PER BX4878 .B64 no. 127-130
Bollettino della SocietoL di
studi valdesi.
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ANNO XCII
N. 130
BaiETTINO
DELLA
SOCIETÀ DI STVDI
VALDESI
DICEMBRE 1971
Appunti su Valdismo e Ussitismo
La teologia sociale di Nicola della Rosa Nera (Cerruc)
I. - Ho già avuto occasione di parlare del determinante apporto
delle dottrine ussite nella elaborazione della Teologia Valdese italia-
na degli anni trenta del secolo XV, quando trattati e opuscoli della
Preriforma boema giungono attraverso gli itinerari, comuni a Val-
desi italiani e a Ussiti, che portano a Costanza e a Basilea. Nei miei
Appunti sull'Ussitismo Valdese che sono pubblicati nel numero I del
1971 della Rivista di Storia e Letteratura Religiosa ho proposto alla
attenzione degli studiosi un esempio di utilizzazione di opuscoli ussiti
e precisamente del De mandatis Dei e della Expositio super Pater
noster brevis scritti da Hus in carcere a Costanza e inseriti in tradu-
zione valdese, il primo parzialmente e il secondo integralmente, nel
Manuale teologico raccolto nel Manoscritto 208 di Ginevra. Aggiun-
go qui che i due opuscoli si ritrovano pure nel Libro appella trésor
e lumen de je contenuto nel C 22 di Dublino, il primo in frammenti
nei ff. 176 V-178 v°, il secondo ai ff. 261 r°-264 r°. La corrispondenza
tra il Manuale teologico del 208 di Ginevra e il Trésor e lumen de je
del C 22 di Dublino è concomitante con notevoli difiFerenze di strut-
tura delle due opere teologiche valdesi: può essere ottimo tema di
studio il confronto analitico di esse, ma posso già suggerire una con-
clusione. Il Manuale del 208 di Ginevra, che corrisponde al Libro
espositivo dei Maestri Valdesi italiani della fine del '400, secondo la
più volte ricordata testimonianza di Fra Samuele da Cassine, rivela
una struttura organica di dottrine risalenti all'Ussitismo degli anni
venti del secolo XV. Il Trésor dovrebbe invece essere una tarda com-
posizione, in cui entrano parti del 208 (tra cui quelle perdute sul di-
giuno e sull'elemosina, ai S. 264 i*-270 r" del C 22), come dimostra il
breve spazio concesso al Purgatori soyma rispetto all'ampiezza della
trattazione di tale argoménto nel Manuale teologico 208.
n. - Parte delle dottrine valdesi del 208 corrispondono a quelle
esposte nella cosiddetta Conjessio Taboritarum, presentazione di una
larga discussione tra Cattolici e Taboriti avvenuta nel 1431 e qual-
che tempo dopo narrata da Nicola di Pelhrimov, speaker in quell'in-
contro del gruppo taborita.
— 4 —
Le dottrine ussite e valdesi trovano pure una corrispondenza nel
pensiero di Nicola da Dresda, operante a Praga nel gruppo della Ro-
sa Nera dal 1412 fin verso il 1417. Poiché varie opere di Nicola sono
andate perdute, il confronto può essere fatto con una certa sicurezza
solo relativamente alla dottrina del Purgatorio. Già Sedlak aveva
messo in evidenza che in tale punto la Confessio Taboritarum dipen-
de dal De purgatorio del Dresdense (1), il quale però contro il pare-
re di tutta la storiografia deve essere ritenuto originale nelle sue con-
clusioni, e non Valdese o Valdesiano, data la sua partenza da un
netto predestinazionismo antivaldese (2). La dipendenza dal Dres-
dense della Confessio induce ad ammettere anche la dipendenza da
lui dei Maestri Valdesi la cui dottrina sul purgatorio corrisponde in
gran parte anche letteralmente a quella della Confessio. Ma sono le
differenze e le discordanze (3) a farmi pensare che tanto la Confessio
quanto il Purgatori soyma traggono origine da un manuale ussita,
probabilmente dello stesso Nicola di Pelhrimov, degli anni venti,
utilizzato dal Vescovo taborita nella sua polemica anticattolica, e
d'altra parte dai Maestri Valdesi per dare ossatura teologica alla
loro tradizione orale troppo schematica. Implicitamente, se l'ipotesi
può essere confermata, si prova la relativa antichità del Manuale
teologico del 208 di Ginevra, e del Libro espositivo ricordato da Sa-
muele da Cassine, e inoltre la priorità nel tempo del Manuale citato
rispetto al Trésor che riduce a una sola parte la trattazione del Pur-
gatori sovma. Ora ritengo che nel Manoscritto Dd XV 29 di Cambridge
si possa avere la conferma della mia ipotesi. Premesso che i Maestri
Valdesi scrivevano nella lingua d'uso del popolo e che i testi ussiti
a loro giungevano in latino, un frammento del manuale ussita sul
punto del purgatorio, letteralmente tradotto in valdese e present-^
nel Manuale del 208 di Ginevra, con differenze di organizzazione di
pensiero rispetto alla Confessio, lo troviamo nel citato manoscritto
di Cambridge ai ff. 203 v°-205 v°, qualche foglio prima di quelle pa-
gine scoperte da Amedeo Molnàr che non sono altro che una trascri-
zione di un lungo passo della Confessio dove si richiama il Cristiano
al dovere di attingere direttamente alla Scrittura contro le diverse e
contrastanti opinioni dei Dottori della Chiesa, come già Nicola ave-
va esortato nel De quadruplice missione, proposto in Valdese dai
Maestri ai fedeli discepoli. E dello stesso manuale ussita, a cui do-
veva appartenere il frammento del Purgatorio del manoscritto di
Cambridge, è probabilmente la breve indicazione che troviamo ne!
(1) Cfr. Jan Sedlak, Mikulàs z Drazdan. Brno 1914. p. 45.
(2) Ved. mio art. Predestinazione ed escatoligismo ussiti.... su questa Rivista, di-
cembre 1970. n. 128. Un'ampia analisi storiografica suirinterpretazione della figura di
Nicola da Dresda si ha in Howard Kaminsky. A History of the Hussite Revolution. Loi
Angeles 1967. al quale rimando, benché lo stesso Kaminsky proponga la tesi del val-
desianesimo di Nicola.
(3) Ved. mio art. cit. Appunti sulVUssitismo valdese in « Rivista di Storia e Lette-
ratura Religiosa », al quale rimando per tutto ciò che questo articolo dà come conosciu-
to o provato.
C 22 di Dublino dove si legge, al f. 176 r°-v°: « Lo es dubita si las
armas de li mort pon esser aiudas per li aiutori de li vie. E est vist
che non per doas raczons. E premierament car enaysa lo es dit:
2* Cor. 5 ca. Tuit nos coventa esser apresenta devant le seti de christ
che unchascun recepia las proprias cosas del cors la quals el fey.
Mas / a quellas cosas que son faitas per li vio non son cosas proprias
mas estraguas. Donca ellas non son aiudas. La segonda raczon est
che perfeitar a alcuna cosa es solament de li istant en la vita mas
home enapres la mort non son en la vita donc li aiutori non perfey-
tan alor. Johan. 5 di: Aquelh che feron ben avaren en resurrecion
de vita, mas aquelh que faron mal en resurrecion de iudici etcetera ».
È evidente la derivazione da un testo latino in cui il problema veni-
va posto sotto forma di questione scolastica, così come si apre il De
purgatorio di Nicola da Dresda nel Manoscritto D 52 della Biblioteca
Capitolare di Praga : « Utrum vivencium oracio vel alia pyetatis ope-
ra prosunt mortuis » (£. 21 r°). E nulla vieta di pensare che tale aper-
tura, evidente rimaneggiamento di un autore cattolico che presenta
solo parte del trattato del Dresdense giunto a noi mutilo, sia ispi-
rata a un inizio simile della parte mancante, di cui si ha eco nel testo
ussita che è alla base del frammento citato. Ma ora ritengo utile pre-
sentare la trascrizione del frammento di Cambridge a confronto con
la traduzione dei Maestri Valdesi.
Ms. Dd XV 29 di Cambridge
S. 203 v''-205 V-
Anime salvandorum sunt suo
tempore secundum dei ordinacio-
nem ab omnibus suis inquina-
mentis finaliter expurgande: pa-
tet ex ilio apoccalixis 21 Non in-
trabit in illa aliquid coninquina-
tum.
Fides scripture exprimit nobis
certos et diversos modos purgan-
di quibus in vita presenti viantes
purgantur a suis peccatis ut cor-
poribus exutis digne (sic) sunt
apperere (sic) in conspectum do-
mini.
Nunc per sermonem christi im-
plecionem. lohannes 15: lam vos
mundi estis per sermonem meum
Ms. 208 di Ginevra
ff. 96 V-98 v°
...las armas de li dever esser
salva, non satisfa czent enaquesta
vita per li lor pecca, son final-
ment desser purga de totas las
lor non mundicias segong/lordo-
namnet de dio en li lor temp.
Coma es dit enlapocalix 21 Alcu-
na cosa socza faczent abomina-
cion ni meczongia non intrare en
ley.
Nos supponem secundament
que la fe de lescriptura expon a
nos moti certans e divers modi
de purgar per li qual li viant en
la vita present son purga de le
lor pecca.
Alcuna vecz per misericordia e
per compliment de la parolla de
dio. Johan 15: Vos se ia mont
— 6 —
quain lo. Nunc per opera fidei et
pietatis. Prov. 15 : Per misericor-
diam et fidem purgantur peccata.
Nunc propter adversitatum to-
lerantiam. Ecc. us 27: Vasa figuli
probat fornax et homines iustos
temptacione tri/bullacionis.
Nunc per habundanciam cari-
tatis. Luce 7: Remittuntur ei
peccata quoniam dillexit mul-
tum. Nunc per iniurie proprie
remissionem. Mat. 6: Si enim di-
miseritis hominibus peccata eo-
rum, dimictet et vobis pater ve-
ster celestis peccata vestra.
Nunc per conversionem pecca-
toris ab eius via mala, jacobus
ultimo: Oui converti fecerit pec-
catorem ab errore vie sue, salvai
animam eius a morte et coliope-
rit nuiltitudinem peccatorum.
Nunc per penitenciam cum la-
vat peccator in lacrimis stractum
suum. Et fuerint ei lacrime sue
panem tlie ac nocte, exemplo da-
vid qui dicebat: lavabo per sin-
gulas nodes lectum meum lacri-
mis meis riirabo stractum meum.
Petrus enim dicit actus 1.5: Ni-
cliil decrevit inter nos et illos fi-
des purificans corda eorum. Pe-
trus inuit ibi fidem esse sufTicien-
tem ad purjrandum malos sine
per fe e per pietà, prov. 15: la
parolla laquai yo parley a vos.
Alcuna vecz per misericordia e
per fe e per pietà, prov. 15: Per
miserciordia e per £e son purga li
pecca. Alcuna vecz per almona.
Lue. XI: Dona almona de czo
cjue sobra a vos evevos totas co-
sas son mondas a vos. Tobias 22 :
Ella meseyma es laquai purga li
pecca.
Alcune vecz per suffrir tribula-
cion e adversitas. Ecc. us 27: Lo
fornais prova lo vaisel de la terra
e la temptacion de la tribulacion
prova lome iust. Prov. 15 : Coma
lor es prova e largent al fuoc.
enaysi dio prova li cor.
Alcuna vecz per habundanciam
de carità. Lue. 7: Moti pecca son
perdona a ley car ilh ame mot.
Alcuna vecz per perdonar la-
propias eniurias. Mat. 6: Si vos
perdonare a li omes li pecca de
lor, lo vostre paire celestial per-
donare a vos li vostre forfait.
Alcuna vecz per far convertir
lo percador de la soa mala via.
Jaco. 5: Aquel que fay convertir
lo peccador de larror de la soa
mala \ia, salva larma de luj de
mort e cuebre la iiiontecza de li
seo pecca.
Alcuna vecz per penitenciam.
cum lo peccador lava en lac rima-*
lo seo leit e las lacrimas son fai-
tas a luj pan per dia e per noit.
Coma david purificant se diczia:
Wo arosarpv lo meo l^it per sin-
gulars noit de las mias lacrima?.
E >ant Peirc en li art de li apo-
stol 15: E non descernic alcun;;
cosa entra nos e lor. purificant
per se li cor <le lor. Sant peirc
demostra aici la fe e>r.cr suffi-
— 7 —
omnibus extrinsecis addiumentis
ut preestensum est in latrone de-
stero qui credens et recogno-
scens peccatum suum statim di-
gnus fuit paradisso.
Alius modus purgandi sponse
cliristi per penitenciam tangitur
Y. a i ubi dominus dicit: lavami-
ni et mundi stote aufferte malum
cogitacionum vestrarum ab occu-
lis meis, quiescite agere perver-
se, (liscile bene facere. Et sequi-
tur: si fuerint peccata ut coci-
num, quasi nix dealbabuntur, et
si fuerint rubra quasi vermiculus
^elud lama alba erunt. Ubi do-
minus seipsum allegat vere se-
cundum modum ibi expressum
penitentibus. Quod et si enormia
peccata habuerint, quod dealbun-
tur velud nix. Alius modus pur-
ganrli tangitur in evangelio. Mat.
lercio, ubi dicitur: ipse nos bat-
lizabit in spiritu et igne. Cuius
ventilabrum in manu eius et per-
mundabit aream suam et congre-
gabit Irilicum in orreum suum.
Quod iohannes crisostomus expo-
nil de area presentis ecclesie et
de igne tribullacionis : ibi videa-
tur. Et non solum sic dominus
purgai aeram suam per tribuUa-
ciones yed per seipsum mondât
sponsam suam hic in presenti ec-
clesia ut testatur appostolus eph.
5: christus dilexit ecclesiam suam
et tradidit semetipsum pro ea ut
sanctificaret eam mundans eam
lacro ( = lavacro) aque in verbo
vite ut exbiberet ipse sibi glorio-
sam ecclesiam et non habentem
maculam aut rugam aut aliquid
liuius modi sed ut sit sanctam
et immaculatam, ubi appostolus
exprimit quod christus tam maxi-
me dilexit ecclesiam quod noluit
cient a purgar li mal senza autre
aiostament de fora. Coma es ma-
nifest del nifest del leyron istant
de la dextra lo qual cresent e re-
conoissent li seo pecca fo viacza-
ment degne del paradis.
Autre modo de purgar li pecca
en lesposa de christ es tocha en
W.a i: Lava vos/e sia munda,
hosla li mal de las vostras cogi-
tacions e de li meo olh repausa
vos de far perversament e enpre-
ne de far ben. E sensec: Si li vo-
stre epcca seren coma vermellion,
ilh seren enblanqueci coma neo.
E silh seren ros coma vermicz
ilh seren coma lana munda. Al
qual luoc lo segnor deinostra si
meseyme a li veray pentent li-
qual silh auren pecca sencza re-
gia que ilh seren enblanqueczi
coma neo. Antro modo de pur-
gar es tocha en sani Mal. 3: Lo
ventalh del qual es en la soa man
e mundare la soa aira e aiostare
lo froment al seo granier. La
qual parolla crisostomo expon
de laira de la gleisa present e del
fuoc de la tribulacion.
E non solament lo segnor mun-
da la soa aira per las tribula-
cions, mas munda la soa sposa
per si meseyme aici enaquista vi-
ta. Coma di sant paul Eph. 5:
christ ame enaysi la gleisa que el
liore si meseyme per ley que el
sanctifiques ley mundant ley cum
lavament daiga e cum parolla de
vita que el meseyme dones a si
gloriosa gleisa non bavent macu-
la ni ruga ni alcuna cosa da que-
sta maniera mas que ilh sia/san-
cta e nonsecza. Lapostel declaira
aici que christ ame tant grande-
ment la gleisa que el non vole
mondar lev cum alcun autre la-
vament si non cum lo seo propi
ipsam aliquo alio lavacro mundi-
ficare, nisi suo proprio sanguine
et non sic sufficienter ut rema-
neat aliquid immundicie, sed sic
gloriosam eam sibi exibuit ut
non habeat maculam neque ru-
gam sed ut sit sancta et immacn-
lata et non solum testimonium
hoc resonat in terris de mundifi-
cacione sufficienti sponsse christi
in sanguine eius sed eciam/testi-
monium est de celo eorum qui
actualiter consequti sunt illam
mundiciam.
De quibus scribitur: apoca-
lixis 7", ubi sic est dictum: Hii
sunt qui venerunt de tribullacio-
nibus magnis et lavaverunt stolas
suas et dealbaverunt in sanguine
agni. Jdeo sunt ante tronum agni
et serviunt ei. Ecce quod certi
modi purgandi viancium ex fide
scripture colliguntur quibus in
vita presenti viantes a suis pur-
gantur peccatis.
sang e non enaisi non sufficient
que la remagna alcuna non mun-
dicia mas que ilh sia sancta e non
socza. E aquest testimoni non so-
lament resona en terra del suffi-
cient mundament de lesposa de
crist al sang de lui mas certament
est testimonia al cel daquilh li
qual han cossegu actualmente
aquella mundicia.
De liqual es dit enlapocalLx:
Aquisti son li quai vengron de la
grant trubulacion e laveron las
lor vestimentas al sang de lagnel.
enperczo son devant lo seti de la-
gnel e servon a luj. Vevos quan-
ti certans e divers modi de pur-
gar son culhi per fe descriptura
per li qual li viant en la vita pre-
sent son purga de li lor pecca.
III. - Nella Confessio Taboritnriim, che è praticamente il ver-
bale steso da Nicola di Pelhrimov in cui leggiamo tutta la vivace di-
scussione avvenuta nel 1431 tra Taboriti guidati dallo stesso Nicola
e i Sacerdotes pragenses guidati da Giovanni Rokycana, il frammen-
to di Cambridge corrisponde quasi integralmente, salvo qualche
espressione in più, a due momenti:
Cambridge, ff. 203 \'*-204 r": « Anime salvandorum... rigabo strac-
tum meum »;
Conf. Taboritarum. Ms. 102 di Brno, ff. 10 r": « Anime salvando-
rum... stratum meum rigabo ».
Cambridge, ff. 204 r''-205 v°: « Petrus enim dicit... et serviunt ei »:
Conf. Taboritarum, Ms. 102 di Brno, ff. 41 v°-42 r": « Petrus enim
dicit... et serviunt ei ».
La conclusione del frammento di Cambridge: « Ecce quod certi
modi... a suis purgantur peccatis » (f. 203 v°). si trova nella Confes-
sio a conclusione della prima parte del frammento stesso, al f. 10 r°
del Ms. 102: « Ecce quot certi modi... a suis purgantur peccatis».
È indubbio che nel Sinodo del 1431 Nicola si serve nella polemica
immediata con Rokycana di una sua elaborazione delle tesi che ne-
gano il Purgatorio, probabilmente attingendo a un'opera già com-
posta ila lui in tempi precedenti, opera giunta ai Maestri Valdesi.
— 9 —
Quest'opera poteva essere in latino : i Maestri Valdesi non compone-
vano in latino, ma traducevano in volgare testi già noti, con qualche
adattamento. Il frammento di Cambridge può provare che l'opera a
cui esso appartiene era stata composta in latino. Tuttavia mi si per-
metta di fare almeno una debole ipotesi che il testo fosse stato com-
posto in cèco e poi tradotto in latino, e quindi in franco prov^zale.
Solo così si spiegherebbero due espressioni: « Et fuerint ei lacrime
sue panem die ac nocte », « sed ut sit sanctam et immaculatam » dove
gli accusativi possono essere un ingenuo adattamento latino del caso
strumentale della lingua ceca possibile in simili frasi. E ancora una
parola a conforto dell'ipotesi di una composizione teologica di Nicola
di Pelhrimov anche sul Purgatorio, precedente alla Confessio, com-
posizione da cui sarebbe tratto il frammento di Cambridge. Confron-
tiamo due passi :
Cambridge Dd XV-29, f. 205 i" Brno 102, f. 42 r»
« ...in verbo vite ut exiberet « ...in verbo vite ut exhiberet
ipse sibi gloriosam ecclesiam et sibi gloriosam ecclesiam, non ha-
non habentem maculam aut ru- bentem maculam aut rugam aut
gam aut aliquid huius modi sed aliquid huiusmodi. Sed ut sit
ut sit sanctam et immaculatam, sancta et immaculata. Et non so-
ubi appostolus exprimit quod lum testimonium hoc resonat... ».
christus tam maxime dilexit ec-
clesiam quod noluit ipsam ali-
quo alio lavacro mundifìcare ni-
si suo proprio sanguine et non
sic sufficienter ut remaneat ali-
quid immundicio sed sic glorio-
sam eam sibi exibuit ut non ha-
beat maculam neque rugam sed
ut sit sancta et immaculata. Et
non solum testimonium hoc re-
sonat... ».
La frase che manca nella Confessio « ubi appostolus exprimit...
neque rugam », è stata aggiunta da altra mano a pie' di pagina al
f. 42 r° del 102, con richiamo al punto in cui manca: si tratta della
tecnica comune ad anonimi lettori dei Codici di Praga, di aggiungere
ad opere di certi autori frammenti di loro precedenti simili lavori,
tralasciati nella nuova elaborazione. Chi conosceva il supposto pre-
cedente trattato di Nicola di Pelhrimov, ha voluto aggiungere la
frase mancante, che invece troviamo nel frammento di Cambridge
c!ie deve corrispondere alla prima opera del Vescovo Taborita.
IV. - Ci fu pure una traduzione in italiano dell'opera che trovia-
mo in franco-provenzale nel Ms. 208 di Ginevra. Ce ne informa Fra
Samuele da Cassine quando parla del Libro espositivo dei Valdesi,
che circola tra gli uomini di cultura italiani prima del 1510, probabil-
mente in stampa, dove il frammento di Cambridge trova il suo giù-
— 10 —
sto posto, come risulta dalla breve sintesi che lo stesso Francescano
fa nel suo De Stattt Ecclesie edito a Cuneo nel 1510, al. f . a 3 : « Multi-
fariam multisque modis potest anima purgari in hoc seculo dum vi-
vit: quibus modis potest deus tantam imprimere efficaciam quod ani-
ma penitus absolvitur a debito omnis pene: ergo non est danda tanta
pluralitas purgationum. Antecedens patet discurrendo per singula:
Purgat enim auditio verbi dei, purgai misericordia exhibita proximo,
purgat elemosina, purgat adversitas patienter tolerata, purgat ardor
caritatis, purgat remissio iniuriarum, purgat inductio alterius ad co:i-
versionem dei, purgat fletus pro peccatis, et ultra omnia hec dicit pe-
trus actuum 15: purificans fide corda eorum et item christus mor-
tuus est pro peccatis hominum: ergo sola fides iesu christi passi pro
hominibus ita mundantur anime in hac vita ut non sit opus alia mun-
dacione ».
V. - Il grande teorico della negazione del Purgatorio al quale at-
tingono i Taboriti è Nicola da Dresda, entusiasta discepolo del Cristo
evangelico, che dalla Germania era giunto a Praga, affascinato dal
mordente risveglio teologico ed etico della città dove condusse la sua
lotta tra il 1412 e il 1415. Nel rovente inizio di un religiosismo nazio-
nalista boemo, egli conserva il suo posto di missionario benché sia
un tedesco: non usa la lingua ceca che probabilmente non conosce,
ma è accettato come un apostolo del luogo e il popolo lo chiama Mi-
kulâs ze Czerrucz, Nicolaus de Rosa nigra (Cerna Ruze. abbreviato
in Cerruc) dal nome del Collegio in cui vive e in cui certamente in-
segna col gruppo di Dresda. Del resto anche il collega Pietro d;\
Dresda assume un epiteto simile, se in lui, come suggerisce Bartos (4).
dobbiamo vedere l'autore di opere filosofiche attribuite nel Ms. Vien-
nese 5242 al Mas^istrus Petrus Gerdcz quondam rector scolarum
Drtsdcn, e nel Ms. di Erfurt al Magistrus Petrus Gerii, Mag'strus
schole in Dressen scilicet in Misnn. Nella vicenda di trascrizioni di
un nome, incomprensibile per l'amanuense, è possibile risalire da
Gerii a Gerticz, e da questo Czerucz, vale a dire Ceruc.
Le notizie finora accertate dagli studiosi ci danno un Nicola che
giunge a Praga educato alla più alta scuola del Diritto Canonico, del
quale è perfetto conoscitore. Ma possiamo aggiungere anche una in-
formazione finora trascurata : Nicola si presenta in una polemica
contro un certo Rettore di scuole in Corbacli quale Rettore in Wil-
dungen. L'opera, conservata nel solo Manoscritto D 118 ilella Biblio-
teca Capitolare di Paga in codice cartaceo del sec. XV, ai ff. 1 r'-Sl v°.
è ricordata al n. 12 dell'elenco delle opere certe o probabili di Ni-
cola redatto dal Kaminsky nell'introduzione alla sua edizione delle
Tabule novi et veteris coloris e della Consuetudo et ritus primitive
ecclesie et moderne seti derivative (5). Si tratta di un elenco ohe per
(4) F. M. Bartos, Nove spisy Petra a Mikuldse z Dràzdón. in « Reformacni sbor-
nik » Vili (1946), pp. 66-67.
(5) Ho. Kaminsky e altri. Master Nicholas of Dresden ■ The Old Color and the
New, Filadelfia. 1965.
— Il-
io più è un rinvio ai precedenti lavori di Sediâk e di Bartos (6). Non
c'è mai stato uno studio approfondito di questa Replica di Nicola al
Rettore di Corbach ed è chiaro che l'importanza di alcune righe ai
fini della conoscenza di Nicola è stata trascurata. Il Maestro di
Dresda cita all'inizio la lettera che il Rettore di Corbach aveva a lui
mandata in risposta a una sua, di evidente carattere utraquista. Scri-
ve il Rettore di Corbach: « Visum est mihi rectorem pro tunc re-
gentem in Wildun-jen nonnullis perturbare (recte: perturbari) mo-
tivis sacris textualibus scripture rebellionem ritus consuetudinis que
îuperlaudabilis quibus obpujihare nilitur catholice nec non romane
militanti ecclesie una cum auctoritatibus apparentibus in reprobum
sensum adductis » (£. 1 r°). Sediâk interpreta quel « rectorem » co-
me riferito a mihi, cioè al Rettore di Corbach che doveva essere pas-
sato a Wildungen (7). Evidentemente c'è un testo alquanto oscuro,
elle tuttavia viene ampiamente chiarito dalla risposta di Nicola:
« ...Ex quibus auctoritatibus patet quod motiva textualia sacre scrip-
ture me non tiirbent, sicut prenominatus rector mihi imposuit, cum
id credo rum predictis doctoribus et sic ])atet vel patebit cuilibet fi-
deli preleL'enti qualiter intellino textum Nisi manducaritis etc. »
(f. 2 v"). ^
La persona rhe dovrebbe essere turbata è Nicola. Il testo della
lettera «lei Rettore di Corbach dovrebbe quindi essere letto in questa
forma: « Visum est mihi, Rectorem pro tunc regentem in Wildun-
gen perturbari nonnullis motivis sacris textualibus scripture, rebel-
lionem ritus etc. » (8). Almeno al tempo della risposta del Rettore di
Corbach Nicola era Rettore a Wildungen. città che come Corbach
apparteneva al Principato di Waldeck. E c'è un riferimento a un
trattato utraquistico sul tema del JSisi manducaveritis. Si potrebbe
forse pensare che Nicola si riferisca al Sisi manducaveritis della re-
plica contro l'antiutraquista predicatore Havli'k, del luglio-agosto
1415, ponendo cosi la replica contro il Rettore di Corbach dopo la
prima metà del 141. ï. vale a dire nel tempo dell'esodo da Praga di
Nicola, deluso dall'indirizzo non prettamente evangelico preso dal
movimento riformatore guidato da Jacobello, ora divenuto suo oppo-
sitore, e caduto sotto l'influenza della lega utraquista dei nobili che
aveva preso sicura consistenza nel settembre di quell'anno. Nicola si
sarebbe allora portato in Germania dove come Rettore di Wildungen
avrebbe tentato di introdurre l'utraquismo tra il clero e i fedeli te-
deschi. Ma non si può ammettere che il Maestro di Dresda si riferi-
sca al Nisi manducaveritis del 1415, poiché la Replica al Rettore di
(6) Op. cit., p. 28, alla quale rinvio per la bibliografia.
(7) Jan SedlÂK, Mikulâs z Dràzd'an. cit., p. 30. L'ipotesi è sempre stata accettata
a tutt'oggi dalla storiografia relativa a Nicola.
(8) A parte altri ragionamenti, è evidente che la soggettiva legala al visum nst
mihi ha bisogno di un suo soggetto all'accusativo, che può essere tro\ato solo in quel
Rectorem in Wildungen. cioè in Nicola da Dresda, che altrove dice: « Responileo et
nego me velie impugnare consvvetudines laudabiles (f. 2 v°)... Item Rector dicil :'Ue
velie oppugnare romane militanti ecclesie (f. 3 r") ».
— 12 —
Corbach, pur essentlo condotta sui tipici temi dei trattati di Nicola,
non contiene nessun accenno, solito nelle opere del Dresdense del
1415, al Concilio di Costanza o alla morte di Hus o suoi precedenti
trattati. Pertanto dobbiamo collocare la Replica in un periodo pre-
cedente al Concilio di Costanza, anzi ai primi anni dell'attività mis-
sionaria di Nicola, vale a dire attorno al 1412. D'altra parte è invero-
simile che Nicola ottenesse un Rettorato a Wildungen quando ormai
a Praga aveva apertamente manifestato il suo radicalismo evangelico.
Dobbiamo piuttosto pensare che tra il 1409 e il 1412 Nicola sia stato
a Wildungen dove, partendo da motivazioni interiori, indipendente-
mente da determinanti influssi valdesi o v^ryclifiti, dopo un suo possi-
bile soggiorno di studio a Praga lasciata con gli altri tedeschi dopo
il decreto di Kutna Horâ, iniziò il nuovo movimento evangelico fon-
dato sulla frequenza della mensa eucaristica con completa partecipa-
zione al rito (utraquismo). L'ostilità dell'ambiente lo indusse a ri-
prendere la strada di Praga dove il suo messaggio poteva essere me-
glio ascoltato, ma nel frattempo l'utraquismo tedesco si era diffuso,
come testimoniano i molti martiri del 1414 e del 1416 ricordati in
luoghi non lontani da Wildungen da cronache del tempo (9). E in
quei luoghi tornò Nicola dopo la delusione di Praga, subendo il mar-
tirio, come ci informa nel 1419 il predicatore popolare Giovanni Ze-
livsky (10) e come conferma un anonimo polemista cattolico della se-
conda metà del '400 il quale rispondendo al De purgatorio di Nico-
la, ci dice che il Dresdense « sanguinem suum fertur pro Chrlsto ef-
fudisse » (11), e suggerisce il 1417 come data del martirio.
VI. - Non si hanno, neanche in Hus, affermazioni di utraquismo
in Praga prima del 1414. D'altra parte tutta una tradizione di anti-
che cronache attribuisce ai Dresdensi (e si deve pensare a Nciola da
Dresda) il primo suggerimento dato a Jacobello perché imponesse
come necessità la comunione sotto le due specie tra gli aderenti, clero
e popolo, al movimento riformatore ussita (12). Il fatto che Nicola
fosse utraquista prima ancora di giungere, probabilmente per la se-
conda volta, a Praga conferma che a lui, e solo a lui si debba effetti-
vamente l'inizio di questo nuovo e significativo atteggiamento ussita
che ne doveva rappresentare per sempre la caratteristica principale:
e in questo senso dobbiamo accettare la riposta verità storica nasco-
(9) Ved. Lea-Hansen. Geschichte der Inquisition des Mittelarters II. 462-463. per
i martiti del 1416. e la cronaca del Vrie in Hardt. Concilium costantiense II. 127-131,
per i martiri del 1414 (le fonti sono citate in F. M. Bartos. Husitstvi a cizina. Praga
1931, nota 85, p. 141).
(10) Dochavand Kàzdni, ed. A. Molnar, Praga 1953. p. 127. Si tratta dell'unica
volta in tutta la letteratura ussita, in cui viene esplicitamente ricordato Nicola la cui
origine tedesca non poteva certo piacere agli stessi suoi seguaci radicali imbevuti di
nazionalismo boemo. Lo Zelivsky ricorda la Misnia come terra del martire, con evi-
dente riferimento a una generica terra tedesca.
(11) Ms. D 52 della Bibl. Capit. di Praga, f. 51 v".
(1) Tutte le parti di cronache boeme riferentisi ai Dresdensi sono citate e analizza-
te da Heinrich Boehmer in Magister Peter van Dresden. « Neues Archiv fur Sach-
sische Geschichte und Altertumskunde », XXVI (1915). pp. 212-231.
— 13 —
sta nelle cronache alle quali accennavo, anche se esplicitamente in
esse non si £a mai il nome di Nicola, confuso spesso col collega Pie-
tro. Del resto anche una variante della stessa Cronaca di Lorenzo di
Brezov, profondamente legata al nazionalismo ceco, parla del solo
maestro Pietro di Dresda come di colui al quale miracolosamente fu
rivelata la necessità del ritorno alla pratica utraquista, « unde ma-
gistri Pragenses eidem consencientes istas scripturas college-
runt... » (13). E Nicola stesso ci informa nella Replica al Rettore di
Corbach della sua iniziativa utraquista, quando a Praga il movimen-
to riformatore era ancor fermo alla tradizione eucaristica di Matteo
di Cracovia, di Mattia di Janov, di Giovanni di Marienwerder, di Ge-
rardo Groot che nel lardo '300 furono attivi in Praga, ma soprattutto
del boemo Mattia di Janov, tutti tenaci sostenitori della comunione
frequente, se non quotidiana. Nicola scrive: « Item Rector dicit me
velie laborare ad hoc ut voleam (sic) optineri tantum, scilicet comu-
nicari sub ambabus speciebus laycos » (14). È evidente che la frase
attribuisce al Dresdense una diretta azione su un ambiente ancor
chiuso al problema: e l'ambiente è quello tedesco, dove egli è pre-
sente prima della partenza per Praga. Non si può quindi riferire
l'espressione a un Nicola operante a Praga ormai aperta all'iniziati-
va nel 1415, secondo la data suggerita da Kaminsky (15) e le ipotesi
di Sedlàk e Bartos (15).
Ancora leggiamo: « Item rector dicit quod talia forsitan feci in
clericorum confusionem... quia male faciam vel feci videlicet insti-
gando laycos contra clerum quoad clerici communicarent laycos sub
ambabus speciebus secundum mandatum domini » (16).
Nicola ammette di essere responsabile dell'iniziativa, motivata
con le argomentazioni comuni ai suoi trattati eucaristici scritti nei
primi tempi del Concilio di Costanza, ma nega energicamente di vo-
ler suscitare discordie tra i fedeli: « Tunc concedo quod male face-
rem si discordiam vellem suscitare inter fidèles sive clerici sive
layci » (17).
