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Full text of "Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli"

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BODDETTINO 


DELLA 


SOCIETÀ  DI  NATURALISTI 


BOLLETTINO 


DELLA 


lETA  DI  NATURALIST 


iiv  ivA^i^or^i 


VOLUME  XXIV  (SERIE   II,  VOL.   IV) 

1910 

Oon    3    ta^T-ole 


(Pubblicato  il  30  maggio  1911) 


NAPOLI 

R.    3TABIL1MKNT0    TIPOGRAFICO    FRANCESCO   GIANNINI  &   FIGLI 

Strada  Cisterna  dell'Olio 
1911 


'lgiQ8  e  stputtupa  del  corpo  ovale  del  DsLctyiopius  citri 

e  del  coppo  vePde  MVApMs  brassìcae 

li  nota  preliminare  sulla  simbiosi  ereditaria  jC\^    „  . 

del  socio  Dr.  Umberto  Pierantoni        ;  '"^  '^    '^'9-%.  <'^ 


(Tornata  del  6  febbraio  1910) 


Il  Berlese  in  un  suo  lavoro  pubblicato  il  1893  sui  Dady- 
lopiits^  esaminando  la  organizzazione  interna  di  questi  còccidi 
fermò  la  sua  attenzione  su  di  un  vistoso  organo,  che  trovasi  sotto 
r  intestino,  verso  la  parete  ventrale  della  cavità  del  corpo  e  clie 
egli  chiamò,  per  la  forma  che  assume,  corpo  ovale,  notando  essere 
costituito  da  cellule  «  dilatate  per  infiltramento  di  grasso  »,  non 
aventi  alcuna  relazione  con  gli  organi  circostanti.  Nel  suo  breve 
cenno  il  Berlese  non  dà  alcuna  interpretazione  al  curioso  or- 
gano, né  altre  osservazioni  sono  venute,  che  io  mi  sappia,  ad  ac- 
crescere la  conoscenza  dell'  organo  in  quistione.  Ad  esso  io 
stesso  ebbi  occasione  di  accennare  in  una  mia  precedente  nota  ^) 
in  cui,  descrivendo  in  forma  preliminare  le  costanti  vicende  di 
speciali  corpuscoli,  che  interpretavo  quali  blastomiceti  simbiotici, 
attraverso  le  uova,  l'embrione  ed  alcuni  organi  dell' Jcer?/«  adulta, 
formulavo  la  previsione  che  anche  il  corpo  ovale  di  Dadylopiiis 
potesse  corrispondere  agli  organi  a  blastomiceti  d'Icerya. 

Questa  mia  supposizione  ha  trovato  piena  conferma  in  una  serie 
di  speciali  osservazioni  compiute  al  fine  di  dare  all'organo  in  qui- 
stione il  suo  reale  valore.  A  tale  scopo,  come  nel  caso  d' Jcer^a, 
mi  son  servito  specialmente  dello  studio  delle  uova  e  degli  em- 
brioni di  Dadylopius,  nonché  dell'organo  ovale  degli  adulti,  e,  in 
maniera  del  tutto  provvisoria,  della  coltura  in  gelatina  di  parti- 
celle ottenute  con  la  dissociazione  delle  cellule  del  detto  organo 
appena  estratto  dal    corpo    degli    animali    viventi.    Espongo    qui 

^)  L'  erigine  di  alcuni  organi  d'  Icerya  purchasi  e  la  simbiosi  ereditaria. 
Boll.  Soc.  Naturai.  Napoli,  anno  1909,  voi.  XXIII,  pag.  147. 


—  2  — 

l)rov(UiR'nt(!  l'd  in  torma  dol  tulio  preliminarii  i  principali  risul- 
tati dello  mie  osservazioni  od  osperionz(\ 

Le  cellule  che  costituiscono  il  corpo  ovale  di'H'  adulto,  ac- 
conciamente trattato  e  colorato,  mostrano  un  contenuto  constituito 
da  numerosissimi  corpuscoli  di  forma  ])iù  o  meno  allungata 
e  rivestiti  di  membrana.  Questi  corpuscoli  non  sono  sparsi  uni- 
formemente in  tutta  la  massa  di  ciascuna  cellula,  ma  sono 
raggruppati  mediante  membranelle  involgenti  in  sferulo.  In  cia- 
scuna cellula  sono  contenuto  dieci  o  dodici  di  tali  sferule,  fittamente 
stipate  le  une  accanto  alle  altre  in  modo  da  riempirne,  formando 
una  sola  massa  compatta,  tutto  il  protoplasma,  e  circondando  il 
nucleo,  che  scorgesi  al  centro  di  ciascuna  cellula  notevolmente 
compresso  da  ogni  parte  e  deformato  dalle  sferule.  Tutto  1'  or- 
gano è  involto  in  una  membrana  epiteliale,  fatta  da  minutissime 
cellule  appiattite.  Le  cellule  interno  si  scorgono  sposso  in  istato 
di  attiva  riproduzione  cariocinetica.  Le  cellule  più  prossimo  alla 
superficie  del  corpo  ovale  mostrano  spesso  le  sferule  ripione  di 
corpuscoli  più  grandi,  ed  appaiono  turgescenti  e  con  membrana 
in  disfacimento.  Le  sferule  contenute  in  dette  cellule  divengono 
cosi  libere  nella  cavità  del  corpo.  Per  tal  modo  esse  pervengono 
facilmente  a  contatto  con  le  uova  dei  grappoli  ovarici  contenuto 
in  essa  cavità,  le  quali  a  completa  maturità  sessuale,  per  il  loro 
numero  elevato,  si  addossano  sul  corpo  ovale,  e  lo  comprimono 
deformandolo. 

Come  è  noto,  le  uova  dei  Dadylo'pnis,  come  quelle  degli  altri 
còccidi,  sono  fornite  al  polo  anteriore  di  un  gruppo  di  cellule 
nutrici,  che  per  mezzo  di  un  cordone  sono  in  relazione  col  vitello 
dell'  oocito.  Le  sferule  ripiene  di  corpuscoli,  liberatesi  dalle  cel- 
lule dol  corpo  ovale  e  pervenute  nella  cavità  del  corpo,  pene- 
trano nel  plasma  delle  cellule  nutrici  degli  oociti  in  istato  di 
avanzato  accrescimento,  in  numero  di  circa  venti,  ed  ivi  stazionano 
raccolte  presso  il  limite  fra  queste  e  l'uovo,  fino  a  che  il  plasma 
delle  cellule  stesse  non  sia  quasi  esaurito  e  quindi  l'oocito  giunto 
a  completo  accrescimento.  Allora  le  sferule,  seguendo  la  medesima 
via  che  ha  seguito  il  plasma  delle  nutrici  (cioè  lungo  il  percorso 
del  cordone  nutritivo),  penetrano  nel  vitello  dell'uovo,  e  vi  costi- 
tuiscono una  massa  sferica,  che  viene  ravvolta  in  un  sottilissimo 
strato  di  plasma  condensato  a  mo'  di  membrana:  entro  questa 
massa  sono  chiaramente  visibili  le  sforule  ripiene  di  corpuscoli 
innanzi  descritte.  Durante  le  prime  fasi  della  vita  embrionale 
(segmentazione,  formazione  del  blastoderma  e  della  striscia  em- 
brionale) la  massa  in  parola  viene  ravvolta  da  cellule,  che  si  insinuano 


—  3  — 

anche  fra  le  sferule  contenute  in  essa,  o  migra  intanto  dal  polo 
anteriore  al  posteriore  (vegetativo)  ed  ivi  resta  durante  buona 
parte  della  vita  dell'embrione;  indi  si  sposta  verso  il  dorso  dell'em- 
brione e  resta  inclusa,  col  rovesciamento  che  prelude  alla  forma- 
zione della  larva,  nella  cavità  del  corpo,  occupando  proprio  il 
posto  che  nell'adulto  ha  il  corpo  ovale,  al  quale  le  cellule  che 
hanno  circondata  e  compenetrata  la  massa  danno  origine,  mentre 
le  sferule  ripiene  di  corpuscoli,  moltiplicandosi,  costituiscono  il 
contenuto  del  protoplasma     delle  cellule  di  esso  corpo. 

Come  si  vede,  qui  si  ha  un  caso  analogo  a  quello  dell'  1- 
cerya^  ma  la  massa  polare  invece  di  formarsi  al  polo  posteriore 
per  penetrazione  dei  corpuscoli  attraverso  il  follicolo  ed  il  micro- 
pilo, come  in  Icerya,  ha  al  contrario  origine  al  polo  anteriore,  pe- 
netrando i  corpuscoli  attraverso  le  cellule  nutrici  per  la  via  stessa 
che  segue  il  plasma  di  nutrizione.  Inoltre,  i  corpuscoli,  invece  di 
essere  liberi,  come  in  Icerya^  sono  raccolti  in  gruppi  od  am- 
massi sferici  e  come  tali  si  rinvengono  in  ogni  fase  delle  loro 
migrazioni. 

Che  si  tratti  anche  qui  di  microrganismi  a  me  non  par  dub- 
bio, sia  per  la  forma  e  per  gli  indizii  di  attività  riproduttiva  che 
i  corpuscoli  mostrano  nei  preparati,  sia  perchè  le  colture  di  essi 
mi  hanno  dato  colonie  di  individui  liberi  ed  in  filamenti  non  dis- 
simili per  forma  da  quelli  ottenuti  da  Icerya^  sebbene  assai  più 
sottili  (come,  del  resto,  più  sottili  di  quelli  d^Icerya  sono  anche 
i  corpuscoli).  Ma  la  prevalenza  della  forma  allungata  e  bacillare 
che  si  nota  nei  corpuscoli  mi  fa  restare  ancora  in  dubbio  se 
riconoscere  anche  in  questo  caso  dei  blastomiceti  o  se,  piutto- 
sto, non  si  tratti  di  batterli;  nel  qual  caso  ci  troveremmo  di  fronte 
a  veri  corpuscoli  di  Blochman  che,  come  Mercier  ha  dimostrato, 
nella  Blatta  sono  dei  veri  batterli. 

È  tuttavia  anche  qui  da  mettere  in  evidenza  che  in  questo 
nuovo  interessante  caso  non  si  tratta  di  una  casuale  simbiosi  o 
di  un  passeggiero  adattamento,  ma  di  un  fatto  costante,  che  ho 
riscontrato  in  centinaia  di  uova  e  di  Dactylopius  adulti,  perve- 
nutimi da  diversi  luoghi  :  ritengo  perciò  che  il  corpo  ovale, 
mediante  il  suo  contenuto,  debba  avere  un  ben  determinato  uf- 
ficio nella  economia  del  Dactylophis;  ufficio  allo  stato  dei  fatti 
difficile  a  precisarsi,  ma  che  niente  esclude  possa  anche  qui  essere 
in  relazione  con  la  maniera  di  nutrirsi  di  questi  animali  ^). 

^)  V.  lavoro  citato,  pag.  150. 


—  4  — 

Nella  notii  precodonto  prevedevo  che  oltre  al  corpo  ovale  di 
Duci [jìopius  anche  il  corpo  verde  degli  afidi  potesse  corrisponde- 
re agli  organi  a  blastomiceti  cVIccrija.  Per  quel  che  riguarda  gli 
afidi  posso  fin  da  ora  confermare  clic  il  corpo  V(3r(le  in  Aphis 
brasfiicae  risulta  a])punto  costituito  tanto  nell'cml)rione  che  nel- 
l'adulto da  cellule  ricolme  di  corpuscoli  saccaromicetiformi,  che 
estratti  dal  corpo  vivono  e  si  moltiplicano  attivamente  in  ge- 
latina zuccherata,  ciò  clic  fa  supporre  possa  trattarsi  di  bla- 
stomiceti. 

Le  vicende  di  questi  corpuscoli  nell'  uovo  e  nell'  embrione, 
come  possono  rilevarsi  in  parte  dallo  studio  sulla  generazione 
degli  afidi  pubblicato  fin  dal  1870-72  dal  Balbiani  (Ann.  Se. 
Nat.  Tomo  XV),  sono  nell'embrione  assai  simili  a  quelle  della 
massa  polare  d' Icerya  e  di  Dadylojìius  da  me  descritte.  È 
tuttavia  da  notare  l'erronea  interpretazione  che  il  Balbiani  dà  a 
detta  massa,  che  del  resto  egli  non  riesce  a  seguire  nel  suo  in- 
tero sviluppo:  egli  perciò  non  trovando  nessuna  relazione  fra  essa 
ed  il  corpo  verde,  che  egli  stesso  aveva  descritto  negli  afidi 
adulti  (1866),  la  interpreta  come  l'elemento  maschile  di  un  ipote- 
tico apparecchio  ermafroditico  dell'afide,  in  cui  i  corpuscoli  sa- 
rebbero le  cellule  maschili  fecondatrici.  Interpretazione  che,  giu- 
stificata solo  da  una  certa  analogia  con  la  maniera  e  la  precocità 
di  produzione  embrionale  degli  organi  sessuali  femminili,  ha  reso 
possibile  la  erronea  veduta  del  Balbiani,  che  esistessero  fra  gli 
afidi  forme  ermafrodite. 

Le  mie  ricerche  adunque  oltre  a  mettere  in  rilievo  l'esistenza 
costante  e  la  evoluzione  di  ben  definiti  e  caratteristici  micror- 
ganismi simbiotici  in  determinati  organi  degli  insetti,  nonché  a 
seguirne  le  vicende  ereditarie  nelle  successive  generazioni,  giun- 
gono a  stabilire  la  perfetta  omologia  fra  i  corpi  a  blastomiceti 
dell'  Icerya,  il  corpo  ovale  del  Daclylopiiis  e  il  corpo  verde  degli 
afidi;  omologia  stabilita  tanto  su  dati  di  posizione  e  di  struttura 
(trattandosi  sempre  di  ammassi  cellulari  posti  nella  cavità  del 
corpo  e  rivestiti  da  involucri  epiteliai'i)  quanto  su  dati  embrio- 
logici, essendo,  salvo  diiferenze  di  dettaglio,  sempre  identiche  le 
vicende  embrionali  e  l'origine  di  questi  organi  dalla  massa  polare. 

Fra  non  molto  sarò  in  grado  di  illustrare  con  maggiori  det- 
tagli, in  un  lavoro  fornito  di  tavole,  i  fatti  brevemente  esposti 
in  questa  e  nella  precedente  nota  preliminare  sulla  simbiosi  ere- 
ditaria. 

Napoli,  Istituto  Zoologico  della  R.  Università,  Geiuiaio  1910. 


Di  due  casi  di  morsicatura  di  Vipera 


NOTA 


del  socio  Gesualdo  Police 


(Tornata  del  6  febbraio  1910) 

Verso  la  fine  del  1908  comunicai  le  considerazioni  intorno 
ad  un  caso  di  morte  per  il  morso  di  una  Vipera  melanica  nelle 
province  meridionali  d' Italia  ^).  Discutendo  il  caso,  fra  le  varie 
quistioni,  fui  condotto  ad  occuparmi  sia  di  quella  riguardante  la 
stagione  nella  quale  la  morsicatura  riesce  più  pericolosa,  sia  di 
quella  clie  tratta  della  frequenza  delle  morti  per  avvelenamento 
da  Vipera  nel  mezzogiorno  d'Italia 

Due  casi,  dei  quali  ho  avuto  cognizione  durante  il  1909,  mi 
permettono  di  porgere  un  contributo  di  fatti  ad  entrambe  le  qui- 
stioni : 

1.0  caso. —  È  accaduto  a  Baone  (Colli  Euganei).  Di  esso  mi 
fu  dato  cortesemente  notizia  dal  Prof.  Davide  Carazzi  della  E,. 
Università  di  Padova.  Gliene  porgo  qui  i  miei  ringraziamenti. 

Il  20  Aprile  1909  fu  ricoverata  d'urgenza  nell'ospedale  ci- 
vico di  Padova  una  contadina  G.  P.  di  anni  26,  nubile,  di  Baone. 
Il  giorno  precedente  ella  era  stata  morsicata  da  una  Vipera  alla 
prima  falange,  parte  dorsale,  del  dito  medio  della  mano  destra. 
Presentava  leggiera  tumefazione  e  dolore  all'  avambraccio. 

L'animale  morsicatore,  ucciso  e  portato  in  esame  al  prof.  Ca- 
razzi ,  venne  da  questi  determinato  per  la  Vipera  aspis  :  esem- 
plare di  medie  dimensioni,  certo  adulto. 

Le  conseguenze  di  questa  morsicatura  furono  di  nessuna 
importanza.  Dietro  impacco  di  acqua  vegeto-minerale  e  iniezioni 

')  PoLiCE,  G.  —  Di  un  caso  di  morte  per  il  morso  di  una  Vipera  melanica 
nelle  province  napoletane.  Boll.  Soc.  Naturalisti  Napoli,  Voi.  22,  1908. 


—  e  — 

occitanti,  l' indomani  era  scomparsa  la  leggiera  reazione  localo 
od  il  dolore.  La  morsicata  uscì  quindi  dall'ospedale  completamente 
guarita,  avendo  provato  soltanto  una  gran  paura. 

2.°  caso.  —  E  accaduto  a  Mugnano  del  Cardinale  in  provincia 
di  Avellino. 

Appresi  la  notizia  dai  giornali  e  ne  chiesi  particolari  al  Sin- 
daco locale;  questi  incaricò  della  risposta  il  dottor  P.  Bianco, 
ufficiale  sanitario  di  quel  comune,  che  gentilmente  volle  accon- 
tentarmi con  ampli  particolari.  Ringrazio  entrambi. 

Il  30  luglio  1909,  un  giovane  ventinovenne  M.  M.,  di  agiata 
condizione,  di  costituzione  fisica  non  robustissima,  ma  tale  da 
permettergli  di  recarsi  quasi  tutti  i  giorni  a  caccia  in  montagna, 
andava  con  un  suo  amico  in  una  contrada  detta  Litto  (montagna 
boscosa)  per  appostarvi  la  rete.  Volendo  soddisfare  un  bisogno, 
mentre  si  accingeva  ad  accovacciarsi  sbottonandosi  i  calzoni,  fu 
morsicato  da  una  Vipera  alla  regione  interna  della  radice  della 
coscia  destra.  Col  suo  stesso  fucile  uccise  l'animale,  indi  chiamò 
in  aiuto  il  compagno  di  caccia,  che  s'era  allontanato  da  lui. 

Il  compagno  sopraggiunse  dopo  una  quindicina  di  minuti  e 
cercò  di  causticare  la  ferita  prodotta  dal  morso  con  la  bacchetta 
di  ferro  del  fucile  arroventata  al  fuoco  di  sterpi  raccolti.  Subito 
dopo  l'M.  M.  fu  preso  da  malessere  generale,  accompagnato  da 
vomito  e  diarrea,  e  da  prostrazione  tale  che  il  compagno  per 
condurlo  in  paese  dovette  caricarselo  sulle  spalle  per  buon  tratto 
di  strada,  finché  non  incontrò  alcuni  contadini  che  lo  aiutarono. 

Giunti  in  paese  ricorsero  alle  cure  del  medico,  ma  nonostante 
queste  fossero  state  pronte,  continuò  il  vomito  giallo-verdognolo 
con  dolori  gastrici,  che  andarono  man  mano  aumentando  fino  a 
che  l'ammalato  non  cadde  in  preda  ad  un  vero  delirio  e  fu  preso 
da  uno  stato  convulsivo  con  perdita  completa  della  coscienza  e 
midriasi  delle  due  pupille.  I  polsi  andarono  gradatamente  dimi- 
nuendo e,  nonostante  le  iniezioni  eccitanti  praticate,  l'ammalato 
andò  sempre  peggiorando  ;  la  sua  temperatura  sali  a  4:0o2,  indi 
mori  per  paralisi,  alla  distanza  di  sette  ore  dalla  morsicatura. 

Suir  influenza  della  stagione  nella  quale  viene  fatta  la  morsica- 
tura sull'efficacia  dell'avvelenamento  scrisse  I'Albertoni  ^),  appog- 
giando le  sue  deduzioni  con  esperienze  di  laboratorio,  nelle  quali 

1)  Albertoni,  P. — Sull'azione  del  veleno  della  Vipera.  —  Lo  sperimentale 
T.   44,  187'J. 


-  7  - 

faceva  morsicare  da  Vipere,  in  varie  epoche,  degli  animali.  Egli 
mostrò  cosi  che  il  veleno  iniettato  pel  morso  della  Vipera  è  pres- 
soché innocuo  nel  mese  di  aprile  e  che  la  sua  potenza  comincia 
a  manifestarsi  in  maggio  per  crescere  nei  mesi  successivi. 

Dei  due  casi  da  me  qui  esposti,  l'animale  che  ha  morsicato 
a  Baone  in  Aprile  è  un  esemplare  adulto,  come  ha  potuto  os- 
servare il  prof.  Carazzi,  quindi  è  da  escludersi  che  la  sua  mor- 
sicatura abbia  potuto  dare  lievi  conseguenze  per  la  giovane  età, 
come  si  può  interpretare  pel  caso  capitato  al  Costa  ^);  piuttosto, 
in  conferma  delle  esperienze  di  laboratorio  dell' Albeetoni,  i  lievi 
effetti  da  essa  prodotti  coincidono  con  l'epoca  nella  quale  il  ve- 
leno è  stato  riscontrato  meno  efficace. 

Viceversa,  le  conseguenza  della  morsicatura  nel  caso  di  Mu- 
gnano  del  Cardinale,  stanno  a  mostrare  come  in  luglio  si  hanno 
effetti  gravissimi.  Né  si  può  obbiettare  che  il  ritardo  delle  cure 
in  questo  secondo  caso,  dato  il  tempo  che  ha  dovuto  passare  fino 
al  trasporto  in  paese,  abbia  potuto  renderne  le  condizioni  più 
gravi  rispetto  a  quello  di  Baone,  in  quanto  anche  in  questo, 
prima  di  avere  le  cure  necessarie,  la  morsicata  dovette  essere 
trasportata  da  Baone  a  Padova,  ed  i  fenomeni  furono  sempre 
lievissimi,  mentre  nel  caso  di  Mugnano  del  Cardinale  assunsero 
forma  gravissima   fin    da  pochi  momenti  dopo  la  morsicatura. 

Mi  pare  quindi  che  le  esperienze  dell' Albertoni  sugli  ani- 
mali vengano  confermate  dai  casi  capitati  nell'  uomo  e  venuti 
a  mia  conoscenza:  nel  mese  di  aprile  la  morsicatura  della  Vi- 
pera (almeno  della  Vipera  aspis)  non  produce  fenomeni  di  av- 
velenamento di  grave  entità,  come  prova  il  caso  di  Baone  ;  assume 
forma  grave  nei  mesi  seguenti:  in  maggio,  come  mostra  il  caso 
della  morsicatura  della  Vipera  melanica  da  me  in  altro  lavoro 
descritto  ^),  in  luglio  come  per  il  caso  di  Mugnano  del  Cardinale 
del  quale  ho  qui  parlato. 

Il  caso  di  Mugnano  del  Cardinale  è  il  secondo  caso  di  morte 
per  morsicatura  di  Vipera,  che  nel  giro  di  pochi  mesi  è  capitato 
a  mia  conoscenza  nella  stessa  provincia;  visto  che  anche  quello 
della  Vipera  melanica  capitò  in  provincia  di  Avellino  (Serino). 
Ciò  sta  a  provare  che  anche  nelle  province  meridionali  queste 
morti  non  sono  rare;  e  se  si  tien  conto  che  questi  due  casi  sono 


^)  Costa  A.— Sugli  effetti  del  veleno  della  Vipera  sull'  uomo.  Rend.  R.  Acc. 
Se.  Napoli  (1),  Voi  21,  1882. 
2)  V.  lav.  cit. 


—  8  - 

stati  appresi  per  pura  combinazione  (il  primo,  quello  di  Serino, 
perchè  si  trattava  di  una  Vipera  nera  non  mai  vista  fino  allora 
e  portata  all'Istituto  Zoologico  perchè  creduta  un  altro  serpente; 
il  secondo,  perchè  essendo  il  morsicato  figlio  di  persona  di  ri- 
guardo nel  comune,  la  notizia  fu  i-iportata  dai  giornali),  c'è  da 
credere  che  molti  altri  ne  resteranno  ignorati. 

Ciò  avvalora  l'opinione  da  me  espressa  in  altro  lavoro  ^), 
quando  cioè  considerai  come  troppo  ottimiste  le  considerazioni 
del  Costa  (che  è  stato  il  solo  che  abbia  parlato  di  Vipere  nel- 
l'Italia meridionale)  a  proposito  della  poca  entità  delle  conse- 
guenze della  morsicatura  della  Vipera.  Questo  suo  concetto  è  stato 
diffuso  da  lui,  dalla  cattedra  tenuta  per  tanti  anni,  nelle  classi 
colte,  specie  di  medici,  che  cosi  danno  poco  importanza  alla  mor- 
sicatura del  serpente  in  parola,  nonostante  il  popolo  abbia  gran 
paura  di  esso  ^). 

A  me  pare  che  la  rarità  delle  morti  per  morsicatura  di  Vi- 
pera nelle  provincie  del  mezzogiorno  sia  un  pregiudizio,  il  quale 
nuoce  nel  senso  di  non  far  ben  premunirsi  contro  inconvenienti 
del  genere;  mentre  alcune  misure  precauzionali  meriterebbero  di 
essere  ben  diffuse  e  ben  conosciute  da  tutti,  specialmente  nelle 
stagioni  in  cui  la  morsicatura  riesce  più  pericolosa  non  solo  per 
gli  uomini,  ma  anche  per  gli  animali  (specie  buoi  e  cani),  i  quali 
con  maggiore  faciltà  vanno  incontro  ad  essere  morsicati  dalle 
Vipere. 

Napoli,  Istituto  zoologico  della  R.  Università.  —  Gennaio  1910. 

1)  PoLicE  G.  —  lav.  cit.,  pag.  113. 

2)  Questa  nota  era  gicà  alle  stampe  allorché  ho  avuto  notizia  di  altri  due 
casi  di  morte  per  morsicatura  di  Vipera  nelle  province  nostre.  Un  primo 
caso  avvenuto  alcuni  anni  fa,  a  Positano,  nella  persona  di  un  bambino.  Un 
secondo  caso  avvenuto  recentemente  (negli  ultimi  giorni  dell'Aprile  1910)  a 
Ripabottoni  (Molise)  in  persona  di  una  guardia  municipale.  Ciò  sempre  a 
conferma  di  quanto   qui  sostengo. 


L'  IDROGRAFIA  DELL'AGRO  TELESINO 


IVO  ne  A. 

del  socio  Vincenzo  GAururER 


< 


(Tornata  dal  17  aprile  1910) 

Nell'Agro  Telesino  si  riscontrano  33  sorgenti  di  acque  dolci 
e  minerali,  distinte  nel  modo  seguente  : 

Sorgenti  Solfuree  Carboniche  .         .         N.  23 
»         Alcaline      ....  »      3 

»         Dolci  .         .         .         .         .  ».  7 

Di  queste,  29  (cioè  19  solfuree,  3  alcaline  e  7  dolci)  efflui- 
scono dalla  base  del  monte  Pugliano,  lungo  una  linea  diretta  da 
E  a  0,  mentre  le  altre  4  solfuree  emergono  più  a  valle,  a  circa 
300  m.  dalla  base  del  detto  monte. 

Le  19  sorgenti  solfuree  formano  2  gruppi.  Uno,  denominato 
Olivella  o  Jacobelli,  si  compone  di  3  grosse  sorgenti,  che  sono 
racchiuse  in  un  recinto  di  un  antico  stabilimento  diruto,  e  l'altro 
composto  di  16  sorgenti  di  diversa  portata  si  trova  nello  Sta- 
bilimento Balneare  di  Telese. 

Alle  solfuree,  e  propriamente  a  questo  secondo  gruppo,  fanno 
seguito  le  sorgenti  alcaline  e  dopo  quelle  dolci,  delle  quali  ulti- 
me, due  assieme  alle  alcaline  sgorgano  nel  recinto  dell'anzidetto 
stabilimento,  e  cinque,  di  cui  tre  grandi,  più  ad  occidente,  for- 
mano il  fiume  Grassano  affluente  del  Calore. 

Delle  16  sorgenti  solfuree  dello  stabilimento  di  Telese  sol- 
tanto sei  sono  più  importanti  per  volume  e  sono  contraddistinte 
da  nome  speciale,  e  cioè:  Pera,  Goccioloni,  Buvette,  Garibaldi, 
S.  Lucia  Imbottigliamento  e  S,  Lucia  Bagni.  Le  altre  10  più 
piccole,  che  sorgono  dopo  l'ultima  grande  sorgente  della  S.  Lucia 
Bagni,  scaricano  le  loro  acque  nel  canale  collettore  delle  anzidette 
sorgenti  S.  Lucia  e  non  hanno  nome  speciale. 

Le  4  sorgenti  solfuree  che  si  riscontrano  più  a  valle  si  chia- 
mano una  S.  Stefano  e  le  altre  Bove. 


—  10  — 

La  costituzione  gGolo(]^ica  (loH'Agro  Tulosino,  a  partirò  dalla 
]>iaiia  (li  Anioiosi  al  punto  di  contluoiiza  del  Calore  col  Volturno, 
lino  al  torrente  Seueto,  risulta  dall'alto  al  basso  di  un  mantello 
tli  materiali  vulcanici  più  o  meno  incoerenti,  dovuti  ai  vulcani 
Flegrei,  mantello  non  uniformemente  esteso  su  tutta  la  località, 
e  poi  di  uno  strato  di  travertino  di  spessore  variabile,  al  di  sotto 
del  quale  si  ritrovano  i  terreni  eocenici  e  più  sotto  il  calcare  do- 
lomitico. Il  travertino  è  di  colore  grigiastro,  ma  dalla  sinistra 
del  Grassano  fino  al  torrente  Seneto  presenta  colore  giallastro 
nella  parte  superiore  e  grigiastro  nella  parte  inferiore. 

Il  travertino  fu  deposto  dalle  acque  calcarifere  provenienti 
dagli  alti  monti  del  Matese  ,  le  quali  formavano  un  vasto  lago 
che  occupava  tutta  la  zona  che  si  estende  dalle  ultime  propag- 
gini del  Matese  ai  monti  di  Solopaca. 

Quando  il  fiume  Calore  ebbe  scavato  il  suo  letto  nella  parte 
più  depressa  della  pianura  ricoverta  dall'acqua,  aprendosi  lo  sbocco 
al  mare,  il  lago  si  prosciugò.  Rimasero  cosi  allo  scoverto  delle 
cavità  circolari  più  o  meno  grandi,  veri  imbuti,  le  cui  pareti  son 
fatte  da  calcare  dolomitico,  riempite  d'acqua,  dando  luogo  a  stagni 
e  laghetti,  dei  quali  ancora  oggi  se  ne  riscontra  uno  accosto  alla 
strada  ferrata,  chiamato  lago  di  Telese.  Grli  altri  più  piccoli  come 
gli  stagni  sono  stati  prosciugati  per  ragione  di  bonifica,  ed  oggi 
ancora  si  veggono  alcune  cavità  circolari  all'  asciutto  ,  massime 
lungo  il  viale  che  dallo  stabilimento  mena  alla  stazione  ferro- 
viaria. 

Posteriormente  questa  vallata  per  l'azione  erosiva  del  Calore 
verso  S.  e  del  Volturno  verso  0.  subi  un  lento  spostamento  dal- 
l'alto al  basso;  spostamento  che  nei  tempi  posteriori  e  quando  l'at- 
tività dei  vulcani  flegrei  andava  diminuendo  ,  si  accentuò  sem- 
pre più,  per  cui  nella  parte  più  declive  degli  strati  calcarei  di 
M.  Pugliano  verso  S.  0.  vennero  fuori  le  acque  dolci,  che  dettero 
origine  al  Grassano. 

Questa  regione  non  fu  sede  di  conflagrazioni  vulcaniche  e 
malamente  furono  ritenuti  per  crateri  le  cavità  imbutiformi  che 
si  veggono  alla  sommità  del  M.  Pugliano,  giacché  non  sono  altro 
che  sprofondamenti  di  caverne  nel  calcare  dolomitico  di  cui  si 
compone  il  detto  monte. 

Pure  in  epoche  diverse  ed  anche  molto  tempo  dopo  che  i 
vicini  Campi  Flegrei  erano  diventati  sede  di  una  vita  animale  e 
vegetale  rigogliosa  e  si  andavano  popolando  lungo  le  spiagge, 
questa  contrada  fu  sede  di  frequenti  movimenti  del  suolo,  uno 
dei  quali,  poco  dopo  del  1000  dell'Era  Cristiana,  molto  violento, 


—  11  — 

determinò  il  definitivo  assetto  della  pianura  telesina  e  si  ebbe 
una  linea  di  frattura  diretta  da  E.  a  0,  lungo  la  base  del  M. 
Pagliano,  donde  scaturirono  le  acque  minerali,  linea  che  raggiunse 
le  acque  dolci  del  Grassano. 


Il  travertino  deposto  dalle  acque  calcarifere  quando  forma- 
rono il  lago,  nel  successivo  abbassamento  della  vallata  e  più 
ancora  durante  i  movimenti  tellurici,  subi  numerose  fratture, 
ed  attraverso  di  queste  e  nei  meati  di  esso  si  fece  strada  parte 


-    I-i   - 

iK'ir;iciiu;L(K'llii surgeliti  iniiicrali, iluUniuiuMiulosi  una  laida  latente, 
e  si  ebbe  deposito  di  zolfo  nel  travertino  grigio,  e  di  qui  le  due 
qualità  accennate  a  principio  e  che  dimostrano  chiaramente  come 
le  sorgenti  solfureo  siono  posteriori  allo  acque  calcarifere  del 
lago  preistorico. 

Questa  falda  latente  si  appalesa  nelle  depressioni  del  terreno 
o  si  ritrova  sonìpre  che  si  procede  ad  escavazioni;  è  lattiginosa 
per  la  decomposizione  dell'  idrogeno  solforato,  che  in  rare  bollicine 
si  sviluppa  dalla  superficie,  e  seguendo  il  declivio  della  pianura 
verso  il  fiume  va  ad  alimentare,  in  parte  assieme  alle  acque  di 
pioggia,  sotterraneamente  il  lago  di  Tolese,in  parto  si  porta  al  fiume. 

Dall'accennata  linea  di  frattura  assieme  alle  acque  solfuree 
vien  fuori  una  grande  quantità  di  anidride  carbonica,  la  quale, 
oltre  a  concorrere  alla  maggiore  mineralizzazione  di  queste  sor- 
genti, sciogliendosi  in  parte  in  esse,  per  cui  le  acque  di  Telese 
sono  Solfuree  Carboniche,  si  sprigiona  anche  in  vari  punti  del 
terreno,  dando  luogo  a  mofete.  La  grande  quantità  di  gas  che 
si  sprigiona  attraverso  le  acque  solfuree  e  dal  suolo ,  dimostra 
ch'esso  non  proviene  dalla  decomposizione  dei  calcari  dei  monti, 
i  quali  non  esisterebbero  più,  ma  viene  da  grandi  profondità, 
attraverso  la  frattura  determinatasi  per  le  ragioni  dette  innanzi. 

E  qui  cade  acconcio  il  dire  che  le  acque  solfuree,  come  i  gas, 
sono  dotati  di  radioattività  indotta,  come  dimostrai  in  altro  la- 
voro presentato  alla  R.  Accademia  Medico-chirurgica  ^). 

Tutte  le  sorgenti  dell'Agro  Telesino  offrono  una  mineraliz- 
zazione che  va  diminuendo  a  misura  che  le  sorgenti  da  E.  vanno 
verso  0.,  ossia  dalle  solfuree  alle  dolci.  E  le  stesse  solfuree  of- 
frono una  mineralizzazione  decrescente  a  misura  che  si  accostano 
alla  zona  delle  acque  dolci. 

Infatti  le  acque  solfuree  dalle  quantità  di  residuo  che  la- 
sciano a  ISO^»  si  possono  dividere  in  2  gruppi: 

1)  Acque  che  danno  più  di  2  gr.  per  1000  ce.  e  sono  le  sor- 
genti divella,  Pera,  Goccioloni,  Buvette,  S.  Lucia  Imbottiglia- 
mento, S.  Lucia  Bagni  e  Garibaldi. 

2)  Acque  che  danno  un  residuo  inferiore  a  2  grammi  per  1000  ce. 
e  sono  le  sorgenti  minori  N.  1,  2,  3,  4,  5,  G  e  8  lungo  il  canale 
S.  Lucia  nello  stabilimento  balneare  e  la  S.  Stefano  fuori  di  esso. 

Le  acque  alcaline  carboniche  che  vengono  dopo  le  solfuree, 
sempre  lungo  l'accennata  linea  di  frattura,  danno  un  residuo  de- 

1)  La  radioattività  nelle  acquo  minerali  ed  il  meccanismo  di  azione.  Nota 
preventiva.  Atti  della  K.  Are.  Mcd.  Cliir.  di  Najxdi.  N.  1.  1908. 


—  13  — 

crescentu  a  misura  che  tlalla  zona  delle  solturee  si  accosta  a 
quella  delle  acquo  dolci. 

Infatti,  la  sorgente  Cerro  dà  il  residuo  di  gr.  0,  905  e  quelle 
contrassegnate  coi  N.  7,  9  e  10  del  canale  S  Lucia  danno  gr. 
0,8145,  gr.  0,835  e  gr.  0,82  per  1000  ce. 

Le  acque  dolci,  per  lo  quali  si  esegui  un'unica  determina- 
zione su  di  un  campione  preso  nel  fiume  Grassano  ove  si  ver- 
sano tutte,  danno  un  residuo  di  gr.  0,54  per  1000  ce. 

Anche  per  la  temperatura,  come  per  i  residui,  si  nota  che 
essa  decresce  a  misura  che  da  E.  si  va  ad  0. 


.  Sorgenti  solfuree 

Temperatura 

NOME   DELLA    SORGENTE  .       ,  7^-— 

Ambiente  acqua 

Olivella 23»  C.  20°  C 

Pera •         •         23o,5  21° 

Goccioloni       .         .         .         .         .         .         25°  21° 

Buvette »  20" 

Garibaldi »  20° 

S.  Lucia  Imbottigliamento    .         .         .         24°  20° 

»         Bagni »  19° 

N.  1 »  iSo 

»    2 »  17° 

»    3 »  160,5 

»    4 •  »  16° 

»    5 »  16° 

»    6 »  15° 

Sorgenti  alcaline 

N.  7  Cerro 24°  U  l-l» 

»    y »  110,2 

»    '•» »  U° 

»    10 »  140 


Grassano 


Sorgenti  dolci 


25°  C 


110,5 


La  diminuzione  di  temperatura  da  E.  a  0.  dimostra,  come 
pel  residuo,  che  verso  occidente  1'  acqua  dolce  si  mescola  alle 
acque  solfuree  ed  alle  alcaline  in  proporzione  variabile;  come  la 
temperatura  delle  solfuree  più  elevata  delle  dolci  dimostra  che 
quelle  hanno  un  decorso  sotterraneo  più  profondo   e  che  il    mi- 


-  14  — 

scuffilo  avvienti  verso  la  estromità  dei  calcari  fratturati  per  1'  in- 
contro di  filetti  di  acqua  di  varia  composizione. 

Tutte  queste  sorgenti  presentano  uno  stesso  regime.  La  di- 
minuzione della  portata  comincia  a  Settembre  e  giunge  a  Gennaio 
alla  massima  magra.  Dalla  fine  di  Febbraio  comincia  ad  aumen- 
tare il  volume  ed  a  fine  Giugno — principio  di  Luglio — si  verifica 
la  massima  piena^  che  si  mantiene  fin  verso  la  fine  di  Agosto. 

Però,  mentre  le  sorgenti  di  acqua  dolce  non  disseccano  mai, 
delle  minerali,  sopratutto  le  solfuree,  nel  periodo  della  magra 
alcune  disseccano  del  tutto,  ed  in  Aprile,  quando  il  maggior  nu- 
mero di  esse  ha  un  aumento  sensibile  nella  portata,  quelle  non 
sempre  danno  una  quantità  di  acqua  tale  da  poter  essere  mi- 
surata. 

Sicché  le  acque  solfuree  dell'Agro  Telesino  per  il  loro  regime 
sono  in  maggior  numero  perenni  e  poche  sono  temporanee^  ma- 
lamente ritenute  per  intermittenti,  giacché  per  dirsi  tali  lo  sgorgo 
dell'acqua  dovrebbe  verificarsi  sempre  dopo  un  periodo  costante 
e  limitato  di  riposo  ed  indipendentemente  dai  periodi  piovosi  con 
quelli  di  siccità  del  bacino  imbrifero. 

Intorno  alla  provenienza  delle  acque  che  scaturiscono  nel- 
l'Agro Telesino  esistono  opinioni  diverse. 

Ij'Ing.  Zoppi,  Capo  della  Divisione  Idraulica  al  Ministero  di 
A.  1.  C,  ritiene  che  le  sole  acque  dolci  provengono  dal  lago 
Matese,  mentre  che  le  acque  minerali  provvengono  dai  monti  so- 
vrastanti Sepino  e  Morcone. 

L' Ing:  Cassetti  del  R.  Comitato  Geologico  ^)  ritiene  invece 
che  il  lago  Matese  alimenti  le  abbondanti  sorgenti  che  sgorgono 
presso  l'abitato  di  Piedimonte  di  Alife  e  quelle  presso  Bojano 
e  danno  origine  al  Biferno,  senza  parlare  del  Grassano,  che  per 
l'Ing.   Zoppi  avrebbe  invece  origine  dal  detto  Lago. 

Ora,  se  si  osserva  attentamente  la  stratificazione  del  massiccio 
del  Matese,  si  rileva  che  gli  strati  di  calcari  dolomitici  e  di  do- 
lomia che  costituiscono  la  base  sulla  quale  poggiano  i  calcari 
cretacei,  pendono  a  partire  dal  M.  Miletto  verso  S.  S.  E,,  come 
scorgesi  nei  Monti  Monaco  di  Gioja,  M.  Acero,  Rocca  del  Canale, 
S.  Salvatore  e  M.  Pugliano,  i  quali  ultimi,  quantunque  a  prima 
vista  sembrerebbero  non  far  parte  del  massiccio,  perché  divisi  dal 
torrente  Titerno,  sono  invece  geologicamente  e  tettonicamente  la 
continuazione  del  Matese  verso  mezzogiorno.  E  gli  stessi   strati 

J)  M.  Cassetti,  Appunti  geologici  sul  Matese.  Boll.  B.  Coni.  Geol.  d' Italia 
1893. 


—  15  — 

calcari  cretacei  soprastanti,  urgoniani  e  turoniani,  decorrono  in 
perfetta  concordanza  con  i  calcari  sottostanti ,  per  cui  o  l' idro- 
grafia del  Telesino  ripete  la  sua  origine  da  altro  bacino,  o  se  è 
il  versante  meridionale  del  Matese  e  propriamente  il  lago  che  dà 
origine  alle  acque  dolci,  non  vi  è  dubbio  che  debba  dare  origine 
anche  a  quelle  minerali. 

Il  lago  del  Matese  appartiene  alla  categoria  dei  laghi  car- 
sici. Trovasi  a  1007  m.  s,  m.  ed  ha,  come  la  valle  in  cui  è  con- 
tenuto, forma  ellittica  col  maggiore  asse  da  NO  a  SE.,  lungo  poco 
più  di  4  chilometri.  La  sua  ampiezza  varia  a  seconda  della  magra 
e  della  piena  e  per  la  diversa  altezza  della  valle  che  circonda  il 
lago.  Infatti  a  S.  e  ad  0.  e  per  circa  2  eh.  a  N.  la  valle  trovasi 
a  1007  m.  s.  m.,  poi  per  la  presenza  di  un  piccolo  colle  che  si 
avanza  trasversalmente  in  essa  ove  il  lago  si  restringe,  la  quota 
sale  a  1008  per  ridiscendere  a  1007  ad  E.  e  congiungersi  col 
lato  di  mezzogiorno.  Ad  0.  appena  dopo  la  sponda  del  lago,  il 
terreno  sale,  per  cui  anche  nel  periodo  di  massima  piena  l'acqua 
si  estende  soltanto  per  pochi  metri  ;  ad  E.  invece  dopo  più  di 
200  m.  dalla  sponda  la  quota  sale  a  1009  m.,  altezza  massima 
a  cui  arriva  l'acqua  del  lago. 

Nel  periodo  della  massima  piena  che  si  verifica  in  maggio, 
dopo  lo  scioglimento  delle  nevi  del  M.  Miletto,  il  livello  del  lago 
si  eleva  di  circa  2  m.  fino  a  raggiungere  la  quota  1009  m.,  per 
cui  occupa  tutte  le  terre  che  lo  circondano  a  Sud,  a  Nord  e  ad 
Est  e  lambisce  in  moltissimi  punti  i  monti  calcarei  nei  quali,  come 
diremo,  si  perde  l'acqua.  In  questo  periodo  1'  ampiezza  del  lago 
appare  grandissima,  avendo  una  superficie  di  poco  più  di  5  km^, 
mentre  che  nel  periodo  di  magra  le  acque  ritirandosi,  il  lago  si 
riduce  a  poco  più  della  metà,  portandosi  il  suo  livello  a  1007  m. 

Nel  periodo  di  magra  tutte  le  terre  circostanti  rimangono 
allo  scoverto  dando  luogo  a  pantani,  ed  appaiono  numerose  buche 
o  inghiottitoi  di  grandezza  variabile,  nascosti  quasi  tutte  da  ve- 
getazione palustre,  nelle  quali,  quando  il  lago  dilaga,  l'acqua 
sfugge  con  movimento  vorticoso.  Oltre  a  queste  buche  piccole 
vi  sono  tre  grandi  cavità  imbutiformi,  una  a  S.  0.  alla  base  di 
M.  Raspato  e  due  a  S.  E.  sotto  il  colle  di  Prete  Morto. 

Il  più  grande  dei  tre,  chiamato  fosso  Caporale^  segnato  anche 
sulla  carta  topografica  militare,  trovasi  alla  base  di  una  depres- 
sione fra  il  colle  di  Prete  Morto  a  sinistra  e  la  Serra  Valle  dei 
Ladri  a  destra.  Ha  la  profondità  di  circa  10  metri  e  nel  periodo 
della  magra,  quando  è  asciutto,  vi  crescono  delle  erbe,  al  disotto 
delle  quali  si  vede  il  fondo  costituito  da  calcare  dolomitico  fran- 


-   1(5  — 

tumato,  indizio  chiaro  di  una  caverna  sprofondata.  L'altra  cavità 
poco  discosta  dal  fosso  anzidetto,  senza  nome,  trovasi  proprio 
sotto  il  collo  di  Prete  Morto  e  dista  dal  lago  più  di  200  m.  e 
vi  arriva  l'acqua  mediante  un  canale  naturale  nascosto  in  gran 
parte  da  canneti.  Questa  cavità  e  un  poco  più  ampia  della  pre- 
cedente, ma  meno  profonda  e  contiene  acqua  in  tutto  l'anno,  che 
le  perviene  dal  lago.  I  calcari  del  detto  collo  sono  fratturati  in 
corrispondenza  della  cavità  e  presentano  le  testate  libere,  por  cui 
l'acqua  penetra  negli  strati  calcarei  e  si  avverte  distintamente 
lo  scorrere  di  un  ruscello  nello  interno. 

La  terza  cavità  a  S.  0.,  anche  senza  nome  speciale,  trovasi 
alla  base  del  M.  Raspato  e  dista  circa  4  m.  dalla  sponda  del 
lago.  Essa  è  più  piccola  delle  due  precedenti,  ma  l'acqua  vi  ar- 
riva e  subito  sparisce,  dando  luogo  ad  un  vortice  grandissimo 
per  eifetto  del  quale  l'acqua  spumeggia. 

Questo  lago  è  alimentato  dalle  acque  di  pioggia  e  dalle  novi 
provenienti  dal  M.  Miletto  e  dai  monti  minori  che  hanno  il 
displuvio  verso  mezzogiorno  e  certamente  da  numerose  sorgenti 
che  sgorgano  sia  dal  fondo,  sia  dalle  pareti,  provenienti  dal- 
l'acqua assorbita  dai  detti  monti,  giacché  se  cosi  non  fosse,  il 
lago  dovrebbe  disseccare  durante  la  siccità  estiva,  sia  per  evapo- 
razione, sia  per  le  notevoli  perdite  che  subisce  non  solo  nelle  tre 
cavità  indicate,  ma  per  tutte  le  buche  e  fori  che  esistono  nelle 
terre  all'intorno,  specie   verso  S-E. 

Ora,  se  si  considera  che  il  regimo  delle  acque  solfuree  per 
rispetto  alla  piena  ed  alla  magra  è  perfettamente  identico  a 
quello  dello  acque  dolci  e  che  le  uno  e  le  altre  risentono  il  mo- 
mento della  piena  e  della  magra  circa  2  mesi  dopo  che  si  ve- 
rifica l'aumento  o  la  diminuzione  del  volume  di  acqua  del  lago, 
e  si  considera  che  lo  sole  acquo  solfuree  danno  un  volume  di 
500  litri  a  1",  come  fu  determinato  dal  citato  Ing.  Zoppi,  por  cui 
non  potrebbero  trovare  la  loro  alimentazione  nella  superficie  dei 
monti  calcarei  più  prossimi,  come  il  prelodato  Ingegnere  riconosce, 
si  deve  ammettere  che  unico  sia  il  bacino  di  alimentazione  e 
questo  essere  il  lago  Matese. 

Ma  un'osservazione  da  me  fatta  nell'autunno  od  al  principio 
dell'inverno  del  decorso  anno   toglie  ogni  dubbio  sulla  quistione. 

L'anno  scorso  una  Società  industriale  avente  per  scopo  la 
utilizzazione  delle  acque  del  lago  per  forza  motrice,  per  impedire 
la  dispersione  dell'acqua  negli  inghiottitoi  accennati,  praticò  dogli 
sbarramenti  provvisori  lungo  la  sponda  meridionale,  ed  in  corri- 
spondenza dei  due  fossi  alla  base  di  M.  Raspato   e  del  colle  di 


—  17  — 

Prete-morto,  i  quali,  come  abbiamo  detto,  sono  alimentati  anche 
nei  periodo  della  magra,  vennero  poste  delle   saracinesche. 

Queste  furono  abbassate  per  20  giorni,  ed  il  25  Agosto  fu- 
rono aperte,  lasciando  libero  il  deflusso  dell'acqua  negli  accennati 
inghiottitoi. 

A  Telese  erasi  notato  che  la  magra  nelle  sorgenti  era  co- 
minciata prima  del  solito  e  si  era  pronunziata  sensibilmente  anche 
nelle  principali  sorgenti   solfuree. 

Nella  prima  quindicina  di  Novembre,  circa  2  mesi  dopo  l'a- 
pertura delle  saracinesche  ,  quando,  secondo  il  solito,  li  magra 
avrebbe  dovuta  essere  maggiore,  si  notò  un  sensibile  aumento 
nella  portata  di  tutte  le  sorgenti. 

Essendosi  constantemente  osservato  che  le  sorgenti  di  Telese, 
minerali  e  non,  risentono  l'influenza  delle  acque  meteoriche  che 
cadono  sulla  parte  alta  del  Matese ,  dopo  circa  2  mesi  o  poco 
più,  niun  dubbio  rimane  sulla  provenienza  delle  acque  dell'Agro 
Telesino. 


Intorno  a  una  Laboiilbeniacea  nuova  per  l'Italia 

(TrenomycGS  histophtoriis  Chatton  et  Picard) 


DEL 

Socio  Giulio   Thinchieri 


(Tornata  del  17  aprile  IDIO) 

Verso  la  fine  del  1907,  il  chiarissimo  prof.  Fr.  Sav.  Monti- 
celli, Direttore  dell'Istituto  zoologico  della  R.  Università  di  Na- 
poli, inviava,  per  esame,  alla  Direzione  dell'Istituto  botanico  al- 
cuni esemplari  di  Menopon  pallidum  Nitzsch  —  il  comune  pidoc- 
chio delle  galline  —  sui  quali  l'osservazione  microscopica  rivelava 
la  presenza  di  certe  strane  produzioni,  che  le  ricerche  già  com- 
piute in  proposito  escludevano  fossero  di  natura  animale. 

Gli  individui  del  Mallofago  in  discorso  erano  stati  raccolti, 
tempo  prima,  dal  laureando  in  Scienze  naturali,  signor  E.  Ar- 
mena nte,  su  di  una  gallina  insieme  ad  altre  tenuta  in  Laboratorio. 

Incaricato  dello  studio  del  materiale  ricevuto,  non  mi  fu 
difficile  riconoscere  nelle  accennate  produzioni  un  assai  cospicuo 
rappresentante  delle  Laboulbeniacee,  vale  a  dire  di  quella  sin- 
goiar famiglia  di  funghi,  ospiti  quasi  esclusivamente  degli  insetti 
e  ritenuti  già  siccome  forme  animali,  che  vengono  ormai  inclusi 
nella  classe  degli  Ascomiceti,  della  quale,  anzi,  secondo  un  recente 
prospetto  di  classificazione  ^),  il  primo  ordine  è  costituito  proprio 
dalle  Laboulbeniales. 

