  essequire 
quanto  fosse  da  lui  ordinato  e  commandato.  Et  per  levar  una  tal  spesa, 
con  questi  si  potria  metter  la  provisione  di  sei  o  sette  Officiali  che  son 
pagati  in  quella  Fiscal  Camera  di  Capodistria  ;  et  anco  si  potria  levar  una 
delle  barche  longhc  del  sale  che  infruttuosamente  attendono  a  quel  servitio, 
non  potendo  elle  arrivare  quelle  barchette  piccole  che  fuggono  dalle  loro 
mani  col  contrabando  e  si  cacciano  in  ogni  luoco  angusto   salvandosi  ar- 


—  4*4  - 

ditamente  sulla  faccia  loro.  Ma  per  dar  animo  a  queste  dui  barche  io  rac- 
cordarci anco  che  a  pieno  fosse  essequita  la  parte  presa  nell'  Eccellentissimo 
Consiglio  di  Xci  1573,  per  la  quale  sono  concessi  beneficj  di  bandi  a  de- 
notianti,  con  aggiongerli  che  l' istesso  beneficio  fosse  dato  anco  a  quelli 
che  conducessero  nelle  forze  li  Contrabbandieri,  perchè  a  giuditio  mio  questo 
saria  mezo  potentissimo  di  indurre  essi  Ministri  a  esporsi  ad  ogni  pericolo, 
et  li  contrabandieri  invitati  dal  beneficio  della  impunita  e  delle  taglie,  per 
non  esser  preoccupati  nelle  accuse  dalli  propri  Compagni,  o  ver  perseguitati 
da  Ministri,  si  asteneriano  da  cosi  gravi  eccessi.  Et  acciò  che  affatto  sia  lavata 
1'  occasione  di  peccare,  et  in  spetie  a  quelli  di  Capodistria,  raccordarci  che 
fossero  ogni  anno  mandati  danari  in  quella  Città  per  comprar  di  quelli  sali 
che  sono  bianchissimi,  e  bellissimi,  de'  quali  si  haveria  buona  conditione, 
che  con  questo  mezo  si  daria  qualche  soventione  1'  inverno  ai  poveri  salineri, 
et  altri  li  quali  quando  havessero  ricevuto  il  danaro  per  detti  sali  non  dis- 
segnariano  di  smaltirli  per  contrabando,  et  con  questo  mezo  si  solleveria 
quel  miserabil  popolo,  che  alle  volte  per  la  necessità  e  povertà  è  sforzato 
incorrer  in  questi  errori. 

Nella  città  di  Capodistria  e  suo  territorio  quest'anno  sono  sta  fatte  circa 
20m  orne  di  vino,  circa  4m  mozza  di  sale,  et  circa  4™  orne  di  oglio,  et  se  non 
fosse  stata  la  malignità  de'  tempi,  ne  saria  sta  fatto  maggior  numero  assai. 
È  ben  vero  che  foglio  non  produce  così  un  anno  come  l'altro.  Di  questo 
gran  parte  ne  passa  per  la  patria  del  Friuli  con  pagar  di  dacio  ducati  tre 
per  miaro,  il  qual  dacio  suol  affittarsi  in  quella  città  per  conto  di  Vostra 
Serenità  circa  lire  1000  l'anno,  e  l'affittarsi  così  puoco  prociede,  perchè 
quelli  ogli  che  passano  per  terraferma  sotto  arciducali  non  pagano  dacio 
alcuno,  con  tutto  che  e  li  vini  e  li  sali  paghino  il  suo  dacio.  Da  che  viene 
che  novamente  l'Arciduca  ha  posto  dacio  sopra  questi  ogli  a  ragion  di  un 
fiorino  per  soma,  e  mi  par  certo  puoco  honesto  che  per  condur  ogli  nella 
sua  provincia  del  Friuli  si  debba  pagar  dacio,  e  passando  sotto  Arciducali 
debba  esser  libero  da  esso  dacio.  Però  io  raccordarci  alla  Serenità  Vostra 
che  fosse  bene  che  indistintamente  si  pagasse  il  dacio  del  tratto  delli  ogli 
fuori  de  l' Istria,  perchè  con  questo  così  giusto  e  ragionevol  mezo  la  Se- 
renità Vostra  ne  veneria  a  cavar  maggior  utile  e  beneficio  assai.  Et  con 
l'istessa  occasione  si  potriano,  come  altre  volte  li  ho  scritto,  affittar  li  dacj 
delli  ogli  di  tutta  quella  provincia  nella  Città  di  Capodistria,  overo  in  quelle 
'Terre  dove  si  scuodeno  essi  dacj  senz'  altro  incantarli  per  1'  Officio  delle 
Rason  vecchie,  perchè  anco  da  questo  ne  seguirla  beneficio  manifesto,  et 
non  puoco  accrescimento  di  quello  che  sogliono  affittarsi,  con  obbligar  però 


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li  Conduttori  a  risponder  il  danaro  a  quelli  Officij  che  sono  destinati  essi 
dacj,  come  anco  si  osserva  nell'affittar  il  dacio  della  nova  imposta  de'  sali. 

Mi  resta  ultimamente  replicare  alla  Serenità  Vostra  quello  che  più  volte 
ho  scritto  e  detto  a  bocca  in  proposito  del  salario  di  quelli  Magnifici  Con- 
siglieri, perchè  certo  a  giuditio  mio  saria  bene  che  ella  non  guardasse  a 
spender  300  over  400  ducati  all'anno  per  questo  servitio  per  conservation 
di  quella  provincia  habitata  al  presente  da  più  di  6om  anime,  che  s'attrovano 
mirabilmente  sollevate  da  quel  Reggimento.  Et  quando  pur  ella  non  fosse 
in  opinione  di  far  questa  spesa,  la  Serenità  Vostra  potria  proveder  di  detto 
salario  con  il  tansare  portionatamente  quelle  Communità  di  quelle  22  po- 
destarie  e  castelli  che  sentono  il  beneficio  dell'appellatione  con  sgravarle  da 
carrattj  che  suoleno  pagare  con  loro  grandissimo  disgusto.  Perchè  più  vo- 
luntieri  li  aggravati  veneriano  al  beneficio  de  1'  appellatione,  et  si  sentina 
nienor  gravezza  assai  a  pagar  con  il  danaro  delle  Communità,  che  con  la 
borsa  de'  particolari,  e  tanto  maggiormente  io  sentirei  che  si  facesse  questa 
provisione,  poiché  la  maggior  parte  delle  Communità  di  quella  provincia 
accetteriano  questo  carico.  Et  con  l' istessa  occasione  direi,  che  in  ogni  modo 
fossero  soddisfatti  li  Magnifici  Conseglieri  precessori  creditori  del  loro  salario 
con  far  restituire  a  quella  povera  Communità  l'unico  dacio  suo  della  Muda 
già  concessole  dalla  Serenità  Vostra  per  solo  sostegno  di  tante  pubbliche 
sue  spese,  et  ultimo  refugio  della  continua  sua  miseria.  Gratie. 

(Archivio  generale  veneto.  —  Collegio.  —  Busta  segnata  Relazioni  dei 
Rettori  —  Capodistria-Pola). 


Relatione  del  Nob.  Homo  Ser  Giacomo  da  Ca  da  Pesaro,  ritor- 
nato di  Podestà  et  Capitanio  di  Capo  d' Istria.  —  Presentata 
nell'Eccellentissimo  Collegio  a  dì  25  Agosto  1588. 

I 

Serenissimo  Principe  Iìlu.mi  et  Eccellali  Signori 

Tra  li  molti  ordeni  et  commissioni  che  dalla  Sublimità  Vostra  vengono 
dati  a  quelli  cittadini  a'  quali  si  degna  di  commetter  il  governo  delle  sue 
Città,  è  principalissimo  che  al  suo  ritorno  alla  patria  habbino  a  refferir  alla 


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sua  presenza  il  stato  di  quella  città  che  ho  governata,  la  devotione  di  popoli, 
l'entrate  et  spese  delle  Camere  ;  come  sij  servita  la  Serenità  Vostra  da'  suoi 
Stipendiarli  et  ogni  altro  particulare  che  fusse  giudicato  degno  della  sua 
intelligenza.  Et  io  per  questa  causa  essendo  ritornato  dal  governo  della  città 
di  Capo  d' Istria,  ove  son  stato  per  gratia  di  benignità  della  Sublimità  Vostra, 
son  venuto  a'  piedi  suoi  a  refferirle  quelle  cose  che  ho  giudicato  di  più 
importanza  et  di  maggior  servitio  alle  cose  sue  con  quella  maggior  brevità 
che  sarà  possibile,  et  che  so  convenirsi  ahi  molti  importanti  suoi  negotij 
nelli  quali  è  sempre  tenuta  et  occupata  la  Serenità  Vostra. 

La  Città  di  Capodistria  è  situata  quasi  nel  fine  del  Golfo  di  Trieste, 
in  una  spaciosa  Valle,  in  mezzo  della  quale  sopra  un  eminente  scoglio  fu 
fabbricata  ;  la  qual  circondata  dal  mare,  et  coron'ita  intorno  da  monti  rende 
il  sito  suo  mirabile  ;  favorita  poi  dalla  bontà  dell'  aria  et  dalle  molte  co- 
modità di  vettovaglie  che  le  vengono  da  diverse  parti  portate,  fa  che  sia 
convenientemente  habitata,  ritrovandosi  al  presente  in  essa  5m  anime  in  circa. 
A  questo  sito  et  a  queste  comodità  vi  soprasta  un  grandissimo  pericolo, 
qual  è  che  nella  parte  di  mezzo  giorno,  dove  si  esce  dalla  città  per  terra 
ferma  si  retrova  quella  parte  del  mare  talmente  munita  et  paludosa,  che 
più  tosto  se  li  poi  dare  de  terra  ferma,  che  del  mare;  il  che  convien  causar 
in  progresso  di  tempo  l'aria  molto  .cattiva,  qual  sarebbe  la  total  dessolatione 
di  essa.  Molte  sono  le  cause  dalle  quali  nasce  questa  atterratione.  —  Prima 
retrovandosi  tra  quella  parte  fondato  tra  la  città  et  li  monti  il  Castello  Leone, 
il  quale  per  la  informatione  che  ho  havuto  fu  fabricato  in  15  piedi  d'acqua, 
et  havendo  il  suo  transito  ....  città  sopra  un  ponte  di  honesta  lunghezza, 
et  all'uscire  d'esso  una  strada  fino  in  terra  ferma,  hanno  le  sopradette  cose 
in  progresso  di  longo  tempo  si  fattamente  impedito  il  corso  dell'acqua,  che 
pochi  giorni  dell'  anno  se  ne  vede  in  quella  parte,  anzi  del  continuo  gli 
huomini  et  cavalli  se  ne  passano  a  suo  piacere  di  fuori  via  el  Castello  per 
terra  ;  credo  anco,  che  appresso  le  suddette  cose  il  fiume  di  Risano  che 
sbocca  ivi  vicino,  et  le  saline  fatte  ivi  d' intorno  habbino  havuto  molta 
parte  in  questa  atterratione  ;  oltre  che  essendo  li  monti  tutti  lavorati  et 
coltivati,  le  acque  che  piovano  apportano  sempre  molta  terra  et  l'amonisce. 
Vostra  Serenità  deve  esser  certa  di  questo  che  sij  impossibile  conservar 
questa  città  longhi  anni  nel  stato  che  si  ritrova,  se  non  vien  fatta  qualche 
gagliarda  provisione  a  queste  paludi  ;  et  perchè  l'escavar  tutto  esso  circuito, 
'essendo  grandissimo,  saria  a  giuditio  mio  una  spesa  troppo  grande,  et  forse 
impossibile  ad  effettuarsi  ;  quindi  saria  molto  a  proposito  che  vicino  alla 
città  dove  non  è  tanto   munito,  la  Serenità  Vostra   facesse  fare  un  canale 


—  4'7  — 

di  honesta  lunghezza,  dal  quale  havendo  l'acqua  il  flusso  et  reflusso,  oltra 
li  molti  commodi  che  apportarebbe  agli  habitanti,  non  si  havarebbe  a  dubitar 
che  l'aria  dovesse  dar  quel  nocumento  alla  città  che  ha  principiato  di  darle, 
et  la  Serenità  Vostra  potria  mandar  persone  perite  per  haver  intorno  a 
questo  proposito  più  particolare  et  sicura  informatione,  le  quali  anco  riaves- 
sero a  veder  la  atterratione  del  porto,  ridotto  quasi  del  tutto  inutile  ;  per 
il  che  la  S.  V.  ne  vien  a  sentire  molti  danni  et  pregiuditij,  et  particolarmente 
nel  caricar  li  sali  di  quella  Città,  convenendosi  quelli  con  altre  barche  condur 
alli  Navilij  con  spesa  di  soldi  io  per  mozzo,  poiché  quando  fosse  escavato, 
il  che  si  farebbe  con  pochissima  spesa,  essendo  assai  ristretto  et  piccoli  li 
navilij  si  accostarebbero  alla  riva  delli  Magazeni  di  Vostra  Serenità,  et  si 
cargariano  li  sali  con  manco  della  metà  della  spesa. 

La  Sublimità  Vostra  tiene  nel  Castel  Leone  per  pressidio  sette  soldati, 
delli  quali  al  presente  se  ritrova  Capitano  il  strenuo  Fabio  de  Roi,  il  quale 
per  la  devotione  et  fideltà  sua  serve  la  Serenità  Vostra  di  quel  modo  che 
è  debitore.  E  ben  vero  che  havendo  levato  il  presidio  delle  sue  principal 
città  potrebbe  anco  liberarsi  de  parte  di  questa  spesa  che  è  intorno  de  ducati 
600  all'anno,  poiché  non  è  più  necessario  esso  presidio,  per  la  atterratione 
detta  di  sopra  potendo  la  maggior  parte  del  tempo  passarsi  de  fuori  via  a 
piedi  suti,  et  io  consiglierei  che  la  Serenità  Vostra  facesse  poner  un  Con- 
tesiabile  in  esso,  come  altre  volte  soleva  essere  il  quale  havesse  cura  di 
aprir  et  serrar  esso  Castello  ;  et  in  questo  modo  venir  a  sollevarsi  di  buona 
parte  di  essa  summa,  spesa  a  giuditio  mio  supperfluamente,  reportandomi 
però  al  suo  prudentissimo  giuditio. 

Ho  ritrovato  instituita  di  ordene  della  Serenità  Vostra  una  Scola  de' 
bombardieri  di  n.ro  120,  quali  sono  del  continuo  essercitati  dal  suo  Capo, 
et  reusciscono  sufficientissimi  da  ogni  fattione,  vivendo  con  desiderio  di 
esser  adoperati  in  servitio  della  Serenità  Vostra. 

L'entrate  della  Camera  sono  amministrate  dalli  Clarissimi  Signori  Con- 
siglieri, li  quali  fanno  la  Cassa  otto  mesi  per  uno,  saldandola  1'  uno  con 
l'altro,  spendendosi  il  danaro  con  bolette  sottoscritte  dal  Rettor  di  tempo  in 
tempo,  secondo  l'ordinario  di  tutte  quante  le  altre  sue  Camere,  osservandosi 
nel  tenir  la  scrittura  quelli  ordeni  che  sono  stati  dati  dalli  Clarissimi  Signori 
Regolatori  sopra  di  essa.  —  Ha  la  detta  Camera  d'  entrata  ducati  4500 
incirca,  et  di  spesa  ordinaria,  computato  il  salario  d'essi  Clarissimi  Consiglieri, 
ducati  4000,  in  modo  che  soddisfatte  le  limitationi  dell'  Eccelso  Consiglio 
di  X  avanza  pochissimo  danaro  da  esser  mandato  in  questa  Città. 

Il  territorio  di  essa  è  diviso  in  quaranta  doi  ville,  et  seben  il  circuito 
è  assai  grande,  tuttavia  essendo  montuoso,  è  in  gran  parte  inculto  ;  si  perché 


—  4i»  — 

la  natura  l'ha  fatto  tale,  come  anco  perchè  li  contadini  non  si  adoperano 
nel  coltivarlo,  come  bisognarebbe,  per  il  che  rende  tenuissime  entrate,  non 
si  cavando  pan  per  304  mesi  dell'anno,  se  ben  che  di  vino  et  oglio  se 
ne  cava  honesto  utile;  et  perciò,  et  perchè  nel  coltivar  detti  lochi  fa  bisogno 
d'una  continua  et  grave  spesa,  li  cittadini  et  contadini  patroni  d'esso  ter- 
ritorio sono  molto  poveri,  ma  di  fede  et  di  devotione  verso  la  Sublimità 
Vostra  ricchissimi.  Detto  territorio  è  abitato  da  6m  persone  incirca,  delli 
quali  500  sono  destinati  soldati,  governati  et  disciplinati  dal  strenuo  Capitano 
Zuanne  Manzoli,  Capitano  de'  Schiavi,  il  quale  veramente  con  la  sua  dili- 
genza, et  assiduità  li  ha  redotti  boni  d'ogni  fattione,  et  la  Serenità  Vostra 
può  promettersi  in  ogni  occasione  ogni  util  servitio  da  loro. 

L'institution  delli  Clarissimi  Consiglieri  in  quella  città  per  le  appella- 
tioni  di  tutta  la  Provincia  era  tanto  necessario  con  la  auttorità  concessali 
dalla  Serenità  Vostra,  che  si  trattava  dell'  impossibile  che  quella  infelice  et 
poverissima  Provincia  si  potesse  lungamente  conservar  senza  questa  cosi 
segnalata  provisione,  poiché  da  essa  institutione  si  è  causato  tanto  contento 
et  commodo  alli  sudditi,  che  oltra  le  utilità  et  benefitij  che  del  continuo 
ne  ricevono  per  la  vicinanza  del  Magistrato,  et  per  le  preste  espedittioni 
che  vengono  date  alle  cause,  si  vedono  chiaramente  che  innanzi  per  la 
miseria  loro  erano  astretti  di  abbandonar  li  suffragij  et  appellationi  di  Ve- 
netia,  in  modo  che  più  volte  restavano  oppressi  indestintamente,  et  deve 
la  Serenità  con  ogni  spirito  favorir  esso  Magistrato  dal  quale  il  pubblico 
et  privato  riceve  tanto  benefìtio,  et  li  popoli  si  conservano  tanto  devoti 
della  Serenità  Vostra,  et  quando  li  sij  procurata  la  debita  obbedienza,  la 
qual  certo  è  più  volte  interrotta  dalli  Rettori  di  essa  Provincia  con  gran- 
dissimo danno  delli  sudditi,  et  poca  dignità  pubblica,  come  molte  volte 
n'  è  stata  avvisata  la  Serenità  Vostra.  Si  ha  da  credere  che  la  ginstitia  sarà 
sempre  administrata  di  quel  modo  che  è  mente  sua  per  la  conservation  et 
consolatione  de'  suoi  sudditi.  Intorno  al  qual  Magistrato  io  non  saprei  che 
altro  raccordarle  se  non  che  venendo  molte  volte  processi  criminali  nelli  quali 
non  v'è  interessata  per  una  parte  altri  che  la  giustitia,  saria  bene  che  un 
Avvocato  Fiscale  deputato  havesse  carico  di  vederli,  et  di  desputar  le  cause, 
come  fanno  li  Clarissimi  Signori  Contradittori  neh'  Eccellentissimo  Consiglio 
di  Quaranta  nelle  intromissioni  delli  Clarissimi  Signori  Avvogadori. 

Si  retrova  Vescovo  di  quella  città  il  Reverendissimo  Monsignor  Gio- 
vanni Ingeniero  cittadino  di  questa  città,  il  quale,  oltre  la  devotione  che  per 
natura  è  obbligato  alla  Serenità  Vostra,  si  adopera  nel  suo  ministerio  così 
pia  et  santamente,  che  per  l'essempio  suo  reuscisse  religiosissimo  et  devo- 
tissimo tutto  quel  populo. 


—  4J9  - 

Diedi  cambio  al  Clarissimo  Signor  Tomaso  Contarmi  fu  del  Carissimo 
Signor  Nicolò,  il  quale  ha  dato  col  suo  prudentissimo  governo  grandissima 
soddisfattione  a  quella  Città,  si  come  anco  nelle  cose  dell'appellattioni  hanno 
fatto  et  fanno  li  Clarissimi  Messer  Iseppo  Diedo,  Messer  Zan  Francesco  da 
Mula,  Messer  Polo  Trevisan,  et  Messer  Galeazzo  Dolfìn  Consiglieri  Gen- 
tilhomeni  di  grandissima  bontà,  et  di  singoiar  giuditio,  delli  quali  Vostra 
Serenità  in  ogni  carico  si  poi  prometter  ogni  ottimo  governo. 

S'attrova  Governador  delle  Cernede  di  quella  Provincia  l'illustrissimo 
Signor  Giambattista  Caraciuoli,  il  quale  in  quelli  pochi  mesi  che  si  attrova 
a  esso  governo,  non  ha  mancato,  né  mancarà  di  adoperarsi  con  ogni  dili- 
genza per  redur  esse  Cernede  atte  a  ben  servir  la  Serenità  Vostra,  et  di 
già  ha  instituito  molti  boni  ordeni,  et  si  dimostra  molto  diligente,  et  suo 
molto  buon  Ministro. 

Mi  resta  per  fine  di  dir  alla  Serenità  Vostra  li  grandissimi  desordini 
che  seguono  nella  Provincia  per  li  infiniti  contrabandi  de'  sali,  che  sono 
commessi  particolarmente  dalla  Terra  de  Pirano  per  terre  aliene,  poiché 
l'anno  passato  per  la  informatione  cavata  dalli  Libri  pubblici  si  comprende 
esser  stati  condotti  a  Trieste,  ed  altri  luochi  Arciducali  più  di  2  mila  mozza 
de  sali,  et  seben  io  nel  tempo  del  mio  regimento  non  ho  mancato  di  darne 
avviso  alla  Serenità  Vostra,  et  alli  Eccellentissimi  Signori  Proveditori  del 
sai,  non  debbo  restar  con  questa  occasione  di  replicar  particolarmente  il 
maleficio  che  succede  alle  cose  della  Serenità  Vostra  per  questi  contrabandi, 
et  reverentemente  raccordarli  quello  che  si  potesse  far  per  ovviar  in  parte 
al  danno  et  alla  reputatione  pubblica,  poiché  la  deve  sapere  che  nelle  con- 
vention i  fatte  nel  tempo  della  guerra  con  Triestini  fu  capitulato  fra  la  Se- 
renità Vostra  et  il  Serenissimo  Arciduca,  che  non  potessero  quelli  di  Trieste 
comprar  né  contrattar  di  grande  o  piccola  quantità  di  sali  con  alcun  suddito 
della  Sublimità  Vostra,  il  che  quando  fosse  interrotto  et  non  osservato,  lei 
potesse  senza  altro  farli  disfar  tutte  quelle  saline  che  si  trovassero  havere. 
Nondimeno  sono  così  arditi  che  pubblicamente,  non  solo  comprano  li  sali 
che  li  vengono  condotti  da  quelli  di  Pirano,  ma  loro  istessi  senza  alcun 
rispetto,  con  le  proprie  loro  barche  vanno  nella  Valle  di  quella  Terra  a 
comprarne  et  robame,  et  pur  oltre  tutte  le  altre  cose  li  sali  di  Pirano  per 
il  fermo  mercato  che  ha  la  S.  V.  con  Piranesi  sono  comprati  dalla  S.  V., 
non  ne  havendo  la  Communità  se  non  il  settimo,  il  che  causa  notabilissimo 
danno  et  poca  reputatione  delle  cose  pubbliche,  ma  quel  che  è  peggio,  et 
che  li  deve  esser  molto  a  cuore  è  che  per  questa  causa,  alla  sua  povera 
et  devotissima  Città  di  Capodistria  ogni  giorno  se  li  va  maggiormente  le- 
vando il  commercio  et  corso  delle  terre  aliene,  poiché  venendo  in  grandissima 

io 


—  420  — 

quantità  per  comprar  sali,  conducevano  infinite  merci,  fermenti,  biave  et 
altre  vettovaglie,  necessarissime  a  essa  Cittì  per  il  mancamento  che  ha  de 
esse,  essendo  per  il  sito  suo  priva  d'ogni  commertio  dal  mare,  restandoli 
solo  questo  poco  di  terra  ferma,  il  quale  essendoli  levato  con  l'occasione 
de  questi  contr.ibandi,  resta  più  povera  et  misera  che  mai,  non  potendo 
espedir  li  suoi  sali,  che  è  il  nervo  principalissimo  delle  sue  tenuissime  en- 
trate. Ciò  causa  ancora  che  li  datij  della  nova  imposta  di  Capodistria  et 
Terra  di  Muglia  si  vanno  ogni  giorno  più  sminuendo,  oltre  che  li  datiarj 
perdendo,  come  perdono,  grossamente,  sono  astretti  venir  a'  piedi  di  Vostra 
Serenità  per  ottenir  comodità  di  pagar  le  loro  paghe,  et  ogni  giorno  le  cose 
anderanno  di  mal  in  peggio,  quando  dalla  Sublimità  Vostra  non  sij  fatta 
qualche  gagliarda  provisione. 

Le  cause  per  le  quali  sono  multiplicati  li  Contrabandieri  sono  due,  — 
1'  una  il  molto  guadagno  che  fanno  nel  vender  li  sali  in  terre  aliene,  — 
l'altra  il  non  esser  di  così  trista  operatione  severamente  castigati.  Et  se  ben 
la  Serenità  Vostra  per  ovviar  in  parte  a  questi  desordeni,  per  la  Parte  di 
20  Xbre  1586,  ha  dato  auttorità  alli  Rettori  di  Capo  d'Istria  di  poter  oltre 
le  denontie,  anco  ex  Officio  inquerir  contra  li  delinquenti  della  Terra  di 
Pirano,  et  che  io  con  la  maggior  diligentia  che  habbi  potuto  habbia  pro- 
curato di  estirpar  simil  scellerati  huomini,  havendone,  fra  banditi  assenti  de 
tutte  le  terre  della  Serenità  Vostra,  et  posti  in  galera,  al  n.r0  di  40,  non 
si  astengono  però  gli  altri  di  commetter  simil  delitti  con  questa  speranza, 
che  essendo  la  maggior  parte  interessati,  non  si  possi  venir  in  cognitione 
delli  delinquenti.  Ma  perchè  molte  volte,  per  mancamento  de'  Magazzeni, 
li  sali  non  sono  incanevati  alli  suoi  tempi,  et  restano  da  un  anno  all'altro 
sopra  le  saline  in  libertà  de  ogni  persona,  io  raccordo  reverentemente  alla 
S.  V.  che  faccia  in  modo  che  li  sali  siano  di  tempo  in  tempo  posti  alli 
magazzeni  facendo  far  li  pagamenti  alli  patroni  di  essi,  come  ricerca  l'obbligo 
del  mercato,  che  la  S.  V.  con  essi  da  Pirano  facendo  insieme  che  li  Con- 
trobandieri  siano  castigati  secondo  la  forma  delle  severe  Leggi  che  vi  sono 
in  questo  proposito,  et  non  leggerissimamente  come  fin'  hora  son  stati, 
poiché  io  crederò  che  con  queste  provisioni  la  Serenità  Vostra  si  venirà  in 
gran  parte  assicurar  di  tanti  danni  et  pregiuditij. 

Né  debbo  restar  di  dirli,  se  ben  copiosamente  ne  ho  anco  scritto,  che 
la  decisione  de'  confini  di  quella  Provincia  con  li  sudditi  arciducali  risul- 
terebbe di  molta  riputatione  al  pubblico  beneficio,  et  di  gran  commodo  et 
'soddisfattion  alli  suoi  sudditi,  li  quali  per  la  confusione  d'essi  sono  conti- 
nuamente inquietati  contra  ogni  dovere,  essendo  le  ragioni  della  Serenità 
Vostra  molto  chiare,  delle  quali  havendone  copiosamente  dato  ragguaglio, 


-    42I    — 

non  starò  attediarla  da  novo,  ma  mi  reportarò  a  quanto  col  prudentissimo 
suo  giuditio  delibcrarà. 

(Archivio  generale  veneto.  —  Collegio.  —  Busta  segnata  Relazioni  dei 
Rettori  —  Capodistria-Pola). 


Relatione  del  Nob.  Homo  Ser  Zuan'  Antonio  Bon  ritornato  di 
Podestà  e  Capitanio  di  Capo  d' Istria.  —  Presentata  nel- 
1'  Eccellentissimo  Collegio  adì  5  Novembre  1589. 

Serenissimo  Principe 

Havendo  renonciato  il  Regimento  della  Città  di  Capo  d' Istria  secondo 
la  datami  commissione  da  Vostra  Serenità  al  Clarissimo  Messer  Piero  Lo- 
redan  mio  successore,  seguitando  le  vestigie  et  orme  delli  miei  precessori, 
mi  son  questa  mattina  conferito  alla  sua  illustrissima  et  gravissima  presentia, 
per  rappresentarle,  et  darle  conto  di  quelle  cose  che  a  me  pareno  poter 
esser  di  sua  honorevolezza,  et  utilità. 

Le  dirò  dunque  che  per  mesi  quasi  sedici,  che  vi  son  stato  a  quel 
governo,  ho  ritrovato  quel  popolo  per  natura  sua  pacifico,  et  quieto,  fide- 
lissimo  certo  quanto  dir  si  possa  di  Vostra  Serenità,  il  quale  ho  procurato 
con  ogni  studio,  et  con  tutte  le  forze  mie  di  regere  et  governare  secondo 
la  mente  sua,  punendo  li  demeriti  con  clemente  giustitia,  havuta  però  sempre 
consideratione  alla  qualità  delli  delitti,  la  qual  giustitia  mi  son  affaticato 
d' incorrottamente  amministrare  a  tutti,  senza  alcuna  eccetione  di  persone, 
havendo  et  di  pane,  et  d'ogni  altra  cosa  necessaria  al  vitto  essa  Città  tenuta 
ubertosa,  et  sempre  abbondante  ;  anzi  parlando  di  pane,  s' ha  anco  moltissime 
fiate  accomodato  nelli  suoi  bisogni  le  circonvicine  Terre. 

Passarò  con  silentio  il  sito  suo,  come  a  Lei  ottimamente  noto,  poiché 
tante  e  tante  fiate  da'  miei  precessori  li  sia  stato  descritto:  ma  cominciare 
a  dirle  della  sua  Camera  Fiscale  che  anno  per  anno  si  ritrova  haver  d'entrata 
ducati  4480  ;  dico  anno  per  anno  rispetto  alli  suo  datij,  che  molte  fiate 
crescono  et  diverse  volte  calano  di  precio,  nella  qual  entrata  non  computo 
il  datio  della  nova  imposta  de'  sali  per  me  al  publico  incanto  deliberato 
per  anni  dui   secondo  il  solito  per  lire  28400,   sendo  che  esso   datio  non 


—  422  — 

entri  in  essa  Camera,  portandosi  il  denaro  dalli  Conduttori  in  questa  Città. 
Di  spesa  poi  ordinaria  si  ritrova  haver  anno  medesimamente  per  anno  du- 
cati 3395,  et  de  estraordinaria  ducati  iooo  incirca. 

Suol  far  essa  sua  Città  ogni  anno  honesta  quantità  di  vini,  ogli  et  sali, 
ma  biave  pochissime,  di  modo  che  tutto  il  tratto  di  essi  vini,  ogli  et  sali, 
si  suol  spender  in  tante  biave,  le  quali  si  comprano  alle  volte  per  l' Istria, 
ora  nelle  parti  Arciducali  et  imperiali,  et  molte  fiate  anco  per  la  via  di  mare 
nella  Marca,  Puglia,  et  altronde  secondo  gli  accidenti  et  le  occasion. 

Per  la  descrizione,  che  poco  inanti  la  mia  partita  studiosamente  ho 
latto  fare  sono  in  essa  città  anime  al  n.ro  di  3935.  Huomini  da  anni  15, 
sino  alli  50,  966  :  da  anni  50  in  oltre  223.  Putti  insina  all'età  d'anni  15,  728. 
Donne  et  putti  2018.  —  Del  numero  di  detti  huomini  966,  sono  descritti 
nella  scuola  de'  Bombardieri  126,  ammaestrati  da  un  Capo,  et  Sotto  Capo 
forestieri,  salariati  da  Vostra  Serenità,  de'  quali  si  potrebbe  in  ogni  sua 
occorrenza  valere  di  60,  o  vero  70,  che  potrebbono  esser  atti  et  in  terra, 
et  in  mare,  et  prestarle  ogni  buon  servitio.  Si  essercitano  ogni  mese  al  tirar 
de  falconetti,  et  d'altre  artiglierie,  le  quali  tutte  con  diverse  sorte  d'arme, 
et  altre  sorti  di  monitioni  se  ritrovano  in  un  magazzeno  et  sala  posta  sopra 
la  publica  piazza,  vicino  al  Palazzo  del  Rettore,  senza  però  alcuna  custodia 
o  guardia  che  ne  di  giorno  ne  di  notte  li  venghi  fatta  ;  il  che  quando  non 
si  facesse  qualche  buona  et  opportuna  provisione,  potrebbe  con  molta  fa- 
cilità succieder  qualche  notabilissimo  inconveniente  con  molto  danno  suo, 
et  con  offesa  della  pubblica  dignità,  conciosiache  potrebbe  qualche  malvagia 
et  scellerata  persona  nemica  sua  agevolmente  in  tempo  di  notte  scalar  le 
mura  di  essa  Città,  entrarvi  dentro,  et  poner  a  fuoco  et  fiamma  esse  mo- 
nitioni, et  per  la  istessa  strada  ritornarsene  via,  con  qualsivoglia  barca,  senza 
alcun  ostacolo  né  impedimento,  et  il  tutto  mandar  in  rovina.  Habbiamo 
Serenissimo  Principe  l'essempio  innanzi  agl'occhi,  che  mentre  quest'anno 
prossimamente  passato  se  ritrovava  carcerato  un  Special  da  Trieste  per 
semplice  debito,  fumo  alcuni  Triestini  de  tanto  ardire  et  temerità,  che 
scalate  le  mura  et  Corte  del  Palazzo,  armati  tutti  d'arcobusi  et  d'altre  armi, 
con  pali  di  ferro  et  altri  instromenti,  spezzate  le  serrature,  aperte  le  porte, 
cavorno  fuori  di  esse  pregioni  esso  Speciale,  et  un  altro  insieme,  che  per 
causa  assai  leve  in  esse  pregioni  si  ritrovava,  et  mentre  dal  mio  Vice  Ca- 
vagliero  fu  sentito  il  romore,  che  in  essa  Corte  habitava,  saltato  fuori  dal 
letto,  volendosi  opporre  ad  una  tanta  violentia,  subito  colto  d'una  arcobusata 
restò  in  maniera  ferito,  che  immediate  passò  il  meschino  da  questa  vita  ; 
et  in  quel  medesimo  istante  per  l' istessa  via  che  vennero,  ritornati  a  scalar 
le  muraglie,  entrati  in  barca  frettolosamente  fuggendo,  salvi  se  ne  ritorna- 


—  423   — 

rono  a  Trieste,  non  riavendo  io,  colto  così  alla  sprovista  sul  primo  sonno, 
et  repentinamente  in  tempo  d'oscura  et  tenebrosa  notte,  potuto  fare  alcuna 
provisione,  siccome  immediate  de  tutto  detto  pernicioso  successo  riveren- 
temente diedi  particolar  et  minuto  conto  a  Vostra  Serenità  con  riaverle  anco 
mandato  il  processo  da  me  con  ogni  studio  formato,  con  li  nomi  delli 
delinquenti  et  facinorosi,  se  ben  insin'  hora  non  s'  è  sentita  alcuna  provi- 
gione  né  dimostratione.  Li  suddetti,  siccome  perpetrorno  detto  misfatto, 
così,  anci  con  molto  maggior  facilità  havrebbono  potuto  ponere,  et  tuttavia 
si  potrebbe  a  fuoco  et  fiamma,  come  s'  è  detto,  le  predette  monitioni  tutte. 
A  futuro  inconveniente,  et  a  molti  altri  di  maggiore  senza  alcun  dubbio 
importanza  che  potrebbeno  occorrere,  li  quali  per  sua  infinita  prudenza, 
potranno  agevolmente  esser  considerati,  raccorderei  con  ogni  humiltà  et 
riverenza,  che  fosse  bene  di  destinar  un  Corpo  di  guardia  di  XX  e  XXV 
almeno  soldati  nella  loggia  di  essa  pubblica  piazza,  che  da  esse  monitioni 
distante  non  si  ritrova  per  passa  dieci,  et  sottoporli  al  Governatore  nominato 
il  signor  Gio.  Batta  Caracciolo,  persona  per  il  vero  molto  pratica  et  perita 
nell'  arte  militare,  et  molto  ardente  nel  suo  servitio,  che  ha  carico  delle 
Cernide  di  tutta  quella  provincia,  il  quale  dovesse  fare  la  sua  residentia  in 
quella  Città,  si  come  per  l'adietro  tutti  facevano,  et  che  la  stantia  sua  esser 
dovesse  nel  Castel  Lione  della  medesima,  nel  quale  ritrovandosi  al  presente 
soldati  otto  con  un  Capitanio  nominato  il  strenuo  Fabio  de  Buoi,  che  per 
il  vero  né  anco  lui  manca  di  prestar  quel  honorato  et  fruttuoso  servitio 
che  alla  Serenità  Vostra  si  conviene,  si  potrebbono  unir  essi  otto  con  altri 
dodici,  o  con  maggior  numero,  come  meglio  alla  infinita  sua  prudenza 
paresse  ;  dando  al  detto  Capitano  altro  intrattenimento  con  accomodarlo  in 
altra  piazza,  et  constituir  detto  Corpo  di  guardia  in  essa  piazza  de  Capo- 
distria,  non  lasciando  però  senza  custodia,  in  tempo  specialmente  di  notte, 
esso  Castello,  nel  quale  mentre  vi  fosse  esso  Governator  potrebbe  ritrovarsi 
alla  guardia  della  piazza  il  suo  Locotenente  o  Caporale,  et  cessarebbe  la 
spesa  di  tener  altro  Stipendiato  Capitanio  in  esso  Castello,  né  perciò  resta- 
rebbe gravato,  anci  sollevato  alquanto  esso  Governatore,  conciosiache  ver- 
rebbe ad  haver  stantia  per  lui  e  per  tutta  la  sua  famiglia  senza  pagamento 
d'affitto,  sicome  havevano  li  Castellani  et  Camerlenghi  inanzi  la  costitutione 
del  novo  Magistrato  de'  Conseglieri  che  habitar  solevano  in  esso  Castello. 
Et  perciò  che  esso  Capitano  con  li  otto  soldati  predetti,  che  al  presente  in 
esso  Castello  se  ritrovano,  sogliono  esser  pagati  con  le  bollette  del  Rettore, 
levandosi  in  virtù  di  esse  il  danaro  in  questa  Città  all'Offitio  sopra  le  Camere, 
il  quale  mandato  de  lì  resta  sottoposto  al  risego  et  pericolo  del  mare,  de' 
barcaruoli,   et  d'  altri   diversi  cattivi   accidenti,  et  a  questi  tutti   stimo  che 


—  424  — 

possa  esser  bene  d'ovviare  con  l'assicurarlo  senza  alcuna  spesa,  il  che  sa- 
rebbe mentre  si  trattenessero  tanti  danari  di  quella  Camera,  che  d'  anno 
in  anno  da  Rettori  sogliono  esser  mandati  per  le  limitationi  alli  (alarissimi 
Governatori  delle  entrate,  quanti  potessero  importar  il  stipendio  et  paghe 
di  detti  soldati,  et  l'Offitio  sopra  le  Camere,  con  il  solito  emolumento  de' 
scrivani,  trasmetter  all'  Offitio  de'  Clarissimi  Governatori  suddetti  quanti 
per  l' adietro  si  pagavano  a  questi  fanti,  o  a  maggior  numero  ;  et  in  tal 
maniera  facendosi,  come  s'  è  detto,  cesserebbono  tutti  li  pericoli  et  di  nau- 
fragio, et  di  barcaruoli  et  d'ogni  altro  infortunio.  Essa  veramente  guardia, 
si  come  per  l' adietro  si  ritrovava  de  Fanti  XXV  in  detta  piazza,  così  nel- 
1'  avvenire  sarebbe  di  quella  quantità  che  le  paresse  con  molta  sua  hono- 
revolezza,  con  sicurtà  di  esse  monitioni,  del  palazzo  del  Rettore  delle  pre- 
gioni,  et  in  somma  di  tutta  essa  Città.  Et  dopo  che  si  parla  di  esso  Castello 
non  posso  far  di  meno,  per  benefitio  di  Vostra  Serenità,  che  non  le  dica 
che  se  ritrova  un  ponte  fabbricato  di  legni  sopra  pilastri  di  pietra  viva,  di 
longhezza  di  passa  cento  incirca  che  da  esso  Castello  gionge  et  arriva  nel 
corpo  d'  essa  Città,  per  il  qual  per  necessità  convengono  transitar  tutti 
quelli  che  vogliono  entrarvi  dentro  et  uscir  fuori,  poiché  per  altra  strada 
per  la  via  di  terra  non  si  possa  haver  introito  né  esito,  et  fu  fabbricato 
esso  ponte  sopra  detti  pilastri  già  alcune  decinne  d'anni  d'ordine  di  Vostra 
Serenità  per  buoni  arricordi  dati  da  persone  qualificate,  et  intelligenti  di 
fortezze,  acciochè  1'  aqua  passando  sotto  dicto  ponte,  haver  potesse  il  suo 
flusso  et  reflusso,  poiché  per  l'adietro  da  esso  Castello  insino  ad  essa  Città 
si  passava  non  già  per  alcun  ponte,  ma  sopra  terra  ferma,  mediante  la  quale 
restando  impediti  detti  flusso  e  reflusso,  causò  constipatione  et  consolidatione 
de'  paludi,  con  gravissimo  et  importantissimo  danno  d'essa  città,  si  quanto 
alla  fortezza,  come  alla  cattiva  aria  che  suol  offender  quella  parte  vicina 
alli  habitanti  ;  il  qual  ponte  al  presente  si  ritrova  in  tanta  desolatione,  et 
rovina,  che  per  il  medesimo  non  si  può  più  transitare,  et  spetialmente  con 
carri  et  cavalli,  se  non  con  evidentissimo  pericolo,  onde  come  non  si  faccia 
matura  et  celere  provisione,  sarà  senza  alcun  dubbio,  con  non  mediocre 
danno  di  Vostra  Serenità  per  diversi  rispetti,  et  in  particolare  perciò  che 
restando  essa  Città  sustentata  dal  corso  che  con  cavalli  sogliono  portare 
tutte  le  vettovaglie,  comprando  poi  mentre  fuori  uscissero  sali,  vini,  ogli, 
et  altre  cose,  come  non  fosse  presto  provisto  ad  esso  ponte,  andarebbe 
cessando  per  necessità  esso  corso,  et  con  esso  insieme  andarebbono  dimi- 
nuendosi li  suoi  datij,  dalli  quali  suol  ogni  anno  cavar  il  danaro  da  me 
superiormente  esposto,  che  entra  nella  sua  Fiscal  Camera,  et  li  poveri  cit- 
tadini se  ne  morirebbono  dalla  fame,  non  havendo  regolarmente  commercio 


—  425  — 

per  la  via  di  mare.  Ch'  essa  poi  Citta  dovesse  far  tal  spesa  ciò  senza  alcun 
dubbio  le  affermo  trattarsi  del  impossibile  per  essere  poverissima  nel  pub- 
blico, e  poverissima  in  privato  ;  anci  non  ha  per  il  vero  quella  Communità 
tanta  entrata  che  possa  supplire  alle  spese  ordinarie,  a'  quali  si  trova  per 
necessità  tenuta  per  non  haver  se  non  dui  datij,  gli  altri  tutti  havendo  già, 
ab  antiquo  dati  et  donati  a  Vostra  Sublimità  :  onde  potrà  far  detta  spesa 
la  qual  acciò  sia  durabile,  et  dirò  così  quasi  eterna,  arricordarei  (mentre 
però  altro  in  contrario  non  vi  fosse)  che  si  dovesse  costruir  esso  ponte 
con  buoni  mattoni  in  volto,  appoggiati  sopra  detti  pilastri,  che  buoni  et 
stabili  se  ritrovano,  obbligandosi  essa  Città,  si  come  si  ha  già  obbligato,  di 
dar  tutte  le  opere  de'  manovali  che  per  detta  construttione  facessero  bisogno 
nel  che  si  potrebbe  spendere,  per  l'informatione  che  da  periti  ho  havuto, 
intorno  a  ducati  800,  havendo  havuto  anco  Maestri  che  s'  hanno  offerto 
di  volerlo  construire  per  detto  prezzo  ;  et  mentre  che  volesse  tornar  a  ree- 
dificar esso  ponte  di  legno  potrebbe  spender  poco  meno,  oltre  che  con 
difficultà  si  ritrovarebbe  in  quel  territorio  tanti  legni  che  potessero  per  ditta 
fabbrica  esser  sufficienti  et  bastanti,  chi  non  volesse  mò  metter  mano  nelli 
roveri,  il  che  sarebbe  con  troppo  gran  danno  dell'Arsenale.  Si  come  di  tutte 
le  predette  cose  con  il  mio  respondere,  che  già  pochi  giorni  sono,  io  feci 
a  Vostra  Serenità  di  commissione  sua,  li  diedi  l' istesso  in  sustantia  rag- 
guaglio. La  construttione  adonque  di  pietre  cotte  in  volti,  sarà  di  molto 
suo  benefitio  et  di  tutta  quella  sua  Città,  che  in  confine  con  Arciducali  si 
ritrova  assere,  si  come  quando  tosto  non  si  facesse  la  suddetta  provisione, 
sarebbe  di  molto  danno  suo,  et  la  total  rovina  di  quei  poveri  Cittadini. 

Et  perciochè,  come  superiormente  le  ho  esposto,  si  ritrovano  talmente 
accresciute,  munite  et  conglutinate  le  paludi  insieme,  appresso  specialmente 
esso  ponte,  che  fra  li  pilastri  d'  uno  in  poi  non  può  haver  1'  aqua  il  suo 
flusso  et  reflusso,  consigliarci  però  che  Vostra  Serenità  quanto  prima  ap- 
presso detto  ponte  facesse  fare  excavatione  di  dette  paludi,  di  quanti  piedi 
le  paresse,  conciosiachc  havendo  con  tal  mezzo  le  acque  essito,  farebbe 
notabilissimo  benefitio  alla  fortezza  del  sito  della  città,  et  causerebbe  miglior 
aria  a  benefitio  medesimamente  delli  habitanti  sudditi  suoi. 

Quanto  al  territorio  poi  di  essa  città,  le  dico  ritruovarsi  ville  al  numero 
di  quanranta,  tutte  però  povere,  nelle  quali  in  tutto  vi  sono  anime  5556; 
huomini  d'anni  15  in  sino  alli  50,  1388;  putti  insino  alli  anni  15,  16 19; 
vecchi  287  :  donne  et  putte  2262.  Del  numero  delli  qual  huomini  da  fatti, 
si  ritrovano  descritti  nelle  Ordinanze  per  soldati  500,  li  quali  solevano  esser 
sempre  sottoposti,  retti  et  governati  dal  Capitano  de'  schiavi,  inanzi  che 
fossero  stati   introdotti  in  quella  provincia  esse  Ordinanze,   et  dopoi  anco 


—  426  — 

che  furono  ordinate  ;  anzi  per  esser  tutto  quel  territorio  habitato  da  persone 
schiave,  et  non  da  altri,  perciò  ha  preso  tal  denominatione  di  Capitano  de 
Schiavi.  Questi  veramente  500  soldati  sarebbono  piuttosto  buoni  in  occor- 
renza di  esser  adoperati  per  guastadori  et  galeotti  che  per  soldati,  per  non 
esser  molto  pratichi  et  atti  alla  militia. 

Otto  di  dette  Ville  si  ritrovano  haver  alcuni  Castellotti,  rocche  o  tor- 
razzi, che  nominar  si  debbino,  atti  piuttosto  a  salvar  le  genti  et  animali  di 
esse  ville  da  qualche  incursione  de'  nemici  che  da  altro.  Tre  sono  imme- 
diatamente a'  confini  con  Arciducali,  cioè  la  Villa  d'Ospo,  la  Villa  di  Lonche, 
et  la  Villa  di  Popecchio  ;  et  le  altre  cinque  confinano  con  altre  ville  del- 
l' istesso  territorio,  ma  non  molto  distanti  dalli  medesimi  confini,  che  sono 
Antignan,  Crestoia,  Valmorasa,  Covedo,  et  Gemme.  Questi  Castelli  tutti 
se  ritrovano  in  cativissimo  stato,  li  loro  tetti  sono  rovinosi,  le  porte  et 
alcune  muraglie  hanno  bisogno  grande  di  reparatione,  et  adattatione,  che 
a  redurli  in  buon  esser,  senza  le  spese  alle  quali  son  tenuti  li  Comuni  di 
esse  ville,  potrebbe  spender  Vostra  Sublimita  intorno  ducati  400,  non  com- 
putato il  suddetto  Castello  di  Crestoia,  per  esser  d'un  particolar  cittadino, 
il  quale  è  tenuto  lui  di  tenirlo  acconcio  et  all'ordine.  Si  ritrovano  dentro 
tutti  detti  Castelli  pochissime  armi,  et  quelle  che  vi  sono  per  il  vero  sono 
quasi  inutili,  per  esser  vecchie  et  triste,  onde  potrebb'  esser  bene  il  farle 
mandar  de  qui,  et  rimandarne  de  sufficienti  et  buone,  la  quantità  et  qualità 
delle  quali,  che  in  ogni  uno  di  essi  Castelli  si  veggono,  per  ogni  buon 
rispetto,  si  ritroverà  descritta  nel  fine  delle  presente  carte. 

Raccordandole  quanto  già  Le  scrissi  alli  23,  del  mese  di  Luglio  passato, 
et  con  altre  mie  dupplicate  dopoi,  che  detti  Arciducali  vanno  dilatando  le 
fimbrie,  et  usurpando  li  suoi  confini,  senza  alcun  rispetto,  ne  risguardo, 
con  molta  temerità  et  insolentia,  impatronendosi  con  danno  suo,  et  con 
infinito  discontento  et  ruina  delli  poveri  sudditi  suoi,  li  quali  per  timore 
della  sua  giustitia  non  hanno  ardire  di  cacciar  tal  arroganza  et  violenza  con 
la  forza  et  violenza  ;  sicome  in  spetie  avvenne  a  quelli  della  Villa  di  Grimalda 
territorio  del  Marchesato  di  Pietrapelosa,  confinante  con  il  territorio  di 
Pisino,  dition  arciducale.  Poiché  detti  di  Pisino  ebbero  ardire,  al  numero 
di  150  incirca,  sotto  la  porta  di  quel  suo  Ritter,  sive  Castellano,  o  Giudice, 
armati  tutti  d'arcobusi  longhi  et  corti  da  roda,  et  d'altre  armi,  hostilmente 
transferirsi  infino  alla  suddetta  villa  di  Grimalda  et  violentemente  levar  a 
quelli  poveri  contadini  tutta  quella  quantità  de  orzi,  che  già  matura  ritro- 
varono tagliata,  et  li  formenti,  el  altre  biave,  che  ancor  mature  non  erano, 
di  batterle  per  terra  senza  alcuna  pietà,  et  come  che  fatto  riavessero  qualche 
gloriosa  impresa,  con  gridi  et  strepiti,  sbarando  gli  arcobusi  se  ne  ritornorono 


—  427  — 

trionfanti  a  casa  ;  del  che  come  Vostra  Serenità  non  farà  quella  provisione 
che  alla  infinita  sua  prudenza  parerà,  non  resteranno  d'infestar  quelli  suoi 
poveri  sudditi,  et  alla  giornata  di  andar  usurpando  et  d'  impatronirsi  delli 
suoi  indubitati  confini. 