VII. - La struttura teologica del Valdismo italiano, così come ap-
pare dai frammenti del Libro espositivo (18) dell'ultimo '400, chia-
ramente rivela una dipendenza dalla teologia sociale di Nicola da
Dresda, gelosamente seguita con fedeltà viva nonostante le sovrappo-
sizioni successive a Nicola del taborismo politico e dell'evangelismo
dei Fratelli dell'Unità certamente noti ai Maestri Valdesi. È bene
quindi avvicinarci all'ecclesiologia e alla dottrina sacramentaria di
Nicola che già è chiaramente delineata nella Replica al Rettore di
Corbach.
(13) Fontes Rerum Bohemicarum. V.,
(14) Ms. D 118, i. 6 r°.
(15) Ho. Kaminsky. Master Nicholas.
(16) Ms. D 118. f. 6 r°-v".
(17) /. cit.
(18) I frammenti sono stati pubblicati
sitismo valdese, cit.
nota alla pagina 329.
cit., p. 31.
in ordine nel mio articolo Appunti sull'Ls-
— 14 —
Nicola si sofferma in essa su alcune considerazioni sulla Chiesa
Romana, mentre da una parte ne nega Tinfallibilità dicendo: « Judi-
cium autem ecclesie nonnunquam opinionem sequitur » (19), d'altra
parte fa della Chiesa Romana un Istituto fuori dei valori spaziali e
gerarchici quando afferma: « Ubicumque sunt sancti in caritate Chri-
sti congregati ibi est romana ecclesia » (20). L'equivocità dell'uso del
termine « romana » perde ogni carattere di confusione per farsi sem-
plice distinzione di uso, se leggiamo i precisi riferimenti di Nicola
alla sede romana del primo Vescovo Pietro: « Est ergo prima apo-
stoli petri sedes romana ecclesia, non habens maculam ncque rugam
nec aliquid huiusmodi ut XXI di. quamvis... Tu es Ptrus etc., quia
ab ipso incepit vera confessio et cogniccio fidei et veritatis quando
dixit : tu es Christus filius Dei vivi. Eciam possumus intelligere quod
sedes apostolica non est auferenda a Roma nisi quod qui dicit se te-
nere sedem et locum apostolorum, eciam tenere debet vitam et con-
versacionem illorum et fìdem quam racione predicavit et precipue
sanctus petrus et paulus ut dicitur XXV d. Ili » (21).
Nicola crede quindi a una localizzazione della Chiesa spirituale,
a una sua gerarchia, purché si conservi a questa Chiesa quel suo ca-
rattere che egli puntualizza attraverso a una definizione della Chiesa
colta in una glossa di Nicola da Lira ai Maccabei : « (Ecclesia con-
sistit) in illis in quibus est vera cogniccio et confessio fidei et veritatis,
et non in hominibus racione potestatis sive dignitatis ecclesiastice
sive secularis » (22).
A differenza delle concezioni ecclesiologiche di Hus e di Jacobel-
lo, ma anticipando molto di ciò che diranno Chelcicky e Luca da
Praga (23), Nicola afferma l'idea di una Chiesa vista come fatto uma-
no (conoscenza) che manifesta nell'ordine sociale (confessione) un
fatto spirituale (la fede e la verità). E c'è l'esclusione di ogni inte-
resse mondano (civile ed ecclesiastico) in questa concezione che non
ha nulla di wyclifita. Il pensiero di Nicola non era poi altro che l'ap-
profondimento del Concetto di Chiesa che troviamo in Federico Ep-
pinge. Maestro di Nicola e aperto sostenitore con Hus del primo
wyclifismo praghese: « Societas ipsorum sanctorum secundum Augu-
stinum, prout ecclesia sanctorum, et solum talium est unum corpus
Christi misticum, cuius caput est Christus. In qua ecclesia seu com-
munitate fidelium talis est et tanta unio, quod quodlibet membrum
eius sit particeps omnium honorum, que fiunt in ecclesia, et tota
ecclesia in nullo bono a singulis membris dividatur, nisi sit membrum
(19) Ms. D 118, £. 9 v'.
(20) Ms. D 118, t. 12 i".
(21) Ms. cit., {. 4 r*.
(22) Ms. cit. ff. 3 v''-4 T°.
(23) Le teorie ecclesiologiche di Hus, Jacobello, Rokycana. Chelcicky e Luca da
Praga sono state esaminate da Paul de Vooght nel suo articolo La notion d'Eglise-<is-
semblée des prédestinés dans la théologie hussite primitive, in « Communio viatorum »
XIII (1970), pp. 119-136. Manca ogni accenno a Federico Eppinge e a Nicola da
Dresda il cui pensiero è fondamentale, più di quello di Hus, nello sviluppo dell'ideolo-
gia ussita soprattutto presso i taborìti.
— 15 —
per peccatum mortuum et abscissum » (24). Un simile atteggiamento
ecclesiologico sarà accolto fiai Maestri Valdesi nel cui Manuale teolo-
gico, il Libro Espositivo di cui parla Fra Samuele da Cassine, ap-
paiono in essenza e anche con contesto testuale le idee di Nicola, evi-
dentemente preferite a quelle di altri ideologi ussiti, anche se non
si accetta il suo predestinazionismo.
Vili. - La Chiesa di Nicola è semplicemente la Chiesa dei Sal-
vati (Chiesa trionfante) e dei Salvandi (Chiesa Militante): e questi
hanno già in sé la manifestazione della predestinazione in quanto
relezione da parte di I>io implica il dono della grazia e della gloria.
Anche se non c'è certezza della propria situazione esistenziale in rap-
porto al disegno di Dio, l'impegno a una vita nella carità è il dovere
primo del cristiano perché possa corrispondere alla decisione divina
nei suoi confronti, se essa c'è stata. E la persecuzione e la sofferenza
fanno parte essenziale della elezione. Sono evidenti in questi accen-
ni, documentati nei miei studi precedenti, le radicali differenze tra la
ideologia ecclesiologica di Nicola e quella dei predecessori e contem-
poranei : ed è anche evidente come a Nicola si ispiri quella parte del
radicalismo taborita e dei Fratelli dell'Unità che attuano una comu-
nità cristiana di predestinati, impegnati in ampie aperture sociali
che vanno fino a un comunismo integrale col rifiuto di ogni gerarchia
civile od ecclesiastica (25). E la dipendenza da Nicola è viva nello
stesso uso del termine « salvandi » che entra nella produzione lette-
raria di Nicola di Pelhrimov, Maestro Taborita, e dei Maestri Val-
desi, in sostituzione dell'equivoco « predestinati » che nella storia
del linguaggio teologico assume il significato di chi, pur vivendo nel
peccato mortale e quindi fuori della Comunione della Chiesa, sarà
salvato. Nicola rifiuta questa interpretazione della predestinazione, e
anche l'uso della parola che compare solo in qualche citazione di
glosse o di passi di teologi. Egli insiste nel concetto che essere nella
Chiesa significa « confessare la fede e la verità ».
Nell'Apologia, qualche anno più tardi della Replica al rettore di
Corbach, scrive ancora: « Ecclesia Christi non consistit in hominibus
ratione potestatis vel dignitatis ecclesistice vel secularis, quia multi
principes et summi pontifices et alii inferiores inventi sunt apostatas-
se a fide, propter quod ecclesiam (sic) cnosistit in illis personis qui-
bus est noticia et vera confessio fidei et veritatis » (26). È una para-
frasi della definizione di Nicola da Lira, già ricordata, e, sempre
attingendo allo stesso esegeta Francescano, Nicola da Dresda precisa
il sÌ!inificato di « veritas » nel Nisi Manducaveritis : « lex nova re-
spectu veteris dicitur veritas... dicitur eciam gratia » (27). La men-
(24) Jo. Hus (recte Jacobellus), Tractatus responsivus, Praga 1927, p. 103.
(25) In attesa di una storia del Taborismo studiato nel suo evolversi ideologico e
sociale, e non solo militare e politico, storia che ancora manca e che forse avremo pre-
sto in edizione francese a cura di uno studioso ceco, si vedano le sempre utili annota-
zioni sul comunismo taborita con radice programmatiche anarchiche in Friedrich von
Bezold, Kdèiinàm husitsvi: kulturné historickd studia, Praga 1904, passim.
(26) Ms. IV G 15 Bib. Un. Praga, f. 191 v°.
(27) Ms. IV G 1.5. cit., f. 149 r°.
— 16 —
talità tipicamente giuridica di Nicola lo porta a trovare alla radice
dell'essenza della Chiesa una « legge » che è la vita nella grazia, che
si esplica in un rapporto con Dio e in una manifestazione sociale
nella libera aderenza al dettato della coscienza (la lex privata con-
trapposta alla publica e a questa superiore, come ho detto in studi
precedenti), dettato suggerito dall'adesione personale alla Scrittura
attraverso il lume dello Spirito Santo. Riferendosi a una glossa al-
l'Apocalisse, Nicola risponde a un certo momento al Rettore di Cor-
bach che lo ha praticamente accusato di eresia : « Respondeo quod
ille allegat sacram scripturam in reprobum sensum quicumque aliter
scripturam intelligit quam consensus spiritus sancii flagitat, a qua
scriptura est, et talis hereticus appellari potest, et in hanc insipien-
ciam cadunt qui cum ad cognoscendam veritatem aliquo impendiun-
tur abscuro (sic), non ad propheticas voces, non ad apostolicas litte-
ras nec non ad evangelicas auctoritates, sed ad se ipsos recurrunt, et
ideo magistri erroris existunt; quia veritatis discipuli non fue-
runt » (28). La dottrina, cauta ma precisa, del rapporto personale
con la Scrittura, è ripresa dai Taboriti (29) e dai Valdesi che in que-
sto dipendono chiaramente da Nicola. Ci può essere in questo rap-
porto personale con la Scrittura anche la mediazione dei più quotati
espositori, purché in loro non ci sia contraddizione con il complesso
dei Testi sacri. Nicola, che compone le sue opere come un tessuto
di citazioni e del Diritto Canonico e di glosse al Diritto e alla Bibbia,
e di testi di Padri o Dottori della Chiesa, ci offre l'esempio pratico
di questo prudente uso degli « espositori » che a volte, come egli
stesso dice nel De Purgatorio citando una glossa a Matteo : « Spiritus
sanctus non tetigit semper corda expositorum » (30). Ma di questo
parla ampiamente nel De Quadruplice missione, l'opera che certa-
mente per i suoi richiami alla lex privata e alla libertà interiore del
cristiano e alla fedeltà alla Scrittura al di là delle interpretazioni er-
rate di dottori o di consuetudini, è stata in gran parte offerta dai
Maestri Valdesi in traduzione franco-provenzale alla lettura dei di-
scepoli. E Nicola sa criticare lo stesso Nicola da Lira, e anche San
Tommaso che pure utilizza ampiamente, quando sostituiscono a sane
e legittime interpretazioni le proprie idee personali, come si vede
per esempio nella Replica. E nella stessa leggiamo questo appunto a
San Tommaso: « Notum est quod (Thomas) loquitur probabiliter se-
cundum suam scholasticam opinionem, non dimostrans hoc ex soli-
dis scripturis ncque efficacibus racionibus, et sic non sedet in cathe-
dra moysi, quia sua docet et non sicut Christus instituit » (32).
IX. - La vita nella fede e nella verità della grazia implica in Ni-,
cola la liberazione da tutte le consuetudini contrarie alla Scrittura.
(28) Ms. D 118. cit., f. 4 r°.
(29) Cfr. F. Bezold. cit. p. 28.
(30) Ms. Ill G « B. U. P., f. 48 v"
(31) Ms. D 118. {. 40 v°.
(32) Ms. D 118. f. 36 r°.
— 17 —
Egli ha già affermato nel De quadruplice missione e nei Puncta che
la lex privata, la legge della coscienza, è superiore a quella pubblica:
questa inlatti, anche se fondata sulla ragione, può aver valore solo
nel tempo. Nicola ricorre a Giovanni Andrea e all'Ostiense per chia-
rire il suo concetto di « ius positum », quando scrive: « Non recur-
rimus ad fabulas, exempla vel mendicata suffragia, nec ad ius posi-
tum, quod ponitur et deponitur, in quo est sepe pro racione volun-
tas, sed ad ius divinum et impermutabile » (33). L'annotazione ri-
torna alla p. 17 dell'edizione del Processus conci storialis martyris
Joannis Hus, edito da Otto Brunfels nel 1524-1525 con il De Victoria
Christi, su manoscritto ora perduto. Nicola, pur con un sereno lin-
guaggio, contesta in pieno la validità assoluta del « ius positum »,
anche se fondato sulla ragione, come dovrebbe essere ma non è sem-
pre, in quanto dipende a volte solo dalla volontà o meglio dal capric-
cio del legislatore. In fondo il Processus può essere considerato una
aperta accusa a questo diritto pubblico, nel cui nome si commettono
le peggiori infamie, come la condanna di Hus. E si può ora tranquil-
lamente considerare il Processus opera autentica di Nicola, mentre
nell'elenco del Kaminsky è posta tra quelle dubbie. Esso corrispon-
de infatti al tema centrale dell'apologia, che anticipa lo svolgimento
del Processus pur senza nominare Hus (34). In essa leggiamo: « lu-
stum tamen et innocentem petebant crucifigi et barabbam dimitti,
latronem insignem » (35). Nel De Purgatorio (36) Hus è contrappo-
stosto a Giovanni XXIII, riconosciuto dallo stesso Concilio di Costan-
za come l'essenza stessa dell'infamia, un « dyabolus incamatus » (37).
E si accenna al fatto: « ...quasi barabbas latro dimitteretur », mentre
« magistrum Johannem Hus... condemnarunt et patrem eorum sanctis-
simum... deposuerunt et quasi meretricem apokalitpticam denudave-
runt carnes eius... igne concremantes » (38).
La contrapposizione delle due immagini, Hus e Barabba, creata
da Nicola, suggerirà un analogo motivo ai Baroni di Boemia nella
loro lettera di protesta contro la morte di Hus, come si legge nel te-
sto pubblicato da Sedlak (39). Ma il momento in cui lo stesso Nicola
fa esplicito riferimento al Processus è quando neìV Apologia accenna
alla consegna del Giusto all'Autorità civile da parte della Chiesa per
l'esecuzione capitale: « Sic dicunt nunc: domine potestas, iste est de
foro vestro et ecclesia non habet ultra quid faciat, ideo per secula-
rem comprimendus est potestatem, ut patet in processu decretalium
et costitutionum papalium, de quibus longum esset ponere. Lacius
tamen infra patebit cum videbimus de processu eorum ipsorum » (40).
(33) Apologia, Ms. IV G 15, f. 213 r°.
(34) Ms. IV G 15, ff. 177 v°, 179 v».
(35) Ms. cit., f. 179 r°.
(36) Ms. /// G 8, f. 69 v°.
(37) Ms. cit. f. 65 v°.
(38) Ms. /;/ G 8, f. 65 v°.
(39) In «Hlidka», XVIII (1911), p. 324.
(40) Ms. IV G 15, f. 179 v°.
2
— 18 —
Alla pa<i;ìna 22 dell'edizione del Processus lejtgiamo lo stesso motivo
e si può pensare che Nicola nelV Apologia si riferisce veramente solo
al Processus, anche se nell'ultima parte di essa ci sono pure riferi-
menti precisi al Concilio di Costanza, come la condanna di Giovan-
ni XXIII (41) con allusioni simili a quelle viste nel De purgatorio, e
come la citazione di gran parte del Decreto antiutraquista del Conci-
lio del 15 giugno 1415 (42). Ma non si ha lo svolgimento del processo
di Hus: e si può quindi pensare che il testo del manoscritto perduto,
edito dal Brunfels, seguisse immediatamente nella stesura originale
V Apologia, come suggerisce quel richiamo « infra patebit ».
X. - Nicola vede la causa maggiore del prepotere della legge
umana su quella divina nella formazione di consuetudini che acqui-
stano forza di legge pur essendo contrarie alla « verità ». Possiamo
prender uno dei tanti passi in cui il Maestro di Dresda espone il suo
pensiero sulla « consuetudine » per verificarne valore e limiti, attin-
gendo alle solite fonti.
« ...nec valet si allegatur consuetudinem non esse, quia pociii*
corruptela est dicenda, quia in hiis de quibus nil certi stauit divina
scriptura, mos populi dei et instituta maiorum pro lege tenenda
sunt. XI <li. In hiis. Conswetudo est quoddam ius scriptum moribus
institutum quod pro lege suscipitur cum deficit lex. I di. Conswe-
tudo. Veritate autem manifestata, cedat conswetudo veritati. Nemo
conswetudinem racioni et veritati preponat, quia conswetudinem ra-
cio et Veritas semper excludunt. Aug. \ III de veritate. Quelibet con-
swetudo... » (43).
« In hiis rebus in quibus nil certi statuit divina scriptura. mos
populi dei et instituta maiorum pro lege tenenda sunt. Aug. XI di.
In hiis...
Sed planum est hie esse scripturam. Non dixit ergo Christus Ihe-
sus; ego sum conswetuilo; sed dixit: ego sum Veritas. Ideo dixit: Ve-
ritas liberabit vos et omnis qui ex veritate ipsam audit. Debemus er-
go esse predicatores, doctores veritatum, non conswetudinem talium
que pocius dicenda sunt corruptele, quia diuturnitas temporis pec-
catum non minuit sed auget » (44).
Già nella Replica al Rettore di Corbach Nicola aveva precisato
negli stessi termini (45) quel suo pensiero ricorrente in quasi tutte le
sue opere. Per Nicola è chiaro che la consuetudine si fa legge, quan-
do la Scrittura tace, purché essa si formi come uso e costume del po-
polo di Dio. Si tratta allora di una semplice manifestazione di vita
della Chiesa dei salvandi, al di fuori di ogni interessata interferenza
»li autorità civili ed ecclesastiche. Il legislatore non può quindi creare
una consuetudine, anche se non contraria alla 'egge. Per Nicola il po-
polo, visto come Chiesa di Dio, acquista potere legiferante alla pari
(41) Ms. cit.. ff. 185, v" - 186 r°.
(42) Ms. cit.. ff. 187 v° - 188 v".
(43) Sermo ad clerum de materia sangtvinis. Ms. IV G 15. f. 208 r".
(44) Sermo cit.. Ms. cit.. f. 208 v".
(45) Ms. D US. f. 2 v".
— 19 —
(]'i Dio: perché accanto alla legge <livina stanno la legge privata <lel
singolo ispirato da Dio e la consuetudine come legge creata dal
I»o|)olo.
In sottordine e non sempre valida è la legge pubblica, il « jus
pusituni ». Nelle brevi annotazioni De iure et eius divisione che ci
sono rimaste di Nicola abbiamo una sintesi di questa dottrina: « lus...
est fluplex: humanum et divinum. Jus divinum est quod constat ex
natura et in lege vai in ewangelio continetur vel scribitur. Jus huma-
num est illud quod est humanitus inventum. Jus naturale est quod
aput onines homines est idem » (46). Il diritto naturale viene a coin-
cidere quindi con il diritto divino: e questo diritto è la fonte della
legge divina, contrapposta alla legge umana che ha origine nel co-
stume: « Lex duplex, humana et divina. Lex humana est constitucio
scripta ex moribus vel ex conswetudine. Lex divina est régula infalli-
bilis, directiva, racionalis creature, ergo summum principium « (47).
E di ogni legislazione è l'impegno a seguire la Scrittura, la legge di-
vina, poiché « ubi Christus fundamentum non est, nullius boni tunc
existit edificium » (48). E la cultura giuridica deve rispettare questo
ordine della società, senza né aggiungere né togliere nulla « quia
omnis doctor est servus legis, qui neque supra legem addere potest
aliquìd de suo sensu neque subtrahere aliquid secundum proprium
intellectum » (49). La Chiesa degli uomini si è invece strutturata nel-
le false consuetudini divenute leggi in nome delle quali si condanna-
no i giusti. Nicola vede lo stesso Cristo presentarsi al Concilio di Co-
stanza che lo giudica eretico : « Posito ergo pro possibili ut veniat
Christus cum sua ecclesia primitiva in medium Concilii Constancien-
sis, cum vita sua apostolica et praxi ewangelica, et dicat ibi turbis si-
cut in Capharnaum..., putasne habebit audienciam et locum, rebus
stantibus ut nunc gravate essent? Ymmo videtur quod non abirent
retro sicut isti in Capharnaum scandalisati abierunt, et secundum
condemnacionem eorum hereticarent et condempnarent, dicentes non
esse eorum conswetudinem » (50).
XI. - Il discorso sulla consuetudine falsa opposta alla legge di
Cristo porta Nicola alla presentazione del Criterio che dobbiamo se-
guire onde eliminare le errate usanze: occorre imitare Cristo. Ho
già avuto modo di sottolineare nello studio suWUssitismo piemontese
l'importanza che Nicola dà a questo tema. Nel Sermo ad derum de
materia sanguinis insiste su di esso, esortando i prelati ad attenersi
alle disposizioni e all'esempio di Cristo, contro ogni paura di novità,
e ammonendo i fedeli a guardare direttamente a Cristo, al di là delle
mistificazioni della gerarchia ecclesiastica: « Possit dubitari in pre-
latis quia non est conswetudo vel inde videtur oriri scandalum sive ti-
metur de scandalo fideli (sic) populi sic recipere, prohibentibus sci-
(46) Ms. Ill G 16, B.U.P., f. 128 r°.
(47) Ms. cit., î. cit.
(48) Ms. cit., f. cit.
(49) Replica, Ms. D 118. f. 5 v°.
(50) .Apologia. Ms. IV G 15. f. 178 r".
— 20 —
licet sub utraque forma sit obediendum. Ad quod potest dici quod
interiora naturaliter imitantur superiora et in hoc consistet perfeccio
eorum. Primum autem verum exemplar imitacionis est Filius Dei:
Job. P. Omnia per ipsum facta sunt. Propter quod omnium perfeccio
consistit in imitacione huius exemplaris. Et quia non poterat a nobis
videri in sua deitate, factus est bomo ut nobis preberet exemplar vi-
sibile. Et sicut deitatis eius exemplar imitantur, primo angeli, et 2°
celere creature, sic exemplar humanitatis, primo prelatis ecclesie
proponitur ad imitandum... Et patet supra 2°, prelati Christo, exem-
pio informati proponuntur fidelibus in exemplum... Et ex hoc patet
quod subditi non tenerentur prelatis obedire in quantum deviant a
Christo, quia lex superioris pro inferiore tolli non potest » (51).
Nicola vive lo spirito della devocio moderna con la sua caratte-
ristica mentalità giuridica: e le sue conclusioni relative al rapporto
dei fedeli con la gerarchia, solidamente mativate, entreranno nel-
l'ideologia taborita e sosterranno l'ultimo Valdismo italiano nella
fedeltà alle origini, che è imitazione genuina del Cristo evangelico
contrapposto al Cristo costantiniano. Nicola richiama a questo dover?
nel Nisi Nanducaveritis, quando ricorda con un riferimento ad Al-
berto Magno che poi ritroviamo nel De Cerimomis di Jacobel-
lo (52) le parole dell'istituzione eucaristica che « peroptime salvator
et institutor et auctor huius sacramenti Christus Ihesus facto suo
et accione sua que est nostra instruccio glozavit ».
Il tema ritorna nell'anonimo trattato eucaristico che troviamo
tanto nel Ms. Ili G 28 quanto nel Ms. IV G 15 sempre della Biblio-
teca Universitaria di Praga, a seguito del Sermo ad clerum de mate-
ria sanguis (III G 28, ff. 179 r"-190 r"; IV G 15, ff. 213 V-226 v°).
Vi leggiamo, al f. 222 r° del secondo Manoscritto: « Cum ergo omnis
Christi accio nostra est instruccio... », nel tipico inizio di discorso
di altri momenti delle opere di Nicola. Ora l'anonimo trattato ri-
prende i punti del Sermo riducendoli in forma scolastica di « obie-
ciones et responsiones », con qualche ampliamento di riferimenti
biblici, patristici o di Diritto Canonico.
Si tratta probabilmente di una rielaborazione dello stesso Nicola
e pertanto è legittimo aggiungere questo lavoro nell'elenco della pro-
duzione letteraria del Maestro di Dresda. Partendo da San Tomma-
so, come nel Sermo (con l'Incipit: « Thomas 2* parte summe sue.. »)
Nicola conclude con l'annotazione dell'explicit : « Hec omnia de ver-
bo ad verbum ex tractatu ubi supra breviter sunt collecta ».
In questi Collecta appare fermo e deciso il tipico atteggiamento
antiscolastico di Nicola che già nella Replica al Rettore di Corbach
aveva affermato « dyalectica deo non placuit », aggiungendo: « igno-
rancia loyce facit hominem errare, cuius oppositum faciliter potest
sustineri ». Anche nel De purgatorio, come nel De qiidrupUci' mis-
(51) Ms. IV G 15. f. 212 r° - v°.
(52) Ed. J. Sedlâk, Studie a text\. II. pp. 151 e 158.
(53) Ms. IV G 15. f. 152 v°.
(54) Ms. D 118. f. 41 v°.
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sione si era scagliato contro le aberrazioni «Iella « logica » che pre-
tende di chiarire o interpretare la Srcittura o la legge divina. Nei
Collecta, commentando Amos II: 1-6, l'Autore scrive: « Moab enim
ex patre (dyabulo) interpretatur et significat eos qui quoad perfìdiam
sunt ex parte dyaboli, qui omnia philozophiciis racionibus volunt di-
scutere... fidem que supra intellectum et racionem est, ipsi sub ra-
cione supprimere intendunt... fidem sub intellectu et racione pone-
re nituntur. Dicit Gregorius: quod fides non habet meritum ubi hu-
mana raccio probet experimentum » (55). Nicola vede nella « sco-
lastica » un tentativo di corruzione della fede che opera in spazi
non accessibili alla ragione come riafferma all'inizio dei Puncta pre-
sentando i caratteri di tssa (56). Ed è nello stile di Nicola evitare
avventure razzionalizzanti nel campo dei dogmi. A proposito delle
nuove teorie donatiste sul potere consacratorio dei preti simoniaci,
egli si limita ad affermare: « Et quod sit de symoniacis, qui lepram
recipiunt in ordinaccionem et malediccionem secundum Ambrosium,
an confìciant vel non, relinquo iudicio superiorum meorum, sed uti-
que nichil dat quod non habet » (57).
Meglio appare il suo atteggiamento quando parla della tran-
sustanziazione. Nei Collecta, dopo la sommaria esposizione di tale
teoria scolastica, si dice : « Hec est fides catholica in locuccionibus
istis et ideo hec verba a nobis dicta caute et fideliter sunt tenen-
da » (58).
E la fede cautelata di Nicola nella transustanziazione, la cui
teoria entra accettata nell'apparato dell'^poZogia attraverso a una
glossa di Bartolomeo di Brescia (59), risulta evidente nel Sermo ad
clerum in cui leggiamo: « In presenti ergo collacione si contigit me
loqui de pane, de forma, de speciebus, in hoc peto me non habere
suspectum quasi vellem illam vel illam amplecti opinionem sed islam
fateor me tenere quam apostolica ecclesia et Veritas tenent et am-
plectuntur. De corpore Christi très sunt opiniones. Una dicit quod
illa substancia que prius fuit panis et vinum postea sit corpus et
sanguis Christi... Secunda tenet quod substancia panis et vini desinit
esse et tantum accidencia ipsarum immanent, scilicet sapor et color
et pondus et sub illis accidentibus est Corpus Christi... Tercia dicit
quod remanet substancia panis et vini et in eo loco et sub ea specie
est Corpus Christi... » (60). Nicola si riferisce a una glossa alle De-
cretales Greg. L. Ili, tit. XLI, c. 6 (Friedburg, coli. 636-639). Al-
l'osservazione della glossa che la seconda teoria (quella accettata
dalla tradizione romana) « approbatur », annota : « Forte melius di-
(55) Ms. IV G EL, ff. 224 v" - 225 v°.
(56) Ms. TV G 15, f. 1 r" - v°.
(57) Sermo ad clerum, Ms. IV G 15, f. 202 v".
(58) Ms. cit., i. 224 v°.
(59) Ms. cit., f. 168 v". Kaminsky pensa che l'omissione di un « transsubstantiatur »
finale della glossa da parte di Nicola sia « interesting n. Ma il termine è implicito, per-
ché presente nella frase precedente (Kaminkt, A. history, cit. p. 108, n. 33).
(60) Ms. IV G 15, f. 200 x'.
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ceret quod prima approbatur ibi, quia ibi loquitur de transubstan-
ciacione cum dicitur: una est vero fidelium ecclesia universalis extra
quam nullus omnino salvatur, in qua idem sacerdos, ipse est sacrifi-
cium ihesus cliristus, cuius corpus et sangwis in sacramento altaris
sub speciebus panis et vini veraciter continetur, transub-^tanciatis
pane in corpus et vino in sangwinem potestate divina » (61). Non è
chiaro se Nicola sia per una transustanziazione sic et simpliciter,
senza la mediazione della toria scolastica di sostanza e accidenti che
per sé non è nello spirito della Scrittura. Certamente egli non è ri-
manentista e al f. 201 v° sempre del Sernio ad cletum accetta una
glossa di Lira in cui si parla in questi termini del sacramento euca-
ristico: « scilicet sub duplici specie institutum, scilicet panis et vini
quia panis convertitur in corpus Christi et vinum in sangwinem, et
iste conversiones sunt separatim ». Ma di fatto a Nicola interessa uni-
camente la fede nella presenza reale di Cristo, come appare nella
sbrigativa conclusione della citazione della glossa: « Hec Bernhardus
et Johannes ibi. Et sic quelibet istarum dicit ibi esse corpus Chri-
sti » (62).
Transustanziazionista Nicola risulta anche nel Trattato <lel Ms.
XXIII F 24 di Praga, ai ff. 70 v"-73 v°, con Incipit: « His notatis » ed
Explicit: « Et sic est finis ». L'opera segnalata da Bartos nel citato
« Reformacnì sbornik » alla p. 66, corrisponde in parte al De pro-
prio sacerdote et casibiis del Ms. 102 di Bmo (già II 12.3), ai ff. 83 r°-
88 r". Vi si parla di « conversione » del pane nel corpo di Cristo ai
ff. 71 v"-72 r°, si afferma che « non est mirum si substancia panis su-
pernaturaliter convertitur in corpus Christi » (f. 72 v"), e c'è una
lunga spiegazione, e questa volta con sobrio uso di terminologia sco-
lastica, per cliiarire come il Corpo del Cristo eucaristico sia reale,
senza che tuttavia appaia la sua quantità: « Sic quod substancia du-
ratur (sic) ibi et accidencia eius incidunt, et per omnia et sic cum
substancia est indivisibilis et invisibilis, et per consequens accidencia
que ipsam per omnia in hoc casu habent sequi. Et sic dimensione*
hostie substancia corporis non excedit » (63). È interessante osser-
vare che l'accidentalità è per Nicola soprattutto nel quantum, e che
non c'è nessun accenno al problema « cattolico » di come il pane
venga sentito ancora pane anche dopo la consacrazione.
Il Valdismo italiano, di fronte al travaglio ideologico eucaristici)
dell'Ussitismo, tende ad accogliere l'interpretazione di Nicola, la-
sciando il rimanentismo di Jacobello e il sacramentalismo di Nicola
di Pelhrimov.
Al Cristo presente « sacramentaliter, spiritualiter, virtualiter.
vere » del Vescovo Taborita, come risulta da una sua dichiarazione
al Sinodo di Praga del 1444 (64), si contrappone ancora ai j)ritni
(61) Ms. IV G 15. f. 200 r. - v°.
(62) Ms. cit.. f. 200 r.
(63) Ms. XXII F 24. f. 73 r".
(64) La frase, cosi come tutta la teoria eucaristica di Nicola di Pelhrimov, che
possiamo dire « sacramentalista ». si trova nel cosiddetto fragmentum Lobkoi iciaiiitm
— 23 —
del ".■)()(» il Cristo presente « sacramentaliter, spiritualiter, realiter,
vere » «lei Valdesi Italiani (65) fedeli a Nicola da Dresda. E la teoria
transustanziazionista del Maestro di Eh-esda,- non perfettamente ade-
rente al senso « romano », certamente presente nei dettagli eucari-
stici valdesi perduti di cui Fra Samuele ci dà solo ragguagli sintetici,
I)uò spiegare la rabbiosa polemica del Francescano contro eretici che
dopottutto credevano alla transustanziazione, nonostante il predomi-
nante remanentismo con notevoli correnti neganti la presenza reale
che dominavano l'ussitismo radicale (66) da cui i Valdesi dipendono.
XII. - Caldo è l'interesse «li Nicola per l'Eucaristia considerata
come sacramento e sacrifìcio, al di là di sottili disquisizioni filosofi-
che sul modo della presenza di Cristo in essa. Ma questo interesse,
cosi predominante, che lo porta a predicare la comiinione frequente,
quotidiana, come sostiene tra l'altro nel Sernio ad clerum con richia-
mo a Mattia di Janov e altri predecessori (67), a proporre la comu-
nione ai bambini, anche se ancor privi dell'uso di ragione (68), a di-
fendere l'aperto utraquismo dovuto alla necessità di un Sacramento
perfetto e che sia eflfettiva commemorazione della passione di Cri-
sto (69). hanno origine in Nicola da quel suo concetto di Chiesa, come
comunità viva e attuale di fedeli in grazia, parti attive dell'unico
Corpo mistico, in situazione di predestinazione anticipata nel tempo
odierno. L'Eucaristia è necessaria perché è « sacramentum amoris.
(Ms. XXII F 24, ff. I r° - 12 r", già 90 r" - 101 r". ma nuovamente numerati probabil-
mente da Bartos, poiché sono andati perduti i primi 89 fogli del Codice, dove si poteva
trovare tutto il Cronicon taboritarum con la nota Confessio). inserito nella normale
edizione del Croiiicon da Hòffler {FF.RR.AA., VII, 1866. pp. 764-797).
(65) Fra Samuele da Cassine, De Statu Ecclesie. Cuneo 1510 p. 9 (non numerata).
(66) Cfr. ZDE^t:K Neyedly, Prameny k synodam strany prazské a taborské v létech
U41 1444, Praga 1900, passim.
(67) Sermo ad clerum, f. 212 r»: « Et rogo: nonne in magnam diswetudinem fuit
deducta communio frequens sive cottidiana et adhuc aput multos propter pigriciam
ipsorum est odibilis et scandalosa quam tamen ipse deus nunc in cordibus suorum utriu-
sque sexus inspirât et eciam per suos ministros operatur. Et quam dyre et multipharie
sustinuerunt quidam pro cadem hic in loco, relinquo fora notum vobis qui eos novistis
quorum unus erat magister Mathias bone memorie. Sic ergo vult deus iam illud sa-
cramentum perfecte et de toto (sub duplici specie) non resistamus sed pareamus et
incipiamus ». Mattia di Janov era morto il 30 novembre 1393 e delle sue prediche c'era
ancora memoria viva a Praga. Della comunione quotidiana, sotto le due specie, Mat-
tia scrisse tra l'altro nel Liber IV delle Régule Novi et Veteris testamenti: « De corpore
Christi sive Questio utrum omnibus et singulis Sanctis christianis liceat cottidie commu-
nìonem, id est corpus et sanguinem Christi sacramentaliter manducare » (ed. Kybal-
Odlezilik, V, 1).
