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Full text of "Bollettino della Società di studi valdesi"

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PER  BX4878   .B64  no. 149-153 

Bollettino  della  SocietdL  di 
studi  valdesi. 


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https://archive.org/details/bollettinodellas1501soci 


N.  150  Dicembre  1981 


BaiETTINO 

DELLA 

SOCIETÀ  DI  STVDI 
VALDESI 


L'opinione  pubblica  inglese 
e  le  «Pasque  Piemontesi»:  nuovi  documenti  (*) 


1.  È  noto  l'interesse  con  il  quale  il  governo  di  Cromwell,  e  di  con- 
seguenza l'opinione  pubblica  inglese  che  il  «  Protettore  »  era  in  grado  di 
orientare  in  maniera  precisa,  seguirono  le  vicende  della  piccola  mino- 
ranza riformata  esistente  negli  stati  del  Duca  di  Savoia  durante  la  grave 
crisi  del  1655;  note  del  pari  le  varie  iniziative  assunte  dal  governo  in- 
glese in  questa  circostanza  (1). 

L'intreccio  strettissimo  tra  religione  e  politica  che  si  riscontra  soli- 
tamente nell'azione  di  Cromwell  non  permette  di  individuare  tutte  le 
motivazioni  di  un  simile  interessamento.  L'azione  in  favore  dei  Valdesi 
rispondeva  da  un  lato  ad  una  esigenza  di  carattere  morale  a  sfondo  con- 
fessionale, e  da  un  altro  lato  si  armonizzava  molto  bene  con  un  più 
vasto  disegno  del  Protettore,  di  proporre  all'opinione  pubblica  un'im- 
magine della  nuova  Inghilterra,  ed  in  particolare  del  suo  capo  supremo, 
in  veste  di  strenuo  difensore  della  causa  di  tutto  il  protestantesimo  eu- 
ropeo, rivendicando  in  tal  modo  il  diritto  ad  assumerne  la  guida. 


(*)  Il  presente  studio,  che  raccoglie  le  risultanze  di  ricerche  protrattesi  per  vari 
anni,  è  stato  messo  a  punto  indipendentemente,  e  senza  che  gli  autori  fossero  a 
conoscenza  delle  ricerche  perseguite  da  questo  studioso,  dal  lavoro  di  Giorgio  Vola, 
pubblicato  nel  numero  149  del  presente  «  Bollettino  ».  I  punti  di  interferenza  con 
l'articolo  di  Vola  sono  più  d'uno;  vi  sono  anche  delle  discrepanze,  per  altro  su 
elementi  di  dettaglio.  Nella  sostanza,  tuttavia,  le  risultanze  della  nostra  indagine 
non  contraddicono,  ma  piuttosto  confermano  alcuni  punti  della  più  vasta  indagine 
del  Vola,  e  pare  a  noi  utile  farle  conoscere,  accostandole  a  quanto  è  già  stato 
proposto  da  questo  studioso.  Gli  autori  del  presente  studio  hanno  preso  le  mosse 
da  preoccupazioni  di  natura  filologica  —  far  conoscere  dei  testi  sin  qui  poco  noti 
o  del  tutto  sconosciuti,  e  poi  approfondirne  il  significato  —  e  nutrono  la  convin- 
zione che  il  loro  apporto  serva  ad  illustrare  meglio  una  situazione  complessa, 
quale  quella  che  sta  alle  spalle  dell'azione  inglese  a  favore  dei  Valdesi  perseguitati 
nel  1655,  che,  come  ben  sottolinea  il  Vola,  necessita  ancora  di  approfondimento. 

(1)  Per  la  vastissima  bibliografia  sull'argomento  rimandiamo  unicamente  alla 
Bibliografìa  valdese  di  A.  Armand  Hugon-G.  Gonnet  (numeri  1562-1639)  e  agli  im- 
portanti aggiornamenti  fomiti  dall'articolo  di  G.  Vola,  Cromwell  e  i  Valdesi,  una 
vicenda  non  del  tutto  chiarita  in  B.S.S.V.,  149,  1981. 


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E.  BALMAS  -  E.  MENASCE 


Questo  aspetto  dell'operato  di  Cromwell  è  stato  ripetutamente  stu- 
diato (2),  già  dai  contemporanei  (3),  in  genere  con  intendimenti  ridut- 
tivi, per  mostrare  che  motivazioni  politiche  prevalgono  su  considerazioni 
più  disinteressate  in  questa  azione  di  sostegno  della  minoranza  rifor- 
mata degli  stati  sabaudi.  Interpretazione  parziale,  in  realtà,  che,  per  non 
tener  conto  del  viluppo  singolare  tra  religione  e  ragion  di  stato  nel- 
l'azione politica  del  Protettore  e  che,  per  supporre  che  l'agire  umano 
possa  avere  motivazioni  semplici,  non  può  rendere  ragione  in  tutta  la  sua 
ambiguità  del  contenuto  di  verità  di  frasi  come  quella,  veramente  esem- 
plare, per  citarne  una,  che  si  legge  nel  messaggio  di  Cromwell  al  Parla- 
mento appena  riunito,  il  3  novembre  1654:  «  pesano  sulle  vostre  spalle 
gli  interessi  cristiani  di  tutto  il  mondo  »  (4).  È  infatti  l'assunzione,  in 
tutta  la  loro  portata,  delle  responsabilità  che  discendono  da  una  posi- 
zione confessionale  rigorosa  che  porta  il  puritanesimo  inglese  a  travari- 
care  dal  campo  della  pietà  in  quello  dell'azione  politica  e  —  al  limite  — 
militare. 

Scopo  del  nostro  studio  è  di  far  conoscere  alcune  pubblicazioni 
inglesi  relative  alla  crisi  del  1655  sulle  quali  sin  qui  non  è  stata  attirata 
l'attenzione  e  che  possono  essere  considerate,  segnatamente  nel  campo 
degli  studi  valdesi,  come  del  tutto  sconosciute.  Si  tratta,  è  vero,  di  pub- 
blicazioni conservate  nell'ex-British  Museum  di  Londra  (oggi  British 
Library),  e  descritte  perciò  nel  catalogo  a  stampa  di  quella  biblioteca; 
ma  solo  ad  uno  studioso  inglese  contemporaneo,  il  Woolf,  era  accaduto 
di  menzionarle,  nel  quadro  di  uno  studio  d'insieme  sui  rapporti  cultu- 
rali tra  l'Inghilterra  il  ducato  sabaudo  (5).  Alcune  di  esse  sono  anche 
segnalate  dal  Vola,  nello  studio  precedentemente  citato. 

(2)  Ricordiamo  in  primo  luogo  il  vecchio  ma  sempre  valido  lavoro  di  J.  N. 
Bowman,  The  Protestant  interest  in  Cromwell's  foreign  relations,  Heidelberg  1900; 
inoltre  i  lavori  di  B.  Gagnebin:  O.  Cromwell,  Genève  et  les  Vaudois  du  Piémont  in 
B.S.S.V.,  72,  1939,  pp.  237-254;  id.,  Cromwell  protecteur  d'Angleterre,  Genève  1947; 
di  F.  Contino,  L'intervento  diplomatico  inglese  in  favore  dei  Valdesi  in  occasione 
delle  Pasque  Piemontesi  del  1655.  in  B.S.S.V.,  93,  1953,  pp.  3543;  ecc. 

(3)  Questa  è,  in  sostanza,  T'nterpretazione  di  G.  Leti  Historia  e  memorie  recon- 
dite sopra  la  vita  di  Cromwell,  1  vol.,  Amsterdam  1692;  ma  analoga  è  l'impressione 
ricavata  dall'ambasciatore  straordinario  veneziano  Sagredo,  che  ne  rende  conto  al 
Senato  che  con  una  sua  lettera  del  26  novembre  1655  (pubblicata  da  E.  Momigliano 
in  appendice  al  suo  Cromwell,  Roma,  Mondadori,  1931,  pp.  212-13);  il  proposito  di 
Cromwell  è  di  farsi  capo  del  protestantesimo  europeo,  onde  cupe  minacce  si  ad- 
densano sul  capo  dei  sovrani  cattolici.  «  Le  Protecteur  a  bien  la  vanité  de  vouloir 
passer  pour  défenseur  de  la  foi,  quoi  qu'il  n'en  prenne  pas  le  titre  »,  nota  in  una 
lettera  da  Londra  al  ministro  Brienne  anche  l'ambasciatore  francese  de  Bordeaux, 
impegnato  nelle  trattative  per  la  conclusione  del  trattato  di  commercio  tra  ia 
Francia  e  l'Inghilterra,  che  sarà  firmato  nel  mese  di  ottobre  (la  lettera  del  de  Bor- 
deaux è  pubblicata  in  appendice  al  voi.  II  àeW'Histoire  de  la  République  de  Crom- 
well di  F.  GuizoT,  Paris,  Didier,  1854,  p.  532).  Il  testo  del  trattato  è  pubblicato,  in 
francese  e  in  latino,  in  un'apposita  «  plaquette  »  :  Traité  de  paix  entre  la  France  et 
la  République  d'Angleterre,  d'Ecosse  et  d'Irlande  (Paris,  Cramoisy,  in  -4°,  pp.  42: 
un  esemplare  nel  ms.  442  del  Fondo  Clairambault  della  B.N.  di  Parigi). 

(4)  Cfr.  E.  Momigliano,  op.  cit.,  p.  137. 

(5)  S.J.  Woolf,  Enghish  public  opinion  and  the  Duchv  of  Savoy,  in  «  English 
Miscellany  »,  12,  Roma,  Ed.  Storia  e  Lett.,  1961,  pp.  211-258:  cfr.  in  particolare  le 
pp.  229-231. 


LE  "PASQUE  piemontesi":    NUOVI  DOCUMENTI 


5 


Sul  carattere  spontaneo  di  queste  manifestazioni  a  favore  dei  Val- 
desi perseguitati  non  sembra  lecito  farsi  illusioni  :  lo  stato  di  polizia 
instaurato  da  Cromwell,  la  cui  efficienza  sorprende  persino  l'ambascia- 
tore straordinario  della  Serenissima  (pure  abituato  ai  sistemi  del  Con- 
siglio dei  Dieci)  (6),  non  doveva  lasciare  molti  spazi  per  iniziative  non 
concertate  dal  potere.  Si  rileva  per  altro,  nel  gruppo  di  pubblicazioni 
di  cui  intendiamo  parlare,  la  presenza  di  uno  scritto  di  parte  cattolica, 
una  voce  di  dissenso,  dunque,  nel  coro  di  lamentazioni  sull'infausta 
vicenda  che  ha  travolto  le  comunità  valdesi  del  Piemonte. 


2.  Di  un  intervento  del  potere  non  è  comunque  possibile  dubitare. 
Il  ruolo  di  principale  informatore  dell'opinione  pubblica  sulla  questione 
valdese  è  demandato  ad  un  settimanale  politico,  che  ha  iniziato  le  sue 
pubblicazioni  da  alcuni  anni,  il  «  Mercurius  Politicus  »,  diretto  da  Mar- 
chamont  Needham  (7):  ora,  non  soltanto  Needham  è  l'uomo  di  Crom- 
well, ma,  all'incirca  dal  1651  (appena  un  anno  dopo  l'apparizione  del 
settimanale),  uno  stretto  collaboratore  del  Protettore,  il  poeta  John  Mil- 
ton, è  stato  incaricato  di  una  generale  «  supervision  and  censorship  »  (8) 
della  pubblicazione,  che  acquista  in  tal  modo  un  carattere  ufficioso,  se 
non  ufficiale. 

Uno  studio  recente  ha  attirato  l'attenzione  sull'interesse  che,  ai  fini 
di  una  ricostruzione  dell'immagine  che  il  pubblico  inglese  fu  in  grado  di 
farsi  degli  avvenimenti  piemontesi,  presentano  le  notizie  pubblicate  nel 
«  Mercurius  Politicus  »  :  ci  limiteremo  perciò  a  fornire  in  proposito  un 
complemento  di  informazioni  che  integrano  quelle  contenute  nell'arti- 

(6)  Cfr.  la  lettera  del  Sagredo  al  Senato  veneto  in  data  23  die.  1655  (pubblicata 
da  E.  Momigliano,  op.  cit.,,  pp.  217-18),  che  contiene  un  quadro  rivelatore  della  si- 
tuazione interna  inglese  :  lo  stato  limita  la  libertà  di  movimento  degli  stranieri  ma 
anche  dei  sudditi,  gli  assembramenti  sono  vietati,  la  polizia  numerosa  e  molto  ben 
armata  controlla  la  situazione  anche  valendosi  di  una  rete  capillare  di  informa- 
tori, ecc.  Non  vi  è  in  pratica  ambasciatore  veneto  a  Londra  durante  il  periodo  di 
Cromwell.  L'ultimo  ambasciatore  veneto  è  Giovanni  Giustiniani,  che  lascia  Londra 
il  20  nov.  1642.  Durante  la  guerra  civile,  gli  affari  sono  curati  da  un  segretario 
d'ambasciata,  Girolamo  Agostini,  che  rientra  in  patria  nel  1645.  Gli  affari  veneti 
sono  allora  curati  dal  ministro  toscano  Salvetti  (le  cui  lettere  sono  consen'ate  a 
Firenze).  Nella  guerra  di  Candia,  navi  inglesi  collaborano  con  i  Turchi  :  di  qui  la 
necessità  di  un  ambasciatore  straordinario.  Nel  frattempo  era  giunto  a  Venezia 
un  ambasciatore  di  Carlo  II  :  la  repubblica  in  un  primo  tempo  lo  accoglie,  ma 
ne!  1652  lo  espelle.  Il  25  gennaio  1655  il  Senato  decise  di  mandare  un'ambasceria 
straordinaria:  venne  scelto  per  questa  missione  l'ambasciatore  a  Parigi  Giovanni 
Sagredo,  che  giunse  a  Londra  in  ottobre.  La  sua  missione  si  rivelò  inutile,  ed  egli 
ripartì  il  18  febbraio  1656,  lasciando  al  suo  posto  il  proprio  segretario  Francesco 
Giavarina,  che  resterà  in  Inghilterra  fino  alla  Restaurazione.  Alcune  lettere  del 
Sagredo  e  la  relazione  della  sua  missione  sono  state  pubblicate  da  G.  Berchet, 
Cromwell  e  ta  repubblica  di  Venezia,  Venezia,  Naratovich,  1864. 

(7)  Sul  Needham  (o  Nedham)  si  veda  in  primo  luogo  l'articolo  della  National 
Biography  e  rif.  bibliograf.  ivi  ;  numerosi  riferimenti  alla  sua  personalità  e  alla  sua 
opera  si  leggono  nel  lavoro  di  M.  L.  Bignami,  Le  origini  del  giortiali'imn  ingle';e 
Bari.  Adriatica,  1968. 

(8)  Cfr.  D.  Masson,  The  Life  of  Milton,  7  voli.,  London,  1858-94,  ÎV  (1877),  p.  324. 


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E.  BALMAS  -  E.  MEKASCÉ 


colo  testé  citato  (9).  In  sostanza,  si  tratta  di  aggiungere  all'elenco  pro- 
posto da  Julia  M.  Buckroyd  altri  quattro  numeri  del  «  Mercurius  »,  che 
contengono  anch'essi  notizie  circa  gli  avvenimenti  piemontesi  :  il  n.  250, 
relativo  alla  settimana  22-29  marzo,  il  268  (26  luglio -2  agosto),  270 
(9-16  agosto)  e  271  (16-23)  agosto. 

Come  si  sarà  notato,  la  piìi  antica  menzione  di  quanto  stava  acca- 
dendo nelle  Valli  Valdesi  è  contenuta  in  un  numero  di  marzo  del  setti- 
manale di  Needham  :  è  perciò  anteriore  all'inizio  della  spedizione  puni- 
tiva del  marchese  di  Pianezza  (che  giunge  a  Torre  Pellice  il  17  aprile) 
e  ai  veri  e  propri  massacri,  che  si  susseguono  durante  il  restante  mese 
di  aprile  e  la  prima  decade  di  maggio.  È  infatti  consacrata  all'antefatto 
della  vicenda  per  la  quale  il  pastore  e  storico  valdese  Alexis  Muston  ha 
forgiato,  nel  secolo  scorso,  l'incisivo  appellativo,  ricco  di  risonanze  bi- 
bliche, di  «Pasque  Piemontesi»  (10),  e  cioè  all'espulsione,  da  tempo 
decisa  dalle  autorità  sabaude  ma  realizzata  concretamente  tra  la  fine  di 
gennaio  e  i  primi  di  febbraio  del  1655,  dei  nuclei  valdesi  fissatisi  in  loca- 
lità di  pianura  adiacenti  lo  sbocco  della  Val  Pellice  —  Bibiana,  Campi- 
glione.  Fenile,  principalmente  —  al  di  fuori  dei  «  limiti  »  previsti  dagli 
accordi  di  Cavour  del  1561.  La  nota  del  «  Mercurius  »,  non  datata,  e  per 
la  quale  viene  indicata  una  generica  provenienza  «  from  Piedmont  »,  con- 
siste in  una  veemente  denuncia  dell'ingiustizia  di  cui  sono  rimasti  vittime 
i  protestanti  piemontesi,  cacciati  dalle  loro  case  «  in  the  midst  of  winter, 
in  extreme  Frost  and  Snow  »  (il  decreto  di  espulsione  reca  la  data  del 
25  gennaio),  a  seguito  della  «  subtility  of  the  Popish  Priests  »,  e  conclude 
con  un  appello  alla  vigilanza  :  «  A  matter  worthy  the  sad  and  seriuos 
consideration  of  all  their  Brethren  »  (11).  La  pubblicazione  di  una  nota 
come  quella  testé  evocata,  assume  il  valore  di  una  «  spia  »  dell'interesse 
con  cui  il  governo  di  Cromwell  segue  fin  dall'inizio  la  crisi  valdese.  Un 
inviato  speciale  del  Segretario  di  Stato  Thurloe,  John  Peli,  che  sta  a 
Zurigo  dal  maggio  1654,  informa  infatti  regolarmente  le  autorità  inglesi 
circa  il  decorso  della  vicenda:  le  sue  lettere  di  questo  periodo  (febbraio- 
marzo  1655)  sono  ricche  di  informazioni  di  ogni  genere,  anche  sulle  ini- 
ziative prese  dai  Cantoni  protestanti  in  favore  dei  profughi,  e  su  quanto 
i  Cantoni  si  aspettano  che  faccia  il  Protettore  (l'ipotesi  di  un'azione  in- 
glese è  ventilata  in  una  lettera  del  24  febbraio)  (12).  Le  idee  più  avven- 

(9)  Julia  M.  Buckroyd,  /  valdesi  e  i  giornali  inglesi,  in  B.S.S.V.,  137,  1945, 
pp.  21-26. 

(10)  L'espressione  ricorre  nella  grande  storia  del  movimento  valdese,  dal  titolo, 
anch'esso  impregnato  di  biblicismo,  di  Israel  des  Alpes,  in  4  voli.,  pubblicata  dal 
Muston  a  Parigi  nel  1851  (ripubblicata  nel  1879);  ma  era  già  stata  usata  dallo  stesso 
Muston  come  titolo  di  un  volumetto,  pubblicato  anch'esso  a  Parigi  e  consacrato 
unicamente  agli  avvenimenti  del  1655,  e  che  risale  al  1850  (Les  Pâques  Piémontaises, 
1  voli,  di  74  pp.). 

(11)  Loc.  cit.,  pp.  5215-16. 

(12)  La  corrispondenza  di  Peli  con  Thurloe  è  pubblicata  in  appendice  al  suo 
fondamentale  lavoro  da  R.  Vaughan,  The  Protectorate  of  O.  Cromwell,  2  voli., 
London,  1839:  per  le  lettere  cui  qui  si  accenna,  cfr.  t.  I,  136-140.  L'ipotesi  di  una 
azione  inglese  è  ventilata  in  una  lettera  del  24  febbraio  :  «  upon  that  information 
you  are  entreated  to  move  his  highness,  that  he  would  use  such  means  for  thein 
relief  as  he  shall  think  most  expedient...  »  (loc.  cit.,  p.  137). 


LE  "PASQUE  PIEMONTESI":  NUOVI  DOCUMENTI 


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turose  —  di  «  appoggiare  »  l'azione  diplomatica  con  l'argomento  della 
flotta  dell'ammiraglio  Blake,  che  incrocia  in  quel  frangente  nel  Mediter- 
raneo (13)  —  accarezzate  dal  governo  di  Cromwell  quando  le  truppe 
del  Pianezza  saranno  passate  alla  repressione,  si  presentano  fin  da  que- 
sto periodo  alla  mente  dei  collaboratori  del  Protettore,  come  si  può  de- 
durre da  un  brano  di  una  lettera  di  Peli  al  Segretario  di  Stato  Thurloe, 
databile  della  fine  del  mese  di  febbraio  : 

Here  they  say  [il  suggerimento  è  presentato  come  una  proposta  che  scatu- 
risce da  un'opinione  largamente  condivisa]  that  a  letter  of  intercession  from 
the  Lord  Protector  would  have  been  more  regarded  by  the  Duke  of  Savoy,  if  it 
had  been  sent  him  whilst  General  Blake  was  sonear  his  port  of  Nice:  but  they 
think  it  is  not  yet  too  late  to  write  (14). 

In  queste  lettere  si  ha  anche  la  sorpresa  di  veder  apparire,  fin  dal 
mese  di  febbraio,  il  nome  di  Samuel  Morland,  già  impegnato  in  faccende 
relative  alla  distribuzione  degli  aiuti  agli  esuli  valdesi  (raccolti  questa 
volta  dalle  chiese  francesi  :  9.500  sterline  sono  già  state  trasmesse  a  Gre- 
noble; si  aggiimge  ora  un  contributo  di  2.000  sterline  (15)).  Ed  è  infine 
in  queste  lettere  che  si  legge  il  primo  accenno  a  propositi  di  resistenza 
—  o  di  riscossa  —  valdese,  attribuiti  però  alle  comunità  della  riva  sini- 
stra del  Chisone,  soggette  al  re  di  Francia,  che  sembrano  coagularsi  fin 
dal  mese  di  febbraio  (due  mesi  prima  della  spedizione  punitiva  del 
Pianezza)  : 

From  Pinasche,  near  Pignerol,  Feb.  22.  That  the  people  there  abouts  arm 
themselves  in  their  brethren's  quarrel,  and  that  they  are  likely  to  come  to  blows 
shortly  ;  they  want  a  skilful  soldier  to  command  them.  Some  say  that  some  French 
will  join  themselves  with  them.  I  shall  use  all  possible  care  to  be  informed  of 
their  proceedings  (16). 

L'esistenza  di  questo  fitto  reticolo  di  manifestazioni  di  interesse,  di 
tentativi  o  di  iniziative  —  ancora  solo  parzialmente  esplorato  —  confe- 
risce alla  pubblicazione  nel  «  Mercurius  Politicus  »  di  notizie  relative  agli 
avvenimenti  valdesi  del  1655  già  a  partire  dal  mese  di  febbraio  uno 
spessore  significazionale  forse  insospettato. 

Ricordiamo  ancora  che  numerosi  altri  periodici  inglesi  contempo- 
ranei parlano  degli  avvenimenti  valdesi.  Non  è  infatti  esatto  quel  che 
viene  spesso  ripetuto  (17),  che  «  la  pubblicazione  di  ogni  periodico  di 
notizie  »  (18)  fosse  proibita  nel  1655:  una  ricerca  sistematica  anche  se, 


(13)  Una  squadra  navale  inglese  incrocia  nel  Mediterraneo  fin  dai  primi  mesi 
del  1655.  Tocca  la  Toscana  (chiede  indennizzi  per  oscure  questioni  di  sequestri  e 
di  vendita  di  beni  inglesi),  Tunisi  (bombardata  il  3  aprile:  i  forti  e  la  flotta  del 
bey  sono  distrutti,  i  prigionieri  inglesi  liberati)  e  altri  porti.  Sulla  missione  del 
Blake  fornisce  particolari  e  riferimenti  bibliografici  importanti  il  Vola,  nell'art, 
preced.  cit. 

(14)  Loc.  cit.,  p.  138. 

(15)  Thurloe  a  Morland:  lettere  del  28  febbraio  e  del  13  marzo  (loc.  cit.,  I, 
pp.  141-43). 

(16)  Pell  a  Thurloe,  loc.  cit.,  p.  140. 

(17)  Cfr.  M.  L.  BiGNAMi,  op.  cit.,  p.  140. 

(18)  Cfr.  G.  Vola,  art.  cit.,  p.  13. 


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E.  BALMAS  -  E.  MENASCÉ 


ovviamente,  non  del  tutto  esauriente,  ha  già  permesso  di  raccogliere  molte 
indicazioni,  che  pensiamo  possa  essere  utile  mettere  a  disposizione  dello 
studioso  che  vorrà  riprendere  l'indagine. 

Oltre  al  «  Mercurius  »,  i  principali  periodici  inglesi  contemporanei 
ove  si  ritrovano  echi  degli  avvenimenti  del  1655  sono  : 

«  The  Weekly  Intelligencer  of  the  Commonwealth  [...]  »:  numeri  del  22/29  mag- 
gio, 5/12  giugno,  11/19  giugno,  7/14  agosto,  11/18  settembre; 

«The  Weekly  Post»:  numeri  dell'S/lS  maggio,  29.5/5  giugno,  12/19  giugno; 

«  The  Perfect  Diurnali  [...]  :  numeri  del  30.4/7  maggio,  7/14  maggio,  14/21  mag- 
gio, 21/28  maggio,  28.5/4  giugno,  25.6/2  luglio,  16/23  luglio,  30.7/6  agosto,  13/20  ago- 
sto, 27.8/3  settembre,  10/17  settembre,  17/24  settembre  ; 

«  Perfect  Proceedings  of  State  Affairs  »  :  numeri  del  17/24  maggio,  24/31  maggio, 
7/13  giugno,  13/21  giugno,  21/28  giugno,  12  19  luglio,  13/20  settembre; 

«A  Perfect  Account  of  the  Daily  Intelligence  [...]»:  numeri  del  9/16  maggio, 
16/23  maggio,  23/30  maggio,  6/13  giugno,  27.6  4  luglio,  19/26  settembre. 

Un  ultimo  periodico  va  menzionato,  il  «  Publick  Intelligencer  of  the  Com- 
monwealth »,  che  si  occupa  dei  postumi  degli  avvenimenti  della  primavera  nei 
numeri  del  15/22  ottobre,  22,29  ottobre,  29.10/5  novembre,  26.11/3  dicembre, 
17/24  dicembre. 


3.  Si  ritrova  il  Protettore  anche  all'origine  di  un'altra  iniziativa  edi- 
toriale, la  pubblicazione,  che  ha  luogo  sotto  la  pressione  degli  avveni- 
menti (e  cioè  dopo  l'inizio  della  repressione),  della  traduzione  inglese 
della  Histoire  des  Vaudois  et  des  Albigeois  di  Jean-Paul  Perrin.  Si  tratta 
di  una  riedizione,  poiché  l'opera  del  Perrin,  apparsa  a  Ginevra  nel  1618-19, 
era  già  stata  tradotta  in  inglese  nel  1624  da  Samuel  Lennard,  con  il  titolo 
di  Luthers  Fore-Runners  or  a  Cloud  of  Witnesses,  deposing  for  the  Pro- 
testant faith,  Gathered  together  in  the  Historié  of  the  Waldenses  [...].  La 
sollecitudine  con  cui  il  mondo  protestante  inglese  accoglie  il  libro  del 
Perrin  non  esclude  possibilità  di  strumentalizzazione  :  come  è  detto  in  un 
secondo  frontespizio  della  traduzione  testé  citata,  l'opera  del  pastore 
francese  non  soltanto  denuncia  «  the  Bloudy  Rage  of  that  Great  Anté- 
christ of  Rome  and  his  superstitious  adherents  against  the  true  Church 
of  Christ  and  the  faithfull  professors  of  his  Gospel  »,  ma  rende  manifesta 
«  unto  the  World  the  visibilitie  of  our  Church  of  England  and  of  all  the 
reformed  Churches  throughout  Christendome,  for  above  foure  hundred 
and  fiftie  years  last  past  ».  La  storia  dei  Valdesi  serve  la  causa  di  tutte 
le  chiese  riformate,  dimostrando  che  anche  prima  di  Lutero  sono  esistiti 
dei  credenti  sottratti  alle  «  superstizioni  »  di  Roma  :  operazione  di  vasta 
portata,  che  consentiva  di  ricuperare  la  storia  dei  Valdesi  (sia  pure  a 
prezzo  di  una  loro  confusione  con  gli  Albigesi)  alla  storia  generale  dei 
testimoni  della  verità,  con  il  risultato  di  fare  della  storia  dei  Valdesi 
antichi  e  della  sorte  dei  Valdesi  moderni  un  fatto  concernente  tutto  il 
protestantesimo.  Operazione  analoga  a  quella  già  realizzata  dai  martiro- 
logi protestanti,  di  «  associazione  »  del  valdismo  alla  storia  della  «  dis- 
sidenza »  religiosa,  sulla  quale  abbiamo  già  avuto  occasione  di  attirare 


LE  "PASQUE  piemontesi":   NUOVI  DOCUMENTI 


9 


l'attenzione  studiando  i  martirologi  anabattisti  (19)  :  da  accostare  al  fatto 
che,  nei  Several  Papers,  di  cui  parleremo  tra  breve,  ricorre,  a  due  riprese, 
una  menzione  del  martirologio  di  John  Foxe,  che  accoglie,  come  è  noto, 
anche  la  storia  dei  Valdesi.  Sottofondo  da  cogliere  per  valutare  la  deci- 
sione di  ripubblicare,  nel  1655,  il  libro  del  Perrin:  questa  volta  con  un 
nuovo  titolo  che,  non  meno  del  precedente,  ne  rende  a  prima  vista  pro- 
blematica l'identificazione,  di  Matchlesse  Crueltìe  declared  at  large  in  the 
ensuing  History  of  the  Waldenses  [...]  (20).  Pubblicazione  sin  qui  scono- 
sciuta, che  viene  in  tal  modo  ad  aggiungersi  alla  prima  traduzione  inglese 
del  Perrin,  che  è  segnalata  anche  dalla  Bibliografia  valdese.  «  By  command 
of  his  Highness  the  Lxjrd  Protector»,  precisa  il  frontispizio  :  non  vi  è 
motivo  di  pensare  che  si  tratti  di  un'indicazione  di  comodo. 

Dal  frontispizio  si  ricava  altresì  che  alla  storia  dei  Valdesi  antichi  è 
stata  aggiunta  «  an  exact  Narative  of  the  late  Bloody  and  Barbarous 
Massacres,  Murders  and  other  unheard  of  Cruelties  [...]  »  perpetrate  con- 
tro i  Valdesi  moderni,  e  cioè  una  relazione  degli  ultimi  avvenimenti  veri- 
ficatisi in  Piemonte.  Al  volume  di  cui  stiamo  parlando  è  stato  infatti 
aggiunto  un  opuscolo  di  60  pagine,  con  frontispizio  indipendente  (e  stam- 
pato da  un  altro  editore,  H.  Robinson)  :  la  prima  edizione  della  sola  pub- 
blicazione inglese  di  cui  si  avesse  notizia  sin  qui,  consacrata  ai  massacri 
perpetrati  nel  corso  delle  «  Pasque  piemontesi  »,  conosciuta  sotto  il  titolo 
di  A  Collection  of  the  Several  Papers  sent  to  his  Highness  [...]  (21).  Si  può 
in  tal  modo  stabilire  che  questa  Collection  ha  avuto  due  edizioni  :  una 
prima,  con  un  titolo  leggermente  diverso  {A  Collectioìì  or  Narative  [...] 
sent  to  his  Highness  [...])  incorporata  nella  riedizione  della  traduzione 
del  Perrin,  ed  una  seconda  indipendente,  con  il  titolo  sopra  ricordato. 

Benché  l'esistenza  della  Collection  fosse  già  nota  (ma  non  il  fatto 
che  ne  fossero  state  approntate  due  edizioni)  (22),  ne  proporremmo  una 
breve  analisi.  La  differenza  tra  le  due  edizioni  si  riduce  a  pochi  elementi, 
oltre  alla  variante  del  titolo.  Entrambi  constano  di  16  pp.  n.n.  +  44  pp. 
(e  cioè  di  60  pp.  in  tutto):  nella  Narrative  la  stampa  termina  a  p.  43 
(44  bianca),  mentre  nei  Several  Papers  anche  la  p.  44  è  stampata  (si  ha 
un  lieve  spostamento  di  piombi  a  partire  dalla  p.  41,  per  cui  il  contenuto 
delle  pp.  43  e  44  scivola  di  qualche  riga,  così  da  occupare  in  parte  anche 
la  p.  44;  dall'una  all'altra  edizione,  ovviamente,  la  composizione  è  stata 
rifatta).  Nella  Narrative  si  hanno  errori  di  paginazione  (p.  26  27  segnate 
23/22  e  30/31  segnate  19/18),  corretti  nei  Several  Papers;  «  culs  de 
lampe  »,  fregi  e  capilinea  subiscono  lievi  variazioni  passando  dall'una 
all'altra  edizione,  anche  se  risultano  sostanzialmente  gli  stessi,  in  quanto 
le  due  edizioni  escono  dalla  stessa  officina  tipografica. 

(19)  Cfr.  il  nostro  studio  su  Le  Théâtre  des  Martyrs  di  Jan  Lmken  in  B.S.S.V., 
141,  1977. 

(20)  London,  Brewster,  1655. 

(21)  La  sua  esistenza  è  segnalata  anche  dalla  Bibliografia  Valdese,  p.  144,  n.  1628. 

(22)  Il  Woolf,  che  non  conosce  la  seconda  edizione  della  Collection  (con  il  ti- 
tolo di  Collection  of  the  Several  Papers),  afferma  che  la  Collection  or  Narrative 
sarebbe  stata  ristampata  nel  1667  (art.  cit.,  230).  Non  abbiamo  potuto  ritrovare 
un  esemplare  di  questa  ristampa. 


10 


E.  BALMAS  -  E.  MENASCE 


Il  contenuto  dei  due  testi  è  identico,  a  parte  la  variante  di  cui  si  dirà  : 
la  dedica  a  Cromwell,  firmata  da  J.  B.  Stouppe  (o  Stoppa,  come  si  ve- 
drà), il  compilatore  materiale  dell'opuscolo,  ridonda  di  piaggerie  am- 
pollose nei  confronti  del  Protettore,  ma  contiene  anche  la  conferma  che 
la  pubblicazione  è  stata  realizzata  per  volontà  dello  stesso  Cromwell 
(«  Your  Highness  having  thought  it  convenient  that  I  should  put  in  print 
the  writings  I  have  received  concerning  the  horrible  massacre  committed 
upon  the  poor  Protestants  of  Piedmont  »);  un'introduzione  di  una  de- 
cina di  pagine,  To  the  Christian  Reader,  anonima  ma  dovuta  verosimil- 
mente allo  stesso  Stoppa,  contiene  un  primo  racconto  sommario  dei 
massacri  in  Val  Pellice  (seconda  metà  di  aprile)  e  in  Val  Chisone  (prima 
settimana  di  maggio)  e  si  conclude  con  un  appello  alla  liberalità  di  tutti 
i  credenti  per  venire  in  aiuto  ai  sopravvissuti,  attualmente  rifugiati  in 
Val  Chisone  e  nel  Queyras,  in  terra  di  Francia,  valutati  a  circa  16.000  per- 
sone. Stoppa  non  trascura  di  ribadire  la  tesi  dell'origine  apostolica  dei 
Valdesi  :  che  discendono  bensì  da  Pietro  Valdo  di  Lione,  «  a  man  of  great 
Erudition  and  singular  pietie  »,  ma  che  hanno  trovato,  quando  si  sono 
rifugiati,  a  seguito  delle  persecuzioni,  nelle  valli  ove  abitano  attualmente, 
degli  abitanti  con  i  quali  si  sono  confusi,  che  professavano  le  loro  stesse 
idee  : 

Which  proves  that  the  reformed  ReUgion  protest  in  those  VaHies  did  not 
begin  within  an  age  or  two  of  this,  as  some  ignorant  adversaries  say,  but  that  it 
hath  been  either  from  the  very  Apostles,  or  from  the  first  ages,  and  that  the  Wal- 
denses  found  there  the  seed  of  the  true  ReUgion...  »  (23). 

Una  Briefe  Apologie  di  sei  pagine  è  consacrata  all'antefatto,  l'espul- 
sione dei  Valdesi  dalle  località  di  pianura;  anche  il  decreto  dell'Uditore 
Castaldo,  del  25  gennaio  1655,  viene  pubblicato  in  traduzione  inglese.  Una 
Second  Apologie  (8  pagine)  ricapitola  la  politica  dei  duchi  di  Savoia  nei 
confronti  dei  Valdesi  dai  tempi  di  Emanuele  Filiberto,  insistendo  in  par- 
ticolare su  quella  di  Madama  Reale  e  del  duca  attualmente  regnante,  e 
racconta  ancora  una  volta  quanto  è  accaduto  nelle  Valli  Valdesi  tra  la 
metà  di  aprile  e  la  prima  decade  di  maggio;  una  Third  Apologie,  infine 
(6  pp.),  ripete  le  stesse  cose,  sottolineando  con  asprezza  il  ruolo  svolto 
dalla  Congregazione  per  la  Propaganda  della  fede. 

Seguono  poi  delle  testimonianze,  desunte  da  «  several  letters  »,  di  cui 
si  dà,  a  volte,  la  data  e  la  provenienza:  nell'insieme,  esse  costituiscono 
«  An  Appendix  to  the  foregoing  Apologie  »  (24).  Anche  qui  le  informa- 
zioni si  ripetono  ma,  in  sostanza,  si  sommano  e  si  completano,  ogni  testi- 
monianza arrecando  una  sua  pennellata  —  ad  esempio,  mediante  l'indi- 

(23)  Op.  cit.,  pp.  8-9  (n.n.). 

(24)  Segnaliamo  un  errore  di  datazione,  che  si  ripete  nella  Narrative  come  nei 
Several  Papers:  a  p.  33  inizia  una  «Continuation  of  the  description  of  the  mur- 
thers...  committed...  on  the  6  and  7  April  1655  ».  La  data  non  si  spiega,  ai  primi  di 
aprile  non  è  ancora  accaduto  nulla.  Anche  l'ipotesi  che  la  data  sia  espressa  in 
stile  antico  (giuliano)  e  debba  perciò  leggersi  16-17  aprile  non  è  del  tutto  soddisfa- 
cente: il  Pianezza,  come  sappiamo,  giunge  a  Torre  Pellice  il  17  aprile,  e  l'azione 
repressiva  vera  e  propria  ha  inizio  nei  giorni  seguenti.  È  possibile  che  si  tratti  di 
un  refuso,  e  che  l'indicazione  debba  leggersi  6-7  maggio. 


LE  "PASQUE  PIEMONTESI":  NUOVI  DOCUMENTI 


11 


cazione  del  nome  delle  vittime  —  al  quadro  d'insieme.  Le  lettere  che, 
incorporate  nel  tessuto  espositivo,  hanno  conservato  un'integrità  che  per- 
mette di  riconoscerle  come  tali  sono  quattro:  del  17(27)  aprile  «  from 
the  Vale  of  Perouse  »,  dell'S  maggio  da  Lione  ;  del  3  maggio  dalla  Val 
Chisone  ;  e  infine  dell'S  maggio,  senza  indicazione  precisa  di  provenienza. 
Solo  quella  del  3  maggio  è  firmata  («  the  Deputies  of  the  Vallies  of  Luzem, 
Perouse  and  St.  Martin  »).  Ugualmente  senza  sottoscrizioni  (e  senza 
data)  la  lettera  che  chiude  il  volumetto,  che  figura  scritta  «  to  his 
Highness  the  Lord  Protector  »  e  che  avrebbe  accompagnato  l'invio  delle 
altre  lettere  e  memoriali  relativi  agli  avvenimenti  piemontesi. 

Il  catalogo  a  stampa  del  British  Museum  segnala  l'esistenza  di  un 
esemplare  dei  Several  Papers  mancanti  delle  ultime  pagine  (42-44),  quelle 
che  contengono  la  «  lettera  di  accompagnamento  »  a  Cromwell  (25).  Non 
avendo  potuto  controllare  l'esattezza  dell'indicazione,  ci  limitiamo  a  for- 
mulare l'ipotesi  che  possa  essere  esistita  anche  un'edizione  (la  terza  della 
stessa  opera)  in  cui  la  lettera  finale  a  Cromwell  era  stata  soppressa. 