A  debole  ingrandimento,  il  fungo  m'era  apparso  come  rap- 
presentato da  tante  appendici  del  tutto  incolori,  di  duplice  forma 
e  di  grandezza  diversa,  che,  riunite  per  lo  più  in  piccoli  ciuffi 
aventi  una  disposizione  quasi  raggiata,  sembravano  aderire  ap- 
pena al  corpo  del  Menopon,  specie  in  corrispondenza   dei   punti 

*)  P.  A.  Saccardo  e  6.  B.  Traverso,  Sulla  disposizione  e  nomenclatura' da 
seguirsi  nella  Flora  italica  cryptogama,  Bull,  della  Soc.  bot.  ital.,  anno  1907, 
p.  25,  Firenze,  1907. 


—  19  — 

d'articolazione  del  medesimo.  E  alcuni  degli  insetti  esaminati 
sopportavano  un  buon  numero  di  tali  ciaffetti  e  altri,  invece,  ne 
erano  presso  che  totalmente  sprovvisti. 

A  ben  più  interessanti  risultati  mi  conduceva  in  breve  lo 
studio  approfondito  della  Laboulbeniacea  in  questione.  Infatti, 
per  tacer  del  resto,  con  esso  giungevo,  innanzi  tutto,  ad  accer- 
tare la  spiccata  dioecìa  del  micete,  il  che  giovava  a  spiegare  la 
duplicità  di  forma  da  questo  presentata;  inoltre,  1'  attitudine  sua 
al  parassitismo  vero  e  proprio  ,  grazie  a  un  mirabile  e  com- 
plesso apparato  d'assorbimento  penetrante  largamente  a  traverso 
i  punti  d'articolazione  —  per  lor  natura  dotati  di  minor  resi- 
stenza —  nell'interno  del  Menopon,  ma  che,  agendo  sopra  il  corpo 
adiposo  dell'insetto,  non  pare,  anche  a  giudicare  dalle  condizioni 
dei  rimanenti  organi,  molto  nocivo  per  l'ospite;  e  rilevavo,  al- 
tresì, r  esistenza,  cosi  fra  gli  anteridii  che  i  periteci,  di  un  par- 
ticolar  organo  bicellulare,  d'incerta  funzione  e  che  ricorda,  per 
la  forma,  le  teleutospore  di  alcune  Puccinia. 

Dall'attenta  disamina  di  questi  e  degli  altri  molti  e  pecu- 
liari caratteri  del  micete,  riferentisi  in  special  modo  agli  organi 
suoi  riproduttori  —  sia  maschili  che  femminili  —  e  ai  rispettivi 
interessanti  stadii  di  sviluppo,  essendo  passato  al  confronto  della 
Laboulbeniacea  con  le  numerose  e  svariate  entità,  fino  allora  de- 
scritte e  figurate,  sopra  tutto  per  merito  di  E.  Thaxter  ^),  il  noto 
specialista  americano,  fui  tosto  portato  a  concludere  come  dalle 
forme  già  conosciute  la  mia  differisse  così  profondamente  da 
poter,  a  buon  diritto,  costituire  il  tipo  di  un  nuovo  genere  e  di 
una  nuova  specie. 

E  in  vero,  prese  in  esame  le  diagnosi  di  tutti  i  generi  del 
gruppo  sino  a  quel  momento  entrati  nel  dominio  della  scienza, 
appena  due  di  essi ,  istituiti  dello  stesso  Thaxter  '^)  coi  nomi  di 

1)  R.  Thaxter,  Contribution  towards  a  monograph  of  the  Laboulbeniaceae, 
Mera,  of  the  Am.  Acad.  of  Arts  and  Sci.,  Voi.  XII,  pp.  189-429,  Plates  I-XXVI, 
Cambridge,  December  1896. 

Id.,  Preliminarìj  diagnoses  of  new  species  of  Laboulbeniaceae,  I.,  Proc.  of 
the  Am.  Acad.  of  Arts  and  Sci.,  Voi.  XXXV,  pp.  153-209,  Boston,  December 
1899;  IL,  Loc.cit.,  Voi.  XXXV,  pp.  409-450,  Aprii  1900;  III.,  Loc.  cit.,  Voi. 
XXXVI,  pp.  397-414,  March  1901;  IV.,  Loc.  cit.,  Voi.  XXXVII,  pp.  21-45,  Jane 
1901;  V.,  Loc.  cit.,  Voi.  XXXVUI,  pp.  9-67,  June  1902;  VI.,  Loc.  cit..  Voi.  XLI, 
pp.  303-318,  July  1905. 

2)  Id.,  Contribution ,  ecc.,  Loc,  cit.,  pp.  264-268,  Piate  IV,  figs.  12-18  e 
Piate  V,  figs.  1-16. 

Id.,  PreUminary  diagnoses,  ecc.,  II.,  Loc.  cit.,  pp.  409-411;  III.,  Loc.  cit., 
pp.  410  414;  V.,    Loc.  cit.,   pp.  9-10;  VI.,  Loc.  cit.,  pp.  303-304- 


—  20  — 

UihiorpJioìni/ces  o  Dhneromi/ces,  presentavano  una  corta  affinità 
(li  caratteri  con  la  forma  ch'io  avevo  fatto  ogo^etto  di  studio. 
Ma  si  trattava,  ripeto,  soltanto  di  (jualche  analogia,  che,  del  re- 
sto, le  specie  appartenenti  ai  generi  sopra  citati  e  di  recente 
più  ampiamente  illustrate  nella  seconda  parte  della  monografia 
del  Thaxtkr  ^),  come  pure  le  altre  forme,  in  parte  nuove,  in 
quest'ultima  comprese  o  da  altri  autori  pubblicate,  si  distinguono 
assai  bene  dalla  Laboulbeniacea  da  me  studiata  per  tutto  un 
insieme  di  particolari  molto  salienti  e  decisivi. 

Desideroso  in  ogni  modo  di  saper  confermata  1'  esattezza 
delle  mie  osservazioni  dal  giudizio  autorevolissimo  del  micologo 
americano,  mi  affrettavo  ad  inviargli  all'  uopo  una  porzione 
del  materiale  die  avevo  disponibile,  facendogli  insieme  conoscere 
la  denominazione  che  intendevo  dare  all'  entità  in  discorso  ;  od 
il  Thaxter  {iti  Ut.)  si  compiaceva,  indi  a  qualche  tempo,  d'  in- 
formarmi che  in  realtà  della  forma  da  me  comunicatagli  non  era 
stata  ancor  data  alcuna  pubblica  descrizione. 

Or  mentre  io  stavo  per  render  noto  il  fatto,  ebbi  sentore 
che  alcunché  di  simile  al  micete  da  me  posseduto  era  stato  os- 
servato, proprio  in  quel  torno  di  tempo,  anche  in  Francia.  In 
una  breve  comunicazione  presentata  da  Chatton  e  Picard  ^)  al- 
l'Accademia delle  Scienze  di  Parigi  veniva  sommariamente  de- 
scritta, come  nuovo  genere  e  nuova  specie,  sotto  il  nome  di  Tre- 
nomyces  histophtorus ,  una  Laboulbeniacea  trovata ,  a  Banyuls- 
sur  -  Mer  (Pyrénées-Or.) ,  endoparassita  del  Menopon  pallidum 
Nitzsch.  e  del  Goniocotes  ahdominalis  P.,  ospiti  entrambi  delle 
comuni  galline. 

Nella  lettura  della  succinta  Nota  dei  due  Autori  francesi  es- 
sendomi sorto  il  dubbio  che  la  forma  da  essi  descritta  non  dif- 
ferisse da  quella  che  io  avevo  studiato,  credetti  conveniente  di  so- 
spendere la  mia  pubblicazione  al  riguardo,  nell'attesa  del  lavoro 
particolareggiato  e  illustrato  da  tavole  che  il  Picard,  a  cui  m'ero 
rivolto,  mi  annunziava  gentilmente  {in  Ut.)  avrebbe  veduto  in 
breve  la  luce. 


1)  R.  Thaxter,  Contribution.  ecc.,  Parfc  II,  Loc.  cit.  Voi.  XITI,  pp.  210-247, 
Plates  XXVIII,  figs.  1-17  e  XXIX,  figs.  1-18,  Cambridge,  June  1908. 

2)  E.  Chatton  et  F.  Picard,  Sur  une  Lahoulhéniacée  :  Trenomyces  histo- 
phtorus n.  /;.,  n.  sp.,  endoparduite  des  Poux  fMenopon  pallidum  Nitzsch  et  Gonio" 
cotes  abdominali.s  P.)  de  in  Poule  domcsliquc,  Compt.  rend.  hebdom.  des  séanc. 
de  TAcad.  des  Se.  par  MM.  Ics  Secret,  perpét.,  t.  CXLVI,  pp.  201-203,  Paris,  1908- 


—  21  — 

Comparsa  alla  metà  del  settembre  scorso  l' attesa  Memoria 
definitiva^),  della  quale  tuttavia  solo  molto  più  tardi  potei  prender 
visione,  constatai  clie,  in  realtà,  la  mia  Laboulbeniacea  corri- 
spondeva esattamente  al  Trenomyces  hidophtorus.  Del  che  ricevevo 
anche  cortese  conferma  dal  Thaxter  {in  lit.)^  il  quale  mi  comu- 
nicava altresì  che  il  micete  era  stato  frattanto  ritrovato  pur  in 
Germania. 

Ciò  posto,  non  starò  a  riportare  qui  le  diagnosi  del  fungo, 
cosi  generica  che  specifica,  già  date  da  Chatton  e  Picard  nel  loro 
secondo  lavoro  ^). 

Io  mi  limiterò  pertanto  a  segnalare  come  nuovo  per  la  flora 
micologica  d'Italia  il   Trenomyces  histophtorus. 

E  il  fatto  per  sé  stesso  è  degno  di  nota. 

Le  interessanti  Laboulbeniacee,  descritte  e  figurate  in  vario 
tempo  da  autori  italiani,  quali  Berlese  ^),  Cavara  ■*)  e  Baccarini  ^), 
e  che  vanno  sotto  i  nomi  di  Laboulhenia  armillaris  Berlese,  Ri- 
ckia  Wasmannd  Cavara,  Laboulhenia  Napoleonis  Baccarini  e  Rìia- 
chomyces  Berlesiana  Baccarini,  sono  di  origine  straniera  e  più 
precisamente  sono  state  raccolte  nelle  seguenti  località:  Paraguay, 
Linz  am  Rhein,  Luxemburg  e  Australia,  oltre  che  su  ospiti  di- 
versi dal  Menopon  pallidum. 

Di  entità  italiane,  o  perchè  trovate  per  la  prima  volta  su 
nostri  materiali  di  studio  o  perchè  altrimenti  note  anche  del 
nostro  paese,  sebbene,  a  quanto  pare,  non  tutte  con  sicurezza, 
se  ne  contavano  finora — se  io  non  erro  -appena  dodici,  pur  esse 
viventi  su  altri  ospiti  che  non  il  Menopon.  E  sono,  queste,  secondo 
l'ordine  di  enumerazione    di    recente    adottato    dal    Thaxter  *^): 

1)  E.  Chatton  et  F.  Picard,  Contrihution  à  V étude  systématique  et  biologique 
des  Laboulbéniacées:  Trenomyces  histoplitorus  Chatton  et  Picard,  endoparasite 
des  poux  de  la  poule  domestique,  Bull,  de  la  Soc.  myc.  de  France  pour  le  progr, 
et  la  diffus.  des  connais.  relat.  aux  Champign.,  t  XXV,  pp.  14:7-170,  pi.  Vlf- 
VIII  e  7  figg.  nel  testo,  Paris,  1909. 

2)  Id.  id.,  Contribution  à  Vétudc,  ecc.,  Loc.  cit.,  pp.  155-156. 

^)  A.  N.  Berlese,  Rivista  delle  Laboulbeniacee  e  descrizione  d'una  nuova 
specie  di  questa  famiglia,  Malpighia,  anno  III,  voi.  Ili,  pp.  44-60,  tav.  II, 
Genova,  1889. 

■*)  Fr.  Cavara,  Di  una  nuova  Laboulbeniacea,  Rickia  Wasmanuii,  nov.  gen. 
e  nov.  spec.,  Loc.  cit.,  anno  XIII,  voi.  XUI,  pp.  173-188,  tav.  VI,  1899. 

5)  P.  Baccarini,  Noterelle  micologiche.  Nuovo  Giorn.  bot.  ital.,  nuova  serie 
voi.  XI,  pp.  417-419,  tav.  IV,  figg.  1-2,  Firenze,  1904. 

6)  R.  Thaxter,  Contribution,  ecc.,  Part.II,  Loc.  cit.,  pp.  330,  331,335-336, 
338-339,  345-346,  352,  354,  366,  408,  4=12,  Plates  LIV,  figs.  11  e  18,  LXI, 
figs.  5-6,  LXVI,  figs.  9-10. 


-  22  — 

Lahoìdhonia  fiusciculata  Peyritscli,  L.  proliferuìis  Thaxter  '),  L. 
vnlfjaris  Fiìyrìisch^  L.  suhterraìica  Thaxter,  L.  molanaria  Thaxter, 
L.  Ophoni  Thaxter,  L.  flagellata  Peyrit.sch  '-^j,  L.  Roiigetii  Robin, 
L.  cristata  Tliaxtor,  L.  orientalis  Thaxter  var.  italica  Thaxter, 
L.  divinali^  Thaxter  e  L.  Oyrinidarum  Thaxter. 

Numero,  senza  dubbio,  esiguo,  come  esiguo  in  genere  è  quello 
delle  altre  Laboulbeniacee  europee  a  noi  note,  ma  che  —  dato 
V  habitat  specialissimo  di  siffatti  vegetali  —  potrebbe  essere  lar- 
gamente accresciuto  da  una  bene  intesa,  attiva  cooperazione  tra 
entomologi  da  un  lato  e  micologi  dall'altro. 

E  poi  da  notarsi  come  le  forme  italiane  sopra  enumerate 
appartengan  tutte  al  genere  Laboulbenia  Robin,  il  più  ricco  di 
specie,  alla  lor  volta  diffuse  nei  più  diversi  e  lontani  paesi. 

Ad  esse  viene  ora  ad  aggiungersi  il  Trenomyces  histophtorus 
che,  scoperto  —  come  ho  detto  in  principio  —  qui  in  Napoli,  co- 
stituisce, per  l'Italia,  il  primo  rappresentante  di  un  genere  dioico 
delle  Laboulbeniacee  ed  è,  inoltre,  particolarmente  caratteristico 
—  secondo  ho  pur  ricordato  —  per  la  sua  evidente  spiccata  di- 
sposizione al  parassitismo;  del  qual  adattamento  morfologico  e 
biologico  insieme  —  che  risolve,  nel  caso  singolo ,  la  questione 
generale,  ancora  assai  contraversa,  del  modo  di  nutrizione  di 
tali  funghi  —  non  s'incontrano  in  tutto  il  gruppo,  tra  le  varie 
centinaia  di  forme  sino  ad  oggi  conosciute,  molti  esempii,  al 
par  di  questo,  veramente  sicuri  ^). 

Dal  E.  Istituto  botanico  di  Napoli,  nel  dicembre  del  1909. 


1)  A  proposito  di  questa  specie  e  del  Coleottero  suo  ospite,  l'Autore  (loc. 

cit.,  p.  331)  scrive:  « also  on    Chlacnius    velutinus   Duft. ,   from   Italy?  in 

the  Florence  collection  [intendi:  nella  collezione  entomologica  del  Museo   di 
Storia  Naturale  fiorentino]  ». 

2)  In  riguardo  a  quest'altra  forma  —  l'unica,  che  io  sappia,  già  indicata 
anche  per  Napoli,  essendo  stata  rinvenuta  sul  Pristonychus  punctulatus  Dej., 

quivi  raccolto  —  nota  il  Thaxter  (loc.  cit.,  p.  345):  « on  Platyniis  albipes 

Fabr.,  Florence?;....  on  P.  dorsalis    Muli.,  Florence  (?)  ». 

8)  E.  Chatton  et  F.  Picakd,  Contribution  à  Vétude,  ecc.,  Loc.  cit.,  pp.  163-168. 


Su  le  Relazioni  delle  Reali  Accademie  di  Scienze  di  Napoli 
e  dei  Lincei  di  Roma  sui  terremoti  Calabro-Siculi  del  1783  e  1908 

del  socio  Leonardo  Ricciardi 


(Tornata  del  17  aprile  1910) 

Il  Prof.  Pietro  Blaserna,  Presidente  della  Reale  Accademia 
dei  Lincei,  fu  incaricato  di  esporre  al  Presidente  del  Consiglio 
le  vedute  dell'Accademia  relative  all'  immane  disastro  Calabro  - 
Siculo  del  28  dicembre  1908,  e  dalla  sua  lettera  del  7  gennaio 
riporto  i  seguenti  brani . 

I.  «  Senza  voler  entrare  a  discutere  le  diverse  opinioni  ed 
ipotesi  che  furono  formulate  da  illustri  geologi,  sulla  natura  dei 
fenomeni  vulcanici  e  tectonici  in  genere,  e  sulla  conformazione 
dello  Stretto  di  Messina  in  ispecie,  la  prima  questione  che  si  pre- 
senta, è  di  sapere  che  cosa  sia  realmente  avvenuto  in  quello 
Stretto 

IL  «  La  seconda  questione  è  di  carattere  prettamente  geolo- 
gico. Si  domanda  quali  mutamenti  siano  avvenuti  nella  confor- 
mazione geologica  di  quelle  disgraziate  provincie.  La  Direzione 
del  Servizio  della  Carta  geologica  dovrebbe  unirsi  al  professore 
De  Stefani  di  Firenze,  il  quale  si  è  distinto  nello  studio  geolo- 
gico delle  Calabrie.  Tali  studii  non  devono  rimanere  disgiunti 
dalle  indagini  sui  moti  sismici  avvenuti  ». 

I  suddetti  periodi  sono  preceduti  dalla  seguente  notizia  co- 
municata dal  socio  De  Stefani  nella  seduta  del  3  gennaio  1909: 

«  Due  pregiudizii  si  affermano,  che  i  fatti  dimostrano  ine- 
satti. L'uno,  che  il  terreno  scosso  sia  de'  piìi  recenti,  mentre  è 
proprio,  all'incontrario,  il  più  antico  della  penisola  e  di  Sicilia  e 
fra  i  più  antichi  d'Italia.  L'altro  pregiudizio  è  quello,  che  la  re- 
gione sia  in  via  di  sprofondamento,  mentre  invece  essa  è  proprio 
la  regione  d'Italia,  nella  quale  il  sollevamento  è  più  recente,  più 
certo  e  più  evidente.  Lo  sprofondamento  di  cavità  sotterranee  e 


—  24   - 

l'asscst amento  telloiiico  .sono  cimsc  possibili;  ma  iiiuna  prova,  anzi 
nemmeno  un  indizio  si  ha,  clie  nel  presente  caso  esse  sieno  vere. 
Piuttosto  che  cercare  cause  diiiicili,  è  logico  attribuire  il  disastro 
alla  causa  stessa  della  vulcanicità:  sono  nelle  Lipari  molte  die- 
cine di  vulcani  spenti  recentissimi,  e  almeno  due  attivi.  La  quiete 
di  questi  vulcani  e  dell'Etna,  che,  poche  settimane  or  sono,  tentò 
una  eruzione  abortita,  non  è  prova  d'indipendenza  del  terremoto 
dalla  vulcanicità;  anzi,  se  uno  dei  vulcani  delle  Lipari  fosse  stato 
attivo,  probabilmente  non  si  sarebbe  avuto  il  terremoto.  Questo  ha 
caratteri  differenti  da  quello  del  1904;  la  regione  colpita  risponde  ad 
una  ristrettissima  e  non  lunga  ellissi,  rispondente  circa  allo  Stretto, 
diretta  da  SO  a  NE.  Probabilmente,  l'attento  studio  fisico  delle 
vibrazioni  sismiche  porterà  a  meglio  determinare  le  cause,  poiché 
certamente  la  natura  delle  medesime  è  diversa  secondo  che  de- 
rivano dallo  sprofondamento  di  una  volta,  causa  da  escludersi  per 
ragioni  profonde,  o  da  spaccature  più  o  meno  lunghe,  dipendenti 
da  un  ipotetico,  cosi  dotto,  assestamento.  Le  vibrazioni  che  pro- 
ducono i  terremoti  Calabro-Siculi  hanno  piuttosto  il  carattere  di 
vibrazioni  di  straordinaria  rapidità  ed  energia,  susseguenti  ad  una 
di  quelle  che  gli  scrittori  di  pirotecnica  chiamavano  detonazioni 
od  esplosioni  di  primo  grado:  e  sono  effetto  di  reazioni  subitanee, 
quale  sarebbe  l'accensione  del  fulminato  di  mercurio  nei  nostri 
laboratorii.  Tali  reazioni,  secondo  ogni  verosimiglianza,  hanno 
modo  di  verificarsi  entro  ai  focolari  vulcanici  e  in  generale  nel- 
r  interno  della  terra,  facilitate  dall'aumento  di  temperatura  che 
rapidamente  innalza  il  valore  assoluto  della  rapidità  di  reazione. 
Basterebbe  a  produrre  simili  fenomeni  l'improvvisa  trasformazione 
di  grandi  masse  d'acqua  in  vapore.  Quando  la  resistenza  della 
roccia  sia  superiore  al  punto  massimo  della  tensione,  si  deve  avere 
un  terremoto  invece  di  una  eruzione  vulcanica,  e  l'energia  del 
terremoto  sarà  proporzionale  alla  quantità  di  calorie  entrate  in 
azione  ed  alla  forza  viva  sviluppata  ». 

«  L'urto  meccanico,  origine  delle  vibrazioni  sismiche,  ha  avuto 
sede  a  poca  profondità,  in  quelle  rocce  antichissime  che  formano 
appunto  i  Monti  Peloritani  e  l'Aspromonte,  e  che  formano  anche 
il  sottosuolo  immediato  delle  Lipari.  Il  terremoto  presente,  come 
quelli  passati  della  regione,  ha  prevalentemente  prodotto  la  frana 
dei  terreni  superfciali  alluvionali,  recenti  e  pliocenici,  sorretti 
dalle  predette  rocce  cristalline,  che  costituiscono  pure  il  fondo 
dello  Stretto.  Può  darsi  che  questo  franamento  abbia  prodotto 
lievissime  variazioni  nella  batimetria  della  costa  marittima  adia- 
cente, però  indipendentemente  da  qualsiasi  sprofondamento  o  sol- 


—  25  — 

levamento  della  roccia  cristallina  in  posto.  Invero,  da  quanto  si 
sa,  la  parte  alta  di  Messina  costruita  sul  terreno  cristallino,  è  la 
sola  che  ha  risentito  meno  danni,  e  lo  stesso  è  avvenuto  della 
parte  alta  di  Reggio,  costruita  sopra  terreno  più  saldo  fuori  del- 
l'alluvione recente  ». 

Per  mettere  in  evidenza  con  quanta  serietà  di  proposito  si 
accinse  ai  diversi  lavori  la  R.  Commissione  presieduta  dall'illustre 
Professore  Blaserna,  riporto  il  seguente  periodo,  che  tolgo  dalla 
relazione  presentata  dal  Direttore  P.  Marzolo  del  R.»  Istituto 
idrografico:  «  Degna  di  particolare  attenzione  è  la  diminuzione  di 
fondali  che  si  nota  fuori  dello  stretto  verso  N  ». 

«  Le  linee  dei  200  e  300  metri  appariscono  ora  molto  più 
lontane,  tanto  dalla  costa  sicula  che  da  quella  calabra,  di  quello 
che  non  fossero  nel  1877,  e  la  curva  dei  400  metri  presso  que- 
st'  ultima  costa  ora  più  non  esiste. 

«  Ciò  evidentemente  rivela  o  un  graduale  sollevamento  del 
fondo  in  quella  località,  oppure,  ed  è  più  probabile,  un  interra- 
mento dovuto  a  deposito  di  materie,  dipendente  dal  gioco  delle 
correnti  ». 

In  conclusione  non  si  è  constatato  alcuna  anomalia  ne'  ver- 
santi Calabro-Siculi  dello  stretto  o  è  stato  cosi  leggero  nel  Porto 
di  Reggio  da  potersi  spiegare  con  lo  scivolamento  del  terreno  pog- 
giante sulla  formazione  cristallina. 

Siccome  nella  relazione  del  Prof.  Torquato  Taramelli,  che  fa 
parte  della  relazione  generale  del  Prof.  Blaserna,  si  parla  di  ter- 
remoti perimetrici,  credo  sia  utile,  per  non  generare  equivoci,  di 
riassumere  subito  cosa  intese  dire  sull'argomento  Antonio  Stop- 
pani. 

Per  la  verità  lo  Stoppani  indicò  come  regioni  perimetriche 
quelle  che  si  estendono  all'ingiro,  o  sui  lati  delle  zone  vulca- 
niche ^). 

Parlando  poi  del  terremoto  vulcanico  asserisce  che  non  vi  ha 
fenomeno  di  più  facile  spiegazione,  poiché  esso  non  è  che  l'imme- 
diata conseguenza  dello  svolgimento  interno,  quindi  dello  scoppio 
dei  fluidi  elastici,  principalmente  del  vapore  acqueo,  primario  fat- 
tore meccanico  nei  fenomeni  eruttivi.  Riferendosi  poi  ai  teiTemoti 
perimetrici,  scrisse  che  sono  quasi  i  soli  di  cui  siasi  occupata  la 
scienza:  «  Ripetendosi  sovente  nelle  stesse  località,  e  insistendovi 
talora  degli  anni  interi  »  e  sui  quali  la  scienza  possiede  pochi 
documenti.  Consultando  difatti  i  trattati,  ove  si  parla  di  terremoti 

^)  Trattato  di  Geologia, 


—  26  — 

si  trova  che  (piasi  tutto  si  riduco  a  ciò  clic  lasciarono  scritto  gli 
autori  sui  terremoti  cIk^  desolarouo  le  Calabrie  dal  principio  del 
1783  lini)  alla  fino  dal  178(3,  e  su  quelli  dell'America  centrale, 
dei  quali  si  occupa  specialmente  il   Cosmos  di  Humboldt. 

A  pag.  441:  <  L'idea  che  da  sviluppo  di  aeriformi  abbiano 
origine  i  terremoti  perimetrici  sarebbe  confermata  da  un  altro 
ordine  di  fenomeni  ». 

A  pag.  444:  «  Io  ritengo  infine,  che  la  causa  dei  terremoti 
perimetrici  è  quella  stessa  da  cui  dipendono  i  terremoti  vulca- 
nici. Salvo  la  diversità  delle  circostanze,  i  terremoti  appartenenti 
alle  due  categorie  (vulcanici  e  perimetrici)  si  identificano  ». 

«  Un  terremoto,  dice  lo  Stoppani,  non  sarebbe  che  l'effetto 
di  una  esplosione,  intesa  nel  piìi  largo  senso  della  parola,  per  quel 
qualunque  sviluppo  di  un  vapore  rinchiuso,  sufficiente  a  mettere 
in  moto  l'ambiente.  Potrebbe  pertanto  paragonarsi  ad  una  mina, 
che,  esaurendosi  in  alcuni  casi  con  una  semplice  scossa  del  ter- 
reno circostante ,  può,  in  altri  casi  ,  produrre  una  vera  esplo- 
sione ". 

A  pag.  451  classifica  i  terremoti  perimetrici  come  segue: 
«  l.o  perchè  avvengono  nelle  regioni  perimetriche,  ossia  circostanti 
ai  distretti  vulcanici;  2.»  perchè  abbracciano  vaste  estensioni; 
3.0  perchè  appaiono  in  genere  indipendenti  dalle  eruzioni,  o  in 
ogni  caso  le  precedono,  cessando  quando  esse  avvengono  ». 

Da  quanto  ho  riportato,  lo  Stoppani  non  ha  confuso  mai  il 
vulcanismo  col  tettonismo,  né  credo  abbia  dato  mai  ragione  ai 
tettonici  di  confondere  i  terremoti  perimetrici  col  tettonismo,  come 
è  piaciuto  al  Taramelli  di  asserire.  Infatti,  egli  che  ha  accennato 
alla  relazione  del  Prof.  Giovanni  Di  Stefano  di  Palermo  sul  ter- 
remoto Calabro -Siculo  del  1894,  perchè  non  fece  cenno  a  quanto 
scrisse  il  Prof.  Ricco  nella  sua  relazione  sulla  stesso  terremoto  ^) 
che  qui  riporto? 

«  Era  opinione  degli  antichi  geologi  che  nella  Calabria  vi 
fossero  regioni  vulcaniche,  e  specialmente  nelle  vicinanze  di  Santa 
Cristina  d'Aspromonte.  Il  prof.  De  Cristo  di  Cittanova,  comuni- 
candomi i  suoi  studi  in  proposito,  mi  ha  ricordato  tali  opinioni, 
poi  abbandonate  dai  geologi  moderni,  mi  ha  detto  di  aver  visitati 
i  luoghi  e  di  avervi  realmente  riconosciuti  prodotti  vulcanici    e 


1)  Relazione  scientifica  della  Commissione  incaricata  dal  R.  Governo  per 
lo  studio  sul  terremoto  del  16  novembre  1894  in  Calabria  e  Sicilia.  Ann. 
dell'ufficio  Cent.  Mei.  e  Geod.  Italiano.  —  Ser.  Seconda.  Voi.  XIX.  Parte  I. 
Roma. 


—  27  — 

tracce  di  crateri,  ^)  e  di  più  mi  ha  consegnato  un  campione  di 
scoria  vulcanica  fra  i  tanti  da  lui  stesso  raccolti:  la  quale  scoria 
è  ricercata ,  ed  adoperata  dai  paesani  per  costruzione ,  special- 
mente delle  volte,  come  si  fa  in  tutti  i  paesi  vulcanici.  Io  pre- 
sentai per  esame  quel  saggio  al  prof.  Gemmellaro  ed  al  dottor 
Di  Stefano,  i  quali  vi  riconobbero  realmente  una  scoria  basaltica 
o  di  lava  antica  ». 

«  Di  più,  l'ing.  E.  Cortese  ha  trovato  presso  Palmi  dei  filoni 
basaltici,  fatto  confermato  dal  prof.  Di  Stefano;  e  appunto  presso 
Palmi  il  prof.  Palazzo  ha  constatata  una  anomalia  nella  intensità 
orizzontale  del  magnetismo  terrestre,  la  quale  diviene  spiegabile 
colla  presenza  di  rocce  vulcaniche  in  quella  località,  ove  prima 
non  erano  sospettate  ». 

e  Infine,  conviene  forse  di  non  disprezzare  completamente 
certi  fatti  riferiti  da  parecchie  persone  del  tempo,  e  che  sarebbero 
indizio  di  qualche  cosa,  come  un'  azione  vulcanica  nel  grande 
terremoto  del  1783.  Si  disse  che  a  Rosarno  uscirono  dal  suolo 
acque  fangose  scottanti:  che  a  Palmi  vi  furono  esalazioni  in- 
fuocate. Si  disse  che  nel  maremoto  di  Scilla  alcuni  dei  naufraghi 
trovarono  le  acque  scottanti  e  taluno  perfino  ne  riportò  bruciature; 
pare  anche  si  sieno  trovate  scorie  galleggianti  in  mare ,  talché 
qualcuno  opinò  vi  fosse  stata  una  eruzione  sottomarina  fra  Strom- 
boli e  la  Piana  di  Calabria  ». 

«  Sembrerebbe  che  questi  fatti,  racconti  o  opinioni,  si  colle- 
ghino nel  dimostrare  l'esistenza  di  prodotti  vulcanici,  e  fors'anco 
di  apparati  vulcanici  in  Calabria,  il  che  certamente  sarebbe  da 
mettersi  in  relazione  coi  terremoti  di  questo  paese  ». 

«  Ma  il  collega  prof.  Di  Stefano  mi  ha  fatto  presente  che 
non  si  può  escludere  che  le  scorie  basaltiche  trovate  presso  Cit- 
tanova  sieno  state  trasportate  dalle  correnti  marine  durante  il 
Quaternario  ed  il  Pliocene  superiore,  e  che  provengano  dalle 
Eolie;  poiché  il  prof.  Carlo  De  Stefani  dice  di  averne  trovate  anche 
nella  Valle  del  Mesima,  dal  lato  del  promontorio  Vaticano ,  ed 
il  Seguenza  padre  e  l' ing.  Cortese  hanno  detto  d'averne  trovate 
ed  il  prof.  G.  Di  Stefano  ne  ha  osservate  sopra  Messina,  al 
Monte  dei  Centri  (Salice)  nel  Pliocene  superiore  marino  ;  e  le 
scorie  trovate  in  mare  nel  1783  potrebbero  avere  la  stessa  origine. 
I  basalti  poi  di  Malpasso  (Palmi,  presso  Capo  Triari)  sono  troppo 


1)  Sarebbe  interessante  se  il  prof.  De  Cristo  pubblicasse  in  quali  località, 
oltre  Palmi,  rinvenne  le  rocce  vulcaniche  e  gli  avanzi  di  crateri,  poiché  solo 
cosi  si  potrebbero  spiegare  i  terremoti  policentrici. 


—  28  — 

antichi,  cioè  torziarii,  costituiscono  filoni  nello  rocce  ci'istiilliuo 
e  non  hanno  crateri;  quindi  qu«',irantico  focolare  estinto  difficil- 
mente potrebbe  avere  relazione  coi  terremoti  calabresi  ». 

<  Ad  ogni  modo  sarebbe  di  grande  interesse  che  la  ricerca 
e  lo  studio  di  tracce  di  vulcanismo  in  Calabria  fossero  continuati 
fino  a  togliere  ogni  dubbio  in  proposito  ». 

La  prudente  conclusione  a  cui  è  venuto  il  prof.  A.  Ricco, 
non  gli  ha  impedito  di  asserire  a  pag.  249  :  «  Iti  conchisione  il 
terremoto  del  1894  è  una  replica  del  terremoto  del  1783  in  pro- 
porzione fortunatamente  molto  minore  »,  e  a  pag.  258:  «  Con- 
cludiamo dunque  che  in  Calabria  ed  in  Sicilia  si  ha  coincidenza 
delle  tre  anomalie:  della  costituzione  del  suolo,  della  gravità,  del 
magnetismo  terrestre,  e  possiamo  aggiungere  pure  la  coincidenza 
di  singolare  sismicità  ». 

Per  quanto  queste  rigorose  conclusioni,  scaturite  da  osser- 
vazioni incontestabili,  confermano  completamente  quanto  io  pub- 
blicai nel  1887  nei  due  lavori:  <  SuU'  allineamento  dei  Vulcani 
italiani  »,  e:  «  ....  e  non  lasciano  alcun  dubbio  sui  centri  vulcanici 
di  Capo  Passero,  Val  di  Noto  e  Palmi  e  pure  sulla  singolare  sismi- 
cità, specialmente  in  quella  zona  che  comprende  Messina,  il  gruppo 
delle  Eolie,  la  Piana  di  Gioia  Tauro  e  le  Calabrie,  pur  tutta 
volta  il  prof.  Giovanni  Di  Stefano,  nella  sua  relazione:  «  Il  Ter- 
remoto Calabro-Siculo  del  1894  in  rapporto  con  la  tettonica  e 
la  costituzione  del  suolo  »  viene  a  conclusioni  completamente 
opposte  a  quelle  a  cui  venne  il  pof.  Ricco,  senza  però  manifestare 
sinceramente  la  sua  prudente  opinione,  fatto  secondo  me ,  che 
deve  avere  influito  non  poco  sul  ritardo  della  pubblicazione  fattasi 
soltanto  dopo  15  anni  dall'incarico  ad  essi  affidato  dal  Ministro 
d'Agricoltura  del  tempo. 

Il  prof.  Di  Stefano',  premesso  che:  «  siamo  ancora  lungi, 
malgrado  tanti  lavori,  dall'avere  una  concezione  tettonica  non 
controversa  dei  monti  cristallini  siciliani  e  calabresi  »  si  accinge 
ad  indicare:  «  le  relazioni  tra  gli  scotimenti  sismici  e  la  costi- 
tuzione litologica  del  suolo  ». 

L'A.  asserisce  che  secondo  le  cause  che  producono  i  terre- 
moti possono  distinguersi:  a)  di  scoscendimento;  h)  vulcanici;  e) 
orogenetici,  e  poi  soggiunge,  «  nonostaìitc  ci  siano  dei  casi  speciali 
in  cui  la  netta  separazione  di  queste  due  ultime  categorie  non 
riesca  sempre  possibile  ». 

A  pag.  332  si  legge:  e  I  terremoti  tettonici  o  di  dislocazione 
o  orogenetici  hanno  caratteri  propri  e  sopratutto  un'area  di  pro- 
pagazione troppo  grande,  perchè  possano  essere  prodotti  da  im- 


—  29  — 

pulsi  eruttivi,  i  cui  effetti  sono  limitati  ».  Per  l'A.  la  teoria  tet- 
tonica o  orogenetica  enunciata  principalmente  per  opera  di  Dana, 
Suess  e  Heim,  ha  un  fondamento  indiscutibile  di  verità  »,  e  con- 
tinua: «  Uno  dei  terreni  il  cui  studio  è  servito  in  parte  di  base 
alla  moderna  dottrina  sull'origine  tettonica  dei  grandi  terremoti 
è  quello  degli  scotimenti  sismici  calabro-siculi;  ma  di  esso  si  è 
esposta  una  concezione  tettonica  per  vari  lati  inesatta  ».  Rias- 
sume i  noti  lavori  del  prof.  E.  Suess,  specialmente:  «  Das  Antilitz 
der  Erde  »;  dichiara  «  convinzioni  teoriche  personali  >  le  osser- 
vazioni dell'ing,  E.  Cortese;  ripiglia  la  critica  ai  lavori  del  Suess 
e  a  pag.  330  conclude:  «  Per  quanto  riguarda  la  pretesa  conca 
di  sprofondamento  delle  Lipari,  si  può  invece  dimostrare  che  è 
una  regione  di  sollevamento,  come  bene  ha  detto  il  prof.  De 
Stefani  >. 

Per  combattere  lo  sprofondarsi  dei  frammenti  della  Tirrenide, 
della  Sicilia  e  della  Calabria,  il  prof.  Di  Stefano  dice  :  «  Le  ano- 
malie positive  della  gravità  nelle  regioni  tirreniche  della  Cala- 
bria e  della  Sicilia  non  rendono  necessaria  l'ipotesi  di  una  terra 
già  emersa  che  si  sprofonda,  quando  ivi  ce  ne  sono  altre  che 
emergono  ». 

Dopo  di  aver  demolito  tutti  gli  argomenti  di  Suess  soggiunse: 
«  Le  ipotesi  del  Suess  e  del  mio  valente  amico  Cortese  debbono 
ridursi  in  confini  più  modesti  ed  essere  accettate  solo  là  dove  ri- 
spondono ai  fatti  >. 

Il  prof.  Di  Stefano  (pag.  348)  ammette  che  il  terremoto  del 
16  novembre  1894  è  stato  una  ripetizione  di  quello  del  1783,  ma 
con  una  intensità  minore.  Asserisce  pure  che  da  vari  autori  fu- 
rono indicati  dei  rapporti  tra  lo  stato  dello  Stromboli  ed  i  ter- 
remoti calabresi;  ma  a  queste  affermazioni  manca  qualunque  ri- 
gore scientifico  e  si  può  asserire  che  finora  ogni  tentativo  di 
mettere  i  grandi  terremoti  calabro-siculi  in  rapporto  con  lo  stato 
delle  isole  Eolie  è  fallito.  Quelle  isole  risentono  invece  gli  effetti 
di  quei  disastrosi  scotimenti.  E  superfluo  aggiungere  che  nessuna 
relazione  si  è  osservata  tra  il  terremoto  del  1894  e  lo  stato  dei 
vulcani  eolici  o  dell'Etna  e  del  Vesuvio. 

Questo  periodo  è  preceduto  dal  seguente,  dal  quale  risulta 
che  la  sua  fede  nel  tettonismo  e  nell'orogenismo  è  scossa  :  «  Cer- 
tamente in  una  regione  sismica  posta,  come  quella  calabro-sicula, 
sul  perimetro  dell'area  vulcanica  delle  Eolie,  non  è  facile  il  di- 
stinguere sempre  se  un  terremoto  dipenda  da  causa  orogenetica 
0  immediatamente  da  una  vulcanica  ». 


-  30  — 

Discute  le  relazioni  tra  vulcani  e  terremoti  perimetrici  e  con- 
clude :  «  però  delle  relazioni  non  sempre  esistono,  in  vari  casi 
possono  essere  accidentali  e  in  altri  prodotte  dal  fatto  che  dei 
movimenti  tettonici  possono  inliuire  sui  vulcani  ». 

Il  prof.  Di  Stefano  per  quanto  incerto  nel  definire  se  un  ter- 
remoto è  vulcanico  o  tettonico,  per  altrettanto  si  addimostra  in- 
transigente, ciò  che  lo  porta  alla  intemperanza  di  linguaggio  e 
ad  esagerazioni,  nel  negare  e  nel  constatare;  ora  tutto  ciò  com- 
promette la  causa,  fosse  essa  magari  una  tra  le  migliori:  confu- 
ta ntlo  la  teoria  degli  sprofondamenti,  ecco  come  si  esprime  :  «  Se 
si  ammette  l'esistenza  di  tale  sprofondamento  sol  perchè  non  po- 
trebbe escludersi  un  movimento  di  compenso  alla  lenta  emersione 
delle  coste  Calabro -sicule,  si  crea  una  nuova  ipotesi,  alquanto  dif- 
ferente dalla  prima  ,  ma  arbitraria.  Non  si  tratta  di  vedere  se 
un  tal  fatto  è  teoricamente  possibile;  ma  se  invece  i  dati  di  os- 
servazione raccolti  neir  Italia  meridionale  la  rendono  necessaria 
e  la  sostengono.  Questo  non  ci  pare  il  caso,  se  non  si  vogliono 
interpretare  i  fatti  in  modo  inesatto  e  fantastico.  Del  resto  non 
è  dimostrato  teoricamente  che  simili  movimenti  compensatori  deb- 
bono sempre  e  per  necessità  avvenire.  L' ipotesi  della  esistenza 
della  Tirrenide  nacque  perchè  furono  creduti  reali  due  fatti  ine- 
sistenti, cioè  1'  unilateralità  dell'  Appennino  e  il  progressivo  ab- 
bassamento dell'angolo  NE  della  Sicilia;  tolta  da  queste  basi  ori- 
ginarie resta  solo  il  frutto  dell'immaginazione  ». 

Passo  a  riportare  una  serie  di  fatti  osservati  e  controllati 
durante  i  terremoti  calabro-siculi  compresi  nel  periodo  1783-1908, 
per  dimostrare  che  essi  ripetono  la  causa  dal  vulcanismo,  come 
da  causa  vulcanica  furono  determinati  quelli  della  Nuova  Ze- 
landa, del  Giappone,  dell'  Anatolia,  della  Grecia  ,  della  Spagna, 
del  Belutcistan,  dell'Italia,  in  tutti  i  tempi,  della  California,  com- 
presi, per  quest'  ultima  contrada,  quelli  del  1857,  1868  e  1906, 
poiché  furono  localizzati  sopra  una  grande  frattura  variabile  in 
profondità.  Ora,  la  meccanica  elementarissima  insegna  che  un 
corpo  rigido  urtato  da  un  corpo,  dal  basso  in  alto  ,  o  si  rompe 
nettameute  nel  punto  percosso,  lasciando  che  si  irradiino  le  frat- 
ture in  tutti  i  sensi,  e  per  una  variabile  lunghezza,  oppure  si 
frattura  con  o  senza  sollevamento. 

Nelle  disgraziate  contrade  calabro-sicule,  come  in  molte  pla- 
ghe^ del  globo  ,  le  linee  di  massima  sismicità  e  di  massima  vul- 
canicità  sono  troppo  vicine  e  troppo  parallelo  tra  loro  per  rite- 
nerle indipendenti.  Abbandono  la  parie  storica,  ma  riassumo  ciò 
che  han  pensato  dalla  metà  del  secolo  XIX  al  1909,  alcuni  vul- 


—  31    - 

acnologi  e  sismologi.  Lawthian  Green  verso  la  fine  dello  scorso 
secolo  enunciò  una  teoria  del  vulcanismo  e  dei  terremoti ,  di 
recente  W.  H.  Hobbs  ^)  enumera  quarautasette  linee  sismotet- 
toniche,  tra  le  quali  ve  n'è  una  del  reticolato,  dove,  secondo  il 
geologo  americano,  i  movimenti  tettonici  non  sono  ancora  com- 
piuti e  comprende  la  Calabria  e  la  Sicilia.  Cosi  De  Montessus 
de  Ballore  ^)  occupandosi  del  seismo  della  California  ammette 
egli  pure  che  il  terremoto  del  1906,  come  i  precedenti  del  1857 
e  1868  ,  furono  provocati  da  movimenti  tettonici  e  orogenetici. 
Al  De  Montessus  sfuggi  che  quei  terremoti  e  specialmente  quello 
del  1906  furono  registrati  da  quasi  tutti  gli  Osservatori  della 
Terra,  ma  che  il  danno  fu  sentito  dai  paesi  più  prossimi  ai  centri, 
e  che  fu  distrutta  quasi  interamente  la  città  di  S.  Francisco  (Ca- 
lifornia) mentre  a  40  Km.  non  si  ebbe  alcun  danno.  Il  terremoto 
del  28  dicembre  1908  fu  esso  pure  avvertito  in  tutto  il  globo  e 
l'area  disastrosa,  quasi  elittica,  ha  un  diametro  che  supera  i  40  Km. 
In  quanto  agli  effetti  disastrosi  tutto  dipende  dal  rapporto  della 
potenza  alla  resistenza,  non  che  dalle  rocce,  variabili  dalle  com- 
patte ai  terreni  sciolti.  Ora  se  vi  sono  scienziati  che  attribuiscono 
il  terremoto  ad  un  fatto  di  assestamento  oppure  orogenetico,  vi 
sono  pure  altri  che  ammettono  che  il  terremoto  s'a  una  mani- 
festazione diretta  dei  vulcani,  pure  se  essi  terremoti  si  manife- 
stino o  provengano  da  vulcani  che  si  trovano  a  grandi  distanze. 
Scrisse  Gatta  che  1'  attività  endogena  si  mostra  talvolta  anche 
dove  non  esistono  fratture  apparenti,  ma  pure  il  geologo  osser- 
vando minutamente  le  condizioni  del  suolo,  non  tarderà  a  rico- 
noscere qualche  fenditura  che  andrà  a  far  capo  ad  una  vera  scre- 
polatura vulcanica.  Infine  la  maggioranza  degli  scienziati  opina 
che  le  regioni  più  colpite  siano  quelle  prossime  ai  mari  od  ai 
centri  vulcanici  estinti  o  attivi. 

Pel  prof.  G.  Di  Stefano  i  terremoti  calabro-messinesi  avven- 
gono su  depressioni,  emerse  o  sommerse,  che  non  sono  delle  sin- 
clinali e  che  debbono  necessariamente  attribuirsi  a  varie  fratture! 
esse  rappresentano  dunque  delle  linee  di  minore  resistenza,  e  vi 
è  da  meravigliarsi  che  in  tanti  secoli  dacché  avvengono  terre- 
moti le  eruzioni  sottomarine  non  abbiano  lasciato  mai  in  terra 
o  in  mare,  come  testimonianza,  delle  manifestazioni  vulcaniche 
sicure. 


1)  Gerlands  Beitiiige  zur  Geophysik,  Bd.  Vili,  1907. 

2)  Aunales  de  Géographie,  190!-»,  pag.  Sii. 


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11  prof.  Alessandro  Port-is  scrisse  il  3  gennaio  1901),  a  pro- 
posito del  terremoto  del  28  dicembre  1908,  che:  «  in  quella  par- 
ticolare fase,  entrambe  le  sponde  del  canale  devonsi  essere  ina- 
bissate :  la  sponda  Sicula  di  meno  :  forse  solo  da  qualche  centimetro 
a  qualche  millimetro; ....  «  il  terremoto  Calabro  -  siculo  del  28  di- 
cembre 1908  è  un  terremoto  tectonico; «  Esso,  col  vulcanismo, 

non  ha  per  nulla  che  fare  ».  (Dottor  Alessandro  Portis.  Carità  e 
Patria.  Roma  1909). 

Si  legge  nelle  storie  e  nei  libri  di  scienza  che  nel  1783  si 
verificarono  nelle  terre  Calabro -sicule  investite  dal  terremoto  i 
seguenti  fenomeni  :  nei  giorni  che  seguirono  la  catastrofe  un  gran 
numero  di  pesci,  viventi  di  solito  a  grandi  profondità  ,  furono 
trovati  asfissiati,  cotti  o  mezzo  morti  nelle  acque  basse  ovvero 
gettati  sulla  spiaggia.  Identico  fenomeno  fu  constatato  dal  dottor 
Belletti  di  Milano  nelle  vicinanze  di  Nizza  in  occasione  del  ter- 
remoto del  23  febbraio  1887  della  Liguria,  perchè  quel  mare  come 
quello  di  Messina,  abbonda  di  fauna  abissale. 

Parimenti  avvenne  nelle  Eolie  in  diverse  epoche,  e  pure  nelle 
vicinanze  di  Pantelleria  nell'  eruzione  del  1891  ,  ed  in  Sicilia  e 
Calabria,  durante  i  terremoti  del  1888  (Vulcano),  1905  e  1908. 
Questi  fatti,  come  molti  altri  che  riassumerò  in  seguito,  provano 
in  modo  apodittico  1'  azione  del  calore,  che  non  potrà  mai  svi- 
lupparsi per  sprofondamento. 

Neil'  agosto  del  1902,  il  Principe  di  Monaco  ,  constatò  che 
l'altipiano  sottomarino  delle  Azzorre  era  stato  abbandonato  dai 
pesci  e  che  un  cavo  telegrafico  era  rotto  per  fusione.  Il  capitano 
di  una  guarda-costa  russo,  nel  novembre  del  1902,  riferi  di  aver 
trovato,  verso  le  coste  di  Kamtchatka,  galleggiante  una  enorme 
massa  di  pesci  morti.  Procedendo  con  una  velocità  di  otto  nodi 
l'ora,  la  nave  impiegò  due  ore,  per  attraversare  il  banco,  com- 
posto, per  la  massima  parte,  di  salmoidi  di  tutte  le  specie.  La 
massa  errante  copriva  una  superfìcie  di  circa  65000  metri  qua- 
drati, a  50  Km.  da  tutte  le  terre.  Si  attribuì  l'ecatombe,  e  non 
a  torto,  alla  eruzione  di  un  vulcano  sottomarino  sconosciuto. 

Da  quanto  ho  riportato,  emerge  lampante  che  il  Taramelli 
non  condivide  le  opinioni  del  prof.  Carlo  De  Stefani,  che  se  mal 
non  mi  appongo  dovrebbero  essere  almeno  quelle  del  prof.  Bla- 
serna,  che,  come  presidente,  affidò  al  De  Stefani,  e  non  al  Ta- 
ramelli, l'incarico  di  scrivere  la  relazione  geologica. 