Altro predecessore, ricordato esplicitamente da Nicola in altre opere come nel
Querite primum regnum Dei (ed. Nechutova, Brno, 1967, p. 56), fu Matteo di Cracovia
che tra l'altro nel Dialogus consciencie et racionis sostiene la comunione frequente.
Troviamo il Dialogus nel Ms. I B 17 della Biblioteca Universitaria di Praga. fT. 260 v« -
271 v» : ma è solo uno dei numerosi Codici che ci hanno conservato l'opera del Mae-
stro che morto nel 1410 era rimasto a Praga fino al 1393. Per la bibliografia su Mattia
di Janov e Matteo di Cracovia, vedasi Josef Triska. Literàrni Cinnost predhusitské
university. Praga 1967, pp. 89-92 e 117-120.
(68) Nisi manducaveritis. Ms. IV G 15. ff. 147 v" - 148 r°.
(69) Sermo ad clerum. Ms. cit., f. 201 v°.
— 24 —
Sic in fidelibus qui sunt membra Christi vita spiritualis conservatur
eo quod uniuntur capiti Christo per sacramentum amoris » (70). II
tema ricorre in altre opere di Nicola e anche nel De osculo pacis sive
taòule del Ms. XXIII F 204, ai ff. 47 v°-49 v" che Bartos ritiene essere
del Maestro di Dresda, mentre penso sia di un discepolo che tratta
della celebrazione dell'Eucaristia come sacramento dell'Unità dei fe-
deli secondo l'ideologia e lo stile di Nicola, ma con contrastante uso
di una glossa.
Questo sacramento è infatti per lui fonte, anima, svolgimento
della vita comunitaria e sociale della Chiesa, vista come fatto umano
già inserito nel piano soprannaturale che nulla toglie ai valori etici
dei rapporti della vita civile. Si è visto infatti che in Nicola la dot-
trina della predestinazione assume una prospettiva rovesciata rispetto
all'insegnamento tradizionale: predestinato, a salvando », è solo il
cristiano inserito in questa società dei giusti, e segno della predesti-
nazione è la « caritas » nell'azione sociale. L'Eucaristia garantisce
l'attuarsi del processo predestinante deciso da Dio e suo frutto, in
stretta cnonessione, sono grazia e gloria, come leggiamo tra l'altro
nel Nisi manducaveritis (71) e nella Replica al Rettore di Cor-
bach (72). La stessa tensione escatologica di Nicola, nutrito, come già
tutta la tradizione Ussita, dei capitoli sull'Anticristo che troviamo
nel Compendium theologice veritatis di Ugo Ripelino di Strasburgo,
lo porta ad ammonire che « tempore persecucionis antichristi maxi-
mum solacium est fìdelibus memoria passionis christi... Ideo magis
insistendum esset buie mense » (73), poiché siamo in « istis novissimis
temporibus periculosissimis » (74). L'Eucaristia completa quindi il
segno della predestinazione, quali sono la sofferenza e il martirio,
nella memoria della passione di Cristo.
XIII. - L'umanizzazione del Cristo evangelico che si fa amico e
fratello, impegnato a giustificarci nel solo fondamento della fede in
lui, è uno degli aspetti della teologia nuova di Nicola. Nel Nisi man-
ducaveritis ammonisce: « Querite occasiones recedendi ab amico
Christo » (75). Nel De purgatorio ha accennato a una sua trattazione
sul tema De communione sanctorum et de fraternitate Christi. Ne
parla nei Puncta e nei brevi Trattati del Ms. X D 10 della Biblioteca
Universitaria di Praga che possono essere del Maestro di Dresda in
quanto sono un ragionato e metodico e organico svolgimento dei te-
mi dei Puncta che risultano incorporati in questi Trattati. Cristo
non poteva essere inteso altrimenti, poiché egli è parte essenziale del-
la Chiesa dei salvandi, e la sua « fraternitas » si attua appunto nella
« Communio sanctorum », nella comunità dei santi. Purtroppo, alme-
no per ora, è perduta la trattazione di Nicola sul De communione
(70) Nisi manducaveritii, Ms. cit., f. 148 v°.
(71) Ms. IV G 15, {. 145 v°.
(72) Ms. D 118. f. 50 r°.
(73) Sermo ad cUrum. ms. IV G 15, f. 211 v°.
(74) Apologia, ms. cit., f. 181 r°.
(75) Ms. cit., {. 150 1°.
— 25 —
sanctorum et de fraternitate Christi. Essa era collocata, assieme alla
trattazione De indulgenciis e con quella De signis et miraculis nella
parte antecedente alla trattazione rimasta del De purgatorio, nella
grande opera De genere reliquiarum. Terminando infatti il De pur-
gatorio, nella copia del Ms. 102 di Bmo, Nicola scrive: « Et tantum
de primo genere reliquiarum. Est secundum genus reliquiarum, sci-
licet verbum Dei, de veneracione cuius vide in Punctis... Terciuni
genus reliquiarum est sacramentum eukaristie ». Queste righe si leg-
gono all'apertura del Trattato De imaginibus di Nicola da Dresda,
edito da Jana Nechutovà a Brrio nel 1970 (di fatto nel 1971).
Meglio sarebbe dare all'opera il titolo De tercio genere reliquia-
rum: Nicola, partendo dalla venerazione del Corpo di Cristo, che li-
mitatamente all'umanità di Cristo può essere di solo yperdulia e non
di latria, parla dell'errato culto delle immagini, della superstiziosa
credenza nei sogni, nella magia e nei sortilegi, dei falsi miracoli.
Alla fine, nel MS. XXIII F 204, ci sono aggiunte in margine con cita-
zioni di Isidoro, di Gregorio e di Crisostomo sui falsi miracoli, cita-
zioni che dovevano far parte del De signis et miraculis per ora per-
duto. In questo De tercio genere reliquiarum c'è tutto Nicola, fattosi
ancora più arguto: lo vediamo accennare con un certo sorriso alla ve-
nerazione del porco di Sant'Antonio, delle immagini di Cristo legate
alle leggende della Veronica e del pittore Luca. Con la sua solita
prudenza ricorda i corpi di Pietro e Paolo « que dicuntur Rome
quiescere » (76), senza prendere posizione su questa credenza, e così
nei riguardi dell'Assunzione: « Et ^uicquid dicitur de corpore Virgi-
nis gloriose, sive sit assumpta cum corpore sive non, utique Dominus
Jesus, voluit nos ipsum corpus eius non habere, ne nimis ipsum cor-
pus, plus quam creatura sine vita debet habere, coleremus, ydolum-
que nobis ex eo faceremus » (77). C'è l'evidente disinteresse per
l'eventuale dogma considerato in se stesso, mentre si preoccupa che
il centro del culto sia Cristo: e tutta la trattazione su immagini, in-
dulgenze, sortilegi parte da questa preoccupazione. Occorre elimi-
nare dai templi ogni occasione di distrazione: « ...quecumque omnia
alia, que fuerunt vel adhuc sunt alicuìus apparencie, vel quondam
prefuerunt debent omnia in nichilum deduci in ecclesia, et sic, quasi
non sint, haberi oh summam et totam reverenciam et adoracionem
divini sacramenti » (78).
Il culto pure implica una fede semplice nella presenza di Cristo
poiché (con citazione di Pietro Lombardo) « fidei sacramentum a phi-
losophicis argumentis est liberum » (79). Ma alla filosofia Nicola ri-
corre per esaltare, con sensibilità umanistica, la dignità dell'uomo:
« Ex quibus patet, quod creatura racionalis, homo, qui factus est ad
ymaginem et similitudinem Dei, est vai de venerabilis sive honora-
bilis in natura sua » (80). E pur nella sua medioevale mentalità esca-
(76) De imaginibus, ed. cit., p. 226.
(77) Op. cit., p. 217.
(78) Op. cit., p. 215.
(79) Op. cit., p. 214.
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tolojiica (non raro è l'accenno alla fine dei tempi imminente) Nicola
si batte contro la fede nelle strejihe (81), contro la fede nei prono-
stici fondati sull'astrologia (82), rimanendo per lui lecito solo ciò
che, secondo la sua accettazione del profetismo, serve a intuire la vo-
lontà di Dio: Sors non est aliquid mali, sed res. in humana dubie-
tate divinam indicans voluntatem » (83). Non è che Nicola costruisca
un suo pensiero originale: la sua originalità sta nella costruzione di
un pensiero nuovo attraverso a un'accorta elaborazione della sapien-
za giuridica e teologica della tradizione giacente nel Diritto Canonico
e nei Padri e Dottori della Chiesa, come in queste appena ricordate
manifestazioni del suo pensiero, tutto fondato su citazioni di canoni
e glosse ai canoni.
\IV. - Le ultime considerazioni fanno sorgere il problema della
■educazione giovanile di Nicola e della sua preparazione culturale. Si
è parlato di un suo Valdismo, di un suo Wyiclifismo (84). Il prede-
stinazionismo lo stacca dal Valdismo, la sua non partecipazione in
Praga alle polemiche wiclifite, nonostante l'attiva lotta del suo Mae-
stro Federico Eppinge con Hus a difesa degli articoli di Wyclif. ce lo
presentano come combattente solitario che non condivide le idee del
teologo inglese che egli mai non cita e che non utilizza se non rare
volte attraverso a citazioni di Hus. Nicola non è rimanentista, come
Wyclif, la sua predestinazione viene direttamente dalle glosse di Ni-
cola da Lira alla lettera ai Romani, nella sua società hanno poco
conto i poteri civili. E a differenza del Valdismo egli crede a tutta
l'organizzazione degli ordini sacri, compresi quelli minori negati dai
Valdesi, contrariamente ai Valdesi onora la Vergine Maria, come ri-
sulta dalla preghiera dell'ite Maria che fa da intervallo a qualche
suo Sermone {Senno ad Cleritm, Qiierite primitm regniim Dei). Egli
è piuttosto Maestro dei Valdesi italiani che in lui ristrutturano la pro-
pria teologia, romanizzandola rispetto agli esiti teologici della dia-
spora valdese non italiana, e di quella stessa austro-boema. Ci sono
coincidenze di dottrine valdesi e wyclifite col pensiero di Nicola: ma
sono spiegabili con quella piattaforma di istanze ereticali che sono
comuni a ogni contestazione antiromana nel Medio Evo, e non solo
in questo. Singolare è per esempio la dottrina sulla Confermazione
che per Nicola si realizza come sacramento attraverso alla sola impo-
sizione delle mani: «Sic Christus in confirmacione nulla fuit usus
ulla materia nec apostoli sed sola manus imposicione nec aliqua for-
ma )) (85). Nella Confessio Taboritarum dove Nicola di Pelhrimov
accetta quasi letteralmente tutta l'altra dottrina sull'ordine di Ni-
cola «la Dres<la (immediatamente precedente nel Ms. citato), questo
(80) Op. cit.. p. 218.
(81) Op. cit.. p. 231.
(82) Op. cit.. p. 231.
(83) Op. cit.. p. 230.
(84) Vedansi gli studi di Jan Sodiâk. E. M. Barlos. Robert Kalivoda. Amedeo
Molnar. Howard Kaminsky e Jana Nechutova citati nei miei saggi precedenti.
l)iinto non è accettato, mentre lo si trova nella corrispondente parte
<lel Trattato Valdese del Ms. Ginevrino 208 al £. 72 r". Si potrebbe
afTerniare die Nicola dipenda in questo dai Valdesi che già avevano
questa dottrina in precisa formulazione almeno dal primo trentennio
«lei '300 (86). Ma ÌNicola giunge a questo momento della sua fede at-
traverso all'uso apostolico con l'appoggio del diritto canonico, come
risulta evidente nei Consiu'tiido, mentre i Valdesi si appellano a un
passo |)aolino (1 Tim. 1: 6) che nella tradizione esegetica ha un altro
significato e che in tal senso lo stesso Nicola, esperto conoscitore di
glosse bibliclie, non avrebbe mai accettato. Tuttavia i Valdesi italiani
trovano conforto in Nicola nella sua aderenza alla sostanza di una
dottrina che è già loro: e la confermano, in contrasto con l'atteggia-
mento di Nicola di Pelhrimov, il cui manuale avrebbero in mano, se-
condo l'ipotesi sopra fatta.
La cattolicità romana di Nicola, almeno nella sua prima educa-
zione, può essere comunque suggerita dalla sua stessa professione di
fede che egli annota in un passo del Scrino ad cifrimi, una delle sue
prime opere. Pur ricordando l'equivocità del termine « romana », che
jiuò riferirsi semplicemente alla Chiesa dei santi, come si è sopra det-
to, appare dal contesto che Nicola, nella sua affermazione che ora
leggiamo, intenda parlare di fatto della Chiesa gerarchicamente ro-
mana: « Protestor quod si per occupacionem vel ignoranciam in su-
perficiebus verborum vel alias deviarem a rectitudine fidei ortodoxe,
pro non dicto sit cum aliqualiter recedere non intendo a romana
ecclesia, inter cuius viscera nutritus sum de qua XI q. Non decet
(recte Di. XII, c. I, Friedberg, 27)... Si quis ergo dogmata... anathe-
ma sit. XXV q. ultima. Si quis (recte C. XXV, q. II, c. 18, Fried-
berg 1016) » (87). Il riferimento ai Canoni conferma che Nicola in-
tenda parlare di un'educazione avuta nella Chiesa romana, e questo
egli afferma indipendentemente dalla sua volontà di volersi liberare
da tutte le sovrastrutture di false consuetudini ed errate dottrine che
nella stessa Chiesa romana si sono formate nel corso dei secoli.
L'impegno evangelico di Nicola lo astrae <lai singoli movimenti
ereticali e anche dalle vicende politiche del tempo. Egli non è un
nazionalista e, non eerto perché egli è un tedesco, non condivide gli
aspetti ])artigiani del movimento ussita al suo sorgere.
Nel 1412 il Consiglio di Stare mesto, formato da tedeschi (88)
condanna alla pena capitale tre giovani cechi che avevano parlato con-
tro le indulgenze prerlicate in nome di papa Giovanni XXIII per la
(86) Ved. discussione in mio art. Oportet et haereses esse... in « Rivista di Storia
e Letteratura Religiosa» III (1967), p. 57.
(87) Sermo ad clerum f. 199 v".
(88) Praga era divisa in due città: la Vecchia, con abitanti in prevalenza di ori-
gine germanica il cui Senato e la cui polizia era della stessa origine (« omnes tunc sena-
tores germani fuerunt una com militibus curie »), in ceco Stare mesto; la Nuov;'. fon-
data da Carlo IV con abitanti in prevalenza cechi, detta Nove mesto. A parte, al di là
della Moldava, oltre il ponte Carlo, la Piccola Parte, Mala Strana e in alto Hadracani.
il quartiere del Castello e del Palazzo Arcivescovile.
— 28 —
crociata contro re Ladislao di Napoli. I cadaveri dei condannati ven-
gono portati in solenne processione, diretta dal Maestro Gitczin,
Giovanni di Jicin, che poi ritroveremo tra i Taboriti, nel quartiere
cèco per la sepoltura, a cum magna copia Magistrorum, Baccalaureo-
nim, studiosorum et alumnorum, de communitate hominum tranquil-
la sine omnibus armis venientes, et corpora hoc levantes, non insi-
nuantes se, nec potentes a Senatu, deportaverunt in Bethlehem...
illaque audacter et cum leticia magna ad sepeliendum tradiderunt...
multi eciam studiosi cum virginibus et dominabus secuti sunt hec
corpora cum magno fletu et planctu devote ad sepulcra usque déplo-
rantes illos utpote hanc mortem non promeritos ». Fu una grande
manifestazione popolare che impressionò i magistrati, i quali si af-
frettarono il giorno dopo a lasciare liberi tutti coloro che erano stati
incarcerati per lo stesso motivo : l'interesse religioso si mescolava a
quello nazionalista, con prevalenza tuttavia del primo. E Hus tacque
nei suoi due sermoni della domenica successiva: la cronaca dice che
forse gli era stato imposto il silenzio, ma anche annota che egli si era
presentato alle autorità per chiedere la grazia per i condannati, e gli
era stato assicurato che sarebbe stata concessa. Ma nella seconda do-
menica Hus parlò a lungo dei tre martiri, e possiamo vedere in quei
giorni i prodromi della rivoluzione ussita che scoppierà il 30 giugno
del 1419 quando il popolo boemo, già scosso per il martirio di Hus
e aperto alle nuove esperienze di comunità religiosa utraquista coi
pellegrinaggi al nuovo centro chiamato Tabor. si rivoltò selvaggia-
mente in occasione di insulti ricevuti durante una processione euca-
ristica da San Stefano in Rybnicky a Santa Maria della Neve (sempre
in Nové mesto, presso l'attuale piazza Venceslao): « consules aliqui
nove civitatis cum subiudice... sunt de pretorio Nove civitatis enor-
jnite deiecti et atrociter mactati et interfecti » (89). In pochi anni dal
pacifismo ad oltranza del 1412 si passò alla rivoluzione armata, con
elezione di propri magistrati, di cui poi si otterrà la conferma da
parte di re Venceslao. Non si tratterà quindi di un sovvertimento
dell'ordine costituito, ma di un passaggio di potere dall'elemento
germanico o cèco cattolico a quello cèco utraquista. Nicola da Dresda
opera a Praga nel 1412 ma ignora la grande manifestazione per i tre
martiri e in quegli anni che preparano lo scoppio della rivoluzione
non fa mai cenno ai movimenti popolari. Solo nel De osculo pacis,
che può essere di un suo discepolo stretto, si annota che « ex obmis-
eione... frequentacionis divinissimi panis in sacramento venemnt
scìsmata, servitates (per servitutes?), conventicula, secte, societate»
in communitate Christiana. Venit eciam inde contemptus et irriveren-
cia sacerdotum Dei a laycis. Inde inobediencia plebeiorum ad sacer-
dotes et multa alia infinita » (90). C'è l'evidente condanna di ogni
(89) Le notizie si hanno nella citata cronaca del contemporaneo Vavrinec z Brezove,
alias Lorenzo di Brezov, edita nella Fontes rerum bohemicarum, V, pp. 329-534, dove
si narrano gli avvenimenti ussiti che vanno dal 1414 al 1421.
(90) Ms. XXXII F 204, f. 49 r».
— 29 —
tipo di contestazione violenta così come si era già manifestata a Pra-
ga appena dopo la morte di Hus e di cui raccontano le Annotationes
de Wyglefistis, de divisione fidei, de commiinione calicis, de Cziganis
Thaboritas praecedentibus del Ms. A 16 di Trebon, ai ff. 231 v"-
232 r°, relative agli anni 1415-1417, dove tra l'altro si legge: « Et
tunc erat maxima divisio fidei et opinìonum atque contencio in po-
pulo in civitate pragensi et in regno ». Sono gli anni in cui Nicola,
dopo il 1415, non si fa più sentire a Praga: il suo ideale di aperta
contestazione pacifica era crollato, quell'ideale che nel De lercio ge-
nere reliquiarum (il De imaginibus) come già in altre opere aveva
espresso dicendo a proposito della condanna dei falsari: « ...ut le-
gista loquitur, sed non secundum legem amoris Jesu Christi, de qua
dicit Crisostomus, quod verus cristianus non tantum non percutit, sed
nec percussus repercutit, non tantum non occidit, sed nec ira-
scitur » (91).
Nicola è contro a tutte le degenerazioni patriottiche : non com-
pare mai in lui, benché socialmente impegnato, un accenno al valore
politico della nazione, e l'unica volta in cui usa il termine « patria »
in senso laico, dà ad esso un significato folcloristico e negativo, come
l'insieme di sentimenti e di usi dei particolarismi regionali sul mo-
dello dei quali vengono inventati forme, raffigurazioni e vita dei
santi: « Igitur pocius depingunt suas similitu dines proprias secun-
dum similitudinem, ritum, habitum, morem et vitam hominum inha-
bitancium, quasi vellent sanctos ipsis incolis consimilare et similes
fieri ipsi Sanctis » (92).
XV. - L'ideologia ecclesiologica impegna Nicola nell'esame del-
le strutture sociali che devono essere riformate affinché la « lex hu-
mana » si adegui alla « lex divina ». Questa è la sua attività a indi-
rizzo politico ed egli dichiara apertamente che vuole evitare ogni
manifestazione di pensiero che sia « contra veritatem legis dominice,
canonice seu civilis in lege dei fundatis » (93). L'organizzazione so-
ciale è fondata su leggi che devono rispettare la più alta legislazione
divina, così che il legislatore tenga conto di quanto dice Isidoro, ci-
tato nel Decreto (XL q- HL c. 101, Friedberg 671): « Si is qui preest
fecerit aut cuiquam quod a domino prohibitum est facere iusserit,
vel quod scriptum est preterierit aut preterire mandaverit; Sancti
Pauli sentencia ingerenda est, dicentis: Si eciam nos aut angelus de
celo ewangelisaverit vobis prêter quam quod ewangelizavimus vobis.
anathema sit. Idem: Si quis prohibet nobis quod a domino preceptum
est, vel rursus imperat fieri quod dominus prohibet fieri, execrabilis
sit omnibus qui diligunt deum. Idem: Is qui preest, si prêter volun-
tatem Dei vel prêter quod in Sanctis scripturis evidenter precipitur.
(91) Ed. Nechutova, p. 225.
(92) De lercio genere reliquiarum. seu De imaginibus. ed. Ncchutovd, p. 225.
(93) Sermo ad clerum, Ms. IV G 15, f. 199 r°.
— 30 —
vel ilirit aliquid vel imperai, tamquam falsiis testis dei aut saorilegus
habeatur. Hec XI, q. Ill, Si is » (94).
XVI. - Conosciamo a sufficienza le condizioni politiche ed econo-
miche della Boemia del tempo di Nicola, anche se la documentazio-
ne non è così ricca come per il periodo precedente dominato dalla
figura di Carlo IV e dal primo movimento umanista collegato a quel-
lo della riforma della Chiesa. Il tempo di Nicola porta le conse-
guenze positive e anche negative del risveglio politico, economico,
commerciale, letterario e religioso di cui era stato anima Carlo IV,
con tutte le sue contraddizioni (95).
Praga si era fatta centro commerciale, uno dei più importanti
dell'Impero, con vie obbligate per i commercianti e prescrizione di
determinati depositi di merce che avevano punti di riferimento nelle
città più lontane come Venezia dove era stato istituito un deposito
con privilegi finanziari appunto per i cèchi, detto dai veneziani, che
nei boemi vedevano solo gente del nord o tedeschi. Fondaco dei Te-
deschi. Si era formata quindi una classe di ricchi patrizi che, a dif-
ferenza dei mercanti italiani, si feudalizzavano acquistando od otte-
nendo signorie nel contado su terre e villaggi. Nelle città di vecchia e
nuova fondazione si formavano forti corporazioni regolate da severe
regole che sostenevano la potenza economica di piccoli commercianti
e artigiani. Più tardi si hanno, verso la fine del '300, anche corpora-
zioni rli apprendisti. La trasformazione dell'economia feudale sulle
nuove basi del sistema monetario aveva enormemente vitalizzato
commercianti e artigiani per lo più di origine germanica. Nel con-
tempo il lento ma inesorabile svilimento della moneta, mentre aveva
ancor più danneggiato la classe feudale, aveva anche messo in crisi
determinate corporazioni. Il potere politico di Carlo IV si fondava
sul patriziato in opposizione alle corporazioni, ma con momenti di
(94) Consuetudo. ed. Kaminsky, p. 73.
(95) Un'ampia informazione sulla situazione politica, sociale, economica e con
accenni alPideoIogia religiosa della Boemia nel periodo preussita si ha in Frantisek
Kavka. Prehled dejin Ceskoslovenska v epose feudalismu 11 (ed poloviny 14. slel. do r".
1526), Praga 1955, alle cui note bibliografiche faccio rinvio.
L'informazione sull'ideologia religiosa, anche se con scarsa cultura teologica, si ha
in Vaclav Novotny, Ndbozenské hnuti ceské ve 14. and 15 stoleti. Praga (senza data-
ma 1915).
L'aspetto propriamente teologico, ideologico ed escatologico è trattato con rara com-
petenza da Amedeo Molnar nel suo saggio Husitskd Revoluce. nell'opera di un collet-
tivo Od reformace k zitrku. Praga 1956, pp. 11-103.
Un magistrale studio sui rapporti di Carlo IV (con ricca bibliografia sul re boemo
alla quale rinvio, con particolare menzione delle ormai classiche opere dello Susta su
Carlo IV) con le corporazioni, in cui si corregge l'idea di Kavka sulla sistematica op-
posizione di Carlo alle stesse, si ha in Jaroslav Meznik, Karel IV. Patricidt a Cechy.
in Ces. Historicky Casopis » XIII (1965), pp. 207-219.
Per la migliore comprensione della situazione sociale c politica ed economica e
anche religiosa del territorio boemo degli ultimi secoli del Medio Evo, e quindi anche
del tempo che precedette e fu contemporaneo a Nicola da Dres<ia, manca ancora uno
studio sulle costituzioni e il diritto nelle città boeme, studio che si è proposto attual-
mente Jiri Keir, dell'Università di Brno.
— 31 —
avvicendamento, quando cioè gli interessi economici della Corte esi-
ìrevano il sostejrno da parte delle corporazioni, come avviene in
Stare Mesto dove si installa un nuovo governo formato in maggioran-
za da artigiani, mentre dal XIII secolo era in mano al patriziato. Ma
a Carlo IV occorreva l'appoggio delle corporazioni per la fondazio-
ne di jNové Mesto, contro l'opposizione del governo patrizio di Stare
Mesto: lo sviluppo della città era evidentemente sostenuto dalla clas-
se della borghesia (se cosi si può chiamare) contro i patrizi arroccati
nei loro privilegi. Ma risolto il problema, il 25 luglio del 1352 Carlo
cambia la situazione e tutto torna come nei tempi precedenti.
Carlo IV governava con un potere personale, badando ai suoi inte-
ressi finanziari, e come un autentico signore medioevale non poteva
certo essere un riformatore sociale (96).
Anche la Chiesa boema fu esaltata da Carlo IV sia per un suo
certo spirito cristiano, sia per motivo di prestigio e di buoni rapporti
«on la curia papale. Fu creata una sede arcivescovile così da rendere
indipendente Praga da Magonza, e da questa sede dovevano dipende-
re tutte le diocesi dei territori dipendenti dalla Corona, il che Carlo
non potè ottenere in pratica per l'opposizione latente del clero di
territori non propriamente boemi.
Enormi furono le dotazioni di cui la Chiesa boema fu arricchita
così da diventare in seguito, al tempo del fiscalismo instaurato dalla
corte avignonese, in gran parte oggetto di « riserva » da parte della
Curia, e da essere preda di clero straniero non residente o di perso-
ne indegne e incapaci. Basti ricordare l'episodio della Prevostura di
Visehrad per la quale la Curia dava la possibilità che venisse confe-
rita a persona che avesse almeno cinque anni.
Carlo IV fu quindi la prima causa dello sviluppo di pratiche si-
moniache in forma vistosa in Boemia che divenne, fino alla rivolu-
zione ussita, la miglior fonte di entrate per la Curia papale. E fu an-
che causa, per la sua devozione di autentico bigotto, del diffondersi
dei più diversi superstiziosi culti di santi: come Margravio di Mora-
via, prima, poi come re e quindi imperatore, nei suoi itinerari euro-
pei faceva saccheggio di reliquie o supposte reliquie che donava con
atti solenni alle varie chiese boeme e soprattutto alla Chiesa Capito-
lare di Praga. Il Pessina che nel 1673 pubblica a Praga la sua crona-
ca del Capitolo Metropolitano della Città dal titolo Phosphorus septi-
cornis, stella alias Matutina, fa con entusiasmo un lungo elenco di
reliquie portate in Boemia dal devoto Carlo IV, ricordando i relativi
aiti di donazione alla Chiesa metropolitana. Si tratta delle reliquie
più strane e l'elenco va da p. 433 a p. 472. Si può capire l'incre-
mento dato da Carlo IV all'innato istinto superstizioso del popolo,
tanto più che egli promosse la fastosità del culto che favorì questo in-
cremento, appoggiato dal suo primo arcivescovo e cancelliere Arno-
sto di Pardubice, uomo peraltro ascetico e buon umanista, educato
all'Università di Padova. Questi fece di tutto, ma invano, per sanare
(96) Cfr. Jaroslav Meznik, art. cit.. p. 213.
— 32 —
nel Clero situazioni di mal costume e di vizio, ma senza effetto come
dimostrano le conclusioni delle sue visite pastorali, e il monotono ri-
petersi di anatemi sia nei suoi « Statuta », come in quelli dei sinodi
posteriori (97).
La situazione del popolo doveva essere ben misera, al di fuori
dei nobili, del personale di corte, del clero che usufruisse di un buon
beneficio, dei patrizi, delle corporazioni, dei commercianti. Su di essa
soprattutto pesava la progressiva svalutazione della moneta, per cui
i signori del contado dovevano rifarsi con Timposizione di nuovi bal-
zelli. Anche il tentativo di Carlo IV di sottrarre il popolo minuto
alle angherie dei signori che a capriccio potevano giungere all'ordine
del taglio del naso o di altre parti del corpo dei sudditi, fu senza
effetto.
Il re aveva redatto una legge fondamentale che regolasse diritti
e doveri di tutti gli abitanti del regno, la Maiestas Carolina, qua-
rant'anni circa dopo la morte di Venceslao II avvenuta nel 1305, e
quindi verso il 1348. Ma nel 1355 egli deve pubblicamente annullare
tale Costituzione che non era mai andata in vigore ed è interessanti-
leggere la motivazione di tale ritiro, espressa il 6 ottobre di quell'an-
no, motivazione che deriva da tutta una tipica mentalità medioevale:
« ...iura quedam adinvenienda et etiam statuenda... in scriptis redacta
et in uno volumine sigillata, prout hec in notorium et in publicum
prodiit notionem una cum sigillis eidem appensis quia tamen prsfa-
tum volumen fortuito casu fuit igne consumtum, in nihil... redactum:
et quia nihilominus tam nos, quam prefati principes et barones, pre-
dieta iura servare non promisimus... ideoque decernimus et auctori-
tate regia ex certa sciencia declaramus, nos et omnes principes ac ba-
rones nostros ac regni et corone bohemie antedicta... perpetue ad
dictorum iurium observanciam non esse liiratos quomo-^o ibet vel
astrictos » (98). Si trattava evidentemente di una scusa adatta a sal-
vare la faccia, poiché il volumen era conservato nel Castello di Karls-
tein che Carlo aveva fatto costruire non solo come residenza di va-
canza ma soprattutto per custodire i documenti del Regno.
Certamente fondandosi sugli articoli de fide catholica (Rubrica I)
e de hereticis (Rubrica III), Amosto aveva istituito il primo tribu-
nale permanente dell'inquisizione nella diocesi nel 1348. Carlo, nella
sua Maiestas, premettendo che per diritto di natura « rerum domi-
nia... deberent esse communia » (99) aveva indicato nel sorfrere del e
divisioni degli animi l'origine delle distinzioni di proprietà per cui
(97) Su Arnesto da Pardubice (Arnost z Pardubic), vedansi soprattutto V. Cha-
LOUPECKT, Arnost z Pardubice, prvni arcibiskup prazsky. Praga 1946 (II ed.): J- K.
ViSKOClL, Arnost z Pardubic a ieho doba. Praga 1947. Per altra bibliografia vedasi
Josef Triska. op. cit., pp. 9-10, 68.
(98) Maiestas Carolina in « Archiv Cesky ». VII, Praga 1844, ed a cura di
Fbantisek Palacky, p. 68, che fa un'introduzione dove auspica uno studio approfon-
dito della stessa; studio sempre mancante come anonimi studiosi hanno annotato nel
corso degli anni in margine alle pagine della copia della Biblioteca annessa alla Sezio-
ne dei Manoscritti della Biblioteca Universitaria di Praga.
(99) Ed. cit., p. cit.
— 33 —
« rerum necessitate cogente, nec minus divine provisonis instinctu,
principes gentium sunt creati, per quos scelestis criminandi licentia
arceretur et pacifìcis ac quietis cauta securitas preberetur, qui leges
et iura conderent » (100).
Il potere regale, sorto per necessità e per ordinamento di ispira-
zione divina, implicava il potere legislativo (che tuttavia poteva va-
lere solo sulla classe che ancora non aveva capacità di opposizione):
infatti, premesso che il popolo boemo era cattolico (101), e che ogni
delitto contro la religione era delitto contro la comunità (102), egli
stabiliva che fosse perseguito ogni « crimen haereseos et damnatae
sectae cuiuslibet » (103) come « crimen lesae maiestatis » (104).
La concezione del delitto di eresia come delitto contro la comu-
nità e contemporaneamente contro la « Maiestas regia » ha fatto pen-
sare recentemente (105) che nel pensiero di Carlo il potere regio
coincidesse col potere della comunità. Di fatto Carlo doveva essere
preoccupato dell'unità del regno e infatti teme divisioni ideologiche
a motivo dell'eresia per infiltrazione di errori dai paesi vicini, come
risulta dagli accenni: « ...ne forte exterarum regionum contagio, a
regni dicti limitibus non distantium, ipsorum fidei puritas et sincera
devotio pro tempore maculatur » (106), « contra tales, itaque deo el
hominibus sic ingestos, quorum quidam (sicut accepimus) ab exteris
nationibus accedentes, regnum nostrum... haereticae pravitatis tene-
bris maculare cenantur... » (107).
Si tratta di infiltrazioni e di presenze anche valdesi, soprattutto
nella Boemia meridionale e occidentale, con qualche manifestazione
catara come accennerò più avanti.
Carlo ordinò l'istituzione di regolare inquisizione, con impegno
da parte delle autorità civili della cattura degli eretici equiparati agli
altri malfattori, che, dopo il processo condotto da prelati o da inqui-
sitori, « si evidenter inventi fuerint a fide catholica saltem in articule
(100) Ed. cit. p. 69.
(101) « ... universum populum regni nostri Boemie quem catholicum novimus et
iìdelem secundum quod sacrosancta catholica et apostolica credit ecclesia », ed. cit.,
p. 75. Ma è evidente che si tratta di una esagerazione.
(102) « Quid in religionem divinam committitur, in omnium fertur iniuriam »,
ed. cit., p. 77.
(103) Ed. cit., p. 79.
(104) Luogo cit.
(105) Karel Maly, Zlocin vrâzky panovnika v ceshem prâvu doby predhusitske,
in « Prâvnehistorické studie », (1070) (pp. 141-168, con articoli del 1968), p. 159.
Non penso di condividere l'interpretazione, poiché nel testo della Maiestas Carolina, si
legge : « ... ut crimen hereseos et damnatae sectae cuiuslibet, prout sacrosanctae et apo-
stolicae ecclesiae decretis habetur, velut crimen pubblicum possit ab amnibus intentar!;
imo crimine laesae majestatis nostrae debet, ab omnibus horribilius reputari, quoad in
divinae maiestatis iniuriam noscitur attentatum », ed. cit., p. 79. Il riferimento alla
maesatà del re è in rapporto alla maestà di Dio, e non c'è traccia evidente che il re
senta di impersonare lo stato, con una concezione che troviamo chiara in Machiavelli.
