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Full text of "Bollettino della Società di studi valdesi"

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PER  BX4878   .B64  no. 127-130 

Bollettino  della  SocietoL  di 
studi  valdesi. 


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in  2014 


https://archive.org/details/bollettinodellas1301soci 


ANNO  XCII 


N.  130 


BaiETTINO 

DELLA 

SOCIETÀ  DI  STVDI 
VALDESI 


DICEMBRE  1971 


Appunti  su  Valdismo  e  Ussitismo 

La  teologia  sociale  di  Nicola  della  Rosa  Nera  (Cerruc) 


I.  -  Ho  già  avuto  occasione  di  parlare  del  determinante  apporto 
delle  dottrine  ussite  nella  elaborazione  della  Teologia  Valdese  italia- 
na degli  anni  trenta  del  secolo  XV,  quando  trattati  e  opuscoli  della 
Preriforma  boema  giungono  attraverso  gli  itinerari,  comuni  a  Val- 
desi italiani  e  a  Ussiti,  che  portano  a  Costanza  e  a  Basilea.  Nei  miei 
Appunti  sull'Ussitismo  Valdese  che  sono  pubblicati  nel  numero  I  del 
1971  della  Rivista  di  Storia  e  Letteratura  Religiosa  ho  proposto  alla 
attenzione  degli  studiosi  un  esempio  di  utilizzazione  di  opuscoli  ussiti 
e  precisamente  del  De  mandatis  Dei  e  della  Expositio  super  Pater 
noster  brevis  scritti  da  Hus  in  carcere  a  Costanza  e  inseriti  in  tradu- 
zione valdese,  il  primo  parzialmente  e  il  secondo  integralmente,  nel 
Manuale  teologico  raccolto  nel  Manoscritto  208  di  Ginevra.  Aggiun- 
go qui  che  i  due  opuscoli  si  ritrovano  pure  nel  Libro  appella  trésor 
e  lumen  de  je  contenuto  nel  C  22  di  Dublino,  il  primo  in  frammenti 
nei  ff.  176  V-178  v°,  il  secondo  ai  ff.  261  r°-264  r°.  La  corrispondenza 
tra  il  Manuale  teologico  del  208  di  Ginevra  e  il  Trésor  e  lumen  de  je 
del  C  22  di  Dublino  è  concomitante  con  notevoli  difiFerenze  di  strut- 
tura delle  due  opere  teologiche  valdesi:  può  essere  ottimo  tema  di 
studio  il  confronto  analitico  di  esse,  ma  posso  già  suggerire  una  con- 
clusione. Il  Manuale  del  208  di  Ginevra,  che  corrisponde  al  Libro 
espositivo  dei  Maestri  Valdesi  italiani  della  fine  del  '400,  secondo  la 
più  volte  ricordata  testimonianza  di  Fra  Samuele  da  Cassine,  rivela 
una  struttura  organica  di  dottrine  risalenti  all'Ussitismo  degli  anni 
venti  del  secolo  XV.  Il  Trésor  dovrebbe  invece  essere  una  tarda  com- 
posizione, in  cui  entrano  parti  del  208  (tra  cui  quelle  perdute  sul  di- 
giuno e  sull'elemosina,  ai  S.  264  i*-270  r"  del  C  22),  come  dimostra  il 
breve  spazio  concesso  al  Purgatori  soyma  rispetto  all'ampiezza  della 
trattazione  di  tale  argoménto  nel  Manuale  teologico  208. 

n.  -  Parte  delle  dottrine  valdesi  del  208  corrispondono  a  quelle 
esposte  nella  cosiddetta  Conjessio  Taboritarum,  presentazione  di  una 
larga  discussione  tra  Cattolici  e  Taboriti  avvenuta  nel  1431  e  qual- 
che tempo  dopo  narrata  da  Nicola  di  Pelhrimov,  speaker  in  quell'in- 
contro del  gruppo  taborita. 


—  4  — 


Le  dottrine  ussite  e  valdesi  trovano  pure  una  corrispondenza  nel 
pensiero  di  Nicola  da  Dresda,  operante  a  Praga  nel  gruppo  della  Ro- 
sa Nera  dal  1412  fin  verso  il  1417.  Poiché  varie  opere  di  Nicola  sono 
andate  perdute,  il  confronto  può  essere  fatto  con  una  certa  sicurezza 
solo  relativamente  alla  dottrina  del  Purgatorio.  Già  Sedlak  aveva 
messo  in  evidenza  che  in  tale  punto  la  Confessio  Taboritarum  dipen- 
de dal  De  purgatorio  del  Dresdense  (1),  il  quale  però  contro  il  pare- 
re di  tutta  la  storiografia  deve  essere  ritenuto  originale  nelle  sue  con- 
clusioni, e  non  Valdese  o  Valdesiano,  data  la  sua  partenza  da  un 
netto  predestinazionismo  antivaldese  (2).  La  dipendenza  dal  Dres- 
dense della  Confessio  induce  ad  ammettere  anche  la  dipendenza  da 
lui  dei  Maestri  Valdesi  la  cui  dottrina  sul  purgatorio  corrisponde  in 
gran  parte  anche  letteralmente  a  quella  della  Confessio.  Ma  sono  le 
differenze  e  le  discordanze  (3)  a  farmi  pensare  che  tanto  la  Confessio 
quanto  il  Purgatori  soyma  traggono  origine  da  un  manuale  ussita, 
probabilmente  dello  stesso  Nicola  di  Pelhrimov,  degli  anni  venti, 
utilizzato  dal  Vescovo  taborita  nella  sua  polemica  anticattolica,  e 
d'altra  parte  dai  Maestri  Valdesi  per  dare  ossatura  teologica  alla 
loro  tradizione  orale  troppo  schematica.  Implicitamente,  se  l'ipotesi 
può  essere  confermata,  si  prova  la  relativa  antichità  del  Manuale 
teologico  del  208  di  Ginevra,  e  del  Libro  espositivo  ricordato  da  Sa- 
muele da  Cassine,  e  inoltre  la  priorità  nel  tempo  del  Manuale  citato 
rispetto  al  Trésor  che  riduce  a  una  sola  parte  la  trattazione  del  Pur- 
gatori sovma.  Ora  ritengo  che  nel  Manoscritto  Dd  XV  29  di  Cambridge 
si  possa  avere  la  conferma  della  mia  ipotesi.  Premesso  che  i  Maestri 
Valdesi  scrivevano  nella  lingua  d'uso  del  popolo  e  che  i  testi  ussiti 
a  loro  giungevano  in  latino,  un  frammento  del  manuale  ussita  sul 
punto  del  purgatorio,  letteralmente  tradotto  in  valdese  e  present-^ 
nel  Manuale  del  208  di  Ginevra,  con  differenze  di  organizzazione  di 
pensiero  rispetto  alla  Confessio,  lo  troviamo  nel  citato  manoscritto 
di  Cambridge  ai  ff.  203  v°-205  v°,  qualche  foglio  prima  di  quelle  pa- 
gine scoperte  da  Amedeo  Molnàr  che  non  sono  altro  che  una  trascri- 
zione di  un  lungo  passo  della  Confessio  dove  si  richiama  il  Cristiano 
al  dovere  di  attingere  direttamente  alla  Scrittura  contro  le  diverse  e 
contrastanti  opinioni  dei  Dottori  della  Chiesa,  come  già  Nicola  ave- 
va esortato  nel  De  quadruplice  missione,  proposto  in  Valdese  dai 
Maestri  ai  fedeli  discepoli.  E  dello  stesso  manuale  ussita,  a  cui  do- 
veva appartenere  il  frammento  del  Purgatorio  del  manoscritto  di 
Cambridge,  è  probabilmente  la  breve  indicazione  che  troviamo  ne! 


(1)  Cfr.  Jan  Sedlak,  Mikulàs  z  Drazdan.  Brno  1914.  p.  45. 

(2)  Ved.  mio  art.  Predestinazione  ed  escatoligismo  ussiti....  su  questa  Rivista,  di- 
cembre 1970.  n.  128.  Un'ampia  analisi  storiografica  suirinterpretazione  della  figura  di 
Nicola  da  Dresda  si  ha  in  Howard  Kaminsky.  A  History  of  the  Hussite  Revolution.  Loi 
Angeles  1967.  al  quale  rimando,  benché  lo  stesso  Kaminsky  proponga  la  tesi  del  val- 
desianesimo  di  Nicola. 

(3)  Ved.  mio  art.  cit.  Appunti  sulVUssitismo  valdese  in  «  Rivista  di  Storia  e  Lette- 
ratura Religiosa  »,  al  quale  rimando  per  tutto  ciò  che  questo  articolo  dà  come  conosciu- 
to o  provato. 


C  22  di  Dublino  dove  si  legge,  al  f.  176  r°-v°:  «  Lo  es  dubita  si  las 
armas  de  li  mort  pon  esser  aiudas  per  li  aiutori  de  li  vie.  E  est  vist 
che  non  per  doas  raczons.  E  premierament  car  enaysa  lo  es  dit: 
2*  Cor.  5  ca.  Tuit  nos  coventa  esser  apresenta  devant  le  seti  de  christ 
che  unchascun  recepia  las  proprias  cosas  del  cors  la  quals  el  fey. 
Mas  /  a  quellas  cosas  que  son  faitas  per  li  vio  non  son  cosas  proprias 
mas  estraguas.  Donca  ellas  non  son  aiudas.  La  segonda  raczon  est 
che  perfeitar  a  alcuna  cosa  es  solament  de  li  istant  en  la  vita  mas 
home  enapres  la  mort  non  son  en  la  vita  donc  li  aiutori  non  perfey- 
tan  alor.  Johan.  5  di:  Aquelh  che  feron  ben  avaren  en  resurrecion 
de  vita,  mas  aquelh  que  faron  mal  en  resurrecion  de  iudici  etcetera  ». 
È  evidente  la  derivazione  da  un  testo  latino  in  cui  il  problema  veni- 
va posto  sotto  forma  di  questione  scolastica,  così  come  si  apre  il  De 
purgatorio  di  Nicola  da  Dresda  nel  Manoscritto  D  52  della  Biblioteca 
Capitolare  di  Praga  :  «  Utrum  vivencium  oracio  vel  alia  pyetatis  ope- 
ra prosunt  mortuis  »  (£.  21  r°).  E  nulla  vieta  di  pensare  che  tale  aper- 
tura, evidente  rimaneggiamento  di  un  autore  cattolico  che  presenta 
solo  parte  del  trattato  del  Dresdense  giunto  a  noi  mutilo,  sia  ispi- 
rata a  un  inizio  simile  della  parte  mancante,  di  cui  si  ha  eco  nel  testo 
ussita  che  è  alla  base  del  frammento  citato.  Ma  ora  ritengo  utile  pre- 
sentare la  trascrizione  del  frammento  di  Cambridge  a  confronto  con 
la  traduzione  dei  Maestri  Valdesi. 


Ms.  Dd  XV  29  di  Cambridge 
S.  203  v''-205  V- 

Anime  salvandorum  sunt  suo 
tempore  secundum  dei  ordinacio- 
nem  ab  omnibus  suis  inquina- 
mentis  finaliter  expurgande:  pa- 
tet  ex  ilio  apoccalixis  21  Non  in- 
trabit  in  illa  aliquid  coninquina- 
tum. 


Fides  scripture  exprimit  nobis 
certos  et  diversos  modos  purgan- 
di  quibus  in  vita  presenti  viantes 
purgantur  a  suis  peccatis  ut  cor- 
poribus  exutis  digne  (sic)  sunt 
apperere  (sic)  in  conspectum  do- 
mini. 

Nunc  per  sermonem  christi  im- 
plecionem.  lohannes  15:  lam  vos 
mundi  estis  per  sermonem  meum 


Ms.  208  di  Ginevra 
ff.  96  V-98  v° 

...las  armas  de  li  dever  esser 
salva,  non  satisfa czent  enaquesta 
vita  per  li  lor  pecca,  son  final- 
ment  desser  purga  de  totas  las 
lor  non  mundicias  segong/lordo- 
namnet  de  dio  en  li  lor  temp. 
Coma  es  dit  enlapocalix  21  Alcu- 
na cosa  socza  faczent  abomina- 
cion  ni  meczongia  non  intrare  en 
ley. 

Nos  supponem  secundament 
que  la  fe  de  lescriptura  expon  a 
nos  moti  certans  e  divers  modi 
de  purgar  per  li  qual  li  viant  en 
la  vita  present  son  purga  de  le 
lor  pecca. 

Alcuna  vecz  per  misericordia  e 
per  compliment  de  la  parolla  de 
dio.  Johan  15:   Vos  se  ia  mont 


—  6  — 


quain  lo.  Nunc  per  opera  fidei  et 
pietatis.  Prov.  15  :  Per  misericor- 
diam  et  fidem  purgantur  peccata. 


Nunc  propter  adversitatum  to- 
lerantiam.  Ecc. us  27:  Vasa  figuli 
probat  fornax  et  homines  iustos 
temptacione  tri/bullacionis. 


Nunc  per  habundanciam  cari- 
tatis.  Luce  7:  Remittuntur  ei 
peccata  quoniam  dillexit  mul- 
tum.  Nunc  per  iniurie  proprie 
remissionem.  Mat.  6:  Si  enim  di- 
miseritis  hominibus  peccata  eo- 
rum,  dimictet  et  vobis  pater  ve- 
ster  celestis  peccata  vestra. 

Nunc  per  conversionem  pecca- 
toris  ab  eius  via  mala,  jacobus 
ultimo:  Oui  converti  fecerit  pec- 
catorem  ab  errore  vie  sue,  salvai 
animam  eius  a  morte  et  coliope- 
rit  nuiltitudinem  peccatorum. 

Nunc  per  penitenciam  cum  la- 
vat  peccator  in  lacrimis  stractum 
suum.  Et  fuerint  ei  lacrime  sue 
panem  tlie  ac  nocte,  exemplo  da- 
vid  qui  dicebat:  lavabo  per  sin- 
gulas  nodes  lectum  meum  lacri- 
mis meis  riirabo  stractum  meum. 

Petrus  enim  dicit  actus  1.5:  Ni- 
cliil  decrevit  inter  nos  et  illos  fi- 
des purificans  corda  eorum.  Pe- 
trus inuit  ibi  fidem  esse  sufTicien- 
tem  ad  purjrandum    malos  sine 


per  fe  e  per  pietà,  prov.  15:  la 
parolla  laquai  yo  parley  a  vos. 
Alcuna  vecz  per  misericordia  e 
per  fe  e  per  pietà,  prov.  15:  Per 
miserciordia  e  per  £e  son  purga  li 
pecca.  Alcuna  vecz  per  almona. 
Lue.  XI:  Dona  almona  de  czo 
cjue  sobra  a  vos  evevos  totas  co- 
sas  son  mondas  a  vos.  Tobias  22  : 
Ella  meseyma  es  laquai  purga  li 
pecca. 

Alcune  vecz  per  suffrir  tribula- 
cion  e  adversitas.  Ecc.  us  27:  Lo 
fornais  prova  lo  vaisel  de  la  terra 
e  la  temptacion  de  la  tribulacion 
prova  lome  iust.  Prov.  15  :  Coma 
lor  es  prova  e  largent  al  fuoc. 
enaysi  dio  prova  li  cor. 

Alcuna  vecz  per  habundanciam 
de  carità.  Lue.  7:  Moti  pecca  son 
perdona  a  ley  car  ilh  ame  mot. 
Alcuna  vecz  per  perdonar  la- 
propias  eniurias.  Mat.  6:  Si  vos 
perdonare  a  li  omes  li  pecca  de 
lor,  lo  vostre  paire  celestial  per- 
donare a  vos  li  vostre  forfait. 

Alcuna  vecz  per  far  convertir 
lo  percador  de  la  soa  mala  via. 
Jaco.  5:  Aquel  que  fay  convertir 
lo  peccador  de  larror  de  la  soa 
mala  \ia,  salva  larma  de  luj  de 
mort  e  cuebre  la  iiiontecza  de  li 
seo  pecca. 

Alcuna  vecz  per  penitenciam. 
cum  lo  peccador  lava  en  lac  rima-* 
lo  seo  leit  e  las  lacrimas  son  fai- 
tas  a  luj  pan  per  dia  e  per  noit. 
Coma  david  purificant  se  diczia: 
Wo  arosarpv  lo  meo  l^it  per  sin- 
gulars noit  de  las  mias  lacrima?. 

E  >ant  Peirc  en  li  art  de  li  apo- 
stol  15:  E  non  descernic  alcun;; 
cosa  entra  nos  e  lor.  purificant 
per  se  li  cor  <le  lor.  Sant  peirc 
demostra    aici  la  fe    e>r.cr  suffi- 


—  7  — 


omnibus  extrinsecis  addiumentis 
ut  preestensum  est  in  latrone  de- 
stero qui  credens  et  recogno- 
scens  peccatum  suum  statim  di- 
gnus  fuit  paradisso. 

Alius  modus  purgandi  sponse 
cliristi  per  penitenciam  tangitur 
Y. a  i  ubi  dominus  dicit:  lavami- 
ni  et  mundi  stote  aufferte  malum 
cogitacionum  vestrarum  ab  occu- 
lis  meis,  quiescite  agere  perver- 
se, (liscile  bene  facere.  Et  sequi- 
tur:  si  fuerint  peccata  ut  coci- 
num,  quasi  nix  dealbabuntur,  et 
si  fuerint  rubra  quasi  vermiculus 
^elud  lama  alba  erunt.  Ubi  do- 
minus  seipsum  allegat  vere  se- 
cundum modum  ibi  expressum 
penitentibus.  Quod  et  si  enormia 
peccata  habuerint,  quod  dealbun- 
tur  velud  nix.  Alius  modus  pur- 
ganrli  tangitur  in  evangelio.  Mat. 
lercio,  ubi  dicitur:  ipse  nos  bat- 
lizabit  in  spiritu  et  igne.  Cuius 
ventilabrum  in  manu  eius  et  per- 
mundabit  aream  suam  et  congre- 
gabit  Irilicum  in  orreum  suum. 
Quod  iohannes  crisostomus  expo- 
nil  de  area  presentis  ecclesie  et 
de  igne  tribullacionis  :  ibi  videa- 
tur.  Et  non  solum  sic  dominus 
purgai  aeram  suam  per  tribuUa- 
ciones  yed  per  seipsum  mondât 
sponsam  suam  hic  in  presenti  ec- 
clesia ut  testatur  appostolus  eph. 
5:  christus  dilexit  ecclesiam  suam 
et  tradidit  semetipsum  pro  ea  ut 
sanctificaret  eam  mundans  eam 
lacro  (  =  lavacro)  aque  in  verbo 
vite  ut  exbiberet  ipse  sibi  glorio- 
sam  ecclesiam  et  non  habentem 
maculam  aut  rugam  aut  aliquid 
liuius  modi  sed  ut  sit  sanctam 
et  immaculatam,  ubi  appostolus 
exprimit  quod  christus  tam  maxi- 
me dilexit  ecclesiam  quod  noluit 


cient  a  purgar  li  mal  senza  autre 
aiostament  de  fora.  Coma  es  ma- 
nifest del  nifest  del  leyron  istant 
de  la  dextra  lo  qual  cresent  e  re- 
conoissent  li  seo  pecca  fo  viacza- 
ment  degne  del  paradis. 

Autre  modo  de  purgar  li  pecca 
en  lesposa  de  christ  es  tocha  en 
W.a  i:  Lava  vos/e  sia  munda, 
hosla  li  mal  de  las  vostras  cogi- 
tacions  e  de  li  meo  olh  repausa 
vos  de  far  perversament  e  enpre- 
ne  de  far  ben.  E  sensec:  Si  li  vo- 
stre epcca  seren  coma  vermellion, 
ilh  seren  enblanqueci  coma  neo. 
E  silh  seren  ros  coma  vermicz 
ilh  seren  coma  lana  munda.  Al 
qual  luoc  lo  segnor  deinostra  si 
meseyme  a  li  veray  pentent  li- 
qual  silh  auren  pecca  sencza  re- 
gia que  ilh  seren  enblanqueczi 
coma  neo.  Antro  modo  de  pur- 
gar es  tocha  en  sani  Mal.  3:  Lo 
ventalh  del  qual  es  en  la  soa  man 
e  mundare  la  soa  aira  e  aiostare 
lo  froment  al  seo  granier.  La 
qual  parolla  crisostomo  expon 
de  laira  de  la  gleisa  present  e  del 
fuoc  de  la  tribulacion. 

E  non  solament  lo  segnor  mun- 
da la  soa  aira  per  las  tribula- 
cions,  mas  munda  la  soa  sposa 
per  si  meseyme  aici  enaquista  vi- 
ta. Coma  di  sant  paul  Eph.  5: 
christ  ame  enaysi  la  gleisa  que  el 
liore  si  meseyme  per  ley  que  el 
sanctifiques  ley  mundant  ley  cum 
lavament  daiga  e  cum  parolla  de 
vita  que  el  meseyme  dones  a  si 
gloriosa  gleisa  non  bavent  macu- 
la ni  ruga  ni  alcuna  cosa  da  que- 
sta maniera  mas  que  ilh  sia/san- 
cta  e  nonsecza.  Lapostel  declaira 
aici  que  christ  ame  tant  grande- 
ment la  gleisa  que  el  non  vole 
mondar  lev  cum  alcun  autre  la- 
vament si  non  cum  lo  seo  propi 


ipsam  aliquo  alio  lavacro  mundi- 
ficare,  nisi  suo  proprio  sanguine 
et  non  sic  sufficienter  ut  rema- 
neat  aliquid  immundicie,  sed  sic 
gloriosam  eam  sibi  exibuit  ut 
non  habeat  maculam  neque  ru- 
gam  sed  ut  sit  sancta  et  immacn- 
lata  et  non  solum  testimonium 
hoc  resonat  in  terris  de  mundifi- 
cacione  sufficienti  sponsse  christi 
in  sanguine  eius  sed  eciam/testi- 
monium  est  de  celo  eorum  qui 
actualiter  consequti  sunt  illam 
mundiciam. 

De  quibus  scribitur:  apoca- 
lixis  7",  ubi  sic  est  dictum:  Hii 
sunt  qui  venerunt  de  tribullacio- 
nibus  magnis  et  lavaverunt  stolas 
suas  et  dealbaverunt  in  sanguine 
agni.  Jdeo  sunt  ante  tronum  agni 
et  serviunt  ei.  Ecce  quod  certi 
modi  purgandi  viancium  ex  fide 
scripture  colliguntur  quibus  in 
vita  presenti  viantes  a  suis  pur- 
gantur  peccatis. 


sang  e  non  enaisi  non  sufficient 
que  la  remagna  alcuna  non  mun- 
dicia  mas  que  ilh  sia  sancta  e  non 
socza.  E  aquest  testimoni  non  so- 
lament  resona  en  terra  del  suffi- 
cient mundament  de  lesposa  de 
crist  al  sang  de  lui  mas  certament 
est  testimonia  al  cel  daquilh  li 
qual  han  cossegu  actualmente 
aquella  mundicia. 


De  liqual  es  dit  enlapocalLx: 
Aquisti  son  li  quai  vengron  de  la 
grant  trubulacion  e  laveron  las 
lor  vestimentas  al  sang  de  lagnel. 
enperczo  son  devant  lo  seti  de  la- 
gnel e  servon  a  luj.  Vevos  quan- 
ti certans  e  divers  modi  de  pur- 
gar son  culhi  per  fe  descriptura 
per  li  qual  li  viant  en  la  vita  pre- 
sent son  purga  de  li  lor  pecca. 


III.  -  Nella  Confessio  Taboritnriim,  che  è  praticamente  il  ver- 
bale steso  da  Nicola  di  Pelhrimov  in  cui  leggiamo  tutta  la  vivace  di- 
scussione avvenuta  nel  1431  tra  Taboriti  guidati  dallo  stesso  Nicola 
e  i  Sacerdotes  pragenses  guidati  da  Giovanni  Rokycana,  il  frammen- 
to di  Cambridge  corrisponde  quasi  integralmente,  salvo  qualche 
espressione  in  più,  a  due  momenti: 

Cambridge,  ff.  203  \'*-204  r":  «  Anime  salvandorum...  rigabo  strac- 
tum  meum  »; 

Conf.  Taboritarum.  Ms.  102  di  Brno,  ff.  10  r":    «  Anime  salvando- 
rum...  stratum  meum  rigabo  ». 
Cambridge,  ff.  204  r''-205  v°:  «  Petrus  enim  dicit...  et  serviunt  ei  »: 
Conf.  Taboritarum,  Ms.  102  di  Brno,  ff.  41  v°-42  r":  «  Petrus  enim 
dicit...  et  serviunt  ei  ». 

La  conclusione  del  frammento  di  Cambridge:  «  Ecce  quod  certi 
modi...  a  suis  purgantur  peccatis  »  (f.  203  v°).  si  trova  nella  Confes- 
sio a  conclusione  della  prima  parte  del  frammento  stesso,  al  f.  10  r° 
del  Ms.  102:  «  Ecce  quot  certi  modi...  a  suis  purgantur  peccatis». 
È  indubbio  che  nel  Sinodo  del  1431  Nicola  si  serve  nella  polemica 
immediata  con  Rokycana  di  una  sua  elaborazione  delle  tesi  che  ne- 
gano il  Purgatorio,  probabilmente  attingendo  a  un'opera  già  com- 
posta ila  lui  in  tempi  precedenti,  opera  giunta    ai  Maestri  Valdesi. 


—  9  — 


Quest'opera  poteva  essere  in  latino  :  i  Maestri  Valdesi  non  compone- 
vano in  latino,  ma  traducevano  in  volgare  testi  già  noti,  con  qualche 
adattamento.  Il  frammento  di  Cambridge  può  provare  che  l'opera  a 
cui  esso  appartiene  era  stata  composta  in  latino.  Tuttavia  mi  si  per- 
metta di  fare  almeno  una  debole  ipotesi  che  il  testo  fosse  stato  com- 
posto in  cèco  e  poi  tradotto  in  latino,  e  quindi  in  franco  prov^zale. 
Solo  così  si  spiegherebbero  due  espressioni:  «  Et  fuerint  ei  lacrime 
sue  panem  die  ac  nocte  »,  «  sed  ut  sit  sanctam  et  immaculatam  »  dove 
gli  accusativi  possono  essere  un  ingenuo  adattamento  latino  del  caso 
strumentale  della  lingua  ceca  possibile  in  simili  frasi.  E  ancora  una 
parola  a  conforto  dell'ipotesi  di  una  composizione  teologica  di  Nicola 
di  Pelhrimov  anche  sul  Purgatorio,  precedente  alla  Confessio,  com- 
posizione da  cui  sarebbe  tratto  il  frammento  di  Cambridge.  Confron- 
tiamo due  passi  : 

Cambridge  Dd  XV-29,  f.  205  i"  Brno  102,  f.  42  r» 

«  ...in  verbo  vite  ut    exiberet        «  ...in  verbo  vite  ut  exhiberet 
ipse  sibi  gloriosam  ecclesiam  et     sibi  gloriosam  ecclesiam,  non  ha- 
non  habentem  maculam  aut  ru-     bentem  maculam  aut  rugam  aut 
gam  aut  aliquid  huius  modi  sed     aliquid    huiusmodi.    Sed    ut  sit 
ut  sit  sanctam  et  immaculatam,     sancta  et  immaculata.  Et  non  so- 
ubi    appostolus    exprimit    quod     lum  testimonium  hoc  resonat...  ». 
christus  tam  maxime  dilexit  ec- 
clesiam quod  noluit    ipsam  ali- 
quo  alio  lavacro  mundifìcare  ni- 
si suo  proprio  sanguine  et  non 
sic  sufficienter  ut  remaneat  ali- 
quid  immundicio  sed  sic  glorio- 
sam eam  sibi  exibuit  ut  non  ha- 
beat  maculam  neque  rugam  sed 
ut  sit  sancta  et  immaculata.  Et 
non  solum  testimonium  hoc  re- 
sonat... ». 

La  frase  che  manca  nella  Confessio  «  ubi  appostolus  exprimit... 
neque  rugam  »,  è  stata  aggiunta  da  altra  mano  a  pie'  di  pagina  al 
f.  42  r°  del  102,  con  richiamo  al  punto  in  cui  manca:  si  tratta  della 
tecnica  comune  ad  anonimi  lettori  dei  Codici  di  Praga,  di  aggiungere 
ad  opere  di  certi  autori  frammenti  di  loro  precedenti  simili  lavori, 
tralasciati  nella  nuova  elaborazione.  Chi  conosceva  il  supposto  pre- 
cedente trattato  di  Nicola  di  Pelhrimov,  ha  voluto  aggiungere  la 
frase  mancante,  che  invece  troviamo  nel  frammento  di  Cambridge 
c!ie  deve  corrispondere  alla  prima  opera  del  Vescovo  Taborita. 

IV.  -  Ci  fu  pure  una  traduzione  in  italiano  dell'opera  che  trovia- 
mo in  franco-provenzale  nel  Ms.  208  di  Ginevra.  Ce  ne  informa  Fra 
Samuele  da  Cassine  quando  parla  del  Libro  espositivo  dei  Valdesi, 
che  circola  tra  gli  uomini  di  cultura  italiani  prima  del  1510,  probabil- 
mente in  stampa,  dove  il  frammento  di  Cambridge  trova  il  suo  giù- 


—  10  — 


sto  posto,  come  risulta  dalla  breve  sintesi  che  lo  stesso  Francescano 
fa  nel  suo  De  Stattt  Ecclesie  edito  a  Cuneo  nel  1510,  al.  f .  a  3  :  «  Multi- 
fariam  multisque  modis  potest  anima  purgari  in  hoc  seculo  dum  vi- 
vit:  quibus  modis  potest  deus  tantam  imprimere  efficaciam  quod  ani- 
ma penitus  absolvitur  a  debito  omnis  pene:  ergo  non  est  danda  tanta 
pluralitas  purgationum.  Antecedens  patet  discurrendo  per  singula: 
Purgat  enim  auditio  verbi  dei,  purgai  misericordia  exhibita  proximo, 
purgat  elemosina,  purgat  adversitas  patienter  tolerata,  purgat  ardor 
caritatis,  purgat  remissio  iniuriarum,  purgat  inductio  alterius  ad  co:i- 
versionem  dei,  purgat  fletus  pro  peccatis,  et  ultra  omnia  hec  dicit  pe- 
trus  actuum  15:  purificans  fide  corda  eorum  et  item  christus  mor- 
tuus  est  pro  peccatis  hominum:  ergo  sola  fides  iesu  christi  passi  pro 
hominibus  ita  mundantur  anime  in  hac  vita  ut  non  sit  opus  alia  mun- 
dacione  ». 

V.  -  Il  grande  teorico  della  negazione  del  Purgatorio  al  quale  at- 
tingono i  Taboriti  è  Nicola  da  Dresda,  entusiasta  discepolo  del  Cristo 
evangelico,  che  dalla  Germania  era  giunto  a  Praga,  affascinato  dal 
mordente  risveglio  teologico  ed  etico  della  città  dove  condusse  la  sua 
lotta  tra  il  1412  e  il  1415.  Nel  rovente  inizio  di  un  religiosismo  nazio- 
nalista boemo,  egli  conserva  il  suo  posto  di  missionario  benché  sia 
un  tedesco:  non  usa  la  lingua  ceca  che  probabilmente  non  conosce, 
ma  è  accettato  come  un  apostolo  del  luogo  e  il  popolo  lo  chiama  Mi- 
kulâs  ze  Czerrucz,  Nicolaus  de  Rosa  nigra  (Cerna  Ruze.  abbreviato 
in  Cerruc)  dal  nome  del  Collegio  in  cui  vive  e  in  cui  certamente  in- 
segna col  gruppo  di  Dresda.  Del  resto  anche  il  collega  Pietro  d;\ 
Dresda  assume  un  epiteto  simile,  se  in  lui,  come  suggerisce  Bartos  (4). 
dobbiamo  vedere  l'autore  di  opere  filosofiche  attribuite  nel  Ms.  Vien- 
nese 5242  al  Mas^istrus  Petrus  Gerdcz  quondam  rector  scolarum 
Drtsdcn,  e  nel  Ms.  di  Erfurt  al  Magistrus  Petrus  Gerii,  Mag'strus 
schole  in  Dressen  scilicet  in  Misnn.  Nella  vicenda  di  trascrizioni  di 
un  nome,  incomprensibile  per  l'amanuense,  è  possibile  risalire  da 
Gerii  a  Gerticz,  e  da  questo  Czerucz,  vale  a  dire  Ceruc. 

Le  notizie  finora  accertate  dagli  studiosi  ci  danno  un  Nicola  che 
giunge  a  Praga  educato  alla  più  alta  scuola  del  Diritto  Canonico,  del 
quale  è  perfetto  conoscitore.  Ma  possiamo  aggiungere  anche  una  in- 
formazione finora  trascurata  :  Nicola  si  presenta  in  una  polemica 
contro  un  certo  Rettore  di  scuole  in  Corbacli  quale  Rettore  in  Wil- 
dungen.  L'opera,  conservata  nel  solo  Manoscritto  D  118  ilella  Biblio- 
teca Capitolare  di  Paga  in  codice  cartaceo  del  sec.  XV,  ai  ff.  1  r'-Sl  v°. 
è  ricordata  al  n.  12  dell'elenco  delle  opere  certe  o  probabili  di  Ni- 
cola redatto  dal  Kaminsky  nell'introduzione  alla  sua  edizione  delle 
Tabule  novi  et  veteris  coloris  e  della  Consuetudo  et  ritus  primitive 
ecclesie  et  moderne  seti  derivative  (5).  Si  tratta  di  un  elenco  ohe  per 

(4)  F.  M.  Bartos,  Nove  spisy  Petra  a  Mikuldse  z  Dràzdón.  in  «  Reformacni  sbor- 
nik  »  Vili  (1946),  pp.  66-67. 

(5)  Ho.  Kaminsky  e  altri.  Master  Nicholas  of  Dresden  ■  The  Old  Color  and  the 
New,  Filadelfia.  1965. 


—  Il- 


io più  è  un  rinvio  ai  precedenti  lavori  di  Sediâk  e  di  Bartos  (6).  Non 
c'è  mai  stato  uno  studio  approfondito  di  questa  Replica  di  Nicola  al 
Rettore  di  Corbach  ed  è  chiaro  che  l'importanza  di  alcune  righe  ai 
fini  della  conoscenza  di  Nicola  è  stata  trascurata.  Il  Maestro  di 
Dresda  cita  all'inizio  la  lettera  che  il  Rettore  di  Corbach  aveva  a  lui 
mandata  in  risposta  a  una  sua,  di  evidente  carattere  utraquista.  Scri- 
ve il  Rettore  di  Corbach:  «  Visum  est  mihi  rectorem  pro  tunc  re- 
gentem  in  Wildun-jen  nonnullis  perturbare  (recte:  perturbari)  mo- 
tivis  sacris  textualibus  scripture  rebellionem  ritus  consuetudinis  que 
îuperlaudabilis  quibus  obpujihare  nilitur  catholice  nec  non  romane 
militanti  ecclesie  una  cum  auctoritatibus  apparentibus  in  reprobum 
sensum  adductis  »  (£.  1  r°).  Sediâk  interpreta  quel  «  rectorem  »  co- 
me riferito  a  mihi,  cioè  al  Rettore  di  Corbach  che  doveva  essere  pas- 
sato a  Wildungen  (7).  Evidentemente  c'è  un  testo  alquanto  oscuro, 
elle  tuttavia  viene  ampiamente  chiarito  dalla  risposta  di  Nicola: 
«  ...Ex  quibus  auctoritatibus  patet  quod  motiva  textualia  sacre  scrip- 
ture me  non  tiirbent,  sicut  prenominatus  rector  mihi  imposuit,  cum 
id  credo  rum  predictis  doctoribus  et  sic  ])atet  vel  patebit  cuilibet  fi- 
deli  preleL'enti  qualiter  intellino  textum  Nisi  manducaritis  etc.  » 
(f.  2  v").  ^ 

La  persona  rhe  dovrebbe  essere  turbata  è  Nicola.  Il  testo  della 
lettera  «lei  Rettore  di  Corbach  dovrebbe  quindi  essere  letto  in  questa 
forma:  «  Visum  est  mihi,  Rectorem  pro  tunc  regentem  in  Wildun- 
gen perturbari  nonnullis  motivis  sacris  textualibus  scripture,  rebel- 
lionem ritus  etc.  »  (8).  Almeno  al  tempo  della  risposta  del  Rettore  di 
Corbach  Nicola  era  Rettore  a  Wildungen.  città  che  come  Corbach 
apparteneva  al  Principato  di  Waldeck.  E  c'è  un  riferimento  a  un 
trattato  utraquistico  sul  tema  del  JSisi  manducaveritis.  Si  potrebbe 
forse  pensare  che  Nicola  si  riferisca  al  Sisi  manducaveritis  della  re- 
plica contro  l'antiutraquista  predicatore  Havli'k,  del  luglio-agosto 
1415,  ponendo  cosi  la  replica  contro  il  Rettore  di  Corbach  dopo  la 
prima  metà  del  141. ï.  vale  a  dire  nel  tempo  dell'esodo  da  Praga  di 
Nicola,  deluso  dall'indirizzo  non  prettamente  evangelico  preso  dal 
movimento  riformatore  guidato  da  Jacobello,  ora  divenuto  suo  oppo- 
sitore, e  caduto  sotto  l'influenza  della  lega  utraquista  dei  nobili  che 
aveva  preso  sicura  consistenza  nel  settembre  di  quell'anno.  Nicola  si 
sarebbe  allora  portato  in  Germania  dove  come  Rettore  di  Wildungen 
avrebbe  tentato  di  introdurre  l'utraquismo  tra  il  clero  e  i  fedeli  te- 
deschi. Ma  non  si  può  ammettere  che  il  Maestro  di  Dresda  si  riferi- 
sca al  Nisi  manducaveritis  del  1415,  poiché  la  Replica  al  Rettore  di 


(6)  Op.  cit.,  p.  28,  alla  quale  rinvio  per  la  bibliografia. 

(7)  Jan  SedlÂK,  Mikulâs  z  Dràzd'an.  cit.,  p.  30.  L'ipotesi  è  sempre  stata  accettata 
a  tutt'oggi  dalla  storiografia  relativa  a  Nicola. 

(8)  A  parte  altri  ragionamenti,  è  evidente  che  la  soggettiva  legala  al  visum  nst 
mihi  ha  bisogno  di  un  suo  soggetto  all'accusativo,  che  può  essere  tro\ato  solo  in  quel 
Rectorem  in  Wildungen.  cioè  in  Nicola  da  Dresda,  che  altrove  dice:  «  Responileo  et 
nego  me  velie  impugnare  consvvetudines  laudabiles  (f.  2  v°)...  Item  Rector  dicil  :'Ue 
velie  oppugnare  romane  militanti  ecclesie  (f.  3  r")  ». 


—  12  — 


Corbach,  pur  essentlo  condotta  sui  tipici  temi  dei  trattati  di  Nicola, 
non  contiene  nessun  accenno,  solito  nelle  opere  del  Dresdense  del 
1415,  al  Concilio  di  Costanza  o  alla  morte  di  Hus  o  suoi  precedenti 
trattati.  Pertanto  dobbiamo  collocare  la  Replica  in  un  periodo  pre- 
cedente al  Concilio  di  Costanza,  anzi  ai  primi  anni  dell'attività  mis- 
sionaria di  Nicola,  vale  a  dire  attorno  al  1412.  D'altra  parte  è  invero- 
simile che  Nicola  ottenesse  un  Rettorato  a  Wildungen  quando  ormai 
a  Praga  aveva  apertamente  manifestato  il  suo  radicalismo  evangelico. 
Dobbiamo  piuttosto  pensare  che  tra  il  1409  e  il  1412  Nicola  sia  stato 
a  Wildungen  dove,  partendo  da  motivazioni  interiori,  indipendente- 
mente da  determinanti  influssi  valdesi  o  v^ryclifiti,  dopo  un  suo  possi- 
bile soggiorno  di  studio  a  Praga  lasciata  con  gli  altri  tedeschi  dopo 
il  decreto  di  Kutna  Horâ,  iniziò  il  nuovo  movimento  evangelico  fon- 
dato sulla  frequenza  della  mensa  eucaristica  con  completa  partecipa- 
zione al  rito  (utraquismo).  L'ostilità  dell'ambiente  lo  indusse  a  ri- 
prendere la  strada  di  Praga  dove  il  suo  messaggio  poteva  essere  me- 
glio ascoltato,  ma  nel  frattempo  l'utraquismo  tedesco  si  era  diffuso, 
come  testimoniano  i  molti  martiri  del  1414  e  del  1416  ricordati  in 
luoghi  non  lontani  da  Wildungen  da  cronache  del  tempo  (9).  E  in 
quei  luoghi  tornò  Nicola  dopo  la  delusione  di  Praga,  subendo  il  mar- 
tirio, come  ci  informa  nel  1419  il  predicatore  popolare  Giovanni  Ze- 
livsky  (10)  e  come  conferma  un  anonimo  polemista  cattolico  della  se- 
conda metà  del  '400  il  quale  rispondendo  al  De  purgatorio  di  Nico- 
la, ci  dice  che  il  Dresdense  «  sanguinem  suum  fertur  pro  Chrlsto  ef- 
fudisse  »  (11),  e  suggerisce  il  1417  come  data  del  martirio. 

VI.  -  Non  si  hanno,  neanche  in  Hus,  affermazioni  di  utraquismo 
in  Praga  prima  del  1414.  D'altra  parte  tutta  una  tradizione  di  anti- 
che cronache  attribuisce  ai  Dresdensi  (e  si  deve  pensare  a  Nciola  da 
Dresda)  il  primo  suggerimento  dato  a  Jacobello  perché  imponesse 
come  necessità  la  comunione  sotto  le  due  specie  tra  gli  aderenti,  clero 
e  popolo,  al  movimento  riformatore  ussita  (12).  Il  fatto  che  Nicola 
fosse  utraquista  prima  ancora  di  giungere,  probabilmente  per  la  se- 
conda volta,  a  Praga  conferma  che  a  lui,  e  solo  a  lui  si  debba  effetti- 
vamente l'inizio  di  questo  nuovo  e  significativo  atteggiamento  ussita 
che  ne  doveva  rappresentare  per  sempre  la  caratteristica  principale: 
e  in  questo  senso  dobbiamo  accettare  la  riposta  verità  storica  nasco- 

(9)  Ved.  Lea-Hansen.  Geschichte  der  Inquisition  des  Mittelarters  II.  462-463.  per 
i  martiti  del  1416.  e  la  cronaca  del  Vrie  in  Hardt.  Concilium  costantiense  II.  127-131, 
per  i  martiri  del  1414  (le  fonti  sono  citate  in  F.  M.  Bartos.  Husitstvi  a  cizina.  Praga 
1931,  nota  85,  p.  141). 

(10)  Dochavand  Kàzdni,  ed.  A.  Molnar,  Praga  1953.  p.  127.  Si  tratta  dell'unica 
volta  in  tutta  la  letteratura  ussita,  in  cui  viene  esplicitamente  ricordato  Nicola  la  cui 
origine  tedesca  non  poteva  certo  piacere  agli  stessi  suoi  seguaci  radicali  imbevuti  di 
nazionalismo  boemo.  Lo  Zelivsky  ricorda  la  Misnia  come  terra  del  martire,  con  evi- 
dente riferimento  a  una  generica  terra  tedesca. 

(11)  Ms.  D  52  della  Bibl.  Capit.  di  Praga,  f.  51  v". 

(1)  Tutte  le  parti  di  cronache  boeme  riferentisi  ai  Dresdensi  sono  citate  e  analizza- 
te da  Heinrich  Boehmer  in  Magister  Peter  van  Dresden.  «  Neues  Archiv  fur  Sach- 
sische  Geschichte  und  Altertumskunde  »,  XXVI  (1915).  pp.  212-231. 


—  13  — 


sta  nelle  cronache  alle  quali  accennavo,  anche  se  esplicitamente  in 
esse  non  si  £a  mai  il  nome  di  Nicola,  confuso  spesso  col  collega  Pie- 
tro. Del  resto  anche  una  variante  della  stessa  Cronaca  di  Lorenzo  di 
Brezov,  profondamente  legata  al  nazionalismo  ceco,  parla  del  solo 
maestro  Pietro  di  Dresda  come  di  colui  al  quale  miracolosamente  fu 
rivelata  la  necessità  del  ritorno  alla  pratica  utraquista,  «  unde  ma- 
gistri  Pragenses  eidem  consencientes  istas  scripturas  college- 
runt...  »  (13).  E  Nicola  stesso  ci  informa  nella  Replica  al  Rettore  di 
Corbach  della  sua  iniziativa  utraquista,  quando  a  Praga  il  movimen- 
to riformatore  era  ancor  fermo  alla  tradizione  eucaristica  di  Matteo 
di  Cracovia,  di  Mattia  di  Janov,  di  Giovanni  di  Marienwerder,  di  Ge- 
rardo Groot  che  nel  lardo  '300  furono  attivi  in  Praga,  ma  soprattutto 
del  boemo  Mattia  di  Janov,  tutti  tenaci  sostenitori  della  comunione 
frequente,  se  non  quotidiana.  Nicola  scrive:  «  Item  Rector  dicit  me 
velie  laborare  ad  hoc  ut  voleam  (sic)  optineri  tantum,  scilicet  comu- 
nicari  sub  ambabus  speciebus  laycos  »  (14).  È  evidente  che  la  frase 
attribuisce  al  Dresdense  una  diretta  azione  su  un  ambiente  ancor 
chiuso  al  problema:  e  l'ambiente  è  quello  tedesco,  dove  egli  è  pre- 
sente prima  della  partenza  per  Praga.  Non  si  può  quindi  riferire 
l'espressione  a  un  Nicola  operante  a  Praga  ormai  aperta  all'iniziati- 
va nel  1415,  secondo  la  data  suggerita  da  Kaminsky  (15)  e  le  ipotesi 
di  Sedlàk  e  Bartos  (15). 

Ancora  leggiamo:  «  Item  rector  dicit  quod  talia  forsitan  feci  in 
clericorum  confusionem...  quia  male  faciam  vel  feci  videlicet  insti- 
gando  laycos  contra  clerum  quoad  clerici  communicarent  laycos  sub 
ambabus  speciebus  secundum  mandatum  domini  »  (16). 

Nicola  ammette  di  essere  responsabile  dell'iniziativa,  motivata 
con  le  argomentazioni  comuni  ai  suoi  trattati  eucaristici  scritti  nei 
primi  tempi  del  Concilio  di  Costanza,  ma  nega  energicamente  di  vo- 
ler suscitare  discordie  tra  i  fedeli:  «  Tunc  concedo  quod  male  face- 
rem  si  discordiam  vellem  suscitare  inter  fidèles  sive  clerici  sive 
layci  »  (17). 