Il  prof.  Taramelli  nella  sua  relazione  al  Presidente  Blaserna 
(pag.  90)  si  esprime  come  segue:  «  sicuri  pur  troppo  che  la  sismi- 
cità di  quella  regione  non    sia  certo   esaurita ,   sibbene  che    pe- 


—  33  — 

riodìci  assalti  si  debbano  temerò  laggiù  da  parte  di  quelle  forze 
endogene,  le  quali,  nel  corso  dei  secoli,  hanno  cosi  funestamente 
contribuito  ad  indebolire  fisicamente  e  socialmente  quelle  disgra- 
ziate popolazioni,...  »;  e  continua:  (pag.  93)  «  Quasi  ogni  giorno 
suole  vano  gli  egregi  colleglli  raccogliersi  qualche  ora  per  co- 
municarsi le  osservazioni  individuali,  e  per  le  eventuali  discus- 
sioni che  inevitabilmente  venivano  in  campo,  per  quanto  ognuno 
di  noi  si  astenesse  dal  divagare  nella  ricerca  teorica  delle  ca- 
gioni del  disastro;  le  quali,  comunque  vogliansi  concepire,  si  sot- 
traggono fatalmente  ad  ogni  potere  umano  e  costituiscono  una 

caratteristica  della  regione  da  non  dimenticarsi    giammai » 

seerue  :  «  Che  la  Calabria  e  i  Monti  Peloritani  costituiscono  una 
regione  sismica  con  numerosi  centri  che  si  fanno  vivi ,  talora 
isolatamente,  talora  a  gruppi,  oppure  in  serie  che  mano  mano 
si  sposta;  che  questa  regione  si  presenti  ad  un  tempo  straordi- 
nariamente infranta,  prima  dal  corrugamo ato  orogenetico  posteo- 
cenico,  poscia  dagli  scorrimenti  e  dalle  dislocazioni  avvenute  nei 
periodi  Messiniano  e  Postpliocenico  ;  che  questa  disgraziata  re- 
gione sia  contigua  a  due  importanti  aree  vulcaniche ,  delle 
Eolie  e  dell'Etna,  sotto  le  quali  ferve  di  continuo  la  elaborazione 
dei  magma  lavici;  che  per  conseguenza  i  terremoti  Calabro-Mes- 
sinesi rientrano  in  quella  categoria  che  il  nostro  Stoppani,  prima 
di  ogni  altro  distinse  col  nome  di  perimetrici^  e  che  i  moderni  sismo- 
logi chiamano  tecto vulcanici,  tutto  ciò  entrava  nelle  idee  con- 
divise da  tutti  i  membri  della  sottocomissione  (non  mi  pare 
veramente),  rimaneva  quindi  il  vivo  desiderio  di  conoscere  se  la 
stessa  iniziale,  in  un'area  del  diametro  E.  W.  di  circa  30  km. 
fosse  stata  accompagnata  o  seguita  immediatamente  da  notevoli 
movimenti  di  massa,  nelle  terre  emerse,  oppure  sotto  il  mare  » . 
Il  prof.  Taramelli  comincia  a  rivelarsi  convinto  netttmista 
o  Werneriano,  cosa  che  gli  fa  molto  onore,  poiché  si  addimostra 
sempre  più  tenacemente  attaccato  alla  scuola  che  tutto  faceva 
derivare  dall'  acqua.  A  pag.  94,  dove,  riassumendo  il  lavoro  di 
Dolomieu  sopra  i  terremoti  della  Calabria  del  1783,  riporta,  e 
dice  con  ragione^  quanto  scrisse  Dolomieu,  cioè:  «  io  posso  assi- 
curare, dopo  un  esame  il  più  ponderato  ,  e  dopo  le  ricerche  le 
più  esatte,  che  in  tutta  questa  parte  della  Calabria  non  si  trova 
la  menoma  traccia  di  prodotto  del  fuoco  ».  Più  avanti  ancora 
dopo  avere  accennato  alle  fonti  solfidriche  presso  Gioja  e  S.  Eu- 
femia ,  non  le  ritiene  in  rapporto  col  vulcanismo  ed  aggiunge: 
<  io  insisto  su  questo  oggetto  per  distruggere  1'  opinione  di  co- 
loro, che  suppongono  esistere  fuochi  nascosti  in  queste  provincie». 

3 


—  34  — 

Nota  coiiu^  si  fossero  formato  delle  numerose  e  lunghe  fratture, 
parallele  all'orlo  delle  masse  di  terreni  sabbiosi  e  di  ghiaia:  tan- 
toché <  l'effetto  generale  del  terremoto  su  questi  terreni  fu  di 
rassettarli  e  produrre  delle  scarpate  dove  erano  diruti    pendii  ». 

«  Non  occorre  qui  accennare  alle  considerazioni  teoriche  del 
Dolomieu,  il  quale  considerava  che  la  causa  dei  terremoti  ca- 
labro-siculi  si  avesse  a  cercare  in  esplosioni  di  gas,  che  per  sot- 
terranee caverne  provenissero  dal  disotto  dell'Etna.  Egli  e  l'Hamil- 
ton si  opposero  ai  fisici  napoletani,  che  inclinavano  ad  attribuire 
quei  terremoti  ad  una  causa  elettrica,  che  poi  non  sapevano 
precisare  ». 

A  pag.  105  il  Taramelli  cosi  conclude:  «  Riterrei  inutile  il 
tentare  qui  una  descrizione  sommaria  delle  condizioni  geologiche 
delle  vicende  dei  sollevamenti  ed  abbassamenti  avvenuti  sulle 
sponde  dello  Stretto,  dopoché  è  comparso  lo  scritto  del  prof.  Di 
Stefano  Giovanni  di  Palermo  ^^,  nel  quale  in  modo  insuperabile 
vengono  segnati  i  tratti  essenziali  di  tale  storia  geologica  e  sono 
discusse  acutamente  ed  in  base  ad  osservazioni  originali  le  ipo- 
tesi avanzate  dal  Suess,  dal  Cortese  e  da  altri  ». 

Ora  la  dichiarazione  del  Blaserna  mi  ha  ricordata  1'  altra 
del  segretario  perpetuo  della  Reale  Accademia  delle  Scienze  di 
Napoli,  prof.  Michele  Sarconi,  estensore  della  relazione  sul  ter- 
remoto del  1783,  dove  tra  le  altre  cose  si  legge  che  avrebbe 
mancato  al  suo  dovere  l'Instituto,  «  se  da  tale  memorabile  sven- 
tura non  avesse  preso  argomento  di  dare  una  prova  non  equivoca 
di  sua  non  inutile  esistenza  all'  Europa  spettatrice  »  (pag.X). 
«  E  a  Coloro^  a'  quali  fu  commessa  cura  cosi  gelosa,  venne  con 
inviolabile  legge  non  solo  vietato  1'  abbandonarsi  alle  seduzioni 
di  qualunque  delle  tanti  ipotesi,  inventate  sulle  cause  di  cosi 
formidabile  vertigine  della  natura  (p.  XI)  >  ;  ma  inculcato  altresì 
lo  sciogliersi  totalmente  dal  partito  di  tutti  i  sistemi,  che,  quasi 
mostrando  di  sconoscerli  tutti,  nuU'altro  far  dovessero,  che  rac- 
corrò soli  fatti....  ».  Ciò  mette  pertanto  nella  più  chiara  evidenza 
il  progresso  dei  tempi,  tanto  più  che  nella  relazione  presentata, 
mentre  il  Blaserna  riporta  le  idee  del  prof.  Carlo  De  Stefani,  il 
quale  disse:  «  Piuttosto  che  cercare  cause  difficili,  é  logico  attribuire 
il  disastro  aWsi  causa  stessa  della  vulcanicità  »  (pag.  3),  nella  suc- 
cessiva pag.  117  della  relazione  del  prof.  Torquato  Taramelli: 
sidU esame    dei  saggi   di  fondo  nello  stretto   di  Messina ,   riporta: 

')  Annali  dell'Ufficio  centrale  Meterelogico  e  Geodinamico  Italiano.  Voi. 
XIX,  Serie  Seconda,  p.  331. 


—  35  — 

<  essendo  che  di  tale  argomento  intende  occuparsi  l'egregio  col- 
lega Carlo  De  Stefani  >....  e  poi  a  pag.  121  si  leggo  :  «  Osservo 
che  i  saggi  microscopici  non  sono  peranco  terminati  e  che  sul 
risultato  di  questi,  che  però  non  potrà  modificare  di  molto  quanto 
si  è  già  constatato,  verrà  data  ulteriore  relazione  ». 

Ma  cosa  si  è  già  constatato  ce  lo  dice  il  prof.  Emilio  Tac- 
coni, dopo  l'esame  sommario  dei  materiali  estratti  cogli  scan- 
dagli eseguiti  dalla  Regia  Marina  nello  stretto  di  Messina  ,  nel 
1»  trimestre  del  1909,  come  dal  seguente  periodo:  «  Dal  rapido 
e  sommario  esame  del  materiale  è  emerso  un  fatto  che  credo  non 
verrà  modificato  dal  successivo  studio  completo,  e  cioè  che  nella 
costituzione  dei  depositi  marini  della  zona  esaminata  non  en- 
trano materiali  vulcanici  ». 

Chiude  la  sua  relazione  il  Tacconi  come  segue:  «  Ritengo 
opportuno  di  avvertire  nuovamente  che  la  presente  non  è  che 
una  relazione  sommaria,  per  cui  viene  presentata  senza  conclu- 
sioni, le  quali  per  altro  sarebbero  attualmente  affatto  premature». 

Sembra  pure  a  me  prematura  una  discussione  sulla  presenza 
o  assenza  di  elementi  mineralogici  provenienti  da  magma  vul- 
canici, quali  ad  esempio  il  feldspato  basico  labradorite,  ecc.  e 
l'affrettata  conclusione  (pag.  124)  dell'assenza  di  materiali  vulca- 
nici, e  la  dichiarazione  di  non  voler  concludere.  Sono  costretto 
a  richiamare  1'  attenzione  sulla  relazione  Tacconi  perchè  essa 
diede  agio  al  Taramelli  di  predire  che  non  potrà  modificare  di 
molto  la  constatazione  fatta,  ossia  che  il  fenomeno  non  fu  vul- 
canico ^). 

Nel  mio  lavoro:  «  11  vulcanismo  nel  terremoto  calabro-siculo 
del  28  dicembre   1908  »  pubblicato   nel  voi.   XXIII   del  nostro 

ij  II  prof.  Taramelli,  nel  suo  lavoro:  «  Sull'origine  dello  stretto  di  Mes- 
sina »  pubblicato  negli  Atti  della  Società  Italiana  j)er  il  progresso  delle  Scienze, 
Roma  1910,  a  pag.  245  conclude  come  segue:  «  lo  mantengo  1'  opinione  già 
espi'essa  da  valenti  sismologi ,  che  questi  terremoti ,  pei  quali  lo  Stoppani 
giustamente  propose  la  categoria  di  perimetrici ,  sieno  in  stretta  relazione 
coll'attività  vulcanica  attuale.  Fosse  pure  questo  un  nesso  assai  indiretto,  l'ec- 
cezionale gravità  dei  terremoti  calabro-siculi  non  è  dipendente  dalle  condi- 
zioni tectoniche  più  di  quanto  lo  possa  essere  dai  fenomeni,  che  si  svolgono 
sotto  all'Etna  ed  ai  due  vulcani  delle  Eolie  ». 

Io  che  conservo  la  stessa  fantasia  vivace  del  1887  (vedi  Bollettino  Uf- 
ficiale dell'Istruzione  Pubblica  del  1891,  pag.  185)  dico  al  prof.  Taramelli  che 
se  il  28  dicembre  1908  non  si  fosse  verificata  una  eruzione  sottomarina  nello 
Stretto  di  Messina,  non  si  sarebbe  avuto  il  maremoto,  poiché  questo  fenomeno, 
come  l'altro  del  terremoto  o  sismico,  è  l'efietto  della  stessa  causa  che  non 
può  essere  che  il  vulcanismo. 


—  36  — 

BoUeUino,  cercai  di  dimostrare  che  la  causa  doli' immane  disa- 
stro doveva  cercarsi  noi  vulcanismo,  né  oggi  sono  di  differente 
opinione,  tanto  più  che  i  principali  fenomeni  che  precedono,  ac- 
compagnano e  seguono  i  fenomeni  vulcanici,  come,  più  di  ogni 
altra  cosa  il  riscaldamento  dell'acqua  sui  versanti  calabro-siculi, 
tanto  contrastato,  fu  constatato  dal  dottor  Stilo  di  Gallico  e  dal 
prof.  Mazzarelli  dell'Università  di  Messina  ^). 

Ho  atteso  invano  di  leggere  nella  Relazione  della  Reale  Com. 
qualche  cosa  sulle  importanti  osservazioni  geologiche  fatte  dagli 
ingegneri  Brunelli  e  Iona  nella  rimessa  dei  cavi  nello  stretto  dopo 
il  terremoto  del  28  dicembre,  tanto  più  che  a  me  fu  negato  di 
leggere  la  relazione  che  essi  presentarono  al  Ministro  delle  Poste 
e  Telegrafi,  come  pure  di  avere  un  campione  del  materiale  che 
causò  le  bruciacchiature  ai  cavi  nello  stretto. 

L'inesplicabile  silenzio  non  può  avere  altro  significato  S9 
non  quello  di  voler  ancora  nascondere  la  causa  che  ha  provo- 
cato tanti  dolori  e  tanti  danni  alle  derelitte  contrade  Calabro- 
Siculo.  Cosi  i  vulcanologi  e  i  tectonici  che  aspettavano  i  risultati 
delle  analisi  per  sentirsi  più  forti  nell'arcione  della  teoria  accet- 
tata, son  rimasti  delusi:  pure  i  profani  e  gli  studiosi  della  difficile 
quanto  trascurata  materia  aspettano  fiduciosi  la  parola  della 
scienza. 

Se  ciò  non  avverrà,  e  non  ne  so  comprendere  la  ragione, 
resterà  per  tutti  quanto  si  legge  neW  Elettricista  (Anno  XVIII, 
S.  II,  voi.  Vili,  n.  4,  Roma  15  febbraio  1909,  p.  63)  :  «  I  guasti 
prodotti  dal  terremoto  e  dal  maremoto  sui  cavi  telefonici  e  tele- 
grafici dello  stretto  di  Messina  furono  riparati,  ed  alcuni  dovet- 
tero essere  anche  rimessi  del  tutto  nuovi  ». 

«  I  cavi  tra  il  continente  e  l'isola  sono  sette.  Tutti  subirono 
gravi  danni  e  tutti  poterono  essere  riparati,  meno  uno,  quello 
collocato  nella  parte  più  orientale  dello  stretto,  verso  capo  Gal- 
lico, che  dovette  essere  abbandonato  ». 

«  Il  mare  nello  stretto  ha  una  profondità  media  di  500  me- 
tri. Durante  il  cataclisma,  il  fondo  del  mare  subì  tali  variazioni 
che  il  cavo  rimase  profondamente  coperto  sotto  le  arene  ;  tutto 
le  potenti  macchine  della  nave  che  procedeva  ai  lavori  di  ripa- 
razione non  furono  capaci  di  liberare  e  tirar  fuori  il  cavo  stesso, 
che  fu  cosi  abbandonato  ». 


^)  G.  Mercaxu.— Contributo  allo   studio  del  terremoto  Calabro-Messinese 
1909. 


-  37  - 

«  Fa  notato,  che  i  cavi  estratti  per  le  riparazioni  e  le  sosti- 
tuzioni, presentavano  tracce  di  bruciacchiature,  ciò  che  farebbe 
pensare  ad  esplosioni  di  vulcani  sottomarini;  cosi  pure  durante 
la  campagna  furono  raccolte  altre  interessanti  osservazioni  di 
carattere  geologico. 

«  I  lavori  erano  diretti  dall' ing.  Brunelli,  per  lo  Stato,  e 
per  la  ditta  Pirelli,  dall' ing.  Iona  ». 

Ora  una  Reale  Commissione  che:  «  Si  domanda  quali  muta- 
menti siano  avvenuti  nella  conformazione  geologica  di  quelle 
disgraziate  provincie  »  e  nella  sua  relazione  non  accenna  nem- 
meno a  quanto  riferirono  gl'ingg.  Brunelli  e  Iona,  lascia  una 
grande  lacuna,  cosa  che  potrebbe  rappresentare  un  grande  sottin- 
teso scientifico  o  una  grande  generosità.  Importante  si  è,  e  per 
la  scienza  e  pel  vero,  che  il  Gro verno,  liberato  della  Reale  Com- 
missione, ha  il  dovere  di  rendere  di  ragione  pubblica  quella  parte 
della  relazione  Brunelli-Iona,  che  può  riguardare  la  scienza,  e  di 
fare  analizzare  chimicamente  e  petrografìcamente  le  sostanze  che 
provocarono  le  bruciacchiature  sui  cavi  dello  stretto,  e  pubbli- 
care i  risultati. 

Terremoto  Calabro- Si  culo  del  1783. 

Scrisse  Sarconi  (a  pagina  343)  :  «  Ciò  che  universalmente 
però  sentimmo  riferire,  si  fu  che  l'acqua  de'  fonti  in  molte  parti 
o  si  perdette  del  tutto,  o  rimase  nel  suo  corso  per  qualche  tempo 
intercettata.  Per  ciò,  che  poi  si  appartiene  alle  innovazioni  del 
colore,  del  sapore,  e  dell'odore  nelle  medesime,  è  fuori  di  con- 
tesa che  vi  furono  delle  sensibili  e  lunghe  alterazioni ,  e  ciò  in 
quasi  tutte  le  acque,  non  escluse  le  stesse  termali,  e  le  minerali 
fredde  ». 

Sarconi,  convinto  nettunista,  come  Taramelli  ed  altri,  sempre 
che  riusci  trascurò  di  descrivere  tutti  i  fenomeni  vulcanici,  e  ad 
un  certo  punto  per  tenersi  stretto  alle  idee  assimilate  nella  scuola, 
non  mancò  di  fare  una  guerra  spietata  alla  ragione  ed  al  senso, 
e  piuttosto  che  smentire  i  suoi  maestri,  chiuse  gli  occhi  per  non 
vedere. 

Griordano  Bruno  fu  felicissimo  nella  sua  invettiva  contro 
quelli  che  s'impancano  a  dottori,  non  perchè  pensino  col  loro 
capo,  ma  perchè  sanno  a  menadito  ciò  che  pensavano  gli  altri, 
e  ciò  solo  riconoscono  vero  che  dal  consenso  del  volgo  è  san- 
cito :  vox  popiili^  vox  Dei,  e  li  bollò  come  «  servile  pecorume,  che 


—  as- 
so tentasse  di  mettersi  per  nuove  v'w,  fallintlibo  la    meta  ».  (De 
immenso  et  Immutabili.,  HI,  I). 

Ecco  come  si  espresse  il  Sarconi  a  pag.  150:  «  In  mezzo  a 
tanti  monumenti  di  materiali,  non  favorevoli  alla  fisica  incendiaria, 
farà  sorpresa    il    sentire   che   noi   rinvenimmo    tra'  rottami    della 

creta  concava  una  'pomice  bella,  e  tutta  intera ».  Si  domanda: 

fu  mai  questa  pomice  una  produzione  di  fuoco,  coeva  alla  na- 
scita, o  al  deposito  de'  testacei?  Se  fu  tale,  qual  mano  amica 
difese  i  testacei,  e  produsse  la  pomice?  Fu  mai  la  produzione 
della  pomice  posteriore  al  deposito  de'  testacei?  Se  ciò  si  pre- 
tendesse, saremmo  sempre  nella  stessa  difficoltà,  che  nasce  dal 
vedere  la  totale  integrità  dei  testacei,  sui  quali  non  appare 
orma  anche  minima  di  forza  di  fuoco.  Potrà  temersi  che  il  Wood- 
vard  e  il  Vallerio  siensi  ingannati  nel  credere  che  questi  pori 
sieno  una  costante  generazione  di  fuoco  sotterraneo?  Non  po- 
tremo credere  che  in  questo  luogo  fosse  avvenuto,  in  remotis- 
simo tempo,  ciò,  che  sì  spesso  avviene  altrove,  cioè  che  le  po- 
mici tuttoché  producansi,  come  si  crede  da  naturalisti,  nel  fondo 
del  mare  da  fuochi  sotterranei,  pure  giunte  che  esse  sieno  alla 
superficie  del  mare  stesso,  errano  lunghesso  vagabonde,  e  com- 
pariscono in  sito  lontanissimo  dal  loro  luogo  d'origine,  quivi  de- 
poste, e  gettate  dalla  forza  dei  venti  e  delle  onde  ?  » 

«  Noi  non  osiamo  di  decider  nulla.  Siamo  semplici  e  fedeli 
relatori  di  ciò  che  abbiamo  co'  propri  occhi  osservato.  Lasciamo 
a  più    coraggiosi   ingegni   il   diritto    di   fare   gl'interpreti    della 

natura  ». 

Gioacchino  Pittar©  di  Borgia  medico  fisico  scrisse  «  che  dopo 
il  terremoto  del  28  marzo  1783  immediatamente  si  vide  nell'aria, 
non  molto  lontana  dalla  superficie,  una  nuvola  oscura,  e  densa, 
come  si  bruciassero  all'intorno  grandi  foreste;  durò  questa  qual- 
che tempo.  In  secondo  luogo  bisogna  notare  che  la  mina  del 
tremoto  del  28  par  eh'  abbia  cominciato  da  ponente  a  levante, 
non  o-ià  da  libeccio  a  mezzogiorno,  come  l'antecedente.  L'accen- 
sione par  che  siasi  fatta  sopra  le  Montagne  di  Girifalco,  e  pro- 
priamente al  Monte  Covello,  alla  di  cui  falda  v'è  una  fontana 
d'acqua  minerale  ». 

Non  pochi  cittadini  degni  di  fede  asserirono  che  a  Rosarno 
uscirono  dal  suolo  acque  fangose  scottanti  ;  che  a  Palmi  vi  fu- 
rono esalazioni  infuocate;  che  nel  maremoto  di  Scilla  alcuni  dei 
naufraghi  trovarono  le  acque  scottanti  e  taluno  perfino  ne  riportò 
bruciature;  furono  raccolte   scorie   galleggianti   in  mare,  talché 


—  39  — 

qualcuno    suppose  vi    fosse    stata    una    eruzione    sottomarina  fra 
Stromboli  e  la  Piana  di  Calabria. 

Nel  torrente  Marro,  presso  Palmi,  vi  sono  due  sorgenti  sol- 
forose a  meno  di  un  chilometro  l'una  dall'altra. 

Secondo  l' ing.  Cortese  il  dicco  basaltico  di  Malopasso  (Palmi) 
si  approssima  alle  rocce  analoghe  dell'isola  Lipari. 

Vivenzio  riferì  che  alla  marina  di  Bivona  e  di  Pizzo  nel  1783 
il  mare  era  tranquillo  in  vicinanza  del  lido,  ma  in  lontananza 
invece  si  mostrava  «  in  un  fervore  e  bollimento  insolito,  benché 
senza  alcun  vento  »  talché  alcuni  pescatori  furono  costretti  di 
far  ritorno  a  terra.  Avvenne  presso  Capo  Rizzuto  nella  costa 
dell' E.  un  maremoto  accompagnato  da  inondazione  delle  adiacenti 
spiagge.  A  Cutro,  per  la  scossa  del  6  febbraio,  il  mare  retrocesse 
dal  lido.  A  Scilla  si  vedea  il  mare,  dopo  il  terribile  maremoto, 
ad  ogni  quarto  d'ora  invadere  la  terra  e  poscia  ritirarsi,  e  ciò 
nello  spazio  di  3  miglia  circa.  Cosi  le  scosse  di  terremoto  a  Mes- 
sina, secondo  Gallo,  dalle  19  ore  del  5  febbraio  fino  a  mezza- 
notte si  ripeterono  a  meno  di  un  quarto  d'ora  di  distanza  l'una 
dall'altra.  All'altezza  di  Capo  Vaticano,  dopo  pochi  minuti  dalla 
scossa,  alcuni  naviganti  scorsero  che  le  onde  formavano  due 
grandi  cavalloni. 

Il  dottore  Pignatari  scrisse  che  dopo  la  scossa  a  Roccella 
sul  Jonio  ed  a  Nicotera  il  mare  si  ritirò  per  inondare  poi  la  costa 
per  due  o  tre  volte. 

Corrao  riferi  che  una  nave  greca  che  si  trovava  presso  Li- 
pari, durante  la  scossa  del  7  febbraio  e  il  maremoto,  risenti  la 
impressione  di  un  urto  terribile,  come  se  avesse  toccato  fondo, 
senza  però  ricevere  danno  alcuno. 

G-rimaldi  scrisse  che  durante  le  scosse  del  6,  6  febbraio  il 
mare  all'imboccatura  del  canale  di  Messina  tra  la  punta  di  Scilla 
e  quella  del  Faro  in  un  subito  si  gonfiò  notabilmente  e  con  una 
violenza  incredibile  allagò  l'uno  e  l'altro  lido  ,  tirando  seco  nel 
suo  veloce  ritiro  quanto  v'era  sopra  i  due  lidi. 

A  pag.  46  si  legge  che  «  Stromboli  dopo  il  terremoto  del 
5  febbraio  1783  vomitò  anche  più  del  solito  delle  fiamme  e  si 
sentivano  in  Calabria  muggiti  del  Monte  ». 

Che  :  «  in  Messina  si  osservò  un  fenomeno  notabile  :  prima 
della  scossa  delle  ore  23  del  giorno  8  febbraio,  si  vide  nel  canale 
alzare  ima  densa  coloìina  di  vapori ,  che  prese  la  direzione  di 
Reggio  >. 

Le  acque  minerali  e  sulfuree  divennero  più  calde. 


-  40  - 

Nel  Golfo  di  Terranova  (Sicilia  i  duo  Reali  Sciahecchi  furono 
investiti  dall'aria  scottante  e  puz/.oleutr  ,  per  l'acido  solfidrico, 
ed  assistettero  ad  un  maremoto  che  durò  pochi  minuti. 

Riferi  pure  il  Grimaldi  che  gli  animali  erano  il  sismometro 
più  sicuro  nelle  Calabrie. 

A  Tiriolo  avvennero  fenomeni  elettrici ,  ma  da  per  tutto  si 
osservarono  in  gran  numero  de'  fuochi  fatui  nell'  aria. 

A  Precacore  :  «  da  profonde  fenditure  usciva  come  un  fu- 
maiuolo dal  quale  di  tratto  in  tratto  uscivano  densi  vapori  »,  (Vi- 
venzio  pag.  2'29). 

Stoppani  (voi.  1,  pag.  467)  riferisce  che  :  «  Mofette,  eruzioni 
di  fango ,  fumo  denso ,  fiamme  accompagnarono  i  terremoti  di 
Messina  nel  1783  ». 

Riassumendo,  nel  1783,  dopo  il  terremoto  del  5-6  febbraio, 
ve  ne  fu  un  secondo  il  giorno  7,  ed  un  terzo  il  28  marzo.  Le 
scosse  furono  sussultorie,  sempre  precedute  da  rombi  più  o  meno 
assordanti  ;  in  alcune  contrade  durante  il  terremoto  il  suolo  on- 
deggiava a  sussulti,  lanciando  a  considerevoli  distanze  colline  o 
caseggiati  ,  spesso  le  sabbie  pei  continui  sussulti  si  muovevano 
in  modo  da  sembrare  un  liquido  bollente  ;  si  sfasciavano  monti; 
sparivano  fiumi  ;  si  formavano  laghi ,  mentre  spaventevoli  deto- 
nazioni si  udivano  sotterra. 

Vi  furono  nelle  Calabrie  enormi  scoscendimenti,  frane,  scor- 
rimenti, slittamenti ,  fratture  nel  terreno  in  tutti  i  sensi ,  più  o 
meno  profonde,  eruzioni  di  fango,  emissioni  di  vapori  e  di  fiamme, 
riscaldamento  delle  acque,  ecc.  fenomeni,  che  hanno  lasciato  tracce 
ancora  visibili  in  molte  contrade  Calabresi. 

Nella  relazione  sul  terremoto  del  1894  in  Calabria  il  pro- 
fessore Ricco  a  pag.  249,  nel  riassumere  le  analogie  e  le  differenze 
fra  il  terremoto  del  1783  e  quello  del  1894 ,  ha  scritto  quanto 
segue  : 

«  Eruzioni  vulcaniche  corrispondenti  al  terremoto  non  ve  ne 
furono,  né  nel  1783,  né  nel  1894  ». 

«  Le  sorgenti  termali  e  minerali  non  fecero  alcun  mutamento 
in  corrispondenza  ai  terremoti  del  1783  e  del  1894  ». 

«  Agitazioni  e  maremoto  probabilmente  prodotto  da  frana  nel 
1783;  semplice  ondeggiamento  del  mare  nel  1894,  senza  varia- 
zione permanente  e  notevole  di  livello  ». 

A  pag.  103  si  legge  :  «  Si  dice  che  nella  vicinanza  delle 
fratture  ed  in  prossimità  dell'acqua  del  lago  di  Ganzirri  si  apri 
un  foro  da  cui  emanava  vapor  acqueo ». 


—  41  — 

«  Nel  primo  tempo  da  queste  fratture  esalava  odore  d'uova 
fracide  (acido  solfidrico)  e  da  alcune  di  esse  usciva  melma  fetente 
e  fumante  ». 

«  Si  dice  elle  anche  nel  1783  il  Pantano  Grande  (Lago  di 
Ganzirri)  ebbe  le  sue  rive  fessurate  ». 

A  p.  105  :  «  Il  piroscafo  proveniente  da  Lipari,  imboccando 
lo  stretto  neir  istante  della  grande  scossa  provò  un  fortissimo 
sussulto  :  al  momento  si  credette  di  aver  dato  in  una  secca,  ma 
poi  avendo  visto  contemporaneamente  spegnersi  la  luce  del  Faro, 
si  comprese  trattarsi  di  terremoto  ». 

A  pag.  103  :   «  In  un'  altra  casetta ,  presso  Faro,  è  caduto  il 
balcone,  indicando  movimento  sussultorio  ». 

A  p.  106  :   «  A  Milazzo  la  scossa   delle  ore  18,52   (1904)  fu 

fortissima ,  sussultoria    ed   ondulatoria    E.   W Precedeva    un, 

urlo  0  gridio,  poi  si  sentivano  dei  colpi  sordi Quattro  o  cinque 

giorni  dopo  il  terremoto,  vi  fu  movimento  del  mare,  che  si  alzò 
di  circa  un  metro,  arrivando  fino  all'altezza  della  banchina ». 

Da  quanto  ho  fedelmente  riportato,  risulta  che  i  governi  in 
Italia,  di  tutti  i  tempi,  hanno  fatto  coscienziosamente  il  loro  do- 
vere, poiché  Ferdinando  IV  si  rivolse  ,  pel  terremoto  del  1783 
alla  Reale  Accademia  di  Scienze,  da  lui  fondata,  perchè  offris- 
sero gli  umilissimi  vassalli^  che  la  componevano,  «  ima  prova  non 
equivoca  di  sua  non  inutile  esistenza  all'  Europa  spettatrice  »,  e 
la  relazione  principia  col  seguente  periodo  delle  epistole  del  Pe- 
trarca :   «  Haec  ego  non  legi,  non  audivi,  sed  oculis  meis  vidi  ». 

E  gli  accademici  napoletani,  lasciarono  a  più  coraggiosi  in- 
gegni il  diritto  di  fare  gli  interessi  della  natura  ». 

Nel  1894  il  Governo  del  tempo  si  rivolse  a  noti  naturalisti 
perchè  studiassero  e  riferissero  sul  terremoto  Calabro-Siculo  di 
quell'anno,  ed  il  prof.  Annibale  Ricco  a  116  anni  di  distanza 
raccomandò  di  fare  altre  ricerche,  e  fino  a  togliere  ogni  dubbio 
in  proposito  »   (pag,  136).. 

Dalla  relazione  sul  terremoto  del  1908  presentata  dalla  Reale 
Commissione,  i  cui  componenti  sono  i  più  eminenti  scienziati  ita- 
liani ,  si  apprende  che  essi  con  elevato  senso  patriottico  si  mi- 
sero a  disposizione  del  Governo  per  lo  studio  dell'  immane  di- 
sastro, e  si  rileva  pure  un'aperta  contraddizione  tra  il  prof.  Carlo 
Di  Stefano  ,  il  quale  disse  il  3  gennaio  1909  :  «  Piuttosto  che 
cercare  cause  difficili ,  è  logico  attribuire  il  disastro  alla  causa 
stessa  della  vulcanicità  ».  ed  il  Prof.  Torquato  Taramelli  che 
esclude  la  presenza  di  materiali  vulcanici  nello  stretto  (p.  121  e  124). 


—  42  — 

Ve  (li  [)iù,  clic  una  [)l(!Ìa,(lc  «li  l)ciionioriti  geologi  italiani 
ammiso  la  coc.vità  dello  rocue  cristallino  Calabro-.Sicule  o  per  con- 
seguenza puro  di  quelle  del  fondo  dello  stretto  di  Messina.  In- 
fatti, successivamente  io  misi  in  evidenza  la  identità  della  loro 
composizione  chimica.  Intanto  il  prof.  Taramelli  ha  scritto  nella 
sua  relazione  (pag.  97)  come  segue  :  «  Come  non  riesco  a  capire, 
senza  ammettere  almeno  un  periodo  di  emersione  alla  fine  del 
pliocene  o  del  Siciliano  ,  come  sia  stato  abraso  il  pliocene  del 
fondo  dello  stretto,  clic  si  siqjpone  costituito  da  roccia  cristallina  »  ^). 
Mentre  il  prof.  Carlo  De  Stefani  disse  nella  tornata  del  3  gen- 
naio dell'Accademia  dei  Lincei,  che  :  «  L'urto  meccanico,  origine 
delle  vibrazioni  sismiche,  ha  avuto  sede  a  poca  profondità,  in 
quelle  rocce  antichissime,  che  formavano  appunto  i  Monti  Pelo- 
ritani  e  1'  Aspromonte ,  e  che  formano  anche  il  sottosuolo  im- 
mediato delle  Lipari  »  (p.  4). 

Emerge  da  quanto  ho  riportato  che  il  prof.  De  Stefani  di- 
chiara di  essere  convinto  che  la  roccia  sotto  lo  stretto  è  cristal- 
lina, mentre  il  prof.  Taramelli  asserisce  che  si  siijìpone,  quindi 
non  lo  sa  e  non  1'  ammette  ,  e  pertanto  ci  troviamo  allo  statu 
quo  ante. 

Infatti,  la  Reale  Commissione  ,  prima  di  rassegnare  il  suo 
mandato  al  Governo ,  ha  formulato  una  serie  di  proposte  ,  per 
un  secondo  periodo  di  studi,  che  a  suo  modo  di  vedere,  «  sono  un 
indispensabile  complemento  dei  lavori  già  eseguiti  »  (p.  84)  Quindi... 
ai  posteri  1'  ardua  sentenza  ! 

Tutte  le  incertezze  enumerate  devono  indubbiamente  avere 
incoraggiato  gli  scienziati  stranieri  a  considerare  le  Calabrie 
fuori  tutte  le  leggi  scientifiche,  a  segno  da  sentirsi  autorizzato 
il  Suess  a  ritenere  quelle  contrade,  come  per  altre  avevano 
fatto  il  Dana  e  l'Heim,  come  soggette  a  fenomeni  di  assestamento 
che  elevare  a  scienza  il  tectonismo,  che  in  quelle  contrade  non 
da  che  vedere. 

Recentemente  il  dottor  Hobbs,  che  si  è  occupato  del  terre- 
moto 8  Settembre  1905  delle  Calabrie,  non  tenne  alcun  conto 
dell'insieme  dei  fenomeni,  ed  in  ciò  imitò  ì\  Suess  che  visitò  le 
Calabrie  dopo  il  terremoto  del  1870.  Fatto  si  è  che  il  Suess 
enunciò  la  sua  nota  teoria,  ed  oggi  Hobbs  per  ottenere  nuovi 
lumi  nello  studio  della  struttura  della  crosta  terrestre,  ha  rivolto 


')  Le  quantità  di  silice  riscontrate  nelle  rocce  di:  Messina  74,09  "/q;  Aspro- 
monte 73,71;  Lipari  74,10;  Vulcano  74,52;  Stretto  74,22  o/o;  sono  cifre  che  di- 
struggono tutte  le  supposizioni. 


—  43  — 

la  sua  attenzione  sull'Italia  meridionale.  Asserisce  Hobbs  che  la 
Calabria  non  è  solo  una  regione  di  rocce  cristalline,  gettato  in 
complesse  ripiegature,  ma  ha  chiaramente  mostrato  di  essere  in- 
tersecata da  un  gran  numero  di  strati  rotti. 

Questa  sua  asserzione,  per  chi  ha  letto  la  relazione  Sarconi 
e  la  pubblicazione  del  Vivenzio,  non  produce  alcuna  impressione, 
poiché  fin  dal  1783  furono  pubblicate  delle  tavole  separate  e 
riassuntive  de'  215  laghi  prodotti  da'  terremoti  di  quell'anno 
pubblicazioni  e  piante  che  misero  in  piena  evidenza ,  non  solo 
le  fratture  in  tutti  i  sensi,  ma  pure  che  furono  le  scosse  sus- 
sultorie  che  sovvertirono  completamente  il  suolo  ed  il  corso 
delle  acque.  Parimenti  mi  sorprende,  come  oltre  i  fenomeni,  che 
riassumerò,  verificatisi  nei  terremoti  del  1870  e  del  1905 ,  non 
si  tenne  nessun  conto  delle  profonde  fenditure  di  Precacore,  e 
di  Rosarno,  dalle  quali  venne  eruttato  fango  fumante,  vapore 
acqueo  ed  acido  solfidrico,  specialmente  dal  Hobbs  che  studiò 
le  linee  o  fratture  vulcano-tettoniche  dell'Italia,  e  dei  fenomeni 
vulcanici  sottomarini,  studii  che  interpretati  senza  idee  precon- 
cette gli  avrebbero  dovuto  servire  di  grande  ammaestramento. 
Poiché  lo  stesso  Hobbs  nella  zona  studiata  in  quella  occasione: 
«  include  la  Calabria,  la  Sicilia  a  Nord  dell'Etna  e  ad  Est  di 
Naso  e  le  isole  Lipari,  le  quali  regioni  possono  considerarsi  come 
un'unica  zona  sismotettonica  ». 

Fa  il  Dottor  Hobbs  molti  sforzi  per  dimostrare:  «  la  falsità 
della  concezione  del  centro-teoria  che  non  nacque  da  dati  spe- 
rimentali, ma  dalla  preconcezione  una  volta  generalmente  seguita 
che  i  terremoti  fossero  intimamente  dipendenti  da  forze  vulcaniche  ». 

Qui  occorre  dissipare  subito  un  equivoco  in  cui  è  caduto 
Hobbs,  nel  senso  che  il  Mallet  nella  pubblicazione  sul  terremoto 
napoletano  del  1857,  si  espresse  come  segue:  «  l' intera  dimen- 
sione orizzontale  della  cavità  focale  (il  centro  di  Hobbs)  era  circa 
nove  miglia  geografiche  »  ^). 

In  quanto  alle  fratture,  che  Hobbs  chiama  linee  sismotetto- 
niche^  l'A.  scrive  che:  «  Le  scosse  sono  talora  cosi  distruttive  che 
è  difficile  determinare  le  linee  di  massima  intensità;  quindi  ogni 
tentativo  d'indicarle,  unendo  le  località  danneggiate,  é  malsicuro. 
Per  fortuna  non  si  riscontrano  le  stesse  difficoltà  nello  studio 
delle  scosse  minori,  le  quali  sono  sensibili  solo  nei  paesi  di  ele- 
vata sismicità   ». 


^)  R.  Mallet,  Great  napoletan  eartheqiiake  of  1857,  vols.  II.   p,  303-306. 
London,    1862. 


_   44  — 

«  11  significato  tettonico  di  certo  lineo  venendo  così  stabilito, 
è  naturalo  ritenere  che  se  esse  sono  il  luogo  di  gravi  danni  al- 
l'epoca di  un  macrosismo,  un  movimento  è  avvenuto  su  di  esse  ». 

Io  credo  che  a  questo  punto  Hobbs  avrebbe  dovuto  almeno 
accennare  quali  sono  le  nuove  energie  che  rendono  il  tettonismo 
0  r assestamento  siissultorio,  capace  di  lanciare  massi  a  distanza, 
provocare  eruzioni  di  sabbia,  d'acqua,  ecc. 

De  Montessus  de  Ballore  scrisse  a  Hobbs  da  Abbeville  il 
29  Maggio  1906  che  i  grandi  terremoti  arrecano  danni  lungo 
certe  linee  stabilite  nella  regione,  nella  zona  sconvolta.  «  Sono 
esse  delle  linee  epifocali  di  Harboe,  per  cosi  dire,  materializzate 
alla  superfìcie  e  direttamente  viste  in  movimento  senza  l'inter- 
mediario dell'osservazione  delicata  di  un  elemento  necessario,  il 
tempo  ». 

«  Ora  queste  linee  di  distruzione  esclusive,  sempre  le  stesse 
pei  diversi  terremoti  d'una  stessa  contrada,  corrispondono  volta 
per  volta  alle  dislocazioni  e  alle  linee  strutturali  della  topografia 
e  della  geologia  della  regione  devastata.  Tal'è,  asserisce  de  Ballore, 
il  risultato  concreto  del  lavoro  di  Hobbs  sui  terremoti  delle  Ca- 
labrie e  della  Sicilia  orientale  ». 

Mentre  nel  Rendiconto  della  Classe  di  Scienze  fisiche,  ma- 
tematiche e  naturali  della  Reale  Accademia  dei  Lincei,  per  la 
seduta  del  3  gennaio  1909,  tra  le  altre  cose  riferite  dal  Socio 
Carlo  De  Stefani,  si  legge:  «  Probabilmente,  l'attento  studio  fisico 
delle  vibrazioni  sismiche  porterà  a  meglio  determinare  le  cause, 
poiché  certamente  la  natura  delle  medesime  è  diversa  secondo 
che  derivano  dallo  sprofondamento  di  una  vòlta,  causa  da  esclu- 
dersi per  ragioni  profonde,  o  da  spaccature  più  o  meno  lunghe, 
dipendenti  da  un  ipotetico,  cosi  detto,  assestamento  ». 

Se  i  signori  sostenitori  del  tettonismo  nella  Calabria,  invece 
di  propalare  e  sostenere  l'assurdo,  si  fossero  degnati  di  fare  due 
sezioni  E.  0  e  S.  N  dell'estremità  Calabra,  si  sarebbero  convinti 
che  suir  imbuto  rovesciato  o  cono  col  vertice  nelle  profondità 
dello  stretto,  dove  le  rocce  cristalline  diedero  asilo  ai  depositi 
terziari  e  quaternari,  i  buoni  Calabresi  edificarono  città  e  paesi, 
quindi  i  voluti  strati  non  possono  essere  rappresentati  che  dalle 
formazioni  or  ora  citate,  poggianti  sopra  un  massiccio  cristallino 
sia  pure  fenduto  in  tutti  i  sensi. 

Ciò  esclude  nel  modo  più  assoluto  che  nelle  tormentate  terre 
Calabro-Sicule  smottate  in  tutti  i  tempi  dal  vulcanismo  ,  abbia 
avuto  e  abbia  mai  a  che  vedere  il  tettonismo.  Poiché  tutte  le 
volte  che  il  magma  in  quelle  contrade  urta  la  roccia  cristallina 


-  45  — 

subaquea  o  subaerea  le  formazioni  che  vi  sono  sopr'essa  adagiate, 
balleranno  una  ridda  più  o  mena  disastrosa,  essendo  essa  subor- 
dinata alla  intensità  della  scossa  od  alle  esplosioni. 

Il  De  Ballore  ha  scritto: 

«  On  acceptera  dono  sans  difficulté  l'exactitude  de  la  conclu- 
sion  du  geologue  américan,  a  savoir  que  les  tremblements  de 
terre  résultent  des  effortes  de  réajustement  des  blocs  de  la  mar- 
quetrie  terrestre  qui  tendent  à  reprendre  leur  état  d'équilibre 
rompu  per  le  jeu  des  forces  géologiques.  C'est  en  petit  pour  un 
pays  partioulier  ce  qui  se  réalise  au  sein  des  grandes  zones  à 
remblements  de  terre,  ou  géosynclinaux  ,  pour  l'ensemble  de  la 
surface  terrestre,  et  M.  Hobbs  a  eu  le  mèrito  de  concrétiser  par 
la  pure  observation  ces  voies  nouvelles  de  la  séismologie  géolo- 
gique  >  (p.  297.).  Pertanto  bisogna  tenere  presente  che  il  prof. 
Eduardo  Suess  scrisse  egli  pure  al  dottore  W,  E.  Hobbs  nel 
Marzo  1906:  «  che  appunto  perchè  non  v'è  ancora  accordo  su 
tutte  le  concernenti  questioni,  acquista  valore  il  giudizio  di  un 
uomo  spregiudicato  ».  Ma  ciò  non  vuol  dire  accettazione.  Il  De 
Ballore  chiude  la  sua  lunga  lettera  come  segue:  «  In  Calabria, 
Hobbs  non  ha  fatto  che  interrogare  i  fatti;  è  il  più  bello  elogio 
che  si  possa  fare  del  suo  studio  di  tettonica  sismica:  les  théories 
passent,  les  observations  restent  ». 

Ammesso  pure  che  le  teorie  sfumano  e  le  osservazioni  re- 
stano, ma  qui  è  il  caso  di  chiedere  al  de  Ballore  quali  sono  le 
osservazioni  originali  che  ha  fatto  Hobbs  ?  Forse  quelle  di  aver 
tirato  tante  linee  sopra  la  prima  carta  geografica  che  gli  è  ca- 
pitata sotto  mano,  da  non  potersi  leggere  più  neanche  i  nomi 
delle  città  e  paesi,  che  popolano  le  nostre  belle  e  generose  terre? 
Oppure  l'altra  del  de  Ballore  stesso  che  per  indicare  gli  epicentri 
Calabro-Siculi  ha  ridotto  la  carta  geografica  di  quelle  contrade 
in  una   carta   bibula  ? 

De  Ballore,  sempre  a  proposito  di  Hobbs  (p.  295)  soggiunge: 
«  Maintenant  cette  ètape  (della  nozione  dell'epicentro)  est  fran- 
chie et  pour  l'étude  particuliére  d'un  tremblement  de  terre  il  ne 
s'agirà  plus,  dans  la  plupart  des  cas,  du  mouvement  en  un  point 
d'un  accident  géologique,  ni  méme  d'un  compartiment  tout  entier 
et  par  contrecoup  de  ses  voisins,  nouvelle  conception  dont  M. 
Hobbs,  ainsi  qu'on  va  le  voir  plus  loin,  est  un  un  des  révelateurs  ». 


—  46  — 

Terremoto  Calabro  -  Siculo  del   28  dicembre  1908. 

Nella  mia  modesta  relazione  sull'imuiane  disastro,  pubblicata 
nel  voi.  XXIII,  pag.  119,  degli  atti  della  nostra  Società,  anno 
1909,  riassumo  così  i  fenomeni  : 

e  Sbuffi  di  gas  e  sollevamento  di  masse  d'acqua,  mescolato 
a  sostanze  gassose  nello  stretto  di  Messina,  qualche  giorno  prima 
doirorrenda  notte;  la  luce  abbagliante  ^)  che  si  vide  da  Patti,  Ri- 
posto ,  Messina,  Reggio  Calabria,  ecc.  ;  i  rombi  assordanti  che 
precedevano  le  scosse,  oppure  si  sentivano  senza  che  si  avvertis- 
sero terremoti;  alle  5.20  ^),  nell'  ora  fatale,  le  scosse  precedute  da 
boati,  avvertite  dai  piroscafi  che  passavano  in  quell'ora  nello 
stretto  e  dalle  imbarcazioni  che  si  trovavano  nei  porti  di  Mes- 
sina e  di  Reggio;  il  maremoto;  1'  acqua  calda  ^)  lanciata  sulla 
spiaggia  di  Pellaro  ^qualche  superstite  trascinato  a  mare  trovava 
l'acqua  più  calda  quando  il  movimento  delle  acque  lo  portava 
in  fondo);  l'acqua  calda,  che  investi  i  soldati  d'artiglieria  tra  le 
macerie  del  quartiere  San  Salvatore  nella  cittadella  di  Messina, 

1)  Lacroix.— La  Montagne  Pelée  et  ses  éruptions.  Paris  1894.  «  Au  milieu 
de  ce  chaos  de  vapeurs,  je  vis  d'innombrables  étincelles  électriques 

2)  Il  dottor  Eizzo  nella  relazione  Blaserna  sostiene  alle  5h  20"!  27s.  Ciò 
non  può  essere,  perchè  pure  l'ora  registrata  a  Casamicciola  5,  21, 15  va  d'ac- 
cordo con  quella  di  Valle  di  Pompei  registrata  a  oh ,  21ni ,  14s. 

3)  Prof.  G.  Mercalli.  —  Contributo  allo  studio  del  terremoto  Calabro-Mes- 
sinese del  28  Dicembre  1908.  Napoli,  1909.  A  pag.  5  si  legge:  Il  prof.  Motta- 
reale  dice:  «  Usciti  all'  aperto,  egli  e  la  sua  signora,  osservarono  in  cielo  punti 
scintillanti  perfettamente  simili  a  stelle  cadenti  ».  A  pag.  7.  A  Bagnara  il 
fattore  dei  signori  Lupini:  «  vide  come  un  cerchio  di  fuoco  nell'aria ». 

A  Messina  il  figlio  del  prof.  Mazzarelli  «  vide  una  luce  in  cielo  che  gli 
parve  una  colonna  di  fuoco  rossastro  che  venisse  da  SW.  Anche  le  prime  due 
0  tre  repliche  furono  immediatamente  precedute  da  luce  rossastra  ». 

Anche  altre  persone  di  Messina  dissero  al  prof.  Mercalli  di  avere  visto 
luce  al  momento  della  grande  scossa.  A  Bova,  la  signora  Pugliatti  aiferma  di 
avere  visto  come  un  bagliore  durante  la  scossa.  Il  prof.  B,  Occhiuto  assistente 
all'Osservatorio  di  Melito  riferisce  che  «  due  persone,  una  di  Sinopoli  inf.  e 
l'altra  di  Sinopoli  sup.,  osservarono  pure  una  specie  di  nube  di  fuoco  in  cielo 
immediatamente  prima  del  terremoto  ». 

A  pag.  9  conclude  Mercalli:  «  I  fenomeni  luminosi  (il  «  lampo  sismico  ») 
non  mancarono,  ma  furono  molto  meno  sensibili  che  nell'S  settembre  1905)». 
Questo  fenomeno  si  ripete  spesso  in  altre  contrade  del  mondo;  per  non  abu- 
sare in  citiizioni  riporto  il  seguente  telegramma:  Brest.  (22  Marzo  1910)  «  La 
notte  .scorsa  una  scossa  violenta  accompagnata  da  forti  rumori  è  stata  avver- 
tita nella  penisola  Grozon.  Si  crede  che  si  tratti  di  un  terremoto.  Questo  fe- 
nomeno è  stato  preceduto  da  una  forte  luce  bluastra  che  illuminò  il  cielo  ». 

A  proposito   dell'acqua    calda  il  prof.  Mercalli  riporta  a  pag.  41   e  42: 


I 


—  47  — 

di  Reggio  0  dintorni  ^);  l'acqua  del  maro  dopo  le  ore  otto,  nel 
porto  di  Messina  ancora  tiepida;  la  trave  di  fuoco,  ossia  una  stri- 
scia di  luce  repentina,  apparsa  nel  cielo  al  momento  dello  stre- 
pitoso rombo  avvertito  nel  mare  alle  5'^  20"^  del  28  dicembre;  le 
bruciacchiature  osservate  nei  cavi  telegrafici  e  telefonici  dello 
stretto  di  Messina;  la  moria  dei  pesci  gettati  sulle  spiagge  ca- 
labro-sicule  ». 

La  terribile  scossa  sussultoria  registrata  dal  Tremometrografo 
Omeri  dell'  Osservatorio  di  Valle  di  Pompei  a  5^^  21""  14^  indica  che 
la  velocità  di  propagazione  in  metri  e  per  secondo  è  =  4047. 

Questo  fenomeno  della  velocità  non  può  essere  impresso 
alle  rocce  che  dal  vulcanismo,  come  riferirò  presto  in  altra  mia 
comunicazione;  quindi  il  tettonismo  nelle  Calabrie  non  ha  niente 
che  vedere.  Come  pure  il  terremoto  Calabro-Siculo  del  28  di- 
cembre, ha  messo  nella  più  lampante  evidenza  che  in  quelle 
contrade  non  vi  sono  formazioni  geologiche  o  zone  immuni;  tutto 
fu  rotto,  sconquassato  in  tutti  i  sensi;  come  nou  vi  furono  costru- 
zioni che  resistettero  al  terribile  urto  sussultorio,  alle  fortissime 
esplosioni. 

La  Reale  Accademia  dei  Lincei,  nella  seduta  del  3  gennaio 
1909  fu  di  unanime  parere  che  non  si  possa  pensare  a  ricostruire 
le  due  città  perdute,  se  non  si  esaminano  prima  una  serie  di  que- 
stioni preliminari.  Ed  il  Ministro  d'Agricoltura  il  22  genuaio,  alla 
riunione  plenaria  della  Reale  Commissione,  tra  le  altre  cose  disse. 
«  I  pubblici  poteri  soprattutto  hanno  sentito  il  dovere  di  pre- 
scrivere mezzi  e  regole  tutelari  per  la  difesa  del  domani,  nelle 
regioni  sismiche  della  più  grande  attività,  nei  punti  dove  sono 
perenni  i  focolari  di  scuotimento  della  debole  crosta  terrestre  «. 

«  Non  si  è  arrivati  finora,  è  vero,  nel  labirinto  delle  teorie 
sulle  cause  del  fenomeno  sovvertitore,  a  uno  studio  sistematico, 
che  valga  a  fissarne  la  vera  e  propria  natura,  a  distinguerne,  come 
si  fa  per  i  temporali,  i  segni  precursori.  Ma  le  ricerche  intorno 

«  Dal  dott.  Stilo  di  Gallico  iuf.  seppi  che  una  sorgente  esistente  nella  parte 
nord  del  paese,  a  circa  cento  metri  dalla  spiaggia,  aumentò  notevolmente  e 
si  fece  un  poco  più  calda,  dopo  il  terremoto;  e  si  mantiene  ancora  attual- 
mente (luglio  1909)  più  abbondante,  sebbene  abbia  ripreso  la  sua  temperatura 
normale  ». 

