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Full text of "Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane"

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BIBLIOTECA 


DELLB 


TRADIZIONI  POPOLARI  SICILIANE 


VOL.  XIII. 


GIUOCHI 

FMCIIULESCHI  SICILIANI 


RACCOLTI  B  DESCRITTI 


DA 


GIUSEPPE   PITRÉ 

Oon  dieoi  tavole  a  fbtotipia,  q.'oattro  a  litosva&a 

ed  runa  a  ataxnipa 


VOLUME  UNICO 


PALERMO 

LUIGI  PEDONE  LAURIEL,  Editori. 
•     1889 


Tipografia  del  Giornale  di  Sicilia. 


AD 

EUSA  ED  IRBNB 

DI  TOMMASO  CANNIZZARO 

MATILDE,  GIUSEPPE  E  PAOLO 

DI  ALESSANDRO  D'ANCONA 

CORDELIA  ED   ALESSANDRO 

DI  ANGELO  DE  GUBERNATIS 

VINCENZO,  ALESSIO  ED  ISIDORO 

DI  GAETANO  DI  GIOVANNI 

GERARDO 

DI  MATTIA  DI  MARTINO 

CARLOTTA 

DI  VITTORIO  IMBRUNI 

OFFRE  L'AUTORE  QUESTO  LIBRO 

PERCHÈ 

VOLENDO  UN  GRAN  BENE  AI  LORO  GENITORI 

VUOLE  EGUALMENTE  BENE 

A  LORO. 


AVVERTENZA 


La  presente  Raccolta  comprende  trecentosedici  giuo- 
chi fanciulleschi  siciliani:  de'  quali  dugentotrentatrè  son 
veri  e  propri  GiìwcM,  trentanove  Divertimenti,  Pas- 
satempi, Esercizi,  e  quarantatre  Oiocatioli  e  Balocchi. 

Noto  questo  numero  con  un  certo  compiacimento, 
perchè  è  questa  la  prima  volta  che  in  Italia  da  un  solo 
e  con  intendimento  scientifico  si  mettano  insieme  tanti 
trastulli  popolari  della  infanzia  e  della  fanciullezza  quan- 
ti mi  è,  per  avventura,  concesso  di  darne  ora  alla  luce. 

L'ordine  col  quale  gli  ho  distribuiti  è,  a  creder  mio, 
strettamente  razionale  :  avendo  io  guardato  allo  spi- 
rito umano  in  relazione  con  lo  sviluppo  delle  sue  fa- 
coltà nei  primi  anni  della  vita.  Cosi  cominciando  dai 
canti,  che  impropriamente  chiamiamo  infantili,  e  che 
dovremmo  dir  meglio  materni,  ho  finito  con  quei  pas- 
satempi ricreativi  che  servono  ad  acuire  la  mente  ed  a 
sviluppare  le  forze  fisiche,  passaggio  dalla  fanciullezza 
air  adolescenza. 

Certo,  la  mia  classificazione  non  è  senza  difetti.  Per 
tre  0  quattro  volte  in  tutto  il  corso  de'  giuochi  vi  è, 
tra  giuoco  e  giuoco,  un  notevole  distacco  in  ragione 
della  diversità  dei  gruppi;  ed  il  lettore  se  ne  avvedrà 
passando  dal  n.  86  all'  87,  dal  141  al  142,  dal  203  al 
204  ecc.,  e  giudicherà  se ,  pur  seguendo  altri  criteri 


vili  AVVERTENZA 

di  ordinazione,  possa,  senza  trovar  prima  de'  giuochi 
intermedi  che  servano  di  anello,  ottenersi  miglior  ri- 
sultaraento. 

Uno  di  questi  gruppi  per  tipi  fondamentali  di  giuochi 
non  può  sottrarsi  a  qualche  osservazione;  perchè,  a- 
vendo  tenuto  d'occhio  la  prima  età,  e  dovendo  per  essa 
cominciare  con  la  descrizione  de'  giuochi  d' indovina- 
zione, di  sorte  ecc.,  che  s'affacciano  al  n.  19,  io  non 
dovevo,  sempre  gradatamente  salendo,  lasciarli  se  non 
dopo  aver  finito  questo  grande  e  proteiforme  gruppo, 
che  pure  accoglie  (nn.  28-32)  giuochi  à^'azzardo,  più 
presto  fanciulleschi  che  infantili.  Le  classificazioni  di 
tradizioni  le  facciamo  noi  :  il  popolo  non  le  intende,  o 
Je  fa  a  modo  suo;  né  pei  giuochi  troviamo  criteri  si- 
curi di  base  nel  popolo;  ì  fanciulli  son  troppo  piccoli 
perchè  ne  abbiano  uno;  gli  adulti  son  troppo  seri  per- 
chè facciano  attenzione  a  siffatte  cose. 

Malgrado  queste  inevitabili  sconvenienze,  io  posso 
guardar  senza  pentimenti  all'  ordine  da  me  tenuto;  e 
credo  di  aver  indovinato  gli  occulti  legami  che  esi- 
stono tra  molti  de'  giuochi,  sia  per  l'analogia,  sia  per 
la  somiglianza,  e  sia  fter  l'identità  di  fondo  o  di  forma 
che  tra  loro  esiste.  Se  un  giuoco  riappare  sott'  altra 
forma,  il  far  di  due  o  più  forme  un  giuoco  solo,  non  era 
in  facoltà  mia,  quando  esse  rappresentano  due  o  più 
giuochi  diversi  in  un  medesimo  posto  e  presso  una  stessa 
comitiva  di  fanciulli  ^.  Bensì,  descritta  per  un  giuoco 

'  Il  sig.  E.  Rolland  nel  suo  recentissimo  libro  Rimes  et  3eux  de 
VEnfance  (Paris,  1883)  a  pp.  154,  n.  ^  e,  porta  una  variante  del 
giuoco  29,  p.  155.  1  giuochi  30,  31,  32,  33  sono  in  fondo  uno  stesso 
giuoco. 


AVVERTENZA  '  IX 

la  forma  più  comune  in  Sicilia,  ho  subito  fatto  se- 
guire le  differenze  e  le  varianti  che  esso  qua  e  là 
presenta,  notando  il  nome  del  comune,  specialmente 
per  il  dialetto  delle  formole  tradizionali.  Palermo , 
col  suo  quarto  di  milione  d'abitanti,  è  sempre  la 
città  più  ricca  di  giuochi  in  tutta  V  Isola;  e  dair  uso 
palermitano  son  tratte,  per  lo  più,  le  descrizioni  dei 
giuochi  siciliani  che  nel  libro  non  hanno  indicazione 
particolare.  Se  il  giuoco  non  è  stato  raccolto  in  Pa- 
lermo ,  la  indicazione  topografica  finale  ne  dichiara 
la  provenienza. 
I  titoli  de'  più  noti  tra  questi  giuochi  sono  intesi 
in  tutta  la  Sicilia,  e  fanno  parte  del  dialetto  generale; 
m  ve  ne  sono  anche  di  speciali,  che  ho  avuto  cura 
di  raccogliere  e  notare  a  capo  di  ciascun  giuoco.  Dalla 
tavola  di  pp.  17-18  si  rileverà,  che  tutte  e  sette  le  pro- 
vince siciliane,  quale  per  molto  quale  per  poco,  por- 
tano il  loro  contingente  al  nostro  Folk-Lore  fanciul- 
lesco. Di  sessantanove  comuni  air  uopo  esplorati, 
cinque  sono  della  provincia  di  Caltanissetta,  sette  di 
quella  di  Catania,  nove  di  Messina,  dieci  di  quella  di 
^irgenti  ,  dieci  di  Siracusa ,  altrettanti  di  quella  di 
Trapani ,  diciotto  della  provincia  di  Palermo.  Né  vi 
Mancano  le  colonie  dette  lombarde  :  Piazza  Armerina 
(prov.  di  Caltanissetta),  Nicosia  (Catania)^  S.  Fratello 
(Messina),  e  le  albanesi^  importantissima  tra  le  quali 
Kana  dei  Greci  (prov.  di  Palermo).  La  pronunzia  dei 
vari  dialetti  è  stata  scrupolosamente  conservata  nella 
trascrizione  de'  testi,  dei  diàloghi  e  fino  delle  singole 
^oci  isolate. 


X  AVVERTENZA 

Persone  amiche,  non  meno  gentili  che  dotte,mi  hanno 
amorosamente  aiutato  fornendomi  giuochi  a  me  poco 
noti  0  ignoti  affatto.  Ricordo,  a  ragion  di  gratitudine, 
tra'  primi  lo  storico  di  Casteltermini  comm.  Gaetano 
Di  Giovanni  ed  il  latinista  prof.  Raffaele  Castelli ,  i 
quali  mi  mandarono,  l'uno  i  giuochi  che  potè  racco- 
gliere in  Cianciana  sua  residenza,  e  in  Casteltermini 
sua  città  natale;  e  l'altro  quelli  (e  non  son  pochi)  della 
sua  Mazzara ,  di  S.  Ninfa,  Calatafimi,  Castelvetrano , 
Marsala  e  Poggioreale.  Pel  circondario  di  Modica  : 
Chiaramente ,  Comiso  ,  Palazzolo  Acreide  e  Spacca- 
forno ,  e  poi  per  Alessandria  della  Rocca  (prov.  di 
Girgenti)  il  barone  S.  A.  Guastella  mi  ha  fornito  no- 
tizie e  descrizioni  non  meno  diligenti  di  quelle  che 
per  Borgetto  e  Partinico  mi  ha  apprestate  il  sempre 
a  me  diletto  dott.  Salvatore  Salomone-Marino.  Debbo  i 
giuochi  di  Avola  al  valente  agronomo  Giuseppe  Bianca, 
quelli  di  Noto  al  caro  prof.  Mattia  Di  Martino,  alcune 
canzonette  infantili  di  Ragusa  Inferiore  allo  storico 
della  Contea  di  Modica  dott.  Raffaele  Solarino,  i  giuo- 
chi di  Polizzi  al  sig.  Vincenzo  Gialongo,  di  Prizzi  al 
sig.  Salvatore  Tortorici,  di  Alimena  e  Riesi  alla  me- 
diazione del  prof.  M.  Messina-Faulisi  e  del  cav.  M. 
Siciliano. 

Nell'attestar  pubblicamente  a  questi  egregi  il  mio 
grato  animo,  io  vo'  si  sappia  come  le  descrizioni  de'  giuo- 
chi che  portano  in  fine  un  nome  di  paese  son  tratte 
dai  mss.  favoritimi  da  codesti  amabili  cooperatori. 

Da  tredici  anni  le  mie  ricerche  in  questo  campo  sono 
state  continue  e  indefesse.  Per  esse  non   ho   rispar- 


AVVERTENZA  XI 

miato  a  spese,  a  viaggi  per  la  Sicilia,  a  fatiche  d'ogni 
maniera.  Visti  o  uditi  e  raccolti  da  me  sono  i  giuochi 
di  ben  47  comuni  di  tutte  le  province  delllsola:  di  Col- 
ianissetta,  Niscemi,  Piazza,  Riesi,  Vallelunga  ;  di  Ca- 
tania, Acireale,  Caltagirone,  Catenanuova,  Etna,  Giarre, 
Nicosia;  di  Girgenti,  con  Porto  Empedocle ,  Licata , 
Menfl,  Regalmuto,  S.  Margherita  di  Belice,  Sciacca; 
di  Messina,  Barcellona,  Gioiosa,  Milazzo  ,  Roccella  , 
S.  Fratello,  S.  Lucia  di  Mela,  Taormina,  Torre  di.F^o; 
ài. Palermo,  Caccamo,  Castronuovo,  Cefalù,  Ciminna, 
Ficarazzi,  Isnello,  Monreale,  Piana  de'  Greci  \  S.  Giu- 
seppe Jato,  Termini,  Valledolmo,  Ventimiglia,  Vicari; 
di  Siracitsa;  di  Trapani,  Erico,  Marsala  (in  parte)  e 
Salaparuta. 

Tutti  questi  giuochi  son  popolari  nel  pieno  signifi- 
cato della  parola,  e  cosi  li  ho  fedelmente  descritti  come 
vanno  naturalmente  eseguiti.  Ho  quindi  escluso  ogni 
giuoco  che  sappia  di  scuola  e  di  pedagogia,  come  ad  e- 
sempio  la  palla  {tvainc.balle),  il  dar  alla  palla  con  maglio 
a  bastone  {balle  à  la  Grosse),  la  pallacorda  (longìie 
paume),  il  paramaglio  [le  mail),  la  corda  [la  corde), 
il  cerchio  {le  cerceau),  il  volante  (le  volani),  ed  altri 
siffatti,  che  escono  da'  nostri  limiti.  €osi  ho  anche  es- 
cluso quei  divertimenti  e  passatempi  che  vanno  sotto 
il  titolo  generico  di  giuochi  di  conversazione: -roba  da 
adulti  e,  che  è  più,  da  gente  per  bene,  o  che  la  pre- 
tende a  tale.,  Basta  aprire  un  libro  qualunque  di  que- 

^  Con  le  indicaziom  deirillustre  grecista  siculo-albanese  can.  Giu- 
seppe Montalbano. 


XII  AVYENTENZA 

sto  genei'e  per  trovarvene  qualche  centinaio.  Noi  ab- 
biamo suir  argomento  un  antico  libro ,  non  originale 
certamente,  ma  che  ha  dovuto  servire  a  molti  altri 
posteriori  al  sec.  XVI,  il  Dialogo  de*  giuochi  che  nelle 
vegghie  sanesi  si  icsan  di  farCy  del  Materiale  Intro- 
nato, cioè  di  Girolamo  Bargagli  (Venezia,  per  Alessan- 
dro Gardane  1581);  dal  quale  G.  Gherardini  trasse  i  135 
giuochi  da  lui  registrati  nel  voi.  II,  p.  267  e  seg.  delle 
sue  Voci  e  Maniere  di  dire  additate  a*  futuri  voca- 
bolaristi (Milano,  per  G.  B.  Bianchi  e  C.<>  1838).  * 

Ho  anche  escluso  i  giuochi  che  vanno  sotto  i  titoli 
di  jocu  di  lu  Gaddu,  di  la  Padedda^  di  lu  Chiuppu, 
di  lu  Tauru,  di  VOca  ed  altri  tali,  che  sono  de'  veri 
spettacoli-giucchi  popolareschi ,  con  tutto  V  apparato 
di  scene  popolari,  alle  quali  prendon  parte  giovani , 
non  gik  fanciulli,  attori,  ed  una  folla  di  spettatori  d'ogni 
grado.  Questa  terza  classe  di  giuochi,  di  cui  qualcuno 
venne  descritto  nel  passato  secolo  dal  marchese  Vil- 
labianca,  e  da  me  pubblicato  \  esce  dalla  cerchia  dei 
giuochi  e  passatempi  fanciulleschi. 

Se  io  sia  riuscito,  nella  descrizione  di  questi  inno- 
centi trastulli,  ad  una  forma  chiara,  semplice  ed  evi- 
dente, non  so;  questo  so  bene  :  che  chiarezza ,  sem- 
plicità ed  evidenza  vagheggiai  sempre  nel  ritrarli:  pur 
non  dissimulandomi  la  difficoltà  di  far  comprendere 

«  Nuove  Effemeridi  siciliane,  serie  III,  v.  I,  pp.  114-122,  217-229. 
Palermo,  1875.  Vedi  anche  per  la  Sicilia  i  miei  Spettacoli  e  Feste  pop, 
p.  265.  Per  la  Terra  d'Otranto,  De  Simone,  nella  Rivista  Europea^ 
an.  VII,  V.  II,  fase.  3%  pp.  566  e  seg.  Firenze  1866.  Per  gli  Abruzzi, 
De  Nino,  Vsi  e  Costumi,  voi.  II,  p.  15. 


AVVERTENZA  XHI 

gesti  e  movimenti  d'una  mimica  tutta  particolare,  e  gio- 
cattoli che  pel  lor  meccanismo  primitivo  mal  si  pre- 
stano ad  un  linguaggio  tecnico. 

Il  valoroso  demologo  castigliano  D.  Antonio  Machado 
y  Alvarez  consigliava  testé  Y  applicazione  delia  foto- 
grafia a'  giuochi  *;  io  son  venuto  nella  determinazione  di 
applicare,  come  più  economica,  la  fototipia  *.  Dieci  ta- 
vole che  rappresentano  altrettanti  giuochi  del  libro  di- 
mostrano qual  vantaggio  possano  da  quest'applicazione 
tirare  i  nostri  studi,  oggi  che  non  si  rimane  più  contenti 
delle  nude  descrizioni,  ed  il  Folh-Lore  si  fa  operoso 
aiuto  dell'etnografia  e  della  storia.  I  piccoli  giocatori 
de'  miei  quadretti,  come  si  vedrà  di  leggieri,  vengon 
tutti  dalla  più  modesta  classe  sociale;  ma,  tipi  pu- 
ramente siciliani  delle  varie  province,  non  sono  degli 
straccioni  ributtanti,  né  agghindati  ragazzi  della  bor- 
ghesia. Come  io  sia  riuscito  a  mettere  insieme  i  tren- 
tasei birichini  e  monelli  che  coqapongono  questi  dieci 
gruppi,  è  una  storia  un  po'  lunghetta,  che  non  vai  la 
pena  di  raccontare.  Non  taccio  però  che  senza  l'effi- 
cace concorso  dell'ottimo  signor  Giuseppe  Barrila  e 
del  signor  Costantino  Lombardo, l'uno  Direttore,  l'altro 
Censore  dell'Ospizio  di  Beneficenza  in  Palermo,  questa 
parte  illustrativa  del  libro  sarebbe  stata  mal  rappre- 
sentata. 

Fedele  al  mio  programma,  ho  fatto  seguire  a  ciascun 

1  El  FolkrLore  andaluz,  p.  96,  Sevilla,  1882  à  1883.— (RoUand)  Al- 
manach  des  traditions  pop.  !.•  an.,  p.  118;  Paris,  1882.  — Archivio 
per  lo  Studio  delle  Tradiz,  pop.^  voi.  I,  fase.  HI,  p.  491,  Pai.,  1882. 

•  Archivio^  ecc.  voi.  I,  f.  IV,  p.  620. 


XIV  AVVERTENZA 

giuoco  alcune  indicazioni  dei  riscontri  editi  e  qualche 
volta  inediti  che  esso  ha  in  Italia.  Non  giustifico  la  limi- 
tazione degli  studi  comparativi,  perchè  Tho  gik  fatto 
altrove  *,  e  perchè  mal  saprei  fare  per  tanti  e  tanti 
popoli  quello  che  posso  appena  per  l'italiano. 

La  Bibliografia ,  che  per  più  ragioni  ho  voluto 
premettere  alla  Raccolta,  non  registra  se  non  i  prin- 
cipali tra'  libri  ed  opuscoli  che  io  tenni  sott'occhio  nello 
istituirei  confronti. Questo  lavoro  è  stato  penoso  per  me. 
Il  dovere,  non  gìk  sfogliare,  ma  bensì  scorrere  da  cima 
a  fondo  grandi  vocabolari  in  dialetto  come  quelli,  p.  e., 
del  Boerio,  del  Sant* Albino,  del  Malaspina ,  solo  per 
pescarvi  qualche  somiglianza  da  rilevare,  è  fatica  cosi 
improba  che  nulla  dì  più  per  un  raccoglitore.  Né  io 
trovavo  materia  accumulata  da  altri;  perchè,  lo  sgob- 
bare su  libri  vecchi  e  polverosi ,  lo  studiar  vocabo- 
lari solo  per  il  gusto  di  cercarvi  de*  giuochi,  è  una 
ingrata  occupazione,  ptr  la  quale  non  tutti  si  sente 
una  grande  simpatia.  Ma  chi  ha  avuto  la  debolezza  di 
amar  questi  studi  tanto  da  rimettervi  e  salute  e  tempo 
e  quattrini,  può  bene  permettersi  simili  ricerche,  non 
inutili  forse,  ma  certo  ingloriose.  — Tra  le  cose  inedite 
vi  sono  canzonette,  giuochi  e  voci  dì  Bisceglie  *  e  di 
Foggia  per  le  Puglie,  di  Napoli,  di  Cagliari  per  la  Sar- 
degna 3,  del  Chietino  per  gli  Abruzzi  *,  di  Firenze, 

»  Fiabe ,  Novelle  e  Racconti  pop.  sicil.,  v.  I ,  p.  XXXV;  Pro^^ 
verbi  siciliani^  v.  I,  p.  XXXVI;  Spettacoli  e  Feste  pop.  sic.,  p.  X. 

*  Li  ho  raccolti  io  steoM  dalla  bocca  dèi  prof.  Donato  Ventara. 
'  Li  devo  al  prof.  Francesco  Randacio. 

*  Mi  vennero  favoriti  dal  dott.  Gennaro  Finatnore. 


AVVERTENZA  XV 

Pratovecchio,  Garfagnana  Estense  per  la  Toscana  *,  di 
Tortona  pel  Piemonte  *  ecc. 

Per   chi  non  abbia  molta  familiarità   con    queste 
discipline,  nuove  del  tutto  tra  noi,  non  saranno  dis- 
care, credo,  le  poche  osservazioni  sopra  /  Giuochi 
fanciulleschi  che  premetto  alla  Raccolta.  Nessuno,  che 
io  conosca,  ha  trattato  finora  in  Italia,  sotto  l'aspetto 
demo-etnografico ,  questo  curioso   argomento  ;  ed  io 
invoco  la  indulgenza  di  quanti   hanno  preso  a  cuore 
la  mia  collezione  per  queste  pagine,  che  son  frutto  di 
pazienti  ed  amorose  ricerche.  È  stato  mio  intendimento 
illustrare  il  valore  e  V  importanza  de'  giuochi  e  di- 
vertimenti ,  la  loro  genesi ,  quel  phe  in  certi  giuochi 
sia  più  da  vedere;  quali  i  tipi  fondamentali  de'  giuochi 
e  da  che  cosa  siano  da  ripetere  le   somiglianze  e  le 
diversità,  e  come  molti  di  essi  nell'Europa  in  generale, 
in  Sicilia  in  particolare,  ci  abbiano  conservato  reliquie 
di  antiche  usanze,  cerimonie,  riti  ed  avvenimenti.  Se  io 
non  son  riuscito  a  svolgere  come  si  deve  questo  as- 
Mmto,  mi  si  tenga  conto  dell'onesto  desiderio,  per  il 
(jiiale  ho  tenuto  dietro,  fino  al  presente  giorno,  a'  lavori 
contemporanei  aventi  più  o  meno  relazione  con  il  Folh- 
Lore  fanciullesco. 

I  tempi  e  gli  avvenimenti  incalzano,  e  le  memorie 
del  passato  che  non  ebbe  storia  si  vengono  ogni  di 
obliterando.  Son  più  di  trent'anni  che  il  buon  Pietro 
Thouar  lamentava  che  in  Toscana  «  quelle  innocenti  ri- 


'  Me  li  raccolse  Tavv.  Giovanni  Siciliano. 

>  Li  Ilo  scritti  come  me  gli  ha  dettati  la  egr.  signora  C.  Tacconi. 


XVI  AVVERTENZA 

creazioni  che  facevano  la  delizia  dei  nostri  vecchi  e 
dei  fanciulli  sono  passate  di  moda.  »  Di  qualche  giuoco 
siciliano  menzionato  da  antichi  scrittori  delllsola  non 
si  ha  più  conoscenza  oggigiorno:  ed  ignoriamo  che  cosa 
fosse  il  Tafara  e  tamìnuì^  citato  dal  cinquecentista 
Alessandro  Dionisio  S  che  cosa  il  Tafara^  tafaruni 
e  pizzinnongulUy  laconicamente  registrato,  non  è  più 
d'un  secolo,  dal  vocabolarista  M.  Pasqualino  *. 

Affrettiamoci  a  salvare  dalle  ingiurie  del  tempo 
questi  preziosi  documenti  della  storia  intima  del  po- 
polo! 

Palermo,  7  Luglio  1883. 

G.  PiTRÈ. 


»  Amorosi  Sospiri,  at.  IV,  se.  7  : 

Vulemu  fari  'na  cosa  di  meghiu  ? 
Jucamundila  a  Tafara  e  Tamburo. 

«  Vocabolario  siciliano  etimol.,  voi.  V,  p,  171;  «  Voci  che  alle 
tre  prime  dita  nel  giuoco  di  questo  nome  (Tafara^  tafaruni  e  piz~ 
zinnonguhi)  i  fanciulli  danno  alle  dita  stesse.  »  Più  laconicamente 
il  Traina,  Nuovo  Vocabolario  siciliano  :  «  Giuoco  anticamente  usato 
dai  ragazzi.  »  Ma  che  era  questo  giuoco  ?  Certo,  cosa  ben  diversa 
dal  nostro  n.  109. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 


Des  simples  jeux  de  son  enfance 
Heureux  qui  se  souvient  longtemps  ! 

Chant  pop.  frang. 

Die  Kindheit  ist  die  goldene  Zeit  der 
harmlosen  Freude ,  des  fròtilichen 
Spieles. 

I.    V.  ZlNOERLB. 


G.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  II 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 


A^rgomento  di  non  lieve  importanza  fra  le  tradizioni 
popolari,  i  Giuochi  fanciulleschi  offrono  un  campo  spa- 
zioso di  ricerche  e  di  osservazioni  a  quanti  studiano 
r  uomo  nella  sua  vita  intima  e  domestica  ,  nelle  sue 
relazioni  con  gli  uomini,  nelle  sue  inclinazioni  e  co- 
stumanze ;  e  però  non  solo  a'  cultori  della  demopsi- 
cologia, anzi  del  Folk-Lore,  ma  anche  agli  etnografi 
ed  a'  pedagogisti  *. 

Dotti  d'  ogni  ragione  presso  le  varie  nazioni  civili 
^i  occuparono,  in  ogni  tempo,  de'  giuochi;  ed  è*fama 
che  Svetonio  Tranquillo ,  oltre  le  Vite  de'  dodici  Ce- 
sari, avesse  lasciato  un  libro  sui  giuochi  de'  Greci  *, 
che  per  una  semplice  mistificazione  si  continua  a  ri- 
tenere cosa  ben  diversa  da  un  preteso  trattato  De 
ymrorum  Lusibus,  È  noto  come  Giulio  Polluce ,  re- 

*  Mentre  rivedo  le  bozze  di  questo  scritto  mi  capita  Le  programme 
^  la  Maitenance  languedocienne  du  Félibrige  pel  1884,  nel  quale 
tra  sette  premi  se  ne  assegna  uno,  il  terzo,  «  à  Tetude  de  quelquesuns 
<^e8  jeux  et  des  dìvertissements  populaires  du  bas  Languedoc  e«c  ». 
V-  Uevue  des  langues  roman.^  pp.  252-253,  ser.  HI,  t.  IX,  maggio  1883. 

'  Jo.  TzETZEs,  Hist^,  Chiliade,  VI,  85,  877. 


XX  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

tore  del  II  secolo  ,  tutto  un  capitolo  del  suo  celebre 
Onomasticum  avesse  conssicr aio  a'  ludi  puerili  dei  Greci 
e  de'  Latini  *  :  pagine  preziose,  alle  quali  attinsero 
eruditi  vecchi  e  critici  nuovi.  Si  citano  le  opere 
di  Meursio  De  Ludis  Graecorum^  di  Soutero  De 
Ludis  veterum ,  e  di  Boulengero,  con  lo  stesso  ti- 
tolo, ma  io  non  so  quanto  ci  abbiano  da  fare  coi 
nostri  studi.  Men  noto,  se  non  ignoto  del  tutto,  è  un 
libro,  che,  quando  verrà  alla  luce,  vorrà  essere  pre- 
zioso, del  benemerito  Rodrigo  Caro,  scrittore  spagnuolo 
del  sec.  XVII,  Dias  geniales  ò  ludricos,  dell'anno  1626, 
dove  i  giuochi  più  antichi ,  tuttavia  in  uso  presso  i 
muchachos  de'  suoi  giorni  ed  anche  d'oggi,  sono  lar- 
gamente illustrati  *.  Ricordi  passeggieri  di  giuochi 
medievali  troviamo  in  tutte  le  letterature.  Il  bibliofilo 
Jacob  (P.  Lacroix)  die  una  li$ta  di  giuochi  francesi  *, 

*  JuLii  PoLLUcis  Onomasticum  grasce  et  latine ,  lib.  IX ,  e.  VII , 
nn.  101^129,  pp.  1087-1115.  Amstelaedami,  Ex  officina  Wetsste- 
niana,  Ciò  Io  COVI. 

•  Di  quest'  opera  inedita  una  copia  si  conserva  nella  Biblioteca 
Colombina  di  Siviglia,  segn.  VVV,  tav.  421,  n.  12.  La  rivista  sivi- 
gliana  La  Enciclopedia  del  1879  ne  avea  cominciata  la  stampa  a 
foglietti,  ma  la  lasciò  in  tronco  alle  prime  100  pagine  in  16»,  col 
titolo:  Dias  geniales  ò  lùdricos  de  Rodrigo  Caro.  Libro  eoapòsito 
dedicado  à  D.  Fadrique  Enrigicez  Afan  de  Rivera^  Marqués  de 
Tarifa.  Par  Juan  Caro,  Rector  de  el  Collegio  ecc.  de  Bomos  y  su 

capellan.  Libreria  medica.  Imprenta  y  Lytografla  de  Carlos  M. 
Santigosa,  Constitucion  7.  —  Sevilla  1879. 

L'indice  ed  un  capitolo  pubblicò  F.  R.  Marin,  Cantos  papulares 
e5p.t.I,pp.  17-39.  Sevilla,  Fr.  AlvarezyC.%Edit.  M.DCCC.LXXXII. 

'  P.  Lacroix,  Moeurs^  Usages  et  Costumes  au  moyen  dge  et  à 
l'epoqtee  de  la  Renaissance;  Paris,  Firmin-Didot  1877.  Nel  cap.  JetiX 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XXI 

e  Viollet  le  Due  un'  altra ,  tolta  del  poema  V  amant 
rendu  cordelier,  del  sec.  XV  \  In  Ispagna  cinquanta 
sene  trovano  indicati  da  Alonso  de  Ledesma (1552-1623) 
ne*  suoi  Juegos  de  noches  bitenas  a  lo  divino,  editi 
nel  1605  * .  Perlone  Zipoli  (Filippo  Lippi)  in  Italia,  non 
pochi  veramente  infantili  ne  ricordò  nel  suo  Malman- 
tue  racquistato,  e  tredici  iii  sole  quattro  ottave  *,  tutti 
con  molta  grazia  se  non  con  pari   esattezza  comen- 

et  JHvertissements  accenna  al  Doigt  moitillé,  Aux  Billes^AtixLttet" 
tes,  À  la  toupie  o  À  la  ronfle,  Au  palety  Au  fouquet  ecc.  pei  ma- 
cchi; À  la  briche,  Aux  Martiaus,  Aux  poupées,  Au  loup^  Au  re^ 
nord,  A  cache-cache,  À  cache-mouchel  o  Colin~Maillard^  À  cligne 
musette  ecc.  per  le  ragazze. 

'  ViOLLBT  LE  Due ,  DictUmnoire  raisonné  du  Mobiiier  fì'angais, 
t  n,  p.  462: 

Item,  et  si  ne  jouerez 

Au  stron,  ne  à  clignetes; 

Au  jeu  de  mon  amour  aura, 

A  la  queulenlen,  au  billettea, 

Au  tiera,  au  perier,  au  bickettes; 

A  getter  au  sain,  et  au  dos  l'herbe; 

Au  propos  pour  dire  sornettes; 

Ne  qui  paist-on  ?  ne  qui  paiat  hebbè  f 

•  Barcelona,  por  Sebastian  Cormellas.  Furono  riprodotti  nel  Ro' 
mancero  y  Cancionero  sagrados ,  pp.  151-181  ;  Madrid ,  Rivade- 
neira,  1875,  ediz.  daUa  quale  li  ha  ripubblicati  A.  Machado  y  Al- 
varez  n'JSZ  Parvenir,  nn.  9769-70-71;  17  e  24  Genn.  e  7  Febbr.  1881, 
ed  in  parte  Th.  Braga  nell'JSra  nova,  an.  I,  n.  8;  Porto  febbr.  1881. 

•  H  Malmantile  racquistato  di  Perlone  Zipou  colle  note  di  Puc- 
cio Lamoni  (cfr.  Biblioffrafia,  n.  2)  e.  II,  ott.  45-48,  voi.  Ili,  p.  33.  In 
Prato  MDCCCXV,  Vannini. 

Quattordici  ne  novera  G.  Borrello,  Poesie  siciliane,  p.  49.  Ca- 
tania, Giuntini  1855. 


XXII  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

tati  da  Puccio  Lamoni,  anagramma  di. Paolo  Minucci  *• 
Ma  un  lavoro  come  quello  che  pe'  giuochi  medievali 
tedeschi  diede  I.  V.  Zingerle  non  l'ha  forse  nessuno  *. 
Da  libri  e  mss.  d*ogni  genere  egli  raccolse  quanti  potè 
ricordi  de'  giuochi  fanciulleschi  in  Germania  :  e  questo 
suo  saggio  potrebb' essere  imitato  da  noi  ed  altrove- 
In  gran  numero  sono  adesso,  dappertutto,  raccolte 
di  giuochi;  e  poiché  più  d'una  mi  toccherà  di  citarne 
in  questo  ragionamento,  mi  astengo,  dal  fame  qui  men- 
zione evitando  di  dar  nel  catalogo  e  di  cadere  in  o- 
missioni  colpevoli  sempre  agli  occhi  di  chi  legge  un 
libro  solo. 


I. 


Il  fanciullo  è  un  piccolo  uomo,  e  noi  fanciulli  d'una 
volta  possiamo  ne'  suoi  atti  scomposti  e  meccanici 
d'oggi  vedere  o  prevedere  i  suoi  atti  razionali  di  do- 
mani, come  nel  breve,  ahi  I  troppo  breve  I  perìodo  della 
sua  età  spensierata,  studiare  quelli  nien  brevi  dell'agi- 
tata adolescenza  e  della  non  lieta  maturità: 

*  Per  dirne  una,  nel  v.  I,  p.  202  del  McUmantile  egli  scrive:  «  li 
Brueghel,  pittore  insigne ,  espresse  parimente  molti  giuochi  dei 
ragazzi  in  un  iqtuadro  »;  e  cita  «  Baldinucci,  sec.  IV,  J>ecennali  V^ 
p.  337  ».  Ora  il  Baldinucci,  Notizie  de*  Professori  del  Disegno  da 
Cimabue  in  qua^  voi.  VII,  p.  3i3  (Milano,  Società  tippg.  de*  Clae» 
sici  ital.  1811),  parlando  di  Pieter  Brueghel  di  Bueghel,  nel  Bra» 
bante,  fiorito  verso  il  155Ò,  disse  che  «  fece  molti  quadri  di  schern 
e  giuochi,  che  ftinno  sulle  veglie  nei  balli  i  contadini  ». 

*  Dos  deutsche  Kinderspiel  in  Mittelcdter,  Ztceite  vermehrte 
Auflage,  Innsbruck.  Verlag  der  ^agner'schen  CJniversitats-Buch- 
handlung  1873.  La  1.  ediz.  usci  in  Vienna  n^l  1867. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XXIII 

Lo  spirito  d'imitazione  è  il  primo  e  principale  ca- 
rattere della  fanciullezza,  e  questo  spirito  è  cosi  innato 
in  essa  come  lo  è  il  bisogno  di  mangiare  e  di  bere. 
CSò  che  il  fanciullo  vede  fare,  fa  egli  stesso  parodiando; 
e  molti  de'  suoi  giuochi  e  passatempi,  per  chi  ne  cer- 
chi le  ragioni,  sono  ripetizione,  contraffazione  di  atti, 
dì  pratiche,  di  abitudini  degli  uomini.  L'uomo  cavalca, 
ed  ù  bambino  ya  a  cavallo  alla  canna  o  al  babbo; 
la  &miglia  fa  un  pranzetto,  ed  i  beunbini  fanno  le  me- 
renducce;  voi  sposate,  ovvero  tenete  al  fonte  un  bam- 
bino ,  ed  una  nidiata  di  fanciulli  vi  celebra  alla  sua 
maniera  le  nozze,  o  fa  alle  comari;  e  se  si  mena  in 
giro,  nelle  processioni,  il  simulacro  d'un  santo,  eccoti 
li  il  divertimento  di  portaxei  a  predellticce,  1  suoi  stessi 
balocchi  e  giocattoli  che  cosa  sono  se  non  riproduzioni 
rudimentali  ed  imperfette  di  oggetti  e  strumenti  della 
vita  comune?  Nel  ripiglino  egli  vuol  rafiSgurare  la 
culla,  lo  specchio,  il  candeliere,  il  pesce,  il  lupo;  nella 
girandola  il  mulino  a  vento;  nello  schizzetto  Tantico 
arcbìbuso  ;  con  la  carta  piegata  in  molte  fogge  di- 
verse la  bi^rca,/il  cavalluccio,,  il  cappello,  le  bisacce, 
la  spola,  il  cassetto  ed  altre  cose  simili  *.  E  se  questo 
fgmnp  i  nostri  fanciulli,  il  medesimo,  mwte*t5  mwton- 
eto,  fanno  i  fanciulli  di  tribù  più  o  meno  selvagge  ; 
il  medesimo  facevano  i  fanciulli  greci  e  latini,  il  me- 
desimo devono  aver  fatto  quelli  de'  tempi  più  antichi. 
Neil'  isola  Giava  «  un'arme  assai  originale  è  il  sum- 
ffiian^  specie  di  cerbgttaiia,  attraverso  alla  quale  si 
soflSano  .piccole  e  leggiere  li?eccie  di  bambù ,  avvele- 

'  Cfr.  i  ip.  12,  17, 18,  241,  27ÌB,  284,  293,  316. 


XXIV  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

nate.  »  Ebbene  :  «  un  piccolo  sumpitan  è  adoperato  dai 
t&g^73i  giavanesi  per  lanciare  Treccie  non  avvelenate 
e*  palle  di  argilla  contro  uccelletti  »  ^  Nella  Malesia  i 
bambini  Mincopai  sin  dall'età  di  tre  anni  si  baloccano 
c'èn  piccoli  archi  e  ft*ecce  ^.  I  bambini  eschinike^i  haaao 
iln  gusto  matto  di  fabbricar  capannucee  di  neve  e  iì 
illuminarle  con  moccoli  di  lampade  che  ottengono  dalle 
loro  mamme  *,  come  i  bambini  della  Nigrizia  in  Africa 
si  divertono  a  costruire  Kraal  nella  sabbia  *.  L'uso 
primitivo  degli  uomini  dell'Australia  di  allevare  in  altre 
tiibù  le  ftociulliiìe  che  essi  vogliono  sposare ,  è  in 
quelle  contrade  uh  passatempo  dei  fanciulli  d'ambo  i 
sessi ,  che  traggono  sommo  diletto  da  questo  matri* 
monio  alla  sabina  *.  Pei  tempi  antichi,  Orazio,  ih  una 
dèlie  sue  satire  ^  ci  fece  indirettamente  sapere  come 
fra  i  trastulli  infantili  romani  ci  fossero  anche  quelli  di 

Aediflcare  casas>  plostello  adiungere  mures 
Ludere  par  inpar,  equitare  in  arundine  longa 
Siquem  delectet  barbatum  ...... 

.  1  E.  HiLLYER  Oiouou,  Vioffgio  intomo  al  Globo  della  R,  Piro" 
corvetta  italiana  Magenta  negli  ahHi  t865-^&'-ùf-68  sotto  il  co^ 
numdo  del  cap.  di  fregata  V.  F,  Armiì^on»  Relazione  desprUtiwi 
e  scientifica,  p.  126.  Milano,  V.  Maisner  «  Compagnia,  edit  1875. 

•  Lo  STESSO,  op.  cit.,  p.  251. 

8  Klemm,  Culturgeschiòhte^  v.  II,  p.  209. 

*  R.  Hartmann,  Les  pettples  de  TAfìHqise,  e.  VI,  §  1.  Paris,  Bal- 
lile, 1880. 

s  D.  D*Ubviulb,  Vopage  de  VAstrolaibe,  v>  I,  p.  4I1{'0u»fibu>,  2V. 
Eth.  Soc.  V.  Ili,  p.  266.    ' 

®  Q.  HoRATU  Flacci  Carmina,  Iterum  recensuit  L.  Muellar.  Lip- 
siae  Teubneri,  MDOXI^SXXI.  Sat.  Ub.  Ut  «at  IH,  vv.  247-JN&. 


DEI  GIUOCHI  FAIfCIULLESCHI  XXV 

V'è  anche  di  più  :  i  suoni  imitativi  de'  versi  degli 
animali,  che  tutti  i  fanciulli  del  mondo,  fino  a  quelli 
della  Nuova  Zelanda  %  riproducono  (e  più  son  essi 
selvaggi ,  e  più  lo  fanno) ,  nella  loro  sorgente  dimo- 
strano Telemento  imitativo  si  importante  nella  forma- 
zione de'  suoni  *. 

Non  è  quindi  a  maravigliare  che  molti  de'  giuochi 
tradizionali  siano  avanzi  di  riti,  cerimonie  ed  usanze 
antichissime  perdute  o  scomparse  dalla  memoria  dei 
volghi,  ma  che,  in  generale,  si  rapportano  a'  tre  fatti 
più  grandi  della  vita,  la  nascita,  il  matrimonio  e  la 
morte.  Non  è  sempre  agevole,  anzi  è  talvolta  estre- 
mamente difficile  il  saper  leggere  dentro  a  codesti 
latti,  e  lo  indovinarne  il  senso  recondito  per  ripor- 
tarli aj  lor  significato  primitivo.  Vi  si  oppongono  le 
modificazioni  incontrate  dalla  tradizione  passando  da 
popolo  a  popolo,  e  le  mistificazioni  che  le  parole  con- 
sacrate nei  giuoco  han  dovuto  subire  dopo  tanti  se- 
coli; onde  la  più  parte  delle  canzonette  tradizionali 
son  cose  incomprensibili  agli  stessi  savi  che  a  questi 
graditi  trattenimenti  volgon  Tattenzione  ^.  Ma  è  certo 
che  di  vere  e  reali  allusioni  storiche  in  certune  di 

>  PoLACK,  New  ZelanderSt  v.  HI,  p.  171. 

*  E.  B.  Tylor,  Primitive  Culture:  Researches  into  the  Develop' 
ment  of  Mytìwlogy^  Philo$ophy,  Religione  Art  and  Custom^  o.  HI: 
Survival  in  Culture,  LoDdon.  John  Murray  1871. 

*  Cfr.  De  Simone,  La  vita  della  Terra  d*  Otranto,  nella  Riv.  Eur, 
an.  Vn,  V..  n,  fase.  UI,  p.  568  ^maggio  1876);—  A.  Machado  y  Al- 
VABEz,  Juegos  infantHes  esp,,  nel  Qiorn,  di  Fiìolog,  roman,  n,  8 
(itoma»  ISS^i-r^Fol^^Lere  Andaluz,  p.158-171  (SeYÌlla.l882  a  1883);— 
Demorlo  (AJtfachadQ  y  Alvarez)  Poesia  jpopular^  p«  78»  SevUla:  1883. 


XXVI     .  DEI* GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

codeste  canzonette  e  formolo  popolari  esistono;  ed  il 
negarle,  solo  perchè  non  si  riesce  a  vederne,  sarebbe 
stoltezza.  Veniamo  a  qualche  prova.        » 

Abbiamo  in  Italia  una  filastrocca  ,  che  incomincia: 
Pisa  piscila,  o  Pise  piselle  ecc.  Questa  filastrocca,  ri- 
petendosi in  Romagna,  ha,  tra  gli  altri,  questi  versi  : 

La  bela  Pulisena 

La  baia  in  si  la  sela  {sala) 

Sei  e  salò 

La  scatula  de  mer  *; 

ne'  quali  il  latinista  Crisostomo  Ferrucci,  d'accordo 
con  uno  storico  romagnolo,  il  march.  Broli,  ha  veduta 
una  ipotiposi  di  Polisena,  figlia  del  celebre  capitano  di 
ventura  Erasmo  di  Gattamelata  (1370  ?  - 1443),  andata 
sposa  a  Brandolino  *.  La  spiegazione  non  è  senza  fon- 
damento, e  se  non  vera  è  verisimile.  Riferendo  que- 
st'altra filastrocca  per  sorteggio  ne'  giuochi  : 

La  bota  la  gianda 
La  furca  ti  s'tranga, 
La  nicia  bornicia, 
La  furca  t'impica, 
Romp  e  rorap 
Derandera  derandara, 
Pecatora  pecatara, 
Lana,  lost,  e  frost, 
Bót,  dent,  fora  e  vada; 

lo  storico  Gabriele  Rosa  ci  sente  il  giudizio,  la  con- 

*  Cfr.  a  pp.  38-3a 

'  G.  Bbou,  Erasmo  di  CkOtameiata  da  Nomi,  stioi  numumenH 
e  sua  famiglia^  p.  296.  Roma,  Salviuocr  1876. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XXVII 

danna  e  rappiccamento  d'un  malfattore  per  mano  d'un 
carnefice  tedesco  ^ 
Corre  nel  Languedoc  la  canzonetta  seguente  : 

Lous  enfans  de  Mountpeliò 
Fan  de  barcas  de  papié; 
E  lous  de  Marselha 
Je  tirou  l'aurelha, 
E  lous  de  Pezenas 
Je  tirou  lou  nas. 

Ebbene:  gli  editori  Montel  e  Lambert  vi  notarono  una 
evidente  allusione  ad  una  lunga  questione  che  avrebbe 
avuto  luogo,  negli  anni  1249  e  1257,  tra'  marinai  di 
Marsiglia  e  quelli  di  Montpellier,  e  nella  quale  questi 
ultimi ,  che  oggi  ^on  messi  in.  canzone  dai  fanciulli , 
avFebbero  avuto  la  peggio  *.  Eug,  RoUand  riporta  una 
canzonetta  infantile  Bolognese,  che  fino  a'  primi  del 
corrente  secolo  era  una  formola  scongiuratoria;  donde 
è  indotto  a  credere  anche  lui  «  que  beaucoup  de  for- 
mulettes  enfantines  sont  d'ancieimes  incantacions  »  •. 


'  G.  Rosa,  Costumi  e  Tradizioni  nelle  provincie  di  Bei^gamo  e 
di  Brescia^  3'  ediz.,  p.  275.  Vedi  anche  6ai9btti  e  Imbriani,  Canti 
pop.  delle  prov.  merid.,  v.  Il,  p.  194  e  aeg.,  iX  canto  Jesce,  jesce^ 
sole  sante,  che  G.  Polluce  trovò  usato  dai  Maciulli  greci;  e  la  fi- 
lastrocca sicil.  che  comincia  Te  ren  fan  sin  ze  len  ca,  e  con  la 
quale  i  nostri  fanciulU  contano  20  o  altri  numeri  (p.  41  della  pre* 
sente  Raccolta). 

**  Montel  et  LJLktfER:^,  Chants  poptd,  àu  Languedoc,  nella  Bewm 
des  Langues  rom.,  t  VU,  p.  29&-97  (MontpeUier,  MDCCCLXXV). 

8  Rollano,  Rimes  et  Jeux  de  VEnfance,  p.  242,  ti.  4,  nota  1.  Pa- 
ris, Bfàlsonnéttve  et  C**,  Éktit.  1883.  Veggafii  pure  la  formola  16  di 
Boulogne-fiur-Mer,  a  p.  247,  dove  è  ricordato  Bnrieo  IV  «sur  le 

pont  Neuf  ». 


XXVIII  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

Nel  giuoco  portoghese  Vassourinha,  la  formola 

Vassourinha,  vassourinha 

Varre-me  està  casinha 

Com  un  raminho  de  alecrim....; 

parrebbe  un'oziosità  inconcludente,  se  il  Braga  non  lo 
spiegasse  con  un  fatto  storico  del  1484,  in  cui  il  Re, 
secondo  un  repertorio  dei  libri  della  Camera  munici- 
pale di  Lisbona ,  vedendo  la  città  travagliata  dalla 
peste ,  decretò  che  la  Camera  stessa  comperasse  del 
rosmarino  {alecrim),^  lo  facesse  vendere  per  le  strade; 
di  che  le  case  appestate  ne  tenevano  un  ramoscello 
sulla  porta  *. 

Gli  esempi  possono  moltiplicarsi  all'  infinito ,  tanti 
e  cosi  frequenti  sono  nella  poesia  popolare  della  pri- 
ma età  ;  ma  a  me  preme  notare  un  fatto  abbastanza 
interessante,  ed  è  che  un  buon  numero  di  canzonette 
ricreative  de'  fanciulli  dioggi,  in  un  tempo  lontano  fu- 
rono 0  poterono  essere  patrimonio  d' adulti:  canti,  cioè, 
d'una  certa  estensione,  forse  contrasti  e  storie  di  vario 
genere.  I  fanciulli  non  hanno  memoria  per  ritenere  e 
conservar  lunghi  canti,  ne'  quali  per  essi  molte  cose 
tornano  insignificanti  od  inintelligibili,  e  si  rimangono 
a  frammenti  scomposti,  slegati,  e  peggio.  La  canzo- 
netta del  Bombabà  (per  citare  un  esempio  paesano)^ 
che  da  un  capo  all'altro  d'Italia  s'è  acconciata  a  ral- 
legrare i  giuochi  de'  bambini,  fu  nei  secoli  andati  un 
vero  contrasto,  una  tenzone  de'  beoni,  accompagnata 

1  Th.  Braga,  Ethnologia  portufftieza:  Os  Jogos  pop,  e  infantis  , 
in  Era  Nova,  an,  I,  n.  8,  p.  354  (Lisboa,  ISSI);  -^  R.  Guimarabs,  Su^ 
mario  de  varia  Mistoria,  IV,  124. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XXIX 

dalla  mimica,  e  costituiva  un  canto  rappresentato  *, 
Simigliante  origine  bacchica  avrebbe  anche  l'altra  fi- 
lastrocca fanciullesca: 

Pian,  pian,  che  se  romp  i  veder. 

Pian,  pian,  eh'  i  veder  i  va, 

0  che  bella  lira  d'Italia, 

0  che  bel  quarantacinq  :  gin  gin  gin  I  ' 

E  se  allarghiamo  il  nostro  orizzonte  con  vedute  meno 
ristrette ,  troviamo ,  che  non  solo  le  canzonette ,  ma 
altresì  quelli  che  son  divenuti  balocchi  e  giocattoli  da 
bambini  furono  una  volta  utensili  ed  armi  da  uomini 
fatti;  anzi  alcuni  lo  son  tuttavia  presso  popoli  selvaggi. 
Il  selvaggio ,  secondo  qualche  naturalista ,  è  parago- 
nabile al  fanciullo  ;  la  condizione  primitiva  dell'  in- 
dividuo indica  quella  della  razza,  e  la  miglior  prova 
dell'affinità  di  una  specie  sono  gli  stadi  per  cui  essa 
è  passata;  onde  la  vita  di  ciascun  individuo  è  un  ca- 
pitolo della  storia  della  razza,  e  il  graduato  sviluppo 
d'un  fanciullo  illustra  quello  della  specie  ^.  Ma  questa 
teoria  non  è  da  accettare  senza  grandi  riserve,  e  con  • 

«  F.  NovATi,  Ancóra  sulla  canzone  del  Bombabà.  Estr.  dall*Ar- 
chimo  storico  per  Trieste ,  Vlstria  ed  il  Trentino ,  pp.  2  e  7. 
Roma,  1881.  Alle  varianti  notate  aggiungasi  V  abruzzese  raccolta 
e  pubblicata  da  G.  Savini,  Sul  Dialetto  teramano ,  p.  3^7 ,  n.  7. 
Ancona,  Civelli,  1879. 

*  Lo  STESSO,  loc.  cit,,  p.  2,  nota  2. 

^  LuBBocK,  /  tempi  preistorici  e  V origine  dell* incivilimento.  Ver- 
sione ital.  di  MicH.  Lessona,  con  un  cap.  intomo  ali*  uomo  pre- 
istorico in  Italia  del  prof.  A.  Issel.  cap.  XVI,  p.  407.  Torino,  Unione 
tipogr.-editr.  1875. 


XXX  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

le  debite  osservazioni    di  Max  Miiller  circa  la  somi- 
glianza de'  selvaggi  coi  fanciulli  *. 

Sin  dalla  più  remota  antichità  la  freccia  fu  arme 
di  tutti  i  popoli  del  globo  ,  riassumendo  quasi  essa 
sola  la  tattica  militare  offensiva  e  difensiva.  Fu  ado- 
perata nel  medio  evo,  e  lo  è  ancora  nelle  odierne  tribù 
più  barbare  del  Brasile ,  di  Giava ,  di  Borneo,  della 
Malesia,  delFAnnam,  della  Cina,  dell'  Australia,  della 
Terra  del  Fuoco  ,  della  Patagonia  occidentale  ecc.  *. 
Se  Aster  ventitré  secoli  fa,  neir  assedio  di  Metone, 

*  E.  Max  Moller.  Lectures  on  the  Origin  and  Grovoth  ofReligion 
OS  illt^strcOedby  the  Religions  of  India  (New- York:  Char.  Scribner's 
Sons.  1879)  sotto  il  §  Are  savages  like  children  ì  scrive: 

«  Se  c'è  un  fondo  di  verità  nell* assomigliare  il  bambino  al  sel- 
vaggio, e  viceversa,  bisogna  fare  qualche  differenza.  Il  selvaggio 
è  fanciullo  sotto  alcuni  rispetti ,  non  in  tutto.  Non  *  e'  è  selvaggio 
che  crescendo  non  impari  a  distinguere  tra  gli  oggetti  animati  e 
gli  oggetti  inanimati,  p.  e.,  tra  una  corda  e  un  serpente.  Dire  che 
egli  resta  fanciulla  sopra  questo  punto  è  un  abusare  con  le  nostre 
proprie  metafore.  D'altra  parte,  il  fanciullo  de'  nostri  giorni  rara- 
mente ci  dà  un'  idea  esatta  del  pensiero  del  selvaggio  primitivo. 
*Dal  primo  svegliarsi  della  sua  vita  intellettuale,  egli  è  avvolto  in 
un'  atmosfera  satura  di  tutti  i  pensieri  d'una  civiltà  avanzata.  Un 
bambino  che  non  si  lascia  prendere  alla  vista  d'una  bambola  ben 
abbigliata,  e  assai  padrone  di  sé  perchè  non  dia  pedate  alla  seg- 
giola contro  la  quale  egli  ha  dato  la  testa,  sarebbe  un  piccolo  fi- 
losofo. I  mezzi  son  così  differenti  che  un  paragone  tra^  il  bambino 
ed  il  selvaggio  dev'esser  condotto  con  molta  circospezione  perchè 
riesca  ad  avere  un  valore  scientifico  reale  »,  (p.  120). 

*  E.  HiLLYER  GiouoLi,  op.  cit.,  pp.  4041,  126,  251, 306,  423,  560, 
782,  916,  947.  La  freccia  è  detta  panah  fì*a  le  tribù  dell'arcipelago 
di  Giava;  ladgia  nel  Borneo.  In  Cina  fu  adoperata  nella  campagna 
del  1860  dalla  cavalleria  San-ho-lin-sln. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XXXI 

scagliò  (UVocchio  destro  di  Filippo  la  sua  freccia;  ai 
di  nostri  un  circasso,  al  galoppo  sul  suo  cavallo,  col- 
pisce ed  abbatte  un  cappello  in  cima  ad  un'asta.  Eb- 
bene :  la  freccia  è  diventata  un  balocco  da  fanciulli 
cosi  in  Europa  come  in  Australia  e  presso  gli  Eschi- 
mesi ^  La  balestra,  come  perfezionamento  deir  arco, 
è  sparita  in  Europa,  ma  come  giocattolo  esiste  ancora 
e,  ad  avviso  dell'ingegnoso  Tylor,  forse  si  perpetuerà. 
In  questa  classe  va  annoverata  la  fionda,  arme  potente. 
David  uccide  con  essa  il  gigante  Golia;  frombolieri  in 
gran  numero  sono  negli  eserciti  persiani ,  greci,  ro- 
mani, cartaginesi.  Quinto  Curzio  ci  mostra  i  frombo- 
lieri asiani  portanti  la  frombola  a  guisa  d'ornamento 
sul  capo.  Un  fromboliere  è  figurato  nella  Colonna  Tra- 
jana;  e  di  frombole  parla  la  storia  degli  antichi  popoli. 
I  Bretoni,  sotto  Filippo  di  Valois  combatterono  ancora 
a  colpi  di  fionda,  e  frombolieri  figurano  nel  rac- 
conto deirassedio  di  Sancerre  in  Francia.  Oggidì  s'a- 
dopera dai  pastori  dell'America  spagnuola*,  da  uomini 
e  donne  del  Perù,  che  in  quichua  la  dicono  huicopa, 
e  di  Giava,  che  la  chiamano  ali-ali  ecc.  ^;  ma  la  fionda 
è  un  giocattolo  come  un  altro.  Il  sumpitan ,  innanzi 
citato ,  de'  selvaggi  giavanesi,  è  lo  fchia  col  quale  i 
fanciulli  del  Giappone  si  divertono  a  prendere  uccel- 
letti *.  La  raganella  è  discesa  oggi  sino  a'  fanciulli , 
che  ci  si  divertono  tanto;  ma  essa  fu,  com'  è  tuttora 

^  Klemm,  loc.  cit. 

*  T-TLOR,  loc.  cit. 

^  E.  HiLLYEB  Giouou,  op.  cìt.,  p.  879,  126  ed  anche  915. 

'  Lo  STESSO,  op.  cit.,  p.  423. 


XXXII  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

fra  i  Pelle-rossi  della  Siberia  ed  alcune  tribù  brasi- 
liane *,  strumento  sacro  e  misterioso.!  negri  del  Congo 
avevano,  dice  Astley,  una  grande  raganella  di  legno, 
sulla  quale  prestavano  i  loro  giuramenti  *.  Fra  glln- 
diani  delFAmerica  settentrionale  la  raganella  è  articolo 
molto  importante.  Quando  una  persona  è  ammalata, 
il  mago  0  medico  porta  la  raganella  sacra  e  la  scuote 
sulla  testa  dell'  infermo.  Questo  è  «  lo  specifico  prin- 
cipale per  ogni  sorta  di  mali»  ».  Catlin  *,  Klemm  ^ 
ed  altri  scrittori  trovarono  come  oggetto  di  grande 
importanza  la  raganella  in  America,  e  Staad  crede  che 
persino  le  si  renda  un  culto  come  a  divinità.  School- 
craft  dà  una  figura  di  oshkabaiwis,  il  mago  dei  Pelle- 
rossi  ,  «  che  tiene  in  mano  la  raganella  magica,  »  la 
quale  invero  è  il  consueto  emblema  dell'  autorità  in 
America  •.  Sir  Lubbock  non  conosce  un  esempio  di 
un  selvaggio  che  usi  la  raganella  come  trastullo  '. 
Il  ripiglino  di  tutti  i  nostri  fanciulli  è  sempre  un  pas- 
satempo di  giovani  e  uomini  d'età  presso  gli  Eschimesi. 
I  Nechillik,  compresi  gli  adulti  ed  i  vecchi,  «  tengono 
sempre  seco  un  gomitolo  di  tendini  di  renna,  coi  quali, 
variamente  annodandoli  fra  le  dita,  formano  varie  fi- 
gure rappresentative ,  alle  quali,  lavorando  molto  di 

'  Martins,  Von  dem  Rectszt^tande  unter  den  Vspr,  BrasilienSy 
p.  34. 

*  Collection  of  voyages^  v.  III,  p.  233.  • 

»  Prescott  nelle  Indiati  Tribes  dello  Schoolcraft,  y.  II,  pp.  179»180^ 

*  American  Indians^  v.  I,  pp.  37,  40,  163  ecc. 
5  Op.  cit.,  V.  II,  p.  172. 

«  Moeurs  des  sauvages  américains,  v.  II,  p.  297. 
'  Op.  cit.,  pp.  726-727. 


DEI   GICOCHI  FANCIULLESCHI  XXXIII 

fantasia,  danno  il  nome  di  un  animale  »:  tuktuk  (la 
renna) ,  amau  (il  lupo) ,  kakbik  (il  maiale).  «  Tutti 
vantio  a  gara  di  rapidità  nell'eseguire  quegrintreccia- 
menti,  e  cosi  ingannano  innocuamente  il  tempo,  e  cosi 
si  divertono  »  *. 

Frattanto  interessa  il  vedere  come  non  già  questi 
passatempi  e  trastulli,  ma  veri  e  propri  giuochi  sieno, 
etnograficamente  parlando,  sopravvivenze,  e  sopravvi- 
venze notabili  di  antiche  usanze  *. 

Primo  tra  tutti ,  come  anello  tra'  passatempi  fan- 
ciulleschi d'oggi,  che  in  origine  appartennero  agli  adul- 
ti, ed  i  giuochi  che  riconoscono  un'antichissima  usan- 
za, è  quello,  in  generale,  di  gettare  in  aria  i  denari 
alla  sorte,  *  e  che  diciamo  Croce  o  testa,  o  Croce  o 
lettera  *.  Questo  giuoco,  con  nomi  più  o  meno  simili, 
lo  troviamo  dappertutto  :  in  Ispagna ,  Crux  o  cara  , 
ed  in  antico  C astuta  a  Leon  (ricordo  della  riunione 

1  E.  Klutsghak,  Da  eschimese  fra  gli  Eschimesi,  Racconto  della 
^spedizione'  schtoatka  alla  ricerca  di  Franklin  negli  anni  1878-79. 
Cap.  Vili,  p.  143.  Milano,  frateUi  Treves,  edit.  1888. 

«  La  superstizione  (scrive  Tylor ,  loc.  cit.)  è  «  ciò  che  persiste 
degli  anticliì  usi;  ma  essa  non  esprime  ciò  che  raccoglie  in  sé  la 
voce  sopravvivenza^  etnograficamente  parlando:  le  vecchie  abitu- 
dini che  han  preso  altre  forme». 

'  «Non  è  di  piccolo  interesse  rapprendere  che  certi  mezzi  divi- 
natori servivano  e  servon  tuttavia  presso  i  non  civilizzati  a  sem- 
plici giuochi  d* azzardo.  Il  sig.  Tylor  ha  ragione  di  rilevare  Tiden- 
tità  frequente  degli  strumenti  impiegati  per  la  divinazione  e  pel 
giuoco.  Noi  lo  veggiamo  ancora  tra  noi  nell'uso  che  le  mostre  di- 
vinatrici  fanno  delle  carte  da  giuoco.  A.  Rév^le  ,  Les  Religions 
des  non-^vilisés,  t.  II,  e.  VI.  Paris,  Fischbacher,  1883. 

*  Cfr.  n.  33. 

O.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi.  HI 


XXXIV  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

de*  regni  di  Leone  e  Castiglia,  per  la  quale  i  castelli 
ed  i  leoni  furon  posti  per  sostegni  alle  armi  de'  re 
di  Spagna);  in  Francia  Croix  ou  pile,  in  Inghilterra 
Heads  or  tails  o  Heads  or  wors*,  in  Germania  Ge- 
rad  und  Unger  ad  *,  in  Isvezia  e  Finlandia  Krona 
ock  klafve  ^\  in  Russia  Orljanka  orlik  orel  *;  e  lo  si 
fa  sino  in  Giava  ^.  Esso  era  comunissimo  al  tempo  dei 
Romani  col  titolo  Caput  aut  navis,  dalle  parole  che  i 
giocatori  dicevano  lanciando  in  aria  una  moneta,  origi- 
nariamente con  la  testa  di  Giano  da  un  lato  ed  il  ro- 
stro d'una  nave  dall'  altro  ^.  L'usavano  anche  i  Greci 
sotto  il  nome  dgxKiCetv.  Lubbock  nota  opportunamente 
chQ  Croce  o  testa  fu  in  origine  un  mezzo  sacro  e  solenne 
di  consultare  gli  oracoli  \ 

^  «  Quest'ultima  espressione,  ad  avviso  del  mio  egr.  amico  H.  Oh. 
CJoote,  è  forse  interessante,  perchè  allude  alla  figura  di  Britannia, 
che  si  vede  sui  pezzi  di  rame  o  di  bronzo,  co'  quali  si  giuoca.  La 
figura  di  Britann'a  è  copiata  dalla  moneta  romana  dell'Isola  >. 

•RocHHOLz,  Alemannisches  Kinderlied  und  Kinderspiel  atcs  der 
Schweiz.,  p.  424.  Leipzig,  1857.— Zinoerle,  op.  cit.,  p.  43. 

•  NoRMANN,  Vngdomens  bok,  v.  1,.  n.  282. 

*  Teresoenko,  Vita  del  popolo  russo  (in  russo)  IV,  75-76.  Questo 
giuoco  (ini  scrive  il  dotto  prof.  A.  Wesselofsky  da  Pietroburgo)  è 
conosciutissimo  in  Russia  e,  come  giuoco  d'azzardo,  è  proibito  daUa 
polizia.  Il  grido  è  Aquila  (o  lancia)  o  gratella  ì  donde  il  titolo,  dal 
russo  orel,  aquila. 

*^E  HiLLYER  GlGUOLI,   Op.   Cit.,  p.    177.  , 

«  Macrob.  Satur.^  1. 1,  7.  —  Plin,  Hist.  nat.  XXXIII.  —  Ovm.  Fast, 
1.  f.  Vedi«jiche  A.,  Geixio  citato  a  p.  94  del  presente  volume,  e 
PiTisco,  Lexicoìn  Aniiquitatum  romanarum,  v.  I,  p.  360,  Venetìis, 
MDCCXIX. 

'Lubbock,  op.  cit.,'p.  727. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XXXV 

Da  questo  giuoco   si  ha  un  punto  di  partenza  per 
lo  studio  dei  giuochi  d'azzardo,  che  a  preferenza  di 
quelli  di  destrezza  e  di  calcolo  si  citano  come  «  casi 
di  atavismo  o  di  per^^istenza  degl'impulsi  fondamentali 
dello  spirito  umano  in  seno  alle  società  più  civili  »  *; 
ma  che  in  fondo  hanno  il  loro  addentellato  nei  sacri 
processi  della   divinazione.  Quest'  arte  o  scienza  mi- 
steriosa de'  Greci,  de'  Germani ,  degr  Italiani  antichi 
cosi  come  de'  moderni  Maori,  de'  Negri  della  Guinea, 
degrindiahi  ecc.  ha ,  è  vero  ,  un  numero  di  credenti 
e  di  proseliti  nella  gente  più  inculta  de'  popoli  civili, 
iDQa  si  perpetua  e  sopravvive  in  una  serie  di  atti  e  di 
fonnole  fanciullesche ,  le  quali  nella  sola  Sicilia  tra- 
duconsi  in  una  sessantina  di  giuochi.  Anzi ,  per  chi 
bene  osservi ,  un  terzo  de'  giuochi  fanciulleschi  non 
sono  altrove  da  classificare  se  non  in  questa  grande 
famiglia,  dove  si  complettono  la  sorte,  la  divinazione, 
il  meccanismo  ed  altri  processi  che  rientrano  nel  cam- 
po, della  magia.  Se  non  che,  alcuni  di  questi  perdet- 

'  A.  Révillb,  op.  cit.,  t.  I,  p.  32,  osserva  :  «  Due  cose  appassio- 
nano il  selvaggio:  la  caccia  e  la  guerra.  In  questa  doppia  propen- 
sione noi  possiamo  discernere  il  desiderio  d'affrontare  l'ignoto  ecc. 
L'uomo  —  vorrei  dire  —  è  un  animale  bellicoso  e  cacciatore,  e  non 
^sfuggirà  a  nessuno  che  la  nostra  civiltà  non  ha  fatto  altro  se  non 
restringere,  senza  sopprimerla,  questa  doppia  tendenza.  Ecco  per- 
chè il  non  incivilito  è  giocatore;  giacché  il  giuoco  altro  non  è,  per 
se  siesso,  se  non  una  lotta  con  l'ignòto,  una  lotta  ingaggiata  con 
ciò  che  non  può  prevedersi  con  certezza,  un  accesso  di  confidenza 
che  nessuna  ragione  giustifica  nel  risultato.  E  però  più  che  quelli 
<ii  destrezza  o  di  calcolo  attento  generano  la  fìrenesia  di  giocare  i 
giuochi  di  puro  azzardo  >.  Si  cfr.  pure  E.  Hillyer  Giouou,  op.  cit., 
P.  177. 


XXXVI  DEI   GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

tero  il  loro  senso  e  scopo  primitivo ,  e  si  eseguono 
tuttodì  senza  segreta  o  palese  intenzione;  tale  è,  p.  e., 
lo  scoppio  delle  foglie  del  rosolaccio,  o  del  papavero, 
0  della  rosa,  il  quale  diverte  non  meno  i  fanciulli  di 
Sicilia  *  che  quelli  del  Portogallo  *  e  della  Grecia 
moderna,  come  divertiva  i  giovani  della  Grecia  an- 
tica, secondo  un'evidente  allusione  di  Teocrito  ^.  Da 
questo  giuoco,  chiamato  Schalka  o  Khlapouschha  in 
Russia,  *  traggono  risposta  di  buona  o  mala  fortuna 
in  amore  gli  amanti. 

La  reminiscenza  del  giogo,  tremenda  consuetudine 
militare  presso  gli  antichi  popoli,  è  uno  de'  castighi 
che  si  danno  a  chi  ha  perduto.Tipo  de'  giuochi  ne'  quali 
esso  ricomparisce  è  in  Sicilia  il  Peppi  e  'Ntoni  Vivi- 

»  Cfr.  n.  261. 

^  Th.  Braga,  loc.  cit.,  p.  358. 

^  Idill.,  ni,  vers.  di  G.  M.  Pagnini. 

.    *    .    .    Io  me  ne  avvidi  allora, 
Che,  cercando  se  m'ami,  non  fé'  scoppio 
La  foglia  dei  papavero  scliiacciata 
Ma  sul  morbido  gomito  appassita 
Invan  restonimi    .... 

Idilli  di  Teocrito  siracusano  tradotti  da  varii^  p.  73,  n.  12.  Venezia, 
AntonelliM.DCCC.XLI.— G.  Polluce,  Onomast.,  IX,  VU,  127,  paria  di 
questa  superstizione  che  aveano  gli  antichi  di  esplorare  se  fossero  a- 
qiati  0  no,  col  fare  scoppiare  sulla  mano  o  sul  braccio  o  sulla  spaUa 
una  foglia  d'un  fiore,  o  un  giglio  rigonfio  sulla  fronte.  Mad.  Dacier 
vide  questo  stesso  costume  in  una  delle  varie  odi  d' Anacreonte 
sulla  Rosa,  Altri  credettero  di  vederlo  del  pari;  ma  confesso  che,  per 
quanto  abbia  letto  e  riletto  Anacreonte,  io  non  vi  ho  trovato  om- 
bra di  ciò. 
*  GuTHRiE,  Les  Antiquités  de  Russie,  p.  109.  Ap.  Braga,  loc.  cit. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XXXVII 

ranza  «,  uno  spaccamontagne,  che  minaccia  d'inghiot- 
tire il  mondo,  e  poi  come  vigliacco  è  per  ludibrio  con- 
dannato a  quella  punizione. 

Il  giuoco  della  Campana^  o  del  Mondo,  o  del  Pa- 
radiso, come  si  voglia  dire  *,  che  si  fa  segnando  sul 
lastrico  da  sette  a  dodici  scompartimenti,  è  certo  sim- 
bolico ,  e  forse  ha  radice  nelle  pratiche  astrologiche 
degli  antichi.  Siccome  nel  Bergamasco  esso  è  appellato 
mond  (mondo)  ed  anche  mont  (monte),  e  ^i  scompar- 
timenti son  dodici  ',  cosi  è  da  credere  che  questi  rap- 
presentino i  dodici  segni  o  case  dello  zodiaco  ,  e  la 
piastrella  rotonda  figuri  il  sole,  che,  quando  tocca  re- 
golarmente dalla  prima  air  ultima  nicchia,  muore.  Il 
giuoco  è  assai  diffuso  in  Europa  ,  dove  pe'  fanciulli 
spagnuoli  è  il  Juego  del  pico  *,  pei  francesi  La  ma- 
relle  *,  per  gì*  inglesi  Hof  scotsch  •,  per  gli  svedesi 
Soppa  hage  ^ ,  pe'  finlandesi  di  Raumo  Hoppa  mor- 
sgryia  *.  * 

Il  giuoco  deìVAmì)asciatorey  cosi  ovvio  in  Italia  *, 

»  Cfr.  n.  130. 
»  Cfr.  n.  83. 

*  Rosa,  op.  cit.,  p.  290. 

*  A.  Machado  t  Alvabez,  nel  Mttseo  Canario^  t.  III,  n.  28,  p.  UL 
Las  Palmas,  1881. 

*  Beleze,  Las  Jeux  des  Adolescente,  p.  107.  Paris,  Hachette  1879. 

•  Comunicazione  del  sig.  H.  Ch.  Coote. 

^  Falk  Yttek,  Kroppsafningar  ock  lekar,  p.  58.  —  Norman,  Vng^ 
domens  bok,  I,  56. 

•  Comunicazione  del  Dott.  Axel  Ramm,  prof,  nel  Seminario  Fi- 
k)Iogico  di  Lund  in  Isvezia;  al  quale  devo  le  notizie  della  penisola 
scandinava. 

•  Ferr'aro,  Cinquanta  Giuochi,  n.  VI,  vers.  piemontese  del  Mon- 


XXXVIII  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

• 

in  Albania  «,  Spagna  *,  Portogallo  ^,  Frància  e  al- 
trove ,  ritrae  da  un  antico  uso  nuziale  celtico ,  che 
dura  pur  sempre  tra  i  Bretoni ,  e  che  probabilmente 
fu  in  Italia.  Esso  riproduce,  al  vivo,  tutta  una  chiesta 
nuziale  alla  maniera  celtica  per  la  gran  parte  che  nelle 
nozze  assume  V ambasciatore,  sebbene  la  chiesta  stes- 
sa, in  genere  ,  e  le  danze  che  la  conchiudono  siano 
conformi  a  tutto  il  rito  europeo  *. 

Quando  verrà  la  volta  dei  giuochi  in  Sicilia  ,  dirò 
come  non  pochi  altri  conservino  reminiscenze  storiche 
e  allusioni  simboliche.  Ora  vengo  alle  prove  dell'argo- 
mento con  un  esempio  citato  anche  da  Tylor. 

Vari  fanciulli  disposti  in  fila  o  a  circolo  si  passano 
Tun  Taltro  alle  mani  un  moccolo  acceso,  pronunziando, 
nel  consegnarlo,  una  formola  press'a  poco  come  que- 
sta :  «  Vivo  te  lo  do,  vivo  lo  mantieni.  »  Colui,  nelle 
cui  mani  il  moccolo  si  spegne,  è  messo  fuori  giuoco,  e 
dovrà  fare  una  penitenza  ^.  Questo  divertimento  si 
riscontra  non  solo  neir  Europa  meridionale  e  nella 
centrale ,  ma  anche  nella  settentrionale  fino  alla  Si- 


ferrato. —  Beknoni,  Giuochi,  n,  42,  vera,  veneziana.  — G.  Sa  vini  , 
La  Grammatica  e  il  Lessico  del  dial,  teramano,  p.  145,  e  A.  De 
Nino,  Usi  e  Costumi,  v.  II,  n.  XXXV,  Versioni  abruzzesi. 

*  BiDERi,  Passeggiata  per  Napoli,  P-  85. 

'  A.  Machado  y  Alvarez,  nel  Folk-Lore  Andaluz,  an.  I,  pp.  217- 
220  e  313-315. 
8  J.  DE  Araujo,  nei  FolhrLore  and,,  pp.  215-217. 

*  De  Gubebnatis,  Storia  com^parata  degli  tesi  nuziali  in  Italia  ecc. 
lib.  I,  e.  II.  L'A.  cita  altri  fatti  che  avvalorano  questa  teoria. 

'  Cfr.  la  versione  siciliana,  toscana,  parmigiana,  milanese,£^l  n.  205. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XXXIX 

beria.  Dalla  forinola  che  si  dice  nel  porgere  il  lumi- 
cino, esso ,  nella  Spagna ,  prende  il  titolo  :  Soplo,  y 
vivo  te  lo  doy^  che  si  chiude  con  V  altra  metà  della 
formola  :  y  si  muerto  lo  das^  la  pagaràs  *;  nel  Por- 
togallo :  Don-che  lo  vivo  *  ;  in  Francia  :  Je  vous  vends 
man  allumette  ',  ovvero  :  Petit  Bonhomme  vit  en- 
core  *.  Un  giuoco  simile  fu  da  G.  Grimm  raccolto  in 
Germania,  nel  quale  si  usa  una  bacchetta  accesa  K  In 
Inghilterra  v'è  una  canzonetta  che  suona  press'a  poco: 
«  Jack  vive,  in  buona  salute  •;  s'egli  muore  nelle  vostre 
mani,  badate  a  voi  »  Mn  Russia  nello  0  jio  jiv  hurilha 
(il  tizzone  vive  ancora),  chi  riceve  il  tizzone  canta:  «  Il 
tizzone  vive  ancora  !»  e  se  il  tizzone  si  spegne  prima 
della  fine  del  canto,  si  paga  un  pegno  *.  Ad  Irkoutsk, 
in  Siberia,  la  canzonetta  della  KourilUa  o  Kurulha 
dice  cosi  : 

Egli  è  vissuto,  è  stato  kourulka  (tizzone), 
*  Dalle  gambe  sottili, 
Dall'anima  corta; 
Non  muore,  kurulka. 
Non  lascia  duolo; 
Né  fa  danzare; 

•  A.  Machado  y  Alvarez,  nel  Folk^Lore  and,^  an.  I,  p.  316  e  seg. 

•  Th.  Braga,  loc.  cit.,  p.  346. 

'  Laisnel  de  la  Salle,  Croyances  et  Légendes  du  centre  de   la 
Prance,  t.  II,  p.  135.  Paris,  1875. 

•  E.  Landrol,  nella  Mélìisine^  n.  7,  col.  ITO.  Paris,  1878. 
5  J.  Grimm,  Deutsche  Mythologie;  Zweite  Aufl.y  p.  812. 

•  Haluwel,  Popular  Rhymes,  p.  112. 
'  Tylor,  op.  cit.,  loc.  cit. 

•  GuTHRiB,  op.  cit.,  pp.  40-41. 


XL  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

e  chi  si  lascia  spegnere  il  lumicino,  ha  da  fare,  per 
penitenza,  un  balletto  innanzi  a*  compagni  ^ 

Edward  Tylor  riporta  la  conoscenza  di  questo  giuoco 
al  sec.  Vili  in  Europa,  e  vi  annette  una  superstizione 
della  quale  vennero  accusati  i  manichei.  Il  Patriarca 
d'Armenia,  Giovanni  d'Osun,  scrisse  contro  questa  setta 
una  diatriba  piena  di  tutte  le  accuse  familiari  a'  ne- 
mici del  manicheismo;  dove,  tra  le  altre,  cose  era4etto 
che  i  manichei  facevano  il  giuoco  del  Petit  Bonhomme 
con  una  creaturina  ferita,  che  passava  di  mano  in 
mano,  rimanendo  come  prima  dignità  della  setta  colui 
nelle  cui  mani  il  povero  bimbo  morisse.  La  medesima 
accusa  fecero  i  politeisti  a*  giudei,  i  giudei  a'  cristiani, 
i  cristiani  a'  manichei  chiamandoli,  forse  con  un'  al- 
lusione al  giuoco  del  quale  si  calunniavano,  i  huoni 
uomini  *.  Il  giuoco  sarebbe,  pertanto,  più  che  storico; 
tuttavia  è  possibile,  se  non  probabile,  che  ricordi  la 
corsa  delle  fiaccole  degli  antichi  Ateniesi.  Erodoto  *, 
Pausania  *  ed  altri  ci  fanno  sapere  che  i  giovani  oc- 
cupando in  linea  lo  spazio  compreso  Ira  le  porte  del 
giardino  dell'Accademia  e  le  mura  d'Atene,  accesa  una 
fiaccola  innanzi  1'  ara  di  Prometeo ,  se  la  passavano 
da  mano  a  mano,  e  chi  se  la  lasciava  spegnere,  ve- 
niva li  per  li  escluso  dal  divertente  spettacolo. 

Le  citazioni  fin  qua  addotte  bastano  a  dimostrare  che 
un  giuoco  è  0  può  esser  comune  a  più  popoli  ed  a 

1  J.  BoLAKOF,  nella  Mélusine^  coU.  245-246. 
«  Tylor,  op.  cit. —  Braga,  loc.  cit. 
»  Erod.  lib.  Vin,  e.  98. 
*  Paus.,  lib.  I,  e.  XXX. 


DEI  GroOCHI  FANCIULLESCHI  XLI 

più  razze.  Questo  fatto  ha  un  grande  significato ,  ed 
acquista  valore  etnografico  a  misura  che  non  uno  ma 
dieci,  venti  o  più  giuochi  ricompariscono  in  paesi  lon- 
tanissimi tra  loro,  sotto  forme  medesime,  o  simili,  o 
analoghe  o,  al  contrario,  differenti.  Certo,  si  ha  molto 
da  pensare  quando  il  nostro  A  Sivaleri,  consistente 
nell'indovinare  il  numero  de'  fagiuoli,  o  ceci,  o  avel- 
lane, o  sassolini  tenuti  in  una  mano  chiusa  *,  lo  in- 
contriamo comunissimo  sotto  il  nome  di  Telàga-tàrt 
presso  i  Griavanesi';  e  il  giuoco  deir^n^^^o,  o  del  sas- 
solino che  si  nasconde  nelle  mani  chiuse  d'  uno  di 
molti  giocatori  messi  in  fila  o  a  cerchio  ^,  lo  ricono- 
sciamo nel  Furon  di  Francia  *,  n^W Aneli  picapadreU 
di  Catalogna  ^,  nel  Huron  di  tutta  la  Spagna,  nel  Jogo 
do  anel  del  Portogallo  ^,  nel  Ringelchen  eintheilen 
della  Slesia  ',  neUo  Steinli-gà  della  Svizzera  tedesca  * 
ed  in  altri  nomi,  più  o  meno  analoghi  anche  di  signi- 
ficato, in  Russia  ®,  in  Ungheria,  in  Rumenia,  in  Grecia, 
in  Turchia,  dove  il  giuoco  esiste  come  da  noi,  e  come 
esisteva  presso  gli  antichi  col  nome  di  Birae;  quando 

»  Gfr.  n.  2L 

*  E.  HiLLTBR  GiouoLi,  op.  cit.,  p.  177. 

*  Gfr.  n.  40. 

*  Laisnel  de  la  Salle,  op.  cit.,  II,  135. 

^  Maspons  y  Labrós,  Jochs  de  la  Infcmcia^  pp.  86-87.  Barcelona, 
Marci  Y  Cantò,  1874. 

•Bbaoa,  loc.  cit.,  p.  357. 

'  LiEBSECHT,  Zur  Volkskunde.  Alte  und  neue  Aufsòètze,  p.  S9Z, 
D  12.  Heilbronn,  Henniger,  1870. 

*  HocHHOLz,  op.  cit.,  p.  428,  n.  48. 

•  GUTHRIE,   op.   cit.,  p.   96. 


XLII  DBI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

nella  francese  Toupie  à  ficelle  *,  nel  tedesco  Kreisel, 
neiringlese  Top,  nella  berbera  Tahoudicfit  de'  Kabili  *, 
veggiamo  ricomparire  la  trottola  ed  il  paleo  greco-lati- 
no-italiano *,  che  pure  usano  i  fanciulli  giapponesi  *,  e 
nelle  forme  più  graziose  ^.  Quando  vediamo  tutto  que- 
sto; e  attraverso  la  forma  più  o  meno  drammatica  e 
mimica  riconosciamo  il  giuoco  A  gatta  cieca  «  nella 
Gallina  ciega  spagnuola  del  sec.  XVI  e  d'oggi  ^  nella 
*Caì)ra  cega  portoghese  ®,  nel  Colin  maillard  fran- 
cese »,  al  quale  Beleze  ebbe  la  malinconia  di  attribuire 
una  origine  storica  del  999  d.  C.  *®,  nell'inglese  Blind 
man's  huff ,  nel  tedesco  BUndeìiuhspiel  o  semplice- 
mente Blinde  ^w^**,  nello  svedese  5^m6?  &ocAr*',  nel 

1  Beleze,  op.  cit.,  p.  104.  —  B.  Pipteau,  Grande  Encyclopedie  ge- 
nerale des  Jeicx,  p.  821.  Paris,  Fayard. 

•  Bictionnaire  fìrangois-berbère^  p.  598.  Paris  Imprimerie  roy- 
aie  MDCCCXLIV. 

»  Cfr.  n.  86. 

•  AiMÈ  HuMBERT ,  Lc  Japon  i  llustré^  t.  I ,  e.  VII ,  p.  107.  Paris, 
Hachette,  1870. 

•  E.  HiLLYER  GioLiou,  op.  cìt.,.  p.  398. 

•  Cfr.  n.  100. 

'  El  Porrenir,  SivigUa,  7  febbr.  1881. 

•  J.  Leite  de  Vasconcellos  ,  Trad,  pop.  de  Portugal^  p.  181,  g. 
Porto,  Clavel  1882.  —  Braga,  loc.  cit.,  p.  356. 

•  Pipteau,  6r.  EncycL,  p.  365-366.  —  I^olland,  JeiM),  p.  153,  n.  28- 
^  Beleze,  op.  cit.,  pp.  31-32. 

«*  Grimm,  Worterbuch,  V,  2,550.  —  Rochholz,  p.  431.  —  Zinobrle, 
p.  44.—  Rolland  ,  Faune  pop,  de  la  France^  V,  115.  —  Frishher, 
Preussische  Volksreime^  a  proposito  di  questo  giuoco  dà  molti  ri- 
scontri. 

»  Norman,  Vngd,  bok,  II,  n.  5;  I,  n.  40.  —  Arwidsson,  Svenska 
fomsangery  p.  417. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XLIII 

finlandese  Olla  sokkosilla  *,  nel  russo  Sijon  posifon*, 
e  lo  sappiamo  gradito  a'  fanciulli  giapponesi  ^  ed  ai 
greci  d'oggi  come  lo  fu  col  nome  di  x^'^p^vòa  *  a'  fanciulli 
dell'antica  Grecia,  mentre  in  Nutka,  nelF America,  esso 
fu  ragion  di  Stato  ^;  pensiamo  a  qualche  cosa  di  più 
serio,  elle  non  è  il  semplice  fatto  isolato:  pensiamo  a 
un  fondo  comune  di  tradizioni,  e  insieme  a  comunica- 
zioni, a  passaggi,  ad  imprestiti  che  i  popoli  si  fanno  tra 
loro. 

Non  v'è  cosa  di  tanto  pericolo  per  chi  studia  usi  e 
tradizioni  popolari  quanto  il  voler  determinare  la  ge- 
nesi d'un  giuoco,  che  a  prima  vista  sembra  o  nato  in 
nn  solo  paese,  o  importato  da  un  paese  all'altro,  an- 
che quando  si  abbiano  dati  sufficienti  per  venire  ad 
una  affermazione.  Chi  più  dice,  meno  dice:  e  bisogna 
esser  riguardosi  e  circospetti  per  non  aver  la  disil- 
lusione di  fatti  a  noi  ignoti,  che  potranno  ,  presto  o 
tardi,  venire  in  luce. 

In  ossequio  a  codesto  principio.,  io  mal  saprei  di- 
chiarare in  quali  de'  divertimenti  fanciulleschi  sopra 
cennati  sia  da  ripetere  una  sola  ed  unica  origine,  ed 
in  quali  tante  origini  spontanee  e  naturali  quanti  sono 

*  Arwidsson,  op.  cit.,  p.  417. 

'  GUTHRIE,   op.  cit.,  p.  96. 

^  AiMÉ  HUUBERT,  op.  Cit.,  loC.  Clt. 

*  PoLLucis  Onomast,^  1.  IX,  e.  VU,  nn.  113-114.  U  Braga,  loc.  cit., 
P*  356,  vi  fa  corrispondere  il  giuoco  greco  {lutvda,  ma  stando  a  Pol- 
luce, Onomast.  113,  questo  ci  ha  ben  poco  da  vedere,  poiché  è  un 
^to  di  vari  giuochi,  senz^essere  però  nessuno  di  essi. 

^  Marcoaldi,  Le  Usanze  e  Pregiudizi  del  pop,  Fabrianesey  p.  109, 
n.  50.  Fabriano,  Crocetti,  1875. 


XLIV  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

i  paesi  che  li  hanno  e  ripetono  più  a  meno  tradizional- 
mente. Certo,  in  ogni  raccolta  di  giuochi,  e  in  questa 
siciliana  soprattutto  ,  ve  n'  è ,  sotto  il  punto  di  vista 
delle  origini,  dell'  uno  e  dell'  altro  genere  ;  e  se  non 
fosse  soverchio  ardire  io  mi  deciderei  a  favore  d' un 
genesi  unica  per  quei  giuochi,  i  quali,  con  le  debite 
modificazioni  di  aggiunte,  di  soppressioni  e  di  varianti 
di  atti,  gesti  e  parole,  si  usano  presso  popoli  d'una 
stessa  razza  o  anche  di  razze  differenti  quando  i  giuo- 
chi risultano  di  atti  e  formolo  abbastanza  particolari 
perchè  non  possano  prendersi  come  portato  spontaneo 
dell'umana  natura.  Il  giuoco  A  càncara  e  della  o  Ad 
anca  ed  ancona^  in  cui  uno  fa  da  mastro,  che  tura  gli 
occhi  ad  un  compagno  che  fa  da  cavallo,  ed  un  terzo 
salta  addosso  a  costui ,  che  deve  indovinare  quante 
dita  mostri  il  cavaliere,  e  se  non  s'appone  rimane  sot- 
to, forse  non  può  esser  nato  due  volte,  o  per  lo  meno 
tante  volte  quanti  sono  i  popoli  che  lo  fanno.  Abbiamo 
una  testimonianza  non  dubbia  che  ne  prova  la  esistenza 
appo  i  Latini,  a'  quali  potè  ben  passare,  per  la  Grecia, 
0  per  altro  paese ,  dall'  Egitto ,  o  probabilmente  dal- 
l'Asia. Petronio  Arbitro  nel  suo  Satyricon  ha  questo 
aneddoto:  «  Trimalchio,,,  hasiavit  puerum^  acjitssit 
supra  dorsum  ascendere  suum.  Non  moratur  ille, 
usus  equo^  manuque  piena  scapulas  ejus  suMnde 
vèrberavit,  Inter  que  risum  proclamavit  Bue  e  a  e! 
bue  e  a  e  !  quot  sunt  hi  e  ?  ^.  ^à  io  propendo 


*  Tm  Petronh,  equitis  romani,  Satyricon^  g  LXV,  p.  36.  Paris, 
edit.  F.  Didot  fr. 


DEI  GIUOCHI  FANGIULLSSCm  XLT 

per  una  trasmissione  orale  non  solo  per  la  mìmica, 
ma  anche  per  la  formola  con  la  quale  il  giuoco  s*ac- 
compagna. 
I  nostri  fanciulli  in  Sicilia  dicono: 

Càncara  e  beUa 

Si'  bona  e  si*  beUa, 

Si*  bedda  maritata. 

Quanta  corna  porta  'a  crapa? 

e  se  il  cavallo,  bendato,  non  s*appone,  il  mastro  ri- 
piglia, p.  e.: 

Si  tri  avissi  dittu, 

Lu  tò  nasu  fora  fritta  ecc. 

ovvero: 

Quattru  dicisti, 
Lu  jocu  pirdisti, 
Si  tri  dicievi 
Lu  jocu  vincievi. 

E  cosi,  press'a  poco  ,  in  Calabria ,  Napoli ,  Toscana, 
Romagna,  Lombardia,  Veneto  *.  I  Francesi  delBear- 
nese  nello  stesso  giuoco  dicono  questa  formola: 

De  coutin,  de  coutan, 

De  las  craben  d'Aleman; 

De  cisèl, 

De  pourròl, 

Quoant  de  cornes  has  darre  ? 

E  nella  correzione: 

Minye  cibade  ! 
Si  habes  dit  quate, 

'  Cfr  n.  87  con  le  Varianti  e  riscontri^  di  p.  172-175,  e  a  p.  445. 


XLVI  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

Nou  patires  pas  autant 

Coum  haras  d'aci  en  dabantl  *. 

In  Andalusia: 

Recotin-Recotàn 

De  la  vera  vera  van, 

Del  palacio  a  la  cocina 

Quantos  deos  {dita)  tienes  encima? 

e  s'aggiunge  rettificando  il  nu^^^^o  sbagliato  dal  ca- 
vallo : 

Si  cinco  digeras 

No  me  mintieras, 

Los  golpes  que  Uevastes 

Tu  me  los  dieras; 

0  come  in  Béam  : 

No  pasaras  tanto  mal  ^ 

Como  tienes  que  pasar  *. 

In  Portogallo,  secondo  la  versione  edita  che  abbiamo 
sottocchio,  manca  forse  qualche  verso  da  principio  ^ 
ma  il  giuoco  è  lo  stesso: 

Se  dissesses  que  eram  {tantos) 
Nào  perdias  nem  ganhavas, 
Nem  levavas  cutilada, 
CutbHnho,  cutelào; 
Qùantòs  dedos  estao  n'esta  mào?  *. 

'  V.  Lespy,  Proverbes  du  pays  de  Béamt  Énigmes  et  ContespO'^ 
puL  p.  87,  n.  XX;  MontpeUier,  MDCCCLXXVI. 

•  FI  R  Marin,  Cdntos  'pop,  esp»,  t.  I<  nn.  81,  82,  83  e  nota  41,  di 
p.  120.  —  Maspons  y  Labrós,  op.  cit.,  p.  43,  ne  diede  una  variante 
catalana  col  titolo  Pim  pam  cunillam,  —  Demofilo  (A.  M.  y  Alv.) 
nella  Enciclopedia,  ep.  2%  a.  4,  p.  30^^17  (SeviUa,  1880)  illustrò 
con  la  sua  solita  diligenza  questo  Juego  de  Recotin-Recotàn, 

'  Braga,  loc.  cit.,  p.  347. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XLVII 

E  lo  stesso  è  altresì  in  Inghilterra,  come  attesta  Tjr. 
lor,  alla  cui  formola  è  preferibile  quest'altra,  che  mi 
viene  dal  valente  demologo  sig.  Coote: 

Buck  buck  how  many  in  band 
do  I  bold  up  ? 

Nel  Bvlta  bochhom ,  o  Bulleri  bulleri  bockhotm , 
usato  come  da  noi  dagli  Svedesi,  un  giocatore  dice  : 

Bulta  bulta  bock 

Hur  mànga  bom  star  dot  opp  ? 

e  si  canta,  a  mo'  d'esempio: 

Tre  du  sa', 

Fyra  det  va' 

Bulta  bulta  bock  ecc.  *. 

Potrei  andare  avanti  con  altre  citazioni;  ma  queste 
son  sufficienti  a  dimostrare  la  popol£|rità  del  giuoco. 

L'origine  del  Cancara  e  bella  io  non  sarei  lontano 
dall'  ammettere  anche  pei  giuochi  A  pari  e  caffo , 
Alla  campana,  e  soprattutto  per  il  siciliano  A  spum- 
^mta,  che  si  fa  con  cinque  sassolini  o  noccioli  come 
dai  fanciulli  greci  si  faceva  quello  detto  nsvxdXtea  *. 
La  tradizione  greco-latina  se  non  sempre  è  il  più 
delle  volte  indizio  di  questa  fonte  o  luogo  di  passaggio 
d'un  giuoco;  ed  i  popoli  di  Grecia  e  del  Lazio  furono 
i  veicoli  pei  quali,  come  molti  usi,  credenze  e  prati- 
che, alcuni  ludi  infantili  poterono  dall'Oriente  passare 
in  Occidente.  In  Roma,  grande  emporio  del  mondo  an- 

*  NoRMANN,  I,  n.  44;  II,  181. 

*  PoLLucis  Qnom.  n.  126.  Cfr.  più  innanzi  il  giuoco  degli  astragali 
0  dagli  aliossi. 


XliVIII  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

tiijo,  dovettero  metter  capo  molti  passatempi  e  diver- 
timenti fanciullesclii  di  popoli  stranieri ,  e  diventar 
patrimonio  del  popolo.  Svetonio ,  come  si  dice,  ne 
fece  oggetto  d'un  libro;  ed  è  sempre  vera  la  sentenza 
di  Rodrigo  Caro  nella  introduzione  edita  della  sua  o- 
pera  inedita;  «  Todos  estos  juegos  estàn  encadenados 
con  la  antigiiedad....  sin  la  qual  todas  las  artes  son 
inperfectas  y  sin  gusto.»  Un  attento  studio  compara- 
tivo potrebbe  portare  alla  conclusione  che  una  cin- 
quantina e  forse  più  de'  giuochi  attuali,  con  più  di  ag- 
giunte e  meno  di  sottrazioni  di  circostanze  e  partico- 
lari, si  trovano,  rimontando  indietro  nei  secoli,  presso 
i  Greci  ed  i  Latini. 

Tuttavia  non  bisogna  esagerare  nei  suoi  riultati  que- 
sti punti  di  partenza  e  di  passaggio,  né  battezzar  per 
greci  0  romani  divertimenti  ed  esercizi  che  possono 
nascere,  e  nascon  difatti ,  spontanei  in  ogni  tempo  e 
in  ogni  luogo  senza  trasmissione  di  sorta.  Molti  giuo- 
chi, importa  ripeterlo,  come  manifestazione  d'un  fondo 
comune  di  razza,  anzi  di  razze,  si  scontrano  infinite 
volte  senza  comunicazione  storica  in  popoli  diversi  *. 
Se  i  Greci,  quindi,  avevano  T  aiépa  ed  i  Latini  Voscil- 
lum  e  r  oscillatio^  mancherebbe  delle  più  elementari 
conoscenze  di  fisiologia  e  di  etnografia  chi  credesse  di 
scoprire  (grande  scopeJrta,inveroI)  aella  nostra  altalena 
un'importazione  greco-romana.L'altalena,  il  fare  a  rim- 
balzello, che  i  fanciulli  greci  chiamavano  enooxpaxtopLòg*, 
l'andare  a  cavallo  alla  canna,  il  ripiglino,  il  fare  alla 

*  Vedi  H.  Gaidoz,  J>eux  parallèles:  Rome  et  Congo.»  pp.  1-2.  RC' 
vue  de  Vhistoire  des  religions.  Paris,  Leroux  1883. 
«  PoLLuas  Onomastìcum,  VUI.  91,  38;  e  IX,  VU,  119. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  XLIX 

palla  ^  ed  altri  divertimenti  son  naturali ,  e  tanto  si 
fanno  spontanei  presso  popoli  civili  come  presso  tribù 
selvagge  '.  I  dilettanti  non  mancano  mai:  e  negli  stu- 
di di  tradizioni  popolari  ve  ne  sono  a  dovizia.  Niente 
per  essi  è  più  facile  che  sentenziare  sulla  nascita  e 
sulla  provenienza  d'un  uso  o  d'una  jSaba.  Mentre  scrivo, 
uno  di  questi  dilettanti  non  perita  di  dire  che  il  giuoco 
a  CapinnasGondere  '  sia  proveniente  dalle  isole  della 
Polinesia,  solo  perchè  in  Matera  (Basilicata)  i  rimpiat- 
tati, facendo  questo  giuoco,  chiamano  il  compagno  che 
è  sotto  con  la  voce  fabù^  voce  che  da  uno  dei  soliti 
Dizionari  di  cognizioni  utili  risulterebbe  appartenen- 
te ad  una  cerimonia  di  quella  remota  parte  dell'Ocea- 
nia *.  Eppure  chi  non  vede  che  la  voce  materana  è 
un  composto  di  due  parole?  la  seconda  delle  quali 
tronca  da  un  verbo,  che  può  significare  vieni^  o  vedi^ 
0  cerca,  o  qualcosa  di  simile.  Il  Guys  nel  suo  Voyage 
littéraire  én  Grece  con  egual  leggerezza  dichiarò  come 
originari  della  Grecia  moderna  giuochi  che  egli  vide 
^  iaggiando.  L'Ampère  ,  rilevando  \  errore  ,  notò  che 
i  Ula  Grecia  d'oggi  vi  sono  giuochi  propri  come  quello 
della  Testuggine  citato  dal  medesimo  Guys,  e  quello 
<Ie>gli  Astragali  *  trovato  da  Ulrichs  «  nel  villaggio 

»  0.  fr.  nn.  244,  256,  12,  278,  82. 

s  Cfir.  Hall,  Life  xoiih  the  Esquimaus,  v.  II,  p.  316;  Lubbock, 
op.  cit.,  p.  327  e  341. 

5  Cfr.  n.  91. 

*  V.  Giambattista  Basile,  an.  I,  n.  6,  p.  44.  Napoli,  15  Giugno 
1883. 

^  Cfr.  i  nn.  55  e  56:  ^  spumposta  e  A  cincu. 

«  Reisen  und  Forschungen. 

Q.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi.  IV 


L  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

focese  di  Arachova.  E  appunto  sollazzandosi  a  que- 
sto giuoco  nella  sua  infanzia  Patroclo  uccise  il  figlia 
d'Anfidamonte,  onde  fu  costretto  a  cercarsi  un  rifugiò 
presso  Peleo.  E  qui  l'Ampère  esclama  :  «  Vedi  destina 
delle  grandi  cose  I  Vedi  potenza  delle  piccole  !  Se  Pa- 
troclo non  avesse  da  bambino  giocato .  agli  astragali, 
come  oggi  fanno  i  giovani  montanari  d'  Arachova , 
Achille,  che  non  sarebbe  mai  stato  l'amico  ed  il  ven- 
dicatore di  lui,  se  ne  sarebbe  rimasto  nel  suo  padi- 
glione, e  i  Greci  avrebber  fatto  ritorno  senza  impadro- 
nirsi di  Troia ,  e...  noi  non  avremmo  la  maraviglia 
della  Iliade  ^). 

Parlando  di  somiglianze  che  un  giuoco  ha  in  varie 
e  differenti  contrade,  conviene  cercare,  più  che  altro, 
gli  elementi  semplici  costitutivi  di  esso.  Con  questa 
intendimento  molti  sono  tra'  nostri  giuochi  quelli  che 
diversamente  combinati  possono  riscontrarsi  tra  po- 
poli ben  diversi  tra  loro.  Il  Càncara  e  della  citato , 
in  Inghilterra  non  è  un  giuoco  da  fanciulli ,  ma  da 
bambini,  e  la  domanda  che  ordinariamente  suol  fare 
uno  de'  giocatori  la  fa  la  madre.  In  Russia  il  Cmicara  e 
tella  richiama  al  giuoco  A  Two^cac^'eca  fondendosi  in* 
questo  tipo  tanto  noto  e  tanto  comune.In  alcuni  paesi  si 
fanno  da  adulti  certi  giuochi  che  in  altri  sono  da  fan- 
ciulli; in  alcuni  altri  non  si  conoscono  affatto  giuochi 
che  son  passatempo  ordinario  ì\\  regioni  da  essi  lontane, 
0  si  conoscono  sotto  forme  molto  diverse.  Un'occhiata 
a'  giuochi  greci  antichi  farebbe  ragione  a  questa  as- 
servazione.  La  penitenza  che  nel   giuoco   alla  Cam- 

'  J.  G.  Ampere,  La  poesie  greque  en  Grece  §  6. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LI 

pana  ha  il  perditore  di  portare  a  cavalluccio  con  gli 
occhi  turati  il  vincitore,  e  di  andare  ad  abbattere  coi 
piedi  il  coccio  ritto  allo  scompartimento  ultimo,  facea 
parte  deirecpsòptap-òg,  giuoco  consistente  nel  tirar  con  un 
pallino  sopra  una  pietra.  Il  giuoco  nevxdXiea  sopra  con- 
nato usavasi  dalle  donne.  Erano  le  ragazze  quelle  che 
giocavano  alla  testuggine,  xsXi  x^Xév^  *,  fusione  di  vari 
nostri  divertimenti,  tra'  quali  la  Moscacieca^  i  Quattro 
cantoni  *  ecc;  e  fusione  de'  due  nostri  giuochi  AUa 
palla  e  Alla  lippa  »  è  un  giuoco  usato  dai  Bongos,  po- 
poli dell'interno  dell'Africa  *.  Il  Mangala  de'  Nubiani, 
Own  de'  Peuli,  divertimento  comune  a'  Niam-Niam,  ai 
Fonlhi,  ai  Yolofi,a'  Mandigui  e  ad  altri  popoli  africani  ^, 
ritrae  dai  giuochi  Alle  'buche,  Alla  freccetta  ^,  I  popol, 
delle  isole  Figi  nell'Oceano  pacìfico,  di  razza  tra  la  ne- 
grità e  la  polinesa,  hanno  il  nostro  giuoco  a'  birilli,  ma 
lo  fanno  in  una  loro  maniera  \  Da  frutta,  da  sassolinii 
da  bastoncini  coverti  di  penne  ritraggono  i  passatempi 
dei  bambini  della  Nigrizia  *. 

Di  tutto  questo  le  ragioni  sono  etniche  e  psichiche. 
L'uomo-fanciullo  non  può  sottrarsi  all'ambiente  che  lo 
circonda:  e  da  esso  ritrae  le  sue  idee,  su  di  esso  acquista 

1  PoLLucis  Onomast.,  Ice.  cit.  mi.  119  e  125. 
»  Cfr.  im.  100,  146. 
'  Cfr.  nn.  82,  83. 

«  6.  ScHWEiNFURTH,  AU  cocur  de  VAfHqvje^  18S8-1871, 1. 1,  e.  VII. 
Paiia,  iiachette,  180(5. 
'  6.  Sghwexnfdrth,  t.  Il,  e.  XIII. 
*  Cfr.  nn.  53,54;  Mabcqaldj,  p.  97,  n.  15. 
'  LUBBOCH,  op.  cit.,  p.  326. 
'  R.  Haictmann,  op.  cit.  e.  VI,  §  1. 


LII  DEI  aiUOCHI  FANCIULLESCHI 

le  prime  nozioni  della  vita  domestica,  ad  esso  acconcia 
le  sue  abitudini  ed  i  suoi  costumi.  Alimenti,  vestire, 
abitazioni,  occupazioni  giornaliere  di  lui,  tutto  s'informa 
alle  condizioni  telluriche  e  climatiche  in  mezzo  le  quali 
egli  respira,  si  agita  e  muove.  Se  la  cosa  manca  al  pic- 
colo mondo  che  al  fanciullo  si  presenta,  Tidea  di  questa 
cosa  deve  egualmente  mancare,  perchè  non  ha  ragione 
d'affacciarsi;  e  se  la  cosa  esiste  in  una  àata  forma  e 
maniera,  sotto  di  quella  s'apprenderà  dal  piccolo  es-. 
sere.  Queste  forme  e  maniere  son  la  causa  prima  delle 
differenze  più  o  meno  notabili ,  e   delle  più  spiccate 
rassomiglianze  de'  giuochi,  i  quali,  come  s'è  già  detto, 
ripetono  e  contraffanno  atti,  fatti  e  parole  della  vita 
comune  domestica  e  sociale.  Uno  sguardo  ad  alcuni 
de'  giuochi  e  divertimenti  finora  ricordati  basterebbe 
ad  avvalorare  codesta  teoria. 

Una  conseguenza  di  questo  fatto  etnografico  può 
tirarsi  dal  numero  de'  giuochi  e  de'  divertimenti  fan- 
ciulleschi; il  quale,  checché  si  possa  pensare  in  con- 
trariò, là  è  maggiore  dove  i  fanciulli  di  popoli  civili 
si  mantengono  ancora  vergini  d'istruzione,  per  dirla 
con  una  frase  del  Montaigne,  e  di  educazione.  La  vita 
più  0  meno  eulta  delle  città  in  comunicazione  e  con- 
tatto di  gente  esterna  può  bensì  accrescere  questo 
numero,  anzi,  quanto  a  balocchi,  lo  porta  all'infiiiito, 
ma  concorre,  in  molti  casi,  a  far  perder  loro  la  sem- 
plicità; e,  ad  ogni  modo,  dee  lasciare  de'  gravi  dubbi 
sulla  provenienza  popolare  di  essi;  perchè  è  sempre  a 
temere  che  a  misura  che ' l'ambiente  artificiato  d'una 
sala  si  sostituisce  all'aria  libera  ed  aperta  delle  vìe  e 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LUI 

delle  piazze,  giuochi  e  trastulli  barattino  le  lor  forme 
rozze  e  sbrigliate  ma  sempre  eguali  con  forme  ripu- 
lite e  regolari  che  sanno  d'arte  e  di  società.  D'altronde, 
per  quanto  svariati  e  molteplici  vogliano  supporsi 
i  passatempi  e  le  distrazioni  de'  popoli  di  coltura  pri- 
mitiva, non  saranno  mai  tanti  da  paragonarsi  a  quelli 
de'  nostri  fanciulli.  Mancano  gli  oggetti  da  contraf- 
fare, gli  usi  da  parodiare  perchè  giuochi  e  balocchi 
attingano  ad  un  numero  elevato.  Da  noi  un  giuoco  è 
proteiforme,  e  non  sempre  è  agevole  riconoscerne  l'e- 
lemento primitivo.  Presso  popoli  non  civili,  non  lo  è, 
uè  può  esserlo  :  il  tipo  si  riconosce  subito  ,  perchè 
spiccato,  semplicissimo ,  caratteristico,  e  quindi  non 
facile  a  confondersi  con  elementi  che  il  modo  di  vi- 
vere d'un  popolo,  i  contatti  con  altri  popoli,  le  com- 
mistioni loro  ,  e  molte  circostanze  esterne  possono 
avervi  aggiunti  e  confusi. 

Di  questi  tipi  nessuno  presumerà  per  ora  di  deter- 
minare il  numero  anche  probabile,  non  dico  in  Europa 
ma  che  in  uno  stato  di  essa ,  in  Italia,  per  esempio  ; 
né  lo  presumerà  fino  a  tanto  che  per  tutti  i  popoli 
non  si  facciano  le  raccolte  che  per  molti  bì  son  fatte  : 
raccolte  copiose,  sulle  quali  possa  formarsi  una  base 
di  criterio ,  che  sul  piccoli  saggi  non  è  possibile  ; 
sincere  ed  oneste ,  perchè  gli  studiosi  non  vengano 
mistificati  ricevendo  come  merce  d' un  paese  quella 
che  è  d'un  altro,  e  per  tradizionale  e  popolare  ciò  che 
nacque  o  fa  importato  Ieri  da  persone  a  modo.  Però 
io  non  so  quanto  debba  farsi  a  fidanza  con  certe  pub- 
blicazioni di  giuochi,  i  cui  autori  ebber  di  mira  solo 


LIV  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

il  numero ,  e  riuscirono  mostruosamente  ricche,  ma 
scientificamente  inaccettabili.  Valga  per  tutte  quella 
svedese  in  due  volumi,  che  porta  il  titolo  Ungdornens 
ì>ok,  e  comprende  un  paio  di  migliaia  di  giuochi,  pas- 
satempi, trastulli,  esercizi,  balocchi,  presi  qua  e  là  da 
libri  tedeschi  e  rimaneggiati  in  Isvezia  da  un  compila- 
tore 0  editore  che  sia.  Questo  Wander  svedese  dei 
giuochi  (i  paremiografi  spassionati  non  troveranno  in- 
giusto questo  richiamo  opportunissimo)  ^  non  può  esser 
preso  a  guida  ed  autorità  sicura. 

Por  me  i  tipi  principali  de'  giuochi  fanciulleschi  sono 
meno  numerosi  di  quello  che  comunemente  si  crede, 
se  per  giuoco  s' ha  a  intendere  non  già  la  contraffa- 
zione individuale,  occasionale,  capricciosa  di  qualsi- 
voglia atto  della  vita,  ma  bensì  un  dato  divertimento 
tramandato  da  generazione  a  generazione,  da  tutti  am- 
messo, da  tutti  inteso;  un  processo  prestabilito  di  atti, 
formolo  e  condizioni,  la  infrazione,  alterazione  o  sba- 
glio delle  quali  porta  con  sé  una  perdita  o  una  peni- 
tenza. E  qui  troviamo  riscontro  nelle  Fiabe  e  ne'  Pro- 
verbi, che,  come  altrove  notai  *,  non  hanno  il  gran 
numero  di  tipi  che  ad  essi  da  qualcuno  si  attribuisce. 

Se  la  economia  del  presente  lavoro  il  comportasse, 
ed  i  limiti  non  fossero  quelli  che  io  mi  sono  volon- 
tariamente segnati  negli  studi  comparativi  di  ciascuna 
delle  mie  raccolte  di  tradizioni  popolari,  io  potrei  con 


1 


Le  mie  couvinzioni  intorno  al  J)eutsches  Sprichworter-Lea^ikon 
del  Wander  sono  quali  erano  nel  1880.  Veggasi  Proverbi  siciliani, 
V.  I,  p.  CLII  e  seg. 
•  Proverbi  siciliani^  v.  I,  p.  CLHI. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LV 

argomenti  di  fatto  dimostrare  come  un  terzo  de'  giuo- 
chi finora  conosciuti  d' Italia  sia  patrimonio  de'  fan- 
ciulli e  degli  adulti  di  gran  parte  d'Europa;  e  come, 
qualche  cosa  di  più,  probabilmente  una  metà,  lo  sia 
de' fanciulli  latini, degli  inglesi,  de'  tedeschi  meridionali, 
salvo  sempre  le  inevitabili  differenze.  Molto  più  oltre 
che  la  metà  vanno  le  identità,  rassomiglianze  e  ana- 
logie de'  giuochi  di  Sicilia  con  quelli  di  tutta  Italia;  ma 
forse  questo  calcolo  guadagnerà  nella  somma  de'  giuo- 
chi quando  s'  avrà  più  larga  copia  di  documenti.  I 
giuochi  tipici,  pe'  loro  caratteri,  si  riconoscono  tanta 
a  Palermo  quanto  a  Torino,  cosi  a  Girgenti  come  a 
Venezia,  e  ritraggono  quale  dal  monte,  quale  dal  mare 
e  tutti  dalla  vita  agricola  e  dalla  pastorale. 

La  Sicilia  però,  bagnata  da  più  mari,  allietata  dal 
sorriso  perpetuo  del  suo  cielo,  e  a  dispetto  della  na- 
tura e  de'  suoi  abitanti ,  in  ogni  tempo  dominata  da 
gente  d'  ogni  razza  e  d'  ogni  contrada ,  non  può  non 
cflfrire  qualche  nota  particolare  degna  di  chiamar  la 
attenzione  dello  studioso  di  demopsicologia  etnica.  Io 
dovrei,  meglio  che  sulle  note  comuni  a'  giuochi  de'  po- 
poli d'Italia,  fermarmi  sulle  note  diflTerenziali  di  essi  in 
Sicilia;  ma  i  fatti  raccolti  fino  a  questo  punto  bastano  ad 
una  esatta  statistica  ?  0  non  sarebbe  più  acconcio  rile- 
vare sopra  la  non  iscarsa  mèsse  mietuta  nell'isola  ì  ca- 
ratteri principali  che  il  giuoco  potrà  presentare  in  Italia 
di  fronte  al  giuoco  d'oltremonti  e  d'oltremare  ? 

Attenendomi  a  questo  concetto,  ecco  ciò  che  risulta 
dal  giuoco  tra  noi. 


LVr  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 


IL 


Evidenti  sono  ne'  nostri  giuochi  i  ricordi  e  le  allu- 
sioni agricole  e  pastorali  nel  più  lato  senso  della  pa- 
rola *,  come  le  marinaresche  *.  La  zoologia  è  rappre- 
sentata ora  dal  cane  '*,  ora  dal  lupo  *,  ora  dal  gallo 
e  dalla  gallina  ^,  ora  dal  cavallo  ^,  o  dal  gatto  '  ,  o 
dal  topo  ®,  e  men  di  frequente  da  altri  mammiferi  e 
volatili  domestici  ®.  Due  volte  è  messa  in  iscena  la 
scimia;  due,  in  forma  vaga  e  generica,  il  serpente  *•: 
e  non  si  va  oltre  di  questi  animali  selvaggi,  che  quasi 
nelle  medesime  proporzioni  di  ricordo  sono  nella  pa- 
remiografla  siciliana. 

Meno  importanti  pel  numero  sono  gli  accenni  me- 
teorologici. In  un  giuoco  "  un  fanciullo  raffigura  il 
vento,  che  muove  la  girandola  piantata  in   mezzo  ai 

>  Nn.  89,  90,  154,  181,  182,  210,  273,  e  7,  114,  135,  151,  152, 179, 
209,  247. 

»  Nn.  4,  113,  223,  242. 

^  Nn.  99,  132,  134,  135.  136,  177,  179,  188,  '249^ 

«  Nn.  96,  134,  136,  167,  178,  179,  184,  185. 

8  Nn.  55,  69,  88,  94,  136,  137,  140,  144.  145,  168. 

«  Nn.  12,  86,  214,  253. 

^  Nn.  14,  162,  163  180. 

8  Nn.  91,  105,  144,  2^, 

®  Raffigurano  o  ricordano  U  coniglio  il  n.  173;  il  corvo,  181;  lo 
strillozzo,  182;  la  lucertola,  91;  la  volpe,  91;  il  gheppio,  155;  il  car- 
dellino, 160;  la  rana,  249;  il  rospo,  240;  la  civetta,  104;  la  rondine, 
113;  rasino,  113;  il  maiale,  108,  164  ecc. 

'0  Nn.  169,  170  e  117, 136.  Di  passaggio  è  ricordato  il  leone,  n.  113. 

»»  N.  182. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LVII 

seminati,  e  caccia  via  gli  uccelli  che  vanno  a  beccare 
il  grano.  Più  d'una  volta  è  invocata  la  luna  di  sera 
come  di  giorno  il  sole,  là  dond'osso  spunta  *.  Due  gnippi 
di  ricordi  si  soverchiano  Tun  V  altro  per  numero  :  il 
monarchico  ed  il  religioso;  il  che  non  farà  maraviglia 
a  chi  conosce  la  nostra  storia  ed  il  nostro  popolo. 

Se  io  bene  mi  appongo,  ricordo  di  aver  letto,  non 
so  in  qual  libro  di  Heine,  questa  osservazione:  se  due 
tedeschi  s'incontrassero  soli  in  un'isola  deserta,  l'uno 
farebbe  dell'altro  il  suo  sovrano.  Questo  che,  secondo 
il  celebre  poeta  alemanno,  proverebbe  lo  spirito  mo- 
narchico de'  suoi  connazionali ,  è  una  specie  di  bi- 
sogno istintivo  di  tutti  gli  uomini.  Si  chiami  re,  im- 
peratore, presidente, capo,  che  o  governi  personalmente 
0  mediatamente  regga  uno  Siato,  dove  è  umano  con- 
sorzio è  sempre  un  uomo  nelle  cui  mani  s'accentra  la 
potestà  suprema.  Le  genti  primitive  l'ebbero,  le  tribù 
selvagge  odierne  l'hanno  come  noi,  benché"*  in  vari  tem- 
pi, come  oggidì,  la  monto  umana  abbia  farneticato  fino  a 
sognare  una  comunione  acefala,  uno  Stato  anarchico. 
Nel  suo  piccolo  mondo  l'uomo-fanciullo  non  è  diverso 
dall'uomo  adulto,  ed  eccolo  inconscientemente  crearsi 
un  capo  che  a'  suoi  giuochi  sovraintenda.  Maestro , 
giudice  e  re,  il  capo-giuoco  deve  egli  il  primo  osser- 
vare, e  fare  osservare  agli  altri  le  leggi  che  gover- 
nano i  giuochi  in  generale ,  il  giuoco  in  particolai^. 
Egli  modera,  comanda,  sentenzia;  né  vi  è  alcuno,  che, 
pure  espulso  per  infrazioni  vere  o  presunte  di  leggi, 
si  ribelli  alla  sua  sentenza  o  pensi   a  richiamarsene 

»  Nn.  140,  186,  159. 


LVIII  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

ad  altro  giudice.  E  come  i  Cincinnati  ed  i  Washington 
non  s'arrivano  a  contare  sulle  dita  d'una  mano,  cosi 
l'ufficio  del  mastro,  nella  sua  effimera  potenza,  viene 
ambito  e  contrastato.  La  stessa  maniera  primitiva  di 
eleggerlo,  il  sorteggio,  è  una  prova  che  la  sua  ele- 
zione, per  le  arabizioncelle  che  ne  nascono,  non  pro- 
cederebbe senza  contrasti,  che  altrimenti  sorgono  nella 
scelta  per  acclamazione.  Giusto  per  questa  naturale 
tendenza  dello  spirito  umano,  gli  Spartani,  per  legge 
di  Licurgo,  a'  fanciulli  di  più  di  sett'anni  preponevano 
come  principe  il  più  pinidente  e  coraggioso  tra  loro, 
che  sovraintendesse  ai  loro  giuochi  ed  esercizi  \ 

Negli  studi  moderni  di  pedagogia  questo  fatto  non 
è  stato,  a  creder  mio,  considerato  abbastanza;  e  gio- 
verebbe  considerarlo,affin  di  trarne  partito  per  la  scien- 
za della  educazione.  Questo  spirito  di  obbedienza,  di 
subordinazione,  che  procede  alla  pari  con  quello  di  os- 
servanza delle  fogge  e  de'  modi  tradizionali  del  giuoco 
intesi  comunemente  dai  fanciulli  col  nome  comples- 
sivo di  legge  *,  ha  un  significato  profondo.  Si  pensi 

*  Plutarco,  Ftte,  scrive:  «  Non  si  tosto  compiuti  aveano  sett'anni, 
ch'ei  (Licurgo)  li  distribuiva  tutti  in  compagnie  ,  e  facendo  che 
unitamente  e  colle  medesime  regole  nodriti  fossero  ed  educati,  li 
accostumava  ad  intertenersi  ed  a  giuocare  insieme  tra  loro.  Fa- 
ceva poi  capo  della  compagnia  chi  più  si  distingueva  in  prudenza, 
e  più  coraggioso  mostravasi  ne*  loro  combattimenti.  Oli  altri  aveano 
sempre  gli  occhi  volti  a  costui  e  ne  ascoltavano  le  commissioni  e 
si  assoggettavano  a'  .castighi,  che  loro  dava  ».  {Volgariz,  del  conte 
Pompei). 

•  Veggasi  a  pp.  23-25  del  presente  volume;  per  la  Spagna,  Mabin, 
Cantos  pop.  esp,,  I,  178-182;  per  la  Francia,  Rollano,  Jeux^  p.  178« 
n.  58. 


DEI   GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LIX 

comunque  di  tanti  scapigliati  esercizi  da  piazza  ;  ma 
si  consenta  che  tutto  questo,.ed  insieme  il  giuramento 
di  fedeltà,  e  i  patti  di  pace,  e  la  reintegrazione  di  chi, 
già  messo  fuori  di  giuoco,  torna  resipiscente,  la  somma, 
infine ,  delle  pratiche  e  delle  regole  che  costitui- 
scono il  codice  fanciullesco,  codice  non  discusso  mai 
.da  nessuna  assemblea,  non  emanato  da  nessun  prin- 
cipe, eppure  non  contrastato  e  non  violato  mai  senza 
grave  ammenda,  ha  del  grazioso  e  deiristruttivo. 

Tornando  a  noi,  canti  da  bambini  e  giuochi  da  fan- 
ciulli parlane»  di  re ,  di  regina  e  di  viceré.  In  certe 
maniere  di  sorteggiarsi,  i  nostri  ragazzi  hanno  per  r^ 
colui  sul  quale  cade  primamente  il  conto  ;  regina  il 
secondo,  e  via  di  seguito,  degradando  sempre  tino  al 
cameriere,  al  cuoco  e  al  guattero  della  cucina.  Que- 
sto re  fanciullesco  siciliano  non  è  quello  degli  antichi 
fanciulli  romani,  pe*  quali  era  in  ogni  lor  giuoco  il 
vincitore   come   asino  era   il   perditore  ^  In  alcune 

*  HoRAT.  E'pist.  I,  L  I,  vv.  60-64  (ediz.  cit.)  : 

.  .  .  At  pueri  ludents  «  Rex  eris  »  uiuntt 
«Si  recte  facies.*»  Hic  murus  aheneus  esto  etc 
Roscia,  die  sodes,  melior  lex  an  puerorumat 
Nenia,  quae  regnum  recte  facientibus  offert 
Et  raaribus  CuriLs  et  decantata  Camillis  ? 

Polluce  n^lX' Onomast,  IX,  VII,  107,  scrive  ;  Et  victus  quidem  a- 
sinus  vocabatur  (mmeqvne  peragebat  injunctum  UH  officium,  Victor 
vero  Rex  erat^  et  injungébat.  Al  n.  112  aggiunge:  Quicunique  an- 
tera fugientiutn  captus  fiieritf  asinus  erat. 

Veggasi  pure  A.  Vannucci,  Proverbi  latini  illustratiy  voi.  Ili,  p.  18, 
(Milano,  Brigola,  1883).  Si  ricordi  il  proverbio  latino  Rex  aut  a- 
sinus. 


LX  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

formole  il  nome  del  re  vien  messo  avanti  per  ottener 
cosa  non  facile  ad  esser  concessa  :  ed  in  altre  è  au- 
torità sacra  e  potente  \  Spagna  e  J?e  è  il  motto  che 
impone  tregua ,  sospensione  parziale  o  generale  del 
giuoco  ne'  momenti  più  pericolosi  per  uno  de'  gioca- 
tori; e  v'è  chi  dice:  StagghiOrRè^.  Nulla,  invece,  di 
simile  è  in  Ispagna  e  in  Francia  ^.11  re  della  tradizione 
ha  potestà  indiscutibile  sulla  vita  de' suoi  sudditi;  ed 
il  fanciullo  che  abbia  dato  qualche  cosa  e  pretenda 
riaverla  o  accampi  in  avvenire  diritti  su  quella,  avrà 
tronco  il  capo  dal  re  *,  cosi  come  Bio  condannerà 
all'inferno  colui  che  non  sarà  leale  nel  giuoco  ».  Il 
mancar  di  fede  e -lealtà  giocando  si  considera  come 
offesa  a  Dìo  ;  e  Dio  saprà  punire  lo  sconsigliato  ri- 
gettandolo da  sé,  e  mandandolo  all'inferno  «;  dove 
pur  va  chi  nel  giuoco  a  8.  Catarina  di  Siena  '  non 

* 

saprà  serbar  la  voluta  serietà,  e  chi  non  ha  avuto  la 
bella  ventura  di  far  parte  degli  eletti  dell'angelo,  ma 
de'  reprobi  del  diavolo,  nel  giuoco  A  li  culura  *.  11 

*  Cfr.  pp.  28,  e.  IV;  31,  e.  V;  85,  e.  IX ,  e  nn.  4,  10,  58,  77,  78, 
130,  ,135,  136,  137,  168. 

«  Cfr.  pp.  2^23.  ' 

5  Nella  Lorena  si  dice  Fourchettel  ne'  dintorni  di  Parigi  Ponce: 
a  Baiona  Fendits.  Rollano,  Jeucc,  p.  178,  n.  57,  a,  e,  d. 

«  La  formola  fanciullesca  è  :  Veni  *u  re,  e  ti  tagghia  *a  testa;  e 
non  si  vede  chiaro  se  tagli  la  testa  direttamente,  o  comandandolo 
ad  altri. 

»  Cfr.  pp.  23-25. 

«  Cfr.  p.  24. 

'  Cfr.  n.  137. 

•  Cfr.  n.  139. 


DEI  aiUOCHI  FANCIULLESCHI  LXI 

diavolo  è  pietra  di  scandalo,  attizzatore  di  liti,  fomen- 
tator  di  discordie,  cercatore  instancabile  di  anime,  che 
però  nell'Arcangelo  Michele  trovano  protezione  e  di- 
fesa \  L'elemento  religioso  spicca  particolarmente  nelle 
canzonette  infantili,  pòche  delle  quali  ne  vanno  sen- 
za >.  Il  nome  ed  il  segno  della  croce  è  usalo  ed  in- 
vocato ».  Protagonisti  e  personaggi  di  giuochi  sono  spe- 
cialmente S.  Giuseppe,  S.  Giovanni  Battista,  S.  Antonio, 
S.  Caterina  da  Siena  *,  e  persino  S.  Vito,  di  cui  si  fa 
un  paraninfo  ed  un  protettore  delle  ragazze  da  marito  *. 
Ho  già  parlato  delle  allusioni  storiche  nel  canto  e. 
nel  giuoco.  Chi  ne  cerchi  delle  aitre,  ne  troverà  qua 
eia  nella  presente  raccolta.  Singolare,  nel  suo  genere, 
è  il  Vola  vola  lumortu  ^,  che  è  un  avanzo  delle  arti 
negromantiche  de'  tempi  preistorici ,  modificate  nel 
medio-evo,  ed  esercitate  di  contrabbando  a'  di  nostri 
in  Sicilia.  Non  ci  vuol  molto  per  iscoprire  il  carattere 
orientale  che  in  esso  predomina  dal  principio  alla  fine. 
I  negromanti  avean  la  pretesa  di  risuscitare  i  morti, 
di  far  alzare  a  volo  :  ed  il  Lazio,  ove  le  arti  occulte 
erano  comunissimo  sin  -dai  primi  tempi,  s' invigori  in 
quella  credenza  quando  venne  introdotto  il  culto  di  Se- 
rapide.  Né  airantichità  del  nostro  giuoco  faccia  specie 
lo  scongiuro  in  versi  rimati,  perchè  il  popolo,  mas- 

»  Cfr.  p.  24  e  n.  176. 
«  Cfr.  mi.  I,  2,  7,  Il  ecc. 
*  Cfr.  nn.  92,  151. 
*Cfr..nn.  U9,  120,  131,  151. 
5  Cfr.  pp.  26,  37,  68. 
'  Cfr.  n.  140. 


LXII  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

simamente  fanciullesco,  ama  racchiudere  in  rima  ciò 
che  crede  scienza,  utilità  domestica,  credenza,  storia. 
Sotto  quella  forma,  certo  non  molto  antica,  e  quelle 
voci  onomatopeiche  frlscu-friscu  e  piu-phi  ,  c'è  il 
parallelogismo  delle  idee  che,  secondo  gì*  intendenti» 
forma  l'essenza  della  poesìa  orientale.  E  come  in  questa 
campo  immenso  di  usi  e  costumanze  le  analogie  sal- 
tano agli  occhi  di  ogni  studioso,  cosi  accade  qui  ri- 
cordare l'altro  giuoco  A  morsi  Sanzuni  S  che  parte- 
cipa del  cennato  giuoco  e,  parodiando  un  uso  funebre, 
s'  avvicina  al  Mataccinu ,  ludo  carnevalesco ,  la  cui 
esistenza,  indubbiamente  antichissima,  fu  storicamente 
accertata  nel  sec.  XVn.  Nel  Mataccinu^  uno  facea  da 
morto,  per  terra;  altri  intorno  a  lui  saltavano  e  can- 
ticchiavano lamentosamente, con  gesti  dinoccolati  con- 
traffacendo i  movimenti  ed  atti  che  il  capo-giuoco  mi- 
micamente ordinava  ora  sollevando  un  braccio  ,  ora 
scotendo  una  gamba  ed  ora  palpando  varie  parti  del 
corpo;  finché,  levandolo  di  terra,  se  lo  buttavano  ad- 
dosso l'un  l'altro  *.  I  fatti  poi  e  le  credenze  simboleg- 
giate nei  giuochi  A  li  caseddi ,  A  li  CìMura ,  A  lu 
raloggiu,  A  lu  tempiu ,  A  8,  Micheli  *  son  di  tanta 
evidenza  che  qualunque  parola  di  schiarimento  è  su- 


>  Cfr.  n.  141. 

«  Pasqualino,  op.  cit.,  v.  III,  p.  126. 

'  Cfr.  nn.  75,  139,  174,  175,  176.  Pel  giuoco  139  vedi  Rollavd, 
Jettx,  p.  133,  nn.  10,  11;  Beleze,  op.  cit.,  p.  40;  Demofilo,  El  Por^ 
venir,  7  febbr.  1881,  g.  XLVIII;  Maspons  y  Labbós,  p.  91;  Libbrecht, 
Zur  VolkskundCy  p.  392 ,  n.  12  ;  Rochholz  ,  Alemann ,  Kinderlied 
ecc.,  p.  423,  n.  40,  e  43S,  n.  60. 


J 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LXIII 

perflua.  Nella  canzonetta  ragusana  Spmguli  spinguli 
s'ammina  *  non  è  fuori  del  probabile  la  ricordanza 
di  Simone  Chiaramonte,  che  volle  assediare  la  regina 
spagnuola  Bianca,  e  poi  fu  appiccato  alla  finestra  di 
una  torre;  ma  non  oserei  affermarlo.  A  nessuno  sfug- 
girà, però,  il  significato  che  può  avere  la  voce  Franza 
che  oggi  in  Vicari,  come  trecent'anni  addietro  in  Pa- 
lermo *  e  forse  in  tutta  V  isola,  dicesi  per  imporre  o 
domandar  sospensione  di  giuoco  ^,  e  che  si  piglia  a 
titolo  di  giuoco  difficilissimo  ad  eseguire  e  pieno  di 
ostacoli  *;  e  si  vedrà  come  siasi  perpetuata  la  memoria 
del  Vespro  siciliano  in  quella  Ven^a  (guerra),  che  i 
fanciulli  chiaramontani  ingaggiavano ,  sino  a  pochi 
anni  or  sono ,  tra  loro  sotto  due  schiere  nemiche  di 
Siciliani  e  di  Francesi  ^,  I  passatempi  congeneri  a 
questi  racchiudono  un  certo  significato  storico.  L'  A 
latri  e  sbirri  e  Y  Arrnmccciativi  li  testi  *  sono  re- 
miniscenze  degli  antichi  asili  nelle  chiese  e  nelle  case 
de'  feudatari,  asili  trasmodati  in  abusi  appena  credi- 
gli oggidì  :  e  chiesa  è  detto  nell'uno  il  mastro,  nel- 
l'altro la  meta ,  toccando  i  quali ,  come  nel  Rmnè  \ 
l'inseguito  è  al  sicuro,  e  non  può  esser  più  molestato 
dall'inseguitore.  Il  titolo  A  chiesa  óùrriri ,  che  in 
Casteltermini  è  sinonimo  del  giuoco  A  tocca  micru  », 

'  Cfr,  p.  28,  n.  IV, 

*  A  Dionisio,  Amorosi  Sospiri,  at.  IV,  se.  VII. 
'  Cfr.  p.  22. 

*  Cfr.  n.  76. 

'  Cfr.  n.  201. 

•  Cfr.  nn.  192,  188. 
'  Cfr.  n.  154. 

•  V.  a  p.  269. 


LXIV  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

è  reminiscenza.pur  esso  di  questo  privilegio  della  ira- 
munita  ecclesiastica,  e  richiama  al  modo  proverbiale 
Pigghiari  la  chiesa  di  pettu^  che  noi  Siciliani, .  sen- 
za discorrerne  il  senso  oggi  poco  comprensibile,  ab- 
biamo iì\  bocca  quando  vogliamo  diro  che,  non  facendo 
economie,  abbandonandoci  a  spese  inconsiderate,  cor- 
riamo rischio  di  fallire,  e  possiamo  salvarci  da  futuri 
danni  e  vergogne  S  rifugiandoci  in  una  chiesa. 