Finalmente  non  restarò  di  raccordarle  anco,  che  quantunque  con  se- 
gnalato benefitio  di  tutta  quella  povera  provincia  dell'  Istria,  da  Vostra 
Serenità  sia  stata  constituita  ed  eretta  in  essa  sua  Città  di  Capodistria  la 
dignità  di  dui  Consiglieri,  a'  quali  con  il  Podestà  et  Capitanio  insieme  si 
devolvano  tutte  le  appellationi  delli  Rettori  et  Iusdicenti  di  essa  provincia, 
si  civili,  come  criminali,  et  questa,  santa  per  il  vero  provisione,  si  può  dire 
che  habbi  dato  l'anima  a  quelli  miserabili  popoli,  nondimeno  essendo  ne- 
cessitata, oltre  molte  altre  spese  de'  processi,  de'  viaggi,  de'  solicitatori,  de' 
avvocati,  de'  spazzi  et  d'altro,  di  pagar  alla  Serenità  Vostra  et  al  Cancelliero, 
inanzi  che  la  causa  s' introduchi,  doppii  carratti,  vengono  accolti  a  sentir 
pochissimo  benefitio  da  esse  appellationi,  anci  molti  che  vengono  condan- 
nati, X,  XV  o  vero  XX  lire,  se  bene  essa  condanna,  per  dir  così,  sia  in- 
giustissima, et  che  per  ogni  ragione  sperar  potesse  d'  ottener  larghissimo 
taglio,  tante  et  tali  sono,  come  s'  è  detto,  l' eccessive  spese,  che  non  but- 
tandoli conto  d'appellarsi,  sono  astretti  con  molto  suo  danno,  a  pagar  esse 
condanne.  —  Et  perciocché  non  basta  solamente  di  rappresentarle  in  questa 
parte  questo  aggravio,  ma  fa  mestieri  di  raccordarle  anco  il  modo  di  poter 
sollevar  et  ristorar  essi  aggravati,  et  oppressi,  dico  alla  Serenità  Vostra,  che 
fatto  diligente  calculo  da  che  detto  Magistrato  fu  eretto,  non  trovo  essere 
de'  carratti  a  lei  spettanti  scosso  più  de  ducati  15,  al  mese  incirca,  li  quali 
da  uno  salariato  Esattore  che  ha  ducato  1  al  mese  per  tali  sue  fatiche, 
vengono  di  mese  in  mese  contati  in  quella  sua  Fiscal  Camera,  con  altri  15, 
esborsati  dal  Cancelliero  per  tansa  nuovamente  da  Vostra  Serenità  impostali, 
rispetto  all'utile  che  egli  suol  cavar  della  portione  di  essi  carratti,  il  qual 
tutto  danaro,  mese  per  mese,  come  s'  è  detto,  non  trascendi  la  somma  de 
ducati  30.  —  Dovendosi  mò  et  Vostra  Serenità,  et  il  Cancelliero,  et  tutti 
detti  sudditi  insieme  liberar  in  un  tratto,  di  un  tanto  peso,  con  avantaggio 
piuttosto  che  con  qualsivoglia  minimo  intacco  suo  ;  ritrovandosi  in  essa 
sua  Provincia  Communitadi  al  n.ro  de'  21,  salvo  il  vero,  che  da  detto  suo 
Magistrato  sentono  il  benefitio  delle  appellationi  parte  commodissime,  parte 
commode,  et  parte  mediocremente  commode,  havuta  quella  matura  conside- 
ratione  che  si  conviene,  si  potrebbe  aggravar  qual  tre,  qual  due  et  qual 
ducato  uno  al  mese  secondo  che  sono  più  et  meno  commode,  il  qual  danaro 
dalli  Rappresentanti  suoi  dovesse  esser  scosso,  et  di  mese  in  mese  mandato 
in  essa  Camera  inanzi  tratto,  con  pena  di  non  poter  andar  a  Capello  finito 


—  428  — 

il  suo  Regimento,  se  non  portassero  fede  di  quella  Camera  che  detta  im- 
positione  intieramente  non  fosse  stata  pagata  di  mese  in  mese  inanzi  tratto 
come  s'è  detto,  la  qual  indubitatamente  potrebbe  senza  alcun  loro  incom- 
modo,  (poiché  l' entrate  loro  vengono  dalli  medesimi  expillate)  eccieder 
ducati  40,  al  mese,  rispetto  alla  quantità  delle  terre  et  luochi  predetti  do- 
vendo al  Cancelliero  esser  dato  obbligo,  che  più  pigliar  non  debba  carratti, 
ma  solamente  soldi  24  per  ogni  spazzo,  et  così  anco  delle  Lettere  de  ap- 
pellationi  non  più  de  soldi  io  per  cadauna,  et  in  questo  modo  non  si 
potrebbono  esse  Communità  con  ragion  dolere,  poiché  detto  suo  danaro 
restarebbe  impiegato  per  benefitio,  commodo,  et  utile  delli  suoi  medesimi 
cittadini  et  populi,  et  non  d'  altri. 

Tanto  ho  voluto  per  obbligo  et  debito  mio  Serenissimo  Principe  dirle, 
rappresentarle,  et  raccordarle,  acciò  con  la  sua  solita  prudenza,  dispona, 
provegga,  et  remedij  nella  maniera  che  le  parerà.  Gratie. 


De  mandato  di  Vostra  Serenità 


Humilissimo  e  Devotissimo  Servitore 

Zuan'  Ant.°  Bon. 


INVENTARIO  DELLE  ARMI  DELLI  INFRASCRITTI  CASTELLI. 

Nel  Castello  di  Gieme 

Codette  con  le  sue  braghe n.°  3 

Codette  senza  braghe n.°  2 

Spingarda  con  la  sua  codetta  de  ferro n.°  1 

Arcobusi  antichi n,°  4 

Arcobusi  da  Cavalletto  con  le  sue  fiasche n.°  2 

Spiedi  inhastadi n.°  4 

Pietre  con  li  suoi  ferri < n.°  5 

Nel  Castel  di  Valmorasa 

Arcobusoni  antichi n.°  5 

Arcobusoni  detti  Pistoni n.°  2 

Spingarde  con  le  sue  codette  de  ferro n.°  2 

Arcobusoni  da  cavalletto  con  le  sue  fiasche n.°  2 

'Un'  altro  in  pezzi 

Alabarde  inhastade n.°  5 

Spiedi  inhastadi n.°  5 


-  429  — 

Nel  Castel  di  Covedo 

Piche  con  li  ferri n.°  70 

Spontoni n.°  24 

Arcobusoni  da  cavalletto  con  li  suoi  fiaschi n.°  2 

Spingarde n.°  5 

Item  una  in  pezzi 

Codetti n.°  3 

Item  due  altre  in  pezzi 

Una  canna  d'  arcobuso 

Celade  in  scuffia n.°  78 

Nel  Castel  di  Cristoia 

Spingarda  con  la  sua  codetta  de  ferro n.°  1 

Arcobusi  antichi n.°  8 

Arcobusoni  novi  da  cavalletto  con  le  sue  fiasche n.°  4 

Piche n.°  5 

Spiedi  inhastadi n.°  5 

Nel  Castel  di  Popecchio 

Dui  falconetti  de  bronzo n.°  2 

Item  falconetti  dell'  istessa  sorte n.°  4 

Arcobusi  mal  in  ordine n.°  2 

Arcobusi  dell'  istessa  qualità ,     .  n.°  3 

Corazini  in  pezzi n.°  6 

Arcobusoni  senza  casse n.°  3 

Canne  d' arcobuso n.°  5 

Una  Codetta n.°  1 

Partesane  inhastade n.°  4 

Una  Ronca  senza  hasta n.°  1 

Un  pezzo  rotto 

Una  Spingarda  con  la  sua  codetta 

Nel  Castel  de  Loriche 

Arcobusoni  novi  da  cavalletto n.°  2 

Arcobusoni  antichi n.°  2 

Pestoni n,u  2 

Nel  Castel  de  Hospo 

Spingarde  con  le  sue  codette  de  ferro n.°  5 

Un'  altra  codetta 

Arcobusoni  da  cavalletto n.°  3 


—  430  — 

Spedi  inhastadi n.°  5 

Canne  d'  arcobusoni  vecchi n.°  4 

Mascolo n.°  1 

Nel  Castel  d' Antignana 

Spingarde  con  le  sue  codette  de  ferro n.°  2 

Arcobusoni  antichi n.°  2 

Mascolo n.°  1 

Canne  d' arcobusi  antichi ,     .     .     .  n.°  3 

Item  arcobusoni  da  Cavalletto n.°  3 

Codette n.°  2 

Allabarde  inhastade n.°  4 

Spedi  inhastadi n.°  4 

Partesana n.°  1 

(Archivio  generale  veneto.  —  Collegio.  —   Busta  segnata  Relazioni  dei 
Rettori  —  Capodistria-Pola). 


Relatione  del  Regimento  di  Capo  d' Istria  presentata  nell*  Ec- 
cellentissimo Collegio  adì  15  Maggio  1592  per  il  Clarissimo 
Signor  Alvise  Soranzo. 

Serenissimo  Principe,  Illustrissima  Signoria 

Poiché  col  favor  divino  son  ritornato  dal  Regimento  di  Capodistria, 
per  riverente  essecutione  della  Commissione  della  Serenità  Vostra  ho  voluto 
comparere  dinanzi  di  lei  per  darle  conto  di  quelle  cose  che  parono  a  me 
degne  d'  esserle  rappresentate,  da  me  praticate  per  spatio  de  mesi  dodeci, 
che  ho  in  esso  regimento  dimorato,  nella  qual  sua  Città  ho  ritrovato  populi 
per  sua  natura  pacifici,  quieti  et  fidelissimi  della  Sublimità  Vostra,  da  quali 
in  occasioni  di  guerre,  et  altri  carichi  publici  si  può  promettere  ottimo 
servitio,  essendo  riusciti  per  il  passato  honoratamente,  et  per  i  portamenti 
de'  quali  ne  tiene  quella  sua  patria  perpetua  memoria. 

Sono  detti  populi  nella  maggior  parte  poveri  per  la  strettezza  del  ter- 
ritorio,  nel  quale  non  si  raccoglie   biade  che  siano   bastevoli  né  anco  per 


—  43i  — 

tre  mesi  soli  dell'  anno,  consistendo  le  loro  utilità  et  entrate  in  ogli,  vini 
et  sali,  il  raccolto  de'  quali  andando  spesse  volte  fallace,  per  causa  de'  tempi 
contrari),  non  è  sufficiente  per  comprarli  le  biade  per  il  loro  necessario 
vivere. 

Essa  città  si  ritrova  in  Comune  molto  povera,  havendo  un  sol  datio 
della  muda,  col  tratto  del  quale  a  pena  possono  esser  pagati  li  salariati, 
havendo  la  Spettabile  Comunità  di  detta  Città  per  il  passato  donato  alla 
Serenità  Vostra  tutti  gli  altri  datij  di  molta  importantia,  et  oltre  alcuni 
fondamenti  di  saline  obbligati  per  ducati  doimille  in  tempi  bisognosi,  col 
tratto  de'  quali  si  pagano  un  Fontico  di  formenti  et  farine,  senza  li  quali 
li  populi  sicuramente  perirebbono,  servendosi  poveri  et  ricchi  tutto  il  tempo 
dell'  anno  comprando  pane,  et  farine,  non  essendovi  né  pistori,  né  altri 
luoghi  dove  possono  ricorrere,  per  sovvegno  ;  havendo  esso  Fontico  di 
Capitali  circa  lire  quindecimillia,  co  '1  qual  danaro,  et  mediante  il  favor 
divino,  et  buon  aiuto  s'  ha  in  modo  tale  proveduto  che  essa  Città  in  questi 
tempi  così  calamitosi,  et  penuriosi  non  ha  havuto  alcun  minimo  patimento; 
et  perchè  ho  conosciuto  eh  '1  detto  Fontico  co  '1  suddetto  poco  capitale 
non  era  sufficiente  senza  altro  aiuto  di  spesare  così  numeroso  populo,  poiché 
non  si  vendono  in  esso  se  non  farine  di  fermento,  delle  quali  per  essere 
a  pretij  alti  malamente  li  poveri  si  possono  servire,  ho  con  ogni  spirito 
procurato  di  erigere  et  fabricare  un  novo  Fontico  di  mesture,  havendogli 
impiegato  circa  lire  quattromilia  cavate  parte  da  debitori  del  suddetto  Fontico, 
vecchij  et  quasi  inexigibili,  et  parte  sono  stati  per  me  elevati  dalle  mani 
del  Clarissimo  Signor  Francesco  Grimani  già  dignissimo  Consegliero,  che 
gli  fumo  depositati  dal  Clarissimo  Signor  Anzolo  Dolfino,  dignissimo  Vice 
Podestà  precessor  mio  in  loco  del  quondam  Clarissimo  Signor  Pietro  Lo- 
redano,  come  danari  scossi  da  molti  banditi  absenti  liberati  dai  loro  bandi 
per  i  clarissimi  Signori  Sindici  di  terra  ferma  ;  il  qual  Fontico  sarà  com- 
modissimo  et  utilissimo  per  supplire  al  bisogno  di  detti  populi,  et  della 
detta  Città,  nella  quale  si  ritrovano  essere  anime  n.°  3597,  cioè  dalli  anni  18 
fino  alli  40  n.°  732,  putti  fino  a'  detti  anni  18  n.°  821,  et  donne  vecchie 
et  putte  inutili  n.°  2644,  et  nel  territorio  dove  sono  situate  42  ville  piccole 
vi  sono  anime  n.°  5025,  cioè  dalli  18  fino  alli  40  n.°  1012,  putti  fino  a' 
detti  anni  18  n.°  1 1 59,  vecchi  426,  donne  et  putte  inutili  2428,  fra  le  quali 
sodette  ville  del  territorio,  o  per  dir  meglio  Castelletti,  se  ne  ritrovano  alcuni 
parte  con  terrazze,  et  parte  cinti  da  muri,  et  parte  in  grotte  fatte  dalla  natura 
poste  alle  frontiere  d'Arciducali  ;  nelle  quai  Ville  et  nei  quai  Castelletti  et 
fortezze  habitano  contadini  Istriani  con  ferma  speranza  di  potere  nelle  oc- 
casioni di  guerre  et  altre  incursioni   salvare  et  le  robbe  et  le  persone,    et 


—  432  — 

perchè  sono  nella  maggior  prate  cascati  et  ruvinati,  era  consuetudine  che 
ogni  regimento  cavalcasse  per  veder  la  spesa  che  vi  andaria  a  ritornarli  in 
stato  :    onde  essendo  conferito  ancor  io,  et  fatto  quelli  vedere  da  periti, 
trovai   che  in  accomodarli    tutti    vi   andaria   l' infrascritta   spesa,    cioè   nel 
Castel  de  Antignan  ducati  dusento  trentasette, 
nel  Castello  de  Hospo  ducati  settantanove, 
nel  Castello  de  Lotiche  ducati  nonantaquattro, 
nel  Castello  de  Popecchio  ducati  nonantasei, 
nel  Castello  de  Christoia  ducati  centoottantasette, 
nel  Castello  de  Movrasa  compresa  la  guardia,  ducati  43, 
nel  Castello  de  Covedo  ducati  trentasette,  e 

nel  Castello  de  Gemme  ducati  settantasei,  che  fanno  in  tutto  ducati  otto- 
centotrentanove  ;  et  perchè  nelle  cavalcate  che  si  facevano  si  spendeva  circa 
Lire  400,  per  ogni  volta,  le  quali  si  cavavano  da  questa  Camera  fiscale,  né 
facendosi  mai  alcuna  provisione  era  et  è  detta  spesa  gettata  indarno  et 
superflua,  onde  parmi  che  saria  bene  levar  detta  spesa,  perchè  ogni  anno 
si  acconciasse  uno  di  essi  Castelli  almeno,  impiegando  il  danaro  che  si 
spendeva  nelle  dette  cavalcate  al  suddettto  conciero  et  riparo,  tanto  mag- 
giormente perchè  li  poveri  habitanti  in  essi  Castelli  hanno  davanti  di  mi 
presentato  supplica  di  voler  ponèr  tutte  le  opere  manuali,  pietre,  e  calcina 
che  fari  di  bisogno,  et  di  già  ho  scritto  lettere  a  sua  instantia  alli  Clarissimi 
Signori  Proveditori  et  Patroni  all'Arsenal  per  impetrar  licentia  di  poter  tagliar 
d'ogni  sorte  Ugnami,  non  buoni  però  per  la  casa,  con  quali  possano  fare 
le  fornace  o  calchere,  et  le  calcine  ;  il  che  facendosi  si  accrescerla  la  de- 
votione  di  detti  populi,  et  sarebbono  essi  Castelli  maggiormente  habitati, 
essendo  li  populi  sicuri  di  salvar  le  robbe  et  le  persone  in  occorrentie  di 
guerre,  come  ho  detto  di  sopra  ;  altrimenti  potrebbe  causare  la  loro  disa- 
bitatione,  et  che  detti  populi  si  risolvessero  co  '1  tempo  de  andar  ad  habitare 
in  terre  aliene,  et  sotto  Arciducali  per  maggior  sua  sicurtà.  —  Non  mi 
estenderò  di  descriver  il  sito  di  quella  sua  Città  per  essergli  stato  descritto 
da  miei  precessori  ;  ma  solamente  tocherollo  in  parte.  È  essa  città  fabricata 
sopra  un  scoglio  lontano  da  terra  ferma  passa  cinquecento,  dove  all'  intorno 
resta  circondata  dall'  acqua  del  mare,  et  da  certo  tempo  in  qua  pare  che 
dalla  parte  verso  terra  ferma,  et  dove  si  ritrovano  il  ponte  et  castello,  è 
accresciuta  talmente  la  palude  che  con  occasione  di  secche  gli  huomeni  gli 
possono  quasi  andare  a  pie'  sutto,  dal  che  non  è  dubbio  che  essa  città  non 
è  in  quel  stato  di  sicurtà  siccome  era  prima,  nella  quale  potevano  con  le 
occasioni  salvarsi  le  genti  anco  di  questa  provintia,  non  essendovi  in  essa 
altre  fortezze  né  altri  luoghi  sicuri  ;  oltreché  causa  detta  palude  cattivo  aere, 


—  433   - 

il  quale  quando  continuasse  potrebbe  essere  che  restasse  quella  città  da 
quella  parte  dishabitata,  sicché  saria  bene  per  levar  ogni  pericolo,  et  per 
non  intrar  in  maggior  spesa  cavare  essa  palude  almeno  dalla  porta  di  essa 
città  fino  al  Castello,  che  possono  essere  circa  passa  ottanta,  che  tanto  a 
ponto  tiene  il  ponte  di  pietra  fatto  da  novo,  sotto  gli  archi  del  quale  scor- 
rendo le  acque,  et  havendo  il  suo  flusso  e  reflusso  per  detto  cavamento, 
con  le  occasioni  delle  innondationi  che  sogliono  causare  li  fiumi  de  Risano 
et  Fiumicello  poco  discosti  si  farebbono  alveo.  Dalche,  oltrecchè  si  ridurrla 
essa  Città  in  maggior  sicurtà,  si  levarebbe  il  pericolo  dell'aria,  che  non  si 
marcirebbono  le  persone,  si  come  interviene  in  molti  altri  luoghi  di  detta 
provintia.  In  capo  del  qual  ponte  si  ritrova  essere  il  Castello  chiamato  Castel 
Lione  custodito  da  un  Capitanio  con  otto  soldati,  et  nel  Corpo  della  Città 
sopra  la  piazza  si  ritrovano  essere  le  munitioni  di  qualche  momento  rispetto 
al  loco  sotto  la  custodia  de  un  Sopramassaro  salariato  per  detto  effetto. 

Si  ritrova  havere  la  Serenità  Vostra  in  quella  sua  Città  una  Camera 
fiscale  che  viene  essercitata  dalli  Clarissimi  Signori  Conseglieri  come  Ca- 
merlenghi, la  quale  può  cavar  d' intrata  ducati  circa  tremilliaottocenro  de' 
datij,  livelli  et  altro,  et  ha  di  spesa  ducati  quattromillia  tresento  et  più 
sicome  si  vede  dalli  conti  e  polizze  che  si  tiene  in  questo  proposito.  È  vero 
che  si  pone  in  essi  conti  ducati  cinquecento  per  la  spesa  suol  far  questo 
Tribunal  in  andar  in  visita  per  questa  provintia,  se  bene  chiare  volte  occorre 
far  detta  visita,  li  quali  in  tal  caso  non  vengono  spesi  et  si  avvanzano. 

Ha  ancora  la  Serenità  Vostra  in  detta  sua  Città  una  scola  de  Bom- 
bardieri sotto  la  disciplina  del  Capo da  Venetia,  et  perchè  ne 

mancavano  molti  ho  con  destro  modo  procurato  in  farne  descriver  il  più 
numero  che  ho  potuto,  onde  hora  se  ne  ritrovano  descritti  in  rolo  circa 
cento  e  vinti,  quali  vengono  continuamente  essercitati  et  ammaestrati  ogni 
prima  domenica  del  mese  con  diiigentia  dal  soddetto  Capo  nel  tiro  de' 
falconetti  e  nel  bersaglio;  dell'opera  de'  quali  la  Sublimità  Vostra  si  potrà 
valere  nelle  pubbliche  occorentie  et  haverà,  come  spero,  ottimo  servitio. 

Non  tralascierò  di  raccordar  ancora  alla  Serenità  Vostra  il  stato  nel 
quale  si  ritrovano  le  sue  militie  di  detta  sua  provintia  nella  quale  vi  sono 
sei  Compagnie  de  soldati,  che  sono  in  tutto  n.°  2400,  sotto  sei  Capi,  uno 
de'  quali,  che  è  il  Capitano  Agustin  Callcgari  da  Brisighela  si  ritrova  havere 
sotto  la  sua  disciplina  soldati  cinquecento,  tutti  del  territorio  di  Capodistria, 
li  quali  per  lo  addietro  erano  sotto  la  cura  et  custodia  del  Capitano  de 
Schiavi,  così  chiamato,  di  essa  Città.  La  seconda  compagnia  fatta  de'  soldati 
del  Marchesado  di  Pietrapelosa,  Momiano,  Buie,  Grisignana,  Piamonte, 
Portole  e  Visinada  de  n.°  400,  vien  custodita  dal  Capitano  Pietro  de  Rino 


—  434  — 

della  detta  Città.  La  terza  guidata  dal  Capitano  Duranti  Durante  della  Marca 
d'altri  400,  cavati  di  Pola,  Dignano,  Barbana,  Castelnovo,  S.  Lorenzo,  Doi 
Castelli  et  Valle.  La  quarta  d'  altri  400  del  territorio  de  Pinguente  sotto 
la  custodia  del  Capitano  Rizzardo  de'  Verzi.  La  quinta  in  Albona  e  territorio 
de'  soldati  300,  ha  per  scorta  et  Capitano  Bartolommeo  Zetti.  La  sesta 
Compagnia  sotto  Montona  e  territorio  d'  altri  soldati  400  raccomandata  al 
Signor  Governator  della  detta  Provintia.  Parte  delle  quali  compagnie  ho  io 
con  l'occhio  proprio  veduto,  et  esse  con  tutte  le  altre  sono  state  parimente 
vedute  et  rivedute  per  il  signor  Annibal  Solza  Governatore  suddetto,  le 
quali  sono  state  ritrovate  molto  mal  ordinate,  sicché  hanno  bisogno  di  pro- 
visione, il  che  avviene,  essendo  che  le  genti  della  detta  provintia  nella 
maggior  parte  sono  piuttosto  avveci  ad  essercitij  rurali  che  a  militari,  quali 
per  mancamento  ancora  delle  armi  non  possono  essercitarsi  in  quel  modo 
che  si  converrebbe,  essendo  ancora  che  molti  soldati  delli  suddetti  Castelli 
convengono  camminare  quindeci  e  più  miglia  per  ritrovare  le  sue  insegne 
con  grandissimo  suo  incomodo  e  spesa,  si  bene  vi  sono  delle  insegne  più 
vicine;  Onde  per  questi  et  altri  accidenti  che  saranno  stati  discorsi  davanti 
la  Serenità  Vostra  per  detto  signor  Governatore,  hanno  bisogno  le  dette 
militie  di  esser  meglio  regolate  in  quel  modo  che  parerà  al  prudentissimo 
e  sapientissimo  giuditio  suo. 

Restami  solamente  di  ringratiar  con  ogni  humiltà  la  Serenità  Vostra 
della  molta  sua  benignità  che  s'  ha  degnato  insieme  con  questi  Illustrissimi 
Signori  mandarmi  a  quel  governo,  nel  quale  non  ho  mancato  di  attendere 
con  tutti  i  spiriti  in  amministrar  giustitia,  procurando  la  abbondantia  a 
quei  populi  suoi  fidelissimi  con  quella  carità  et  con  quell'  amore  che  ho 
stimato  esser  conveniente  alla  dignità  publica,  et  insieme  alla  pia  et  chri- 
stianamente  di  Vostra  Sublimità,  et  delle  VV.  SS.  Ill.me,  alle  quali  humil- 
mente  mi  chino  et  raccomando. 

(Archivio  generale  veneto.  —  Collegio.  —  Busta  segnata  Relazioni  dei 
Rettori  —  Capodistria-Pola). 


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Relatione  del  Nobil  Homo  Ser  Vicenzo  Morosini  ritornato  Po- 
destà et  Capitanio  di  Capodistria.  —  Presentata  nell'Ec- 
cellentissimo Collegio  a'  7  Luglio  1593. 

Serenissimo  Prencipe  et  Illustrissima  Signoria 

Essendo  per  eletion  della  Serenità  Vostra  stato  Podestà  et  Capitanio 
della  sua  Città  di  Capodistria,  et  hora  ritornato  per  debito  dell'  Officio  mio 
et  osservanza,  et  ben  instituto  costume  di  questo  Serenissimo  Dominio  mi 
appresento  alli  suoi  piedi  narrandoli  sotto  brevità  quel  tanto  che  ho  giudicato 
esser  bene  per  servitio  publico,  et  di  sua  intelligentia  del  sito,  monitioni, 
habitanti  che  si  attrova  in  essa,  come  nel  territorio  et  ville. 

Dirò  adunque  Capodistria  esser  capo  di  tutta  la  provincia,  poiché  Vostra 
Serenità  havendoli  aggiorni  doi  Consiglieri  alla  persona  del  Podestà  et  Ca- 
pitanio, li  ha  concessa  autorità  de  appellatione  di  tutte  le  Città  et  Castella 
della  provincia,  sì  in  civile  come  in  criminale,  havendoli  dato  nel  civile 
authorità  come  Auditori,  nel  criminale  suprema  authorità  per  esser  Giudici 
definitivi,  la  qual  deliberatione  ha  dato  1'  anima  a  quella  provincia. 

La  Città  è  sopra  uno  scoglio  di  circuito  quasi  in  tondo  di  pocho  meno 
di  doi  miglia,  cinta  d' una  muraglia  debolissima  et  rovinosa,  nella  qual 
muraglia  vi  sono  case  congionte  con  finestre  dentro,  et  altri  edificij  et  muri 
de  horti  de'  Frati  attaccati  ad  essa  muraglia  contra  la  mente  di  Vostra 
Serenità,  che  vuol  che  sia  strada  libera  attorno  essa  muraglia,  nella  qual 
sono  porte  undeci,  in  verità  troppo  numero  et  tutte  mal  sicure,  et  parimente 
è  circondata  tutta  dal  mare,  dalla  quale  per  un  ponte  di  passa  135  si  passa 
in  terra  ferma,  nel  mezzo  del  quale  si  attrova  il  Castel  Leone  ruinoso  per 
la  sua  vecchiezza  di  circuito  di  passa  cinquantadoi,  senza  piazza  et  senza 
fianchi,  con  una  strada  de  larghezza  de  piedi  undeci,  che  li  passa  per  mezzo 
per  andar  in  terra  ferma,  tutto  à  fatto  debolissimo  ;  nel  qual  è  alla  custodia 
il  Capitano  Vido  Baldo  con  otto  soldati,  nel  numero  de  quali  vien  pagato 
il  Sergente  delle  Ordinanze  di  quel  territorio,  et  questo  non  va,  né  fa  fattione 
in  Castello,  denari  a  mio  giuditio  spesi  inutilmente,  sì  per  esser  soldati  di 
poco  valore  per  haver  le  paghe  stentate,  e  di  giorni  quarantacinque  per 
paga,  in  una  città  che  è  carestia  di  tutto,  si  è  in  necessità  di  tuor  di  quelli 
si  può  haver,  per  esser  il  Castello  rovinoso,  et  a  mio  giuditio  saria  bene 
il  disfarlo,  perchè  nel  termine  si  attrova  è  di  gran  maleficio,  si  perchè  in 
esso  non  si  può  far  difesa  per  le  cose  sopradette,  poiché  non  si  adopera 
qui  balestre,   ma  artegliaria,  et  arcobusi,    alli  quali  colpi  non  può  resister, 

11 


—  436  — 

et  rovinandosi  per  batteria  attereria  il  tutto  attorno  ;  et  farvi  strada  soda 
et  ferma  per  venir  alla  città,  et  quando  fosse  preso  da  nemici,  che  Dio  non 
permetti  senza  rovinarlo  terrapienandolo  feria  un  eminente  con  il  quale 
mettendovi  sopra  artegliaria,  batteria  et  rovinarla  tutte  le  case  della  città. 

Fo  levato  il  ponte  di  legno  al  tempo  del  Clarissimo  Loredan  mio  pre- 
cessore, et  dato  principio  a  far  di  pietra  di  volti  vintidoi  fino  al  Castello, 
il  qual  per  esser  mal  fondato  dalla  parte  di  levante  minaccia  rovina,  la  qual 
deliberatione  di  farlo  di  pietra,  che  causa  et  effetto  partorisca  Vostra  Signoria 
il  comprendi,  poiché  dove  era  fondo,  et  terren  fangoso  et  paludoso,  hora 
per  non  haver  le  acque  il  solito  flusso,  et  reflusso  per  li  gran  venti  et 
fortune  che  regnano,  così  dall'una  come  dall'altra  parte  del  ponte  si  è  fatto 
il  terren  così  sodo,  che  dal  Castello  con  secca  d'acqua  vengono  con  li  carri 
carghi  alla  città,  cosa  in  vero  dannosa,  la  qual  a  mio  giuditio  dovrebbe 
esser  circondata  da  fondo  grande. 

Giudicarò  esser  a  proposito  rappresentarli  la  città  haver  bisogno,  et 
veramente  Vostra  Serenità  esser  in  necessità  di  far  doi  belovardi  uno  per 
banda  della  porta  del  ponte,  nella  qual  si  accomoderebbe  il  corpo  di  guardia 
per  li  soldati  per  conservation  di  essa,  et  fatti  sariano  per  due  cause,  la 
sicurezza  da  qual  si  voglia  accidente  a  sua  devotione,  et  sicurtà  de  tutte 
le  genti  civili  della  provincia,  1'  uno  è  che  mettendovi  1'  artegliaria  sopra 
tenirebbe  che  da  qua  da  monti  verso  la  città  riiuno  potria  comparer  per 
offenderla,  et  con  le  pietre  del  Castello  se  incamiseria  li  sodetti  balovardi 
o  cavalieri  ;  1'  altro  è  che  facendo  cavar  il  terreno  così  del  Castello,  come 
della  strada  fatta  che  viene  al  Castello,  et  le  paludi  che  si  vicina  alla  città, 
si  terrapieneriano,  et  così  le  acque  haveriano  il  suo  corso  ordinario  per  il 
cavamente  del  terreno,  et  la  città  a  fatto  resteria  assicurata  da  quella  parte. 
Quanto  alle  altre  parte  della  città  giudicarci,  che  riconzata  la  muraglia,  et 
ristretto  il  n.ro  delle  porte,  si  potrebbe  lassar  nel  termine  si  attrova,  per 
esser  così  vicina  a  questa  città,  dalla  qual  potrà  esser  soccorsa  con  ogni 
sorte  di  Vascelli. 

Nelle  monitioni  si  attrova  dodeci  pezzi  de  artigliaria  tra  grossa  et 
menuda,  la  qual  considerando  io  in  occasione  dove  si  potesse  adoperar, 
dalla  parte  che  varda  il  ponte  non  ho  veduto  luoco  dove  dentro  la  muraglia 
si  potesse  adoperar  nelle  occasioni,  et  fuori  non  sta  bene,  e  in  alcuni  luochi 
anco  non  vi  saria  reculata,  né  meno  in  altro  luoco  della  città  si  può  adoperar 
con  ragion  di  poter  offender  Vascelli,  nella  centa  di  muraglia  da  una  parte 
per  esser  molto  relevato  dal  mare,  che  potriano  venir  sottovia  senza  esser 
offesi,  et  buttando  la  muraglia  marza  in  altre  parte  per  far  cannoniere  con 
un  tiro  o  doi  ruineria  essa  muraglia,  et  poi  è  dove  non  si  può  dubitar  da 


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quelle  parti,  se  non  di  armada  grossa,  alla  qual  non  si  potria  resister:  se 
mi  fosse  detto  si  potria  adoperar  nel  Castello,  non  è  luoco  di  metterla,  et 
quando  gli  fosse  luoco  in  doi  colpi  che  si  sbarasse  ruineria  per  la  sua  mala 
qualità.  —  Gli  sono  anco  arcobusi,  coracine  et  piche,  roba  puoco  buona, 
né  in  occasione  gran  parte  delli  arcobusi  si  potrebbono  adoperar,  et  per 
non  esser  chi  netta  dette  arme,  la  ruggine,  non  manca  di  far  l'officio  suo. 
Pochi  giorni  avanti  il  mio  partir  gionse  il  Capo  de  bombardieri  eletto  in 
luoco  del  Capo  morto.  Vi  dovrebbe  esser  il  Sotto  Capo  qual  ha  obbligo 
di  star  nel  Castel  Leone,  ma  non  solamente  non  sta  in  Castello,  ma  ne 
anco  nella  città  non  è  stato  nel  mio  tempo,  et  per  quanto  ho  visto  per 
essamine  fatto  far  è  stato  altro  che  al  portar  delle  lettere,  et  poi  un'  altra 
fiata  per  pochi  giorni.  Nel  tempo  del  mio  regimento  non  ho  voluto  li  sieno 
levate  bollette  di  salario,  sebben  era  sforzato  per  lettere  a  farlo,  giudicando 
esser  debito  mio  dar  essecutione  alle  leggi  di  Vostra  Serenità,  et  hora  anco 
continua  di  non  esser  al  suo  carico. 

In  detta  città  è  il  Capitano  Oratic  Dolfin  al  governo  delle  Cernide  di 
quella  città  et  territorio,  assai  diligente  nel  suo  carico,  né  manca  quanto 
può  per  essercitar  quelle  genti,  le  quali  a  mio  giudicio  non  faranno  riuscita 
di  esser  messi  a  servitio  di  Vostra  Serenità  in  altro,  che  sopra  le  Galere, 
perchè  in  occasione  serviriano  per  soldati  et  galeotti. 

S' attrova  la  Camera  fiscal  di  Vostra  Serenità  che  non  è  altra  nella 
provincia,  la  qual,  come  già  scrissi,  è  così  mal  regolata,  che  fui  sforciato 
scriver  alli  Clarissimi  Regulatori  sopra  la  scrittura,  che  commettessero  al 
principal  Scontro,  che  mandasse  un  sufficiente,  o  venisse  lui  a  tal  carico; 
et  anco  il  medesimo  feci  alli  Clarissimi  Revisori  dell'entrate  publiche,  come 
anco  nel  responder  che  feci  a  Vostra  Serenità  nella  Supplica  d'  Ambroso 
di  Belli  Scontro,  che  ricercava  metter  1'  officio  suo  in  nome  del  figliuolo, 
et  se  Vostra  Serenità  non  manderà  persona  intelligentissima  a  veder  et  re- 
gular  li  libri  et  scrittura,  credo  certo  in  brieve  precipiterà.  La  causa  è  che 
il  Vostro  Scontro  non  fa  1'  officio  suo,  et  1'  affitta  ad  uno  de'  nobili  di 
questa  città,  li  quali  vivono  con  tanto  rispetto  tra  loro,  che  non  si  può 
dir  maggiore.  Vostra  Serenità  dirà  perchè  non  li  hai  rimediato,  gli  rispondo 
in  quella  città  non  esser  homo  per  tal  carico  buono,  che  se  ne  fossero  stati 
non  havrei  mancato  per  servitio  di  Vostra  Serenità,  Et  stante  la  renontia 
fatta  da  quel  Sustituto  dell'  officio  a  Mcsser  Bello,  per  portar  le  fede  ne- 
cessarie, che  alla  fine  del  regimento  si  è  in  obbligo  di  portar,  ho  convenuto 
far  un  mandato  al  sopradetto,  eh'  esserciti  fino  a  tanto  che  ne  sia  mandato 
uno  da  Vostra  Serenità  per  tal  effetto. 

Si  attrova  un  Fontico  per  sustentamento  di  quelli  habitanti,  nel  qual 


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si  vende  farina,  la  qual  per  la  gratia  del  nostro  Signor  ho  mantenuta  sempre 
a  lire  8  la  quarta,  che  sono  lire  24  il  ster,  et  si  ha  aumentado  di  cavedal 
lire  cinquemillc  di  vadagno,  et  è  governato  per  Nobili  di  quella  Città,  alli 
quali  è  necessario  che  il  Rettore  sia  molto  vigilante,  il  qual  di  buon  cavedal 
era  venuto  al  basso  :  la  diligentia  usata  1'  ha  fatto  respirar  fino  a  26  mille 
lire  di  cavedal  vivo,  senza  altri  debiti  di  Comunità,  et  altri  inessigibili  per 
morte  et  altri  accidenti. 

Al  governo  delle  anime  è  il  Reverendissimo  Signor  Zuanne  Inzegner 
Vescovo  cittadin  nostro  di  somma  bontà  et  religione,  et  svisceratissimo 
servitor  di  Vostra  Serenità.  Nel  tempo  del  mio  Regimento  mai  è  occorsa 
cosa  alcuna  tra  noi  di  mala  satisfattione,  ma  amor  sinciero  come  fratelli, 
il  tutto  a  honor  di  Vostra  Serenità. 

Non  restarò  narrarli,  che  la  materia  di  sali  è  di  grandissima  conside- 
ratione  et  degna  di  saputa  di  Vostra  Serenità,  poiché  mi  ho  trovato  a  tempo, 
che  ha  valuto  fino  a  lire  13  il  staro,  et  anco  si  trovava  di  quelli  che  vo- 
levano molto  più,  et  andavano  comprando  da  altri  per  ridurlo  in  poche 
teste,  come  fecero  ;  et  questo  precio,  che  lenivano  cosi  alto,  non  lo  facevano 
ad  altro  fine,  a  giudicio  mio,  se  non  perchè  havevano  inteso  Vostra  Se- 
renità mandarne  de  lì  per  mantenimento  del  corso,  così  a  benefitio  delli 
suoi  datij,  come  a  utile  di  quel  povero  populo  bisognoso,  et  quelli  pochi, 
che  havevano  il  sale  non  ad  altro  fine  lo  facevano  di  tenir  il  precio  così 
alto  per  longar  il  corso,  qual  per  li  precij  alti  era  fermato  quasi  a  fatto, 
et  si  contentavano  gli  ne  restasse  con  suo  danno,  acciocché  Vostra  Serenità 
non  ne  mandasse  come  hanno  ottenuto  lettere  loro,  dicendo  Vostra  Sere- 
nità non  poter  vender  le  sue  decime  sino  a  tanto  che  loro  non  habbino 
più  sale  del  suo,  et  pur  la  Xma  di  V.  S.  è  cavata  dalli  suoi  salari),  né 
crederò,  che  venuta  la  Xma  nella  S.  V.  perda  ragione  di  potersi  vender, 
poiché  loro  vendono  l' istesso  comprato  da  molti  particolari.  Un  giorno 
havevano  addimandato  precio  così  alto,  che  alcuni  venuti  per  sali  erano 
partiti  senza,  li  mandai  dietro  et  li  feci  tornare,  et  li  feci  dare  di  quello  di 
V.  S.  a  lire  12  il  staro,  come  di  ciò  diedi  conto  particolar  alli  Clarissimi 
Proveditori  al  sai,  la  quale  operatione  li  fece  calar  di  precio,  dolendosi  eh'  io 
voleva  far  quello  che  non  era  mente  di  V.  S.  Io  lo  feci  per  obbligo  mio 
di  metter  ogni  spirito,  poter  et  saper  a  beneficio  di  V.  S.  —  Vennero 
1'  anno  passato  doi  barche  mandate  dalli  Clarissimi  Proveditori  al  sai  per 
ovviar  a  contrabbandi  de'  sali,  li  quali  a  mio  giudicio  sono  più  presto  di 
quella  sorte  d'  homeni  di  maleficio,  perchè  non  fanno  quanto  deveno,  si 
per  esser  puoco  buoni  di  andar  a  barche  di  controbandieri  di  sali,  quali 
sono  homeni  risegati  con  arcobusi,  et  per  loro  non  fa  andarli  adosso,  ma 


—  459  — 

vanno  a  barche  che  passano  per  queste  riviere  cercandoli  sopra,  facendoli 
star  di  danari.  Nella  mia  giurisditione  non  è  seguito  questo,  perchè  non 
harei  mancato  di  corretione,  et  riverentemente  raccorderei  a  V.  S.  che  fusse 
bene  a  mandar  una  o  doi  fregate  con  huomeni  buoni  et  Capitano  suffi- 
ciente, che  attendessero  solamente  a  questo  carico,  et  stessero  su  le  ponte 
che  vanno  a  Trieste,  il  che  torneria  a  gran  beneficio  a  Vostra  Serenità,  si 
perchè  li  sali  resteriano  a  beneficio  suo,  come  il  corso  continuerebbe  de 
qui  con  maggior  frequentia,  et  cesserebbe  a  Trieste.  Quest'anno  fin  hora 
per  le  continue  pioggie  se  ne  ha  fatto  pochissimo. 

Vi  era  un  Monte  santo  per  beneficio  di  quel  populo,  hora  è  spianato 
et  smarrito  per  il  mal  governo,  in  luoco  del  quale  ha  condotto  doi  hebrei 
banchieri,  li  quali  prestavano  a  quelli  della  città  a  dodeci  et  mezza  per  cento, 
alli  altri  a  vinti.  Ho  operato  si  con  loro  che  si  sono  contentati  di  tuor 
dodeci  et  mezza  indiferentemente  da  tutti,  et  sopra  ciò  ho  fatto  una  Ter- 
minatione  con  suo  consenso. 

Poiché  ho  detto  del  sito  della  città  et  qualità  sue,  gli  dirò  delli  habitanti 
che  in  essa  si  ritrovano  tra  Nobili  del  suo  Consiglio,  che  sono  al  numero 
de  dusento  in  circa  ;  et  altri  tra  botteghieri  et  lavoratori  di  terre,  per  la 
descritione  fatta,  sono  al  n.°  di  tremille  e  tresento,  compreso  ogni  sorte  di 
età,  nelli  quali  sono  n.°  910  da  15  fino  50  anni,  il  restante  tra  vecchi, 
donne  e  putti  ascendono  alla  sopradetta  summa  ;  poco  numero  invero  alla 
centa  della  Città,  la  qual  per  esser  poco  habitata,  ha  molte  case  rovinate, 
et  ogni  giorno  va  scemando,  poiché  per  il  passato  ascendevano  a  maggior 
numero.  Nella  quantità  de'  Nobili  vi  sono  8  dottori,  et  pochi  altri  sono 
che  habino  del  civile  nella  nobeltà,  se  ben  sono  in  gran  numero  ;  ma  per 
la  povertà  loro  parte  attendono  all'  agricoltura,  altri  al  pescar,  altri  al  na- 
vegar.  In  questa  Nobeltà  vi  è  quasi  in  tutti  povertà  grandissima  per  non 
si  applicar  a  mercantia,  né  ad  essercicio  alcuno.  Le  sue  entrate  sono  di  vini, 
ogli,  sali,  et  poche  biave,  in  due  delli  quali  li  va  spesa  infinita,  sì  per  il 
sapar  che  fanno  nelle  vigne  et  olivi,  come  al  raccoglier  esse  entrate,  non 
lo  facendo  di  sua  mano.  De'  sali  danno  la  Xma  a  Vostra  Serenità.  Li  dottori 
insieme  con  pochi  altri,  secondo  le  sue  voglie  et  pensieri  dispongono  gli 
altri  a  quanto  li  propongono,  sieno  buone  o  cattive  le  loro  opinioni,  perchè 
sono  affatto  ignoranti  et  persone  grosse.  De  botteghieri  et  cittadini  ne  sono 
de  comodi,  li  quali  attendono  a  tempi  a  comprar  sali  et  altre  sorte  di  mer- 
cantie,  le  quali  le  rendono  molto  utile.  Hanno  una  legge  che  non  possa 
venir  vin  forastiero  fin  a  tanto  ne  sia  del  paese,  et  per  tal  causa  è  carestia 
notabilissima  di  vino,  poiché  hora  lo  vendono  in  grosso  fino  a  lire  17  l'orna, 


—  440   - 

che  è  5  sechi  venitiani,  a  menuto  per  datio  et  altre  spese  tino  lire  vinti, 
et  fuori  et  Belli  villaggi  un  datio  del  terzo  di  quanto  vendono,  che  è  peso 
insopportabile.  Il  medesimo  era  nella  Città,  et  la  benignità  di  Vostra  Serenità 
ridusse  quel  datio  cosi  grave  a  soldi  30  per  orna,  il  quale  quando  fosse 
nelli  Villaggi  ridotto  al  medesimo  saria  di  grandissimo  sollevamento  a  quelli 
meschini.  Quella  legge  opera  sì,  che  tutti  attendono  alle  vigne,  et  semenano 
pochi  fermenti  et  altre  biave;  oltra  che  il  territorio  è  montuoso,  et  per 
sua  natura  sterile,  et  causa  una  continua  carestia  in  quella  città,  et  dà  gran 
travaglio  a'  Rettori  di  procurar  il  viver  a  così  numeroso  populo,  et  crederò 
che  nell'  avvenir  sarà  di  maggior  travaglio,  poiché  essendo  venuti  alcuni 
Arciducali  al  n.°  di  14  da  Buccari,  Fiume  et  altri  luoghi  vicini  a  Segna, 
et  cargato  in  questa  Città  sorgo  et  altre  biave  per  condurle  nelli  suddetti 
luoghi,  furono  retenuti  per  il  mio  Cavalier,  et  confessorono  condurle  nelli 
suddetti  lochi.  Mistigando  la  Parte  1591  li  condennai  mesi  18  alla  Galera. 
Fò  per  il  Clarissimo  Avogador  Querini  detta  mia  signatura  intromessa,  et 
nella  Quarantia  civil  vecchia  la  fece  tagliare,  con  dechiaratione,  che  se  li 
restituisce  il  tutto,  et  anco  le  biave.  Ha  partorito  effetto  tal  il  spezar  la 
soddetta  Parte  che  proibisce  il  portar  biave  in  terre  aliene,  che  ha  dato  uno 
stendardo  in  mano  ad  Arciducali  di  estrazer  biave  di  cadauna  sorte  a  suo 
beneplacito  della  provincia  dell'  Istria,  et  far  patir  le  sue  Città  et  Castelle  ; 
all'  opposito  di  quanto  essi  Arciducali  fanno,  che  con  pene  gravissime  di- 
videno  (divietano)  il  portar  biave,  et  ogni  sorte  d'  anemali  ;  et  se  pur  ne 
viene  qualche  poco,  vien  per  contrabando,  con  riseghi  grandissimi,  et  pe- 
ricoli manifesti  a'  quali  le  conducono. 

Il  suo  territorio  è  di  43  ville,  14  delle  quali  erano  di  Vostra  Serenità, 
et  29  delli  habitanti  di  Capo  d' Istria.  Quelle  di  V.  S.  come  siano  passate 
in  particolari  non  lo  so,  né  ho  potuto  intender.  Sono  tutte  esse  ville  col- 
tivate da  homeni  che  pagano  la  Xma  solamente  di  biave,  et  anemali  minuti, 
il  che  a  fatto  li  ha  impoltroniti,  che  semenano  tanto  pocho  che  non  li  basta 
al  viver,  ma  attendonvi  con  ogni  suo  spirito  alle  vigne,  dalle  quali  cava 
gran  utile  per  le  cause  suddette,  et  sono  gente  da  poco,  imbriacchi,  non 
atti  alle  arme,  li  quali  in  tutte  43  ville  per  le  descrittioni  sono  in  tutto  5600, 
tra'  quali  da  anni  15  fino  50  ne  sono  1640;  il  resto  tra  vecchi,  donne  et 
putti  fanno  la  sopradetta  summa  ;  in  7  delle  quali  ville  fo,  parte  dalla  natura, 
et  parte  dalli  antenati  fatti  ridotti  da  poter  salvar  le  gente  et  anemali  in 
tempo  di  correrie,  li  quali  minatiano  rovina,  et  ho  fatto  veder  la  spesa  che 
li  potria  andar  per  resta  tiramento,  la  qual  importarla  lire  1241  come  per 
la  Polizza  eh'  io  appresento  a  V.  S.  particolarmente  si  può  veder  :  et  per 
mia  opinione  saria  bene  restaurarli,  et  assicurar  quelli  poveri  habitanti  con 


—  441  — 

le  robe  et  animali  loro,  et  anco  del  resto  della  provincia  dell'Istria:  la  quale 
è  di  lunghezza  confinanti  con  Arciducali  de  miglia  29,  nella  qual  non  si 
può  entrar  per  altra  parte  che  per  24  passi  che  vengono  dal  Carso,  giù 
per  vena  del  monte  nell'  Istria,  li  quali  passi  sono  così  sopra  arciducali, 
come  di  quello  di  V.  S.  difficilissimi  da  poter  calar  nell'  Istria  per  esser  così 
stretti,  che  per  alcuni  non  li  può  andar  doi  cavalli  all'  imparo  et  discesa 
rattissima  ;  li  più  larghi,  che  sono  pochi,  non  si  possono  scambiar  carri,  et 
pur  sono  anco  loro  ratti,  et  pochi  homeni  possono  defender  per  esser  essi 
passi  ajutati  dalla  natura  di  dirupi  di  poter  assicurar  le  genti.  Nel  tenir  di 
arciducali  dando  principio  sopra  Trieste  sotio  passi  sette  (7)  in  miglia  16, 
che  vengono  al  confili  della  sua  provincia  dell'  Istria,  qual  e  di  longhezza 
come  di  sopra  confinante  con  essi  Arciducali  si  attrova  passi  14,  difficilissimi 
da  discender,  et  altri  tre  passi  sono  sopra  quello  di  Arciducali  fino  al  mare 
in  18  miglia,  li  quali,  così  sopra  quello  di  V.  S.  come  sopra  essi  Arciducali, 
sono  difficilissimi  da  calar  nella  provincia,  et  con  poca  gente  se  li  può  op- 
poner.  La  Polizza  con  li  nomi  et  distantia  di  essi  io  appresento  a  Vostra 
Serenità,  la  qual  si  degnarà  di  metterli  in  quella  consideratione  che  gli 
parerà,  escusandomi  se  a  pieno  non  havesse  dato  quella  informatione  che 
a  sua  grandezza  converrebbe,  et  escusi  il  mio  non  saper,  et  accetti  il  buon 
voler,  qual  è  sempre  pronto  in  spender  la  vita  et  la  roba  in  servitio  suo. 