^)  Il  Prof.  Mazzarelli  dell'Università  di  Messina  m'informa  che  il  28  di- 
cembre, 4  o  5  ore  dopo  il  terremoto,  a  Ganzirri,  in  terreno  paludoso,  vicino 
al  lagiietto  omonimo  furono  viste  uscire  con  forza  dal  suolo  masse  d'acqua 
caldissima  con  fango  e  pomici.  Poi  per  molto  tempo  continuarono  getti  di 
acqua  fangosa  simili  a  salse  ». 


—  48  — 

ulhi  disliil)uziono  dolio  aree  sismicho  hanno  condotto  alla  com- 
pilaziono  di  ottimo  carte,  e  permettono  di  conoscerò  o  di  preci- 
sare dove  si  manifesti  più  frequente  il  fenomeno  devastatore.  Ed 
è  ugualmonto  approfondito  il  problema  dell'edilizia  sismica,  in 
relaziono  alle  condizioni  del  suolo  tormentato  da  secolari  commo- 
vimenti tellurici  ». 

«  Queste  ricerche  furono  compiute  con  mirabile  cura  dalla 
Commissiono  incaricata  di  studiare  il  disastroso  terremoto  del 
1894.  I  risultati  di  essi  voi  potrete  esaminare  nello  pregevoli  re- 
lazioni sismologica,  tecnica,  geologica  e  storica,  raccolte  nel  vo- 
lume  stampato  a  cura  dell'ufficio  Meteorologico  ». 

Questa  relazione  a  cui  allude  il  Ministro  venne  clandestina- 
mente pubblicata  dopo  quindici  anni  e  dopo  la  pubblicazione  di 
W.  E.  Hobbs:  The  geotectonic  aspects  of  Calabria  ^)  e  contenente 
alcune  carte,  delle  quali  sono  importanti  pei  tettonici  quelle  in- 
dicate col  n.o  3  <  Seismotectonic  map  of  Calabria  »  e  col  n.»  VI: 
«  Map  of  arcthquake  epicenters  in  Calabria  and  N.  E.  Sicily  by 
count  De  Montessus  de  Ballore.  Aprii.  1906  ». 

Pertanto  credo  sia  utile  dichiarare  che  nelle  Calabrie  manca 
solo  la  marqueterie  come  secondo  de  Ballore:  «  en  un  mot  d'une 
des  pièces  de  la  marqueterie  terrestre  suivant  l' heureuse  oxpres- 
sion  de  de  Lapparent  »  e  credo  di  aver  dimostrato  nella  mia  re- 
lazione dello  scorso  anno,  nella  quale  scrissi,  e  può  leggersi  a 
pag.  100:  «  che  sotto  lo  stretto  di  Messina  non  vi  sono  stratifi- 
cazioni da  rassettare,  né  credo  che  dopo  26  secoli  (da  Pitagora 
ai  tempi  nostri),  tanto  per  dare  una  indicazione,  aspettino  ancora 
per  rassettarsi  i  terreni  del  cenozoico  superiore,  miocene  e  pho- 
cene,  e  del  neozoico  (quaternario  e  recente),  che  si  depositarono 
sulle  pendici  dei  Peloritani  e  d'Aspromonte  che  guardano  lo 
stretto  ». 

Perciò  non  vi  sono  marqueteries,  uè  vi  saranno  mai  sprofon- 
damenti. 

Relazione  tra  il  vulcanismo  ed  il  sismismo. 

Aristotele  pensava:  «  che  i  vulcani  sono,  in  certo  regioni 
e  in  certe  circostanze  valvole  di  sicurezza  contro  i  terremoti  » 
poiché  il  filosofo  di  Stagira  credeva  «  che  la  terra  contenesse 
nelle  viscere  sorgenti  di  spirito  e  di  fuoco  agli  occhi  umani 
ascose,  le  quali  hanno   molti   spiragli   emissari  del   vapore  e   del 

1)  Beitrage  zur  Geophysik.  VJII  Band.  2.  Heft.  p.  293  Leipzig  1907. 


—  49  — 

fuoco,  onde  Lipari,  l'Etna  e  le  Eolio  vomitarono  ferree  zolle  in- 
fiammate ». 

Scrissero  Humboldt,  Scrope,  Stoppani  ed  altri  a  questo  pro- 
posito che  la  dipendenza  sta  sempre  per  rapporto  alla  causa  ; 
l' indipendenza  per  rapporto  alla  contemporaneità.  In  ogni  caso 
i  terremoti  precedono  le  eruzioni  vulcaniclie,  come  l'effetto  più 
immediato  precede  l'effetto  meno  immediato;  ma  il  tempo  che 
corre  può  essere  lungo  e  può  essere  brevissimo,  in  modo  che  un 
effetto  tenga  dietro  all'altro  immediatamente.  Gli  esempi  che  si 
citano,  per  mostrare  la  vicendevole  dipendenza  tra  i  terremoti 
perimetrici  e  le  eruzioni  vulcaniche,  non  sono  appunto  che  altret- 
tanti casi  in  cui  il  secondo  effetto  tenne  dietro  immediatamente 
al  primo. 

In  alcuni  degli  esempi  si  rileva  un  intervallo  di  tempo  fra 
il  terremoto  e  l'eruzione  e  sempre  nel  senso  che  questa  è  prece- 
duta da  quello.  In  altri  non  si  notano  intervalli  di  tempo;  ma 
può  ritenersi  che  si  tratti  di  un  intervallo  breve  o  quasi  imper- 
cettibile. 

I  vulcani  furono  già  considerati  da  Aristotele,  da  Stoppani 
ed  altri,  come  valvole  di  sicurezza;  ed  i  fatti  lo  provano,  poiché 
per  essi  trova  sfogo  quell'indomito  magma  che  freme  nelle  viscere 
della  terra,  e  tutta  la  porrebbe  a  soqquadro,  quando  non  trovasse 
per  qualche  parte  un'uscita.  Mallet  considerava  un  terremoto  in 
una  regione  non  vulcanica  come  un  tentativo  fallito  di  formare 
un  vulcano;  ed  i  fatti  gli  hanno  dato  ragione.  Pertanto  questo 
tentativo  spesso  non  fallisce.  Può  darsi  che  i  vapori,  sviluppati 
anche  lontani  dagli  orifizii  vulcanici,  li  trovino  poi,  espandendosi 
tosto  lateralmente,  rompendo  la  debole  saldatura  dei  grandi  cre- 
pacci del  geoide,  e  producendo  l'eruzione. 

Nessuno  ignora  che  l'Etna  poche  settimane  prima  del  terri- 
bile terremoto  del  '28  dicembre  1908  fece  un  tentativo  di  eru- 
zione, altra  eruzione  aborti  sul  nascere  nel  1909,'  fino  a  che  non 
ebbe  luogo  la  imponente  eruzione  di  questo  Marzo  1910. 

Molti  esempii  potrei  citare ,  ma  siccome  ho  limitato  le  mie 
ricerche  a  due  periodi  memorabili  per  l' Italia ,  pei  danni  e  le 
vittime,  cioè  ai  due  terribili  terremoti  Calabro-Siculi  del  1783  e 
del  1908 ,  cosi  passo  a  riassumere  ,  il  più  che  mi  sarà  possibile! 
i  fenomeni  presentati  dall'Etna,  dal  Vesuvio  e  dalle  Isole  Eolie, 
senza  citare  nessun  fenomeno  eruttivo  accaduto  in  quel  di  Sciac- 
ca, di  Siculiana,  di  Pantelleria,  ecc. 

Se  non  lo  stesso  giorno  del  terremoto  del  1783  ,  durante 
l'anno  e  durante  i  terremoti  che  desolarono  le  Calabrie  dal  1783 
al  1786,  il  Vesuvio  compi  diverse  eruzioni  piuttosto  leggere,  ma 

4 


—  50  — 

r  Etna  iKil  i7y7  diodo  una  formidabilo  uruziono.  IO  erodo  op- 
portuno ricordare  che  lo  Skaptàr  (Islanda)  durante  1'  eruzione 
del  1783  emise  una  quantità  di  lava  calcolata  a  600  milioni  di 
metri  cubi  (Reclus)  e  che  l'Asamayana  (Giappone)  entrò  in  eru- 
zione quasi  contemporaneamente  ai  vulcani  d'Islanda;  emise  lave 
e  lapilli  e  seppellì  48  villaggi  sotto  le  ceneri  e  lapilli,  come  pure 
il  27  febbraio  1783,  tra  il  fragore  di  sotterraneo  detonazioni  av- 
veniva una  eruzione  di  fango  e  di  gas  da  una  delle  salse  della 
penisola  di  Taman,  in  faccia  a  Kertsch.  Sopra  questo  importante 
fatto  e  per  molti  altri  ed  il  loro  nesso  dinamico  di  tutte  le  ma- 
nifestazioni vulcaniche  fra  loro,  dirò  presto  la  mia  opinione  in  un 
lavoro:  «Sul  sismismo  e  la  costituzione  geofisica  del  nostro  geoide». 

Nelle  prossimità  del  dicco  basaltico  di  Palmi  nel  1783  vi 
furono  esalazioni  infuocate;  il  21  gennaio  1909  giunse  da  Palmi 
il  seguente  telegramma  :  «  Da  un  crepaccio  della  roccia  in  lo- 
calità Sirena  ,  a  circa  25  metri  a  picco  sul  mare,  quasi  a  S.  W. 
di  Palmi ,  s'  è  sprigionato  un  fumo  denso  di  gas  solforoso  ;  questa 
località  è  stata  visitata  oggi  dal  giovane  Borelli  del  Comitato 
Mantovano;  furono  riscontrate  sulle  rocce  suddette  forti  emana- 
zioni; dal  calore  furono  bruciati  arbusti  circostanti  ». 

I  tettonici  si  dettero  un  gran  da  fare  per  smentire  1'  im- 
portante fatto,  anzi  per  dare  una  spiegazione  ricorsero  ad  una 
fantasticheria  di  Sainte  Pierre ,  1'  autore  di  Faolo  e  Virginia  ,  il 
quale  considera  i  vulcani  come  vasti  fuochi  accesi  sulle  spiagge 
dell'Oceano,  che  dovevano  purificare  le  acque  dalle  sostanze  estra- 
nee che  esse  contengono.  I  vulcani,  secondo  lui,  in  principio  si 
accesero  per  la  fermentazione  delle  sostanze  vegetali  ed  animali 
di  cui  la  terra  rimase  coperta  dopo  il  diluvio.  Questi  detriti,  ac- 
cumulati alle  basi  delle  montagne,  si  sarebbero  accesi  spontanea- 
mente in  seguito  alla  fermentazione,  in  modo  analogo  a  quello 
che  verificasi  spesso  coi  cumoli  di  fieno.  Su  per  giù  con  le  stesse 
espressioni  alcuni  improvvisati  vulcanologi  nel  se  -olo  XX"  in  Italia 
hanno  spiegato  il  fenomeno  di  Palmi  e  l'altro  dell'  acqua  calda 
dei  Ganzirri  ! 

Le  isole  Eolie  ed  i  terremoti  Calabro  -  Siculi 
dal  1783  al  1908. 

Molto  importante  per  la  vulcanologia  e  per  la  sua  intima 
connessione  coi  terremoti  di  quelle  contrade  è  la  constatata  pre- 
senza di  un  dicco  basaltico  fatta  daU'ing.  Cortese  ^)  a  Malpasso 

1)  Boll.  Com.  Geol.  d' Italia,  1885  p.  61  e  1890  p.  337-166. 


-   51  — 

(Palmi).  Secondo  il  solerte  e  diligente  geologo  :  «  potrebbe  essere 
anche  trapp  terziario  e  collegarsi  alle  rocce  analoghe  dell'  isola 
Lipari  ». 

Dagli  scrittori  di  epoche  remote  come  da  quelli  dei  tempi 
nostri  si  apprende  che  le  isole  Eolie  parteciparono  sempre  in 
modo  violento  ai  terremoti  Calabro-Siculi. 

Per  non  sconfinare  mi  limito  a  quanto  mi  è  riuscito  di  rac- 
cogliere nel  periodo  1783-1908,  Pietro  Colletta  a  proposito  del 
terribile  terremoto  del  1783  scrisse  :  «  Etna  e  Stromboli  più  del 
solito  vomitarono  lave  e  materie  ». 

Uno  scienziato  napoletano,  di  cui  non  si  fa  il  nome,  in  un 
rapporto  ufficiale  al  re  di  Napoli  si  espresse  come  segue  sul  ter- 
remoto del  1783  :  «  Il  5  febbraio,  giorno  funesto  per  Messina,  a 
mezzogiorno  e  tre  quarti  si  ebbero  le  prime  scosse.  Il  terreno 
si  abbassò  in  più  luoghi  ;  in  altri  si  videro  uscire  dal  suolo  lun- 
ghe fiamme  che  spandevano  per  l'aria  un  forte  odore  di  bitume. 
Il  mare,  sollevandosi  al  disopra  del  suo  livello  ordinario,  superò 
il  porto  e  si  rovesciò  impetuosamente  contro  i  palazzi  sommer- 
gendo una  grande  estensione  ». 

Nella  Cronaca  Reggina  si  legge  che  nel  1783  al  17  febbraio 
il  Mongibello  eruttò  gran  quantità  di  fuoco  e  pietre  ,  ed  il  suo 
rimbombare  si  sentì  per  molti  giorni.  Pure  il  Vesuvio  si  mise 
in  attività  verso  la  metà  di  agosto  1783. 

L' abate  Ferrara  scrisse  che  i  vulcani  delle  Eolie  presero 
molta  parte  ai  fatali  tremuoti  delle  Calabrie  e  di  Messina  nel 
1783.  Pure  Grimaldi  confermò  1'  attività  delle  isole  Eolie,  per 
quanto  F  Hamilton  lo  avesse  messo  in  dubbio. 

infatti,  per  lo  Stromboli  il  Ferrara  affermò  che  il  vulcano 
fu  quasi  sempre  in  straordinario  travaglio  ;  molti  giorni  sembrò 
un  toro  infuriato  che  elevato  sopra  le  onde  spaventava  con  i 
suoi  muggiti  la  sventurata  Calabria  e  la  vicina  Sicilia.  L'  isola 
Vulcano  lo  accompagnò  spesso  :  i  suoi  urli  furono  sempre  terri- 
bili e  immense  le  colonne  di  fumo  e  di  fuoco. 

Altri  scrittori  concordemente  asserirono  che  dopo  il  paros- 
sismo del  5  febbraio  lo  Stromboli  aumentò  i  suoi  fuochi  ,  ed  i 
rombi  furono  sentiti  sui  lidi  di  Calabria.  Francesco  Antonio  Gri- 
maldi scrisse  che  :  «  La  Piana,  fu  il  luogo  dove  l'accensione  sot- 
terranea produsse  l'effetto  più  violento  »;  che  le  isole  Eolie  con 
Lipari  e  Stromboli  non  furono  esenti  da  danni,  e  che  lo  Strom- 
boli dopo  il  terremoto  del  giorno  6  febbraio  vomitò  più  del  so- 
lito delle  fiamme  e  si  sentivano  in  Calabria  i  muggiti  del  Monte. 
Riferi  pure  che   «  in  Messina  si  osservò  un  fenomeno  notabile  ; 


—  52  - 

prima  dulia  scossa  si  vide  nel  canale  alzare  una  densa  colonna 
di  vapori,  che  prese  la  direzione  di  Reggio  ».  Cosi  descrisse  l'al- 
tro terremoto  del  28  marzo  1783  :  «  verso  l'ora  una  e  23  minuti 
d'Italia  :  un  cupo  rimbombo,  un  fragore  sotterraneo  precedette 
il  terremoto,  che  fu  giudicato  più  violento  di  quello  del  5  feb- 
braio,   tra    i    Golii    di    Squillace  '}    ad    Oriente    e   Sant'Eufemia 

ad    Occidente grandi    fenditure    con    eruzioni    di    sabbia    ed 

emissioni  d'acqua  con  acido  solfidrico:  le  acque  solfuree  e  le 
acque  minerali  divennero  più  calde.  La  scossa  fu  avvertita  nelle 
isole  Eolie  e  fu  più  accentuata  a  Stromboli  ».  «  Il  Monte  Etna 
vomitò  anche  in  quei  due  mesi  frequentemente  delle  fiamme  ». 
(pag.  46). 

Dopo  il  1783  da  vulcani  sottomarini  e  dalle  fratture  suba- 
quee,  messe  tra  Stromboli  e  la  costa  tirrenica,  ebbero  origini  ter- 
remoti di  varia  intensità,  che  investirono  contemporaneamente  le 
isole  Eolie  e  le  coste  Calabro-Sicule. 

Jl  terremoto  del  1783  venne  avvertito  da  tutti  i  centri  abi- 
tati delle  regione  Etnea;  fu  molto  forte  pure  a  Milazzo. 

Nel  terremoto  di  Calabria  del  4  ottobre  1870,  le  acque  dei 
ruscelli,  dei  pozzi  e  del  fiume  Orati  crebbero  di  molto ,  e  mo- 
straronsi  calde  e  fumanti.  Alcuni  ruscelli  perdettero  il  loro  corso, 
altri  lo  raddoppiarono.  Le  fontane  sorgive  generalmente  aumen- 
tarono quasi  della  metà,  e  rimasero  torbide  per  lungo  tempo.  Le 
acque  termo-minerali  di  Guardia  Piemontese  crebbero,  sgorgando 
a  guisa  di  torrente.  Durante  il  terremoto  le  scosse  e  i  vulcani  di 
fango  di  S.  Sisto  a  12  Km.  da  Cosenza  e  di  Torre  del  Ponte 
nella  Sila  Piccola,  compirono  una  fortissima  eruzione.  Le  scosse 
sussultorie  accompagnate  da  rombi  si  avvertirono  fino  a  tutto  il 
mese  di  dicembre  del  1870.  Il  Conti  riferisce  anche  di  una  neb- 
bia polverosa  di  odor  bituminoso  negli  istanti  di  maggiori  con- 
vulsioni. 

Prima  e  dopo  i  terremoti  del  16  novembre  1894  le  isole 
Eolie  non  tacquero.  Infatti  il  16  marzo  cominciò  l'isola  di  Pan- 
telleria con  una  scossa  sussultoria  preceduta  e  accompagnata  da 
rombi. 

Il  26  maggio  si  avvertirono  frequenti  scosse  a  Stromboli  e 
conseguente  ripresa   dell'  attività  vulcanica  dell'  isola.  Cosi  il  29 

1)  Nelle  segaeiiti  profondità  del  golfo  di  Squillace,  trovo  indicato  nella 
carta  idrografica  del  Magnaglii,  roccia.  Di  contro  a  Marina  Sallio  alla  profon- 
dità di  24  metri  ;  a  Torre  diruta  a  m.  4o  ;  di  contro  Bosco  Suverito  a  circa 
m.  9,5  ed  a  m.  24;  alla  punta  di  Capo  Rizzato  a  m.  1(5  ;  alla  punta  di  Capo 
Le  Castella  a  5  m.  ecc. 


—  53  - 

luglio  od  il  1  e  3  agosto  si  ebbero  scosse  sensibili  all'  Isola  Sa- 
lina, a  Filicuri  o  Lipari.  Seguirono  i  sisinismi  dell'Etna  nell'ago- 
sto, la  scossa  sussultoria  di  Mineo  e  poi  altre  nella  zona  Etnea. 
Sulla  costa  tirrenica  nelle  Calabrie,  specialmente  tra  Capo  del 
Pezzo  e  Palmi,  furono  avvertite  spesso  scosse  provenienti  dal  mare. 

Nei  terremoti  cominciati  il  16  novembre  1894  le  isole  Eolie 
non  tacquero.  L' isola  Filicuri  e  quella  di  Alicuri  durante  il  pe- 
riodo in  cui  avvennero  i  terremoti  avvertirono  spesso  scosse  sus- 
sultorie  che  danneggiarono  tutti  gli  edilizi.  A  Salina  e  Lipari 
pure  il  movimento  fu  fortissimo  ed  allo  Stromboli  i  danni  furono 
di  maggiore  entità,  e  la  scossa  delle  ore  18.50,  di  circa  10  se- 
condi, fu  accompagnata  da  forte  rombo.  Nel  corso  dell'  anno  lo 
Stromboli  fu  in  discreta  attività  e  nell'agosto  emise  tanto  vapore 
da  prendere  la  forma  di  pino.  Il  cav.  Alberti,  sottoprefetto  di 
Palmi,  vide  al  mezzodì  del  16  novembre  che  il  cratere  emetteva 
un  triplice  pennacchio  di  fumo.  Le  isole  Panaria  e  di  Vulcano 
alle  ore  18.50  furono  fortemente  scosse  dal  terremoto,  avverten- 
dosi in  tutte  le  isole  Eolie  un  forte  rombo. 

Nel  1905,  una  diecina  di  giorni  prima  dell'otto  settembre  si 
era  osservato  un  risveglio  nell'attività  dello  Stromboli,  dove  la 
scossa  raggiunse  l'ottavo  grado  della  scala  Mercalli,  con  rombi, 
boati  e  pioggia  di  ceneri  e  di  lapilli,  mentre  a  Lipari  la  scossa 
fu  di  IV  grado.  Riferì  un  capitano  marittimo  che  passando  da- 
vanti allo  Stromboli ,  pochi  minuti  prima  del  terremoto  si  udi- 
rono forti  boati.  Il  fanale  di  Torre  di  Faro  si  spense  dopo  una 
forte  scossa  accompagnata  da  un  rombo  straordinario.  Certo  si 
è  che  prima  e  dopo  il  detto  terremoto  fu  constatata  1'  attività 
del  Vesuvio  e  dello  Stromboli. 

L'area  epicentrale  del  1905  trovasi  in  prossimità  del  mare, 
e  nelle  regioni  in  cui  fu  disastrosissima  la  scossa  si  rinvengono 
tracce  da  una  parte  e  dall'altra  del  golfo  di  Sant'Eufemia  e  pure 
del  Ionio.  Probabilmente  il  magma  tentò  di  farsi  strada  lungo 
la  frattura  che  indubbiamente  esiste  tra  le  falde  del  Monte  Poro 
(golfo  di  Sant'Eufemia)  fino  al  territorio  di  Martirano  e  di  Ajello, 
poiché  in  questi  due  paesi  la  scossa  raggiunse  il  X^  grado  ed  a 
Martirano  la  montagna  si  squarciò  in  più  punti  e  ne  scaturirono 
dei  getti  di  acqua  bollente. 

Alcuni  contadini,  nella  Valle  del  Drago,  nell'uscire  all'aperto, 
atterriti  dai  movimenti  del  suolo  e  dai  boati,  videro  erompere 
dal  suolo,  in  tre  punti  diversi,  dei  grandi  getti  di  fango,  i  quali 
si  innalzavano  fino  all'altezza  di  circa  un  metro  e  mezzo  e  poi 
dilagavano  all'intorno.  Tutto  il  fondo  del  Vallone  fu  coperto  di 


—  54  - 

fango,  ad  un'altezza  media  di  circa  60  centimetri,  poscia  1'  eru- 
zione diminuì  di  intensità  e  in  capo  a  duo  o  tre  giorni  quasi 
cessò.  Il  fango  non  era  altro  che  una  marna  argillosa  coutenente 
le  conchiglie  caratteristiche  del  pliocene,  che  affiora  in  diversi 
punti  del  Vallone  del  Drago.  In  altri  punti  delle  Calabrie  dalle 
fenditure  del  suolo  venne  eruttato  fango  ;  fu  più  accentuata  la 
eruzione  di  fango  presso  il  confine  fra  i  territorii  di  Montalto 
Uflugo  e  di  S.  Vincenzo  la  Costa  (Cosenza).  Quasi  tutte  le  sor- 
genti termali  crebbero  di  volume  e  anche  di  temperatura.  A  Ga- 
latro  la  temperatura  delle  sorgenti  termali  sali  da  34°  a  37<>  C. 
Nelle  vicinanze  di  Rosarno  si  formarono  qua  e  là  numerose  e 
ampie  fenditure  nel  terreno,  dalle  quali  sgorgavano  molte  polle 
d'acqua  che  trascinavano  sabbie,  che  si  disposero  intorno  ad 
ogni  getto  formando  tanti  piccoli  coni. 

A  Girifalco  (Catanzaro) ,  dove  la  scossa  raggiunse  il  grado 
Vili,  si  osservarono  fenomeni  luminosi  ed  elettrici  ;  e  le  acque 
delle  sorgenti  del  paese  i5Ì  intorbidarono.  Pochi  secondi  prima 
della  scossa  cadde  sopra  una  mano  di  un  contadino  una  goccia 
d'acqua  bollente,  che  gli  produsse  una  forte  ustione.  Il  Direttore 
dell'ospedale,  che  lo  curò  non  seppe  spiegarsi  la  causa  di  quel- 
l'ustione. 

A  Borgia  la  scossa  fu  di  IX»  grado,  ed  a  Caraffa  fu  di  Vili» 
grado,  preceduta  e  accompagnata  da  un  rumore  fortissimo,  come 
quello  che  farebbe  un  treno  percorrendo  delle  caverne.  Prima  e 
dopo  si  videro  in  cielo  degli  sprazzi  luminosi.  A  San  Floro, 
scossa  di  IX  grado  accompagnata  da  cupo  rombo  ;  sul  terreno 
profonde  spaccature.  In  conclusione,  il  terremoto  del  1905,  che  fu 
di  eguale  intensità  sulla  frattura  che  parte  dal  Golfo  di  S.  Eu- 
femia (Tirreno)  e  si  prolunga  nel  Golfo  di  Squillace  (Ionio),  di- 
mostra che  r  eruzione  sottomarina  avvenne  nel  Tirreno  e  nel 
Ionio,  come  nel  1783.  Tale  frattura  da  un  lato  si  prolunga  per 
Cosenza  e  dall'altro  per  Palmi,  ciò  dinota  che  vi  sono  fratture 
in  tutti  i  sensi  e  che  si  irradiano  da  diversi  punti  ove  il  magma 
spesso  ha  tentato  di  farsi  strada,  in  epoche  remote  come  presso 
Palmi,  e  successivamente  pure  nelle  profondità  dei  mari  che  ba- 
gnano le  teiTe  calabro-sicule. 

Il  10  settembre  1'  Ufficio  di  meteorologia  e  geodinamica  di 
Roma  comunicò  all'  Agenzia  Stefani  :  «  La  grande  scossa  delle 
ore  2  ^/4  dell'S  corrente  (1905),  provocò  rilevanti  danni  all'  isola 
di  Stromboli,  e  fu  forte  pure  a  Lipari  >. 

Da  Pizzo  fu  telegrafato  il  10  settembre  1905  —  «  Strani  fe- 
nomeni   accompagnarono  il  terremoto.    A  Tiriolo  è    caduta    una 


—  55  — 

pioggia  di  cenere.  Inoltre  il  terremoto  fu  preceduto  da  fenomeni 
elettrici  luminosi  e  da  un  momentaneo  addentramento  del  mare 
nella  costa  per  circa  cinque  metri.  Presso  la  marina  di  Maida 
si  disseccarono  le  fonti  e  si  sollevarono  le  acque  del  fiume  An- 
gitola  ». 

A  Sambiase  (Nicastro)  :  Scossa  di  Vili  grado.  Al  piede  del 
massiccio  di  rocce  verdi  e  calcari  che  costituiscono  il  Monte  Re- 
ventino, sgorgano  parecchie  sorgenti  termali  sulfuree  ,  le  quali 
si  gettano  nel  fiume  dei  detti  Bagni,  ove  sorge  un  rinomato  sta- 
bilimento di  bagni  termali,  ora  proprietà  dei  fratelli  Cataldi.  Le 
tre  sorgenti,  che  sono  particolarmente  utilizzate  nello  stabilimento, 
avevano  la  temperatura  di  39o,6  (sorgente  Caronte),  37°  (bagno 
medio)  e  35»  (acqua  fresca  della  fontanina).  Dopo  il  terremoto 
avevano  rispettivamente  la  temperatura  di  39<',8  39o,6  e  37". 
Tutte  le  sorgenti,  anche  quelle  che  si  gettano  nel  fiume,  creb- 
bero considerevolmente  di  portata  ,  quando  avvenne  la  scossa; 
più  a  valle  sgorgò  un  vero  torrente  di  acqua  solfurea  a  31**, 
e  ancora  più  in  basso  un  altro  a  360,4. 

A  Nicastro:  scossa  di  Vili  grado.  La  popolazione  che  si  era 
riversata  sulle  piazze,  vide  distintamente  diffusa  in  cielo,  dalla 
parte  del  mar  Tirreno  una  viva  luce,  la  quale  durò  anche  un  po' 
di  tempo  dopo  la  scossa.  Ed  a  Parghelia,  la  scossa  di  X  grado 
fu  preceduta  da  U7ia  vivissima  luce  e  poscia  si  udirono  dei  ter- 
ribili rumori  sotterranei.  A  Piscopio  la  scossa  fu  cosi  forte  che 
il  paese  venne  raso  al  suolo.  Pure  Monteleone:  scossa  di  X  grado, 
alcune  frazioni  vennero  ridotte  in  un  ammasso  di  macerie,  nella 
campagna  si  produssero  grandi  crepacci  nel  terreno  ,  ed  alcuni 
videro,  nel  momento  della  scossa,  un  vivo  lampo  da  parte  dello 
Stromboli.  A  Montepaone  (Catanzaro)  furono  osservati  dei  fenomeni 
luminosi  e  si  udirono  dei  rumori  sotterranei.  Lo  stesso  a  Tropea, 
prima  della  scossa  si  osservarono  dei  fenomeni  luminosi  in  cielo 
e  si  intesero  cupi  rumori  sotterranei.  Si  produssero  anche  delle 
notevoli  fratture  nel  suolo. 

A  Coseìiza  scossa  di  Vili  grado,  preceduta  da  un  fenomeno 
luminoso  e  da  un  cupo  rombo.  Nel  paese  Rose  (Cosenza)  la  scossa 
di  IX»  grado  produsse  danni  gravissimi  e  la  maggior  parte  delle 
sorgenti  si  disseccarono. 

A  Careri  (Gerace)  scossa  di  VII  grado;  fu  da  prima  sussul- 
toria  e  poi  ondulatoria,  fu  preceduta  come  da  un  acuto  sibilo  ed 
accompagnata  da  un  forte  rombo. 

Pure  a  Gioiosa  Ionica ,  a  Orotteria  la  scossa  fu  accompa- 
gnata da  forti  rombi. 


—  56  - 

A  Reggio  da  persone  degne  di  lede  fu  rilerilo  elle  alle  ore  23  1/2 
del  giorno  7,  volendo  esse  bore  dell'aequa  della  così  dotta  fon- 
tana dei  Pesci,  che  è  abitualmente  freschissima,  la  trovarono  tie- 
pida, al  punto  da  non  potersi  bere. 

Nella  contrada  GiiincJii  rasente  il  mare,  si  aprirono  molte 
fenditure,  dalle  quali  sgorgarono  acque  torbido  con  sviluppo  di 
acido  solfidrico. 

A  Venctico  (Messina)  prima  della  scossa  ed  anche  dopo  di 
essa  vennero  osservati  dei  fenomeni  luminosi  e  si  intese  un  forte 
rombo. 

Il  28  dicembre  1908  la  terribile  scossa  superò  per  intensità 
tutte  le  precedenti  e  si  intese  in  tutte  le  parti  del  globo.  Nel- 
l'immane disastro,  senza  precedenti,  Messina  e  Reggio,  che  ave- 
vano parzialmente  resistito  ai  sussulti  dei  precedenti  terremoti,  nella 
fatale  notte  del  28  dicembre  furono  quasi  rase  al  suolo,  dove  tut- 
tora giacciono  come  giganti  fulminati. 

Le  isole  Eolie,  nessuna  esclusa,  nelle  quali  le  scosse  furono 
fortissime,  furono  più  danneggiate  nel  1908  che  nel  1894  e  1905. 
A  cominciare  da  Ustica  a  finire  a  Stromboli,  gli  urti  sussultorii 
furono  non  solo  forti,  ma  tali  da  danneggiare  tutti  i  fabbricati. 
I  cavi  telegrafici  e  telefonici  interruppero  le  relazioni  tra  isole 
ed  isole,  e  tra  loro  ed  il  continente.  Risentirono  maggiori  danni 
dalle  violenze  delle  scosse  Lipari ,  Salina ,  Panaria ,  Filicudi  e 
Stromboli. 

Nel  mare  tra  Alicuri  e  Filicuri  un'  abortita  eruzione  sotto- 
marina provocò  un  forte  terremoto  il  16  marzo  1892,  avvertito 
pure  a  Stromboli. 

In  quanto  all'attività  dell'Etna  e  del  Vesuvio  nel  dicembre 
1908,  il  prof.  Collotti  di  Catania  scrisse  nel  gennaio  1909  che  : 
«  l'Etna  ed  il  Vesuvio  in  questi  ultimi  tempi,  simultaneamente 
oppure  alternativamente,  hanno  mostrato  una  grande  attività. 
Anche  il  giorno  di  Natale  un  lungo  e  denso  pennacchio  di  va- 
pori si  vedeva  sul  cratere  del  nostro  Mongibello  ». 

I  maremoti  sulle  coste  Calabro- Sicule  dal  1783  al  1908 

«  Me  primamente  accolgano  avanti  ogni  cosa  le  dolci  muse 

e  mi  additino  le  vie  del  cielo  e  delle   stelle e  mi   insegnino 

da  che  derivi  il  terremoto:  e  mi  mostrino  per  quale  forza  si  gon- 
fino i  mari  profondi,  rotto  ogni  argine,  e  di  nuovo  nei  loro  limiti 
ritornino  »  cosi  Virgilio  delle  Georgiche. 


—  57  — 

Prima  di  dire  la  mia  opinione  sulla  genesi  del  maremoto, 
devo  riferire  che  por  aver  raccolto  il  Sarconi,  che  alcuni  credet- 
tero essere  stata  la  rovina  del  Monte  Baci  1'  unica  cagione  del 
sovvertimento  avvenuto  in  mare  (pag.  334),  non  pochi  scrittori 
moderni  attribuiscono  ancora  alla  caduta  di  frane  o  masse  di 
rocce  nel  mare,  il  maremoto.  Infatti  il  Ricco  si  espresse  come 
segue  intorno  al  maremoto  del  1904  :  «  Agitazioni  e  maremoto 
probabilmente  prodotto  da  frana  nel  1783;  semplice  ondeggia- 
mento del  mare  nel  1894  ». 

Il  Mercalli  in  una  intervista  pubblicata  nel  giornale  «  Il  Giorno  » 
il  30  dicembre  1908  rispose  come  segue  sul  maremoto: 

«  Vuol  dirmi  professore,  giacché  ha  parlato  del  maremoto, 
quali  probabili  cause  possono  averlo  originato  ? 

«  I  maremoti  hanno,  ordinariamente,  la  stessa  origine  dei  ter- 
remoti ,  cioè  dei  franamenti  che  avvengono  nelle  viscere  della 
terra.  Qualche  volta  è  un  pezzo  del  fondo  del  mare  che  si  spro- 
fonda, che  si  inabissa;  l'acqua  soprastante  perde  il  suo  punto  di 
appoggio,  riempie  il  vuoto  fatto  e  l'acqua  tutt'intorno  si  preci- 
pita violentemente  a  ristabilire  l'equilibrio.  Trattandosi  di  una 
massa  fluida,  questa,  prima  che  lo  stato  normale  sia  ristabilito, 
oscilla  ancora  con  una  violenza  proporzionale  alla  intensità  del- 
l'impulso primo.  Altre  volte  le  cause  del  maremoto  sono  esogene, 
vengono  cioè  da  fuori  il  mare.  La  frana  di  una  roccia  immensa, 
per  esempio  di  un  volume  di  migliaia  di  tonnellate,  cadendo 
nel  mare,  specialmente  in  uno  stretto  o  in  uno  specchio  d'acqua 
in  certo  modo  limitato,  può  produrre  un  vero  maremoto.  È  quello 
che  accadde  nel  1783.  Allora  si  ebbe  il  terremoto  del  5  febbraio, 
e  dopo  circa  dieci  ore  avvenne  il  maremoto.  Un  pezzo  di  roccia 
immenso,  staccandosi  dalla  costa  si  inabissò  nello  stretto,  solle- 
vando un'ondata  enorme  che  ricadde  sulla  spiaggia  facendo  mille 
e  duecento  vittime.  Ed  è  appunto  questa  la  differenza  tra  il 
maremoto  attuale  e  quello  del  1783.  Quello,  come  ho  detto, 
avvenne  parecchie  ore  dopo  lo  sconvolgimento  tellurico  ;  adesso 
è  avvenuto  contemporaneamente.  Ciò  dimostra  che  esso  è  dovuto 
esclusivamente  al  movimento  della  costa,  il  quale,  essendo  stato 
abbastanza  forte,  ha  finito  con  l'imprimere  all'acqua  una  potente 
oscillazione,  in  seguito  alla  quale  il  mare  ha  invaso  violentemente 
Messina. 

«  Ma  si  è  parlato  di  due  epicentri;  non  potrebbe  darsi  che 
uno  abbia  originato  il  terremoto  e  l'altro  il  maremoto? 

«  Potrebbe  darsi  benissimo  ;  potrebbe  assere  accaduto  che  il 
maremoto  abbia  avuto  una  origine  propria,  una  origine  a  sé. 


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Furono  quosto  propalazioni,  fondate  su  di  un  si  dice^  raccolte 
noi  1783,  clic  mi  indussero  a  scrivere  nel  giornale  «  11  Giorno  » 
di  Napoli  n.  41  dei  10  tel)l)rai(;  1909,  un  articolo  sul  maremoto 
nel  quale  dissi:  <  11  recentissimo  fenomeno  causato  da  una  eru- 
zione sottomarina  e  che  completò  la  malefica  opera  di  distruzione 
causata  dal  terremoto  del  28  dicembre  1908,  mi  porge  l'oppor- 
tunità di  parlarne  ».  Successivamente  mi  occupai  del  maremoto 
a  pag.  72  del  mio  lavoro:  «  Il  vulcanismo  nel  terremoto  Calabro- 
Siculo  del  28  dicembre  1908  »  e  nella:  «  Esposizione  dell'attività 
scientifica  e  didattica  »  pubblicazione  richiesta  dall'avviso  di  con- 
corso al  posto  di  direttore  dell'Osservatorio  Vesuviano. 

Nel  1783,  dopo  la  scossa  del  5  febbraio,  un  prete  di  Scilla 
ricoveratosi  sopra  uno  scoglio  sulla  spiaggia,  ebbe  la  rara  fortuna 
di  assistere  al  maremoto  che  il  Sarconi  descrisse  come  segue  a 
pag,  225:  «  Di  fatto,  ecco  repente  elevarsi,  fremere,  e  conturbarsi 
il  mare,  e  in  un  attimo  crescere  a  segno,  che  quasi  bollendo  corse 
a  riprendere  non  solo  il  letto,  che  abbandonato  avea,  ma  orgo- 
gliosamente si  estese  ad  occupare  ben  lunga  parte  della  stessa 
sempre  arida  e  lontana  sponda.  L'inondamento,  e  l'estensione 
de'  flutti  fu  tale,  che  ad  alcuni  marinari,  i  quali  trovavansi 
in  su  un  battello  arenato,  convenne ,  per  non  perdersi,  di  reg- 
gersi e  tenersi  in  guardia   co'  remi Ma    quando   tutto  parea 

disposto  al  più  disperato  partito,  di  ratto  si  soffermò  il  bolli- 
mento delle  onde;  e,  acquetandosi  il  mare  »,  il  prete  abbandonò 
il  pericoloso  rifugio. 

Dunque  il  5  febbraio  il  terremoto  non  aveva  provocato  nessun 
distacco  di  roccia,  franamento  o  slittamento. 

<  Alle  ore  7  1/2  della  notte  del  7  febbraio,  memoranda  e  fu- 
nesta, un  orribile  terremoto  provocò  tanto  rivolgimento  de'  ter- 
reni, che  una  parte  del  gran    monte  Bacì    precipitò  con  orribile 

fragore molta  parte  empi  di  ruine   la    superficie    de'  terreni, 

altra  piombò  di  sbalzo  nel  sottoposto    mare quando  repente 

dopo  pochi  minuti  ch'era  cessato  il  terremoto,  udissi  un  fremito^ 
e  un  secreto  susurro ,  che  approssimandosi  dalV  interno  del  mare^ 
lasciò  gli  animi  in  forse  se  il  sibilo,  e  il  tanto  fragore,  che  si  udiva 
(dai  ricoverati  sulle  barche  e  in  alcune  capanne  sulla  spiaggia), 
fosse  vento,  che  si  destasse,  o  nuovo  nunzio  di  altro  tremoto 

«  Un  abisso  di  onde,  che  si  rincalzavano  con  una  rapidità 
inesprimibile,  ove  oltrepassando  i  legni,  ove  sommergendoli,  e 
ove  elevandoli,  trascinò  nel  mortifero  aperto  seno  del  mare  tutto  » . 

Riferirono  alcuni  che  l'acqua  del  mare  era  scottante  ;  altri 
videro  fumo  e  fiamme  ;  altri  raccolsero  pesci  abbandonati  sulla 
spiaggia. 


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A  pag.  234  si  legge  nella  relazione  Sarconi:  «  vi  furono 
molti,  a'  quali  piacque  di  attribuire  a  tutt'altra  causa,  cho  alla 
forza  del  maremoto^  l'inondazione  avvenuta.  Costoro  credettere 
che  la  rovina  del  Monte  Baci  era  stata  l'unica  cagione  del  sov- 
vertimento avvenuto  in  mare  ». 

Allora  non  si  parlava  di  tettonismo  o  di  assestamenti ,  ma 
i  moderni  tettonici  sostengono  che  il  riscaldamento  del  mare  viene 
o  fu  provocato  dall'  urto  della  massa  rocciosa  caduta  nel  mare 
e  che  il  tettonismo  può  provocare  pure  sviluppo  di  gas  ! 

A  Messina  vi  fu  maremoto  il  6  ed  il  7  febbraio.  Il  6  febbraio 
nello  stesso  fatale  momento  del  terremoto  si  destò  il  maremoto, 
nel  mare  che  bagna  le  sponde  di  Messina,  di  Reggio,  del  Cenidio 
e  del  Faro.  Hamilton  raccolse  dall'ufficiale  che  comandava  la  for- 
tezza e  che  vi  si  trovava  nell'ora  fatale  della  scossa  del  5  feb- 
braio: «  che  quel  giorno  ed  i  tre  seguenti  il  mare  era  gonfio  e 
ribolliva  di  una  maniera  straordinaria,  con  un  rumore  spavente- 
vole, nel  mentre  che  le  acque  dell'altra  parte  del  faro  rimasero 
perfettamente  in  calma  ». 

«  Nella  fervida  e  tumultuosa  Cariddi,  nelle  rapide  opposte  cor- 
renti, e  in  tutto  il  volume  delle  acque  le  quali  inondano  tutto 
qual  vasto  distretto,  si  concepì  un  cosi  valido,  e  formidabile  scom- 
ponimento, che,  come  se  una  forza  potentissima  ne  avesse  percosso 
il  centro,  e  scisso  il  seno  per  metà,  il  mare  pria  orribilmente  av- 
vallandosi nel  mezzo,  e  indi  in  rapidissime  voraci  spire  ampia- 
mente nabissando  ,  respinse  per  gli  opposti  lati  l'onda  inarcata;  e 
con  tale  indicibile  violenza  ne  sbalzò  i  flutti  ripercossi,  che  trasci- 
nandoli a  invadere  e  a  superare  tutta  l'estensione  del  tranquillo 
letto  del  porto  (Messina)...  la  strada  si  fendette  e  squarciossi  in 
più  punti  profondamente...  «  si  asserì  che  dalle  fenditure  si  vi- 
dero prorompere  fuori  fiamme  e  scintille ,  ed  empiersi  l' aere  di 
vapori  bituminosi,  e  di  zolfo  (p.  273)  ».  «  Il  mare  si  disseccò 
dintorno  a  20  palmi  nel  porto  di  Messina,  e  corse  poi  con  tanto 
impeto  verso  la  città  che  vi  entrò  fin  dentro  le  porte  (p.  340)  » . 

Pure  nel  1783  nel  marzo,  7  e  28,  nel  mare  Jonio  avvennero 
maremoti  che  furono  cosi  descritti  dal  padre  Trombi  (Sarconi 
p.  306):  «  Al  giorno  7  di  marzo  nel  golfo  di  Squillace  ,  e  pro- 
priamente sotto  il  casale  di  Montauro  nel  luogo  appellato  la 
pietra  grande,  verso  le  ore  21  sentissi  uscire  dal  mare  un  rim- 
bombo indicibile,  che  durò  più  di  un'ora  e  mezza.  Cessato  essendo, 
ripigliò  collo  stesso  fragore  lo  stupendo  fremito  alle  ore  tre  della 
notte,  e  vi  perseverò  fino  alle  cinque.  Alle  ore  nove  poi  segui 
una  grande  scossa  che  fu  sensibilissima  lungo  quel  littorale.  «  Un 


—  60  - 

miglio  0  mezzo  lungi  da  Squillacc  vi  ò  un  ampio  podere  de'  si- 
gnori Toti.  Questo  rimase  pur  lo  spazio  di  trenta  tumulate,  o 
circa,  inondato,  e  posto  sott'acqua,  senza  apparire  donde  l'acqua 
fosse  sgorgata,  salvo  il  caso  di  essere  emersa  dal  seno  della  terra  >. 
Vivenzio  (voi.  II,  pag.  236)  riporta  che  gli  scrisse  A.  Fasano  che 
al  7  febbraio  1783  ,  all'ora  della  scossa  (le  22)  <  il  Jonio  che 
bagna  il  lido  di  Stilo  si  elevò  colle  sue  onde  in  una  scala  di 
un'  altezza  smisurata ,  e  spaventevole  talmente,  che  gli  Stiloti 
guardandola  dalla  distanza  di  sopra  miglia  quattro,  ed  elevata 
più  di  una  sesta  parte  di  miglio,  se  ne  atterrirono  assai  più  del 
terremoto  del  cinque  febbraio:  imperocché  per  la  faccia  che  quella 
scala  di  mare  presentava  alla  loro  vista,  temevano  che,  sbalzan- 
dosi sul  loro  territorio,  l'avrebbe    tutto  circondato  e  desolato  ». 

Alla  marina  di  Bivona  e  di  Pizzo  il  mare  era  tranquillo  in 
vicinanza  del  lido,  ma  in  lontananza  invece  si  mostrava:  <  in  un 
fervore  e  bollimento  insolito,  benché  senza  alcun  vento  »  talché 
alcuni  pescatori  furono  costretti  a  far  ritorno  a  terra  (Vivenzio, 
voi.  I,  p.  159-160)  ». 

«  Avvenne  presso  Capo  Rizzuto  nella  costa  E,  circa  le  15 
ore,  un  maremoto  accompagnato  da  inondazione. 

A  Cutro  durante  la  scossa  del  5  febbraio  il  mare  ritirossi 
dal  lido. 

A  Roccella  sul  Jonio  ed  a  Nicotera,  il  28  marzo  1783,  il 
mare  si  ritirò  per  inondare  poi  la  costa  per  due  o  tre  volte. 

Vivenzio  (voi.  II,  p.  234)  riporta  pure  che  il  7  gennaio  1784 
presso  Roccella  vi  fu  altro  maremoto  e  verso  il  Faro  la  sera  del 
19  gennaio. 

Rombi  e  boati  precedettero,  accompagnarono  o  seguirono  i 
maremoti  ed  i  terremoti  Calabro  -  Siculi ,  fenomeni  che  insieme 
agli  altri  di  cui  ho  fatto  cenno  costituiscono  la  caratteristica  delle 
eruzioni  sottomarine;  fenomeni  e  rumori  che  secondo  Hobbs  sono 
prodotti  dall'assestamento  o  dal:  «  lento  adattamento  dei  blocchi 
orografici  e  dalla  conseguente  produzione  di  vibrazioni  entro  la 
loro  zona  marginale  »  p.  232.  Nel  1797  durante  i  terremoti  Cu- 
mani  si  ripetettero  gli  stessi  fenomeni  di  Messina  e  di  Calabria 
del   1783. 

Il  17  settembre  1806  a  37^,  7'  di  lat.  e  20°  2'  di  long,  ossia 
a  24  miglia  NE  74  N  di  Zante  ed  a  30  miglia  ENE  delle  isole 
Strofadi,  il  capitano  di  una  nave,  a  undici  ore  del  mattino  vide 
uscire  da  mare,  a  poca  distanza  dal  bastimento,  una  colonna  di 
catrame  di  circa  un  piede  di  diametro,  la  quale  si  espanse  sulla 
superficie  dell'acqua  esalando  un  odore  forte  e  riflettendo  i  raggi 
del  sole. 


—  Bi- 
ll 29  novembre  1810.  Violenta  scossa  in  maro,  al  sud  del 
capo  Matapan,  la  quale  durò  un  minuto  e  mezzo.  Il  terremoto 
fu  avvertito  pure  a  Malta,  Messina,  ecc. 

Il  1»  gennaio  1817.  Terremoto  in  mare  presso  Zante.  Nel 
1818  eruzione  d'acqua  calda  a  Catania ,  terremoto  ad  Acireale, 
Nicolosi. 

Nel  1820  un  capitano  mercantile  fu  investito  da  un  maremoto 
nelle  vicinanze  dell'isola  Leucadia  (Santa  Maura). 

Nel  1831  di  contro  a  Sciacca,  dopo  una  serie  di  fenomeni 
derivanti  dall'attività  vulcanica  già  manifestatasi  nel  1632  presso 
il  banco  Nerita  improvvisamente  si  formò  1'  isola  Ferdinandea 
che  scomparve  dopo  pochi  mesi.  Il  capitano  Trafiletti  che  co- 
mandava un  brigantino  riferi  che  una  colonna  d'acqua  alta  60 
piedi  si  sollevava  dal  mare  con  forza  meravigliosa  e  vi  rimase 
per  alcuni  minuti  lanciando  spruzzi  da  ogni  parte  e  poi  ricadde 
nell'atto  che  da  essa  svolgevasi  una  immensa  nube  di  fumo.  Il 
fenomeno  della  lanciata  d'  acqua  si  ripeteva  coli'  intervallo  di 
15,  20,  30  minuti.  Un  altro  capitano  siciliano  narrò  di  aver  ve- 
duto sollevarsi  dal  mare  una  colonna  d'acqua  dell'altezza  di  80 
piedi  e  del  perimetro  di  800  braccia  :  poi  sali  una  colonna  di 
fumo  alta  cuxa  800  piedi. 

Il  1832  terremoto  a  Cotrone  (Calabria),  Messina. 

Il  12  luglio  1835  un'ora  prima  di  una  forte  scossa  N-S  av- 
venuta a  Zante  alle  10,55  a.,  la  superficie  del  mare,  al  sud  del 
capo  Vasilicò,  apparve  tinta  d'un  colore  rossastro,  simile  a  quello 
del  catrame,  ed  esalava  un  forte  odore  acido. 

Nel  luglio  1843  due  scosse  consecutive  in  mare  a  35  miglia 
ad  ovest  dell'estremità  occidentale  di  Candia,  risentite  da  un  ba- 
stimento inglese  da  guerra  in  una  traversata  da  Smirne  a  Malta: 
furono  accompagnate  da  un  sordo  rumore,  proveniente  da  S.  E., 
che  sembrava  passare  sotto  il  bastimento.  La  sonda,  gettata  im- 
mediatamente, non  trovò  fondo  a  292  metri* 

Il  28  luglio  ed  il  1»  agosto  1835  vi  fu  maremoto  a  Malta. 

Nel  giorno  29  novembre  1843,  mentre  una  nave  veleggiava 
presso  le  isole  Strofadi  a  37°,  9'  di  lat.  ed  a  20»,  46'  di  long, 
E,  cioè  alla  distanza  di  30'  dal  capo  di  Cheri  e  di  15'  dal  capo 
Strofadi,  l'equipaggio  avverti  in  mare  uno  strano  ribollimento; 
intanto  dall'acqua  torbida  e  calda  si  sollevavano  vapori  con  forte 
odore  di  bitume.  Calato  lo  scandaglio  in  quel  punto,  non  si  trovò 
fondo  a  15  o  16  passi  (Issel). 

Nel  1836,  aprile  24  ore  6,  preceduta  da  rombo  avvenne  una 
tremenda  scossa  con  maremoto  cjie  s'inoltrò  per  più  di  20  metri 
di  contro  Corigliano. 


—  62  — 

Il  17  luglio  1844  nel  Mediterraneo,  a  36°  40'  36"dilat.  N 
ed  a  13"  14  '  311  "  lung.  E  da  Greenvvioh ,  il  capitano  inglese 
comandante  la  Vittoria,  vide,  durante  una  burrasca,  globi  di 
fuoco  che  uscivano  dal  mare  e  spandevano  a  grande  distanza 
odore  solfureo,  cenere  e  sabbia. 