Come  sia  stato  messo  assieme  il  volumetto  lo  dice  una  breve  nota 
dal  titolo  The  Stationer  to  the  Reader,  presente  solo  nella  seconda  edi- 
zione (Several  Papers),  e  inserita  tra  l'epistola  dedicatoria  a  Cromwell  e 
la  prefazione  To  the  Christian  Reader.  Ne  è  autore  con  ogni  probabilità 
lo  stesso  Stoppa  :  il  proposito  originale  era  «  only  to  print  a  Relation  », 
modificato  poi  per  il  fatto  che  non  si  conoscono  ancora  «  ali  the  partic- 
ular Circumstances  »  ed  anche  perché  sono  circolate  voci  discordanti 
circa  la  portata  degli  avvenimenti,  qualcuno  ha  cercato  di  far  credere 
che  «  the  evil  was  not  so  great  as  it  was  reported  ».  Per  questa  ragione 
ha  scelto  di  pubblicare  dei  documenti,  una  piccola  silloge  dei  molti  dispo- 
nibili, «  as  they  came,  without  adding  or  diminishing  »,  anche  ispirandosi 
«  to  a  Relation  of  the  same  printed  in  France  ».  Non  importa  se  con- 
tengono delle  ripetizioni,  è  opportuno  che  le  stesse  cose  siano  «  repeated 
in  several  writings  »,  non  importa  se  il  filo  del  racconto  è  sconnesso,  sono 
documenti  giunti  in  momenti  diversi,  non  importa  che  siano  scritti  in 
maniera  poco  elegante,  sono  testi  tradotti  «  by  several  hands  »,  anche 
da  forestieri.  Il  lettore  abbia  pazienza,  e  sappia  che  si  sta  lavorando  «  to 
give  an  Historical  Narrative  more  exact  ». 

Un  documento  palpitante,  colto  dal  vivo,  che  riunisce  materiale  di 
prima  mano,  anche  di  grande  importanza.  È  il  caso  della  lettera  «  from 
the  Vale  of  Perouse  the  17  of  April  1655  describing  the  beginning  of  the 
murders  »  (pp.  26-30),  la  più  antica  testimonianza  di  fonte  valdese  sugli 
avvenimenti  del  1655,  scritta  mentre  la  repressione  è  ancora  in  corso, 
conosciuta  sin  qui,  oltre  che  per  la  pubblicazione  nell'opera  del  Mor- 
land,  solo  in  una  pessima  trascrizione  della  versione  originale  fran- 
cese procurata  nel  1894  da  Emile  Jolibois  (26).  Un  documento  abil- 
mente costruito,  altresì.   Come   abbiamo   visto,    la   cronistoria  degli 

(25)  Ne  diamo  la  collocazione,  desunta  dal  predetto  Catalogo:   700  f  6  (11). 

(26)  Pubblicata  nella  «  Revue  Hist.  Scientif.  et  Litt.  du  Département  du  Tarn  » 
s.  II,  III,  1894,  pp.  68-72.  Il  testo  pubblicato  dal  Jolibois  (una  copia,  owiamente, 
che  tuttavia  l'editore  ritiene  coeva)  è  tratto  dagli  archivi  del  castello  di  Roquefort 


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E.  BALMAS  -  E.  MENASCÉ 


eventi  si  ferma  alla  prima  decade  di  maggio.  Lo  Stoppa,  tuttavia,  per 
esplicita  ammissione,  conosce  delle  pubblicazioni  a  stampa,  «  printed  in 
France  »  ;  dall'analisi  del  suo  testo  è  possibile  stabilire  che  conosce  en- 
trambe le  pubblicazioni  di  parte  protestante  apparse  poco  dopo  gli  avve- 
nimenti di  aprile-maggio,  e  cioè  il  Récit  véritable  (27)  e  la  Relation  véri- 
table (28).  Dall'uno  come  dall'altro  testo  desume  tuttavia  solo  quanto 
collima  con  l'intenzione  generale  della  sua  pubblicazione  —  la  denuncia 
delle  atrocità  —  e  tace  di  una  circostanza  alla  quale  entrambi  alludono, 
la  resistenza  armata.  I  Valdesi  non  si  sono  limitati  a  subire  l'attacco  del 
Pianezza  e  a  fuggire  ma,  come  scrive  il  Récit  véritable,  la  stessa  perfidia 
degli  assalitori  «  donna  occasion  aus  assaillis...  de  repousser  la  force  par 
la  force»  (29)  ;  mentre  la  Relation  véritable  è  molto  più  esplicita  (e  trion- 
falistica nella  narrazione  dei  primi  episodi  di  questa  resistenza),  poiché 
consacra  tutta  la  seconda  parte  all'esposizione  delle  ragioni  «  pour  les- 
quelles les  Réformés  ont  esté  contraints  de  prendre  les  armes  ».  Di  questo 
tema,  che  costituiva  senza  dubbio  una  delle  principali  motivazioni  delle 
due  pubblicazioni  di  parte  protestante  alle  quali  attinge,  lo  Stoppa  non 
fa  parola,  l'immagine  di  innocenti  pecorelle  disperse  dalla  ferocia  dei 
persecutori  che  egli  vuol  proporre  dei  Valdesi  risultando  inconciliabile 
con  quella  di  arditi  guerrieri  che  contrastano  vittoriosamente  gli  assalti 
di  un  nemico  immensamente  più  potente. 

(Puylaurens),  che  apparteneva,  nel  XVII  sec,  ad  una  famiglia  protestante.  Il  carat- 
tere insoddisfacente  del  testo  da  lui  riprodotto  non  è  sfuggito  all'editore,  che  se 
ne  giustifica  con  queste  parole  :  «  l'orthographe  en  est  mauvaise,  et  c'est  peut-être 
la  faute  du  copiste;  mais  au  XVIIe  siècle  l'orthographe  était  loin  d'être  régulière 
en  France;  d'ailleurs  notre  lettre  émane  de  personnes  étrangères.  Quoi  qu'il  en 
soit,  nous  avons  cru  en  devoir  respecter  le  texte  »  (loc.  cit.,  68).  In  realtà,  la  mag- 
gior parte  dei  difetti  della  sua  trascrizione  paiono  imputabili  a  scarse  conoscenze 
paleografiche.  Che  una  copia  della  lettera  di  denuncia  della  sopraffazione  di  cui 
sono  stati  vittime  i  Valdesi  si  sia  potuta  ritrovare  negli  archivi  di  un  castello  pro- 
testante di  provincia  testimonia  indirettamente  dell'emozione  suscitata  in  Francia 
dall'avvenimento  e  della  cura  messa  dai  destinatari  della  lettera  (i  pastori  della 
provincia  sinodale  del  Delfinato  ?)  nel  duplicare  e  nel  far  circolare  la  missiva 
ricevuta. 

(27)  Récit  véritable  de  ce  qui  est  arrivé  depuis  peu  aux  Vallées  de  Piémont, 
s.l.  1655;  1  voli,  di  48  pp.,  in  -8**.  Malgrado  l'assenza  di  indicazioni,  è  possibile  sta- 
bilire che  il  volumetto  è  stato  stampato  a  Parigi  (l'editore  usa  il  materiale  tipo- 
grafico di  Louis  Vendosme,  uno  stampatore  protestante  operante  a  Parigi  intomo 
alla  metà  del  XVII  sec).  Se  ne  conoscono  tre  edizioni.  Esemplari  nella  B.S.H.P.F., 
nella  B.N.  di  Parigi  e  nella  B.R.  di  Torino. 

(28)  Relation  véritable  de  ce  qui  s'est  passé  dans  les  persécutions  et  massa- 
cres faits  cette  année  aux  Eglises  Réformées  de  Piémont  [...],  s.l.  1655;  1  vol.  di 
84  p.  in  4°.  L'opera  è  divisa  in  due  parti  da  uno  pseudo  frontispizio  che  annuncia 
una  Suite  de  la  Relation  véritable  (la  numerazione  segue  dalla  prima  alla  seconda 
parte),  ove  figura  anche  una  confessione  di  fede.  Esemplari  nella  B.S.H.P.F.  di 
Parigi  e  nella  B.P.U.  di  Ginevra.  Esiste  una  seconda  edizione  in  formato  ridotto 
(in  -8°),  dello  stesso  numero  di  pagine,  ma  mancante  della  Suite  e  del  suo  conte- 
nuto. Esemplari  nella  B.S.H.P.F.  e  nella  B.R.  di  Torino.  Per  uno  studio  piìi  appro- 
fondito sotto  il  profilo  bibliografico  di  questo  fondamentale  testo  della  letteratura 
ispirata  dalle  vicende  del  1655  rimandiamo  al  volume,  attualmente  in  preparazione 
nel  quadro  della  Collana  «  Storici  Valdesi  »  della  Casa  Editrice  Claudiana,  che 
riprenderà  un  certo  numero  di  queste  «  plaquettes  »  di  propaganda. 

(29)  Op.  cil.,  23. 


LE  "PASQUE  piemontesi":  NUOVI  DOCUMENTI 


13 


Circa  J.  B.  Stouppe,  e  cioè,  come  si  è  detto,  Giovanni  Battista  Stoppa, 
appartenente  ad  una  famiglia  di  riformati  grigionesi,  abbiamo,  come  ha 
scritto  recentemente  Giorgio  Vola,  «  non  poche  tracce  ma  scarse  cer- 
tezze ».  Pastore  della  chiesa  francese  di  Londra  dal  1652,  Stoppa  avrebbe 
ricoperto  un  certo  ruolo  in  quello  che  lo  steso  Vola  definisce  «  l'in- 
telligence »  del  governo  di  Cromwell  ;  è  certo  che  conosceva  bene  i  Val- 
desi, poiché  risulta  essere  stato  in  corrispondenza  (ed  è  ancora  una 
scoperta  del  Vola)  con  Antoine  Léger  (zio  di  Jean  Léger,  imo  dei  pro- 
tagonisti delle  vicende  del  1655),  che  esercitava  in  quegli  anni  a  Ginevra 
il  duplice  ruolo  di  pastore  e  di  professore.  Si  può  in  tal  modo  capire 
come  mai  disponesse  di  documentazione  tanto  abbondante  sugli  avve- 
nimenti piemontesi,  anche  se  resta  impregiudicata  l'attendibilità  di  que- 
sta documentazione,  e  non  facilmente  spiegabile  perché  proprio  a  lui 
confluissero  le  informazioni. 

Senza  giungere  a  farne  un  personaggio  inquietante,  si  devono  regi- 
strare con  una  certa  sorpresa  episodi  e  circostanze  sicuramente  ascri- 
vibili alla  sua  attività  che  preludono  all'esito  più  clamoroso,  il  suo  farsi, 
in  una  fase  ulteriore,  «  pamphlétaire  »  al  servizio  del  re  di  Francia  (30), 
fino  a  morire,  nei  ranghi  dell'esercito  francese,  nel  1692,  nel  corso  della 
guerra  della  Lega  di  Augusta. 

Agli  episodi  già  ricordati  dal  Vola  non  è  inutile  aggiungerne  un 

(30)  Dopo  la  morte  di  Cromwell,  Stouppe,  che  deve  aver  incontrato  delle  dif- 
ficoltà con  il  nuovo  regime,  abbandona  l'Inghilterra  per  l'Olanda,  prima,  e  poi  per 
la  Francia,  dove  viveva  un  suo  fratello,  colonnello  di  un  reggimento  svizzero  al 
servizio  del  re  di  Francia.  Attraverserà  indenne  la  bufera  della  Revocazione.  Si 
farà  «  pamphlétaire  »  al  servizio  del  re  di  Francia  con  due  opere,  La  Religion  des 
Hollandais,  Paris,  1673,  e  La  justification  des  colonels,  Paris,  1690.  La  prima,  di  cui 
esiste  anche  un'edizione  con  l'indicazione  di  Colonia  (1673),  una  traduzione  inglese 
(The  Religion  of  the  Dutch,  1680  e  ristampa  1681)  e  una  traduzione  italiana  (La 
Religione  degli  Olandesi,  Parigi,  1674),  è  in  sostanza  un  appello  rivolto  ai  cantoni 
svizzeri  perché  non  vengano  in  aiuto  dell'Olanda,  in  quel  momento  in  guerra  con- 
tro la  Francia;  la  seconda,  un  opuscolo  di  30  pp.,  di  cui  esiste  del  pari  una  tradu- 
zione italiana  (Giustificazione  dei  colonnelli,  Paris  1690),  contiene  una  critica  della 
decisione  dei  Cantoni  cattolici,  e  in  particolare  dei  Grigioni,  di  ritirare  i  loro  sol- 
dati dalle  file  francesi  in  occasione  della  guerra  di  Luigi  XIV  contro  la  Spagna  e 
le  altre  potenze  europee.  La  Religion  des  Hollandais  darà  luogo  ad  una  replica, 
ad_  opera  del  pastore  Jean  Brun  (La  véritable  religion  des  Hollandais,  Amsterdam 
16/5):  nella  sua  prefazione  il  Bioin  fornisce  alcuni  particolari  sulla  carriera  dello 
Stouppe,  accusato  di  apostasia  e  di  essere  stato  «  esclave  de  Cromwell  ».  Alcuni 
dettagli  si  ricavano  anche  dalla  prefazione  di  una  Vie  de  Spinoza  [...]  (L'Aia, 
Johnson,  1706)  del  pastore  luterano  Jean  Colerns,  segnatamente  circa  i  rapporti 
di  Stouppe  con  Spinoza.  Altra  circostanza  curiosa:  Stouppe  è  il  destinatario  di 
una  lettera  pubblica  del  pastore  Charles  Drelincourt  (che  durante  la  crisi  del  1655 
ave\a  messo  la  sua  penna  al  servizio  dei  Valdesi  perseguitati),  che  lo  impegna  a 
usare  della  sua  influenza,  nel  1660,  affinché  il  Parlamento  inglese  voti  la  restaura- 
zione degli  Stuart  (Lettre  à  M.  Stouppe  sur  le  rétablissement  du  Roy  de  la  Grande 
Bretagne,  s.l.  1660,  un  opuscolo  di  11  pp.:  un  esemplare  nella  B  N"  di  Parigi).  La 
lettera  di  Drelincourt  è  datata  3  aprile  1660.  Per  maggiori  particolari  oltre  alle 
Ì^tAS^^'^"^  fornite  dal  Vola,  cfr.  L.  Feer,  Un  pamphlet  contre  les  Hollandais  au 
XVIIe  siècle  in  B.S.H.P.F.,  31,  1882,  pp.  78-91;  P.  de  Wm,  Une  apologie  des  Hollan- 
dais au  XVIIe  siècle,  in  B.S.H.P.F.  31,  1882,  pp.  226-234;  id..  Les  coilaborateurs  du 
colonel  Stoppa,  in  B.S.H.P.F.,  32,  1883,  pp.  368-374;  A.  Galland,  Les  pasteurs  fran- 
çats  et  la  royauté  de  droit  divin,  in  B.S.H.P.F.,  77,  1928,  p.  237  e  rif  bibli  ivi 


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E.  BALMAS  -  E.  MENASCÉ 


altro,  strettamente  collegato  alle  vicende  di  cui  ci  stiamo  occupando: 
le  relazioni  al  ministro  Brienne  di  Antoine  de  Bordeaux-Neufville,  amba- 
sciatore straordinario  a  Londra,  sull'andamento  delle  trattative  in  vista 
della  conclusione  di  un  trattato  tra  la  Francia  e  l'Inghilterra,  pubblicate 
dal  Guizot,  ci  informano  che  Stouppe  interviene  nelle  trattative,  che 
sono  già  a  buon  punto,  facendo  scoppiare  come  una  bomba  la  notizia 
dei  massacri  perpetrati  congiuntamente  dai  soldati  del  duca  e  da  reg- 
gimenti francesi  (reparti  francesi,  in  marcia  di  trasferimento  attraverso 
gli  stati  sabaudi  e  diretti  all'assedio  di  Pavia,  erano  stati  temporanea- 
mente impiegati  nell'azione  repressiva  contro  i  Valdesi). 

«  Ils  me  dirent  que  Son  Altesse  et  le  Conseil  avaient  appris  avec 
beaucoup  de  ressentiment  la  persécution  des  protestants  de  Savoie...  et 
que  la  bienséance  ne  lui  [a  Cromwell]  permettait  pas  de  s'unir  avec  Sa 
Majesté  dans  le  temps  qu'elle  faisait  persécuter  lesdits  religionnaires  », 
scrive  il  De  Bordeaux  in  data  27  maggio  (31),  precisando  poi  che  è  «  le 
ministre  Stouppe  qui  avait  apporté  cette  nouvelle  ».  Ma  sullo  Stouppe, 
De  Bordeaux  possiede  altre  informazioni:  sa  che  ha  fatto  circolare  ad 
arte  la  notizia  in  quel  momento  «  quoi  que  la  nouvelle  en  fût  arrivée 
il  y  a  long  temps  »,  sa  dei  suoi  contatti  con  gli  spagnoli  (che  intrigano 
per  impedire  la  conclusione  del  trattato  e  utilizzano  la  notizia  dei  mas- 
sacri per  creare  dissapori  tra  i  futuri  alleati),  sa  della  sua  venalità  (ha 
ricevuto  2.000  franchi  dagli  spagnoli)  (32)  e  non  dubita  di  poter  giun- 
gere a  un  accordo  con  lui.  Il  P  luglio,  infatti,  può  nuovamente  scrivere 
al  Brienne  di  aver  in  programma  un  incontro  notturno  con  questo  per- 
sonaggio che  si  è  offerto  «  de  servir  désormais  la  France,  moyennant 
récompense  »,  e  si  dichiara  deciso  a  versargli  la  somma  di  300  sterline 
che  gli  è  stata  richiesta  (sperando  che  il  re  gliela  vorrà  far  rimborsare)  : 
benché  l'autorità  di  Stouppe  non  sia  tale  da  poter  «  faire  la  paix  ou  la 
guerre  »,  non  gli  sembra  opportuno  «  rebuter  un  homme  »  che  è  stato 
«  employé  par  M.le  Protecteur  dans  ses  desseins  touchant  ceux  de  la 
religion  prétendue  réformée  »  (33). 

«  Minister  of  the  Gospel  in  London  »  (34),  dunque,  lo  Stouppe;  ma 
anche  agente  politico,  collaboratore  attivo  del  «  regime  »  cromwelliano. 
Una  pennellata  supplementare,  che  aggiunge  luce  e  ombra,  ma  in  so- 
stanza densità  di  significato  alla  pubblicazione  della  Narrative  (e  dei 
Several  Papers  )  :  essa  aiuta  a  comprendere  che  in  una  delle  lettere  da 
lui  pubblicate,  cui  assegna  la  data  dell'S  maggio  1655,  sia  inserita  questa 
frase,  attribuita  all'estensore  della  lettera  stessa:  «  I  have  hastily  given 


(31)  Loc.  cit.,  p.  524. 

(32)  Loc.  cit.,  p.  525. 

(33)  Loc.  cit.,  p.  529. 

(34)  In  questi  termini  lo  definisce  la  lettera  dei  maggiorenti  valdesi  a  Cromwell 
del  27  luglio  1655,  pubblicata  nel  «  Mercurius  Politicus  »  n.  275  del  13-20  settembre 
dello  stesso  anno,  e  che  espressamente  lo  designa  come  il  destinatario  di  «  severa! 
letters  of  undoubted  credit  »  che  gli  permettono  di  essere  «  fully  instructed  »  di 
tutta  la  vicenda  e  di  potere,  se  richiesto,  fornire  adeguate  informazioni  circa  «  the 
more  important  and  necessary  Point  »  (loc.  cit.,  p.  5615). 


LE  "PASQUE  piemontesi":  NUOVI  DOCUMENTI 


15 


you  a  Copy  of  this  tract  of  the  horrible  furies  of  the  Adversaries,  desiring 
you  to  see  if  his  Highness  the  Serenissime  Lord  Protector  could  take 
occasion  to  insert  in  the  Treaty  with  France  the  re-establishement  of  our 
Brethren  escaped  from  the  Massacres...  »  (35).  Sarebbe  singolare  che  la 
capacità  di  impostare  in  termini  tanto  lucidi  sul  terreno  diplomatico  la 
questione  della  minoranza  valdese  fosse  riscontrabile  in  un  testimone- 
protagonista  degli  avvenimenti  alla  data  dell'S  maggio,  quando  le  truppe 
del  Pianezza  non  hanno  ancora  terminato  i  loro  rastrellamenti  in  Val 
Chisone. 


4.  Oltre  al  «  Mercurius  Politicus  »  e  ai  Several  Papers  (nelle  loro 
due  o  forse  tre  edizioni),  vi  furono  altre  pubblicazioni  inglesi  nel  1655, 
di  cui  ci  proponiamo  ora  di  rendere  conto  rapidamente. 

Si  tratta  in  primo  luogo  di  un  volumetto  di  64  pp.,  dal  titolo  The 
Barbarous  and  Inhumane  Proceedings  against  the  Professors  of  the  Refor- 
med Religion  within  the  Dominion  of  the  Duke  of  Savoy  [...],  anonimo  e 
senza  precisa  marca  editoriale  («  Printed  by  M.S.  »)  (36).  La  pubblica- 
zione, come  spiega  il  titolo  lunghissimo,  non  è  interamente  consacrata 
alla  questione  valdese,  ma  concerne  altresì  «  the  Bloody  Massacres... 
committed  upon  the  Protestants  in  Ireland  »  e  «  the  Lamentable...  Condi- 
tion of  Germany  ».  I  Valdesi,  infatti,  se  hanno  l'onore  del  titolo,  hanno 
diritto  solo  a  cinque  pagine  della  trattazione  ;  mentre  gli  affari  irlandesi 
(un  elenco  dei  massacri  commessi  «  by  the  Irish  Papists  »  contro  i  pro- 
testanti nel  1641  )  occupano  le  pp.  da  6  a  23  e  la  relazione  sullo  stato  della 
Germania  durante  e  all'indomani  della  guerra  dei  Trent'anni  (divisa  in 
9  capitoli),  le  pp.  da  24  a  46.  Un'ultima  sezione,  non  menzionata  nel  fron- 
tispizio (pp.  47-54)  contiene  un  elenco  dei  prodigi  manifestatisi  «  in  the 
Ayre,  Water  and  on  Earth  »,  in  Germania  dal  1618  e  in  Inghilterra  «  before 
our  Troubles  ». 

A  questo  punto  il  volumetto  risulterebbe  completato,  come  è  dimo- 
strato anche  dalle  segnature  dei  fascicoli,  che  si  seguono  regolarmente 
(da  A*  a  G"*:  sette  fascicoli  di  8  pp.,  pari  alle  54  pp.  del  volumetto;  il 
frontespizio  e  la  pagina  di  risguardo  non  sono  numerate).  Così  accade 
infatti  per  uno  dei  due  esemplari  giunti  fino  a  noi.  Un  altro  esemplare 
invece  è  arricchito  di  un  ulteriore  fascicolo,  segnato  H  (e  perciò  previsto 
in  continuazione  dei  sette  precedenti,  ma  che  ha  tuttavia  numerazione 
indipendente),  e  che  contiene  «  A  Perfect  List  »  dei  membri  che  siede- 
ranno nel  futuro  Parlamento,  la  cui  convocazione  è  prevista  per  il  1656. 
Anche  dei  Proceedings  dunque  si  sono  avute  due  edizioni,  una  con  l'ap- 
pendice contenente  il  nome  dei  futuri  parlamentari  e  l'altra  senza  :  anche 
dietro  questa  pubblicazione  si  travede  un  intreccio  di  motivazioni  tra  le 
quali  ha  una  parte  la  politica  e  che  non  è  semplice  districare. 

Come  giustificare  il  carattere  disparato  del  volumetto?  Nel  fronti- 

(35)  Narrative  cit.,  p.  41. 

(36)  Due  esemplari  nel  British  Museum:  G.  5572  z  e  114.b.47. 


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E.  BALMAS  -  E.  MENASCE 


spizio  si  tenta  una  spiegazione,  questa  congerie  di  avvenimenti  deve 
condurci  «  to  consider  the  Vialls  of  Gods  wrath  are  powring  forth  on 
his  owne  Churches  for  correction,  and  will  end  to  their  Adversaries  utter 
destruction  ».  La  citazione  dell'Apocalisse  (18,  21  e  24),  che  annuncia  la 
fine  di  Babilonia,  macchiatasi  del  sangue  dei  santi  e  dei  profeti,  ne  for- 
nisce forse  un'altra,  indicando  nel  libro  un  prodotto  della  particolare 
temperie  spirituale  della  prima  metà  del  Seicento  :  epoca  tragica,  che 
ha  conosciuto  la  più  straordinaria  calamità  mai  abbattutasi  sull'Europa 
dopo  le  invasioni  barbariche  (la  guerra  dei  Trent'anni,  ripetutamente 
evocata)  e  che  faticosamente  deve  riassorbirne  i  sussulti,  gli  spasimi  e 
gli  scompensi.  Istanze  religiose  (il  protestantesimo  europeo  sta  attra- 
versando tra  l'altro  la  grave  crisi  dell'arminianesimo),  spunti  apocalit- 
tici (le  visioni,  i  prodigi),  fermenti  politici  di  ogni  genere,  rancori  inespia- 
bili (la  questione  irlandese),  passioni  non  sopite  (la  polemica  anti-mo- 
narchica,  che  serpeggia  nel  libro),  che  si  accavallano,  si  combattono, 
coesistono  senza  fondersi,  rendono  in  sostanza  possibili  opere  come  que- 
sta, in  cui  si  distilla  una  certa  visione  barocca  del  mondo. 

Alla  fine,  però,  anche  la  politica  spicciola  fa  la  sua  apparizione,  come 
dimostra  l'appendice  che  da  un'edizione  all'altra  compare  o  scompare. 
Basta  ricordare  per  questo  i  «  démêlés  »  di  Cromwell  con  il  Parlamento. 
Il  capo  puritano  aveva,  per  così  dire,  ereditato  il  Lungo  Parlamento,  con- 
vocato dal  defunto  re,  e  che  siede  ininterrottamente  dal  1640  al  1653. 
Il  20  aprile  Cromwell  lo  scioglie  e  alla  fine  dell'anno  (16  dicembre)  fa 
approvare  dai  capi  dell'esercito  l'atto  che  lo  nomina  Lord  Protettore. 
L'Atto  prevedeva  anche  l'istituzione  di  una  camera  unica  di  140  membri, 
forniti  del  «  timor  di  Dio  »,  nominati  dal  Protettore  d'accordo  con  i  capi 
delle  varie  chiese:  il  nuovo  Parlamento,  come  abbiamo  già  ricordato,  si 
riunisce  il  3  novembre  1654,  ma  è  sciolto  quasi  subito  (22  gennaio  1655). 
Durante  tutto  il  1655  si  parla  della  nomina  di  un  nuovo  Parlamento  (e  in 
questo  senso  i  nostri  Proceedings  si  ricollegano  ad  una  problematica  di 
attualità),  ma  non  se  ne  farà  nulla,  anche  negli  anni  a  venire:  solo 
nel  1658,  pochi  mesi  prima  della  sua  morte,  Cromwell  riunirà  un  nuovo 
Parlamento  (inaugurato  il  20  gennaio). 

In  questo  contesto,  la  pubblicazione  deU"elenco  di  coloro  che  siede- 
ranno nel  futuro  Parlamento,  giustapposto  alla  congerie  di  fatti  diver- 
sissimi che  il  libro  contiene,  non  può  non  assumere  un  valore  di  lealismo 
governativo:  a  conferma  che  spunti  apocalittici  (timore  e  tremore  di 
fronte  al  mistero  del  destino  che  si  compie),  fervore  religioso  e  passione 
politica  ai  piia  alti  livelli  non  sono  inconciliabili  con  la  tutela  di  interessi 
di  piccolo  cabotaggio. 

Un'altra  circostanza  contribuisce  a  segnalare  all'attenzione  questo 
curioso  libro,  sottolineandone,  fino  ad  esasperarla,  la  tonalità  fortemente 
biblicistica  e  pietistica  :  la  presenza  di  un  consistente  gruppo  di  illustra- 
zioni, previste,  come  precisa  il  frontispizio,  affinché  «  the  eye  may  affect 
the  heart  ».  Sono  in  genere  scene  orrende  di  atrocità  alle  quali  sono  stati 
sottoposti  i  protestanti  inglesi  in  Irlanda,  di  non  meno  tragiche  torture 


LE  "PASQUE  PIEMONTESI":  NUOVI  DOCUMENTI 


17 


praticate  dai  soldati  in  Germania,  di  inenarrabili  sofferenze  alle  quali 
sono  stati  esposti  i  tedeschi,  rappresentate  con  un  compiacimento  che 
suscita  repulsione  e  che  sembra  denunciare  non  solo  nell'artista  che  le 
ha  eseguite  ma  nel  pubblico  destinato  a  fruirne  di  una  componente  mor- 
bosa, spiegabile,  forse,  solo  alla  luce  di  un  puritanesimo  apocalittico. 
Trenta  illustrazioni  in  tutto,  di  autore  ignoto,  suddivise  in  «  cartouches  » 
(piccole  incisioni  contornate,  raggruppate  in  serie  di  due,  o  tre,  o  sei: 
24  in  tutto,  ripartite  su  9  pagine)  e  in  incisioni  non  contornate  (6,  di  cui 
due  a  piena  pagina).  Tre  di  queste  illustrazioni  sono  consacrate  agli 
avvenimenti  valdesi.  Non  pare  si  possa  dubitare,  in  effetti,  che  l'autore 
del  volumetto  abbia  preso  lo  spunto  da  quanto  era  accaduto  in  Piemonte 
durante  la  primavera  per  comporre  la  sua  opera  (il  frontispizio  lo  rivela 
molto  bene)  e  che  sia  poi  stato  indotto  a  «  étoffer  »  la  materia  aggiun- 
gendovi vecchie  storie  di  persecuzioni  e  massacri  più  o  meno  logicamente 
collegabili  con  quella  raccontata  nel  testo  iniziale. 

Il  testo  consacrato  ai  Valdesi  è  stato  messo  assieme  partendo  da 
una  pubblicazione  che  già  conosciamo,  i  Several  Papers  :  l'autore  dei 
Barbarous  Proceedings  riproduce  in  parte  la  lettera  «  from  the  Vale  of 
Perouse,  Aprii  27,  1655  »  (pp.  1-3,  che  rimandano  ai  Several  Papers  27-29), 
e  questa  parte  ha  una  certa  organicità  ;  segue  poi  un  pulviscolo  di  notizie 
e  di  particolari,  anch'essi  desunti  in  massima  parte  dai  predetti  Pa- 
pers (37)  o,  come  è  anche  probabile,  dalle  stesse  fonti  alle  quali  aveva 
attinto  lo  Stouppe,  e  cioè  il  Récit  e  la  Relation  véritable.  Nessuna  origi- 
nalità di  fondo,  dunque,  per  il  contenuto  dell'informazione  :  un  testo 
messo  assieme  in  fretta,  senza  preoccupazioni  di  organicità,  nè  di  evitare 
le  ripetizioni,  che  sono  numerose  ;  mentre  originale  è  l'idea  di  tradurre 
in  immagini  alcuni  degli  episodi  raccontati,  con  il  risultato  di  attribuir 
loro  una  icasticità  ed  una  violenza  cui  una  relazione  letteraria  potrebbe 
diffìcilmente  pretendere.  Gli  episodi  «  illustrati  »  sono  tre,  descritti  nella 
narrazione  in  questi  termini  : 

1.  «  Some  had...  their  bodies  cut  and  slashed,  and  then  the  wounds  being  filled 
with  Salt  and  Gun-powder,  their  shirts  were  put  ont  them  and  set  on  fire  ». 

2.  «  They  took  Mr.  Thomas  Hargher  of  95  years  old,  because  he  refused  to  go 
to  Masse,  and  first  cut  off  his  Noze,  then  one  of  his  ears,  and  after  the  other,  and 
then  one  limb,  and  after  another...  and  at  last  hanged  him  ». 

3.  «  They  took  little  Children,  one  Souldier  by  one  leg  and  another  by  the 
other,  and  splitting  them  by  the  twist  asunder  ». 

Scopo  di  simili  pubblicazioni  non  poteva  essere  che  quello  di  ecci- 
tare l'opinione  pubblica  :  non  vi  è  dubbio  che  tutto  sia  stato  messo  in 
atto  per  raggiungerlo. 


(37)  È  possibile  fornire  i  riscontri  testuali  :  per  l'episodio  di  Jean  Paillas  (p.  3) 
il  rimando  è  a  Several  Papers,  pp.  35  e  36;  per  quello  di  Paul  Clément,  diacono  di 
Torre  Pellice  (p.  3),  alle  pp.  24,  35  e  36  della  stessa  fonte;  ecc. 


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E.  BALMAS  -  E.  MENASCÉ 


5.  Considerazioni  particolari  sollecita  il  componimento  che  ci  accin- 
giamo ora  a  presentare  :  per  la  forma,  se  non  per  il  contenuto,  che  lo 
distingue  non  solo  dalle  altre  pubblicazioni  del  1655  esaminate  in  questo 
studio  ma  anche  da  tutte  le  pubblicazioni  sin  qui  note  suscitate  in  Gran 
Bretagna  dalle  «  Pasque  Piemontesi  ».  Si  tratta  di  una  «  broadside 
ballad  »  (ballata  stampata  su  un  volantino)  :  le  prime  tre  righe  del  titolo- 
preambolo  (  che  ne  conta  complessivamente  quattordici  :  spesso  un 
preambolo  in  prosa  riassumeva  il  contenuto  di  tal  genere  di  ballate) 
annunciano  «  A  Dreadful  Relation,  of  the  Cruel,  Bloudy,  and  most 
Inhumane  Massacre  and  Butchery,  committed  on  the  poor  Protestants, 
in  the  Dominions  of  the  Duke  of  Savoy,  by  his  Soldiers,  with  some  French 
and  bloudy  Irish  joyned  together  »  (38). 

La  ballata  pare  interessante  proprio  a  motivo  della  sua  specificità 
formale,  indicativa  com  e  della  diffusa  risonanza  —  fino  alle  frange  meno 
letterate  del  «  common  people  »  —  che  nell'Inghilterra  del  Protettore 
dovette  conferirsi  a  un  dramma  che  si  era  consumato  nelle  relativamente 
lontane  e  senz'altro  ai  più  non  ben  note  Valli  Valdesi.  Infatti  se,  a  diffe- 
renza delle  lettere  di  Cromwell  «  ex  Aula  Alba  »,  destinate  ai  circuiti  chiusi 
delle  corti  e  dei  governi,  o  di  un'opera  quale  la  riedita  traduzione  della 
storia  del  Perrin,  rivolta  a- una  cerchia  limitata  di  lettori,  «  pamphlets  » 
come  la  raccolta  dello  Stouppe  (A  Collection  of  the  Several  Papers)  o  i 
Barbarous  &  Inhumane  Proceedings  potevano  interessare  un  pubblico 
assai  più  numeroso  ;  e  se  chiunque  sapesse  leggere  poteva  essere  rag- 
giunto dalla  stampa  periodica,  dove  i  fatti  piemontesi  del  1655  trovarono 
pronta  e  vasta  eco  (oltre  al  Mercurius  Politicus,  di  cui  si  è  detto,  a  quei 
fatti  riservarono  più  o  meno  spazio,  con  maggiore  o  minore  frequenza. 
The  Publick  Intelligencer,  The  Perfect  Diurnali,  The  Weekly  Intelligencer, 
The  Weekly  Post,  The  Faithful  Scout)  (39),  anche  a  coloro  che  non  sape- 
vano leggere  era  indirizzata  una  «  broadside  ballad  »,  il  più  capillare  cioè 
dei  «  mass  media  »  dell'epoca,  una  forma  di  protogiornalismo  «  low 
brow  »  che  non  poteva  non  essere  sfruttata  da  chi  avesse  interesse  a  farlo. 

«  Broadside  ballads  »,  o  semplicemente  «  broadsides  »,  erano  dunque 
chiamati  i  volantini,  solitamente  delle  dimensioni  di  un  in  folio,  stampati 
su  un'unica  facciata.  Metodo  di  stampa  facile  ed  economico,  esso  ebbe  a 
Londra  il  suo  naturale  centro  propulsore  :  da  lì  le  ballate  venivano  distri- 
buite, smerciate,  spesso  per  mezzo  di  venditori  ambulanti,  in  altre  città 
e  nelle  campagne,  e  il  «  ballad-seller  »  divenne  una  figura  familiare  agli 
angoli  delle  strade,  nei  mercati,  nelle  fiere.  La  «  broadside  »  sostituì  in 
effetti,  a  partire  dal  XVI  secolo,  con  il  diffondersi  della  stampa,  la  ballata 
popolare  tramandata  oralmente  già  in  declino  (40),  e  il  venditore  di  bal- 


(38)  1192  Ballads  (collocazione  nel  catalogo  a  stampa  del  British  Museum). 

(39)  Non  esiste  ancora,  a  quanto  ci  risulta,  uno  studio  esauriente  dedicato  alla 
risonanza  avuta  dagli  avvenimenti  valdesi  del  1655  sulla  stampa  britannica  coeva. 

(40)  La  raccolta  delle  ballate  «  popolari  »  e  la  loro  pubblicazione  è  fenomeno 
/etterario  di  epoca  successiva,  che  prenderà  per  lo  più  le  mosse  verso  la  fine  del 
XVII  secolo.  La  più  famosa  diverrà  quella  di  Thomas  Percy,  Reliques  of  Ancient 
English  Poetry  (1765),  dalla  cui  edizione  in  tre  volumi  a  cura  di  Henry  B.  Wheati^, 


LE  "PASQUE  PirMONTESl":   NUOVI  DOCUMENTI 


19 


late,  più  o  meno  abile  nell'arte  del  canto,  sostituì  il  menestrello  di  pro- 
fessione. La  musica  restò  comunque  componente  fissa  della  «  broadside 
ballad  »  (41  ),  anche  se  fin  dal  tempo  di  Shakespeare  era  invalso  l'uso  di 
scrivere  «  a  new  song  to  an  old  tune  »,  di  utilizzare  cioè  melodie  pre- 
esistenti per  testi  nuovi,  uso  che  si  consolidò  con  il  proliferare  del  genere 
(la  «  broadside  »  era  veicolo,  tra  l'altro,  di  propaganda  politica,  di  pro- 
testa sociale,  di  cronaca  nera),  la  parola  inevitabilmente  prendendo  il 
sopravvento  sulle  note  (42).  Nel  caso  specifico  della  nostra  ballata,  essa 
porta  stampato  in  evidenza,  dopo  il  titolo-preambolo,  il  nome  del  motivo 
musicale  («  The  Bleeding  Heart  »)  su  cui  andava  cantata.  Accorgimenti 
entrambi,  il  riassunto  in  prosa  e  l'indicazione  della  melodia,  volti  a  susci- 
tare l'interesse  del  potenziale  acquirente. 

Come  la  ballata  popolare,  la  «  broadside  ballad  »  continuò  ad  essere 
una  narrazione  in  versi  di  regola  anonima,  senza  pretese  letterarie,  ma 
con  la  pretesa,  invece,  di  raccontare  fatti  realmente  accaduti  (43),  donde 
l'impiego  frequente,  come  nella  nostra  ballata,  del  termine  relation,  tipico 
anche  dei  «  pamphlets  »  coevi,  essi  pure  con  pretese  di  veridicità. 

Con  l'introduzione  in  Gran  Bretagna  della  Riforma,  i  seguaci  sia 
della  «  Old  »  sia  della  «  New  Profession  »  ebbero  i  loro  rispettivi  «  ballad- 
makers  »  (sebbene  normalmente  non  firmassero  le  loro  composizioni). 
Era  naturale  tuttavia  che  la  ballata  —  di  argomento  solitamente  pro- 
fano, spesso  frivolo  se  non  scabroso,  e  per  giunta  da  cantarsi  —  risultasse 
maggiormente  congeniale  ai  «  papisti  »  e  ai  partigiani  della  monarchia  in 
genere  più  spregiudicati  che  non  ai  Puritani  e  ai  fautori  della  repubblica 
in  genere  più  morigerati.  Durante  la  Guerra  Civile  il  più  noto  autore  di 
ballate  a  favore  del  re  fu  Martin  Parker,  sprezzantemente  chiamato  dai 
Puritani  «  ballad-maker  lauréat  of  London  ».  Nel  1648,  i  repubblicani,  or- 
mai vincitori,  misero  al  bando  ballate  e  autori  di  ballate,  ma  nel  1653, 
quando  Cromwell  divenne  Protettore,  il  bando  fu  revocato.  Vero  è  che 
durante  il  Protettorato  le  ballate,  per  non  urtare  la  sensibilità  dei  «  New 
Gospellers  »,  furono  debitamente  espurgate  :  ad  esempio,  il  famoso  inizio 
«  Row  well,  ye  mariners  »  divenne  «  Row  well,  God's  mariners  »  e  l'in- 
vito all'amore  «  Dainty,  come  thou  to  me  »  fu  trasformato  in  «  Jesus, 
come  thou  to  me  »  (44).  La  ballata  in  effetti  si  avviava,  sotto  il  regime 
di  Cromwell,  ad  essere  soppiantata  dall'inno,  che  in  Inghilterra  ebbe  la 
sua  età  aurea  nei  secoli  XVII  e  XVIII,  in  buona  parte  ad  opera  dei 
«  Dissenters  »,  eredi  della  lezione  puritana.  L'inno  ricalcò  spesso,  nel- 


New  York,  Dover  Publications,  1966,  abbiamo  tratto  alcune  delle  informazioni 
che  seguono. 