VII.  -  La  struttura  teologica  del  Valdismo  italiano,  così  come  ap- 
pare dai  frammenti  del  Libro  espositivo  (18)  dell'ultimo  '400,  chia- 
ramente rivela  una  dipendenza  dalla  teologia  sociale  di  Nicola  da 
Dresda,  gelosamente  seguita  con  fedeltà  viva  nonostante  le  sovrappo- 
sizioni successive  a  Nicola  del  taborismo  politico  e  dell'evangelismo 
dei  Fratelli  dell'Unità  certamente  noti  ai  Maestri  Valdesi.  È  bene 
quindi  avvicinarci  all'ecclesiologia  e  alla  dottrina  sacramentaria  di 
Nicola  che  già  è  chiaramente  delineata  nella  Replica  al  Rettore  di 
Corbach. 


(13)  Fontes  Rerum  Bohemicarum.  V., 

(14)  Ms.  D  118,  i.  6  r°. 

(15)  Ho.  Kaminsky.  Master  Nicholas. 

(16)  Ms.  D  118.  f.  6  r°-v". 

(17)  /.  cit. 

(18)  I  frammenti  sono  stati  pubblicati 
sitismo  valdese,  cit. 


nota  alla  pagina  329. 
cit.,  p.  31. 

in  ordine  nel  mio  articolo  Appunti  sull'Ls- 


—  14  — 


Nicola  si  sofferma  in  essa  su  alcune  considerazioni  sulla  Chiesa 
Romana,  mentre  da  una  parte  ne  nega  Tinfallibilità  dicendo:  «  Judi- 
cium autem  ecclesie  nonnunquam  opinionem  sequitur  »  (19),  d'altra 
parte  fa  della  Chiesa  Romana  un  Istituto  fuori  dei  valori  spaziali  e 
gerarchici  quando  afferma:  «  Ubicumque  sunt  sancti  in  caritate  Chri- 
sti  congregati  ibi  est  romana  ecclesia  »  (20).  L'equivocità  dell'uso  del 
termine  «  romana  »  perde  ogni  carattere  di  confusione  per  farsi  sem- 
plice distinzione  di  uso,  se  leggiamo  i  precisi  riferimenti  di  Nicola 
alla  sede  romana  del  primo  Vescovo  Pietro:  «  Est  ergo  prima  apo- 
stoli petri  sedes  romana  ecclesia,  non  habens  maculam  ncque  rugam 
nec  aliquid  huiusmodi  ut  XXI  di.  quamvis...  Tu  es  Ptrus  etc.,  quia 
ab  ipso  incepit  vera  confessio  et  cogniccio  fidei  et  veritatis  quando 
dixit  :  tu  es  Christus  filius  Dei  vivi.  Eciam  possumus  intelligere  quod 
sedes  apostolica  non  est  auferenda  a  Roma  nisi  quod  qui  dicit  se  te- 
nere sedem  et  locum  apostolorum,  eciam  tenere  debet  vitam  et  con- 
versacionem  illorum  et  fìdem  quam  racione  predicavit  et  precipue 
sanctus  petrus  et  paulus  ut  dicitur  XXV  d.  Ili  »  (21). 

Nicola  crede  quindi  a  una  localizzazione  della  Chiesa  spirituale, 
a  una  sua  gerarchia,  purché  si  conservi  a  questa  Chiesa  quel  suo  ca- 
rattere che  egli  puntualizza  attraverso  a  una  definizione  della  Chiesa 
colta  in  una  glossa  di  Nicola  da  Lira  ai  Maccabei  :  «  (Ecclesia  con- 
sistit)  in  illis  in  quibus  est  vera  cogniccio  et  confessio  fidei  et  veritatis, 
et  non  in  hominibus  racione  potestatis  sive  dignitatis  ecclesiastice 
sive  secularis  »  (22). 

A  differenza  delle  concezioni  ecclesiologiche  di  Hus  e  di  Jacobel- 
lo,  ma  anticipando  molto  di  ciò  che  diranno  Chelcicky  e  Luca  da 
Praga  (23),  Nicola  afferma  l'idea  di  una  Chiesa  vista  come  fatto  uma- 
no (conoscenza)  che  manifesta  nell'ordine  sociale  (confessione)  un 
fatto  spirituale  (la  fede  e  la  verità).  E  c'è  l'esclusione  di  ogni  inte- 
resse mondano  (civile  ed  ecclesiastico)  in  questa  concezione  che  non 
ha  nulla  di  wyclifita.  Il  pensiero  di  Nicola  non  era  poi  altro  che  l'ap- 
profondimento del  Concetto  di  Chiesa  che  troviamo  in  Federico  Ep- 
pinge.  Maestro  di  Nicola  e  aperto  sostenitore  con  Hus  del  primo 
wyclifismo  praghese:  «  Societas  ipsorum  sanctorum  secundum  Augu- 
stinum,  prout  ecclesia  sanctorum,  et  solum  talium  est  unum  corpus 
Christi  misticum,  cuius  caput  est  Christus.  In  qua  ecclesia  seu  com- 
munitate  fidelium  talis  est  et  tanta  unio,  quod  quodlibet  membrum 
eius  sit  particeps  omnium  honorum,  que  fiunt  in  ecclesia,  et  tota 
ecclesia  in  nullo  bono  a  singulis  membris  dividatur,  nisi  sit  membrum 

(19)  Ms.  D  118,  £.  9  v'. 

(20)  Ms.  D  118,  t.  12  i". 

(21)  Ms.  cit.,  {.  4  r*. 

(22)  Ms.  cit.  ff.  3  v''-4  T°. 

(23)  Le  teorie  ecclesiologiche  di  Hus,  Jacobello,  Rokycana.  Chelcicky  e  Luca  da 
Praga  sono  state  esaminate  da  Paul  de  Vooght  nel  suo  articolo  La  notion  d'Eglise-<is- 
semblée  des  prédestinés  dans  la  théologie  hussite  primitive,  in  «  Communio  viatorum  » 
XIII  (1970),  pp.  119-136.  Manca  ogni  accenno  a  Federico  Eppinge  e  a  Nicola  da 
Dresda  il  cui  pensiero  è  fondamentale,  più  di  quello  di  Hus,  nello  sviluppo  dell'ideolo- 
gia ussita  soprattutto  presso  i  taborìti. 


—  15  — 


per  peccatum  mortuum  et  abscissum  »  (24).  Un  simile  atteggiamento 
ecclesiologico  sarà  accolto  fiai  Maestri  Valdesi  nel  cui  Manuale  teolo- 
gico, il  Libro  Espositivo  di  cui  parla  Fra  Samuele  da  Cassine,  ap- 
paiono in  essenza  e  anche  con  contesto  testuale  le  idee  di  Nicola,  evi- 
dentemente preferite  a  quelle  di  altri  ideologi  ussiti,  anche  se  non 
si  accetta  il  suo  predestinazionismo. 

Vili.  -  La  Chiesa  di  Nicola  è  semplicemente  la  Chiesa  dei  Sal- 
vati (Chiesa  trionfante)  e  dei  Salvandi  (Chiesa  Militante):  e  questi 
hanno  già  in  sé  la  manifestazione  della  predestinazione  in  quanto 
relezione  da  parte  di  I>io  implica  il  dono  della  grazia  e  della  gloria. 
Anche  se  non  c'è  certezza  della  propria  situazione  esistenziale  in  rap- 
porto al  disegno  di  Dio,  l'impegno  a  una  vita  nella  carità  è  il  dovere 
primo  del  cristiano  perché  possa  corrispondere  alla  decisione  divina 
nei  suoi  confronti,  se  essa  c'è  stata.  E  la  persecuzione  e  la  sofferenza 
fanno  parte  essenziale  della  elezione.  Sono  evidenti  in  questi  accen- 
ni, documentati  nei  miei  studi  precedenti,  le  radicali  differenze  tra  la 
ideologia  ecclesiologica  di  Nicola  e  quella  dei  predecessori  e  contem- 
poranei :  ed  è  anche  evidente  come  a  Nicola  si  ispiri  quella  parte  del 
radicalismo  taborita  e  dei  Fratelli  dell'Unità  che  attuano  una  comu- 
nità cristiana  di  predestinati,  impegnati  in  ampie  aperture  sociali 
che  vanno  fino  a  un  comunismo  integrale  col  rifiuto  di  ogni  gerarchia 
civile  od  ecclesiastica  (25).  E  la  dipendenza  da  Nicola  è  viva  nello 
stesso  uso  del  termine  «  salvandi  »  che  entra  nella  produzione  lette- 
raria di  Nicola  di  Pelhrimov,  Maestro  Taborita,  e  dei  Maestri  Val- 
desi, in  sostituzione  dell'equivoco  «  predestinati  »  che  nella  storia 
del  linguaggio  teologico  assume  il  significato  di  chi,  pur  vivendo  nel 
peccato  mortale  e  quindi  fuori  della  Comunione  della  Chiesa,  sarà 
salvato.  Nicola  rifiuta  questa  interpretazione  della  predestinazione,  e 
anche  l'uso  della  parola  che  compare  solo  in  qualche  citazione  di 
glosse  o  di  passi  di  teologi.  Egli  insiste  nel  concetto  che  essere  nella 
Chiesa  significa  «  confessare  la  fede  e  la  verità  ». 

Nell'Apologia,  qualche  anno  più  tardi  della  Replica  al  rettore  di 
Corbach,  scrive  ancora:  «  Ecclesia  Christi  non  consistit  in  hominibus 
ratione  potestatis  vel  dignitatis  ecclesistice  vel  secularis,  quia  multi 
principes  et  summi  pontifices  et  alii  inferiores  inventi  sunt  apostatas- 
se a  fide,  propter  quod  ecclesiam  (sic)  cnosistit  in  illis  personis  qui- 
bus  est  noticia  et  vera  confessio  fidei  et  veritatis  »  (26).  È  una  para- 
frasi della  definizione  di  Nicola  da  Lira,  già  ricordata,  e,  sempre 
attingendo  allo  stesso  esegeta  Francescano,  Nicola  da  Dresda  precisa 
il  sÌ!inificato  di  «  veritas  »  nel  Nisi  Manducaveritis  :  «  lex  nova  re- 
spectu  veteris  dicitur  veritas...  dicitur  eciam  gratia  »  (27).  La  men- 

(24)  Jo.  Hus  (recte  Jacobellus),  Tractatus  responsivus,  Praga  1927,  p.  103. 

(25)  In  attesa  di  una  storia  del  Taborismo  studiato  nel  suo  evolversi  ideologico  e 
sociale,  e  non  solo  militare  e  politico,  storia  che  ancora  manca  e  che  forse  avremo  pre- 
sto in  edizione  francese  a  cura  di  uno  studioso  ceco,  si  vedano  le  sempre  utili  annota- 
zioni sul  comunismo  taborita  con  radice  programmatiche  anarchiche  in  Friedrich  von 
Bezold,  Kdèiinàm  husitsvi:  kulturné  historickd  studia,  Praga  1904,  passim. 

(26)  Ms.  IV  G  15  Bib.  Un.  Praga,  f.  191  v°. 

(27)  Ms.  IV  G  1.5.  cit.,  f.  149  r°. 


—  16  — 


talità  tipicamente  giuridica  di  Nicola  lo  porta  a  trovare  alla  radice 
dell'essenza  della  Chiesa  una  «  legge  »  che  è  la  vita  nella  grazia,  che 
si  esplica  in  un  rapporto  con  Dio  e  in  una  manifestazione  sociale 
nella  libera  aderenza  al  dettato  della  coscienza  (la  lex  privata  con- 
trapposta alla  publica  e  a  questa  superiore,  come  ho  detto  in  studi 
precedenti),  dettato  suggerito  dall'adesione  personale  alla  Scrittura 
attraverso  il  lume  dello  Spirito  Santo.  Riferendosi  a  una  glossa  al- 
l'Apocalisse, Nicola  risponde  a  un  certo  momento  al  Rettore  di  Cor- 
bach  che  lo  ha  praticamente  accusato  di  eresia  :  «  Respondeo  quod 
ille  allegat  sacram  scripturam  in  reprobum  sensum  quicumque  aliter 
scripturam  intelligit  quam  consensus  spiritus  sancii  flagitat,  a  qua 
scriptura  est,  et  talis  hereticus  appellari  potest,  et  in  hanc  insipien- 
ciam  cadunt  qui  cum  ad  cognoscendam  veritatem  aliquo  impendiun- 
tur  abscuro  (sic),  non  ad  propheticas  voces,  non  ad  apostolicas  litte- 
ras  nec  non  ad  evangelicas  auctoritates,  sed  ad  se  ipsos  recurrunt,  et 
ideo  magistri  erroris  existunt;  quia  veritatis  discipuli  non  fue- 
runt  »  (28).  La  dottrina,  cauta  ma  precisa,  del  rapporto  personale 
con  la  Scrittura,  è  ripresa  dai  Taboriti  (29)  e  dai  Valdesi  che  in  que- 
sto dipendono  chiaramente  da  Nicola.  Ci  può  essere  in  questo  rap- 
porto personale  con  la  Scrittura  anche  la  mediazione  dei  più  quotati 
espositori,  purché  in  loro  non  ci  sia  contraddizione  con  il  complesso 
dei  Testi  sacri.  Nicola,  che  compone  le  sue  opere  come  un  tessuto 
di  citazioni  e  del  Diritto  Canonico  e  di  glosse  al  Diritto  e  alla  Bibbia, 
e  di  testi  di  Padri  o  Dottori  della  Chiesa,  ci  offre  l'esempio  pratico 
di  questo  prudente  uso  degli  «  espositori  »  che  a  volte,  come  egli 
stesso  dice  nel  De  Purgatorio  citando  una  glossa  a  Matteo  :  «  Spiritus 
sanctus  non  tetigit  semper  corda  expositorum  »  (30).  Ma  di  questo 
parla  ampiamente  nel  De  Quadruplice  missione,  l'opera  che  certa- 
mente per  i  suoi  richiami  alla  lex  privata  e  alla  libertà  interiore  del 
cristiano  e  alla  fedeltà  alla  Scrittura  al  di  là  delle  interpretazioni  er- 
rate di  dottori  o  di  consuetudini,  è  stata  in  gran  parte  offerta  dai 
Maestri  Valdesi  in  traduzione  franco-provenzale  alla  lettura  dei  di- 
scepoli. E  Nicola  sa  criticare  lo  stesso  Nicola  da  Lira,  e  anche  San 
Tommaso  che  pure  utilizza  ampiamente,  quando  sostituiscono  a  sane 
e  legittime  interpretazioni  le  proprie  idee  personali,  come  si  vede 
per  esempio  nella  Replica.  E  nella  stessa  leggiamo  questo  appunto  a 
San  Tommaso:  «  Notum  est  quod  (Thomas)  loquitur  probabiliter  se- 
cundum suam  scholasticam  opinionem,  non  dimostrans  hoc  ex  soli- 
dis  scripturis  ncque  efficacibus  racionibus,  et  sic  non  sedet  in  cathe- 
dra moysi,  quia  sua  docet  et  non  sicut  Christus  instituit  »  (32). 

IX.  -  La  vita  nella  fede  e  nella  verità  della  grazia  implica  in  Ni-, 
cola  la  liberazione  da  tutte  le  consuetudini  contrarie   alla  Scrittura. 


(28)  Ms.  D  118.  cit.,  f.  4  r°. 

(29)  Cfr.  F.  Bezold.  cit.  p.  28. 

(30)  Ms.  Ill  G  «  B.  U.  P.,  f.  48  v" 

(31)  Ms.  D  118.  {.  40  v°. 

(32)  Ms.  D  118.  f.  36  r°. 


—  17  — 


Egli  ha  già  affermato  nel  De  quadruplice  missione  e  nei  Puncta  che 
la  lex  privata,  la  legge  della  coscienza,  è  superiore  a  quella  pubblica: 
questa  inlatti,  anche  se  fondata  sulla  ragione,  può  aver  valore  solo 
nel  tempo.  Nicola  ricorre  a  Giovanni  Andrea  e  all'Ostiense  per  chia- 
rire il  suo  concetto  di  «  ius  positum  »,  quando  scrive:  «  Non  recur- 
rimus  ad  fabulas,  exempla  vel  mendicata  suffragia,  nec  ad  ius  posi- 
tum, quod  ponitur  et  deponitur,  in  quo  est  sepe  pro  racione  volun- 
tas, sed  ad  ius  divinum  et  impermutabile  »  (33).  L'annotazione  ri- 
torna alla  p.  17  dell'edizione  del  Processus  conci storialis  martyris 
Joannis  Hus,  edito  da  Otto  Brunfels  nel  1524-1525  con  il  De  Victoria 
Christi,  su  manoscritto  ora  perduto.  Nicola,  pur  con  un  sereno  lin- 
guaggio, contesta  in  pieno  la  validità  assoluta  del  «  ius  positum  », 
anche  se  fondato  sulla  ragione,  come  dovrebbe  essere  ma  non  è  sem- 
pre, in  quanto  dipende  a  volte  solo  dalla  volontà  o  meglio  dal  capric- 
cio del  legislatore.  In  fondo  il  Processus  può  essere  considerato  una 
aperta  accusa  a  questo  diritto  pubblico,  nel  cui  nome  si  commettono 
le  peggiori  infamie,  come  la  condanna  di  Hus.  E  si  può  ora  tranquil- 
lamente considerare  il  Processus  opera  autentica  di  Nicola,  mentre 
nell'elenco  del  Kaminsky  è  posta  tra  quelle  dubbie.  Esso  corrispon- 
de infatti  al  tema  centrale  dell'apologia,  che  anticipa  lo  svolgimento 
del  Processus  pur  senza  nominare  Hus  (34).  In  essa  leggiamo:  «  lu- 
stum  tamen  et  innocentem  petebant  crucifigi  et  barabbam  dimitti, 
latronem  insignem  »  (35).  Nel  De  Purgatorio  (36)  Hus  è  contrappo- 
stosto  a  Giovanni  XXIII,  riconosciuto  dallo  stesso  Concilio  di  Costan- 
za come  l'essenza  stessa  dell'infamia,  un  «  dyabolus  incamatus  »  (37). 
E  si  accenna  al  fatto:  «  ...quasi  barabbas  latro  dimitteretur  »,  mentre 
«  magistrum  Johannem  Hus...  condemnarunt  et  patrem  eorum  sanctis- 
simum...  deposuerunt  et  quasi  meretricem  apokalitpticam  denudave- 
runt  carnes  eius...  igne  concremantes  »  (38). 

La  contrapposizione  delle  due  immagini,  Hus  e  Barabba,  creata 
da  Nicola,  suggerirà  un  analogo  motivo  ai  Baroni  di  Boemia  nella 
loro  lettera  di  protesta  contro  la  morte  di  Hus,  come  si  legge  nel  te- 
sto pubblicato  da  Sedlak  (39).  Ma  il  momento  in  cui  lo  stesso  Nicola 
fa  esplicito  riferimento  al  Processus  è  quando  neìV Apologia  accenna 
alla  consegna  del  Giusto  all'Autorità  civile  da  parte  della  Chiesa  per 
l'esecuzione  capitale:  «  Sic  dicunt  nunc:  domine  potestas,  iste  est  de 
foro  vestro  et  ecclesia  non  habet  ultra  quid  faciat,  ideo  per  secula- 
rem  comprimendus  est  potestatem,  ut  patet  in  processu  decretalium 
et  costitutionum  papalium,  de  quibus  longum  esset  ponere.  Lacius 
tamen  infra  patebit  cum  videbimus  de  processu  eorum  ipsorum  »  (40). 


(33)  Apologia,  Ms.  IV  G  15,  f.  213  r°. 

(34)  Ms.  IV  G  15,  ff.  177  v°,  179  v». 

(35)  Ms.  cit.,  f.  179  r°. 

(36)  Ms.  ///  G  8,  f.  69  v°. 

(37)  Ms.  cit.  f.  65  v°. 

(38)  Ms.  /;/  G  8,  f.  65  v°. 

(39)  In  «Hlidka»,  XVIII  (1911),  p.  324. 

(40)  Ms.  IV  G  15,  f.  179  v°. 


2 


—  18  — 


Alla  pa<i;ìna  22  dell'edizione  del  Processus  lejtgiamo  lo  stesso  motivo 
e  si  può  pensare  che  Nicola  nelV Apologia  si  riferisce  veramente  solo 
al  Processus,  anche  se  nell'ultima  parte  di  essa  ci  sono  pure  riferi- 
menti precisi  al  Concilio  di  Costanza,  come  la  condanna  di  Giovan- 
ni XXIII  (41)  con  allusioni  simili  a  quelle  viste  nel  De  purgatorio,  e 
come  la  citazione  di  gran  parte  del  Decreto  antiutraquista  del  Conci- 
lio del  15  giugno  1415  (42).  Ma  non  si  ha  lo  svolgimento  del  processo 
di  Hus:  e  si  può  quindi  pensare  che  il  testo  del  manoscritto  perduto, 
edito  dal  Brunfels,  seguisse  immediatamente  nella  stesura  originale 
V Apologia,  come  suggerisce  quel  richiamo  «  infra  patebit  ». 

X.  -  Nicola  vede  la  causa  maggiore  del  prepotere  della  legge 
umana  su  quella  divina  nella  formazione  di  consuetudini  che  acqui- 
stano forza  di  legge  pur  essendo  contrarie  alla  «  verità  ».  Possiamo 
prender  uno  dei  tanti  passi  in  cui  il  Maestro  di  Dresda  espone  il  suo 
pensiero  sulla  «  consuetudine  »  per  verificarne  valore  e  limiti,  attin- 
gendo alle  solite  fonti. 

«  ...nec  valet  si  allegatur  consuetudinem  non  esse,  quia  pociii* 
corruptela  est  dicenda,  quia  in  hiis  de  quibus  nil  certi  stauit  divina 
scriptura,  mos  populi  dei  et  instituta  maiorum  pro  lege  tenenda 
sunt.  XI  <li.  In  hiis.  Conswetudo  est  quoddam  ius  scriptum  moribus 
institutum  quod  pro  lege  suscipitur  cum  deficit  lex.  I  di.  Conswe- 
tudo. Veritate  autem  manifestata,  cedat  conswetudo  veritati.  Nemo 
conswetudinem  racioni  et  veritati  preponat,  quia  conswetudinem  ra- 
cio  et  Veritas  semper  excludunt.  Aug.  \  III  de  veritate.  Quelibet  con- 
swetudo... »  (43). 

«  In  hiis  rebus  in  quibus  nil  certi  statuit  divina  scriptura.  mos 
populi  dei  et  instituta  maiorum  pro  lege  tenenda  sunt.  Aug.  XI  di. 
In  hiis... 

Sed  planum  est  hie  esse  scripturam.  Non  dixit  ergo  Christus  Ihe- 
sus;  ego  sum  conswetuilo;  sed  dixit:  ego  sum  Veritas.  Ideo  dixit:  Ve- 
ritas liberabit  vos  et  omnis  qui  ex  veritate  ipsam  audit.  Debemus  er- 
go esse  predicatores,  doctores  veritatum,  non  conswetudinem  talium 
que  pocius  dicenda  sunt  corruptele,  quia  diuturnitas  temporis  pec- 
catum  non  minuit  sed  auget  »  (44). 

Già  nella  Replica  al  Rettore  di  Corbach  Nicola  aveva  precisato 
negli  stessi  termini  (45)  quel  suo  pensiero  ricorrente  in  quasi  tutte  le 
sue  opere.  Per  Nicola  è  chiaro  che  la  consuetudine  si  fa  legge,  quan- 
do la  Scrittura  tace,  purché  essa  si  formi  come  uso  e  costume  del  po- 
polo di  Dio.  Si  tratta  allora  di  una  semplice  manifestazione  di  vita 
della  Chiesa  dei  salvandi,  al  di  fuori  di  ogni  interessata  interferenza 
»li  autorità  civili  ed  ecclesastiche.  Il  legislatore  non  può  quindi  creare 
una  consuetudine,  anche  se  non  contraria  alla  'egge.  Per  Nicola  il  po- 
polo, visto  come  Chiesa  di  Dio,  acquista  potere  legiferante  alla  pari 

(41)  Ms.  cit..  ff.  185,  v"  -  186  r°. 

(42)  Ms.  cit..  ff.  187  v°  -  188  v". 

(43)  Sermo  ad  clerum  de  materia  sangtvinis.  Ms.  IV  G  15.  f.  208  r". 

(44)  Sermo  cit..  Ms.  cit..  f.  208  v". 

(45)  Ms.  D  US.  f.  2  v". 


—  19  — 


(]'i  Dio:  perché  accanto  alla  legge  <livina  stanno  la  legge  privata  <lel 
singolo  ispirato  da  Dio  e  la  consuetudine  come  legge  creata  dal 
I»o|)olo. 

In  sottordine  e  non  sempre  valida  è  la  legge  pubblica,  il  «  jus 
pusituni  ».  Nelle  brevi  annotazioni  De  iure  et  eius  divisione  che  ci 
sono  rimaste  di  Nicola  abbiamo  una  sintesi  di  questa  dottrina:  «  lus... 
est  fluplex:  humanum  et  divinum.  Jus  divinum  est  quod  constat  ex 
natura  et  in  lege  vai  in  ewangelio  continetur  vel  scribitur.  Jus  huma- 
num est  illud  quod  est  humanitus  inventum.  Jus  naturale  est  quod 
aput  onines  homines  est  idem  »  (46).  Il  diritto  naturale  viene  a  coin- 
cidere quindi  con  il  diritto  divino:  e  questo  diritto  è  la  fonte  della 
legge  divina,  contrapposta  alla  legge  umana  che  ha  origine  nel  co- 
stume: «  Lex  duplex,  humana  et  divina.  Lex  humana  est  constitucio 
scripta  ex  moribus  vel  ex  conswetudine.  Lex  divina  est  régula  infalli- 
bilis,  directiva,  racionalis  creature,  ergo  summum  principium  «  (47). 
E  di  ogni  legislazione  è  l'impegno  a  seguire  la  Scrittura,  la  legge  di- 
vina, poiché  «  ubi  Christus  fundamentum  non  est,  nullius  boni  tunc 
existit  edificium  »  (48).  E  la  cultura  giuridica  deve  rispettare  questo 
ordine  della  società,  senza  né  aggiungere  né  togliere  nulla  «  quia 
omnis  doctor  est  servus  legis,  qui  neque  supra  legem  addere  potest 
aliquìd  de  suo  sensu  neque  subtrahere  aliquid  secundum  proprium 
intellectum  »  (49).  La  Chiesa  degli  uomini  si  è  invece  strutturata  nel- 
le false  consuetudini  divenute  leggi  in  nome  delle  quali  si  condanna- 
no i  giusti.  Nicola  vede  lo  stesso  Cristo  presentarsi  al  Concilio  di  Co- 
stanza che  lo  giudica  eretico  :  «  Posito  ergo  pro  possibili  ut  veniat 
Christus  cum  sua  ecclesia  primitiva  in  medium  Concilii  Constancien- 
sis,  cum  vita  sua  apostolica  et  praxi  ewangelica,  et  dicat  ibi  turbis  si- 
cut  in  Capharnaum...,  putasne  habebit  audienciam  et  locum,  rebus 
stantibus  ut  nunc  gravate  essent?  Ymmo  videtur  quod  non  abirent 
retro  sicut  isti  in  Capharnaum  scandalisati  abierunt,  et  secundum 
condemnacionem  eorum  hereticarent  et  condempnarent,  dicentes  non 
esse  eorum  conswetudinem  »  (50). 

XI.  -  Il  discorso  sulla  consuetudine  falsa  opposta  alla  legge  di 
Cristo  porta  Nicola  alla  presentazione  del  Criterio  che  dobbiamo  se- 
guire onde  eliminare  le  errate  usanze:  occorre  imitare  Cristo.  Ho 
già  avuto  modo  di  sottolineare  nello  studio  suWUssitismo  piemontese 
l'importanza  che  Nicola  dà  a  questo  tema.  Nel  Sermo  ad  derum  de 
materia  sanguinis  insiste  su  di  esso,  esortando  i  prelati  ad  attenersi 
alle  disposizioni  e  all'esempio  di  Cristo,  contro  ogni  paura  di  novità, 
e  ammonendo  i  fedeli  a  guardare  direttamente  a  Cristo,  al  di  là  delle 
mistificazioni  della  gerarchia  ecclesiastica:  «  Possit  dubitari  in  pre- 
latis  quia  non  est  conswetudo  vel  inde  videtur  oriri  scandalum  sive  ti- 
metur  de  scandalo  fideli  (sic)  populi  sic  recipere,  prohibentibus  sci- 

(46)  Ms.  Ill  G  16,  B.U.P.,  f.  128  r°. 

(47)  Ms.  cit.,  î.  cit. 

(48)  Ms.  cit.,  f.  cit. 

(49)  Replica,  Ms.  D  118.  f.  5  v°. 

(50)  .Apologia.  Ms.  IV  G  15.  f.  178  r". 


—  20  — 


licet  sub  utraque  forma  sit  obediendum.  Ad  quod  potest  dici  quod 
interiora  naturaliter  imitantur  superiora  et  in  hoc  consistet  perfeccio 
eorum.  Primum  autem  verum  exemplar  imitacionis  est  Filius  Dei: 
Job.  P.  Omnia  per  ipsum  facta  sunt.  Propter  quod  omnium  perfeccio 
consistit  in  imitacione  huius  exemplaris.  Et  quia  non  poterat  a  nobis 
videri  in  sua  deitate,  factus  est  bomo  ut  nobis  preberet  exemplar  vi- 
sibile. Et  sicut  deitatis  eius  exemplar  imitantur,  primo  angeli,  et  2° 
celere  creature,  sic  exemplar  humanitatis,  primo  prelatis  ecclesie 
proponitur  ad  imitandum...  Et  patet  supra  2°,  prelati  Christo,  exem- 
pio  informati  proponuntur  fidelibus  in  exemplum...  Et  ex  hoc  patet 
quod  subditi  non  tenerentur  prelatis  obedire  in  quantum  deviant  a 
Christo,  quia  lex  superioris  pro  inferiore  tolli  non  potest  »  (51). 

Nicola  vive  lo  spirito  della  devocio  moderna  con  la  sua  caratte- 
ristica mentalità  giuridica:  e  le  sue  conclusioni  relative  al  rapporto 
dei  fedeli  con  la  gerarchia,  solidamente  mativate,  entreranno  nel- 
l'ideologia taborita  e  sosterranno  l'ultimo  Valdismo  italiano  nella 
fedeltà  alle  origini,  che  è  imitazione  genuina  del  Cristo  evangelico 
contrapposto  al  Cristo  costantiniano.  Nicola  richiama  a  questo  dover? 
nel  Nisi  Nanducaveritis,  quando  ricorda  con  un  riferimento  ad  Al- 
berto Magno  che  poi  ritroviamo  nel  De  Cerimomis  di  Jacobel- 
lo  (52)  le  parole  dell'istituzione  eucaristica  che  «  peroptime  salvator 
et  institutor  et  auctor  huius  sacramenti  Christus  Ihesus  facto  suo 
et  accione  sua  que  est  nostra  instruccio  glozavit  ». 

Il  tema  ritorna  nell'anonimo  trattato  eucaristico  che  troviamo 
tanto  nel  Ms.  Ili  G  28  quanto  nel  Ms.  IV  G  15  sempre  della  Biblio- 
teca Universitaria  di  Praga,  a  seguito  del  Sermo  ad  clerum  de  mate- 
ria sanguis  (III  G  28,  ff.  179  r"-190  r";  IV  G  15,  ff.  213  V-226  v°). 
Vi  leggiamo,  al  f.  222  r°  del  secondo  Manoscritto:  «  Cum  ergo  omnis 
Christi  accio  nostra  est  instruccio...  »,  nel  tipico  inizio  di  discorso 
di  altri  momenti  delle  opere  di  Nicola.  Ora  l'anonimo  trattato  ri- 
prende i  punti  del  Sermo  riducendoli  in  forma  scolastica  di  «  obie- 
ciones  et  responsiones  »,  con  qualche  ampliamento  di  riferimenti 
biblici,  patristici  o  di  Diritto  Canonico. 

Si  tratta  probabilmente  di  una  rielaborazione  dello  stesso  Nicola 
e  pertanto  è  legittimo  aggiungere  questo  lavoro  nell'elenco  della  pro- 
duzione letteraria  del  Maestro  di  Dresda.  Partendo  da  San  Tomma- 
so, come  nel  Sermo  (con  l'Incipit:  «  Thomas  2*  parte  summe  sue..  ») 
Nicola  conclude  con  l'annotazione  dell'explicit  :  «  Hec  omnia  de  ver- 
bo ad  verbum  ex  tractatu  ubi  supra  breviter  sunt  collecta  ». 

In  questi  Collecta  appare  fermo  e  deciso  il  tipico  atteggiamento 
antiscolastico  di  Nicola  che  già  nella  Replica  al  Rettore  di  Corbach 
aveva  affermato  «  dyalectica  deo  non  placuit  »,  aggiungendo:  «  igno- 
rancia  loyce  facit  hominem  errare,  cuius  oppositum  faciliter  potest 
sustineri  ».  Anche  nel  De  purgatorio,  come  nel  De  qiidrupUci'  mis- 

(51)  Ms.  IV  G  15.  f.  212  r°  -  v°. 

(52)  Ed.  J.  Sedlâk,  Studie  a  text\.  II.  pp.  151  e  158. 

(53)  Ms.  IV  G  15.  f.  152  v°. 

(54)  Ms.  D  118.  f.  41  v°. 


—  21  — 


sione  si  era  scagliato  contro  le  aberrazioni  «Iella  «  logica  »  che  pre- 
tende di  chiarire  o  interpretare  la  Srcittura  o  la  legge  divina.  Nei 
Collecta,  commentando  Amos  II:  1-6,  l'Autore  scrive:  «  Moab  enim 
ex  patre  (dyabulo)  interpretatur  et  significat  eos  qui  quoad  perfìdiam 
sunt  ex  parte  dyaboli,  qui  omnia  philozophiciis  racionibus  volunt  di- 
scutere... fidem  que  supra  intellectum  et  racionem  est,  ipsi  sub  ra- 
cione  supprimere  intendunt...  fidem  sub  intellectu  et  racione  pone- 
re  nituntur.  Dicit  Gregorius:  quod  fides  non  habet  meritum  ubi  hu- 
mana  raccio  probet  experimentum  »  (55).  Nicola  vede  nella  «  sco- 
lastica »  un  tentativo  di  corruzione  della  fede  che  opera  in  spazi 
non  accessibili  alla  ragione  come  riafferma  all'inizio  dei  Puncta  pre- 
sentando i  caratteri  di  tssa  (56).  Ed  è  nello  stile  di  Nicola  evitare 
avventure  razzionalizzanti  nel  campo  dei  dogmi.  A  proposito  delle 
nuove  teorie  donatiste  sul  potere  consacratorio  dei  preti  simoniaci, 
egli  si  limita  ad  affermare:  «  Et  quod  sit  de  symoniacis,  qui  lepram 
recipiunt  in  ordinaccionem  et  malediccionem  secundum  Ambrosium, 
an  confìciant  vel  non,  relinquo  iudicio  superiorum  meorum,  sed  uti- 
que  nichil  dat  quod  non  habet  »  (57). 

Meglio  appare  il  suo  atteggiamento  quando  parla  della  tran- 
sustanziazione. Nei  Collecta,  dopo  la  sommaria  esposizione  di  tale 
teoria  scolastica,  si  dice  :  «  Hec  est  fides  catholica  in  locuccionibus 
istis  et  ideo  hec  verba  a  nobis  dicta  caute  et  fideliter  sunt  tenen- 
da  »  (58). 

E  la  fede  cautelata  di  Nicola  nella  transustanziazione,  la  cui 
teoria  entra  accettata  nell'apparato  dell'^poZogia  attraverso  a  una 
glossa  di  Bartolomeo  di  Brescia  (59),  risulta  evidente  nel  Sermo  ad 
clerum  in  cui  leggiamo:  «  In  presenti  ergo  collacione  si  contigit  me 
loqui  de  pane,  de  forma,  de  speciebus,  in  hoc  peto  me  non  habere 
suspectum  quasi  vellem  illam  vel  illam  amplecti  opinionem  sed  islam 
fateor  me  tenere  quam  apostolica  ecclesia  et  Veritas  tenent  et  am- 
plectuntur.  De  corpore  Christi  très  sunt  opiniones.  Una  dicit  quod 
illa  substancia  que  prius  fuit  panis  et  vinum  postea  sit  corpus  et 
sanguis  Christi...  Secunda  tenet  quod  substancia  panis  et  vini  desinit 
esse  et  tantum  accidencia  ipsarum  immanent,  scilicet  sapor  et  color 
et  pondus  et  sub  illis  accidentibus  est  Corpus  Christi...  Tercia  dicit 
quod  remanet  substancia  panis  et  vini  et  in  eo  loco  et  sub  ea  specie 
est  Corpus  Christi...  »  (60).  Nicola  si  riferisce  a  una  glossa  alle  De- 
cretales  Greg.  L.  Ili,  tit.  XLI,  c.  6  (Friedburg,  coli.  636-639).  Al- 
l'osservazione della  glossa  che  la  seconda  teoria  (quella  accettata 
dalla  tradizione  romana)  «  approbatur  »,  annota  :  «  Forte  melius  di- 


(55)  Ms.  IV  G  EL,  ff.  224  v"  -  225  v°. 

(56)  Ms.  TV  G  15,  f.  1  r"  -  v°. 

(57)  Sermo  ad  clerum,  Ms.  IV  G  15,  f.  202  v". 

(58)  Ms.  cit.,  i.  224  v°. 

(59)  Ms.  cit.,  f.  168  v".  Kaminsky  pensa  che  l'omissione  di  un  «  transsubstantiatur  » 
finale  della  glossa  da  parte  di  Nicola  sia  «  interesting  n.  Ma  il  termine  è  implicito,  per- 
ché presente  nella  frase  precedente  (Kaminkt,  A.  history,  cit.  p.  108,  n.  33). 

(60)  Ms.  IV  G  15,  f.  200  x'. 


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ceret  quod  prima  approbatur  ibi,  quia  ibi  loquitur  de  transubstan- 
ciacione  cum  dicitur:  una  est  vero  fidelium  ecclesia  universalis  extra 
quam  nullus  omnino  salvatur,  in  qua  idem  sacerdos,  ipse  est  sacrifi- 
cium  ihesus  cliristus,  cuius  corpus  et  sangwis  in  sacramento  altaris 
sub  speciebus  panis  et  vini  veraciter  continetur,  transub-^tanciatis 
pane  in  corpus  et  vino  in  sangwinem  potestate  divina  »  (61).  Non  è 
chiaro  se  Nicola  sia  per  una  transustanziazione  sic  et  simpliciter, 
senza  la  mediazione  della  toria  scolastica  di  sostanza  e  accidenti  che 
per  sé  non  è  nello  spirito  della  Scrittura.  Certamente  egli  non  è  ri- 
manentista  e  al  f.  201  v°  sempre  del  Sernio  ad  cletum  accetta  una 
glossa  di  Lira  in  cui  si  parla  in  questi  termini  del  sacramento  euca- 
ristico: «  scilicet  sub  duplici  specie  institutum,  scilicet  panis  et  vini 
quia  panis  convertitur  in  corpus  Christi  et  vinum  in  sangwinem,  et 
iste  conversiones  sunt  separatim  ».  Ma  di  fatto  a  Nicola  interessa  uni- 
camente la  fede  nella  presenza  reale  di  Cristo,  come  appare  nella 
sbrigativa  conclusione  della  citazione  della  glossa:  «  Hec  Bernhardus 
et  Johannes  ibi.  Et  sic  quelibet  istarum  dicit  ibi  esse  corpus  Chri- 
sti »  (62). 

Transustanziazionista  Nicola  risulta  anche  nel  Trattato  <lel  Ms. 
XXIII  F  24  di  Praga,  ai  ff.  70  v"-73  v°,  con  Incipit:  «  His  notatis  »  ed 
Explicit:  «  Et  sic  est  finis  ».  L'opera  segnalata  da  Bartos  nel  citato 
«  Reformacnì  sbornik  »  alla  p.  66,  corrisponde  in  parte  al  De  pro- 
prio sacerdote  et  casibiis  del  Ms.  102  di  Bmo  (già  II  12.3),  ai  ff.  83  r°- 
88  r".  Vi  si  parla  di  «  conversione  »  del  pane  nel  corpo  di  Cristo  ai 
ff.  71  v"-72  r°,  si  afferma  che  «  non  est  mirum  si  substancia  panis  su- 
pernaturaliter  convertitur  in  corpus  Christi  »  (f.  72  v"),  e  c'è  una 
lunga  spiegazione,  e  questa  volta  con  sobrio  uso  di  terminologia  sco- 
lastica, per  cliiarire  come  il  Corpo  del  Cristo  eucaristico  sia  reale, 
senza  che  tuttavia  appaia  la  sua  quantità:  «  Sic  quod  substancia  du- 
ratur  (sic)  ibi  et  accidencia  eius  incidunt,  et  per  omnia  et  sic  cum 
substancia  est  indivisibilis  et  invisibilis,  et  per  consequens  accidencia 
que  ipsam  per  omnia  in  hoc  casu  habent  sequi.  Et  sic  dimensione* 
hostie  substancia  corporis  non  excedit  »  (63).  È  interessante  osser- 
vare che  l'accidentalità  è  per  Nicola  soprattutto  nel  quantum,  e  che 
non  c'è  nessun  accenno  al  problema  «  cattolico  »  di  come  il  pane 
venga  sentito  ancora  pane  anche  dopo  la  consacrazione. 

Il  Valdismo  italiano,  di  fronte  al  travaglio  ideologico  eucaristici) 
dell'Ussitismo,  tende  ad  accogliere  l'interpretazione  di  Nicola,  la- 
sciando il  rimanentismo  di  Jacobello  e  il  sacramentalismo  di  Nicola 
di  Pelhrimov. 

Al  Cristo  presente  «  sacramentaliter,  spiritualiter,  virtualiter. 
vere  »  del  Vescovo  Taborita,  come  risulta  da  una  sua  dichiarazione 
al  Sinodo  di  Praga  del  1444  (64),  si  contrappone    ancora    ai  j)ritni 

(61)  Ms.  IV  G  15.  f.  200  r.  -  v°. 

(62)  Ms.  cit..  f.  200  r. 

(63)  Ms.  XXII  F  24.  f.  73  r". 

(64)  La  frase,  cosi  come  tutta  la  teoria  eucaristica  di  Nicola  di  Pelhrimov,  che 
possiamo  dire  «  sacramentalista  ».  si  trova  nel  cosiddetto  fragmentum   Lobkoi  iciaiiitm 


—  23  — 


del  ".■)()(»  il  Cristo  presente  «  sacramentaliter,  spiritualiter,  realiter, 
vere  »  «lei  Valdesi  Italiani  (65)  fedeli  a  Nicola  da  Dresda.  E  la  teoria 
transustanziazionista  del  Maestro  di  Eh-esda,-  non  perfettamente  ade- 
rente al  senso  «  romano  »,  certamente  presente  nei  dettagli  eucari- 
stici valdesi  perduti  di  cui  Fra  Samuele  ci  dà  solo  ragguagli  sintetici, 
I)uò  spiegare  la  rabbiosa  polemica  del  Francescano  contro  eretici  che 
dopottutto  credevano  alla  transustanziazione,  nonostante  il  predomi- 
nante remanentismo  con  notevoli  correnti  neganti  la  presenza  reale 
che  dominavano  l'ussitismo  radicale  (66)  da  cui  i  Valdesi  dipendono. 

XII.  -  Caldo  è  l'interesse  «li  Nicola  per  l'Eucaristia  considerata 
come  sacramento  e  sacrifìcio,  al  di  là  di  sottili  disquisizioni  filosofi- 
che sul  modo  della  presenza  di  Cristo  in  essa.  Ma  questo  interesse, 
cosi  predominante,  che  lo  porta  a  predicare  la  comiinione  frequente, 
quotidiana,  come  sostiene  tra  l'altro  nel  Sernio  ad  clerum  con  richia- 
mo a  Mattia  di  Janov  e  altri  predecessori  (67),  a  proporre  la  comu- 
nione ai  bambini,  anche  se  ancor  privi  dell'uso  di  ragione  (68),  a  di- 
fendere l'aperto  utraquismo  dovuto  alla  necessità  di  un  Sacramento 
perfetto  e  che  sia  eflfettiva  commemorazione  della  passione  di  Cri- 
sto (69).  hanno  origine  in  Nicola  da  quel  suo  concetto  di  Chiesa,  come 
comunità  viva  e  attuale  di  fedeli  in  grazia,  parti  attive  dell'unico 
Corpo  mistico,  in  situazione  di  predestinazione  anticipata  nel  tempo 
odierno.  L'Eucaristia  è  necessaria  perché  è  «  sacramentum  amoris. 


(Ms.  XXII  F  24,  ff.  I  r°  -  12  r",  già  90  r"  -  101  r".  ma  nuovamente  numerati  probabil- 
mente da  Bartos,  poiché  sono  andati  perduti  i  primi  89  fogli  del  Codice,  dove  si  poteva 
trovare  tutto  il  Cronicon  taboritarum  con  la  nota  Confessio).  inserito  nella  normale 
edizione  del  Croiiicon  da  Hòffler  {FF.RR.AA.,  VII,  1866.  pp.  764-797). 

(65)  Fra  Samuele  da  Cassine,  De  Statu  Ecclesie.  Cuneo  1510  p.  9  (non  numerata). 

(66)  Cfr.  ZDE^t:K  Neyedly,  Prameny  k  synodam  strany  prazské  a  taborské  v  létech 
U41  1444,  Praga  1900,  passim. 

(67)  Sermo  ad  clerum,  f.  212  r»:  «  Et  rogo:  nonne  in  magnam  diswetudinem  fuit 
deducta  communio  frequens  sive  cottidiana  et  adhuc  aput  multos  propter  pigriciam 
ipsorum  est  odibilis  et  scandalosa  quam  tamen  ipse  deus  nunc  in  cordibus  suorum  utriu- 
sque  sexus  inspirât  et  eciam  per  suos  ministros  operatur.  Et  quam  dyre  et  multipharie 
sustinuerunt  quidam  pro  cadem  hic  in  loco,  relinquo  fora  notum  vobis  qui  eos  novistis 
quorum  unus  erat  magister  Mathias  bone  memorie.  Sic  ergo  vult  deus  iam  illud  sa- 
cramentum perfecte  et  de  toto  (sub  duplici  specie)  non  resistamus  sed  pareamus  et 
incipiamus  ».  Mattia  di  Janov  era  morto  il  30  novembre  1393  e  delle  sue  prediche  c'era 
ancora  memoria  viva  a  Praga.  Della  comunione  quotidiana,  sotto  le  due  specie,  Mat- 
tia scrisse  tra  l'altro  nel  Liber  IV  delle  Régule  Novi  et  Veteris  testamenti:  «  De  corpore 
Christi  sive  Questio  utrum  omnibus  et  singulis  Sanctis  christianis  liceat  cottidie  commu- 
nìonem,  id  est  corpus  et  sanguinem  Christi  sacramentaliter  manducare  »  (ed.  Kybal- 
Odlezilik,  V,  1). 