Alle  9,30  p.  del  18  giugno  1845  nel  Mediterraneo  ,  a  360 
40'  66"  lat.  N  ed  a  13»  44'  36"  long,  (da  G)  la  nave  inglese 
Vittoria  provò  una  violenta  scossa,  sebbene  in  quel  momento  il 
tempo  fosse  perfettamente  calmo.  Bentosto  si  sparsero  nell'aria 
emanazioni  solforose  talmente  forti  che  a  malapena  la  gente  del- 
l'equipaggio poteva  respirare.  La  nave  riportò  qualche  avaria  in 
seguito  all'  inatteso  urto;  e  dopo  aver  preso  il  largo,  l'equipaggio 
vide  tre  immensi  globi  di  fuoco  lanciati  dal  seno  delie  acque  e 
visibili  per  6  minuti. 

Nel  1846  dal  4  al  5  ottobre  un  capitano  mercantile,  tro- 
vandosi nel  mare  di  Seculiana  (Girgenti)  a  7  miglia  dalla  costa, 
osservò  da  lungi  un  grande  splendore,  che  a  tutta  prima  giudicò 
proveniente  da  qualche  battello  incendiato. 

Con  la  intenzione  di  prestargli  soccorso,  gli  si  avvicinò;  ma 
con  grande  sorpresa  e  terrore,  vide  inalzarsi  dal  mare  un'  im- 
mensa quantità  di  fumo,  dal  cui  seno  venivano  lanciati  globi 
incandescenti,  che  cadevano  con  orribile  fracasso  a  grande  di- 
stanza. Nel  1846  teiTemoto  a  Malta.  Nel  1854,  il  12  febbraio  terre- 
moto Calabro-Siculo  violentissimo  con  intenso  rombo  a  Cosenza. 

Nel  1865  verso  la  metà  di  luglio,  tra  il  capo  Mataiìan 
e  l'isola  Cerigo,  apparizione  di  una  nuova  punta  rocciosa  a  metri 
3,65  sotto  il  pelo  dell'acqua,  la  cui  presenza  era  annunciata  da 
un  cambiamento  di  colore  alla  superficie  del  mare. 

Il  2  novembre  1870,  maremoto  nel  mare  Jonio  e  nel  mare 
Tirreno,  il  quale  produsse  grandi  avarie.  Il  terremoto  sussultorio 
di  Cosenza  (9  marzo,  5  ottobre  1870)  e  conseguente  riscaldamento 
delle  acque  ed  emissioni  di  va.pori.  Altro  terremoto  a  Catanzaro 
il  giorno  11  aprile  e  nei  successivi  giorni  a  Palmi ,  Rossano, 
Corigliano,  Longobuco,  ecc.  Repliche  fortissime  sussultorio  con 
rombi  fino  a  tutto   dicembre. 

Nel  1871  fortissimo  terremoto  nella  Sila   (Calabria). 

Un  altro  breve  parossismo  sottomarino  avvenne  nel  Tirreno 
nel  marzo  1880  in  mezzo  alle  isole  Sanguinarie  all'  entrata  del 
porto  di  Ajaccio  e  non  durò  che  un'ora.  L'  eruzione  produceva 
un  ribollimento  che  riempiva  il  mare  di  un  grande  ammasso  di 
alghe  ed  altre  sostanze,  mentre  nell'aria  si   diffondevano  vapori 


—  63   - 

solforosi.  In  questo   stesso   anno  furono  avvertiti  terremoti    con 
rombi  a  Ventotene  (Ponza),  Ischia  e  Procida. 

Il  5  febbraio  1882,  eruzione  gassosa  sottomarina  dirimpetto 
alla  costa  dell'Etolia.  Nel  luglio  1883  terremoto  a  Casamicciola. 
Nei  mesi  di  febbraio,  marzo  e  luglio  violenta  eruzione  allo  Strom- 
boli e  nelle  Eolie.  Nel  1884  terremoto  in  Andalusia  e  nelle  Eolie. 
Il  17  agosto  1886  i  passeggieri  di  un  piroscafo  inglese,  navigando 
tra  Candia  e  Malta  a  50  miglia  di  distanza  dal  capo  Matapan, 
videro  uscire  dal  mare  un  vulcano  di  40  metri  di  altezza  e  10 
di  larghezza  che  vomitava  fiamme  e  fumo. 

Alle  ore  11,30  p.  del  27  agosto  dello  stesso  anno  il  capitano 
del  vapore  maltese  La  Vallette,  proveniente  da  Alessandretta  e 
diretto  a  Malta,  trovandosi  alla  lat.  38°,  16'  e  long.  21°  25  E, 
ossia  distante  50  miglia  S  W  dal  capo  Matapan,  sentì  tutto  ad 
un  tratto  una  fortissima  scossa  di  maremoto,  che  fece  tremare 
tutto  il  legno  per  circa  11  minuti.  A  mezzanotte  ,  ad  W.  nella 
latitudine  36°  17'  N  e  longitudine  21°  27  E,  osservò  alla  sua 
destra  come  una  massa  di  fumo  denso  e  nero ,  che  a  guisa  di 
cono  s'innalzava  perpendicolarmente  sull'orizzonte  e  che  ad  in- 
tervalli assumeva  un  colore  rossiccio.  Alle  ore  10,  a.  del  giorno 
successivo  si  osservarono  nel  mare  diverse  strisce  lunghe  circa 
un  quarto  di  miglio  in  direzione  N.  S.  di  color  giallo  oscuro,  che 
figuravano  come  bassi  fondi. 

Pure  durante  la  notte  del  27  agosto  1886  il  capitano  del 
bringantino-goletta  italiano  Matilde,  aRa.  lat,  36°  49'  e  long.  19° 
50'  avverti  un  forte  maremoto  con  grande  spavento  di  tutto 
l'equipaggio.  La  rotta  era  WS  TT  e  lo  stato  dell'atmosfera  era 
soffocante.  Il  movimento  parve  N  E-S  We  durò  circa  80  secondi. 
L' impressione  provata  fu  come  se  il  naviglio ,  nel  modo  come 
tremava,  si  fosse  convertito  in  vapore  ad  elica. 

Gli  stessi  fenomeni  si  ripetettero  durante  l'eruzione  comin- 
ciata nel  1866  nel  gruppo  dell'arcipelago  Santorino.  Attorno  alla 
nuova  isola  Griorgio  I,  il  mare  aveva  la  temperatura  di  -f-  50"  C. 

Il  23  febbraio  1887  terremoto  in  Liguria  provocato  da  una 
eruzione  sottomarina.  Alcuni  capitani  mercantili  avvertirono  scosse 
e  sussulti.  Nel  marzo  a  Zante  e  Cefalonia.  Il  21  agosto  1888, 
riferirono  i  giornali  di  Messina  che  alle  ore  11  ^/2  di  sera  av- 
venne nn  insolito  violento  moto  di  acque  nel  tranquillo  porto 
di  quella  città,  tanto  che  alcuni  bastimenti,  non  poche  barche 
e  le  baracche  per  i  bagni  costruite  con  legname,  ebbero  a  patire 
avarie.  In  quell'epoca  era  in  grande  eruzione  l'isola  Vulcano 
(Eolie)  e  spesso  a  Messina  si  avvertirono  dagli  abitanti,  o  furono 


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avvertite  dagli  apparecchi  sismici  dell'Osservatorio,  scosse  di  ter- 
remoto, che  nel  gruppo  dolio  Eolio  invoco  gli  apparecchi  non 
registrarono. 

Spesso  avviene  che  l'acqua  del  maro  che  circonda  Lipari  o 
il  tratto  Vulcano  e  Panaria,  si  riscaldi  o  ribollisca  a  segno  da 
liquefare  la  cera,  la  pece,  da  sollevarsi  a  grande  altezza  e  da 
mostrare  a  galla  pesci  cotti. 

Da  epoche  remote  nelle  prossimità  dell'isola  Salina  (Eolie) 
avvengono  fenomeni  interessantissimi  a  cui  veramente  io  non 
potetti  mai  assistere,  ma  che  le  persone  più  autorevoli  di  Salina 
e  di  Lij)ari  descrivono  con  una  vivacità  tutta  siciliana.  In  mozzo 
al  mare  in  un  punto  che  chiamano  «  la  fossa  »  nei  mesi  estivi 
incominciano  a  svilupparsi  delle  bollicine  gassose,  ma  ad  intervalli 
si  ha  considerevole  sviluppo  gassoso,  che  lancia  l'acqua  con  vio- 
lenza e  ad  una  considerevole  altezza.  Spesso  poi  accompagnano 
i  gas  sostanze  fangose  che  intorbidano  il  mare,  e  molte  alghe. 
Al  cattivo  odore  dovuto  al  sollevamento  degli  ammassi  organici 
sottomarini  non  è  estraneo  l'acido  solfìdrico.  A  Lipari  mi  assicu- 
rarono che  alla  fossa  o  «  Sconcasse  »  questo  fenomeno  avviene 
diverse  volte  durante  l'anno,  quattro  o  cinque   volte. 

In  questa  specie  di  esperienza  da  gabinetto  io  vedo  la  genesi 
del  maremoto,  genesi  confermata  dalle  ricerche  sull'azione  degli 
esplosivi  sull'acqua  del  mare,  poiché  mettono  in  evidenza  come 
si  comportano  le  masse  acquee  in  presenza  di  un  considerevole 
sviluppo  di  gas,  nell'atto  dello  scoppio  dei  ginnoti,  delle  torpedini 
od  altri  esplodenti  fatti  scoppiare  a  diverse  profondità. 

Durante  il  periodo  sismico  Calabro-Siculo  del  1889,  furono 
avvertite  a  Messina  una  ventina  di  scosse  nei  mesi  di  febbraio 
e  marzo. 

Nei  primi  mesi  del  1889  Vulcano  delle  Eolie  dava  luogo 
senza  interruzione  a  violentissimo  esplosioni.  Il  signor  Galimi, 
tornando  da  Vulcano  a  Lipari ,  vide  alla  punta  S.  Francesco  e 
alla  distanza  di  circa  4  miglia  un  innalzamento  momentaneo 
di  acqua  come  se  fosse  una  eruzione  gassosa  sottomarina  ;  alle 
17,38  ne  osservò  un  altro  più  verso  terra;  alle  17,40  Vulcano 
diede  una  fortissima  eruzione  con  abbondante  getto  di  grossi 
projetti  (30  novembre)  e  di  cenere  con  scariche  elettriche. 

Il  29  novembre  alcuni  marinai,  trovandosi  in  mare  sulla 
barca  <  Bilancella  Gennarino  »,  si  videro  esposti  a  grave  pericolo, 
poichò  traversando  verso  le  15  in  vicinanza  della  punta  Luccia 
ad  Oriente  di  Vulcano,  furono  improvvisamente  sorpresi  da  un 
energico  bollore  di  acque  per  un'  area  di  circa  50  metri  di  dia- 


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metro;  il  movimento  delle  acque  fu  così  energico  che  poco  mancò 
non  fossero  rovesciati  con  la  barca.  Fortunatamente  il  fenomeno 
cessò  dopo  pochi  minuti  dal  suo  principio,  e  durante  questo  breve 
tempo  comparvero  galleggianti  in  quell'area  di  mare  molti  pezzi 
di  pomice. 

Durante  quel  parossismo  fu  constatato  un  notevole  solleva- 
mento del  fondo  del  mare  che,  misurato  dal  personale  che  rimise 
il  cavo  rotto,  sarebbe  risultato  di  221  piedi  inglesi.  Il  coman- 
dante del  piroscafo,  che  metteva  il  cordone  ,  volle  pure  esperi- 
mentare il  grado  di  calore  del  suolo  nel  sito  di  rialzaniento,  ma 
lo  trovò  di  soli  gradi  12  ^/2  G. 

Nelle  Eolie  vi  fu  altra  eruzione  sottomarina  nel  1891  con 
rottura  del  cavo  Panaria-Stromboli.  Il  26  gennaio  1891  fortissimo 
parossismo  allo  Stromboli  ed  il  27  giugno  1891  intense  manife- 
stazioni a  Salina  (Eolie). 

Durante  l'eruzione  sottomarina  di  Pantelleria,  16-26  ottobre 
1891,  vi  fu  bagliore  vivissimo,  forti  boati,  maremoti,  emissione 
di  fumo  e  poi  getti  di  vapori  e  d'acqua,  e  bombe  esplosive  sca- 
gliate in  alto  e  pure  moria  di  pesci  e  riscaldamento  del  mare 
con  sviluppo  di  acido  solfidrico. 

Durante  il  mese  di  novembre  1892  vi  furono  segnalazioni 
sismiche  nella  Calabria  ed  in  Sicilia,  nelle  Eolie  si  ruppero  tre 
cavi  per  causa  vulcanica.  Il  16  marzo  1892,  nel  mare  tra  Alicuri 
e  Pilicuri  avvenne  eruzione  con  terremoto:  avvertito  pure  a  Strom- 
boli e  nelle  altre  isole  Eoliche. 

Il  28  dicembre  1892  1'  emissione  della  lava  nell'  atrio  del 
Cavallo  cominciò  ad  aumentare  e  continuò  il  parossismo  Ve- 
suviano per  qualche  tempo. 

Alle  2,10  a.  del  29  gennaio  1893  lo  Stromboli  compì  una 
violentissima  eruzione.  Il  terremoto  fu  avvertito  pure  a  Pilicuri 
e  nelle  altre  isole  Eoliche. 

A  Zante  nel  1893  dopo  un  periodo  sismico  cominciato  nel- 
l'agosto 1892,  il  31  gennaio,  il  17  aprile  e  poi  successivamente 
vi  furono  scosse  disastrose  di  terremoto  precedute  da  rombi,  con 
sussulti  della  durata  di  12  secondi.  In  non  pochi  pozzi  scema- 
rono le  acque.  A  Clarenza,  in  terra  ferma,  non  solo  sentirono 
la  scossa,  ma  avvertirono  il  rombo  e  da  un  abitante  fu  visto 
nello  stesso  momento  un  bagliore  nella  direzione  di  Linzi  (S.  S.  W.) 

Il  piccolo  veliero  Madonna  Mangana,  di  200  tonnellate,  pro- 
veniente da  Costantinopoli,  trovandosi  la  mattina  del  31  gennaio 
nei  paraggi  di  Zante,  provò  pel  terremoto  come  un  urto  assai 
forte.  Un'altra  nave,  quantunque,   piìi  vicina    all'isola,  subì    nel 

5 


—  66  — 

momento  sbasso  oscillazioin3  più  l«!<^i;(!ra.  Il  tonomeno  fu  del  pari 
ayvortiU),  a  l)oido  nelle  barche,   nelle  acquo  di  Clareuza. 

Riferì  il  prof.  Mitzopulos  che  certi  pescatori,  i  quali  si  tro- 
vavano al  momento  della  catastrofe  presso  l'isolotto  di  Maratonisi, 
avrebbero  veduto  pietre  coperte  di  alghe  sbalzate  dal  fondo  ma- 
rina sulla  riva.  A  Cheri  la  terribile  scossa  fu  verticale  e  pro- 
dusse scempio  di  fabbricati.  Tutti  sono  d'accordo,  a  Zante,  nel 
dichiarare  che  i  fragorosi  rombi  si  odono  di  preferenza  nel  mez- 
zogiorno, cioè  verso  le  paludi  di  Cheri. 

Il  dottor  Agamennone  riferì  che  il  2  febbraio  1893  alle  ore 
2,30  a.  vi  fu  maremoto  risentito  dal  piroscafo  Gottardo^  della  Na- 
vigazione Italiana,  alla  lat.  37."  38  N  ed  alla  long.  20. o  47  E  da  Gr. 
Ojie  il  16  marzo  mentre  la  nave  da  guerra  inglese  Werner  si 
trovava  nei  paraggi  del  capo  Malica^  gli  ufficiali  e  l'equipaggio 
videro  scaturire  dal  mare  una  sfera  incandescente,  la  quale  dopo 
di  essersi  sollevata  ad  una  certa  altezza,  cominciò  a  scendere  ; 
quindi,  avendo  battuto  sulla  murata  del  bastimento,  cadde  in 
mare  e  scomparve.  Alle  11,40  p.  del  18  aprile  fu  avvertito  un 
lieve  maremoto,  con  mare  calmo,  risentito  dal  piroscafo  Principe 
Amedeo  della  Navigazione  Italiana,  presso  Oxia^  all'imboccatura 
del  golfo  di  Patrasso,  tanto  che  il  capitano  temè  di  aver  inve- 
stito nelle  secche  della  Scrofa.  Manco  a  farlo  a  posta  sul  piro- 
scafo si  trovavano  due  tettonisti,  il  Prof.  Issel  e  il  Dottor  i^ga- 
mennone  di  ritorno  in  Italia,  i  quali  erano  stati  mandati  dal 
Ministero  di  Agricoltura  e  Commercio  a  studiare  i  fenomeni  si- 
snaici  di  Zante  durante  il  1893  ^). 

Verso  le  due  del  mattino  del  l''  .  febbraio ,  certo  Eustapio 
Ciafona,  padrone  di  un  trabaccolo,  stava  sulla  calata  del  porto 
osservando  il  tempo  (che  era  assai  tranquillo)  quando  prima  della 
forte  oscillazione  vide  verso  S  un  lampo,  il  quale  pareva  assur- 
gere dal  mare  al  di  là  del  Monte  Scopòs.  Altre  persone  assicu- 
rarono d'aver  veduto,  dalla  parte  meridionale  dell'isola,  prodursi 
un  lampo  in  un  punto  prossimo  all'isolotto  Pelusio,  nello  stesso 
momento.  Nel  comune  di  Messogeo,  si  sparse  dopo  detta  sccssa 
odore  di  acido  solfidrico. 

11  De  Biase  che  descrisse  la  disastrosa  scossa  di  Zante  del 
17  aprile  1903,  accenna  a  rumori  sotterranei,  a  scosse  sussultorie 
e  ondulatorie,  e  afferma  che  alle  7,4  a.  si  udì  un  terribile  boato 


')  A.  Issel  e  G.  Agamennone.  —  Intorno  ai  fenomeni  sismici  osservati 
nell'Isola  di  Zante  durante  il  1893.  Annali  dell' Uff.  Cen.  e  Geod.  Serie  se- 
conda, Voi.  XV.  Parte  I.  1893,  p.  67.  Roma  1894. 


—  67   — 

e  che   nel  porto    <  il    maro  si  sollevò    circa  un  metro  leggendo 
orribilmente,  e  ^/4  d'ora  dopo  si  mostrava  ancora  agitato.  Di  più 
il  terremoto  fu  inteso  con  paura  entro  le  navi  ». 

Il  Superiore  del  convento  delle  isole  Strofadi,  ritornando  da 
Zante  e  ritrovandosi  al  momento  della  scossa  a  circa  16  misflia 
dalla  costa  meridionale  di  quest'isola,  vide  il  mare,  il  quale  era 
stato  fino  allora  tranquillo,  diventare  ad  un  tratto  agitatissimo 
tanto  che  il  piccolo  naviglio  corse  pericolo  di  capovolgersi.  Pareva 
che  le  acque  si  movessero  in  una  specie  di  vortice,  sollevate  di 
parecchi  metri. 

Un  istante  prima  della  scossa,  un  impiegato  del  cimitero, 
che  stava  colà  intento  a  lavorare,  vide  sollevarsi  verso  Laganà 
una  specie  di  vapore  e,  nella  stessa  parte,  gli  apparve  un  lampo; 
subito  dopo  udì  il  rombo  che  precedette  l'oscillazione.  Altri,  se- 
condo De  Biasi,  affermarono  di  aver  osservato  vapore  levarsi 
verso  il  Monto  Scopòs  la  vigilia  del  terremoto. 

In  molti  pozzi  della  pianura  diminuì  o  venne  a  mancare 
l'acqua. 

Nel  camposanto,  le  cime  degli  alberi  toccarono  quasi  terra. 

In  altre  epoche  fu  constatata  l'emissione  di  vapore  acqueo 
e  si  videro  sgorgare  dal  suolo  pollo  d'acqua  calda.  Notò  il  dottor 
Agamennone  che  durante  il  parossismo  che  agitò  la  Morea  ed 
atterrò  Vostizza  il  23  agosto  1817,  le  acque  marine  si  riscaldarono 
a  segno,  presso  quella  città,  che  i  'pescatori  si  scottavano  immergen- 
dovi le  mani. 

Ometto  l'elenco  di  tutti  i  maremoti  i  quali  spesso  provoca- 
rono perdite  di  bastimenti,  perchè  non  mi  sono  proposto  di  farne 
la  statistica. 

Rudolph  riferisce  a  causo  vulcaniche  i  333  terremoti  sotto- 
marini da  lui  riportati  nel  suo  noto  lavoro.  Come  il  Milne  ^)  ri- 
portando i  particolari  di  255  interruzioni  di  cavi  sottomarini, 
dell'intera  rete  del  nostro  pianeta ,  sostiene  1'  ipotesi  ,  accettabi- 
lissima, che  dei  terremoti  sottomarini  avvertiti  a  bordo  dei  bat- 
telli in  alto  mare,  o  come  tremiti,  o  come  scosse  violente,  molti, 
e  perchè  non  tutti?,  siano  di  origine  vulcanica.  Conclude  che 
avvengono  molti  terremoti  che  scuotono  l'intero  globo. 

Il  29  luglio  e  3  agosto  1904  vi  furono  intense  manifesta- 
zioni a  Salina  e  nelle  altre  isole  Eoliche.  Pure  a  Lampedusa. 

Nel  1894  il  16  novembre  altro  terremoto  Calabro-Siculo,  e 
durante  il  seismo  avvennero  nel  mare  di  Messina  fenomeni  no- 

1)  Sub  Oceanie  changes. 


—  fi8  — 

tevoli  che  riassumo:  forte  sussulto  avvertito  sul  piroscafo  postale 
provouiente  da  Lipari ,  mentre  imboccava  lo  stretto  ;  fenomeni 
simili  notati  dai  barcaiuoli  presso  Pellaro;  ribollimento  dell'acqua 
presso  Scilla,  Punta  del  Pezzo  e  Lafijo  di  Ganzirri;  ^i^uasti  di  reti 
presso  Cannitello  e  Capo  Vaticano;  moto  ondoso  irregolare  nello 
stretto. 

In  quasi  tutti  i  paesi  colpiti  dal  terremoto  del  1894  la  scossa 
fu  sussultoria,  preceduta  e  accompagnata  da  rombi;  da  sviluppo 
di  acido  solfidrico  ;  dalla  consueta  comparsa  di  fiammelle,  connt 
fuochi  fatui  (oppido  Mamertina);  dalla  solita  scomparsa  o  dimi- 
nuzione di  acqua,  con  intorbidamento  e  riscaldamento;  marcnnolo 
a  Rocculla  Ionica;  vista  di  una  luco  in  alto  a  N.  E.  da  Trisilico. 
Il  terremoto  del  1894  fu  forte  pure  nelle  isole  Eoliche.  A  Strom- 
boli, a  Salina  vi  fui'ono  parossismi  pure  nel  1896  e  1897  ed  a 
Rometta  (Sicilia)  il  13  agosto  1898  il  terremoto  fu  fortissimo, 
avvertito  pure  a  Messina,  ecc.  Altro  terremoto  a  Filicuri  il  30 
giugno  1899. 

Nel  terremoto  Calabro-Siculo  del  7  settembre  1905:  la  go- 
letta Marietta  B.  comandata  dal  Capitano  Nicola  di  Donna,  era 
partita  da  Tropea  col  suo  carico  e  poco  prima  delle  3  si  trovava 
fra  la  Calabria  e  lo  Stromboli,  alla  distanza  di  circa  20  miglia 
da  quest'ultimo.  Il  mare  era  quieto  e  la  notte  tranquilla:  ad  un 
tratto  la  goletta  si  fermò,  come  se  avesse  urtato  in  uno  scoglio 
o  in  qualche  gran  banco  di  sabbia.  Poscia  cominciò  ad  agitarsi 
e  a  sussultare:  le  alberature  scricchiolavano  e  i  fianchi  della  nave 
sembravano  doversi  sfasciare  da  un  momento  all'altro.  La  scena 
spaventosa  durò  circa  5  minuti,  dopo  i  quali  la  goletta  riprese 
a  filare. 

A  Scalea,  Pizzo,  Cannitello,  spiaggia  di  Menteleone,  riferirono 
i  marinai  che  le  acque  del  mare  essendo  prima  tranquillissime, 
d'improvviso  gonfiarono  invadendo  le  spiagge  per  altri  30  metri, 
sollevandosi  di  circa  sei  metri  sulle  scogliere,  e  spingendo  entro 
terra  a  circa  sei  metri  dalla  spiaggia  una  barca  peschereccia. 

Il  Prof.  Luigi  Palazzi  disse  che  il  maremoto  del  1906  fu  un 
fenomeno  concomitante  col  terremoto  e  venne  registrato  dai  ma- 
reografi di  Napoli,  della  Sardegna,  di  Civitavecchia,  ecc. 

Pure  nel  1905  il  cavo  talegrafico  che  congiunge  Milazzo 
con  l'isola  di  Lipari  venne  spezzato  dal  movimento  sismico  e  la 
rottura  avvenne  a  ^/o  della  distanza  da  Milazzo  a  Lipari ,  alla 
profondità  di  1300  metri. 

Il  signor  E.  Eggington,  rappresentante  della  Compagnia  In- 
glese che  esegui  la  riparazione    del  cavo  ,  riferi    che  il  capo    di 


—  69  — 

esso  verso  Milazzo   fu  trovato  subito  e  l'altro  capo  si  dovette  ri- 
pescare por  17  ore,  essendo  sepolto  dal  fango. 

Nella  ricordata  mia  pubblicazione  sul  terremoto  28  dicembre 
1908  accennai  all'  altro  terremoto  del  1907  e  descrissi  il  mare- 
moto del  28  dicembre  1908  e  del  1"  luglio  1909;  stralcio  ora  dai 
miei  appunti  che  il  2  gennaio  L909  vi  fu  una  scossa  di  terremoto 
violentissima,  seguita  da  rombi  formidabili,  tanto  che  nel  porto 
di  Messina  i  vapori  Campania  e  Lombardia  furono  sollevati  di 
due  metri.  Ecco  altri  due  telegrammi  in  proposito:  «  Reggio  Ca- 
labria, 17  marzo  1909.  Giunge  notizia  che  a  Pellaro ,  stanotte, 
alle  ore  due,  fu  avvertita  una  sensibile  scossa  sussultoria  preceduta 
da  rombo.  Nello  stesso  momento  un  brigantino,  che  navigava  a 
circa  trecento  metri  dalla  costa,  fu  spinto  sulla  spiaggia  ». 

<  Reggio  Calabria,  18  marzo,  ore  11,25.  Ieri,  nelle  prime  ore 
del  mattino,  verso  Pellaro  avveniva  un  maremoto  preceduto  da 
un  forte  boato  e  da  una  sensibile  scossa  sussultoria  di  terremoto  >. 

«  La  popolazione,  allarmata,  si  rifugiò  verso  le  campagne 
soprastanti.  Durante  il  maremoto  ,  un  brigantino  ,  Caterina  M. 
che  proveniva  da  Porto  Empedocle,  fu  buttato  sulla  s^naggia  da 
circa  300  metri  da  mezzo  al  mare.  Fortunatamente  1'  equipaggio 
s'è  salvato.  Si  sta  procedendo  al  disincaglio  di  questo  veliero  ». 
Altro  che  tottonismo  e  assettamento  ! 

Tutte  le  regioni  vulcaniche  del  mediteraneo  vanno  soggette 
a  movimenti  macro  e  microsismici  subaerei  e  submarini,  i  quali 
si  ripetono  da  epoche  immemorabili.  Infatti,  dopo  l'immane  disa- 
stro Calabro-Siculo,  terremoti  e  maremoti  si  ebbero  nella  Spagna, 
neir  Algeria  ed  in  Francia  nel  1909  ed  in  quest'  ultima  nello 
scorso  mese  di  marzo  1910. 

Fenomeno  di  propagazione  di  moto  attraverso  i  mari. 

Non  v'è  dubbio  che  una  è  la  causa  che  produce  i  maremoti, 
sieno  essi  modesti  come  quelli  dello  «  Sconcasse  »  (Eolie)  o  ce- 
lebri come  quelli  del  G-iappone  (Simoda)  del  1854,  del  Perù  (A- 
rica)  dal  1868  e  d'Iquiqua  del  1877,  dello  stretto  di  Messina,  di 
Lisbona  (1755),  del  Chili,  del  Cile.  Il  dinamismo  imprime  tanta 
energia  alle  onde  che  se  lungo  il  loro  percorso  (spesso  compiono 
il  giro  del  globo)  incontrano  piroscafi  o  vanno  a  cozzare  contro 
le  isole  coralline  o  vulcaniche  oppure  contro  promontorii,  li  dan- 
neggiano, li  sommergono,  li  abbattono.  Altro  è  il  movimento  e 
la  velocità  impressa  al  mare  dal  maremoto  propriamente  detto 
che  può  essere  provocato  da  un  istantaneo,  enorme  sviluppo  di 


—  70  - 

gas  da  crateri  sottomarini  o  da  fonditure  (comprendo  pure  la 
dissociazione  dell'acqua,  provocata  dall'  incontro  negli  abissi  del 
magma  arroventato  col  mare),  altro  è  il  fenomeno  avvenuto  nel 
Karakatoa  (stretto  della  Sonda)  nel  1883. 

Le  ricerche  di  Marsigli  ,  di  von  Badie,  di  Hochstrettcu-,  di 
Grenitz,  di  Hilganl,  dei  fratelli  Weber,  dui  Princip(3  di  Mf)nac() 
ed  altri  ci  offrono  molti  dati. 

Passo  a  fare  qualche  considerazione,  non  possedendo  per  ora 
tanti  elementi  da  venire  ad  una  conclusioiu;  che  abbia  la  par- 
venza d'una  teoria.  Certo  si  è  che  pure  l'acqua,  come  la  terra, 
risente  gli  effetti  dei  sussulti  provocati  dal  vulcanismo,  e  perciò 
il  movimento  dell'acqua  può  essere  verticale  (rigonfiamento,  gotti 
d'acqua);  longitudinale  od  ondulatorio.  Riferirò  presto  nel  mio  la- 
voro «  Sul  Sismismo  e  la  genesi  del  nostro  geoide  >,  che  lo  onde 
dei  terremoti  si  propagano  con  una  velocità  variabilissima  nelle 
rocce;  per  ora  dobbiamo  accontentarci  dei  risultati  che  passo  ad 
esporre  nei  seguenti  specchietti,  augurandomi  che  gli  oceanografi 
con  le  loro  ricerche  possano  riempire  una  lacuna  che  indubbia- 
mente ci  porterà  alla  conclusione,  come  altra  volta  ho  provato, 
che  se  uno  è  il  vulcanismo  ossia  la  causa,  cosi  uno  dev'essere 
1'  effetto,  sia  che  si  manifesti  nel  mezzo  ana,  terra  o  acqua. 

Ecco  il  risultato  delle  ricerche  fatte  sul  maremoto  di  Arica 
(Perù)  del  13  agosto  1868. 

strada  seguita  dall'onda.  Distanza  in  mi-   Durata  in     Velocità  in  mi-     Velocità  in 

glia  marine.  ore.  glia  e  ora.        metri  e  ora. 

Arica— Conquinibo  720  2  360  677,800 

>  —Goral  (Valdivia)  1421  7  203  376,665 
»  —Isola  Samoa  7390  16,li  0-2ni  319  591,745 
»  —Isole  Chatam  5520  15,b  19"»  360  667,800 
.  —Isole  Ofaro  (Tubuaij  4057  ll.Mlm  362  671,510 

>  —Isole  Sandwich  (Honolulu)  5680  12,li  37m  442  819,910 
»  — N.  Gallas  del  Sud  (New 

Castle)  7380  12,h  30         611  1,133,405 

Da  questi  pochi  dati  qualcuno  subito  volle  trarne  delle  dedu- 
zioni piuttosto  precipitate,  facendo  questo  ragionamento:  se  la  ve- 
locità impressa  al  mare  dal  maremoto  di  Arica  gli  consenti  di 
percorrere  7390  miglia  marine  in  16^» ,  02"^,  per  giungere  a  Samoa, 
mentre  la  marea  impiega  16  ore  per  lo  stesso  percorso,  le  onde  si 
propagano  a  grandi  distanze  con  uguale  velocità.  Sembrava  che 
confermasse  l'enunciato,  il  fatto  che  le  onde  del  maremoto  da 
Arica  a  Honululu  (isole  Sandwich)  impiegarono  12*^ ,  37™,  mentre 


—  71  — 

la  marea  ne  impiega  13.  Ma  l'osservatore  non  tenne  presente  che 
altro  è  il  numero  delle  ore  e  ben  altra  cosa  sono  le  miglia  marine. 
Infatti,  è  vero  che  le  onde  da  Arica  all'isola  Samoa  percorsero  7390 
miglia  marine  in  ore  16,0'2,  ma  la  velocità  in  miglia  e  oro  è  uguale 
a  319  miglia,  che  moltiplicate  per  metri  1855  ci  dà  la  velocità  in 
metri  e  ore= 591,745  ,  mentre  da  Arica  ad  Honolulu  sono  5580 
miglia  marine,  che  percorse  in  oro  12,37  danno  una  velocità  in 
miglia  uguale  a  442  e  in  metri  e  per  ora  819,910  per  i  23  mi- 
nuti di  differenza,  che  corrispondono  a  metri  314,295  ,  v'è  una 
bella  dilì'eranza. 

V'è  inoltro  che  il  terremoto  di  Arica  non  spiegò  tutta  la 
sua  energia  nel  movimento  impresso  al  mare,  poiché  nel  1884  il 
22  dicembre  a  Madera  e  nelle  Azzorre,  nell'Atlantico  il  mare  per 
una  distanza  di  545  miglia  marino  impiegò  14  minuti,  ebbe  una 
velocità,  cioè  di  quasi  42  miglia  marine  in  un  minuto,  che  corrispon- 
dono a  1295  metri  in  un  secondo.  Uosì  volendo  confrontare  la  ve- 
locità Arica-Isola  Samoa  per  ore  alla  precedente  si  ha  164  metri 
per  secondo,  o  l'altra  Arica-New  (Jastle  per  metri  e  secondi,  315. 

Queste  due  ultime  cifre  164  e  315  sono  ancora  lontane  dalla 
velocità  che  il  dinamismo  del  maremoto  può  imprimerò  all'  acqua^ 
poiché  nell'Atlantico  il  massimo  raggiunse  la  velocità  di  1  miglio 
marino  in  1  secondo,  ossia  metri  1855  per  secondo,  velocità  che 
finora  l'attrazione  lunisolare  ^)  o  il  vento  sono  molto  lontani  dal- 
l'imprimere  all'acqua  ^). 

Durante  l'eruzione  del  27  agosto  1883  dell'  isola  Krakatoa 
da  subaerea  divenne  submarina  (la  profondità  non  oltrepassava 
metri  200)  poiché  per  lo  sprofondamento  della  parte  centrale  ne 
segui  una  terribile  esplosione,  la  quale  lanciò  nell'aria  le  rovine 
del  -cratere ,  e  l'acqua  penetratavi  determinò  una  spaventevole 
agitazione  nel  mare  circostante,  giungendo  le  onde,  secondo  Ver- 
beek,  alle  seguenti  distanze: 

strada  seguita  dall'onda.   Distanza  in  miglia  marine.    Durata  in  ore.    Velocità  in  metri  e  ora 

Krakaloa-Négapatam                        1944  8,20'  119     . 

-Porto  di  Galles                1705  7,29'  123 

-Aden                                 3800  13,54'  141 

-Isola  di  Francia              2950  9.54'  162 

-Porto  Elisabetta  (Capo)  4730  13,45'  146    * 

-Banco  Grange  (Horn)    7700  10  200 

-Socoa                              11,700  27,55'  215 

-Colon  (Panama)            11,790  20,50'  294 

1)  G.  H.  Darwin:  La  marea  ed  i  fenomeni  concomitanti  del  Sistema  So- 
lare. Torino,  1905. 

2)  I  fratelli  Weber  sperimentarono  che  il  movimento  ondoso  si  propaga  con 
una  velocità  di  60  K.m  l'ora,  cioè  167  metri  per  secondo. 


—  72  — 

Le  ondti  provocate  dall'tjsplosiouo  orano  distanti  l'una  dal- 
l'altra «iOO  metri,  da  cresta  a  cresta,  alto  15  a  35  metri  e  com- 
pirono il  giro  del  globo. 

Ora  se  confronto  la  velocità  minima  per  ora  e  metri  del 
maremoto  di  Arica  clie  è  uguale  a  376,562,  con  la  minima  del- 
l'esplosione di  Krakatoa  di  metri  119,  si  rileva  1'  enorme  diife- 
renza;  come  pure,  la  massima  velocità  di  Arica  in  metri  per  ora 
6  =  1,133,505,  mentre  la  massima  di  Krakatoa  è  di  metri  per 
ora  294,  sicché  viene  riconfermata  la  significante  differenza,  stante 
che  la  velocità  da  Arica  a  New  Castle  è  di  metri  315  'per  secondo, 
mentre    la  massima  di  Krakatoa  è  di  metri    294  per  ora. 

11  Velain  calcolò  la  quantità  di  energie  contenute  in  una 
porzione  della  citata  onda  del  Krakatoa,  ad  esempio  lunga  200 
metri  e  per  una  durata  di  18  secondi,  ed  ottenne  che  corrispon- 
deva ad  una  forza  di  1350  cavalli  per  metro  quadrato. 

.  Confrontando  poi  la  velocità  massima  del  maremoto  di  Arica 
con  la  velocità  impressa  dalla  marea  alle  onde,  che  àel  Medi- 
terraneo raggiungono  l'altezza  di  3  a  5  metri,  nell'Atlantico  da 
8  a  13,  negli  oceani,  secondo  le  asserzioni  di  vecchi  naviganti,  al 
Capo  di  Buona  Speranza  giungono  a  15,  18,  fino  a  33  metri,  ri- 
sulta chiaro  che  il  dinamismo  endogeno  fa  compiere  alle  onde 
del  mare  il  giro  del  globo  in  minor  tempo  e  con  una  maggior 
velocità,  come  nell'Atlantico  ove  fu  di  1855  metri  per  secondo. 
Dai  fatti  esposti  risulta  lampante  che  gli  effetti  dinamici  del 
maremoto  e  delle  maree ,  dovuti  1'  uno  al  vulcanismo ,  le  altre 
all'attrazione  luni-solare  ed  al  vento  ,  producono  fenomeni  alle 
volte  fugacissimi,  i  maremoti,  altre  volte  di  una  durata  più  o 
meno  grande  nelle  maree,  e  poi  il  mare  ritorna  placido  ,  tran- 
quillissimo; ciò  prova  che  finita  la  causa  termina  l'effetto. .  Non 
è  così  per  le  correnti  calde  marine  che  derivano,  esse  pure,  da 
causa  vulcanica,  poiché  il  movimento  è  perenne  per  quanto  va- 
riabile, e  la  velocità  del  Gulf-Stream  oscilla  di  5  a  10  Km.  l'ora, 
ossia  metri  1,4  o  2,8  al  secondo. 

Di  modo  che  resta  stabilito  che  le  eruzioni  sottomarine  danno 
luogo  a  fenomeni  come  quelli  che  cito  a  proposito  di  ciò  che  fu 
osservato  a  Santorino  il  1°  febbraio  1866:  Una  colonna  di  fiamme 
■5  metri  alta  sopra  una  superficie  di  15  metri  quadrati.  Il  4  febbraio 
nel  punto  ove  il  mare  òoZ^iva  con  grande  attività,  a  S.  0  di  Nea, 
apparve  una  luce  abbagliante  e  dopo  sorse  dal  mare  in  mezzo 
alle  onde  un  isolotto  «  Giorgio  I.  ».  La  nuova  isola  conteneva 
sulla  superficie,  detriti  del  fondo  del  mare,  e  pure  un  pezzo  di 
carena  di  nave  affondata,  lungo  20  metri.  La  massa,  una  specie 


—  73  — 

di  mammellone,  di  giorno  nera,  di  notte  era  rossastra  ed  in  qualche 
punto  rossa.  L'  acqua  del  mare  che  circondava  la  nuova  isola 
giungeva  a  50°  C.  Dopo  pochi  giorni  l'isola  si  trasformò  in  cra- 
tere ed  entrò  in  eruzione  subaerea. 

So  questi  fatti  non  mi  fossero  stati  noti ,  e  da  anni,  non 
avrei  potuto  scrivere  il  1°  gennaio  1909  la  seguente  lettera  al 
giornale   «  Il  Mattino  »   di  Napoli: 

«  Dai  fatti,  che  ho  potuto  raccogliere  e  che  mi  riserbo  rife- 
rire all'Accademia  o  in  una  conferenza  pubblica,  risulta  che  le 
catastrofi  sono  state  provocate  da  un'abortita  eruzione  sottoma- 
rina: nell'atto  che  il  dinamismo  endogenico  violentemente  tentò 
manifestarsi  nello  stretto  di  Messina,  provocò  pure  il  maremoto, 
che  investi  più  o  meno  intensamente  la  parte  orientale  della 
bella,  quanto  sventurata  Sicilia  e  la  generosa  terra  di  Calabria  > . 

«  Non  si  presti  orecchio  all'assettamento  tettonico,  né  tampoco 
agli  epi  o  ipocentri;  poiché  se  in  epoche  remote  la  Sicilia  si  di- 
staccò dal  continente,  fu  per  la  violenza  del  dinamismo  endo- 
genico e  seguirono  le  formazioni  vulcaniche  dello  Stromboli  e 
delle  isole  Eolie  «. 

Infatti,  sapevo  che  nel  diagramma  del  Tromometrografo  Omeri 
dell'Osservatorio  di  Valle  di  Pompei  la  prima  componente  del  28 
dicembre    1908  fu  N-S  alle  ore  5,  21', 14"  e  che    ad    Ischia  era 

stata  registrata  a  ^  .^l   15  ^^  ^  Firenze  alle   5,22  com'era  stato 

registrato  ad   Osaka    alla  distanza  di  chilometri  12,678,792,  de- 
terminai   subito    la    velocità  del  terremoto  ed  ottenni: 
Messina-Ischia  4019  metri  per  secondo.  Messina — Valle  di  Pompei, 

4047  per  secondo. 
Messina -Firenze  5900. 

Come  pure,  avendo  appreso  che  ai  mareografi  del  R.  Arse- 
nale Marittimo  di  Napoli  ed  a  quello  di  Casamicciola  (Ischia) 
era  stato  registrato  il  maremoto  1908,  calcolai  la  velocità  im- 
pressa al  mare  ed  ebbi  le  seguenti  cifre  : 

Messina  —  Napoli  (Porto)  velocità  in  metri  ? 

Messina  —  Casamicciola  (Ischia)  velocità  in  metri  135  per  se- 
condo. 

Rivolgo  invito  ai  miei  contradditori  di  indicarmi  la  sorgente 
delle  energie  del  tettonismo  o  dell'assettamento  a  cui  essi  attri- 
buiscono l'immane  disastro  del  28  dicembre  1908  e  di  distrug- 
gere se  possono  con  altrettanti  fatti  e  cifre  quanto  io  ho  esposto; 
ma  per  la  serietà  d'Italia,  che  in  vulcanologia  e  geologia  man- 
tiene ancora  il  primato  tra  le  nazioni  più  evolute  del  mondo, 
che  si  smetta  il  pettegolezzo  e  si  finisca  di  perseguitare  chi  non 


—  74  — 

Ila  altro  scopo  cho  la  ricorca  della  verità,  e  si  tenga  presento 
i|uant()  il  giorno  23  aprilo  1910,  Teodoro  Roosowolt  disse;  ncjlla 
c<)iifornnj5a  tenuta  alla  Sorhoi/c  ;i  Parigi  eln*  :  -•  La  pei'scoiizione 
è  cattiva  corno  è  cattivo  l'odio».  So  un  nuovo  frate  llai'io  del- 
l'antica badia  ili  (Jorvo,  chiod(}sse  a  me:  <  che  cerchi?  »  rispon- 
derei come  rispose  Dante  Alighieri:   «  pace  », 

Cosa  devo  fare  il  Groverno  dopo  la  coscienziosa  od  impar- 
ziale relaziono  del  prof.  Blaserna,  dalla  cui  rettitudine  di  illustre 
scienziato  non  si  poteva  aspettare  di  meno?  Secondo  me  dovrebbe 
pubblicare  delia  relaziono  degli  ingegneri  Bonolli  e  Tona  tutto 
ciò  che  può  riguardare  la  scienza  od  affidare  il  materiale  che 
provocò  la  bruciacchiatura  dei  cavi  al  R.  Ufficio  Q-eologico  Ita- 
liano di  Roma  per  l'analisi  chimica  e  petrografica;  quindi  pub- 
blicare i  risultati  ^). 

Non  dovrebbe  nominare  altre  commissioni  scientifiche,  uti- 
lizzando invece  il  danaro  per  soccorrere  i  poveri  derelitti,  poiché 
colà  occorre  pane  e  ricovero  e  non  epicentri  e  aree  sismiche. 

I  fenomeni  che  hanno  desolato  la  Calabria  e  la  parte  N  E 
della  Sicilia  sono  stati  provocati  dal  vulcanismo,  il  quale,  quando 
si  manifesta  con  la  violenza  del  28  dicembre  1908  e  1  luglio 
1909,  non  rispetta  niente;  quindi  colà  non  vi  sono  aree  immuni 
o  ponti^  né  direzioni,  né  rocce  o  sabbia  e  tanto  meno  fabbricati 
che  resistano  alle  esplosioni  o  ai  terribili  sussulti.  Tutto  il  ter- 
ritorio dei  versanti  calabro-siculi  fu  smottato,  sconquassato,  fen- 

1)  Avevo  liberato  alla  stampa  il  presente  lavoro,  quando,  in  seguito  a  mia 
richiesta,  ebbi  dalla  squisita  cortesia  di  Sua  Eccellenza  Augusto  Ciufìelli,  Mi- 
nistro delle  Poste  e  dei  Telegrafi,  le  seguenti  notizie.  Mi  è  grato  intanto  di 
rendere  pubblicamente  le  più  sentite  azioni  di  grazie  al  Ministro  per  la  libe- 
ralità usatami  nell'interesse  della  scienza. 

Ecco  ora  le  notizie  che  risultano  :  «  Su  uno  dei  cavi  si  scorse  una  schiac- 
ciatura ».  «  Su  di  un  altro  cavo  si  trovarono  molti  fili  di  ferro  dell'  arma- 
tura estema  rotti,  in  3  giunture  distante  circa  lOOO  metri  l'una  dall'altra,  con 
l'armatura  scomposta  come  se  il  cavo  fosse  stato  stirato  e  schiacciato:  in  altro 
punto  la  fasciatura  appariva  bruciata  e  più  oltre  si  rinvenne  il  cavo  intera- 
ramente  rotto^  con  l' armatura  in  buono  stato,  ma  come  se  fosse  stata  strap- 
pata dal  terremoto  ». 

«  Spiacemi  di  non  poterle  spedire  il  campione  della  sostanza  che  produsse 
la  .suindicata  bruciatura^  non  risultando  che  sia  stata  a  suo  tempo  conser- 
vato ». 

Le  notizie  aggiungono  qualche  cosa  a  quelle  propalate  in  occasione  della 
rimessa  dei  cavi  e  per  me  sono  più  che  sufficienti  per  non  togliere  una  parola 
a  quanto  dissi  sulla  eruzioìic  sottomarina  del  28  dicembre  1908. 


—  75  — 

duto;  tutti  gli  edifizi  furono  danneggiati  e  per  la  massima  parte 
abbattuti.  Spettano  al  Governo  le  prudenti  disposizioni  por  la  rie- 
dificazione di  Messina  ,  di  Reggio  ,  di  tutti  i  paesi  che  furono 
così  crudelmente  colpiti. 

La  vulcanologia  ha  portato  tutto  il  suo  contributo  scienti- 
fico per  spiegare  il  fenomeno;  al  Governo  di  provvedere  per  l'in- 
segnamento nelle  Università  di  questa  scienza  ,  più  importante 
di  quanto  a  prima  vista  sembra.  Per  ora  sono  sufficienti  il  Regio 
Ufficio  Geologico  di  Roma ,  1'  Istituto  Geografico  di  Firenze  e 
Idrografico  di  Genova  per  completare  il  lavoro.  Io,  per  me.  da 
quarant'anni  ho  affrontato  disagi  e  spese  per  l'affermazione  del 
vero  ed  i  miei  lavori  non  hanno  avuto  bisogno  di  etichette  o 
sigilli  per  essere  discussi  dagli  scienziati  di  tutte  le  nazioni.  Fac- 
ciano altrettanto  gli  scienziati,  perchè  la  scienza  non  dev'essere 
mercanteggiata  e  se  oligarchie  cercano  imporsi ,  presto  o  tardi 
il  vero  si  fa  strada.  Sono  orgoglioso  di  aver  combattuto  come 
meglio  ho  potuto  1'  ipocrisia  scientifica  od  il  ciarlatanismo  e  di 
aver  sbugiardato  chi  delle  Calabrie  voleva  fare  la  sua   California! 


Contributo  allo  studio  dei  Mallofagi 

Osservazioni  sul  Menopou  pallidum 
del   socio    Euclide   Ar menante 


(con  la  tavola  I) 


(Tornata  dell' li  Marzo  10 IO) 

La  sistematica  dei  Mallofagi  è  stata  oggetto  di  molti  lavori, 
quali  quelli  dello  Schrodte,  De  Géek.  Nitzch,  Denny,  Giebkl, 
CoiNDE,  Melnikow,  Piaget,  Kònig,  Simonetta,  Picaglia,  Packard, 
Cholodkovvshy,  Neumasn,  Kkllog,  Shipley;  pochi  però  sono  coloro 
che  ne  hanno  studiato  la  morfologia  e  la  biologia  :  o  solo  inci- 
dentalmente come  il  GiEBicL,  il  Piaget,  il  Tasghknberg,  lo  Shipley, 
o  più  direttamente  come  il  Melnikow,  il  Rudow,  il  Grossk,  il 
FuLMEK,  il  Kellog,  lo  Snodgrass,  il  Wedl. 

Intrapresi  lo  studio  dei  Mallofagi,  limitando  per  ora  le  mie 
v'\i:,Qr(À\(ì-àìMeno]ìon'paìlidiim  (parassita  del  Galiiis  domesticus)^  forni;) 
comune  e  frequente,  che  offriva  perciò  facile  materiale  di  studio. 
Ciò  mi  ha  porto  l'occasione  di  fare  delle  osservazioni,  che  credo 
non  prive  d'interesse,  delle  quali  espongo  in  questo  mio  lavoro 
solamente  quelle  riguardanti  la  costituzione  dell'apparato  boccale, 
il  dimorfismo  sessuale  ed  alcuni  fatti  della  biologia. 

Apparato  boccale. 

L'apparato  boccale  dei  Mallofagi,  in  rapporto  al  loro  genere 
di  nutrizione,  consistente  in  barbe  di  penne  tagliuzzate,  presenta 
una  speciale  costituzione  e  delle  parti  caratteristiche ,  intorno 
alle  quali  sono  state  elevate  discussioni  e   controversie. 

Un  concetto  abbastanza  confuso  delle  parti  costituenti  l'ap- 
parato boccale,  sia  rispetto  alle  loro  omologie,  sia  rispetto  alla 
funzionalità,  fu  dato  dai  primi  autori  che  lo  descrissero,  quali  il 
NiTscH,  il  Denny,  il  Melnikow,  il  Rudow,  il  Piaget,  il  Taschen- 


-  77  — 

BERG.  Il  primo  ad  esporre  con  chiarezza  la  costituzione  e  l'omo- 
ogia  delle  parti  boccali  fu  il  Grosse,  seguito  poi  con  maggiori 
dettagli  dal  Kellog  e  dallo  Shipley.  Ciononostante  1'  interpre- 
tazione data  da  questi  autori  a  quella  parte  dell'  apparato  boc- 
cale detta  ipofaringe,  sclerite  esofageo  o  organo  lirifor- 
me,  e  che  è  di  grande  importanza  funzionale,  non  è  esatta;  ed 
è  intorno  ad  essa  principalmente  che  le  mie  osservazioni  mi  per- 
mettono   di  portare  un  nuovo  contributo. 

Il  Melnikow,  non  esattamente  interpretando  la  costituzione 
delle  parti  boccali  dei  Mallofagi,  venne  alla  conclusione  che  essi 
siano  degl'  Insetti  succianti.  Alle  medesime  conclusioni  veniva 
il  RuDow,  che  li  avvicinava  perciò  agli  Emittori. 

Benché  il  Grosse  abbia  perfettamente  dimostrato  essere  l'ap- 
parato boccale  dei  Mallofagi  masticatore,  purtuttavia  sono  stato 
condotto  ad  occuparmi  della  quistione  da  un  osservazione  che 
mi  è  occorso  di  fare  sul  Meìiopon  :  una  volta  mi  avvenne  di  tro- 
varne uno,  che  fortemente  aderiva  sul  rachide  di  una  penna,  nel 
punto  ove  vi  era  un  foro  da  cui  vedovasi  venir  fuori  una  goccia 
di  sangue. 