(41)  Cfr.  in  proposito  Claude  M.  Simpson,  The  British  Broadside  Ballad  and 
Its  Music,  New  Brunswick,  Rutgers  University  Press,  1966. 

(42)  In  pieno  Settecento,  nella  Londra  in  cui  sarà  operoso  Handel  e  trionferà 
l'opera  lirica,  John  Gay  rimanderà  per  la  grande  maggioranza  delle  canzoni  in 
The  Beggar's  Opera  a  melodie  già  note  al  pubblico. 

(43)  Cfr.  W.  Shakespeare,  The  Winter's  Tale,  4.4.270-282. 

(44)  Cfr.  Robert  Graves,  English  and  Scottish  Ballads,  London,  Heinemann, 
1957,  pp.  XXI-XXII. 


20  E.  BALMAS  -  E.  MENASCE 


l'intento  di  rivolgersi  come  quella  a  un  vasto  pubblico,  il  linguaggio 
semplice  e  il  metro  più  comune  della  ballata,  il  cosiddetto  «  common 
metre  »  appunto  (45). 

La  nostra  Dreadful  Relation,  stampata  nel  climaterico  1655,  con  un 
titolo-preambolo  altisonante  e  ricco  di  dettagli  sensazionali,  adornata  j 
da  cinque  incisioni  e  composta  per  essere  cantata  su  un  motivo  allora  | 
assai  famoso,  dovette  presumibilmente  avere  il  suo  momento  di  for- 
tuna. Ma  di  essa  si  persero  le  tracce,  nè  fu  ritrovata  se  non  dopo  230  anni 
circa,  alla  fine  del  1884,  quasi  per  caso. 

Fu  infatti  acquistata,  insieme  ad  altre  trentadue  ballate,  ad  un'asta 
presso  Sotheby  l'S  novembre  1884  da  J.  Woodfall  Ebsworth,  F.SA. 
(«  Fellow  of  the  Society  of  Antiquaries  »),  appassionato  raccoglitore  e 
autorevole  studioso  di  ballate  (46).  Tre  settimane  dopo  essersi  assicu- 
rato i  trentatre  componimenti,  il  29  novembre  Ebsworth  scriveva  a  John 
Bullen,  della  biblioteca  del  British  Museum  (egli  pure  un  F.S.A.),  per 
riferirgli  sulla  fortunata  operazione  («  splendid  new  haul  »)  relativa  a 
quello  che  chiamava,  fondandosi  sull'indicazione  della  rilegatura.  The 
Book  of  Fortune  (47).  Alla  lettera  Ebsworth  accludeva  un  «  memoran- 
dum »,  che  reca  la  data  del  giorno  precedente  (28  novembre),  in  cui 
riportava  i  risultati  della  collazione  delle  trentatre  ballate  da  lui  ese- 
guita :  soltanto  otto  di  esse  risultavano  «  duplicated  »,  trovandosi  incluse 
in  raccolte  di  ballate  già  note  (  e  Ebsworth  specifica  dove  :  Bagford, 
Douce,  Euing,  Pepys,  Roxburghe,  Wood)  (48),  mentre  venticinque,  e 
tra  esse  la  Dreadful  Relation,  risultavano  essere  «  unique  impressions  ». 

Come  le  altre  ballate  in  The  Book  of  Fortune,  tutte  all'incirca 
coeve  (nel  catalogo  a  stampa  della  British  Library  sono  datate 
«  c.  1651-5  »)  (49),  la  Dreadful  Relation  è  stampata  in  «  black  letter  », 
ossia  in  caratteri  gotici,  più  dispendiosi  di  quelli  romani  o  tondi  («  white 
letter  »),  ma  che  continuarono  ad  essere  impiegati  per  le  ballate  anche 
dopo  essere  caduti  altrimenti  in  disuso.  Come  le  incisioni,  i  caratteri 


(45)  Quartine  di  tetrametri  e  trimetri  alternati  rimanti  abab.  Cfr.  infra,  nota  52. 

(46)  A  cura  di  Ebsworth  erano  allora  già  uscite  The  Bagford  Ballads,  2  voli., 
London,  Ballad  Society,  1878;  a  cura  di  William  Chappell  e  Ebsworth  stavano 
uscendo  The  Roxburghe  Ballads,  8  voli.,  London,  Ballad  Society,  1871-99. 

(47)  Al  «memorandum»  di  Ebsworth  qualcuno  ha  aggiunto  questa  nota: 
«  These  ballads  are  quoted  by  Mr  Ebsworth  as  the  «  Book  of  Fortune  »  ballads, 
from  the  Collection  having  been  so  lettered  on  the  original  binding  ». 

(48)  Bagford:  raccolta  di  ballate  riunite  da  John  Bagford  (1650-1716),  attualmen- 
te  nella  British  Library  (cfr.  supra,  nota  46).  Douce  :  raccolta  di  «  broadsides  »  se- 
centesche e  settecentesche  già  appartenenti  a  Francis  Douce  (1757-1834),  attualmente 
nella  Bodleian  Library,  Oxford.  Euing:  raccolta  di  ballate  già  appartenenti  a  Wil- 
liam Euing  attualmente  nella  biblioteca  dell'Università  di  Glasgow.  Pepys  :  raccolta 
di  «  broadsides  »  iniziata  da  John  Selden  (1584-1654)  e  continuata  da  Samuel  Pepys 
(1633-1703),  il  famoso  diarista,  attualmente  nella  Pepsyan  Library,  Magdalene  Col- 
lege, Cambridge.  Roxburghe  :  raccolta  di  «  broadsides  »  iniziata  da  Robert  Harley 
(1661-1724)  e  grandemente  aumentata  da  John  Ker,  terzo  duca  di  Roxburghe  (1740- 
1804),  attualmente  nella  British  Library  (cfr.  supra,  nota  46).  Wood:  raccolta  di 
ballate  riunite  da  Anthony  Wood  (1632-1695),  attualmente  nella  Bodleiam  Library, 
Oxford. 

(49)  Cfr.  supra,  nota  38. 


LE  "PASQUE  PIEMONTESI":   NUOVI  DOCUMENTI 


21 


gotici  erano  considerati  infatti  una  forma  di  abbellimento  che  aiutava  a 
promuovere  la  vendita  delle  «  broadsides  ».  Intorno  alla  metà  del  XVII 
secolo  tuttavia  (intorno  agli  anni  cioè  in  cui  veniva  stampata  la  Dreadful 
Relation)  l'uso  più  economico  del  tondo  era  ormai  divenuto  frequente 
anche  per  la  composizione  di  ballate,  specie  se  politiche,  e,  sempre  «  for 
cheapness  sake  »,  come  informa  Samuel  Pepys  (50),  si  tendeva  a  ridurre 
il  numero  delle  incisioni  o  addirittura  ad  abolirle,  sostituendovi  talvolta 
qualche  rigo  di  notazione  musicale.  Il  fatto  che  la  nostra  ballata,  sen- 
z'altro catalogabile  come  politica,  sia  stata  composta  in  gotico  e  illu- 
strata con  cinque  incisioni,  fa  suppore  che  vi  si  attribuisse,  da  parte  di 
chi  l'aveva  lanciata,  una  certa  importanza. 

Le  incisioni,  in  ogni  modo,  sono  di  fattura  modesta,  nè  hanno  pre- 
cisa attinenza  al  testo  della  Relation.  È  vero  che  solo  raramente  le 
«  braodsides  »  presentavano  puntuale  corrispondenza  tra  parole  e  illu- 
strazioni, le  medesime  incisioni  essendo  ripetutamente  riutilizzate  al 
punto  che,  è  stato  osservato,  «  cuts  which  were  executed  in  the  reign  of 
James  I  were  used  on  ballads  in  Queen  Anne's  time  »  (51),  ma  è  vero 
altresì  che  esistevano  in  circolazione  incisioni  di  fattura  migliore  :  ve  ne 
sono  in  The  Barbarous  &  Inhumane  Proceedings,  anche  nella  prima  se- 
zione (quella,  si  ricorderà,  relativa  agli  stessi  fatti  narrati  nella  Dreadful 
Relation),  anche  se  non  sono  le  più  notevoli  di  tutto  il  «  pamphlet  »,  in 
ogni  caso  incisioni  eseguite  a  commento  specifico  dei  testi  cui  si  accom- 
pagnano. Si  può  dunque  dedurre  che  le  «  rozze  »  incisioni  della  nostra 
ballata  (nel  catalogo  citato  sopra  si  parla  di  «  rude  woodcut  headings  », 
invero  a  proposito  di  tutte  le  ballate  incluse  in  The  Book  of  Fortune) 
siano  state  scelte  tra  quelle  che  lo  stampatore  già  aveva  a  disposizione. 
Nella  prima  delle  cinque  si  vede  un  fuoco  acceso,  forse  vaga  configura- 
zione dei  roghi  menzionati  nel  testo  della  ballata  ;  nella  seconda  e  terza, 
formanti  per  così  dire  un  dittico,  si  ravvisa  il  sacrificio  di  Abele  a  Dio 
gradito  e  il  conseguente  delitto  di  Caino,  simboli  forse,  nelle  intenzioni 
di  chi  le  scelse,  Abele  dei  Protestanti  e  Caino  dei  Cattolici;  nella  quarta 
e  quinta,  pure  interpretabili  congiuntamente,  si  legge  un  «  memento 
mori  »  di  tipico  gusto  barocco:  dell'uomo  al  termine  della  vita,  avvolto 
in  un  sudario  (l'illustrazione  fa  pensare  al  monumento  funebre  di  John 
Donne  nella  cattedrale  di  San  Paolo),  non  resta,  poco  tempo  dopo  la 
morte  (vi  è  una  clessidra  nell'ultima  incisione),  che  lo  scheletro. 

In  quanto  al  motivo  musicale  che  doveva  accompagnarsi  al  testo 
della  Dreadful  Relation  abbiamo  solo  l'indicazione  «  To  the  Tune  of  The 
Bleeding  Heart  »  :  doveva  trattarsi,  come  è  stato  confermato  dalla  nostra 
ricerca,  di  un  motivo  allora  ben  noto.  Tra  le  ballate  da  cantarsi  con  tale 
«  tune  »  figura,  assai  prima  della  nostra,  in  una  versione  databile  attorno 
al  1600,  la  famosa  composizione  di  Edward  Dyer  (l'amico  di  Spenser  e 
Sidney),  «  My  mind  to  me  a  kingdom  is  »  (52);  d'altra  parte  identica 


(50)  H.B.  Wheatley,  ed.  cit.,  I,  p.  LIX. 

(51)  Ibid. 

(52)  In  sestine,  tuttavia,  anziché  in  quartine  di  tetrametri,  come  invece  la 
Dreadful  Relation. 


22  E.  BALMAS  -  E.  MENASCÉ 


indicazione  a  quella  apposta  sulla  Dreadful  Relation  abbiamo  trovato  in 
una  ballata  stampata  trentanni  più  tardi  nel  1695  (53),  quando  in  alcune 
«  broadsides  »  figuravano  ormai  le  prime  battute  delle  melodie  cor- 
rispondenti. 

Siamo  comunque  ragionevolmente  certi  di  avere  identificato  l'aria 
su  cui  The  Dreadful  Relation  andava  cantata,  per  la  quale  rimandiamo 
al  testo  citato  di  Claude  M.  Simpson.  In  un  primo  tempo  il  motivo  fu 
noto  come  «  In  Creet  »,  in  un  secondo  tempo  come  «  The  Bleeding  Heart. 
Or,  In  Creet  »,  e  solo  in  un  terzo  tempo  come  «  The  Bleeding  Heart  »  (54). 
Un'eloquente  testimonianza  di  quanto  quella  melodia  fosse  apprezzata 
affiora  dalle  pagine  dello  scrittore  elisabettiano  Thomas  Nashe,  il  quale 
riferisce  che  per  Gabriel  Harvey  (altro  amico  di  Spenser)  essa  era  «  food 
from  heauen,  and  more  transporting  and  rauishing  than  Platoes  Discourse 
of  the  immortalitie  of  the  Soûle  was  to  Cato  »  (55). 

Gli  accenti  solenni  e  talora  struggenti  di  «  The  Bleeding  Heart  » 
bene  si  accordano  con  la  «  sad  story  »  annunciata  nel  preambolo  della 
ballata.  Preambolo  che  accortamente  sintetizza  la  tragedia  del  1655  nelle 
Valli  Valdesi,  chiamando  anzitutto  in  causa,  a  fianco  dei  soldati  del  Duca 
di  Savoia,  i  francesi  e  i  «  bloudy  »  irlandesi  loro  alleati,  accennando  poi 
alle  migliaia  di  vittime  («  they  destroyed  thousands  [...]  without  mercy  »), 
insistendo  su  dettagli  orrifici  (lattanti  dilaniati  sotto  gli  occhi  delle  pro-  j 
prie  madri  e  quindi  sfracellati  contro  le  rocce,  donne  sventrate  come  | 
animali,  i  loro  seni  recisi  da  colpi  di  spada,  vecchi  di  ottant'anni  e  oltre 
torturati  con  l'amputazione  progressiva  di  orecchie,  naso,  dita  delle  mani 
e  dei  piedi,  gambe,  braccia,  organi  genitali),  ponendo  in  risalto  l'incle- 
menza dei  luoghi  («  the  Mountains  »),  della  stagione  (che  diviene  «  the 
midst  of  winter  »),  del  clima  («  frost  and  snow  »),  e  presentando  il  tutto 
secondo  le  convenzioni  della  ballata  come  verità  assoluta;  senza  dimen- 
ticare un  accenno  al  digiuno  nazionale  voluto  da  Cromwell  e  alla  raccolta 
di  fondi  a  favore  dei  «  poor  Protestants  »  organizzata  in  tutta  l'Inghilterra. 

La  ballata  stessa,  che  consta  di  ventiquattro  quartine  di  tetrametri 
rimanti  per  lo  più  aabb,  essenzialmente  amplifica  i  motivi  annunciati  nel 
preambolo  organizzandoli  però  entro  i  suoi  schemi  fissi.  È  immediata- 
mente introdotto  il  narratore  in  prima  persona,  garante  della  veridicità 
del  proprio  racconto,  e  subito  dopo  è  presentato  il  pubblico  cui  si  rivolge, 
tutti  i  buoni  cristiani  («  Good  Christians  all  »),  esortati  a  lasciarsi  coin- 
volgere emotivamente  dalla  dolorosa  vicenda  che  sta  per  essere  loro  nar- 
rata («  Then  mourn  with  me  all  you  that  hear  »).  L'esortazione  è  poi 
usata,  a  mo'  di  ritornello,  verso  la  fine  del  componimento,  che  si  chiude 
su  una  nota  moraleggiante,  che  ne  ribadisce  l'intento  ispiratore  di  natura 
propagandistica. 

Il  valore  letterario  della  Dreadful  Relation  è  modesto  :  la  ballata 


(53)  Great  News  from  Southwark:  or,  the  Old  Woman's  Legacy  to  her  Cat. 

(54)  CM.  Simpson,  op.  cit.,  pp.  363-65. 

(55)  Have  with  You  to  Saffron-Walden  (1596).  Nell'edizione  a  cura  di  Ronald 
B.  McKerrow,  The  Works  of  Thomas  Nashe,  Oxford,  Blackwell,  1958,  III,  p.  67. 


LE  "PASQUE  piemontesi":  NUOVI  DOCUMENTI 


23 


sembra  essere  opera  di  uno  dei  tanti  «  hack  versifiers  »  dell'epoca,  con 
ogni  probabilità  di  un  versificatore  al  servizio  del  regime.  Ci  si  domanda, 
ovviamente,  dove  l'anonimo  autore  abbia  attinto  le  sue  informazioni.  I 
temi  accennati  nel  preambolo  e  quindi  sviluppati  nella  ballata,  con  l'ag- 
giunta di  alcune  note  nuove,  come  i  più  volte  evocati  roghi,  la  perfetta 
innocenza  dei  poveri  perseguitati,  la  loro  eroica  sopportazione  per  non 
tradire  la  fede,  il  loro  martirio  suggellato  nel  sangue,  e  con  la  ribadita 
insistenza  sugli  orrendi  supplizi  inflitti  loro  dai  «  papisti  »  idolatri  (  «  And 
some  they  tyed  up  in  trees,  /  Binding  their  heads  between  their  knees:  / 
And  others  they  did  boyl  also,  /  And  of  their  brains  made  sawce  thereto  ») 
sono  tutti  presenti  nel  «  pamphlet  »  dello  Stouppe,  A  Collection  of  the 
Several  Papers,  in  particolare  nelle  pagine  centrali  (non  numerate)  del- 
l'introduzione «  To  the  Christian  Reader  »,  nella  lettera  scritta  «  from 
the  Vale  of  Perouse  [...]  Describing  the  beginning  of  the  murders  and 
cruelties  »  (pp.  26-30)  e  nella  «  Continuation  of  the  description  of  the 
murthers,  and  cruelties  »  (pp.  33-41).  Le  stesse  prime  tre  righe  del  titolo- 
preambolo  della  nostra  «  broadside  »  citate  sopra  sembrano  persino  rie- 
cheggiare il  titolo  della  raccolta  dello  Stouppe.  L'autore  della  ballata 
deve  avere  avuto  sotto  gli  occhi  la  medesima  documentazione  cui  Milton 
presumibilmente  attinse,  a  nostro  avviso,  per  la  composizione  del  suo 
celebre  sonetto  sul  «  massacro  »  (56).  Va  per  altro  aggiunto  che  si  muove, 
entro  i  limiti  del  possibile,  con  una  certa  indipendenza,  tentando  di  con- 
ferire una  nota  personale  al  suo  racconto,  riportando  vivacemente  i  fatti 
come  se  il  narratore  ne  fosse  testimone  oculare  («  To  hear  the  cries  and 
grievous  mones,  /  Of  Mothers  for  their  little  ones;  /  «  Twas  very  sad  for 
to  behold,  /  Yet  nothing  mov'd  those  wretches  bold  »).  La  componente 
che  meglio  caratterizza  la  composizione  e  ne  rivela  la  matrice  emerge 
tuttavia  verso  la  fine,  laddove  il  narratore,  assumendo  il  tono  del  predi- 
catore e  quasi  sfociando  nei  modi  dell'inno,  esorta  gli  ascoltatori  a  pre- 
gare Dio  in  ginocchio  affinché  li  mantenga  al  sicuro  nelle  loro  isole  felici  : 
componente  patriottica,  dunque,  di  quel  patriottismo  insulare  intriso  di 
esaltata  religiosità  tipico  dell'epoca  e  grandemente  incoraggiato  dal  regi- 
me cromwelliano  (il  nuovo  Popolo  Eletto  sono  gli  Inglesi:  Dio  si  rivela, 
scrive  Milton,  «  first  to  his  Englishmen  »)  (57),  tramite  il  quale  diviene 
possibile  ricordare  ai  popoli  del  Commonwealth  la  loro  somma  fortuna 
di  poter  vivere  al  riparo  dei  papisti  sotto  la  protezione  di  Cromwell, 
«  God's  Englishman  »  (58):  «  Unto  the  Lord  let's  cry  and  call,  /  From 
Papists  he  would  keep  us  all  ;  /  And  from  their  bloudy  cruel  hands,  / 
To  keep  us  safe  in  these  our  lands.  /  And  let  us  on  our  bended  knees,  / 
Desire  of  God  that  he  would  please,  /  Both  evening,  morning,  noon  and 
night,  /  To  keep  us  from  their  power  and  might  ». 


(56)  Cfr.  il  nostro  studio  Milton  e  i  Valdesi  in  B.S.S.V..  121,  1967. 

(57)  Areopagitica,  1644.  Nell'edizione  a  cura  di  C.  A.  Patrides,  John  Milton: 
Selected  Prose,  Harmandsworth,  Penguin  Books,  1974,  p.  237 

(58)  Titolo  dell'opera  di  Christopher  Hill,  God's  Englishman  :  Oliver  Cromwell 
and  the  English  Revolution,  London,  Weidenfeld  and  Nicolson,  1970. 


24 


E.  BALMAS  -  E.  MENASCE 


La  Dreadful  Relation  insomma,  come  tanta  parte  della  paralettera- 
tura  provocata  in  Gran  Bretagna  dalle  «  Pasque  Piemontesi  »,  appare 
annoverabile  tra  le  iniziative  concertate  dal  potere  per  orientare  l'opi- 
nione pubblica. 


6.  Ben  diverso  l'interesse  dello  Short  and  faithfull  Account  of  the 
Late  commotions  in  the  Valleys  of  Piedmont  [...]  l'ultimo  degli  opuscoli 
di  cui  dobbiamo  dare  notizia.  Anonimo,  di  sole  8  pp.,  con  una  marca  edi- 
toriale poco  chiara  («  printed  for  W.P.  and  G.L.  »),  esso  si  ricollega,  fin 
dal  frontispizio,  alla  pubblicazione  dello  Stouppe,  a  proposito  della  quale 
annuncia  «  some  Reflections  »,  ma  si  distacca  dai  vari  testi  che  abbiamo 
citato  sin  qui  per  l'impostazione  dell'argomentazione. 

Grazie  ad  alcune  circostanze  possiamo  datarlo  con  una  certa  pre- 
cisione. In  data  10  giugno  l'ambasciatore  De  Bordeaux  scrive  al  ministro 
Brienne  : 

L'on  a  d'ailleus  jeté  cette  nuit  force  libelles  qui  excitent  le  peuple  à  faire  sentir 
aux  catholiques  le  même  traitement  que  le  duc  de  Savoie  a  fait  sentir  aux  Vaudois  ; 
ce  qui  leur  cause  une  grande  alarme  et  a  obligé  quelques-uns  des  principaux  à  me 
demander  une  relation  de  ce  soulèvement  pour  la  faire  imprimer,  et  par  là  désa- 
buser le  peuple,  persuadé  que  toutes  les  cruautés  imaginables  ont  été  exer- 
cées contre  leurs  frères...  (59). 

Di  uno  stato  d'animo  di  questo  genere  si  fa  l'eco  il  nostro  Account 
là  dove,  deplorando  gli  eff^etti  di  pubblicazioni  del  genere  di  quella  pro- 
curata dallo  Stouppe,  denuncia  «  those  who  cry  out  for  a  retaliation  upon 
any  Papist  where-ever  they  meet  them,  not  considering  the  innocent  are 
not  to  be  destroyed  with  the  guilty,  if  the  peace  of  the  State  where  they 
live  permits  a  triall  »  (60).  Sul  frontispizio  dell'esemplare  dell'Account 
conservato  nel  British  Museum  una  mano  anonima,  oltre  ad  arrecare 
alcune  maliziose  correzioni  (faithfull  corretto  in  unfaithfull;  «  Written 
by  a  Papist  »,  aggiunto  a  guisa  di  commento  per  infirmarne  l'attendi- 
bilità), ha  apposto  una  data,  20  agosto.  Se  si  tiene  presente  la  data  della 
richiesta  del  De  Bordeaux  e  il  tempo  ragionevolmente  necessario  per  la 
redazione  e  la  stampa  dell'opuscolo,  si  può  concludere  che  la  data  della 
prima  metà  di  agosto  può  essere  indicata  con  qualche  fondamento  come 
il  periodo  in  cui  il  nostro  Account  è  stato  messo  in  luce.  La  lettera  del 
De  Bordeaux  arreca  anche  un'indicazione  utile  in  vista  della  datazione 
dei  Several  Papers. 

Molto  pacatamente,  l'autore  dell'Account  rimette  a  posto  varie  cose, 
anche  facendo  riferimento  a  ciò  che  lo  stesso  Stouppe  scrive  nei  suoi 
Papers.  Non  è  vero,  per  cominciare,  che  i  Valdesi  discendono  dagli  apo- 
stoli come  essi  stessi  pretendono  e  come  sostengono  i  loro  amici  :  discen- 


(49)  F.  GuizoT,  loc.  cit.,  p.  528. 
(60)  Op.  cit.,  p.  6. 


Matchleffç  ^  CruélciCoS 

DECLARED  ^ 

At  large  in  the  cnftiing  HHlcfff  of  the  3  W 

WALDENSÈS:  t 

Apparently  manifefting  unto  thc|  J 

World  the  horrible  Pcrfccucions  which  they  have 
fuflFcred  by  the  Papifts,  for  the  fpace  of  four 


hundred  and  fifw  years.  Wherein  is  related  their 
ri^al  ana  Beg 

Purity  in  ^£    /G'/O  JV,  botk  for 


Ori 


eginning  ;  their  Piety  and 
•LIG  lON.ha  ' 
'IkUriiu  and  "IHÇciflime. 

LIKEWISE, 

Hereunto  is  added  an  exad  Narrative 

of  che  late  Bloody  and  Barbarous  Mafiacres,  Mur-   ^  ^ 

d£rs>  and  other  unheard  of  Cruelties  committed  ou  many 
thôu&nds  of  the  ProtelUnts,dwcUinp  m  the  Valleys 
of  «P  /  £D  MO  /7Ty  tic.  by  the  Duke  of 
Stvtfi  Force* ,  ioyned  with  die  rnncb 
Army,  aoJ  icreral  bloody  Irijh 
________  "Kt^imtats. 

Publifoed  hyXpwmand  of  his  Higbnefs:, 
îbei^oià  Protedor. 

jji  LOATDOT^, 

Printed  for  eàwttrà  Brmficr ,  at  the  Crtutt  in  TtuUt 
Church-yard,  1655. 


3H> 


1  a. 


Traduzione  della  Histoire  di  J.  P.  Perriìi. 


A 


COLLECTION 
N ARATI VE 


LO%T>  T'S^OTECTO'R 
of  the  Common-Wealth  of 


CONCERNING 

TIicBIoocJy  and  Barbarous  MaflTicres,  Mar- 
thcrs,  and  other  Cruelties,  commiKcd  on  many 

dioufinds  of  Rrfixroed  ,  or  Procedano  dwelling  in  the 
ViWctofTudmtMt,ÌM  the  Oukeof  Forces, 


rMifhtdij  Cemmâitd  êf  bit  fiìgbntfs. 


Primed  for  nr.  at  the  three  Pigeons  in  St. 

Chutch-Yard,  i    j  f . 


Sent  to  hh  Highnefs  the 


icverail  "jr^  Regintcots. 


/  b. 


Several  Papers  di  J.B.  Stouppe. 


A  li 

COLLECnONr< 

OF  THE  SEVhRAL 

PAPERS 

Scritto  ^  IJighncfs  thv 
LO%V  T\0  T  BCTO'K 
of  the  Common-Wealth  of 

CO  NCER  N I N  G 

TTieBloodvand  Barbarous  MafTicrcs,  Mar- 
thcri,  and  othci  Cruelties,  cominirtcJ  on  many 
cli>.Httind«of  Refoffved  ,  oi  Piottliino  dwrHn'j;  m  the 
Vïllie»  oCTuJmair,bv  the  fluke  of -'>'4ftf)'i  Foice», 
joyotd  tfierein  v»itl>  thcFrc'kh  Arn  y,  and 
inaili  Jr^h  Rcgiinçwj. 


Primed  for  U,  Rthinfan,  at  the  three  Pigeonj  in  St. 
fâifl'i  Church- Yard,  i  6  >  j. 


2  a. 


Opuscolo  pubblicato  da  J.  B.  Stouppe. 


THE 

Barbarous  ùr  liibumane  Proceedings 

THE 

.Profefîbrs  ol  the  Reformed  P.digion  within 

the  Douiinion  of  the  Duke  of 

SAVOY. 

AfriU  the  27''',  1655. 

AS    AL  S  O- 

A  true  Re'afidii  <»f  the  Rloody  Mjif  (cre<i,  Tortures 
Cruelties,  and  Abomiiwbic  Outr  tges  «.om m.'icd  upontljc  Pro- 
teftants  tn  1 R  E  I.  A  M 1),  proved  upoii  0»th,and  Ejc- 

Wiiimio  ••  Wli<.h  iHht-  2^.  1  ft  <  1. 

A  t:  T) 

The  Lamentable  and  Miferable  Condition  of  GERMANY,  Çttn  by 
Extortions,  and  Exaâion»,  Tortures,  and  Torments,  Rapes,  a»l 
«»v.fhm>>',  Uob!«;iy,  i.id  Pilljginj;.  t;.o-..-'.li  .1. 4.1.1  Killing,  Eai.- 
ÌBg<  and  O  (tioyiiig!,»i)<l  Fjh.iiics,  Skkiiilfc- ,  iiid  L>ilct(<i, 
that  c  r(i:c  1  l(-cr  all  ilxfc  :  Whith  ieW  u.p,  .Voi.  1  j.  i  «^7. 

Who  makes  qucftion,  hut  that  thofe  Churthes,  Nations,  Perfoas 
and  Places  which  have  fpeciall  Relation  one  onto  another,  Sacmî 
or  Civil,  in  the  bonds  of  Religion,Neif,hboHrhcod,or  Commerce, 
are  more  efpecully  bound  mutually  to  «  on/ider  and  bemoan  oix 
anothers  conditions:  And  none  fo  propiiane  as  to  fay,  what  is 
this  to  us,  be  it  all  be  true  ?  Bue  to  confi der  the  Vialls  of  Godi 
«rrath  arc  powring forth  on  liis  owne  Churihet  for  corre<S  ion,and 
vnW  end  to  their  Ad  vcrtarie<  utter  deflruClioii. 

Rev.  18.  Z  J .  24-  /  /iw  <»  f^l^-'y  ■^"f/'l  -?  *ir<At  Hint  likf  4 
milftofit,  *ni  c*fi  it  int«  the  S r4  ,f*yi»(,  thtu  wtih  violente  fimii  BaÌj- 
Un  i>e  ihrovnt  âmnt,  *nd  jhAU  be  fsund'n,'  more.  Fêr  in  her  VM 
ftuniltPidfloodvfTrofhtti^dndef  SaintJ.  mdaf  4U  thmt  were  (Ìmm 
mftmth*e*rth.  ^     

Illoflraced  will  Pifture»,  that  the  eye  may  afeâ  the  heart. 


LO  NT)OJV:  Printed  iflfiM.  S.  for  7"/».-  ftmitr  at  the  Soub* 
Rotiaiice  of  the  Roy  aU  EXCHANGE,  i  6  $  S- 


2  b. 


Pubblicazione  in  favore  dei  valdesi. 


Incisioni  dei  Barbarous  Proceeding. 


A  î>re»}ful  Rdatìon,  of  the  Crad^Ioody,  and  mofl  Lihismaiie  Mai- 

tttK  Buulicry,  coamknd  on  the  poor  Piowflana,  in  the  Doaiuiant  «f  the  Duke  of  S*tn^ 
bj  hi<  SeuMurt,  with  foaie  Prtmi  loà  blouòy  irifî,  joynrd  together  :  Where  they  ael\mjal 
thoufitids,  bothmen,  wotnt n ind chiWreo,  without  oMicjr;  teiting  little  fuck.-.gmfiniiliaii 
from  litob  be! jft  iheir  ino  hen  deei ,  and  i ifhmg  their  brains  ou;  igtinft  the  locVi  ;  inti  jtta- 
wuds  ripptogupt^^  bo^eUof  the  mot^;ft  >  cutting  off  then  breafls ,  itxl  luinuig  viotpca  with 
cbiWt,  «od  fome  iyino  iti, out o(  dorts,  in  the  mioft  of  win:ei  m  ftott  jnd  iiow,  who  petithn! by 
coni  iJ  Cx  McTjnauu.  Cur.ng  oft' the  ein,  then  the  r.oft.  fingeii  ini  toet  j  Jien  :he  legs,  mok 
tod  prÌTie  mfiibeiï  of  ine»,  fowe  btinj  aged  «bove  foutfcoie  years ,  and  lo  tottur.iiç  ihem  to 
death,  becauft  tliey  would  oet  fmiikc  theni  Religion  at^d  luin  I'apfii  :  the  like  auci  ;<  >  were  ne- 
ver koown  noi  r.-aid  o'twforr,  Theuu'.bof  ttmlad  Hory  was  lenito  his  H  gh.  <,i  the  l.oid 
Ptoieftor,  vth  -  appolnrcd  a  getictal  Fifl  ihioughom  thii  NatLon,  ir.d  oidcicd  rtlic  ;o  bt  £aihe- 
led.aiidfenttothofeihatercapedthehandiofthelcblaudy  wtc-.dici,  and  ate  teidy  to  pci^fhfot 
want,  in  t!xDKJun:j!in. 

To  the  Tuae  of,  Tht'  Klttding  Bttri . 


IT  r H%  biàcin?  iK.nt  J  Bustntal  ti 
W  Sam cnfojrci; ' «  oselarj : 
39  (sBScr  flo}?  nsrt  '.ut:  (olo, 
Etentitre ti.  coni  wi.'onlolt. 

CE>m6  îtttlfftaRSall  ^Jâl  ;;atntceil, 
ViMu  tbU  nttM  tDat  3  Ot-'i  icU  ; 
%St  ^lltt)  of  ir(trti  Irttl  rare!;  m  it^t, 
ysor  •ft',  tarts  toifi  fiat  to  roalu. 

cii'ica  tttgnge  ente  onr  ussn, 
9«iS  uoTf  L«menttng  »at:  ant  nistK  : 
Sta nuacpisitt) indilli  ?aa  ttiat Mr. 

Sl»»r  t*»  Z>llk(  0»  Sa,oy  nott., 

Utie>  mm  CMftlMu  goto  ; 
Wio  t«nS«itl;  pjohC  t^K  >rot(i, 
Sb»  tor»U  Met  tMt  p;Mii)iU  btoe, 


r     Coos  eJc  caoi  -Mr  W  asrp 
M  iSTitliili  tDJ8  t;c  rndf  c  a't  (bit  ttCf  ; 
M  t_l)n«  tiiici'.r  li,  biooocniin, 

bluaor   (luci  tk^O  men, 
glôotl)  1    -  ano  li'ih,allin  ar«t«, 
DiB  (âU  nson  ll)!fc  Cl>!ifl:  ins Si>i8. 
g CaSiii  nebci  bio  tçcm  dnr  6  .rm. 

iMiem  Ji:  cf  sçtwiuaeiliiuJ  anijont, 
M  ^no  ESr  ccrcàtte  or  t^etr  tsciltt . 
f|  teonv;  lott  ttîtr  limbs, atiû  I'srac  (fetir  llket, 
Sir  iStto  clOers  tî)f(>totrc  ttartee.'o 

S  SSomc  ot^cri!  tbecc  totre  t«rs'o  alita, 
m      cttitrg  tsitprts  ssdetonQ;  ; 
^  2i!>  (iUw9  fat  Into  luitaarRw. 


4  a. 


Volantino  conlcìiente  la  Drcafull  Relation. 


A  fliort  and  faitlifuU 

ACCOUNT 

OF  THE  LATE 

COMMOTIONS 

IN  THE  ^.  - 

Valleys  of  Piedmont* 

Within  the  Dominions  of  the 

Duke  of  Savoy. 

With  fomc  Rcflcdions  on  hlrJtouppss 
coUc^e4  Papers  touchifig  the  funcbufUvcSc. 

Primed  for     TP. aiid  q.L.  i6i ? 

i  ■  - 


Replica  cattolica  ai  Several  Papers. 


LE  "PASQUE  piemontesi":   NUOVI  DOCUMENTI 


25 


dono  più  semplicemente  da  Pietro  Valdo,  «  a  meer  lay-man  and  only  a 
giften  Merchant  ».  L'editto  del  Castaldo,  che  mette  in  moto  tutta  la  tra- 
gica vicenda,  e  che  viene  riprodotto  anche  qui,  contiene  l'ingiunzione 
ad  abbandonare  le  località  di  pianura  e  a  ritirarsi  in  altra  località  dello 
stato  («  neighboring  Valleys,  not  any  forraingn  Country  »)  e  non  l'ordine 
di  abbandonare  lo  stato,  cioè  una  vera  e  propria  espulsione,  per  cui  i 
cosidetti  esuli,  di  cui  parla  lo  Stouppe,  «  they  were  only  banisht  into 
their  own  country,  and  that  no  farther  ofî  then  next  valley  ».  I  Valdesi, 
che  denunciano  l'altrui  intolleranza,  dimenticano  la  loro:  come  quando 
si  sono  rifiutati  di  mettere  a  disposizione  dei  locali  per  la  celebrazione 
della  messa  nelle  zone  interamente  sotto  il  loro  controllo  («  the  valleys 
had  refused  him  [al  duca]  some  houses  to  have  the  Masse  said  in  them, 
in  such  Commonalties,  there  were  no  Romish  Catholicks  »  :  sono  parole 
dello  Stouppe,  osserva  maliziosamente  l'autore  àeW Account).  Parimenti 
non  vi  è  dubbio,  e  lo  stesso  Stouppe  lo  ammette,  «  that  the  Waldenses 
inlarged  their  Quarters  and  introduced  themselves  and  Religion  beyond 
the  limits  of  their  Toleration  »  e  non  possono  perciò  pretendere  che  solo 
gli  avversari  siano  dalla  parte  del  torto.  Ma  soprattutto,  ed  è  l'argomento 
centrale,  «  the  Waldenses  were  in  arms,  when  the  Marquesse  Pianesse 
came  against  them  »,  e  a  resistere  con  le  armi  hanno  continuato,  così 
come  avevano  cominciato.  Non  vi  è  in  proposito  argomentazione  che 
tenga,  l'impiego  delle  armi  contro  il  proprio  sovrano  non  ammette  giu- 
stificazione e  ancora  una  volta  i  Valdesi  non  possono  pretendere  di  essere 
immuni  da  responsabilità. 

Non  meno  pungenti  le  osservazioni  rivolte  direttamente  allo  Stouppe. 
Nella  sua  difesa  dei  Valdesi  costui  passa  sotto  silenzio  ogni  eventuale 
colpa  dei  suoi  protetti.  Diviene  in  tal  modo  impossibile  capire  perché 
il  loro  sovrano  li  opprima  :  descrivere  la  punizione  senza  menzionare  il 
crimine  equivale  a  condannare  «  ali  the  Tribunals  in  the  world  of  bar- 
barousnesse  and  even  God  himself  of  injustice  ».  Discutibile  è  anche  la 
disinvoltura  con  la  quale  lo  Stouppe  accusa  il  duca  di  Savoia  :  un  sud- 
dito deve  essere  cauto  nel  giudicare  le  supreme  magistrature  dello  stato, 
anche  di  un  paese  straniero,  il  popolo  può  trarne  lo  spunto  per  pensare 
che  anche  i  magistrati  del  proprio  paese  debbano  essere  sottoposti  al 
giudizio  del  buon  senso  e  della  ragione...  E  infine,  se  non  appare  negabile 
che  crudeltà  siano  state  commesse,  che  i  Valdesi  siano  ora  in  parte  pro- 
fughi e  bisognosi  di  aiuto,  e  che  li  si  debba  aiutare,  come  lo  Stouppe 
propone,  non  si  potrà  tacere  che  nei  suoi  Papers  «  there  are  many  extra- 
vagant and  indeed  incredible  exaggerations  in  relating  the  matter  of 
fact  ». 

Non  tutto  il  libretto  si  mantiene  a  questo  livello,  raro  e  perciò  note- 
vole, di  senso  critico  se  non  di  moderazione,  poiché  l'autore,  dopo  aver 
criticato  lo  Stouppe,  adotta  a  sua  volta  la  tesi  cattolica  che  consiste  nel 
riversare  sul  rifiuto  dei  Valdesi  di  sottomettersi  la  responsabilità  dell'ac- 
caduto. È  tuttavia  notevole  che  egli  colga  nel  libro  dello  Stouppe,  in  ulti- 
ma analisi,  un  messaggio  irenico,  di  cui  è  pronto  a  dargli  atto:  «  I  shall 


26 


E.  BAl.MAS  -  E.  MENASCÉ 


willingly  give  Mr.  Stouppe  his  just  praise,  because  me-thinks  in  the  whole 
désigne  of  his  Book,  he  strives  still  to  excite  his  Readers  to  a  resentment 
of  charity,  rather  then  of  revenge  ». 