Degna  di  considerazione  è  la  moltiplicità  di  for- 
me *,  sotto  le  quali  riappare  il  concetto  di  facinorosi 
che  scorrazzano  per  le  campagne,  di  persone  della 
Giustizia  che  gli  inseguono  e  catturano ,  di  aguzzini 
che  strappano  loro  di  bocca  una  confessione  qualsisia, 
di  procedimenti  penali  a'  quali  vengon  sottoposti.  Que- 
sta è  storia  vecchia  e  nuova;  ma,  per  le  ch*costanze  che 
racQompagnano,  più  vecchia  che  nuova.  Come  esercizi 
ginnastici  di  agilità  e  forza  vanno  qui  legati  i  giuochi  A 
lucasteddu  e  A  li  palazzi  ^,  finzioni  o  reminiscenze  o 
imitazioni  di  assalti  a  castelli  ed  a  palazzi  di  signor 
e  A  tu  'Mmasciaturi  e  A  li  Paladini  * ,  vera  con- 
traffazione di  giostre  e  duelli  paladineschi,  ùon  molto 
facili  a  trovarsi  nel  Folk-Lore  fanciullesco  d'Italia.  Né 
vanno  dimenticate  le  allusioni  a  Mori ,  a  pirati  bar- 
bareschi e,  in  generale,  a  Turchi.  In  Siracusa ,  città 
aperta  al  mare,  il  giuoco  ó  turcu  è  sinonimo  del  giuoco 

1  Tra  le  quali  è  memorabile  quella  di  dover  dare  del  sedere  in 
sul  lastrone,  Dari  lu  e...  a  la  balata, 

•  Cfr.  nn.  192,  193,  194,  195,  196,  197. 
»  Cfr.  nn.  198,  199. 

♦  Cfr.  nn.  202,  203. 


D£l  (GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LXV 

• 

A  li  sarvi  di  Licata,  che  suona  quasi:  chi  si  può  sal- 
vare si  salvi;  ed  A  toccamuru.—Turcu  è  chi  va  sotto , 
il  quale  stando  nel  mezzo  sforzasi  di  chiappare,  come  i 
pirati  d'  una  volta  i  pacifici  cittadini,  i  compagni  po- 
stati a  un  muro.  In  Mazzara,  lungo  la  cui  spiaggia  o- 
pientale  è  un  seno  di  mare  tuttavia  detto  Cala  di  li 
Turchi,  giocandosi  A  lu  Marinaru  il  mastro  con 
un  bastone  in  mano  imita  il  marinaio  che  voga  per 
ì scampare  a'  corsari  inseguitori ,  e  dice:  Voca^  voca 
lu  marinaru^  ajatàmunni,  chi  vennu  li  Turchi  ^  ;  e 
come  in  quel  di  Modica,  nelF-^  primera,  che  fa  parte 
del  noto  tipo  rappresentato  in  Francia  dal  Saut  de 
rnouton,  in  Ispagna  dal  Salta  de  la  comba  *,  in  In- 
ghilterra dal  Leap-frog  ecc.,  c'è  un  salto  chiamato 
'Urre  ri  Maroccu  (i,l  Re  di  Marocco),  cosi  corre  nella 
costa  del  Trapanese,  che  guarda  airAfrica,  un  giuoco 
di  fuggitori  e  d'inseguenti,  che  vuoisi  addirittura  mo- 
resco, e,  ad  avviso  di  qualcuno,  da'  Mori  primamente 
introdotto  nella  Spagna  '. 

Il  giuoco  A  lu  *Mmasciaturi  dianzi  citato  non  devo 
confondersi  col  giuoco  omonimo  diffuso  in  buona  parte 
della  penisola  dal  Monferrato  a  Napoli.  V Ambascia- 
tore dell'alta  Italia  (e  non  dico  anche  della  Italia  cen- 
trale, perchè  esso  mi  pare  più  acclimato  in  quella  che 
in  questa),  per  ricerche  che  io  n'abbia  fatte,  non  l'ho 

1  Cflr.  n.  207. 

'  Cfr,  n.  124,  Belezk,  op.  cit.,  p.  6;  Marin,  v.  I,  p.  104-106,  nn.  244 
e  245;  pp.  173-174,  note  220  e  222;  Maspons  y  Labrós,  Jochs,  p.  85; 
folk'Lore  andai,  an.  I,  p.  198,  n.  XII. 

5  Cfr.  n.  153. 

>  « 

0.  PiTRè.  —  Giuochi  fanciulleschi,  V 


LXVI  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

trovato  finora  tra  noi.  Manca  esso  del  tutto  ?  Non  lo 
affermo;  penso  però  che,  pur  ritrovandolo,  come  tra- 
dizione di  origine  probabilmente  celtica  a  parere  del 
De  Gubernatis,  non  può  essersi  tanto  naturalizzato 
da  prender  veste  schiettamente  ^italiana.  E  si  che  lo 
Ambasciatore  è  il  giuoco  favorito  in  molte  scuole 
private  di  bambine  in  Palermo  !  Le  romanze  popolari 
che  scesero  dall'Italia  settentrionale  fino  a  Chieti  e  a 
Napoli,  e  qualcuna  fino  a  Palermo  \  nella  forma  che 
han  presa  nell'Italia  meridionale,  sono  un  bastardume 
di  dettato. 

Quest  'assenza  dell'  Ambasciatore,  se  si  guardi  al 
dialogo  poetico  de'  personaggi  che  figurano  nel  giuo- 
co, ha  le  sue  buone  ragioni.  Nel  nostro  'Mmasciaturi 
ci  sono,  è  vero,  messaggi  e  richieste  di  regie  nozze, 
ma  la  lor  fonte  è  ne'  romanzi  cavallereschi  del  ciclo 
di  Caiiomagno,  che  col  racconto  e  col  teatro  popolare 
si  son  tramandati  di  generazione  in  generazione  fino 
a  noi.  ì^éiV Ambasciatore,  messaggi  e  richieste  sono 
ben  differenti  e  nella  sostanza  e  nella  fojnna ,  e  non 
hanno  fra  noi  tradizione  a  cui  ravvicinarsi.  Niente  di 
maraviglia  dunque  se  mancano.  È  bensì  da  far  le  ma- 
raviglie come  mai  un  giuoco  popolarissimo  in  tutta 
Italia ,  il  quale  non  ha  nulla  di  estraneo  a  certi  ele- 
menti che  concorrono  in  altri  giuochi  usitati  in  Sici- 
lia, non  si  conosca  né  punto  né  poco  tra'  fanciulli 
siciliani.  Com'è,  p.  e.,  che  il  passatempo  infantile  Stiac- 

«  V.  FiNAMORE,  Storie  pop.  abruzz.^  neir  Arch.  per  lo  studio 
delle  trad.  pop.,  v.  I.  — Salomone-Marino,  Leggende  pop.  sicil.  in 
poesia,  nn.  IX.— Pitrè,  Studi  di  poesia  pop.  pp.  294-^5. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LXVII 

m-buroMa  ^  non  si  fa  delle  nostre  mamme  uè  dalle 
nostre  nudrici  ?  Com'  è  che  il  giuoco  AUe  Porte  del 
'paradiso  *,  e  l'altro  A  CruschereUa  *,  ch'è  appunto  il 
Liùdere  furfure  de'  Latini,  non  giunsero,  dopo  tanti 
secoli ,  in  Sicilia,  o  se  vi  giunsero  non  vi  rimasero  : 
quando  canzonette  e  filastrocche  non  siciliane  vi  son 
tuttavia  popolari  nella  lor  forma  esotica?  *. 

Né  soltanto  questi  sono  i  dubbi  che  si  affacciano 
alla  mente  dello  studioso;  che  altri  moltissimi  ve  ne 
sono,  i  quali  ci  fanno  accorgere  del  bmgo  cammino  che 

1  Una  versione  montalese  ne  diedero  Casetti  e  Imbioani  ,  v.  II, 
p.  404;  una  toscana  Fanfani,  p.  937;  altre  di  Toscana,  Urbino,  Bo- 
logna, Verona,  Corazzini,  Comp.  minori,  p.  53  e  seg.;  di  Venezia, 
Dalmedico,  Ninne^nannei  p.  28-29  e  Bernoni,  n.  4;  delle  Marche, 
GiANANDREA,  Sogffio  di  giuocht  ecc.,  p.  28-24,  nn.  1-5.  Questo  giuoco 
è  figurato  nel  .fregio  posto  in  fronte  al  I*  cantare  del  Malmantile 
racq.  ediz.  citata  in  questa  raccolta. 

'  Versioni  napolitano  ne  diedero  Oauani,  Del  dialetto  napolita- 
no^ pp.  117-118;  BiDERi,  Passeggiata  per  Napoli  t  p.  85;  Mounaro 
DKL  Chiaro,  Canti  del  pop,  nap,,  p.  18,  n.  4;— abruzzese  Finamork, 
Toc.  dell'uso  abr.,  p.  326;  —  toscana,  Corazzini,  Comp,  minori, 
p.  90;  —  bergamasca.  Rosa,  sec.  ediz.  p.  188;  terza  ediz.  p.  301,  e 
Co&Azzna,  p.  91. 

'  Ne  lessi  una  descrizione,  anni  fa,  nella  Gazzetta  d*  Italia,  col 
titolo,  se  bene  ricordo:  Vonor.  Lonza  e  il  giuoco  a  cruscherella. 
Lo  ha  il  Lippi,  Mahn,  racq,,  e.  Ili;  e  lo  descrive  il  Minucci,  v.  II, 
p.  3,  ed  il  Fanfani,  p.  316.  NeUe  Marche  è  detto  Semmolello  (Qian- 
ANDREA}  p.  27);  ma  in  Fabriano  Semolella  (Marcoau)i,  p.  119,  n.  79); 
in  Parma  Romlétt  o  romlen  (Malaspina)  ;  in  Mirandola  Remulett 
(Mbschieri,  181);  in  Bologna  Remlett  (Ferrari,  p.  439);  in  Brescia) 
Cruscheta  (Melchiori);  in  Padova  Semole  (Patriarchi);  in  Venezia 
Semola  (Boerio).  Corrisponde  al  tedesco  Das  Hdufelspiel, 

«  Vedi  a  p.  27,  n.  II;  33,  VI;  33,  Vili;  63,  14. 


LXVIII  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

dobbiamo  ancora  percorrere  prima  di  poter  veder  chia- 
ro in  un  argomento  di  tanta  importanza'.  L'etnografia, 
che  devolve  a  sé  gran  parte  degli  studi  sui  giuochi, 
è  scienza  di  Mti,  e  solo  con  questi  alla  mano  le  sarà 
dato  affermare  per  quale  concorso  di  circostanze  un 
giuoco  abbia  avuto  le  tali  o  tali  altre  vicende.  Io  mi 
guarderò  bene  da  spiegazioni  e  risposte  precipitose. 

Qui  dovrei  dar  fine  al  mio  studio;  ma  lascerei  cosa 
molto  interessante  tacendo  del  'canto  popolare  dei 
fanciulli  e  della  parte  che  esso,  al  pari  che  il  giuoco, 
ha  0  potrebbe  avere  nella  educazione  fisica  e  morale 
della  tenera  età.  Lascio  bensì  ad  antropologi  come  il 
Ploss  *  qualunque  altra  osservazione  relativa  alla  vita 
del  bambino  e  del  fanciullo. 

Meritano  particolare  attenzione  le  formolo  con  le 
quali  s'  accompagnano  ed  imparano  dai  bambini  i 
giuochi  rappresentativi  di  dita  ,  le  canzonette  ed  il 
girotondo.  Queste  formolo  misurate,  cadenzate,  tihe 
cosi  mirabilmente  rispondono  ad  un  bisogno  dello  spi- 
rito infantile,  sono  efficacissime  nello  svolgere  nei 
suoi  primi  momenti  le  facoltà  e  ftmzioni  di  esso,  nello 
sviluppare  le  sue  idee,  nello  snodare  la  lingua  del 
piccolo  essere.  V'è  qualche  cosa  di  previggente  nelle 
giovani  madri  che  di  cantilene  lo  confortano  al  sonno 
e  lo  allietano  quand'egli  è  desto. 

Il  canto  è  il  linguaggio  gradito  di  lui;  il  canto  ejgli  ri- 

*  Dos  Kind  in  Brcaich  und  Sitte  dar  Volchsr,  Anthropologische 
Studien.  Di  quest'opera  importantissiina,  anche  pel  Folk-Lore  fan- 
ciullesco genei'ale,  ho  sott'occMo  la  2*  edizione,  della  quale  si  at- 
tende la  seconda  metà  della  p.  Il*  (Berlin,  Auerbach  1882,  in  gr.  8^. 


DBI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LXIX 

pete  istintivamente  con  una  monotc*nia,  senza  la  quale 
0  il  bambino  non  è  bambino,  o  la  cantilena  non  s*im- 
para.  L'insistenza  è  una  necessità  imperiosa,  e  insieme 
un  carattere  de*  canti  infantili  numerativi ,  riprodu- 
zioni indefinite  d'  uno  stesso  motto,  d'  una  medesima 
nota,  d'  una  sola  e  medesima  idea.  I  giuochi  di  dita 
e  di  mano,  che  ogni  madre  fa  al  suo  bambino,  e  ogni 
bambino  ripete  alla  madre ,  formano  una  grande  fa- 
miglia, di  cui  non  è  raccolta  di  divertimenti  e  canti 
popolari  che  non  offra  qualche  saggio.  Il  giuoco  di 
dita  d'oggi  sarà  conto  domani  :  e  nel  conto  infantile 
delle  dita  è  un  primo  passo  verso  la  nozione  della 
numerazione  e  del  calcolo  in  embrione. 

Le  danze  a  forma  di  ruote  o  di  girotondo  ci  tra- 
sportano a  tempi  remoti,  ed  alla  prima  infanzia  della 
umanità.  Molti  popoli  selvaggi  usano  questi  giuochi 
circolari.  Rodrigo  Caro  rilevò  nel  XVIII  della  Iliade 
r  Anda  la  rueda  spagnuolo  *,  e  noi  riconosciamo  il 
nostro  Rota  rutedda  nella  chorea  dipinta  sulle  terme 
di  Tito  a  Roma  e  della  quale  è  fatto  ricordo  in  qualche 
scrittore  latino  ♦.  SiiTatti  giuochi  di  cadenze  mono- 
tone, ne'  quali  col  ballo  si  fondono  poesia  e  musica, 
sono,  pel  Fròbel  le  prime  manifestazioni  rudimentali 
dell'istinto  della  poesia,  ed  elementi  primi  dell'  arte 
drammatica;   pel  Mila  avanzo  della  poesia  tradizio- 


iMachado  y  Alvabez,  nel  Museo  Canario  ^  Bevista  quincenal , 
t.  Ili,  p.  81  e  seg.  Las  Palmas,  1881. 

*  Vittoiui  Culex»  V.  19;  •»-  Qvip,  ifytamn  1.  Vili,  v,  $S1;--Claud.  De 
Bello  GUcUmico,  v,  448, 


LXX  DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

naie,  poiché  gli  ultimi  a  perdere  la  ingenuità  saranno 
certamente  i  fanciulli  *. 

Da  tutti  questi  fatti  e  da  altri  assai,  che  non  è  qui 
luogo  d'enumerare,Federico  Fròbel, studiosissimo  della 
vita  psichica  e  fisica  dei  bambini,trasse  partito  per  quei 
Giardini  d'infanzia,  che  la  nuova  scienza  educativa 
ha  trovati  conformi  alla  umana  natura.  Il  giuoco  è 
la  espressione  del  carattere  dell'infanzia,  l'atto  spon- 
taneo onde  il  bambino  più  completamente  si  rivela. 
Ogni  bambino  gioca  perchè  ha  da  giocare ,  essendo 
questa  la  sola  attività  spontanea  a  lui  concessa;  dove 
egli  non  giochi,  o  è  malato,  o  è  un  bambino  troppo 
vecchio  di  senno,  che  è  quanto  dire  un  mostro.  In 
quest'attività  è  la  libera  manifestazione  degli  stimoli 
istintivi,  delle  naturali  tendenze  del  fanciullo.  L'edu- 
catore non  deve  trascurare,  deve  anzi  indirizzare  in 
guisa  questi  giuochi  da  renderli  buoni  a  sviluppare 
il  corpo  e  lo  spirito,  ed  ottenere  il  compimento  della 
massima  educativa:  mens  sana  in  corpore  sano.  Su 
questo  principio  è  fondata  la  teoria  del  benemerito 
pedagogista  tedesco,  che  la  più  intelligente  tra  le  sue 
allieve,  la  baronessa  di  Marenholtz-Biilów,  con  l' in- 
telletto d'amore  del  maestro  seppe  chiarire  e  popo- 
larizzare  *;  e  con  queste  vedute  furono  rimaneggiati 
i  giuochi  e  i  divertimenti  che  egli  trovò  nel  popolo. 


*  Mila  y  Fontanals  ,  Danzas  infant.  castell, ,   nel  Jahrbuch  f. 
rom.  u.  eingl,  Lit,y  VII,  II,  p.  181.  Leipzig,  1866. 

•  H.  GoLDAMMER,  Méthode  FroebeL  Le  Jardin  cT  Enfants,  Dons 
et  Occupations  à  Vusage  des  rnères  de  famil le,  ecc»  Avec  une  in 
trodvction  de  Mme  la  haromie  de  Marenholtz-Buelow  ecc.  1. 1:  Les 
dons  du  Jardin  cTenfants.  Préface  (pp.  XI-XLVlI).Berlin,  S.  W.  1877. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  LXXI 

Ma  i  seguaci  d'  una  teoria  son  quelli  che  primi  la 
esagerano:  e  questa  del  Fròbel  è  stata  esagerata  fino 
alle  ultime  conseguenze.  Un  malinteso  principio  d'e- 
ducazione fisica  viene  oggidì  soppiantando  in  Italia  le 
pratiche  finora  credute  proficue  alla  educazione  dello 
spirito.  Tutto,  si  vuol  ridurre  a  giuochi  ed  esercizi 
ginnici;  e  di  ginnastica  chiacchierano  e  scrivono  sco- 
laretti, maestrucoli  ed  igienisti,  che  non  videro  mai  un 
trattato  di  anatomia  né  di  fisiologiarcome  se  questo  pro- 
blema dello  sviluppo  fisico  non  fosse  stato  risoluto 
a  priori  daììsi  natura,  la  quale  ci  mise  addosso  fuoco, 
agilità  ed  energia  per  saltare,  arrampicarci,  fare,  in- 
somma, tutti  quei  movimenti  che  contano  per  monel- 
lerie solo  perchè  non  hanno  la  raccomandazione  d'un 
programma  scolastico  o  d'un  libro  stampato.  Certo,  la 
vita  sta  nel  moto  ;  e  quando  i  giuochi. ,  pedagogica- 
mente parlando,  sieno  informati  a  giusti  principi  fisio- 
igienici,  grandi  servigi  potranno  rendere  alla  educa- 
zione. In  questo  chi  dissentirà  da  ciò  che  pel  miglio- 
ramento degli  scolari  si  consiglia:  Tarmonico  sviluppo 
del  morale  e  del  fisico,  e  i  giuochi  allaria  aperta  ?  * . 
Ma  non  esageriamo,  perdio  !  se  non  vogliamo  portare 
il  discredito  a  discipline,  che,  quando  si  mantengano 
nei  giusti  limiti,  hanno  diritto  alla  nostra  riconoscenza. 

La  sobrietà  anzitutto  ! 

*  Non  senza  profitto  potrà  leggersi  il  recentissimo  lavoro  del 
liott.  Augusto  Behaghel,  prof,  al  R.  Ginnasio  di  Mannheim:  Der 
T-urn-und  Spielplatz  des  Gymnasiums  und  der  Reulschute,  Pdda' 
gogische  Trdumereien,  Mannheim,  1883. 


BIBLIOGRAFIA 


DBI 


OXTJOOHI  Fu^IS^OIULLESOEII 


IN  ITALIA 


BIBLIOGRAFIA 

DEI 

GIUOCHI  FANCIULLESCHI 

IN  ITALIA  * 


1.  Vocabolario  veneziano  e  padovano  co*  termini 
e  modi  corrispondenti  toscani,  in  questa  seconda  edi- 
zione ricorretto,  e  notabilmente  accresciuto  dallo 
Autore.  In  Padova  MD€CXCVI.  Nella  stamperia  Con- 
zatti)(  a  S.  Lorenzo.  Con  licenza  de'  superiori.  (In-4*, 
p.  16-361). 

Alla  voce  Zugare  sono  notati  coi  corrispondenti 
toscani,  non  sempre  esattamente  però,  cinquanta 
giuochi  e  divertimenti  infantili.  La  prima  edizione 
è  del  MDCCLXXV.  Una  terza  edizione  se  ne  fece 
nel  MDCCCXXI.  Autore  ne  è  Gaspare  Patriarchi. 

2.  Il  MaXmantUe  r acquistato  di  Perlonb  Zipoli  colle 
note  di  Puccio  Lamoni  e  d'altri;  conforme  alV edizione 
fiorentina  del  1750.  In  Prato,  MDCCCXV.  Nella  Stam- 


*  Contiene  solamente  i  titoli  delle  principali  pubblicazioni 
e  le  edizioni  che  io  ho  potuto  avere  sottocchio  e  mettere 
a  profitto  pei  riscontri.  Altre  ne  saranno  citate  nel  corso 
dell'opera. 


4  BIBLIOGRAFIA 

perla  di  Luigi  Vannini,  con  licenza  de*  superiori.  (In-8") 
T.  I,  pp.  XXXXVIII.235;  T.  Il,  232;  T.  m,  259;  T.  IV,  249. 

Le  note  del  Minucci  (Puccio  Lamoni)  al  Malman- 
tile  di  Lorenzo  Lippi  (Perlone  Zipoli)  contengono 
i  seguenti  giuochi:  nel  voi.  I:  Paleo,  p.  174;  Birri 
e  ladri,  182;  Bruschette,  189;  Civetta,  190;  Guan- 
cial  d^oro,  196;  Capo  a  nascondere,  198;  ecc.  Nel 
voi.  II,  a'  Nocciuoli,  70-73.  Nel  voi.  Ili,  p.  22-23; 
la  7 rottola,  il  Sussi,  le  Piastrelle,  p.  35.  Nel  vo- 
lume IV,  p.  35,  47,  ecc.,  altri  giuochi. 

3.  Vocabolario  bresciano-italiano  compilato  da  Gio- 
VAN  Battista  Melchiori.  In  tenui  labor.  Virg.  Tomo  I. 
A-L.  Brescia,  dalla  tipografia  Franzoni  e  socio  1817. 
{In-8**  gr.,  pp.  342  e  una  di  correzioni).  Tomo  II.  M-Z 
1817;  (pp.  328). 

Segue  un'Appendice  e  <<  Rettificazioni  al  Dizio>  j 
nario  bresciano-italiano  aggiuntivi  i  nomi  propri 
de*  paesi  della  provincia  bresciana  e  quelli  delle 
persone  col  loro  corrispondente  italiano  di  Giovan-  i 
Battista  Melchiori.  Brescia  per  Foresti  e  Cristiani 
rappr.  la  Soc.  tip.  Vescovi,  1820  ».  In-8*»  gr.,  pp.  IV, 
innumerate,  e  58. 

Nel  tomo  II,  p.  323-326,  è  una  lista  delle  voci  re- 
lative a  giuochi  fanciulleschi  in  quel  di  Brescia. 

4.  Vocabolario  milanese-italiano  di  Francesco  Che- 
rubini. Milano,  dair  imp.  reg.  Stamperia.  Voi.  primo 
A-C,  1839,  (in-8«  gr.,  pp.  LII-388);  voL  sec.  D-L,  1840, 
(pp.  IV-418)  ;  vói.  terzo  M-Q,  1841 ,  (pp.  IV-448);  vo- 
lume quarto  R-Z,  1843;  (pp.  IV-556-140). 

Nel  voi.  11,  pp.  234-238 ,  alla  voce    Qiugà,  sono 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  5 

indicati  e  poi  qua  e  là,  ne'  luoghi  propri,  descritti 
molti  giuochi  infantili,  fanciulleschi  e  di  conversa- 
zione. 

5.  Usi  e  Costumi  di  Napoli  e  contorni  descritti  e 
dipinti.  Opera  diretta  da  Francesco  de  Bourcard. 
Voi.  primo.  Napoli,  Stab.  tipografico  di  G.  Nobile,  1853. 
(In-8*  gr.,  p.XX-324).  Voi.  secondo,  ivi,  1858,  (pp.  340). 

Nel  cap.  I,  Guagliune  (pp.  289-322)  vi  è  un  pa- 
ragrafo sui  giuochi  Guagliuneschi  napoletani  (pa- 
gine 297-303),  e  se  ne  descrivono  diciannove  dei 
più  comuni.  Il  giuoco  dello  Strommolo  è  illustrato 
con  ima  tavola  disegnata  da  Filippo  Palizzi  ed  in- 
cisa e  colorata  al  pari  delle  molte  altre  di  tutta 
l'opera.  L'art,  è  scritto  da  Enrico  Cossovich. 

6.  Dizionario  del  dialetto  veneziano  di  Giuseppe 
BoERio.  Seconda  edizione  aumentata  e  corretta,  ag- 
giuntovi Vindice  italiano-veneto  già  promesso  dallo 
Autore  nella  prima  edizione.  Venezia,  premiata  tip. 
di  Giovanni  Cecchini  edit.,  1856.  (In-4*,  pp.  824-152). 

La  prima  ediz.  fu  fatta  per  cura  di  Daniele  Manin 
nel  MDCCCXXXIX. 

Tra'  vocabolari  de'  dialetti  italiani  da  me  con- 
sultati e  spogliati  per  questi  studi  è  quello  che  in 
maggior  numero  e  più  largamente  descrive  i  giuo- 
chi infantili,  la  più  parte  de'  quali  non  sono  nella 
raccolta  del  Bernoni.  (Cfr.  n.  23  di  questa  Biblio- 
grafia). Veggasi  alla  voce  Zogàr,  pp.  815-819. 

7.  Vocabolario  parmigiano-italiano  accresciuto  da 
più  che  cinquanta  mila  voci  compilato  con  nuovo 
metodo  da  Carlo  Malaspina.  Volume  primo.  Parma 


6  BIBLIOGRAFIA 

Tìpogr.  Carmignani  1856,  (in-8«,  pp.  516);  volume  se- 
condo, 1857,  (pp.  407);  voi.  terzo,  1858,  (pp.  453);  voi. 
quarto,  1859,  (pp.  472-40).  —  Prezzo  L.  23,  60. 

Alla  solita  voce  Zugar,  voi.  IV,  pp.  463-470,  son 
brevemente  descritti  quasi  cinquanta  giuochi  e  di- 
vertimenti, de*  quali  una  quarantina  hanno  riscon- 
tro coi  nostri  di  Sicilia.  Sotto  parecchi  di  essi  son 
riferite  le  voci  di  uso  in  tutto  il  giuoco  :  ciò  che 
non  si  trova  in  nessun  vocabolario  consultato  per 
questa  Raccolta. 

8.  Oran  Dizionario  piemontese-italiano  compilato 
dal  cav.  Vittorio  di  Sant* Albino.  Torino  dalla  Società 
rUnionetipograflco-editrice,  1859.  (In-4%  pp.  XVI-1237). 

Alla  voce  Giughè  sono  descritti  in  parte,  in  par- 
te richiamati  e  descritti  sotto  altre  voci,  i  giuochi 
fanciulleschi  più  in  uso. 

9.  Vocabolario  delVuso  toscano  compilato  da  Pie- 
tro Fanfani.  Firenze,  Barbèra  1863.  Voi.  uno  diviso 
in  due  parti;  (in-16^  pp.  XII-1036). 

Vi  si  trovano,  oltre  molti  giuochi  di  pegno,  al- 
cuni giuochi  e  trastulli  fanciulleschi  a  pp.  45,  56, 
69,  123,  125,  145,  224,  256,  488  della  par.  I;  e  a  pa- 
gine 605,  669,  961,  1002  della  p.  II.  I  giuochi  di  noc- 
ciuoli  descritti  a  pag.  619  son  tolti  dalle  note  del 
Mlnucci  al  Malmantile.  Vedi  al  n.  2  di  questa  Bi- 
bliografia, 

10.  Utile  diilei.  Libro  di  Letture  per  la  FanciiU- 
lezza.  Torino,  Tommaso  Vaccarino  1866.  (In-16'*,  pa- 
gine 152).  Prezzo  L.  1,  50. 

Autore  di  questo  libretto  è  L.,  iniziale  nella  quale 


DEI  GIUOCHI   FANCIULLESCHI  7 

mal  si  può  indovinare  un  nome.  I3a  p.  3  a  55  sono 
venticinque  Giuochi  per  i  fanciulli ,  alcuni  popo- 
lari, altri  tio;  venti  di  essi  figurati. 
Pubblicazione  di  carattere  didattico. 

11.  Canzoni  popolari  comasche,  raccolte  e  pub- 
Uleute  colle  melodie  dal  Dott.  G.  B.  Bolza.  Vienna 
dein.  R.  Tipografia  di  Corte  e  di  Stato  ecc.  1867  {In-8^, 
carte  29). 

Nella  seconda  pagina  di  questa  raccolta  si  legge: 
«  Tirati  a  parte  dai  Rendiconti  delle  tornate  dell'  i. 
r.  accademia  delle  scienze,  classe  filosofico-storica, 
voi.  LUI,  p.  637  ».  I  primi  canti  (pp.  640-643)  sono 
canzonette  infantili,  come  gli  altri  segnati  6,  7,  8, 
9,  10  sono  giuochi. 

12.  Màrchen  und  Sagen  aì4S  Wàlschtirol.  Ein  Bei'- 
trag  zur  deutschen  Sagenkunde  gesamnnelt  von  Chri- 
stian Schneller  JT.X.  Gymna^ial-Profess,  Innsbnick. 
Vwrlag  der  Wagner'  schen  Universitats-Buchliandlung, 
1867.  (In-8»,  pp.  vni-25a,  oltre  2  d'indice). 

A  pp.  250-252  sono  vari  Scherz-und  Kinderspru' 
che,  tutti  in  dialetto  tirolese  italiano. 

13.  Dialetti,  Costumai  e  Tradizioni  nelle  Provincie 
di  Bergami  e  di  Brescia  studiati  da  Gabriele  Rosa. 
Terza  edizione  aumentata  e  corretta.  Brescia,  Sta- 
bilimento tip.  Ut.  di  F.  Fiori  e  Comp.  MDCCCLXX. 
(In-g»,  pp.  389). 

Nella'quarta  pagina  della  copertina  si  legge:  Ere- 
scia  Stab.  Tipografico  di  G,  B.  Starli  1872. 

Parla  de'  seguenti  giuochi:  Testa  e  corona,  p.  263, 
aliossi,  p.  269;  cip-alala,  p.  275;  canzonette  per  con- 


8  BIBLIOGRAFIA 

tarsi,  pp.  275-276,  299-300;  d'altro  genere,  pp.  289- 
290;  il  giuoco  del  mondo,  p.  290;  il  motto  foc  nal 
giuoco  a  mosca  cieca,  p.  297;  Apri,  apri  le  porte, 
p.  301;  e  Et  visto  7  mio  galeto,  p.  302. 

La  prima  edizione  usci  col  titolo:  Documenti  sto- 
rici posti  ne'  dialetti,  nei  costumi,  nelle  tradizioni 
d^  paesi  sul  lago  d^Iseo.  Bergamo  Mazzoleni  1850. 
Fu  ristampata  poi  sotto  quest'altro:  Dialetti,  costumi 
e  tradizioni  delle  provincie  di  Bergamo  e  di  Bre- 
scia. Seconda  edizione  aumentata  e  corretta.  Ber- 
gamo dalla  Tipografia  Pagnoncelli  MDCCCLVIL 
(In-8<»,  pp.  253  oltre  6  altre  innumerate  ed  una  di 
errata  corrige).  Prezzo  1.  4. 

14.  Canti  popolari  siciliani  raccolti  ed  iUustrati  da 
Giuseppe  Pitrè  preceduti  da  uno  Studio  critico  dello 
stesso  Autore.  Voi.  primo.  Palermo.  Luigi  Pedone- 
Lauriel,  Editore.  1871.  (In-16%  pp.  XII-452).  Volume 
secondo,  ivi,  1871  (pp.  XII-500).  L.  9. 

Formano  i  voli.  I  e  II  della  Biblioteca  delle  Tra- 
dizioni popolari  siciliane  dello  stesso  autore. 

Nel  voi.  Il,  pp.  16-36,  i  nn.  758-793  sono  Jòcura, 
cioè  giuochi  infantili  in  canzonette  e  formolo. 

15.  Ninne-nanne  e  Giuochi  infantili  veneziani  rac- 
colti  da  Angelo  Dalmedico  e  raffrontati  ai  toscani 
e  ai  francesi.  Venezia,  Stabilimento  tipografico  Anto- 
nelli  1871.  (In-16^  picc,  pp.  53). 

Nella  copertina:  Un  libro  per  le  mammine,  pub- 
blicato per  la  nascita  d'una  nipotina  del  Dalmedico. 
I  Giuochi  infantili,  sedici  tra  canti  e  varianti,  vanno 
da  p.  28  a  p.  50  con  diciotto  raffronti:  11  toscani, 
5  francesi  ed  1  romano. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  9 

16.  Canti  popolari  delle  province  meridionali  rac- 
colti da  Antonio  Casetti  e  Vittorio  Imbriani.  Volume 
primo.  Torino ,  Via  Carlo  Alberto ,  5.  Ermanno  Loe- 
scher,  1871.  (In-8«  picc,  pp.  XVI-332).  Voi.  secondo, 
ivi  1872,  (pp.,  XI-447).  L.  9. 

Formano  i  voi.  II  e  III  de'  Canti  e  Racconti  del 
popolo  italiano  pubblicati  per  cura  di  D.  Compa- 
retti  ed  A.  D'Ancona. 

Nel  voi.  II,  «  Canti  di  Falena  »  (Abruzzo),  pp.  185- 
202,  è  una  raccoltina  di  canzonette  infantili  e  fan- 
ciullesche per  giuochi. 

17.  Centuria  di  Canti  popolari  siciliani  ora  per  la 
prima  volta  pubUicati  da  Giuseppe  Pitrè.  (Senz'al- 
tro. In-8°,  pp.  43). 

Tiratura  a  parte  dall'eco  dei  Giovani  ,  voi.  II , 
fase.  I,  2  e  3,  pagine  71-86,  121-131 ,  166-179.  Pa- 
dova. A  Morelli  Editore,  1873. 

I  nn.  81-86  sono  Ninne-nanne  e  canti  fanciulle- 
schi. 

18.  Almanacco  dei  fanciulli  per  Vanno  1873,  Anno 
secondo.  Venezia,  Nuova  Libreria  di  C.  Coen.  (In-16**, 
pp.  Vni-102). 

Da  p.  18  a  46  sono  descritti  i  seguenti  17  «  giuo- 
chi dei  fanciulli  »:  /  quattro  cantoni,  Scaldamano, 
Moscacieca,  Le  bolle  di  sapone.  Il  colombo  vola, 
Guancialin  d*oro.  Capo  nascondere.  Cerca  !  cerca  ! 
La  fune.  Il  cerchio,  Il  desinaretto.  La  bambola  , 
La  coda  romana,  Il  furetto  o  Sbricchi  quanti.  Il 
dominò  e  i  fantaccini,  La  sfinge ,  Il  ballo  tondo 
0  la  ridda. 


10  BIBLIOGRAFIA 

19.  Giuochi,  Uccelli  e  Fiori,  Libro  di  ricreazione 
per  le  fanciulle  compilato  da  Pietro  Fornari.  Milano, 
Giovanni  Gnocchi  di  Giacomo ,  editore,  18T3.  (In- 16*, 
pp.  104). 

Fino  a  p.  57  sono  trenta  giuochi,  dei  quali  al- 
cuni popolarissimi,  sebbene  scritti  e  presentati  con 
intendimento  educativo  e  letterario.  Manca  qua- 
lunque indicazione  topografica  interessante  per  gli 
studi  di  tradizioni  ;  ma  si  riconoscono  per  la  loro 
natura  indubbiamente  popolare  i  seguenti:  l,  VII , 
Vili,  Xll,  XIII,  XV,  XVII,  ecc.  tutti  figurati. 

20.  Raccolta  di  Giuochi  fanciulleschi  monferrini. 
(E  a  p.  3)  :  Giuochi  fanciulleschi  monferrini  e  di 
altre  parti  d*  Italia  fra  loro  com/parati  raccolti  da 
Giuseppe  Ferraro.  Firenze,  Tip.  deirAssociazionel873. 
(In-8«,  pp.  18). 

Estratto  dalla  Rivista  Europea  di  Firenze,  an.  V,. 
voi.  I,  fase.  I,  lo  Die.  1873,  pp.  77-92. 

Contiene  dodici  Giuochi  infantili  Monferrini , 
sette  «  Giuochi  infantili  monferrini  paragonati  coi 
toscani  »;  due  altri  giuochi  calabresi  dei  quali  non 
si  sanno  i  confronti,  un  altro  toscano  id.  ;  quindici 
altri  monferrini,  id.  Da  p.  16  a  18  sono  parecchi 
Usi  e  costumi  monferrini.  Una  ristampa,  che  può 
considerarsi  come  una  nuova  raccolta,  usci  col  ti- 
tolo : 

21.  Cinquanta  Giuochi  fanciulleschi  monferrini. 

Pubblicazione  dello  stesso  autore  nelY  Archivio 
per  lo  studio  delle  Tradizioni  popolari ,  voi.  I, 
pp.  126-131  e  243-257.  Palermo,  Luigi  Pedone-Lau- 
riel,  1882. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  11 

22.  Opere  di .  ,  .  VoL  IL  Catania,  Stabilimento  ti- 
pografico di  C.  Galatola  nel  R.  Ospizio  di  Beneficen- 
za 1870  1874.  (Ed  a  p.  3)  :  Raccolta  amplissima  di 
Canti  Popolari  Siciliani.  Edizione  seconda.  (In-8*, 
pp.  751).  L.  10. 

La  categoria  XXVIT,  Canti  e  Giuochi  fanciulle- 
schi, pp.  405-412,  comprende  57  di  queste  canzo- 
nette e  formole,  ristampate  in  parte  dalla  Raccolta 
siciliana  del  Pitrè.  Mancano  quasi  sempre  le  illu- 
strazioni. 

23.  Giuochi  popolari  veneziani  raccolti  e  descritti 
da  DoM.  Giuseppe  Bernoni.  Venezia,  Tipografia  Mel- 
chiorre Fontana,  1874.  (In-16°  gr.,  pp.  94).  Prezzo  L.  2. 

Da  p.  9  a  p.  89  sono  96  giuochi,  trastulli ,  pas- 
satempi bambineschi  e  fanciulleschi.  È  la  raccolta 
italiana  più  ricca  in  questo  genere. 

24.  La  vita  della  Terra  d*  Otranto  per  L.  G.  De 
Simone. 

Vari  articoli  pubblicati  nella  Rivista  Europea  di 
Firenze  del  1876.  Nel  fascic.  del  1°  maggio  (an.  VII, 
voi.  II,  fase.  Ili,  pp.  365-372)  è  un  art.  intitolato  II 
Giuoco  ,  e  vi  sono  raccolti  venticinque  giuochi  di 
fanciulli  e  di  adulti  nelle  città  e  nelle  campagne 
della  Terra  d'Otranto. 

25.  Saggio  di  Giuochi  fanciulleschi  siciliani  ora 
per  la  prima  volta  raccolti  ed  illicstrati  da  Giuseppe 
PiTRÈ.  {Tirato  a  soli  25  esemplari).  Palermo ,  Tipo- 
grafia di  Pietro  Montàina  e  Comp.,  1877,  (In-8*',  pa- 
gine 29). 

Estratto  dalle  Nuove  Effemeridi  Siciliane  di  Pa- 
lermo, serie  III,  voi.  IV,  an,  1876. 


12  BIBLIOGRAFIA 

Contiene  venti  giuochi  e  divertimenti  de'  fanciulli 
in  Sicilia  raffrontati  con  alcuni  d'Italia. 

26.  Francesco  Corazzini.  /  Componimenti  minori 
della  Letteratura  popolare  italiana  nei  principali 
dialetti,  0  Saggio  di  Letteratura  dialettale  com^pa- 
rata.  Benevento,  Stabilimento  tipografico  di  Francesco 
de  Gennaro  1877.  (In-16^  pp.  XII-504  oltre  un'Errata- 
corrige).  L.  5  italiane. 

Ne'  capitoli  II  (61-72)  e  IV  (Th^O)  sono  Giuochi 
fanciulleschi,  ossia  canti  infantili,  e  Canti  fanciul- 
leschi. Divertimenti,  cioè  canti  e  giuochi  de'  fan- 
ciulli nelle  varie  province  e  dialetti  d' Italia ,  con 
qualche  rara  citazione  francese,  inglese  e  tedesca. 
Sono  divisi  e  suddivisi  secondo  le  varie  età  ed  il 
sesso  de'  bambini. 

27.  Canti  popolari  istriani  raccolti  a  Rovigno  ed 
annotati  da  Antonio  Ive.  Torino,  Ermanno  Loescher, 
1877.  (In-8°  picc,  XXXVI-383,  con  tre  pag.  di  musi- 
ca). L.  5. 

Il  cap.  XXI  (pp.  283-294):  Giuochi  fanciulleschi , 
ha  diciassette  canzonette  e  divertimenti  infantili. 

28.  Canti  popolari  di  Ferrara ,  Cento  e  Pontela- 
g  oscuro  raccolti  per  cura  del  prof,  Giuseppe  Ferraro. 
In  Ferrara,  per  Domenico  Taddei  e  figli,  1877.  (In-8* 
picc,  pp.  145).  L.  2,  50. 

A  pp.  140-143  sono  6  giuochi  di  Pontelagoscuro  in 
quel  di  Ferrara.   Questi  stessi  furono  stampati  nel 

—  Saggio  di  canti  popolari  raccolti  a  Pontelago- 
scuro (Provincia  di  Ferrara  a.  1875). 

Inserito  nella  Rivista  di  Filologia  romanza,  voi.  II, 


"laiB    ■  r    11 — ' 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  13 

f.  II-III,  p.  193-220  e  di  là  tirato  a  parte  con  la  me- 
desima numerazione  di  pagine  del  periodico. 

29.  L.  Canzonette  infantili pomiglianesi  illustrate  da 
V.  I.  Bologna,  Tip  Fava  e  Garagnani,  MDCCCLXXVn. 
(In-8%  pp.  32). 

Estratto  dal  Periodico  bolognese:  Il  Propugna- 
tore, studi  filologici^  storici  e  bibliografici^  voi.  X. 
Questa  raccoltina  fatta  in  Pomigliano  d'Arco  (pro- 
vincia di  Napoli),  annotata  e  pubblicata  per  cura 
di  Vittorio  Imbriani,  contiene  parecchie  canzonette, 
che  sono  veri  divertimenti  e  giuochi  infantili,  come 
i  seguenti:  IX,  XIV,  XVII,  XXII ,  XXX  ,  XXXIV , 
XXXVII,  XXXVIII,  XLI. 

30.  Saggio  di  Giiu>chi  fanciulleschi  delle  Marche 
raccolti  e  annotati  da  Antonio  Gianandrea.  Roma , 
Tipografia  Tiberina,  Piazza  Borghese,  89,  1878.  (In-8«, 
pp.  40). 

Nella  copertina  si  legge:  «  Presso  E.  Loescher, 
Lire  Due  ».  Estratto  dalla  Rivista  di  Letteratura 
pop,,  an.  I,  fase.  II,  pp.  137-144;  fase.  III,  pp.  222- 
227;  fase.  IV,  pp.  269-287. 

I  Giuochi  son  trentadue  (pp.  2-23):  i  Canti,  trenta 
(pp.  23-30). 

Nella  stessa  Rivista  di  Lett.  pop.,  fase.  IV,  pa- 
gine 307-309  (Roma,  E.  Loescher,  1879,  in-S**)  sono 
tre  giuochi  fanciulleschi  sorrentini  raccolti  da  Ales- 
sandro Parisotti  col  titolo: 

31.  Costuìni  e  Giuochi  popolari  di  Sorrento, 

32.  Nomenclaiura  italiana  figurata  corredata  di 
un'appendice  di  oltre  1200  nomi  comuni  di  esercenti 
arti  e  mestieri  ad  teso  della  gioventù  e  delle  scuole 


14  BIBLIOGRAFIA 

primarie  d* Italia  per  Massimiliano  Barbieri  ecc.  Un- 
decima edizione ,  1879,  Stamperia  reale  di  Torino  di 
G.  B.  Paravia  e  Comp.  Editori-Librai.  Prezzo  L.  una. 
(In-8*  picc,  pp.  147). 

Il  cap.  X  Giuochi  e  divertimenti  fanciulleschi, 
p.  67-72,  contiene  una  lista  di  voci  italiane  di  giuo- 
chi  e  passatempi  italiani  e  toscani  con  16  piccoli 
disegnini  marginali. 

33.  Canti  del  popolo  napoletano  raccolti  ed  anno- 
tati da  Luigi  Molinaro  Del  Chiaro.  Napoli,  Tipografia 
di  Gabriele  Argenio,  1880.  (In-8%  pp.  XII-312  oltre  1 
d'indice  e  2  di  Associaci  alla  presente  opera). 

Le  parti  II  e  IV  (pp.  15-56,  e  71-98)  contengono 
ricche  raccoltine  di  Giuochi  fanciulleschi  e  di  Canti 
fanciulleschi, 

34.  Usi  e  Costumi  abruzzesi  descritti  da  Antonio 
De  Nino.  Volume  secondo.  Firenze,  Tipografia  di  Ga- 
spare Barbèra,  1881.  (In-16*  pp.  X-251)  Prezzo  L.  3. 

A  p.  66  sono  notati  cinque  divertimenti  ,  e  da 
p.  81  a  118  sono  descritti  quattordici  giuochi ,  al 
terzo  de'  quali:  Esci  e  cova  (n.  XXV  ,  p.  89)  leg- 
gonsi  varie  filastrocche  pel  conto  de'  giocatori. 

Col  titolo  di  Usi  abruzzesi  il  voi.  I  usci  nel  1879. 

25.  Cinquanta  Canti  popolari  napolitani  raccolti 
ed  annotati  da  G.  Amalfi  e  L.  Correrà  MDCCCLXXXI. 
Milano,  Tip.  Italiana  di  G.  Ambrosoli,  via  S.  Simpli- 
ciano, 2,  1881.  (In-16%  pp.  31). 

Estratto  daMsi  Rivista  Minima  di  Milano,  an.  1881. 
Vi  son  compresi  parecchi  Canti  da  fanciulli. 


DEI  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  15 

36.  Nazareno  Angeletti.  Saggio  di  Giuochi  e  Canti 
fanciulleschi  raccolti  e  annotati  4a  Antonio  Gianan- 
drea  con  uno  studio  di  Antonio  Machado  y  Alyarez. 
Cupramontana,  Tipografia  Achille  Umani,  1882.  In-S**, 
pp.  34. 

Tutto  questo  è  nella  copertina,  che  fa  anche  da 
frontespizio.  A  p.  1  si  legge:  «  Questo  articolo  fu 
già  pubblicato,  meno  qualche  parte ,  nel  Corriere 
delle  Marche  dell'B,  9  e  10  novembre  1881  ». 

È  una  serie  di  Appunti  bibliografici  sul  citato 
libretto  del  Gianandrea,  e  vi  è  ristampato  in  buona 
parte  e  tradotto  (pp.  7-25)  un  importante  scritto  del 
Machado  y  Alvarez  sulla  stessa  raccoltina  inserito 
nel  Museo  Canario  di  Las  Palmas,  t.  Ili,  nn.  27 , 
28,  29  (7  e  22  aprile  e  7  maggio  1881). 

37.  Poesia  popolare  infantile  in  Calabria  {Canti , 
Ninne-Nanne,  Giuochi,  Leggende,  Indovinelli), 

Raccoltina  pubblicata  dal  prof.  Fr.  Mango  nello 
Archivio  per  lo  studio  delle  Tradizioni  popolari, 
voi.  I,  fase.  II,  pp.  234-242,  e  III,  pp.  389-396.  Pa- 
lermo, L.  Pedone-Lauriel,  edit.  1882. 

38.  Saggio  di  Stiutii  sulla  poesia  popolare  infan- 
tile in  Calabria. 

Dello  stesso  autore.  'SeWArchivio,  voi.  II,  fase.  I- 
II.  I  Giuochi  sono  descritti  nel  IL  Palermo,  1883. 

39.  A  tila  tila  tila,  giuoco  fanciullesco  siciliano  (con 
tavola  in  fototipia). 

Sotto  questo  titolo  è  illustrato  un  gruppo  di  giuo- 
chi, varianti  V  uno  dell'  altro  secondo  la  maniera 
onde  son  fatti  in  Palermo,  Cianciana,  Mazzara,  Po- 
lizzi. 


16  BIBLIOGRAFIA  DEI  GIUOCHI 

Di  G.  Pitrè.  Appunti  inseriti  nélY Archivio,  1883, 
V.  II,  pp.  107-112. 

40.  Il  giuoco  fanciullesco  A  la  tortula  nella  pro- 
vincia di  Trapani  (Sicilia). 

Di  Raffaele  Castelli.  Neil'  Archivio,  1883,  voi.  II, 
pp.  113-116. 

Minuta  descrizione  della  trottola  e  de'  giuochi 
che  con  essa  si  fanno  in  quel  di  Mazzara,  in  ag- 
giunta a  quanto  sullo  stesso  giuoco  fu  scritto  nel 
Saggio,  n.  28  di  questa  Bibliografia. 


PAESI  NEI  QUALI  SONO  STATI  RACCOLTI  I  GIUOCHI 


(Prov.  di;  Caltanissetta 


Messina 


Caltanissetta 

Barcellona 

Niscemi 

Gioiosa 

Piazza 

Messina 

Riesi 

Milazzo 

Vallelunga 

Roccella 

•    Sanfratello 

Catania 

Santa  Lucia 
Taormina 

Torre  di  Faro 

Acireale 
Caltagirone 

Palermo 

Catania 

Alimena 

Catenanuova 

Borgetto 

Etna 

Caccamo 

Giarre 

'    Castronuovo 

Nicosia 

Cefalù 

Ciminna 

Girgenti 

Ficarazzi 

Isnello 

Alessandria  della  Rocca 

Monreale 

Casteltermini 

Palermo 

Cianciana 

Piana  de'  Greci 

Girgenti 

Polizzi 

Licata 

Prizzi 

Menfì 

S.  Giuseppe  Jato 

Porlo  Empedocle 

Termini 

Regalinuto 

Valledolmo 

S.  Margherita  di  Belice 

Ventimiglia 

Sciacca 

Vicari 

G.  PiTBÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi. 


18       PAESI  NEI  QUALI  SONO  STATI  RACCOLTI  I  GIUOCHI 


Siracusa 


Avola 

Alcamo 

Cliiaramonte 

Calatafìmi 

Comiso 

Castelvetrano 

Modica 

Erice 

Noto 

Marsala 

Palazzolo 

Mazzara 

Ragusa 
Siracusa 
Spaccaforno 
Vittoria 

Poggioreale 
Salaparuta 
Santa  Ninfa 
Trapani 

Trapani 


••  k 


REGOLE  E  ATTERTENZE  «EWERAU  SDÌ  GIUOCHI 


Innanzi  di  cominciare  un  giuoco  si  designa  chi  deve 
far  da  mastru  o  da  mmnniay  ossia  da  capo-giuoco , 
chi  deve  giocar  prima,  chi  dopo,  chijvH'n  capUj  e  chi 
mita  0  appuzzari  *,  cioè  andar  sotto;  e  si  va  *n  capu 
0  sutta  non  solo  fisicamente  con  la  persona ,  ma  an- 
che con  l'oggetto  o  balocco  col  quale  si  gioca:  trot- 
tola, monete,  bocce,  nocciuoli  od  altro.  Sutta  e  'n  capu 
sono  entrambi  designati  dalla  sorte  ,  come  anche* il 
mastro,  che  però  qualche  volta  viene  eletto  per  ac- 
clamazione. 

Il  sorteggio  è  vario  e  differente  secondo  le  età,  il 
sesso  ed  il  giuoco:  ma,  in  generale,  si  riduce  a  con- 
tarsi. Passiaino  a  rassegna  i  principali  e  più  comuni 
modi  di  fare  al  conto,  riserbando  alla  fine  delle  pre- 
senti Regole  le  filastrocche  con  le  quali  i  giocatori 
sogliono  tirar  la  sorte  e  contarsi. 

1.  Nella  prima  età,  specialmente  tra  bambine,  il  conto 
si  fa  sillabando  canzonette  e  filastrocche,  e  per  ogni 
sillaba  accentata  dall'uso  toccando  in  giro   sul    petto 

^  Appuzare,  dicono  anche  in  Napoli,  e  il  D* Ambra  lo  spiega  così: 
«  Appuzare,  poggiare  i  piedi  a  terra  ed  incurvare  tanto  innanzi 
la  persona,  quanto  basti  a  far  angolo  col  podice.  Chinai*e  la  testa 
e  il  dorso  davanti  verso  le  gambe  da  fare  angolo  simile  ».  Voca- 
bolario  Napolitano-toscano  domestico  di  arti  e  mestieri.  Napoli , 
Tipi  Chiurazzi,  1873;  alla  voce. 


20  REGOLE   GENERALI 

ciascuno  dei  giocatori  o  delle  giocatrici,  cosi  che  colui 
(o  colei)  sul  quale  cade  V  ultima  sillaba,  va  sopra,  o 
sotto,  ovvero  fuori  i  pericoli  del  giuoco,  secondo  è  stato 
stabilito  innanzi.  Alcune  di  queste  filastrocche  son  dei 
giuochi,  o  meglio,  de'  passatempi  per  se  stessi,  e  tante- 
volte  si  ripetono  quante  volte  si  vuol  rifare  il  giuoco; 
altre  servono  solo  per  contarsi,  e  si  conta  sempre  da 
destra  a  sinistra  cominciando  da  chi  tocca,  che  è  quello 
da  cui  si  comincia  à  contare  *.  Contare  altrimenti 
sarebbe  contro  regola,  e  quindi  ragione  di  nullità  del 
conto,  come  il  finire  con  cadenze,  p.  e.,  quadrisillabe 
una  filastrocca  cominciata  con  cadenze  trisillabe,  giac- 
ché ne  verrebbero  a  variare  i  risultati  della  scelta  del 
primo  a  dover  giocare,  o  del  *n  capu,  o  del  sutta. 

Vi  son  passatempi,  vorrei  dire  aritmetici.  Il  più  co- 
mune tra  essi  è  in  questa  Raccolta  col  titolo  Quinnici 
quinnici  vògghiu  fari, 

2.  Tra  fanciulli ,  quando  si  gioca  in  due,  si  fa  A 
pam  e  sparu,  o  A  pam  e  schicam,  o  A  paru  e  zi- 
parv,  (Marsala).  Chi  sorte  inesci)  ha  il  vantaggio  di 
giocare  il  primo,  di  prendere  primo  la  tal  cosa.  Si  fa 
anche  A  paru  e  sparu  quando,  rimanendo  in  un  giuoco 
due  soli  di  molti  giocatori,  decidasi,  p.  e.,  delle  ul- 
time mele  o  noci  o  dell'  ultimo  quattrinello  rimasto, 
con  questo  mezzo.  I  Toscani  dicono  Fare  apari  e  caffo; 
i  Piemontesi  Giughè  a  la  muta, 

«  Un  modo  proverbiale  fanciullesco  dice:  Lo  pasta  si  mancia  oc- 
cussi;  e  si  fa  con  la  mano  desti*a  aperta  im  movimento  di  rotazione 
da  destra  a  sinistra;  volendo  significarsi  che  i  maccheroni  si  rac- 
colgono e  mangiano  facendo  con  la  mano  quel  movimento. 


SUI   GIUOCHI  21 

3.  Quando  si  gioca  in  molti  si  s^mci  o  spaisci,  Spà- 
Mri  0  spatri  (Palermo),  o  sfàciri  (Catania),  o  sciacìri 

(Cianciana),  o  spari  (Termini),  è  lo  stesso  che  tuccari, 
o  fari  6  toccu,  o  atticccari  (Siracusa),  o  cuntari  (Taor- 
mina). [Fare  la  conta  in  Roma,  Faì^e  al  tocco  in  To- 
scana ,  Far  all'  amor  del  conto  nelle  Marche,  Fare 
4il  toco  in  Venezia  e  in  quasi  tutta  Talta  Italia).  E  si 
fa  cosi  : 

Si  pongono  in  gii^o  i  ragazzi,  e  dettosi  da  uno  di  loro: 
Toccu  io,  o  Tocca  (p.  e.)  Ninu,  (in  Roma ,  per  me) 
•che  è  quello  da  cui  si  deve  cominciare  a  contare,  tutti 
nello  stesso  moménto  stendendo  Tun  braccio  col  pugno 
«hiuso,  e  abbassandolo,  aprono  uno,  due,  o  più  o  tutte 
le  dita  della  mano.  (Questo  si  dice  jiccàri  o  jittàri , 
doè  gittar  le  mani).  Si  contano  le  dita  aperte;  e  fin- 
giamo che  il  numero  complessivo  sia  dodici.  Quindi, 
«ominciando  da  quello  che  si  stabili  dover  essere  il 
primo,  il  ragazzo  che  conta,  rivolto  a  lui,  dice:  uno, 
«  seguitando  a  destra  di  questo  sino  a  dodici;  il  ra- 
dazzo, cui  tocca  per  sorte  quest'ultimo  numero,  è  quegli 
«he  deve  principiare  il  giuoco  *  sia  andando  sotto,  sia 
facendo  da  capo,  sia  in  altra  maniera. 

4.  A  passa  iridici  cu  la  ^nanu ,  è  un  altro  giuoco 
per  tirar  la  sorte  de*  giocatori.  Si  cfr. 

5.  In  certi  giuochi  però,  specialmente  tra  bambine, 
invece  che  A  spatri,  si  fa  A  sim^ulidda,  che  è  un  giuoco 
per  sé  stesso,  descritto  nel  corso  del  libro. 

6.  Il  giuoco  AlVUschidda  serve  anche  al  sorteggio 
<lel  sotto,  o  del  capo-giuoco,  o  del  primo  a  giocare. 

'  Pico  Luw  di  Vassano,  Modi  di  dire  proverbiai  e  Motti  popò» 
^^i  italiani,  n.  681.  Roma,  Tip.  Tiberina  1875. 


22  REGOLE  GENERALI 

7.  In  alcuni  giuochi,  p.e.,  alle  noci,  al  canneddu  ecc. 
si  accosta,  cioè  dal  posto  delle  noci,  dal  canneddu  si 
gettano  verso  la  meta  (singa)  le  piastrelle  di  cocci,  le 
monete,  i  pallini,  ed  ha  il  primo  posto  nel  giocare  chi 
più  s'accosta  (accosta)  alla  meta,  ed  in  ordine  gli  altri 
che  fanno  più  vicino. 

Alcuni  invece  accostano  gettando  la  palla  quanto  più 
presso,  non  già  alla  meta,  ma  alla  filiera  delle  noci^ 
delle  mele,  al  canneddu, 

8.  Nei  giuochi  A  baccarà  baccaredda,  A  saturi  ecc. 
l'altro  giuoco  A  tavula  vecchia,  tavula  nova  serve  alla 
scelta  de'  compagni. 

Il  giocare  A  cumpagni  [A  compagnon  in  Milano,. 
An  parila  in  Piemonte)  consiste  nello  scegliersi  ed 
unirsi  i  giocatori  tra  loro  per  parti  o  partite.  Tra  due 
che  fanno  ó  toccu,  o  ax^costanu  ecc.,  imo  sceglie  i  fan- 
ciulli che  vuole  e  gli  ispirano  fiducia,  e  se  li  fa  com- 
pagni nel  giuoco,  e  cosi  fa  l'altro.  I  compagni  son  suoi 
consorti  e  condividono  gli  stessi  punti  di  vincita  o  di 
perdita,  gli  stessi  vantaggi  o  svantaggi. 

Molti  giuochi  si  aprono  col  motto  Scurùnala!  o 
Scurunella!  o  Sarva!  (Licata)  (nelle  Marche  Fuoco  !  in 
Bergamo  Foeug  !):  e  per  tutti  o  per  uno  de'  giocatori 
sì  sospendono  con  le  parole  quasi  sacre  Spagna  ó  Re  ! 
(Spagna  al  Re),  o  Spagna  e  Re,  o  Stagghia  Re!  (Fica- 
razzi),  ovvero  Franza  !  (Vicari)  come  dicevasi  al  cin- 
quecento *;  Tefò  !  in  Trapani;  Sculicènzia!  con  licenza, 
in  Catania;  Scerra  !  in  Comiso;  Scièrralu!  in  Spacca- 

•  e.  Alessandro  Dionisio,  Amorosi  sospiriySit,  IV,  se.  VIL  In  Pa- 
lermo, per  Gio.  Antonio  de  Franceschi  1599. 


SUI  GIUOCHI  23 

forno;  Mezzafrancu  !  in  Mazzara;  Za  morta!  zia  morta 
in  Marsala;  Basta  !  in  Modica,  Casteltermini,  S.  Mar* 
gherita  di  Belice;  Moviti  pir  mia!  in  Licata;  Alta  pi 
wia!  in  Monreale.  In  Toscana  spiga  spiga  e,  secondo  il 
MalmantUe^  IX,  35,  spida;  nelle  Marche ,  secondo  il 
GiXNANDREA,  p.  4,  nota  1,  zuppa).  Con  lo  scurùnala 
rompesi  ogni  indugio,  con  lo  Spagna  6  Re  si  fa  aHo-là, 
s'impone  tregua,  armistizio,  necessitato  da  un  accidente 
individuale  o  da  trasgressione  delle  regole  del  giuoco  *. 

La  buona  fede  e  V  onestà  sono  condizioni  necessa- 
rie in  ogni  buon  giocatore:  e  i  fanciulli  si  obbligano 
per  giuramento  a  mantener  le  promesse,  ad  eseguire 
i  patti  stabiliti  e  le  regole  tutte  del  giuoco,  a  sobbar- 
carsi alle  penitenze  nelle  quali  incorreranno. 

Questo  giuramento  si  fa  in  più  modi.  Eccone  uno  : 

Si  segna  in  terra  una  croce,  e  ciascun  giocatore  la 
tocca  coir  indice  e  la  bacia. 

Eccone   un  altro  : 

Un  giocatore  tocca  e  mostra  i  propri  panni  al  com- 
pagno e  gli  domanda  : 

*  «  AUorchè  qualche  fanciullo  ,  giocando  co'  suoi  compagni ,  si 
trova  ridotto  a  mal  partito,  e  sta  per  esser  sopraffatto,  incomincia 
a  strillare:  Spagna^Be^  Spagna-Re,  senza  capirne  il  significato,  che 
vai  quanto  dire,  alto  pel  Re  di  Spagna;  e  con  questa  parola,  il  di 
cui  vero  senso  nemmeno  è  compreso  dagli  altri,  ma  il  di  cui  suono 
«  rispettato  da  loro  tutti,  si  fa  alto  alla  puerile  persecuzione,  si  dà 
tregua  al  vinto  e  si  cerca  di  non  molestarlo.  La  stessa  parola  Spagna^ 
He  dimostra,  che  quest'uso  ebbe  origine  nel  tempo  che  la  Sicilia 
era  sotto  il  dominio  spagnuolo  ». 

P.  Cacioppo,  Cenni  statistici  sulla  popolazione  palermitana,  pa- 
gine 107-108.  Palermo,  presso  Salv.  Barcellona  1832,  in-8'. 


24  REGOLE   GENERALI 

—  Chistu  chi  è  ? 
Risponde  Taltro  : 

—  Cuttuni. 
E  il  primo  : 

—  Senza  buffuniari  a  lu  Signuri  I 

ritenendosi  offesa  fatta  a  Dio  il  mancar  di  fede  nel 
giuoco. 

Eccone  un  terzo  : 

Si  mostra  e  tocca  un  bottone  del  proprio  vestito,  e 
si  chiede  al  compagno  : 

—  Chistu  chi  è  ? 
Risponde  il  compagno  : 

—  Ferru. 
E  il  primo  : 

—  Lu  Signuri  ti  manna  a  lu  'Nfernu! 

che  vale:  Il  Signore  ti  manderà  alllnferno  se  tu  non 
giocherai  onestamente. 

Queste  forme  comunissime  variano  per  paesi.  In  Spac- 
caforno  ognuno  de*  giocatori  si  strappa  un  capello; 
il  mastro  domanda  a  ciascuno  :'U  tò  unni  *u  inanni  *  ? 
Le  risposte  son  varie ,  ma  press'  a  poco  son  queste  : 
Sutta  'a  varva  W  ó  SignwH,  o  'N  Paradisu,  o  'N  Pa- 
lermu,  cioè  in  luoghi  ov'è  impossibile  rintracciare  il 
capello.  In  Ragusa  :  Sputamu  lichiii  ';  in  Modica  : 
Sputamu  'a  facci  ò  dimoniu,  ovvero  :  Sputamu;  e 
cu*  fa  'ngannarìi  nun  è  flggiu  d'  6  Signuri  *. 

*  n  tuo  (capello)  dove  lo  mandi. 

«  Lichitit  metatesi,  per  litichi,  liti,  litigi. 

s  Sputiamo;  e  chi  fa  inganni  non  è  Aglio  di  Dio. 


SUI  GIUOCHI  25 

Il  giuramento,  del  resto ,  non  si  fa  sempre  ,  e  più 
comunemente  si  fa  nel  corso  del  giuoco  quando  sor- 
gono certe  quistioni;  allora  il  mastro  grida  :  Facemu 
cruci!  e  tutti  giurano  baciandola,  o  ripetendo  una  delle 
formole  citate. 

Quando  e'  è  un'  infrazione  delle  regole  del  giuoco, 
i  compagni  chiamano  all'ordine  gridando:  A  la  Uggii  o 
S'kavi  a  ghiri  a  Uggì,  o  Secunnu  laregula  di  lujocu: 
fatto  importante  della  vita  fanciullesca  di  strada,  pel 
significato  che  potrebbe  darsi  a  queste  formole  ed  alla 
coscienza  che  le  ispira.  Il  giuoco  ha  il  suo  codice,  che 
a  nessuno  è  permesso"  mai  di  violare  impunemente. 
Oringanni,  le  segrete  intelligenze  non  si  ammettono: 
bisogna  sottoporsi  a  ciò  che  il  codice  pi'escrive ,  se 
non  vuoisi  incorrere  nella  pena  che  esso  infigge.  E 
una  delle  pene,  la  più  comune,  che  i  giocatori,  costi- 
tuiti li  per  li  in  giudicato,  decretano  è  la  esclusione 
dell'ingannatore  sia  dalla  partita,  sia  da  tutto  il  giuoco. 


CANZONETTE  E  FILASTROCCHE  DEI  FANCIULU 

per  contarsi. 


I. 

Trizzi  trizzi  tri  maruzzì; 
Tri  surelli  stannu  'n  casa, 
Una  prega  a  Santu  Vitu 
Pri  pigghiàrisi  un  buonu  zitu, 
Buonu  zitu  cucurucùl  • 
Nesci  fora  e  vattinni  tu  ! 

PiTRÉ,  Centurie,  n.  84.  Una  variante  avellinese  è  in  1m- 
BRiANi,  Canti  popolari  avellinesi;  Bologna,  Tipi,  Fava  e 
Garagnani  1874,  p.  72;  una  pomiglianese  nello  Stesso,  n.  XVI, 
ma  più  lunga,  e  «  si  canta  per  divertire  i  ragazzi  dimenan- 
doli sulle  ginocchia.  »  Questa  qui  è  nelle  Poesie  pop,  cala- 
bresi (Livorno,  Tip.  P.  Vannini  e  F.  1881)  pubblicate  dal  prof. 
F.  Corazzini  per  nozze  Chiarini-Mazzoni;  ed  ha  qualche  dif- 
ferenza : 

Tre  ragazze  a  *na  fontana 

Una  strica  e  n'atra  lava 

Una  prega  a  Santu  Vitu, 

Ma  noe  bianda  'nu  bonu  maritu, 

Biancu,  russu  e  culoritu 

Comu  la  5^accia  de  Santu  Vitu. 

II  nome  di  5.  Vito  nel  presente  canto  in  Sicilia ,  in  Ca- 
labria e  più  in  là  ancora  non  è,  come  potrebbe  parere,  una 
necessità  della  rima,  ma  un  vero  fatto  mitologico,  che  si  ri- 
scontra anche  nelle  credenze  francesi  e  germaniche.  Vedi 
D.  MoNNiER,  Tradii,  popul,  p.  792  ;  Maury,  La  Magie  et 


CANZONETTE  E  FILASTROCCHE  PER  CONTARSI  27 

T Astrologie,  p  159,  nota;  Dorsa,  La  tradizione  greco-la- 
tina negli  usi  e  nelle  credenze  pop,  della  Calabria  Cite- 
riore, p.  30-31.  Cosenza,  Migliaccio,  1879. 

IL 

Una,  dui,  li  tri  cancelli 
Ciciri  cotti  e  campanelli. 
Mentri  scontra  Taceddu  papà 
Quantu  pinui  mi  voli  purtà'  ? 
Mi  nni  porta  vintitri  : 
Una,  dui  e  tri. 

Una  canzonetta  analoga  calabrese  è  in  Mango,  n.  XXV. 
In  Biceglie,  nel  Barese,  si  contano  le  dita,  e  quello  su  cui 
cade  la  voce  fora  si  chiude: 

Una,  la  dua,  la  ti*e  cannella. 
Addò  8^  vèffliene  ve  belle  mtnenne? 
A  la  porta  de  San  Nicola: 
Scite  palumme  e  cacci  fora.  (Inedita)  ^ 

Il  Rosa,  3"  ediz.  p.  276,  ha  questa  de'  fanciulli  bresciani  : 

Ona,  le  dò,  le  tre  canele. 
Che  sonava  le  campanele. 
Che  sonava  loril,  lorillo," 
Che  sonava  le  ventitré: 
Ona,  dò  e  tré. 

A'  Bresciani  e  Bergamaschi  è  comune   quest*  altra  pella 
sorte  al  giuoco  di  rapirsi  le  poste  al  Paradiso  : 

Ona,  le  dò,  le  tre  canele, 
Tìchete,  tachete,  campanele, 
Useli  che  sta  sol  mar, 
Quate  pene  ghio  portat? 
Ho  portat  dna  masòla, 
Questa  det,  e  questa  fora; 

'  Le  lettere  corsive  ne*  canti  di  Biceglie  son  mute. 


28  CANZONETTE  E  FILASTROCCHE 

Variante  di  un'altra  canzonetta  bresciaìia  pubblicata  dallo 
Stesso  nella  2*  ediz.  p.  187.  Variante  è  anche  la  seguente 
tirolese  raccolta  da  Chr.  Schxeller,  p.  252: 

OseUin  che  va  per  mar, 
Quante  penne  poi  portar, 
Poi  portar  *na  penna  sola 
Questa  *n  dentro  e  questa  'n  fora. 


III. 


Una,  dui  e  tri  cannelli 
Fa  satàri  lu  pummatelli, 
Pummatelli  è  'n  galera; 
Scinni,  cani  chi  t'afferra, 
E  t'  afferra  pi  lu  schinu, 
Lu  nnimòniu  t'  è  parrinu, 
Parrineddu  cu  'u  zuzzù, 
Nesci  fora  e  vattinni  tu  ! 

Una  Tariante  palermitana  è  in  Pitrè 
n.  775.  Un  canto  simile  per  contarsi: 


[Alìmoia) 
Canti  pop.   sic. 


IV. 

Splnguli  spinguli  s'arrimina 
'N  capu  'u  lettu  d'  a  rigina, 
Rigina  spagnola; 
Tiritàppiti,  nesci  fora  ! 
Fora  quaranta, 
Tuttu  lu  munnu  canta, 
Canta  lu  jaddu 
Appisu  a  la  finèscia 
Cu  tri  palummi  'n  testa: 
Jaddu,  jaddina, 
Palermu  e  Missina. 


{Ragv^a) 


PER  CONTARSI  29 

Qaesta  canzonetta,  di  cui  è  variante  appena  riconoscibile 
la  seguente  ,  corre  in  quesf  altra  forma  ,  egualmente  im- 
portante, in  Alcamo: 

Pingula  pingula  maistina 
Di  Palermu  la  Rigina, 
Centu  quaranta 
Tuttu  lu  munnu  canta; 
Canta  la  gaddu; 
Rispunni  la  gaddina; 
Manna  la  Francischina 
Affacciata  a  la  finestra 
Cu  tri  palummi  'n  testa, 
Bianca  bianchina 
Palermu  e  Missina. 

Nelle  Marche  ricomparisce  la  stessa  canzonetta  più  lunga, 
ma  anche  poco  intelligibile: 

Staccia  minaccia, 
Buttalo  giù  la  piazza, 
La  piazza  de  le  sdre 
Le  mammolette  d'ore. 
D'oro  e  d'argento. 
Che  pesa  cinquecento; 
Cento  cinquanta 
E  la  gallina  canta, 
Canta  la  gallina. 
Risponde  Serafina; 
Serafina  sta  in  finestra 
Con  tre  corone  in  testa; 
Passa  tre  fanti 
Con  tre  cavalli  bianchi, 
Bianca  la  sella 
E  la  padrona  bella; 
Bella  la  padrona, 
Brutta,  brutta  la  garzona. 


80  CANZONETTE  E  FILASTROCCHE 

E  si  canta  dondolando  i  bambini  sulle    ginocchia.   (Gian- 
ANDKfiA,  p.  23  e  24,  nn.  1-5). 

In  Tortona,  prov.  di  Alessandria,  fors)  si  fondono  due 
canzonette  nella  seguente  filastrocca: 

Trenta  quaranta 
Tùtt  ar  mond  u  canta; 
Canta  lu  gali, 
Risponda  la  gallina; 
Madama  Tomasina 
S*è  fatta  alla  finestra 
Con  tre  corone  in  testa, 
Bianca  ha  la  sella; 
Bundì,  Madamisella  ! 
Madamisella  in  sar  castell 
Dà  ar  bun  di  ar  sur  Curunnell; 

—  Sur  Curunnell  dia  gamba  rutta, 
Dlmm  un  po'  quanta  av  custa? 

—  Am  custa  un  carantàn 
Sutta  ra  porta  ad'  Milan. 
Sutta  ra  porta  ad'  Turtona, 

Duva  as  poasta  l'erba  bona,  (/inocchio) 

L'erba  bona  l'è  ben  pista 

Quatter  donn  in  su  la  strà. 

Una  'a  fila,  l'attra  'a  taja, 

L'attra  'a  fa  cappell  ad  fiur 

Ra  più  bella  fa  l'amur. 

Fa  l'amur  cun  Catarèna 

Leva  su  ca  l'è  mattèna, 

L'è  mattèna  mattina 

Leva  sii  ca  l'è  fiucà, 

L'è  fiucà  su  'na  muntagna 

Viva  viva  'u  re  d"a  Spagna; 

'U  re  d"a  Spagna  e  l'Imperatur, 

Viva  'u  sur  Duttur. 

'U  sur  Duttur,  u  s'è  fa  ra  ssiìppa, 


PER  CONTARSI  31 

So  mvijè  SLg  Tha  mangia  tutta, 

E  lù  por  fagli  dispett 

Gh'ha  fatt  'na  cacat  nel  lett.  (Lied.) 


V. 


Pingula,  plngula  maistina; 
'Na  paletta  di  rigina 
Cu  Taneddu  piscaturi 
Chi  ti  vegna  'u  bon  amuri  ! 
Bon  amuri  e  tricchitrà: 
Unu,  dui,  tri  e  qua.  {Palermo) 

Questo  canto,  inserito  in  Pitrè,  Canti  pop.  sic,  n.  775, 
cfr.  col  XXIV  de*  Cinquanta  canti  pop.  nap.  di  Amalfi  e 
Correrà: 

Spìncula  spìncula  San  Martino; 
0  cappelletto  ra  regina, 
0  cappelletto  re  spade, 
L'ainiello  va  Jettanne, 
Va  jettanne  e  tricche  tracche 
Una,  roie,  tre  e  quatte; 

col  seguente  abruzzese  (De  Nino,  p.  91): 

Pinguija,  pinguija.  San  Martino, 
La  cavalla  de  la  regine. 
É  menùte  Ju  spaccaterre 
Pi  sparti*  la  robba  bella; 

e  con  La  Corsa  di  Pontelagoscuro,  in  Ferraro,  Canti  pop. 
di  Ferrara,  Cento  ecc.  p.  142: 

Mlngula  màngula 
Per  matina 
Sun  la  fUa 
Dia  regina. 


32  CANZONETTE  E  FILASTROCCHE 


VI. 


Lina  lina  zoppa  zoppa, 
Quantu  pinni  leni  'n  coppa  ? . 
E  nni  teni  vintitri: 
Una,  dui  e  tri.  {Palermo) 

Veggasi  in  Pitrè,  Canti  pop.  sic,  n.  779.  Una  variante 
avellinese  è  in  Imbriani,  p.  78: 

Gallina  zoppa  zoppa, 
Quanta  penne  puorti  *n  coppa  t 
Ne  puorti  ventitré: 
Una,  due  e  tre. 

Una  poraiglianese  nello  Stesso,  L,  Canzonette  ecc.,  n.  IV: 

Rallina  zoppa  zoppa. 
Quanta  penne  tiene  'n  coppa? 
Ne  tengo  ventiquatte: 
Una,  doie,  treie  e  quatte. 
Quatte  e  belle  e  cucherecù 
Jesce  ^a  fere,  apochia  tu. 

Una  di  Napoli  in  Cashtti  e  Imbriani,  voi.  II,  p.  402;  una 
altra  beneventana  in  Cor  azzini,  Comp.  min.,  p.  105;  una 
abruzzese  in  De  Nino,  p.  74: 

Tina  tina  toppa 
Quante  penne  stiàne  'n  coppa! 
Ce  ne.  stiàne  ventiquattre. 
Una  e  due  e  tre  e  quattro: 

Un'altra  romana  in  Sabatini,  Canti  pop.  rom.,  n.  89.  (Ro- 
ma 1878): 

Gallina  zòppa  zòppa. 

Quante  penne  pòrti  in  gròppa  f 

Ce  né  tièngo  ventiquàtto: 

Una,  dùa,  tré  e  quattro. 


PER  CONTARSI  33 

Come  si  vede  il  nostro  canto  è  un'importazione.  Veggasi 
coi  suoi  riscontri  la  canzonetta  n.  II:  Una,  dui,  li  tri  can- 

-cellL 

VII. 

Pala,  palidda,  signura  cummari, 
Haju  'na  figlia  chi  sapi  jucari, 
Sapi  jucari  a  lu  trentatri  : 
Unu,  dui  e  tri.  [Riesi) 

L'Imbriani  ha  questa  di  Avellino,  p.  78: 

Paletta,  paletta  signora  commara. 
Tengo  'na  figlia,  non  sape  jocare; 
Non  sape  jocà'  11  vintiquatto, 
Una,  dui,  tre  e  quatto  ! 

Vili. 

Sutta  'a  prièula  nesci  luna 
Prima  ciàura  e  puoi  matura, 
Veni  'u  vientu  ca  ziculia, 
Pumu,  cannedda,  jalofru  e  giunia  *.  (iJa^i^m) 

Ci  vuol  poco  a  vedere  che  anche  questa  canzonetta  è  stata 
iniportata  in  Sicilia,  dove  la  parola  uva  delle  versioni  con- 
tinentali non  esiste,  e  trovasi  indebitamente  sostituita  dalla 
voce  luna  del  primo  verso.  Versione  avellinese  è  questa 
<ieiriMBRiANi,  p.  77: 

'Ncoppa  a  *na  prevola  esce  Tuva, 
Quanno  j amino  noe  ammatura, 
'Noe  ammatura  a  vennegnà'. 
Tira,  molla,  carofanà. 

*  Giunta,  forse  da  Juniper,  messo  come  conviene ,  ti'a  le  piante 
aromatiche  anziché  tra  le  funebri. 

G.  PiTBÀ.  —  Giuochi  fanciulleschi.  3 


34  CANZONETTE  E  FILASTROCCHE 

Amalfi  e  Correrà,  n.  XLVII,  hanno  questa  napoletanar 

Tengo  'na  prevula  d'uva 
Meza  acerva  e  mez'ammatura. 
Vene  o  viente  e  a  teculea, 
Zuffarà,  zuffarà, 
Pepe,  cannella,  carofenà. 

Pomiglianese  d'Arco  quest'altra  (Imbriani,  L.  Canzonette^ 
n.  Ili): 

*Ncoppa  'a  prevola  nce  sta  Tuva; 

Primme  acèvera  e  pò*  ammatura: 

Mene  'nu  viento  *e  tuchelià' 

'Nzurfarà  1  'nzurfarà'  1 

Pepe,  cannella,  carofanà  ! 

Abruzzese  un'altra  del  De  Nino,  p.  90: 

Sotto  la  pergola  nasce  l'uva 
Prima  cerva  e  po'  matura: 
Chest'è  l'uva  de  Sanbastià' 
Pepe,  canella,  carufalà. 

Toscana  quest'altra  della  Garfagnana  Estense: 

Sotto  la  pergola  nasce  l'uva, 
Prima  acerba  e  poi  matura. 
Cenci  cenci  riattoppati, 
Rivenduti,  ricomprati. 
Rivenduti  in  Barberia, 
Salti  fuori  bella  Maria.  {Ined.) 

Marchigiana  quest'altra  d)l  Gianandrea,  n.  13: 

Ah,  ah,  ah,  ah  ! 
Sotto  la  brocca  nasce  Tua, 
Prima  nasce  e  po'  matura 
Prima  nasce  '1  zaffarà': 
Pizzica,  mozzica,  roffolà'. 


PER  CONTARSI  35 


IX. 


E  sutta  Mazzarinu 
Cc'è  'nu  bellu  musulinu, 
A  tri  tari  la  canna 
E  si  vesti  Marianna, 
E  si  vesti  cu  palòri 
Marianna  or'  ora  mori. 
E  tolla  pizzichettolla 
E  la  cruna  di  lu  re; 
Quantu  fanu  ?  cincu  e  se*, 
Gincu  e  sei  fanu  cutella 
A  cu'  nesci  la  cciù  bella. 
Bella  billina, 
Stòcchiti  'n  Cina, 
'N  Cina,  *ncinanti, 
Mastru  Firranti 
Tri  palummi 
Stanu  'n  casa 
Curuccucù 
Trasi,  nesci  e  vattinni  tu.  {Ragtùsa) 

B  Palermo  corre  cosi  (Pitré,  Canti  pop.  sic,,  n.  778): 

Zàmmara,  zàmmara,  porta-quartàri; 
La  curuna  di  li  rè. 
Quantu  semu  ?  vintisè*. 
Vintisei  spizEàmu  cutedda. 
A  cu'  nesci  la  cchiù  bedda. 
Bedda  biddina, 
Tocca  la  cima, 
Cima  cimanti. 


36  CANZONETTE  E  FILASTROCCHE 

Ferra  flrranti, 
Ciccu  Baruni 
Nesci  tu  avanti» 

In  Alcamo  c'è  questa  variante: 

Zàmmata  zàmmata,  spe^Qza  quartàri, 
E  la  cruna  di  lu  re, 
Quantu  semu  ?  vintisè\ 
Vintisè*  panicuttè... 
Bedda  biddina  eoe. 
Ciccu  Baruni 
E  naticuni. 

In  Castronovo: 

Giàmmara  giàmmara  spezza  quartàra 
Di  la  cruna  e  di  lu  re  ecc. 
Ciccu  Baruni  nisciutu  di  fora 
Sinu  a  Portauova. 

In  Polizzi: 

Quantu  semu?  vintisei 
Di  li  sei  facemu  cutedda  ecc. 
Cima  cimanti 
Stocca  flrranti 
D.  Ciccu  Paulu  lu  Baruni 
Nesci  fora  comu  un  minchiuni. 


X. 


Passa  'n  vicciarieddu, 
Ca  porta  'n  panarieddu, 
Cinu  cinu  di  cirasa, 
E  nni  duna  a  cu'  lu  vasa; 
Mancia  tu,  si'  picciriddu, 
Va  ciàmiti  a  Turiddu, 
Turiddu  nun  ni  vo' 
A  bo,  e  be,  i  bi,  o  bo.  {Ragusa) 


PER  CONTARSI  37 


XL 


Panareddu 
Tuttu  beddu, 
Soni  campana, 
Tò  mamma  ti  chiama  : 
Cci  su'  quattru  zitidduzzi, 
Ca  si  vonnu  maritari, 
Cu  lu  tuppu  e.  la  zagaredda 
Veni  tu,  ca  si'  cchiù  bedda  ! 

Non  poche  altre  son  le  filastrocche  con  le  quali  si  con- 
tano i  piedi  o  le  mani  o  le  dita  dei  fanciulli  per  giuoco  o 
nel  giuoco.  Una  è  quest'altra,  che  può  ravvicinarsi  al  Mi- 
Ha  Pappàna  del  presente  volume,  e  che  si  ripete  toccando 
aU'ultima  parola  l'ultimo  piede: 

XII. 

Pisa  pisella 
A  culuri  di  cannella, 
Cannella  accussi  fina 
Di  santa  Marina; 
Marina  e  mulinara 
Di  'n  celu  nni  cala, 
Nni  cala  pi  favuri 
'Na  pinna  di  picciuni 
Bi  bai 
Nesci  fora  e  vola  ccà.  [Palermo) 

Vedi  PiTRÈ,  Canti  pop,  siCy  n.  766.  Una  variante  acitana 
è  nella  Raccolta  amplissima,  n.  2288;  una  pomiglianesc  di 
Arco  dice  : 


S8  CANZONETTE  E  FILASTROCCHE  \ 

Pise  e  piselle 
*E  culore  re  cannelle;  j 

E  canneUe  aocussisie; 
E  Bantu  Martine. 

*Na  penna  *ngurunate;  ! 

E  Maria  sopr*  *à  scale; 
*£  scale  'e  bavone, 

E  *na  felle  re  piccione.  ! 

^Ngasa  'o  pere,  'ò  cavalle  r'  'o  figlie  r*  'o  Re; 
E  tira  pere  sopra  te. 

Alla  quale  TImbriani  (L.  Canzonette,  n.  XXXVII)  fa  seguire 
questa  spiegazione  :  «  Più  fanciulli  si  seggono  a  terra  colle 
gambe  stese;  uno  solo  starà  alzato,  ripetendo  la  canzonetta 
e  toccando  ad  ogni  parola  la  gamba  di  un  fanciullo.  Quello 
che  tocca  nel  profferire  l'ultima  parola  ritira  la  gamba;  e 
cosi  di  seguito  per  tutti.  » 

Quasi  identica  corre  in  Napoli,  secondo  la  versione  rac- 
coltane dal  MoLiNARo,  p.  33,  n.  23. 

In  Toscana  si  ripete  : 

Pise*  pisello 
L^amore  è  così  bello  ! 
Salta,  Martino. 
La  bella  luminara  1 
Sali  sulla  scala. 
La  scala  e  lo  scalone, 
La  penna  del  piccione, 
Gioca,  bella. 
Tira  su  la  tua  ciantella.  (Jned,) 

Parimenti  corse  e  corre  tuttavìa  in  Romagna  ftno  a  Ri- 
mini questo  canto  fanciullesco  : 

Pis  pisel 
Da  Toci  bel, 
Da  Toci  fé 
Cotra  marte. 


PER  CONTARSI  39 

La  bela  Palìsena 
La  baia  in  sì  la  sela 
Sei  e  salò 
La  scatula  de  mer 
Vai  a  rinucoer. 

V.  art.  di  Crisostomo  Ferrucci  nell'opera  del  marchese  Gio- 
vanni Broli  :  Erasmo  di  Grottameìata  da  Narni,  suoi  mo- 
numenti e  sua  famiglia,  p.  236.  Roma,  Salviucci  1876. 

Alla  stessa  maniera  si  fa  in  Pontelagoscuro  per  il  giuoco 
detto  La  Regina  (Ferraro,  Saggio,  p.  219;  Canti  di  Fer- 
rara, Cento  ecc.  p.  219),  i  cui  versi  son  questi: 

Pitta-pittella 
Color  che  sì  bella, 
Color  che  si  fina 
Per  Santa  Martina, 
La  bela  Pulinara 
La  monta  in  sia  scala. 
Scala  scalon 
La  penna  dal  Bution, 
La  scatula  del  mar, 
La  bella  cittella 
Parrucca  pestella, 
Tetè 

Tira  quel  pe\ 
Lo  digh  a  te. 

Per  questo  canto  vedi  Fintroduzione  al  presente  volume. 

XIÌL 

Pizzu,  pizzu,  pizzuluni, 
E  di  Napuli  è  baruni 
(o  Va  nni  Napuli  a  buluni) 
Va  nni  santa  Margarita, 
Ti  fa'  dari  un  pizzuddu  di  pani. 


40  CANZONETTE  E  FILASTROCCHE 

E  va'  guarda  li  funtani. 

Li  funtani  su'  guardati. 

Vacci  tu  spezza-cannati. 

Sutta  lu  lettu  di  raastr*Antuninu 

Cc'era  un  gaddu  chi  cantava, 

E  facia  Cìicurucà! 

Sita  e  capizzola 

Trasi  dintra  e  nesci  fora. 

Si  fa  come  nel  napoletano:  «  Si  uniscono  più  fanciulle  (o 
maschietti),  e  ciascuna  mette  l'indice  spiegato  sul  ginocchia 
d'  una  sola  (o  sul  tavolo).  Colei ,  sulle  cui  ginocchia  sono 
spiegati  gV  indici ,  incomincia  la  canzonetta ,  toccando  ad 
ogni  parola  successivamente  una  delle  dita  spiegate;  quando 
giunge  all'ultima  parola,  la  bambina  cui  è  toccata,  allunga 
il  medio  e  cosi  poi  in  seguito  l'anulare  ed  il  mignolo.  Colei 
che  arriva  prima  a  spiegar  tutte  le  dita,  impone  alle  altre 
una  penitenza  determinata.  »  (Imbriani  ,  L.  Canzonette  ^ 
nota  4). 

Il  7°  verso  ha  queste  tre  varianti: 

—  Vacci  tu  spezza-cutedda.  )  ,^  , 

.  X    ,;  j^.  ,     jj        (  (Palermo) 

—  Vacci  tu  Puddicinedda.     ) 

—  E  p'un  cozza  di  cuteddu.  (Alcamo) 
L'8«  verso  ha  quest'altra: 

Nna  la  nasca  di  mastra  Filici. 

Variante  degli  ultimi  tre  versi: 

Sutta  "u  liettu  r*  *a  zza  Cicca 

C'è  'na  jatta  sicca  sicca, 

Cu'  cci  va,  tutta  rallicca.  (Ragusa). 

E  degli  ultimi  quattro: 

'Ntra  la  gàrg'a  di  mastr'Antuninu, 
Cc'era  un  gaddu  chi  cantava  ecc. 


PER  COJJtARSI  41 

Facia  sita  e  capicciola, 

Trasi  dintra  e  nesci  fora.  (Alcamo) 

In  Acri  (Calabria)  vi  è  un  canto  simile: 

Piz-pizzinguda 
Aglianguda  aglianguda, 
Aglianguda  tu,  aglianguda  iu. 

E  quest'altro: 

Campaniellu  e  sa"  Franciscu, 
Dicinniddu  chi  ti  Tha  dittu  ecc. 

Mango,  Archivio,  v.  I,  p.  238  n.  XXIII  e  235,  n.  IX;  e  v.  II, 
f.  II. 

In  Pomigliano  d*Arco  (L.  Canzonette^  n.  XIXJ  con  qual- 
che differenza: 

P<zza,  pizza,  pizzipogne  ! 
E  la  morte  di  Sampogne 
E  pipì  e  pipì 
Auza  *a  *ainma  e  ba  accussì. 

Altra  variante  napoletana,  con  altre  differenze,  è  nella 
stessa  Raccoltina,  p.  27,  e  a  pp.  401-402  della  raccolta  Ca- 
SETTi  e  Imbriani,  voi.  II;  e  della  Raccolta  Mounaro,  p.  34, 
n.  24. 

XIV. 

Unu,  dui  e  tri 
Fila,  fila  fa, 
Fila,  fila,  fila. 
Fila,  fila  fa. 

Te  ren  fan  sin  ze  len  ca 
An  sche,  ten  sche 
Anali  da,  {Acireale) 

Per  contare  venti  e  altri  numeri. 


42  CANZONETTE  E  FILASTROCCHE  PER  CONTARSI 

XV. 

Jivi  'n  Palermu  a  *ccattari  cuttuni, 
Pici  lu  cuntu  cu  lu  me  patruni; 
Coi  ammancava  tri  tari  : 
Una,  dui  e  tri.  (Cefalù) 

La  bimba  sulla  quale  cade  l'ultima  sillaba  di  uno  o  d*ua 
altro  di  questi  canti  esce  dal  cerchio  delle  compagne  e  va 
sotto  a  subire  una  penitenza,  o  attende  le  altre  compagne, 
eon  le  quali  air  ultima  rimasta  possa  dar  la  baia ,  o  im- 
porre una  penitenza,  o  dar  la  caccia  inseguendola  e  pic- 
chiandola. 

Per  altre  canzonette  con  le  quali  si  fa  al  conto  vedi  Mango, 
Poesia  popolare  infantile  in  Calabria ,  nn.  IX  e  XXI;  Im- 
BRiANi,  Canti  popolari  avellinesi,  p.  77  e  segg.  e  108;  lo 
Stesso:  L,  Canzonette,  numeri  IV,  V,XVIII,  XIX;  Corazzini, 
Comp,  min,,  a'  capitoli  Giuochi  e  Divertimenti;  De  Nino,  II, 
e  XXV;  BoLZA,  p.  641,  n.  6;  Cherubini,  v.  I,  p.  31,  ove  ce 
n'è  una  lucchese;  Rosa,  2*  ediz.,  pp.  172;  3*  ediz.,  pp.  275 
276;  Bernoni,  n.  33;  Ive,  pp.  283  e  289,  n.  10;  Schnellbr, 
pp.  252,  l  canti  :  Rinaie  ranole,  —  Ghinghiringa^a,  —  Ariy 
borari. 


GIUOCHI 


aiuocHi 


l.  Varvarutteddu. 

Si  tocca  successivamente  il  mento  {varvarettu)^  la 
bocca,  il  naso ,  gli  occhi ,  la  fronte ,  ripetendo  nello 
stesso  tempo  verso  a  verso  : 

Varvarutteddu; 
*Ucca  d'aneddu; 
Nasu  affilatu; 
Occhi  di  stiddi; 
'    Frunti  quatrata  : 
E  te*  ccà  'na  timpulata! 

E  si  dà  per  vezzo  una  leggiera  guanciatina  al  bambino. 
Cosi  in  Palermo  (Pitrè  Canti,  n.  758).  Variante  ine- 
dita di  Alcamo  : 

Sangulareddu, 
Vuccuzza  d'aneddu, 
Cu*  fa  lu  piditeddu  ? 
Campanazzeddu  ; 
Nasu  radici, 
Occhi  pirnici, 
Frunti  balata, 
Te'  cca*  'na  timpulata  ! 


46  GIUOCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Una  variante  napoletana  è  in  Casbtti  e  Ibibriant,  voi.  II, 
p.  405;  di  Benevento,  Toscana,  Bologna,  Verona^in  Coraz- 
ziNi,  pp.  67-70;  altre  abruzzesi  in  De  Nino,  voi.  II,  p.  50;  una 
sarda  del  Logudoro,  una  calabrese  di  Monteleone  ecc.  in 
PiTRÉ,  Studi  di  poesia  pop.,  p.  355  e  seg.  (Palermo  1872); 
un'altra  toscana  con  una  veneziana  in  Dalmbdico,  p.  30-31, 
ed  un'  altra  parimenti  veneziana  in  Bernoni,  Giuochi,  n.  6. 
Ecco  una  versione  napoletana  secondo  Molinaro,  p.  41,  n.  32: 

Varvarella; 
Musso  bello; 
Naso  a  quacquarìello; 
Uocchie  a  fenestelle; 
E  fronte  fatte  *mponte. 

In  Biceglie: 

Che  beli  mussili:. 
Bella  vucchilla: 
Bellu  naaill  I 
Bell'occhieU  ! 
E  bella  chiaucarella 
Chiancarellal  (Ined.) 

2.  Manu  modda. 

Tenendo  a  sedere  a  cavalluccio  sui  nostri  ginocchi  il 
bambino ,  gli  si  prende  al  polso  il  braccino  in  modo 
che  la  mano  resti  cionca,  e  leggermente  dimenandola 
si  vengono  cantarellando  questi  versi  : 

Manu  modda,  manu  modda, 
Lu  Signuri  ti  la  'ncodda. 
Ti  la  'ncodda  a  pani  e  vinu: 
Sammartinu!  Sammartinu! 


MANU  MODDA  47 

Ovvero  : 

Manu  morta,  manu  morta, 
Nuddu  ce'  è  ca  ti  cunorta; 
Morta,  morta,  morta, 
Tiritappi  e  pigghia  ccà. 

Una  variante  castelterminese  inedita  : 

Manu  modda,  manu  modda, 
Lu  Signuri  ti  la  'ncodda. 
Ti  la  'ncodda  cu  la  farina. 
La  Madonna  t'  è  parrina, 
T  è  parrina  cu  lu  Signuri. 
Vampuliàticci  lu  cori  {bis) 
A  priari  a  vu'  cu  tutt*  amuri. 

E  dicendo  quest*  ultimo  verso  si  batte  con  la  stessa 
mano  sul  viso  del  bambino,  che  a  quell'improvvisa  ma 
non  inattesa  guanciatina  con  la  propria  mano  ride  dol- 
cemente. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Una  variante  cefalutana  è  in  Pitré,  Canti,  761  ;  il  Co- 
RAzziNi,  p.  62-63,  ne  reca  versioni  di  Benevento,  Toscana 
e  Bologna;  una  di  Venezia  il  Bernoni  ,  n.  15.  Questa  qui 
è  di  Biceglie: 

Mane  morte,  mane  morte 
E  Ddìddì  che  la  sporte 
E  lu  Sante  Salvatore: 
Mo  te  daghe  *nu  buiTettàune.  (Ined.) 

Variante  napoletana  (Molinaro,  p.  29,  n.  17): 

Mana,  mana,  moscia 
E  che  Dio  V  ha  cumposta. 
De  pane  e  de  vino 
E  de  caso  pecurlno. 


48  GIUOCHI 

Una  simile  è  a  p.  30,  n.  18  della  stessa  Raccolta. 
Variante  sarda  di  Cagliari  : 

Manu  morta,  manu  morta, 
Chi  Deus  ti  dda  porta. 
Chi  Deus  ti  dda  jada 
Manu  morta  cancarada.  (Ined.) 

3.  Manu  manuzzi. 

Si  prendono  le  due  manine  del  bambino,  e  si  battono 
runa  contro  Taltra  sillabando  questi  versi;  airultimo 
e  aìVolè  (alcuni  tacciono  questa  parola)  le  manine  si 
portano  alle  due  guance,  dolcemente  stringendole. 

Manu  manuzzi, 
Pani  e  fleuzzi, 
Veni  lu  tata, 
Porta  la  'mprua 
*Nta  la  cannata,   ' 
E  Totò  *  si  *mbriaca. 
Olèl 

Un'  altra  versione  dice  : 

Manu  manuzzi, 
Pani  e  fleuzzi, 
Veni  lu  tata, 
Porta  'i  cusuzzi, 
Nuàtri  nn'  a  manciamu, 
E  a  Totò  *un  coi  nni  damu. 

Altro  canto  simile  è  in  Pitrè,  Centurie,  n.  83,  e  nella 
Raccolta  amplissima,  n.  2284,  ove  dopo  i  primi  due 
versi  dicesi  : 

1  0  altro  nome  del  bambino. 


VOGA,  VOGA,  VOGA 

Bianchi  dinari, 
Niuri  scavuzzi; 
Ciciri  'na  cannata,  ecc. 

In  Alcamo  : 

Veni  lu  tata, — veni  lu  tata, 
Porta  la  *mprua  —  'nta  la  cannata. 
Tata  veni,  —  tata  veni, 
Porta  la  'mprua  —  'nta  lu  bicchieri. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Un  canto  infantile  del  Logudoro  (Corazzini,  p.  23)  : 

Tocca  maneddas  chi  beni  su  babbu 
E  du  portara  a  ciucciu  e  a  quaddu 
A  ciucciu,  a  quaddu,  a  bingia  a  binnennai. 
Tocca  maneddas  chi  beni  babbai. 

4.  Voca,  voca,  voca. 

Si  siede  sulle  proprie  ginocchia  il  bambino  lattante, 
0  appena  svezzato,  si  prende  per  le  mani,  e  gli  si  canta 
con  misurate  cadenze  : 

Voca,  voca,  voca, 
(o,  Marinaru,  voca  voca,) 
E  lu  rè  si  mancia  l'oca, 
E  la  mamma  la  gaddina, 
E  lu  picciriddu  la  minna  china  ! 

Ad  ogni  verso  lo  si  piega  supino  indietro,  e  all'ultimo 
'^\  si  solletica  anche  il  petto. 

In  Catenanuova  ,  messo  a  cavalluccio,  anche  sulle 
ginocchia,  il  bambino,  si  canta  quasi  come  in  Acireale 
[Raccolta  amplissùna,  n.  2312)  : 

G.  PiTRÈ.  ^  Giuochi  faìxciulleschù  4 


50  GIUOCHI 

Voca  voca,  marinaru, 
Pigghia  un  pisci  d'  un  cantaru, 
E  lu  puorti  a  la  marina, 
Voca  voca,  Catarina  ! 

In  Riesi  : 

Vochi,  vocili,  vochi, 
E  la  mamma  vo'  li  vochi  S 
E  lu  patri  la  gaddina, 
E  li  nuci  e  la  minnièdda  china. 

In  Palermo: 

Voca,  voca,  ole  ; 
E  di  lana  nun  cci  nn'è, 
Né  di  lana,  né  di  stuppa, 
E  lu  re  ti  caca  'n  mucca; 
E  lu  re  cu  la  rigina 
E  Totò  'na  minna  china. 

Air  ultimo  verso  si  piega  indietro  due  o  tre  volte 
il  bambino. 

5.  Manu  manuzzi. 

Si  slede,  come  sopra  è  detto,  il  bambino,  battendo 
dolcemente  palma  a  palma,  e  si  ripete: 

Manu  manuzzi. 
Mancia  cusuzzi, 
Va'  ndi  la  vecchia, 
Ca  ti  li  cuosi; 

Ti  li  cuosi  cu  lu  pintaluoru: 
Mamma,  ca  muoru!  (bis),  (Riesi) 

'  Vochi,  qui  per  ochi,  oche. 


GRÀNCIU,  GRÀNCIU,   GRÀNCIU  51 

6.  Grànciu,  grànciu,  grànciu. 

Si  solletica  al  petto  o  in  altra  parte  del  corpo  il 
bambino  movendo  progressivamente  Tindice,  il  medio 
e  le  altre  dita  sopra  un  piano  o  sulle  gambe  del  bam- 
bino tanto  che  egli  si  prepari  ad  esser  solleticato  dalla 
mano  che  lo  raggiunge.  L'atto  è  accompagnato  dalla 
formola  : 

Grànciu,  granciu,  grànciu... 
Ca  ti  manciù  !  ca  ti  manciù  !  ecc. 

7.  Mmè,  mmè,  mmè. 

Si  prende  a  cavalcioni  alle  proprie  gambe  il  bam- 
bino ,  e  agitandolo  in  guisa  da  imitare  il  trotto  del 
cavallo  si  viene  ripetendo  : 

Mmè,  mmè,  mmè  I 
Tutti  li  pecuri  fannu  mmè! 
E  lu  latti  è  di  la  crapa, 
E  la  mènnula  atturrata, 
E  r  oceddu  cantaturi. 
Chi  canta  a  tutti  1'  uri. 
Supra  Sanciuvanni 
Su'  stisi  li  panni, 
Li  panni  e  li  pannizzi. 
Li  gioj  e  li  trizzi, 
Li  trizzi  'ncannulati: 
Viva  Maria  e  la  Tirnitati  ! 
(o,  Viva  Maria  la  Piatati  1) 


52  GIUOCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Vedi  PiTRB,  Canti  pop.  sic,  n.  765,  e  Raccolta  amplissi- 
ma ^  n.  2285. 

Lo  stesso  si  fa  in  tutta  Italia.  Nella  Sardegna  centrale, 
cioè  nel  Logudoro: 

A  quaddu,  a  quaddu  a  Santu  Milana 
Pesadi  chizzi,  de  bona  mangianu. 
Insedaddiddu  su  scarafacciu 
Poni  bandera  de  paperi  stracciu, 
E  si  ti  nanta  fillu  e  chini  sesi 
Nara  chi  ses  fillu  de  concu  Spinaciu. 

(Vedi  CoRAzziNi,  p.  24,  n.  1,  ed  anche  il  n.  2).  Altri  canti 
per  lo  stesso  passatempo  infantile  in  Siena ,  Benevento , 
Venezia,  Chioggia ,  Verona,  Bologna ,  reca  lo  stesso  Rac- 
coglitore. 
In  Biceglie: 

A  cavali  a  cavali 
E  lu  Re  de  Portugall  » 

Ch^  ti  port  la  trumett 
Bu  bu  cavallett...  (Ined.) 

In  Napoli,  secondo  Molinaro,  p.  20,  n.  5,  si  dice  : 

Arri  arri,  cavalluccio, 
Ce  ne  iammo  a  Murcugliano 
Ci'  accattammo  nu  bello  ciuccio, 
Arri  arri,  cavalluccio. 
Arri  arri, 

ZV  mònaco  va  a  cavallo, 
E  lu  ciuccio  nun  puteva, 
E  zi'  mònaco  s'  accedeva. 

E  diversamente  a  p.  27,  n.  15  ;  p.  30,  n.  20  (per  questo 
ultimo  vedi  la  variante  del  Serio  nel  Vernacchio ,  p.  43): 
p.  31,  n.  21;  p.  35,  n.  25;  p.  39,  n.  30;  p.  41  ,  n.  31.  Altri 


MMÈ,   MMÈ,   MMÈ  53 

Arri  di  Napoli  sono  in  Casbtti  e  Imbriani,  voi.  II,  p.  404 
e  405;  un  altro  avellinese  in  quest^ultimo,  Canti  pop,  avelli- 
nesi, p.  108. 
In  Pomigliano  d'Arco: 

Arre,  arre  !  a  Napule  1 
A  truvare  mastu  Ghiacule. 
Mastu  Ghiacule,  'o  cusetore, 
Nce  ha  cusute  'nu  bella  appone; 
Nu  bellu  *ppone  e  'na  vunnella  ! 
E  curre  Porzia  e  Menechella  l 

(Imbriani,  L.  Canzonette,  n.  VI ,  ed  anche  nn.  VII,  XII 
«  XIII). 
In  Pratovecchio  nel  Casentino  : 

Arri  arri,  cavallino, 
Piglia  la  soma  e  va  al  mulino, 
Il  mulino  è  rovinato, 
n  mugnaio  s*  è  impiccato. 
S*  è  impiccato  alla  catena; 
La  su*  moglie  la  fa  da  cena, 
E  gli  ha  fatto  un  bello  mimmo. 
Che  si  chiama  Piccerillo; 
Piccerillo  è  andato  in  Francia 
Con  la  spada  e  con  la  lancia 
Con  il  coltellino  in  mano 
Per  ammazzare  il  Capitano.  (Ined,) 

Cft».  con  una  delle  due  canz.  toscane  pubblicate  da  Dal- 
MBDico,  p.  37;  con  quella  senese  del  CoRAZzmi,  p.  58,  e  con 
altre  toscane  di  una  mia  raccoltina  inedita. 

Nelle  Marche  (Gianandrba,  p.  25,  n.  8)  : 

Ballon  ballorì. 
Sette  pecore  al  quadri'; 
Quanno  è  morto  1  pecoraro. 
Ne  daremo  sette  al  denaro; 
Quanno  '1  pecoraro  è  morto. 
Ne  daremo  sette  a  bc^occo. 


54  GIUOCHI 

Questa  qui  è  di  Milano  : 

Tourutusela  cavalun 
Andarèm  fin  a  Gardun, 
Andarèm  fin  a  la  Mela, 
Tourutusela  tourutusela. 

In  Brescia,  dal  primo  verso  della  filastrocca,  questo  pas- 
satempo infantile  si  dice  : 

A  somsà  somlà. 

In  Venezia,  facendo  saltellare  il  bambino,  si  ripete:  (Dal- 
MBDico  p.  36)  : 

Tru  tru,  tru  tru,  cavalo, 
La  marna  vien  dal  baio, 
Co  le  tetine  piene 
Per  darle  ai  fantolini. 
Fantolini  no  le  voi, 
La  marna  ghe  le  tol.. 
Al  baio  nu  andarèmo, 
Un  cavalin  torèmo, 
Col  penachieto  in  su. 
Faremo  tru,  tru,  tru. 

Ed  anche-: 

Andemo  a  la  guera 
Per  mare  e  per  tera; 
E  cataremo  i  Turchi, 
Li  mazzaremo  tuti; 
E  co'  saremo  là. 
Faremo  tera  patata. 

Ed  altri  parecchi  che  sono  nella  Raccolta  del  Bbrnoni  , 
n.  2,  pp.  9-11;  nei  Canti  pop,  veneziani  dello  Stesso,  pun- 
tata Vili,  e  in  BoERio. 
Quest'  altra  è  del  Tirolo  italiano  (Schnellbr,  p.  250,  n.  8f: 

Trot  trot  cavallot 
Tre  putte  su  'nt'  en  trot 


CHISTU  HAVI  FAMI  55 

Una  fila  e  V  altra  taja 

La  terza  fa  '1  cappe!  de  paja: 

Una  fila  e  V  altra  cos 

La  terza  fa  U  capei  de  spos. 

Si  cfr.  con  i  versi  corrispondenti  della  filastrocca  torto- 
nese  di  p.  30  del  presente  volume. 
In  Piemonte  (Sant'  Albino,  635)  : 

Girometa  dia  montagna 
Torna  torna  a  tò  pajis, 
Va  mangè  tóe  castagne, 
Lassa  stè  nost  ris. 

8.  Chistu  havi  fami. 

Si  pigliano,  uno  dopo  V  altro,  i  ditini  del  bambino 
cominciando  dal  mignolo,  e  per  ciascuno  di  essi  si  dice: 

Chistu  (il  mignolo)  voli  pani; 
Chistu  (r anulare)  dici  :  'Un  cci  nn'è;  - 
Chistu  (il  medio)  dici  :  Va  'rrobba; 
Chistu  (Vindice)  dici  :  *Un  sàcciu  la  via. 
Chistu  (il  pollice)  dici  :  Vicchiazzu,  vicchiazzu, 

(camina  cu  mia!  (bis) 
(o  Chistu  dici  :  Camina  cu  mia 
Ca  ti  'nsignu  la  via!). 
(o  Tutti  viniti  appressu  di  mia  !). 

E  nel  dire  queste  ultime  parole,  si  tira  e  dondola  la 
manina  del  bambino. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Trastullo  che  si  ripete  con  le  stesse  parole  in  tutta  Italia; 
in  Terra  d' Otranto  ,  Morosi  ,  Studi ,  II,  p.  39  ;  in  Napoli, 
MoLiNARO,  p.  24,  n.  12;  negli  Abruzzi,  De  Nino,  II,  51-52, 


56  GIUOCHI 

in  Benevento,  Corazzini,  64  ;  nelle  Marche,  Gianandrea^ 
pag.  25,  n.  10;  in  Milano,  col  titolo  IHdon,  Cherubini,  II ^ 
p.  39;  nel  Veneto  coi  titoli  Deo  Menuelo;  Questo  dise;  Que- 
sto ga  fato  7  vovo,  Bernoni,  nn.  1 ,  2,  3  ;  nel  Friuli ,  Co- 
RAZZiNi,  pp.  64-66. 

Il  Morosi  (Studi  sul  dialetti  greci  della  Terra  d'Otranto, 
Lecce,  tip.  edit.  Salentina  1870) ,  offre  la  seguente  tradu- 
zione d'una  forinola  greca  di  Solete  un  po'  differente  dalla 
forinola  comune: 

Pollice  :  Andiamo  a  mangiare. 
Indice:  Che  cosa  mangiamo? 
Medio  :  Prowederà  Cristo. 
Anulare:  Andiamo  a  rubare. 
Mignolo:  Se  io  non  lo  rivelo 

Rimango  cieco  e  mozzo. 
In  Biceglie  : 

CuBse  voìe  pane, 
Cuase  non  ten^. 
Cussi?  vàie  'sci  a  la  scole. 
Cuase  non  \oìe  *8cì. 
Cxìsae  face  chichirichì  (bis). 

9.  Chista  è  la  funtanella. 

Si  prende  la  manina  del  bambino,  e  cominciando  dal 
mignolo  si  vengono  toccando  le  dita  ripetendo  per 
ognuno  di  essi  un  verso  della  seguente  formola  in 
parlata  di  Riesi  : 

Chista  (mignolo)  è  la  funtanella: 
Gei  vivi  r  acidduzzu; 
Chistu  (anulare)  V  ammazza'; 
Chistu  (medio)  lu  spinnà*; 
Chistu  (indice)  lu  cuci' 


MANU  MANUZZI  OLE  57 

E  chistu  (pollice)  si  lu  mancia'; 
Gnà  !  gnà  !  gnà  ! 

fi  cosi  dicendo  si  solletica  la  palma  del  bambino. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Il  CoRAzziNi ,  p.  63-64,  reca  tre  formole  continentali  di 
questo  giochetto.  Eccone  una  di  Verona  : 

^  Manina  bela, 
F&V  a  penela 
Andove  si  tu  sta! 

—  Da  la  marna  e  dal  papà. 

—  Cosa  Vk  i  dà  t 

—  Pane  e  puina. 

—  Gatte  gattina  I 
(0,  —  Pane  e  latte. 

—  Gatte  gatte  !) 

Altre  ne  hanno  le  Raccolte  del  Mounaro  ,  p.  26,  n.  14, 
(similissima  alla  nostra  e  d'altri). 

10.  Manu  manuzzi  ole! 

Vari  bambini  si  prendono  per  he  mani  e  fanno  una 
catena,   cantando  i  seguenti  versi  e  accovacciandosi 

air  ole: 

Maiiu  manuzzi  ole  ! 
Ha  vinutu  lu  Viciarrè; 
Ha  purtatu  'na  cosa  nova, 
Cascavaddu  fritta  cu  V  ova. 
Ole! 

PiTRÈ,  764.  Altri  Ole  abbiamo  nella  Raccolta  am- 
plissifna,  cap.  XXVII. 
Alla  stessa  maniera  si  canta  in  Frizzi  : 


58  GIUOCHI 

Lera,  lera,  bedda  gulera, 
Jernmii  a  'ccattari  la  tila  a  la  fera; 
A  la  fera  nun  cci  nn'  è: 
A  santu  Roccu  ca  cci  nn*  è  ! 
Cu  cu  cu  cu! 

Molto  simile  è  il  seguente  [Rota  7^tedda), 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Biceglie  1  fanciulli  fanno  lo  stesso  giuoco  cantando  : 

A  la  longa,  a  la  longa, 
Ed  è  mòurt  Pagghialuonga; 
E  s'è  sciate  serra, 
A  la  Chiesa  Sant  Paufó; 
Paule  è  d*argèinte, 
E  mò  face  bone  teimpe; 
E  tèimpe  è  cinquanta, 
E  la  notte  canta  canta; 
E  canta  la  viola, 
E  u  mest  woìe  se   a  la  scola; 
E  scola  e  maistre, 
Mo  passe  Giesu  Criste, 
E  tuorce  appicciate 
E  cannele  'statate, 
E  u  lèit  chine  de  rose, 
E  u  Bambine  Giesù  riposa. 
Posa  !  (Ined.) 

11.  Rota  rutedda. 

In  Riesi  questo  divertimento  è  detto  A  collari. 

Varie  bambine  (qualche  volta  anche  bambini)  si  pren- 
dono tutte  per  le  mani  e  fanno  un  cerchio  girando 
in  tondo  e  cantando  : 


ROTA  RUTEDDA  59 

Rota  rutedda, 
Lu  pani  a  fedda  a  fedda, 
La  missa  sunò, 
L'ancilu  calò, 
E  calò  a  dinucchiuni. 
Quantu  è  beddu  lu  Signuri! 
Ole! 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nella  Terra  d'  Otranto  i  fanciulli  canticchiano  qualche 
canzonetta  o  ripetono  rapidamente  le  sillabe  insignificanti 
ku  leu ,  fino  a  che  accovacciandosi  profferiscono  cicileu  ! 
(Di  Simone,  ioc.  cit.  p.  568). 

Simile  è  in  Napoli  (Amalfi  e  Correrà,  L.  Canti,  n.  I)  e 
le  fanciulle  lo  ripetono  facendo  un  giro  tondo  e  girando 
continuamente  a  meno  di  una,  la  quale ,  stando  in  mezzo 
ritta,  all'ultimo  verso  impone  ad  una  delle  compagne  d'in- 
ginocchiarsi (p.  25).  In  Napoli  stesso  '<  pigliandosi  per  mano 
e  voltando  in  giro  più  fanciulli ,  che  col  proferir  V  ultima 
parola  dell'  ultimo  verso,  si  accovacciano,  »  dicono  : 

Vota  vota  li  munacelle, 
Munacelle  venite  cà: 
Bella  pazzia  vulimmo  fa; 
Fècheto  fritto  e  baccalà: 
Pepe,  cannella  e  caruofenà. 

Imbriani,  Un  nmcchietto  di  gemme,  p.  17;  Molinaro, 
p.  43,  n.  34,  ed  anche  35  e  36;  Serio,  Lo  Vernacchio, 
cap.  V,  p.  42.— Casetti  e  Imbriani,  voi.  II,  p.  368,  ne  hanno 
una  variante  di  Pietracastagnara,  in  Principato  Ulteriore. 
Altra  è  in  Galiant,  Del  Dialetto  napoletano,  ediz.  secon- 
da, p.  115;  Napoli,  MDCCLXXXIX. 
Una  canzonetta  della  Garfagnana  Estense  : 


60  GIUOCHI 

Giro  tondo  deiramore 
Schiaccia  le  noci  e  fa  *1  savore, 
Il  savore  della  Sandrina: 
SUnginocchia  la  più  piccina.  (Ined.) 

Ed  un'  altra  edita  : 

Giro,  giro  tondo, 

n  pane  come  un  pan  tondo. 

Un  mazzo  di  viole. 

Per  darle  a  chi  le  vuole. 

La  le  vuole  la  Sandrina, 

Caschi  in  terra  la  più  piccina.  i 

I 
Dalmbdigo,  p.  41,  e  A.  Traina,  Nuovo  Vocabolario  si-    , 

ciliano  italiano,  alla  voce  Rota.  Lo  stesso  Daucbdico,  pa- 
gina 40,  riferisce  questa  versione  veneziana: 

Baio,  baio  tondo. 
De  soto  la  viola...  i 

Bela  dona  mi  sarò,  i 

Scarpe  e  zocoli  gavarò.  I 

E  quel  vechio  strassinà 
A  magna  la  mia  pana. 
Senza  ogio  e  senza  sai: 
Bùtilo,  bùtilo  in  canal. 
E  quesV  altra  : 

Bovolo,  bovolo  canarin 
Dèghe  da  beve'  a  sto  fantolin. 
Dèghene  poco,  dèghene  assàe. 
Per  l'amor  de  le  schiopetàe. 
Schiopetàe  che  va  a  la  guera: 
Tuti  col  culo  per  tera. 

E  tutti  i  bambini  si  accovacciano.  Altre  canzonette  vene- 
ziane pel  girotondo  fanno  i  fanciulli  veneziani  ;  Bernoni, 
nn.  29,  30. 
In  Pomigliano  d'  Arco  (Imbriani,  L.  Canzonette,  n.  I)  : 


LU  CAVADDU  61 

Vota,  vota,  Maria-Michele, 
Notte  e  ghiuorne  sse  ne  vene; 
Sse  ne  vene  pe*  Santa-Maria, 
Vota,  vota.  Michele  mmio  I 

E  lo  stesso  in  Avellino  (Imbriani,  Canti  pop,  avelL,  pa- 
gine 71  e  109. 

Tutto  il  giuoco  è  detto  in  Firenze  ,  Girare  in  tondo  o 
Fare  il  giro  tondo ,  in  Lucca  Far  bindolo ,  in  Milano  Bà 
bicocchin. 

12.  Lu  cavaddu. 

Passatempo  de'  fanciulli  della  prima  età,  i  quali  pren- 
dono un  manico  di  granata ,  una  canna ,  un  bastone 
qualunque,  e  mettendolo  tra  le  gambe  camminano  so- 
pra di  esso,  corrono,  saltano  sferzandolo  con  un  fru- 
stino od  altro  come  se  di  fatto  andassero  a  cavallo. 
A  volte  le  frustate  le  dà  un  altro  fanciullo. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Hiceglie  Fa'  'u  cavadde;  in  Firenze  Fare  a  andar  a 
cavalcioni  alla  mazza;  in  Parma  C«t?a?  (Malaspina,  I,  389); 
in  Milano  Giugà  a  cavalon  (Cherubini,  II,  265);  in  Venezia 
Zogàr  a  cavalo  (Boerio,  817);  in  Piemonte  Giughè  a  ande 
a  cavai  al  baston  o  a  cavaloto  (Sant'  Albino,  639). 

13.  A  scarfa-manu. 

In  Grirgenti  A  maniccUla;  in  Riesi  A  manu  càvudi; 
in  Menfi  A  "inani  càvuda;  in  Milazzo  A  i^asteddi  fitti; 
in  Messina  A  inani  e  manìtti;  in  Gioiosa  A  manu 
manuzzi;  in  Avola  A  caurla-fen^. 


62  GIUOCHI 

Vari  fanciulli,  da  tre  a  quattro  per  lo  più,  posano 
ciascuno  le  proprie  mani  alternamente  e  ordinatamente 
r  una  sulFaltra,  sopra  la  gamba  d'uno  di  loro  stando 
seduti.  Indi  chi  1'  ha  prima,  cioè  più  in  fondo,  la  trae 
fuori  e  la  posa  sulla  mano  più  alta  ;  cosi  con  movi- 
mento continuo  vanno  facendo  i  giocatori  riducenda 
più  volte  ultime  e  più  alte  le  mani  che  erano  prime 
e  più  basse.  A  misura  che  il  giuoco  progredisce  si  fa 
più  rapido  e  animato,  finché  riscaldate  le  mani  i  gio- 
catori si  bisticciano.  Talora,  chi  non  è  pronto  a  trarre 
fuori  la  mano  quando  gli  tocca,  paga  una  penitenza. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Biceglie  A  mane  rosse  ;  in  Toscana  e  tutta  Italia  A 
scaldamani  (Pico  Luri  di  Vassano,  Proverbi  e  modi  di 
dire,  p.  291-292;  e  Almanacco  dei  fanciulli  per  V  a.  1873, 
p.  21)  ;  in  Bologna  Far  i  castagnaz;  in  Parma  A  scalda'' 
mani  (Malaspina,  IV,  44);  in  Brescia  A  manatola  o  A  pu- 
gnJ^t  ;  in  Venezia  e  Padova  A  le  manatole  (Bobrio  e  Pa- 
TRiARcm);  in  Piemonte  A  pan  pugnet  (Sant'Albino,  p.  39). 
I  bambini  veneziani  sovrapponendosi  le  mani  dicono  : 

Manatole, 
Fatatole; 

Sul  ponte  de  la  Guera 
Ghe  giera  'na  putela 
Che  beveva  un  goto  de  vin 
Viva,  viva  San  Martin  1 

14.  Tuppl  Tuppi. 

In  tutta  l'isola  è  chiamato  cosi,  ma  in  Noto  'A  Jat- 
taredda,  in  S.  Lucia  'U  jocu  a  (della)  cummari. 


TUPPI  TUPPI  63 

Due  o  più  fanciulli  poggiano  Tuno  suir  altro  alter- 
namente i  loro  pugni  chiusi,  col  pollice  però  disteso, 
ritto  in  modo  da  formare  una  colonna.  Uno  di  essi 
va  risalendo  con  le  dita  (indice  e  medio)  della  mano 
libera  dal  basso  air  alto,  e  scendendo  ripete  : 

^cchiana,  acchiana, 
Ch'  è  longa  la  scala; 
Scinni,  scinni, 
Cu  r  ali  e  li  pinni. 

A  quando  a  quando  picchia ,  e  ha  luogo  il  seguente 
dialogo  tra  lui  e  quello  di  cui  tocca  il  pugno  : 

—  Tuppi  tuppi  ! 

—  Cu*  è? 

—  Sta  oca  'a  batissa? 

—  Chi  valiti? 

—  L' aviti  'u  criscinteddru  ? 
— Apriti  'u  casciuneddru. 

Il  fanciullo  che  ha  picchiato  apre  il  pugno  del  com- 
pagno, e  non  trovando  nulla  dice  : 

—  Nun  ce'  è; 

e  col  dito  torna  a  picchiare  e  a  ripetere  la  stessa  storia. 
Quando  arriva  airultimo  pugno  e  s'  è  finito  il  dialogo, 
alla  domanda  : 

L'  aviti  'u  criscinteddru? 

l' altro  risponde  : 

—  La  gatta  s'  'u  manciau, 

e  tutti  rompendo  la  colonna  si  bisticciano  con  le  mani 
fingendo  di  voler  cacciare  il  gatto  : 

Chissi  !  chissi  I  chissi  I 


64  GIUOCHI 

Questo  giuoco  si  fa  in  Marsala ,  Mazzara,  ecc. ,  ed 
accenna  alFuso,  frequente  là  dove  si  fa  il  pane  in  fami- 
glia, di  cercare  il  lievito  [criscinteddu)  tra  le  vicine 
quando  per  qualsiasi  cagione  non  se  ne  abbia. 

In  Palermo  i  fanciulli  che  formano  coi  pugni  la  co- 
lonna sono  sempre  più  di  due;  il  capo-giuoco,  nel  levar 
la  mano  con  la  lentezza  che  vuol  imitare  la  salita  della 
chiocciola  [babbaluciu),  va  sillabicando  : 

Acchiàna,  acchiana,  babbalucieddu, 

e  fa  questo  dialogo  col  bambino  di  cui  picchia  il  pu- 
gno : 

.—  Tappi  tuppi  ! 
-^Cu'  è? 

—  Sta  oca  Mastr'  Antuninu  ? 

—  Cchiù  'n  coppa,  cchiù  'n  coppa. 

Qui  salisce  in  cerca  di  Mastr'  Antuninu  ,  e  ripete  il 
dialogo,  finché,  alla  terza  volta,  il  dialogo  è  questo  : 

—  Tuppi  tuppi  ! 
-Cu  è? 

—  Sta  ccà  Mastr  Antuninu? 

—  Ccà  sta  ! 

—  Sarvatimi  stu  pani  e  pisci. 

Stati  accura  si  s'  'u  mancia  'a  'atta. 

E  scende  cantarellando  : 

Scinni,  scinni,  babbalucieddu  ! 

e  torna  a  picchiare,  e  rifa  il  solito  dialogo,  e  giunto 
air  ultimo  piano,  dove  fu  consegnato  il  pane  col  pesce, 
lo  richiede  per  ridiscendere  ;  ma  V  ultimo  piano  ri- 
sponde : 

—  'A  'atta  s'  'u  manciò. 


TUPPI  TUPPI  65 

E  qui  il  solito  bisticcio  per  cacciar  via  il  gatto  : 
Chissi  !  chissi  I  chissi  ! 
In  Noto  varia  cosi  il  dialogo  : 

—  Ccà  chi  ce'  è  ? 

—  Pani  e  vinu. 

—  A  cu'  'u  puorti  ? 

—  A  San  Martinu. 

—  Chi  ti  duna? 

—  'U  carrinieddu. 

—  Leva,  leva  ssu  martieddu  ! 

E  si  leva  un  pugno;  cosi  si  fa  ricominciando  il  giuoco 
fino  a  uno.  Allora  si  domanda  :  —  «  Cummari  ,  din 
vistu  'na  jattareddajanca  e  nìura  ?  Mentri  ca  facla 
'w  pani ,  si  'piggiau  'u  criscenti ,  e  si  ni  'iju,  »  — 
«  Gnirnò,  nun  V  haju  vistu,  »  —  «  Ma  pir  si  e  pir  no, 
viditi  nrC  è  casciunedda,  »  Il  domandato  comincia  ad 
aprire  ad  uno  ad  uno  i  diti,  air  ultimo  de*  quali  dice  : 
—  «  Ccà  è  !  »  e  si  finisce  con  un  chissi  chissi  !  quasi 
si  cacci  via  il  gattino  o  la  jattaredda,  che  dà  il  nome 
al  giuoco. 

In  Licata  il  dialogo  è  questo  : 

Scala  scalidda 
Ch'  è  longa  sta  scala  !  (bis) 

—  Tuppi  tuppi. 

—  Cu'  è  ? 

—  'U  parrinieddu. 

Chi  mangiau  a  manziornu? 

—  Maccarruna. 

—  Mi  nn'  auzzau  a  mia? 

G.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  5 


66  GIUOCHI 

—  Un  pratticieddu  *. 

—  Cu'  s'  'u  mangiau? 

—  'A  jatta. 

—  Chissi  !  chissi  ! 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
In  Biceglie  A  la  ciminera;  e  il  dialogo  è  questo  : 

—  Tuppè  tuppè. 

—  Chi  è? 

—  Stè  meste  Francisch? 

—  Cchiù  sièuse. 

Quando  si  è  arrivati  sopra,  all'  ultimo  pugno,  il  dialogo  è 
cosi: 

—  Stè  meste  Francisch? 

—  Gnursì. 

—  Ce  stè  a  fàM 

—  Stè  a  fric«'  'u  pesc«. 
»-E  la  capa  a  cci  la  dèf 

—  0  caen. 

—  E  la  spina  % 

—  A  la  gatte. 

E  tutti  si  bisticciano  gridando  : 

—  Scitte,  gatte  !  scitte,  gatte  !  ecc.  (Ined,) 

Il  giuoco  evidentemente  è  di  Napoli,  dove  corre  cosi,  se- 
condo una  versione  che  ne  ho  raccolta  io  : 

—  Tuppè  tuppè. 

—  Chi  è  ? 

1  Chi  manffiau  ecc.  Che  cosa  ha  ella  mangiato  a  mezzogiorno  (a 
pranzo)?  —  Maccheroni.  —  Mene  ha  ella  conservati  (per  me)? — Un 
piattino. 

Notisi,  cosa  da  me  già  notata  altrove  {Fiabe^  v.  I,  p.  CCXXIV),  che 
nel  parlar  popolare  il  tempo  passato  prossimo  si  espr  me  col  pas- 
sato rimoto. 


A  CAVULICEDDI   COTTI  67 

C  è  masto  Nicola  t 
•—Chiù  'n  coppa. 

—  C  è  masto  Nicola  ? 

(Domanda  e  risposta  che  si  ripete  da  cinque  a  sei  volte). 

-.Si. 

—  Ha  fatto  a  galessa? 

—  Meza  si  e  meza  no. 

—  E  Animinola  *i  scassa*  I 

e  dicendo  i  due  giocatori  ad  una  voce  quest'  ultimo  verso 
si  bisticciano. 

In  Benevento  si  ha  pure  col  titolo  di  Tuppe-tuppe ,  Co- 
RAzziNi,  p.  72;  in  Firenze  A  pugnino;  in  Colle  di  Val  d'Elsa 
A  pizzichino  ,  dal  pizzicare  che  si  fa  le  dita  Y  uno  dopo 
l'altro;  nelle  Marche  Scali  scali  y  Gianandrea,  p.  25,  n.  9; 
in  Ferrara  A  pugn-pugnetta;  in  Venezia  A  pugni  pugneti; 
Bernoni,  n.  17;  nel  Monferrato  A  pign-pignett,  Fbrraro, 
Cinquanta  Giuochi,  n.  XI. 

15.  A  Cavulieeddi  cotti. 

A  coddu  ciareddu  in  Milazzo. 

Un  fanciullo  od  anche  un  adulto  fa  da  venditore  di 
cavulieeddi  o  cavoli  perfilati,  si  carica  sulla  schiena 
un  bambino  che  raffigura  questa  merce,  e  tenencione 
le  braccia  attorno  al  collo  e  sorreggendogli  con  cia- 
scuna mano  le  cosce  e  le  gambe,  viene  gridando  : 

Cavulieeddi  cuotti  ! 

Chi  su'  càudi  e  chi  su'  cuotti  ! 

E  cammina.  Nell'andare,  un  compratore  ne  vuole,  p.  e., 
un  soldo,  e  mostra  di  metter  nelle  mani  del  cavulicid- 
daru  la  moneta.  —  Pigghiatvvilli,  gli  dice  il  venditore, 


68  GIUOCHI 

e  gli  esibisce  il  di  dietro  del  suo  carico;  che  il  com- 
pratore solletica  0  pizzica,  fingendo  di  prender  la  roba 
acquistata. 

In  Palermo  e  nella  provincia  si  fa  anche  il  giuoco 
a  FinuccMeddi  di  muntagna,  in  cui  il  venditore  di 
finocchi  selvatici  {Foeniculum  vulgare)  viene  gridando 
verso  a  verso: 

Finucchieddi  di  muntagna! 
Mastru  Minicu  si  'ncagna, 
Si  'ncagna  pi  la  zita, 
Cà  la  voli  sapurita  ! 
(o,  Mastru  Minicu  taddarita  !) 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Non  so  se  fuori  Sicilia  il  Portare  a  cavalluccio  (Carena, 
Yocab,  ital.  dom,,  e.  I,  §  4)  prenda  la  forma  del  nostro 
giuoco;  certo  è  che  in  Parma  si  suole  Zugar  a  portars  a 
cavai,  o  in  gropa,  o  al  spali;  in  Venezia  Zogàr  a  portarse, 
Zogàr  a  cavaleto  (Boerio). 

16.  A  lu  Lattàru. 

Un  bambino  fa  da  lattaio,  che  conduce  le  sue  capre 
e  pecore,  come  comunemente  si  usa.  Altri  bambini,  car- 
poni, fan  da  pecore  e  capre,  e  nell'andare  imitano  con 
mmèe  prolungati  e  ripetuti  il  belato  degli  animali  che 
rappresentano.  Un  avventore  vuole  del  latte;  il  lattaio 
ferma  una  capra,  e  fa  come  per  premerla.  Alcuni  fan- 
ciulli si  lasciano  mungere,  altri  airavvicinarsi  del  lat- 
taio scappano. via  per  non  sentire  il  dolore  che  il  di- 
spetto e  la  imprudenza  del  lattaio  potrebbe  cagionai' 
loro. 


A  LA  PAPPA-CUCINEDDA  09 

È  giuoco  di  cosi  tenera  età  che  il  lattaio  prende  per 
poppe  Vuccellino  de*  bambini. 

17.  A  la  Pappa-eucinedda. 

In  Milazzo  A  gnagnaredda. 

Più  che  giuoco,  è  passatempo  e  trastullo  delle  bam- 
bine, le  quali  riunendosi  in  molte  portano  ciascuna 
qualcosina  da  mangiare,  che  formerà  un  piatto^  come 
la  pasta,  il  cacio,  il  pesce,  la  insalata.  Vi  è  per  lo  più 
una  di  loro  che  appresta  la  cucina,  cioè  gli  utensili 
e  le  stoviglie:  quelle  stesse  che  dicono  di  la  pupa^ 
comperate  nelle  fiere.  Il  pranzetto  è  chiamato  Pappa- 
cucinedda,  perchè  le  bambine  cominciano  sboccon- 
cellando il  pane  e  raccogliendone  i  minuzzoli  in  una 
pentolina.  Del  resto  fanno  a  cuocer  la  pappa,  o  a  fin- 
gere di  cuocerla,  per  mangiarla  tutte.  Una  di  loro  fa 
coperchio  alla  pentolina  con  la  m  ano  sinistra  a  coppu^ 
indi  pizzicando  con  le  dita  della  mano  opposta  il  dosso 
della  mano  stessa  viene  sillabando: 

Pappa,  pappa-cucinedda, 
E  cucòmula  bedda  bedda; 
(o,  Figghiau  la  gattaredda;) 
Siddu  è  cotta  nn'  'a  manciamu, 
Siddu  è  cruda  la  jittamu. 
Tastamu,  cummari! 
Tastamu,  cummarii 

E  preso  un  minuzzolo  lo  assaggia  come  per  vedere 
se  sia  cotto;  se  crede,  e  le  compagne  credono  del  pari, 
che  sia  cotto,  mangia  con  esse;  se  no ,  butta  via  il 
pezzettino,  e  si  ricomincia  il  divertimento. 