Osservai  il  contenuto  intestinale  di  questo  animale  e  non  vi 
trovai  traccia  di  sangue  ;  in  seguito  osservai  il  contenuto  dell  in- 
testino di  molti  altri  individui  senza  rinvenirvi  altro  che  brani 
di  barbule  di  penne,  mai  alcuna  traccia  di  sangue  o  residui  di 
tessuti  epiteliali.  Ciò  conferma  quanto  risulta  dalla  costituzione 
dell'apparato  boccale,  che  è  tipicamente  masticatore,  come  si  ri- 
leverà dalla  descrizione  che  segue. 

Le  parti  dell'apparato  boccale  non  si  possono  bene  distin- 
guere, se  non  si  acquista  una  certa  pratica  nella  preparazione 
di  esse. 

Per  la  dissociazione  dei  pezzi  boccali  mi  son  servito  del- 
l'acqua di  Javelle  e  della  potassa  caustica  al  5  °/o,  tenendovi  gli 
animali  nella  prima  por  otto  giorni  e  nella  seconda  per  due. 

Debbo  notare  che  mi  son  giovato  molto  bene  della  fissazione 
col  liquido  di  Leuwen  anche  per  le  osservazioni  dei  pezzi  boccali 
in  sito,  poiché  l'acido  picrico  che  tingeva  l'Insetto  in  giallo  mi 
dava  agio  di  poter  distinguere  i  diversi  pezzi  con  sufficiente 
chiarezza.  Però  molte  cose  dell'apparato  boccale  le  ho  meglio 
viste  sul  vivo,  perchè  riesce  più  facile  distinguere  e  notare  i 
rapporti  reciproci  dei  diversi  pezzi,  allorché  essi  sono  in  movi- 
mento. Rendevo  più  attivi  i  movimenti,  permeglio  seguirli,  im- 
mergendo l'animale  in  acqua  per  asfissiarlo. 


—  78  — 

L'apertura  bofcalo  imbutiforme  si  apre  noUa  porzione 
antorionì  rUiUa   taccia  voutralc    dol   caj^o. 

Autcriormuutc  ossa  è  limitata  dal  la,  l)l)ro  su  pc  riorc  (Fig. 
1  Is)  ad  orlo  regolare  e  circondato  da  numerosi  poluzzi;  poste- 
riormente è  contornata  dal  lal)bro  inferiore  (Fig.   1  li,n). 

L'apparato  boccale  del  Menopon  pallidum  è  completo,  cioè 
a  diro  comi)ronde  tutto  le  parti  che  si  riscontrano  tipicamente 
nei  Mallofagi,  (puili  il  labbro  superiore,  le  mandibole,  le 
mascelle  e  il  labbro  inferiore,  più  quell'organo  speciale  in- 
dicato quale  ipofaringe  o  organo  1  iriformo,  che  io  mostrerò 
esser  parte  di  quell'apparecchio  che  chiamo  isopogomot  ro. 

Labbro  superiore. 

11  labbro  superiore  (Fig.  1  Is)  è  una  ripiegatura  del  mar- 
gine anteriore  della  superficie  ventrale  del  capo;  esso  è  sottile, 
membranoso  e  non  molto  ampio,  come  negli  altri  Fillotteridi;  i 
suoi  margini  all'esterno  e  all'  interno  mostrano  un  is[)essimento 
chitinoso,  su  cui  sono  attaccate  delle  setole  e  dei  peluzzi  disposti 
in  fila,  ma  non  molto  avvicinati  fra  loro.  Come  vedremo  descri- 
vendo il  modo  di  funzionare  dell'apparato  boccale,  quest'organo 
non  porge  alcun  contributo  alla  prensione  delle  barbule;  esso  nel 
Menopon  deve  considerarsi  come  semplice  organo  di  adesione, 
che  fissa  l'apparato  boccale,  lasciando  alle  altro  parti  il  compito 
di  aiferrare  e  tagliare  lo  barbule. 

Mandibole. 

Le  ma  n  di  bolo,  potenti  mezzi  per  tagliare  le  barbule,  sono 
dei  forti  pezzi  chitinosi  che  visti  in  sito  (Fig.  1  m<l)  appariscono 
irregolarmente  triangolari  ;  si  trovano  in  un  piano  parallelo  al 
capo. 

In  ogni  mandibola  (Fig.  2j  si  distinguo  una  porzione  ba- 
sale e  due  lunghi  denti  larghi  alla  baso,  leggermente  curvati 
all'estremo  e  por  buon  tratto  fusi  tra  loro,  formando  un  incavo, 
in  cui  viene  ad  ingranarsi  un  dente  della  mandibola  dell'altro 
lato.  Si  ottiene  così  una  specie  di  forbice,  nella  quale  vien  presa 
la  barbula  por  essere  tagliata. 

La  parte  basale  della  mandibola  presenta  una  faccetta  arti- 
colare concava  e  duo  condili,  la  faccetta  articolare  ed  uno  dei 
condili  sono  esterni,  entrambi  si  articolano  rispettivamente  con 
un  condilo  ed  una  faccetta  articolare,  che  fanno  parte  di  un  forte 


—  79  — 

apodema  (Fig.  1  ap),  posto    lateralmente    al  capo,  in  corrispon- 
denza della  guancia. 

L'altro  condilo  è  interno  e  si  articola  con  una  cavità  arti- 
colare posta  alla  porzione  anteriore  di  ciascuna  delle  branche 
dell'organo  liriforme. 

Mascelle. 

In  un  piano  inferiore  a  quello  delle  mandibole,  fra  queste 
ed  il  labbro  inferiore ,  completamente  nell'  interno  della  cavità 
boccale,  si  scorge  il  secondo  paio  di  appendici  boccali,  le  mascelle. 
Queste,  se  in  altri  Insetti  hanno  la  funzione  di  triturare,  qui  non 
restano  passive,  come  vorrebbe  il  Grosse  (pag.  537),  ma  hanno 
invece,  come  vedremo  in  seguito,  la  funzione  di  afferrare  la  bar- 
bula  ed  introdurla  nella  cavità  boccale,  e  non  a  torto  il  Kello» 
(pag.  443)  intuisce,  per  la  presenza  dei  muscoli  attaccati  ad  esse, 
che  debbano  avere  una  determinata  funzione. 

Il  NiTscH  riscontrò  nelle  mascelle  dei  Mallofagi  un  paio  di  palpi 
mascellari.  Il  Rudow  ne  riscontrò  ancora  e  con  lui  tutti  gli 
altri  autori  che  seguirono  (Denny,  Giebel,  Piaget,  Taschenberg) 
fino  al  Grosse,  il  quale  pel  primo  mostrò  che  nei  Mallofagi 
lo  mascelle  sono  sfornite  di  palpi  e  che  queste  appendici  ap- 
partengono al  labbro  inferiore  ;  ciò  che  fu  perfettamente  am- 
messo poi  dallo  Snodgrass  ,  Watkrhouse,  Kellog  e  dallo  Shi- 
PLEY,  che  posteriormente  si  occuparono  dell'apparato  boccale  di 
questi  animali. 

Le  mascelle  (Fig.  3)  del  Menopon  molto  delicate,  lievemente 
chitinose,  senza  traccia  di  divisione  in  scleriti,  sono  alquanto 
simili  a  quelle  che  il  Grosse  ha  descritte  pel  suo  Tetrophlahnus 
chilensis  (secondo  ìL^lijOG  -  Menopon  titan):  hanno  la  forma  ap- 
prossimativamente conica  con  la  base  sferica  e  ricoperta  in  tutta 
la  sua  superficie  di  fitti  e  piccoli  dentini  chitinosi ,  ricurvi  ad 
uncini,  rivolti  indietro  e  che  danno  l'aspetto  di  spazzola  a  questa 
faccia  della   mascella. 

Il  cono  si  allunga  verso  la  parte  laterale  del  capo,  riducen- 
dosi verso  il  vertice  ad  un  sottile  peduncolo. 

Le  due  superficie  a  spazzola,  toccandosi  per  la  porzione  po- 
steriore, formano  una  sorta  d'imbuto  in  cui  viene  a  cadere  la 
barbula.  Per  la  posizione  dei  dentini,  con  i  loro  movimenti  con- 
cordi e  continui  possono  man  mano  introdurre  e  spingere  la 
barbula  nel  faringe. 


—  80  — 

Lal)bro  inftiriore. 

N«>l  labl)ro  inferiore  [Fìg.  1.  Un  o  Fig.  4)  la  ligula 
(Fig.  1  e  4,  li)  presenta  due  j)rotuberanze  ricoperte  di  peluzzi:  esse 
sono  le  glosse  (Fig.  1  o  4,  gl.y^  ai  lati  di  queste,  altro  due  protube- 
ranze su  cui  si  articolano  le  paraglosse  (Fig.  4  ;)^Z),  anch'esse 
fittamente  coperte  di  peluzzi.  Posteriormente  alla  ligula,  il  men- 
tuui  (Fig.  1  e 4,  ?wn)  si  allunga  dai  due  lati;  anteriormente  agli 
estremi  di  osso,  si  articolano  i  palpi  labiali  (Fig.  1  e  4,  ^/6h Questi 
sono  l'ostituiti  da  4  articoli,  tutti  poco  differenti  fra  loro,  ciascuno 
fornito  di  radi  peli;  T  ultimo  articolo,  di  poco  più  lungo  e  slan- 
ciato e  di  forma   cilindrica,  porta  un  ciuffetto  di  peli  tattili. 

Apparato    isopogometrico. 

Fra  le  mascelle  ed  il  labbro  inferiore  si  riscontra  un  insieme 
di  pezzi  strettamente  collegati  fra  loro,  che  si  approfondano  nel 
primo  tratto  del  faringe,  sono  in  connessione  con  l'apparato 
boccale  e  contribuiscono  a  formare  il  pavimento  inferiore  della 
faringe,  costituendo  ciò  che  io  chiamo  apparato  isopogometrico. 

Questa  è  parte  importantissima  nel  funzionamento  dell'ap- 
parato boccale  dei  Mallofagi;  i  pezzi  che  la  costituiscono  non 
sono  stati  esattamente  osservati  ed  interpretati,  ed  a  tutti  gli 
osservatori  che  mi  hanno  preceduto  è  sfuggito  la  notevole  fun- 
zione di  questo  apparecchio. 

Distinguerò  in  esso  le  seguenti  parti  : 

a)  un  pezzo  fondamentale:  l'organo  li  riforme. 

b)  un  imbuto  dentato. 
e)  due  pezzi  basali. 

Organo  libiforme  (Fig.  5  oZ).— E  la  parte  principale  dell'ap- 
parecchio, di  maggiori  dimensioni  e  posto  nel  centro.  Probabil- 
mente è  quello  che  fu  indicato  come  ipofaringe  dal  Rupow, 
che  credette  riconoscervi  i  caratteri  di  un  organo  succiante. 

Il  Melnikow  lo  considerò  come  labbro  inferiore  e  lo  omologò 
ai  pezzi  succianti  dei  Pediculini,  dal  che  dedusse  che  i  Mallofagi 
fossero  Insetti  succianti.  Il  Grossk  escludendo  che  si  tratti  di 
un  organo  succiante  si  limita  a  indicarlo  (p.  540)  «  nur  als  eine 
chitinose  Bildung  der  Schlundintima  ». 

Il  Kelloq  in  un  primo  lavoro  (1)  indica  (|uesto  pezzo  an- 
ch'egli  come  labium,  ma  in  un  lavoro  s(3guente  (2)  lo  ritiene  in- 
dipendente dal  labbro,  lo    chiama  sclerite    esofageo  e   ne  dà 


—  Si- 
la descrizione  principalmente  per  V Eurymetojìtis  taiirus;  anche  egli 
con  il  GrROssE  non  ammette  che  esso  sia  un  organo    di   succia- 
monto,  perchè  ha  visto  sempre  nutrirsi  di  barbule  i  Mallofagi  e 
non  ha  mai  notato  nello  stomaco  di  essi  altro  che  barbule. 

Lo  Shipley,  che  ha  disegnato  questo  sclerite  esofageo  in 
varii  Mallofagi,  lo  chiama  pel  primo  organo  liriforme. 

Non  entro  in  discussione  sul  valore  morfologico  di  questo 
pezzo,  convengo  collo  Shipley  (pag.  B14)  che  probabilmente  esso 
possa  corrispondere  all'ipofaringe,  ma  le  osservazioni  fatte  finora 
non  sono  sufficienti  per  una  esatta  interpretazione;  tanto  più  che 
il  Grosse  (p.  540)  ed  il  Kellog  (p.  450)  avrebbero  riscontrato 
in  altri  Mallofagi  un  pezzo  corrispondente  per  posizione  alla 
vera  ipofaringe  degli  altri  Insetti.  Le  loro  osservazioni  però  nean- 
che sono  sufficienti  a  dimostrare  queste  omologie,  per  le  quali 
sarebbe  necessaria  una  indagine  embriologica.  Epperò  io  mi  limito 
a  chiamare  con  lo  Shipley  questo  pezzo  organo  liriforme, 
proscindendo  dal  suo  valore  morfologico,  mettendo  qui  soltanto 
in  rilievo  la  sua  importanza  funzionale. 

L'organo  liriforme  del  Menopon  si  articola  dai  due 
lati  con  le  mandibole  (Fig.  1  ol).  In  esso  si  distingue  un  corpo 
e  due  branche;  il  corpo  (Fig.  5,  col)  visto  dal  dorso  si  pre- 
senta profondamente  incavato,  in  modo  che  in  esso  si  scorgono: 
una  parete  posteriore  che  si  ripiega  alquanto  nel  suo  margine 
inferiore;  due  pareti  laterali  forate  largamente  in  modo  da  co- 
stituire due  anelli  che  danno  inserzione  a  forti  muscoli;  una 
parete  inferiore  in  cui  si  distinguono  due  aperture,  una  posteriore 
ellittica,  lunga,  con  i  bordi  ispessiti,  ed  una  anteriore  più  piccola 
circolare. 

Queste  due  aperture  mostrano  nell'interno  della  parete  in- 
feriore del  corpo  dell' ipofaringe  una  gronda  a  fondo  cieco.  In 
una  sezione  longitudinale  del  Menopon  (Fig.  6)  si  scorge  bene 
questa  gronda  (Fig.  6  gol),  che  termina  nello  spessore  della  parete 
dell'organo  liriforme.  Anteriormente  il  corpo  dell'organo  in  parola 
si  continua  biforcandosi  a  V,  le  cui  branche  (Fig.  5  hol)  sono 
nella  loro  porzione  posteriore  cave,  piene  anteriormente,  e  si  ter- 
minano con  due  superficie  articolari,  sulle  quali  si  articolano  i 
condili  interni  della  mandibola,  come  ho  già  accennato. 

Pezzi  basali.  —  Il  Kellog  (2)  nota  in  Eurymetopus  taurus 
(p.  449)  che  «  Lying  ventral  to  te  sclerite  (organo  liriforme)  are 
two  structures  wich  appear  to  be  glands,  and  are  connected  with  it 
by  a  duct.  »  La  superficie  ventrale  di,  queste  «  glande-like  stru- 

6 


—  82  — 

ctures  »  è  convessa  e  la  dorsale  concava  (p.  462).  Ognuna  di  esse 
è  rivestita  di  «  a  tliiu  chitinous  onvelope  >.  Dalla  superliciu  ven- 
trale dell'  estremo  posteriore  «  of  the  gland  »  parto  un  dotto  che 
fondesi  con  quello  dell'altro  lato,  formando  un  canale  unico  che 
va  all'organo  liriforme.  «  The  free  portion  of  the  duct  consi- 
stos  of  an  inner  chitinous  tube  continuous  with  that  soldered  to 
the  glauds,  but  in  addition  to  this  there  is  an  outer  portion  com- 
posed  of  a  series  of  closely  set,  chitinous  rings,  surrounding  the 
tube  ».  Ritrova  queste  glandole  con  i  dotti  in  Ooniodes  cervicornin 
(p.  466).  Ne  riscontra  ancora  assieme  allo  sclerite  esofageo  in 
tutti  gli  Ischinocera  da  lui  osservati  e  in  due  individui  del  genere 
Amhlycera  (p.  460).  Egli  chiama  queste  glandole  nella  spiegazione 
delle  figuro  «  linguai  gland  ».  Queste  glandole  con  i  dotti  furono 
riscontrate  molto  sviluppate  in  Ooniodes  dallo  Shipley  (p.  316^, 
che  nota  «  Their  ducts  are  cross-barred  like  a  trachea  ». 

Il  Kellog  dà  un  disegno  di  queste  glandole  a  contorno  ovale 
molto  regolare  per  1'  Eurymetopus  taurus  (Plt.  LXII  fìg.  7  e  8); 
molto  più  irregolare  è  il  contorno  nei  disegni  dati  dallo  Shipley 
per  il  Goniodes  tetraonis  (Pls.  XXXVI,  fig.  6,  Pls.  XXXV^II  fìg.  7 
e  Pls.  XXXVIII  fig.  8).  Inoltre  nei  disegni  di  quest'  ultimo  le 
glaudule  non  presentano  la  convessità  ammessa  dal  Kellog,  ma 
appaiono  completamente  piane. 

Tanto  meno  vi  ho  riscontrato  un  contorno  ovale  e  regolare 
nel  Menopon,  nel  quale  appariscono  quadrangolari  (Fig.  6  pò)  e 
con  l'orlo  esterno  ripiegato  in  dentro.  Inoltre,  nelle  dissezioni  essi 
si  presentavano  laminari  ed  abbastanza  resistenti  ,  non  quali 
avrebbero  dovuto  essere  se  fossero  stati  rivestiti  solo  di  un  liev(; 
strato  di  chitina.  Trattati  con  potassa  conservavano  la  medesima 
resistenza.  Nulla  in  essi  mi  faceva  supporre  la  struttura  di  una 
gianduia.  Visto  però,  che  il  Kellog  medesimo  afferma  che  esse 
sono  rivestite  di  uno  strato  di  chitina,  ricorsi  alle  sezioni  per  as- 
sicurarmi della  loro  natura.  I  miei  preparati,  come  mostra  la 
Fig.  7,  mi  convinsero  pienamente  che  in  ogni  caso  qui  non  si 
tratta  affatto  di  glandule,  come  hanno  preteso  il  Kellog  e  lo 
Shipley,  e  che  questi  corpi  si  presentano  in  sezione  come 
delle  lamine  chitinose,  che  io  chiamo  pezzi  basali.  I 
due  cordoni  (Fig.  6  td)  che  ad  essi  s'inseriscono,  di  natura  assolu- 
tamente chitinosa  anch'essi,  non  sono  dotti  glandolari,  ma,  come 
vedremo,  soltanto  dei  tendini. 

Questi  pezzi  basali  (Fig.  6  pb)  nel  Menopon  si  trovano  fra 
l'organo  liriforme  e  le  mascelle.  Sono  lamine  chitinose  a  contorno 
quadrangolare,  concave  dorsalmente  e  con  l'orlo  esterno  ripiegato 


i 


—  83  — 

indietro.  Nel  loro  margiue  anteriore  presentano  una  fenditura,  che 
forma  due  lobi  per  ciascun  pezzo;  quasi  nel  punto  di  mezzo  della 
loro  superficie  concava  si  osservano  due  bottoni,  ai  quali  vanno 
ad  attaccarsi  due  cordoncini  chitinosi  (Fig.  5  td)  striati  trasversal- 
mente come  trachee,  come  ha  notato  lo  Shipley  (i  voluti  con- 
dotti dello  volute  glandule  linguali).  Questi  cordoncini  si  riuni- 
scono in  un  tendine  chitinoso  unico,  che  va  ad  inserirsi  al  punto 
di  sutura  delle  due    branche  dell'organo  liriformo. 

Imbuto  dentato. — Dai  due  tratti  d'inserzione  delle  due 
branche  del  tendine  suaccennato  sorgono  anche  altri  due  cordoni 
chitinosi,  che  man  mano  si  slargano  in  due  lamine  (Fig.  5  id) 
molto  trasparenti,  che  internamente  sono  a  margine  curvo,  al 
quale  si  inseriscono  due  ordini  di  denti  chitinosi  per  ogni  lato. 
Questi  denti  chitinosi  sono  rivolti  verso  l'esofago,  in  modo  da 
formare  una  specie  d'imbuto  dentato,  che  termina  presso  l'organo 
1  informe. 

Come  vedremo  quest'imbuto  prende  anch'esso  parte  al  funzio- 
namento dell' isopogometro. 

Funzionamento  delle  parti  boccali. 

Mi  ha  colpito  il  fatto  di  aver  riscontrato  nello  stomaco  del 
Menopon  delle  barbule  tutte  della  medesima  dimensione,  tagliate 
come  con  un  apparecchio  di  misura  (Fig.  8  hr). 

Mettendo  in  relazione  le  conoscenze  anatomiche  acquistate 
con  i  fatti  osservati  sul  vivo,  dopo  ripetute  osservazioni  ho  potuto 
notare  la  parte  che  pigliano  i  varii  pezzi  nel  funzionamento  del- 
l'apparato boccale  del  Menopon.,  mostrando  l'importanza  di  queste 
nell'introduzione  delle  barbule  di  penne  e  nello  spezzettamento 
di  esse. 

Il  labbro  superiore  aderisce  alla  barba,  fissando  a  questa  la 
bocca. 

Il  labbro  inferiore  ed  i  palpi  labiali  stanno  in  continuo  moto 
di  protrusione  e  di  retrazione,  palpando  le  varie  barbule  e  fa- 
cendo come  una  cernita  per  scegliere  quelle  più  sottili. 

Le  mascelle  prendono  la  barbula  con  la  grande  e  robusta 
superficie  delle  due  spazzole,  che  le  ricoprono  mediante  continui 
movimenti  di  avanti  e  indietro  e  la  introducono  nell'  interno  della 
cavità  boccale. 

Ivi  trovano  aperto  l'imbuto  dentato  dell'isopogometro,  que- 
sto imbuto  credo  che  abbia  funzione  passiva,  in  quanto  pare  non 
serva  ad  altro  che  a  far  si  che  la  barbula  che  viene  spinta  dalle 
mascelle,  segua  una  determinata  direzione. 


.„  84  — 

L'organo  liriforme  durante  l'introduzione  del  pelo  nell'appa- 
rato boccale  resta  inclinato  in  posizione  tale  che  le  sue  branche 
laterali  sono  abbassate  (posizione  indicata  con  la  lettera  a  nello 
schema  rappresentato  dalla  Fig.  9),  ed  il  foro  anteriore  si  trova 
nella  direzione  della  barbula,  che  traversa  l'imbuto  dentato. 

Spinta  dalle  mascelle  la  barbula  penetra  nella  cavita  a  fondo 
cieco  tlella  gronda  dell'organo  liriforme:  quando  la  barbula  urta 
contro  il  fondo,  il  Me7iopon  cessa  il  movimento  collo  mascelle.  Al- 
lora le  mandibole  incrociano  le  loro  punte  robuste  e  taglienti,  e 
con  un  colpo,  come  una  forbice,  tagliano  la  barbula. 

Dopo  tagliata  la  barbula  l'organo  liriforme  si  sposta,  levando 
in  alto  le  sue  branche  (posizione  indicata  con  la  lettera  h  nello 
schema  rappresentato  dalla  Fig.  9),  tirato  dai  muscoli  che  si  tro- 
vano attaccati  al  margine  delle  branche  medesime,  cosi  lascia 
libera  l'apertura  del  faringe  e  permette  alla  barbula  di  passare 
neir  esofago. 

Dopo  di  che  l'organo  liriforme  ritorna  al  suo  posto  per  l'a- 
zione del  tendine  chitinoso,  che  lo  lega  ai  suoi  pezzi  basali. 

Ciò  lascia  evidentemente  dedurre  che  l'organo  liriforme  è 
destinato  a  tagliare  i  segmenti  di  barbula  da  ingerire  iu  deter- 
minata misura,  onde  il  nome  di  isopogometro  (da  Ti(à-]Oc,  barba). 

L'apparecchio  misuratore  ora  descritto,  come  si  rileva  dai  di- 
segni dati  dagli  altri  autori,  si  trova  in  tutte  le  specie  di  Menopon. 
ma  finora  non  ora  stato  da  alcuno  esattamente  descritto,  né  ri- 
conosciuto il  suo  modo  di  funzionare. 

Organo  copulatore  maschile. 

L'  orificio  esterno  degli  organi  riproduttori  maschili  si  trova 
sempre  nella  porzione  anteriore  del  9"  segmento;  da  esso  al  mo- 
mento dell'accoppiamento  fuoriesce  l'organo  copulatore. 

Questo  comprende  due  parti  :  un  pene  tubulare  ed  un  insieme 
di  pezzi  accessori  chitinosi  collaterali  (peri  fai  lo)  che  coadiuvano 
il  pene  nell'accoppiamento.  11  Grosse  pel  Teirophtalmus  cliilensis 
studia  l'organo  copulatore  in  sito,  quando  cioè  le  varie  parti  non 
sono  tutte  distese  come  allorché  il  pene  é  estroflesso.  Egli  dice 
soltanto  che  il  pene  è  formato  dal  dotto  eiaculatore,  dalle  glan- 
dole  accessorie  e  dal  pene  propriamente  detto,  che  ha  una  forma 
conica  ingrossata  anteriormente. 

Nel  Menopon  pallidnm  l'apparecchio  copulatore  maschile,  al- 
lorché non  é  estrotiesso,  è  visibile  per  trasparenza;  però  si  scorge 


—  86  — 

molto  confusamonte,  perchè  lo  parti  chitinose  che  lo  costitascono 
nello  stato  di  riposo  sono  sovrapposte. 

A  me  è  riuscito  una  sola  volta,  durante  le  ripetute  osserva- 
zioni, di  vedere  un  pene  estroflesso  in  un  animale  morto  asfissiato: 
per  quanti  altri  tentativi  avessi  fatto,  mai  mi  è  riuscito  poter  ot- 
tenere l'estroflessione  del  pene.  I  pezzi  chitinosi  che  costituiscono 
il  perifallo  corrispondono  ai  pez/j  del  medesimo  apparecchio  ri- 
scontrato in  altri  Insetti. 

Gli  apodemi  di  sostegno  all'armatura  copulatrice  sono  in 
numero  di  quattro,  dei  quali  due  (apodemi  anteriori)  (Fig.  12 
alia)  hanno  una  forma  conica  molto  allungata.  Questi  sono  im- 
mobili cosi  nel  pene  estroflesso,  come  in  quello  retratto. 

Gli  altri  due  (apodemi  posteriori)  (Fig.  12,  app),  molto 
lunghi,  distinti  fra  loro,  vanno  ad  articolarsi  coi  primi,  e  sono 
robusti  nella  loro  porzione  anteriore,  ma  presto  si  fondono  in  un 
pezzo  unico,  membranoso,  che  rimane  ispessito  solo  al  contorno, 
e  su  cui  poggia  il  pene.  Pezzo  che  sembra  di  guida  al  pene 
quando  viene  introdotto  nella  vagina;  esso  è  mobile. 

Al  di  sopra  degli  apodemi  si  trovano  altre  due  listerelle  chi- 
tinose (Fig.  12,  Ich)^  le  quali  vanno  l'una  incontro  all'altra  e  pare 
servano  di  sostegno  alla  base  del  pene. 

In  un  piano  inferiore  si  trova  poi  l'i  pò  fa  Ilo  (Fig.  12  i  jp),  rap- 
presentato da  un  pezzo  unico  anteriormente  e  che  nella  porzione 
posteriore  si  biforca  in  due  robuste  branche  claviformi,  longitu- 
dinalmente striate  nella  parte  laterale. 

Tra  le  due  branche  dell' ipofallo  vien  fuori  il  ^jene  (Fig.  i2j)) 
che  è  cilindrico,  all'estremità  è  rigonfio  e  leggermente  ricurvo. 
Ancora  in  un  piano  superiore  sta  una  lamina,  che  nella  parte 
posteriore  si  allarga  in  una  espansione  semimembranosa,  arro- 
tondata al  margine,  e  punteggiata;  essa  è  la  membrana  peri- 
fallica  (Fig.  12  mprf),  che  ricopre  il  pene  dalla  parte  supe- 
riore. Con  l'estroflettersi  del  pene  vengono  fuori  anche  due  liste 
chitinose  laterali ,  che  potrebbero  distinguersi  col  nome  di  1  i  - 
sterelle  parafalliche  (Fig.  12  lprf\  che  si  articolano  all'e- 
stremo anteriore  degli  apodemi  posteriori. 

Organi  copulatori  accessorii  femminili. 

Nella   femmina   1'  apertura  anale  (Fig.  11  an)  sbocca  al  di- 
sotto della  ripiegatura  ventrale  della  chitina  del  nono  urite.  Questo 
P"    nono  urite  porta  ai  lati  due  brevi  appendici  che  potrebbero  dirsi 
paravulve  (Fig.  11  prò)]  esse  hauuo  la  forma  di  piccole  alette 


—  86  — 

rotondeggiarti  e  sembra  che  siano  destinate  a  favorire  l'accop- 
piamento, in  qiiMiito  nella  copula  si  dispon^rono  in  direziono  delle 
due  listurelle  parat'alliclio,  con  le  quali  sembra  si  mettano  in  re- 
laziono. 

Così  il  masoliio  terrebbe  fermo  l'addome  della  femmina  du- 
rante la  copulazione,  oltreccliè  col  terzo  paia  di  zampe,  anche 
con  le  listerelle  parafalliche.  • 

Dimorfismo  sessuale. 

Già  da  un  esame  superficiale  e  senza  armare  l'occhio  di  al- 
cuna lente  si  può  distinguere  il  maschio  dalla  femmina  per  la 
forma  generale  del  corpo,  in  rapporto  all'ultimo  segmento,  in- 
quantocchè  essendo  questo  nella  femmina  più  lungo  e  ristretto 
(Fig.  11)  tutto  l'animale  appare  più  lungo  del   maschio. 

Il  capo  nel  maschio  è  più  corto  che  nella  femmina.  Anche 
nella  lunghezza  del  torace  si  osserva  una  piccolissima  differenza, 
specialmente  per  il  protorace  che  è  più  lungo  nella  femmina  che 
nel  maschio.  Il  mesa-metatorace  poi  nel  suo  margine  libero  è 
tutto  contornato  di  peli,  i  quali  sono,  nella  porzione  posteriore, 
in  numero  di  12  nel  maschio  e  avvicinati  fra  loro  e  di  varia 
lunghezza,  mentre  nella  femmina  sono  in  numero  di  10  e  tutti 
della  medesima  lunghezza.  Questo  rapporto  è  costante.  Le  zampe 
del  maschio  sono  più  robuste  di  quelle  della  femmina. 

Il  Grosse  nota  nel  Tetrophtalmus  una  differenza  tra  le  tibie 
delle  tre  paia  di  zampe  del  maschio  e  quelle  della  femmina;  ma 
nel  Menopon  pallidnm  le  tibie  sono  delle  medesime  dimensioni  e 
robustezza  in  tutti  e  due  i  sessi. 

I  caratteri  differenziali  più  importanti  sono  da  notarsi  nel- 
l'addome. L'  addome  ha  forma  ovale  allungata  ed  è  sessile.  Il 
Grosse  nel  suo  Tetrophtalmus  chilensis  (Menopon  tetan),  os- 
servò che  nella  femmina  l'addome  è  costituito  da  10  segmenti 
e  nel  maschio  di  9.  Guardando  gli  animali  ventralmente,  anche 
nel  Menopon  pallidum,  l'addome  della  femmina  sembra  costituito 
da  10  segmenti;  però,  osservandoli  dalla  parte  dorsale  si  conta  lo 
stesso  numero  di  uriti  che  nell'addome  del  maschio. 

Secondo  le  mie  osservazioni,  deve  ritenersi  quindi  che  il  numero 
dei  segmenti  è  lo  stesso  in  tutti  e  due  i  sessi  (9)  e  che  il  nono 
urite  della  femmina  (Fig.  11)  presenta  ventralmente  una  ripie-' 
gatura  che  dà  l'apparenza  di  un  segmento  a  parte.  I  primi  otto 
uriti  sono  della  medesima  lunghezza  nel  maschio  e  nella  femmina 
e  dorsalmente  portano  all'orlo  posteriore  ognuno  una  fila  di  peli, 


—  87  — 

costante  iu  numero  per  ogni  urite.  Il  nono  urite  nella  femmina 
porta  per  ogni  lato  un  gruppo  di  setole  molto  lunghe,  che  sor- 
passano l'estremo  dell'addome.  Le  corrispondenti  setole  del  ma- 
schio sono  molto  brevi. 

Ai  lati  poi  di  ciascuno  degli  otto  uriti  anteriori  in  entrambi 
i  sessi  si  osserva  dorsalmente  una  setola  lunghissima  accompa- 
gnata da  un'  altra  più  piccola,  tutte  e  due  poste  alla  base  delle 
stimme,  mentre  nella  faccia  ventrale  di  ciascun  urite  si  notano, 
nella  porzione  media,  delle  setole  inserite  in  due  file,  l'una  fila 
anteriore  all'altra;  però  nella  parte  mediana  della  faccia  ventrale 
del  4»  urite,  mentre  nella  femmina  vi  sono  due  file  di  peli  come 
negli  altri  uriti,  nel  maschio  ve  ne  è  una  sola  fila.  Questi  due  gruppi 
di  setole,  assieme  ad  altri  due  gruppi  che  ho  notati  sulla  super- 
ficie ventrale  del  femore  del  3»  paio  di  zampe,  costituiscono  un 
importante  carattere  specifico  del  Meìiopon  pallidnm^  e  l'ho  vo- 
luto qui  notare,  perchè  mi  sorprende  come  esso  sia  sfuggito  agli 
osservatori  che  hanno  studiata  la  sistematica  dei  Mallofasfi. 

L'apertura  anale  in  entrambi  i  sessi  è  terminale,  mentre 
l'apertura  genitale  si  trova  dalla  parte  ventrale  e  nella  femmina 
non  molto  distante  dalla  anale. 

Nel  maschio  l'ultimo  anello  è  molto  corto  in  paragone  di 
quello  della  femmina  e  presenta  marginalmente  quattro  lunghe 
setole  (Fig.  lOj.  Nella  femmina  1'  ultimo  anello  oltre  ad  essere 
più  lungo  è  anche  molto  ristretto;  il  suo  margine  posteriore  è 
circondato  da  una  corona  di  setole  grosse,  che  all'estremità  del- 
l'urite, in  prossimità  dell'apertura  anale  si  fanno  più  lunghe. 

Nel  maschio  intorno  al  margine  anteriore  dell'apertura  ge- 
nitale (Fig.  10  ag)  si  nota  una  serie  di  otto  piccolissime  setole, 
mentre  il  margine  posteriore  dell'ultimo  urite  presenta  ventral- 
mente quattro  lunghissime  setole,  due  per  ogni  lato. 

Nella  femmina  invece  (Fig.  11),  anteriormente  alla  ripiegatura 
della  cuticola  al  disopra  dell'apertura  genitale,  si  osservano  due 
serie  di  peli;  una  serie  anteriore  di  sei  peli  disposti  ad  arco  e 
abbastanza  lontani  l'uno  dall'altro,  ed  un'altra,  posteriore,  fatta 
di  peli  molto  più  piccoli  e  molto  numerosi. 

Nella  femmina,  lungo  l'orlo  della  ripiegatura  che  si  forma  nel 
mezzo  del  nono  segmento,  si  trova  una  fitta  serie  di  spine  chi- 
tinose  forti  ma  brevissime. 


—  88  — 

Note  biologiche. 

l.o  Aumonto  in  numoro  dei  Mojiovon  in  rapporto  alla 
stagione  od  alle  condizioni  doU'animalo  sul  quale  sono 
parassiti. 

Il  Meìwpon  pallidum  mena  vita  puramente  parassitaria:  sul 
Gallus  ilomesticus  è  la  specie  più  frequente.  Esso  è  più  abbon- 
dante in  estate,  tanto  da  arrecare  spesso  gran  noia  all'ospite. 
Mi  pare  degno  di  nota  il  fatto  che  mentre  in  inverno  riscontravo 
sul  Oallns^  assieme  al  Meiiopon  pallidum,  anche  due  altre  specie 
di  Mallofagi  ed  in  numero  anche  abbastanza  rilevante,  d'estate 
invece  questi  ultimi  erano  scarsi,  quasi  che  i  Meno])on,  moltipli- 
candosi in  gran  numero,  li  avessero  cacciati  via. 

Pare  che  in  casi  patologici  il  numero  dei  Menopon,  aumenti 
ancora  di  più,  cosi  in  un  Gallus  che  tenevo  in  esperimento  e 
che  si  ammalò  di  un  tumore  alla  regione  pettorale ,  i  Menopon 
in  pochi  giorni  aumentarono  in  modo  straordinario,  localizzandosi 
specialmente  nella  regione  affetta  dal    tumore. 

In  casi  normali  però  a  me  pare  che  il  Menopon,  se  dà  mo- 
lestia all'ospite  pel  prurito,  non  produce  alcun  danno  essenziale. 

2.0  Modo  di  camminare  ed  aderire  agli  oggetti  le- 
vigati. 

Il  Menopon  si  sorprende  sempre  immobile,  occupato  a  ro- 
dere le  barbule  delle  penne;  però,  allorché  è  disturbato,  esso  si 
muove  e  scappa  rapidamente.  Il  suo  modo  di  camminare  è  ca- 
ratteristico, in  quanto  pare  come  se  scivolasse  con  grande  svel- 
tezza sia  sulle  penne  che  sulla  cute  dell'animale. 

Esso  ha  una  potente  forza  adesiva,  che  si  sviluppa  allorché 
si  trova  sulla  superficie  di  oggetti  levigati,  come  ad  esempio  il 
vetro,  tanto  che  non  si  riesce  a  staccarlo  se   non  dietro  un  re- 
lativo sforzo.  Questa  forza  adesiva  è  dovuta  agli  organi  di  ade- 
sione posti  nei  tarsi. 

Come  nel  Tetrophtalmiis  descritto  dal  Grosse,  il  tarso  del  M. 
pallidum  (Fìg.  15)  consta  di  due  pezzi,  che  partono  da  un  altro 
unico,  chitinoso  ed  ispessito,  il  quale  si  articola  con  1'  estremo 
distale  della  tibia.  Il  primo  pezzo  é  molto  ridotto,  ma  si  espande 
in  un  solo  ampio  lobo  membranoso  (Fig.  15  Iht),  mentre  nei  Lioteidi 
si  riscontrano  due  di  questi  lobi.  Il  secondo  pezzo  tarsale  porta 
due  uncini  (Fig.  15  ut),  che  si  articolano  e  si  terminano  ricurvi 
e  leggermente   ottusi;   nella   faccia   interna   di    ciascun    uncino, 


—  89  — 

lungo  la  linua  mediana  è  inserita  una  piccola  membrana,  che  non 
giunge  allo  estremo  dell'uncino  medesimo  e  si  presenta  tutta 
striata  trasversalmente.  In  mezzo  ai  due  uncini  si  inserisce  sul 
secondo  tarsale  un  piccolo  pezzo  cilindrico,  lungo  quanto  gli 
uncini  e  dilatato  all'estremo. 

Il  lobo  membranoso  tarsale,  dalle  osservazioni  dirette,  risulta 
essere  1'  organo  principale  con  cui  il  Mallofago  aderisce  alla  su- 
perficie levigata;  però  non  escludo  che  probabilmente  hanno  an- 
cora funzioni  adesive,  sia  la  membranella  posta  lungo  il  secondo 
pezzo  tarsale,  sia  la  dilatazione  terminale  del  cilindretto  posto  fra 
i  due  uncini,  avendo  visto  che  anch'essi  si  adagiano  sempre  sulla 
superficie   levigata. 

Il  Grosse  ha  visto  pel  Tetrophtalmus  chilensis  che  anche  il 
labbro  superioro  funziona  da  organo  di  adesione.  Non  ho  argo- 
menti per  sostenere  il  contrario,  tanto  più  che  ho  visto  questo 
organo  funzionare  analogamente  per  fissare  la  bocca  sulle  bar- 
buie,  come  ho  già  detto  ;  ma  posso  asserire,  che  da  solo  non  può 
servire  allo  scopo  per  la  seguente  osservazione  da  me  fatta  :  Ho 
staccato  all'  animale  i  lobi  adesivi  da  tutte  e  sei  le  zampe  ri- 
mettendolo poi  su  di  un  vetro,  ma  a  questo  più  non  aderiva  come 
prima  e  cadeva  con  la  massima  faciltà  allorché  il  vetro  si  capo- 
volgeva. 

3.0  Accoppiamento,  deposizione  delle  uova  e 
uscita    dei  piccoli. 

Ho  potuto  notare  che  il  Menopon  si  riproduce  durante  tutto 
r  anno,  ma  d' inverno  vengono  deposte  uova  in  molto  minor 
numero,  mentre  lo  sono  abbondantemente  in  estate. 

Mi  è  qualche  volta  riuscito  di  colpire  due  Menopon  accop- 
piati: il  maschio  si  attacca  dorsalmente  alla  femmina,  accostando 
l'ultima  porzione  dell'addome  e  stringendola  fortemente  col  terzo 
paio  di  zampe.  • 

Nulla  però  mi  è  riuscito  di  vedere  degli  ulteriori  particolari, 
poiché  gli  animali  si  staccavano  appena  disturbati.  Le  femmine  de- 
pongono normalmente  uova  in  gran  quantità;  queste  sono  avvilup- 
pate da  un  segreto,  per  mezzo  del  quale,  riunite  in  gruppi,  che  varia- 
no da  10  a  60  uova,  vengono  attaccate  alle  barbe.  Per  la  deposi- 
zione delle  uovai  Menopon  scelgono  preferibilmente  le  penne  sottili 
della  regione  cedale,  sebbene  in  altre  parti  del  corpo  anche  mi  fu 
dato  di  riscontrarne,  specialmente  sulle  rettrici. 

L'uovo  (Fig.  13)  è  allungato,  ovale  da  un  polo,  conico  dal- 
l' altro,  ed  abbastanza  voluminoso;  il  guscio  è  chitinoso,  di  color 


—  90  — 

l)ianco.  ItinrrrormunU!  tonduntu  A  giallo.  Esso  è  fornito  di  un 
opuruolo  clic  conis|)()ndc  al  polo  conico. 

La  superficie  apicalu  opcrcolarc  dell'uovo  [F'ig.  14)  e  incisa  di 
arabeschi  ariuonicamonte  disognati  ;  il  vertice  del  cono  costituente 
l'opercolo  porta  un  sottile  prolungamento  cilindrico,  che  ad  un 
corto  tratto  leggermente  si  biforca,  un  ramo  resta  breve,  a  punta 
acuta,  mentre  l'altro  si  allunga  ed  assottiglia,  torminandosi  in  un 
piccolissimo  bottone.  Questo  prolungamento  ha  un  movimento  di 
oscillazione  ogni  qualvolta  la  larva  si  muove  nell'  interno  del 
guscio. 

Il  resto  della  superficie  dell'uovo   è  completamento  liscia. 

Lo  uova  si  attaccano  sempre  per  il  ])olo  ovoidale,  su  cui  si 
ammassa  la  sostanza  agglutinante  segregata  dall'animale;  il  polo 
conico  resta  libero. 

Per  poter  osservare  la  schiusa  delle  uova  e  misurare  il  tempo 
necessario  per  Io  sviluppo  completo  dell'  animale,  presi  diverse 
uova  che  erano  state  deposte  di  recente  dallo  insetto  e  le  chiusi 
in  una  provetta  otturata  con  un  po'  di  cotone  idrofilo,  che 
mantenni  ad  una  temperatura  costante,  cosi  da  seguire  tutti  gli 
stadii  di  sviluppo,  dal  momento  della  deposizione  dell'uovo  fino 
alla  schiusa  del  piccolo  Menopon^  costatando  che  il  periodo  di  svi- 
luppo dura  da  8  a  10  giorni. 

11  piccolo  Menopon  vien  fuori  dall'  uovo,  nel  quale  ha  già 
subito  una  prima  muta  ,  sollevando  da  sé  stesso  1'  opercolo  ;  il 
suo  capo  è  molto  grande,  forse  quasi  quanto  l' intero  corpo  e  le 
sue  tempie  sorpassano  in  lunghezza  quella  dell'addome.  Il  torace 
presentasi  come  nell'adulto,  cioè  costituito  da  un  prò  torace  ed  un 
meso-metatorace.  Le  sue  zampe,  già  robuste  e  munite  di  folte 
setole  alla  regione  tarsale,  portano,  come  nell'adulto,  gli  uncini 
ed  i  lobi  tarsali;  esse  sono  lunghissime  rispetto  all'animale,  tanto 
da  sorpassare  in  lunghezza  l'addome. 

L'addome  è  coperto  di  numerose  e  lunghe  setole;  colle  suc- 
cessive mute  il  numero  delle  setole  va  man  mano  riducendosi,  e 
raggiunto  lo  stato  adulto  l'animale  porta  il  numero  determinato 
e  costante  di  setole  caratteristico  della  specie. 

Il  dimorfismo  sessuale  appare  in  uno  stadio  molto  avanzato 
dello  sviluppo  del  Menopon,  dopo  la  riduzione  del  numero  delle 
setole,  colla  seconda  muta,  quando  i  piccoli  cominciano  gradata- 
mente ad  assumere  la  forma  e  l'aspetto  degli  adulti. 

In  questo  stadio  l'ultimo  anello  addominale,  mentre  nel  maschio 
resta  come  era  nel  giovane ,  nella  femmina  si  determina  come 
uno  strozzamento,  che  fa  sembrare  l'ultimo  anello  diviso  in  due. 


—  91  — 

Ho  potuto  riscontrare  sul  corpo  del  Menopoti  un  fungo  pa- 
rassita, il  quale  manda  le  sue  ife  a  mo'  di  ciuflfo  nello  spazio 
compreso  tra  un  urite  e  l' altro.  Questo  fungo  fu  studiato  dal 
Prof.  Trinchieri,  coadiutore  nell'  Orto  botanico,  il  quale  ha  po- 
tuto osservare,  come  prossimamente  renderà  noto  per  la  stampa, 
in  questo  Bollettino,  ohe  si  tratta  di  una  Lahoidbeniacea  nuova 
per  l' Italia  e  che  anzi  nell'epoca  nella  quale  fu  da  me  riscontrata 
rappresentava  un  genere  ed  una  specie  nuova. 

Riconoscente,  ora  debbo  porgere  i  più  sentiti  ringraziamenti 
al  Prof.  Monticelli,  il  quale  fu  verso  di  me  largo  di  aiuto  e  di 
consigli  paterni.  Speciali  ringraziamenti  debbo  poi  al  Prof.  Po- 
LiCE,  che  mi  ha  particolarmente  assistito  ed  aiutato,  sia  nel  con- 
durre a  termine  le  mie  osservazioni,  sia  nella  compilazione  di 
questo  mio  lavoro. 

Dall'  Istituto  Zoologico  della  R.  Università.  —  Napoli,  Marzo  1910. 


—  92  — 


LAVORI  CITATI 

1003.  Choloiikow.sky  N.  —  Zar  Morphologie  der  Pediculiden:  Z.  Anz.    27 

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scriptioiis  de  quelquea  cspèoes  nouvelles  appartenaiifc  aiix  genres  . 

Dochophonis,    Nirmtis.    Lij}euriis,   ecc.:    Bull.    Soc.    imp.  ualur. 

Moscou.  Tome  S2.,  P.  2,  pay.  il8 
1 77H.   Dk    Gkkk,  C.  —  Mémoires   pour   servir  à   1' histoire   des  Insectes: 

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1905.  Gross  J.  —  Untersuchungeu  ùber  die  Ovarien  von  Mallophagen  und 

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1906.  —     4.      —  A  second  CoUection  of  Mallophaga  from  Birds  of  the 

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1906.  Neumann. — Notes  sur  les  Mallophages:  Bull.  Soc   Z.  Paris    Voi.  31, 

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1818.  Nitzsch,  G.  L.  —  Die  Familien    und    Gattungen   der    Thierinsekten 

(Inserta  epizoica)  als  ein  Prodroraus  Natui-geschichte  derselbeu. 

Gerrnar's  Mag.  Eni.,   Voi.  3,  pag.  261. 

1870.  Packard,  A.  S.  1. — Certain  Parasitic  Insects:  American  Naturalist, 

voi.  4,  pag.  83. 


-  93  — 

1872  Packard,  A.  S.  2-  —  Embriologica!  studies   on    Hexapodos    insects: 

Alem.  Peab.  Ac^  i  {N.  3)  pag.  18. 
1887,  —     —  3.  —  On  the   systematic  Position  of  the  Mallophaga:  Proc. 

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sottogeneri  Menopon  e  Piagetia  :  Atti  Soc.  Nat.  Modena  (3)  voi. 
2,  pag.  103. 

1885.  —     —  2  —  Pediculini  dell'Istituto  Anatomo-Zoologico  della  R.  Uni- 

versità di  Modena:    Atti  Soc.  Nat.   Modena  (3)  voi.  4. 

1885.  —  —  3  —  Pediculini  nuovi  del  Museo  di  Zoologia  ed  Aii.  Gomp. 
della  E,.  Università  di  Modena:  Atti  Sor..  Hai.  Se.  Nat.  Voi. 
28,  pag.  82. 

1869.  RuDow,  F.  1  —  Beitrag  zur  Kenntniss  der  Mallophagen  oder  Pelz- 
fresser:  Dissertation,  Halle. 

1869.  —     —  2-  —  Neue  Mallophagen:  Z.  ges.  Naturwiss:Vol.  34,  pag.  387. 

1870  —  —  3.  —  Beobachtungen  uber  Lebensweise  und  Bau  der  Mal- 
lophagen oder  Pelzfresser:  Z.  ges  Natìirwiss.,  Voi.  3.5,  pag.  272. 

1882.  Simonetta.  L.  —  Elenco  sistematico  dei  Pediculini    appartenenti  al 

Museo  zoologico   dell'Università  di  Pavia:  Bull.  Soc.  Ent.  Ital. 

Voi.  14,  pag.  204. 
1899.  Snodgrass  1.  —  The  anatoray  of  the  Mallophaga:  Contrib.  Hopk.  Sea- 

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1905.     —     2-     —  Revision  of  the   Mouth-parts   of  the  Corrodeutia   and 

the  Mallophaga:  Trans.  Ameri  e.  Ent.  Sor.   Voi.  31  pag.  297. 
1860    ScHJODTE.  —  On  the  Phthiriasis  and  on  the  structure  of  the  mouth 

in  Pediculus  (trad.  dal  Danese):  Ann.  Mag.  Natur.  Hisforg  {3) 

Voi.  17,  pag.  213. 

1883.  Taschenberg  0. — Die  Mallophagen,  mit  besonderer  Berticksii'-ktigung 

der  von  Dr,  Meyer  gesammelten  Arten.  Systematisch  boarbeitet: 

Nova  Acta  Acad.  Leop  Carol.  44  Ed.  pag.  1. 
1904.  Waterhouse  C.  0.  —  [Diagram  of   the    mouth   of  Laeinobothrinin 

titan]  :   Trans.  Ent.  Sor.  London  Proc.  pag.  5-6. 
1855.  Wedl  D.  —  Ueber  das  Herz  von  Menopon  jìallidum:  Sitz.  Ber.  K. 

Akad   Wiss   Wirn.   Bd.  17.  pag.  173. 


-  94  — 
SPIEGAZIONE    DELLA   TAVOLA 

LETTERE  COMUNI  A  TUTTE  LE  FIGURE 


(U/m 

—  apertura  genitale  maschile. 

an 

—  antenne. 

ap 

—  apoilema  d'articolazione  delle  mandibole. 

apn 

—  apodemi  anteriori  dell'apparecchio  copulatore. 

apan 

—  apertura  anale. 

apyf 

—  apertura  genitale  femminile 

app 

—  apodemi  posteriori  dell'apparecchio  copulatore. 

boi 

—   branche  dell'organo  liritbrme. 

br 

—  barbule. 

bt 

—  bottone  d'inserzione  dei  tendini  dell' isopogometro 

ca 

—  capo. 

col 

—  corpo  dell'organo  liritbrme. 

gì 

—  glosse. 

gls 

—  glandule  salivari. 

90 

—  gozzo. 

gol 

—  gronda  dell'organo  liriforme. 

id 

—  imbuto  dentato. 

Ibt 

—  lobo  membranoso  del  tarso. 

Ich 

—  listerelle  chitinose  della  base  del  pene. 

li 

—  ligula. 

Un 

—  labbro  inferiore. 

Iprf 

—  listerelle  parafaUiche. 

Is 

—  labbro  superiore. 

md 

—  mandibole. 

mn 

—  mentum. 

mprf 

'—  membrana  perifalUca. 

P 

—  pene. 

pb 

—  pezzi  basali. 

pgi 

—  paraglosse. 

plb 

—  palpi  labiali. 

prv 

—  paravulva. 

ol 

—  organo  liriforme. 

td 

—  tendini  chitinosi. 

ut 

—  uncini  tarsali. 

Fig.  1  —  Apparato  boccale  del  Afennpon  pnllidum  in  sito;  visto  dal  lato  ven- 
trale. (Per  non  complicare  il  disegno  ho  smesso  di  disegnare  al 
margine  del  labbro  superiore)  x  230. 

»      2  —  Mandibola  x  3B0. 

»      3  —  Mascella  x  3B0. 

»      4  —  Labbro  inferiore  x  200. 