PASSI  D' ISTRIA  SOTTO  L' IMPERIO. 

Prosecco  lontano  da  Trieste miglia  3 

Onchiara  lontana  da  Trieste  m.  2  da  Prosecco m.  4 

Rammaglia  lontana  dall'  Onchiara m.  1 

Macho  lontano  da  Razmagna m.  1 

Dragha  lontana  da  Mochò m.   1 

San  Servolo  lontano  da  Draga m.  3 

Cernical  lontano  da  San  Servolo m.  3 

SOTTO  LA  SIGNORIA. 

Bisovi^a  lontana  da  Cernical m.  3 

Popeg  lontano  da  Bisovizza m.  2 

Svonigrad  lontano  da  Popeg m.   1 

Villadol  lontano  da  Svonigrad m.   1 

Covedo  lontano  da  Villadol m.  2 

Figariiola  lontana  da  Covedo ni.  2 


—  442  — 

Valmorasa  lontana  da  Figarolo m.     2 

Slapa  lontana  da  Valmorasa m.     1 

Sobresin  lontano  da  Slapa m.     3 

Rachìtovi  lontano  da  Sobresin m.     2 

Raspo  lontano  da  Rachitovi m.       •/. 

Nugla  lontano  da  Raspo m.     4 

Ro%p  lontano  da  Nugla m.     3 

Cemigrad  lontano  da  Rozo m.     3 

SOTTO  L'IMPERO. 

Semich  lontano  da  Cernigrad m.     3 

Brest  lontano  da  Semich m.     5 

Oreca  lontana  da  Brest m.     5 

Da  Oreca  per  Monte  Caldiera  fin  al  mare m.     5 

Longhezza  delli  monti  miglia  60  (sic) 
In  quel  della  Signoria  passi  n.°   14 
In  quel  dell'Imperio  passi     n.°   io 

Assieme  Passi  n.°  24 

(Archivio  generale  veneto.  —  Collegio.  —  Busta  segnata  Relazioni  de' 
Rettori  —  Capodistria-Pola). 


(Continua). 


BIBLIOGRAFIA 


WWI 


Del  decadimento  dell'  Istria  —  articolo  pubblicato  nel  periodico  La 
Provincia  dell'Istria  da  Paolo  Tedeschi,  professore  di  Belle  Lettere  e 
di  Pedagogia  nella  Scuola  normale  femminile  di  Lodi.  Raccolto  poi 
in  separato  opuscolo  di  94  pagine.  —  Capodistria.  Tip.  Priora  e  Pi- 
sani,  1880. 


Il  tema  è  triste  ;  ma  l'autore  si  propone  di  evocare  le  memorie  della 
passata  grandezza  a  sprone  dell'opera  per  tornare  a  quella  cima  onde  si  è 
discesi  lentamente. 

Descrive  breve  la  costa  dell'  Istria,  e  dice  «  che  non  e'  è  quasi  pano- 
rama ad  ogni  svolta  del  canale  che  non  ci  desti,  insieme  con  l'ammirazione 
per  la  bellezza  naturale  del  sito,  un  senso  di  mestizia  per  i  segni  d'  una 
festa  finita,  di  una  gloria  perduta  »  (pag.  7).  Chi  la  ridusse  a  tale  ?  Una 
risposta  calma  e  ragionata  a  questa  domanda,  ecco  lo  scopo  del  libercolo. 

Guardiamo  ai  monumenti  che  tuttora  esistono,  alle  lapidi,  agli  scritti, 
e  deduciamone  le  conseguenze. 

È  proprio  vera  quella  floridezza  dell'  Istria,  di  cui  parla  Cassiodoro 
nella  sua  lettera  ?  Non  e'  è  motivo  a  credere  eh'  egli  volesse  e  potesse  in- 
gannare i  suoi  contemporanei.  Ma  poi  esamina  se  vi  possa  essere  dell'esa- 
gerazione. Gli  pare  intanto  che  sia  stata  scritta  con  lo  scopo  di  far  pagare 
agli  Istriani  1'  imposta  fondiaria  a  re  Teodorico.  Con  ciò  non  intende  di 
negare  l'antica  floridezza  dell'  Istria  ;  «  ma  perchè  non  si  abbia  ad  esagerare 
e  a  tirar  giù  delle  frasi  rettoriche  sulla  falsariga  di  Cassiodoro  »  (pag.  io). 


—  444  — 

Però  è  da  osservare  che  Cassiodoro  non  parla  delle  bellezze  naturali  ecc. 
di  tutta  l'Istria,  ma  solo  della  parte  litorana,  e  precisamente  dell'agro  di  Pola, 
allora  capitale  di  tutta  la  provincia  e  sede  del  magister  militimi.  Che  l'Istria 
avesse  anche  a  quei  tempi  dei  luoghi  incolti  e  deserti,  ne  fa  fede  un  altro 
documento  posteriore  di  tre  secoli  —  e  precisamente  il  Placito  di  Risano. 

Non  si  ferma  a  dire  della  grandezza  dell'  Istria  all'  epoca  romana.  Il 
campidoglio  a  Trieste,  i  templi  di  Nettuno  e  di  Marte  a  Parenzo,  il  tempio 
d'  Augusto,  il  teatro  e  V  anfiteatro  di  Pola  ecc.,  le  lapidi  sparse  ecc.  sono 
testimoni,  è  vero,  d'una  grandezza  importata,  ma  anche  delle  «  private  fortune 
degli  indigeni  che  assecondavano  il  movimento  venuto  dal  di  fuori  »  (p.  12). 
Le  prove  della  floridezza  istriana  si  hanno  a  cercare  in  altri  monumenti, 
cioè  nelle  basiliche,  nelle  istituzioni  chiesastiche.  Dopo  la  caduta  dell'  impero 
romano,  l' Istria  passata  ai  Goti  diviene  soggetta  a  Bisanzio.  Può  dirsi  che 
la  provincia  allora  era  abbandonata  a  sé  stessa  ;  pure  vi  ha  tanta  vita  nel 
paese,  che  sente  la  nuova  civiltà  e  si  avanza.  Tra  il  quinto  e  settimo  secolo 
si  alzano  parecchie  basiliche  :  la  Marianna  a  Trieste,  l' Eufrasiana  di  Parenzo, 
ed  altre  ancora;  poi  S.  M.  Formosa,  S.  Felicita,  S.  Stefano,  S.  Michele  al 
Monte  a  Pola  ecc. 

Altra  prova  l'abbiamo  nella  frequenza  dei  capitoli,  non  solo  nelle  chiese 
vescovili,  ma  anche  delle  comunità  minori  e  perfino  rurali. 

Stabilito  questo,  è  tempo  d' indagare  le  cause  del  suo  decadimento. 

Dalla  natura  del  suolo,  l' Istria  non  ha  nel  suo  seno  forze  sufficienti 
per  vivere  d'  una  vita  splendida.  Con  ciò  non  le  si  nega  la  possibilità  di 
rialzarsi;  ma  da  sola  sarà  difficile  possa  sorgere  alla  prosperità  su  accennata. 
Basta  guardare  la  carta  geografica  per  convincersi  «di  questa  triste  necessità 
che  ha  il  paese  nostro  di  vivere  un  po'  alle  spalle  degli  altri  »  (pag.  14). 
E  qui  esamina  la  posizione  geografica  e  topografica  dell'  Istria.  E  conclude 
che,  la  prima  causa  del  decadimento  è  stata  per  l' Istria  «  la  caduta  del- 
l' impero  romano,  e  la  disgrazia  di  non  aver  trovato  nella  seconda  Roma, 
in  Venezia,  un'altra  potenza  che  abbia  voluto  o  potuto  comunicarle  l'antica 
grandezza»  (pag.   16). 

Il  Kandler  però  fa  ascendere  il  decadimento  più  innanzi  ancora,  al 
tempo,  cioè,  di  Diocleziano,  «  per  la  povertà  in  cui  vennero  i  Comuni  ai 
quali  furono  tolte  le  giurisdizioni  ».  Oltre  ciò  anche  le  persecuzioni  contro 
i  cristiani  avrebbero  contribuito  alla  decadenza.  Il  nostro  autore  considerò 
questi  tuttavia  come  fatti  isolati,  o  non  tali  da  perturbare  un'  intera  pro- 
vincia. —  Poi  racconta  i  fatti  di  Teodosio  e  di  Valentiniano,  e  della  guerra 
del  primo  contro  Arbagaste. 


—  445  — 

Né  i  barbari  fecero  gran  male  fra  noi,  avvegnaché  il  nostro  paese  si 
trovasse  fuori  della  loro  strada.  Venuta  l' Istria  sotto  Teodorico,  non  ebbe 
sorti  tanto  infelici.  Dunque  ci  furono  delle  altre  cause  interne  e  particolari 
che  le  impedirono  più  tardi  di  approfittare  delle  felici  sue  condizioni. 

Una  causa  di  decadimento  la  trova  nella  distruzione  di  Aquileja.  Ra- 
venna, divenuta  capitale  dello  Stato,  è  troppo  lontana  per  conservare  la 
provincia  nell'  antico  splendore.  Chi  ne  risentì  qualche  vantaggio  per  i 
commerci  si  fu  Pola,  del  cui  florido  stato  abbiamo  altro  testimonio  nella 
leggenda  di  Massimiano.  Ma  Pola  non  era  tutta  V  Istria,  e  gli  esarchi  non 
avevano  tempo,  voglia  e  mezzi  di  vegliare  a  difesa  dell'  intera  provincia. 

E  intatti,  mentre  navi  andavano  e  venivano  dalle  due  coste,  la  parte 
superiore  era  esposta  a  nuove  scorrerie  :  di  Longobardi,  di  Slavi,  di  Franchi. 
Ed  ecco  nuova  causa  di  decadimento  :  l' introduzione  dell'  aborrito  e  fino 
allora  sconosciuto  sistema  feudale. 

Ed  ora  investiga  quale  fosse  lo  stato  delle  municipalità  nell'  Istria  al- 
l' epoca  dell'  introduzione  del  sistema  feudale. 

Due  sono  le  scuole,  la  germanica  e  l' italiana,  a  cui  si  possono  ridurre 
i  differenti  sistemi,  coi  quali  si  tentò  di  risolvere  il  problema  delle  origini 
del  Comune.  La  prima  non  ammette  nessuna  diretta  e  necessaria  colleganza 
del  Comune  cogli  ordinamenti  civili  d' Italia  durante  l' impero  romano  ;  la 
seconda,  invece,  la  crede  una  continuità  della  tradizione  romana.  E  si  com- 
battè a  lungo  su  codesto,  divagando  da  lontano,  quando  era  da  scavar  vicino. 
«  La  storia  del  Comune  istriano,  tanto  sconosciuta  e  negletta,  avrebbe  recato 
lume  non  poco  in  così  g-ave  questione  »  (pag.  26).  Il  Lanzani  però,  nella 
sua  opera  :  /  Comuni  dalle  origini  fino  al  principio  del  sec.  XIV,  parla  delle 
nostre  comunità  che  continuavano  a  governarsi  colle  antiche  istituzioni 
municipali,  con  una  nominale  dipendenza  dalla  corte  bizantina  ecc. 

«  È  adunque  una  verità  storica,  che  non  ha  bisogno  di  dimostrazione, 
l' esistenza  dei  liberi  Comuni  nell'  Istria  sotto  la  dominazione  bizantina, 
mentre  l'Italia  longobardica  languiva  nella  più  desolante  barbarie»  (pag.  27). 
E  quale  fosse  questa  libertà  lo  prova  il  Placito  al  Risano  nell'  804,  del 
quale  si  occupa.  Il  documento  è  autentico. 

La  conclusione  poi  che  ne  trae  si  è,  che  «  tanto  più  il  sistema  feudale 
dovea  essere  pernicioso  agi'  Istriani,  quanto  meno  ci  erano  apparecchiati  ed 
avvezzi  »  (pag.  30). 

E  tempo  poi  di  cessare  dal  confondere  sempre  la  storia  istriana  con 
la  storia  veneziana.  L' Istria  ha  una  vita  abbastanza  distinta  ed  autonoma 
prima  del   dominio   veneto  :   «  quando  Venezia  era  appena    sorta  e  i  suoi 


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abitanti  lottavano  con  le  prime  difficolti,  Pola,  capitale  dell'  Istria,  era  porto 
di  primo  ordine,  murava  tra  il  sesto  e  l'ottavo  secolo  basiliche  insigni,  dava 
un  prelato  a  Ravenna,  un  patriarca  a  Grado  ecc.»  (pag.  31). 
Ma  ecco  nuova  causa  di  decadimento. 

Berengario  II,  rinnovando  l'errore  di  Berengario  I  fece  omaggio  della 
corona  d' Italia  al  re  di  Germania  Ottone  I.  Questi  staccò  dal  regno  la 
marca  veronese  e  1'  aquilejese,  e  ne  costituì  un  feudo  a  parte  per  Enrico 
suo  fratello.  «  Cosi  una  gemma  preziosa  veniva  tolta  alla  corona  italica  ; 
cioè  l'antico  ducato  del  Friuli,  comprendente  i  marchesati  d'Istria,  d'Aquileja, 

di  Verona  e  di  Trento »  (pag.  32).  Ecco  che  l'elemento  germanico 

venne  così  di  qua  dalle  Alpi.  Questa  1'  origine  di  quei  conti  di  Gorizia  e 
di  Gradisca  nel  Friuli,  che  daranno  più  tardi  tanto  da  fare  a  Venezia,  e  dei 
conti  di  Duino,  di  Pisino  nelP  Istria.  Questi  avvenimenti  produssero  il  lento 
decadimento  della  provincia.  L' Istria  marittima  continuò  a  reggersi  nelle 
città  a  forme  municipali  dopo  il  Placito  di  Risano,  ed  ebbe  un  marchese 
elettivo  fino  al  1026.  «  Però  conti  e  baroni  germanici  vennero  subito  a  si- 
gnoreggiare nella  campagna  :  sono  infiltrazioni  di  quel  grande  canale  in- 
trodotto nella  Marca  aquilejese  sul  suolo  italiano»  (pag.  31).  Di  fatti  il 
marchesato  d' Istria  è  fatto  ereditario  nella  casa  dei  conti  di  Eppenstein, 
Sponhein  e  Andechs.  È  non  solo  la  germanizzazione  del  marchesato,  ma 
più  ancora  della  contea  d' Istria. 

Marchese  era  quasi  il  capo  della  provincia,  sotto  di  lui  il  conte.  Ma 
col  tempo  la  contea  divenne  ereditaria,  e  così  restò  divisa  dal  marchesato. 
«  Quindi  innanzi  perciò  nella  storia  dell'  Istria  si  dovrà  distinguere  la  contea, 
che  si  andrà  estendendo  nei  monti  intorno  a  Pisino,  dall'  Istria  marittima, 
o  marchesale.  A  capo  a  tutto  dunque  l' imperatore,  l' autorità  del  quale  è 
appena  nominale,  poi  il  duca  della  marca  aquilejese,  se  pur  è  vero  che  il  suo 
dominio  si  sia  esteso  sull'Istria,  poi  il  marchese,  ultimo  il  conte»  (pag.  35). 

Il  sistema  feudale  però  non  valse  ad  arrestare  1'  azione,  la  libertà,  la 
vita  de'  vecchi  Istriani.  Qui  la  vita  municipale,  mai  interrotta,  raggiunse  il 
suo  maggior  sviluppo  tra  il  1100  e  il  1300,  contrastata  da  due  forti  poteri: 
di  Aquileja  e  Venezia. 

E  passa  a  parlare  del  Comune. 

Prima  di  tutto  avverte,  di  non  essere  d'accordo  coi  suoi  amici  di  studi, 
'i  quali  credono  che  i  Comuni  dell'  Istria,  prima  alleati  di  Venezia,  sarebbero 
poi  passati  senza  contrasto  e  per  spontanee  dedizioni  al  dominio  della  Se- 
renissima. Egli  sostiene,   invece,   che  «  gli  Istriani   lottarono,  e  fortemente 


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lottarono,  prima  d'assoggettarsi  a  San  Marco  ;  e  non  per  questo  appajono 
nella  storia  meno  italiani  »  (pag.  37).  E  ciò  prova  con  ragioni  desunte  dalla 
storia  di  quei  tempi  —  storia  non  solo  nostra,  ma  di  tutta  Italia.  I  nostri 
padri  fecero  precisamente  quello  che  gli  altri  fratelli  italiani.  «  Non  spon- 
tanee dedizioni  adunque  :  se  si  eccettui  qualche  comunello,  e  per  odio  della 
città  vicina,  non  per  amor  di  Venezia  ;  il  grosso  della  provincia,  le  città 
più  importanti  :  Trieste,  Capodistria,  Pola  resistettero  lungamente,  vinte 
tornarono  alla  riscossa,  e  soffrirono  aspre  vendette  »  (pag.  39).  Tutto  ciò 
non  offende  punto  nella  storia  il  sentimento  nazionale,  sono  anzi  la  prova 
e  controprova  della  nostra  italianità. 

Ed  anzi  tutto  passa  ad  esaminare  i  rapporti  di  alleanza  dell'  Istria  con 
Venezia  fino  dai  tempi  più  remoti. 

Le  repubblichette  istriane  si  sarebbero  presto  estinte,  se  non  avessero 
avuto  il  mare.  Ma  qui  s' incontrarono  colle  galere  di  Venezia,  che  pure 
aspirava  al  dominio  dell'  Adriatico.  Naturale  quindi  i  trattati  e  i  patti  tra 
le  une  e  1'  altra.  Già  ai  tempi  dei  bizantini  e  di  Carlo  Magno,  «  i  nostri 
Comuni  liberi  ed  affrancati  esercitavano  il  diritto  di  guerra  e  di  alleanza  ; 
e  nello  stipulare  quanto  meglio  loro  conveniva  usavano  per  formalità  una 
frase,  che  dicesse  liberi  i  diritti  del  re  ;  ma  nello  stesso  tempo  promettevano 
di  operare  sciolti  dagli  ordini  suoi,  (absque  jussione  imperatoris)  »  (pag.  40). 
Poi  fecero  vari  patti  d'alleanza  con  Venezia  per  tener  lontani  o  per  purgare 
il  nostro  mare  dai  pirati.  Ma  con  queste  alleanze  i  nostri  non  intendevano 
di  legarsi  le  mani,  il  che  è  dimostrato  dalla  frequente  ripetizione  di  quei  atti. 

Né  mancano  prove  dirette  di  questa  tesi.  Pola,  1'  antica  capitale  della 
provincia,  sentivasi  umiliata  da  Venezia,  perciò  resistette,  e  la  resistenza  finì 
colla  sua  totale  rovina. 

«  Ma  la  resistenza  dei  nostri  diverrà  più  decisa  e  forte,  quando  Venezia 
tenterà  di  mutare  l'alleanza  e  il  protettorato  in  sudditanza  »  (pag.  43).  Anzi 
spesso  l'odio  a  San  Marco  si  va  trasformando  in  un  apparente  ossequio  al 
non  meno  aborrito  giogo  patriarchino,  del  quale  l'autore  deve  occuparsene 
prima  di  venire  alle  conseguenze  volute  dal  propostosi  argomento. 

I  patriarchi,  quasi  tutti  tedeschi,  dopo  il  mille  cercavano  di  estendere 
in  tutti  i  modi  il  loro  dominio  sulla  nostra  penisola.  GÌ'  Istriani  non  vollero 
saperne  —  quindi  guerre,  interdetti,  scomuniche.  Per  due  secoli,  con  varia 
fortuna,  combatterono  i  patriarchi  marchesi.  Ed  ecco  l'Istria  fra  due  fuochi: 
Aquileja  e  Venezia  ;  quindi  «  un  destreggiarsi  tra  1'  uno  e  1'  altro  partito, 
secondo  meglio  giovava  alla  causa  della  libertà,  e  non  già  per  amore  di 
Santo   Ermagora  o  di  San   Marco  »  (pag.  45).    Codesti    rapidi   passaggi  si 


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accentuarono  particolarmente  a  Pola  e  a  Capodistria.  Delle  quali  due  città 
narra  rapidamente  ed  efficacemente  le  avventure  dal  secolo  XII  al  XIV. 

«  Ma  fra  le  città  che  più  largamente  combatterono  contro  i  Veneti 
vuol  essere  ricordata  Trieste»  (pag.  49).  E  di  questa  pure  ricorda  le  vicende 
come  sopra,  e  la  causa  di  dedizione  ai  duchi  d'Austria  (a.  1382).  Ed  anche 
in  questo,  Trieste  ha  imitato  tant'  altre  città  d' Italia  ;  p.  es.  Genova. 

Del  resto,  non  fu  già  Trieste  il  primo  possesso  degli  Absburghesi  in 
terra  italiana.  Possedevano  già  da  anni  Pordenone,  poi  ebbero  Duino,  la 
contea  nell'  interno  dell'  Istria. 

E  la  conclusione  si  fu,  che  Venezia  non  venne  pacificamente  in  pos- 
sesso della  nostra  provincia.  Spontaneo  si  dedicò  qualche  comunello,  come: 
Valle  (1264),  Rovigno  (1266),  Parenzo,  Pirano  —  queste  due  ultime  per 
rivalità  a  Capodistria.  Montona  si  dedicò  per  sfuggire  il  dominio  baronale 
del  conte  di  Pisino.  Ultima  fu  Albona  che  si  diede  nel   1420. 

Conchiude  che  le  cause  di  decadimento  si  devono  cercare  in  questa 
epoca.  —  Però  le  città  istriane  non  potevano  resistere  a  lungo  a  Venezia, 

e  convenne  fare  quello  che  hanno  fatto «  Il  nostro  decadimento  fu 

fatale,  prodotto  più  che  dalle  colpe,  dai  tempi  e  dalla  posizione  della  nostra 
provincia,  provincia  di  confine  e  limitata  a  ponente  da  altra  provincia,  il 
Friuli,  che  prima  di  noi  e  più  di  noi  rimase  aperta  all'elemento  straniero 
e  baronale  »  (pag.  54  e  55). 

Ma  poiché,  caduto  il  potere  patriarchino  (1420),  il  grosso  della  pro- 
vincia è  caduto  sotto  il  dominio  veneto,  conviene  quind'  innanzi  rivolgere 
a  Venezia  i  nostri  sguardi.  Né  Venezia  volle  o  potè  far  risorgere  nella  nostra 
provincia  i  bei  tempi  dell'  impero.  Venezia  non  fu  mai  Roma  ;  il  suo  go- 
verno fu  veneziano  sempre  —  cioè  marittimo  —  di  rado  e  forse  mai  ve- 
ramente italiano.  Dell'  Istria  le  bastavano  i  porti,  i  seni,  i  boschi  per  cavarne 
legna,  le  cave  di  marmi  per  murarne  i  suoi  stupendi  edilìzi.  Eppoi,  «l'unità 
naturale  era  scomparsa  ;  la  divisione  romana  —  Venetiae  et  Histriae  —  una 
locuzione  arcaica.  E  questa  è  la  prima  origine  di  tanti  pregiudizi  che  ab- 
bujarono  la  geografia  e  la  storia»   (pag.  55). 

«  Ed  i  guai  del  dualismo  non  tardarono  a  manifestarsi  nell'  Istria  ;  la 
lotta  tra  Veneti  ed  Arciducali  fu  lunga,  e  portò  nuovi  lutti  alla  già  desolata 
provincia  »  (pag.  56).  Cominciano  le  rappresaglie,  poi  la  guerra  aperta  tra 
Venezia  e  Massimiliano  imperatore  (1506).  Quindi  venne  la  lega  di  Cambra!, 
che  fece  perdurare  la  divisione  dell'  Istria. 

La  stessa  pace  di  Bologna  (1529)  lasciava  l'addentellato  a  nuove  que- 
stioni.   Sorse  la  grave  contesa    del   dominio    del    mare.    «  Chi  ne  andò  di 


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mezzo  fu  come  al  solito  la  povera  Istria  »  (pag.  >8).  Gli  Arciducali  ecci- 
tarono contro  Venezia  gli  Uscocchi.  La  guerra  finì  con  la  pace  di  Parigi, 
ratificata  a  Madrid  (1617).  Venezia  ed  Austria  rimasero  in  Istria  e  nel  Friuli 
nello  stato  in  cui  si  trovavano  prima  della  guerra.  Ma  ecco  sull'Istria  piombar 
la  peste  (1630-31).  Le  città  e  le  campagne  spopolate  furono  per  di  più 
visitate  dalla  malaria.  E  Venezia  stessa  decadeva  sotto  il  peso  dei  suoi  vizi. 
Poteva  ella  escogitare  migliorie  per  l' Istria  ?  No,  e  per  di  più  mirò  a  re- 
stringere, anzi  a  distruggere  la  libertà  provinciale. 

Il  Comune  godeva  sì  d'una  certa  autonomia  ;  ma  era  in  mano  di  pochi 
nobili  legati  per  interessi  fra  di  loro.  Da  Venezia  venivano  con  ispeciali 
incarichi  tre  nobili  col  titolo  di  Provveditori,  cioè  il  Provveditore  o  Capitano 
di  Montona,  di  Raspo  e  di  Pola,  incaricato  il  primo  di  sorvegliare  la  foresta  ; 
il  secondo  di  custodire  i  confini  contro  gli  arciducali  ;  ed  il  terzo  di  prov- 
vedere alle  condizioni  dell'  agro  di  Pola. 

Nelle  campagne  poi  i  contadini  erano  angariati  dal  dominio  feudale. 
—  E  non  altrimenti  negli  ordini  della  chiesa. 

Ai  Provveditori  incombeva,  ritornati  alla  capitale,  di  leggere  nel  Senato 
la  relazione  di  tutto  ciò  che  avevanp  visto,  osservato  ed  operato.  Di  queste 
relazioni  ne  cita  alcune,  fra  cui  quella  di  Marin  Malipiero  (1583)  che  riferisce 
sulle  cose  di  Pola.  «Suo  compito  fu  quello  di  popolare  l'Istria  bassa  con  Greci 
e  Morlacchi  »  (pag.  67).  E  questo  dell'  importazione  di  genti  straniere  fu  «  la 
più  grave  rovina,  il  più  grande  danno  recato  all'  infelice  provincia,  e,  quel 
che  è  peggio,  concesso  quale  una  grazia  :  l'agro  istriano  divenuto  un  campo 
di  profughi  ladroni,  l' Istria  non  solo  politicamente  ma  etnograficamente 
divisa  e  nel  suo  agro  slavizzata:  la  parola  non  è  di  crusca,  ma  calza»  (p.  68). 
Ed  ecco  gelosie  e  lotte  fra  gì'  indigeni  e  i  nuovi  venuti.  E  la  Repubblica 
lasciava  andare  in  malora  gli  antichi  edifizi  senza  spendervi  un  soldo. 

Né  Venezia  coli'  importar  gente  forestiera  ottenne  il  suo  intento  di 
popolar  l' Istria,  la  quale,  anzi,  pochi  anni  dopo  rimase  più  spopolata  di 
prima.  Così  dicono  i  Provveditori  che  seguirono  il  Malipiero.  E  con  questi 
mali  ne  venne  pure  una  confusione  nei  nomi  dei  monti,  dei  villaggi,  dei 
fiumi. 

Eppure  il  mezzo  più  facile  pjr  ripopolare  l' Istria  sarebbe  stato  quello 
di  favorire  l' incremento  e  la  quiete  della  popolazione  vecchia  liberandola 
dalla  leva  militare,  o  come  si  diceva  allora  dalle  cernide. 

Nell'agricoltura,  per  esempio  pei  boschi,  c'erano  buone  leggi,  le  quali 
però  col  crescere  della  corruzione  nella  capitale,  venivano  mano  a  mano 
perdendo    l' antico  vigore.    Gli  abitanti   stessi,   accasciati  dal   cumulo   delle 


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sventure,  perdettero  1'  antica  loro  attività.  Ma  che  questa  accusa  si  ripeta 
ancora,  è  un'  aperta  ingiustizia  ;  basta  vedere  come  si  lavora  a  Pirano,  a 
Isola,  a  Capodistria. 

Ed  ora  dell'  Istria  arciducale.  «  Il  noto  verso  S' Africa  pianse,  Italia  non 
ne  rise  sarebbe  locuzione  troppo  sbiadita  a  esprimere  il  vero  stato  delle  cose 
nelle  due  parti  in  cui  era  l' Istria  divisa  ;  meglio  si  avrebbe  a  dire  con  più 
energia  di  linguaggio  :  Se  al  mar  si  pianse,  su  pei  monti  urlarono  »  (pag.  8o). 

Qui  brevemente  fa  la  storia  della  contea.  La  vera  origine  della  quale 
è  a  cercarsi  nel  secolo  undecimo.  Dagli  Eppenstein  la  contea  passò  ai  conti 
di  Gorizia;  e  quindi  nel  1374  ai  duchi  d'Austria.  Questi  la  cessero  in 
appalto  ai  conti  di  Duino,  ai  Walsee.  Carlo  V  volea  tenerla  per  se  ;  ma 
scongiurato  dal  fratello  Ferdinando,  la  cesse  a  quest'  ultimo.  I  Cragnolini 
volevano  fondere  la  contea  col  loro  paese  ;  ma  non  ne  fu  niente,  perchè, 
radunatisi  a  Gorizia  i  nobili  del  goriziano  e  della  contea,  vi  si  opposero 
energicamente. 

Gli  arciducali  continuarono  come  per  l' innanzi,  a  disporre  a  piacimento 
della  contea,  «  facendola  amministrare  per  proprio  conto,  talvolta  vendendola, 
e  dandola  a  pegno  o  fitto  a  famiglie  nobili  e  ricche,  dalle  quali  nelle  ristret- 
tezze finanziarie  dello  Stato  avevano  ricevuto  sovvenzioni  e  danari  »  (pag.  82). 
Così  si  eressero  castelli  qua  e  là,  e  in  nuove  signorie  fu  frazionato  il  paese. 
Nel  1640  l'imperator  Ferdinando,  bisognoso  di  danaro,  propose  la  compera 
della  contea  alla  Repubblica  veneta  ;  ed  essa  rifiutò  ! 

«  Così  tra  padroni  che  ci  vendevano,  e  padroni  che  non  ci  volevano  com- 
perare, V  Istria  andava  sempre  più  decadendo  e  rimase  fino  agli  ultimi  tempi 
divisa  »  (pag.  83). 

Detto  poi,  che  la  contea  passò  agli  Auersberg,  alla  camera  arciducale 
della  Stiria,  e  poi  ad  altri  fino  ai  Montecuccoli  di  Modena  che  la  tengono 
anche  oggi,  accenna  alle  deplorabili  sue  condizioni,  in  confronto  delle  quali 
tutte  le  negligenze  e  le  distrazioni  dei  Rettori  veneti  dovevano  parere  carezze. 
In  riprova  di  ciò  fa  parlare  i  documenti. 

E  se  le  condizioni  della  contea  al  tempo  della  lega  di  Cambrai  erano 
miserande,  cent'  anni  dopo  divennero  peggiori  d'  assai,  come  si  ha  dalle 
relazioni  dei  commissari  arciducali. 

In  tale  stato  durarono  le  cose  fino  al  1848. 

Poi  dà  un  rapido  sguardo  agli  ultimi  tempi.  Mentre  in  altre  parti  di 

'  Italia  il  contadino  emigra  nell'  inverno  in  cerca  di  lavoro,  da  noi,    invece, 

i  contadini,   specie  gli  slavi,    vivono,    vegetano  e  muoiono    come    ostriche 

attaccate  al  loro  palo  —  non  possiedono  alcun  mestiere,  non  sanno  trattare 


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altro  ferro  che  il  vangile  e  la  zappa.  I  sacerdoti,  piuttosto  che  imbottire  le 
loro  menti  con  la  politica,  ben  farebbero  a  dirozzarne  le  menti,  fornendo 
loro  il  mezzo  di  comunicare  con  la  gente  civile. 

Eppure  il  paese  fu  un  dì  fertile,  basta  vedere  che  cosa  fu  la  valle  del 
Quieto  al  tempo  romano.  —  Ma  a  studiare  i  mezzi  per  redimerla  lascia  lo 
studio  agli  Istriani  che  vivono  in  provincia. 

Caduta  la  Repubblica,  essa  fu  pianta  sinceramente  da  tutti.  Se  non  che, 
venendo  in  potere  dell'Austria,  la  provincia  ebbe  la  sua  unità.  E  un  qualche 
risveglio  ne  venne.  Però  c'era  ancora  molta  fiacchezza  nei  municipi,  molta 
viltà  nei  preposti  alla  pubblica  cosa,  e  molta  servile  inconvenienza  nel 
linguaggio. 

I  tempi  tuttavia  s'avviano  al  meglio.  «  L' Istria  oggi  è  una  ;  e  se  vari  i 
dialetti  rustici,  unica  è  la  lingua  nostra,  perchè  unica  la  civiltà  ;  e  donde 
sia  questa  venuta  sappiamo  »   (pag.  91). 

Intanto  abbiamo  un  grande  vantaggio  sull'  Istria  antica  ;  la  nostra  ca- 
pitale non  è  né  Ravenna,  né  Aquileja,  né  Venezia  ;  ma  Trieste.  Fra  questa 
e  P  Istria  hanno  alzato  ora  le  sbarre  ;  si  è  voluto  dividere  il  capo  dalle 
membra.  «  È  un  gravissimo  danno  per  noi;  ma  non  ci  perdiamo  di  animo; 
F  avvenire  è  dei  forti,  e  le  idee  non  pagano  dogana  »  (pag.  92). 

E  qui  dà  alcuni  ammonimenti  agli  Istriani,  ai  giovani  ricchi  partico- 
larmente. Il  tempo  farà  il  resto,  ed  il  tempo  è  galantuomo. 

Si  galantuomo  ;  con  questo  lieto  proverbio  finisce  questo  suo  studio 
sul  decadimento  dell'  Istria,  non  senza  una  cara  speranza  che  le  sorti  del 
suo  amato  paese  diano  in  un  non  lontano  avvenire  occasione  ad  altri  di 
più  facile  studio  sulle  cause  del  risorgimento  dell'Istria.  Dice  facile  studio, 
perchè  le  cause  di  questo  non  saranno  poi  tante. 

Due  parole  ancora  sullo  studio  in  generale.  Qua  e  là  esso  studio  as- 
sume forma  di  polemica  ;  però  l'autore  si  rimette  presto  in  carreggiata,  e 
segue  il  suo  tema  basandosi  sempre  alle  fonti  con  scrupolosità  scientifica, 
ed  anche  con  grande  equanimità.  E  un  lavoro  sintetico,  rapido,  efficace  che 
si  legge  con  diletto  e  con  istruzione. 

M.  T. 


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Degli  errori  sull'  Istria  —  articolo  pubblicato  nel  periodico  La  Provìncia 
dell'Istria  da  Paolo  Tedeschi,  professore  di  Belle  Lettere  ecc.  e  raccolto 
poi  in  un  fascicolo  a  parte  di  46  pagine.  —  Capodistria.  Tip.  Priora 
e  Pisani,  1880. 

Ancora  nella  Porta  Orientale  si  era  assunto  1'  ingrato  mestiere  di  ad- 
ditare gli  errori  sul  conto  dell'  Istria,  errori  ripetuti  anche  da  persone  erudite. 
Alcuni  di  questi  si  sono  notati  nell'  antecedente  studio  —  Sul  decadimento 
dell'Istria.  Conviene  che  la  storia  nostra  sia  molto  arruffata,  e  che  la  stessa 
nostra  corografia  è  tale  da  ingenerare  per  avventura  qualche  errore,  per  cui 
fino  ad  un  certo  punto  scusa  chi  dice  o  ripete  taluni  di  siffatti  errori. 

Ed  ecco  le  ragioni  di  questo  suo  studiolo,  in  cui  cercherà  con  l'usato 
stile  di  battere  due  ferri  ad  un  caldo,  «  cioè  chiarire  qualche  punto  con- 
troverso, e  alleggerire  nello  stesso  tempo,  mostrandone  l'origine,  la  respon- 
sabilità degli  errori  commessi  dagli  scrittori  italiani  nostri  confratelli  »  (pag.  5). 

E  piglia  le  mosse  da  quel  benedetto  nome  d' Illirìa  e  di  Illirici  che 
hanno  affibbiato  a  casa  nostra  ed  agli  inquilini.  Il  pasticcio  del  regno  di 
Illirìa  1'  ha  fatto  Napoleone  I,  che  poi  s'accorse  dell'errore,  e  voleva  anche 
rettificarlo.  Questo  nome  d' Illirìa  entrò  un  po'  alla  volta  nell'emporio  delle 
frasi  fatte. 

La  causa  dell'  errore  però  s'  ha  a  cercare  più  lontano.  I  Romani  chia- 
marono Illirio  quel  paese  che  va  dalla  Liburnia  all'  Epiro  in  circa.  E  ciò 
dopo  che  i  confini  d' Italia  furono  portati  fino  all'Arsa. 

Negli  antichissimi  tempi  l' Istria  fu  abitata  da  Traci  e  da  Celti,  non 
già  da  genti  illiriche.  Così  tutti  gli  autori  nostri,  che  si  appoggiano  sugli 
antichi.  Ma  alcuni  oppongono  l'autorità  di  Strabone  che  in  un  passo  con- 
troverso avrebbe  detto  :  Aquile j a  emporium  Illirici!.  Istriani  incolenlibus.  Mostra 
che  questo  passo  non  distrugge  il  valore  delle  asserzioni  contrarie  di  tanti 
scrittori  contemporanei  a  Strabone  o  anteriori. 

Ammesso  anche  che  gli  antichi  Istriani  fossero  stati  Illirici,  e  che  perciò? 
Non  si  potrà  per  questo  negare  la  gloriosa  nostra  nazionalità.  Allora  nò  i 
Veneti,  nò  i  Liguri,  nò  gì'  Insubri,  nò  gli  Orobi  sarebbero  oggi  Italiani. 

Ma  se  fummo  Illirici,  allora  hanno  causa  vinta  gli  Slavi.  Neppur  per 
sogno  !  avvegnaché  nessuno  vorrà  sostenere  sul  serio  che  gli  Illirici  fossero 
dei  loro.  E  così  opinano  i  più  celebrati  autori  tedeschi  e  francesi,  e  così 
ci  dimostrano  le  carte  geografiche  antiche. 


—  4S3  — 

Anche  il  capodistriano  F.  Almcrigotti  sostenne  nel  secolo  scorso  in 
un  opuscolo  (Venezia,  1772)  che  gì'  Istriani  erano  Illirici.  Ma  l' erudito 
marchese  Gravisi  lo  combattè.  Racconta  il  battibecco  sorto  fra  questi  due, 
ai  quali  s'unirono  degli  altri,  fra  cui  G.  R.  Carli,  illustre  archeologo. 

Tutto  ciò  nulla  toglie  e  nulla  aggiunge  ai  sacrosanti  diritti  della  nostra 
nazionalità.  «  Il  nome  illirico  ha  per  noi  un  valore  storico,  arcaico,  e  nulla 
più.  Pur  troppo  ci  danno  quest'epiteto  nel  significato  moderno;  e  qui  co- 
mincia la  confusione  »  (pag.  io). 

Rileva  quale  regione  per  i  Romani  acquistasse  nome  d' Illirio.  Vero 
però  che  codesta  regione  (sponda  destra  dell'Adriatico)  fu  poi  occupata  dagli 
Slavi,  cacciando  gì'  Illirici  giù  giù  agli  ultimi  confini.  Chi  dice  illirico  dice 
oggidì  slavo,  dalmata,  e  precisamente  della  Dalmazia  più  meridionale  ai 
confini  albanesi.  —  «  Qui  dunque  comincia  la  confusione  delle  idee  ;  ed  è 
per  questo  che  gridiamo  all'errore  ogni  qualvolta  ci  sentiamo  confusi  con 
gli  Illirici  »  (pag.  1 1). 

Nessuno  dei  nostri  letterati  si  è  mai  sottoscritto  con  questo  nome.  Uno 
solo  fa  eccezione  :  Mattio  Flaccio  di  Albona.  E  forse  la  sua  stirpe  sarà  apparte- 
nuta anticamente  a  quei  popoli,  e  il  cognome  lo  indicherebbe  (Francovich). 

Ammesso  adunque  che  gli  antichissimi  Istriani  fossero  stati  Illirici  — 
ciò  che  è  molto  dubbio  —  non  si  può  oggidì  chiamarli  con  questo  nome 
senza  grave  offesa  alla  storia. 

Ed  ora  passa  all'  altro  sproposito  di  regalare  il  nome  di  Liburni  agli 
Istriani.  L'errore  fu  messo  in  commercio  dal  Fanfulla.  —  A  questo  punto 
delinea  i  limiti  dell'odierna  Liburnia,  che  finisce  al  Monte  Maggiore.  Ecco 
che  qualche  scrittore  —  perchè  la  Liburnia  è  stata  ultimamente  legata 
all'  Istria  amministrativa  —  prese  la  parte  per  il  tutto,  dicendo  Liburnia 
anche  l' Istria.  Ma  questa,  neppure  in  antico,  non  ebbe  mai  nulla  di  comune 
con  quella,  ed  Istri  erano  chiamati  i  nostri  progenitori,  ne  mai  furono 
confusi  coi  Liburni. 

Né  è  arbitraria  la  divisione  che  noi  mettiamo  tra  l'Istria  e  la  Liburnia 
mediante  il  Monte  Maggiore.  La  natura  non  ha  lavorato  coi  compassi  della 
politica.  «  La  penisola  nostra,  vista  così  a  colpo  d' occhio  si  rappresenta 
nella  sua  unità  ;  ma  un  più  attento  esame  ai  monti,  ai  fiumi  ci  farà  persuasi 
che  il  territorio  di  là  del  Monte  Maggiore  è  un  prolungamento,  uno  svol- 
gimento naturale  della  costa  croata  che  noi  di  tutto  cuore  abbandoniamo 
alla  Slavia  sorella»  (pag.   13-14). 

Gli  uomini  tuttavia,  per  ragioni  politiche,  hanno  avuto  sempre  la  pretesa 
di  correggere  un  pochino  gli  errori  ed  i  capricci  della  natura,  per  portare 


—  4S4  — 

i  confini  fino  ai  monti  o  ai  fiumi.  I  Romani  posero  il  confine  d'Italia  all'Arsa; 
ma  molto  probabilmente  i  Liburni  al  di  qua  del  Tarsia  devono  essere  stati 
dipendenti  dalla  colonia  di  Pola. 

Adunque  se  i  Romani  prima,  e  i  Veneziani  dopo  hanno  tentato  di 
fare  di  tutta  la  penisola  istriana  una  sola  regione,  ciò  vuol  dire  che  ci  hanno 
avuto  le  loro  buone  ragioni.  Adesso  che  alle  guerre  dinastiche  sono  suc- 
cedute quelle  dei  popoli,  e'  è  da  sperare  che  i  popoli  sappiano  meglio  in- 
tendersi fra  di  loro  con  reciproche  concessioni.  «  Dunque  intesi  :  Istria  di 
qua  del  Monte  Maggiore,  Libumia  di  là»  (pag.  15). 

Del  resto  abbiamo  prove  irrefragabili  che  i  Romani  sapessero  benissimo 
distinguere  l' Istria  dalla  Liburnia.  Vedasi  Scilace,  Strabone,  Tolomeo,  Lu- 
cano ecc.  Abbiamo  di  più  il  testimonio  delle  lapidi,  che  si  trovano  sparse 
qua  e  là,  e  che  distinguono  questa  da  quella  regione. 

«  Fra  tanti  errori  che  furono  stampati  sul  conto  di  questa  povera  Istria, 
quello  che  passa  la  parte,  e  ci  espone  al  pericolo  di  perdere  il  sangue  freddo, 

si  è  il  ritenere  che  gli  Istriani  siano  stati  Uscocchi Invece  è  storico 

che  fra  tutti  i  paesi  che  più  dovettero  soffrire  dalle  scorrerie  degli  Uscocchi, 
il  più  desolato  si  fu  il  nostro»  (pag.  18).  Cita  il  Cosci  che  è  caduto 
in  questo  grossolano  errore  nel  suo  libro  L'Italia  durante  le  preponderanze 
straniere.  «L'errore  del  Cosci  proviene  in  parte  dalla  nostra  storia  intral- 
ciata, e  specialmente  dal  fatto  non  avvertito  della  divisione  dell'  Istria  in 
veneta  ed  austriaca,  ed  in  Istria  propria  e  libumica  »  (pag.  19).  Distingue 
le  ladrerie  uscocche  e  la  grossa  guerra  tra  Austria  e  Venezia  che  dal  16 15 
durò  fino  all'anno  1617,  cioè  alla  pace  di  Madrid.  L'autore  si  serve,  per 
portar  chiaro  nella  questione,  del  Mimici  e  del  Sarpi.  Dice  donde  vennero, 
quali  sedi  abitassero  e  quali  fatti  operassero  gli  Uscocchi,  concludendo  che 
«  ne  l' Istria  austriaca,  ne  la  Liburnia  di  qua  di  Fiume  presero  parte  alle 
scorrerie  degli  Uscocchi,  né  diedero  loro  ricetto,  anzi  furono  al  punto  di 
ribellarsi  ai  loro  stessi  padroni  »  (pag.  24).  —  I  soli  che  si  resero  complici 
degli  Uscocchi  furono  Antonio  Francol  e  Daniele  Barbo,  dei  quali  l'autore 
racconta  le  gesta  (pag.  24-29). 

Discorre  quindi  delle  vicende  dell'Istria  nella  guerra  grossa  tra  Austria 
e  Venezia  e  della  partecipazione  degli  Istriani  e  Liburni  austriaci  a  detta 
guerra.  Prova  a  fil  di  logica  che  né  i  Triestini,  né  i  Goriziani,  né  gl'Istriani 
della  contea  furono  Uscocchi  e  nido  di  Uscocchi.  E  le  ragioni  appariscono 
tanto  più  evidenti,  quando  si  rifletta  alle  cause  di  questa  guerra,  ai  modi 
con  cui  fu  condotta  d'ambe  le  parti.  È  un  fatto  storico  però  che  gli  arci- 


—  455  — 

ducali  hanno  trattato  sempre  in  mala  fede  con  Venezia  nella  questione 
uscocca.  Però  anche  Venezia  si  mostrò  assai  fiacca  nel  far  valere  le  sue 
ragioni,  e  se  la  pigliava  con  poco  senno  coi  villani  della  contea  di  Pisino, 
con  Fiume,  con  Trieste  e  perfino  con  le  saline  di  Zaule.  «  Non  è  più  la 
politica  energica  de'  bei  tempi  ;  già  si  comincia  a  vivere  a  sorte,  per  acci- 
dente, colla  sola  idea  della  prudenza  della  republica:  storiche  parole  più  tardi 
pronunciate  dal  doge  Paolo  Renier  »  (pag.  33).  Non  si  faceva  altro  che 
pallegiarsi  accuse  fra  Veneziani  e  Arciducali,  e  chi  ne  soffriva  erano  le 
popolazioni.  E  gli  par  di  conchiudere  «  che  l'Austria  fu  la  causa  prima  della 
guerra  di  Gradisca  con  la  mala  fede,  la  tolleranza  e  la  protezione  ai  ribaldi 
ladroni  di  Segna,  ma  che  d'altra  parte  Venezia,  anziché  continuare  con  le 
gloriose  tradizioni  del  suo  passato,  e  snidare  gli  Uscocchi  da  Segna,  abusò 
dell'occasione  offertale  per  recar  danni  a  poveri  contadini  rei  di  null'altro 
che  di  essere  sudditi  del  protettore,  e  per  affermare  il  suo  dominio  sulle 
saline  di  Zaule,  fondata  sulla  sofistica  e  un  po'  anche  ridicola  ragione  che  il 
mare  era  suo,  e  quindi  anche  il  sale  che  si  fa  con  l'acqua  di  mare»  (pag.  35). 

Ciò  premesso,  passa  «  a  vedere  le  vicende  di  detta  guerra  per  conoscere 
di  qual  natura  fossero  le  relazioni  degli  Uscocchi  con  Trieste,  con  Gorizia 
e  con  gli  Istriani  della  contea  »  (pag.  36). 

La  prima  comparsa  degli  Uscocchi  in  detta  guerra  avvenne  ai  24  no- 
vembre del  16 15  nelle  saline  di  Zaule.  I  Veneziani  sono  rotti,  e  dopo  quella 
sconfitta  l' Istria  veneta  rimase  aperta  a  feroci  rappresaglie.  Però  i  Veneziani 
si  rifanno,  e  qua  e  là  rintuzzano  le  aggressioni  uscocche.  I  Triestini  in 
quest'incontro,  memori  di  tante  umiliazioni  subite,  con  una  flottiglia  montata 
e  da  Triestini  e  da  Uscocchi,  muovono  all'  impresa  ardita  di  sorprendere 
Palestrina,  ma  sono  colti  nel  golfo  da  una  furiosa  tempesta  e  devono  far 
ritorno  in  Mandracchio.  Questo  è  il  fatto,  unico,  per  cui  Trieste  fu  chia- 
mato nido  di  Uscocchi. 

L' Istria  veneta  si  mantenne  sempre  fedelissima  a  San  Marco.  «  Dove 
era  un  pericolo  da  affrontare,  una  vendetta  da  compiere  ;  dove  più  forte 
il  bisogno,  là  era  l' Istria  ;  là  i  nostri  prodi  combattevano  coi  fratelli,  e 
nessuno  di  questi  ha  mai  mancato  alla  chiama  »  (pag.  41).  Il  Loredano 
piglia  d'assalto  Antignana  (4  marzo  161 6).  I  successori  del  Loredano  con- 
ducono a  buon  fine  altre  imprese,  assistiti  sempre  dalle  cernide  paesane  che 
prestarono  ottimo  servigio. 

Conchiude.  Che  ci  chiamino  Liburni,  che  ci  credano  Illirici,  non  è  vero, 
ma  non  è  un'offesa  ;  ma  il  dirci  Uscocchi,  è  tale  errore  che  passa  la  parte. 
Ecco  la  causa  del  lavoro.  Con  che  ebbe  lo  scopo  :  «  difendere  con  la  storia 


—  4)6  — 

alla  mano  i  diritti  della  gloriosa  nostra  nazionalità,  perche  il  credere  l' Istria 
liburnica,  illirica,  uscocca,  tanto  vale  quanto  credere,  contro  la  storia,  che 
gli  sguardi  degli  Istriani  fossero  volti  di  là  dal  Quarnero,  verso  genti  con 
le  quali  non  abbiamo  mai  avuto  nulla  a  spartire.  Una  protesta  diveniva 
tanto  più  necessaria,  perchè  la  propaganda  slava  è  attivissima,  e  fa  stampare 
libri  anche  all'  estero  che  girano  per  le  mani  degli  studiosi  d' Italia  ;  cosi 
gli  errori  s' infiltrano,  e  certe  frasi  e  motti  buttati  qua  e  là  nei  testi  di  scuola 
e  nei  giornali  si  ritengono  quali  assiomi,  e  il  pregiudizio  si  conferma  nelle 
giovani  menti  »  (pag.  44-45). 