70  GIUOCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Questo  trattenimento  infantile ,  che  1  Toscani  chiamano 
Le  merenduccet  è  ricordato  dal  Lippi  nel  Malmantile,  e.  II, 
st.  48,  ed  illustrato  dal  Minucci,  v.  I,  p.  200.  Nel  Barese 
lo  dicono  A  la  mbrenna.  Il  Gianandrea  lo  descrisse  per  le 
Marche  sotto  il  titolo  di  Pranzetto,  n.  31  ;  il  Ferraro  sotto 
quello  di  Le  Famigliuole  pel  Monferrato,  e  di  'C7  gnuri  e 
la  gnura  per  le  Calabrie,  n.  14  della  sua  Raccolta;  Boerio  lo 
dice  A  le  marendàe  per  Venezia. 

18.  A  li  Cummari. 

In  Milazzo  A  li  cummareddi  ;  in  Modica  A  lU  fig- 
giaXa, 

In  questo  giuoco  vengono  riprodotti  tutti  gK  usi  che 
accompagnano  la  nascita  d'un  bambino.  Una  delle  fan- 
ciulle si  mette  un  guancialetto  sotto  la  gonnella,  e  finge 
la  donna  incinta.  Viene  la  mamma,  vien  fuori  il  neo- 
nato, che  è  portato  al  fonte  battesimale;  c'è  il  prete, 
il  compare  e  la  comare,  e  il  ritorno  dal  battesimo,  e 
i  dolci  che  vanno  in  giro,  rappresentati  per  lo  più  da 
mollica  di  pane. 

Per  questi  usi  cfr.  il  mio  voi.  di  Usi  natalizi^  nur- 
ziall  e  funebri,  p.  172;  Pai.  MDCCCLXXIX. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

«  Questo  giuoco,  scrive  il  Minucci  (note  al  Malmantile, 
V.  I,  p.  199),  è  trattenimento  di  fanciuUette  e  lo  fanno  cosi. 
Mettono  una  di  loro  in  un  letto  con  un  bamboccio  fatto  di 
cenci:  e  fingendo,  che  colei  abbia  partorito,  le  fanno  rice- 


A  QUALI  CHIUJ  DI   CRISTI?  71 

vere  le  visite  da  altre  fanciuUette,  con  far  quelle  cerimonie 
ed  accompagnature,  che  si  costumano  in  occasione  di  vere 
partorienti».  Ed  aggiunge  che  le  fanciulline  toscane  lo  chia- 
mano Fare  alte  zie,  —  Le  bresciane  lo  dicono  A  la  siora 
cornar  (MelchioriJ;  le  veneziane  A  la  comareta  (Bobrio). 
Fu  usato  ancora  dalle  fanciuUette  greche,  secondo  Giulio 
Polluce,  lib.  IX,  e.  7,  ma  invece  che  d'una  partoriente,  fin- 
gevano una  sposa. 

19.  A  Quali  chiuj  di  chisti  ? 

Di  due  fanciulli  che  giochino  insieme  uno  apre  la 
mano  e  ne  chiude  solamente  il  terzo  e  il  quarto  dito;  e 
chiede  all'altro:  Qaali  chiuj  di  chisti  '^  Se  questo  piega 
il  mignolo,  restano  aperti  il  pollice  e  l'indice,  e  quello 
gli  dà  del  digiuno  o  del  povero;  se  piega  l'indice,  re- 
stando aperti  il  pollice  ed  il  mignolo,  gli  fa  il  gesto 
che  significa  tignoso;  e  se  il  pollice,  gli  fa  le  corna. 

Per  la  spiegazione  di  questi  segni  vedi  il  mio  arti- 
colo Gesti  ed  Insegne  del  popolo  siciliano  [Rivista  di 
Letteratura  pop.,  fase.  I,  p.  34;  Roma,  1877). 

20.  A  Vivu  0  mortu  ? 

Le  due  mani  si  uniscono  intrecciandosene  le  dita  in 
modo  che  solo  il  medio  della  destra  resti  libero  di  muo- 
versi fra  entrambe  le  mani  che  si  ravvicinano.  Allora  si 
chiede  a  un  compagno:  Vivu  o  mortu  ì  cioè  se  il  dito 
libero  che  è  chiuso  tra  le  due  palme  sia  vivo  e  si  muo- 
va, 0  morto  e  non  si  muova  più.  Se  quello  dice.t?ii?w,  il 

*  Quale  (dito)  di  questi  tu  chiudi? 


72  GIUOCHI 

giocatore  aprendo  le  mani  lascia  il  dito  immobile; 
viceversa,  se  quello  dice  mortu;  cosicché  il  giocatore 
vince  sempre,  ma  non  vince  nulla,  perchè  è  un  sem- 
plice passatempo  da  bambini. 

21.  A  Si  Valeri. 

Si  dice  anche  Savalerl  (Palazzolo);  Suvaleri  (Noto); 
Ciuvaleri  (Avola)  ;  'Nzufaleri  (Acireale)  ;  'Nzifaleri 
(Siracusa)  ;  Giuf aieri ,  Giufalè ,  Giuvaleri  (Messina); 
Ciuviddu  a  porta  (Licata). 

Un  fanciullo  chiude  in  una  mano  avellane ,  o  ceci 
abbrustoliti,  o  nocciuoli  d'albicocche  o  altro,  e  chie- 
de ad  un  compagno  che  ne  indovini  il  numero,  fa- 
cendo questo  dialogo  : 

—  Sivaleri. 

—  Chi  manteni  ? 

—  Quanta  lanzi?  ' 

Se  nella  risposta  il  secondo  si  appone,  vince;  se  no, 
deve  rifar  tante  avellane  o  nocciuoli  quanti  ce  ne  vuole 
al  numero  in  più  o  in  meno  nel  pugno.  Cosi  se  ri- 
sponde, p.  e.,  dioe,  e  nel  pugno  ve  n'  è  cinque,  dee 
rifarne  tre. 

In  Palazzolo  il  Quantu  lanzi  ^  diviene  Quanta  va- 
lanzi?  ed  il  Chi  mantenil  Quantu  minteriì  in  Sira- 
cusa Fummanteni?  in  Avola  Frammanteri  ?  in  Cata- 
nia Suppatteri?  altrove  Tripateri? 

Questo  dialogo  ha  delle  varianti  in  tutta  V  isola. 
In  Santa  Lucia  : 

—  Ammentè. 
Quantu  lanzi  ce'  è  ? 


A  SIYALERI  73 

In  Alimena  : 

—  Nsiminti. 

—  *Nsimmula  pù. 

—  Quantu  'mpù? 

—  Tri  (o  altro  numero). 

In  Cianciana  : 

—  Masaù. 

—  Quantu  'mpù  ? 

In  Ventimiglia  : 

—  MilicìS. 

—  Me'  su'. 

—  Quantu  su'? 

Altrove  : 

—  Minicù 

—  Quantu  su'  ? 

In  Niscemi  e  Caltagirone  : 

—  Nzàghira  porta? 

—  Miseria  di... 

—  Quantu  porta? 

—  Miseria  tri... 

In  Polizzì  : 

—  'Nsimma  porta. 

—  Nsimintina. 

—  Quantu  'mporta? 


In  Riesi 


—  Cicirimigna  la  porta. 

—  Simintorta. 

—  Quantu  'mporta? 

—  Tri  ecc. 


74 

GIUOCHI 

In  Comiso  : 

— 'Nzaja  0  porta? 

—  Lassatimi  'ntrari. 

—  Quantu  *mporta  ? 

—  Miseria  di  tri. 

In  Ragusa  Inferiore  : 

—  'Nzertami  *a  porta. 

—  Quantu  spisa  porta  ? 

—  Porta  (un  numero  qualunque) 

—  No;  tri  (o  altro  numero). 

In  Chiaramonte  chi  serra  le  avellane  in  pugno  dice: 

—  *Nzaredda  e  porta  ? 

L'altro  volendo  giocare  un  grano  (cent.  2  di  lira)  ri- 
sponde : 

—  Mittièmuci  un  granu. 
Il  primo  ripiglia: 

—  Quantu  zicca  e  porta  ? 
Ed  il  secondo  : 

—  Robba  (o  Cosa)  di  tri  (o  altro  numero). 

Legame  tra  il  presente  giuoco,  che  serve  a  indovi- 
nare il  quanto,  ed  il  seguente  A  tamcla  vecchia,  che 
serve  a  indovinare  il  dove,  è  il  Siminzè  palermitano, 
in  cui  uno  domanda  : 

—  Siminzè,  siminzè, 
*Nzerta  unn'  è. 

Il  Sivaleri  in  Messina  fu  raccolto,  e  poi  nel  1759 
descritto  dal  protopapa  siculo-albanese  Gr.  Vinci: 
«  Giufalè  :  puerilis  ludus  ita  expressus:   duo  pueri 


A   SIVALERI  75 

nucibus  avellanis  sic  jocantur,  ut  unus  pugno  clauso 
quot  voluerit  avellanas  occultet  et  socio  suo  dicat  Giù- 
fole,  cui  hic  respondeat:  Che  sporte  ì  Tum  ille  subjun- 
gat  :  Quantu  lanzi  ?  Hic  vero  divinando  dicat  :  sei, 
odo  ecc....  Jocus  iste  ex  verborum  accentu  videtur 
esse  e  gallicis  vocibus  conflatus,  ut  GiufcUè  sit  Giù 
vcUlet,  idest  Joca  ptùer;  che  sporte?  denotet  quid 
portcUis  ?  Alter  dicit  quantu  lanzi  ?ì^qsX  quantas  lan- 
ceas?  Scimus  pueros,  seu  servìentes  armorum  por- 
tasse dominorum  lanceas.  [Etymologicum  siculum, 
alla  voce  GiufaXè),  » 

L' Avolio,  nella  forma  comune  a  tutta  l'isola,  lo  ri- 
tiene «  portato  dai  Romani;  i  quali  lo  dicevano  in  que- 
sto modo  :  Si  voler is  ì  —  Quid  tenetì — Quantum  latetì 
—  quinque,  ecc.  Il  popolo  siciliano  ignora  il  signifi- 
cato della  voce  SuvaXeri  o  Sivaleri,  e  Tadopera  mec- 
canicamente. Però  dovea  comprenderlo  con  certezza 
al  tempo  in  cui  fu  introdotto  in  Sicilia  dai  legiona- 
ri romani.  Esso  dovea  sapere  cbe  su  voleri  o  si  vo- 
leri significa  se  volessi,  o  se  vuoi,  o  non  so  se  vor- 
resti ».  {Canti  pop.  di  Noto.,  pp.  67-68.  Noto,  1877). 

Né  diversamente  nota  il  Traina  ,  Nuovo  Voc.  sic, 
ital.,  pag.  662. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Calabria  corrono  questi  versi  : 

— >  Zipparu  0  cucchiaru  ? 

—  Canu  appriessu; 

—  Quantu  cani 
Ci  ha  sta  madu  ? 

Negli  Abruzzi,  le  fanciulle  di  Cittaducale  lo  dicono  Piglia 


70  GIUOCHI 

0  metti  (De  Nino,  voi.  II,  n.  XXVII).  In  Toscana  Sbricchi 
quanti?  In  Venezia  corrisponde  al  Puntichiò  (Boerio),  o 
Punti  punti  ciò!  (Bernoni  n.  20),  ed  eccone  la  domanda: 

Punti  punti,  ciò  1 
Quanti  ani  gà  el  mio  bò  f 
Quanti  glie  ne  vusto  ì 
Quanti  ghe  ne  tusto? 

Lo  stesso  giuoco  descrive  V  Utile  dulci ,  n.  XVIII  :  Le 
uova  nel  cespuglio.  Chi  presenta  la  mano  chiusa  colla  pal- 
lottolina domanda  :  Quante  uova  nel  cespuglio  ? 

22.  A  Tavula  vecchia. 

Altro  titolo  non  palermitano  è  Avvisami  oca  1  In 
Cianciana  Baccarà  ì)axicaredda, 

Traendoli  di  tasca,  uno  di  due  giocatori,  chiude  in 
un  pugno  pochi  acini  di  calia  (ceci  abbrustoliti) ,  o 
fondelli,  o  una  monetina,  o  avellane;  e  passandoseli  di 
dietro,  che  nessuno  li  vegga,  da  mano  a  mano,  pre- 
senta all'altro  giocatore  i  due  pugni  chiusi  accostan- 
doli alternamente  alla  propria  bocca  e  sillabando  que- 
ste parole  : 

Tà-vula  vè-cchia,  tà-vula  nova, 
Unni  si  à-scia  e  ù-nni  si  trò-va? 
(o,  Si  'un  è  ccà,  ccà  si  trova) 
Ccà  0  ccà? 

e  nel  dire  ccà  o  ccà,  accosta  prima  il  pugno  destro, 
poi  il  sinistro  alla  bocca  chiusa.  Se  quello  si  appone 
nell'indicare  il  pugno  che  racchiude  i  ceci,  le  avellane 
o  altro,  vince  i  ceci  stessi,  o  ciò  che  è  stato  pattuito. 
In  Cianciana  chi  chiude  i  pugni  ripete  al  compagno: 


A  TAVULA  VECCHIA  77 

—  Baccarà 
Baccaredda. 

—  S'  'un  è  Luca, 
È  sangisuca. 

Ed  il  compagno,   indicando   uno  de'  pugni  per   farli 
aprire  : 

—  S'  *un  è  ccà, 
Aprimi  ccà. 

In  Mazzara  : 

—  Calu  calicchiu, 
Lu  beddu  spicchiu. 

(o,  Ticchiu  ticchiu, 
Caricaticchiu. 

—  Si  nun  è  chistu, 
Apritimi  chistu. 

In  Riesi  : 

Isca  sani*  isca 
S'  *un  è  echi,  (sic) 
Mi  grapi  chista. 

.  In  Valledolmo  : 

—  Caricaricci 
Portamicci. 

—  Caricarà, 
Gràpimi  ccà. 


Altrove 


■    —  Varivaredda 
Triccannedda. 
—  Si  'un  è  chista, 
Gràpimi  chista. 


78  GICOCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Acri  (Calabria)  una  formoletta  simile  corre  per  que- 
sto stesso  giuoco  (Mango,  Arch,,  v.  I,  p.  240,  n.  XXVIII  e 
V.  II,  fase.  II)  : 

0-ri-o-ra-ra 
Mastra  'Ndria, 
Apriri  là. 

Nella  prov.  di  Bari  (Biceglie)  :  A  cuccovèint. 
In  Napoli  (MoLiNARO,  p.  18,  n.  2)  chi  chiude  in  una  delle 
due  mani  la  moneta  od  altro  dice  : 

Anduvina  'nduvinella 
A  do'  sta  la  mia  sorella, 
'A  cà  0  'a  là? 
Anduvinece  a  do'  sta. 

A  Firenze  è  detto  A  mano  chiusa,  ed  anche  A  mano  rota 
(Barbieri,  72),  e  si  dice  : 

—  Gira  gira,  rota  ; 

QuaF  è  p  ena  e  qual*  è  vota  t 

—  Grilli  grilli  cantano  : 

In  questa  mano  ce  n'  ho  tanti. 

(Vedi  Letture  di  famiglia,  an.  XXX,  n.   2.  Firenze  ,  gen- 
naio 1878). 
Nelle  Marche  dicesi  Galota,  e  le  parole  sono  : 

Galota,  galota  : 
Qual'  è  piena  e  qual'  è  vota? 

In  Romagna  (Gian Andrea,  n.  16)  : 

Panirina,  panirina: 
Quale  è  vud  e  quale  è  pina? 

In  Ferrara  Roda  la  roda,  o  Piss  in  cóa-trentadó  ;  in 
Brescia  A  quagg  en  cua;  in  Venezia  Bada  roda  roda  (Bbr- 
NONi,  n.  19),  del  quale  ecco  i  versi: 


all'  uschidda  79 

Roda  roda  roda  : 
Quala  piena,  quala  vodat 

In  Piemonte  ,  Pinpin  cavalin,  e  chi  nasconde  in  una  delle 
due  mani  i  nocciuoli  di  pesca,  o  le  noci,  o  il  danaro  dice: 

—  Pin  pin  cavalin 
Aqua  caoda,  aqua  freida. 
—  Ten  ti  cost 
E  dame  mi  cost. 

Nel  Tortonese  è  detto  A  pignatèin;  e  le  parole  son  queste  : 

Pìgnatèin  pignatèin  : 
Cust  r  è  voeuj  e  cust  V  è  pèin.  (Jned,) 

Nel  Monferrato  Róua,  e  le  parole  sono: 

Róua  rouin-na, 
Quala  eh'  e'  è  voja 
Quala  oh'  ne'  pin-na  I 

(Ferraro,  Cinquanta  Giuochi,  n.  XIV  ;    Archivio^  voi.  I, 
p.  131). 

23.  All' Uschidda. 

Si  fa  prendendo  due  fuscelli  o  due  fili  di  paglia  dis- 
uguali in  lunghezza,  e  tenendoli  accomodati  entro  un 
pugno  in  guisa  che  non  si  veda  se  non  una  delle  due 
estremità.  Chi  toglie  il  maggiore  o  minore  dì  essi, 
secondo  i  patti,  vince. 

Si  ricorre  a  questo  giuoco  quando  vuoisi  far  deci- 
fiere  dalla  sorte  a  chi  debba  lasciarsi  un  oggetto  con- 
l^rastato, donde  la  fraise  Far isilla  o  Sfarisilla  alVaschid- 
(ia  (Avola),  o  A  la  vicsca  (Palermo),  o  A  li  vicscag- 
Ohi,  (Catania),  o  A  li  bruschi,  o  A  li  busi,  o  Tràri 
^fi  vusca  (Riesi),  secondo  i  nomi  che  i  fuscelli  pren- 


80  GIUOCHI 

dono  nel  paese  del  giuoco.  Talora  si  premette  ai  giuo- 
chi ne'  quali  bisogna  tirar  la  sorte;  di  che  cfr.  a  pa- 
gina 21  del  volume. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Anche  in  Toscana  usasi  Fare  alle  bruschette  o  buschette, 
come  si  legge  in  Minucci,  note  al  Malmantile,  v.  I,  p.  189, 
il  quale  ne  diede  una  descrizione  ;  in  Parma  Tirar  su  il 
buschi  (Malaspina,  I,  268);  in  Piemonte  Tire  le  buschero 
A  le  brusche.  Nel  giuoco  A  f  aguce,  detto  anche  A  f  uje 
e  Al  piciocù,  nascondesi  entro  un  pugno  uno  spillo  facendo 
indovinare  al  compagno  da  qual  parte  sia  la  punta  (picio), 
e  da  quale  la  capocchia  (cui);  e  chi  indovina  guadagna  Io 
spillo  (vedi  Sant'Albino,  pp.  291  e  891).  In  Brescia  si  usa 
anche  Zoegà  a  le  boschète;  in  Venezia  Zogar  a  la  pagieta 

(BOERIO). 

24.  A  Simulidda. 

Una  nidiata  di  fanciulli  e  di  fanciulle  sceglie  il  ma- 
stro. Questi  apre  la  mano  e  la  solleva  all'altezza  della 
sua  testa.  Ciascuno  de'  compagni  appunta  Tindice  teso 
sotto  la  palma,  ed  il  mastro  passando  sul  dosso,  come 
strofinandolo,  la  palma  della  mano  opposta  ripete  per 
tre  volte  la  formola  di  avvertimento  : 

Ccà  sutta  'un  cci  chiovi; 

(Cioè,  qui,  sotto  la  mano,  non  ci  piove:  ci  si  sta  al  ri- 
paro); ed  una  volta  sola  i  versi: 

Simulidda  cu  lu  sali 
Si  la  mancia  me  cummari; 
Simulidda  cu  1'  acitu, 
Si  la  mancia  me  maritu; 


A  SIMULIDDA  81 

0  questi  altri  (Modica)  : 

E  la  flggia  r*  ò  marinaru 
Vo'  ghiucari  a  vintitri  : 
Una,  dui  e  tri  ! 

e  con  Tultima  parola,  alle  tre,  chiude  improvvisamente 
la  mano  ghermendo  un  dito.  Chi  rimane  preso  paga 
la  penitenza  del  giuoco,  o  va  sotto  se  questo  giuoco 
è  un  mezzo  di  tirar  la  sorte. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Lo  stesso  giuoco  si  fa  in  Reggio  di  Calabria  (Mandalari, 
Canti  del  popolo  reggino,  p.  244,  nota  1'.  Napoli,  1881). 
In  Acri  (Calabria)  i  versi  corrono  in  questo  modo: 

Dima  dima, 
Pitta  *a  sajma, 
Pitta  a  lu  furnu, 
'Nchiappa  padumma; 

e  dal  primo  verso  il  giuoco  si  dice  A  dima  a  dima  (Mango,, 
archivio,  V.  II,  fase.  II). 

I  fanciulli  di  Bice  glie  : 

A  la  lamp,  a  la  lampa, 
E  chi  mora  e  chi  campa, 
E  chi  campa  a  la  fortuna 
Acciaff  una  !  (Ined,) 

In  Pomigliano  d'Arco  (Imbriani,  n.  XXI),  i  versi  sono: 

Lampa,  lampa,  Saveratorel 
E  chi  ahgappa,  angappa  'a  core. 
E  lu  rucche  re  Maria 
E  chi  angappa,  angappa  'o  pile. 

G.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fcuiciulleschù  6 


82  GIUOCHI 

In  Benevento  (Corazzini,  p.  108)  si  fa  col  titolo  La  Lam- 
pa, coi  versi  : 

A  la  lampa,  a  la  lampa, 
Chi  ce  more  e  chi  ce  campa; 
'A  Parrocchia  'u  Salvatore 
Chi  ce  resta  va  in  prigione.  ^ 

Nelle  Marche  {Gianandrea,  n.  2)  : 

La  lampa. 
La  stimpa  e  la  stampa 
A  le  mia. 

In  Brescia  lo  dicono  A  ghinghiringaia;  in  quel  di  Como 
Gringraja,  e  secondo  P.MoNTi,p.  106:  «  Un  fanciullo  tiene  e- 
levata  e  distesaunaraano  verso  altri  fanciulli  disposti  in  giro 
intorno  di  essa,  e  che  ne  toccano  il  palmo  nel  mezzo  colla 
punta  d*un  dito.  Quello  intanto  dice  una  breve  frottola,  che 
comincia  Gringa  gringràja,  e  nel  dirla  frega  un  dito  della 
altra  mano  sul  dosso  di  quella  che  tiene  sospesa...  Appena 
finita  di  dirla ,  i  fanciulli  si  sbandano  di  volo  in  qua  e  in 
là.  Egli  insegueli  di  slancio,  finché  ne  abbia  colto  alcuno.  » 

Nel  Tirolo  italiano  i  versi  son  questi,  ma  lo  Schnellbr> 
p.  252,  non  dice  nulla  del  loro  uso  : 

Ghinghiringaja 
Sotto  la  paja, 
Sotto  '1  pajom 
Scappa  chi  poi. 

25.  A  Quinnioi  quinnici  vogghiu  fari. 

Tra  vari  fanciulli  che  si  mettono  in  giro,  uno  vuol 
contare  quindici,  e  sillabando  alcuni  versi  ed  accen- 
tuando certe  sillabe,  che  egli  indica  con  le  dita,  riesce 
al  conto  di  15. 

I  versi  secondo  Taccentuazione  son  questi  : 


A  QUINNICI  QUINNICI  VOGGHIU  FARI  83 

4  f  8  4 

Quinnici  quinnici  vogghiu  fari 

8  6  7  8 

Ca  li  sacciu  ben  cuntari; 

9  40  41  48 

Pi  lu  nomu  di  vintitri 

48  44  4S 

Unu,  dui  e  tri. 

Chi  sbaglia  nel  conto,  sia  nell'accentuazione, sia  nella 
numerazione,  sia  nelle  parole,  paga  un  pegno. 

In  Mazzara  un  fanciullo  vuol  contare  tredici;  dice  di 
non  saperlo,  e  fermasi  al  n.  5  ;  ma  questo  numerò  e 
il  numero  delle  battute  che  ottiene  nel  pronunziare  le 
altre  parole  formano  veramente  il  numero  13.  Egli 
conta  cosi  : 

18  8  A 

Tridici,  tridici,  vogghm  fari, 

8  8  7  8 

Ma  nun  sacciu  accuminciari  : 

9  IO  44  48  43 

Unu,  dui,  tri,  quattru,  cincn..» 

Nel  pronunziare  queste  parole  con  prestezza  e  con  u- 
na  certa  cantilena  devonsi  tutte  dividere  in  tredici 
battute,  aprendo  ad  ogni  battuta  un  dito  e  segnando 
una  linea  in  un  muro.  Chi  non  sa  farlo,  o  è  sempli- 
cemente burlato,  o  perde,  se  giocasi  per  qualche  cosa. 
Vedi  a  p.  21  del  presente  volume. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Lo  stesso  è  in  Venezia  :  Punti,  punti  quindese,  e  Cavra 
xestu  'na  cavra  ^  nn.  21  e  22  del  Bernoni.  Una  delle  can- 
tilene numeratorie  veneziane  è  questa: 


84  GIUOCHI 

Punti  punti  quindese  : 
Se  questi  no  i  xe  quindese, 
Li  faremo  deventar  quindese; 
Se  quindese  no  i  sarà  : 
Uno,  do,  tre  e  va. 

Nell'altra  si  contano  tredici.  Coi  canti  comaschi  del  Bolza, 
nn.  9  e  10,. si  conta  tredici  e  sedici;  coi  canti  istriani  di 
Rovigno  deirivE,  p.  283,  nn.  1  e  2,  si  conta  fino  a  otto;  col 
canto  romano  n.  93  del  Sabatini  (Canti  pop.  romani)  sono 
quindici  come  col  siciliano  di  Palermo  e  col  seguente  to- 
scano di  Firenze  : 

Quindici,  quindici  per  V  appunto 
Quando  U  diavolo  fu  raggiunto, 
Fu  raggiunto  in  un  cantuccio: 
Quindici,  quindici  per  V  appunto.  (Ined.) 

Canto  che  si  ripete   facendo  con  lo  spillo   de'   punti  sulla 
carta. 

26.  A  Passa-tridici  cu  li  manu. 

« 
Spesso  si  fa  per  decidere  della  sorte  di  vari  fan- 
ciulli che  vogliono  aprire  un  giuoco.  Uno  di  due  gio- 
catori dice  :  Va  pri  mia,  e  V  altro  :  Va  pri  Uà.  Ac- 
cordatisi ,  fanno  al  tocco  tante  volte  quante  vuole  il 
primo,  contando  il  numero  totale  delle  dita  che  ten- 
dono. Tornano  a  fare  al  tocco,  calando. le  mani  e  apren- 
do le  dita  e  contando  tante  volte  quante  vuole  il  se- 
condo. Vince  il  primo  se  fa  13,  e  se  il  secondo  fa  più  o 
me^o  di  13;  o  se  egli  fa  meno  di  13 ,  p.  e. ,  10 ,  e  il 
secondo  fa  meno  di  lui,  p.  e.,  9,  o  sorpassa  il  13.  Quan- 
do entrambi  fanno  numero  pari,  non  vince  nessuno. 
Quando  il  primo  sorpassa  il  n.  13.  (ossia  fa  catoddru), 


A  PARU  E  SPARU  85 

il  secondo  è  certo  di  vincere,  perchè  fermasi  al  primo 
calar  le  mani. 

Questo  passatempo  ha  stretta  analogia  con  l'altro 
A  passa-tridici  a  la  fossetta ,  n.  6  del  giuoco  A  la 
Gaddetta;  ed  è  molto  diffuso  tra'  fanciulli  del  territorio 
di  Mazzara.  Vedi  a  p.  21  del  presente  volume. 

27.  A  Paru  e  sparu. 

Uno  di  due  giocatori  prende  dalla  sua  tasca  un  pu- 
gno di  fondelli,  o  fave,  o  mandorle,  o  avellane,  o  ceci, 
0  lupini;  mostra  il  pugno  pieno  e  chiuso  al  compagno, 
e  gli  chiede  :  Paru  o  sparu  ?  Alla  sua  risposta,  p.  e., 
^paru,  apre  il  pugno  e  conta;  se  il  numero  è  dis- 
pari, vince  lui;  se  pari,  vince  il  compagno  che  s'ap- 
pose :  e  deve  dargli  lo  stesso  numero  di  fondelli  o  di 
altro  che  erano  nel  pugno. 

È  giuoco  non  solo  da  fanciulli,  ma  anche  da  adulti, 
ed  uno  de'  pochi  giuochi  permessi  dalle  antiche  Con- 
suetudini di  Palermo.  Nella  seconda  metà  del  cinque- 
cento ne  fa  cenno  Mario  Muta  :  [Commentaria  in  an- 
tiquissimas  felicis  S,  P.  Q,  P.  Consuetvdines,  e.  LXXn 
n.  24;  Panormi,  MDC):  «  Ludus  ad  par  et  impar  est 
p^rmissus  »,  e  A.  Dionisio,  [Amorosi  sospiri,  at.  IV, 
se.  7): 

Si  no  jucamundila  a  fari  paru 

Ad  unu  ad  unu,  a  chiddu  chi  vuliti. 

Nel  settecento  lo  registrò  M.  Pasqualino  (Vocab,  si- 
ciliano, I,  112). 
La  frase  putirisilla  jucari  a  paru  o  sparu  vale  : 


86  GIUOCHI 

tra  due  cose  non  buone  non  esservi  differenza,  e  non 
sapersi  quale  proferire. 

Questo  ed  il  seguente  giuoco  sono  i  medesimi;  ma 
variano  per  le  circostanze  diverse  nelle  quali  si  fanno. 

Vedi  a  p.  20,  n.  2,  del  volume. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Napoli  prende  il  titolo  di  Pare  o  spare  (De  Bour- 
CARD,  I,  298);  in  Parma  A  para  e  dispar;  in  Piemonte  A 
par  e  dispar;  in  Padova  e  Venezia  A  paro  e  disparo  (Pa- 
triarchi). 

Nei  giuoco  toscano  innanzi  citato  A  sbricchi  quanti,  si- 
mile a  pari  e  caffo y  si  domanda  se  il  numero  è  pari  o  caffo, 
e  chi  s*appone  vince  tutti  i  nocciuoli  occultati;  se  no,  ne 
perde  altrettanti.  I  Latini  dissero  Luderepar  impar,  Giulio 
Polluce  e  M eursio  (De  ludis  veterum)  mostrano  che  questo 
giuoco  si  facea  come  oggi  coi  denari ,  con  le  mandorle  o 
con  altra  materia  atta  ad  accomodarsi  alle  mani.  Ovidio 

ne  fa  cenno  In  nuce  e  cosi  Svetonio  ed  Orazio.  I  Greci  lo 

* 

dissero  Apxiov  v}  nepixòv. 

28.  A  'Mmucciari. 

Di  due  giocatori ,  uno  tiene  roba  da  spacciare ,  e 
un  piattello  con  fagiuoli,  o  lupini,  o  ceci  secchi  ;  un 
altro  ne  prende  alla  rinfusa  un  pugno  e  dice,  p.  e.,  Lu 
miu  è  paru  ;  e  sulla  mano  del  primo  li  fa  cadere  a 
due  a  due,  o  a  quattro  a  quattro,  sempre  in  numero 
pari.  Se  airultimo  ne  restano  due,  numero  pari,  egli 
vince;  se  una,  numero  dispari,  perde.  Vince  il  premio 
assegnato  ai  due,  quattro,  cinque  centesimi  da  lui  di- 
chiarati innanzi;  perde  i  centesimi. 


A  LA  STRUMMULIDDA 


87 


Tengono  questo  giuoco  i  caramilara,  i  venditori 
<ii  sflnciunedda,  i  nivulara.  Questi  portano  ad  ar-^ 
macello  un  corbello  con  cialde  ;  chi  vuol  giocare,  ne 
prende  una  manata,  sempre  alla  rinfusa,  e  dice,  p.  e., 
lu  miu  è  pa?^ ,  e  le  passa  a  due  a  due  in  mano  al 
nivularu;  se  il  numero  è  pari,  egli  vince  quel  numero 
di  cialde  che  gli  toccano  in  prezzo  de'  due  o  più  cen- 
tesimi pei  quali  avea  dichiarato  di  giocare. 

29.  A  la  Strummulidda. 


La  Strummulidda  o  Strummulicchia  è   un   dado 
con  sei  facce  e  coi  punti  in  ciascuna,  di  esse, 


■  • 


•  •        •  • 

•  •  ■ 

•  •        •  • 


dado  che  in  alto  e  in  basso  ha  due  punte  sporgenti 
le  quali  gli  danno  la  forma  di  una  piccola  trottola  ; 
e  si  gira  sur  un  piattello  col  pollice  e  1'  indice  della 
mano  destra. 

Alla  Strum^mulidda  va  unita  una  tavoletta ,  sulla 
quale,  stampati  o  manoscritti,  sono  i  sei  numeri  della 
trottolina.  Giocandosi  in  due,  chi  tiene  il  giuoco,  appre- 
sta runa  e  Taltra;  il  ragazzo  punta,  p.  e.,  un  grano  sul 
n.  •.•  e  gira  la  trottolina.  Se,  cessata  di  girare,  que- 
sta presenta  il  '.',  il  giocatore  ripiglia  il  suo  grano  e 
riceve  il  premio  della  vincita  ;  se  presenta  altro  nu- 
mero, perde,  e  ricomincia  se  vuole. 

Questo  giuoco  è  di  quelli  che  tengono  i  caramilara 
palermitani,  i  quali  gridano  :  A  la  strumm^ulidda,  pic- 
ciotti! I  premi  che  essi  danno  son  certi  piccoli  dolci 


ss  GIUOCHI 

del  costo  di  2  cent.  Tuno,  come  vuccunetti  di  dama, 
a^nmarra-panza,  carinola,  zuccaru,  cazzilli  di  Mtia, 
Mancu  "inanciari,  carameli,  muscardini,  rmcstazzu- 
leddi  ed  altra  roba  simile,  non  molto  nota  ai  nostri 
vocabolaristi. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Secondo  il  traduttore  italiano  de*  JeiLX  des  adolescents 
di  Beleze,  (Giuochi  degli  adolescenti;  Milano,  Sonzogno), 
p.  136,  questo  giuoco  sarebbe  ì\Biribisso;mSk  io  dubito  forte 
non  si  tratti  di  un  altro  giuoco. 

30.  A  lu  Firrialoru. 

Il  Firrialoru  o  Biancu-e-ricssu  è  un  disco  di  legno 
dipinto  ,  nel  quale  convergono  al  centro  varie  linee 
di  scompartimenti,  i  cui  spazi  sono  dipinti  altri  a  sole, 
altri  a  luna,  altri  a  bianco,  altri  a  rosso,  altri  a  nero 
detti  turcu,  ecc.  Nel  centro  del  disco  è  impiantato  uno 
stilo  da  tre,  quattro  centimetri,  e  su  di  esso,  imper- 
natavi  dentro,  un'asta  orizzontale,  di  cui  una  estremità 
ha  un  foro  con  un  tubicino  verticale. 

Il  fanciullo  che  va  a  giocare  punta  un  centesimo  o 
due  sur  uno  di  questi  segni,  p.  e.,  su  sole,  e  imprime 
un  leggiero  movimento  di  rotazione  all'asta.  Quando 
questa  si  ferma,  e  l'estremità  col  tubicino  risponde  allo 
scompartimento  sole,  il  giocatore  vince;  in  caso  dubbio, 
cioè  quando  non  si  è  sicuri  se  la  estremità  dell'asta 
col  tubicino  risponda  ad  uno  o  ad  un  altro  scompar- 
timento ,  si  fa  calare  dal  tubicino  stesso  un  sottile  e 
diritto  ferruzzo  da  calza,  e  dove  questo  posa,  là  e  lo 


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A  LA  NANNA  PIGGHIA-CINCU  80 

scompartimento  segnato  dall'asta.  Questa  verificazione 
fatta  dal  caramilaru  che  tiene  il  giuoco  non  è  priva 
di  frode. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  Giocare  o  Fare  alla  Venturina  o  alla  rossa 

$  alla  nera;  in  Piemonte  Giughè  a  la  rossa  e  alaneira, 

|A  al  trenta  e  quaranta;  in  Venezia  Zugar  al  zurlo  (Boerio). 

Jel  Parmigiano  (Malaspina,  III,  296)  dicono  Pirla  un  «  ar- 

ìse  noto  che  consta  di  un'asta  bilicata,  che  si  fa  girare 

)ra  un  perno,  e  che  si  segna  il  premio  di  quel  bericuo- 

lo  posto  sul  raggio  variamente  colorato  della  tavola  ove 

ferma  il  becco  dell'asta.  >» 

31.  A  la  Nanna  pigghia-cincu. 

(Con  tavola) 

Jesi  Nanna  pi ffffhia-cincunnai  stampa  popolarissi- 
[ulla  quale  coirordine  seguente  sono  impresse  ven- 
lue  figure  che  i  fanciulli  chiamano:  1,  Suli  (sole); 
]avintatu  (spaventato)  ;   3,  Campana  ;  4 ,  Spaia 

t;  5,  Luna;  6,  Stanga  'n  coddu  (stanga  in  collo); 

imina  e  ta^ta  (mesta  e  assaggia);  8,  Funtana;  9, 
(mondo);  10,  Liuni  (leone);  11,  Ucchiali;  12, 

ìu  e  vinu  (tabacco  e  vino);  13,  Gaggia  di  surci 

da  topi);  14,  Lanterna;  15,  Stenni-muccatura 

* 

^moccichini);  16,  Sirena  d"u  mari  (sirena  del 

17,  Quartara  (brocca);  18,  Casina;  19,  Stidda, 

20,  BastiTnentu;  21,  Pinna  e  ca/ama^  (penna 

laio);  22,  Acuta  (aquila)  ;  23,  Nanna  pigghia- 

(nonna,  o  vecchia  piglia  cinque);  24,  Casteddu 

Ilo);  25,  Cori  (cuore). 


%  GIUOCHI 

Queste  venticinque  figure  son  ripetute  sotto  in  pic- 
colo, le  quali  si  ritagliano  una  per  una,  si  avvolgono 
in  forma  di  pulisicchi  (polizzine),  come  vengono  dette, 
e,  raccolte  in  un  sacchetto,  o  in  un  berretto,  o  in  una 
pezzuola,  si  agitano  per  essere  sorteggiate. 
.  Chi  ha  la  stampa  e  possiede  un  certo  capitale  di 
fondelli,  o  di  nocciuoli  d'albicocche,  o  d'altro,  può  bene 
aprire  il  giuoco.  Un  ragazzo  punta  un  fondello  o  un 
nocciuolo  sopra  una  figura,  p.  e.,  su  stidda ,  e  cava 
fuori  dal  sacchetto  un  polizzino;  se  questo,  nello  svol- 
gersi, rappresenta  la  stella,  egli  vince  più  fondelli  o 
nocciuoli,  che  il  capo-giuoco  dovrà  subito  sborsare;  se 
no,  perde  il  ionàélìo  puntato.  Quando  ripunta  sulla  fi- 
gura della  iVanwa,  al  n.  23,  e  vien  fuori  il  polizzino  della 
Nanna,  si  vince  il  doppio.  I  giocatori  son  sempre  più 
d'uno,  spesso  molti;  e  ciascuno  punta  dove  gli  pare  e 
piace;  ma  non  per  questo  i  pericoli  della  perdita  cre- 
scono pel  capo-giuoco;  perchè,  più  sono  i  giocatori,  e 
più  egli  guadagna. 

Dal  numero  dei  giocatori  e  dal  vocio  che  essi  fanno 
è  nato  il  modo  proverbiale  Fari  la  Nanna  pigghia- 
cincu,  che  significa  far  confusione,  far  chiasso,  e  ta- 
lora anche  tagliar  corto  e  romperla;  e  l'altro  simile: 
Éssirici  la  Nanna  ecc.  Per  ischerzo,  poi ,  di  chi  è 
celebrato  in  forma  ridicola  si  dice  che  è  'Nnuminatu 
'nta  la  Nanna  pigghia-cincu. 

La  stampa  che  va  unita  alla  presente  descrizione  è 
proprio  quella  che  i  monelli  comperano  (centesimi  2 
di  lira)  ed  usano  ,  e  che  si  è  avuto  cura  di  fare  ri- 
stampare su  carta  del  presente   volume  dagli   stessi 


A  LA  BADDUZZA  91 

stampa-santi  che  ne  fanno  spaccio  in  Palermo.  Come 
si  vede,  l'inchiostro  di  stampa  e  l'incisione  in  legno 
sono  abbastanza  meschini  perchè  si  dubiti  della  pro- 
venienza e  dell'antichità  del  giuoco,  il  quale  era  già 
proverbiale  nel  secolo  passato. 

Chi  abbia  sott'occhio  la  cosiddetta  Smorfia  romana 
troverà  qualche  attinenza  e  identità  tra  parecchie  fi- 
gure di  essa  e  la  nostra  Nanna^  le  quali  ultime  però 
sono  molto  informi  e  primitive  rispetto  a  quelle,  e  pre- 
sentano tipi  e  costumi  siciliani.  Questi  riscontri  son 
sedici  sopra  venticinque,  ma  nella  positura  e  nei  con- 
torni delle  figure  vi  sono  differenze  notevoli.  Eccoli 
secondo  T  ordine  progressivo  della  Nanna:  1  (della 
Nanna)  •=2  (della  Smorfia  romana),  suli;  2=43,  cam- 
pana; 5=3,  luna;9=l,  munnu;  10=40,  liuni;  11:^61, 
ucchiali;  14i=15,  lanterna;  16=32,  sirena;  YI=VÒ , 
quartàra;  18=14,  Casina;  19=60,  stidda;  20=31,  da- 
stimeìitu;  21=34,pmna  e  calamaio;  24zzz47,  casteddu; 
25=35,  cori.  Delle  altre  nove  figure,  tutte  di  perso- 
naggi della  Nanna,  non  ve  n'è  nessuna  nella  Smor- 
fia, (Vedi  Archivioper  lo  studio  delle  trad.  pop.,  v.  I, 
p.  594-595). 

32.  A  la  Badduzza. 

La  Badduzza  è  un  disco  concavo,  avente  buche  con- 
centriche ,  tutte  numerate.  Un  ragazzo  vi  punta  una 
monetina,  p.  e.,  un  centesimo,  e  vi  fa  rotolare  una 
palla  {badduzza)  con  la  intenzione  di  mandarla  sul  nu- 
mero puntato.  Se  vi  riesce,  fa  buon  giuoco,  vincendo, 
non  già  un  centesimo,   ma  cinque  o  dieci   centesimi, 


92  GIUOCHI 

quanto  è  stato  pattuito,  o  quanto  suol  dare  di  vincita 
il  caramilaru  che  tiene  quel  giuoco.  I  cinque  o  dieci 
centesimi,  però,  non  sono  in  effettivo,  ma  in  quei  tali 
dolciumi  che  egli  ha  in  vendita  sul  suo  deschetto. 

Anche  qui  gringanni  non  mancano ,  e  perciò  è  la 
frase  Jucàrisi  ad  unu  a  la  badduzza,  cioè  abbindo- 
larlo,  aggirarlo,  ecc. 

33.'  Ad  Acuta  0  cruci. 

In  Termini,  Vicari,  Cefalù  A  Testa  e  cruna,  in  Mes- 
sina A  Jàcula  0  scudu,  in  Milazzo  A  Jàcula,  in  Gir- 
genti  e  Trapani  A  Testa  o  scrittu ,  in  Casteltermini 
A  testa  e  littra,  in  Noto  A  Littra  o  facciuni,  in  Avola 
A  Acuta  e  scutu,  secondo  che  nella  moneta  si  guardi 
alla  j3gura  o  alla  leggenda  con  le  armi.  Il  titolo  prin- 
cipale è  uno  de'  più  antichi.  In  Caltanissetta  A  bota 
e  sbóta,  o  A  bota  e  nun  sbota. 

Due  giocatori  fanno  a  pari  e  caffo  ,  e  chi  ne  ha  il 
diritto  chiama  dicendo,  p.  e.,  'U  miu  è  acuta,  e  Tal- 
tro:  E  'u  miu  è  cruci.  Questo  secondo  lancia  in  aria 
due  monete  e,  dal  cader  di  esse  dal  lato  detto  da  lui  o 
da  quello  detto  dal  compagno,  fa  buon  giuoco  o  no.  Il 
premio  della  vincita  è  una  moneta  dianzi  stabilita,  od 
altro  che  sia. 

Questo  giuoco  in  forma  più  semplice  viene  modificato 
in  alcuni  luoghi  sostituendosi  alle  monete  fondelli,  e 
scommettendo  a  chi  de'  due  giocatori  indovini  la  dritta 
o  la  riversa  del  fondello  che  si  lancia  in  aria  (V.  il 
giuoco  A  'Ggibbari,  n.  37),  il  che  in  Noto  dicesi  A 
sguazzare 


AD  ACULA  O  CRUCI  93 

Una  ottava  siciliana  politica  ha  questi  versi,  che  ri- 
cordano il  giuoco  : 

Medici  tirau  a  ertici  e  fici  jàcula: 

Lu  re  'un  pò  fari  echiù  vòcular'nzicula.  * 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Terra  d'  Otranto  Cruce-lettera  o  Capo-croce ,  (De  jSi- 
MONE,  Rivista  Europea,  Firenze,  a.  VII,  voi.  II,  p.  566;  Epi- 
FANi,  Messapogr,  I,  VI,  34);  nella  Calabria  Citeriore  Cruce- 
nuce,  (DoRSA,  p.9);in  Napoli  Capo  o  croce, (De  Bourcard,  I 
p. 297-198);  negli  Abruzzi  Testa  e  croce y  (Finamore,  Voc.  del- 
ì^uso  abruzzese,  p.  145);  in  Roma  Santi  o  cappelletto,  come 
pure  a  Firenze,  dov'è  anche  chiamato  Giglio  o  santo,  (Bor- 
GHiNi,  Bella  moneta  fiorentina,  Monosini,  p.  92)  e  Palle  a 
Santi,  derivato  dalle  sei  palle  (impresa  dei  Medici),  che  si 
veggono  nel  rovescio  de*  quattrini,  mentre  nel  ritto  sta  la 
effigie  di  S.  Giovanni;  ed  è  ancor  proverbiale  il  grido  de' 
partigiani  di  Casa  Medici  : 

Tal  grida  palle  palle^ 

Che  farebbe  dalle  dalle.  • 

Negli  Appennini  Croce  o  testa;  in  Bologna  A  caplètt,  o  A 
lettra  o  lion,  (Coronbdi-Berti);  in  Reggio  d'Emilia  A  lion 
e  lettra;  in  Parma  A  caplètt,  o  A  caroliss,  e  le  voci  di  uso 
sono  :  bultar,  trarre  la  sorte;  ciamàr,  chiamare;  liss  e  liss, 
palle  e  palle;  testa  e  liss,  santo  e  palle;  testa  e  testa,  santi; 
testa  e  liss,  santo  e  palle,  (Malaspina);  in  Mirandola  Tesf  o 
eros;  in  Ferrara  Arma  e  lettra;  in  Piemonte  Cros  e  pila; 
nel  Monferrato'  Crus  e  griff;  in  Brescia  A  crùz  e  Madona, 
A  Sanmarch  e  Madona;  in  Milano  Cros  o  lettera,  (Cheru- 

1  Intendi  che  il  Ministro  di  Napoli  Luigi  de'  Medici  (1759-1830) 
sbagliò  nel  giuoeo,  ed  il  re  Borbone  non  può  più  altalenarsi. 


94  GIUOCHI 

BINI,  I,  215  e  369);  in  Venezia  Testa  o  Madona,  o  Marco  o 
Madona^  dalla  effigie  di  S.  Marco  e  quella  di  Maria ,  che 
era  nei  due  lati.  In  generale  Testa  o  arme^  o  Riscontra 
quattrini. 

Vedi  anche  per  questo  giuoco  in  Italia:  Mayne  Reid,  lì 
Dito  del  destino ,  vers.  dall'  inglese  di  G.  Siciliano ,  cap. 
XXVII;  Firenze,  Tip.  Successori  Le  Monnier,  1876. 

Il  giuoco  fu  già  in  uso  pressoi  Romani,  i  quali  dicevano 
Caput  aut  navimy  gettando  in  aria  una  moneta  con  la  testa 
di  Giano  da  un  lato  ed  il  rostro  d'una  nave  dall'altro  (Plinio, 
H.  N.  XXXIII).  Di  qui  la  testimonianza  di  Aulo  :  Aes  ita 
fuisse  signatum  hodieque  intelligitur  in  aleae  lusu,  cum 
pueri  denarios  in  sublime  jactantes  capita  aut  navim  lusu 
teste  vetustatis  exclamant, 

34.  A  'Rriminari. 

Dicesi  pure  A  la  coppula  e  A  cappidduzzu. 
Quattro  o  cinque  si  contano;  chi  sorte  agita  entro 
le  due  mani  chiuse  palma  a  palma  tante  monete  quante 
ne  hanno  messe  fuori  i  giocatori;  indi  le  butta  per  aria 
o  per  terra.  Quelle  di  esse  che  presentano  il  capo  o  la 
effigie  son  guadagnate  dal  giocatore ,  il  che  si  dice 
fariy  e  gli  altri  chiedono  :  Quantu  nnì  facisti  ì  Le  mo- 
nete che  non  presentano  la  figura ,  restano  per  dar 
luogo  alla  stessa  gettata  a  chi  per  ordine  ne  abbia  il  di- 
ritto. Se  rimane  una  sola  moneta,  il  giuoco  non  si  ripete, 
ma  la  prende  chi  dovrebbe  giocare  immediatamente 
dopo. 

Del  resto,  Paitu  vinci  liggiy  dice  il  proverbio;  e  le 
condizioni  che  si  stabiliscono  prima  possono  mutare 
queste  regole. 


A  LISCIU  0  RUCCIULUSU  ?  95 


VARIANTI  E  RISCONTRI 


Si  confronti   col  giuoco  marchigiano  A  brugia,  Gianan- 
DREA,  pag.  16. 

35.  A  Lisciu  0  rucciulusu? 

Due  giocatori  mettono  egual  quantità  di  fondelli; 
uno  di  essi  li  agita  nelle  mani,  in  un  sacchetto,  o  in 
un  berretto,  e  domanda  all'altro  :  Chipigghi:  lisciu  o 
rucciulusu  ?  (altrove  rapaccivsu  ;  in  Cianciana  :  Chi 
vigli:  serra  o  lisciu?)  Alla  risposta,  p.  e.,  lisciu,  butta 
per  terra  i  fondelli,  e  se  i  lati  lisci  superano  gli  sca- 
brosi, vince  chi  disse  lisci;  se  no,  l'altro. 

Una  variante  da  non  trascurarsi  è  il  seguente  giuoco. 

36.  A  Puntar!. 

Si  prende  un  fondello  e  si  agita  entro  le  maniche 
aperte  ;  indi  si  depone  sul  taVolo  o  sopra  un  gra- 
dino tendendolo  ben  coperto.  Il  giocatore  chiede  :  Chi 
è:  serra  o  lisciu?  L'  altro  risponde  ,  p.  e.,  serra,  e 
vince  o  perde  secondo  che  venga  il  lato  liscio  o  il  lato 
scabroso. 

37.  A  'Ggibbari. 

Questo  giuoco  si  fa  in  due  coi  fondelli  d'osso,  che 
hanno  quale  tre,  quale  quattro,  e  quale  cinque  foreK 
lini.  Un  fanciullo  nasconde  tra'  polpastrelli  del  pollice 
e  dell'indice  il  fondello,  e  chiede  al  compagno  :  Ag- 


96  GIUOCHI 

gibbami  ccà:  quantu  pirticsa  havi  ?  Se  quegli  s'ap- 
pone, vince. 

Altri  ancora  lo  fanno  con  una  moneta  tirando  a  in- 
dovinare Fanno  della  coniazione  di  essa.  Questo  giuoco 
non  si  conosce  dappertutto,  ed  ha  analogia  col  Giu- 
falè  e  col  giuoco  Lisciu  o  rucciulv^u?  (n.  35). 

Altri  giocano  anche  a  indovinare  in  quale  tra  vari 
fichidindia  messi  in  fila  sia  nascosto  uno  spillo;  quanti 
nocciuoli  siano  in  una  nespola,  quanti  spicchi  in  una 
melarancia,  il  che  dicesi: 

38.  A  Tagghiari. 

Uno  di  duegiocatoripattuisce,  senza  pagarlo,  un  muc- 
chietto  di  melarance  o  limoni  dolci  ecc., ne  prende  una, 
e  prima  di  tagliarla  per  lo  mezzo  chiede  all'altro  quanti 
spicchi  crede  che  essa  abbia.  Se  quegli  si  appone,  vince, 
non  solo  la  melarancia  tagliata,  ma  anche  le  altre,  che 
toccherà  al  perditore.il  pagare;  se  no,  pagherà. 

39.  A  lu  Lazzu. 

Il  caramilaru  intreccia  un  filo ,  annodato  alle  due 
estremità,  in  guisa  che  non  si  possa  sapere  se,  met- 
tendo in  i;no  de'  suoi  interspazi  un  dito,  si  sia  dentro 
0  fuori  la  matassa;  per  lo  più  si  è  fuori:  ed  il  cara- 
milaru vince  la  monetina  che  il  fanciullo  inesperto  è 
andato  a  giocare. 


A  l'aneddu  97 

40.  A  r  Aneddu. 

Si  dice  anche  A  la  pitrudda;  in  Polizzi  A  la  pitro- 
nella;  in  Riesi  A  lujitali;  in  Licata  A  la  badduzza;  al- 
trove A  la  chiavi. 

Un  certo  numero  di  fanciulli  o  fanciuUine  siedono 
per  terra  accostando  palma  palma  e^tutti  serrandole 
in  mezzo  le  gambe.  Il  capo-giuoco  ha  in  mano  un 
sassolino,  o  una  nocciuola,  o  un  lupino,  o  un  anello, 
0  un  ditale,  o  un  chiavino,  e  passa  successivamente 
dall'uno  all'altro  giocatore  per  deporre  nelle  mani  di 
essi  l'oggetto  che  egli  serra  nelle  sue;  ma  di  fatto  noi 
lascia  se  non  ad  un  solo,  pur  continuando,  anche  dopo 
lasciatolo,  il  giuoco.  Quando  il  turno  è  compiuto,  tutti 
stanno  in  silenzio  ed  aspettazione.  Allora  il  capo-giuoco 
chiede  a  uno  di  loro  che  indovini  chi  abbia  l'oggetto. 
Se  questi  si  appone,  diventa  capo-giuoco,  se  no,  apre  la 
mano  e  riceve  colpi  di  rumè  (vedi  il  giuoco  A  rumè). 

In  alcuni  luoghi  il  mastro  dice  :  Cu*  havi  'a  chia- 
vuzza,  (o  pitrudda  ecc.)  si  fissi  a  'mmucciari,  e  chi 
l'ha  avuta,  alzandosi,  va  a  nasconderla.  Chi  poi  la  tro- 
va, al  ripetersi  del  giuoco  fa  da  mastro. 

Col  titolo  A  la  chiavuzza  si  fa  con  qualche  modi- 
ficazione. Invece  del  sassolino  si  depone  tra  le  mani 
dei  giocatori  una  chiave  o  un  fuscellino  che  ne  prenda 
le  veci  ed  il  nome.  Il  capo-giuoco  dimanda  a  uno:  Cui 
V  havi  la  chiavuzza  ì  Se  T  interrogato  si  appone  ,  si 
ricomincia  il  giuoco;  se  no,  paga  un  pegno,  per  il  quale 
dovrà,  con  altri  che  abbiano  egualmente  sbagliato  e 
pagato  pegni,  fare  una  penitenza. 

G.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  7 


98  GIUOCHI 

VARIANTI  E  BISCONTRI 

Con  lievi  differenze  è  descritto  per  la  Toscana  dal  Fan- 
FANi,  Yocab.  delV  uso  tose, ,  p.  56 ,  ed  anche  a  pag.  256: 
n  Cerchio;  per  le  Marche  dal  Gian  Andrea,  n.  14:  Il  gioco 
dello  anello,  e  n.  18:  Il  gioco  della  chiave;  per  Parma  dal 
Malaspina  :  Zugar  al  didàl,  in  cui  la  fanciulla  capo-giuoco 
mette  un  anello  nelle  mani  d'una  delle  compagne. 

4L  A  la  Pitrudda. 

Si  posa  in  terra  una  piccola  moneta  di  rame,  e  sta- 
bilito il  valore  in  denaro  o  in  fondelli  pel  quale  si 
gioca,  uno  de'  due,  cui  nel  fare  a  pari  e  caffo  sia  toc- 
cato in  sorte,  vi  lascia  cader  sopra ,  dall'  altezza  del 
suo  petto  0  anche  più  da  vicino,  un  sassolino.  Se  nel 
colpirla  la  fa  capovolgere,  egli  fa  buon  giuoco,  e  vince 
il  pattuito;  se  no,  lascia  la  mano  al  compagno. 

Vedi  qui  sotto  il  giuoco  A  sbutareddu. 

varianti  e  riscontri 

In  Toscana  Fare  a  rivoltino;  in  Parma  Zugar  a  sasslètt, 
(Malaspina). 

42.  A  Sbutareddu. 

Chiamasi  anche  A  la  pib'^udda. 

Si  colloca  una  moneta  sopra  un  piano,  e  con  un'altra 
moneta  o  con  una  ciampedda  si  tira  per  colpirla  nel 
mezzo  e  farla  svoltare.  Se  vi  si  riesce ,  la  partita  è 
vinta;  se  no,   il  compagno  piglia  il  posto. 


A  CIUSCIUNI  09 

43.  A  Ciusciuni. 

Sopra  un  tavolo  si  posano  vari  fondelli,  e  chi  gioca 
dee  farli  voltare  soffiandovi  sopra.  Soffia  primo  chi 
vince  a  pari  e  caffo.  Ai  fondelli  si  sostituiva  una  volta 
il  tirdinari,  ed  ora  il  centesimo  di  lira. 

Richiama  subito  ai  giuochi  A  lu  granu  ecc.  e  al  Can- 
neddu. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
In  Toscana  Soffino  (Rigutini  e  Fanfani,  p.  1458). 

44.  A  li  Cannuzzi. 

Si  fa  un  numero  determinato  di  stecchini ,  per  lo 
più  di  canna,  (donde  il  titolo  di  cannuzzi)  :  trenta, 
trentacinque,  o  più.  Due  giocatori  fanno  al  tocco  per 
istabilire  il  'n  capu  ed  il  suUa,  cioè  il  primo  ed  il  se- 
condo. Il  sutta  posa  un  pugno  chiuso  sul  terreno  ;  il 
'n  capu  lascia  cadere  o  getta  in  una  volta  sul  pugno 
gli  stecchini,  in  guisa  però  che  essi  cadendo  fuori  del 
pugno  si  spargano  intorno  ad  esso  senza  troppo  ac- 
cavalcarsi gli  uni  sugli  altri;  se  qualcuno  ne  rimane 
sul  pugno  ,  il  sutta  si  affretta  a  farlo  cadere  sugli 
altri,  e  ritira  la  mano.  Allora  il  primo  con  uno  stec- 
chino  più  lungo  dei  comuni  comincia  a  rimuovere  e 
fare  saltar  fuori  uno  per  uno  gli  stecchini ,  mandan- 
doli con  un  leggiero  movimento  di  leva  fuori  del  limite 
stabilito  :  e  tanti  punti  fa  quanti  ne  manda  fuori,  come 
tanti  ne  perde  quanti  stecchini  non  riesce  a  far  saltare 
di  netto  a  un  colpo. 


100  GIUOCHI 

Dopo  prende  mano  il  secondo,  al  quale  il  primo  pre- 
senta, come  innanzi,  il  pugno  chiuso.  Ripete  lo  stesso 
giuoco,  gettando  gli  stecchini,  facendoli  uno  per  volta 
schizzar  fuori  e  contando.  A  giuoco  finito,  chi  avrà 
fatto  maggiori  punti  vincerà  la  partita. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana,  a'  tempi  del  Minucci,  si  usava  e  forse  anche 
oggidì  si  usa  Giocare  a  te  te,  che  vale  «  Giocare  con  due 
spilli  o  due  filetti  di  paglia  facendoli  saltar  colle  dita  per 
vedere  quale  cavalchi  gli  altri.  »  Malmantile,  v.  Ili,  p.  37. 

45.  A  Lasagnedda. 

Si  gioca  in  molti,  e  ciascuno  di  essi  fa  due  castelline 
di  avellane,  le  scompone,  e  poi  a  forza  di  'mmiddari, 
cioè  di  dar  buffetti  col  pollice  e  colFindice,  ravvicina 
le  avellane  facendole  però  toccare  in  due  V  una  con 
Taltra;  se  se  ne  toccano  più  di  due  o  non  si  toccano 
punto,  si  fa  cattivo  giuoco. 

Giocasi  specialmente  in  Messina  per  Natale. 

Sull'uso  di  'mmiddari  veggasi  il  giuoco  n.  50. 

46.  A  Truzzareddu. 

Si  fa  in  due ,  mettendo  ciascuno  un  fondello  sul 
piano.  Uno  de'  due  con  un  buffetto  dee  col  proprio 
truzzari  il  fondello  del  compagno.Quando  il  tiro  riesce, 
guadagnasi  il  fondello  colpito. 

Talvolta  si  gioca  con  avellane,  come  nel  Senghetiello 
napoletano.  In  Casteltermini  è  detto  A  hjuscmni  (a 


A  LU  SPANGU  101 

Ximciuni  ?);  ma  i  due  fondelli  [Capitini)  o  le  due  mo- 
nete, invece  che  col  sassolino,  si  sogliono  scomporre 
col  soffio. 
Vedi  A  la  Gaddetta,  n.  53. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Napoli  A  senghetiello,  e  si  fa  con  nocciuole  (Db  Bour- 
CARD,  I,  p.  299).  Un  giuoco  molto  simile  corre  in  Venezia 
col  titolo  ^Z  casèlo,  (Bernoni,  n.  93). 

47.  A  lu  Spangu. 

In  Polizzi  A  lu  Spanghiteddu;  in  Licata  A  'ntaxìciari; 
in  Noto  A  lu  Sinnu;  in  Messina  6  Palmu;  in  Gian- 
ciana  A  batti-muru;  in  Avola  A  'ncuccia-muru;  in 
Catania  A  'ncugna-muru;  in  Cefalù  A  tocca-muru, 
da  non  confondersi  col  noto  giuoco  di  questo  nome. 

Dicesi  spangu  spanna ,  o  i^itsca  (Cianciana)  bru- 
schettà, un  fuscello  poco  più  lungo  di  una  spanna,  pie- 
cola  misura  stabilita  dai  giocatori. 

Due ,  tre,  quattro  o  più  fanciulli  si  accostano  a  un 
muro  o  ad  altro  corpo  elevato  ,  tirano  a  quasi  due 
metri  da  esso  una  linea,  che  segna  la  meta,  il  tocco,  il 
limite  del  giuoco,  e  scavano  una  buca,  fussiteddu.  Indi 
uno  di  loro  batte  sul  muro  una  moneta;  batte  l'altro, 
e  deve  accostarsi  tanto  alla  moneta  del  primo  quanto 
è  la  spanna,  se  non  meno.  Lo  spazio  entro  quella  mi- 
sura vince.  Se  coglie  la  buca  e  vi  resta ,  stravince, 
cioè  riporta  il  doppio  del  pattuito  ;  se  oltrepassa  la 
linea,  ha  la  pena,  e  paga  :  e  la  sua  moneta  va  a  be- 
neficio di  chi  giuoca  dopo  di  lui. 

La  perdita  è  di  fondelli  o  di  monete. 


102  GIUOCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Napoli  è  conosciuto  col  nome  di  Azzecca-muro;  negli 
Abruzzi  e  nelle  Marche  (Db  Nino,  II,  Gianandrea,  n.  20)  A 
battimuro;  in  Toscana  Far  meglio  al  muro;  in  Parma  A  la 
murajoèula  o  Ala  ^jjana  (Malaspina,  IV,*  164);  a  Ferrara 
A  batt-mur;  in  Milano  A  spanna,  A  spannetta;  in  Brescia 
A  spana;  nel  Monferrato  A  baie  (^Fbrraro,  Cinquanta 
Giuochi,  Y);  m  Piemonte  A'  baie,  o  Ala  branca.  Un  giuoco 
simile,  detto  0  coglilo  o  resta  li,  descrive  1'  Utile  dulci, 
n.  IX  (XIX). 

48.  A  la  boccia,  a  cu'  va  cchìù  luntanu. 

Due  0  più  giocatori  tirano  successivamente  una  stessa 
palla  0  boccia  di  legno  al  muro,  e  lo  fanno  più  forte- 
mente che  possono.  Dove  la  palla  rimbalza  e  si  ferma 
si  segna  una  linea.La  palla  che  va  più  lontana  dal  muro 
vince. 

49.  A  la  Sìnga. 

In  alcuni  comuni  è  detto  A  mmirdazza.  Si  uniscono 
vari,  segnano  uno  piccolissimo  spazio  di  terra,  e  si 
contano;  Tultimo  getta  in  alto  una  moneta,  e  la  lascia 
ov'  essa  cade  ;  cosi  fa  il  secondo  ,  cosi  il  terzo  ecc. 
Quanto  più  si  scosta  la  moneta  dal  limite  segnato, 
tanto  più  si  ha  probabilità  di  vincere;  e  vince  quella 
moneta  che  più  si  avvicina  al  centro  ;  quella  invece 
che  tocca  il  margine  fa  mmirdazza,  o  m/merda  (Mes- 
sina e  Catania),  cioè,  non  fa  nulla.  In  Catania  è  detto 


A   ZICCHITTARI  103 

A  megghiu  visula,  perchè  chi  s'accosta  alla  miglior 
vìsiUa  vince  ;  e  visula  siguilìca  mattone.  In  Messina 
i  giocatori  son  due,  e  fanno  due  colpi  per  ciascuno. 
Misura  son  le  dita:  e  riesce  a  miglior  giuoco  chi  gua- 
dagna più  dita  di  visula  o  sHula. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  Fare  a  verga;  in  Piemonte  Giughè  a  brasa; 
in  alcuni  altri  paesi  A  la  pianela  (Sant'Albano). 

50.  A  Zìcchittari. 

In  Catania  son  varietà  del  giuoco  A  tuccari,  A  Vaz^ 
zicca,  A  la  fossetta  ccu  V  azzicca  ;  in  Riesi  A  zie- 
chiettu. 

Zicchittari,  in  Avola  zicculari,  in  Messina  'mmid- 
dari,  vale  dare  zicchittati,  cioè  buffetti,  ed  è,  a  quanto 
pare,  voce  onomatopeica.  (Cfr.  i  giuochi  45,  46,  51,  52 
e  56  §  3). 

Si  gioca  in  due  spingendo  a  buffetti  entro  una  buca 
per  terra  otto  fondelli  e  partendo  da  un  punto  pre- 
stabilito. Chi  non  vi  riesce  con  un  sol  colpo  per  cia- 
scun fondello  o  avellana  od  altro,  cede  al  compagno^ 
che  continua  alla  volta  sua  il  giuoco. 

In  Cianciana  si  dice  a  zicchittari  quando  si  gioca 
con  una  pallina  di  piombo  o  d'altro,  che,  dopo  buttata 
senza  risultamento  nella  buca,  vi  si  spinge  per  via  di 
zicchittati. 

In  Casteltermini  la  palla  è  una  ghianda,  ovvero  un 
impasto  di  marna  bianca  {trubbu);  e  il  giuoco  è  detto 
A  zicchittari  cu  la  badda. 

Nella  variante  di    Mazzara  A  ziccareddru,  il  fon- 


104  GIUOCHI 

dello  0  bottone  è  uno,  ed  il  giocatore  può  darvi  sopra 
un  solo  colpicino  per  volta  accostandolo  sempre  più 
alla  buca.  Quando  il  bottone  giunge  fino  ad  essa  e  vi 
rimane  quasi  in  bilico,  la  partita  è  vinta. 

Vedi  A  lu  Spangu  e  A  Sbatureddu,  nn.  47  e  42. 

Sul  valore  dei  fondelli  veggasi  il  giuoco  A  la  Gad- 
detta,  n.  53. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Mirandola  si  fa  sotto  il  titolo  Pidinna,  «  voce  usata 
nel  modo 

Pidinna  pidanna, 
Dentr'  in  tanna, 

usato  dai  ragazzetti  in  certo  lor  giuoco,  che  consiste  nel 
procurare  di  spingere  entro  certe  buche  o  circoli,  apposta 
preparati,  una  moneta,  un'animella  (anma)  o  simile,  spin- 
gendola coU'indice  un  numero  di  volte  convenuto.  A  Lucca 
dicono  : 

Bedina,  bedana, 

Va  in  la  tana.  » 

(Mbschieri,  p.  164).  Il  buffetto,  cioè  il  «  colpo  che  si  dà  con 
un  dito  accomodato  in  guisa  di  molle  al  dito  pollice,  la- 
sciandolo scoppiar  con  violenza  al  luogo  dove  si  vuol  col- 
pire »,  nel  Parmigiano  è  detto  pinghela,  o  rana  (Malaspi- 
NA,  III,  291). 

Un  giuoco  simile,  fatto  con  le  monete,  in  Milano  dicesi: 
Giugà  a  bon  spili  (Cherubini,  IV.  276). 

51.  A  la  Fussetta. 

Il  giuoco  della  Fussetta  o  del  fussettu  si  fa  colle  a- 
vellane  in  tempo  delle  feste  natalizie,  e  prende  il  nome 
anche  di  Jocu  a  li  nuciddi. 


A  LA  FUSSETTA  105 

Si  fa  ordinariamente  con  otto  avellane,  alcune  volte 
con  sedici,  di  rado  con  sole  quattro,  e  di  queste  una 
metà  vien  posta  da  chi  tira,  Taltra  metà  da  chi  duna. 
Vince  chi  ne  introduce  nella  fossetta  (buca)  un  numero 
pari,  ed  allora  ripone  in  tasca  la  metà  e  prende  dal 
compagno  la  nuova  puntata.  Se  il  numero  è  dispari, 
egli  perde,  e  vanno  al  compagno  tutte  le  nocciuole,  e 
questi  prende  mano  nel  gettare.  Nel  caso  che  le  noc- 
ciuole entrino  tutte  nella  buca,  o  che  non  ve  n'  entri 
nessuna  [fari  tutta,  o  fari  vacanti)  si  stabiliscono  patti 
speciali,  che  per  ordinario  si  riducono  a  considerare 
come  non  fatta  Funa  e  l'altra  gittata  [nun  si  fa  valiri). 

Alle  volte  questo  giuoco  si  fa  A  la  ziccula;  e  in  que- 
sto il  giocatore  dopo  avere  introdotto  colla  gittata 
nella  buca  quante  nocciuole  ha  potuto,  ha  il  diritto, 
se  il  numero  è  pari,  di  cacciarvi  dentro  le  altre  ri- 
maste fuori,  spingendovele  per  via  di  zicchittati  (buf- 
fetti). Chi  non  riesce  alla  prova  cede  la  mano  al  com- 
pagno, e  se  anche  lui  incespica,  torna  il  primo,  e  cosi 
a  vicenda  di  seguito.  Vince  finalmente  chi  riesce  a 
compiere  la  introduzione  nella  buca. 

Quando  il  numero  delle  nocciuole  gettate  riesce  dis- 
pari ,  la  precedenza  nel  dare  zicchittati  o  nello  zie- 
culari  (Avola),  spetta  alla  parte  contraria. 

Ordinariamente  si  gioca  alla  Ficssetta  coi  fondelli, 
coi  bottoni  0  altro,  industriandosi  a  farli  entrare  per 
buffetti  nella  buca. 

Un  canto  popolare  di  corruccio  contro  la  donna  ha 
questa  chiusura: 

Si'  comu  la  fossetta  di  Natali: 
Cu'  junci  prima,  joca  a  li  nuciddi. 


lOC  GIUOCHI 

52.  A  la  Badda. 

V  è  pure  il  giuoco  A  la  badda,  che  si  fa  con  una 
sola  pallina  di  legno,  la  quale  lanciata  contro  un  muro 
deve  introdursi  di  rimbalzo  in  una  buca  scavata  a 
qualche  distanza,  o  di  primo  acchito ,  o  mediante  la 
ziccula.  Chi  tira  è  il  primo  a  tentar  la  prova  dello 
ziccvliaìH:  non  riuscendo,  cede  il  luogo  al  compagno, 
e  cosi  alternatamente  sino  a  vincere  chi  riesca  ad  in- 
trodurla. 

53.  A  la  Gaddetta. 

Dicesi  pure  A  li  baddi,  A  la  badduzza;  in  Cata- 
nia A  lu  traccajolu. 

Due  giocatori  fanno  una  buca  per  terra,  che  chia- 
mano 'ddetta,  addetta,  gaddetta,  agghietta,  prendono 
otto  pallottoline  di  legno  o  di  cocci  arrotondati,  od  otto 
avellane,  e  si  contano.  Il  giuoco  consiste  nel  far  en- 
trare quanto  più  si  può  di  esse  pallottoline  entro  la 
buca,  lanciandovele  tutte  insieme  o  alla  spicciolata,  da 
un  certo  tiro  (detto  mercu) ,  che  non  superi  i  tre 
passi. 

Prima  di  cominciare  il  giuoco  si  stabilisce  la  maniera 
di  giocare  e  di  lanciare  le  palle,  la  quale  varia  nelle 
forme  che  seguono  e  che  sono  altrettanti  sotto-giuochi 
d*uno  stesso  giuoco  : 

!•*  A  tutti  ottu,  a  cu'  fa  unu.  Consiste  nel  gettarle 
tutte  otto  in  un  colpo  ,  facendone  entrare  solo  una 
nella  buca. 

2°  A  prima  sei  e  dipo*  dui,  o  Prima  cineu  e  dipoi 


A  LA  GADDETTA  107 

tri,  ecc.  a  cui  faparu  (o  spam).  Consiste  nel  gettarne 
prima  sei  e  poi  due,  o  prima  cinque  e  poi  tre,  per  fare 
un  numero  pari  o  dispari. 

3*  A  dui  a  dui,  o  A  una  a  una,  a  cu*  fa  cchiù 
assai.  Consiste  nel  gettare  a  due  a  due  o  ad  una  le 
palle,  vincendo  quello  de'  due  giocatori  che  ne  faccia 
entrare  di  più  nella  buca. 

4**  A  dui  a  dui,  o  A  quattru  a  quattru,  o  A  tutti 
ottu,  a  sei  n'  palazzu.  Si  gettano  a  due  o  a  quattro 
per  volta  o  tutte  insieme  le  palline ,  badando  a  non 
farne  entrare  più  di  cinque  se  si  vuol  fare  buon  giuoco  e 
non  ceder  la  mano  al  compagno.  Jiri  'n  palazzu,  in- 
fatti, in  Marsala  tracuddari,  fari  tracoddu,  frasi  pas- 
sate in  altri  usi  della  vita,  significano  uscir  di  numero, 
eccedere,  e  quindi  perdere. 

5*  A  passa-tridici  a  la  fussetta.  Si  tira  due  o  tre 
volte  le  palle,  delle  quali  solo  tredici  devono  entrarne 
nella  buca.  Chi  per  tre  volte  di  seguito  o  interrotta- 
mente  fa  13,  vince.  Vale  per  13  un  numero  inferiore, 
come  9, 10,  11,  quando  Taltro  giocatore  non  lo  supera 
0  quando  fa  più  di  13. 

Quando  i  due  giocatori  sorpassano  il  13  o  fanno  en- 
trambi un  numero  pari,  non  vince  nessuno.  Essendo  8 
le  palline,  non  può  farsi  13  se  non  in  due  o  tre  tiri, 
ma  non  è  lecito  farlo  in  quattro.  Chi  nel  secondo  tiro 
fa  un  numero  a  cui  gli  convenga  fermarsi ,  gitta  le 
palline  in  terra  senza  mandarle  nella  buca. 

Si  ravvicini  al  giuoco  A  passa-tridici  cu  li  manu 
(n.  26). 

6*  A  Milazzu.  Gettando  a  due  a  due  le  palle,  se  ne 


108  GIUOCHI 

devono  fare  entrare  sette  nella  buca.  Perde  chi  lo 
oltrepassa,  vince  chi  più  si  avvicina  al  sette,  se  chi 
ha  giocato  prima  ha  sorpassato  il  sette  o  ha  fatto  meno 
del  sette. 

Questi  giuochi  5  e  6  si  fanno  particolarmente  a  Maz- 
zara. 

7°  A  spam  o  pam.  Chi  tira  le  palle  domanda  al 
compagno:  Spam  o  pam?  E  quello,  p.  e.:  Sparu;— 
E  io  pam,  risponde  il  tiratore  ;  e  getta  tutte  otto  le 
palle  nella  buca.  Se  le  palle  che  entrano  nella  buca 
sono  dispari  di  numero,  vince  il  compagno;  se  pari, 
vince  lui. 

Qualche  volta,  per  una  modificazione  del  giuoco,  chi 
non  ha  fatto  entrar  tutte  nella  buca  le  pallottole,  deve 
farvele  entrare  per  via  di  buffetti  [zicchittati)  una  alla 
volta.  Ma  per  questo  vedi  A  zicchittari. 

Qualche  altra  volta  si  giuoca  non  già  con  palline  ma 
con  nocciuoli  d'albicocche  {alV ossa).  Da  ciò  il  modo 
proverbiale  siciliano:  Va  joca  all'ossa,  ca  la  'ddetta 
sedi  (va'  a  giocare  agli  ossi,  che  la  buca  è  in  riposo), 
col  quale  cerchiamo  di  liberarci  d'un  importuno,  d'uno 
sciocco,  d'uno  sfaccendato,  il  quale  ne  sballi  delle  mar- 
chiane o  ci  rompa  le  scatole.  (Vedi  i  due  giuochi  A 
un  ossu  pigghia  deci  e  A  lu  granu  supra  la  rmci,  nn. 
61  e  65. 

Quando  il  giuoco  delle  pallottoline  si  fa  in  molti,  va 
cosi.  V'è  un  capo-giuoco  che  arma  la  Jìicata  o  lu 
Jocu;  costui  si  chiama,  in  generale.  Casa  (forse  cor- 
rotto da  cassa),  ma  talora  Mamma  (Chiaramonte),  ed 
invita  qualcuno  a  pigghiari  baddi.  Costui  dee  avere 


A  LA  GADDETTA  109 

un  certo  capitale  sia  in  centesimi,  sia  in  fondelli  o 
bottoni  di  calzoni,  capitale  tradizionale  ne'  fanciulli , 
che  non  perde  mai  valore  né  passa  di  moda  o  di 
pregio.  Notisi  che  i  cosiddetti  funnedda  o  Capitini 
(fondelli),  vengono  computati  cosi:  uno,  un  granu;  due, 
du*  grana  o  un  bajoccu;  cinque  un  tariolu,  I  fon- 
delli con  un  solo  foro,  che  servono  di  anima  a'  botto- 
ni, son  considerati  come  falsi  di  fronte  a  quelli  più  pic- 
coli con  tre  o  cinque  fori.  I  fondelli  di  metallo  non 
valgono.  I  compagni  puntano  ciascuno  una  somma:  un 
grano,  p.e.,  un  bajocco,  un  tari;  tutto  computato,  la  Ca- 
sa è  liberissima  di  far  tirare  quanto  vuole,  sia  più,  sia 
meno  di  quanto  si  trova  depositato,  sicura  di  aver  a 
vincere.  Dice  dunque  a  chi  ha  prese  le  palle,  quasi  am- 
monendolo: Ce* è  cincu  grana;  e  gli  chiede  se  vuol 
tirare.  Il  compagno  accetta  e  tira  colle  condizioni  pre- 
stabilite sul  numero  delle  palline  da  dover  far  entrare 
nella  buca.  Questo  si  chiama  A  parari;  perciò  basta 
mandar  dentro  un  numero  pari  di  palline  per  fare  buo  n 
giuoco. 

Se  egli  vince,  tira  a  tutti,  (tira  tutti) ,  e  riceve  la 
somma  puntata,  rilasciando  alla  Casa  il  tanto  per 
unza;  se  perde,  pagherà,  e  lascia  la  mano;  e  cosi  la 
Casa  darà  a  ciascuno  il  doppio  di  quello  che  han  pun- 
tato. Qualche  giocatore  s'accorda  con  la  Casa  in  que- 
sto: che  nessuno  dei  due  debba  esigere  l'uno  dall'altro 
il  prezzo  della  vincita:  e  ciò  si  dice  Jucari  a  guarda- 
cumpagnu. 

Può  accadere  che  la  somma  puntata  o  rivelata  dalla 
Casa  sia  esorbitante  per  chi  tira,  e  allora  questi  si  ri- 


110  GIUOCHI 

fiuta  a  tirare,  od  accetta  a  patto  che  gli  si  ribassi, 
tanto  che  non  lo  si  impoverisca  d'un  colpo.  Avviene  che 
in  queste  smozzicature  la  Casa  guadagni  anche  più 
di  chi  tira,  ovvero,  se  è  arrischiata,  perda  sino  a  fal- 
lire. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Corrisponde  a'  seguenti  giuochi  delle  varie  province  ita- 
liane: Alla  fossa  di  Napoli;  Alle  buche  di  Toscana;  A  gù 
nagianna  di  Milano  (Cherubini,  II,  220);  A  buza,  o  A  buz- 
zèla^  o  A  buzele,  o  A  predèla  di  Brescia;  Al  biisi  o  AUa 
busa  del  Parmigiano;  Al  dot  del  Piemonte;  A  le  buse  di 
Venezia  (Bobrio)  e  di  Padova  (Patriarchi);  ma  si  fa  con 
più  buche,  nelle  quali  si  mette  del  danaro,  che  vince  colui 
che  vi  manda  dentro  nocciuoli  di  pesca. 

54.  A  li  Pìsuli. 

Sempre  che  sia  fatto  con  le  pisulU  il  giuoco  è  detto 
in  Acireale  A  pigghialu,  in  Catania  A  la  pìgghiula^ 
in  Caltanissetta,  Riesi  e  CQ,^ÌQ[\^vxmm  A  petr a  pigliari, 
in  Avola  A  plggiari  (a  pigliare),  in  Messina  A  pitrtid- 
duli^  in  Chiaramente  A  li  pitrèdduli,  in  Girgenti  A 
pitranta,  in  Comiso  A  petrannàm  (a  pietra  in  aria), 
in  Modica  A  scaggia  all'aittu  (a  scaglia  in  alto) ,  in 
Marsala  e  Mazzara  A  'u  baddi^,in  Cianciana  A  li  vasti 
{vasta,  sassolino),  in  Noto  É  picei  (id.) ,  in  Siracusa 
É  novi  a  mam7na,  e  si  giuoca  in  quattro  con  nove 
cuticchineddi ,  cioè  sassolini .  Diconsi  pisuli  otto  o 
sedici  pezzettini  di  mattoni  arrotondati ,  ovvero  noc- 
ciuoli di  pesche  od  altri  corpi  consimili.  Due  fanciulli 
fanno  a  pari  e  caffo  ,  e  chi  vince   prende  le  pisiUi , 


A  LI  PISULI  111 

le  mette  tutte  nel  cavo  delle  mani  insieme ,  e  le 
getta  in  alto  capovolgendo  le  mani  per  raccoglier- 
le, al  loro  cadere,  sul  dosso.  Quelle  che  raccoglie  tor- 
na a  gettai;:le  per  tornarle  a  ricevere  nel  cavo.  La 
valentia  sta  nel  farne  cadere  il  meno  possibile  la 
prima  volta ,  e  nel  non  farne  cadere  nessuna ,  la 
seconda.  Quando  il  giocatore  è  riuscito  a  questo, 
prende  tutte  le  pisuli  rimastegli  e  le  mette  in  ser- 
bo. Per  ricuperare  quelle  cadute  ne  prende  una 
delle  conservate,  la  getta  in  alto,  ed  intanto  che  afferra 
l'una,  prende  le  due  che  giacciono  per  terra,  e  con 
esse  alla  mano  coglie  al  balzo  quella  già  lanciata  in 
alto.  Tutto  questo  ,  fatto  colla  massima  agilità  e  de- 
strezza, è  detto  in  Marsala  la  Sarda.  Quando  le,  pi- 
suli, nel  capovolger  delle  mani,  cadono  l'una  sull'altra 
e  voglionsi  separare ,  debbono  prendersi  non  con  la 
mano  ma  coi  denti  o  con  le  labbra.  Sarà  la  partita 
compromessa  se  egli  toccherà  le  pisuli  senza  tòrle  su 
di  netto,  e  perduta  se  le  sue  pisuli  saranno  in  minor 
numero  di  quelle  che  ricupererà  il  compagno  quando 
verrà  la  sua  volta.  La  perdita  potrà  essere  di  quel 
che  si  è  stabilito  avanti;  ma  per  lo  più  si  riduce  a  una 
delle  tre  seguenti  penitenze  da  farsi  dal  perditore  : 

1*  Il  perditore  rigonfia  la  bocca,  ed  il  vincitore  gli 
dà  un  numero  determinato  di  leggieri  sgrugnoni,  che 
si  dicono  gargiuna, 

2°  Dei  colpetti  a  un  lato  del  naso,  detti  pipati  (Pa- 
lermo) ,  o  nasali  (Chiaramente).  Questi  si  danno  col 
secondo  e  col  terzo  dito  uniti  insieme. 

S*»  Qualche  zicchitlata  sul  pomo  d'Adamo.  Zicchit- 


112  GIUOCHI 

tata  è  già  detto,  è  il  colpo  d'un  dito  che  scocchi  di 
sotto  un  altro  dito,  e  si  dà  con  l'unghia  {buffetto,  biscot- 
tino de'  Toscani.  Cfr.  n.  50). 

4®  Il  perditore  posa  la  mano  in  terra  ;  il  vincitore 
gettando  in  aria  una  pisula,  dà  tanti  colpi  su  di  quella 
quante  sono  le  pisulz  che  egli  ha  vinte,  o  qualche  piz- 
zicotto. Il  colpo  dev'esser  dato  prima  che  cada  ìàpi- 
siUa,  che  il  vincitore  deve  afferrare  in  tempo.  Questa 
varietà  in  Messina  è  detta  É  basisi. 

Del  giuoco  A  li  pisuli  lasciò  un  breve  cenno  nel  se- 
colo XVni  Fr.  Pasqualino.  (M.  Pasqualino,  Voc.  sic. 
IV,  124).  Pei  Riscontri  veggasi  il  seguente  giuoca. 

55.  A  Spumposta. 

.  Modificazione  del  giuoco  delle  psiuli,  la  Spumposta 
si  fa  in  tutta  l'isola  con  soli  cinque  sassolini.  Il  gio- 
catore li  getta  tutti  e  cinque  a  terra,  e  presone  uno  e 
dicendo  spundunu,  lo  lancia  quattro  volte  in  aria, 
prendendo  ad  uno  ad  uno  tutti  gli  altri  rimasti  pria 
che  questo  gli  ricada  nella  mano.  Nuovamente  li  getta 
tutti  a  terra,  e  dicendo  spundui,  e  lanciandone  uno 
per  due  volte  in  alto  ,  prende  a  due  a  due  i  quattro 
rimasti  simultaneamente  alla  ripresa  del  sassolino  lan- 
ciato.Replica  il  getto  per  la  seconda  volta  dicendo  spun- 
tH,  e  lanciando,  al  solito,  V  unico  sassolino  per  due 
volte ,  deve  prendere  dei  quattro  di  terra  dapprima 
uno,  poi  gli  altri  tre  ad  un  colpo.  Finalmente  dicendo 
spumposta,  deve  prendere  in  unica  volta  con  F  uno 
lanciato  tutti  e  quattro  i  rimanenti.  Se  non  riesce  a 


A  SPUMPOSTA  113 

compire  esattamente  la  quadruplice  prova,  egli  perde, 
e  prende  mano  il  compagno.  Ove  però  vi  riesca,  sot- 
topone Taltro  alla  seguente  penitenza. 

Fattagli  posare  sopra  un  piano  la  mano  aperta,  di- 
stribuisce i  cinque  sassolini  sulle  estremità  delle  cin- 
que dita,  aventi  ciascuno  un  proprio  nome;  poi  pren- 
dendo quello  del  pollice  e  lanciandolo  cinque  volte  in 
aria  e  cinque  volte  ripigliandolo  nella  caduta  va  bat- 
tendo col  dosso  della  sua  mano  sul  dosso  di  quella 
del  compagno,  e  intanto  per  ciascuna  volta  che  lo  getta 

ripete  : 

Ciocca  cacata, 

Nun  cacari  ova 

Sina  ca  veni 

Lu  nunnu  di  fora. 

'Mprestami  un  pani 

Quantu  vaju  fora. 

Poi  prende  il  sassolino  dell'indice,  e  replicando  lo  stesso 
getto  e  la  stessa  ripresa,  batte  cinque  volte  sulla  mano- 
dei  vinto  con  la  palma  della  sua,  dicendo  : 

Murtaru  unu, 
Murtaru  dui  ecc. 
Murtaru  cincu, 
'N  jucari  cchiui, 
Cà  sempri  si'  vinta. 

Segue  la  slessa  cosa  col  sassolino  del  dito  medio,  bat- 
tendo sulla  mano  del  compagno  col  pugno  chiuso ,  e 

ripetendo  : 

Pistuni  unu, 

Pistuni  dui  ecc. 

'N  jucari  cchiui  ecc. 

G.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  8 


114  GIUOCHI 

Fa  lo  stesso  col  sassolino  del  dito  anulare  grattando 
la  mano  del  paziente  e  dicendo  : 

Grattalora  una, 
Grattalora  dui,  ecc. 
'N  jucari  echini  ecc. 

Finalmente  facendo  lo  stesso  col  sassolino  del  mi- 
gnolo e  lisciando  ripetutamente,  coll'indice  della  sua, 
la  mano  del  compagno  come  per  rinfrescarla,  dice  : 

Rifrischeddu  unu, 
Rifrischeddu  dui  ecc. 
'N  jucari  cchiui 
Cà  sempri  si'  vintu. 

Questa  è  la  forma  comune  raccolta  in  Avola,  e  con- 
fermata nelle  varie  province  della  Sicilia. 

Più  semplice  è  la  variante  di  questa  penitenza  in 
Noto  e  in  molti  altri  luoghi  compreso  Palermo. 

Le  parole  di  Noto  son  queste  :  puntaluor^  unu  ecc. 
pel  primo  sassolino  lanciato  e  per  la  prima  puntura 
data;  carragghiau  unu  ecc.  pel  secondo  sassolino,  col 
pizzicotto  ;  lattarula  unu  pel  terzo,  col  grattamento 
della  vddinoi  x^istuni  unu  pel  quarto,  con  un  colpo;  ar- 
rifrischeddu  unu]^é[  quinto,  con  l'accarezzamento  della 
mano.  In  CsLstelievmini:  Acidduzzu,  carcarazzajocca 
arraggiata,  arrifì^iscu  pistuni. 

Si  comprende  che  la  penitenza  cominciata  con  le 
punture  e  coi  pizzicotti ,  si  fa  più  mite  fino  alla  ca- 
rezza (Noto). 

Nella  Contea  di  Modica  la  penitenza  più  in  uso  è 
questa:  il  perditore  posata  la  mano  in  terra  riceve 
cinque  manate  [scattioli)  dal  vincitore,  il  quale  canta: 


A  SPUMPOSTA  115 

Pirripizziu 
Mi  lu  manciù  iu, 
Pirripipianciu, 
Tu  t'  'a  'ggiutti. 
E  iu  m'  'u  manciù. 

In  Cianciana  il  perdente  riceve  le  scaffati ,  cioè 
raette  il  braccio  teso  e  la  mano  aperta,  ed  il  vincitore 
gliela  batte  con  ambe  le  mani  distese.  Bisogna  osser- 
vare che  nel  cominciare  il  giuoco  in  Casteltermini  si 
^faci  dando  il  dosso  o  la  palma  di  una  mano,  mentre 
in  Cianciana  si  scidci  col  dosso  di  una  mano,  o  colla 
palma  di  ambedue. 

Nella  stessa  Cianciana  poi  ed  in  molti  altri  comuni 
dell'isola  si  fa  il  seguente  giuoco  chiamato  A  Cincu. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Terra  d'Otranto  A  cuntrice,  o  Pàllice ,  o  Rùnchiulo 
(Lat.  Aruncolus),  tutte  varietà  dello  stesso  giuoco  (Db  Simone, 
loc.  cit.);  in  Biceglie  *U  sciàuch  de  la  rugne;  in  Toscana 
A'  cinque  sassi  a  ripigliare y  varietà  dell'altro  più  generale 
A  ripiglino  e  A  sbrescia  (Malmantile,  II,  p.  72);  nelle  Mar- 
che A  breccetta  Gianandrea,  n.28);  in  Parma  A  garén  (Ma- 
iaspina);  in  Brescia  alcune  varietà  A  brùz ,  A  pasadigg, 
A  broesch  ;  in  Milano  A  bagnetta  e  A  pedinna  (Cheru- 
bini, II,  200);  in  Venezia  A  galina  porta  in  ca  (Bernoni, 
n.  73),  ed  una  varietà  A  maneta  (Boerio);  in  Piemonte  A 
ùraman  (Sant'  Albino). 

Il  Ripiglino  era  usitatissimo  tra'  fanciulli  greci ,  che  Io 
dicevano  TcevxdXtSa,  perchè  si  eseguiva  con  cinque  sassolini, 
0  allessi  (Giulio  Polluce,  lib.  9,  e.  7).  Presso  i  Latini  Occel- 
lata,  come  dicono  Varrone  e  Svetonio. 

Una  bella  descrizione  del  giuoco  diede  nel  sec.  XVII  Ro- 
drigo Caro  e  testé  Rodriguez  Marin,  Cant,  pop,  esp.,  t.  IL 


116  GIUOCHI 

56.  A  Cincu. 

Si  gettano  cinque  vasti  (sassolini)  in  terra:  il  gioca- 
tore ne  prende  una,  la  lancia  in  aria,  e  deve  tòr  su 
una  di  quelle  che  sono  in  terra  per  ricevere  con  essa 
nel  cavo  della  mano  quella  lanciata  in  aria  ;  questa 
operazione  la  ripete  per  le  altre  tre  vasti  che  sono  in 
terra. 

Nella  seconda  operazione ,  in  quello  che  lancia  la 
va^ta  in  aria,  deve  prendere  a  due  a  due  le  quattro 
rimaste  in  terra;  nella  terza,  deve  prenderne  prima 
tre,  poi  una;  nella  quarta,  tutte  e  quattro  ad  un  tem- 
po ;  nella  quinta ,  il  giocatore  col  polljice  e  V  indice 
della  sinistra  forma  un  arco  poggiato  a  terra;  lancia 
la  vasta ,  intanto  che  con  la  destra  fa  passare  sotto 
l'arco  una  o  più  Valter  e  tante  volte  finché  il  terreno 
non  rimanga  sgombro.  Nella  sesta,  il  giocatore,  lan- 
ciata in  aria  la  vasta ,  prima  di  ricever  questa,  dee 
lanciarne  una  terza  mentre  riceve  la  prima,  e  ricever 
la  seconda  mandando  la  quarta  :  prova  di  molta  agi- 
lità e  destrezza.  Lanciando  la  prima  i;a,yte  egli 'dice: 

Ogliu  cata  ogliUy 
Va'  'ccàttami  un  granu  d' ogliu. 

Lanciando  la  seconda  : 

Ogliu  cata  ogliu, 
Va  'ccàttami  durana  d'  ogliu. 

E  cosi  tri  grana,  quatturrana.  Questa  sesta  ma- 
niera di  giuoco  è  detta  Ad  ogliu  cata  ogliu^  (parlata 
di  Cianciana). 


A  CINCU  117 

Nella  settima  operazione,  manda  in  alto  per  quattro 
volte  la  vasta ,  striscia  a  terra  coir  indice  e  ripete 
ciascuna  volta  :  Pisci  unUy  pisci  du\  pisci  tri,  pisci 
quoMru, 

Nella  ottava  manda  in  alto  per  le  stesse  quattro 
volte  la  va^tay  e  ciascuna  volta  striscia  per  terra  Tin- 
dice  ed  il  medio  e  dice:  Sarda  una,  sarda  du*,  sarda 
tri,  sarda  quattru. 

Nella  nona,  lanciata  la  va^ta  in  aria ,  dee  raccat- 
tarne una  per  terra  e  mandarla  nella  pitturina,  cioè 
tra  il  petto  e  la  camicia  che  si  tiene  aperta.  Cosi  si 
fa  per  la  seconda,  terza  e  quarta  vasta. 

Ciascuna  di  queste  nove  parti  del  giuoco  devesi  ri- 
petere [incredibile  dictu  !)  cinque  volte  per  una,  sic- 
ché ogni  operazione  si  esegue  cinque  volte  di  seguito. 
Se  il  giocatore  ha  avuto  la  fortuna  di  compiere  felice- 
mente queste  nove  operazioni,  passa  alla  decima:  la  pe- 
nitenza al  compagno,  che  consiste  nel  lancare  una  alla 
volta  le  cinque  vaste,  e  dando  per  ognuna  alla  mano 
di  quello  aperta  a  terra  un  pizzuluni ,  pizzicotto.: 
penitenza  mite  pel  perditore,  di  poca  soddisfazione  pel 
vincitore ,  ma  pericolosa  per  costui ,  giacché  se  egli 
lascia  ricadere  per  terra,  senza  poterla  cogliere  al  volo, 
\^vasta;  se  egli  stanco,  ^caca,  paga  lui,  cioè  dee  metter 
lui  la  mano  sotto,  e  ricevere  i  pizzicotti  che  a  lui  rimane 
a  dare  il  perditore;  donde  accade  che  di  tante  diffìcili 
operazioni  ben  riuscite  altri  colga  il  frutto ,  siccome 
avviene  spesso  nella  vita. 

Il  lettore  s'accorge  facilmente  che  di  tutti*  i  giuochi 
fanciulleschi  questo  è  il  più  lungo  e  forse  il  più  dif- 
ficile e  delicato. 


118  GIUOCHI 

57.  A  lu  Truzzu. 

In  Trapani  A  truzzari. 

Si  fa  con  uova  molto  sode,  ed  ecco  come  lo  descrive 
l'accurato  F.  Mondello  [Spettacoli  e  feste  popol.  in 
Trapani,  p.  23;  Trapani,  1882)  : 

I  giocatori  «  convengono  in  prima  a  provarsi  scam- 
bievolmente le  uova  tra'  denti,  per  saggiarne  la  con- 
sistenza della  scorza  o  la  fragilità.  Convenute  te  parti, 
non  senza  qualche  passeggiero  scalpore  si  provano  in 
questa  maniera  :  Uno  di  essi  stringe  in  pugno  l'uovo, 
e  Faltro  vi  batte  su,  con  una  delle  estremità  del  pro- 
prio uovo ,  detta  o  di  punta  o  di  culu.  Se  uno  dei 
due  si  rompe ,  1'  uovo  rotto  diviene  proprietà  di  chi 
ha  vinto  al  giuoco...  Alcuni  giovani  mettono  entro  il 
sale  delle  uova  per  indurarle  e  superare  gli  emuli.  » 

II  fondo  di  questo  giuoco  è  il  medesimo  del  se- 
guente. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

L'  annotatore  delle  Satire  di  Settano,  alla  Vili»  del  lib.  II, 
p.  332,  voi.  2°,  cosi  ricorda  questo  giuoco:  «  Eadera  plebs 
ludum  hunc  vocat  peculiari  suo  idiotismo  giocare  a  scoc- 
cietta.  Sic  autem  luditur  ut  ovum  ovo  supponatur,  et  ex 
pacto  invicem  collidantur,  cui  ovum  durius  minime  fran- 
gitur  Victor  remanet.  Indo  ex  Victoria  lucrum  ovum  ipsum». 
Settano,  come  si  sa,  fu  Ludovico  Sergardi  (1660-1726),  che 
descrisse  i  costumi  specialmente  di  Roma  al  suo  secolo. 

Su  questo  stesso  giuoco  vedi  Seb.  Pauli,  Modi  di  dire 
toscani  ricercati  nella  loro  origine,  p.  291,  n.  CLXXXIX. 
In  Venezia  MDCCLXI. 


A  RUE  119 

In  Toscana  A  scoccetto  o  A  scoccino  (Barbieri,  70);  in 
Colle  di  Val  d'Elsa  A  rampino  ;  in  Parma  A  scozzet  o  A 
j  oèuv;  in  Milano  Ai  oeuv  (Cherubini,  III,  139);  in  Brescia 
A  S'Cepi;  in  Venezia  Ai  vovi,  A  cvtca  o  A  far  cuca  (Boe- 
Rio);  in  Padova  A  cuvare,  A  colpare;  in  Piemonte  A  f  oeuv. 

58.  A  Ruè. 

In  Borgetto  e  Partinico  A  ruinè;  e  anche  in  Palermo 
da  qualcuno  si  dice  pure  cosi,  come  può  rilevarsi  dalla 
favola  dell'ALCozER:  La  lupa  vecchiu, 

C\n  vuol  fare  questo  giuoco  bisogna  che  abbia  una 
noce  ben  dura  e  forte;  e  se  sia  tale  può  provarla  bat- 
tendola più  volte  sur  un  ciotto  molto  piatto  e  liscio 
(petra  di  ruè) ,  che  ad  un  buon  giocatore  non  suole 
mancar  mai. 

I  venditori  di  noci  buone  a  questo  giuoco  le  gri- 
dano: Nuci  di  ruè,  picciotti!  e  le  vendono  più  care  che 
le  altre.  La  noce  che  i  fanciulli  presumono  resistente 
^'  colpi  suol  esser  piccoìina  e,  battuta  sul  ciotto,  dà 
un  suono  ^impm  (limpido)  e  acuto:  in  Borgetto  si  chiama 
nuci  rumisa  o  nicci  stigghiusa  (nodosa). 

Per  intostire  una  noce  da  ruè  la  si  tiene  immersa 
in  aceto  per  molte  ore;  l'aceto  forte,  dicono  i  fanciulli^ 
dà  fortezza.  Un  fanciullo  che  vuol  giocare  vocia  : 

Ruè 
Cu  cu'  è  ggliè  *, 
Macàri  e'  'u  flgghiu  d"u  Re  ! 

Trovato  un  altro  che  voglia  fare  a  vwé,  e  accordatisi 
entrambi ,  dopo  esaminate  e  provate  reciprocamente 

■  Ruè  con  chi  è  è  (chicchessia). 


120  GIUOCHI 

le  noci,  fanno  a  pari  e  caffo.  Chi  perde,  adatta  tra  il  suo 
pollice  e  l'indice  e  posa  sur  un  piano  sodo  e  duro  la 
propria  noce  che  va  sutta.  Chi  vince  vi  posa  'n  cairn 
la  sua  con  la  mano  sinistra,  e  con  la  destra  armata 
d'un  ciottolo  vi  dà  sopra  tre  colpi  fermandosi  ad  ogni 
colpo  per  vederne  i  risultati.  Se  nessuna  delle  noci 
s'  è  schiacciata ,  prende  mano  Taltro  ,  e  ripete  i  tre 
colpi,  e  cosi  di  seguito  finché  una  non  ne  resti,  per 
lo  meno,  fessa.  In  dubbio,  la  prova  sulla  petra  di  ruè 
decide.  La  noce  fessa  o  schiacciata  va  al  vincitore. 

Le  frodi  sono  di  due  modi  :  presentando  una  noce 
di  legno  con  tutte  le  apparenze  d'una  noce  naturale; 
posando  la  noce  in  guisa  tale  che  possa  eludere  il 
colpo  proprio  o  del  compagno. 

Questo  giuoco  si  fa  esclusivamente  nella  provincia  dì 
Palermo,  dove  è  comunissimo  in  tempo  di  noci  fresche. 

Sotto  forma  allegorica  descrisselo  C.  Piola,  Poesie 
siciliane,  p.  537  (Palermo,  1872).  Il  Mortillaro,  Nuoto 
Dizionario 'Siciliano-italiano,  2*  ediz.  (Palermo,  1853), 
p .  739,  scrive  : 

«  Ruè ,  voce  recente  inventata  dai  fanciulli  per  si- 
gnificare un  giuoco  che  si  fa  con  due  noci  tenute  dai 
giocatori  una  sull'altra,  e  percotendo  dall'alto  la  su- 
periore, quella  che  non  si  frange  vince.  » 

È  bensì  vero  che  i  vocabolaristi  siciliani  anteriori 
al  M.  non  registrano  la  voce  (e  quante  altre  migliaia 
e  migliaia  non  ne  omettono  !);  ma  è  certo  che  al  secolo 
passato  cosi  la  voce  come  il  giuoco  eran  comunissimi. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

I  guagliuni  napoletani  lo  chiamano  A  Rio  (De  Bour- 
CARD.  I,  300). 


A  LA  SCIDDICALORA  121 

59.  A  la  Sciddicalora. 

■ 

In  Riesi  e  Vallelunga  è  conosciuto  col  nome  di  A 
truzzarieddu;  in  Borgetto  A  ruz zuliuneddu;  aAtroYe 
A  ruzzulari. 

Due  fanciulli  scelgono  un  lieve  rialzo  a  forma  in- 
clinata ,  e  dair  alto  di  esso  lasciano  ruzzolare  alter- 
natamente una  noce,  o  mandorla,  o  avellana  per  cia- 
scuno, fino  a  tanto  che  -una  di  queste  non  vada  ad 
urtarne  una  delle  altre  che  sono  per  terra. 

Quando  la  inclinazione  per  la  quale  scorron  le  noci  è 
sensibile, allora  cadendo  con  furia  ed  allontanandosi  dal 
punto  di  partenza,  si  scostano  molto  tra  di  loro,  ed  il 
giuoco  dura  con  sempre  crescente  trepidazione  per  le 
noci  che  si  giocano  e  che  andranno  a  chi  avrà  la  for- 
tuna di  fare  buon  giuoco. 

Alla  fine  del  turno,  chi  non  ha  più  noci  da  mandar' 
giù  se  ne  piglia  alcuna  di  terra  ^  e  così-  pro.se^ue  il  . 
giuoco  fino  a  tanto  che  uno  vinca. 

In  alcuni  siti  la  prima  noce  che  si  manda  giù  è  detta 
Mastra^  e  lasciasi  dove  va  a  fermarsi.  Indi,  per  or- 
dine, ciascuno  getta  la  sua,  e  si  guadagnano  tutte  quelle 
che  sono  cadute,  quando  si  tocca  la  mastra. 

Usa  anche  sostituire  alle  noci  fondelli,  fave  secche, 
e  semi  di  carrube. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Terra  d'  Otranto  è  detto  Li  nuci;  nelle  Marche  Alle 
noci  (GiANANDREA,  20);  in  Parma  A  la  uòsa;  in  Brescia  A 
cantagal  e  A  cochèt. 


122  GIUOCHI 

Menziona  questo  giuoco  Ovidio, iVi^  77,0  Valerio  Marziale, 
come  in  uso  presso  i  fanciulli  romani  al  tempo  de'  Satur- 
nali, ed  un  bassorilievo  della  collezione  Ince  Brundel.  1  La- 
tini lo  dicevano  Tabula^  perchè  facevano  scorrer  le  noci 
dall'alto  d'una  tavoletta  obliquamente  messa. 

60.  Ad  Annasar!. 

Uno  di  due  giocatori  getta  per  terra  una  noce, 
che  l'altro  da  un  dato  posto  deve  colpire  con  la  sua. 
Se  la  colpisce,  fa  buon  giuoco-  se  no,  lascia  che  il  com- 
pagno  riprenda  la  sua  e  tiri  lui  su  quella.  Cosi  si  fa 
sino  a  tanto  che  una  delle  noci  dia  nel  segno.  Se  però, 
non  cogliendo,  le  due  noci  distino  una  spanna,  allora 
chi  è  più  prossimo  a  tirare,  tira  ad  annasari ,  cioè 
mette  la  noce  al  naso,  ed  acconciandosi  perpendicolar- 
mente a  quella  per  terra ,  ve  la  lascia  cadere.  Se  la 
colpisce,  vince;  altrimenti  deve  cedere  la  stessa  ma- 
niera di  giuoco  al  compagno. 

Questa  ultima  pratica  è  particolarmente  in  uso  a 
Cianciana  e  Casteltermini.  Vedi  A  lu  granu  supra  la 
nuciy  n.  67. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

I  Toscani  lo  dicono  A  Truccino;  i  Milanesi  A  Tocchetla: 
i  Piemontesi  ed  i  Veneziani  A  rafa  (Sant' Aitino  e  Boerio): 
ed  è  simile  ad  un  giuoco  che  facevano  i  Greci. 

61.  A  'Nzirtari  li  nuci. 

Tra  due  giocatori ,  uno  lancia  in  aria  una  noce,  e 
l'altro,  tenendo  tra  la  commersura  di  due  dita  altra 
noce,  vuole  e  deve  su  questa  ricevere  il  colpo  della 


A  BANCU  APERTU  123 

noce  che  ricade.  Se  fa  buon  giuoco,  guadagna  la  noce 
caduta;  se  no,  perde  la  sua. 
In  Mazzara  si  dice  A  truzzarU 

62.  A  Bancu  apertu. 

Quando  si  fa  questo  giuoco,  un  fanciullo  che  tiene 
banco  siede  per  terra,  e  tra  le  gambe  distese  ed  a- 
perte  pone  un  certo  numero  di  noci,  mandorle,  o  noc- 
ciuole,  in  modo  che  si  tocchino ,  ed  una  stia  sopra 
tutte.  A  queste  da  una  distanza  che  si  conviene  d'ac- 
cordo tirano  successivamente  altri  fanciulli  con  una 
noce  0  mandorla.  Chi  le  investe  e  ne  altera  la  dis- 
posizione ,  guadagna  quelle  che  il  banco  promette  in 
premio.  Chi  fa  banco  guadagna  tutte  le  noci  lanciate 
di  mano  in  mano  da'  giocatori  che  sbagliano. 

Molto  usato  in  Mazzara. 

63.  A  un  Ossu  pigghia  deci. 

Si  fa  al  conto,  ed  il  primo  sorteggiato  fa  da  banco 
e  colloca  in  terra  un  nocciuolo  piombato  d'albicocca. 
11  secondo,  il  terzo,  il  quarto  ecc.  de'  giocatori  tirano 
il  loro  nocciuolo,  e  chi  lo  colpisce  è  vincitore  di  dieci 
altri  nocciuoli,  che  il  banco  paga  di  suo. 

64.    A  Murari. 

In  Messina  A  sparari;  a  Torre  di  Faro  A  pedi  vanni; 
in  Bor getto  e  altrove  A  la  filerà. 
Sopra  un  lieve  rialzo  di  terra,  in  fila  s'impiantano 


124  GIUOCHI 

tante  noci,  o  mandorle ,  o  mele ,  o  nocciuoli  di  albi- 
cocche quanti  sono  i  giocatori,  o  il  doppio  o  il  triplo 
del  loro  numero  ;  e  vi  si  tira  sopì'a  dalla  distanza 
concordata  tra  tutti  con  una  noce,  o  mandorla,  o  mela 
od  altro.  Chi  colpisce  e  fa  saltar  fuori  dal  filare  le  noci 
ecc.,  che  però  non  tocchino  più  la  terra  ov'eran  po- 
sate, le  prende  lasciando  che  uno  per  volta  tirino  gli 
altri  giocatori. 

Talora  il  filare  invece  che  per  largo,  come  si  suole, 
è  fatto  per  lungo,  in  modo  che  a  chi  tira  non  si  pre- 
sentano 10,  12,  o  più  noci,  quante  ne  mettono  i  gio- 
catori, ma  una  sola;  quindi  maggiore  la  difQcoltà  di 
cogliere  nel  segno,  ma,  còlto,  maggiore  il  vantaggio 
di  portar  via  di  netto  tutte  o  quasi  tutte  le  noci,  che, 
urtando  V  una  contro  V  altra,  facilmente  si  scompon- 
gono. 

Questa  è  la  forma  più  semplice  del  giuoco  ,  ma  vi 
sono  differenze  e  regole  che  meritano  di  esser  de- 
scritte; né  saprei  farlo  meglio  delFamico  prof.  Castelli, 
che  me  le  ha  comunicate. 

A  li  nuci  'n  prima  o  *n  secunna.  Quando  questo 
questo  giuoco  si  fa  'n  prima ,  ciascuno  mette  una  o 
più  noci,  e  tutte  si  pongono  ritte  entro  un  po'  di  pol- 
vere in  linea  retta,  col  vertice  in  su.  Da  questo  punto 
ove  sorgono  le  noci  ne  getta  ciascuno  un'  altra,  che 
dicesi  baddu  o  mastra,  a  quella  distanza  che  vuole, 
e  tira  poi  Tuno  prima  dell'altro,  secondo  che  è  andato 
più  lontano,  da  quel  punto  dove  la  m^astra  si  ferma, 
e  che  segnasi  con  una  linea,  a  quelle  che  sorgono  da 
terra,  e  ne  guadagna  tante  quante  ne  abbatte,  se  pur 


A  MURARI  125 

gli  riesce,  eccetto  quelle  che  non  cadono,  ma  si  pie- 
gano in  modo  che  possa  starvi  sul  vertice  un  cente- 
simo. Terminato  il  turno,  se  nessuna  noce  è  caduta,  si 
ricomincia  a  tirare  per  ordine  dal  punto  medesimo 
che  si  è  segnato  in  terra  con  una  linea  ;  se  ne  sono 
cadute,  il  primo  a  cui  spetta  di  giocare  può  ad  ar- 
bitrio obbligare  gli  altri  ad  aggiungervene  una  o  più 
per  ciascuno  ,  dicendo  :  Mittemuci  supra.  Ciò  fatto, 
5i  stabilisce  nuovamente  il  turno  nel  modo  che  si  è 
detto,  e  il  giuoco  ricomincia. 

Quando  si  fa  'n  secunna,  disposte  le  noci  in  assetto 
nel  modo  di  sopra  descritto,  gettano  tutti  la  mastra 
ad  un  muro  che  sorge  dirimpetto  a  gran  distanza,  ov- 
vero ad  una  riga  di  pietre  che  dispongono  di  rincontro 
a  tale  scopo,  e  chi  va  più  vicino  tira  prima  d'un  altro 
che  è  rimasto  più  indietro.  Ciò  fatto,  dal  muro  o  dalle 
pietre  può  ciascuno  per  ordine  tirare  direttamente  alle 
noci  messe  su  ;  ma  per  ordinario  i  primi ,  non  ispe- 
rando  di  fare  un  buon  colpo  per  la  troppa   distanza, 
vi  si  accostano  quanto  più  possano,  per  tirare  poi  da 
questo  punto  più  vicino,  dove  la  mastra  si  ferma,  una 
seconda  volta,  a  suo  tempo.  Gli  altri  però ,  che  non 
hanno  speranza  di  guadagno,  quando  i  primi  si  sono 
abbastanza  avvicinati,  vi  tirano  direttamente.  L'ultimo 
e  non  altri,  quando  nel  corso  del  giuoco  è  caduta  qual- 
che noce,  essendo  egli  molto  lontano,  e  molto  vicino 
vedendo  chi  gli  succede,  o  prima  di  tirare  patteggia 
con  costui  di  partecipare  al  suo  guadagno  ,   o  di  di- 
vidersi in  tutto  0  in  parte  il  guadagno  comune;  o  tira, 
se  cosi  gli  piace,  per  conto  suo;  od  obbliga  tutti  gli 


126  ,  GIUOCHI 

altri  ad  aggiungere  alle  rimaste  altre  noci,  dicendo: 
Mittemicci  supra  ;  nel  quale  caso  ciascuno  mette  la 
sua  parte,  si  stabilisce  nuovamente  il  turno,  e  il  giuoco 
ricomincia.  Quando  l'ultimo  tira,  e  non  abbatte  tutte 
le  noci,  ciascuno  per  ordine  tira  a  quelle  che  riman- 
gono, una  seconda  volta  dal  punto  dove  la  mastra  si 
è  fermata,  come  si  è  detto  avanti,  e  guadagna  quelle 
noci  che  fa  cadere. 

In  Calataflmi  si  gioca  in  due  modi:  A  mettiri  o  A 
passari. 

Quando  si  gioca  nel  primo  modo  un  ragazzo  qual- 
siasi pone  la  mastra  in  terra  a  quella  distanza  che 
vuole ,  ed  indi  ciascuno  getta  la  sua  dal  punto  dove 
sorgono  le  noci.  Chi  va  più  lungi,  tira  poi  alle  noQÌ 
dal  punto  dove  la  TYiastra  si  ferma  prima  di  quell'altro 
che  è  rimasto  più  indietro.  L'ultimo  rinunzia,  se  vuole^ 
al  vantaggio  di  potere  oltrepassare  i  compagni  e  di 
essere  il  primo,  dicendo  :  Facìtivilli  tutti,  a  patto  cioè 
di  aver  diritto  a  quelle  che  rimangono ,  ed  anche  a 
tutte,  se  tutti  sbagliano.  Quando  il  patto  ò  accettato, 
egli  non  gioca ,  ma  con  1'  animo  sospeso  tra  timore 
e  speranza  aspetta  che  tirino  tutti  gli  altri,  per  rac- 
cogliere tutte  quelle  che  la  fortuna  gli  concede  che 
restino.  Quando  il  patto  non  è  accettato ,  gli  restano 
due  partiti  :  o  di  tentare  ,  come  si  è  detto  ,  di  oltre- 
passare i  compagni,  gettando  la  mastra  alla  maggior 
distanza,  o  di  restare  anche  più  indietro  di  tutti,  un 
passo  almeno  lungi  dal  punto  dove  sorgono  le  noci , 
a  cui  tira  a  suo  tempo  da  vicino  ,  facendo  un  passo 
avanti;  oltre  un  terzo  partito  meno  rischioso,  quello 


A  MURARI  127 

cioè  di  oltrepassare  alcuni  o  non  tutti  i  compagni,  e 
di  non  esser  né  primo  né  ultimo.  Quando  preferisce 
il  secondo  partito  ,  dopoché  hanno  tirato  tutti  quelli 
che  Io  precedono  ,  ha  egli  il  vantaggio  •  di  unire  le 
noci,  se  cadute  le  intermedie  restino  le  altre  separate, 
e  di  poterle  guadagnar  tutte  ad  un  colpo.  Terminato 
il  turno,  se  ne  rimangano  ancora,  o  di  accordo  'vi  se 
ne  aggiungono  dell'altre,  o  vi  si  tira  di  nuovo,  rico- 
minciando il  giuoco  tanto  nel  primo  quanto  nel  se- 
condo caso,  ed  ha  l'obbligo  di  mettere  la  mastra  a  di- 
stanza, chi  é  rimasto  l'ultimo. 

Quando  si  giucca  A  j^assari,  gettano  dapprima  la 
mastra  ad  un  termine  stabilito,  che  dicesi  jìossatera, 
e  r  uno  poi  tira  da  questa  meta  alle  noci  prima  di 
quell'altro  che  ne  è  rimasto  più  lontano.  Tira  ciascuno 
alle  noci  e  per  guadagnare  quelle  che  abbatte,  e  per 
oltrepassarle ,  imperocché  chi  vi  resta  innanti  perde 
il  diritto  di  tirarvi  la  seconda  volta.  Quando  termina 
il  turno,  e  restano  noci,  se  l'ultimo  non  obbliga  i  com- 
pagni ad  aggiungervene  delle  altre  ed  a  ricominciare 
il  giuoco,  vi  si  tira  di  nuovo  dal  punto  dove  la  ma- 
stra é  fermata,  per  ordine  inverso  alla  vicinanza,  ossia 
l'uno  prima  di  queir  altro,  a  cui  é  riuscito  di  restar 
più  vicino  alle  noci,  ed  eccetto  coloro,  che,  come  si 
è  detto,  vi  rimasero  avanti. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Dalla  figura  che  i  giiagliuni  danno  alle  noci  il  nostro  giuo- 
co è  detto  in  Napoli  La  Ripa  (De  Bourcard,  I,  299);  in  To- 
scana Alla  serpe  ^  per  la  forma 'tortuosa  onde  son  quelle 


128  GIUOCHI 

disposte  {Malmantile,  II,  70-71);  in  Milano  AlcobbiSy  oA 
pientà  (Cherubini,  II,  200);  in  Venezia  A  chi  fa  un  fa  do 
(BoERio).  Un  giuoco  .simile,  secondo  Bulengero  (e.  8),  fa- 
cevano i  Greci  ed  i  Latini. 

- 

65.  A  Tirar!  a  lu  munzeddu. 

In  Riesi  ed  altri  comuni  della  provincia  di  Galtanis- 
setta  si  conosce  col  titolo  di  *A  nicci  a  castieddu. 

Il  Munzeddu,  o  Munzidduzzu.o  Casteddu,  è  un  muc- 
chietto  formato  di  quattro  noci,  di  cui  una  si  sovrap- 
pone a  tre,  che  ne  formano  la  base.  Talora  il  Casteddu 
è  di  avellane  o  di  nocciuoli  d'albicocche  {Casteddu 
d'ossa  in  Siracusa). 

Uno  de'  due  giocatori,  a  cui,  dopo  aver  tutti  accU' 
statu,  tocchi  di  tirare  pel  primo,  tira,  dalla  distanza 
concordata,  con  la  sua  noce  detta  pallinu  o  Mdda; 
se  coglie  il  mucchietto  e  lo  scompone  vince. 

Vedi  il  seguente'  giuoco  A  bancu  apertu,  n.  62,  che 
offre  qualche  differenza. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Napoli  Le  ccastella  (De  Bourcard,  I,  299);  in  Toscana 
Alle  caselle,  o  All^capannelle,  o  Alle  castelline  (vedi  note 
al  Malmantile,  v.  Ili,  57);  nelle  Marche  A  castelletto ^  oAUe 
catastelle  (Gianandrea,  n.  20);  in  Parma  A  parèn;  in  Bo- 
logna e  Mirandola  A  castelett  (Ferrari  ,  Vocab,  bologn. 
ital.,  2*  ediz.  p.  217,  e  MEScmERi)  ;  A  cdstlet  (Coronedi- 
Bbrti,  V.  I,  285);  in  Reggio  d'Emilia  Al pèine;  in  Milano  A 
gaslin  o  Ai  pignoeu  (Cherubini,  II,  200);  in  Venezia  A  ca- 
steleto  (BoERio);  in  Piemente  Al  castlet,  Neil'  Utile  dulci, 
n.  XX,  è  descritto  col  titolo  di  Piramidi. 


A  LI  CASTEDDA  129 

La  noce  con  la  quale  si  tira  a  guastare  il  castelletto  di- 
cono pallone  i  Napoletani,  coccio  o  Gocciolo  i  Lucchesi , 
òocco  o  cacciar 0  i  Toscani,  butt  i  Milanesi. 

Secondo  Bulengero  i  Latini  usavano  lo  stesso  giuoco  di- 
cendo Ludere  castello  nucum;  ed  Ovidio  avrebbe  descritto 
questo  castellino  in  Nuce  coi  seguenti  versi: 

Quatuor  in  nucibus,  non  amplius,  alea  tota  est: 
Cum  sibi  suppositis  additur  una  tribus. 

66.  A  li  Castedda. 

A  li  pupuluna  in  Casteltermini ,  dove  si  usa  spe- 
cialmente per  la  fiera  della  Grazia,  innanzi  la  chiesa 
suburbana  di  questo  nome;  in  Borgetto  A  castidduzzu. 

Si  fanno  in  linea  retta  tanti  mucchietti  di  noci  quanti 
sono  i  giocatori,  e  chi  è  primo  a  giocare  lancia  la 
noce;  se  non  vengono  tutti  scomposti,  tira  un  secondo, 
poi  un  terzo;  però  ogni  giocatore,  scomposti  i  primi 
mucchi  col  motto  Mittiemu,  ha  diritto  di  far  sospendere 
la  giocata,  far  aggiungere  tanti  altri  mucchi  quanti 
sono  i  giocatori,  e  torna  al  conto  per  ricominciare. 

67.  A  lu  Granu  supra  la  nud. 

Un  fanciullo  che  fa  da  banco  cava  un  poco  la  terra 
e  vi  accomoda  una  noce  dalla  sua  base,  in  modo  che 
resti  ferma  e  ritta,  e  vi  colloca  sopra  una  moneta  da 
due  centesimi.  Vari  altri  fanciulli  tirano  successiva- 
mente a  questa  noce  una  lor  noce  da  una  distanza 
convenuta.  Chi  tira  guadagna  la  moneta  quando  al 
colpo  la  noce  che  fa  da  bersaglio  balza  o  piegasi 
in  modo  che  la  moneta  non  possa  più  starvi  in  cima. 

6.  PiTRÌt.  —  Giuochi  fanciulleschi  9 


130  GIUOCHI 

Chi  fa  banco  guadagna  la  noce  del  giocatore  quando 
il  colpo  va  intieramente  in  fallo.  Ma  se  cade  la  sola 
moneta,  e  questa  può  stare  in  cima  alla  noce,  la  vi  si 
rimette  lasciando  la  noce  nel  proprio  sito,  ancorché 
siasi  un  pochino  spostata ,  e  tira  quegli  a  cui  tocca. 
La  noce  con  cui  si  tira  per  colpire  dicesi  la  mastra. 

Talvòlta  la  moneta  si  colloca  ritta  dinanzi  ad  una 
buca.  Molti  fanciulli  tirano  uno  dopo  Taltro  alla  mo- 
neta con  una  noce  o  nocciuola,  la  quale  va  a  beneficio 
di  chi  fa  banco  quando  si  sbaglia.  Chi  fa  cadere  la 
moneta ,  guadagna  questa ,  o  un  numero  equivalente 
di  noci  o  nocciuole. 

Chi  fa  banco  non  conserva  le  nocciuole  che  gua- 
dagna, ma  le  raccoglie  e  ripone  in  buca  quasi  a  si- 
curtà. Fa  sempre  banco  colui  che  offre  al  tiro  una 
distanza  minore  di  tutti  gli  altri. 

Nel  giuoco  A  tu  granu  di  Riesi  incastrasi  in  una  pic- 
cola buca  un  granu  (cent.  2),  in  modo  che  venga  livel- 
lato col  piano  del  suolo.  I  giocatori  tirano  uno  dopo  l'al- 
tro con  un  nocciuole  piombato  d'albicocca,  e  chi  lo 
colpisce  lo  fa  suo. 

Due  varietà  del  giuoco  sono  Lu^  Ccippu  di  Castel- 
termini  ,  pezzetto  di  legno  come  un  piccolo  agoraio, 
che  alla  base  ha  quattro  piedi,  e  in  alto  è  pari  e  li- 
scio per  posarvi  una  moneta,  sulla  quale  si  tira  con 
le  noci;  e  Lu  Tràri  a  tu  soldu  (un  tempo  a  lu  granu) 
di  Casteltermini  e  Cianciana,  che  consiste  nel  tirare 
con  le  noci  sopra  una  moneta  da  una  certa  distanza  per 
colpirla.  E  questo  è  un  anello  che  lega  i  precedenti 
col  seguente  giuoco  A  lu  canneddu. 


A  LU  CANNEDDU  131 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Padova  Al  bezze  in  su  la  nosa;  in  Venezia  A  paletto 
(BoERio)  con  le  monete  sul  nocciuolo  di  pesca. 

^^  A  lu  Canneddu. 

Canneddu,  in  Borgetto  cannedda,  è  un  piccolissimo 
bocciuolo  di  canna  o  un  pezzettino  di  legno  o  di  mat- 
tone arrotondato  che  si  pone  ritto  in  terra  con  sopra- 
ni le  monete  o  i  fondelli  puntati  dai  giocatori. 

Da  esso  prende  nome  il  giuoco,  che  è  detto  ó  mmoCr 
ciu  in  Messina  ;  ó  Mgghiu  in  Milazzo  ;  A  piripiddu 
in  Siracusa;  A  pirripilu  in  Riesi;  A  piriddu  in  Avola; 
A  mastru  di  ciappedda  in  Catania;  A  marUdduzzu  in 
Cianciana  e  Casteltermini;  A  tollu  in  Girgenti;  A  tollu 
0  pipitollu  in  Licata;  A  suzzi  (secondo  il  Traina  ^ 
Nuovo  Vacai),  sic,  p.  1007)  e  A  zzozzu  altrove. 

Vari  giocatori  accostanu  (vedi  la  voce  accitstari  a 
p.  22,  n.  7  di  questo  volume).  Il  primo  giocatore  lancia 
sul  canneddu  una  lastra ,  o  piastrella ,  o  moneta ,  o 
palla ,  chiamata  ciampedda  (Palermo)  ;  mmocciu  o 
mmuccinu  (Messina),  mastru  (Girgenti,  Catania,  Sira- 
cusa ecc.).  Fa  lo  stesso  il  secondo  e,  dove  nessuno  dia 
nel  segno,  un  terzo,  un  quarto.  Colpito,  le  monete  che 
vanno  a  terra  toccano  alla  piastrella  o,  palla  che  tro- 
vasi più  vicina,  sempre  che  il  Canneddu  non  lo  sia 
esso,  perchè  allora  nessuno  fa  buon  giuoco. 

Essendo  più  d'una  le  monete  possono  sparpagliarsi, 
e  toccarne  al  canneddu  ed  a  qualcuna  delle  piastrelle 
che  sono  più  o  meno  da  presso. 


1 32  GIUOCHI 

Secondo  le  varie  maniere  di  tirare  nascono  i  modi: 
A  ^ntì^mmari,  tir^wido  a  colpire  direttamente  il  segno; 
A  'lliscicari,  A  sciddicari  tirando  a  strisciare  con  la 
piastrella  li  terreno.  Questi  modi  sono  comuni  agli  al- 
tri giuochi  nei  quali  si  tira  o  getta  qualche  cosa  per 
colpire  noci,  murielle  ecc. 

Vedi  i  giuochi  A  lu  granu  supra  la  nuci  ed  il  se- 
guente A  gaddu  e  gaddina, 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nel  Barese  A  masi  ;  in  Napoli  Maste,  catenella  e  ppa- 
store  (Db  Bourcard  ,  I,  301)  ;  in  Toscana  Al  mattonello, 
(Barbieri,  70),  Al  suasiy  (Fanfani,  965),  Gitioco  delle  mo- 
riellCy  (Fanfani,  Voc.  della  lingua  ital,  p.  979),  e  lo  ricorda 
il  LiPPi  nel  Malmantile,  e.  VI;  nelle  Marche  a  La  Cilecca 
(GiANANDRBA,  Ti,  17);  in  Bologna  A  zacagn  (Coronedi-Berti); 
in  Mirandola  A  santin  (Meschieri,  193);  in  Parma  A  Tnatt  o 
Al  maton  (Malaspina,  III,  68);  in  Milano  Al  tanghen  (Che- 
rubini, IV,  357);  in  Brescia  A  mistro  o  A  càvreta;  in  Pa- 
dova Al  quarèlo;  in  Venezia  Al  madi  (Boerio)  ;  in  Pie- 
monte Al  Udo  o  Al  monet  (Sant'Albino);  nel  Monferrato 
A  rollino  o  òrollino  (Ferraro,  n.  20). 

69.  A  lu  Gaddu  e  la  gaddina. 

Questo  giuoco,  molto  simile  a  quello  del  Cannedd% 
si  fa  cosi.  Quattro  si  contano;  chi  sorte  prima  si  chiama 
giaddu;  chi  secondo,  gaddina;  gli  altri  due  vengono 
in  ordine. 

Il  gaddu  getta  la  palla  in  direzione  del  pallinu,  una 
palla  più  piccola  delle  altre,  e  dice  :  Jocu  tri  grana, 
La  gallina  getta  la  palla  anch'  essa  e  dice  :  Joou  dm 


A  LU  TORNU  133 

grana.  Il  terzo  giocatore  o  il  quarto  se  avrà  Tabi- 
lità  di  far  a(5Costare  la  sua  palla  al  pallino  più  di 
quanto  abbian  fatto  i  primi  due  ne  prende,  in  ragione 
di  vicinanza,  il  titolo  ed  il  diritto,  chiamandosi  perciò 
gaddu  o  gaddina,  e  pigliandosi,  se  quello  i  tre  grani, 
se  questa  i  due.  S'intende  bene  che  uno  non  può  vincere 
più  di  tre  grani,  non  ostante  che  la  somma  del  giuoco 
sia  di  cinque. 

70.  A  lu  Tornu. 

Segnato  in  terra  un  cerchio  alquanto  largo,  che  è 
detto  tornu  o  turneddru  (Marsala),  vi  si  colloca  nel 
centro  una  palla  di  legno  e  sopra  questa  le  monete 
0  bottoni  per  cui  si  gioca. 

Indi  con  una  specie  di  mestola,  detta  |?a;a,  dassi 
ad  un'  altra  palla  di  legno  della  medesima  grandezza 
posta  fuori  del  cerchio  ad  una  distanza  convenuta. 
Quando  la  prima  è  colpita ,  se  le  monete  o  i  bottoni 
balzano  fuori  della  linea  circolare,  si  guadagnano;  se 
vi  cadono  dentro  o  sopra,  non  si  perdono  ,  ma  vi  si 
rimettono  su,  e  gioca  un  altro.  Se  balzano  parte  fuori 
e  parte  dentro  o  sopra  la  linea  circolare ,  questi  ul- 
timi non  si  guadagnano ,  e  chi  deve  tirare  appresso 
può  rinunziarvi  se  cosi  è  stato  convenuto,  ed  obbligare 
i  compagni  ad  aggiungere  altre  monete  o  bottoni;  nel 
qual  caso  il  gioco  ricomincia. 

Molto  usato  nella  prov.  di  Trapani,  e  specialmente 
in  Marsala  e  in  Mazzara. 

La  palla  e  la  pala  o  palisa  sono  proprio  quelle  del 
giuoco  A  Bocci  e  ravogghia. 


134  GIUOCHI 

71.  A  li  Ciampeddi,  o  A  li  Bocci. 

È  precisamente  il  giuoco  delle  palle  o  di  li  bocci; 
e  si  gioca  con  cocci  di  mattoni  o  di  tegoli  arroton- 
dati, detti,  secondo  le  varie  parlate  dell'isola,  ciam- 
peddi, chiampeddi,  chiappeddi,  ciappeddi,  ciappi, 
cciappi,  cciappuli,  ciampuli,  ciampali,  chiampari. 

Si  gioca  in  due  o  in  quattro:  ali  cumpagni.  Colui  al 
quale  è  toccato  in  sorte,  lancia  il  mastru  o  paZlinu , 
una  muriella  più  piccola  delle  altre,  e  la  sua  muriella, 
procurando  di  accostarsi  con  essa  al  pallinu  per  quanto 
è  possibile.  L'altro  o  glialtri  giocatori,  l'uno  dopo  l'altro, 
lanciano  la  loro,  sempre  con  lo  stesso  fine;  e  chi  più 
avvicinasi  al  pallino  vince.  È  notevole  1'  uso  di  non 
contare  la  muriella  che  si  rompa  nel  gettarsi,  perchè 
un  proverbio  dice  :  Ciampedda  rutta  né  tira  né  paga. 
Ed  in  questo,  meglio  che  in  altri  passatempi,  chi  perde 
alla  prima  partita  suol  dire  che  La  prima  'un  é  di 

m 

nuddu. 