Altro  predecessore,  ricordato  esplicitamente  da  Nicola  in  altre  opere  come  nel 
Querite  primum  regnum  Dei  (ed.  Nechutova,  Brno,  1967,  p.  56),  fu  Matteo  di  Cracovia 
che  tra  l'altro  nel  Dialogus  consciencie  et  racionis  sostiene  la  comunione  frequente. 
Troviamo  il  Dialogus  nel  Ms.  I  B  17  della  Biblioteca  Universitaria  di  Praga.  fT.  260  v«  - 
271  v»  :  ma  è  solo  uno  dei  numerosi  Codici  che  ci  hanno  conservato  l'opera  del  Mae- 
stro che  morto  nel  1410  era  rimasto  a  Praga  fino  al  1393.  Per  la  bibliografia  su  Mattia 
di  Janov  e  Matteo  di  Cracovia,  vedasi  Josef  Triska.  Literàrni  Cinnost  predhusitské 
university.  Praga  1967,  pp.  89-92  e  117-120. 

(68)  Nisi  manducaveritis.  Ms.  IV  G  15.  ff.  147  v"  -  148  r°. 

(69)  Sermo  ad  clerum.  Ms.  cit.,  f.  201  v°. 


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Sic  in  fidelibus  qui  sunt  membra  Christi  vita  spiritualis  conservatur 
eo  quod  uniuntur  capiti  Christo  per  sacramentum  amoris  »  (70).  II 
tema  ricorre  in  altre  opere  di  Nicola  e  anche  nel  De  osculo  pacis  sive 
taòule  del  Ms.  XXIII  F  204,  ai  ff.  47  v°-49  v"  che  Bartos  ritiene  essere 
del  Maestro  di  Dresda,  mentre  penso  sia  di  un  discepolo  che  tratta 
della  celebrazione  dell'Eucaristia  come  sacramento  dell'Unità  dei  fe- 
deli secondo  l'ideologia  e  lo  stile  di  Nicola,  ma  con  contrastante  uso 
di  una  glossa. 

Questo  sacramento  è  infatti  per  lui  fonte,  anima,  svolgimento 
della  vita  comunitaria  e  sociale  della  Chiesa,  vista  come  fatto  umano 
già  inserito  nel  piano  soprannaturale  che  nulla  toglie  ai  valori  etici 
dei  rapporti  della  vita  civile.  Si  è  visto  infatti  che  in  Nicola  la  dot- 
trina della  predestinazione  assume  una  prospettiva  rovesciata  rispetto 
all'insegnamento  tradizionale:  predestinato,  a  salvando  »,  è  solo  il 
cristiano  inserito  in  questa  società  dei  giusti,  e  segno  della  predesti- 
nazione è  la  «  caritas  »  nell'azione  sociale.  L'Eucaristia  garantisce 
l'attuarsi  del  processo  predestinante  deciso  da  Dio  e  suo  frutto,  in 
stretta  cnonessione,  sono  grazia  e  gloria,  come  leggiamo  tra  l'altro 
nel  Nisi  manducaveritis  (71)  e  nella  Replica  al  Rettore  di  Cor- 
bach  (72).  La  stessa  tensione  escatologica  di  Nicola,  nutrito,  come  già 
tutta  la  tradizione  Ussita,  dei  capitoli  sull'Anticristo  che  troviamo 
nel  Compendium  theologice  veritatis  di  Ugo  Ripelino  di  Strasburgo, 
lo  porta  ad  ammonire  che  «  tempore  persecucionis  antichristi  maxi- 
mum solacium  est  fìdelibus  memoria  passionis  christi...  Ideo  magis 
insistendum  esset  buie  mense  »  (73),  poiché  siamo  in  «  istis  novissimis 
temporibus  periculosissimis  »  (74).  L'Eucaristia  completa  quindi  il 
segno  della  predestinazione,  quali  sono  la  sofferenza  e  il  martirio, 
nella  memoria  della  passione  di  Cristo. 

XIII.  -  L'umanizzazione  del  Cristo  evangelico  che  si  fa  amico  e 
fratello,  impegnato  a  giustificarci  nel  solo  fondamento  della  fede  in 
lui,  è  uno  degli  aspetti  della  teologia  nuova  di  Nicola.  Nel  Nisi  man- 
ducaveritis ammonisce:  «  Querite  occasiones  recedendi  ab  amico 
Christo  »  (75).  Nel  De  purgatorio  ha  accennato  a  una  sua  trattazione 
sul  tema  De  communione  sanctorum  et  de  fraternitate  Christi.  Ne 
parla  nei  Puncta  e  nei  brevi  Trattati  del  Ms.  X  D  10  della  Biblioteca 
Universitaria  di  Praga  che  possono  essere  del  Maestro  di  Dresda  in 
quanto  sono  un  ragionato  e  metodico  e  organico  svolgimento  dei  te- 
mi dei  Puncta  che  risultano  incorporati  in  questi  Trattati.  Cristo 
non  poteva  essere  inteso  altrimenti,  poiché  egli  è  parte  essenziale  del- 
la Chiesa  dei  salvandi,  e  la  sua  «  fraternitas  »  si  attua  appunto  nella 
«  Communio  sanctorum  »,  nella  comunità  dei  santi.  Purtroppo,  alme- 
no per  ora,  è  perduta  la  trattazione  di  Nicola    sul  De  communione 

(70)  Nisi  manducaveritii,  Ms.  cit.,  f.  148  v°. 

(71)  Ms.  IV  G  15,  {.  145  v°. 

(72)  Ms.  D  118.  f.  50  r°. 

(73)  Sermo  ad  cUrum.  ms.  IV  G  15,  f.  211  v°. 

(74)  Apologia,  ms.  cit.,  f.  181  r°. 

(75)  Ms.  cit.,  {.  150  1°. 


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sanctorum  et  de  fraternitate  Christi.  Essa  era  collocata,  assieme  alla 
trattazione  De  indulgenciis  e  con  quella  De  signis  et  miraculis  nella 
parte  antecedente  alla  trattazione  rimasta  del  De  purgatorio,  nella 
grande  opera  De  genere  reliquiarum.  Terminando  infatti  il  De  pur- 
gatorio, nella  copia  del  Ms.  102  di  Bmo,  Nicola  scrive:  «  Et  tantum 
de  primo  genere  reliquiarum.  Est  secundum  genus  reliquiarum,  sci- 
licet verbum  Dei,  de  veneracione  cuius  vide  in  Punctis...  Terciuni 
genus  reliquiarum  est  sacramentum  eukaristie  ».  Queste  righe  si  leg- 
gono all'apertura  del  Trattato  De  imaginibus  di  Nicola  da  Dresda, 
edito  da  Jana  Nechutovà  a  Brrio  nel  1970  (di  fatto  nel  1971). 

Meglio  sarebbe  dare  all'opera  il  titolo  De  tercio  genere  reliquia- 
rum:  Nicola,  partendo  dalla  venerazione  del  Corpo  di  Cristo,  che  li- 
mitatamente all'umanità  di  Cristo  può  essere  di  solo  yperdulia  e  non 
di  latria,  parla  dell'errato  culto  delle  immagini,  della  superstiziosa 
credenza  nei  sogni,  nella  magia  e  nei  sortilegi,  dei  falsi  miracoli. 
Alla  fine,  nel  MS.  XXIII  F  204,  ci  sono  aggiunte  in  margine  con  cita- 
zioni di  Isidoro,  di  Gregorio  e  di  Crisostomo  sui  falsi  miracoli,  cita- 
zioni che  dovevano  far  parte  del  De  signis  et  miraculis  per  ora  per- 
duto. In  questo  De  tercio  genere  reliquiarum  c'è  tutto  Nicola,  fattosi 
ancora  più  arguto:  lo  vediamo  accennare  con  un  certo  sorriso  alla  ve- 
nerazione del  porco  di  Sant'Antonio,  delle  immagini  di  Cristo  legate 
alle  leggende  della  Veronica  e  del  pittore  Luca.  Con  la  sua  solita 
prudenza  ricorda  i  corpi  di  Pietro  e  Paolo  «  que  dicuntur  Rome 
quiescere  »  (76),  senza  prendere  posizione  su  questa  credenza,  e  così 
nei  riguardi  dell'Assunzione:  «  Et  ^uicquid  dicitur  de  corpore  Virgi- 
nis  gloriose,  sive  sit  assumpta  cum  corpore  sive  non,  utique  Dominus 
Jesus,  voluit  nos  ipsum  corpus  eius  non  habere,  ne  nimis  ipsum  cor- 
pus, plus  quam  creatura  sine  vita  debet  habere,  coleremus,  ydolum- 
que  nobis  ex  eo  faceremus  »  (77).  C'è  l'evidente  disinteresse  per 
l'eventuale  dogma  considerato  in  se  stesso,  mentre  si  preoccupa  che 
il  centro  del  culto  sia  Cristo:  e  tutta  la  trattazione  su  immagini,  in- 
dulgenze, sortilegi  parte  da  questa  preoccupazione.  Occorre  elimi- 
nare dai  templi  ogni  occasione  di  distrazione:  «  ...quecumque  omnia 
alia,  que  fuerunt  vel  adhuc  sunt  alicuìus  apparencie,  vel  quondam 
prefuerunt  debent  omnia  in  nichilum  deduci  in  ecclesia,  et  sic,  quasi 
non  sint,  haberi  oh  summam  et  totam  reverenciam  et  adoracionem 
divini  sacramenti  »  (78). 

Il  culto  pure  implica  una  fede  semplice  nella  presenza  di  Cristo 
poiché  (con  citazione  di  Pietro  Lombardo)  «  fidei  sacramentum  a  phi- 
losophicis  argumentis  est  liberum  »  (79).  Ma  alla  filosofia  Nicola  ri- 
corre per  esaltare,  con  sensibilità  umanistica,  la  dignità  dell'uomo: 
«  Ex  quibus  patet,  quod  creatura  racionalis,  homo,  qui  factus  est  ad 
ymaginem  et  similitudinem  Dei,  est  vai  de  venerabilis  sive  honora- 
bilis  in  natura  sua  »  (80).  E  pur  nella  sua  medioevale  mentalità  esca- 

(76)  De  imaginibus,  ed.  cit.,  p.  226. 

(77)  Op.  cit.,  p.  217. 

(78)  Op.  cit.,  p.  215. 

(79)  Op.  cit.,  p.  214. 


—  26  — 


tolojiica  (non  raro  è  l'accenno  alla  fine  dei  tempi  imminente)  Nicola 
si  batte  contro  la  fede  nelle  strejihe  (81),  contro  la  fede  nei  prono- 
stici fondati  sull'astrologia  (82),  rimanendo  per  lui  lecito  solo  ciò 
che,  secondo  la  sua  accettazione  del  profetismo,  serve  a  intuire  la  vo- 
lontà di  Dio:  Sors  non  est  aliquid  mali,  sed  res.  in  humana  dubie- 
tate  divinam  indicans  voluntatem  »  (83).  Non  è  che  Nicola  costruisca 
un  suo  pensiero  originale:  la  sua  originalità  sta  nella  costruzione  di 
un  pensiero  nuovo  attraverso  a  un'accorta  elaborazione  della  sapien- 
za giuridica  e  teologica  della  tradizione  giacente  nel  Diritto  Canonico 
e  nei  Padri  e  Dottori  della  Chiesa,  come  in  queste  appena  ricordate 
manifestazioni  del  suo  pensiero,  tutto  fondato  su  citazioni  di  canoni 
e  glosse  ai  canoni. 

\IV.  -  Le  ultime  considerazioni  fanno  sorgere  il  problema  della 
■educazione  giovanile  di  Nicola  e  della  sua  preparazione  culturale.  Si 
è  parlato  di  un  suo  Valdismo,  di  un  suo  Wyiclifismo  (84).  Il  prede- 
stinazionismo  lo  stacca  dal  Valdismo,  la  sua  non  partecipazione  in 
Praga  alle  polemiche  wiclifite,  nonostante  l'attiva  lotta  del  suo  Mae- 
stro Federico  Eppinge  con  Hus  a  difesa  degli  articoli  di  Wyclif.  ce  lo 
presentano  come  combattente  solitario  che  non  condivide  le  idee  del 
teologo  inglese  che  egli  mai  non  cita  e  che  non  utilizza  se  non  rare 
volte  attraverso  a  citazioni  di  Hus.  Nicola  non  è  rimanentista,  come 
Wyclif,  la  sua  predestinazione  viene  direttamente  dalle  glosse  di  Ni- 
cola da  Lira  alla  lettera  ai  Romani,  nella  sua  società  hanno  poco 
conto  i  poteri  civili.  E  a  differenza  del  Valdismo  egli  crede  a  tutta 
l'organizzazione  degli  ordini  sacri,  compresi  quelli  minori  negati  dai 
Valdesi,  contrariamente  ai  Valdesi  onora  la  Vergine  Maria,  come  ri- 
sulta dalla  preghiera  dell'ite  Maria  che  fa  da  intervallo  a  qualche 
suo  Sermone  {Senno  ad  Cleritm,  Qiierite  primitm  regniim  Dei).  Egli 
è  piuttosto  Maestro  dei  Valdesi  italiani  che  in  lui  ristrutturano  la  pro- 
pria teologia,  romanizzandola  rispetto  agli  esiti  teologici  della  dia- 
spora valdese  non  italiana,  e  di  quella  stessa  austro-boema.  Ci  sono 
coincidenze  di  dottrine  valdesi  e  wyclifite  col  pensiero  di  Nicola:  ma 
sono  spiegabili  con  quella  piattaforma  di  istanze  ereticali  che  sono 
comuni  a  ogni  contestazione  antiromana  nel  Medio  Evo,  e  non  solo 
in  questo.  Singolare  è  per  esempio  la  dottrina  sulla  Confermazione 
che  per  Nicola  si  realizza  come  sacramento  attraverso  alla  sola  impo- 
sizione delle  mani:  «Sic  Christus  in  confirmacione  nulla  fuit  usus 
ulla  materia  nec  apostoli  sed  sola  manus  imposicione  nec  aliqua  for- 
ma ))  (85).  Nella  Confessio  Taboritarum  dove  Nicola  di  Pelhrimov 
accetta  quasi  letteralmente  tutta  l'altra  dottrina  sull'ordine  di  Ni- 
cola «la  Dres<la  (immediatamente  precedente  nel  Ms.  citato),  questo 


(80)  Op.  cit..  p.  218. 

(81)  Op.  cit..  p.  231. 

(82)  Op.  cit..  p.  231. 

(83)  Op.  cit..  p.  230. 

(84)  Vedansi  gli  studi  di  Jan  Sodiâk.  E.  M.  Barlos.  Robert  Kalivoda.  Amedeo 
Molnar.  Howard  Kaminsky  e  Jana  Nechutova  citati  nei  miei  saggi  precedenti. 


l)iinto  non  è  accettato,  mentre  lo  si  trova  nella  corrispondente  parte 
<lel  Trattato  Valdese  del  Ms.  Ginevrino  208  al  £.  72  r".  Si  potrebbe 
afTerniare  die  Nicola  dipenda  in  questo  dai  Valdesi  che  già  avevano 
questa  dottrina  in  precisa  formulazione  almeno  dal  primo  trentennio 
«lei  '300  (86).  Ma  ÌNicola  giunge  a  questo  momento  della  sua  fede  at- 
traverso all'uso  apostolico  con  l'appoggio  del  diritto  canonico,  come 
risulta  evidente  nei  Consiu'tiido,  mentre  i  Valdesi  si  appellano  a  un 
passo  |)aolino  (1  Tim.  1:  6)  che  nella  tradizione  esegetica  ha  un  altro 
significato  e  che  in  tal  senso  lo  stesso  Nicola,  esperto  conoscitore  di 
glosse  bibliclie,  non  avrebbe  mai  accettato.  Tuttavia  i  Valdesi  italiani 
trovano  conforto  in  Nicola  nella  sua  aderenza  alla  sostanza  di  una 
dottrina  che  è  già  loro:  e  la  confermano,  in  contrasto  con  l'atteggia- 
mento di  Nicola  di  Pelhrimov,  il  cui  manuale  avrebbero  in  mano,  se- 
condo l'ipotesi  sopra  fatta. 

La  cattolicità  romana  di  Nicola,  almeno  nella  sua  prima  educa- 
zione, può  essere  comunque  suggerita  dalla  sua  stessa  professione  di 
fede  che  egli  annota  in  un  passo  del  Scrino  ad  cifrimi,  una  delle  sue 
prime  opere.  Pur  ricordando  l'equivocità  del  termine  «  romana  »,  che 
jiuò  riferirsi  semplicemente  alla  Chiesa  dei  santi,  come  si  è  sopra  det- 
to, appare  dal  contesto  che  Nicola,  nella  sua  affermazione  che  ora 
leggiamo,  intenda  parlare  di  fatto  della  Chiesa  gerarchicamente  ro- 
mana: «  Protestor  quod  si  per  occupacionem  vel  ignoranciam  in  su- 
perficiebus  verborum  vel  alias  deviarem  a  rectitudine  fidei  ortodoxe, 
pro  non  dicto  sit  cum  aliqualiter  recedere  non  intendo  a  romana 
ecclesia,  inter  cuius  viscera  nutritus  sum  de  qua  XI  q.  Non  decet 
(recte  Di.  XII,  c.  I,  Friedberg,  27)...  Si  quis  ergo  dogmata...  anathe- 
ma sit.  XXV  q.  ultima.  Si  quis  (recte  C.  XXV,  q.  II,  c.  18,  Fried- 
berg 1016)  »  (87).  Il  riferimento  ai  Canoni  conferma  che  Nicola  in- 
tenda parlare  di  un'educazione  avuta  nella  Chiesa  romana,  e  questo 
egli  afferma  indipendentemente  dalla  sua  volontà  di  volersi  liberare 
da  tutte  le  sovrastrutture  di  false  consuetudini  ed  errate  dottrine  che 
nella  stessa  Chiesa  romana  si  sono  formate  nel  corso  dei  secoli. 

L'impegno  evangelico  di  Nicola  lo  astrae  <lai  singoli  movimenti 
ereticali  e  anche  dalle  vicende  politiche  del  tempo.  Egli  non  è  un 
nazionalista  e,  non  eerto  perché  egli  è  un  tedesco,  non  condivide  gli 
aspetti  ])artigiani  del  movimento  ussita  al  suo  sorgere. 

Nel  1412  il  Consiglio  di  Stare  mesto,  formato  da  tedeschi  (88) 
condanna  alla  pena  capitale  tre  giovani  cechi  che  avevano  parlato  con- 
tro le  indulgenze  prerlicate  in  nome  di  papa  Giovanni  XXIII  per  la 


(86)  Ved.  discussione  in  mio  art.  Oportet  et  haereses  esse...  in  «  Rivista  di  Storia 
e  Letteratura  Religiosa»  III  (1967),  p.  57. 

(87)  Sermo  ad  clerum  f.  199  v". 

(88)  Praga  era  divisa  in  due  città:  la  Vecchia,  con  abitanti  in  prevalenza  di  ori- 
gine germanica  il  cui  Senato  e  la  cui  polizia  era  della  stessa  origine  («  omnes  tunc  sena- 
tores  germani  fuerunt  una  com  militibus  curie  »),  in  ceco  Stare  mesto;  la  Nuov;'.  fon- 
data da  Carlo  IV  con  abitanti  in  prevalenza  cechi,  detta  Nove  mesto.  A  parte,  al  di  là 
della  Moldava,  oltre  il  ponte  Carlo,  la  Piccola  Parte,  Mala  Strana  e  in  alto  Hadracani. 
il  quartiere  del  Castello  e  del  Palazzo  Arcivescovile. 


—  28  — 


crociata  contro  re  Ladislao  di  Napoli.  I  cadaveri  dei  condannati  ven- 
gono portati  in  solenne  processione,  diretta  dal  Maestro  Gitczin, 
Giovanni  di  Jicin,  che  poi  ritroveremo  tra  i  Taboriti,  nel  quartiere 
cèco  per  la  sepoltura,  a  cum  magna  copia  Magistrorum,  Baccalaureo- 
nim,  studiosorum  et  alumnorum,  de  communitate  hominum  tranquil- 
la sine  omnibus  armis  venientes,  et  corpora  hoc  levantes,  non  insi- 
nuantes se,  nec  potentes  a  Senatu,  deportaverunt  in  Bethlehem... 
illaque  audacter  et  cum  leticia  magna  ad  sepeliendum  tradiderunt... 
multi  eciam  studiosi  cum  virginibus  et  dominabus  secuti  sunt  hec 
corpora  cum  magno  fletu  et  planctu  devote  ad  sepulcra  usque  déplo- 
rantes illos  utpote  hanc  mortem  non  promeritos  ».  Fu  una  grande 
manifestazione  popolare  che  impressionò  i  magistrati,  i  quali  si  af- 
frettarono il  giorno  dopo  a  lasciare  liberi  tutti  coloro  che  erano  stati 
incarcerati  per  lo  stesso  motivo  :  l'interesse  religioso  si  mescolava  a 
quello  nazionalista,  con  prevalenza  tuttavia  del  primo.  E  Hus  tacque 
nei  suoi  due  sermoni  della  domenica  successiva:  la  cronaca  dice  che 
forse  gli  era  stato  imposto  il  silenzio,  ma  anche  annota  che  egli  si  era 
presentato  alle  autorità  per  chiedere  la  grazia  per  i  condannati,  e  gli 
era  stato  assicurato  che  sarebbe  stata  concessa.  Ma  nella  seconda  do- 
menica Hus  parlò  a  lungo  dei  tre  martiri,  e  possiamo  vedere  in  quei 
giorni  i  prodromi  della  rivoluzione  ussita  che  scoppierà  il  30  giugno 
del  1419  quando  il  popolo  boemo,  già  scosso  per  il  martirio  di  Hus 
e  aperto  alle  nuove  esperienze  di  comunità  religiosa  utraquista  coi 
pellegrinaggi  al  nuovo  centro  chiamato  Tabor.  si  rivoltò  selvaggia- 
mente in  occasione  di  insulti  ricevuti  durante  una  processione  euca- 
ristica da  San  Stefano  in  Rybnicky  a  Santa  Maria  della  Neve  (sempre 
in  Nové  mesto,  presso  l'attuale  piazza  Venceslao):  «  consules  aliqui 
nove  civitatis  cum  subiudice...  sunt  de  pretorio  Nove  civitatis  enor- 
jnite  deiecti  et  atrociter  mactati  et  interfecti  »  (89).  In  pochi  anni  dal 
pacifismo  ad  oltranza  del  1412  si  passò  alla  rivoluzione  armata,  con 
elezione  di  propri  magistrati,  di  cui  poi  si  otterrà  la  conferma  da 
parte  di  re  Venceslao.  Non  si  tratterà  quindi  di  un  sovvertimento 
dell'ordine  costituito,  ma  di  un  passaggio  di  potere  dall'elemento 
germanico  o  cèco  cattolico  a  quello  cèco  utraquista.  Nicola  da  Dresda 
opera  a  Praga  nel  1412  ma  ignora  la  grande  manifestazione  per  i  tre 
martiri  e  in  quegli  anni  che  preparano  lo  scoppio  della  rivoluzione 
non  fa  mai  cenno  ai  movimenti  popolari.  Solo  nel  De  osculo  pacis, 
che  può  essere  di  un  suo  discepolo  stretto,  si  annota  che  «  ex  obmis- 
eione...  frequentacionis  divinissimi  panis  in  sacramento  venemnt 
scìsmata,  servitates  (per  servitutes?),  conventicula,  secte,  societate» 
in  communitate  Christiana.  Venit  eciam  inde  contemptus  et  irriveren- 
cia  sacerdotum  Dei  a  laycis.  Inde  inobediencia  plebeiorum  ad  sacer- 
dotes  et  multa  alia  infinita  »  (90).  C'è  l'evidente  condanna  di  ogni 


(89)  Le  notizie  si  hanno  nella  citata  cronaca  del  contemporaneo  Vavrinec  z  Brezove, 
alias  Lorenzo  di  Brezov,  edita  nella  Fontes  rerum  bohemicarum,  V,  pp.  329-534,  dove 
si  narrano  gli  avvenimenti  ussiti  che  vanno  dal  1414  al  1421. 

(90)  Ms.  XXXII  F  204,  f.  49  r». 


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tipo  di  contestazione  violenta  così  come  si  era  già  manifestata  a  Pra- 
ga appena  dopo  la  morte  di  Hus  e  di  cui  raccontano  le  Annotationes 
de  Wyglefistis,  de  divisione  fidei,  de  commiinione  calicis,  de  Cziganis 
Thaboritas  praecedentibus  del  Ms.  A  16  di  Trebon,  ai  ff.  231  v"- 
232  r°,  relative  agli  anni  1415-1417,  dove  tra  l'altro  si  legge:  «  Et 
tunc  erat  maxima  divisio  fidei  et  opinìonum  atque  contencio  in  po- 
pulo in  civitate  pragensi  et  in  regno  ».  Sono  gli  anni  in  cui  Nicola, 
dopo  il  1415,  non  si  fa  più  sentire  a  Praga:  il  suo  ideale  di  aperta 
contestazione  pacifica  era  crollato,  quell'ideale  che  nel  De  lercio  ge- 
nere reliquiarum  (il  De  imaginibus)  come  già  in  altre  opere  aveva 
espresso  dicendo  a  proposito  della  condanna  dei  falsari:  «  ...ut  le- 
gista loquitur,  sed  non  secundum  legem  amoris  Jesu  Christi,  de  qua 
dicit  Crisostomus,  quod  verus  cristianus  non  tantum  non  percutit,  sed 
nec  percussus  repercutit,  non  tantum  non  occidit,  sed  nec  ira- 
scitur  »  (91). 

Nicola  è  contro  a  tutte  le  degenerazioni  patriottiche  :  non  com- 
pare mai  in  lui,  benché  socialmente  impegnato,  un  accenno  al  valore 
politico  della  nazione,  e  l'unica  volta  in  cui  usa  il  termine  «  patria  » 
in  senso  laico,  dà  ad  esso  un  significato  folcloristico  e  negativo,  come 
l'insieme  di  sentimenti  e  di  usi  dei  particolarismi  regionali  sul  mo- 
dello dei  quali  vengono  inventati  forme,  raffigurazioni  e  vita  dei 
santi:  «  Igitur  pocius  depingunt  suas  similitu dines  proprias  secun- 
dum similitudinem,  ritum,  habitum,  morem  et  vitam  hominum  inha- 
bitancium,  quasi  vellent  sanctos  ipsis  incolis  consimilare  et  similes 
fieri  ipsi  Sanctis  »  (92). 

XV.  -  L'ideologia  ecclesiologica  impegna  Nicola  nell'esame  del- 
le strutture  sociali  che  devono  essere  riformate  affinché  la  «  lex  hu- 
mana  »  si  adegui  alla  «  lex  divina  ».  Questa  è  la  sua  attività  a  indi- 
rizzo politico  ed  egli  dichiara  apertamente  che  vuole  evitare  ogni 
manifestazione  di  pensiero  che  sia  «  contra  veritatem  legis  dominice, 
canonice  seu  civilis  in  lege  dei  fundatis  »  (93).  L'organizzazione  so- 
ciale è  fondata  su  leggi  che  devono  rispettare  la  più  alta  legislazione 
divina,  così  che  il  legislatore  tenga  conto  di  quanto  dice  Isidoro,  ci- 
tato nel  Decreto  (XL  q-  HL  c.  101,  Friedberg  671):  «  Si  is  qui  preest 
fecerit  aut  cuiquam  quod  a  domino  prohibitum  est  facere  iusserit, 
vel  quod  scriptum  est  preterierit  aut  preterire  mandaverit;  Sancti 
Pauli  sentencia  ingerenda  est,  dicentis:  Si  eciam  nos  aut  angelus  de 
celo  ewangelisaverit  vobis  prêter  quam  quod  ewangelizavimus  vobis. 
anathema  sit.  Idem:  Si  quis  prohibet  nobis  quod  a  domino  preceptum 
est,  vel  rursus  imperat  fieri  quod  dominus  prohibet  fieri,  execrabilis 
sit  omnibus  qui  diligunt  deum.  Idem:  Is  qui  preest,  si  prêter  volun- 
tatem  Dei  vel  prêter  quod  in  Sanctis  scripturis  evidenter  precipitur. 


(91)  Ed.  Nechutova,  p.  225. 

(92)  De  lercio  genere  reliquiarum.  seu  De  imaginibus.  ed.  Ncchutovd,  p.  225. 

(93)  Sermo  ad  clerum,  Ms.  IV  G  15,  f.  199  r°. 


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vel  ilirit  aliquid  vel  imperai,  tamquam  falsiis  testis  dei  aut  saorilegus 
habeatur.  Hec  XI,  q.  Ill,  Si  is  »  (94). 

XVI.  -  Conosciamo  a  sufficienza  le  condizioni  politiche  ed  econo- 
miche della  Boemia  del  tempo  di  Nicola,  anche  se  la  documentazio- 
ne non  è  così  ricca  come  per  il  periodo  precedente  dominato  dalla 
figura  di  Carlo  IV  e  dal  primo  movimento  umanista  collegato  a  quel- 
lo della  riforma  della  Chiesa.  Il  tempo  di  Nicola  porta  le  conse- 
guenze positive  e  anche  negative  del  risveglio  politico,  economico, 
commerciale,  letterario  e  religioso  di  cui  era  stato  anima  Carlo  IV, 
con  tutte  le  sue  contraddizioni  (95). 

Praga  si  era  fatta  centro  commerciale,  uno  dei  più  importanti 
dell'Impero,  con  vie  obbligate  per  i  commercianti  e  prescrizione  di 
determinati  depositi  di  merce  che  avevano  punti  di  riferimento  nelle 
città  più  lontane  come  Venezia  dove  era  stato  istituito  un  deposito 
con  privilegi  finanziari  appunto  per  i  cèchi,  detto  dai  veneziani,  che 
nei  boemi  vedevano  solo  gente  del  nord  o  tedeschi.  Fondaco  dei  Te- 
deschi. Si  era  formata  quindi  una  classe  di  ricchi  patrizi  che,  a  dif- 
ferenza dei  mercanti  italiani,  si  feudalizzavano  acquistando  od  otte- 
nendo signorie  nel  contado  su  terre  e  villaggi.  Nelle  città  di  vecchia  e 
nuova  fondazione  si  formavano  forti  corporazioni  regolate  da  severe 
regole  che  sostenevano  la  potenza  economica  di  piccoli  commercianti 
e  artigiani.  Più  tardi  si  hanno,  verso  la  fine  del  '300,  anche  corpora- 
zioni rli  apprendisti.  La  trasformazione  dell'economia  feudale  sulle 
nuove  basi  del  sistema  monetario  aveva  enormemente  vitalizzato 
commercianti  e  artigiani  per  lo  più  di  origine  germanica.  Nel  con- 
tempo il  lento  ma  inesorabile  svilimento  della  moneta,  mentre  aveva 
ancor  più  danneggiato  la  classe  feudale,  aveva  anche  messo  in  crisi 
determinate  corporazioni.  Il  potere  politico  di  Carlo  IV  si  fondava 
sul  patriziato  in  opposizione  alle  corporazioni,  ma  con  momenti  di 


(94)  Consuetudo.  ed.  Kaminsky,  p.  73. 

(95)  Un'ampia  informazione  sulla  situazione  politica,  sociale,  economica  e  con 
accenni  alPideoIogia  religiosa  della  Boemia  nel  periodo  preussita  si  ha  in  Frantisek 
Kavka.  Prehled  dejin  Ceskoslovenska  v  epose  feudalismu  11  (ed  poloviny  14.  slel.  do  r". 
1526),  Praga  1955,  alle  cui  note  bibliografiche  faccio  rinvio. 

L'informazione  sull'ideologia  religiosa,  anche  se  con  scarsa  cultura  teologica,  si  ha 
in  Vaclav  Novotny,  Ndbozenské  hnuti  ceské  ve  14.  and  15  stoleti.  Praga  (senza  data- 
ma  1915). 

L'aspetto  propriamente  teologico,  ideologico  ed  escatologico  è  trattato  con  rara  com- 
petenza da  Amedeo  Molnar  nel  suo  saggio  Husitskd  Revoluce.  nell'opera  di  un  collet- 
tivo Od  reformace  k  zitrku.  Praga  1956,  pp.  11-103. 

Un  magistrale  studio  sui  rapporti  di  Carlo  IV  (con  ricca  bibliografia  sul  re  boemo 
alla  quale  rinvio,  con  particolare  menzione  delle  ormai  classiche  opere  dello  Susta  su 
Carlo  IV)  con  le  corporazioni,  in  cui  si  corregge  l'idea  di  Kavka  sulla  sistematica  op- 
posizione di  Carlo  alle  stesse,  si  ha  in  Jaroslav  Meznik,  Karel  IV.  Patricidt  a  Cechy. 
in  Ces.  Historicky  Casopis  »  XIII  (1965),  pp.  207-219. 

Per  la  migliore  comprensione  della  situazione  sociale  c  politica  ed  economica  e 
anche  religiosa  del  territorio  boemo  degli  ultimi  secoli  del  Medio  Evo,  e  quindi  anche 
del  tempo  che  precedette  e  fu  contemporaneo  a  Nicola  da  Dres<ia,  manca  ancora  uno 
studio  sulle  costituzioni  e  il  diritto  nelle  città  boeme,  studio  che  si  è  proposto  attual- 
mente Jiri  Keir,  dell'Università  di  Brno. 


—  31  — 


avvicendamento,  quando  cioè  gli  interessi  economici  della  Corte  esi- 
ìrevano  il  sostejrno  da  parte  delle  corporazioni,  come  avviene  in 
Stare  Mesto  dove  si  installa  un  nuovo  governo  formato  in  maggioran- 
za da  artigiani,  mentre  dal  XIII  secolo  era  in  mano  al  patriziato.  Ma 
a  Carlo  IV  occorreva  l'appoggio  delle  corporazioni  per  la  fondazio- 
ne di  jNové  Mesto,  contro  l'opposizione  del  governo  patrizio  di  Stare 
Mesto:  lo  sviluppo  della  città  era  evidentemente  sostenuto  dalla  clas- 
se della  borghesia  (se  cosi  si  può  chiamare)  contro  i  patrizi  arroccati 
nei  loro  privilegi.  Ma  risolto  il  problema,  il  25  luglio  del  1352  Carlo 
cambia  la  situazione  e  tutto  torna  come  nei  tempi  precedenti. 
Carlo  IV  governava  con  un  potere  personale,  badando  ai  suoi  inte- 
ressi finanziari,  e  come  un  autentico  signore  medioevale  non  poteva 
certo  essere  un  riformatore  sociale  (96). 

Anche  la  Chiesa  boema  fu  esaltata  da  Carlo  IV  sia  per  un  suo 
certo  spirito  cristiano,  sia  per  motivo  di  prestigio  e  di  buoni  rapporti 
«on  la  curia  papale.  Fu  creata  una  sede  arcivescovile  così  da  rendere 
indipendente  Praga  da  Magonza,  e  da  questa  sede  dovevano  dipende- 
re tutte  le  diocesi  dei  territori  dipendenti  dalla  Corona,  il  che  Carlo 
non  potè  ottenere  in  pratica  per  l'opposizione  latente  del  clero  di 
territori  non  propriamente  boemi. 

Enormi  furono  le  dotazioni  di  cui  la  Chiesa  boema  fu  arricchita 
così  da  diventare  in  seguito,  al  tempo  del  fiscalismo  instaurato  dalla 
corte  avignonese,  in  gran  parte  oggetto  di  «  riserva  »  da  parte  della 
Curia,  e  da  essere  preda  di  clero  straniero  non  residente  o  di  perso- 
ne indegne  e  incapaci.  Basti  ricordare  l'episodio  della  Prevostura  di 
Visehrad  per  la  quale  la  Curia  dava  la  possibilità  che  venisse  confe- 
rita a  persona  che  avesse  almeno  cinque  anni. 

Carlo  IV  fu  quindi  la  prima  causa  dello  sviluppo  di  pratiche  si- 
moniache in  forma  vistosa  in  Boemia  che  divenne,  fino  alla  rivolu- 
zione ussita,  la  miglior  fonte  di  entrate  per  la  Curia  papale.  E  fu  an- 
che causa,  per  la  sua  devozione  di  autentico  bigotto,  del  diffondersi 
dei  più  diversi  superstiziosi  culti  di  santi:  come  Margravio  di  Mora- 
via, prima,  poi  come  re  e  quindi  imperatore,  nei  suoi  itinerari  euro- 
pei faceva  saccheggio  di  reliquie  o  supposte  reliquie  che  donava  con 
atti  solenni  alle  varie  chiese  boeme  e  soprattutto  alla  Chiesa  Capito- 
lare di  Praga.  Il  Pessina  che  nel  1673  pubblica  a  Praga  la  sua  crona- 
ca del  Capitolo  Metropolitano  della  Città  dal  titolo  Phosphorus  septi- 
cornis,  stella  alias  Matutina,  fa  con  entusiasmo  un  lungo  elenco  di 
reliquie  portate  in  Boemia  dal  devoto  Carlo  IV,  ricordando  i  relativi 
aiti  di  donazione  alla  Chiesa  metropolitana.  Si  tratta  delle  reliquie 
più  strane  e  l'elenco  va  da  p.  433  a  p.  472.  Si  può  capire  l'incre- 
mento dato  da  Carlo  IV  all'innato  istinto  superstizioso  del  popolo, 
tanto  più  che  egli  promosse  la  fastosità  del  culto  che  favorì  questo  in- 
cremento, appoggiato  dal  suo  primo  arcivescovo  e  cancelliere  Arno- 
sto  di  Pardubice,  uomo  peraltro  ascetico  e  buon  umanista,  educato 
all'Università  di  Padova.  Questi  fece  di  tutto,  ma  invano,  per  sanare 


(96)  Cfr.  Jaroslav  Meznik,  art.  cit..  p.  213. 


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nel  Clero  situazioni  di  mal  costume  e  di  vizio,  ma  senza  effetto  come 
dimostrano  le  conclusioni  delle  sue  visite  pastorali,  e  il  monotono  ri- 
petersi di  anatemi  sia  nei  suoi  «  Statuta  »,  come  in  quelli  dei  sinodi 
posteriori  (97). 

La  situazione  del  popolo  doveva  essere  ben  misera,  al  di  fuori 
dei  nobili,  del  personale  di  corte,  del  clero  che  usufruisse  di  un  buon 
beneficio,  dei  patrizi,  delle  corporazioni,  dei  commercianti.  Su  di  essa 
soprattutto  pesava  la  progressiva  svalutazione  della  moneta,  per  cui 
i  signori  del  contado  dovevano  rifarsi  con  Timposizione  di  nuovi  bal- 
zelli. Anche  il  tentativo  di  Carlo  IV  di  sottrarre  il  popolo  minuto 
alle  angherie  dei  signori  che  a  capriccio  potevano  giungere  all'ordine 
del  taglio  del  naso  o  di  altre  parti  del  corpo  dei  sudditi,  fu  senza 
effetto. 

Il  re  aveva  redatto  una  legge  fondamentale  che  regolasse  diritti 
e  doveri  di  tutti  gli  abitanti  del  regno,  la  Maiestas  Carolina,  qua- 
rant'anni  circa  dopo  la  morte  di  Venceslao  II  avvenuta  nel  1305,  e 
quindi  verso  il  1348.  Ma  nel  1355  egli  deve  pubblicamente  annullare 
tale  Costituzione  che  non  era  mai  andata  in  vigore  ed  è  interessanti- 
leggere  la  motivazione  di  tale  ritiro,  espressa  il  6  ottobre  di  quell'an- 
no, motivazione  che  deriva  da  tutta  una  tipica  mentalità  medioevale: 
«  ...iura  quedam  adinvenienda  et  etiam  statuenda...  in  scriptis  redacta 
et  in  uno  volumine  sigillata,  prout  hec  in  notorium  et  in  publicum 
prodiit  notionem  una  cum  sigillis  eidem  appensis  quia  tamen  prsfa- 
tum  volumen  fortuito  casu  fuit  igne  consumtum,  in  nihil...  redactum: 
et  quia  nihilominus  tam  nos,  quam  prefati  principes  et  barones,  pre- 
dieta  iura  servare  non  promisimus...  ideoque  decernimus  et  auctori- 
tate  regia  ex  certa  sciencia  declaramus,  nos  et  omnes  principes  ac  ba- 
rones nostros  ac  regni  et  corone  bohemie  antedicta...  perpetue  ad 
dictorum  iurium  observanciam  non  esse  liiratos  quomo-^o  ibet  vel 
astrictos  »  (98).  Si  trattava  evidentemente  di  una  scusa  adatta  a  sal- 
vare la  faccia,  poiché  il  volumen  era  conservato  nel  Castello  di  Karls- 
tein  che  Carlo  aveva  fatto  costruire  non  solo  come  residenza  di  va- 
canza ma  soprattutto  per  custodire  i  documenti  del  Regno. 

Certamente  fondandosi  sugli  articoli  de  fide  catholica  (Rubrica  I) 
e  de  hereticis  (Rubrica  III),  Amosto  aveva  istituito  il  primo  tribu- 
nale permanente  dell'inquisizione  nella  diocesi  nel  1348.  Carlo,  nella 
sua  Maiestas,  premettendo  che  per  diritto  di  natura  «  rerum  domi- 
nia...  deberent  esse  communia  »  (99)  aveva  indicato  nel  sorfrere  del  e 
divisioni  degli  animi  l'origine  delle  distinzioni  di  proprietà  per  cui 

(97)  Su  Arnesto  da  Pardubice  (Arnost  z  Pardubic),  vedansi  soprattutto  V.  Cha- 
LOUPECKT,  Arnost  z  Pardubice,  prvni  arcibiskup  prazsky.  Praga  1946  (II  ed.):  J-  K. 
ViSKOClL,  Arnost  z  Pardubic  a  ieho  doba.  Praga  1947.  Per  altra  bibliografia  vedasi 
Josef  Triska.  op.  cit.,  pp.  9-10,  68. 

(98)  Maiestas  Carolina  in  «  Archiv  Cesky  ».  VII,  Praga  1844,  ed  a  cura  di 
Fbantisek  Palacky,  p.  68,  che  fa  un'introduzione  dove  auspica  uno  studio  approfon- 
dito della  stessa;  studio  sempre  mancante  come  anonimi  studiosi  hanno  annotato  nel 
corso  degli  anni  in  margine  alle  pagine  della  copia  della  Biblioteca  annessa  alla  Sezio- 
ne dei  Manoscritti  della  Biblioteca  Universitaria  di  Praga. 

(99)  Ed.  cit.,  p.  cit. 


—  33  — 


«  rerum  necessitate  cogente,  nec  minus  divine  provisonis  instinctu, 
principes  gentium  sunt  creati,  per  quos  scelestis  criminandi  licentia 
arceretur  et  pacifìcis  ac  quietis  cauta  securitas  preberetur,  qui  leges 
et  iura  conderent  »  (100). 

Il  potere  regale,  sorto  per  necessità  e  per  ordinamento  di  ispira- 
zione divina,  implicava  il  potere  legislativo  (che  tuttavia  poteva  va- 
lere solo  sulla  classe  che  ancora  non  aveva  capacità  di  opposizione): 
infatti,  premesso  che  il  popolo  boemo  era  cattolico  (101),  e  che  ogni 
delitto  contro  la  religione  era  delitto  contro  la  comunità  (102),  egli 
stabiliva  che  fosse  perseguito  ogni  «  crimen  haereseos  et  damnatae 
sectae  cuiuslibet  »  (103)  come  «  crimen  lesae  maiestatis  »  (104). 

La  concezione  del  delitto  di  eresia  come  delitto  contro  la  comu- 
nità e  contemporaneamente  contro  la  «  Maiestas  regia  »  ha  fatto  pen- 
sare recentemente  (105)  che  nel  pensiero  di  Carlo  il  potere  regio 
coincidesse  col  potere  della  comunità.  Di  fatto  Carlo  doveva  essere 
preoccupato  dell'unità  del  regno  e  infatti  teme  divisioni  ideologiche 
a  motivo  dell'eresia  per  infiltrazione  di  errori  dai  paesi  vicini,  come 
risulta  dagli  accenni:  «  ...ne  forte  exterarum  regionum  contagio,  a 
regni  dicti  limitibus  non  distantium,  ipsorum  fidei  puritas  et  sincera 
devotio  pro  tempore  maculatur  »  (106),  «  contra  tales,  itaque  deo  el 
hominibus  sic  ingestos,  quorum  quidam  (sicut  accepimus)  ab  exteris 
nationibus  accedentes,  regnum  nostrum...  haereticae  pravitatis  tene- 
bris  maculare  cenantur...  »  (107). 

Si  tratta  di  infiltrazioni  e  di  presenze  anche  valdesi,  soprattutto 
nella  Boemia  meridionale  e  occidentale,  con  qualche  manifestazione 
catara  come  accennerò  più  avanti. 

Carlo  ordinò  l'istituzione  di  regolare  inquisizione,  con  impegno 
da  parte  delle  autorità  civili  della  cattura  degli  eretici  equiparati  agli 
altri  malfattori,  che,  dopo  il  processo  condotto  da  prelati  o  da  inqui- 
sitori, «  si  evidenter  inventi  fuerint  a  fide  catholica  saltem  in  articule 

(100)  Ed.  cit.  p.  69. 

(101)  «  ...  universum  populum  regni  nostri  Boemie  quem  catholicum  novimus  et 
iìdelem  secundum  quod  sacrosancta  catholica  et  apostolica  credit  ecclesia  »,  ed.  cit., 
p.  75.  Ma  è  evidente  che  si  tratta  di  una  esagerazione. 

(102)  «  Quid  in  religionem  divinam  committitur,  in  omnium  fertur  iniuriam  », 
ed.  cit.,  p.  77. 

(103)  Ed.  cit.,  p.  79. 

(104)  Luogo  cit. 

(105)  Karel  Maly,  Zlocin  vrâzky  panovnika  v  ceshem  prâvu  doby  predhusitske, 
in  «  Prâvnehistorické  studie  »,  (1070)  (pp.  141-168,  con  articoli  del  1968),  p.  159. 
Non  penso  di  condividere  l'interpretazione,  poiché  nel  testo  della  Maiestas  Carolina,  si 
legge  :  «  ...  ut  crimen  hereseos  et  damnatae  sectae  cuiuslibet,  prout  sacrosanctae  et  apo- 
stolicae  ecclesiae  decretis  habetur,  velut  crimen  pubblicum  possit  ab  amnibus  intentar!; 
imo  crimine  laesae  majestatis  nostrae  debet,  ab  omnibus  horribilius  reputari,  quoad  in 
divinae  maiestatis  iniuriam  noscitur  attentatum  »,  ed.  cit.,  p.  79.  Il  riferimento  alla 
maesatà  del  re  è  in  rapporto  alla  maestà  di  Dio,  e  non  c'è  traccia  evidente  che  il  re 
senta  di  impersonare  lo  stato,  con  una  concezione  che  troviamo  chiara  in  Machiavelli. 
La  costituzione  di  Carlo  IV  è  concepita  nello  spirito  del  diritto  medioevale,  con  certo 
riferimento  alle  costituzioni  di  Federico  II. 

(106)  Ed.  cit.,  p.  79. 

(107)  Luogo  cit. 