Enea  B almas  -  Esther  Menasce  (*) 


ILLUSTR.'^ZIONI  FUORI  TESTO 


1  a.  Frontispizio  della  riedizione  sconosciuta  sin  qui  della  traduzione  inglese 
deU'Histoire  des  Vaudois  et  des  Albigeois  di  J.  P.  Perrin,  fatta  predisporre  da  Crom- 
well in  occasione  delle  «  Pasque  Piemontesi  »  del  1655,  nel  quadro  dell'azione  di 
propaganda  in  favore  dei  Valdesi.  Esemplare  del  British  Museum. 

1  b.  Frontispizio  della  prima  edizione  dei  Several  Papers  pubblicati  da  J.  B. 
Stouppe,  per  ordine  di  Cromwell,  per  sensibilizzare  l'opinione  pubblica  inglese  di 
fronte  ai  massacri  commessi  dalle  truppe  sabaude,  «  joyned...  with...  several  Irish 
Regiments  »,  nelle  Valli  Valdesi  nell'aprile-maggio  1655.  Benché  stampata  da  im 
altro  editore,  la  Narative  viene  pubblicata  unita  assieme  alla  Matchlesse  Crueltie. 

2  a.  Frontispizio  della  seconda  edizione  (la  sola  conosciuta  sin  qui)  dell'opu- 
scolo di  denuncia  delle  atrocità  commesse  a  danno  dei  Valdesi,  pubblicato  dal  pa- 
store J.  B.  Stouppe.  Esemplare  della  Biblioteca  Reale  di  Torino. 

2b.  Frontispizio  di  una  pubblicazione  inglese  di  propaganda  del  1655  a  favore 
dei  Valdesi,  sconosciuta  sin  qui,  che  contiene  un  sommario  racconto  degli  avve- 
nimenti e  una  serie  di  tre  incisioni,  che  illustrano  le  atrocità  commesse  a  danno 
dei  Valdesi.  Esemplare  del  British  Museum. 

3.  Le  tre  incisioni  relative  ai  Valdesi  pubblicate  nei  Barbarous  Proceedings: 
sommarie  nell'esecuzione  come  nella  concezione,  illustrano  con  crudo  realismo 
episodi  di  atrocità  descritti  nel  racconto.  Si  tratta  delle  sole  incisioni  inglesi  con- 
temporanee, relative  agli  avvenimenti  valdesi,  conosciute  sin  qui. 

4  a.  Prima  pagina  del  volantino  contenente  la  Dreadfull  Relation  (poche  righe 
in  prosa)  e  la  ballata  ispirata  agli  avvenimenti  valdesi  del  1655.  Le  incisioni  ripren- 
dono motivi  convenzionali  (il  sacrifìcio  dell'agnello,  l'uccisione  di  Abele  da  parte 
di  Caino,  ecc.).  Esemplare  del  British  Museum. 

4b.  Frontispizio  della  terza  pubblicazione  inglese  relativa  ai  massacri  del  1655 
recentemente  scoperta.  Di  parte  cattolica,  è  una  replica  ai  Several  Papers  dello 
Stouppe.  Le  annotazioni  manoscritte  che  figurano  sull'esemplare  conser\'ato  nel 
British  Museum  sono  di  un  contemporaneo. 


(*)  I  paragrafi  1,  2,  3,  4,  6  sono  stati  redatti  da  E.  Balmas;  il  paragrafo  5  da 
E.  Menascé. 


Mérindol:  fine  del  Valdismo? 


Dovendo  commemorare  il  450"  anniversario  del  Sinodo  di  Mérindol 
del  1530,  premetto  subito  che  questa  roccaforte  dell'evangelismo  euro- 
peo fu  contemporaneamente,  a  distanza  di  un  anno,  un  punto  di  par- 
tenza e  un  punto  di  arrivo:  di  partenza,  quando  i  due  «  barbi  »  Morel  e 
Masson  si  recarono  pieni  di  speranza  a  Basilea  e  a  Strasburgo,  con  il 
loro  memoriale  e  le  loro  domande;  di  arrivo  qualche  mese  dopo,  quan- 
do il  solo  Morel  —  Masson  era  stato  arrestato  a  Bigione  nel  viaggio  di 
ritomo  —  cercò  di  fare  il  bilancio  degli  incontri  avuti  coi  due  riforma- 
tori Ecolampadio  e  Bucero. 

Ora,  ogni  bilancio  degno  di  questo  nome  ha  il  suo  attivo  e  il  suo 
passivo.  Che  cosa  erano  andati  a  fare  Morel  e  Masson  in  Svizzera  e  in 
Alsazia?  Perché  vi  furono  inviati?  In  una  serie  di  articoli  apparsi  l'armo 
scorso  sul  «  Deutsche  Waldenser  »  e  successivamente  nel  «  Bulletin  de 
la  Société  de  l'Histoire  du  Protestantisme  Français  »  (1),  Gabriel  Audi- 
sio  ha  voluto  rispondere  ad  un  primo  perché;  corne  si  realizzò  quel  che 
giustamente  egli  chiama  una  «  mutazione  »,  cioè  il  passaggio  dei  Val- 
desi alla  Riforma?  Ponendosi  questo  quesito,  Audisio  era  perfettamen- 
te consapevole  che  era  altrettanto  necessario  chiedersi  per  quale  mo- 
tivo quella  mutazione  era  stata  desiderata  ed  attuata.  «  Alutazione  »  si- 
gnifica che  qualcosa  è  cambiato.  Un  cambiamento,  dunque,  ma  a  par- 
tire da  che  cosa  e  verso  che  cosa? 

I  fatti  sono  noti,  nel  loro  preciso  svolgimento  storico.  Sappiamo 
che  quel  cambiamento  si  fece  concretamente  due  anni  più  tardi  per 
opera  del  Sinodo  di  Chanforan  del  1532;  ma  sappiamo  anche  che  quella 
decisione  non  fu  accettata  all'unanimità  e  che  due  «  barbi  »  contesta- 
tari andarono  a  protestare  niente  meno  che  in  Boemia,  convinti  che  con 
la  sua  adesione  alla  Riforma  il  valdismo  aveva  perso  la  sua  originalità. 
Ma  in  che  cosa  consisteva  questa  originalità?  Quali  erano  le  caratteri- 
stiche del  pensiero  e  dell'azione  dei  Valdesi  alla  vigilia  dei  loro  contatti 
coi  riformatori  nei  vari  campi  della  teologia,  della  pietà,  della  disci- 
plina e  dell'organizzazione  ecclesiastica?  L'adesione  dei  Valdesi  alla  Ri- 
forma avvenne  nell'epoca  d'oro  del  luteranesimo,  con  predicatori  e  teo- 


(1)  G.  AUDtsio,  Eine  Wandlung:  die  Waldenser  schliessen  sich  der  protestan- 
tische  Reformation  an,  in  «Der  Deutsche  Waldenser»  (-  DW),  1979,  nn.  135  e 
136;  lo  stesso.  Une  mutation:  les  Vaudois  passent  à  la  Réforme,  in  «  Bulletin  de 
la  Société  de  l'Histoire  du  Protestantisme  français  »  (  =  BSHPF),  1980,  pp.  153-165. 


28 


GIOVANNI  GONNE! 


logi  riconosciuti  un  po'  dappertutto,  in  Francia,  Svizzera  e  Germania, 
ma  Calvino  non  era  ancora  spuntato  all'orizzonte.  Il  «  dossier  »  di  quel 
che  fu  chiamato  il  passaggio  dalla  prima  alla  seconda  Riforma  è  stato 
ampiamente  sviscerato,  ma  qualche  documento  rimane  ancora  nell'om- 
bra, anche  dopo  le  fatiche  di  Valdo  Vinay  sul  manoscritto  C.5.18  di 
Dublino  e  la  preziosa  edizione  del  processo  di  Apt  del  1532  curata  dal- 
l'Audisio  (2).  Dunque,  c'è  ancora  —  come  dicono  i  francesi  —  «  du  pain 
sur  la  planche  ».  Per  il  momento,  mi  limiterò  a  vedere  un  po'  più  da 
vicino  l'interrogativo  posto  nel  titolo  stesso  di  questa  relazione,  preci- 
sandolo magari  un  po'  meglio:  che  cosa  ha  guadagnato  e  che  cosa  ha 
perso  il  valdismo  aderendo  alla  Riforma?  Intanto  posso  anticipare  che 
i  responsabili  valdesi  riuniti  a  Mérindol  nel  1530,  riprendendo  l'inizia- 
tiva presa  quattro  anni  prima  a  Laus  nel  1526  nel  tentativo  di  saperne 
di  più  sulle  «  merveilles  de  la  Réformation  qui  se  faisoit  en  Allema- 
gne »  —  la  frase  è  del  Gilles  (3)  — ,  erano  ancora  ben  lontani  dal  pen- 
sare ad  una  futura  concreta  adesione  alla  Riforma.  Chiedersi  che  cosa 
hanno  guadagnato  o  perso  i  Valdesi  degli  anni  30  del  secolo  XVI  facen- 
do quel  passo  vuol  dire  anche  tentar  di  sapere  quali  caratteristiche 
essi  avevano  avuto  nei  tre  secoli  e  mezzo  che  li  separavano  ormai  dalle 
prime  esperienze  evangelistiche  di  Valdesio  di  Lione.  Allora,  nell'ulti- 
mo trentennio  del  secolo  XIII  o  ai  primi  del  XIV,  i  Valdesi  non  aveva- 
no alcuna  preoccupazione  di  sopravvivere.  I  discepoli  del  lionese  non 
avevano  nulla  da  tesorizzare,  nulla  da  difedere,  nulla  da  conservare,  se 
non  la  loro  consapevolezza  di  voler  essere  un  fermento  rinnovatore  al- 
l'interno della  Chiesa  ufficiale.  Il  valdismo,  nato  dalla  sequela  del  ricco 
mercante  di  Lione  che  si  spoglia  dei  suoi  beni  e  della  propria  famiglia 
ad  imitazione  del  nobile  romano  Alessio,  si  costituisce  presto  in  «  so- 
cietas  »,  cioè  non  è  ancora  «  ecclesia  »,  e  nemmeno  «  congregatio  », 
terz 'ordine,  ma  è  solo  movimento,  sia  pure  in  qualche  modo  organiz- 
zato. E'  la  sua  forza,  ma  anche  la  sua  debolezza.  Vivere  nudi  come  il 
Cristo  nudo  va  bene  per  l'apostolo,  per  l'evangelista,  per  il  missionario; 
se  non  supplisce  l'elemosina,  occorre  un  minimo  di  organizzazione  tra 
i  fedeli  per  sopperire  ai  più  elementari  bisogni  materiali  dei  predicatori 
itineranti.  A  ciò  penseranno,  agli  inizi  del  secolo  XIII,  le  «  congregacio- 
nes  laborantium  »  dei  Poveri  Lombardi,  ma  tutto  sommato  era  già  in 
atto,  anche  presso  i  Valdesi  italiani  assai  meno  tradizionalisti  dei  loro 
confratelli  francesi,  una  prima  elementare  distinzione  tra  chi  predica 
e  chi  assiste  il  predicatore.  Nato  come  un  movimento  essenzialmente 
laico  —  anche  se  presto  entreranno  a  farne  parte  preti  e  monaci  — ,  il 


(2)  V.  Vinay,  Mémoires  de  George  Morel.  L'importanza  del  codice  valdese 
cS-lS  (Ms  259}  del  Trinity  College  di  Dublino  per  la  storia  dell'adesione  dei  Val- 
desi alla  Riforma,  in  «  Bollettino  della  Società  di  Studi  Valdesi  »  (=  BSSV),  n.  132, 
die.  1972,  pp.  35-48;  G.  Audtsto,  Le  barbe  et  l'inquisiteur.  Procès  du  barbe  vaudois 
Pierre  Griot  par  l'inquisiteur  Jean  de  Roma  (Apt,  1532).  Aix-en-Provence,  Edisud, 
1979,  p.  196. 

(3)  P.  Gilles,  Histoire  ecclésiastique  des  Eglises  Réformées...  autrefois  appe- 
lées Vaudoises,  del  1644.  Nuova  edizione:  Pinerolo,  Chiantore  e  Mascarelli,  1881, 
tomo  I,  p.  47. 


mérindol:  fine  del  valdismo? 


29 


valdismo  delle  origini  è  costretto  dalla  forza  stessa  delle  cose  a  ritor- 
nare alla  vecchia  distinzione  tra  «  laos  »  e  «  kleros  »,  pur  in  una  forma 
del  tutto  rudimentale  e  comunque  ben  lontana  dalla  compiuta  gerar- 
chizzazione  cattolica  .La  cosa  si  evidenzia  più  nettamente  nel  corso  dei 
secoli:  appaiono  prima  i  perfetti,  ad  imitazione  dei  Catari;  poi  il  tripli- 
ce ministerio  dei  diaconi,  presbiteri  e  episcopi;  infine,  nei  secoli  XV  e 
XVI,  la  figura  ben  caratterizzata  del  barba,  come  la  troviamo  descritta 
nel  processo  di  Apt  del  1532  (da  parte  cattolica)  o  nel  memoriale  di  Mo- 
rel (da  parte  valdese).  Anche  le  connotazioni  sociologiche  degli  aderenti 
cambiano  coi  tempi  e  nelle  diverse  regioni  della  vasta  diaspora  medio- 
evale. Sulle  prime,  a  Lione,  in  Linguadoca,  altrove,  ci  sono  ricchi  bor- 
ghesi (che  poi  si  fanno  poveri),  commercianti,  artigiani,  membri  del 
clero  ecc.:  gente  colta,  che  sa  il  latino  ed  è  pratica  di  negozi,  di  affari, 
di  pratiche  anche  giuridiche.  Nel  secolo  XVI  invece,  causa  soprattutto 
le  secolari  persecuzioni,  gli  aderenti  si  contano  soprattutto  tra  i  conta- 
dini o  i  montanari  nelle  campagne  o  nelle  zone  alpine,  oppure  tra  gli 
operai  e  i  tessitori  nelle  città,  gente  comunque  priva  di  lettere,  spesso 
analfabeta,  come  Morel  descrive  il  mondo  valdese  del  suo  tempo,  di 
cui  è  pastore.  In  campo  dottrinale,  le  faccende  sono  ancora  più  com- 
plicate. Accanto  al  moderatismo  dei  Valdesi  delle  valli  piemontesi  e 
delfinatesi  che  formano  il  classico  «  rifugio  »  di  qua  e  di  là  del  crinale 
alpino,  spiccano  per  esempio  le  tendenze  rivoluzionarie  del  gruppo  di 
Paesana  e  dintorni,  nell'alta  valle  del  Po.  Se  quasi  dappertutto  impera 
il  mimetismo  —  se  non  addirittura  il  nicodemismo  — ,  se  generalmente 
i  Valdesi  assistono  alle  messe  cattoliche,  se  cioè  —  come  dirà  più  tardi 
il  Miolo  (4)  —  c'era  ancora  parecchia  «  farina  papale  »  nei  loro  sacchi, 
tuttavia  rimaneva,  tra  tanta  varietà  di  atteggiamenti  e  tra  tante  incoe- 
renze e  incertezze,  una  costante,  qualcosa  che  permane  indefettibile 
attraverso  i  secoli,  cioè  il  non  aver  voluto  e  il  non  voler  accettare  se  non 
la  Bibbia  come  norma  suprema  e  ultima  di  vita  e  di  dottrina  (5). 

Ma  non  anticipiamo  i  tempi.  Secondo  un  dato  tradizionale,  che  ve- 
diamo ripetuto  soprattutto  nelle  opere  di  divulgazione  e  da  un  manuale 
all'altro,  i  Valdesi  medievali  si  sarebbero  distinti  non  solo  per  questo 
attaccamento  alle  Sacre  Scritture,  ma  anche  per  un  duplice  rifiuto:  ri- 
fiuto di  mentire  e  rifiuto  di  prestare  giuramento.  A  prescindere  dall'in- 
cidenza, positiva  o  negativa,  che  questo  duplice  rifiuto  ebbe  sia  per  lo 
stesso  movimento  valdese,  sia  per  la  società  medievale  in  tal  modo  con- 
testata, questo  ridurre  l'identità  del  valdismo  ad  una  nota  più  etico- 
sociale  elle  teologica  o  ecclesiologica  ha  fatto  nascere  dei  grossi  equi- 
voci: i  Valdesi  medievali,  ai  quali  peraltro  si  riconosce  volentieri  il  me- 
rito di  essere  stati  precursori  della  Riforma,  avrebbero  agito  soprattut- 
to sul  terreno  morale  —  o,  se  si  vuole,  anche  su  quello  socio-politico  — , 


(4)  H.  Miolo,  Historia  breve  e  vera  de  gl'affari  de  i  Valdesi  delle  Valli,  ed.  ms. 
Dd.  3.35  di  Cambridge  a  cura  di  Giovanni  Jalla,  in  «  Bulletin  de  la  Société  d'His- 
toire Vaudoise»  (BSHV),  n.  17,  1889,  p.  104. 

(5)  Su  tutta  questa  materia  cfr.  J.  Gonnet  -  A.  MolnAr,  Les  Vaudois  au  moyen 
âge.  Torino,  Claudiana,  1974,  p.  511;  A.  MolnAr,  Storia  dei  Valdesi,  I,  Dalle  origini 
all'adesione  alla  Riforma.  Torino,  Claudiana,  1974,  p.  370  (passim). 


30 


GIOVANNI  GONNET 


essendosi  limitati,  in  nome  della  fedeltà  al  senso  letterale  delle  Sacre 
Scritture,  a  richiamare  la  Chiesa  romana,  e  in  particolare  il  suo  clero, 
ad  una  più  stretta  coerenza  tra  fede  e  costumi.  Cotesto  sminuire  la  fun- 
zione di  quella  che  molti  si  compiacquero  di  chiamare  mater  reforma- 
tionis  ebbe  funeste  conseguenze  sul  terreno  storiografico:  se  da  una 
parte  i  Valdesi  sono  stati  esaltati  come  i  soli  fedeli,  all'interno  àeW'Ec- 
clesia  universalis,  al  messaggio  del  Sermone  sul  Monte  inteso  e  prati- 
cato alla  lettera,  dall'altra  —  dato  questa  riduzione  della  protesta  val- 
dese ad  una  semplice  funzione  da  «  cani  da  guardia  »  di  un  clero  rico- 
nosciuto corrotto  —  si  è  finito  per  misconoscere  l'apporto  da  essa  dato 
sul  terreno  ben  più  vasto  e  impegnativo  della  riforma  globale  della 
Chiesa  «  in  capite  et  membris  »  assai  prima  delle  intuizioni  fondamen- 
tali di  Lutero.  Da  qui  due  tendenze  storiografiche  che  si  escludono  vi- 
cendevolmente: una,  che  oppone  ad  ogni  costo  le  due  riforme,  la  pri- 
ma morale  e  la  seconda  teologica;  l'altra,  invece,  che  primeggia  l'evan- 
gelismo della  prima  rispetto  al  dogmatismo  della  seconda.  Certo,  oc- 
corre intendersi  sul  senso  e  sulla  portata  rispettiva  di  queste  due  ri- 
forme, e  lo  vedremo  meglio  nel  corso  del  mio  intervento. 

Una  ventina  d'anni  fa,  uno  dei  più  recenti  storici  valdesi  sostene- 
va, in  occasione  del  quarto  centenario  del  Trattato  di  Cavour  del  1561, 
che  «  la  tradizionale  storiografia  che  fa  del  sinodo  di  Chanforan  del 
1532  una  pietra  miliare  del  valdismo  viene  ad  essere  intaccata  »,  in 
quanto  —  a  parer  suo  —  non  si  dovrebbe  riconoscere  «  a  quella  famo- 
sa riunione  una  importanza  decisiva  e  determinante,  nel  senso  che  essa 
chiuda  un  periodo  e  ne  inizi  un  altro  diverso  ».  In  altre  parole,  Chan- 
foran non  sarebbe  «  uno  degli  episodi  e  dei  momenti  cruciali  di  un  lun- 
go periodo  di  crisi  e  di  revisione  »,  che  invece  «  si  concluderà  soltanto 
durante  la  campagna  del  Conte  della  Trinità  »  e  «  con  la  pace  di  Ca- 
vour del  5  giugno  1561,  giorno  in  cui  il  valdismo  appare  nella  sua  strut- 
tura e  fisionomia  moderne  »  (6). 

Ora,  se  si  consultano  i  primi  cronisti  o  storici  valdesi,  si  vede  che 
tutti,  chi  più  chi  meno,  mettono  in  rilievo  un  dato  di  fatto  notevole,  e 
cioè  che  i  Valdesi  dei  primi  decenni  del  Cinquecento  erano  autocritica- 
mente consapevoli  della  necessità  di  «  correggere  »,  di  «  emendare  », 
in  una  parola  di  «  riformare  »  ciò  che  stimavano  non  andar  bene  pres- 
so di  loro.  Abituati  da  quasi  quattro  secoli  a  richiamare  la  Chiesa  uffi- 
ciale all'esigenza  sempre  più  urgente  della  «  riforma  »,  essi,  giunti  allo 
stremo  della  sopravvivenza,  si  accorgono  che  anch'essi  non  sono  im- 
muni da  difetti,  lacune  ed  errori.  Devono  questa  consapevolezza  so- 
prattutto al  confronto  con  quanto  sta  avvenendo  oltr'alpe,  in  Germa- 
nia, in  Svizzera,  in  Alsazia  dove  —  scriveva  Gilles  più  di  un  secolo  do- 
po —  la  Riforma  era  veramente  «  oeuvre  de  Dieu  »  (7).  Ciò  che  più  li 
angustiava  erano  le  grosse  questioni  del  libero  arbitrio  e  della  prede- 
stinazione, strettamente  connesse  col  rapporto  tra  fede  e  opere  in  vi- 


(6)  A.  Armand-Hugon,  Popolo  e  chiesa  alle  Valli  dal  1532  al  1561,  BSSV,  n.  110, 
die.  1961,  pp.  5-6. 

(7)  Cfr.  più  sopra,  nota  3. 


mérindol:  fine  del  valdismo? 


31 


sta  della  finale  giustificazione  dei  credenti.  Accanto  a  tutto  ciò,  nume- 
rosi altri  problemi  di  maggiore  o  minore  incidenza:  dal  rifiuto  del  giu- 
ramento al  rigetto  delle  autorità  costituite,  dal  ministerio  itinerante 
al  conseguente  celibato  dei  «  barbi  »,  dalla  necessità  di  lavorare  con  le 
proprie  mani  al  poco  tempo  dato  alla  preparazione  biblica  e  teologica; 
dal  governo  delle  comunità  alla  celebrazione  dei  sacramenti  e  a  tante 
altre  pratiche  di  pietà  religiosa  che  rasentavano  il  legalismo  levitico, 
come  la  confessione  auricolare,  le  preghiere  a  ore,  i  digiuni  fissi,  i  do- 
veri dei  coniugati,  i  rapporti  col  «  mondo  »:  esercizio  della  giustizia, 
commercio,  usura,  canzoni,  giuochi,  modi  di  vestire  ecc. 

Le  fonti  ci  parlano  di  quattro  tappe  decisive  nel  passaggio  dalla 
prima  alla  seconda  Riforma:  1)  Laus  1526,  2)  Mérindol  15.30,  3)  Mérin- 
dol 1531,  4)  Chanforan  1532,  con,  in  ultimo,  lo  strascico  delle  contesta- 
zioni fatte  dal  malcontenti  presso  i  Fratelli  dell'Unità  in  Boemia. 

Tutto  ebbe  inizio  a  Laus  nel  1526,  dove,  alla  presenza  di  ben  140 
«  barbi  »,  si  decise  di  inviare  in  Germania  due  di  loro  per  rendersi  di- 
rettamente conto  sul  posto  dei  progressi  della  Riforma,  ed  essi  ritor- 
narono con  «  quantité  de  livres  de  la  Religion  imprimés  »  (8).  Di  che 
genere  erano  cotesti  libri  e  quali  riformatori  incontrarono?  Lo  si  igno- 
ra, forse  Farei  (9).  Quattro  anni  più  tardi,  nel  1530,  si  ha  l'iniziativa 
più  importante,  cioè  i  colloqui  con  Ecolampadio  e  Bucero  decisi  dal 
Sinodo  di  Mérindol.  Di  fatto,  la  lettura  delle  opere  portate  nel  1526  do- 
vette certamente  spingere  i  responsabili  valdesi  ad  approfondire  un 
mucchio  di  questioni,  che  alla  fine  vennero  dettagliatamente  sviscerate 
e  presentate  per  iscritto  nel  memoriale  di  Morel  e  nelle  successive  ri- 
sposte dei  due  riformatori:  un  grosso  carteggio  non  ancora  del  tutto 
esplorato  (10).  Di  ritorno  a  Mérindol  nel  1531,  Morel  fece  il  punto  di 
tutte  le  cose  discusse,  redasse  un  secondo  memoriale  (11),  e  indusse 
senza  dubbio  i  suoi  colleghi  ad  indire  un  sinodo  generale  per  il  1532 
nel  cuore  stesso  delle  valli  valdesi.  Di  questo  sinodo,  riunito  a  Chanfo- 
ran in  vai  d'Angrogna,  si  dovrà  parlare  ampiamente  in  occasione  del 
suo  prossimo  450°  anniversario,  ma  per  il  momento  basti  dire  che  ben 
poco  —  almeno  sulla  base  delle  «  proposizioni  »  a  noi  note  —  rimase 


(8)  Sul  cosiddetto  sinodo  di  Laus  e  sulle  altre  tappe  fino  a  Chanforan  cfr. 
G.  GONNET,  /  rapporti  tra  i  Valdesi  franco-italiani  e  i  riformatori  d'oltralpe  prima 
di  Calvino,  in  Ginevra  e  l'Italia,  Firenze  Sansoni,  1959,  pp.  1-64.  Per  Laus  in  par- 
ticolare, ivi,  pp.  6  e  12-13;  Miolo,  pp.  104-105;  Gilles,  I,  47. 

(9)  AuDisio,  Mutation  cit.,  p.  154. 

(10)  GoNNfiT,  Rapporti  cit.,  p.  14. 

(11)  Dunque,  del  Morel,  possediamo  due  memoriali,  uno  in  latino  redatto  pri- 
ma dei  colloqui  coi  due  riformatori,  il  secondo  in  provenzale  scritto  al  ritomo 
dalla  sua  missione:  Gonnet,  Rapporti,  pp.  16-18;  Vinav,  Mémoires,  pp.  35-36;  Id., 
Barba  Morel  e  Bucero  sulla  giustificazione  per  fede.  ed.  dei  fogli  81-96  del  ms. 
C.5.18  di  Dublino,  BSSV,  n.  133,  giugno  1973,  pp.  29-36;  Id.,  //  breve  dialogo  fra  pri- 
ma e  seconda  riforma,  1530-1533,  BSSV,  n.  136,  die.  1974,  pp.  99-115;  Id.,  Le  con- 
fessioni di  fede  dei  Valdesi  riformati,  Torino,  Claudiana,  1975,  pp.  36-51,  72-73  e 


32 


GIOVANNI  GONNET 


del  lungo  rimaneggiamento  di  idee  e  di  pratiche  religiose  su  cui  i  Val- 
desi avevano  discusso  a  lungo  per  ben  sei  anni!  (12). 

Come  accennavo  prima,  la  situazione  dei  Valdesi,  agli  inizi  del  se- 
colo XVI,  erra  abbastanza  critica.  Dopo  un  certo  periodo  di  calma,  ca- 
ratterizzato da  missioni  pacifiche  presso  gli  abitanti  delle  valli  —  tipo 
quella  fatta  dall'arcivescovo  di  Torino  Claudio  di  Seyssel  nel  1518  (13) 
—  le  persecuzioni  avevano  ripreso  ad  infierire  soprattutto  contro  i  Val- 
desi del  Luberon,  ormai  identificati  come  «  luterani  ».  Secondo  una 
fonte  piuttosto  tardiva,  tale  risveglio  delle  vessazioni  contro  i  Valdesi 
sarebbe  stato  provocato  dal  desiderio  di  questi  ultimi  di  aderire  alla 
Riforma:  «  Quod  cum  rescivissent  —  cioè  essendo  venuti  a  conoscenza 
del  consilium  dei  Valdesi  de  emendatione  Ecclesiae  —  Praeses  Provin- 
ciae,  Episcopi,  sacerdotes,  monachi  non  destitere  Valdenses  omnis  ge- 
neris tormentis  vexare  et  affligere  »,  e  in  ciò  si  distinse  soprattutto  il 
domenicano  Giovanni  di  Roma,  che  inventò  contro  di  essi  i  supplizi  più 
crudeli  (14).  Rievocando  tutte  queste  vicende,  Gilles  annotava  —  sia 
pure  anch'egli  con  uno  scarto  di  più  di  un  secolo  —  che  i  riformatori, 
pur  lodando  il  comportamento  delle  chiese  delle  valli  «  et  spécialement 
les  conducteurs  d'icelles  de  leur  zèle,  piété  et  gran  soin  à  maintenir  la 
pure  Religion  prophétique  et  apostolique  »,  le  avevano  però  «  charita- 
blement exhortés  à  remédier  à  quelques  défauts  que  par  leur  Confé- 
rence ils  avoyent  reconnu  estre  encores  parmi  eux  ».  Tali  difetti,  Gilles 
li  riassumeva  in  tre  punti:  1)  discordanze  su  talune  questioni  di  dottri- 
na e  di  organizzazione  ecclesiastica;  2)  assemblee  religiose  tenute  in  se- 
greto; 3)  partecipazione  alle  messe  e  superstizioni  papali  (15).  Ora,  in 
quale  modo  si  rimediò  a  quanto  da  tutti  veniva  riconosciuto  come 
manchevole  sul  terreno  sia  dogmatico  che  ecclesiologico?  Per  dare  una 
risposta  adeguata,  bisogna  basarsi  non  solo  sui  testi  di  provenienza 
valdese  o  riformata  —  come  il  «  dossier  »  Morel,  le  risposte  di  Ecolam- 
padio  e  di  Bucero  e  le  «  proposizioni  »  di  Chanforan  —  ma  anche  sui 
documenti  di  parte  avversa,  soprattutto  quelli  di  origine  inquisitoriale, 
tra  i  quali  possiamo  includere  oggi  —  grazie  all'opera  di  un  giovane 
docente  dell'Università  di  Aix-en-Provence  —  gli  Atti  del  processo  in- 
tentato a  Apt  nel  1532  dall'inquisitore  Giovanni  di  Roma  contro  l'aspi- 
rante barba  Pierre  Griot  dell'alta  Val  Chisone  (16). 

Se  riprendiamo  in  esame  il  «  dossier  »  Morel,  vedremo  che  il  pri- 
mo memoriale,  quello  in  latino,  contemplava  una  sessantina  di  argo- 


(12)  Per  Chanforan  1532,  cfr.  Gonnet,  Rapporti,  pp.  3-8,  15-16  e  57-61;  V.  Vinay, 
La  dichiarazione  del  Sinodo  di  Chanforan  1532,  BSSV,  n.  133,  giugno  1973,  pp.  37-42; 
Id.,  Mémoires,  p.  38;  Id.,  Confessioni,  pp.  139-143. 

(13)  Claudio  di  Seyssel,  Adversus  errorer  et  sectam  Waldensium  disputatio- 
nes  per  quam  erudiiae  ac  piae.  Parisiis,  Johan  Petit,  1520  (redatte  nel  1518).  Cfr. 
Giovanni  Gonnet,  Le  confessioni  di  fede  valdesi  prima  della  Riforma.  Torino, 
Claudiana,  1967,  pp.  135-136. 

(14)  A.  ScuLTETUS,  Annalium  Evangelii  passim  per  Europam  decimoquinto  sa- 
lutis  partae  saeculo  renovati  decades  II,  Heidelberg  1620,  t.  II,  pp.  315-316;  Gon- 
net, Rapporti  cit.,  p.  10;  Audjsio,  Barbe  cit.,  pp.  14,  23-24,  33  e  34. 

(15)  Gilles,  I,  pp.  47-48. 

(16)  Cfr.  più  sopra  nota  2. 


mérindol:  fine  del  valdismo? 


33 


menti,  di  cui  una  ventina  sotto  forma  di  questioni.  Un  certo  ordine  lo- 
gico presiede  alla  loro  formulazione:  prima  ciò  che  si  attiene  al  mini- 
sterio  pastorale,  poi  le  dottrine  e  i  riti,  infine  la  disciplina  delle  comu- 
nità e  i  loro  rapporti  col  mondo  esterore  (17).  Per  quanto  riguarda  i 
due  riformatori  consultati,  essi  non  risposero  a  tutte  le  domande,  né 
seguirono  lo  stesso  ordine  del  memoriale,  ma  diedero  la  priorità  a  ciò 
che  pensavano  essere  più  importante  o  più  urgente  per  l'avvenire  im- 
mediato del  valdismo.  D'altra  parte,  le  due  risposte  non  concordano  né 
nella  sostanza,  né  nel  numero  degli  argomenti  presi  in  considerazione: 
ima  trentina  da  parte  di  Ecolampadio,  contro  più  di  una  cinquantina 
ad  opera  di  Bucero  (18). 

Ecolampadio  insiste  prima  di  tutto  sulla  necessità  di  rescindere 
ogni  legame  ambiguo  con  la  Chiesa  romana,  la  quale,  per  il  basileese, 
è  ancora  l'Ecclesia  malìgnantium  così  come  l'avevano  definita,  insieme 
con  altri  eretici  coevi,  i  Valdesi  dei  secoli  XIII  e  XIV.  Questo  distacco 
da  Roma  va  fatto  radicalmente,  a  cominciare  dalla  decisione  di  non 
più  ricevere  la  comunione  insieme  con  gli  infedeli  e  di  disertare  le 
«  abominevoli  messe  dei  papisti  »  con  le  quali  ogni  giorno  vengono  be- 
stemmiate la  passione  e  la  morte  di  Cristo:  è  soltanto  celebrando  in 
modo  autonomo  i  due  sacramenti  istituiti  da  Gesù  Cristo  —  battesimo 
e  santa  cena  —  che  i  Valdesi  riusciranno  finalmente  a  fondare  una  loro 
chiesa,  del  tutto  indipendente  da  Roma  e  fedele  al  suo  unico  Signore. 
In  quanto  ai  rapporti  col  mondo,  Ecolampadio  invita  i  Valdesi  a  non 
più  contestare  le  autorità  civili,  perché  anch'esse  —  secondo  Romani 
XIII,  1,  4  e  6  —  provengono  da  Dio;  ma  il  rispetto  loro  dovuto,  aggiun- 
ge il  riformatore  di  Basilea,  ha  un  limite  che  non  si  dovrebbe  superare: 
se  lo  Stato  e  le  leggi  che  esso  promulga  non  s'ispirano  allo  spirito  del 
Vangelo  e  all'amore  del  prossimo,  il  credente  ha  l'obbligo  di  opporvisi. 
In  questa  prospettiva,  il  giuramento  è  lecito,  lo  jus  gladii  sarà  eserci- 
tato con  carità,  mentre  la  vendetta  personale  è  contraria  all'insegna- 
mento di  Cristo,  che  esige  dai  suoi  discepoli  pazienza  e  sopportazione. 
In  ultima  analisi,  tutto  dev'essere  visto  e  praticato  secondo  l'ottica  del- 
la nuova  justitia  fidei,  che  relativizza  ogni  specie  di  relazioni  umane, 
ponendole  sotto  la  sovranità  di  Dio.  Ma  la  questione  più  grave  rimane- 
va quella  del  libero  arbitrio  e  della  predestinazione,  che  obbligava  fa- 
talmente a  prendere  posizione  sul  rapporto  fede-opere  in  vista  della 
giustificazione  e  della  salvezza  dei  credenti.  A  tal  riguardo,  Ecolampa- 
dio si  limita  a  dire  che  il  libero  arbitrio  ripugna  alla  grazia  divma,  il 
che  non  significa  necessariamente  che  si  è  liberi  di  peccare.  La  prede- 
stinazione è  certa,  nessuno  la  può  negare,  ma,  se  la  salvezza  risiede  solo 
in  Dio  nostro  Signore,  la  nostra  perdizione  deriva  direttamente  da 
noi  (19). 

Bucero  invece  si  soff^erma  soprattutto  sulle  questioni  del  celibato 
dei  ministri  e  del  battesimo,  contestando  con  vigore  le  posizioni  radi- 
ci?) GoNNET,  Rapporti  cit.,  pp.  20-37;  Vinay,  Confessioni  cit.,  pp.  36-51. 

(18)  Vinay  {Mémoires,  pp.  36-37)  scrive  che  Ecolampadio  non  intervenne  che 
su  17  argomenti,  contro  i  47  di  Bucero 

(19)  GoNNET,  Rapporti  cit.,  pp.  37-44;  Vinay,  Confessioni  cit.,  pp.  52-69. 


34 


GIOVANNI  GONNET 


cali  degli  anabattisti.  Se  Romani  XIII  è  al  centro  delle  considerazioni 
del  riformatore  di  Strasburgo,  tuttavia  la  sua  preoccupazione  maggio- 
re è  quella  di  convincere  i  Valdesi  sul  fondamento  neo-testamentario 
della  giustificazione  per  fede.  In  quanto  agli  altri  problemi  sollevati 
dai  due  barbi,  Bucero  conferma  gli  argomenti  del  suo  collega  di  Basi- 
lea sostenendo  che  accettare  i  sacramenti  dalla  mano  dei  papisti  è  una 
grande  debolezza  e  che  il  potere  delle  chiavi  è  solo  potestas  Verbi,  cioè 
che  non  c'è  altra  chiave  diversa  dalla  Parola  di  Dio  per  aprire  o  chiu- 
dere le  porte  del  cielo.  Su  tutto  il  resto.  Bucero  non  risparmia  gli  elogi 
ai  Valdesi  riconoscendo  che  essi  avevano  ricevuto  la  luce  del  Vangelo 
molto  prima  della  protesta  di  Lutero.  Se  qualcosa  li  turba  ancora,  se 
talune  questioni  risentono  ancora  del  legalismo  della  Scolastica,  esse 
dovranno  essere  risolte  in  uno  spirito  di  carità  e  di  libertà  cristiana,  per 
l'edificazione  dei  fedeli  e  il  bene  comune  delle  chiese  (20). 

Che  cosa  è  rimasto  di  tutto  ciò  nell'intervallo  di  tempo  che  separa 
i  colloqui  di  Morel  e  Masson  coi  due  riformatori  e  il  Sinodo  di  Chan- 
foran?  Come  già  ricordato  più  sopra.  Morel  compilò  in  provenzale  un 
secondo  memoriale  al  suo  ritomo  da  Strasburgo  nel  quale,  oltre  a  ri- 
maneggiare domande  e  risposte,  aggiunse  anche  molto  di  ciò  che  i  ri- 
formatori gli  avevano  detto  di  viva  voce,  come,  per  esempio,  un  lungo 
discorso  di  Bucero  sulla  giustificazione  per  fede  (21).  Audisio  osserva 
giustamente  che  il  primo  memoriale  di  Morel  ci  mostra  i  barbi  riimiti 
a  Mérindol  nel  1530  esitanti  sia  «  à  l'égard  de  leur  propre  tradition  », 
sia  «  face  à  la  Réforme  protestante  »  (22).  Vinay,  riferendosi  allo  stadio 
finale  dei  colloqui  coi  riformatori,  pone  all'attivo  dei  Valdesi  medievali 
solo  il  loro  attaccamento  alla  Bibbia,  ancorché  interpretata  letteral- 
mente e  spesso  con  uno  spirito  leviticamente  troppo  legalistico  (23). 
Tutto  il  resto  sarebbe  stato  spazzato  via  dal  vento  della  Riforma:  il  ce- 
libato dei  barbi,  la  predicazione  itinerante,  la  confessione  auricolare  é 
l'imposizione  delle  mani,  i  ben  noti  sette  sacramenti  —  eccettuati  ov- 
viamente il  battesimo  e  l'eucaristia  — ,  le  numerose  opere  di  pietà,  la 
ripugnanza  per  il  denaro,  l'opposizione  alle  autorità  costituite  e  il  ri- 
fiuto del  giuramento.  Al  posto  loro  trionfavano  i  due  principi  fonda- 
mentali della  giustificazione  per  fede  e  della  libertà  cristiana.  Per  altro, 
se  rileggiamo  le  «  proposizioni  »  di  Chanforan,  le  troviamo  eccessiva- 
mente laconiche.  C'è  sì  l'abolizione  del  celibato  dei  pastori  e  del  loro 
itinerantismo;  c'è  l'adozione  di  due  soli  sacramenti;  c'è  l'accettazione 
del  giuramento;  c'è  l'abbandono  di  ogni  formalismo  legalistico  nelle 
preghiere  quotidiane,  nei  digiuni  e  nel  culto  domenicale;  c'è  persino 
una  chiara  formulazione  del  rapporto  tra  libero  arbitrio  e  predestina- 
zione, ma  non  troviamo  nulla  né  sulla  giustificazione  per  fede  né  sulle 
autorità  costituite  (24).  Se  Romani  XIII  era  stato  il  cavallo  di  battaglia 

(20)  GoNNET,  Rapporti  cit.,  pp.  44-55;  Vinay,  Confessioni  cit.,  pp.  74-117. 