La costituzione di Carlo IV è concepita nello spirito del diritto medioevale, con certo
riferimento alle costituzioni di Federico II.
(106) Ed. cit., p. 79.
(107) Luogo cit.
3
— 34 —
fi (lei deviare... ac in errore concepto mala constantia persévèrent...
decernimus ut vivi in conspectu populi comburantur » (108). Nulla
di nuovo, se non l'insistenza sul castigo degli eretici e anche dei fau-
tori od ospiti punibili con la confisca dei beni e l'esilio perpetuo, in
quattro rubriche della Maiestas (109).
Nicola da Dresda entra in questa città e in questa comunità dove
tutto il travaglio politico, economico e sociale maturatosi sotto l'ap-
parente ordine costituito da Carlo IV ha ormai portato la crisi, senza
che esista una via d'uscita. Egli vede gli antichi e nuovi mali e fa una
analisi serena ma cruda della situazione indicando nell'applicazione
di un autentico cristianesimo la soluzione dei problemi gravi della
società boema.
(segue) Romolo Ceca a
(108) Luogo cit.
(109) I, De fide catholica; III, De haereticis; IV De inquisitione hacrelicorum:
V, De receptoribus haereticorum et credentibus et complicibus eorum. In lutto si hanno
127 rubriche, oltre alla introduzione, comprese da p. 68 a p. 180 dell'edizione citata.
Contributi agli studi
sulla giovinezza di Fausto Sozzini
Le ricerche archivistiche non pare cessino di darci nuove inte-
ressanti notizie sulla Riforma nonostante gli anni o, meglio, i secoli
trascorsi da quel fondamentale evento religioso e culturale e nono-
stante l'elevato numero di studiosi che a quelle ricerche hanno dedi-
cato gran parte del loro tempo e della loro vita. In particolare, se noi
poniamo mente alla quantità ed alla qualità dei documenti su gli ere-
tici italiani del XVI secolo, per dirla con il Cantinieri, che negli ulti-
mi anni sono stati ritrovati, eretici che oggi, in una dififerente pro-
spettiva storica e in una situazione di studi più avanzati e completi
possiamo rivendicare come genuina espressione di un pensiero rifor-
matore italiano, non possiamo non rilevare con soddisfazione come le
ricerche archivistiche, a prima vista così aride e noiose, si rivelino an-
cora un fruttuoso e prezioso strumento dello storico. In questo senso,
dunque, come piccolo contributo alla conoscenza del movimento ri-
formatore italiano mi è parso utile dare notizia delle ricerche che ho
compiuto e vado compiendo allo Staatsarchiv Graubiinden di Coirà e
presso altre istituzioni pubbliche svizzere ed italiane nonché presso
privati.
La motivazione di questa ricerca era in partenza un'altra poiché
i miei interessi si erano inizialmente rivolti, sulla base di precedenti
studi, al rapporto tra il pensiero giuridico-filosofico di Grozio e l'in-
segnamento dei riformati italiani che al giurista e uomo politico olan-
dese era più che noto. La storia — per esempio • — dell'influenza vera
o fittizia del pensiero del Castellione, anche mediato attraverso Fau-
sto Sozzini e, più in generale, attraverso il socinianesimo, su Arminio
e su Grozio è certo ancora tutta da scrivere e, come ho avuto già modo
di dire altrove (1), mi pare che una ricerca in questo senso meriti
tutta l'attenzione se non altro per chiarire se la presunta fonte del
razionalismo groziano più volte indicata nella Seconda Scolastica sia
veramente l'unica o non vi siano piuttosto alla sua base più fonti di
cui, forse, la Seconda Scolastica sia solo quella più appariscente e, di-
ciamo pure, non la principale e la più importante.
Mi ero, dunque, proposto inizialmente il compito di ricercare do-
cumenti che chiarissero i rapporti personali e culturali intercorsi tra
(1) Diritto e ragione nel pensiero degli eretici italiani del sec. XVI, in Studi Sene-
si, III Serie, XIX (1970), Fase. II, pp. 237-254.
— 36 —
Sebastiano Castellione e Fausto Sozzini seguendo in questo alcune
fondamentali indicazioni fornite dal Rotondò nel suo brillante saggio
del 1967, « Atteggiamenti della vita morale italiana nel Cinquecento.
La pratica nicodemitica » (2). La prima tappa di questa ricerca è stata
Coirà, città certamente lontana dai centri di maggior interesse come
Basilea, Ginevra e Zurigo, ma che poteva conservare nel suo Archi-
vio di Stato una documentazione inedita di un certo valore e della
quale meritoriamente già il Rotondò ne aveva dato notizia — come
si sa — nel citato studio. Lasciati quindi da parte i cartoni già esami-
nati, una nuova ricerca ha portato alla luce una documentazione ine-
dita sui riformatori italiani. Si tratta di epistole, appunti, atti e di-
chiarazioni notarili, tutti in discreto stato di conservazione, che solo
recentemente sono stati inventariati ed hanno trovato un'appropriata
catalogazione (3). Orbene tra tutti i documenti esaminati e di cui sto
curando la pubblicazione, ritengo qui interessante ricordare alcune
lettere che, spedite dall'Italia agli esiliati nei Grigioni o scambiate
tra gli stessi, hanno in comune il descrivere avvenimenti storici e per-
sonali dell'epoca relativi a Fausto Sozzini ed alla sua famiglia con
particolare riguardo agli zii Celso, Camillo e Cornelio. L'arco di tem-
po preso in considerazione è quello che va dal 1563 al 1570 ed è il pe-
riodo più duro per l'emigrazione italiana in Svizzera, quello che vide
la lenta scomparsa degli eretici della prima generazione e la fine del-
l'illusoria rhaetica Uhertas.
Non è facile a questo punto, dato anche il limitato tempo a di-
sposizione, soffermarci a lungo sul contenuto delle singole lettere né
è possibile dare un quadro completo ed esauriente della vita dei Soz-
zini in Italia ed in Svizzera in quel tempo volendo prescindere dalla
documentazione raccolta dal Rotondò perché quella e questa si inte-
grano a vicenda formando un corpo unico. Diremo, tuttavia, che a
parte le notizie sempre fondamentali su Fausto, autore tra l'altro di
due lettere datate rispettivamente da Siena, 13 luglio 1565, e 9 mag-
gio 1568, forse da Siena, ed indirizzate entrambe a Camillo, è proprio
su quest'ultimo e sul fratello Celso, peraltro gretto e meschino ed a!
di fuori di qualsiasi disputa religiosa, che si incentra il nostro mag-
giore interesse.
Di Camillo non sappiamo molto e, anche perché nulla ci è rima-
sto di eventuali suoi scritti di carattere dottrinario, è sempre poco ri-
cordato ed il suo ruolo nel gruppo sozziniano ridotto d'importanza.
Da queste lettere, invece, risulta che se sul piano dottrinario resta
confermata — allo stato attuale delle ricerche — la sua scarsa se non
nulla rilevanza, più interessante appare la sua funzione di collega-
mento tra Svizzera ed Italia e più convinta che non nel giovane Fausto
è la sua adesione alle dottrine antitrinitarie, spinto in questo, forse,
a dire il vero, anche dall'impossibilità di rientrare in Italia stante l'ac-
cusa di eresia ed il mandato di cattura pendente sul suo capo. Rico-
(2) RSI. LXXIX (1967), pp. 991-1030.
(3) Archivio Salis-Planta. Samedan, [Varia] D II C (1510-1679).
— 37 —
struendo in breve i viaggi ed i soggiorni di Camillo in Svizzera, pos-
siamo ricordare come già il Marchetti in Sull'origine e la dispersione
del gruppo ereticale dei Sozzini a Siena (1557-1558) (4) abbia dato
notizia di un primo probabile viaggio di Camillo e Fausto nel 1558 a
Chiavenna, ove era rifugiato il figlio naturale di Mariano jr., Dario.
Di questo soggiorno valtellinese possiamo trovare conferma in quanto
ci dice il Tedeschi (5) riportando una parte di un manoscritto pubbli-
cato dal Meyer (6). Si tratta di una preziosa anche se alquanto nebu-
losa testimonianza di un soggiorno zurighese : « By Hern Doctor Petro
Martyr [Vermigli] gannd Zwey Italiener zu tisch. 1st der ein Lelii
Soccini Bruder, der annder desselben bruders son. Hannd bi Felixen
Sprungli ein kammer, unnd hannd kein andere begangenschaft dann
das sy studierend ». Di certo comunque sappiamo che Camillo as-
sieme a un Dario (Sozzini o Scala?) era alla fine del 1563 in Svizze-
ra (7). Su gli avvenimenti precedenti e seguenti a questo definitivo
viaggio di Camillo in terra elvetica non si hanno notizie. Ora però
dal testo di una lettera di Guarnerio Castelvetro a Camillo, spedita da
Zurigo il 14 aprile 1565, possiamo indicare con certezza che almeno
dai primi mesi di quell'anno Camillo si trovava a Piur, ospite del
Turriani, e si potrebbe supporre da una lettera di Giovanni Fellini,
amico da lunga data dei Sozzini, che fin dal gennaio-febbraio del 1564
Camillo, a cui il medico bolognese si indirizza il 5 febbraio di quel-
l'anno, si trovasse già nella Rezia, confermando così le notizie date
a suo tempo dal Bullinger. Di Giovanni Fellini abbiamo poi un'altra
lettera, spedita da Bologna il 31 marzo 1563 a Fausto, in cui ci dà
notizia di Cornelio e Celso Sozzini, di avvenimenti italiani e bolo-
gnesi, ed infine si prescrive al senese una particolare cura per porre
rimedio ad un suo noioso malessere. Il fatto che questa lettera si sia
trovata nell'Archivio Salis-Flanta potrebbe fare avanzare l'ipotesi
che Fausto si trovasse allora già nei Grigioni diretto in Italia sul cui
viaggio si dilunga in una lettera del 3 novembre dello stesso anno e
di cui già il Rotondò ha parlato (8). Ma, tornando a Camillo, da
Guarnerio Castelvetro veniamo a sapere che al momento della pre-
cipitosa fuga da Zurigo, lo zio di Fausto aveva affidato al modenese
la cura delle proprie « robe ». Cosi appunto nell'aprile del 1565, cal-
matesi le acque intorno al clamoroso caso, Guarnerio assieme a Fran-
cesco Betti, prepara l'inventario dei beni e dei libri che verranno
rinchiusi in apposite casse restando egli, nel contempo, a disposizio-
ne di Camillo per l'invio immediato di quelle cose che avrebbe ri-
chiesto come a lui più urgenti e necessarie. La copia dell'inventario
doveva essere allegata a questa lettera, ma purtroppo non ne è stata
(4) In RSI, LXXXI (1969), pp. 133-173.
(5) Azotes toward a genealogy of the Sozzini family in Italian Reformation Studies
in Honor of Laelius Socinus, Firenze, 1965, p. 301.
(6) Die evangelische Gemeinde in Locarno, Zurich, 1836, 11, p. 388.
(7) T. ScHiESS (Hrsg.), BulUngers Korrespondenz mit den GraubUnden, Basel,
1904-1906, Bd. II, p. 476.
(8) Op. cit., n. 26, p. 1000.
— 38 —
trovata traccia. Infine i saluti per il Turriani e per il Camulio che
si trovava allora, forse solo di passaggio, a Piur.
L'accenno al Betti è molto importante soprattutto se si conside-
ra che in una. successiva lettera del 30 giugno 1570 a Camillo veniamo
a sapere con precisione che tutti (o quasi) i manoscritti e la biblio-
teca di Lelio sono stati dati a lui in custodia, dopo un accordo inter-
corso in tal senso anche con Fausto. D'altra parte una conferma di
ciò l'abbiamo proprio nella lettera di Fausto da Siena in data 13 lu-
glio 1565 in cui dice: « Credo che non avrò tempo di scrivere al si-
gnor Betto. Salutatelo per lettera da parte mia e di grazia come credo
che abbiate fatto, lasciate a lui interamente la cura dei libri e degli
scritti perciocché come uomo diligente et amorevole sarà molto a pro-
posito e ne avrà contento con levar fatica a voi ». Che il Betti fosse
proprio « contento » di questo incarico non diremo, o, almeno, non
lo era certamente più cinque anni dopo quando, nella lettera citata
del '70, si augurava che il Frastagliato (Fausto Sozzini) gli desse l'or-
dine di restituire libri e scritti a Camillo che insistentemente li ri-
chiedeva da tempo. Testimonianza fondamentale risulta poi quanto
ancora Fausto scrive « all'oriuolo » (Camillo Sozzini) il 9 maggio
1568 allorché, onde giustificare il continuo procrastinare della sua
partenza dall'Italia, dice: « quantunque io creda che gli scritti di
colui, che morto a noi vive a dio, me siano sempre per fare ampia
strada a questo disegno, e per farmi volentieri aspettar da altrui al-
cuno spazio di tempo. Laonde scrivendo al Betto non gli dico inte-
ramente ciò che voi vorreste, ma solamente che in caso di sua grave
infermità o di sua partenza ordini che se ne faccia la volontà vostra
o d'altro fedele e caro amico pigliandone però promessa e, parendo,
convenevole giuramento di non far d'essi se non quello ch'io, mentre
sarò vivo, ordinerò che se ne debba fare. Né vi paia dura né strana
questa mia deliberazione perciocché tutta è fatta ad ottimo fine, poi-
ché non conosco ninno che meglio di me possa interpretare la volon-
tà di quel divino spirito e le sue opinioni ».
Da quanto più sopra ed ora detto si può, quindi, avanzare l'ipo-
tesi che alla morte di Lelio, o subito dopo questa, anche Camillo fos-
se a Zurigo forse già prima del 1562 e che quindi sia stato lui a pre-
gare il Besozzi di portare la notizia della morte di Lelio a Fausto in
Lione, come è tradizione. In ogni modo, indipendentemente dalla
presenza di Camillo a Zurigo nel 1562, se pure i manoscritti ed i
libri di Lelio furono raccolti dal solo Fausto ed a questi lasciati, ciò
avvenne in pieno accordo con Camillo, certamente a Zurigo nel 1563
prima delia partenza di Fausto per l'Italia, il quale Camillo, d'altra
parte, visti i continui rinvii del Frastagliato del suo previsto ritorno
in Svizzera, richiedeva pochi anni dopo ciò che era di Lelio al Betti
non ritenendo evidentemente giusto che il solo nipote ne potesse di-
sporre.
Interessante questione è poi quella che riguarda la Explicativ
primae partis primi capitis Jocnnis di Fausto Sozzini. Di essa egli
stesso ne fa menzione nella lettera del 13 luglio 1565: « Desidero
— 39 —
aver copia dello 'nprincipio. Procurate che io ne sia compiaciuto per
la prima comodità. Basta che sia imo fidato che venga in fin a Bolo-
gna indirizzando a misser Giovanni ogni cosa ». Misser Giovanni è il
Pellini di cui già sopra si disse e che, apparendo anche in altre let-
tere come persona di fiducia ed al di sopra di qualsiasi sospetto ere-
ticale, fu di prezioso aiuto ai Sozzini. Ma questa richiesta di Fausto
non pare sia stata immediatamente soddisfatta da Camillo se nuova-
mente gli si rivolge nella già citata lettera del 9 maggio 1568, dopo
una richiesta di notizie su Ludovico Castelvetro, che da una lettera
del nipote Giacopo a Camillo Sozzini (17 settembre 1570) sappiamo
si trovava in Valtellina nell'estate del 1570: « Altro non ho da dirvi
se non che se voi vi dolete forse di me, e n'avete cagione, io ho più
cagione di dolermi di voi che dopo tanto tempo, ancora che abbiate
avuti già tante volte i mezzi sicurissimi, non m'abbiate mandato il
mio àpxì). Pazienza ». Anche la lettera del 1570 (30 giugno) del
Betti fa riferimento aìVExplicatio quando, tra le altre notizie relati-
ve anche al figlio di Celso Secondo Curione, Leo, e al Bovio (Bue),
lasciata da parte la lunga disputa sui manoscritti ed i libri di Lelio,
in un breve poscritto ci dà un'importante notizia relativa alla stampa
dell'opera di Fausto: « Se vi trovaste, come credo, la parafrasi dello
'mprincipio stampata seperata... vi prego a mandarmela ».
Queste scarne notizie che si hanno dallo stesso Fausto sull'E;cp/?-
catio sono molto importanti e confutano la tesi sostenuta dallo
Szczucki (9) dell'esistenza della prima edizione dell'opera che sareb-
be stata edita, in lingua latina, in Polonia ad Alba Julia (Gyula-
fehervar-Karlsberg) nell'officina del tipografo unitario Raffaele Skrze-
tuski-Hoffhalter tra il 1567 e il 1569. In realtà questo opuscolo, finora
rimasto sconosciuto in quanto segnato con il nome del Biandrata, non
è che una seconda edizione riveduta, ampliata e corretta di un testo
probabilmente andato perduto, e da cui il teologo calvinista Du Jon
(Francesco Junius) trasse l'edizione di Heidelberg del 1591 pubbli-
cata in /// Defensio catholicae doctrinae de S. Trinitate per sonant m
in imitate essentiae Dei (10). La stesura e la stampa di questa prima
edizione deW Explicatio di Fausto è da indicarsi tra il 1562, come già
rilevò il Cantimori (11) e il 1565, se non addirittura entro la tarda
primavera del 1563, periodo in cui, come sappiamo. Fausto Sozzini
rientrò in Italia. E si potrebbe anche dire, con una certa sicurezza,
1562, se rileggiamo una lettera del senese al Dudith del 3 gennaio 1580,
ricordata dallo Szczucki (12), in cui Fausto dà notizia della pubbli-
cazione (\eìV Explicatio diciotto anni prima: appunto nel 1562. La
stampa, poi, di questa prima edizione non avvenne certamente in
Transilvania o in Polonia, ma piìi probabilmente nella stessa Svizzera
(9) La prima edizione deW« Explicatio » di Fausto Sozzini, in Rinascimento,
Serie II, voi. VII (1967), pp. 319-327).
(10) Cfr. Th. Wierzbowski, Bibliographia Polonica XV ac XVI ss.. Reprint, De
Graaf, Nieuwkoop, 1961, voi. I, n. 562, pp. 124-125. Ed. orig., Warsaw, 1889-1894.
(11) Eretici italiani del Cinquecento, Firenze, 1939, p. 349.
(12) Op. cit., nota n. 2, pp. 321-322.
— 40 —
o in qualche altro paese europeo, forse in Olanda. E mentre queste
notizie che ci dà Fausto paiono dare torto allo Szczucki (13) e con-
temporaneamente ragione al Wajsblum (cito dallo Szcuzucki, op. cit.,
p. 323, Rhapsodiae LaeUusa Socyna, p. 145) sulla traduzione polacca
deìV Explicatio fatta da Grzergorz Pawel su una antica redazioni poi
andata perduta, la richiesta del Betti di una edizione « seperata » del-
V Explicatio fa ritenere che, come aveva ben visto lo studioso po-
lacco (14), essa era anche stata stampata prima del giugno 1570 in
un'opera collettiva. Quale?
In conclusione possiamo brevemente ricapitolare sulle edizioni
deW Explicatio di Fausto Sozzini in questo modo: 1562, prima edi-
zione in latino; 1568, edizione polacca in latino, riveduta e corretta,
per i tipi dell'HofiFhalter e, nello stesso anno, edizione polacca tra-
dotta dal Pawel su quella del 1562, andata probabilmente perduta;
1591, edizione di Heidelberg del Du Jon sempre sul testo del '62 o su
un manoscritto proveniente da Zurigo (15), edizione che già il Can-
timori aveva affermato essere basata sul testo primigenio (16) e quin-
di più antico; 1618, infine, edizione di Racovia che è poi quella ri-
portata dal Sand, salvo qualche lieve correzione piìi che altro stili-
stica, nella Bibliotheca Fratrum Polonoritm.
Da ultimo resta brevemente da dire di Celso Sozzini nelle cui
lettere si ha un'ulteriore conferma della svogliatezza con cui Fausto
portava a termine i suoi studi di giurisprudenza, e per cui Celso ri-
chiede aiuto anche al fratello Camillo (5 dicembre 1565), e del con-
tinuo dubbio che lo travagliava circa il rimanere in Italia o il rifu-
giarsi all'estero. Le lettere del giurista senese sono però quasi tutte
incentrate sulla risoluzione dei complessi legami finanziari che lega-
vano i Sozzini ai Bonvisi ed alla casa reale di Francia, interessi fi-
nanziari che venivano curati da vari agenti tra cui, forse, un certo
Rhenato, residente a Piur, anche se il personaggio rimane miste-
rioso e certi velati accenni e la dimestichezza con Celso e. soprat-
tutto, con sua moglie Lucrezia Sabbadini, lo fanno apparire più che
un agente di cambio, un vero e proprio amico, anche se non ci azzar-
diamo ad individuarlo, per ora, in Camillo Renato (17). Siamo nel
maggio del 1568. Assai più interessante è, invece, la lettera del 5 di-
cembre 1565 di Celso a Camillo ove, tra le altre notizie relative alla
stampa da lui curata in Venezia delle opere del padre, Mariano jr., ed
a quella di un libro di Mariano Antiquo di cui Camillo aveva in-
combenza in Svizzera (ulteriore conferma del largo giro che Camillo
(13) Op. cit.. p. 323.
(14) Op. cit.. p. 321.
(15) Cfr. L. Firpo. Il vero autore di un celebre scritto anli-lrinitario: Christian
Francken non Lelio Sozzini. in Boll. Soc. Studi Valdesi, Anno LX.XVII. n. 104 (die.
1958), p. 68, nota n. 60.
(16) D. Cantimori, op. cit.. p. 349, nota.
(17) cfr. G. B. Gallizioli. in Memorie isteriche e letterarie della vita e delle
opere di Girolamo Zanchi. Bergamo, 1785. p. 54 ricorda come il teolop) riformato ber-
gamasco dopo il luglio 1567 e prima della sua partenza per Heidelberg, avvenuta nel
dicembre 1568, ritiratosi a Pinz. conversasse frequentemente con Camillo Renalo.
— 41 —
aveva anche presso i tipografi: v. pure in relazione aWExpUcatio),
nonché alle notizie sulla propria famiglia e su Fausto, vi è un impor-
tantissimo accenno a Lucrezia Sabbadini che appare decisamente
conquistata dal credo riformato, che . peraltro lascia indifferente, a
quanto se ne può dedurre, Celso. Scrive infatti lo Scolorato: « Altre
particularità non ho da dirti salvo che Lucrezia vorria l'istituzione
che si dovria insegnare ai fanciulli acciocché bene e dirittamente si
incamminassero con il timore d'Iddio, sicché di grazia glie ne man-
darai una acciocché lo possi mettere in pratica con i suoi figli ». Ri-
levato quel « suoi figli » (sic!); escluso, per ovvi motivi religiosi, che
!'« istituzione » di cui si pari asia un'opera di Calvino, non resta che
avanzare la supposizione che ci si riferisca ad un'opera di Juan de
Valdés.
Altro e a lungo ci sarebbe da dire, ma il quadro fondamentale
di questi anni della giovinezza di Fausto Sozzini e dei suoi rapporti
con lo zio Camillo e con il Betti mi pare sufficientemente delineato in
base ai documenti ritrovati e sui quali, lo ripetiamo, è necessario
fare un più ampio discorso critico.
Da ultimo, per finalmente concludere, vorrei ringraziare per i
consigli e l'incoraggiamento datimi nel prosieguo della ricerca, il
prof. Antonio Rotondò; per la rilettura dei testi e la soluzione di al-
cuni problemi storici e filologici, l'amico dott. Valerio Marchetti.
Giampaolo Zucchini
Melchor Cano: la storia
come locus theologicus*
1. Nulla potrebbe testimoniare il nuovo ruolo assunto dalla sto-
ria nell'enciclopedia del sapere del '500 più efficacemente dei nume-
rosi trattati volti a definire linjiuaggio, caratteristiche, compiti di
questa branca dell'attività intellettuale. Sono cose risapute: la sto-
ria non è più soltanto celebrativa e dispensatrice di gloria, né solo te-
soro delle memorie antiche, ma si pone, da Machiavelli a Bodin, co-
me ispiratrice dell'azione politica e matrice di suggestioni per il con-
solidamento del senso dello stato; presso gli umanisti, come Polido-
ro Virgilio, essa serve al compito di mostrare come l'uomo ha co-
struito nel tempo le strutture che reggono la sua esistenza attuale;
gli uomini del grande dibattito religioso, infine, si rivolgono alla
storia per affrontare il senso dei problemi attuali, per cercarvi con-
ferme o condanne: è soprattutto per loro, che la storia, in partico-
lare sotto la specie di storia universale, assume per la prima volta
(*) Per M. Cano (1509-1560) e la sua posizione nella storia della teologia cfr.
Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. II coll. 1592-93 (s. v. Cano, M.), vol. XV,
1 coll. 421-23 (s. V. Théologie). Resta fondamentale, M. Bataillon, Erasme et l'Espa-
gne, p. 545 sgg. (per i precursori teologici di Cano); p. 558 sg., p. 754 sgg. (per
il contrasto con Carranza, visto come « l'inspirateur d'un courant pietiste qui s'oppose
au courant intellectualiste orienté par Cano »); p. 746 (per la posizione di Cano in
rapporto ai Gesuiti) p. 767 sgg. (per indicazioni complessive sul clima culturale in cui
nascono i Loci theologici).
La « praefatio instar Prologi Galeati » premessa da P. Giacinto Serry Doct. Sor-
bon. — alla edizione patavina (apud Joannem Manfré) del 1714 orienta sulle pole-
miche suscitate fino a quell'epoca dalle critiche di Cano agli agiografi ed agli storici
ecclesiastici (è ripresa nell'edizione di Bassano 1746, che riproduce la patavina del
1714) e allinea testimonianze sulla stima di cui godeva Cano come storico e trattati-
sta « de scribenda historia ».
Cfr. inoltre J. Quetif - J. Echard, Scriptores Ordinis Predicatorum. voi. II, Pa-
rigi 1721, p. 176-178; A. Touron, Histoire des hommes illustres de l'Ordre de S. Do-
minique, IV, Parigi 1747, pp. 193-204. R. P. Mortier, Histoire des Maitres généraux
de l'ordre des frères prêcheurs, tomo V, Parigi 1911, presenta la cultura domenicana
spagnola sotto il 44° maestro generale Albert de Casaus, pp. 372-388; la contrapposi-
zione Cano-Carranza vi è vista in forma molto semplicistica come scontro tra « plus
humanistes » e « plus scolastiques » ib. p. 385. Angel Valbuena Prat, Historia de la
literatura Espanola, 2" ed., Barcellona 1946, tomo I, cap. XXVI, presenta un incisivo
ragguaglio della cultura teologico-umanistica a Salamanca e fornisce utili indicazioni
bibliografiche sull'opera di Cano.
— 44 —
(ma meglio sarebbe dire, riprende, dopo S. Agostino) il ruolo di
grande orizzonte vitale, un ruolo vissuto e talvolta drammaticamen-
te vissuto, come presso le correnti « catastrofiche », che leggono la
loro posizione nel tempo come quella di partecipi ad una Grande Fi-
ne ed a un Grande Principio; e basti qui pensare, per un esempio,
alle siippiitationes di Lutero'; o alle indicazioni del Chronicon Ca-
rionis; o al modo in cui formula la posizione dell'umanità nel tem-
po Giovanni da Sleida : « nobis in hoc mundi postremo curriculo po-
sitis » ^.
2. Paradossalmente (ma non troppo) è proprio all'interno di
questi dibattiti, nel regno quindi della controversia più accesa, che
fruttificano più abbondantemente i nuovi canoni euristici e il nuo-
vo senso della distanza storica approntati dalle ricerche degli uma-
•nisti. Qui: perché qui la posta in gioco è particolarmente severa ed
un nuovo documento o una più affinata maniera di leggerlo possono
servire a minare efficacemente la vecchia istituzione, a fornire rag o-
ni alla nuova, ad impedire alla nuova di cristallizzarsi secondo la li-
nea di errori antichi e via dicendo.
Non bisogna dimenticare che questa è l'epoca della storia euro-
pea in cui il passato - sacro o profano - ha goduto del suo prestigio
più alto: giustificarsi di fronte ad esso - di fronte ai « Romani » o ai
« Cristiani dei primi secoli » - rientra negli obblighi di un'età che
compie una grande trasformazione intellettuale e religiosa richia-
mandosi alle origini - (rivoluzione come obbedienza all'autorità del-
la tradizione).
Ora la storia, col coro delle discipline, che in seguito si chiame-
ranno ausiliarie, filologia, cronologia, geografia, antiquaria... è il tra-
mite di questo contatto di importanza vitale: di qui la sua rilevanza
nuova e la sua crescita di prestigio nella mappa dei valori intellettuali.
3. Di qui anche l'infoltirsi dei tentativi cui si accennava all'inizio,
di definire in termini teorici il suo nuovo ruolo. Riservata ai « gram-
matici », (ma in un contesto culturale in cui il grammatico vede le
sue funzioni riabilitate e sollevate a quelle di critico), e raccoman-
data ai filosofi e ai teologi, quasi come strumento di una « pietas no-
va », essa giunge a permeare tutte le scienze, dalla medicina all'astro-
logia (come dimenticare la concreta esperienza storica che opera nel-
le discussioni di Pico?). Discussioni sul linguaggio della storia (da
Rodolfo Agricola a Pontano), sul suo rapporto con la poesia, con la
retorica e finanche col romanzo, sulla sua utilità e sulla sua plausi-
bilità euristica o status epistemologico con connesse professioni di
scetticismo assoluto (Agrippa) o circostanziato (Vives); infine i primi
abbozzi di storia della storiografia, con Mose che contende ad Ero-
doto il ruolo di padre della storia; e noi il problema delle sue rela-
(1) Lutheri Opera t. IV, Jenae 1570, f. 674-733 (Supputatio anorum Mundi DM.
Lutheri).
(2) Jo. Sleidani, De quatuor summis imperiis. lib. III. exc. Conradus Badius,
1559, p. 50 V.
— 45 —
zioni con ]a teologia e la sua trionfale assunzione tra i siibsidia fidei,
riconoscimento sicuro della acquistata importanza (3).
4. Qui ci proponiamo di fornire alcune indicazioni sui modi in
cui questa assunzione si attuò nell'opera del teologo spagnolo Mel-
chiorre Cano, precisando che non si vuole solo esemplificare astratta-
mente un processo, ma descrivere in concreto il modo in cui un'opera
teologica di grande autorità e duratura fortuna in campo cattolico (e
non solo cattolico: Vossiiis...) ragiona e autorizza la rivelanza reli-
giosa dell'indagine storica; non solo: ma delimita e poi difende la
dignità euristica in generale della nuova disciplina. In breve: l'ope-
ra di Cano contiene una immagine ragionata della teologia come rhe-
lorica fidei; la rhetorica, si sa, attinge ad un serbatoio di loci, cioè
di depositi di argomenti; il decimo di questi « depositi » è costituito
dalla storia.
Ma procediamo per gradi: Cano assegna alla teologia non un com-
pito di ricerca della verità, ma semplicemente di conferma di essa.
La verità è data: sta nel Libro e nel magistero della chiesa; ogni af-
fanno di autonoma ricerca, stando così le cose, è perdita di tempo
sul piano pratico, presunzione colpevole sul piano morale, eretico di-
fetto di fede dal punto di vista teologico. In un'epoca in cui la citta-
della della fede è attaccata da tutti i lati e con tutti i mezzi il teologo
deve farsi vigile intelligenza armata per la difesa: le armi sono gli ar-
gomenti e questi non hanno bisogno di essere forgiati ex novo, atten-
dono solo di essere appresi e coordinati con tagliente efficacia, gerar
chizzati secondo il loro ordine di autorità. Così Cano costruisce una
serie di loci distribuiti secondo un ordine decrescente di cogenza ar-
gomentativa, che inizia col serbatoio delle « res gestae dei », la Scrit-
tura, e termina con la memoria delle res gestae hominum, appunto
la storia (4).
(3) Per raccolte di trattati sulla storia il punto di riferimento più comodo è
YArtis historicae penus, pubblicato da Perna a Basilea nel 1576 e in ed. ampliata nel
1579. Cfr. ora anche, Theoretiker U manistischer Geschichtsschreibung, Miinchen 1971,
(Humanistische Bibliothek, Abhandlungen und Texte, in Verbindung mit dem Centro
Italiano di Studi Umanistici e Filosofici etc.) Nachdruck exemplarscher Texte aus dem
16 Jahrhundert, a cura di Eckhard Kessler Contiene scritti di Robortello, Atanagi.
Patrizi, Aconcio, Viperano, Foglietta, A. Sardi, Sperone Speroni. Per Agrippa, cfr. il
cap. V. (De historia) nel De Vanitale Scientiarum, alle pp. 20-21 nell'ed. per Berin-
gos fratres. Per Vives, v. i passi sulla storia nel II e nel V del De tradendis disciplinis:
in lui il senso dell'importanza della storia, esaltata come matrice di tutte le discipli-
ne, si accompagna ad un vivace atteggiamento di critica verso le sue condizioni attuali.
(4) Vedi l'elenco a p. 2 dell'ed. Patavii, Typis Seminarli, 1714, apud Jo. Manfrè,
alla quale si riferiranno le citazioni da qui innanzi: 1) auctoritas S. Scripturae; 2) auc-
toritas traditionum Christi et Apostolorum; 3) auctoritas Ecclesiae Catholicae; 4) auc-
toritas Conciliorum praesertim generalium; 5) auctoritas Ecclesiae Romanae; 6) aucto-
ritas Sanctorum veterum; 7) auctoritas Theologiae Scholasticae et luris pontificii peri-
torum; 8) auctoritas rationis naturalis; 9) auctoritas Philosophorum qui naturam du-
cem sequuntur; 10) « Postremus denique locus est humanae auctoritas historiae sire
per auctores fide dignos scriptae sive de gente in gentem traditae. non superstitiose
atque aniliter sed gravi constantique ratione ».
— 46 —
5. È noto che uno dei grossi problemi che il genere storia ha do-
vuto superare per definirsi all'interno dell'enciclopedia del sapere
nata dalla matrice degli studi di retorica è stato quello della sua dif-
ferenziazione rispetto ai generi narrativi d'invenzione: è stato chiaro
molto presto il carattere Sir^yiOt^aTixôç narrativo, che la storia aveva in
comune con questi, e la sua finalizzazione al particolare, allo speci-
fico; in questa prospettiva, all'interno di una visione filosofica come
quella aristotelico-scolastica per cui la conoscenza privilegiata è quel-
la per universali, il discorso storico poteva essere qualificato come
quello a più basso valore conoscitivo, inferiore anche al discorso poe-
tico. Che Cano continui ad essere tributario a questa valutazione è di-
mostrato dal fatto che egli colloca la storia all'ultimo posto dei loci,
dopo auctoritas rationis natiiralis (lociis 8) e auctoritas philosopha-
rum qui naturam ducem sequuntur (locus 9).