3 


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fi  (lei  deviare...  ac  in  errore  concepto  mala  constantia  persévèrent... 
decernimus  ut  vivi  in  conspectu  populi  comburantur  »  (108).  Nulla 
di  nuovo,  se  non  l'insistenza  sul  castigo  degli  eretici  e  anche  dei  fau- 
tori od  ospiti  punibili  con  la  confisca  dei  beni  e  l'esilio  perpetuo,  in 
quattro  rubriche  della  Maiestas  (109). 

Nicola  da  Dresda  entra  in  questa  città  e  in  questa  comunità  dove 
tutto  il  travaglio  politico,  economico  e  sociale  maturatosi  sotto  l'ap- 
parente ordine  costituito  da  Carlo  IV  ha  ormai  portato  la  crisi,  senza 
che  esista  una  via  d'uscita.  Egli  vede  gli  antichi  e  nuovi  mali  e  fa  una 
analisi  serena  ma  cruda  della  situazione  indicando  nell'applicazione 
di  un  autentico  cristianesimo  la  soluzione  dei  problemi  gravi  della 
società  boema. 

(segue)  Romolo  Ceca  a 


(108)  Luogo  cit. 

(109)  I,  De  fide  catholica;  III,  De  haereticis;  IV  De  inquisitione  hacrelicorum: 
V,  De  receptoribus  haereticorum  et  credentibus  et  complicibus  eorum.  In  lutto  si  hanno 
127  rubriche,  oltre  alla  introduzione,  comprese  da  p.  68  a  p.  180  dell'edizione  citata. 


Contributi  agli  studi 
sulla  giovinezza  di  Fausto  Sozzini 


Le  ricerche  archivistiche  non  pare  cessino  di  darci  nuove  inte- 
ressanti notizie  sulla  Riforma  nonostante  gli  anni  o,  meglio,  i  secoli 
trascorsi  da  quel  fondamentale  evento  religioso  e  culturale  e  nono- 
stante l'elevato  numero  di  studiosi  che  a  quelle  ricerche  hanno  dedi- 
cato gran  parte  del  loro  tempo  e  della  loro  vita.  In  particolare,  se  noi 
poniamo  mente  alla  quantità  ed  alla  qualità  dei  documenti  su  gli  ere- 
tici italiani  del  XVI  secolo,  per  dirla  con  il  Cantinieri,  che  negli  ulti- 
mi anni  sono  stati  ritrovati,  eretici  che  oggi,  in  una  dififerente  pro- 
spettiva storica  e  in  una  situazione  di  studi  più  avanzati  e  completi 
possiamo  rivendicare  come  genuina  espressione  di  un  pensiero  rifor- 
matore italiano,  non  possiamo  non  rilevare  con  soddisfazione  come  le 
ricerche  archivistiche,  a  prima  vista  così  aride  e  noiose,  si  rivelino  an- 
cora un  fruttuoso  e  prezioso  strumento  dello  storico.  In  questo  senso, 
dunque,  come  piccolo  contributo  alla  conoscenza  del  movimento  ri- 
formatore italiano  mi  è  parso  utile  dare  notizia  delle  ricerche  che  ho 
compiuto  e  vado  compiendo  allo  Staatsarchiv  Graubiinden  di  Coirà  e 
presso  altre  istituzioni  pubbliche  svizzere  ed  italiane  nonché  presso 
privati. 

La  motivazione  di  questa  ricerca  era  in  partenza  un'altra  poiché 
i  miei  interessi  si  erano  inizialmente  rivolti,  sulla  base  di  precedenti 
studi,  al  rapporto  tra  il  pensiero  giuridico-filosofico  di  Grozio  e  l'in- 
segnamento dei  riformati  italiani  che  al  giurista  e  uomo  politico  olan- 
dese era  più  che  noto.  La  storia  —  per  esempio  • —  dell'influenza  vera 
o  fittizia  del  pensiero  del  Castellione,  anche  mediato  attraverso  Fau- 
sto Sozzini  e,  più  in  generale,  attraverso  il  socinianesimo,  su  Arminio 
e  su  Grozio  è  certo  ancora  tutta  da  scrivere  e,  come  ho  avuto  già  modo 
di  dire  altrove  (1),  mi  pare  che  una  ricerca  in  questo  senso  meriti 
tutta  l'attenzione  se  non  altro  per  chiarire  se  la  presunta  fonte  del 
razionalismo  groziano  più  volte  indicata  nella  Seconda  Scolastica  sia 
veramente  l'unica  o  non  vi  siano  piuttosto  alla  sua  base  più  fonti  di 
cui,  forse,  la  Seconda  Scolastica  sia  solo  quella  più  appariscente  e,  di- 
ciamo pure,  non  la  principale  e  la  più  importante. 

Mi  ero,  dunque,  proposto  inizialmente  il  compito  di  ricercare  do- 
cumenti che  chiarissero  i  rapporti  personali  e  culturali  intercorsi  tra 


(1)  Diritto  e  ragione  nel  pensiero  degli  eretici  italiani  del  sec.  XVI,  in  Studi  Sene- 
si, III  Serie,  XIX  (1970),  Fase.  II,  pp.  237-254. 


—  36  — 


Sebastiano  Castellione  e  Fausto  Sozzini  seguendo  in  questo  alcune 
fondamentali  indicazioni  fornite  dal  Rotondò  nel  suo  brillante  saggio 
del  1967,  «  Atteggiamenti  della  vita  morale  italiana  nel  Cinquecento. 
La  pratica  nicodemitica  »  (2).  La  prima  tappa  di  questa  ricerca  è  stata 
Coirà,  città  certamente  lontana  dai  centri  di  maggior  interesse  come 
Basilea,  Ginevra  e  Zurigo,  ma  che  poteva  conservare  nel  suo  Archi- 
vio di  Stato  una  documentazione  inedita  di  un  certo  valore  e  della 
quale  meritoriamente  già  il  Rotondò  ne  aveva  dato  notizia  —  come 
si  sa  —  nel  citato  studio.  Lasciati  quindi  da  parte  i  cartoni  già  esami- 
nati, una  nuova  ricerca  ha  portato  alla  luce  una  documentazione  ine- 
dita sui  riformatori  italiani.  Si  tratta  di  epistole,  appunti,  atti  e  di- 
chiarazioni notarili,  tutti  in  discreto  stato  di  conservazione,  che  solo 
recentemente  sono  stati  inventariati  ed  hanno  trovato  un'appropriata 
catalogazione  (3).  Orbene  tra  tutti  i  documenti  esaminati  e  di  cui  sto 
curando  la  pubblicazione,  ritengo  qui  interessante  ricordare  alcune 
lettere  che,  spedite  dall'Italia  agli  esiliati  nei  Grigioni  o  scambiate 
tra  gli  stessi,  hanno  in  comune  il  descrivere  avvenimenti  storici  e  per- 
sonali dell'epoca  relativi  a  Fausto  Sozzini  ed  alla  sua  famiglia  con 
particolare  riguardo  agli  zii  Celso,  Camillo  e  Cornelio.  L'arco  di  tem- 
po preso  in  considerazione  è  quello  che  va  dal  1563  al  1570  ed  è  il  pe- 
riodo più  duro  per  l'emigrazione  italiana  in  Svizzera,  quello  che  vide 
la  lenta  scomparsa  degli  eretici  della  prima  generazione  e  la  fine  del- 
l'illusoria rhaetica  Uhertas. 

Non  è  facile  a  questo  punto,  dato  anche  il  limitato  tempo  a  di- 
sposizione, soffermarci  a  lungo  sul  contenuto  delle  singole  lettere  né 
è  possibile  dare  un  quadro  completo  ed  esauriente  della  vita  dei  Soz- 
zini in  Italia  ed  in  Svizzera  in  quel  tempo  volendo  prescindere  dalla 
documentazione  raccolta  dal  Rotondò  perché  quella  e  questa  si  inte- 
grano a  vicenda  formando  un  corpo  unico.  Diremo,  tuttavia,  che  a 
parte  le  notizie  sempre  fondamentali  su  Fausto,  autore  tra  l'altro  di 
due  lettere  datate  rispettivamente  da  Siena,  13  luglio  1565,  e  9  mag- 
gio 1568,  forse  da  Siena,  ed  indirizzate  entrambe  a  Camillo,  è  proprio 
su  quest'ultimo  e  sul  fratello  Celso,  peraltro  gretto  e  meschino  ed  a! 
di  fuori  di  qualsiasi  disputa  religiosa,  che  si  incentra  il  nostro  mag- 
giore interesse. 

Di  Camillo  non  sappiamo  molto  e,  anche  perché  nulla  ci  è  rima- 
sto di  eventuali  suoi  scritti  di  carattere  dottrinario,  è  sempre  poco  ri- 
cordato ed  il  suo  ruolo  nel  gruppo  sozziniano  ridotto  d'importanza. 
Da  queste  lettere,  invece,  risulta  che  se  sul  piano  dottrinario  resta 
confermata  —  allo  stato  attuale  delle  ricerche  —  la  sua  scarsa  se  non 
nulla  rilevanza,  più  interessante  appare  la  sua  funzione  di  collega- 
mento tra  Svizzera  ed  Italia  e  più  convinta  che  non  nel  giovane  Fausto 
è  la  sua  adesione  alle  dottrine  antitrinitarie,  spinto  in  questo,  forse, 
a  dire  il  vero,  anche  dall'impossibilità  di  rientrare  in  Italia  stante  l'ac- 
cusa di  eresia  ed  il  mandato  di  cattura  pendente  sul  suo  capo.  Rico- 


(2)  RSI.  LXXIX  (1967),  pp.  991-1030. 

(3)  Archivio  Salis-Planta.  Samedan,  [Varia]  D  II  C  (1510-1679). 


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struendo  in  breve  i  viaggi  ed  i  soggiorni  di  Camillo  in  Svizzera,  pos- 
siamo ricordare  come  già  il  Marchetti  in  Sull'origine  e  la  dispersione 
del  gruppo  ereticale  dei  Sozzini  a  Siena  (1557-1558)  (4)  abbia  dato 
notizia  di  un  primo  probabile  viaggio  di  Camillo  e  Fausto  nel  1558  a 
Chiavenna,  ove  era  rifugiato  il  figlio  naturale  di  Mariano  jr.,  Dario. 
Di  questo  soggiorno  valtellinese  possiamo  trovare  conferma  in  quanto 
ci  dice  il  Tedeschi  (5)  riportando  una  parte  di  un  manoscritto  pubbli- 
cato dal  Meyer  (6).  Si  tratta  di  una  preziosa  anche  se  alquanto  nebu- 
losa testimonianza  di  un  soggiorno  zurighese  :  «  By  Hern  Doctor  Petro 
Martyr  [Vermigli]  gannd  Zwey  Italiener  zu  tisch.  1st  der  ein  Lelii 
Soccini  Bruder,  der  annder  desselben  bruders  son.  Hannd  bi  Felixen 
Sprungli  ein  kammer,  unnd  hannd  kein  andere  begangenschaft  dann 
das  sy  studierend  ».  Di  certo  comunque  sappiamo  che  Camillo  as- 
sieme a  un  Dario  (Sozzini  o  Scala?)  era  alla  fine  del  1563  in  Svizze- 
ra (7).  Su  gli  avvenimenti  precedenti  e  seguenti  a  questo  definitivo 
viaggio  di  Camillo  in  terra  elvetica  non  si  hanno  notizie.  Ora  però 
dal  testo  di  una  lettera  di  Guarnerio  Castelvetro  a  Camillo,  spedita  da 
Zurigo  il  14  aprile  1565,  possiamo  indicare  con  certezza  che  almeno 
dai  primi  mesi  di  quell'anno  Camillo  si  trovava  a  Piur,  ospite  del 
Turriani,  e  si  potrebbe  supporre  da  una  lettera  di  Giovanni  Fellini, 
amico  da  lunga  data  dei  Sozzini,  che  fin  dal  gennaio-febbraio  del  1564 
Camillo,  a  cui  il  medico  bolognese  si  indirizza  il  5  febbraio  di  quel- 
l'anno, si  trovasse  già  nella  Rezia,  confermando  così  le  notizie  date 
a  suo  tempo  dal  Bullinger.  Di  Giovanni  Fellini  abbiamo  poi  un'altra 
lettera,  spedita  da  Bologna  il  31  marzo  1563  a  Fausto,  in  cui  ci  dà 
notizia  di  Cornelio  e  Celso  Sozzini,  di  avvenimenti  italiani  e  bolo- 
gnesi, ed  infine  si  prescrive  al  senese  una  particolare  cura  per  porre 
rimedio  ad  un  suo  noioso  malessere.  Il  fatto  che  questa  lettera  si  sia 
trovata  nell'Archivio  Salis-Flanta  potrebbe  fare  avanzare  l'ipotesi 
che  Fausto  si  trovasse  allora  già  nei  Grigioni  diretto  in  Italia  sul  cui 
viaggio  si  dilunga  in  una  lettera  del  3  novembre  dello  stesso  anno  e 
di  cui  già  il  Rotondò  ha  parlato  (8).  Ma,  tornando  a  Camillo,  da 
Guarnerio  Castelvetro  veniamo  a  sapere  che  al  momento  della  pre- 
cipitosa fuga  da  Zurigo,  lo  zio  di  Fausto  aveva  affidato  al  modenese 
la  cura  delle  proprie  «  robe  ».  Cosi  appunto  nell'aprile  del  1565,  cal- 
matesi le  acque  intorno  al  clamoroso  caso,  Guarnerio  assieme  a  Fran- 
cesco Betti,  prepara  l'inventario  dei  beni  e  dei  libri  che  verranno 
rinchiusi  in  apposite  casse  restando  egli,  nel  contempo,  a  disposizio- 
ne di  Camillo  per  l'invio  immediato  di  quelle  cose  che  avrebbe  ri- 
chiesto come  a  lui  più  urgenti  e  necessarie.  La  copia  dell'inventario 
doveva  essere  allegata  a  questa  lettera,  ma  purtroppo  non  ne  è  stata 


(4)  In  RSI,  LXXXI  (1969),  pp.  133-173. 

(5)  Azotes  toward  a  genealogy  of  the  Sozzini  family  in  Italian  Reformation  Studies 
in  Honor  of  Laelius  Socinus,  Firenze,  1965,  p.  301. 

(6)  Die  evangelische  Gemeinde  in  Locarno,  Zurich,  1836,  11,  p.  388. 

(7)  T.  ScHiESS  (Hrsg.),  BulUngers  Korrespondenz  mit  den  GraubUnden,  Basel, 
1904-1906,  Bd.  II,  p.  476. 

(8)  Op.  cit.,  n.  26,  p.  1000. 


—  38  — 


trovata  traccia.  Infine  i  saluti  per  il  Turriani  e  per  il  Camulio  che 
si  trovava  allora,  forse  solo  di  passaggio,  a  Piur. 

L'accenno  al  Betti  è  molto  importante  soprattutto  se  si  conside- 
ra che  in  una.  successiva  lettera  del  30  giugno  1570  a  Camillo  veniamo 
a  sapere  con  precisione  che  tutti  (o  quasi)  i  manoscritti  e  la  biblio- 
teca di  Lelio  sono  stati  dati  a  lui  in  custodia,  dopo  un  accordo  inter- 
corso in  tal  senso  anche  con  Fausto.  D'altra  parte  una  conferma  di 
ciò  l'abbiamo  proprio  nella  lettera  di  Fausto  da  Siena  in  data  13  lu- 
glio 1565  in  cui  dice:  «  Credo  che  non  avrò  tempo  di  scrivere  al  si- 
gnor Betto.  Salutatelo  per  lettera  da  parte  mia  e  di  grazia  come  credo 
che  abbiate  fatto,  lasciate  a  lui  interamente  la  cura  dei  libri  e  degli 
scritti  perciocché  come  uomo  diligente  et  amorevole  sarà  molto  a  pro- 
posito e  ne  avrà  contento  con  levar  fatica  a  voi  ».  Che  il  Betti  fosse 
proprio  «  contento  »  di  questo  incarico  non  diremo,  o,  almeno,  non 
lo  era  certamente  più  cinque  anni  dopo  quando,  nella  lettera  citata 
del  '70,  si  augurava  che  il  Frastagliato  (Fausto  Sozzini)  gli  desse  l'or- 
dine di  restituire  libri  e  scritti  a  Camillo  che  insistentemente  li  ri- 
chiedeva da  tempo.  Testimonianza  fondamentale  risulta  poi  quanto 
ancora  Fausto  scrive  «  all'oriuolo  »  (Camillo  Sozzini)  il  9  maggio 
1568  allorché,  onde  giustificare  il  continuo  procrastinare  della  sua 
partenza  dall'Italia,  dice:  «  quantunque  io  creda  che  gli  scritti  di 
colui,  che  morto  a  noi  vive  a  dio,  me  siano  sempre  per  fare  ampia 
strada  a  questo  disegno,  e  per  farmi  volentieri  aspettar  da  altrui  al- 
cuno spazio  di  tempo.  Laonde  scrivendo  al  Betto  non  gli  dico  inte- 
ramente ciò  che  voi  vorreste,  ma  solamente  che  in  caso  di  sua  grave 
infermità  o  di  sua  partenza  ordini  che  se  ne  faccia  la  volontà  vostra 
o  d'altro  fedele  e  caro  amico  pigliandone  però  promessa  e,  parendo, 
convenevole  giuramento  di  non  far  d'essi  se  non  quello  ch'io,  mentre 
sarò  vivo,  ordinerò  che  se  ne  debba  fare.  Né  vi  paia  dura  né  strana 
questa  mia  deliberazione  perciocché  tutta  è  fatta  ad  ottimo  fine,  poi- 
ché non  conosco  ninno  che  meglio  di  me  possa  interpretare  la  volon- 
tà di  quel  divino  spirito  e  le  sue  opinioni  ». 

Da  quanto  più  sopra  ed  ora  detto  si  può,  quindi,  avanzare  l'ipo- 
tesi che  alla  morte  di  Lelio,  o  subito  dopo  questa,  anche  Camillo  fos- 
se a  Zurigo  forse  già  prima  del  1562  e  che  quindi  sia  stato  lui  a  pre- 
gare il  Besozzi  di  portare  la  notizia  della  morte  di  Lelio  a  Fausto  in 
Lione,  come  è  tradizione.  In  ogni  modo,  indipendentemente  dalla 
presenza  di  Camillo  a  Zurigo  nel  1562,  se  pure  i  manoscritti  ed  i 
libri  di  Lelio  furono  raccolti  dal  solo  Fausto  ed  a  questi  lasciati,  ciò 
avvenne  in  pieno  accordo  con  Camillo,  certamente  a  Zurigo  nel  1563 
prima  delia  partenza  di  Fausto  per  l'Italia,  il  quale  Camillo,  d'altra 
parte,  visti  i  continui  rinvii  del  Frastagliato  del  suo  previsto  ritorno 
in  Svizzera,  richiedeva  pochi  anni  dopo  ciò  che  era  di  Lelio  al  Betti 
non  ritenendo  evidentemente  giusto  che  il  solo  nipote  ne  potesse  di- 
sporre. 

Interessante  questione  è  poi  quella  che  riguarda  la  Explicativ 
primae  partis  primi  capitis  Jocnnis  di  Fausto  Sozzini.  Di  essa  egli 
stesso  ne  fa  menzione  nella  lettera  del  13  luglio  1565:   «  Desidero 


—  39  — 


aver  copia  dello  'nprincipio.  Procurate  che  io  ne  sia  compiaciuto  per 
la  prima  comodità.  Basta  che  sia  imo  fidato  che  venga  in  fin  a  Bolo- 
gna indirizzando  a  misser  Giovanni  ogni  cosa  ».  Misser  Giovanni  è  il 
Pellini  di  cui  già  sopra  si  disse  e  che,  apparendo  anche  in  altre  let- 
tere come  persona  di  fiducia  ed  al  di  sopra  di  qualsiasi  sospetto  ere- 
ticale, fu  di  prezioso  aiuto  ai  Sozzini.  Ma  questa  richiesta  di  Fausto 
non  pare  sia  stata  immediatamente  soddisfatta  da  Camillo  se  nuova- 
mente gli  si  rivolge  nella  già  citata  lettera  del  9  maggio  1568,  dopo 
una  richiesta  di  notizie  su  Ludovico  Castelvetro,  che  da  una  lettera 
del  nipote  Giacopo  a  Camillo  Sozzini  (17  settembre  1570)  sappiamo 
si  trovava  in  Valtellina  nell'estate  del  1570:  «  Altro  non  ho  da  dirvi 
se  non  che  se  voi  vi  dolete  forse  di  me,  e  n'avete  cagione,  io  ho  più 
cagione  di  dolermi  di  voi  che  dopo  tanto  tempo,  ancora  che  abbiate 
avuti  già  tante  volte  i  mezzi  sicurissimi,  non  m'abbiate  mandato  il 
mio  àpxì).  Pazienza  ».  Anche  la  lettera  del  1570  (30  giugno)  del 
Betti  fa  riferimento  aìVExplicatio  quando,  tra  le  altre  notizie  relati- 
ve anche  al  figlio  di  Celso  Secondo  Curione,  Leo,  e  al  Bovio  (Bue), 
lasciata  da  parte  la  lunga  disputa  sui  manoscritti  ed  i  libri  di  Lelio, 
in  un  breve  poscritto  ci  dà  un'importante  notizia  relativa  alla  stampa 
dell'opera  di  Fausto:  «  Se  vi  trovaste,  come  credo,  la  parafrasi  dello 
'mprincipio  stampata  seperata...  vi  prego  a  mandarmela  ». 

Queste  scarne  notizie  che  si  hanno  dallo  stesso  Fausto  sull'E;cp/?- 
catio  sono  molto  importanti  e  confutano  la  tesi  sostenuta  dallo 
Szczucki  (9)  dell'esistenza  della  prima  edizione  dell'opera  che  sareb- 
be stata  edita,  in  lingua  latina,  in  Polonia  ad  Alba  Julia  (Gyula- 
fehervar-Karlsberg)  nell'officina  del  tipografo  unitario  Raffaele  Skrze- 
tuski-Hoffhalter  tra  il  1567  e  il  1569.  In  realtà  questo  opuscolo,  finora 
rimasto  sconosciuto  in  quanto  segnato  con  il  nome  del  Biandrata,  non 
è  che  una  seconda  edizione  riveduta,  ampliata  e  corretta  di  un  testo 
probabilmente  andato  perduto,  e  da  cui  il  teologo  calvinista  Du  Jon 
(Francesco  Junius)  trasse  l'edizione  di  Heidelberg  del  1591  pubbli- 
cata in  ///  Defensio  catholicae  doctrinae  de  S.  Trinitate  per  sonant  m 
in  imitate  essentiae  Dei  (10).  La  stesura  e  la  stampa  di  questa  prima 
edizione  deW Explicatio  di  Fausto  è  da  indicarsi  tra  il  1562,  come  già 
rilevò  il  Cantimori  (11)  e  il  1565,  se  non  addirittura  entro  la  tarda 
primavera  del  1563,  periodo  in  cui,  come  sappiamo.  Fausto  Sozzini 
rientrò  in  Italia.  E  si  potrebbe  anche  dire,  con  una  certa  sicurezza, 
1562,  se  rileggiamo  una  lettera  del  senese  al  Dudith  del  3  gennaio  1580, 
ricordata  dallo  Szczucki  (12),  in  cui  Fausto  dà  notizia  della  pubbli- 
cazione (\eìV Explicatio  diciotto  anni  prima:  appunto  nel  1562.  La 
stampa,  poi,  di  questa  prima  edizione  non  avvenne  certamente  in 
Transilvania  o  in  Polonia,  ma  piìi  probabilmente  nella  stessa  Svizzera 

(9)  La  prima  edizione  deW«  Explicatio  »  di  Fausto  Sozzini,  in  Rinascimento, 
Serie  II,  voi.  VII  (1967),  pp.  319-327). 

(10)  Cfr.  Th.  Wierzbowski,  Bibliographia  Polonica  XV  ac  XVI  ss..  Reprint,  De 
Graaf,  Nieuwkoop,  1961,  voi.  I,  n.  562,  pp.  124-125.  Ed.  orig.,  Warsaw,  1889-1894. 

(11)  Eretici  italiani  del  Cinquecento,  Firenze,  1939,  p.  349. 

(12)  Op.  cit.,  nota  n.  2,  pp.  321-322. 


—  40  — 


o  in  qualche  altro  paese  europeo,  forse  in  Olanda.  E  mentre  queste 
notizie  che  ci  dà  Fausto  paiono  dare  torto  allo  Szczucki  (13)  e  con- 
temporaneamente ragione  al  Wajsblum  (cito  dallo  Szcuzucki,  op.  cit., 
p.  323,  Rhapsodiae  LaeUusa  Socyna,  p.  145)  sulla  traduzione  polacca 
deìV Explicatio  fatta  da  Grzergorz  Pawel  su  una  antica  redazioni  poi 
andata  perduta,  la  richiesta  del  Betti  di  una  edizione  «  seperata  »  del- 
V Explicatio  fa  ritenere  che,  come  aveva  ben  visto  lo  studioso  po- 
lacco (14),  essa  era  anche  stata  stampata  prima  del  giugno  1570  in 
un'opera  collettiva.  Quale? 

In  conclusione  possiamo  brevemente  ricapitolare  sulle  edizioni 
deW Explicatio  di  Fausto  Sozzini  in  questo  modo:  1562,  prima  edi- 
zione in  latino;  1568,  edizione  polacca  in  latino,  riveduta  e  corretta, 
per  i  tipi  dell'HofiFhalter  e,  nello  stesso  anno,  edizione  polacca  tra- 
dotta dal  Pawel  su  quella  del  1562,  andata  probabilmente  perduta; 
1591,  edizione  di  Heidelberg  del  Du  Jon  sempre  sul  testo  del  '62  o  su 
un  manoscritto  proveniente  da  Zurigo  (15),  edizione  che  già  il  Can- 
timori  aveva  affermato  essere  basata  sul  testo  primigenio  (16)  e  quin- 
di più  antico;  1618,  infine,  edizione  di  Racovia  che  è  poi  quella  ri- 
portata dal  Sand,  salvo  qualche  lieve  correzione  piìi  che  altro  stili- 
stica, nella  Bibliotheca  Fratrum  Polonoritm. 

Da  ultimo  resta  brevemente  da  dire  di  Celso  Sozzini  nelle  cui 
lettere  si  ha  un'ulteriore  conferma  della  svogliatezza  con  cui  Fausto 
portava  a  termine  i  suoi  studi  di  giurisprudenza,  e  per  cui  Celso  ri- 
chiede aiuto  anche  al  fratello  Camillo  (5  dicembre  1565),  e  del  con- 
tinuo dubbio  che  lo  travagliava  circa  il  rimanere  in  Italia  o  il  rifu- 
giarsi all'estero.  Le  lettere  del  giurista  senese  sono  però  quasi  tutte 
incentrate  sulla  risoluzione  dei  complessi  legami  finanziari  che  lega- 
vano i  Sozzini  ai  Bonvisi  ed  alla  casa  reale  di  Francia,  interessi  fi- 
nanziari che  venivano  curati  da  vari  agenti  tra  cui,  forse,  un  certo 
Rhenato,  residente  a  Piur,  anche  se  il  personaggio  rimane  miste- 
rioso e  certi  velati  accenni  e  la  dimestichezza  con  Celso  e.  soprat- 
tutto, con  sua  moglie  Lucrezia  Sabbadini,  lo  fanno  apparire  più  che 
un  agente  di  cambio,  un  vero  e  proprio  amico,  anche  se  non  ci  azzar- 
diamo ad  individuarlo,  per  ora,  in  Camillo  Renato  (17).  Siamo  nel 
maggio  del  1568.  Assai  più  interessante  è,  invece,  la  lettera  del  5  di- 
cembre 1565  di  Celso  a  Camillo  ove,  tra  le  altre  notizie  relative  alla 
stampa  da  lui  curata  in  Venezia  delle  opere  del  padre,  Mariano  jr.,  ed 
a  quella  di  un  libro  di  Mariano  Antiquo  di  cui  Camillo  aveva  in- 
combenza in  Svizzera  (ulteriore  conferma  del  largo  giro  che  Camillo 

(13)  Op.  cit..  p.  323. 

(14)  Op.  cit..  p.  321. 

(15)  Cfr.  L.  Firpo.  Il  vero  autore  di  un  celebre  scritto  anli-lrinitario:  Christian 
Francken  non  Lelio  Sozzini.  in  Boll.  Soc.  Studi  Valdesi,  Anno  LX.XVII.  n.  104  (die. 
1958),  p.  68,  nota  n.  60. 

(16)  D.  Cantimori,  op.  cit..  p.  349,  nota. 

(17)  cfr.  G.  B.  Gallizioli.  in  Memorie  isteriche  e  letterarie  della  vita  e  delle 
opere  di  Girolamo  Zanchi.  Bergamo,  1785.  p.  54  ricorda  come  il  teolop)  riformato  ber- 
gamasco dopo  il  luglio  1567  e  prima  della  sua  partenza  per  Heidelberg,  avvenuta  nel 
dicembre  1568,  ritiratosi  a  Pinz.  conversasse  frequentemente  con  Camillo  Renalo. 


—  41  — 


aveva  anche  presso  i  tipografi:  v.  pure  in  relazione  aWExpUcatio), 
nonché  alle  notizie  sulla  propria  famiglia  e  su  Fausto,  vi  è  un  impor- 
tantissimo accenno  a  Lucrezia  Sabbadini  che  appare  decisamente 
conquistata  dal  credo  riformato,  che  .  peraltro  lascia  indifferente,  a 
quanto  se  ne  può  dedurre,  Celso.  Scrive  infatti  lo  Scolorato:  «  Altre 
particularità  non  ho  da  dirti  salvo  che  Lucrezia  vorria  l'istituzione 
che  si  dovria  insegnare  ai  fanciulli  acciocché  bene  e  dirittamente  si 
incamminassero  con  il  timore  d'Iddio,  sicché  di  grazia  glie  ne  man- 
darai  una  acciocché  lo  possi  mettere  in  pratica  con  i  suoi  figli  ».  Ri- 
levato quel  «  suoi  figli  »  (sic!);  escluso,  per  ovvi  motivi  religiosi,  che 
!'«  istituzione  »  di  cui  si  pari  asia  un'opera  di  Calvino,  non  resta  che 
avanzare  la  supposizione  che  ci  si  riferisca  ad  un'opera  di  Juan  de 
Valdés. 

Altro  e  a  lungo  ci  sarebbe  da  dire,  ma  il  quadro  fondamentale 
di  questi  anni  della  giovinezza  di  Fausto  Sozzini  e  dei  suoi  rapporti 
con  lo  zio  Camillo  e  con  il  Betti  mi  pare  sufficientemente  delineato  in 
base  ai  documenti  ritrovati  e  sui  quali,  lo  ripetiamo,  è  necessario 
fare  un  più  ampio  discorso  critico. 

Da  ultimo,  per  finalmente  concludere,  vorrei  ringraziare  per  i 
consigli  e  l'incoraggiamento  datimi  nel  prosieguo  della  ricerca,  il 
prof.  Antonio  Rotondò;  per  la  rilettura  dei  testi  e  la  soluzione  di  al- 
cuni problemi  storici  e  filologici,  l'amico  dott.  Valerio  Marchetti. 

Giampaolo  Zucchini 


Melchor  Cano:  la  storia 
come  locus  theologicus* 


1.  Nulla  potrebbe  testimoniare  il  nuovo  ruolo  assunto  dalla  sto- 
ria nell'enciclopedia  del  sapere  del  '500  più  efficacemente  dei  nume- 
rosi trattati  volti  a  definire  linjiuaggio,  caratteristiche,  compiti  di 
questa  branca  dell'attività  intellettuale.  Sono  cose  risapute:  la  sto- 
ria non  è  più  soltanto  celebrativa  e  dispensatrice  di  gloria,  né  solo  te- 
soro delle  memorie  antiche,  ma  si  pone,  da  Machiavelli  a  Bodin,  co- 
me ispiratrice  dell'azione  politica  e  matrice  di  suggestioni  per  il  con- 
solidamento del  senso  dello  stato;  presso  gli  umanisti,  come  Polido- 
ro Virgilio,  essa  serve  al  compito  di  mostrare  come  l'uomo  ha  co- 
struito nel  tempo  le  strutture  che  reggono  la  sua  esistenza  attuale; 
gli  uomini  del  grande  dibattito  religioso,  infine,  si  rivolgono  alla 
storia  per  affrontare  il  senso  dei  problemi  attuali,  per  cercarvi  con- 
ferme o  condanne:  è  soprattutto  per  loro,  che  la  storia,  in  partico- 
lare sotto  la  specie  di  storia  universale,  assume  per  la  prima  volta 


(*)  Per  M.  Cano  (1509-1560)  e  la  sua  posizione  nella  storia  della  teologia  cfr. 
Dictionnaire  de  Théologie  Catholique,  vol.  II  coll.  1592-93  (s.  v.  Cano,  M.),  vol.  XV, 
1  coll.  421-23  (s.  V.  Théologie).  Resta  fondamentale,  M.  Bataillon,  Erasme  et  l'Espa- 
gne, p.  545  sgg.  (per  i  precursori  teologici  di  Cano);  p.  558  sg.,  p.  754  sgg.  (per 
il  contrasto  con  Carranza,  visto  come  «  l'inspirateur  d'un  courant  pietiste  qui  s'oppose 
au  courant  intellectualiste  orienté  par  Cano  »);  p.  746  (per  la  posizione  di  Cano  in 
rapporto  ai  Gesuiti)  p.  767  sgg.  (per  indicazioni  complessive  sul  clima  culturale  in  cui 
nascono  i  Loci  theologici). 

La  «  praefatio  instar  Prologi  Galeati  »  premessa  da  P.  Giacinto  Serry  Doct.  Sor- 
bon.  —  alla  edizione  patavina  (apud  Joannem  Manfré)  del  1714  orienta  sulle  pole- 
miche suscitate  fino  a  quell'epoca  dalle  critiche  di  Cano  agli  agiografi  ed  agli  storici 
ecclesiastici  (è  ripresa  nell'edizione  di  Bassano  1746,  che  riproduce  la  patavina  del 
1714)  e  allinea  testimonianze  sulla  stima  di  cui  godeva  Cano  come  storico  e  trattati- 
sta «  de  scribenda  historia  ». 

Cfr.  inoltre  J.  Quetif  -  J.  Echard,  Scriptores  Ordinis  Predicatorum.  voi.  II,  Pa- 
rigi 1721,  p.  176-178;  A.  Touron,  Histoire  des  hommes  illustres  de  l'Ordre  de  S.  Do- 
minique, IV,  Parigi  1747,  pp.  193-204.  R.  P.  Mortier,  Histoire  des  Maitres  généraux 
de  l'ordre  des  frères  prêcheurs,  tomo  V,  Parigi  1911,  presenta  la  cultura  domenicana 
spagnola  sotto  il  44°  maestro  generale  Albert  de  Casaus,  pp.  372-388;  la  contrapposi- 
zione Cano-Carranza  vi  è  vista  in  forma  molto  semplicistica  come  scontro  tra  «  plus 
humanistes  »  e  «  plus  scolastiques  »  ib.  p.  385.  Angel  Valbuena  Prat,  Historia  de  la 
literatura  Espanola,  2"  ed.,  Barcellona  1946,  tomo  I,  cap.  XXVI,  presenta  un  incisivo 
ragguaglio  della  cultura  teologico-umanistica  a  Salamanca  e  fornisce  utili  indicazioni 
bibliografiche  sull'opera  di  Cano. 


—  44  — 


(ma  meglio  sarebbe  dire,  riprende,  dopo  S.  Agostino)  il  ruolo  di 
grande  orizzonte  vitale,  un  ruolo  vissuto  e  talvolta  drammaticamen- 
te vissuto,  come  presso  le  correnti  «  catastrofiche  »,  che  leggono  la 
loro  posizione  nel  tempo  come  quella  di  partecipi  ad  una  Grande  Fi- 
ne ed  a  un  Grande  Principio;  e  basti  qui  pensare,  per  un  esempio, 
alle  siippiitationes  di  Lutero';  o  alle  indicazioni  del  Chronicon  Ca- 
rionis;  o  al  modo  in  cui  formula  la  posizione  dell'umanità  nel  tem- 
po Giovanni  da  Sleida  :  «  nobis  in  hoc  mundi  postremo  curriculo  po- 
sitis  »  ^. 

2.  Paradossalmente  (ma  non  troppo)  è  proprio  all'interno  di 
questi  dibattiti,  nel  regno  quindi  della  controversia  più  accesa,  che 
fruttificano  più  abbondantemente  i  nuovi  canoni  euristici  e  il  nuo- 
vo senso  della  distanza  storica  approntati  dalle  ricerche  degli  uma- 
•nisti.  Qui:  perché  qui  la  posta  in  gioco  è  particolarmente  severa  ed 
un  nuovo  documento  o  una  più  affinata  maniera  di  leggerlo  possono 
servire  a  minare  efficacemente  la  vecchia  istituzione,  a  fornire  rag  o- 
ni  alla  nuova,  ad  impedire  alla  nuova  di  cristallizzarsi  secondo  la  li- 
nea di  errori  antichi  e  via  dicendo. 

Non  bisogna  dimenticare  che  questa  è  l'epoca  della  storia  euro- 
pea in  cui  il  passato  -  sacro  o  profano  -  ha  goduto  del  suo  prestigio 
più  alto:  giustificarsi  di  fronte  ad  esso  -  di  fronte  ai  «  Romani  »  o  ai 
«  Cristiani  dei  primi  secoli  »  -  rientra  negli  obblighi  di  un'età  che 
compie  una  grande  trasformazione  intellettuale  e  religiosa  richia- 
mandosi alle  origini  -  (rivoluzione  come  obbedienza  all'autorità  del- 
la tradizione). 

Ora  la  storia,  col  coro  delle  discipline,  che  in  seguito  si  chiame- 
ranno ausiliarie,  filologia,  cronologia,  geografia,  antiquaria...  è  il  tra- 
mite di  questo  contatto  di  importanza  vitale:  di  qui  la  sua  rilevanza 
nuova  e  la  sua  crescita  di  prestigio  nella  mappa  dei  valori  intellettuali. 

3.  Di  qui  anche  l'infoltirsi  dei  tentativi  cui  si  accennava  all'inizio, 
di  definire  in  termini  teorici  il  suo  nuovo  ruolo.  Riservata  ai  «  gram- 
matici »,  (ma  in  un  contesto  culturale  in  cui  il  grammatico  vede  le 
sue  funzioni  riabilitate  e  sollevate  a  quelle  di  critico),  e  raccoman- 
data ai  filosofi  e  ai  teologi,  quasi  come  strumento  di  una  «  pietas  no- 
va »,  essa  giunge  a  permeare  tutte  le  scienze,  dalla  medicina  all'astro- 
logia (come  dimenticare  la  concreta  esperienza  storica  che  opera  nel- 
le discussioni  di  Pico?).  Discussioni  sul  linguaggio  della  storia  (da 
Rodolfo  Agricola  a  Pontano),  sul  suo  rapporto  con  la  poesia,  con  la 
retorica  e  finanche  col  romanzo,  sulla  sua  utilità  e  sulla  sua  plausi- 
bilità euristica  o  status  epistemologico  con  connesse  professioni  di 
scetticismo  assoluto  (Agrippa)  o  circostanziato  (Vives);  infine  i  primi 
abbozzi  di  storia  della  storiografia,  con  Mose  che  contende  ad  Ero- 
doto il  ruolo  di  padre  della  storia;  e  noi  il  problema  delle  sue  rela- 

(1)  Lutheri  Opera  t.  IV,  Jenae  1570,  f.  674-733  (Supputatio  anorum  Mundi  DM. 
Lutheri). 

(2)  Jo.  Sleidani,  De  quatuor  summis  imperiis.  lib.  III.  exc.  Conradus  Badius, 
1559,  p.  50  V. 


—  45  — 


zioni  con  ]a  teologia  e  la  sua  trionfale  assunzione  tra  i  siibsidia  fidei, 
riconoscimento  sicuro  della  acquistata  importanza  (3). 

4.  Qui  ci  proponiamo  di  fornire  alcune  indicazioni  sui  modi  in 
cui  questa  assunzione  si  attuò  nell'opera  del  teologo  spagnolo  Mel- 
chiorre Cano,  precisando  che  non  si  vuole  solo  esemplificare  astratta- 
mente un  processo,  ma  descrivere  in  concreto  il  modo  in  cui  un'opera 
teologica  di  grande  autorità  e  duratura  fortuna  in  campo  cattolico  (e 
non  solo  cattolico:  Vossiiis...)  ragiona  e  autorizza  la  rivelanza  reli- 
giosa dell'indagine  storica;  non  solo:  ma  delimita  e  poi  difende  la 
dignità  euristica  in  generale  della  nuova  disciplina.  In  breve:  l'ope- 
ra di  Cano  contiene  una  immagine  ragionata  della  teologia  come  rhe- 
lorica  fidei;  la  rhetorica,  si  sa,  attinge  ad  un  serbatoio  di  loci,  cioè 
di  depositi  di  argomenti;  il  decimo  di  questi  «  depositi  »  è  costituito 
dalla  storia. 

Ma  procediamo  per  gradi:  Cano  assegna  alla  teologia  non  un  com- 
pito di  ricerca  della  verità,  ma  semplicemente  di  conferma  di  essa. 
La  verità  è  data:  sta  nel  Libro  e  nel  magistero  della  chiesa;  ogni  af- 
fanno di  autonoma  ricerca,  stando  così  le  cose,  è  perdita  di  tempo 
sul  piano  pratico,  presunzione  colpevole  sul  piano  morale,  eretico  di- 
fetto di  fede  dal  punto  di  vista  teologico.  In  un'epoca  in  cui  la  citta- 
della della  fede  è  attaccata  da  tutti  i  lati  e  con  tutti  i  mezzi  il  teologo 
deve  farsi  vigile  intelligenza  armata  per  la  difesa:  le  armi  sono  gli  ar- 
gomenti e  questi  non  hanno  bisogno  di  essere  forgiati  ex  novo,  atten- 
dono solo  di  essere  appresi  e  coordinati  con  tagliente  efficacia,  gerar 
chizzati  secondo  il  loro  ordine  di  autorità.  Così  Cano  costruisce  una 
serie  di  loci  distribuiti  secondo  un  ordine  decrescente  di  cogenza  ar- 
gomentativa, che  inizia  col  serbatoio  delle  «  res  gestae  dei  »,  la  Scrit- 
tura, e  termina  con  la  memoria  delle  res  gestae  hominum,  appunto 
la  storia  (4). 


(3)  Per  raccolte  di  trattati  sulla  storia  il  punto  di  riferimento  più  comodo  è 
YArtis  historicae  penus,  pubblicato  da  Perna  a  Basilea  nel  1576  e  in  ed.  ampliata  nel 
1579.  Cfr.  ora  anche,  Theoretiker  U manistischer  Geschichtsschreibung,  Miinchen  1971, 
(Humanistische  Bibliothek,  Abhandlungen  und  Texte,  in  Verbindung  mit  dem  Centro 
Italiano  di  Studi  Umanistici  e  Filosofici  etc.)  Nachdruck  exemplarscher  Texte  aus  dem 
16  Jahrhundert,  a  cura  di  Eckhard  Kessler  Contiene  scritti  di  Robortello,  Atanagi. 
Patrizi,  Aconcio,  Viperano,  Foglietta,  A.  Sardi,  Sperone  Speroni.  Per  Agrippa,  cfr.  il 
cap.  V.  (De  historia)  nel  De  Vanitale  Scientiarum,  alle  pp.  20-21  nell'ed.  per  Berin- 
gos  fratres.  Per  Vives,  v.  i  passi  sulla  storia  nel  II  e  nel  V  del  De  tradendis  disciplinis: 
in  lui  il  senso  dell'importanza  della  storia,  esaltata  come  matrice  di  tutte  le  discipli- 
ne, si  accompagna  ad  un  vivace  atteggiamento  di  critica  verso  le  sue  condizioni  attuali. 

(4)  Vedi  l'elenco  a  p.  2  dell'ed.  Patavii,  Typis  Seminarli,  1714,  apud  Jo.  Manfrè, 
alla  quale  si  riferiranno  le  citazioni  da  qui  innanzi:  1)  auctoritas  S.  Scripturae;  2)  auc- 
toritas  traditionum  Christi  et  Apostolorum;  3)  auctoritas  Ecclesiae  Catholicae;  4)  auc- 
toritas Conciliorum  praesertim  generalium;  5)  auctoritas  Ecclesiae  Romanae;  6)  aucto- 
ritas Sanctorum  veterum;  7)  auctoritas  Theologiae  Scholasticae  et  luris  pontificii  peri- 
torum;  8)  auctoritas  rationis  naturalis;  9)  auctoritas  Philosophorum  qui  naturam  du- 
cem  sequuntur;  10)  «  Postremus  denique  locus  est  humanae  auctoritas  historiae  sire 
per  auctores  fide  dignos  scriptae  sive  de  gente  in  gentem  traditae.  non  superstitiose 
atque  aniliter  sed  gravi  constantique  ratione  ». 


—  46  — 


5.  È  noto  che  uno  dei  grossi  problemi  che  il  genere  storia  ha  do- 
vuto superare  per  definirsi  all'interno  dell'enciclopedia  del  sapere 
nata  dalla  matrice  degli  studi  di  retorica  è  stato  quello  della  sua  dif- 
ferenziazione rispetto  ai  generi  narrativi  d'invenzione:  è  stato  chiaro 
molto  presto  il  carattere  Sir^yiOt^aTixôç  narrativo,  che  la  storia  aveva  in 
comune  con  questi,  e  la  sua  finalizzazione  al  particolare,  allo  speci- 
fico; in  questa  prospettiva,  all'interno  di  una  visione  filosofica  come 
quella  aristotelico-scolastica  per  cui  la  conoscenza  privilegiata  è  quel- 
la per  universali,  il  discorso  storico  poteva  essere  qualificato  come 
quello  a  più  basso  valore  conoscitivo,  inferiore  anche  al  discorso  poe- 
tico. Che  Cano  continui  ad  essere  tributario  a  questa  valutazione  è  di- 
mostrato dal  fatto  che  egli  colloca  la  storia  all'ultimo  posto  dei  loci, 
dopo  auctoritas  rationis  natiiralis  (lociis  8)  e  auctoritas  philosopha- 
rum  qui  naturam  ducem  sequuntur  (locus  9). 