Non  parla  dell'  altro  errore,  perchè  ben  confutato  dal  Luciani  e  dal 
De  Franceschi,  che  i  Croati,  come  dicono  essi  stessi,  vantano  dei  diritti 
storici  sul  nostro  paese,  che  a  loro  non  è  mai  appartenuto.  «  Tra  Istria  e 
Croazia  ci  sono  quelle  famose  colonne  d' Ercole  alzate  da  Dante  là  sul  Quar- 
nero, con  sopra  quei  versi  famosi  che  tutti  sappiamo  a  memoria»  (pag.  45). 

Gli  apprezzamenti  da  me  fatti  in  calce  al  precedente  lavoro,  calzano  a 
cappello  anche  pel  presente. 

fK.  T. 


Il  sentimento  nazionale  degli   Istriani  studiato  nella  storia  — 

Monografia  pubblicata  nel  periodico  La  Provincia  dell'Istria  con  docu- 
menti da  Paolo  Tedeschi,  professore  di  Belle  Lettere  ecc.  —  Editrice 
la  gioventù  di  Capodistria.  —  Capodistria.  Tip.  Cobol  e  Priora,  1889. 

È  un  opuscolo  di  80  pagine  di  sedicesimo  ordinario.  Se  ne  fece  una 
edizione  di  mille  copie  per  la  distribuzione  gratuita. 

Alla  monografia  è  premessa  una  breve  prefazione,  nella  quale,  fra  altro, 
è  detto  :  «  In  segno  di  plauso  al  vecchio  patriota  ed  al  maestro  provetto, 
che  da  ben  mezzo  secolo  sta  sulla  breccia  alto  sventolando  il  vessillo,  che 
reca  nelle  sue  pieghe  a  caratteri  indelebili  impresse  le  glorie  nostre  e  le 
tradizioni  avite,  gli  storici  diritti  e  le  patite  ingiurie,  gli  scoramenti  e  le 
gioie  —  in  segno  di  riconoscenza  a  chi,  sperando  sempre,  rinnova  ne'  tiepidi 
le  speranze  di  un  destino  più  bello  —  in  segno  di  ammirazione,  di  stima 
e  di  affetto  verso  il  brioso  quanto  efficace  nostro  scrittore  —  a  riprova  che 
le  sue  son  opinioni  nostre,  nostri  i  suoi  principi  —  ci  è  nato  il  pensiero 


—  457  - 

di  apprestare  e  di  porgere  in  dono,  a  chi  desideri,  un  migliaio  di  copie  di 
questo  suo  lavoro. 

»  Nel  quale,  con  logica  stringente,  compagna  all'evidenza  de'  fatti,  con 
chiara  piacevolezza  di  dettato,  va  indagando  e  dimostra  quale  siasi  a  traverso 
i  secoli  sviluppato  il  sentimento  nazionale  degli  istriani  :  come  ci  siamo 
sentiti  Istriani  prima,  Italici  dopo,  Italiani  ci  sentiamo  oggi,  che,  come  stella 
in  tenebroso  cielo,  questo  sentimento  brilla  di  più  vivida  luce  ». 

In  queste  poche  righe,  può  dirsi,  è  condensata  la  critica  del  libercolo, 
che  fu  scritto  col  cuore,  senza  mai  però  discompagnare  il  dettato  e  il  sen- 
timento che  vi  traspira,  dalle  ragioni  storico-filosofiche,  incontrovertibili, 
sulle  quali  si  basa. 

L'  autore  esordia  chiedendosi,  se  il  tema  eh'  egli  imprende  a  trattare 
non  possa  sembrar  una  quarantottata.  Risponde  :  che  il  sentimento  nazionale 
è  antichissimo  —  «  l'uomo  fu  prima  membro  della  sua  tribù,  poi  cittadino 
della  sua  città,  quindi  nella  nazione;  si  sentirà  poi  uomo  dell'umanità». 
Ma  per  noi  oggi  è  studio  importante  ed  opportuno,  dal  momento  che  la 
nazionalità  nostra  è  combattuta  dagli  ultimi  venuti.  Ed  ecco  la  ragione  di 
vedere  quali  fummo,  e  «  la  storia  ci  spiegherà  questo  sentimento  (nazionale) 
che  non  è  solo  un  sentimento  ;  ma  un  diritto.  Un  diritto  come  ogni  altro, 
limitato  dal  dovere.  E  la  storia  spiegherà  il  diritto,  detterà  il  dovere  ». 

« In  tutta   l' Istria,   prima  si  siamo  sentiti  Istriani,   Italici  poi, 

Italiani  finalmente  in  senso  moderno  ». 

Colla  scorta  del  prof.  Benussi  (L'Istria  sino  ad  Augusto)  investiga  chi 
erano  e  donde  venuti  gli  antichi  istriani.  La  più  probabile  opinione  si  è, 
che  fossero  Veneti  della  stirpe  tracica.  I  Veneto-Traci  furono  poi  soggiogati 
dai  Celti,  il  che  è  provato  da  fatti  importantissimi;  cioè,  dai  castellieri,  da 
molti  nomi  antichi  di  luoghi  e  di  persone,  ecc.  Poi  venne  la  conquista 
romana,  alla  quale  dapprima  gli  Istriani  resistettero,  ma  poi  vi  si  adattarono 
e  persino  si  affezionarono.  Da  qui  comincia  la  romanizzazione. 

L'  Istria  assoggettata  dai  Romani  fu  subito  aggiunta  alla  Gallia  cisalpina, 
il  che  vuol  dire,  avere  i  Romani  compreso  che  la  nuova  regione  conquistata 
apparteneva  alla  grande  vallata  del  Po.  Gli  Istriani  insorsero  ancora  nel  129; 
ma  fu  un  fuoco  di  paglia.  Fu  presto  doma,  e  sembra  che  subito  dopo  fon- 
dassero le  due  colonie  militari  di  Trieste  e  Pola. 

Durante  i  due  triumvirati,  parteggiò  ora  per  1'  uno,  ora  per  1'  altro  ; 
ma  contro  Roma  non  guerreggiò  più.  Per  ragioni  politiche  nel  42  l' Istria 
fu  staccata  dalla  Venezia,  e  posta  sotto  il  Luogotenente  dell'  Illiria  —  di- 


-  458  - 

visione  momentanea,  che  durò  pochi  anni.  Trieste  però  fu  inclusa  nell'  Italia, 
e  il  confine  fu  segnato  al  Risano  (Formione).  Che  questo  provvedimento 
non  fosse  che  precario,  basterà  dire  che  Ottaviano  Augusto,  cessate  le  guerre 
coi  Giapidi,  tolse  l'Istria  dall'unione  coll'Illirio,  e  la  riunì  nuovamente  alla 
Venezia,  e  per  tal  modo  all'  Italia.  E  ciò  avvenne  probabilmente  nell'anno 
27  a.  C. 

Ed  ecco  che  il  sentimento  nazionale  si  espande.  L' Istria  comincia  a 
guardare  a  Roma  come  a  suo  speglio,  e  una  nuova  vita  si  diffonde  in  paese. 

«  Ed  è  in  memoria  di  questa  prosperiti  e  di  una  passata  grandezza 
che  noi  Istriani  ci  vantiamo  anche  oggi  di  razza  latina,  e  discendenti  degli 
antichi  Romani  »  (pag.  9). 

Esamina  che  cosa  significhi  codesto  vanto.  E  trova  che  il  sentimento 
che  deriva  dal  venire  direttamente  dai  Romani  per  ordine  di  sangue  e  di 
lingua,  è  vivissimo  nei  popoli  latini,  specie  negli  Italiani.  Tutte  le  altre  razze 
non  rinunziarono  mai,  per  amore  della  romanità,  la  loro  stirpe  nazionale. 

Gli  Slavi  poi  non  se  ne  interessano  punto,  e  guardano  alla  Santa  Russia. 
Per  gl'Istriani,  invece,  le  glorie  di  Roma  le  riguardarono  per  glorie  proprie. 
Il  che  significa  «  che  Roma  ci  ha  assimilati,  e  che  nelle  nostre  vene  scorre 
sangue  latino  »  (pag.  io). 

La  storia  di  un  popolo  si  legge  ne'  monumenti.  Di  monumenti  slavi 
l' Istria  non  ne  ha  alcuno.  «  I  monumenti  nostri  dell'  antichità  sono  tutti 
romani,  la  coltura  nostra  prima  romana  ;  noi  quelli  e  questa  conserviamo  », 
gli  Slavi  fanno  di  tutto  per  distruggere. 

L'  assimilazione  degli  indigeni  con  l' elemento  dominatore  fu  favorito 
dalle  famiglie  romane  che  si  stabilirono  nelle  parti  più  fertili  e  nelle  città 
istriane.  In  breve  la  romanizzazione  dell'  Istria  fu  un  fatto  compiuto.  «  Gli 
Istriani  provarono  ....  il  sentimento  nazionale  nel  secondo  stadio  ;  e  furono 
italici.  Più  ovvio  sarebbe  dire  —  romani.  Insisto  sulla  parola  italici  non 
già  in  senso  moderno,  ma  per  indicare  un  sentimento  provato  da  genti  più 
vicine  a  Roma,  abitanti  l' Italia  geografica,  e  governate  amministrativamente 
con  leggi  speciali»  (pag.  12).  E  i  nostri  padri  presero  parte  effettivamente 
alla  vita  romana. 

Poi  tocca  di  due  altre  esplicazioni  del  sentimento  nazionale  italiano 
degli  Istriani  :  la  rapida  e  antica  diffusione  del  cristianesimo,  e  la  persecu- 
zione del  cristianesimo  stesso. 

Gli  Slavi   furono,    invece,   molto  restii  ad  accogliere  il  cristianesimo. 

'«  E  possibile   adunque  che  l' Istria,    secondo  i  sogni  di  alcuni    panslavisti, 

abitata  da  gente  illirica  di  razza  slava,  prima  della  conquista  romana,  abbia 

così  prontamente  accolto  in  casa  nostra  una  religione,  alla  quale  si  mostrò 


—  459  - 

tanto  tempo  così  ribelle,  in  modo  da  esser  obbligata  al  battesimo  con  l'ar- 
gomento della  spada  alla  gola?  No,  no »  (pag.  14). 

E  conchiude,  che  le  tradizioni  ecclesiastiche  si  accordano  con  le  civili; 
la  rapida  e  antica  conversione  degli  Istriani  al  cristianesimo  è  una  prova 
evidente  della  nostra  italianità  ;  le  tradizioni  ecclesiastiche  ci  collegano  ad 
Aquileja  ed  a  Roma. 

Già  il  colosso  è  caduto,  la  romanità  cessa  :  rimane  il  sentimento  na- 
zionale, italico  prima,  italiano  poi.  E  si  accinge  a  dimostrarlo. 

Diviso  l' impero,  «  l' Istria  avea  seguito  le  sorti  della  prefettura,  anzi 
provincia  d' Italia,  continuando  a  rimanere  unita  alla  Venezia,  e  costituendo 
con  quella  una  delle  diciassette  nuove  regioni  italiane  »  (pag.  17). 

Anche  dai  barbari  l'Istria  non  ebbe  a  soffrire  che  brevi  scorrerie;  e 
continuò  ad  esser  soggetta  agli  imperatori  greci,  dipendendo  dall'esarca  di 
Ravenna. 

Tutte  queste  favorevoli  circostanze  «  agevolarono  nell'  Istria  lo  sviluppo 
del  sentimento  nazionale,  e  la  durata  di  quegli  ordinamenti  municipali  di 
origine  romana,  che  più  tardi  in  Lombardia  ed  altre  parti  d' Italia  faranno 
sorgere  e  prosperare  il  Comune»  (pag.  18).  Intorno  al  524  si  fondano  i 
vescovati  '),  e  coi  vescovati  si  erigono  nuove  basiliche,  o  le  già  esistenti 
vengono  ampliate.  E  le  annovera.  Dunque  anche  coli'  architettura  fummo 
sempre  romani,  bizantini  e  italiani.  Una  vera  architettura  slava  non  ha  mai 
esistito  ;  da  noi  poi  non  si  vede  neppur  un  segno  di  mano  slava  nei  nostri 
monumenti  ;  meno  quelli  lasciati  dalle  devastazioni. 

Infatti  l' Istria  fu  saccheggiata  dagli  Slavi  intorno  alla  metà  del  se- 
colo VII. 

«  Nessuno  creda  poi  che  questi  primi  barbari  Slavi  si  sieno  stabiliti  nel 
paese,  e  confusi  colle  genti  latine.  Tra  Slavi  e  Latini  non  ci  fu, ... .  alcuna 
fusione,  l' elemento  germanico  potè  fondersi  col  latino  in  Italia,  non  lo 
Slavo  »   (pag.  21). 

E  nel  700  fecero  gli  Slavi  Vendi  nuove  scorrerie  in  Istria,  distruggendo, 
fra  altro,  la  basilica  di  Muggia  vecchia.  Ricorda  quindi  altre  invasioni  degli 
Slavi,  raccontandone  i  fatti,  e  la  resistenza  sempre  opposta  dagli  Istriani. 


')  Questa  fu  anche  l'opinione  del  dott.  Kandler,  ma  i  nostri  studiosi  di  storia  eccle- 
siastica non  lo  consentirono  —  vogliono,  cioè,  che  i  vescovati  nell'  Istria  sieno  stati  fondati 
molto  tempo  prima.  Vedi  in  proposito  anche  il  lavoro  dell'oli,  dott.  Amoroso  negli  Atti 
della  Società  nel  presente  volume. 


—  460  — 

Ai  Vendi  fecero  sèguito  i  Serbi  e  i  Croati.  Ma  col  regno  di  questi 
ultimi  l' Istria  non  ebbe  mai  nessun  contatto,  né  relazioni.  Però  V  Istria  fu 
conquistata  dai  Longobardi  nel  753  ;  poi  rimase  nel  789  a  Carlo  Magno. 
«Così  il  paese  nostro,  soggetto  al  dominio  dei  duchi,  fu  riunito  al  regno 
d' Italia  »  (pag.  25).  Gli  antichi  ordini  municipali,  sempre  vivi  nell'  Istria, 
vengono  stretti  dal  feudalismo.  Contro  di  che  l' Istria  protestò  nell'  804  nei 
campi  di  Risano  verso  i  Missi  dominici.  Il  Placito,  in  cui  son  registrate  le 
querimonie  degli  Istriani,  «  è  un  insigne  documento  di  romanità,  e  di  vita 
municipale  istriana  nel  secolo  IX  :  forse  una  delle  più  compiute  ed  italiche 
proteste  del  jus  romano  contro  il  feudalismo  in  Italia  »  (pag.  27). 

Rimarchevole  fra  le  proteste  è  quella  contro  il  duca,  accusato  d'aver 
trasportato  gli  Slavi  pagani  nelle  nostre  terre.  Ed  è  provato  che  nell'Istria, 
prima  del  nono  secolo,  gli  Slavi  non  hanno  mai  posto*  stabile  piede. 

Malgrado  le  proteste  però,  le  cose  rimasero  come  prima.  Del  resto 
nelle  città  al  mare  era  viva  e  antica  l'istituzione  municipale  romana;  alcune 
città  poi  «  non  furono  mai  soggette  ai  Franchi,  e  riconoscendo  l'alta  signoria 
di  Costantinopoli,  o  pagando  tributo  alla  vicina  sorgente  Venezia,  conser- 
varono la  loro  libertà  »  (pag.  30).  —  Gli  Slavi  si  sono  sempre  tenuti  nelle 
campagne  e  nei  luoghi  deserti,  né  mai  vennero  nelle  città,  o  nelle  borgate. 

«  Nessuna  assimilazione  fu  dunque  possibile  tra  Slavi  e  Latini  nell'  Istria 
e  nel  Friuli.  Si  esaminino  i  nostri  documenti,  si  studino  le  nostre  storie 
antiche  e  medievali  ;  non  un  nome  si  troverà  di  origine  slava.  Anche  più 
tardi  quasi  tutti  i  nostri  uomini  celebri  recano  cognome  italiano  —  Vergerio, 
Muzio,  Carpaccio,  Santorio,  Tartini »  (pag.  33). 

Col  sistema  baronale  comincia  un  movimento  di  decadenza  nell'Istria. 
Tuttavia  tra  il  900  e  il  1400  il  sentimento  nazionale  trova  modo  di  svol- 
gersi e  di  modificarsi. 

Nello  sfacello  del  secondo  impero  romano,  all'estinguersi  della  dinastia 
dei  Carolingi,  gì'  Istriani  sentirono  l'amore  della  piccola  patria,  e  lo  mani- 
festarono anche  con  modi  barbari,  secondo  consentivano  i  tempi.  Non  nega 
che  una  parte  degli  Istriani  al  mare  si  sieno  dati  alla  pirateria,  quindi  sorgono 
contese  fra  loro  e  i  Veneziani.  Però  una  parte  dell'  Istria  si  acconcia  presto 
con  Venezia,  e  poco  dopo  anche  l'altra,  spronata  dall'esempio  e  dall'interesse. 

Dopo  il  900  sorgono  i  vescovi  feudali.  Spiega  storicamente  perchè, 
dopo  il  detto  tempo,  spariscano  ad  un  tratto  anche  dal  sillabo  dei  vescovi 
'istriani  i  nomi  latini  e  sottentrano  i  tedeschi.  «Questi  prelati  forestieri  non 
lasciarono  però  larga  traccia;  i  loro  famigliari  non  fondarono  isole  germa- 
niche in  Istria  ;   e,   appena   poterono,   si   liberarono  i  nostri   dall'  influenza 


—  461  — 

straniera I  nomi  esotici  slavi  nei  sillabi  dei  vescovi,  e  dei  pievani 

compariscono  pur  troppo  in  questi  ultimi  tempi  »  (pag.  38). 

Ma  il  sentimento  nazionale  istriano  fu  anche  in  lotta  col  marchesato 
e  colla  contea.  Ricordate  le  case  degli  Eppenstein,  degli  Sponheim  e  degli 
Andechs,  accentua  il  fatto  della  divisione  della  provincia,  rilevandone  le 
cause.  Per  ìa  qual  divisione  avemmo  un'Istria  marchesato  e  un'Istria  contea. 
Da  ciò  molti  danni  ;  questa  la  causa  del  nostro  decadimento.  Tuttavia  la 
italianità  si  sviluppò  egualmente  in  tutto  il  marchesato,  anzi  si  dilatò  anche 
nella  contea  (interno  dell'  Istria).  Le  lotte  interne  poi  nelle  città,  e  quelle 
anche  fra  1'  una  e  1'  altra,  «  provennero  da  un  vizio  del  sangue,  furono 
piaga  non  solo  dell'  Istria,  ma  di  tutta  l' Italia  »  (pag.  40). 

Durante  il  dominio  più  o  meno  contrastato  dei  patriarchi  d'Aquileja, 
durato  due  secoli,  il  sentimento  nazionale  ha  dato  prove  di  ammirabile 
tenacità.  «  Tutta  l' Istria  insomma  si  destreggiò,  barcamenando  tra  Veneziani 
e  patriarcali,  pur  di  raggiungere  lo  scopo  che,  come  volevano  i  tempi,  era 
sempre  il  dominio  di  una  città  sull'altra  ;  ma  pel  patriarca  come  patriarca 
nessuno  avrebbe  allora  mosso  un  dito  »  (pag.  41).  Cadde  anche  il  dominio 
patriarchino,  e  nessuno  si  commosse.  Dove  erano  allora,  chiede  1'  autore, 
gli  Slavi  e  i  Croati  ? . . . . 

Intanto  le  città  istriane  andavano  accettando  il  protettorato  veneto,  che 
poi  si  convertì  in  dominazione.  In  questo  tempo  si  andavano  costituendo 
(dopo  la  pace  di  Costanza)  i  Comuni  —  e  li  nomina.  «  Vedano  quindi  i 
fratelli  italiani  come  la  storia  istriana  vada  di  un  passo  con  la  storia  generale 
d'Italia».  I  podestà  forastieri  che  si  eleggevano  erano  sempre  italiani,  e  di 
preferenza  veneziani.  «  Dove  sono  i  podestà  Croati  o  Cranzi  eletti  dai  voti 
dei  liberi  cittadini  ?  Neppur  uno  »  (pag.  44).  E  furono  i  podestà  sapienti 
ordinatori  dei  nostri  Statuti. 

Passa  quindi  a  trattare  dei  Comuni  particolarmente.  Le  città  istriane 
prendono  parte  alla  battaglia  di  Salvore  (1177).  «Anche  l'Istria  avrebbe 
adunque  avuto  la  sua  battaglia  di  Legnano  »  (pag.  45).  E  di  questa  battaglia, 
da  alcuni  non  ammessa,  ricorda  le  memorie  che  ci  rimangono,  e  i  docu- 
menti artistici.  —  Gli  Slavi,  di  questi  ricordi,  fra  noi,  non  ne  hanno  di  certo. 

Stipulata  la  pace  di  Costanza  (1183),  la  vita  comunale  si  manifestò  da 
noi  non  altrimenti  che  altrove.  Avemmo  i  partiti  nelle  città  come  a  Firenze, 
a  Pisa  ecc.  ;  così  le  guerre  fra  città  e  città. 

«  Ma  durante  l'epoca  dei  Comuni,  la  maggior  prova  d' italianità  l'ab- 
biamo data  pur  troppo  nella  secolare  resistenza  contro  Venezia  »  (pag.  49). 

Finche  trattavasi  di  protettorato,  la  cosa  andava  ;  ma  non  così  quando 
trattavasi  di  signoria.  L' Istria  fu  soggiogata  da  Venezia,  non  ottenuta  per 


—  4^2  — 

spontanee  dedizioni.  Pola,  Capodistria  e  Trieste  lottarono  più  d'ogni  altra. 
E  qui  racconta  i  fatti  di  ciascuna  in  appoggio  del  quesito.  Si  ferma  sopra 
tutto  sulla  dedizione  di  Trieste  a  Casa  d'Austria,  spiegandola  col  vivo  de- 
siderio dei  Triestini  di  rimaner  liberi.  Cita  in  appoggio  molti  altri  fatti 
analoghi  riflettenti  città  italiane. 

Ed  eccolo  all'  ultima  parte  del  suo  lavoro  :  il  sentimento  nazionale 
degli  Istriani  manifestato  nella  storia  moderna.  Ma  prima  d'accingersi,  monna 
Prudenza  lo  tenta  di  costa  ;  egli  dice  però  di  non  preoccuparsi  di  stati,  ma 
di  popoli,  «  supremo  bisogno  per  l' Istria  esistere  e  vincere  la  Slavia  irrom- 
pente »  e  tira  via  (pag.  55). 

La  storia  moderna  comincia  per  noi  con  ben  tristi  auspici.  La  lotta 
tra  Venezia  e  1'  Austria  è  più  accentuata  che  mai.  Accenna  alla  lega  di 
Cambrai,  e  alle  cause  che  mossero  Massimiliano  imperatore  a  parteciparvi. 
L' Istria  fu  campo  aperto  di  scorrerie  e  di  guerre.  Molto  le  ha  nocciuto 
l'essere  rotta  nella  sua  unità  naturale.  Ad  ogni  modo  l'Istria  veneta  -  la 
parte  maggiore  —  seguì  in  tutto  le  fortune  di  Venezia  ;  «  ed  è  ammirabile 
scorgere  come  in  così  poco  tempo,  cessata  in  Istria  ogni  memoria  della 
resistenza  secolare  contro  San  Marco,  così  tutti  si  sentissero  attratti  alla 
Dominante  da  fondersi  pienamente  nella  sua  vita,  come  se  da  secoli  fossero 
stati  sudditi  fedeli,  ottenuti  per  ispontanea  dedizione,  non  conquistati  »  : 
prova  questa  della  comunanza  di  stirpe  (pag.  56). 

Si  può  dire  che  dal  secolo  XV  fino  alla  caduta  della  Repubblica,  il 
sentimento  nazionale  dell'  Istria  fu  ristretto  alla  vita  veneziana.  L'  istriano 
smarrì  il  tipo  primitivo,  modificò  il  suo  dialetto,  imitò  in  tutto  le  virtù  ed 
i  vizi  dei  fratelli.  I  nemici  della  Repubblica  sono  nemici  dell'Istria.  Basta 
per  provarlo  Santo  Gavardo. 

Ma  P  occasione  più  favorevole  a  segnalarsi  1'  ebbero  gì'  Istriani  nelle 
guerre  della  Repubblica  contro  il  Turco  e  gli  Uscocchi.  Così  l' Istria  prese 
parte  alla  battaglia  di  Lepanto.  Canea  fu  difesa  eroicamente  da  un  istriano. 
Nella  guerra  degli  Uscocchi  poi,  nella  quale  fu  adoperato  «  tutto  ciò  che 
1'  umana  perfidia  può  escogitare,    una  politica  la  più  iniqua,  le  più  infami 

crudeltà,  tutto »  l' Istria,    che  tanto  sofferse,   si  segnalò  per  valore  e 

per  fedeltà  alla  Repubblica  (pag.  58). 

E  gli  Uscocchi  erano  Slavi,  progenitori  di  quelli  che  oggi  evangeliz- 
zano l' Istria.  A  questi  mali  se  ne  aggiunsero  di  altri,  come  per  esempio 
fé  pestilenze.  Venezia,  decaduta,  tardi  riparava  e  inefficacemente.  Non  com- 
prendeva il  valore  del  possesso  istriano,  trascurò  d' impossessarsi  di  Trieste, 
neglesse  di    comperare  la  contea  di   Pisino   offertale   dall'  Austria,  e  trattò 


—  4^3  — 

l'Istria  come  una  colonia  lontana.  Peggio  ancora,  per  popolare  l'Istria, 
trasportò  in  essa  «  Morlacchi,  Greci,  Cipriotti  scappati  dalla  dominazione 
turca,  ladri  per  lo  più  e  briganti,  e  peggiori  dei  Turchi  stessi.  Cos'i  è  sparita 
la  fisonomia  italiana  dalla  campagna  dell'  Istria,  così  ne  furono  profonda- 
mente alterate  le  sorti;  nomi,  tradizioni,  leggende,  memorie  ....  »  (pag.  60), 
«  E  se  noi  istriani,  dopo  queste  belle  prove  di  amore,  alla  caduta  della  gran 
vecchia,  non  abbiamo  battuto  le  mani,  ma  invece  abbiamo  pianto,  abbiamo 
pregato  e  fatte  anche  le  fucilate  in  chiesa  per  amore  di  San  Marco  ;  e  se, 
oggi  come  oggi,  non  insultiamo  a  Venezia,  come  fanno  gli  Slavi,  ma  a 
malincuore,  a  nostra  difesa,  commiserando,  ne  palesiamo  a  mezza  voce  le 
colpe;  tutto  questo  vuol  dire  che  sangue  italiano,  e  non  croato,  ci  scorre 
nelle  vene,  che  siamo  i  discendenti  dei  Sergi  e  dei  Gionatasi,  e  non  dei 
ladroni  di  Zuanne  Radossovich  :  sia  questa  la  più  bella  prova  del  nostro 
sentimento  nazionale;  sia  questo  il  suggel  che  ogni  uomo  sganni  »  (pag.  62). 
Prosegue  ai  tempi  novissimi.  Con  la  caduta  di  Venezia  e  il  dominio 
dell'Austria,  la  provincia  raggiungeva  la  sua  unità.  Però  abbiamo,  in  senso 
amministrativo,  tre  provincie,  Gorizia,  Trieste  e  l' Istria.  Or  conviene  ra- 
dunarle sotto  la  capital  naturale,  Trieste.  Ricorda  la  festa  del  Pro  Pallia 
tenuta  a  Trieste  addi  18  novembre  1888,  alla  quale  concorsero  tutti  gli 
italiani  che  sono  sotto  l'Austria.  In  confronto  di  quella  festa,  che  cosa  sono 
i  tabor  dei  Croati  ?  I  quali  «  inventarono  la  storiella  di  un'  Istria  sempre 
croata  nella  storia,  e  fanno  quindi  passare  per  Croati  tutti  gì'  Italiani  illustri 
dell'  Istria.  Pare  cosa  incredibile,  pure  vera  »  (pag.  64).  Così  il  professore 
Kukuljevich  nel  suo  Dizionario  degli  uomini  illustri  della  Slavia  meridionale  ! 
Chi  con  questi  argomenti  si  difende,  ha  già  sottoscritto  la  propria  sentenza. 
La  civiltà  croata  è  un  assurdo  nell'  Istria.  E  cita  gli  uomini  nostri  più 
illustri. 

Conclude.  A  difender  oggi  l' Istria  ci  vogliono  ben  altro  che  disquisi- 
zioni storiche.  Fatti  devono  essere  ;  concordia,  anzi  tutto.  Non  è  tempo  di 
trattar  le  cose  con  leggerezza,  col  solo  schernire  avremo  il  danno  e  le  beffe. 
Poi  rivolge  la  parola  agh'  uomini  d'  ingegno  e  di  cuore  della  Slavia  me- 
ridionale. 

Fa  vedere  che  l' Istria  geografica,  con  Trieste,  ha  la  maggioranza  ita- 
liana. Poi  rileva  che  non  tutti  gli  Slavi  dell'  Istria  sono  di  una  stessa  stirpe, 
né  vogliono  saperne  di  Croazia.  Cita  alcuni  fatti  dimostranti  l' intemperanze 
dei  corifei  slavi.  Del  resto,  che  l' Istria  fosse  sempre  italiana  basta  a  pro- 
varlo l'autorità  di  Dante.  E  cita  il  passo  relativo  nel  De  vulgari  eloquio.  Parla 
quindi  dei  diversi  dialetti  istriani,  e  come  la  lingua  degli  antichi  Istriani  si 


—  464  — 

mutò  in  volgare  latino  dopo  l'occupazione  romana.  Altra  letteratura  non  vi 
esiste  in  Istria  che  l' italiana.  Un  popolo,  come  lo  slavo  fra  noi,  che  non 
ha  un  passato  in  un  paese,  è  estraneo  al  paese  stesso.  «  È  la  storia  che 
scioglie  a  noi  lo  scilinguagnolo  ;  non  siamo  e  non  saremo  mai  muti  noi 
Istriani  nella  difesa  della  nostra  lingua  e  della  nostra  civiltà.  Il  passato  ci  è 
garante  :  italiani  fummo,  italiani  siamo,  ed  italiani,  piaccia  o  non  piaccia, 
vogliamo  rimanere  »  (pag.  74). 

Seguono  alcuni   documenti,   che  furono  pubblicati  la  prima  volta  dal 
Cesca  in  pochi  esemplari  per  nozze. 

M.  T. 


Giuseppe  Caprin  —  Marine   istriane.  —  Trieste.  Stabilimento  art.  tip. 
G.  Caprin,  1889. 

È  un  volume  di  380  pagine  di  sedicesimo  grande,  dai  bellissimi  tipi 
e  dalla  carta  sopraffina  dal  color  d'avorio,  il  cui  testo  è  spesso  intercalato 
da  fotografie,  riprodotte  col  sistema  della  fotomeccanica  sullo  zinco,  e  da 
disegni  eseguiti  da  R.  Mainelli,  P.  Fragiacomo,  G.  Defranceschi,  G.  Sa- 
vorgnani,  A.  Tominz,  E.  Scompanni,  G.  Gorzalini,  E.  Croci,  G.  Sigon. 

Dopo  una  breve  prefazione,  1'  autore  divide  il  suo  lavoro  in  quindici 
parti.  —  Nella  prefazione  dice  la  ragione  che  lo  stimolò  a  fare  il  libro, 
cioè  gli  errori  commessi,  trattando  dell'  Istria,  da  antichi  e  moderni  scrit- 
tori ;  mentre  se  il  volume  «  riflette  troppo  il  sentimento  che  lo  lega  al  suo 
paese,  non  s'  allontana  però  dal  vero  ecc.  ». 

La  prima  parte  s' intitola  :  In  San  Michele  di  Murano.  Poco  prima  del 
tramonto  l'autore  si  fa  da  Venezia  portare  a  Murano,  e  strada  facendo  la 
sua  mente  è  assorta  da  immagini  poetiche  e  da  ricordi  storici.  Ricorda  il 
tempo  quando  le  genti,  fuggendo  da  Aquileia,  Concordia  ed  Aitino,  ripara- 
rono su  queste  isole  ed  estuari.  Il  primo  doge,  Pauluccio  Anafesto,  venne 
suggerito  a  quelle  genti  dal  polese  Cristoforo,  patriarca  di  Grado.  «  Ebbe 
così  origine  la  dignità  ducale  per  saggio  suggerimento  e  per  la  efficace  elo- 
quenza di  un  nostro  antenato  »  (pag.  io). 

Sceso  a  Murano,  l'autore  entra  nel  chiostro,  e  ricorda  S.  Romualdo  e  il 
celebre  fra'  Mauro,  che  furono  anche  nell'abbazia  di  Leme  a  Parenzo.  Vede 


—  465  - 

la  tomba  di  fra'  Paolo  Sarpi,  e  ricorda  che,  dopo  la  ferita,  venne  curato  dal 
celebre  medico  capodistriano  Santorio  Santorio.  —  E  col  Sarpi  ricorda  le 
rapine  e  le  stragi  degli  Uscocchi. 

S.  Michele  venne  eretto  colla  pietra  d'Istria  nel  1466.  Venezia  in  questo 

tempo  attingeva  il  massimo  suo  splendore «  In  quella   fratellanza  di 

artisti,  che  diede  rinomanza  al  secolo  XV,  non  mancarono  gl'Istriani»,  e 
li  ricorda. 

«  La  sigla  dell'  Istria  è  dunque  incisa  splendidamente  in  questa  Venezia, 
che  tanti  valorosi  riescono  finalmente  a  svincolare  da  ogni  servitù  di  arte 
straniera  »  (pag.  14). 

Qui  1'  autore  s'  attacca  all'  Istria,  dicendo  eh'  essa  per  quasi  cinque 
secoli  aveva  legate  le  proprie  vicende  ai  destini  della  Serenissima.  Parla 
prima  del  Carpaccio  valente  pittore,  poi  delle  tarsie  di  fra'  Sebastiano  d.> 
Rovigno,  e  delle  pitture  di  Bernardo  Parentino.  Quindi  dell'architetto  Do- 
menico da  Capodistria,  di  B.  Costa  e  G.  Sedula  pure  capodistriani,  e  di 
tanti  altri. 

Da  questo  campo,  con  stile  fiorito,  passa  ai  malori  ed  alle  feste  di  Ve- 
nezia, ai  quali  ed  alle  quali  partecipavano,  in  un  modo  o  nelP  altro,  gli 
Istriani.  «  E  si  vede  ancora  oggi,  nel  centro  di  quella  sala  (delle  Quattro 
porte)  Venezia  tra  molte  deità  condotta  da  Giove  all'Adriatico  ;  cinta  a  destra 
da  molte  virtù  ecc.  ».  E  fra  le  città  «  l' Istria,  per  la  nobile  storia,  con  la 
corona  :  una  delle  gioje  dello  Stato,  ricca  di  porti  per  ogni  armala,  copiosa  di 
boschi  per  servigio  di  Arsenali,  feconda  di  sali,  ogli,  vini,  che  con  felice  usura 
rende  sino  al  vinti  per  uno  »  (pag.  29). 

Cadde  Venezia,  ma  il  suggello  ch'essa  avea  posto  nelle  città  istriane 
dura  tuttavia. 

Dal  Timavo  alla  Rosandra  s' intitola  la  parte  seconda. 

Dice  dei  confini  naturali  dell'Istria,  che  sono  il  Timavo  ad  occidente, 
il  Quamaro  ad  oriente.  Ricorda  la  favola  degli  Argonauti,  poi  si  estende 
sulle  vicende  storiche  di  S.  Giovanni  di  Tuba  e  di  Duino.  Nel  qual'ultimo 
luogo  ricorda  la  venuta  d'Alighieri,  da  dove  passò  all'abbazia  di  S.  Michele 
di  Pola.  Allora  Trieste  e  le  nostre  città  litoranee  ospitavano  molti  profughi 
ghibellini,  fuggiti  da  Toscana.  Ed  oltre  che  da  Dante  la  nostra  provincia 
era  visitata  anche  da  Fazio  degli  Ubcrti,  come  ne  fa  fede  il  suo  Ditta- 
mondo  (canto  III)  ;  e  da  Petrarca,  come  ne  fa  fede  un'  epistola  diretta  a 
Boccaccio,  nella  quale  si  celebra  la  «  dolcissima  tempra  »  del  nostro  clima. 

Dice  la  duinate  schiatta  d'ignota  origine «  stirpe  di  soldati,  e  soldati 

di  campagna,  tutti  coli'  istinto  del  comando  e  della  padronanza  »  (pag.  40). 


—  4^6  — 

Nel  castello  vennero  poi  i  Walsec,  svevi,  ancor  più  temerari  dei  primi 
Dui  nati  ;  poi  gli  Hofer.  «  Oggi  su  quella  rupe  fiorisce  ancora  un  ramo  della 
illustre  famiglia  dei  Torriani,  che  partecipò  alla  Lega  di  Pontida  ed  ebbe 
uomini  di  Stato,  consoli  e  signori  a  Milano,  difensori  della  plebe,  condottieri 
dei  Guelfi,  patriarchi  ed  artisti,  un  ramo  che  giunge  ai  nostri  giorni,  ed 
all'ombra  degli  aviti  trofei  e  delle  molte  memorie  sopravvive  in  una  donna 
gentile  innamorata  della  pace  e  dell'  arte  »  (pag.  43). 

E  del  castello  racconta  le  leggende  e  qualche  fatto  pel  quale  esso  ma- 
niero è  ricordato  nel  mondo  scientifico. 

«  Al  tempo  dei  Torriani il  villaggio  di  S.  Giovanni  aveva  im- 
portanza di  barriera  daziaria  e  fruttava  ai  feudatari  grossa  rendita  con  la 
pesca  del  tonno  »  (pag.  47). 

Ma  poi  il  castello  attuale  subì  molti  restauri,  così  da  non  conservar 
più  pietra  di  quello  eretto  dai  Duinati.  Descrive  la  circostante  campagna, 
ingrata,  la  maremma  e  la  marina. 

E  da  qui  passa  fuggevolmente  a  Trieste,  la  capitale  morale  dell'  Istria, 
delia  quale  non  ardisce  scrivere,  «  poiché  Attilio  Hortis  ne  medita  la  storia 
che  vendicherà  il  non  inglorioso  passato,  suggellando  i  giudizi  con  la  prova 
dei  documenti  »  (pag.  52). 

La  terza  parte  s' intitola  :  La  Vallata  di  Zaitle. 

S' introduce  colla  Rosandra,  torrentello  che  segnava  i  limiti  territoriali 
di  Trieste. 

«  A  Zaule  guerre  e  rappresaglie  frequenti,   feste  e  spettacoli  publici  » 

(pag.  55)- 

Ricorda  un  torneo  qui  tenuto  nel  1224  dai  cavalieri  invitati  da  Mai- 
nardo,  conte  di  Gorizia. 

Oggi  questa  vallata  è  deserta,  abbandonate  le  saline.  I  pochi  salinari 
si  sono  dati  alla  pesca,  e  vivono  poveramente  e  «  non  vi  domandano  mai 
nulla  ». 

Il  borgo  del  Lauro  è  il  titolo  della  parte  quarta. 

S'introduce  col  descrivere  la  parte  antica  e  smantellata  di  Muggia,  di 

quella  Muggia  che  resistette  dapprima  ai  Genovesi  ;  ma  poi  nel  nono  secolo 

dagli  Slavi  e  nel  1354  da  Paganino  Doria  venne  rasa  al  suolo.  Dopo  questa 

distruzione  si  era  «formato  il  nuovo  Borgo  del  Lauro,  e  nel  1263  il  vescovo 

'  di  Trieste  consacrò  la  chiesa  di  S.  Giovanni  e  Paolo  »  (pag.  65). 

Dell'antica  Muggia  non  si  conserva  che  la  chiesa,  di  forma  basilicale, 
che  data   tra  1'  ottavo   e   il   nono  secolo,  tutt'  al  più  il  decimo.  Riassume 


—  4^7  — 

una  Conferenza  tenuta  dal  cav.  D.  Pulgher  su  questa  chiesa  nella  Società 
u"  ingegneri  ed  architetti  di  Trieste.  —  Del  resto  ella  subì  dal  tempo  varie 
trasformazioni. 

Dall'  antica  passa  alla  Muggia  moderna,  al  duomo  di  stile  gotico,  al 
Comune,  del  quale  riassume  brevemente  le  vicende. 

«  La  sua  gente  si  può  dirla  di  sangue  sempre  acceso,  di  una  fierezza 
indomita,  ma  in  pari  tempo  di  carattere  espansivo,  amante  le  pubbliche 
feste  »   (pag.  73). 

Nel  1420  fece  atto  di  dedizione  a  Venezia.  Vanta  cinque  professori  a 
Padova  ecc. 

«  Le  donne  di  Muggia  erano  regatanti  famose  ;  il  loro  volgare  era 
ladino  »  (pag.  77). 

La  gentildonna  dell'Istria,  con  che  l'autore  intende  designare  Capodistria, 
forma  argomento  della  parte  quinta. 

Accenna  qual'era  Capodistria  nel  medioevo.  Durò  peraltro  più  lunga- 
mente di  ogni  altra  città  istriana  sotto  ai  Bizantini.  Neil'  813  fece  patti  con 
Venezia,  e  nel  1278  si  diede  interamente  a  lei,  colla  quale  poi  s'immede- 
simò sempre  più. 

Aveva  la  giurisdizione  su  42  ville,  interpretava  gli  statuti  e  i  patti  ; 
deliberava  (il  podestà)  in  seconda  istanza,  ed  era  la  sola  autorizzata  a  tener 
corrispondenza  diplomatica  con  1'  estero. 

Cinque  podestà  di  Capodistria,  veneziani,  sortirono  1'  onore  di  salire 
al  dogado  ;  uno  dei  quali,  Pier  Gradenigo  (1289),  dalla  vita  istriana  portò 
a  Venezia  le  usanze  democratiche.  —  Del  resto  il  popolo  capodistriano  si 
imponeva  nei  comizi  di  piazza. 

La  città,  dopo  ciò,  «  cresceva  in  fortuna,  la  sua  società  piegava  al  vivere 
aristocratico  e  prosperava  moralmente  »  (pag.  89).  Copiò  da  Venezia  varie 
istituzioni. 

Nel  1553  la  società  si  trasformò;  gli  esercizi  cavallereschi  d'un  tempo 
si  tramutarono  in  letterari,  per  divenire  arcadici  nel  1646.  —  Parla  quindi 
dei  costumi,  delle  mode,  delle  feste  e  degli  onori  che  ebbe  Capodistria. 

Che  essa  fosse  città  agiata  lo  dimostrano  i  quadri  di  valore  eseguiti  da 
autori  celebrati,  il  suo  palazzo  pretorio,  le  ville,  gli  edifizì  dei  nobili,  le 
masserizie  e  gli  utensili  di  casa. 

Naturalmente  che  da  Venezia,  oltre  che  le  arti,  i  costumi  ecc.,  vennero 
trasportati  anche  i  difetti,  le  mollezze  ecc.,  e  persino  «  il  sordo  e  ingiusto 
livore  contro  quella  nobiltà  che  aveva  la  virtù  di  servire  il  paese  nei  più 
augusti  e  nei  più  umili  uffici,  e  nella  quale  il  popolo  doveva  travisare  forse 

13 


—  468  — 

la  miglior  parte  di  se  stesso  »  (pag.  94).  Ed  anche  le  famiglie  nobili  capo- 
distriane  potevano  gloriarsi  di  siffatti  antenati  o  coetanei  che  si  distinguevano 
nei  servizi  resi  alla  patria  sia  colle  armi,  che  colle  lettere  e  coli'  arte.  E 
qui  l'autore  ricorda  di  tutte  queste  categorie  parecchi  campioni  (pag.  95-100). 
Però  resta  ancora  molto  da  rovistare  negli  archivi  del  Comune  e  di 
qualche  casa  privata. 

Dal  tempo  che  Venezia  perdette  Candia,  anche  Capodistria  cominciò 
a  decadere;  ella  conserva  tuttavia  sempre  una  certa  fisionomia  aristocratica, 
«  sicché  vi  sembra  abitata  da  una  grande  famiglia  che  custodisce  le  panoplie 
e  le  reliquie  degli  avi,  e  che  non  si  è  punto  esaurita,  ma  continua  la  storia 
delle  discendenze  nobiliari  »  (pag.  106). 

Descrive  il  bellissimo  e  vecchio  palazzo  del  Comune  dallo  stile  lom- 
bardesco disposato  con  l'archiacuto.  Parla  di  altri  fabbricati  di  stile  gotico, 
della  facciata  del  duomo,  gotica  pure  e  lombardesca,  e  di  altri  oggetti  artistici 
di  rara  bellezza. 

E  dall'esterno  passa  all'  interno  di  alcuni  palazzi,  e  così  pure  delle  chiese 
e  del  convento  di  S.  Anna,  dove  trova  pitture  di  Cima  da  Conegliano,  di 
Vittore  e  Benedetto  Carpaccio,  qualche  incunabulo  prezioso.  A  proposito 
del  quale  ultimo  osserva  che  «  la  tradizione,  confortata  da  un  documento, 
viene  a  dire  che  Panfilo  Castaldi  imprendesse  a  Capodistria  i  primi  tentativi 
tipografici  già  nel  1440  0  poco  dopo»  (pag.  122). 

Infine  si  volge  al  vivere  quieto  della  città  odierna,  e  delle  occupazioni 
giornaliere  dei  suoi  abitanti,  la  maggior  parte  dediti  all'agricoltura.  Ma  vi 
è  ancora  una  rispettabile  casta  di  artigiani,  altra  di  pescatori.  «  Un  altare 
di  legno  sulla  strada  raccoglie  il  rosario  in  certi  giorni  la  vivace  e  turbo- 
lenta popolazione,  che  forse  ignora  come  quella  corona  di  preghiere  ricordi 
la  vittoria  di  Lepanto,  e  ripete  con  un  canto  dolcissimo  le  orazioni  »  (pa- 
gina 129).  —  Ma  a  proposito  di  Lepanto,  soggiungo  io,  vi  è  anche  un 
monumento  che  ricorda  a  Capodistria  quell'avvenimento  storico,  illustrato 
da  ultimo  dal  prof.  Vatova. 

La  parte  sesta  tratta  d' Isola  dei  pescatori. 

Dopo  la  descrizione  d'  un  temporale,  in  causa  del  quale  pericola  una 
barca  di  Chioggiotti,  l'autore  ricorda  una  legge  di  data  17  settembre  1740 
sulle  scale  di  S.  Marco  e  di  Rialto  e  nelle  pescherie,  colla  quale  si  proibiva 
ai  pescatori  chioggiotti  di  pescare  nelle  acque  dell'  Istria,  mentre  si  per- 
'  metteva  loro  di  salvarsi  in  quei  porti  soltanto  quando  vi  fossero  portati 
dalle  burrasche.  Lega  poi  il  temporale  colla  legge  per  far  conoscere  essere 
antiche  le  gelosie  fra  i  pescatori  dell'  una  e  dell'  altra  costa. 


—  469  — 

Isola  si  dedicò  a  Venezia  nel  1280.  Però  «c'era  nel  carattere  isolano 
una  tenacità  quasi  selvaggia  ;  un  senso  d' indisciplina  verso  il  governo  e  di 
rivalità  coi  vicini  »  (pag.  139).  E  divenne  nido  di  contrabbandieri  valenti. 
Del  resto  gì'  Isolani  erano  rematori  famosi,  che  sfidavano  tutti  nelle  regate. 

Famoso  il  vino,  anche  in  antico,  d' Isola,  specie  la  riboia,  celebre  ai 
tempi  del  Boccaccio.  «  Da  Monte  Pucino  sino  all'ultimo  lembo  della  marina 
istriana,  la  vite  ebbe  rinomanza,  ed  il  suo  sugo  prezioso  passava  i  confini 
regionali  e  veniva  ammesso  all'onore  delle  tavole  principesche »  (pa- 
gina  140).  E  in  testimonianza  di  questo  riporta  alcuni  fatti. 

Le  contese  e  gli  asti,  che  nel  medioevo  durarono  sì  a  lungo  tra  un 
luogo  e  1'  altro,  ad  Isola  trovavano  forte  e  continuo  alimento.  Frequenti 
le  risse  perciò  con  Pirano.  Gli  stessi  Statuti  isolani  vietavano  certi  contatti 
coi  Piranesi. 

Ricorda  poi  alcune  costumanze  d' Isola.  La  quale  si  mantenne  fedele 
alla  Repubblica  sino  all'ultima  ora.  Però,  «  mentre  Napoleone  detronizzava 
Lodovico  Manin,  ultimo  doge,  Isola  uccideva  1'  ultimo  suo  rettore  vene- 
ziano »  (pag.   142). 

Anche  Isola  fu  fabbricata  su  di  un'  isola,  mentre  ora  è  congiunta  a 
terraferma.  L'autore  descrive  sommariamente  la  cittaduzza,  e  le  costumanze 
dei  pescatori.  Fra  i  fabbricati  trova,  anch'essa  in  poco  buon  stato,  la  casa 
dei  Besenghi  degli  Ughi  che  abbia  aria  nobiliare. 

I  Besenghi  si  estinsero  col  poeta  morto  nel  1849  di  colèra  in  Trieste; 
il  quale  poeta  lirico  si  legò  ai  Coppo,  ai  Contesini,  ai  Manzuoli,  ai  Tamaro, 
ai  Goina,  agli  Ettoreo,  tutti  uomini  di  buona  fama. 

«  Isola  è  il  solo  paese  dove  la  lavorazione  dei  merletti  continuò  come 
un'orfana  ricordanza,  anche  quando  a  Burano  era  cessata  del  tutto  la  gentile 
industria  veneziana  »  (pag.  149).  E  l'uso  dei  merletti  era  in  Istria  fino  dal 
XV  secolo.  I  merletti  furono  compresi  nelle  leggi  suntuarie,  che  bandivano 
le  perle,  le  cinture  d'  argento  ecc. 

Sbozza  poi  le  costumanze  della  popolazione. 

«  Isola  ha  intorno  a  se  sepolcri  e  reliquie  di  antichità  romane  ;  del 
suo  medioevo  conserva  nel  duomo  un  S.  Sebastiano,  capolavoro  di  Irene 
da  Spilimbergo,  allieva  di  Tiziano,  quindi  la  Madonna  dei  Battuti  di  Palma 
il  vecchio,  ed  un  S.  Giuseppe  del  Santa  Croce.  Il  grande  e  fiero  leone  dalla 
facciata  municipale  guarda  ancora  l'avanzo  del  Fontico  »  (pag.  155). 

Ed  eccoci  a  Pirano,  che  il  Caprili  designa  coll'epiteto  :  La  Salinarola, 
e  che  forma  argomento  della  settima  parte. 

Ricorda  quali  fossero  le  condizioni  sociali  di  Pirano  nel  tempo  di  mezzo. 