La sua posizione è tuttavia ben lontana dall'esaurirsi in questo
omaggio alla tradizione. Non bisogna dimenticare che i loci theologici
abbozzano il disegno di una nuova teologia destinata a far da media-
trice fra la condanna ai deliramenti speculativi dei « dialectici » e
l'esaltazione delle humanitatcs promamanti da una tradizione che in
Spagna si autorizzava dei nomi di Erasmo e Vives, da una parte, e la
eredità tomista a cui Cano si dichiara fedele, dall'altra. In questa
prospettiva di rivalutazione delle « humanitates », che serve del resto
anche ad una precisa polemica contro il luteranesimo, trova il suo po-
sto la storia: sicché una valutazione corretta del discorso di Cano sul-
la storia deve riportarsi ad una definizione precisa degli obiettivi che
il teologo domenicano si è posto, all'interno di un disegno intelli-
gente ed ambizioso di restaurazione dottrinale cattolica. Questa re-
staurazione passa attraverso tre obiettivi: rinnovamento degli studi
teologici che accolga alcune delle istanze antispeculative sviluppate
dall'umanesimo cristiano con il suo attacco alle degenerazioni sofisti-
che della scolastica in nome di un ritorno alla scrittura e ai padri;
contenimento e riconduzione all'ordine della corrente che possiamo
pur chiamare « erasmiana », attraverso la denuncia delle sue degene-
razioni individualistiche e dei suoi arbitri esegetici; sconfitta del lute-
ranesimo, attraverso una mobilitazione delle forze della cultura tra-
dizionale e una denuncia dei pericoli oscurantistici impliciti, secondo
Cano, nello scritturalismo e nel pietismo protestanti. Il libro IX dei
Loci difende l'utilizzazione della ragione naturale da parte del teolo-
go; certo, il cap. I e il cap. VII mettono in guardia « ne plus aequo
in re Theologica rationi naturali tribuatur », e denunciano « arguta-
tiones vanas, quarum nullus in Theologia fructus est » (244) (si po-
trebbero agevolmente confrontare gli elenchi di questioni futili del
cap. VII, p. 252, con luoghi analoghi di Erasmo e di Vives); ma l'ac-
cento del discorso è piuttosto <la individuare in prese di posizione co-
me la seguente (cap. Ili, p. 246): a ÌAitherus etiam. qui omnes om-
nium haereticorum haereses in unam fecit Camerinam conflluere, non
modo asseruit philosophiam esse theologo inutilem et noxiam, verum
etiam omnes speculativas disciplinas errores esse... Cornelius quoque
— 47 ^
Agrippa vir post hominutn memoriam vanissiinus, in suo libro qui de
vanitate scientiarum inscribitur non... Philosophiae solum sed omni-
bus hunianis disciplinis, atque adeo divinis bellum indixit ». E se-
jruita citando Epicuro che « rejicit dialecticam », gli Alfaquini, che
« Machumetis Saracenos procul ab omnibus disciplinis abducunt »,
Giuliano l'apostata che « Christianis lege interdixit studiis bonarum
artium ». Lo scritturalismo dei Luterani viene descritto come appiat-
timento della cultura a povero gioco di memoria, squallida repres-
sione degli ingegni vivaci: « ut sutores qui novum Testamentum me-
moriae mandarunt, magni et praeclari Theologi haberentur... » (5),
mentre « optimo quisque splendidissimoque ingenio, quamlibet acie
mentis et veri perspicientia polleat, quamlibet rerum et divinarum et
humanarum ordinem ac connexionem teneat, quamlibet omnium
causas, effecta, antecedentia, consequentia, non animo solum per-
lustrarit, sed etiam comprehenderit, nullo tamen apud istos habeatur
in pretio »; e Cano si meraviglia che questo « morem eiciendi huma-
nas rationes » abbia potuto prendere piede anche in certi ginnasi cat-
tolici, con conseguenze deleterie per la cultura ecclesiastica qualora
la tendenza non venga arrestata. Certo, la « ratio » deve essere sotto-
posta air« auctoritas »: sono per esempio da condannare senz'appel-
lo « illos... qui Philosophiam Evangeliis praeferunt, quibus Averrois
Paulus est, Alexander Aphrodisiaeus Petrus, Aristoteles Christus,
Plato non divinus sed Deus... » (e Cano evoca proprie esperienze ita-
liane, per denunciare l'esistenza di prelati che « postque galeros etiam
et infulas, non Prophetas, non Apostolos non Evangelistas, sed Cicé-
rones, Platones, Aristoteles personabant », p. 254) — ma il cattolico
deve tenere fermo all'importanza delle arti liberali; Cano schiera se-
quenze di testimonianze patristiche a difesa della cultura « humana »
(cap. V, p. 248 sgg.); che va tenuta, d'altra parte, in una posizione
d'equilibrata « medietas » (ne quid nimis, a p. 254), e va purgata dei
suoi difetti, per poter servire al fine superiore cui resta pur sempre
subordinata (qui Cano cita da Gerolamo, l'esempio, comune già ne-
gli umanisti del '400, della captiva Moabitis, p. 252) (6).
La rilevanza di queste prese di posizione andrebbe valutata in
un contesto piii ampio di « storia dell'educazione in Europa », dove
le tesi di questo domenicano potrebbero servire ad articolare maggior-
mente il discorso consueto sull'influenza della « ratio stiidiomm ge-
suitica ». Ma torniamo alla storia.
6. Oltre alle ragioni filosofiche generali che sembravano negare
alla storia un ruolo conoscitivo utile, agli effetti almeno delle esigen-
ge teologiche, Cano deve fronteggiare un tipo di obiezione che trae
le sue ragioni dall'apparente constatazione empirica dell'inefficienza
(5) Loci, IX, 4, p. 246.
(6) Hieronymus ad Damasum, ep. XXI, in Migne, PL, 22, col. 385-86, con riman-
do a Deut. XXI, 10-13. Per le riprese umanistiche cfr. Boccaccio, De Gen. Deor. XIV,
ed. Romano, Bari 1951, p. 736, Salutati, Ep. a cura di F. Novali, IV, I parte, p. 187 etc.
— AS —
conoscitiva della storia. Egli deve constatare come un fatto che nella
opinione comune è diffusa un'immagine della storia come regno delle
affermazioni arbitrarie. Enrico Cornelio Agrippa, alla cui scepsi Cano
intende contrapporsi, aveva mostrato molto bene a quali conseguenze
conduceva l'incertezza della collocazione e dello status epistemolo-
gico della storia. Per sfiducia nella verità gli storici abbandonano il
terreno dei fatti per trasformare il loro racconto in narrazione esem-
plare, giustificandosi con l'utilità morale che ne viene ai posteri:
« tale profecto Xenophon de Cyro non qitalis esset, sed qualis esse
debuisset tanquam optimi principis exemplar et archetypum scitam
elegantemque, sed absque veritatis fide historiam descripsit » (7). Per
questa via della storia esemplare si è arrivati ad un punto che non
si fa più differenza fra le storie degli storici e quelle dei romanzieri
che scrivono di Amadigi e di Artù, di Lancilotto e di Tristano. Cano
si propone di fronteggiare questo stato di cose. È impressionato dalla
diffusione che ha preso fra i Cattolici la pratica della pia menzogna
a scopo edificante che deturpa in particolare l'agiografìa. Ha notazio-
ni interessantissime sulla psicologia della falsificazione : « Qua in re
cum episcopus quidam nostras deprehensus esset saepe peccasse (eos
enim auctores citare interdum, quos nulla unquam habuit aetas, eas
res olim gestas scripserat, quas nulli homines ediderunt) respondit re-
ferre nihil in hìstoria sic an aliter omnino sentias : quod omnia essent
ambigua, nisi quae sacris Uteris continerentur « (8). Sulle menzogne
o ingenuità degli agiografi egli riprende pagine durissime di Vives (9);
certo, il riso di Erasmo lo irrita, ma lo irrita anche la faciloneria con
cui i suoi correligionari si fanno gioco della verità storica, senza ren-
dersi conto che, anche solo agli effetti dell'efficacia apologetica, biso-
gna costruire discorsi a livello dei tempi, e i nuovi tempi sono carat-
terizzati dall'acutezza dei « critici », con cui bisogna fare i conti. Me-
scolando considerazioni teoriche e ammonimenti morali Cano tende
a ridurre l'artificioso fossato scavato tra storia sacra, dove il rispetto
più scrupoloso della verità è di rigore, e storia degli uomini, dove si
avrebbe licenza di menzogne sia pure a scopo edificante. La Chiesa
non si fonda solo sul sacro testo, ma anche sulla tradizione, e, siccome
la chiesa vive nel mondo, la sua tradizione tocca, anzi si intreccia in-
scindibilmente, con la tradizione profana. Ricordiamo che i Loci
theologici nascono durante il Concilio di Trento e che nel loro sforzo
di combinare « auctoritas » e « ratio », sono un consapevolissimo ten-
tativo di risposta alle esigenze sollevate dal Concilio. La storia è uno
degli organi della tradizione e in questo preciso senso assume come
subsidium fidei una dignità e una rilevanza teologica finora scono-
sciuta; e lo storico cattolico è l'autorevole difensore della tradizione,
in modi però che accantonino l'arbitrio edificante ed ottemperino ad
una precisa deontologia critica che Cano si sforza di codificare.
(7) De vanitale scientiarum, ed cit. p. 21; cfr. ancRe Epiatolarum, V, 1 (p. 895-896
dell'ed. Per Beringos fratres).
(8) Loci, p. 312.
(9) Loci, 320 sgg.
— 49 —
7. Veramente c'era già stato in campo cattolico, anzi airinterno
dello stesso ordine domenicano, un tentativo, allora abbastanza re-
cente ed ancora notevolmente accreditato, di fissare le regole di una
storia come scienza rigorosa. L'aveva attuato Annio da Viterbo, astro-
logo e magister sacri palatii di Alessandro VI, e la spietata stronca-
tura delle falsificazioni del confratello acquistò a Cano fama di im-
parzialità ed acume critico presso protestanti come Vossius, ma non
passò senza lasciare nell'Ordine gravi perplessità che si riflettono an-
cora in Quétif-Echard, anzi direi persino nel Dictionnaire de Théo-
logie catholique. La situazione di Annio è troppo pregiudicata dalle
falsificazioni con cui si è volontariamente seppellito, ma fra le esi-
genze che egli poneva allo storico c'era quella di lavorare esclusiva-
mente con documenti di archivio: che in questo modo egli ponesse al-
la storia antichissima compiti per allora insuperabili, è dimostrato
anche dal fatto che egli costruì i documenti che non riusciva a tro-
vare: il suo Beroso, il suo Metastene etc. Comunque, per questa indi-
cazione di metodo e per la intuizione che un trattamento sbtematico
delle testimonianze linguistiche può offrire qualche luce sugli stadi
antichissimi della vita dei popoli egli merita forse di essere studiato
più attentamente, se non altro per capire il successo straordinario di
cui godette nel '500 (10).
Sta di fatto che Cano nel tentativo di fissare degli « indices histo-
riae, cioè delle regole rigorose « quibus historici cuiusque fides explo-
retur » (11), deve fare i conti con l'affermazione di Annio (12) che
aveva indicato come scrittori attendibili soltanto quelli che « publica
fide scripserunt », cioè storiografi ufficiali o scribi, « publici notarii »,
le cui opere sono conservate negli archivi pubblici, mentre aveva re-
spinto gli scrittori « privati »: all'interno dello schema tradizionale
delle « quattro monarchie » egli diceva sì a Beroso e a Metastene e
no ad Erodoto per la Monarchia degli Assiri; sì a Metastene e Ctesia
di Cnido, contro Giuseppe Flavio ed Eusebio, per i Medi ed i Per-
siani; Eusebio viene invece accolto (accanto a Filone) per la 3* mo-
narchia, quella dei Greci, e la 4*, quella dei Romani, perché « publi-
cam annalium fidem sequitur ». Cano ha buon gioco nel criticare que-
ste affermazioni di Annio: che sono per un verso difettose, perché
non si può affermare che i documenti fossero conservati solo nelle
« quattro monarchie »; e sono per altro verso eccessive, perché per i
Greci Annio non potrebbe provare l'esistenza di « certos historiae
administros » nelle repubbliche greche: neanche dopo il tempo « mi-
(10) Su Annio da Viterbo cfr., oltre il tentativo biograiìco di R. Weiss, Traccia
pér una biografia di Annio da Viterbo in « Italia medioevale e umanistica » 1962, v.
pp. 425-441, l'importante contributo di E. N. Ticehstedt, Joannes Annius and Grae-
cia Mendax. in Classical, Mediaeval and Renaissance Studies in honor of B. L. Ullman,
II, Roma 1964, 293, 310 e gli accenni di A. Momigliano, soprattutto in Terzo contri-
buto... Roma 1966, II, p. 770 sgg. e p. 803.
(11) Loci, p. 306.
(12) La confutazione delle regole di Annio in Loci, 307-317.
4
— 50 —
tico » anteriore alle olimpiadi (13), osserva Cano utilizzando Jose-
phiis. Contra Apionem, si può sostenere « eiusmodi historicos publica
authoritate diffinitos destinatosque fuisse » (14) nelle città greche; ed
anche l'annalistica romana è del tutto problematica, come si capisce
da Livio e come ha mostrato Enrico Glareano. Cano cita i passi di
Livio, che documentano l'incertezza della tradizione; sa della distru-
zione di « annales pontificum » e « libri lintei » nell'incendio galli-
co (15); conclude: « nihil igitur afferunt qui in Graeconim Romano-
rumque monarchiis publicos fuisse annales aiunt, ad quos caetera»
oporteat historias revocare » (16). Si badi bene: Cano non discute
l'importanza dei documenti d'archivio; contesta solo l'affermazione
di Annio, secondo cui Eusebio sarebbe da preferire (per le indica-
zioni cronologiche) ad altri storici, perché i suoi dati risalirebbero a
documenti d'archivio, di cui si può tranquillamente negare l'esisten-
za. Quanto a Medi, Persiani, Babilonesi, si sa che tenevano scribi
pubblici e si sa che Beroso « auctoritate publica Chaldaeorum histo-
riam edidisse ». Ma i libri che Annio ha messo in circolazione sotto
il nome di Beroso (come quelli che ha attribuito a Metastene) sono
falsi: « fictus est... Berosus iste annianus ». conclude trionfalmente
Cano dopo aver messo a confronto i testi berosiani di Annio con i
frammenti citati in Giuseppe e Diodoro. È una dimostrazione filolo-
gicamente inoppugnabile e il discredito che ne riverbera su Annio
travolge anche le sue regole, riabilitando la tradizione: non è il caso
di respingere Giuseppe, Eusebio, Gerolamo in nome di fantastici
« annali di Susa ».
E tuttavia: la proposta di Annio era pure un tentativo di colle-
gare a regole oggettive la credibilità delle fonti storiche. Il fallimento
evidente della proposta anniana dovrà condurre alla scepsi? « Nulla
via ratioque erit, qua veraces historicos a fallacibus distinguere atque
internoscere valeamus? » (17). Tanto più che Cano si trova a dovere
respingere anche un'immagine della storia, antitetica in certo senso .i
quella di Annio, che si autorizzava nientemeno che del prestigio di
S. Gerolamo: « Lex vera historiae est, ui Hieronymus saepe dixit, ea
scribere, quae vulgus existimat, quamvis re ipsa falsa sint » (18). Se
si accetta questo principio, osserva Cano, ogni argomentazione storica
è fallace « quod historiens non veritatem rerum sed opinionem ex-
presserit », e « vulgi ferme opinio falsa est »; e si dilunga sulle con-
seguenze deleterie di questo criterio storiografico in un passo che cri-
tica i « mendacia » degli agiografi: « id... eo magis sibi licere existi-
marunt quod intellexerunt auctoribus nobilissimis plncitisse veroni
(13) Loci, p. 307.
(14) Loci, p. 308.
(15) Loci, p. 309.
(16) Loci, p. 311.
(17) Loci, p. 317.
(18) Loci, D. 276, che rimanda a Hier., In Matth. 14, 9, cfr. Migne. PL. 26,
col. 101.
— 51 —
historiae legem esse ea scribere quae vulgo vera haberentur » (19).
Respinto dunque, come impraticabile il criterio anniano della storio-
grafìa come registrazione ufficiale debitamente archiviata, respinto co-
me pericoloso il criterio geronimiano della storia come « relatio vocis
populi », quali regole si possono avanzare per stabilire in maniera
inattaccabile dalla scepsi l'autorità della storia?
8. Cano risponde anzitutto ribadendo l'autorità della tradizione
storiografica costruita dagli umanisti, (cfr. l'elenco degli storici auto-
revoli alle pp. 319-20), ma mostrando, attraverso esempi pratici di
discussioni di difficoltà, un modo estremamente agile e dinamico di
intendere il concetto di tradizione: la quale deve essere criticamente
vagliata : 1) attraverso un processo che potremmo chiamare di elimi-
natio fontium descriptoriim che può, ad esempio, dimostrare l'esilità
ili una tradizione in apparenza solidamente documentata; 2) attra-
verso una esperta analisi del linguaggio in cui sono formulate le pro-
posizioni della fonte, che essendo di tre tipi (proposizioni testimo-
niali, proposizioni congetturali e proposizioni suggestive) si collocano
in maniera molto diversa rispetto all'esigenza di verità: applicando
questo criterio dei diversi piani di discorso molte contraddizioni si
rivelano apparenti, e ne viene consolidata l'autorità della storia con-
tro la scepsi; 3) attraverso l'apporto delle scienze ausiliarie della sto-
ria (cronologia, corografia, filologia, antiquaria...), della cui impor-
tanza questo teologo manifesta una consapevolezza lucidissima. Tutti
i criteri esposti emergono dalla discussione concreta, minuta, punti-
gliosa di esempi di contraddizione di cui si nutriva lo scetticismo sul-
la storia: la risposta pratica di Cano è, insomma, che la contraddi-
zione è tale solo per la pigrizia dei controversisti che si fermano alla
superficie delle cose e rinunziano a mettere a punto i loro strumenti
di lavoro (20). Mi pare indubbio che con queste discussioni l'erme-
neutica storica compia un passo avanti decisivo nel senso della gran-
de erudizione secentesca, (gli elogiatori del '700 poi apprezzeranno
in Cano il raffinato « esprit de justesse », acuto senso delle distin-
zioni che si esercita sui « realia »).
Quanto poi alle caratteristiche generali che Cano esige nello sto-
rico perché abbia auctoritas (che sia un xùrônxr,? fededegno o audi-
tore di spettatori fededegni, o interprete « cum iudicio » di testimo-
nianze etc.), una loro analisi acquisterebbe senso pieno solo se fatta
attraverso l'esame comparativo di liste analoghe di requisiti che si
incontrano nella trattatistica storiografica di tutto il secolo (ed oltre),
e non l'affronteremo qui. Ci limiteremo a riprodurre la regola 3* che
ci riconduce allo sfondo ideologico della metodica di Cano.
« Tertia régula sit. Si cui historico auctoritatem ecclesia tribuit,
bic dubio procul dignus est, cui nos etiam auctoritatem adiungamus.
(19) Loci, p. 321.
(20) Ho sviluppato in altra sede Tanalisi dei 18 « argomenta » della scepsi. I cri-
teri indicati nel testo non sono teorizzati esplicitamente, ma operano nella discussione.
— 52 —
Comtra vero cui ecclesia derogavi! fidem, ei quoque nos ùêem iure ac
merito derogabimus » (21).
Che cosa conferisce alla chiesa cattolica questa funzione di supre-
ma guida degli studi? Nel capitolo 3° del III libro (De tradUionihus
apostoUcis...) si dà voce alla tesi ripetutamente affacciatisi nei dibat-
titi degli anni '30 (22) secondo-cui Gesù e gli apostoli hanno affidato
alla scrittura alcune cose, mentre altre hanno riservate alla viva voce.
C'è nel cristianesimo una tradizione esoterica per cui Cano evoca il
passo di Cesare sui Druidi, Pico neìV Apologia su Pitagora e Platone
Porfirio e il misticismo neoplatonico... (23). Il detto di Matt. 10: 27
Quod in aure auditis praedicate super teda si riferisce solo ad una
parte della dottrina cristiana, quella che tutti possono sopportare.
Ma poi Cristo parlò agli apostoli per quaranta giorni delle verità pro-
fonde della fede; poi mandò lo spirito a comunicare verità da non
gettare in pasto al popolo, come non si gettano le perle ai porci:
« nolo illa praedicetis super tecta, nolo vulgo annuncietis. Eadem
enim vobis celandi causa tunc erit, quae mihi nunc est: quod vulgus
portare non potuit » (24). Questa idea, che il popolo non può « por-
tare » la verità religiosa, aveva scatenato negli anni venti la generosa
polemica di Hutten contro Erasmo; ora serve a giustificare la confi-
sca delle funzioni di guida religiosa e culturale da parte dei principes
ecclesiae. Ci sono « duo rerum genera... quae ab Ecclesia creduntur.
Unum quod ad omnes pertinet... Alterum est genus earum rerum,
quas cognoscere non rudium et imperitorum in ecclesia sed maiorum
et sapientium interest... » (25), anzi, neppure « sapientes oranes, sed
ii tantum qui sint ecclesiae pastores ». Si costituisce in questo modo
un'é/ite di tecnici del discorso religioso, depositari di tradizioni arca-
ne, abilitati da questo possesso supplementare (« Ecclesiam esse anti-
quiorem srriptura ») a fungere da tribunale di ultima istanza di ogni
verità, anche delle verità scientifiche. Il criterio di questa suprema
istanza collettiva abilita Cano a pronunziare le sue condanne di prin-
cipio dei grandi « stravaganti » dell'w umanesimo cristiano »: Lefèvre,
Erasmo, il Caietano; ma anche minori come Agostino Steuco o Isi-
doro Clario: troppo attaccamento ai valori intellettuali, troppo indi-
vidualismo e presunzione... (26) (per converso, la difesa delle isti-
tuzioni della cultura gli serve alla polemica contro quell'altro tipo
di individualismo che si incarna nello spiritualismo mistico).
(21) Loci. p. 322.
(22) Indicazioni in C. CiNZBURC, // nicodemismo. Torino 1970. p. 11 sgg.
(23) Loci. p. 89; cTr. anche p. 101: « Haeretici enim mysteria sua mulierculis et
idiotis homunculis produnt. At Catholici vulgo prodere piaculi loco habent ».
(24) Loci", p. 102.
(25) Loci. p. 137.
(26) Per Erasmo, cfr. ad es. Loci II. cap. 11. 18: XII. cap. 10: « Laurcntius. Fa-
>ber, Erasmus. Eugubinus (è Agostino Steuco da Gubbio) » assieme, come traduttori
a irriverenti ». in II, cap. 12, p. 49. Isidoro Clario con Caietano, ad es. p. 57: per
un giudizio più disteso sul Caietano, della cui opera però si denuncia la pericolosità,
cfr. Loci. VII. cap. 4, p. 222.
— 53 —
Per tornare alla storia: quanto si è detto sin qui avrà reso evi-
dente che la valutazione formulata una volta da Chabod, secondo cui
Cano può essere elencato tra quei trattatisti coi quali la storia « fa un
jiran passo innanzi nella conquista della sua 'autonomia' » (27), ri-
chiede almeno tutta una serie di « distinguo ». Certo, Cano ha piena
consapevolezza dell'importanza nuova che la storia ha assunto nel
quadro dei valori culturali del suo secolo, e certo Cano ha contribuito
moltissimo a fare apprezzare quest'importanza alla cultura ecclesia-
stica (le più che trenta edizioni della sua opera, considerata « di im-
portanza decisiva per lo sviluppo della teologia » postridentina, han-
no pur guidato le riflessioni sulla storia di molte generazioni di teo-
logi); il suo atteggiamento di fronte alla tradizione è notevolmente
libero e le sue opinioni in fatto dì agiografìa sì radicano ancora sullo
spirito pretridentino e sono assai più spregiudicate, poniamo, di quel-
le di Johannes Bollandus. Ma in quanto ad « autonomia », resta pur
vero che la storia non è che l'ancella piti umile della teologia e che
il criterio della sua verità risiede altrove.
Albano Biondi
(27) F. Chabod, Lezioni di metodo storico, a cura di L. Firpo, Bari 1969, p. 17.
L'opera di Cano vi appare inserita con altre in un processo, qualificato come « primo
avviamento... alla glorificazione della storia compiuta poi dall'idealismo moderno ».
Correspondance de Jean Léger
Pour mieux pompxendre les lettres qui vont suivre tâchons de
les placer dans leur juste cadre. Elles datent de son séjour en Hol-
lande (1663-1670).
L'Eglise Wallonne des Pays-Bas, par laquelle Jean Léger fût
appelé, existe depuis 1574. Persécutés par le cruel Duc d'Albe et son
successeur Alexandre Farnese quantité de protestants, venant du sud,
ïp retrouvèrent à Middelbourg en Zélande et y fondèrent le premier
temple Wallon des Provinces Unies. Puis, continuant à affluer vers
ce centre d'accueil ils en dépassèrent bientôt les bornes et se disper-
sèrent à travers toute la Hollande. En peu de temps les Wallons s'ins-
tallèrent dans toutes les grandes villes. On les accueillait à Amster-
dam, comme à la Haye, de Groningue à Bréda, de Nimêgue à Ley-
den, Utrecht et Harlem (1).
Les magistrats ainsi que la population compréhensive et hospi-
talière, puisqu'elle aussi venait d'être libérée du joug espagnol, les
reçurent à bras ouverts; offrant des temples, cherchant des pasteurs,
Avant de lire la correspondance de Jean Léger il est nécessaire de considérer les
faits suivants:
1) Que son écriture était très peu lisible, comme le prouve déjii le postcriptum-
ajouté à la première lettre qui va suivre; celle des Conducteurs de l'Eglise Wallonne
de Leyden. Il l'avoue d'ailleurs lui-même!
2) Que Léger utilisait rarement des accents et que la ponctuation manquait
presque totalement. Nous nous sommes permis d'ajouter quelques points et virgules où
c'était necessaire.
3) Que Léger écrivait souvent le même mot. mais de deux façons différentes
dans une seule lettre.
4) Nous nous sommes tenus au texte original, avec tout ce que cela comporte.
5) Le mot âge s'écrivait du temps de L«ger avec deux a, donc aage. Léger abrège
les mots « qui » et « que » avec un trait transversal, donc q que nous indiquoms en
italique.
6) Le lecteur est prié de lire également l'article du Professeur T. G. Pons, in-
titulé L'ultimo decennio della vita di Giovanni Léger e la sua Storia, dans le Bolletti-
no della Società di Studi Valdesi. Anno LXXVIII, n. 107.
7) Le matériel de la Bibliothèque Wallonne de Leyden, se trouvant en ce mo-
ment a des endroits différents, pour cause de tranfération, nous ne pouvons indiquer
la collocation exacte et définitive.
8) Les lettres de Léger et de ses contemporains sont dâtées tantôt d'après de ca-
lendrier Grégorien, tantôt d'après le calendrier Julien, parfois aussi d'après les deux.
9) Lettre 10. Le mot tabut devait probablement être tabus.
(1) Les Eglises Wallonnes des Pays-Bas. p. 12-17. Edition de « L'Echo des Eglises
Wallonnes ». Amsterdam. 1963.
— 56 —
leur facilitant la vie, de sorte que peu à peu l'on compU 43 Eglises
Wallonnes faisant partie intégrante de la « grande église » Réformée
des Pays-Bas. Après tant d'enthousiasme il faut dire que quelques
unes en disparurent. Mais à Leyden, petite ville délivrée de la domi-
nation espagnole le 3 octobre 1574 après un siège qui lui avait coûté
de nombreux habitants, l'on n'était que trop content d'attirer du
monde. Ceci se fit en premier lieu (en récompense dit-on de son hé-
roïque résistance) par la fondation de l'Université, qui allait avoir un
rayonnement considérable et en second lieu par l'arrivée de cen-
taines de persécutés.
L'Université, bientôt célèbre, et le commerce de plus en plus
florissant (drapiers) ne manquèrent pas d'attirer intellectuels et com-
merçants, de sorte que les réfugiés y trouvèrent un centre culturel et
commercial d'après leurs besoins. Il était clair que cette population
laborieuse allait contribuer à l'avancement de la cité... pourvu que
l'on veillât sur les besoins matériels et spirituels de ces milliers de
nouveaux-venus. Des cultes en langue française, non seulement pour
les réfugiés mais aussi pour les étudiants venant d'autres pays et le
personnel (gouverneurs, gouvernantes, domestiques) au service des
notables et des marchands, furent célébrés à Leyden dès 1581. Mais
ce n'est qu'en 1584, à l'arrivée d'un nouveau groupe de 450 réfugiés
de Bruges, accompagnés par leur propre pasteur et son consistoire,
qu'une Eglise Wallonne fût fondée (2). Il va sans dire que les soins
journaliers pour tant de nouveaux membres demandèrent la présen-
ce d'un plus grand nombre de pasteurs, diacres et anciens.
Vers l'année 1663, pendant laquelle Jean Léger allait faire son
entrée à Leyden, l'on y compta six pasteurs Wallons dont un pré-
dicateur très apprécié, Pierre Agache, venait de mourir.
On se mit à chercher un remplaçant de la même valeur et pensa
d'abord à François Turretin, le célèbre théologue de Genève. Ce-
lui-ci, ayant répondu négativement (3) quoiqu'il « avait monstré une
grande inclination vers nostre troupeau », ne crût pas devoir quitter
la ville de Calvin. On passa donc un peu plus tard à une autre
élection...
Entre-temps Jean Léger n'était plus un inconnu pour les Eglises
Wallonnes comme on peut constater par les notes suivantes du
7 avril 1662: (4)
« Mons.r Léger, pasteur de l'Eglise de St. Jean ès Vallées de
Piémont ayant représenté la désolation des Eglises du dit lieu, notre
Comp: touchée de leur misère, a résolu de collecter quelque peu
pour leur subsistence, et avant de commencer a député Monsieur
Beeckius, notre très honnoré Collègue, pour apprendre des frères
flamands ce qu'ils voudront faire, et du jour et de l'heure ».
(2) Oeuvre citée, p. 51.
(3) Archives de la ville de Leyden. Actes du Consistoire de l'Eglise Wallonne des
Pays-Bas. 1658-1695. Vol. 44. p. 66 à gauche. Janvier 1662.
(4) Archives de la ville de Leyden. Oeuvre citée, p. 69.
— 57 —
Le 23 avril suivant on y lit: (5) « La Compagnie ayant ouï, par
Nostre très honoré frère le Sieur Jean Léger ministre en l'Eglise de
St. Jean ès Valées de Pieraond, le triste et deplorable estât des Egli
ses en ce quartier, estant esmeue de compassion envers nos pauvres
frères qui sont en affliction, a bien voulu leur procurer, autant qu'il
lui a esté possible, quelque chose pour subvenir promptement à leur
nécessité très pressante, et pour cest eCFect, ayant obtenu permission
de Mess.rs de nostre Venerable Magistrat, s'est adressée à quelques
uns des principaux membres de ceste Eglise que Dieu a bénits de be-
nedictions temporelles, pour pouvoir assister nos dits frères qui sont
dans la persécution & misère. Sans préjudicier aux aumônes néces-
saires pour les pauvres membres qui sont parmi nous, et a collecté
une somme de onze cens vingt quatre francs. Monsieur Beecq (6) a
obtenu aussy de nostre Magistrat cent Ryxdaellers pour Mons.r Léger
en particulier. Lesquelles sommes (selon l'advis du Sieur Léger) se-
ront envoyées à Mons.r le Chevalier Coeymans demeurant à Haer-
lem. Le frère des Quiens est prié de luy porter le dit argent et d'en
demander quittance, ce qu'il a accepté ».
Le 15 mai 1662, lorsque Jean Léger se trouve à la Haye, après
son voyage à travers la Suisse et l'Allemagne avec l'intention d'aller
en Angleterre pour y renseigner également les authorités protestan-
tes concernant le sort déplorable de son peuple, il écrit une lettre
aux pasteurs des Eglises Wallonnes des Pays-Bas, réunis au Synode
de Campen. Ils sont renseignés ainsi: « Mr. nostre très honoré frère
Jean Léger, Pasteur de St. Jean en Luserne, ès Vallées du Piedmont,
nous ayant représenté par lettre le triste et déplorable estât des Egli-
ses desdites Vallées, cruellement persécutés pour la religion par le
Conseil De propagande fide et exterminandis hereticis, et demandé
instamment que ce Synode les assistât de ces conseils et libéralités,
la Compagnie ayant des sentimens très vifs et douloureux de la frois-
sure de Joseph, et estant navrée par la playe de Sion, a ordonné que
lettres seront escrites audit Sr. et très honoré frère pour le consoler
en cette funeste et déplorable occurence; pareillement ayant entendu
que quelques bonnes âmes de plusieeurs de nos Eglises, estant émeues
par les entrailles de compassion, avoient déjà ouvert leurs mains de
charité et de bénéficence à l'endroit des persécutés, elle espère que
plusieurs autres imiteront leur libéralité pour le soulagement des-
dits Eglises » (7).
Le 21 mai suivant les « Actes du Consistoire », faisant allusion
à ce qui a déjà été communiqué auparavant, marquent: « Mons.r
nostre très honoré Frère François Turetin ayant escrit une lettre a
ceste Comp. dans laquelle il déclare de n'estre point en estât de pou-
voir embrasser la vocation qui lui a esté présentée de la part de ceste
(5) Archives de la ville de Leyden. Oeuvre citée, p. 70 et 21 à gauche.
(6) Le nom de ce pasteur s'écrit: Beeck, Beecq, Beeckius, selon les différents
documents.
(7) Archives de la ville de Leyden. LiDre Synodal de l'Eglise Wallonne. 1563-1685.
Art. 22, p. 598. M. NyhoflF. La Haye. 1896.
— 58 —
Conip. avec beaucoup d'instance pour les raisons déduites en la dite
lettre; La Comp. ayant considéré ses raisons comme aussi celles qui
sont contenues dans une lettre qu'elle a receu sur ce sujet de Mess.rs
les Pasteurs et Professeurs de l'Eglise & Académie de Genève a ré-
solu d'y acquiescer et a député vers Mess.rs de nostre Ven. Magistrat
Mess.rs Beecq et le Perre pour leur déclarer le contenu des dittes let-
tres et leur demander en mesme temps permission de passer à une
nouvelle élection » (8).
Le 2 juin nous lisons que: « La Compagnie des Pasteurs, An-
ciens et Diacres, assemblés en la crainte de Dieu pour nommer une
personne qui estant adjoustée au cincq qui sont demeurées sur la
dernière nomination, puisse remplir le nombre de six duquel on puis-
se en suite en appeler une pour servir en qualité de Pasteur en ceste
Eglise en la place de feu nostre très honoré frère Mons.r Pierre
Agaclie & après l'excuse de nostre treshonoré frère Mons.r François
Turretin, ayant obtenu pour cela permission de vostre Mess.rs de
nostre Vén. Magistrat, après l'invocation du nom de Dieu il a apparu
que la pluralité des suffrages est tombée sur la personne de Mons.r
nostre très honoré frère Jean Léger. Mons.r Cupif, president de ceste
Comp. Mons. Beecq. Mons.r le Perre, ont esté <léputés pour présen-
ter ceste nomination à Messrs. du Magistrat » (9).