La  sua  posizione  è  tuttavia  ben  lontana  dall'esaurirsi  in  questo 
omaggio  alla  tradizione.  Non  bisogna  dimenticare  che  i  loci  theologici 
abbozzano  il  disegno  di  una  nuova  teologia  destinata  a  far  da  media- 
trice fra  la  condanna  ai  deliramenti  speculativi  dei  «  dialectici  »  e 
l'esaltazione  delle  humanitatcs  promamanti  da  una  tradizione  che  in 
Spagna  si  autorizzava  dei  nomi  di  Erasmo  e  Vives,  da  una  parte,  e  la 
eredità  tomista  a  cui  Cano  si  dichiara  fedele,  dall'altra.  In  questa 
prospettiva  di  rivalutazione  delle  «  humanitates  »,  che  serve  del  resto 
anche  ad  una  precisa  polemica  contro  il  luteranesimo,  trova  il  suo  po- 
sto la  storia:  sicché  una  valutazione  corretta  del  discorso  di  Cano  sul- 
la storia  deve  riportarsi  ad  una  definizione  precisa  degli  obiettivi  che 
il  teologo  domenicano  si  è  posto,  all'interno  di  un  disegno  intelli- 
gente ed  ambizioso  di  restaurazione  dottrinale  cattolica.  Questa  re- 
staurazione passa  attraverso  tre  obiettivi:  rinnovamento  degli  studi 
teologici  che  accolga  alcune  delle  istanze  antispeculative  sviluppate 
dall'umanesimo  cristiano  con  il  suo  attacco  alle  degenerazioni  sofisti- 
che della  scolastica  in  nome  di  un  ritorno  alla  scrittura  e  ai  padri; 
contenimento  e  riconduzione  all'ordine  della  corrente  che  possiamo 
pur  chiamare  «  erasmiana  »,  attraverso  la  denuncia  delle  sue  degene- 
razioni individualistiche  e  dei  suoi  arbitri  esegetici;  sconfitta  del  lute- 
ranesimo, attraverso  una  mobilitazione  delle  forze  della  cultura  tra- 
dizionale e  una  denuncia  dei  pericoli  oscurantistici  impliciti,  secondo 
Cano,  nello  scritturalismo  e  nel  pietismo  protestanti.  Il  libro  IX  dei 
Loci  difende  l'utilizzazione  della  ragione  naturale  da  parte  del  teolo- 
go; certo,  il  cap.  I  e  il  cap.  VII  mettono  in  guardia  «  ne  plus  aequo 
in  re  Theologica  rationi  naturali  tribuatur  »,  e  denunciano  «  arguta- 
tiones  vanas,  quarum  nullus  in  Theologia  fructus  est  »  (244)  (si  po- 
trebbero agevolmente  confrontare  gli  elenchi  di  questioni  futili  del 
cap.  VII,  p.  252,  con  luoghi  analoghi  di  Erasmo  e  di  Vives);  ma  l'ac- 
cento del  discorso  è  piuttosto  <la  individuare  in  prese  di  posizione  co- 
me la  seguente  (cap.  Ili,  p.  246):  a  ÌAitherus  etiam.  qui  omnes  om- 
nium haereticorum  haereses  in  unam  fecit  Camerinam  conflluere,  non 
modo  asseruit  philosophiam  esse  theologo  inutilem  et  noxiam,  verum 
etiam  omnes  speculativas  disciplinas  errores  esse...  Cornelius  quoque 


—  47  ^ 


Agrippa  vir  post  hominutn  memoriam  vanissiinus,  in  suo  libro  qui  de 
vanitate  scientiarum  inscribitur  non...  Philosophiae  solum  sed  omni- 
bus hunianis  disciplinis,  atque  adeo  divinis  bellum  indixit  ».  E  se- 
jruita  citando  Epicuro  che  «  rejicit  dialecticam  »,  gli  Alfaquini,  che 
«  Machumetis  Saracenos  procul  ab  omnibus  disciplinis  abducunt  », 
Giuliano  l'apostata  che  «  Christianis  lege  interdixit  studiis  bonarum 
artium  ».  Lo  scritturalismo  dei  Luterani  viene  descritto  come  appiat- 
timento della  cultura  a  povero  gioco  di  memoria,  squallida  repres- 
sione degli  ingegni  vivaci:  «  ut  sutores  qui  novum  Testamentum  me- 
moriae mandarunt,  magni  et  praeclari  Theologi  haberentur...  »  (5), 
mentre  «  optimo  quisque  splendidissimoque  ingenio,  quamlibet  acie 
mentis  et  veri  perspicientia  polleat,  quamlibet  rerum  et  divinarum  et 
humanarum  ordinem  ac  connexionem  teneat,  quamlibet  omnium 
causas,  effecta,  antecedentia,  consequentia,  non  animo  solum  per- 
lustrarit,  sed  etiam  comprehenderit,  nullo  tamen  apud  istos  habeatur 
in  pretio  »;  e  Cano  si  meraviglia  che  questo  «  morem  eiciendi  huma- 
nas  rationes  »  abbia  potuto  prendere  piede  anche  in  certi  ginnasi  cat- 
tolici, con  conseguenze  deleterie  per  la  cultura  ecclesiastica  qualora 
la  tendenza  non  venga  arrestata.  Certo,  la  «  ratio  »  deve  essere  sotto- 
posta air«  auctoritas  »:  sono  per  esempio  da  condannare  senz'appel- 
lo «  illos...  qui  Philosophiam  Evangeliis  praeferunt,  quibus  Averrois 
Paulus  est,  Alexander  Aphrodisiaeus  Petrus,  Aristoteles  Christus, 
Plato  non  divinus  sed  Deus...  »  (e  Cano  evoca  proprie  esperienze  ita- 
liane, per  denunciare  l'esistenza  di  prelati  che  «  postque  galeros  etiam 
et  infulas,  non  Prophetas,  non  Apostolos  non  Evangelistas,  sed  Cicé- 
rones, Platones,  Aristoteles  personabant  »,  p.  254)  —  ma  il  cattolico 
deve  tenere  fermo  all'importanza  delle  arti  liberali;  Cano  schiera  se- 
quenze di  testimonianze  patristiche  a  difesa  della  cultura  «  humana  » 
(cap.  V,  p.  248  sgg.);  che  va  tenuta,  d'altra  parte,  in  una  posizione 
d'equilibrata  «  medietas  »  (ne  quid  nimis,  a  p.  254),  e  va  purgata  dei 
suoi  difetti,  per  poter  servire  al  fine  superiore  cui  resta  pur  sempre 
subordinata  (qui  Cano  cita  da  Gerolamo,  l'esempio,  comune  già  ne- 
gli umanisti  del  '400,  della  captiva  Moabitis,  p.  252)  (6). 

La  rilevanza  di  queste  prese  di  posizione  andrebbe  valutata  in 
un  contesto  piii  ampio  di  «  storia  dell'educazione  in  Europa  »,  dove 
le  tesi  di  questo  domenicano  potrebbero  servire  ad  articolare  maggior- 
mente il  discorso  consueto  sull'influenza  della  «  ratio  stiidiomm  ge- 
suitica ».  Ma  torniamo  alla  storia. 

6.  Oltre  alle  ragioni  filosofiche  generali  che  sembravano  negare 
alla  storia  un  ruolo  conoscitivo  utile,  agli  effetti  almeno  delle  esigen- 
ge  teologiche,  Cano  deve  fronteggiare  un  tipo  di  obiezione  che  trae 
le  sue  ragioni  dall'apparente  constatazione  empirica  dell'inefficienza 


(5)  Loci,  IX,  4,  p.  246. 

(6)  Hieronymus  ad  Damasum,  ep.  XXI,  in  Migne,  PL,  22,  col.  385-86,  con  riman- 
do a  Deut.  XXI,  10-13.  Per  le  riprese  umanistiche  cfr.  Boccaccio,  De  Gen.  Deor.  XIV, 
ed.  Romano,  Bari  1951,  p.  736,  Salutati,  Ep.  a  cura  di  F.  Novali,  IV,  I  parte,  p.  187  etc. 


—  AS  — 

conoscitiva  della  storia.  Egli  deve  constatare  come  un  fatto  che  nella 
opinione  comune  è  diffusa  un'immagine  della  storia  come  regno  delle 
affermazioni  arbitrarie.  Enrico  Cornelio  Agrippa,  alla  cui  scepsi  Cano 
intende  contrapporsi,  aveva  mostrato  molto  bene  a  quali  conseguenze 
conduceva  l'incertezza  della  collocazione  e  dello  status  epistemolo- 
gico della  storia.  Per  sfiducia  nella  verità  gli  storici  abbandonano  il 
terreno  dei  fatti  per  trasformare  il  loro  racconto  in  narrazione  esem- 
plare, giustificandosi  con  l'utilità  morale  che  ne  viene  ai  posteri: 
«  tale  profecto  Xenophon  de  Cyro  non  qitalis  esset,  sed  qualis  esse 
debuisset  tanquam  optimi  principis  exemplar  et  archetypum  scitam 
elegantemque,  sed  absque  veritatis  fide  historiam  descripsit  »  (7).  Per 
questa  via  della  storia  esemplare  si  è  arrivati  ad  un  punto  che  non 
si  fa  più  differenza  fra  le  storie  degli  storici  e  quelle  dei  romanzieri 
che  scrivono  di  Amadigi  e  di  Artù,  di  Lancilotto  e  di  Tristano.  Cano 
si  propone  di  fronteggiare  questo  stato  di  cose.  È  impressionato  dalla 
diffusione  che  ha  preso  fra  i  Cattolici  la  pratica  della  pia  menzogna 
a  scopo  edificante  che  deturpa  in  particolare  l'agiografìa.  Ha  notazio- 
ni interessantissime  sulla  psicologia  della  falsificazione  :  «  Qua  in  re 
cum  episcopus  quidam  nostras  deprehensus  esset  saepe  peccasse  (eos 
enim  auctores  citare  interdum,  quos  nulla  unquam  habuit  aetas,  eas 
res  olim  gestas  scripserat,  quas  nulli  homines  ediderunt)  respondit  re- 
ferre  nihil  in  hìstoria  sic  an  aliter  omnino  sentias  :  quod  omnia  essent 
ambigua,  nisi  quae  sacris  Uteris  continerentur  «  (8).  Sulle  menzogne 
o  ingenuità  degli  agiografi  egli  riprende  pagine  durissime  di  Vives  (9); 
certo,  il  riso  di  Erasmo  lo  irrita,  ma  lo  irrita  anche  la  faciloneria  con 
cui  i  suoi  correligionari  si  fanno  gioco  della  verità  storica,  senza  ren- 
dersi conto  che,  anche  solo  agli  effetti  dell'efficacia  apologetica,  biso- 
gna costruire  discorsi  a  livello  dei  tempi,  e  i  nuovi  tempi  sono  carat- 
terizzati dall'acutezza  dei  «  critici  »,  con  cui  bisogna  fare  i  conti.  Me- 
scolando considerazioni  teoriche  e  ammonimenti  morali  Cano  tende 
a  ridurre  l'artificioso  fossato  scavato  tra  storia  sacra,  dove  il  rispetto 
più  scrupoloso  della  verità  è  di  rigore,  e  storia  degli  uomini,  dove  si 
avrebbe  licenza  di  menzogne  sia  pure  a  scopo  edificante.  La  Chiesa 
non  si  fonda  solo  sul  sacro  testo,  ma  anche  sulla  tradizione,  e,  siccome 
la  chiesa  vive  nel  mondo,  la  sua  tradizione  tocca,  anzi  si  intreccia  in- 
scindibilmente, con  la  tradizione  profana.  Ricordiamo  che  i  Loci 
theologici  nascono  durante  il  Concilio  di  Trento  e  che  nel  loro  sforzo 
di  combinare  «  auctoritas  »  e  «  ratio  »,  sono  un  consapevolissimo  ten- 
tativo di  risposta  alle  esigenze  sollevate  dal  Concilio.  La  storia  è  uno 
degli  organi  della  tradizione  e  in  questo  preciso  senso  assume  come 
subsidium  fidei  una  dignità  e  una  rilevanza  teologica  finora  scono- 
sciuta; e  lo  storico  cattolico  è  l'autorevole  difensore  della  tradizione, 
in  modi  però  che  accantonino  l'arbitrio  edificante  ed  ottemperino  ad 
una  precisa  deontologia  critica  che  Cano  si  sforza  di  codificare. 

(7)  De  vanitale  scientiarum,  ed  cit.  p.  21;  cfr.  ancRe  Epiatolarum,  V,  1  (p.  895-896 
dell'ed.  Per  Beringos  fratres). 

(8)  Loci,  p.  312. 

(9)  Loci,  320  sgg. 


—  49  — 


7.  Veramente  c'era  già  stato  in  campo  cattolico,  anzi  airinterno 
dello  stesso  ordine  domenicano,  un  tentativo,  allora  abbastanza  re- 
cente ed  ancora  notevolmente  accreditato,  di  fissare  le  regole  di  una 
storia  come  scienza  rigorosa.  L'aveva  attuato  Annio  da  Viterbo,  astro- 
logo e  magister  sacri  palatii  di  Alessandro  VI,  e  la  spietata  stronca- 
tura delle  falsificazioni  del  confratello  acquistò  a  Cano  fama  di  im- 
parzialità ed  acume  critico  presso  protestanti  come  Vossius,  ma  non 
passò  senza  lasciare  nell'Ordine  gravi  perplessità  che  si  riflettono  an- 
cora in  Quétif-Echard,  anzi  direi  persino  nel  Dictionnaire  de  Théo- 
logie catholique.  La  situazione  di  Annio  è  troppo  pregiudicata  dalle 
falsificazioni  con  cui  si  è  volontariamente  seppellito,  ma  fra  le  esi- 
genze che  egli  poneva  allo  storico  c'era  quella  di  lavorare  esclusiva- 
mente con  documenti  di  archivio:  che  in  questo  modo  egli  ponesse  al- 
la storia  antichissima  compiti  per  allora  insuperabili,  è  dimostrato 
anche  dal  fatto  che  egli  costruì  i  documenti  che  non  riusciva  a  tro- 
vare: il  suo  Beroso,  il  suo  Metastene  etc.  Comunque,  per  questa  indi- 
cazione di  metodo  e  per  la  intuizione  che  un  trattamento  sbtematico 
delle  testimonianze  linguistiche  può  offrire  qualche  luce  sugli  stadi 
antichissimi  della  vita  dei  popoli  egli  merita  forse  di  essere  studiato 
più  attentamente, se  non  altro  per  capire  il  successo  straordinario  di 
cui  godette  nel  '500  (10). 

Sta  di  fatto  che  Cano  nel  tentativo  di  fissare  degli  «  indices  histo- 
riae,  cioè  delle  regole  rigorose  «  quibus  historici  cuiusque  fides  explo- 
retur  »  (11),  deve  fare  i  conti  con  l'affermazione  di  Annio  (12)  che 
aveva  indicato  come  scrittori  attendibili  soltanto  quelli  che  «  publica 
fide  scripserunt  »,  cioè  storiografi  ufficiali  o  scribi,  «  publici  notarii  », 
le  cui  opere  sono  conservate  negli  archivi  pubblici,  mentre  aveva  re- 
spinto gli  scrittori  «  privati  »:  all'interno  dello  schema  tradizionale 
delle  «  quattro  monarchie  »  egli  diceva  sì  a  Beroso  e  a  Metastene  e 
no  ad  Erodoto  per  la  Monarchia  degli  Assiri;  sì  a  Metastene  e  Ctesia 
di  Cnido,  contro  Giuseppe  Flavio  ed  Eusebio,  per  i  Medi  ed  i  Per- 
siani; Eusebio  viene  invece  accolto  (accanto  a  Filone)  per  la  3*  mo- 
narchia, quella  dei  Greci,  e  la  4*,  quella  dei  Romani,  perché  «  publi- 
cam  annalium  fidem  sequitur  ».  Cano  ha  buon  gioco  nel  criticare  que- 
ste affermazioni  di  Annio:  che  sono  per  un  verso  difettose,  perché 
non  si  può  affermare  che  i  documenti  fossero  conservati  solo  nelle 
«  quattro  monarchie  »;  e  sono  per  altro  verso  eccessive,  perché  per  i 
Greci  Annio  non  potrebbe  provare  l'esistenza  di  «  certos  historiae 
administros  »  nelle  repubbliche  greche:  neanche  dopo  il  tempo  «  mi- 


(10)  Su  Annio  da  Viterbo  cfr.,  oltre  il  tentativo  biograiìco  di  R.  Weiss,  Traccia 
pér  una  biografia  di  Annio  da  Viterbo  in  «  Italia  medioevale  e  umanistica  »  1962,  v. 
pp.  425-441,  l'importante  contributo  di  E.  N.  Ticehstedt,  Joannes  Annius  and  Grae- 
cia  Mendax.  in  Classical,  Mediaeval  and  Renaissance  Studies  in  honor  of  B.  L.  Ullman, 
II,  Roma  1964,  293,  310  e  gli  accenni  di  A.  Momigliano,  soprattutto  in  Terzo  contri- 
buto... Roma  1966,  II,  p.  770  sgg.  e  p.  803. 

(11)  Loci,  p.  306. 

(12)  La  confutazione  delle  regole  di  Annio  in  Loci,  307-317. 


4 


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tico  »  anteriore  alle  olimpiadi  (13),  osserva  Cano  utilizzando  Jose- 
phiis.  Contra  Apionem,  si  può  sostenere  «  eiusmodi  historicos  publica 
authoritate  diffinitos  destinatosque  fuisse  »  (14)  nelle  città  greche;  ed 
anche  l'annalistica  romana  è  del  tutto  problematica,  come  si  capisce 
da  Livio  e  come  ha  mostrato  Enrico  Glareano.  Cano  cita  i  passi  di 
Livio,  che  documentano  l'incertezza  della  tradizione;  sa  della  distru- 
zione di  «  annales  pontificum  »  e  «  libri  lintei  »  nell'incendio  galli- 
co (15);  conclude:  «  nihil  igitur  afferunt  qui  in  Graeconim  Romano- 
rumque  monarchiis  publicos  fuisse  annales  aiunt,  ad  quos  caetera» 
oporteat  historias  revocare  »  (16).  Si  badi  bene:  Cano  non  discute 
l'importanza  dei  documenti  d'archivio;  contesta  solo  l'affermazione 
di  Annio,  secondo  cui  Eusebio  sarebbe  da  preferire  (per  le  indica- 
zioni cronologiche)  ad  altri  storici,  perché  i  suoi  dati  risalirebbero  a 
documenti  d'archivio,  di  cui  si  può  tranquillamente  negare  l'esisten- 
za. Quanto  a  Medi,  Persiani,  Babilonesi,  si  sa  che  tenevano  scribi 
pubblici  e  si  sa  che  Beroso  «  auctoritate  publica  Chaldaeorum  histo- 
riam  edidisse  ».  Ma  i  libri  che  Annio  ha  messo  in  circolazione  sotto 
il  nome  di  Beroso  (come  quelli  che  ha  attribuito  a  Metastene)  sono 
falsi:  «  fictus  est...  Berosus  iste  annianus  ».  conclude  trionfalmente 
Cano  dopo  aver  messo  a  confronto  i  testi  berosiani  di  Annio  con  i 
frammenti  citati  in  Giuseppe  e  Diodoro.  È  una  dimostrazione  filolo- 
gicamente inoppugnabile  e  il  discredito  che  ne  riverbera  su  Annio 
travolge  anche  le  sue  regole,  riabilitando  la  tradizione:  non  è  il  caso 
di  respingere  Giuseppe,  Eusebio,  Gerolamo  in  nome  di  fantastici 
«  annali  di  Susa  ». 

E  tuttavia:  la  proposta  di  Annio  era  pure  un  tentativo  di  colle- 
gare  a  regole  oggettive  la  credibilità  delle  fonti  storiche.  Il  fallimento 
evidente  della  proposta  anniana  dovrà  condurre  alla  scepsi?  «  Nulla 
via  ratioque  erit,  qua  veraces  historicos  a  fallacibus  distinguere  atque 
internoscere  valeamus?  »  (17).  Tanto  più  che  Cano  si  trova  a  dovere 
respingere  anche  un'immagine  della  storia,  antitetica  in  certo  senso  .i 
quella  di  Annio,  che  si  autorizzava  nientemeno  che  del  prestigio  di 
S.  Gerolamo:  «  Lex  vera  historiae  est,  ui  Hieronymus  saepe  dixit,  ea 
scribere,  quae  vulgus  existimat,  quamvis  re  ipsa  falsa  sint  »  (18).  Se 
si  accetta  questo  principio,  osserva  Cano,  ogni  argomentazione  storica 
è  fallace  «  quod  historiens  non  veritatem  rerum  sed  opinionem  ex- 
presserit  »,  e  «  vulgi  ferme  opinio  falsa  est  »;  e  si  dilunga  sulle  con- 
seguenze deleterie  di  questo  criterio  storiografico  in  un  passo  che  cri- 
tica i  «  mendacia  »  degli  agiografi:  «  id...  eo  magis  sibi  licere  existi- 
marunt  quod  intellexerunt  auctoribus    nobilissimis    plncitisse  veroni 

(13)  Loci,  p.  307. 

(14)  Loci,  p.  308. 

(15)  Loci,  p.  309. 

(16)  Loci,  p.  311. 

(17)  Loci,  p.  317. 

(18)  Loci,  D.  276,  che  rimanda  a  Hier.,  In  Matth.  14,  9,  cfr.  Migne.  PL.  26, 
col.  101. 


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historiae  legem  esse  ea  scribere  quae  vulgo  vera  haberentur  »  (19). 
Respinto  dunque,  come  impraticabile  il  criterio  anniano  della  storio- 
grafìa come  registrazione  ufficiale  debitamente  archiviata,  respinto  co- 
me pericoloso  il  criterio  geronimiano  della  storia  come  «  relatio  vocis 
populi  »,  quali  regole  si  possono  avanzare  per  stabilire  in  maniera 
inattaccabile  dalla  scepsi  l'autorità  della  storia? 

8.  Cano  risponde  anzitutto  ribadendo  l'autorità  della  tradizione 
storiografica  costruita  dagli  umanisti,  (cfr.  l'elenco  degli  storici  auto- 
revoli alle  pp.  319-20),  ma  mostrando,  attraverso  esempi  pratici  di 
discussioni  di  difficoltà,  un  modo  estremamente  agile  e  dinamico  di 
intendere  il  concetto  di  tradizione:  la  quale  deve  essere  criticamente 
vagliata  :  1)  attraverso  un  processo  che  potremmo  chiamare  di  elimi- 
natio  fontium  descriptoriim  che  può,  ad  esempio,  dimostrare  l'esilità 
ili  una  tradizione  in  apparenza  solidamente  documentata;  2)  attra- 
verso una  esperta  analisi  del  linguaggio  in  cui  sono  formulate  le  pro- 
posizioni della  fonte,  che  essendo  di  tre  tipi  (proposizioni  testimo- 
niali, proposizioni  congetturali  e  proposizioni  suggestive)  si  collocano 
in  maniera  molto  diversa  rispetto  all'esigenza  di  verità:  applicando 
questo  criterio  dei  diversi  piani  di  discorso  molte  contraddizioni  si 
rivelano  apparenti,  e  ne  viene  consolidata  l'autorità  della  storia  con- 
tro la  scepsi;  3)  attraverso  l'apporto  delle  scienze  ausiliarie  della  sto- 
ria (cronologia,  corografia,  filologia,  antiquaria...),  della  cui  impor- 
tanza questo  teologo  manifesta  una  consapevolezza  lucidissima.  Tutti 
i  criteri  esposti  emergono  dalla  discussione  concreta,  minuta,  punti- 
gliosa di  esempi  di  contraddizione  di  cui  si  nutriva  lo  scetticismo  sul- 
la storia:  la  risposta  pratica  di  Cano  è,  insomma,  che  la  contraddi- 
zione è  tale  solo  per  la  pigrizia  dei  controversisti  che  si  fermano  alla 
superficie  delle  cose  e  rinunziano  a  mettere  a  punto  i  loro  strumenti 
di  lavoro  (20).  Mi  pare  indubbio  che  con  queste  discussioni  l'erme- 
neutica storica  compia  un  passo  avanti  decisivo  nel  senso  della  gran- 
de erudizione  secentesca,  (gli  elogiatori  del  '700  poi  apprezzeranno 
in  Cano  il  raffinato  «  esprit  de  justesse  »,  acuto  senso  delle  distin- 
zioni che  si  esercita  sui  «  realia  »). 

Quanto  poi  alle  caratteristiche  generali  che  Cano  esige  nello  sto- 
rico perché  abbia  auctoritas  (che  sia  un  xùrônxr,?  fededegno  o  audi- 
tore di  spettatori  fededegni,  o  interprete  «  cum  iudicio  »  di  testimo- 
nianze etc.),  una  loro  analisi  acquisterebbe  senso  pieno  solo  se  fatta 
attraverso  l'esame  comparativo  di  liste  analoghe  di  requisiti  che  si 
incontrano  nella  trattatistica  storiografica  di  tutto  il  secolo  (ed  oltre), 
e  non  l'affronteremo  qui.  Ci  limiteremo  a  riprodurre  la  regola  3*  che 
ci  riconduce  allo  sfondo  ideologico  della  metodica  di  Cano. 

«  Tertia  régula  sit.  Si  cui  historico  auctoritatem  ecclesia  tribuit, 
bic  dubio  procul  dignus  est,  cui  nos  etiam  auctoritatem  adiungamus. 


(19)  Loci,  p.  321. 

(20)  Ho  sviluppato  in  altra  sede  Tanalisi  dei  18  «  argomenta  »  della  scepsi.  I  cri- 
teri indicati  nel  testo  non  sono  teorizzati  esplicitamente,  ma  operano  nella  discussione. 


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Comtra  vero  cui  ecclesia  derogavi!  fidem,  ei  quoque  nos  ùêem  iure  ac 
merito  derogabimus  »  (21). 

Che  cosa  conferisce  alla  chiesa  cattolica  questa  funzione  di  supre- 
ma guida  degli  studi?  Nel  capitolo  3°  del  III  libro  (De  tradUionihus 
apostoUcis...)  si  dà  voce  alla  tesi  ripetutamente  affacciatisi  nei  dibat- 
titi degli  anni  '30  (22)  secondo-cui  Gesù  e  gli  apostoli  hanno  affidato 
alla  scrittura  alcune  cose,  mentre  altre  hanno  riservate  alla  viva  voce. 
C'è  nel  cristianesimo  una  tradizione  esoterica  per  cui  Cano  evoca  il 
passo  di  Cesare  sui  Druidi,  Pico  neìV Apologia  su  Pitagora  e  Platone 
Porfirio  e  il  misticismo  neoplatonico...  (23).  Il  detto  di  Matt.  10:  27 
Quod  in  aure  auditis  praedicate  super  teda  si  riferisce  solo  ad  una 
parte  della  dottrina  cristiana,  quella  che  tutti  possono  sopportare. 
Ma  poi  Cristo  parlò  agli  apostoli  per  quaranta  giorni  delle  verità  pro- 
fonde della  fede;  poi  mandò  lo  spirito  a  comunicare  verità  da  non 
gettare  in  pasto  al  popolo,  come  non  si  gettano  le  perle  ai  porci: 
«  nolo  illa  praedicetis  super  tecta,  nolo  vulgo  annuncietis.  Eadem 
enim  vobis  celandi  causa  tunc  erit,  quae  mihi  nunc  est:  quod  vulgus 
portare  non  potuit  »  (24).  Questa  idea,  che  il  popolo  non  può  «  por- 
tare »  la  verità  religiosa,  aveva  scatenato  negli  anni  venti  la  generosa 
polemica  di  Hutten  contro  Erasmo;  ora  serve  a  giustificare  la  confi- 
sca delle  funzioni  di  guida  religiosa  e  culturale  da  parte  dei  principes 
ecclesiae.  Ci  sono  «  duo  rerum  genera...  quae  ab  Ecclesia  creduntur. 
Unum  quod  ad  omnes  pertinet...  Alterum  est  genus  earum  rerum, 
quas  cognoscere  non  rudium  et  imperitorum  in  ecclesia  sed  maiorum 
et  sapientium  interest...  »  (25),  anzi,  neppure  «  sapientes  oranes,  sed 
ii  tantum  qui  sint  ecclesiae  pastores  ».  Si  costituisce  in  questo  modo 
un'é/ite  di  tecnici  del  discorso  religioso,  depositari  di  tradizioni  arca- 
ne, abilitati  da  questo  possesso  supplementare  («  Ecclesiam  esse  anti- 
quiorem  srriptura  »)  a  fungere  da  tribunale  di  ultima  istanza  di  ogni 
verità,  anche  delle  verità  scientifiche.  Il  criterio  di  questa  suprema 
istanza  collettiva  abilita  Cano  a  pronunziare  le  sue  condanne  di  prin- 
cipio dei  grandi  «  stravaganti  »  dell'w  umanesimo  cristiano  »:  Lefèvre, 
Erasmo,  il  Caietano;  ma  anche  minori  come  Agostino  Steuco  o  Isi- 
doro Clario:  troppo  attaccamento  ai  valori  intellettuali,  troppo  indi- 
vidualismo e  presunzione...  (26)  (per  converso,  la  difesa  delle  isti- 
tuzioni della  cultura  gli  serve  alla  polemica  contro  quell'altro  tipo 
di  individualismo  che  si  incarna  nello  spiritualismo  mistico). 


(21)  Loci.  p.  322. 

(22)  Indicazioni  in  C.  CiNZBURC,  //  nicodemismo.  Torino  1970.  p.  11  sgg. 

(23)  Loci.  p.  89;  cTr.  anche  p.  101:  «  Haeretici  enim  mysteria  sua  mulierculis  et 
idiotis  homunculis  produnt.  At  Catholici  vulgo  prodere  piaculi  loco  habent  ». 

(24)  Loci",  p.  102. 

(25)  Loci.  p.  137. 

(26)  Per  Erasmo,  cfr.  ad  es.  Loci  II.  cap.  11.  18:  XII.  cap.  10:  «  Laurcntius.  Fa- 
>ber,  Erasmus.  Eugubinus  (è  Agostino  Steuco  da  Gubbio)  »  assieme,  come  traduttori 

a  irriverenti  ».  in  II,  cap.  12,  p.  49.  Isidoro  Clario  con  Caietano,  ad  es.  p.  57:  per 
un  giudizio  più  disteso  sul  Caietano,  della  cui  opera  però  si  denuncia  la  pericolosità, 
cfr.  Loci.  VII.  cap.  4,  p.  222. 


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Per  tornare  alla  storia:  quanto  si  è  detto  sin  qui  avrà  reso  evi- 
dente che  la  valutazione  formulata  una  volta  da  Chabod,  secondo  cui 
Cano  può  essere  elencato  tra  quei  trattatisti  coi  quali  la  storia  «  fa  un 
jiran  passo  innanzi  nella  conquista  della  sua  'autonomia'  »  (27),  ri- 
chiede almeno  tutta  una  serie  di  «  distinguo  ».  Certo,  Cano  ha  piena 
consapevolezza  dell'importanza  nuova  che  la  storia  ha  assunto  nel 
quadro  dei  valori  culturali  del  suo  secolo,  e  certo  Cano  ha  contribuito 
moltissimo  a  fare  apprezzare  quest'importanza  alla  cultura  ecclesia- 
stica (le  più  che  trenta  edizioni  della  sua  opera,  considerata  «  di  im- 
portanza decisiva  per  lo  sviluppo  della  teologia  »  postridentina,  han- 
no pur  guidato  le  riflessioni  sulla  storia  di  molte  generazioni  di  teo- 
logi); il  suo  atteggiamento  di  fronte  alla  tradizione  è  notevolmente 
libero  e  le  sue  opinioni  in  fatto  dì  agiografìa  sì  radicano  ancora  sullo 
spirito  pretridentino  e  sono  assai  più  spregiudicate,  poniamo,  di  quel- 
le di  Johannes  Bollandus.  Ma  in  quanto  ad  «  autonomia  »,  resta  pur 
vero  che  la  storia  non  è  che  l'ancella  piti  umile  della  teologia  e  che 
il  criterio  della  sua  verità  risiede  altrove. 

Albano  Biondi 


(27)  F.  Chabod,  Lezioni  di  metodo  storico,  a  cura  di  L.  Firpo,  Bari  1969,  p.  17. 
L'opera  di  Cano  vi  appare  inserita  con  altre  in  un  processo,  qualificato  come  «  primo 
avviamento...  alla  glorificazione  della  storia  compiuta  poi  dall'idealismo  moderno  ». 


Correspondance  de  Jean  Léger 


Pour  mieux  pompxendre  les  lettres  qui  vont  suivre  tâchons  de 
les  placer  dans  leur  juste  cadre.  Elles  datent  de  son  séjour  en  Hol- 
lande (1663-1670). 

L'Eglise  Wallonne  des  Pays-Bas,  par  laquelle  Jean  Léger  fût 
appelé,  existe  depuis  1574.  Persécutés  par  le  cruel  Duc  d'Albe  et  son 
successeur  Alexandre  Farnese  quantité  de  protestants,  venant  du  sud, 
ïp  retrouvèrent  à  Middelbourg  en  Zélande  et  y  fondèrent  le  premier 
temple  Wallon  des  Provinces  Unies.  Puis,  continuant  à  affluer  vers 
ce  centre  d'accueil  ils  en  dépassèrent  bientôt  les  bornes  et  se  disper- 
sèrent à  travers  toute  la  Hollande.  En  peu  de  temps  les  Wallons  s'ins- 
tallèrent dans  toutes  les  grandes  villes.  On  les  accueillait  à  Amster- 
dam, comme  à  la  Haye,  de  Groningue  à  Bréda,  de  Nimêgue  à  Ley- 
den,  Utrecht  et  Harlem  (1). 

Les  magistrats  ainsi  que  la  population  compréhensive  et  hospi- 
talière, puisqu'elle  aussi  venait  d'être  libérée  du  joug  espagnol,  les 
reçurent  à  bras  ouverts;  offrant  des  temples,  cherchant  des  pasteurs, 

Avant  de  lire  la  correspondance  de  Jean  Léger  il  est  nécessaire  de  considérer  les 
faits  suivants: 

1)  Que  son  écriture  était  très  peu  lisible,  comme  le  prouve  déjii  le  postcriptum- 
ajouté  à  la  première  lettre  qui  va  suivre;  celle  des  Conducteurs  de  l'Eglise  Wallonne 
de  Leyden.  Il  l'avoue  d'ailleurs  lui-même! 

2)  Que  Léger  utilisait  rarement  des  accents  et  que  la  ponctuation  manquait 
presque  totalement.  Nous  nous  sommes  permis  d'ajouter  quelques  points  et  virgules  où 
c'était  necessaire. 

3)  Que  Léger  écrivait  souvent  le  même  mot.  mais  de  deux  façons  différentes 
dans  une  seule  lettre. 

4)  Nous  nous  sommes  tenus  au  texte  original,  avec  tout  ce  que  cela  comporte. 

5)  Le  mot  âge  s'écrivait  du  temps  de  L«ger  avec  deux  a,  donc  aage.  Léger  abrège 
les  mots  «  qui  »  et  «  que  »  avec  un  trait  transversal,  donc  q  que  nous  indiquoms  en 
italique. 

6)  Le  lecteur  est  prié  de  lire  également  l'article  du  Professeur  T.  G.  Pons,  in- 
titulé L'ultimo  decennio  della  vita  di  Giovanni  Léger  e  la  sua  Storia,  dans  le  Bolletti- 
no della  Società  di  Studi  Valdesi.  Anno  LXXVIII,  n.  107. 

7)  Le  matériel  de  la  Bibliothèque  Wallonne  de  Leyden,  se  trouvant  en  ce  mo- 
ment a  des  endroits  différents,  pour  cause  de  tranfération,  nous  ne  pouvons  indiquer 
la  collocation  exacte  et  définitive. 

8)  Les  lettres  de  Léger  et  de  ses  contemporains  sont  dâtées  tantôt  d'après  de  ca- 
lendrier Grégorien,  tantôt  d'après  le  calendrier  Julien,  parfois  aussi  d'après  les  deux. 

9)  Lettre  10.  Le  mot  tabut  devait  probablement  être  tabus. 

(1)  Les  Eglises  Wallonnes  des  Pays-Bas.  p.  12-17.  Edition  de  «  L'Echo  des  Eglises 
Wallonnes  ».  Amsterdam.  1963. 


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leur  facilitant  la  vie,  de  sorte  que  peu  à  peu  l'on  compU  43  Eglises 
Wallonnes  faisant  partie  intégrante  de  la  «  grande  église  »  Réformée 
des  Pays-Bas.  Après  tant  d'enthousiasme  il  faut  dire  que  quelques 
unes  en  disparurent.  Mais  à  Leyden,  petite  ville  délivrée  de  la  domi- 
nation espagnole  le  3  octobre  1574  après  un  siège  qui  lui  avait  coûté 
de  nombreux  habitants,  l'on  n'était  que  trop  content  d'attirer  du 
monde.  Ceci  se  fit  en  premier  lieu  (en  récompense  dit-on  de  son  hé- 
roïque résistance)  par  la  fondation  de  l'Université,  qui  allait  avoir  un 
rayonnement  considérable  et  en  second  lieu  par  l'arrivée  de  cen- 
taines de  persécutés. 

L'Université,  bientôt  célèbre,  et  le  commerce  de  plus  en  plus 
florissant  (drapiers)  ne  manquèrent  pas  d'attirer  intellectuels  et  com- 
merçants, de  sorte  que  les  réfugiés  y  trouvèrent  un  centre  culturel  et 
commercial  d'après  leurs  besoins.  Il  était  clair  que  cette  population 
laborieuse  allait  contribuer  à  l'avancement  de  la  cité...  pourvu  que 
l'on  veillât  sur  les  besoins  matériels  et  spirituels  de  ces  milliers  de 
nouveaux-venus.  Des  cultes  en  langue  française,  non  seulement  pour 
les  réfugiés  mais  aussi  pour  les  étudiants  venant  d'autres  pays  et  le 
personnel  (gouverneurs,  gouvernantes,  domestiques)  au  service  des 
notables  et  des  marchands,  furent  célébrés  à  Leyden  dès  1581.  Mais 
ce  n'est  qu'en  1584,  à  l'arrivée  d'un  nouveau  groupe  de  450  réfugiés 
de  Bruges,  accompagnés  par  leur  propre  pasteur  et  son  consistoire, 
qu'une  Eglise  Wallonne  fût  fondée  (2).  Il  va  sans  dire  que  les  soins 
journaliers  pour  tant  de  nouveaux  membres  demandèrent  la  présen- 
ce d'un  plus  grand  nombre  de  pasteurs,  diacres  et  anciens. 

Vers  l'année  1663,  pendant  laquelle  Jean  Léger  allait  faire  son 
entrée  à  Leyden,  l'on  y  compta  six  pasteurs  Wallons  dont  un  pré- 
dicateur très  apprécié,  Pierre  Agache,  venait  de  mourir. 

On  se  mit  à  chercher  un  remplaçant  de  la  même  valeur  et  pensa 
d'abord  à  François  Turretin,  le  célèbre  théologue  de  Genève.  Ce- 
lui-ci, ayant  répondu  négativement  (3)  quoiqu'il  «  avait  monstré  une 
grande  inclination  vers  nostre  troupeau  »,  ne  crût  pas  devoir  quitter 
la  ville  de  Calvin.  On  passa  donc  un  peu  plus  tard  à  une  autre 
élection... 

Entre-temps  Jean  Léger  n'était  plus  un  inconnu  pour  les  Eglises 
Wallonnes  comme  on  peut  constater  par  les  notes  suivantes  du 
7  avril  1662:  (4) 

«  Mons.r  Léger,  pasteur  de  l'Eglise  de  St.  Jean  ès  Vallées  de 
Piémont  ayant  représenté  la  désolation  des  Eglises  du  dit  lieu,  notre 
Comp:  touchée  de  leur  misère,  a  résolu  de  collecter  quelque  peu 
pour  leur  subsistence,  et  avant  de  commencer  a  député  Monsieur 
Beeckius,  notre  très  honnoré  Collègue,  pour  apprendre  des  frères 
flamands  ce  qu'ils  voudront  faire,  et  du  jour  et  de  l'heure  ». 


(2)  Oeuvre  citée,  p.  51. 

(3)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Actes  du  Consistoire  de  l'Eglise  Wallonne  des 
Pays-Bas.  1658-1695.  Vol.  44.  p.  66  à  gauche.  Janvier  1662. 

(4)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Oeuvre  citée,  p.  69. 


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Le  23  avril  suivant  on  y  lit:  (5)  «  La  Compagnie  ayant  ouï,  par 
Nostre  très  honoré  frère  le  Sieur  Jean  Léger  ministre  en  l'Eglise  de 
St.  Jean  ès  Valées  de  Pieraond,  le  triste  et  deplorable  estât  des  Egli 
ses  en  ce  quartier,  estant  esmeue  de  compassion  envers  nos  pauvres 
frères  qui  sont  en  affliction,  a  bien  voulu  leur  procurer,  autant  qu'il 
lui  a  esté  possible,  quelque  chose  pour  subvenir  promptement  à  leur 
nécessité  très  pressante,  et  pour  cest  eCFect,  ayant  obtenu  permission 
de  Mess.rs  de  nostre  Venerable  Magistrat,  s'est  adressée  à  quelques 
uns  des  principaux  membres  de  ceste  Eglise  que  Dieu  a  bénits  de  be- 
nedictions temporelles,  pour  pouvoir  assister  nos  dits  frères  qui  sont 
dans  la  persécution  &  misère.  Sans  préjudicier  aux  aumônes  néces- 
saires pour  les  pauvres  membres  qui  sont  parmi  nous,  et  a  collecté 
une  somme  de  onze  cens  vingt  quatre  francs.  Monsieur  Beecq  (6)  a 
obtenu  aussy  de  nostre  Magistrat  cent  Ryxdaellers  pour  Mons.r  Léger 
en  particulier.  Lesquelles  sommes  (selon  l'advis  du  Sieur  Léger)  se- 
ront envoyées  à  Mons.r  le  Chevalier  Coeymans  demeurant  à  Haer- 
lem.  Le  frère  des  Quiens  est  prié  de  luy  porter  le  dit  argent  et  d'en 
demander  quittance,  ce  qu'il  a  accepté  ». 

Le  15  mai  1662,  lorsque  Jean  Léger  se  trouve  à  la  Haye,  après 
son  voyage  à  travers  la  Suisse  et  l'Allemagne  avec  l'intention  d'aller 
en  Angleterre  pour  y  renseigner  également  les  authorités  protestan- 
tes concernant  le  sort  déplorable  de  son  peuple,  il  écrit  une  lettre 
aux  pasteurs  des  Eglises  Wallonnes  des  Pays-Bas,  réunis  au  Synode 
de  Campen.  Ils  sont  renseignés  ainsi:  «  Mr.  nostre  très  honoré  frère 
Jean  Léger,  Pasteur  de  St.  Jean  en  Luserne,  ès  Vallées  du  Piedmont, 
nous  ayant  représenté  par  lettre  le  triste  et  déplorable  estât  des  Egli- 
ses desdites  Vallées,  cruellement  persécutés  pour  la  religion  par  le 
Conseil  De  propagande  fide  et  exterminandis  hereticis,  et  demandé 
instamment  que  ce  Synode  les  assistât  de  ces  conseils  et  libéralités, 
la  Compagnie  ayant  des  sentimens  très  vifs  et  douloureux  de  la  frois- 
sure  de  Joseph,  et  estant  navrée  par  la  playe  de  Sion,  a  ordonné  que 
lettres  seront  escrites  audit  Sr.  et  très  honoré  frère  pour  le  consoler 
en  cette  funeste  et  déplorable  occurence;  pareillement  ayant  entendu 
que  quelques  bonnes  âmes  de  plusieeurs  de  nos  Eglises,  estant  émeues 
par  les  entrailles  de  compassion,  avoient  déjà  ouvert  leurs  mains  de 
charité  et  de  bénéficence  à  l'endroit  des  persécutés,  elle  espère  que 
plusieurs  autres  imiteront  leur  libéralité  pour  le  soulagement  des- 
dits Eglises  »  (7). 

Le  21  mai  suivant  les  «  Actes  du  Consistoire  »,  faisant  allusion 
à  ce  qui  a  déjà  été  communiqué  auparavant,  marquent:  «  Mons.r 
nostre  très  honoré  Frère  François  Turetin  ayant  escrit  une  lettre  a 
ceste  Comp.  dans  laquelle  il  déclare  de  n'estre  point  en  estât  de  pou- 
voir embrasser  la  vocation  qui  lui  a  esté  présentée  de  la  part  de  ceste 

(5)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Oeuvre  citée,  p.  70  et  21  à  gauche. 

(6)  Le  nom  de  ce  pasteur  s'écrit:  Beeck,  Beecq,  Beeckius,  selon  les  différents 
documents. 

(7)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  LiDre  Synodal  de  l'Eglise  Wallonne.  1563-1685. 
Art.  22,  p.  598.  M.  NyhoflF.  La  Haye.  1896. 


—  58  — 


Conip.  avec  beaucoup  d'instance  pour  les  raisons  déduites  en  la  dite 
lettre;  La  Comp.  ayant  considéré  ses  raisons  comme  aussi  celles  qui 
sont  contenues  dans  une  lettre  qu'elle  a  receu  sur  ce  sujet  de  Mess.rs 
les  Pasteurs  et  Professeurs  de  l'Eglise  &  Académie  de  Genève  a  ré- 
solu d'y  acquiescer  et  a  député  vers  Mess.rs  de  nostre  Ven.  Magistrat 
Mess.rs  Beecq  et  le  Perre  pour  leur  déclarer  le  contenu  des  dittes  let- 
tres et  leur  demander  en  mesme  temps  permission  de  passer  à  une 
nouvelle  élection  »  (8). 

Le  2  juin  nous  lisons  que:  «  La  Compagnie  des  Pasteurs,  An- 
ciens et  Diacres,  assemblés  en  la  crainte  de  Dieu  pour  nommer  une 
personne  qui  estant  adjoustée  au  cincq  qui  sont  demeurées  sur  la 
dernière  nomination,  puisse  remplir  le  nombre  de  six  duquel  on  puis- 
se en  suite  en  appeler  une  pour  servir  en  qualité  de  Pasteur  en  ceste 
Eglise  en  la  place  de  feu  nostre  très  honoré  frère  Mons.r  Pierre 
Agaclie  &  après  l'excuse  de  nostre  treshonoré  frère  Mons.r  François 
Turretin,  ayant  obtenu  pour  cela  permission  de  vostre  Mess.rs  de 
nostre  Vén.  Magistrat,  après  l'invocation  du  nom  de  Dieu  il  a  apparu 
que  la  pluralité  des  suffrages  est  tombée  sur  la  personne  de  Mons.r 
nostre  très  honoré  frère  Jean  Léger.  Mons.r  Cupif,  president  de  ceste 
Comp.  Mons.  Beecq.  Mons.r  le  Perre,  ont  esté  <léputés  pour  présen- 
ter ceste  nomination  à  Messrs.  du  Magistrat  »  (9). 

Le  7  juin  1662  les  «  Actes  du  Consistoire  «  annoncent  ce  qui  suit: 
«  En  suite  de  l'approbation  de  la  nomination  qui  a  esté  présentée  à 
nostre  Vén.  Magistrat  La  Comp.  des  Pasteurs.  Anciens  et  Diacres, 
tant  ceux  qui  sont  en  charge  que  ceux  qui  l'ont  esté,  estant  assem- 
blée (Quiens,  Messrs.  Paets  et  Schilperoort,  commissaires  de  nr.  Vén. 
Magistrat)  pour  faire  élection  d'une  personne  qui  prenne  sa  part  au 
ministère  de  reste  Eglise,  et  ayant  imploré  pour  cest  effect  l'assistan- 
ce du  St.  Esprit  de  Dieu,  il  a  apparu  que  la  pluralité  des  suffrages  est 
tombée  sur  la  personne  de  nostre  très  honoré  frère  Mons.r  Jean  Lé- 
ger. Messrs.  Cupif  et  le  Perre  sont  députés  pour  presenter  cette  Elec- 
tion à  Messrs.  de  nostre  Vén.  Magistrat  ».  Et  en  marge:  «  Rapport 
a  esté  fait  à  la  Compagnie  que  Messieurs  de  nostre  Vén.  Magistrat  ont 
approuvé  la  ditte  Election  de  Monsr.  Léger  nostre  très  honoré 
frère  »  (10). 