—  470  — 

Nel  1300  viene  eretto  il  convento  di  S.  Francesco,  la  cui  chiesa  diventa  il  de- 
voto ritrovo  dei  cittadini  ragguardevoli.  Fra  questa  e  il  duomo,  dei  popolani, 
nacquero  rivalità,  che  si  risolse  in  contesa  asprissima  tra  il  Consiglio  e  il 
Capitolo.  Intervenne  il  Governo  di  Venezia,  che  proibì  di  portar  armi  ecc. 

«  È  degno  di  considerazione  il  fatto,  che  tanto  il  culto  religioso  in 
Istria  quanto  il  carattere  delle  fraglie  e  confraternite  era  informato  alla 
natura  del  paese,  alla  nazionalità  della  chiesa.  Non  riti,  non  feste,  non  santi 
forastieri  »   (pag.  161). 

Le  rogazioni  a  Pirano  erano  doppie  :  le  urbane  e  le  agrarie  ').  Era 
città  di  fortissima  fede  cristiana  ;  essa  ha  dato  un  patriarca  e  sei  mitrati. 
Nel  vallone  di  Pirano  fece  sosta  la  quarta  crociata  condotta  da  Enrico 
Dandolo.  Al  tempo  del  Sanudo  contava  7000  anime,  e  600  uomini  da  fatti, 
cioè  atti  alle  armi.  Vettor  Pisani,  dopo  la  prigionia,  si  recò  a  Pirano  a  far 
gente.  Nello  stesso  tempo  i  Piranesi  si  trovavano  all'assalto  di  Marano.  «  Un 
secolo  più  tardi  Pirano  arma  a  proprie  spese  e  con  propria  gente  venticinque 
barconi  per  la  guerra  di  Ferrara»  (pag.  165). 

Qui  anche  le  donne  erano  valenti  rematrici.  —  Al  Porto  Rose  si  fermò 
il  Morosini,  di  ritorno  da  Negroponte  carico  di  gloria,  salutato  festevolmente 
dai  Piranesi.  —  Le  saline  esistevano  prima  che  Pirano  si  desse  a  Venezia. 

E  Pirano  è  tuttora  la  ricca  salinarola  istriana. 

L'autore  poi  descrive  sommariamente  la  città,  il  duomo,  il  battistero, 
S.  Francesco,  dove  si  conserva,  con  parecchi  ricordi  storici,  una  prege- 
volissima tela  di  Vittore  Carpaccio,  ed  altre  tele  del  Tintoretto,  del  Sas- 
soferrato,  del  Palma  il  giovane,  dell'  Andrea  Celesti,  del  Lazzarini,  e  di 
altri  maestri. 

Ed  altra  pala  di  B.  Carpaccio  è  quella  del  Consorzio  dei  sali  ;  il  Mu- 
nicipio possiede  inoltre  una  grande  tela  del  Tintoretto. 

«  Esistono  ancora  poche  altre  antichità,  fra  cui  gli  avanzi  di  quella 
chiesetta  di  S.  Andrea,  dove  il  popolo  deliberò  di  darsi  alla  Repubblica  di 
Venezia,  che  serve  oggi  di  ricovero  ad  otto  invalide,  e  non  ha  più  forma 
di  tempio  »  (pag.  175). 

Pirano  conserva  nel  suo  archivio  un  tesoro  di  patrie  memorie  :  ducali, 
pergamene,  un  astuccio  di  velluto  con  l'atto  di  dedizione  originale  di  Pirano 
a  Venezia,  documenti  antichi,  statuti,  manoscritti  di  G.  Tartini,  lettere 
autografe  d' illustri  italiani. 


')  E  sono  tuttora. 


—  47i  - 

L' ordinamento  statutario  di  Pirano  precede  quello  di  tutte  le  altre 
consorelle  istriane.  L' indole  del  Piranese  è  schiettamente  allegra,  1'  animo 
docile  e  compreso  di  nobili  sentimenti  ecc.  Quindi  descrive  altri  usi  e 
costumi  della  cittadinanza.  Ricorda  la  casa  e  la  camera  dove  nacque  G. 
Tartini,  e  l' iscrizione  immurata  all'  esterno  della  casa  dei  fratelli  Vana. 

Da  Pirano  passa  alle  saline,  descrivendo  la  vita  dei  salinaroli. 

Da  Salvore  ad  Umago  forma  il  tema  della  parte  ottava. 

Rammenta  la  battaglia  navale  del  1 177  avvenuta  a  Salvore  fra  i  Veneziani 
e  gli  Imperiali,  battaglia  che  alcuni  storici  ripudiano,  ma  che  la  tradizione, 
alcuni  scritti  è  splendidi  dipinti  ricordano.  Da  quella  vittoria  veneziana,  a  cui 
erano  partecipate  le  città  marinare  istriane,  trasse  origine  la  festa  dello  spo- 
salizio del  mare,  che  ogni  anno  si  faceva  a  Venezia. 

Or  di  Salvore  non  resta  che  una  chiesa,  quasi  sempre  chiusa,  e  fab- 
bricata sulle  fondamenta  di  una  più  antica  del  XI  secolo  a  tre  navate.  Sul 
muro  esterno  della  chiesa  una  recente  iscrizione  italiana  ricorda  la  fazione 
su  detta,  mentre  fu  involata  un'  antica  latina  che  testimoniava  il  fatto. 

Detto  brevemente  delle  campagne,  passa  l'autore  a  Sipar,  città  distrutta 
dai  corsari  e  poi  inghiottita  dal  mare.  Nelle  vicinanze,  sulla  punta  di  Catoro, 
il  sig.  Nicolò  Venier  praticò  degli  escavi  denunando  fondamenta  di  edifizì 
romani. 

Arriva  ad  Umago  che  «  ha  l'aspetto  d'una  città  lacustre  ».  Descrittala 
a  brevi  tocchi,  dice  della  sua  popolazione  composta  per  la  maggior  parte  di 
agricoltori,  «  dal  cuor  largo  e  intelligenti  ».  —  Poverissimo  il  palazzo  del 
Comune.  Nel  trasporto  dede  reliquie  di  S.  Marco  da  Alessandria  a  Venezia, 
la  barca  fu  costretta  dal  maltempo  di  far  sosta  ad  Umago. 

Umago  era  in  grado  di  città  vescovile.  Quantunque  si  fosse  data  spon- 
taneamente a  Venezia,  tuttavia  conservò  sempre  molto  affetto  a  Trieste, 
affetto  che  conserva  tuttora. 

A  Seghetto,  nella  casa  dei  nobili  de  Franceschi,  venne  a  riposarsi  il 
grande  ammiraglio  veneto  Angelo  Emo.  —  «  I  de  Franceschi  sono  conti 
di  Candia,  e  provengono  da  una  di  quelle  famiglie  che  abbandonarono 
l'isola,  quando  Venezia  dovette,  dopo  la  disperata  difesa,  cederla  per  trattato 
ai  Turchi  »  (pag.  206). 

Umago  fu  in  varie  riprese  e  dai  pirati  e  dalle  guerre  spopolata.  Da 
ultimo  gl'Inglesi  nel  181 1  abbruciarono  l'archivio  comunale. 

La  parte  nona  s' intitola  :  Alla  foce  del  Quieto. 


—  472  — 

Smontando  alla  riva  di  Cittanova,  il  viaggiatore  s'accorge  subito  che 
la  fronte  delle  case  che  guardano  il  mare  è  costruita  sulle  fondamenta  e  col 
vecchio  materiale  delle  antiche  mura.  Delle  quali  mura  dai  merli  ghibellini 
non  rimane  che  una  falda  a  levante  della  cittaduzza.  Entra  in  città  e  breve- 
mente la  descrive. 

L'  attira  particolarmente  la  chiesa,  edificata  su  un  fabbricato  pagano. 
V  interno  è  del  pari  una  confusione  di  restauri  fitti  in  varie  epoche.  La 
cripta  ricorda  le  prime  catacombe.  E  da  qui  va  alle  sacrestie,  notandovi 
ciò  che  vi  si  conserva. 

Al  di  fuori  della  basilica,  «  non  vi  basta  la  ragione  delle  pestilenze  e 
della  malaria  per  giustificare  l'impoverimento  di  Cittanova»  (pag.  216). 
Il  Comune  ha  però  un  modesto  archivio  e  conserva  religiosamente  il  ba- 
stoncino che  veniva  presentato  al  podestà  veneto. 

Dalla  Podestaria,  per  una  viuzza,  ci  si  reca  alla  loggetta,  «  una  vera 
curiosità  istriana  »,  da  cui  si  prospetta  la  grande  insenatura  del  Quieto  ecc. 
In  questo  bacino  si  raccoglievano  da  ogni  parte  le  barche  per  fare  la  tra- 
versata a  Venezia.  Le  barche  venivano  fatte  sui  cantieri  di  Venezia,  a  cui 
l' Istria  forniva  il  legname.  Da  noi  non  si  fabbricavano  che  i  legni  minori, 
le  barche  da  pesca. 

«  La  pesca  dava  redditi  considerevoli  all'episcopato  ed  alla  popolazione 
di  Cittanova»  (pag.  221).  Ed  ora  i  Cittanovesi  son  divenuti  cavatori  di 
pietre.  —  Per  la  campagna  trovi  sparsi  embrici  e  monete  romane. 

A  Parentium  è  dedicata  la  parte  decima. 

Ferma  l'attenzione  dell'autore  alcune  barchette  dalla  cui  prua  pencola 
un  uomo,  che  guarda  il  fondo  del  mare.  —  Sono  pescatori  di  spugne,  che 
non  appartengono  però  all'  Istria. 

Osserva  vasti  e  ben  tenuti  vitigni,  e  assiste  alla  vendemmia. 

Accenna  a  Parenzo  nell'  età  romana.  E  da  questa  passa  alla  cristiana 
primitiva,  della  quale  conservasi  l'augusta  Basilica  eufrasiana,  che  segna  un 
nuovo  albore  d' incivilimento.  E  descrive  detta  Basilica,  spiegandosi  il  modo 
col  quale  si  è  potuto  qui  edificare  un  monumento  tanto  sontuoso.  Era  la 
corte  di  Costantinopoli  che  profondeva  per  ciò  i  tesori.  Però  non  si  è  ancora 
d'accordo,  ei  dice,  sull'epoca  della  costruzione  di  essa  chiesa.  E  cita  i  vari 
pareri.  Il  Ferstel  dichiarò  che  dal  lato  della  composizione  essa  chiesa  non 
è  superata  da  nessun  altro  monumento  consimile  né  di  Ravenna  né  di  Roma. 

Combatte  il  Jackson  e  il  Pulgher  che  hanno  scoperta,  nel  duomo 
parentino,  una  chiesa  bizantina,  adducendo,  fra  altro,  che  il  cristianesimo 
romano  cercava  l'architettura  originale  per  la  sua  chiesa.  —  Se  ciò  è  vero 


—  473  — 

in  tesi  generale,  io  credo  però  non  s'attagli  in  tutto  al  duomo  di  Parenzo, 
il  quale,  per  lo  meno,  ha  subito  l' influenza  bizantina,  che  fino  alla  metà 
del  secolo  VI  era  venuta  a  ristorare  V  arte  italiana.  Ed  è  quasi  accertato 
che  la  Basilica  eufrasiana  sia  di  quest'  epoca  '). 

Qui  l'autore  annota  altri  oggetti  artistici  che  si  conservano  nella  Basilica. 

E  da  questa  passa  alla  città,  col  suo  aspetto  di  modesta  agiatezza,  con- 
centrata ancora  nei  grandi  ceppi  dei  vecchi  palazzi  veneziani,  onde  impone 
a  tutti  la  domanda  «  se  nel  V  o  VI  secolo  non  fiorisse  per  maggior  ric- 
chezza   »  (pag.  244).  Le  sue  antichità  le  danno  nella  storia  un  posto 

più  ragguardevole  di  quello  che  occupa  presentemente.  E  ne  addita  alcune 
di  codeste  antichità  romane.  Poi  subentra  il  governo  della  Chiesa,  quindi 
quello  di  Venezia,  della  quale  Repubblica  ricorda  alcuni  fatti  riguardanti 
il  luogo. 

E  vennero  anche  per  Parenzo  giorni  di  desolazione  e  depauperamento. 
Ma  ora  si  è  rifatta,  e  «  in  due  stagioni  dell'  anno  essa  è  proprio  allegra 
signora,  che  mostra  l'orgoglio  suo  :  nei  giorni  della  vendemmia  ed  in  quelli 
delle  sedute  del  piccolo  Parlamento  istriano  ».  Dei  quali  due  periodi  intesse 
due  bozzetti. 

//  Castello  dei  vescovi  è  il  titolo  della  parte  undecima. 

Descritta  la  marina  sparsa  di  scogli  e  di  isolotti,  che  cominciano  a 
Parenzo  e  vanno  giù  giù  fin  oltre  a  Pola,  si  trova  ad  Orsera  «  un  castellotto, 
rizzato  sui  ruderi  di  un  fortilizio  romano  »  (pag.  265).  Divenne  feudo  dei 
vescovi  di  Parenzo. 

Bellissimo  il  panorama  che  si  gode  dalla  vetta  di  quel  colle,  specie 
verso  la  marina  sparsa  d' isolotti. 

Ed  eccoci  a  Rovigno,  nella  duodecima  parte,  intitolata  :  La  popolana 
del  mare. 

Entra  a  Rovigno  per  mare  seduto  sui  fasci  di  sughero  delle  reti  d'un 
bragozzo,  il  cui  padrone,  rovignese,  gli  racconta  fatti  marinareschi  della 
sua  città. 

Della  quale  ultima  descrive  la  parte  antica  prima,  poi  la  nuova,  rian- 
dando così  i  momenti  storici  principali,  il  governo  del  Comune  ecc.  ecc. 


')  Rimetto  il  lettore,  in  questo  proposito,  al  lavoro  dell'avv.  A.  Amoroso  pubblicato 
in  questo  stesso  fascicolo  negli  Atti  della  Società. 


—  474  — 

Quindi  passa  alle  chiese,  a  S.  Eufemia,  al  campanile  isolato,  documento 
della  nazionalità  istriana  anche  nelP  architettura  religiosa. 

E  tocca  delle  antiche  discordie,  e  della  concordia  eroica  nei  momenti 
dei  supremi  bisogni. 

Dal  colle  di  S.  Eufemia  eccolo  a  quello  di  S.  Francesco.  Dice  delle 
viuzze  e  dei  contrasti  di  luce  che  vi  riscontra.  Delinea  la  vita  cittadina, 
per  lo  più  allegra,  il  vestire  dei  popolani  ;  par  di  assistere  «  ad  una  con- 
tinua apparizione  di  figure  che  direste  fuggite  dalle  tele  di  Favretto  o  di 
Mainella  ». 

Ricorda  le  feste  popolari,  particolarmente  le  Rogazioni.  Finisce  il  ca- 
pitolo col  narrare  alcuni  fatti  succeduti  al  tempo  della  caduta  della  Repub- 
blica veneta. 

Tra  le  isole  dei  Brioni  è  intitolata  la  parte  decimaterza. 

Parla  di  Dignano,  che  sarebbe  un  aggregato  di  sei  ville.  Venuta  in 
fortuna,  strinse  in  mano  tutto  il  commercio  del  territorio,  fatta  centro  stradale 
dell'  ultimo  lembo  della  Provincia.  I  Veneti  la  chiamarono  nobile  castello. 
«Nel  1600  era  già  una  considerevole  città  di  campagna,  dalla  popolazione 
vispa,  fatichevole  e  contenta  »  (pag.  307).  Narra  come  vestivano  allora  gli 
uomini  e  le  donne,  e  quali  erano  le  feste  e  i  costumi. 

La  città  è  sempre  attiva,  in  una  costante  vivacità.  Parecchi  edifizi  pub- 
blici sparirono.  «  Il  duomo,  che  conta  un  centinaio  d'anni,  venne  alzato 
sul  modello  del  S.  Pietro  di  Castello  di  Venezia,  che  appartiene  all'archi- 
tettura palladiana  »  (pag.  309).  Rileva  l'architettura  d'alcune  case,  e  ricorda 
un  prezioso  monumento  di  pittura  (il  lato  di  un'arca)  del  1321,  dovuto 
alla  badessa  Tommasina  Vitturi. 

Or  le  donne  sembrano  tante  brianzole.  Caratteristici  i  canti  popolari. 

«  Il  porto  naturale  di  Dignano  è  Fasana,  una  borgata  marina  intorno 
alla  quale  1'  archeologia  ha  scavato  preziosi  avanzi  di  villini,  di  bagni,  di 
canali,  di  strade  dell'epoca  romana». 

Dinanzi  a  Fasana,  i  Brioni  che  chiudono  l'orizzonte.  Sull'isola  maggiore 
e'  è  qualche  casa  colonica,  e  una  bella  possessione  ;  la  minore  invece  è  de- 
serta. Racconta  un  fatto  avvenuto  in  questo  mare,  pel  quale  fatto  già  nel 
15 12  si  accennerebbe  ad  un  tentativo  dei  palombari. 

Chiude  il  capitolo  il  ricordo  della  battaglia  navale  qui  avvenuta  nel 
maggio   1379  tra  Luciano  Doria  contro  Vittor  Pisani. 

La  decimaquarta  parte  s' intrattiene  con  Polii. 

Entrando  nel  porto  di  Pola  vi  sentite  investito  da  un  soffio  di  guerra. 


—  475    - 

La  terra  è  piena  di  ricordi,  come  sparsa  di  ceneri  e  di  reliquie.  La  moderna 
citta  è  tutto  un  arsenale  ;  ma  il  forastiero  corre  in  traccia  di  quei  monu- 
menti che  ricostituiscono  due  millenni. 

Ed  eccoci  dinanzi  al  tempio  d'Augusto,  «  che  è  una  gemma  dell'arte 
romana,  uno  dei  pochi  gioielli  rimasti  intatti,  che  dimostra  sovranamente 
la  gentilezza  dei  concetti  architettonici,  che  si  coltivava  già  nell'  anno  40 
dell'era  volgare.)  (pag.  327).  E  lo  descrive  narrandone  le  vicissitudini. 

Narra  perchè  Pola  fosse  chiamata  dai  Romani  Pietas  Julia.  Era  stazione 
commerciale  tra  l'oriente  e  l'occidente.  A  metà  del  primo  secolo  dell'era 
volgare  contava  già  30  mila  abitanti,  e  sorgeva,  come  Roma,  sui  sette  colli 
che  si  elevavano  davanti  alla  sua  marina.  Sul  poggio  principale,  serrato  da 
mura  e  torri,  il  Campidoglio.  Verso  il  mare  il  Foro,  e  in  fondo  i  due  templi 
gemelli  dedicati  a  Roma  e  ad  Augusto.  Poi  altri  templi  ancora,  e  il  teatro, 
e  l' arena,  e  il  campo  Marzio.  Dintorno,  nelle  isole,  i  ricchi  palagi  ed  i 
giardini. 

Pola  era  anche  porto  militare,  dove  si  eseguivano  le  riparazioni  sui 
legni  che  stavano  a  guardia  delle  acque  gradensi  o  ravennate. 

Dodici  porte  davano  uscita,  sette  dalla  parte  del  mare,  cinque  dalla 
parte  di  terra.  Di  queste  rimangono  porta  Gemina,  porta  Ercole  e  porta 
Aurea. 

Parla  poi  delle  strade  che  facevano  capo  a  Pola,  divenuta  lo  scalo  dei 
prodotti  di  tutti  i  paesi  al  di  qua  dei  Balcani.  Imperatrici  e  amanti  di  im- 
peratori venivano  qui  a  far  campagna.  Qui  visse  la  celebre  Cenide,  con- 
cubina di  Vespasiano,  che  alcuni  vogliono  istriana. 

Questa  donna  gli  richiama  alla  memoria  l'Arena  di  Pola,  della  quale 
racconta  brevemente  le  avventure.  Venezia  voleva  demolirla,  ma  il  senatore 
Gabriele  Emo  vi  si  oppose. 

«Non  ostante  gl'insulti  subiti  per  quasi  un  millennio,  l'Anfiteatro  di 
Pola  è  tuttavia  il  documento  più  completo  di  quel  genere  di  fabbriche  che 
protrassero  così  lungamente  la  mostruosa  caccia  agli  uomini  »  (pag.  350). 
—  Fatta  una  breve  descrizione,  ne  sfiora  la  letteratura  del  monumento. 

Dai  tempi  romani  s'introduce  nei  cristiani.  Incomincia  colla  Beata 
Vergine  del  Canneto  costruita  dal  vescovo  Massimiano.  Dopo  questa,  ri- 
corda S.  Stefano,  S.  Francesco,  S.  Michele  e  finalmente  il  Duomo  —  che 
probabilmente,  io  credo,  per  ordine  di  tempo  sarà  il  primo. 

Pola  diventa  la  capitale  dell'  Istria  bizantina.  I  vescovi  portano  il  titolo 
di  conti  di  Gallesano.  Poi  i  patriarchi  d'Aquileja  nominano  a  propri  vicari 
di  Pola  i  Sergi,  che  diventarono  conti  di  Castropola.  Accenna  ad  alcune 
avventure  di  costoro. 


-  476  — 

Comincia  la  decadenza  della  citta.  «  Mentre  Dante  arriva  e  va  ad  abitare 
nell'abbazia  di  S.  Michele,  Pola  è  uno  splendido  scheletro  romano  »  (pag.  357). 
Nel  133 1  si  dà  a  Venezia,  dopo  esser  stata  dalla  stessa  severamente  punita 
per  aver  fatto  causa  comune  coi  suoi  nemici. 

Pola  aveva  già  dato  due  dogi  a  Venezia  :  il  Tradonico  e  il  Polani.  — 
Col  tempo  si  rianimò  il  commercio  di  Pola,  e  con  esso  la  vita  ;  ma  poi 
vennero  le  pesti  e  i  saccheggi  dei  Genovesi,  che  la  spopolarono.  Si  cercò 
di  portarle  sollievo  facendo  immigrare  nella  campagna  Morlacchi,  Cipriotti, 
Zaratini  ecc.  Ma  anche  l' aria  si  era  fatta  pestilenziale.  Tutto  concorreva 
insomma  a  depauperarla. 

Sul  Carnaro  è  il  titolo  dell'  ultimo  capitolo  (XV). 

Oltrepassata  Pola  viene  al  canal  di  Veruda,  dove  furono  cave  famose, 
da  cui  si  trasse  tutta  d'un  pezzo  la  cupola  per  il  mausoleo  di  Teodorico 
in  Ravenna. 

Poi  si  trova  sul  Quarnaro,  sulla  cui  costa  istriana  non  si  vede  più  un 
solo  paese.  In  fra  terra  e'  erano  qui  nei  tempi  preromani  Mutila,  Nesazio, 
Faveria.  —  A  Fianona  l' Istria  è  al  suo  termine. 

«  In  alto,  come  posta  a  vedetta,  di  qua  dell'Alpe,  con  le  case  serrate 
insieme,  torreggia  Albona,  patria  di  Flacio  »   (pag.  373). 

La  sua  origine  è  antichissima.  La  strada  militare  romana  attraversa  il 
suo  agro.  Fu  Comune  romano  italico,  poi  soggetta  alle  violenze  di  quanti 
corsero  l' Istria.  Assoggettata  dai  patriarchi  d'Aquileja  vi  rimase  sotto  il  loro 
dominio  fino  al  1420,  epoca  della  dedizione  a  Venezia. 

Cacciò  eroicamente  gli  Uscocchi  (1599).  Ricorda  quel  che  resta  in 
Albona  di  notevolmente  storico.  Accenna  a  Flacio  rinomato  apostolo  della 
Riforma.  Del  resto  la  sua  storia  è  quella  dell'  Istria. 

L'autore  finisce  così  il  suo  libro: 

«  Noi  ci  allontanavamo,  la  scolta  alpina  splendeva  nel  lume  di  un  fascio 
di  raggi  solari.  Avevamo  il  vento  sulla  via,  la  prora  del  bragozzo  tagliando 
il  mare  si  adornava  di  un  doppio  strascico  di  spuma. 

»  —  M'  ascolti,  disse  il  padrone,  non  si  dimentichi  di  una  cosa  :  porti 
il  nostro  saluto  ai  lettori  delle  sue  Marine  ! 

■M.  T. 


—  477  — 


Giuseppe  Caprin  —  Lagune  di  Grado.  —  Trieste.  Stabilimento  art.  tip. 
G.  Caprin,   1890. 

È  un  volume  di  329  pagine,  dalla  forma  esterna  eguale  a  quella  del 
libro  che  ho  passato  poc'  anzi  in  rivista,  dall'  istessa  carta  e  tipi  ecc.  Qui 
pure  il  testo  è  spesso  illustrato  da  fotografie  e  da  disegni  eseguiti  dagli 
artisti  signori  :  G.  Defranceschi,  N.  Girotto,  prof.  E.  Nordio,  G.  Savorgnani, 
prof.  E.  Scomparini. 

Di  pochi  periodi  consta  la  prefazione.  Di  Grado  non  si  avevano  che 
poche  ed  incomplete  notizie.  Saccheggiata  tante  volte  la  città,  e  abbruciati 
da  ultimo  i  suoi  archivi  per  mano  degli  Inglesi,  i  documenti  andarono 
dispersi  o  distrutti. 

Restava  tuttavia  Venezia,  i  cui  preziosi  archivi  e  le  cospicue  biblioteche 
conservano  laddiomercè  tante  e  tante  cose  che  il  pubblico  ancora  ignora.  Fu 
là  che  il  signor  Caprin  trovò  quanto  gli  faceva  di  bisogno  per  condurre  la 
sua  impresa,  che  ora  abbandona  al  giudizio  del  pubblico  —  coll'avvertenza 
che  1'  autore  sa  di  non  aver  scritto  tutta  la  storia  di  Grado. 

E  comincia  il  suo  libro  con  La  Centenara,  che  è  una  lingua  di  terra 
isolata,  già  feudo,  che  affanga  nella  palude.  Da  questo  l'autore  è  trasportato 
a  parlare  del  grande  albero  della  famiglia  Gradenigo,  derivata  dal  ceppo  dei 
fuggiaschi  aquileiesi,  poi  divisa  tra  Venezia  e  Grado,  la  prima  immatricolata 
nel  libro  d'oro,  la  seconda  rimasta  plebea,  passata  da  ultimo  ai  servizi  dei 
Savorgnan  e  dei  Colloredo  padroni  consecutivamente  del  feudo.  —  A  questo 
esordio  innesta  e  vi  si  diffonde  sulle  varie  tradizioni  dell'origine  di  Grado. 

I  Savorgnan  vennero  coi  Longobardi,  un  Volchero  ne  sarebbe  il  ca- 
postipite. Da  questa  famiglia,  al  tempo  della  dominazione  franca,  vennero 
possenti  feudatari,  e  da  stranieri  che  erano,  diventati  italiani  di  azione  e  di 
sentimenti.  Tant' è  vero  che  diventano  «conti  palatini,  patrizi,  vicedomini, 
marchesi  d'Istria»  (pag.  16).  Uno  di  questi,  Tristano,  ancor  fanciullo,  pu- 
gnala nel  suo  orto  il  patriarca  Giovanni  IV.  In  breve  divengono  i  signori 
di  Udine. 

Da  questa  antica  famiglia  i  conti  Colloredo  acquistano  la  Centenara, 
non  appena  caduta  la  Repubblica  di  Venezia.  Fra  i  Colloredo  e  i  Savorgnan 
esisteva  antica  nimicizia,  e  parecchie  sono  le  vicissitudini  loro.  I  Colloredo 
però  si  erano  sparsi  per  tutte  le  corti,  in  qualità  di  «  paggi,  ambasciatori, 
vessilliferi,  maestri  di  spada  »  (pag.  19).  Erano  entrati  in  Italia  stranieri  dalla 


-  478  - 

Franconia  ai  tempi  di  Corrado  il  Salico.  Almeno  li  troviamo  a  quel  tempo 
combattenti  con  le  truppe  di  Popone  patriarca  di  Aquileja.  —  Si  fu  in 
questo  tempo,  che  la  sventura  affratellò  tutti  i  rifugiati  sulle  isole,  da  Grado 
a  Cavarzere,  suggerendo  «  un  semplice  governo  di  padri  di  famiglia  »  (pa- 
gina 22). 

Veniamo  al  II  capitolo  che  è  intitolato  Le  città  di  legno,  dal  modo  con 
cui  furono  costretti  di  ripararsi  i  rifugiati  sulle  lagune.  E  come  Grado  fu 
occupata  dagli  Aquilejesi,  così  a  Caorle  ripararono  quelli  di  Concordia,  a 
Eraclea  quelli  di  Opitergio,  ad  Equilio  e  a  Torcello  quelli  di  Aitino,  mentre 
i  Padovani  s' impossessarono  di  Malamocco  e  delle  Reaitine,  e  i  nobili  di 
Este  e  Monselice  si  trasportarono  sulle  velme  di  Chioggia  e  Capo  d'Argine. 
—  E  i  profughi  dovettero  lottare  lungamente  e  colle  sabbie  e  col  mare 
prima  di  consolidare  le  loro  stabili  dimore.  Intanto  «  le  barche  potevano 
dirsi  le  loro  seconde  case,  il  mare  era  la  loro  seconda  patria  »  (pag.  29). 

Nel  452  Grado  non  era  che  un  castello  e  una  villeggiatura.  Ma  esisteva 
molto  tempo  prima,  come  risulta  dai  nuovi  ritrovati  archeologici.  Ad  ogni 
modo  l'odierna  «  Grado  si  è  formata  nel  V  secolo  sotto  gli  occhi  e  davanti 
alle  armi  di  Attila  »  (pag.  34).  Fu  il  patriarca  Secondo,  seguito  dal  clero, 
portando  seco  gli  arredi  sacri  e  le  reliquie,  che  riparò  siili'  isola.  Allora 
sorsero  i  nuovi  edifizì  e  alcuni  anni  dopo  il  tempio  maggiore  di  S.  Eufemia. 
Così,  poco  stante,  divenne  «  la  metropoli  di  tutte  le  isole  e  per  quasi  due- 
cento anni  vuoisi  dirigesse  le  sorti  della  Venezia  palustre»  (pag.  36).  Vuoisi 
che  il  patriarca  Niceta  formasse  un  governo  politico  con  la  nomina  del 
Tribunato  :  il  primo  dei  tribuni  risedente  in  Grado.  «  Una  raunanza  nel 
696,  posto  che  la  data  ci  sia  pervenuta  con  esattezza,  privò  Grado  della 
supremazia  del  Tribunato  :  un  anno  più  tardi,  a  fine  di  metter  termine  alle 
discordie,  per  saggia  proposizione  di  Cristoforo  istriano,  patriarca  di  Grado, 
si  nominò  un  doge  ed  Eraclea  divenne  la  residenza  del  principe » 

(pag-  39)- 

Il  III  capitolo  s' intitola  La  Madre  di  Venezia. 

«  Grado,  privata  dalla  supremazia  politica,  conservava  tuttavia  la  ve- 
neranda autorità  e  potestà  ecclesiastica  ;  teneva  sempre  la  reggenza  degli 
animi  di  tutti  gli  abitanti  lagunari  »  (pag.  43).  GÌ'  imperatori  bizantini  pro- 
teggevano la  chiesa  di  Grado.  La  qual  città  stava  distesa  sopra  un  terreno 
dalla  forma  di  una  lama  falcata  ;  pareva  un  grande  castello  a  torri,  fian- 
cheggiato da  una  macchia  di  alberoni.  Il  duomo  s' imponeva  con  la  sim- 
bolica prescritta  dalle  discipline  del  primo  cristianesimo.  Il  patriarca  Fortu- 


—  479  — 

nato  chiamò  a  decorarla  i  più  insigni  artefici  della  Francia.  A  Grado, 
«  seconda  città  dopo  Roma  die  possedesse  il  maggior  numero  di  corpi 
santi  »  (pag.  50)  correvano  in  pellegrinaggio  molti  credenti,  i  quali  arric- 
chivano in  tutte  guise  quel  tesoro.  Il  doge  Orseolo  II,  prima  di  recarsi  a 
fugare  i  pirati  che  infestavano  l'Adriatico,  poggiò  a  Grado  dove  ricevette 
lo  stendardo  dei  SS.  Ermagora  e  Fortunato,  e  questo  fu  buon  augurio  delle 
sue  imprese.  Lo  stendardo  glorioso  fu  poi  restituito  alla  sua  residenza.  Quindi 
Orseolo  fece  erigere  a  Grado  un  palazzo  cui  andava  ad  abitare  quando 
voleva  riposarsi  dalle  fatiche  del  governo. 

L'  autore  dedica  il  IV  capitolo  al  Patriarcato. 

Parla  d'Aquileja  e  della  sua  importanza  commerciale  e  strategica.  Con- 
vertita alla  religione  cristiana,  nel  IV  secolo  ebbe  già  «  regole  liturgiche, 
vesti  proprie,  vasi,  gerarchia  ecclesiastica;  nel  347  Fortunato  eresse  la  ba- 
silica aquilejese  (non  credo  che  l'autore  voglia  dire  la  presente),  e  il  primo 
dei  vescovi  a  chiamarsi  patriarca  fu  Paolino,  nel  557,  accusato  più  tardi 
della  usurpazione  di  un  titolo  che  non  gli  spettava.  I  canoni  antichi  rico- 
noscevano soltanto  le  cinque  sedi  patriarcali  di  Roma,  Alessandria,  Antiochia, 
Gerusalemme  e  Costantinopoli  »  (pag.  56). 

Il  patriarcato  di  Grado  venne  da  Aquileja;  ebbe  vita  quando  cessò  il 
litigio  scismatico,  durato  trenta  lustri  in  seno  alla  chiesa.  Gregorio  II,  nel 
concilio  del  731  assegnò  i  territori  ai  due  vescovi,  stabilendo  la  cattedra  di 
Grado,  staccata  dalla  diocesi  antica.  Dopo  alcuni  vescovi  salì  la  cattedra  di 
Grado  il  triestino  Giovanni  (a.  766),  il  quale  ricorse  dal  pontefice  Stefano  III 
contro  le  violente  pretese  del  suo  vicino  ed  obbligare  al  rispetto  le  ribelli 
diocesi  istriane.  Trovò  brighe  coi  dogi  Giovanni  e  Maurizio  Galbai  di  Ve- 
nezia, e  questi  lo  fecero  precipitare  dalla  torre  più  alta  «  sicché  il  sangue 
dell'  ucciso  si  rapprese  sulle  pietre  del  lastrico  »  (pag.   59). 

Intanto  erano  venuti  i  Franchi,  i  quali  tolsero  le  chiese  dell'  Istria  alla 
sede  di  Grado  per  sottometterle  alla  rivale  Aquileja.  Le  contese  si  rinfo- 
colano, i  partiti  si  accentuano,  il  patriarca  Fortunato  è  uno  dei  caporioni. 
Grado  é  assalita  da  Pipino  (809)  che  vi  smantella  le  mura.  Le  quali  ven- 
gono poi  restaurate  dallo  stesso  Fortunato,  che  finì  fiaccato  nell'abbazia  di 
Moyen-Montier  nell'  82  j. 

Ed  eccoci  agli  Ecclesiastici  della  spada  che  formano  il  tema  del  V  ca- 
pitolo. 

Venezia,  fatta  padrona  di  sé,  inizia  la  grande  epoca  dei  marinai  italiani. 


—  480  — 

«  A  Grado  era  sorta  la  chiesa  nazionale,  in  Aquileja  la  cattedra  si  era 
mutata  in  un  feudo  germanico  ;  la  prima  formava  un  corpo  esclusivamente 
ecclesiastico,  con  limitate  funzioni  civili,  la  seconda  costituiva  una  corte 
sfarzosa  e  romoreggiante  di  ecclesiastici  della  spada  »  (pag.  79). 

Al  patriarcato  di  Grado  ricorrono  spesso  figli  di  nobili  veneti.  E  Venezia 
stessa  era  sorta  mercè  i  vescovi  di  Grado,  i  quali  tenevano  nella  prima  un 
palazzo  per  abitarvi  qualche  tempo  dell'anno.  In  mano  del  patriarca  i  dogi 
nei  primi  tempi  prestavano  il  giuramento  di  fedeltà.  Il  patriarca  Buono 
Blancanico  promosse  nel  954  un  sinodo  in  S.  Marco  per  impedire  il  com- 
mercio degli  schiavi  cristiani  ecc.  ecc.  All'  investitura  del  patriarca  conve- 
nivano i  maggiori  dignitari  della  Repubblica. 

Ma  il  principato  vescovile  di  Aquileja  estendeva  la  sua  giurisdizione  su 
17  diocesi  dell'ampio  territorio  che  andava  dal  lago  di  Como  al  Quarnero. 

«  Dal  secolo  X  in  poi  ad  ogni  novello  patriarca,  nel  giorno  in  cui  se 
ne  proclamava  la  consacrazione,  usavasi  consegnare  una  spada  sguainata  in 
segno  del  suo  temporale  dominio  »   (pag.  85). 

Quasi  tutti  gì'  imperatori  avevano  accordato  alle  terre  patriarchine  la 
investitura  principesca.  Enrico  lo  Zoppo  donò  al  patriarcato  la  contea  di 
Istria.  Altri  sovrani  gli  cedettero  castelli,  abbazie,  chiese,  paesi.  Così  il  pa- 
triarca era  diventato  il  guardiano  ecclesiastico  che  disponeva  di  una  delle 
chiavi  d' Italia. 

«Da  Engelfredo  in  giù  (944-1351),  il  patriarcato  diventò,  in  paese  di 
genti  italiane,  un  isolotto  germanico,  con  una  successione,  rare  volte  inter- 
rotta, di  metropoliti  tedeschi,  la  cui  corte,  foggiata  sul  sistema  teutonico, 
con  cariche,  titoli  e  cerimonie  tolte  ai  Franconi,  era  spesso  convegno  di 
poeti  bavari,  menestrelli  del  liuto  »   (pag.  86). 

E  qui  l'autore  parla  brevemente  del  governo  patriarchino,  del  sistema 
monetario,  dei  balzelli,  dei  costumi,  più  belligeri  che  ecclesiastici.  In  pochi 
tratti  riassume  le  gesta  di  Federico,  Popone,  Raimondo,  Pagano  della  Torre, 
Gregorio  di  Montelongo,  Volchero,  Giovanni  IV,  Bertrando,  Federico, 
Gastone  Tornano. 


Il  Zioba  grasso  forma  l'argomento  del  VI  capitolo. 

Nel  dodicesimo  secolo  Grado  presentava  l'aspetto  d'una  città  «  nascosta 
dalle  mura  come  una  testuggine  dal  guscio  »  (pag.  93).  Aveva  in  quel  torno 
"sofferto  un  grande  incendio  che  buona  parte  l'avea  distrutta.  Era  retta  da 
un  gastaldo,  che  rispettava  il  codice  primitivo  delle  poche  leggi  fatte  in 
famiglia.  Sessanta  delle  sue  principali  famiglie  erano  passate  a  Venezia. 


—  481  — 

Il  duomo  era  lastricato  di  tombe  ;  ivi  riposavano  i  vescovi  che  tro- 
varono rifugio  in  essa  città.  Neil'  atrio  custodiva  una  lastra  il  corpo  del 
doge  Pietro  Candiano.  Ma  S.  Eufemia  era  stata  deturpata. 

Il  patriarca  Popone  ottenne  dal  papa  una  bolla,  con  cui  la  chiesa  di 
Grado  veniva  posta  all'  immediata  dipendenza  di  Aquileja.  Poi  la  saccheggiò 
barbaramente  pigliando  una  propizia  occasione.  Quindi  il  doge  Ottone  e 
il  patriarca  gradense  Orso  riconquistano  la  città  che  teneva  un  presidio 
dell' aquilejese.  Papa  Giovanni  IV  rimetteva  Grado  nei  suoi  antichi  diritti. 

Le  rivalità  dei  patriarchi  d'  Aquileja  non  cessarono.  Quelli  di  Grado 
erano  di  molto  impoveriti,  fino  a  chiedere  l'elemosina.  Voldarico  d'Aquileja 
occupa  a  tradimento  Grado  (1162)  e  rinnova  le  gesta  dei  suoi  più  audaci 
predecessori.  Il  doge  Vitale  Michiel  vuol  punire  tale  oltracotanza,  e  riprende 
a  Voldarico  la  città,  e  lui,  il  patriarca,  conduce  con  altri  canonici  captivi 
a  Venezia. 

«  Comperò  Voldarico  la  libertà  accettando  il  duro  patto  impostogli  di 
mandare  ogni  anno,  il  giovedì  grasso,  anniversario  della  sua  sconfitta,  un 
toro  e  dodici  porci,  onde  i  Veneziani  rivedessero  nello  strano  tributo  il 
patriarca  ed  i  dodici  canonici  vinti  e  catturati  nell'isola  di  Grado»  (pag.  102). 

Il  patriarcato  gradense  si  avviava  intanto  alla  sua  estinzione.  La  quale 
avvenne  nel  145 1,  dopo  la  morte  di  Silvestro  Michiel,  ultimo  della  serie 
gradense.  Allora  il  papa  Nicolò  V  soppresse  l'antica  cattedra  ed  istituì  quella 
di  Venezia. 

Venezia  poi  spiò  il  momento  propizio  per  convertire  il  patriarcato  di 
Aquileja,  da  tedesco  che  era,  in  italiano.  Ciò  avvenne  dopo  il  1420.  Nel  175 1, 
istituiti  i  due  arcivescovati  di  Gorizia  e  di  Udine,  sparì  anche  quel  vano 
simulacro. 

Il  capitolo  VII  è  intitolato  II  conte  di  Grado. 

I  Gradesi  nel  1300  erano  padroni  di  tutte  le  barene  e  velme  sparse 
dallo  sbocco  del  Tagliamento  a  S.  Giovanni  di  Duino. 

L'assenza  del  patriarca  aveva  diminuito  e  reso  molto  più  raro  il  con- 
corso dei  devoti  alle  spettacolose  funzioni  ecclesiastiche  di  S.  Eufemia  e  di 
Barbana.  Anche  in  tempo  di  pace  il  signore  mitrato  di  Aquileja  stringeva 
d' assedio  la  metropoli  rivale  :  teneva  chiuse  le  vie  presso  la  foce  del- 
l' Isonzo  ecc.  Così  Grado  di  giorno  in  giorno  impoveriva,  fino  a  mancarle 
i  viveri,  mentre  1'  aria  dintorno  si  faceva  mortifera. 

«  Alla  reggenza  del  tribuno  era  succeduta  quella  del  gastaldo,  a  questa 
subentrò  nell'  Vili  secolo  la  podestaria  del  rettor  veneziano,  il  conte  di 
Grado  »  (pag.  1 13). 


—  482  — 

Malgrado  le  molte  sventure,  fra  cui  le  fortuite  scaturite  dagli  avversi 
elementi,  i  Gradesi  non  emigrarono.  Il  primo  conte,  eh'  era  sempre  dei 
nobili  del  Maggior  Consiglio  veneziano,  fu  Gabriele  Barbarigo  (1266). 
Durava  in  carica  sedici  mesi,  ed  era  ad  un  tempo  podestà,  gabelliere,  giu- 
dice ed  amministratore.  —  Le  sue  istruzioni  erano  su  per  giù  quelle  che 
avevano  taluni  podestà  dell'  Istria. 

«  Grado  non  aveva  leggi  scritte,  e  si  regolava  col  diritto  consuetudi- 
nario   L' isola  dipendeva  bensì  da  Venezia  nelle  cose  d' interesse  ge- 
nerale, ma  conservava  propria  autonomia»  (pag.   118). 

Nel  secolo  XIV  si  compilarono  gli  statuti  gradesi,  che  l'autore  breve- 
mente riassume.  —  Anche  qui  troviamo  molti  punti  di  contatto  con  le 
disposizioni  degli  statuti  delle  città  istriane. 

Ad  sommi  campartele  è  il  titolo  dell'  Vili  capitolo. 

Incomincia  :  «  Chiamato  dalla  campana  e  dal  banditore  il  Consiglio  di 
Grado  si  raccoglieva  nella  sala  del  Palazzo  di  città,  posta  sopra  il  Fontegor>. 
Da  qui  prende  argomento  di  parlare  del  palazzo  del  comune,  e  per  descri- 
verlo. Esso  fu  distrutto  dai  Francesi  nel  18 12. 

«  È  voce  popolare  che  il  Consiglio  venisse  eletto  dalle  sette  case  pa- 
trizie, dette  anche  le  famiglie  della  balla  d'oro,  le  quali  per  avito  privilegio 
si  tramandavano  il  diritto  di  possedere  le  cariche  supreme.  Formavano 
queste  i  Burchio,  i  Corbatto,  i  Degrassi,  i  Marchesan,  i  Maran,  i  Marin  ed 
i  Merlato  »  (pag.  129). 

L'  autore  determina  i  vari  uffici  delle  cariche.  Poi  parla  dei  privilegi 
goduti  dai  Gradesi,  e  dei  loro  meriti  nel  servire  la  Serenissima. 

«  Il  Consiglio  di  Grado  era  la  più  bella  e  più  pura  incarnazione  del 
comune  italiano,  e  le  cariche  ed  il  titolo  di  alcuni  ufficiali  potevano  dirsi 
reminiscenze  romane»  (pag.  133).  —  E  discorre  del  modo  ch'erano  tenute 
le  adunanze,  e  ne  riporta  un  protocollo.  Quindi  dice  del  modo  con  cui 
si  rendevano  esecutive  le  leggi  e  del  modo  che  si  procedeva  nell'amministrar 
la  giustizia. 

Nel  IX  capitolo  si  ferma  ad  osservare  La  città. 

Rileva  il  carattere  architettonico  di  lei,  conforme  in  tutto  agli  ordina- 
menti del  medioevo  veneziano.  «  Era  divisa  in  sestieri,  tre  dei  quali  si 
nominavano  delle  Porte  grande,  delle  Porte  piccole  e  della  Porta  nuova  ». 
Descrive  i  vicoli,  i  campi  ecc.  Grado  forniva  il  pesce  ai  banchetti  che  davano 
i  dogi  il  giorno  di  S.  Marco,  dell' Ascension,  di  S.  Vito  e  di  S.  Stefano. 


-  483  - 

Cessato  il  patriarcato,  il  popolo  si  eleggeva  il  pievano  ;  il  primo  fu 
Giovanni  Aspasio  (1470).  —  Venivano  in  soccorso  del  culto,  provvedendo 
ancora  alla  famiglia  sacerdotale,  le  /ragie  o  fraterne. 

Le  principali  confraternite  erano  due,  quella  dei  pescatori  e  l'altra  dei 
renaiuoli  (sabbio/ieri). 

I  pescatori  godevano  a  Venezia  un  onore  speciale  nella  grande  solen- 
nità dell'Ascension.  —  «  I  pescatori  di  Grado  avevano  il  proprio  gastaldo, 
che  presiedeva  alla  scola  o  f ragia,  ma  si  dividevano  in  varie  squadre  ciascuna 
vincolata  al  parcenevolo  »  (pag.  161).  Ricorda  quindi  altri  costumi  pesche- 
recci, interessantissimi,  nonché  le  leggi  e  le  restrizioni  che  regolavano  la 
pesca. 

Quindi  rammenta  le  feste,  originali  e  poetiche. 

Dai  pescatori  passa  ai  renaiuoli,  raccontandone  la  vita,  le  leggi,  i  co- 
stumi e  i  privilegi.  —  Avvegnaché  i  sabbioneri  pretendono  che  la  salvezza 
della  città  ducale  fosse  dovuta  ad  un  proprio  antenato  (vedi  racconto  pa- 
gine 166-167). 

«  Il  genere  di  vita  che  menavano  li  rendeva  violenti  :  faticoni  nell'  iso- 
lamento, baruffanti  nell'ozio». 

Dopo  queste  vengono  le  altre  classi  :  «  i  burehieri  da  legna,  i  traghet- 
tanti, i  portadori  de  vin,  de  oio,  de  pesi,  i  filacanevi,  i  mureri  e  gli  er- 
bajuoli  ecc.  ».  E  da  questi  l'autore  passa  ad  osservare  le  arti  nobili,  e  final- 
mente alle  occupazioni  della  gioventù. 

//  Perdon  di  Barbana  torma  oggetto  del  X  capitolo. 

Sembra  che  originariamente  Barbana  fosse  il  lazzaretto  di  Aquileja, 
distrutto  da  una  bufera  nel  582.  Il  patriarca  Elia,  greco  di  nazione,  edificò 
poi  una  chiesa  con  il  soccorso  delle  limosine,  quindi  un  monastero.  E  qui 
viene  la  leggenda  di  quella  Madonna  miracolosa. 

Venezia  che  vedeva  crescere  d'importanza  Barbana,  e  temendo  ch'essa 
passasse  in  mani  straniere,  «  provocò  una  cerimonia,  che  sotto  colore  di 
devozione,  celava  la  conferma  del  suo  diritto  politico  e  civile  »  (pag.  186). 

La  gran  festa  di  Barbana  usavasi  solennizzare  nel  dì  della  Pentecoste 
e  nei  due  giorni  seguenti.  Vi  andavano  in  gran  treno  tutte  le  autorità  di 
Grado.  «Ma  nel  1600,  a  cagione  de'  tempi  funesti  alla  popolazione,  non 
potendo  il  Consiglio  concorrere  alla  spesa  della  cerimonia,  e  non  volendo 
alcuno  accettar  la  carica  di  capitano,  la  quale  portava  con  se  qualche  dispendio, 
si  deliberò  di  lasciar  cadere  l'uso  con  grande  dispiacere  del  veneto  Senato  ; 
che  con  la  ducale  16  gennaio  indie.  8  anno  1609  ordinava  al  conte»  di 
continuare  la  festa  come  in  antico  (pag.  190). 

u 


-  484  - 

Il  Santuario  era  rimasto  in  custodia  dei  Benedettini  e  sotto  la  giuris- 
dizione di  Grado  fino  al  1450,  poi  passò  alla  Badia  dei  monaci  Vallom- 
brosani.  Il  Senato  veneto  però,  in  seguito  a  petizione  dell'Università  gradese, 
con  ducale  21  aprile  1721  limitò  l'azione  della  Badia  di  Sesto  alla  sola 
preservazione  ecclesiastica. 

Barbana,  fino  alla  caduta  della  Repubblica,  era  il  preferito  Santuario  dei 
Veneziani.  Da  ultimo  l'autore  descrive  la  chiesa. 

L'  XI  capitolo  s' intitola  Guerra  piccola. 

L'autore  riassume  le  più  importanti  vicende  di  Venezia,  e  della  parte 
che  si  ebbe  Grado  di  scancio.  I  confini  tra  il  territorio  della  Repubblica  e 
quello  dell'  Impero  nel  Friuli  era  sempre  incerto  e  non  ben  definito,  pre- 
cisamente come  nell'  Istria.  Da  ciò  avvenivano  continue  violazioni  ed  attriti. 
Grado  si  trovava  in  un  lago  veneto,  ma  toccando  riva  si  doveva  spesso 
smontare  su  territorio  di  estero  Stato.  Ciò  dava  luogo  a  frequenti  conflitti, 
occasionando  delle  piccole  guerre,  che  trassero  Grado  alla  desolazione,  tanto 
più  eh'  era  inerme.  Grado  venne  anche  assalita  e  saccheggiata  dal  Doria 
dopo  la  sua  vittoria  sul  Pisani  ai  Brioni.  —  Nel  1577  Venezia  ordinò  a 
Grado  la  formazione  delle  Cernide,  per  sua  propria  difesa.  Ebbe  frequenti 
contrasti  con  Gradisca  e  Fiumicello  che  mandavano  a  pascere  gli  armenti 
lungo  l' Isonzo  e  su  terreni  di  ragione  di  quei  di  Grado.  Patì  molestie  anche 
dagli  Uscocchi,  e  la  popolazione  fu  orribilmente  decimata  nelle  pesti  del 
1575  e  1579.  La  città  era  ridotta  così,  che  persino  il  conte  non  poteva 
stare  più  nella  sua  abitazione  resa  cadente  (1775). 