»      5  —  Apparecchio  isopogometrico  nel  suo  insieme  x  360. 

>  6  —  Sezione  sagittale  del  capo  attraverso  l'organo  liriforme,  per  mostrare 
la  gronda  e  la  posizione  dell'organo  in  sito  x  350. 


—  95  — 

Fig.  7  —  Sezione  trasversa  che  passa  per  i  pezzi  basali,  le  due  branche  del- 
l'organo liriforme  ed  il  tendine  chitinoso   mediano  x  noo. 

»  8  —  Capo  portante  attaccato  parte  del  tubo  digerente  dissecato,  si  ve- 
dono le  barbule  tagliate  della  medesima  dimensione  nell'  eso- 
fago e  nel  gozzo  x  65. 

»  9  —  Schema  costruito  sui  dati  delle  sezioni  sagittali,  per  mostrare  le 
due  differenti  posizioni  dell'organo  liriforme  nel  funzionamento 
del  isopogometro. 

»    10  —  Ultimi  tre  segmenti  addominali  del  maschio  x  115. 

»    11  —  Ultimi  due  segmenti  addominali  della  femmina  x  115. 

»    12  —  Apparecchio  copulatora  maschile  x  350. 

»    13  —  Uovo  X  67. 

»    14  —  Opercolo  x  115. 

»     15  —  Estremità  tarsale  x  200. 


Sul  modo  d' insepirsi  delle  libre  della  Zoniila  di  ZInn 
sulla  capsula  anteriope  del  cpistalllno  neir  ncctiin  umano 

NOTA   PREIilMINARR 

del  socio  E.  AoiuIìAR 
(con  la  tav.  II) 


(Tornata  del  12  Magp^io  1910) 

Riserbanclomi  di  svolo^ero  ampiamente  quanto  prima  quest'ar- 
gomento e  di  dare  la  descrizione  particolareggiata  del  modo  come 
le  fibre  zonulari  s'inseriscono  sulla  capsula  del  cristallino,  non  solo 
nell'occhio  umano  ma  anche  in  altri  animali  (cavallo,  bue,  cane, 
coniglio,  pollo,  ecc.),  mi  limito  per  ora  a  dare  un  breve  cenno 
sulla  inserzione  di  queste  fibre  sulla  cristalloide  anteriore  del- 
l'uomo. 

Per  compiere  nel  miglior  modo  questa  osservazione  ho  ado- 
perato una  tecnica  molto  semplice  per  quanto  d'esecuzione  molto 
delicata  e  paziente,  quale  era  richiesta  dalla  necessità,  d'isolare 
la  capsula  anteriore  nella  sua  totalità,  senza  interrompere  la  con- 
tinuazione della  medesima  con  le  fibre  della  zonula  del  Zinn. 

Fissato  l'occhio,  proveniente  da  cadavere  e  nel  maggior  pos- 
sibile stato  di  freschez;?a,  in  liquido  di  Mtiller  o  in  formaldeide 
al  4  o/o  e  fatto  il  passaggio  in  alcool  a  40°,  70<>,  96»,  dividevo  il 
bulbo  in  due  metà  con  taglio  trasversale.  Messa  là  parte  ante- 
riore di  esso  in  una  vaschetta  con  alcool  ordinario,  toglievo  il 
vitreo  con  una  pinza  e  con  una  forbicina  tagliavo  all'ingiro  re- 
tina, coroide  e  sclera  fino  all'ora  serrata.  Indi  distaccavo  accu- 
ratamente r  involucro  sclero-corneale  e  asportavo  con  molta  de- 
licatezza dalla  parte  anteriore  del  corpo  ciliare  l'iride,  lasciando 
cosi  sospesa  la  lente  ai  processi  ciliari  mediante  le  fibre  zonulari. 
Fissavo  in  seguito  la  lente  con  un  ago  dalla  superficie  posteriore 
e  con  un  affilato  coltellino  da  cataratta  o  con  un  ago  lanceolato 
recidevo  all'intorno,  quasi  ad  un  millimetro  di  distanza  dall'equa- 
tore della  lente,  la  capsula  posteriore.  Con  molta  pazienza  e  con 


—  97  — 

la  maggiore  delicatezza  estraevo  pian  piano  con  una  sottile  pin- 
zetta le  fibre  lenticolari,  finché  la  capsula  della  lente  non  restasse 
pressoché  trasparente. 

Passato  il  preparato  in  acqua,  lo  mettevo  in  una  vaschetta 
contenente  la  soluzione  del  Weigert  per  la  colorazione  elettiva 
delle  fibre  elastiche  e  nella  quale  lo  lasciavo  stare  per  24  ore; 
indi  1<^  passavo  in  alcool  ordinario  per  decolorare  il  tessuto  fon- 
damentale, fino  a  che  il  preparato  non  cedeva  più  colore.  Ri- 
sciacquato poi  abbondantemente  in  acqua  distillata,  chiudevo  il 
preparato  in  glicerina  neutra,  evitando  l'inclusione  in  balsamo, 
perchè  nei  passaggi  in  alcool  assoluto  e  in  xilolo  assai  facilmente 
si  rompe  la  capsula  e  si  raggrinzano  troppo  le  fibre. 

Una  elegante  e  rapida  colorazione  delle  fibre  zonulari  l'ho 
avuta  usando  una  speciale  ematossilina  ferrica,  che  l' egregio 
prof.  De  Lieto-Vollaro,  dopo  lunghe  ricerche,  riuscì  ad  ottenere 
per  la  colorazione  delle  cellule  della  cornea;  ed  accenno  a  questo 
metodo  perchè  oltre  ad  aversi  eleganti  preparati  della  zonula  del 
Zinn,  si  ottiene  in  pari  tempo  la  colorazione  degli  elementi  cel- 
lulari dei  vari  tessuti  compresi  nel  preparato  ^). 

Descrizione  del  preparato. 

Ad  occhio  nudo  si  vede  la  zona  circolare  anteriore  del  corpo 
ciliare  dentellata  per  i  processi  ciliari,  nel  di  cui  campo  si  stende 
una  membrana  trasparente,  cioè  la  capsula  anteriore  del  cristal- 
lino. Alla  periferia  di  questa  spicca  una  zona  anulare  di  color 
rosso  viola,  dovuta  alla  colorazione  delle  fibre  col  liquido  di 
Weigert. 

Osservando  il  preparato  a  piccolo  ingrandimento  con  uno 
stativo  Zeiss  da  preparazione,  in  modo  da  abbracciarne  tutto  il 
campo,  vediamo  un'  elegante  zona  raggiata  di  fascetti  di  fibre 
che  occupa  in  giro  quasi  i  '^/s  del  diametro  capsulare.  Queste  fibre 
in  gran  numero  hanno  origine  dalla  corona  ciliaris  e  gittandosi 
sulla  capsula,  alcune,  più  brevi,  s'inseriscono  sfioccandosi  presso 
il  margine;  le  altre,  più  lunghe,  terminano  la  loro  inserzione  quasi 
al  quarto  superiore  del  raggio  capsulare. 

A  forte  ingrandimento  (Zeiss  ^^J  si  osserva  molto  bene  il 
modo  di  comportarsi  delle  fibre  zonulari. 

1)  De  Lieto  Vollaro  A.  —  Di  un  imovo  procediwento  di  tecnica  per  la  co- 
lorazione nucleare  e  protoplasmatica  delle  cellule  della  cornea  propria.  (Archivio 
di  Ottalmologia,  anno  XVII,  1909-1910.  Napoli). 

7 


—  98  — 

Dai  processi  ciliari  e  dagli  avvallamenti  fra  essi  compresi 
si  veggono  originarsi  dei  robusti  fascetti  di  fibre,  varianti  per 
numero  e  per  lunghezza. 

I  più  brevi  si  arrestano  sfioccandosi  presso  il  margine  della 
capsula,  mandando  però  delle  fibrille  più  lunghe  che  vanno  ad 
inserirsi  più  in  basso.  I  fascetti  più  lunghi  cominciano  a  divi- 
dersi e  a  sfibrarsi  a  misura  che  dalla  estremità  dei  pmcessi  ci- 
liari si  avanzano  sulla  capsula.  Si  osserva  che  a  livello  dell'orlo 
capsulare,  dove  già  hanno  preso  inserzione  le  fibre  più  corte,  il 
fascio  principale  si  risolve  in  due,  tre,  quattro  fascetti,  i  quali 
sfioccandosi  ad  angoli  più  o  meno  acuti  e  a  diversa  altezza  si 
gittano  sulla  capsula  e  secondo  diversi  piani,  data  la  convessità 
della  superficie  della  capsula  lenticolare.  Infine  verso  la  loro  ter- 
minazione le  fibre  zonulari  si  sfioccano  completamente  e  pren- 
dono inserzione  sulla  capsula  quasi  tutte  allo  stesso  livello,  come 
può  vedersi   nella    fotografia  del  preparato    (Ingr.    10  ^j^  diam.). 

Per  dare  un'idea  più  esatta  del  modo  come  si  comporta  un 
fascette  di  fibre  zonulari  sulla  cristalloide,  possiamo  prendere  ad 
esempio  un  pennellino  di  vajo  a  peli  molto  lunghi,  la  cui  estremità 
sia  tagliata  assai  obliquamente.  Appoggiamolo  con  il  tratto  obliquo 
sulla  superficie  curva  di  una  lente  biconvessa,  su  cui  sia  stata 
spalmata  della  gomma,  in  modo  che  i  peluzzi  più  corti  con-i- 
spondano  al  margine  della  lente.  Sollevando  leggermente  il  pen- 
nellino vedremo  che  i  peli  più  lunghi  avranno  contratto  aderenza 
verso  la  porzione  paracentrale,  i  più  corti  verso  la  periferia  e  fia 
questi  due  limiti  troveremo  inseriti  tutti  gli  altri  peluzzi  in  or- 
dine decrescente  di  lunghezza. 

Cosi  sul  cristallino  dell'uomo  e  di  altri  animali  esaminati  si 
comportano  le  fibre  zonulari;  anzi  negli  altri  preparati  da  me 
fatti  (bue,  cane,  ecc.)  riesce  più  evidente  questa  disposizione  per 
la  maggiore  convessità  del  cristallino. 

Nei  diversi  preparati  esaminati  quello  dell'uomo  eccelle  sopra 
gli  altri  per  la  elegante  disposizione  delle  fibre,  per  il  loro  nu- 
mero stragrande  e  per  la  loro  lunghezza,  e  ciò  è  da  presumersi 
sia  in  rapporto  con  le  proprietà  accomodative,  che  l'occhio  umano 
in  sommo  grado  possiede. 


Dall'  Istituto  di  Clinica  Oculistica  della    R.  Università  di  Napoli  diretto 
dal  Prof.  A.  Angelucci. 


SALVATORE  LO  BIANCO 

(n.  10  Giugno  1860,   m.  9   Aprile  1910) 


• 


COMMEMORAZIONE 

FATTA 

dal  socio  Federico  Raffaele 

nell'apposita  tornata  del  22  maggio  1910 


A  voi,  che  conosceste  Salvatore  Lo  Bianco,  sembrerà,  ne  son 
certo,  come  sembra  a  me,  quasi  inverosimile,  che  egli,  pieno  di 
tanto  vigore  di  vita  quanto  non  riusciamo  a  metterne  insieme 
noi  tutti,  sia  caduto  per  non  più  rialzarsi;  che  quella  rigogliosa 
tenace  fibra  sia  stata  d'un  colpo  spezzata  come  una  fragilissima 
cosa. 

Raramente,  invero,  accade  d'imbattersi  in  una  cosi  esube- 
rante natura,  in  un  organismo  cosi  agile ,  cosi  duttile,  cosi  ela- 
stico; in  una  parola,  cosi  vivo,  quale  fu  quello  del  nostro  amico. 
La  coscienza  di  queste  singolari  facoltà  infondeva  in  lui  una 
continua  gagliarda  gioia  di  vivere,  che  propagandosi  intorno  a 
lui  suscitava  le  energie  dei  più  fiacchi  e  i  sorrisi  dei  più  ma- 
linconici. 

La  vita  di  Salvatore  Lo  Bianco  si  svolse  in  apparenza  piana, 
semplice,  eguale;  ma  fu  pure  quasi  miracolosa  ;  fu  ,  vorrei  dire, 
un  miracolo  continuo,  che,  appunto  perchè  continuo,  non  parve 
miracolo.  Questo  ch'io  dico  non  sembrerà  una  esagerazione  a  voi 
che  sapete  come  il  piccolo  Turillo,  entrato  a  14  anni  ultimo  servi- 
torello  nella  Stazione  Zoologica,  ne  era  divenuto  il  primo  e  più 
importante  personaggio ,  e  così  alto  posto  aveva  raggiunto  nel 
regno  dei  biologi,  che  da  ogni  parte  del  mondo  s' è  levato  un 
grido  di  dolore  per  la  sua  morte,  che  lascia,  a  giudizio  di  tutti, 
un  incolmabile  vuoto.  Quest'  ardita  ascensione  fu  compiuta  senza 
strepito,  senza  sforzo  apparente,  come  una  tranquilla  passeggiata 


-  100  — 

su  per  una  via  piana  ;  gli  ostacoli  furono  superati  così  som- 
plicoraente,  che  nessuno  se  ne  accorso.  Ma  mentre  il  Lo  Bianco 
sembrava  camminare  con  gli  altri,  egli  tutti  oltrepassava. 

L'incontro  del  Dolirn  col  piccolo  Turillo,  al  momento  in  cui 
il  soe:no  del  geniale  naturalista  cominciava  a  divenire  realtà 
nella  bella  casa  bianca,  uscita  allora  dalle  acque  del  nostro  Golfo 
come  per  opera  d'incantesimo,  fu  veramente  provvidenziale  e  segnò 
un'  epoca  nella  Storia  della  Stazione  Zoologica  ;  i  fati  benigni 
che  arrisero  all'ardita  impresa  del  Dohrn  certo  lo  prepararono. 
Se  il  Dohrn  avesse  bandito  un  concorso  internazionale  per  tio- 
var  l'uomo  che  gli  era  sopra  ogni  altro  necessario,  perchè  lu^Wu 
Stazione  Zoologica  il  suo  alito  creatore  potesse  trasformarsi  in 
vita  rigogliosa  e  feconda ,  egli  non  avrebbe  potuto  trovar  di 
meglio  di  quel  ragazzetto,  che  la  sua  buona  stella  gli  fece  iu- 
contrai-e  sull'uscio  di  casa. 

Due  esistenze  incerte  cominciavano  allora  ad  affacciarsi  al 
mondo  in  due  organismi  dotati  di  eccezionali  facoltà  di  espan- 
sione: la  Stazione  Zoologica  e  il  piccolo  Turillo.  E  può  ben  dirsi 
che  l'evoluzione  d'entrambi  procedette  di  pari  passo  come  ma- 
nifestazione d'un  unico  impulso  dato  dalla  volontà  creatrice  di 
Antonio  Dohrn.  Senza  il  Dohrn,  non  si  sarebbe  forse  mai  schiusa 
a  Salvatore  Lo  Bianco  la  via  ch'egli  cosi  trionfalmente  percorse; 
ma  senza  Salvatore  Lo  Bianco  io  non  credo  che  il  Dohrn  avrebbe 
potuto  fare  egualmente  della  Stazione  Zoologica  quella  mirabile 
fucina  di  lavoro  biologico,  che  ha  riscossa  la  universale  ammi- 
razione. 

Questi  due  uomini  singolari,  che  una  fortunata  combinazione 
aveva  messi  insieme ,  animati  da  uno  stesso  amore  per  l' opera 
cui  dedicarono  tutta  la  loro  poderosa  attività,  ebbero  sempre 
r  uno  per  l' altro  un  profondo  sentimento  di   gratitudine. 

Del  suo  affetto  veramente  paterno  il  Dohrn  diede  al  suo 
Salvatore  prove  non  dubbie  ,  e,  riposta  in  lui  la  piena  fiducia 
ch'egli  meritava,  gli  lasciò  completa  libertà  d'azione  e  d'iniziativa, 
favorendo  con  sollecita  cura  il  graduale  svolgersi  delle  preziose 
qualità  di  lui,  e  preoccupandosi  costantemente  di  migliorarne  la 
posizione  inorale  e  materiale. 

Il  Lo  Bianco,  dal  canto  suo,  salito  cosi  in  alto,  per  virtù 
propria,  trattato  alla  pari  e  con  sentimenti  di  sincera  ammira- 
zione e  deferenza  dai  più  eminenti  scienziati  e  dai  più  illustri 
personaggi,  fatto  segno  a  distinzioni  e  omaggi  da  ogni  parte, 
non  dimenticò  un  sol  momento  il  suo  debito  verso  colui  che  gli 
aveva  stesa  la  maiio  nei  primi  passi  ed  ebbe,  fino  al  suo  ultimo 


—  101  — 

respiro,  pel  Dohrn  e  per  la  Staziono  Zoologica,  una  illimitata  devo- 
zione. La  quale,  a  chi  ben  la  conobbe,  illuminò  di  bellissima  luce 
la  figura,  morale  del  nostro  compianto  amico,  inspirandogli  quel 
jjrofondo  nobilissimo  sentimento  di  dovere,  per  cui  egli  volle 
consacrare  tutto  sé  stesso  all'opera  immortale  del  suo  benefattore. 

Il  25  marzo  1909  ricevetti  dal  Lo  Bianco  una  lettera  con 
queste  parole: 

«  Ho  voluto  scrivervi  subito  perchè  dalle  vostre  lettere  mi 
sono  accorto  che  non  siete  affatto  informato  delle  condizioni 
molto  gravi  del  prof.  Dohrn.  Figuratevi  che  da  circa  un  paio 
di  settimane  siamo  preoccupatissimi,  perchè  ogni  tanto  il  povero 
uomo  ha  degli  attacchi  asmatici  così  forti,  che  non  si  sa  mai 
se  ne  esce  vivo  o  morto. 

<  L'altra  sera  ad  esempio  ne  ha  avuto  uno  che  è  durato  circa 

4  ore  ! Il  cuore  è  molto  debole  ed  i  medici  non  danno  alcuna 

speranza. 

«  Caro  professore,  ho  proprio  una  piaga  sul  cuore  !  vederlo  sof- 
frire talmente  da  chiedere  lui  stesso  che  venga  la  triste  fine  è 
uno  strazio  per  chi  lo  ha  visto  per  tanti  anni  così  energico  e 
pieno  di  salute!... 

«  All'occasione  cercate  di  scrivere  una  lettera  al  D.r  Rinaldo 
Dohrn  ,  incoraggiandolo  nel  difficile  periodo  ,  che  attraversa;  il 
poveretto    è  molto  accasciato  e  addolorato  ». 

Sei  mesi  più  tardi  ,  la  temuta  catastrofe  avvenne.  Quando 
giunse  da  Monaco  la  dolorosa  notizia,  ero  col  Lo  Bianco  accanto 
al  giovine  Rinaldo  Dohrn;  e  piangemmo  con  lui  l'uomo  sommo, 
che  anche  noi  aveva  trattati  come  figli.  Nel  muto  profondo  dolore 
del  Lo  Bianco,  ebbi  una  nuova  prova  del  culto,  fatto  di  tene- 
rezza e  ammirazione,  ch'egli  aveva  nel  suo  cuore  dedicato  ad  An- 
tonio Dohrn. 

E  fin  dai  primi  momenti  del  suo  lutto,  Rinaldo  Dohrn,  nel- 
l'assumere  la  direzione  della  Stazione  Zoologica,  potè  sperimen- 
tare quali  valide  e  volenterose  mani  gli  si  stendevano  con  affetto 
fraterno  per  aiutarlo  nel  difficile  compito.  Il  culto,  che  il  Lo  Bianco 
ebbe  per  il  Dohrn  vivo,  ei  l'ebbe  per  la  memoria  di  lui:  e  con 
rinnovato  ardore  centuplicò  le  sue  forze,  perchè  la  vita  della  Sta- 
zione Zoologica  continuasse  inalterata. 

Egli  rimaneva  saldo  al  suo  posto  come  un  buon  nocchiero 
nella  tempesta.  Ma  anche  lui  doveva  essere  di  lì  a  poco  travolto! 

E  quando,  sulla  bara  appena  chiusa  ,  Rinaldo  Dohrn ,  con 
voce  rotta  dal  pianto,  diede  l'estremo  saluto  alla  salma  di  Sal- 
vatore Lo  Bianco,  nelle  simpatiche  affettuose  parole  sgorgategli 


—  102  — 

dal  cuore,  vibrò  certo  la  grande  anima  del  padre  suo,  venuta  a 
ringraziare  per  l'ultima  volta  il  fedele  amico,  l'  infaticabile  col- 
laboratore. 

Il  piccolo  Turillo  arrivava  nella  novissima  Stazione  Zoolo- 
gica con  un  ben  povero  bagaglio  di  conoscenze;  egli  appena  aveva 
superata  la  scuola  tecnica,  e  la  sua  mente  era  presso  che  tabula 
rasa.  Ma  una  grande  avidità  di  sapere  lo  incitava  ;  e  subito  i 
suoi  occhi  curiosi  e  penetranti  si  diedero  a  frugare  ogni  più  ri- 
posto cantuccio  del  nuovo  mondo,  che  si  apriva  davanti  a  loro. 

Egli  era  una  di  quello  nature  privilegiate,  dotato  di  possenti 
meccanismi  interni,  che,  una  volta  ricevuto  un  impulso,  lo  cen- 
tuplicano e,  quando  si  mettono  in  moto,  non  si  arrestano  a  mezza 
strada. 

Nel  manoscritto  della  Storia  della  Stazione;  zoologica  ,  che 
il  Dohrn  aveva  cominciato  a  scrivere  negli  ultimi  anni  della  sua 
vita  e  che  purtroppo  la  morte  gli  vietò  di  continuare,  trovo  questo 
primo  cenno  intorno  al  nostro  Salvatore. 

«  Il  compito  di  raccogliere  notizie  sulla  ecologia  della  fauna 
del  golfo,  di  conservare  gli  animali  marini  per  fornire  ai  singoli 
studiosi,  ai  laboratorii,  ai  Musei  zoologici  d'altri  paesi  il  mate- 
riale raccolto  dalla  Stazione  zoologica,  venne  affidato  a  due  gio- 
vani tedeschi;  lo  Schmidtlein  e  il  D.'"  A.  Miiller  » — <  Ambedue 
cominciarono  un  lavoro,  che  più  tardi  »  scrive  il  Dohrn  «  doveva 
raggiungere  vaste  proporzioni,  quando  fosse  capitato  in  mani 
adatte.  Le  mani  e  la  mente,  che  ci  volevano,  già  erano  al  ser- 
vizio della  Stazione  zoologica  all'epoca  del  Muller  e  dello  Schmidt- 
lein; ma  erano  ancor  troppo  giovani  e  inesperte  per  mettersi 
efficacemente  all'opera.  Esse  appartenevano  al  tìglio  del  mio  por- 
tinaio del  Palazzo  Torlonia,  Salvatore  Lo  Bianco,  che  allora  tutti 
chiamavano   Turillo  ». 

<  Il  padre  di  questo  ragazzo  venne  un  giorno  da  me  per  chie- 
dermi se  mai  potessi  dare  al  quattordicenne  figliuolo  un  posti- 
cino nella  Stazione  zoologica. 

<  Il  ragazzo  aveva  frequentato  fino  allora  le  scuole,  dimo- 
strando una  gran  passione  per  lo  studio;  era  tempo  oramai  che 
si  avviasse  a  un  mestiere;  e  il  padre  sarebbe  stato  ben  lieto  s'io 
avessi  voluto  prenderlo  con  me.  Io  aveva  spesso  veduto  quel 
ragazzo  in  portineria,  intento  a  leggere,  a  scrivere  o  a  scara- 
bocchiar disegni;  quasi  mai  in  ozio. 


—  103  — 

1  Lo  presi  perciò  volentieri,  promettendogli  un  piccolo  salario 
e  adibendolo  al  servizio  dei  naturalisti,  che  venivano  a  lavorare 
nelle  Stazione  zoologica;  egli  doveva  faro  la  pulizia  delle  stanze 
e  delle  tavole  da  lavoro,  e,  quando  questo  servizio  era  finito,  aiu- 
tare il  Dr.  MùUer  nella  conservazione  degli  animali.  Il  Miiller  si 
sforzava  di  trovare  più  perfetti  mezzi  di  conservazione  e,  seb- 
bene le  sue  condizioni  di  salute  non  gli  permettessero  un  lavoro 
assiduo,  andava  già  realizzando  notevoli  progressi,  che  il  Turillo 
seguiva  con  grande  attenzione,  adoperandosi  poi  a  ripetere  per 
conto  suo  le  manipulazioni  >.  E  cosi  bene  egli  seppe  rendersi  pa- 
drone dei  varii  metodi,  che,  alla  morte  del  Miiller,  il  Dohrn 
gli  affidò  il  reparto  della  conservazione.  «  Cosi  »  conclude  il 
Dohrn  «  questa  potè,  com'è  noto  in  tutto  il  mondo  zoologico, 
raggiungere  una  perfezione  fino  allora  ignota  ». 

Il  Lo  Bianco  ,  infatti ,  sebbene  non  avesse  nessuna  cono- 
scenza della  chimica,  a  forza  di  provare  e  riprovare,  con  perse- 
verante pazienza,  aiutato  dalla  sua  eccezionale  attitudine  a  os- 
servare e  a  comparare,  animato  da  una  baldanzosa  fede  nel  suc- 
cesso, riuscì  a  perfezionare  alcuni  metodi,  e  a  scoprirne  dei  nuovi. 

Basti  ricordare  fra  questi  il  processo  per  la  conservazione 
dei  Sifonofori,  che,  in  mancanza  di  meglio,  avevano  figurato  fino 
a  quel  tempo  nei  musei  sotto  forma  di  modelli  di  vetro  o  di 
gelatina.  Grazie  alla  instancabile  attività  del  Lo  Bianco,  l'espor- 
tazione delle  collezioni  di  animali  marini  andò  aumentando 
d'anno  in  anno;  e  mentre  i  musei  e  i  laboratorii  di  Zoologia  si 
arricchivano  delle  ammirevoli  preparazioni,  la  fama  dell'Istituto 
biologico  napoletano  volava  oltre  i  monti  e  i  mari  nelle  più  lon- 
tane plaghe. 

Le  conoscenze  di  zoologia  che  il  piccolo  Turillo  possedeva 
quando  entrò  nella  Stazione  zoologica  non  erano  molto  più  pro- 
fonde di  quelle  ch'egli  aveva  della  chimica.  Ma  il  suo  occhio  scru- 
tatore andò  a  poco  a  poco  familiarizzandosi  con  le  innumerevoli 
forme  della  fauna  del  nostro  golfo,  delle  quali  egli  divenne  in- 
superato conoscitore. 

Arnoldo  Lang,  il  noto  zoologo  di  Zurigo,  il  vecchio  amico 
del  caro  estinto  e  mio,  che  per  un  non  breve  periodo  di  tempo 
fu  assiduo  e  graditissimo  nostro  commensale  nelle  frugali  cola- 
zioni, già  occupava  intorno  al  1875  un  posto,  di  assistente  nella 
Stazione  zoologica.  Ecco  come  egli  ,  in  un  recente  articolo  ne- 
crologico ,  ricorda  i  primi  tempi  del  piccolo  Turillo  nella  Sta- 
zione: «  lo  scrivente  si  rallegrava  della  speciale  inclinazione  del 
vivace  e  svegliato  ragazzo,  che  cercava  di  sodisfare  la  insazia- 


-  104  — 

bile  aviilità  di  sapore,  profittando  d'  ogni  breve  riposo  del  suo 
umile  lavoro,  d'ogni  fuggevole  contatto  coi  naturalisti  al  cui  ser- 
vizio egli   era  destinato  ». 

<  Più  d'una  volta  avvenne  ch'egli,  pieno  di  sgomento,  s'af- 
frettasse a  nascondersi  sotto  al  tavolo  del  «  dottore  Svizzero  » 
nel  sentir  risonare  il  passo  del  temuto  direttore  ». 

«  L'assiduità  e  la  buona  voglia  con  cui  ilTurillo  disimpegnava 
il  suo  còm})ito;  la  pazienza  e  l;i  sagacia  con  cui  egli  scopriva  e 
riconosceva  i  piccoli  animali  marini,  mi  furono  »  dice  il  Lang 
«  cosi  utili  nelle  mie  ricerche  scientifiche,  ch'io  non  credetti  mai 
di  sdebitarmi  verso  di  lui  in  maniera  adeguata  ,  dedicandomi, 
quando  avevamo  finito  il  lavoro  della  giornata,  con  lezioni  pri- 
vate di  lingue  moderne  e  di  storia  naturale,  a  migliorare  e  com- 
pletare la  insufficiente  preparazione  da  lui  ricevuta  nella  scuola  » . 

Io  conobbi  il  Lo  Bianco  nel  1884,  quando  egli ,  in  un  de- 
cennio circa,  già  aveva  raggiunta  una  posizione  eminente  nella 
Stazione  Zoologica;  e,  sotto  la  sua  guida  sapiente  gli  esperti  pe- 
scatori raccoglievano  quotidianamente  per  i  naturalisti  ospiti  della 
Stazione  i  tesori  del  mare,  e  un  piccolo  manipolo  di  giovani  vo- 
lenterosi, diretto  da  lui,  applicando  i  suoi  metodi,  era  intento  da 
mane  a  sera  a  conservare  gli  animali  del  golfo  e  a  spedirli  in 
ogni  parte  del  mondo. 

Rotetti  allora  e  nei  lunghi  anni  che  poi  ebbi  la  ventura 
di  passare  accanto  a  lui,  cui  ben  presto  mi  legarono  vincoli  di 
non  mai  smentita  amicizia,  vedere  in  atto  la  mirabile,  continua, 
insaziabile  bramosia  di  apprendere,  che  fin  dai  suoi  primi  anni 
aveva  colpito  il  Lang.  E  mi  fu  svelata  la  segreta  fonte  di  quella 
stupefacente  coltura  acquistata  fuori  d'ogni  scuola  e  senz'alcun 
metodo  didattico. 

Egli  non  trascurava  nessuna  occasione  per  istruirsi  ;  da  ogni 
persona  traeva  qualche  ammaestramento;  seguiva  con  amoroso 
interesse  le  ricerche  di  tutti  coloro  che  lavoravano  nella  Sta- 
zione Zoologica,  impossessandosi  dei  varii  problemi  zoologici,  di- 
scùtendoli, aiutando  con  tutte  le  sue  forze  e  con  vero  intelletto 
d'amore  le  ricerche  di  ciascuno.  Né  tralasciava  di  allargare  la 
sua  coltura  in  ogni  direzione.  Ricorderò  sempre  con  piacere,  e 
non  senza  un  malinconico  rimpianto,  i  tempi  della  nostra  giovi- 
nezza; le  lunghe  chiacchierate,  in  cui  egli  talvolta  mi  obbligava 
a  sciorinare  un  po'  del  sapere  ufficiale,  faticosamente  acquistato 
sui  banchi  di  scuola! 


—  105  — 

Una  volta  p.  es.  dedicammo  assiduamente,  per  molte  settima- 
ne, un'ora  e  più  al  «giorno  a  leggere  e  commontare  i  «  Primi  prin- 
cipii  »  dello  Spencer.  —  E  nei  molti  anni  passati  a  lavorare  l'uno 
accanto  l'altro,  non  vi  fu  quasi  giorno  senza  qualche  animata 
discussione  su  argomenti  varii  e  non  soltanto  di  biologia. 

La  conversazione  col  Lo  Bianco  mi  riusciva  assai  piacevole 
e  interessante.  Nelle  più  ardue  questioni,  anche  quando,  rischian- 
dosi in  acque  poco  note,  fuori  del  suo  mare,  dov'era  sicuro  pilota, 
navigava  un  po'  alla  ventura,  tanto  lo  soccorreva  il  suo  finis- 
simo intuito,  che  egli  poteva  quasi  sempre  evitare  le  secche  e 
mantenersi  a  galla.  Sempre  pronto,  del  resto,  a  riconoscere  la 
propria  ignoranza ,  era  egli  prontissimo  a  impossessarsi  dei  con- 
cetti nuovi  por  lui. 

Così,  fin  che  visse  il  nostro  Salvatore,  durò  un  continuo 
scambio  d'idee  e  di  notizie  fra  lui  e  la  innumerevole  e  vana 
falange  dei  naturalisti,  che  venivano  nella  Stazione  Zoologica  a 
scrutare  i  misteri  della  vita.  E  questo  scambio  fu  certamente 
non  ultimo  fra  i  fattori  di  progresso  scientifico,  che  si  debbono 
all'opera  creata  da  Antonio  Dohrn. 

Quello  che  il  Lang  scrive  di  sé  stesso  è  il  sentimento  di  tutti 
coloro,  che  per  più  d'un  trentennio  frequentarono  a  scopo  di  studio 
la  Stazione  Zoologica:  essi  non  potranno  mai  sdebitarsi  dei  be- 
nefici ricevuti  da  Salvatore  Lo  Bianco.  La  gratitudine  e  la  stima, 
che  tutti,  grandi  e  piccoli,  illustri  scienziati  e  modesti  ricercatori 
ebbero  per  Lui,  si  manifestarono  in  più  d'  una  occasione  durante 
la  vita  del  Lo  Bianco. 

Quando  egli  cominciò  a  pubblicare  alcuni  risultati  delle  os- 
servazioni intorno  alla  biologia  degli  animali  marini,  con  cosi 
assidue  e  intelligenti  cure  accumulate,  Salvatore  Trinchese,  che, 
come  gli  altri,  fu  compreso  di  ammirazione  per  questo  natura- 
lista formatosi  a  contatto  diretto  con  la  natura,  interpretando 
il  sentimento  di  tutti,  gli  fece  concedere  la  laurea  in  Scienze 
naturali  honoris  causa,  dall'Università  di  Napoli.  Così  il  piccolo 
Turillo,  ch'era  a  poco  a  poco  diventato  Salvatore,  e  poi  il  «  Si- 
gnor Lo  Bianco  »,  divenne  dottore;  e  mai  titolo  accademico  fu  più 
inusitatamente  e  brillantemente  conquistato,  né  più  giustamente 
meritato. 

Questo  primo  segno  di  riconoscimento  ufficiale  delle  bene- 
merenze del  nostro  Lo  Bianco,  fu  seguito  da  altri  e  molti,  che 
Sovrani,  Governi,  Accademie  lo  colmarono  di  distinzioni  e  ono- 


-  106  - 

rificenz^'^ì.  Ma  più  t'l<»(|unnt(!  tnstim(niianz;:i  duU'altissima  universale 
stima  riri'n^li  ;ivi(;i  saputo  coutpùstarsi  s  )M<)  li;  iumimcrc.voli  (jon- 
(lo^lianzii  })ui'V(.)iiulc  da  o<^iii  parto  dol  inondo  alla  do.solata  fa- 
miglia o  alla  Staziono  Zoologica  dopo  la  sua  morto.  Colpisco  sopra 
tutto  la  concordanza  con  cui  i  più  diversi  uomini  doi  piìi  diversi 
paesi  esprimono  la  loro  ammirazione,  il  loro  affetto,  la  loro  gra- 
titudine, per  l'uomo  singolare,  esaltando,  con  unanime  consenso, 
gì'  ineslimal)ili  servizii  ch'Egli  rose  alle  Scienze  biologiche. 

Il  nostro  Lo  Bianco,  nella  sua  laboriosissima  vita,  non  si 
contentò  di  fornire  il  materiale  pei  loro  studi!  a  legioni  di  ri- 
cercatori ;  di  arricchire  musei  e  laboratori  con  le  bellissime  col- 
lezioni di  animali  marini;  di  dedicare  le  sue  amorevoli  cure  al- 
l'Acquario, che  grazie  alla  sua  sapiente  direzione  riscosse  l'am- 
mirazione di  visitatori  sempre  più  numerosi  e  acquistò  fama 
mondiale;  egli  seppe  anche  essere  efficacissimo  maestro  e  abile 
ricercatore. 

È  noto  che  il  Dohrn  ebbe  l'idea  geniale  di  utilizzare  le  navi 
delle  marine  da  guerra  per  1'  esplorazione  biologica  dei  mari,  e 
stipulò  col  nostro  Ministero  della  .Marina  e  con  i  Governi  di  varii 
Stati  Europei,  speciali  contratti,  in  virtù  dei  quali  alcuni  ufficiali 
e  medici  di  marina  vennero  a  imparare  nella  Stazione  zoologica 
i  metodi  di  pesca  e  di  conservazione  degli  animali  marini. 

Come  istruttore  fu  scelto  naturalmente  il  Lo  Bianco,  il  quale 
in  corsi  accelerati,  che  di  solito  duravano  pochi  mesi,  non  soltanto 
largì  ai  suoi  allievi  i  tesori  delle  sue  conoscenze  e  della  sua  espe- 
rienza, ma  seppe  trasfondere  in  loro  il  suo  entusiasmo  per  le  ri- 
cerche biologiche.  Tenenti  di  vascello  e  medici  della  marina  ita- 
liana, tedesca,  spagnuola,  russa,  si  succedettero  per  varii  anni 
nella  Stazione  zoologica,  gareggiando  di  zelo  nell'  apprendere  i 
segreti  della  vita  del  mare  da  colui  che  non  aveva  avuti  maestri. 

Tutti  conoscono  gli  ottimi  eifetti  della  iniziativa  presa  dal 
Dohrn;  primo  fra  gli  allievi  del  Lo  Bianco,  anche  in  ordine 
di  tempo,  fu  Gaetano  Chierchia,  ora  ammiraglio,  il  quale  im- 
barcato in  qualità  di  tenente  di  vascello  sulla  R.  Corvetta  Vettor 
Pisani,  che  dal  1882  al  1885,  al  comando  di  Giuseppe  Palumbo, 


1)  Fa  insignito  di  varii  ordini  cavallerv-schi,  e  cioè:  Cavaliere  della  Corona 
d'Italia,  Cav.  Uff.  dei  SS.  Maurizio  e  Lazzaro,  di  S.  Anna  di  E.ubsia,  della 
Corona  di  Prussia,  d'Isabella  la  Cattolica  e  del  Merito  navale  di  Spagna,  ecc. 

Fu  socio  di  varie  Accademie  e  Società  :  dei  Lincei,  del  R.  Istituto  d'In- 
coraggiamento di  Napoli,  della  Società  imperiale  Zoologica  di  Vienna,  e  di 
altre. 


—  107  — 

compi  un  viaggio  di  circumnavigazione  ,  fece  onore  a  sé  e  al 
maestrO;  riportando  in  patria  una  collezione  di  animali  marini, 
raccolti  nelle  più   diverso  regioni  e  profondità. 

Vennero  poi  gì'  italiani ,  Colombo ,  Acton ,  D.'  Tacchetti, 
Dj  Oliva,  gli  spagnuoli  Borja,  Navarrete ,  Anglade  e  tedeschi 
e  russi,  e  più  d'uno  di  costoro,  profittando  degl'insegnamenti  del 
Maestro,  rese  ottimi  servi^'.ii  alle  scienze  biologiche  e  alle  indu- 
strie marittime.  Tutti  rimasero  affezionatissimi  al  Lo  Bianco,  di 
cui  hanno  serbata  costante  e  grata  memoria. 

In  maniera  non  meno  interessante  si  manifestò  le  multiforme 
attività  del  Lo  Bianco  nel  campo  della  ricerca.  Nel  1888  egli 
pubblicò  per  la  prima  volta  le  «  Notizie  biologiche  riguardanti 
specialmente  il  periodo  di  maturità  sessuale  degli  animali  del 
Golfo  di  Napoli  »,  nelle  quali  mise  a  disposizione  degli  studiosi 
la  ricca  mèsse  d'  informazioni  raccolte  con  lunghi  anni  di  pa- 
zienti ininterrotte  metodiche  osservazioni  quotidiane.  Una  seconda 
edizione  comparve  nel  1899,  accresciuta  di  molte  nuove  osserva- 
zioni continuate  per  un  altro  decennio  ;  e  una  terza  lo  scorso 
anno  con  altre  aggiunte. 

Altro  inestimabile  servizio  egli  rese  ai  naturalisti  col  pub- 
blicare i  «  Metodi  usati  nella  Stazione  zoologica  per  la  conserva- 
zione degli  animali  marini  ». 

Un  fortunato  incontro  diede  poi  modo  al  Lo  Bianco  di  esten- 
dere le  sue  ricerche  alle  regioni  abissali  del  Mediterraneo,  per  la 
cui  esplorazione  la  Stazione  zoologica  non  disponeva  di  mezzi  suf- 
ficienti. Il  noto  ricchissimo  re  dei  cannoni,  F.  A.  Krupp,  ebbe  va- 
ghezza di  dedicare  i  momenti  di  riposo,  che  gli  concedevano  le 
gravi  occupazioni  della  grandiosa  impresa  industriale,  allo  studio 
della  zoologia  marina  e  si  rivolse  al  Dohrn ,  suo  amico,  perchè 
lo  aiutasse  a  sodisfare  questo  suo  desiderio.  Il  Dohrn  intui  subito 
qual  vantaggio  potrebbero  ricavare  gli  studii  di  biologia  marina 
se  si  riuscisse  a  rendere  fruttifero  questo  inconsueto  capriccio 
d' un  milionario.  L'operatore  capace  di  trasformare  l'energia  po- 
tenziale della  ricchezza  in  forza  viva  a  beneficio  della  scienza  fu 
subito  trovato.  Anche  questa  volta  il  Lo  Bianco  dimostrò  di 
essere  l'uomo  adatto. 

Il  capriccio  del  Krupp,  irradiato  dal  fecondo  entusiasmo  del 
nostro  Salvatore,  ben  presto  divenne  passione;  i  due  uomini,  cosi 
diversi,  s'intesero  a  meraviglia  e,  animati  entrambi  da  un  nobile 
disinteresse,  misero  l'uno  le  ricchezze  e  la  buona  volontà,  l'altro 
i  tesori  della  sua  mente  e  della  sua  esperienza  a  disposizione  della 
biologia  marina. 


—  108  — 

In  (lue  snccossive  caiupa^^iu!,  la  jiriiiia  fatta  nel  1901  nelle 
vicinanzt?  di  ('apri  col  piccolo  yaclii  M<ijii\  la  .secónda,  di  più 
vaste  propoizioiii,  iicdrauiio  sc^uontc  in  varie  regioni  del  ]\Iedi- 
torraneo,  a  Ijordo  di  una  nave  molto  più  grossa,  il  Puritan,  sotto 
la  direzione  del  Lo  Bianco,  furono  esplorate  le  profondit,à  abissali, 
ancora  pochissimo  conosciute.  I  risultati  di  (juoste  esplorazioni 
furono  in  parte  puljblicati  dal  Lo  Bianco  in  due  memorie  ricclit; 
di  interessantissiijie  osservazioni  sulla  distribuzione  batiraetrica 
degli  animali  marini  e  di  importanti  scoperte  zoologiche  di  forme 
nuove  pei  nostri  mari. 

Il  Lo  Bianco  aveva  appena  finito  di  scrivere  la  relazione 
sulle  pesche  abissali  del  Puritan.  quando  gli  giunse  la  notizia 
della  improvvisa  morte  del  Krupp.  la  quale,  come  scrisse  il  Lo 
Bianco,  «  veniva  a  por  termine  ad  una  serie  di  esplorazioni  scien- 
tifiche, che  sarebbero  terminate  solo  quando  il  fondo  del  nostro 
mare  fosse  stato  conosciuto  in  tutti  i  suoi  segreti  ». 

La  scomparsa  del  Krupp  fu  grave  perdita  per  la  scienza, 
perchè  troncò  al  suo  inizio  un'impresa  che,  cominciata  sotto  i 
più  lieti  auspicii,  avrebbe  ac(j^uistato  vaste  proporzioni,  essendo 
il  Krupp,  ci  diceva  il  Lo  Bianco  «  un  organizzatore  sereno  e 
scrupoloso  fino  all'esagerazione,  qualità  che,  aggiunte  al  suo  en- 
tusiasmo ed  ai  mezzi  di  cui  poteva  disporre,  erano  garanzia  di 
successo  ». 

Ma  ben  più  grave  e  irreparabile  perdita  fu  quella  dell'amico 
nostro;  perchè  se  poteva  forse  sperarsi  che  un  altro  mecenate 
della  biologia  marina  sorgiissi;  un  giorno  a  coadiuvare  l'opera 
della  Stazione  zoologica;  chi  potrà  mai  sperare  elie  venga  un 
secondo  Lo  Bianco  ? 

Da  varii  anni  questo  instancabile  lavoratore  aveva  intrapreso 
un'altra  opera  grandiosa  e  già  l'aveva  condotta  a  buon  punto  :  la 
«  Descrizione  e  figurazione  dello  forme  post-larvali  delle  più  co- 
muni specie  di  pesci  del  nostro  Golfo  ».  Due  memorie  già  pub- 
blicate contengono  una  piccola  parte  dei  risultati  da  lui  ottenuti. 
Quella  «  Sull'origine  dei  barbigli  tattili  nel  genere  Mullus  »  ci 
rivela  un  bel  caso,  affatto  ignoto,  di  cambiamento  di  funzione 
d'un  organo,  mostrandoci  che  i  caratteristici  barbigli  delle  triglit; 
sono  dovuti  alle  trasformazione  del  primo  paio  di  raggi  bran- 
chiostegali  della  forma  giovanile.  La  seconda  tratta  dello  «  Svi- 
luppo larvale,  metamorfosi  e  biologia  della  Triglia  di  fango  » ,  eh'  io 
non  esito  a  indicare  come  vero  modello  di  questo  genere  di  ri- 
cerche. Quest'ultimo  lavoro  ci  dà  la  misura  dell'importanza  che 
avrebbe  preso   nelle    espertissime   mani  dell'Autore  il  ricco  ma- 


—  109  — 

teriale  accumulato  per  molti  anni  di  osservazioni ,  dirette  a  com- 
pletare la  storia  naturale  dei  pesci  ossei,  e  ci  fa  amaramente  rim- 
piangere ch'egli  non  abbia  potuto  menare  a  compimento  l'opera 
iniziata  con  tanto  amore  e  cosi  grande  abilità.  Per  buona  sorte 
egli  aveva  già  pronta  una  ricca  serie  di  disegni  e  di  descrizioni, 
che  potranno  essere  pubblicate  con  grande  vantaggio  della  bio- 
logia marina,  sia  dal  punto  di  vista  scientifico  che  da  quello  delle 
sue  applicazioni  alla  industria  della  pesca. 

Altri  scritti  il  Lo  Bianco  dedicò  alla  descrizione  di  alcune 
nuove  specie,  all'*  Azione  della  pioggia  di  cenere  caduta  durante 
l'eruzione  del  Vesuvio  del  1906  »,  e  uno  più  recento  alla  «  Pesca 
della  Fragaglia  nel  golfo  di  Napoli  durante  gli  anni  1906-07  ». 
Quest'ultimo  è  una  relazione  letta  nel  dicembre  del  1907  in 
seno  alla  Commissione  consultiva  della  Pesca,  Commissione  della 
quale  il  Lo  Bianco  era  stato  chiamato  a  far  parte  da  alcuni  anni 
e  dove  già  aveva  portato  l' inestimabile  contributo  delle  sue  va- 
stissime conoscenze  e  del  suo  acuto  spirito  d'indagine.  Anche 
questo  consesso  perde  in  lui  un  membro  non  facilmente  sosti- 
tuibile; egli  era  infatti,  per  universale  consenso,  riconosciuto  come 
la  più  competente  autorità  del  nostro  paese  in  materia  di  biologia 
marina. 

Insieme  all'amico  prof.  Monticelli,  il  Lo  Bianco  aveva  da  varii 
anni  preso  a  studiare  lo  sviluppo  e  le  forme  larvali  dei  Peneidi, 
e,  con  la  sua  consueta  abilità  di  osservatore,  era  riuscito  a  rico- 
struire quasi  completamente  la  storia  delle  complicate  metamor- 
fosi di  questi  crostacei.  Credo  d'interpretare  il  desiderio  vivissimo 
degli  amici  del  caro  estinto  e  dei  zoologi  tutti,  formulando  l'au- 
gurio, che  il  Monticelli  dia  presto  alle  stampe  il  risultato  di 
queste  belle  ricerche. 

Nella  sua  vita  cosi  utilmente  spesa  per  V  incremento  della  Sta- 
zione zoologica  e  delle  discipline  biologiche.  Salvatore  Lo  Bianco 
seppe  non  soltanto  acquistarsi  la  stima  e  l'ammirazione  univer- 
sale, ma,  come  voi  ben  sapete,  riusci  anche  a  conquistare  la 
simpatia  e  l' affetto  di  tutti  coloro  che  lo  avvicinarono.  La  sua 
gigantesca  caratteristica  figura  colpiva  al  primo  incontro;  la  gio- 
vialità e  urbanità  dei  suoi  modi  e  sopra  tutto  l'ardore  di  vita  che 
emanava  da  lui,  gli  conciliavano  gli  animi  più  diversi. 

In  molti  fra  voi  sarà  certo  vivo  il  ricordo  delle  allegre  spe- 
dizioni capitanate  da  lui;  ricordate  le  pesche  miracolose,  le  soste 
e  i  bivacchi  improvvisati  sulle  nostre  amene  spiagge,  a  Cuma,  a 
Ischia,  a  Capri,  sulla  penisola  Sorrentina,  nelle  luminose  gior- 
nate? i  ritorni  alla  luce  delle  stelle,  allietati  dai  ritornelli  popò- 


—  no  — 

lari  cantati  a  coro  sulla  tolda  dui  piccolo  Johannes  Miiller;  dove 
erano  uomini  d'ogni  favella,  spesso  ignoti  l'uno  all'altro,  sog- 
giogati e  affascinati,  riuniti  tutti  in  un'unica  famiglia  di  allegri 
matti  dal  tocco  magnetico  dell'irresistibile  duce,  che,  sproposi- 
tando in  tutte  le  lingue,  si  faceva  capire  da  tutti  e  in  tutti  tra- 
sfondeva il  suo  inesauribile  buon  umore  e  il  patrio  idioma. 

Ma  la  vivace  gazzarra  non  faceva  perder  di  vista  al  nostro 
capitano  l'obbietto  principale  della  spedizione;  e  se  ciascuno  di 
noi  ritornava  a  casa  rinfrancato  nel  corpo  e  nello  spirito,  i  la- 
boratorii  della  Stazione  zoologica  eran  sicuri  di  ricevere  una  ricca 
mèsse;  e  non  un  fatto  o  un  animale  interessante  era  sfuggito 
all'occhio  vigile  del  Lo  Bianco. 

Felicissimo  temperamento  quello  del  nostro  indimenticabile 
amico,  che  gli  permise  di  mantener  sempre  fresco  e  pronto  lo 
spirito  a  traverso  le  più  varie  vicende  della  vita,  che  anche  per 
lui  ebbe  momenti  difficili  e  dolorosi.  Agile  ed  elastico  nelle  mem- 
bra, malgrado  il  gran  corpo;  agile  ed  elastico  fu  pure  nello  spirito; 
egli  si  raddri/.zava  come  una  buona  lama,  quando  altri  sarebbe 
rimasto  curvo  e  abbattuto.  Con  queste  doti  seppe  mantenere  sem- 
pre alto  il  morale  della  famiglia,  ch'egli  amava  di  tenero  sollecito 
affetto,  e  infondere  coraggio  alla  buona  moglie,  che  una  fiera 
malattia  privò  per  anni  dell'uso  delle  membra;  e  resistere  viril- 
mente e  consolare  gli  altri  quando,  dopo  una  lotta  accanita,  la 
morte  gli  tolse  un  figlio  dilettissimo.  E  queste  doti  contribui- 
rono a  rendere  facili  e  cordiali  i  suoi  rapporti  con  gli  altri  e  fu- 
rono non  ultima  fra  le  tante  diverse  cause,  che  conciliarono  alla 
Stazione  zoologica  di  Napoli  le  simpatie  universali. 

Nell'organizzazione  interna  di  questo  Istituto  il  Lo  Bianco 
ebbe  parte  principalissima,  regolando  con  energica  volontà  e  con 
mano  sicura  i  molteplici  complicati  servizi!  cui  fu  preposto;  e 
pur  mantenendo  fra  i  suoi  dipendenti  una  rigorosa  disciplina, 
seppe  farsi  amare  e  stimare,  sopra  tutto  perchè,  non  acconten- 
tandosi dell'incontrastata  autorità,  volle  sempre  predicar  con  l'e- 
sempio, e  fino  all'  ultimo  giorno  della  sua  vita  fu  puntualissimo, 
scrupoloso,  instancabile  nell'adempimento  dei  suoi  doveri. 

In  quella  che  potrebbe  dirsi  la  politica  estera  della  Stazione 
zoologica,  secondando,  con  finissimo  tatto  e  senso  di  opportunità, 
gì'  intendimenti  del  Dohrn,  contribuì  efficacemente  ad  allargare 
la  sfera  d'azione  del  grande  Istituto,  e  in  varie  occasioni,  traendo 
partito  dalle  sue  relazioni  personali,  seppe  far  convergere  la  sim- 
patia eh'  egli  inspirava  a  favore  dell'opera  diletta  al  suo  cuore. 