Questo  giuoco  è  troppo  comune  e  noto  presso  gli 
adulti  perchè  abbia  bisogno  d'  esser  largamente  de- 
scritto in  tutte  le  sue  parti. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  ììGiocare  alle  murielle  dee  avere  molta  ana- 
logia col  nostro  giuoco;  in  Mirandola  Zugar  al  piastarli; 
in  Parma  Zugar  al  piastri;  in  Brescia  Zoegà  a  le  piate  , 
o  A  le  sgaie ,  o  A  sghible  ;  in  Padova  A  le  piastrèle  ;  in 
Piemonte  Giughè  ai  palei. 


A  LU  CASCAVADDU  135 

72.  A  lu  Cascavaddu. 

È  un  giuoco  alle  ciampeddi  fatto  coi  piedi  invece 
che  colle  mani,  e  vi  prendon  parte  vari  adagiando  cia- 
scuno sul  dorso  d'un  piede  una  giammarita  (Riesi), 
cioè  un  pezzo  di  mattone  arrotondato,  od  anche  due 
legati  con  un  laccio,  e  lanciandoli  col  piede  stesso  ad 
una  certa  distanza.  Vince  colui  che  fa  andare  la  sua 
giammarita  quanto  più  lontano  può,  o  chi  si  accosti, 
come  nel  giuoco  delle  ciampeddi  o  delle  ì)occi,  alla 
pietra  mastra  o  pallinu. 

Il  giuoco  è  detto  A  lu  cascavaddu,  perchè  gli  adulti 
e  quelli  che  hanno  da  spendere  qualche  soldo  nel  gio- 
care lo  fanno  con  un  pezzo  cilindrico  di  caciocavallo, 
e  rimane  vincitore  chi  lo  mandi  più  avanti  degli  altri. 
Questa  forma  di  giuoco  si  fa  particolarmente  in  Cal- 
tanissetta  il  lunedi  dopo  Pasqua  nel  piano  di  S.  Spi- 
rito, chiesetta  a  tre  chilometri  dalla  città,  tra  giovani 
agili  e  vigorosi  (vedi  i  miei  Spettacoli  e  Feste,  p.  227); 
l'altra  forma,  la  prima,  in  Riesi  ed  altri  comuni  della 
suddetta  provincia, 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Molto  simile  è  La  pezza  di  casUy  giuoco  greco-romano, 
che  si  fa  tuttavia  in  Terra  d'Otranto  (Db  Simone,  p.  566). 

73.  A  li  Brigghia. 

Si  fa  con  9  cilindretti  di  legno  [surdati)  in  Toscana 
rulli,  rocchetti,  rizzati  a  tre  a  tre  a  distanze  eguali 
in  quadrato:  quel  di  mezzo,  con  scanalature  circolari 
in  punta,  dicesi  re  (in  Tose,  "inatto,  in  Piem.  Mon). 


136  GIUOCHI 

Il  giuoco  si  fa  tra  due  o  quattro  ragazzi.  Si  comincia 
ponendo  in  distanza  il  re  e  lanciando  ciascuno  contro 
di  esso  un  rullo.  Quello  o  quelli,  il  rullo  de*  quali  si  è 
più  accostato  al  re,  son  primi;  i  rimasti  più  indiètro 
sono  ultimi y  e  l'ultimo  degli  ultimi  fìssa  il  punto  da 
cui  deve  tirarsi.  Quando  il  giuoco  è  tra  due,  Tuliimo 
tira  dopo  del  primo,  e  cosi  successivamente.  Essendo 
tra  quattro,  comincia  a  tirare  il  primo  dei  primi;  poi 
il  primo  de'  secondi  ;  poi  il  secondo  dei  primi  ;  poi 
Tultimo  degli  ultimi,  e  cosi  a  vicenda  sino  alla  fine: 
e  tanto  i  primi  quanto  gli  ultimi  son  separati  com- 
pagni. Il  giuoco  ordinario  consiste  nel  far  cadere  in 
più  volte  con  una  grossa  palla  di  legno  24  rulli  pre- 
cisi :  oltrepassando  quel  numero  si  tracolla  [si  va  *n 
palazzu,  0  si  fa  tracoddu);  i  punti  fatti  si  accorciano 
a  18,  ed  è  permesso  tentar  di  nuovo  la  sorte  per  gua- 
dagnare gli  otto  mancanti,  a  meno  che  la  parte  con- 
traria non  giunga  prima  a  compiere  il  numero.  Lan- 
ciata la  palla,  sia  che  essa  tocchi  i  rulli,  sia  che  si  fermi 
a  distanza ,  è  permesso  lanciarla  una  seconda  volta 
dal  punto  ove  fermossi,  ciò  che  dicesi  ribàttiri.  Chi 
riesce  a  far  cadere  esclusivamente  il  re  al  primo  tiro, 
vince  la  partita.  (Mazzara). 

In  Messina  e  altrove  si  gioca  A  brigghiu  paraiu  o 
A  lu  brigghiaru^  mettendo  sopra  un  rullo  solo  tante 
monete  quanti  sono  i  giocatori,  e  tirandovi  sopra  col 
ntmocciu. 

Modificazione  dello  stesso  giuoco  è  quello  che  di- 
cesi A  faddu  (Avola) ,  e  che  consiste  nel  non  esser 
lecita  ribatter  la  palla ,  se  il  tiro  da  lontano  vada 
a  vuoto. 


A  LA  MORTI  O  A  QUARTUCCIU  137 

Altra  modificazione  è  il  giuoco  A  sbricciàri  (Avola)^ 
che  si  fa  con  6  rulli,  invece  che  con  9,  disposti  in  due 
linee  ad  eguale  distanza  come  nei  precedenti.  Gli  altri 
si  adoprano  in  luogo  della  palla  per  lanciarli  contro 
i  6.  Anche  in  questo  non  è  permesso  ribattere;  però 
la  distanza  del  tiro  suole  stabilirsi  più  breve. 

Questo  giuoco  ha  dato  origine  alla  qualificazione  di  Re 
di  hrigghia,  solita  applicarsi  a  persona  da  nulla,  come 
in  Toscana  si  dice  :  Tu  sei  senza  numero  nei  birilli 
(Lippi,  cant.  4).  Scunzari  o  Guastari  li  brigghia,  figu- 
ratamente vale  sconciare,  guastar  le  uova  nel  paniere. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Imbrillus  n^I  dial.  merid.  sardo,  ònzuliis  in  Ogiiastro; 
in  Roma  Ai  billi;  in  Lucca  Ai  birolli;  in  Toscana  Ai  rulli, 
Ai  rocchetti;  in  Brescia  Zoegà  ai  su\  in  Padova,  Venezia 
(PATRiARcm)  Ai  zoni;  in  Parma  Zugarj  omèn;  in  Piemonte 
Giughè  a  f  ometto  Ai  bis  (Sant'Albino,  p.  245)  nel  Monfer- 
rato Giuoco  del  birilli  {YEKKAKOy  Cinquanta  giuochi,  ^'^NW. 

Notisi  che  i  rulli  o  rocchetti  sono  d'ordinario  più  alti  e 
più  grossi. 

Se  l'antico  giuoco  siciliano  detto  Rundolo  o  rullo  è  pro- 
prio questo  de'  brigghia ,  le  Consuetudini  netine,  n.^53, 
proibivano  che  codesto  giuoco  si  facesse  nella  città  di  Noto. 

74.  A  la  Morti  o  A  Quartucciu. 

Si  gioca  in  due,  in  tre,  in  quattro,  secondo  le  cir- 
costanze, nel  seguente  modo  : 

Si  fa  capo  a  un  posto  dove  sia  una  di  quelle  grosse 
0  lastre  forate,  che  nelle  pubbliche  vie  coprono  i  bot- 
tini 0  ricettacoli  d'  acque  o  d'altre  sozzure  ;  lastre  a 


138  GIUOCHI 


fori  tondi  (stelline)  che  si  dicono  comunemente  morti 
(morte).  I  fori  per  lo  più  son  cinque:  quattro  in  qua- 
drato, uno  nel  mezzo,  press'a  poco  in  questa  forma: 


Quando  la  lastra  ha  due  o  tre  specie  di  feritoie  del- 
la presente  figura: 


allora  si  stabilisce  per  quarticcciu  una  delle  aperture 
convenuta  tra'  giocatori.  Il  fanciullo,  a  cui  è  toccato 
in  sorte  di  giocare  primo,  dalla  meta  lancia  verso  la 
morte  una  palla  o  una  melarancia;,  se  questa  non  va 
a  fermarsi  ad  uno  dei  buchi,  fa  cattivo  giuoco;  se  si, 
vince.  Vince  la  parte  sua,  cioè  si  affranca,  se  va  ad 
uno  dei  fori  esterni,  ed  allora  dice  :  'CTmm,  cioè  :  Ho 
vinto  il  mio.  Vince  tutti  se  va  nel  foro  di  mezzo.  E 
questo  è  far  quartucciu,  altro  nome  che  il  giuoco 
prende  in  Palermo. 

75.  A  li  Caseddi. 

Dicesi  anche  A  li  gaddetti;  in  Mazzara  A  Varanà- 
teddu,  perchè  si  gioca  con  una  melarancia;  in  Frizzi 
A  lu  mazzuni. 

Vari  ragazzi  fanno  tante  buche  (caseddi  o  gaddetti) 
per  terra  quanti  sono  essi  di  numero;  e  prendono  cia- 
scuno per  sé  quella  nella  quale  fanno  entrare  una  palla 


A  U  CASEDDI  139 

di  cenci  o  di  borra ,  una  melarancia  verde  od  altro 
corpo  rotondo  ed  elastico.  Fatto  al  tocco  ,  chi  sorte, 
alla  presenza  di  tutti  i  giocatori  jQno  ad  uno,  altrimenti 
il  giuoco  non  va,  manda  dalla  meta  la  palla  in  una  delle 
buche:  ed  il  giocatore  a  cui  appartiene  la  buca  nella 
quale  entra  la  palla  afferrandola  subito  lo  scaglia  ad- 
dosso ad  uno  de*  compagni ,  che  fuggono.  Se  lo  col- 
pisce, fa  buon  giuoco,  e  nella  buca  del  colpito  va  messo 
un  sassolino,  o  un  nocciuolo  di  carruba  o  altro  come 
segno  e  punto  di  demerito.  QuesttD  segno  è  detto  annu 
(anno).  Se  non  colpisce  nessuno  fa  mal  giuoco,  ed  il 
sassolino  va  messo  nella  sua.  buca  pel  colpo  a  vuoto 
('n  vox^antt)^  come  può  esser  messo  nella  buca  di  quel 
fuggitivo  che  si  nasconde  affatto  e  non  mostra  almeno 
un  braccio  a'  colpi  del  tiratore.  Chi  è  più  sollecito  a 
raccoglier  la  palla ,  ne  diventa  padrone,  e» va  a  get- 
tarla lui  nelle  buche. 

Quando  i  sassolini  deposti  in  una  buca  sommano  da 
cinque  a  dieci  secondo  i  paesi  i  quali  si  gioca,  quel 
giocatore  mori  (muore) ,  e  la  sua  buca  si  copre  di 
terra.  Cosi  si  fa  ad  una  per  volta  con  le  buche  degli 
altri;  finché,  rimasto  vivo  un  solo,  il  più  destro,  agile 
e  fortunato,  costui  dà  a  tutti,  uno  per  uno ,  la  peni- 
tenza. E  la  penitenza  è  questa.  Ciascuno  de*  perditori 
lancia  ad  una  certa  distanza  la  palla  ,  e' appoggia  il 
dosso  della  mano  al  muro  ;  il  vincitore  raccoglie  la 
palla,  la  getta  tre  volte  per  terra,  e  accostatosi  cosi 
al  muro  ,  la  tira  per  tre  volte  di  seguito  con  tutta 
forza  sulla  mano  stessa,  a  la  merca^  mirando  a  col- 
pirla. Il  paziente,  quando  vede  la  mala  parata,  la  sot- 
trae al  colpo. 


140  ^    GIUOCHI 

La  medesima  pena  subiscono  gli  altri  perditori. 

In  Frizzi ,  per  far  la  penitenza,  tutti  i  giocatori  si 
tolgono  il  berretto  e  lo  mettono  sulla  mano  del  per- 
ditore, il  quale  stende  il  braccio  e  poggia  la  mano  cosi 
insaccata  al  muro.  Chi  ha  più  punti  tira  con  la  palla 
un  certo  numero  di  volte  sulla  mano,  ed  a  misura 
che  si  tira,  ciascuno  riprende  il  suo  berretto;  di  guisa 
che  tirando  l'ultimo,  rimane  sulla  mano  del  paziente  il 
solo  berretto  dell'ultimo  tiratore. 

In  questo  giuoco  non  è  mai  troppa  la  destrezza  e 
l'accorgimento;  perchè,  se  un  giocatore,  per  paura  di 
esser  colpito,  fugge  innanzi  tempo,  chi  getta  la  palla,  la 
fa  andare  sulla  buca  di  quello,  cosi  che  non  solo  gli 
altri  ma  anche  il  tiratore  ha  il  tempo  di  fuggire  e  andar 
fuori  tiro.  Parimenti,  chi  getta  la  palla  e  riesce  a  farla 
entrare  nella  propria  buca,  è  sollecito  a  lanciarla  e  se 
abile  a  colpire  uno  de'  compagni ,  non  corre  nessun 
pericolo,  e  provoca  risentimenti  e  recriminazioni. 

A  nessuno  sfuggirà  la  parte  simbolica  di  questo 
giuoco. 

È  superflua  la  descrizione  del  giuoco  al  ^alluni,  nel 
quale  i  vari  giocatori  si  palleggiano  Y  un  1'  altro  una 
palla  bonciana,  e  la  colgono  al  balzo  adoperandosi  a 
non  lasciarla  cadere  mai  per  terra. 

Veggasi,  del  resto,  il  giuoco  A  la  Balluni  al  n.  82. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Il  nostro  giuoco,  meno  la  penitenza,  è  stato  descritto  per 
Calabria  e  Napoli  sotto  il  titolo  di  Fussetta;  in  Toscana 
delle  Bttche,  nel  Monferrato  deUe  Fletruzze  (Ferraro,  Itac- 
coUa,  n.  8).  Un  giuoco  simile  hanno  i  Pistoiesi  sotto  il  titolo 
di  Bedo  (Fanfani,  125). 


A  NNICCHIA  Ó  PÀLASU 


141 


76.  A  Nniccbia  6  pàlasu. 

[Con  tavola) 


La  N nicchia 
in  Palermo. 


7 

Morti 


6 


In  Licata,  Aliinena  ed  altri  co- 
muni A  paradisu;  in  Mazzara 
A  Franza;  in  Girgenti  A  strit- 
tuia;  in  S.Giuseppe  Jato  A  scian- 
carella;  in  Piana  dei  Greci  a  Ni- 
chi o  Nichìn. 

Si  segnano  sopra  un  impian- 
tito due  linee  longitudinali,  un 
paio  di  metri  distanti  Tuna  dal- 
l'altra, e  poi  si  chiudono  e  di- 
vidono con  linee  trasversali , 
tanto  da  formarne  da  7  a  9  nic- 
chie. Due  ragazzi  preparano  un 
piccolo  disco  come  una  muriel- 
la, detto  pàlasu^  e  in  Alimena 
cciàmpula,  fanno  al  tocco,  e  chi 
vince,  divenuto  padrone  del  pà- 
lasu, primo  lo  getta  nella  prima 
nicchia;  salta  con  un  piede  entro 
la  nicchia,  tenendo  V  altro  so- 
speso, e  caccia  fuori  il  pà^o^?/; 
lo  rigetta  alla  seconda,  e  salta 
dalla  prima  alla  seconda  nicchia,  donde  scaccia  una 
seconda  volta  il  disco.  Cosi  fa  alla  terza,  alla  quarta, 
alla  quinta  fino  all'ultima,  che  si  chiama  Morti.  Fino 
alla  quarta  nicchia  egli  non  può  riposarsi  mai,  dovendo 
stare  sempre  sur  un  piede; dalla  quinta  in  poi  gode  di  po- 
tersi riposare,  e  tirarsi  coi  piedi  il  jpà^o^w  nel  centro, 
cosi  che  possa  più  agevolmente  colpirlo.  Se  il  pàlasu 


142 


GIUOCHI 


La  Pranza 
in  Mazzura 


è  lanciato  in  luogo  non  proprio 
od  opportuno,  se  esce  fuori  dello 
scompartimento,  di  lato,  se  va 
a  toccare  una  delle  linee  che 
chiudono  o  dividono  le  nicchie, 
se  il  giocatore  tocca  egli  stesso 
col  piede  quelle  linee,  o  si  ri- 
posa ove  non  deve:  in  tutti  que- 
sti casi  dee  cedere  il  pàlasu  al 
compagno,  il  quale  farà  né  più 
né  meno  di  quello  che  ha  fatto 
il  primo,  guardandosi  però  dal 
cadere  ne'  suoi  falli.  Airultima 
nicchia  si  perde  il  diritto  di  ri- 
posarsi, perché  venga  resa  più 
difficile  la  vittoria. 

In  Mazzara,  come  si  vede  dalla 
qui  unita  figura,  gli  scomparti- 
menti sono  9,  e  Tultimo  è  a  se- 
micerchio. Il  quarto  scompar- 
timento, largo  più  della  larghez- 
za d'un  piede,  chiamasi  gnaju, 
il  quinto  posu  nicu,  il  sesto  ca- 
racozza  nica,  il  settimo  cara- 
cozza  granni ,  V  ottavo  posu 
granniy  il  nono  coma.  Si  può 
riposarsi  e  prender  lena  a  pom 
nicu,  posu  granni  e  corna. 
Quando  il  giocatore  é  uscito 
a  salvamento,  ha  vinto  la  partita  e  va  a  cavalluccio 
al  perditore,  turandogli  gli  occhi.  Il  perditore,  cosi  ben- 
dato e  carico,  rientra  nella  nicchia,  e  dee  andare  ten- 
toni ad  urtare  coi  piedi  il pàlasu  che  vi  ha  messo  ritto 


8 

Posu 
granni 

7 

Caracozza 
granni 

6 

Caracozza 
nica 

5 

Posu  nicu 

4  Guaju 

3 

2 

1 

A  NNICCHIA  Ò  PÀLASU 


143 


il  compagno,  airultima  linea  delFultima  nicchia,  e  u- 
scime  solamente  dopo  che  lo  abbia  abbattuto  coi  piedi. 
Questo  si  chiama  Lu  cavallittu.  (Cfr.  il  seguente  giuoco 

n.  77). 

La  nostra  tavola  in  fototipia  rappresenta  il  gioca- 
tore alla  6*  nicchia  (n.  1),  in  atto  di  cacciare  col  pie 
sinistro  il  pàlasu  alla  5%  mentre  il  compagno  (n.  2)  ac- 
chinato  in  avanti,  ed  altri  tre  spettatori  dall'uno  e  dal- 
l'altro lato  delle  nicchie,  stanno  a  vedere  se  egli  faccia 
0  no  secondo  regola. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 


La  Campana  (Marche) 


Paradiso. 


Purgatorio. 


Inferno. 


In  Biceglie  si  gioca  col  titolo 
La  Campana-,  in  Toscana  A  trac- 
cino;  in  Colle  di  Val  d'Elsa  La  set- 
timana, ed  i  sette  quadretti  hanno 
ciascuno  il  nome  d'un  giorno  della 
settimana  ;  altrove  A  terra  del 
mio  monte;  nelle  Marche  La  Cam,- 
pana  (Gian Andrea,  n.  32);  in  Reg- 
gio d'Emilia  La  campana;  in  Parma 
Al  mont  o  m^ond,  e  le  voci  usate 
sono  A  pe  zopett,  a  pie  zoppo:  A 
posar  il  pe,  a  posar  piede:  brusia, 
proda:  cambra,  camera:monrf,  mon- 
te:jptéw^ra,piastrella:  strètt,  stretto; 
in  Milano  El  mond  (Cherubini,  III, 
184);  in  Bergamo  El  mond  (Rosa, 
p.  181,2'ediz.):  in  Brescia  A Zmon^* 
in  Venezia  El  campanon  (Boerio  e 
Bernoni,  n.  92)  ;  nel  Monferrato 
Disco  (?),  ma  sembra  nome  dato 
dal  Ferraro,  Cinquanta  Giuochi, 
n.  XXI;  in  Piemonte  Lasagna  o 
Cièca. 


144 


GIUOCHI 


El  Campanon  (Venezia) 


Le  due  figure  che  accompagnano 
queste  varianti  rappresentano  il 
medesimo  giuoco  nelle  Marche  ed 
in  Venezia. 

Nella  Campana  «  ciascuno  scom- 
partimento vale  un  certo  numero 
di  putiti  di  grado  in  grado  cre- 
scenti, e  provvedutosi  ciascun  fan- 
ciullo di  sassolini,  pallottole  o  nòc- 
cioli ...  col  pugno  0  con  un  piede 
ciascun  giocatore  alla  sua  volta 
spinge  il  proiettile  scelto  verso  la 
campana  ...  con  la  mira  di  farlo 
cadere  nello  spazio  più  lontano 
che  gli  sia  possibile  ».  Saltando  il 
proiettile  fuori  della  figura,  o  toc- 
cando qualsiasi  delle  linee,  fa  mal  giuoco. 

Nel  Campanon  il  giocatore  deve  mandare  progressiva- 
mente il  disco  negli  scompartimenti,  osservando  le  mede- 
sime regole  del  giuoco  in  Sicilia,  e  riposandosi  solo  al  n.  13, 
-con  un  sol  piede  e  non  già  con  due. 


12 

11 

10 

9 

8 

7 

6  . 

5 

4 

3 

2 

1 

77.  A  Sciancatedda. 


La  SoiancaUdda 
di  Messina 


Da  sei  ad  otto  giocatori  si  contano: 
il  prhno  è  re ,  il  secondo  rigina,  il 
terzo  ministru^  il  quarto  cammarerij 
il  quinto  cocu  e  cosi  via  via  fino 
all'ottavo,  che  è  famigghiu.  Distri- 
buiti gli  uffici,  si  collocano  sul  ter- 
reno a  distanze  eguali ,  trasversal- 
mente ,  sei  otto  mazzettine  in  modo 
da  fare  sei,  o  più  scompartimenti  non 
chiusi  allo  esterno.  Reggendosi  so- 
pra un  piede  il  re  attraversa  questi 


A  SCIANCATEDDA  145 

spazi  e  va  ad  uscire  dairultimo;  passa  allo  stesso  modo 
la  rigina^  e  successivamente  il  ministru,  il  cmnma- 
ì^eri,  il  cocu  ecc.  Colui  che  tocca  col  piede  la  mazza, 
falla  e  resta  per  famigghiu,  il  quale,  se  altri  a  fine 
(li  partita  avrà  fallato,  dovrà  per  penitenza  'mmuttari 
tutti.  La  'mmuttata  è  questa  : 

Il  vincitore  armato  d'  un  bastoncino  manda  quanto 
più  lontano  può  un'altra  mazzettina  che  tiene  con  la  ma- 
no sinistra;  e  il  famigghiu  deve  caricarselo  *n  coddu 
ciareddu^  cioè  a  cavalluccio ,  e  portarlo  fin  dove  la 
mazzettina  s*è  fermata.  Cosi  la  regina,  il  ministro  e  il 
resto  della  corte  (cfr.  n.  78).  Questa  penitenza  del 
portare  a  cavalluccio  è  comune  ai  giuochi  A  li  bruschi^ 
n.  78;  A  li  zoppi,  n.  79;  A  pani  caitdu,  A  tiri,  ecc. 

Questo  giuoco  è  molto  usitato  in  Siracusa  ed  in  Mes- 
sina, ove  rho  raccolto. 

Col  titolo  A  lu  zoppu  lo  si  fa  anche  in  Palermo;  ma 
i  giocatori  son  due;  i  bastoncini,  distanti  mezzo  metro 
l'uno  dall'altro,  sono  posati  sovra  piccole  pietre,  cosi 
che  tutti  insieme  danno  la  idea  d'una  grande  graticola. 
11  giocatore  dee  saltare  con  un  sol  piede,  senza  toc- 
care i  bastoncini,  negli  interspazi ,  ad  uno  per  volta 
e,  vinta  questa  prova,  saltare,  sempre  con  un  piede, 
tutti  insieme  i  bastoncini  senza  urtare  in  nessuno  : 
prova  difficile  e  non  senza  pericolo.  Il  seguente  A 
li  bruschi  è  molto  più  lungo  e,  per  due  terzi,  diverso. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

È  quasi  lo  stesso  di  Trase  e  iesce  di  Benevento,  Coraz- 
ZINI,  p.  108. 

6.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  10 


146  GIUOCHI 


78.  A  li  Bruschi. 


È  questo  un  giuoco  che  si  fa  molto  in  Calatafimi,  dove 
è  stato  raccolto,  e  tanto  più  piacevole  riesce,  quanto  è 
maggiore  il  numero  de'  fanciulli  che  vi  prendon  parte. 

Ciascuno  è  provveduto  di  una  verghetta,  che  chia- 
masi brusca,  lunga  mezzo  metro  circa.  Un  fanciullo  le 
raccoglie  tutte  in  fascio  e  le  getta  in  terra  con  la  punta 
in  giù  tante  volte  finché  una  sola  tra  tutte  si  sovrap- 
ponga e  si  attraversi  ad  un  altra.  Colui,  la  cui  ver- 
ghetta finalmente  si  sovrappone  e  si  attraversa  a 
quella  d'un  altro,  è  il  re  del  giuoco.  Nel  modo  mede- 
simo si  fa  la  regina,  il  figlio  del  re  e  tanti  altri  uf- 
fici minori,  non  escluso  il  portinaio,  il  ctùoco,  i  loro 
figli,  sino  al  corno,  che  è  T  ultimo.  Determinato  cosi 
il  grado  e  Tufficio  di  ciascuno  ,  il  re  colloca  le  ver- 
ghette  in  terra  parallelamente,  a  quella  distanza  che 
vuole:  e,  saltandovi  dentro  con  un  piede  sospeso,  per- 
corre in  questa  guisa  tutti  gli  spazi  interposti  tra  le 
verghe.  Dopo  di  questo  saltano  alla  stessa  guisa  tutti 
gli  altri,  eccetto  il  corno. 

Ciò  fatto,  il  re  dispone  le  verghe  a  coppie  parallele 
distanti  tra  loro  quanto  piace  a  lui ,  in  modo  però 
che  anche  le  verghe  d'ogni  coppia  siano  disgiunte.  Il 
re  prima,  e  tutti  gli  altri  per  ordine  dopo  di  lui,  ec- 
cetto il  corno,  saltano  con  un  pie  sospeso  le  verghe 
a  due  a  due,  entrando  nello  spazio  interposto  tra  una 
coppia  e  r  altra.  Indi  si  dispongono  le  verghette  in 
vari  gruppi  paralleli,  ciascuno  dei  quali  è  formato  di 


A  LI  BRUSCHI  147 

tre  verghette  divise  tra  loro;  e  cosi  poi  si  dispongono 
in  gruppi  formati  di  quattro  o  di  cinque  ecc.  e  saltano 
tutti  dietro  il  re,  eccetto  il  corno,  entro  lo  spazio  in- 
terposto tra  un  gruppo  e  V  altro,  fino  a  tanto  che  si 
dispongono  in  un  gruppo  solo ,  che  si  sorpassa  con 
un  salto,  tenendo  sempre  un  pie  sospeso.  Quando  le 
verghe  non  sono  in  tanto  numero  da  poter  formare 
molti  gruppi  eguali,  i  primi,  od  anche  il  primo  son  for- 
mati di  un  maggior  numero  ,  e  gli  altri  d'  un  minor 
numero,  sino  a  collocarvi  in  fine  una  sola  verga  in- 
»vece  d'un  gruppo. 

Dopo  disposte  le  verghe  in  questo  modo,  si  dispon- 
gono daccapo  in  guisa  da  formare  la  figura  d'un  ani- 
male, di  cui, ♦com'è  facile  intendere,  si  ha  piuttosto  il 
nome  che  la  figura,  e  Tuna  successivamente  più  grande 
dell'  altra.  A  tal  uopo  le  verghette  si  spezzano  per 
formare  ora  la  testa,  ora  l'orecchio,  ora  la  coda  del- 
l'animale e  via  discorrendo.  Entro  ciascuna  di  queste 
figure  saltano  tutti  di  mano  in  mano  dietro  il  re,  ec- 
cetto il  corno;  e  poiché  qualche  figura  è  troppo  piccola, 
come  quella  della  rana,  V  ultima  a  formarsi  di  tutte, 
vi  si  salta  in  punta  di  piede ,  tenendo  sempre  l'altro 
sospeso.  In  ciascuno  di  questi  difficili  salti  chi  tocca 
col  piede  una  verga  scende  nel  grado  immediatamente 
inferiore,  come  da  re  a  regina,  da  regina  a  figlio,  sino 
al  corno  ,  cedendo  il  proprio  luogo  a  colui  che  suc- 
cede. Cosi  il  re  può  divenire  corno  scendendo  grada- 
tamente, e  viceversa,  quando  gli  errori  sono  troppo  fSre- 
quenti.  Allorché  finiscono  di  saltare  entro  ciascuna  di 
queste  figure,  il  corno  è  obbligato  di  raccogliere  pietre 


148  GIUOCHI     . 

più  o  meno  grandi  e  rottami  di  mattoni,  e  formarne  due 
pilastri  alti  quanto  la  gamba  del  re  sino  al  ginocchio. 
A  questi  pilastrini  sovrappone  il  re  trasversalmente 
dall'uno  all'altro  una  verga,  cui  tutti  saltano  di  mano 
in  mano  per  ordine,  con  un  piede  sospeso,  prima  una,  i 
poi  due,  e  finalmente  tre  volte  senza  mai  posare  il  piede; 
e  chi  vi  urta  e  la  fa  cadere  scende  nel  grado  imme- 
diatamente inferiore.  Quando  avranno  fatto  tutti  questi 
altri  salti,  il  re  la  fa  balzare  in  aria  con  un  pezzo  di 
legno  e  con  quella  forza  che  più  gli  piace;  e  cammi- 
nando a  salti  con  un  pie  solo  va  a  prenderla ,  e  se 
nel  cammino  non  posa  a  terra  il  piede  che  tiene  so- 
speso ,  dal  luogo  dove  la  verga  è  caduta  e  ripresa, 
torna  a'  pilastrini  addosso  al  corno.  Il  medesimo  fanno 
anche  tutti  gli  altri;  e  chi  di  loro  posa  il  piede  a  terra, 
mentre  va  a  prendere  la  verga,  perde  tosto  il  diritto  di 
esser  portato  a  cavalluccio  dal  corno.  Chi  voglia  pren- 
der fiato  lungo  il  corso  del  giuoco,  mentre  deve  tenere 
un  pie  sospeso,  posa  questo  sull'altro  piede,  e  non  a 
ierrà. 

È  da  notare  che  il  giuoco  non  ricomincia  giammai 
quando  si  commettono  errori,  ma  si  scende  solamente 
nel  grado  inferiore,  come  si  è  detto. 

79.  A  li  Zoppi. 

Si  gioca  in  numero  pari.  Metà  sopra  un  piede, 
'tenendo  l'altro  sospeso ,  inseguono  gli  altri,  a'  quali 
lanciano  un  fazzoletto  ravvolto  a  palla.  Chi  colpisce, 
•torna  indietro,  al  punto  di  partenza,a  cavalluccio  al  col- 


A  ZU  ANNI  A  149 

pito. L'inseguitore  poi  che  posa  il  piede  a  terra.va  sotto, 
e  dee  portare  a  cavalluccio  chi  prima  lo  ghermisca. 

Coloro  che  vanno  saltellando  innanzi  agli  zoppicanti 
gl'ingiuriano  con  le  parole:  Zoppu  'i  Marafllici,  (Zoppo 
di  Maria  Felice),  donde  il  nome  che  lo  stesso  giuoco 
prende  a  Cianciana. 

Questa  versione  è  di  Casteltermini  ;  ed  il  giuoco  è 
molto  comune  nella  prov.  di  Girgenti. 

La  condizione  di  dover  saltare  con  un  piede  sospe- 
so come  giuoco  è  ai  nn.  77,  78,  79,  e  come  penitenza 
nei  giuochi  A  zu  Annìa,  A  pedi  zoppu,  ecc. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Brescia  lo  si  gioca  coi  titoli  A  galsop  ,  A  sopa  ga- 
hntina  ,  A  soparoela  ;  A  pie  soto  in  Venezia  (Boerio)  ; 
Giughè  a  core  ape  sopet  in  Piemonte. 

80.  A  Zu  Annia. 

Si  fa  al  tocco  ,  e  chi  va  sotto  piega  le  spalle  ed 
Woggia  al  muro  la  testa.  Tutti  gli  altri  che  giocano 
si  partono  ,  uno  alla  volta  e  di  seguito,  da  una  certa 
distanza,  e  saltando  col  solo  piede  destro,  sospeso  il 
sinistro,  vanno  da  chi  è  sotto.  Quando  gli  son  pres- 
so, gli  danno  col  ginocchio. sinistro  sul  sedere  quanti 
colpi  vogliono  dicendo  : 

Zu  Annia  * 
Quantu  è  bellu  lu  fari  accussia  !  * 

'  Annia^  per  *Nniria  o  Anniria,  Andrea. 
*  Accussia  per  la  rima,  invece  di  accussì,  ccussì^  così.  (Zio  An- 
drea, quanto  è  bello  il  fare  così  I) 


150  GIUOCHI 

e  tornano  indietro,  sempre  sul  piede  destro,  al  punto 
donde  son  partiti.  Chi  nell'andata  e  nel  ritorno  posa 
il  piede  sinistro  sospeso,  va  sotto  per  ordine  di  chi 
fa  da  mastro. 
Usasi  in  Mazzara. 

81.  A  li  Baddi. 

Stabilite  le  condizioni  del  giuoco,  nel  quale  chi  ha 
la  mano  dee  lanciare  alternamente  due  melarance  in 
alto  senza  lasciarle  cadere  mai  per  terra,  due  fanciulli 
fanno  a  pari  e  caffo;  chi  si  appone  ha  primo  la  mano. 
Supponiamo  che  vada  fino  a  20;  egli  il  giocatore  deve 
lanciare  per  venti  volte  le  melarance,  gettandone  una 
prima  che  nella  stessa  mano  raccolga  Taltra  che  cade. 
Se  non  falla  nessuna  volta,  e  Taltro  falla,  egli  vince  la 
partita,  e  con  essa  il  premio  da  essi  innanzi  stabilito. 

82.  A  lu  Balluni. 

Quattro  giocatori  fanno  al  conto,  ed  i  primi  due  sui 
quali  cade  Tultimo  numero  si  considerano  come  ap- 
puzzati. Gli  altri  due  si  collocano  una  decina  di  passi 
distanti  V  uno  dall'  altro,  e  di  fronte.  Gli  appuzzati, 
uno  di  qua  e  uno  di  là,  si  postano  dietro  a  loro,  nel 
modo  qui  significato  per  numeri: 


r-JC^ 


So       Spazio  tra*  giocatori      |§* 


tOi^ 


A  MANCIUGGHIA  151 

Ecco  dunque  un  palleggio  tra  i  primi  due  favoriti  dalla 
sorte;  palleggio  che  si  fa  con  un  pallone.  Il  giocatore 
1  lo  lascia  al  compagno  e  consorte  1.  Costui  deve  co- 
glierlo al  balzo  e  ricacciarlo  al  compagno;  se  questo  fa 
presumere  di  non  potervi  riuscire,  il  giocatore  2  che 
gli  sta  di  dietro,  tutto  occhi  e  braccia  per  afferrarlo, 
alza  le  mani  e  fa  di  coglierlo;  e  se  vi  riesce  prende 
il  posto  del  suo  compagno,  e  di  passivo  diventa  at- 
tivo. Egli  però  sa  che  se  il  suo  1  non  fa  nessun  atto 
di  ricacciare  il  pallone,  non  iscende  dal  suo  posto,  per- 
chè non  è  mancanza  il  non  muoversi  per  afferrare  il 
pallone  quando  si  vede  di  non  potervi  riuscire;  è  bensì 
mancanza  il  muoversi  per  afferrarlo  e  il  non  riuscirvi: 
solo  allora  è  permesso  alVappuzzatu  di  tentare  un  colpo 
di  mano  per  migliorare  la  propria  condizione. 

Passati  entrambi  i  giocatori  2  2  ad  1  1 ,  hanno  la 
facoltà  di  dare  una  penitenza  a'  nuovi  appuzzati ,  e 
lo  fanno  dando  a  loro,  mentre  corrono,  venti  colpi  di 
pallone  per  uno  in  qualunque  parte  del  corpo  capiti. 
Scontata  cosi  la  pena,  tornano  a  contarsi  per  rifare 
il  giuoco. 

83.  A  Manciugghia. 

È  detto  ó  ligneddu  in  Messina;  6  lignuzzu  in  Po- 
lizzi;  A  Ugna  in  S.  Giuseppe  Jato;  A  mazzi  in  Gir- 
genti;  A  firredda  in  Catania;  A  firlazzeddu  in  Licata; 
A  ferra  a  mmè  in  Riesi;  6  boscu  in  Milazzo;  A  Va- 
citu  e  a  pam/mu  in  Siracusa. 

Stabilito  sino  a  quanti  punti  debba  andar  la  partita: 
100,  p.  e.,  200,  300  (in  Messina  va  sino  a*  24) ,    due 


152  GIUOCHI 

fanciulli  fanno  a  pari  e  caffo,  e  chi  sorte  è  il  primo 
a  giocare.  Egli  prende  in  mano  una  bacchettina,  mezzo 
metro  circa,  e  mette  in  bilico  sopra  una  pietra  un  pez- 
zetto di  legno,  metà,  circa,  di  lunghezza,  detto mancm^- 
ghia,  sur  un'estremità  del  quale  dà  un  colpo  per  farlo 
saltare  in  aria  e,  saltato,  tornarlo  a  colpire  mandan- 
dolo quanto  più  lontano  può.  Indi  con  la  bacchettina 
misura  la  distanza  che  corre  tra  la  pietra  e  la  Tnan- 
ciugghia  computando  per  punti  e  restandosi  in  guar- 
dia col  ginocchio  destro  piegato  in  terra  presso  la 
pietra.  Il  compagno  raccolta  la  "ìnanciugghia  la  manda 
alla  meta  procurando  di  farla  ricadere  presso  la  pietra: 
intanto  che  il  primo,  armato  della  bacchettina,  si  ado- 
pera ad  investirla  a  volo  e  ricacciarla  alla  possibile 
maggiore  distanza.  Se  la  coglie,  misura  il  tratto  in  tanti 
punti  quante  volte  c'entra  la  bacchettina;  se  non  la  co- 
glie ,  il  secondo  fa  manciugghia ,  e  prende  posto  la 
bacchettina  di  lui.  Ripete  il  giuoco,  primo  lui,  secondo 
il  compagno,  e  ritiene  la  bacchettina  se  investe  la  man- 
ciugghia  che  questo  torna  a  gettare;  la  cede,  se  non 
la  investe.  La  partita  è  vinta  da  cu'  fa  ccMù  imntU 
cioè  da  chi  primo  avrà  raggiunto  il  numero  concor- 
dato di  punti  per  una  partita. 

Il  perditore  ha  una  penitenza,  comune  a  vari  altri 
giuochi  :  lu  cavallittu.  (Cfr.  Nnicchia  ò  palasu). 

In  Catania  il  vincitore  rigetta  due  altre  volte  la  fir- 
redda  [inancAugghia]  al  perditore:  la  prima  volta  di- 
cendo: Vaceddu!  (intendi:  questo  qui  è  Tuccello:  pren- 
dilo al  volo);  la  seconda:  s'*a'cchiappi^  f  *a  sgàvitì{se 
tu  r  acchiappi ,    te  la  risparmii  la  penitenza  che  do- 


A  MANCIUaGHIA  153 

vrai  subire):  e  questo  fa  per  dargli  due  punti  di  van- 
taggio; se  quello  la  coglie  in  aria  con  le  mani ,  non 
paga  pena. 

Qualche  differenza  di  particolari  offre  la  seguente 
descrizione  del  giuoco  favoritami  da  un  amico  di  Po- 
lizzi. 

«  Due  fanciulli  mettono  due  pietre  alla  distanza  meno 
di  un  metro,  e  sopra  vi  pongono  il  legno,  con  cui  si 
gioca  ,  che  chiamano  lignitzzu,  È  necessario  anche 
un  legno  più  piccolo,  della  misura  di  un  palmo,  poco 
più  0  meno,  a  cui  un  fanciullo,  preso  in  mano  il  legno 
più  lungo,  batte  con  questo  fortemente  quel  legno  più 
piccolo,  onde  farlo  andare  ad  una  considerevole  di- 
stanza, ove  il  compagno  si  reca  per  rilevarlo  ,  fer- 
mandosi in  quel  posto,  e  prendendo  di  mira  con  quel 
piccolo  legno  il  legno  che  giace  in  distanza  su  due  pie- 
tre, guardato  dal  compagno,  onde  provarsi  se  col  le- 
gnetto  (che  chiamasi  busa)  possa  far  cadere  quel- 
lo che  sta  sospeso  fra  le  due  pietre.  Se  vi  riesce,  va 
a  pigliare  il  posto  del  compagno,  e  rifa  il  giuoco  col 
legno  più  lungo,  battendo  il  piccolo,  e  facendolo  in- 
^^eguire  dal  compagno;  ma  se  non  lo  fa  cadere,  il  cu- 
stode del  maggior  legno  lo  riprende  in  mano,  e  bat- 
tendo tre  volte  la  busa  a  terra,  cerca  di  batterla  nuo- 
vamente o  farla,  per  quanto  più  può,  scostare.  Fatta 
le  terza  battuta,  comincia  a  misurare  la  distanza  col 
legno  più  lungo,  chinandosi  e  camminando  fino  al  punto 
fli  partenza,  cioè  fino  alle  due  pietre  che  tengono  so- 
speso il  cosi  detto  lignuzzu.  Quei  metri  che  ha  nu- 
merati, li  tiene  a  memoria,  per  unirli  poi  a  quegli  altri 


154  GIUOCHI 

<5he  farà  per  arrivare  al  numero  prefisso,  che  è  di  100 
o  200  metri,  secondo  la  convenzione.  Quando  giunge 
a  questo  numero  il  compagno  ha  vinto,  od  ha  diritto 
a  farsi  portare  a  cavallo  sul  dosso  deir  altro  compa- 
gno, per  quella  distanza  che  è  anche  stata  stabilita. 
Questo  giuoco  lo  fanno  nei  piani  o  nelle  strade.  » 

Simile  a  questo  è  il  giuoco  cosi  detto  :  'U  banca- 
reddu.  La  differenza  sta  nel  mettere,  invece  del  legno 
più  lungo,  il  piccolo  {la  bitsa)  sopra  le  due  pietre. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nel  continente,  in  generale ,  si  fa  tra  due  ragazzi ,  uno 
de'  quali  prende  in  mano  una  mazzettina  con  che  fa  sal- 
tarne .  in  aria  un'altra  più  lunga,  e  ciò  per  quindici,  diciotto 
o  venti  volte,  secondo  venga  stabilito  innanzi. 

In  Biceglie  si  chiama  A  mazzareid;  in  Napoli  Mazza 
e  pivuzo  (Db  Bourcard,  I,  301);  in  Foggia  A  pusHcu,  dal 
posto  che  prende  chi  lo  trova  scoperto  ;  in  Toscana  Alla 
lippa  o  A  mazzascudo  ;  a  Firenze  Are  buse  ;  in  Colle  di 
Val  d'Elsa  A  ghhiè;  a  Siena  A  giromuso-faso;  in  Parma  A 
giare,  e  la  mazzettina  canèla;  a  Ferrara  A  lippa  pandori: 
in  Milano  A  la  rella  :  e  reUa  è  il  bastoncino  corto ,  ma- 
trigin  il  lungo ,  polenta  il  colpo  ,  polenton  V  ultimo  colpo 
decisivo  (Cherubini,  IV,  32):  giuoco  analogo  a  quello  detto 
Scudegugn  panerà  (id.,  IV,  172)  ;  nel  Lario  Al  ciangol;  in 
Venezia  A  massa  e  pandolo  (Bernoni,  n.  89)  o  semplicemen- 
te Alpandolo  (Boerio);  in  Tortona  e,  in  generale,  nel  Pie- 
monte, A  Girimela  (Sant'  Albino,  369);  nel  Monferrato  A 
lippa  sippa  (Ferraro,  Raccolta,  25). 


A  LU  LIGNU  SANTU  155 

84.  A  lu  Lignu  santu. 

Quattro  fanciulli  si  mettono  ai  quattro  angoli  di  una 
stanza,  e  presso  ciascuno  di  loro  v'è  una  grossa  pie- 
tra chiamata  lu  seggiu.  Tre  dei  giocatori  han  bastoni 
in  mano  ,  un  quarto  ha  invece  un  pezzetto  di  legno 
intitolato  lu  lignu  santu.  Costui  getterà  il  legno  contro 
uno  dei  tre.  Se  il  fanciullo,  cui  è  stato  scagliato  quel 
legno,  lo  prenderà  in  mano,  guadagnerà  dieci  punti; 
se  il  legno  tocclierà  invece  il  seggiu,  i  dieci  punti 
saran  guadagnati  dal  tiratore. 

Si  dà  il  caso,  ed  è  anzi  frequentissimo,  che  il  fan- 
ciullo non  potendo  afferrare  il  legno,  lo  colpisca  col 
bastone,  dirigendolo  a  un  altro  angolo;  ed  allora  colui 
cui  è  diretto  lascia  necessariamente  il  seggio  proprio 
per  afferare  il  legno  santo  ;  ma  facendo  in  tal  modo 
è  certo  che  un  compagno  occupi  il  seggio  lasciato 
vuoto,  e  guadagni  dieci  punti. 

Vincitore  è  colui  che  fa  cento  punti. 

Si  usa  nella  provincia  di  Girgenti  e  particolarmente 
in  Alessandria  della  Rocca. 

85.  A  Bocci  e  ravogghia. 

{Con  tavola) 

*A  ravogghia  in  Polizzi;  é  còculi  in  Licata;  A  Co- 
culi  e  rigghiòcculu  in  Trapani  e  Marsala  ;  A  Baddi 
e  paletti  o  A  raggioccu  in  Siracusa;  A  riccioccu  al- 
trove; A  Paddi  e  paletti  in  Messina,  e  la  ravogghia 
è  detta  aneddu\  in  Catania  A  turcu. 


156  GIUOCHI 

Si  fa  con  due  palle  di  legno  e  due  strisciole  piatte  di 
legno  da  un  quaranta  centimetri  circa  per  una,  dette 
pali,  imlettl,  palisi^  con  le  quali  le  palle  si  fanno  en- 
trare ed  uscire  da  un  cerchio  "di  ferro  [ravoggìiia, 
aneddu, — Licata)  che  si  figge  in  terra  e  che  ha  delle 
intaccature  alla  parte  anteriore  detta  viccchi;  ed  è  li- 
scia alla  posteriore,  detta  nanna. 

Piantato  Tanello  in  terra,  si  tira  una  linea  trasver- 
sale a  tre  o  più  metri  di  distanza  da  esso,  e  così  si 
ha  il  punto  di  partenza.  Due  ragazzi  prendono  una 
palla  e  una  palisa  per  uno,  fanno  a  pari  e  caffo,  e  chi 
sorte ,  recandosi  sulla  linea,  getta  la  palla  per  farla 
andare  poco  oltre  ranelle;  il  secondo  getta  la  sua  per 
farla  andare  al  disopra  in  modo  che  le  palle  si  guar- 
dino in  linea  retta  o  pure  obliqua,  liberamente  o  con 
la  interposizione  deiranello.  Il  primo  giocatore,  se  trova 
da  tirari  lu  capu,  spinge  con  la  palisa  la  sua  palla 
affìn  di  colpire  la  palla  del  secondo  e  mandarla  fuori 
la  linea;  nel  qual  caso  egli  guadagna  due  punti;  seno, 
procura  di  accostarsele  togliendole  però  Tagio,  quando 
il  compagno  giocherà,  d'imboccare  ranelle,  il  che  fa- 
rebbe a  quello  guadagnare  un  punto.  Si  tira  lu  capu 
quando  tra  le  due  palle  c'è  la  distanza  di  una  palisa, 
e  il  giocatore  presume  di  non  entrare  dalla  parte  po- 
steriore [fari  nanna):  codesto  sarebbe  mal  giuoco,  e 
porterebbe  la  perdita  d'un  punto,  solo  riparabile  rien- 
trando dalla  bocca  {nanna  scuttata).  Nel  tirare,  il  gio- 
catore può  causar  V  anello  facendo  dare  un  salto  alla 
palla;  e  può  fortemente  investirlo  da  un  lato  pigliando 
due  piccioni  a  una  fava,  facendosi,  cioè,  il  largo  per 


A  BOCCI  E  RAVOGGHIA  157 

riuscire  a  trucciare  la  palla  contraria,  e  svoltando  la 
bocca  allo  anello  per  impedire  che ,  fallito  il  colpo  , 
il  compagno  imbocchi  addirittura  {ammicccàrisi). 

Se  il  primo  non  crede  opportuno  di  tirari  lu  capu, 
allora  accompagna  con  la  palisa  la  palla  in  avanti  o 
di  lato  (accosta),  sempre  coll'intendimento  o  di  cacciare 
fuori  la  linea  [tira^H]  la  palla  contraria,  o  di  entrare 
di  netto  {trasiri  liscitu)  nell'anello. 

11  giuoco  dura  un  bel  tratto,  spesso  senza  vantaggio 
per  nessuno,  specialmente  quando  i  due  giocatori  siano 
destri  ,  e  V  anello  prestisi  alle  loro  mattonelle.  Alla 
fine  si  è  guadagnato  o  un  punto  imboccando ,  o  due 
tirando. 

La  partita  va  fino  agli  otto  punti. 

In  Polizzi  si  gioca  con  cinque  palle,  che,  messe  a 
distanza  dallo  anello  ,  una  dopo  1'  altra  e  alternate, 
una  del  primo  e  una  del  secondo  giocatore,  chi  gioca 
fa  passau^e  con  le  palette  per  ranelle. 

Nella  nostra  tavola  in  fototipia  uno  de'  due  gioca- 
tori (n.  1),  al  di  là  dell'anello,  è  in  atto  ditirari  lucapit, 
cioè  di  mandare  con  la  sua  palisa  la  boccia  per  colpire 
la  boccia  del  compagno  e  mandarla  fuori  la  meta;  l'al- 
tro giocatore,  al  di  qua  dell'anello  (n.  2),  con  la  sua 
palisa  appuntata  sul  suolo  per  appoggiarsi,  sta  a  guar- 
dare che  giuoco  faccia  il  compagno,  cioè  se  colpisca 
bene  la  sua  boccia,  che  egli  procurò  di  condurre  da- 
vanti le  bocche  dell'anello,  in  modo  che  se  quello  fa 
mal  giuoco  e  non  la  colpisce,  egli  con  la  sua  palisa 
fa  subito  imboccai'e  la  palla.  È  chiaro  che  se  quello 
per  uno  sbaglio  imbocca  l'anello  pel  di  dietro,  fa  nan- 


158  GIUOCHI 

na,  e  perde  due  punti;  se  questi  imbocca  davanti,  ne 
guadagna  uno.  Gli  altri  tre  in  piedi  (n.  3)  sono  un  grap- 
po di  spettatori. 

Una  massima  fanciullesca  cosi  parla  male  del  pre- 
sente giuoco  : 

A  cu'  joca  a  la  raogghia, 
A  lu  'nfernu,  bonavogghia; 

A  cu'  joca  a  li  palisi, 
A  lu  'nfemu  tisi  tisi; 

quasiché  il  giuoco  a  li  bocci  e  ravogghia  sia  un  pe- 
ricoloso giuoco  d'azzardo  I 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

A  Napoli  A  lu  cavo  (Db  Bourcard,  1,  900).  Il  giuoco 
detto  in  Toscana  A  palle  e  maglio,  a  Brescia  A  palamai, 
in  Venezia  Al  palamagio  o  Ai  zucòli ,  è  quasi  lo  stesso 
del  nostro  e  si  fa ,  dice  il  Boerio  (p.  816)  :  «  con  palle 
grossissime  di  legno  dette  palle  a  maglio,  le  quali  si  muo- 
vono con  una  specie  di  palo  (zucòlo  in  Venezia)  per  trac- 
ciarle una  contro  l'altra  e  far  passare  per  entro  un  cerchio 
di  ferro  mobile  piantato  in  terra  perpendicolarmente  o  la 
propria  palla  dalla  buona  parte ,  o  quella  dell'  avversario 
dalla  contraria.  » 

Anche  da  noi  in  Sicilia  si  gioca  A  lu  magghiu,  preci- 
samente come  si  fa  fuori;  ma  il  giuoco  non  è  fanciullesco, 
né  volgare,  giocandosi  solo  fra  adulti  nelle  congregazio- 
ni di  S.  Filippo  Neri,  di  S.  Luigi  ecc. 

86.  A  la  Strùmmula. 

Strumento  notissimo  di  legno,  formato  di  una  palla 
di  legno  nel  cui  centro  è  piantato  a  metà  un  pizzu 


A  LA  STRUMMULA  159^ 

(Palermo),  o  spuntuni  (Mazzara),  o  muscula  (Modica), 
0  friccia  (Barcellona),  ferruzzo  d'  acciaio,  attorno  al 
quale  si  avvolge  una  funicella  detta  rumaneddu  o 
lazzu  (Mazzara),  o  filazzata  (S.  Ninfa),  sfilazzata  (Cala- 
tafimi)  lazzata,  che  sfilandosi  dalla  mano  del  giocatore 
serve  a  far  roteare  lo  strumento  stesso.  Questa  funi- 
cella ha  un'estremità  sfioccata  ed  una  con  un  grosso 
nodo,  o  con  una  moneta,  o  un  piastrino  di  latta  o  di 
pelle  forata  nel  mezzo  in  forma  di  sonaglio  (in  Spac- 
caforno  curittu,  a  foggia  di  cuore;  in  Modica  auric- 
eia,  in  forma  d'orecchia;  in  Palazzolo  Acreide  auric- 
cedda;  in  Ragusa  pica;  in  Chiaramonte  ciappetta,  la- 
strina) ;  e  questa  estremità,  acconciata  nella  commes- 
sura del  terzo  e  quarto  dito,  serve  di  presa  alla  forza 
nel  gettare  la  trottola  per  fare  svolgere  la  funicella. 

Larghissima  è  in  tutta  l'isola  la  sinonimia  della  ^^nim- 
mula.  Questa  si  chiama  strùmmulu  in  Licata,  rurrnUu 
in  Riesi,  ìmmnmlu  in  Piazza  e  Caltagirone,  ciu>uzzara 
in  Cianciana,  strummuluni  in  Casteltermini,  trottula  o 
tórtula  in  Girgenti,  Marsala,  Salaparuta  ecc.,  còcula  in 
Evìce^trupjyettu  in  Modica  e  Noto,  tuppettu  o  truppeddu 
in  Siracusa,  Catania,  Giarre  e  Messina,  palorgiu  in 
molti  comuni  del  Messinese,  panorgiit  in  Gioiosa,  pra- 
noggiu  in  Barcellona,  paloggiu  in  Taormina  e  Milazzo, 
saitta  in  Palazzolo,  boccia  in  Caccamo,  burzaditra  in 
Nicosia.  Ma  notisi  che,  in  generale,  il  paloggiu  è  sempre 
a  forma  di  pera;  il  truppetlu^  come  la  funcidda  di  Cal- 
tagirone e  Niscemi,  la  cicidda  di  Noto,  il  virticchiu 
d*Apollu  di  Palermo,  finisce  a  cono,  ov' è  impiantato 
il  ferro,  e  nella  parte  superiore  rileva  per  un  colletto- 


160  GIUOCHI 

riboccato  (pirmghiddru  in  Mazzara ,  chirchiriddru , 
S.  Ninfa).  Il  truppettu  che  ne  manca»  sostantivamente 
si  dice  tiffnusu,  curcuruccia  in  Chiararaonte  ,  cuci^ 
luni  in  Palazzolo;  se  grande,  beccaflcu,  e  se  a  pancia 
grossa,  paparedda  (Chiaramonte).  La  grossa  trottola 
è  strummuluni  comunemente,  ma  èpaparazza  in  Ca- 
tania, p^Yo/^w  inNiscemi  e  Caltagirone;  la  piccola  strum- 
muUccMa  nel  dialetto  comune ,  castagnedda  in  Ca- 
tania. Ve  poi  la  tabacchiera,  tuppeddu  a  base  larga 
e  piana.  La  trottola  suol  ricevere  sulla  parte  supe- 
riore, opposta  al  ferro,  una  bulletta  di  rame  od  una  ri- 
levatura  che  ne  fa  le  veci;  per  cui  in  alcuni  paesi  ò 
denominata  stnmimiUa  cu  tu  culu. 

La  trottola  si  gira  'n  supra  "ìnanu  quando,  per  gi- 
rarla, la  mano  si  solleva  in  alto  e  indietro  dal  gioca- 
tore, e  la  punta  si  volge  in  alto;  'n  sutta  manu,  quando 
si  gira  quasi  a  livello  della  mano,  col  ferro  in  sotto. 
Alcuni  giocatori  fanno  con  la  mano  sinistra  ,  perchè 
son  mancini. 

Nei  primi  momenti  che  si  usa,  una  trottola  non  è 
molto  maneggevole,  né  facile;  è  'nzurra^  ossia  maticia 
la  onanu  (Chiaramonte),  perchè  non  ha  pigghiatu  In 
lisciu  (Palermo),  ed  il  giocatore  non  ci  ha  pigghiatu 
la  manu  e  lu  versu.  Quando  il  ferro  non  è  bene  equi- 
librato con  la  palla,  o  perchè  troppo  lungo,  o  perchè 
non  abbastanza  rotondo  e  diritto  e  parallelo,  la  trot- 
tola /lf*ria  un  po'  maluccio;  e  firriari     (in    Caltagi- 

*  Il  Meli  nel  Don  Chisciotti,  e,  V,  st.  46: 

Pirchì  cu'  è  natu  a  fari  la  strùmniula 
Gira  e  flrria  ma  sempri  è  a  'na  banna. 


A  LA  STRUMMULA  161 

rone  ninari^  in  Chiaramonte  anninnari^  in  Erice  cu- 
Guliari  (da  cocula).  Allora,  come  trottola  abballarina, 
tarantella,  scrivana  (Licata,  dove  è  di  gen.  mascol.), 
carcarazza  {CaiQXiisi),varda'pecurH  {A.\oìSi),porta4ittri 
(S.  Ninfa),  nannarina  (Modica),  essa  saltella,  abballa, 
cacciarla  (Taormina),  sàuta  e  trippia  (Calatafìmi),  va 
chiè  Ghie  (S.  Ninfa),  fa  la  nanna  (Palermo),  fa  mazzuni 
(Spaccaforno),  fa  suppa  (Chiaramonte),  scrivi  (Licata), 
pappadia,  /^^^e-e-5cri*^2(Barcellona),che  è  quanto  dire 
bàrbera,  per  dirla  coi  Toscani;  arrobba,  ruba,  o  è  ar- 
robbannisi  (S.Ninfa),  o  fa  mini  minassi  (Chiaramonte), 
se  incontra  e  si  avvolge  al  ferro  peli ,  filacciche  ed 
altro;  vazzò-zzó  (Mazzara),  o  panza  pariza  (S.  Ninfa), 
quando  non  gira  sul  ferruzzo,  ma  rotola  per  terra  ; 
scoffa,  quando  il  laccio  troppo  asciutto  non  ha  presa, 
e  si  svolge  senza  farla  roteare;  ed  affossa  e  tessi  (S. 
Ninfa)  quando,  fatto  un  bucolino  dove  cade,  urta  gia- 
cendo qua  e  là,  e  s*am/maraggia  quando  cade  entro 
molta  polvere  e  fa  pochi  giri.  Cessata  di  girare  scaca  * 
o  s'attuta  (Mazzara).  Rotea  rapidamente  con  giri  che 
non  possono  distinguersi  quando  pare  si  addormenti, 
s'addurmisci;  e  s*appianicca  (Avola)  se  l'equilibrio  è 
perfetto.  Il  forte  moto  di  rotazione  impressole  è  talora 
cagione  che  essa  faccia  lu  lapuni,  cioè  il  ronzio  dei- 
Tape,  0  lu  tonu  (Taormina).  È  papunedda  (Palermo)  o 
^eYe6?rfa(Caccamo),  se  rapidissima  nel  girare;  è 'na pinna 
(Palermo)  o  'na  sita  (Modica),  cioè  come  penna  e  come 

i  Meli,  Lu  cagnolu  e  lu  cani,  favola: 

Divintirannu  strùmmuli  acacaii. 
G.  FiTità.^^  CritMchi  fanciulleschi  11 


162  GIUOCHI 

seta,  se  presa  in  mano  mentre  gira  pare  leggerissima; 
ed  al  contrario,  è  chiummu  (Palermo)  o  mazza  (Avola, 
Modica)  se  grave.  Ma  a  questo  i  fanciulli  ci  rimediano 
tirando  fuori  il  ferro,  introducendo,  nel  foro,  dell'escre- 
mento di  cavallo  o  di  mulo,  o  meglio,  una  mosca,  e 
ripiantandovi  il  ferro  stesso:  cosi  la  diventa  leggiera,  ed 
essi  ottengono  l'equilibrio  osservando  da  qual  lato  pieghi 
allorché  cessa  di  girare,  ed  attaccando  della  cera  al 
lato  opposto  deirorlo  (Avola).  La  palla  che  abbia  delle 
fenditure  [ciajccaturi)  non  è  una  cattiva  palla,  perchè 
ciò  proviene  dalla  furtizza  di  lu  Ugnu;  ma  se  le  ha 
presso  il  ferro  essa  vai  poco,  ed  è  detta  libbra  mei  !" 
(libera  me  !) 

Nascono  dalla  strum^niUa  le  frasi  Fari  firriari  a 
unu  com/u  'na  strummula,  per  far  girare  uno  come  un 
arcolaio  dopo  un  grande  schiaffo  od  urto  datogli;  i^er- 
riarisi  cowai  *na  strum^mula^  detto  di  chi  s' affatica 
molto  in  un  affare,  o  di  chi  abbia  forti  dolori  fisici  ecc. 

Ecco  intanto  i  vari  giuochi  di  strummula: 

1.  A  lu  clrcu,  o  ó  tornu,  o  ó  turneddu.  In  questo 
giuoco  si  fa  un  circolo;  ed  i  giocatori  tutti  a  un  colpo 
giran  le  loro  trottole;  uno  de'  quali  domanda: 

Chi  mancia  'u  cavaddu? 
Un  altro  risponde: 

Uòriu; 
E  gli  altri  tutti  replicano  e  danno  il  colpo  a  coro  : 

San  Cai  uòriu  1 
In  Mazzara  il  primo  dice: 

Chi  cc'è  ntra  lu  fucularu? 


A  LA  STRUMMULA  163 

Gli  altri: 

Pocu. 

Il  primo,  da  capo: 

Chi  cc'è  'ntra  la  'utti  ? 
Gli  altri: 

Vinu. 

Viva  viva  SanfAntuninu  ! 
e  cosi  dicendo  danno.  Quella  fra  le  trottole  che  cessa 
di  roteare  più  presso  al  centro  del  circolo  resta  sotto 
[appuzza),  I  compagni  la  caccian  fuori  con  le  lor  trot- 
tole. Dopo  si  continua  nel  seguente  modo  : 

1  giocatori  girano  uno  per  volta  o  tutti  insieme  la 
trottola,  e  devono  affrettarsi  a  toccare  col  pizzu  la 
trottola  paziente;  v'è  chi  riesce  ad  investirla  a  corpu^ 
cioè  di  primo  acchito;  v'  è  chi  presa  tra  la  commes- 
sura del  secondo  e  del  terzo  dito  nella  palma  della 
mano  la  trottola  girante,  la  fa  ricadere  sulla  trottola 
che  è  sotto.  Chi  non  riesce  a  questo,  va  sotto  lui,  come 
ci  va  chi  non  dà  entro  il  circolo,  chi  nel  tirare  non 
dice  inuca  (Cianciana),  colui  la  cui  trottola  fa  cappid- 
dazzu,  percuote  in  terra  di  costato  senza  girare,  ot- 
vero  fa  sciUazzata^  cioè  rimane  attaccata  alla  ferza: 
nel  qual  caso  il  proverbio  messinese  dice:  ScuLazzaia 
vai  sutta.  Chi  non  sa  prender  nelle  mani  la  trottola» 
la  va  trascinando  con  la  sua  funicella  sino  a  toccare 
la  palla  stessa:  ciò  che  dicesi  in  Chiaramente  yt«?aW  6 
firriìwlu^  e  in  Taormina  jucari  a  stranghiari  (a  tra- 
scinare). Questo  giuoco  è  detto  a  pizzati,  a  pizzari^ 
a  fanelli  (Licata),  a  cuzzati  (Taormina)  a  masculati 
(Chiaramente). 


164  GIUOCHI 

2.  A  cu'  dura  cchiu  assai.  Due,  tre  giocatori  girano 
contemporaneamente  le  loro  trottole,  e  quella  rimane 
perdente  e  paga  la  penitenza  che  cessa  prima  delle 
altre  di  girare  {scaca). 

3.  A  Calatafìmi  ed  a  Santa  Ninfa  fanno  girare  le  trot- 
tole ,  le  pongono  nel  cerchio ,  e  va  sotto  quella  che 
ne  esce  fuori,  quando  finisce  di  girare;  e  siccome  bene 
spesso  accade  che  ne  escano  più  d'una,  così  queste  si 
fanno  girare  di  nuovo,  finché  non  ne  esca  se  non  una 
sola. 

«  Chi  va  sotto  pone  la  sua  trottola  nel  centro  del 
oerchio.  Il  mastro  solo  ha  il  diritto  di  giocare  prima 
di  tutti,  il  sottomastro  quello  di  giocare  immediata- 
mente dopo  il  mastro,  e  di  dare  agli  altri  il  permesso 
di  giocare. 

«  Quando  il  mastro  dice  :  Tirarmi  tutti  e  sutta  lu 
mastru  I  ciascuno  con  l'ordine  che  ho  detto  gitta  la 
propria  trottola,  e  tutta  l'arte  consiste  nel  colpire  la 
paziente  e  farla  uscire  fuori  del  cerchio.  A  questo 
colpo  la  trottola  paziente  si  libera  dalla  sua  pena;  chi 
lo  fa  diventa  mastro,  e  va  sotto  colui  che  egli  nomina, 
non  escluso  il  mastro,  con  queste  parole  :  Scula,  scuLa, 
per  es.,  Jacu!  A  Santa  Ninfa  ciascuno ,  prima  di  far 
girare  la  trottola ,  indica  chi  voglia  che  vada  sotto, 
ave  faccia  uscire  la  paziente  dal  cerchio.  Nel  corso 
del  giuoco  va  sotto  anche  colui  che  giucca  prima  del 
mastro  o  prima  di  aver  ricevuto  il  permesso  dal  sotto- 
mastro,  chi  gitta  0  fa  girare  la  trottola  fuori  del  cer- 
chio, e  chi  la  fa  cadere  senza  farla  girare;  ma  chi  va 
sotto  in  ciascuno  di  questi  casi,  non  libera  quella  del 


A  LA  STRUMMULA  165 

compagno,  sicché  entro  lo  stesso  cerchio  se  ne  pos- 
sono trovare  più  d*una.  Non  si  va  sotto,  quando  non 
si  colpisce  la  paziente  con  la  propria,  purché  questa 
cada  entro  il  cerchio  e  giri. 

•4.  A  passar L  «  Uno  gitta  uno  sputo  in  terra,  e  tutti 
vi  danno  su  lanciando  la  trottola.  È  mastro  colui  che 
si  scosta  meno  dallo  sputo;  va  sotto  chi  se  ne  scosta 
più  ;  la  gitta  una  seconda  volta  colui  la  cui  trottola 
non  gira  dopo  di  essere  lanciata. 

«  La  trottola  paziente  si  colloca  sullo  sputo,  ed  indi 
si  porta  una  o  più  volte  ad  un  punto  stabilito,  ovvero 
a  due  punti  stabiliti,  non  compreso  la  prima  volta  lo 
spazio  che  passa  dallo  sputo  ad  un  di  loro,  secondo 
i  patti.  A  tal  uopo  ciascuno  urta  e  spinge  la  paziente 
con  la  sua,  cui,  mentre  gira,  prende  in  mano  tra  un 
dito  e  l'altro  ;  e  va  sotto  chi  non  la  tocca ,  o  chi  la 
tocca  quando  la  propria  ha  già  cessato  di  girare.  Sì 
va  sotto  anche  quando  si  gitta  la  trottola ,  e  questa 
non  gira ,  e  quando  non  si  gitta  e  non  si  fa  girare 
entro  lo  spazio  di  una  spanna  dalla'  paziente,  se  questa 
si  trova  nel  fango,  nella  polvere,  o  ha  pietre  o  intoppi 
vicini.  A  Santa  Ninfa  fk  bisogno  sempre  gittare  la 
propria  entro  la  distanza  di  poco  più  d*  una  spanna 
dalla  paziente. 

«  La  trottola  che  va  sotto  libera  quella  che  vi  é 
stata,  né  deve  percorrere  altro  spazio  che  quel  tanto 
che  rimane  sino  al  punto  stabilito  ,  dove  giunta  si 
prende,  e. ciascuno  la  colpisce  una  o  più  volte,,  se- 
condo i  patti  e  la  guasta  col  ferruzzo  della  propria 
(a  spuntunatl),  o  la  mette  in  terra  e  la  guasta  ed  an- 


166  GIUOCHI 

ehe  la  rompe,  gittandovi  sopra  a  tutta  possa  una  volta 
o  più  una  ben  grossa  pietra  [a  baiatati).  È  permesso 
o  vietato,  secondo  i  patti,  di  dare  la  prima  delle  due 
pene  alla  paziente  con  una  trottola  fornita  di  un  fer- 
ruzzo  tagliente  come  uno  scarpelletto,  e  quando  non 
si  conviene  altrimenti  deve  mettersi  sotto  quella  stessa 
con  cui  si  giucca  ,  e  se  è  un'  altra  ,  non  può  essere 
coverta  nò  di  latta  né  di  chiodi.  A  Santa  Ninfa  si  con- 
viene che  ciascuno  ,  quando  dà  la  prima  delle  due 
pene  alla  trottola  paziente  {li  pizzunati),  la  lasci  nel 
buco  fatto  in  un  muro  dove  dapprima  si  pianta,  o  ne 
Testragga.  Nel  primo  caso,  che  dicesi  arruccari,  dopo 
di  esser  colpita  e  guasta  da  ciascuno  sempre  nel  me- 
desimo posto,  è  il  padrone  medesimo  che  deve  estrar- 
nela;  la  qual  cosa  non  gli  riesce  troppo  agevole  a  fare: 
tanto  conficcasi  addentro.  Nel  secondo  caso,  che  di- 
cesi disruccari,  Tuno  dopo  di  averla  colpita  la  estrae 
e  la  consegna  all'altro;  l'ultimo  le  dà  la  sua  pena,  la 
estrae  finalmente  e  la  consegna  al  padrone  *.  » 

5.  Si  stabilisce  una  distanza,e  fino  alle  quanta  t;a,cioè 
quante  volte  si  deve  percorrerla;  e,  fatto  al  conto,  colui 
che  sorte  mette  sotto  una  palla  o  un  pallino,  il  quale 
da  chi  gioca  dev'  essere  cacciato  fuori  la  linea  sta- 
bilita tante  volte  quanto  é  stato  detto.  Finita  la  par- 
tita, il  vincitore  (o  i  vincitori)  deve  dare  tante  piz- 
zinnònguli,  colpi  col  ferro  della  trottola ,  alla  palla 
presentata  quante  ne  sono  state  pattuite:  otto,  per  lo 
più.  S'intende  che  il  paziente  per  eludere  i  colpi  con- 

*  Castelli,  H  Giuoco  fanc.  a  la  tortula.  Archivio,  voi.  II,  p.  113. 


A  LA  STRUMMULA  167 

^egna  un  pallino  piccolissimo:  cosa  che  talora  dà  luogo 
a  recriminazioni;  ed  il  vincitore  aguzza  la  punta  della 
sua  trottola,  e  ad  ogni  colpo  la  bagna  di  saliva.  La 
palla  è  incastrata  quasi  metà  in  terreno  sodo  per  non 
muoversi.  I  colpi  sono  ora  'n  chinu^  ora  'n  vacanti^ 
ora  a  sgangìiiari ,  ora  a  'bhagnari  *,  fino  a  lasciar 
la  boccia  tutta  butterata  come  'na  facci  di  trippa.  Per 
condizione  stabilita  innanzi  è  permesso  al  vincitore  di 
dare  corpu  supra  corpu  (colpo  su  colpo),  quando  11 
pallino  paziente  resta  attaccato  al  ferro  della  trottola; 
e  cosi  il  vincitore  appioppa  altri  colpi  a  questo  pal- 
lino infilzato,  fino  al  numero  8;  ed  è  ben  facile  che  lo 
spacchi  in  due.  Bisogna  vedere  la  pena  e  la  rabbia 
del  perditore  ad  ogni  nuovo  colpo  dato  alla  sua  palla, 
specialmente  se  esso  cada  in  pieno,  e  la  gioia  del  vin- 
citore. Cosi,  finita  la  partita,  tornano  a  contarsi,  ed 
il  giuoco  ricomincia. 

6.  A  dinari.  Si  fa  gettando  la  trottola  nel  tunnu, 
per  cacciarne  fuori  la  moneta  o  le  monete  che  vi  si 
trovano,  messe  da  chi  andò  sotto.  Descrivono  i  fan- 
ciulli due  linee  parallele  in  terra  ad  una  certa  distanza, 
e  sopra  una  di  esse  collocano  una  moneta.  Indi  fanno 
girare  la  trottola  a  vicenda,  e  ciascuno  la  prende  in 
mano  e  dà  sulla  moneta,  e  la  vince  chi  prima  dell'  al- 
tro la  porta  alla  linea  opposta.  Chi  nel  gittare  la  trot- 
tola non  fa  due  giri,  perde  la  volta  di  giocare. 

7.  A  corpu,  0  A  "inetti  ca  ti  mettu  (Cianciana).  Un  gio- 

'  Ora  in  pieno,  ora  a  vuoto,  ora  a  sfiorarla  appena  di  lato,  ora 
a  coglierla  profondamente. 


U88  GIUOCHI 

catore  dice  :  Metti  ca  ti  mettu;  Y  altro  pone  a  terra 
la  sua  trottola  o  palla  di  riserva  ;  il  primo  tira,  e  se 
colpisce  prosegue  a  giocare;  se  no,  va  sotto. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Calabria  la  trottola  è  detta  parrociolu  ;  nel  Barese 
Qurrue;  in  Napoli  strummolo  (De  Bourcard,  I,p.  303),  come 
negli  Abruzzi;  ruzzola^  trottola  in  Toscana;  frullo  in  Lucca; 
tróttla  in  Parma  (Malaspina,  IV,  346);  pisa  in  Ferrara; 
pretta  in  Bologna;  zottola  in  Milana  ;  trotolo  in  Padova 
(Patriarchi)  e  Venezia;p^>?a  in  Tortona;  «ò^o^a  in  Piemonte 
(Sant'Albino  ,  1077)  ;  mingia  in  alcuni  comuni  subalpini; 
bardufula  in  Cagliari,  baddrùnfuta  in  Sàrdari  (Sardegna). 
Il  Sacchetti,  NoveUe,  n.  CXXX,  ricorda  il  fare  alla  trot- 
tola, che  pure  è  ricordato  nel  Malmantiley  e.  IL  II  Minucci 
a  questo  proposito  richiama  i  versi  della  canzonetta  popò- 
lare  fanciullesca  : 

E  il  Cristian  non  è  giudeo, 
E  la  trottola  non  è  paleo 
E  '1  paleo  non  è  trottola. 

Laonde  mal  si  appose  chi  confuse  il  turbo  dei  Latini,  che 
corrispondo  al  paleo,  (in  Sic.  Strummula  di  ventu)  con  la 
trottola,  che  è  un  po'  differente.  Del  qual  turbo  fa  cenno 
Virgilio  nel  V"  canto  deUa  Eneide  e  TibuUo  nella  elegia  5 
del  I  lib.  I  Greci  dicevanlo  bembrix,  rombos,  strombos. 

Intorno  ai  vari  giuochi  trottole schi  in  Toscana  leggi  le  note 
al  Malmantile,  v.  III,  p.  22-23.  Si  sa  poi  che  il  toscano  roteare 
è  il  nostro  firriari;  dormire,  Vaddurmiscirisi;  barberare, 
Yabballari;  il  fari  cappiddazzUj  far  cappellaccio  (Fagiuoli, 
Rime,  note,  45),  andar  in  baia,  venez.  (Boerio,  pag.  770). 


A  GÀNQÀIU  B  BELLA  lÌft 

87.  A  eàncara  e  bella. 

Si  dice  anche  Sciancava  e  bella;  in  Menfi  A  Ginr 
quanta  coma  porta  la  crapa;  altrove  Ad  anca  ed 
ancona. 

Si  gioca  in  tre.  Uno,  che  fa  da  mastro,  siede;  uno 
da  cavallo,  e  nasconde  la  faccia  tra  le  gambe  di  lui; 
un  terzo,  che  cavalca  quest'ultimo,  da  capra.  II  ma- 
stro ricevendo  il  cavallo  gli  tura  gli  occhi  per  non 
fargli  vedere  i  segni  che  farà  la  capra;  e  gli  dice: 

Càncara  e  bella, 
Si*  bona  e  si*  bella. 
Si*  bedda  maritata: 
Quanta  corna  porta  *a  craps^? 

La  capra  fa  segno  colle  mani,  p.  e.,  tre;  il  cavallo 
dirà,  p.  e.  quattro.  Dunque  non  si  è  apposto:  e  con- 
tinua a  star  sotto  sentendosi  ricantare  dal  mastro: 

Tri  avissi  ditta, 

Lu  tò  nasu  fòrd  fritta, 

Fritta  e  frittata, 

(o  E  di  fritta  arrifrittatu) 

Lu  tò  nasu  fora  cacata. 

Càncara  e  bella, 
Si'  bona  e  si*  bella, 
Si*  bedda  maritata; 
Qaanta  corna  porta  *a  crapa? 

Se  il  cavallo  indovina  i  numeri  indicati  dalla  capra, 
vince,  e  colui  che  è  sopra  passa  sotto. 
In  qualche  comune  il  principio  varia  eo&i: 


1 


170  GIUOCHI 

Càncara  e  bona  (Palermo), 
Trinchisi  bedda  (Polizzi). 
Scàncara  e  bedda  (Yentimiglia), 

E  in  un  ms.  della  Comunale  di  Palermo  (sec.  XVIIl): 

Anca  ed  ancona 
Si'  bedda  e  si'  bona  ecc. 

(V.  Alessi,  Notizie  della  Sicilia;  ms.  Qq  H  43). 

In  Noto  una  versione  dice: 

Anca  e  sincòna, 
Sincòna  maritata 

[o  Mazzittella  maritata.  Taormina) 
Quantu  cucci  porta  *na  crapa? 

In  Comiso: 

Trinca  e  trincoi, 
Si*  bella  e  si'  voi  ecc. 

La  seconda  metà  della  formola  in  Alimena  è  questa: 

Quattru  dicisti: 
Lu  jocu  pirdisti; 
Si  tri  dicievi, 
Lu  jocu  vincièvi. 

Schittulidda  la  maritata; 

Quantu  corna  havi  la  crapa? 

In  Caltagirone: 

Si  tri  avissi  dittu, 
'U  tò  nomu  fora  scrittu, 
Fora  scrittu  a  la  Bardedda  * 
Cascavaddu  e  ciciredda. 

1  Sito  di  Caltagirone. 


A  CÀNCARA  E  BELLA  171 

In  Salaparuta  e  Mazzara: 

Si  tri  voti  avissi  dittu, 
Lu  tò  nasu  fora  fritta, 
Pi  li  munti  e  pi  li  baddi  (valli) 
Dàticci  tri  para  di  cascavaddi. 

E  i  giocatori  danno  col  gomito  e  i  polsi  tre  colpi  sul 
dosso  del  cavallo.  In  Noto: 

E  tri  avissitu  dittu, 
Pi  lu  munnu  forra  scrittu, 
Pi  lu  munnu  e  pi  li  vaddi. 
Quantu  su'  li  cascavaddi  ? 

In  Chiaramonte  e  Comiso: 

E  tri  avissitu  dittu 
Lu  tò  cu...  fórra  frittu. 
Fórra  frittu  n'ó  tianu, 
Vasa  lu  cu.,  a  màsciu  Tufanu. 

In  Avola  uno  sta  rivolto,  e  V  altro  gli  batte  il  pugno 
sul  dosso  dicendo: 

TiribuUi  e  tiriballi, 
Quantu  cucci  di  casicavalli  ? 

In  Modica  e  Chiaramonte: 

Tiribummi  e  tiribaddi 
Quantu  su'  sti  casicavaddi? 

ed  alza  uno  o  più  dita  ,  che  V  altro  deve  indovinare. 
I  versi  di  correzione  e  ripresa  sono: 

Avissitu  dittu  tri,  • 

TiribuUi  e  tiriballi. 


17J  GIUOCHI 

In  Acireale  un  altro  giuoco  partecipando  col  nome 
e  colle  circostanze  allo  scarrica-canali  ha  questi 
versi  : 

Quattru  e  quattr'ottu, 
Scàrrica  di  bottu, 
Ciciri  e  favi: 
Quantu  corna  porta  la  navi? 

Chi  è  sotto  risponde,  p.  e.,  dui;  e  l'altro: 

Tri  tri  avissi  dittu, 
Lu  cavaddu  di  bonflttu, 
La  zitella  maritata  ; 
Quantu  curniedda  porta  'a  me  crapa? 

In  Casteltermini: 

Tri  avissi  tu  dittu, 
Lu  tò  nasu  fora  fritta 
'Nt'  ón  pignateddu  strittu. 

Sotto  il  titolo  di  Anca  ed  Ancona,  nella  prima  metà 
del  settecento  questo  giuoco  fu  descritto  in  latino  da 
Fr.  Pasqualino,  ed  il  figlio  di  lui  (M.  Pasqualino,  Vo- 
caholario  sic,  I,  98)  notò  da  esso  giuoco  V  origine 
della  frase  Fari  *na  cosa  ad  anca  ed  Ancona ,  che 
vale  :  fare  alla  peggio;  e  dalle  voci  anca  ed  Ancona, 
«  città  situata  in  una  spiaggia  di  figura  d*un  gomito  » 
essere  stato  preso  il  titolo  del  giuoco;  «  onde  diciamo 
ad  anca  ed  Ancona  per  esprimere  una  cosa  due  volte 
torta,  cioè  irragionevole.  »  E  tanto  basta  ! 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
In  Calabria  i  versi  sono  questi  (Mango,  n.  XXXVII)  : 


A  CÀNCAKA  E  BELLA  173 

—  l^ìAga  e  tringòda, 
E  bV  bella  e  si'  bona, 
E  si*  bella  e  maritata 
Quantu  corna  porta  la  crapat 

—•Si  una  dicìa, 
Miegliu  facia 

E  mo*  chi  una  m*  ha*  ditta. 
Si*  bella  e  si*  bona,  eec. 

E  la  descrizione  si  legge  neìV Archivio,  voi.  II,  p.'  178. 
Nel  dialetto  barese  di  Biceglie  i  fanciulli  dicono  : 

E  pe  tre  V  avissi  ditte 
Pi  r  amor  de  poppa  fritte 
B  fritte  ed  ancona 
E  che  bella  sebletona 
E  che  bella  *nnamurata 
Quante  corna  tene  *n  capa  ?  {Ined.) 

In  Pomigliano  d'Arco  (Imbriani,  L.  Canzonette  inf.  ecc. 
n.  XXX)  : 

—  Venga,  venga,  Nicole  I 
E  si*  bella  e  si*  bone, 

E  si*  bona  a  maretà*, 
Quanta  come  tiene  *ncape? 

—  «  Ne  tenghe  treje  ».  — 
—i  E  al  qttcUte  avisse  ritte, 
*E  cavalle  fosse  scritte, 

*E  cavalle  re  lu  pape.— 
Quante  come  tiene  *n  capet 
—  «  Ne  tenghe  seje.  »  — 
E  se  cinche  avisse  ritte  ecc. 

Nell'ottavo  verso  si  dice  più  comunemente   E  cavalle  re 
Rumane. 

Nel  1709  il  Marcotellis  nel  Patro*  Calienno  de  la  Costa 
at.  II,  se.  8%  diede  questa  versione  napolitanesca,  tuttora 
popolare  in  Napoli  : 


174  GIUOCHI 

Anga  Nicola — si  bella  e  si*  bona 
Si  bella  mmaretata. 
Quanta  corna  tiene  'n  capo  f 

—  Quatto. 

E  si  cinco  havisse  ditto, 
A  cavallo  fusse  scritto, 
A  cavallo  de  na  ors^a. 
Quanta  coma  tiene  *n  capo 

—  Sette. 

Vedi  Giambattistu  Basile,  Arch,  di  Lett,  pop,,  an.  I,  n.  I. 
Napoli,  15  gennaio  1883,  p.  5. 

In 'Toscana  il  daino  è  cavallo  del  re  o  delpapa,  e  il  car 
valiere  gli  chiede  {Ulile  dulci,  n.  XXV,  pp.  42-43)  : 

Cavallo  dello  Re,  cavallo  dello  Papa 
Quante  corna  ha  la  mi*  capra  t 

In  un'  altra  maniera  di  fare  questo  giuoco  (Fanpani,  143) 
in  Toscana ,  chi  si  nasconde  dietro  a  chi  va  sotto  gli  do- 
manda : 

Biccicuccù  Biccicuccù 
Quante  corna  sta  quassù? 

Se  costui  non  indovina,  quello  che  di  dietro  ha  alzate  le  dita 
battendogli  con  gli  altri  giocatori  la  spalla  canta: 

E  se  cinque  (o  altro  numero)  tu  dicevi, 
La  cavalla  tu  vincevi. 

E  lo  ripete  finché  quello  non  si  apponga.  Anticamente  gì 

diceva  ; 

Biccicalla  calla. 

Quante  corna  ha  la  cavalla? 

Il  giuoco ,  neir  Italia  centrale ,  è  detto  da  alcuni  Daino 
daino  y  e  chi  va  a  cavallo  dice  a  chi  va  sotto: 

Daino  daino. 

Quante  corna  tengo  ritte  ? 


A  CÀNCARA  E  BELLA  175 

In  Brescia  le  parole  di  chi  sta  sopra  sono  : 

Ceco  trìgna  co, 

Quanti  corni  ga  U  tó  bò? 

In  Padova  : 

Ponti  chiò, 

Quanti  corni  ga  el  mio  bòt 

parole  alle  quali  il  Patriarchi  fa  corrispondere  il  Fare  a 
bizzicòf  quante  corna  stan  qua  su  ? 

88.  A  Gadduzzu. 

Un  fanciullo  poggia  la  testa  col  viso  in  giù  tra  le 
gambe  del  mastro  seduto,  il  quale  gli  chiude  gli  oc- 
chi. Un  terzo  salta  a  cavalcioni  di  chi  va  sotto,  e  il 
mastro  dice  :  Gaddu  gadduzzu  ,  cu*  è  chistu  a  ca- 
vaddu  ?  Se  quegli  si  appone ,  il  cavaliere  va  sotto, 
altrimenti  lo  cavalca  un  secondo,  un  terzo,  fino  a  che 
egli  non  colga  nel  vero. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
In  Venezia  si  gioca  col  titolo:  A  la  mussèta» 

89.  A  Tuma  e  ricotta. 

Di  due  ragazzi  uno  si  chiama  Tuma  e  V  altro  Ri- 
cotta, Entrambi  calano  le  mani  nel  medesimo  tempo 
ed  aprono  quante  dita  vogliono,  ed  uno  di  loro,  con- 
tando tante  volte  quant*è  il  numero  totale  delle  dita 
aperte  dair  uno  e  dall'  altro ,  dice  :  Tuma  e  ricotta, 
tuma  e  ricotta  ecc.  Vince  colui  che  ha  scelto  tuma 
se  il  numero  finisce  con  questa  parola;  vince  Taltro, 


It6  GIUOCHI 

se  finisce  con  la  parola  ricotta,  È  insomma  un  fare 
al  tocco  in  un  modo  un  poco  diverso. 

Chi  vince  dà  subito  in  testa  al  compagno;  indi,  ca- 
lando le  mani  ed  aprendo  le  dita,  ma  senza  più  con- 
tare come  in  principio  e  dire  :  tuma  e  ricotta,  batte 
il  compagno  ogni  volta,  finché  non  avvenga  che  Funo 
apra  tante  dita  quante  Taltro;  ciò  avvenuto,  ricomin- 
cia il  giuoco. 

Può  farsi  anche  in  tre,  ed  allora  l'uno  sceglie  tuma, 
Taltro  ricotta,  ed  il  terzo  cascavaddu  friscu.  Un  solo 
vince,  e  gli  altri  due  perdono.  Chi  vince  dà  subito  in 
testa  a'  due  che  perdono  ;  ed  indi  gioca  prima  col- 
Tuno,  finché  costui  non  riesca  nel  modo  che  si  è  detto, 
e  poi  con  Faltro. 

Quando  si  fa  in  quattro,  uno  sceglie  zoppa^  un  altro 
zappella  ,  il  terzo  'ncùnia,  il  quarto  marteddu.  Tra 
tutti,  due  vincono  e  due  perdono ,  ed  uno  dei  vinci- 
tori gioca  con  uno  dei  perditori  nel  modo  di  sopra 
descritto. 

Molto  comune  é  nel  Mazzarese,  dove  il  giuoco  è  stato 
raccolto.  Quivi  tuma  (raviggiolo,  cacio  fresco  non  sa- 
lato) si  dice  tumma. 

00.  A  iu  Frischiettu. 

Un  pecoraio  ha  perduto  lo  zufolo;  sospetta  che  gli 
sia  stato  rubato,  e  ne  va  in  traccia. 

Una  mano  di  fanciulli  sta  seduta  a  semicerchio,  na- 
scondendo  le  mani  sotto  un  tovaglione,  e  tenendo  na- 
scosto lo  zufolo.  Mentre  il  pecoraio  ricerca  lo  stru- 


A  LU  FRISCHIETTU  177 

mento  perduto  ,  non  cessa  di  ripetere  ,   passando  da 
questo  a  quell'altro  fanciullo: 

Venitinni,  frischittieddu, 
Venitinni  a  lu  patruni; 
Venitinni,  frischittieddu, 
Venitinni  a  lu  patruni  ecc. 

L'  uno  dei  fanciulli ,  appena  il  pecoraio  ha  voltati 
gli  occhi ,  dà  fiato  allo  zufolino ,  e  lo  passa  rapida- 
mente sotto  la  tovaglia  ad  un  altro  ,  e  questi  ad  un 
terzo,  e  via  dicendo.  Il  pecoraio ,  dalla  direzione  del 
suono,  immagina  chi  l'abbia  sonato,  ma  mentre  lo  fruga 
ode  altra  volta  il  zufolo  dalla  direzione  opposta,  e  si 
dirige  a  quella  parte. 

Il  meglio  del  giuoco  consiste  in  questo:  nell'appendere, 
cioè  ,  sulle  spalle  del  pecoraio  lo  strumento  cercato; 
e  l'appenderglielo  non  riesce  difficile,  essendo  che  è 
legato  ad  un  laccio,  il  quale  fa  capo  ad  uno  spillo  ri- 
torto a  foggia  di  uncinetto.  Dopo  che  glieF  hanno 
appeso,  glielo  van  sonando  dietro  le  spalle;  ed  il  pe- 
coraio, che  non  se  lo  immagina,  si  volta  ad  ogni  mo- 
mento, corre,  afferra,  fruga  le  mani  or  di  questo,  or 
di  quello,  e  non  può  venire  a  capo  di  ritrovarlo. 

Molto  usato  in  Chiaramente,  dove  è  stato  raccolto. 

91.  A  Bue. 

Il  Pasqualino,  Voc.sic,  I,  haX&&wè,  A  Vabì)uè,  Vie, 
In  Termini  A  tuvè  o  A  tuvavè  (Tu  va  ve[ni);  in  Mar- 
sala e  Catania  Ammuccia  ammùccia;  in  Siracusa  A 
V  amnvucciàgghia;  in  Borgetto  Amm/ucciareddu;  in 

G.  PiTBÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  12 


178  (GIUOCHI 

Messina,  Licata  ecc.  Ammucciaredda;  in  Milazzo  Am- 
mucciatedda,  e  cosi  nella  prima  metà  del  sec.  XVIII 
in  alcune  parti  di  Sicilia;  in  Alimena  Amnvucciarella; 
in  Menfi  Ammùcciu  ammùcciu;  in  Noto  Ammuccia; 
in  Avola  A  Vammucciaggia;  in  Caltagirone  6  muc- 
ciu  ;  in  Mazzara  A  venitinni  ;  in  Taormina  A  cazzi 
dda  uppi  (A  caccia  quella  volpe  (?). 

Siede  da  capo  il  maggiore  della  brigatella  de'  giocato- 
ri. Si  fa*al  tocco,  ed  il  sorteggiato  va  sotto.  I  compagni 
partono  tutti  insieme  o  divisi,  e  vanno  a  rimpiattarsi. 
Quando  non  hanno  ancora  dato  nessun  segno  d'essersi 
nascosti,  il  sotto,  con  gli  occhi  turati  dalle  mani  del 
capo,  chiede  :  È  uraì  Se  è  già  il  momento  opportuno, 
il  secondo  capo,  che  dirige  i  rimpiattati,  dà  il  segno 
col  grido  :  Bue  !  Mti  bue  ;  in  Trapani  Totì;  in  Termini 
Tuvavè  o  Tuvè,  come  in  Messina;  in  Caltagirone  Ac(?i^a, 
e  giocando  in  luogo  chiuso  :  A  chi;  in  Marsala  e  Li- 
cata Venitinni;  in  Siracusa  Veni!  in  Noto  Aura  è! 
voci  tutte  che  corrispondono  al  Cucù  de'  Veneziani 
(BoERio).  Allora  il  sotto  lascia  il  mastro  e  va  ìa  cerca 
dei  rimpiattati.  Nella  provincia  di  Siracusa  e  altrove 
egli  dice  alcuni  versetti  come  questi  (Modica)  : 

Ammùcciti,  lucerta, 
Cà  tò  matri  ti  veni  a  'nzerta; 

o  come  questi  altri  (Comiso)  : 

Ammuccia,  lucerta, 
Ammùcciati  bona, 
Gà  ti  veni  a  'nzerta. 

od  anche  come  i  seguenti  (Spaccafomo)  : 


A  BUE  179 

Trasi  trasi  lu  nasiddu, 
Cà  ti  vidi  lu  surciddu. 
Suddu  'un  ti  'nzertu, 
Pieggiu  pir  iddu. 

A.1  primo,  che  egli  scopra,  grida:  Ha  bistUy  hd  ì)istu  I 
(cioè  he  vistu,  ho  visto),  ovvero  'U  truvai  !  (Polizzi), 
0  Vitti  !  (Caltagirone):  e  nomina  subito  il  compagno  ve- 
duto. In  Messina ,  chi  non  è  stato  scoperto  grida  da 
lontano:  d  mamma.  In  Licata  il  sotto  afferrando  uno 
dei  compagni  nascosti  dice  : 

Ciappedda  ciappiddazza, 
Ddocu  ti  pigliu,  ddocu  ti  lassù. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Si  conosce  ed  esegue  sotto  i  seguenti  nomi  :  AlVammucci 
cultura  in  Calabria  (Mango,  Arch,  v.  II,  175)  ;  A  mucciu- 
nedda  in  Reggio  di  Calabria  (Mandalari,  Canti  pop,  regg,, 
pag.   197,   nota  2);  nella  Terra  d'  Otranto  A  cua,  o  A  cua 
scundi-scundi;  in  Foggia  A  mmuccia-Cola;  in  Biceglie  A 
scunnùttcey  ed  anche  A  la  scunda;  A  covalera  in  Napoli; 
A  inguattarello  in  Benevento,  ed  anche,  con  una  varietà, 
alla  Volpe  (Corazzini,  pag.  106  e  109);  in  Teramo  A  lu  co- 
ve (Savini  ,  La  grammatica  e  il  Lessico  del  dialetto  tera- 
mano, p.  131.  Torino  Loescher  1881);  in  Roma  A  cecarel- 
la; in  Toscana  Fare  a  rimpiattino  o  A  capinnascondere 
(Fanfani,  224)  o  A  capo  a  niscondere  (E.  L.  Franceschi, 
In  Città  e  in  Campagna^^*  edizione,  p.  605.  Torino,  1880; 
Barbieri,  p.  68);  in  Colle  di  Val  d'Elsa  A  nascondelle;  nelle 
Marche  A  niscondina  (Gianandrba,  n.  24);  in  Bologna  A 
repiattarola  (sec.  XVII);  in  Ferrara  A  la  cut;  in  Parma  A  la 
scondroèula,  e  chi  è  nascosto  grida:  L*  è  còla,  come  in  Ve- 
nezia cucù;  in  Mirandola  Far  da  cttcù  (Mbsghibri,  p.  82);  in 


180  GIUOCHI 

Milano  A  scòndes  (Cherubini,  IV,  163);  in  Brescia  A  scondc 
Ugor;  in  Padova  A  scondarole;  in  Venezia  A  le  scondariol 
o  A  scondariola  (Bobrio)  o  A  scondi  erba  (Bbrnoni,  n.  7] 
ed  anche  A  chi  se  vede  eh  !  (n.  66).  Col  titolo  di  A  cìm 
corre  in  Piemonte  (Sant'Albino,  p.  356  e  637),  di  A  scund\ 
ìera  in  Tortona,  e  di  A  scunde  nel  Monferrato  (Ferrabc 
Cinquanta  Giuochi,  n.  IV).  '^qVH  Utile  dulci,  n.  V,  p.  8,  s 
trova  descritto  sotto  quello  di  Rimpiattarelli. 

Intorno  al  giuoco  chiamato  in  Bologna  A  Repiattarola. 
cosi  scrivea  il  citato  G.  Antonio  Bumaldi  ,  p.  66  :  «  Chk 
chio  che  siete  vinto,  è  un  termine  proprio  d'un  tal  gìuoc< 
dei  nostri  putti  da  essi  chiamato  repiattarola ,  nel  quali 
alcuni  si  nascondono,  et  altri  sono  i  cercatori  dei  nascost 
e  questi  cercatori,  dato  il  segno  del  tempo  del  cercare,  par 
titisi  del  giuoco,  chiamato  area,  all'  hora  vincono  quandi 
trovano  i  nascosti,  e  gli  ponno  vedere  dicendo,  chio  chk 
che  siete  vinto,  come  all'incontro  se  i  nascosti  ponno  eluden 
i  cercatori,  e  senza  essere  veduti  da  quelli  arrivare  a  tocca^ 
re  il  luogo  dell'area  eglino  vinceranno  servendosi  pure  del 
r  istesso  termine,  chio  chio,  io  sono  delV  area;  chio  noi 
vuol  dir  altro  che  nascondiglio  chias  chias, 

92.  Ad  Accetta  ca  nun  ce'  ò  nuddu  | 

In  Casteltermini  il  giocatore  che  va  sotto  è  bendata 
dal  mastro  ,  il  quale  se  ne  nasconde  il  viso  tra  \\ 
gambe.  I  giocatori  che  vanno  a  rimpiattarsi  segnaw 
colla  destra  sulle  spalle  del  paziente  una  croce  coi 
questa  formola: 

Chistu  è  lu  pani;  | 

Chistu  è  lu  vinu; 


AD  ACCETTA  CA  NUN  CC'È  NUDDU  !        181 

Chista  è  la  Rocca 
Di  san  Paulmu*  ^ 

n  mastro  grida  :  Accetta  accetta^  ca  nun  ce* è  nuddu, 
ed  il  bendato  va  in  cerca  de'  compagni,  che  alla  voce 
del  mastro  s'affirettano  a  guadagnare  il  posto.  Ma  se 
nel  frattempo  qualcuno  è  preso  dal  bendato,  deve  por- 
tarlo a  cavalluccio  fino  al  posto  del  giuoco. 

In  Cianciana  la  chiamata  del  mastro  dà  il  titolo  al 
giuoco  :  A  la  sbarra^  cà  'un  ce*  è  nicddU.  I  ragazzi 
prima  d'andarsi  a  nascondere  battono  Tun  dopo  Taltro 
le  spalle  del  bendato  dicendo  :  A  quanta  va  l'a^itu  ? 
Risponde  il  bendato  :  A  tri  dinari;  e  l'altro,  ripetendo 
il  segno  della  croce,  cantarella  : 

Chistu  è  lu  pani; 
Chistu  è  lu  vinu; 
Chistu  è  lu  xiuri 
Di  sant'  Antuninu.  * 

Nascostisi  tutti,  il  bendato  è  lasciato  libero. 
Come  si  vede,  questo  giuoco  sta  di  mezzo  al  Buèy 
e  Ad  Ammucciativi  li  testi, 

*  La  Bocca  di  S,  Paolino  è  la  montagnola  di  Sutera ,  sulla  cui 
Bommità  è  un^antica  chiesa  dedicata  a*  Santi  Paolino  e  Onofrio, 
protettori  di  Sutera.  È  noto  che  i  primi  Castelterminesi  vennero 
da  Sutera,  e  sono  in  quelle  contrade  li  serri  di  S.  Paulinu.  Vedi 
6.  Di  Giovanni,  Notizie  storiche  su  Caste -termini^  pag.  153,  nota  2. 

'  S.  Antonino  è  il  protettore  di  Cianciana;  anzi  U  vero  nome  di 
Cianciana  è  S.  Antonino.  Vedi  G.  Di  Giovanni,  Cenni  sulVorigine 
ài  Mussomeli,  p.  12  e  Notizie  storiche,  p.  383. 


182  GIUOCHI 

03.  A  Caca-lìnusa. 

Si  fa  al  tocco ,  e  chi  deve  andar  sotto  si  acchina 
e  nasconde  la  faccia  in  grembo  al  mastro  (o  alla  ma- 
stra, se  il  giuoco  è  tra  bambine),  che  gli  chiude  gli 
occhi ,  e  va  ripetendo  parte  a.  lui ,  parte  a'  giocatori 
che  gli  stan  dietro,  i  seguenti  versi  : 
(A  chi  sta  sotto)  : 

Caca-linusa, 
Caca-littusa, 
Zittu  *un  parrari. 

(Agli  altri)  : 

Un  pizzicuneddu  'n  culu, 
E  vi  jiti  a  'mmucciari. 

Tosto  una  pioggia  di  pizzicotti  de'  ragazzi  gli  cadono 
sul  sedere,  e  chi  s'è  visto  s'è  visto.  Quando  i  gioca- 
tori si  son  dileguati,  il  mastro  lascia  libero  il  pa- 
ziente ,  il  quale  va  in  cerca  de'  rimpiattati.  Il  primo 
che  egli  scopra,  lo  grida,  e  questo  va  sotto. 

In  Catania  i  versi  son  questi  : 
(A  chi  sta  sotto)  : 

Caca  linusa, 
Caca  littasa. 

Agli  altri)  : 

Non  parrati, 
Non  riditi  : 
Datici  un  pugnu, 
E  vi  ni  fuiti. 

Fin  qui  somiglia  al  giuoco  del  Bue. 


A  CACA-LINUSA  183 

In  Trapani,  Marsala,  Mazzara  ecc.  i  versi  variano 

cosi  : 

(A  chi  sta  sotto)  : 

Caca  linusa, 
Piscia  pirtusa. 

{Àgli  altri)  : 

Nun  parlamu, 
Nun  ridemu, 
Un  pizzicuneddru, 
E  nni  nni  jemu. 

Ed  una  ragazzina,  se  il  giuoco  non  è  tra  maschi ,  a 
un  cenno  della  mastra,  dà  un  pizzicotto  a  quella  che 
sta  sotto  ,  e  torna  al  suo  posto.  La  paziente  si  rizza 
e  deve  indovinare  chi  glieF  ha  dato;  se  s'appone,  quella 
va  sotto  lei;  se  no,  essa  torna  a  chinare  la  testa  sulla 
mastra  per  ricominciare  il  giuoco. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nel  Guancialin  doro,  o  nel  Fare  a  fico  secco  toscano  i 
giocatóri  invece  del  pizzicotto  danno  una  palmata  sulla 
mano  che  il  paziente  porta  dietro  stando  bocconi  sul  capo- 
giuoco,  il  quale  gli  dimanda: 

Chi  t'  ha  percosso  ? 
e,  rispondendo  quello  : 

Ficosecco, 
soggiunge  : 

Va  menalo  qua  per  un  orecchio. 

Il  penitente  deve  indovinare  tra*  compagni  che  gli  stan 
davanti  chi  Tha  percosso.  Vedi  Fanfani,  Yoc.  dell'uso  to- 
scano, p.  464. 


184  GIUOCHI 

Un  cenno  è  in  Berni,  Ori.  inn,,  XII,  71  : 

Un  le  teneva  in  grembo  il  capo  chino, 
E  sulle  spalle  la  man  rivoltava, 
Chi  quella  gli  batteva  indovinava. 

Se  n'ha  una  descrizione  poetica  del  FAGiuoLi,che  comincia: 

Siccome  allora  usava  in  cinque  o  sei 
Fare  a  gteancialin  d*oro,  gioco  ameno. 
Più  bel  del  beccalaglio  anche  direi  ecc. 

Un  altro  è  nel  Malmantiley  cant.  Il,  st.  45. 

In  Bologna  è  conosciuto  col  titolo  Far  al  batèto,  (Coro- 
nedi-Bbrti,  I,  p.  160);  in  Mirandola  Far  da  cumpagnon; 
(Mesghibri,  82);  in  Parma  A  chi  la  dà  o  A  san  Simon  (Ve- 
di in  Malaspina  le  voci  del  giuoco);  in  Milano  Giugà  a  sgu- 
ralatazza  (Cherubini,  II);  in  Brescia  Zoegà  a  gambaro  ro- 
so,  o  A  mangia  croesca,  o  Al  soch,  o  A  sparmada;  in 
Piemonte  A  man  caoda. 

Questo  giuoco  per  trastullo  dei  giovanetti  era  usitato  pres- 
so i  Greci. 

94.  A  Pumu  russu. 

Vari  fanciulli  fanno  per  acclamazione  il  mastro^,  e 
si  contano.  Chi  sorte  poggia  la  faccia  sulle  gambe  del 
mastro  stesso  :  gli  altri  fanno  lo  stesso  V  uno  dietro 
r  altro,  poggiando  la  fronte  sul  dosso  de'  compagni. 
Il  mastro  fa  questo  dialogo  dapprima  coirultimo,  poi 
col  penultimo  e  via  di  seguito  fino  a  quello  che  s'ap- 
poggia sul  primo,  cioè  su  chi  è  appoggiato  a  lui: 

Mastro,  Pumu  russu  I 
Ultimo,  Priminti 


A  PUMU  RUSSU  185 

Mastro.  Sai  canta'  ? 
Penult,  Sacciu  cantari. 
Mastro,  Canta  un  pocu. 
-Anfepen.Cucurucù  ! 
Mastro.  Dacci  un  càuciu 

E  un  pugnu  di  cchiù. 

Dopo  di  che  Y  ultimo  dà  al  compagno  che  gli  sta 
dinnanzi,  e  questo  all'altro  ecc.,  un  leggiero  calcio  e 
un  pugno,  e  più  comunemente  un  pizzicotto  ;  e  va  a 
rimpiattarsi. 

In  Alimena  il  dialogo  è  questo: 

—  Pumu  russu. 

—  Scarpiddinu. 

—  Duna  un  pugnu 
E  va  a  pinninu. 
Sai  cantari? 

—  Chichirichi  ! 

In  Mazzara  : 

—  Pumu  russu! 

—  Sirpintinu. 

—  Jetta  un  pugnu  e  vidi  chi  havi'  Tovu. 

—  Càvudu  càvudu  è! 
Gàvudu  càvudu  è! 

In  Acireale  : 

—  Pumu  rrussu. 

—  Tabacchi. 

—  Sai  cantari  ? 

—  Signursi. 

—  Canta  un  pocu, 

—  Chichirichi. 

—  Jetta  un  pugnu  e  fuj  di  ddocu. 


186  GIUOCHI 

In  Modica  il  giuoco  è  tra  bambine,  e  il  dialogo  è  questo  : 

-—  Pumu  russu  1 

—  Sabachi. 

—  Duna  un  pugnu  e  fueti  I  (fuggitene). 

La  bambina  ultima  dà  un  pugno  sulle  spalle  della  com- 
pagna immediata,  e  va  cantando  : 

Dugnu  un  pugnu  pi  cutugnu, 
Veni  a  'nzertami  unni  sugnu. 

E  neirandarsi  a  nascondere  : 

E  iu  sugnu  ni  lu  Cianu 

Veni  a  piggiami  cu  'na  manu. 

In  Siracusa  corrono  questi  versi  un  po'  differenti  : 

—  Pumu,  cutugnu. 

—  'Nzertami  unni  sugnu. 
— 'N  celu?  — No. 

— 'N  terra?  — No. 

—  Fuj  di  ddocu 

E  dacci  un  pugnu. 

Nascosti  che  si  sono  i  giocatori,  il  paziente  che  ha 
avuti  gli  occhi  turati,  è  lasciato  libero  al  grido  di  ìruè 
de'  compagni,  e  va  in  cerca  di  loro;  afferratone  uno 
lo  conduce  al  capo-giuoco,  perchè  lo  metta  sotto,  in- 
tanto che  gli  altri  gli  van  gridando  dietro  :  Malucria- 
tu  è! 

95.  A  lu  Mutu. 

Eletto  il  mastro,  e  gettate  le  sorti,  chi  va  sotto 
Tiene  bendato  dal  mastro  stesso,  che  se  ne  sta  seduto 
a  pochi  passi  spettatore,  direttore  e  giudice. 


AD  ATTUPPA-OCCHI  187 

Uno  degli  otto,  dodici  o  più  giocatori ,  indicato  da 
lui,  dà  sul  naso  del  bendato  una  pipata,  cioè  un  colpo 
con  r  indice  e  il  medio  sul  naso.  Sbendatolo,  il  mastro 
fa  con  lui  il  seguente  dialogo  : 

Mastro,  Cxjì  fu? 

Sotto,    Vanni  (o  altro  de*  giocatori) 

Mastro,  jy  unni  'u  porti  ? 

Sotto.    D'  'u  Pizzutu.  < 

Mastro.  Portatillu,  cà  'un  è  iddu. 

Questo  dialogo  ha  luogo  quando  il  sotto  non  indo- 
vina chi  gli  ha  dato  sul  naso  :  e  quindi  egli  torna  ad 
esser  bendato,  ad  avere  il  colpetto  sul  naso,  ecc. 

Se  indovina,  egli  passa  tra  i  compagni  che  sono  *n 
capu  ,  e  sostituito  da  colui  che  difatti  gli  die  la  pi- 
pata. 

Questo  giuoco  si  fa  molto  in  Palermo. 

06.  Ad  Attuppa-occhi. 

È  chiamato  Ad  ammuccia-v^cchi  in  Polizzi;  A  uocci 
'ntuppati  (ad  occhi  turati)  in  Avola  ;  A  lu  Jocu  di 
Vorvi  in  Cianciana;  A  Vaugghia  l'ascia*  io  in  Mes- 
sina; A  suona-uorvu  altrove. 

Chi  va  sotto,  dopo  fatto  al  conto,  ha  gli  occhi  ben- 
dati, e  deve  andar  tentoni  cercando  di  chiappare  uno 
de'  compagni  che  gli  girano  e  saltano  intorno,  gl'in- 
tronano  le  orecchie  e  lo  scuotono  e   V  urtano  o    gli 

»  Pizzutu,  sito  di  Palermo,  ov*  è  un  antico  albergo.  Un  motteg- 
gio siciliano,  anch'esso  antico,  è  questo  :  Aviriy  o  Lassari  ti  casi  di 
lu  Pizzutu,  cioè  possedere  un  bel  nulla,  o  cosa  che  non  sia  nostra. 


188  GIUOCHI 

danno  addosso  con  uno  zimbello.  Chi  viene  chiappato 
va  sotto. 

Il  giuoco  si  apre  col  solito  motto  scuninala,  e  nel 
ghermire  un  compagno  il  bendato  deve  dire:  Vaceddu 
ti  lassa  !  Se  non  lo  dice,  quello  non  è  tenuto  ad  andar 
sotto.  Talora  per  una  condizione  del  giuoco,  il  bendato 
dee  indovinare  chi  sia  il  compagno  che  afferra,  e  se 
non  vi  riesce,  prosegue  a  stare  appuzzata. 

Nel  Sona/^anonicu  di  Licata  a  chi  va  sotto  e  corre 
dietro  a'  compagni  si  battono  per  i  stordirlo  cocci, 
chiavi  e  simili. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

A  questo  ed  a'  seguenti  giuochi  del  presente  gruppo  ap- 
partiene il  giuoco  calabrese  Lu  trilrudaru  descritto  dal 
Mango  {Arch,,  v.  I,  p.  339,  n.  XXVII,  e  v.  II,  p.  176).  A  ce- 
Catella  è  detto  in  Napoli;  A  beccalaglio  ih  Toscana  (Fan- 
FANi,  p.  123;  Lippi,  Malmantile,  e.  II,  st.  48;  Fornari,  GiiiO' 
chi.  Uccelli  e  Fiori,  n.  XII;  Pauli,  Modi  di  dire  toscani, 
n.  CCXXVII)  e  con  qualche  varietà  L'indovino  tanto  in  To- 
scana (Fanpani,  488),  quanto  nel  Monferrato  (Fekraro, Rac- 
colta, n.  29,  e  Cinquanta  Gitwchi,  n.  XLII).  In  Milano  prende 
il  nome  A  martin  bè. 

Vedi  AlVOrou-cimineddu, 

97.  A  V  Acìtu. 

Il  bendato  è  un  venditore  d*  aceto  e  grida  :  A  cui 
v6'  acitu  ?!  Quelli  che  V  attorniano  rispondono  :  La- 
tintinni  un  quartitcciu.  Egli  fìnge  di  darlo,  e  poi  do- 
manda :  /  dinari  ?  Ed  i  giocatori  :  Cerca  *n  terra^  cà 
ce* è  dinari;  e  gli  saltellano  attorno.  Chi  di  loro  è  af- 
ferrato, va  sotto.  Questo  in  Noto. 


A  LU  LUPU  PICCICUNEDDU  189 

98.  A  lu  Lupu  piccicuneddu. 

Uno  bendato  deve  inginocchiarsi,  e  gli  altri  fanciulli 
gridano  a  coro  girando  intorno  a  lui  : 

—  Va  a  la  ciazza  va  a  la  ciazza, 
A  'ccattarl  la  tunninazza, 

—  Tunninazza  nun  n'asciau, 
E  pri  la  via  si  cacau. 

Indi  si  allontanano  tutti  dicendogli  : 

Cerca  'n  terra  ca  e'  è  un  granu. 

Cosi  in  Chiaramonte. 

In  Milazzo  alla  bambina  bendata  un'altra  fra  le  gio- 
catrici  domanda  : 

A  comu  va  'u  vinu? 
Essa  risponde  : 

A  quattoddici  'rana. 

E  la  compagna  : 

Tocca  'n  terra, 
Cà  ce' è  mmedda  (merda)  e  lana. 

E  tutte  le  compagne  fanno  ruota  e  le  girano  intorno. 
Colei  che  è  afferrata,  passa  sotto. 

99.  A  Cani  canuorvu. 

Si  uniscono  molte  fanciuUinè,  contano  li  vintunu,  e 
colei  sulla  quale  cade  il  numero  21,  va  bendata  a  fare 
Cani  canuorvu,  e  s'inginocchia.  Indi  con  una  delle  gio- 


190  GIUOCHI 

catrici,  che  chiameremo  Peppa,  fa  il  seguente  dialogo, 
mentre  le  altre  la  vanno  punzecchiando  [puzz^Uiannu): 

Peppa.  Cummari,  chi  circati? 

Canic,  La  'gugUa  e  'u  j itali. 

Peppa.  E  chi  nn'  àti  a  fari  ? 

Canic,  He  cusi*  i  cazi  a  ma  fiegliu. 

Peppa.  E  huostru  flegliu  unni  havi  a  gliri? 

Canic.  A  ligna. 

Peppa.  E  'i  ligna  chi  nn*  àti  a  fari? 

Canic.  He  coci'  'i  maccarruni. 

Peppa.  E  lu  hruodu? 

Canic.  He  scadari  a  bui.  * 

Se  durante  questo  dialogo  essa  riesce  ad  afferrare 
una  delle  compagne,  costei  va  sotto;  se  no,  cani  ca- 
nuorvu  si  alza ,  viene  sbendata ,  ed  intanto  che  le 
giocatrici  fannu  catina,  cioè  si  attaccano  una  dietro 
l'altra  alle  vesti,  la  mastra  sta  a  tutela  delle  compa- 
gne, e  contro  cani  canuorvu  si  adopera  a  difenderle 
per  non  farle  ghermire.  Succede  una  colluttazione,  in 
cui  quando  cani  canuorvu  si  avanza  ad  afferrare  la 
prima  attaccata  alla  mastra,  questa  la  sfugge  pigliando 
il  lato,  e  viceversa;  una  dice,  p.  e.:  /*  pigliu  di  ccà;  e 
l'altra  :  E  jV  pigliu  di  ddà  ecc.  La  prima  afferrata  è 
messa  fuori  giuoco,  a  parte;  e  cosi  di  seguito  le  altre, 
finché,  vintele  tutte,  fa  da  mastra  lei,  ed  il  giuoco  si 
ricomincia. 

'  Bceone  la  versione  letterale  :  P.  Comare,  che  cercate  t  —  C  La 
aguglia  e  il  ditale.  — P.  E  che  n'  avete  a  fare?— C.  Ho  a  cucire 
i  calzoni  a  mio  figlio.  —  P.  E  vostro  Aglio  ove  ha  andare  t  —  C.  A 
legna.  —  P.  E  delle  legna  che  n*  avete  a  fare  t  —  C.  Ho  a  cuocere 
i  maccheroni.  — P.  E  il  brodo  t—C.  Ho  a  scaldare  (scottar)  voi- 


all'  orvu-cimineddu  191 

Si  ravvicini  al  gruppo  di  Varda  nvugghieri;  Signa 
mali  potuta;  Martuzza^  chi  pisii  ì  ecc. 

Questo  giuoco  è  stato  raccolto  in  Riesi,  e  conserva 
la  parlata  caratteristica  del  gruppo  de*  parlari  di  Cal- 
tanìssetta. 

100.  Ali'  Orvu-cimineddu. 

È  un  giuoco  da  fanciulli  e  da  fanciulle.  Un  certo 
numero  si  contano  ,  e  1'  ultimo  ad  esser  contato  va 
sotto  e  gli  si  bendano  gli  occhi.  Egli  si  chiama  Orou 
cimineddu  o  giuvineddu,  ed  il  mastro,  prima  di  la- 
sciarlo, fa  con  lui  questo  dialogo  : 

Af.  Orvu  cimineddu,  unni  vai? 

0.  A  'ccattari  ligna. 

M.  Cu  'i  ligna  eh'  ha'  a  fari  ? 

0.  He  'ddumari  'u  luci  *. 

M,  Cu  'u  luci  eh'  ha'  a  fari  ? 

0.  He  quadiari  1'  acqua. 

M,  Cu  r  acqua  eh'  ha'  a  fari  ? 

0.  He  'mmulari  'i  cutedda. 

M,  Cu   'i  cutedda  eh'  ha'  a  fari  ? 

0.  A  me  mugghieri  haju  a  'mmazzari. 

M,  Cerca  'n  terra,  ea  ce'  è  dinari. 

Lasciato  solo,  va  tentoni  trinciando  con  le  mani  in 
tutti  i  sensi  per  afferrare  qualcuno;  e  quando  vi  rie- 
sce, gode  di  esser  portato  a  cavalluccio  fino  a  un  dato 
punto  prestabilito. 

In  Ragusa  Inferiore  i  giocatori  ruzzando  intorno  al 
bendato,  per  dileggio  gridano  : 

>  Ho  ad  accendere  il  fuooo. 


192  GIUOCHI 

—  0  uorvu  giuvinieddu, 
Cci  vieni  a  flnuccieddu  ? 
Ti  dugnu  'u  pani,  'u  vinu  e  un  cutieddu* 

—  'U  vinu  a  quantu  vali  ? 

—  A  tirdinari. 

Tocca  *n  terra  ca  ce'  è  dinari, 

Ora  cci  'u  dicu  a  buosciu  cumpari  *  (bis). 

Nel  sec.  XVI  il  giuoco  venne  cosi  descritto  dal  Dio- 
nisio nella  sua  egloga  pastorale  Amorosi  sospiri, 
att.  n,  se.  2*: 

Jucamu  tutti  a  l'Orvu  Cimineddu, 
Ed  a  cui  pighiu  poi  mi  portu  in  eoddu... 
Vogghiu  su  muccaturi  chi  vi  pendi. 
Signura  Lindina  tiniti  sta  punta 
E  vui  Signura  Nania  chist'  autra, 
Tiniti  bedda  forti  nun  vi  scappa 
Attaccatimi  l'occhi  chi  nun  vija, 
E  poi  a  cui  pigghiu  m'  ha  purtari  in  coddu. 

Jamu  a  lu  chianu 

Purtatimi  prima  a  cavu  cavuseddu; 

Nò  nò,  eh' è  nautru  iocu  ehissu  ddocu,.. 

Non  chiù  pareli  vinemu  a  li  fatti, 

Diciti  ora  cu  mia  l'Orazzioni. 

«  0  Orvu  Cimineddu,  ed  undi  vai,  » 

«  Vaiu  a  finocchi,  ma  non  ci  ndi  axai.  '  » 

«  Veni  a  la  mandra  mia,  ca  ci  nd'  è  assai.  » 

Ora  sputati  in  terra,  e  jitivindi, 

Viditi  chi  m'  haviti  di  pUrtari 

A  cavaddu  a  frenu,  poi  si  ieu  vi  pighiu. 

*  Ci  vuoi  tu  venire  a  raccoglier  finocchi  ?  Ti  do  il  pane,  il  vino 
ed  un  coltello. 

*  Adesso  lo  dico  (vi  accuso)  a  vostro  compare. 
'  Vado  a  finocchi,  ma  non  ce  ne  trovai. 


ALL'  ORVU-CIMINEDDU  1 93 

Come  si  vede ,  il  dialogo  è  più  breve  e  lo  stesso 
dell'attuale  di  Palermo  solo  nel  primo  verso  e  di  Ra- 
gusa nei  primi  due;  e  v'è  di  rito  lo  sputo  in  terra  del 
bendato  ,  che  meno  frequentemente  e  forse  meglio  si 
chiama  Orvu  giuvineddu, 

È  uno  de*  giuochi  cennati  nel  sec.  passato  dal  Pa- 
squalino, Voc.  sic.  III,  373. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Napoli  giocasi  a  Gatta  cecata  (Vedi  Sbrio,  Lo  VernaC" 

Ohio,  p.  43).  In  Benevento  è  detto  Atta  cecata  (Corazzini, 

p.  102)  ed  il  paziente  fa  con  chi  1'  ha  bendato  il  seguente 

dialogo  : 

—  Atta  cecata, 

—  Addò  si*  stata! 

—  A  lu  mercato 

—  Oh*  à  accattato? 

—  Na  pezza  e  caso. 

—  A  chi  r  ha'  data? 

—  A  mamma  e  tata. 

—  E  a  me? 

—  Nu  cuorno. 

—  E  votef  attuorno  (a  ritornello), 

A  gatta  cieca  è  detto  parimenti  in  Roma;  in  Toscana  A 
mosca  ceca  (Pauli,  Modi  di  dire  tose.  p.  317) ,  ed  i  versi 
sono  questi  (Dalmedico,  Un  libro  per  le  mammine,  p.  46, 
e  BoBRio,  p.  818): 

—  Che  sei  venuto  a  fare  in  piazza  ? 

—  A  beccar  V  aglio 

—  Oh,  beccati  cotesto  ! 

e  si  batte  leggermente  una  spalla  al  bendato. 

Nelle  Marche  dicesi  Mosca  cieca  (Gianandrea,  -n.-  13),  e  i 
versi  son  differenti.  In  Bologna  Far  al  agócia  e  punta  (Co- 

G.  PiTRs.— 6riM0c/it  fonciuliescht  13 


194  GIUOCHI 

ronbdi-Berti,  1, 29);  in  Mirandola  Far  da  urbighin  (Mbschie- 
Ri,  82);  in  Parma  A  la  gatorba  (Malaspina);  in  Piemonte 
A  catòrba;  in  Brescia  A  orbizi,  A  ormizi,  A  usamarij  A 
terebol,  A  signù;  in  Venezia  A  maria  orba,  e  i  versi  sono 
diversi  in  Dalmedico,  p.  46,  Bernoni,  n.  49,  e  Boerio,  818, 
che  lo  dice  anche  A  mariorbola.  Secondo  Dalmedico: 

—  Maria-orba,  cosa'  aveu  perso  ? 
—Un  anelo  e  una  zavata. 

—  Ande  a  cercarli,  muso  da  mata. 

Secondo  Boerio  : 

—  Maria-orba,  coss'astu  pèrso?  ^ 

—  Un  anelo  d' oro. 

—  In  dove? 

—  In  rio  torà. 

—  Vien  da  mi,  che  T  ò  catà. 

Una  lunga  descrizione  della  Gatta  cieca  romana  nelle  sere 
di  estate,  come  divertimento  non  solo  di  fanciulli  ma  an- 
che di  adulti,  diede  il  Bresciani  neir  Edmondo  o  dei  co- 
stumi del  popolo  romano,  cap.  XIX,  con  varianti  che  lo 
avvicinano  molto  al  nostro  giuoco  detto  : 

101.  A  lu  Citrolu. 

Piantato  ritto  per  terra  un  cedriuolo ,  si  benda  un 
fanciullo  od  altri ,  a  cui  ciò  sia  toccato  in  sorte , 
e  gli  si  dà  una  lunga  mazza  in  mano  ,  con  la  quale 
egli ,  andando  tentoni,  tocchi  ed  abbatta  il  cedriuolo 
stesso.  Il  bendato,  infatti,  si  mette  air  opera  avvian- 
dosi colà  ov'egli  crede  di  trovarlo,  seguito  frattanto 
da'  compagni  che  gli  fan  corona  ad  una  certa  distanza 
per  evitare  le  bastonate  da  orbo  che  gli  potrebbe  dar 
loro  nel;  roteare  che  fa  a  destra  ed  a  sinistra  la  mazza. 


A  'ntuppatieddu  195 

Quando  egli  riesce  ad  abbattere  il  cedrinolo  è  sben- 
dato, e  vince  o  il  cedrinolo  stesso  o  il  premio  asse- 
gnato al  .vincitore. 

102.  A  'Ntuppatieddu. 

Un  ragazzo  (o  una  ragazza)  viene  bendato ,  e  tutti 
gli  altri  giocatori  si  mettono  attorno  a  rorròj  cioè  a 
ruota,  tenendosi  con  mano  e  girando  con  profondo  si- 
lenzio. Il  bendato  batte  i  piedi  e  intima  cosi  agli  altri 
di  fermarsi,  e  con  un  bastone  che  ha  in  mano  leg- 
germente esamina  i  contorni,  la  statura,  i  vestimenti 
di  qualcuno  :  e  quando  se  n'  è  fatta  un'  idea  grida  : 
Ctcccurìiccù ,  0  semplicemente  uh!  ed  aspetta  che  il 
toccato  risponda  :  ciu^cut^iccu  o  uh  con  voce  contraf- 
fatta. Se  sa  indovinare  il  nome,  si  sbenda ,  ed  è  so- 
stituito dal  giocatore  riconosciuto. 

In  Castronuovo,  Polizziecc,  si  dice  Lujocu  di  lascu- 
pitta,  perchè  il  bendato  tocca  uno  de'  giocatoli  solo 
con  una  spazzola  che  tiene  in  mano,  e  se  non  indovina 
cui  egli  tocca  prosegue  a  star  sotto. 

Variante  di  questo  giuoco  raccolto  in  Ragusa  Infe- 
riore è  il  seguente  e  l'altro  appresso  : 

103.  A  Muntagna-marina. 

In  questo  giuoco,  quasi  esclusivamente  catanese,  si 
prendono  tre  punti  fissi:  a  settentrione  il  mare  {la  ma- 
rina) ,  a  mezzogiorno  il  monte  Etna  {la  muntagna); 
e  tra  l'uno  e  l'altro  un  muro,  una  facciata,  un  sito, 
nel  quale  venga  indicato  un  oggetto  qualunque. 


196  GIUOCHI 

Tre  fanciulli  si  contano:  e,  secondo  Tordine  del  sor- 
teggio, si  bendano  successivamente.  Il  primo  bendato 
gira  rapidamente  intorno  a  se  stesso  ;  fermasi  a  un 
cenno  di  uno,  e  sbendato  deYe  dire  li  per  li  che  cosa 
si  trovi  innanzi  agli  occhi:  il  monte  Etna,  il  mare  o 
l'oggetto  che  è  stato  precedentemente  fissato.  Il  giro 
vorticoso  del  giocatore  non  gli  fa  in  quel  primo  i- 
stante  discernere  ciò  che  abbia  d'innanzi,  e  quindi  Tab- 
errazione  è  facile.  Ripetuto  lo  stesso  giuoco  per  gli  al- 
tri due,  vince  la  partita  colui  che  fra'  tre  si  sarà  ap- 
posto. 

104.  Air  Occhi  di  cucca. 

Molti  ragazzi  si  prendono  per  mano  e  fanno  il  giro 
tondo.  Chi  sta  nel  mezzo  bendato  stende  le  mani  ed 
acchiappa  uno  di  loro,  cui  deve  riconoscere  al  tatto.  I 
giocatori  per  non  farsi  riconoscere  si  scambiano  gli 
abiti  e  si  coprono  anche  con  una  pezzuola  la  testa,  e 
e  si  alzano  e  si  abbassano  e  fanno  mille  movimenti 
per  ingannare  il  bendato.  Chi  è  riconosciuto  va  sotto 
invece  deìVappuzzatu. 

Il  titolo  di  questo  giuoco  è  preso,  senza  dubbio,  dalla 
proprietà  della  civetta  {cucca)  di  vedere  tra  le  tenebre. 

Versione  raccolta  in  Mazzara. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

A  questo  gruppo  di  giuochi,  uno  in  fondo,  corrisponde 
questo  fiorentino: 

Si  colloca  una  bambina  bendata  nel  mezzo,  e  deve  trovare 
la  compagna  che  le  ha  messo  un  oggetto  in  capo: 


A  LI  SURCI  197 

—  Inginocchiati,  Sandruccia, 
Violetta  viola. 

•—Addormentati,  Sandruccia, 
Violetta  viola. 

—  Io  sono  inginocchiata. 

—  Trova  la  tua  compagna: 
Violetta  viola.  (Ined.) 

105.  A  li  Surci. 

I  mastri  son  due,  e  ciascuno  ha  i  suoi  compagni  : 
una  partita  topi,  un'  altra  gatti  ;  questi  van  sotto.  I 
topi  si  fanno  una  coda  con  cenci  [stródduli),  che  legano 
alla  cintura  o  alle  bertelle.  Alcune  code  sono  impia- 
stricciate con  creta  molle  o  fanghiglia  ecc.  inganno 
che  non  da  tutti  i  gatti  si  sa.  Costoro,  bendati,  vanno 
in  cerca  de'  topi,  e  non  possono  ghermirli  se  non  per 
le  code.  I  topi  si  lasciano  facilmente  cogliere  ;  ma  i 
gatti  ne  rimangono  imbrattati,  e  se  ne  vendicheranno 
alla  prima  occasione. 

Gatti  e  topi  son  designati  dalla  sorte  che  gettano 
i  due  mastri. 

Si  fa  in  Cianciana,  dove  il  giuoco  è  stato  raccolto. 

106.  A  li  Lavannari. 

Si  gioca  in  otto  senza  mastro,  e  contatisi  si  dividono 
in  due  schiere:  quattro  che  fanno  da  lavandaie  {la- 
vannari), e  quattro  che  danno  loro  roba  da  lavare. 
I  facienti  da  lavandaie  vengono  bendati  e  condotti  in 
luogo  discosto;  gli  altri  preparano  ciascuno  un  mon- 
ticello  di  terra,  in  mezzo  al  quale  nascondono  qual- 


198  GIUOCHI 

che  volta  fango,  Amo  od  altra  immondizia;  e  sono  i 
flardelli  pel  bucato.  Ricliiamati  e  condotti  sul  posto, 
quelli  che  fan  da  lavandaie  si  acchinano  ciascuno  sul 
proprio  fardello ,  cioè  sur  un  mucchio  di  terra  ;  e  vi 
metton  le  mani  come  per  ammollarli,  finché  accorgen- 
dosi del  loro  contenuto  tolgon  via  le  bende,  e  le  attac- 
cano a'  compagni. 
È  giuoco  solo  da  maschi. 

107.  A  Cumpagnu,  guardati  sta  bottai 

Come  corre  in  Mazzara  il  giuoco  è  questo  : 

Due  si  bendano  in  modo  che  non  possano  vedere,  e 
posti  dapprima  a  distanza,  Tuno  va  battendo,  e  l'altro 
stringe  in  mano  uno  zimbello,  nel  quale  talvolta  si  na- 
sconde qualche  pietruzza.  Mentre  quello  girando  in  una 
stanza  batte  i  ciottoli,  questo  lo  insegue,  e  quando  al 
suono  crede  di  essergli  vicino  ,  dice  :  0  cumpagnu^ 
guardati  sta  botta;  e  cerca  di  colpirlo  col  suo  zim- 
bello. L'  altro  si  guarda  curvandosi ,  allontanandosi 
dal  luogo  dove  si  trova;  e  quando  il  colpo  non  va  in 
fallo,  Fune  consegna  i  ciottoli,  e  Taltro  piglia  il  faz- 
zoletto, ed  il  divertimento  continua. 

Qualche  volta  il  giuoco  si  fa  cosi: 

Posta  in  mezzo  d*  una  stanza  una  cesta  capovolta , 
due  ragazzi  bendati  vi  appoggiano  ai  due  lati  opposti 
la  sinistra,  e  con  le  ginocchia  a  terra,  girano  V  uno 
dietro  l'altro  appoggiando  a  terra  la  destra.  Ciascuno 
di  loro  tiene  in  mano  un  laccio,  a  un  capo  del  quale 
è  legato  un  sacchetto,  largo  un  paio  di  spanne  circa. 


A  LU  RIMAZZUNI  199 

6  lungo  poco  più,  pieno  di  paglia,  in  cui  talvolta  è  na- 
scosto un  sassolino.  Di  quando  in  quando  V  uno  gri- 
da e  l'altro  risponde: 

—  Oh  cumgagnu  I 

—  Ohi 

—  Guardati  sta  botta  ! 

E  in  Calataflmi: 

—  Oh  Mircuriu  I 
•      —  Oh  ! 

—  Guardati  stu  furiu  ! 

Ciò  dicendo,  Tuno  cerca  di  colpire  il  compagno  col 
suo  sacchetto,  e  l'altro  si  guarda  se  gli  riesce.  Cosi 
i  colpi  si  alternano,  ed  il  giuoco  continua,  finché  non 
si  sieno  stancati  e  del  percuotersi  e  del  trascinarsi 
colle  ginocchia  per  terra. 

In  Calataflmi  si  fa  col  nome  di  Mircuriu. 