Negli  ultimi  anni  del  secolo  XVIII  Grado  parve  risorgere.  Ma  poi 
vennero  poco  dopo  i  frequenti  mutamenti  di  governo.  Nel  giugno  18  io 
fu  sorpresa  e  bombardata  dagli  Inglesi,  che  non  trovarono  di  meglio  che 
di  abbruciare  1'  archivio  ! 

Nel  XII  capitolo  si  parla  delle  Reliquie  d'  arte. 

Grado,  la  più  antica  città  della  Venezia  marittima,  è  la  sola  che  può 
vantare  qualche  edifizio  del  sesto  secolo. 

L' autore  dice  quindi  della  cattedrale,  della  chiesa  della  B.  V.  delle 
Grazie  e  del  Battistero,  raccontandone  l'origine  e  le  molte  vicende  di  re- 
stauro ecc. 

Poi  continua  :  «  Sarà  difficile  si  riesca  a  sciogliere  la  questione,  perchè 
'  tanto  nel  V  come  nel  VI  secolo,  l' arte  discese  a  così  compassionevole 
miseria  da  non  lasciar  determinare  con  sicurezza  se  i  prodotti  di  essa  ap- 
partengano piuttosto  ad  un  periodo  che  all'  altro ».  Ma  tale  quesito 


-  4«5  - 

mi  pare  sia  stato  risolto  dal  compianto  prof.  Raff.  Cattaneo  nel  suo  aureo 
libro  V  architettura  in  Italia  dal  secolo  VI  al  mille  circa,  nel  qual  libro, 
(pure  consultato  dal  sig.  Caprin)  si  dimostra  qualmente  l'arte  architettonica 
si  mantenesse  splendida  fino  alla  metà  del  500  circa,  dalla  qual  epoca  in 
poi  appena  cominciò  a  decadere  per  imbarbarirsi  del  tutto  durante  la  do- 
minazione longobardica.  E  il  Cattaneo  spiega  il  perchè  avvenisse,  che  mentre 
nella  prima  metà  del  secolo  VI  l'arte  bizantina  era  venuta  a  ristorare  alquanto 
l' italiana,  noi  tacesse  eziandio  in  sullo  scorcio  del  secolo  stesso. 

«  Possedeva  Grado  la  supposta  cattedra  alessandrina  di  S.  Marco,  donata 
dall'  imperator  Eraclio,  nel  630  circa,  al  patriarca  Primigenio,  poi  trasportata 
a  Venezia  nel  secolo  XVI  e  posta  dietro  l'aitar  maggiore,  custodita  adesso 
neh' antitesoro  »  (pag.  241). 

Ma  non  si  sa  dove  e  quando  siansi  smarriti  gli  oggetti  del  tesoro 
gradese,  arricchito  cospicuamente  da  Fortunato,  triestino,  e  poscia  da  Ve- 
nerio.  Si  sa  solo  che  in  parte  vennero  involati  dai  saccheggianti,  e  parte 
dai  ladri  domestici.  L'autore  enumera  quindi  i  pochi  cimeli  che  rimangono. 
Restano  ad  ogni  modo  ancora  le  tracce  della  sontuosa  architettura  che 
ornava  la  città  detta  giustamente  la  Gerusalemme  di  Venezia. 

I  due  ultimi  capitoli  sono  dedicati  ai  Canti  lagunari  e  alla  Vita  isolana 
—  interessanti  anche  questi,  tanto  per  l'etnologo  che  pel  filologo,  ma  che 
io  oltrepasserò  essendomi  proposto  di  rilevare  soltanto  la  parte  storica 
del  libro.  Chiude  il  volume  un'Appendice,  in  cui  si  trova:  la  Serie  dei  pa- 
triarchi, il  Patriarcato  di  Grado  canonicamente  riconosciuto,  le  Famiglie  di 
Grado,  i  Numeri  usati  dai  pescatori  di  Grado,  e  Del  testamento  di  Fortunato, 
triestino.  —  Ed  ora  ancora  poche  parole. 

II  presente  volume  del  sig.  G.  Caprin  è  condotto  con  maggiore  severità 
storico-scientifica  del  primo. 

Un'osservazione  intorno  ai  disegni.  Quei  frammenti  d'ambone  a  pag.  46 
dell'opera  del  Caprin  sarebbero,  secondo  il  Cattaneo,  dell'VIII  secolo,  mentre 
il  fregio  dei  cancelli  del  duomo,  che  il  Caprin  riporta  sopra  ai  detti  fram- 
menti, sarebbero  dei  primi  anni  del  secolo  IX.  Dal  Caprin,  invece,  non  so 
con  quanta  ragione,  sono  ascritti  tutti  in  massa  al  VI  secolo.  Vero  però 
che,  per  quanto  trattasi  del  tramezzo  del  coro,  egli  si  corregge  a  pag.  240, 
o  per  lo  meno  ricorda  il  Cattaneo  che  lo  attribuisce,  come  ho  detto,  al 
secolo  IX.  Non  sono  parimenti  con  lui  d'accordo,  giudicando  sempre  per 
analogia,  che  i  disegni  a  pag.  47  e  48  appartengano  al  VI  secolo,  ma  sì 
bene  all'  Vili  e  forse  al  principio  del  IX. 


—  486  — 

Un'ultima  osservazione,  e  questa  riflette  la  nota  seconda  posta  a  pag.  83 
del  libro.  In  essa  nota  si  parla  di  un  processo  disciplinare  che  il  patriarca 
d'Aquileja  sarebbe  stato  autorizzato  (a.  1376)  dal  papa  Gregorio  XI  di  fare 
a  Tommaso  vescovo  di  Cittanova.  Questo  è  un  errore  che  fu  ripetuto  e 
divulgato  da  altri  storici. 

Nel  sillabo  dei  vescovi  di  Cittanova  d' Istria  il  Kandler  mette  nell'anno 
1376  il  vescovo  F.  Nicolò,  nel  1377  Ambrogio,  poi  vengono  Tommaso  e 
Filippo,  ai  quali  due  ultimi  vi  sta  da  presso  un  punto  interrogativo. 

Ecco  come  sta  la  cosa  secondo  il  Carli  {Ani.  It.  voi.  IV). 

I  vescovi  di  Cittanova  nell'Istria  si  sono  intitolati  Civitatis  novae,  e  non 
Aemonienses,  sino  ad  Adamo  del  1146,  che  fu  il  primo  a  chiamarsi  così. 
—  Civitas  nova  comparisce  anche  nel  Placito  di  Risano  (804).  Per  la  serie 
dei  vescovi  si  è  introdotta  grande  confusione,  in  grazia  di  Eraclea,  nelle 
lagune  di  Venezia,  la  quale  subito  dopo  che  fu  rifabbricata,  si  denominò 
pure  Città  nuova,  ed  i  di  lei  vescovi,  detti  Civitatis  novae,  furono  confusi 
con  quelli  di  Cittanova  nell'  Istria.  Carli  sospetta  che  questa  fosse  la  ragione 
che  poi  si  dissero  Aemonienses. 

Dunque  il  Tommaso  di  sopra  è  di  Eraclea  e  non  di  Cittanova. 

M.  T. 


ATTI  DELLA  SOCIETÀ 


IL  V  CONGRESSO  ANNUALE 


SOCIETÀ.  ISTRIANA  DI  ARCHEOLOGIA  E  STORIA  PATRIA 


qDDÌ  7  settembre  1890  ebbe  luogo  a  Parenzo,  nella  sala  della  Dieta 
provinciale,  il  quinto  Congresso  sociale,  presieduto  dal  presidente 
on.  avv.  Andrea  dott.  Amoroso. 

Stavano  all'  ordine  del  giorno  i  seguenti  punti  : 

/.  Resoconto  morale  della  Società  per  V  anno  1889  ; 

2.  Esposizione  del  conto  consuntivo  dell'anno  1889,  e  di  quello  di  previsione 

per  r  anno  1891  ; 
}.  Elezione  della  Direzione  per  la  durata  del  settimo  anno  sociale; 
4.  Eventuali  proposte  di  singoli  soci. 

Aperto  il  Congresso  circa  alle  ore  1 1  ant.,  il  Presidente  saluta  gì'  in- 
tervenuti, e  prima  di  concedere  la  parola  a!  Segretario  incaricato  di  dare 
il  Resoconto  morale  della  Società  per  l'anno  1889,  legge  egli  stesso  la 
seguente  Relazione  su 

Le  Basiliche  cristiane  di  Parenzo. 


Onorevoli  Signori  ! 

Aprendo  il  quinto  Congresso  della  nostra  Società,  lascio  la  cura  al 
prestantissimo  Direttore-Segretario  dott.  Tamaro  di  esporVi,  come  di  con- 
sueto, e  con  quella  maestria  che  gli  è  propria,  il  Resoconto  morale  dell'anno 


—  490  — 

sociale,  che  con  oggi  si  chiude,  dal  tempo  dell'ultima  nostra  adunanza.  A  me 
permettete,  o  Signori,  che  V  intrattenga  piuttosto  di  altro  speciale  argo- 
mento, cioè  degli  scavi  di  antichità  intrapresi  dal  Rev.  Parroco-Decano 
Mons.  Paolo  Deperis  entro  e  fuori  della  basilica  di  questa  città.  La  Vostra 
Direzione  ha  preso  troppo  viva  parte  a  questi  scavi,  e  la  fama  di  essi  è 
ormai  troppo  penetrata  nel  pubblico,  accorso  numeroso  a  visitarli  dalla 
provincia  e  dal  di  fuori,  perch'  io  non  senta  il  dovere  di  riferirVene  almeno 
brevemente.  Dico  brevemente,  perchè  come  avrete  1'  occasione  di  persua- 
derVene,  la  grande  importanza  dei  medesimi  darebbe  veramente  materia  a 
deduzioni  molte  nel  campo  dell'archeologia  cristiana  e  della  storia  nostra 
ecclesiastica,  se  non  fosse  che  io  non  intenda  di  prevenire  ora  quello  studio 
più  ampio,  che  a  suo  tempo  ne  farà  lo  stesso  Monsignore,  cui  è  dovuto  il 
grande  merito  della  scoperta  di  un  tesoro  archeologico,  quale  nessuno  di 
noi  sospettava  neppure  lontanamente  di  possedere.  Mio  scopo  del  momento 
si  è  unicamente  quello  d'illustrare  la  parte  materiale  degli  scavi  sinora  ese- 
guiti, sia  perchè  non  si  diffondano,  per  avventura,  delle  notizie  men  che 
esatte  sui  medesimi,  sia  per  offrire  a  chiunque  desiderasse  di  farne  argo- 
mento di  studio,  dei  fatti  bene  accertati,  ai  quali  potersi  attenere.  Furono 
accumulati  tanti  errori  da  coloro  che  scrissero  della  presente  basilica,  cieca- 
mente ricopiandosi  a  vicenda,  che  non  mi  maraviglierei  punto  se  lo  stesso 
fatale  destino  venisse  a  pesare  anche  sulle  nuove  scoperte;  ed  ognuno  sa 
quanto  è  difficile  che  la  verità  riesca  poi  a  farsi  strada  frammezzo  agli  errori, 
specie  se  questi  sono  divulgati  da  persona  autorevole. 

Per  entrare  subito  in  materia,  dirò  dunque  che  i  risultati  principali 
ottenuti  dagli  scavi  possono  riassumersi  :  primo,  nella  scoperta  di  una  pri- 
mitiva basilica  cristiana;  secondo,  nella  constatazione  dell'esistenza  di  una 
seconda  basilica,  sulle  cui  fondamenta  il  vescovo  Eufrasio  (a.  524-556  ')  ha 
eretto  poscia  quella  che  da  lui  prende  nome,  la  quale,  cronologicamente, 


')  Il  vescovato  di  Eufrasio  fu  straordinariamente  lungo.  Se  è  certo  però  eh'  ei  vivesse 
ancora  nel  556,  ciò  deducendosi  dalla  lettera  dello  stesso  anno  scritta  dal  pontefice  Pelagio  I 
all'esarca  Narsete;  non  è  parimenti  accertato  che  fosse  fatto  vescovo  di  questa  sede  nel  524. 
Questa  cronologia,  fornita  dal  dott.  Kandler,  si  fonda  unicamente  sulla  opinione  che  i 
vescovati  istriani  fossero  contemporaneamente  istituiti  nel  524  circa.  Eufrasio  era  greco 
di  origine  al  pari  dell'arcidiacono  Claudio.  Entrambi  sono  effigiati,  assieme  al  chierichetto 
'Eufrasio,  figlio  di  quest'ultimo,  sulla  volta  dell'abside.  L'artista  li  ha  ritratti  al  naturale, 
servendosi  nella  composizione  delle  teste  di  minutissimi  tesselli  vitrei.  Eufrasio  ha  l'aspetto 
di  uomo  che  ha  appena  raggiunto  1'  età  matura. 


—  49i  — 

sarebbe  perciò  non  già  la  prima,  come  erroneamente  venne  sinora  ritenuto, 
ma  appena  la  terza  basilica  cristiana. 

La  basilica  prima  è  quella  che  occupava  il  fondo  a  settentrione  del- 
l'attuale, adoperato  ad  uso  di  cimitero  sino  alla  fine  del  secolo  passato,  e 
trasformato  ora  in  giardinetto  vescovile.  Era  costruita  ad  una  sola  nave 
priva  di  abside,  lunga  m.  23  e  larga  m.  8.50.  Per  la  sua  forma  di  sem- 
plice oblongum,  questa  basilica  rappresenta  il  tipo  delle  chiese  cristiane  più 
antiche.  Una  porta  sola,  posta  ad  occidente,  dava  ingresso  alla  basilica, 
e  l'altare  era  collocato  ad  oriente,  acciocché  i  fedeli  orando  guardassero  al 
sorgere  del  sole.  Il  pavimento  di  un  solo  piano  sottostava  di  m.  1.80  a 
quello  della  basilica  eufrasiana.  Nel  muro  di  mezzogiorno  aprivasi  una  porta 
la  cui  soglia  è  ancora  conservata,  la  quale  metteva  direttamente  in  un  oratorio 
attiguo,  ampio  m.  8  per  lato.  Sul  pavimento  musivo  di  quest'  oratorio 
leggesi  la  seguente  iscrizione  in  lettere  nere  su  fondo  bianco  : 

/////PICINVS 
////////SCASIA 
/////EVERENTIA  •  FAFE'C  ■ 

Lupicinus  et  Pascasia  cum  Reverentia  famula  fecerunt  (pedes)  C. 

Gli  avanzi  del  pavimento  musivo  di  questa  basilica  primitiva  sono 
ammirandi  per  vaghezza  di  disegno,  per  sobria  ma  efficace  distribuzione  di 
colori,  e  per  accuratezza  di  esecuzione. 

L'  ampia  nave  era  contornata  da  una  larga  fascia  bianca,  susseguita 
da  più  ampio  fascione  seminato  di  croci  stellate,  le  quali  intermezzavano 
altresì  le  tre  grandi  decorazioni  campeggianti  nello  spazio  longitudinale 
mediano. 

La  prima  decorazione  poco  distante  dalla  porta  d' ingresso  rappresenta 
una  corona  a  triplice  giro  di  foglie  d'alloro,  chiusa  da  doppio  cerchio,  cui 
corrisponde  al  cerchio  maggiore  un  ottagono  formato  di  meandri,  ed  al 
minore  altro  simile  ornamento  circolare.  Su  cadaun  lato  dell'ottagono  svi- 
luppasi una  ingegnosa  combinazione  di  quadrati  e  di  figure  intiere  rom- 
boidali e  di  mezze  figure,  racchiudenti  le  prime  una  rama  di  fiori,  e  le 
seconde  un  giglio  :  chiude  l' intiero  quadre  una  fascia  larga  di  linee  in- 
trecciate. Circondata  dal  minore  cerchio  formato  di  meandri  leggesi  la  iscri- 
zione seguente  : 


—     192    — 

INFAN/tf////////// 
ET  INNOC///// 

EX  SVO  ?///// 
BASI//////////// 
TES///////////// 

Wljlll 

Infantius  et  Innocentia  ex  suo  (palatio  ?)  basilicam  et  tessellatis  pedes  .... 

La  parte  destra  di  questa  importante  iscrizione  venne  pur  troppo  rotta 
da  una  tomba  erettavi  sopra. 

La  decorazione  di  mezzo  ci  mostra  altro  quadrato,  in  cui  è  raffigurato 
un  cratere  ansato,  munito  di  alto  piede,  dal  cui  vano  spuntano  due  rame 
incrociantesi  di  fiori  e  foglie,  i  quali  riempiono  colle  loro  volute  l' intiero 
spazio  del  quadrato.  Sull'  alto  leggesi  l' iscrizione  : 

///  PICINVS  ET  PASCASIA  ■  P  •  CCCC  F 

ed  al  basso  : 

CLAMOSVS  MAG  •  PVER  •  ET  SVCCESSA  ■  P  •  C  ') 
FELICISSIMVS  CVM  SVIS  •  P  •  C  ■ 

Particolarmente  splendida  è  la  decorazione  del  quadrato  della  sezione 
superiore,  poiché  quivi  si  trovasse  il  posto  dell'  altare.  Quattro  strappi  di 
forma  circolare  disposti  a  rettangolo  segnano  ancora  nel  pavimento  il  sito 
dov'erano  infisse  altrettante  colonne,  che  servivano  di  sostegno  alla  mensa. 
Un  rocchio  marmoreo  venne  dissepolto  a  breve  distanza,  il  cui  diametro 
combina  perfettamente  colla  periferia  dei  fori  nel  pavimento. 

A  destra  dell'  altare  vi  ha  un  quadrato  di  un  metro  per  lato,  incor- 
niciato da  vaga   fascia  di  triangoli   colorati  fra  loro  conserti,   ed  orlata  di 


')  I  cristiani  ebbero  sino  dai  primi  secoli  proprie  scuole  per  l' istruzione  della  gio- 
ventù nelle  scienze  sacre  e  profane,  dalle  quali  usciva  di  preferenza  il  giovine  clero.  In 
-  quelle  scuole  coltivavasi  anche  la  musica  sacra.  Sotto  questo  riguardo,  la  iscrizione  si 
presenta  particolarmente  notevole.  Vedi  nel  proposito  :  F.  X.  Krause.  Real-Encyclopedie 
der  Christìichen  Alkrlhùmer,  Freiburg  im  Breisgau,  1886,  tomo  II,  pag.  173,  e  L.  Duchesne. 
Origine*  du  eulte  ebrètien,  Paris,  1889,  pag.  535. 


—    V93     - 

fascie  bianche.  La  cornice  in  giro  è  larga  cent.  25,  motivo  per  cui  il  campo 
interno  del  quadro  si  restringe  a  cent.  50.  In  questo  campo  spiccano  due 
notevoli  emblemi.  La  metà  inferiore  di  esso  è  occupata  da  un  magnifico 
pesce,  intieramente  conservato,  e  la  superiore  da  una  sigla  risultante  dal- 
l' intreccio  di  due  simboli  della  croce,  cioè,  dal  gamma  greco,  e  da  altro 
segno  simboleggiarne  la  croce  stessa,  e  che  veduta  in  piedi  rassomiglia  alla 
effe  maiuscola,  presentando  esso  un'  asta  verticale  con  due  corte  linee  tra- 
versali, che  partono  in  direzione  ascendente,  l'una  dalla  testa,  e  l'altra  dalla 
metà  circa  dell'asta.  Nella  sigla  suddetta,  il  gamma  greco  si  mostra  quattro 
volte,  essendo  disposto  in  modo  da  presentare  due  piccoli  quadrati  succe- 
dentisi  con  un  lato  comune  ;  con  questo  però  che  al  quadrato  sinistro  manca 
il  lato  sinistro,  ed  al  quadrato  destro  il  lato  superiore.  L'altro  simbolo  della 
croce,  somigliante  alla  effe  maiuscola  colle  doppie  traversali,  ricorre  due  volte 
nella  sigla  medesima,  ed  è  posto  quasi  a  modo  di  due  diagonali  nei  due 
quadrati  formati  dai  gamma,  in  guisa  che  le  aste  principali  della  effe  pre- 
sentano un  triangolo  che  ha  per  base  una  parte  dei  due  lati  inferiori  dei 
due  quadrati,  pel  vertice  del  quale  vi  passa  poi  il  lato  comune,  che  divide 
così  il  detto  triangolo  in  due  triangoli  equivalenti.  Quattro  gamma  compon- 
gono la  croce  equilatera,  e  due  effe  poste  l' una  a  destra  e  l'altra  a  sinistra, 
in  modo  da  volgersi  il  tergo,  compongono  anch'esse  la  croce  antica.  Non 
si  potrebbe  perciò  dubitare  che  sotto  la  stessa  sigla  si  celi  uno  dei  simboli, 
coi  quali  veniva  anticamente  rappresentata  la  croce.  Il  susseguente  disegno 
rende  più  chiara  la  forma  della  sigla  ora  descritta  : 


In  piena  corrispondenza  simmetrica  del  quadrato  descritto  havvene  un 
secondo,  identico  al  primo,  nel  cui  campo  inferiore  ritoma  il  pesce,  che 
riposa  questa  volta  sopra  il  piede  di  una  vera  croce,  formata  dall'  interse- 
camento  di  due  figure,  che  somigliano  a  due  anelli  allungati.  —  Questi 
due  quadri,  posti  ai  lati  dell'  altare,  rappresentano  pertanto  il  medesimo 
mistero.  In  tutti  e  due  vi  è  il  pesce,  simbolo  di  Cristo;  in  un  quadro  la 
croce  è  apertamente  rappresentata  sopra  il  pesce,  e  nell'altro  soltanto  sim- 
bolicamente. La  superficie  totale  del  pavimento  rimesso  a  giorno  misura 
m.  q.  90. 


—  494  - 

Alla  domanda  a  quale  secolo  appartenga  questa  basilica,  nessuno  può 
meglio  rispondere  del  monumento  stesso.  Noi  abbiamo  dinanzi,  come  si  è 
veduto,  una  chiesa  cristiana  che  per  la  sua  forma  ed  orientazione  ricorda  le 
prime  chiese  menzionate  dalle  costituzioni  apostoliche  :  «  ecclesia  sit  in  primis 
longa,  et  ad  orientem  versa  »  ;  abbiamo  musaici  di  corretto  stile,  e  di  finita 
esecuzione,  i  quali  ci  rivelano  un'arte  ancora  lontana  dal  decadimento  ;  ed 
abbiamo,  infine,  la  rappresentazione  simbolica  della  croce,  di  cui  i  cristiani 
si  servivano  nei  primi  secoli,  onde  non  esporre  questo  sacro  segno  al  pericolo 
di  profanazione  da  parte  dei  pagani.  Che  se  alle  prove  di  remota  antichità 
desunte  dal  monumento  medesimo,  si  aggiunge  ancora  la  considerazione 
della  decorrenza  del  tempo  necessario  al  succedersi  di  due  basiliche,  di  cui 
la  eufrasiana  non  sarebbe  in  ogni  caso  più  tarda  della  prima  metà  del 
secolo  VI  ;  parmi,  per  tutte  queste  ragioni,  che  si  possa  assegnare,  con 
sufficiente  fondamento,  alla  piudetta  basilica  1'  età  del  II  secolo  circa. 

Un  indizio  abbastanza  convincente  della  sua  non  breve  durata  ci  viene 
offerto  d'altronde  dallo  stesso  musaico  del  pavimento,  che  scorgesi  rappez- 
zato da  mano  inesperta  al  sito  della  iscrizione  che  comincia  colla  parola 
////PICINVS  (Lupicinus),  e  cosi  pure  dal  prolungato  uso  che  manifesta  la 
soglia,  per  la  quale  passavasi  dalla  basilica  nell'attiguo  oratorio. 

Più  sicuro  appoggio  troviamo  nella  storia  per  fissare  il  tempo  della 
probabile  fine  di  questa  basilica,  riportandovela  a  quello  della  distruzione 
generale  delle  chiese  cristiane  ordinata  dagl'imperatori  Diocleziano  e  Gallt*aò 
coll'editto  di  Nicomedia  24  febbraio  303  ;  ed  i  carboni  rinvenuti  nelle  ma- 
cerie della  chiesa  distrutta  dimostrano  che  non  si  fosse  risparmiato  neppure 
il  sussidio  del  fuoco.  E  così  scomparve  la  basilica  primitiva. 

Superata  questa  persecuzione  che  fu  l'ultima  in  Occidente,  i  cristiani 
ottengono  finalmente  pace  e  sicurezza  dall'  imperatore  Costantino,  il  quale 
parifica,  coll'editto  di  Milano  del  313,  la  religione  cristiana  alla  pagana,  la 
sola  sino  allora  riconosciuta  e  protetta  dalle  leggi  dello  Stato.  Riedificansi 
in  conseguenza  dovunque,  auspice  talvolta  lo  stesso  imperatore,  le  chiese 
abbattute,  e  sorge  qui  pure  la  seconda  basilica,  che  a  buon  diritto  si  può 
chiamare  perciò  la  Costantiniana.  Questa  basilica,  come  ho  poc'  anzi  av- 
vertito, è  quella  stessa,  sulle  cui  fondamenta  il  vescovo  Eufrasio  alzava  poscia 
la  propria,  la  quale  differisce  dalla  precedente  unicamente  nell'abside  bizan- 
tina al  di  fuori  poligona,  ed  in  questo  ancora  che  dalla  quarta  colonna  a 
sinistra  in  avanti  abbandonavasi  la  linea  delle  vecchie  fondamenta,  per  vol- 
'gere  colla  nuova  fabbrica  alquanto  più  a  destra.  Il  distacco  dei  due  muri 
al  termine  della  linea  è  di  cent.  60.  Di  questa  seconda  basilica  restano  al 
posto  la  soglia  della  porta  maggiore,   e  quella  della  porta  laterale  sinistra. 


—  495  — 

Il  pavimento  ne  è  tutto  a  musaico,  e  laddove  non  fu  rotto  dalle  molte 
tombe  di  vescovi  e  di  privati,  dura  ancora  bene  conservato.  —  Al  sito 
della  soglia  esso  è  più  profondo  di  cent.  85  di  confronto  a  quello  dell'odierna 
basilica  ;  le  soglie  della  basilica  seconda,  che  formano  gradino,  si  abbassano 
invece  di  cent.  69  rispetto  a  quelle  della  basilica  presente,  alzandosi  le  me- 
desime di  poco  dal  livello  del  pavimento. 

Nello  spazio  interrato  fra  i  due  pavimenti  della  navata  sinistra  scopri- 
vansi  nel  1880,  in  cui  furono  levati  gli  avanzi  del  pavimento  della  basilica 
eufrasiana  per  sostituirvi  il  presente  selciato  a  quadrelli  marmorei  '),  alquante 
colonne  di  pietra  calcarea  coi  capitelli  a  volute  e  foglie  di  buon  disegno, 
ma  appena  sbozzate,  le  quali  avevano  servito  di  sostegno  agli  archi  divisori 
della  navata.  Due  rocchi  ed  una  base  di  queste  colonne  veggonsi  pure 
immurate  nelle  fondazioni  che  sopportano  le  colonne  della  basilica  presente; 
locchè  dimostra  indubbiamente  che  il  livello  originario  del  pavimento  non 
ha  subito  successivamente  nessuna  alterazione. 

Lungo  la  facciata  venne  scoperto  un  pavimento  musivo  a  spinapesce 
formato  di  grandi  tesselli  bianchi  e  rossi,  il  quale  continua  al  di  là  della 
medesima  nella  direzione  nord,  quivi  pure  essendosi  rinvenute  allo  stesso 
livello  le  vestigia  dello  stesso  musaico. 


')  Non  si  può  abbastanza  deplorare  la  distruzione  di  quel  bellissimo  musaico.  Esso 
era  bensì  interrotto  dalle  tombe  aperte  in  precedenza  nella  basilica,  e  qua  e  là  anche 
molto  deperito  ;  ma  non  tanto  da  non  essere  suscettibile  di  un  futuro  ristauro,  od  almeno 
di  un  provvisorio  consolidamento.  Senza  pregiudizio  della  nuova  selciatura,  si  potevano 
benissimo  inquadrare  tutte  quelle  sezioni  del  pavimento  che  presentavano  maggiore  soli- 
dità, e  migliore  stato  di  conservazione.  Il  francese  Charl  Èrard,  che  disegnò  negli  anni 
1877  e  1878  la  basilica  in  tutti  i  suoi  dettagli,  vi  dedicò  al  musaico  del  pavimento,  non 
ricordo  più  bene,  se  una  o  più  tavole  a  colori.  Il  disegno  a  contorno  dello  stesso  pavi- 
mento fu  rilevato  pure  dal  sig.  Giulio  De  Franceschi,  che  ne  fece  poi  dono,  colla  con- 
sueta gentilezza  d'animo  che  lo  distingue,  alla  Direzione  della  Società  archeologica.  Nel 
pavimento  eufrasiano  figuravano  anche  varie  iscrizioni  votive.  —  Ciriaco  d'Ancona,  che 
visitò  molto  probabilmente  Parenzo  nel  1432,  allorquando  si  condusse  in  Aquileja,  lasciò 
trascritte  nel  Codice  Parmense  le  seguenti  tre  iscrizioni,  riportate  indi  nel  Corpus  del 
Mommsen  ai  n.  365-367  del  voi.  V,  parte  I.  Vi  manca  però  la  divisione  dei  versi. 

FAVSTA  •  INLVSTRIS  •  FEM  •  CVM  ■  SVIS  •  FECERVNT  •  PEDES  ■  Lx 

CLAVDIA  RELIGIOSA-  FEM  •  CVM  •  NEPTE  •  SVA  •  HONORIA  PRO  ■  VOTO 
SVO  •  FECERVNT ■ PD • CX 

BASILIA  •  RELIGIOSA  •  FEVENA  •  CVM  ■  SVIS  •  FEC  ■  PD  XC 


—  496  — 

Appena  varcata  la  soglia  della  porta  maggiore  si  presenta  sul  pavimento 
il  seguente  frammento  musivo  d' iscrizione  : 

///////DI  ET 
///////LECT  (or) 
///////PD  XC 

Su  quello  della  navata  sinistra,  a  poca  distanza  dalla  porta  d' ingresso, 
leggevansi  le  seguenti  due  iscrizioni  : 

IOHANNIS 
ROMEVS  CVM 
SVIS  PRO  VO 
TO  SVO  FECIT 
PEDES  XX 
e  la  seconda  : 

CVIVS  NVM 
EN  DS  NVVET 
PRO  VOTOS 
VO  FC-  PD  XIII 

Queste  iscrizioni  furono  trasportate  nel  battistero,  convertito  ora  in 
museo  cristiano,  assieme  ad  alquante  sezioni  del  pavimento  musivo  così  di 
questa,  come  della  basilica  eufrasiana.  Ivi  vennero  collocate  pure  le  colonne 
ed  i  capitelli,  menzionati  poc'  anzi,  ed  i  cimeli  marmorei  di  quest'  ultima 
basilica  consistenti  in  plutei,  riquadri  di  ambone,  confessioni  di  altare,  colonne 
di  chiusa  del  presbitero  ecc.,  non  che  le  iscrizioni  lapidarie,  delle  quali  dirò 
appresso.  I  monumenti  cristiani  di  più  tarda  età  troveranno  separato  posto 
in  fondo  al  quadriportico,  chiuso  da  cancellata. 

Alla  basilica  andava  annesso  dalla  parte  di  settentrione  un  oratorio, 
parte  del  quale  fu  scoperto  allorquando  scavavansi  le  fondamenta  della  cap- 
pella del  coro  fatta  costruire  dal  vescovo  Peteani  ').  Questa  basilica  aveva 
infine  ampio  presbitero,  ossia  quello  spazio  che  comprendeva  il  cborus,  il 
praesbyterium  ed  il  sanctuarinm.  Dal  piano  della  nave  si  ascendeva  al  coro  per 
due  gradini,  alti  ciascuno  cent.  14  ;  da  questo  si  montava  per  altri  tre  gradini 


')  Da  manoscritto  del  defunto  canonico  Weber,  il  quale  lasciò  memoria  del  pavi- 
mento musivo  da  lui  veduto,  ed  anche  di  un  altarino  ivi  trovato,  che  non  si  sa  dove  sia 
andato  a  finire. 


—  497  - 

della  stessa  altezza  al  presbiterio  ;  veniva  infine  il  santuario  elevato  di  un 
altro  gradino.  Il  santuario  era  perciò  cent.  84  più  alto  della  nave  maggiore  '). 
Nessuna  memoria  certa  era  giunta  sino  a  noi  di  una  basilica  primitiva, 
e  contradittori  erano  pure  i  pareri  intorno  agli  avanzi  della  basilica  seconda, 
nei  quali  i  più  preferivano  di  vedere,  trincerandosi  dietro  l' autorità  del 
chiaro  archeologo  dott.  Kandler  2),  i  resti  di  un  tempio  pagano.  E  mi- 
gliore luce  non  venne  neppure  dall'  iscrizione  della  lapide  sepolcrale,  rinve- 
nuta nel  1846  sotto  l'altare  maggiore  della  presente  basilica.  La  lapide  è 
di  pietra  calcarea  dura:  misura  in  lunghezza  m.  1.20,  in  altezza  m.  0.96 
e  in  grossezza  m.  0.10.  Le  parole  delle  due  ultime  linee  furono  scalpellate, 
come  sospettiamo,  nel  secolo  XIII,  e  non  monta  ora  di  dire  per  quale 
ragione.  La  iscrizione  (Tav.  I)  è  la  seguente  : 

HOC  CVBILE  SANCTVM  CONFESSORIS  MAVRI 
NIBEVM  CONTENET  CORPVS 
HAEC  PRIMITIVA  EIVS  ORATIBVS 
REPARATA  EST  ECCLESIA 
3)  HIC  CONDIGNE  TRASLATVS  EST 
VBI  EPISCOPVS  ET  CONFESSOR  EST  FACTVS 
IDEO  IN  HONORE  DVPLICATVS  EST  LOCVS 

mMiiimiMi\\iì\mii\\nm\iMi\iin\\Mm> 

Il  dott.  Kandler,  che  fu  il  primo  a  pubblicare  questa  iscrizione,  non 
però  in  lettura  corretta,  opinò  che  la  chiesa  risanata  per  le  orazioni  di  Mauro, 
si  dovesse  intendere  nel  senso  di  tempio  mistico;  quanto  poi  al  trasporto 
della  tomba  del  santo  vescovo  e  confessore  Mauro  in  altra  chiesa  parimenti 
ricordata  dalla  lapide,  suppose,  nell'  ignoranza  della  esistenza  della  seconda 
basilica,  che  la  tomba  si  trovasse  dapprima  collocata  nei  mausolei  (?),  che 
stavano  ai  lati  della  basilica  attuale,  oppure  nel  portico,  e  che  il  suo  trasporto 
nell'  interno  sia  stato  appena  successivamente  effettuato.  E  siccome  il  dott. 
Kandler  era  convinto  che  la  istituzione  dei  vescovati  istriani  non  fosse  an- 
teriore al  524  circa;  cosi  dovendo  ei  pure  dire  alcunché  del  tempo,  in  cui 
Mauro   avrebbe  occupata  questa  cattedra  vescovile,    congetturò   altresì  che 


')  Vedi  nota  aggiunta  alla  fine  della  Relazione. 

*)  Kandler.  Cenni  al  forestiero  che  visita  Parendo.  Trieste,  1845.   —  Indicazioni  per 
riconoscere  le  cose  storiche  del  Litorale.  Trieste,  1855. 

*)  Il  punto  apparente  nella  Tavola  dopo  la  lettera  G  dipende  da  un  tarlo  della  pietra. 


-  498  - 

ciò  fosse  nel  598,  mentre  durava  ancora  lo  scisma  cosidetto  dei  Tre  Capitoli, 
e  che  avendo  il  detto  vescovo  avuto  il  coraggio  di  confessare  pubblicamente 
la  sua  ortodossia  in  faccia  alla  preponderanza  degli  scismatici,  spalleggiati 
dai  funzionari  dell'  impero,  venisse  sepolto  in  altro  luogo  che  non  fosse  la 
basilica  ;  ma  che  restituita  la  comunione  romana,  lo  si  abbia  voluto  poscia 
onorare  per  la  confessione  che  per  poco  non  lo  aveva  fatto  un  martire, 
trasportandone  l'arca  entro  alla  basilica  ').  Era  troppo  grande  1'  autorità  del 
Kandlcr,  perchè  la  interpretazione  da  lui  data  alla  iscrizione  non  venisse  da 
tutti  accettata,  e  per  primo  dalla  Curia  vescovile,  dalla  quale  uscì  indi  emen- 
dato il  sillabo  dei  vescovi  parentini,  interpolandone  dopo  Agnello,  od  Angelo, 
del  590,  il  nome  di  Mauro  e  l'anno  598. 

Non  ci  attribuiamo  a  merito  particolare,  se  noi  che  scriviamo  quasi 
mezzo  secolo  dopo,  e  facendo  parlare  per  così  dire  gli  stessi  monumenti, 
ci  troviamo  in  grado  di  dare  alla  iscrizione  una  interpretazione  ben  più 
corrispondente  al  vero,  senza  che  perciò  nulla  si  scemi  di  quella  riverenza 
che  portiamo  alla  memoria  del  benemerito  defunto,  che  ci  è  occorso  di 
nominare. 

Tradotta  in  italiano,  la  iscrizione  dice  letteralmente  così  :  questo  sepolcro 
santo  contiene  il  candido  corpo  del  confessore  Mauro  ;  questa  chiesa  primitiva 
fu  riparata  pelle  sue  orazioni;  fu  qui  condegnamente  trasferito  ove  fu  fatto  vescovo 
e  confessore;  così  il  loco  è  duplicato  in  onore.  Qui  troviamo  dunque  chiara- 
mente ricordata  la  esistenza  di  due  chiese,  cioè,  di  una  chiesa  primitiva,  e 
di  una  chiesa  seconda,  ossia:  della  primitiva  rifatta.  Anche  le  parole:  IDEO 
IN  HONORE  DVPLICATVS  EST  LOCVS  accennano  ad  una  seconda 
chiesa,  avendo  esse,  secondo  quanto  ha  sagacemente  osservato  il  chiarissimo 
archeologo  Gio.  Batta  de  Rossi,  un  significato  materiale  e  morale,  quello, 
cioè,  che  la  chiesa  è  stata  fatta  più  grande,  e  che  il  suo  onore  fu  pure 
aumentato,  perchè  conserva  il  corpo  del  martire  Mauro  *).  L'eufrasiana  non 
è  per  certo  l'una  o  l'altra  delle  chiese  menzionate  dalla  iscrizione,  perchè 
costruita  molto  tempo  più  tardi.  Per  sapere  quali  e  dove  esse  fossero,  non 
ci  fa  però  più  bisogno  di  ricorrere  a  congetture  :  il  denso  velo  che  le  ha 
coperte  per  lungo  volgere  di  secoli  è  sollevato,  ed  entrambe  quelle  chiese 


')  L'Istria  (giornale),  a.  II,  1847,  pag.  219. 
,  2)  Devo  questa  notizia  a  cortese  lettera  del  chiar.  prof.  Bormann  dei  25  agosto  a.  e  , 

cui  io  aveva  spedito  a  Vienna  la  fotografia  della  iscrizione,  e  che,  recatosi  a  Roma  durante 
le  vacanze,  ebbe  occasione  di  mostrarla  al  comm.  de  Rossi,  e  di  conferire  con  lui  intorno 
alla  interpretazione  da  darsi  alla  iscrizione. 


—  499  — 

si  rivelano  ora  a  noi  nelle  loro  venerande  reliquie.  La  iscrizione  parla  di 
una  chiesa  primitiva;  e  questa  chiesa  noi  la  veggiamo  effettivamente  negli 
avanzi  della  basilica  più  antica,  che  ho  poc'  anzi  descritto.  La  iscrizione 
accenna  parimenti  ad  una  chiesa  primitiva  rifatta  e  duplicata,  e  questa  pure 
ci  sta  davanti  in  quelli  della  basilica  seconda,  che  è  grande  quanto  l'attuale. 
L'  accordo  della  iscrizione  coi  monumenti  è  dunque  perfettissimo. 

Ma  vi  ha  di  più  ancora  :  la  iscrizione  unisce  a  queste  due  chiese  la 
memoria  di  un  Mauro  vescovo  e  confessore,  pelle  cui  orazioni  la  chiesa 
primitiva  venne  rifatta,  e  nella  quale  si  trova  il  santo  sepolcro  che  contiene 
il  suo  candido  corpo,  trasferito  condegnamente  colà,  ove  fu  fatto  vescovo 
e  confessore.  Colle  quali  parole  si  è  voluto  manifestamente  significare  che 
la  chiesa,  nella  quale  il  detto  corpo  venne  trasportato  e  sepolto,  non  era 
materialmente  quella  stessa  che  Mauro  vide  in  vita,  ma  la  rappresentava 
soltanto  moralmente,  e  ch'egli  non  era  perciò  vescovo  della  chiesa  primitiva 
ritatta,  ma  bensì  della  semplicemente  primitiva,  di  quella  chiesa,  cioè,  ove 
fu  fatto  confessore,  ossia  martire. 

Esprimendosi  in  questa  maniera,  la  iscrizione  non  solo  conferma  quindi 
di  essere  sincrona  alla  basilica  seconda  —  ciò  che  apparisce  del  resto  anche 
dagli  stessi  caratteri  paleografici,  che  la  indicano  del  IV  secolo  ;  —  ma 
aggiunge  nuovo  argomento  di  prova  che  l' origine  della  chiesa  primitiva, 
denominata  basilica  dalla  iscrizione  musiva  per  la  sua  dignità  di  chiesa  epi- 
scopale, risale  ad  un  tempo  ben  anteriore,  e  che  sarebbe  appunto  quello 
che  abbiamo  creduto  di  poterle  superiormente  assegnare.  L'onore  derivato 
alla  basilica  seconda  dal  possesso  del  corpo  di  S.  Mauro,  passò  poi  alla 
eufrasiana,  che  ne  ebbe  la  custodia  sino  all'anno  1354,  in  cui,  espugnata  la 
città  dall'  ammiraglio  Pagano  Doria,  esso  corpo  venne  levato  da  colà,  e 
trasportato  a  Genova  come  bellica  preda,  dove  fu  deposto  nella  chiesa  ab- 
baziale  della  famiglia  omonima  '). 

La  traslazione  in  città  del  corpo  di  un  santo  martire  è  attestata  da 
un'altra  iscrizione  rinvenuta  circa  cinquanta  anni  addietro  nell'occasione  del 
disfacimento  di  un  vecchio  muro,  che  divide  la  corte  dell'episcopio  dall'at- 
tiguo piazzale.  Fortuna  volle  che  in  quel  tempo  di  poca  o  nessuna  cura  dei 
monumenti  antichi,  non  si  distruggesse  la  lapide;  inalasi  collocasse,  dopo 
ri  latto  il  muro,  sull'alto  del  portone  dalla  parte  del  piazzale.  Tutti  hanno 


')  Come  è  già  noto,  quelle  reliquie  ritorneranno  presto  qui  per  generosa  concessione 
fatta  alla  citta  di  Parenzo  dagli  illustr.  Governatori  della  famiglia  dei  marchesi  Doria. 


—  500  — 

veduto  da  allora  in  poi  quella  iscrizione  ;  ma,  caso  strano  !  nessuno  vi  ha 
messo  attenzione,  e  pubblicolla.  Levata  dal  sito,  essa  trovasi  ora  collocata  nel 
battistero.  La  lapide,  di  pietra  nostrana,  alta  m.  0.66,  larga  m.  0.56  e  grossa 
m.  0.9,  venne  gii  d'  antico  mozzata  alla  sommità,  onde  andò  perduta  la 
prima  linea  della  iscrizione,  e  vi  manca  pure  il  principio  della  seconda  per 
causa  di  corrosione  della  pietra.  A  giudicare  dai  caratteri,  anche  questa 
iscrizione  appartiene  al  IV  secolo.  Eccone  il  tenore  : 


CVIVS  VICT 
RICIA  MEMBR 
A  NVNC  RE 
QVIESCENT 
INTRA  MVROS 
HVIVS  CIVITA 


TIS  PARENT 

Da  questa  iscrizione  apprendiamo  che  vi  fu  persona  qui  vissuta  e 
martirizzata  per  la  fede  ;  che  il  suo  corpo  era  dapprima  sepolto  fuori  delle 
mura  della  citta,  certamente  in  ossequio  alle  leggi  romane  che  proibivano 
il  seppellimento  dei  morti  entro  l'abitato:  hominem  mortuum  in  urbe  ne 
sepellito,  neve  mito  (Tav.  X);  e  finalmente  che  le  sue  vittoriose  membra  ri- 
posano ora  entro  le  mura  di  questa  città  di  Parenzo.  Chi  fu  mai  questo 
martire  cristiano,  al  quale  allude  la  iscrizione  ?  pur  troppo  essa  non  ri- 
sponde più  a  questa  domanda.  Ma  se  è  muta  la  lapide,  l' intima  relazione 
che  passa  fra  questa  e  la  precedente  iscrizione,  tanto  più  ci  autorizza  a 
credere,  che  le  reliquie  del  martire,  che  vennero  trasferite  dal  di  fuori 
nell'  interno  della  città,  non  fossero  altre  che  quelle  del  surricordato  Mauro, 
in  quanto  che  la  chiesa  parentina,  benché  illustre  sino  dai  primi  secoli  del 
cristianesimo,  come  lo  comprova  la  presenza  delle  due  basiliche,  e  gloriosa 
probabilmente  ancor  essa  di  altri  martiri,  non  ha  conservato  memoria  certa 
che  di  quest'unico  suo  martire  soltanto.  Da  qui  pure  la  ragione  del  culto 
prestato  al  di  lui  corpo  sino  da  quegli  antichissimi  tempi,  e  pella  quale 
il  nome  di  questo  santo  ha  occupato  un  posto  eminente  nei  fasti  della 
chiesa  medesima.  Così  Eufrasio,  oltreché  fare  effigiare  a  musaico  S.  Mauro  ') 


')  S.  Mauro  ha  P  aspetto  d'  uomo  ancora  giovane  ;   le  fattezze  del  volto,  e  la  car- 
nagione bianca,  lo  indicano  di  stirpe  romana. 


—  soi  — 

nella  volta  dell'  abside  della  basilica,  vestito  di  tunica  e  pallio  bianco,  e 
colla  corona  del  martirio  in  mano,  lo  chiama  nel  noto  diploma  24 
marzo  543,  il  santo    titolare   della   chiesa,  e  martire:  Eufrasius  Parenlinae 

Ecclesiae  Praesul pastor  in  Ecclesia  B.  Marine  Virginis,  et  S.  Mauri 

martyris,  qui  prò  Christi  nomine  martyrii  palmata  non  recusavit  accipere.  Il 
vescovo  Andrea  rivolge  umile  preghiera  al  doge  Pietro  Orseolo  II  approdato 
nel  maggio  del  1000  colla  sua  armata  nel  porto  di  Parenzo  :  ut  Sancii 
Mauri  oracuìum  adire  non  recusaret,  cujus  petitionis  adquiescens,  multo  militem 
stipatimi  urbeiii  intravit,  et  expletis  in  Sancii  Mauri  aecclesia  ministeriis 
sacris  ecc.  ').  In  altro  diploma   io  novembre  1014,  il  vescovo  Sigimboldo 

lo  chiama  martire  e  vescovo ad  honorem  S.  Matris Ecclesiae  Parent.  et 

S.  Mauri  sacerdòti}  et  martyris  Episcopi;  ed  in  un  secondo  diploma  8  agosto 
1017,  lo  stesso  vescovo  ricorda  che  S.  Mauro  ha  dato  il  suo  nome,  ossia, 

che  fu  il  Fondatore  della  chiesa  episcopale quod  Seniore  nostro  D. 

Siginbuldo  Episcopo  de  sede  S.  Mauri de  istu  censo  a  sede  S    Mauri 

de  D.  nostro  Siginbuldo.  In  molti  altri  diplomi  che  vanno  giù  sino  a  dopo 
il  1300,  non  si  omette  mai  di  ricordare  che  la  basilica  custodisce  il  corpo 
di  S.  Mauro  martire  ;  lui  sappiamo  costantemente  venerato  come  patrono 
della  città  e  della  diocesi  ;  che  più,  infine  ?  persino  1'  agro  proprio  della 
città  di  Parenzo,  quasi  fosse  un  patrimonio  sacro,  intangibile,  viene  appellato 
nei  documenti  medioevali  :  territorio,  terra  di  S.  Mauro  8).  Tutte  queste  me- 
morie di  S.  Mauro  vescovo  e  martire,  trovano  per  ultimo  la  più  autentica 
conferma  nella  orazione  liturgica  che  la  chiesa  parentina  recita  da  più  di 
quindici  secoli,  e  comincia  colle  parole:  Deus,  qui  Beato  Mauro  Sacerdoti  et 
Martyrì  tuo,  e  nella  costante  celebrazione  della  festa  del  di  lui  natalizio, 
ossia  del  martirio,  nel  giorno  21   novembre. 

L'esistenza  di  un  S.  Mauro  martire  istriano  è  provata  pure,  con  storica 
certezza,  dai  più  antichi  martirologi,  quali  sono  quelli  del  venerabile  Beda 
(a.  731),  accresciuto  dal  Floro  '),  e  dell'  Usuardo  (a.  875)  *),  e  così  pure  da 
un  calendario  vaticano,  aggiunto  al  Sacramentario  di  S.  Gregorio,  dell'  XI 


')  Prof.  Monticolo.  Cronaca  di  Giovanni  Diacono.  —  Fonti  per  la  storia  a" Italia  del- 
l'Istituto  storico  italiano.  —  Roma,   1890. 

')  Codice  diplomatico  istriano  del  dott.  Kandlf.r.  Trieste,  tip    del  Lloyd. 

»)  Marlsrologium  Venerabili!  Bedae  Presbyteri  cimi  Auctario  Fiori  et  alionuii.  Canta- 
brigiae,  typis  Academicis,  MDCCXXH. 

')  Usuardi.  DtCarlyrologium  ecc.  Lovanii,  1573.  —  In  altro  martirologio  dello  stesso 
Usuardo,  pubblicato  a  Parigi  nel  1718  da  Pietro  Francesco  Giffart,  leggesi  la  seguente 
variante  :  XI  Kal.  Decembris   «  ....  In  provincia  Histria,  passio  Sancti  Mauri  martyris  ». 