Le 7 juin 1662 les « Actes du Consistoire « annoncent ce qui suit:
« En suite de l'approbation de la nomination qui a esté présentée à
nostre Vén. Magistrat La Comp. des Pasteurs. Anciens et Diacres,
tant ceux qui sont en charge que ceux qui l'ont esté, estant assem-
blée (Quiens, Messrs. Paets et Schilperoort, commissaires de nr. Vén.
Magistrat) pour faire élection d'une personne qui prenne sa part au
ministère de reste Eglise, et ayant imploré pour cest effect l'assistan-
ce du St. Esprit de Dieu, il a apparu que la pluralité des suffrages est
tombée sur la personne de nostre très honoré frère Mons.r Jean Lé-
ger. Messrs. Cupif et le Perre sont députés pour presenter cette Elec-
tion à Messrs. de nostre Vén. Magistrat ». Et en marge: « Rapport
a esté fait à la Compagnie que Messieurs de nostre Vén. Magistrat ont
approuvé la ditte Election de Monsr. Léger nostre très honoré
frère » (10).
Puis, le 11 juin suivant: (11) « Ensuite de la vocation que la
Comp. a fait de la personne de Monsieur Léger pour pasteur de cette
Eglise, et approbation de la ditte Election par le Vén. Magistrat de
cette Ville; Le consistoire a donné charge à Monsieur Grommé, notre
très honoré Collègue, descrire la lettre de sa vocation et de la luy en-
voyer signée par Messieurs Grommé, président, Beeck, et Rennet
(8) Archives de la ville de Leyden. Actes du Consistoire de VEglise Wallonne.
1658-1695. Vol. 44, p. 72 à gauche.
(9) Archives de la ville de Leyden. Actes de Consistoire de l'Eglise Wallonne des
Pays-Bas. 1658-1695. Vol. 44. p. 73 à gauche.
(10) Oeuvre citée, p. 73.
(11) Oeuvre citée, p. 74 à gauche.
— 59 —
pasteurs, et le Perre et «les Quiens, anriens ». Cette lettre est écrite
aussitôt et expériiée le 12 juin, comme on voit:
LETTRE 1.
Copie de la lettre escrite à Monsr. Léger touchant la vocation en cette
Eglise en 1663.
De Leyden ce 12' de Juin 1662.
Monsieur et Très honoré Frère,
Combien que l'entière relasche des enfans de Dieu ne se doive obte-
nir que lorsque les temps de rafraichissement seront venus de la presence
du Seig.r, et que le Sr. Jesus sera révélé du Ciel & viendra pour estre glo-
rifié en Ses Saincts & estre rendu admirable en tous les croyans; si est ce
que Dieu leur en fait gouster quelques fois une petite portion dès ici bas,
afin qu'ils ne défaillent point mais prennent un peu d'halene eu milieu
de ces pénibles travaux & dangereux combats aurquels il les appelé en ce
monde.
Nous vous souvenons de ce que vous nous disiez estant ici que vous
alliez encore faire un voyage vers les Valees (non obstant le grand danger
auquel vous vous alliez exposer) afin de pouvoir servir de consolation &
de conseil a ces pauvres fidèles atfligés et persécutés, & que voyant que
votre séjour ne pourroit plus continuer en ces lieux vous ne vouliez pas
tenter Dieu, mais chercheriez quelque asyle & quelque reste de repos
ailleurs.
C'est ce qu'il semble, Mons.r & Treshonoré Frère, que la providence de
Dieu vous veut faire trouver en ce lieu ci & en cette Eglise en laquelle il
vient de vous appeler pour servir en qualité de Pasteur, en la place de feu
nostre treshonoré Frère Mons.r Pierre Agache qu'il a retiré en Son repos
éternel.
Le grand nombre de suffrages qui sont tombés sur vostre personne en
la Compagnie qui a esté assemblée ces jours ci en la crainte de Dieu pour
travailler a la vocation d'un digne successeur en la place de nostre dit Frè-
re, ayant imploré pour cet effect l'assistance & la conduitte du Sainct Esprit
de Dieu, La Grande joye de nostre peuple après avoir entendu le choix que
nous avons fait d'une personne douée de si belles qualité propres pour
l'édifier, & le contentement de nostre Magistrat, qui non seulement a ap-
prouvé cette vocation, mais s'en est montré très satisfait, donnent des preu-
ves suffisantes de l'estime que l'on fait ici de vostre personne, de l'affection
que les dons excellens qu'il a pieu a Dieu de vous departir ont produite és
coeurs de ce grand peuple, dont nostre Eglise est composée envers vous, &
de l'ardent désir que nous avons tous de vous voir au milieu de nous pour
jouir des fruicts agréables de vos saincts labeurs.
Nous vous escrivons la presente pour vous offrir la ditte vocation, avec
toutes ses dependances, sous l'agreation du Synode de nos Eglises, & pour
vous prier de l'embrasser volontairement et promptement, afin que le dé-
faut du cinquiesme pasteur en cette Eglise, lequel, comme vous savez a
— 60 —
desja duré quelque temps, puisse bientost estre reparé, a quoy vous con-
tribuerez beaucoup en vous transportant vers ces lieux le plustost qu'il
vous sera possible, mesmes devant la tenue du Synode qui se doit tenir au
mois de Septembre prochain, afin que nous puissions estre prests devant ce
temps, vous asseurans de procurer que le service, que vous nous rendrez en
ce cas avant le temps de vostre confirmation, vous soit recompensé: & si
vous désirés que nous vous louyons ici une maison avant vostre arrivement
en ce lieu, nous nous y employerons très volontiers. Cependant, attendant
vostre response au plustost que faire se pourra, nous prions l'Eternel qu'il
espande abondamment sur vous ses sainctes benedictions pour l'advance-
ment de Sa gloire & le bien de Son Eglise, qu'il vous preserve de tous dan-
gers prenant sous sa protection paternelle & vous & vostre famille comme
aussi ces pauvres affliges dans les Valées, & qu'il vous conduise vers nous
en bonne santé & prosi>erité, & sommes Monsieur & Treshonoré Frère, Vos
très humbles & très affectionnés serviteurs & frères en J. Christ.
Les Conducteurs de l'Eglise Walonne de Leyden & eu nom de tous
Jean Beecq, Isaac Grommé, Jacob Rennet, Pasteurs
Jaques le Perre, Marc des Quiens, Anciens.
Mons.r. Si c'est vostre escriture que le billet qui estoit enclos dans
vostre dernière lettre, nous vous prions de nous escrire en ce charactere,
pour ce qu'il nous est plus lisible que celui auquel vous nous escrivez
ordinairement.
La réponse, dont la lettre originale est datée du 30 juin, vient
de Genève et fût mentionnée le 27 juillet seulement de la £açon sui-
vante: (12) « Monsieur notre très honoré frère Jean Léger, pasteur
dans les Vallées de Piedmont, ayant escrit une lettre a ceste Comp:
par laquelle il a témoigné estre fort consolé et réjoui de la vocation
qui luy a esté adressée de la part de ceste Eglise, et donne à con-
noître que son inclination et sa pensée est de la venir servir quand
le temps en sera venu; mais que l'intérêt des Eglises, de par de là, et
Testât de ses affaires est tel, que pour le présent il ne peut pas en-
tièrement se déterminer; La Comp: considérant la nécessité de sa
'présence en ces lieux dans ceste pressante conjoncture, et souhaistant
qu'il réussisse en ces entreprises pour le bien des Eglises des Vallées,
et désirant aussi jouir de sa personne et de ses services au plutôt, a
donné charge à Mons.r Cupif, nôtre très honoré Collègue, de luy
escrire en son nom et de le prier qu'il nous donne le plustost qu'il
sera possible assurance en vertu de laquelle nous puissions estre con-
firmés dans le désir de l'avoir bien tost, et estre favorisée par le Sy-
node prochain d'une Classe, où sa vocation puisse estre examinée et
approuvée, en cas que sa response ne vienne devant la tenue du
prochain Synode ».
On voit que Jean Léger est en pleine tourmente et que l'Eglise
Wallonne, tout en lui laissant la liberté de servir son pays, exerce
pourtant une certaine pression.
(12) Oeuvre citée, p. 75 à gauche.
— 61 —
LETTRE 2.
Adresse:
Messieurs
Messieurs Les Pasteurs, Anciens, Diacres et Conducteurs de l'Eglise Val-
lonné de Leyden. (Cette lettre porte sur l'enveloppe deux cachets avec
l'armoirie de Jean Léger).
A Geneve Le 30 Juin 1662. St. Vieux (Style Vieux)
Contenu:
Messieurs et treshonores Peres et Frères
Ce ne m'est pas une mediocre consolation, de voir que Dieu face en-
core fleurir ma verge mesmes dans la nuict des afflictions les plus cuisen-
tes, et qu'après une longue lutte l'aube du jour se leve sur moy, et la
bonne nouvelle me soit anoncee, au moyen de laquelle je puisse estre
mis à couvert, et du Laban q me court après, et de l'Esau q me vient
audevant. Mais il me reste encore une espreuve bien forte après avoir
esté tant tormenté en mon corps, en mon esprit, en mes biens, et mesmes
en mon honneur. C'est de me voir encore tellement enserré des deux
costés, que je ne puisse, ni passer plus avant, sans témérité, et sans ten-
ter Dieu et scandaliser le monde, ni retourner si tost en arrière, sans
estre enroolé avec les soldats de Gedeon qui gttèrent le combat pour
boire à leur ayse.
Pardonnés moy Messieurs et Tresh. Peres et Frères si je commence
de la sorte ma très humble response à la très honorable, très charitable
et très cordiale lettre qu'il vous a plus m'escrire en datte du 12 du cou-
rant, par laquelle vous avés agrée de m'appeler à la charge du sanctuaire
que le Seigneur vous a commis.
Certes si les bonnes nouvelles qui vienent de païs lointain rejouissent
les os, celle ci a bien recrée mes entrailles.
lo parceque je voy que quoyque je suis boiteux avec Jacob, bègue
avec Moyse, enfant avec le profete, bref fort chargé de défauts et très
mincement orné des belles qualités requises à une haute vocation, vostre
rare charité vous fait passer par dessus pour me tendre, par un pur
effect de sa bonté, la belle main d'association, avec l'adveu de vostre ve-
nerable et très eccellent Magistrat.
2« parceque par ce moyen vous me mettés a couvert de l'orage, voire
de la tormente qui m'a desja tant agitée, et me donnés moyen de ras-
sembler et eslever le reste de ma famille désolée en la piété et vertu en
lieu ou je dois avoir le moins de regret de la quitter quand il plaira a
Dieu de m'appeler en la Cité permanente.
3o parceque si le Seig.r veut que cette S.te vocation aie son effect,
comme je connois vostre zele, vostre douceur, vostre candeur et mes incli-
nations, je suis plainement persuadé d'une saincte et invariable sympathie
— 62 —
qui avec la benediction de nostre commun Pere ne pourra menquer
d'estre a edification et mutuelle consolation.
Mais helas voici, Messieurs et tresh. Peres et Frères, ce qui menpesche
jusquici d'aller recueillir des fruicts tant excellens et tant désirés: C'est
que les affaires des Vallées sont en une crise en laquelle je ne les puis
abandonner, sans charge de conscience et sans grand blasme.
On a tant fait d'un costé par des menaces estrengement surprenentes,
et de l'autre par des promesses non moins esblouissentes qu'on a enlacé
ces pauvres gens à signer un escrit, qui en quittant encore quelque chose
leur devoit rassurer tout le reste, et les mettre en repos, quand ils l'ont
eu fait on les a bien pris au mot pour ce qui leur est contraire mais on
ne leur effectue rien de ce qu'on leur a promis; et les Cantons Evange-
liques q jusquici ont retardé leur Ambassade à Turin parcequ'ils atten-
doyent l'effect des belles promesses reçues de la part de S.M.B. invitée
par toutes les puissences de nostre religion à embrasser cest affaire, ont
envoyés un Gentilhomme et Colonnel de Zurich à S.A.R. avec les lettres
intercessionales que toutes les mesmes puissences ont eu la bonté de
luy adresser pour nous et par ainsi les Vallées ayans en mesme temps
présenté leurs requestes et leurs griefs, on est entré en negotiation pen-
dant laquelle je ne doy pas mesmes remuer ma famille de la ou elle est,
non que de mesloigner d'ici, de peur d'enfler le courage des adversaires
et faire fondre le coeur à nos pauvres gens, abandonnant eux et leurs
affaires en la plus importante et dengereuse conjoncture qu'ils se soyent
jamais trouvés, et telle que vous mesmes Mess, et tresh. Frères, pour la
charité véhémente que vous avés pour eux, en estant bien informés non
seulement vous sériés marri de les avoir destitués du peu d'adresse que
je puis donner, et aux médiateurs et à eux, mais mesmes vous vous offri-
riés volontairement à souffrir encore quelques incomodités et langueur
pour coopérer à les tirer de ce pitoyable labyrinthe.
Au reste, comme il est absoluement necessaire, pour ma conscience,
pour mon honneur, pour le bien de ma pauvre patrie, et pour l'adresse
de ceux qui agissent et pour recueillir l'effect des bonnes volontés que
Dieu a disposées par moy, que je tienne pied a boulle, jusqu'aceque nous
voyons où tombe l'arbre. Je suis neantmoins pleinement persuadé que
nous n'en serons pas plus fort longtemps en suspens, et jattends de mo-
ment en moment d'apprendre la ponte que prend un telle negotiation,
pour vous parler plus clairement et vous dire, si, et quand, je pourray
faire voile vers vous. Car quoy que je n'aye nulle esperence, ni mesmes
la pensee de rehabiter aux Vallées (quoy qu'il arrive, nonobstant le désir
trop passionné qu'elles en tesmoignent, jusque là qu'elles ont déclaré de
vouloir plustost tout risquer que de me lascher) si est ce que je veux, et
dois faire les choses par ordre, et me desgager comme il faut, à fin de
n'aller en Tharsis.
Je vous conjure donc Mess, et tresh. Peres et Frères par vostre pro-
pre commiseration de patienter encore un peu, me continuer l'honneur
de vostre bienveillance que j'estime si précieuse, et m'ayder par vos
— 63 —
ss. prières à surgir à bon port, comme je ne cesse de redoubler mes
voeux les plus ardens à nostre Dieu à ce que les dons de Son Esprit
soyent sur les personnes de vostre Venerable Magistrat et les vostres,
comme l'huyle sacrée d'Aaron, q descend de la teste jusqu'au bord du
vestement, et Ses graces les plus précieuses sur vous et vostre Sainct trou-
peau que je salue très cordialement, comme la rosée d'Hermon et de Sion,
puis q'i a ordonné la benediction et vie à toujours.
Pour l'escriture dont vous me parlés, elle n'est pas de ma main, qui
est si rompue à escrivasser sans fin et sans cesse, qu'elle n'est que telle
que vous la voyés ici, mais si vous pouviés si bien lire dans mon coeur,
vous y verriés en caractères ineffaçables que je suis et me professeray
toute ma vie, avec proffond respect, et entière sincérité
Messieurs et treshonorés Peres et Frères
Vostre très humble, très obéissant
Et plus obligé serviteur et Frère au
Seigneur
Jean Léger Pasteur.
En septembre 1662, au Synode de Deift, le « Livre Synodal »
rapporte que: (13) « l'Eglise de Leyden ayant appelé nostre très cher
frère Mr. Jean Léger, Pasteur ès Vallées de Piémont en la place de
nostre très honoré frère Mr. Pierre Agache d'heureuse mémoire, et
demandant que cette Compagnie approuve ladite vocation, ledit
Sr. Léger n'ayant point encore démission de son Eglise, la Compa-
gnie a trouvé bon de remettre l'affaire à une Classe qui se tiendra en
la ville de Leyden, laquelle Classe est authorisée de confirmer ladite
vocation du Sr. Léger, selon nos ordres, ou en ras que l'Eglise de
Leyden soit obligée de faire une autre vocation par le refus de Mr.
Léger, la mesme Classe est encore authorisée de confirmer la voca-
tion que ladite Eglise pourroit faire de quelque Pasteur ou Propo-
sant de ce corps, et la Classe susdite sera composée des Eglises nom-
mées en l'article 21 du Synode précédent, y adjoustant les Eglises
de Dordrecht et de Rotterdam, qui, comme synodale, fera la convo-
cation de ladite Classe ». Le 22 octobre les « Actes du Consistoire »
marquent que: « La Compagnie s'estonnant du long silence de
Mr. Léger appelé au service de nostre Eglise, lequel ne respondant
point aux lettres qu'elle luy a escrites pour scavoir de luy sa distincte
résolution sur la vocation à luy présentée... ».
Les phrases suivantes sont presqu'illisibles, mais nous en avons
«léduit que l'on demande à Jean Léger s'il accepte ou non la voca-
tion offerte. Le 29 octobre on lui expé<lie une lettre à peu près sem-
blable, signée au nom de toute la Compagnie, les pasteurs et les an-
ciens (14).
(13) Archives de la ville de Leyden. Livre Synodal de l'Eglise Wallonne. 1563-1685.
Art. 30, p. 605. M. NyhoflF. La Haye. 1896.
(14) Archives de la ville de Leyden. Actes du Consistoire de l'Eglise Wallonne.
1658-1695. Vol. 44, p. 78 et 79 à gauche.
— 64 —
La troisième lettre que contient le portefeuille des « Pièces ma-
nuscrites déposées au Consistoire de l'Eglise Wallonne » (15) fût ex-
pédiée par Jean Léger sans date ou lieu de provenance. Elle doit
avoir croisée celles du 22 et 29 octobre qu'on venait de lui écrire.
(De ces dernières il n'y a pas de copie.) Il explique les raisons pour
lesquelles il ne peut encore quitter les Vallées, quoique sa vie y est
souvent en danger. Voici lie contenu de cette missive:
LETTRE 3.
Adresse:
Messieurs
Messieurs Les pasteurs, anciens et diacres de l'Eglise Réformée Vallonné
de Leyden mes très honorés pères et frères au Seigneur A Leyden.
(Bon signet avec armoirie de Jean Léger).
Lettre sans date ou lieu de provenanc;.
Contenu:
Messiers et Treshonorés Peres et Frères
Quand je me donnay l'honneur de respondre à vostre gracieuse, pre-
voyente, et en mesme temps pourvoyante lettre du 21 juillet dernier, par
laquelle vous me demandiés des paroles formelles et expresses qui vous
assurassent de l'actuelle acceptation du Ministère que vous avés eu la
bonté de me preenter, à ce que vous demendassiés une Classe à vostre
venerable Synode, qui en son authorité, acceptât et authorisat ma voca-
tion et que je vous priay de ne laisser pas d'obtenir la dite Classe quoy-
que pour lors je ne pusse vous parlar si nettement que j'eusse désiré,
pour les raisons que je vous en donnay.
Je vous promis de le faire dans peu de temps après, espérant d'un
costé de voir un meilleur succès de la negotiation de Messieurs Les Can-
tons Evangeliques, et plus de fruict des belles lettres intercessionnales
de tant d'autres puissences; et que la ruse et la rage de nos ennemie ne
s'attacheroyent pas tousjours à tout eluder par leurs entortillemens et
desguisemens serpentins et qu'ils feroyent au moins comme le juge
inique, qui quoyqun'il ne craignit Dieu ni les hommes, neantmoins pour
se deslivrer de l'imjxjrtunité de la vefve, interina sa requeste. D'ailleurs,
paarceque je ne me pourroy nullement persuader que le Synode des
Vallées, après les remonstrances que luy faisoyent avec moy des Etc.;l-
lens personnages, d'ici et d'ailleurs, qu'il revere beaucoup, et la persua-
sion qu'il devoit avoir, tant à cause de l'exemple de fu Mr. Léger mon
oncle, que pour plusieurs autres raisons, que je ne pourroy jamais plus
aller exercer mon Ministère ès Vallées, quelle intercession qu'il y put
avoir, et mesmes quelle promesse qu'on me fit, sans y estre en continuel
danger pour ma personne, et par la malice des adversaires pierre d'achop-
(15) Archives de la ville de Leyden. Pieces manuscrites déposées par le Consistoire
de VEglise Wallonne de Leyden. Portefeuille 72, n. 11.
— 65 —
pement pour elles, me refusât un congé demendé avec tant d'instence et
de si fortes raisons.
Et cependant pour le premier chef, il n'a jusqu'ici réussi que comme
vous l'Efvés seu. Messieurs et Tresh. Peres et Frères, par la réplique aux
lettres que S.A.R. a respondues aux puissences qui ont eu la clémence
d'interceder pour nous auprès d'elle, selon que j'ay prié Mons.r Carré
nostre Tresh.é Frère de vous en communiquer la coppie que j'en ay
adressée a L.L.A.A. Messeigneurs Les Estats Généraux par luy, de sorte
que vous pouvés juger de là en quel estât demeurent encore nos pauvres
Eglises.
Et pour le second, qui est mon congé, le Synode ayant fait un ar-
ticle qui porte:
1" Un refus absolu pour un temps indéterminé, attendant de voir où
enfin tombera l'arbre.
2» Très instente prière et requeste qu'en tout cas quand toute espe-
rencce seroit perdue de me jamais r'avoir dans les Vallées que je n'aille
pas plus loin que de Geneve, ou le voisinage de Berne, où il savoit bien,
comme il est vray, que Leurs Eccellences non seulement m'ofrent parti,
mais mesme de leur grace particulière me donnent le choix de me loger
partout ou il me plaira m'ofïrant conjoinctement avec tous les Cantons
entretien honorable jusqu'aceque deschargé de tant de fardeau, je me
puisse actuellement rendre assidue au service de l'Eglise que j'accepteray.
Quant aux raisons qu'allègue le mesme Synode jwur m'empescher de
paascr plus loin, il n'est pas necess.e que je vous les detalle, et mesmes
il n'est pas séant. Encore le dit Synode, pour animer d'avantage, et son
article et sa lettre, a député ici un Pasteur et un Ancien, qui n'ont rien
obmis de ce qui pourroit servir a ce but. Il a donc fallu Mess, et Tresh.
Peres et Frères, pour ne manquer en rien de ce q requiert le bon ordre,
la desharge de ma Conscience et vostre propre satisfaction, pour faire
un si rude deschirement avec moins de douleur et resp>ondre à une si
grande, quoy que si j'ose dire quasi aveugle affection de ma pauvre pa-
trie, que j'opposasse à toutes ces raisons un raisonnement plus fort, et
luy fisse comprende 1© les raisons pour lesquelles elle ne se devoit plus
flatter de l'esperence de mon retour sur aucune intercession. 1° que
quoyque je dusse aussi souhaitter de demeurer plus près d'elle, tant pour
les raisons qui la regardent celuy semble que pour celles qui me tou-
chent en particulier et qui concernent ma faamille, mes parents, et quel-
que esperence de retirer du naufrage quelque peu des debris de mes
biens, neantmoins il estoit plus expedient mesmes pour son bien que je
préférasse la vocation dont vous m'honoriés à celles qui se presentoyent
d'ailleurs.
C'est Messieurs, ce que je pretends d'avoir si bien fait et par les dis-
cours que j'ay eu avec les Députés susdits et par les lettres ynstructives
et mémoires que je leur ay remises, que je n'y prenoit plus aucune diffi-
culté, vues les conditions dont j'ay convenu avec leurs susdits Députés
que je n'ay pu ni deu refuser et qu'aussi je ne vous doy pas taire, puis-
que vous avés s'il vous plaist à y faire reflexion, et m'en donner comme
je vous en supplie, un mot de response. Assavoir: 1« que puisque les Val-
5
— 66 —
lees croyent avec tant de persuasion que mon travail encore de quelques
mois leur puisse apporter quelque soulagement pour le succès qu'elles
attendent de divers efforts qui continuent a se mouvoir en leur faveur il
vous plaise donner cela a leurs réussites, et à leurs prières et miennes.
2» Que si a l'advenir, estant mesmes actuelement establi paimi vous,
il arrivoit telle revolution et nécessité d'affaires, que pour le plus grand
avencement du règne de Dieu ils demendassent absoluement ma presen-
ce, il vous plut y consentir. Vous devés estre persuadé que quand il n'y
auroit que la consideration de mon aage qui s'avance et de ma famille,
des qu'elle sera transportée si loin, je ne penseray jamais à telle chose,
sinon qu'il en arrivât telle nécessité que vous en reconussiés bien et l'im-
portence et le fruict.
Je me suis d'autant plus facilement promis Messieurs et tresh. Peres
et Frères d'obtenir ces graces de vostre particulière bonté que vostre
dernière lettre me les accordoit desja implicitement et que vous jugés
bien, que sans les grandes raisons j'aymerais bien mieux estre desja logé
en un lieu de repos avec la consolation dont je jouirois parmi vous, que
d'estre encore en ces anxiétés en ces combats et agitations. Et ce qui me
doit faire souhaiter de suivre vostre vocation, quoy que je n'en sache ni
les adventages ni les charges, plus tost qu'aucun'autre, et y espérer une
benediction de Dieu particulière, c'est U et surtout ce que vos lettres
mesmes remarquent, ass.sa pureté, qui certes à mon esgard est toute du
ciel, et de celuy qui appelle. 2« Le concours general et uniforme de l'agré-
ment qu'y apporte non seulement vostre bon peuple mais mesmes vostre
Venerable Magistrat. 3* la paternelle, fraternelle et toute charitable et
cordiale affection que vous Mess.mes Tresh. Peres et Frères Pasteurs et
Anciens m'avés tesmoignés et me continués que je n'oublieray jamais et
tascheray de cultiver par toutes voyes dignes de vous et de moy tant
qu'il me sera possible. Tout cela fait Mess.mes très chers Peres et Frè-
res, que je fis l'invocation du nom de Dieu en chose qui touche de si
près son St. service, et le demande les graces susindiquees, eiixquelles nos
Eglises ne peuvent refuser d'acquiescer.
Je me voue dédie et consacre d'un franc coeur à travailler dc-s deu<
mains autant qu'il m'en donnera de conoissence et de faire à l'oeuvre du
Ministère a l'assemblage des Ss.ts et l'édification du corps de J.C.N.S. en
vostre venerable compagnie n'ayant point de plus grand regret que celuy
de vous faire tant languir que vous pourriés attribuer a ma noire mes-
conoissence si vous n'en conoissiés les justes causes et avec un vif sen-
timent de compassion. Cependant j 'esleve mes mains et surtout mon
coeur à Dieu pour la prospérité de vos personnes, S. tes Irbeurs et trou-
peau en recommendent vos oraisons et bienveillence.
Messieurs et tresh. Peres et Frères
Vostre tresh(umble) très ob. Serviteur (?)
et obligé Fr. en la foi et Collègue
J. Léger pasteur
— 67 —
La lettre suivante, venant de Genève et datée du 28 oot. - 7 nov,
contient des excuses pour l'omission des dates en tête de la précé-
dente et accuse la bonne réception des deux lettres pressantes de
Leyden. Jean Léger rassure ceux qui les lui ont écrites et fait savoir
qu'il compte pouvoir quitter la Suisse avant Noël, afin de parler avec
ces Messieurs de l'Eglise Wallonne de vive voix.
LETTRE 4.
Adresse:
Messieurs
Messieurs les Pasteurs et Anciens
de l'Eglise Vallonné Reformée de Leyden mes très honorés Peres et
Frères A. Leyden.
(Lettre bien cachetée de l'armoirie de Jean Léger).
A Geneve ce 7 9bre.
28 8bre 1662.
Contenu:
Messieurs et très honorés Peres et Frères
Depuis que vous avés eu et avés encore tant de charité pour moy
vous aurés bien, comme je vous en prie, celle de pardonner un manque-
ment de dattes qui peut estre ne m'est jamais arrivé deux fois en ma vie,
qui n'a tant tardé de me surprendre que pour la faire plus solennellement,
et qui vous ayant donné quelque despit comme je confesse que la chose
le mérite m'a rempli l'ame d'amertume.
J'ay reçeu il n'y a pas une heure en mesme temps les deux lettres dont
vous m'honorés l'une du 19 et l'autre du 26 du courant ou pr. mieux dire,
du passé selon vostre stile. J'advue que vos plaintes sont très justes et
vos reproches bien douces. Mais je suis persuadé que quand vous serés
pleinement informés des raisons qui m'ont contraint d'en user de la sorte
vous jugerés que je suis plus tost digne de compassion que de censure.
Mais les reservans à bouche s'il plaist au Seigneur.
Je vous declare que s'il me donne vie et santé je partiray au plus tard
à la Noel, mesmes devant les SS. Cènes s'il est possible, ou au moins au
plus tard immédiatement après, pour recevoir avec respect et reconois-
sence la S.te vocation que vous avés eu la bonté de m'offrir et m'en ac-
quitter avec toute la diligence et fidélité possible. Quant aux conditions
que je vous ay demendees je ne les ay pues faire pour faire plaisir à ma
patrie, quoy que je ne luy doive que ma naissence, n'ayant jamais pris
aucun ayde d'elle pour mes estudes, comme ont fait (excepté ceux de ma
maison) tous les autres. V.re Très Eccellent Magistrat et vostre Venerable
Compagnie disposera absolument de ma personne et ministère selon sa
prudence et bonté. Je pars demain pour [la] Suisse pour rendre comme
j'espere un service qui portera grand coup a nos pauvres Eglises des Val-
lées, après quoy il me faut revenir ici. Mais quelle suite qu'ayent les choses
— 68 —
je m'achemineray vers vous a grand pas quoy qu'en une saison si fascheu-
se on trouve cy dessus manque (?) Il ne s'agit que de deux mois a toute
extrémité. Ma famille suivra au bon temps s'il plaist au Seigneur. Je n'ay
personne propre pour en prendre le soin.
Par ainsi dans l'esperence de vous donner toute sorte de fruict pos-
sible de changer vostre legitime irritation ensuite de paternelle et frater-
nelle bienveillence je continue a prier nostre bon Pere celeste pour la pro-
spérité de vos personnes et SS. tes labeurs et de recommender a vos
oraisons.
Messieurs et Treshonorés Peres et Frères
Vostre très humble obéissant obligé serviteur et frère au Seigneur
Jean Léger, pasteur
Parceque je n'ay receu vos lettres qu'après le depart du messager
d'Allemagne je vous respons pr.la voye de Prence.
Le 4-14 novembre Jean Léger écrit de Berne en mentionnant
une fois de plus les deux lettres pressantes reçues de Leyden, qui
sont arrivées en même temps et auxquelles il répond en répétant
qu'il partira de Genève après les SS. Cènes de Noël au plus tard.
Sa famille le « suivra en son temps ».
LETTRE 5.
Adresse:
A Messieurs
Messieurs Les Pasteurs et Anciens de l'Eglise Françoise Vallonné reformée
de Leyden, mes tresh. Peres et Frères
A Leyden. (Avec cachet bien clair).
A Berne le 4 novembre 1662.
Contenu:
Messieurs et très honorés Peres et Frères
Je m'assure que vous aurés receu celle que je vous adressay la se-
maine passée par Lyon responsive a vos deux dernières arrivées en mesme
temps. Neantmoins pour appaiser si je puis votre juste cholere et vous
lever de suspense je réitère encore par la presente que si Dieu me donne
vie et santé je partiray de Geneve au plus tard après les SS. Cènes de
Noel prochain pour m'aller renger a grandes journées a l'exercice de la
vocation dont il vous a plu m'honorer, et lors j 'espere de vous édifier en-
tièrement de mon procédé. Si ce n'est de l'oubli de la datte de ma pénul-
tième, qui quoy qu'innocente est desobligeante. Ma famille suivra en son
temps, ass. au printemps sous la garde du Seigneur. Car la recherche que
trois pasteurs ont fait d'une mienne fille sur le depart de ma famille
l'ayant obligée de surseoir et m'en donner advis, et l'ayant accordée a un
d'eux faict que le reste ne passera les monts qu'au mois d'Avril ou de May.
Je suis venu ici 1° pour remercier Leurs Eccellences de l'offre qu'elles
— 69 —
m'avoyent fait de me loger a Lausanne aussi tost que je seroy en estât
de prendre parti.
2° pour passer a Baden, ou Les Cantonniers sont assemblés en Dyete,
et tascher encore d'y servir nos pauvres Eglises. Delà je retourne a Geneve
ou deux pasteurs des Vallées viendront recevoir toutes les instructions que
je pourray donner pour leur conduire ce q veut du travail et du temps a
cause des escrits ql faudra ramasser de divers lieux et pour lesquels se-
ront neccess.res quelques coureurs. Mais tant y est qu'au temps marqué
j 'espere sans autre delay me mettre en chemin.
Pour de meison j'en pourray lóér une a loisir devant que ma famille
vienne et cependant estre en pension. Priés Dieu Messieurs et Tresh. Pe-
res et Frères que le tout sera a notre commune consolation comme je
m'en assure. Je luy prie aussi de toutes les puissences de mon ame en
vous recommendant a Sa Ste Grace suivie de toute mon affection.
Messieurs et Très honorés Peres et Frères.
Vostre très humble et très obéissant serv. et frère
J. Léger, pasteur
Le 15 novembre les « Actes du Consistoire » signalent qu'une
« personne persécutée ès Vallées ayant monstre bon tesmoignage »,
et passant par Leyden, y a « receu un présent de deux Ryxdaelers
d'argent » de la Compagnie. Ce petit geste montre bien que l'Eglise
Wallonne s'occupa toujours des victimes des persécutions, tout en
attendant « Le » persécuté du même pays, qui va être son pasteur,
Jean Léger (16).
Le 1 janvier 1663 celui-ci écrit une lettre, hâtive et courte, de
Lyon. Rien d'étonnant que son écriture en porte les marques et que
ces Messieurs à Leyden, qui dès le début lui ont demandé d'écrire
plus lisiblement, ont dû s'impatienter en mettant leurs lunettes pour
savoir d'où ce nouveau délai.
LETTRE 6.
Adresse:
Messieurs
Messieurs Lese Pasteurs et Anciens de l'Eglise Françoise de Leyden.
A Lyon Le I Jan. 1663
Stile nouveau
[date grégorienne]
Contenu:
Messieurs et treshonorés Peres et Frères
Vostre dernière du 30 novembre dernier m'a rencontré en ceste ville,
revenant de Brienson qui est a deux journées des Vallées ou je suis allé pr-
(16) Archives de la ville de Leyden. Actes du Consistoire de l'Eglise Wallonne.
1658 1695. Vol. 44, p. 97.
— 70 —
m'aboucher avec qualques principaux parents et pasteurs des Vallées,
pressé a cela par une nécessité si nécessiteuse qu'elle m'a faict surmonter
une infinité de difficultés que le mauvais temps et plusieurs dangers mont
suscitées, et dont jusquici Dieu graces qui je n'ay souflfert outre les injures
de la saison, que le delay plus grand que je ne croyois d'une dixaine de
jours a cause des destours qu'il m'a fallu faire.