Puis,  le  11  juin  suivant:  (11)  «  Ensuite  de  la  vocation  que  la 
Comp.  a  fait  de  la  personne  de  Monsieur  Léger  pour  pasteur  de  cette 
Eglise,  et  approbation  de  la  ditte  Election  par  le  Vén.  Magistrat  de 
cette  Ville;  Le  consistoire  a  donné  charge  à  Monsieur  Grommé,  notre 
très  honoré  Collègue,  descrire  la  lettre  de  sa  vocation  et  de  la  luy  en- 
voyer signée  par  Messieurs  Grommé,  président,  Beeck,  et  Rennet 


(8)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Actes  du  Consistoire  de  VEglise  Wallonne. 
1658-1695.  Vol.  44,  p.  72  à  gauche. 

(9)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Actes  de  Consistoire  de  l'Eglise  Wallonne  des 
Pays-Bas.  1658-1695.  Vol.  44.  p.  73  à  gauche. 

(10)  Oeuvre  citée,  p.  73. 

(11)  Oeuvre  citée,  p.  74  à  gauche. 


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pasteurs,  et  le  Perre  et  «les  Quiens,  anriens  ».  Cette  lettre  est  écrite 
aussitôt  et  expériiée  le  12  juin,  comme  on  voit: 


LETTRE  1. 

Copie  de  la  lettre  escrite  à  Monsr.  Léger  touchant  la  vocation  en  cette 
Eglise  en  1663. 

De  Leyden  ce  12'  de  Juin  1662. 

Monsieur  et  Très  honoré  Frère, 

Combien  que  l'entière  relasche  des  enfans  de  Dieu  ne  se  doive  obte- 
nir que  lorsque  les  temps  de  rafraichissement  seront  venus  de  la  presence 
du  Seig.r,  et  que  le  Sr.  Jesus  sera  révélé  du  Ciel  &  viendra  pour  estre  glo- 
rifié en  Ses  Saincts  &  estre  rendu  admirable  en  tous  les  croyans;  si  est  ce 
que  Dieu  leur  en  fait  gouster  quelques  fois  une  petite  portion  dès  ici  bas, 
afin  qu'ils  ne  défaillent  point  mais  prennent  un  peu  d'halene  eu  milieu 
de  ces  pénibles  travaux  &  dangereux  combats  aurquels  il  les  appelé  en  ce 
monde. 

Nous  vous  souvenons  de  ce  que  vous  nous  disiez  estant  ici  que  vous 
alliez  encore  faire  un  voyage  vers  les  Valees  (non  obstant  le  grand  danger 
auquel  vous  vous  alliez  exposer)  afin  de  pouvoir  servir  de  consolation  & 
de  conseil  a  ces  pauvres  fidèles  atfligés  et  persécutés,  &  que  voyant  que 
votre  séjour  ne  pourroit  plus  continuer  en  ces  lieux  vous  ne  vouliez  pas 
tenter  Dieu,  mais  chercheriez  quelque  asyle  &  quelque  reste  de  repos 
ailleurs. 

C'est  ce  qu'il  semble,  Mons.r  &  Treshonoré  Frère,  que  la  providence  de 
Dieu  vous  veut  faire  trouver  en  ce  lieu  ci  &  en  cette  Eglise  en  laquelle  il 
vient  de  vous  appeler  pour  servir  en  qualité  de  Pasteur,  en  la  place  de  feu 
nostre  treshonoré  Frère  Mons.r  Pierre  Agache  qu'il  a  retiré  en  Son  repos 
éternel. 

Le  grand  nombre  de  suffrages  qui  sont  tombés  sur  vostre  personne  en 
la  Compagnie  qui  a  esté  assemblée  ces  jours  ci  en  la  crainte  de  Dieu  pour 
travailler  a  la  vocation  d'un  digne  successeur  en  la  place  de  nostre  dit  Frè- 
re, ayant  imploré  pour  cet  effect  l'assistance  &  la  conduitte  du  Sainct  Esprit 
de  Dieu,  La  Grande  joye  de  nostre  peuple  après  avoir  entendu  le  choix  que 
nous  avons  fait  d'une  personne  douée  de  si  belles  qualité  propres  pour 
l'édifier,  &  le  contentement  de  nostre  Magistrat,  qui  non  seulement  a  ap- 
prouvé cette  vocation,  mais  s'en  est  montré  très  satisfait,  donnent  des  preu- 
ves suffisantes  de  l'estime  que  l'on  fait  ici  de  vostre  personne,  de  l'affection 
que  les  dons  excellens  qu'il  a  pieu  a  Dieu  de  vous  departir  ont  produite  és 
coeurs  de  ce  grand  peuple,  dont  nostre  Eglise  est  composée  envers  vous,  & 
de  l'ardent  désir  que  nous  avons  tous  de  vous  voir  au  milieu  de  nous  pour 
jouir  des  fruicts  agréables  de  vos  saincts  labeurs. 

Nous  vous  escrivons  la  presente  pour  vous  offrir  la  ditte  vocation,  avec 
toutes  ses  dependances,  sous  l'agreation  du  Synode  de  nos  Eglises,  &  pour 
vous  prier  de  l'embrasser  volontairement  et  promptement,  afin  que  le  dé- 
faut du  cinquiesme  pasteur  en  cette  Eglise,  lequel,  comme  vous  savez  a 


—  60  — 


desja  duré  quelque  temps,  puisse  bientost  estre  reparé,  a  quoy  vous  con- 
tribuerez beaucoup  en  vous  transportant  vers  ces  lieux  le  plustost  qu'il 
vous  sera  possible,  mesmes  devant  la  tenue  du  Synode  qui  se  doit  tenir  au 
mois  de  Septembre  prochain,  afin  que  nous  puissions  estre  prests  devant  ce 
temps,  vous  asseurans  de  procurer  que  le  service,  que  vous  nous  rendrez  en 
ce  cas  avant  le  temps  de  vostre  confirmation,  vous  soit  recompensé:  &  si 
vous  désirés  que  nous  vous  louyons  ici  une  maison  avant  vostre  arrivement 
en  ce  lieu,  nous  nous  y  employerons  très  volontiers.  Cependant,  attendant 
vostre  response  au  plustost  que  faire  se  pourra,  nous  prions  l'Eternel  qu'il 
espande  abondamment  sur  vous  ses  sainctes  benedictions  pour  l'advance- 
ment  de  Sa  gloire  &  le  bien  de  Son  Eglise,  qu'il  vous  preserve  de  tous  dan- 
gers prenant  sous  sa  protection  paternelle  &  vous  &  vostre  famille  comme 
aussi  ces  pauvres  affliges  dans  les  Valées,  &  qu'il  vous  conduise  vers  nous 
en  bonne  santé  &  prosi>erité,  &  sommes  Monsieur  &  Treshonoré  Frère,  Vos 
très  humbles  &  très  affectionnés  serviteurs  &  frères  en  J.  Christ. 
Les  Conducteurs  de  l'Eglise  Walonne  de  Leyden  &  eu  nom  de  tous 

Jean  Beecq,  Isaac  Grommé,  Jacob  Rennet,  Pasteurs 
Jaques  le  Perre,  Marc  des  Quiens,  Anciens. 

Mons.r.  Si  c'est  vostre  escriture  que  le  billet  qui  estoit  enclos  dans 
vostre  dernière  lettre,  nous  vous  prions  de  nous  escrire  en  ce  charactere, 
pour  ce  qu'il  nous  est  plus  lisible  que  celui  auquel  vous  nous  escrivez 
ordinairement. 

La  réponse,  dont  la  lettre  originale  est  datée  du  30  juin,  vient 
de  Genève  et  fût  mentionnée  le  27  juillet  seulement  de  la  £açon  sui- 
vante: (12)  «  Monsieur  notre  très  honoré  frère  Jean  Léger,  pasteur 
dans  les  Vallées  de  Piedmont,  ayant  escrit  une  lettre  a  ceste  Comp: 
par  laquelle  il  a  témoigné  estre  fort  consolé  et  réjoui  de  la  vocation 
qui  luy  a  esté  adressée  de  la  part  de  ceste  Eglise,  et  donne  à  con- 
noître  que  son  inclination  et  sa  pensée  est  de  la  venir  servir  quand 
le  temps  en  sera  venu;  mais  que  l'intérêt  des  Eglises,  de  par  de  là,  et 
Testât  de  ses  affaires  est  tel,  que  pour  le  présent  il  ne  peut  pas  en- 
tièrement se  déterminer;  La  Comp:  considérant  la  nécessité  de  sa 
'présence  en  ces  lieux  dans  ceste  pressante  conjoncture,  et  souhaistant 
qu'il  réussisse  en  ces  entreprises  pour  le  bien  des  Eglises  des  Vallées, 
et  désirant  aussi  jouir  de  sa  personne  et  de  ses  services  au  plutôt,  a 
donné  charge  à  Mons.r  Cupif,  nôtre  très  honoré  Collègue,  de  luy 
escrire  en  son  nom  et  de  le  prier  qu'il  nous  donne  le  plustost  qu'il 
sera  possible  assurance  en  vertu  de  laquelle  nous  puissions  estre  con- 
firmés dans  le  désir  de  l'avoir  bien  tost,  et  estre  favorisée  par  le  Sy- 
node prochain  d'une  Classe,  où  sa  vocation  puisse  estre  examinée  et 
approuvée,  en  cas  que  sa  response  ne  vienne  devant  la  tenue  du 
prochain  Synode  ». 

On  voit  que  Jean  Léger  est  en  pleine  tourmente  et  que  l'Eglise 
Wallonne,  tout  en  lui  laissant  la  liberté  de  servir  son  pays,  exerce 
pourtant  une  certaine  pression. 


(12)  Oeuvre  citée,  p.  75  à  gauche. 


—  61  — 


LETTRE  2. 

Adresse: 
Messieurs 

Messieurs  Les  Pasteurs,  Anciens,  Diacres  et  Conducteurs  de  l'Eglise  Val- 
lonné de  Leyden.  (Cette  lettre  porte  sur  l'enveloppe  deux  cachets  avec 
l'armoirie  de  Jean  Léger). 

A  Geneve  Le  30  Juin  1662.  St.  Vieux  (Style  Vieux) 

Contenu: 

Messieurs  et  treshonores  Peres  et  Frères 

Ce  ne  m'est  pas  une  mediocre  consolation,  de  voir  que  Dieu  face  en- 
core fleurir  ma  verge  mesmes  dans  la  nuict  des  afflictions  les  plus  cuisen- 
tes,  et  qu'après  une  longue  lutte  l'aube  du  jour  se  leve  sur  moy,  et  la 
bonne  nouvelle  me  soit  anoncee,  au  moyen  de  laquelle  je  puisse  estre 
mis  à  couvert,  et  du  Laban  q  me  court  après,  et  de  l'Esau  q  me  vient 
audevant.  Mais  il  me  reste  encore  une  espreuve  bien  forte  après  avoir 
esté  tant  tormenté  en  mon  corps,  en  mon  esprit,  en  mes  biens,  et  mesmes 
en  mon  honneur.  C'est  de  me  voir  encore  tellement  enserré  des  deux 
costés,  que  je  ne  puisse,  ni  passer  plus  avant,  sans  témérité,  et  sans  ten- 
ter Dieu  et  scandaliser  le  monde,  ni  retourner  si  tost  en  arrière,  sans 
estre  enroolé  avec  les  soldats  de  Gedeon  qui  gttèrent  le  combat  pour 
boire  à  leur  ayse. 

Pardonnés  moy  Messieurs  et  Tresh.  Peres  et  Frères  si  je  commence 
de  la  sorte  ma  très  humble  response  à  la  très  honorable,  très  charitable 
et  très  cordiale  lettre  qu'il  vous  a  plus  m'escrire  en  datte  du  12  du  cou- 
rant, par  laquelle  vous  avés  agrée  de  m'appeler  à  la  charge  du  sanctuaire 
que  le  Seigneur  vous  a  commis. 

Certes  si  les  bonnes  nouvelles  qui  vienent  de  païs  lointain  rejouissent 
les  os,  celle  ci  a  bien  recrée  mes  entrailles. 

lo  parceque  je  voy  que  quoyque  je  suis  boiteux  avec  Jacob,  bègue 
avec  Moyse,  enfant  avec  le  profete,  bref  fort  chargé  de  défauts  et  très 
mincement  orné  des  belles  qualités  requises  à  une  haute  vocation,  vostre 
rare  charité  vous  fait  passer  par  dessus  pour  me  tendre,  par  un  pur 
effect  de  sa  bonté,  la  belle  main  d'association,  avec  l'adveu  de  vostre  ve- 
nerable et  très  eccellent  Magistrat. 

2«  parceque  par  ce  moyen  vous  me  mettés  a  couvert  de  l'orage,  voire 
de  la  tormente  qui  m'a  desja  tant  agitée,  et  me  donnés  moyen  de  ras- 
sembler et  eslever  le  reste  de  ma  famille  désolée  en  la  piété  et  vertu  en 
lieu  ou  je  dois  avoir  le  moins  de  regret  de  la  quitter  quand  il  plaira  a 
Dieu  de  m'appeler  en  la  Cité  permanente. 

3o  parceque  si  le  Seig.r  veut  que  cette  S.te  vocation  aie  son  effect, 
comme  je  connois  vostre  zele,  vostre  douceur,  vostre  candeur  et  mes  incli- 
nations, je  suis  plainement  persuadé  d'une  saincte  et  invariable  sympathie 


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qui  avec  la  benediction  de  nostre  commun  Pere  ne  pourra  menquer 
d'estre  a  edification  et  mutuelle  consolation. 

Mais  helas  voici,  Messieurs  et  tresh.  Peres  et  Frères,  ce  qui  menpesche 
jusquici  d'aller  recueillir  des  fruicts  tant  excellens  et  tant  désirés:  C'est 
que  les  affaires  des  Vallées  sont  en  une  crise  en  laquelle  je  ne  les  puis 
abandonner,  sans  charge  de  conscience  et  sans  grand  blasme. 

On  a  tant  fait  d'un  costé  par  des  menaces  estrengement  surprenentes, 
et  de  l'autre  par  des  promesses  non  moins  esblouissentes  qu'on  a  enlacé 
ces  pauvres  gens  à  signer  un  escrit,  qui  en  quittant  encore  quelque  chose 
leur  devoit  rassurer  tout  le  reste,  et  les  mettre  en  repos,  quand  ils  l'ont 
eu  fait  on  les  a  bien  pris  au  mot  pour  ce  qui  leur  est  contraire  mais  on 
ne  leur  effectue  rien  de  ce  qu'on  leur  a  promis;  et  les  Cantons  Evange- 
liques  q  jusquici  ont  retardé  leur  Ambassade  à  Turin  parcequ'ils  atten- 
doyent  l'effect  des  belles  promesses  reçues  de  la  part  de  S.M.B.  invitée 
par  toutes  les  puissences  de  nostre  religion  à  embrasser  cest  affaire,  ont 
envoyés  un  Gentilhomme  et  Colonnel  de  Zurich  à  S.A.R.  avec  les  lettres 
intercessionales  que  toutes  les  mesmes  puissences  ont  eu  la  bonté  de 
luy  adresser  pour  nous  et  par  ainsi  les  Vallées  ayans  en  mesme  temps 
présenté  leurs  requestes  et  leurs  griefs,  on  est  entré  en  negotiation  pen- 
dant laquelle  je  ne  doy  pas  mesmes  remuer  ma  famille  de  la  ou  elle  est, 
non  que  de  mesloigner  d'ici,  de  peur  d'enfler  le  courage  des  adversaires 
et  faire  fondre  le  coeur  à  nos  pauvres  gens,  abandonnant  eux  et  leurs 
affaires  en  la  plus  importante  et  dengereuse  conjoncture  qu'ils  se  soyent 
jamais  trouvés,  et  telle  que  vous  mesmes  Mess,  et  tresh.  Frères,  pour  la 
charité  véhémente  que  vous  avés  pour  eux,  en  estant  bien  informés  non 
seulement  vous  sériés  marri  de  les  avoir  destitués  du  peu  d'adresse  que 
je  puis  donner,  et  aux  médiateurs  et  à  eux,  mais  mesmes  vous  vous  offri- 
riés  volontairement  à  souffrir  encore  quelques  incomodités  et  langueur 
pour  coopérer  à  les  tirer  de  ce  pitoyable  labyrinthe. 

Au  reste,  comme  il  est  absoluement  necessaire,  pour  ma  conscience, 
pour  mon  honneur,  pour  le  bien  de  ma  pauvre  patrie,  et  pour  l'adresse 
de  ceux  qui  agissent  et  pour  recueillir  l'effect  des  bonnes  volontés  que 
Dieu  a  disposées  par  moy,  que  je  tienne  pied  a  boulle,  jusqu'aceque  nous 
voyons  où  tombe  l'arbre.  Je  suis  neantmoins  pleinement  persuadé  que 
nous  n'en  serons  pas  plus  fort  longtemps  en  suspens,  et  jattends  de  mo- 
ment en  moment  d'apprendre  la  ponte  que  prend  un  telle  negotiation, 
pour  vous  parler  plus  clairement  et  vous  dire,  si,  et  quand,  je  pourray 
faire  voile  vers  vous.  Car  quoy  que  je  n'aye  nulle  esperence,  ni  mesmes 
la  pensee  de  rehabiter  aux  Vallées  (quoy  qu'il  arrive,  nonobstant  le  désir 
trop  passionné  qu'elles  en  tesmoignent,  jusque  là  qu'elles  ont  déclaré  de 
vouloir  plustost  tout  risquer  que  de  me  lascher)  si  est  ce  que  je  veux,  et 
dois  faire  les  choses  par  ordre,  et  me  desgager  comme  il  faut,  à  fin  de 
n'aller  en  Tharsis. 

Je  vous  conjure  donc  Mess,  et  tresh.  Peres  et  Frères  par  vostre  pro- 
pre commiseration  de  patienter  encore  un  peu,  me  continuer  l'honneur 
de  vostre  bienveillance  que  j'estime  si  précieuse,  et   m'ayder  par  vos 


—  63  — 


ss.  prières  à  surgir  à  bon  port,  comme  je  ne  cesse  de  redoubler  mes 
voeux  les  plus  ardens  à  nostre  Dieu  à  ce  que  les  dons  de  Son  Esprit 
soyent  sur  les  personnes  de  vostre  Venerable  Magistrat  et  les  vostres, 
comme  l'huyle  sacrée  d'Aaron,  q  descend  de  la  teste  jusqu'au  bord  du 
vestement,  et  Ses  graces  les  plus  précieuses  sur  vous  et  vostre  Sainct  trou- 
peau que  je  salue  très  cordialement,  comme  la  rosée  d'Hermon  et  de  Sion, 
puis  q'i  a  ordonné  la  benediction  et  vie  à  toujours. 

Pour  l'escriture  dont  vous  me  parlés,  elle  n'est  pas  de  ma  main,  qui 
est  si  rompue  à  escrivasser  sans  fin  et  sans  cesse,  qu'elle  n'est  que  telle 
que  vous  la  voyés  ici,  mais  si  vous  pouviés  si  bien  lire  dans  mon  coeur, 
vous  y  verriés  en  caractères  ineffaçables  que  je  suis  et  me  professeray 
toute  ma  vie,  avec  proffond  respect,  et  entière  sincérité 
Messieurs  et  treshonorés  Peres  et  Frères 

Vostre  très  humble,   très  obéissant 
Et  plus  obligé  serviteur  et  Frère  au 
Seigneur 

Jean  Léger  Pasteur. 

En  septembre  1662,  au  Synode  de  Deift,  le  «  Livre  Synodal  » 
rapporte  que:  (13)  «  l'Eglise  de  Leyden  ayant  appelé  nostre  très  cher 
frère  Mr.  Jean  Léger,  Pasteur  ès  Vallées  de  Piémont  en  la  place  de 
nostre  très  honoré  frère  Mr.  Pierre  Agache  d'heureuse  mémoire,  et 
demandant  que  cette  Compagnie  approuve  ladite  vocation,  ledit 
Sr.  Léger  n'ayant  point  encore  démission  de  son  Eglise,  la  Compa- 
gnie a  trouvé  bon  de  remettre  l'affaire  à  une  Classe  qui  se  tiendra  en 
la  ville  de  Leyden,  laquelle  Classe  est  authorisée  de  confirmer  ladite 
vocation  du  Sr.  Léger,  selon  nos  ordres,  ou  en  ras  que  l'Eglise  de 
Leyden  soit  obligée  de  faire  une  autre  vocation  par  le  refus  de  Mr. 
Léger,  la  mesme  Classe  est  encore  authorisée  de  confirmer  la  voca- 
tion que  ladite  Eglise  pourroit  faire  de  quelque  Pasteur  ou  Propo- 
sant de  ce  corps,  et  la  Classe  susdite  sera  composée  des  Eglises  nom- 
mées en  l'article  21  du  Synode  précédent,  y  adjoustant  les  Eglises 
de  Dordrecht  et  de  Rotterdam,  qui,  comme  synodale,  fera  la  convo- 
cation de  ladite  Classe  ».  Le  22  octobre  les  «  Actes  du  Consistoire  » 
marquent  que:  «  La  Compagnie  s'estonnant  du  long  silence  de 
Mr.  Léger  appelé  au  service  de  nostre  Eglise,  lequel  ne  respondant 
point  aux  lettres  qu'elle  luy  a  escrites  pour  scavoir  de  luy  sa  distincte 
résolution  sur  la  vocation  à  luy  présentée...  ». 

Les  phrases  suivantes  sont  presqu'illisibles,  mais  nous  en  avons 
«léduit  que  l'on  demande  à  Jean  Léger  s'il  accepte  ou  non  la  voca- 
tion offerte.  Le  29  octobre  on  lui  expé<lie  une  lettre  à  peu  près  sem- 
blable, signée  au  nom  de  toute  la  Compagnie,  les  pasteurs  et  les  an- 
ciens (14). 


(13)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Livre  Synodal  de  l'Eglise  Wallonne.  1563-1685. 
Art.  30,  p.  605.  M.  NyhoflF.  La  Haye.  1896. 

(14)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Actes  du  Consistoire  de  l'Eglise  Wallonne. 
1658-1695.  Vol.  44,  p.  78  et  79  à  gauche. 


—  64  — 


La  troisième  lettre  que  contient  le  portefeuille  des  «  Pièces  ma- 
nuscrites déposées  au  Consistoire  de  l'Eglise  Wallonne  »  (15)  fût  ex- 
pédiée par  Jean  Léger  sans  date  ou  lieu  de  provenance.  Elle  doit 
avoir  croisée  celles  du  22  et  29  octobre  qu'on  venait  de  lui  écrire. 
(De  ces  dernières  il  n'y  a  pas  de  copie.)  Il  explique  les  raisons  pour 
lesquelles  il  ne  peut  encore  quitter  les  Vallées,  quoique  sa  vie  y  est 
souvent  en  danger.  Voici  lie  contenu  de  cette  missive: 


LETTRE  3. 

Adresse: 
Messieurs 

Messieurs  Les  pasteurs,  anciens  et  diacres  de  l'Eglise  Réformée  Vallonné 
de  Leyden  mes  très  honorés  pères  et  frères  au  Seigneur  A  Leyden. 

(Bon  signet  avec  armoirie  de  Jean  Léger). 
Lettre  sans  date  ou  lieu  de  provenanc;. 

Contenu: 

Messiers  et  Treshonorés  Peres  et  Frères 

Quand  je  me  donnay  l'honneur  de  respondre  à  vostre  gracieuse,  pre- 
voyente,  et  en  mesme  temps  pourvoyante  lettre  du  21  juillet  dernier,  par 
laquelle  vous  me  demandiés  des  paroles  formelles  et  expresses  qui  vous 
assurassent  de  l'actuelle  acceptation  du  Ministère  que  vous  avés  eu  la 
bonté  de  me  preenter,  à  ce  que  vous  demendassiés  une  Classe  à  vostre 
venerable  Synode,  qui  en  son  authorité,  acceptât  et  authorisat  ma  voca- 
tion et  que  je  vous  priay  de  ne  laisser  pas  d'obtenir  la  dite  Classe  quoy- 
que  pour  lors  je  ne  pusse  vous  parlar  si  nettement  que  j'eusse  désiré, 
pour  les  raisons  que  je  vous  en  donnay. 

Je  vous  promis  de  le  faire  dans  peu  de  temps  après,  espérant  d'un 
costé  de  voir  un  meilleur  succès  de  la  negotiation  de  Messieurs  Les  Can- 
tons Evangeliques,  et  plus  de  fruict  des  belles  lettres  intercessionnales 
de  tant  d'autres  puissences;  et  que  la  ruse  et  la  rage  de  nos  ennemie  ne 
s'attacheroyent  pas  tousjours  à  tout  eluder  par  leurs  entortillemens  et 
desguisemens  serpentins  et  qu'ils  feroyent  au  moins  comme  le  juge 
inique,  qui  quoyqun'il  ne  craignit  Dieu  ni  les  hommes,  neantmoins  pour 
se  deslivrer  de  l'imjxjrtunité  de  la  vefve,  interina  sa  requeste.  D'ailleurs, 
paarceque  je  ne  me  pourroy  nullement  persuader  que  le  Synode  des 
Vallées,  après  les  remonstrances  que  luy  faisoyent  avec  moy  des  Etc.;l- 
lens  personnages,  d'ici  et  d'ailleurs,  qu'il  revere  beaucoup,  et  la  persua- 
sion qu'il  devoit  avoir,  tant  à  cause  de  l'exemple  de  fu  Mr.  Léger  mon 
oncle,  que  pour  plusieurs  autres  raisons,  que  je  ne  pourroy  jamais  plus 
aller  exercer  mon  Ministère  ès  Vallées,  quelle  intercession  qu'il  y  put 
avoir,  et  mesmes  quelle  promesse  qu'on  me  fit,  sans  y  estre  en  continuel 
danger  pour  ma  personne,  et  par  la  malice  des  adversaires  pierre  d'achop- 


(15)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Pieces  manuscrites  déposées  par  le  Consistoire 
de  VEglise  Wallonne  de  Leyden.  Portefeuille  72,  n.  11. 


—  65  — 


pement  pour  elles,  me  refusât  un  congé  demendé  avec  tant  d'instence  et 
de  si  fortes  raisons. 

Et  cependant  pour  le  premier  chef,  il  n'a  jusqu'ici  réussi  que  comme 
vous  l'Efvés  seu.  Messieurs  et  Tresh.  Peres  et  Frères,  par  la  réplique  aux 
lettres  que  S.A.R.  a  respondues  aux  puissences  qui  ont  eu  la  clémence 
d'interceder  pour  nous  auprès  d'elle,  selon  que  j'ay  prié  Mons.r  Carré 
nostre  Tresh.é  Frère  de  vous  en  communiquer  la  coppie  que  j'en  ay 
adressée  a  L.L.A.A.  Messeigneurs  Les  Estats  Généraux  par  luy,  de  sorte 
que  vous  pouvés  juger  de  là  en  quel  estât  demeurent  encore  nos  pauvres 
Eglises. 

Et  pour  le  second,  qui  est  mon  congé,  le  Synode  ayant  fait  un  ar- 
ticle qui  porte: 

1"  Un  refus  absolu  pour  un  temps  indéterminé,  attendant  de  voir  où 
enfin  tombera  l'arbre. 

2»  Très  instente  prière  et  requeste  qu'en  tout  cas  quand  toute  espe- 
rencce  seroit  perdue  de  me  jamais  r'avoir  dans  les  Vallées  que  je  n'aille 
pas  plus  loin  que  de  Geneve,  ou  le  voisinage  de  Berne,  où  il  savoit  bien, 
comme  il  est  vray,  que  Leurs  Eccellences  non  seulement  m'ofrent  parti, 
mais  mesme  de  leur  grace  particulière  me  donnent  le  choix  de  me  loger 
partout  ou  il  me  plaira  m'ofïrant  conjoinctement  avec  tous  les  Cantons 
entretien  honorable  jusqu'aceque  deschargé  de  tant  de  fardeau,  je  me 
puisse  actuellement  rendre  assidue  au  service  de  l'Eglise  que  j'accepteray. 

Quant  aux  raisons  qu'allègue  le  mesme  Synode  jwur  m'empescher  de 
paascr  plus  loin,  il  n'est  pas  necess.e  que  je  vous  les  detalle,  et  mesmes 
il  n'est  pas  séant.  Encore  le  dit  Synode,  pour  animer  d'avantage,  et  son 
article  et  sa  lettre,  a  député  ici  un  Pasteur  et  un  Ancien,  qui  n'ont  rien 
obmis  de  ce  qui  pourroit  servir  a  ce  but.  Il  a  donc  fallu  Mess,  et  Tresh. 
Peres  et  Frères,  pour  ne  manquer  en  rien  de  ce  q  requiert  le  bon  ordre, 
la  desharge  de  ma  Conscience  et  vostre  propre  satisfaction,  pour  faire 
un  si  rude  deschirement  avec  moins  de  douleur  et  resp>ondre  à  une  si 
grande,  quoy  que  si  j'ose  dire  quasi  aveugle  affection  de  ma  pauvre  pa- 
trie, que  j'opposasse  à  toutes  ces  raisons  un  raisonnement  plus  fort,  et 
luy  fisse  comprende  1©  les  raisons  pour  lesquelles  elle  ne  se  devoit  plus 
flatter  de  l'esperence  de  mon  retour  sur  aucune  intercession.  1°  que 
quoyque  je  dusse  aussi  souhaitter  de  demeurer  plus  près  d'elle,  tant  pour 
les  raisons  qui  la  regardent  celuy  semble  que  pour  celles  qui  me  tou- 
chent en  particulier  et  qui  concernent  ma  faamille,  mes  parents,  et  quel- 
que esperence  de  retirer  du  naufrage  quelque  peu  des  debris  de  mes 
biens,  neantmoins  il  estoit  plus  expedient  mesmes  pour  son  bien  que  je 
préférasse  la  vocation  dont  vous  m'honoriés  à  celles  qui  se  presentoyent 
d'ailleurs. 

C'est  Messieurs,  ce  que  je  pretends  d'avoir  si  bien  fait  et  par  les  dis- 
cours que  j'ay  eu  avec  les  Députés  susdits  et  par  les  lettres  ynstructives 
et  mémoires  que  je  leur  ay  remises,  que  je  n'y  prenoit  plus  aucune  diffi- 
culté, vues  les  conditions  dont  j'ay  convenu  avec  leurs  susdits  Députés 
que  je  n'ay  pu  ni  deu  refuser  et  qu'aussi  je  ne  vous  doy  pas  taire,  puis- 
que vous  avés  s'il  vous  plaist  à  y  faire  reflexion,  et  m'en  donner  comme 
je  vous  en  supplie,  un  mot  de  response.  Assavoir:  1«  que  puisque  les  Val- 


5 


—  66  — 


lees  croyent  avec  tant  de  persuasion  que  mon  travail  encore  de  quelques 
mois  leur  puisse  apporter  quelque  soulagement  pour  le  succès  qu'elles 
attendent  de  divers  efforts  qui  continuent  a  se  mouvoir  en  leur  faveur  il 
vous  plaise  donner  cela  a  leurs  réussites,  et  à  leurs  prières  et  miennes. 

2»  Que  si  a  l'advenir,  estant  mesmes  actuelement  establi  paimi  vous, 
il  arrivoit  telle  revolution  et  nécessité  d'affaires,  que  pour  le  plus  grand 
avencement  du  règne  de  Dieu  ils  demendassent  absoluement  ma  presen- 
ce, il  vous  plut  y  consentir.  Vous  devés  estre  persuadé  que  quand  il  n'y 
auroit  que  la  consideration  de  mon  aage  qui  s'avance  et  de  ma  famille, 
des  qu'elle  sera  transportée  si  loin,  je  ne  penseray  jamais  à  telle  chose, 
sinon  qu'il  en  arrivât  telle  nécessité  que  vous  en  reconussiés  bien  et  l'im- 
portence  et  le  fruict. 

Je  me  suis  d'autant  plus  facilement  promis  Messieurs  et  tresh.  Peres 
et  Frères  d'obtenir  ces  graces  de  vostre  particulière  bonté  que  vostre 
dernière  lettre  me  les  accordoit  desja  implicitement  et  que  vous  jugés 
bien,  que  sans  les  grandes  raisons  j'aymerais  bien  mieux  estre  desja  logé 
en  un  lieu  de  repos  avec  la  consolation  dont  je  jouirois  parmi  vous,  que 
d'estre  encore  en  ces  anxiétés  en  ces  combats  et  agitations.  Et  ce  qui  me 
doit  faire  souhaiter  de  suivre  vostre  vocation,  quoy  que  je  n'en  sache  ni 
les  adventages  ni  les  charges,  plus  tost  qu'aucun'autre,  et  y  espérer  une 
benediction  de  Dieu  particulière,  c'est  U  et  surtout  ce  que  vos  lettres 
mesmes  remarquent,  ass.sa  pureté,  qui  certes  à  mon  esgard  est  toute  du 
ciel,  et  de  celuy  qui  appelle.  2«  Le  concours  general  et  uniforme  de  l'agré- 
ment qu'y  apporte  non  seulement  vostre  bon  peuple  mais  mesmes  vostre 
Venerable  Magistrat.  3*  la  paternelle,  fraternelle  et  toute  charitable  et 
cordiale  affection  que  vous  Mess.mes  Tresh.  Peres  et  Frères  Pasteurs  et 
Anciens  m'avés  tesmoignés  et  me  continués  que  je  n'oublieray  jamais  et 
tascheray  de  cultiver  par  toutes  voyes  dignes  de  vous  et  de  moy  tant 
qu'il  me  sera  possible.  Tout  cela  fait  Mess.mes  très  chers  Peres  et  Frè- 
res, que  je  fis  l'invocation  du  nom  de  Dieu  en  chose  qui  touche  de  si 
près  son  St.  service,  et  le  demande  les  graces  susindiquees,  eiixquelles  nos 
Eglises  ne  peuvent  refuser  d'acquiescer. 

Je  me  voue  dédie  et  consacre  d'un  franc  coeur  à  travailler  dc-s  deu< 
mains  autant  qu'il  m'en  donnera  de  conoissence  et  de  faire  à  l'oeuvre  du 
Ministère  a  l'assemblage  des  Ss.ts  et  l'édification  du  corps  de  J.C.N.S.  en 
vostre  venerable  compagnie  n'ayant  point  de  plus  grand  regret  que  celuy 
de  vous  faire  tant  languir  que  vous  pourriés  attribuer  a  ma  noire  mes- 
conoissence  si  vous  n'en  conoissiés  les  justes  causes  et  avec  un  vif  sen- 
timent de  compassion.  Cependant  j 'esleve  mes  mains  et  surtout  mon 
coeur  à  Dieu  pour  la  prospérité  de  vos  personnes,  S. tes  Irbeurs  et  trou- 
peau en  recommendent  vos  oraisons  et  bienveillence. 

Messieurs  et  tresh.  Peres  et  Frères 

Vostre  tresh(umble)  très  ob.  Serviteur  (?) 
et  obligé  Fr.  en  la  foi  et  Collègue 

J.  Léger  pasteur 


—  67  — 


La  lettre  suivante,  venant  de  Genève  et  datée  du  28  oot.  -  7  nov, 
contient  des  excuses  pour  l'omission  des  dates  en  tête  de  la  précé- 
dente et  accuse  la  bonne  réception  des  deux  lettres  pressantes  de 
Leyden.  Jean  Léger  rassure  ceux  qui  les  lui  ont  écrites  et  fait  savoir 
qu'il  compte  pouvoir  quitter  la  Suisse  avant  Noël,  afin  de  parler  avec 
ces  Messieurs  de  l'Eglise  Wallonne  de  vive  voix. 


LETTRE  4. 

Adresse: 
Messieurs 

Messieurs  les  Pasteurs  et  Anciens 

de  l'Eglise  Vallonné  Reformée  de  Leyden  mes  très  honorés  Peres  et 
Frères  A.  Leyden. 

(Lettre  bien  cachetée  de  l'armoirie  de  Jean  Léger). 

A  Geneve  ce  7  9bre. 

28  8bre  1662. 

Contenu: 

Messieurs  et  très  honorés  Peres  et  Frères 

Depuis  que  vous  avés  eu  et  avés  encore  tant  de  charité  pour  moy 
vous  aurés  bien,  comme  je  vous  en  prie,  celle  de  pardonner  un  manque- 
ment de  dattes  qui  peut  estre  ne  m'est  jamais  arrivé  deux  fois  en  ma  vie, 
qui  n'a  tant  tardé  de  me  surprendre  que  pour  la  faire  plus  solennellement, 
et  qui  vous  ayant  donné  quelque  despit  comme  je  confesse  que  la  chose 
le  mérite  m'a  rempli  l'ame  d'amertume. 

J'ay  reçeu  il  n'y  a  pas  une  heure  en  mesme  temps  les  deux  lettres  dont 
vous  m'honorés  l'une  du  19  et  l'autre  du  26  du  courant  ou  pr.  mieux  dire, 
du  passé  selon  vostre  stile.  J'advue  que  vos  plaintes  sont  très  justes  et 
vos  reproches  bien  douces.  Mais  je  suis  persuadé  que  quand  vous  serés 
pleinement  informés  des  raisons  qui  m'ont  contraint  d'en  user  de  la  sorte 
vous  jugerés  que  je  suis  plus  tost  digne  de  compassion  que  de  censure. 

Mais  les  reservans  à  bouche  s'il  plaist  au  Seigneur. 

Je  vous  declare  que  s'il  me  donne  vie  et  santé  je  partiray  au  plus  tard 
à  la  Noel,  mesmes  devant  les  SS.  Cènes  s'il  est  possible,  ou  au  moins  au 
plus  tard  immédiatement  après,  pour  recevoir  avec  respect  et  reconois- 
sence  la  S.te  vocation  que  vous  avés  eu  la  bonté  de  m'offrir  et  m'en  ac- 
quitter avec  toute  la  diligence  et  fidélité  possible.  Quant  aux  conditions 
que  je  vous  ay  demendees  je  ne  les  ay  pues  faire  pour  faire  plaisir  à  ma 
patrie,  quoy  que  je  ne  luy  doive  que  ma  naissence,  n'ayant  jamais  pris 
aucun  ayde  d'elle  pour  mes  estudes,  comme  ont  fait  (excepté  ceux  de  ma 
maison)  tous  les  autres.  V.re  Très  Eccellent  Magistrat  et  vostre  Venerable 
Compagnie  disposera  absolument  de  ma  personne  et  ministère  selon  sa 
prudence  et  bonté.  Je  pars  demain  pour  [la]  Suisse  pour  rendre  comme 
j'espere  un  service  qui  portera  grand  coup  a  nos  pauvres  Eglises  des  Val- 
lées, après  quoy  il  me  faut  revenir  ici.  Mais  quelle  suite  qu'ayent  les  choses 


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je  m'achemineray  vers  vous  a  grand  pas  quoy  qu'en  une  saison  si  fascheu- 
se  on  trouve  cy  dessus  manque  (?)  Il  ne  s'agit  que  de  deux  mois  a  toute 
extrémité.  Ma  famille  suivra  au  bon  temps  s'il  plaist  au  Seigneur.  Je  n'ay 
personne  propre  pour  en  prendre  le  soin. 

Par  ainsi  dans  l'esperence  de  vous  donner  toute  sorte  de  fruict  pos- 
sible de  changer  vostre  legitime  irritation  ensuite  de  paternelle  et  frater- 
nelle bienveillence  je  continue  a  prier  nostre  bon  Pere  celeste  pour  la  pro- 
spérité de  vos  personnes  et  SS. tes  labeurs  et  de  recommender  a  vos 
oraisons. 

Messieurs  et  Treshonorés  Peres  et  Frères 

Vostre  très  humble  obéissant  obligé  serviteur  et  frère  au  Seigneur 

Jean  Léger,  pasteur 
Parceque  je  n'ay  receu  vos  lettres  qu'après  le  depart  du  messager 
d'Allemagne  je  vous  respons  pr.la  voye  de  Prence. 

Le  4-14  novembre  Jean  Léger  écrit  de  Berne  en  mentionnant 
une  fois  de  plus  les  deux  lettres  pressantes  reçues  de  Leyden,  qui 
sont  arrivées  en  même  temps  et  auxquelles  il  répond  en  répétant 
qu'il  partira  de  Genève  après  les  SS.  Cènes  de  Noël  au  plus  tard. 
Sa  famille  le  «  suivra  en  son  temps  ». 


LETTRE  5. 

Adresse: 
A  Messieurs 

Messieurs  Les  Pasteurs  et  Anciens  de  l'Eglise  Françoise  Vallonné  reformée 
de  Leyden,  mes  tresh.  Peres  et  Frères 

A  Leyden.  (Avec  cachet  bien  clair). 

A  Berne  le  4  novembre  1662. 

Contenu: 

Messieurs  et  très  honorés  Peres  et  Frères 

Je  m'assure  que  vous  aurés  receu  celle  que  je  vous  adressay  la  se- 
maine passée  par  Lyon  responsive  a  vos  deux  dernières  arrivées  en  mesme 

temps.  Neantmoins  pour       appaiser  si  je  puis  votre  juste  cholere  et  vous 

lever  de  suspense  je  réitère  encore  par  la  presente  que  si  Dieu  me  donne 
vie  et  santé  je  partiray  de  Geneve  au  plus  tard  après  les  SS.  Cènes  de 
Noel  prochain  pour  m'aller  renger  a  grandes  journées  a  l'exercice  de  la 
vocation  dont  il  vous  a  plu  m'honorer,  et  lors  j 'espere  de  vous  édifier  en- 
tièrement de  mon  procédé.  Si  ce  n'est  de  l'oubli  de  la  datte  de  ma  pénul- 
tième, qui  quoy  qu'innocente  est  desobligeante.  Ma  famille  suivra  en  son 
temps,  ass.  au  printemps  sous  la  garde  du  Seigneur.  Car  la  recherche  que 
trois  pasteurs  ont  fait  d'une  mienne  fille  sur  le  depart  de  ma  famille 
l'ayant  obligée  de  surseoir  et  m'en  donner  advis,  et  l'ayant  accordée  a  un 
d'eux  faict  que  le  reste  ne  passera  les  monts  qu'au  mois  d'Avril  ou  de  May. 

Je  suis  venu  ici  1°  pour  remercier  Leurs  Eccellences  de  l'offre  qu'elles 


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m'avoyent  fait  de  me  loger  a  Lausanne  aussi  tost  que  je  seroy  en  estât 
de  prendre  parti. 

2°  pour  passer  a  Baden,  ou  Les  Cantonniers  sont  assemblés  en  Dyete, 
et  tascher  encore  d'y  servir  nos  pauvres  Eglises.  Delà  je  retourne  a  Geneve 
ou  deux  pasteurs  des  Vallées  viendront  recevoir  toutes  les  instructions  que 
je  pourray  donner  pour  leur  conduire  ce  q  veut  du  travail  et  du  temps  a 
cause  des  escrits  ql  faudra  ramasser  de  divers  lieux  et  pour  lesquels  se- 
ront neccess.res  quelques  coureurs.  Mais  tant  y  est  qu'au  temps  marqué 
j 'espere  sans  autre  delay  me  mettre  en  chemin. 

Pour  de  meison  j'en  pourray  lóér  une  a  loisir  devant  que  ma  famille 
vienne  et  cependant  estre  en  pension.  Priés  Dieu  Messieurs  et  Tresh.  Pe- 
res et  Frères  que  le  tout  sera  a  notre  commune  consolation  comme  je 
m'en  assure.  Je  luy  prie  aussi  de  toutes  les  puissences  de  mon  ame  en 
vous  recommendant  a  Sa  Ste  Grace  suivie  de  toute  mon  affection. 

Messieurs  et  Très  honorés  Peres  et  Frères. 

Vostre  très  humble  et  très  obéissant  serv.  et  frère 

J.  Léger,  pasteur 

Le  15  novembre  les  «  Actes  du  Consistoire  »  signalent  qu'une 
«  personne  persécutée  ès  Vallées  ayant  monstre  bon  tesmoignage  », 
et  passant  par  Leyden,  y  a  «  receu  un  présent  de  deux  Ryxdaelers 
d'argent  »  de  la  Compagnie.  Ce  petit  geste  montre  bien  que  l'Eglise 
Wallonne  s'occupa  toujours  des  victimes  des  persécutions,  tout  en 
attendant  «  Le  »  persécuté  du  même  pays,  qui  va  être  son  pasteur, 
Jean  Léger  (16). 

Le  1  janvier  1663  celui-ci  écrit  une  lettre,  hâtive  et  courte,  de 
Lyon.  Rien  d'étonnant  que  son  écriture  en  porte  les  marques  et  que 
ces  Messieurs  à  Leyden,  qui  dès  le  début  lui  ont  demandé  d'écrire 
plus  lisiblement,  ont  dû  s'impatienter  en  mettant  leurs  lunettes  pour 
savoir  d'où  ce  nouveau  délai. 


LETTRE  6. 

Adresse: 
Messieurs 

Messieurs  Lese  Pasteurs  et  Anciens  de  l'Eglise  Françoise  de  Leyden. 

A  Lyon  Le  I  Jan.  1663 
Stile  nouveau 
[date  grégorienne] 

Contenu: 

Messieurs  et  treshonorés  Peres  et  Frères 

Vostre  dernière  du  30  novembre  dernier  m'a  rencontré  en  ceste  ville, 
revenant  de  Brienson  qui  est  a  deux  journées  des  Vallées  ou  je  suis  allé  pr- 


(16)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Actes  du  Consistoire  de  l'Eglise  Wallonne. 
1658  1695.  Vol.  44,  p.  97. 


—  70  — 


m'aboucher  avec  qualques  principaux  parents  et  pasteurs  des  Vallées, 
pressé  a  cela  par  une  nécessité  si  nécessiteuse  qu'elle  m'a  faict  surmonter 
une  infinité  de  difficultés  que  le  mauvais  temps  et  plusieurs  dangers  mont 
suscitées,  et  dont  jusquici  Dieu  graces  qui  je  n'ay  souflfert  outre  les  injures 
de  la  saison,  que  le  delay  plus  grand  que  je  ne  croyois  d'une  dixaine  de 
jours  a  cause  des  destours  qu'il  m'a  fallu  faire. 