—  502  — 

secolo  ').    Nel   primo    si   legge  :  «  XI  Kal.  Dee.    In  Hvstria   civitate   natale 

S.  Mauri  inarlyris  ».  Nel  secondo  :  «  Undecimo  Calcndas  Decembris 

item  in  Hy  stria,  passio  sancii  Mauri  martyrìs  ».  E  nel  terzo:  «XI  Kal.  Dee. 
In  Hy  stria  civitate  sancii  Mauri  mar.  ».  L' Istria,  coni'  è  noto,  ebbe  ai  tempi 
romani  quattro  municipi  perfetti,  ossia  civitas,  cioè  :  Tergeste,  Pietas  Iulia, 
Egida  e  Iulia  Parentium.  Nessuna  di  queste  città  ha  mai  preteso  di  avere 
avuto  un  martire  di  nome  Mauro,  fuorché  Parenzo.  Ciò  che  vi  ha  quindi 
d' incompleto  nelle  notizie  dei  martirologi,  e  del  calendario  vaticano,  rispetto 
alla  indicazione  della  città,  in  cui  il  predetto  santo  avrebbe  sofferto  il  martirio, 
riceve  il  suo  spontaneo  complemento  dai  monumenti  e  documenti,  che 
Parenzo  possiede,  e  dai  quali  è  indubbiamente  provato,  che  S.  Mauro  fu 
e  non  potè  essere  che  suo  martire  soltanto. 

Ho  detto  più  sopra  che  la  iscrizione  unisce  alla  memoria  di  S.  Mauro 
martire  anche  quella  di  essere  egli  stato  vescovo  della  chiesa  primitiva, 
intitolata  per  questo  motivo  basilica  nella  iscrizione  musiva  del  pavimento. 
Ed  abbiamo  veduto  pure  che  questa  memoria  si  manteneva  viva  al  tempo 
di  Euirasio,  che  fece  effigiare  S.  Mauro  vestito  di  tunica  e  pallio  bianco, 
allo  stesso  modo  degli  apostoli  che  sono  raffigurati  sopra  l'arco  trionfale, 
e  durava  pure  nell'  XI  secolo  al  tempo  del  vescovo  Sigimboldo,  per  tacere 
anche  che  la  memoria  stessa  di  S.  Mauro  vescovo  fu  sempre  conservata 
dalla  chiesa  parentina  nella  succitata  orazione  liturgica,  dov'  è  chiamato 
Sacerdos,  che,  nell'antico  significato  della  parola,  significa  vescovo.  Che  poi 
la  chiesa  parentina  fosse  perfetta  nella  sua  organizzazione,  ossia  costituita 
ad  episcopato,  anche  nei  secoli  successivi  a  S.  Mauro,  lo  comprova  dall'una 
parte  la  basilica  seconda  col  suo  battistero,  la  cui  ampiezza  palesa  lo  stato 
floridissimo,  al  quale  era  allora  pervenuta  la  congregazione  dei  fedeli  ;  e 
ce  lo  attesta,  dall'altra,  lo  stesso  Eufrasio,  laddove  dice  nell'  iscrizione  :  /// 
vidit  subito  lapsuram  pondere  sedem,  parola  questa  che  chiaramente  accenna 
alla  preesistenza  della  sede  episcopale,  e  che  Eufrasio  non  avrebbe  adoperata, 
qualora  la  serie  dei  vescovi  si  fosse  aperta  appena  con  lui.  Dinanzi  a  queste 
prove  concrete  ed  irrefragabili,  che  la  chiesa  parentina  fosse  d'  antico  go- 
vernata   da    proprio    vescovo  —   ed    altrettanto    direi    per    lo   meno    delle 


')  Kaknciarium  Vaticanum  praefixum  Sacramentario  Gregoriano,  edito  ab  Angelo 
Roccha  ex  Cod.  Vat.  3806,  initio  seculi  XI.  —  Queste  notizie  mi  furono  comunicate  dal- 
l'amico cav.  Tomaso  Luciani,  e  dall'egregio  prof,  don  Giovanni  don.  Ferro,  di  Venezia, 
ai  quali  rendo  qui  le  maggiori  grazie. 


—  503  — 

chiese  di  Trieste  e  Pola  ')  —  cadono  perciò  tutti  quegli  argomenti  che 
furono  portati  in  campo,  per  dimostrare  che  le  chiese  istriane  non  avessero 
propri  vescovi  prima  dell'anno  524  all' incirca  ;  ma  fossero  tutte  soggette 
alla  giurisdizione  del  vescovo  di  Aquileja,  quale  unico  vescovo  dell'intiera 
regione2).  Quali  sono  d'altronde  questi  argomenti?  vediamoli.  Per  provare 
questa  dipendenza,  si  è  citato  S.  Ilario  vescovo  aquilejese,  a  merito  del 
quale  la  fede  sarebbe  stata  dilatata  in  queste  contrade,  mentre  occupava  dal 
276-286  quella  sede;  e  si  è  citato  pure  S.  Donato,  che  sarebbe  stato  mandato 
allo  stesso  scopo  nell'Istria,  nell'anno  297,  da  quel  vescovo  Grisogono  IL 
Senonchè,  riguardo  a  S.  Ilario,  è  facile  il  rispondervi  senza  mettersi  nep- 
pure in  contradizione  colla  tradizione  che  lo  vuole  banditore  della  fede 
cristiana  nell'Istria,  che  nessuno  conosce  precisamente  il  tempo,  in  cui  egli 
fu  vescovo  di  Aquileja,  chi  riportandovelo  a  quello  superiormente  indicato, 
altri  al  II,  ed  altri  persino  al  I  secolo  3).  Questo  argomento  avrebbe  dunque 
un  tal  quale  valore  per  la  asserita  dipendenza  delle  chiese  istriane  dal  ve- 
scovo di  Aquileja  sino  alla  fine  del  III  secolo,  qualora  fosse  indubbiamente 
provato  che  S.  Ilario  era  a  quel  tempo  vescovo  di  quella  sede;  mancando 


')  Entrambi  questi  municipi  erano  troppo  importanti,  perchè  non  si  debba  ritenere 
che  le  chiese  cristiane  rispettive  avessero  proprio  vescovo  al  pari  di  quella  di  Parenzo. 
Gli  atti  dei  martiri  di  Trieste,  nei  quali  si  deve  riconoscere  un  fondo  di  remota  antichità 
e  di  sincerità,  malgrado  il  loro  tenore  leggendario  assunto  più  tardi,  fanno  menzione  di 
un  Martinus  praesbiter  e  di  un  Sebastianus  praesbiter,  i  quali,  secondo  ogni  verisimiglianza, 
erano  vescovi  di  quella  chiesa,  solendo  i  vescovi  chiamarsi  anche  cosi  nei  primi  secoli. 
Di  Pola  manca,  pur  troppo,  ogni  memoria  scritta.  Si  conoscono  ora  gli  avanzi  della 
basilica  del  VI  secolo  ;  ma  non  credo  fosse  la  prima.  Ivi  attigua  e'  era  la  basilica  di  San 
Tomaso,  certamente  vetusta  assai;  dove  furono  trovate,  al  sito  dell'antica  confessione,  la 
bellissima  pisside  poligona  d'argento,  e  la  capsella  d'  oro,  giudicate  dal  comm.  de  Rossi 
lavoro  del  IV  secolo,  o  degli  inizi  del  V,  e  passate  recentemente  al  museo  imperiale  di 
Vienna.  Imprendendo  più  estesi  scavi,  non  escluderei  che  si  constatasse  anche  a  Pola 
quella  stessa  successione  di  basiliche,  che  fu  trovata  qui.  Ed  avremmo  in  tal  caso  quella 
prova  positiva,  che  ora  ci  manca,  dell'  esistenza  di  quell'  antico  episcopato. 

*)  Kandler.  L'Istria,  a.  II,  n.  9.  —  Ptl  fausto  ingresse  di  Motts.  Legai  nella  sua  chiesa 
di  Trieste.  Trieste,  1847. 

3)  Paolo  Diacono  aeWHist.  Long,  dice  che  S  Ilario  fu  fatto  vescovo  nel  276,  e 
decollato  dopo  dieci  anni  di  apostolato,  assieme  al  suo  arcidiacono  Taziano  e  ad  altri 
compagni  di  martirio,  il  giorno  16  marzo.  —  La  Cronaca  del  Dandolo  vuole  martirizzato 
S.  Ilario  al  tempo  di  Numeriano  (a.  281).  —  Il  Rubeis  nei  Montini,  làcci,  Aqnìì.  riferisce 
il  governo  episcopale  di  S.  Ilario  al  II  secolo.  —  Il  Candido,  nei  Coinment.  ilei  Fatti  di 
Aquileja,  mette  come  avvenuto  il  martirio  di  S.  Ilario  sotto  Domiziano  (a.  81-96). 


—  504  — 

però  questa  prova,  sfuma  pure  quella  della  supposta  dipendenza,  tanto  più 
dal  momento  che  i  monumenti  e  la  iscrizione  sopraricordati,  somministrano 
la  certa  prova  che  la  chiesa  di  Parenzo  aveva  proprio  vescovo  già  prima 
di  quel  tempo.  E  rispetto  a  S.  Donato,  supposto  istriano  di  nascita,  e  mar- 
tirizzato a  Thmui  nell'Africa  nell'anno  305,  gli  atti  più  o  meno  autentici 
che  di  lui  ci  sono  pervenuti,  dicono  precisamente  il  contrario  di  quanto  fu 
asseverato,  dicono,  cioè,  eh'  ei  non  venne  mandato  qui  a  predicare  la  fede 
dal  vescovo  di  Aquileja,  come  quegli  che  solo  ne  avrebbe  avuto  il  diritto 
per  la  sua  episcopale  giurisdizione  sull'  Istria,  ma  bensì  che  fu  chia- 
mato dalle  chiese  istriane  :  a  sanctis,  quae  sunt  in  Istria,  ecclesiis  evocatili  '). 
Se  dunque  San  Donato  fu  chiamato  dalle  chiese  istriane,  egli  è  chiaro 
che  queste  dovevano  avere  propri  vescovi  ;  avvegnaché  l' officio  d' istruire 
nella  fede  cristiana  risiedesse  solamente  nel  vescovo,  ne  alcuno  potesse 
esercitarlo,  senza  esserne  stato  previamente  da  lui  autorizzato.  Come  terzo 
ed  ultimo  argomento  in  prova  della  mancanza  di  vescovi  nell'  Istria,  venne 
allegato  il  fatto  di  non  trovarsi  sottoscritto  verun  nome  di  vescovo  istriano 
negli  atti  dei  concili  del  IV  e  V  secolo.  Questa  prova,  meramente  negativa, 
non  esclude  però  ancora  la  possibilità  del  fatto  contrario,  niente  di  più 
incerto  essendo  che  il  dedurre  dalle  sottoscrizioni  apparenti  dagli  atti  dei 
concili,  la  dimostrazione  della  esistenza  di  questa,  o  quella  chiesa  episcopale, 
al  tempo  dei  concili  stessi.  Ne  abbiamo  un  esempio  nel  posteriore  concilio 
romano  dell'anno  502,  sotto  il  pontefice  Simmaco,  gli  atti  del  quale,  secondo 
alcuni  autori,  sarebbero  stati  sottoscritti  anche  dal  vescovo  Venerio  di  Pola, 
mentre  altri  invece  lo  negano,  ed  intorno  al  quale  concilio  il  Labbe  scriveva 
appunto  :  episcoporum  et  ecclesiartim  nomina  adeo  corrupta  videntur  ut  i>ix  sanari 
possimi  *).  Se  questo  fu  detto  delle  sottoscrizioni  agli  atti  di  quel  concilio, 
tanto  più  aumentano  quindi  le  incertezze  intorno  alle  sottoscrizioni  apposte 
agli  atti  dei  concili  anteriori,  siccome  quelle  che  sono  passate  per  tante 
mani,  e  tante  volte  furono  alterate  ;  per  non  tenere  conto  anche  di  tutte 
quelle  difficoltà  di  tempo  e  di  luogo,  che  possono  avere  impedito  ai  vescovi 
istriani  d'intervenire  ai  concili,  e  massime  a  quelli  tenuti  nel  lontano 
Oriente. 

Discorrendo  poi    della    origine  dei    vescovati   istriani,   si  è  creduto  di 
poterla  spiegare  nella  seguente  guisa.  Il  re  Teodorico,  si  disse,  voleva  dal- 


')  Stancovich.  "Biografia  degli  nomini  illustri  dell'Istria.  Capodistru,   i£ 
2)  Labbe.  Conciliornm  colletiio  maxima.  Venezia,  1729. 


—  SOS  — 

l' imperatore  Giustino  che  le  chiese  tolte  agli  ariani  nella  dizione  bizantina, 
venissero  a  questi  restituite;  ed  era  ben  naturale  che  Giustino  esigesse  di 
ricambio  migliore  libertà  e  culto  pei  cattolici  negli  stati  del  re  goto.  Ed  il 
pontefice  Giovanni,  mandato  nel  524  da  Teodorico  in  qualità  di  legato  suo 
a  Costantinopoli,  allo  scopo  di  persuadere  Giustino  alla  restituzione  delle 
chiese  ariane,  doveva  naturalmente  approfittare  di  quella  missione,  per  fare 
P  interesse  delle  chiese  cattoliche.  E  da  questa  combinata  azione  dell'  im- 
peratore e  del  pontefice,  nacquero  indi  i  vescovati  istriani.  —  Questa  mis- 
sione, come  si  sa  dalla  storia,  fallì  però  completamente,  ed  anzi  sospettando 
Teodorico  della  stessa  lealtà  del  pontefice,  e  crescendo  frattanto  sempre  più 
in  Italia  1'  agitazione  del  partito  romano  cattolico,  desideroso  di  scuotere 
la  dominazione  del  re  barbaro  e  scismatico,  mediante  l'appoggio  delle  armi 
dell'  imperatore,  signore  legittimo  ed  ortodosso,  fece  imprigionare  il  pon- 
tefice al  suo  ritorno  da  Costantinopoli,  tenendolo  prigione  sino  alla  sua 
morte,  avvenuta  il  giorno  18  maggio  526.  Già  l'insuccesso  della  missione 
scema  quindi  la  credenza  nella  verità  di  questo  racconto.  D'  altronde  la 
stessa  contemporaneità  della  supposta  origine  dei  vescovati  istriani  con- 
trasterebbe con  quello  svolgimento  naturale  e  logico,  che  ebbero  dovunque 
le  chiese  cristiane  secondo  le  circostanze  di  tempo  e  di  luogo,  e  per  il  quale 
non  è  perciò  da  ritenersi  che  identiche  fossero  dappertutto  nell'  Istria  le 
condizioni  di  fatto,  ed  identico  per  conseguenza  il  bisogno  di  creare  simul- 
taneamente le  sedi  vescovili  di  Trieste,  di  Capodistria,  di  Cittanova,  di 
Parenzo,  di  Pola  e  di  Pedena,  che  tanti  sarebbero  precisamente  i  vescovati, 
che  si  vorrebbero  allora  istituiti.  E  parimenti  non  sarebbe  forse  fuori  di  luogo 
la  domanda,  se  era  questo  propriamente  il  caso  pel  pontefice  di  ricorrere 
al  lontano  imperatore,  che  aveva  perduto  di  fatto  ogni  potere  di  governo 
siili'  Italia,  e  conservava  su  di  essa  soltanto  le  apparenze  di  un'alta  sovranità 
nominale;  quando  sarebbe  stata  invece  naturalissima  cosa  eh'  ei  trattasse  di 
questa  bisogna  dei  vescovati  istriani  col  vero  sovrano  territoriale,  dimostratosi 
ognora  studiatamente  rispettoso  e  compiacente,  sebbene  ariano,  verso  la 
gerarchia  cattolica,  e  col  quale  il  pontefice  aveva  eziandio  mantenuto  ami- 
chevoli rapporti,  sino  alla  sua  andata  a  Costantinopoli  ?  Ed,  infine,  la  missione 
ben  penosa  per  un  pontefice  di  farsi  appresso  1'  imperatore  il  patrocinatore 
delle  chiese  ariane  in  oriente,  non  valeva  forse  il  contraccambio  di  un  diretto 
favore  da  parte  dello  stesso  Teodorico,  senza  ch'ei  ne  aspettasse  l'impulso 
dall'  imperatore  Giustino,  allorquando  trovavasi  già  impegnato  nella  lotta 
contro  le  mal  celate  mene  del  senato  romano  e  dei  provinciali,  e  sospettava 
complice  della  congiura  persino  lo  stesso  pontefice  ?  Evidentemente,  tale 
presunta  origine  dei  vescovati  istriani  si  fonda  su  una  congettura  mancante 


—  5°6  — 

di  base   storica,   la  quale  a  forza  di   venire   ripetuta,    ha   finito   coli'  essere 
ritenuta  storia  vera. 

Altra  prova  in  favore  di  questa  opinione  si  è  creduto  di  poter  trarre 
dalla  iscrizione  seguente,  fatta  scolpire  da  Eufrasio  sopra  una  custodia  di 
altare  : 

i%  FAMVL  •  DI  •  EVFRASIVS  ANTIS  •  TE  ■  MPORIB  ;  SVIS  • 
AG  •  AN  •  XI  A  FONDAMEN  •  DO  ■  IOBANT  ■  SCE  ■  AECL  ■ 
CATHOLEC  •  HVNC  LOC ■ COND  ■ 

Locchè  vorrebbe  dire  in  italiano:  Eufrasio  servo  di  Dio  vescovo  della  santa 
chiesa  cattolica  nell'  anno  undecima  del  suo  episcopato  eresse  coli'  aiuto  di  Dio 
questo  luogo  dalle  fondamenta.  Questa  iscrizione  fu  pubblicata  da  quanti 
scrissero,  e  non  furono  pochi,  dell'attuale  basilica,  affine  di  stabilire  il  tempo 
della  sua  edificazione  ;  ma  chi  il  crederebbe  !  sebbene  fosse  ben  ovvia  la 
spiegazione  delle  parole  :  DO  ■  IOBANT  •  «  Dea  juvante,  coli' aiuto  di  Dio  » 
tutti  ne  travisarono  il  senso,  dando  loro  la  interpretazione  :  Domino  Ioanne 
beatissimo  Antistite  ').  Ed  acconciatasi  a  questo  modo  la  iscrizione,  ragio- 
narono poscia  press'  a  poco  cosi.  Eufrasio,  protovescovo,  ha  lasciato  me- 
moria di  avere  compiuta  la  costruzione  della  basilica  nell'  undecimo  anno 
del  suo  episcopato,  regnando  un  pontefice  di  nome  Giovanni.  Il  primo  pon- 
tefice di  questo  nome  non  può  essere  quello  della  iscrizione,  perchè  fu  lui 
appena,  e  l' imperatore  Giustino,  che  dotarono  l' Istria  di  propri  vescovati. 
Dovendo  esservi  stato  perciò  il  pontefice  Giovanni  II,  ed  avendo  questi 
regnato  dal  332-335,  la  promozione  di  Eufrasio  all'episcopato  cade  neces- 
sariamente tra  il  521  ed  il  524:  ecco  provare  dunque  anche  l'iscrizione 
che  i  vescovati  istriani  furono  creati  intorno  all'anno  524,  cioè,  al  tempo 
della  missione  suddetta.  Non  c'è  che  dire:  il  ragionamento  correrebbe  liscio 
liscio,  se  non  avesse  la  disgrazia  di  essere  fantastico. 


')  La  iscrizione  fu  pubblicata  con  questa  interpretazione  errata  dal  dott.  Vergottini  : 
'Breve  storia  della  città  di  Parendo  nell' Istria,  Venezia,  1796;  dal  Polesini:  Jllustr.  al  taber- 
nacolo marni,  esistente  nella  chiesa  di  "Parendo,  Trieste  ;  dal  Kandler  :  L'Istria,  a.  II,  1847, 
n.  9  ;  dal  Eitelberger  :  Mitlelaìter.  Kunstdenk.  i.  ùesttr.  Kaiserstaates,  Wien  ;  dal  Lohde  : 
'Der  Dom  voti  Parendo,  Berlin  ;  dal  Cappelletti  :  Le  chiese  d'Italia,  voi.  Vili,  Venezia  ;  e 
forse  da  altri  autori  ancora,  che  non  potei  consultare.  Il  primo  che  insorse  a  protestare 
vivacemente  contro  questo  modo  di  spiegare  l'iscrizione  fu  il  Padre  R.  Garrucci  nella  sua 
opera  monumentale  :  L'arte  cristiana  ecc.,  Prato,  1877,  voi.  VI. 


—  507  — 

Le  ingiurie  del  tempo  hanno  pur  troppo  distrutto  le  più  antiche  me- 
morie dei  vescovati  istriani,  ad  eccezione  di  quest'unica  della  chiesa  parentina, 
pareggiando  in  ciò  le  nostre  chiese  principali  a  tante  altre  dell'  Italia  set- 
tentrionale, intorno  alle  quali  mantiensi  egualmente  oscura  l' origine  dei 
rispettivi  episcopati,  sebbene  vi  concorrino,  come  presso  di  noi,  non  ispre- 
gevoli  tradizioni  della  loro  remota  antichità  ;  tutt'  al  contrario  di  quanto 
riguarda  le  chiese  dell'  Italia  inferiore,  dove  si  hanno  positive  prove  della 
esistenza  di  numerosi  episcopati,  sino  dalla  prima  meta  del  III  secolo  '). 
La  scomparsa  del  nome  dei  vescovi  non  va  però  tutta  attribuita  alla  falce 
del  tempo;  altre  cause  possono  avervi  probabilmente  in  parte  contribuito. 
E  mi  spiego.  Col  contatto  dei  barbari,  presso  ai  quali  il  cristianesimo  si 
era  rapidamente  diffuso  sotto  la  forma  ariana,  l' arianesimo  penetrò  presto 
nell'  Italia  settentrionale,  ed  in  meno  che  non  si  dica  la  invase  in  buona 
parte.  La  sede  stessa  di  Aquileja  non  ne  andò  immune  :  il  vescovo  Valente 
(a.  344),  ed  il  di  lui  successore  Fortunaziano  (a.  347-357)  erano  entrambi 
ariani.  La  ortodossia  di  quella  sede  venne  ristabilita  appena  dal  vescovo 
S.  Valeriano  (a.  369-388?)  sotto  il  cui  pontificato  fu  convocato  nel  381, 
per  ordine  dell'  imperatore  Graziano,  un  sinodo,  affine  di  condannare  le 
dottrine  ariane  di  Palladio  e  Secondino,  al  quale  intervenne  anche  S.  Am- 
brogio vescovo  di  Milano,  succeduto  ad  Aussenzio  nel  374,  pure  vescovo 
ariano.  Nel  V  secolo  pullularono  parimenti  non  poche  sette,  quali  quelle 
di  Pelagio,  di  Celestino,  dei  Manichei,  dei  Priscillanisti  ecc.,  le  quali,  se 
non  fecero  in  Italia  molta  presa,  serpeggiarono  tuttavia  qua  e  là  transito- 
riamente, tanto  da  richiamarvi  la  particolare  attenzione  del  pontefice  S.  <0feo»<^ 
$$/  Magno,  di  cui  si  hanno  due  lettere,  dirette  nel  444  e  nel  447  al 
vescovo  Gennaro  di  Aquileja,  allo  scopo  di  eccitare  la  sua  vigilanza  pastorale 
sulla  setta  pelagiana,  e  per  raccomandargli  di  non  riammettere  nella  pro- 
vincia aquilejese  quei  presbiteri,  diaconi,  ed  il  rimanente  clero  dei  diversi 
ordini,  i  quali  volessero  fare  ritorno  alla  unità  cattolica,  nelle  proprie  sedi, 
se  non  avessero  prima  pubblicamente  abjurato  agli  errori  2).  Ora  se  queste 
furono  le  vicende  della  chiesa  episcopale  della  vicina  Aquileja,  è  lecito  per 


')  Duchesxk.  Op,  cit.  In  una  nota  a  pie'  di  pagina,  il  chiaro  autore  sostiene  che 
le  sedi  episcopali  di  Ravenna  (Classe),  Milano,  Aquileja,  Hrescia  e  Verona,  sono  le  sole 
che  possonsi  fare  rimontare,  con  argomenti  seri,  al  di  là  del  IV  secolo.  Le  due  prime 
parrebbero  anzi  fondate  verso  il  principio  del  III  secolo,  e  fors'  anche  qualche  tempo 
prima. 

*)  Rubeis.  Op.  cit. 


—  508  — 

lo  meno  di  sospettare  che  non  troppo  dissimili  fossero  pure  quelle  delle 
chiese  istriane,  e  che  la  dispersione  delle  antiche  memorie  sia  derivata  in 
parte  anche  dai  scismi,  ond'esse  furono  afflitte  nel  IV  e  V  secolo.  —  Lo 
stesso  buio  continua  durante  il  regno  di  Odoacre;  ma  sparisce  ad  un  tratto, 
quasi  per  incanto,  sotto  quello  di  Teodorico  (a.  493-526),  colla  comparsa 
a  Pola,  per  tacere  anche  dell'  incerto  Venerio,  del  vescovo  Antonio,  men- 
zionato nella  XLIV  fra  le  varie  di  Cassiodorio  dell'anno  5 1 1  '),  e  così  pure 
di  Eufrasio  a  Parenzo,  di  Frugifero  a  Trieste,  e  così  via  dicendo  dei  nomi 
dei  vescovi  di  tutte  le  altre  sedi.  I  nostri  vescovati  entrano  dunque  bensì 
con  Teodorico  in  un  periodo  di  piena  luce  storica;  ma  che  non  può  essere 
confuso  col  tempo  della  loro  prima  fondazione.  La  comparsa  dei  vescovi 
non  è  altro  che  il  risultato  naturale  della  pace  e  dell'  ordinato  governo, 
inauguralo  dal  re  Teodorico  dopo  il  lungo  avvicendarsi  d'irruzioni  di  popoli 
barbari,  e  di  guerre  sterminatrici,  che  avevano  desolato  particolarmente  il 
Veneto,  e  l' Italia  superiore,  mandandone  in  fascio  ogni  ordinamento  interno. 
L' Istria  pure  non  tardò  a  godere  dei  benefici  effetti  di  quella  pace,  e  di 
quel  regolato  governo  :  colle  istituzioni  civili  risorgono  altresì  le  chiese  dal 
secolare  abbattimento  ;  i  vescovi  riprendono  la  posizione  influente  nel  go- 
verno dei  municipi  fatta  loro  da  Costantino,  ed  ampliata  dagli  imperatori 
successivi  ;  la  relativa  felicità  dei  tempi  salva  infine  i  loro  nomi  dall'oblio, 
ed  apresi  con  essi  la  nuova  serie  dei  vescovi  delle  chiese  istriane. 

Ritornando,  dopo  questa  digressione,  alla  basilica  seconda,  restami  a 
dire  ancora  come,  e  quando,  essa  finisse.  Ridonata  da  Costantino  la  pace, 
giova  credere  che  la  comunità  cristiana  nella  gioia  di  quell'  avvenimento, 
e  nel  fervore  di  ripristinare  al  più  presto  la  chiesa  distrutta,  non  si  fosse 
presa  molta  cura  della  solidità  della  nuova  fabbrica,  e  della  scelta  del  ma- 
teriale di  costruzione.  Perciocché  inalzato  Eufrasio,  circa  due  secoli  dopo, 
all'onore  dell'episcopato,  ei  trovasse  la  basilica  pericolante  per  la  poca  ro- 
bustezza delle  mura,  e  pel  tetto  già  marcito  che  reggevasi  soltanto  in  grazia 
delle  catene,  che  ne  impedivano  la  caduta.  Eufrasio,  subito  che  vide  mi- 
nacciata la  sede  di  prossima  rovina,  non  esita  un  istante  ;  ma  risolve  nella 
sua  santa  mente  di  prevenirla,  e  ripieno  di  ardore  e  di  fervida  fede,  fa 
demolire  la  basilica,  e  costruirne  una  nuova  dalle  fondamenta,  risplendente 
di  vario  metallo,  e  decorata,  com'egli  stesso  lo  dice,  miniere  magno.  Tutto 


')  Tanzi.  Studio  sulla  cronologia  dei  «Variarmi! »  di  Cassiodorio  senatore.   «  Archeografo 
Triestino»,  voi.  XIII,  a.   1887. 


—   509  — 

questo  noi  rileviamo  dalla  iscrizione  musiva  posta  all'  ingiro  dell'  abside,  e 
che  qui  riporto  per  la  sua  qualità  di  documento  ineccepibile  del  tempo  e 
del  modo,  col  quale  cessava  la  basilica  seconda,  e  sorgeva  la  terza,  ossia 
la  basilica  attuale. 

©  HOC  FVlT  IN  PRIMIS  ■  TEMPLVM  ■  QVASSANTE  •  RVINA  : 
TERRIBILIS  •  LABSV  ■  NEC  CERTO  ROBORE  ■  FIRMVM  • 
EXIGVVM  •  MAGNOQ.VE  •  CARENS  •  TVNC  FVRMA  METALLO  t> 
SED  MERITIS  TANTVM  ■  PENDEBANT  ■  PVTRIA  ■  TECTA 
^  VT  VIDIT  SVBITO  LAPSVRAM  ■  PONDERE  ■  SEDEM  • 
PROVIDVS  ET  FIDEI  FERVENS  ■  ARDORE  •  SACERDVS  ■ 

EVFRASIVS  SCA  PRECESSIT  MENE  •  RVINAM  ■ 
LABENTES  ■  JVELIVS  SEDITVRAS  ■  DERVIT  AEDES  • 
FVNDAMENTA  LOCANS  :  EREXIT  ■  CVLMINA  •  TEMPLI 
>£  QVAS  •  CERNIS  NVPER  ■  VARIO  ■  FVLGERE  METALLO  ■ 
PERFICIENS  •  COEPTVNDECORAVIT  MVNERE  ■  MAGNO  ■ 
AECCLESIAM  ■  VOCITANS  •  SIGNAVIT  •  NOMINE  ■  XPl  ■ 
CONGAVDENS  ■  OPERI  ■  SIC  ■  FELIX  •  VOTA  ■  PEREGIT  <t> 

Al  compendio  della  seconda  basilica  appartengono  l'atrio  quadriportico, 
il  battistero  e  l'oratorio  di  forma  basilicale.  Una  sicura  norma  per  distin- 
guere le  costruzioni  del  IV  secolo  da  quelle  del  VI,  l'abbiamo  nella  diversa 
qualità  dei  cementi  adoperati,  di  maniera  che,  per  poco  che  vi  si  presti 
attenzione,  non  è  possibile  di  confondere  le  costruzioni  dell'uno  con  quelle 
dell'  altro  secolo.  Esaminando  con  questa  guida  le  singole  fabbriche,  si  è 
potuto  indubbiamente  stabilire  che,  meno  parziali  rifacimenti,  Eufrasio  ha 
mantenuto  l'atrio  in  quella  stessa  forma  ed  ampiezza,  in  cui  lo  aveva  trovato, 
ornandolo  soltanto  delle  colonne  marmoree  dai  capitelli  bizantini  di  artistico 
lavoro  a  trapano,  ed  ha  conservato  pure  il  battistero,  che  stava  di  faccia 
alla  basilica,  riducendolo  però,  mediante  ridossi  murati,  da  rotondo  che  era 
internamente  a  forma  poligona.  Quindi  si  spiega  anche  il  motivo,  pel  quale 
la  basilica  eufrasiana  col  suo  atrio  quadriportico,  e  col  battistero  dinanzi, 
ha  conservato  nelP  assieme  la  pianta  delle  basiliche  Costantiniane. 

L' oratorio  colla  doppia  abside  interna,  incorporato  all'  episcopio  nella 
seconda  metà  del  secolo  XV,  era,  secondo  ogni  probabilità,  l1  antico  con- 
signaiorium,  il  luogo,  cioè,  nel  quale  il  vescovo  impartiva  la  cresima  ai 
neofiti  subito  dopo  ricevuto  il  battesimo,  e  prima  che  facessero  in  chiesa 
il  loro  solenne  ingresso.  E  per  quanto  riguarda  il  battistero,  giova  notare 
eh'  esso  non  sorgeva  allora  isolato,   come   lo   si  vede  al  presente.   Benché 


—  sio  — 

non  siano  stati  eseguiti  in  quella  parte  estesi  scavi,  si  hanno  tuttavia  suf- 
ficienti indizi  per  ritenere  che  vi  esistessero  ai  fianchi  altri  corpi  di  fab- 
brica, ai  quali  accennano  anche  le  porte  laterali  del  battistero  ora  murate, 
destinati  ai  locali  di  riunione  dei  battezzandi  e  dei  loro  parenti,  agli  spo- 
gliatoi divisi  per  sesso  ecc.  Ed  è  molto  probabile  altresì  che  quei  corpi  di 
fabbrica  fossero  congiunti  da  un  porticato  al  consignatorium,  uscendo  dal 
quale  i  neofiti  raggiungevano  1'  arco  esterno  del  IV  secolo  (Tav.  II),  e  da 
questo  la  porta  di  accesso  all'  altro  porticato,  rappresentato  dal  pavimento 
musivo  a  spinapesce  ricordato  più  sopra,  donde  entravano  poi  nel  quadri- 
portico,  e  da  questo  nella  basilica. 

Di  certa  costruzione  eufrasiana  si  presenta  la  cappella  triabsidata  col- 
1'  avamportico  di  forma  ellittica,  simile  a  quella  della  basilica  di  Grado,  e 
nella  quale  venivano  custodite  le  reliquie,  in  sostituzione  del  preesistito 
oratorio.  Alquanto  più  dubbia  è  l'origine  del  secretariitm,  ossia  della  sagrestia 
vecchia,  la  quale,  verosimilmente,  rimonta  al  tempo  della  basilica  seconda, 
sebbene  rifatta  poscia  ancor  essa  da  Eufrasio.  I  pilastri  e  le  volte  nel  locale 
di  mezzo  tra  la  basilica  e  la  detta  sacrestia,  nei  quali  il  dott.  Kandler  ha 
creduto  di  ravvisare  gli  avanzi  di  edifizio  romano  eretto  probabilmente  a 
scopo  militare,  sono  per  lo  contrario  d'indubbia  costruzione  del  secolo  XIII; 
com'è  del  pari  certo  che  la  cappella  triabsidata  avente  la  forma  esterna  di 
torre,  e  denominata  talvolta  per  questo  motivo  nei  documenti  medioevali 
castello,  ben  lungi  dall'  essere  appartenuta  al  Campidoglio,  che  anche  dopo 
alzata  la  basilica  avrebbe  conservato,  secondo  il  precitato  autore,  1'  antica 
distribuzione  ed  uso  '),  ha  preso  invece  questa  forma  da  un  successivo 
inalzamento  delle  mura,  avvenuto  ai  tempi  veneti,  allo  scopo  di  difendere 
la  città  da  eventuali  attacchi  dalla  parte  del  mare.  L'  alzato  della  cappella 
è  visibilissimo  esternamente  dalla  differente  muratura  ;  locché  non  fu  però 
avvertito  dal  chiaro  archeologo  sunnominato. 

Nello  stesso  locale  venne  rimesso  a  giorno  ampio  tratto  di  pavimento 
musivo  alla  profondità  di  Di.  1.50,  il  quale  continua  nello  scoperto  attiguo, 
ed  apparteneva  certamente  ad  un  locale  accessorio  più  basso,  della  basilica 
seconda. 

L'icnografia  che  qui  Vi  presento  (Tav.  Ili),  Vi  spiegherà  meglio  delle 
mie  parole  la  situazione  delle  singole  basiliche,  e  quella  degli  altri  edilìzi 
ad  esse  attinenti,    rendendovi  nello  stesso  tempo  più  agevole  il  mezzo  di 


')  Kandler.  Op.  cit.  Cenni  ai  forastiero  ecc. 


—  su  — 

studiare  da  per  Voi  le  recenti  scoperte,  e  trarne  quelle  più  corrispondenti 
deduzioni  che  noi  non  fummo  forse  capaci  d' intravvedervi  '). 

Mentre  noi  si  stava  intenti  a  questi  studi,  altra  e  ben  gradita  sorpresa 
ci  veniva  preparata  in  questa  estate  dall'  i.  r.  architetto  sig.  Natale  Tommasi, 
nell'  occasione  in  cui  davasi  principio  al  restauro  dei  preziosi  musaici  che 
adornano  l'abside  di  questa  basilica,  affidato  dall'imperiale  Governo  al  va- 
lente artista  romano  cav.  Pietro  Bornia.  Intendo  alludere  alla  scoperta  da 
lui  fatta  del  grande  musaico  sopra  1'  arco  trionfale,  che  da  più  secoli  era 
rimasto  coperto  da  uno  strato  d' intonaco,  e  da  quel  goffo  cornicione  di 
legno,  che  gira  tutto  all'  intorno  del  soffitto  della  basilica.  Assicuratosi  egli 
dapprima  con  un  attento  esame  che  ivi  esistesse  nascosto  un  musaico,  fece 
rimuovere  il  cornicione,  e  stonacando  poscia  pazientemente  la  parete,  ecco 
apparirvi  infatti  nel  mezzo  la  figura  del  Redentore,  e  via  via  ai  lati  l'una 
dopo  l' altra  quelle  degli  Apostoli.  Queste  figure  sono  disposte  sopra  un 
quadrilungo  di  m.  8.60  ed  alto  m.  1.25,  incorniciato  al  di  sopra,  e  late- 
ralmente, da  una  fascia  di  colore  rosso  carico,  cosparsa  di  gemme  aurate. 
A  quale  più,  ed  a  quale  meno,  manca  a  ciascuna  figura,  dal  petto  in  giù, 
la  rimanente  parte  del  corpo,  che  andò  distrutta  per  ingrossare  con  cemento 
e  scaglie,  la  parete  dell'  arco  sottostante  al  cornicione.  Nel  restante,  tutte 
le  figure  sono  abbastanza  bene  conservate,  meno  quelle  del  Redentore,  e 
degli  apostoli  Bartolomeo  e  Matteo,  guaste  dalle  mensole  che  furono  in- 
castrate nel  muro,  affine  di  appoggiarvi  il  cornicione.  Le  dette  figure  spiccano 
da  un  fondo  d'  oro  formato  di  una  serie  fittissima  di  tesselli  disposti  ad 
angolo,  cosi  da  imitare  altrettanti  piccoli  gradini,  che  vanno  dall'  alto  al 
basso.  Il  Redentore  col  nimbo  crucigero,  siede  sulla  sfera  del  mondo,  e 
veste  un  ampio  manto  pavonazzo.  Colla  destra  sta  in  atto  di  benedire,  e 
colla  sinistra  sostiene  un  libro  aperto,  in  una  facciata  del  quale  si  leggono 
le  parole:  EGO  SVM,  e  nell'altra:  LVX  VERA.  Le  parole  stanno  l'una 
sopra  1'  altra.  A  destra  del  Redentore,  e  rispettivamente  a  sinistra  di  chi 
guarda  l' abside,  vengono  gli  Apostoli  che  vestono  tutti  tunica  e  pallio 
bianco,  gemmato  di  croci,  e  su  cui  appaiono  le  lettere  :  A,  L,  H  ecc.  : 
PETRVS  che  sporge  a  Cristo  le  chiavi,  ANDREAS  col  libro  in  mano, 
IACOBVS  colla  corona,  BARTHOLOMEVS  col  libro,  THOMAS  col  libro, 


')  La  pianta  grande  in  scala  da  1  :  100  fu  rilevata  dall'architetto  sig.  Tommasi,  lo 
spaccato  da  mons.  Deperis  ;  le  tavole  furono  disegnate  dal  sig.  Giulio  De  Franceschi.  Per 
questa  gentile  cooperazione  vogliano  i  detti  signori  accettare  le  mie  più  sentite  grazie. 


—    5I2    — 

SIMON  colla  corona.  A  sinistra  del  Redentore  vengono  poi  :  PAVLVS  che 
gli  presenta  due  rotoli,  IOHANNES  colla  corona,  FELIPPVS  col  libro, 
MATTEVS  col  libro,  IACOBVS  ALFEI  colla  corona,  IVDA  col  libro.  — 

Sovra  ogni  testa  degli  apostoli  stanno  le  lettere  :  SCS,  ed  il  nome.  Le  teste 
sono  in  generale  così  bene  conservate  da  potere  rilevare  la  fisonomia  di 
ciascun  apostolo,  meno  ie  tre,  che  furono  guastate  dalle  mensole,  ("osi  hanno 
aspetto  di  giovani:  Johannes,  Iacobus  Alfa,  Inda,  lacobus  e  Simon;  mentre 
hanno  aspetto  di  uomini  maturi  :  Petrus,  Andreas,  Thomas  e  Felippus.  Il 
quadro  anche  così  imperfetto  desta  un  senso  di  profonda  ammirazione,  e 
tanto  più  doveva  riuscire  imponente  veduto  nella  sua  integrità  e  nello  splen- 
dore originario. 

Giunto  di  questa  guisa  al  termine  della  mia  relazione,  permettetemi 
ancora,  o  Signori,  che  io  esprima,  prima  di  chiudere,  una  parola  di  rico- 
noscenza all'  imperiale  Governo  pella  ragguardevole  somma  di  fior.  20000, 
che  speriamo  non  sarà  la  sola,  molti  essendone  ancora  i  bisogni,  messa  a 
disposizione  pel  restauro  dei  musaici  nell'  abside  di  questo  insigne  monu- 
mento dell'  arte  cristiana,  che  l' Istria  tutta  si  gloria  di  possedere  ;  e  così 
pure  che  io  ricordi  per  cagione  di  speciale  benemerenza  l'i.  r.  Commissione 
centrale  pella  conservazione  dei  monumenti  artistici  e  storici,  la  quale  ha 
vivamente  patrocinato  la  causa  di  questo  urgente  restauro,  e  si  dimostra 
sempre  interessatissima  in  tutto  ciò  che  può  favorire  la  migliore  conser- 
vazione della  basilica.  Ringrazio,  per  ultimo,  la  Dieta  e  la  Giunta  provin- 
ciale, il  Municipio  di  Parenzo,  le  Corporazioni,  ed  i  molti  privati,  che 
hanno  generosamente  contribuito  alla  spesa  pella  esecuzione  degli  scavi,  e 
delle  costruzioni  successive  che  si  manifestarono  necessarie  per  mettere  sotto 
coperto  i  musaici  della  basilica  primitiva,  e  rendere  facilmente  visibile  al  sito 
stesso  ogni  altro  ritrovamento. 

E  Voi,  onorevoli  Consoci,  vogliatemi  essere  cortesi  della  Vostra  in- 
dulgenza, se  Vi  ho  forse  troppo  a  lungo  intrattenuto  sul  tema  di  queste 
basiliche  cristiane  :  mi  siano  di  scusa  la  provata  benevolenza  Vostra,  e  la 
particolare  importanza  dell'  argomento. 


Nota.  -  Pregato  da  me  Mons.  Deperis,  dopo  la  Pasqua,  di  volere  aprire  uno  scavo 
sul  davanti  dell'arco  trionfale,  allo  scopo  di  scoprire,  se  possibile,  il  sito  dell'antico  cubili 
di  S.  Mauro  vescovo  e  martire,  egli  si  accinse  in  questi  giorni  all'  impresa  ;  ed  io  sono 
tanto  felice  di  poter  comunicare,  all'ultimo  momento,  ai  miei  lettori,  in  questa  nota,  le 
recenti  importantissime  scoperte  da  lui  fatte.  Monsignore  fu  anzi  tanto  gentile  da  darmene 
la  seguente  relazione  scritta  : 


—  5i3  — 

«  Gli  scavi  di  questi  giorni  diedero  i  seguenti  risultati  : 

»  Si  scopri  il  piano  e  la  forma  del  presbitero  della  basilica  Costantiniana,  secondo 
il  tipo  più  antico,  e  la  descrizione  che  ne  fanno  il  Ciampini,  il  Mamachi,  il  Gaumf.  ecc. 

»  Infatti,  questo  presbitero  si  eleva  di  cent.  70  sopra  il  pavimento  già  noto  della 
grande  navata,  ed  è  formato  da  un  piano  semicircolare  del  diametro  di  m.  5.54,  aperto 
davanti,  e  circoscritto  all'ingiro  della  semicirconferenza  da  un  alzato  di  muro,  quasi  gradino, 
alto  cent.  22  ed  intonacato  a  fino.  Nel  mezzo  di  questo  alzato  sporge  il  suppedaneo  o 
sgabello  che  sopportava  la  sedia  del  vescovo.  Da  ambo  i  lati  del  suppedaneo  il  detto 
gradino  è  diviso  in  quattro  scompartimenti  da  tre  liste  rosse  colorate  per  ciascuno,  le 
quali  corrono  verticali  sul  davanti,  è  poi  continuano  ripiegate  traversalmente  sul  piano 
superiore  del  gradino.  Questi  otto  compartimenti  segnano  molto  probabilmente  i  posti 
di  otto  presbiteri,  che  stavano  ai  lati  del  vescovo,  quando  si  celebrava  la  sacra  liturgia. 
1  diaconi,  i  suddiaconi  ed  i  cantori  stavano  nel  coro  sottostante,  al  quale  si  scendeva  per 
tre  gradini. 

»  Il  pavimento  del  presbitero  è  a  mosaico,  ed  il  disegno  d'ornato  asseconda  la  forma 
semicircolare  del  piano.  Una  fascia  di  mosaico  bianco,  larga  cent.  16,  corre  da  prima 
tutto  all'ingiro  dei  lembi  estremi  del  presbitero,  in  linea  retta  sul  davanti,  ed  in  linea 
semicircolare,  lambendo  il  predetto  gradino.  La  segue  nelle  stesse  direzioni  una  fascia 
d'ornato,  larga  cent.  51,  orlata  da  due  listelli  neri  sopra  e  sotto;  con  questo  di  più  che 
il  secondo  listello  nero  superiore  è  ornato  di  dentelli  neri,  rivolti  verso  il  listello  estremo, 
ma  senza  toccarlo,  in  modo  da  presentare  gli  elementi  primi  di  una  greca.  Il  campo  tra 
queste  orlature,  largo  cent.  32,  è  ornato  da  un  ramo  serpeggiante  a  foglie  di  palma,  dal 
quale  si  distaccano  delle  volutine  e  delle  foglie  di  edera  assai  appuntite.  11  ramo  e  le 
foglie  sono  di  mosaico  nero  lumeggiato  di  color  cenere,  in  fondo  bianco.  Nel  campo 
centrale  si  vedono  altre  foglie  in  nero  e  delle  girate  in  rosso  di  vario  andamento  ;  ma 
di  queste  non  si  può  raccappezzarne  il  motivo,  essendo  questo  campo  rovinato  da  una 
tomba  molto  grande,  costruita  nel  medio  evo,  probabilmente  nel  secolo  XIV. 

»  Dal  descritto  presbitero  si  usciva  da  ambo  i  lati  estremi  del  gradino  semicircolare, 
il  quale  non  giungeva  fino  alla  estremità  anteriore  del  presbitero,  ma  vi  lasciava  comodo 
passaggio  al  retro-presbitero,  detto  comunemente  il  beuta,  dal  quale  si  passava  al  santuario, 
che  stava  sotto  l'abside,  ascendendo  un  gradino.  Poco  lungi  dal  gradino  vi  doveva  essere 
il  velario,  o  cancello  con  tre  porte  munite  di  tendine,  che  nascondevano  l'altare  posto  in 
fondo  all'  abside,  ed  alquanto  discosto  dalla  medesima.  Siccome  gli  altari  di  quelP  epoca 
erano  formati  di  quattro  colonnine,  con  sopra  una  lastra  di  marmo  o  di  pietra,  nò  abbi- 
sognavano quindi  di  fondamenta  ;  cosi  non  vi  era  il  caso  di  poter  rinvenire  traccia  delie 
medesime.  Ben  però  furono  trovati  preziosi  avanzi  della  confessione  o  marty riunì,  che  con- 
teneva il  corpo  di  S.  Mauro  martire.  Questi  avanzi  stanno  sotto  i  tre  ultimi  gradini  e 
sul  davanti  dell'attuale  cattedra  marmorea,  ed  alla  profondità  di  m.  1.80  dall'attuale  pa- 
vimento, e  perciò  a  cent.  87  sotto  il  piano  dell'  antico  santuario.  E  consistono  :  in  una 
parte  del  muro  verso  oriente  della  confessione,  ed  in  alcuni  resti  del  pavimento  a  mosaico 
con  vario  disegno  d'  ornato  in  bianco  e  rosso.  I  detti  avanzi  furono  veduti  ora  sono  14 
mesi,  senza  che  allora  fosse  stato  possibile  di  rilevarne  il  valore  ed  il  significato,  perchè 
il  santuario  lo  si  riteneva  e  cercava  sul  davanti,  fuori  dell'abside,  sull'esempio  della  basilica 
di  S.  Clemente  a  Roma.  Ma  oggi  che  in  questo  posto  si  scoprì  invece  il  presbitero,  in 
conformità  al  vero  ed  antico  tipo  delle  basiliche  Costantiniane,  la  stessa  struttura  della 
scoperta  basilica  ci  condusse  a  riconoscere  il  vero  posto  del  santuario,  dell'altare  e  della 
confessione. 


—  5*4  — 

»  Da  tutte  queste  scoperte,  che  non  sono  induzioni,  ma  sono  fatti  visibili  da  chi  si 
voglia,  resta  sempre  più  confermato  che  Parenzo  già  nella  prima  metà  del  IV  secolo  avea 
una  basilica  di  pure  forme  Costantiniane,  la  quale  era  sede  vescovile,  perchè  mostra  ancora 
il  posto  che  occupava  il  vescovo  nel  suo  presbitero,  ciò  che  non  si  vede  più  in  nessun'altra 
basilica  di  queir  epoca  ». 

La  pianta  della  basilica  Costantiniana  è  data,  oltreché  dagli  autori  succitati,  anche 
dal  Kr.\usk  Op.  cit.  voi.  1,  pag.  121. 


La  lettura  della  Relazione  del  Presidente  venne  accolta  da  unanimi 
approvazioni. 

L' ili.  Capitano  provinciale,  cav.  dott.  Campitelli,  interpretando  il  voto 
di  tutti,  fa  plauso  al  Presidente  ed  a  mons.  Deperis,  al  quale  ultimo  pro- 
pone che  tutta  l'assemblea  esprima  un  voto  di  riconoscente  ringraziamento. 

Tutta  1'  assemblea  assorge. 

Dopo  ciò  il  Presidente  concede  la  parola  al  Segretario,  per  l'esposizione 
del  resoconto  morale  della  Società  nell'anno  1889.  Ciò  stante  il  signor 
dott.  M.  Tamaro  d:\  lettura  della  seguente 

RELAZIONE. 

Onorevolissimi  Signori  ! 

La  lettura  testé  fatta  Vi  di  cose  tanto  interessanti  e  che  riflettono  in 
qualche  parte  1'  attività,  se  non  di  tutta  la  Direzione,  quella  per  lo  meno 
del  nostro  onor.  Presidente,  facilita  di  molto  il  compito  mio,  sicché  a  me 
non  resta  che  di  spigolare  alcune  notizie  d'ordine  diverso,  il  che,  per  non 
attediarvi,  farò  brevemente.  Così  dovrò,  per  alcuni  fatti,  risalire  anche 
all'anno  1889,  essendo  che  nella  mia  Relazione  dell'anno  scorso,  piuttosto 
che  soffermarmi  all'  attività  propria  di  quell'  anno  sociale,  mi  piacque  di 
riassumere  quella  del  primo  quinquennio. 