108.  A  lu  Rimazzuni. 

Si  fa  al  tocco,  e  chi  sorte  viene  bendato  e  l'iceve 
in  mano  il  solito  zimbello  detto  qui  Rimazzuni,  che 
dà  nome  al  giuoco.  Egli  con  questo  deve  colpire  i 
giocatori  che  gli  ruzzano  intorno,  e  quando  ne  gher- 
misce  uno,  questi  va  sotto  in  vece  sua. 

Nel  Joct4  di  luporcu  di  Marsala,  il  bendato  al  primo 
che  afferra  dice:  Cu'  é  ?  E  quello  risponde  imitando 
il  grugnito  del  maiale. 


200  GIUOCHI 

109.  A  Tàtara  e  tafanini. 

Un  numero  non  piccolo  di  fanciulli  fanno  ruota  senza 
però  prendersi  per  mano.  Uno  di  loro,  su  cui  nel  conto 
sia  caduta  la  sorte,  bendato,  viene  messo  nel  mezzo. 

I  compagni,  in  giro,  uno  dopo  Taltro,  lo  vengono  toc- 
cando e  pizzicando  nelle  varie  parti  del  corpo.  D  pe- 
nultimo gli  pizzica  il  sedere,  e  gli  dice  Tafara;  l'ul- 
timo gli  dà  un  manrovescio  e  aggiunge:    Tafaruni! 

II  bendato  deve  indovinare  chi  sia  stato  quest'ultimo, 
il  quale,  alla  sua  volta,  verrà  bendato  per  la  seguente 
partita. 

110.  A  Cumpagnu,  su'  firutu  ! 

Due  ragazzi  o  ragazze  si  sdraiano  bocconi  per  terra 
testa  con  testa  e  si  coprono  fino  al  capo  per  non  ve- 
dere né  esser  veduti;  chi  li  aiuta  ed  assiste  si  chiama 
la  mamma.  Gli  altri  giocatori,  in  piedi,  battono  uno 
alla  volta  i  due  coperti.  Chi  è  battuto  dice  al  com- 
pagno: Cumpà\  mi  fireru;  ed  il  compagno:  Cu'  fui 
Se  quello  si  appone  nominando  chi  lo  colpi,  esce  fuori 
della  copertura  e  prende  il  posto  delFaltro,  che  perciò 
va  sotto. 

È  questo  un  giuoco  specialmente  contadinesco  e  vi 
si  divertono  anche  i  giovani  e  gli  adulti. 

Talvolta  i  due  che  vanno  sotto  si  coprono  con  la 
schiavina,  e  da  essa  il  giuoco  è  detto  A  la  (raz- 
zata. 


A  TIRRICHL  TIRRICHI  201 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nel  Vernacchio  napoletano,  cap.  V,  p.  43,  si  cita  tra 
«  l'altre  pazzie  »  quella  del  «  Compagno  mio  feruto  sotto.  » 
Sarebbe  questo  il  nostro  giuoco? 

111.  A  Tirrichi  tirriohi. 

In  Calatafimi  A  lu  piriddu. 

Vari  ragazzi  si  contano  e  chi  va  sotto  mette  i  gi- 
nocchi a  terra  e  la  testa  sulle  gambe  del  mastro,  che 
stando  seduto  gli  tura  gli  occhi  con  le  mani.  1  gio- 
catori si  schierano  in  linea  retta  alquanti  passi  dietro 
di  lui.  A  un  cenno  del  mastro  uno  si  avanza  adagio 
adagio  ,  dà  un  pizzicotto  air  appuzzatu ,  e  torna  in 
punta  di  piedi  al  suo  posto. 

Il  mastro  dice  al  paziente  :  Va  cerca  lu  piriddu. 
Allora  i  giocatori  tutti  insieme  movendo  rapidamente 
in  istretti  giri  le  braccia  Tun  suir  altro  canterellano 
con  la  medesima  rapidità  e  molte  volte  : 

Tirrichi  tirrichi  chi  nun  fu'  jeu: 
Fu  lu  cani  di  Don  Matteu. 

Il  mastro  intanto  fa  il  seguente  dialogo  con  Vappuz- 
zatu  : 

Mastro,  Cui  V  ammazzau? 

App.        La  spata. 

Mastro.  Cu'  ti  flriu? 

App.        V  augghia. 

Mastro.  Cerca  chiddu  chi  ti  'mpidugghia. 

Ed  il  paziente  va  dai  compagni,  e  preso  addosso  quello 


202  GIUOCHI 

0 

dal  quale  sospetta  essere  stato  pizzicato,  lo  porta  al  ma- 
stro perchè  lo  metta  sotto.  Se  indovina,  va  bene;  se  no, 
tra  loro  due  (mastro  e  sotto)  si  fa  quest'altro  dialogo: 

—  A  cu*  (Chi)  porti  ? 

—  A  Turiddu. 

—  Va  làssalu,  chi  nun  è  iddu; 

e  il  portatore  deve  restituirlo  al  suo  posto,  e  caricare 
un  altro,  col  quale  ripete  il  dialogo;  se  avrà  indovi- 
nato, il  mastro  conchiude  : 

Portalu  eh  è  iddu. 

Si  fa  specialmente  in  Mazzara ,  ed  ha  strettissimo 
riscontro  col  seguente  A  sdirrubba  muntagna. 

In  quel  di  Casteltermini  giocasi  col  titolo  A  lu  li- 
gnamu. 

Si  fa  al  tocco,  e  chi  sorte  viene  bendato  ed  obbli- 
gato a  nascondere  il  viso  tra  le  gambe  del  mastro;  gli 
altri  a  poca  distanza  appoggiano  la  testa  al  muro  come 
per  non  veder  nulla.  Chi  è  chiamato  dal  mastro  va  a 
batter  la  spalla  a  chi  è  sotto,  e  torna  al  suo  posto. 
Allora  il  bendato  è  fatto  alzare  per  indovinare  chi  l'ha 
battuto;  egli  si  pronunzia  saltando  addosso  ad  uno  dei 
giocatori  e  facendosi  portare  innanzi  il  mastro,  col 
quale  tiene  questo  dialogo: 

Mastro,  D'unni  vieni? 
Sotto.      Di  lu  Mulinazzu  * 
Mastro,  Chi  purtasti? 
Sotto.      Farinazzu. 

^  Mulinazzu  è  un  mulino  in  quella  parte  del  territorio  di  S.  Ste- 
fano-Quisquina  che  confina  col  territorio  castelterminese,  dove  quei  di 
Casteltermini  vanno  qualche  volta  a  molire  i  grani. 


A  SDIRRUBBA-MUNTAGNI  203 

Se  egli  non  s'è  apposto,  il  mastro  ripiglia: 

Va  lassalu,  cà.  nun  ò  iddu  ; 

ed  allora  torna  a  cavalcarne  un  altro  ,  facendo  lo 
stesso  dialogo,  finché  non  si  apponga;  nel  qual  caso 
il  cavalcato  va  sotto. 

In  Palermo  si  gioca  cosi  : 

Si  fa  in  molti  ;  uno  è  acclamato  mastro  ;  un  altro, 
col  conto  delle  dita,  va  sotto,  nascondendo  il  viso  tra 
le  gambe  del  mastro.  Costui  tenendogli  turati  gli  occhi 
fa  cenno  ad  uno  de'  giocatori  che  venga  a  dare  sul 
di  dietro  un  colpo  al  paziente ,  e  torni  subito  al  suo 
posto.  Come  in  tutto  questo  gruppo  di  giuochi,  il  pa- 
ziente, libero  di  vedere,  guarda  i  compagni  tutti  messi 
in  fila  di  fronte  a  lui,  e  dee  indovinare  chi  Tha  per- 
cosso :  e,  appostosi,  prenderne  il  luogo  lasciandogli  il 
suo. 

Il  giuoco  si  dice  A  Ze"i?angWi,  perchè  i  colpi  che  si  dan- 
no nel  sedere  son  detti i?an^Wa^^;  e  nella  parlata  furbesca 
palermitana  davi  li  panelli  vale  picchiare,  battere. 

112.  A  Sdirrubba-muntagni. 

Una  variante  palermitana  è  intitolata  A  cudduredda 
'un  fu'  io. 

Si  fa  al  tocco,  e  chi  è  sorteggiato  va  a  nascondere 
il  viso  tra  le  gambe  del  mastro  seduto,  che  gli  tura 
gli  occhi. 

Da  quattro  a  sei  altri  giocatori  stanno  in  linea  dietro 
di  lui  ;  colui  al  quale  il  mastro  fa  cenno  si  avvicina 
e  gli  dà  sul  dosso  un  pugno  e  torna  al  suo  posto  prò- 


204  GIUOCHI 

curando  di  non  farsi  conoscere.  L'  «  appuzzato  »,  che  in 
questo  tempo  ha  tenuto  una  mano  di  dietro ,  sul  se- 
dere, si  rizza  e  vòlto  a'  compagni  dee  indovinare  chi 
r  ha  picchiato,  i  quali  intanto  girando  intorno  le  mani 
ripetono  di  continuo  senza  stancarsi  finché  egli  non 
indichi  uno  di  loro  : 

Cudduredda  'un  fu*  io, 
Cudduredda  'un  fu'  io. 

Se  quello  indovina,  va  sotto  chi  lo  picchiò;  se  no, 
dee  rivoltarsi  e  riprendere  la  prima  posizione;  il  ma- 
stro richiama  uno  a  suo  piacere;  e  questi  gli  chiede  : 
Su'  mastru,  comu  cci  Vhé  dari?  intendendo  dire:  Come 
devo  io  picchiarlo  ?  Le  picchiate  hanno  vari  titoli,  se- 
condo il  grado  :  1°  A  scàrrica-muntagni ,  che  è  il 
montare  a  cavallo,  dare  un  forte  scossone  col  sedere, 
come  di  grave  macigno  che  piomhi  sul  dosso,  ovvero 
una  violenta  sparata  di  calci  ;  2^  A  scarrica-ferru, 
colpi  dati  con  le  palme  unite;  3*"  A  scarrica-azzòm, 
forte  manata;  4°  A  scàrrica-ligna,  colpo  più  leggiero 
come  un  bastone  che  cada  ;  e  cosi  di  seguito  fino  a 
Pugna  a  carta-palina,  leggierissimo  movimento  come 
di  carta  velina  che  si  spieghi  sulla  schiena.  In  ragione 
di  questa  gradazione  il  mastro  ordina  i  colpi  da  dare. 
Il  sotto  si  rialza,  e  torna  a  indovinare;  e  tanto  torna 
a  mettersi  sotto  e  a  ricever  colpi  fino  a  che  non  si 
apponga  nel  dire  chi  V  ha  percosso.  Allora  quello  va 
sotto. 

Come  si  vede ,  questo  giuoco  ritrae  dallo  Scinni 
scinni  rinninedda  che  segue. 


J 


A  SCINNI  SCINNI,  RINNINEDDA  !  205 

113.  A  Scinni  scinni,  rinnineddal 

In  Messina  A  cwnpagnu  cumpagnu^  cu'  ddi  filiu  ? 
(compagno,  chi  ti  feri?)  in  Licata  A  fava  linticchia. 

Vari  giocatori,  che  non  sieno  meno  di  otto,  e  sem- 
pre di  numero  pari,  si  contano  :  ed  uno  si  fa  i  com- 
pagni, metà  del  numero  di  tutti,  dando  a  ciascuno  un 
nome  convenzionale  :  Vascellu  d*  oru,  Acula  d*  oru, 
Palumma,  Carrozza ,  Liuni ,  Cardiddu ,  non  man- 
cando mai  Rinninedda^  ed  in  Cianciana  Cannolu  di 
fumu. 

Gli  altri  quattro  o  sei  vanno  sotto  [appùzzanu)  cur- 
vandosi e  poggiando  le  mani  al  muro  e  sulle  mani  la 
fronte,  e  conservando  tra  loro  la  distanza  di  un'aperta 
di  braccia.  Uno  prepara  due  ciottoli  :  uno  grande  ed 
uno  piccolo,  e  li  colloca  un  passo  dietro  i  cavalli.  Ad 
un  cenno  del  capo  i  cavalieri  saltano  addosso  a'  ca- 
valli turando  loro  gli  occhi,  e  guardando  tutti  il  capo- 
giuoco;  il  quale  assicuratosi  che  nessuno  de'  sottostanti 
veda,  canterella  : 

Scinni  scinni,  Rinnineddal 
Va'  sona  'a  campanedda, 
Finocchiu  di  muntagna, 
Finocchiu  à  banna, 
Scinni  scinni,  Vascellu  d^orul 

Vascellu  d'oru,  a  cui  il  mastro  fa  cenno,  scende  e 
va  a  «  sonar  la  campanella  »,  cioè  a  battere  i  due  ciot- 
toli, il  piccolo  con  il  grande,  e  torns^  a  cavalcare.  Da 
capo  canterella  il  mastro: 


206  GIUOCHI 

L'occhi  a  la  muntala, 

Vutàtivi  tutti  di  ccà  a  sta  banna  ! 

(ovvero  come  a  Siracusa  : 

Tutti  a  testa  a  ddabbanna  !) 

Tutti  scavalcano,  e  messisi  in  piedi,  di  fronte  ai  com- 
pagni già  rizzati  e  voltati,  girano  intorno  al  petto  con 
moto  alterno  le  mani,  e  dicono  celermente  : 

Cudduredda  'un  fu'  io  I 
Cudduredda  'un  fu'  io  I 

(In  Catania: 

Curriculedda,  cà  non  fu'  iu). 

E  tanto  ripetono,  atto  e  parole ,  che  uno  de'  cavalli 
non  indovini  chi  sia  sceso  a  battere  i  ciottoli  :  cosa 
ben  difScile,  perchè  i  cavalieri  nello  scendere  si  scam- 
biano i  posti,  e  chi  era  al  primo  si  va  a  mettere,  p.  e., 
al  terzo,  ed  il  secondo  al  primo,  ed  il  quarto  al  terzo. 
Se  si  appone,  egli  ed  i  suoi  compagni  diventano  ca- 
valieri; se  no,  tutti  tornano  ad  andar  sotto. 

Nella  prima  metà  del  sec.  XVIII  questo  giuoco  fu 
raccolto  sotto  il  titolo  di  Barrababau;  ed  il  mastro 
avea  questa  formola  generale  : 

Scinni  scinni  rinninedda, 

Ch'  'un  ti  senta  lu  barrababau. 

(M,  Pasqualino,  Voc.  sic,  I,  186,  sopra  una  nota  di 
suo  padre  Francesco  Pasqualino). 
In  Modica  il  mastro  ordina  : 

Scinni  scinni,  Rinninedda, 
Aràsciu  vai,  aràsciu  veni 
(o  Non  ci  vai,  non  ci  veni) 


A  SCINNI  SCINNI,  RINNINEDDA  !  207 

'Un  ti  scantari  d'  'u  sprivieri; 
Scinni  scinni,  Acula  r^oru. 

n  Avola  un  po'  corrottamente  : 

Scinni  scinni,  Rinninedda, 
'Rancia  va,  'ranciu  veni, 
'N  ti  scantari  di  lu  varveri; 
Scinni,  campanedda  d^oru, 
Appizza  un  pizzuluni  e  fuj. 

In  Noto  lo  sparviere  è  sostituito  dal  lupo: 

Scinni  scinni,  Carrozza  r*  oru, 
Aciddu  aciddu,  cà  *u  lupu  ti  senti. 

In  Casteltermini  : 

Scinni  scinni,  Rinninedda, 
Cà  ti  senti  lu  barbanti, 
Scinni  Ciancianedda  d^oru; 

ed  il  giocatore,  che  prende  uno  de'  nomi  suddetti  di 
acula  d' oru,  o  campanedda  d*  oru^  carrozza  d'oru, 
ciancianedda  d'  orw  od  altro ,  scavalca  e  va  a  dare 
un  pizzicotto  (sic.  pizzicuni,  not.  pizzuluni) — e  in  Ca- 
steltermini a  battere  con  la  sua  la  mano  del  fanciullo 
bendato,  —  nel  sedere  del  cavallo  del  mastro,  il  quale 
in  quel  punto  gli  introna  le  orecchie  con  un  iurturtu 
continuato  per  non  fargli  conoscere  al  rumore  dei  passi 
donde  venga  e  chi  sia  chi  lo  pizzicotta.  Compiuta 
l'operazione  e  messi  tutti  in  piedi,  il  fanciullo  che  è 
stato  nel  mezzo,  come  cavallo  del  mastro,  deve  indo- 
vinare chi  de'  cavalieri  V  ha  pizzicotattato;  e  indovi- 
natolo cangia  ufficio  col  suo  contrario. 
Tra'  fanciulli  mazzaresi  il  mastro  canterella  : 


208  GIUOCHI 

Scinni  scinni,  Rinnineddra, 
Chi  ti  senti  lu  papà  I 
Scinni  scinni,  Campaneddra  d*  ora! 
Adaciu  lu  caminari, 
E  forti  lu  pizzicari! 

In  Modica,  il  mastro  che  ha  cavalcato  l'asino  di  mezzo, 
gli  urla  alle  orecchie  per  intronarlo: 

E  trummi  e  trummi  e  trummi, 
Funtanuna  cu  li  bummi! 
Funtanuna  all'acqua  nova, 
Ppi  lu  sceccu  ri  màsciu  Nicola. 

Indi  riprende  fiato,  e  seguita  ad  urlare  : 

VasceUu  r^  ora  sulu  sulu, 
Veni  a  pizzica  lu  culu; 
E  trummi  e  trummi  e  trummi, 
Funtanuna  ccu  li  bummi! 

VasceUu  d'oru  scende  dal  suo  asino,  e  camminando 
in  punta  di  piedi  dà  un  pizzicotto  al  mal  arrivato  asino, 
e  indi  cavalca  con  cautela  sul  suo.  Allora  si  domanda 
all'asino  pizzicato  : 

Sceccu  ri  mazzarruni,  • 

Cu'  t'  ha  datu  ssu  pizzuluni? 

L'asino  interpellato  risponde  essere  stato  il  compa- 
gno di  dritta  o  di  manca.  Se  indovina,  l'asino  diventa 
cavalcante;  se  non  indovina,  si  soggetta  nuovamente 
alla  stessa  storia  degli  occhi  chiusi  e  del  rintrona- 
mento  all'orecchio  : 

*  Predio  del  Medicano. 


A  SCINNI  E  GRAVACCA  209 

E  tummi,  tammi  e  tummi, 
Funtanuna  ccu  li  bummi  : 
Funtanuna  all'acqua  nova 
Ppi  lu  sceccu  ri  màssciu  Nicola. 

Carruzzedda  battaggina 
Sopra  Tova  mi  camina: 
E  tummi  e  tummi  e  tummi, 
Ga  lu  sceccu  fa  li  bummi. 

E  carruzzedda  scende  anch'  egli  dal  suo  asino,  e  dà 
una  manata  sulle  natiche  del  paziente  : 

Sciccazza  r'  'a  Funtanazza,  * 
Cu*  ti  resi  ssa  buffazza  ?  * 

L'asino  che  non  potè  indovinare  la  prima  volta,  è  ne- 
cessita che  indovini  alla  seconda,  e  allora  le  parti  si 
invertono,  e  i  cavalcanti  si  trasformano  in  asini. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Una  variante  veneziana  dal  giuoco  è  in  Bernoni,  n.  84: 
Le  cavale  orbe.  Un  po'  simile  è  il  65:  /  cavali.  La  cavai- 
lina  del  Monferrato  (Ferraro,  28)  ha  pure  qualche  simi- 
glianza. 

114.  A  Scinni  e  gravacca. 

Uno  chiude  nel  pugno  quattro  bruscoli  o  fili  di  pa- 
glia :  due  più  lunghi  e  due  più  corti,  e  mostrandone 
i  capi  superiori  pari  pari ,  ne  fa  scegliere  uno  per 
uno  a'  quattro  che  prendono  parte  a  questo  giuoco  ; 

*  Predio  del  Medicano. 

'  Asinaccio  della  Funtanazza,  chi  ti  diede  questo  manritto  (che  io 
ti  do  ora)  ? 

O.  Pitrì.  —  Giuochi  fanciulleschi  14 


210  GIUOCHI 

e  allora  i  due  eui  toccarono  in  sorte  i  fili  più  corti 
devono  farla  da  giumenti:  uno  curvato  ,  tenendo  le 
mani  puntate  al  muro,  l'altro  con  la  testa  puntata  sulle 
natiche  di  quello;  e  gli  altri  due  devono  cavalcarli  e 
chiedere:  Chi  dici  'a  vacca  ì  e  finché  non  abbiano  in 
risposta:  Scinni  e  gravax^ca^  non  possono  muoversi. 
Se  perdono  1'  equilibrio,  e  non  si  reggono  a  cavallo, 
tocca  a  loro  a  star  sotto  senza  bisogno  di  scarpa. 

Talora  il  giuoco  si  fa  tra  sei:  tre  asini  e  tre  asinai. 
Gli  asini  che  hanno  speranza  di  trarsi  il  peso  d'addosso 
rispondono:  Stata  !  e  in  questo  caso,  non  c'è  rimedio: 
gli  asinai  devono  star  li  piantati  come  chiodi.  Qualora 
però  gli  asini  bramino  riposarsi  un  momento,  alla  do- 
manda: Chi  dici  ecc.  rispondono:  Scinni  ecc.  e  allora 
gli  asinai  scendono,  corrono,  e  poi  di  nuovo  a  cavallo. 

Usato  specialmente  nel  Ragusano  e  nel  Medicano. 

115.  A  Salari. 

Vari  giocatori  si  dividono  in  due  gruppi  eguali,  rap- 
presentati ciascuno  da  un  capo.  Uno  de'  due  capi 
chiude  in  un  pugno  dei  sassolini,  lasciando  che  Taltro 
indovini  in  quale  de'  due  pugni  sieno  essi.  Se  si  ap- 
pone, egli  ed  i  compagni  suoi  vanno  a  cavalluccio  de- 
gli altri  dell'altra  parte,  guardandosi  dal  toccare  coi 
piedi  in  terra  se  non  vuole  andar  sotto  lui  e  i  suoi 
compagni.  Se  non  si  appone,  vanno  sopra  gli  altri. 

La  prova  dei  pugni  chiusi  è  nel  giuoco  n.  22  A  ta- 
vtUa^vecchia  ecc. 


A  SETAMMURU  211 

116.  A  Setammùru. 

Due  ragazzi  fanno  a  pari  e  caffo ,  e  chi  ^  perde  va 
sotto  curvandosi  in  avanti  e  poggiando  il  capo  al  muro 
0  sopra  un  gradino;  l'altro  correndo  da  lontano  salta 
sul  compagno  cavalcandolo  e  restandovi  sopra  tutto 
il  tempo  in  cui  conterà,  secondo  i  patti,  100,  ovvero 
200.  Se  cade  saltando,  o  non  cavalca  bene,  o  sbaglia 
contando,  immediatamente  va  sotto. 

Setarnrnuru^  composto  forse  da  séti  o  sèjti  a  muru 
(siediti  al  muro). 

117.  A  Tintipintl. 

Due  ragazzi  fanno  a  pari  e  caffo,  e  chi  perde,  cur- 
vato in  avanti  poggia  la  testa  al  muro,  mentre  V  al- 
tro gli  salta  sulla  schiena  e  ripete  tutta  questa  fila- 
strocca: 

E  tintirinti  ! 
Setti  flmmini  un  tari. 

Un  tari  è  troppu  pocu: 
Setti  flmmini  un  varcòcu. 

Lu  varcòcu  è  troppu  duci: 
Setti  flmmini  'na  nuci. 

E  la  nuci  è  troppu  ardenti: 
Setti  flmmini  p'  un  sirpenti. 

Lu  sirpenti  è  fattu  d'oru: 
.  Setti  flmmini  p'  un  cannòlu. 

Lu  cannòlu  è  di  canna: 
Setti  flmmini  *na  manna. 

E  la  manna  è  di  linu: 
Setti  flmmini  un  carrinu. 


212  GIUOCHI 

Lu  carrinu  è  d'azzaru: 
Setti  fimmini  un  calamaru. 

Lu  calamaru  si  vo'  maritari: 
£  si  pigghìa  'a  capitanala. 

Capitanala,  capitanaledda: 
Gei  nn'è  russa,  bianca  e  bedda. 

Vinni  'u  tiempu  di  Manzedda  *: 
Coi  livau  la  cignitedda. 

Finita  la  quale  filastrocca  conta  da  uno  a  cento,  e 
passa  sotto  a  prendere  il  posto  del  paziente* 

Cosi  in  Polìzzi-Generosa;  ma  altrove  il  canto  corre 
a  solo,  ed  ha  varianti  in  Palermo  (Piim:,  Canti  pop., 
n.  773) ,  in  Aci  {Raccolta  amplissima ,  n.  2309  e  al- 
trove). 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Si  ravvicini  al  giuoco  veneziano  El  cortelin  dei  omeni, 
n.  87  del  Bsrnoni. 

118.  A  Scàrrica-canali. 

(Con  tavola) 

Ha  pure  il  titolo  A  scàrrica  lu  bottu  (Palermo);  A 
quattru  cicireddu  scàrrica  la  nova  (Prizzi);  A  cici- 
reddu  (Cianciana  ed  Alessandria  della  Rocca)  ;  A  la 
campana  (Siracusa ,  Macaluso-Storaci  ,  Nomencla- 
tura)^ e  si  fa  nel  seguente  modo: 

Quattro,  sei  ragazzi  fanno  due  volte  al  conto,  oltre 
del  mastro:  e  i  due  su'  quali  cade  il  numero  vanno 
sotto,  poggiando  la  testa  il  primo  sulle  ginocchia  del 

*  Nome  d'uno  che  fu  già  di  Polizzi  Generosa. 


A  SCÀRRIOA-CANALI  213 

eapo-giuoeo,  che  sta  seduto,  il  secondo  sul  dos&o  del 
primo.  Indi  i  due  o  quattro  giocatori  ohe  devono  andar 
sopra,  saltano:  il  primo  e  più  agile  e  vigoroso  addosso 
al  primo,  spiccando  un  gran  salto  che  noi  faccia  ri- 
manere sul  secondo,  il  secondo  dietro  a  lui  con  un 
altro  saito;  e,  se  ne  viene  un  terzo  o  un  quarto,  uno 
dietro  Taltro.  Quando  cavalli  e  cavalieri  sono  al  loro 
posto,  uno  di  essi,  il  primo  cavaliere,  dice  : 

Quattru  e  quattru  otto, 
Scàrrica  lu  botta; 
(o  La  vacca  è  *ntra  Tortu;  Erice) 
Aceddu  cu  l'ali, 
Scàrrica  canali; 
Aceddu  cu  li  pinni, 
Scàrrica  e  vattinni. 

Ovvero  come  in  Taormina: 

Quattru  e  quattru  otta 
Scàrrica  lu  bottu, 
Calàna  calàna 
Ca  scinnèmu. 

Ovvero  come  in  Messina: 

Quattru  e  quattr'òttuli, 

Paddi  e  li  bòttuli; 

Ciciri  e  favi, 

Scàrrica-canali; 

Buddicu  buddicu, 

Dumani  t*  'u  dicu. 
Dette  queste  parole  scendono  e  tornano  a  saltare  nel 
medesimo  modo.  Lo  scendere,  il  cadere,  il  toccar  terra 
col  piede  prima  che  sieno  state  esattamente  dette  le 
parole  son  falli  che  mutano  in  cavallo  il  cavaliere. 


214  GIUOCHI 

In  Alessandria  della  Rocca  un  fanciullo  che  prende 
il  nome  di  miumazzu  (piumaccio ,  guanciale) ,  si  ap- 
poggia al  muro,  chinandosi  un  poco  ;  un  secondo  si 
china  e  sta  appoggiato  a  lui  ;  un  terzo  fa  lo  stesso 
col  secondo ,  un  quarto  col  terzo  ,  in  guisa  che  for- 
mano tutti  e  quattro  il  solito  ponte.  Gli  altri  fanciulli 
faimo  il  solito  salto,  il  primo  sul  primo  ,  il  secondo 
sul  secondo ,  il  terzo  sul  terzo ,  il  quarto  sul  quarto 
dicendo  ciascuno: 

Unu,  e  cicireddu, 
Scarricamu  lu  beddu  vasceddu. 
Ch'è  duci,  e  ch'è  beddu 
Lu  figliu  d'  'u  zu  Viteddu  ! 
Passa  nèula. 

E  saltando  in  questo  punto  preciso,  il  secondo  dice: 
Dui  e  cicireddu;  il  terzo  Tri  e  cicireddu  ecc.  Chi  non 
salta  bene,  o  tocca  il  petto  de'  saltati ,  scende  a  far 
da  ponte. 

In  Frizzi  il  primo  cavaliere  che  «alta  dice:  Quattru 
cicireddu  scàrrica  la  nova;  il  secondo:  Tri  cicireddu; 
il  terzo:  Dui  cicireddu;  il  quarto:  Primu  cicireddu; 
e  quando  tutti  sono  a  cavallo:  Cicirèy  cicirè,  cicirèy 
cicirè. 

In  Cianciana,  il  più  destro  de'  cavalieri,  dopo  presa 
la  ryicorsa  e  cavalcato,  dice:  Unu,  dui,  tri,  quattrUf 
cincu  e  cicireddu.  Si  rinnova  il  giuoco,  e  dice:  Unu, 
dui,  tri,  quattru,  cincu,  sei,  setti,  ottu,  novi,  deci  e 
cicireddu;  e  cosi  aggiungendo  cinque  numeri  volta  per 
volta  fino  a'  50  e  finendo  sempre  col  cicireddu.  Se  il 
conto  non  si  fa  tutto  d'un  fiato,  o  si  sbaglia,  ecc.  si 
va  sotto  a  prendere  il  posto  del  cavallo. 


A  SAN  GIUSEPPI  215 

Nella  nostra  tavola  è  il  capo-giuoco  seduto  (n.  1); 
tre  che  fanno  da  cavalli  (nn.  2-2-2);  tre  altri  che  fanno 
da  cavalieri,  de'  quali  i  primi  due  hanno  già  montato 
(nn.  3-3)  ed  il  terzo  in  atto  di  montare  (n.  4).  Un  solo 
(n.  5)  fa  da  spettatore. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

II  Serio,  Lo  Vernacchio,  p.  43,  nota  che  i  fanciuUi  na- 
poletani «  si  jocano  a  scarreca  varrile,  o  a  timme  tamme 
tomme,  cantano 

Pirpiribotta, 
Scarreca  la  votta, 
Piripiribino 
Scarreca  lo  vino.  » 

119.  A  S.  Giuseppi. 

In  Cianciana  A  tu  cavallittu. 

I  mastri  son  due,  e  fanno  a  pari  e  caffo.  Chi  perde 
va  sotto  a  far  da  cavallo  ;  uno  della  sua  parte  in- 
trecciando le  mani  forma  la  staffa  ;  gli  altri,  deir  al- 
tra parte,  cavalcano  mettendo  uno  per  volta  il  piede 
sulla  staffa,  e  scavalcano  dal  lato  opposto.  Tra*  cava- 
lieri qualcuno  s' imbratta  di  creta ,  fango  o  altro  la 
suola  della  scarpa,  e  ne  fa  regalo  al  condannato  a  for- 
mar la  staffa.  Cosi  il  giuoco  finisce  in  una  grassa  risata. 

Si  fa  molto  in  Casteltermini  e  Cianciana. 

120.  La  Vara  di  S.  Caloiru. 

In  Mazzara  A  V  animulu. 

Vari  ragazzi  piuttosto  robusti ,  poggiandosi  e  pun- 


216  GIUOCHI 

tellandosi  V  uno  con  V  altro  in  giro,  si  inginocchiano 
per  far  salire  sopra  di  loro  altri  che,  appoggiando  un 
piede  sull'omero  dell'  uno  e  un  piede  suir  omei^o  del- 
l' altro,  facciano  tutti  insieme  una  specie  di  cerchio 
piramidale.  Quando  questi  si  sono  acconciati  e  quelli 
si  sono  rizzati,  la  bara  procede  innanzi  in  mezzo  agli 
applausi  di  altri  fanciulli.  Allora  canta  il 

Coro  di  sopra: 
E  Yuàutri  ca  siti  di  sutta, 
Stativi  attenti  non  ni  jittati, 
Si  cademu  ni  struppiamu 
E  si  mèntinu  'i  vastunati. 

Risponde  il 

Coro  di  sotto: 
E  Yuàutri  ca  siti  di  supra, 
Stati  attenti  e  non  caditi, 
Si  caditi  'na  botta  faciti, 
Sabatu  a  ssira  e  duminica  no. 

Quando  la  macchina  vacilla  e  si  scompone  con  la  pre- 
cipitosa caduta  de'  fanciulli  di  sopra,  si  ricomincia  il 
giuoco  convertendo  le  parti. 

I  due  cori  sono  come  corrono  in  Roccella.  In  Maz- 
zara  cosi  canta  il 

Coro  di  sotto: 
A  vuàutri  chi  siti  supra. 
Stati  attenti  e  nun  caditi; 
Si  caditi,  una  botta  f aciti: 
Santu  Dia  !  Santu  Diu  ! 

Coro  di  sopra: 
A  vuàutri  chi  siti  sutta, 
Stati  fermi  e  mantiniti; 


LA  VARA  PI  S.   CALOIRU  217 

Si  caditi  una  botta  faciti  : 
Santu  Diu  !  santu  Dia  1 

li  giuoco,  come  è  facile  vedere,  è  pericoloso  ,  e  si 
usa  tra  ragazzi  audaci.  In  Palermo  si  fa  sempre  nella 
stagione  estiva  a'  bagni  di  mare:  e  dopo  qualche  passo 
i  giocatori  si  lascian  le  braccia  per  rompere  il  cerchio 
e  cosi  attutarsi  tutti  nell'acqua. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Napoli  il  giuoco  è  detto  Le  Piramidi ,  e  i  versi  soU; 
questi  : 

Coro  di  sotto  : 
0  guagliune  che  state  da  coppa 
Stateve  attiente  a  nun  cade. 
Coro  di  sopra  : 
0  guagliune  che  state  da  sotto 
Stateve  forte  a  mantenè. 

Tutti: 
Pizzica  ccà,  p'zzica  là, 
Pe  ttutta  Caserta  avimm*  a  passa. 

BiDERi,  Passeggiata  per  Napoli,  p.  49,  riprodotto  anche 
dal  De  Bourcard,  I,  302.  Secondo  Casetti  e  Imbriani  (v.  II, 
p.  368),  il  giuoco  è  più  popolarmente  detto  Pizzicando,  e 
i  versi  sono  : 

Belli  guagliune  ca  state  de  sotto, 
Teniteve  astrinte  e  nun  ve  lassate  ! 
Pizzica  ccà. 
Pizzica  Uà, 
Sotto  Caserta  Nicola  nce  sta 
Sotto  Caserta  vulimmo  passa? 

Vedi  anche  Molinaro,  p.  20,  n.  6. 


21S  GIUOCHI 

121.  A  Quartucciu. 

{Con  tavola) 

In  Catania  A  sautampizzu;  altrove  A  salari  a  punta 
d' H  Mita, 

Chiamasi  quartucciu  l'altezza  d'un  piede  o  d'una  mano 
aperta  dalla  punta  del  mignolo  a  quella  del  pollice;  e 
chiamasi  menzu  quartucciu  il  pugno  chiuso  sormon- 
tato dal  pollice  teso  in  alto. 

Vari  fanciulli  si  contano  due  volte;  e  coloro  sui  quali 
cadono  i  due  numeri  del  conto  siedono  a  terra  uno 
di  fronte  all'altro  colle  gambe  aperte.  Gli  altri  rimasti 
in  piedi  si  mettono  in  fila  a  far  quello  che  ordina  il 
capo.  —  Un  quartucciu  !  dice  il  capo;  ed  in  quello  che 
s'avanza  per  passare  seguito  dai  compagni ,  uno  dei 
due  seduti  pianta  un  piede  ritto  a  segnare  l'altezza  della 
misura  del  quartucciu.  Indi  dall'altro  lato  il  mastro  or- 
dina e  indica  con  le  mani: — Un  quartucciu  e  menzu! 
ed  uno  de'  due  seduti  posa  sul  piede  il  pugno,  come 
sopra.  —  IM  quartixcia  !  e  quello  tira  la  mano  e  il 
compagno  di  fronte  posa  il  suo  sul  piede  del  compa- 
gno. I  giocatori  passano.  Il  capo  prosegue:  —  Du'  quar- 
tuccia  e  menzu  !  e  il  primo  de'  seduti  torna  a  pian- 
tare il  pugno  sui  due  piedi  ecc.  Il  giuoco  progredisce 
finché  si  sia  formata  un'alta  colonna  di  mani  e  di  piedi, 
sulla  quale  non  già  passano  ma  saltano  senza  toccarla 
i  compagni.  Allorché  uno  di  essi  tocca  o  sflora  appena 
un  dito  o  una  mano  de'  due  appuzzati,  il  giuoco  si 
sospende,  ed  il  reo  va  a  prendere  il  posto  del  toccato. 
Cosi  ricomincia  la  partita. 


A  STIVALA  CUZZA  E   CALATI  LA  CROZZA  219 

La  nostra  tavola  rappresenta  sei  giocatori;  il  capo- 
giuoco  in  piedi  a  sinistra  (n.  1),  che  ordina  con  le  mani 
dui  Quartuccia  a'  due  seduti  per  terra  (nn.  2-3).  Co- 
storo con  una  mano  aperta  Tuno  segnano  il  livello  sul 
quale  deve  saltare  il  compagno;  e  dietro  ad  essi  uno 
pronto  a  saltare  (n.  4)  ed  altri  due  che  gli  terranno 
dietro  (nn.  5^). 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nel  giuoco  di  Saltamuletla  marchigiano  un  ragazzo  salta 
sopra  un  suo  compagno,  e  poi  sopra  un  compagno  e  una 
verga,  e  nove  altri  compagni. 

In  Milano  A  Saltaformaggia,  in  Brescia  A  Saltamulèta, 
Con  nome  locale  il  giuoco  è  detto  El  ponte  de  Rialto  a  Ve- 
nezia (Bernoni,  n.  61);  in  italiano  A  Salincerbio, 

122.  A  Stivala  cuzza  e  calati  la  crozza. 

Vari  ragazzi  si  contano  e  chi  sorte  va  sotto  pie- 
gandosi in  avanti  e  portando  le  mani  sulle  ginocchia 
0  sulle  gambe.  Gli  altri  dalla  meta  corrono  verso  lui 
e  giunti  ad  una  certa  distanza  stabilita,  prima  d'un 
piede  da  quello  che  sta  sotto,  poi,  nel  secondo  giro, 
di  due  piedi,  poi  di  tre,  poi  di  quattro,  poi  di  cinque, 
indi  di  sei  e  finalmente  di  sette,  spiccano  successiva- 
mente un  salto  allargando  le  gambe  ed  appoggiando 
le  mani  sul  dosso  del  curvato,  e  passano  dairaltra  parte 

dicendo: 

Stivala  cuzza, 

E  calati  la  crozza  ! 

La  distanza  del  piede,  de'  due  piedi  ecc.  viene  se- 
gnata da  una  striscia  di  polvere  sparsa  per  traverso 


220  GIUOCHI 

in  terra,  la  quale  deve  rimanere  intatta  nello  spiccare 
il  salto.  Chi  la  tocca,  chi  non  riesce  a  saltare,  ehi  non 
pronunzia  le  parole,  va  sotto:  cosa  molto  facile  in  un 
giuoco  cosi  difficile,  che  perciò  si  fa  di  rado. 
Si  usa  in  Mazzara. 

123.  A  Deci. 

Vari  fanciulli  si  contano  ;  chi  sorte  fa  da  vanchi- 
teddu,  chinandosi  e  pontando  le  mani  sulle  ginocchia, 
o  stringendole  tra  esse.  Il  capo-giuoco  è  primo  a  sal- 
targli sopra,  poggiandogli  le  mani  sul  dosso  e  oltre- 
passandolo in  modo  che  con  le  gambe  aperte  noi  toc- 
chi. I  compagni  fauno  lo  stesso ,  e  ripetono  alla  lor 
volta  le  sue  parole  :  e  chi  sbaglia ,  o  cade ,  o  tace, 
va  sotto,  ed  il  giuoco  si  ricomincia.  Il  mastro  comincia 
per  ordine  i  salti  :  (i  numeri  indicano  i  salti;  ogni  gio- 
catore ripete  lo  stesso  motto:  di  maniera  che  se  dieci 
sono  i  giocatori ,  dieci  volte  è  ripetuta  la  stessa  pa- 
rola) : 

1  Salto  :  E  deci  ! 

Ed  i  compagni,  uno  dopo  Taltro  : 

E  deci  ! 

Indi  egli  prosegue  e  ciascuno  de'  compagni  del  pari, 
dopo  di  lui  : 

2.  E  vinti  ! 

3.  E  trenta  ! 

4.  E  quaranta! 

5.  E  la  furca  nun  t'ammanca  I . 

6.  E  tu  t'  ha*  *a  *mpenniri  stasiral 

7.  Cu  lu  lustra  d*  'a  cannila  ! 


A  DECI  221 

8.  Cu  lu  lustra  d'  'a  za  *Nniana! 

9.  E  culuri  di  mìlinciana. 

10.  A  la  tò  casa  cc'è  un  comu; 

11.  Gei  cacu,  cci  pisciu  notti  e  ghiornu. 

12.  A  la  tò  casa  cc*è  un  cannulicchiu  : 

13.  Cci  cacu,  cci  pisciu  cu  'u  me  picciriddu. 

14.  Nn'  haju  bianchi,  giarni,  russi,  virdi  e  belli. 

15.  Chistu  è  lu  jocu  di  li  biirittelli. 

Qui  il  capo-giuoco  saltando  come  al  solito  getta  in 
alto  il  suo  berretto ,  che  dee  prendere  a  volo  dopo 
aver  saltato,  guardando  a  non  farlo  andare  per  terra. 
Cosi  fanno  pure  ì  compagni  ad  uno  ad  uno;  indi  egli 
continua,  ed  essi  dietro  di  lui  : 

16.  Ora  passu: 

E  dipo*  t'  'a  lassù. 

17.  Haju  passatu  : 

E  ti  r  haju  lassatu. 

E  lascia,  sul  dosso  del  compagno,  una  pezzuola,  un 
berretto  ,  od  altro.  Lo  stesso  fanno  i  compagni ,  pei 
quali  la  difficoltà  del  salto  cresce  col  crescere  degli 
oggetti  che  essi  posano,  e  che  devono  guardarsi  bene 
dal  far  andare  per  terra  saltando.  Superato  questo 
grave  passo,  il  mastro  s'avvicina  aìVappuzzatu^  prende 
tra  le  due  mani  gli  oggetti  e ,  capovolgendoli  due 
volte,  ripete  : 

Arrimina,  mugghieri,  cà  scurmi  su'. 
Arrimina,  mugghieri,  cà  scurmi  su'. 

Indi  li  capovolge  in  guisa  che  vengano  su  gli  oggetti 
che  eran  sotto  ,  e  viceversa ,  e  rinnova  il  salto  di- 
cendo : 


222  GIUOCHI 

18.  Haju  passatu  ; 

E  mi  r  haju  pigghiatu; 

e  porta  via  di  slancio  la  pezzuola  o  il  berretto  proprio 
a  pericolo  di  portar  via  quello  degli  altri.  Seguono 
Tesempio  i  compagni. 

Superato  quest'altro  passo,  il  mastro  domanda  al  ca- 
vallo che  penitenza  voglia  subire,  cliiedendogli  :  Chi 
vói:  manacciati  ?,„  pidagnati?,,.  culazzati?...  virri- 
neddi?,..  su>cuzzuna?,,,pizzicuna9,.,  ecc.  Quello  dirà, 
p.  e.  :  manacciati  !  E  il  mastro  presa  la  rincorsa 
salta  battendo  colla  palma  sul  dosso  del  compagno  e 
dicendo  : 

19.  E  manaccìata  una  ! 

Ed  i  giocatori  uno  appresso  dell'altro: 

E  manacciata  una  ! 
Cosi  egli  prosegue  : 

20.  E  manacciata  dui! 

Ed  appioppando  altre  sette  manate ,  ripetute  da  cia- 
scun altro  giocatore,  fa  i  salti  da  20  a  26,  ed  a  gue- 
st' ultimo  grida  : 

26.  E  manacciata  ottu, 

E  quannu  cadi,  cu  tuttu  lu  bottu  ! 

Ed  accentua  il  colpo.  Torna  a  dimandare  air  ap- 
puzzata che  altra  penitenza  voglia  :  e  secondo  la  ri- 
sposta si  ripetono  i  colpi,  che  sono:  Pignateddi,  (to- 
scano nocchini)  colpetti  coi  nodelli  delle  dita  sul  co- 
cuzzolo; culazzati,  cioè  colpi  dati  col  sedere  sul  dos- 
so; virrineddi,  succhiellamento  co'  pollici  sul  dosso; 


A  DECI  223 

sucuzzuna,  sorgozzoni  dati  colle  nocche  delle  dita  del 
pugno  chiuso  sotto  la  noce  del  collo;  pizzicuna,  forti 
pizzichi  :  in  tutto  48  colpi  per  compagno ,  semprechè 
nessuno  falli  o  vada  per  terra.  Qualora  un  giocatore 
abusi  nella  penitenza,  ed  il  mastro  se  ne  accorga ,  o 
il  cavallo  se  ne  richiami  a  lui,  il  mastro  può  abbre- 
viare la  penitenza,  cioè  il  numero  de'  siuyuzzuna,  dei 
pignateddi  ecc. 

Il  giuoco  è  sempre  accompagnato  da  episodi  comici 
graziosissimi  :  chi  sta  sotto  coglie  tutti  i  modi  di  to- 
gliersi a  quel  martirio,  e  quindi  si  curva  e  si  rialza, 
e  si  scuote  mentre  i  compagni  stanno  per  saltargli 
sulla  schiena,  o  distende  sfacciatamente  le  gambe,  o 
spara  calci  quando  ha  i  pegni  nel  dosso;  ed  è  quindi 
raro  che  qualcuno  de'  giocatori  non  cada  disteso  a 
terra ,  o  non  resti  a  mezzo  sotto.  Il  mastro  però  co- 
manda e  modera.  Egli  permette  a'  più  piccoli  tra'  gio- 
catori che  non  saltino  ma  passino  solamente  di  dietro 
a  chi  sta  sotto,  ripetendo  però  i  versi;  egli  consente 
che  questi  si  abbassi  un  poco  o  si  sollevi  ad  esigenza 
di  chi  salta;  e  come  più  aitante  degli  altri  si  prende 
e  concede  ad  altri  la  libertà  di  saltare  su  chi  è  sotto 
facendolo  metter  sotto  in  piedi. 

In  Mazzara  la  filastrocca,  compartita  in  dieci  salti, 

è  questa  : 

1.  €incu  'n  deci; 

2.  Deci  'n  vinti; 

3.  Vinti  'n  trenta; 

4.  Trenta  'n  quaranta; 

5.  La  furca  chi  nun  ti  manca  ; 


224  GIUOCHI 

6.  Lu  lazza  chi  ti  la  tira  ; 

7.  £  tó  ma'  tutta  si  pila 

A  lu  lustra  di  la  tò  cannila. 

8.  Tri  grana  di  puma  e  tri  grana  di  pira: 
La  mula  è  zoppa  e  lu  cavaddru  tira. 

9.  E  eh'  è  fina  e  eh'  è  beddra  I 

leu  ti  la  lassù  la  me  birritteddra. 

(E  si  lascia  il  berretto) 

10.  E  eh'  è  fina  e  eh'  è  beddra  I 

leu  mi  la  pigghiu  la  me  birritteddra. 

Quando  i  giocatori  avran  ripreso  ciascuno  il  proprio 
berretto  o  fazzoletto ,  il  mastro  susurra  air  orecchio 
di  chi  sta  sotto  il  nome  d'una  città  in  modo  che  ninno 
lo  senta.  Ciò  fatto,  si  corre  e  si  salta  di  nuovo,  e  deve 
ciascuno  nominare  una  città  qualsiasi  dicendo  : 

leu  mi  ni  vegnu  (p,  e,)  di  Palermu. 

Chi  dice  una  città  nominata  da  un  altro  o  quella  per 
caso  prefissa  dal  mastro,  va  sotto;  e  cosi  si  continua 
nominando  sempre  varie  città  ;  finché  non  venga  a 
noia. 

Questa  variante  mazzarese  avvicina  il  presente  giuo- 
co a  quello  dell'  Acidduzzu  vulau  vulau,  e  di  tutto 
il  gruppo. 

I  versi  che,  giova  ripeterlo,  rappresentano  altrettanti 
salti  sul  giocatore  che  sta  sotto,  corrono  cosi  in  Ali- 
mena  : 

1.  Cincu  e  cincu  deci,  e  deci  vinti  ; 

2.  E  deci  trenta  e  deci  quaranta; 

3.  E  la  furca  nun  t'  ammanca; 

4.  Stasira  t'  àmu  a  'mpenniri; 


A  DECI  28^ 

5.  Cu  la  lastra  di  la  cannila; 

6.  E  tò  màa  sutta  la  letta, 

7.  Ca  ti  sona  'u  fiscaletta. 

8.  E  tò  soru  ti  tessi  la  tila, 

9.  Ti  la  tessi  fìtta  e  bella, 
10.  Tu  si'  figlia  di  Marianella. 

In  Frizzi,  dopo  il  terzo  salto  indicato  da  tre  versi, 
se  ne  fanno  altri  tre,  a  ciascuno  de*  quali  si  accom- 
pagnano i  seguenti: 

4.  'N  trenta  'n  quaranta, 

E  la  furca  nun  t'  ammanca. 

5.  'N  quaranta  'n  cinquanta, 

E  la  furca  nun  t'  ammanca; 
A  lu  chianu  di  la  marina 
C*  èni  unu  chi  simina. 

6.  *N  cinquanta  'n  sissanta, 

E  la  furca  nun  t*  ammanca; 

A  lu  chianu  di  la  marina 

C  èni  unu  chi  simina; 

Tò  matri  chianci  e  tò  soru  si  pila 

A  lu  lustru  di  la  cannila. 

E  poiché  la  filastrocca  è  lunga  per  un  salto  ^  la  si 
comincia  prima  di  partire  dalla  meta  e  col  tempo  mi- 
surato in  guisa  tale  che  l'ultimo  verso  coincida  col  salto. 

Di  maggiore  interesse  sono  i  versi  come  li  ho  uditi 
in  Taormina  : 

1.  A  li  cincu  e  deci; 

2.  A  li  deci  e  vinti; 

3.  A  li  vinti  e  trenta; 

4.  A  li  trenta  e  quaranta; 

5.  E  la  furca  nun  f  ammanca; 

Q.  PiTBÈ, -^  GiiMchi  fanciulleschi  15 


226  GIUOCHI 

6.  Lu  lazzu  chi  ti  tira  : 

7.  Chi  ti  'mpenninu  stasira; 

8.  E  tó  matri  cu  tò  soru 

9.  Nèscinu  tila. 

10.  A  tri  'rana  vannu  *i  pira; 

11.  A  la  porta  di  Missina. 

E  questi  altri  di  Messina: 

7.  Mi  ti  *mpenninu  stasira, 

8.  A  la  porta  di  Missina; 

9.  A  ddu*  'rana  vannu  *i  pira, 
10.  E  tò  matri  vinni  pila  *. 

Cfr.  due  versi  del  giuoco  A  li  fìcu, 

124.  A  Primera. 

È  un  giuoco  secondo  corre  in  Modica. 

Si  contano  tutti  i  giocatori'  meno  il  capo^  e  chi  va 
sotto  fa  da  sceccu. 

Il  capo-giuoco  detto  capurali^  seguito  da  dieci, 
venti  e  più  ragazzi ,  comincia  a  saltare  sulF  asino  e, 
nelle  varie  volte  che  salta,  dice  : 

1.  Primera! 

2.  Secunnera  ! 

3.  Truzzera  ! 

Cu'  'un  truzza,  appuzza; 

perchè  nel  saltare  sull'asino  dovrà  battere  {truzzari) 
fortemente  i  talloni.  I  compagni  seguono  i  medesimi 
atti  ordinati  ed  eseguiti  da  lui,  e  ripetono  le  medesime 
formolo  : 

4.  Truzza  parmi  e  cuddireddi; 

'  Pira,  pera,  nel  Messinese  è  anche  il  latino  penis. 


A  PRIMERA  227 

e  saltando  dovrà  trovarsi  (e  quanti  seguono,  lo  stesso) 
à  terra  con  le  gambe  incrocicchiate ,  a  somiglianza 
de'  Turchi. 

5.  Mazzi  ! 

e  consiste  in  due  pugni  che  ciascuno  de'  saltatori  ap- 
pioppa sulle  reni  dell'asino;  e  poi  : 

6.  Mazzi  ri  paraturi,  mazzi  I 
ed  i  pugni  son  più  sonori. 

7.  Auggi, 

in  cui  rasino  riceve  un  pizzicotto  sul  collo  ; 

8.  Spinguli, 

in  cui  i  pizzicotti  son  più  forti  sulle  natiche.  L'asino 
freme  e  ricalcitra  e  vomita  ingiurie ,  ma  non  e'  è  ri- 
paro :  deve  stare  al  suo  posto,  a  meno  che  qualche- 
duno  de'  giocatori  non  s*  imbrogli  nei  salti  e  negli 
accessori  dei  salti.  Ed  ecco  che  il  capo  sale  ripigliando 
lena,  si  slancia  come  una  freccia,  e  saltando  sull'asino, 

grida  : 

9.  'A  scutulata  r'  'o  cuniggiu; 

e  ciò  dicendo  gli  tira  fortemente  le  orecchie  ; 

10.  'A  sciddicata  r*  'a  veccia, 

con  la  quale  figura  1  saltatori  devono  scivolare  len- 
tamente e  pesantemente  su  dalla  testa  del  paziente., 
n  giuoco  segue  con  cinque  altre  figure,  e  sono  : 

11.  A  'ncrinata  r'  'o  pisci, 

salto  spiccato  in  modo  che  si  resti  con  le  mani  e  coi 
piedi  per  terra  a  guisa  di  ponte; 

12.  'U  pisci  ca  'un  si  tocca, 


228  GIUOCHI 

salto  difficilissimo,  perchè  non  si  dovrà  toccare  il  pa- 
ziente se  non  con  le  sole  mani,  sulle  reni; 

43.  'U  Rre  ri  Maroccu, 

salto  aggiustato  in  guisa  che  si  sieda  sulle  spalle  del 
fanciullo  curvato,  e  immediatamente  risalti  a  ritroso. 
Il  capo  trae  un  fazzoletto  ed  il  berretto  dal  capo ,  e 
grida  : 

14.  Lassù  'u  pignu; 

e  cosi,  s'intende,  fanno  gli  altri  deponendo  ciascuno 
qualche  cosa  sua,  e  badando  a  non  farne  cader  nes- 
suno; indi  ripassando  la  piglia  col  motto  : 

15.  Piggiu  'u  pignu. 

Anche  qui  ciascun  giocatore  ripete  con  gli  atti  e  con 
le  parole  quello  che  fa  e  dice  il  mastro. 

125.  A  Càudda. 

Si  gioca  in  dieci  o  dodici.  Il  capo-giuoco ,  dopo 
che  si  è  fatto  al  tocco,  nomina  un  patruni,  un  svMd 
e  un  francu^  che  è  lui;  gli  altri  devono  ubbidire  agli 
ordini  del  patruni,  il  quale  comanda:  Pani  gilestriì 
e  quelli  a  dare  manate  leggiere  mìSìMa^  che  sta  cur- 
vato in  avanti,  con  le  mani  tra  le  gambe; — Panijancul 
manate  più  forti; —  Pani  nluru  !  colpi  di  santa  ragione. 
I  pani  possono  essere  quanti  sono  i  colori  e  secondo 
il  capriccio  del  capo-giuoco.  Quando  non  restano  più 
colori  od  il  mastro  crede  di  far  punto,  si  ricomin- 
cia; ma  il  mastro  non  andrà  mai  sotto,  perchè  s'è  fatto 
franco  egli  stesso.  Ho  visto  e  raccolto  questo  giuoco, 
da  cfr.  col  n.  112.  A  sdirrubha  murUagni,  nel  con- 
tado di  Messina. 


A  SCAVU  su'  MASTRU  !  229 

126.  A  Scavu  su'  mastru  l 

In  Messina  é  pulici;  in  Cianciana  A  tu  cavallittu;  in 
Borgetto  A  salutamu^  su'  mastru! 

Molti  fanciulli  si  contano;  chi  sorte  primo  va  sotto; 
il  maggiore  di  età  fa  da  mastro.  CM  va  sotto  si  con- 
tma  col  mastro,  dichiarandogli  un  mestiere  che  in- 
tenda di  fare,  e  un  oggetto  che  si  lassa  (lascia). 

Supponiamo  che  egli  voglia  fare  il  mestiere  del  cal- 
zolaio, e  ritenga  per  conto  suo  la  forma. 

Si  mette,  al  solito ,  curvato  in  avanti,  pontando  le 
mani  sulle  ginocchia;  ed  i  compagni ,  preceduti  dal 
capo-giuoco,  uno  dopo  Taltro  gli  saltan  sopra,  dicen- 
dogli uno  alla  volta:  Scavu,  su'  mastru^  chi  arti  fa- 
citi  ?  —  Scarparu,  risponde  all'ultimo  passato  il  pa- 
ziente. Allora  ad  uno  ad  uno  ripassano,  sempre  pre- 
ceduti dal  mastro,  ed  uno,  p.  e., gli  dice:  Va'plgghiami 
'«  trincettu;  un  altro:  Vògghiu  *u  w,arteddu;  un  terzo: 
Vurna  'na  gug ghiaia  dispagu;  un  quarto:  Va*  pòr^ 
lami  'na  chiantedda,  e  cosi  di  seguito  fino  a  ripassar 
tntti.  Nel  fare  il  terzo  giro  proseguono  tutti  doman- 
dando altri  arnesi  e  strumenti  del  calzolaio.  Chi  nomi- 
nerà la  forma^  andrà  subito  sotto. 

È  facile  il  supporre  che  il  mastro  non  si  lascerà 
coglier  mai  ;  e  che  a  misura  che  il  giuoco  va  innanzi, 
le  probabilità  di  sbagliare  crescono. 

In  Castel  termini,  nel  giuoco  detto  Vuogliu  jiri  a 
Palermu,  chi  va  sotto  ha  un  nome  di  città  o  paese, 
che  conosce  solo  lui  ed  il  mastro.  Gli  altri  giocatori 


230  GIUOCHI 

gli  vengono  saltando  addosso  come  nella  Tamda  longa^ 
e  saltando  dicono,  p.  e.,  uno:  Vuogliu  jiri  a  Mussu- 
meli;  un  altro:  Vuogliu  Jiri  a  Bivona  ecc.  Se  il  nome 
di  chi  è  sotto  è  Bivona^  egli  si  libera  e  va  sotto  quello 
che  cita  questo  comune. 

Nel  giuoco  ciancianese  del  Cavallittu,  dicesi:  Por- 
tami sta  littra  a  Girgenti, —  Portami  sta  littra  a  Ca- 
strettermini  ecc. 

Potrebbe  accostarsi  al  gruppo  de'  giuochi  di  con- 
versazione. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Biceglie  A  marcoUn;  ed  è  molto  simile  al  giuoco  che 
a  Parma  ed  in  altre  città  d'Italia  si  dice  Ai  mestèr. 

127.  A  Unnici  e  vinti. 

Un  certo  numero  di  fanciulli  si  mettono  a  circolo 
e  fanno  al  tocco;  il  sorteggiato  è  messo  (Ja  parte.  Ciò 
si  fa  per  undici  volte,  tanto  che  ne  restino  nove,  uno 
meno  della  metà.  Questi  undici  si  collocano  Tuno  dopo 
l'altro  a  una  certa  distanza  facendo  ponte  col  dosso 
incurvato;  il  che  si  dice  vanchiteddu.  Il  capo-giuoco 
comincia  a  saltare  su  ciascuno  di  essi. 

Per  uno  che  egli  ne  avrà  passato  conta  un  numero 
progressivo,  quasi  a  constatare  che  tutti  i  pazienti  sono 
al  loro  posto  e  nessuno  se  n'è  sottratto.  Q-li  altri  ra- 
gazzi saltano  dopo  il  mastro  al  medesimo  modo  ripe- 
tendo lo  stesso  numero  progressivo  sotto  pena  di  pas- 
sare a  pazienti  essi  stessi,  sostituendo  il  cavallo  che 


A  TRAVU  LONGU  231 

si  salta,  qualora  o  sbaglino  il  numero,o  manchino  di  de- 
strezza, o  cadano  per  terra. 
Questa  versione  è  stata  raccolta  in  Borgetto. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Le  penitenze  sono  simili  a  quelle  del  giuoco  ferrarese 
che  comincia: 

Tasi  tasi  murmula 
Che  ti  darò  luganiga, 

nel  Saggio  di  canti  pop,  raccolti  a  Pontelagoscuro,  n.  XX- 
XVII,  §  Giuochif  n.  2,  e  Canti  di  Ferrara,  Cento  e  Pon- 
telagoscuro, p.  140,  n.  2  del  Fbrraro. 

128.  A  Travu  longu. 

In  Mazzara  A  scala  Varanciu;  in  S.  Ninfa  A  scaca 
Varanciu;  in  Casteltermini,  Girgenti  e  Licata  A  ta- 
mia longa;  in  Modica  A  sàuta  e  appuzza. 

Un  buon  numero  di  ragazzi  si  contano  e  colui  su 
cui  cade  l'ultimo  numero  va  sotto  curvandosi  nel  so- 
lito modo,  e  poggiando  le  mani  sulle  ginocchia  come 
nei  giuochi  A  deci.  Unnici  e  vinti,  Càudda ,  Stivala 
cuzza^  Scavu  su'  mast)^  ecc.  Un  giocatore  gli  salta 
addosso,  ed  a  conveniente  distanza  va  a  mettersi  nella 
medesima  positura.  Un  terzo  salta  sull'uno  e  sull'al- 
tro, e  fa  lo  stesso;  un  quarto  salta  su  tutti  e  tre,  e 
cosi  un  quinto,  un  sesto  e  via  di  seguito.  Quando  non 
rimane  più  nessun  altro,  il  primo  che  andò  sotto  si 
alza  e  viene  saltando  uno  alla  volta  i  compagni  e  va 
a  collocarsi  ultimo  nella  positura  degli  altri;  cosi  il 


23à  GIUOCHI 

secondo  diventato  primo,  il  terzo  ,  il  quarto  ecc.  Il 
giuoco  si  tira  innanzi  per  un  bel  tratto,  nel  quale  i 
giocatori  si  sono  allontanati  dal  punto  di  partenza. 

VARIANTI  E  BISCONTRI 

In  Foggia  si  gioca  col  nome  di  A  cavallu  longu;  in  Colle 
di  Val  d'Elsa  Al  diavolo  zoppo;  in  Tortona  A  u  salt  dn 
spassigin.  Per  altri  riscontri  veggasi  la  rubrica  Varianti 
e  Riscontri  del  Quartitcciu,  n.  121,  dopo  Saltamuletta. 

Un  giuoco  bolognese  simile  descriveva  nel  1660  Giov. 
Antonio  Bumàldi:  aSillisella  ,  è  un  nome  proprio  di  un 
certo  giuoco,  che  fanno  i  nostri  fanciulli ,  nel  quale  con 
una  scorsa  grande  saltandosi  a  cavalluccio  Tun  l'altro,  si 
ingegnano  ciascuno  di  loro  di  far  cadere  il  compagno  in 
terra  per  eccitare  il  riso  (il  quale  non  si  può  contenere, 
quasi  per  naturalezza  comune ,  quando  si  vede  cadere  in 
terra  qualched'uno  per  la  sconvoltura,  e  scompostura  della 
vita)  ».  Vocabolista  bolognese,  nel  quale  con  recondite  hi- 
storie  e  curiose  eruditioni  il  parlare  più  antico  della  ma- 
dre dei  studi  come  madre  della  lingua  dH  Italia  chiara- 
niente  si  dimostra  ecc.  pag.  227.  In  Bologna,  per  Giacomo 
Monti  1660. 

129.  A  Mltia  pappànà. 

In  Messina  A  pira  papali;  in  Marsala  A  papàna; 
ili  qualche  sestiere  di  Palermo  A  pani  unu;  in  Avola 
À  'n/irniccfari. 

Vari  fanciulli  o  fanciulle  siedono  per  terra,  tutti  in 
linea,  slungando  le  gambe,  e  mettendo  i  piedi  pari, 
ir  capo  conta  uno  per  uno  i  piedi,  li  tocca  con  T  in- 
dice, e  viene  dicendo  cosi: 


A  MILIA  PAPPANA  233 

Milla  pappàna, 
Quattru  a  bagnana 
(o  Quattru  pignàna) 
Pedi  unu, 
Pedi  dui, 
Pedi  tri, 
Pedi  quattru, 
Pedi  cincu, 
Pedi  sei, 
Pedi  setti. 
Pedi  ottu. 
Tiritàppiti, 
Isca 
E  biscottu. 

In  Messina  i  piedi  son  pere: 

Pira  papali, 
Setti  pitali. 
Pira  una. 
Pira  ddui  ecc. 
Pira  ottu. 
Acci  e  biscotta. 

In  Casteltermini  i  piedi  son  dieci: 

Pani  deci 

Cicciu, 

E  biscuottu. 

Arritirati  *u  pedi. 

In  Avola  gli  ultimi  piedi  son  contati  cosi: 

Tiritippiti, 
Tiritàppiti, 
E  biscottu. 

Con  quest'ultima  parola  il  piede  toccato  dee  ritirarsi 


234  GIUOCHI 

Ricominciato  il  conto,  si  ritira  un  altro  piede,  finché, 
ritirati  tutti,  colui  il  cui  piede  rimane  disteso  deve  far 
la  penitenza  di  mettersi  in  ginocchio  e  di  vedersi  gi- 
rare intorno  i  compagni  senza  poterne  afferrare  nes- 
suno. Se  uno  ne  afferra ,  questo  lo  sostituisce  nella 
penitenza. 

In  Marsala  la  penitenza  si  fa  in  questo  modo: 
•  Il  capo-giuoco  dimanda  al  perditore:  Chi  vói',  pani 
nìuru  0  pani  Mancu?  Se  quello  risponde:  Pani  nìuru, 
deve  passare  tre  volte  sotto  le  gambe  aperte  dei  gio- 
catori; alla  terza  gli  si  gettano  tutti  addosso.  Se  ri- 
sponde: Pani  Mancu,  i  giocatori  siedono  a  due  a  due 
di  fronte  V  uno  air  altro  ,  e  prendendosi  per  le  mani 
fanno  come  se  volessero  segare,  ed  il  penitente  deve 
alzare  mani  e  braccia. 

In  Avola  il  piede  sul  quale  cade  l'ultimo  verso  (i 
piedi  sono  undici)  non  si  ritira,  ma  si  sovrappone  al- 
l'altro dello  stesso  giocatore:  ciò  che  dicesi  colà  'nfir- 
nicciarisi,  donde  il  titolo  del  giuocb.  Quello  che  ri- 
mane Tultimo  non  si  sottopone  a  penitenza,  ma  si  grida 
e  si  mette  alla  berlina. 

In  Cianciana  il  penitente  riceve  pizzicotti  a  volontà 
del  mastro. 

Vedi  in  principio  del  volume,  p.  26,  i  canti  per  con- 
tarsi. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Una  variante  pomiglianese  è  in  Imbriani,  L,  Canzonette, 
n.  XXXVII  e  nota  37,  p.  30;  una  abruzzese  in  Db  Nino,  lì, 
n.  XXIX:  Fare  a  Pitte  pitelle;  una  di  Toscana  :  Pisa  pi- 
sella;  ed  un'altra,  simile  in  sul  principio,  la  quale  il  Dal- 


A  MILIA  PAPPANA  235 

MEDICO  riferisce  a  pp.  38-39  del  suo  Libro  per  le  mam- 
mine; una  marchigiana  in  Gianandrea,  n.  8:  Piede  e  pie- 
della;  una  ferrarese  di  Pontelagoscuro  in  Ferraro,  La  re- 
gina, dove  Tultima  rimasta  (il  giuoco  è  tra  ragazze)  è  ad- 
omata da  regina.  In  Venezia  trova  riscontro  nel  Sior  An- 
tonio Pegorin,  n.  28  del  Bernoni,  e  nella  Pea,  giuoco  e- 
gualmente  veneziano  descritto  dal  Boerio,  p.  484. 

In  S.  Eusanio  del  Sangro  negli  Abruzzi  lo  stesso  giuoco 
si  fa  col  titolo  A  ppide  petùgne  e  coi  versi  seguenti  rac- 
colti dal  Finamore: 

Pide  petugne 
Lu  mése  de  ggiugne. 
La  bbèlla  pezzétta, 
Cununare  Mari'  e  Ssusànne. 
Catinèlle  pljjele  lu  schiòppe, 
E  bbùttele  'n  dèrre. 
E  echi  ère  la  la  cchìù  bbèllef 
La  cchìù  bbèlla  fu  ccacciàte; 
E  ssuflja  maretate 
E  oche  ffa  lu  tricch*  e  ttracche, 
Rógne  de  pere*  e  mmustacce  de  batte  (Ined.). 

Milanesi  (Cherubini,  I,  31): 

Pan  vun,  pan  duu, 
Pan  trii,  pan  quatter, 
Pan  cinqu,  pan  ses, 
Pan  sett,  pan  vott, 
Panigada  e  pancott. 

Il  Boerio  (loc.  cit.)  riferisce  questa  filastrocca  contatoria, 
che  non  si  trova  in  altre  raccolte  : 

Pea,  pea,  pea, 
Son  de  dona  Ana  Marea. 
Per  cento  e  cinquanta, 
Sentai  su  una  banca. 
Per  uno,  per  do,  per  tre,  per  quatro. 


236  GIUOCHI 

Per  cinque,  per  eie,  per  sete,  per  o'o, 

Tira  drento  quel  ch*è  coto 

Qu^  cli^è  coto  a  la  romana, 

Sete  gazete  a  la  setemana. 

Palazzo,  palazzeto, 

Tira  drento  quel  bel  ochieto. 

E  quesf  altra: 

Pea  peazzòn 
De  Maria  son 
Do  che  tira,  do  che  tagia. 
Do  che  fa  capei  de  pagia, 
Per  andar  a  la  batagia. 

Al  Boerio  sembra  questa  frottola  «  una  reliquia ,  anzi  a 
meglio  dire,  un'antitesi  dell*  Inno  che  cantavasi  ed  inse- 
gnavasi  da'  Gentili  in  oiiore  di  Apollo,  detto  appunto  dai 
Greci  e  da'  Latini  Paean  e  italianamente  Peana  o  ^Peane, 
di  cui  è  memoria  in  tanti  autori  greci,  latini  ed  italiani.  Le 
persone  erudite  della  storia  antica  giudicheranno  se  l'Au- 
tore siasi  bene  o  male  apposto  ». 

Giova  intanto  osservare  che  questa  seconda  Pea  è  una 
variante  filastrocca  tortonese  di  p.  30. 

I  fanciulli  lucchesi  per  contarsi  e  stabilire  chi  di  loro 
debba  esser  sorteggiato  dicono: 

Pan  uno,  pan  due, 
Pan  tre,  pan  quattro, 
Pan  cinque,  pan  sei, 
Pan  sette,  pan  otto, 
Casca  in  terra  e  fa  un  botto 
Come  un  bel  salsicciotto  ecc. 

130.  A  Peppi  e  'Ntoni  Vivi-ranza. 

Molti  ragazzi  siedono  in  fila  èopra  un  muro  o  sopra 
una  lunghissima  panca,  distendendo  le  gambe  ali*  al- 


A  PEPPI  E  'ntoni  vivi-ranza  237 

tozza  del  sedile,  e  tenendole  immobili.  Il  capo-giuoco 
recita  questi  quattro  versi  toccando  quattro  gambe 
per  ciascheduno  dei  versi  a  secondo  il  cader  degli 
accenti  o ,  meglio  ,  toccando  una  gamba  ad  ogni  sil- 
laba: 

Patr  —  Antonia  —  Pipi-ranza 

Vinci  —  a  Spagna,  —  vinci  —  'n  Pranza, 

Vinci  —  a  'Lanna  —  e  lu  Perù, 

Patr'  Antoniu  —  vinci  —  tu. 

Quando  con  V  ultima  sillaba,  cioè  col  tu  finale  della 
quartina,  il  mastro  tocca  un  piede,  quel  piede  cessa 
dair  esser  disteso  e  piega  a  terra.  Il  giuoco  seguita 
sempre,  ed  i  versi  non  cessan9  finché  ci  son  fanciulli 
dalle  gambe  distese.  Quando  un  giocatore  ha  tutti  e 
due  i  piedi  nascosti,  perchè  sono  stati  toccati  dal  tu^ 
esce  dal  giuoco;  e  il  primo  ad  uscire,  aititelo  d'onore 
si  chiama  il  Re,  il  secondo  la  Regina,  il  terzo  il  Pa- 
trinutaru  (Protonotaro) ,  e  poi  il  sindaco ,  e  poi  il 
parroco,  e  il  giudice,  e  lo  speziale,  finché  scendendo 
per  la  graduata  scala  sociale  si  arrivi  al  becchino.  E 
pure  il  becchino  è  il  penultimo  ,  perchè  Y  ultimo ,  a 
cui  si  dà  il  nome  di  ccicazzara,  è  destinato  a  subire 
la  penitenza  e  la  ignominia  di  passare  sotto  il  giogo. 
I  giocatori  messi  a  due  file  di  fronte  formano  un 
arco  con  le  braccia  alzate,  sotto  il  quale  passa  il  bec- 
chino portando  a  cavalluccio  il  povero  cacazzara. 
Nel  primo  passaggio  si  grida:  Ah,  ca  passa  !  Alliscia 
alliscia  !  e  gli  archi  si  curvano  per  ispianar  le  spalle 
della  vittima.  Nel  secondo  passaggio  si  grida  :  Ah^ 
ca  passa  !  'Ratta  'ratta  !  e  gli  archi  si  mettono  a  grat- 


238  GIUOCHI 

targli ,  0  meglio  a  graffiargli  il  collo  e  le  reni.  Alla 
terza  volta  si  grida  :  Ah^  ca  passa  !  Serra  serra  !  e 
tutti  a  far  mostra  di  segarlo,  ovvero  a  stringerlo  fina 
le  braccia.  Alla  quarta  finalmente  si  grida  :  Ah  ca 
passa  !  E  qui  le  pugna  fioccano  in  modo  si  bestiale, 
che  è  una  rarità  quando  il  cacazzara  non  corra  a  casa 
piangendo.  Egli,  del  resto,  rappresenta  Tuomo  timido, 
vile. 

Questa  è  la  forma  più  importante,  perchè  più  com- 
pleta e  più  chiara,  del  giuoco  secondo  la  maniera  onde 
si  esegue  in  Chiaramonte.  Altrove  esso  è  più  breve 
e  i  versi  diventano  più  o  meno  incomprensibili.  In 
Mazzara  son  questi  : 

Pappa  Antonia  Viviranza, 
Pigghia  guerra  e  pigghia  Pranza, 
E  la  Pranza  guerra  e  pu, 
Peppa  Antonia  vintidù. 

In  Palermo  : 

Peppi  e  'Ntoni  Vivilanza, 
Ed  ognunu  veni  'n  Pranza; 
Pranza  la  verrà  e  prù  : 
Peppi  'Ntoni  e  Vintignù! 

Altrove  i  versi  intermedi  son  questi  : 

Pigghia  pedi  e  pigghia  pranza 
E  la  pranza  pedi  e  pù  ecc. 

Preferibili  come  li  dicono  le  ragazze  di  Ragusa  Infe- 
riore sono  i  versi  : 

Peppi  Antonia  ri  Vulanza, 
'Nti  la  verrà  ha  picca  sprànza, 
E  fa  verrà  a  tu  pri  tu, 
Peppi  Antonia  vinci  tu. 


A  PEPPI  E  'ntoni  vivi-ranza  239 

La  ragazza,  il  cui  ultimo  piede  rimane  stirato,  dovrà 
esser  bendata,  e  le  altre  gridano  : 

—  Cummari,  chi  circati  ? 

—  A  *ugghia  e  'u  j itali, 

—  Ora  cci  *u  ricu  a  vescia  cummari 
Ca  pirdistivu  'a  'ugghia  e  'u  jitali. 

E  il  giuoco,  che  suole  farsi  anche  come  modo  di  scelta 
di  chi  deve  andar  sotto  ,  si  dice  :  Assittàrisi  a  culu 
piùddicinu. 

In  Mazzara  quegli  su  cui  finisce  l'ultima  parola,  la 
prima  volta  incrocicchia  i  piedi,  la  seconda  li  mette 
uno  dietro  Y  altro ,  la  terza  esce  fuori  del  giuoco.  Il 
mastro  tocca  entrambi  i  piedi  anche  quando  sono  in- 
crocicchiati, ma  ne  tocca  quel  solo  che  sporge  quando 
l'uno  è  dietro  V  altro.  Quando  finalmente  rimane  un 
solo  ragazzo  ,  il  mastro  gli  domanda  se  voglia  pane 
nero  o  pane  bianco  ;  se  risponde  pane  nero,  tutti  lo 
picchiano. 

La  penitenza  di  questo  giuoco  è  un  giuoco  esso 
stesso.  Vedi  Ah!  ca  passa  lu  diavulu! 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Su  questo  giuoco  vedi  lo  studio  sui  giuochi,  che  fa  da 
prefazione  al  volume. 

Una  descrizione  di  esso  giuoco  è  anche  nei  Canti  pop.  sic. 
V.  II,  p.  25;  canto  774  e  nota  2. 

Una  variante  abruzzese  de*  quattro  versi  è  questa  di  Roc- 
caraso  (Db  Nino,  v.  II,. p.  94): 

Peppantonie  vinni  ranni, 
Pagliarolo  e  piglia  pranze 
Piglia  pranzi  de  barbabiù^ 
Peppantonie  e  vintidùt 


240  GIUOCHI 

131.  Ah  1  ca  passa  lu  diavulu  l 

(Con  tavola) 

Molti  ragazzi  si  dispongono  in  due  file,  gli  uni  rim- 
petto  agli  altri  alzando  le  braccia  e  legando  le  mani 
in  guisa  da  formare  la  galleria  d'un  ponte  (vedi  ta- 
vola, nn.  1-1). 

Il  mastro  piglia  addosso  un  ragazzo  o  a  cavalluccio 
o  seduto  sulle  proprie  spalle  in  modo  che  le  gambe 
di  lui  penzolino  sul  petto  (n.  2)  e  passa  sotto  V  arco 
in  mezzo  a'  giocatori;  e  dal  nome  di  lui  dice  :  Passa 
san  Giuvanni,  a  cui  gli  altri,  dandogU  un  leggiero 
pugno  sulle  reni,  rispondono  :  E  la^samulu  pa^sari. 
Il  mastro  ritorna  dall'altra  estremità  dicendo  :  Passa 
(p.  e.)  ^S'.  Giuseppi ,  e  gli  altri  col  pugno  :  E  lassa- 
mulu  passari.  Dopo  che  il  mastro  è  passato  per  sei 
od  otto  volte  sicuramente  e  senza  ostacolo  traspor- 
tando tre,  quattro  coppie,  dice  :  Ah  !  ca  passa  lu  Dia- 
vulu\  e  tutti  i  ragazzi  sotto  il  ponte  danno  addosso 
non  solo  al  povero  diavolo,  ma  anche  al  mastro,  che 
non  ha  nulla  da  fare,  avendo  le  mani  strette  a  quelle 
del  compagno,  che  altrimenti  andrebbe  per  terra. 

In  Avola  per  ognuno  che  il  mastro  passi  a  caval- 
luccio dice  :  Una  lampicedda^  p.  e.,  a  Sani'  Antoni 
(una  lampadina  a  S.  Antonio). 

In  Cianciana  chiamasi  Lujocu  di  lu  diavulu.  Il  ma- 
stro dice  :  Chissu  chi  è?  V  altro  risponde  :  S.  An- 
tuninu.  —  Avanti  ! 

Nel  secondo  passaggio  dice  :  San  Giuseppi,  e  via 


A  TILA  TILA  TILA  241 

di  seguito,  fino  a  dire  Lu  diavulu;  e  allora  tutti  ad- 
dosso al  diavolo. 

Questo  giuoco  è  né  più  né  meno  la  penitenza  del 
giuoco  Peppi  e  'Ntoni  Vivi-ranza, 

Nella  nostra  tavola  formano  l'arco  sotto  il  quale  ha 
da  passare  il  diavolo  otto  ragazzi  (nn.  1  -  1). 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Una  certa  analogia  ha  con  Le  porte  di  Venezia  (Bbrnoni, 
n.  46)  e  col  Paniti  paniti  paniti  di  Rovigno  nell'  Istria, 
(IvE,  p.  284). 

132.  A  Tila  tila  tila. 

[Con  tavola) 

In  Ciminna  e  Ventimiglia  è  detto  anche  A  tila  ti- 
lanna;  in  Riesi  A  la  tila;  in  Cianciana  0  di  celu  e  celu! 
in  Mazzara  A  la  fiddruzza  e  mezza;  in  altri  comuni 
A  lu  mircanti. 

Vari  fanciulli  si  contano,  e  i  primi  due  di  essi  sui 
quali  cade  il  conto  sono  capo  e  sotto-capo  ;  tutti  si 
prendono  per  le  mani,  e  fanno  una  lunga  catena,  le 
cui  estremità  son  tenute  dall'  uno  e  dall'altro:  ciò  si 
dice  mettersi  manu-manuzzi.  Il  capo-giuoco  (n.  1)  fa 
con  Taltro  capo-fila  (n.  2)  questo  dialogo  cantando: 

1  —  Tila  tila  tila  ! 
2  —  Menza-canna  di  tila: 

1  —  A  quantu  mi  la  pagati  ?  ^ 

2  —  A  tri  tari  e  menzu. 

1  —  Nun  vi  la  pozzu  dari. 
Chi  vuliti  sunatu: 
Lu  viulinu  o  la  grancàscia? 

Q.ViTsà,'-^ Giuochi  fanciulleschi  16 


242  GIUOCHI 

Se  il  sotto-capo  dice:  viulinu,  allora  il  capo-giuoco 
tenendo  con  una  mano  il  compagno  va  facendo  col- 
Taltra  ad  arco  di  violino  sul  braccio  opposto  accom- 
pagnando l'atto  col  suono  zu.zu  zu!  Se  invece  rispon- 
de: grancàscia,  il  capo  va  battendo  e  gridando  huhm 
buhm!  Intanto  tira  per  mano  il  compagno  e  quindi 
gli  altri  attaccati  ad  esso  ;  gira  per  passare  sotto  le  a- 
scelle  dei  primi  due  dell'altro  estremo  e,  sempre  attac- 
cato alla  mano  del  compagno,  va  a  mettersi  al  pro- 
prio posto.  È  chiaro  che,  cosi  facendo,  il  secondo  gio- 
catore resta  voltato  indietro  (n.  3).  Si  ricomincia  il 
Tila  tua  tua,  e  si  torna  a  passare  sotto  le  ascelle  del 
secondo  e  del  terzo  in  guisa  che  anche  costui  rimane 
voltato  (n.  4).  Lo  stesso  per  gli  altri.  Quando  son  tutti 
voltati  airindietro  colle  bracciatese  e  legate,  si  muovon 
di  conserva  a  camminare:  i  capi-fila  a  faccia  avanti, 
gli  altri  al  contrario;  finché  non  potendone  più  si  bi- 
sticciano tutti  e  s'inseguono,  ed  il  giuoco  ha  fine. 

Questa  è  la  forma  più  comune;  ma  essa  ha  parec- 
chie varianti  nelle  varie  province  dell'isola,  e  richiama 
a  qualche  circostanza  ed  atto  del  giuoco  Mànnirae 
Lupa  (cfr.  n.  134). 

In  Avola  si  fa  tra'  due  questo  dialogo: 

1  —  Oh  di  lu  capu  !  quant'è  ssa  tila  ? 
2  —  Tri  canni. 

1  —  A  cui  la  porti  ? 

2  —  A  la  Madonna. 

1  —  Chi  ti  duna  ? 

2  —  Pàssuli  e  ficu. 

1  —  N'aviti  acci? 

2  —  Gnursi. 


A  TILA  TILA  TILA  243 

1  —  Cui  muriu? 

2  —  Màsciu  Antuninu. 

1  —  Cci  sunamu  lu  zugalinu. 

E  allora  tutti  i  fanciulli  si  mettono  ad  agitare  Tayam- 
braccio  destro  sul  sinistro  a  guisa  d'arco  di  violino, 
accompagnando  quell'atto  col  suono:  zu  zu  zu  zu! 

In  Cianciana  tra'  capi-fila  si  dice: 

1  —  0  di  celu  e  celu  ! 

2  —  Chi  cumanna  ssu  celu  ? 

1  —  Quanta  pani  cc'è  supra  la  banca  ? 

2  —  Un  pani  e  mezzu. 

1  —  L'àutru  mezzu  cu'  si  lu  mancia? 

2  —  Ssu  canuzzu  ch'aviti  a  lu  giru. 

Il  capo -fila  chiede  al  compagno  più  vicino:  Chi  vó'  sit- 
naJtul  ecc.  Quando  tutti  1  giocatori  hanno  avuto  la 
medesima  sorte  d'esser  voltati  con  la  faccia  indietro, 
i  due  capi-fila  tornano  a  parlare: 

1  —  Aviti  vistu  'na  rètina  di  muli  ? 
2  —  Cumpà',  li  vitti. 

1  —  Com'eranu  ? 

2  —  Senza  capistri. 

1  —  D'unni  pigliàru  ? 

2  —  A  jiri  ddocu  *; 

e  r  ultimo  a  dir  queste  parole  indica  una  direzione 
qualunque.  In  questo  i  ragazzi  si  lasciano,  e  nitrendo 
{jiniannu)  assaliscono  il  sotto-mastro,  il  quale  retro- 
cede e  cerca  di  ghermirne  qualcuno.  Retrocedono  anche 
essi  e  corrono  alla  sbarra^  e  chi  è  raggiunto  e  gher- 

*  !•  Donde  presero?  (andaron  via?)  — 2o  Di  verso  costà  (o  colà)» 


244  GIUOCHI 

mito  deve  portarle  a  cavalluccio  fino  alla  meta  il  gher- 
mitore. 

In  Mazzara  il  capo-giuoco  fa  da  un  lato  col  capo-fila 
del  lato  opposto  il  seguente  dialogo  : 

1  —  A  la  fiddruzza  e  mezza, 
Quantu  pani  c'è  a  la  banca  ? 
2  —  Una  fiddruzza  e  mezza. 

1  —  E  l'àutra  mezza  cu*  si  la  mangiau  ? 

2  —  Lu  curnutu  di  .... 

e  nel  dar  questa  risposta  il  capo-fila  nomina  il  ragazzo 
che  tiene  per  mano,  a  cui  il  mastro  domanda  quale 
strumento  vuole  che  si  suoni.  Se  sceglie,  p.  e.,  il  tam- 
buro, il  mastro  e  gli  altri  battono  il  tamburo  e  pas- 
sano, uniti  come  sono,  sotto  le  ascelle  del  capo-fila 
del  lato  opposto  e  del  ragazzo  che  egli  tiene  per  mano, 
come  nel  Tila  tila  descritto.  Il  dialogo,  la  sonata,  il 
giro  si  ripetono  tante  volte  quanti  sono  i  ragazzi,  meno 
i  capi-fila,  che  restano  in  avanti  mentre  gli  altri  sono 
con  le  spalle  voltate  e  le  braccia  incrocicchiate.  Il 
capo-giuoco  allora  fa  quest'altro  dialogo  col  capo-fila: 

1  —  A  cu'  havi  curdicedda  ? 
2  —  Vi  la  vinnu  jeu. 

1  —  A  quantu  ? 

2  —  A  tri  grana;  scorcia  d'ovu. 
1  —  Ad  un  granu  mi  la  dati  ? 

Tra  si  e  no,  si  conviene  sul  prezzo,  a  condizione  che 
la  funicella  sia  forte,  e  per  provarla  tirano  dall'  una 
e  dall'altra  parte  con  più  forza  che  possono,  di  guisa 
che  i  ragazzi  si  dividono  in  due  o  più  parti.  E  qui 
compratore  e  venditore  si  bisticciano  dicendo  Tuno 


A  LU  ZU  PICURARU  245 

che  la  funicella  è  fracida,  e  Y  altro  che  è  forte,  e  fi- 
nalmente si  accordano  di  provare  il  resto.  Tirando 
come  la  prima  volta,  gli  altri  ragazzi  che  si  tengono 
ancora  uniti  si  dividono ,  e  gridano  di  voler  essere 
pagati;  ma  il  compratore  ricusa  di  voler  pagare  roba 
fracida,  onde  danno  tutti  addosso  a  lui,  che  però  scappa 
e  ne  busca  e  ne  dà  anche  quante  più  ne  può. 

Nel  giuoco  A  la  tUa  di  Riesi  le  fanciuUine  si  pren- 
dono per  le  mani,  e  tutte,  meno  le  due  mastre  che 
stanno  a*  due  capi,  si  voltano  sin  da  principio  indietro. 
Le  mastre  negoziano  la  tela,  e  per  provarne  la  sal- 
dezza allungano  la  catena  facendo  provare  stiramenti 
alle  malcapitate  compagne. 

Variante  che  merita  d'esser  riferita  a  parte  è  questa: 

133.  A  lu  ZU  Picurani. 

In  Polizzi  il  mastro  fa  da  pecoraio  e  il  capo-fila  op- 
posto chiama  : 

0  zu  picuraru,  datimi  li  chiavi; 

ma  il  pecoraio  non  risponde  fingendosi  addormentato; 
il  capo-fila  toma  a  chiamare  : 

0  ZU  picuraru,  datine  li  chiavi! 
Ed  il  pecoraio  : 

Nun  r  haju,  cà  su'  jittati  a  mari. 
E  il  dialogo  prosegue  cosi  : 

C.  —Coi  mannati  a  un  picciutteddu  pi  pigghialli. 
P.  — Nun  haju  a  cu'  cci  mannari. 
C.  —Vi  dugnu  'na  porta  d' oru. 
?.  — Nu  uni  vògghiu,  cà  nn'  haju. 


246  GIUOCHI 

E  cosi  il  capo-fila  offre  ora  uno,  ora  altro  dono,  che 
il  pecoraio  rifiuta ,  finché  chiedendogli  :  Altura  chi 
viUiti  sunatu  ?  1  compagni  gli  passan  sotto  le  >ascelle 
e  lo  voltano  indietro. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nel  giuoco  pomiglianese  Allonga-catene,  Imbriani,!».  Con- 
zonette  infantili  pomiglianesi ,  p.  29,  nota  34 ,  si  ha  ima 
modificazione  del  Tila  tila  tila,  I  due  capi-fila  fanno  que- 
sto dialogo: 

—  Ohi,  cummà  1 

—  Ohi,  'gnò  1 

—  Pe'  chi  serre  t 

—  P'  'a  renne. 

—  Ch'  ha  fatte  t 

—  *0  flgliule. 

—  Quante  è  luonghe? 

—  *Na  maneche  e'  paletta. 

^-  Passa  pe'  sotto  a  la  mmia  barretta. 

Nel  Pertica  longa  di  Benevento ,  Corazzini  ,  Componi- 
menti minori  della  Letteratura  popolare ,  p.  100,  i  ragazzi 
tenendosi  per  le  mani  fanno  una  lunga  fila,  e  il  primo  fa 
il  diatogo  con  l'ultimo,  sin  che  a  coro  cantano  gli  ultimi 
due  versi  : 

—  Ohi  cummà  I 

—  Ohi  'gnò. 

—  Dammi  'na  fronna  e  petrusino. 

—  Pe  chi  serve? 

—  Pe  'na  figliata. 

—  Ch'  è  fatto  t 

—  *U  mascolo. 

—  Quanto  è  gruosso  t 

—  Quanto  'na  manica  é  paletta; 

—  Passa  pe  sotto  la  mia  barchetta, 
Angiulella  la  cannaruta. 


A  LU  ZU  PICURARU  247 

Sotto  il  nome  di  La  Chelónne  in  S.'Eusanio  del  Sangro 
(Abruzzo  Chietino)  le  fanciulle  giocano  prendendosi  come  tra 
noi  per  mano,  e  facendo,  prima  ed  ultima,  questo  dialogo: 

—  A  cummare 
Che  sci  fatte  t 

—  Hajje  fatte 

Nu  Gitele  mascule. 

—  Quand'  è  llònghe  ? 

—  'Gné  'na  chelónne. 

—  Quand'  è  strétte  ? 

—  'Gne  'na  bbarrétte. 

—  Truzzi,  cummara, 
Marija  'Culétta  (Ined.) 

E  succede  il  solito  passaggio  sotto  le  ascelle  (Finamore,  ms.). 
Nel  giuoco  fiorentino  S,  Caterina,  non  mai  fin  qui  pub- 
blicato, dopo  un  dialogo  con  S.  Margherita  e  poi  con  S.  Ca- 
terina ,  una  bambina  per  avere  strappato  il  filo  è  incate- 
nata con  3200  catene.  Le  bambine  si  tengono  tutte  per  la 
mano,  ed  a  giro  tocca  a  tutte  di  essere  incatenate,  ciò  che 
fanno  le  compagne  passando  sotto  le  ascelle  della  condan- 
nata. AlFultimo  S.  Margherita  e  S.  Caterina  danno  le  pe- 
nitenze. Il  dialogo  suona  cosi  : 

—  Santa  Margherita, 
Cosa  fate  ? 

—  Colgo  r  uva  spina. 

—  Per  chi  t 

— Per  S.  Caterina.  • 

—  Cos'ha  fatto? 

—  Un  bimbo  I 

—  Quanto  è  lungo  ? 

—  Quanto  im  colombo. 

—  Quanto  è  largo  ? 

—  Quanto  una  cassetta. 

—  Santa  Caterina,  me  la  fate  la  tela  ? 

—  Si  è  strappato  un  filo  di  seta. 


248  GIUOCHI 

—  Chi  è  stata  la  cagione  t 

—  La  Zeferina. 

—  La  Zeferina  sarà  incatenata  con  3200  catene.  (Liei,) 
Questo  giuoco  è  molto  simile  a  quello  toscano  intitolato 
La  tela.  Il  giuoco  ferrarese  La  Rete  (Ferraro,  Canti  po- 
polari di  Ferrara,  Cento  e  Pontelag oscuro,  p.  140)  si  ese- 
gue come  il  nostro,  e  i  versi  son  questi  : 

—  Tira  la  red. 

—  A  rho  tlrada. 
— Fagh  un  gróp. 

—  Agh  r  ho  fatt. 

—  Fagh  'n  aitar. 

—  Agh  al  farò. 

—  Tira  la  red 
Ch*  a  passarò. 

Simile  ò  anche  il  giuoco  monferrino  A  teira  (Ferraro, 
Cinqiuinta  Giuochi  ecc.;  Archivio,  v.  I,  p,  126-127),  dove 
il  dialogo  s'inizia  cosi  : 

Teira,  bela  teira, 
Sa  peis  au  pò  aveira, 
Aureiva  msirène  in  toch. 

Quasi  identico  al  nostro  è  il  Destirè  le  vele  veneziano 
(Bernoni,  Giuochi  pop,  ven.,  n.  48).  Tra'  due  attori  prin- 
cipali si  fanno  le  seguenti  proposte  e  risposte  : 

—  Destirè  le  vele. 

—  Le  gò  distirae. 

—  Feghe  un  gropo. 
•         —  Lo  gò  fato. 

—  Feghene  un  alti'o. 

—  Lo  farò. 

—  Passe  per  sto  buso  che  gò. 
I  compagni  cantano  in  coro  : 

El  sìor  Bepl  incadenato, 
Olà,  olà,  olà.  (bis). 
Veggasi  il  seguente  giuoco: 


A  MANNIRA  E  LUPU  249 

134.  A  fiUànnirà  e  lupu. 

Molti  ragazzi  (o  anche  ragazze)  si  attaccano  per  mano, 
in  guisa  da  formare  una  lunga  fila  :  il  primo,  ch'è  il 
capo-giuoco,  fa  da  curàtulu ,  cioè  da  fattore,  ed  ap- 
poggia al  muro  la  mano  che  ha  libera  si  da  dar  luogo 
ad  una  specie  di  ponte;  l'ultimo  della  fila  è  picuraru 
e  chiama  a  voce  alta  : 

Picur,  0  di  la  mànnira! 
Curai,  0  chi  buliti? 

Picur.  Mi  faciti  passari  sta  guardia  di  pecuri  ? 
Curat,  Ce*  è  lu  cani. 
Picur,  Gei  dugnu  un  pezzu  di  pani. 
Curat,  E  si  veni  lu  lupu  ? 
Picur,  Gei  damu  tutti  di  supra. 
Curai,  *Nca  passati! 

E  il  pecoraio  si  avvia,  e  avviandosi  a  passare  sotto 
l'arco  fatto  dal  braccio  del  curàtulu,  trascina  dietro 
a  sé  tutti  gli  altri ,  che  ripetono  con  lui  :  Vili-vUò^ 
vili'Vilò,  vili-vilò  !  Continuando  i  giri,  il  curatiUu  si 
trova  in  mezzo  alla  catena  di  ragazzi  addossati  l'uno 
air  altro  ;  e  allora  compita  la  catena  ed  ognuno  pre- 
mendo ,  accade  che  alcuno  si  dolga,  e  svincolandosi 
cerchi  scappare  :  qui  tutti  addosso  a  lui  con  le  voci  : 
A  lu  lupu  !  A  lu  lupu  !  e  stringendoglisì  di  più  at- 
torno, lo  fanno  strillare. 

Poi  la  catena  si  scioglie,  ed  il  giuoco  ricomincia. 

Questa  versione  è  stata  raccolta  in  Borgetto. 


250  GIUOCHI 

135.  A  Signura  Donn'Anna  Maria. 

{Con  tavola) 

Giuoco  specialmente  da  bambine. 

Si  fa  al  tocco  e  chi  sorte  va  sotto  inginocchiandosi  : 
le  altre  giocatrici  (o  gli  altri  giocatori)  in  piedi ,  le 
posano  le  mani  sul  capo,  e  la  mastra  o  mamma  gi- 
rando lentamente  intorno  a  tutte  con  una  certa  canti- 
lena fa  il  seguente  dialogo  con  la  inginocchiata,  che 
si  chiama  DonrCAnna  Maria  : 

Mastra       Signura  Donna  Maria, 
D.  A,  Maria  Ora  chi  voli,  vossignuria? 
Mastra  Io  vogghiu  'n*  agnidduzzu  : 

D.  A,  Maria  Vassa  si  pigghia  'u  megghiu  chi  ce'  è. 
Mastra  Io  mi  scantu  di  lu  canuzzu. 

D.  A,  Maria  Lu  canuzzu  'un  cci  fa  mali  1 
Mastra  Passiddà,  cani,  appressu  di  mia! 

E  cosi  dicendo  la  mastra  batte  con  la  mano  leg- 
germente quella  della  giocatrice  che  le  è  più  vicina, 
e  che  le  si  attacca  alla  veste  e  le  tien  dietro.  Rico- 
mincia il  dialogo,  e  finisce  con  la  stessa  battuta,  per 
la  quale  una  seconda,  una  terza  giocatrice  s'  attacca 
agli  abiti  della  terza ,  o  della  quarta  compagna,  che 
viene  facendo  coda  alla  mastra.  Quando  Donn'Anna  Ma- 
ria resta  libera,  la  mastra  le  posa  sul  capo  alquanti 
sassolini  e  le  dice  :  Cerca  V  aùgghia  e  lu  Jiditali;  ma 
mentre  quella  si  muove  per  cercar  V  ago  e  il  ditale, 
i  sassolini  le  cadono,  ed  essa  balza  in  piedi  adirata 
cercando  di  chiappare  una  delle  compagne  che  paghi 


A  SIGNURA  BONN  ANNA  MARIA  251 

per  lei  la  penitenza.  E  qui  le  giocatrici  a  fuggire  per 
salvarsi  toccando  dove  muro,  dove  ferro,  dove  legno. 
Chi  vien  presa,  riceve  tanti  pugni  sulle  spalle  quante 
son  le  giocatrici,  se  nessuna  propone  e  concede  per- 
dono. Dopo  ciò  ,  essa  rimane  sotto  e  deve  chiappare 
un'altra  compagna. 
In  Mazzara  il  dialogo  varia  in  questa  maniera  : 

Mastra     A  la  Signura  Donn'Ànna  Maria  ! 

B,  A  Maria  Ora  chi  voli  voscenza  di  mia? 

Mastra         Quali  canuzzu  mi  vuliti  dari? 

B, A, Maria  Chiddu  chi  piaci  a  vussignuria. 

Mastra         Tira,  canuzzu,  appressu  di  mia. 
Quando  non  resta  più  nessun'  altra  ragazza  da  tirare 
a  sé,  quella  che  è  ginocchioni  conchiude  : 

—  Nun  haju  cchiù  nuddru,  e  pigghiativi  a  mia. 

E  allora  tutte  le  bambine  le  si  avventano  addosso  ti- 
randola, picchiandola,  urtandola. 

Il  dialogo  in  Chiaramente  ha  questa  variante  : 

Mastra  E  iu  vuoggiu  'n'agnidduzzu. 
B,  Maria  E  piggiàtivi  'u  cciù  bidduzzu. 
Mastra      E  mi  scantu  r'  'o  canuzzu. 
D.  Maria  Lu  canuzzu  'un  muzzichia. 
Mastra      Tira,  agnidduzzii,  appriessu  ri  mia  ! 

E  «  Tagnidduzzu  »  si  stacca  dal  cerchio  e  segue  la  co- 
mare, che  ad  una  dopo  che  all'altra  chiede  un  capret- 
to, una  pecora,  un  montone,  e  poi  la  secchia  pel  latte, 
e  poi  le  caldaie ,  e  ripetendo  sempre  il  dialogo.  Ri- 
masta sola  la  inginocchiata  si  presenta  a  colei  che  le 
ha  tolti  i  capretti  e  gli  agnelli,  e  le  dice: 

Mi  coi  manna  'u  Signuri  Rre, 

Vo'  'na  scocca  ri  basilico. 


252  GIUOCHI 

L'altra  si  confonde,  e  additando  ad  una  ad  una  le  bim- 
be, dice  :  Chista  mi  scupa  'a  càrmnira  —  Chista  mi 
conza  'u  liettu  —  Chista  rrC  adduma  'u  luci  —  Chista 
mi  fa  'a  spisa,  e  via  di  seguito:  e  in  tal  modo  non  vuol 
cedere  neanco  una  del  seguito,  e  D*  Maria  insiste  più 
vivamente,  finché,  fra  un  trambusto  generale,  vengono 
ad  accapigliarsi. 

In  Riesi  quando  tutte  han  fatto  coda  alla  mastra, 
questa  fa  con  V  altra  il  dialogo  del  giuoco  Cani  ca- 
nuorvu  (n.  99),  intanto  che  le  altre  bambihe  tutte  imi- 
tano i  latrati  del  cane. 

In  Polizzi  gli  ultimi  due  diventano  tre  versi  : 

—  Lu  canuzzu  sta  durmennu. 

—  Tira,  cani,  appriessu  di  mia, 
Veni  oca,  canuzzu,  cu  mia  ! 

E  in  Noto  : 

B.Maria  Lu  canuzzu  'un  vi  fa  nenti. 
Mastra      Passi,  cani,  'mmezzu  *i  jimenti. 

(Cfr.  PiTRÈ,  Canti  popoL  sic,  n.  791  e  nota).  Un  po' 
differente  è  in  Erico  il  dialogo: 

Mastra  Allallù. 
D.Maria  Chi  vò'  tu? 
Mastra    Vogghiu  l'agneddu. 
D.Maria  Sàuta  e  pigghiati 
Lu  cchiù  beddu. 

All'Etna  è  detto  Jocu  di  lu  picuraru,  e  il  dialogo 
è  questo: 

Mastra  0  Signura  donn'Anna  Maria. 
D.Maria  E  chi  voli  vossia  di  mia? 


A  SIGNORA  DON&'ANNA  MARIA  253 

Mastra    Io  vogghiu  du'  limoncelli. 
BMaria  Va  pigghiativi  li  cchiù  belli. 
Mustra    E  iu  vogghiu  'n*  agnidduzzu, 

E  mi  scantu  di  lu  canuzzu. 
D.Maria  Vossia  trasi  tutta  cuntenti, 

Cà  lu  cani  non  vi  fa  nenti. 
Mastra    Veni,  cani,  d'  appressu  di  mia  ! 

La  nostra  tavola  rappresenta  nove  giocatori  :  uno 
che  fa  da  capo-giuoco  (n.  1),  il  quale  girando  attorno 
a  D*  Anna  Maria,  che  è  ginocchioni  (n.  2) ,  s'  è  fatto 
venir  dietro,  uno  dopo  l'altro,  due  agnellini  (nn.  3  e  4), 
mentre  cinque  altri  stanno  tuttavia  con  le  manine  pog- 
giate sull'inginocchiato  aspettando  d'esser  chiamati  a 
far  coda. 

Si  ravvicini  al  giuoco  A  Nia  nia  nia. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Molto  simile  al  nostro  è  un  giuoco  calabrese  descritto 
dal  Ferraro  sotto  il  n.  3  della  sua  Raccolta  di  Giuochi 
fanciulleschi  monferrini;  e  quasi  il  medesimo  è  il  Juocu 
e  Annamaria,  per  la  prima  metà  (Mango,  Arch,  v.  I,  p. 
239,  n.  XXVI  e  v.  II,  pag.  175).  Tonninola  Tonninola  è  il 
cominciamento  d'  una  filastrocca  napoletana  che  accom- 
pagna questo  giuoco  (Casetti-Imbrianx,  II,  407;  Corazzini, 
pag.  86),  al  quale  si  fa  corrispondere  per  la  Toscana  il  Far 
coda  romana ,  mentre  il  giuoco  di  questo  nome  descritto 
del  Villani  non  ci  ha  nulla  da  vedere.  Tata  Milone  è  detto 
negli  Abruzzi  (Db  Nino,  v.  II,  n.  XXIV)  e  in  Sant'Eusanio 
del  Sangro  trova  riscontro  in  un  giuoco  inedito  Chi  ce  sta 
déndr^  a  ssanda  Chiare,  La  Madonna  Pollinara  delle 
Marche  (Gianandrea,  n.  19)  comincia  come  il  nostro,  che 
in  Parma  dicesi  Zugar  a  la  ciozza  e  i  polsèn;  in  Brescia 


254  GIUOCHI 

A  login  logia  y  e  A  longa  terena;  in  Padova  A  le  eoe;  in 
Venezia  A  taca  taca  (Boerio),  e  con  qualche  differenza  El 
mio  costei  xè  belo  e  La  Madona  de  la  Guardiana  (Ber- 
noni,  nn,  39  e  37);  in  Piemonte  A  la  longa  longhera  (San- 
t'  Albino)  ;  nel  Monferrato  Madama  Firusela  (Ferraeo, 
n,  3). 
Ed  ecco  una  variante  fiorentina  del  nostro  giuoco  : 

Madama  pollaiola. 

Si  finge  un  pollaio ,  i  bambini  son  polli ,  il  capo-giuoco 
Madama  pollaiola  ;  un  bambino  fa  il  ladro ,  o  la  ladra,  e 
tutti  gli  si  attaccano  dietro  perchè  porta  via  un  pollo. 

Ecco  il  loro  dialogo  : 

—  Madama  pollaiola, 
Quanti  polli  ha  nel  pollaio? 

—  Quanti  ce  n'  ho,  e  quanti  ne  avevo, 
Me  ne  tengo  infln  che  n'  ho. 

^Dammane  uno  per  mio  vantaggio. 
Che  son  sempre  sola  sola. 

—  Scegli  scegli  quale  ti  pare: 
n  più  bello  lasciamelo  stare. 

—  n  più  bello  che  ci  sia 

Te  lo  voglio  portar  via.  (InedU) 

136.  A  Santa  Catarina. 

Ecco  come  fanno  questo  giuoco  le  fanciulline  di 
Riesi. 

Molte  bambine  prendono  ciascuna  il  nome  d'  una 
pianta  o  d'  un  fiore  :  menta,  pitrusinu,  gàlofaru  ecc. 
e  si  siedono  in  lunga  linea  Tuna  dietro  l'altra  in  terra. 
La  mastra  sta  seduta  in  testa,  ed  un'  altra  che  finge 
missàggiera  del  re  ha  in  mano  due  giammariti  {eoe- 


A  SANTA'  CATARINA  255 

ci)  e  le  va  battendo  piano  piano ,  e  girando  intorno 
alla  mastra  dice  : 

Unni  sta  Santa  Catarina? 
Manna  ccà  lu  re  e  la  riggina  : 
Voli  un  gadduzzu  e  *na  puddastredda. 

La  mastra  risponde  : 

Va  jiti  darre  la  ma  menta. 

La  messaggiera  torna  a  battere  e  a  domandare  alla 

seconda  : 

Unni  sta  Santa  Catarina? 

Manna  ccà  lu  re  e  la  riggina  : 

Voli  un  gadduzzu  e  'na  puddastredda. 

E  la  seconda  : 

Va  jiti  darrieri  lu  ma  galofaru, 

E  cosi  di  seguito,  finché  passati  tutti  i  fiori  e  le  piante, 
Tanti-penultima  seduta  dice  : 

Va  jiti  darrieri  lu  ma  culu. 
E  la  penultima: 

Va  jiti  'nti  r  ai  di-casi.  * 
Allora  Tultima  saltando  di  slancio  grida! 

Sciù  sciù  !  ca  m'  ardi  la  casa  ! 

e  caccia  via  e  insegue  con  le  compagne  la  missag- 
giera  con  le  sue  giani'ìnariti  in  mano. 

Tornate  indietro  vanno  a  poggiare  la  testa  al  muro 
tutte  in  linea,  e  cantano  : 

Chichirichi  !  chichirichi  ! 
'  Andate  dalla  arde-case  (brucia-case). 


256  GIUOCHI 

Quella  che  gridò  sciù  sciù,  cioè  l'ultima,  passa  a  fare 
da  mastra  ed  è  già  entrata  in  possesso  di  questi  chi- 
chirichl,  cioè  galletti.  Intanto  torna  indietro  la  mis- 
saggiera  con  delle  frasche  in  mano,  e  le  chiede: 

Missag,  Cummà',  nn'  aviti  luci  ? 
Mastra.  Nnasi;  trasiti  e  pigliativillu. 
Missag,  Mi  spagna  di  li  cani. 
Mastra-  Ora  li  flermu.  * 

E  finge  di  andare  a  chiudere  i  cani,  imitando  il  gi- 
rare della  chiave  dietro  il  sedere  di  ciascuna  delle 
compagne.  Cosi  la  messaggiera  passa  loro  di  sotto, 
cominciando  dalla  prima  e  uscendo  dall'ultima;  intanto 
che  mutati  i  chichirichi  in  cani,  le  abbajano  dietro, 
e  la  inseguono. 

In  Borgetto  si  chiama  A  S.  Catarinedda.  Tutte  le 
giocatrici  sono  a  semicerchio,  la  mastra  a  capo  fila,  e 
nel  mezzo  in  piedi  la  messaggiera.  Il  dialogo  è  cosi: 

Missag,  M*ha  mannatu  lu  Signiruzzu, 

Ca  voli  un  gadduzzu. 
Mastra,  PurtativiUu. 

E  le  dà  un  gaddy^zzu^  cioè  una  compugna,  che  va  zop- 
picando. Lasciatolo  in  un  angolo,  torna  indietro  e  ri- 
pete: 

Missag,  Mi  manna  lu  Signiruzzu, 
Ca  voli  un  gadduzzu. 

Mastra,  Vi  lu  detti. 

1  Eccone  la  versione  letterale  :  Mes,  Comare,  ne  avete  fuoco  f  — 
Af.  Si,  entrate  e  prendetevelo.  —  Mes.  Ho  paura  de*  cani.  —  Af.  Ades- 
so li  chiudo. 


A  SANTA  CATARINA  J^7 

Missag.  Chiddu  era  fradiciu  e  purritu, 

Lu  jittau  supra  li  casi. 
Mastra   Nu  nn'haju  cchiù. 

Qui  cominciano  le  minacce  della  messaggiera  a  nome 
e  per  parte  del  Signore  [Signiruzzu),  e  tra  le  più  co- 
muni son  queste  : 

Missag,  Vi  manna  lu  cani. 
Mastra   Ed  eu  nun  mi  nni  scantu. 
Missag,  Vi  manna  lu  lupu. 
Mastra   Ed  eu  nun  mi  nni  scantu. 

E  cosi  minaccialo  invio  del  leone,  del  rospo,  e  di  mezza 
arca  di  Noè,  e  ne  ha  sempre  la  medesima  risposta. 
Bisogna  notare  che  ogni  nuova  minaccia  è  preceduta 
dalla  gita  della  messaggiera  presso  il  Signiruzzu  che 
si  finge  in  luogo  discosto  ,  ed  è  accompagnata  dal 
verso  deiranimale:  che  si  minaccia  l'abbaiare  del  cane 
r  ululato  del  lupo,  il  ruggito  del  leone ,  il  gracida-re 
della  rana,  e  finalmente,  ultimo  e  più  pauroso,  il  si- 
bilo del  serpente  : 

Missag.  Vi  manna  lu  sirpenti  ! 

Ma  qui  spaventata  del  sibilo  risponde  la 

Mastra:  Pigghiativillu  ! 

e  le  consegna  pel  Signiruzzu  il  galletto.  La  messag- 
giera va  via  menandolo  seco,  e  torna  a  ripetere  mano 
mano,  per  tutti  gli  altri  galletti,  lo  stesso  dialogo  e  la 
stessa  scena  fino  a  portarli  via  tutti,  i  quali  pQi  la 
mastra  tra  un  frastuono  indiavolato  va  a  ripigliare. 
Si  cfr.  col  seguente  giuoco. 

G.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  17 


258  GIUOCHI 

137.  A  Santa  Catarina  di  Sena. 

In  Mazzara  è  chiamato  solo  A  Santa  CataìHna. 

Una  ragazza  che  fa  da  mastro  siede  in  capo  ad  una 
scala,  nella  quale  ne  siedono  molte  altre  Tuna  più 
bassa  deir  altra,  di  gradino  in  gradino,  e  si  volgono 
le  spalle.  Un'altra  che  fa  da  sotto-mastra  non  siede, 
ma  stando  a  pie  della  scala  batte  le  mani  o  due  ciot- 
toli, e  domanda  a  quella  che  siede  più  giù  di  tutte: 
Bunni  sta  S.  Catarina  ?  E  quella  risponde:  Appresm. 
La  stessa  domanda  fa  successivamente  alle  altre,  e  le 
medesime  risposte  ottiene,  fino  ali*  ultima  seduta,  la 
quale  risponde: 

Susu  susu, 
Maccammi  cu  lu  fusu. 

Indi  tra  mastra  e  sotto-mastra  ha  luogo  il  seguente 
dialogo  : 

Mastra  Chi  vuliti? 

Sottom,  Lu  re  voli  un  gaddru  e  'na  gaddrina. 

Mastra  Va  pigghiàtivi  a  chiddra  pi  la  cuda. 

A  queste  parole  la  sotto-teastra  tira  per  la  gonnella 
la  ragazza  che  siede  nel  primo  scalino,  e  battendo  le 
mani  o  i  ciottoli  se  ne  va  con  lei  canterellando: 

Panicutteddru  cu  li  minnulicchi. 
A  cu  ridi  va  a  lu  'nfernu. 

La  ragazza  la  segue,  e  se  ride,  com*è  molto  facile, 
è  condotta  in  un  luogo  che  finge  esser  Tinferno;  se  no, 
è  condotta  in  un  altro  che  si  finge  essere  il  paradiso, 
Cosi  tutte  le  ragazze  che  stanno    sedute  sulla  scala, 


A  SANTA  CATARINA  DI  SENA  259 

eccetto  l'ultima,  sono  di  mano  in  mano  condotte  al 
paradiso,  ovvero  airinferno,  secondo  che  ridano  o  no. 
Quando  ne  rimane  una  sola,  avviene  tra  la  sotto-mastra 
e  la  mastra  quest'altro  dialogo: 

Sottom,  Lu  re  voli  la  gaddrina. 
Mastra  Nun  vi  la  pozzu  dari. 
Sottom,  E  pirchi? 
Mastra   Nn'haju  chista  sala, 
E  mi  servi  pi  lavari. 
Sottom,  Ma  lu  re  la  voli. 
Mastra  E  jeu  nun  vi  la  pozzu  dari. 
Sottom,  E  pirchi? 
Mastra  Pirchi  mi  servi  pi  scupari. 

E  cosi  r  una  a  insistere  e  V  altra  a  ricusarsi  per  la 
medesima  ragione  de'  tanti  servigi  domestici,  che  non 
finiscono  mai;  finché  la  sotto-mastra ,  perduta  la  pa- 
zienza, si  parte  minacciando  a  nome  del  re,  e  dicendo 
che  egli  è  padrone.  Unitasi  tosto  alle  altre  ragazze  da 
lei  condotte  al  paradiso  o  all'inferno,  vanno  tutte  con- 
tro la  mastra,  e  la  fanciulla  con  essa  rimasta,  facendo 
visacci  e  le  corna  con  le  dita  sulla  testa,  come  se  fos- 
sero diavolesse,  minacciano  di  picchiarle:  onde  le  une  a 
scappare  e  le  altre  ad  inseguire,  e  picchiarsi  tutte  a 
vicenda.  Con  siffatto  parapiglia  termina  il  giuoco,  che 
si  fa  da  sole  ragazze. 
Cosi  in  Mazzara. 

138.  A  la  Matri  Batissa. 

In  Cianciana  si  fa  il  seguente  giuoco,  che  pare  da  far 
seguire  al  precedente,  di  cui  ha  in  comune  il  motivo. 


'260  GIUOCHI 

Varie  bambine  siedono  in  terra,  in  linea;  la  mastra 
fa  questo  dialogo  con  parecchie  di  esse: 

Mastra       Santa  Catarina, 

È  ccà  la  matri  batissa? 
*  1*  Giocatr,  Susu  susu, 

Chi  fa  maccarruni  eu  lu  fusa 


E  si  alza. 


Mastra       Santa  Catarina, 

È  ccà  la  matri  batissa? 

2'  Giocatr,  Susu  susu, 

Si  sta  mittennu  la  fadetta. 


E  si  alza. 


Mastra       Santa  Catarina, 

È  ccà  la  matri  batissa? 
3'  Giocatr,  Si  sta  mittennu  lu  jippuni. 

E  cosi  di  seguito  tutte ,  nominando  la  quarta ,  la 
quinta,  fino  all'ultima  le  parti  del  vestire  donnesco.  Al- 
zate tutte,  la  seconda  dice  alla  mastra:  Vidi  ca  ti  lasm 
sii  cuddureddi  —  (o  Sii  trizzi  di  /leu,  —  o  Un  pocu 
di  viscotta):  Sta'  attenta,  'un  facernu  ca  veni  la  gatta 
e  si  li  mangia  tutti  !  e  parte.  Allora  la  prima  lascia 
tutte  od  una  delle  giocatrici,  e  comanda:  Sta'  atterda 
Sina  chi  vegnu  ij\  e  parte  anch'essa. 

La  bambina  fa  la  distratta,  guarda  in  alto,  e  dice: 
Chi  cosi  beddi  cci  sunnu  appinnuti!  piglia  qualche 
cosa  e  la  mangia;  e  ripete  i  medesimi  atti  fino  a  tanto 
che  non  abbia  mangiato  tutto;  allora  è  assalita  dalle 
compagne,  e  tutte  ridono.  (Per  quest'ultima  circostanza 
V.  il  giuoco  A  li  ficu). 

Cfr.  il  giuoco  n.  14:  A  Ttùppi  tuppi. 


A  LI  CULURA  261 

139.  A  li  Cuiùra. 

Uno  fa  da  mastro,  uno  da  Angelo  e  uno  da  Diavolo. 
Ciascuno  degli  altri  giocatori  riceve  in  segreto  un  nome 
detto  cuLuri,  che  non  è  un  vero  colore  :  verde,  rosso 
ecc.  ma  il  nome  d'  un  oggetto.  Tutti  si  accoccolano 
in  terra,  con  le  spalle  poggiate  a  un  muro.  Dopo  que- 
sto battesimo  il  mastro,  che  rappresenta  un  mercante, 
chiama^  a  destra,  l'angelo:  iVnm^M  nninghi  Vancilu! 
Nninghi  nninghi  V  ancilu  !  ovvero,  come  a  Chiara- 
monte  : 

Tringuli  tringuli 
L*auggi  e  li  spinguli  !  (bis) 

e  agita  le  mani  come  scotendo  un  campanello.  Si  muove 
l'angelo  con  le  braccia  tese  in  forma  di  ali,  e  fa  col 
mastro  il  seguente  dialogo: 

Angelo:  Vogghiu  un  culuri!  Mastro  :  Chi  culuri 
muti?  Angelo:  Vogghiu,  p.  e.,  'n'aricchina  d*  oru. 
Se  tra'  giocatori  v'  è  uno  che  ebbe  questo  nome ,  il 
mastro  dice  :  Pigghiativilla,  e  gli  consegna  Aricchina 
d'oru,  il  quale  giulivo  e  festante  balza  in  piedi  e  segue 
l'angelo;  se  Aricchina  d'oru  non  c'è,  l'angelo  va  via  a 
testa  bassa  come  mortificato. 

Indi  il  mastro  si  volge  a  sinistra  e  chiama  il  dia- 
volo imitando  colla  voce  e  con  le  mani  il  suono  d'un 
campanone.  Mastro:  Bom  bom  !  bom  borni  bom  bom! 
lu  diavulu  !  (bis);  in  Chiaramente: 

Tricchi  tracchi 
Milli  visazzi  (bis). 


262  GIUOCHI 

e  in  Palermo  : 

Tròcculi  tròcculi 

La  pasta  e  li  vròcculi. 

Il  diavolo  facendo  colle  due  mani  due  coma  sulla 
fronte ,  con  passo  caricato  e  zoppicante  e  con  voce 
grossa  da  far  paura,  chiede  al  mastro  mercante:  Vog' 
gìiiu  un  cuLuri,  M.  Chi  culurì  ì  D.  Vogghiu  'na  Seg- 
gia.  Se  la  Sedia  e'  è,  il  mercante  gliela  dà  dicendo  : 
Seggia,  vattinni  a  lu  'Nfernu  mmalidittu  ! 

Questo  dialogo  si  ripete  tante  volte  quanti  sono  i 
colori,  cioè  a  dire  i  ragazzi  che  giocano;  de'  quali  la 
maggior  parte  vengono  indovinati  e  presi  dall'angelo, 
tra  perchè  egli  è  simpatico  a  tutti,  e  perchè  qualche 
«  colore  »  che  egli  mena  seco,  conoscendo  il  battesimo 
di  qualcuno  dei  ragazzi  di  là  da  vendersi,  glielo  su- 
surra  all'orecchio. 

.Quando  non  c'è  più  nessuno  da  comprare,  il  diavolo 
colle  poche  anime  che  ha  potuto  acquistare  rimane 
esposto  agli  urti  ed  alle  picchiate  degli  eletti  al  grido  : 
Tutti  ó  diavulu!  Tutti  6  diavulu!  ed  egli  a  fuggire 
disperatamente  per  causar  la  tempesta  de'  colpi.  I  re- 
probi possono  subito  mettersi  in  salvo  andando  a  toc- 
care il  mastro,  per  cui  diventano  subito  immuni. 

Il  giuoco  si  fa  anche  tra  bambine,  e  allora  i  nomi 
sono  molto  più  gentili  che  quando  si  gioca  tra  ma- 
schi :  Mantu  di  Maria,  Campanedda  d*oru,  Curaddu, 
Pampinedda  di  nivi  ecc. 

Più  breve  di  questo   è  il  giuoco  Di  li  pignateddi.  * 
In  Mazzara,  finito  il  giuoco,  il  diavolo  piglia  a  caval- 
luccio uno  dopo  l'altro  i  dannati,  e  li  passa  sotto  un 


A  VOLA  VOLA  LU  MORTU  263 

arco  formato  dalle  braccia  tese  degli  eletti  conducen- 
doli alla  parte  opposta.  L'ultimo  designato  a  fare  da 
capro  espiatorio  rimane  fi*a  le  strette,  e  ne  tocca  da 
tutti,  in  mezzo  a'  quali  è  portato  senza  potersi  muovere. 

Nel  linguaggio  familiare,  di  persona  contro  la  quale 
tutti  si  scatenano  a  fatti  e  per  lo  più  a  parole  si  dice  : 
Tutti  ó  diavutu  !  cioè  :  tutti  addosso  a  lui  !  dagli  ! 
dagli  ! 

Si  ravvicini  al  giuoco  di  S.  Micheli. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Un'  giuoco  simile  in  Toscana  e  Piemonte  descrive  Db 
GuBERNATis,  Storia  popolare  degli  usi  funebri,  pp.  37-38, 
{Milano,  1873);  un  altro  degli  Abruzzi  il  De  Nino,  II,  p.  102; 
uno  senese  il  Corazzini,  184;  uno,  lo  stessissirao  del  nostro, 
di  Venezia  il  Bernoni,  n.  51:  /  colori,  ed  uno  analogo.  Le 
pòrte,  n.  47. 

140.  A  Vola  vola  lu  mortu. 

[Con  tavola) 

Si  fa  tra  6  ragazzi  ;  uno  fa  da  mago  ,  un  altro  da 
morto,  e  si  distende  a  terra,  chiude  gli  occhi,  sbarra 
la  bocca  e  si  mette  a  croce  le  braccia.  Gli  altri  quattro 
si  postano  ai  quattro  angoli,  accendono  quattro  moc- 
coli (e  se  non  ce  n'è,  se  ne  fa  di  meno)  e  caccian  fuori 
un  sibilo  basso  e  continuo,  a  simiglianza  de'  rettili. 
Il  mago  si  acconcia  il  capo  con  un  fazzoletto  a  foggia 
di  turbante  0  meglio  d'infula,  e  alzando  in  aria  le  braccia 
declama  i  seguenti  versi: 

E  unu,  e  unu,  e  unu  I 
Canta  gaddu  e  canta  a  lu  scuru. 


264  GIUOCHI 

E  unu,  e  unu,  e  dui  ! 

E  la  forza  si  grapi  e  chiuj. 

E  dui,  e  dui,  e  tri! 

E  la  luna  è  a  pizzichi  (sic). 

Finito  lo  scongiuro,  ciascuno  dei  quattro  apre  le 
maiii,  stendendole  in  direzione  dei  piedi  e  delle  spalle 
del  morto,  e  le  va  rialzando  con  un  movimento  con- 
tinuo, ma  quasi  impercettibile,  mentre  si  dà  opera  a 
fischiar  sordamente,  suggendo,  non  ismettendo  il  fiato. 
Durante  però  il  quadruplice  sibilo,  il  mago  deve  de- 
<^mar  sette  volte,  e  senza  interruzione,  quest'  altro 
seongiuro: 

Prisca,  frisca,  frisca,  frisca! 

Ca  lu  muoi-tu  s'arrifrisca; 

E  lu  muortu  si  spinciu, 

Più,  più,  più,  più. 

E  tiràmulu  a  parrinisca, 

Frisca,  frisca,  frisca,  frisca. 

E  tiràmulu  comu  vò*  Diu, 

Più,  più,  più,  più. 

Ed  è  ferma  credenza  de'  giocatori  che  il  morto,  di- 
ventato leggiero  come  una  piuma,  debba  sollevarsi  da 
se  stesso  nell'aria,  e  restar  li  sospeso  finché  dura  il 
sibilo;  ma  ove  qualcuno  dei  quattro  ripigli  fiato,  il 
morto  diventa  pesante,  e  il  giuoco  va  in  fumo ,  non 
potendo  rinnovarsi  due  volte  in  un  giorno.  A  vieppiù 
ribadire  in  siffatta  credenza  contribuisce  il  morto  stesso^ 
Il  quale  di  tanto  in  tanto  esclama:  Picca  cci  voli  /... 
Ora  volu  /. . .  Sugnu  *na  pinna  /. . .  Mi  pari  ca  mi  spuri- 
tanu  l'ali!,.,  ed  altrettali  espressioni,  certo  non  dette 
per  ingannare  i  compagni,  ma  per  intima  persua^^ione 


A  MORSI  SANZUNI  205 

del  faciente  da  morto.  Qualche  volta  però  il  giuoco 
cominciato  con  arcano  terrore  finisce  fra  le  risa,  per- 
chè dispiaciuto  dell'esito  cattivo  del  giuoco,  qualcuno 
piglia  piacere  a  riempire  di  terra  o  d'altre  sudicerier 
la  bocca  spalancata  del  morto;  e  qui  le  busse  e  le  in- 
giurie s'incrociano  come  i  razzi. 

La  nostra  tavola  rappresenta  1*  il  mago  con  le 
braccia  alzate  (n.  1);  2*  il  morto  disteso  per  terra  (n.  2); 
3"  quattro  fanciulli,  Tuno  che  alza  la  sinistra  (n.  3) , 
l'altro  che  prende  la  destra  (4),  il  tèrzo  che  sta  per 
sollevare  il  piede  manco  (5),  ed  il  quarto  in  piedi  di- 
sposto ad  acchinarsi  per  poi  solievare  il  piede  dritto 
(6),  tutti  e  quattro  che  soffiano  con  la  bocca. 

141.  A  Morsi  Sanzuni. 

Un  fanciullo  fa  da  morto  e  si  distende  in  terra. 
Molti  suoi  compagni  con  fazzoletti  attorcigliati  si  bat- 
tine in  segno  di  dolore  le  spalle,  e  girandogli  attorno, 
con  trista  e  prolungata  cantilena  alternano  la  nenia 

seguente  : 

Morsi  Sanzuni  ! 
Jàmulu  a  vurvicà  ! 
La  Compagnia  di  Gioppu 
Farà  la  carità  ! 

Di  tanto  in  tanto  gli  sollevano  e  gli  lasciano  su- 
bito cadere  quando  un  braccio  e  quando  una  gamba 
come  per  accertarsi  che  Sansone  sia  veramente  morto; 
e  già  certi  che  lo  è,  s'avviano  a  seppellirlo.  Di  sera 
l'accompagnamento  funebre  si  fa  con  lumi,  ed  ha  fine 
con  una  sfuriata  di  baci,  che  essi,  uno  dopo  1'  altro, 


266  GIUOCHI 

imprimono  sui  piedi,  sulle  ginocchia,  sulle  mani,  sul 
petto,  sulla  bocca  deLpreteso  morto;  il  quale  tra  stanco 
dei  tanti  soflocanti  baci  ricevuti  sulla  bocca,  e  impa- 
ziente di  cogliere  il  frutto  della  penitenza  fatta,  risco- 
tendosi  s'  aggrappa  al  più  sciocco  dei  compagni ,  da 
cui  si  fa  trasportare. 

Cfr.  PiTRÈ,  Usi  natalizi^  nuziali  e  funebri  del  popolo 
siciliano,  p.  172-73.  Palermo,  MDCCCLXXIX.  Una  va- 
riante borgettana  di  questo  giuoco  diede  Salomone-Ma- 
rino nelle  Nuove  Effemer.  siciL,  serie  II,  voi.  I,  p.  224, 
(Palermo,  1874). 

In  Alessandria  della  Rocca  il  giuoco  è  detto  Sanzuni 
e  varia  notabilmente. 

In  una  brigatella  di  fanciulli,  l'uno,  scelto  a  sorte, 
fa  il  morto;  gli  altri  gli  giran  d'intorno,  un  dopo  l'al- 
tro, a  tempo  di  marcia,  cantando  : 

È  mortu  Sanzuni 
Cu  tuttu  lu  cumpagnuni; 
Ciauràmuci  lu  pedi, 
Videmu  chi  fetu  fa  ! 

E  difatti  colui  che  è  a  capo  della  marcia  gli  tocca 
il  piede,  ma  gli  altri  accennano  solamente  a  toccarlo, 
senza  però  intermetter  né  la  marcia,  né  il  canto.  Al 
secondo  giro  gli  si  tocca  la  mano,  al  terzo  il  petto, 
al  quarto  la  testa,  modificando  però  il  terzo  verso, 
secondo  la  parte  toccata.  Arrivando  a  toccargli  la  te- 
sta, il  morto  si  solleva  e  insegue  i  fanciulli,  i  quali, 
ove  possano,  si  ritirano  in  uno  dei  due  angoli  dichia- 
rati precedentemente  lochi  sagri.  Chi  é  afferrato,  la 
fa  da  Sansone. 


A  LU  SGUICCIVECCIU  287 

142.  A  lu  Sguicciveccìu. 

Ognuno  de'  vari  giocatori  si  mette  avanti  un  mat- 
tone, un  solo  di  essi  rimanendone  senza,  e  questo  è 
il  capo-giuoco.  Al  motto  d'ordine  tutti  muovono  e  chi 
non  arriva  a  rimettersi  avanti  un  mattone,  perde. 

Cosi  descrive  questo  giuoco  raccolto  in  Licata  A. 
Traina,  Nuovo  Vocab.  siciL-ital,,  p.  1156. 

143.  A  Ciuciuleu. 

Un  fanciullo  mostra  ad  alta  mano  un  oggetto  qua- 
lunque ad  altri  fanciulli  che  gli  stanno  attorno  e  grida  : 

Ciuciuleu  ! 

Chi  è  più  pronto  e  primo  a  rispondere: 

leu! 

ha  diritto  ad  averlQ. 

Da  questo  giuoco  di  confusione  e  schiamazzo,  che  i 
fanciulli  fanno  per  dire  ieu^  viene  la  frase  Ftniri  a 
ciuciuleu^  che  vale  quasi  l'altra  Finiri  a  frustustù,  o  a 
nanna  pigghia-cincu  (vedi  p.  89),  finire  a  confusione, 
strepito,  disordine. 

Nel  giuoco  A  latru  e  latruni  si  gareggia  per  af- 
ferrarsi scambievolmente  una  cosa  e  portarla  via, 
ciò  che  i  Toscani  dicono  Fare  a  farsi.  Nel  giuoco 
Allappa  allappa  di  Siracusa,  o  A  cu'  pigghia  pig- 
ghia,  molti  stanno  attorno  ad  una  cosa  per  prenderne 
il  più  che  sia  possibile. 


288  GIUOCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Brescia  Zoegà  a  la  goia  stransacaei  ed  anche  Zoegà 
a  la  regata^  in  Milano.  Giugà  a  raffa^  e  Toggetto  si  lancia 
in  aria  gridando  : 

CiribibL 

e  si- risponde: 

Dammi!  a  mi  I 

In  Parma  A  chi  ciapa  ciapa;  in  Piemonte  somiglia  molto 
al  Giughè  a  chi  peul  pie*  cheicosa  pi  presi.  In  Toscana 
si  ha  il  Fare  a  raffa  raffa;  il  Fare  a  grappariglia  in  Sie- 
na (Barbieri  ,  70).  A  proposito  il  Minucci  ,  note  al  Maìr 
maritile^  v.  IV,  p.  48,  scrive  :  «  Fare  a  raffa  rafTa,  giuoco 
fanciullesco.  I  Latini  aveano  rape  rape.  Leppare,  voce  della 
lingua  furbesca,  e  significa  portar  via  con  prestezza.  Da 
rapere  latino  si  fece  rappare  ,  come  il  Boccaccio  in  una 
lettera  ms.  da  fugam  arripere  formò  arrappare;  e  disse 
la  fuga  arrapare,  » 

144.  A  Toccamuru. 

Prende  il  nome  A  pigghiari  in  S*  Ninfa;  A  tocca- 
ferra,  A  tocca-lignu  quando  non  si  tocchi  se  non 
ferro  o  legno. 