(21)  GoNNET,  Rapporti  cit.,  pp.  32  e  55;  Vinay,  Mémoires  cit.,  pp.  36  e  4246; 
Id.,  Barba  Morel,  p.  36,  nota  4;  Id.,  Dialogo,  p.  110. 

(22)  Audisio,  Mutation  cit.,  p.  155. 

(23)  ViNAY,  Dialogo  cit.,  p.  107;  sul  legalismo,  ivi,  pp.  104,  112  e  115. 

(24)  Cfr.  più  sopra,  nota  12. 


mérindol:  fine  del  valdismo? 


35 


tra  i  riformatori  ortodossi  e  gli  eretici  della  Riforma,  a  Chanforan  que- 
sto grosso  problema  venne  appena  sfiorato  con  due  articoli,  uno  sull'ac- 
cettazione del  giuramento,  l'altro  sulla  possibilità  per  i  credenti  di  par- 
tecipare personalmente  agli  uffici  giudiziari  (25).  Se  i  colloqui  coi  rifor- 
matori erano  stati  positivi,  lo  si  dovette  soprattutto  al  fatto  che  tra  le 
dottrine  e  gli  usi  dei  Valdesi  c'era  ben  poco  di  quelle  posizioni  «  radi- 
cali »  sostenute  un  tempo  dai  loro  predecessori.  Bucero  soprattutto  sta- 
va all'erta.  A  Strasburgo,  nell'anno  stesso  di  Mérindol,  egli  aveva  do- 
vuto agire  duramente  contro  gli  anabattisti;  e  fu  proprio  contro  questi 
ultimi  ed  altri  radicali  che  almeno  un  terzo  degli  articoli  della  «  Con- 
fessio  Augustana  »  del  1530  vennero  rivolti  (26).  D'altra  parte  si  com- 
prende bene  perché  i  Valdesi,  dopo  più  di  tre  secoli  e  mezzo  trascorsi 
da  una  persecuzione  all'altra,  erano  rimasti  estremamente  perplessi  ri- 
guardo alle  autorità  costituite,  visto  che  esse  erano  state  quasi  sempre 
il  braccio  secolare  della  Chiesa  dominante.  In  Germania,  invece,  la  si- 
tuazione nel  1530  era  ben  diversa,  caratterizzata  com'era  dal  fatto  ca- 
pitale che  molti  principi  avevano  accettato  pienamente  la  Riforma  in- 
sieme con  le  loro  popolazioni.  Dato  ciò,  si  capisce  bene  perché  la  «  Con- 
fessio  Augustana  »  insiste  non  solo  sulla  necessità  di  un  ministerio  pa- 
storale riconosciuto  dalla  Chiesa  e  legato  più  alla  «  parola  esterna  » 
della  Bibbia  e  alla  corretta  celebrazione  dei  sacramenti  che  non  all'illu- 
minazione interna  dei  credenti  (27),  ma  anche  e  soprattutto  sulla  legit- 
timità delle  istituzioni  civili  e  sulla  liceità  della  partecipazione  dei  cre- 
denti alle  cariche  pubbliche,  ivi  comprese  le  funzioni  di  giudice  e  la 
carriera  militare  (28).  In  questo  contesto,  è  altrettanto  ovvio  che  la 
«  Confessio  Augustana  »  condanni  in  vario  modo  tutti  i  «  radicali  » 
(anabattisti,  antitrinitari,  spiritualisti,  millenaristi,  neo-donatisti 
ecc.  (29)  ),  tra  i  quali  però  non  compaiono  né  i  Valdesi  né  i  Fratelli  boe- 
mi. Certo,  essa  non  può  ignorare  la  famosa  risposta  data  dall'apostolo 
Pietro  al  Sinedrio  di  Gerusalemme,  che  Valdesio  di  Lione  aveva  ripe- 
tuta nel  1181  davanti  all'arcivescovo  di  Lione  (30).  Con  maggiore  inci- 
sione di  Ecolampadio,  che  per  conto  suo  aveva  già  espresso  qualche  ri- 
serva sul  rispetto  incondizionato  delle  autorità  temporali  (31),  la  «  Con- 
fessio Augustana  »,  pur  ribadendo  che  «  i  cristiani  devono  necessaria- 
mente obbedire  ai  loro  magistrati  e  alle  leggi  »,  dichiara  tuttavia  che 
essi  hanno  ugualmente  l'obbligo  di  opporvisi  quando  «  comandino  di 


(25)  Si  tratta  degli  articoli  1  e  11:  Gonnet,  Rapporti  cit.,  pp.  58  e  60;  Vinay, 
Confessioni  cit.,  pp.  139  e  141. 

(26)  La  Confessione  Augustana,  versione  di  M.  R.  Serafini.  Commento  a  cura 
di  G.  Toum.  Introduzioni  di  A.  Agnoletto,  M.  Cassese,  U.  Gastaldi,  J.  Kleemann, 
P.  Ricca.  Torino,  Claudiana,  1980:  cfr.  in  particolare  il  saggio  di  U.  Gastaldi, 
/  «  radicali  »  nella  Confessione  Augustana,  pp.  55-98. 

(27)  Conf.  Aug.,  artt.  5  e  14,  pp.  120  e  126. 

(28)  Ivi,  art.  16,  p.  127. 

(29)  Ivi,  artt.  1,  5,  8,  9,  12,  14,  16  e  17,  pp.  116,  120, 
122,  125,  126,  127  e  129. 

(30)  Atti  5,29:  «  Bisogna  ubbidire  a  Dio  anziché  agli  uomini  »,  passo  ricor- 
dato dall'art.  16,  p.  128. 

(31)  Cfr.  più  sopra  nota  19. 


36 


GIOVANNI  GONNET 


commettere  peccato  »,  perché  in  tal  caso  vai  meglio  «  obbedire  a  Dio  an- 
zicché  agli  uomini  »  (32).  A  questo  invito  alla  disubbidienza  civile,  la 
nostra  «  Confessio  »  ne  aggiunge  un  altro  altrettanto  significativo  alla 
disubbidienza  religiosa:  «  se  i  vescovi  insegnano  o  istituiscono  qualco- 
sa di  contrario  all'Evangelo,  le  Chiese  hanno  in  tal  caso  il  comanda- 
mento di  Dio  che  vieta  loro  di  obbedire  »,  e  in  appoggio  vengono  citati 
dei  versetti  biblici  estremamente  significativi,  come  il  «  Guardatevi  dai 
falsi  profeti  »  di  Matteo  7:  15,  o  il  «  Non  possiamo  nulla  contro  la  ve- 
rità »  di  II  Corinzi  13:  8  (33).  In  questo  duplice  invito  alla  disobbedien- 
za sia  civile  che  religiosa,  io  ci  vedo  un  retaggio  valdese!  Certo,  le  cose 
non  erano  così  semplici  come  appare  a  prima  vista,  e  i  Valdesi  che  in 
taluni  momenti  tragici  della  loro  storia  dovettero  prendere  le  armi  per 
difendere  non  solo  se  stessi,  le  loro  famiglie  e  le  loro  terre,  ma  anche 
l'integrità  della  loro  fede,  ne  sapevano  qualcosa! 

Giunti  al  termine  del  nostro  discorso,  possiamo  in  qualche  modo 
dare  una  risposta  alle  nostre  domande  iniziali?  Per  quanto  provvisorio 
debba  essere  il  nostro  bilancio,  porrei  all'attivo,  oltre  il  duplice  invito 
alla  disubbidienza  testé  ricordato,  una  opposizione  più  netta  nei  ri- 
guardi di  Roma,  la  decisione  di  formare  delle  chiese  autonome  con  pa- 
stori fissi  e  templi  per  il  culto  pubblico,  una  preparazione  dei  futuri 
pastori  più  approfondita  in  senso  teologico,  una  nuova  ermeneutica  più 
Paolina  che  giovannea,  nonché  la  spiritualizzazione  delle  forme  di  pietà 
sia  individuali  che  collettive  sotto  il  duplice  segno  della  giustificazione 
ner  fede  e  della  libertà  cristiana.  Di  fronte  a  questi  evidenti  guadagni, 
ci  sono  però  delle  perdite,  quali  il  mancato  dinamismo  dell'evangelismo 
itinerante,  l'offuscamento  del  principio  di  una  riforma  endocrina  della 
Chiesa,  e  soprattutto  l'obnubilazione  —  mi  si  perdoni  il  termine  — 
del  senso  del  provvisorio  e  del  transeunte,  che  dovrebbe  essere  e  rima- 
nere la  caratteristica  dei  discepoli  di  Cristo  inviati  nel  mondo  senza 
possedere  né  oro,  né  argento,  né  moneta  nelle  loro  cinture,  né  sacco  per 
il  viaffsio,  né  due  tuniche,  né  scarpe,  né  bastone,  «  perché  l'operaio  è 
degno  del  suo  nutrimento  »  (Matt.  10:  9-10).  Certo  il  valdismo  autenti- 
co non  muore  per  questo.  Esso  permane  malgrado  tutto,  come  spirito, 
come  molla  interna  di  risveglio  e  di  riforma,  pur  soffocato  dalla  istitu- 
zione ecclesiastica. 

GIOVANNI  GONNET 


(32)  Conf.  Aug..  art.  16,  p.  128. 

(33)  Ivi,  art.  28,  pp.  169-170. 


Il  Valdismo  medievale 
come  religione  penitenziale 


1.  Nella  tradizione  cristiana  la  fede  si  è  sempre  espressa  in  articoli 
che  sono  stati  oggetto  di  glosse  e  di  più  ampi  commenti  presso  i  Padri 
e  i  Dottori  della  Chiesa.  Tali  articoli  o  sentenze,  secondo  una  diffusissi- 
ma leggenda  del  primo  medioevo,  furono  dettati  ciascuno  da  un  deter- 
minato Apostolo  e  raccolti  nel  Simbolo  Apostolico  (1). 

La  comunità  valdese,  presumibilmente  già  nella  seconda  metà  del 
'200,  redasse  una  formula  di  fede,  la  regola  della  vera  fede,  in  sette  arti- 
coli, attenendosi  alla  confessione  o  professione  di  fede  di  Valdo  del 
1179-1180  (2).  Questa  regola  di  fede  valdese  divenne  ben  presto  la  formu- 
la a  credere,  a  difendere  e  a  predicare  la  quale  si  impegnavano  i  Maestri 
nel  momento  della  loro  ordinazione  (3).  Si  trattava  di  una  formulazione 
attenta  ai  contenuti  autentici  della  fede  cattolica  così  come  erano  comu- 
nemente accettati  verso  la  metà  del  secolo  XII,  creduti  identici  a  quelli 
della  prima  Chiesa.  In  sostanza  si  tratta  della  stessa  fede  di  Valdo,  espres- 
sa secondo  formule  già  in  uso  nella  Chiesa  del  primo  Medioevo,  a  cui 
Valdo  aveva  aggiunto  espressioni  di  impegno  per  la  pratica  della  po- 
vertà e  per  la  difesa  della  fede  (4). 

Non  sarebbe  comprensibile  la  storia  della  teologia  medievale  val- 
dese senza  un  continuo  attento  riferimento  alla  professione  di  fede  di 
Valdo  dalla  quale  furono  ricavati  i  7  articoli.  Alla  regola  di  fede  valdese 
non  ci  furono  obiezioni  di  fondo  da  parte  della  Chiesa  Cattolica:  gli  in- 
quisitori si  limitarono  a  far  presente  che  questa  regola,  formulata  in 
sette  articoli,  aveva  sostituito  il  Credo  e  si  era  quindi  verificato  il  feno- 
meno, ben  documentabile  nei  processi  dei  Valdesi  del  Brandeburgo  e 
della  Pomerania  alla  fine  del  '300,  che  i  fedeli  Valdesi  non  conoscevano 

(1)  Vedasi  ad  esempio  il  Sermo  de  symbolo  attribuito  ad  Agostino  in  Sancii 
Augustini  Opera,  t.  XVII,  Bassano  1797  (secondo  l'ed.  Maurina,  1951-52). 

(2)  Vedasi  R.  Cegna,  Storia  della  teologia  valdese,  introduzione  a  Fede  ed  etica 
valdese,  I,  di  prossima  pubblicazione. 

(3)  Per  il  1391  cfr.  E.  Werner,  Nachrichten  iiber  spdtmittelalterliche  Ketzer  aus 
tschechoslowakischen  Archiven  und  Bibliotheken.  Beilage  zur  Wissenschaftlichen 
Zeitschrift  der  Karl-Marx-Universitdt  Leipzig,  XII,  1963,  1,  pp.  266;  per  la  prima 
metà  del  '400  vedasi  trattato  Continuatio  simboli  apostolorwn  attribuito  a  Stefano 
Bodecker,  D.  Kurze,  Qiiellen  zur  Ketzer geschicht e  Brandenburgs  und  Pommerns, 
Berlin  1977,  p.  281. 

(4)  Vedasi  R.  Cegna,  Introduzione  cit. 


38 


ROMOLO  CEGNA 


più  il  simbolo  apostolico  (5).  Solo  nel  '400,  sotto  l'influsso  ussita-tabo- 
rita,  esso  torna  a  far  parte  del  bagaglio  delle  nozioni  che  il  buon  Valdese 
deve  conoscere,  come  risulta  dal  suo  ricupero  nella  letteratura  valdese 
del  secolo  XV. 


2.  Per  comodità  d'inquisizione  e  secondo  l'antico  uso  delle  condan- 
ne di  eresiarchi  ed  eretici  con  enunciazione  dei  vari  errori,  gli  operatori 
della  Chiesa  romana,  quando  dovettero  rivolgere  la  loro  attenzione  al 
movimento  valdese,  usarono  redigere  serie  di  articoli  di  errori  che  non 
si  riferiscono  a  principi  di  base  ma  ad  applicazioni  della  comune  fede 
cristiana.  Inquisitori  e  polemisti  esaminarono  e  commentarono  questi 
errori  con  diverse  enunciazioni  e  da  diff^erenti  angolazioni.  Oltre  che  nel 
DoUinger  (6)  e  in  Rudolf  Holinka  (7),  anche  in  E.  Werner  troviamo  una 
importante  ricerca,  limitatamente  però  ai  documenti  di  biblioteche  e 
archivi  cecoslovacchi  sugli  eretici  dell'ultimo  medioevo  ('300-'400)  con 
la  pubblicazione  di  serie  di  articoli  (8)  di  errori  valdesi.  Per  quanto  ri- 
guarda le  raccolte  di  errori  valdesi  va  pure  indicato  l'opuscoletto  in  lin- 
gua tedesca  stampato  in  Germania  negli  anni  venti  del  '500,  presentato 
da  Valdo  Vinay  (9)  nella  nota  Dottrine  e  origine  dei  Valdesi,  dei  poveri 
di  Lione,  di  Wyclif  e  Hus. 

Vinay,  che  ha  trovato  l'opuscolo  Artikel  und  Ursprung  der  Walden- 
ser  und  der  Armen  von  Lugdun  auf  Joannis  Wicleffen  und  Joannis 
Hussen  nella  biblioteca  dell'Evangelisches  Stift  di  Tubinga,  fa  presente 
che  copie  manoscritte  si  trovano  in  varie  biblioteche  tedesche.  Per  quan- 
to riguarda  alcuni  punti  del  commento  di  Vinay  osservo  che  una  scono- 
sciuta copia  stampata  dell'opuscolo  si  trova  nella  Knihovna  Pamâtnîku 
Nârodm'ho  pisemnitctvi  na  Strahovô  di  Praga  con  la  segnatura  B  CH  V 
150/2/Valdesi  rilegata  con  opuscolo  datato  1522  (10). 

Nella  introduzione  storica  dell'opuscolo  si  rileva  che  i  poveri  di 
Lione  «  non  conoscendo  il  latino,  hanno  scritto  libri  nella  loro  lingua  in- 
glese, francese  e  italiano»,  come  traduce  Vinay  (11).  L'anonimo  autore 
della  nota  storica  con  il  termine  «  welsch  »  probabilmente  intendeva  la 
lingua  parlata  nelle  zone  italiane  che  non  erano  necessariamente  solo 
quello  che  noi  diciamo  «  italiano  »,  ma  la  varietà  delle  lingue  parlate  in 

(5)  Testimonianze  negli  interrogatori  in  D.  Kurze,  op.  cit.,  passim. 

(6)  Dokumente  vornehmlich  zur  Geschichtc  der  Valdesier  und  Katharer  in 
Beitrdge  zur  Sektengeschichte  des  Mitteìalters,  II,  Miinchen  1890,  passim. 

(7)  Sektàrstvi  v  Cechach  prded  revoluci  husitskou,  Bratislava  1929. 

(8)  E.  Werner,  op.  cit. 

(9)  «  Bollettino  della  Società  di  Studi  Valdesi  »,  n.  143,  1978,  pp.  57-61. 

(10)  L'anno  di  edizione  1524  attribuitole  dalla  Biblioteca  del  British  Museum 
è  probabilmente  errato,  se  nella  copia  di  Tubinga  l'opuscolo  risulta  acquistato,  con 
nota  manoscritta,  nel  1522,  la  cui  data  concorderebbe  con  quella  possibile  della 
copia  di  Praga. 

(11)  Il  termine  «italiano»  è,  nell'opuscolo,  welsch.  Tale  parola  degli  antichi 
germani,  che  si  scontrarono  coi  celti  Volcae,  passò  all'area  dell'antico  slavo  e  si  è 
conservato  ancora  tra  l'altro  nell'antico  ceco  Vlach,  da  cui  Italia  =  Vlachy,  italia- 
no =  vlassky,  nell'attuale  polacco  e  nel  croato  Wochy,  Woch,  woski. 


IL  VALDISMO  MEDIEVALE  COME  RELIGIONE  PENITENZIALE 


39 


Italia  alla  fine  del  '300  e  nel  '400,  tra  cui  il  provenzale  nelle  sue  deriva- 
zioni piemontesi.  Non  sembra  quindi  esatto  parlare  di  solo  «  italiano  ». 
Il  fatto  poi  che  non  si  faccia  riferimento  alla  letteratura  valdese  in  tede- 
sco è  spiegabile  anche  con  ciò  che  ci  è  noto:  la  letteratura  valdese  ha  la 
sua  origine  nelle  comunità  piemontesi  e  svizzere  (lingua  latina  e  lingua 
francese  o  provenzale)  e  nelle  comunità  austriache  (che  pure  usavano 
la  lingua  latina,  come  risulta  dal  carteggio  tra  Valdesi  italiani  e  Valdesi 
austriaci  attorno  al  1368)  (12). 

Osserviamo  inoltre  che  gli  «  errores  pauperum  de  Lugduno  »  del- 
l'opuscolo non  ci  danno  notizie  originali  poiché  non  sono  altro  che  la 
traduzione  letterale  in  tedesco  di  parte  del  De  inquisitione  hereticorum 
dello  Pseudo  Davide  d'Augsburg  (13).  E  ancora  la  notizia  dell'opusco- 
letto  su  Pietro  da  Dresda,  che,  secondo  la  tradizione  del  tardo  '400, 
avrebbe  introdotto  nella  riforma  boema  la  pratica  della  comunione  del 
popolo  con  le  due  specie,  è  falsa:  la  storiografia  del  '400,  seguita  poi  per 
secoli,  ha  confuso  la  persona  del  canonista  Nicola  della  Rosa  Nera,  ini- 
ziatore con  Jacobello  dell'Utraquismo  boemo,  con  quella  del  filosofo 
collega  Pietro  da  Dresda,  dello  stesso  gruppo.  Vinay  non  corregge  l'ine- 
sattezza, riferendosi  semplicemente  a  una  ristampa  recente  di  un  lavoro 
del  tutto  errato  di  Heinrich  Bohmer  del  1915,  completamente  superato 
dagli  studi  della  scuola  storica  dell'Ussitismo  di  Sedlâk-Bartos-Pekaf- 
Kaminsky-Molnâr  con  motivazioni  e  argomenti  e  documenti  ben  cono- 
sciuti (14). 


3.  Differente  da  liste  di  errori  valdesi  finora  edite  o  comunque  co- 
nosciute è  la  lista  di  quindici  errori  che  ho  trovato  nel  Codice  229  della 
Biblioteca  del  Seminario  di  Pelplin  in  Polonia,  nel  nord  verso  Danzica. 
Tale  Biblioteca  ha  la  sua  origine  dall'Abbazia  cistercense  di  Pelplin  fon- 
data nel  1274  e  soppressa  nel  1823.  L'allora  biblioteca  comprendeva  al- 
cune migliaia  di  codici  e  in  parte  passò  alla  Biblioteca  del  vescovo  di 
Chem,  che  dal  1824  ebbe  come  sede  appunto  Pelplin,  e  quindi  al  locale 
seminario  dove  tuttora  si  trova.  Codici  preziosi  furono  donati  alla  Biblio- 
teca in  seguito  a  soppressione  di  ordini  e  di  monasteri  e  conventi  negli 
anni  trenta  dell'SOO  nel  nord-ovest  della  Polonia,  sotto  il  governo  prus- 
siano. Attualmente  la  biblioteca  ha  conservato  parte  della  sua  ricca  do- 
tazione e  ha  subito  perdite  solo  del  quaranta  per  cento  durante  l'ultima 
occupazione  tedesca. 

Quanto  ho  detto  aiuta  a  capire  come  sia  difficile  indicare  la  prove- 
nienza del  Codice  229:  di  formato  cm.  21  x  15,  con  fogli  268,  esso  pro- 

(12)  Ved.  testi  ad  esempio  in  Ms.  Hs.  Aug.  48  della  Badische  Landesbibliothek- 
Karlsruhe,  ff.  328'  -  341'. 

(13)  Ed.  Wilhelm  Preger  in  «  Abhandlungen  dar  historischen  Klasse  der  Kò- 
niglich-bayerischen  Akademie  der  Wissenschaften  »,  III,  14,  B.  2,  Miinchen  1878, 
n.  5,  alle  pp.  206-209. 

(14)  Ved.  R.  Cegna,  introduzione  a  Nicola  della  Rosa  Nera,  De  reliquiis  et  vene- 
ratione  sanctorum:  de  purgatorio,  Warszawa  1977,  «  Medievalia  Philosophica  Polo- 
norum  »  XXXIII. 


40 


ROMOLO  CEGNA 


viene  probabilmente  dalle  stesse  zone  in  cui  si  era  diffuso  il  Valdismo 
tedesco  con  la  colonizzazione  del  '200  e  '300  (Nuova  Marca,  Brandeburgo 
orientale,  Pomerania  occidentale).  Nella  scheda  della  Biblioteca  il  Co- 
dice è  datato  1394,  ma  giustamente  Wadysaw  Senko  nel  quaderno  14  del 
catalogo  microfilm  della  Biblioteca  Nazionale  di  Varsavia  contenente  i 
microfilm  di  codici  di  Pelplin  lo  data  genericamente  «  sec.  XIV-XV  ».  In 
esso  infatti  troviamo  una  annotazione  nella  carta  44v,  immediatamente 
precedente  la  nostra  lista,  con  l'indicazione  dell'anno  1402  in  cui  fu  scrit- 
to il  «  registro  »  dei  temi  dei  sermoni  domenicali.  C'è  appena  prima,  al 
f.  33v,  l'assoluzione  data  dal  Concilio  di  Basilea,  non  prima  del  luglio 
1431,  probabilmente  aggiunta  su  foglio  precedentemente  lasciato  in  bian- 
co nel  codice  redatto  tra  la  fine  del  '300  e  i  primi  del  '400. 

Il  foglio  45  recto  che  contiene  i  quindici  errori  valdesi  ha  subito 
gravi  danni  per  l'umidità  nel  margine  inferiore  e  nell'angolo  superiore 
a  destra,  per  cui  alcune  righe  risultano  assolutamente  illeggibili,  ma  il 
fatto  non  compromette  la  comprensione  del  loro  senso. 

Presento  ora  la  trascrizione  dell'inedito  testo  del  codice  [Ms  229, 
f.  45r]: 


Nota.  Secuuntur  articuli  secte  waldensium  hereticorum  etcetera.  Primo  quod 
orationes,  jeiunia,  elemosine,  celebraciones  et  alia  quevis  de  genere  honorum  opera 
ob  solius  Dei  et  non  beate  et  intemerate  Dei  Genitricis  Marie  nec  alicuius  sancto- 
rum fieri  debeant  laudem,  gloriam  et  honorem. 

Secundo  quod  post  banc  vitam  nullum  sit  omnino  purgatorium,  sed  solum  due 
(sic)  vie  honorum  inmediate  ad  vitam  et  malorum  inmediate  ad  mortem  eternam. 

Tercio  quod  sufìragia  ecclesie  pro  defunctis  facta  nichil  omnino  prosint. 

Quarto  quod  omne  juramentum  sive  in  iudicio  sive  extra  quocumque  modo 
factum  sit  peccatum. 

Quinto  quod  omne  homicidium  quanticumque  eciam  maleficij  judicialiter  et 
quocumque  modo  factum  fuerit  sit  peccatum. 

Sexto  quod  indulgencie  papales  et  episcopales  nichil  omnino  prosint. 

Septimo  quod  can  tus  ecclesiasticus  nichil  valeat  (seguono  circa  otto  parole 
illeggibili). 

Octavo  quod  sepultura  ecclesiastica  nichil  omnino  prosint. 

Nono  quod  aqua  benedicta,  sai,  candele,  palme,  herbe,  cibi,  cineres  ad  nichi- 
lum  conférant  id  est  nichil  addite  sanctificationis  ex  verbis  prolatis  obtineant. 

Decimo  quod  paramenta  episcoporum  scilicet  infula,  cur\'atura,  cirotece,  san- 
dalia  et  apparatus  alius  ipsorum  non  sit  necessarius  nec  eciam  apparatus  orna- 
tuum  in  ecclesiis  pro  sacerdotibis  celebrantibus. 

Undecimo  quod  ymago  crucifixi  et  beate  Marie  et  aliorum  sanctorum  ymagines 
non  sint  aliqualiter  venerande. 

Duodecimo  quod  dedicaciones  ecclesiarum  et  annue  celebraciones  earundem 
ad  nichilum  sint  utiles. 

Tertiodecimo  quod  excommunicaciones  papales,  episcopales  et  judiciales  prela- 
torum  ecclesie  coram  Deo  nichil  ligent. 

Quartodecimo  quod  illa  secta  waldensium  sit  vera  fides...  (illeggibile)...  et...  ea 
sola...  (illeggibile). 


4.  Non  conosciamo  liste  uguali  o  simili  di  errori  valdesi.  Qualche 
rassomiglianza,  ma  solo  per  alcuni  punti  e  non  certo  per  l'impostazione 


i 


IL  VALDISMO  MEDIE\  ALE  COME  RELIGIONE  PENITENZIALE 


41 


generale,  si  riscontra  colla  lista  edita  da  Jacob  Gretser  (15),  su  trascri- 
zione del  Codex  Olomoucensis  69  da  E.  Werner  (16)  e  dal  Codice  XIII  E  7 
della  Biblioteca  universitaria  di  Praga  da  Holinka  (17).  Si  tratta  di  qual- 
che punto  di  assonanza  di  formulazione,  nulla  di  più:  «  Item  omne  ho- 
micidium,  quarumcumque  maleficiorum,  credunt  mortale  peccatum...  »; 
«  Item  omnia  apparamenta  episcoporum,  infulas,  cyrothecas,  curvatu- 
ram,  annulos  etc.  vocant  superstitionem  ». 

Compare  lo  stesso  insegnamento  a  riguardo  della  negazione  del  pur- 
gatorio, della  non  liceità  di  qualsiasi  tipo  di  giuramento,  della  condanna 
del  canto  nelle  Chiese,  della  venerazione  di  immagini  e  della  stessa  croce, 
della  dedicazione,  consacrazione  delle  Chiese  e  celebrazione  dei  loro  an- 
niversari, del  rifiuto  dei  cosiddetti  sacramentali,  della  sepoltura  eccle- 
siastica in  luogo  consacrato  a  tal  fine,  delle  indulgenze,  delle  scomuniche. 

Anche  linguisticamente  è  notevole  la  coincidenza  dell'insegnamento 
dell'articolo  sui  paramenti,  piia  ricco  però  nella  nostra  lista:  vi  si  riscon- 
tra la  parola  «  curvatura  »  che  nel  Glossarium  Mediae  et  infimae  latini- 
tatis  di  Charles  Du  Cange  è  detto  di  difficile  interpretazione:  «  Legendum 
forte  paraturam,  nisi  Curvaturae  nomine  intelligatur  pedum  episcopale 
incurvum  ».  Il  termine  è  Ietto  appunto  nell'elenco  degli  errori  dei  Val- 
desi, edito  dal  Gretser  e  potrebbe  effettivamente  voler  dire  «  verga  pa- 
storale ». 

La  presenza  di  questo  punto  della  condanna  dei  paramenti  vesco- 
vili in  due  diverse  liste  di  errori  valdesi  è  segno  di  una  sicura  sua  collo- 
cazione nell'insegnamento  valdese  del  '300  (la  lista  è  databile  nella  fine 
del  secolo,  in  base  all'età  del  manoscritto  che  la  contiene)  nel  quadro 
della  critica  alla  composita  liturgia  cattolica  e  al  desidero  di  una  sem- 
plificazione di  essa.  Non  si  condanna  la  dottrina  romana  ma  la  struttura 
del  culto  romano,  come  risulta  evidente  nella  serie  di  errori  raccolti  nel- 
la lista  di  Pelplin  che  conclude  in  forma  simile  a  quella  della  serie  di 
Gretser-Werner-Holinka:  «  Item  quod  ilia  secta  sit  vera  et  unica  fides 
katholica  extra  quam  nullus  possit  salvari  ». 

La  fede  valdese  raccoglie  nella  sua  sostanza  l'unica  vera  dottrina 
cristiana  alla  quale  per  salvarsi  bisogna  aderire  esplicitamente  con  aper- 
ta professione  o  almeno  implicitamente,  quando  si  è  fuori  della  setta  (da 
parte  dei  cattolici  romani),  con  l'osservanza  della  vera  legge  di  Cristo. 

Insolita,  originale  anzi,  è  la  formazione  di  questa  lista  di  errori  che 
non  parte,  come  le  altre  liste,  dalla  condanna  esplicita  della  Chiesa  di 
Roma  o  dalla  credenza  dei  Valdesi  nell'autenticità  della  loro  missione 
di  pastori,  si  limita  invece  a  esprimere  ciò  che  i  Valdesi  condannano  nel- 
la realtà  operativa  della  Chiesa  di  Roma:  indulgenze,  scomuniche,  pur- 
gatorio, culto  dei  santi  e  venerazione  di  immagini  e  croce,  liturgia  ecces- 
siva, benedizione  alle  cose  e  nella  sepoltura,  liceità  del  giuramento  e  del- 
l'omicidio legale,  venialità  della  menzogna. 


(15)  Jacobi  Gretseri,  Opera  omnia,  tomo  XII,  Lutherus  Academicus  et  Walden- 
ses,  Ratisbonae  sumptibus  Conradi  Peez,  1738,  pp.  95-96. 

(16)  E.  Werner,  op.  cit.,  pp.  267-271. 

(17)  Holinka,  op.  cit.,  pp.  176-179. 


42 


ROMOLO  CEGNA 


Si  rispecchia  la  situazione  della  fine  del  '300  in  una  zona  della  Pome- 
rania,  cioè  quella  documentata  dai  processi  del  Brandeburgo  e  Stettino 
editi  dal  Kurze  nell'opera  citata.  Valga  come  esempio  di  corrispondenza 
la  deposizione  di  Cune  Corrado  di  Grifenhagen  oggi  Gryfino,  a  una  de- 
cina di  chilometri  a  sud  di  Stettino  (Szczecin)  sui  confini  nella  Polonia 
nord-ovest:  «  Interrogatus  an  eciam  invocaverit  beatam  Virginem  Ma- 
riam  et  alios  sanctos  in  patria  et  crediderit  se  per  oraciones  eorum  adiu- 
vari,  respondit  quod  invocaverit,  attamen  crediderit  heresiarcarum  per- 
suasionibus,  eis  non  eos  debere  invocare,  quia  pieni  essent  gaudio,  quod 
non  oportet.  Interrogatus  an  oraverit  pro  animabus  defunctorum  fide- 
lium,  respondit  quod  non,  quia  dixerint  ei,  quod  non  essent  nisi  due  vie 
post  hanc  vitam  et  non  purgatorium...  Interrogatus  an  crediderit  sectam 
suam  fuisse  veram  fidem  katholicam,  extra  quam  nullus  salvaretur,  re- 
spondit quod  sic,  quia  hoc  dixerunt  eis  heresiarce  ». 

L'interrogatorio  (18)  è  del  22  novembre  1399  svolto  su  articoli,  come 
chiarisce  il  verbale:  «  Ad  alios  articulas  inquisitor  transiit  »  (19). 

Il  9  dicembre  dello  stesso  anno  un  certo  Giacomo  Welsaw  depone: 
scherzando  un  poco  con  i  Maestri  valdesi  («  quod  semel  iocose  dixerit  ») 
aveva  detto  che  i  loro  sermoni  gli  piacevano  «  quoniam  non  darent  in- 
dulgencias  »  e  quelli  risposero  «  quod  dimittere  peccata  essent  indul- 
gencie  »  (20). 

L'indulgenza  è  quindi  intesa  come  assoluzione  dai  peccati,  con  rife- 
rimento al  perdono  dato  unicamente  e  direttamente  da  Dio,  in  seguito 
a  vero  pentimento  e  penitenza:  appunto  «  Dall'indulgenza  »  sarà  chia- 
mato nel  Libro  espositivo  delle  dottrine  valdesi  e  nel  Trésor  e  lume  de 
fe,  il  capitolo  sulla  assoluzione  dai  peccati  (21).  Margaritha  il  26  gennaio 
1393  depone:  «  ...et  omne  iuramentum  crediderit  esse  mortale  pecca- 
tum...  et  maleficos  occidentes  eciam  iucialiter  reputaverit  dampnandos, 
si  non  peniterent  »  (22).  Sybe  Hutvilter  di  Barenwàlde  (oggi  villaggio  di 
Bincze,  nel  Nord-Ovest  della  Polonia,  attorno  a  Czuchòw,  a  metà  strada 
tra  Stettino  e  Danzica)  depone  il  26  gennaio  1393:  «  Interrogatus  an  can- 
tum  ecclesiasticum  crediderit  magis  valere  quam  simpliciter  sub  silen- 
cio  celebrari,  respondit  quod  audiverit,  quod  melius  esset  sub  silencio 
fieri  »  (23). 

Tyless,  moglie  di  Hans  Sleyke  di  Fredewalde  (in  quel  di  Templin 
nella  Repubblica  Democratica  Tedesca,  al  sud  estremo  del  Nuovo  Bran- 
deburgo, a  un  centinaio  di  chilometri  a  sud-ovest  di  Stettino)  depone  il 
27  gennaio  dello  stesso  anno:  «  interrogata  de  indulgenciis  an  crediderit 
esse  utiles,  respondit  quod  non  quia  dixerint  excogitatum  propter  ava- 
riciam  clericorum,  et  de  excommunicationibus  similiter  »  (24). 


(18)  D.  Kurze,  op.  cit.,  pp.  79-80. 

(19)  Luogo  cit. 

(20)  D.  Kurze,  op.  cit.,  p.  96. 

(21)  Ved.  R.  Cegna,  Introduzione  cit. 

(22)  D.  Kurze,  op.  cit.,  p.  117. 

(23)  D.  Kurze,  op.  cit.,  p.  120. 

(24)  D.  Kurze,  op.  cit.,  p.  124. 


IL  VALDISMO  MEDIEVALE  COME  RELIGIONE  PENITENZIALE 


43 


Caterina,  moglie  di  Heyne  Frieze  di  Gunterberg  (attorno  ad  Anger- 
munde  nella  Repubblica  Democratica  Tedesca,  a  metà  strada  tra  Stetti- 
no e  Berlino)  depone  il  28  gennaio:  «  ...et  quod  aqua  benedicta,  sai,  ci- 
neres,  etc.  esset  infidelitas  et  quod  presbiteri  excogitassent,  et  hoc  credi- 
derit.  Item  cantum  ecclesiasticum  et  pulsus  dixerit,  presbiteros  per  hoc 
pervertere  mundum  et  melius  facere  sub  silencio  celebrare,  et  quod  nul- 
lum esset  orandum  quam  Pater  Noster...  »  (25). 

Le  citazioni  potrebbero  continuare. 


5.  La  sostanza  degli  articoli  valdesi  della  nostra  lista,  che  rispecchia 
la  situazione  del  Valdismo  della  seconda  metà  del  '300  delle  zone  indi- 
cate, è  in  sintonia  con  la  lista  di  cui  si  è  detto,  edita  tra  l'altro  dal  Wer- 
ner e  datata  con  il  1  settembre  1391,  attribuibile  a  un  inquisitore  vicino 
a  Pietro  Pilichsdorf  o  meglio  a  Peter  Zwicker  della  seconda  metà  del  '300, 
bene  informati  sui  Valdesi  della  Marca  del  Brandeburgo  e  Pomerania 
e  Austria  (26),  secondo  la  polemica  antivaldese  del  Tractatus  Petri  de 
Pilichsdorf  contra  heresiam  Waldensium  attribuibile  al  ricordato  Pietro 
Zwicker,  provinciale  dell'Ordine  dei  Celestini,  organizzatore  dell'Inquisi- 
zione a  Stettino,  Brandeburgo  e  Pomerania  nel  1392-1394  (27).  Tuttavia 
la  novità  essenziale  della  lista  di  articoli  valdesi  del  codice  di  Pelplin  è 
l'impostazione,  il  significato  dato  a  tutta  la  dottrina  valdese,  con  l'intro- 
duzione di  un  nuovo  articolo  che  non  compare  in  nessuna  altra  lista, 
proposto  in  prima  posizione:  «  Preghiere,  digiuni,  elemosine,  celebrazio- 
ni, qualsiasi  altra  opera  di  quelle  buone  devono  essere  fatte  a  lode,  glo- 
ria e  onore  del  solo  Dio  e  non  della  beata  e  intemerata  Maria,  Genitrice 
di  Dio  né  di  alcun  santo  ». 

Nei  processi  di  Stettino  si  ha  una  significativa  deposizione  di  Sybe 
Hutvilter,  già  sopra  ricordata,  il  quale  afferma:  «  Interrogatus  quid  fue- 
rint  doctrine  eorum  de  invocacione  sanctorum,  respondit,  quod  fecerint 
eum  ieiunare...  ad  laudem  Dei...  et  quod  ieiunaverit  apostolis  suis  Sy- 
mone  et  Juda  et  aliis  ad  laudem  solius  Dei  et  non  sanctorum...  »  (28). 
Nella  lista  di  Olomouc  si  legge  nella  penultima  posizione:  «  Item  déri- 
dent Christianos  qui  eligunt  sibi  apostolos...  et  qui  vigilias  sanctorum 
ieiunant  et  festa  celebrant  et  si  ipsis...  similia  faciunt  et  dicunt  se  hoc 
solum  ad  laudem  Dei  et  non  sanctorum  facere  »  (29). 

L'inquisitore  che  ha  redatto  la  lista  di  Pelplin  ha  voluto  sottolineare 
il  prevalente  carattere  penitenziale  del  Valdismo,  dogmaticamente  alli- 
neato con  la  Chiesa  di  Roma,  disciplinarmente  però  all'opposizione.  I 
Maestri  Valdesi  predicano  quindi  la  religione  della  penitenza,  della  re- 
missione dei  peccati  che  si  ottiene  con  il  pentimento,  la  confessione  dei 
peccati,  il  compimento  delle  opere  buone  come  preghiera,  elemosina,  di- 

(25)  D.  KURZE,  op.  cit..  p.  131. 

(26)  D.  KuRZE,  op.  cit.,  p.  131. 

(27)  D.  KuRZE,  op.  cit.,  pp.  5  seguenti;  il  Tractatus  dello  Pseudo-Pilichdorf  tro- 
vasi edito  in  Gretser,  Opera  omnia,  t.  XII,  Ratisbona,  pp.  50-87. 