Nella  Relazione  del  novembre  1 888  io  V  ho  parlato  dei  castellieri  e 
degli  escavi  intrapresi  dall'egregio  nostro  consocio,  il  sig.  maestro  Cappel- 
lari,  su  quel  di  Villanova  di  Verteneglio  ;  ora  io  posso  soggiungere,  che 
la  Direzione  1'  ha  interessato  l'anno  appresso  di  proseguire  gli  escavi  stessi, 
lasciandogli  ampia  libertà  di  scegliere  la  posizione  eh'  ei  reputasse  la  meglio 
feconda  di  ritrovati.  Ed  ei  si  messe  a  scavare  su  di  un  fondo  di  terra  della 
superficie  di  247  metri,  posto  a  meriggio  del  castelliere  di  Vallaron.  Già 
la  natura  del  terreno  gli  forniva  buoni  indizi.  Infatti,  a  preferenza  di  ogni 


—  SiS  — 

altro  sito  di  questa  sede  preistorica,  fu  rinvenuta  un'  abbondante  quantità 
di  ossa  d'animali,  particolarmente  di  cervi,  alcune  petrificate,  altre  lavorate 
a  guisa  d'utensili  domestici.  Scarse  però  erano  le  tombe  e  mal  costruite, 
nelle  quali  non  si  poterono  ricuperare  che  pochi  pezzi  di  coccio  d'una  pasta 
primitivissima,  e  fragile  così  da  sciogliersi  in  frantumi  alla  premitura  più 
lieve  delle  dita.  Di  questo  escavo  non  ci  è  rimasto  che  un  pezzo  di  cotto 
raffigurante  la  testa  d'  un  animale,  e  poche  lamine  di  bronzo  corrose  pa- 
recchio dalla  ruggine,  tanto  da  non  poter  discernere  quale  oggetto  rap- 
presentassero. 

Visto  che  da  questa  parte  gli  scarsi  ritrovati  costavano  troppa  fatica 
e  grandi  sacrifizi  di  danaro,  fu  tastato  il  terreno  un  centinaio  di  metri  più 
innanzi,  verso  levante.  Infatti  sopra  una  superficie  di  162  metri,  si  è  ritro- 
vata oltre  una  quarantina  di  tombe,  dalle  quali  però  si  sono  ricuperati 
appena  una  diecina  di  ossuari,  che  furon  qui  ricomposti  con  lunga  pazienza. 

Codesti  escavi,  interrotti  nel  marzo,  furono  ripresi  nell'ottobre  succes- 
sivo ;  ma,  quantunque  gl'indizi  d'una  necropoli  continuassero  sempre,  non 
fu  possibile  di  ritrovar  nulla  per  la  conservazione  nel  nostro  Museo,  salvo 
qualche  piccolo  oggetto  d'osso,  o  qualche  informe  lamina  di  bronzo,  cose 
tutte  che  si  sono  acquistate,  per  verità,  a  troppo  caro  prezzo.  Egli  è  che 
anche  questi  escavi,  se  anche  infecondi  di  risultati  materiali,  offrono  una 
qualche  nozione  allo  studioso,  come  sarebbe  quella  di  constatare,  che  i 
primi  abitatori  di  queste  terre  usassero  spesso  di  seppellire  i  loro  morti,  o 
meglio  di  conservare  le  loro  ceneri,  deponendole,  oltre  che  in  ossuari  fittili 
o  bronzei,  semplicemente  entro  una  buca  e  coprendole  poscia  con  una  lastra 
di  pietra.  Il  che  significherebbe,  che  la  conservazione  delle  ceneri  nelle  urne 
fittili,  o  di  bronzo,  costituiva  già  una  pratica  di  lusso,  che  non  poteva  con- 
cedersi che  le  persone  o  le  famiglie  più  agiate.  Ciò  premesso,  dal  complesso 
di  tutti  gli  escavi  praticati  nei  castellieri  di  Villanova  emergerebbe,  che 
codeste  residenze  fossero  abitate  da  popolazioni  molto  povere,  inquantochè 
dalle  tombe  fin  qui  dissepolte,  moltissime  fossero  senza  urne,  e  quelle  che 
vi  si  trovarono  erano  d'una  forma  molto  semplice  e  primitiva,  né  fu  dato 
ancora  di  scoprire  nessuna  urna  cineraria  di  bronzo.  Anche  altri  oggetti  di 
bronzo  furono  assai  rari.  Ma  queste  non  sono  che  mere  supposizioni,  le 
quali  potrebbero  venir  smentite  da  ulteriori  ritrovamenti  di  più  preziosi 
cimeli.  Imperochè  resti  molto  ancora  a  scavare,  e  dagli  ulteriori  escavi,  chi 
sa  che  non  emergano  appunto  degli  oggetti  indicanti  un  maggiore  sviluppo, 
o  un'  età  meno  arcaica  degli  abitatori  di  quegli  or  fatti  inospiti  paraggi. 
Perciò  è  desiderabile  e  consigliabile  la  prosecuzione  del  dissotterramento 
tanto  nel  castelliere  di  Vallaron    che  in  quello  di  S.  Dionigi,    quantunque 


-Sié- 

non  sia  poi  facile  di  poter  determinare  da  qual  punto  si  abbiano  da  con- 
tinuare gli  scavi.  E  noi  li  abbiamo  consigliati  al  chiarissimo  dott.  M.  Hoernes, 
assistente  all'  i.  r.  Museo  di  Corte  a  Vienna,  il  quale,  accettando  la  nostra 
proposta,  proseguirebbe  gli  scavi  quanto  prima  per  conto  di  quella  Società 
antropologica. 

Convien  sapere  che  le  nostre  scoperte  preistoriche,  ed  i  lavori  illustrativi 
del  nostro  onor.  Presidente,  hanno  richiamato  particolarmente  l'attenzione 
dell'anzidetta  illustre  Società.  Il  prefato  dott.  Hoernes  poi  si  è  compiaciuto 
di  fare  dei  detti  lavori  una  speciale  relazione  che  venne  stampata  nelle 
Mittheiliingen  di  Vienna.  Quindi  ci  chiedeva  il  parere  dove  egli  potesse 
intraprendere  degli  escavi  per  conto  della  sullodata  Società.  Il  nostro  on. 
Presidente  ha  creduto  di  rispondergli,  indirizzandolo  appunto  alle  necropoli 
dei  castellieri  di  Villanova,  necropoli  che  furono  da  noi  appena  sfiorate. 
Ed  ora  lo  si  attende  da  Vienna  per  mettere  in  effetti  il  suo  divisamento  '). 

Avremmo  parimenti  desiderato  d' intraprendere  degli  escavi  anche  a 
Castelvenere,  dove  si  sono  avuti  degli  indizi  sicuri  della  preesistenza  d'un 
castelliere,  essendosi  trovati  in  certi  lavori  di  sterro  dei  frammenti  di  urne 
cinerarie  preistoriche.  Ma  la  lontananza  del  luogo  e  la  mancanza  del  tempo 
ci  hanno  fin  qui  distolto  da  quelP  impresa. 

Anche  il  nostro  consocio,  1'  egregio  maestro-dirigente  di  Cittanova, 
sig.  G.  Parentin,  s' interessò  molto  delle  nostre  recenti  scoperte  nel  campo 
paletnologia),  e  desiderando  alla  sua  volta  di  rendersi  utile  in  qualche  modo 
alla  nostra  Associazione,  e  di  portare  il  suo  contributo  al  nostro  Museo, 
si  diede  con  grande  fervore  a  visitare  alcuni  dei  castellieri  di  quella  inte- 
ressante località,  somministrato  da  noi  di  quei  pochi  mezzi  di  cui  si  poteva 
disporre. 

Associatosi  infatti  coli'  amico  suo,  il  sig.  Zamarin,  segretario  di  quel 
Comune,  il  Parentin  tentò  parecchi  escavi  nel  castelliere  di  Santo  Spirilo, 
posto  alle  foci  del  Quieto.  Ma  per  quanti  tasti  vi  facesse,  non  gli  fu  pos- 
sibile ancora  di  trovare  la  necropoli  ;  solo  vi  rinvenne  qualche  oggetto 
preistorico  fra  mezzo  ai  numerosi  tumuli,  coni'  ei  li  definì,  disseminati  fuori 
della  cinta  del  castelliere.  Viceversa  in  un  campo  poco  distante  della  detta 


')  Nell'autunno  successivo  all'epoca  in  cui  venne  data  lettura  della  presente  Rela- 
zióne il  prefato  dott.  Hoernes  è  anche  venuto  in  Istria,  ed  ha  praticato  degli  escavi  nel 
luogo  da  noi  designatogli,  impiegando  circa  una  settimana  di  lavoro.  Le  sue  scoperte  non 
offrirono  però  nulla  di  nuovo,  e  di  particolarmente  interessante. 


—  Si7  — 

località,  scoprì  tre  sepolture,  senza  traccia  di  vasi,  coi  cadaveri  non  cremati, 
disposti  fra  lastre  di  pietra,  ed  accompagnati  da  una  fibula  di  bronzo  e  da 
coltelli  di  ferro. 

Dove  poi  il  prelodato  sig.  Parentin  opina  di  aver  scoperto  una  doppia 
necropoli  —  cosi  da  una  sua  relazione  —  si  è  nel  campo  denominato  Val 
di  Mario,  poco  lungi  dal  quale  il  dott.  Kandler  segnava  un  castelliere,  che 
al  Parentin  però  non  fu  possibile  di  precisare. 

Questa  necropoli,  ei  dice,  è  certo  di  due  epoche,  poiché  alla  profondità 
di  éo  cm.  si  trovano  delle  urne  cinerarie  di  terra  ben  cotta  e  di  pietra, 
che  sono  evidentemente  dell'  epoca  romana,  tant'  è  vero  che  vi  si  sono 
rinvenute  delle  monete  di  quel  tempo  ;  ed  alla  profondità  di  un  metro  e 
più  si  trovano  degli  ossuari  di  qualità  e  forma  molto  primitiva,  contenenti 
ossa  umane  combuste,  e  qualche  oggettino  di  pietra.  Ma  più  d'un  semplice 
tasto  il  sig.  Parentin  non  potè  fare,  e  per  il  tempo  che  allora  gli  faceva 
difetto,  e  per  la  carezza  della  mano  d'  opera. 

Una  parte  dell'  Istria  assai  poco  esplorata  è  quella  che  corre  lungo  le 
sponde  dell'Arsa,  particolarmente  la  destra,  per  essere  in  buona  parte  inospitc 
e  brulla.  Fra  i  pochissimi  che  1'  ha  visitata  e  geologicamente  studiata,  si  è 
il  nostro  consocio,  l'on.  A.  Covaz  di  Pisino.  Il  quale,  qualche  anno  addietro, 
nell'  occasione  che  recavasi  in  quei  paraggi  per  vedere  ed  esplorare  una 
grotta,  che  da  quei  pastori  è  detta  anche  oggidì  Pìcina,  tornò  a  visitare  il 
castelliere  di  Gradina,  sito  nel  comune  di  Gimino  nella  contrada  di  Cere. 

Ecco  come  egli  ne  parla  in  una  circostanziata  Relazione  fatta  alla  nostra 
Società  : 

«  Dissi  già  un'  altra  volta  essere  questo  castelliere  (di  Gradina)  unico 
nel  suo  genere,  avendo  muri  a  malta  ed  essendo  lo  spazio  coperto  di  pietre 
per  lo  più  ammucchiate  nelle  concavità,  presentandosi  il  suolo  come  a  con- 
chetta,  da  dover  credere  esser  questi  i  posti  di  casipole,  forse  rotonde, 
costruite  metà  sotterra  ;  di  più  vi  si  scorge  quasi  nel  centro  un  monticulo 
di  terra  e  pietre  alto  circa  sei  metri,  che  apparisce  un  fabbricato  minato 
ricoperto  de!  proprio  materiale. 

»  La  linea  di  separazione  tra  il  comune  di  Gimino  e  quello  di  Golzana 
divide  il  castelliere  per  metà,  come  corre  il  diametro  maggiore  da  levante 
a  ponente,  restando  il  monticulo  su  quel  di  Gimino.  Come  venni  presso 
la  cinta  del  castelliere,  vidi  un  tratto  di  volto  ben  costruito  a  malta,  messo 
a  nudo  dai  cercatesori,  circa  tre  metri  in  lunghezza;  e  dall'attigua  depres- 
sione del  terreno  in  forma  quadrilunga,  ritenni  che  ivi  sia  stato  un  serbatoio 
d' acqua   coperto    con   volta,  la  quale   caduta,    ne  rimase  il  fianco,  e  forse 


-  5i8  - 

anche  dall'  altra  parte.  Questa  avrebbe  dovuto  avere  m.  4  in  larghezza  e 
8  in  lunghezza,  la  profondità  si  potrebbe  precisare  dopo  un  escavo.  Ap- 
prossimandosi al  monticulo  si  osserva  che  questo  ha  per  base  un  rialzo  di 
macerie  alto  circa  un  metro  a  dieci  metri  per  lato  ;  a  mezza  altezza  del 
monticulo  vidi  le  traccie  di  altro  muro,  e  su  sul  pianerottolo  ancora  un 
muro  di  piedi  1  £  di  grossezza,  del  quale  stando  a  nudo  i  lati  da  levante 
e  da  meridio,  si  capisce  ch'era  quadrato,  misurando  circa  4  metri  per  lato. 
Il  muro  sottostante  gli  sta  dintorno  un  metro  discosto,  ha  perciò  metri  6 
per  lato.  Dall'  insieme  dovrebbesi  congetturare  essere  stata  una  torre  stretta 
dalle  fondamenta  in  su,  rivestita  da  un'  altra  torre  sino  a  certa  altezza,  tra 
le  quali  vi  sarebbe  stato  uno  spazio  d'  un  metro  soltanto,  dalché  non  ri- 
sulterebbe l'abitabilità  del  fabbricato,  anzi  piuttosto  che  desso  non  sia  stato 
vuoto  nell'interno  per  abitarvi,  ma  eretto  per  tener  scolta  sul  medesimo; 
—  una  vedetta  dei  tempi  romani,  un  cardo  massimo  di  colonia  militare  .... 
essendo  punto  dominante  di  tanta  estensione  di  piano  ondulato,  con  vasto 
orizzonte  tutto  dintorno.  È  poi  combinabile  che  militi  romani  abitassero 
ammodo  in  quelle  capanne  semi  sotterranee  ?  Io  sarei  di  parere  che  si  lasci 
al  tempo  di  dare  risposta  »  ecc. 

Visitato  poi  il  cimitero  e  la  chiesuola  di  S.  Giovanni  del  comune  di 
S.  Ivanaz  (sotto  il  cui  cimitero  sta  la  caverna),  così  descrive  le  due  sponde 
dell'Arsa  : 

«  Le  falde  dei  monti,  tanto  dell'uno  che  dell'altro  lato  dell'Arsa  sono 
a  cappe  e  stanno  le  une  di  fronte  alle  altre  in  rapporto  di  parallelismo, 
dimodoché  se  da  un  lato  vi  è  una  sporgenza  dall'  altro  e'  è  una  rientranza. 
Da  S.  Ivanaz  poi,  fuor  di  tale  regola,  uno  sprone  si  protende  verso  sud, 
e  con  questa  eccezione  pare  si  sieno  formate  quelle  due  fortissime  inter- 
sezioni di  fianco  verso  ponente  che  ci  apportarono  la  perdita  d'  un'  ora, 
tempo  sufficiente  per  entrare  nella  caverna  e  trarvi  un  criterio.  Nella  parte 
dove  s'avanza  detto  sprone  appresso  al  cimitero  si  vede  un  rilievo  di  ma- 
ceria calcata  e  coperta  d'erba,  che  poteva  esser  stato  un  muro  da  impedire 
l'accesso  da  questa  lingua  o  sprone,  sulla  superficie  del  quale  non  si  rin- 
vengono cocci,  né  vi  ha  il  solito  terriccio.  Su  questo  sprone  però  è  sup- 
ponibile esservi  stata  stazione  preistorica,  inquantochè  sui  monti  che  sovra- 
stano 1'  Arsa  dal  lato  destro,  non  ve  n'  è  altro  vicino  che  verso  nord  sul 
monte  Oriz  e  verso  sud  forse  appena  su  quel  di  Barbana;  mentre  questa 
posizione  di  S.  Ivanaz  ha  la  richiesta  condizione  di  essere  inaccessibile  da 
'tre  lati,  potendo  con  un  solo  muro  riparare  il  quarto.  La  mancanza  di 
cocci  e  terriccio  si  spiega,  potendo  della  caverna  abitare  la  gente,  e  disopra 
sul  terreno   starvi  gli  animali   soltanto,   dei  quali  gli  escrementi    venivano 


—   519  — 

dilavati  e  cosi  esportati,  mentrechè  il  terriccio  nero  dei  castellieri  deve  de- 
rivare più  che  dagli  escrementi  e  materie  fecali,  dalle  ceneri  e  dai  carboni 
che  producevansi  quotidianamente,  nonché  da  avvenibili  incendi  di  quella 
massa  di  legnami  di  cui  erano  costruitele  abitazioni  e  le  opere  di  difesa». 

In  quanto  alla  caverna  poi,  pur  troppo,  il  sig.  Covaz,  per  non  esser 
colto  dalla  notte  in  quei  luoghi  deserti  e  senza  strade,  potè  appena  vederla 
esternamente,  sicché  non  gli  fu  possibile  per  questa  volta  di  darcene  rela- 
zione. Solo  ci  dice,  per  altrui  attestazione,  ch'ella  è  «abbastanza  spaziosa». 

Quindi  lo  stesso  sig.  Covaz  ci  fa  una  partecipazione,  la  quale  interessa 
non  solo  il  geologo  ma  anche  il  paletnologo. 

Eccola.  Il  chiar.  consigliere  dott.  Stache  avrebbe  «  osservato  alla  sponda 
della  penisola  di  Promontore,  propriamente  dirimpetto  all'isolotto  Felonega 
due  strati  di  sabbia,  nelP  inferiore  dei  quali  degli  arnioni  di  silice  e  delle 
schegge  di  questi  spezzate  a  colpo,  mentrechè  se  fossero  state  trasportate 
e  rotolate  dall'  acqua  apparirebbero  più  arrotondate. 

«  Questo  fatto  sarebbe  di  molta  importanza  per  gli  studi  preistorici 
dell'  Istria  —  così  il  Covaz  —  inquantochè  si  avrebbe  trovato  un  luogo  di 
provenienza  e  di  lavorazione  di  oggetti  silicei  che  sinora  non  si  sapeva  da 
dove  se  ne  traevano,  non  essendo  qui  in  provincia  tal  materiale,  da  potervi 
fabbricare  le  varie  armi  ed  utensili. 

«  Ed  è  anche  da  pensarci,  come  e  quando  codesto  strato  sia  stato  co- 
perto dall'  altro  superiore,  ed  arguire  sull'  antichità  di  quello,  dal  quale  si 
potevano  ricavare  i  pezzi  di  silice,  sia  di  fianco,  oppure  calcando  la  superficie, 
prima  che  sopravenne  lo  strato  superiore  ».  Il  dott.  Stache  disse  al  Covaz, 
che  non  avendo  tempo  a  disposizione,  ebbe  ad  interessare  un  signor  ufficiale 
di  esaminare  meglio  tal  cosa.  «  Rispettiamo  —  conchiude  il  Covaz  —  le 
scoperte  del  dott.  Stache  sino  al  suo  ritorno  in  primavera  e  se  non  se  ne 
occuperà  ulteriormente,  si  potrebbero  fare  delle  indagini  ». 

Ma  mentre  io  V  ho  parlato  degli  altrui  ritrovamenti  e  rivelazioni,  nulla 
V  ho  detto  ancora  dell'  attività  in  questo  campo  della  Vostra  Direzione. 
Ora  io  posso  dirVi  che,  se  noi  abbiamo  impiegate  nell'anno  scorso  parecchie 
giornate  di  lavoro  con  esito  soddisfacente,  come  potete  capacitarVene  dai 
cimeli  già  classificati  nel  nostro  Museo,  assai  poco  abbiamo  intrapreso  nel- 
l'anno corrente,  distratti  in  primavera  da  altre  cure,  ed  aspettando  l' incal- 
zante autunno,  epoca  in  cui  anche  si  può  avere  più  facilmente  la  mano 
d'  opera.  Ci  ripromettiamo  adunque  di  metterci  in  breve  al  lavoro,  parti- 
colarmente ai  Pizzughi,  e  di  riacquistare  il  tempo  perduto  con  una  serie 
di  continuate   escavazioni,  che,  speriamo,  ci  riusciranno   proficue  di  buoni 


—  520  — 

risultati.  Qualche  tasto  lo  si  è  fatto  nella  scorsa  primavera  al  castelliere  di 
Ponzati,  di  cui  Vi  ho  parlato  nella  penultima  mia  Relazione  ;  ma  pur  troppo 
1'  esito  fu  del  tutto  negativo  ;  ne  avemmo  più  il  coraggio  di  riprendere 
l'opera  iniziata  con  sì  infelici  auspici.  Veramente  avremmo  buono  in  mano 
di  tentare  degli  escavi  in  parecchie  località  ;  ma  i  mezzi  de'  quali  si  può 
disporre  son  così  limitati  da  consigliarci  di  andare  innanzi  con  tutta  economia, 
e  di  limitarci  soltanto  a  quei  luoghi  che  offrono  una  qualche  probabilità 
di  buon  successo.  Dirò  poi,  che  una  parte  del  fondo  destinato  a  questo 
scopo  fu  impiegato  a  soccorrere  Mons.  Deperis  negli  scavi  interessantissimi 
intrapresi  nella  nostra  basilica.  Egli  è  per  questo  anche  che  siamo  andati  a 
stecchetto  cogli  altri  escavi  di  fuori.  Auguriamoci  che  la  nostra  Associazione 
possa  acquistare  nuove  forze  contribuenti;  ed  allora  potremo  anche  spiccare 
voli  più  arditi.  Sarebbe  un  gran  male,  a  mio  avviso,  che  per  mancanza  di 
mezzi  noi  fossimo  costretti  o  di  limitare  di  molto  le  pubblicazioni,  che 
assorbono  già  ora  buona  parte  del  tesoro  sociale,  o  di  troncare  quasi  del 
tutto  gli  escavi  nei  nostri  castcllieri,  che  tanto  interessarono,  si  può  dirlo, 
tutto  il  mondo  scientifico.  Gli  onorevoli  Membri  che  si  sono  fin  qui  seguiti 
nelle  varie  Direzioni,  hanno  dedicato  alla  nostra  impresa  non  solo  tempo, 
cure  e  fatiche,  ma  hanno  sostenuto  -personalmente  eziandio  degli  aggravi 
eccezionali;  sarebbe  lecito  perciò  d'attendersi  un'adeguata  corrispondenza, 
tanto  dal  paese  in  generale,  che  dagli  enti  morali  in  particolare. 

E  poiché  V  ho  accennato  alle  prestazioni  personali  complessive,  mi 
piace  di  specializzarVi  quella  dell'egregio  mio  collega,  dott.  Giovanni  Cleva, 
il  quale  impiegò  più  mesi  di  assiduo,  zelante  e  meticolosissimo  lavoro  nel 
decifrare,  elencare,  classificare  prima  e  poi  distribuire  nel  monetario  ben 
oltre  3000  monete  tra  romane  imperiali  e  consolari  e  venete  —  lavoro  che 
era  stato  iniziato  prima,  come  sapete,  dall'  altro  mio  collega  in  Direzione, 
prof.  Alberto  Puschi.  Così,  laddiomercè,  anche  quest'opera  della  classifica- 
zione e  collocazione  delle  monete  può  calcolarsi  molto  ben  proseguita  (parlo 
di  quelle  che  in  tanti  anni  s'erano  qui  ammassate)  e  potrà  ora  contribuire 
allo  studio  della  nostra  storia,  trattandosi,  come  sapete,  di  monete  per  la 
massima  parte  ritrovate  nella  nostra  provincia. 

Parimenti   la    Direzione  è  andata   via   via   accumulando    una    discreta 

quantità  di  nuove  iscrizioni  romane  e  medievali,  le  prime  delle  quali  anzi 

si  trovano  già  presso  il  chiarissimo  avv.  Gregorutti  per  la  rispettiva  deci- 

»  frazione  e  spiegazione,  —  lavoro  ch'egli  avrebbe  già  compito,  se  fatalmente 

negli  ultimi  tempi  non  fosse  stato  colto  da  male  d'  occhi. 

Così  si  pensa  costantemente  a  preparare  nuovo  materiale  per  i  futuri 


—    521     — 

bollettini  della  Società.  L'eccelsa  Dieta  e  l'inclita  Giunta  provinciale  prov- 
vedono generosamente  perchè  il  nostro  benemerito  e  tanto  amato  cav.  Lu- 
ciani possa  inviarci  dagli  Archivi  di  Venezia  delle  cose  preziosissime.  Il  ben 
noto  paleografo  Mons.  canonico  de  Rosa,  continua  pure  a  mandarci  delle 
pregevoli  pergamene  dagli  Archivi  di  Ravenna.  Di  recente  l' inclita  nostra 
Giunta  provinciale  ha  rivendicato  dall'eccelso  Tribunale  d'Appello  di  Trieste 
—  che  senza  difficoltà  li  accordò  —  gli  Atti  notarili,  che  da  più  secoli 
riposavano  nell'Archivio  dell'  i.  r.  Giudizio  distrettuale  di  Parenzo.  Sono  ben 
500  volumi  o  incartamenti  di  atti,  che  vanno  dall'anno  1434  al  1820.  Ecco 
una  nuova  miniera  da  esplorare,  miniera  che  fa  riscontro  all'altre  della  Vi- 
cedominaria  piranese  e  capodistriana  rivendicate  da  quei  Comuni. 

Non  parlo  poi  delle  prestazioni  continue  che  la  Direzione  è  chiamata 
di  fare  a  privati,  a  Società,  a  Dicasteri.  Anche  di  recente  fummo  interessati 
dall'  inclita  i.  r.  Direzione  delle  poste  e  dei  telegrafi  di  Trieste,  se  avessimo 
nel  nostro  Museo  od  Archivio  degli  oggetti  o  delle  carte  riflettenti  ai  mezzi 
di  trasporto  all'  epoca  dei  Romani.  Noi  abbiamo  promesso  d' inviare  una 
copia  della  carta  stradale  romana  compilata  dal  Kandler  —  carta  che  verrà 
conservata  nel  nuovo  Museo  postale  che  si  sta  fondando  a  Vienna  dal- 
l' eccelso  Ministero  del  commercio. 


Egli  è  in  tal  modo  che  la  nostra  Associazione,  o  Signori,  va  d'anno 
in  anno  aumentando  nella  considerazione  per  lo  meno  degli  estranei.  Basti 
dire  che  le  nostre  pubblicazioni  furono  ricercate  da  illustri  Accademie  e 
Società  scientifiche  di  paesi  molto  lontani  —  ultimamente  dalla  Società 
fisico-economica  di  Konigs'oerga  ;  dalla  R.  Accademia  di  belle  lettere,  di 
storia  e  di  antichità  di  Stocolma  ;  e  persino  dall'  Istituto  canadese  di  Toronto 
—  dalle  quali  Accademie  e  Società  si  ricevono  bellissime  e  importantissime 
pubblicazioni  di  concambio,  che  vengono  ad  aumentare  il  patrimonio  scien- 
tifico della  ancor  modesta  nostra  biblioteca.  —  Ed  è  proprio  con  tali  mezzi, 
piuttosto  che  con  altri,  che  la  patria  nostra  diletta  si  fa  conoscere  all'estero, 
mentre  per  tanti  secoli  ella  restò  pressoché  da  tutti  ignorata  e  negletta.  Ora 
saremo  proprio  noi  quelli  che  rallenteremo  coli'  apatia  e  coli'  indifferenza 
codesta  opera  di  civile  espansione  e  considerazione  ?  Certo  che  Voi  non  la 
penserete  in  tal  guisa,  e  che  anzi  ciascuno  cercherà  di  sostenerla,  di  appog- 
giarla, di  avviarla  a  più  eccelsi  fastigi. 

E  qui  avrei  posto  fine  a  questa  mia  disadorna  Relazione.  Prima  però 
di  chiudere  definitivamente,  sento  il  dovere  di  accennarvi  ad  un  fatto  che 


—  522  — 

interessa  l'amor  proprio  e  il  sentimento  artistico  e  nazionale  non  solo  di 
noi,  ma  di  tutti  gì'  istriani,  anzi  starei  per  dire  di  tutti  gì'  italiani. 

Voi  ben  sapete,  o  Signori,  che  nel  1892  cade  il  secondo  centenario 
della  nascita  di  quel  Grande,  che  nell'arte  de'  suoni  e  in  quella  delle  teorie 
musicali  fu  sommo  maestro,  tanto  ch'egli  occupa  un  posto  molto  distinto 
nella  storia  del  terzo  rinascimento  italiano.  Voi  intendete  eh'  io  parlo  del 
grande  violinista  piranese  Giuseppe  Tartini. 

Già  nell'anno  1872  era  sorto  il  proposito  in  alcuni  egregi  compro- 
vinciali e  piranesi  —  fra  cui  figuravano  i  nomi  degli  indimenticabili  prof. 
Carlo  dott.  Combi,  prof.  Matteo  dott.  Petronio  e  prof.  Vicenzo  De  Castro, 
e  degli  ancor  viventi  dott.  Giovanni  Tagliapietra,  conte  Stefano  Rota,  ed 
altri  se  ve  n'  erano  —  era  sorto  il  proposito,  io  diceva,  di  festeggiare  in 
quell'  anno  il  primo  centenario  della  morte  di  G.  Tartini.  Per  una  serie 
però  di  fatali  circostanze,  affatto  indipendenti  dalla  buona  volontà  dei  su 
lodati  signori,  il  nobile  divisamento  di  quegli  egregi  non  ebbe  altrimenti 
seguito,  e  la  cosa  rimase  in  sospeso. 

L' idea  tuttavia  non  era  tramontata  e  manco  spenta  ;  che  tutti  sentivano, 
e  specialmente  Pirano,  l' alta  convenienza  di  onorare  uno  dei  più  eletti 
ingegni  che  l' Istria  ha  prodotto.  Pirano,  ripeto,  sopra  tutti,  non  poteva, 
senza  grande  suo  disdoro,  lasciar  passare  anche  quest'ultima  occasione,  forse 
più  propizia  della  prima,  per  rendere  il  suo  tributo  d'  omaggio  al  grande 
suonatore  e  compositore. 

«  Inspirata  da  queste  considerazioni  —  così  una  Circolare  testé  emanata 
dallo  spettabile  Comitato  provinciale  pel  centenario  Tartini  —  la  Rappre- 
sentanza comunale  di  Pirano,  accettando  con  unanime  plauso  la  proposta 
della  sua  Deputazione,  deliberava  addì  14  aprile  1888  di  celebrare  solenne- 
mente nel  1892  la  seconda  secolare  ricorrenza  della  nascita  di  Giuseppe 
Tartini,  di  questo  Massimo  tra  i  suoi  figli,  che  fu  tra  pochi  a  cui  natura 
fu  larga  del  privilegio  del  genio,  e  che  nel  campo  della  scienza  e  dell'arte 
lasciò  orme  immortali  ». 

Il  Municipio  di  Pirano  ben  pensò  in  tale  circostanza  di  allargare  il 
concetto  della  festa,  dandole  un'  impronta  più  che  cittadina,  provinciale. 
Si  rivolse  con  questo  intento  a  tutti  i  maggiori  Municipi  dell'  Istria,  i  quali 
anche  risposero  con  entusiasmo  alla  chiama. 

Addì  io  maggio  poi  dell'  anno  corr.  tutti  i  rappresentanti    delle  città 
istriane  convennero  a  Pirano,  dove  ebbe  luogo  la  costituzione  del  grande 
•  Comitato,  ed  eleggendone  la  Direzione. 

E  siccome  in  questa  prima  convocazione  si  era  pensato  di  ricorrere 
alle  sole  città  istriane  continentali  e  capi  distretto  giudiziario,  il  neo-costi- 


—  523  — 

tuito  Comitato  s'avvisò  di  estendere  maggiormente  gl'inviti  e  di  aggregarsi 
degli  altri  rappresentanti  di  ogni  comune  locale,  nonché  di  Corporazioni, 
di  Società  scientifiche  ecc.  Fu  allora  che,  fra  altri  molti,  anche  la  nostra 
Società  storica  fu  chiamata -di  far  parte  al  detto  Comitato.  Ella  annuì,  ed 
elesse  un  suo  proprio  rappresentante  ai  futuri  Congressi  comiziali  per  le 
feste  tartiniane. 

In  quell'incontro  fu  parimenti  definita  l'azione  del  Comitato,  che  sa- 
rebbe quella  :  i°  di  erigere  un  monumento  a  G.  Tartini  nella  piazza  di 
Pirano,  2°  di  provocare  una  pubblicazione  di  carattere  musicale,  30  di  met- 
tere assieme  possibilmente  un  qualche  lavoro  concernente  la  vita  e  le  opere 
del  grande  violinista. 

Questo  naturalmente  sarebbe  il  desiderato,  ma  la  piena  effettuazione 
del  programma  dipende  da  tantissime  accidentalità,  che  potrebbero  essere 
contrarie  al  buon  volere  dei  signori  che  si  sono  messi  all'opera  con  tanto 
slancio  di  patriottismo.  Ad  ogni  modo  noi  facciamo  ardentissimi  voti,  che 
1'  anzidetto  programma  raggiunga  il  suo  pieno  compimento. 

Imperocché  l'onoranze  rese  ai  Passati,  che  in  qualche  modo  illustrarono 
la  patria  nostra,  sia  non  soltanto  debito  di  dovuta  riconoscenza,  ma  espres- 
sione di  gentilezza  d'animo,  di  nobiltà  di  sentimento,  e  sopra  tutto,  come 
nel  caso  presente,  manifestazione  di  alta  coscienza  nazionale. 

Credo  inutile  di  dire,  che  G.  Tartini  fu  un  Grande,  non  solo  come 
artista  compositore  ed  esecutore  musicale,  ma  eziandio  come  innovatore, 
come  scienziato,  come  dotto.  Tant'  è  vero  che  da  tutti  i  contemporanei, 
nostrani  e  stranieri,  fu  chiamato  il  «  Maestro  delle  Nazioni  ».  Che  se  l'Italia 
non  tardò  tanto  di  rendere  insigni  onoranze  al  nostro  grande  istriano,  or 
spetta  a  noi  di  farci  vivi  e  di  addimostrare  che  non  é  tralignato  il  nostro 
lignaggio,  nella  pietà  nel  sentimento  nell'  arte.  E  P  opera  sarà  tanto  più 
grande,  quanto  è  tardata  a  comparire  ;  e  sarà  tanto  più  significativa,  quanto 
ci  si  presuma  avviliti  spossati  affranti  ;  tanto  più  efficace,  quanto  più  infelici 
ci  premono  i  tempi  d' intorno. 

Finita  la  lettura,  e  aperta  dal  Presidente  la  discussione  in  proposito, 
prende  la  parola  l'ili,  cav.  Campitelli.  Crede  opportuno  di  lodare  l'attività 
sociale,  e  di  far  voti  che  non  vengano  mai  meno,  ma  s'  accrescano  quei 
morali  e  materiali  soccorsi,  mercè  i  quali  la  Società  nostra  possa  mantenersi 
e  progredire. 

Quindi  il  Direttore-Cassiere  on.  conte  Guido  dott.  Becich  fa  la  seguente 
esposizione  del  conto  consuntivo  dell'anno  1889,  e  di  quello  di  previsione 
per  l'anno  1891. 


—  524  — 


RELAZIONE 

colla  quale  vengono  presentati  al  Congresso  il  conto  consuntivo  per  l'anno  1889 
e  quello  di  previsione  dell'anno   1891   della  Società  istriana  di  archeologia 

e  storia  patria. 

Onorevoli  Signori  ! 

La  Direzione  si  onora  di  presentare  col  mio  mezzo  al  Congresso  ge- 
nerale il  Resoconto  dell'amministrazione  per  l'anno  1889  ed  il  Preliminare 
per  T  anno  1891  ;  —  corredati,  il  primo  dagli  allegati  che  giustificano  le 
singole  partite  di  spesa,  ed  il  secondo  dalla  specifica  riassuntiva  dei  Soci 
secondo  lo  stato  del  28  agosto  a.  e.  compilato  con  riguardo  alle  rinuncie 
annunciate  per  l'anno  p.  v.  Il  numero  dei  Soci  è  di  193,  —  fra  i'  quali 
14  Municipi  della  Provincia  che  contribuiscono  assieme  fior.  185  ;  —  con  un 
aumento  di  io  sul  numero  complessivo  dei  Soci  di  confronto  all'anno  1889. 

I  conti  non  presentano  rilevanti  differenze  da  quelli  degli  anni  ante- 
cedenti. Mi  limiterò  quindi  ad  esporne  brevemente  i  risultati  : 

I. 

Conto  Consuntivo  1889. 

Introito  : 

1.  Civanio  di  cassa  colla  chiusa  del  iSSS fior.     710.96 

2.  Contributi  dai  Soci: 

a)  per  l'arretrato fior.     16 

b)  pel  corrente »     668 

e)  dai  Municipi »      181 

assieme     ...       »        865. — 
dunque  in  meno  del  preventivo,  ch'era  di  fior.  881, 
fior.   16. 

3.  Vendita  di  pubblicazioni  sociali »  8.40 

cioè  fior.  21.60  in  meno  dell'importo  preliminato,  per 
mancata  ricerca  d'acquisto. 

4.  Dotazioni  e  doni  : 

dal  fondo  provinciale  istriano »        500. — 

come  preventivati. 

Assieme  quindi     .     .     .     fior.  2084.36 

con  un'eccedenza  di  fior.  673.36  sulla  somma  preliminata. 


—  525  — 

Esito  : 

i.  Spese  di  stampa  eco fior.     759. 

Il  risparmio  di  fior.  241  sull'  importo  .preventivato  di- 
pende dal  fatto  che  le  tavole  degli  scavi  ai  Piaghi, 
unite  al  voi.  V  fase.  i°  e  2°  degli  Atti  e  Memorie  pub- 
blicato nell'anno  1889,  erano  state  pagate  in  antece- 
denza, e  che  il  fase.  30  e  40  dello  stesso  voi.  V  è 
venuto  a  pagamento  nell'anno  corrente. 

2.  Acquisti  dì  libri,  monete,  oggetti  antichi  ecc »        261.61 

con  un  sorpasso  di  fior.  61.61   per  acquisto  di  libri. 

3.  Spese  e  sussidi  di  scavi,  escursioni  ecc ,     .        »        318.30 

cioè  fior.  118.30  oltre  la  somma  preventivata.  Tale 
spesa  maggiore  è  derivata  dall'assegno  fatto  dalla  Di- 
rezione del  sussidio  di  fior.  200  per  gli  scavi  archeo- 
logici nella  basilica  eufrasiana  e  nelP  orto  vescovile. 

4.  Spese  postali  e  varie »        125.28 

con  una  eccedenza  sull'  importo  preliminato  di  fio- 
rini 25.28.  Nella  detta  somma  è  compresa  la  spesa  per 
una  ghirlanda  deposta  sulla  tomba  del  socio  benemerito 
comm.  Francesco  dott.  Vidulich,  e  per  l'acquisto  d'un 
di  lui  ritratto. 


Somma  dell'esito     .     .     .     fior.   1464.19 
Diffalcato  questo    importo  dalla  somma   dell'introito  di  fior.  2084.36 
resta  il  avanzo  di  fior.  620.17  da  portarsi  in  conto  nuovo. 

II. 

Conto  di  previsione  per  l'anno  1891. 

Esigenza  : 

Si  mantengono  le  cifre  preliminate  nel  conto  prò  1890,  e  cioè  : 

1.  Spese  di  stampa,  disegni,  tavole  ecc fior.  1000. — 

2.  Acquisti  di  libri,  monete  ecc »        200. — 

3.  Scavi  ed  escursioni »       200. — 

4.  Spese  postali  e  varie »        100. — 


Assieme     .     .     .     fior.  1500. 


—  526  — 

Coprimento  : 
i.  Civanxp  di  cassa  alla  chiusa  del  1890 fior.       — . — 

La  gestione   dell'  anno   corrente   darà  sicuramente  un 

civanzo;  se  anche  probabilmente  minore  del  1889  sarà 

sufficiente  però  a  coprire  1'  esigenza. 
2.  Contribuii  dei  Soci  e  dei  Municipi »        901. — 

cioè  da  179  Soci  a  fior.  4     .     fior.  716 

da   14  Municipi »      185. 

3  Ricavato  dalla  vendita  di  pubblicazioni  sociali »         30. — 

benché    realmente   sia    difficile  di   realizzare    l' intiero 

importo. 
4.  Dotazioni  e  doni  : 

dal  fondo  provinciale »       500. — 

Assieme  .  .  .  fior.  1431. — 
d'introito  presunto,  che  messo  a  confronto  coli' esito  di  fior.  1500  lascia 
un  ammanco  di  fior.  (><),  che  sarà  coperto  dal  sopravanzo  del   1890. 

In  base  a  queste  risultanze  ho  l'onore  pertanto  di  proporre  che  piaccia 
al  Congresso  : 

I.  di  approvare  il  resoconto  per  l'anno  1889,  coli' introito  di  fior.  2084.36, 

coli' esito  di  fior.   1464.19  e  col  civanzo  di  cassa  di  fior.  620.17  da 
passarsi  nel  conto  dell'anno  susseguente; 

II.  di  approvare  il  conto  di  previsione  per  l'anno   1891   coli' esito  di  fio- 

rini 1500,  coli' introito  di  fior.  143 1,  e  col  disavanzo  di  fior.  6^  da 
coprirsi  col  civanzo  di  cassa  che  risulterà  alla  fine  dell'anno   1890. 


Aperta  la  discussione  sui  conti,  nessuno  prende  la  parola  ;  sono  invece 
approvati  all'  unanimità. 

Poi  si  passa  all'elezione  delle  cariche  sociali,  e  restano  rieletti  gli  stessi 
signori  dell'  anno  antecedente,  cioè  : 

Avv    Andrea  dott.  Amoroso  —  Presidente 

Prof.  Bernardo  dott.  Benussi  —  Vice-Presidente 

Dott.  Marco  Tamaro  —  Segretario 

Conte  Guido  dott.  Becich  —  Cassiere 

Dott.  Giovanni  Cleva  —  Direttore 

G10.  Batt.  de  Franceschi      id. 

Prof.  Alberto  Puschi  id. 

Dott.  Bernardo  Schiavuzzi     id. 

Prof.  Giuseppe  Vatova  id. 


—  527  — 

Prima  di  chiudere  il  Congresso,  l'on.  prof.  Luigi  Morteani  esprime  il 
desiderio  che  in  ogni  cittaduzza  dell'  Istria,  dove  esiste  un  archivio  comu- 
nale, esso  sia  non  solo  gelosamente  custodito  ed  elencato,  ma  che  possa 
sorgere  taluno  che  dia  un  copioso  regesto  delle  carte  in  esso  contenute. 
Sul  quale  oggetto  si  apre  una  discussione,  diremmo,  accademica  e  confi- 
denziale fra  parecchi  soci,  i  quali  tutti  condividono  il  desiderio  del  primo 
preopinante. 

Dopo  ciò  il  Congresso  è  chiuso.  Ore  1.30  pom. 


ELENCO 

dei  doni  pervenuti  al  Museo  Archeologico  provinciale 
ed  alla  Biblioteca  sociale,  durante  l'anno  1890 


OGGETTI  ANTICHI. 


Dal  Socio-Direttore  sig.  Giovanni  dott,  Cleva  da  Parenzo  :  90  monete  venete, 
4  patriarchine,  una  del  conte  Mainardo  di  Gorizia,  d' argento,  e 
15  monete  romane,  d'argento  e  di  bronzo  ;  —  un  Paalstab  ad  alette 
di  bronzo,  rinvenuto  nel  castelliere  di  Valmadorso,  ed  una  lucerna 
fittile  dell'epoca  cristiana,  trovata  a  Zabronich  nell'anno  1882. 

Dal  Socio-Direttore  sig.  prof.  Bernardo  dott.  Benussi  da  Trieste  :  una  moneta 
d'argento  del  doge  Dandolo,  ed  altra  d'argento  del  patriarca  Lodo- 
vico Della  Torre,  rinvenuta  ai  Turrini  presso  Villanova  del  Quieto. 

Dal  sig.  Lorenzo  de  Sincich  da  Parenzo  :  una  moneta  d'  argento  del  doge 
Andrea  Gritti,  dell'anno   1523. 

Dal  sig.  Francesco  Fava  da  Dignano  :  18  monete  di  rame  ed  una  d'argento, 
romane  ;  7  di  rame  e  2  d'argento,  venete  ;  6  d' argento  e  due  di 
rame,  moderne. 

Dal  Socio  sig.  Nicolò  Ri^i  da  Pola  :  tre  lucerne  di  cotto,  cristiane,  ed  una 
di  bronzo,  romana,  rinvenute  nell'  agro  di  Pola. 


—  530  — 

Dal  Socio  sig.  Tomaso  Sottocorona  da  Dignano  :  una  moneta  di  bronzo  im- 
periale (Livia  Augusta). 

Dal  Socio  sig.  Antonio  Depiera  d'  Antignana  :  due  monete  venete  e  due 
medioevali,  d'  argento. 

Dal  sig.  Gerolamo  Basilisco  da  Canfanaro  :  una  moneta  d'argento,  romana  ; 
una  d'argento  ed  una  di  rame,  venete  ;  e  due  medioevali,  d'argento. 

Dal  Socio  sig.  Marchese  Benedetto  de  Polesini  da  Parenzo  :  un  denaro  d'argento 
del  doge  Pietro  Gradenigo  (a.   1289-13 11). 

Dal  Socio  sig.  Domenico  Crismanich  da  Parenzo:  alcune  monete  romane  e 
venete,  d'argento  e  di  rame,  raccolte  nella  città  di  Parenzo,  e  nei 
territori  di  Montona,  Buje,  Piemonte,  Rozzo  ed  Ossero;  un  sigillo 
plumbeo  del  doge  Giovanni  Mocenigo  (a.  1477-1485)  trovato  a 
Parenzo  ;  ed  una  testina  d'  imperatrice  romana,  rinvenuta  nel  ter- 
ritorio di  Rozzo. 

Dal  Socio  sig.  Giuseppe  dott.  Bubba  da  Pirano  :  7  monete  romane,  di  bronzo. 

Dal  sig.  Antonio  Zaratin  da  Parenzo  :   1 1  monete  venete,  d' argento. 

Dal  Socio-Direttore  sig.  Bernardo  dott.  Schiavaci  da  Parenzo  :  9  monete 
venete  e  moderne,  di  rame,  6  monete  venete  e  moderne,  d'argento, 
e  una  medaglia  commemorativa  italiana. 

Dai  signori  Giuseppe  Bonassin  e  Giuseppe  Iursich  da  Dignano  :  alcune  ossa 
fossili. 

Dal  Socio  M.  R.  Don  Giovanni  Mvgan,  parroco  di  Corridico  :  due  monete 
consolari  d'argento,  due  imperiali  romane,  di  bronzo,  una  veneta, 
d'argento,  due  di  rame,  e  due  patriarchine  ;  alcuni  cocci  e  bronzi 
preromani,  rinvenuti  nel  castelliere  di  Corridico,  ed  un  frammento 
d' inscrizione  romana,  trovata  immurata  nel  campanile  di  Corridico. 

Dal  Socio  M.  R.  Don  Paolo  Deperis,  parroco-decano  capitolare  di  Parenzo  : 
una  mummia  egiziana  di  metallo,  rinvenuta  nel  Comune  di  Valle, 
ed  un  medaglione  di  metallo  dorato,  cristiano. 


—  S3i  — 

Dal  Socio  M.  R.  Don  Nicolò  Druscovich,    arciprete   parroco   di  Cittanova 
una  moneta  dell'  imperatore  Druso. 


ALTRI  OGGETTI. 


Dal  sig.  Giacomo  Gottardis  da  Parenzo  :  una  nota  di  banca  austriaca  di 
fiorini  ioo  dell'anno  1806,  una  di  fiorini  io  dello  stesso  anno, 
una  di  fiorini  5  dell'anno  1851;  due  pezzi  di  carta  monetata  di 
soldi  io  dell'anno  1860;  un  pezzo  di  carta  monetata  di  6  caran- 
tani  dell'anno  1849;  una  moneta  patriottica  di  Venezia  da  una  lira 
dell'anno  1848,  una  detta  del  Comune  di  Venezia  da  una  lira  del- 
l'anno stesso;  cinque  numeri  di  Gazzette  italiane  degli  anni  1792, 
1796  e  1797. 

Dal  sig.  Pietro  Zuliani  da  Parenzo  :  due  dipinti  ad  olio  con  cornici  di  antico 
stile,  ed  alquante  monete  romane. 


LIBRI. 


Dall'onorevole  Direzione  della  Biblioteca  Braidense  in  Milano  :  «  Catalogo 
della  sala  Manzoniana  ». 

Dal  sig.  Paolo  prof.  Orsi,  regio  ispettore  degli  scavi  in  Siracusa:  «Scoperte 
archeologico-epigrafiche  nella  città  e  provincia  di  Siracusa  ». 

Dal  sig.  Stefano  ing.  Traverso,  vice-direttore  della  Società  delle  miniere 
Lanussi  in  Muravera  (Sardegna)  :  «  Note  sulla  geologia  e  sui  gia- 
cimenti argentiferi  del  Sarrabus  (Sardegna),  con  17  tavole  ed  una 
carta  geologico-mineraria  ». 

Dal  sig.  G. prof.  Zarbarini  da  Spalato:  «Il  Palazzo,  e  il  II  della  Diocleide  ». 

Dal  Socio  sig.  cav.  G.  Matteo  doti.  Campitelli  da  Parenzo  :  «  Catalogo  del 
Museo  storico  della  città  di  Vienna»  (2  volumetti);  «Guida  del 
nuovo  palazzo  comunale  di  Vienna  »  ;  «  Guida  dell'  i.  r.  Museo  di 
storia  naturale,  di  Corte,  in  Vienna  ». 


INDICE  DEL  VOLUME  VI 


Fascicolo 


E    2. 


Pag-       3 
»       45 

»      105 
»      265 


Senato  Misti.  Cose  dell'  Istria.  -  Direzione  (fine) 

Relazioni  dei  Podestà  e  Capitani  di  Capodistria.  -  Direzione'  (continua)  '.     ' 
D.  un  grammatico  istriano  -  Giovanni  Moise.  _  Marco  don.  Tamaro    . 
Il  "Postel,,  ossia  d'una  chiave  romana  rustica  usata  nella  campagna  di  Ro- 
vigno.  *-  Bernardo  dott.  Benussi  (con  una  Tavola) 

Fascicolo  3.0  e  4.0 

Senato  Secreti.  Cose  dell'  Istria    _  Direzione  (continua)   ....  2 

Relazioni  dei  Podestà  e  Capitani  di  Capodistria.  -  Direzione'  (continua)  '.     \  l      2 

Bibliografia.  —  M.  T.    .     .  '   ' 

' »     443 

xAttì  della  Società. 

Il  V  Congresso  annuale  della  Società  istriana  di  archeologia  e  storia  patria  .       „     480 

Le  basiliche  cristiane  di  Parenzo.   _   Lettura   tenuta  dal   Presidente  Andrea 

dott.  Amoroso  (con  tre   Tavole)     . 

,.,  .  .    ,     .  »       ivi 

blenco  dei  doni  pervenuti  al  Museo  archeologico  provinciale  ed  alla  Biblioteca 

sociale  durante  l'anno  1890 

»      529