Je pars Dieu aydant demain d'ici pour Geneve ou je ne sejourneray au
plus que huict ou dix jours pour repartir au temps que je vous ay mar-
qué et m'alles rendre a droiture entre vos bras et a ma charge. C'est de
quoy je ne laisse pas de vous donner avis quoy que vous me marquiés
que je ne vous rescrive plus mais que jaille. Estant sur les lieux, je repli-
queray au reste de vostre très agréable et cordiale lettre et vous feray tou-
cher au doigt que je n'ay point du tout esté pr. donner ordre ni a ma fa-
mille ni a mes affaires que je me suis tant arreste mais purement pr.
celles de nos Egl.es. Cependant je prie nostre commun Pere qu'il vous
donne en l'année que nous entrons et nombres d'autres toute matière de
vous resjouir et consoler en luy recomendant a vos S S. prières
Messieurs et Tresh. Peres et Frères
Vostre tresh. et obligé ser. en Christ
J. Léger
Il est d'autant plus frappant de trouver une lettre soigneusement
écrite, du 9 janvier 1663, composée par les pasteurs et professeurs de
l'Eglise de l'Académie de Genève, signée par le Modérateur Abraham
du Pan et son secrétaire ordinaire le Pasteur De la Fontaine. C'est
un document fort agréable et facile à lire; plein d'éloges pour Jean
Léger que l'on voit partir de la Suisse à grand regret. On profite de
l'occasion pour remercier et flatter ces messieurs Wallons à Leyden
en louant leur générosité et en exprimant les meilleurs voeux pour
son ministère parmi eux.
Abraham du Pan (1S82-1665) fût Doyen de 1657-1665. Voici le
contenu de ce document:
LETTRE 7.
Lettre des pasteurs et professeurs de l'Eglise de l'Académie de Geneve
à l'Eglise Wallonne de Leyden.
Messieurs et très honorés frères
Le sacré lien de la charité qui nous conjoint les uns avecque les
autres, et l'affection sincere et cordiale que nous sçavons que vous avez
pour nous et pour toute nostre Eglise; ne nous permettent pas de lais-
ser passer aucune occasion sans vous témoigner le ressentiment que nous
avons de vôtre bienveillance fraternelle, et les prières que nous faisons
continuellement à Dieu pour vôtre prospérité. C'est ce qui nous oblige
de nous prévaloir particulièrement de celle qui se presente maintenant
par le départ de Monsieur Léger nôtre très honoré frère, pour l'accompa-
— vi-
gne!" de nos voeux dans la suite de son voyage et pour vous asseurer de
la satisfaction que nous avons receiie d'apprendre qu'il se soit attaché
au service de vòstre Eglise plustot qu'a aucune autre. Il est vray Mes-
sieurs, et nous ne pouvons pas vous le dissimuler que ce n'est pas sans
bien du regret que nous le voyons partir d'icy sachant combien sa pre-
sence estoit necessaire par deçà aux Eglises des Vallées dont il estoit
après Dieu le principal soutien par la connoissance exacte qu'il avoit de
toutes leurs affaires, et combien le grand élaignement leur pourra por-
ter prejudice dans la suite. Et c'est ce qui faisoit que plusieurs eussent
bien souhaité qu'il eust différé son voyage de quelque temps jusques à
ce qu'on eust veu le train que prendront les affaires qui sont sur le tapis
et à quoy aboutiront les fascheuses conionctures où nous nous trouvons
à present par deçà, d'autant plus qu'il n'a pas peu encore, selon qu'il nous
la déclaré, avoir son congé absolu de ses Eglises quelque diligence qu'il
ait faite. Neantmoins considérant l'affection que vous luy avez témoigné
et les instances que vous lui faites de s'acheminer promptement par delà
il a mieux aimé à passer par dessus toutes ces considérations que de
manquer à la parole qu'il vous avoit donnée se flattant de cette espé-
rance que selon le sainct zele et la grande charité que vous avez pour
les Eglises des Vallées, et dont vous donnez tous les jours de nouvelles
preuves, vous ne feriez pas difficulté de luy accorder son congé pour reve-
nir par deçà en cas que la nécessité des affaires requist absolument sa
presence. C'est dans cette persuasion que nous le voyons partir plus vo-
lontiers que nous n'eussions autrement. Estant obligez cependant de luy
rendre ce veritable témoignage que tandis qu'il a esté parmi nous com-
me il y a séjourné plusieurs mois, il s'y est tousjours comporté saincte-
ment comme un bon et fidèle serviteur de Dieu, et nous a donné beau-
coup d'édification dans toute sa conduite, et dans plusieurs actions qu'il
a baillées à notre Eglise tant en françois qu'en Italien. Nous ne doutons
pas aussi que selon les beaux et riches talens que Dieu luy a departi, il
ne soit en grande consolation à vôtre Sainct Troupeau et ne vous donne
toute la satisfaction que vous en attendés; C'est de quoy nous prions
Dieu de tout nôtre coeur, et qu'il continue à faire fleurir votre Eglise et
à la coronner de Ses plus pretieuses graces à bénir vos personnes et vos
Saincts emplois, et à faire prospérer l'Oeuvre de sa grace entre vos mains.
Nous vous supplions aussi de vous tousjours souvenir de nous dans vos
sainctes prières afin qu'il plaise au Seigneur de destourner de dessus nous
les orages qui nous menaçent et nous conserver tousjours Sa protestion
et Sa paix. Nous sommes constamment
Messieurs et très honorés frères
A Geneve ce 9 Janvier 1663
Vos très humbles et très affectionnéz
Serviteurs et frères au Seigneur
Les pasteurs et professeurs de l'Eglise
et l'Académie de Genève et au nom de tous
Abraham du Pan. Modérateur.
De la Fontaine, pasteur et sécretaire ordinaire.
— 72 —
Enfin, le 19 février 1663, Jean Léger arrive à destination!
Cet événement est décrit ainsi: a Nostre très cher frère Mons.r
Léger estant arrivé en nostre ville la Compagnie toute ravie en en-
tendant la nouvelle a trouvé à propos députer quelques uns de son
Corps pour demander aux Messieurs du Vén. Magistrat leur advis
touchant son establissement et Mons.r Cupif avec tous ceux qui
peuvent l'accompagner iront le féliciter de son arrivée au milieu de
nous » (17).
Si Jean Léger s'est peut-être déjà plus ou moins étonné de l'em-
pressement avec lequel on l'a sollicité comme pasteur Wallon à Lev-
den il l'a certainement été le jour de sa réception! Car les habitants
des Pays-Bas ne sont pas toujours phleginatiques et réservés, comme
on le pense souvent, mais « houleux » comme la mer du Nord. C'est
le mot qui me semble définir assez bien notre tempérament, qui con-
naît de« flux et des reflux, des marées hautes et des marées basses.
Les Hollandais se défendent non seulement contre la mer en cons-
truisant des digues, solides et droites, mais également contre eux-
mêmes en se mettant des brides morales pour pouvoir se maîtriser.
De là leur propreté, économie, besoin d'organiser, qui parfois peu-
vent tourner en sens contraire. Il en est de même pour le climat,
qu'on déclare « mauvais » mais qui ne l'est pas, pourvu qu'on sache
en suivre les caprices en se munissant du nécessaire.
Jean Léger allait s'en appercevoir. Tout en ayant un caractère
aussi laborieux et religieux que ses confrères de l'Eglise Wallonne
de Leyden, qui, eux aussi devaient conduire ce troupeau de brebis
blanches et noires d'origines si diverses, il n'était pas encore accou-
tumé à leurs sauts surprenants.
Courageusement il se voue à sa nouvelle tâche, se mettant
d'abord au courant des affaires et s'installant avec ses six enfants
dans une maison au coin de deux canaux, le Papegracht et le Lange-
brug, endroit qui doit avoir été humide et peu favorable à sa santé.
Autrefois l'on vivait ainsi; à présent beaucoup de canaux ont été as-
séchés. Du Synode de Rotterdam (du 11-15 avril 1663) l'article 18
précise que: « l'Eglise de Leyden ayant représenté à la Compagnie
qu'elle persistoit en la vocation qu'elle avoit faite il y a quelques
mois de la personne de nostre très cher frère Mr. Jean Léger en la
place de feu nostre très honoré frère Mr. Pierre Agache et fait pa-
roistre par un extrait de l'article du [livre du] Consistoire de ladite
Eglise que la<lite vocation s'estoit faite selon toutes les formes usi-
tées parmv eux en telles occurences, produit en suite l'approbation
du vénérable Magistrat de ladite ville de Leyden et de plus ledit
Sr. Léger avant témoigné qu'il acceptoit ladite vocation, la Compa-
gnie l'a approuvée en tous ses points, et souhaitant toutes sortes île
bénédictions au dit Sr. apellé, a ordonné que nostre très cher frère
Mr. Cupif le confirmera en sa charge, après les trois proclamation?
(17) Archives de la ville de Leyden. Actes du Consistoire de l'Eglise Wallonne
1658-1695. Vol. 44, p. 83 à gauche.
— 73 —
usitées parmy nous, recommandant audit Sr. Léger, duquel elle a veu
les bons et avantageux tesmoignages, de procurer, si £aire se peut,
sa démission de son Eglise en forme deue » (18).
Le 29 avril suivant l'on marque: « Nostre très honoré frère
Mons. Jean Léger ayant esté confirmé et establi ministre en cette
Eglise a esté introduit dans le consistoire et a tendu la main d'asso-
ciation à tous les membres de la Compagnie » (19).
La présence de Léger a une influence immédiate, car au Synode
de Maestricht, du 15 au 9 août, on prend la décision suivante: « Sur
les lettres de Mr. Léger, représentées par les députés de l'Eglise de
Leyden à cette Compagnie au nom des persécutés ès Vallées du Pied-
mont, pour leur faire jouir d'un prompt secours et rafrechissement,
les Pasteurs de chaque Eglise de ce Corps sont exhortés d'emploier
selon leur prudence, tous les soins possibles à recommander nos pau-
vres frères desdittes Vallées aux charités des principaux membres de
leurs assemblées, conjoinctement avec Mrs. les Pasteurs et de l'Egli-
se flamande qui tesmoignent s'intéresser pour un subject si pressant
et digne de compassion » (20). En plus l'on demande sa présence fu-
ture en ces mots: « l'Eglise Synodale en Hollande est Amsterdam et
pour la Zéelande Ter Goes, qui convoquera le prochain Synode vers
la my-avril et nostre très cher frère. Monsieur Léger y fera la propo-
sition sur Tite 1. v. 15 » (21).
Le 9 septembre 1663 : « Nostre très cher frère. Monsieur Léger,
ayant demandé permission à la Compagnie de pouvoir faire un
voyage à Paris pour y travailler au bien des Eglises des Valées du
Piémont, La Compagnie provisionnellement a jugé à propos de par-
ler de cette aff'aire à Messrs. de nostre Vén. Magistrat, et pour c'est
eff'ect a député Messrs. Cupif et Beecq, pasteurs, et Anthoine du
Coulombier, ancien » (22).
Le 12 septembre suivant Jean Léger s'appercevra tout à coup
qu'il se trouve devant une des « digues « dont nous avons parlé plus
haut.
Le « Livre des Synodes » nous l'apprend ainsi: « ...La Compa-
gnie a résolu (quoy qu'avec difficulté) d'accorder à nostre très cher
frère le Sr. Léger la permission qu'il demande », mais... « à ces con-
ditions suivantes ass. »: (23)
1. Qu'il n'entreprendra le voyage qu'il prétend qu'estand per-
suadé en sa conscience de la nécessité du dit voyage. 2. De n'aller
que jusques à Paris. 3. De ne passer pas le terme de 7 ou 8 sepmai-
(18) Archives de la ville de Leyden. Livre des Synodes de l'Eglise Wallonne.
1563-1685. T.I. Art. 18, p. 610. M. Nyhoff. La Haye. 1896.
(19) Archives de la ville de Leyden. Actes du Consistoire de l'Eglise Wallonne.
1658-1695. Vol. 44, p. 86.
(20) Archives de la ville de Leyden. Livre des Synodes de l'Eglise Wallonne.
1563-1685. T.L Art. 2. p. 612. M. Nyhoff. La Haye 1896.
(21) Archives de la ville de Leyden. Oeuvre citée. Art. 29, p. 615.
(22) Archives de la ville de Leyden. ^cles du Consistoire de l'Eglise Wallonne.
11658-1695. Vol. 44, p. 92.
(23) Archives de la ville de Leyden. Oeuvre citée, p. 92 et 93 à gauche.
— 74 —
nés en son absence s'il est possible. 4. De pourvoir ceste Eglise tie
quelque Proposant qui plaise à la ditte Eglise. Lesquelles conditions
ont esté acceptées et promises par le dit Sr. Léger, ceste résolution
sera signifiée au Magistrat par les mesmes Députés ».
Le 16 septembre il est dit que: « Rapport a esté fait par Mes-
sieurs Les Députés de ceste Comp. que le Ven. Magistrat de cette
ville approuve que nostre très honnoré frère et Collègue, Monsieur
Léger, fasse son voyage, à condition qu'il n'y mette pas plus de si\
semaines et qu'il n'aille pas au delà de Paris » (24).
Ne pensons pas que Jean Léger est le seul qui soit tenu en laisse,
quoique cela a û être fort difficile pour un homme de sa trempe.
Comme nous allons le voir l'Eglise Wallonne était toute aussi stricte
pour ses autres membres, dont elle surveillait les faits et gestes. Seul
moyen de conserver son style et son intégrité.
Une fois à Paris Jean Léger est obligé de patienter, ce qui est
encore plus pénible pour lui. comme l'on peut constater par une
lettre du I novembre dans laquelle il exprime sa « langueur » et
« supplie très humblement ces Mess, et tresh. Frères de lui dire net
s'il doit s'enserrer dans le terme qui lui a été désigné et laisser tout
aller » ou bien si « les tendresses que vous avés pour nos communs
frères vous porteront à me permettre de pousser (la négotiation) à
bout ». Humilité, humour, d'un pasteur fort humain!
LETTRE 8.
Messieurs
Messieurs les Pasteurs et Anciens de l'Egl. Wallonne reformée A Leyde.
A Paris le 1 9bre 1663.
Messieurs et Tresh. Frères
Vous avés veu les pressentes lettres qui mont forcé à partir. Selon les
advis quelles me donnoyent les M M. Ambassadeurs que vous savés de-
voyent estre partis le 13/23 8bre et estre ici longtemps devant moy. Mais
comme ils estoyent sur le poinct de se mettre en chemin ils reçurent
lettre du Roy qui les prioit de ne se rendre pas en ceste ville devant le
dernier 8bre ou le commencement du present, parceque devant ce temps
la il ne reviendroit pas de Versali où il se divertit: maintenant nous at-
tendons d'heure en autre et le Roy et les Seigneurs Ambassadeurs.
Mais vous jugés bien quelle est ma langueur quoy que je n'ay point
perdu de temps, quand ce ne seroit que parceque nous approchons de la
mauvaise saison et que les affaires qui sont de la nature de celles dont [il]
s'agit ne se jettent pas au mousle et cependant je n'eusse pas voulu passer
le terme que m'a prescrit mon très venerable Magistrat de peur qu'on
re m'accuse de vérité en mon procédé.
Je vous supplie donc très humblement Mess, et tresh Frères, de me
dire net si je me dois enserrer dans le terme qui m'a esté désigne et
(24) Archives de la ville de Leyden. Oeuvre citée, p. 93 à gauche.
— 75 —
laisser tout aller a vau de route en cas que je ne puisse dans ce temps là
voir la fin de ceste negotiation ou si les tendresses que vous avés pour nos
communs frères vous porteront a me permettre de la pousser a bout. Je
scay bien que si vus avé (comme j'ay peine d'en douter) ceste S. te et cha-
ritable commiseration Nos Seigneurs, qui sont si remplis de clémence ne
s'y opposeront point, veu qu'ils considèrent aussi le bien de ces anciennes
Eglises comme le leur propre et comme membre d'un mesme corps mysti
que leur ont fait ressentir tant de sympathie surtout sachant que nostre
Eglise, le seul interest de laquelle leur en pourroit faire user autrement
peut estre esgalement bien édifiée (que sine dié mieux).
Comme j'ay prié Mons.r du Buquoy mon aymable bienfaiteur d'y pour-
voir de vostre concert en sorte que ni d'un costé ni de l'autre, ni du vostre
ni de celuy de l'Eglise, il n'y aie le moindre mescontentement; comme
c'est encore ce que je vous declare maintenant, ne voulant nullement
qu'on espargne ce qui sera necess. de gage, si sans cela tout ne peut estre
esgalement édifié.
Je n'ose pas importuner ni Monseigneur le president des Bourgmaistres
moins le V. Magistrat encor ps. pr. ce sujet et ne pense pas qu'il soit à
propos. Vos prudences savent comment elles s'y doivent user et me feront
la grace de m'honorer d'un mol de response.
Les Vallées, encouragées par la charité des Suisses et par suite des vos-
tres et de vos et nos confreres, ont repris courage et sont en si bonne po-
sture que j'en espere un succès heureux. Ils s'en sont freschement donné
divers combats ou Dieu a encore desployé les merveilles de Son bras. Je
me recommande a la suite de vos ss. prières avec ccluy qui priant pour
vostre prospérité sera toute sa vie.
Messieurs et tresh. Frères
Vostre tresh. très cher et bien obligé serviteur
J. Léger
Post scripte:
Les Seigneurs Ambassadeurs Suisses arrivent après demain. Le Roy
d'Angleterre a aussi donné ordre très exprès a Son Ambassadeur de se
joindre a celuy Messeigneurs les Estats et des Cantons Evangeliques.
Par une autre lettre, du 1 décembre 1663, l'on voit que Léger
a reçu la permission, s'il n'a pas agi selon ses propres idées, d'aller
à Genève. Car cette missive est signée par François Turretin, Jean
Léger et E. Turretin. C'est un document à peu près calligraphié qui,
en le mettant à côté d'une des lettres de Léger, fait comprendre quel-
le énorme différence il y avait entre l'ambiance Suisse, qui permet-
tait d'écrire à loisir et les griffonages d'un homme harassé, comblé
de soucis, s'étant chargé d'une nouvelle tâche dans un pays lointain
et si différent du sien.
— 76 —
LETTRE 9.
Adresse:
A Messieurs et très honorés frères
Messieurs les Pasteurs, Anciens et Diacres de l'Eglise Wallonne A Leyde.
Contenu:
Messieurs et Très honorés frères
La charité que vous avez témoignée des longtemps aux membres affli-
gez de nôtre Seigneur et celle que vous avez fait sentir en particulier à
nos povres frères des Vallées de Piedmont est si considerable que ceux
qui prenent part à leurs malheurs ne peuvent s'en souvenir sans louer la
promptitude de vôtre St. zele, et sans bénir Dieu des notables, assistances
qu'il leur a procuré par vôtre moyen qui ont servi véritablement a Les
-retirer du tombeau & a les garantir d'une ruine qui autrement leur eust
esté inevitable. Mais comme cette divine vertu ne déchet jamais, vous
ne vous estes pas contentés de leur avoir une fois tendu la main vous avez
voulu monstrer que vous ne vous lassés pas en bienfaisant & que vous
ne pensés pas savoir vos frères en quelque souffrance que vous ne com-
patissiés avec eux, & ne tâchiés selon les grands moyens que Dieu vous
a donnés de leur apporter quelque soulagement. C'est ce que nous appre-
nons avec beaucoup de consolation que vous venés encore de faire tout
fraischement en leur faveur.
Vous n'avez pas plustost oui les nouvelles des grandes desolations où
la persecution violente de leurs ennemis les a jettés que vos entrailles en
ont esté incontinent esmeues & que vous avez fait de nouveaux efforts
pour les secourir. Vous avez mesme eu la bonté a ce que nous avons
sceu de penser a faire quelque collecte pour eux sous le bon plaisir de
vôtre Vénérable Magistrat. Comme cette faveur est des plus grandes sans
doute qu'ils puissent recevoir de vôtre bienveillance ils n'ont garde de se
permettre de pouvoir jamais la reconnoitre comme ils doivent, ils sça-
vent qu'il n'y a que Dieu seul qui puisse en estre le grand rémunérateur
qui prenant plaisir à tels sacrifices ne manquera pas de les couronner de
Ses graces & d'y espandre de plus en plus Sa bénédiction comme ils le
luy demandent de tout leur coeur. Cependant il est bien juste s'ils ne
peuvent rien vous rendre, au moins qu'ils vous témoignent le veritable
ressentiment qu'ils en ont. Ce que nous sommes persuadés qu'ils feront
dès en auront appris les nouvélles, mais en attendant qu'ils puissent s'ac-
quitter de ce devoir, nous avons creu Messieurs, que vous ne trouveriés
pas mauvais que selon la charge qu'il nous ont données ci devant d'avoir
quelque soin de leurs aff^aires, nous venions vous en remercier très hum-
blement de leur part, & vous supplier instament d'avoir la bonté de leur
continuer vos bons offices dans toutes les occasions qui se pourront pre-
senter. Vous ne sauries les rendre a des gens qui en soyent plus recon-
noissans, ni qui en ayent plus besoin, puis que comme vous savés sans
doute leurs misères continuent tousjours et s'augmentent par la conti-
nuation de la guerre qui les a réduis presques dans la dernière desola-
tion. Nous espérons que les charitables offices que tant de Puissances qui
— 77 —
ont eu la bonté de intéresser pour eux ont fait & sont en cette occasion
& particulièrement ceux de L.L.A.A. Messeig.rs Les Estats ne seront pas
sans fruict avec la benediction de Dieu & qu'ils puissent jouir de quelque re-
pos et se restablir en quelque façon par. le moyen des beneficences qu'on
leur procure. Cependant comme il est bien raisonnable que ceux qui font de
si notables charitez soyent asseurés de la fidélité de la dispensation, nous
sommes obligés de vous dire Messieurs, que Messieurs nos frères sont réso-
lus d'y donner tous les ordres nécessaires afin qu'on soit en repos de ce
costé là. Et comme ils nous font entendre qu'ils désirent que nous prenions
encore qualque soin de leurs affaires nous oserons vous promettre d'y tenir
la main avec autante d'eactitude qu'il nous sera possible afin que tout se
face convenablement pour le ssoulagement des povres selon la pieuse in-
tention des Donateurs. C'est ce qui nous fait aussi vous dire Messieurs
que si Mess.rs de votre Venerable Magistrat le trouvent bon on peut
remettre les deniers qui seront collectez pour nos povres frères entre les
mains de Mess.rs Balthazar et Joseph Coymans a Harlem qui ont desja
eu la charité de se charger de quelques autres sommes de mesme nature
afin qu'ils puisent les faire tenir toutes les foi qu'ils en seront requis.
Cette faveur et toutes les autres dont nos dits frères & nous vous seront
redevables nous obligent a prier Dieu continuellement pour la conserva-
tion de vos personnes, la benediction de vôtre St. Ministère & la prospé-
rité constante de votre fleurissante Eglise demeurans inviolablement.
Messieurs & Très honorés frères
A Geneve ce 1 Décembre 1663.
Vostres humbles & très obeissans ser-
viteurs & frères en nôtre Seigneur
François Turrettin, Pasteur
J. Léger, Pasteur
E. Turrettin, Ancien.
La missive suivante, de janvier 1664 (non datée) est aussi fort
lisible et signée à Paris par le pasteur J. Michelin, auquel se joint
Jean Léger.
LETTRE 10.
A Messieurs
Messieurs les Pasteurs et Anciens de l'Eglise Vallone Ref.ée de Leiden.
De Paris le ... janvier 1664.
Messieurs et treshonorés Frères.
Celle que Monsieur Beeck a eu la bonté d'escrire à l'un de nous au nom
de Votre Venerable Corps, nous oblige à vous rendre graces très humbles
non moins du soin que vous continués d'avoir pour nos pauvres Eglises,
que de l'affection que vous portés tousjours plus intime à celuy de nous que
la rage des Adversaires a explodé de sa patrie, et que la Providence divine a
— 78 —
conduit entre vos bras. Il luy reste un desplaisir très sensible de se voir
contraint d'intermettre un si long temps la sacrée fonction qu'il exerçoic
parmi vous. Le travail qu'il endure de ce costé ici luy cause beaucoup de
chagrin, au lieu que ceste occupation là feroit ses délices: mais les inci-
dents survenus laiants nécessité de délaier son depart, jusqu'ici, il espere
de sortir bien tost de ce languissant employ pour suivre la vocation du
Seigneur. Vous scavés Messieurs et très honorés Frères qu'il a falu non-
obstant tous les inconvénients que chacun apprehendoit que les Vallées
envolassent leurs Députés à Turin; ils n'y furent pas si tost arrivés que
l'on envoia par surprise 12000 hommes qui joints aux troupes qui avoient
desja fait le degast à tout le plat pais, ont un beau matin assailli ce pauvre
monde qui se trouvoit un peu rasseuré sur le projet que l'on commençoit
et aiants en mesme temps donné des rudes attaques par six endroits ont
envahi nombre de maisons esparpilées, les ont pillées et bruslées, ont cruel-
lement massacré quelques vieillards et quelque nombre de femmes et en-
fants, coupé ou pelé les arbres fruictiers: mais Dieu a tellement fortifié le
parti outragé qu'il n'a perdu que six de ses soldats tandis que les autres
ont eu la peine d'en enterrer quelques centaines des leurs; le droict qu'ils
soustiennent est le droict de Dieu, outre que les lieux aussi leur sont fort
favorables. Après que l'on a veu que le dessein n'avoit pas réussi l'on a
accordé à la demande de Mess.rs les Ambassadeurs des Cant. Prot. douze
jours de tresves. C'eut esté le grand désir des d.s Seig.rs Ambass.rs et des
Députés de profîiter de cet intervalle pour advancer loeuvre tant désiré de
ces déplorables peuples: mais on leur a tout à coup coupé le chemin en
leur proposant que l'unique moyen d'accord estoit: 1° que les Vallées se
confessassent rebelles. 2° que les habitans quitassent tout le plus beau et
meilleur de leur pais. 3° qu'ils livrassent entre les mains du Magistrat les
personnes qui leur seroyent demandées. Ces propositions ont été trouvées
si rudes que l'on nous escrit que Mess.rs les Ambass.rs ont perdu espéran-
ce de voir aucun fruict de leurs entremises et les Députés n'en espèrent
pas d'advantage.
Ces pauvres affligés en tel cas n'ont plus que l'alternative, assavoir de
céder tour ce que l'on demande avec tant d'injustice, ou de se desfaire des
bouches inutiles pour se ranger dans leurs lieux plus forts pour y vendre
chèrement leurs vies. Ils ne peuvent gouster le premier expedient car qui
auroit jamais plus le courage de se souvenir d'eux s'ils demantoient ainsi
leur fidéllité s'advouant aux mesmes rebelles et quel outrage feroient ils à
la postérité de la charger de ceste infamie. Quant à l'autre il leur semble-
roit plus acceptable (quoy que du dernier danger) si seulement ils se-
voioient en estât de pouvoir combaîre la faim. Et a dire vray ce qui les
a soustenus et enccouragés jusquici a esté le charitable secours qui leur
est venu de vos leux. Ce qu'ils avoient peu recevoir des Cant. Evang.es eut
bien tost esté espuisé si vôtre patrie n'y eut adjousté ses beneficences.
Nous voudrions seulement sçavoir le moien de remédier à tout ce qui
pourroit estre capable de reserrer tante de mains libérales. Vous nous
indiqués que quelques uns souhaiteroient de voir quelque escrit authenti-
que par lequel il constat que les deniers seront fidèlement distribués entre
— 79 —
ceux pour lesquels les collectes sont faites. Nous serions consolés Messieurs
et très honorés Frères que ces scrupules fussent ostés par les lettres que
Messieurs Turretin ont eu la bonté d'^scrire en divers endroits et par
un'autre escrite par Monsieur Dize qui avec le consistoire de celuy ci ont
esté les principaux administrateurs des aumosnes qui ont ci devant esté
envoiées a ces misérables persécutes; ils indiquoient assés tous deux tant
la bonne et fidèle administration du passé que la maniere qui en seroit
observée ci après. Messieurs Coymans de Harlem peuvent aussi faire foy
de tous les contes du present avec exactitude: mais outre cela ceux qui
savourent ces grands bienfaits avec douceur ne manqueront pas des aussi
tost la que bonté divine aura un peu fait cesser cet horrible tabut (?) de
s'acquitter de tout ce que l'on exigera d'eux pour édifier un'chacun et si
l'estourdissement ou ils sont le leur eust permis n'eussent pas tant tardé d'y
pourvoir.
Ils ont mesme escrit à Son Excellence Monsieur Boreel pour le prier
de suppléer à leur défaut en ce chef la ou il seroit de besoin attendu qu'ils
ne sçavoient pas mesme la maniere en laquelle ils le pourroient faire conve-
nablement.
Nous vous supplions donc de rapporter tous vos soins possibles à ce
que ceux qui le souhaitent soient édifiés de ce costé là. Nous sommes
asseurés ques la charité ne sera pas soupçonneuse en ceux qui sont très
louables de la vouloir exercer avec prudence lor que les choses paroitront
telles qu'elles sont et comme les ont représentées mes dits Sieurs Tur-
retins et Dize. Cet office tant equitable et innocent sera agréable à Dieu qui
se sert de vous, Messieurs, et de tant d'autres bonnes ames, pour fournir
l'huyle sacrée qui empêche ces petites lampes de s'esteindre, et ceux qui
la reçoivent feront continuellement voir la lumiere de leur zele et recon-
noissance en action de graces au Souverain pour le bénir de ce qu'il vous
a bénis et pour implorer de plus en plus la grace pour la prospérité de
vos St.es Eglises personnes et familles , ce sera surtout l'inclination et
très juste employ de ceux qui vous saluent avec respect et sont
Messieurs et très honorés Frères
Vos humbles très obéissants et très obligés serviteurs
et frères au Seigneur
J. Léger pasteur
J. Michelin Pasteur et
Député des dites Eg.es
Trois semaines après, le 4 février 1664, Léger est toujours à
Paris et s'est aperçu que sa lettre précédente est restée parmi les pa-
piers sur sa table. Il paraît toutefois qu'il a donné régulièrement de
ses nouvelles à son ami, Jean du Buquoy à Leyden, espérant que
celui-ci les aura transmises à la Compagnie de l'Eglise Wallonne.
— 80 —
LETTRE 11.
Adresse:
Messieurs
Messieurs Les Pasteurs Anciens et Diacres de l'Eglise Wallonne
réf. A. Leyde.
A Paris le 4 Fev. 1664.
Contenu:
Messieurs et treshonorés Frères
Il y a 3 sepmaines que je me donnay l'honneur de vous escrire une let-
tre qui, par je ne sçay quelle inadvertence du frij)on, qui fit le pacquet,
s'est encore retrouvée ces jours passés dans nos papiers. Ce n'est pas
pourtant sur cela que je pretends que vous excuserés l'infrequence des
miennes mais j 'espere que vous le ferés, pour la diligence dont j'ay tasché
d'user à informer toutes les sepmaines Mons. du Buquoy de toutes choses;
puisque j'ay tousjours tasché de vous parler par luy et par consequant
par une personne qui vous est très agréable et que par ce moyen je vous
pouvoy communiquer tout ce qui s'est passé, tant en ma negotiation qu'en
les affaires des Vallées, en la mesme maniere que je le vous avoy promis.
Neantmoins, Mess, et tresh. frères, pour m'acquitter plus particulièrement
de mon devoir, après vous avoir souhaité une année fertile en toutes be-
nedictions spirituelles et temporelles, avec la suite de bon nombre d'au-
tres, remerciés du meilleur de mon coeur de vostre support en mon en-
droit, de vostre S.t zele pour nos pauvres frères des Vallées, et du soin
q'il vous plaist de prendre pour le remplage de ma place à la satisfaction
de nostre Eglise, et priés très humblement et affectueusement de conti-
nuer jusqu'ace q il plaise au Seig.r de me tirer de ces transes (ce qui
comme j'esp>ere sera bien tost). Je vous diray que Messieurs les Ambassa-
deurs d'Angleterre et de Hollande ne pouvans ni devant tenter autre
chose en ceste court q Is ne vissent le succès de la negotiation des Am-
bassadeurs Suisses qui sont a Turin, ceux ci ne pouvans rien entrepren-
dre non plus si les Vallées n'envoyassent des Députés a Turin mesmes
puisque le Duc ne vouloit accepter aucun autre lieu de conference. En-
fin, nos gens, nonobstant tous les dangers, pour prevenir les sinistres con-
sequences qu'on a tiré de leur refus, se sont résolus d'y aller et y sont
allés le 18 du passé: pendant qu'on les amusoit en conference le Conseil
de l'extirpation, c.a.d. les Ministres du Duc et le Clergé, sous son nom,
ont fait un'armée que la confession auriculaire a consenti à l'improviste,
composée de 12 mille hommes qui le vendredi matin au poinct du jour
s'est jointe aux troupes précédentes et a en mesme temps assailli nos
pauvres frères, a Villar, Boby, Angrogne et la Vallée de Perouse avec une
fureur horrible. Du costé de Villar, de Boby, et de celuy d'Angr. quoyque
les combats ayent été longs et rudes, des le matin jusqu'au soir, enfin, le
Dieu des batailles qui est le Dieu d'Israel, luy a donné la victoire et cou-
vert de confusion les persécuteurs. Mais du reste de la Vallee de Pe-
rouse nos gens ont esté surpris: La vraie cause se doit en estre des pé-
chés de nos frères, mais l'occasion a esté que le Roy ayant obtenu du
— 81 —
Due passage pour les grandes trouppes qu'il pousse en Italie n'a pu refu-
ser au Duc passage sur une lieue de ses terres par où l'on se jette en la
dite Vallee de Perouse et nos gens n'en ayant rien pressenti et se voyans
d'ailleurs en danger en tant d'autres endroits n'avoyent pas assés muni
ceste avenue. C'est donc par là que les ennesmis les ont surpris, attrap>-
pé 4 hommes et 2 fenomes dont ils ont emporté les testes, qui cependant
leur ont cousté cher, et se sont saisis d'un village nommé St. Germain
d'où ils peuvent beaucoup incomoder ces pauvres gences et donner beau-
coup d'empeschement a leur commerce, et communications. Les susdits
Ambassadeurs Suisses ont tesmoigné du marrissement de ce traitement
et certes qui n'en fremiroit et qui pourroit ouir sans horreur que pen-
dant que les meilleurs amducteurs de nos pauvres frères sont a Turin
[tache, probablement une larme] et traitent, on aille massacrer leurs
frères et brusler leurs maisons. Le Duc a donc accordé une suspension
de 3 jours pendant lesquels nos gens devoyent accepter les misérables
conditions qui leur seroyent présentées ou se résoudre a souffrir les der-
nières extrémités qui leur estoyent préparées. Je frémis en attendant
quel en a esté le succès. Mais je me console d'apprendre la grande cons-
tance, union et resolution de ces pauvres gences. Vos avances et de quel-
ques autres villes ont redonné de la vigueur à leurs lampes et ceste huyle
entretenue par plus, autres de nos frères fera, avec l'ayde de Dieu, que
tous les orages que le prince de l'air pourra susciter ne les esteindront
jamais. J'avois esté tant pressé de pousser ma route jusqu'à la patrie en
ceste cryse que je vous avois mesmes préparé lettre du prince d'Orange
pry accourir mais justement en mesme tems lettre de mon frère q m'ap-
prenois que je n'y pouvois estre a temps pr. traiter cecy avec le Conseil
de Monsegr. Boulavarrista (?). Maintenant il m'asseure que je me ver-
ray tost desgagé de ce pitoyable employ, et en estât de reprendre les
fonctions de ma charge et que de quel costé que soit tombé l'arbre ce
que j'auroy a faire ici après cela ne sera pas de longue haleine. Cepen-
dant je remets nos frères en la suite de vos bonnes prières, avec celuy
qui priant pour vostre prospérité, de toute l'Eglise, et de vos ss. labeurs
sera toute sa vie d'une affection toute entière
Messieurs et Tresh. et très chères frères
Vostre très humble et obeiss. serviteur
et frère J. Léger.