Je  pars  Dieu  aydant  demain  d'ici  pour  Geneve  ou  je  ne  sejourneray  au 
plus  que  huict  ou  dix  jours  pour  repartir  au  temps  que  je  vous  ay  mar- 
qué et  m'alles  rendre  a  droiture  entre  vos  bras  et  a  ma  charge.  C'est  de 
quoy  je  ne  laisse  pas  de  vous  donner  avis  quoy  que  vous  me  marquiés 
que  je  ne  vous  rescrive  plus  mais  que  jaille.  Estant  sur  les  lieux,  je  repli- 
queray  au  reste  de  vostre  très  agréable  et  cordiale  lettre  et  vous  feray  tou- 
cher au  doigt  que  je  n'ay  point  du  tout  esté  pr.  donner  ordre  ni  a  ma  fa- 
mille ni  a  mes  affaires  que  je  me  suis  tant  arreste  mais  purement  pr. 
celles  de  nos  Egl.es.  Cependant  je  prie  nostre  commun  Pere  qu'il  vous 
donne  en  l'année  que  nous  entrons  et  nombres  d'autres  toute  matière  de 
vous  resjouir  et  consoler  en  luy  recomendant  a  vos  S  S.  prières 

Messieurs  et  Tresh.  Peres  et  Frères 

Vostre  tresh.  et  obligé  ser.  en  Christ 

J.  Léger 

Il  est  d'autant  plus  frappant  de  trouver  une  lettre  soigneusement 
écrite,  du  9  janvier  1663,  composée  par  les  pasteurs  et  professeurs  de 
l'Eglise  de  l'Académie  de  Genève,  signée  par  le  Modérateur  Abraham 
du  Pan  et  son  secrétaire  ordinaire  le  Pasteur  De  la  Fontaine.  C'est 
un  document  fort  agréable  et  facile  à  lire;  plein  d'éloges  pour  Jean 
Léger  que  l'on  voit  partir  de  la  Suisse  à  grand  regret.  On  profite  de 
l'occasion  pour  remercier  et  flatter  ces  messieurs  Wallons  à  Leyden 
en  louant  leur  générosité  et  en  exprimant  les  meilleurs  voeux  pour 
son  ministère  parmi  eux. 

Abraham  du  Pan  (1S82-1665)  fût  Doyen  de  1657-1665.  Voici  le 
contenu  de  ce  document: 


LETTRE  7. 

Lettre  des  pasteurs  et  professeurs  de  l'Eglise  de  l'Académie  de  Geneve 
à  l'Eglise  Wallonne  de  Leyden. 
Messieurs  et  très  honorés  frères 

Le  sacré  lien  de  la  charité  qui  nous  conjoint  les  uns  avecque  les 
autres,  et  l'affection  sincere  et  cordiale  que  nous  sçavons  que  vous  avez 
pour  nous  et  pour  toute  nostre  Eglise;  ne  nous  permettent  pas  de  lais- 
ser passer  aucune  occasion  sans  vous  témoigner  le  ressentiment  que  nous 
avons  de  vôtre  bienveillance  fraternelle,  et  les  prières  que  nous  faisons 
continuellement  à  Dieu  pour  vôtre  prospérité.  C'est  ce  qui  nous  oblige 
de  nous  prévaloir  particulièrement  de  celle  qui  se  presente  maintenant 
par  le  départ  de  Monsieur  Léger  nôtre  très  honoré  frère,  pour  l'accompa- 


—  vi- 


gne!" de  nos  voeux  dans  la  suite  de  son  voyage  et  pour  vous  asseurer  de 
la  satisfaction  que  nous  avons  receiie  d'apprendre  qu'il  se  soit  attaché 
au  service  de  vòstre  Eglise  plustot  qu'a  aucune  autre.  Il  est  vray  Mes- 
sieurs, et  nous  ne  pouvons  pas  vous  le  dissimuler  que  ce  n'est  pas  sans 
bien  du  regret  que  nous  le  voyons  partir  d'icy  sachant  combien  sa  pre- 
sence estoit  necessaire  par  deçà  aux  Eglises  des  Vallées  dont  il  estoit 
après  Dieu  le  principal  soutien  par  la  connoissance  exacte  qu'il  avoit  de 
toutes  leurs  affaires,  et  combien  le  grand  élaignement  leur  pourra  por- 
ter prejudice  dans  la  suite.  Et  c'est  ce  qui  faisoit  que  plusieurs  eussent 
bien  souhaité  qu'il  eust  différé  son  voyage  de  quelque  temps  jusques  à 
ce  qu'on  eust  veu  le  train  que  prendront  les  affaires  qui  sont  sur  le  tapis 
et  à  quoy  aboutiront  les  fascheuses  conionctures  où  nous  nous  trouvons 
à  present  par  deçà,  d'autant  plus  qu'il  n'a  pas  peu  encore,  selon  qu'il  nous 
la  déclaré,  avoir  son  congé  absolu  de  ses  Eglises  quelque  diligence  qu'il 
ait  faite.  Neantmoins  considérant  l'affection  que  vous  luy  avez  témoigné 
et  les  instances  que  vous  lui  faites  de  s'acheminer  promptement  par  delà 
il  a  mieux  aimé  à  passer  par  dessus  toutes  ces  considérations  que  de 
manquer  à  la  parole  qu'il  vous  avoit  donnée  se  flattant  de  cette  espé- 
rance que  selon  le  sainct  zele  et  la  grande  charité  que  vous  avez  pour 
les  Eglises  des  Vallées,  et  dont  vous  donnez  tous  les  jours  de  nouvelles 
preuves,  vous  ne  feriez  pas  difficulté  de  luy  accorder  son  congé  pour  reve- 
nir par  deçà  en  cas  que  la  nécessité  des  affaires  requist  absolument  sa 
presence.  C'est  dans  cette  persuasion  que  nous  le  voyons  partir  plus  vo- 
lontiers que  nous  n'eussions  autrement.  Estant  obligez  cependant  de  luy 
rendre  ce  veritable  témoignage  que  tandis  qu'il  a  esté  parmi  nous  com- 
me il  y  a  séjourné  plusieurs  mois,  il  s'y  est  tousjours  comporté  saincte- 
ment  comme  un  bon  et  fidèle  serviteur  de  Dieu,  et  nous  a  donné  beau- 
coup d'édification  dans  toute  sa  conduite,  et  dans  plusieurs  actions  qu'il 
a  baillées  à  notre  Eglise  tant  en  françois  qu'en  Italien.  Nous  ne  doutons 
pas  aussi  que  selon  les  beaux  et  riches  talens  que  Dieu  luy  a  departi,  il 
ne  soit  en  grande  consolation  à  vôtre  Sainct  Troupeau  et  ne  vous  donne 
toute  la  satisfaction  que  vous  en  attendés;  C'est  de  quoy  nous  prions 
Dieu  de  tout  nôtre  coeur,  et  qu'il  continue  à  faire  fleurir  votre  Eglise  et 
à  la  coronner  de  Ses  plus  pretieuses  graces  à  bénir  vos  personnes  et  vos 
Saincts  emplois,  et  à  faire  prospérer  l'Oeuvre  de  sa  grace  entre  vos  mains. 
Nous  vous  supplions  aussi  de  vous  tousjours  souvenir  de  nous  dans  vos 
sainctes  prières  afin  qu'il  plaise  au  Seigneur  de  destourner  de  dessus  nous 
les  orages  qui  nous  menaçent  et  nous  conserver  tousjours  Sa  protestion 
et  Sa  paix.  Nous  sommes  constamment 

Messieurs  et  très  honorés  frères 
A  Geneve  ce  9  Janvier  1663 

Vos  très  humbles  et  très  affectionnéz 

Serviteurs  et  frères  au  Seigneur 

Les  pasteurs  et  professeurs  de  l'Eglise 

et  l'Académie  de  Genève  et  au  nom  de  tous 

Abraham  du  Pan.  Modérateur. 

De  la  Fontaine,  pasteur  et  sécretaire  ordinaire. 


—  72  — 


Enfin,  le  19  février  1663,  Jean  Léger  arrive  à  destination! 

Cet  événement  est  décrit  ainsi:  a  Nostre  très  cher  frère  Mons.r 
Léger  estant  arrivé  en  nostre  ville  la  Compagnie  toute  ravie  en  en- 
tendant la  nouvelle  a  trouvé  à  propos  députer  quelques  uns  de  son 
Corps  pour  demander  aux  Messieurs  du  Vén.  Magistrat  leur  advis 
touchant  son  establissement  et  Mons.r  Cupif  avec  tous  ceux  qui 
peuvent  l'accompagner  iront  le  féliciter  de  son  arrivée  au  milieu  de 
nous  »  (17). 

Si  Jean  Léger  s'est  peut-être  déjà  plus  ou  moins  étonné  de  l'em- 
pressement avec  lequel  on  l'a  sollicité  comme  pasteur  Wallon  à  Lev- 
den  il  l'a  certainement  été  le  jour  de  sa  réception!  Car  les  habitants 
des  Pays-Bas  ne  sont  pas  toujours  phleginatiques  et  réservés,  comme 
on  le  pense  souvent,  mais  «  houleux  »  comme  la  mer  du  Nord.  C'est 
le  mot  qui  me  semble  définir  assez  bien  notre  tempérament,  qui  con- 
naît de«  flux  et  des  reflux,  des  marées  hautes  et  des  marées  basses. 
Les  Hollandais  se  défendent  non  seulement  contre  la  mer  en  cons- 
truisant des  digues,  solides  et  droites,  mais  également  contre  eux- 
mêmes  en  se  mettant  des  brides  morales  pour  pouvoir  se  maîtriser. 
De  là  leur  propreté,  économie,  besoin  d'organiser,  qui  parfois  peu- 
vent tourner  en  sens  contraire.  Il  en  est  de  même  pour  le  climat, 
qu'on  déclare  «  mauvais  »  mais  qui  ne  l'est  pas,  pourvu  qu'on  sache 
en  suivre  les  caprices  en  se  munissant  du  nécessaire. 

Jean  Léger  allait  s'en  appercevoir.  Tout  en  ayant  un  caractère 
aussi  laborieux  et  religieux  que  ses  confrères  de  l'Eglise  Wallonne 
de  Leyden,  qui,  eux  aussi  devaient  conduire  ce  troupeau  de  brebis 
blanches  et  noires  d'origines  si  diverses,  il  n'était  pas  encore  accou- 
tumé à  leurs  sauts  surprenants. 

Courageusement  il  se  voue  à  sa  nouvelle  tâche,  se  mettant 
d'abord  au  courant  des  affaires  et  s'installant  avec  ses  six  enfants 
dans  une  maison  au  coin  de  deux  canaux,  le  Papegracht  et  le  Lange- 
brug,  endroit  qui  doit  avoir  été  humide  et  peu  favorable  à  sa  santé. 
Autrefois  l'on  vivait  ainsi;  à  présent  beaucoup  de  canaux  ont  été  as- 
séchés. Du  Synode  de  Rotterdam  (du  11-15  avril  1663)  l'article  18 
précise  que:  «  l'Eglise  de  Leyden  ayant  représenté  à  la  Compagnie 
qu'elle  persistoit  en  la  vocation  qu'elle  avoit  faite  il  y  a  quelques 
mois  de  la  personne  de  nostre  très  cher  frère  Mr.  Jean  Léger  en  la 
place  de  feu  nostre  très  honoré  frère  Mr.  Pierre  Agache  et  fait  pa- 
roistre  par  un  extrait  de  l'article  du  [livre  du]  Consistoire  de  ladite 
Eglise  que  la<lite  vocation  s'estoit  faite  selon  toutes  les  formes  usi- 
tées parmv  eux  en  telles  occurences,  produit  en  suite  l'approbation 
du  vénérable  Magistrat  de  ladite  ville  de  Leyden  et  de  plus  ledit 
Sr.  Léger  avant  témoigné  qu'il  acceptoit  ladite  vocation,  la  Compa- 
gnie l'a  approuvée  en  tous  ses  points,  et  souhaitant  toutes  sortes  île 
bénédictions  au  dit  Sr.  apellé,  a  ordonné  que  nostre  très  cher  frère 
Mr.  Cupif  le  confirmera  en  sa  charge,  après  les  trois  proclamation? 


(17)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Actes  du  Consistoire  de  l'Eglise  Wallonne 
1658-1695.  Vol.  44,  p.  83  à  gauche. 


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usitées  parmy  nous,  recommandant  audit  Sr.  Léger,  duquel  elle  a  veu 
les  bons  et  avantageux  tesmoignages,  de  procurer,  si  £aire  se  peut, 
sa  démission  de  son  Eglise  en  forme  deue  »  (18). 

Le  29  avril  suivant  l'on  marque:  «  Nostre  très  honoré  frère 
Mons.  Jean  Léger  ayant  esté  confirmé  et  establi  ministre  en  cette 
Eglise  a  esté  introduit  dans  le  consistoire  et  a  tendu  la  main  d'asso- 
ciation à  tous  les  membres  de  la  Compagnie  »  (19). 

La  présence  de  Léger  a  une  influence  immédiate,  car  au  Synode 
de  Maestricht,  du  15  au  9  août,  on  prend  la  décision  suivante:  «  Sur 
les  lettres  de  Mr.  Léger,  représentées  par  les  députés  de  l'Eglise  de 
Leyden  à  cette  Compagnie  au  nom  des  persécutés  ès  Vallées  du  Pied- 
mont,  pour  leur  faire  jouir  d'un  prompt  secours  et  rafrechissement, 
les  Pasteurs  de  chaque  Eglise  de  ce  Corps  sont  exhortés  d'emploier 
selon  leur  prudence,  tous  les  soins  possibles  à  recommander  nos  pau- 
vres frères  desdittes  Vallées  aux  charités  des  principaux  membres  de 
leurs  assemblées,  conjoinctement  avec  Mrs.  les  Pasteurs  et  de  l'Egli- 
se flamande  qui  tesmoignent  s'intéresser  pour  un  subject  si  pressant 
et  digne  de  compassion  »  (20).  En  plus  l'on  demande  sa  présence  fu- 
ture en  ces  mots:  «  l'Eglise  Synodale  en  Hollande  est  Amsterdam  et 
pour  la  Zéelande  Ter  Goes,  qui  convoquera  le  prochain  Synode  vers 
la  my-avril  et  nostre  très  cher  frère.  Monsieur  Léger  y  fera  la  propo- 
sition sur  Tite  1.  v.  15  »  (21). 

Le  9  septembre  1663  :  «  Nostre  très  cher  frère.  Monsieur  Léger, 
ayant  demandé  permission  à  la  Compagnie  de  pouvoir  faire  un 
voyage  à  Paris  pour  y  travailler  au  bien  des  Eglises  des  Valées  du 
Piémont,  La  Compagnie  provisionnellement  a  jugé  à  propos  de  par- 
ler de  cette  aff'aire  à  Messrs.  de  nostre  Vén.  Magistrat,  et  pour  c'est 
eff'ect  a  député  Messrs.  Cupif  et  Beecq,  pasteurs,  et  Anthoine  du 
Coulombier,  ancien  »  (22). 

Le  12  septembre  suivant  Jean  Léger  s'appercevra  tout  à  coup 
qu'il  se  trouve  devant  une  des  «  digues  «  dont  nous  avons  parlé  plus 
haut. 

Le  «  Livre  des  Synodes  »  nous  l'apprend  ainsi:  «  ...La  Compa- 
gnie a  résolu  (quoy  qu'avec  difficulté)  d'accorder  à  nostre  très  cher 
frère  le  Sr.  Léger  la  permission  qu'il  demande  »,  mais...  «  à  ces  con- 
ditions suivantes  ass.  »:  (23) 

1.  Qu'il  n'entreprendra  le  voyage  qu'il  prétend  qu'estand  per- 
suadé en  sa  conscience  de  la  nécessité  du  dit  voyage.  2.  De  n'aller 
que  jusques  à  Paris.   3.  De  ne  passer  pas  le  terme  de  7  ou  8  sepmai- 

(18)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Livre  des  Synodes  de  l'Eglise  Wallonne. 
1563-1685.  T.I.  Art.  18,  p.  610.  M.  Nyhoff.  La  Haye.  1896. 

(19)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Actes  du  Consistoire  de  l'Eglise  Wallonne. 
1658-1695.  Vol.  44,  p.  86. 

(20)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Livre  des  Synodes  de  l'Eglise  Wallonne. 
1563-1685.  T.L  Art.  2.  p.  612.  M.  Nyhoff.  La  Haye  1896. 

(21)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Oeuvre  citée.  Art.  29,  p.  615. 

(22)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  ^cles  du  Consistoire  de  l'Eglise  Wallonne. 
11658-1695.  Vol.  44,  p.  92. 

(23)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Oeuvre  citée,  p.  92  et  93  à  gauche. 


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nés  en  son  absence  s'il  est  possible.  4.  De  pourvoir  ceste  Eglise  tie 
quelque  Proposant  qui  plaise  à  la  ditte  Eglise.  Lesquelles  conditions 
ont  esté  acceptées  et  promises  par  le  dit  Sr.  Léger,  ceste  résolution 
sera  signifiée  au  Magistrat  par  les  mesmes  Députés  ». 

Le  16  septembre  il  est  dit  que:  «  Rapport  a  esté  fait  par  Mes- 
sieurs Les  Députés  de  ceste  Comp.  que  le  Ven.  Magistrat  de  cette 
ville  approuve  que  nostre  très  honnoré  frère  et  Collègue,  Monsieur 
Léger,  fasse  son  voyage,  à  condition  qu'il  n'y  mette  pas  plus  de  si\ 
semaines  et  qu'il  n'aille  pas  au  delà  de  Paris  »  (24). 

Ne  pensons  pas  que  Jean  Léger  est  le  seul  qui  soit  tenu  en  laisse, 
quoique  cela  a  û  être  fort  difficile  pour  un  homme  de  sa  trempe. 
Comme  nous  allons  le  voir  l'Eglise  Wallonne  était  toute  aussi  stricte 
pour  ses  autres  membres,  dont  elle  surveillait  les  faits  et  gestes.  Seul 
moyen  de  conserver  son  style  et  son  intégrité. 

Une  fois  à  Paris  Jean  Léger  est  obligé  de  patienter,  ce  qui  est 
encore  plus  pénible  pour  lui.  comme  l'on  peut  constater  par  une 
lettre  du  I  novembre  dans  laquelle  il  exprime  sa  «  langueur  »  et 
«  supplie  très  humblement  ces  Mess,  et  tresh.  Frères  de  lui  dire  net 
s'il  doit  s'enserrer  dans  le  terme  qui  lui  a  été  désigné  et  laisser  tout 
aller  »  ou  bien  si  «  les  tendresses  que  vous  avés  pour  nos  communs 
frères  vous  porteront  à  me  permettre  de  pousser  (la  négotiation)  à 
bout  ».  Humilité,  humour,  d'un  pasteur  fort  humain! 


LETTRE  8. 
Messieurs 

Messieurs  les  Pasteurs  et  Anciens  de  l'Egl.  Wallonne  reformée  A  Leyde. 

A  Paris  le  1  9bre  1663. 

Messieurs  et  Tresh.  Frères 

Vous  avés  veu  les  pressentes  lettres  qui  mont  forcé  à  partir.  Selon  les 
advis  quelles  me  donnoyent  les  M  M.  Ambassadeurs  que  vous  savés  de- 
voyent  estre  partis  le  13/23  8bre  et  estre  ici  longtemps  devant  moy.  Mais 
comme  ils  estoyent  sur  le  poinct  de  se  mettre  en  chemin  ils  reçurent 
lettre  du  Roy  qui  les  prioit  de  ne  se  rendre  pas  en  ceste  ville  devant  le 
dernier  8bre  ou  le  commencement  du  present,  parceque  devant  ce  temps 
la  il  ne  reviendroit  pas  de  Versali  où  il  se  divertit:  maintenant  nous  at- 
tendons d'heure  en  autre  et  le  Roy  et  les  Seigneurs  Ambassadeurs. 

Mais  vous  jugés  bien  quelle  est  ma  langueur  quoy  que  je  n'ay  point 
perdu  de  temps,  quand  ce  ne  seroit  que  parceque  nous  approchons  de  la 
mauvaise  saison  et  que  les  affaires  qui  sont  de  la  nature  de  celles  dont  [il] 
s'agit  ne  se  jettent  pas  au  mousle  et  cependant  je  n'eusse  pas  voulu  passer 
le  terme  que  m'a  prescrit  mon  très  venerable  Magistrat  de  peur  qu'on 
re  m'accuse  de  vérité  en  mon  procédé. 

Je  vous  supplie  donc  très  humblement  Mess,  et  tresh  Frères,  de  me 
dire  net  si  je  me  dois  enserrer  dans  le  terme  qui  m'a  esté  désigne  et 


(24)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Oeuvre  citée,  p.  93  à  gauche. 


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laisser  tout  aller  a  vau  de  route  en  cas  que  je  ne  puisse  dans  ce  temps  là 
voir  la  fin  de  ceste  negotiation  ou  si  les  tendresses  que  vous  avés  pour  nos 
communs  frères  vous  porteront  a  me  permettre  de  la  pousser  a  bout.  Je 
scay  bien  que  si  vus  avé  (comme  j'ay  peine  d'en  douter)  ceste  S. te  et  cha- 
ritable commiseration  Nos  Seigneurs,  qui  sont  si  remplis  de  clémence  ne 
s'y  opposeront  point,  veu  qu'ils  considèrent  aussi  le  bien  de  ces  anciennes 
Eglises  comme  le  leur  propre  et  comme  membre  d'un  mesme  corps  mysti 
que  leur  ont  fait  ressentir  tant  de  sympathie  surtout  sachant  que  nostre 
Eglise,  le  seul  interest  de  laquelle  leur  en  pourroit  faire  user  autrement 
peut  estre  esgalement  bien  édifiée  (que  sine  dié  mieux). 

Comme  j'ay  prié  Mons.r  du  Buquoy  mon  aymable  bienfaiteur  d'y  pour- 
voir de  vostre  concert  en  sorte  que  ni  d'un  costé  ni  de  l'autre,  ni  du  vostre 
ni  de  celuy  de  l'Eglise,  il  n'y  aie  le  moindre  mescontentement;  comme 
c'est  encore  ce  que  je  vous  declare  maintenant,  ne  voulant  nullement 
qu'on  espargne  ce  qui  sera  necess.  de  gage,  si  sans  cela  tout  ne  peut  estre 
esgalement  édifié. 

Je  n'ose  pas  importuner  ni  Monseigneur  le  president  des  Bourgmaistres 
moins  le  V.  Magistrat  encor  ps.  pr.  ce  sujet  et  ne  pense  pas  qu'il  soit  à 
propos.  Vos  prudences  savent  comment  elles  s'y  doivent  user  et  me  feront 
la  grace  de  m'honorer  d'un  mol  de  response. 

Les  Vallées,  encouragées  par  la  charité  des  Suisses  et  par  suite  des  vos- 
tres  et  de  vos  et  nos  confreres,  ont  repris  courage  et  sont  en  si  bonne  po- 
sture que  j'en  espere  un  succès  heureux.  Ils  s'en  sont  freschement  donné 
divers  combats  ou  Dieu  a  encore  desployé  les  merveilles  de  Son  bras.  Je 
me  recommande  a  la  suite  de  vos  ss.  prières  avec  ccluy  qui  priant  pour 
vostre  prospérité  sera  toute  sa  vie. 

Messieurs  et  tresh.  Frères 

Vostre  tresh.  très  cher  et  bien  obligé  serviteur 

J.  Léger 

Post  scripte: 

Les  Seigneurs  Ambassadeurs  Suisses  arrivent  après  demain.  Le  Roy 
d'Angleterre  a  aussi  donné  ordre  très  exprès  a  Son  Ambassadeur  de  se 
joindre  a  celuy  Messeigneurs  les  Estats  et  des  Cantons  Evangeliques. 


Par  une  autre  lettre,  du  1  décembre  1663,  l'on  voit  que  Léger 
a  reçu  la  permission,  s'il  n'a  pas  agi  selon  ses  propres  idées,  d'aller 
à  Genève.  Car  cette  missive  est  signée  par  François  Turretin,  Jean 
Léger  et  E.  Turretin.  C'est  un  document  à  peu  près  calligraphié  qui, 
en  le  mettant  à  côté  d'une  des  lettres  de  Léger,  fait  comprendre  quel- 
le énorme  différence  il  y  avait  entre  l'ambiance  Suisse,  qui  permet- 
tait d'écrire  à  loisir  et  les  griffonages  d'un  homme  harassé,  comblé 
de  soucis,  s'étant  chargé  d'une  nouvelle  tâche  dans  un  pays  lointain 
et  si  différent  du  sien. 


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LETTRE  9. 

Adresse: 

A  Messieurs  et  très  honorés  frères 

Messieurs  les  Pasteurs,  Anciens  et  Diacres  de  l'Eglise  Wallonne  A  Leyde. 

Contenu: 

Messieurs  et  Très  honorés  frères 

La  charité  que  vous  avez  témoignée  des  longtemps  aux  membres  affli- 
gez de  nôtre  Seigneur  et  celle  que  vous  avez  fait  sentir  en  particulier  à 
nos  povres  frères  des  Vallées  de  Piedmont  est  si  considerable  que  ceux 
qui  prenent  part  à  leurs  malheurs  ne  peuvent  s'en  souvenir  sans  louer  la 
promptitude  de  vôtre  St.  zele,  et  sans  bénir  Dieu  des  notables,  assistances 
qu'il  leur  a  procuré  par  vôtre  moyen  qui  ont  servi  véritablement  a  Les 
-retirer  du  tombeau  &  a  les  garantir  d'une  ruine  qui  autrement  leur  eust 
esté  inevitable.  Mais  comme  cette  divine  vertu  ne  déchet  jamais,  vous 
ne  vous  estes  pas  contentés  de  leur  avoir  une  fois  tendu  la  main  vous  avez 
voulu  monstrer  que  vous  ne  vous  lassés  pas  en  bienfaisant  &  que  vous 
ne  pensés  pas  savoir  vos  frères  en  quelque  souffrance  que  vous  ne  com- 
patissiés  avec  eux,  &  ne  tâchiés  selon  les  grands  moyens  que  Dieu  vous 
a  donnés  de  leur  apporter  quelque  soulagement.  C'est  ce  que  nous  appre- 
nons avec  beaucoup  de  consolation  que  vous  venés  encore  de  faire  tout 
fraischement  en  leur  faveur. 

Vous  n'avez  pas  plustost  oui  les  nouvelles  des  grandes  desolations  où 
la  persecution  violente  de  leurs  ennemis  les  a  jettés  que  vos  entrailles  en 
ont  esté  incontinent  esmeues  &  que  vous  avez  fait  de  nouveaux  efforts 
pour  les  secourir.  Vous  avez  mesme  eu  la  bonté  a  ce  que  nous  avons 
sceu  de  penser  a  faire  quelque  collecte  pour  eux  sous  le  bon  plaisir  de 
vôtre  Vénérable  Magistrat.  Comme  cette  faveur  est  des  plus  grandes  sans 
doute  qu'ils  puissent  recevoir  de  vôtre  bienveillance  ils  n'ont  garde  de  se 
permettre  de  pouvoir  jamais  la  reconnoitre  comme  ils  doivent,  ils  sça- 
vent  qu'il  n'y  a  que  Dieu  seul  qui  puisse  en  estre  le  grand  rémunérateur 
qui  prenant  plaisir  à  tels  sacrifices  ne  manquera  pas  de  les  couronner  de 
Ses  graces  &  d'y  espandre  de  plus  en  plus  Sa  bénédiction  comme  ils  le 
luy  demandent  de  tout  leur  coeur.  Cependant  il  est  bien  juste  s'ils  ne 
peuvent  rien  vous  rendre,  au  moins  qu'ils  vous  témoignent  le  veritable 
ressentiment  qu'ils  en  ont.  Ce  que  nous  sommes  persuadés  qu'ils  feront 
dès  en  auront  appris  les  nouvélles,  mais  en  attendant  qu'ils  puissent  s'ac- 
quitter de  ce  devoir,  nous  avons  creu  Messieurs,  que  vous  ne  trouveriés 
pas  mauvais  que  selon  la  charge  qu'il  nous  ont  données  ci  devant  d'avoir 
quelque  soin  de  leurs  aff^aires,  nous  venions  vous  en  remercier  très  hum- 
blement de  leur  part,  &  vous  supplier  instament  d'avoir  la  bonté  de  leur 
continuer  vos  bons  offices  dans  toutes  les  occasions  qui  se  pourront  pre- 
senter. Vous  ne  sauries  les  rendre  a  des  gens  qui  en  soyent  plus  recon- 
noissans,  ni  qui  en  ayent  plus  besoin,  puis  que  comme  vous  savés  sans 
doute  leurs  misères  continuent  tousjours  et  s'augmentent  par  la  conti- 
nuation de  la  guerre  qui  les  a  réduis  presques  dans  la  dernière  desola- 
tion. Nous  espérons  que  les  charitables  offices  que  tant  de  Puissances  qui 


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ont  eu  la  bonté  de  intéresser  pour  eux  ont  fait  &  sont  en  cette  occasion 
&  particulièrement  ceux  de  L.L.A.A.  Messeig.rs  Les  Estats  ne  seront  pas 
sans  fruict  avec  la  benediction  de  Dieu  &  qu'ils  puissent  jouir  de  quelque  re- 
pos et  se  restablir  en  quelque  façon  par.  le  moyen  des  beneficences  qu'on 
leur  procure.  Cependant  comme  il  est  bien  raisonnable  que  ceux  qui  font  de 
si  notables  charitez  soyent  asseurés  de  la  fidélité  de  la  dispensation,  nous 
sommes  obligés  de  vous  dire  Messieurs,  que  Messieurs  nos  frères  sont  réso- 
lus d'y  donner  tous  les  ordres  nécessaires  afin  qu'on  soit  en  repos  de  ce 
costé  là.  Et  comme  ils  nous  font  entendre  qu'ils  désirent  que  nous  prenions 
encore  qualque  soin  de  leurs  affaires  nous  oserons  vous  promettre  d'y  tenir 
la  main  avec  autante  d'eactitude  qu'il  nous  sera  possible  afin  que  tout  se 
face  convenablement  pour  le  ssoulagement  des  povres  selon  la  pieuse  in- 
tention des  Donateurs.  C'est  ce  qui  nous  fait  aussi  vous  dire  Messieurs 
que  si  Mess.rs  de  votre  Venerable  Magistrat  le  trouvent  bon  on  peut 
remettre  les  deniers  qui  seront  collectez  pour  nos  povres  frères  entre  les 
mains  de  Mess.rs  Balthazar  et  Joseph  Coymans  a  Harlem  qui  ont  desja 
eu  la  charité  de  se  charger  de  quelques  autres  sommes  de  mesme  nature 
afin  qu'ils  puisent  les  faire  tenir  toutes  les  foi  qu'ils  en  seront  requis. 
Cette  faveur  et  toutes  les  autres  dont  nos  dits  frères  &  nous  vous  seront 
redevables  nous  obligent  a  prier  Dieu  continuellement  pour  la  conserva- 
tion de  vos  personnes,  la  benediction  de  vôtre  St.  Ministère  &  la  prospé- 
rité constante  de  votre  fleurissante  Eglise  demeurans  inviolablement. 

Messieurs  &  Très  honorés  frères 
A  Geneve  ce  1  Décembre  1663. 

Vostres  humbles  &  très  obeissans  ser- 
viteurs &  frères  en  nôtre  Seigneur 
François  Turrettin,  Pasteur 
J.  Léger,  Pasteur 
E.  Turrettin,  Ancien. 

La  missive  suivante,  de  janvier  1664  (non  datée)  est  aussi  fort 
lisible  et  signée  à  Paris  par  le  pasteur  J.  Michelin,  auquel  se  joint 
Jean  Léger. 


LETTRE  10. 
A  Messieurs 

Messieurs  les  Pasteurs  et  Anciens  de  l'Eglise  Vallone  Ref.ée  de  Leiden. 

De  Paris  le  ...  janvier  1664. 

Messieurs  et  treshonorés  Frères. 

Celle  que  Monsieur  Beeck  a  eu  la  bonté  d'escrire  à  l'un  de  nous  au  nom 
de  Votre  Venerable  Corps,  nous  oblige  à  vous  rendre  graces  très  humbles 
non  moins  du  soin  que  vous  continués  d'avoir  pour  nos  pauvres  Eglises, 
que  de  l'affection  que  vous  portés  tousjours  plus  intime  à  celuy  de  nous  que 
la  rage  des  Adversaires  a  explodé  de  sa  patrie,  et  que  la  Providence  divine  a 


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conduit  entre  vos  bras.  Il  luy  reste  un  desplaisir  très  sensible  de  se  voir 
contraint  d'intermettre  un  si  long  temps  la  sacrée  fonction  qu'il  exerçoic 
parmi  vous.  Le  travail  qu'il  endure  de  ce  costé  ici  luy  cause  beaucoup  de 
chagrin,  au  lieu  que  ceste  occupation  là  feroit  ses  délices:  mais  les  inci- 
dents survenus  laiants  nécessité  de  délaier  son  depart,  jusqu'ici,  il  espere 
de  sortir  bien  tost  de  ce  languissant  employ  pour  suivre  la  vocation  du 
Seigneur.  Vous  scavés  Messieurs  et  très  honorés  Frères  qu'il  a  falu  non- 
obstant tous  les  inconvénients  que  chacun  apprehendoit  que  les  Vallées 
envolassent  leurs  Députés  à  Turin;  ils  n'y  furent  pas  si  tost  arrivés  que 
l'on  envoia  par  surprise  12000  hommes  qui  joints  aux  troupes  qui  avoient 
desja  fait  le  degast  à  tout  le  plat  pais,  ont  un  beau  matin  assailli  ce  pauvre 
monde  qui  se  trouvoit  un  peu  rasseuré  sur  le  projet  que  l'on  commençoit 
et  aiants  en  mesme  temps  donné  des  rudes  attaques  par  six  endroits  ont 
envahi  nombre  de  maisons  esparpilées,  les  ont  pillées  et  bruslées,  ont  cruel- 
lement massacré  quelques  vieillards  et  quelque  nombre  de  femmes  et  en- 
fants, coupé  ou  pelé  les  arbres  fruictiers:  mais  Dieu  a  tellement  fortifié  le 
parti  outragé  qu'il  n'a  perdu  que  six  de  ses  soldats  tandis  que  les  autres 
ont  eu  la  peine  d'en  enterrer  quelques  centaines  des  leurs;  le  droict  qu'ils 
soustiennent  est  le  droict  de  Dieu,  outre  que  les  lieux  aussi  leur  sont  fort 
favorables.  Après  que  l'on  a  veu  que  le  dessein  n'avoit  pas  réussi  l'on  a 
accordé  à  la  demande  de  Mess.rs  les  Ambassadeurs  des  Cant.  Prot.  douze 
jours  de  tresves.  C'eut  esté  le  grand  désir  des  d.s  Seig.rs  Ambass.rs  et  des 
Députés  de  profîiter  de  cet  intervalle  pour  advancer  loeuvre  tant  désiré  de 
ces  déplorables  peuples:  mais  on  leur  a  tout  à  coup  coupé  le  chemin  en 
leur  proposant  que  l'unique  moyen  d'accord  estoit:  1°  que  les  Vallées  se 
confessassent  rebelles.  2°  que  les  habitans  quitassent  tout  le  plus  beau  et 
meilleur  de  leur  pais.  3°  qu'ils  livrassent  entre  les  mains  du  Magistrat  les 
personnes  qui  leur  seroyent  demandées.  Ces  propositions  ont  été  trouvées 
si  rudes  que  l'on  nous  escrit  que  Mess.rs  les  Ambass.rs  ont  perdu  espéran- 
ce de  voir  aucun  fruict  de  leurs  entremises  et  les  Députés  n'en  espèrent 
pas  d'advantage. 

Ces  pauvres  affligés  en  tel  cas  n'ont  plus  que  l'alternative,  assavoir  de 
céder  tour  ce  que  l'on  demande  avec  tant  d'injustice,  ou  de  se  desfaire  des 
bouches  inutiles  pour  se  ranger  dans  leurs  lieux  plus  forts  pour  y  vendre 
chèrement  leurs  vies.  Ils  ne  peuvent  gouster  le  premier  expedient  car  qui 
auroit  jamais  plus  le  courage  de  se  souvenir  d'eux  s'ils  demantoient  ainsi 
leur  fidéllité  s'advouant  aux  mesmes  rebelles  et  quel  outrage  feroient  ils  à 
la  postérité  de  la  charger  de  ceste  infamie.  Quant  à  l'autre  il  leur  semble- 
roit  plus  acceptable  (quoy  que  du  dernier  danger)  si  seulement  ils  se- 
voioient  en  estât  de  pouvoir  combaîre  la  faim.  Et  a  dire  vray  ce  qui  les 
a  soustenus  et  enccouragés  jusquici  a  esté  le  charitable  secours  qui  leur 
est  venu  de  vos  leux.  Ce  qu'ils  avoient  peu  recevoir  des  Cant.  Evang.es  eut 
bien  tost  esté  espuisé  si  vôtre  patrie  n'y  eut  adjousté  ses  beneficences. 

Nous  voudrions  seulement  sçavoir  le  moien  de  remédier  à  tout  ce  qui 
pourroit  estre  capable  de  reserrer  tante  de  mains  libérales.  Vous  nous 
indiqués  que  quelques  uns  souhaiteroient  de  voir  quelque  escrit  authenti- 
que par  lequel  il  constat  que  les  deniers  seront  fidèlement  distribués  entre 


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ceux  pour  lesquels  les  collectes  sont  faites.  Nous  serions  consolés  Messieurs 
et  très  honorés  Frères  que  ces  scrupules  fussent  ostés  par  les  lettres  que 
Messieurs  Turretin  ont  eu  la  bonté  d'^scrire  en  divers  endroits  et  par 
un'autre  escrite  par  Monsieur  Dize  qui  avec  le  consistoire  de  celuy  ci  ont 
esté  les  principaux  administrateurs  des  aumosnes  qui  ont  ci  devant  esté 
envoiées  a  ces  misérables  persécutes;  ils  indiquoient  assés  tous  deux  tant 
la  bonne  et  fidèle  administration  du  passé  que  la  maniere  qui  en  seroit 
observée  ci  après.  Messieurs  Coymans  de  Harlem  peuvent  aussi  faire  foy 
de  tous  les  contes  du  present  avec  exactitude:  mais  outre  cela  ceux  qui 
savourent  ces  grands  bienfaits  avec  douceur  ne  manqueront  pas  des  aussi 
tost  la  que  bonté  divine  aura  un  peu  fait  cesser  cet  horrible  tabut  (?)  de 
s'acquitter  de  tout  ce  que  l'on  exigera  d'eux  pour  édifier  un'chacun  et  si 
l'estourdissement  ou  ils  sont  le  leur  eust  permis  n'eussent  pas  tant  tardé  d'y 
pourvoir. 

Ils  ont  mesme  escrit  à  Son  Excellence  Monsieur  Boreel  pour  le  prier 
de  suppléer  à  leur  défaut  en  ce  chef  la  ou  il  seroit  de  besoin  attendu  qu'ils 
ne  sçavoient  pas  mesme  la  maniere  en  laquelle  ils  le  pourroient  faire  conve- 
nablement. 

Nous  vous  supplions  donc  de  rapporter  tous  vos  soins  possibles  à  ce 
que  ceux  qui  le  souhaitent  soient  édifiés  de  ce  costé  là.  Nous  sommes 
asseurés  ques  la  charité  ne  sera  pas  soupçonneuse  en  ceux  qui  sont  très 
louables  de  la  vouloir  exercer  avec  prudence  lor  que  les  choses  paroitront 
telles  qu'elles  sont  et  comme  les  ont  représentées  mes  dits  Sieurs  Tur- 
retins  et  Dize.  Cet  office  tant  equitable  et  innocent  sera  agréable  à  Dieu  qui 
se  sert  de  vous,  Messieurs,  et  de  tant  d'autres  bonnes  ames,  pour  fournir 
l'huyle  sacrée  qui  empêche  ces  petites  lampes  de  s'esteindre,  et  ceux  qui 
la  reçoivent  feront  continuellement  voir  la  lumiere  de  leur  zele  et  recon- 
noissance  en  action  de  graces  au  Souverain  pour  le  bénir  de  ce  qu'il  vous 
a  bénis  et  pour  implorer  de  plus  en  plus  la  grace  pour  la  prospérité  de 
vos  St.es  Eglises  personnes  et  familles  ,  ce  sera  surtout  l'inclination  et 
très  juste  employ  de  ceux  qui  vous  saluent  avec  respect  et  sont 

Messieurs  et  très  honorés  Frères 

Vos  humbles  très  obéissants  et  très  obligés  serviteurs 
et  frères  au  Seigneur 

J.  Léger  pasteur 

J.  Michelin  Pasteur  et 

Député  des  dites  Eg.es 


Trois  semaines  après,  le  4  février  1664,  Léger  est  toujours  à 
Paris  et  s'est  aperçu  que  sa  lettre  précédente  est  restée  parmi  les  pa- 
piers sur  sa  table.  Il  paraît  toutefois  qu'il  a  donné  régulièrement  de 
ses  nouvelles  à  son  ami,  Jean  du  Buquoy  à  Leyden,  espérant  que 
celui-ci  les  aura  transmises  à  la  Compagnie  de  l'Eglise  Wallonne. 


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LETTRE  11. 

Adresse: 
Messieurs 

Messieurs  Les  Pasteurs  Anciens  et  Diacres  de  l'Eglise  Wallonne 
réf.  A.  Leyde. 

A  Paris  le  4  Fev.  1664. 

Contenu: 

Messieurs  et  treshonorés  Frères 

Il  y  a  3  sepmaines  que  je  me  donnay  l'honneur  de  vous  escrire  une  let- 
tre qui,  par  je  ne  sçay  quelle  inadvertence  du  frij)on,  qui  fit  le  pacquet, 
s'est  encore  retrouvée  ces  jours  passés  dans  nos  papiers.  Ce  n'est  pas 
pourtant  sur  cela  que  je  pretends  que  vous  excuserés  l'infrequence  des 
miennes  mais  j 'espere  que  vous  le  ferés,  pour  la  diligence  dont  j'ay  tasché 
d'user  à  informer  toutes  les  sepmaines  Mons.  du  Buquoy  de  toutes  choses; 
puisque  j'ay  tousjours  tasché  de  vous  parler  par  luy  et  par  consequant 
par  une  personne  qui  vous  est  très  agréable  et  que  par  ce  moyen  je  vous 
pouvoy  communiquer  tout  ce  qui  s'est  passé,  tant  en  ma  negotiation  qu'en 
les  affaires  des  Vallées,  en  la  mesme  maniere  que  je  le  vous  avoy  promis. 
Neantmoins,  Mess,  et  tresh.  frères,  pour  m'acquitter  plus  particulièrement 
de  mon  devoir,  après  vous  avoir  souhaité  une  année  fertile  en  toutes  be- 
nedictions spirituelles  et  temporelles,  avec  la  suite  de  bon  nombre  d'au- 
tres, remerciés  du  meilleur  de  mon  coeur  de  vostre  support  en  mon  en- 
droit, de  vostre  S.t  zele  pour  nos  pauvres  frères  des  Vallées,  et  du  soin 
q'il  vous  plaist  de  prendre  pour  le  remplage  de  ma  place  à  la  satisfaction 
de  nostre  Eglise,  et  priés  très  humblement  et  affectueusement  de  conti- 
nuer jusqu'ace  q  il  plaise  au  Seig.r  de  me  tirer  de  ces  transes  (ce  qui 
comme  j'esp>ere  sera  bien  tost).  Je  vous  diray  que  Messieurs  les  Ambassa- 
deurs d'Angleterre  et  de  Hollande  ne  pouvans  ni  devant  tenter  autre 
chose  en  ceste  court  q  Is  ne  vissent  le  succès  de  la  negotiation  des  Am- 
bassadeurs Suisses  qui  sont  a  Turin,  ceux  ci  ne  pouvans  rien  entrepren- 
dre non  plus  si  les  Vallées  n'envoyassent  des  Députés  a  Turin  mesmes 
puisque  le  Duc  ne  vouloit  accepter  aucun  autre  lieu  de  conference.  En- 
fin, nos  gens,  nonobstant  tous  les  dangers,  pour  prevenir  les  sinistres  con- 
sequences qu'on  a  tiré  de  leur  refus,  se  sont  résolus  d'y  aller  et  y  sont 
allés  le  18  du  passé:  pendant  qu'on  les  amusoit  en  conference  le  Conseil 
de  l'extirpation,  c.a.d.  les  Ministres  du  Duc  et  le  Clergé,  sous  son  nom, 
ont  fait  un'armée  que  la  confession  auriculaire  a  consenti  à  l'improviste, 
composée  de  12  mille  hommes  qui  le  vendredi  matin  au  poinct  du  jour 
s'est  jointe  aux  troupes  précédentes  et  a  en  mesme  temps  assailli  nos 
pauvres  frères,  a  Villar,  Boby,  Angrogne  et  la  Vallée  de  Perouse  avec  une 
fureur  horrible.  Du  costé  de  Villar,  de  Boby,  et  de  celuy  d'Angr.  quoyque 
les  combats  ayent  été  longs  et  rudes,  des  le  matin  jusqu'au  soir,  enfin,  le 
Dieu  des  batailles  qui  est  le  Dieu  d'Israel,  luy  a  donné  la  victoire  et  cou- 
vert de  confusion  les  persécuteurs.  Mais  du  reste  de  la  Vallee  de  Pe- 
rouse nos  gens  ont  esté  surpris:  La  vraie  cause  se  doit  en  estre  des  pé- 
chés de  nos  frères,  mais  l'occasion  a  esté  que  le  Roy  ayant  obtenu  du 


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Due  passage  pour  les  grandes  trouppes  qu'il  pousse  en  Italie  n'a  pu  refu- 
ser au  Duc  passage  sur  une  lieue  de  ses  terres  par  où  l'on  se  jette  en  la 
dite  Vallee  de  Perouse  et  nos  gens  n'en  ayant  rien  pressenti  et  se  voyans 
d'ailleurs  en  danger  en  tant  d'autres  endroits  n'avoyent  pas  assés  muni 
ceste  avenue.  C'est  donc  par  là  que  les  ennesmis  les  ont  surpris,  attrap>- 
pé  4  hommes  et  2  fenomes  dont  ils  ont  emporté  les  testes,  qui  cependant 
leur  ont  cousté  cher,  et  se  sont  saisis  d'un  village  nommé  St.  Germain 
d'où  ils  peuvent  beaucoup  incomoder  ces  pauvres  gences  et  donner  beau- 
coup d'empeschement  a  leur  commerce,  et  communications.  Les  susdits 
Ambassadeurs  Suisses  ont  tesmoigné  du  marrissement  de  ce  traitement 
et  certes  qui  n'en  fremiroit  et  qui  pourroit  ouir  sans  horreur  que  pen- 
dant que  les  meilleurs  amducteurs  de  nos  pauvres  frères  sont  a  Turin 
[tache,  probablement  une  larme]  et  traitent,  on  aille  massacrer  leurs 
frères  et  brusler  leurs  maisons.  Le  Duc  a  donc  accordé  une  suspension 
de  3  jours  pendant  lesquels  nos  gens  devoyent  accepter  les  misérables 
conditions  qui  leur  seroyent  présentées  ou  se  résoudre  a  souffrir  les  der- 
nières extrémités  qui  leur  estoyent  préparées.  Je  frémis  en  attendant 
quel  en  a  esté  le  succès.  Mais  je  me  console  d'apprendre  la  grande  cons- 
tance, union  et  resolution  de  ces  pauvres  gences.  Vos  avances  et  de  quel- 
ques autres  villes  ont  redonné  de  la  vigueur  à  leurs  lampes  et  ceste  huyle 
entretenue  par  plus,  autres  de  nos  frères  fera,  avec  l'ayde  de  Dieu,  que 
tous  les  orages  que  le  prince  de  l'air  pourra  susciter  ne  les  esteindront 
jamais.  J'avois  esté  tant  pressé  de  pousser  ma  route  jusqu'à  la  patrie  en 
ceste  cryse  que  je  vous  avois  mesmes  préparé  lettre  du  prince  d'Orange 
pry  accourir  mais  justement  en  mesme  tems  lettre  de  mon  frère  q  m'ap- 
prenois  que  je  n'y  pouvois  estre  a  temps  pr.  traiter  cecy  avec  le  Conseil 
de  Monsegr.  Boulavarrista  (?).  Maintenant  il  m'asseure  que  je  me  ver- 
ray  tost  desgagé  de  ce  pitoyable  employ,  et  en  estât  de  reprendre  les 
fonctions  de  ma  charge  et  que  de  quel  costé  que  soit  tombé  l'arbre  ce 
que  j'auroy  a  faire  ici  après  cela  ne  sera  pas  de  longue  haleine.  Cepen- 
dant je  remets  nos  frères  en  la  suite  de  vos  bonnes  prières,  avec  celuy 
qui  priant  pour  vostre  prospérité,  de  toute  l'Eglise,  et  de  vos  ss.  labeurs 
sera  toute  sa  vie  d'une  affection  toute  entière 
Messieurs  et  Tresh.  et  très  chères  frères 

Vostre  très  humble  et  obeiss.  serviteur 
et  frère  J.  Léger. 