Si  fa  a  contarsi,  ed  il  sorteggiato  esce  nel  mezzo, 
pronto  ad  afferrare  uno  dei  compagni  che  non  tocchi 
muro  ;  e  corre  e  sgambetta  affin  di  riescire  nel  suo 
intento  quando  i  giocatori  scostandosi  dal  muro  di  due 
fabbricati  opposti  e  vicini  si  scambiano  di  corsa  il  po- 
sto. Talora  egli  insidia  un  compagno  per  ispostarlo 
dal  muro;  ma  se  vi  riesce  con  la  violenza  piuttosto  che 


A  TOCCAMURU  ^20© 

eon  Tagilità  e  Tastuzìa,  il  mastro  nella  sua  qualità  di 
giudice  è  li  a  sentenziare  che  il  giocatore  preso  non 
è  obbligato  a  penitenza.  Chi  viene  chiappato  passa  ne  1 
-mezzo. 

Il  giuoco  si  apre  con  motto  decisivo  :  iSourunala 
(Palermo),  o  Pi  tutti  i;a  (Termini),  o  SurciMu^  tócGhimi 
ccà  ^(Ragusa),  o  Saroa  (Licata).  Il  motto  indice  di  tre- 
gua o  di  sospensione  individuale  o  generale  è  :  Spa- 
gna 6  Re  (Sicilia) ,  o  Mezzafrancu  (Mazzara) ,  o  ó 
turcu  (Siracusa).  Quello  di  vittoria  di  chi  ghermi- 
sce un  compagno:  l'Aceddu  ti  lassù  !  (Sicilia),  o  Tra- 
€Cina  e  pani  càw^  (Ragusa)  e  dà  un  pugno  a  chi  è 
già  preso,  o  CidcciUa  {làcaia),  e  lo  tocca  leggermente,  o 

Strazza  cunigliazzu 

Ddocu  ti  piglia  e  ddocu  ti  lassù. 

(Per  questi  motti  veggasi  a  p.  22  del  volume). 

Varietà  del  Toccamuru  sono  particolarmente  i  giuo- 
chi che  escono  sotto  i  nomi  A  gaddru  in  Marsala,  ó 
turcu  in  Siracusa,  A  iiringattu  in  Acireale,  (v.  il 
giuoco  seguente) ,  e  mecchi  in  Comiso  ,  ó  surci  in 
Ragusa,  A  chiesa  curriri  in  Casteltermini,  A  li  sarvi 
in  Licata  ecc. 

Varietà  messinesi  sono  il  Tocca-flìn^nini ,  in  cui  i 
giocatori  per  npn  esser  presi  da  chi  è  sotto  devono 
toccare  le  donne  che  passano  o  nelle  braccia,  o  nel 
petto  0  nel  seggiu ,  secondo  è  stato  prestabilito  ;  il 
Tocca-criatiy  in  cui  s'  hanno  a  toccar  cameriere  ;  il 
Tocca-putticati  y  in  cui  correndosi  un  lungo  tratto  si 
ha  a  toccar  dappertutto  le  porte  [purticati)  che  s'in- 
contrano; il  Rumpi-pignati,  che  porta  con  sé  la  bella 


270  GIUOCHI 

condizione  di  andar  rompendo  lampioni  di  bettole  o 
pignatte  di  terra  cotta  messe  fuori  a  bollire.  E  scusate 
se  è  poco  I 

Vi  è  pure  il  giuoco  A  tocca-nenU,  nel  quale  biso- 
gna star  ritti,  sospesi,  senza  poggiarsi  né  toccar  nulla; 
chi  tocca  qualche  cosa  va  sotto. 

Vedi  altresì  il  giuoco  A  lu  lignu  santu,  n.  84. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

A  tocca-muro  in  Calabria  ;  A  toccamuro ,  Ad  acchiap- 
parsi, A  tocca  gamba  in  Toscana:  A  tocca-ferro  nelle  Mar- 
che (GiANANDRBA,  u.  2);  A  barabota  in  Parma;  A  pomma 
in  Mirandola  (MEScmERi ,  p.  168);  A  bara  in  Milano  (Chb- 
RUBmi»  I,  68);  A  tana  e  A  toca  fero  in  Brescia;  in  Piemonte 
A  bararota  (Sant'Albino,  p.  216);  A  tocca  fero  in  Venezia 
(Bbrnoni,  n.  68). 

Fella  sua  analogia  col  giuoco  del  Toccamuru,  vedi  que- 
sto giuoco  che  segue. 

145.  A  Gaddru. 

In  Marsala  ed  altri  paesi  della  provincia  di  Tra- 
pani, dopo  fatto  al  conto,  tutti  i  giocatori  o  le  gio- 
catrici  si  chiamano  galline  per  distinguersi  dal  gallo, 
che  sta  nel  mezzo,  perchè  va  sotto.  Tutti  si  tengono 
attaccati  al  muro  ;  per  iscambiarsi  i  posti  sotto  gli 
occhi  del  gallo,  fanno  questo  dialogo: 

—  Cummari,  tanticchia  di  sali. 

—  Cc'è  lu  gaddru,  nun  pozzu  passari. 

—  E  passati,  cummari,  passati. 

E  cosi  dicendo   le  galline  chiocciano,  schiamazzano. 


A  GADDRU  271 

saltellano  innanzi  ed  intorno  al  gallo  beffandolo.  Quan- 
d'egli ne  acchiappa  qualcuna,  grida  subito  zappa!  e 
quello  diventa  gallo,  ed  egli  passa  a  gallina. 

In  Mazzara  tutto  questo  si  dice  A  primu  gaddru. 
Ad  ultimu  gaddru  i  giocatori  zappati,  cioè  presi,  di- 
ventano di  mano  in  mano  tutti  galli;  e  quando  è  preso 
l'ultimo,  questo  solo  rimane  gallo ,  e  gli  altri  diven- 
tano galline. 

Nella  variante  Tiringattu  di  Acireale ,  i  giocatori 
si  ripetono  canterellando  : 

Tiringattu  di  canigghia, 
Non  e*  è  nuddu  ca  mi  pigghia; 
Tiringattu  mi  voli  pigghiari, 
Persi  la  'ugghia  e  lu  iditali; 
Ca  ti  pigghia,  ca  ti  pigghia, 
Tiringattu  di  canigghia. 

In  Siracusa  il  giuoco  è  6  tureu,  e  turcu,  come  in  Mar- 
sala gaddru^  è  detto  chi  va  sotto  ed  insegue  ,  come 
i  pirati  d'una  volta,  i  giocatori. 

In  Avola  ed  altrove  il  giuoco  è  fra  tre  fanciuUine, 
di  cui  le  prime  parlano  cosi  tra  loro  : 

—  0  cummari,  vinni  lu  cumpari? 
— Vinni. 

—  Chi  purtau? 

—  Gilusia. 

—  Tessi  tessi,  cummari  mia. 

Nello  scambiarsi  le  prime  due  i  posti,  la  terza  si  af- 
fretta ad  occuparne  uno. 

Nella  varietà  A  fìrriari  di  S.  Ninfa  molti  ragazzi 
girano  intorno  ad  una  cosa  isolata ,  inseguiti  da  un 


272  GIUOCHI 

altro  che  cerca  raggiungerli  ed  afferrarli;  il  quale  per- 
ciò si  nasconde  talvolta  entro  una  casa  vicina,  taFaltra 
dietro  un  muro,  ed  uscendone  a  un  tratto  per  sor- 
prenderli. 

Chi  è  preso  va  sotto. 

146.  A  lì  Quattru  Cantuneri. 

Si  dice  anche  A  li  culonni;  in  Catania  A  scancia- 
locu;  in  Catenanuova  A  stagna  [stenni?)  la  riti;  in 
Cianciana  A  cantunera. 

I  giocatori  si  contano,  e  chi  va  sotto  si  pianta  nel 
mezzo;  gli  altri  si  postano  ciascuno  ad  uno  spigolo  di 
muro  0  ad  una  colonna,  e  di  corsa  si  cambiano  Tun 
Taltro  il  posto  ,  che  chi  è  nel  mezzo  corre  ad  occu- 
pare. Se  egli  vi  riesce,  Taltro,  rimasto  privo  di  asilo, 
va  nel  mezzo,  ed  il  giuoco  prosegue.  In  Catenanuova 
tra'due  giocatori  con  lo  scambio  del  posto  si  ripe- 
tono i  seguenti  versetti  : 

1.  —  Stagna  la  riti,  * 

Colpu  di  siti, 

Comu  si  cura  la  sita? 

2.  —  Ccu  li  mazzi, 

Ccu  li  cuti, 

E  li  fòrfici  pizzuti. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nella  Terra  d'  Otranto  A  li  quattru  punta  (De  Simone;:. 
in  Biceglie  A  li  quatte  cantion;  in  Pomigliano  d'Arco  è  lo 
stesso  (Imbriani  ,  L,  Canzon,  n.  XLI,  nota);  in  Toscana  Ai 
quatti'o  punti  o  Alle  colonne  ;  in  Colle  di  Val  d*  Elsa  Ai 

1  La  r  di  riti  è  pronunziata  dolcissima. 


A  OGNUNU  SI  GUARDA  LA  SO  PEDDI  273 

quattro  cantoni;  Ai  quattro  spigoli  nelle  Marche  (Gianan- 
DREA,  n.  4);  in  Ferrara  Quatar  canton;  Quatir  cantun  nel 
Monferrato  (Fbrraro,  Cinq,  Giuochi);  in  Piemonte  Barabon 
un  pò*  éC  feu  (Sant'Albino,,  p.  216);  in  Tortona  Ai  quater 
cantón;  in  Venezia  Ai  sete  cantoni  (Boerio)  e  Comare  co- 
mareta  (Bernoni,  n.  44)  e  quattro  di  cinque  giocatrici  con 
una  candeleta  in  mano  ciascuna  si  scambiano  con  pre- 
stezza e  cautela  i  quattro  angoli  che  occupano  curando  di 
non  farli  prendere  da  colei  che  sta  nel  mezzo.  Neil*  Ai 
quatter  canton  di  Parma,  correndo  ai  posti ,  in  principio 
del  giuoco,  sogliono  i  ragazzi  dire  per  tre  volte  : 

FaiSL  ptgoèul 
Scapa  chi  poèul. 

cioè:  zara  a  chi  tocca  (Malaspina).  Vedi  il  giuoco  prece- 
dente e  l'altro  A  li  latri  e  li  sbirri, 

147.  A  Ognunu  si  guarda  lo  so  peddi. 

Questo  giuoco  ha  somiglianza  col  ToccamurUy  e 
consiste  neir  inseguirsi  che  fanno  molti  ragazzi  pic- 
chiandosi Tun  r  altro  alle  spalle  e  gridando:  Ognunu 
si  guarda  la  so  peddi!  Chi  si  rifugia  ad  un  muro  e 
vi  appoggia  il  dosso,  è  salvo. 

148.  A  Frustustù. 

Tutti  i  giocatori,  fuori  di  uno  di  essi,  che  rimane 
in  mezzo,  pigliano  un  posto.  Ad  un  segno,  con  la  voce 
fHcstustUy  devon  tutti  cangiar  di  posto,  e  chi  non  ar- 
riva a  tempo  rimane  a  sua  volta  nel  mezzo. 

La  frase  A  friùsticstù  significa  a  catafascio. 

Si  ravvicini  al  Toccamuru,  n.  144. 

G.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  18 


274  GIUOCHI 

149.  A  Sgre2za-murtaru. 

Cinque  o  più  fanciulli  a  un  cenno  del  capo  siedono 
in  quattro  sedie,  tenendovisi  strettamente  per  non  es- 
serne spostati  da  chi  non  potè  trovar  posto,  il  quale 
se  vi  riesce  mette  fuori  il  mal  capitato. 

Si  usa  nel  Catanese. 

150.  A  tia  vogghiu,  a  tia  nun  vogghiu. 

Molti  ragazzi  in  numero  pari  oltre  il  mastro  si  pren- 
dono  per  mano  e  formano  un  cerchio.  Il  mastro;  che 
unito  agli  altri  forma  un  numero  dispari,  si  posta  nel 
mezzo,  e  additando  or  Fune,  or  l'altro  per  ordine  dice: 
A  tia  vogghiu^  a  tia  nun  vogghiu^  finché  poi  si  ab- 
braccia con  uno  dicendo  :  A  tia  vogghiu  !  Tutti  gli 
altri  si  abbracciano  parimenti,  eccetto  un  solo,  il  quale 
essendo  dispari  non  trova  compagno  con  cui  abbrac- 
ciarsi, ed  oltre  che  a  soffrir  la  burla  di  rimaner  solo  è 
obbligato  a  deporre  un  pegno. 

Ripetuto  il  giuoco  e  raccolti  parecchi  pegni,  ne  se- 
guono le  penitenze.  Cosi  in  Mazzara. 

In  Poggioreale  questo  giuoco  è  principio  d'un  altro; 
perchè  colui  che  rimane  solo,  quando  gli  altri  si  ab- 
Iwracciano,  deve  fare  lu  gattu  mamuni.  Egli  allora  è 
bendato,  e  percosso  or  dall'uno,  or  dall'altro  de*  gio- 
catori ,  che  gli  fanno  il  girotondo ,  intanto  che  egli 
cerca  di  chiappare  quel  tale  ragazzo  da  cui  è  stato  per- 
cosso. Se  lo  coglie  ed  afferra  viene  sbendato,  e  ben- 
dasi  invece  colui  che  fu  chiappato. 


A  l'apuni  275 

In  S.  Ninfa  e  Calatafirai  a  chi  resta  solo  ,  mentre 
gli  altri  s'abbracciano,  si  fa  sulla  scarpa  un  segno  col 
gesso,  e  chi,  ripetuto  il  giuoco ,  riceve  tre  di  questi 
segni ,  è  soggetto  ad  una  penitenza.  (Vedi  il  gruppo 
Attuppa-occhi,  n.  96,  A  'ntuppatieddu,  n.  102  ecc.). 

In  quel  di  Noto  si  fa  tra  maschi  e  femmine ,  ed  è 
capo-giuoco  una  bambina  o  una  donna.  (Vedi  M.  Di 
Martino,  Una  gita  autunnale  e  un  costume  pop.  si^ 
ciliano,  pag.  10.  Venezia,  Stab.  tip.  Grimaldo  1872). 

151.  A  l'Apuni. 

Molti  ragazzi  di  numero  dispari  si  mettono  in  cer- 
chio in  piedi;  il  mastro  nel  mezzo  ronza  come  V  ape 
tenendo  le  mani  verso  la  bocca;  poi  si  fa  a  chiedere, 
uno  per  uno,  ai  giocatori: 

D.  Nn*  aviti  luci  ? 
R,  Santa  Cruci. 

Finito  il  giro  si  posta  nel  centro  e  in  atteggiamento 
grave,  e  sempre  ronzando  fa  due  volte  la  ruota;  indi 
torna  a  dire  : 

Sita  sita! 

Allora  i  giocatori,  pronti  e  solleciti,  si  scompongono, 
per  trovarsi  ciascuno  un  compagno  che  rappresenta 
la  sposa,  ed  a  cui  dicono  : 

Chista  è  la  me  zita  I 

Ma  uno,  dispari,  resta  senza  zUa^  e  questi  deve  de- 
porre un  pegno  per  poter  proseguire  a  giocare.  Co- 
loro che  hanno  pagato  un  pegno ,  faranno  da  ultimo 
la  penitenza. 


276  GIUOCHI 

Giuoco  raccolto  in  Cianciarla,  ben  diverso  dall'altro 
di  questa  raccolta  che  porta  il  medesimo  titolo. 
Simile  ai  Laparduni  di  Riesi. 

152.  A  Cercati  canzu. 

Si  gioca  in  numero  dispari.  Tutti  i  fanciulli ,  meno 
uno,  stanno  seduti  in  giro  sopra  grosse  pietre  ad  e- 
guale  distanza,  il  mastro  nel  mezzo.  A  certo  punto  il 
mastro  si  alza,  gira  sopra  di  sé  ronzando  come  ape, 
e  grida  :  Cercati  canzu  <  (Casteltermini) ,  o  Firustu- 
sta  (Cianciana).  A  questo  grido  tutti  debbono  lasciare 
i  posti  ;  il  mastro  s' impossessa  d'  un  posto  che  gli 
piace;  gli  altri  di  quello  che  possono  di  slancio  gua- 
dagnarsi. Uno  di  loro,  dispari,  ne  resta  senza,  e  per  ca- 
stigo deve  lasciare  per  pegno  un  oggetto  del  suo  ve- 
stito. 

Si  ripete  il  giuoco ,  e  si  vanno  lasciando  altri  pe- 
gni; il  primo  che  si  riduce  con  la  sola  camicia  indosso 
segna  la  fine  del  giuoco,  ma  non  può  riaver  la  roba 
sua  se  non  gridando  uno  per  uno  i  vari  oggetti  che 
gli  si  vanno  restituendo,  e  ripetendo  ad  alta  voce  tutte 
le  castronerie  che  il  mastro  gli  suggerisce;  di  che  si 
ride  un  bel  tratto. 

Questa  versione  è  stata  raccolta  in  Casteltermini. 

153.  A  Vacci  tu. 

Molti  ragazzi  si  tengono  a  mani  giunte  in  alto  e 
formano  un  largo  cerchio  stando  fermi.  Intorno  a  loro 

*  Canzu  per  cantu^  canto,  sito,  posto,  è  di  alcune  parlate. 


A  VACCI  TU  277 

corrono  altri  due,  e  s'inseguono  :  chi  fugge,  è  battuto, 
quando  vien  raggiunto;  devia  e  sguiscia  sotto  alle  brac- 
cia di  quelli  che  formano  il  cerchio,  per  non  farsi  rag- 
giungere; ma  in  questo  caso,  se  sfugge  al  pugno  del 
suo  persecutore,  non  isfugge  facilmente  al  piede  degli 
altri.  L' inseguito  quando  gli  piace  percuote  uno  di 
quelli  che  formano  il  cerchio  ,  dicendogli  :  Vacci  tu, 
e  ne  prende  il  posto.  Ma  quest'  ultimo  insegue ,  e 
quello  che  inseguiva  fugge. 

È  questo  un  giuoco  che  si  fa  in  Mazzara ,  Calata- 
fimi  ,  S.  Ninfa  e  in  altri  comuni  del  Trapanese  ;  e  si 
ravvicina  al  giuoco  Ad  ajutami  tu  !  n.  166. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nella  Gerusalemme  liberata  il  Tasso,  c.  Ili,  st.  32,  ri- 
corda un  giuoco  moro,  nel  quale  i  fuggenti  al  termine  dello 
steccàito  diventavano  persecutori  e  lanciatori  e  viceversa. 
Ne'  versi  7-8  della  Crerus,  conquistata  si  legge  : 

Tal  ne'  giuochi  affricani  il  capo  e  '1  dorso 
L'uom  copre  in  fuga  alterna,  e  'n  dubbio  corso. 

Ed  il  prof.  Camillo  Mella,  {La  Gerusalemme  liberata  di 
r.  Tasso  illustrata  col  presidio  della  filologia,  della  storia 
e  del  disegno,  4*  edizione;  Modena  MDCCCLXVIII)  scrive  : 
«  Cotal  giuoco,  introdotto  primamente  da*  Mori  in  Ispagna, 
cosi  solea  farsi  :  Alcuni  cavalieri  spiccavansi  da  un  lato 
della  lizza,  e,  gettatosi  a  tergo  lo  scudo,  si  davano  a  fug- 
gire, incalzati  da  altri,  detti  inseguenti,  come  essi  fuggi- 
tori. Giunti  in  fondo  allo  steccato ,  i  secondi  gittavansi. 
dietro  alla  lor  volta  lo  scudo,  e  fuggivano  inseguiti  da  al- 
tro stuolo;  e  cosi  mano  mano  sino  alla  fine  del  giuoco,  tem- 
pestandosi con  proietti  di  varia  specie.  » 


278  GIUOCHI 

154.  A  Rumè. 

(Con  tavola) 

In  Avola  è  detto  A  rumeu  o  scerru;  in  Chiaramonte 
e  Ragusa  A  rame;  in  Marsala  A  merrameu  spa- 
gnolu;  in  Messina  Curniola  lassa  e  pigghia;  in  Gir- 
genti  6  nerbu;  in  Licata,  Riesi,  Siracusa  e  buona  parte 
della  provincia  ó  mazzuni,  in  Modica  però  Auriccia^ 
in  Catania  A  li  frutti  ecc. 

n  maggiore  di  età  della  piccola  brigata  fa  da  capo 
(n.  1)  ;  gli  altri  si  contano,  e  colui  sul  quale  cade  il 
conto  prende  in  mano  il  rumè  (n.  2).  Gli  altri  stanno 
tutti  dietro  a  lui  pronti  a  battersela  (n.  3). 

Il  runnè,  fazzoletto  contorto  e  poi  addoppiato  a  guisa 
di  fune  (nel  quale  talora  si  nasconde  un  sassolino),  o, 
addirittura,  un  pezzo  di  fune,  è  detto  rumeu  in  Avola, 
mazzuni  in  Spaccaforno,  Noto,  Licata,  mazzuòcculu 
in  Ragusa,  Chiaramonte,  Modica.  La  estremità  sottile 
la  prende  in  mano  chi  è  stato  favorito  dalla  sorte;  l'al- 
tra più  grossa  il  capo-giuoco  ,  che  la  stringe  tra  le 
ginocchia. 

Egli  con  le  mani  e  con  le  parole  descrive  un  oggetto 
ben  noto ,  che  V  altro  deve  indovinare  alla  presenza 
dei  compagni.  P.  e.  vuol  parlare  del  muluni  (popone), 
e  mettendo  a  semicerchio  i  pollici  e  gl'indici  delle  due 
inani  dice  :  Cc*è  *na  cosa  tanta^  tanta  (e  va  allargando 
i  semicerchi  tanto  da  formare  un  cerchio  che  sia  come 
il  diametro  di  un  popone)  cchtìi  di  tanta  nun  è.  Chi 
(che)  è  ?  Nel  Modicano  il  mastro  disegna  sul  proprio 


A  RUME  279 

ginocchio  il  frutto  e  la  fronda;  in  Mazzara  lo  rappre- 
senta con  un  laccio  o  una  funicella.  Chi  tiene  il  rumè^ 
0  non  arriva  a  indovinare ,  e  allora  chiede  schiari- 
menti e  circostanze  :  —  Si  mancia  9  —  SL  —  Havi 
pampini?  —  Uhavi  ecc.;  o  indovina  infira  tre  risposte 
e  dice  ,  come  deve  in  questo  caso  :  M%Uuni  !  —  -Mw- 
lunla  a  tutti  !  risponde  subito  il  capo,  o  :  Forza  ad 
iddi  !  (dagli  forte  addosso  !)  e  slarga  le  gambe  lascian- 
do il  rumè,  (Se  l'oggetto  è,  p.  e.,  un  cedriuolo^  una 
pera^  il  capo  dice:  citrUlia^  pirla  *  ecc.).  E  qui  i  gio- 
catori a  fuggire,  ad  appiattarsi  per  non  farsi  raggiun- 
gere e  picchiare  senza  diritto  di  poter  reagire.  La 
corsa  dura  quanto  vuole  il  mastro;  a  suo  piacere  egli* 
grida  :  Rumè^  cK  'u  mastru  è  mlu  !  rumè  !  in  Noto 
mazzuni  !  in  Modica  Ariccia  ariccìa  !  in  Licata  Au- 
^  riccia  auriccia  !  e  in  Santa  Margherita  di  Belice  : 
Nninghi  nninghi  lu  nvustazzuni  !  E  i  giocatori,  ob- 
bedienti, si  affrettano  a  tornare  al  mastro  e  toccarlo. 
Finché  non  lo  tocchino,  chi  tiene  il  rumè  ha  diritto 
di  batterli  ;  che  se  batte  dopo  il  toccamente ,  riceve 
in  pena  un  colpo  di  rum^è.  Se  uno  rimane  che  ancora 
non  sia  giunto  dal  mastro,  è  perdonato. 

Ricominciandosi  il  giuoco ,  chi  tiene  il  rumè  tira 
a  indovinare  un'altra  cosa  che  avrà  in  testa  il  capo; 
se  si  appone,  va  bene;  se  no,  deve  cedere  il  rum^  ad 
altri  a  cui  spetti  secondo  Tordine. 

Il  Rumsu  0  Scerru  offre  qualche  varietà.  Quando 
colui  che  indovina  ha  perseguitato  un  buon  tratto  gli 

1  Che  è  quanto  dire:  e  tu  da'  colpi  di  codriuolo,  di  pera  ! 


280  GIUOCHI 

altri,  il  capo  grida  :  Rumèalu  rumèalu  !  o  pure  Scèr- 
ralu  scèrralu  scèrralu  !  e  allora  tutti  si  volgono  con- 
tro lui;  né  egli  trova  altro  scampo  alFassalimento  se  non 
quello  di  gettare  la  fune  [rumeu)  e  di  asilarsi  presso 
il  capo,  che  fa  Tufficio  di  padre  o  madre  secondo  che 
il  giuoco  sia  tra  fanciulli  o  tra  fanciulle.  In  Mazzara 
chi  ha  inseguito  col  rumè  i  compagni,  tornato  al  ma- 
stro, consegna  il  rumè  a  lui;  questi  dapprima  gli  dà 
un  colpo,  poi  gli  domanda  quale  sia  stato  il  frutto;  ma 
intanto  che  quello  risponde,  egli  lo  picchia  maledet- 
tamente. 

Nel  Cumiola  lassa  e  pigghia  di  Messina,  chi  sbaglia 
l'oggetto  proposto  a  indovinare  riceve  un  colpo;  chi 
indovina,  colla  cumiola,  ossia  col  rumè  in  mano,  at 
tende  il  cenno  della  mamma  (capo-giuoco),  la  quale 

dice  : 

I  me'  figghi  andàru  à  scola  * 

—  Non  ci  andaru. 

—  Tutti  mmaliditti  ! 

e  li  fa  inseguire ,  per  poi  richiamarli  al  grido  :  6. 
mam/ma  !  e  chi  ha  fatto  da  mamma,  ricominciandosi 
il  giuoco,  prende  in  mano  la  cumiola. 

Da  questo  giuoco  nasce  la  frase  Passari  lu  rumè, 
che  vale  battere  a  distesa,  picchiare  tutti  indistinta- 
mente, ecc. 

Un  cenno  di  questo  giuoco  fece  nella  prima  metà 
del  sec.  passato  Fr.  Pasqualino,  il  quale  ne  citò  pure 
un  altro,  probabilmente  il  medesimo,  col  titolo  Ceddara 

*  I  miei  figli  andarono  alla  scuola. 


A  LA  CRISTAREDDA  281 

ceddara  benvimUa^  parole  con  le  quali  il  mastro  ri- 
chiamava a  sé  i  giiiocatori  dispersi  o  rimpiattati.  Vedi 
M.  Pasqualino,  Vocab.  siciL  v.  IV,  p.  305  e  I,  p.  294, 
Un  componimento  poetico  in  senso  allegorico  sul 
Rumè  scrisse  C.  Piola  nelle  sue  Poesie  sicU,,  p.  543. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Lo  fanno  i  fanciulli  toscani  col  nome  Zimbello,  ì  Mar- 
chigiani con  quello  di  Mazza-mena,  i  Veneziani  di  Albori 
alti,  gV  Istriani  come  i  Catanesi  dei  Frutti.  Vedi  Gianan- 
DREA,  n.  12;  Bernoni,  n.  88;  Ive,  p.  286,  n.  6.  Il  richiamo 
in  Venezia  è  col  grido  di  iri-iri,  in  Rovigno  A  li  lari,  a 
li  lari,  a  li  lari,  «  espressione  di  flsonomia  prettamente  la- 
tina, che  richiama  all'ovidiano  Ad  larem  suum  reverti  li- 
eeret ». 

155.  A  la  Cristaredda. 

Uno  siede  ed  appoggia  il  dosso  delle  mani  alla  giun- 
tura delle  ginocchia  al  di  dentro  delle  gambe ,  che 
tiene  largamente  aperte.  Un  altro  mette  le  ginocchia 
a  terra  innanzi  a  lui,  ed  imitando  con  la  voce  il  canto 
del  gheppio,  agita  la  testa  e  la  fa  passare  tra  le  mani 
dell'alleo  giocatore ,  il  quale  nel  tempo  medesimo  le 
chiude  ad  un  tratto,  e  se  gli  riesce  di  stringer  la  testa 
del  compagno,  Fune  sottentra  alFaltro. 

Cristaredda  o  tistaredda  è  il  falco  novembora- 
censis  di  Linneo. 

156.  A  Guarda  lu  lumi  l 

Messo  un  lume  acceso  in  mezzo  d'  una  stanza ,  in 
terra,  molti  formano  un  cerchio  intomo  ad  esso,  te- 
nendosi insieme  con  le  mani  in  basso.  Il  mastro  sta 


282  GIUOCHI 

fuori,  tenendo  lo  zimbello  e,  mentre  gli  altri  girano, 
egli  grida  :  Guarda  lu  lumi  !  per  distrarre  da  sé  la 
loro  attenzione,  e  quando  gli  pare  ristante  opportuno, 
consegna  destramente  il  fazzoletto,  senza  farne  accor- 
gere agli  altri.  Chi  riceve  il  fazzoletto ,  rimanendosi 
al  suo  posto,  percuote  il  compagno  di  destila,  il  quale 
gira  e  torna  al  suo  posto.  Ripreso  il  fazzoletto,  il  ma- 
stro, mentre  gli 'altri  girano,  grida  :  Guarda  lu  lumi! 
e  lo  consegna  ad  un  altro,  e  ne  avviene  la  medesima 
cosa  che  si  è  descritta.  Cosi  continua  il  giuoco,  finché 
non  siano  stanchi  di  esser  battuti. 
Raccolto  in  Mazzara. 

157.  A  Pedi  zoppu. 

Otto,  dieci ,  0  più  giocatori  si  contano  :  uno  fa  da 
mastru ,  uno  da  sutta ,  gli  altri  da  'n  capu.  Chi  va 
sotto  riceve  in  mano  il  solito  rumèy  e  sta  in  guardia; 
gli  altri  attorno  al  mastro  lo  toccano,  senza  scostar- 
sene. Per  aprire  il  giuoco  egli  grida:  Scu7^nala  o  Scih 
runella^  e  in  Termini:  Pi  tutu  va  !  Tutti  si  staccano 
e  fuggono  sparpagliandosi,  inseguiti  or  Tuno  or  Taltro 
dal  sotto.  Chi  viene  raggiunto  riceve  colpi  di'rwmè, 
e  se  non  può  con  la  fuga  sottrarvisi  bisogna  che  fino 
al  posto  del  mastro  vada  saltando  sopra  un  sol  piede  : 
nel  qual  caso  il  sotto  non  può  più  molestarlo.  Se  però 
posa  entrambi  i  piedi,  ricomincia  ad  esser  picchiato. 

À  un  richiamo  del  mastro,  chi  non  s'è  ritirato  an- 
cora, si  ritira  anche  a  rischio  di  ricever  de'  colpi  dal 
sotto  ,  che  sta  in  parata  a  tagliale  i  passi  de'  gio- 
catori. 

Si  ravvicini  a'  nn.  79  e  80,  A  li  zoppi,  A  zu  Annia. 


A  LA  SCARPAZZA  283^ 

158.  A  la  Scarpazza. 

Si  fa  in  tre:  tutti  seduti  in  giro  per  terra ,  cocco- 
loni, facendo  con  le  gambe  un  ponte.  11  mastro  picchia 
a  vicenda  ora  V  uno  ora  V  altro  de'  compagni  dando 
loro  delle  manate  o  de'  manrovesci. 

I  compagni  hanno  ciascuno  una  scarpa  o  pianella 
in  mano,  con  la  quale  dovranno  alla  lor  volta  picchiare 
il  mastro  nel  momento  che  egli  batte;  se  uno  lo  col- 
pisce nella  mano,  e  non  altrove,  ne  prende  il  posto. 

È  un  giuoco  di  molta  destrezza  ed  attenzione,  molto 
simile  a  quest'altro, 

159.  A.  la  Tappina. 

Chiamasi  A  passa  passa  lu  quasareddru  in  Maz- 
zara;  A  la  scarpa  passa  in  Avola  ;  A  la  tappina  in 
Cianciana  ;  A  mataciuni  in  Palermo  ecc.  Molti  fan- 
ciulli si  siedono  in  circolo  per  terra  con  le  gambe 
ad  arco  e  le  mani  unite  sotto  le  gambe.  Chi  è  stato 
condannato  dalla  sorte  a  stare  nel  mezzo,  girandosi 
intorno  si  sente  fioccare  de'  colpi  alle  gambe  o  al  dorsa 
con  una  scarpa,  o  pianella,  o  zimbello  che  essi  fanno 
scorrere  sotto  le  gambe  dicendosi  mano  mano  che  la 
ricevano:  La  scarpa  passa/  o  Passa  lu  quasareddru! 
Questa  tempesta  inevitabile  dura  un  bel  tratto  a  danno 
del  mal  capitato  che  invano  cerca  di  afferrare  o  la 
pianella  o  lo  zimbello,  perchè  i  giocatori  dato  il  colpo 
ritirano  subito  e  fanno  sparir  sotto  le  gambe  l'oggetto* 


284  GIUOCHI 

Quando  gli  riesce  d'afferrarlo  però,  Y  «  appozzato  »  pic- 
chia alla  sua  volta  il  disaccorto,  e  gli  fa  prendere  il  suo 
posto. 

Nel  Mataciuni  di  Palermo  si  fa  uso  d'uno  zimbello, 
e  chi  primo  lo  prende  in  mano  e  primo  apre  il  giuoco 
chiede  a  chi  sta  in  mezzo  :  D' unni  nesci  lu  siUi  ?  e 
mentre  quello  lo  indica ,  gli  appioppa  una  mataciih 
na^a,  cioè  un  colpo  di  zimbello,  facendo  subito  scorrer 
di  nascosto  in  altre  mani  il  fazzoletto. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
In  Milano  si  dice  Giugà  a  la  ciavatta, 

160.  A  lu  Cardiddu. 

Il  mastro  siede  in  mezzo  a  due  altri  giocatori,  e  te- 
nendo in  mano  un  lungo  bastone  sul  quale  fa  scorrere 
con  prestezza  le  mani  or  su  ed  or  giti^  imita  nel  tem- 
po medesimo  il  canto  del  cardellino.  Quando  gli  pare 
opportuno  batte  con  la  mano  la  coscia  or  dell'uno  or 
dell'  altro  dei  suoi  compagni,  i  quali  devono  colpirla 
o  schermirla.  Se  la  colpiscono,  sottentrano  al  posto 
del  mastro;  se  fallano,  avviene  che  ricevano  due  bat- 
tute: una  del  mastro  e  una  loro. 

n  titolo  di  Jocu  di  focu,  che  in  Calataflmi  si  dà  a 
questo  giuoco ,  mostra  che  tempesta  di  colpi  si  sca- 
richi a  destra  e  a  sinistra  del  mastro. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

La  scarpazza  si  gioca  anche  à  Venezia  sotto  il  nome  El 
calegher  (Bbrnoni,  n.  78). 


A  COTTA  COTTA  LA  VAVALUCEDDA        285 

161.  A  Cotta  cotta  la  vavalucedda. 

Molti  fanciulli  si  prendono  per  le  mani  e  fanno  il 
girotondo. 

Attorno  ad  essi  un  mastro  insegue  un  altro  mastro 
per  raggiungerlo,  il  quale  girando  sempre  a  più  non 
posso  va  dicendo  :  Cotta  cotta  la  vavaliccedda^  e  pro- 
curando di  non  farsi  afferrare;  altrimenti,  da  inseguito 
deve  mutarsi  in  inseguitore.  Se  si  stanca,  però,  può 
farsi  sostituire  da  un  altro  dei  ragazzi  del  circolo;  ma 
è  difficile  che  riesca  alla  desiderata  sostituzione  senza 
lasciarsi  cogliere  da  chi  insegue. 

Nel  giuoco  ciancianese  A  darinnilli  ,  un  fanciullo 
è  armato  di  uno  zimbello,  col  quale  insegue  i  com- 
pagni. 

Si  fa  particolarmente  in  Cianciana. 

162.  A  la  Gatta  e  lu  suroL 

Un  bambino  o  una  bambina  fa  da  gatto,  uno  da  topo, 
gli  altri  si  prendono  per  le  mani  e,  stando  fermi,  fanno 
un  circolo  ,  entro  il  quale  si  pone  il  topo  e  fuori  il 
gatto.  Il  gatto  picchia  e  fa  il  seguente  dialogo  : 

Gatto.    Surciddu,  gràpimi  ca  mi  chiovi  ! 
Sorcio,  Quantu  mi  mentu  li  quasetti. 
Gatto,    Surciddu,  gràpimi  ca  mi  chiovi! 
Sorcio,  Quantu  mi  mettu  li  scarpuzzi. 
Gatto.    Surciddu,  gràpimi  ca  mi  chiovi  1 
Sorcio,  Quantu  mi  mettu  la  cammisa. 

E  cosi  di  seguito  fino  a  tanto  che  il  topo  non  abbia 


286  GIUOCHI 

eon  le  sue  risposte  esaurito  il  vestiario;  quando  non 
ha  più  altri  pretesti,  fìnge  di  aprire,  e  scappa  via;  il 
gatto  lo  insegue  dentro  il  circolo',  il  quale  comincia 
a  girare  vorticosamente  ;  ed  il  topo  ad  entrare  e  ad 
uscire,  ed  il  gatto  ad  inseguirlo  prestissimamente  senza 
mai  interrompere  il  girotondo.  Quando  il  gatto  rag- 
giunge e  chiappa  il  topo,  il  giuoco  finisce  e  si  mutano 
le  parti. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Vedi  una  variante  marchigiana  in  Gianandrba.,  n.  7:  /Z 
gatto  e  il  sorcio;  due  veneziane,  che  hanno  una  certa  ana- 
logia, in  Bernoni  ,  n.  41  :  Le  pecorele ,  e  n.  ò9  :  El  goto 
el  sorz€. 

163.  A  Figgiau  'a  jiatta. 

Alquante  himhe,  prese  a  mani,  formano  un  cerchio, 
ma  siccome  sollevano  le  braccia,  il  cerchio  vien  fog- 
giato ad  archi.  Due  altre  bimbe  camminano  ad  eguale 
distanza  intorno  al  cerchio  ,  ma  dopo  camminato  un 
tratto,  runa  domanda  all'altra  : 

1*  0  eummari,  vi  figgiau  *a  jiatta?  * 

2*  Gnursi,  eummari. 

r  Quanttt  vi  nni  fici  ?• 

2-  Setti. 

!•  E,  a  cu'  'i  dàstivu  ? 

2*  Una  a  S.  Pietru. 

!•  E  r  àutra? 

2«  A  la  Batia.  • 

*  0  comare,  figliò  la  vostra  gatta  f 
'  Quanti  gattini  vi  fece  (figliando)  ? 


AD  ANGHI  DI  PURCEDDRI  287 

!•  E  r  àutra  ? 

2?  A  li  Scappuccini. 

1-  E  r  àutra? 

E  qui  si  nominano  le  persone  più  abbiette  del  paese, 
come  i  tamburini,  i  becchini,  ecc. 

!•  E  r  urtima  a  cu*  'a  dastivu  ? 
2*  A  mia. 
1'  E  a  mia  ? 
2*  Curnupia. 

Qui  la  comare  defraudata  s'indiavola,  e  va  ripetendo  : 
E  a  mia  ?  e  insegue  V  altra  comare ,  la  quale  grida 
senza  prender  flato  :  Curnupia  !  curnupia  !  La  co- 
mare inseguita  entra  ed  esce  dal  cerchio  per  difen- 
dersi e  per  isfuggire  alle  unghie  della  comare.  Il  cer- 
chio si  scioglie,  e  ognuna  delle  ragazzine  prende  parte 
a  favore  dell'una  o  dell'altra  comare. 

Molto  comune  nel  Medicano ,  del  quale  il  dialogo 
conserva  la  parlata. 

164.  Ad  Anghi  di  purceddri. 

Molti  ragazzi  si  prendono  per  mano  e  formano  un 
cerchio;  due  fanno  a  pari  e  caffo,  e  uno  divenuto  ma- 
stro e  l'altro  compratore,  dicono  :  Chi  vinniti  ì  —  Pur- 
ceddri —  A  quantu  ?  —  A  tantu.  Convenuti  sul  prez- 
zo, il  compratore  va  a  prendere  uno  de'  ragazzi,  che 
intanto  fanno  il  girotondo  e  si  difendono  quanto  pos- 
sono sparando  dei  calci  se  il  compratore  vuol  chiap- 
parne uno.  .Quando  il  porcello  è  chiappato ,  questo 
siede  o  aiuta  il  compratore  a  prenderne  altri  dopo  Io 


288  GIUOCHI 

stesso  dialogo  per  ciascuno  di  essi.  Ridotti  a  due  i 
porcelli  che  girano,  il  compratore  li  prende  da  sé  sen- 
z'altro aiuto.  Preso  Tultimo,  questo  fa  da  compratore, 
ed  il  giuoco  ricomincia. 

Questa  versione  è  stata  raccolta  in  S.  Ninfa  e  Maz- 
zara. 

165.  Ad  Allelluja. 

Un  certo  numero  di  ragazzi  si  contano,  e  chi  sorte 
resta  fuori,  mentre  gli  altri  si  prendono  per  mano  e 
fanno  ruota,  e  girano  rapidamente  in  modo  che  nes- 
suno di  essi  possa  venir  colto  da  quello  che  va  sotto; 
a  respingere  il  quale  sparano,  quando  gli  son  vicini, 
de'  violenti  calci.  Chi  è  afferrato  va  sotto. 

Prima  di  mettersi  in  moto,  chi  va  sotto  domanda: 
Cruda  o  cotta?  e^  solo  quando  il  mastro  risponde  co/tó, 
ha  il  diritto  di  afferrare  chi  può. 

Una  varietà  del  giuoco  è  questa  : 

Molte  bambine  si  danno  le  mani ,  e  fanno  il  giro 
tondo,  mentre  due  stanno  nel  mezzo  senza  aver  tro- 
vato posto,  e  condannate  ad  afferrare  alcuna  la  quale 
le  sostituisca  nella  penitenza.  Quando  vi  riescono  (e 
talvolta  è  una  sola)  la  spostata  va  nel  mezzo. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
In  Milano  Giugà  a  fresch  i  pomm  brugnoeu  o  brojent. 

166.  Ad  Ajutami  tu  ! 

Un  numero  indeterminato  di  fanciulli,  ma  più  sono 
e  meglio  è,  si  contano;  il  sorteggiato  resta  fuori,  mentre 


A  LU  LUPU  289 

essi  tutti,  prendendosi  per  mano,  fanno  un  gran  cir- 
colo e  girano  in  tondo.  Quando  gli  cade  in  acconcio 
egli  dà  ad  uno  di  essi,  a  sua  scelta,  una  sculacciata, 
0  una  manata,  o  un  pugno  ;  questi ,  che  chiameremo 
Petru,  si  stacca  issofatto  dal  circolo,  che  si  richiude 
e  rigira ,  e  corre  al  percotitore  ,  picchiandolo  come 
può  a  manrovesci,  a  ceffoni,  a  sculacciate;  finché  so- 
praffatto ,  egli,  il  battitore  battuto ,  grida  :  Peppi,  (o 
altro  de*  giocatori  del  circolo),  ajutami  tul  E  Peppe^ 
pronto  alla  chiamata ,  lascia  il  circolo  ,  e  va  a  pic- 
chiare il  secondo,  Petru,  prima  provocato  e  percossa 
àdXVappuzzatu^  il  quale  andando  al  circolo  vi  prende 
parte  e  fa  il  girotondo.  Poppe  picchia  di  santa  ra- 
gione Pietro,  finché  Pietro  stanco,  grida,  p.  e:  Vanni^ 
ajutami  tu ,  e  Giovanni  lasciando  il  posto,  va  a  sal- 
vare Pietro,  (ma  ripiglia  il  circolo),  percotendo  Poppe. 
La  scena  prosegue  per  un  bel  tratto  a  furia  di  chia- 
mate, di  picchiate  e  di  giri,  finché,  già  stanchi,  met- 
tono fine  al  giuoco. 

167.  A  lu  Lupu. 

Molti  ragazzi  si  contano  :  uno  di  essi  figura  da  lupo, 
gli  altri  fanno  il  girotondo  belando,  grugnendo,  ab- 
baiando ,  ragliando  secondo  che  vogliano  fingere  pe- 
core, maiali ,  cani ,  asini  ;  il  lupo  urla  in  disparte,  e 
quando  vede  incominciato  il  giro  s'accosta  per  chiappare 
uno  dei  giocatori.  Questi  intanto  girano  più  presta- 
mente ,  tanto  rapidamente  che  é  difficile  chiapparne 
uno;  e  quando  il  lupo  é  più  vicino,  ciascuno  tira  calci 

O.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  19 


290  GIUOCHI 

per  tenerlo  lontano.  Quando  egli  riesce  ad  afferrare 
una  gamba,  chi  è  preso  va  sotto  a  far  da  lupo,  ed  il 
lupo  entra  a  far  la  ruota. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Ha  qualche  lontano  riscontro  con  Giriti,  giriti,  girandola, 
e  (Hra,  gira,  rosa,  nn.  38  e  35  del  Bbrnoni. 

168.  A  Varda-mugghierì. 

Chi  va  sotto  è  messo  ginocchioni ,  e  fa  da  mug- 
ghieri.  La  mamma  (capo-giuoco)  girandogli  intomo, 
con  la  stessa  rapidità  degli  altri  giocatori,  gli  difende  la 
testa  dai  colpi  loro,  i  quali  girangli  anch'essi  d'intorno 
alternando  con  la  mano  il  seguente  dialogo  : 

Giocatori,  Mamma,  mamma  di  Lisabbetta, 
Quanta  li  vinni  li  to'  puddastri  ? 

Matntna.    Io  li  vinnu  a  Calabro, 
Pi  la  vostra  Maistò. 

Giocatori,  Mi  nni  vaju  6  to'  giardinu, 
E  mi  pigghiu  òn  picculinu, 
E  mi  pigghiu  a  chiddu 
Ch*  è  —  cchiù  —  pi-cci-riddu  !  * 

Nel  girare  toccano  il  paziente,  e  gli  appioppano  pugni, 
calci,  urtoni.  Se  la  mamma,  che  fa  da  varda-mug- 
ghieri ,  tocca  uno  di  essi ,  va  sotto  a  far  da  mug-- 
ghieri,  e  chi  sta  sotto  passa  a  capo-giuoco. 
Ho  raccolto  questo  giuoco  in  Messina. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
In  Pomigliano  d'  Arco  ed  Avellino,  secondo  1'  Ibibriani, 

'  U  verso  è  proprio  diviso  e  sillabicato  così. 


A  SIGNA  MALIPATUTA  291 

«  un  bambino  si  accoccola  in  terra ,  e  gli  altri  gli  girano 
attorno  tenendogli  la  mano  sul  capo,  poi  uno  domanda  a. 
quegli  che  sta  a  terra:  Lupo  lupo,  ecc.  e  quegli  risponde:  Mi 
guardo  le  mie  pollaste  ecc.  Poi  Anita  la  canzone,  colui  che 
interroga  si  piglia  un  altro  compagno  a  sua  scelta  e  Io 
porta  via ,  e  poi  torna  da  capo ,  fino  a  portarsi  tutti.  »  II 
dialogo  in  Avellino  è  questo  : 

—  Lupo  lupo  che  fai  'n  terra  ? 

—  Mmi  guardo  le  mie  pollaste. 

—  Quanto  ne  vuó'  ste  doje  pollaste  ? 

—  Ne  voglio  ricche  e  care. 

-— Ck;à,  commara,  ccà  sia  commara 
Scinni  a  bascio  a  lo  mmio  giardino 
Pigliati  chella  cchiù  piccolina; 
Pigliati  chella  eh'  è  capo  biondo 
Li  capilli  so  fila  d'  oro. 

—  Vota  vota  la  guardiola. 

Cani,  pop,  avell,,  p.  79.  La  variante  pomiglianese  è  nelle 
L.  Canzonette  infantili  pom,  dello  Stesso,  n.  XIV.  Una  va- 
riante napoletana  de'  versi  è  in  Molinaro  Del  Chiaro,  p. 
42,  n.  33. 

169.  A  Signa  malipatuta. 

Sì  fa  tra  vari  ragazzi,  uno  de'  quali  rappresenta  da 
scimmia,  la  cui  deformità  gli  aìixi  scherniscono  gri- 
dando con  una  certa  cantilena: 

Signa  mali  patuta, 

Morta  di  fami  e  ghimmuruta  I 

La  scimmia,  di  queste  beffe  adirata ,  li  perseguita,  e 
quando  li  raggiunge  o  li  incontra  nelle  sue  giravolte, 
stride,  e  gittando  le  mani  alla  loro  faccia  fa  le  viste 
di  grafitarli. 


202  GIUOCHI 

Per  questo  giuoco  i  ragazzi  scelgono  qualche  cosa 
intorno  a  cui  possano  girare. 
Raccolto  in  Mazzara. 

170.  A  Martuzza,  chi  pisti? 

Una  bambina  s'  accoccola  in  terra  facendo  vista  di 
pestare  e  facendo  mille  smorfie  scimiesche,  donde  il 
nome  di  martuzza.  La  compagna  che  rappresenta  da 
capo  fa  con  lei  il  seguente  dialogo  : 

Mastra,  Martuzza,  chi  pisti? 
Scimia.  Zuccaru  e  canne dda. 
Mastra.  Mi  lu  duni  tanticchia  ? 
Scimia,  Tu  cci  lu  dici  a  lu  me  patruni. 
Mastra.  No,  ca  io  *un  cci  lu  dieu. 
Scimia.  'Unca,  te'  ccà. 

E  la  scimmia  dà  un  pizzico  di  zucchero  e  cannella;  ma, 
appena  ricevutolo,  la  compagna  la  canzona  dicendole: 

Mastra,  E  io  cci  lu  dicu  a  lu  tò  patruni  (bis); 

e  in  cosi  dire  prende  a  girarle  intorno  in  circolo  con 
le  altre.  La  scimmia  s'arrabbia,  e  cerca  ghermirne  qual- 
cuna per  le  vesti,  ma  senza  però  alzarsi  da  terra,  e  se 
vi  riesce,  lascia  di  far  da  scimmia,  ed  è  da  quella  so- 
stituita. 
Si  ravvicini  al  gruppo  deWOrvu  cimineddu. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Una  forma  monferrina  del  giuoco  è  in  Fekearo,  n.  22: 
Teresinujrza.' 


AD  AMENTA  E  PITRUSINU  293 

171.  Ad  Amenta  e  pitrusinu. 

Si  fa  al  tocco,  e  chi  viene  bendato,  è  messo  ginoc- 
chioni. I  giocatori,  fanciulli  e  fanciulle,  messi  in  giro, 
gli  posano  le  mani  chi  sulla  testa,  chi  sulle  spalle; 
indi  a  un  tratto  si  tirano  uno  o  due  passi  indietro 
ripetendo  precipitosamente  a  coro  : 

Amenta,  amenta  e  pitrusinu, 
Ognunu  si  pigghia  '6  so  bamminu; 
Amenta  amenta  cu  Tagru-amenta, 
Ognunu  si  pigghia  'a  so  jimenta  1 

L*  appuzzata  si  slancia  ad  afferrarne  uno  ^  e  chi  è 
preso  lo  sostituisce  nella  penitenza. 

172.  A  Nia,  nia,  nia. 

Varie  bambine  si  contano,  e  colei  che  è  designata 
dalla  sorte  va  sotto  inginocchiandosi.  Le  compagne 
raccolgonsi  attorno  a  lei  e  le  posano  le  mani  sul 
capo.  La  mamma  ^  che  per  acclamazione  o  per  sor- 
teggio, è  capo-giuoco,  gira  intorno  ad  esse,  e  ripete: 

« 
Nia,  nia,  nia, 

Tutti  cu  mia  !  (bis) 

Allora  tutte  corrono  ad  aggrapparsi  Tuna  all'altra,  in 
guisa  però  che  la  prima  s'  attacchi  alle  vesti  della 
mamma,  la  seconda  alle  vesti  della  prima,  la  terza  a 
quelle  della  seconda ,  la  quarta  alla  terza  e  cosi  la 
quinta  alla  quarta  ,  la  sesta  alla  quinta  ecc.  facendo 
coda.  Nello  stesso  tempo  la  inginocchiata  s'  alza  per 


294  -  GIUOCHI 

chiappare  quella  che  non  abbia  avuto  tempo  o  pron- 
tezza d'afferrarsi  ad  una  compagna.  Costei  va  sotto, 
ed  il  giuoco  ricomincia. 

Ma,  nia,  nia,  è  la  voce  con  la  quale  si  chiamano 
i  tacchini. 

Fé'  cenno  di  questo  giuoco  nel  sec.  passato  M.  Pa- 
squalino, Vocab.  siczL,  in,  296.     "^ 

Per  la  prima  parte  si  ravvicini  al  giuoco  n.  135:  A  SU 
gnura  Bonn' Anna  Moria. 

173.  A  li  Cunigghia. 

Molti  ragazzi,  assai  più  che  in  altri  giuochi,  si  con- 
tano, e  la  maggior  parte  fanno  da  conigli,  pochi  altri 
da  cani ,  un  solo  da  cacciatore.  I  conigli  corrono  e 
si  intanano,  ed  i  cani  lEìutando  li  trovano  e  danno  loro 
pizzicotti  se  non  vogliano  uscire.  Quando  i  conigli  sbu- 
no.  e  scappano  ,  i  cani  abbaiano  ;  il  cacciatore  con 
uno  schioppo  di  canna  spara,  ed  il  coniglio  colpito  si 
sdraia  a  terra  per  morto.  I  cani  allora  lo  pigliano  e 
lo  portano  in  un  luogo,  dove  lo  lasciano  come  morto. 
Quando  la  caccia  è  finita,  cioè  tutti  i  conigli  morti 
sono  gettati  nel  medesimo  luogo,  finisce  il  giuoco. 

Versione  di  S.  Ninfa. 

174.  A  lu  Ralo^iu. 

Molti  fanciulli  prendendosi  per  le  mani  formano  un 
largo  cerchio  che  rappresenta  il  quadrante;  e  ciascuno 
di  loro  rappresenta  un'ora  del  quadrante.  Due  altri 


A  LU  TEMPIU  295 

fanciulli  corrono  intorno  al  cerchio,  e  di  tanto  in  tanto 
si  fermano  chiedendo  :  Chi  ura  è  ì  Allora  una  di  quelle 
ore  fa  scoppiettare  una  sola  volta  la  lingua,  produ- 
cendo un  suono  secco  e  spiacevole,  e  quelFunico  scop- 
pietto vuol  significare  che  è  V  un'  ora.  I  due  si  met- 
tono di  nuovo  a  correre ,  e  poi  a  ridomandare  :  Chi 
ura  è?\5n  altro  fanciullo  fa  scoppiettare  due  volte  la 
lingua,  e  indica  con  ciò  che  son  le  due  ore  di  notte. 
E  poi  nuovamente  a  correre,  e  nuovamente  a  doman- 
dare ,  e  nuovamente  le  risposte  di  tre  ,  o  quattro,  o 
cinque  scoppietti  di  lingua,  di  altri  ragazzi.  L'ultimo 
finalmente  invece  d'indicar  Fora ,  imita  il  canto  del 
'gallo,  e  con  ciò  dà  ad  intendere  che  è  per  sorger 
Falba.  I  due  che  corrono,  al  sentire  il  canto  del  gallo, 
entrano  nel  cerchio  e  siedono  in  faccia,  in  atto  di 
riposarsi.  Qui  la  scena  cambia  di  punto  in  bianco;  i 
fanciulli  cessano  di  far  parte  del  quadrante,  e  diven- 
tano cacciatori,  imitano  con  la  bocca  l'esplosione  del 
fucile,  stirano  le  braccia  a  sparare,  chiamano  i  cani, 
ne  riproducono  i  latrati,  e  sparano  agli  uccelli.  Ciò 
dura  per  un  pezzo,  cioè  fino  a  che  l'uno  di  loro,  sba- 
gliando il  colpo,  ferisca  il  compagno.  Allora  succede 
un  gran  trambusto ,  e  uno  dei  compagni,  sollevando 
il  ferito,  si  fa  a  dimandargli  :  Fu  chistu  chi  ti  flriu  ì 
— No, — Fu  chiddu? — No;  fuchiddu,  I  compagni  tutti 
giurano  vendetta,  e  lanciandosi  addosso  al  malcapitato, 
lo  tempestano  di  calci  e  di  pugni. 

175.  A  lu  Tempiu. 

Due  fanno  a  pari  e  caffo,  e  si  scelgono  un  compa- 
gno per  uno.  Uno  di  quelli  resta  a  guardia  del  tem- 


296  GiuoQ^i 

più,  che  è  un  cantone,  un  posto  qualunque;  un  altro 
insegue  gli  altri  due  ,  i  quali  cercano  di  prendere  il 
posto  del  custode  chiamandolo  e  attirandolo  fuori. 
Il  custode  finalmente  è  aflferrato  e  perduto  ;  ma  il 
compagno  chiama  fuori  tutti  e  due  i  nemici  gridando: 
Lu  tempiu  libera!  Costoro  devono  afferrare  anche  co- 
stui; il  quale,  se  non  è  preso,  corre  a  liberare  il  com- 
pagno gìk  catturato. 
Ho  visto  solo  nel  Messinese  questo  simbolico  giuoco. 

176.  A  S.  Micheli. 

Vari  fanciulli  siedono  in  fila  ;  ed  uno  in  piedi,  che 
figura  da  S.  Michele  Arcangelo,  ne  sta  a  custodia  con 
un  mazzocchio  in  mano,  mentre  un  altro,  che  rappre- 
senta il  diavolo,  fa  la  ronda  a  qualche  distanza  spiando 
il  momento  di  tirar  via  alcuno  de'  seduti.  San  Michele 
deve  stare  accorto  a  tenerlo  sempre  lontano  col  suo 
mazzocchio  ;  se  manca  di  vigilanza  e  si  lascia  sor- 
prendere, cangia  posto  ed  ufficio  col  diavolo. 

Si  ravvicini  col  giuoco  A  li  Culùra,  n.  139. 

Versione  raccolta  in  Avola,  come  la  seguente. 

177.  A  lu  Cudduruni. 

Un  fanciullo  mette  a  terra  una  pietra,  che  copre  di 
terra  rappresentando  una  focaccia  messa  a  cuocere 
sotto  la  cenere  (cìidduruni).  Altri  quattro  fanciulli  si 
mettono  a  custodirla  facendo  ufficio  di  cani.  Tutti  gli 
altri  si  dispongono  in  cerchio   tenendosi  per  mano. 


A  LUPU  LUPU,   CHI  URA  E  ?  297 

Il  fanciullo  che  ha  già,  coperto  la  focaccia,  volendo  as- 
sicurarsi se  sia  cotta ,  chiede  a  quei  della  ruota  se 
per  caso  vi  sian  dei  cani,  ^  quelli  rispondono  nega- 
tivamente. Entrato  però  nel  circolo,  i  quattro  che  stan- 
no a  guardia  cominciano  ad  abbaiare,  e  lo  inseguono] 
ond'egli  fugge  dando  dei  calci. 
Si  ravvicini  al  Pani  càudu^  n.  189. 

178.  A  Lupu  lupu,  ehi  ura  è  ? 

La  mamma ,  capo-giuoco  ,  sta  seduta  ;  altre  otto 
bambine  si  piegano  e  appoggiano  Tuna  sul  dosso  del- 
Taltra,  cominciando  dalla  prima,  che  mette  il  viso  tra 
le  gambe  della  m^amma.  La  prima  e  V  ultima  delle 
giocatrici  fanno  con  cantilena  questo  dialogo  : 

Prima,   Lupu  lupu,  chi  ura  è? 

Ultima.  Sett'uri. 

Prima,   No.  —  Lupu  lupu,  chi  ura  è  ? 

Ultima,  Ott'uri. 

Prima,   No.  —  Lupu  lupu,  chi  ura  è  ? 

Ultima,  Nov'uri. 

Prima.   No.  —  Lupu  lupu,  chi  ura  è  ? 

Arrivata  alle  12  ore,  dice  la 

Ultima,  Mezzannotti! 

Allora  tutte  sorgono  in  piedi,  perchè  è  Torà  che  viene 
il  lupo,  e  scappano  via  chi  di  qua  chi  di  là  per  non 
esser  prese  da  esso. 

Ho  visto  e  raccolto  in  Messina  e  Taormina  questo 
giuoco,  che  trova  riscontro  nella  prima  parte  del  se- 
guente. 


208  GIUOCHI 

179.  A  Lu  Cani  e  lu  Lupu. 

* 

Molti  ragazzi  fanno  cerchio  tenendosi  per  mano  e  fi- 
gurando da  pecore  ,  eccetto  uno  che  fa  da  padrone. 
Altri  due  ragazzi  stanno  entro  il  cerchio  per  terra, 
più  lontani  tra  loro  che  sia  possibile,  V  uno  da  cane 
e  l'altro  da  lupo.  Questo  sta  rannicchiato,  silenzioso, 
guardingo;  l'altro  batte  due  ciottoli  in  segno  della  sua 
vigilanza.  Di  quando  in  quando  il  padrone  gli  domanda, 
e  quello  gli  dice  che  ora  è  ,  e  per  comando  del  pa- 
drone esce  fuori  a  spiare  se  si  senta  il  lupo.  Rientra 
neir  ovile,  avvisa  il  padrone  che  non  v'  è  timore  del 
lupo  e  torna  a  battere  i  ciottoli,  finché  tra  le  mede- 
sime domande  e  le  medesime  risposte  del  cane,  fat- 
tasi l'ora  tarda  fingono  tutti  di  addormentarsi.  Pro- 
fittando il  lupo  della  quiete  che  è  nella  mandra,  porta 
via  qualche  pecora.  Poco  dopo  svegliasi  il  cane,  conta 
le  pecore,  ed  accorgendosi  della  rapina  abbaia.  Il  pa- 
drone domanda  che  cosa  sia,  ed  il  cane  l'avverte  che 
manca  una  o  due  pecore.  È  garrito  dal  padrone;  torna 
a  battere  i  ciottoli,  e  dopo  di  avere  nuovamente  ab- 
baiato a  segno  di  vigilanza ,  non  e'  essendo  sentore 
alcuno  del  lupo  si  riaddormenta.  Ma  il  lupo  ritorna 
e,  non  visto,  porta  via  altre  pecore.  Cosi  continua  il 

• 

giuoco  tra  il  lupo  che  porta  via  le  pecore,  il  cane  che 
prima  vigila  e  poi  prende  sonno  e  il  padrone  che  lo 
garrisce  ;  finché  rimaste  le  due  sole  pecore  che  egli 
tiene  per  mano  a  destra  e  a  sinistra,  per  comando  di 
lui  il  cane  insegue  il  lupo  e  lo  ghermisce;e  qui  dalli  dalli 


A  LI  PUDDicmi  299 

al  lupo.  Se  non  che  nel  parapiglia  ne  toccano  anche 
al  cane,  al  padrone ,  alle  pecore  ed  a  chiunque  non 
abbia  buone  gambe. 
Giuoco  raccolto  in  Mazzara. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Simile  è  Le  Pecorele  ,  n.  41  Bernoni;  e  la  illustrazione 
d'un  canto  di  Como,  a  p.  679,  n.  4  del  Bolza. 

180.  A  li  Puddicini. 

Non  vi  è  meno  di  otto  giocatrici,  tutte  appoggiate 
al  muro  a  far  da  pulcini ,  e  due  mastre  :  una  che  li 
guarda,  una  che  fa  da  gatto.  La  guardiana  dice  : 

Pala  palidda,  signura  Cummari, 
Li  puddicini  vogghiu  jiri  a  cuntari: 
Unu,  dui  e  tri. 

E  in  Cianciana: 

Vogliu  ùrdiri, 
E  voglia  'ncannari, 
Li  puddicini 
Vo gr  jiri  a  cuntari. 

E  conta  i  pulcini,  ma  ne  trova  uno  di  meno,  perchè  il 
gatto  è  venuto  a  rubarlo.  Esce  e  ne  va  in  cerca;  non 
lo  trova;  tornando,  riconta  e  ne  trovamene  un  altro, 
e  cosi  uno  per  volta,  cercati  sempre,  spariscon  tutti. 
Nel  meglio  i  pulcini  sfuggiti  al  gatto  ritornano  uno 
dopo  r  altro  zoppicando  ,  e  si  rimettono  in  linea.  Il 
gatto  ricomincia  il  giuoco. 

Con  lo  stesso  titolo  lo  fanno  le  bambine  medicane. 


900  GIUOCHI 

Una  che  fa  da  madre  esce  per  andare  a  messa  e 
lascia  la  chioccia  e  i  pulcini  in  custodia  della  figlio- 
letta; passa  il  monaco ,  e  ad  uno  ad  uno  porta  via  i 
pulcini;  la  madre  ritoma  da  messa  e,  non  trovando  i 
pulcini,  picchia  la  figliuola,  si  graffia  il  viso,  e  si  mette 
a  ricercare  i  pulcini,  i  quali,  nascosti  in  questa  o  in 
quella  parte,  son  finalmente  ritrovati  e  ricuperati  da  lei. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

CJorrisponde  a  questo  gruppo  di  giuochi  il  veneziano  / 
piteri,  vasi  da  fiori,  in  cui  un  fanciullo  fa  da  negoziante 
di  piteri,  cinque  o  sei  altri  da  piteri,  ed  uno  da  compra- 
tore. Tra  il  negoziante  ed  il  compratore  si  stabilisce  il  prezzo 
de'  piteri,  e  si  fa  il  negozio;  il  compratore,  dovendo  an- 
dare a  messa,  affida  al  negoziante  i  piteri  comprati,  il  quale 
li  porta  via  e  fugge.  Torna  il  compratore,  e  visto  il  brutto 
giuoco ,  corre  in  cerca  del  ladro ,  lo  trova ,  lo  picchia  di 
santa  ragione,  e  riprende  i  suoi  piteri  (Bernoni,  n.  57). 

181.  A  li  Corvi. 

Fra  una  trentina  di  maschietti  che  prendon  parte  a 
questo  giuoco ,  due  son  mastri ,  e  facendo  per  quat- 
tordici volte  a  pari  e  caflTo,  scelgono  ciascuno  i  propri 
compagni.  Il  mastro  poi  che  vince  al  quindicesimo 
tocco  va  via  coi  suoi  ;  V  altro  che  coi  rimasti  va 
sotto ,  ne  designa  sette  a  far  da  alberi ,  sette  altri  a 
far  da  corvi.  Gli  alberi  messi  tutti  in  fila  a  un  passo 
l'uno  dair  altro  stanno  ritti  ed  immobili;  i  corvi  sal- 
tellando verso  gli  alberi  fingono  di  posarvisi,  imitando 
il  crocidare  de'  corvi.  Girano  attorno  agli  alberi,  ma 
questi,  per  vento  che  a  quando  a  quando  spira,  stor- 


A  crciRUNi  301 

miscono;  e  lo  fanno  scotendosi  tutti  braccia  e  testa. 
I  corvi  ne  hanno  paura;  gridano  ero  !  ero  !  ero  !  e  si 
allontanano;  tornano  saltellando;  rifuggono  per  nuovo 
rumore;  finché  visti  appressare  i  quindici  viandanti, 
tutti  muniti  di  creta ,  zolla ,  frutte  inutili  o  altro,  la 
danno  a  gambe  per  non  esser  colpiti  da  loro. 

182.  A  Ciciruni. 

Uno,  il  mastro,  fa  da  padrone^  uno  da  ventOy  dieci, 
quindici  o  più  altri  giocatori  da  uccelli  detti  ciciruni^ 
cioè  da  strillozzi  (Emberizza  miliaria  di  Linneo). 

Il  padrone  ha  un  campo  seminato  ,  e ,  com'  è  uso, 
per  non  farvi  accostare  uccelli  che  possano  danneg- 
giarlo, colloca  il  vento,  che  è  una  delle  solite  giran- 
dole piantate  sur  un'asta  in  mezzo  al  campo  * .  Il  fan- 
ciullo che  fa  da  vento  sta  fermo.  Allontanasi  il  padrone, 
ed  ecco  uno  stormo  di  «  ciciruna  »  sparpagliarsi  pel  se- 
minato e  far  le  viste  di  beccarlo.  Il  fanciullo  che  an- 
nunzia il  vento  fa  la  ruota,  e  ne  avverte  il  padrone, 
il  quale  correndo  sul  posto  apostrofa  gli  uccelli  cosi  : 

Vola  vola,  ciciruni: 
T'  ha'  manciata  'u  me  lavuri; 
Tò  patri  è  puvireddu, 
Nni  siminò  menzu  munneddu  ! 

1  Veramente  questa  girandola  per  iscacciar  via  gli  uccelli  quando 
vanno  a  danneggiare  i  seminati ,  si  chiama  stracqtia-pàssari  (di- 
sperdi-passere);  ma  questo  giuoco  da  me  veduto  in  varie  campagne 
della  Conca  d'oro  e  particolarmente  in  quel  di  Monreale ,  è  chia- 
mato proprio  ventu. 


302  GIUOCHI 

E  dato  di  piglio  a  ciò  che  prima  gli  venga  per  le  mani 
tira  addosso  agli  uccelli,  i  quali  fuggono  e  si  dis- 
perdono. 

183.  A  li  Flou. 

Una  mano  di  fanciulle  stanno  in  fila  con  le  guance 
enfiate ,  e  ciascuna  di  quelle  guance  rappresenta  un 
fico  maturo.  Una  bimba  è  distesa  a  terra  in  atto  di 
dormire,  ed  è  la  guardiana  dei  fichi.  Un'altra,  che  vuol 
rubarli ,  si  aggira  di  qua  e  di  là  ;  finché  venutole  il 
destro,  li  raccoglie,  cioè  dà  pizzichi  a  quelle  guance 
rigonfie ,  in  modo  che  si  disgonfino.  Ed  ecco  che  si 
risveglia  il  custode,  e  accorgendosi  che  i  fichi  furono 
raccolti  tutti  quanti,  si  dà  a  chiamare  i  cani;  e  i  cani 
sono  le  stesse  bimbe,  che  poco  fa  rappresentavano  gli 
alberi  de'  fichi.  Qui  succedono  urla  e  latrati  e  corse  tur- 
binose per  inseguire  la  ladra.  La  custode  va  gridando: 

—  T' hannu  a  'mpennh»i  staslra, 
A  lu  lustru  ri  cannila. 

E  la  ladra  risponde,  mentre  fugge  : 

—  A  (d)  tò  casa  cc*è  un  cuornu, 
E  ci  pisciu  notti  e  giornu. 

Finalmente  succede  il  solito  accapigliarsi,  ed  il  giuoco 
si  ricomincia.  Cfr.  il  giuoco  123. 

Ecco  come  si  fa  in  Avola  lo  stesso  giuoco,  detto  A 
li  ficuzzi  : 

Molti  ragazzi  si  mettono  in  cerchio  tranne  uno  che 
fa  da  padre  o  da  madre  ed  un  altro  che  fa  da  figlio 
o  da  figlia  secondo  che  il  giuoco  si  faccia  tra  fanciulli 


A  LI  FICU  303 

0  fanciulle.  Il  figlio  dice  al  padre  :  VtUiti  chi  mi  còg- 
ghiu  dui  flcuzzi  ?  Il  padre  risponde  :  Va  GÒg gititi  chid- 
di  chi  su'  caduti,  ma  nun  tuccari  chiddi  di  li  pedi  *. 

1  fanciulli  del  cerchio  gonfiano  la  bocca  ,  e  il  figlio 
entrato  in  mezzo  a  loro,  e  stringendo  con  le  dita  le 
guance  di  ciascuno  ,  le  fa  sgonfiare.  Intanto  accorre 
il  padre  e  scorgendo  che  tutti  han  le  guance  sgonfiate, 
sgrida  il  figlio  di  essersi  raccolti  li  ficuzzi  di  li  pedi^ 
e  lo  insegue,  e  quello  va  cercando  un  rifugio  in  mezzo 
agli  altri. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Cfr.  la  Pescia  abruzzese,  pag.  106  del  De  Nino,  v.  IL 
Lo  stesso  fondo  ha  il  seguente   giuoco  toscano  tuttora 
inedito  di  Pratovecchio  nel  Casentino  : 

L*  OvA. 

I  bambini  si  mettono  a  sedere  e  si  contano.  Il  capo-gioco, 
che  finge  una  mamma,  dice  :  «  Mettiamo  sono  12  ova,  ti- 
ratene su  uno,  ne  rimane  11.  Io  vado  alla  messa.  » 

I  bambini  fanno  : 

Doli,  doli,  doli  ! 
La  mamma  toma,  e  non  trova  più  1 1  ova,  ma  meno; 

—  Chi  V  ha  mangiato  V  ova  ? 

—  Sentite,  mamma,  V  è  venuto  il  fornaio,  lui  ci  ha 

(dato  la  torta,  e  noi  si  è  date  V  ova. 

—  La  torta  dov'  eli'  è  f 

—  Si  è  messa  nell'  armadino. 

La  mamma  va  a  vedere.  I  bambini  si  rizzano  beffandolo  a 

■> 

coro: 

*  Cioè:  Va'  pure  a  raccogliere  i  fichi  caduti  per  terra ,  ma  non 
toccare  quelli  che  son  tuttavia  appesi  agli  alberi. 


304  GIUOCHI 

—  L*  ho  mangiata  tutta  io  1 
L'  ho  mangiata  tutta  io  1 

La  mamma  corre  dietro  per  chiapparli,  e  li  si  fa  il  chiasso. 
Nel  Beca  uà  veneziano  i  giocatori  sono  pari,  p.  e.,  otto: 
sei  si  dispongono  in  cerchio,  un  altro  si  colloca  circa  nove 
o  dieci  passi  distante,  facendo  una  specie  di  ronda  ;  Tul- 
timo  entra  come  furtivamente  in  mezzo  al  circolo.  Questo 
circolo ,  sempre  fermo ,  raffigura  un  filare  di  viti  ;  il  ra- 
gazzo che  sta  fuori,  il  guardiano  dell'uva;  l'ultimo  si  dà  a 
coglierne  e  mangiarne,  dicendo  ad  ogni  grano  :  Beco  uà. 
Il  guardiano  ,  che  se  ne  avvede  ,  gli  chiede  :  —  Parcossa 
bechistu  queV  uaf  e  quegli  ponendosi  in  guardia  :  —  Par- 
che rè  massa  bona.  Il  guardiano,  non  soddisfatto,  a^vvici- 
nasi  al  circolo  e  soggiunge  : 

E  se  telasse  un  baston,  e  te  coresse  adrio  f 
E  r  altro  : 

Ghe  ne  toria  suzo  un  grapo 
E  me  n'andarìa  con  Dio. 

E  alle  parole  accompagnando  i  fatti  fa  mostra  di  spiccarne 
un  grappo,  e  fugge  via  dal  circolo.  Inseguito  dal  guardia- 
no,  se  è  raggiunto,  si  scambiano  fra  loro  le  parti;  se  no, 
ognuno  rimane  al  suo  posto.  Bernoni,  n.  50.  Cfr.  puro  il 
n.  56  :  /  brazzi  de  tela. 

184.  A  lu  Lupu  minàru. 

Due  ragazzi  si  nascondono  in  luoghi  dove  son  fia- 
sche, paglia  ed  altro,  e  si  mettono  con  le  spalle  e  la 
testa  fuori  in  modo  da  potervisi  sedere.  Altri  due, 
distratti,  camminano  qua  e  là,  finché  si  avvicinano  ai 
primi  due ,  sopra  i  quali  si  siedono  :  questi  mandano 
un  forte  grido,  quelli  fuggono;  ma  poi  ricominciando 


A  LA  ZAFARANA  305 

si  riaccostano,  e  si  tornano  a  sedere.  In  questo,  uno 
dei  seduti  fa  osservare  al  compagno  un  fungo  :  è  lo 
orecchio  d'  uno  de'  rimpiattati  ;  un  altro  ne  vede  al 
lato  opposto  il  compagno.  Allora:  Chi  su*  belli  sii  fun- 
gi !  dicono;  cuglièmmuli;  e  si  decidono  a  raccoglierli. 
Tirano  ;  i  due  saltan  fuori ,  e  si  slanciano  addosso  a 
loro  e  gl'inseguono  per  chiapparli. 

Versione  di  Cianciana. 

•Un  giuoco  simile  è  questo  di  Modica: 

185.  A  la  Zafarana. 

Una  brigatella  di  fanciulline  vanno  a  raccoglier  zaf- 
ferano nella  montagna.  Colte  improvvisamente  dalla 
pioggia,  corrono  a  ricoverarsi  sotto  un  albero  ;  ma 
ahimè!  li  sotto  c'è  il  lupo  rimpiattato,  il  quale  si  dà 
ad  inseguirle  per  afferrarne  qualcuna. 

186.  Ad  Arrassu,  arrassu  di  la  Luna. 

Corrottamente  :  AlVàscia^  V  àscia  luna  ;  in  Licata 
AW  ossu,  alVossu  di  la  luna;  in  Noto  A  cu*  jetta  e 
ghietta;  altrove  Lu  jocu  di  la  petra. 

Il  capo-giuoco  prende  un  sasso,  o  un  limone,  o  una 
arancia,  o  una  mela,  od  altro,  e  mostratolo  ai  compagni 
la  lancia  ad  una  certa  distanza  dove  però  non  sia 
chiarore  di  luna,  e  canta  ad  alta  voce  : 

Arrassu,  arrassu  di  la  luna! 
A  cu'  l'ascia  si  'neuruna; 
Si  'neuruna  pi  lu  gaddu: 
A  cu'  l'ascia  va  a  cavaddu  ! 

Q.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  20 


306  GIUOCHI 

Tosto  i  giocatori  corrono  in  cerca  dell'  oggetto  lan- 
ciato, e  chi  riesce  a  trovarlo  (e  per  lo  più  è  il  capo^, 
come  <3olui  che  sa  la  direzione  datagli),  subito  salta 
sopra  uno  de'  compagni,  che  a  lui  pare  più  forte ,  o 
che  gli  torna  più  comodo,  e  gli  si  mette  a  cavalluccio. 
Costui  è  obbligato  a  portarlo  sino  al  tocco ,  dove  si 
avviano  pure  gli  altri  giocatori  per  ricominciar  la 
partita. 

Si  fa  di  sera,  per  lo  più  di  estate  o  di  autunno. 

Varietà  del  giuoco  è  il  seguente  : 

187.  Air  Ossu. 

La  TìuirmiMX^  ossia  il  capo-giuoco,  va  a  nascondere 
in  un  buco ,  sotto  un  sasso  ,  dietro  un  uscio  ,  in  un 
luogo  riposto  qualunque  un  nocciuolo,  al  buio;  ed  invita 
i  compagni  ad  andarlo  a  trovare.  Chi  prima  lo  scova, 
chiappa  il  più  vicino  de'  compagni  e  si  fa  portare  a 
cavalluccio  fino  al  tocco. 

L'ho  visto  in  Messina. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Lo  stesso  giuoco  è  detto  La  jpicareta  in  Venezia  (Bbr- 

NONi,  n.  75). 

«  ■ 

188.  Ad  Ammueciàtivi  li  testi. 

In  Messina  A  zicca,  in  Cianciana  A  passulidda  ca- 
naglia I 

Vari  ragazzi  si  contano,  e  quando  ne  son  sortiti  una 
buona  metà,  questi  si  tirano  in  disparte  col  mastro  e 


AD  AMMUCCIATIVI  LI  TESTI  307 

stabiliscono  il  posto  nel  quale  devono  andarsi  a  na- 
scondere. Partiti  che  sono ,  il  mastro  prende  per  la 
stessa  via  seguito  da'  rimasti,  e  gridando  ad  alta  voce 
e  con  cantilena  : 

E  ammucciativi  li  testi!...  Siti  boni  ccà?  * 

ed  essi  rispondono  : 

Gnimò  I 

Domanda  e  risposta  che  si  ripete  molte  volte,  e  sem- 
pre accentuatamente  da  parte  del  mastro,  e  con  trepi- 
dazione da  parte  dei  compagni  ad  ogni  sbocco  di  via, 
ad  ogni  chiassuolo,  ad  ogni  nascondiglio  che  si  pre- 
senti. —  E  ccà  f  —  Onursi  !  —  E  ccà  ? —  Gnimò  ! —  E 
ccà? — Gnursl! — E  ce*  è  paura  ca  su'  ccàf — Gnir,..nò!  ? 
Ricomincia  la  gridata  :  —  E  ammucciativi  li  testi  I 
Siti  (o  Semu)  boni  ccà? — Onimó...  (Cfr.  A  latri  e 
sbirri,  n.  192). 

In  Cianciana  tra  il  capo  che  va  innanzi  ed  i  gioca- 
tori che  vengon  dietro  si  fa  sempre  questo  dialogo: 
D.  Chi  va*  circannu?  R.  La  'guglia  e  lu  filali . 

Nel  meglio,  là  dov'  essi  meno  sei  pensano ,  od  an- 
che là  dove  sospettano  un  pericolo,  ecco  sbucar  su- 
bito fuori  i  rimpiattati,  e  avventarsi  a'  compagni  che 
seguono  il  mastro  ,  in  quella  che  egli  si  precipita  a 
gridare  per  avvertirli  che  la  diano  a  gambe  e  non  si 
lascino  afferrare  : 

E  passulidda  cani!  * 

*  E  nascondetevi  le  teste.  State  bene  qui? 

•  Forse  guasto  da  E  passa  di  ddà,  cani/  e  va  Tia  di  là,  ean«. 


308  GIUOCHI 

Quelli  fuggono  a  rotta  di  collo;  gli  altri  li  inseguono; 
e  chi  viene  raggiunto  e  ghermito,  è  obbligato  a  pren- 
dere a  cavalluccio  il  vincitore,  e  portarlo  al  punto  di 
partenza  detto  chiesa,  toccando  il  quale  si  diventa 
immuni.  Il  mastro  solamente  gode  Fimpunità. 
Questo  giuoco  è  molto  simile  al  seguente. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nelle  Marche  è  lo  stesso:  A  fuori  a  fuori  l  Gianandrea, 
n.  24. 

189.  A  Pani  càudu. 

otto  fanciulli  si  contano  e,  secondo  la  sorte,  quattro 
pestano  wp'jgfiAZzati^  quattro  no.  Acceso  un  gran  fuoco 
{t?ampa) ,  i  quattro  appuzzati  vi  si  mettono  attorno; 
^li  altri  si  allontanano  e  vanno  a  nascondersi.  I  primi 
buttano  sul  fuoco  un  sasso  per  uno,  che  rappresenta 
il  pane  da  mettersi  in  forno,  e  gridano  :  Pani  càtidu! 
Allora  i  rimpiattati  sbucan  fuori  correndo  verso  il  finto 
forno  ;  ma  i  fornai  la  danno  a  gambe  ,  per  non  farsi 
cogliere  da  essi.  Chi  è  colto  dee  portare  a  cavalluccio 
sino  al  forno  il  compagno  che  Tha  chiappato  al  grido 
VAceddu  ti  lassa  ! 

Vedi  A  ciiddunatiy  n.  177. 

Un  giuoco  simile  è  questo  col  titolo  : 

190.  A  Tiri. 

Due  mastri  fanno  a  pari  e  caffo  quattro  volte  di  se- 
guito' per  la  scelta  de'  compagni ,  ed  una  volta  per 
istabilire  chi  debba  andar  sotto  e  chi  no.  I  svUta  vanno 


A  LI  MALATI  309 

a  rimpiattarsi  ;  gli  altri  cinque  rimangono  un  poco 
fermi;  e  quando  si  muovono  per  andare  in  direzione 
dei  rimpiattati,  il  mastro  yiene  di  tempo  in  tempo  gri- 
dando :  Tiri  !  per  farsi  sentire  da  quelli.  Tutti  cammi- 
nano cauti  e  trepidanti  per  timore  d'  un'  imboscata 
degli  avversari.  Quand'ecco  questi  sbucar  fuori  e  in- 
seguirli per  impadronirsene.  I  sutta  fuggono  a  rotta 
di  collo ,  perchè  se  un  di  loro  è  preso  ,  tutti  cinque 
devono  ricondurre  alla  meta  a  cavalluccio  i  cinque 
inseguitori. 

191.  A  li  Malati. 

A  giocarlo  non  possono  esser  meno  di  sette;  il  me- 
dico, quattro  infermi  e  due  birri.  L'  uno  dei  malati 
è  cieco  ,  il  secondo  è  sordo ,  il  terzo  è  sciancata,  il 
quarto  ha  la  gobba;  e  bisogna  vedere  l'arte,  mediante 
la  quale  quei  fanciulli  s'ingegnano  rappresentare  alla 
meglio  le  malattie  rispettive.  Difatti  il  cieco  si  benda 
gli  occhi  con  un  fazzoletto ,  e  tiene  la  testa  elevata, 
il  sordo  ha  gli  orecchi  pieni  di  stoppa,  e  guarda  in- 
cessantemente or  questo,  or  quell'altro;  lo  sciancato 
tiene  curva  una  gamba,  e  si  appoggia  ad  una  forcella, 
e  il  gobbo  si  mette  dietro  le  spalle  un  cuscino  o  un 
fardello  qualsiasi.  Il  medico,  che  è  seduto  in  disparte^ 
chiama  con  la  mano  i  birri,  e  dice  : 

Vativinni  n*  ò  cicu-natu, 
E  purtàticci  chista  ccà  *. 

I  birri  si  appressano  al  cieco,  e  declamano  con  una 
specie  di  cantilena  la  seguente  strofetta  : 

1  Andatevene  dal  cieco-nato,  e  portategli  questa  {medicina)  qua. 


310  GIUOCHI 

E  lu  mièricu  caca-rinari 
Sta  picata  ti  manna  ccà: 
E  ne  ir  uocci  ti  1'  àmu  a  stricari, 
L'àmu  a  stricari  ri  ccà  e  di  ddà  *. 

E  gli  tolgon  la  benda,  e  con  le  mani,  appositamente 
insudiciate  di,  fumo  di  pentola ,  gli  disegnano  il  viso 
in  modo  grottesco.  Se  il  cieco  s' indiavoli,  e  se  gli 
altri  crepin  dalle  risa,  è  inutile  il  dirlo.  Ristabilita  la 
quiete,  il  cieco,  che  ha  riacquistata  la  vista,  si  unisce 
ai  birri ,  e  vanno  insieme  dal  medico  ,  il  quale,  al 
solito,  dice  : 

Vativinni  n' ò  sciancato, 
E  purtàticci  chista  ccà. 

Birri  e  cieco  non  se  lo  fan  dire  due  volte;  però  si  re- 
cano dallo  sciancato,  e  gli  declamano  nasalmente  : 

E  lu  mièricu  caca-rinari 
Chista  corda  ti  manna  ccà: 
L'  anca  zoppa  ti  1'  àmu  a  stirari, 
L'  àmu  a  stirari  ri  ccà  e  di  ddà  *. 

E  gli  tiran  difatti  maladettamente  la  gamba  in  mezzo 
agli  urli  ed  ai  fischi.  Lo  zoppo,  che  di  già  è  risanato, 
si  unisce  agli  altri ,  e  di  conserva  si  recan  dal  me- 
dico, il  quale,  al  solito,  dice  loro  : 

Vativiiini  ni  lu  surdu, 
E  purtàticci  chista  ccà. 

1  E  il  medico  caca-danari  ti  manda  questo  cerotto;  e  te  Fabbiamo 
a  strofinare  sugli  occhi,  e  l'abbiamo  a  strofinare  di  qua  e  d'  là  (cioè, 
per  tutto). 

*  Quest'ultimo  verso  significa:  Te  l'abbiamo  a  stirare  in  tatti  i 
versi. 


A  U  MALATI  311 

Questa  volta  i  birri  e  gli  altri  due ,  dovendo  parlare 
ad  un  sordo,  declamano  con  istrilli  acutissimi  : 

E  lu  mièricu  caca-rinari 
Stu  cannuòlu  ti  manna  ccà  : 
E  l'auricci  ti  l'àmu  a  ssciussciarl, 
L'àmu  a  ssciussciarl  ri  ccà  e  di  ddà  *. 

E  soffian  difatti  nelle  orecchie  del  paziente  con  can- 
nelli, con  manticetti,  con  quel  di  meglio  o  di  peggio 
che  posson  trovare.  E  qui  i  soliti  gridi  e  i  soliti  pu- 
gni. Il  sordo  è  guarito,  è  si  unisce  al  resto  della  com- 
pagnia. Si  recan  dal  medico ,  e  il  medico  dice  loro  : 

Vativinni  n'  ó  jimmirutu, 
E  purtàticci  chista  ccà. 

Si  recan  dal  gobbo,  e  declamano  al  solito  : 

E  lu  mièricu  caca-rinari 
Stu  sirràculu  ti  manna  ccà: 
E  lu  jimmu  ti  V  ama  a  sirrari  *, 
L'  àmu  a  sirrari  ri  ccà  e  di  ddà. 

E  gli  segan  la  gobba  con  un  bastone,  regalandolo  anche 
di  qualche  pugno  e  di  qualche  pizzicotto.  Il  gobbo, 
essendo  guarito ,  si  unisce  ai  tre  altri  infermi,  e  fra 
loro  gridano  a  coro  di  voler  pagare  il  medico  caca- 
danari;  ma  la  paga  consiste  neirinseguire  e  dar  calci 
e  pugni  a  lui  ed  ai  birri.  Se  sono  afferrati,  prima  di 


*  E  il  medico  caca-danari  ti  manda  questo  cannello  qui:  e  t^ab- 
biamo  a  soffiar  le  orecchie,  e  l'abbiamo  a  soffiar  di  qua  e  di  là. 

*  Ti  manda  qui  questa  sega  a  mano  (in  Tose,  saracco,  gattuccio) 
t'abbiamo  a  segare  la  gobba  (Jimmu), 


312  GIUOCHI 

toccar  luogo  salvo,  son  costretti  a  far  da  malati.  Chi 
non  afferra,  o  non  è  afferrato,  seguita  a  rappresentare 
il  personaggio  che  rappresentava. 
Questo  giuoco  è  stato  raccolto  in  Chiaramonte. 

102.  A  Latri  e  Sbirri. 

In  Catania  Acchiappa  acchiappa;  in  Menò  A  li  latri 
e  li  cumpagni. 

La  forma  più  comune  del  giuoco  è  questa: 

I  giocatori  si  sorteggiano  e  si  dividono  in  due  squa- 
dre: una  di  ladri,  un'altra  di  birri.  I  ladri,  essendo  di 
sera ,  vanno  a  nascondersi  di  qua  e  di  là  ;  i  birri  si 
mettono  in  cerca  di  loro  per  catturarli.  Vedendosi 
scoperti,  i  ladri  si  danno  a  precipitosa  fuga,  e  i  birri 
dietro.  Se  vengono  raggiunti,  alla  sbarra  ricevono  dei 
colpi  di  zimbello  ;  se  toccano  la  sbarra  senz'  esser 
presi,  diventano  birri  essi,  e  i  birri  ladri ,  e  cosi  ri- 
comincia il  giuoco.  Il  mastro  è  asilo  sicuro;  e  chi  lo 
tocca  prima  che  vi  giungano  i  birri  è  salvo  ;  altri- 
menti è  legato  e  condannato  ad  avere  stirate  le  brac- 
cia, ad  esser  battuto  o  ad  altrettali  pene. 

In  Borgetto,  nel  mettersi  in  via  per  la  ricerca  dei 
ladri,  il  capo-giuoco,  che  in  quel  momento  fa  da  ca- 
porale dei  birri,  domanda  ad  alta  voce  :  E  ccà  ?  (quasi 
voglia  sapere  se  siano  là  vicino  i  ladri  appiattati)  e 
gli  altri  rispondono,  una  volta:  gnursi^  e  una  volta: 
gnirnó,  fino  al  punto  che  dovendosi  pigliar  la  corsa 
ed  inseguire  1  ladri,  il  capo  grida  :  Ad  iddi  !  Ad  iddi  ! 
Questa  circostanza  ricorre  anche  nel  giuoco  Ad  am- 
mucciàtivi  li  testi,  n.  128. 


A  LI  LATRI  E  h^  JUDICI  313 

In  Avola  i  ladri  si  asilano  ad  uno  ad  uno  in  varie 
cantonate,  e  si  vanno  scambiando  di  tratto  in  tratto 
i  posti ,  mentre  gli  altri  si  affaticano  a  sorprenderli 
per  via  prima  che  tocchino  rasilo.  Chi  ha  l'imprevi- 
denza di  lasciarsi  cogliere,  diviene  birre  ,  ed  il  vin- 
citore lo  sostituisce  nell'asilo. 

In  Calataflmi  dopo  che  il  ladro  è  lasciato  libero, 
torna  a  fuggire  e  ad  essere  perseguitato  dal  birre. 

Il  nostro  giuoco  accenna  agli  antichi  asili  nelle  chie- 
se e  nelle  case  de'  feudatari;  difatti. in  Marsala,  Chiar 
ramonte,  Casteltermini,  Noto,  il  muro  o  il  capo-giuoco 
che  gode  del  privilegio  d'immunità  è  detto  chiesa. 

Vedi  A  Toccamuru,  n.  144. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Cfr.  col  giuoco  parmigiano  Ai  sbirri  e  ai  lader ,  anar 
logo  molto  all'altro  detto  A  la  stria,  dove  son  voci  di  uso: 
marna,  bomba  ;  morto  ,  tregua  ,  ovvero  ,  sei  vinto  ;  stria 
birro;uero,  all'armi.  Cfr.  pure  con  Carabiniè  e  ladar  di  Fer- 
rara; con  A  la  strea  di  Brescia;  con  A  chiò  deschiò  di 
Padova  (PATRiARcm),  con  /  sbiri  e  i  lader  (Bbrnoni,  n.  72) 
e  A  chiò  di  Venezia  (Bobrio);  con  /  ladri  del  Monferrato, 
(Fbrraro,  Cinquanta  Giuochi,  n.  19)  In  Toscana  l'asilo  è 
detto  bomba,  in  Venezia  m^a. 

Dell'antichità  del  giuoco  fa  testimonianza  Libanio,  Orat,Zl, 
I  Latini  l'aveano  col  titolo  Hostis  et  Miles,  oppure  Ludus 
latrunculorum, 

193.  A  li  Latri  e  lu  ludici. 

Un  gruppo  di  fanciulli  fa  da  ladri,  un  altro  da  birri; 
un  solo  fa  da  giudice,  ufficio  al  quale  nessuno  è  in- 


314  GIUOCHI 

clinato;  e  viene  stabilito  per  sorte.  Per  lo  più  la  sorte 
si  fa  cadere  sopra  il  più  sciocco  de'  giocatori. 

I  ladri  vanno  ad  appiattarsi;  i  birri  si  mettono  a  cer- 
carli ,  e  gV  inseguono  a  colpi  di  zimbello  o  di  legno. 
La  fuga  e  l'inseguimento  durano  un  bel  tratto;  da  ul- 
timo si  viene  a  zuffa;  la  quale  qualche  volta  è  per  tut- 
t'altro  che  per  giuoco.  Finalmente  cedono  i  ladri  :  e 
due  di  essi  vengono  presi  e  menati  alla  presenza  del 
giudice  ;  col  quale  fanno  il  seguente  dialogo.  Un  la- 
dro: —  Arrubbamu  dui  culonni;  io  li  vogghiu  tutti 
dui  io.  Un  altro  ladro: — iVo,  attoccanu  a  mia.  Il  Giu- 
dice:— Allura  siti  cunnannati  tutti  dui;  ma  di  li  cur 
Ianni  vi  nn'  attacca  una  Vunu  *. 

E  li  per  li,  i  due  ladri  afferrano  una  gamba  per  uno 
del  giudice,  e  se  lo  trascinan  dietro.  Il  giuoco  finisce 
fra  le  risa  degli  astanti. 

194.  A  li  Latri. 

La  schiera  dei  fanciulli  che  fa  da  ladri  fugge  alla 
campagna;  la  Forza  pubblica,  cioè  -.capitano,  caporali, 
soldati  e  trombetta  vanno  a  cercarli.  Il  trombetta  suona 
con  un  boccinolo  di  canna.  Allorché  uno  ne  è  preso, 
viene  condotto  innanzi  alla  Corte.  I  giudici  lo  inter- 
rogano, e  lo  rimbrottano  de'  furti  commessi;  il  ladro 
nega  ;  allora  il  Presidente  ordina  che  gli  siano  date 
li  stritturi  (le  strette,  la  tortura);  e  i  birri  gli  confic- 
cano tre  sassolini  tra  le  ultime  quattro  dita,  e  gli  strin- 

1  Una  specie  di  giudizio  di  Salomone. 


A  LI  BRIGANTI  315 

gono  fortemente  la  mano.  Il  ladro  tace  o  rivela  se- 
condo la  forza  che  ha  nel  subire  li  stritturi,  che  non 
di  rado  lo  fanno  piangere  *. 

Il  giuoco  corre  in  vari  comuni ,  e  particolarmente 
in  Casteltermini. 

Sembra  contemporanea  la  seguente  variante  del  giuo- 
co, la  quale  però  è  antica,  ed  ha  preso  nomi  e  carattere 
moderno. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Vedi  Ali  Cip- Alala  di  Bergamo  e  Brescia  (Rosa,  2'  ediz. 
pp.  171-172,  3-  ediz.,  p.  275). 

195.  A  li  Briganti. 

Un  ragazzo  fa  da  giudice  e  si  tura  gli  occhi  con  le 
mani,  alle  quali  va  ciascuno  degli  altri  a  battere  con 
le  nocche  delle  dita  dicendo: —  Tappi  tuppi! — Cu' è? 
risponde  il  giudice;  e  quando  chi  batte  manifesta  il 
suo  nome,  il  giudice  gli  dice  :  E  tu  si*  briganti  !  ov- 
vero: E  tu  si'  carrubbineri.  Cosi  divisi  i  ragazzi  in  due 
schiere  eguali,  Tuna  di  briganti,  l'altra  di  carabinieri 
secondo  la  risposta  del  giudice,  e  stabilito  lo  spazio  en- 
tro il  quale  i  briganti  debbono  aggirarsi,  questi  corrono 
e  sono  inseguiti  da'  carabinieri,  che  vanno  a  coppia, 
e  mettendole  manette  al  ladro  che  raggiungono,  lo  me- 
nano al  Giudicato,  ed  ivi  lasciatolo  o  sotto  la  custodia 
di  due  guardie,  o  legato  in  modo  che  non  possa  scap- 

*  La  prova  dolorosissima  delle  stritturi  è  un  altro  passatempo 
isolato  de*  monelli  siciliani,  i  quali  non  rifiutano  di  servirsene  per 
fare  strillare  ì  loro  compagni.  Veggasi  Li  sHddi  di  menziomu. 


316  GIUOCHI 

pare,  vanno  in  traccia  d'altri.  Quando  tutti  son  presi, 
deve  ciascuno  scoprirsi  il  capo  non  ostante  che  abbia 
i  pollici  legati ,  ed  inginocchiarsi  dinanzi  al  giudice. 
Questi  lo  interroga,  ed  il  ladro  confessa;  è  convinto  reo 
e  condannato  ad  una  pena  ,  a  quella  cioè  de'  ceppi, 
del  carcere,  dei  lavori  forzati,  della  croce  ecc.  Quando 
uno  è  condannato  a*  ceppi,  due  ne  afferrano  le  man 
con  la  sinistra,  mentre  gli  mettono  la  destra  al  collo 
e  strìngono  dall'una  e  dall'altra  parte.  Chi  è  condan- 
nato a'  lavori  forzati ,  trascina  un  sasso  più  o  meno 
grande  legato  al  piede.  Chi  è  condannato  al  carcere, 
rimane  legato  in  un  punto.  Chi  va  in  croce,  sta  fermo 
con  le  braccia  distese.  Queste  pene  durano  quanto 
piace  al  giudice. 
Raccolto  in  S.  Ninfa. 

196.  A  lu  ludici. 

Uno  che  fa  da  giudice  siede  dinanzi  ad  un  tinello, 
banco  della  Giustizia,  avanti  al  quale  si  stende,  come 
una  specie  di  tappeto,  un  zimmili.  Ai  manichi  di  que- 
sto si  lega  una  fune,  la  cui  estremità  svolgesi  verso  la 
parte  più  buia  della  stanza.  La  fune  è  coperta  da  altri 
zimmili  per  un  buon  tratto.  Mentre  si  fanno  questi 
apparecchi,  tutti  i  giocatori  che  piglian  parte  al  pas- 
satempo ,  si  tengono  in  una  stanza  chiusa ,  in  modo 
che  non  possano  vedere.  Terminati  gli  apparecchi,  un 
villano  che  figura  da  birro  fa  venire  uno  di  quelli 
che  stanno  chiusi,  lo  mena  dinanzi  al  giudice  a  di- 
scolparsi di  alcune  imputazioni,  e  richiude  la  porta. 


A  LU  JUDIOI  E  LU  LATrU  317 

n  giudice  con  quella  burlesca  severità  che  si  può  as- 
sumere in  simigliante  occasione  Io  fa  collocare  nel 
centro  del  tappeto,  lo  avverte  a  star  con  rispetto  di- 
nanzi alla  Giustizia  S  ed  a  tal  uopo  gli  fa  tenere  le  mani 
giunte  in  basso,  e  finalmente  gli  ordina  di  dir  le  sue 
ragioni  ;  delle  quali  resta  mal  soddisfatto  ,  e  gli  fa 
una  buona  lavata  di  capo,  lo  minaccia  di  punirlo  se- 
veramente, ove  non  confessi  la  verità,  e  comanda  al 
birre  che  lo  riconduca  in  prigione^.  Non  appena  è  dato 
quest'ordine,  che  due  de*  più  robusti  giocatori  pren^ 
dono  in  mano  la  fune  e  tirano  ad  un  tratto  Tinsidioso 
tappeto,  in  modo  che  il  povero  accusato,  quando  meno 
se  lo  aspetta,  si  sente  mancare  il  terreno  sotto  i  piedi, 
e  fa  un  capitombolo. 

La  medesima  sorte  è  riserbata  a  tatti  gli  altri  ra- 
gazzi, eccetto  alcuni,  che  conoscendo  il  giuoco  si  guar- 
dano dalla  insidia  tenendo  un  piede  fuori  del  tappeto 
e  Taltro  un  pochino  sospeso. 

È  q-uesto  un  giuoco  villereccio ,  che  si  fa  di  sera, 
ed  è  usitatissimo  nel  tempo  della  vendemmia ,  della 
raccolta  delle  ulive  o  della  estrazione  delFolio.  Lo 
fanno  perdo  più  gli  adulti;  e  sta  bene  in  questo  gruppo. 

Raccolto  in  Mazzara. 

197.  A  lu  ludici  e  lu  Latru. 

Uno  £et  da  giudice  e  siede  con  gran  sussiego  ;  un 
altro  gli  viene  presentato  come  reo  di  furto.  Il  giù- 

*  Si  ricordino  i  versi  del  canto  popolare  (Salomone  ,    (kmti  pop. 
sic,,  n.  569): 

Quanno  cu  la  Giustizia  si  parrà, 
Cu  li  manu  llati  e  rocchi  'n  terra. 


318  GIUOCHI 

dice  gli  fa  una  forte  intemerata  ;  e  quello  dimesso 
rassegnato  mostra  di  riconoscere  il  suo  delitto  e  la 
ragionevolezza  del  rimbrotto;  nell'andar  via  si  toglie 
il  berretto;  ma  ad  arte,  perchè,  essendo  questo  ripieno 
di  cenere,  il  reo  la  riversa  sul  viso  e  sugli  occhi  del 
giudice.  E  i  fanciulli  a  fargli  le  più  grasse  risate. 

Nel  Jocu  di  lu  Tnalaùu  di  Cianciana  uno  dei  gioca- 
tori si  sdraia  per  terra  malato  ;  ed  ecco  il  notaio , 
che  viene  rappresentato  dal  più  ingenuo  dei  fanciulli; 
e  l'ammalato,  che  detta  il  suo  testamento  largheggiando 
di  legati  che  non  possiede,  con  ciascuno  degli  astanti; 
i  quali,  grati  di  tanta  generosità,  ringraziano  il  notaio: 
Tanti  graziiy  signuH  Nutaru  !  scoprendosi  il  capo  e 
riversando  sul  viso  del  funzionante  notaio  tutta  la  cru- 
sca onde  si  erano  riempiti  i  berretti ,  e  dandogli  la 
baia. 

198.  A  lu  Gasteddu. 

Molti  ragazzi  si  raccolgono  a  pie  d' un  rialzo  o  di 
un  grosso  mucchio  di  terra  o  di  pietre,  e  uno  di  essi» 
scelto  o  no,  ne  guadagna  l'altezza,  che  per  tutti  rap- 
presenta un  castello.  1  compagni  non  mirano  ad  altro 
se  non  a  spostarlo,  e  per  questo  tutti  insieme  o  alla 
spicciolata,  da  vari  lati  s'arrampicano,  saltano,  quale 
afferrando,  quale  tirando,  quale  spingendo  indietro  il 
capo-giuoco.  11  padrone  del  castello  si  moltiplica  per 
respingere  e  mandar  giù  ruzzoloni  gli  assalitori  ;  e 
nel  volgersi  a  destra,  a  sinistra,  indietro,  in  avanti, 
ripete  incessantemente,  di  qua:  Acchiana  nni  lu  me 


A  LU  CASTEDDU  319 

palazzu  I  di  là:  Scinni  di  lu  me  palazzu  !  eccitando 
a  montare  colui  che  subito  ricaccia  indietro.  Chi  rie- 
sce a  vincerlo  ne  prende  il  posto ,  ragione  di  nuovi 
e  più  audaci  assalti  de*  giocatori. 
È  un  giuoco  di  forza,  agilità  e  destrezza. 

In  Borgetto  si  contano  molti  fanciulli,  e  si  dividono 
in  due  schiere  secondo  i  numeri  pari  o  dispari  che 
loro  toccano  nel  conto.  Armati  di  gettoni  verdi  di 
sambuco,  e  guidati  per  ciascuna  schiera  da'  lori  capi, 
si  mettono  gli  uni  alla  difesa  d'un  rialzo  o  d'una  col- 
lina ,  gli  altri  air  assalto  di  questa  da  tutti  i  lati.  I 
colpi  piovono  da  entrambe  le  parti,  e  chi  primo  rie- 
sce a  guadagnare  l' altura  e  piantarvi  il  suo  gettone 
{bannèra)^  ottiene  la  vittoria  di  tutta  la  sua  parte,  che 
tosto  occupa  il  castello,  pronta  a  difenderlo  dai  nuovi 
assalitori,  che  sono  i  vinti. 

Nei  patti  del  giuoco  talora  si  cerca  di  moltiplicare 
le  difficoltà  dell'impresa  scegliendo  castelli  più  o  meno 
inaccessibili  per  difficoltà  naturali  o  artificiali  (stagni, 
macchie,  macigni,  ruderi,  muri  ecc.). 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nel  Monferrato  i  fanciulli  giocano  a  La  torre  ^Ferraro, 
Cinquanta  Giuochi,  n.  XVII);  presso  i  Latini  Turricula, 
Turris  mobilis  o  ambulatoria  de'  Romani. 

Il  Ferrare  vede  in  questo  giuoco  una  memoria  della  plebe 
sorta  a  forza  e  a  libertà  ;  che  cerca  di  abbattere  le  torri 
de'  feudatari  e  raderle  al  suolo  come  a  Firenze.  Mah...  ! 

Altro  giuoco  molto  simile  è  in  Venezia  col  titolo  La  For- 
tezzay  n.  96  del  Bernoni. 


320  GIUOCHI 

199.  A  li  Palazzi. 

Tra  diciotto  o  venti  fanciulli,  quanti  ce  ne.  vogliono 
per  far  questo  giuoco,  i  due  più  valenti  ed  autorevoli 
àmianujocu^  e  tante  volte  fanno  a  pari  e  caffo  quanto 
basta  per  la  scelta  de'  compagni,  [fàrisi  li  cumpagni). 
Scelta  la  gente  delle  due  parti,  i  due  capi  tirano  l'ul- 
tima sorte  per  istabilire  chi  debba  formare  il  palazzu 
di  supra ,  e  chi  il  palazzu  di  sutta ,  cioè  chi  debba 
avere  il  vantaggio  di  andar  sopra,  e  chi  lo  svantaggio 
di  andar  sotto. 

Le  due  parti  sì  schierano  Funa  di  fronte  all'altra, 
distanti  tra  loro  pochi  passi  :  limite  un  marciapiede 
in  città,  e  fuori  una  linea  o  striscia  accidentale  del 
terreno  ecc. 

Ecco  dal  «palazzo  di  sopra»  spiccarsi  e  correre  verso 
il  «  palazzo  di  sotto  »  un  giocatore.  Egli  ha  da  romper 
la  stretta  fila  de'  giocatori ,  che  anelano  a  passare 
al  palazzo  di  sopra;  e  attraversarla  senza  rimaner 
preso.  Ma  appunto  qui  sta  il  diffìcile.  Il  fanciullo  inve- 
stito apre  le  braccia  e  stringe  il  nemico,  gridando: 
VAceddu  ti  lassa .'  e  se  è  cosi  agile  e  vigoroso  da  ar- 
restarlo e  tenerlo  preso ,  lo  fa  prigioniero  ,  e  corre 
subito  a  prenderne  il  posto  nel  «  palazzo  di  sopra  ». 

11  giuoco  si  ripete  tanto  fino  a  che  i  fanciulli,  che  e- 
rano  appuzzatinéi  «  palazzo  di  sotto  »,  non  passino  tutti 
col  capo  loro  al  «  palazzo  di  sopra  »,  e  cosi  la  partita  è 
vinta,  e  si  ricomincia. 

VARIANTI  E  BISCONTRI 

Molta  somiglianza  col  nostro  ha  il  giuoco  toscano  A  toc- 
caferro, ed  il  lombardo  A  bara. 


A  LA  PITRULIATA  321 

200.  A  la  Pitruliata. 

Due  parti  di  giocatori,  aventi  ciascuna  il  suo  capo, 
si  postano  in  luogo  aperto,  nel  cui  centro  è  qualche 
cpsa  che  una  di  esse  debba  conquistare.  Ecco  il  capo 
d'una  parte  dare  il  segnale  della  zuffa  lanciando  il  pri- 
mo sasso;  ed  ecco,  dopo  di  lui,  tanto  i  suoi  quantogli 
avversari,  fare  tutti  a'  sassi  ingegnandosi  ciascuno  di 
metter  paura  alla  parte  contraria,  di  farla  rinculare  per 
guadagnar  terreno  verso  la  meta.La  sassaiuola  dura  fino 
a  tanto  che  una  delle  due  fazioni  non  sia  volta  in  fuga, 
e  l'altra  s'impossessi  del  luogo  convenuto  e  contrastato. 

Questo  passatempo  è  talvolta,  se  non  allo  spesso  , 
un  brutto  giuoco,  per  le  conseguenze  che  reca. 

In  Palermo,  oltre  che  per  passatempo,  ne'  rivolgi- 
menti politici  e  civili  s'è  fatto  quasi  sempre  per  una 
specie  di  odio  di  parte,  non  nuovo  né  recente  *  tra'  fan- 
ciulli de'  diversi  quartieri;  e  son  celebri  ìepitruliati  fra 
quei  del  Borgo  e  quei  di  S.  Pietro.  I  Sampietrani  u- 
scivano  da  Porta  S.  Giorgio  o  da  quella  che  fu  porta 
presso  Castellamare;  i  Borghetani  sbucavan  fuori  dalle 
vie  Collegio  di  Maria,  dello  Speziale  ecc.  pieni  le  pit- 
turini,  i  berretti  e  le  tasche  di  sassi.  La  lotta  s' im- 
pegnava nella  contrada  S.  Bastianello,  fino  al  Piano 
Castellamare,  e  non  era  faccenda  da  pigliare  a  gabbo. 
L'assalto  facevasi  al  grido: 

Ad  iddi,  ad  iddi,  ad  iddi  I 
Ca  Sampitrani  su'  ! 

1  Veggasi  i  miei  Usi  natalizi,  nuziali  e  funebri^  p.  5^9. 

G.  PiTBB.  —  Giuochi  fanciulleschi  21 


322  GIUOCHI 

Ed  il  trionfo: 

Burichitani,  Burichitani 

Ficiru  fùjri  1  Sampitrani  !  (e  viceversa) 

Oella!  * 

Una  di  queste  sassaiuole  fu  largamente  descritta  da 
me  nella  Scena  di  Venezia. 
Veggasi  tra'  Giocattoli  e  Balocchi  la  Ciunna, 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Come  de'  Toscani  è  di  tutti  i  fanciuUi  d'Italia  il  Fare 
alla  sassaiuola;  che  quelli  del  Parmigiano  dicono  Zugar 
a  far  al  sassadi.  Sassament  è  poi  la  sassaiuola  stessa 
(Malaspina,  IV,  27). 

201.  A  la  Verrà. 

Fra  i  giuochi  ginnastici  di  Cliiai*amonte  ce  n'  era 
uno  di  antichissimo  uso  ,  che  facevasi  di  contrab- 
bando, perchè  proibito  ai  fanciulli  dai  parenti,  ed  ora 
dismesso  del  tutto  sin  dal  1848. 

Si  dividevano  in  due  eguali  drappelli,  ^c^MìAdAcxfld 
e  cruci  [n.  23),  e  T  uno  era  il  drappello  dei  Siciliani, 
Taltro  il  drappello  dei  Francesi.  Ciascuno  degli  eser- 
citi avea  la  propria  bandiera  :  i  Siciliani  un  fazzoletto 
rosso,  i  Francesi  uno  bianco,  infissi  a  una  canna;  cia- 
scuno avea  il  tamburo  e  qualche  zufolo  di  creta  che 
passava  per  tromba.  Da  prima  si  sceglieva  il  luogo, 
che  per  lo  più  era  il  Piano  dei  Cappuccini  o  quello 
dei  Riformati,  spaziosi  e  un  po'  discosti  dair  abitato. 

»  I  Borghetari',  i  Borghetani  fecero  fuggire  (misero  in  fuga)  i  Sam- 
pietrani.  Oella  I 


A  LA  VERRÀ  323 

Ciascuno  degli  eserciti  preparava  un  grosso  mucchio 
di  pietre,  e  a  un  dato  segnale,  parca  una  grandinata 
nel  maggio  :  teste  rotte  ed  ammaccate   e   braccia  e 
gambe  coi  lividi  non  mancavano  né  poteano  mancare, 
perchè  era  lecito,  egli  è  vero,  chinar  la  testa  e  farsi 
scudo  delle  braccia  ,  e  stirarsi  a  terra ,  ma  non  era 
lecito  muoversi  dal  luogo  assegnato,  giacché  in  caso 
contrario  il  fanciullo  era  dichiarato  vile,  né  più  potea 
far  parte  dei  giuochi.  Se  qualche  ferita  era  grave,  cioè 
se  il  fanciullo  buttava  copia  di  sangue,  presi  da  timore 
si  sparpagliavano  correndo,  ma  qualcuno  più  pietoso 
accompagnava  il  ferito  presso  i  parenti.  Quando  poi 
si  era  dato  fine  ai  mucchi  delle  pietre,  cominciava  il 
combattimento  ad  armi  bianche,  che  ognuno  avea  un 
pezzo  di  legno  foggiato  a  sciabola,  o  se  non  altro  un 
manico  di  scopa,  o  anche  qualcuno  di  quei  grossi  cuc- 
chiai di  legno  in  uso  presso  i  pastori.  1  tamburi  bat- 
tevano, e  i  due  eserciti  si  avventavan  gridando.  I  Si- 
ciliani cantavano  questi  versi  : 

Mbrò,  rabrò,  mbrè  1 
Viva  'a  Sicilia, 
Viva  lu  Rrè  1 

K  i  Francesi  ripeteano  : 

Nta  nta  rantà  ! 
Corpu  di  lanza 
Senza  pietà  ! 

Qui  avea  luogo  un  combattimento  accanito,  e  chi  cadea 
venia  posto  in  disparte.  Si  picchiava  maledettamente, 
e  pure  ninno  emetteva  uno  strido  di  dolore.  Quando 


324  GIUOCHI 

sì  era  stanchi,  si  contavano  li  cascittuna,  cioè  i  fan- 
ciulli posti  in  disparte ,  e  venia  dichiarato  vincitore 
l'esercito  ch'era  rimasto  più  numeroso.  * 

202.  A  lu  'Mmasciaturi. 

Un  numero  indeterminato  ma  non  piccolo  di  fan- 
ciulli si  dividono  in  due  schiere  :  una  del  Re  Pippinu, 
r  altra  del  Re  PartugcUlu.  Re  Pipino  è  innamorato 
della  figlia  del  Re  di  Portogallo,  e  manda,  senza  tanti 
complimenti,  un  messaggio,  per  chiederla  in  isposa. 
Il  fanciullo  che  fa  da  messaggio,  giunto  alla  presenza 
del  re  s'inginocchia,  e  dice  :  A  pedi  di  So  Maistàl 
Mi  manna  lu  me  Re,  Re  Pippinu,  ca  voli  a  vostra 
figghia  ;  m^asinnó  si  fa  guerra  corpu  a  corpu.  Re 
di  Portogallo  lo  rimanda  indietro,  e  per  un  suo  mes- 
saggiere  manda  la  risposta.  —  A  pedi  di  So  Maistàìi 
(dice  il  messaggiere  inginocchiandosi  alla  sua  volta  in- 
nanzi a  Re  Pipino);  m,i  manna  lu  m,è  Re,  Re  di  Par- 

»  Egli  è  innegabile  essere  questo  giuoco  un  vivo  ricordo  dell« 
guerre  del  Vespro,  e  chi  sa  I  forse  i  due  brani  poetici  sono  fram- 
menti dei  canti  di  quelle  guerre.  Interrogai  (son  parole  dei  Ba- 
rone S.  A.  Guastella)  il  prete  D.  Giovanni  Ragusa,  pressoché  no- 
nagenario, se  ai  tempi  della  sua  puerizia  i  versi  citati  erano  tali 
quali  sono  oggidì,  e  mi  rispose  affermativamente  ;  aggiunse  che 
ai  suoi  tempi  il  fazzoletto  rosso  indicava  la  bandiera  siciliana,  e 
il  bianco  la  francese  ;  e  che  invano  egli  e  jma  mano  di  bimbi, 
che  bazzicavano  in  iscuola,  voleano  invertire  gli  eserciti  in  Car- 
taginese e  Romano,  secondo  Tuso  delle  scuole  gesuitiche.  La  pro- 
posta era  sempre  respinta  ed  anzi  accolta  con  flschi.-»PiTRB,  Jl  Ve* 
spro  siciliano  nelle  Tradizioni  popolari  della  Sicilia^  p.  113.  Pa- 
lermo, L.  Pedone  Lauriel,  Edit.  MDCCCLXXXII. 


A  LI  PALADINI  325 

tugallu  ;  dici  ca  a  so  figghia  'un  vi  la  voli  dari;  e 
torna  indietro.  Re  Pipino  scatta  come  molla  e,  sbuf- 
fando ira  da  tutte  le  parti,  chiama  a  vendetta  i  suoi. 
Un  suo  nuovo  messaggio  reca  l'intimazione  di  guerra 
al  temerario  Re  di  Portogallo,  che,  pronto  alla  sfida, 
si  avanza  bellicoso  colla  sua  schiera.  I  due  re  diri- 
gono personalmente  il  duello,  che  si  fa  di  uno  centra 
uno,  di  due  centra  due  ecc.  sempre  delle  due  fazioni 
nemiche.  Ad  uno  che  cada  ne  sottentra  un  altro  della 
medesima  schiera ,  finché  venuti  a  fronte  i  due  re, 
quello  di  essi  esce  vittorioso ,  che  abbattè  V  avver- 
sario. 

È  superfluo  il  dire  che  armi  son  le  braccia  ,  e  che 
le  leggi  cavalleresche  popolari,  secondo  la  tradizione 
del  Cuntu  e  dell'Opra  di  li  pupi  «,  vi  sono  scrupolo- 
samente osservate.  Chi  vince  vede  i  suoi  soldati  levarsi 
a  festeggiarne  la  vittoria. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Giova  notare  che  questo  giuo'co  non  ha  quasi  nulla  del 
famoso  giuoco  déiV Ambasciatore,  comunissimo  in  Italia  e 
fuori,  se  non  voglia  guardarsi  al  fatto  della  richiesta  d'una 
principessa  per  via  d'un  messaggio. 

203.  A  li  Paladini. 

{Con  tavola) 

Quindici ,  venti  fanciulli  scelgono  il  loro  capo  ,  il 
quale  è  padrone  assoluto  di  ordinare  quel  che  crede 
pel  buon  andamento  del  giuoco.  Egli  rappresenta  Carlo 

1  V.  nel  prossimo  volume  della  Biblioteca  delle  tradizioni  popo^ 
lari  siciliani  lo  scritto  Le  tradizioni  cavalleresche  in  Sicilia, 


326  GIUOCHI 

Magno ,  e  divide  i  giocatori  in  due  schiere  :  una  di 
cristiani,  una  di  pagani,  dando  a  ciascuno  di  essi  un 
nome  cristiano  :  Orlando,  Rinaldo  ,  Ricciardetto,  Mi- 
lone,  Ruggiero;  ovvero  di  infedele:  Agolante,  Ferraù, 
Tamburlano ,  Pulicardo ,  Learco.  Fra  tutti  vi  è  però 
una  dama.S'intende  che  i  primi  due  nomi  son  più  ambiti, 
e  gli  altri  de'  Mori  detestati.  Partiti  in  queste  schiere, 
Carlo  Magno  aringa  i  paladini  incitandoli  ad  una  bat- 
taglia contro  i  nemici  della  cristianità.  Finita  la  di- 
ceria, che  è  una  invettiva  contro  gli  Affricani,  ordina 
che  uno  alla  volta  si  avanzino  i  combattenti  dell'una 
e  dell'altra  parte.  Chi  primo  riceve  un  colpo  al  ven- 
tre cade  per  terra  e  vi  rimane  sino  alla  fine  del  com- 
battimento. Chi  per  caso  scivoli,  e  cada,  senza  ricever 
colpo  veruno,  non  va  toccato  né  molestato ,  perchè , 
come  dice  il  proverbio  cavalleresco,  V  omu  eh*  è  'n 
terra  'un  si  divi  ammazzari.  Al  caduto  sottentra  un 
altro  di  parte  stessa.  Carlo  Magno  dirige  in  persona  il 
duello,  e  quando  non  resta  più  nessuno  a  morire,  il 
vincitore  .riceve  in  premio  la  dama. 

Accade  che  qualche  giostrante  (che  in  fondo  non  si 
tratta  se  non  di  una  giostra;  e  di  giustra  parla  spesso 
Carlo  Magno)  prenda  la  fuga;  e  allora  l'altro  cavaliere 
lo  insegue  fino  a  certo  punto,  di  là  dal  quale  non  gli 
è  permesso  di  spingersi,  e  se  può  lo  atterra. 

Nella  nostra  tavola  è  Carlo  Magno  in  fondo,  accon- 
ciato come  gli  è  piaciuto  meglio:  con  un  pennacchio 
al  berretto  e  un  panno  qualunque  buttato  sopra  le 
spalle,  che  vuol  esser  paludamento  reale  (n.  1);  a  de- 
stra un  paladino  (n.  2)  in  atto  di  schermire  un  colpo  che 


A  LI  VARRILI  327 

è  per  dargli  un  pagano  (3),  e  Tuno  e  l'altro  sono  fian- 
cheggiati da  altri  che  presto  entreranno  in  lizza. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Ha  molta  analogia  con  I  sciavi ,  giuoco  veneziano  del 
Bernoni,  n.  94,  dove  però  non  c'è  niente  di  cavalleresco. 

204.  A  li  Varrili. 

In  Santa  Ninfa  A  li  quattru  valliri  ;  '  in  Riesi  A 
òarrili. 

Due  ragazzi,  a'  quali  la  sorte  riesca  favorevole  nel 
conto,  si  mettono  carponi  con  le' mani  e  le  ginocchia  a 
terra  V  uno  a  fianco  delF  altro ,  in  modo  però  che  la 
testa  dell'uno  sporga  dove  sporgono  i  piedi  dell'altro. 

A  traverso  e  sopra  di  questi  due  stendesi  supino 
un  altro,  di  guisa  che  appoggi  da  un  lato  i  piedi  a  terra 
e  ne  sporga  dal  lato  opposto,  il  capo. 

Un  altro  finalmente  presa  la  testa  di  quest'ultimo 
tra  le  sue  gambe  ,  lo  abbraccia  per  la  cintura ,  e  lo 
alza,  indi  si  volge  e  tenendo  sempre  il  compagno  tra 
le  braccia,  si  stende  supino  e  trasversalmente  sopra 
i  due  che  stanno  carponi ,  mentre  il  compagno  ,  ab- 
bracciato com'  è,  ponendo  i  piedi  a  terra,  si  rizza,  o 
piglia  ed  alza  alla  sua  volta  1'  altro.  Quando  questi 
lasciano  di  tenersi  abbracciati,  o  cadono,  o  1'  uno  di 
loro  tocca  terra  col  capo,  sottentrano  a  quelli  che  stan- 
no carponi ,  i  quali  gli  imitano  alla  volta  loro  nello 
stendersi  e  nell' alzarsi.  Cosi  continua  il  giuoco  per 
un  bel  pezzo. 

In  Mazzara  questo  giuoco  prende  il  nome  A  li  miZ" 


328  GIUOCHI 

zalori^  e  bisogna  notare  che  colà  la  mizzalora  non 
è,  come  nel  dialetto  comune  della  Sicilia,  un  piccolo 
barile  da  portare  a  cintola  per  cammino,  ma  un  grande 
barile  assai  bislungo,  capace  di  ventisei  litri.  Quattro 
di  questi  barili,  dueper  parte  sopra  un  giumento,  for- 
mano una  mizzalora  di  vino. 

205.  A  lu  Meccu. 

Si  fa  in  molti ,  per  lo  più  adulti ,  passandosi  V  un 
r  altro  da  mano  a  mano  un  moccolo  acceso  {meccu), 
e  colui  rimanendo  perditore  nelle  cui  mani  esso  si 
spenga. 

Non  conosco  le  parole  che  i  giocatori  si  dicono  nel 
dare  e  nel  ricevere  questo  lumicino,  ma  è  certo  che 
ve  ne  sono. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  Fare  al  luminello  e,  secondo  Malaspina, 
(III,  304)  Fare  a  passa  passa  Giovanni;  in  Parma  A  pizz 
fai  o  tei  daggy  pizz  fai  mantègn  (Maiaspina,  III,  304,  e 
IV,  468);  in  Milano  A  Pizz, 

206.  A  rovu. 

Tra  due  che  chiameremo  Turi  e  Vanni,  si  prende 
uil  uovo  e  si  scommette  a  chi  sarà  buono  di  trovarlo 
addosso  ad  un  terzo  che  chiameremo  Martinu,  e  nei  cui 
vestiti  lo  nascondono.  Martino  dev'esser  la  vittima  di 
una  burletta:  e  di  fatti  Turi,  indettatosi  con  Vanni, 
va  via,  e  Vanni  nasconde,  p.  e.,  nel  berretto  di  Mar- 


A  LU  MARINARU  329 

tino  Tuovo.  Viene  Turi  e  comincia  a  frugare  addosso 
a  Martino  Tuovo,  fingendo  di  non  saper  nulla,  ed  af- 
fettando rincrescimento  e  confusione  di  non  riuscire 
a  trovar  Tuovo.  A  certo  punto  però,  quando  gli  cade 
in  acconcio,  dà  un  colpo  di  mano  sul  berretto  del  sem- 
plicione, e  gli  rompe  l'uovo  sul  capo. 

È  un  divertimento  di  alcuni  giorni  di  festa  nel  quar- 
tiere palermitano  di  Baddarò. 

207.  A  lu  Marinaru. 

Un  ragazzo  siede  per  terra ,  e  sulle  gambe  distese 
e  piegate  tiene  un  bastone  lungo  quanto  basti ,  con 
le  mani  e  con  le  dita  volte  in  su.  A  destra  e  a  sinistra 
di  lui  siedono  in  terra  altri  due  con  le  gambe  savrap- 
poste  al  bastone ,  al  quale  si  attengono  con  ambe  le 
mani  all'uno  e  all'altro  lato.  Colui  che  sta  in  mezzo, 
dicendo  :  Voca,  voca  lu  marinaru;  ajutàìnunì ,  chi 
vennu  lì  Turchi!  piegasi  indietro  a  guisa  di  remo,  ed 
alza  alquanto  il  bastone,  e  con  esso  le  gambe  dei  suoi 
compagni.  Ciò  fatto  più  volte,  alza  ad  un  tratto  e  con 
forza  il  bastone  in  modo  che  i  suoi  compagni  vadano 
in  aria,  quando  meno  se  l'aspettano,  a  gambe  levate, 
con  le  risa  di  tutti  gli  astanti. 

Si  fa  in  Mazzara.  * 

*  Le  parole  del  capo-giuoco  ricordano  lo  spavento  lasciato  in 
quelle  parti  dai  pirati  turchi,  che  infestarono  e  tennero  quei  mari 
cosi  lungo  tempo.  Un  bI;^vissimo  seno  di  mare  nella  spiaggia  orien- 
tale di  Mazzara,  chiamato  tuttora  Cala  di  li  Turchi,  indica  il  luogo 
dov'  essi  forse  più  frequentemente  sbarcavano  :  e  le  torricelle ,  di 


330  GIUOCHI 

208.  A  lu  Scarparu. 

11  capo-giuoco  siede  per  terra,  e  due  compagni  gli 
siedono  ai  fianchi  a  gambe  nude,  e  tengono  in  mano 
una  scarpa  per  uno.  Il  capo-giuoco  fingendo  di  cucire 
la  suola  di  una  scarpa  tira  lo  spago,  slarga  le  brac- 
cia e  dice  : 

Scarparu  ! 
Ogni  puntu  nni  fazza  un  paru  !  * 

Ovvero,  come  in  Mazzara  : 

Lu  me  mastru  mi  'nsigna  a  cusiri  : 
Ogni  puntu  fa  accussi; 

e  in  cosi  dire,  coglie  il  momento  opportuno  per  ba<^ 
tere  col  dosso  della  mano  destra  all'uno  e  della  sini- 
stra all'altro  la  gamba  nuda.  Chi  riceve  il  colpo  però 
ritira  la  gamba  sostituendo  la  scarpa  che  ha  in  mano 
tanto  che  il  colpo  cada  in  fallo  o  vada  sulla  scarpa. 
Nel  primo  caso,  il  giuoco  si  prosegue;  nel  secondo,  fa 
da  mastro  chi  sia  riuscito  a  far  cadére  il  colpo  sulla 
scarpa. 

cui  erano  munite  tutte  le  abitazioni  campestri  prossime  al  mare, 
alcune  delle  quali  rimangono  ancora ,  dimostrano  in  qual  modo 
gli  abitatori  dei  campi  provvedessero  alla  loro  salvezza.  Anche 
presso  Palermo  c'è  una  spiaggia  detta  Acqua  di  li  cursali, 

^  I  ciabattini  ambulanti  in  Palermo  gridano: Sòarparu/  acuì  i mo- 
nelli aggiungono  fuggendo  per  non  farsi  cogliere  dal  ciabattino  dif- 
famato: Ogni  puntu  nni  fazzu  un  paru  !  Similmente,  quando  va  in 
giro  col  bossolo  raccogliendo  la  elemosina  |in  confrate  della  Con- 
gregazione delle  Anime  del  Piu^gatorio,  egli  grida  scotendo  il  bos- 
solo stesso:  Armi  santi/  e  un  fanciullo  risponde:  Arricogghi  tinti  e 
mancianu  tanti/ 


A  l'apuni  331 

209.  A  r  Apuni. 

Uno  di  tre  giocatori  si  posta  nel  mezzo  con  un  ber- 
retto lungo  in  testa  pieno  di  strame,  cosi  che  il  ber- 
retto stia  ritto.  Altri  due  gli  si  mettono  a  fianco  a 
destra  e  a  sinistra ,  ed  appongono  V  uno  la  destra  e 
r  altro  la  sinistra  alla  tempia  opposta  per  difenderla 
dai  manrovesci  che  potrà  dargli  chi  sta  nel  mezzo.  Il 
quale ,  nascondendo  la  bocca  tra  le  maxii  giunte  sul 
naso  air  estremità  delle  dita ,  ronza  come  un'  ape,  e 
volgesi  ora  a  questo,  ora  a  quello;  finché,  parendogli 
ristante  opportuno,  dà  prestamente  due  manrovesci 
ai  compagni,  e  ad  un  tempo  si  abbassa  per  isfuggire 
ai  colpi  che  essi  son  pronti  a  dargli  con  la  mano  li- 
bera sul  berretto  per  farglielo  cadere.  Quando  il  colpo 
cade  in  fallo,  ciascuno  conserva  il  suo  posto;  quando 
riesce,  si  mette  in  mezzo  a  far  da  capo-giuoco  colui 
che  fa  saltare  il  berretto. 

Fr.  Pasqualino ,  nella  prima  metà  del  sec.  passato, 
raccolse  e  lasciò  descritto  sotto  lo  stesso  titolo  questo 
giuoco.  Vedi  M.  Pasqualino,  Vocal).  slciL,  voi.  I,  124. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Corre  lo  stesso  giuoco  in  Sorrento  (Vedi  Rivista  di  Let- 
teratura pop.,  an.  I,  p.  309). 

Il  giuoco  toscano  della  Civetta  ha  molta  analogia  col  no- 
stro. Eccone  la  descrizione  del  Minucci:  «  S'accordano  tre: 
ed  uno  di  loro,  al  quale  è  toccato  in  sorte,  si  pone  in  mezzo 
agli  altri  due,  i  quali  s'ingegnano  di  cavargli  il  berrettino 
di  testa  colle  percosse  della  mano  :  e  quando  egli  tocca 
terra  colle  mani,  non  può  essere  percosso;  o  però  ora  al- 


332  GIUOCHI 

zandosi,  ora  abbassandosi,  tira,  quando  all'uno,  e  quando 
air  altro ,  di  gran  mostaccioni.  Dura  il  giuoco  fintantoché 
da  uno  delli  due  gli  sia  fatta  cascare  con  un  colpo  la  ber- 
retta dalla  testa  ;  che  allora  perde  il  premio  proposto  :  e 
lo  vince  colui,  che  gliel*  ha  fatto  cascare  :  il  quale  (segui- 
tandosi il  giuoco)  va  nel  mezzo  in  luogo  del  primo.  »  MaU 
maritile  racquistato,  v.  I,  pag.  190.  Vedi  anche  Barbieri» 
pag.  68. 

210.  A  lu  Vujaru. 

Molti  si  schierano  in  linea  retta,  con  un  fazzoletto 
in  mano  contorto  e  addoppiato  a  guisa  di  fune  [rumè)  *. 
Ciascuno  di  essi  ha  il  nome  d'uno  di  coloro  che  sono 
adoperati  a'  servigi  d'una  grande  mandra  :  vaccàru^ 
picuraru,  craparu  ^  garzuni  ecc.  Presentasi  il  so- 
prastante col  suo  fazzoletto  e  garrisce  della  trascu- 
ranza  avuta  uno  di  loro,  che  risponde  e  si  scusa,  e  ve- 
dendo che  il  soprastante  si  muove  per  batterlo  scappa 
e  gira,  mentre  Faltro  Tinsegue,  e  se  lo  raggiunge  lo 
batte  finché  V  inseguito  occupa  Y  ultimo  posto  della 
linea.  Dopo  il  primo,  il  soprastante  garrisce  di  mano 
in  mano  tutti  gli  altri,  che  scappano  ;  sono  inseguiti 
e  battuti  nel  medesimo  modo,  se  non  sono  agili  a  cor- 
rere ed  a  schierarsi  con  gli  altri  di  nuovo,  occupando 
r  ultimo  posto.  Ma  dopo  costoro  viene  la  volta  del 
soprastante,  contro  il  quale  si  scagliano  tutti  per  ven- 
dicarsi delle  battiture  ricevute,  e  mal  per  lui  se  non 
gli  riesce  di  chiudersi  prestamente  in  qualche  stanza, 
0  se  non  mettesi  la  via  tra  le  gambe  prima  che  ter- 
mini il  giuoco  villereccio  e  villano  ad  un  tempo. 