Rien n'indique la date de son retour aux Pays-Bas, mais malu;ré
les fatigues du voyage il n'a pas oublié sa promesse, faite au Synode
précédent, de présenter un exposé sur Tite 1, v. 15, au Synode pro-
chain à Goes en Zélande. Il y est envoyé comme député, avec l'an-
cien Pierre Gâteau, en mai 1664. Gomme preuve de son activité con-
tinuelle pour les Vallées citons que: « Les Eglises qui se sont em-
ployées pour celles des Vallées de Piémont sont remerciées et celles
qui n'ont encore rien obtenu sont exhortées d'y travailler avec zèle
s
— 82 —
jusques à ce qu'elles ayent heureusement réussi à leur faveur ès cha-
rités qu'elles taschent de leur procurer » (25).
Le 29 mai Léger et Cateau rentrent de leur voyage : « Nos Dépu-
tés revenus du Synode tenu dernièrement à Goes en Zélande, ayant
fait rapport de leur Députation, la Compagnie les remercie de leurs
peines et loue Dieu de ce qu'il les a ramenés sains et sauf parmi
nous » (26). Preuve que ce déplacement était une vraie aventure en
ces temps là. De nos jours ce voyage se fait à peine en de\ix heures
de train!
Ce sont ces petites phrases, typiques de l'époque, qui rendent
la lecture des « Actes du Consistoire » si humaine. Il en est de même
en ce qui concerne les affaires des autres membres de l'Eglise Wal-
lonne, dont ce vieux manuscrit mentionne les disputes, les misères,
les déviations et... la bonté. Après une réprimande les malfaiteurs,
ou malfaitrices, promettent généralement de rentrer dans la bonne
voie. Ils sont pardonnés et on leur rend le « mereau » (médaille)
qu'on leur avait enlevé, signe qu'ils sont de nouveau acceptés com-
me membres de l'Eglise (27).
(à suivre) Mia van Oostveen
(25) Archives de la ville de Leyden. Livre des Synodes de VEglise Wallonite.
1563-1685. T.I. Art. 3, p. 616.
(26) Archives de la ville de Leyden. Actes du Consistoire de VEglise Wallonne.
1658-1695. Vol. 44, p. 102.
Linee per una ricerca su alcuni aspetti
del movimento pentecostale in Calabria
Parlare della « storia » delle « Assemblee di Dio » non è £acile;
ed è difficoltà che non investe solo la Calabria, ma tutto il movimen-
to pentecostale in Italia. Ci si trova davanti ad una assenza pressoché
totale di documenti e di dati, ove si faccia eccezione per i documenti
■giudiziari, diffide, fogli di via, lettere ecc., attestanti la persecuzione
di cui il movimento fu oggetto (1) a partire dal 1935 fino all'abroga-
zione della circolare Buffarini-Guidi (1955) ed anche oltre.
L'unica via da percorrere resta, data la situazione, quella del-
l'indagine in loco, del contatto diretto con i pastori e le comunità.
Che è poi il contatto con i portatori dei ricordi di quelle che furono
le origini e poi le vicende dei vari gruppi, e inoltre il modo, l'unico,
per conoscere concretamente le dimensioni di una realtà mobilissi-
ma, in cui il dato numerico è continuamente variabile.
È quello che ho appena cominciato a fare, prendendo contatto
con le comunità di un'area ben delimitata: la Piana di Gioia Tauro.
La Calabria, già poco aperta alle correnti evangeliche nel periodo
del Risorgimento (2), conosce le prime esperienze in tal senso all'ini-
zio del Novecento. Poi, negli anni del fascismo, inizia a diffondersi
il movimento pentecostale, che ha però lo sviluppo maggiore in que-
sto secondo dopoguerra.
Sviluppo che avviene secondo le modalità normali anche per al-
tre zone: c'è l'emigrato che ritorna, e porta la nuova fede.
L'emigrato. Che è il protagonista, in fondo, della storia del mo-
vimento. A questo proposito è sintomatico, perché ci riporta imme-
diatamente ad un ambiente che presenta caratteristiche ben precise,
il caso della comunità di Rosarno. Nel '47 ritorna dagli Stati Uniti
un emigrato. Caruso, che, già appartenente alla mafia, in Ame-
rica si era convertito; e il ritomo avviene con lo scopo ben chiaro di
(1) V. tra gli altri: G. Spini, Le minoranze protestanti in Italia, in « Il Ponte»,
1950, pp. 67Q sgg.; id.. La persecuzione contro gli evangelici in Italia, in « Il Ponte »,
1953, I, pp. 1 sgg.; A. C. Jemolo, Per la libertà religiosa in Italia, in « Nuovi Argo-
menti », II, p. 1 sgg.; G. Peyrot, La circolare Buffarini-Guidi e i Pentecostali, Roma
1955. Cfr. anche G. Rosapepe, Inquisizione addomesticata, Bari 1960; ecc.
(2) G. Spini, Movimenti Evangelici nell'Italia contemporanea, in « Rivista Sto-
rica italiana », 1968, pp. 484-485.
— 84 —
far partecipi i suoi compaesani della nuova fede. Dopo qualche tem-
po i coniugi Caruso fanno ritorno negli Stati Uniti. Nel frattempo è
sorta per opera loro la comunità, che ancora oggi ha il suo centro nel
quartiere più povero (la Corea).
Analogo è il caso di Gioia Tauro. Qui, sempre nel '47, fanno ri-
torno due persone, fratello e sorella: lui, già colpevole di omicidio,
è trasformato completamente dalla conversione, avvenuta negli Stati
Uniti. Il ritorno qui non sembra essere chiaramente motivato dalla
volontà di evangelizzazione; ma le riunioni di culto che si tengono
nelle loro famiglie divengono il centro e l'occasione del crearsi di
una comunità che si espande, collegandosi inizialmente a quella vi-
cina di Cittanova, per poi divenire autonoma.
L'emigrazione quindi come causa, ed è ben risaputo, del diffon-
dersi del movimento pentecostale. Ma non solo questo.
Oggi, quando si entra in contatto con qualche comunità del Sud,
si avverte subito che l'emigrazione è qualcosa di dominante, ima
specie di leit-motiv, un argomento ricorrente. Ed è forse un po' la
chiave per comprendere vari aspetti e problemi.
Se, prima, e qualche volta anche oggi, essa è all'origine del dif-
fondersi del movimento, del sorgere di nuovi gruppi, oggi è soprat-
tutto un problema, e non poco grave.
Già prima questa particolare genesi dava un'arma polemica in
mano agli oppositori (e persecutori): ancor oggi si sentono le accu-
se, a proposito di conversioni che in definitiva non sarebbero dovute
che alla generosa distribuzione di dollari. Rasenta i limiti del grot-
tesco quanto mi è stato raccontato da un parroco a proposito di ciò
che sarebbe avvenuto a Rizziconi (episodio che merita un'indagine
in loco a scopo di verifica): qui nell'immediato dopoguerra sarebbe
tornato dagli Stati Uniti un emigrato con due valige piene di dol-
lari (!) e, preso in affìtto un locale, vi teneva ogni sera il culto (cioè,
per il parroco, « i loro soliti salamelecchi »), con partecipazione di
molte persone, ad ognuna delle quali venivano dati, ogni volta, dieci
o quindici dollari. Esauriti i quali, la comunità si sciolse, e l'emi-
grato fece ritorno in America.
Oggi il problema è comunque diverso. Le comunità calabresi
sono in netto regresso numerico: i « fratelli » pentecostali parteci-
pano del comune destino della gente del Sud: la fuga verso il Nord
e l'estero. Il che si risolve in un assottigliarsi del numero dei membri
delle varie chiese. Per fare qualche esempio: Gioia Tauro, da circa
100 (livello massimo) ora è arrivata ad avere 15 battezzati; Rosarno,
da 200 circa agli attuali 50; e analogo fenomeno si riscontra per es.
a S. Ferdinanilo, Palmi ecc. Non solo, ma si arriva anche all'esauri-
mento totale (li alcune comunità: è il caso di Cinquefrondi, o di
S. Pietro di Caridà.
Altro fenomeno importante, su cui incide in misura notevole la
emigrazione, è il progressivo mutare della base sociale dei gruppi
pentecostali. Ari una partecipazione pressoché esclusiva di contadini.
— 85 —
sì va affiancando o sostituendo una presenza di elementi che potrem-
mo definire in largo senso « borghesi ».
Talvolta si tratta dei figli dei contadini, che arrivano al diploma
o alla laurea (passando attraverso l'esperienza di una scuola in cui
si trova sempre, ancora oggi, l'insegnante che cerca « amorevolmen-
te » di distogliere il ragazzo o il giovane dalla via sbagliata, prospet-
tando un avvenire difficile, quando non addirittura qpialcosa di piìi
immediato: la bocciatura). Altre volte invece, è proprio l'emigra-
zione contadina che fa sì che la comunità si trovi ad avere una fisio-
nomia nuova; come è il caso, particolare date le caratteristiche socio-
economiche della zona, di Gioia Tauro, dove i membri battezzati
sono in buona parte commercianti.
C'è anche, naturalmente, l'altra faccia della medaglia: l'emi-
grato non si perde nel nulla, ma, oltre a tenere spesso i contatti con
la comunità di origine, va ad aumentare il numero dei « fratelli »
della comunità del luogo in cui lavora; o anche gruppi di emigrati
fondano comunità nuove. Nelle aree che costituiscono i poli di attra-
zione verso cui si dirige il flusso migratorio si registra pertanto U fe-
nomeno inverso rispetto a ciò che avviene in Calabria: un aumento
delle « Assemblee ». A Milano ad esempio la comunità, in aumento^
ha circa 300 membri, che per il settanta per cento circa sono meri-
dionali, e in maggioranza operai. E si parla anche di comunità al-
l'estero non solo con larga partecipazione di emigrati meridionali,
ma talvolta costituite esculsivamente da essi. Jn Australia ci sareb-
bero, secondo informazioni avute dalla presidenza nazionale delle
A.D.I., delle comunità pentecostali di calabresi.
Questi spostamenti portano con sé problemi di varia natura. Si
sa quale è la posizione dei pentecostali di fronte ai problemi poli-
tici e sociali. È l'atteggiamento della « drastica rottura col 'mon-
do' » (3); il pensare che ad occuparsi dì politica si dà prova dì scar-
sa serietà (affermazione che ho sentito sia a Roma, sia in Calabria),^
che il cristiano, di fronte aUe agitazioni del mondo del lavoro, deve
essere in una posizione non attiva (« la Chiesa è chiamata a pregare,
non a scioperare » - sono parole del pastore della comunità di Ro-
sarno). Che insomma ci si asterrà pure dal lavoro, per forza di cose,
ma senza partecipare a cortei ecc., e senza essere nella posizione di
guida di agitazioni.
Una posizione di tal genere, comprensibile e possibile in una
società agricola, e dalle non grandi tradizioni sindacali, può rischiare
dì non reggere all'urto con la società industriale. E a Milano difatti,
qualcuno dei giovani « ha particolare interesse per i problemi sin-
dacali ». Può così avviarsi una dialettica intema, cui ì gruppi pente-
costali sembrerebbero tendenzialmente refrattari. E ad ogni modo,
vien meno quella totale omogeneità e l'assenza dì comportamenti
'devìanti', esibita con evidente orgoglio dalle comunità della Ca-
labria.
(3) L'espressione è di G. Spini, Movim. Evang. neWItalia cont., art. cit., p. 497.
— 86 —
C'è ancora un punto da considerare. È in atto nel movimento del-
le assemblee di Dio un processo di assestamento, per cui dalla asso-
luta libertà e autonomia delle origini si passa gradualmente ad una
istituzionalizzazione, anche se negata e respinta uflfìcilmente. Ma le
tappe sono evidenti: dalla organizzazione su basi nazionali, imposta
per legge, al presente problema dell'ingresso o meno nel Consiglio
Ecumenico delle Chiese. In questo quadro va forse considerata an-
che una specie di mitizzazione delle origini del movimento, quando
il battesimo dello Spirito era molto più frequente di oggi, anche se
tuttora è una realtà presente e considerata necessaria perché una
comunità sia viva e non tiepida o addirittura morta.
Ora, è interessante che anche a questo proposito gli stessi fedeli
stabiliscono un rapporto di causa-effetto con l'emigrazione. Si dice
infatti che se oggi è meno frequente il battesimo dello Spirito, ciò è
dovuto anche al fatto che le comunità, oltre ad essere diminuite nel
numero dei membri, si trovano ad avere molti dei « fratelli » di-
spersi quasi nelle grandi città industriali, in un ambiente in cui è più
diffìcile quella concentrazione nella preghiera che è la via per aprir-
si all'azione dello Spirito.
Ripeto: la ricerca è appena agli inizi. Molte delle affermazioni
e notizie hanno bisogno di una ulteriore verifica, che andrà fatta ne-
cessariamente attraverso un contatto diretto sia con le comunità ca-
labresi, sia con quelle delle zone di immigrazione.
Andrà esaminato da vicino l'inserirsi e l'articolarsi dei rapporti
delle comunità con gli ambienti in cui vivono. Sarà da considerare
anche, fra l'altro, il fenomeno del sorgere di movimenti penteco-
stali diversi da quello « ufficiale » delle Assemblee di Dio, e dei grup-
pi che si sono formati per scissione da quest'ultimo.
Giuseppe Gatto
Rassegna bibliografica
Ivan Dujcev, Quelques observations à propos des courants dualistes chez
les Bulgares et à Byzance au XIII-XIV siècles.
In « Studi Veneziani », XII, 1970, pp. 107-125.
L'autore esamina certi aspetti della vita letteraria bulgara del IX e
X secolo, da cui si intuisce l'esistenza in quel tempo di correnti dualiste,
di origine manichea, nella penisola balcanica: esse erano derivate dai
contatti frequenti con l'Asia. Nei secoli successivi il dualismo è più in-
dividuabile, e la sua persistenza come fenomeno critico nei riguardi del-
la chiesa e del cristianesimo presenta tuttora molti aspetti ignoti, sep-
pure Bogomili e Catari abbiano ereditato largamente esigenze dualisti-
che, interessi profondi per il problema del male, la natura di Dio, ecc.
Gerolamo Miolo, Historia breve e vera de gl'affari de i Valdesi delle Valli,
a cura di Enea Balmas, Torino, Claudiana, 1971, 8°, pp. 156 (n. 3 della
collana Storici Valdesi).
I due primi numeri della collana in programma ci recheranno i testi
di due pubblicazioni relative alla guerra del 1560-61, mentre si prevede al
quarto la ripubblicazione del Lentolo.
Vede intanto la luce (col n. 3) questa bella e completa Historia de)
Miolo. Si ricorderà come essa era stata pubblicata una prima volta da G.
Jalla nel Bullettin de la Société d'Histoire Vaudoise, n. 17 (1899), su una
trascrizione del manoscritto giacente a Cambridge.
Ora il Balmas ci presenta accanto al testo in edizione critica ed anno-
tata, un'ampia introduzione (75 pp.) destinata ad ilustrare la storia del
testo e le sue vicende, e ad illuminarci sulla figura del Miolo; seguono
inoltre le traduzioni del XVII secolo di alì'éune parti dell'opera ed una
appendice di documenti inediti concernenti la famiglia di Gerolamo Miolo.
II volume si presenta quindi, nel suo complesso, con tutte le caratte-
ristiche scientifiche che una collana di storici valdesi richiede, senza che
queste lo privino peraltro dalla possibilità di una gradevole ed appassio-
nante lettura.
Il curatore ha sottolineato bene l'intento apologetico del Miolo (ten-
dente a liberare i Valdesi dalle accuse di stregoneria e simili), e il suo
sforzo di presentarli al mondo riformato calvinista come cristiani orto-
dossi e forse di origine apostolica, seppure Valdo, secondo lui, sia stori-
camente esistito; ha esaminato con amorevole attenzione la tecnica del
lavoro del Miolo, le fonti cui ha attinto e la validità delle sue afferma-
zioni; e conclude concordando con la definizione di « più antica storia dei
— 88 —
Valdesi » già attribuita all'opera, storia appunto perché non si tratta
di una serie di documenti, ma della elaborazione di essi da parte di un
uomo di cultura, sensibile alla problematica del suo tempo ed alle esi-
genze di pubblico. A. H.
Carlo De Prede, L'estradizione degli eretici dal Dominio veneziano nel
Cinquecento, in « Atti dell'Accademia Pontaniana » nuova serie, XX,
1971, pp. 32.
Il conflitto di giurisdizione tra Venezia e Roma trovò il suo momento
di massima crisi all'inizio del 600, come è noto, al momento del Sarpi: ma
già nei decenni precedenti la Repubblica aveva rivendicato, nei limiti del
possibile, la sua autonomia e la sua indipendenza nel giudicare i colpevoli
di eresia. Lo studio mette in evidenza da un lato la tenace insistenza di
Roma per avere in mano i colpevoli, e dall'altro lo sforzo di Venezia per
cercare di non cedere sempre. Ne seguirono degli inevitabili compro-
messi, determinati di volta in volta da situazioni contingenti o dalle pos-
sibilità dei colpevoli di difendersi; tra il 1544 e il 1589 vi furono nove casi
di estradizione non concessa contro quattordici concesse e sei non ben
definite. H.
Valerio Marchetti, Ultime fasi della repressione dell'eresia a Siena nel
tardo Cinquecento, in « Rassegna degli Archivi di Stato », 1970, pp.
58-87.
Viene esaminata in particolare l'attività (1578-81) dell'inquisitore Pro-
spero Urbani, che aveva l'appoggio mediceo e della classe dirigente senese.
Carlo De Prede, Tipografi, editori, librai italiani del Cinquecento coinvol-
ti in processi di eresia, in « Riv. di storia della Chiesa in Italia »,
1969, pp. 21-53.
La ricerca abbraccia il periodo dal 1519 alla fine del secolo, e riguar-
da vari librai italiani colpevoli di avere stampato o importato libri ere-
ticali. Particolare rilievo viene dato al processo dell'editore veneziano
Valgrisi (1570).
Vittorio Pascucci, Movimenti ereticali in Lucca, in Riv. di letter, e di
storia eccles., 1969, pp. 72-75.
Si tratta di una brevissima nota generica sul diffondersi del lutera-
nesimo in Lucca.
Domenico Maselli, Per la storia religiosa dello Stato di Milano durante il
dominio di Filippo II: l'eresia e la sua repressione dal 1555 al 1584, in
Nuova Rivista Storica, LIV, maggio-agosto 1970, pp. 317-373.
Lo studio prende in esame il trentennio che va dall'assunzione del
trono da parte di Filippo II alla morte di San Carlo Borromeo, ed è pre-
— 89 —
ceduto da un'ampia premessa, destinata ad illustrare le fonti ed il metodo
storiografico.
Per il primo decennio, sono particolarmente esaminati due processi:
quello di Ascanio Marsi, alto funzionario statale, rivela le implicanze po-
litiche nell'accusa di eresia, mentre quello di Francesco Scuderi dà mo-
do di aprire uno spiraglio sul « nicodemismo » di molti riformati italiani,
costretti a vivere interiormente la propria fede: « a quello basta il cre-
dere ». Col 1566 inizia l'azione arcivescovile del Borromeo, e già nel 1568
abbiamo un rincrudirsi dell'opera antiriformata; prima a Mantova, dove
l'eresia aveva gravemente infettato i conventi cassinesi, e poi a Milano
stessa, ove viene arrestato Giorgio Gherzi, elemento di collegamento tra
gli ambienti protestanti del nord Italia e Ginevra.
La presenza di correnti ereticali perdura ancora negli anni successi-
vi, anche se (almeno a parer nostro!) si tratti più di lotta alle streghe e ai
fantasmi che di reali pericoli; eppure si verificano processi e condanne.
Nel più gr£inde quadro dell'azione contro-riformistica, la lotta contro
i superstiti focolai di eresia ci sembra peraltro avere meno peso che le
preoccupazioni di riforma interna della Chiesa; in questo senso ci pare
molto interessante sapere « se la nuova vita della Chiesa a Milano fosse
via via venuta ad assorbire alcuni tra gli elementi della protesta riforma-
ta ed ereticale ». E ci auguriamo di vedere molto presto affrontato e trat-
tato questo problema veramente nuovo ed appassionante.
H.
Peter G. Bietenholz, Baste and France in the Sixteenth Century. The
Basle Humanists and Printers in Their Contacts with Francophone
Culture, {Travaux d'Humanisme et Renaissance, n. 112), Genève, Droz,
1971, 8», pp. 367.
Lavoro di ampia informazione bibliografica ed archivistica, compren-
dente due grosse parti: la prima dedicata ai rifugiati di lingua francese in
Basilea (e qui viene riservato ampio spazio a Castellione, Portel, Baudoin
e Ramus); la seconda destinata ad esaminare i contatti della cultura ba-
sileese con Parigi, Lione e la Burgundia. Segue un ampio catalogo delle
edizioni basileesi di libri francesi o riguardanti la Francia, e delle tesi de-
gli studenti di Basilea dedicate a problemi francesi.
Cronologicamente il lavoro fa capo al 1650. Nel complesso, una dimo-
strazione evidente del fervore culturale e della circolazione delle idee
che caratterizzano il Cinquecento, con particolare riferimento ai proble-
mi religiosi. H.
Festbuch zur Feier der 250. Wiederkehr des Todestages von Henri Arnaud
Schònenberg. 1971, 16°, pp. 75.
Questo opuscolo celebrativo del 250° anniversario della morte di En-
rico Arnaud contiene in massima parte una biografia del celebre personag-
gio dovuta alla penna del pastore Theo Kiefner (pp. 11-71). Si tratta di
un lavoro riassuntivo (ma corredato di ben 432 note!) diviso in tre parti:
— 90 —
la prima (pp. 14-17) è dedicata alla giovinezza di Arnaud, 1643-1685; la se-
conda (pp. 18-37) aile vicende più tormentate della sua vita, 1685-1698; e la
terza al periodo tedesco, 1698-1721 (pp. 38-71). L'autore si è pertanto dedi-
cato in particolare alle vicende finora meno note del condottiero valdese,
ed ha sfruttato per questo periodo fonti archivistiche finora non cono-
sciute.
Sono in particolare messi in evidenza elementi nuovi sui figli, sui
beni e sulle proprietà di Arnaud, sulla sua attività pastorale e sui suoi
viaggi in Olanda ed Inghilterra.
L'autore si limita agli elementi essenziali e cronologici, senza scendere
ad una valutazione storica. Il contributo alla biografia di Arnaud è peral-
tro assai valido e prezioso. H.
William R. Estep, La verità è immortale. La storia del movimento ana-
battista. Trad, dall'inglese di P. Beasi e A. Billour. Casa ed. Battista,
Roma, 1971, 16", pp. 318 -I- tre cartine.
Si tratta di una storia a carattere divulgativo del movimento anabat
tista, dal suo sorgere all'inizio del XVI secolo fino alle sue discendenze più
recenti. Dietro alla narrazione si sente quasi continuamente l'intento del-
l'autore di cogliere in tutte le sue sfumature e le sue implicazioni più sva-
riate il radicalismo evangelico che ha per denominatore comune la teo-
logia dell'anabattismo e le posizioni di rifiuto dello stato e della politica:
se questo assunto rivela la viva partecipazione dello scrittore, si deve
peraltro rilevare come il senso storico sia talvolta assai labile o carente.
Il tono quasi celebrativo dell'avventura anabattista attraverso i secoli non
lascia molto spazio alla critica ed alla visione spassionata dei fatti e delle
idee: avremmo peraltro desiderato maggiore obbiettività ed indipendenza.
Rileviamo, per tutte, la faciloneria della cartina in cui sono presentati
i « centri anabattisti del sud-centrale » in Europa: tra le località ivi indi-
cate, troviamo « Cianforan »! Il che rappresenta certamente una bella
forzatura, comunque si voglia interpretare l'incontro del 1532.
H.
Saranno recensite al prossimo numero le seguenti opere:
E. Droz, Chemins de l'hérésie, 2 voli.
Cegna, L'Ussitismo Piemontese nel '400.
Gastaldi, Storia dell'Anabattismo.
Vita Sociale
Bibliografia ed antiquariato
Continua l'impegno assunto dalla Società di mantenere a disposizio-
ne di soci e studiosi, delle raccolte complete del Bollettino; tutti i sin-
goli numeri sono quindi a disposizione degli interessati, dal n. 1 (1884)
al n. 129. Il loro prezzo è di Lire 2.000 cad. ad eccezione dei Bollettini n.
6 e 15 a Lire 2.500 e dei Bollettini n. 22, 72, 88 e 93 a Lire 3.000 cad.
Sono in vendita anche parecchi opuscoli del XVII Febbraio. Eviden-
temente per questi opuscoli non può essere prevista per ora una ristam-
pa anastatica per cui molti di essi devono essere considerati come arti-
coli di antiquariato. Le annate a disposizione sono le seguenti:
Erìiz. francese: Anni 1880, 1881, 1882, 1883, 1888, 1889 (tutti in 8" picc),
1906, 1909, 1911, 1912, 1915-17, 1920, 1922-28, 1929, 1930-35.
Ediz. italiana: Anni 1922, 1923, 1926, 1928, 1930-32, 1934-35, 193741,
1943-48, 1949, 1950, 1951, 1952-56, 1969, 1970, 1971.
Gli opuscoli delle annate sottolineate sono in numero molto ridotto
di esemplari e vengono ceduti al prezzo di L. 800 cad. fino ad esaurimen-
to. Tutti gli altri, fino al 1970 sono in vendita a L. 400.
Rispondendo ad una richiesta insistente ed espressa specialmente
dai visitatori stranieri del Museo, viene messa in questi giorni a disposi-
zione degli interessati una riedizione anastatica non illustrata dell'opera:
« Les Vaudois des Alpes » 4" ed. 1934 di Jean Jalla; il suo prezzo è di
Lire 2.500.
Ricordiamo ancora che sono in vendita, fino ad esaurimento, le opere
seguenti:
1) A. Pascal, La Riforma in Val Perosa — // Rimpatrio dei Valdesi e
le decime eccl. (Lire 2.000).
2) Ghisi e Tron, Anciennes Chansons Vaiidoises, 1947 (Lire 500).
3) S. Pons, Preistoria Valdese, estr. 1938 (Lire 500).
4) G. Luzzi, Santi Pagnini e traduz. latina della Bibbia (Lire 1.000).
5) A. Armanr-Hugon, Agostino Mainardo, Riforma in Italia (L. 1.500).
6) Index... des 56 premiers num. Bulletin, 1931 (Lire 300).
7) A. Pascal, Le Valli V. negli anni del martirio... Voli. 3, 4, 5/1 e 5/2
(Lire 3.500/4.000).
8) Il Gen. Martinat, 1943 (Lire 500).
9) D. Jahier, Hist, du Collège V., 1908 (Lire 500).
— 92 —
10) D. Jahier, Le Pensionnat de la Tour, 1898 (Lire 300).
11) Journal de l'expédition des Vaudois, Paul Reynaudin, estr. 1889
(Lire 300).
12) V. SoMMANi, Dialoghi e fantasie musicali, 1928 (Lire 1.000).
13) E. Peyrot. W. S. Gilly, estr. (Lire 500).
14) T. Gay, Temples et Pasteur Eglise St. Jean, 1905 (Lire 2.000).
Ricordiamo infine che sono sempre a disp>osizione degli interessati
due antiche stampe, formato 50x35 cm. più margini, di Enrico Arnaud e
del Generale C. Beckwith a Lire 3.500 cad.
Sono infine ancora disi>onibili le seguenti stampe del Bartlett e del
Brockedon (provenienti in parte dal Beattie, The Waldenses ed in parte
dal Brockedon, Italy Classical):
■a) The Balsille during the Attack
b) La Tour - Val Pellice
c) St. Germain, Val Clusone
d) Pignerol at Moonlight
e) The Fort of the Vaudois
f ) The Balsille
g) The Barricade of Pra-del Tor
h) Pra del Tor
i ) Maneille in the Val Germa-
nasca
j ) The Col de la Croix
k) Ruins of Fort Mirabouc
1 ) Pomaret
m) The Fort of Fenestrelle
n) Prali Val St. Martin
o) La Tour and Luzem
p) St. John and Luzem
q) Salabertran
r) Val Angrogna
s) Val d'Ossola from the Val An-
grogna?
Sono tutte in buone condizioni e in vendita al prezzo di L. 3500 caduna.
Società di Studi Valdesi - Torre Pellice
STATUTO REGOLAMENTO
1) Origine: L'associazione, sorta in Torre Pellice il 6 settembre 1881
col nome di Société d'Histoire Vaudoise, trasformata nel 1935 in Società
di Studi Valdesi, ha lo scopo di promuovere studi e ricerche sulla storia e
la diffusione del movimento e delle chiese valdesi, sui movimenti di rifor-
ma religiosa in Italia e sull'ambiente delle Valli Valdesi.
2) Attività: La Società persegue i propri scopi mediante:
a) la pubblicazione di ricerche e documenti sul Bollettino della So-
cietà o in altra sede;
b) l'organizzazione di convegni di studio ed incontri qualificati, a
carattere nazionale ed internazionale;
c) l'organizzazione della propria biblioteca, specializzata, e dell'ar-
chivio storico;
d) l'aggiornamento ed il funzionamento del Museo storico e del
Museo etnografico di Torre Pellice, di altri musei delle Valli Valdesi dei
quali la Società è responsabile, nonché l'organizzazione di mostre tempo-
ranee su temi particolari;
e) la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico ed archivisti-
co delle Valli Valdesi, in collaborazione con le Chiese, con la Tavola Val-
dese e con i Comuni;
/) l'istituzione di rapporti, scambi di pubblicazioni ed incontri con
altre associazioni che perseguono scopi affini;
g) la diffusione dell'interesse per la storia e gli studi sul Valdismo
e sui movimenti religiosi in Italia.
3) Membri: La Società è composta di:
a) membri effettivi, che condividendo le finalità della Società ne
fanno domanda e versano la quota di associazione (annuale, triennale,
vitalizia);
b) membri corrispondenti, scelti tra studiosi o personalità partico-
larmente interessate ai problemi di cui la Società si occupa, e nominati
dall'Assemblea ordinaria su iniziativa del seggio o su proposta di almeno
dieci membri effettivi;
c) membri d'onore, nominati dall'Assemblea ordinaria su proposta
del seggio e scelti tra le persone particolarmente benemerite della Società.
La decadenza non volontaria di un membro deve essere ratificata
dall'Assemblea ordinaria.
4) Seggio: La Società è rappresentata da un Seggio esecutivo, nomi-
nato annualmente dall'Assemblea, e composto di sette persone scelte tra
— 94 —
i membri effettivi. Il seggio nomina nel suo seno il presidente, il vice pre-
sidente, il segretario, l'archivista-bibliotecario e conservatore del Museo
storico ed etnografico, il cassiere.
Il seggio è responsabile della consei'vazione del patrimonio sociale, so-
vraintende alla' gestione ordinaria delle attività sociali, cura i rapporti
con altri enti, presenta annualmente all'Assemblea una relazione scritta,
morale e finanziaria.
5) Commissioni: Il Seggio e l'Assemblea possono nominare delle Com-
missioni per la elaborazione di progetti concreti riguardanti il funziona-
mento e lo sviluppo della Società, particolari progetti editoriali o partico-
lari argomenti storici in vista di convegni, mostre o pubblicazioni speciali.
Le Commissioni dovranno presentare una relazione scritta all'Assemblea
annuale.
6) Assemblea: L'Assemblea è composta dei membri effettivi, con voce
deliberante, e dei membri corrispondenti ed onorari, con voce consultiva.
Essa approva lo Statuto Regolamento e le sue eventuali modifiche, nomi-
na il Seggio, ne discute ed approva la relazione annua, nomina eventuali
commissioni, ne discute le relazioni annue e le eventuali proposte, stabi-
lisce l'ammontare delle quote sociali, si pronuncia sulla ammissione e sul-
la eventuale decadenza dei membri.
L'Assemblea si riunisce annualmente in seduta ordinaria, in giorno,
luogo ed ora fissati dall'Assemblea precedente.
Tutte le deliberazioni non riguardanti modifiche dello Statuto Rego-
lamento sono prese a maggioranza dei membri effettivi presenti all'As-
semblea.
In occasione dell'Assemblea annuale potranno essere organizzati dal
Seggio o dalle Commissioni dibattiti, manifestazioni, mostre concernenti
il campo delle attività sociali.
Eventuali Assemblee straordinarie saranno convocate dal Seggio o su
richiesta di almeno un quinto dei membri effettivi; luogo, data e ordine
del giorno saranno comunicati dal Seggio almeno due mesi prima.
7) Pubblicazioni: La Società cura la pubblicazione del « Bollettino
della Società di Studi Valdesi », almeno una volta all'anno. Tale Bollettino
è destinato a studi, contributi o documenti concernenti il Valdismo ed i
movimenti di riforma religiosa in Italia, Esso viene inviato gratuitamen-
te ai membri. La Società promuove inoltre altre pubblicazioni inerenti ai
propri scopi o direttamente o in collaborazione con altri enti.
8) Par- nonio: In caso di scioglimento, il patrimonio sociale (Musei,
bibliotec ., archivi, attrezzature, ecc.) ed i fondi saranno devoluti alla
Tavola Valdese.
9) Modifiche allo Statuto Regolamento: Le modifiche al presente Sta-
tuto Regolamento dovranno essere approvate almeno dai due terzi dei
membri effettivi presenii all'Assemblea annuale.
Approvato nella seduta dell'Assemblea annuale del 29 agosto 1971.
INDICE
Romolo Cegna: Appunti su Valdismo e Ussitismo . . pag. 3
Gianpaolo Zucchini: Contributi agli studi sulla giovi-
nezza di Fausto Sozzini » 35
Albano Biondi: Melchor Cano: la storia come locus
theologicus » 43
Mia van Oostveen: Correspondance de Jean Léger . . » 55
Giuseppe Gatto: Linee per una ricerca su alcuni aspet-
ti del movimento pentecostale in Calabria ...» 83
Rassegna bibliografica » 87
Vita Sociale » 91
1012 01474 7671
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