Rien  n'indique  la  date  de  son  retour  aux  Pays-Bas,  mais  malu;ré 
les  fatigues  du  voyage  il  n'a  pas  oublié  sa  promesse,  faite  au  Synode 
précédent,  de  présenter  un  exposé  sur  Tite  1,  v.  15,  au  Synode  pro- 
chain à  Goes  en  Zélande.  Il  y  est  envoyé  comme  député,  avec  l'an- 
cien Pierre  Gâteau,  en  mai  1664.  Gomme  preuve  de  son  activité  con- 
tinuelle pour  les  Vallées  citons  que:  «  Les  Eglises  qui  se  sont  em- 
ployées pour  celles  des  Vallées  de  Piémont  sont  remerciées  et  celles 
qui  n'ont  encore  rien  obtenu  sont  exhortées  d'y  travailler  avec  zèle 


s 


—  82  — 


jusques  à  ce  qu'elles  ayent  heureusement  réussi  à  leur  faveur  ès  cha- 
rités qu'elles  taschent  de  leur  procurer  »  (25). 

Le  29  mai  Léger  et  Cateau  rentrent  de  leur  voyage  :  «  Nos  Dépu- 
tés revenus  du  Synode  tenu  dernièrement  à  Goes  en  Zélande,  ayant 
fait  rapport  de  leur  Députation,  la  Compagnie  les  remercie  de  leurs 
peines  et  loue  Dieu  de  ce  qu'il  les  a  ramenés  sains  et  sauf  parmi 
nous  »  (26).  Preuve  que  ce  déplacement  était  une  vraie  aventure  en 
ces  temps  là.  De  nos  jours  ce  voyage  se  fait  à  peine  en  de\ix  heures 
de  train! 

Ce  sont  ces  petites  phrases,  typiques  de  l'époque,  qui  rendent 
la  lecture  des  «  Actes  du  Consistoire  »  si  humaine.  Il  en  est  de  même 
en  ce  qui  concerne  les  affaires  des  autres  membres  de  l'Eglise  Wal- 
lonne, dont  ce  vieux  manuscrit  mentionne  les  disputes,  les  misères, 
les  déviations  et...  la  bonté.  Après  une  réprimande  les  malfaiteurs, 
ou  malfaitrices,  promettent  généralement  de  rentrer  dans  la  bonne 
voie.  Ils  sont  pardonnés  et  on  leur  rend  le  «  mereau  »  (médaille) 
qu'on  leur  avait  enlevé,  signe  qu'ils  sont  de  nouveau  acceptés  com- 
me membres  de  l'Eglise  (27). 

(à  suivre)  Mia  van  Oostveen 


(25)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Livre  des  Synodes  de  VEglise  Wallonite. 
1563-1685.  T.I.  Art.  3,  p.  616. 

(26)  Archives  de  la  ville  de  Leyden.  Actes  du  Consistoire  de  VEglise  Wallonne. 
1658-1695.  Vol.  44,  p.  102. 


Linee  per  una  ricerca  su  alcuni  aspetti 
del  movimento  pentecostale  in  Calabria 


Parlare  della  «  storia  »  delle  «  Assemblee  di  Dio  »  non  è  £acile; 
ed  è  difficoltà  che  non  investe  solo  la  Calabria,  ma  tutto  il  movimen- 
to pentecostale  in  Italia.  Ci  si  trova  davanti  ad  una  assenza  pressoché 
totale  di  documenti  e  di  dati,  ove  si  faccia  eccezione  per  i  documenti 
■giudiziari,  diffide,  fogli  di  via,  lettere  ecc.,  attestanti  la  persecuzione 
di  cui  il  movimento  fu  oggetto  (1)  a  partire  dal  1935  fino  all'abroga- 
zione della  circolare  Buffarini-Guidi  (1955)  ed  anche  oltre. 

L'unica  via  da  percorrere  resta,  data  la  situazione,  quella  del- 
l'indagine in  loco,  del  contatto  diretto  con  i  pastori  e  le  comunità. 
Che  è  poi  il  contatto  con  i  portatori  dei  ricordi  di  quelle  che  furono 
le  origini  e  poi  le  vicende  dei  vari  gruppi,  e  inoltre  il  modo,  l'unico, 
per  conoscere  concretamente  le  dimensioni  di  una  realtà  mobilissi- 
ma, in  cui  il  dato  numerico  è  continuamente  variabile. 

È  quello  che  ho  appena  cominciato  a  fare,  prendendo  contatto 
con  le  comunità  di  un'area  ben  delimitata:  la  Piana  di  Gioia  Tauro. 

La  Calabria,  già  poco  aperta  alle  correnti  evangeliche  nel  periodo 
del  Risorgimento  (2),  conosce  le  prime  esperienze  in  tal  senso  all'ini- 
zio del  Novecento.  Poi,  negli  anni  del  fascismo,  inizia  a  diffondersi 
il  movimento  pentecostale,  che  ha  però  lo  sviluppo  maggiore  in  que- 
sto secondo  dopoguerra. 

Sviluppo  che  avviene  secondo  le  modalità  normali  anche  per  al- 
tre zone:  c'è  l'emigrato  che  ritorna,  e  porta  la  nuova  fede. 

L'emigrato.  Che  è  il  protagonista,  in  fondo,  della  storia  del  mo- 
vimento. A  questo  proposito  è  sintomatico,  perché  ci  riporta  imme- 
diatamente ad  un  ambiente  che  presenta  caratteristiche  ben  precise, 
il  caso  della  comunità  di  Rosarno.  Nel  '47  ritorna  dagli  Stati  Uniti 
un  emigrato.  Caruso,  che,  già  appartenente  alla  mafia,  in  Ame- 
rica si  era  convertito;  e  il  ritomo  avviene  con  lo  scopo  ben  chiaro  di 

(1)  V.  tra  gli  altri:  G.  Spini,  Le  minoranze  protestanti  in  Italia,  in  «  Il  Ponte», 
1950,  pp.  67Q  sgg.;  id..  La  persecuzione  contro  gli  evangelici  in  Italia,  in  «  Il  Ponte  », 
1953,  I,  pp.  1  sgg.;  A.  C.  Jemolo,  Per  la  libertà  religiosa  in  Italia,  in  «  Nuovi  Argo- 
menti »,  II,  p.  1  sgg.;  G.  Peyrot,  La  circolare  Buffarini-Guidi  e  i  Pentecostali,  Roma 
1955.  Cfr.  anche  G.  Rosapepe,  Inquisizione  addomesticata,  Bari  1960;  ecc. 

(2)  G.  Spini,  Movimenti  Evangelici  nell'Italia  contemporanea,  in  «  Rivista  Sto- 
rica italiana  »,  1968,  pp.  484-485. 


—  84  — 


far  partecipi  i  suoi  compaesani  della  nuova  fede.  Dopo  qualche  tem- 
po i  coniugi  Caruso  fanno  ritorno  negli  Stati  Uniti.  Nel  frattempo  è 
sorta  per  opera  loro  la  comunità,  che  ancora  oggi  ha  il  suo  centro  nel 
quartiere  più  povero  (la  Corea). 

Analogo  è  il  caso  di  Gioia  Tauro.  Qui,  sempre  nel  '47,  fanno  ri- 
torno due  persone,  fratello  e  sorella:  lui,  già  colpevole  di  omicidio, 
è  trasformato  completamente  dalla  conversione,  avvenuta  negli  Stati 
Uniti.  Il  ritorno  qui  non  sembra  essere  chiaramente  motivato  dalla 
volontà  di  evangelizzazione;  ma  le  riunioni  di  culto  che  si  tengono 
nelle  loro  famiglie  divengono  il  centro  e  l'occasione  del  crearsi  di 
una  comunità  che  si  espande,  collegandosi  inizialmente  a  quella  vi- 
cina di  Cittanova,  per  poi  divenire  autonoma. 

L'emigrazione  quindi  come  causa,  ed  è  ben  risaputo,  del  diffon- 
dersi del  movimento  pentecostale.  Ma  non  solo  questo. 

Oggi,  quando  si  entra  in  contatto  con  qualche  comunità  del  Sud, 
si  avverte  subito  che  l'emigrazione  è  qualcosa  di  dominante,  ima 
specie  di  leit-motiv,  un  argomento  ricorrente.  Ed  è  forse  un  po'  la 
chiave  per  comprendere  vari  aspetti  e  problemi. 

Se,  prima,  e  qualche  volta  anche  oggi,  essa  è  all'origine  del  dif- 
fondersi del  movimento,  del  sorgere  di  nuovi  gruppi,  oggi  è  soprat- 
tutto un  problema,  e  non  poco  grave. 

Già  prima  questa  particolare  genesi  dava  un'arma  polemica  in 
mano  agli  oppositori  (e  persecutori):  ancor  oggi  si  sentono  le  accu- 
se, a  proposito  di  conversioni  che  in  definitiva  non  sarebbero  dovute 
che  alla  generosa  distribuzione  di  dollari.  Rasenta  i  limiti  del  grot- 
tesco quanto  mi  è  stato  raccontato  da  un  parroco  a  proposito  di  ciò 
che  sarebbe  avvenuto  a  Rizziconi  (episodio  che  merita  un'indagine 
in  loco  a  scopo  di  verifica):  qui  nell'immediato  dopoguerra  sarebbe 
tornato  dagli  Stati  Uniti  un  emigrato  con  due  valige  piene  di  dol- 
lari (!)  e,  preso  in  affìtto  un  locale,  vi  teneva  ogni  sera  il  culto  (cioè, 
per  il  parroco,  «  i  loro  soliti  salamelecchi  »),  con  partecipazione  di 
molte  persone,  ad  ognuna  delle  quali  venivano  dati,  ogni  volta,  dieci 
o  quindici  dollari.  Esauriti  i  quali,  la  comunità  si  sciolse,  e  l'emi- 
grato fece  ritorno  in  America. 

Oggi  il  problema  è  comunque  diverso.  Le  comunità  calabresi 
sono  in  netto  regresso  numerico:  i  «  fratelli  »  pentecostali  parteci- 
pano del  comune  destino  della  gente  del  Sud:  la  fuga  verso  il  Nord 
e  l'estero.  Il  che  si  risolve  in  un  assottigliarsi  del  numero  dei  membri 
delle  varie  chiese.  Per  fare  qualche  esempio:  Gioia  Tauro,  da  circa 
100  (livello  massimo)  ora  è  arrivata  ad  avere  15  battezzati;  Rosarno, 
da  200  circa  agli  attuali  50;  e  analogo  fenomeno  si  riscontra  per  es. 
a  S.  Ferdinanilo,  Palmi  ecc.  Non  solo,  ma  si  arriva  anche  all'esauri- 
mento totale  (li  alcune  comunità:  è  il  caso  di  Cinquefrondi,  o  di 
S.  Pietro  di  Caridà. 

Altro  fenomeno  importante,  su  cui  incide  in  misura  notevole  la 
emigrazione,  è  il  progressivo  mutare  della  base  sociale  dei  gruppi 
pentecostali.  Ari  una  partecipazione  pressoché  esclusiva  di  contadini. 


—  85  — 


sì  va  affiancando  o  sostituendo  una  presenza  di  elementi  che  potrem- 
mo  definire  in  largo  senso  «  borghesi  ». 

Talvolta  si  tratta  dei  figli  dei  contadini,  che  arrivano  al  diploma 
o  alla  laurea  (passando  attraverso  l'esperienza  di  una  scuola  in  cui 
si  trova  sempre,  ancora  oggi,  l'insegnante  che  cerca  «  amorevolmen- 
te »  di  distogliere  il  ragazzo  o  il  giovane  dalla  via  sbagliata,  prospet- 
tando un  avvenire  difficile,  quando  non  addirittura  qpialcosa  di  piìi 
immediato:  la  bocciatura).  Altre  volte  invece,  è  proprio  l'emigra- 
zione contadina  che  fa  sì  che  la  comunità  si  trovi  ad  avere  una  fisio- 
nomia nuova;  come  è  il  caso,  particolare  date  le  caratteristiche  socio- 
economiche della  zona,  di  Gioia  Tauro,  dove  i  membri  battezzati 
sono  in  buona  parte  commercianti. 

C'è  anche,  naturalmente,  l'altra  faccia  della  medaglia:  l'emi- 
grato non  si  perde  nel  nulla,  ma,  oltre  a  tenere  spesso  i  contatti  con 
la  comunità  di  origine,  va  ad  aumentare  il  numero  dei  «  fratelli  » 
della  comunità  del  luogo  in  cui  lavora;  o  anche  gruppi  di  emigrati 
fondano  comunità  nuove.  Nelle  aree  che  costituiscono  i  poli  di  attra- 
zione verso  cui  si  dirige  il  flusso  migratorio  si  registra  pertanto  U  fe- 
nomeno inverso  rispetto  a  ciò  che  avviene  in  Calabria:  un  aumento 
delle  «  Assemblee  ».  A  Milano  ad  esempio  la  comunità,  in  aumento^ 
ha  circa  300  membri,  che  per  il  settanta  per  cento  circa  sono  meri- 
dionali, e  in  maggioranza  operai.  E  si  parla  anche  di  comunità  al- 
l'estero non  solo  con  larga  partecipazione  di  emigrati  meridionali, 
ma  talvolta  costituite  esculsivamente  da  essi.  Jn  Australia  ci  sareb- 
bero, secondo  informazioni  avute  dalla  presidenza  nazionale  delle 
A.D.I.,  delle  comunità  pentecostali  di  calabresi. 

Questi  spostamenti  portano  con  sé  problemi  di  varia  natura.  Si 
sa  quale  è  la  posizione  dei  pentecostali  di  fronte  ai  problemi  poli- 
tici e  sociali.  È  l'atteggiamento  della  «  drastica  rottura  col  'mon- 
do' »  (3);  il  pensare  che  ad  occuparsi  dì  politica  si  dà  prova  dì  scar- 
sa serietà  (affermazione  che  ho  sentito  sia  a  Roma,  sia  in  Calabria),^ 
che  il  cristiano,  di  fronte  aUe  agitazioni  del  mondo  del  lavoro,  deve 
essere  in  una  posizione  non  attiva  («  la  Chiesa  è  chiamata  a  pregare, 
non  a  scioperare  »  -  sono  parole  del  pastore  della  comunità  di  Ro- 
sarno).  Che  insomma  ci  si  asterrà  pure  dal  lavoro,  per  forza  di  cose, 
ma  senza  partecipare  a  cortei  ecc.,  e  senza  essere  nella  posizione  di 
guida  di  agitazioni. 

Una  posizione  di  tal  genere,  comprensibile  e  possibile  in  una 
società  agricola,  e  dalle  non  grandi  tradizioni  sindacali,  può  rischiare 
dì  non  reggere  all'urto  con  la  società  industriale.  E  a  Milano  difatti, 
qualcuno  dei  giovani  «  ha  particolare  interesse  per  i  problemi  sin- 
dacali ».  Può  così  avviarsi  una  dialettica  intema,  cui  ì  gruppi  pente- 
costali sembrerebbero  tendenzialmente  refrattari.  E  ad  ogni  modo, 
vien  meno  quella  totale  omogeneità  e  l'assenza  dì  comportamenti 
'devìanti',  esibita  con  evidente  orgoglio  dalle  comunità  della  Ca- 
labria. 


(3)  L'espressione  è  di  G.  Spini,  Movim.  Evang.  neWItalia  cont.,  art.  cit.,  p.  497. 


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C'è  ancora  un  punto  da  considerare.  È  in  atto  nel  movimento  del- 
le assemblee  di  Dio  un  processo  di  assestamento,  per  cui  dalla  asso- 
luta libertà  e  autonomia  delle  origini  si  passa  gradualmente  ad  una 
istituzionalizzazione,  anche  se  negata  e  respinta  uflfìcilmente.  Ma  le 
tappe  sono  evidenti:  dalla  organizzazione  su  basi  nazionali,  imposta 
per  legge,  al  presente  problema  dell'ingresso  o  meno  nel  Consiglio 
Ecumenico  delle  Chiese.  In  questo  quadro  va  forse  considerata  an- 
che una  specie  di  mitizzazione  delle  origini  del  movimento,  quando 
il  battesimo  dello  Spirito  era  molto  più  frequente  di  oggi,  anche  se 
tuttora  è  una  realtà  presente  e  considerata  necessaria  perché  una 
comunità  sia  viva  e  non  tiepida  o  addirittura  morta. 

Ora,  è  interessante  che  anche  a  questo  proposito  gli  stessi  fedeli 
stabiliscono  un  rapporto  di  causa-effetto  con  l'emigrazione.  Si  dice 
infatti  che  se  oggi  è  meno  frequente  il  battesimo  dello  Spirito,  ciò  è 
dovuto  anche  al  fatto  che  le  comunità,  oltre  ad  essere  diminuite  nel 
numero  dei  membri,  si  trovano  ad  avere  molti  dei  «  fratelli  »  di- 
spersi quasi  nelle  grandi  città  industriali,  in  un  ambiente  in  cui  è  più 
diffìcile  quella  concentrazione  nella  preghiera  che  è  la  via  per  aprir- 
si all'azione  dello  Spirito. 

Ripeto:  la  ricerca  è  appena  agli  inizi.  Molte  delle  affermazioni 
e  notizie  hanno  bisogno  di  una  ulteriore  verifica,  che  andrà  fatta  ne- 
cessariamente attraverso  un  contatto  diretto  sia  con  le  comunità  ca- 
labresi, sia  con  quelle  delle  zone  di  immigrazione. 

Andrà  esaminato  da  vicino  l'inserirsi  e  l'articolarsi  dei  rapporti 
delle  comunità  con  gli  ambienti  in  cui  vivono.  Sarà  da  considerare 
anche,  fra  l'altro,  il  fenomeno  del  sorgere  di  movimenti  penteco- 
stali diversi  da  quello  «  ufficiale  »  delle  Assemblee  di  Dio,  e  dei  grup- 
pi che  si  sono  formati  per  scissione  da  quest'ultimo. 

Giuseppe  Gatto 


Rassegna  bibliografica 


Ivan  Dujcev,  Quelques  observations  à  propos  des  courants  dualistes  chez 
les  Bulgares  et  à  Byzance  au  XIII-XIV  siècles. 
In  «  Studi  Veneziani  »,  XII,  1970,  pp.  107-125. 

L'autore  esamina  certi  aspetti  della  vita  letteraria  bulgara  del  IX  e 
X  secolo,  da  cui  si  intuisce  l'esistenza  in  quel  tempo  di  correnti  dualiste, 
di  origine  manichea,  nella  penisola  balcanica:  esse  erano  derivate  dai 
contatti  frequenti  con  l'Asia.  Nei  secoli  successivi  il  dualismo  è  più  in- 
dividuabile, e  la  sua  persistenza  come  fenomeno  critico  nei  riguardi  del- 
la chiesa  e  del  cristianesimo  presenta  tuttora  molti  aspetti  ignoti,  sep- 
pure Bogomili  e  Catari  abbiano  ereditato  largamente  esigenze  dualisti- 
che, interessi  profondi  per  il  problema  del  male,  la  natura  di  Dio,  ecc. 

Gerolamo  Miolo,  Historia  breve  e  vera  de  gl'affari  de  i  Valdesi  delle  Valli, 
a  cura  di  Enea  Balmas,  Torino,  Claudiana,  1971,  8°,  pp.  156  (n.  3  della 
collana  Storici  Valdesi). 

I  due  primi  numeri  della  collana  in  programma  ci  recheranno  i  testi 
di  due  pubblicazioni  relative  alla  guerra  del  1560-61,  mentre  si  prevede  al 
quarto  la  ripubblicazione  del  Lentolo. 

Vede  intanto  la  luce  (col  n.  3)  questa  bella  e  completa  Historia  de) 
Miolo.  Si  ricorderà  come  essa  era  stata  pubblicata  una  prima  volta  da  G. 
Jalla  nel  Bullettin  de  la  Société  d'Histoire  Vaudoise,  n.  17  (1899),  su  una 
trascrizione  del  manoscritto  giacente  a  Cambridge. 

Ora  il  Balmas  ci  presenta  accanto  al  testo  in  edizione  critica  ed  anno- 
tata, un'ampia  introduzione  (75  pp.)  destinata  ad  ilustrare  la  storia  del 
testo  e  le  sue  vicende,  e  ad  illuminarci  sulla  figura  del  Miolo;  seguono 
inoltre  le  traduzioni  del  XVII  secolo  di  alì'éune  parti  dell'opera  ed  una 
appendice  di  documenti  inediti  concernenti  la  famiglia  di  Gerolamo  Miolo. 

II  volume  si  presenta  quindi,  nel  suo  complesso,  con  tutte  le  caratte- 
ristiche scientifiche  che  una  collana  di  storici  valdesi  richiede,  senza  che 
queste  lo  privino  peraltro  dalla  possibilità  di  una  gradevole  ed  appassio- 
nante lettura. 

Il  curatore  ha  sottolineato  bene  l'intento  apologetico  del  Miolo  (ten- 
dente a  liberare  i  Valdesi  dalle  accuse  di  stregoneria  e  simili),  e  il  suo 
sforzo  di  presentarli  al  mondo  riformato  calvinista  come  cristiani  orto- 
dossi e  forse  di  origine  apostolica,  seppure  Valdo,  secondo  lui,  sia  stori- 
camente esistito;  ha  esaminato  con  amorevole  attenzione  la  tecnica  del 
lavoro  del  Miolo,  le  fonti  cui  ha  attinto  e  la  validità  delle  sue  afferma- 
zioni; e  conclude  concordando  con  la  definizione  di  «  più  antica  storia  dei 


—  88  — 


Valdesi  »  già  attribuita  all'opera,  storia  appunto  perché  non  si  tratta 
di  una  serie  di  documenti,  ma  della  elaborazione  di  essi  da  parte  di  un 
uomo  di  cultura,  sensibile  alla  problematica  del  suo  tempo  ed  alle  esi- 
genze di  pubblico.  A.  H. 

Carlo  De  Prede,  L'estradizione  degli  eretici  dal  Dominio  veneziano  nel 
Cinquecento,  in  «  Atti  dell'Accademia  Pontaniana  »  nuova  serie,  XX, 
1971,  pp.  32. 

Il  conflitto  di  giurisdizione  tra  Venezia  e  Roma  trovò  il  suo  momento 
di  massima  crisi  all'inizio  del  600,  come  è  noto,  al  momento  del  Sarpi:  ma 
già  nei  decenni  precedenti  la  Repubblica  aveva  rivendicato,  nei  limiti  del 
possibile,  la  sua  autonomia  e  la  sua  indipendenza  nel  giudicare  i  colpevoli 
di  eresia.  Lo  studio  mette  in  evidenza  da  un  lato  la  tenace  insistenza  di 
Roma  per  avere  in  mano  i  colpevoli,  e  dall'altro  lo  sforzo  di  Venezia  per 
cercare  di  non  cedere  sempre.  Ne  seguirono  degli  inevitabili  compro- 
messi, determinati  di  volta  in  volta  da  situazioni  contingenti  o  dalle  pos- 
sibilità dei  colpevoli  di  difendersi;  tra  il  1544  e  il  1589  vi  furono  nove  casi 
di  estradizione  non  concessa  contro  quattordici  concesse  e  sei  non  ben 
definite.  H. 

Valerio  Marchetti,  Ultime  fasi  della  repressione  dell'eresia  a  Siena  nel 
tardo  Cinquecento,  in  «  Rassegna  degli  Archivi  di  Stato  »,  1970,  pp. 
58-87. 

Viene  esaminata  in  particolare  l'attività  (1578-81)  dell'inquisitore  Pro- 
spero Urbani,  che  aveva  l'appoggio  mediceo  e  della  classe  dirigente  senese. 

Carlo  De  Prede,  Tipografi,  editori,  librai  italiani  del  Cinquecento  coinvol- 
ti in  processi  di  eresia,  in  «  Riv.  di  storia  della  Chiesa  in  Italia  », 
1969,  pp.  21-53. 

La  ricerca  abbraccia  il  periodo  dal  1519  alla  fine  del  secolo,  e  riguar- 
da vari  librai  italiani  colpevoli  di  avere  stampato  o  importato  libri  ere- 
ticali. Particolare  rilievo  viene  dato  al  processo  dell'editore  veneziano 
Valgrisi  (1570). 

Vittorio  Pascucci,  Movimenti  ereticali  in  Lucca,  in  Riv.  di  letter,  e  di 
storia  eccles.,  1969,  pp.  72-75. 

Si  tratta  di  una  brevissima  nota  generica  sul  diffondersi  del  lutera- 
nesimo in  Lucca. 

Domenico  Maselli,  Per  la  storia  religiosa  dello  Stato  di  Milano  durante  il 
dominio  di  Filippo  II:  l'eresia  e  la  sua  repressione  dal  1555  al  1584,  in 
Nuova  Rivista  Storica,  LIV,  maggio-agosto  1970,  pp.  317-373. 

Lo  studio  prende  in  esame  il  trentennio  che  va  dall'assunzione  del 
trono  da  parte  di  Filippo  II  alla  morte  di  San  Carlo  Borromeo,  ed  è  pre- 


—  89  — 


ceduto  da  un'ampia  premessa,  destinata  ad  illustrare  le  fonti  ed  il  metodo 
storiografico. 

Per  il  primo  decennio,  sono  particolarmente  esaminati  due  processi: 
quello  di  Ascanio  Marsi,  alto  funzionario  statale,  rivela  le  implicanze  po- 
litiche nell'accusa  di  eresia,  mentre  quello  di  Francesco  Scuderi  dà  mo- 
do di  aprire  uno  spiraglio  sul  «  nicodemismo  »  di  molti  riformati  italiani, 
costretti  a  vivere  interiormente  la  propria  fede:  «  a  quello  basta  il  cre- 
dere ».  Col  1566  inizia  l'azione  arcivescovile  del  Borromeo,  e  già  nel  1568 
abbiamo  un  rincrudirsi  dell'opera  antiriformata;  prima  a  Mantova,  dove 
l'eresia  aveva  gravemente  infettato  i  conventi  cassinesi,  e  poi  a  Milano 
stessa,  ove  viene  arrestato  Giorgio  Gherzi,  elemento  di  collegamento  tra 
gli  ambienti  protestanti  del  nord  Italia  e  Ginevra. 

La  presenza  di  correnti  ereticali  perdura  ancora  negli  anni  successi- 
vi, anche  se  (almeno  a  parer  nostro!)  si  tratti  più  di  lotta  alle  streghe  e  ai 
fantasmi  che  di  reali  pericoli;  eppure  si  verificano  processi  e  condanne. 

Nel  più  gr£inde  quadro  dell'azione  contro-riformistica,  la  lotta  contro 
i  superstiti  focolai  di  eresia  ci  sembra  peraltro  avere  meno  peso  che  le 
preoccupazioni  di  riforma  interna  della  Chiesa;  in  questo  senso  ci  pare 
molto  interessante  sapere  «  se  la  nuova  vita  della  Chiesa  a  Milano  fosse 
via  via  venuta  ad  assorbire  alcuni  tra  gli  elementi  della  protesta  riforma- 
ta ed  ereticale  ».  E  ci  auguriamo  di  vedere  molto  presto  affrontato  e  trat- 
tato questo  problema  veramente  nuovo  ed  appassionante. 

H. 

Peter  G.  Bietenholz,  Baste  and  France  in  the  Sixteenth  Century.  The 
Basle  Humanists  and  Printers  in  Their  Contacts  with  Francophone 
Culture,  {Travaux  d'Humanisme  et  Renaissance,  n.  112),  Genève,  Droz, 
1971,  8»,  pp.  367. 

Lavoro  di  ampia  informazione  bibliografica  ed  archivistica,  compren- 
dente due  grosse  parti:  la  prima  dedicata  ai  rifugiati  di  lingua  francese  in 
Basilea  (e  qui  viene  riservato  ampio  spazio  a  Castellione,  Portel,  Baudoin 
e  Ramus);  la  seconda  destinata  ad  esaminare  i  contatti  della  cultura  ba- 
sileese  con  Parigi,  Lione  e  la  Burgundia.  Segue  un  ampio  catalogo  delle 
edizioni  basileesi  di  libri  francesi  o  riguardanti  la  Francia,  e  delle  tesi  de- 
gli studenti  di  Basilea  dedicate  a  problemi  francesi. 

Cronologicamente  il  lavoro  fa  capo  al  1650.  Nel  complesso,  una  dimo- 
strazione evidente  del  fervore  culturale  e  della  circolazione  delle  idee 
che  caratterizzano  il  Cinquecento,  con  particolare  riferimento  ai  proble- 
mi religiosi.  H. 

Festbuch  zur  Feier  der  250.  Wiederkehr  des  Todestages  von  Henri  Arnaud 
Schònenberg.  1971,  16°,  pp.  75. 

Questo  opuscolo  celebrativo  del  250°  anniversario  della  morte  di  En- 
rico Arnaud  contiene  in  massima  parte  una  biografia  del  celebre  personag- 
gio dovuta  alla  penna  del  pastore  Theo  Kiefner  (pp.  11-71).  Si  tratta  di 
un  lavoro  riassuntivo  (ma  corredato  di  ben  432  note!)  diviso  in  tre  parti: 


—  90  — 


la  prima  (pp.  14-17)  è  dedicata  alla  giovinezza  di  Arnaud,  1643-1685;  la  se- 
conda (pp.  18-37)  aile  vicende  più  tormentate  della  sua  vita,  1685-1698;  e  la 
terza  al  periodo  tedesco,  1698-1721  (pp.  38-71).  L'autore  si  è  pertanto  dedi- 
cato in  particolare  alle  vicende  finora  meno  note  del  condottiero  valdese, 
ed  ha  sfruttato  per  questo  periodo  fonti  archivistiche  finora  non  cono- 
sciute. 

Sono  in  particolare  messi  in  evidenza  elementi  nuovi  sui  figli,  sui 
beni  e  sulle  proprietà  di  Arnaud,  sulla  sua  attività  pastorale  e  sui  suoi 
viaggi  in  Olanda  ed  Inghilterra. 

L'autore  si  limita  agli  elementi  essenziali  e  cronologici,  senza  scendere 
ad  una  valutazione  storica.  Il  contributo  alla  biografia  di  Arnaud  è  peral- 
tro assai  valido  e  prezioso.  H. 

William  R.  Estep,  La  verità  è  immortale.  La  storia  del  movimento  ana- 
battista. Trad,  dall'inglese  di  P.  Beasi  e  A.  Billour.  Casa  ed.  Battista, 
Roma,  1971,  16",  pp.  318  -I-  tre  cartine. 

Si  tratta  di  una  storia  a  carattere  divulgativo  del  movimento  anabat 
tista,  dal  suo  sorgere  all'inizio  del  XVI  secolo  fino  alle  sue  discendenze  più 
recenti.  Dietro  alla  narrazione  si  sente  quasi  continuamente  l'intento  del- 
l'autore di  cogliere  in  tutte  le  sue  sfumature  e  le  sue  implicazioni  più  sva- 
riate il  radicalismo  evangelico  che  ha  per  denominatore  comune  la  teo- 
logia dell'anabattismo  e  le  posizioni  di  rifiuto  dello  stato  e  della  politica: 
se  questo  assunto  rivela  la  viva  partecipazione  dello  scrittore,  si  deve 
peraltro  rilevare  come  il  senso  storico  sia  talvolta  assai  labile  o  carente. 
Il  tono  quasi  celebrativo  dell'avventura  anabattista  attraverso  i  secoli  non 
lascia  molto  spazio  alla  critica  ed  alla  visione  spassionata  dei  fatti  e  delle 
idee:  avremmo  peraltro  desiderato  maggiore  obbiettività  ed  indipendenza. 

Rileviamo,  per  tutte,  la  faciloneria  della  cartina  in  cui  sono  presentati 
i  «  centri  anabattisti  del  sud-centrale  »  in  Europa:  tra  le  località  ivi  indi- 
cate, troviamo  «  Cianforan  »!  Il  che  rappresenta  certamente  una  bella 
forzatura,  comunque  si  voglia  interpretare  l'incontro  del  1532. 

H. 


Saranno  recensite  al  prossimo  numero  le  seguenti  opere: 


E.  Droz,  Chemins  de  l'hérésie,  2  voli. 
Cegna,  L'Ussitismo  Piemontese  nel  '400. 
Gastaldi,  Storia  dell'Anabattismo. 


Vita  Sociale 


Bibliografia  ed  antiquariato 

Continua  l'impegno  assunto  dalla  Società  di  mantenere  a  disposizio- 
ne di  soci  e  studiosi,  delle  raccolte  complete  del  Bollettino;  tutti  i  sin- 
goli numeri  sono  quindi  a  disposizione  degli  interessati,  dal  n.  1  (1884) 
al  n.  129.  Il  loro  prezzo  è  di  Lire  2.000  cad.  ad  eccezione  dei  Bollettini  n. 
6  e  15  a  Lire  2.500  e  dei  Bollettini  n.  22,  72,  88  e  93  a  Lire  3.000  cad. 

Sono  in  vendita  anche  parecchi  opuscoli  del  XVII  Febbraio.  Eviden- 
temente per  questi  opuscoli  non  può  essere  prevista  per  ora  una  ristam- 
pa anastatica  per  cui  molti  di  essi  devono  essere  considerati  come  arti- 
coli di  antiquariato.  Le  annate  a  disposizione  sono  le  seguenti: 

Erìiz.  francese:  Anni  1880,  1881,  1882,  1883,  1888,  1889  (tutti  in  8"  picc), 
1906,  1909,  1911,  1912,  1915-17,  1920,  1922-28,  1929,  1930-35. 

Ediz.  italiana:  Anni  1922,  1923,  1926,  1928,  1930-32,  1934-35,  193741, 
1943-48,  1949,  1950,  1951,  1952-56,  1969,  1970,  1971. 

Gli  opuscoli  delle  annate  sottolineate  sono  in  numero  molto  ridotto 
di  esemplari  e  vengono  ceduti  al  prezzo  di  L.  800  cad.  fino  ad  esaurimen- 
to. Tutti  gli  altri,  fino  al  1970  sono  in  vendita  a  L.  400. 

Rispondendo  ad  una  richiesta  insistente  ed  espressa  specialmente 
dai  visitatori  stranieri  del  Museo,  viene  messa  in  questi  giorni  a  disposi- 
zione degli  interessati  una  riedizione  anastatica  non  illustrata  dell'opera: 
«  Les  Vaudois  des  Alpes  »  4"  ed.  1934  di  Jean  Jalla;  il  suo  prezzo  è  di 
Lire  2.500. 

Ricordiamo  ancora  che  sono  in  vendita,  fino  ad  esaurimento,  le  opere 
seguenti: 

1)  A.  Pascal,  La  Riforma  in  Val  Perosa  —  //  Rimpatrio  dei  Valdesi  e 
le  decime  eccl.  (Lire  2.000). 

2)  Ghisi  e  Tron,  Anciennes  Chansons  Vaiidoises,  1947  (Lire  500). 

3)  S.  Pons,  Preistoria  Valdese,  estr.  1938  (Lire  500). 

4)  G.  Luzzi,  Santi  Pagnini  e  traduz.  latina  della  Bibbia  (Lire  1.000). 

5)  A.  Armanr-Hugon,  Agostino  Mainardo,  Riforma  in  Italia  (L.  1.500). 

6)  Index...  des  56  premiers  num.  Bulletin,  1931  (Lire  300). 

7)  A.  Pascal,  Le  Valli  V.  negli  anni  del  martirio...  Voli.  3,  4,  5/1  e  5/2 
(Lire  3.500/4.000). 

8)  Il  Gen.  Martinat,  1943  (Lire  500). 

9)  D.  Jahier,  Hist,  du  Collège  V.,  1908  (Lire  500). 


—  92  — 


10)  D.  Jahier,  Le  Pensionnat  de  la  Tour,  1898  (Lire  300). 

11)  Journal  de   l'expédition   des   Vaudois,   Paul  Reynaudin,  estr.  1889 
(Lire  300). 

12)  V.  SoMMANi,  Dialoghi  e  fantasie  musicali,  1928  (Lire  1.000). 

13)  E.  Peyrot.  W.  S.  Gilly,  estr.  (Lire  500). 

14)  T.  Gay,  Temples  et  Pasteur  Eglise  St.  Jean,  1905  (Lire  2.000). 
Ricordiamo  infine  che  sono  sempre  a  disp>osizione  degli  interessati 

due  antiche  stampe,  formato  50x35  cm.  più  margini,  di  Enrico  Arnaud  e 
del  Generale  C.  Beckwith  a  Lire  3.500  cad. 

Sono  infine  ancora  disi>onibili  le  seguenti  stampe  del  Bartlett  e  del 
Brockedon  (provenienti  in  parte  dal  Beattie,  The  Waldenses  ed  in  parte 
dal  Brockedon,  Italy  Classical): 


■a)  The  Balsille  during  the  Attack 

b)  La  Tour  -  Val  Pellice 

c)  St.  Germain,  Val  Clusone 

d)  Pignerol  at  Moonlight 

e)  The  Fort  of  the  Vaudois 
f  )  The  Balsille 

g)  The  Barricade  of  Pra-del  Tor 

h)  Pra  del  Tor 

i  )  Maneille    in    the    Val  Germa- 
nasca 

j  )  The  Col  de  la  Croix 


k)  Ruins  of  Fort  Mirabouc 
1  )  Pomaret 

m)  The  Fort  of  Fenestrelle 
n)  Prali  Val  St.  Martin 
o)  La  Tour  and  Luzem 
p)  St.  John  and  Luzem 
q)  Salabertran 
r)  Val  Angrogna 

s)  Val  d'Ossola  from  the  Val  An- 
grogna? 


Sono  tutte  in  buone  condizioni  e  in  vendita  al  prezzo  di  L.  3500  caduna. 


Società  di  Studi  Valdesi  -  Torre  Pellice 


STATUTO  REGOLAMENTO 

1)  Origine:  L'associazione,  sorta  in  Torre  Pellice  il  6  settembre  1881 
col  nome  di  Société  d'Histoire  Vaudoise,  trasformata  nel  1935  in  Società 
di  Studi  Valdesi,  ha  lo  scopo  di  promuovere  studi  e  ricerche  sulla  storia  e 
la  diffusione  del  movimento  e  delle  chiese  valdesi,  sui  movimenti  di  rifor- 
ma religiosa  in  Italia  e  sull'ambiente  delle  Valli  Valdesi. 

2)  Attività:  La  Società  persegue  i  propri  scopi  mediante: 

a)  la  pubblicazione  di  ricerche  e  documenti  sul  Bollettino  della  So- 
cietà o  in  altra  sede; 

b)  l'organizzazione  di  convegni  di  studio  ed  incontri  qualificati,  a 
carattere  nazionale  ed  internazionale; 

c)  l'organizzazione  della  propria  biblioteca,  specializzata,  e  dell'ar- 
chivio storico; 

d)  l'aggiornamento  ed  il  funzionamento  del  Museo  storico  e  del 
Museo  etnografico  di  Torre  Pellice,  di  altri  musei  delle  Valli  Valdesi  dei 
quali  la  Società  è  responsabile,  nonché  l'organizzazione  di  mostre  tempo- 
ranee su  temi  particolari; 

e)  la  tutela  e  la  valorizzazione  del  patrimonio  storico  ed  archivisti- 
co delle  Valli  Valdesi,  in  collaborazione  con  le  Chiese,  con  la  Tavola  Val- 
dese e  con  i  Comuni; 

/)  l'istituzione  di  rapporti,  scambi  di  pubblicazioni  ed  incontri  con 
altre  associazioni  che  perseguono  scopi  affini; 

g)  la  diffusione  dell'interesse  per  la  storia  e  gli  studi  sul  Valdismo 
e  sui  movimenti  religiosi  in  Italia. 

3)  Membri:  La  Società  è  composta  di: 

a)  membri  effettivi,  che  condividendo  le  finalità  della  Società  ne 
fanno  domanda  e  versano  la  quota  di  associazione  (annuale,  triennale, 
vitalizia); 

b)  membri  corrispondenti,  scelti  tra  studiosi  o  personalità  partico- 
larmente interessate  ai  problemi  di  cui  la  Società  si  occupa,  e  nominati 
dall'Assemblea  ordinaria  su  iniziativa  del  seggio  o  su  proposta  di  almeno 
dieci  membri  effettivi; 

c)  membri  d'onore,  nominati  dall'Assemblea  ordinaria  su  proposta 
del  seggio  e  scelti  tra  le  persone  particolarmente  benemerite  della  Società. 

La  decadenza  non  volontaria  di  un  membro  deve  essere  ratificata 
dall'Assemblea  ordinaria. 

4)  Seggio:  La  Società  è  rappresentata  da  un  Seggio  esecutivo,  nomi- 
nato annualmente  dall'Assemblea,  e  composto  di  sette  persone  scelte  tra 


—  94  — 


i  membri  effettivi.  Il  seggio  nomina  nel  suo  seno  il  presidente,  il  vice  pre- 
sidente, il  segretario,  l'archivista-bibliotecario  e  conservatore  del  Museo 
storico  ed  etnografico,  il  cassiere. 

Il  seggio  è  responsabile  della  consei'vazione  del  patrimonio  sociale,  so- 
vraintende  alla'  gestione  ordinaria  delle  attività  sociali,  cura  i  rapporti 
con  altri  enti,  presenta  annualmente  all'Assemblea  una  relazione  scritta, 
morale  e  finanziaria. 

5)  Commissioni:  Il  Seggio  e  l'Assemblea  possono  nominare  delle  Com- 
missioni per  la  elaborazione  di  progetti  concreti  riguardanti  il  funziona- 
mento e  lo  sviluppo  della  Società,  particolari  progetti  editoriali  o  partico- 
lari argomenti  storici  in  vista  di  convegni,  mostre  o  pubblicazioni  speciali. 
Le  Commissioni  dovranno  presentare  una  relazione  scritta  all'Assemblea 
annuale. 

6)  Assemblea:  L'Assemblea  è  composta  dei  membri  effettivi,  con  voce 
deliberante,  e  dei  membri  corrispondenti  ed  onorari,  con  voce  consultiva. 
Essa  approva  lo  Statuto  Regolamento  e  le  sue  eventuali  modifiche,  nomi- 
na il  Seggio,  ne  discute  ed  approva  la  relazione  annua,  nomina  eventuali 
commissioni,  ne  discute  le  relazioni  annue  e  le  eventuali  proposte,  stabi- 
lisce l'ammontare  delle  quote  sociali,  si  pronuncia  sulla  ammissione  e  sul- 
la eventuale  decadenza  dei  membri. 

L'Assemblea  si  riunisce  annualmente  in  seduta  ordinaria,  in  giorno, 
luogo  ed  ora  fissati  dall'Assemblea  precedente. 

Tutte  le  deliberazioni  non  riguardanti  modifiche  dello  Statuto  Rego- 
lamento sono  prese  a  maggioranza  dei  membri  effettivi  presenti  all'As- 
semblea. 

In  occasione  dell'Assemblea  annuale  potranno  essere  organizzati  dal 
Seggio  o  dalle  Commissioni  dibattiti,  manifestazioni,  mostre  concernenti 
il  campo  delle  attività  sociali. 

Eventuali  Assemblee  straordinarie  saranno  convocate  dal  Seggio  o  su 
richiesta  di  almeno  un  quinto  dei  membri  effettivi;  luogo,  data  e  ordine 
del  giorno  saranno  comunicati  dal  Seggio  almeno  due  mesi  prima. 

7)  Pubblicazioni:  La  Società  cura  la  pubblicazione  del  «  Bollettino 
della  Società  di  Studi  Valdesi  »,  almeno  una  volta  all'anno.  Tale  Bollettino 
è  destinato  a  studi,  contributi  o  documenti  concernenti  il  Valdismo  ed  i 
movimenti  di  riforma  religiosa  in  Italia,  Esso  viene  inviato  gratuitamen- 
te ai  membri.  La  Società  promuove  inoltre  altre  pubblicazioni  inerenti  ai 
propri  scopi  o  direttamente  o  in  collaborazione  con  altri  enti. 

8)  Par-  nonio:  In  caso  di  scioglimento,  il  patrimonio  sociale  (Musei, 
bibliotec  .,  archivi,  attrezzature,  ecc.)  ed  i  fondi  saranno  devoluti  alla 
Tavola  Valdese. 

9)  Modifiche  allo  Statuto  Regolamento:  Le  modifiche  al  presente  Sta- 
tuto Regolamento  dovranno  essere  approvate  almeno  dai  due  terzi  dei 
membri  effettivi  presenii  all'Assemblea  annuale. 

Approvato  nella  seduta  dell'Assemblea  annuale  del  29  agosto  1971. 


INDICE 


Romolo  Cegna:  Appunti  su  Valdismo  e  Ussitismo  .     .  pag.  3 

Gianpaolo  Zucchini:  Contributi  agli  studi  sulla  giovi- 
nezza di  Fausto  Sozzini   »  35 

Albano  Biondi:  Melchor  Cano:  la  storia  come  locus 

theologicus   »  43 

Mia  van  Oostveen:  Correspondance  de  Jean  Léger  .     .  »  55 

Giuseppe  Gatto:  Linee  per  una  ricerca  su  alcuni  aspet- 
ti del  movimento  pentecostale  in  Calabria  ...»  83 

Rassegna  bibliografica   »  87 

Vita  Sociale   »  91 


1012  01474  7671 


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