(28)  D.  KuRZE,  op.  cit.,  p.  120. 

(29)  E.  Werner,  op.  cit.,  p.  270. 


44 


ROMOLO  CEGNA 


giuno.  Tutto  è  ovviamente,  direttamente  rivolto  a  Dio,  non  alla  celebra- 
zione dei  santi. 

I  processi  di  Stettino  presentano  la  penitenza  come  il  momento  es- 
senziale dell'atto  di  fede  valdese:  i  Maestri  itineranti  infatti  confessano, 
ma  i  fedeli  sanno  che  non  si  tratta  di  sacramento,  per  il  quale  continua- 
no a  rivolgersi  al  prete  cattolico,  debitamente  consacrato  dal  Vescovo. 
Presso  i  Maestri  si  ha  una  esplicazione  di  penitenza  con  la  quale  si  ottie- 
ne la  remissione  dei  peccati,  compiuta  nella  denuncia  al  maestro  in  se- 
greto dei  proprii  peccati  e  del  compimento  di  digiuni  e  preghiere  ed 
elemosine.  Pur  con  sfumature  di  differenze  nelle  varie  esposizioni,  rima- 
ne illuminante  quella,  sopra  citata,  di  Cune  Corradi: 

Et  sic  primo  venit  ad  confessionem  heresiarce  in  domo  paterna,  cum  esset 
annorum  12  et  iam  sit  bene  in  etate  40  annorum...  denuo  revocatus  est  ad  sectam 
quod  sunt  iam  anni  18,  in  quibus  ipse  confessas  est  in  anno  ad  minus  semel  et  ali- 
quando  bis  in  domo  ipsius  et  aliquando  hic  circa  Stetyn  in  domo  Hans  Gudynger. 
Interrogatus  quales  reputaverit  eos  puta  confessores  eosdem  seu  heresiarcas, 
respondit  quod  sanctos  homines  loco  apostolorum  ambulantes,  sed  non  reputaverit 
eos  presbiteros  unquam.  Interrogatus  quid  iniunxerint  ei  pro  penitencia,  respondit 
aliquot  dies  ad  ieitmandum,  10  vel  20  eciam  in  pane  et  aqua  et  aliquando  in  cervisia 
et  pane  et  ad  oratidum  50  Pater  noster  in  omni  die  et  dominicis  centum...  et  quod 
tenuerit  iiiam  peniteiìciam  et  crediderit  se  absolutum  et  penitenciam  sibi  proficere 
ad  salutem.  Interrogatus  an  eciam  confessus  sit  sacerdotibus  ecclesie  e*,  suscepe- 
rit  corpus  Christi,  respondit  quad  sic  omni  anno,  sed  non  revelaverit  se  esse  in 
secta  quia  prohibitus  (30). 

Confessione  sacramentale  e  penitenza  con  ugual  potere  di  assoluzio- 
ne o  indulgenza  dei  peccati  (come,  si  è  visto  sopra,  predicano  i  Maestri 
valdesi)  fan  parte  della  pratica  regolare  di  questa  religione  valdese  che 
non  ha  bisogno  di  insistere  su  una  dogmatica  conosciuta  dai  fedeli  nella 
consueta  frequenza  della  predicazione  cattolica  ma  piuttosto  ripulisce 
la  professione  di  fede  dalle  molteplici  consuetudini  superstiziose  legate 
a  quell'altra  religione  popolare  che  prospera  sotto  lo  sguardo  compia- 
cente del  parroco  o  del  plebano.  In  queste  superstizioni  o  aberranze  sta 
tutto  ciò  che  si  è  accumulato  fuori  della  professione  di  fede  di  Valdo, 
che,  bisogna  ricordare,  ha  trovato  la  sua  enunciazione  nei  sette  articoli 
di  fede.  Per  quanto  riguarda  in  particolare  la  penitenza  Valdo  aveva  sot- 
toscritto: «  Peccatoribus  corde  penitentibus  et  ore  confitentibus  et  opere 
secundum  scripturas  satisfacientibus  veniam  a  Deo  posse  consequi  con- 
cedimus  »  (31).  Secondo  l'intenzione  di  chi  accoglieva  nel  1180  tale  pro- 
fessione, cioè  il  Legato  pontificio,  le  parole  si  riferivano  al  sacramento 
ma,  in  un  atteggiamento  iniziale  di  Valdo  di  predicazione  pauperistica  e 
penitenziale,  nella  sua  opposizione,  particolarmente  in  questi  atteggia- 
menti, al  Catarismo,  si  deve  pensare  che  egli  intendesse  la  penitenza  nel 
senso  anche  più  ampio. 


(30)  D.  KURZE,  op.  cit.,  pp.  79-80. 

(31)  Edizione  critica  in  K.-V.  Selce,  Die  ersten  Waldenser,  Berlin  1967,  II,  p.  4. 


IL  VALDISMO  MEDIEVALE  COME  RELIGIONE  PENITENZIALE 


45 


6.  La  tradizione  valdese  portò  nel  campo  della  penitenza  a  una  dico- 
tomia: confessione  come  sacramento  e  penitenza  come  confessione.  Nel 
Trecento  il  fatto  è  chiaro,  si  è  visto.  Ma  nel  '400,  come  si  comportò  il  Val- 
dismo?  Una  risposta  si  può  avere  dalla  ricca  letteratura  valdese  elabo- 
rata e  prodotta  lungo  il  secolo  XV  in  parte  a  noi  giunta.  Non  si  può  fare 
un  diretto  confronto  con  la  letteratura  valdese  del  '300  in  gran  parte  di- 
strutta, di  cui  c'è  rimasta  solo  la  cosiddetta  narrazione  della  Régula  val- 
densium  e  l'epistolario  tra  Valdesi  italiani  e  Valdesi  austriaci,  produ- 
zione che  risale  agli  anni  attorno  al  1368,  ben  conosciuta  da  parte  dei 
polemisti  cattolici  e  inquisitori  della  fine  del  '300  (32)  che  la  indicano 
come  il  «  liber  electorum  »  scritto  da  uno  «  storiographus  »  (33). 


7.  Quanto  si  è  detto  sull'anima  penitenziale  del  Valdismo  del  '300 
è  però  sufficiente  per  rendersi  conto  che  il  Manuale  catechetico  valdese 
del  '400  (34)  è  fedele  alla  tradizione  valdese  quando  presenta,  nell'ambi- 
to del  capitolo  dei  Sacramenti,  la  Penitenza  e  confessione  (su  testo  lega- 
to ad  opere  del  vescovo  taborita  Nicola  Biskupec  di  Pehlfimov)  e  d'altra 
parte  si  diffonde  in  uno  speciale  capitolo  a  parlare  della  Penitenza,  con- 
servando il  rispetto  alla  dicotimia  che  è  propria  non  solo  del  Valdismo, 
ma  anche  della  più  autentica  tradizione  cristiana  da  Agostino  in  poi. 

Se  vogliamo  porci  il  problema  delle  fonti  dei  temi  trattati  nella  Pe- 
nitenza valdese  del  Libro  espositivo  e  del  Trésor  e  lume  de  je  dobbiamo 
infatti  ricordare  quanto  sulla  penitenza  abbiano  scritto  i  grandi  dottori 
della  Chiesa,  tra  cui  Ambrogio  e  Agostino. 

L'idea  fondamentale  che  regge  in  particolare  l'ideologia  penitenziale 
agostiniana,  che  così  si  trasmette  alla  tradizione,  è  il  riferimento  a  quan- 
to insegna  il  capitolo  VI  di  Matteo  in  cui  Cristo  insegna  che  la  giustizia 
per  la  salvezza  spirituale  si  realizza  in  elemosina,  preghiera  e  digiuno, 
che  vengono  presentate  come  le  forme  in  cui  si  attua  l'insegnamento  fon- 
damentale che  inaugura  il  Vangelo:  «  Fate  penitenza  »  (Matteo  4,  17). 


8.  La  letteratura  ussita  e  taborita  volle  dare  spazio  agli  insegnamen- 
ti penitenziali  secondo  la  tradizione  di  Agostino  e  Ambrogio  completati 
coi  riferimenti  penitenziali  di  Gregorio  Magno  (35)  e  di  ciò  che  insegna 
il  cosiddetto  Opus  imperjectum  dello  Pseudo-Crisostomo,  dove,  appunto 
nella  molto  utilizzata  omelia  15  a  commento  del  capitolo  VI  di  Matteo, 


(32)  Per  la  Régula  valdensium  vedasi  R.  Cegna,  Storiografia  ed  ecclesiologia  dei 
Maestri  Valdesi,  in  «  Bollettino  della  Società  di  Studi  Valdesi  »,  n.  135,  giugno  1974. 

(33)  Ved.  Anonimo,  Tractatus  contra  waldenses  et  libellum  cuiusdam  heretici: 
Quamvis  diversi  sunt  hereses  fidei  catholice  adversantes,  Codice  Aug.  48,  Landes- 
bibliothek,  Karlsruhe,  f.  329'  -  330-. 

(34)  Detto  da  Fra  Samuele  di  Cassine  Libro  espositivo,  sostanzialmente  corri- 
spondente al  Ms.  208  di  Ginevra  per  la  parte  rimasta  e  del  Trésor  e  lume  de  fe  del 
Manoscritto  C  5  22  di  Dublino;  ved.  R.  Cegna,  Fede  ed  etica  valdese  cit. 

(35)  Soprattutto  nelle  40  Omelie  sui  Vangeli,  P.L.  76,  1075-1312. 


46 


ROMOLO  CEGNA 


si  codifica  l'insegnamento  cristiano  nella  formula:  «  Item  omnium  hono- 
rum prima  et  fortiora  sunt  tria  bona,  elemosyna,  oratio  et  jeiunium  »  (36), 
con  riferimenti  anche  al  vero  Crisostomo  (IV  secolo)  e  in  particolare 
all'omelia  46  (37). 

Nel  settimo  secolo  Isidoro  di  Siviglia  compone  tra  l'altro  tre  lihri 
di  Sentenze,  opera  detta  poi  Summum  bonum  dal  suo  Incipit.  Si  tratta 
più  che  altro  di  una  raccolta  di  citazioni  prevalentemente  prese  da  Ago- 
stino e  Gregorio  che  ebbe  enorme  fortuna  nel  Medio  Evo  e  in  partico- 
lare presso  i  riformatori  ussiti  e  taboriti.  La  penitenza  è  trattata  indi- 
rettamente o  direttamente  in  alcuni  capitoletti  del  libro  II  e  III  (38).  Non 
fu  dimenticato  il  consigliere  di  Carlo  Magno,  capo  della  Scuola  palatina, 
abate  in  S.  Martino  di  Tours,  Alcuino,  che  scrisse  sulla  Penitenza  e  sulle 
opere  di  penitenza  tra  l'altro  nell'opuscolo  De  virtutibus  et  vitiis  li- 
ber (39).  Fu  Pietro  Lombardo  (+  1160)  a  fare  per  primo  un  discorso  com- 
pleto e  sintetico  sulla  penitenza,  base  di  ogni  commento  e  ampliamento 
posteriore,  nei  IV  Libri  sententiarum  e  precisamente  nel  IV  libro,  distin- 
zioni 14-22  (40). 

La  ricchezza  dell'insegnamento  medievale  sulla  penitenza  fu  raccol- 
ta dal  canonista  Graziano  nel  Decretum  (41).  Graziano  collocò  nella  se- 
conda parte  alla  questione  III  della  Causa  33  un  ampio  Tractatus  de 
poenitentia,  diviso  dopo  di  lui  in  sette  distinzioni  (42)  dove  leggiamo  la 
maggior  parte  tra  l'altro  dei  testi,  relativi  all'argomento,  dello  Pseudo- 
Agostino,  di  Girolamo,  Gregorio,  Isidoro,  dello  Pseudo-Crisostomo  e  di 
commenti  di  papi. 

Alcuni  temi  dei  canonisti  diverranno  presto  argomento  di  discussio- 
ni e  di  insegnamento  nella  riforma  boema:  ci  si  chiedeva  cosa  fosse  pe- 
nitenza vera,  quale  fosse  quella  falsa,  a  chi  ci  si  dovesse  confessare  e  so- 
prattutto quale  fosse  il  tempo  della  vera  penitenza,  vale  a  dire,  se  si  po- 
tesse diflFerire  pentimento  e  riparazione  dei  peccati  agli  ultimi  istanti  e 
se  ci  fosse  possibilità  di  penitenza  dopo  morte. 

Non  poteva  non  occuparsi  dell'importante  argomento  della  peni- 
tenza Roberto  Grossatesta  (+  1255),  cancelliere  all'università  di  Oxford 
e  dal  1235  vescovo  di  Lincoln  (per  cui  verrà  chiamato  Lincolniense  nelle 
citazioni  e  nei  riferimenti).  Zelantissimo,  egli  promosse  la  riforma  dei 
costumi  del  clero  e  fu  oppositore  estremo  degli  abusi  nella  concessione 
e  utilizzazione  di  più  «  benefici  ecclesiastici  »,  tanto  da  opporsi  allo  stes- 
so Papa  Innocenzo  IV  che  esigeva  un  canonicato  per  un  suo  nipote  nella 
Chiesa  di  Lincoln  (43).  Le  sue  opere,  in  gran  parte  inedite,  come  i  Dieta, 

(36)  P.G.  56,  715. 

(37)  Per  altri  numerata  47:  P.G.  58,  475-482. 

(38)  P.L.  83,  606-679. 

(39)  P.L.  101,  618-626. 

(40)  L'illustrazione  del  sacramento  della  confessione  o  penitenza,  P.L.  192, 
868-899. 

(41)  Concordantia  discordantium  canonum,  edizione  critica  nel  Corpus  Juris 
Canonici,  editio  lipsiensis  secunda  post  Aemilii  Ludovici  Richterì  curas  instruxit 
Aemilius  Friedberg,  l,  sull'edizione  del  1879,  rist.  anastatica,  Graz  1959. 

(42)  Fried.,  l,  1159-1247. 

(43)  HuRTER,  Nomenclator  litterarius  theologiae  catholicae,  Innsbruck  1906,  l\, 
330-333. 


IL  VALDISMO  MEDIEVALE  COME  RELIGIONE  PENITENZIALE 


47 


furono  utilizzatissime  per  il  loro  spirito  riformista  anticuriale  da  rifor- 
marsi come  Wyclif  (+  1384)  e  in  genere  dagli  operatori  ussiti  e  taboriti. 

Wyclif,  il  noto  riformatore  inglese  che  ispirò  il  cosiddetto  lollar- 
dismo  e  fu  maestro  amato  della  riforma  boema,  si  occupò  nel  suo  Tria- 
logo  soprattutto  della  critica  al  sacramento  della  confessione  che  si  era 
strutturato  nel  '200,  in  contrasto  con  la  precedente  tradizione,  in  con- 
fessione auricolare  segreta  del  singolo  penitente  al  singolo  sacerdote  (44). 
Nelle  sue  numerose  opere  non  dimenticò  ovviamente  il  problema  della 
penitenza  e  suggerì  una  formulazione  chiara  agli  stessi  prossimi  futuri 
riformatori  boemi  del  primo  '400  nel  suo  De  religione  privata  (45)  dove 
leggiamo:  «  ...deus  non  constituit  papam  vicarium  suum  ad  remittendum, 
scilicet  certa  remissione  penitenti  periodum  integri  sacramenti  peni- 
tencie.  Nec  obstat  huic  sententie  sed  consonat  cum  ea  quot  in  homine 
discreto,  dum  hic  vivit,  est  duplex  penitentia  que  consistit  in  ieiunio  et 
oracione  et  elemosina,  que  prudenter  a  sacerdote  ministrantur...  »  (46). 
L'ampia  utilizzazione  che  Wyclif  fece  di  Roberto  Grossatesta  favori  con 
l'ingresso  delle  sue  opere  in  Praga  anche  quello  del  Lincolniense  i  cui 
Dieta  e  Sermones  nella  sola  Biblioteca  Universitaria  di  Praga  si  trovano 
trascritti  in  ben  cinque  codici  di  origine  ussita  sicuramente  databili  tra 
i  primi  del  '400  e  il  1419. 

Il  Maestro  Giovanni  Hus,  bruciato  sul  rogo  a  Costanza  all'inizio  del 
luglio  1415,  su  condanna  dell'Assemblea  del  Concilio  di  Costanza,  verso 
il  1409  aveva  compiuto  il  suo  commento  al  quarto  libro  delle  Sentenze 
di  Pietro  Lombardo  e  dedicava  alcune  pagine  alla  confessione  e  peni- 
tenza (47).  Egli  conferma  la  dottrina  sulla  penitenza  proponendo  attor- 
no a  questo  tema  una  logica  concatenazione  di  insegnamenti:  «  Quot 
sunt  opera  satisfaccionis?  respondetur  quod  tria  principalia,  ad  que 
omnia  alia  reducuntur,  scilicet  elemosina,  oracio  et  ieiunium  »  (48). 

Nisola  della  Rosa  Nera,  del  gruppo  dei  Maestri  tedeschi  legati  al  mo- 
vimento di  Hus,  dedicò  al  problema  della  confessione  e  della  penitenza 
con  prospettive  originali,  ricche  di  documentazione  canonista,  una  parte 
degli  inediti  Puncta  (49)  e  un  accenno,  coi  riferimenti  ai  Puncta,  nel  com- 
mento alla  quarta  domanda  del  Pater  Noster,  a  proposito  dell'accidia, 
quando  parla  della  penitenza  ritardata  alla  fine  della  vita  (50). 

Venendo  da  questa  scuola,  nello  spirito  del  radicalismo  taborita  ma 
con  rispetto  alla  struttura  gerarchica  della  Chiesa  e  alla  sua  essenza  sa- 
cramentaria, Nicola  Biskupec  di  Pelhì'imov  negli  anni  venti  del  '400  si 
occupò  della  penitenza  e  della  confessione  ed  elaborò  scritti  vari.  Questi 
furono  perduti  o  distrutti  al  tempo  della  persecuzione  di  Giorgio  Po- 


(44)  John  Wyclif,  Triologus  cum  supplementum  Triologi,  ed.  Gotthardo  Lechler, 
Oxford  1869,  pp.  326-333. 

(45)  In  Polemical  Works  in  Latin,  edite  da  Rudolf  Buddensieg,  II,  London  1883. 

(46)  Wyclif,  op.  cit.,  pp.  511-512. 

(47)  G.  Hus,  Super  IV  Sententiarum,  ed.  Vaclav  FlajShans,  Praha  1906,  pp. 
588-630. 

(48)  Op.  cit.,  p.  594. 

(49)  Ms.  IV  G  15  della  Biblioteca  Universitaria  di  Praga,  ff.  32v  -  43v. 

(50)  Super  Pater  Noster,  Ms.  cit.,  f.  73v. 


48 


KOMOLO  CEGMA 


dëbrad  (51)  ma  il  vescovo  taborita  li  aveva  già  utilizzati  nella  Confessio 
Taboritarum  nel  1431-1434. 


9.  Edouard  Montet  {Histoire  littéraire  des  Vaudois  du  Piémont,  Pa- 
ris 1885)  aveva  già  attirato  l'attenzione  sul  Trattato  della  penitenza  val- 
dese nelle  sue  cinque  redazioni:  corta  (Codice  207  di  Ginevra),  lunga  (Co- 
dice 208  di  Ginevra,  col  nostro  Libro  espositivo,  e  Codice  5.  22  di  Dubli- 
no, nel  Trésor  e  lume  de  fe)  e  ridotta  (Codice  209  di  Ginevra  e  DD  XV  32 
di  Cambridge).  Nella  introduzione  all'edizione  del  manoscritto  di  Gine- 
vra 209  (52)  Annabella  Degan  Checchini  prende  atto  che  «  questo  tema 
(il  tema  penitenziale)  doveva  essere  particolarmente  caro  ai  Maestri  Val- 
desi »  (53),  data  la  presenza  di  trattati  su  di  essa  in  molti  codici  valdesi 
e  aggiunge  ai  codici  citati  dal  Montet  il  ms.  234  della  Biblioteca  Muni- 
cipale di  Digione  (Ara  diren  de  la  penitencia  vera  et  de  la  falsa,  ff.  8a  -  15b, 
analogo  al  207  di  Ginevra)  e  il  codice  C  5  26  (ff.  103b  -  105a)  di  Dublino 
dove,  dice  l'Autrice,  si  ha  «  un  frammento  di  3  pagine  sotto  il  titolo  cor- 
rente de  la  penitencia,  che  non  ha  però  alcun  rapporto,  a  parte  la  con- 
sonanza del  titolo,  con  il  testo  »  della  Penitenza  dei  Manoscritti  ginevri- 
ni e  di  altri  da  lei  esaminati.  Osservo  che  si  tratta  invece  di  due  Sermoni, 
di  origine  ussita:  il  primo  è  su  Gioele  2,  12-13  «  Nunc  ergo,  dicit  Domi- 
nus,  convertimini  ad  me  in  toto  corde  vestro,  in  ieiunio  et  in  fletu  et  in 
planctu  et  scindite  corda  vestra  et  non  vestimenta  vestra  »  (ff.  103v  - 
105r),  l'altro  su  Matteo  6,  16  «  Cum  autem  ieiunatis  nolite  fieri,  sicut  hy- 
pocrite, tristes  »  (la  prima  parte  è  penitenziale,  ff.  105r  -  106r;  la  seconda 
parte  ff.  106r  -  107r  commenta  Matteo  6,  19  «  Nolite  thesaurizare  vobis 
thesauros  in  terra  ecc.  »). 

A  proposito  dei  due  sermoni  non  è  possibile  accettare  la  conclusio- 
ne della  Degan  Checchini  che  essi  non  abbiano  niente  in  comune  con  i 
contenuti  degli  altri  trattati  penitenziali,  poiché  vi  troviamo  motivi  pro- 
pri della  meglio  conosciuta  trattatistica  penitenziale  valdese:  impegno 
di  non  differire  la  penitenza  (f.  103v  -  104v),  conversione  con  digiuni,  la- 
crime e  contrizione  di  cuore  contro  cupidigia  carnale,  avarizia  e  super- 
bia (ff.  104v  -  105r),  quattro  condizioni  del  buon  digiuno  che  sono  vera 
penitenza,  retta  intenzione,  integrità  e  completezza,  accompagnato  da 
digiuni  ed  elemesine  (f.  106r).  I  sermoni  che  seguono  si  intonano  a  quel 
futuro  al  quale  ci  prepariamo  con  la  penitenza. 


10.  Il  sermonario  raccolto  nel  Codice  C  5  22  denuncia  evidenti  deri- 
vazioni da  una  scelta  fatta  da  una  colletta  di  sermoni  proveniente  da 
qualche  circolo  taborita  e  chi  ha  scelto,  in  apparente  disordine,  alcuni 

(51)  Circa  la  distruzione  degli  scritti  taboriti  e  in  particolare  di  quelli  di  Nicola 
Biskupec  vedasi  riferimento  in  A.  MolN/<r,  O  tàborském  pisemnictvi,  in  «  Husitsky 
Tabor»,  II,  1979,  p.  18. 

(52)  //  Vergier  de  cunsollacion  e  altri  scritti,  Torino,  Claudiana,  1979. 

(53)  Ed.  cit.,  p.  XXV. 


IL  VALDISMO  MEDIEV  ALE  COME   RELIGIONE  PENITENZIALE 


49 


testi,  rivela  con  questa  scelta  di  voler  predicare  il  bisogno,  la  necessità 
della  penitenza,  secondo  lo  spirito  dell'insegnamento  valdese  da  Valdo 
in  poi,  confermato  in  particolare  nel  '300  anche  dal  primo  articolo  della 
lista  degli  articoli  valdesi  di  Pelplin  (54).  Si  modifica  tuttavia  profonda- 
mente l'atteggiamento  nei  riguardi  della  ricca  tradizione  letteraria  di 
padri  e  dottori  della  Chiesa,  che  viene  non  respinta  ma  recepita,  assieme 
all'Opus  imperi ectum  dello  Pseudo-Crisostomo,  a  Grossatesta  e  a  Wy- 
clif,  attraverso  l'utilizzo  che  ne  aveva  fatto  la  letteratura  ussita-taborita. 

Varsavia,  agosto  1980. 

ROMOLO  CEGNA 


(54)  Rinvio,  per  una  più  ampia  illustrazione  della  letteratura  penitenziale  val- 
dese del  '400  all'introduzione  al  secondo  volume,  in  preparazione,  R.  Cegna,  Fede  ed 
etica  valdese  II  [purgatorio,  penitenza,  preghiera,  digiuno-elemosina,  invocazione 
dei  santi,  p>otere  della  Chiesa,  indulgenze]. 


Ricerche  recenti  su  Juan  de  Valdés 
e  il  valdesianismo  in  Italia 


Lo  spunto  per  questa  mia  rassegna  mi  è  stato  offerto  dalla  stampa 
della  prima  edizione  spagnola  dell'opera  di  José  Costantino  Nieto,  ap- 
parsa lo  scorso  anno  con  il  titolo:  Juan  de  Valdés  y  los  origines  de  la 
Reforma  en  Espana  e  Italia  (México-Madrid-Buenos  Aires  1979). 

Questa  edizione  segue  la  prima  edizione  in  lingua  inglese,  apparsa 
nel  1970.  Essa  tiene  conto  del  dibattito  culturale  che  ne  è  seguito  e  dei 
nuovi  contributi  sull'argomento.  Inoltre  è  corredata  di  un'importante 
Appendice  di  saggi,  complementari  all'opera,  pubblicati  da  Nieto  in 
questi  ultimi  anni.  All'apparire  dell'edizione  del  '70  Marcel  Bataillon 
ne  sottolineò  la  novità  dell'interpretazione  del  pensiero  del  Valdés  e  si 
domandava,  a  conclusione  della  sua  recensione  sulla  «  Bibliothèque 
d'Humanisme  et  Renaissance  »,  XXXV,  1973:  «  L'important  ouvrage  de 
J.  C.  Nieto  aurait-il  ouvert  une  crise  dans  les  études  valdésiennes?  ». 

Purtroppo  di  questa  svolta  nella  storiografia  valdesiana  si  è  avuta 
in  Italia  una  scarsa  consapevolezza.  Se  si  eccettua  l'ottima  recensione 
di  Massimo  Firpo  sulla  «  Rivista  storica  italiana  »  del  '72,  le  reazioni 
nel  nostro  ambiente  culturale,  dominato  ancora  dalle  interpretazioni  di 
E.  Cione  e  di  frate  Domingo  di  Santa  Teresa,  furono  modeste. 

Occorre  pertanto  richiamare  qui,  molto  brevemente,  l'interpreta- 
zione di  Nieto.  Valdés  non  è  un  mistico  e  nulla  ha  a  che  fare  con  la  mi- 
stica spagnola  o  con  quella  tedesca  di  Tauler  e  di  maestro  Eckhart; 
non  è  neppure  uno  spiritualista  nel  significato  di  assertore  di  una  reli- 
gione dello  spirito  disancorata  da  una  precisa  dottrina.  E'  un  teologo. 
La  sua  teologia  ha  come  punto  di  partenza  l'insegnamento  dello  alum- 
brado  Pedro  Ruiz  de  Alcaraz,  da  lui  ascoltato  giovinetto  ad  Escalona 
mentre  dimorava  presso  il  marchese  di  Villena.  In  questa  nuova  pro- 
spettiva l'A.  è  stato  aiutato  dalle  indagini  di  Angela  Selke  de  Sanchez 
Barbudo,  che  ha  studiato  il  processo  inedito  dell'Inquisizione  spagnola 
contro  Pedro  Ruiz  del  1524-29  e  ne  ha  messo  in  evidenza  l'originalità 
teologica  rispetto  al  movimento  degli  alumbrados,  la  scarsa  parentela 
con  la  letteratura  mistica  e  la  vicinanza  alla  dottrina  della  giustifica- 
zione per  la  sola  fede  di  Lutero.  La  formula  riassuntiva  della  sua  teo- 
logia è  la  seguente:  «  dejamiento  o  dejarse  al  amor  de  Dio  ».  Quando 
Dio  nella  sua  libertà  sovrana  concede  il  suo  amore  all'uomo,  costui  è 
salvato,  nonostante  il  permanere  in  lui  del  peccato.  Da  questa  giustifi- 


52 


SALVATORE  CAPONETTO 


cazione  discendono  la  negazione  delle  opere  e  delle  devozioni,  la  nega- 
zione dello  stato  ecclesiastico  e  della  realtà  di  Cristo  nel  sacramento 
dell'eucarestia. 

Valdés  ha  subito  una  profonda  influenza  di  questo  insegnamento 
e,  sebbene  non  sii  debba  sottovalutare  la  fase  erasmiana  nel  periodo  di 
studio  trascorso  nella  capitale  della  cultura  spagnola  ad  Alcalâ  de  He- 
nares,  quell'insegnamento  costituì  il  binario  della  futura  riflessione  teo- 
logica. Pur  tenendo  conto  del  simbolismo  religioso  derivato  dall'Alca- 
raz,  i  capisaldi  della  sua  teologia  (l'elezione  divina  del  credente,  la  giu- 
stificazione per  la  sola  fede  nel  «  benefìcio  di  Cristo  »,  la  pietà  come 
frutto  della  giustificazione,  il  governo  dello  Spirito  Santo  dato  al  cre- 
dente), formulati  in  un  linguaggio  originale,  sono  molto  vicini  a  quelli 
della  Riforma,  particolarmente  di  Lutero  e  di  Calvino.  Nieto  ritiene 
che  il  riformatore  spagnolo  sia  pervenuto  in  modo  indipendente  a  que- 
ste conclusioni,  ma  mi  pare  impossibile  che  egli  non  sia  stato  influen- 
zao  dalla  lettura  di  Lutero  e  di  Melantone  e  forse  dello  stesso  Calvino. 
Delio  Cantimori  in  un  profilo  del  1961,  pubblicato  postumo,  .scriveva: 
Valdés  «  seppe  inserire  il  suo  rifiuto  della  tradizione  dogmatica  catto- 
lica e  la  sua  propaganda  per  le  dottrine  luterane  in  quel  movimento 
di  ritorno  alla  pratica  e  alla  fede  dell'età  evangelica  e  di  quella  aposto- 
lica, che  viene  chiamato  evangelismo  e  che  non  ha  nulla  di  eterodosso  » 
{Umanesimo  e  religione  nel  Rinascimento,  Torino  1975,  p.  197). 

Ma  allora  —  ci  si  domanda  —  in  che  consiste  il  preteso  spirituali- 
smo del  Valdés,  avvicinato  a  Sebastian  Franck  da  Edmondo  Clone  nel 
saggio  del  1938,  ancora  di  recente  riaffermato  dal  Bakhuizen  e  divenuto 
il  cavallo  di  battaglia  di  Tommaso  Bozza  per  negare  ogni  legame  del 
Benefìcio  di  Cristo  con  il  pensiero  valdesiano?  Consiste  soprattutto 
nella  lettura  delle  Considerazioni  III,  XXXII  e  LXIII,  le  quali  in  forma 
allegorica  e  simbolica  affermano  la  superiorità  dell'ispirazione  dello 
Spirito  santo  sulla  Sacra  Scrittura. 

A  parte  il  fatto  che  al  di  là  dell'arditezza  delle  immagini  (la  Scrit- 
tura è  paragonata  a  un  alfabeto  per  i  principianti  nella  conoscenza  del- 
la vera  pietà  o  a  una  candela,  la  cui  luce  è  superata  dalla  luce  del  sole, 
cioè  dallo  Spirito  santo)  se  ne  può  fare  una  diversa  lettura  mettendole 
a  raffronto  con  altri  testi  più  chiari  sul  rapporto  Sacra  Scrittura  e  illu- 
minazione dello  Spirito  santo,  è  stato  un  errore  grossolano  di  metodo 
enucleare  dal  pensiero  di  una  personalità  così  complessa  e  che  ha  su- 
bito l'influenza  di  ambienti  diversi  dalla  Spagna  all'Italia,  queste  tre 
Considerazioni  e  averne  fatto  la  chiave  di  lettura  di  tutte  le  altre  Consi- 
derazioni e  di  tutta  la  teologia  valdesiana. 

Dal  punto  di  vista  concettuale  in  queste  Considerazioni,  al  di  là  del 
linguaggio  alumbrado  dell'Alcaraz,  non  vedo  una  sostanziale  differenza 
con  i  tre  gradi  della  fede,  dei  quali  Lutero  ci  parla  in  una  predica  del 
1516.  citata  da  Walther  von  Loewenich  nella  sua  classica  opera  Luthers 
teologia  crucis.  In  questa  predica  sulla  guarigione  del  figlio  dell'ufficia- 
le reale  (Giov.  4:  43-54)  Lutero  distingue^re  gradi  della  fede:  incipiens, 
proficiens,  perfecta.  La  prima  nasce  dalla  vista  dei  segni  o  dei  mira- 
coli; la  seconda  per  mezzo  della  parola  di  Cristo  (nudo  verbo  sine  ope- 


RICERCHE  RECENTI  SU  JUAN  DE  VALDÉS 


53 


ra);  la  terza  «  non  ha  più  bisogno  del  ver  bum  externum,  è  la  stabile 
prontezza  interiore  a  compiere  la  volontà  di  Dio  ».  Nessuno  certo  si  so- 
gnerà mai  di  pensare  che  qui  il  grande  teologo  della  Parola  intendesse 
screditarla  per  affermare  la  superiorità  dello  spirito  umano,  sia  pure 
illuminato  da  Cristo. 

L'illuminazione  dello  Spirito  santo  —  come  ha  ben  chiarito  Nieto 
—  è  un  aspetto  della  dottrina  della  giustificazione  e  della  rigenerazione 
e  non  si  comprende  al  di  fuori  del  quadro  soteriologico.  Valdés  non  è 
un  mistico  in  quanto  non  ha  mai  parlato  di  rivelazioni  private,  né  del- 
l'anima che  attinge  direttamente  il  divino,  ma  di  un'esperienza  esisten- 
ziale nella  quale  il  credente  realizza,  attraverso  la  parola  di  Dio  e  la 
preghiera,  il  governo  dello  Spirito  santo.  La  sua  accentuazione  sulla 
fede  ispirata  da  Cristo  è  polemica  contro  il  letteralismo  biblico  dei  ri- 
formatori e  contro  la  «  fede  istorica  »  di  chi  conosce  il  fatto  di  Gesù 
Cristo  ma  non  ha  fiducia  nelle  sue  promesse. 

Vi  è  poi  un  ultimo  arogmento  decisivo  non  sfruttato  da  Nieto.  Se 
la  tendenza  illuministica  fosse  una  divaricazione  dal  fondamentale  pen- 
siero valdesiano,  ci  si  dovrebbe  domandare  se  la  si  ritrovi  nell'ultima 
opera  dello  spagnolo,  che  è  il  commento  all'Evangelo  di  san  Matteo. 
Questo  commento  è  preceduto  da  un  Proemio  de  los  Evangelios,  indi- 
rizzato a  Giulia  Gonzaga,  dove  l'A.  informa  il  lettore  di  avere  lasciato 
oer  ultimo  questo  commento,  dopo  quello  ai  Salmi  e  alle  epistole  pao- 
line,  per  comprendere  meglio  le  parole  di  Gesù  Cristo.  Ebbene  proprio 
qui,  nel  maturo  Valdés,  anche  quando  il  testo  lo  solleciti,  come  nel  caso 
di  Matt.  22:  29,  dove  Gesù  dice  ai  Sadducei:  «  Voi  errate  perché  non  co- 
noscete le  scritture,  né  la  potenza  di  Dio  »,  non  esiste  traccia  d'illumi- 
nismo. Nel  proemio  viene  chiarito  in  maniera  definitiva  il  rapporto 
Sacra  Scrittura  -  ispirazione  dello  Spirito  santo,  là  dove  si  legge:  la 
«  leción  de  las  escrituras  escritas  con  espiritu  santo  e  interpretadas  con 
aquel  mismo  espiritu  comò  fueron  escritas  ». 

Questo  lungo  discorso  costituisce  una  premessa  indispensabile  per 
capire  alcuni  aspetti  dell'opera  di  T.  Bozza,  Nuovi  studi  sulla  Riforma 
in  Italia,  I,  //  benefìcio  di  Cristo,  apparsa  nel  1976.  In  essa  furono  ripub- 
blicati i  precedenti  contributi  con  una  nuova  minuta  esauriente  e  ricca 
analisi  delle  dottrine  contenute  nella  famosa  operetta  e  delle  sue  fonti. 
E'  ormai  nota  l'importanza  della  scoperta  dell'A.  sulle  interpolazioni  e 
i  prestiti  dalla  Institutio  christianae  religionis  di  Calvino  contenuti  nel 
Beneficio,  il  quale  sarebbe  un  riassunto  dell'opera  calviniana  del  '39 
per  quanto  si  riferisce  ai  temi  dell'operetta  italiana.  E'  altrettanto  nota 
la  mia  riserva  rispetto  a  questa  conclusione  e  il  mio  convincimento  che 
i  prestiti  da  Calvino,  da  Lutero,  da  Melantone,  e  prevalentemente  da 
Valdés,  abbiano  un  valore  strumentale  per  confermare  la  validità  della 
dottrina  della  giustificazione  per  la  sola  fede,  che  i  valdesiani  conside- 
ravano essenziale  per  la  salvezza  e  che  era  per  loro  il  termometro  per 
misurare  la  vera  fede.  Il  Bozza  ha  negato  qualsiasi  legame  del  Beneficio 
con  il  Valdés,  poiché  per  lui  il  riformatore  spagnolo  è  un  illuminista, 
che  ha  fiducia  solo  nell'ispirazione  individuale,  disprezza  la  Sacra  Scrit- 
tura e  finisce  per  fare  dello  spirito  umano  la  fonte  dell'esperienza  reli- 


54 


SALVATORE  CAPONETTO 


giosa  (pp.  391;  395-403).  In  quest'opera,  dove  peraltro  si  leggono  nuovi 
raffronti  preziosi  con  il  commento  aW'Epistola  ai  Calati  di  Lutero,  con 
i  Loci  di  Melantone,  con  Bucero,  oltre  che  con  Valdés,  si  arriva  a  con- 
clusioni arbitrarie  e  per  me  inaccettabili.  Il  Benefìcio  di  Cristo  è  calvi- 
nista. Esso  è  il  manifesto  della  «  chiesa  »  di  Viterbo:  ergo  Pole,  Flami- 
nio, Carnesecchi  e  tutto  il  gruppo  di  Viterbo  erano  dei  calvinisti,  dei  ni- 
codemiti,  che  intendevano  riformare  la  Chiesa  i-omana  dall'interno,  la- 
sciandone intatte  le  strutture.  Ma  nell'attesa  si  godevano  i  loro  bene- 
fìci ecclesiastici  (pp.  122  e  132)! 

Il  Bozza,  che  ha  puntigliosamente  contestato  quanti  non  erano 
d'accordo  con  la  sua  interpretazione  distribuendo  a  tutti  la  patente  di 
ignorante,  ha  tralasciato  di  discutere  il  saggio  così  bene  informato  ed 
equilibrato  di  Dermot  Fenlon,  Heresy  and  obedience  in  Tridentine  Ita- 
ly. Cardinal  Pole  and  the  Count erreformation  (Cambridge  1972).  Vi  è 
in  questo  libro  un  capitolo  dal  titolo:  Valdés,  Viterbo,  and  the  «  Benefi- 
cio di  Cristo  ».  La  narrazione  del  periodo  viterbese  del  Flaminio  è  qui 
di  segno  contrario  a  quanto  aveva  già  scritto  il  Bozza.  Quel  periodo, 
posteriore  al  soggiorno  fiorentino  del  '41,  durante  il  quale  Flaminio  e 
Carnesecchi  stiudiavano  V  Institut  io  di  Calvino  e  l'andavano  confron- 
tando con  l'insegnamento  di  Valdés,  viene  qui  descritto  come  una  fase 
di  scambio  di  opinioni  fra  il  poeta  e  il  cardinale  inglese.  Contarini,  Pole, 
Mo  rone  accettavano  la  dottrina  luterana  della  salvezza  per  la  sola  fede, 
ma  chiedevano  ai  luterani  di  rimanere  in  comunione  con  la  Chiesa  di 
Roma  senza  rendersi  conto  della  inconsistenza  del  loro  ideale  (p.  105). 
Questo  il  Pole  insinuò  lentamente  nel  poeta  latino  e  il  frutto  di  questa 
lenta  azione  sarebbe  attestato  dalla  lettera  del  Flaminio  indirizzata  al 
Carnesecchi  da  Trento  il  1°  gennaio  del  '43,  qualche  mese  prima  del- 
l'uscita del  Beneficio  di  Cristo. 