Raccolto  in  Mazzara. 

*  Vedi  a  pag.  278. 


A  L'  OCIDDARU  333 

211.  A  V  Ociddaru. 

11  mastro  dà  a  ciascuno  de'  vari  giocatori  il  nome 
d'un  uccello;  tutti  fanno  cerchio  e  tengono  con  le  mani 
il  lembo  d'un  panno  alquanto  largo.  L'uccellatore,  che 
è  il  capo-giuoco,  gira  attorno  a  loro  gridando  :  L' ocid- 
daru cu  Vocieddu  !  Viene  un  altro  di  fuori  e  gli  do- 
manda se  abbia  questo  o  quell'altro  uccello.  Risponde 
r  uccellatore  si ,  e  T  avventore  prima  di  comperarlo 
desidera  sentirne  il  canto.  Chi  ha  il  nome  dell'uccello 
richiesto ,  lascia  il  panno ,  mettesi  sotto  di  esso ,  e 
imita  come  può  il  canto  dell'uccello  da  lui  rappresen- 
tato. Il  compratore  non  resta  contento  né  di  questo 
né  di  tutti  gli  altri  che  cantano  di  mano  in  mano,  nel 
medesimo  modo ,  finché  desidera  di  sentire  il  corvo. 
Ma  non  appena  il  povero  uccello  si  mette  a  crocidare 
sotto  il  panno  ,  che  tutti  i  compagni  glielo  lasciano 
cadere  addosso ,  mal  soffrendo  la  sua  trista  voce,  e 
lo  picchiano. 

Versione  raccolta  in  Mazzera. 

212.  A  lu  Pignateddu. 

Vari  ragazzi  siedono  a  terra  in  cerchio;  metà  spet- 
tano ad  un  mastro,  metà  ad  un  altro.  Entrambi  i  ma- 
stri si  accertano  della  buona  qualità  de'  pignateddi 
(pentolini),  che  son  le  teste  de'  giocatori;  e  li  tastano 
stringendoli  tra  le  due  mani,  battendoli  con  le  nocche 
delle  dita  come  si  fa  delle  pentole  di  terra  cotta.  Le 


334  GIUOCHI 

cattive  si  scartano  ;  le  buone  si  vanno  a  vendere  al 
mercato  :  e  le  vendono  i  due  mastri.  Il  giuoco  ,  allo 
spesso,  primo  che  cosi,  finisce  con  un  abbaruffio  ge- 
nerale. 
Si  ravvicini  al  seguente: 

213.  A  lu  Mulunaru. 

Uno  fa  da  venditore  di  muLuna  (cocomeri);  e  mw- 
luna  sono  un  certo  numero  di  giocatori.  Viene  un 
compratore ,  e  cerca  d'  un  buon  cocomero  a  prova. 
Egli  stringe  tra  le  due  mani  una  dopo  Taltra  le  teste 
de'  giocatori;  e  quel  cocomero  che  gli  pare  buono  da 
comprare  pattuisce.  Venditore  e  compratore  si  bistic- 
ciano, e  ci  va  di  mezzo  il  cocomero  ,  cioè  la  povera 
testa  del  giocatore  preferito,  che  riceve  scosse  e  striz- 
zoni. 

214.  A  li  Cavaddi. 

Due  ragazzi  appoggiano  le  spalle  Tuno  a  quelle  del- 
l'altro, si  legano  largamente  con  una  fune  ai  fianchi, 
ed  indi  curvandosi  appoggiano  a  terra  un  bastoncino 
non  lungo  che  tengono  in  mano,  e  camminano  T  uno 
innanzi  e  l'altro  indietro ,  ossia  a  ritroso,  coperti  da 
un  lenzuolo  come  da  una  gualdrappa.  Questi  due  fanno 
da  cavalli.  11  padrone,  che  è  il  capo-giuoco,  come  per 
venderli  va  gridando  :  Haòu  dui  belli  cavalli  I  Haju 
dwz  &eWi  cai?aWi/ Vengono  successivamente  vari  com- 
pratori ,  e  per  farne  la  prova  vi  montano  addosso. 
L'uno  però  non  ne  resta  contento,  perchè  gli  paiono 


A  LÙ  CUCUZZARU  335 

un  po'  indocili;  un  altro  perchè  bassini;  un  altro  non 
può  convenire  col  padrone  nel  prezzo;  ma  quando  infine 
vi  sale  addosso  colui  che  vuoisi  sonare,  i  cavalli  si 
rizzano  e  lo  percotono  coi  bastoncini  che  tengono  in 
mano. 

215.  A  lu  Cucuzzaru. 

In  Mazzara  si  chiama  A  li  Ciccuzzi. 

Si  fa  tra  molti  fanciulli ,  ciascuno  de'  quali  riceve 
il  nome  di  ciccuzza  (zucca)  e  un  numero  progressivo: 
unu^  dui,  tri  ecc. 

Il  capo-giuoco  prende  il  nome  di  Cucuzzaru  in  Pa- 
lermo, di  Catasta  fracida  in  Mazzara. 

Questi  comincia  un  discorso,  e  a  certo  punto  chiama 
una  delle  buone  zucche  col  suo  numero,  p.  e.,  cucuzza 
tri.  Il  fanciullo  che  ebbe  assegnato  questo  numero 
deve  subito  chiamarne  un  altro,  p.  e.,  Cìicuzza  cincu^ 
proseguendo  il  ragionamento  incominciato  da  quello; 
e  se  noi  fa  perchè  ha  dimenticato  il  suo  numero ,  o 
se  tarda  a  rispondere ,  o  se  risponde  per  isbaglio  un 
altro  che  crede  avere  quel  numero,  depone  un  pegno. 
Il  mastro  può  essere  nominato  anch'esso,  e  deve  anche 
esso  risponder  subito. 

Raccolti  alquanti  pegni,  si  fanno  le  solite  penitenze. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Una  versione  beneventana  ce  n'è  in  Corazzini,  p.  107,  col 
titolo  Masto  cucuzzaro. 

Lo  stesso  è  in  Toscana  Le  Cocuzze  (Fanfani.  p.  280);  è 
simile  al  giuoco  della  Cocuzza  di  Venezia,  n.  7d  Bbrnoni. 


336  GIUOCHI 

216.  A  Culu  'n  terra. 

Chi  va  sotto  sta  in  piedi ,  e  gli  altri  giocatori  in- 
torno a  lui  siedono  in  terra  e  si  alzano.  Chi  sta  sotto 
deve  rimanere  in  guardia  per  carpirne  uno  alUistante 
che  colui  si  alzi;  e  se  lo  coglie,  questi  prende  il  suo 
posto.  Nel  giuoco  quindi  non  si  fa  altro  se  non  al- 
zarsi e  acculattarsi;  uno  corre,  e  due,  tre  alzati,  che 
vedono  il  pericolo  d'esser  presi,  si  calano  subito. 

Entra  fra'  giuochi  di  destrezza  e  di  agilità. 

217.  A  chi  servi  la  canna  ? 

Molti  fanciulli  e  fanciulle  siedono,  ed  il  capo-giuoco 
domanda  ora  all'uno  ora  all'altro  successivamente  qual 
uso  si  faccia  della  canna ,  dicendo:  A  chi  servi  la 
canna  ?  Chi  risponde:  Pri  fari  gaggi;  chi:  Pri  fari 
tetta  *;  chi;  Pri  fari  friscaletti;  chi:  Pri  fari  cunoc- 
chi;  chi:  Pri  stènniri  li  robbi;  chi:  Pri  fari  panàra 
e  carteddi  *;  chi:  Pri  'mpalari  vigni;  chi:  Pri  fari 
canneddi;  chi:  Pri  fari  cannar  a;  chi:  Pri  fari  la  can- 
nizza,  e  via  di  quest'andare.  Chi  non  risponde  franca- 
mente e  prontamente,  chi  indica  un  uso  che  è  stato 
detto  da  un  altro  ,  ovvero  un  uso  non  proprio  della 
canna,  depone  un  pegno  nelle  mani  del  capo-giuoco. 
Quando  tutti  i  giocatori  avranno  sbagliato  e  pagato 
il  pegno,  si  cominciano  le  penitenze. 

»  Per  fare  tetti  (fabbricar  volte). 
*  Per  far  panieri  e  corbe. 


A  L'URFANBKDA  O  A  LU  PIRCHÌ  "8^ 

Il  giuoco,  come  altri  giuochi  di  conversazione,  fa- 
cile in  principio  ,  diventa  difficile  mano  mano  che  si 
vengono  dicendo  gli  usi  più  comunemente  noti  della 
canna. 

In  Oianciana  il  giuoco  è  detto:  Lu  jocu  di  la  can- 
nuzza;  e  la  domanda  del  mastro,  è:  Chi  si  fa  cu  la  can- 
nuzza?  Tra  le  risposte  più  comuni  c'è:  8* ammazza 
la  vipara  —  S'ammazza  la  quisina  —  S'amm^azza  la 
serpi;  il  che  richiama  alFuso  ed  alla  credenza  popo- 
lare che  la  canna  verde  sia  un'arma  velenosa  contro 
il  biacco. 

218.  A  r  Urfanedda  o  A  lu  Pirclii. 

Molte  fanciulle  siedono,  e  la  mastra,  avvicinandosi 
successivamente  ora  alFuna  ora  sdl'altra,  dice: 

L'urfanedda  s'havi  a  maritafi:  chi  eoi  dati  ? 

A  questa  domanda  T^ma  promette,  p.  e.,  un  lenzuolo^ 
r  altra  una  gonnella,  questa  una  coperta,  quella  un 
grembiule,  e  cosi  via  via.  Ma  se  una  nomina  la  me- 
desima cosa  che  è  stata  promessa  da  un'altra,  deve 
deporre  un  pegno,  e  dicesi  spignari. 

Tei^minata  questa  prima  parte  del  giuoco,  va  la  ma- 
stra a  domandare  a  ciascuna  la  cosa  promessa  e  ne 
nasce  il  seguente  dialogo: 

Mastra.    L'urfanedda  si  marita: 

Datimi  lu  linzolu. 
Prima,     Nun  vi  la  pozzu  dari. 
Mastra,    E  pirchi  ? 
Seconda,  Me  marita,  (p.  e.)  nun  veli. 

G.  PiTRK.  —  Gittochi  fanciulleschi  2JK 


338  GIUOCHI 

Mastra,    Ma  vui  mi  lu  prumittistiva,  e  mi 

Faviti  a  dari. 
Terza.    E  jeu  nun  vi  lu  pozzu  dari. 
Mastra.  E  pipchi  ? 
Quarta,  Sugnu  scarsa.;. 

E  oosl  r  una  insiste  e  V  altra  si  ricusa  ;  ma  se  non 
risponde  prontamente,  e  non  adduce  ragioni  sempre 
diverse,  o  dice  Pirchl,  è  obbligata  a  deporre  un  pegno. 
Quando  la  mastra  vede  che  non  può  trarla  in  fallo, 
passa  avanti  e  fa  lo  stesso  dialogo  con  un'altra. 

Terminato  il  giuoco,  chi  ha  deposto  il  pegno  fa  la 
penitenza  che  la  mastra  le  impone:  o  correre,  o  star 
ferma  su  di  un  piede,  o  ballare,  o  star  ginocchioni,  o 
camminar  carponi,  o  gridare  qualche  cosa  ecc. 

Questo  giuoco  è  tratto  dalFuso  di  ricorrere  alla  ca- 
rità cittadina  per  agevolare  i  matrimoni  delle  orfane 
e  delle  fanciulle  povere,  provvedendole  di  biancheria 
col  domandarne  un  capo  all'una,  e  im  capo  all'altra. 

In  S.  Ninfa  la  mastra  comincia  il  giuoco  con  questa 
proverbiale  domanda:  S'havi  a  maritari  la  figghia 
di  lu  re. 

Come  si  vede,»  è  questa  una  delle  versioni  del  Jocu 
di  lu  pirchl,  abbastanza  conosciuto. 

Raccolta  in  Mazzara. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

È  superfluo  il  dire  che  il  giuoco  del  Perchè  si  fa  dap- 
pertutto. 

219.  A  la  Pignata. 

È  giuoco  da  fanciuUine.  Una  di  esse  fa  da  madre , 


A  LI  PATRI  339 

altre  da  figlie;  una  sola  sta  accoccolata  in  un  angolo, 
e  fa  da  pignata.  La  madre  interroga  ora  Tuna,  ora 
Taltra  delle  figlie  sulle  faccende  domèstiche,  p.  e.: 

Mamma,    La  'mpastasti  *a  farina  ? 
1*  Figlia,  La  'mpastai. 
Mam/ma.    Lu  facisti  'u  criscenti? 
2*  Figlia.  Lu  fici. 

Mamm^.    La  puliziasti  la  sbriula?  « 
3*  Figlia.  La  puliziai. 
ìlamm^L.    Lu  ardisti  lu  furnu? 
4*  Figlia.  'U  jiarsi  ecc.  • 

Se  la  madre,  mentre  interroga  sopra  una  data  fac- 
cenda domestica,  voglia  fare  una  domanda  relativa  ad 
altra  faccenda,  in  quel  caso  la  figlia  interrogata  dovrà 
risponder  di  no,  se  non  voglia  far  da  pignata.  Cosi 
nel  dialogo  addotto,  se  la  madre  volesse  aggiunger  la 
domanda: 

La  scupasti  'a  casa? 

la  figlia  dovrà  dire: 

Nun  la  scupaiy 

perchè  la  faccenda  dello  spazzare  non  è  annessa  a 
quella  di  fare  il  pane. 

Questo  giuoco  si  fa  nella  provincia  di  Girgenti,  spe- 
cialmente in  Alessandria  della  Rocca. 

220.  A  li  Patri. 

A  molti  fanciulli ,  maschi  e  femmine,  vien  dato  un 
nome  di  patri  unu^  patri  dui,  patri  tri,  patri  quat- 

1  La  ripulisti  la  madia? 

•  Lo  bruciai  (riscaldai  il  forno). 


340  GIUOCHI 

tru  e  via  via  per  ordine.  Il  capo-giaoieo  ordina  ad  uno 
di  prendeife  un  altro  dicendo  :  PiLùri  dui  (p.  e.)  pig- 
ghiassi  a  pàtri  cincu*.  Quando  quest'ordine  vi«ie  e- 
sattamente  eseguito,  V  uno  siede  sul  posto  dell'altro, 
ma  ciascuno  conserva  il  suo  numero.  Quando  però 
si  sbaglia,  e  invece  di  prendere  un  padre  se  ne  prende 
un  altro,  non  solamente  cambiano  i  posti ,  ma  chi 
commette  Terrore  depone  un  pegno. 

Questo  giuoco  è  facile  in  principio,  ma  diventa  presto 
difìBcile  quando,  avendo  tutti  cambiato  posto,  i  numeri 
si  dimenticano  e  si  confondono. 

Raccolti  in  questo  modo  vari  pegni  ne  seguono  le 
penitenze  di  rito. 

Versione  di  Mazzara  come  quest'altra: 

221.  A  FaMiricari  la  cimsa. 

Il  capo-giuoco ,  che  finge  di  dover  fabbricare  una 
chiesa ,  viene  a  dialogo  con  uno  de'  giocatori ,  che 
finge  di  essersi  obbligato  a  somministrargli  materiali: 
o  gesso,  o  calce,  o  pietra  e  via  discorrendo.  Durante 
Il  dialogo,  nel  quale  il  capo-giuoco  si  lagna,  e  l'inter- 
locutore si  scusa  del  ritardo,  quando  il  primo  siede, 
il  secondo  deve  alzarsi,  e  quando  il  primo  si  alza,  il 
secondo  deve  sedersi,  e  depone  un  pegno  se  cade  in 
fallo.  È  cosa  difficilissima  il  non  imbrogliarsi  per 
la  prestezza  con  cui  il  capo-giuoco  si  alza  e  subito 
dopo  si  mette  a  sedere  ;  ma  se  ciò  avviene ,  il  capo- 
giuoco,  veduto  dopo  varie  prove  di  non  poter  trarre 

*  Padre  due  pigU  padre  cinqtte. 


A  U  NNDMI  341 

in  fallo  il  suo  iotorlocatore,  fa  lo  stesso  dialogo  coo^ 
un  altro,  che  deve  somministrargli  altri  materiali. 

B^ooolti^  parecdù  pegni  ne  seguono  le  solite  pe^*- 
nitenze. 

222.  A  li  Nneim. 

Ciascuno  di  coloro,  fanciulli  o  faneiullet  i  q|uali:  ppcnH- 
dono  parte  al  giuoco,  ricevono  e  devono  ritenere  un 
nome  di  persona  :  Ciccu  (Francesco) ,  Vanni  (Gio- 
vanni), Turi  (Salvatore),  Peppi  (Giuseppe),  Maricchia 
(Maria) ,  Palidda  (Paolina)  ecc.  Chiamato  dal  capo, 
deve  chi  è  nominato  rispondere  e  andarsi  a  sedere 
al  lato  di  lui;  chi  se  ne  dimentica  e  falla  o  indugia, 
paga  la  penitenza. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

È  molto  simile  al  Mazzolino  toscano  descritto  dal  Mi- 
NUOCI,  V.  I,  p.  198-199;  a  quello  detto  A  la  taoleta  di  Ve- 
nezia; A  le  fior  piem.,  che  «  fanno  i  fanciulli  col  prendere 
ciascheduno  di  essi  il  nome  d'  un  flore ,  flngendo  volerne 
fare  un  mazzo;  e  chi  non  risponde  subito  quando  vien  no- 
minato il  suo  flore ,  mette  pegno ,  e  non  può  riaverlo  se 
non  adempie  ciò  che  se  gì'  impone  :  locchò  si  dice  far  la 
penitenza.  »  Bobbio,  p.  817;  Sant*Albino,  p.  639. 

Questi  riscontri  son  comuni  a  tutto  il  presente  gruppo. 

223.  A  Veni  'na  navi  carrlca  di. . . 

Questo  giuoco  consiste  nel  nominare ,  quando  si  è 
invitati  a  rispondere  ,  un  oggetto  qualunque  che  co- 
minci con  la  lettera  C;  e  però  il  mastro  dice  rivol- 
gendosi ad  uno  dei  giocatori  :  Veni  'na  navi  càrrica 


342  GIUOCHI 

di ^  e  rinterrogato  dee  subito  soggiungere,  p.  e., 

cèiùSi;  e  proseguire  :  Veni  'na  navi  càrrica  di ; 

lasciando  che  compia  la  proposizione  un  terzo  con  un 
altra  voce,  p.  e. ,  castagni,  Girasi ,  cacócciuli ,  coT' 
buni,  cascavaddu,  crapi,  culonni  ecc.  •  Chi  non  ha 
in  pronto  una  voce  nuova  e  non  detta  da  nessuno,  la 
quale  sia  principiante  per  C,  paga  un  pegno. 

224.  A  lu  Spropositu. 

Vari  fanciulli  si  mettono  in  giro,  ed  il  mastro  fa  delle 
domande  a  ciascuno,  alle  quali  vuoisi  rispondere  con 
ispropositi ,  sempre  a  controsenso.  Chi  risponde  op- 
ortunamente  paga  un  pegno. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

.  Una  descrizione  degli  Spropositi  diede  il  Mniucci  nelle 
note  al  Malmantiley  voi.  I,  p.  199. 

In  Toscana  è  detto  Far  gli  spropositi;  in  Parma  Zugar 
ai  sproposit  (Malaspina,  v.  IV,  p.  465);  in  Venezia  Zogàr 
a  chi  le  dise  più  bele  (Bokrio,  815);  in  Piemonte  Criughè 
ai  sproposit  (Sant'Albino,  p.  638). 

225.  A  Vola  vola  V  aoeddu. 

Molti  ragazzi,  talvolta  maschi  e  femmine,  ricevono 
dal  mastro  il  nome  d'un  uccello  :  rinnina  (rondine), 
pàssaru  (passero),  cardiddu  (cardellino),  petturrussu 
(pettirosso)  ecc.  e  stanno   seduti.  Il  mastro   apre  il 

^  Viene  una  nave  carica  di.... 

^  Cast'ìgne,  ciUege,  carciofi,  carbone,  caciocavallo,  capre,  colonne. 


A  l'acidduzzu  vulau  vulau  343 

giuoco  dicendo  :  Vola  vola  V  ax^eddu  :  e  vola  (p.  e.) 
lu  cardiddu!  E  chi  si  chiama  cardiddu  deve  subito 
alzarsi  e  ripetere  :  E  vola  lu  cardiddu.  Chi  non  si 
alza  e  non  risponde  prontamente  a  sentire  il  suo  nome, 
o  chi  sorge  al  sentire  il  nome  d'  un  uccello  che  non 
è  suo  o  che  ha  vicino,  o  di  cosa  che  non  possa  vo- 
lare, depone  un  pegno. 
Raccolti  parecchi  pegni  ne  seguono  le  penitenze. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nel  giuoco  veneziano  II  maestro  (Bbrnoni,  n.  45),  vari 
fancioUi  fanno  gli  scolari  ed  uno  fa  da  maestro.  Questi  per 
alcuni  istanti  tollera  che  gli  scolari  si  sbizzarriscano  in 
salti  e  grida;  ma  poi  alzando  il  braccio,  richiama  l'ordine, 
e  fa  perfetto  silenzio.  Il  maestro  rivolgendosi  ad  uno  sco- 
lare dice:  Vedo  *na  stela;  lo  scolare  deve  senza  indugiò 
rispondere:  Che  fa  vela.  Poi,  a  colui  che  vien  dopo  :  Vedo 
dò;  e  questi  :  Che  tire  zò,  e  via  di  seguito  fino  a  venti.  Gli 
scolari  i  quali  sbagliano  o  non  rispondono  esattamente, 
vengono  tolti  immediatamente  dal  circolo  e  tratti  in  dis- 
parte ,  per  esser  poi,  a  fine  di  lezione,  ricondotti  nel  cir- 
colo, che  gira  loro  attorno  beffandoli  e  schernendoli. 

Più  vicino  al  nostro  è  V  80°  deUa  stessa  raccolta  vene- 
ziana :  Oselin  vola  ! 

226.  A  TAoidduzzu  vulau  vulau. 

È  un  giuoco  di  pegno,  e  si  fa  tra  persone  adulte  in 

conversazione.  Il  mastro  tiene  una  pezzuola  in  mano 

e  dice: 

L'acidduzzu  vulau  vulau, 

E  supra  di *  pusau, 

Lassau  pi  muttu  e  dissi.... 

*  Nome  di  uno  della  compagnia. 


344  GIUOCHI 

ovvero: 


L'aeeddu  chi  canta  a  viiscanta, 
Nim  canta  e  viscanta  supra  lu  pedi  di  piru  :  * 
Canta  e  viscanta  supra.  lu  Yarcocu» 
E  lassò  pri  muttu  e  dissi... 


In  Aci: 


Cc'è  l'aceddu  ca  passa  e  canta, 
Unni  canta  e  unni  nun  canta. 
Lu  sapiti  unn'è  ca  canta? 
Supra  lu  pignu  dici  oa  canta... 

é  qui  getta  la  pezzuola  sopra  uno  dei  giocatori,  li  quale 
immediatamente  dice  un  proverbio  siciliano,  e  dettolo 
dee  ripetere  una  di  queste  tre  formule;  lanciando  alla 
sua  volta  ad  un  altro  la  pezzuola  ed  aspettando  che 
anch'esso  dica  un  proverbio  diverso, 

Chj  non  è  pronto  a  metter  fuori  il  proverbio,  chi  ne 
dice  uno  che  non  sia  siciliano,  chi  ne  ripete  uno  detto 
già  da  altri,  chi  cade  in  altri  simili  falli,  paga  un  pegno. 

Questi  pegni  vanno  al  mastro,  il  quale  a  giuoco  fi- 
nito, quando  non  resta  nessun  altro  a  perdere ,  as- 
segna le  penitenze. 

Si  cft*.  con  la  variante  mazzarese  nel  giuoco  n.  128: 

A.  Deci. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  la  formula  è  questa: 
L'ucceilin  volò  volò, 
Sul  mio  alber  non  si  posò; 
Ma  si  posò  sul  fico; 
E  nel  posarsi  disse... 
In  Milano  Giogà  a  vola  vola  on  uselin;  in  Piemonte  Giù- 
ghè  a  vola  vola, 

*  Non  canta  e  biscanta  sul  pero. 


A  LU  VIDDANEDDU  CHI  CHIANTA  LA  FAVA    345 

227.  A  lu  Viddaneddu  chi  chianfo  la  fava. 

Vari  giocatori  si  mettono  attorno  al  capo-giuoco,  il 
quale  incomincia  con  questi  versi: 

Lu  viddaneddu  chi  chianta  la  flava, 
Quannu  la  chianta,  la  chianta  accussi: 
Chianta  tanticchia  e  poi  si  riposa, 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi; 
E  la  chianta  accussi; 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi; 

e  nel  dire  il  2*»  ed  il  4*»  verso  fa  Tatto  indicato  dalle 
parole  di  piantar  la  fava  e  di  mettersi  in  riposo  in- 
crociando le  braccia.  Questi  due  atti  devono  essere 
contemporaneamente  eseguiti  dai  giocatori  ad  un  tem- 
po. Il  capo-giuoco  ricomincia  : 

Lu  viddaneddu  chi  scippa  la  fava, 
Quannu  la  scippa,  la  scippa  accussi  : 
Scippa  tanticchia  e  poi  si  riposa, 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi: 
E  la  chianta  accussi» 
E  la  scippa  accussi; 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi. 

E  viene  facendo  gli  atti  di  piantar  la  fava ,  di  svel- 
lerla {scippano),  di  mettersi  in  riposo;  e  cosi  i  com- 
pagni. Indi  prosegue  : 

Lu  viddaneddu  chi  spicchia  la  fava, 
Quannu  la  spicchia,  la  spicchia  accussi; . 
Spicchia  tanticchia  e  poi  si  riposa. 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi; 
E  la  chianta  accussi, 


346  GIUOCHI 

E  la  scippa  accassi, 

E  la  spiccUia  accussi; 

Poi  si  li  metti  li  manu  accussi. 

E  sbuccia  {spicchio),  imitato  dai  giocatori,  la  fava,  e 
poi  ripete  di  seguito  gli  atti  di  piantare,  svellere,  sbuc- 
ciare ecc.  Il  giuoco  cresce  : 

Lu  viddaneddu  chi  coci  la  fava, 
Quannu  la  coci,  la  coci  accussi: 
Coci  tanticchia  e  poi  si  riposa, 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi: 
E  la  chianta  accussi, 
E  la  scippa  accussi, 
E  la  spicchia  accussi, 
E  la  coci  accussi; 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi. 

Qui  s'  aggiunge  V  atto  di  cuocer  la  fava  agitando  le 
mani  a  mo'  di  ventaglio  sul  focolaio;  come  nei  ripe- 
tere la  filastrocca  seguente  aggiungesi  anche  quello 
di  mangiar  la  fava  cotta,  il  che  vien  fatto  con  la  mano 
destra  a  forma  di  mestola  : 

Lu  viddaneddu  chi  mancia  la  fava, 
Quannu  la  mancia,  la  mancia  accussi  : 
Mancia  tanticchia  e  poi  si  riposa, 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi: 
E  la  chianta  accussi, 
E  la  scippa  accussi, 
E  la  spicchia  accussi, 
E  la  coci  accussi, 
E  la  mancia  accussi; 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi. 

Finalmente  la  fava  già  digerita  dà  luogo  air  ultimo 


LU  VIDDANEDDU  CHI  CHIANTA  LA  FAVA     347 

atto  ,  invero  poco  pulito  ;  ed  ecco  r  ultima  strofa  di 
questo  crescendo: 

La  viddaneddu  chi  caca  la  fava, 
Quannu  la  caca,  la  caca  accusai  : 
Caca  tanticchia  e  poi  si  riposa, 
Poi  si  li  metti  li  manu  accusai: 
E  la  chianta  accussl, 
E  la  scippa  accussi, 
E  la  spicchia  accussl, 
E  la  coci  accussl, 
E  la  mancia  accussi, 
E  la  caca  accussi; 
Poi  si  li  metti  li  manu  accussi. 

E  nel  dire  il  penultimo  verso  si  accoccola  per  terra  co- 
me per  vuotare  il  ventre,  facendo  quel  viso  che  dicesi 
proverbialmente  da  minchione  *.  I  giocatori  devono  alla 
lor  volta  eseguire  gli  atti  connati  dal  mastro,  i  quali 
diventano  un  poco  imbarazzanti  a  misura  che  crescono 
ed  il  capo-giuoco  affretta  le  parole  per  cogliere  qual- 
cuno in  fallo,  e  fargli  pagar  la  penitenza. 

Un  giuoco  molto  simile  ha  per  base  il  lavoro  della 
filatera,  e  comincia  con  questi  versi  ! 

Quannu  fila,  fila  'a  massara, 
E  quannu  fila,  fila  accussi; 
Fila  'napocu  e  pò*  si  riposa, 
Dipo'  si  metti  li  manu  accussi.  * 

Vedi  PiTRK,  Canti  pop,  sic,  nn.  792  e  793. 

*  Un  proverbio  siciliano  dice  :  Tri  voti  V  omu  addiuenta  min" 
chiuni:  Quannu  caca;  (la  seconda  non  si  può  dir  qui)  e  quannu 
mari. 


348  GIUOCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Lo  stesso  giuoeo  yenne  raccolto  in  Como  dal  Bolza,  n.  38, 
nella  seguente  forma  italiana: 

Piaatft  la  fava  la  madre  rmana^ 
Quando-  la^piaB.ta*  la  pianta,  cosi; 
E  la  pianta  a  poco  a  poco, 
.     L*  altro  poco  rimane  così, 
E  la  pianta  cosi  : 
L*  altro  poco  rimane  così,  ecc. 

Di  Venezia  se  ne  ha  una  variante  in  Ber^yoni,  Gitwchij 
n.  42  :  La  bela  tsilana. 

Il  giuoco  piemontese  Ai  megtèy  meno  i  versi,  è  una  va- 
riante del  nostro;  e  somiglia  molto  al  Giughà  a  la  simia 
o  al  Gieugh  dia  sumia,  in  cui  tutti  i  giocatori  devono  sci- 
miescamente  ripetere  le  stesse  smorfie  deìVabbà,  che  è  il 
mastro. 

Del  resto  si  vedano  le  Notes  sur  quelques  chansons pop.du 
Pays  Messin  par  M.  le  Cte  de  Ptjymaigre,  p.  32-44.  Tipo- 
graphie  Rousseau-Paillez  1868. 

228.  A  Ferru  a  focu,  e  ferru  a  l'acqua. 

Pria  di  cominciare  questa  descrizione  bisogna  sapere 
che  ferru  a  fuocu  significa  segnare  coirindice  il  ter- 
reno, e  ferru  a  Vacqua  mettersi  l'indice  nella  bocca. 
Questo  giuoco  si  esegue  formando  un  circolo  di  otto 
o  nòve.  Il  mastro,  che  si  conta  pure  nel  circolo,  per 
farli  stare  tutti  attenti  dice:  Travagghiamu!  e  poco 
appresso:  Ferru  a  fuocu!  e  facendo  colla  mano  una 
serie  di  movimenti  e  di  gesti,  ma  particolarmente  re- 
cando rindice  alla  bocca,  e  segnando  ad  un  tempo  il 
terreno. 


A  PAS8ARI  LU  RUME  846 

A  questa  voce  coloro  che  sono  pronti  ed  eseguono 
giustamente  la  parola  del  mastro ,  mettono  la  mano 
in  giti  segnando  colFindice  il  terreno;  altri  s-imbaraz- 
xano  e  seguono  i  gesti  del  mastro ,  e  cosi  pagano  il 
pegno. 

229.  A  Passàri  lu  rumè. 

Un  numero  indeterminato  di  fanciulli  si  contano,  e 
colui  sul  quale  cade  l'ultimo  numero  prende  in  mano 
il  rumè ,  e  con  ciascuno  dei  giocatori  messi  tutti  a 
circolo  viene  facendo  a  pari  e  caffo,  e ,  se  vince ,  dà 
un  colpo  sulla  mano  del  compagno  che  perde,  o  esi- 
bisce la  sua  per  ricevere  un  colpo  se  vince  il  com- 
pagno. Finché  egli  si  apponga,  tiene  il  rumè;  e  lo 
cede  solo  al  primo  sbaglio. 

230.  A  hi  Santu  Papa. 

Questa  qui  è  una  penitenza,  ma  qualche  rara  volta 
si  fa  come  giuoco. 

Uno  de'  giocatori  fa  da  Santu  Papa^  e  siede  in  fondo 
ad  una  stanza  sópra  una  sedia  ,  con  una  gabbia  da 
ulive  in  testa,  tenendo  con  la  sinistra  un  bastone,  ed 
alzando  la  destra  con  tre  dita  aperte  a  maniera  dei 
santi. 

'  Vengono  a  lui  Tuno  dopo  Taltro  storpi,  ciechi,  am- 
malati d'ogni  genere,  e  gli  si  prostrano  ai  piedi,  pre- 
gandolo di  liberarli  dai  loro  malanni,  e  mescendo  alle 
preghiere  lagrime,  lodi,  lazzi  ed  improperi  al  glorio- 
sissimo santo. 


350  GIUOCHI 

Egli  tace,  né  piegasi  subito  ;  ed  uno  che  fa  da  sa- 
grestano e  gii  sta  a  fianco,  intercede  pei  supplicanti, 
carezza  il  santo ,  ne  liscia  il  viso ,  ne  tocca  il  gana- 
scino, che  suda  tutto  al  suo  dire  in  segno  del  miracolo 
che  sta  per  fare  ;  e  glielo  annera  di  fuligine  di  pentola 
mista  ad  olio ,  di  cui  a  tal  uopo  s' imbratta  la  ma- 
no. Ad  ottenere  la  grazia  desiderata  i  supplicanti  prò- 
mettoìio  chi  di  contribuire  a  fabbricargli  una  chiesa, 
chi  di  offrirgli  un  certo  numero  di  buoi  e  pecore  o  ca- 
pre, chi  di  bruciargli  de'  fuochi  d'artificio. 

A  queste  promesseli  Santo  Papa  concede  la  grazia, 
e  fa  cenno  col  capo  e  con  la  destra.  I  supplicanti  se 
ne  vanno  via  sani  e  lieti  e  tornano  poi  Tun  dopo  l'altro 
a  sciogliere  il  voto,  battendogli  in  faccia  un  sacchetto 
pieno  di  cenere  tante  volte  quante  sono  le  cose  pro- 
messe. Chi  ride  mentre  incensa  in  simil  modo  il  Santo 
Papa,  siede  in  luogo  di  lui,  ed  il  giuoco  si  ricomincia. 

È  questo  un  divertimento  villereccio,  che  si  fa  spe- 
cialmente al  tempo  della  vendemmia,  o  della  raccolta 
delle  ulive,  o  dell'estrazione  deirolio  in  quel  di  Maz- 
zara. 

Fu  comunissimo  nei  tempi  antichi  in  Palermo ,  e 
venne  più  volte  proibito  dall'  autorità  ecclesiastica 
sotto  pena  di  scomunica.  Vedi  Diari  della  città  di 
Palermo  pubblicati  da  G.  Di  Marzo  nella  Biblioteca 
storica  e  letteraria  di  Sicilia. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Poco  dissimile  è  in  Toscana  II  Papa  descritto  dal  Fan- 
FANI,  pag.  669. 


A  LU  FIRRARU  351 

231.  A  lu  Firraru. 

Giocano  due,  Tuno  dei  quali  fa  da  fabbro,  e  Taltro 
da  garzone,  e  siedono  a  terra.  Il  fabbro  prima  di  co- 
minciare il  giuoco,  imbratta  occultamente  il  suo  ber- 
retto nero  (o  fazzoletto,  o  altro),  della  fuligine  d'una 
pentola.  Dopo  di  che  si  alzano  entrambi,  e  si  mettono 
al  lavoro ,  a  simulare  il  quale  battono  con  un  pezzo 
di  legno  sopra  una  pietra,  quasi  col  martello  suirin- 
cudine  ;  il  fabbro  gitta  il  suo  berretto  al  ragazzo  ,  il 
quale  dovendo  imitarne  tutti  gli  atti,  gli  gitta  il  suo. 
Il  fabbro  allora,  come  stanco  della  fatica,  si  asciuga 
il  sudore  della  faccia  col  berretto  del  garzone,  e  que- 
sti fa  il  simigliante  con  quello  del  fabbro,  il  quale  es- 
sendo ,  come  si  è  detto ,  imbrattato  ,  gV  imbratta  la 
faccia,  tra  le  risa  e  le  beffe  di  tutti  gli  astanti. 

Raccolto  in  Mazzara. 

232.  A  lu  Tavuleri. 

Un  villano  siede  e  fa  da  notare  ,  ed  un  ragazzo^ 
mettendo  le  ginocchia  a  terra,  appoggia  la  testa  sulle 
gambe  di  lui ,  facendogli  delle  sue  spalle  tavolo  da 
studio.  Vengono  due  villani  per  istipulare  un  contrat- 
to ,  ed  il  notaro  comincia  a  scrivere  punzecchiando 
con  uno  stecchetto  i  fianchi  del  ragazzo  come  per  in- 
tinger la  penna  nel  calamaio.  Ma  nello  stabilire  i  patti, 
i  contraenti  vengono  tra  loro  in  discordia,  e  si  bistic- 
ciano. Non  meno  di  loro  va  in  collera  il  notaio,  e  se 
la  piglia  ora  con  l'uno  ora  con  T altro.  Cosi  montati 


892  GIUOCHI 

tutti  in  bestia  battono  le  mani  sul  tavolo,  iSnchè  il  mal 
capitato  ragazzo  non  ne  potendo  più  si  svincola,  bron- 
tolando, dalle  gambe  del  capo-giuoco. 

È  un  giuoco   che  si  fa   anche   come  penitenza  in 
Mazzara. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Milano  Giugà  a  fa  el  tavolin  de  tarocch  (Cherubini, 
IV,  367). 

233.  A  lu  Tilannaru. 

A  somiglianza  dei  venditori  di  panni ,  che  portano 
addosso  una  buona  soma  di  telerie,  quando  vanno  at- 
torno per  la  città,  due  villanzoni  pigliano  addosso  e 
si  legano  ben  bene  a'  fianchi  ciascuno  un  ragazzo, 
braccia  contro  braccia,  gambe  contro  gambe,  in  modo 
da  renderlo  inoffensivo.  Ciò  fatto  e  preso  un  bastone 
per  misura  in  mano  si  partono  da  due  punti  opposti 
r  uno  incontro  air  altro  gridando  alternativamente  : 
ffafu  tua  fina ,  barracani  a  la  moda ,  nmsìjUineUi 
di  Francia,  fazzuletti  di  tila!  ecc.  Quando  sono  vi- 
cini, si  bisticciano  e  Tuno  dice  all'  altro  :  Amicu,  di 
eoa  nun  ci  aviti  a  passari ,  pirchl  ci  sunnu  li  mei 
parrucciani;  e  ciò  dicendo  batte  con  la  sua  misura 
il  ragazzo  del  suo  rivale  ne'  fianchi  e  nelle  spalle. 
Indi  si  separano,  si  rimettono  a  gridare  la  roba  loro, 
e  tornano  ad  incontrarsi  e  a  bisticciarsi.  Qui  tocca 
al  secondo  a  battere  il  ragazzo  del  primo.  Cosi  va 
avanti  il  giuoco  finché  i  ragazzi  ben  bene  sonati  non 
avranno  più  voglia  di  farsi  attaccare  al  corpo  de'  com- 
pagni. 

Raccolto  in  Mazzara. 


DIVERTIMENTI, 


PASSATEMPI,   ESERCIZI 


O.  PrrRB.  —  Giuochi  fanciulleschi  SS 


DIVERTIMENTI,  FÀSSATEIFI,  ESERCIZI 


234.  A  cu'  ridi  prima. 

In  Riesi  ha  il  titolo  A  sodu^  cioè  a  rimaner  sodo, 
in  sul  serio. 

Passatempo  che  si  fa  tra  due,  i  quali  standosi  l'uno 
di  fronte  all'altro,  e  guardandosi  occhi  contro  occhi, 
devono  conservare  la  lor  serietà;  e  chi  primo  ride  o 
volge  altrove  lo  sguardo  perde. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  Fare  a'  visi;  in  Venezia  Zogàr  a  vardarse, 
(BoERio,  p.  815);  in  Piemonte  Giughè  a  goardasse  (San- 
t'Albino). 

235.  A  Ciusciàrisi  'mmucca. 

Due  fanciulli  si  soffiano  reciprocamente  in  bocca,  ri- 
manendo vinto  chi  prima  perde  il  fiato. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Fare  a  soffino  in  Toscana  ;  in  Parma  Zugar  a  boftars 
adoss;  in  Milano  Giugà  a  boifà. 

236.  A  Vùncia. 

È  un  passatempo  degli  ultimi  e  più  bassi  fanciulli 
del  popolo  palermitano.  Un  fanciullo  si  mette  di  fronte 


356  DIVERTIMENTI,  PASSATEMPI,   ESERCIZI 

ad  un  altro  ,  meno   svelto  e  scaltro  di  lui ,  e  gli  fa 
sgonfiare  la  bocca  dicendogli  :  buffa  !  e  colla  mano 
ora  destra,  ora  sinistra^  fa  a  sgonfiargliela.  E  questo 
per  un  bel  tratto. 
A  vùncia^  vale  a  gonfia^  a  gonfiare. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Il  MiNucci  nelle  note  al  Malmantile  (voi.  I,  pag.  109)  ri- 
corda il  Batter  la  furfantina,  che  si  facea  chiudendo  e  gon- 
fiando uno  la  bocca  e  dandogli  un  altro  sul  mento  colle  noc- 
che d'ambe  le  mani  serrate  u  facendo  fare  alle  labbra  un 
certo  suono  molto  gagliardo,  che  rassomiglia  il  battimento 
della  bocca  d'uno  che  trema.  » 

Questo  passatempo ,  che  al  Minucci  parve  cominciato  e 
smesso  al  tempo  suo,  con  molta  probabilità  era  antico,  e 
certo  corre  a*  giorni  nostri.  G.  Nbrucci  nel  Borghini  di 
Firenze,  an.  I,  p.  291  (Firenze,  1863),  e  poi  nel  suo  Saggio 
di  uno  studio  sopra  i  parlari  vernacoli  della  Toscana  (Mi- 
lano 1865)  scrive  :  «  Batter  la  biròantina  (Contado  empo- 
lese).  Verso  Montopoli  ho  udito  chiamare  biròantina  una 
marciata  sonata  facendosi  scoppiettare  le  labbra  chiuse  e 
costrette  ad  aprirsi  a  scosse  percotendosi  col  pugno  chiuso 
il  mento.  » 

Simile  l'abbiamo  anche  in  Sicilia. 

237.  A  fari  lu  Scupittuni. 

I  fanciulli  e  i  ragazzi  del  più  basso  volgo,  e  proprio 
i  monelli  da  piazza ,  divertono  se  stessi  ed  altri  in- 
troducendo rindice  nella  bocca,  enfiando  le  guance  e 
tirando  violentemente  fuori  da  una  commessura  delle 
labbra  il  dito  stesso  ;  il  che  produce  un  forte  scop- 
pietto. 


A  LU  JOCU  DI  POCU  357 

Messa  nel  cavo  deir  ascella  sinistra ,  in  guisa  da 
chiuderlo  quasi  interamente  con  la  mano  destra,  fanno 
i  ragazzi  degli  scoppietti  con  lo  stringere  improvvisa- 
mente al  fianco  il  braccio  sinistro. 

238.  A  lu  Jocu  di  focu. 

Questo  passatempo  consiste  nell'imitare  lo  sparo  dei 
mortaretti  e  de'  mastii  per  opera  de'  cosi  detti  fuor 
riddava  (razzai).  Però  si  fanno  molti  mucchietti  ^ì 
terra,  e  vi  si  pianta  nel  mezzo  de'  pezzetti  di  canna; 
indi  come  miccia  si  accende  un  lungo  bastoncino  egual- 
mente di  canna,  e  imitando  con  la  bocca  il  tu-tu-tù 
dello  sparo  de'  fuochi,  col  bastoncino  si  vanno  abbat- 
tendo. 

Jocu  di  focu  è  la  macchina  de'  fuochi  artificiali. 

239.  A  Manacciati. 

Due  ragazzi  stanno  seduti  di  fronte  l'uno  all'altro, 
e  tutti  e  due  nello  stesso  tempo  con  le  mani  aperte 
fanno  tre  colpi  :  col  primo  danno  sulle  proprie  cosce; 
col  secondo  battono  palma  contro  palma,  col  terzo  si 
danno  nelle  palme  1'  un  1'  altro,  all'  altezza  delle  loro 
spalle.  L'incontro  delle  quattro  palme  è  perciò  al  terzo 
de'  colpi,  che  meglio  sarebbero  detti  battute. 

Il  bello  del  giuoco  è  nel  dare  in  pieno  questo  terzo 
colpo,  in  guisa  che  se  ne  senta  lo  scoppio  ,  e  il  fare 
quanto  più  rapidamente  è  possibile  i  tre  movimenti 
dall'  alto  al  basso  (abbassar  le  mani  verso  le  gambe). 


358  DIVERTIMENTI,   PASSATEMPI,   ESERCIZI 

dal  basso  verso  il  petto  (batter  le  mani  proprie),  e  dal 
petto  all'alto  (scoppio  delle  mani  de'  giocatori).  Allora 
si  hanno  delle  misurate  battute  segnate  da  gagliardo 
scoppiettar  di  palme. 

È  un  giuoco  che  spesso  eseguono  varie  coppie  di 
fanciulli. 

240.  A  la  Buffa. 

.  Giuoco  o  passatempo  da  bambini  e  bambine,  i  quali 
accoccolandosi  vengono  saltando  Tuno  appresso  del- 
l'altro come  le  botte  {buffi)  coU'intento  di  raggiungersi 
e  oltrepassarsi. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Piemonte  per  Giughè  a  galet  due  contadine  si  ac- 
coccolano, u  e  r  una  dice  all'altra  :  Asto  trova  un  galetì 
e  quella  risponde:  Com  elo  fait  ?  q  V  altra  dice  il  nome  a 
piacere;  poscia  risponde  la  cercatrice  :  Si  eh*  a  V  è  col,  si 
eh'  a  V  è  col,  E  cosi  accoccolate  saltellansi  Tuna  dietro  al- 
l' altra,  fino  a  che  reggono  loro  le  forze  ,  e  quale  di  esse 
perde  prima  l'equilibrio,  quella  è  la  perdente.  »  Sant'  Al- 
bino, 611. 

241.  A  Cavu-cavuseddu. 

Si  dice  pure  A  cazzicaredda;  A  scanna-scanneddu 
in  Catania;  in  Milazzo  A  siggitedda;  A  vanchiteddu, 
A  li  banchitedda  in  Caltanissetta;  altrove  A  siggetta; 
e  si  fa  da  due  dandosi  a  croce  le  mani  in  guisa  da  for- 
mare una  sedia  a  due  assi  trasversali,  sulla  quale  un 
terzo  fanciullo  siede  per  esser  portato  attorno. 

In  alcuni  paeselli,  come  in  Riesi,  i  portatori  cantano: 

Bancu  e  banchitieddu, 
Lu  xiuri  di  1'  anieddu  I 


A  CAVU-CAVUSEDDU  359 

Nel  sec.  XVI  era  un  giuoco ,  e  ne  fa  cenno  ne'  suoi 
Amorosi  Sospiri,  att.  n,  se.  2*,  il  Dionisio  : 

Purtatimi  prima  a  cavu  cavuseddu; 
Nò  nò,  eh'  è  nautru  iocu  chissu  ddocu. 

Il  Meli  cosi  chiude  il  suo  famoso  Ditirambo: 

Poi  *ntra  li  vrazza,  comu  un  picciriddu, 
Si  lu  purtaru  a  cavu  cavuseddu. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Napoli  il  mmàmmera  o  Ammammero,  Tardaoino  nel- 
le Annotazioni  alla  Vajasseide  II,  1:  «  Fàcese  chisto  juoco 
de  chesta  manera  :  se  pigliano  duje  pettutte  doje  le  mmano 
loro,  e  s'allargano  le  braccia  de  muodo  che  beneno  a  fare 
no  garbo  comme  se  fosse  na  seggia,pigliànnose  pe  le  mmano, 
come  se  fosse  lo  ddaresse  la  fede;  e  ttanno  uno  se  sede, 
e  li  duje  lo  portano  pòsole  a  la  casa,  e  cantanno  diceno: 
A  mmàmmera  e  nocelle 

No  sacco  de  pedetelle; 

Tanta  ne  fece  mammeta, 

Che  roppe  la  caudara. 
In  Bisceglie  il  caca  presèid  (presèid,  piccolo  pitale);  in  To- 
scana Fare  o  portarsi  a  predelline  o  a  predellucce  (Ca- 
rena, Yocab,  ital,  domest,  cap.  I,  §  4);  in  Parma  Zugar  o 
Fare  al  scranèn  (Malaspina  ,  IV,  83);  in  Brescia  Zoegà  a 
porta  *n  scagna;  in  Padova  Zugar  e  a  S,  Piero  in  carega 
(Patriarchi)  ;  in  Venezia  Zogar  a  S,  Piero  in  caregheta 
(BoBRio),  ovvero  La  madona  in  caregheta  (Bbrnoni,  n.  52); 
e  le  due  fanciulle  che  prendono  a  sedere  sulle  loro  mani 
la  compagna  vanno  ripetendo  : 

—  La  Madona  in  caregheta. 

La  Madona  in  caregon, 

La  polenta  sul  balcon. 
In  Piemonte  Giughè  a  portesse  an  papa  carea  (Sant'Al- 
bino). 


360  DIVERTIMENTI,  PASSATEMPI,   ESERCIZI 

242.  A  la  Varca. 

Due  fanciulli  si  siedon  per  terra  mettendo  le  gambe 
avanti  in  modo  che  le  piante  de'  piedi  dell'  uno  toc- 
chino e  s'appuntellino  sulle  piante  dell'altro;  indi  pren- 
dendosi per  le  mani ,  con  un  movimento  alternativo, 
si  alzano  ed  abbassano  facendo  con  le  mani,  coi  piedi 
puntellati  e  col  didietro  che  sollevano  di  terra  e  ria- 
bassano,  tutti  i  movimenti  di  chi  voga  seduto  sulla 
barca. 

243.  A  la  Bozxa. 

In  Palermo  è  detto  Acqua  e  zammù;  in  Catania  A 
scarricabottu  (Castagnola,  Fraseologia  sicolo-tosca- 
na,  p.  355);  in  Messina  0  pùlìci;  in  Milazzo  A  caraz- 
zùmmuli;  in  Avola  A  li  quattru  varriledda;  in  Riesi 
A  valanza. 

Si  fa  tra  due  fanciulli,  che  si  volgono  le  spalle  Tun 
con  Taltro,  e  intrigandosi  tra  loro  le  avambraccia  si 
alzano  a  vicenda  con  un  movimento  attivo  di  chi  si 
piega  in  avanti,  e  passivo  di  chi  è  alzato  supino  a  fac- 
cia in  aria. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Si  fa  in  Toscana  col  nome  di  A  scaricabarili  (Ferraro, 
n.  18),  o  Fare  o  Giocare  a  civetta  (Malaspina,  IV,  53);  neHe 
Marche  La  pulce  (Gianandrea,  n.  15);  in  Bologna  A  c'car- 
gabarel  ;  in  Parma  A  scargaharilla  (Malaspina  ,  IV,  53); 
in  Milano  A  scaregabari,  A  campanon ,  A  stravaccaconca 
(Cherubini,  IV,  128);  in  Padova  A  descargabaril;  in  Venezia 


A  VOCANZITA  361 

A  le  campane  (Bernoni  ,  n.  63) ,  A  scargabaril  (BoiRio); 
nel  Monferrato  A  Pesta  riso  (Ferraro,  n.  9);  in  Piemonte 
A  descàriabaril  (Sant'Albino,  p.  637)  e,  come  tra  noi  e  dap- 
pertutto, «  si  fa  tra  due  soli,  i  quali  voltesi  le  spalle  Tun 
r  altro,  e  intrigate  scambievolmente  le  braccia ,  si  vanno 
altalenando  scambievolmente.  « 

244.  A  Vocanzita. 

Questo  divertimento  ha  una  ricca  sinonomia  in  tutta 
risola.  Lo  si  appella  V  Vocanzica  in  Palermo  ,  pa- 
panzlca  in  Riesi  ;  ed  è  composto  d'  un'asse  in  bilico 
su  d'una  trave  o  altro  corpo  elevato,  e  vi  si  siedono  due 
ragazzi,  uno  di  qua  e  uno  di  là,  agli  estremi  di  essa, 
cosi  che  quando  l'uno  va  giù,  l'altro  va  su  ;  2°  Naxia 
in  Riesi ,  Milazzo  ecc. ,  Vòzzica  o  vòzz  Ica-naca  in 
Siracusa,  Nàcula-nzicula  in  Catania,  Vòcula-nziciUa 
in  Borgetto  ,  Nàcula-tucca  (culla  turca)  in  Messina, 
Vòcula  in  Caltanissetta,  Vòzica  in  Caccamo,  Bàzzica 
in  Mazzara,  Bòcica  in  Gioiosa,  Bàsica  in  Caltagirone; 
Naca-bozza  in  Licata;  ed  è  formata  di  due  funi  che 
all'alto  son  raccomandate  ad  una  trave  o  a  due  alberi, 
e  in  basso  legate  ad  un  asse  trasversale  sulla  quale 
uno  si  siede  e  si  dondola ,  spesso  con  le  parole  : 

Vòcula  'nzicula 
Pani  e  furmicula. 

Questa  seconda  maniera  di  cullarsi  si  fa  specialmente 
per  l'Ascensione  in  Mazzara ,  Noto  ecc.  (Cfr.  Spetta- 
coli e  Feste  pop,  sic.^  p.  264).  Tuttavia  nel  parlare 
comune  le  due  forme  di  giuoco  vanno  con  1'  unica 
denominazione  di  Vocanzita. 


362  DIVERTIMENTI,   PASSATEMPI,   ESERCIZI 

Sotto  le  voci  Voca  Vanzita,  vocalanzita,  vocalan- 
zlcula,  vozzica  nel  sec.  passato  Fr.  e  M.  Pasqualino 
registrarono  questo  passatempo  [Vocab.  siciL  v.  Il, 
p.  367,  e  V,  348,  349,  352).  Lo  Scobar  scrisse  nel  cin- 
quecento Voczica ,  ma  lo  Scobar  in  ordine  a  grafia 
siciliana  non  è  autorità. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Ecco  i  molti  titoli  che  questo  giuoco  ha  in  tutta  Italia: 
Naca  in  Calabria  (Dorsa,  La  tradiz.  greco-lat.,  p.  9);  Pen- 
duricula  in  Terra  d' Otranto  (De  Simone,  loc.  cit.);  Ningte 
nghed  in  Bisceglie  ;  Sciannavella  negli  Abruzzi  (Finamorb, 
Yocab.,  p.  166)  e  Sciannaficura  (id.,  ms.)  ;  Sàmmeri  nel- 
r  Aquilano  ;  Scinnilella  in  Atessa  ;  Vellare  in  Rivisondoli  ; 
'Mbambalò  in  Francavilla  a  mare  ;  Zàmbari  in  Castel  di 
Sangro;  Sambio  in  Sulmona,  paesi  tutti  abruzzesi  (Db  Nino 
nell'Archivio  per  lo  studio  delle  tradiz,  pop.,  voi.  II,  p.  210); 
Banziganella  nel  Logudorese;  Sanzianedda  nella  Sarde- 
gna settentrion.,  Banzicajola  nel  Galludorese  (Spano,  Vo- 
cabolario  sard.  ital.  Kalaris,  Impronta  nationale  MDCCCLI); 
Dondola  in  Arezzo,  Arcolino  nel  Pisano,  Pisalanca  a  Lucca 
(Barbieri,  p.  69);  Dingola  e  dàngola  ed  anche  Dingola  an- 
dana neUe  Marche  (Gianandrea,  p.  25).  Il  Pulci  scrisse  : 
«  Fece  fare  le  bisciancole  a  due  suoi  cittoletti,  quelle  che 
noi  chiamiamo  a  Firenze  Valtalena,  a  Pisa  Anciscocolo,  a 
Colle  il  Pendolo  ,  a  Roma  la  prendifendola ,  a  Genova  lo 
balsico ,  a  Napoli  la  salimpendola ,  e  a  Milano  lidoca.  » 
In  Parma  si  dice  Sbalanza  (Malaspina,  IV,  31);  in  Miran- 
dola Plinga  (Meschieri,  p.  167);  in  Bologna  Dóndol  (Coro- 
nedi-Berti,  I,  433);  in  Milano  A  la  scocca,  o  A  scoccà  (Che- 
rubini) ;  in  Como  Scóca  e  Strica-stróca  (Monti  ,  pp.  253 
e  309)  pei  due  modi  come  in  Venezia  e  Padova  Al  dindolo 
e  Al  biscolo    (Boerio  e  Patriarchi);  in  Tortona  Sbagan- 


A  PEDI  all'aria  e  a  la  cazzicatummula       363 

zica;  nel  Torinese  Baotiesse  (Sant'  Albino  218);  in  Torino 
e  Alpignano  Bauti ;  nel  Biellese  Bilancia;  nel  Canavese 
Bianta;  in  Montanara  ^mw^^a  ;  in  Crodo  (Novara)  Scom- 
peso;  in  Monte-Broglio  (Novara)  Baltic;  in  Crevacuore  (No- 
vara) Sbalansa.  Un  giuoco  molto  simile  all'altalena  è  la  Cor 
nofiena  di  Roma  descritta  dal  Bresciani,  Edmondo,  e.  lY. 
I  Romani  antichi  aveano  Voscillum  e  Voscillatio  (Petron.  Sai. 
146;  Hygin.  Fab.,  130;  Fast.  Oscillum)\  ed  i  Greci  la  alópoc. 
Uoscillaùio  0  petaurum  pensile  è  1'  altalena  con  le  funi.  I 
Greci  la  facevano  in  due:  uno  che  oscillava  ed  un  altro  che 
spingeva  1'  altalena  aspettandone  il  ritorno  per  risospin- 
gerla. 

245.  A  Pedi  all'aria  e  A  la  Cazzicatummula. 

Un  fanciullo  abbassa  il  capo,  poggia  le  mani  a  terra 
ed  alza  in  aria  le  gambe ,  reggendosi  cosi  un  tratto, 
talora  anche  progredendo  in  avanti  o  di  lato. 

Questo  giuoco  è  il  primo  movimento  della  Cazzica- 
tummula o  cazzicaredda^  ed  anche  di  quell'altro  di- 
vertimento ginnastico  che  i  nostri  monelli  fanno,  per 
lo  più  innanzi  le  bande  musicali  in  marcia,  in  mezzo 
le  vie,  allargando  le  braccia  in  croce  e  piegando  di 
slancio  sur  una  delle  mani  che  poggiano  a  terra  il 
corpo  tutto  in  guisa  da  fare,  braccia  e  gambe  tese,  una 
girandola. 

VARIANTI  E  BISCONTRI 

In  Bisceglie  si  dice  Fa*  *u  càule;  in  Toscana  Far  quercia 
o  querciolo  ;  in  Parma  Far  Valber  (M.vlaspina,  1,  43);  in 
Venezia  El  bati-palo  (Bernoni,  n.  62). 

La  Cazzicatummula  è  il  m^azzaculo,  tombolo^  capitom- 
bolo degl'Italiani,  la  zig  amata  de'  Parmigiani  (Malaspina, 
IV,  442);  la  stiribacola  àé*  Piemontesi  (Sant'Albano,  1102). 


364  DIVERTIMENTI,  PASSATEMPI,   ESERCIZI 

246.  A  Sfirriàrisi. 

Due  fanciulli  di  jft'onte  Tuno  alFaltro  si  tengono  per 
le  mani  incrociate  e  si  abbandonano  col  corpo  all'in- 
dietro  sollevando  le  mani  sulla  testa  e  dando  una  ri- 
volta senza  lasciarsi,  in  modo  che  si  trovino  poi  una 
altra  volta  di  fronte  tra  loro  e  senza  contorcimenti 
delle  braccia. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
Simile  è  in  Venezia:  Pan  duro,  Bernoni,  n.  53  . 

247.  A  Scorna-voi. 

Sorta  di  giuoco  ginnastico  che  fanno  i  ragazzi,  in  cui 
l'uno  mette  le  ginocchia  nel  sedere  delF  altro ,  e  con 
le  mani  gli  afferra  i  piedi,  e  cosi  rotolano. 

Lo  registra  A.  Traina,  Nuovo  Vocabolario  siciliano' 
italiano^  p.  892. 

248.  A  lu  Carritteddu. 

Un  fanciullo  appoggiando  le  mani  a  terra  solleva  in 
alto  le  gambe  aperte.  Un  compagno  prende  le  due 
gambe  per  di  dietro  ,  e  cammina  in  avanti  tirandosi 
dietro  il  compagno  bocconi,  le  cui  mani  rappresentano 
due  specie  di  ruote  di  carrettella  tirata  a  mano. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

È  proprio  La  cartola  veneziana,  descritta  dal  Bernoni, 
n.  64. 


A  NATARI  365 

249.  A  Natari. 

Non  pochi  sono  i  giuochi  che  si  fanno  a  mare  nel 
nuoto  :  giuochi  tutti  di  ginnastica.  Eccone  i  principali  : 

1.  A  mortu  *n  tavula.  Il  nuotatore  s'inclina  dolce- 
mente in  guisa  da  riposare  supino  sull'acqua,  braccia 
ritte  e  strette  a'  lati,  gambe  slungate  coi  piedi  fuori 
come  il  petto  ed  il  viso.  Di  tanto  in  tanto  un  movi- 
mento delle  braccia  e  de'  piedi  aiuta  a  spingersi  in 
avanti  o  di  lato.  Talora  le  due  mani  si  portano  dietro 
la  nuca  come  per  farsene  un  guanciale.  Tal'altra  in- 
clinandosi da  un  de'  lati  il  nuotMore  prende  la  po- 
sizione d'uno  che  dorma,  facendo  della  mano  del  lato 
che  s'  adagia  sull'  acqua  guanciale,  ed  il  braccio  che 
guarda  in  alto  poggiando  al  lato  opposto. 

2.  A  lu  pisci.  Si  fa  per  lo  più  a  gara  in  due,  a  chi 
vada  più  innanzi,  e  si  nuota  con  una  sola  mano  e  pie- 
gando verso  quella  il  lato  del  corpo;  mano  e  lato  che 
si  alternano  coi  movimenti  dell'altra  mano  e  dell'altro 
lato.  La  gara  ha  luogo  per  la  difficoltà  di  questo  eser- 
cizio. 

3.  A  la  giurana.  Consiste  nel  fare  i  movimenti  della 
rana  [giurano),  raccogliendo  ad  un  tempo,  e  ad  un  tem- 
po slungando  braccia  e  gambe,  ma  senza  troppa  fretta 
e  celerità. 

4.  A  fari  lu  canuzzu ,  nuotare  come  i  cani,  met- 
tendo fuori  a  vicenda  le  due  mani  a  forma  concava. 

5.  A  vrazzzari.  Stando  immerso  tutto  neir  acqua. 


366  DIVERTIMENTI,   PASSATEMPI,  ESERCIZI 

meno  la  testa,  il  nuotatore  cava  fuori  alternatamente 
le  braccia  e  dà  gagliardi  colpi  sull'acqua  per  romperla 
e  andare  avanti  {Vrazztari  quasi  bracceggiare).  (Il  Ma- 
laspina,  IV,  168,  fa  corrispondere  a  questa  maniera  di 
nuotare  :  Andar  a  spassi  nodànd,  e  Titaliano  nuotare 
di  spasseggio). 

6.  A  'hbuddaH  e  A  sammuzzari.  Si  fa  attuffan- 
dosi  nell'acqua  sia  rimanendovi  immobile  un  istante, 
sia  afferrandosi  con  le  mani  al  fondo  per  cercarvi  qual- 
che cosa,  sia  anche  nuotando.  ìi{Q\['aì)ì)ibddari  usa  but- 
tarsi giù  sulla  testa  con  le  mani  in  avanti  ecc.  Nel 
sammuzzari  si  fanno  delle  gare  a  chi  vada  più  in- 
nanzi ed  a  chi  rimanga  di  più  sott'acqua. 

Nella  spiaggia  di  Palermo  è  un  sito  fuori  porta  S. 
Giorgio,  chiamato  ab  antico  Samm^uzzu ,  ove  i  Pa- 
ermitani  vanno  a  bagnarsi  nella  state. 

7.  A  davi  la  calata.  Uno  di  due  nuotatori  si  ac- 
coccola piegando  le  gambe  sulle  cosce  e  mettendo  fuori 
dell'acqua  le  mani  per  prender  quelle  d'un  altro  che 
monta  sulle  spalle  di  lui.  Il  sotto  si  abbassa  daccapo, 
e  risollevandosi  di  slancio  con  una  spinta  che  gli  dà, 
fa  saltare  in  aria  chi  gli  sta  ritto  sulle  spalle,  il  quale 
fa  un  capitombolo  [cazzicatùm,mula). 

8.  A  gghittàrisi.  Consiste  nel  buttarsi  giù  da  un  sito 
più  o  meno  elevato  :  a  panareddu^  se  tutto  raccolto 
e  aggomitolato  in  forma  di  paniere  o  di  sporta,  che 
forma  la  varietà  a  coffa;  a  pedi,  se  sui  piedi;  a  testa, 
se  a  capo  in  gìii;  a  panza,  se  dando  il  ventre,  il  che 
suol  essere  dannoso;  a  schinu,  se  dando  il  dosso. 


A  SCIDDICALORU  367 

9.  A  fari  lu  papùni  o  lu  vapuri.  Unite  e  aggrap- 
pate le  due  manji,  standosi  ritto,  il  nuotatore  agita  for- 
temente e  prestamente  nell'acqua  le  braccia  per  imi- 
tare con  la  schiuma  che  produce  gli  efletti  del  vapore. 
Le  braccia  sono  unite  per  le  mani  avvinghiate. 

10.  A  la  palamita,  (Alla  piramide).  È  il  giuoco  di  S, 
Calóiru  (n.  120)  fatto  in  acqua,  però  senza  cori. 

Quando  si  sta  in  acqua  e  nim  s'appedica,  cioè  non 
si  tocca  coi  piedi  sul  sodo,  e  si  è  stanchi ,  si  riposa 
mettendosi  a  mortu  *n  tavula. 

Non  pochi  altri  esercizi  si  fanno  a  mare ,  che  qui 
si  tralasciano. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Ecco  un  tratto  del  Dafni  e  Cloe  di  Longo  Sofista,  vol- 
garizzato dal  greco  da  Annibal  Caro  : 

«  Dafni  spiccato  un  salto  per  insino  al  mezzo  del  pela- 
ghetto,  si  gettò  giuso  :  ed  andatosene  al  fondo,  stette  per 
buono  spazio  a  tornar  suso;  poscia  venuto  a  sopra,  sbuf- 
fato ch'egli  ebbe,  come  quello  che  era  buonissimo  nuota- 
tore, prese  a  fare  in  su  l'acqua  di  molti  giuochi;  ed  or  ro- 
vescio, or  boccone,  or  per  il  lato,  fece  quando  il  ranocchio, 
quando  la  lepre,  quando  il  passeggio,  quando  il  tuffo;  fece 
il  tombolo,  fece  il  paneruzzolo,  fece  tutti  i  giuochi  che  si 
fanno  in  sul'  acqua,  di  tutte  le  guise,  con  meraviglioso 
piacere  ed  attenzione  del  compagno.  » 

250.  A  Scìddicaloru. 

Dicesi  anche,  particolarmente  in  Termini,  A  sciddi- 
ca-culu. 
Divertimento  e  spesso  giuoco  fanciullesco  ,  che  si 


368  DIVERTIMENTI,   PASSATEMPI,   ESERCIZI 

fa  raccogliendosi  e  sedendosi  sopra  una  larga  foglia  di 
fico  d' India  o,  senz'  altro,  accoccolandosi  sopra  uno 
sdrucciolo  e  lasciandosi  andare  scivoloni  sino  al  basso. 
Da  questo  giuoco,  che  io  anni  addietro  vedevo  molto 
spesso  fare  a'  fanciulli  terminesi,  ai  Cappuccini,  quei 
di  Termini-Imerese  hanno  per  ischerzo  lo  specioso  so- 
prannome di  sciddica-culu.  (Vedi  i  miei  Proverbi  si- 
ciliani,  V.  Ili,  p.  170). 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  si  fa  a  Scendere  a  scortica  culo;  in  Parma 
A  blisgar  (Malaspina,  IV,  455)  ;  qualche,  cosa  di  simile  si 
fa  in  Piemonte,  come  può  vedersi  in  Ferraro,  nel  giuoco 
A  sdruccioloni^  e  più  nell'altro  A  ruzzoloni,  nn.  32  e  33 
della  Raccolta y  e  n.  XLV  de'  Cinquanta  Giuochi. 

251.  A  Curriri  supra  la  ciaca. 

Scelto  un  grosso  e  liscio  ciottolo  {ciaca),  uno  di  due 
ragazzi  prende  il  compagno  ritto  e  teso,  e  appuntan- 
done i  piedi  su  quello,  ne  tiene  sospeso  obliquamente 
il  corpo  ,  poggiandosene  il  dosso  o  il  cocuzzolo  sul 
proprio  petto,  cosi  che  spingendolo  in  avanti,  il  fan- 
ciullo scorra  facilmente  sul  lastrico  quasi  sia  sopra  un 
carro,  o  sopra  ruota  unta  di  sapone. 

252.  A  li  Cursi. 

Si  chiama  anche  A  tu  pàliu. 
È  la  nota  gara  della  corsa,  nella  quale  un  numero 
indeterminato  di  ragazzi ,  partendo  a  un*  segno  del 


A  LI  CAVADDI  36& 

capo-giuoco  da  un  dato  punto,  corrono  a,  chi  giunga 
primo  alla  meta;  dove,  premio  al  vincitore  è  una 
moneta,  un  nastro,  un  balocco  qualunque. 

In  questa  occasione  i  corridori  sogliono  adornarsi 
il  capo  di  fazzoletti,  sonagli,  fronde  di  sambuco  ecc. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Ha  molto  del  giuoco  veneziano  II  bocalo,  n.  70  del  Bbr- 

NONI. 

353.  A  li  Cavaddi. 

Un  fanciullo  fa  da  cavallo  e  un  altro  da  cocchiere. 

Al  cavallo  viene  passato  alla  bocca  un  laccio,  una 
funicella  qualsisia ,  che  faccia  da  freno  e  da  redini; 
qualche  volta  altri  lacci  al  viso ,  al  capo  come  per 
frontale ,  barbazzale  ;  talora  sonaglini,  bubboli  ecc. 
L'altro  regge  le  redini,e  con  una  specie  di  frusta  caccia 
il  cavallo^  il  quale  nitrisce,  salta  e  spara  dei  calci. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Il  Cherubini  registra  il  giuoco  medesimo  col  titolo  Giugà 
a  cavali  e  briay  pel  Milanese. 

254.  A  Fari  li  ballunedda. 

Dicesi  anche  A  li  lampi;  A  li  mcscichi  in  Milazzo. 

S'intinge  in  un  poco  d*acqua,  nella  quale  sia  stato 
sciolto  del  sapone,  un  sottile  cannello ,  e  vi  si  soffia 
dentro  leggermente  in  guisa  da  farne  venir  fuori  delle 
bolle  più  0  meno  grandi ,  chiamate  lampi  (lampade), 
ballunedda  (palloncini),  visslchi  {Yesci6he\  ecc.,  che  i 
fanciulli  fanno  a  gara  per  chiappare. 

G.  PiTRB.  —  Giuochi  fanciulleschi  24 


370  DIVERTIMENTI,  PASSATEMPI,   ESERCIZI 

Talora  con  lo  stesso  bocciuolo  si  soffia  dentro  Tacqua 
saponata,  ed  a  quella  miriade  di  bollicine,  che  son  cosi 
gaie  a  vedere,  i  fanciulli  danno  il  nome  di  paradisu, 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  Fare  alle  bolle  di  sapone  ;  in  Lucca  Far  le 
bombole;  il  Doni,  Far  sonagli;  in  Parma  Zugar  al  bàci 
<r  savón,  0  Far  il  boci  (Malaspina,  I,  219);  in  Milano  Gii^à 
a  fa  i  gemm  (Cherubini,  II,  209);  in  Bergamo  Fa  i  boca- 
loco;  in  Venezia  Zogàr  a  le  brombole  (Boerio);  in  Piemonte 
Giughè  a  fé  le  gole  éC  savon  (Sant'Albino). 

255.  A  Fari  lu  bottu. 

'U  juocu  *i  paddi  è  chiamato  in  Milazzo. 

Con  argilla  e  più  comunemente  con  fango  i  monelli 
fanno  certi  mortai,  ciotole  ed  altri  recipienti  incavati, 
e,  capovolgendoli,  li  lanciano  a  mano  piatta  e  con  forza 
su  un  muro  o  terreno  piano  e  solido,  trastullandosi  a 
sentirne  lo  scoppio.  Talora  si  mettono  in  due,  in  tre, 
e  danno  tutti  in  un  colpo,  per  vedere  chi  meglio  rie- 
sca ad  ottenere  uno  scoppio  sonoro. 

Per  lo  più  questo  passatempo  si  usa  quando  è  pio- 
vuto. 

VARIANTI  È  RISCCNTRI 

In  Parma  A  ciocaroèula  (Malaspina,  I,  415).  Si  fa  an- 
che in  Tortona  col  titolo  A  mortaròat  e,  in  generalo,  nel 
Piemonte.  Vedi  Ferraro,  Raccolta  n.  31,  e  Cinquanta  Giuo- 
chi, n.  XLIV:  /  mortaretti.  Ricorda  il  Fictor  latino,  mo- 
dellatore in  creta  o  vasaio  :  nXàgxTjg  de'  Greci. 


A  CUI  NNI  MANCIA  CCHIÙ  ASSAI  371 

256.  A  cui  nni  mancia  cchiù  assai. 

Si  fa  in  due  o  più,  i  quali  uno  alla  volta  lanciano 
a  mare,  ne'  laghi,  ne'  fiumi,  per  farli  rimbalzar  fuori, 
de'  sassolini  lisci  raccolti  sulla  spiaggia,  o  altri  cocci 
piatti  e  arrotondati.  Chi  mancia  cchiù  assai,  cioè  chi 
riesce  meglio  e  più  volte  a  fare  schizzare  a  fior  d'acqua 
il  suo  sassolino,  a  farlo  saltellare,  e  andar  più  lontano, 
vince. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  Fare  agli  schizzetti,  Fare  al  rimbalzello 
(rha  anche  il  Manzoni  ne'  Promessi  Sposi);  in  Parma  Zu- 
gar  a  piapèss  (Malaspina,  III,  281);  in  Padova  Zugar  a  le 
piastrèle;  in  Piemonte  Giicghè  a  tire  cT  pere  su  Vaqua  o 
a  fior  cTagwa  (Sant'Albino);  in  Venezia  Zogar  a  caorio  o 
Far  passarini;  in  Chioggia  Far  scalete  (Boerio,  p.  815). 

257.  A  li  Girasi. 

Due  fanciulli  (o  fanciulle)  prendono  ciascuno  una  ci- 
liegia, ne  appaiano  ed  attorcigliano  le  grappe,  e  ti- 
rano ciascuno  a  sé  la  propria.  Colui  che  rompe  la 
grappa  dell'altro  e  la  porta  via,  vince  le  ciliege. 

Varianti  e  riscontri 

In  Toscana  Fare  alla  grappa;  in  Parma  Zugar  a  piccoli 
(Malaspina,  III,  286).  Un  giuoco  simile  con  l'uva  è  l'abruz- 
zese Appicca-uva  (Finamore,  ms.). 


372  DIVERTIMENTI,   PASSATEMPI,   ESERCIZI 

258.  A  la  Gorgia. 

In  Riesi  ed  altri  comuni  è  inteso  col  titolo  Ad  ac- 
chiappa^'mmucca. 

Si  fa  lanciando  in  aria  un  ftnitto  qualunque,  per  lo 
più  grossi  acini  d'uva,  sorbe  mature,  fichi,  fichi  d'India 
rimondati,  od  altro,  e  raccogliendolo,  al  cadere,  con  la 
bocca  aperta  si  che  coli  nella  gpla  senza  toccarlo  con 
mani  né  masticarlo.  Spesso  i  monelli  giocano  a  gara 
tra  loro  a  chi  faccia  andare  più  in  alto  il  frutto ,  ed 
a  chi  più  destramente  lo  riceva  in  bocca. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

A  nessuno  sfuggirà  che  la  voce  gorgia  siciliana  è  la  gor^e 
francese. 
Fare  a  pappaceci,  in  Toscana. 

259.  A  li  Galiittini. 

In  Palermo,  neirautunno  e  più  nell'inverno,  un  gran 
numero  di  ragazzi  vanno  vendendo,  entro  un  paniere 
ovale,  per  due  centesimi  Tuna  (e  le  piccole  per  un 
cebt.)  certe  sottilissime  dambellette  dette  taraUwxi, 
che  essi  gridano:  Hc^u  tarallicccii  Galiittini  haju! 

Ora  con  queste  ciambeliette  fanno  una  specie  di  scom- 
messa tra  loro  in  questo  modo  :  Il  venditore,  a  cui 
tocca,  ne  prende  una,  e  piegandosi  indietro  in  modo 
che  la  fronte  guardi  obliquamente  in  alto ,  V  adagia 
su  quella,  e  per  via  di  movimenti  della  faccia  V  aiuta 
a  scendere  pian  pianino  sugli  occhi,  sul  naso,  sulla 


A  LI  PITANZI  373 

bocca.  Qui,  afferrata  che  l'abbia  tra'  denti,  la  rompe,  ed 
intanto  che  la  tritura  e  la  inghiotte,  con  le  labbra  regge 
i  frammenti  della  ciambelletta,  la  quale  a  poco  a  poco 
viene  alla  stessa  maniera  masticando  e  mangiando  sen- 
za mai  toccarla  con  le  mani.  Se  egli  riesce  al  suo  in- 
tento senza  averla  mai  toccata,  senza  essersela  fatta 
cadere  tutta  o  parte,  vince,  cioè  ha  diritto  ad  aver  pa- 
gata dall'altro  la  ciambelletta  che  egli  s'è  mangiata. 
Il  giuoco  è  talora  un  po'  lunghetto  e  difficile,  ma  vi. 
son  de'  monelli  che  vi  riescono  a  meraviglia. 

.   260.  A  li  Pitanzi. 

Molti  ragazzi  siedono  in  terra  l'uno  dietro  e  fra  le 
gambe  dell'altro.  Il  capo-giuoco,  che  siede  innanzi  a 
tutti,  tenendo  con  ambe  le  mani  una  lunga  canna, 
domanda  :  Chi  vùliti  manciari  ?  L'  ultimo  risponde  : 
Maccarruni.  A  questa'  risposta  il  capo-giuoco  batte 
con  la  canna  indietro  i  fianchi  di  tutti  i  giocatori,  e 
torna  a  chiedere  :  Chi  vuliti  manciari  ì  A  cui  l'ultimo 
risponde  di  nuovo  :  Arrustu  (o  qualunque  altra  vi- 
vanda). A  questa  risposta -li  percuote  un'  altra  volta, 
e  cosi  prosegue  a  dimandare  e  a  battere  sino  all'  ul- 
timo servito. 

Versione  di  Mazzara. 

261.  A  li  Paparini. 

D'  estate ,  quando  i  rosolacci  {papaver  rhocas  L.) 
sbocciano,  i  fanciulli  ne  vanno  a  raccogliere,  e  pei  vi- 


374  DIVERTIMENTI,   PASSATEMPI,   ESERCIZI 

coli  e  chiassuoli  di  Palermo  li  vengono  barattando  con 
altri  fanciulli  con  bottoni,  piombo  od  altro.  Per  farsi 
sentire  da  chi  non  li  vede  gridano  :  Paparini ,  pic- 
ciuotti  !  pi  funniedda  e  chiummu  v*  *i  canciu  !  *  gri- 
do che  fanno  anche  i  cenciaiuoli,  i  quali  al  primo  sboc- 
ciar de'  rosolacci  ne  vanno  anch'essi  a  raccogliere  ed 
a  barattare  coi  fanciulli  che  li  cercano. 

Un  passatempo  prediletto  di  chi  ha  rosolacci  con- 
siste nelFavvolgerne,  una  alla  volta,  le  foglie,  rigon- 
fiarle, e  farle  scoppiare  sulla  propria  o  sull'altrui  mano 
o  fronte  ;  il  che  si  dice  scrùsciri  li  paparini  (fare 
scoppiare  i  rosolacci). 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Ricorda  lo  stesso  divertimento,  anche  greco,  il  Db  Nmo, 
(I,  p.  78)  come  in  uso  negli  Abruzzi. 

262.  A  Fari  lu  Casteddu. 

Uno  de'  passatempi  graditi  pe'  ragazzi  è  quello  di 
fabbricarsi  il  cosi  detto  casteddu  in  Palermo,  la  ^e&&ia, 
0  la  Tuànnira  o  lu  parcazzu  o  li  casuzzi  o  lu  fur- 
nu,  nel  restante  dell'  isola,  fuori  le  grandi  città,  se- 
condo i  luoghi  ne'  quali  vivono  i  fanciulli,  e  le  idee 
che  essi  hanno.  I  materiali  della  fabbrica  sono  pietre 
qua  e  là  raccolte  ,  e  imitando  il  lavoro  de'  muratori 
le  vengono  collocando  e  assestando  l'una  sull'altra  a 
secco,  ovvero  murate  con  argilla,  fango  od  altra  ma- 
teria che  fa  le  veci  di  calcina.  Il  castello  è  una  specie 

*  Rosolacci,  ragazzi  I  ve  li  cangio  (baratto)  per  fondelli  e  piombo! 


A  LA  MUNTAGNOLA  375 

di  muraglia  a  forma  ovale  o  rotonda,  alta  poco  più 
d'un  metro,  dalla  quale  qualche  volta  si  fanno  spoiN 
gere  bocche  di  doccioni  di  terra  cotta  rotti  ed  inser- 
vibili, che  fingono  cannoni. 

I  murifabbri,  divisi  gli  uffici,  fanno  questo  da  guer- 
riero, quello  da  sentinella,  quell'altro  da  castellano  o 
padrone  che  si  voglia  dire. 

La  gebMa,  vivaio,  è  un  ricetto  quadrato  per  annaf- 
fiare gli  orti;  la  Tnànnira,  mandra;  il  parcazzu^  ter- 
reno chiuso  da  muro  a  secco  e  siepe,  circondato  da 
fossato,  per  chiudervi  di  notte  le  mandre  e  guardarle 
da'  lupi  ecc.,  ricevono  le  forme  di  questi  ricetti  ru- 
sticali;  ma  i  fumi  son  chiusi,  come  i  forni  che  molte 
casette  di  campagna  hanno  davanti  o  presso  V  uscio. 

• 

263.  A  la  Montagnola. 

Ne'  giorni  di  festa  sogliono  i  fanciulli  formare  con 
pietre ,  terra  e  fronde  una  specie  di  montagna  con 
tutte  le  salite,  le  discese,  i  pogginoli,  i  dirupi  di  essa. 
Una  grotta  non  vi  manca  mai,  e  dentro  vi  è  una  del- 
le figurine  in  creta,  che  rappresenta  un  santo  o  una 
santa. 

In  Palermo  rappresentano,  specialmente  di  estate,  la 
Orutta  di  S.  Rusulia;  ed  il  Pellegrino  è  il  monte  che 
vogliono  imitare  con  la  sua  famosa  scala  a  zig-zag, 
che  popolano  di  soldatini  di  creta ,  e  la  grotta  della 
Vergine  protettrice  della  città. 

È  un  divertimento  specialmente  delle  bambine,  le 
quali  si  rifanno  della  spesa  de'  pastureddi  (pastorelli. 


376  DIVERTIMENTI,   PASSATEBiiPI,   ESERCIZI 

uome  generico  di  tutte  queste  immagini  in  creta)  chie- 
dei^do  più  o  meno  insistentemente  a'  passanti  qualche 
monetina  con  un  vassoio  in  mano,  sul  quale  è  posata 
la  immagine  in  carta  della  Santa  che  festeggiano.  Quel 
che  avanza  della  somma  raccolta  serve  a  far  le  me- 
renducce. 

Il  Pirsepiu  0  Prisepiu  di  Natale  è  la  sola  rappre- 
seintazione  alla  quale  potrebbe  paragonarsi  questo  pae* 
saggio  ;  e  del  presepio  in  Sicilia  fu  già  detto  abba- 
stanza ne'  miei  Spettacoli  e  Feste  popolari  siciliane, 
pp.  437-440. 

264.  A  lu  Carru  di  puma. 

In  estate,  quando  le  mele  {puma)  sono  più  abbon- 
danti, i  fanciulli  di  Palermo  imitano  con  cannucce  e 
stecchi  di  varia  lunghezza  T  antico  carro  trionfale  di 
S.  Rosalia.  Le  cai;^ne  rappresentano  la  travatura  del 
carro  e  son  legate  tra  loro  per  via  di  mele,  nelle  quali 
s'infilzano.  La  forma  è  piramidale  ,  avente  alla  base 
quattro  ruote,  anch'esse  di  mele  ammezzate  o  affetr 
tate,  ed  alla  sommità  una  figura  di  mele  tagliuzzate, 
che  nella  intenzione  de'  fabbricanti  vuol  essere  l'im- 
magine  di  S.  Rosalia. 

265.  A  Fari  la  gòbbia. 

Con  fango,  terra,  argilla,  pietre,  legno  o  checché  al- 
tro usano  i  fanciulli  divertirsi  a  far  de'  ritegni  ne'  ri- 
gagnoli delle  strade  durante  o  dopo  la  pioggia,  per 


A  CIRCARI  CHIOVA  377 

impedire  il  corso  dell'acqua;  la  quale,  crescendo  e  tra- 
boccando, li  supera  e  passa  via  distruggendo  il  loro 
lavoro. 

Talvolta  essi  fanno  de'  fóri  o  de'  solchi  negli  argini 
medesimi. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Col  titolo  di  tura  lo  fanno  anche  i  fanciulli  toscani  .(Fan- 
pani,  Yocdb,  della  lingua  itah,  p.  1605). 

266.  A  Circari  chiova. 

Quando  è  piovuto  e  le  pozzette  son  piene  d'acqua, 
i  fanciulli  vi  vanno  firugando  entro  con  le  dita  o  con 
un  fuscello  per  veder  di  trovarvi  ferro,  chiodi,  spilli 
od  altro,  che  la  corrente  possa  aver  trascinato  o  sco- 
perto. Alla  ricerca  essi  accompagnano  la  cantilena  dtìla 
formula  : 

Santa  Nicola,  Santu  Nicola, 
Facitimi  asciari  ferru  e  chiova  !  * 

Un  altro  passatempo  durante  la  pioggia: 
Quando  piove  i  fanciulli, desiderosi  che  la  pioggia  pro- 
segua e  cresca,  cosi  pregano  Dio  ad  alta  voce  : 

Forti,  Signuri,  cà  me  patri  di  fora  è  I 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Il  Malaspina,  IV,  421,  nota  lo  stesso  uso  fanciullesco  in 
Parma  sotto  il  titolo  Zavajar,  che  corrisponde  al  toscano 
Cercar  col  fuscellino. 

Vedi  CoRAzziNi,  p.  121  e  seg.;  Manoo,  Archivio^  voi.  II, 
pag.  182. 

*  S.  Nicola,  fatemi  trovare  ferro  e  chiodi  1 


378  DIVERTIMENTI,   PASSATEMPI,  ESERCIZI 

Relativamente  alla  preghiera  per. la  pioggia,  vedi  De 
GuBBRNATis,  Zoologicol  Mythology,  v.  II,  p.  211. 

I  fanciulli  lombardi  per  invocar  la  neve  continuata ,  al- 
lorché ne  vedono  i  primi  indizi,  per  poi  divertirsi  cantano 
(Cherubini,  I,  187)  : 

Pioeuv  pioeuv 

La  gaijnna  la  fa  Toeuv 

Fiocca  fiocca 

La  gaijnna  la  fa  Tocca. 

267.  A  lu  Roggiu  a  suli. 

Si  sputa  in  terra ,  e  vi  s*  impianta  nel  mezzo  uno 
stame  secco  del  fiore  di  fieno,  il  quale,  per  Tumidità 
della  saliva,  si  storce,  e  gira  intorno  a  sé  in  senso  con- 
trario al  primo  e  naturale  suo  contorcimento  a  spi- 
rate. Asciutta,  si  torna  a  bagnar  con  saliva,  e  torna, 
benché  molto  meno,  a  contorcersi. 

268.  A  ii  Mazzoli. 

Cosi  in  Borgetto;  e  in  Partinico  L'asti  di  li  man- 
tici (le  aste  del  mantice). 

Tre  stami  del  fiore  di  fieno  secco  si  rompono  a  mezzo, 
e  in  forma  quadrangolare  si  attaccano  a  due  angoli 
con  cera,  lasciando  libere  le  due  altre  estremità.  Si 
bagnano  con  saliva  tutti  e  tre  gli  stami,  e  si  posano 
sopra  un  piano.  Cominciando,  per  Y  umidità,  a  stor- 
cersi, il  balocco  piega  in  varie  guise  rassomigliando, 
secondo  i  fanciulli,  al  batter  di  due  mazzuole  {maz- 
zoli) 0  all'alzare  ed  abbassare  delle  aste  del  mantice 
dell'organo  o  della  fucina  del  fabbro  ferraio. 


A  LU  coppu  379 

269.  A  lu  Coppu. 

Nudi  i  piedi  e  bagnati,  i  ragazzi  li  piegano  cosi  da 
rendere  concava  la  pianta,  e  battendola  fortemente  e 
molte  volte  di  seguito  sul  lastrico  egualmente  bagnato, 
corrono  e  fanno  un  forte  scoppiettio. 

270.  A  Fari  lu  Specchiu. 

Altro  divertimento  de'  fanciulli  consiste  nel  pren- 
dere un  pezzettino  di  specchio,  e,  collocandolo  verso 
il  sole,  ripercuoterne  i  raggi  entro  le  case  o  sul  viso 
delle  persone. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Col  nome  di  Gibignanna.  lo  fanno  i  fanciulli  lombardi 
(Cherubini,  II,  218),  e  lo  faranno ,  naturalmente ,  tutti  gli 
altri  fanciulli. 

271.  A  Fari  li  Stiddi. 

In  una  brigatella  di  fanciulli  chi  fa  li  stiddi  (le  stelle) 
è  sempre  il  più  scaltro ,  e  chi  se  le  fa  fare  è  il  più 
ingenuo  ed  il  più  credulo.  Il  primo  prende  la  mano 
del  compagno,  e  bagnando  di  saliva  il  pollice  glielo 
strofina  fortemente  e  lungamente  sul  dosso  in  modo 
che  gli  faccia  una  lividura.  Il  paziente  durante  questo 
lavoro  dee  guardare  in  cielo,  e  quando  tutto  è  -finito  si 
trova  con  quelle  specie  di  stimate. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Si  ravvicini  al  Veder  le  stelle  notato  dal  Minucci  neUe 
note  al  Malmantilej  voi.  IV,  160. 


380  DIVERTIMENTI,  PASSATEMPI,   ESERCIZI 

272.  A  li  Stiddi  di  menzijornu. 

Un  ragazzo  un  pò*  vivace  chiede  ad  un  altro  un  po' 
ingenuo  :  —  Vò'  vidiri  li  stiddi  di  menzifomu  f  — 
Si^  risponde  Taltro.  Allora  il  primo  mette  de*  sasso- 
lini fra  le  dita  di  una  mano  del  secondo,  e  gli  dice: — 
Talla  *n  celu.  —  Quegli  guarda  in  alto,  ed  il  furbac- 
chiotto  gli  stringe  fortemente  la  mano. 

273.  A  lira  di  mòtiri  è  ! 

Uno,  due  o  più  fanciulli  quando  altri  loro  compagni 
stanno  in  piedi,  d'improvviso  li  colgono  per  un  piede 
o  una  gamba  per  farli  cadere  per  terra;  e  nel  pren- 
derli gridano  :  Ura  di  metri  è  !  Ura  di  metri  è  /  Il 
brutto  giuoco,  pericoloso,  ma  di  grande  divertimento 
per  chi  non  ne  sia  la  vittima,  si» prosegue  per  un  bel 
pezzo. 

Cosi  in  Polizzi. 


OIOO^TTOU:  E  B-AJ^OOOHI 


GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 


274.  Lu  Sautampizzu. 

[Tav,  HI,  flg.  12) 

Lo  chiamano  Sautampizz  in  Piazza  Armerina,  Saih 
tagianni  in  S.  Lucia  di  Mela,  Sautaloru  in  Catania, 
Griddu  in  molti  comuni  dell'  isola ,  Carcalez  ,  cioè 
grillo,  in  Piana  de'  Greci,  Pisci  eh'  abballa  in  Mor- 
reale.  Don  Giorgi  in  Messina,  Zabbata%a  in  Siracusa. 

Pezzetto  di  ferula  in  forma  di  lucertola,  o  tarantola, 
0  ranocchio,  e  nel  sec.  passato  di  uccelletto  (a)  (Pasqua- 
lino, IV,  346),  i  cui  piedi  sarebbero  rappresentati  da 
un  pezzettino  di  canna  arcuata ,  che  vi  s' infilza  nel 
mezzo  {b)  legando  le  estremità  libere  della  canna  con 
un  poco  di  spago  (e),  nel  cui  centro  si  gira  un  fuscello 
o  uno  stecchino  (d) ,  e  tanto  si  gira  e  si  rigira ,  che 
r  arco  si  tende ,  e  un  capo  libero  della  cannuccia  si 
forza  verso  la  coda,  al  lato  inferiore  del  ranocchio, 
sulla  quale  è  attaccata  della  pece  da  calzolaio  (e).  Il 
fuscello  premuto  nella  pece  vi  rimane  appiccicato  lauto 
che  basti  ad  essere  il  balocco  posato  sur  un  piano;  e 
allora  si  stacca  e  il  ranocchio  per  quella  specie  di 
molla  che  scatta  salta  con  violenza. 

Nelle  fiere  specialmente  pasquali  si  vende  2  cente- 
simi di  lira. 


384  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  e  tutta  Italia  è  detto  Saltamartino,  e  se  ne 
fa  di  legno  e  più  comunemente  di  gusci  di  noci.  Eccone  la 
descrizione  secondo  Rigutini  e  Fanfani,  p.  1367,  che  con- 
corda con  quella  del  Fanfani,  Yocah,  deiruso,  848  : 

«  Trastullo  fanciullesco  ,  che  si  fa  con  un  mezzo  guscio 
di  noce  forato  ai  lati  della  larghezza  dell*  orlo  ;  dentro  ai 
fori  si  passa  un  filo  cerato ,  e  si  annoda  ;  vi  si  rigira  poi 
dentro  un  fuscellino ,  il  cui  capo  libero  forzatamente  si 
porta  a  uno  dei  punti  estremi  della  lunghezza  dell'orlo,  dove 
è  posta  un  poco  di  cera  o  pece  che  vel  tiene  appiccato 
qualche  momento,  dopo  di  che  il  fuscello  si  stacca,  e,  scat- 
tando ,  fa  saltare  esso  guscio.  Su  per  le  fiere  si  vendono 
di  legno ,  e  in  forma  di  ranocchio ,  ma  col  medesimo  or- 
digno. » 

È  anche  detto  Bisirizio  ;  ed  in  Dati  ,  Lepid.  60 ,  Misi- 
rizzio;  e  più  toscanamente  missirizzi  o  misirizzi  da  riz- 
zare e  star  ritto;  ma  probabilmente  questo  balocco  è  un 
un  po'  differente. 

In  Mirandola  e  Venezia  è  detto  Rana  (Meschieri,  179); 
in  Parma  Saltamartèn  (Malaspina,  IV,  15);  in  Milano  Sal- 
tamartin  e  in  Lombardia  anche  Saltambrugna  (Cherubini, 
IV,  95). 

275.  La  Stidda. 
[Tao.  II,  fig.  7) 

Lo  dicono  Stile  in  Piana  de'  Greci,  Cumeta  in  Riesi, 
Siracusa  ecc.,  Cumedia  in  Piazza  Armerina,  Comèddia 
o  Cumèddia  nella  provincia  di  Trapani,  in  alcuni  siti 
della  Conca  d'Oro,  in  Noto,  Modica  ecc.;  Praneta  in 
Messina  ;  Picaredda ,  dalla  forma  del  pesce  picara 
(rhaja  L.),  in  Licata. 


LA  STIDDA  385 

Noto  balocco  di  carta  di  forma  quadrata  ;  teso  da 
una  stecca  o  cannuccia  verticale  detta  spitu^  spiedo, 
(a,  a)  e  da  una  arcuata,  che  parte  da  uno  de'  due  an- 
goli laterali,  in  alto,  e  finisce  all'angolo  opposto,  detta 
sonu,  arcu  {bjò):  l'uno  e  l'altro  attaccati  al  balocco  con 
pezzettini  di  carta  {pezzi). 

Se  ne  fanno  da  un  foglio,  da  un  foglio  e  mezzo,  da  tre, 
fino  a  sedici,  a  ventiquattro  e  più  fogli  di  carta.  Que- 
sta forma  semplicissima  di  aquilone ,  legata  a'  due 
segni  e,  d  con  un  filo  detto  .cursali  (e),  prende  il  nome 
di  cursali^  perchè  quasi  sempre  serve  a  dar  la  caccia 
ad  altri  aquiloni  simili  o  meno  grandi.*  Ad  esso  s'ap^ 
piccica  ora  una  lunga  coda  {C'uda)y  ora  uno  o  più  pez- 
zetti di  catena  {catineddi),  ora  de'  fiocchi  {giumma), 
sempre  di  carta,  come  quelli  del  nostro  disegno. 

La  stidda  bene  equilibrata  si  manda  in  aria  [si  parti) 
quando  spira  un  po'  di  vento.  Ma  se  piega  da  un  lato 
[havi  lu  tatù)  e  fa  de'  giri  [fa  càzzichi),  ci  si  rimedia 
attaccando  della  carta  al  lato  opposto.^  quaqquarazza 
se  per  debolezza  dell'  arco  si  piega  più  del  convene- 
vole. Spesso  si  mandano  in  aria  molte  di  queste  stiddi 
di  seguito,  l'una  attaccata  all'altra,  e  prendono  nome 
di  filerà.  In  Palermo  vi  son  fileri  da  quaranta ,  ses- 
santa ed  anche  più  stiddi.  Nella  stidda  da  filerà  manca 
il  doppio  attacco  del  cursali  {e),  bastandone  tm  solo, 
verso  il  terzo  superiore  dello  spitu.  Una  filerà  suole 

*  Cursaliy  come  si  vede,  significa:  1*  grande  aquilone  senza  coda 
0  altro;  2»  attacco  dello  spago  all'angolo  superiore  e  al  centro  {e, 
d)  di  ogni  aquilone. 

G.  PiTRÈ.  —  Giuochi  fanciulleschi  2& 


386  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

avere  un  cursali  che  la  guarda  ed  assicura  da  altri  a- 
quiloni  o  cursali  disposti  ad  assalirla  e  farne  preda. 

Ad  una  stidda  che  è  già  in  aria  si  mandano  qual- 
che volta  de'  curreri,  corrieri ,  pezzettini  rotondi  di 
carta  con  fóro  nel  mezzo,  in  forma  di  ciambelletta,  che 
s' infilano  dalla  estremità  dello  spago  tenuta  da  chi 
regge  l'aquilone. 

Si  usa  di  primavera  e  di  estate,  come  si  rileva  an- 
che dal  seguente  indovinello  popolare  sull'aquilone  in 
parlata  del  Medicano  (Guastella,  Indovinelli  di  Mo- 
dica^ Chiaramonte  e  Comiso^  num.  224.  Chiaramen- 
te, 1880)  : 

lu  pussièru  un  beli*  armali, 
Ca  spassiggia  ni  V  està; 
Havi  pizzu,  cura  ed  ali, 
Ma  'un  è  armali  'n  verità. 

E  da'  seguenti  versi  d'una  satira  popolare  inedita  sopra 
La  festa  di  Natali  di  li  Pisanoti  (prov.  di  Catania) 
nel  1858: 

La  carta  vi  portai  ppi  li  cometi 
E  poi  v'  addivi ptiti  'nta  la  stati.  * 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Cmeta  è  detta  in  Bisceglie;  Cumeta  o  Cometa  negli  Abruz- 
zi ^Fina|iore,  p.  83);  Aquilone  in  Toscana  (Fanfani,  p.  69; 
RiGUTiNi  e  Fanfani,  pag.  116);  Cornetta  dH  carta  in  Parma 
Malaspina,  I,  446);  Cornetta  in  Milano  (Cherubini,  I,  314); 
Btela  cometa  in  Venezia  (Boerio,  p.  403);  Cometa  in  Pie- 
monte (Sant'Albino,  p.  384). 

•  Io  vi  portai  (vi  ho  portata)  la  carta  per  gli  aquiloni  ;  e  poi  vi 
divertirete  nella  state. 


LA  VIRDUNERA  387 

276.  La  Virdunera. 

[Tav,  II,  fig.  9) 

Trastullo  da  fanciulli  e  qualche  volta  da  giovani, 
formato  d'  un  pezzo  di  tavola  quadrata  ed  allungata, 
alla  quale  si  dà  spésso  forma  di  aquila  o  di  prospet- 
tiva di  casa ,  od  anche  un  po'  differente,  come  nel 
nostro  disegno;  uno  specchio  (a)  con  due  vasetti  ai 
Iati:  uno  con  panico  e  Taltro  con  acqua;  un  saltatoio 
fatto  a  ringhiera  di  terrazzino  [finistrunf)  (&) ,  sul 
quale  si  tiene  un  verdone  'nvracatu  e  addomesti- 
cato (e). 

Il  verdone  si  'nvraca  con  quattro  laccettini,  che  si 
passano  due  sotto  le  ali  e  due  sotto  le  gambe,  tutti  poi 
legati  insieme.  Questa  vraca  in  Catania  si  dice  ad- 
dazzu  (laccio?) ,  e  si  usa  anche  per  tutti  gli  uccelli 
di  zimbello  [aceddi  di  zimmeddu).  Il  verdone  si  ad- 
destra ed  abitua  a  volare  verso  la  virdunera  reggen- 
dolo sull'indice  prima  da  vicino,  e  poscia,  mano  mano, 
da  una  certa  distanza,  ma  quasi  sempre  a  vista  della 
virdunera.  Quando  esso  pare  abbastanza  addestrato 
a  volare  alla  sua  ringhiera,  lo  si  fa  partire  molto  da 
lontano  e,  potendo  fidarsene,  per  via  non  diritta,  ed 
anche  senza  laccio  alla  vraca ,  sicuri  che  Y  uccello 
prenderà  il  volo  sempre  verso  il  suo  posto. 

Ai  verdoni  addomesticati  non  si  fa  mancare  qualche 
briciolo  di  midollo  di  pane  inzuppato  in  acqua  vinosa, 
buono,  secondo  i  fanciulli,  ad  ubbriacarlo  e  farlo  volare 
con  maggiore  slancio  ed  energia. 


388  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

Molti  ragazzi  partecipano  da  spettatori  a  questo  pas- 
satempo facendo  doppia  ala  airuccello  che  vola  verso 
la  virdunera. 

277.  La  Serra. 

Chiamasi  Serramònica  in  Licata  e  Siracusa. 

Passatempo  fanciullesco,  che  si  fa  intrecciando  fra 
le  dita,  il  naso  e  le  labbra  un  laccio  a  filo  legato  ai 
due  capi,  in  guisa  da  formarne  poi  una  specie  di  croce, 
dei  cui  quattro  capi,  tre  son  tenuti  con  le  due  mani  e 
con  la  bocca  dal*  giocatore ,  e  uno  da  un  compagno. 
Cosi  mettendo  in  moto  alternativo  ora  i  due  lacci 
trasversali,  ora  i  due  longitudinali ,  si  imita  il  moto 
dei  segatori  quando  segano  [sèrranu). 

278.  La  Marredda. 

[Tav.  /,  fig,  3) 

Trippici  in  Caltanissetta,  Cafalettu  in  Riesi,  Maidda 
in  Milazzo. 

Giuoco  e  passatempo  fanciullesco,  che  si  fa  con  una 
gugliata  di  filo  annodata  a'  due  capi ,  tenendola  tra 
le  due  mani  e  intrecciandola  in  molte  guise  alle  dita 
proprie  e  pressandola  in  quelle  d'  un  altro,  che  deve 
di  necessità  concorrervi.  Cosi  ne  vengono  varie  figure, 
che  per  le  loro  analogie  si  dicono  :  lettu  (letto),  naca 
(culla) ,  cannileri  (candeliere),  pisci  (pesce),  specchia 
(specchio),  gradetta  (gratella  del  fornello),  viistuneddu 
di  S.  Giìiseppi  (bastoncello  di  S.  Giuseppe). 


BIANCU  E  RUSSU  389 

Nel  nostro  disegno  è  rappresentata  la  pritìia  figura, 
che  risulta  dal  primo  intreccio  del  filo. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
Dicesi  in  Napoli  Matassa;  in  Toscana  Ripiglino. 

279.  Biancu  e  russo. 

[Taì).  II,  flg.  6) 

In  Menfi  Curdedda  niura  e  bianca. 

Il  Biancu  e  russu  è  un  balocco  fanciullesco  formato 
nel  seguente  modo  : 

Si  tagliano  due  cannucce,  lunghe  da  sei  ad  otto  cen- 
timetri, larghe  appena  uno,  e  si  forano  entrambe  verso 
le  due  estremità  (o,  o,  o,  o)  come  nel  seguente  disegno: 


Nel  foro  destro  dell'una  si  introduce  un  filo  rosso, 
che  si  fa  uscire  dal  fóro  sinistro  dell'altra,  e  nel  fóro 
sinistro  un  altro  filo  bianco  che  va  ad  uscire  dal  fóro 
destro  dell'altra.  Questi  due  fili  si  riuniscono  e  legano 
insieme  a  ciascuno  dei  loro  capi,  e  le  due  cannucce 
applicate  l'una  nell'altra  racchiudono  i  due  fili  incro- 
ciantisi  in  questa  imperfetta  forma,  che  però  vuol  es- 
ser orizzontale  : 


390  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

Tenendo  dai  due  estremi  e  movendo  dall'uno  al- 
l'altro estremo  le  due  cannucce,  si  ha,  com'è  facile 
vedere,  questo  :  che  dove  il  filo  d'un  lato  è  rosso  alla 
prima  metà,  è  bianco  alla  seconda  metà;  e  viceversa. 
Onde  chi  ha  il  Biancu  e  rtissu  invita  un  compagno 
a  giocare ,  e  dandogli  in  mano  un  capo  de'  due  fili 
(v.  tav.  II,  n.  6,  a)  e  l'altro  reggendo  egli  stesso  (6),  gli 
chiede  :  'U  tó  chi  è:  Mancu  o  russu?  Se  quello  ri- 
sponde: Mancu,  egli  con  la  sua  mano  destra  (e)  muove 
le  cannucce  {d)  in  guisa  che  al  lato  del  compagno  venga 
il  filo  rosso  {e)  e  non  già  il  bianco  {f);  e  se  quello 
dice  :  russu,  fa  al  contrario  :  tanto  che  la  perdita  è 
sempre  per  quello,  che  per  l'astuzia  di  chi  fa  il  giuoco 
non  riesce  mai  ad  apporsi. 

Il  Biancu  e  russu  si  suole  avvolgere  coi  suoi  stessi 
fili ,  e  si  conserva  nelle  tasche  dai  fanciulli  che  gio- 
cano con  esso. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Bisceglie  invece  delle  canne  si  adopera  un  ossicino 
vuoto  al  di  dentro,  (ordinariamente  di  capretto  o  di  agnelli- 
no) e  vi  si  fanno  incrociare  i  due  fili.  Il  balocco  è  detto 
Ouss  du  mourt  (osso  del  morto). 

280.  La  Badda  all'aria. 

Preso  un  boccinolo  di  canna  aperta  all'un  dei  capi 
e  chiuso  all'  altro  dal  nodo,  attaccasi  a  quest'  ultimo 
un  laccio  lungo  quanto  basta,  dalla  cui  estremità  pende 
una  palla  di  piombo.  Agitando  il  boccinolo  e  gittanSo 
in  aria  la  palla,  questa  al  suo  cadere  si  riceve  nella 
estremità  aperta  del  boccinolo,  o  cannello  che  sia. 


LU  RICCICU  391 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Sotto  il  nome  pannigiano  di  Furlòn  il  Malaspina,  II,  199, 
ricorda  «  un  piccolo  bastone  lavorato  al  torno ,  con  una 
cavità  ad  ambedue  le  estremità  :  gettasi  in  aria  una  pic- 
cola palla  attaccata  ad  un  filo  legato  alla  metà  del  bilbo- 
chetto,  e  procurasi  di  farla  ricadere  e  restare  in  una  delle 
estremità.  » 

Sotto  il  nome  poi  di  BUbOquè  (dal  frane.  Bilboquet)  irSAN- 
T*  Albino,  pag.  248,  descrive  pel  Piemonte  una  «  sorta  di 
giuoco,  che  esige  molta  destrezza;  e  consiste  in  una  spe- 
cie di  calicetto  di  legno,  dal  quale  pende  una  cordicella 
alquanto  lunga,  alla  quale  è  annessa  una  palla,  e  questa 
slanciata,  vi  si  va  sotto  col  calice  per  raccoglierla ,  e  se 
il  giocatore  fa  entrare  la  palla  nel  vaso  del  calice  ha  vinto; 
se  no,  resta  perdente.  » 

I  Milanesi  lo  chiamano  Mirabocchin, 

281.  Lu  Riccicu. 

«  Quel  pezzetto  di  legno  con  cui  giuocano  i  fanciulli 
a  cacciarlo  per  aria,  come  nel  gioco  del  pallone.  » 

Cosi  Traina,  Nuovo  Vocab,  5ec.,p.  813;  ma  io  non 
.  me  ne  so  formare  un'idea,  non.  conoscendo  il  balocco.. 

282.  Lu  Rùzzulu. 

Dicesi  anche  Ruzzalora. 

«  Girella  'Con  cui  si  trastullano  i  ragazzi  lanciandola 
]JJer  farla  correre ,  e  per  lo  più  la  si  fa  rotolare  per 
le  strade  con  gran  forza  di  braccia.  » 


392 


GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 


VARIANTI  E  RISCONTRI 

H  Traina  (Nuovo  Vocab.  sic,  ital,  p.  845),  vi  fa  com- 
spondere  il  toscano  Ruzzola, 

Il  Malaspina,  IV,  46,  lo  registra  Zugàr  a  la  rodèla,  ed 
aggiunge:  Giocare  al  giuUo  tose,  giuoco  fanciullesco  nel 
quale  si  baloccano  a  far  girare  una  rotella. 

288.  Lu  MuKflfl. 

Si  dice  anche  Mulinu  aventu,  ed  è  formato,  come 
si  vede  dal  qui  intercalato  disegno, 


di  due  asticciuole  di  canna  o  di  legno  (a,  cÈ)^  legate  nel 
centro  a  croce,  impernate  sopra  un'altra  asticciuola  {b), 
ed  aventi  ciascuna  a'  capi  un  pezzettino  di  carta  in 


LU  FIRRIALORU  39S 

forma  di  ala  (e,  e,  e,  e).  Portandolo  contro  il  Tento, 
questa  specie  di  inuliao  gira.   Talora  ha  due   sole 
braccia* 
Altra  girandola  di  carta  è  il  seguente  balocco. 

VARIANTI  E  RICCONTRI 

In  Toscana  e,  generalmente,  in  tutta  Italia ,  dicesi  Mu- 
linello «  un  trastullo  da  fanciulli,  che  consiste  in  una  canna, 
in  cima  della  quale  sono  impernate  due  ala  di  carta  ^  fog- 
gia di  quelle  de'  molini  a  vento.  »  (Rigutini  e  Fanfani, 
p.  1006). 

In  Parma  è  detto  MolinéU  di  carta  (Malaspina,  III,  102). 

284.  Lu  Firrialoru. 

[Tav.  /,  fig.  5) 

In  Monreale,  Prizzi,  Isnello  si  chiama  Stidduiza. 

Un  pezzettino  di  carta  da  quattro  a  sei  centimetri 
quadrati  si  taglia  diagonalmente  agli  angoli  fino  a  due 
terzi  della  sua  lunghezza;  indi  se  ne  ripiegano  sopra 
di  se  stessi  gli  angoli  (a,  a,  a,  a),  portandone  verso 
il  centro  le  estremità,  le  quali  per  mezzo  d'uno  spillo 
si  raccomandano,  con  un  forellino  comune,  a  un  pez- 
zetto di  canna  (6),  o  ad  un  bastoncino  qualunque  (ft). 
Cosi  restano  libere  altre  quattro  estremità  (e,  e,  e,  e), 
che,  accartocciate  a  mezzo  come  sono,  col  vento  fanno 
girare  il  balocco. 

I  fanciulli  tenendo  in  mano  il  bastoncino  del  firria- 
loru corrono  contro  il  vento ,  e  si  divertono  a  farlo 
girare. 

Alcuni  impiantano  sotto  varie  forme  molte  ài  queste 


994  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

girandole   a  differenti  colori ,  e  le  attaccano  innanzi 
gli  usci  delle  case,  alle  finestre,  e  dovunque  spiri  vento. 
Si  fa  di  primavera,  e  più  di  estate. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Bisceglie  si  chiama  Muinu  a  veint  ;  in  Toscana  Mu- 
linello o  Frullino,  La  Zirandola  veneziana  (Boerio)  ha 
molto  somiglianza  con  questo  balocco. 

285.  La  Strummullcchia. 

È  un  trottolino  in  embrione;  per  cui  in  alcuni  paesi 
è  detto  Turtulicchia;  in  Piazza  RumuUdda;  in  Mon- 
reale Fusiddu;  in  Piana  dei  Greci  'Ssumb  (bottone); 
in  Riesi  Capitina;  in  Milazzo  e  S.  Lucia  Puoni;  al- 
trovo  Firrialoru. 

È  un  fondello  d'  osso  con  un  fóro  nel  centro ,  nel 
quale  s'infila  uno  stecchetto  arrotondato  ,  che  tra  il 
pollice  e  l'indice  riceve  un  movimento  di  rotazione. 

In  alcuni  paesi  si  fa  d'  un  pezzettino  di  legno  in- 
grossato nel  mezzo. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Trottolino  è  detto  in  Toscana;  Pirlén  o  Pirlétt  in  Parma 
(Malaspina,  III,  p.  297);  Birlo  in  Milano  (Cherubini,  I,  108); 
Totò  in  Piemonte  (Sant'Albino,  p.  1169);  Girlo  in  tutta 
Italia. 

286.  Lu  Tornu. 

In  Borgetto  .Firrialoru;  in  Riesi  Cùrrula. 
Si  arrotonda  in  forma  di  piastrella  un  coccio ,  un 
mattone  sottile,  una  palla  di  piombo,  una  lamina  spessa 


L' ANEDDU  395 

qualunque,  ovvero  si  prende  una  moneta,  e  vi  si  fanno 
nella  stessa  linea  centrale  due  fóri,  ne'  quali  si  passa 
un  laccetto ,  i  cui  capi  si  annodano.  Portata  la  pia- 
strella verso  il  centro  del  laccio,e  tenendo  con  le  mani 
i  due  capi  di  questo ,  si  rigira  con  una  mano  ;  indi 
tendendolo  e  allentandolo  alternatamente,  la  piastrella 
gira  in  avanti  e  indietro. 

Si  usa  in  primavera  .e  in  estate. 

Questo  balocco ,  che  qualche  volta  pel  logorio  del 
laccio  può  cagionare  del  male  a  chi  lo  gioca,  somiglia 
al  seguente. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nell'Abruzzo  Chietino  si  usa  ne'  giorni  di  Pasqua,  ed  è 
fatto  d'un  disco  di  stoviglia.  Il  suo  titolo  è  Luzzurre-zzurre 
(Finamore,  ms.). 

287.  L'Aneddu. 

S' infila  tra  le  gambe  e  si  tende  uno  spago  legato 
ai  due  capi;  indi  tra'  due  fili,  nel  centro,  si  pone  un 
anello  di  metallo,  che  con  essi  si  viene  rigirando,  e 
torcendo  in  guisa  che  resti  come  stretto  tra  due  elis- 
soidi.  Allora  il  fanciullo  allenta  le  mani  e  slarga 
le  gambe,  che ,  tendendo  i  lacci ,  fanno  rapidamente 
rigirare  l'anello  in  senso  contrario  al  primo  giro,  e 
svolto  e  restato  libero,  parte  violentemente  rotando 
per  terra  o  a  fior  di  terra. 

È  un  passatempo  che  piglia  forma  di  giuoco  quando 
più  ragazzi  si  provano  a  chi  lo  faccia  andar  più  lon- 
tano; e  chi  lo  fa,  guadagna  la  partita. 


396  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Toscana  si  dice  Fare  alV anello;  in  Venezia  Zogar  a 
TanèlOy  e  chi  primo  riesce  a  prender  l'anello,  vince.  Somi- 
glia molto  al  trochus  de'  Latini  e  al  tpox^c  de*  Greci. 

288.  Lu  Roggiu. 
{Tav.  IIL  fig.  11) 

Si  forano  nel  mezzo  due  gusci  ripuliti  di  noce  (a,  a), 
e  vi  si  fa  passare  un  fuscello  della  grossezza  d'un  fiam- 
mifero, ed  anche  meglio  e  più  frequentemente  un  fil  di 
ferro ,  avente  a  un  estremo  una  ripiegatura  a  forma 
di  manubrio  (&).  Nel  centro  di  questo  filo  si  lega  un 
filo  di  cotone,  che  esce  dal  foro  inferiore  naturale 
della  noce;  questo  filo  (e)  ha  all'altro  capo  un  sassolino 
che  fa  da  pendolo  {d). 

Chiusa  ed  anche  legata  con  filo  la  noce  vuota ,  si 
gira  tanto  lo  stecchetto,  che  il  filo  si  avvolge  tutto 
e  tirasi  in  alto  il  pendolo  ;  indi  si  lascia  libero  lo 
stecchetto,  e  il  pendolo  di  questo  cosi  detto  orologio 
scende  rapidamente  producendo  il  lieve  rumore  che 
fa  l'orologio  cha  si  carica  e  scarica  a  distesa. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Neil'  Abruzzo  Chietino  la  Cucurummèlle  è  un  congegno 
simile  al  nostro  per  far  girare  il  fusaiuolo  attraversato  da 
un  perno  (Finamore,  ms.). 

289.  Lu  Firrianciònciulu. 
{Tav.  /,  fig.  1) 

A  capo  d'  un'asticciuola  rotonda  {a)  si  conficca  dal 


l'animulicchiu  897 

fóro  naturale  una  noce  piena  {b)  e  vi  si  tiene  fissa; 
forasi  nel  centro  de'  due  gusci  senza  aprirla  altra  noce, 
e  se  ne  cava  fuori  il  gheriglio  ed  i  sopimenti,  in  modo 
che  rimanga  intieramente  vuota.  Si  lega  un  filo  nel 
centro  delPasticciuola,  e  dall'altro  capo  libero  di  que- 
sta introducendo  la  noce  vuota,  {e)  si  fa  esso  filo  uscire 
dal  fóro  posteriore  della  noce  medesima  {d).  Tenendo 
con  la  mano  sinistra  {e)  la  noce  mobile  di  sotto  (e), 
si  gira  con  la  destra  quella  fissa  di  sopra  (p)  per  av- 
volgere attorno  all'agre  (a)  entro  la  noce  vuota  il  filo. 
Con  la  mano  opposta  {f)  si  tira  il  filo  [d)  che  esce  dal 
fóro  (e),  e  la  noce  di  sopra  (&)  gira  svolgendo  il  filo 
stesso,  e  poi,  rilasciando  questo  e  ritirandolo,  in  senso 
inverso  ;  cosi   che  abbia  un  giro   alterno  e  continuo 
come  di  arcolaio  da  fanciulli. 
Si  usa  in  Milazzo. 

290.  L' Animulicchiu. 

Piccolissimo  arcolaio  di  canna,che  gira  sopra  un  boc- 
cinolo anch'esso  di  canna,  entro  il  quale  Tasse  del- 
Tarcolaio  s'infila  legandovi  un  laccetto  che  si  fa  uscire 
da  un  fóro  del  boccinolo  stesso,  e  che,  avvolto  dap- 
prima all'asse  medesima,  preso  poi  e  tirato  dal  fan- 
ciullo, svolgendosi  fa  girare  l'arcolaio  a  destra  e  po- 
scia rallentando  la  mano,  a  sinistra. 

291.  La  Trumma  e  càccami. 

La  Trumma,  tromba,  Cannolu  in  Messina  e  Catania, 
Cannazzola  in  Noto,  Anne g ghia-picciotti  in  S.  Lucia 


398  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

di  Mela,  Zabbatana  in  Siracusa,  è  un  lungo;  talora 
lunghissimo  boccinolo  di  canna  verde  e  sottile,  entro 
il  quale  si  spinge  con  forza  di  soffio  il  nocciolino  del 
càccamu,  o  minicicccu,  o  milicuccu  (Modica),  o  fafa- 
reca  (Forza) ,  o  favaraggiu  (Siracusa) ,  che  è  la  ba- 
gola, ossia  il  frutto  del  loto  [celtis  aicstrcUis,  L.),  il 
giracolo ,  del  quale  si  sia  mangiata  la  scarsissima 
polpa.  In  mancanza  di  càccami,  i  monelli  che  si  di- 
vertono a  colpirsi  Tun  l'altro,  e  talora  a  disturbare 
i  non  monelli  che  vanno  pe*  fatti  loro  ,  masticano  e 
si  soffiano  in  viso  cabbasisi^  cioè  dolcichini  {cycerus 
escìUentiis,  Linn.),  ovvero  cotogne  [pyrus  cydoria  L.), 
o  piselli,  o  lenticchie,  o  grano,  e  perfino  anche  cenere 
(Catania). 

I  càccami  in  Palermo  si  soffiano  per  la  festa  dei 
Santi  Cosimo  e  Damiano  (27  settembre),  le  cabbasisi 
e  le  cotogne  per  la  Madonna  del  Rosario  (prima  do- 
menica di  ottobre):  due  feste  nelle  quali  il  balocco 
della  Trumma  e  càccami  è  inevitabile  (vedi  i  miei 
Spettacoli  e  Ireste,  p.  384). 

Nella  tradizione  pop(dare  Giovanni  da  Precida  andò 
preparando  contro  Carlo  d'Angiò  la  rivolta,  che  prese 
poi  il  nome  di  Vespro  (1282),  parlando  airorecchio  dei 
Siciliani  per  mezzo  d'una  Trumma  di  caccam^*(v.PITRè, 
Il  Vespro  siciliano  ecc.). 

P.  Spatafora,  nel  suo  Vocabolario  siciliano  ms.  del 
sec.  XVII,  notò  :  Zarbatana ,  trumba  di  cannizzola 
pri  Cacciari  o  tirari  baddiceddi. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
Un  uso  parmigiano  simile  nota  il  Malaspina,  I,  p.  509, 
alla  voce  Cuciimer  salvateg. 


LU  SGRICCIALORU  399 

292.  Lu  Sgriccialoru. 

Si  dice  anche  Scricchialoru  e  Siringa^  ed  è  un  ba- 
locco simile  allo  Scupittuni,  consistente  in  un  boc- 
ciuolo  di  canna,  che  da  un  Iato  è  aperto,  e  dall'altro 
è  chiuso  dal  nodo,  in  mezzo  al  quale  è  un  forellino, 
onde  viene  schizzata  fuori,  come  nella  siringa,  della 
acqua  spinta  da  una  bacchettina  con  uno  stantuffo  di 
stoppa.  La  sua  forma  è  {presso  che  la  stessa  dello 
Scupittuni  (Tav.  II,  flg.  10). 

È  uno  strumento  col  quale  i  fanciulli  si  divertono 
a  bagnarsi  tra  loro. 

Lo  notò  nel  sec.  XVIII  M.  Pasqualino  {Vocab,  si- 
ciliano, V,  pp.  33  e  36)  col  titolo  di  Sgriccialoru  e 
Sguiccialoru  ;  e  nel  sec.  XVI.  C.  Scobar  alla  voce 
Sguichaloru  (  Vocabularium  Nebrissense:  ex  latino 
sermone  in  siciliensem  et  hispaniensem  denuo  tra- 
ritùctum,  Venetiis,  1520). 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Neir  Abruzzo  Chietino  è  detto  Lu  scrizza-acqua  (Fina- 
raore,  ms). 

293.  Lu  Scupittuni. 

{Tav.  Il,  fig.  10) 

« 

Ha  i  seguenti  nomi  :  Carcapaddu  in  Santa  Lucia 
di  Mela,  Carcapaddi  in  Caltanissetta,  Sparapaddu  in 
Messina,  Sparapaddi  in  Taormina,  ove  il  giuoco 
prende  il  titolo  di  Carca-caccia-sparorpaddi,  da  ca- 


460  GIOCÀTTOLI  E  BALOCCHI 

ricare ,  cacciare  e  sparar  palle;  Scattagnettu  nella 
colonia  di  S.  Martino,  Scattàbottu  e  Scattialoru  in  Ci- 
minna,  Borgetto  e  Catania;  Scattiuolu  in  Chiaramente, 
Spiccialoru  o  Squiccialoru  in  Modica,  Sgricchialom 
in  Riesi,  Cicaloru  in  Casteltermini,  Sambuca  in  Ce- 
falù,  Savùcu  in  Avola  ed  altri  comuni,  Ziringa  in  Mi- 
lazzo. 

Lo  Scupittuni  è  un  balocco  di  legno  a  guisa  di  schiz- 
zatoio  0  di  sciringa,  composto .  dello  scupittuni  pro- 
priamente detto ,  che  è  cilindrico,  con  un  fóro  lon- 
gitudinale e  rotondo  nel  mezzo;  e  del  manico  o  bac- 
chetta, che  ne  è  l'anima.  In  molti  luoghi  però  il  gio- 
cattolo è  più  primitivo  ed  informe  :  un  pezzettino  di 
sambuco,  dal  quale  si  cava  fuori  il  midollo,  formando 
Tanima  con  un  legnetto  qualunque.  Codesto  rappre- 
senta il  nostro  disegno  n.  10. 

Questo  giuoco  si  fa  introducendo  due  stoppaccini  di 
canape  o  di  stoppa,  V  uno  innanzi  tanto  da  attingere 
air  estremità  opposta  a  quella  onde  entra,  l'altro  in 
principio.  Spingendo  col  manico  questo  secondo  stop- 
paccino,  il  primo  entrato ,  per  la  compressione  della 
aria  chiusa  tra  le  due  palle,  è  cacciato  fuori  con  vio- 
lenza. Gli  stoppacci  son  detti  haddi;  in  Chiaramonte 
cugna\  ed  il  manico  fusu.  Il  balocco  diventa  gradito 
quando  essi  han  pigghiatu  lu  lisciu ,  cioè  scorrono 
liberamente,  cosi  che  ^coppiettan  forte.  E  da  balocco 
diventa  giuoco  quando  due  si  mettono  a  gara  tra  loro. 
Chi  manda  più  lontano  lo  stoppaccio ,  vince.  Talora 
la  scommessa  è  di  colpire  un  dato  segno.  Un  abile 
giocatore  di  scupittuni  invece  di  poggiare  sul  petto 


LA  SCUPETTA  401 

il  manico  della  bacchetta,  aflérra  questo  con  la  sini-^ 
stra  (a),  e  colla  destra  [b)  stringe  il  manico  (e),  e  dà 
la  spinta  per  lo  scoppio. 

Gli  scupittuna  fatti  in  Palermo,  di  legno  o  di  bos- 
solo al  tornio,  si  comperano  alla  fiera  per  cinque  o  sei 
centesimi;  e  acquistano  maggior  prezzo  se  sono  usati, 
perchè  han  fattu  lu  lisciu. 

Da  questo  balocco  è  nata  la  frase  :  Fari  comu  hi 
scupittuni,  cacciare  uno  per  forza,  scalzarlo,  prenden- 
done il  posto. 

Un  cenno  di  questo  balocco  nel  secolo  passato  fece 
M.  Pasqualino,  Vocab.  siciL,  voi.  IV,  p.  417. 

VARIANTI  a  RISCONTRI 

I  fanciulli  di  Bari  lo  dicono  Schcattarieul  ;  quelli  degli 
Abruzzi  Scrizzatore;  i  toscani  Schizzetto,  ed  anche  Scop- 
pietto,  Schioppetto  (Barbieri,  71);  i  parmigiani  Samboèugh 
(Malaspina^  IV,  17),  0  S'cioppett  d!  samboèugh  (IV,  68);  i 
comaschi  Strifòl  (P.  Monti,  Vocab,,  p.  309)  ;  i  monferrini 
Schioppetti  (Ferraro  ,  Cinquanta  Giuochi,  n.  XLIV);  ma 
sembra  voce  tradotta  ;  i  piemontesi  tutti  S'ciopet  (San- 
t'Albino, 1025). 

294.  La  Scupetta. 

[Tav.  II,  fig-  S) 

È  una  canna  [arundo  donax^  L.)  ben  ripulita,  della 
lunghezza  d'un  metro  o  più  (a).  All'estremità  superiore 
è  una  lai'ga  imboccatura,  anzi  un  lungo  fóro  (&),e  sotto 
un  terzo  del  diametro  della  canna  una  linguetta  for- 
mata da  due  fenditure  che  si  praticano  alla  stessa 
canna  (d).  Questa  linguetta,  sollevata  e  lasciata  violen- 

G.  PiTRB.  —  Criuochi  fondullescht  26 


402  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

temente  scattare,  fa  sentire  un  colpo  come  di  schioppo, 
a  mo'  d' intendere  de'  ragazzi.  Dal  lato  opposto  alla 
fenditura  superiore  è  un  largo  fóro  oblungo  (e),  nel 
quale  s'introduce  uno  stecchetto  (e),  anch'esso  di  canna, 
e  con  qualche  larga  intaccatura  verso  il  terzo  estemo; 
ad  esso  legasi  uno  spago  (/*).  Questo  stecchetto,  spin- 
gendosi dentro  il  fóro,  sposta  la  canna  fessa  {d)  e,  rac- 
comandato per  la  intaccatura  al  margine  del  fóro,  ti^e 
parata  questa  cosi  detta  scupetta.  Quando  si  vuole 
sparari,  adattando  a  mo'  di  schioppo  la  canna,  e  pren- 
dendo la  mira,  tirasi  con  la  mano  [g)  lo  spago  {/)  del 
calcetto,  (e),  e  la  canna  fessa  {d)  si  richiude  e  scoppia 
con  forza.  , 

VARIANTI  E  RISCONTRI 
Nel  Barese  Schepettied, 

295.  L'Ammazza-muschi. 

(Tav.  /,  flg.  2) 

È  composto  d'un  pezzo  di  canna,  d'un  arco  e  d'una 
freccia. 

La  canna  (a,  a),  corpo  e  parte  principale  del  baloc- 
co, è  lunga  presso  a  mezzo  metro  ;  nella  estremità 
superiore  sono  fatte  due  aperture:  una  a  un  lato(ft), 
lunga  quasi  un  centimetro,  larga  circa  un  terzo  del  dia- 
metro; un'altra  al  lato  opposto,  mezzo  centimetro,  ma 
allo  stesso  livello  inferiore  della  prima ,  e  quasi  ro- 
tonda (e),  tutte  e  due  nel  boccinolo  libero  e  sopra  il 
primo  nodo.  L'estremità  inferiore  ha  un  fóro,  nel  quale 
s'infilza  il  capo  di  una  cannuccia,  lunga  cosi  da  do- 


LA  FILEGGIA  403 

versi  arcuare  per  far  entrare  Taltro  capo  nell'apertura 
superiore  larga  {d,  d). 

Volendo  baloccarsi  con  questa  canna,  la  estremità 
superiore  dell'arco  s'introduce  nell'apertura  di  sopra 
e  si  fa  trapassare  appena  in  quella  di  sotto;  dalla  bocca 
della  canna  [e]  si  cala  un  legnetto  a  forma  di  piccolo 
lapis ,  al  quale  è  impiantato  nella  cruna  un  ago  {fj. 
Spingendo  indentro  coir  indice  V  estremità  dell'  arco, 
questo  scatta,  cacciando  fuori  della  canna  la  freccia, 
che  dalla  punta  dell'ago  va  a  conficcarsi  dove  colpisce. 

1  ragazzi  ci  si  divertono  per  ammazzare  le  moscbe 
agli  usci,  alle  finestre  o  in  altri  siti,  dove  l'ago  possa 
infilzarsi;  in  alcuni  paesi  per  cacciar  gli  aghi  addosso 
ai  maiali,  de'  quali  non  è  penuria. 

In  Milazzo  lo  chiamano  anche  Ammazza- riddi ^  per- 
chè i  fanciulli  se  ne  servono  per  uccidere  i  grilli  con 
un  sassolino  che  vi  metton  dentro  invece  d'ago. 

Si  usa  specialmente  di  primavera  e  d'estate. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nell'Abruzzo  Chietino  (Finamore,  ms.)  è  detto  Lu  scrizza- 
vrecciùole. 

296.  La  Filecoia. 

Si  fa  in  tre  modi  :  l*'  Un'asticciuola  sottilissima  di 
legno  0,  più  comunemente ,  di  canna  ,  ad  una  estre- 
mità della  quale  s'infigge  dalla  cruna  un  ago,  ed  al- 
l' altra,  in  due  fenditure  a  croce  che  la  slargano  in 
quattro  per  un  paio  di  centimetri ,  un  pezzettino  di 
carta  quadrata,  ripiegata  ai  quattro  angoli  verso  il 


404  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

centro  in  guisa  da  formare  un  cono  quadrangolato , 
la  cui  punta  s' introduce  nella  estremità  stessa,  e  gli 
angoli  rientranti  formati  dai  quattro  spicchi  vengono 
stretti  tra  le  quattro  parti.  Questa  caria,  specie  di  diu- 
rna, serve  di  guida  della  freccia  [flleccia)  nello  sca- 
gliarsi che  si  fa  in  un  dato  punto. 

2*  Si  forma  di  due  pezzi,  cioè  della  asticciuola,  come 
sopra ,  senza  carta ,  e  di  un  arco  teso  da  un  laccio, 
sul  quale,  si  poggia  Testremità  libera  della  freccia  per 
iscoccarla.  Di  questa  seconda  maniera  di  freccia  si 
servono  i  fanciulli  per  i  scagliarla  in  punti  lontani,  per 
colpire  in  un  dato  segno. 

3*  Pezzettino  di  carta  che  si  piega  a  forma  di  lancia, 
e  che  si  usa  molto  nelle  scuole  (v.  Tav.  IV,  fig.  18). 

297.  La  Ciunna. 

Giuoco  antichissimo  ed  esercizio  guerresco  di  tempi 
molto  remoti,  che  per  lo  più  si  fa  con  un  pezzetto  di 
pelle  tagliato  a  striscia,  alle  cui  estremità  sono  at- 
taccate due  funicelle,  una  per  parte. 

L'uso  che  se  ne  fa,  e  la  maniera  onde  se  ne  servono 
fanciulli  ed  uomini  di  età,  specialmente  in  campagna, 
è  notissimo. 