Uno  dei  contributi  migliori  di  questo  libro  per  comprendere  la  po- 
sizione del  Pole,  prima  dell'apertura  del  concilio  di  Trento  e  dopo  l'at- 
tacco del  Catarino  al  Beneficio,  è  lo  studio  di  un'opera  da  lui  scritta  fra 
il  marzo  e  la  fine  di  aprile  del  '45,  dove  l'autorità  della  Chiesa  è  fondata 
sulle  parole  di  Gesù  Cristo  a  Pietro  di  Matt.  16:  18:  «  Tu  sei  Pietro  e  su 
questa  pietra  io  fonderò  la  mia  chiesa  ».  Questo  punto  capitale  della 
controversia  della  Riforma  è  qui  interpretato  all'opposto  di  tutti  i  ri- 
formatori, nonché  di  Erasmo  e  di  Valdés  e  del  Beneficio  che  ripete  il 
commento  a  S.  Matteo  di  Valdés.  Non  ci  sono  dubbi  sulla  fedeltà  del 
Pole  alla  Chiesa  di  Roma,  nonostante  il  suo  irenismo  del  periodo  ita- 
liano. 

La  mancata  discussione  dei  libri  del  Nieto  e  del  Fenlon,  e  delle  ri- 
serve avanzate  da  me  e  da  altri  all'estremismo  del  Bozza,  il  quale,  di- 
menticando la  precisa  testimonianza  del  Carnesecchi  nel  suo  ultimo 
processo,  arriva  ad  affermare  che  di  valdesiani  in  Italia  non  ce  ne  sono 
stati  (p.  397),  ha  avuto  conseguenze  storiografiche  che  mi  sembrano  de- 
formazioni della  verità  storica.  Ma  prima  di  passare  a  questo  argo- 
mneto  desidero  segnalare  due  contributi  recentissimi  che  aggiungono 
nuovi  documenti  alla  conoscenza  del  Valdés  e  alla  diffusione  delle  sue 


I 


RICERCHE  RECENTI  SU  JUAN  DE  VALDÉS 


55 


idee.  Mi  riferisco  al  volume  di  Pasquale  Lopez  e  a  una  memoria  del  com- 
pianto Emilio  Menegazzo  (1). 

Il  primo  ha  scritto  una  buona  biografia  di  Mario  Galeota  e  ha  di- 
mostrato con  il  soccorso  di  nuovi  documenti  come  la  casa  di  questo 
barone  napoletano  fosse  divenuta  «  un  centro  irradiante  della  dottrina 
del  Valdés,  un  centro  d'incontri,  di  discussioni,  di  trascrizioni,  che  Giu- 
lia Gonzaga  e  forse  lo  stesso  Valdés  alimentò  e  nel  quale  era  vivo  il  fer- 
vore apostolico  ».  Il  Galeota,  divenuto  alla  morte  del  maestro,  il  diret- 
tore del  movimento  assieme  a  Giulia  Gonzaga,  aveva  creato  due  copi- 
sterie delle  opere  dello  Spagnolo  a  Napoli  e  a  Monasterace  in  Calabria. 
Per  merito  suo  e  dei  suoi  amici  sono  state  salvate,  tradotte  e  divulgate 
le  opere  del  grande  riformatore  spagnolo. 

La  memoria  del  Menegazzo  riporta  tre  documenti  nuovi  sul  Valdés, 
in  uno  dei  quali,  una  résignât  io  del  19  marzo  1541,  a  pochi  mesi  dalla 
morte,  compare  Pietro  Carnesecchi  come  testimone.  Un  legame  dunque 
con  il  fiorentino  fatto  di  stima  e  di  fiducia.  Inoltre  con  un'indagine  mi- 
nutissima di  archivio  stabilisce  la  parentela  di  Benedetto  Fontanini, 
l'autore  del  Benefìcio,  con  la  famiglia  dei  Gonzaga  di  Mantova.  Pertan- 
1  to  è  molto  verosimile  quanto  era  indicato  in  modo  impreciso  da  alcune 
I  fonti:  una  sosta  del  benedettino  a  Napoli,  durante  il  viaggio  da  S.  Gior- 
gio Maggiore  a  Catania,  nel  monastero  dei  santi  Severino  e  Sossi,  per 
incontrare  donna  Giulia  Gonzaga.  Infine  ci  fa  conoscere  come  il  rap- 
porto del  Flaminio  con  la  congregazione  benedettina  di  Santa  Giustina 
di  Padova  non  era  episodico  in  quanto  il  poeta  aveva  donato  nel  1537 
una  donatio  inter  vivos  di  mille  ducati  d'oro.  La  Congregazione  s'impe- 
gnò a  versare  una  responsio  annua  di  100  ducati  d'oro.  La  donazione 
era  stata  ricevuta  da  Gregorio  Cortese,  abate  del  decano  Benedetto  da 
Mantova,  il  quale  ebbe  a  dire:  «  Quando  la  mattina  mi  metto  il  giup- 
pone,  io  non  mi  so  vestire  d'altro  che  di  questo  Beneficio  di  Cristo  ».  Il 
Cortese  probabilmente  sapeva  chi  era  l'autore  dell'operetta  e  chi  lo  ave- 
va «  polita  con  il  suo  bello  stile  ». 

Accennavo  prima  alle  conseguenze  dell'estremismo  del  Bozza  in 
campo  storiografico.  Intendo  riferirmo  al  recentissimo  volume  di  ben 
cinquecento  pagine  di  Paolo  Simoncelli,  Evangelismo  italiano  del  Cin- 
quecento. Questione  religiosa  e  nicodemismo  politico  (Roma  1979). 
L'A.  riprende  tutta  la  questione  del  significato  del  cosiddetto  «  evange- 
lismo italiano  »  descrivendo  la  dimensione  e  il  risvolto  politico  della 
polemica  fra  gli  spirituali  e  gl'intransigenti  con  abbondanti  citazioni 
testuali,  con  acquisizione  di  nuove  testimonianze  e  con  osservazioni  di 
notevole  interesse.  Ma  la  distinzione  proposta  di  un'ala  moderata  e  di 
una  radicale  complica  ancor  di  più  le  cose  al  punto  che  il  termine  sto- 
riografico di  evangelismo  per  la  preriforma  italiana  converrà  abbando- 
narlo. Infatti  Simoncelli  afferma  che  l'ala  radicale  farebbe  capo  al  Pole 
e  al  Flaminio  e  il  loro  manifesto  sarebbe  il  Beneficio  di  Cristo,  il  quale 


(1)  P.  Lopez,  //  movimento  valdesiano  a  Napoli.  Mario  Galeota  e  le  sue  vicen- 
de col  Sant'Uffizio,  Napoli  1976. 


56 


SALVATORE  CAPONETTO 


è  sostanzialmente  calvinista.  Con  grande  disinvoltura,  sulle  orme  del 
Bozza,  passa  sopra  tutte  le  difficoltà  e  le  contraddizioni  della  sua  tesi. 
Ignora  testimonianze  precise  che  rendono  assurda  l'accettazione  di  una 
fede  «  riformata  »  da  parte  del  Pole.  Il  cardinale  —  ebbe  a  dire  il  Car- 
nesecchi  ai  giudici  dell'Inquisizione  —  non  permetteva  la  lettura  dì  li- 
bri eretici,  anzi  quella  lettura  era  da  lui  «  detestata  »  (Proc.  Carnesec- 
chi,  pp.  214  e  505).  Se  l'A.  non  fosse  partito  dal  pregiudizio  dell'equiva- 
lenza del  Benefìcio  con  la  fede  calvinista,  si  sarebbe  accorto  che  i  suoi 
radicali  sono  i  valdesiani,  i  quali  erano  ben  convinti  che  solo  coloro 
che  avevano  accettato  coerentemente  la  giustificazione  ex  sola  fide  in- 
segnata dal  Valdés  erano  gli  eletti  ed  erano  entrati  «  nel  regno  di  Dio  ». 

Il  capitolo  finale  di  quest'opera,  dal  titolo  //  «  Beneficio  di  Cristo  » 
a  Firenze.  Un'ipotesi  su  Riforma  e  nicodemismo  politico  nell'età  di  Co- 
simo I,  è  un  altro  esempio  di  costruzione  della  storia  pigiando  i  fatti 
dentro  la  camicia  di  forza  di  una  tesi.  La  dissidenza  religiosa  è  equiva- 
lente alla  dissidenza  politica.  Ma  questo  è  sempre  e  dovunque  vero  nel- 
l'Europa del  '500?  Gli  stessi  ugonotti  finché  non  furono  perseguitati  e 
massacrati  erano  fedeli  alla  monarchia  di  Francia  e  speravano  nel  trion- 
fo della  loro  causa  con  l'aiuto  di  Margherita  di  Navarra,  Francesco  I 
e  l'ammiraglio  di  Coligny.  Comunque  l'equazione  dissidenza  religiosa- 
dissidenza  politica  non  funziona  nella  Firenze  di  Cosimo  I:  tutti  gli 
ammiratori  o  seguaci  di  Erasmo,  di  Valdés,  di  Lutero,  di  Calvino  sono 
fra  i  fedelissimi  di  Cosimo  e  fanno  parte  della  classe  dirigente  e  della 
élite  intellettuale:  Riccio,  Torelli,  Bartoli,  Del  Caccia,  Panciatichi,  Car- 
nesecchi.  Celli,  Domenichi,  Varchi.  Piero  Gelido  al  momento  della  fuga 
a  Lione  era  residente  di  Cosimo  a  Venezia.  Finirono  quasi  tutti  per  pie- 
garsi alla  nuova  politica  di  Cosimo  dopo  la  morte  di  Paolo  III,  rilut- 
tanti alcuni  ma  senza  ribellione. 

In  questo  capitolo  non  manca  l'acquisizione  di  conoscenze  assai 
notevoli  confermanti  le  mie  ricerche  sulla  diffusione  del  valdesianismo 
a  Firenze,  come  la  dimostrazione  del  plagio  del  Beneficio  operato  dal 
Varchi  nel  Sermone  fatto  alla  croce  del  venerdì  santo.  Ma  poiché  il  Be- 
nefìcio è  per  l'autore  un'opera  calvinista  e  senza  agganci  con  il  movi- 
mento valdesiano,  Varchi  diventa  un  riformato  e  l'Accademia  una  con- 
venticola calvinista.  Ma  qualche  pagina  dopo,  a  riprova  di  questa  rico- 
struzione, si  riporta  il  sonetto  del  Varchi  indirizzato  a  Caterina  Cybo, 
la  discepola  dell'Ochino  e  la  confidente  del  Flaminio,  nel  quale  il  poeta 
colloca  in  paradiso  Pietro  Bembo,  Vittoria  Colonna  e  il  «  buon  Val- 
delsio  »! 

Su  questo  sonetto  (del  resto  già  segnalato  da  Marcel  Bataillon) 
avevo  richiamato  l'attenzione  nella  mia  relazione  senese  del  dicembre 
del  '74  per  il  convegno  storico  su  La  nascita  della  Toscana,  relazione 
che  purtroppo  vedrà  la  luce  entro  questo  mese  dopo  sei  anni!  Comun- 
que ho  ripreso  tutta  la  questione  nel  mio  recente  lavoro  Aonio  Paleario 
(1503-1570)  e  la  Riforma  protestante  in  Toscana  (Torino,  Claudiana, 
1979)  e  ad  esso  rinvio  per  una  diversa  valutazione  del  dissenso  religio- 
so a  Firenze. 

Desidero  chiudere  rammentando  come  nei  documenti  fiorentini  il 


1 


RICERCHE  RECENTI  SU  JUAN  DE  VALDÉS 


57 


nome  del  Flaminio  è  legato  a  quello  di  Valdés.  Quando  nel  1573  Silvano 
Razzi  pubblicherà  i  Sonetti  spirituali  del  suo  amico  Varchi,  nel  sonetto 
alla  Cybo  muterà  il  nome  di  Valdés,  ormai  conosciuto  per  eretico,  in 
quello  di  Flaminio.  Flaminio  diventa  la  maschera  di  Valdés. 

Al  rapporto  innegabile  del  riformatore  spagnolo  con  il  revisore  del 
Benefìcio  di  Cristo,  testimoniato  in  modo  così  commovente  dalla  cele- 
bre lettere  di  Jacopo  Bonfadio  al  Carnesecchi,  si  contrappone  il  silenzio 
del  poeta;  né  nelle  lettere,  adesso  pubblicate  in  bella  edizione  da  Ales- 
sandro Pastore,  né  nei  Carmi  è  mai  nominato  il  maestro,  sebbene  fosse 
da  lui  amato  e  ammirato  più  di  qualunque  altra  persona.  Valdés  era  un 
eretico,  era  un  nicodemita  e  i  suoi  amici  più  intimi  ben  lo  sapevano. 
Celio  Secondo  Curione  nella  prefazione  alle  Centodieci  e  divine  consi- 
derazioni (Basilea  1550)  scrisse  di  lui:  «  Pareva  che  costui  fosse  da  Dio 
dato  per  dottore  e  pastore  di  persone  nobili  e  illustri,  benché  egli  era 
di  tanta  benignità  e  carità  che  a  ogni  piccola  e  bassa  e  rozza  persona  si 
rendeva  del  suo  talento  debitore  e  a  tutti  si  faceva  ogni  cosa  per  tutti 
guadagnar  a  Cristo  ». 


SALVATORE  CAPONETTO 


Gli  Avventisti  in  Italia 


È  uscita  di  recente  una  storia  della  Chiesa  Avventista  in  Italia, 
scritta  da  un  pastore  di  questa  denominazione  —  Giuseppe  De  Meo, 
«  Grami  di  sale  ».  Un  secolo  di  storia  della  Chiesa  Cristiana  Avventista  del 
T  Giorno  in  Italia  (1864-1964),  Torino,  Claudiana,  1980,  pp.  255  —  sulla 
base  di  una  documentazione  italiana  e  straniera  molto  vasta,  raccolta 
con  anni  di  lavoro  paziente.  Ovviamente,  quest'opera  non  è  il  lavoro  di 
uno  storico  di  mestiere  ed  è  animata  da  quell'affetto,  che  è  logico  atten- 
dersi da  parte  di  un  credente  il  quale  narri  le  vicende  della  propria 
comunità.  Tuttavia,  la  sua  attendibilità  sul  piano  informativo  è  fuori 
discussione  e  altrettanto  fuori  discussione  è  la  sua  onestà:  racconta  i 
fatti  come  sono  accaduti  davvero  e  non  bara  al  giuoco,  imbellettando 
questo  o  gettando  su  quest'altro  un  velo  pietoso.  Anche  per  uno  storico 
di  mestiere,  dunque,  la  sua  lettura  può  esser  istruttiva  e  stimolante  a 
riflessioni  di  un  certo  interesse. 

L'A.  prende  le  mosse  dalle  origini  americane  della  Chiesa  Avventista 
e  a  prima  vista  questa  può  parere  una  banalità  irrilevante.  Ma  se  si 
riflette  meglio,  si  vede  che  le  confessioni  religiose  di  origine  interamente 
americana  non  sono  poi  molte.  La  stragrande  maggioranza  delle  confes- 
sioni oggi  presenti  negli  Stati  Uniti  —  dal  metodismo  e  il  battismo  al 
cattolicesimo  o  al  luteranesimo  e  dall'episcopalianismo  al  presbiteriani- 
smo riformato  —  in  realtà  è  stata  importata  in  America  dall'Europa. 
Viceversa,  la  Chiesa  Cristiana  Avventista  del  Settimo  Giorno  condivide 
la  prerogativa  di  un'origine  del  tutto  americana  con  una  serie  di  vicini 
piuttosto  inquietanti:  la  Chiesa  dei  Santi  dell'Ultimo  Giorno  (o  Mor- 
moni), la  Christian  Science  e  la  Watch  Tower  dei  Testimoni  di  Geova. 
Fra  queste  tre  ultime  denominazioni  e  la  Chiesa  Avventista  vi  è  un 
abisso  sul  piano  dottrinale  :  gli  avventisti  fanno  parte  dell'area  del  pro- 
testantesimo, mentre  i  mormoni,  i  testimoni  di  Geova  e  i  Christian  Scien- 
tists sono  fuori  di  tale  area  e  molto  al  margine  del  cristianesimo  stesso, 
e  magari  al  di  là  del  margine  addirittura.  Però  questo  abisso  dottrinale 
non  impedisce  che  vi  siano  delle  affinità  sul  piano  storico,  dovute  senza 
dubbio  al  comune  sostrato  culturale  americano.  Lasciamo  pure  da  parte 
il  fatto  che  tutte  queste  formazioni  hanno  raggiunto  un  grado  assai  alto 
di  efficienza  organizzativa  ed  un  successo  veramente  americano  sul  piano 
materiale  stesso.  Salta  ugualmente  agli  occhi  il  comun  denominatore 
escatologistico  che  c'è  tra  avventismo,  Chiesa  dei  Santi  dell'Ultimo  Gior- 


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GIORGIO  SPINI 


no  e  Watch  Tower.  E  salta  altresì  agli  occhi  il  fatto  che  tanto  gli  avven- 
tisti quanto  i  Christian  Scientists  derivano  gran  parte  della  loro  ispira- 
zione dell'insegnamento  di  donne  dai  talenti  eccezionali  —  Ellen  White 
Gould  Harmon  nell'un  caso  e  Mary  Baker  Eddy  nell'altro  caso  —  che 
provenivano  ambedue  da  stirpe  yankee  del  New  England  e  ambedue  si 
preoccupavano  della  salute  fisica,  oltre  che  di  quella  spirituale,  del  loro 
prossimo. 

Dagli  yankees  del  New  England  trassero  origine,  in  realtà,  un  po' 
tutti  i  padri  dell'avventismo,  oltre  alla  sua  madre  spirituale  Ellen  White. 
Questo  fatto  è  spesso  trascurato  perché  la  Chiesa  Cristiana  Avventista 
del  Settimo  Giorno  assunse  la  sua  forma  attuale  a  Battle  Creek,  Michi- 
gan, attorno  alla  metà  del  secolo  scorso.  In  questa  cittadina  del  Nord- 
West  fu  tenuta  infatti  la  prima  Conferenza  Generale  della  Chiesa  Av- 
ventista nel  1863.  Già  avanti  a  quell'anno,  inoltre,  gli  avventisti  avevano 
posto  il  centro  del  loro  movimento  a  Battle  Creek  e  vi  avevano  impian- 
tato una  famosa  tipografia  a  vapore,  da  cui  facevano  uscire  fiumane  di 
pubblicazioni  per  portare  il  verbo  del  Secondo  Avvento  in  tutti  gli  Stati 
Uniti  e  oltre.  Sempre  a  Battle  Creek  furono  poi  impiantate  anche  altre 
istituzioni  caratteristiche  del  movimento  avventista  :  la  Western  Health 
Reform  Institution  nel  1866,  cioè  la  prima  delle  tante  istituzioni  sanita- 
rie ed  ospedaliere  che  gli  avventisti  hanno  seminato  in  tutti  i  continenti, 
e  il  College  universitario  nel  1874,  che  fu  analogamente  la  prima  delle 
tante  scuole  di  ogni  ordine  e  grado,  di  cui  gli  avventisti  hanno  costel- 
lato tanti  paesi  nel  mondo.  Pure  a  Battle  Creek  ed  alla  Health  Reform 
Institution  degli  avventisti  è  legato  il  nome,  oggi  noto  anch'esso  in  tutto 
il  mondo,  di  quel  John  Harvey  Kellogg  (1852-1943),  che  sulla  scia  delle 
idee  innovatrici  della  signora  White  in  materia  di  alimentazione,  inventò 
i  corn  flakes  ;  non  per  nulla  le  prime  fabbriche  di  questo  nuovo  alimento 
sorsero  appunto  a  Battle  Creek  per  opera  di  avventisti  e  la  produzione 
dei  corn  flakes  assunse  le  dimensioni  colossali  odierne  sotto  la  guida  di 
un  altro  Kellogg,  Will  Keith  (1860-1951)  fratello  del  precedente.  Però 
gli  avventisti  andarono  a  porre  la  propria  centrale  nel  Michigan  perché 
in  quegli  anni  una  buona  parte  della  popolazione  originaria  del  New  En- 
gland stava  emigrando  per  l'appunto  in  questo  stato,  il  cui  suolo  era 
assai  più  fertile  di  quello  della  costa  nord-atlantica.  E  comunque,  a 
monte  della  Conferenza  Generale  del  1863  da  cui  si  inizia  la  storia  del- 
l'attuale Chiesa  Avventista  del  Settimo  Giorno,  c'è  una  preistoria  di  un 
buon  quarto  di  secolo,  che  è  quasi  tutta  connessa  con  il  New  England, 
la  sua  cultura  e  i  suoi  yankees. 

Anche  a  costo  di  ripetere  notizie  a  tutti  note,  dobbiamo  ricordare, 
infatti,  che  la  preistoria  della  Chiesa  Avventista  si  inizia  con  un  campa- 
gnolo del  Massachusetts,  William  Miller  (1782-1849),  già  ufficiale  nella 
guerra  contro  gli  inglesi  del  1812-15  e  poi  vissuto  parte  nel  Vermont  e 
parte  nell'interno  del  New  York,  ove  divenne  anche  predicatore.  Partito 
da  un  deismo  di  stampo  illuministico,  Miller  arrivò  infatti  ad  uno  stu- 
dio appassionato  della  Bibbia,  unito  a  calcoli  cronologici  sulle  profezie, 
da  cui  giunse  alla  convinzione  che  il  ritorno  di  Cristo  sulla  terra  sarebbe 


GLI  AVVENTISTI  IN  ITALIA 


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avvenuto  attorno  al  1843.  Poiché  era  solo  un  predicatore  di  campagna, 
da  principio  non  potè  fare  molti  proseliti,  ma  nel  1839  ne  fece  uno  ve- 
ramente eccezionale;  Joshua  Vaughan  Himes  (1805-95).  Questi  era  nato 
nello  stato  di  Rhode  Island  e  nel  seno  della  Chiesa  Episcopaliana,  ma 
poi  era  diventato  ministro  di  una  congregazione  indipendente  a  Boston, 
nonché  seguace  di  Garrison  e  dell'anti-schiavismo,  e  aveva  preso  a  cal- 
deggiare riforme  sociali.  Oltre  a  tutto  questo,  era  un  autentico  genio 
della  pubblicità:  in  pochi  anni,  strappò  Miller  dall'oscurità  facendolo 
diventare  un  personaggio  famoso  grazie  all'organizzazione  di  meetings 
sempre  più  affollati  e  soprattutto  attraverso  la  pubblicazione  di  una 
quantità  fenomenale  di  periodici  e  di  opuscoli.  L'attesa  del  ritorno  di 
Cristo  nell'anno  1843  divenne  una  febbre  che  contagiò  —  a  quanto  pare 
—  dalle  50.000  alle  100.000  persone.  Quando  quell'anno  fu  passato  senza 
che  Cristo  fosse  tornato,  Miller  rifece  i  suoi  calcoli  e  spostò  la  data  del 
Secondo  Avvento  al  1844.  Quando  anche  quell'anno  fu  trascorso  invano, 
la  delusione  sottentrò  all'entusiasmo  e  l'avventismo  fu  travolto  sotto 
un'ondata  di  discredito  :  il  povero  Miller  si  avviò  così  alla  tomba,  dove 
scese  qualche  anno  dopo,  nel  1849.  Perfino  allora,  però,  un  gruppo  di 
irriducibili  continuò  a  ritenere  che  la  fine  dell'età  presente  e  il  ritorno 
di  Cristo  fossero  imminenti.  Appunto  tra  costoro  si  affermò  la  leader- 
ship di  Ellen  Gould  Harmon  (  1827-1915)  ;  una  ragazza  yankee  del  Maine. 
A  nove  anni,  una  sassata  di  un'altra  bambina  le  aveva  prodotto  una 
grave  ferita  alla  testa,  a  causa  della  quale  era  restata  sfigurata  in  viso 
e  non  aveva  potuto  fare  degli  studi  regolari.  Seguace  anch'essa  di  Miller, 
dopo  la  crudele  delusione  del  1843-44  aveva  cominciato  ad  avere  delle 
visioni  ed  a  ricevere  messaggi  profetici.  Ma  oltre  a  queste  doti  fuori 
dell'ordinario  rivelò  anche  talenti  eccezionali  di  oratrice,  scrittrice  e 
organizzatrice.  Divenne  così  la  guida  del  nucleo  superstite  di  coloro  che 
attendevano  il  ritorno  imminente  di  Cristo,  fra  cui  erano  un  giovane 
pastore,  James  White  (1821-1881),  pure  del  Maine,  che  nel  1846  divenne 
suo  marito,  e  Joseph  Bates  (1792-1872),  un  capitano  di  mare  del  Massa- 
chusetts dai  cui  studi  sulla  Bibbia  l'avventismo  derivò  un'altra  delle  sue 
caratteristiche  più  tipiche  :  la  convinzione  che  il  «  settimo  giorno  »,  in 
cui  il  Signore  si  riposò  dopo  la  creazione  del  mondo,  è  il  sabato  e  non 
è  la  domenica,  e  che  pertanto  i  credenti  debbono  astenersi  scrupolosa- 
mente da  ogni  lavoro  in  tale  giorno.  Di  qui  il  nome  di  «  avventisti  del 
Settimo  Giorno  »  che  fu  adottato  dagli  aderenti  al  movimento  negli  anni 
sessanta  dell'Ottocento. 

Sulla  stessa  linea  di  rigoroso  letteralismo,  ispirato  in  buona  parte 
al  Vecchio  Testamento,  furono  ripresi  dagli  avventisti  anche  l'osservanza 
integrale  del  Decalogo  e  quella  della  decima,  intesa  come  «  restituzione 
al  Signore  »  da  parte  del  credente,  del  10  %  di  ogni  suo  introito.  Te- 
nendo conto  che  si  trattava  di  yankees  del  New  England,  è  facile  mettere 
tutto  questo  in  rapporto  con  lunghe  tradizioni,  risalenti  ai  puritani  del 
Seicento.  Ma  i  puritani  antichi,  essendo  discepoli  della  Riforma  del 
secolo  XVI,  contrappcsavano  —  se  così  è  permesso  dire  —  il  Decalogo  e 
il  legalismo  di  stampo  vetero-testamentario  con  dosi  massicce  di  paoli- 


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GIORGIO  SPINI 


nismo  e  con  la  rivendicazione  del  primato  della  Grazia  sulla  Legge,  in 
un'ottica  di  stampo  calviniano.  Viceversa,  la  cultura  del  New  England 
del  primo  Ottocento  aveva  mandato  Calvino  in  soffitta  e  spalancato  le 
porte  all'unitarismo  sociniano,  con  la  sua  accentuazione  dell'etica  come 
momento  centrale  del  messaggio  cristiano.  Naturalmente,  il  sociniane- 
simo  era  diventato  la  religione  ufficiale  dei  ceti  piìx  ricchi  e  più  istruiti  : 
aveva  le  sue  roccaforti  nell'alta  borghesia  di  Boston  e  nell'università  di 
Harvard.  Viceversa,  i  padri  dell'avventismo  erano  di  un'estrazione  so- 
ciale più  modesta  dei  «  brahmini  »  di  Boston  e  non  avevano  studiato  a 
Harvard.  Però  traducevano  lo  stesso  il  proprio  millenarismo  in  categorie 
arieggianti  in  qualche  modo  il  moralismo  sociniano.  Non  c'era  infatti 
alcuna  reale  contraddizione  fra  questo  e  quello  :  il  millenarismo  aveva 
una  tradizione  illustre  nel  New  England,  che  risaliva  al  secolo  XVH  e 
ai  Quinto-monarchisti  addirittura;  ed  anche  i  più  razionalisti  fra  i  neo- 
sociniani  di  Boston  erano  periodicamente  assaliti  dal  brivido  di  un  pos- 
sibile approssimarsi  della  fine  dei  tempi.  Tanto  per  dirne  una  sola, 
basta  guardare  come  uno  degli  esponenti  dell'unitarismo  bostoniano, 
James  Freeman,  già  nel  1807,  carteggiando  con  un'altra  eccezionale  si- 
gnora yankee,  la  scrittrice  Mercy  Otis  Warren,  discutesse  appassionata- 
mente l'ipotesi  che  le  gesta  straordinarie  di  Napoleone  fossero  un  segno 
dell'attuazione  imminente  delle  profezie  di  Daniele.  In  fondo,  la  conce- 
zione della  storia  come  una  successione  provvidenziale  di  «  epoche  », 
sostenuta  dal  brahmino  Bancroft  nella  sua  monumentale  History  of  the 
United  States,  non  è  mille  miglia  lontana  da  una  prospettiva  di  stampo 
avventista... 

Con  molta  onestà,  l'opera  di  Giuseppe  De  Meo  della  quale  stiamo 
parlando,  ammette  che  Himes,  White,  Bates  ed  altri  fondatori  della 
Chiesa  Avventista  erano  degli  anti-trinitari  e  che  la  dottrina  della  giusti- 
ficazione per  fede  non  comparve  se  non  negli  anni  ottanta  dell'Ottocento 
nei  documenti  ufficiali  della  Chiesa  Avventista.  Dunque,  è  assurdo  liqui- 
dare l'avventismo  in  sede  storica,  catalogandolo  come  una  delle  tante 
forme  di  fondamentalismo  derivanti  dal  primitivo  ambiente  pionieristico 
della  «  frontiera  ».  I  padri  dell'avventismo  non  erano  per  nulla  dei  fron- 
tiermen  primitivi  ;  erano  dei  figli  legittimi  (  anche  se  a  noi  moderni  po- 
trebbero sembrare  dei  figli  un  po'  esagitati  e  bizzarri...)  della  cultura 
di  quel  New  England,  che  allora  era  l'area  più  progredita  sul  piano  in- 
tellettuale dell'intera  America  settentrionale.  La  religione  tipica  della 
«  frontiera  »  era  un  «  evangelicalism  »,  che  puntava  tutto  sul  «  risveglio  » 
delle  coscienze  individuali  dal  sonno  del  peccato  e  della  morte,  attraverso 
un  appello  fortemente  emotivo,  il  quale  a  volte  poteva  sboccare  anche  in 
manifestazioni  di  isterismo  collettivo.  L'avventismo  si  rivolgeva  assai  più 
all'intelletto,  che  non  al  sentimento  :  il  fatto  stesso  di  avere  dato  origine, 
sino  dagli  inizi,  ad  un'attività  pubblicistica  intensa  è  la  prova  che  si  in- 
dirizzava a  gente  che  —  come  minimo  —  fosse  in  grado  di  leggere  cor- 
rentemente. II  che,  alla  metà  del  secolo  XIX,  non  era  poi  tanto  scontato. 
In  concreto  l'avventismo  non  si  rivolgeva  a  masse  di  analfabeti  o  semi- 
analfabeti, sepolti  nella  miseria  e  nell'alcool  altrettanto  che  neW'infide- 


GLI  AVVENTISTI  IN  ITALIA 


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lity  e  nel  peccato,  sibbene  ad  ambienti  relativamente  qualificati,  anche 
sul  piano  economico-sociale,  e  formati  da  bravi  protestanti  coscienziosi. 
Ed  a  costoro  voleva  fare  constatare  che  uno  studio  «  scientifico  »  e  filo- 
logicamente inappuntabile  della  Scrittura  portava  inevitabilmente  ad  ac- 
cettar le  dottrine  dell'imminente  fine  dell'età  presente  e  del  «  settimo 
giorno  ».  Mentre  i  predicatori  della  «  frontiera  »  terrorizzavano  le  folle 
con  la  minaccia  del  fuoco  dell'inferno,  gli  avventisti  avevano  elaborato 
una  teoria  tutt'altro  che  priva  di  sofisticazione  intellettuale  anche  sul 
destino  degli  uomini  nell'ai  di  là.  Respingendo  infatti  la  concezione  al- 
lora universalmente  diffusa  dell'immortalità  dell'anima,  avevano  tratto 
dallo  studio  della  Scrittura  la  convinzione  che  i  morti  dormiranno  sino 
al  giorno  del  ritorno  di  Cristo  ;  allora  gli  empi  saranno  annientati  e  i 
santi  risorgeranno  per  regnare  eternamente  insieme  al  Cristo. 

Se  ripensiamo  al  clima  storico  in  cui  si  viveva  attorno  alla  metà  del 
secolo  XIX,  particolarmente  negli  Stati  Uniti,  ci  apparirà  sempre  meno 
strambo  e  sempre  più  comprensibile  che  si  siano  uniti  insieme  un  acceso 
millenarismo  ed  un  discreto  livello  di  sofisticazione  intellettuale.  Proprio 
negli  anni  quaranta-cinquanta,  gli  Stati  Uniti  e  il  mondo  cambiarono 
faccia  in  seguito  ad  un  accavallarsi  di  eventi  l'uno  più  sconvolgente  del- 
l'altro :  la  conquista  a  velocità  stupefacente  del  West  da  una  parte,  per 
cui  gli  americani  da  una  nazione  di  rivieraschi  dell'Atlantico  divennero 
di  colpo  i  padroni  di  un  favoloso  impero  continentale,  e  lo  sfondamento 
subitaneo  dall'altra  delle  barriere  secolari  che  avevano  precluso  sino  al- 
lora all'uomo  bianco  l'accesso  all'Estremo  Oriente  cinese  e  giapponese, 
cui  si  aggiungeva  contemporaneamente  la  nascita  di  nuovi  paesi  come 
l'Australia  e  la  Nuova  Zelanda  alle  estremità  più  remote  della  terra. 
A  tutto  ciò  si  univa,  nel  caso  dell'America  e  degli  americani,  una  serie 
di  novità  altrettanto  sconvolgenti  dal  punto  di  vista  di  quella  che  oggi 
chiameremmo  la  «  qualità  di  vita  »  :  per  esempio,  l'avanzata  fulminea 
delle  ferrovie  attraverso  i  grandi  spazi  del  continente  e  l'arrivo  a  valanga 
dall'Europa  di  masse  umane  di  mai  vista  imponenza;  per  esempio,  i 
prodigi  sempre  più  stupefacenti  di  una  tecnologia  tesa  a  conquistare  gli 
spazi  e  sostituire  la  fatica  del  lavoro  umano  —  basta  pensare  a  quello 
che  dovette  significare  l'arrivo  della  mietitrice  McCormick  per  gli  agri- 
coltori americani  !  —  e  la  minaccia  sempre  più  paurosa  della  guerra 
all'orizzonte  di  un  popolo  ormai  avvezzo  da  decenni  alla  pace;  prima 
quella  guerra  col  Messico,  che  gli  yankees  del  New  England  considera- 
rono obbrobriosa  opera  di  Satana;  poi  quel  massacro  spaventevole,  sen- 
za paragone  nel  secolo  XIX,  che  fu  la  guerra  civile  tra  Nord  e  Sud. 
Davvero  vorremmo  sostenere  che  non  esistessero  molte  buone  ragioni 
per  mettersi  in  mente  che  la  storia  umana,  ormai,  era  arrivata  ad  una 
svolta  decisiva  e  che  il  Secondo  Avvento  era  imminente?  Giuseppe  Maz- 
zini non  leggeva  certamente  nella  Bibbia  le  stesse  cose  che  vi  leggevano 
gli  avventisti  yankee;  ma  neanche  lui  scherzava  proprio  in  fatto  di  toni 
millenaristici.  E  Karl  Marx  era  pure  convinto,  a  suo  modo,  che  la  storia 
umana  fosse  giunta  ad  un  capovolgimento  radicale,  sebbene  non  met- 
tesse certi  problemi  nei  termini  biblici  cari  agli  «  evangelicals  »  americani. 


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GIORGIO  SPINI 


Benché  non  si  possa  considerare  la  Chiesa  Avventista  come  una  va- 
riante qualsiasi  del  revivalismo  della  «  frontiera  »,  si  può  invero  parlare 
di  «  evangelicalism  »  anche  nel  caso  suo,  a  proposito  del  periodo  poste- 
riore agli  anni  ottanta.  Nel  New  England  si  era  già  arrivati  alla  scissione 
tra  «  unitarians  »  anti-trinitari  ed  «  evangelicals  »  trinitari  nei  primi  de- 
cenni dell'Ottocento.  I  ceti  più  abbienti  e  colti,  predominanti  anche  nel 
governo  locale,  erano  in  gran  parte  imbevuto  di  socinianismo  e  quindi 
fecero  sì  che  gH  edifìci  ecclesiastici  restassero  agli  unitariani.  Però  i  ceti 
popolari  seguirono  la  predicazione  degli  «  evangelicals  »  e  quindi  la  mag- 
gioranza dei  fedeli  lasciò  i  pastori  unitariani  a  predicare  ai  banchi  vuoti, 
andandosene  a  ricostruirsi  altrove  delle  cappelle  nuove,  magari  più  mo- 
deste. Anche  fra  gli  avventisti,  in  una  serie  di  dibattiti  dottrinali  svilup- 
patisi fra  il  1863  e  il  1888,  il  socinianismo  anti-trinitario  fu  battuto  e 
tutte  le  dottrine  tipiche  dello  «  evangelicalism  »  furono  adottate  ufficial- 
mente, compreso  quella  della  giustificazione  per  fede,  quella  della  «  nuova 
nascita  »  in  Cristo  e  quella  tipicamente  metodista  della  santificazione  dei 
credenti  mediante  lo  Spirito  Santo.  Ellen  White  ebbe  una  funzione  di 
importanza  decisiva  in  questa  evoluzione  dell'avventismo  in  senso  «  evan- 
gelical ».  Viceversa,  si  ebbe  una  serie  di  scissioni  e  distacchi,  anche  da 
parte  di  alcuni  tra  i  primi  esponenti  del  movimento  :  J.  V.  Himes,  per 
esempio,  se  ne  tornò  alla  Chiesa  Episcopaliana;  nel  1907  anche  J.  H.  Kel- 
logg, pure  continuando  a  mantenere  rapporti  amichevoli  con  gli  avventi- 
sti, se  ne  andò  dalla  Chiesa  non  trovandone  conciliabile  l'evoluzione  dot- 
trinale con  le  sue  personali  convinzioni  di  stampo  non  tanto  sociniano 
quanto  panteista  addirittura. 

Oltre  che  nell'evoluzione  dottrinale,  l'influenza  della  vigorosa  perso- 
nalità di  Ellen  White  è  riscontrabile  anche  nello  sviluppo  di  quelle  che 
a  tutto  oggi  sono  le  forme  di  attività  pratiche  tipiche  degli  avventisti. 
Si  è  già  detto  della  produzione  di  massa  di  periodici,  libri  ed  opuscoli, 
come  strumento  principale  di  diffusione  delle  dottrine  avventiste  e  ad 
essa  si  deve  mettere  a  fianco  la  prassi  del  colportaggio,  attraverso  vendi- 
tori itineranti,  mandati  ad  offrire  la  merce  libraria  di  casa  in  casa.  Si  è 
già  accennato  alla  creazione  a  Battle  Creek  di  un'istituzione  per  la  «  ri- 
forma della  salute  »  fin  dal  1866  e  alla  prassi  successiva  degli  avventisti 
di  impiantare  ovunque  istituzioni  sanitarie  ed  ospedali.  Ma  va  sottoli- 
neato che  questo  interesse  per  la  salute  fisica  degli  uomini,  stimolato 
nella  White  anche  dal  fatto  che  tanto  suo  marito  quanto  lei  erano  cagio- 
nevoli di  salute  e  bisognosi  di  cure,  assunse  forme  assai  originali  per  i 
tempi.  Il  punto  di  partenza,  al  solito,  era  il  letteralismo  biblico  ;  poiché 
la  Bibbia  dice  che  il  corpo  è  il  tempio  dello  Spirito  Santo,  occorre  averne 
cura,  evitando  che  venga  guastato  da  abitudini  deleterie,  come  quelle  del 
fumo,  dell'alcool  e  delle  droghe,  oppure  da  un'alimentazione  errata  e 
malsana.  Ma  le  conclusioni  cui  Ellen  White  e  i  suoi  arrivarono,  somigliano 
assai  a  quello  che  oggi  chiameremmo  psico-terapia,  medicina  dietetica  e 
fisio-terapia.  Non  ci  vuol  molto  a  capire  che  proprio  queste  nuove  idee 
in  materia  di  salute,  che  oggi  ci  sembrano  tanto  ovvie  e  tanto  sensate, 
dovettero  contribuire  alla  fama  di  squinternati  degli  avventisti,  nell'età 


i 


GLI  AVVENTISTI  IN  ITALIA 


65 


della  medicina  positivistica  e  delle  sue  macellerie  di  carne  umana.  E  tan- 
to più  in  quanto  certe  idee  erano  insegnate  —  ohibò  —  da  vma  donna, 
anziché  da  maschi  con  tanto  di  barba.  Si  è  accennato  infine  alla  fonda- 
zione del  primo  college  avventista  a  Battle  Creek  ed  al  successivo  impe- 
gno della  Chiesa  Avventista  nel  campo  scolastico.  Ci  vuol  poco  davvero 
a  ricordare  la  formidabile  tradizione  yankee  in  fatto  di  istruzione  popo- 
lare e  di  colleges.  Il  che  —  sia  detto  di  passaggio  —  rappresenta  ancora 
un  altro  punto  di  divergenza  dal  «  fondamentalismo  »  americano  col  suo 
tradizionale  malumore  verso  gli  intellettuali. 

Sappiamo  tutti  che  è  imprudente  applicare  alla  storia  il  motto  post 
hoc,  ergo  propter  hoc.  Ma  sta  di  fatto  che  solo  dopo  l'assunzione  della 
sua  guida  da  parte  di  Ellen  White,  l'avventismo  si  trasformò  da  una  spe- 
cie di  bega  di  famiglia  tra  yankees  in  un  movimento  esteso  a  tutti  gli 
Stati  Uniti  e  successivamente  anche  al  resto  del  mondo.  Al  momento 
della  sua  prima  Conferenza  Generale  nel  1863,  la  Chiesa  Avventista  con- 
tava poco  più  di  5.000  seguaci  appena  :  oggi  ne  ha  oltre  tre  milioni  sparsi 
in  tutti  i  cinque  continenti.  Va  tenuto  presente,  tuttavia,  come  una  delle 
caratteristiche  storiche  dell'avventismo  rispetto  ad  altre  denominazioni, 
che  si  trattò  di  una  crescita  molto  costante  e  continua,  ma  altresì  molto 
lenta,  specie  durante  il  primo  mezzo  secolo  di  esistenza  della  Chiesa. 
Ancora  nel  1910  gli  avventisti  erano  circa  90.000  negli  Stati  Uniti,  che 
pure  erano  il  paese  ove  essi  erano  più  forti.  Ovviamente,  non  era  facile 
reclutare  aderenti  ad  un  movimento  che  chiedeva  ai  suoi  seguaci  di 
disertare  il  lavoro  di  sabato,  mettendosi  in  urto  dovunque  con  impren- 
ditori, dirigenti  di  amministrazioni  pubbliche  ed  ufficiali  degli  eserciti, 
di  seguire  una  disciplina  cosi  rigorosa  nel  costume  e  di  versare  il  10  % 
di  ogni  guadagno  come  «  restituzione  »  al  Signore.  D'altra  parte,  era  al- 
trettanto ovvio  che  era  impossibile  arrestare  l'avanzata  di  una  simile 
razza  di  Ironsides,  ì  quali  —  oltre  tutto  —  disponevano  anche  di  mezzi 
finanziari  di  tutto  rispetto,  grazie  alla  prassi  della  decima.  Detto  di  pas- 
saggio, forse  queste  caratteristiche  possono  aiutarci  a  capire  perché 
l'avventismo,  dopo  il  suo  sbarco  in  Europa,  avesse  successo  soprattutto 
fra  i  tedeschi  della  Germania,  dell'Impero  degli  Asburgo  e  dell'Impero 
degli  zar  di  Russia. 


In  questa  cornice  storica  generale  rientra  la  vicenda  italiana  narrata 
dal  pastore  De  Meo  nel  suo  libro.  Il  primo  missionario  avventista  in 
Italia  arrivò  nel  1864,  cioè  quando  il  movimento  era  ancora  in  uno  stadio 
molto  embrionale  e  piuttosto  confuso  nella  sua  stessa  patria  americana. 
E  fu  un  personaggio  altrettanto  romantico  quanto  confusionario  :  un 
polacco  Michael  Belina  Czechowski,  già  frate  francescano  nella  sua  pa- 
tria e  poi  proscritto  politico,  in  seguito  alla  rivoluzione  del  1830,  vagante 
per  l'Europa  mescolando  ardori  religiosi  e  patriottismo  polacco  alla 
maniera  dei  suoi  tanto  più  illustri  compatrioti  Mickiewicz  e  Towianski, 
quindi  sfratato  e  convertito  al  protestantesimo,  partito  per  l'America  e 


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GIORGIO  SPINI 


colà  imbattutosi  negli  avventisti  già  nel  1857.  Naturalmente,  anche  in 
Italia,  il  Czechowski  cercò  di  fare  proseliti  tra  i  protestanti  :  quindi  pre- 
dicò nelle  Valli  Valdesi  per  un  paio  di  anni  e  prese  contatti  col  patriarca 
dell'evangelismo  italiano,  il  conte  Piero  Guicciardini.  Però  raggranellò 
ben  poco,  a  parte  qualche  simpatia  generica.  Quando  ripartì  dall'Italia 
nel  1866  lasciò  dietro  di  sé  solo  un'unica  convertita  all'avventismo  :  una 
valdese,  Caterina  Revel.  Né  molto  combinò  anche  nel  resto  della  sua  vita, 
salvo  la  creazione  di  un  modesto  nucleo  di  seguaci  in  Svizzera.  Andò 
perciò  ramingando  da  un  paese  all'altro,  comprese  l'Ungheria  e  la  Ro- 
mania, sempre  più  sbandato,  povero  e  malato,  fino  che  si  spense  in 
un'ospedale  di  Vienna  nel  1876. 

Nel  1874,  la  Chiesa  Avventista  aveva  già  raggiunto  un  minimo  di  con- 
sistenza negli  Stati  Uniti  e  decise  l'invio  di  un  missionario  John  Nevins 
Andrews  in  Europa.  Questi  cercò  di  darsi  da  fare  anche  in  Italia  attra- 
verso un  medico  irlandese,  Herbert  Panmere  Ribton,  residente  a  Napoli, 
convertitosi  alle  idee  avventiste  e  sabatiste.  Ma  il  Ribton  passò  nel  1878 
in  Egitto,  dove  finì  tragicamente,  assassinato  durante  la  rivolta  contro  gli 
europei  del  1882,  ed  il  gruppetto  di  seguaci  da  lui  creato  a  Napoli  restò 
cosa  quanto  mai  esigua  e  alla  lunga  effimera. 

Neanche  nel  resto  del  Vecchio  Continente  l'avventismo  trovò  un  gran 
numero  di  seguaci.  Tuttavia  costoro  furono  in  grado  già  nel  1884  di  tenere 
a  Basilea  una  prima  Conferenza  Avventista  Europea.  Da  questa  conferen- 
za, la  signora  White  (che  nel  1881  era  rimasta  vedova)  fu  invitata  a  veni- 
re in  Europa  per  aiutare  l'opera  avventista  con  la  sua  predicazione.  E  si 
iniziò  così  l'ultimo  ciclo  della  stupefacente  esistenza  di  costei,  nel  quale 
essa  fece  il  giro  del  mondo  passando  da  un  continente  all'altro  e  fece 
fare  alla  Chiesa  Avventista  un  salto  di  qualità,  che  da  un  movimento  li- 
mitato quasi  unicamente  nell'America,  la  fece  divenire  un'organizzazione 
intercontinentale.  Ellen  White,  infatti,  lavorò  in  Europa  dal  1885  al  1889; 
poi  andò  in  Australia  dal  1891  al  1900;  dopo  il  1901,  benché  ultra-set- 
tantenne, passò  a  conquistare  gli  stati  già  della  Confederazione  sudista 
e  la  California.  Nei  1903  la  cittadina  provinciale  di  Battle  Creek  cessò 
di  essere  la  sede  del  centro  direzionale  avventista  e  quest'ultimo  fu 
impiantato  nella  capitale  stessa  degli  Stati  Uniti,  a  Washington.  Ma 
fu  soprattutto  nella  California  —  «  l'America  dell'America  »  —  che  gli 
avventisti  colsero  i  loro  successi  maggiori.  Fra  l'altro,  appunto  in  Cali- 
fornia sorse  nel  1903  la  scuola  sanitaria  di  Loma  Linda,  che  é  ancora 
oggi  una  delle  istituzioni  più  prestigiose  dell'avventismo  ;  e  nel  1915  vi 
chiuse  gli  occhi  a  Saint  Helena  Ellen  White,  ormai  quasi  novantenne. 

Questi  sviluppi  non  ebbero  però  riscontro  o  quasi  in  Italia.  Alla 
Conferenza  Europea  del  1884  era  presente  un  solo  italiano:  un  prof.  Bi- 
glia di  Napoli.  Negli  anni  seguenti,  dopo  una  campagna  propagandistica 
condotta  dalla  White  in  persona,  sorse  una  piccola  comunità  avventista 
a  Torre  Pellice.  Qualche  altro  convertito  fu  racimolato  qua  o  là  nel  resto 
dell'Italia.  Ma  ai  primi  del  Novecento,  gli  avventisti  italiani  erano  appena 
37  e  quasi  tutti  appartenevano  alla  comunità  di  Torre  Pellice.  Solo  a  puro 
titolo  di  curiosità  si  può  menzionare  che  la  prima  comunità  avventista 


GLI  AVVENTISTI  IN  ITAUA 


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nella  Romania  fu  creata  a  Pitesti  nel  1884  da  un  italiano,  Romualdo  Ber- 
tela, ebreo  di  nascita,  ma  entrato  poi  nella  Chiesa  Libera  Italiana  del 
garibaldino  Alessandro  Gavazzi  (e  quindi,  molto  probabilmente,  affiliato 
alla  massoneria),  vissuto  per  vari  anni  nel  Levante  e  nell'Europa  orien- 
tale e  guadagnato  all'avventismo  sabatista  da  quel  medico  Ribton,  di 
cui  si  è  detto  prima. 

I  motivi  di  questo  insuccesso  sono  evidenti.  A  quel  tempo,  gli  av- 
ventisti cercavano  di  attirare  a  sé  soprattutto  dei  protestanti,  convin- 
cendoli a  lasciare  le  loro  chiese  perché  infedeli  alla  lettera  della  Scrittura 
e  ad  accettare  la  Chiesa  Avventista  del  Settimo  Giorno  come  lo  strumento 
suscitato  da  Dio  per  guidare  i  credenti  negli  ultimi  giorni.  Anche  nell'Im- 
pero Russo,  ove  l'awentismo  penetrò  a  partire  dagli  anni  80  (soprattutto 
ad  opera  di  tedeschi  come  quel  Riccardo  L.  Conradi,  di  cui  riparleremo 
fra  un  momento)  raccogliendo  alcune  migliaia  di  seguaci,  questi  ultimi 
erano  per  poco  meno  della  metà  provenienti  dal  luteranesimo  o  dal  bat- 
tismo.  Ma  in  Italia  i  protestanti  erano  davvero  quattro  gatti  e  per  di 
più  troppo  occupati  dalla  loro  battaglia  anti-papale  per  avere  gran  che 
voglia  di  discutere  del  sabato  e  del  secondo  Avvento.  Vi  fu  un'eccezione 
solo  alle  Valli  perché  colà  la  Chiesa  Valdese  ha  il  carattere  di  una 
chiesa  «  nazionale  »  e  quindi  il  sano  spirito  di  Bastian  contrario  del 
protestantesimo  porta  periodicamente  alla  nascita  di  una  dissidenza 
minoritaria.  Come  prima  vi  era  nata  una  dissidenza  plymouthista,  così 
vi  fu  una  dissidenza  avventista  e  in  seguito  ve  ne  fu  anche  una  battista. 

Comunque,  in  questi  anni  decisivi  tra  la  fine  dell'Ottocento  e  la 
Guerra  Mondiale,  la  difìusione  dell'avventismo  non  avvenne  per  impul- 
so spontaneo  dal  basso,  attraverso  la  formazione  di  gruppi  locali  e  il 
loro  coordinamento  successivo  secondo  linee  «  orizzontali  »  :  in  questo 
caso,  infatti  anche  l'awentismo  avrebbe  imboccato  la  strada  di  un  con- 
gregazionalismo libertario.  Avvenne  per  opera  di  missionari,  inviati  da 
una  centrale  e  da  essa  sostenuti  finanziariamente,  i  quali  talvolta  erano 
degli  stranieri  addirittura  rispetto  al  paese  in  cui  dovevano  operare. 
Questi  missionari,  a  loro  volta,  si  sforzarono  di  creare  delle  comunità 
e  delle  organizzazioni  locali  modellate  il  più  strettamente  possibile  sul- 
l'esempio delle  strutture  da  cui  essi  erano  stati  mandati.  Si  arrivò  così 
ad  un'accentuata  uniformità  organizzativa  ed  ad  un  apparato  istituzio- 
nale molto  compatto,  articolantesi  in  una  sorta  di  gerarchia  «  verticale  » 
di  organi  direttivi.  La  Conferenza  Generale  restò  come  istanza  suprema 
della  Chiesa  Avventista  a  scala  mondiale  :  ad  essa  vennero  a  fare  capo 
più  Divisioni,  corrispondenti  ognuna  all'area  di  un  continente  oppure 
di  vari  paesi  di  un  paio  di  continenti  ;  ogni  Divisione  venne  ad  articolarsi 
in  più  Unioni,  ciascuna  delle  quali  comprendeva  più  Federazioni  (o  Mis- 
sioni), formate  a  loro  volta  da  un  certo  numero  di  chiese  locali.  La 
provvista  di  pastori  per  queste  ultime  restò  di  competenza  di  ciascuna 
Federazione  (o  Missione). 

Pertanto,  ai  primi  del  Novecento,  si  ebbe  una  Divisione  Europea, 
sotto  la  presidenza  di  quel  tedesco  Riccardo  L.  Conradi,  di  cui  si  è  già 
menzionata  l'attività  in  Russia;  da  questa  Divisione  Europea  dipendeva 


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GIORGIO  SPINI 


una  Unione  Latina,  presieduta  da  un  pastore  francese  Léon  Tièche;  alle 
dipendenze  di  quest'ultima  venne  organizzata  nel  1903  una  Missione 
Italiana.  Detto  di  passaggio,  già  allora  il  peso  dell'elemento  germanico 
era  molto  sensibile  nell'avventismo  europeo;  anche  la  centrale  edito- 
riale, da  cui  uscivano  le  pubblicazioni  avventiste  in  varie  lingue,  era 
stata  posta  ad  Amburgo  nel  1901.  Viceversa  la  Missione  Italiana  aveva 
assai  poco  di  italiano.  Dal  1903  al  1909  fu  diretta  da  un  americano, 
Charles  T.  Everson,  e  vi  operarono  soprattutto  due  francesi,  Léopold 
Bénézet  e  Alfred  Vaucher  :  questo  ultimo  era  un  nipote  di  Caterina  Revel, 
la  valdese  che  per  vario  tempo  era  stata  l'unica  avventista  in  Italia,  e  fu 
altresì  autore  di  pubblicazioni  notevoli  di  storia  e  di  teologia.  Come  al 
solito,  la  Missione  Italiana  batté  la  strada  del  proseUtismo  fra  i  pochi 
e  tribolati  evangelici  italiani.  Oltre  alla  comunità  già  esistente  a  Torre 
Pellice,  ne  sorse  così  un'altra  a  Gravina  nella  Puglia,  a  spese  di  una  co- 
munità battista  locale.  Ma  i  frutti  continuarono  ad  essere  magri;  al 
tempo  della  Guerra  Mondiale,  c'era  in  Italia  un  centinaio  appena  di 
avventisti. 

Oltre  tutto,  l'avventismo  soffriva  della  sua  scarsa  o  nulla  integrazio- 
ne con  la  realtà  italiana.  A  parte  la  popolazione  delle  Valli  Valdesi  abbar- 
bicata alle  sue  montagne  da  secoli,  le  chiese  evangeliche  italiane  erano 
nate  quasi  ad  un  medesimo  parto  col  Risorgimento  e  con  la  Questione 
Romana  e  si  erano  sviluppate  nell'Italia  unita,  condividendo  di  que- 
st'ultima le  vicende  liete  o  tristi  abbastanza  intensamente.  L'avventismo 
era  arrivato  troppo  tardi  per  avere  parte  negli  entusiasmi  garibaldini 
e  nei  furori  della  Questione  Romana  ;  e  nell'Italia  unita  era  rimasto  come 
un  corpuscolo  estraneo,  senza  agganci  con  la  realtà  circostante.  Negli 
anni  immediatamente  precedenti  alla  Guerra  Mondiale,  tuttavia,  qual- 
cosa cominciò  a  cambiare,  sia  pure  —  da  principio  —  in  modo  quasi 
impercettibile.  Qua  e  là,  specie  nel  Mezzogiorno,  tornò  qualche  emigrato 
che  era  diventato  avventista  in  America  e  si  adoperò  a  fare  proseliti  tra 
parenti  e  compaesani:  un  fatto  del  genere  fu  agli  inizi  anche  di  quella 
comunità  di  Gravina,  di  cui  si  è  detto.  Per  la  prima  volta  dopo  mezzo 
secolo  l'avventismo  si  trovò  a  partecipare  in  qualche  modo  ad  una 
delle  grandi  vicende  della  popolazione  italiana,  come  era  in  quegli  anni 
l'emigrazione.  Dalla  comunità  di  Gravina  uscirono  degli  attivisti,  fra 
cui  un  ex-ferroviere  Gian  Luigi  Lippolis,  un  giovane  Nicola  Cupertino 
e  qualche  altro,  i  quali  si  dedicarono  a  fare  il  colportore  ;  lo  stesso  fecero 
alcuni,  di  provenienza  geografica  diversa  come  l'oriundo  delle  Valli  Elia 
Bertalot.  Costoro,  dopo  avere  dato  buona  prova  di  sé  come  colportori, 
furono  chiamati  a  fungere  da  pastori  e  col  passare  del  tempo  più  di  uno 
di  loro  assunse  anche  funzioni  direttive  in  seno  alla  Chiesa.  In  questo 
modo,  la  predicazione  avventista  cessò  gradualmene  di  essere  opera  di 
stranieri,  specie  americani  o  francesi,  dotati  magari  di  un  certo  patri- 
monio intellettuale  ma  privi  di  rapporto  con  la  realtà  italiana,  e  divenne 
opera  di  italiani,  in  buona  parte  di  estrazione  popolare  e  meridionale, 
cioè  idonei  a  capire  e  farsi  capire  dalla  media  dei  propri  connazionali. 
Ma  poiché  la  media  degli  italiani  non  è  fatta  per  nulla  di  protestanti  e 


GLI  AVVENTISTI  IN  ITALIA 


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poiché  i  popolani  meridionali  sono  sanamente  mangiapreti,  i  nuovi  pre- 
dicatori della  sorte  dei  Lippolis  e  dei  Cavalcante  abbandonarono  la  prassi 
di  cercare  proseliti  dentro  le  altre  chiese  evangeliche  e  concentrarono  la 
loro  polemica  contro  la  Chiesa  Romana.  Probabilmente  questa  svolta 
avvenne  senza  che  i  suoi  protagonisti  stessi  se  ne  rendessero  molto  conto. 
Però  fu  una  svolta  decisiva,  da  cui  l'avventismo  italiano  fu  avviato  verso 
un'espansione  sempre  meno  asfittica  e  più  prospera. 

L'opera  del  pastore  De  Meo  documenta  le  tappe  di  questa  espansione 
con  precisione  esemplare  e  con  grande  onestà,  cioè  senza  tacere  che  al- 
cune cose  non  andarono  sempre  in  modo  soddisfacente.  Per  esempio, 
nel  1910  fu  dato  come  successore  allo  Emerson  un  italo-americano  Luigi 
Zecchetto,  la  cui  condotta  sembra  abbia  lasciato  a  desiderare.  Un  po' 
per  questo,  un  po'  per  il  cataclisma  della  Guerra  Mondiale,  l'opera  av- 
ventista  in  Italia  ebbe  daccapo  una  fase  di  sbandamento.  D'altra  parte 
vi  fu  anche  una  pagina  così  luminosa  come  l'eroica  fermezza  nel  rifiuto 
di  usare  le  armi  di  Alberto  Long,  un  avventista  delle  Valli  Valdesi  più 
tardi  missionario  nel  Madagascar.  Ed  è  da  notare  a  tutto  onore  degli 
avventisti  italiani  il  fatto  che  essi  accettarono  senza  alcuna  obiezione 
come  dirigente  dell'opera  nel  dopoguerra  un  ex-nemico,  il  pastore  Dio- 
lode  Werner  che  in  precedenza  aveva  lavorato  in  Germania,  in  Austria  e 
infine  a  Bolzano.  Del  resto,  la  presenza  di  costui  non  restò  un  caso  isolato 
perchè  altri  germanici,  austriaci  o  alto-atesini,  ebbero  parte  altresì  nel- 
l'opera avventista  in  Italia  dagli  anni  venti  del  Novecento  in  poi. 

Il  pastore  Werner  restò  alla  direzione  della  Missione  Italiana  dal 
1921  al  1928.  Dopo  il  1928  e  fino  al  1934,  la  direzione  dell'opera  avven- 
tista in  Italia  passò  al  già  ricordato  Gian  Luigi  Lippolis.  Successivamente, 
e  per  un  assai  lungo  volgere  di  anni,  dal  1934  al  1958,  la  guida  dell'opera 
fu  retta  daccapo  da  un  pastore  Luigi  Beer,  che  era  pure  un  tedesco  del- 
l'Austria, sebbene  prendesse  subito  la  cittadinanza  italiana.  Dal  1958  al 
1963,  infine,  la  presidenza  fu  assunta  dal  pastore  Giuseppe  Cavalcante. 
Questa  specie  di  coltivazione  a  mezzadria  fra  germanici  e  pugliesi  del 
campicello  avventista  è  un  caso  veramente  singolare  e  non  troppo  co- 
mune. Ma  non  c'è  dubbio  che  la  mezzadria  funzionò  bene. 

Fino  ad  allora  la  Missione  Italiana  era  andata  avanti  cercando  a 
tentoni  la  propria  strada.  Dopo  il  1921  la  strada  fu  individuata  con  chia- 
rezza e  decisione  nella  produzione  massiccia  di  pubblicazioni  popolari 
e  nella  loro  vendita  di  casa  in  casa  mediante  colportori.  Non  sembra  che 
allora  si  facesse  molto  nel  campo  della  scuola  e  della  sanità,  contraria- 
mente alla  tradizione  internazionale  dell'avventismo.  Ma  forse  il  clima 
del  fascismo  era  tale  da  scoraggiare  ogni  tentativo  di  questo  genere.  Co- 
munque fu  individuato  pure,  con  altrettanta  chiarezza  e  decisione,  il  ba- 
ricentro geografico  dell'opera  avventista  in  Italia  nella  città  di  Firenze, 
ove  furono  pertanto  dislocati  la  centrale  editoriale  e  poi  anche  l'istituto 
per  la  formazione  dei  quadri  pastorali.  Anche  al  problema  dei  quadri, 
del  resto,  si  dettero  cure  serie  e  sistematiche,  arruolando  decine  di  col- 
portori coraggiosi  ed  entusiasti,  inviando  un  buon  numero  di  giovani 
a  studiare  per  pastori  nella  scuola  avventista  di  Collonges  in  Francia 


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GIORGIO  SPINI 


e  mettendo  in  valore  i  talenti  di  coadiutori  laici  specie  nei  piccoli  centri 
dove  non  si  giustificava  la  presenza  di  un  pastore.  Nel  1928,  al  termine 
della  gestione  Werner,  mutò  lo  status  internazionale  stesso  dell'opera 
avventista  in  Italia.  Cessò  infatti  di  essere  una  Missione  alle  dipendenze 
dell'Unione  Latina  e  attraverso  questa  connessa  alla  Divisione  Europea. 
Divenne  invece  una  Unione  essa  stessa  di  tre  Missioni,  rispettivamente 
per  l'Italia  settentrionale,  centrale  e  meridionale,  connessa  direttamente 
ad  una  delle  tre  Divisioni  in  cui  fu  spartito  allora  l'area  europea,  con 
sede  in  Svizzera. 

Se  c'era  qualcosa  che  facesse  imbestialire  la  gerarchia  cattolica  — 
almeno  a  quel  tempo  —  era  proprio  l'attività  capillare,  di  casa  in  casa, 
dei  colportori  avventisti.  La  stampa  cattolica  di  quegli  anni  assunse  toni 
isterici  addirittura  nel  denunziare  questo  pericolo  per  le  anime  dei  fedeli. 
Vi  furono  appelli  frequenti  al  braccio  secolare  del  governo  fascista, 
uno  dei  quali  fu  rivolto  personalmente  da  Pio  XI  a  Mussolini.  Dall'opera 
di  Giuseppe  De  Meo  si  vede  che  non  mancarono  i  fatti,  oltre  alle  parole, 
cioè  misure  poliziesche  e  vessazioni  delle  autorità.  Ma  si  vede  altresì 
che  quella  mezzadria  di  serietà  germanica  e  di  testardaggine  pugliese  da 
cui  era  improntato  allora  l'avventismo  in  Italia  non  si  lasciò  smontare 
né  dalle  parole  furibonde  né  dai  fatti  vessatori.  Neanche  il  cataclisma 
della  crisi  economica  mondiale  degli  anni  trenta  riuscì  —  a  quanto 
pare  —  a  metterne  in  crisi  la  placida  imperturbabilità.  Forse  nessun 'altra 
chiesa  evangelica  operante  in  Italia  ha  mantenuto  altrettando  coraggio 
tranquillo  e  altrettanta  continuità  di  lavoro  durante  gli  anni  difficili  della 
dittatura,  della  crisi  economica,  delle  guerre  fasciste.  Non  per  nulla 
certamente  proprio  quegli  anni  difficili  videro  un  balzo  in  avanti  signi- 
ficativo dell'avventismo  in  Italia  sul  piano  numerico  stesso.  Nel  1921, 
gli  avventisti  erano  solo  150  in  tutta  Italia  e  le  loro  comunità  si  conta- 
vano sulle  dita  di  una  mano.  Nel  1928,  alla  fine  della  gestione  Werner, 
s'aggiravano  sui  400:  nel  1941,  cioè  nel  pieno  della  seconda  Guerra  Mon- 
diale, erano  ormai  un  migliaio  con  una  ventina  di  chiese. 


Sugli  sviluppi  sempre  più  prosperi  dell'opera  avventista  in  Italia 
dopo  la  fine  della  guerra  e  la  caduta  del  fascismo  possiamo  risparmiarci 
di  entrare  in  particolari,  rinviando  alla  cronaca  accurata  e  ben  docu- 
mentata che  ne  dà  l'opera  del  pastore  De  Meo.  Tuttavia,  alcune  riflessioni 
si  impongono  così  in  sede  di  valutazione  storica  del  passato  come  in 
sede  di  ragionevole  visione  del  futuro. 

Colpisce  infatti,  anche  per  il  periodo  successivo  alla  seconda  Guerra 
Mondiale,  l'ininterrotto  incremento  numerico  dell'avventismo  italiano. 
Da  poco  più  di  mille  nel  1941,  gli  avventisti  salirono  in  Italia  a  circa 
2000  nel  1953,  poi  a  circa  3000  nel  1963,  e  infine  a  circa  4500  nel  1978. 
Come  si  vede,  gli  anni  del  «  miracolo  economico  »,  del  massiccio  esodo 
dalle  campagne  meriodionali  alle  fabbriche  settentrionali  e  del  malfama- 


GU  AVVENTISTI  IN  ITALIA 


71 


to  «  consumismo  »  non  hanno  rappresentato  affatto  un  periodo  di  crisi 
per  l'opera  awentista.  Al  contrario  si  direbbe,  che  un  migliore  livello  di 
istruzione  popolare,  un  tenore  di  vita  meno  gramo  e  primitivo  di  un 
tempo  e  una  maggiore  mobilità  dei  lavoratori  da  una  regione  all'altra 
e  da  un  settore  produttivo  all'altro  abbiano  stimolato,  anziché  rallentato, 
le  conversioni.  Il  che  smentisce  la  tesi  di  quegli  storici  marxisti  secondo 
cui  l'escatologismo  è  una  tipica  ideologia  da  poveracci,  che  ingannano 
la  loro  miseria  trasformandosi  in  «  fanatici  dell'Apocalisse  ».  Viceversa, 
ima  facile  estrapolazione  ci  mostra  che  se  questo  trend  non  subirà  inter- 
ruzioni, la  Chiesa  Awentista  in  Italia,  in  un  futuro  non  lontano,  rappre- 
senterà una  forza  assai  consistente  nell'ambito  del  protestantesimo 
italiano. 

Colpisce  altresì  l'espansione  dell'avventismo  nel  mondo  intero.  Nel 
1940,  v'erano  nel  mondo  circa  450.000  avventisti,  di  cui  oltre  un  terzo, 
cioè  circa  165.000  in  V.SA.  e  Canada;  in  altre  parole,  dai  tempi  della 
signora  White  l'avventismo  aveva  fatto  dei  progressi  notevoli,  ma  non 
dei  balzi  particolarmente  spettacolosi  e  conservava  tuttavia  il  proprio 
baricentro  nell'America  settentrionale  anche  in  termini  numerici.  Nel 
1955  gli  avventisti  erano  circa  1.000.000;  nel  1970  erano  oltre  2.000.000; 
per  il  1979  le  statistiche  davano  circa  3.200.000  avventisti  nel  mondo, 
di  cui  meno  di  un  quinto,  circa  574.000  in  America  Settentrionale.  Come 
si  vede,  proprio  in  questo  nostro  tempo  «  scristianizzato  »  e  «  secolariz- 
zato »,  l'avventismo  ha  fatto  più  convertiti,  sia  in  termini  assoluti  che 
in  termini  relativi,  di  qualsiasi  altro  periodo  precedente.  Se  in  Italia  si 
è  più  che  quadruplicato  dal  1941  al  1979,  nel  mondo  si  è  moltiplicato 
per  oltre  7  volte.  Però  in  questo  stesso  giro  di  tempo  l'antico  primato 
nord-americano  è  andato  declinando.  Secondo  le  statistiche  del  1979,  la 
Divisione  più  forte  dell'avventismo  mondiale  è  quella  centro-americana 
con  593.016  membri;  quella  nord-americana  è  al  secondo  posto  con 
547.231  ;  seguono  al  terzo  e  al  quarto  posto  la  Divisione  sud-americana 
con  439.996  membri  e  la  Divisione  dell'Estremo  Oriente  (che  però  non 
comprende  la  Cina)  con  388.385.  Nato  come  una  sorta  di  dissidio  interno 
del  protestantesimo,  l'avventismo  sta  ormai  espandendosi  assai  più  in 
paesi  cattolici  (o  magari  neo-cristiani)  che  non  in  paesi  di  cultura  pro- 
testante. E'  vissuto  per  decenni  come  un  movimento  predominantemente 
americano,  sta  oggi  diventando  sempre  meno  americano  e  sempre  più 
estesamente  radicato  nel  Terzo  Mondo.  Se  continuerà  questo  trend,  at- 
torno alla  fine  del  secolo  XX  avremo  un  avventismo  mondiale  forte 
di  vari  milioni  di  seguaci,  la  cui  maggioranza  sarà  però  formata  da 
latino-americani  e  da  asiatici. 

L'Encyclopedia  Britannica,  alla  voce  Seventh-Day  Adventists,  afferma 
che  gli  avventisti  «  appartengono  all'ala  ultra-conservatrice  del  prote- 
stantesimo ».  La  storia  dell'avventismo  mondiale  e  italiano  dimostra  che 
questo  ultra-conservatorismo  non  è  stato  tanto  «  ultra  »  da  impedire 
un  bel  po'  di  cambiamenti  durante  i  cento  e  più  anni  trascorsi  da  quando 
un  gruppo  di  yankees,  in  buona  parte  sociniani,  si  riunì  nella  Conferenza 


72 


GIORGIO  SPINI 


Generale  del  1863.  Quindi  non  è  assurdo,  ne  provocatorio,  porsi  il  pro- 
blema di  ulteriori  cambiamenti  eventuali  nell'avvenire. 

Per  quanto  riguarda  l'Italia,  si  possono  trarre  alcune  indicazioni 
interessanti  dalle  vicende  degli  ultimi  decenni.  Come  si  è  detto,  l'awen- 
tismo  era  rimasto  in  Italia,  per  molto  tempo,  come  una  sorta  di  corpu- 
scolo estraneo  alla  realtà  storica,  politica,  sociale,  culturale  del  paese. 
E  certamente  la  Chiesa  Avventista  non  è  uscita  dal  suo  tradizionale 
riserbo  rispetto  alle  lotte  politiche  e  ai  conflitti  sociali  neanche  dopo  la 
seconda  Guerra  Mondiale.  Tutto  si  può  dire  degli  Avventisti,  ma  non  che 
siano  stati  contagiati  dalla  moda  del  parlare  in  sinistrese  !  Però  sono 
stati  anch'essi  coinvolti  in  una  vicenda  nazionale  di  grande  importanza, 
come  la  lotta  per  la  libertà  religiosa  degli  anni  successivi  alla  seconda 
Guerra  Mondiale,  e  a  quella  vicenda  hanno  portato  un  loro  contributo 
originale  a  motivo  della  questione  del  sabato.  Per  la  prima  volta  dopo 
tanti  decenni,  i  leaders  avventisti  hanno  discusso  con  governanti  e  con 
parlamentari  dell'Italia  e  sono  diventati  a  loro  volta  oggetto  di  attenzione 
da  parte  di  forze  politiche  e  di  organi  di  stampa.  Fra  l'altro,  sono  stati 
presenti  onorevolmente  anche  in  occasione  di  un  problema  di  così  alto 
significato  civile  e  morale  come  l'obiezione  di  coscienza  al  servizio  mi- 
litare. Oltre  che  con  l'Italia  politica,  gli  avventisti  hanno  intrecciato  un 
dialogo,  in  questi  ultimi  decenni,  con  l'Italia  della  cultura.  Tanto  fra  i 
membri,  quanto  fra  gli  operai  della  Chiesa  Avventista  il  numero  di  coloro 
che  hanno  studiato  in  facoltà  universitarie  laiche,  oltre  che  in  scuole 
denominazionali,  è  cresciuto  in  modo  significativo.  Lo  stesso  presidente 
attuale  dell'opera  avventista  in  Italia,  dr.  Gianfranco  Rossi,  è  laureato 
di  una  facoltà  statale.  E  alla  Andrews  University  avventista,  negli  Stati 
Uniti,  è  oggi  docente  un  italiano,  Samuele  Bacchiocchi,  che  si  è  laureato 
alla  Pontificia  Università  Gregoriana  addirittura.  Dicendo  questo,  non  si 
vuol  davvero  sminuire  il  valore  dell'opera  compiuta  da  quei  colportori 
autodidatti  e  da  quei  pastori  formati  in  scuole  estere,  che  lavorarono  con 
tanta  abnegazione,  tanto  coraggio  e  tanto  importanti  risultati  nei  de- 
cenni passati.  Ma  si  prende  atto  realisticamente  di  un  processo  evolutivo 
ormai  in  corso,  che  —  a  vista  umana  almeno  —  non  si  vede  come  possa 
arrestarsi  o  tornare  indietro. 

Ciò  vale  anche  per  i  rapporti  tra  gli  avventisti  e  gli  altri  evangelici 
in  Italia.  Come  si  è  visto,  l'avventismo  cominciò  ad  espandersi  in  Italia 
quando  abbandonò  la  prassi  del  cercare  proseliti  nelle  chiese  evange- 
liche. Al  periodo  dei  tentativi  (per  dirla  scherzosamente)  di  abigeato, 
successe  un  periodo  durante  il  quale  gli  avventisti  da  una  parte  e  gli 
altri  evangelici  italiani  dall'altra  smisero  bensì  di  litigare  ma  si  igno- 
rarono o  quasi  a  vicenda.  Neanche  dopo  la  II  Guerra  Mondiale  la 
Chiesa^  Awentista  in  Italia  ha  dimesso  un  atteggiamento  prudente  e 
un  po'  riservato  nei  confronti  delle  altre  denominazioni  evangeliche. 
Pero  trovo  per  vari  anni  un  terreno  di  collaborazione  con  esse  e  col 
Consiglio  Federale  delle  Chiese  Evangeliche  in  Italia  in  quella  difesa 
della  liberta  religiosa,  di  cui  sopra  si  è  detto.  Posteriormente,  la  Chiesa 
Avventista  non  ritenne  opportuno  di  aderire  alla  Federazione  delle  Chiese 


GLI  AVVENTISTI  IN  ITALIA 


73 


Evangeliche  in  Italia,  quando  essa  fu  costituita.  Tuttavia  fu  presente 
al  II  Congresso  degli  Evangelici  Italiani  e  seguì  le  iniziative  della  Fede- 
razione, sia  pure  dall'esterno,  con  attenzione  non  malevola.  In  pratica, 
tra  gli  avventisti  e  gli  altri  evangelici  italiani  è  passato  e  passa  quoti- 
dianamente un  complesso  di  rapporti  e  di  dialoghi,  sia  pure  del  tutto 
informali,  e  magari  personali  soltanto,  quale  mai  sarebbe  stato  pensa- 
bile in  altri  tempi.  Tutto  è  possibile,  al  solito;  ma  è  davvero  poco  pro- 
babile che  si  torni  indietro  anche  sotto  questo  profilo. 

Al  contrario  è  probabile  —  e  secondo  chi  scrive  queste  pagine  è 
auspicabile  —  che  da  una  sorta  di  «  disgelo  »  reciproco  si  passi  ad  un 
franco  ed  amichevole  confronto  fra  gli  avventisti  da  una  parte  e  l'evan- 
gelismo «  storico  »  italiano  (valdesi,  metodisti,  battisti)  dall'altra.  Ov- 
viamente, il  confronto  fondamentale  non  può  non  essere  teologico  :  deve 
essere  quindi  un  confronto  sul  problema  escatologico  alla  luce  degli 
sviluppi  della  teologia  protestante  da  Bonhoeffer  a  Moltmann.  Però  in 
questa  nostra  età,  che  vive  sotto  l'incubo  della  droga  e  di  tanti  altri 
flagelli  annidati  nella  psiche  oltre  che  nella  carne  degli  uomini,  è  vera- 
mente urgente  un  confronto  anche  su  temi  di  «  health  reform  »  e  di 
medicina;  in  questo  campo,  come  l'evangelismo  italiano  può  attingere 
dall'ormai  vasta  esperienza  dei  suoi  ospedali,  così  può  fare  l'awentismo 
dal  suo  imponente  patrimonio  internazionale.  E  non  è  da  escludere  che 
vi  siano  non  poche  cose  da  dirsi  anche  a  proposito  dell'America  Latina, 
specie  per  quanto  riguarda  i  valdesi. 

Si  potrebbe  continuare  ancora  in  questa  ipotizzazione  di  temi  di 
comune  interesse.  Ma  il  fatto  centrale  è  —  comunque  —  che  «  sola 
Scriptura  »  sta  scritto  idealmente  sulla  porta  tanto  delle  chiese  awen- 
tiste  quanto  della  altre  chiese  evangeliche  italiane.  Forse  è  giunto  il 
momento  di  una  lettura  comune  della  Parola  di  Dio,  con  tutta  l'umiltà 
che  è  necessaria  per  lasciarsi  da  lei  ammaestrare.  E  forse  è  arrivato  il 
momento  anche  di  comprendere  meglio  come  il  seme  della  Parola  non 
sia  stato  gettato  invano  né  nel  caso  degli  uni,  né  nel  caso  degli  altri. 
II  bene,  in  parole  alla  buona,  può  anche  volere  dire  uno  sforzo  per  ca- 
pirsi a  vicenda  meglio  di  quanto  sia  stato  fatto  fino  ad  ora.  È  utopistico 
pensare  che  la  Claudiana,  come  ha  pubblicato  quest'opera  del  pastore 
De  Meo  cui  sono  dedicate  le  presenti  riflessioni,  così  pubblichi  in  un  fu- 
turo non  lontano  un'antologia  di  scritti  di  Ellen  White?  Ed  è  ancora 
più  utopistico  sognare  il  giorno  in  cui  gli  scritti  di  un  dottore  della  Chiesa 
valdese,  come  Giovanni  Miegge,  possano  essere  diffusi  anche  da  librerie 
awentiste? 


GIORGIO  SPINI 


INDICE 


ENEA  BALMAS  -  ESTHER  MENASCE'  -  L'opinione  pubblica 

inglese  e  le  «  Pasque  Piemontesi  »:  nuovi  documenti  .     .  pag.  3 

GIOVANNI  GONNE!  -  Mérindol:  fine  del  Valdismo?  ...»  27 

ROMOLO  CEGNA  -  //  Valdismo  medievale  come  religione  pe- 
nitenziale  »  37 

SALVATORE  CAPONETTO  -  Ricerche  recenti  su  Juan  de  Val- 

dés  e  il  valdesianismo  in  Italia  »  51 

GIORGIO  SPINI  -  Gli  Avventisti  in  Italia  »  59 


1  1012  01474  7572 


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