Si  dice  anche  Ciunna  un  pezzo  di  canna  fessa  ad 
una  estremità,  nella  quale  s'inpastra  un  sassolino  per 
lanciarlo  con  ^ssa. 

La  77*  delle  Assise  di  Corleone  dell'anno  ISIdS  proi- 
biva che  si  lanciassero  con  Sonde ,  torrette ,  baliste, 
ed  altri  strumenti  pietre  sulle  chiese  ecc. 


LU  MARIOLU  405 

Il  vocabolarista  siciliano  P.  Spatafora  nel  seicento 
conservò  le  frasi  Jucari  a  la  serra^  Fari  serra,  che 
valgono:  fare  ai  sassi  con  la  frombola. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Sardegna  Frunda;né[  dialetto  sardo  galludorese  Frùm- 
buia  (Spano  ,  p,  221);  nella  Terra  d'  Otranto  Jundula  (Db 
Simone,  loc.  cit.);  nell'Abruzzo  Chietino  Mazzafronna  (Fi- 
namore,  ms.)  e  si  gioca  di  estate. 

In  Toscana  si  chiama  Strombola  la  fionda  di  canna  ed 
anche  il  turbine;  e  Strombola  dicono  i  Pistoiesi  la  nostra 
ciunna  (Traina,  p.  986);  in  Parma  Fromla  (Malaspina, 
v.  II,  p.  194);  in  Bologna  Sfronda  (Coronedi-Berti,  II,  339); 
Sfrumla  in  Mirandola  (Mbschieri,  p.  210);  in  Piemonte  Giù- 
ghè  a  la  fronda.  Fionda  la  dicono  anche  i  Veneziani,  che 
un  tempo  dicevano  anche  Cerendègolo  (Boerio  ,  160).  In 
italiano  Frombola,  Fionda. 

Giuoco  ed  esercizio  antichissimo:  ricorda  Davide  che  uc- 
cise il  gigante  Golia;  ed  il  fromboliere  della  Colonna  Tra- 
jana. 

298.  Lu'Mariolu. 

Strumento  notissimo  di  ferro  a  forma  di  lira  con 
una  linguella  o  grilletto  {linguedda)  nel  mezzo;  e  si 
suona  appoggiandolo  alla  rastrelliera  de*  denti  e  fa- 
cendo vibrare  col  polpastrello  del  pollice  o  delF  in- 
dice la  linguella  stessa. 

Beco  i  sinonimi  di  questo  strumento: 

^    In  Piana  de'  Greci  Mariùah,  in  Cefalù  Marrucehinu, 

in  Licata  CcUarruni,  in  Frizzi  Camarruni,  in  Porto 

Empedocle  Cacamarruni ,  in  Gianciana  Ganganar- 

runi,  in  Riesi  Angular^mni,  in  Vittoria  Nningalar- 


406  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

runi,  in  Palma  Mangarruni  e  Marigarruni^  in  Cata- 
nia Marauni,m  Piazza  Armerina  MaumarrunUin  Oir- 
genti  e  qualche  paese  vicino  MalvUarruni,  nel  terri- 
torio di  Vicari  Malucarnuni^  in  Vallelunga  Nnanga- 
larrunU  altrove  'Ngannalarruni  e  'Ngannalatruni;  in 
alcune  parti  del  Messinese  Marranzuni ,  in  Castro- 
giovanni  Marranzanu^  in  qualche  altro  sito  Traran- 
tuia. 

Tutti  questi  nomi  fanno  pensare  a  parecchie  origini, 
non  molto  onorevoli  pel  mariolu,  oggi  semplice  pas- 
satempo di  fanciulli  e  di  giovani  innamorati  o  spen- 
sierati. 

Evidentemente  queste  voci  son  composte  di  ma,  o 
mar,  o  mau,  o  raalu,  malo,  e  larruni ,  ladrone.  In 
alcune  parlate  siciliane  la  prima  parola  se  non  è  ono- 
matopeica del  suono  dello  strumento  stesso  [^ninga- 
larruni,  ecc.),  accenna  di  sicuro  alla  voce  ìngaaM^JO 
(jganga=:rnanga  ==nnanga-==:'nganna'latruni).  Sic- 
ché lo  strumento  richiama  a  malo-ladrone  o  ad  in- 
ganna-ladrone,  come  anche  nel  sec.  XVII  lo  registrò 
il  citato  vocabolarista  P.  Spatafora  (ms.  segnato  2  Qq 
E  30-32  della  Biblioteca  Comunale  di  Palermo).  Sino- 
nimi in  tanta  furberia  di  significato  sono  marrancunU 
marrucchinu  {marranchinu,  furbo,  ladro),  m^àrran- 
zuni,  marranzanu  (furbo,  tristo,  mariuolo),  m^rauni 
marangone  {alca  pica  di  Linn.),  uccello  aquatico  da 
preda ,  e  fig.  uomo  faccendone,  scaltro  in  qualunquQ 
negozio;  e  forse  anche  ma^u-carnuni,  se  questa  voce 
si  dee  riguardare  come  accrescitiva  di  mcUa-carnh 
«he  significa  malvivente.  Ma  ciò  che  dà  forza  e  luce 


LU  MARIOLU  407 

a  questi  significati  è  la  voce  marzo  lu ,  con  la  quale 
è  comunemente  inteso  lo  strumento.  È  univoca  tra- 
dizione de*  nostri  vecchi,  che  anticamente  i  ladri  si 
servissero  dello  scacciapensieri ,  secondo  alcuni  per 
eludere  la  vigilanza  della  Giustizia,  della  ronda  (e  qui 
si  chiama  in  ballo  la  voce  rrunna  per  provare  come 
qualmente  'ngannarlart*uni  sia  corrotto  da  'nganna 
la  rrunna);  secondo  altri,  per  rassicurare  i  viandanti 
nelle  campagne,  i  quali  credendo  quel  suono  un  pas- 
satempo di  liete  brigate  non  avrebbero  sospettato  di 
nulla;  e  secondo  altri  ancora,  e  sono  i  più,  per  inten- 
dersi i  ladri  tra  loro  da  punti  diversi.  È  un  fatto  che 
il  suono  dello  scacciapensieri  nel  silenzio  della  notte, 
in  campagna,  si  ode,  relativamente ,  a  considerevole 
distanza;  e  non  è  improbabile  che  i  mariuoli  appiattati 
qua  e  là  in  una  campagna  si  tenessero  qualche  volta 
o  per  qualche  occasione  reciprocamente  avvertiti  del- 
l' appressarsi  d' un  viandante.  Questo  pensava  nella 
prima  metà  del  settecento  un  vocabolarista  siciliano, 
(vedi  Pasqualino,  Vocab.  siciLy  III,  113)  e  questo  ri- 
pete oggidi  la  tradizione ,  avvalorata  dall'  antico  ap- 
pellativo di  pigghicUìi-mariolu,  onde  qualche  vecchio 
chiama  tuttavia  lo  scacciapensieri.  Molti  anche  oggi 
ripetono  lo  intercalare,  col  quale  si  accompagnava  ed 
interpretava  il  suono  di  esso  : 

Pigghialu,  pigghialu  mariolu, 

quasi  i  ladri  che  lo  sonavano  istigassero  i  compagni 
a  qualche  ruberia.  Può  ben  darsi  che  un  incontro 
particolare  avvenuto  in  campagna,  per  opera  di  ma- 
riuoli e  con  r  aiuto  dello  scacciapensieri,  abbia  fatto 


408  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

nascere  una  storia  o  storiella  in  poesia,  oggi  oblite- 
rata, di  cui  probabilmente  fanno  parte  i  seguenti  versi 
popolariche  i  fanciulli  calabresi  sogliono  cantare  quan- 
do suonano  lo  strumento  (notisi  che  il  1**  verso  è  il 
verso  siciliano  dianzi  citato)  : 

Zingara,  zingara  marioda, 
M'  ha*  robatu  a  ferraiodu, 
E  quannu  vaju  a  la  missa, 
Mittitilu  ppe  pettinissa. 

Un  proverbio  dice  : 

Mariolu  e  viulinu 

Ti  diverti  a  lu  matinu. 

ed  il  mariuolo  serve  d'  accompagnamento  alle  arie 
e  alle  canzoni  popolari. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Acri  (Calabria)  è  chiamato  Marioda  (Mango,  ArckiviOj 
V.  II,  pag.  179);  nelle  Puglie  Trumbon;  in  Napoli  Tromba 
(MoLiNARO,  p.  94);  negli  Abruzzi  Tromba  marina;  in  To- 
scana, dove  «  è  un  trastullo  da  fanciulli,  »  come  in  tutta 
Italia,  Scacciapensieri  (Carena,  Vocab,  itah  d'arti  e  me- 
si,, app.  II  all'art.  I);  ma  in  Pistoia  si  dice  anche  Grillane 
(Barbieri,  71);  in  Orbetello  Biobò;  in  Bologna  Biabó  e  Ga- 
lavreina  (Coronedi-Berti,  I  176);  in  Mirandola  Galavrina, 
(Mesohieri,  96);  in  Venezia  Ribeba,  Piombe  (Boerio,  511); 
in  Piemonte  Reboia,  Ribeba,  Ribeca,  ed  anticamente  anche 
Cennamella  (Sant'Albino,  233). 

299.  Lu  Friscalettu. 

In  Siracusa  Fnschittu,  altrove  Fischiettu,  piffero  ài 
canna  o  d'  argilla  che  usa  vendersi   alle  feste  e  in 


LU  TITIRITÌ  40d 

certi  giorni  della  settimana  consacrati  a  santi,  innanzi 
le  chiese,  dove  i  fieraiuoli  sogliono  andare  a  piantare 
le  loro  tende. 

Il  piffero  in  argilla  ha  centinaia  di  forme  quante 
sono  le  figure  che  si  danno  al  santo  che  vuoisi  rappre- 
sentare, alla  base  posteriore  del  quale  è  il  becco  pel 
quale  si  soffia. 

In  Palermo  queste  figure  sono  la  Immacolata,  Santa 
Rosalia,  S.  Francesco  di  Paola,  FArcangelo  S.  Michele, 
i  SS.  Cosimo  e  Damiano,  S.  Vincenzo  Ferreri,  ecc. 

300.  Lu  Titirlfi. 

(Tav,  in,  fig,  15) 

Dicesi  anche  *Ntintirintì  ;  in  Borgetto  Pirripitl; 
in  Milazzo  Tricchi-tr occhi,  che  però  nel  dialetto  co- 
mune vale  salterello. 

È  uno  de'  tanti  strumentini  onde  si  richiamano  gli 
uccelli ,  particolarmente  i  pettirossi ,  e  si  fa  con  un 
mezzo  guscio  di  noce  (a),  girato  all'  orlo  con  un  filo 
addoppiato  e  contorto ,  dentro,  del  quale,  nel  vuoto, 
si  rigira  un  fuscellino  (&),  sul  cui  capo  libero  si  fanno 
rapidamente  e  successivamente  passare  le  punte  delle 
tre  ultime  dita  (e);  cosi  l'altro  capo  del  fuscellino  bat- 
tendo suir  orlo  naturale  del  guscio  dà  un  suono  si- 
mile al  trillo  del  pettirosso  [montcLCiUa  rubectda  L). 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Chi  ne  voglia  un  riscontro  ne*  balocchi  dell'  Italia  cen- 
trale vegga  il  Saltamartino,  che  ha  la  stessa  forma,  ben- 
ché altro  uso.  Cfr.  col  nostro  Sautampizzu, 


410  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

Il  Malaspina  ,  V.  I ,  p.  415 ,  sotto  la  voce  Ciocaroèula 
scrive  :  «  Strumento  fanciullèsco  che  si  suona  per  baja, 
fatto  di  legno  o  d'ossi  o  di  gusci  di  noce  o  di  nicchi  {capri), 
il  quale  posto  fra  le  dita  della  mano  sinistra  si  suona  colla 
destra.  »  Sarebbe  la  Ciocaroèula  parmigiana  il  nostro  ti- 
tiriti  ? 

301.  La  Cciàmpula. 

Con  questo  vocabolo  si  designa  in  Riesi  una  specie 
di  strumento  usato  in  tutta  V  isola  *per  richiamo  dei 
pettirossi;  ed  è  in  molti  siti  come  un  passatempo  fan- 
ciullesco, formato  di  tre  piastrelle,  messe  a  scala  tra 
dito  e  dito  della  mano  sinistra  :  e  passandovi  forte- 
mente le  dita  della  mano  destra  a  mo'  di  ventaglio  che 
si  richiude,  produce  un  suono  simile  al  citato  titiritì. 

In  Palermo  fanciulli  e  cacciatori  usano  due  monete 
in  vece  di  tre,  interponendovi  un  dito. 

302.  Lu  Chiamu. 

Fischietto  che  si  fa  col  nocciuolo  d'un'albicocca  o  ài 
susina,  forandolo  nel  mezzo  e  cavandone  fuori  il  ghe- 
riglio {lu  civu).  Sofflandovisi  dentro,  s'  ottiene  come 
un  canto  d'uccello.  Per  le  allodole  i  cacciatori  di  città 
usano  anche  un  chiamu  di  latta,  leggermente  compro 
a'  due  lati,  del  diametro  e  dello  spessore  d*un  antico 
Quatturrana  (4  grani)  siciliano.  Per  gli  stessi  uccelli 
i  cacciatori  di  città  e  di  campagna  adoperano  un  fi- 
schiettino  di  canna  sottile,  ovvero  un  ossicino  vuoto  di 
tacchino. 

Il  chiamu  di  latta  lo  fabbricano  gli  stagnai. 


LU  TUTÙI  411 

303.  Lu  Tutùi. 

Quel  fischietto  formato  di  due  lamine  di  latta  con- 
cave dalla  parte  interna,  tra  cui  passa  un  nastrino  che 
anche  le  tieuB  unite,  e  che,  messo  in  bocca  e  soffian- 
dovi sopra,  manda  una  voce  chioccia  come  quella  del 
pulcinella. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Il  Baretti  (Frusta)  chiamò  :  fischio  di  pulcinella  questa 
specie  di  sampogna,  che  in  italiano  dissero  anche  stride- 
rella.  Il  Malaspina,  III,  lo  registra  e  definisce  sotto  la  voce 
parmigiana  Picciaciozj^a,  p,  285;  e  sotto  l'altra  di  Pitacioz- 
za,  voce  composta  da  pila  tacchina,  e  ciozza  chioccia,  per 
significare  la  cosa  comparandola  al  verso  delle  tacchine 
chiocce  (p.  301). 

304.  La  Sampugna. 

Varie  sono  le  forme  di  questo  strumento  da  suono, 
e  con  esse  i  nomi. 

Quella  che  per  antonomasia  fbiamiamo  Sampugna 
dicesi  Zàmmara  in  Messina,  Zammaredda  in  Milazzo, 
ed  è  formata  d'un  boccinolo  del  fusto  d'orzo  prossimo 
a  fiorire,  intaccandone  l'estremità  sotto  il  nodo  e  fen- 
dendone per  lo  lungo  un  tratto  verso  l'altra  estremità 
aperta;  in  guisa  che  la  linguella  tagliata  vibri  soffian- 
dovi sopra. 

Prima  d'i  mettersi  in  bocca  per  sonarsi,  questa  zam- 
pogna si  stropiccia  tra  le  mani  aperte  accompagnando 
all'atto  una  di  queste  tre  formole  per  renderla  sojiora: 


412  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

a)  Sona  sona,  zammariedda, 

Chi  ti  fazzu  'a  cammiciedda.  (Idilazzo). 

b)  Sampugnedda,  sona  sona, 
Cà  dumani  ti  fazzu  bona, 
Cu  'na  scocca  di  zabbàra, 
Facci  di  pala!  Facci  di  palai 
Più,  più.  (Borgetto). 

e)     Sonami  sonami,  sampugnedda, 
Cà  dumani  ti  fazzu  bedda, 
Cu  'na  scocca  di  zabbara 
Facci  di  pala  !  Facci  di  pala  I 
S*  'un  mi  soni  ti  scacciu  la  testa. 
Mi  nni  fazzu  *na  bedda  minestra; 
Pani,  vinu  e  baccalò 
Nclò,  nclò,  .nclò  *.  (Palermo). 

Notisi  che  in  Milazzo  per  Sampugna  s'intende  quella 
che  in   siciliano  chiamasi   Ciaramedda,  cornamusa, 
mentre  colà  la  Ciaramedda  del  dialetto  comune  è  la 
nostra  Sampugna.  Vedi  questa  voce  e  Lu  SirperUi 
(nn.  305  e  309). 

VARUitol  E  RISCONTRI 

H  Galiani,  Del  Dialetto  napoletano,  ediz.  seconda,  p.  1 16. 
n.  Ili ,  reca  una  filastrocca ,  amalgama  di  tre  canzonetta 
infantili,  roltima  delle  quali  è  la  nostra  per  la  zampogna  : 

Sona  sona  zampognila, 

Ca  t'accatto  la  gonneUa; 

La  gonnella  de  scarlato  : 

Si  non  suone,  te  rompo  la  capo. 

1  Questa  voce  nclò  si  fa  succhiando  o  aspirando  indentro  la  punta 
ripiegata  della  lingua  in  guisa  da  farla  schioccare. 


LA  OIÀRAMEDDA  419 

305.  La  Ciaramedda. 

Nel  dialetto  comune  dell'isola  questa  voce  significa 
quel  rustico  strumento-  musicale  da  fiato  ,  composto 
d'un  otre  e  più  canne,  il  quale  con  voci  italiane  dicesi 
ciaramella,  cornamusa. 

Ma  in  Milazzo  è  una  vera  e  propria  Sampugna^  dalla 
quale  si  distingue  anche  pel  nome  (Zammaredda),  e 
consiste  in  un  lungo  e  tenero  bocciuolo  di  canna  verde, 
aperto  ad  una  estremità,  chiuso  dal  nodo  all'altra,  e 
su  questa  si  fanno  a  croce  +  due  fenditure  che  si 
tirano  giù  per  alquanti  centimetri.  Si  suona  da  que- 
sta estremità  spaccata. 

Vedi  la  Sampugna,  il  Sirpenti,  la  Trumma,  (nn. 
304,  309,  306). 

306.  La  Trumma. 

Un  lungo,  sottile  e  tenero  bocciuolo  di  canna  verde 
aperto  a'  due  estremi  si  fende  per  lungo  tutto  da  un 
lato,  e  turandone  col  polpastrella  dell'indice  o  del  me- 
dio un  estremo  e  soffiando  sull'altro,  se  ne  ha  un  cupo 
suono  vibratorio. 

In  Palermo  per  Trumma  i  fanciulli  intendono  an- 
che lu  Tuturutù  seguente. 

307.  Lu  Tuturutù. 

In  Palermo  lo  dicono  Trumma,  in  Borgetto  Sona- 
sona.  Bocciuolo^di  canna,  una  estremità  del  quale  ri- 


414  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

mane  libera,  e  V  altra  si  copre  d'  un  sottile  foglio  di 
carta,  velina,  presso  la  quale  si  apre  un  fóro,  e  sof- 
fiandovi sopra  come  sul  fóro  d'un  flauto,  le  vibrazioni 
della  carta  danno  un  cotal  suono  cupo  che  dà  nome 
allo  strumento. 

308.  Lu  Frautu. 

Prende  questo  nome  dalla  sua  perfetta  somiglianza 
col  flauto  comune,  e  consiste  in  uno  lungo  boccinolo 
di  canna  verde  aperto  a'  due  lati  con  un  fóro  presso 
uno  di  essi  ed  una  linguetta  di  canna  che  da  questa 
estremità  s'introduce  per  dividere  in  due  il  lume  fino 
al  livello  del  fóro  stesso.  Soffiando  su  questa  linguetta, 
che  per  un  mezzo  centimetro  suole  sporgere  in  fuori, 
e  tenendo  obliquamente  come  il  flauto  musicale  lo  stru- 
mento, se  ne  cava  un  suono  non  ingrato. 

Usato  specialmente  in  Borgetto  ed  altri  comuni  della 
Conca  d'Oro. 

Vedi  il  gruppo  di  queste  zampogno  fanciullesche 
cjiiamate  Sampugna.^iaramedda,  Trumma,  Tuta- 
ruta,  Sirpenti  (nn.  304,  309). 

309.  Lu  Sirpenti. 

In  Isnello  dicesi  Piplu,  in  alcuni  comuni  Sampugna^ 
in  altri  Samìruca. 

Filo  lungo  d'avena  senza  nodo  intermedio,  che  con 
uno  de'  fili  della  sua  fioritura  fendesi  per  lo  lungo,  e 
soffiandovi  dall'  estremità  libera  aperta  manda  un  leg- 


LU  LAPUNI  415 

giero  fischietto,  somigliato  da  alcuni  al  pigolio  dei 
pulcini  [pipiu). 

Altre  maniere  di  trarre  suoni  da  oggetti  comuni  sono 
P  il  piegare  sopra  se  stessa  una  strisciolina  di  foglia 
di  canna  verde  (arando  donax)  soffiandovi  entro;  2** 
il  mettere  in  bocca  una  fogliolina  piccola  di  finocchio 
{anethum  foeniculum^  L.)  e  soffiandovi  egualmente. 
La  prima  maniera  dà  un  suono  chioccio  come  voce  di 
pulcinella,  la  seconda  un  vero  fischio. 

Vedi  la  Sampugna^  la  Ciaramedda  e  la  Trumma^ 
(nn.  304,  306). 

310.  Lu  Lapuni. 

Balocco  composto  di  una  sottile  asticella  di  legno, 
d'un  terzo  di  metro  circa,  ad  una  estremità  della  quale 
nel  mezzo  è  legato  un  filo  di  spago,  che  dal  capo  op- 
posto vien  preso  in  mano  da  un  fanciullo  e  girato  ra- 
pidamente facendo  mulinello.  Dal  rumore  prodotto  da 
({uesta  assicella  girando,  molto  simile  al  ronzio  d'una 
gl'ossa  ape,  il  trastullo  è  detto  lapuni  (apone). 

m 

311.  Lu  Cirriu. 
{Tav.  Ili,  fig.  13). 

In  Licata  Firrialora ,  in  Piana  de'  Gre«i  Cicarr' 
(cicala). 

Balocco  di  suono  secco,  stridentissimo  e  monotono, 
usato  dai  fanciulli  di  quasi  tutta  risola,  e  particolare 
mente  dai  chiaramontani ,  presso  i  quali  ha  questo 
nome  di  cirriu  per  una  lontana  somiglianza  del  suo 


410  GIOCATTOW  E  BALOCCHI 

suono  col  grido  del  piviere  (charadiics,  L.),  che  cir- 
riu  è  detto  in  Chiaramente  e  cùtìvìu  in  Vittoria. 

In  un'asticella  di  canna  da  un  terzo  di  metro  di  lun- 
ghezza (a)  s'infigge  una  rotella  dentellata  (&)/  e  questa 
rotella,  nel  cui  centro  è  infitto  un  manubrio  di  legno  (e), 
si  mette  entro  l'estremità  più  grossa  della  canna,  fessa 
da  due  parti  in  modo  che  da  un  lato  ne  sia  stata  a- 
sportata  una  linguella  e  dall'altro  lato  lasciata  libera 
e  mobile  per  l'ingranaggio  con  la  ruota  (d).  Dall'una 
parte  la  detta  linguella,  striscia  sopra  ì  denti  della 
ruota,  e  girata  con  forza  produce  quell'ingrato  suono. 

Questo  ed  il  seguente  giuoco  sono  usati  dai  fanciulli 
nella  Settimana  santa.  Il  Guastella,  mandandomi  la  de- 
scrizione e  due  bei  disegni  da  lui  fatti  di  questo  e  del  se- 
guente giuoco,  cosi  mi  scrivea:  «  La  festa  del  SS.  Cristo 
alla  colonna  nel  Giovedì  Santo  in  Chiaramente  è  una 
delle  più  grottesche  che  siano  in  uso  in  Sicilia  :  e  basti 
questo  solo  :  che  per  lo  meno  un  migliaio  di  fanciulli 
fanno  stridere  il  cirriu  nella  processione  del  Cristo, 
e  che  altro  migliaio  di  fanciulline  suonano  maledet- 
tamente le  scatUoli^iglia,iB.  e  migliaia  di  fiaccole  (la 
processione  è  dalle  due  alle  quattr'ore  di  notte)  ac- 
compagnan  la  statua  ,  e  due  cori,  V  uno  di  uomini  e 
l'altro  di  donne,  cantano  il  rosario  del  Sacramento». 
La  Scatiiòla  è  la  Tróccula  (n.  312). 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Nel  Barese  lirruòzzua.  Riguttini  e  Fanpani,  p.  1258, 
scrivono  :  «  Raganella  chiamano  i  fanciulli  uno  strumento 
fatto  di  canna  con  una  girella  a  denti,  che  girando  sopra 
un  pezzo  mobile  fa  rumore.  »  Il  Malaspina  (IV ,  442)  ha 


LA  TROCCULA  417 

Zigàla  dia  stmana  santa,  «  Srumento  con  girella  dentata 
che  si  suona  in  chiesa  la  settimana  santa  aggirandola.  » 
BoERio ,  p.  185 ,  alla  voce  Compieta  ha  questa  notizia  : 
«  Raganella  o  Tabella  dicesi  uno  strumento  di  legno  com- 
posto d'una  ruota  dentata,  la  quale  venendo  raggirata  ca- 
giona rumore.  S'usa  anche  questo  strumento  nella  settimana 
santa  per  invitare  all'uffizio  quando  son  legate  le  compane, 
e  per  suonare  in  Chiesa.  »  In  Piemonte  è  detta  Cantarana, 
«  Strumento  con  girella ,  che  rende  un  suono  simile  alla 
voce  della  rana,  che  si  suona  dai  ragazzi  la  settimana 
santa.  »  Sant'Albino,  p.  317. 

312.  La  Tròccula. 

(Tav.  ITI,  fig.  14) 

In  quasi  tutta  la  Sicilia  è  detta  Tròccula  o  Tràccula, 
in  Piana  de'  Greci  Cioch ,  in  Chiaramente  Scattiola, 
da  scattiari ,  ed  è  quello  strumento  di  legno  ridotto 
a  balocco  da  far  rumore,  che  si  usa  nella  Settimana 
santa  invece  delle  campane.  Una  piccolissima  tavoletta 
quadrata ,  con  un  manubrio  (a),  alla  base  del  quale, 
ove  il  manubrio  si  slarga  a  due  angoli ,  son  legati 
dair  una  e  dall'  altra  faccia  due  altre  tavolette  (&,  b) 
quadrate  :  ecco  la  tròccula.  Le  due  tavolette  sono  le- 
gate con  un  filo  di  spago  o  di  funicella  lasciate  mo- 
bili, in  guisa  che  agitando  con  il  manico  lo  strumento, 
esse  battono  alternamente  sulla  tavoletta  manicata 
di  mezzo. 

I  ragazzi  ci  si  divertono  maledettamente,  soprattutto 
nella  Settimana  santa. 

G.  PiTRB.  —  Gittochi  fanciulleschi  27 


418  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Un  riscontro  ha  nella  Racanella  degli  Abruzzi,  «  specie 
di  ranocchio,  strumento  da  far  rumore,  usato  dai  fanciulli 
neUa  settimana  santa.  »  Finamorb  ,  p.  144.  Egli  a  p.  202 
registra  anche,  non  come  strumento  fanciullesco  ma  come 
«  tabella  che  si  suona  nella  settimana  santa  in  vece  delle 
campane  »,  la  voce  Tricch'  e  ttrdcca, 

RiGUTiNi  e  Fanfani,  op.  cit.,  p.  1537,  riferiscono  :  «Ta- 
bella con  due  battenti  di  ferro  che  arrotondata  rende  suono 
strepitoso,  e  si  suona  la  settimana  santa  in  vece  delle  cam- 
pane. A  Firenze  dicesi  impropriamente  un  istrumento  di  le- 
gno a  mo'  di  cassetta,  che  pur  si  suona  nella  settimana  san- 
ta, e  che  fa  strepito  per  mezzo  di  una  ruota  dentata  ».  In  Mi- 
randola (Meschieri,  p.  97)  è  detta  Garabattula.  l  fanciulli 
veneziani  usano,  secondo  il  Boerio,  p.  185,  il  balocco  detto 
Compieta  de  la  settimana  santa.  Sotto  la  voce  Trich  trach 
il  Sant* Albino,  p.  1 179 ,  scrive  ;  «  Chiamano  i  fanciulli  un 
martello  di  legno  imperniato  e  mobile  sopra  un  asse,  con 
cui  per  trastullo  picchiano  ne'  giorni  di  passione,  come  si 
fa  colla  raganella,  col  crepitacolo  o  tabella.  »  Egli  acco- 
glie la  Tabèla  dia  smana  santa,  p.  1126,  nel  significato 
di  raganella,  senza  però  dire  se  sia  anche  balocco  fan- 
ciullesco. 

313.  Li  Scattagnetti. 

In  Milazzo  Scattagnòli. 

Balocco  comunissimo,  fatto  di  due  stecche  sode,  di 
legno  duro,  larghe  circa  due  dita,  lunghe  poco  meno 
di  un  sommesso,  tenute  in  una  mano,  interpostovi  il 
dito  medio;  scotendo  con  crolli  spessi,  contrari,  e  vi- 


LA  CICALA  419 

brati  a  mano  socchiusa,  le  stecche,  si  urtano  e  fanno 
suir  orecchio  un  effetto  non  guari  dissimile  a  quello 
delle  nacchere  spagnuole. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Cosi  descrive  il  Carena,  loc.  cit.,  le  nacchere,  nome  che 
i  fanciulli  toscani  danno  al  nostro  balocco ,  comunemente 
inteso  Castagnette  (Rigutini  e  Fanfani  alla  voce).  I  par- 
migiani lo  dicono  Castagnoéula  (Malaspina,  IV,  18)  ;  i  fan- 
ciulli piemontesi  Castagneta  e  al  plur.  Castagnete  (San- 
t'Albino, 341). 

314.  La  Cicala. 

[Tav,Iyfig.  4) 

In  Catania  Marranzanu.  In  Frizzi  e  Vicari  Cirria- 
loru;  in  Piazza,  colonia  siculo-lombarda,  Rana\  in  Pia- 
na, colonia  albanese,  Scescha. 

Sopra  un  boccinolo  di  c^nna  ben  grossa  (a),  lungo 
un  tre  centimetri  e  aperto  a'  due  lati,  si  tende  e  lega 
un  pezzettino  di  pergamena  bagnata  (&)»  sul  cui  cen- 
tro per  due  forellini  ^--^  si  fa  entrare   ed  uscire  un 

pelo  di  coda  di  cavallo  (e),  ed  i  capi  messi  insieme  e 
raddoppiati ,  con  un  nodicino  scorsoio  si  legano  per 
un  capo  solo  alla  estremità  di  un  pezzettino  di  canna 
o  di  legno,  dove  si  son  fatte,  delle  intaccature  (e?).  Nodo 
scorsoio  e  collo,  diciamo  cosi,  dell'estremità  del  ba- 
stoncino si  bagnano  con  saliva ,  e  si  prende  con  un 
moto  di  rotazione  della  mano  a  girare  V  altra  estre- 
mità della  canna  (e),  cosi  che  il  boccinolo  raccoman- 
dato al  pelo,  e  questo  al  legnetto  o  manico,  gira  senza 


420  GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

che  il  pelo  5'  avvolga  al  suo  manico ,  ma  scorra.  Il 
rumore  che  l'attrito  del  pelo  bagnato  col  legnetto  co- 
munica alla  membrana  tesa,  produce  un  suono  inar- 
ticolato caratteristico,  che  imita  lo  stridere  del  noto 
insetto  di  questo  nome  {Cicada,  L.). 
Si  usa  tutto  Tanno,  particolarmente  nelle  fiere. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

« 

In  quel  di  Bari  Ciàula;  in  Bologna  RanèUif  ed  è  un  «  certo 
giocattolo,  che  i  fanciulli  fanno  prendendo  la  metà  d'  un 
guscio  di  noce,  coperto  di  carta  pecora,  0  altra  carta  forte, 
attraverso  la  quale  fanno  passare  un  doppio  filo  di  crino, 
che ,  preso  dalla  parte  opposta  a  quella  dove  è  fermato, 
e  messo  in  moto  circolare,  ne  ricavano  un  suono  simile 
al  gracidare  della  rana.»  (Coronedi-Berti,  p.  241).  Lo  stesso 
i  Parmigiani  (Malaspina  ,  v.  III ,  p.  392).  Come  riscontro 
italiano  si  danno  le  voci  raganella,  crepitacolo  (ivi). 

« 

315.  La  Badduzza  di  ventu. 

Preso  un  boccinolo  di  piccola  canna,  aperto  aU'uii 
de'  capi  e  terminato  all'altro  dal  nodo,  appianasi  pressai 
a  questo,  e  vi  si  fa  un  piccolo  fóro,  sul  quale  si  ada- 
gia una  pallottolina  di  sugh^ro  0  di  sambuco,  grossa 
guanto  un  ceco,  0  presso  a  poco.  Mettendo  in  bocca 
il  boccinolo  dal  capo  aperto,  e  soffiandovi  dentro  or 
più  or  meno  lievemente,  la  pallottolina  s'innalza  e  ri- 
cade sul  fóro. 

r  • 

in  Monreale  si  fa  lo  stesso  con  una  pagliucola  ben 
grossa  e  posando  sul  fóro  un  acino  piccolissimo  ài 
agresto. 


JOCHI  DI  CARTA  421 

316.  Jochi  di  carta. 

(Tav,  IV,  flgg,  16-20) 

Uno  de'  divertimenti  più  comuni  de'  fanciulli  è  quello 
di  piegare  la  carta  in  guisa  da  farne  delle  figure  e 
de'  balocchi.  Ecco  qui.  alcuni  di  questi  balocchi  fatti 
tutti  con  un  solo  pezzettino  di  carta: 

1.  Lu  Cavadduzzu  (fig.  16)  in  forma  di  cavallo,  ma 
con  due  piedi,  testa  e  coda. 

2.  La  Varca,  la  barca  (fig.  17). 

3.  La  Fileccia,  in  forma  lanceolata  (fig.  18).  Per  que- 
sta figura  vedi  il  n.  296,  3*. 

4.  Lu  Balluni,  in  forma  semi-rotonda  come  di  pal- 
lone aereostatico  (fig.  19). 

5.  Li  Vertuti ,  in  forma  di  due  bisacce  (fig.  20). 

6.  LuBottu  [Scattiotu  in  Riesi),  di  forma  triangolare, 
col  quale  si  fanno  degli  scoppietti. 

7.  Lu  Specchiu,  lo  specchio. 

8.  Lu  Casciuneddu,  il  cassetto. 

9.  La  Carruzzedda,  la  carrozzella. 

10.  La  Navetta,  la  spola. 

\\.  Lu  Cappidduzzu,  il  cappellino  ecc. 


GIUOCHI  FANCIULLESCHI  SICILIANI 

NEL  SECOLO  XVm. 


Nella  prima  metà  del  sec.  passato  Francesco  Pasqualino  diede 
opera  a  ricercare  la  etimologia  delle  voci  siciliane;  ma  non  pub- 
blicò il  suo  lavoro.  Il  figlio  di  lui,  Michele,  trasse  profitto  dai  ma- 
noscritti paterni,  e  li  inseri  qua  e  là  nel  suo  Vocaòolario  siciliano 
etimologico,  italiano  e  latino,  (tomi  cinque;  Palermo,  Dalla  Reale 
Stamperia  MDCCLXXXV-MDCCXCV). 

I  giuochi  che  seguono  son  tratti  da  questo  Vocabolario ,  dove 
le  definizioni  latine  precedute  dalle  iniziali  P.  ms.^  appartengono 
al  vecchio  Francesco  Pasqualino^  e  quindi  alla  prima  metà  del  se- 
colo XVIII. 

È  superfluo  l'avvertire  che  di  questi  giuoch  nessuno  manca  alla 
nostra  Raccolta,  altro  che  quello  col  titolo  Tafara,  tafaruni  e  piz- 
zunnongulu,  che  non  ho  potuto  trovare  nella  tradizione  orale.  I  giuo- 
chi Barrababau  e  C^ddara  esistono  anch'essi,  ma  le  due  voci  non  le 
ho  mai  udite. 


Abbuè.  Jucari  a  Vabbuè,  vie,  sorte  di  gioco  de'  fanciulli. 
V.  Ammucciatedda;  gr.  Boy,  boè,  Clamor.  T.  I,  p.  14. 

Aznmueciatedda ,  giuoco  da  fanciulli,  che  s'  ascondono 
per  non  farsi  ritrovare  dagli  altri.  I,  p.  92. 

Anca  ed  Ancona ,  sorte  di  giuoco  fanciullesco.  P.  ms. 
«  Ludus  puerilis,  quo  alter  ex  duobus  pueris  capite,  et  bra- 
chiis  parieti  innixis,  dorso  alterum  insilientem  excipit,  qui, 
dum  nunc  cubito,  nunc  carpo  seu  pugno  humeros  succum- 
bentls  percutit,  dicit  anca  ed  ancona,  et  interserens  quas- 


424  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  SICILIANI 

dam  parecheses,  seu  similiter  desinentes  voces  ;  tandem 
interrogai,  quot  cornua  ferat  capra?  Extcntis  interim  ad 
sui  libitum  digitis,  si  qui  succumbit  puer,  ab  es.tentorum 
numero  digitorum  aberrans,  aliter  respondet,  prosequitur 
ille  similiter  percutiens,  et  interrogans  donec  ad  proposi- 
tum  numerum  congruat  responsio  :  et  tunc  versa  sorte  is, 
qui  superior  erat,  succumbit,  et  qui  inferior  insilit.»  I,  p.  98. 

▲  paru  e  sparu,  jucari  a  para  e  sparu,  vale  scommet- 
tere che  il  numero  sarà  pari  o  caffo.  I,  112. 

Apuni,  sorte  di  gioco.  P.  ms.  «Quo  sciiicet  unus  Inter  duos 
medins  ore  bombum  (bombylii)  aemulante,  ac  palmis  invi- 
cem  junctis  admoto,  quaerat  nunc  hunc,  nunc  illum  instar 
ejusdem  insecti ,  quasi  pungere  ,  donec  veluti  prò  aculeo 
colaphura  in  alterutrius  malam  sibi  observam,  ac  ipsius 
percussi  manu  contectam  infligat,  capite  interim  ad  propria 
genua  inclinato,  ne  idem  caesus  altera  extenta  manu  altum 
pileolum ,  tamquam  infestum  quemdam  (bombylium)  abi- 
gendo,  e  calate  excutiat,  qui  sì  sibi  excussus  fuerit,  locura 
Victor!  cedit.  >»  I,  124. 

* 
Barraba'bau  ,  sorte  di  giuoco ,  che  usano  li  fanciulli.  P. 

ms.  «  Est  quidam  puerulorum  ludus,  quum,  qui  partes  exer- 

cet  magistri ,  contegens  palmis  unius  ex  pueris   oculos, 

ejttsque  vultum  inter  genua  reclinans,  clamat  alta  voce  cae- 

teros  singiUatim  nomine  ad  placitum  apposito ,  vocando 

sic  prius  generaiiter  dicens:  Scinni  scinni  rinninedcUij  chi 

^un  ti  senta  lu  barrababau,  »  I,  187. 

Cavu  ,  termine  del  giuoco  delle  palle  ,  colpo  di  palla  a 
palla  per  ispingerla  fuor  della  data  linea  fatta  nel  principio 
del  giuoco.  I,  393. 

Cavu  cavuseddu,  posto  avverbialm,  colli  verbi  ptirtari. 


NEL  SEC.  XVIII  425 

tri  e  simili,  vale  stare ,  portare  in  su  le  braccia  incrocic- 
chiate in  due.  I,  293. 

Ceddara ,  oeddara  tenvinuta ,  sorte  di  gioco  usato  da 
raggazzi  (.ne).  P.  iris.  «  Ceddara,  ceddara  benvinuta,  forma 
exclamandi  in  quodam  puerili  ludo,  quum  hujus  magister  ad 
se  vocat  pueros  absconditos;  qua  allocutione  idem  est  ac  si 
dicatur,  accelera,  accelera,  idest,  o  puer,  qui  absconderis 
accelera  ad  me  venire,  et  bene  sit  tibi,  nempe  ne  metuas 
capi  ab  inquirente.  »  I,  2^. 

Ciuciuleu,  cosi  diciamo  sJ  fanciulli ,  quando  alzando  là 
mano  lor  mostriamo  qualche  cosa  acciò  chi  primo  risponda 
jeu,  acquisti  il  dono.  I,  328. 

Frustustù ,  sorta  di  giuoco  fanciullesco ,  a  caccia  com- 
pagni. «  Genus  ludi ,  cujus  magister  stans  in  medio  ac  fé- 
rulam  tenens,  quum  alta  voce  clamat  frustustù,  nunc  hunc, 
nunc  illum  e  stato  loco  deturbans  eo  se  statuit  caeteros 
sic  compellens,  ut  festini  proximorum  stationes  occupent, 
adeo  ut  tandem  necessario  unus  indecore  absque  loco  re- 
Tnaneat.  Haec  vojc  non  videtur  mihi  aliud  innuere  nisi  foris, 
tu  et  tu.  ecc.  P.  ms.  «  T.  II,  167. 

Gaddetta,  piccola  fossetta ,  per  lo  più  per  uso  di  giuo- 
care  i  ragazzi  colle  avellane,  fosserella...  Jucari  a  la  gad- 
detta,  giocare  a  bedina,  bedona.  II,  189. 

Juearl  a  rammucoiatedda,  o  Ad  oceddara  ca  lu  mastru 
è  sulu,  e  simili,  giuocare  ad  un  giuoco  fanciullesco,  fare 
a  capo  nascondere.  Jucari  alVorou  cimineddu,  sorta  di 
giuoco,  nel  quale  uno  con  benda  agli  occhi,  cerca  d'affer- 
rare ad  un  altro  (sic)  de'  suoi  compagni,  acciò  soggiaccia 
nella  medesima  pena,  e  resta  egli  libero  di  essa,  giuocare 
a  mosca  cieca,  II,  367. 


426  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  SICILIANI 

Juoari  a  paru  e  sparu ,  V.  Pam.  Jucari  a  Vocanzita^ 
0  a  Voca  Vanzita,  v.  Yocanzita.  II  367. 

Malu  larruni,  strumento  da  suonar  colla  mano  tenendolo 
in  su  le  labbra ,  scacciapensieri ,  e  spassapensiero.  Spa- 
ta[foka]  ms.  V.  Mariolu,  T.  III,  p.  85. 

Mariolu.  Pigghialu  pigghialu  mariolu ,  sorta  di  stru- 
mento fatto  di  ferro,  che  si  sona  in  su  le  labbra.  V.  Ma- 
lularruni.  Presso  P.  ms.  si  legge  cosi  :  «  Pigghialurmariolu 
Sonoram  quoddam  ferreum  instrumentum,  quod  ori  inditum 
leviter  digito  ejus  prominentem  appendicem  percutiente 
leni  gutturis  spiritu  tinnulum  edit  sonum ,  ac  fere  ,  ipsa 
verba  profert ,  de  quo  instrumento  vulgo  effertur ,  quod 
olim  quibusdam  urbanis  inserviebat  nocturnis  viarum  insi- 
diatoribus,  qui  ut  securius  praetereuntes  aggredì  possent, 
a  sociis  non  tam  longe  dissitis  higusmodi  instrumento  uten- 
tibus  indicium  praetereuntium  suscipiebant ,  ut  in  eos  ir- 
ruerent  :  proferebant  enim  sonantes  socii  pigghialu ,  pig- 
ghialu mariolUj  idest  irrue  in  eum,  aggredere  eum,  o  pre- 
do. Ili,  113. 

Orvacimineddu,  aggiunto  col  verbo  Jucari  a  l'orvu  ci- 
mineddu.  V.  jucari.  III,  373. 

Palorgiu  A  Missina^  vali  strummula.  Sp[atafora]  ms. 
V.  Strummula^  IV,  15. 

Pisula,  petrella,  petricciuola,  lapillus.  Jucari  a  li  pistUi 
vale  giuocare  con  petricciuole.  Presso  P.  ms.  si  legge  :... 
«  Fit  a  puerulis  humi  considentibus ,  et  manu  calculos  in 
altum  projicientibus  >  ut  arreptis  aliis ,  qui  in  terra  sunt 
iterum  vola  decidentes  suscipiant.  »  IV,  124, 

Pissingongulu ,  o  Pisainnongulu ,  colpo  che  si  dà  col 
ferruzzo  della  trottola  ad  un'altra  in  segno  di  vittoria.  P. 
ms.  dice  :  «  Pizzinnongulu,  est  percussio  inflixa  in  dorso 


NEL  SEC.   XVIII  427 

turbinis  lusorii  ab  apice  ferreo  alterius  tarbinis  in  signum 
victoriae  pueri  alium  vincentis  in  ludo  circumagendi  tur- 
bines.  An  quasi  pizzu  in  angulo ,  seu  lateri  turbinis  in- 
flixus.  »  IV,  132. 

Bagogghìa ,  strumento  da  giuoco  per  lo  più  usato  dai 
ragazzi.  P.  ms.  dice:  a Ragogghia,  circulus  ferreus  bumi 
deflxus  ac  volubilis  ad  pilarum  lignearum  ludum.  Dictio  est 
hispanica.  »  IV,  220. 

Rumè,  sorta  di  giuoco  usato  dai  ragazzi.  Presso  P.  ms. 
si  legge  :  Genus  puerilis  ludi  cigus  magister  Inter  genua 
contentum  manibus  vultum  unius  pueri  tenens  alta  voce 
clamat,  rumè  rumè  ca  lu  mastru  è  sulu  :  interim  hic  puer 
liber  factus,  et  manu  globulum  funiculo  appensum  rotans 
quaerit  percutere  omnes  alios  pueros  prius  delitescentes, 
et  ad,  magistri  vocem  excitatos,  ed  ad  ipsum  accurrentes, 
ut  si  quis  percussus  fuerit,  subeat  ejus  qui  percusserit  mu- 
nus...  »  IV,  305. 

SautampiBzu,  piccola  figurina  d'  uccelletto  fatto  per  lo 
più  di  ferula  di  legno  leggiero  con  una  specie  di  molla  sal- 
tarella. Voce  composta  da  Sautari  e  'mpizzu,  IV,  340. 

Scanneddu  sorta  di  giuoco  usato  da  ragazzi.  «  P.  ms. 
Scanneddu  ludus  puerorum ,  quo  teres  ferulae  frustum  a 
duobus  invicem  jacitur ,  et  repercutitur.  Italis  pene  idem 
ludus  dìcìtav  paesello  quasi  paxillus.  Nobis  a  canna  nomen 
sumpsit  quasi  frustum  ex  canna  resectum,  et  forte  olim  e 
canna.  Multis  ab  bine  annis  abiit  in  desuetudinem.  »  IV,  368. 

Soarrioanavi,  sorta  di  giuoco  fanciullesco.  V.  Scarrica-^ 
varrili.  IV,  375. 

Soarricavarrili,  sorta  di  giuoco  fanciullesco ,  nel  quale 
uno  inchinatosi  il  corpo,  gli  altri  gli  saltano  sopra.  IV,  376. 

Scupittuni ,  pezzetto  di  legno  bucato  a  guisa  di  schiz- 


4B8  GIUOCHI  FANCIULLESCHI  SICILIANI 

zatojo  fatto  iper  lo  più  di  sambuco  usato  da  ragazzi  per 
lanciar  pallottoline  di  carta  o  stoppa;  cosi  detto  perchè  ha 
una  certa  somiglianza  al  scoppio ,  da  noi  detto  tcupetta, 
onde  scupittuni,  IV,  417. 

Serra.  Jucari  a  la  serra,  o  fari  serra,  cioè  giuocare  a 
tirar  sassi  con  le  frombole,  far  la  sassaiuola,  o  fare  a  sassi, 
Spataf[ora]  ms.  V,  13, 

'  Spiooialoru,  piccolo  schizzatojo  fatto  per  lo  più  di  canna^ 
col  quale  s'attrae  acqua,  e  si  schizza,  usato  da  ragazzi  per 
bagnare  altrui;  schizzetto,  V,  33. 

Sguicoialoru,  (V.  Sgriccialoru).  V,  36. 

8iriaioluil<ura.  Y.  Schichaloru,  S.  in  N.  (Scobar  nel  Di* 
zionario  Nebrlssense)  V,  36. 

Simensa.  Simenza  a  la  porta,  quanti  scuti  porta,  sorta 
di  giuoco.  P.  ms.  dice;  i^ Simenza  a  la  porta  ecc.  Ludas 
hic  olim  apud  Graeqos  quamvis  sub  diversis  formulis  vide 
Aristoph.  in  Pluto...  De  nostra  autem  interrogatione  sic  ea 
explicanda.  Jumenta  haec  triticum  puta,  ferentia,  quae  ad 
portam  Urbis  sunt,  quot  aureos  pretii  ferunt.  »  V,  44. 

Stnimmula.  Strumento  di  legno  di  figura  simile  al  cono 
eon  un  ferruzzo  piramidale  in  cima,  col  quale  strumento 
i  fanciulli  giuocano  facendolo  girare  con  uoa  cordicella^ 
avvoltagli  intorno,  trottola,  V,  133. 

Struxnxnula  di  ventu ,  trottola  grande  ma  vuota  al  di 
dentro.  V,  133. 

Tafara,  Tafaruni  e  Piuinnongulu.  u  Voces  in  ludo  pue- 
rili, quo  extensis  tribus  prioribus  digitis ,  iis  singulis  sin- 
gulae  hae  voces  applicantur  etc.  »  V,  171. 

Tocou.  Fari  un  toccu,  dui  tocchi  ecc.  Vale  vedere  a  chi 
tocchi  in  sorte  alcuna  cosa,  il  che  si  fa  alzandosi  da  eia- 


NEL  SEC.  XVIII  429 

scuno  uno ,  o  più  diti  a  suo  talento ,  e  facendo  cader  la 
sorte  in  quello  ,  in  cui  termina  la  contazione ,  secondo  il 
numero  de'  diti  alzati,  fare  al  tocco,  V,  219. 

Tortula,  Diz.  ms.  ant.  v.  Strummulay  Ter  tuia  di  ventu. 
Turbo  vacuus,  Diz.  ms.  ant.  v.  Strummula  di  ventu.  V,  223. 

Vooalanzita,  lo  stesso  che  Vozzica;  v.  Vozzica,  Presso 
P.  ms.  nella  voce  Voca  a  la  *nzita  si  legge  :  Yoca  ecc. 
«  Ita  se  mutuo  adhortantur  bini  pueri  insidentes  utrique 
extremo  asseris,  vel  Ugni  in  aequilibrio  super  lapidem  con- 
sistentis,  quum  unus  deprimitur  dum  alter  attoUitur  ;  hoc 
est  remiga  scilicet  deprimere  tanquam  si  essemus  in  na- 
vicula ,  dum  ego  attoUor  (quod  innuit  to  voca)  »  ecc.  Ma 
presso  Vinci  leggiamo  :  «  Vocasia,  duae  voces  contrariae 
simul  junctae  a  gr.  Boav  voan  vocare ,  et  6t8av  sigan  ta- 
cere; hac  voce  utimur,  cum  quis  sedens  una  cum  sede  semet 
librans  antrorsum,  ac  retrorsum  se  jactat,  et  tunc  dicitur 
fari  vocasiay  ducta  similitudine  a  nautis,  qui  vocando,  i- 
dest  clamando  remigant,  tacendo  vero,  quod  est  etyav  sigan, 
remos  cohibent.  »  E  da  qui  direi  scorrettamente  ne  fosse 
originata  la  voce  vocalanzita.  V,  348. 

Voccula  di  corda,  o  voczica.  S.  N.  (Scobar  nel  Dizio- 
nario Nebrissense)  v.  Yozzica,  V,  349. 

Voculanzioula.  P.  B.  Yozzica.  V,  349. 

Vozzica  ,  è  un  giuoco  che  fanno  i  fanciulli ,  i  quali  se- 
dendo sopra  una  tavola  sospesa  tra  due  funi  pendenti  da 
alto  o  in  altra  guisa,  la  fanno  ondeggiare,  altalena,  oscil- 
latio.  Da  vucariy  vuculiari ,  vuczziari,  e  da  qui  quasi  vu- 
cazzica,  scorciato  vuzzica,  vozzica.  V,  352. 

Zarbatana,  trumba  di  cannizzola  pri  Cacciari  o  tirari  bad- 
diceddi  ecc.  Spat[afora]  ms.  V,  387. 


MODI  DI  DIRE  PROVERBIALI 


DERIVATI  DAI  GIUOCHI 


Ad  acu^a  e  cruci,  come  vien  viene,  con  esito  incerto. 

A  frtcstt4Stù  (p.  273),  a  catafascio. 

A  lu  Jocu  di  lu  citrolu,  fare  a  dare  o  a  darsi  addosso  còme  vien 
viene,  alla  cieca,  all'impazzata. 

Armari  jocu  (108),  essere  il  primo  a  proporre,  primo  a  comin- 
ciare un  divertimento,  primo  a  dar  Tesempio  ecc. 

Ciampedda  rutta  né  tira  né  paga  (134),  cosa  guasta ,  persona 
caduta  non  conta  più. 

EssiHcci  la  Nanna  pigghia-cincu  (p.  90),  esservi  confusione,  dis- 
ordine, parapiglia.  "^ 

Essiri  nnuminatu  *nta  la  Nanna  pigghia-cincu  (90),  per  ischer- 
zo,  essere  ridicolosaraente  celebre. 

Essiri  un  soutampiszu,  essere  un  fronzolo,  una  fraschetta,  o  una 
persona  leggiera. 

Fari  ftrriari  a  unu  comu  *na  strummula,  far  girare  uno  come  una 
trottola,  un  arcolaio  ecc.  per  un  urto,  un  colpo  qualunque  datogli. 

Fari  la  Nanna  pigghiorcincu,  {slt  chiasso,  confusione:  ed  anche 
tagliar  corto  e  romperla. 

Fari  *na  cosa  ad  anca  ed  ancona  (172),  farla  a  casaccio,  disordi- 
natamente. 

Farisi  lu  paru  e  sparu,  fare  li  per  li  i  propri  calcoli,  e  decidersi 
per  il  meglio,  senz'  altrimenti  esitare. 

Finivi  a  ciuciuleu  (267) ,  finire  in  gran  confusione ,  disordina- 
tamente. 


432  MODI  DI  DIRE  PROVERBIALI 

Firriarisi  comu  *na  strummula  (162),  affaticarsi  molto  in  un 
affare,  andare  attorno,  esser  sempre  in  mezzo. 

Gtuxstari  %  hrigghia  (137),  sconcertare  una  cosa  mentre  si  sta 
conducendo  innanzi.  * 

Jiri  'w  palazzu  (107),  eccedere  in  una  cosa,  sia  contando ,  sia 
versando  un  liquido,  sia  mettendo  una  data  quantità  di  polvere, 
sia  ancora  giungendo  molto  più  tardi  d'un' ora  convenuta,  ecc. 

Jucari  a  scarrica-cana^i  (212) ,  gettarsi  addosso  la  colpa  V  un 
r  altro. 

JìÀcarisi  ad  unu  a  la  badduzza  (92),  abbindolarlo,  aggirarlo. 

Jucarisi  unu  a  lu  balluni^  canzonare,  prendere  per  minchione 
una  persona. 

Passeri  lu  rumè  (280) ,  battere  a  distesa ,  zombai*e  indistinta- 
mente. 

Putirisi  jucari  *na  cosa  a  paru  o  spam  (85),  tra  due  cose' non 
buone  non  sapere  quale  preferire. 

Re  di  li  brigffhia  (137),  persona  da  nulla,  ridicola. 

ScunmaH  li  brigghia  (437),  guastar  le  uova  nel  paniere. 


G>v<>co>CCò&/ 6' ®  ouCoccKv 


lAVni 


%.// 


Fw.1^ 


%/^. 


F^rs. 


PUré:  &vu/ycfiufoorioiM,ÌUschi 


j 


Q^U><>cxjtC<y&/ e  ^xxjBo<:<:Aa/ 


wr.w 


Fière  Gvjuochi/  fcaicudUschi/ 


O,  Pmà.^  Giuochi  fanciulleschi  fS 


GLOSSARIO 


(Voci  siciliane  spiegate  secondo  il  significato  che  hanno 

nel  predente  volume) 


A.  (à),  prep.  art.,  delia  ||  Contr.  da  a 
la,  alla. 

*A.,  per  aferesi  di  to,  art-,  la. 

.A.bballarixiu ,  agg.,  che  balla, 
saltella. 

.A.ooattarl,o*Coattari,  v.  tr.,com- 
prare. 

i^oootta  (  Cianciana  )  ,  probabil- 
mente alterato  da  accerta,  *nser- 
ta,  V.,  da  'nzirtari:  indovina. 

ik<x>li2a]iai*i,  V.  tr.,  salire. 

^<x3ia,  1,  s.  f.,  sedano. 

.AjOouasì»  arv.,  cosi. 

i^oiddu  (Noto),  avv.,  dim.  di  aoiu 
(adagio):  adagino.^ 

.A.ddivixxtari^  v.  intr.,  divenire. 

A.ssliiuttiri,-  V.  tr.,  inghiottire. 

jA.SzxlddusBzu ,  i,  s.  m.  dim.  di 
agneddw.  agnellino. 

AJLUooari,  v.  tr.,  leccare. 

.AjxuxLaraesiarùi.  v.  intr.  rifl., 
patire  travaglio  di  stomaco  per 
mal  di  mar*;. il  Confondersi,  smar- 
nrsi. 

Ajtnxuarra-paxàza,  s.  m.,  specie 
di  grossolano  camangiare,  coni- 
posto  di  uva  passa  e  nchi  secchi, 
o  solo  di  questi,  tagliuzzati,  ed 
avvolti  in  pasta  mollastra,  che 
i  oaramilara  in  Palermo  vendo- 
no a'  fanciulli  o  danno  in  premio 
a  coloro  di  essi  che  vincono  al 
giuoco. 

AjaaxnuooiariRó,  v.  tr.rifl., nascon- 
dersi, rimpiattarsi. 

i^noddu,.  i,  a,  s.  m.,  anello. 

.AAga,  glii,  s.  f.,  mola. 

Ajiiiiiixlii,  iy  a,  s.  m.,  arcolaio. 


.A.ppianiooari«i  (Avola),  intr.  riiPl.» 
dormir  sonno  profondo,  e  qui  di- 
cesi della  trottola  nel  girare.  Nel 
dialetto  comune  Appinnicarisi 
vale  invece  appisolarsi. 

i^ppinnutu,  part.  pass,  da  ap- 
penniri:  appeso. 

.A.ppiz95ari,  V.  tr., appuntare.  [[(Pa- 
gina 27)  dare,  appuntando. 

^ppressu  o  ^ppriessu  ,  avv. , 
dietro.! (Dopo,  poscia. 

AppìusEari,  v.  i.,  andar  sotto.  V . 
a  pa^.  19. 

.A.rasoiu  (Modica)  ,  per  Adaciu, 
avv.,  adagio. 

i^jrìooliia,  i,  s.  f.,  orecchia. 

Aj!iooia  (Modica  )  ,  Io  stesso  che 
Ariochia, 

Ajcv&amxxj  avv.,  discosto,  lontano. 

Aj*FiA*ittatu ,  part.  pass.,  rifrit- 
to (I) 

iknixxiiiiari,  v.  tr.,  dimenare,  a- 
gitaré. 

.Ajrru.bbaxdy  V.  tr.,  rubare. 

A.ti  (àti),  pres.  indie,  del  v.  aoiri; 
voi  avete. 

'A.tta,  per  gatta ,  i»  8.  f.,  gatta , 
gatto. 

i^ttuooari,  V.  tr.,  toccare,  appar- 
tenere, spettare.  IKSirac  usa),  y. 
Tuccarì. 

i^tturratuy  part.  pass,  da  attur- 
rari:  abbrustolito. 

Aixi  (Noto),  per  aoiti,  avete  V.dti. 

J^xxse^a,.  i  (Modica),  s.  f.,  ago. 

A.ura  (Noto),  per  ura,  ora,  mo- 
mento opportuno. 

A.u.x*iooia  (Licata),  V.  Ariochia. 

^Tiasfisari  (Licata),  v.  tr.,  conser- 
vare, serbare. 


436 


GLOSSARIO 


A.v)«0itn,  di  alcune  parlate,  invece 
di  8i  tu  avi88i,  se  tu  avessi. 

A.vvi0ari  (Borgetto),  v.  tr.,  indo- 
vinare. 

AKsaruyS.  m.,  acciaio. 

B 

Sàooai»,  i,  (di  alcune  parlate^,». 

f.,  brocca. 
Sacx»redda,  i,  s.  f.,  dim.  di  bac- 
carà o  beicara:  brocchetta. 
Badda,  i,  s.  f.,  palla. 
Baddru.  CMazzara^,  io  stesso  che 

pisula. 
Baddunsa,!,  s.  f.,  dim.  di  bculda, 

pallina, 
j^ienana,  v.  Pappana. 
Balata,  i,  s.  f.,  lastra. 
Bazioareddiif  i,  s.  m.,  deschetto. 
Banna,  i,  s.  f.,  banda,  parte,  lato. 
Barraoani,  s.  m.,  barracane,  sorta 

di  panno  tessuto  di  pelo  di  capra. 
BattasgùoLU.  (Modica),  agg.,che  ha 

batacchio. 
Beddu,  agg.,  bello. 
Bidduzzii,  agg.,  dim.  di  beddu: 

bellino.  ^ 

Bonu,  agg.  buono.  |i  Avv.,  bene, 

rp.  178). 
Botta,  i  s.  f,  colpo. 
Bòttulci,  i,  (Messina),  s.  m.,  botta, 

colpo,  scoppio. 
Bozza,  i,  s.  t.,  specie  dì  cantinplo- 

ra,  che  si  crolla  su  due  aste. 
Brixaoa,  aolxi,  s.  f., bruschettà,  filo 

di  paglia.  Il  Verghetta  o  gettone 

d'albero. 
Buddiou.  olii  (Messina),  s.m.,bel- 

lieo,  omoellco. 
BtiflUniari,  v.  tn,  canzonare,  cor- 
bellare. 
Buluzxi  (A.),  avv.  presto,  a  volo. 
Buzxxxxia,  i,  s.  f,  bomba. 
Busa,  i,  s.f.,  mazzettina  di  legno, 

o  canna,  che  serve  al  giuoco  di 

Manoiagghia  (p.  IM). 


Ca,  pron.,  che,  il  quale,  la  quale. 

Gèk,  cong.  perchè. 

Oaooiariari  (  Taormina  ),  v.  intr. 
saltellare. 

Caznxaisa,  i,  s.  f.,  camicia. 

Canigghia,  s.  f.,  crusca. 

Oaiuia,!,  s.  f.,  canna-U  Misura  equi- 
valente a  metri  2,00. 

OàzLoara,  voce  alterata,  e  di  nes- 
sun significato  evidente. 


Oannàra»  i,  s.  f.,  canneto. 

Pannata,  i,    s.  f.,  boccale. 

Oaxxneddu,  i,  s.  m.,  cannello.  No- 
me del  giuoco  «  Al  sussi.  » 

Oaixi&iìezu,  i,  s.  m.,  canniccio,  gra- 
ticcio. 

Cannolu,  i,  a,  s.  m.,  dolce  di  cial- 
da dolce  accortocciata  e  ripiena 
di  crema. 

Cazxn.uUooli.iu,  i,  a,  s.  m.  dim.  di 
carinola:  cannellino.  ||  Zipolo. 

Oantàru,  a,  s.  m.  quintale,  misura 
antica  pari  ad  80  chiiogr. 

C^ziuorvu  CRiesi),  titolo  di  giuoco 
composto  da  cani  uoroa ,  cane 
cieco. 

Cauuszu,  i,  s.  ni.  dim.  di  cani  : 
cagnolino. 

Capitanu,  i,  a»  s.  m.,  fondello. 

GapizzolsC  (p.  4'  ),  voce  senza  si- 
gnificato evidente. 

CappidduBzu,  i,  s.  m.  dim.  di  cap- 
peddu:  cappellino. 

Oapu|((*27)  m  testa ,  sopra.  Jiri  'n 
capu,  V.  a  p.  19. 

Caraoozza,  i,  (^Mazzaia)  s.  f.  pri- 
gione, catorbia.  Nel  dial.  comune 
Caracoggu,  caraòbozza,  carcUh 
bozza  (spagn.  Cataboze). 

Caranailaru,  i,  a,  s.  m.,  venditore 
ambulante  di  caramelle. 

OaroarawzaC  atania),  v..  Taran- 
tella. 

Cardiddu,  i,  s.  m.,  cardellino. 

Carrinleddu  o  Oarriueddu,  i,  a* 
s.  m.  dim.  di  carrinut  carlino. 

Carriziu,  s.  m.,  carlino,  una  mo- 
neta di  Sicilia,  del  valore  di  cen- 
tesimi 21  di  lira. 

Oaaoavaddu,  i,  a,  s.  m.,  cacioca- 
vallo. 

Ca8oiuneddx*u  o  Casoiunadda, 

U  «*,  (Marsala),  s.  m.,  dim.  di  ca- 
sciani:  cassettino. 

Casedda,  i,  s.  f.,  buca  (p.  138). 

Caaioavaddi,  v.  Casccwaddu. 

Castelterzxxixii,  (Cianciana)  s-,  Ca- 
steltermini,  comune  della  prov. 
di  Girgenti,  illustrato  dalle  re- 
centi Notizie  storiche  di  Gaeta- 
no Di  Giovanni. 

Cauoiu,  1,  s.  m.  calcio. 

Oaudda,  nome  di  giuoco  di  Mes- 
sina; dove,  come  agg.,  vaie  ccUda. 

Càudu,  agg.,  caldo. 

Oauria  fórru  f  Avola),  scaida-fer- 
ro,  sinonimo  del  giuoco  Aearfa- 
mana. 

Oàvudu  (Mazzara),  per  caudu» 
caldo. 


GLOSSARIO 


437 


Ooà,  avv.,  qui. 
'Ooattari  per    Aooattari»  v.   tr., 

comprare. 
Cobi  (RiesO,  parrebbe  tronco  da 

chistu  \  ma  udendolo  dalla  viva 

voce,    m    questo    solo    esempio 

sembra  l'avv.  qui. 
Ooi  o  Ci»  pron.,  gli,  a  luì,  a  lei,  a 

loro.  (|Avv.,  là,  colà. 
Coiàxnpula,  i,  s.  f.,  muriella  V. 

Ciampedda. 
Coiù,  ai  a  leu  ne  parla te,per  cchiìiy 

avv.,  più. 
Cou,  ni  alcune  parlate,  prep.,  con. 
Clxi,  pron.,  che,  il  quale,  la  qtrate. 

llChe  cosa.  ||  Gong.,  che. 
Chi,  lo  stesso  che  Cà,  cong.,  per- 
chè. 
Clilaicnaxi,  v.  tr.,  chiamare. 
Cliiantedda ,  i,  s.  f,  striscia  di 

cuoio    tra  il  tomaio  e  il    suolo 

delle  scarpe. 
CbiavtuBza,  i,  s.  f.,  dim.  di  chiavi: 

chiavino. 
Chiddru   (Mazzara),  v.  Chiddu. 
ClLiddu,  pron.,  quello,  colui. 
Chiè  olxiè  airi)  (S.  Ninfa),  detto 

di  trottola,  vale  saltellare,  bar- 

berare. 
Chinu,  agg.,  pieno. 
CliistUy  agg.  e  pron.,  questo,  que- 
sti. 
Cliiujiriy  V.  tr.,  chiudere,  serrare. 

Pres.    chiuj'u  ;  imo.  chiujeva  o 

chiaija  ;    pass,  chiujici  ;   part 

pass,  chiujutu,  chiusa. 
ChiuTumu.,  s.  m-,  piombo. 
Ciaooatura ,  i,  s.    f-*    fenditura  , 

spaccatura. 
Ciaznari  (Ragusa),  V.  Chiamari. 
Ciampedda,  i,  s.  f-,  muriella. 
Cianu  (Modica) ,  per  chiana ,  s. 

m.  piano,  largo,  piazzale. ||  Agg., 

piano. 
Ciappedda,  v.  Ciampedda. 
Ciareddu,  i,  a  (Milazzo),  s.  m., 

capretto. 
Cianrari,  v.  intr.,  far  odore.  |jTr., 

odorare. 
Ciazsa^i  (Chiara monte)  per  chiaz- 
zai s.  f.,  piazza,  mercato. 
Cioou,  8.  m.,  Francesco. 
Oioiredda,  i,  s.  f.,  dim.  di  cicira, 

cece:  cecino. 
Cioiru,  o  oicdra,  i,  8.  m.  e  f,  cece. 
Ciffiiitedda»  i,  s.  f-,  dim.  di  cigna., 

cinghia. 
Cina  (Ragusa),  forse  alterato  da 

cima. 
Cinon,  agg.,  cinque. 


Cioooa,  oolki,  8.  f.,  chioccia. 

Cirou,  ohi,  s.  m.,  circolo,  cerchio. 

Ciu«oiiuii,  a,  accresc.  di  ciitsciu, 
8.  m.,  forte  soffio. 

Còoula,  i  (Trapani),  s.  f.,  lo  stes- 
so che  boccia.  ||  (Érice)  trottola. 

Ooddu,i,  s.  m.fCoWo.  \['Ncoddu 
ciaredduy  a  cavalluccio. 

Comu,  avv.,  come,  siccome. 

Coppa  (*N"),  avv.,  sopra,  in  alto; 
ma  è  voce  non  siciliana. 

Còppula,  i,  8,  f.,  berretto. 

Cori,  i,  8.  m.,  cuore. 

Corpu,  i,  a,  s.  m.,  colpo.||  Corpo. 

Coaszu,  i,  8.  m.,  occipite.  |j  Costola 
del  coltello. 

CrosssBa,  i,  s.  f. ,  cranio. 

Crisoenti,  s.  m.,  lievito. 

Criaointeddru,  i  (Marsala),  s.m., 
dim.  di  criscenti,  lievito. 

Cruna,  i,  s.  f,  corona. 

Cu,  prep.,  con. 

Cu*  o  oui,  pron.,  chi,  colui  il  qua- 
le, colei  la  quale. 

Cùooia  ,  i  (  Noto  )  ,  per  cacchia, 
coppia. 

Cuddiredda  (  Modica  ),  v.  Cud^ 
duredda. 

Cudduredda,  i,  s.  f.,  dim.  di  eud' 
dura',  ciambelletta. 

Cuxnnaà',  tronco  da  cammari,6. 
f.,  comare. 

Cuzxiznari,  i,  a.  f.,  comare. 

CuxxxpÀ*,  tronco  da  cumpari,  s.m., 
cogapare. 

Cuzxisffiu,  i  (Modica),  s.  m.,  per 
cuniffghiu,  coniglio. 

Cunigliasysu ,  i  (Licata  ),  s.  m., 
accr.  di  cartiglia,  coniglio. 

Cuntari  (Taormina),  v.tr.,contare, 
fare  al  conto.  V.  a  p.  2i. 

Cunurtari,  v.  tr.,  confortare. 

Cruiisari,v.tr.,  acconciare.||-  ^tt  Ut" 
tUt  rifare  il  letto. 

Cuòùri  (Riesi),  per  còciri^  v.  tr., 
cuocere. 

Ourdioedda,  i,  s.  f,  dim.  di  cordai 
funicella. 

Curxiieddu  ,  i  ,  a  ,  8.  m.,  dim.  di 
corna:  cornicino. 

Cuauzsa,  i,  s.  f.,  dim.  di  cotai  co- 
setta,  cosuccia,  e  per  lo  più  di- 
cesi di  chicche,  giocattoli,  ecc. 

Cutellu,  i,  a,  8.  m.,  coltello. 

Cutusnu,  a,  s.  m.,  melacotogna. 


I>**a,  prep.  art.t  della. 
Darre,  avv.  di  luogo,  dietro. 


4^ 


^Lt^AltlO 


(JL)9  QW.,  da  quella 
parte. 

I^uoolìiixiii  CA.;,  «w.,  ginoc- 
chioni, in  ginocchio. 

IMpo*,  avv.,  dipoi,  poi,  indi. 

jy*Ò9  prep.,  art.  per  rf"tt,  del,  dello. 

jy^xXf  prep.  art-t  dello. 

lyvLXkxiij  avv.,  donde. 


"Èlzki  per  paragoge,  è. 

Bisairi ,  v.    intr. ,  essere.    Pres . 

sugna;  imp.  era;  pass.  Jm.\  fui; 

fut.  sarrót  sarò,  saroggiu;  part. 

pass.  5tata;ger.  *8ennu,  ^ssennu- 


Vaooi*  s.  f.,  faccia,  viso,  volto. 
F'aooiu.m»  s.   m.,   acc.  di /accit 

faccia. 
Vedetta  o  fbdetta  o  iWttdetta  o 

fòdedday  i,  s.  f.,  gonnella. 
IRaxniselùu  9  is  s.   m.,    liamiglio, 

stalliere. 
S^Goiu  per  f^unnxi ,  fanno  ,  pres. 

indie.  3«  pers.  del  pi.  delv.  fari. 

WmeU  V.  a.,  fare.  Preé.  fossa;  imp. 

facia;  pass.  Jtci;  part.  pass./af- 

Éit.||— d  toccup  contarsi. 
JETedda,  i,  s.  f.,  fetta. 
B*etu,  s.  m.,  puzza. 
TFà/onausa^  i,  s.  f.,  dim.  di  ^cu,  pic- 
colo lieo. 
S^iddruasBa,  i  (Mazzera),  lo  stes 

so  che  flddazjsa,  fettina. 
Fiffglxiari,  v.  intr.,  figliare.  ||  Par- 
torire. 
B'iSSliiu,  i,  s.  m.,  figlio. 
B^iSSia,  i  ^Modica),  s.  f.,  per^^- 

ghiaj  figlia. 
BUnciari  (Modica),  \.Jtggki«ri. 
Fiegiata,  i  (Modica),invece  di^^- 

ghiatUf  puerpera. 
B'iggivi,  i  (Modica),  vedi ^gghia. 
Wixkòmoia,  (Ragusa^  per  Jtnestrat 

8.  f.,  finestra. 
BUx&i&ooieddu,  i  CRagusa^  per^- 

nuochieddu  ,  dim.  ai  Jlnocchia, 
■  finocchio. 
Birlazzeddu  (Licata),v.^rre(iei{a. 
S^irvedda,  i,  s.  f.,  dim.  di /erra, 

piccola  ferula. 
E^irriari,  v.  tr.,  girare. 
F'ittu  (Messina)  perfrittUf  part. 

pass.,  da.  frijri:  fritto. 
F'oret»  avv.,  fuori. 
inora,  condiz.  pres.  del  v.  esairi, 

sarebbe. 


B'òrrasdi  alcune  parlate, per/dra 
sarebbe. 

S^raaB»»ta,  i,  s.  f.,  coperta  di  lana 
per  letto,  schiavina. 

EVwoliiettu»  i,  s.  m.,  zufolo. 

fPriaoliittieddu,  i,  s.  m.,  dira,  di 
friachiettu:  fischiettino,  zufolino. 

Erittatii,  part.  pass.,  rifritto. 

WviSt  pres-  indie,  o  imper.  del  v. 
fùj'ri  ofuiri,  (fuggire)  fuegi. 

S^Ataxxuna,  U  s.  T.,  accr.  ai  fun- 
tana,  grande  fontana. 

BMiriii,  ii  (Calatafìmi),  s.  ih.,  fu- 
ria. H  Sfuriata. 


Gtoddetta»  i,  s.  f.,  buca. 

Gtaddma»!,  s.  f.,  gallina. 

GfculdrixiarMazzara),  v.  gaddina. 

Gtaddru.  (Mazzara),  v.  gaddu. 

G^eddu»  i,  s.  m.,  gallo. 

GKàggia»  i>  s.  f.,  gabbia. 

Gtòrgìa,  i,  s.  f-,  gola,  fauci. 

GKu*zixxiMs  s.  m.,  nella  campagna 
è  Tuomo  addetto  a*  più  bassi  ser- 
vigi, cioè  a  governare,  a  menar 
le  i)estie  da  soma,  a  trasportar 
fimo,  ecc. 

Gtòbbia,  ii,  s.  f.,  vivaio. 

*GHBiùtciri,  per  agghiuttiri  (Mo- 
dica), V.  agghiuttiri. 

GKliirì,  lo  stesso  che^'iré,  andare. 

GMiiuoeuri,  per  jucarU  giocare. 

G^iamti,  agg.,  giallo. 

Q-Uestri  (Messina),  a^g.,  celeste. 

Q-zxirxivS  avv.,  no,  e  si  dice  in  sin- 
golare dando  del  voi\  ed  in  plur. 
parlando  a  più  persone. 

G^ràxioia,  i«  s.  m.,  granchio,  noto 
crostaceo. 

Gl«axiu,  i,  a,  s.  m.,  moneta  del 
valore  di  cent.  2  di  lira. 

GKr4piriy  v.  tr.,  aprire. 

Ghrattalor«s  i,  s.  f.,  grattugia. 

O-uglia,  i  (Riesi),  s.  f.,  invece  di 
agugghia,  ago. 

O-raera,  i,  8.  f.,  collana. 

H 

Xlaju,  pres.  indie,  del  v.  ajoiti,  ho. 
Uè,  lo  stesso  che  Aa/a,  ho. 
»1,  invece  di   li  ,  art.,    plur.  di  'o. 
lu»  li,  le. 


Iddu,  pron.,  egli,  lui. 
s.  f.,  esca. 


QLOSSARIO 


43» 


Ji,  «Ti*  (Riesi  ecc.\  per  ù>,  che  pu- 
re dicesi,  Reconao  i  dialetti,  m, 
ieut  Jeutjiai  ecc. 

Jàoula  9  dì  alcune  parlate ,  per 
acula,  i,  H.  f.,  pquila. 

Jaddina,  di  alcune  parlate,  inve- 
ce di  gculclina,  t,  s.  f.,  ga  Ulna. 

Jaddn,  i,  b.  m.,  p  r  padtìuf  gBÌÌo. 

JalofVu,  i  (p.  33j ,  di  alcune  par- 
late, garofano. 

Jaxiou  (Noto),  agg.,  bianco. 

Jatta,  i,  di  alcune  parlate  ,  8.  f., 
gatta. 

Jattaredds  i  (Noto),dim.  dìjatta: 
gattina. 

Jetaxxx  (p.  1^3),  invece  di  jamu, 
andiamo,  pres.  ind.  del  v.  Jiri, 

Jiooari,  vedi  Jittarù 

«Tidi-tn»  a,  s.  m.,  dito. 

Jixnezita,  1,8.  f.,  giumenta 

Jippuzìi,  a,  8.  m.,  farsetto,  giup- 
pone. 

Jiri,  V.  i.,  gire.,  andare.  Ij  —  'nca- 
pu,  andar  sopra,  e  dicesi  di  chi, 
al  conto,  non  vada  sotto.  H— «at- 
eo, andar  sotto;  v.  pag.  19. 

«Titali»  a,  s.  m.,  aitale. 

Jittari,  v.tr.,gettare.||Fare  al  conto 
gettando >  le  mani. 

Joooa,  i  (Noto),  s.  f.,  chioccia. 

Jnou,  olii,  8.  m.,  giuoco. 

Jooari»  V.  tr.,  giocare. 


Xiavnri,  a,  s.  m.,  la  biada  semi- 
nata, ancora  in  erba^ 

X^ajBsu,  i,  8.  m.,  laccio. 

ILdiia  Cp.  >2),  probabilmente  alte- 
razione della  voce  gallina. 

ILdnnaa,  s.  f.,  semehno. 

Ijittuaa  (p.  iV'i),  voce,  che  io  sap- 
pia, senza  signifìcato  apparente. 

Ziti»  art.,  lo,  il. 

ILtuoi,  s.  m.,  fuoco. 


1^14  (Riesi)  per  me  o  mia,  agg., 
mio,  mia. 

l^Aàa,  8.  f.,  madre. 

AAaiatinA  (p.  2 '-31),  voce  senza 
significato  evidente. 

^lamxxia,  1,  s.  f.,  capo-giuoco,  e 
si  dice  tanto  di  maschietti,  quan- 
to di  bambine. 

Manaocdata  »  1 1  8.  f.,  colpo  dato 
con  la  mano. 


IManltta,  1  (Messina),  dim.  di  ma- 
rta.* manina. 

Manoiarl,  v.  tr.,  mangttire. 

Manna»  pres.  ind.  e  irap. ,  da 
mannari:  manda. 

^«laxiixÀrl,  V,  tr.,  mandare. 

Alaxxuy  u,  1,  s.  f.,  mano. 

^laiiusBa,  1,  s.  f.,  dim.  di  marta, 
mano:  manina. 

^«lansiorzxu,  s.  m.,  mezzogiorno, 
le  ore  t2  m. 

^Xartusasa,  1,  s.  f.,  scimia. 

*4àaoin  (  Chiaramonte ,  Modica  , 
ecc.)  per  modera,  mastro. 

Aflaainnò,  avv.,  altrimenti. 

Màasolu  (Modica  e  Chiaramonte) 
invece  di  m^ascru,  maestro. 

MABtru,  1,  8.  m.,  capo-giuoco. 

A^ataoluni,  a»  s.  m.,  zimbello. 

Afansunl  (B*axi)  (  Spaccaforno)  , 
detto  del  saltellare  che  fa  la  trot- 
tola. 

AdC^,  agg.,  mio,  mia. 

Alènixula,  1,  s.  f.,  mandorla. 

IMCòntlri,  invece  di  metciri,  v., 
mettere. 

Alenza-oaniua»  i  ,  s.  f. ,  misura 
che  valeva  m.  I,  03. 

Afensu,  agg.,  mezzo,  metà. 

Alaroa,  olii,  s.  f.,  mira. 

Alia,  agg.f.,mia;  ma  spesRO  è  caso 
obli((^uo,e  vale  me; di  mia,di  me; 
a  mia  ,  a  me;  pi  mia^  per  me. 

IVfilinoiaxia,  1,  s.  f.,  petrunciana. 

AlinÀru,  agg.  di  lupo  :  mannaro. 

Allnna  i,  s.  T.,  mammella,  poppa. 

Alinnleddayl,  s.  f.  ,d  m.di  minna, 

AI ixxnulloolkla  ,  i  ,  s.  f. ,  dim.  di 
mannaia, 

lMl««a,  1,  s.  f.,  messa. 

*Mxneassa ,  comp.  da  'n  m£szu , 
in  mezzo. 

Sflmiddarl  (Messina)  v.  tr.,  dar 
buffetti. 

AdiiilrdasaBa ,  i ,  s.  f. ,  accr.  di 
mmercla;  ma  qui  è  titolo  di  giuo- 
co, p.  1(>2. 

'Alzxiuooiàrial,  v.  arhmucciarisi. 

*'M.nxxCÌBx\  o  A.nixnuUupi,  v.  tr., 
aguzzare. 

Aloddu,  agg.,  molle,  piacevole. 

Slorti,  8.  L,  morte,  e  si  dice  della 
lastra  che  nelle  vie  copre  i  bot- 
tìni.||Ultimo  scompartimento  del 
giuoco  A  nicchia  6  pdfoéu» 

'Aapalaci,  v.  tr.,  legare  a  un  palo, 
e  si  dice  delle  viti  che  si  legano 
alle  canne. 

'l^pennlH,  v.  tr.,  appendere,  ap- 
piccare. 


440 


WJ^UABIO 


*KTtii<1 1 Igni ììmàit  V.  tr.,inipigiia~ 

re.  II  ^rruflare. 
'BCpraa,  8.  f.,  accpja,  Cvoce  barn- 

binesoa). 
ttuooa,  preceduto  da  *n:ia  bocca . 
BCussliievi»  i»  s.  f-,  moglie. 
ACunneddu»  i.  a»  s.  m.»  misura 

di  cauacità,  ora  abolita»  pari  a 

litri  4,  29t<.  Il  Altra  misura  di  e- 

stensione,  pari  ad  are  2,7285. 
BSirnnu,  8.  iom  mondo. 
ItftuuBecLdUt  1,  a»  s.  m.«    muc- 

chietto. 
Mnn xirXfi wmmvit  i,  a»  s.  ra.,  dim. 

di  mufuieddu:  mucchietto. 
BCuaulinettUy  i,  a,  s.  m.,  dim*  di 

muauHnut  mussolina. 
AltMt&liixu,  i,  s.  m. ,  mussola, 

mussolina. 
Iblusaàcliiari,  lo  stesso  che  muS" 

sioarif  V.  tr.,  mordere. 


ingro- 


*Nt  per  aferesi,  in. 

tr,  m  qualche  parlata  (v.  a  p.  3f>^ 
fa  le  veci  <li  urit  un,  uno. 

'tN'a»  pron.  e  art.  fem..  una. 

ITanna,  i,  s.f.,  vecchia.  I|  La  par- 
te posteriore  dell'  anello  aetto 
Raoo<inhia.  \\  Fari  nanna  t  f&r 
entrai-e  da  essa  parte  la  palla.  || 
Nel  giuoco  della  trottola,  vale 
barberare,  saltellare. 

*Z7apoou.,  avv. ,  un  pochino ,  un 
tantino.  Il  Agg.,  molti. 

*I9'oa,  per  aferesi,  invece  di  dun- 
ca,  avv.,  adun(][ue. 

'17oaiciiàa*Lai,  v.  mtr.  rifl.,  il 
gnarsi,  stizz  rsi. 

IToaxxnari,  v.  tr.  incannare. 

'IN'oaiiiiiilatii  »  part  pass.  ,  di 
'ncannulari',  inanellato. 

*I7^ouooia-zx&uru,  (Jk.)  (  Avola  ), 
titolo  di  giuoco,  che  suona:  ad 
unire ,  ad  accostare  al  muro 
Cncuc ciani  per  *ncucchiari). 

'M'ouddariy 'y.  tr.,  incollare. 

*I9'orisnari,  v.  tr.,  accostare,  av- 
vicinare. 

•Ndi  f^Uiesi),  V.  nni. 

19'è«ciri»v.intr.,  uscire.j|Tr.,mette* 
re,  cavar  fuori.  Pres.  neacta,imp., 
niaciii;  pass-,  nisoivi'^  part  pass., 
nisoiuCu.  Il  Dicesi  di  chi,  nel  fare 
ai  conto,  venga  sorteggiato,  o  di 
colui  nel  quale  cada  Fultimo  nu- 
mero. 

ITòula  o  xxòvula,  i,  s.  f.,  cialda. 

X7i  o  nui,  pron.,  ne  ||  Prep.,  in. 


"NUnxt  agg ,  piccolo. 

ITinu*  s.  m.,  Antonino. 

291urQ»  agg.,  nero. 

ITivuUDnx,  i»  a»  s.  m.,  venditore 
di  cialde. 

19'iia  lu«  prep.  art.,  nei. 

IVxuwl»  avv.,  si,  gnorsl. 

I9'n*é*  prep,  art.,  per  nn'*i,  nni  li, 
nei,  nelli,  negli,  nelle. 

ITni  o  ni»  pron.,  ci,  a  noi,  ne. 

ITnioolua,!,  s.  f.,  nicchia,  casella, 
scompartimento. 

^lUxnoxiia*  il,  s.  m.,  demonio. 

*Ntdgna*U  v.  tr.,  insegnare.  ||  In- 
dicare. 

*17tB»  *ntl, *ntra,  prep.,  dentro, in. 

*I7tra,  avv.,  dentro,  in. 

'ITtuppatiedd'a  o  attuppated- 
dn«  i»  s.  m.,  marinella  {Helix 
nuHcoicles  Draparn). 

'M'u,  di  alcune  parlate,  per  una, 
un,  art.,  un,  uno. 

l^uoidda,  i,  s.  f.,  avellana. 

K'uddu  »  pron.  e  agg.,  nessuno  , 
nullo. 

'^aBs^ari,  v.  tr.,  provare,  mettere 
a  prova.  Il  Tentare. 

*I9'ziFtari,  v.  tr.,  indovinare,  ap- 
porsi.  Il  Riuscire  a  trovare  per- 
sona o  cosa. 

*I7aurru«  agg.,  duro,  aspro. 


O»  (ò^  contrazione  di  a  lu,  allo. 
On»  (òxk)  contr.  da.  a  un  o  unu,  ad 
un  o  uno. 


Z***  V>U  pvi*  prep.,  per. 

Padda,  i  CMessma),  s.  f.,  palla. 

Pàlaari,  si  usa  quasi  sempre  nel 
sing.,  specie  di  muriella;  di  che 
V.  a  p.  Ul. 

Palerà,  i,  s.  f.,  parola.. 

Palvuodina,  i,  s.  f.,  colomba. 

Pantizziu,  i  (Siracusa),  s.m.,palmo. 

Panarieddu,  i,  a»  s.  m.,  dim.  di 
panar w.  panierino. 

Paniouttieddru  (  Mazzera  ) ,  o 
panicuCteddu ,  s.  m. ,  dim.  di 
panicottu  (pancotto),che  è  comp. 
da  panit  cotta. 

Pannlgjgna,  i»  8.  m.,  pannicino,  e 
dicesi  specialmente  di  quelli  on- 
de s'avvolgono  i  i>ambmi. 

Pan.nr&,  i,  s.  ra.,  pannolino. 

Pappadiari  (Barcellona),  v.intr^ 
barberare,  proprio  della  trottola. 


GLOSSAKIO 


441 


Pappana,  voce  di  cui  non  vedesi 
chiara  la  significazione,  perchè 
alterata. 

Papuxieddu,  agg.,  leggiero  e 
agile  di  molto,  accr.  Axpapunt, 
vapore  (?) 

Parzxxu,  i,  s.   m.,  palmo. 

Parrina,  i,  s.  f.,  tnadrina. 

Parrineddu  ,  dira,  di  parrinu, 
padrino. 

Parrinisoa  (à  o  a  la),  avv.,  alla 
pretesca,  alla  maniera  dei  preti. 

Parrinu,i,  s.  m .,  padrigao.||Pret€. 

Parruooianu,  i,  s.  m.  e  agg.,  av- 
ventore. Il  Bottegaio. 

Para,  a,  s.  m. ,  paio.  ||  A  para  e 
sparUf  a  pari  e  caffo.       ^ 

Passiddà,  voce  con  la  quale  si 
caccian  via  i  cani,  composta  da 
passa  cldà,  passa  là,  va  via. 

Peddi,  i,  8.  f.,  pelle. J}Fig,  corpo. 

Pi,  prep.,  per. 

Piooa»  avv.,  poco. 

Piooiriddu,  i,  s.  m.,  bambino, 
fanciiillino.j|Agg.,piccolino.||Fig., 
vale  il  latino  penta. 

Piooiuottu,  i,  s.  m . ,  ragazzo,  fan- 
ciullo, ecc. 

Piooiutteddu ,  agg.  (  ed  anche 
sost.),  dim.  di  piccìottu:  giova- 
netto, ragazzetto. 

Piditeddu ,  i ,  a ,  s.  m.,  dim.  di 
pìdicu,  peto. 

PigSliiaFiyv.tr.,  pigliare,prendere. 

Plssl3Liiila  (  Catania  >  ,  lo  stesso 
che  piatila. 

Piggiari  (Modica),  perpìgghiarìj 
V.  tr.,  pigliare,  prendere. 

Pisgiari  (Noto),  V.  tr.,  per pig- 
ghiari. 

Pignatedda,  i,  s.  f.,  dim.  di  pi- 
gnata:  pentolino. 

Piguana,  \.,  pappana. 

PigniK,  i,  a,  s.  m.,  pegno.  ||  Pino, 
noto  albero. 

Pilàriai,  v.  /ifl.,  strapparsi  i  ca- 
pelli per  disperazione  e  dolore. 

XHngula  (p.  SI),  se  non  è  corrotto 
da  apingulay  spillo,  non  so  che 
cosa  possa  significare. 

Piniiay  i,  s.  f.,  penna,  piuma. 

Pixitiixxu.  (-A.),  avv.,  a  basso,  in 
giù,  a  pendio. 

Pìntaluoru  (  Riesi^,  i  f  a»  s.m., 
per  puntalorUf  punteruolo. 

Pir,  prep.,  per. 

Piriddu,  i,  a»  8.  m.,  dim.  di  pini, 
piccola  pera. 

Pirripipixioiu  (p.  1  \ .'  ),  voce  sen- 
za significato  apparente. 


PirripizBiu  (  p.  iI5),  voce  senza 

significato  apparente. 
Pirtumx,  a,  s.  m.  buco,  foro. 
Pisiila,  i,  8.  f.,  una  d  8  o  16  palline 

di  creta,  o  terra  cotta,  colle  quali 

si  gioca,  (v.  a  ;p.  110). 
Pitansa,  i,  s.  f.  pietanza. 

PitFèddula(Chiaramonte),lo  stes- 
so che  piatila. 

Pitrudda,  i,  s.  f.,  dim.  di  petra: 
sassolino,  pietruzza. 

Pitrùddula  (Messina^,  lo  stesso 
che  pisula. 

Pitrusixiu,  s.  m.,  prezzemolo,  (a- 
pìum  petroaelìnum  L.) 

Pitturila ,  i ,  s.  f.,  quella  partQ 
della  camicia  dal  cinto  fino  al 
collo,  che  copre  il  petto,  dentro 
la  quale  sogliono  specialmente  i 
ragazzi  del  popolo  con.servareo 
raccogliere  frutta,  roba  od  altro, 

Pizzata,  i,  s.f.  lo  stesso  che  pig- 
Sinnongtilu. 

Pizziouxieddii    o    Piasiouxxed- 

drti,  i,  a,  s.  m.,  dim.  di  pizziciinU 
pizzicotto,  pulcesecca. 

PiCKixmòngixlu ,  i,  s.  m,  colpo 
dato  col  ferruzzo  della  trottola 
sopra  una  palla  qualunque. 

PÌ2S2U,  i,  s.  m.,  becco.  ItFerruzzo 
piantato  sulla  trottola. 

Pizasuddu,  s.  m.,  dim.  joe^^w.-  pez- 
zetto. 

PizzTxlrmi,  a,  s.  m.,  becca ta.||Piz- 
zicotto,  pulcesecca. 

PiKznnata,  i,  s.  f.,  lo  stesso  che 
piszin  nong  ulu. 

Posta,  i,  s.  ra.,  luogo  di  riposo  .o 
appoggio  (p.  142). 

Pozzu,  pres.  indie,  del  v.  putiri^ 
io  posso. 

Ppi,  di  alcune  parlate,  prep.,  per. 

Prattioeddu,  i,  a,  s.  m.,  dim.  di 
prattti  o  jDia«a.-piattino,tondino. 

Priari,  v.  tr.,  pregare. 

PriòtOa,  i,  s.  f.,  pergolato. 

Pù,  prù  (pag  tó»)  voci  alterate 
e  tronche,  delle  quali  non  cono- 
sco il  significato. 

Pùlioi,  s.  m.,  pulce. 

Puxnu,  a,  8.  m.,  naela. 

Puoi,  di  alcune  parlate,  avv.,  poi, 
dipoi. 

Pu«?itn,  agg.,  tarlato. 

Puddascredda  ,  i  ,  s.  f . ,  dim.  di 
puddaatra:  pollastrina. 


I   Quadiari,  v.  tr.,  riscaldare. 


442 


GLOSSARIO 


Quanta*  avv.,  quanto. J| Agg.  di 
tutti  i  generi  e  di  tutti  i  numeri, 

guanto,  quanta,  quanti,  quante, 
olo  qualche  parlata  ha  guanti 
al  plur.  m.  ef. 

Quartara,  i,  s.  f.,  brocca. 

Quarttiooiu,  i»  a,  3.  m. ,  misura 
di  capacità  ,  pari  a  litro  0,  75.  || 
Giuoco  nel  quale  si  mandano 
verso  le  lastre  de'  bottini  palle 
o  melarance.  ||  Altro  giuoco,  nel 
quale  si  salta  sulle  mani  di  due 
giocatori  seduti  per  terra. 

Quaaareddru  (Mazzara)  oQoa- 
oarecLdu,  i,  s.  m  ,  dim.  di  qua-' 
aarut  zoccolo  de'  ruminanti. 

Qnaaetta,  i,  a,  s-  f-,  calza,  calzetta. 

Qoattòclioi  (Milazzo),  agg.,  invece 
di  quartoddici,  o  quattordici  ^ 
quattordici. 

Qulxxnioi,  agg.,  quindici. 

Quìsina  ^C  andana),  o  GKxìalzia, 
i,  8.  f. ,  biacco ,  serpe  non  vele- 
lenosa. 

R 

R*  »a  (di  molte  parlate),  prep.  art. 

della. 
*Raiiu  (  e   più  al  plur.  'raixa),  s. 

m.,  grano,  monetina  del  volere  di 

cent.  2  di  lira. 
Ravosghia ,   i  ,  s.  f . ,  anello  di 

ferro  che  per  una  punta  si  pianta 

in  terra. 
Ri,  (di  molte  parlate),  prep.,  di. 
Rizmixiedda,  i,  s.  f-,  dim.  di  riti- 

ninat  rondinella. 
Riri  CHagusa),  invecedi  <^f'W,dire. 
*Rrubbarì,  vedi  arrubbari. 
Ruxnò,  s.  m.,  zimbello. 
Rntedda ,  i  »  s.  f.,  dim.  di  rota: 

rotella. 
Ruzx  ultuiedidu ,  i,  s.    m.,  dim. 

di  ruzzulunU  chefraccr.  di  roz- 

Zulu  ecc.  piccolo  sdrucciolo. 

8 

Saaaoiuvax&ni,  San  Giovanni  (Bat- 
tista). 

Sans^lareddn  (  Alcamo  ) ,  dim. 
di  aangularUf  s.  m.,  lo  stesso 
che  gangularuy  mascella. 

Salari,  V.  tr.,  sapere.  Pres.  8àe- 
0^0;  imp.,  sapeva ,  sapia\  pass. 
sappi;  rut.  sapirrò,  sapirò;  part. 
pass,  saputa;  ger.  sapennu. 

Sapnritu,  agg.»  belio,  avvenente. 
V.  tr.,  salvare. 


Satari,  v.  tr.  e  intr.,  saltare. 

SautanapizBiL ,  i,  s.  m.,  salta- 
martino. Comp.da  sauta  'n  pitzu 
salta  in  punta. 

Santari,  v.  intr.,  saltare. 

Sbatareddu,  ì,  s.  m.,  quasi  svol- 
tarello. 

Sbutari,  v.  tr.,  svoltare. 

Soaoari,  v.  int.,  cessar  di  girare, 
proprio  della  trottola. 

Soantàrisi ,  v.  intr.  riti.  ,  aver 
paura . 

Soappuooixii,  frati  Cappuccini. 

Soarrioari»  v.  tr.,  scaricare. 

Soavii,  i,  s.  m.,  schiavo,  servo. 

SoavuMzuy  i»  s.  m.,  dim.  di  scavu. 

SoKìoaru*  lo  stesso  che  spara. 

Sobinu,  s.  m.,  schiena. 

SobittiUiddu,  agg.dim.,  di  schiet- 
ta, scapolo-ii Detto  di  donna,  vaie 
ragazza. 

Soiaolri  (Cianciana),  v.,  spatri. 

Soiddioedora,  i,  s.  f.,  sdrucciolo. 

Soiddioata»  i,  s.  t,  sdrucciolata, 
sdrucciolo. 

Soìnxxiri,  V.  tr.  scendere. 

Sooooa,  oobi,  s.  f,  nodo.  ||  Ciocca 
di  frutte,  fiori,  toglie,  ecc. 

Sorivana  (Licata),  v.  tarcuUella. 

Soupitta,  iy  s.  f.,  spazzolino. 

SounxxTi,  i,  s.  m.,  scombro  {scom- 
ber  L.) 

SounNnala,  motto  di  giuoco.  Ve- 
di a  p.  22. 

Sourunarly  v.  tr.,  rompere  la  co- 
rona, il  circolo,  l'ordine  de'  gio- 
catori, ed  anche  dar  comincia- 
mento  al  giuoco. 

Soutulata  i,  s.  f.,  scossa ,  scrol- 
lata, il  Spolverata. 

SdirrubbariyV.  tr.,  diroccare,  di- 
rupare» abbattere,  demolire. 

Sòssies  K^'tr  sedia. 

noMglrtj  1  (  Girgenti  ),  pietra  per 
Mdervisi.  Il  (  Messina  y,  la  parte 
posteriore  ael  corpo,  sulla  quale 
si  siede:  il  sedere^ 

SUkoiri  (Oitania),  v.  spàiri. 

Sfinoiamaddci ,  i  ,  a,  s.  m.,  dim. 
di  ^noiuni,  che  è  una  focaccia 
di  pasta  con  sopravi  olio,  e  che 
si  vende  da  1  aa  8  cent,  in  Pa- 
lermo. 

Sfirxiariai.  v.  tr.,  rifl.,  svoltarsi, 
rigirare,  contorcersi. 

Si%  sei,  del  verbo  essiri. 

Siddu»  oong.,  se. 

Sisnirusau,  dim.  di  Signori,  s. 
m.,  il  Signore  Iddio. 

Siffzxuri,  s.  m.,  iddio. 


GLOSSARIO 


443 


Sùxkulidda,  s.  f.,  dim.  di  simula: 

semolino. 
Sinxiu,  i  (Noto),  s.  m.,  segno. 
Sonnu,  s.  m.,  sonno.  |)  Sogno. 
Spaoirl,  V.  spatri» 
SpÀiri  o  SpaJJH ,   v.  tr. ,  con- 
tarsi. Pres.  apaisoiu  ;  irop.  spa- 
ija  'j  pass,  apaijoi  ;  part.  pass. 
spaijutu. 
Spasnàri«d  »  v.  intr.,  rifl.,  avere, 

prendersi  paura. 
Spanghittedclu  i»  a,  s.  m.,  dim. 

di  spangu,  piccola  spanna. 
Spari  (Termini),  v.  spatri. 
Sparo,  agg.,  dispari.  ||  A  para  e 

spartij  a  pari  e  caffo. 
Spiooliiti ,    preceduto   dall'  agg. 
beddu,  fig.  vale  uomo  cattivo  o 
da  nulla. 
Spinolriai  »  v.    tr.   rifl. ,  alzarsi, 

sollevarsi,  levarsi  su. 
Splngmla,  i,  s.  f.,  spillo. 
Spinnariy  v.  tr.,  spennare. 
Spriveri*  a»  s.  m.,  sparviero. 
Spuntonata»  i*  s.  f,  lo  stesso  che 

pizsinnongulU' 
Seo,  agg.,  per  chissà ^  codesto. 
Stanno  (da  «taxijl,  .3*  pers.  plur. 
d<»l  pres.  indie:  stanno.  ||  Gerun- 
dio, stando. 
Stano   (  Ragusa  )  ,   per  stannu, 

stanno. 
Stari,  V.  intr.,-  stare.  Pres,  sùe^Ut. 
ìmp.  stoma;  pass,  stetti  o  etesii 
part.pa88.,  «to^u/ger.pres.,  stan- 
nUf  stando. 
St&xmirty  V.  tr.  ,  tendere.,  detto 
specialmente   della   biancheria 
messa  ad  asciugare. 
Stropplàriei ,  v.  rifl.,  farsi  male. 
Sto,  agg.,  questo. 
Staooari,  v.  tr.,  stroncare  ,  spez- 
zare. 
Su*t  persannu  o  sunu.  sono,  terza 
pers.  pliir.  pres.  ind.,  del  v.  essere. 
So,  (sec.  XVl,  pag.  192)  per  ssu, 

agg.,  codesto, 
Soddo  ,    di   alcune  parlate  ,  per 

siddUy  part  condiz.,  se* 
Sogno,  pres.  indie,  delv.  essiri, 

io  sono. 
Soppa,  i,  s.  f.,  zuppa.  Il  jF*ari««p- 
pa  (Chiara  monte^,  detto  di  trot- 
tola che  giri,  vaj^  saltellare. 
Sorella,  i,  s.  f.,  sorella. 
Sotta,  avv.,  sotto.  ||/{W  sutta^&n'^ 
dar  sotto,  e  dicesi  di  chi,  facen-  ' 
dosi  al  conto  ,  è  condannato  a 
rimanere  nel  mezzo»  a  far  da  pa- 
ziente» ecc. 


Taddarita,  i,  s.  f.,  nottola  (oesper^ 

tilio  di  L.) 
Tà&ra,  i,  s.  f.,  piattello  della  bir- 

lancia. 
Tafaroni,  accr.  di  tafana. 
Tantiooliia,  avv.,  un  pochino,  un 

pocolino. 
a?arantella,  s.,  f.,  e  forse  n  jjg.  detto 
di  trottola    che  nel   girarsi  sal- 
tella o  barbera. 
7arì,  s.  m.,  antica  moneta  Sicilia- 
na  ,   equivalente  a  4^  ctìntesinii^ 
di  lira. 
a?a8tari,  v.  tr.,  assaggiare. 
^Tata,  s.  m.,  padre. 
Tà.vola,  i,  s.  f.,  tavola. 
QHano,  i,  s.  ra.,  tegame. 
Tilannaro,  i,  s.  m.,  telai uolo,  ri- 

vendugliolo  di  tela. 
Tiznpolata,  i,  s.  f.,  guanciata. 
Tirdinari,  a,  s.  m.,  antica  mo- 
neta in  uso  in  Sicilia,  del  valore 
di  cent.  1  di  lira,  circa. 
a?irnitati,  s.  f,  Trinità. 
Tò,  agg.,  e  pron.,  tuo. 
Tomo,  i,  s.  m.,  circolo. 
a?otò,  s.  m..  Salvatore. 
a?ràairi,  v.  intr.,  entrare. 
Tri,  agg.,  tre. 
TriooliitrÀ  o  TrtooUtteaootbii»  «. 

m.,  saltarello. 
Trinca,  nel  senso  di  'p.  1 70,  pro^ 
babilmente  non  ha  signiócato. 
E  così  trincai. 
Tvlnoliisi  (  PolizEk  >  ,  voce  senza 

significato  ap|>arente. 
Trippa,  s.  f.,  viso   butterato  dat 

vainolo. 
Tvippiajri,  v.  intrr,  ruzzare ,  prcH 

prio  de'  fanciulli. 
Triifw,  i,  s.  f.,  treccia,  ^r-dijhtiky. 

filza  o  resta  di  flehi. 
Tronsari,  v.  tr.,  truociareyurtftiw. 
TrozBia,  i,  s.  m.,  urto. 
Toooari,  v.  tr.,  toccare.  ||Fiive^I' 

tocco,  (V.  p.  21). 
Tofano,  s.  m..  Teofanie.' 
Toxna  o  Toxnma ,  8.>  f.  ,  cactO/, 

fresco  non  salato,  ravtg>giolo.. 
Tonninasoa,  s.  f.>  acc.,di  tuflr,., 

nina,  tonno. 
Toppo,  i,  8.  m.,  cioffo,  crocchi^ 

toupet  de'  frano. 
Toriddo,  s.  m..  Salvatore. 
Tomeddo,  i,  s    m.,  dim.  di  tor* 
nuy  piccolo  circolo. 


444 


GLOSSARIO 


*U»  per  aferesi  di  lu.  Io,  il. 
TJooa,  per  aferesi  di  Ducoa,  s.  f., 

bocca. 
TJnoa,  uvv.,  dunque. 
XJnixi*  avv.,  dove. 
XJòriu,  s.  m.,  orzo. 
XJrdiri,  V.  tr.,  ordire. 
'IJtti,  i,  s.  f.,  botte. 


Vacanti»  (•N;,  avv.,  a  vuoto. 

Vaiati sBa,  U  s.  f.,  bilancia. 

Vampuliari,  v.  tr. ,  avvampare, 
bruciare. 

VanolxitcìdcLu,  i,  a,  g.  m.,  dim.  di 
.  canea:  panchettino.  ||  Predeilina . 

Vanxii,  8.  m.f  Giovanni. 

Varcxwu,  a»  s.  m.,  albicocca. 

Varda-peouri  (  Avola),  guarda- 
pecore,  detto  di  trottola,  v.  Ta- 
rantella. 

Varva,  1,  s.  f.,  barba. 

Varvarutteddu ,  s.  m.  ,  dim.  di 
naroarottUf  mento. 

Vaaari,  V.  tr.,  baciare. 

i,  8.  m.,  vascello. 
•  contr.  da  noèèia ,  che  lo 
è  di  voaaignuria,  vostra  signo- 
ria; vale  Ella. 

Vaatedda»  1,  s.  f.,  focaccia. 

Vattìnni,  imperativo  del  v.  Jiri: 
vattene,  va  via. 

Vavaluoeddu ,  i  (  Cianciana  )  lo 
stesso  che  baòbuluoiUf  chioccio- 
la (Heliof  L.) 

Vaoolxiu,  agg.,  vecchio. 

"Vkoixi  o  Vizxiri,  v.  intr.,  venire. 
Pres.  oegnu;  imp.  oiniaf  oi/teoo; 
pass,  vinni:  part.  pass,  vittutu. 

'V^ams  i,  8.  f.,  guerra. 

VioolxiaaBau»!»  accr.  di  veoohiu: 
vecch  laccio. 

Viooiareddu,  i,  s.  e  agg.,  dim.  di 
veooiUf  (Ragusa),  vecchierello. 

Vioiarrèy  s.  m.,  viceré. 

Vlanarn,  1,  s.  f.»  bisaccia. 

Viteddu,  8.  m.,  dim.  di  Vita, Vito. 

Vivirl,  V.  tr.,  bere. 

Voi,  8.  m.,  bue. 

Vói»  contr.,  da  oitoi,  pres.  indie, 
del  V.  outiri:  vuoi. 

contr.  da  vostra  'ooil- 


lenza,  e  per  alto  rispetto,  si  usa 

invece  del  Leu 
Vrooouli,  si  usa  quasi  sempre  in 

plur.,  s.  m.,  broccoli. 
Vrusoa,  v.  Brusca» 
Vn*,  pron.,  voi. 

VoAntri,  o  Vuatriypron.,  voialtri. 
Vnoariy  v.  tr.,  vogare. 
Vuoouxxettu  (di  dama)  i»  s.  m.^' 

dolciume  di  mandorle,  zucchero 

e  torli  d'uovo. 
Vì:i|ara,  a;  s.  m.,  boaro,  boattiere. 
Vuliifi,  V.  tr. ,  volere.  Pres.  j>og~ 

ghia;  imp.,  vulia,  ouleca;  pass. 

vosi;  part.  pass,  valuta;  ger.  i>u- 

lenna. 
Vurvloari,  v.  tr.,  sotterrare,  Bep- 

pel  lire. 
Voaoa,  v.  Brusca. 
Vatari,  v.  tr.,  voltare,  girare. 


Za»  8.  f.,  zia:  ma  quasi  sempre  ò 
titolo  che  81  dà  a  donna  del  basso 
volgo:  Za  Peppa^Za  Vanna  ecc- 

2Sa»  cont,  da  zia.  Vedi  za. 

Za«aredda»  i  »  s.  f. ,  nastro ,  fet- 
tuccia. 

gtàTTìTnara,  i»  s.  f.,  sasso. 

Ziooliittari»  v.  tr.,  dar  buffetti. 

Zioolxittata,  i,  s.  f..  buffetto. 

Zlpara»  lo  stesso  che  spara. 

Zltedda,  i»  s.  f.,  ragazza.UOetto  di 
trottola,  vale  agile,  svelta  come 
ragazza. 

ZitiddujBHb  »  i  »  s.  f. ,  ragazza.  || 
Sposa. 

2:itu,  i»  s.  m.,  sposo,  fidanzato. 

SEix,  contratto  da  siut  Zio;  ma  è 
anche  titolo  che  si  premette  ai 
nomi  m.  di  persone  del  popolo. 

Zncoaro»  s.  m.,  zucchero. || Certo 
dolce  fatto  con  zucchero  e  non 
so  che  altra  materia  vischiosa, 
per  la  quale  pifflia  la  forma  fila- 
mentosa ,  e  mdurendo  si  rompe 
a  biscottini. 

ZosaUnix  (p.  24S  Avola  ,)  forse 
violino. 

Zusaù.»  voce  onomatopeica  del 
suono  del  violino. 


Xiuri  (  Cianciana  ) ,  per  duri,  g. 
m.i  fiore. 


AGGIUNTA 


La  stampa  di  questo  volume  era  molto  innanzi  quando  l'e- 
gregio prof.  A.  Gianandrea  mi  dava  notizia  di  un  libro,  poco 
o  punto  conosciuto  in  Italia,  Le  Usanze  e  i  Pregiudizi  del 
popolo  fabrianese  per  la  prima  volta  esposti  e  dichiarati 
da  Oreste  Marcoaldi;  Fabriano  Tipografia  G.  Crocetti  1875 
(in-8,  pp.  240);  e  con  isquisita  gentilezza  me  ne  procurava 
e  favoriva  un  esemplare. 

Un  cap.  di  questo  libro  comprende  100  «  Giuochi  de*  fan- 
ciulli, degli  adolescenti  e  adulti  del  popolo  fabrianese  »  ed 
io  son  lieto  di  notare,  a  comodo. degli  studiosi,  i  riscontri 
che  vi  trovo  coi  nostri.  Dei  numeri,  il  primo  richiama  alla 
presente  mia  Raccolta,  il  secondo  a  quella  del  M. 

N.  1=30,  Cavallo;  13=10,  Battimano;  21=21  Cavalliere  e 
soprammiere;  23  =  55,  Pugliole  o  Spille;  27  =  59,  Paro  e 
caffo;  33  =  5,  Arme  e  lettere  o  Santo  e  arme  e  23,  Cara- 
che;  34=21,  Cappelletto-,  40=4,  Anello  anello;  42  =  70, 
Sassetto;  47  =  39  Ditello,  e  73,  Scalino;  47  =  1 1 ,  Battimuro; 
49  =  17,  Brucia  e  non  brucia;  52  =  42,  Fossetta  ;  54  =  15, 
Breccetta;  57;=  63,  Pizzutello;  59  =  66,  i2otoZo»e/ 62=48, 
Mandola;  65  =  25,  Caselle  o  Castelli  o  Capanelle,  e  65, 
Rizzo:  66  =  20,  Caporale;  68=22,  Capretta;  71=13,  Bocce, 
e  33,  Ciampre;  72  =  95,  Formaggio;  75  =  88,  Toto;  76  =  19, 
Campana;  82  =  56,  Pallai  86  =  44  Giramuscola  e  Muscola; 
87  =  34,  Cibicù;  91  =  53,  JNascondaglie  ;  13  =  36 ,  Compar 
^o'  tocco;  \00=^Mattaceca;  129=61,  Piede  piedello;\3^=^, 
Tessara  e  tela;  143=  67,  Ruffa  raffa;  144=84,  Toccaferro; 

O.  PiTRB.  —  Giuochi  fanciulleschi  29 


446  AGGIUNTA 

148  =  41, Forbici;  159^=3  e  32,  UaneUo  e  Ciabatta;  180=40^ 
Fiocca  e  falso,  e  45,  Lepre  e  cacciatore;  192  =  71,  Sbirri  e 
ladri;  208  =  18,  Calzolaio  o  Ciabattino;  209  =  35,  Civetta;^ 
215  =  37,  Cucuzzaro;  351-62,  Pizzico  e  non  rido;  239  =  72,, 
Scaldamano;  241  =  24,  Casella;  243  =  74,  Scaricabarili  in 
due;  244  =  2  e  6  Canofiina  e  Balensa;  254  =14,  Bolle  di 
sapone  o  Impolle;  256  =  16,  Breccia;  274  =64,  Ranocchia; 
275  =  9,  Baraccola  o  Ventola;  278  =  78,  Sega;  282  =  68, 
Ruzzola;  284  =  8,  Bandierola;  286  =  26,  Castagnola  o  Bi- 
rarella;  293  =  76,  Schioppetto;  296  =  43,  Freccia;  297  =  51 ,. 
Mazzafronnola. 


FINE, 


INDICE 


DEL  PRESENTÌ!  VOLUME 


Dedicatoria pag.  V 

Avvertenza »  VII 

Dei  Giuochi  fanciulleschi    . »  XYII 

Bibliografia  dei  Giuochi  fanciulleschi  in  Italia.   »  1 
Paesi  nei  quali  sono  stati  raccolti  i  Giuochi.    »  17 
Regole  e  avvertenze  generali  sui  Giuochi .  »  19 
Canzonette  e  filastrocche  dei  fanciulli  per  con- 
tarsi   »  26 

GIUOCHI 

1.  Varvarutteddu »  45 

2.  Manu  modda »  46 

3.  Manu  manuzzi »  48 

4.  Voca,  voca,  voca »  49 

5.  Manu  manuzzi »  50 

6.  Grànciu,  grànciu,  grànciu.    ....  »  51 

7.  Mmè,  mmè,  mmè ì»  ivi 

8.  Chistu  havi  fami »  55 

9.  Chista  è  la  funtauella »  56 

10.  Manu  manuzzi  ole! »  57 

11.  Rota  rutedda »  58 


448  INDICE 

12.  Lu  cavaddu pag.  61 

13.  A  scarfa-manu »  ivi 

14.  A  Tuppi  tuppi . »  62 

15.  A  Cavuliceddi  cotti. »  67 

16.  A  lu  Lattàru »  68 

17.  A  la  Pappa-cucinedda »  60 

18.  A  li  Cummari »  70 

19.  A  Quali  chiuj  di  chisti? »  71 

20.  A  Vivu  o  mortu  ? »  ivi 

21.  A  Sivaleri »  72 

22.  A  Tavula  vecchia »  76 

23.  AirUschidda »  7» 

24.  A  Simulidda »  80 

25.  A  Quinnici  quinnici  vogghiu  fari    .    .  »  82 

26.  A  Passa-tridici  cu  li  manu    .    ,    .    .  »  84 

27.  A  Paru  e  spam »  85 

28.  A  'Mmucciari •     .     .  »  86 

29.  A  la  Strummulidda »  87 

30.  A  lu  Firrialoru »  88 

31.  A  la  Nanna  pigghia-cincu  {con  tavola)  »  89 

32.  A  la  Badduzza »  91 

33.  Ad  Acula  e  cruci »  92 

34.  A  'Rriminari »  94 

35.  A  Lisciu  o.rucciulusu.?.  ......  »  95 

36.  A  Puntari »  ivi 

37.  A  'Ggibbari »  ivi 

38.  A  Tagghiari »  96 

39.  A  lu  Lazzu »  ivi 

40.  A  TAneddu »  97 

41.  A  la  Pitrudda »  98 


'  INDIOB  449 

42.  A  Sbutareddu pag.    98 

43.  A  Ciusciuni »      99 

44.  A  li  Cannuzzi >>  ivi 

45.  A  Lasagnedda »  100 

46.  A  Truzzareddu >y  ivi 

47.  A  lu  Spangu »  101 

48.  A  la  Boccia,  a  cu*  va  cchiù  luntanu  .  »  102 

49.  A  la  Singa y»  ivi 

50.  A  Zicchittari »  108 

51.  A  la  Fussetta «.    .  »  104 

52.  A  la  Badda  . »  106 

53.  A  la  Gaddetta »  ivi 

54.  A  li  Pisuli »  110 

55.  A  Spumposta »  112 

56.  A  Cincu »  116 

57.  A  lu  Truzzu «118 

58.  A  Ruè. »  119 

59.  A  la  Sciddicalora »  121 

60.  Ad  Annasari »  122 

61.  A  'Nzirtari  la  nuci »  ivi 

62.  A  Bancu  apertu »  123 

63.  A  un  ossu  piggMa  deci y>  ivi 

64.  A  Murari .  n  ivi  ^ 

65.  A  Tirari  a  lu  munzeddu »  128 

66.  A  li  Castedda »  129 

67.  A  lu  Granu  supra  la  nuci »  ivi 

68.  A  lu  Canneddu »  131 

69.  A  lu  Gaddu  e  la  gaddina »  132 

70.  A  hi  Tornu »  13» 

71.  A  li  Ciampeddi,  o  A  li  Bocci.    ...  »  134 


450  INDICE 

72.  A  lu  Cascavaddu pag.  135 

73.  A  li  Brigghia ^y  ivi 

74.  A  la  Morti  o  A  Quartucciu    ....  »  137 

75.  A  li  Caseddi. »  138 

76.  A  Nnicchia  o  pàlasu  {con  tavola) .    .  »  141 

77.  A  Sciancatedda »  144 

78.  A  li  Bruschi »  146 

79.  A  li  Zoppi »  148 

80.  A  Zu  Annia »  149 

81.  A  li  Baddi »  150 

82.  A  lu  Balluni. »  ivi 

83.  A  Manciugghia »  151 

84.  A  lu  Lignu  santu »  156 

85.  A  Bocci  e  ravogghia  {con  tavola)  .    .  »  ivi 

S6,  A  la  Strummula    . »  158 

87.  A  Cancara  e  bella »  169 

SS,  A  Gadduzzu »  175 

89.  A  Tuma  e  ricotta »  ivi 

90.  A  lu  Frischiettu    ........  »  176 

91.  A  Ruè »  177 

92.  Ad  Accetta  ca  nun  cc'è  nuddu  !..  »  180 

93.  A  Caca-linusa  . »  182 

94.  A  Pumu  russu »  184 

95.  A  lu  Mutu »  186 

96.  Ad  Àttuppa-occhi. »  187 

97.  A  TAcitu.     . »  188 

98.  A  lu  Lupu  piccicuneddu »  189 

99.  A  Cani  canuorvu y»  ivi 

100.  AirOryu-cimineddu »  191 

101.  A  lu  Citrolu »  194 


« 


INDICE  451 

102.  A  'Ntuppatieddu pag.  195 

103.  A  Muntagna-marina »  ivi 

104.  AirOcchi  di  cucca »  196 

105.  A  li  surci »  197 

106.  A  li  Lavannari ì>  ivi 

107.  A  Cumpagnu,  guardati  sta  bottai  .    .  »  198 

108.  A  lu  Bimazzuni »  199 

109.  A  Tàfara  e  tafaruni .......  »  200 

110.  A  Cumpagnu,  su'  firutu! »  ivi 

111.  A  Tirrichi  tirrichi »  201 

112.  A  Sdirrubba-jnuntagni »  203 

113.  A  Sciimi,  scìnniy  rinnineddal.    ...  »  205 

114.  A  Scinni  e  gravacca >►  209 

115.  A  Satari »  210 

116.  A  Setammuru  . »  211 

117.  A  Tintirinti y^  ivi 

118.  A  Scarrica-canali  {con  tavola)  ...  »  212 

119.  A  S.  Giuseppi »  215 

120.  A  la  Vara  di  S.  Calòiru »  ivi 

121.  A  Quartucciu  [con  tavola) »  218 

122.  A  Stivala  cuzza  e  calati  la  crozza.    .  »  219 

123.  A  Deci »  220 

124.  A  Primera »  226 

125.  A  eàudda •  »  228 

126.  A  Scavu  su'  mastru  I »  229 

127.  A  Unnici  e  vinti »  230 

128.  A  Travu  longu. »  231 

129.  A  Milla  pappana »  232 

130.  A  Peppi  e  'Ntoni  Viviranza  ....  »  236 

131.  Ah  I  ca  passa  lu  diavulu  {con  tavola)  .  »  240 


462  INDICE 

132.  A  Tila,  tila,  tila  {con  tavola)    .    .    .  pag.  341 

133.  A  lu  zu  Picuraru »  345 

134.  A  Mànnira  e  lupu »  249 

135.  A  Sìgnura  Doim'Anna  Maria.    ...  »  250 

136.  A  Santa  Catarina  (con  tavola) ...  »  254 

137.  A  Santa  Catarina  di  Sena »  258^ 

138.  A  la  Matrl  Batissa   . »  %9 

130.  A  li  Calura. »  261 

140.  A  Vola  vola  lu  mortu  {con  tavola).  .  »  263 

141.  A  Morsi  Sanzuni »  265 

142.  A  lu  Sguiccivecciu   ....*...  »  267 

143.  A  Ciuciuleu »  ivi 

144.  A  Toccamuru »  263 

145.  A  Gaddru »  270 

146.  A  li  Quattru  Cantuneri »  272 

147.  A  Ognunu  si  guarda  la  so  peddi   .    .  »  273 

148.  A  Frustustù »  ivi 

149.  A  Sgrezza-murtaru         »  274 

150.  A  tia  vogghiu,  a  tia  nun  vogghiu  .    .  »  ivi 

151.  A  TApuni »  2» 

152.  A  Cercati  canzu »  276 

153.  A  Vacci  tu »  ivi 

154.  A  Rumò  {con  tavola) »  278 

155.  A  la  Cristaredda  . »  281 

156.  A  Guarda  lu  lumi  ! .  n  ivi 

157.  A  Pedi  zoppu  .     : .  »  282 

158.  A  la  Scarpazza »  283 

159.  A  la  Tappina y*  ivi 

•160.  A  lu  Cardiddu »  284 

161.  A  Cotta  cotta  la  vavalucedda    ...  »  285 


XNDI^  458 

1^.  A  la  Gatta  e  lu  sutqì pag.  285 

163.  A  Figghi^u  'a  jiatta »    286 

164.  Ad  Anghi  di  purceddri »    287 

165.  Ad  Allelluja »    288 

166.  Ad  Ajutami  tu  I »     <t?i 

167.  A  lu  Lupu .  »    289 

168.  A  Varda-mugghieri »    290 

169.  A  Signa  malipatuta »    291 

170.  A  Martuzza,  chi  pista  ? »    292 

171.  Ad  Amenta  e  pitrusjnu »    293 

172.  A  Nia,  nia,  nia »     ivi 

173.  A  li  Cunigghia »    294 

174.  A  lu  Raloggiu »     ivi 

175.  A  lu  Tempiu .  »    295 

176.  A  S.  Micheli »    296 

177.  A  lu  Cudduruni •     •     •  »     ivi 

178.  A  Lupu,  lupu,  chi  ura  è  ? »     297 

179.  A  lu  Cani  e  lu  Lupu »    298 

180.  A  li  Puddicini »    299 

181.  A  li  Corvi »    300 

182.  A  Ciciruni • »    301 

183.  A  li  Ficu •     .     .     .  »    302 

184.  A  lu  Lupu  minàru    .......  »    304 

185.  A  la  Zafarana »    305 

186.  Ad  Arrassu  arra^su  di  la  luna  ...  »     ivi 

187.  AirOssu »    306 

188.  Ad  Ammucciativi  li  testi »     ivi 

189.  A  Pani  càudu ^      »    308 

190.  A  Tiri »     ivi 

191.  A  li  Malati »    809 


454  INDICB 

192.  A  Latri  e  Sbirri pag.  312 

193.  A  li  Latri  e  lu  Judici »  313 

194.  A  li.  Latri »  314 

195.  A  li  Briganti »  315 

196.  A  lu  Judici .  »  316 

197.  A  lu  Judici  e  lu  Latru »  317 

198.  A  lu  Casteddu »  318 

199.  A  li  Palazzi »  320 

200.  A  la  Pitruliata.     .    .    '. »  321 

201.  A  la  Verrà »  322 

202.  A  lu  'Mmasciaturi »  324 

203.  A  li  Paladini  [con  tavola) »  325 

204.  A  li  Varrili • »  327 

205.  A  lu  Meccu »  328 

206.  A  rovu n  ivi 

207.  A  lu  Marinaru. »  329 

208.  A  lu  Scarparu »  330 

209.  A  FApuni »  331 

210.  A  lu  Vujaru »  332 

211.  A  rOciddaru »  333 

212.  A  lu  Pignateddu n  ivi 

213.  A  lu  Mulunaru »  334 

214.  A  li  Cavaddi n  ivi 

215.  A  lu  Cucuzzaru. »  335 

216.  A  Culu  'n  terra »  336 

217.  A  chi  servi  la  canna? n  ivi 

218.  A  rUrfanedda,  o  A  lu  Pìrchi    ...  »  337 

219.  A  la  Pignata »  338 

220.  A  li  Patri »  339 

221.  A  Fabbricari  la  chiesa »  340 


INDICE  455 

222.  A  li  Nnomi pag.  341 

223.  A  Vinni  'na  navi  càrrica  di  ...    .  »  ivi 

224.  A  lu  Spropositu »  342 

225.  A  Vola  vola  Taceddu »  ivi 

226.  A  TAcidduzzu  vulau  vulau     ....  »  343 

227.  A  lu  Viddaneddu  chi  chiarita  la  fava.  »  345 

228.  A  Ferru  a  focu  e  ferru  a  Tacqua  .    .  »  348 

229.  A  Passàri  lu  rumè »  349 

239.  A  lu  Santu  Papa  .....*..  »  ivi 

231.  A  lu  Firraru »  351 

232.  A  lu  Tavuleri »  ivi 

233.  A  lu  Tilannaru »  352 

DIVERTIMENTI,  PASSATEMPI,  ESERCIZI 

234.  A  Cu'  ridi  prima »  355 

235.  A  Ciusciàrisi  'mmucca »  ioi 

236.  A  Vùncia »  ivi 

237.  A  Fari  lu  scupittuni »  356 

238.  A  lu  Jocu  di  focu »  357 

239.  A  Manacciati »  ivi 

240.  A  la  Buffa ,     .     .  »  358 

241.  A  Cavu-cavuseddu »  ivi 

242.  A  la  Varca »  360 

243.  A  la  Bozza »  ivi 

244.  A  Vocanzita. »  361 

245.  A  Pedi  all'aria  e  A  la  cazzicatùmmula.  »  363 

246.  A  Sfirriàrisi »  364 

247.  A  Scorna-voi »  ivi 

248.  A  lu  Carritteddu »  ivi 


456  moim 

249.  A  Natari pag.  86& 

250.  A  Sciddicalora »  367 

251.  A  Curriri  supra  la  Qiaca  .....  »  368 

252.  A  li  Cursi »  it?i 

253.  A  li  Cavaddi »  369 

234.  A  Fari  li  ballunedda »  wi 

255.  A  Fari  lu  bottu »  370 

256.  A  Cui  uni  mancia  cchiù  assai   ...  »  371 

257.  A  li  Giraci y>  itH 

^8.  A  la  Gòrgia »  372 

259.  A  li  Gallittini »  iW 

260.  A  li  Pitanzi .  »  378 

261.  A  li  Paparini »  ivi 

262.  A  Fari  lu  Casteddu »  374 

263.  A  la  Muntagnola »  375 

264.  A  lu  Carru  di  puma »  376 

265.  A  Fari  la  gebbia n  ivi 

266.  A  Circari  chiova »  377 

267.  A  lu  Roggiu  a  suli »  378 

268.  A  li  Mazzoli >y  ivi 

269.  A  lu  Coppu »  379 

270.  A  Fari  lu  specchiu vt  ivi 

271.  A  Fari  li  stiddi »  ^t?t 

272.  A  li  stiddi  di  menzijornu »  380 

273.  A  Ura  di  mètiri  è  ! »  ivi 

GiOCATTOU  E  BALOCCHI 

274.  Lu  Sautampizzu  {con  tavola).     ...  »  383 

275.  La  Stidda  [con  tavola) »  384 


276.  La  Virdunera  {con  tavola)     ....  pag.  387 

277.  La  Serra »  388 

278.  La  Marredda  {con  tavola) »  ivi 

279.  Biancu  e  russu  {con  tavola)  .     .     .    .-  »  389 

280.  La  Badda  alFaria »  390 

281.  Lu  Riccicu »  391 

^2.  Lu  Ruzzulu :     ....  n  ivi 

283.  Lu  Mulinu    , »  392 

284.  Lu  Firrialoru  {con  tavola)    ....  »  393 

285.  La  Strummulicchia »  394 

286.  Lu  Tornu »  ivi 

287.  L'Aneddu »  395 

288.  Lu  Roggiu  {con  tavola)     .....  »  396 

289.  Lu  Firrianciònciulu  (con  tavola)    .    .  »  ivi 

290.  L'Animulicchiu »  397 

291.  La  Trumma  e  càccami »  ivi 

292.  Lu  Sgriccialoru »  399 

293.  Lu  Scupittuni  {con  ta/cola)    ....  »  ivi 

294.  La  Scupetta  {con  tavola) »  401 

295.  L'Ammazzamuschi  {con  tavola) ...  »  402 

296.  La  Fileccia »  403 

297.  La  Ciunna »  404 

298.  Lu  Mariolu »  405 

299.  Lu  Friscalettu »  408 

300.  Lu  Titiriti  {con  tavola) »  409 

301.  La  Cciàmpula »  410 

302.  Lu  Chiamu »  411 

303.  Lu  Tutùi ^>  ivi 

304.  La  Sampugna »  ivi 

305.  La  Ciaramedda.    . »  413 


458  INDICE 

306.  La  Trumma pag.  413 

307.  Lu  Tuturutù ^  ivi 

308.  Lu  Fràutu »  414 

309.  Lu  Sirpenti y>  ivi 

310.  Lu  Lapuni »  415 

311.  Lu  Cirriu  {con  tavola) »  ivi 

312.  La  Tròccula  (con  tavola) »  417 

313.  Li  Scattagnetti »  418 

314.  La  Cicala  {con  tavola) »  419 

315.  La  Badduzza  di  yentu n  420 

316.  Jochi  di  carta  (con  tavola)  .    *    .    .  »  421 

Giuochi  fanciulleschi  siciliani*  nel  sec.  xvin.  »  423 

Modi  di  dire  proverbiali  derivati  dai  giuochi.  »  431 

Glossario »  433 

Aggiunta »  445 


TAVOLE 


giuochi 

A  la  Nanna  pigghia-cincu »  89 

A  Nnicchia  ò  pàlasu »  141 

A  Bocci  e  ravogghia »  155 

A  Scarrica-canali »  212 

A  Quartucciu »  218 

Ah  !  ca  passa  lu  diavulu  ! >»  240 

A  Tila,  fila,  tila »  241 

A  Signura  Donn'Anna  Maria »  250 

A  Vola  vola  lu  mortu »  263 


TAVOLE  450 

A  Rumè pag.  278    > 

A  lì  Paladini »  325 

GIOCATTOLI  E  BALOCCHI 

Tavola  I. 

1 .  Lu  Firrianciònciulu,  da  riferirsi  a  p.  »  396 

2.  L'Ammazzamuschi »  402 

3.  La  Marredda »  388 

4.  La  Cicala »  419 

5.  Lu  Firrialoru »  393 

Tavola  IL 

6.  Biancu  e  russu »  380 

7.  La  Stidda »  384 

8.  La  Scupetta »  401 

9.  La  Virdunera »  387 

10.  Lu  Scupittuni »  399 

Tavola  III. 

11.  Lu  Roggiu »  396 

12.  Lu  Sautampizzu »  383 

13.  Lu  Cirrlu »  415 

14.  La  Tròccula »  417 

15.  Lu  Titiriti »  409 

Tavola  IV. 

16.  Lu  Cavadduzzu »  421 

17.  La  Varcuzza >^  ivi 

18.  La  Fileccia »  ivi 

19.  Lu  Balluni .  »  ivi 

20.  Li  Vèrtuli ^^  ivi 


COMINCIATO  A  STAMPARE 

IL  Dì   XXV  FEBBRAIO 

FINITO  IL  XV  LUGLIO  MDCCCLXXXIII. 


CORREZIONI 


Pag.  5,  l  n.  21  leggi:  MDCCCXXIX;  —  p.  45,  l.  2?,  ccè;  -  p.  64, 1.  14, 
20,  21  sta;  -  p.  112,  1.  U  piaali;  -  p.  139,  1.  19  i  paesi  nei  quali;  -  p.ll68, 
I.  23,  nel  VII  canto,  v.  378:  -  p.  176,  1.  \h,  zappa;— p.  208  ,  1.  21  Mazzar- 
runi;^p.  209,  1.  Il,  sciccazzu;—  p.  224,  1.  30  T'àmu  a  .'mpenniri  stasira; 
—  p.  282,  1.  19,  tutti;  -  p.  318,  1.  1  dimesso  e. 

La  dove  è  stampato  Biceglie  leggasi  sempre  Bisceglie. 


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