—  Ili  — 

A  pochi  mesi  di  distanza  sono  scomparsi  il  creatore  e  la  più 
cara  creatura  della  Stazione  Zoologica.  I  resti  mortali  di  Salva- 
tore Lo  Bianco  riposano  lontano  da  quelli  di  Antonio  Dohrn;  ma 
fra  le  mura  della  Stazione  zoologica  aleggeranno  perpetuamente 
i  loro  spiriti  in  una  indissolubile  unione. 

Nella  Storia  della  Stazione  zoologica  il  nome  di  Salvatore 
Lo  Bianco  starà  sempre  scritto  a  caratteri  d'oro  accanto  a  quelfo 
di  Antonio  Dohrn.  Riunendo  in  unica  memoria  i  nomi  di  questi 
due  uomini,  che  nella  vita  furono  uniti  da  un  unico  nobilissimo 
ideale,  sono  sicuro  di  rendere  al  nostro  caro  estinto  1'  omaggio 
che  gli  riuscirebbe  graditissimo  fra  tutti,  s'egli  potesse  udire  la 
mia  parola  o  leggere  il  mio  pensiero. 


Elenco  delle  pubblicazioni  del  D.r  Salvatore  Lo  Bianco 


J  )  Notizie  biologiche  riguardanti  specialmente  il  periodo  di  maturità  ses- 
suale degli  animali  del  Golfo  di  Napoli.  —  Mitth.  Z.  Stai.  Napoli, 
Voi.  8,  1888. 
2j  Metodi  usati  nella  Stazione  Zoologica  per  la  conservazione  degli  ani- 
mali marini  —  ibid.    Voi.  .9,  1890. 
Métbodes  en  usage  etc.  (traduz.  del  precedente;.  B/ill.  Se.  Fraiire  et  Bel- 

gique,   Voi.  23,  1891. 
Lo  stesso,  trad.  Russa — *S7.  Felersburg.,  1892. 

The  methods  employed  at    the    Naples   Zoological    .Station    etc.  (trad. 
inglese).  Bull.    V.  S.  National  Museiim,  1899. 
'ó)  Gli  Anellidi  tubicoli  trovati    nel  Golfo    di  Napoli.  —  Atti    Accad.    Na- 
poli (2).   Voi  5,  1893. 

4)  Notizie  biologiche  ecc.  (2«  ediz.)  -Mitth.  Z   Stat.    Voi.  13,  1899. 

5)  Le  pesche  pelagiche  abissali  eseguite  dal  «  Maja  »  nelle  vicinanze  di 

Csi^ri.—ihid.    Voi.  15,   1901. 
Die  pelagischen  Tiefenfange  der  «Maja»   in  der  Nahe    von    Capri  — 
Lipsia,  1902  {trad.  del  precedente).  • 

Oj  Le  pesche  abissali  eseguite  da  F.  A.  Krupp.  col  Yacht  «  Puritan  » 
nelle  adiacenze  di  Capri  e  in  altre  località  del  Mediterraneo.  — 
Mitth.  Z.  Stat.   Napoli,   Voi.  16,  1903. 

7)  Beitrage  Zur  Kenntniss  des  Meeres   und    Seiner  Bewohner.    1.    Pela- 

gische  Tiefseefisoherei  der  «  Maja  »  etc.  Jena,  1904. 

8)  L'azione  della  cenere  caduta  durante  l'eruzione  del  Vesuvio  nell'Aprile 

1906  sulle  specie  commestibili  marine. — Atti  R.  Istituto  Incorag- 
giamento, Napoli  {6)  Voi.  3,  1906. 


—  112  — 

9)  Azione  della  pioggia  di  ceiioid  cadiila  durante  l'eruzione  del  Vesuvio 
dell'Aprile  190G  sugli  animali   mnvhù.—Mittli.  Zool.  Stai.  Napoli, 
Voi.  18,  1906. 
lU)  L'origine  dei  haihigli  tattili  nel  genere  Mullus.  —  Atti  accail.  Lincei. 
Roma,  Remi,  (òj   Voi.  IH,  1907. 

11)  Uova  e  larve  di  Trachypterus   taenia   Bl.  Mitili.   Zooì.   Stat.  Napoli 

Voi.   19,  1908. 

12)  Sviluppo  larvale,  nietamoi-fosi  e  biologia  della  Triglia  di  fango  {Mullns 

harhatns  Lin.)  —  ihià.    Voi.  19,   1908. 
13Ì  Grande  pesca  di  Sauri  avvenuta  nel  Golfo  di  Napoli  e  sue  adiacenze 
durante  i  mesi  da  Maggio  ad  Agosto  1908. — Rir.  niens.  Pesca, 
Amo  10.  1908. 

14)  La  pesca  della  «  fragaglia  »    nel  Golfo    di    Napoli  durante   gli   anni 

19UG-19U7  — /7/à/.  Anno  11,  1909. 

15)  Notizie  biologicbe  ecc.  (3.*    ediz.j    Mitth.  Z.  Napoli.    Voi.    19,    1910. 

In  collahorn zinne  col  prof.  P.  Mayer 

16)  Spongicola  uud  Nausitboe — Zool.  Avzeiger.  Anno  18.  1890. 


Poche  osservazioni  al  lavoro  del  Ppof.  L.  Ricciardi 

"  Su  le  Relazioni  delle  Reali  Accademie  delle  Scienze  di  Napoli 
e  dei  Lincei  di  Roma  sui  terremoti  calabro-siculi  del  1789  e  1908  " 

del  socio  V.  Gauthier 


(Tornata  del  9  giugno  1910) 

Dalla  lettura,  attenta  e  ripetuta  due  volte,  del  lavoro  del 
socio  Ricciardi,  appare  evidente  che  esso  non  è  altro  che  una 
raccolta  di  brani,  di  scritti,  di  opinioni,  di  articoli  di  giornali 
quotidiani,  di  una  importanza  molto  discutibile  e  non  sempre 
meritevoli  di  quella  fede,  che  si  richiede  in  questioni  scientifiche. 
Egli,  che  pur  spesso  fa  delle  affermazioni  recise,  non  adduce  nessun 
fatto,  nessuna  osservazione  personale,  che  possa  per  lo  meno 
scuotere  il  lettore  e  fargli  ammettere  1'  una  più  che  l'altra  ipotesi 
sulle  cause  del  tremuoto  calabro-siculo  del  1908,  e  quindi  non  si 
spiega  il  tono  pglemico,  che  spesso  assume,  il  quale  mal  si  addice 
in  lavori  veramente  scientifici. 

Accennerò  soltanto  ad  alcuni  fatti,  su  i  quali  pare  che  il 
socio  Ricciardi  faccia  grande  assegnamento  per  spiegare  la  origine 
vulcanica  dei  tremuoti  calabresi  del  1783  e  1908,  a  giudicare  che 
li  ripete  più  volte,  quantunque  non  sempre  allo  stesso  modo. 

Cosi,  le  acque  fangose  scottanti  che  uscirono  dal  suolo  a  Ro- 
samo  nel  terremoto  del  1783,  le  esalazioni  solforose  a  Palmi,  le 
scorie  galleggianti  in  mare  nel  terremoto  di  Scilla,  se  non  esclu- 
dono la  possibilità  di  una  eruzione  sottomarina  tra  Stromboli  e 
la  Piana  di  Gioia,  sono  fenomeni  che  militano  più  per  un  ter- 
remoto dovuto  a  tettonismo.  Io,  che  pur  mi  occupo  di  Idrologia, 
non  sono  nettunista,  giacché  ritengo  che  le  forze  endogene  del 
nostro  pianeta  sieno  sotto  la  dipendenza  del  magma  igneo,  ma 
pur  nondimeno  non  posso  escludere  che  l'acqua  eserciti  un'azione 
dissolvente  da  provocare,  oltre  che  azioni  chimiche  sulle  rocce 
con  le  quali  viene  a  contatto,  anche  delle  azioni  meccaniche  po- 
tenti a  determinare  spostamenti  di  masse  più  o  meno  grandi,  e 
spesso  intere  formazioni  geologiche  per  un'estensione  notevole  di 

.  8 


114  — 

parocchi  ohilomcitri;  a  iioii  Jiii  fermo  a  citare  numerosi  fatti  di 
simil  genere,  che  ogni  giorno  si  veriHcano  sotto  ai  nostri  occhi, 
percorrendo  il  mezzogiorno  dclhi  Penisola. 

E  lo  scivolamento  di  strati  di  rocce  poco  compatte  e  più 
recenti  di  altre,  sulle  quali  poggiano,  può  avvenire  per  la  pre- 
senza di  uno  strato  di  argilla,  che  li  separa  e  sulla  quale  scorre 
l'acqua.  Gli  effetti  di  questo  scivolamento  saranno  sempre  in  rap- 
porto alla  natura  della  roccia  e,  determinatasi  una  spaccatura, 
l'acqua  vi  si  immotte,  trasportando  la  fanghiglia  dovuta  all'  ar- 
gilla smossa,  ed  arriva  allo  esterno  come  acqua  fangosa. 

Se  r  acqua  non  proviene  da  una  certa  profondità ,  perchè 
sia  già  calda,  può  però  riscaldarsi  per  il  calore  che  si  sviluppa 
nelle  rocce  per  effetto  dell'attrito  determinato  dal  movimento  di 
essa,  e  bastano  le  sperienze  di  Daubrée  per  spiegare  questo  fatto, 
senza  ricorrere  all'azione  vulcanica. 

Ma  r  apparizione  di  acque  fangose  calde  in  Calabria  durante 
i  terremoti,  non  può  ascriversi  addirittura  al  vulcanismo,  giacché 
in  Calabria  le  argille  e  le  marne  terziarie  sono  abbondanti  e 
costituiscono  la  maggior  parte  delle  colline  sulla  costa  jonica  ed 
in  molti  punti  della  costa  tirrena  della  provincia  di  Reggio  e  di 
Catanzaro.  Ora,  le  acque  che  si  infiltrano  dalla  superficie,  o  quelle 
che  scorrono  nello  interno  di  simili  rocce,  possono  dilavare  la 
marna,  rammollirla,  come  la  stessa  argilla,  e  venendo  fuori,  per 
una  causa  brusca,  le  acque  trasportano  fango.    • 

La  comparsa  di  acque  solfuree  e  di  vapori  solforosi  svilup- 
pati da  fessure  del  suolo  in  seguito  a  terremoti,  pel  collega  Ric- 
ciardi .sono  indizi  chiari  del  vulcanismo.  Ora,  la  fuoriuscita  di 
idrogeno  solforato  può  esser  dovuta  non  soltanto  all'attività  di 
un  vulcano,  più  o  meno  lontano,  ma  anche  a  reazione  chimica, 
dovuta  all'incontro  di  acqua  con  le  rocce  che  costituiscono  la  zona 
gessosa  solfifera,  che  nella  Calabria  meridionale  è  stata,  fra  gli  al- 
tri, determinata  da  Cortese.  Lo  sviluppo  di  vapori  solforosi  può 
verificarsi  per  lo  attrito  di  strati  solfiferi  o  contro  altre  rocce  più 
compatte,  o  fra  diversi  strati  della  stessa  formazione,  e  la  pro- 
duzione di  questo  gas  non  è  rara  nelle  zolfare  di  Sicilia. 

L'aumentato  volume  di  alcuni  ruscelli  e  pozzi,  e  delle  stesse 
acque  termo-minerali  di  Guardia  Piemontese,  che  si  verificò  nel 
tremuoto  di  Calabria  del  4  ottobre  1870,  può  essere  spiegato  sia 
per  un  tremuoto  dovuto  all'  azione  vulcanica,  sia  a  scorrimento 
di  strati. 

La  scossa  propagata  ad  un  bacino  di  raccolta  di  acqua  od 
a  strati  nei  quali  decorre  un  filone  di  acqua,  può  determinare  il 


—  115  — 

trabocco  di  questa  in  maggior  quantità  noi  primo  caso,  o  per 
nuove  vie  apertesi  negli  strati,  altri  filetti  di  acqua  si  uniscono 
al  filone  più  grosso  nel  secondo,  ed  in  entrambi  i  casi  si  ha  ra- 
pido aumento  nella  portata  del  fiume  o  delle  sorgenti ,  aumento 
che  può  cessare  quando  cessa  la  causa,  che  l'ha  determinato.  Può 
darsi  pure  che  apertesi  nuove  vie  nel  bacino  di  raccolta,  o  spez- 
zatosi lo  strato  sul  quale  scorre  il  filone  di  acqua,  questa  scenda 
in  strati  più  profondi,  fino  a  trovare  lo  strato  impermeabile  che 
possa  trattenerla,  per  cui  si  verifica  il  disseccamento  delle  sor- 
genti e  dei  pozzi,  fatto  che  spesso  si  verifica  nei  tremuoti. 

Le  scorie  galleggianti,  che  sarebbero  dovute,  pel  socio  Ric- 
ciardi, ad  un  vulcano  sottomarino,  possono  anche  provenire  da 
siti  lontani  e  possono  anche  non  essere  recenti  e  portate  poi  dalle 
correnti  marine  sulle  coste  della  (^alabria,  o  per  effetto  del  mare- 
moto essere  staccate  dai  vulcani  eolici;  ma  su  ciò  non  vado  oltre, 
avendo  già  dato  consimili  spiegazioni  il  prof.  Di  Stefano. 

Il  tremuoto  del  1906,  che  ebbe  la  maggiore  intensità  sulla 
linea  di  frattura,  che  parte  dal  golfo  di  S.  Eufemia  e  va  nel 
golfo  di  Squillace,  per  il  socio  Ricciardi  fu  dovuto  ad  eruzione 
sottomarina,  che  avvenne  contemporaneamente  nel  Tirreno  e  nel 
Jonio. 

Ora,  a  parte  che  mancano  dati,  oltre  del  tremuoto,  che  di- 
mostrino l' avvenuta  eruzione  nei  due  mari ,  giacché  egli  non  ad- 
duce nessun  fatto,  nessuna  osservazione,  non  pare  anche  possibile 
che  il  tremuoto  abbia  potuto  verificarsi  pel  movimento  delle  rocce 
elastiche  addossate  da  una  parte  al  massiccio  dell'  Aspromonte 
e  dair  altra  a  quello  della  Sila,  e  che  colmarono  la  stretta  di 
Catanzaro  ? 

E  non  è  possibile  che  tale  movimento  possa  verificarsi  oltre 
che  per  l'azione  delle  acque  sotterranee,  anche  per  il  lento  bra- 
disismo, che  nella  Calabria  meridionale  tuttora  si  verifica? 

Il  dicco  basaltico  di  Palmi  certamente  non  è  stato  visto  dal 
socio  Ricciardi,  perchè  avrebbe  constatato  trattarsi  di  oficalce, 
ed  in  ogni  caso  a  Palmi  vi  è  terreno  eocenico. 

Tralascio  di  occuparmi  di  tutte  le  citazioni  degli  antichi  fi- 
losofi e  financo  di  poeti  latini,  che  si  riscontrano  molto  spesso 
nel  lavoro  in  parola,  né  di  ciò  che  si  conosce  dai  competenti  in 
materia,  ma  mi  piace  di  riportare  un  brano  dell'autore,  dal  quale 
si  rileva  che,  in  argomenti  serii,  e  che  danno  da  pensare,  egli  sa 
mescolare  anche  la  poesia  in  elegante  prosa,  come  si  rileva  dal 
brano  che  trascrivo: 


—  IIG  — 

«  Riassumendo,  nel  1783,  dopo  il  tromiioto  del  5-(3  febbraio, 
*  ve  no  fu  un  secondo  il  giorno  7  ed  un  terzo  il  28  Marzo.  Le 
«  scosse  furono  sussultorie,  sempre  precedute  da  rombi,  più  o 
€  meno  assordanti;  in  alcune  contrade,  durante  il  terremoto,  il 
€  suolo  ondeggiava  a  sussulti,  lanciando  a  considerevoli  distanze 
«  colline  e  caseggiati,  spesso  le  sabbie,  pei  continui  sussulti,  si 
«  muovevano  in  modo  da  sembrare  un  liquido  bollente,  si  sfa- 
«  sciavano  monti,  sparivano  fiumi,  si  formavano  laghi,  mentre 
«  spaventevoli  detonazioni  si  udivano  sotterra  >. 

In  conclusione,  dal  lavoro  dell'egregio  socio  Ricciardi  non 
risulta  che  i  due  tremuoti  della  Calabria,  del  1783  e  1908,  sieno 
stati  causati  da  eruzioni  di  vulcani  sottomarini;  che  anzi  i  fatti 
da  lui  riportati  non  fanno  che  aumentare  la  confusione,  che  esiste 
ancora  intorno  alla  genesi  dei  terremoti. 


I 


Una  nuova  sofisticazione  dell'olio  di  ulive 

del  socio  A.  Cutolo 


(Tornata  del  14  luglio  1910) 

Da  un  commerciante  di  olio  di  ulive,  che  spesso  si  reca  da 
me  per  consigli  inerenti  a  i  suoi  affari,  mi  fu  presentato  un 
campione  di  olio,  che  egli  riteneva  sospetto,  ma  nel  quale,  con 
la  degustazione,  non  riusciva  a  scoprire  alcun  sapore  caratteristico 
degli  olii  di  semi  estranei,  che  vengono,  di  solito,  adoperati  per 
le  sofisticazioni  nella  nostra  regione. 

L'olio  in  discussione,  difatti,  si  presentava  di  aspetto  lim- 
pido, di  colore  giallo  e  di  odore  e  sapore  di  olio  di  ulive. 

Per  vedere  con  quale  tipo  di  olio  avevo  da  fare,  eseguii, 
innanzi  tutto,  la  mia  reazione  cromatica,  ^)  con  acido  nitrico  e 
gelatina;  ebbi  la  sorpresa  di  notare  che,  aggiungendo  il  reattivo, 
a  freddo,  si  otteneva  una  colorazione  rossa  di  tutta  la  massa 
deU'olio. 

La  stessa  colorazione  si  otteneva  aggiungendo,  all'olio  in 
esame,  qualunque  altro  acido  minerale. 

Pigliai  nota  del  fenomeno  e  continuai  la  reazione,  riscal- 
dando. A  misura  che  lo  sviluppo  di  vapori  nitrosi  agiva  su  l' olio, 
la  colorazione  rossa  andava  diminuendo  sino  ad  ottenere  una  rea- 
zione finale  negativa  per  olii  di  semi  estranei  a  l'ulivo. 

Fu  notevole  solo  una  schiuma  abbondante,  fenomeno  che 
avviene,  però,  sempre  che  si  esegue  la  mia  reazione  con  olii  so- 
fisticati con  olio  di  ricini. 

Nonostante  questa  reazione  generale  negativa,  volli  eseguire 
le  reazioni  particolari  caratteristiche  delle  principali  specie,  per 
ricercare  cioè:  olio  di  cotone,  di  sesamo,  di  colza,  di  ricini  e 
di  arachide. 


>)  fìollctfino  della  Società  di  Naturalisti   in  Napoli,  Anno  XV,  Voi.  XV, 
1901. 


—  118  — 

Solo  la  ricerca  di  quest'ultimo  mi  dette  l'occasione  disco- 
prire la  frode. 

Da  alcuni  anni  eseguo  la  ricerca  dell'olio  di  arachide  nell'olio 
di  ulive,  col  metodo  seguente: 

In  un  grosso  tubo  da  saggio,  faccio  bollire,  a  fuoco  diretto, 
1  ce.  di  olio  sospetto  con  10  ce.  di  soluzione  di  potassa  al  5  °/o , 
in  alcool  a  96".  A  saponificazione  completa,  raffreddo  verso  14p. 
Quando  è  presente  l'olio  di  arachide,  si  ottiene  il  precipitato 
cristallino  di  arachidato  potassico. 

La  reazione  è,  certamente,  sensibile  con  olii  che  contengano 
anche  solo  6°/o  di  olio  di  arachide,  ed  è  perciò  sufficiente  per  la 
vigilanza  annonaria;  una  sofisticazione  con  quantità  minori  non 
s'incontra  nella  pratica  ordinaria  e,  d'altra  parte,  non  darebbe 
nessun  rendimento  mercantile. 

Neil' eseguire,  dunque,  tale  reazione  su  l'olio  in  questione 
non  mi  fu  possibile  ottenere  la  saponificazione  completa;  per 
quanti  tentativi  avessi  fatto,  sia  cambiando  il  grado  dell'alcool 
ed  il  titolo  della  potassa,  sia  riscaldando,  più  o  meno  a  lungo 
a  fuoco  diretto,  a  bagno  di  acqua  bollente,  a  ricadere. 

Si  produsse,  invece,  una  intensa  colorazione  gialla  della  so- 
luzione potassica  che,  separata,  diveniva  rosea,  intorbidandosi, 
per  aggiunta  di  acidi  in  lieve  accesso. 

Questi  due  fatti  :  la  incompleta  saponificazione  dell'  olio 
e  la  colorazione  della  potassa,  messi  in  rapporto  anche  con  la 
colorazione  rossa  che  forniva  l'olio,  per  aggiunta  di  acidi  minerali 
a  freddo,  mi  convinsero  ohe  la  sofisticazione  fosse  dovuta  a  la 
presenza  di  un  olio  minerale  e  che  nella  miscela  dovesse  tro- 
varsi una  sostanza  colorante  artificiale. 

E  difatti,  trattando  1'  olio  con  parte  uguale  di  acido  solforico 
concentrato  ottenni,  sebbene  dopo  24  ore  e  centrifugando,  la 
separazione  di  uno  straterello  di  olio  minerale,  a  la  superficie 
della  emulsione  nera  formatasi. 

La  reazione  di  Schulze ,  con  soluzione  benzolica  di  acido 
picrico,  mi  dette  risultato  negativo. 

Credetti  opportuno  di  completare  l'analisi  dell'olio  deter- 
minandone le  principali  costanti,  che  sono  riportate  nella  co- 
lonna II  della  Tavola. 

Per  la  determinazione  della  sostanza  colorante  artificiale  mi 
servii  dei  metodi  ordinarii,  adoperati  per  la  ricerca  dei  colori  del 
burro,  ottenendo  sempre  risultati  negativi. 


—  119  — 

Risultati  positivi  ottenni,  invece,  adoperando  il  metodo  tro- 
vato da  Vetere  e  da  me  ^),  per  la  ricerca  della  metil-azo-dime- 
til-anilina. 

Circa  5  ce.  di  grasso  sospetto  si  agitano  con  altrettanto 
acido  cloridrico  al  10  ^jo.  Questo,  separato  dal  grasso,  resta  colo- 
rato in  rosso  cremisi,  più  o  meno  vivo.  Il  liquido  acido,  cosi  otte- 
nuto, reso  alcalino  con  ammoniaca,  assume  colorazione  gialla.  La 
soluzione  ammoniacale,  dibattuta  con  etere,  cede  a  questo  solvente 
la  sostanza  colorante.  Facendo  bollire,  d'altra  parte,  la  stessa 
soluzione  ammoniacale  con  qualche  filo  di  lana  bianca,  si  fissa 
il  colore  giallo.  Le  lane,  cosi  tinte,  trattate  con  acido  solforico 
concentrato  danno  una  soluzione  gialla  che,  per  diluzione  con 
acqua,  diventa  rossa.  Trattate  invece  con  potassa  si  colorano  in 
giallo  più  intenso. 

Eseguita  la  ricerca  su  l' olio,  ottenni  risultati  identici ,  e, 
d'  altra  parte,  trattando  l' olio  con  alcool  di  96°  potetti  estrarre 
tutto  il  colore,  in  modo  da  poter  ripetere  sul  residuo  della  so- 
luzione alcoolica  le  reazioni  specifiche. 

Provata  cosi  in  modo  evidente  la  sofisticazione,  con  olio  mine- 
rale colorato  con  metil-azo-dimetil-anilina,  pregai  lo  stesso  com- 
merciante di  procurarmi ,  con  ogni  sforzo,  il  prodotto  originale 
adoperato  per  la  sofisticazione,  a  lo  scopo  di  conoscerne  le  ca- 
ratteristiche. Egli  ebbe  l'abilità  di  trovarne  un  campione  di  circa 
30  ce.  sul  quale  potetti  fare  le  indagini  che  seguono: 

Trattasi  di  un  olio  di  aspetto  limpido,  colorito  in  giallo  do- 
rato, inodore  e  quasi  insipido.  Ho  detto  quasi  insipido  perchè, 
insistendo  nella  degustazione,  si  arriva  a  scoprire  un  lievissimo 
sapore  di  olio  minerale;  ma  non  potrei  afi'ermare  se  ciò  sia  di- 
pendente dal  mio  gusto  esercitato,  perchè  altri  non  lo  sentiva, 
o  da  una  specie  di  prevenzione  subbiettiva,  naturale  in  questi 
saggi  organolettici. 

Ripetuti  i  saggi  cromatici  generali^  non  ebbi  alcuna  reazione 
caratteristica.  Le  costanti  fisiche  e  chimiche,  che  determinai,  sono 
riportate  nella  colonna  III  della  Tavola.  La  ricerca  della  materia 
colorante  mi  dette  risultati  identici  a  quelli  esposti  preceden- 
temente. 

Ora  quale  è  il  mezzo  rapido  per  scoprire  la  frode  ? 

A  lo  stato  attuale  il  sospetto  della  sofisticazione  si  acquista 
subito  :  eseguendo  la  mia  reazione,  o  quella  di  Brulle,  la  colora- 
zione rossa  a  freddo   rivela  la  frode. 

»)  Boll.  Società  di  Naturalisti  in  Napoli,  Anno  XVII.  voi.  XVII,  1903. 


—  120  — 

Ma  (|uauflo  questa  mia  Nota  sarà  pubblicata,  certamento 
l'olio  non  sarà  più  colorito  ^)  ed  allora,  ottenendosi  le  reazioni  ge- 
nerali negative,  la  sofisticazione  potrebbe  sfuggire. 

Bisogna,  perciò,  utilizzare  i  due  dati  caratteristici  :  l'indice  di 
rifrazione  alto  e  la  saponificazione  incompleta. 

Non  bisogna,  dunque,  trascurare  l'osservazione  al  refrattomi;- 
tro  di  tutti  gli  olii  in  esame,  ed,  ottenuto  un  indice  alto  e  le  rea- 
zioni cromatiche  negative,  bisogna  fare,  senz'  altro,  la  prova  di 
saponificazione,  sufficiente  a  scoprire  la  frode  che  ho  denunziata, 
che,  dal  punto  di  vista  dell'igiene  alimentare,  ha  un'importanza, 
su  la  quale  credo  inutile  insistere. 

Tavola  dei  risultati  analitici 


Olio 
di  ulive 

1 

Olio 
sofisticato 

II 

Olio 
minerale 

UI 

Indice  di  rifrazione  (Zeiss  a  26°).     . 

Grado  termico 

Numero  di  saponificazione  .... 
»          »    jodo    

62-63 

44 

192-195 

80-83 

64,6 

33,5 
148 
60,8 

72,6 

4, 

0 
2,9 

Napoli,  Laboratorio  chimico  municipale,  Luglio  1910. 


*)  Mentre  questa  mia  Nota  era  in  corso  di  stampa  ho  avuto  occasione 
di  trovare  un  prodotto  incolore,  con  le  stesse  costanti  fisiche  e  chimiche,  messo 
in  commercio  con  il  nome  di  ulivina. 


Il  sismismo,  il  vulcanismo  e  la  costituzione  geoflsica 
del  geoide 

del  socio  Leonardo  Ricciardi 


(Tornata  del  9  giugno  1910) 

In  uno  dei  manoscritti  di  Angelo  Secchi  si  legge  che  «  lo 
studio  dei  terremoti  è  entrato  in  questi  ultimi  anni  in  una  fase 
novella  mediante  lo  studio  dei  terremoti  microscopici.  Da  questo 
si  aspetta  la  risposta  della  corrispondenza  delle  stazioni  lontane, 
che  potranno  dar  luce  alla  soluzione  del  problema.  Il  lavoro  di 
questa  fase  interna  ben  studiata  ci  servirà  di  chiave  alla  spie- 
gazione della  costituzione  del  nostro  geoide  ». 

Uno  dei  benemeriti  nostri  tra  gli  studiosi  di  sismologia,  ri- 
masto ignorato,  è  un  ftiodesto  orologiaio,  Domenico  Salsano,  che 
teneva  bottega  al  largo  del  Gesù,  il  quale  nella  metà  del  se- 
colo XVIII  si  era  proposto  la  «  registrazione  dei  moti  della 
Terra  » .  Per  riescire  all'intento  ideò  un  pendolo  sis^mico,  che  con- 
sultava stando  in  bottega.  Le  osservazioni  del  Salsano  erano  co- 
nosciute e  ricercate. 

L' ingegnoso  strumento  usato  dal  sismologo  Salsano  si  com- 
poneva di  una  piastrella  o  lente  di  piombo  di  circa  800  grammi 
sospesa  ad  un'  asta,  come  il  pendolo  di  un  orologio,  tenuta  da 
un  braccio  di  ferro  infisso  nel  muro  ;  nel  centro  e  sotto  la  pia- 
strella era  uno  stilo,  a  cui  il  Salsano  innestava  un  pennellino 
tinto  di  materia  colorante,  che  scorreva  sopra  una  tavoletta  messa 
orizzontalmente  e  sulla  quale  tracciava  i  movimenti  oscillatori 
del  muro,  che,  secondo  lui,  dovevano  cori'ispondere  ai  moti  della 
terra.  Ai  quattro  punti  corrispondenti  ad  E.  0.  S.  e  N.  pendevano 
dall'  asta  quattro  battocchi,  i  quali  urtavano  una  campanella  per 
avvertire  1'  osservatore  quando  avveniva  il  movimento. 

Sono  di  opinione  che,  siccome  molti  lodarono  il  Salsano  e 
tennero  conto  delle  sue  osservazioni,  dev'  essere  stato  quel  pen- 
dolo sismico  che  fece  scrivere  al  Vivenzio,  nella  sua  relazione  pel  - 


—  122  — 

terremoto  Calabro-Siculo  del  1783,  elio  nelle  Calabrie  gli  apparec- 
chi sismici  più  sicuri  erano  gli  animali. 

Oggi  che  il  geoide  è  coperto  da  una  fitta  rete  di  osserva- 
torì  o  di  stazioni  sismiche,  nelle  quali  insieme  agli  strumenti  più 
perfetti  è  diffìcile  non  si  trovi  un  peìulolo^  che,  come  di  consueto, 
quando  trattasi  di  cosa  italiana,  non  prende  il  nome  dal  Salsano, 
ma  nomi  diversi  quasi  quante  sono  le  nazioni.  Comunque,  per 
la  storia  e  per  la  scienza,  credo  non  fuor  di  proposito  1'  insistere 
che  le  ricerche  sismologiche  furono  iniziate  in  Italia  e  nella  no- 
stra NajDoli,  per  quanto  riguarda  <  i  moti  della  Terra  »,  dal  di- 
menticato quanto  ingegnoso  orologiaio  Domenico  Salsano. 

Giorgio  Darwin  ^)  chiama  pionieri  gì'  Italiani  pure  in  sismo- 
logia, e  con  orgoglio  io  affermo  che  non  solo  essi  ebbero,  ma  con- 
servano ancora  un  cospicuo  posto,  insieme  ad  una  pleiade  di  altri 
benemeriti  di  tutte  le  nazioni  civili  del  mondo,  che  nulla  tra- 
scurano pel  progresso  della  scienza. 

Fu  difatti  un  italiano,  l'astronomo  Carlini,  che  nel  1842  fece 
la  seguente  osservazione:  <  Molte  volte  i  nostri  grossi  aghi  (ma- 
gnetici) sospesi  ci  hanno  indicate  le  scosse  sotterranee  avvenute 
in  luoghi  remoti  ;  il  che,  secondo  il  mio  sentimento,  avviene  non 
già  per  un'influenza  magnetica  ^),  ma  per  una  semplice  scossa  mec- 
canica comunicata  al  centro  di  gravità  dell'  ago  pendente  da 
un  sottil  filo  ».  • 

Seguirono  le  osservazioni  del  Melloni  col  magnetometro  La- 
mont  e  quelle  di  Palmieri,  che  negli  Annali  dell'  Osservatorio 
Vesuviano  del  1866-69  scrisse  che  «  queste  perturbazioni  sono 
per  la  maggior  parte  occasionate  da  vibrazioni  del  suolo.   » 

Verbeech,  che  fece  molte  ricerche  durante  1'  eruzione  del 
Krakatoa  nel  1883,  riferi  che  al  principio  della  conflagrazione 
gli  aghi  magnetici  dell'  Osservatorio  di  Batavia  rimasero  indif- 
ferenti. Invece,  cominciata  l'emissione  di  sabbie,  quando  esse  erano 
più  abbondanti  nella  caduta,  allora  gli  aghi  magnetici  ne  furono 
influenzati. 

Pure  la  Commissione  inglese  che  studiò  i  fenomeni  che  pre- 
cedettero e  accompagnarono  1'  eruzione  del  Krakatoa,  non  trovò 
alcuna  connessione  effettiva  tra  i  due  ordini  di  fenomeni,  si- 
smico e    magnetico:  mentre    il   Mascart  continua    ad    essere    di 

1)  G.  H.  Darwin.  La  marea  ed  i  fenomeni  concomitanti  nel  Sistema  So- 
lare. Torino,  1906. 

2)  Il  Padre  Eschinardi  (Roma  1680)  fu  il  primo  che  avesse  intraveduto  la 
possibilità  d'una  correlazione  tra  i  fenomeni  sismici  e  quelli  magnetici. 


—  123  — 

opinione  che  i  turbamenti  segnati  dagli  apparecchi  magnetici, 
durante  i  terremoti,  devono  essere  attribuiti  a  cause  magnetiche 
o  elettriche,  anziché  ad  «  une  trasmission  méccanique  des  sè- 
cousses  du  sol  ». 

Dalle  osservazioni  fatte  durante  l'eruzione  del  Pelée  (1902), 
il  Maureaux  scrisse  che  sarebbe  stato  interessante  vedere  se  il 
fenomeno  da  lui  osservato  col  pendolo  orizzontale  era  stato  regi- 
strato dagli  strumenti  di  altri  osservatorii  e  se  era  in  rapporto 
con  l'eruzione  della  Martinica.  AH'  Osservatorio  astronomico  di 
Atene  la  perturbazione  magnetica  fu  più  accentuata  nella  com- 
ponente orizzontale,  contemporaneamente  all'osservazione  fatta  a 
Parigi.  Il  dottor  Eginitis  ne  dedusse  che  le  perturbazioni  dove- 
vano attribuirsi  a  causa  elettro-magnetica,  tanto  più  che  ad  Atene 
il  sismografo  Agamennone  non  subì  nessuna  oscillazione.  Questo 
fatto  decise  l'Eginitis  a  tranquillare  l'abate  Maureaux  e  ad  ac- 
cettare la  conclusione  di  Mascart. 

Il  Prof.  Di  Paola,  allora  assistente  all'  Osservatorio  Vesu- 
viano, non  si  convinse  dell'asserzione  del  dottor  Eginitis,  forse 
perchè  aveva  letto  negli  stessi  Comptes  rendus  ^)  le  osservazioni 
fatte  da  Lagrange  alla  stazione  di  Uccie  (Belgio)  lo  stesso  giorno, 
8  Maggio  1902,  cioè  la  constatazione  di  «  ima  leggerissima  azione 
meccanica.  Scrisse  il  Di  Paola  ^)  al  Prof.  Ricco  per  sapere  se  gli 
strumenti  di  quell'osservatorio  avessero  registrato  l'otto  maggio 
perturbazioni;  avutane  assicurazione,  si  convinse  che  il  fenomeno 
era  dovuto  a  vibrazioni  del  suolo  (Gruarini,  Palmieri  e  Scacchi, 
1856)  e  si  espresse  come  segue:  «  poiché  gli  aghi  non  restano  mai 
deviati  durante  le  perturbazioni  di  equilibrio,  mi  sono  sempre 
convinto  che  queste  agitazioni  per  effetto  di  parossismi  vesuviani 
e  di  terremoti  sono  dovute  ad  un'azione  puramente  meccanica 
del  suolo  in  seguito  al  passaggio  delle  onde  sismiche  ». 

«  Difatti,  l'energia  impetuosa  del  vulcano  nella  sua  estrinseca- 
zione deve  necessariamente  generare  delle  commozioni  del  suolo 
e  queste  trasmettersi  agli  aghi,  apportandovi  moti  verticali  e 
moti  orizzontali.  Se  oltre  quest'azione  meccanica  si  vuole  consi- 
derare che  nell'emissione  di  sabbie  vi  sono  miriadi  di  particelle 
di  magnetite  ,  forse  potrebbe  ingenerarsi  il  sospetto  di  qualche 
azione  influenzante  magnetica,  la  quale  sarebbe  un  fenomeno  sus- 
seguente alle  esplosioni  vulcaniche  »  (1902-1904).  Lo  stesso  prof. 


1)  C.  R.  p.  1107,  1425,  1326.  l^  semestre  del  1902. 

2)  Bollettino  della  Società  di  Naturalisti  in  Napoli.  Serie  1.  Vul.  XVI.  p, 
164,  1902. 


—  124  — 

di  Paola  studiò  i  fenomeni  elettrici  nella  eruzione  del  Vesuvio 
dell'aprile  1906  e  si  espresso  così:  «  Circa  la  origine  di  questa 
elettricità,  diverse  furono  le  spiegazioni  date  dai  naturalisti  ;  al- 
cuni l'attribuiscono  all'attrito  ,  altri  alla  condensazione  del  va- 
pore. » 

Palmieri  attribuiva  al  rapido  addensamento  dei  vapori  la  ca- 
gione principale  della  elettricità  positiva  del  fumo;  la  sabbia,  poi, 
spinta  in  alto  dal  cratere  sotto  l'influsso  di  questa  elettricità  po- 
sitiva, nel  cadere,  tendendo  a  prendere  elettricità  negativa,  ac- 
cresce il  potenziale  positivo  dei  globi  di  fumo  donde  parte,  ge- 
nerando quei  rapidi  incrementi  di  potenziale  pei  quali  si  hanno 
le  folgori. 

Il  Di  Paola  dice:  «  Io  credo  che  non  possa  escludersi  l'elet- 
trizzazione per  attrito,  né  quella  per  effetto  della  condensazione 
dei  vapori,  e  che  le  nuvole  di  vapore  acqueo  e  il  materiale  de- 
tritico  formano  le  due  armature  di  un  grande  condensatore.  Vo- 
lendo dare  un'interpretazione  scientifica  del  fenomeno,  secondo 
le  ricerche  più  recenti,  discuterò  l'importante  argomento  in  una 
altra  mia  nota  «  sulla  causa  dei  fenomeni  elettrici  delle  eruzioni 
vulcaniche  ». 

Pertanto  dalla  constatazione  dei  fatti  e  dalle  osservazioni  il 
Di  Paola  venne  alle  seguenti  conclusioni: 

«  l.o  che  nell'ultima  eruzione  vesuviana  (1906)  si  ebbe  grande 
svolgimento  di  elettricità,  sino  alia  manifestazione  del  fenomeno 
della  folgore; 

2.**  le  folgori  si  mostrarono  di  straordinaria  intensità,  quando 
l'eruzione  del  cratere  terminale  presentò  la  fase  massima  esplo- 
siva ; 

B."  nei  giorni  precedenti  all'inizio  della  fase  esplosiva-effusiva 
il  potenziale  del  campo  elettrico  atmosferico  si  mostrò  debole, 
invece  si  manifestò  altissimo  nel  periodo  esplosivo,  salvo  qualche 
accidentalità  verificatasi  in  qualche  giorno  di  pioggia; 

4.0  con  la  caduta  delle  sabbie  il  potenziale  era  sempre  ne- 
gativo, spesso  r  indice  a  conduttore  mobile  veniva  spinto  oltre  i 
90  gradi;  a  conduttore  fisso  il  potenziale  era  più  debole  e  talvolta 
spariva  diventando  zero  ; 

5.<>  dalla  grande  violenza  delle  esplosioni  di  materiale  de- 
tritico  (lapillo^  sabbia,  ceneri)  misto  al  fumo  copiosissimo  risulta 
confermata  la  condizione  perchè  si  abbia  il  fenomeno  della  folgore 
nelle  eruzioni  vulcaniche,  cioè:  cJie  i  vapori  debbono  essere  abbon- 
dantissimi e  spinti  con  r/rande  violenza  dalla  bocca  di  eruzione  e 
debbono  essere  misti  a  grande  quantità  di  materiale  detritico.  » 


—  125  — 

La  registraìsiono  fatta  a  Padova  dal  micr  osi  smog  rafo  Viceu- 
Um  od  in  altri  osservatorii  o  stazioni  gL.'odinamich(j  in  Italia  col 
sismometrogmfo  Agamennone  l'otto  maggio  1902,  convinsero  pure 
me  allora,  e  ne  ho  avuto  in  seguito  tante  prove  da  indurmi  lo 
scorso  anno  a  scrivere  come  segue  ^):  »  Io  sono  d'  avviso  che  1 
fenomeni  elettro-magnetici  siano  l'eifetto  della  stessa  causa  che 
produce  il  maremoto  e  il  terremoto  ,  cioè  il  vulcanismo.  Come 
pure  credo  dia  la  meccanica,  messa  a  servizio  della  scienza,  potrà 
fornirla  di  apparecchi  più  o  meno  sensibili,  capaci  di  registrare 
i  fenomeni  elettro-magnetici  prima  degli  effetti  dinamici,  giacché 
(juesti  sono  subordinati  alla  conducibilità  delle  rocce,  la  quale, 
come  è  noto,  varia  da  6000  metri  al  secondo  nel  granito  (Balti- 
mora), a  200  nelle  sabbie.  Quindi,  anche  ammesso  che  un  appa- 
recchio raccolga  nel  sottosuolo  le  onde  elettriche  provocate  dal 
magma  arroventato,  prima  che  venga  registrato  l'urto  sussultorio 
od  uudulatorio  dovuto  alla  espansione  del  vapore  acqueo  e  dei 
gas,  esso  potrà  indicarci  tutto  al  più  la  sua  perfezione  e  sensi- 
bilità, ma  mai  registrarci  un  terremoto  prima  che  non  sia  pro- 
vocato dal  vulcanismo  ». 

Confermarono  la  mia  asserzione  le  pazienti  osservazioni  fatte 
dal  mio  amico  prof.  Temistocle  Zona,  recentemente  rapito  alla 
scienza,  alla  famiglia  ed  agli  amici  ,  durante  il  periodo  sismico 
Calabro-Siculo  cominciato  cosi  tragicamente  il  28  dicembre  1908. 

Il  prof.  Zona,  dopo  una  serie  di  ricerche  fatte  col  magneto- 
metro Dover-Kew,  venne  alle  seguenti  conclusioni:  «  Il  magne- 
tometro è  un  ottimo  strumento  non  solo  magnetico  ,  ma  anche 
sismico,  e,  quello  che  importa,  sono  in  esso  bene  precisate  e  dif- 
ferenziate le  due  azioni  ». 

«  L'urto  sismico,  piccolo  o  grande,  quando  avveniva,  non  al- 
terò mai — dico  mai  —  la  posizione  del  magnete  in  declinazione, 
anzi  in  questo  senso  neppure  oscillava.  Ciò  è  della  massima  im- 
portanza, perchè  può  stabilirsi,  senz'altro,  che  le  deviazioni  ma- 
gnetiche (quando  avvenivano)  7ion  erano  prodotte  da  moto  sismico, 
ma  da  mutate  condizioni  magnetiche  ». 

«  I  terremoti  invece  determinavano  nello  strumento  un  moto 
verticale  rapidissimo.  Le  vibrazioni  verticali  (apparenti)  del  ma- 
gnete erano  di  due  specie  :  le  une,  ampie  e  lente  ;  le  altre,  brevi 
e  rapidissime;  queste  ultime  apparivano  al  momento  delle  scosse, 
spesso  erano  associate:  dico  apparenti,  perchè  naturalmente  do- 
vevano essere  prodotte  da  oscillazioni  pendolari  ». 

1)  Op.  e.  Cava  dei  Tirreni,  1909. 


—  126  — 

«  Il  magneioinotro,  ri  unni  tu  tutti  i  dieci  giorni  di  osserva- 
zioni, mostrò  regolarmente  la  variazione  diujna  del  magnetismo  >. 

Le  conclusioni  del  valoroso  quanto  modesto  prof.  Zona  con- 
fermano le  ricerche  di  Palmieri  sull'eruzione  Vesuviana  del  1866  ^), 
di  Verbeech  e  della  Commissione  inglese  fatte  durante  1'  eru- 
zione del  Krakatoa  nel  1883,  e  quelle  sul  Vesuvio  del  prof.  F. 
Di  Paola  2)  nel  1904,  non  che  quanto  aveva  detto  1'  astronomo 
Carlini  (1842),  cioè  che  il  movimento  sussultorio  *  secondo  il  suo 
sentimento^  avviene  mm  già  per  un'' infiuenza  magnetica^  ma  per  una 
semplice  scossa  meccanica  comunicata  al  centro  di  gravità  dell'ago 
pendente  da  un  sottil  filo  *  ^).  Infine  il  problema  proposto  dalla 
nostra  Reale  Accademia  delle  Scienze  di  Napoli  nel  1865  ha  avuto 
la  sua  soluzione,  cioè  che  le  oscillazioni  registrate  dagli  strumenti 
sismici  provengono  da  causa  meccanica,  dinamismo,  che  non  può 
essere  provocato  che  dal  vulcanismo  in  tre  modi:  1.  Per  l'urto 
del  magma  contro  l'involucro  relativamente  rigido;  2.  Per  esplo- 
sioni; 3.  Per  l'istantanea  emissione  di  gas,  compresi  quelli  deri- 
vanti dalla  dissociazione  dell'acqua. 

Il  28  luglio  1889  furono  notate  nei  pendoli  orizzontali  di 
Potsdam  e  di  Wilhelmshaven  due  perturbazioni  straordinarie,  pro- 
dotte da  un  forte  terremoto  avvenuto  a  Kumamato  nel  Giappone. 
Le  due  pertubazioni  si  trovavano  nei  fotogrammi  alla  distanza 
di  due  ore  e  mezza  circa  l'una  dall'altra,  ed  erano  dovute  alle 
onde  propagatesi  dal  medesimo  centro  e  nel  medesimo  istante 
per  un  circolo  massimo  fra  Potsdam  e  Kumamato  lungo  8860  chi- 
lometri in  67  minuti  e  l'arco  passante  per  gli  antipodi  di  Potsdam 
lungo  31,140  chilometri  in  225m.  Nel  primo  caso  la  velocità  di 
propagazione  risultava  di  chilometri  2,2  a  secondo,  nell'altro  caso 
era  di  chilometri  2,3  a  secondo.  Quindi  il  terremoto  era  stato 
avvertito  in  tutte  le  parti  del  geoide. 

A  questo  proposito  il  Rebeur-Paschwitz  osservò  che,  siccome 
questi  movimenti  ondulatori  terrestri  durano  per  ore  ,  le  onde 
provenienti  da  unico  centro  nel  propagarsi  da  una  parte  e  dal- 
l'altra per  un  circolo  massimo  possono  confondersi  *). 

1)  Gdarini,  L,  Palmieri   ed  A.  Scacchi.    Eruzioni   vesuviane    del   1850  e 
1856.  Napoli  1855,  pag.  116. 

2)  Bollettino  della  Società  di  Naturalisti  in  Napoli,  voi.  XIX,  1905,  p.  30. 

3)  Accademia  di  agricoltura,  arti  e  commercio  di   Verona,  voi.  LXVII,  se- 
rie 3.,  1892,  p.  42. 

*)  Astronomische    Nachrichteii ,   ii.  3174.    Potermanns    Mitteilungen ,    3V) 
Band,  1893,  IX  p.  208. 


—   127  — 

Questo  esporimento  in  grande,  o  non  da  gabintìito,  del  ter- 
remoto di  Kumamato,  corno  di  tanti  altri,  compreso  quello  dell'S 
settembre  1905  e  del  28  dicembre  1908,  mise  in  evidenza  che  il 
circolo  massimo,  di  40,000  chilometri,  era  stato  percorso  m  mi- 
nuti 292,  cioè  in  41i,52m.  Ciò  conferma  quanto  io  scrissi  nel  1887 
e  1888  ^)  a  proposito  della  uniformità  o  continuità  dell'involucro 
primigenio:  «  Queste  quantità  di  silice  riscontrate  nelle  rocce  dei 
vulcani  che  sono  agli  antipodi  tra  di  loro,  dimostrano  che  il  fe- 
nomeno della  vulcanicità  è  simile  in  tutte  le  parti  degli  emisferi 
e  che  la  materia  prima  che  elabora  è  la  stessa,  è  unica,  è  gra- 
nitica. » 

Il   18  aprile  1889  nei  pendoli  orizzontali  a  registrazione  fo- 
tografica continua  di  Potsdam  e  di  Wilhelmshauen  furono  regi- 
strate le  onde  provenienti    da  un  terremoto    nel  Giappone.    La 
distanza  di  9000  chilometri  fu  percorsa  in  64m,  3s  e  ne  risultò 
cosi  la  velocità  di  propagazione  di  chilometri    2,333  a  secondo. 
Il  12  luglio  1889  in  quelle  medesime   stazioni    furono  regi- 
strate ondulazioni  enormi  provenienti    da  un  terremoto  a  Wjer- 
noje  (Asia  centrale).    Ed  alla   R.  Specola  di  Berlino  si  constatò 
questo  stesso    movimento  ondulatorio,  che  era   partito  dalla  di- 
stanza di  4800    chilometri  e  si  era  propagato    colla   velocità  di 
metri  3000  a  secondo.    Pure   quello    del  25  agosto    1889  di  Pa- 
trasso venne  registrato   dagli  strumenti  degli    stessi  osservatori! 
e  la  velocità  di  propagazione    risultò  di  metri    3000  a  secondo. 
Ora  che    il    nostro    geoide   è   sparso  di  una  fitta    rete  di   osser- 
vatorii ,  e    questi    sono   forniti    di    strumenti  precisi   e    sensibili, 
capaci  di  registrare   le  vibrazioni   microsismiche,  si  legge   spesso 
nei  Bollettini  degli  Osservatori!  Geodinamici,  non  più  l'osserva- 
zione isolata,  ma  che   «  Intorno  alle  ore  X  s'iniziò  una  perturba- 
zione  agli  strumenti  d'una    quarantina   d'  osservatori!    sparsi  in 
tutte  le  cinque    parti  della  terra  ».  Ciò  prova  in  modo  inconte- 
stabile   che   il  terremoto    ha   provocato    oscillazioni   in    tutto    il 
geoide,  quindi  cade  pure  la  propalata,  inesplicabile  esistenza  dei 
cosi  detti  ponti  o  zone  immuni,  poiché  le  proprietà  chimico-fisi- 
che dei  corpi  sono  le  stesse  in  Europa,  come  in  America  e  nel- 
l'Oceania. 

Infatti  le  ricerche  sperimentali  di  Mallet,  dell' Abbot,  come 
quelle  di  Fouquè  e  Nogués,  fatte  con  metodo  analogo,  han  messo 

^)  Sul  graduale  passaggio  delle  rocce  acide   alle  roccie  basiche.  Gazzetta 
Chimica  Italiana,  1887-88. 


—  128    - 

in  piuna  evidonza  chu  la  volouilà  di  propagaziono  di  uno  stesso 
impulso  usplosivo  è  divorsa  secondochè  la  modosima  si  osserva 
nelle  rocce,  nelle  rocce  con  filoni  metalliferi,  oppure  secondo  la 
stratificazione  delle  rocce  sedimentarie,  ovvero  rispetto  al  piano 
prevalente  del  clivaggio  delle  rocce  scistoso. 

Ed  il  Noguès,  dopo  accurate  ricerche,  ne  dedusse  che  la  fa- 
coltà trasmissiva  degli  scuotimenti  terrestri  non  dipende  soltanto 
dalla  natura  delle  rocce,  ma  pure  da  non  pochi  altri  fattori,^àeì 
quali  alcuni  sono  assai  difficili  a  determinarsi. 

Newcomb  e  Dutton  studiarono  il  terremoto  di  Charleston 
del  31  Agosto  1886,  ma  per  calcolare  la  velocità  di  propaga- 
zione delle  scosse  e  per  semplificare  la  soluzione  del  problema, 
ammisero  le  seguenti  ipotesi: 

a)  che  il  movimento    sismico  si  efiFettui   soltanto  alla  su- 
perficie terrestre,  generato  e  proveniente  da  un  epicentro; 

b)  che  l'onda  sismica  si  mantenga  costante  in  tutte  le  di- 
ramazioni nella  sua  velocità  superficiale  di  propagazione; 

e)  che  la  velocità  non  varii  colla   distanza  dall'epicentro. 
Ecco  i  risultati: 

Velocità  in  metri,  per  secondo 


Whytheville 

5300 

Chattanoga 

4860 

Washington 

5570 

Baltimora 

r,ooo 

Atlantico  Città  (NY) 

5250 

Belvedere  (NY) 

5900 

New  Jork 

5380 

Stockbridge 

4283 

Albany  (NY) 

4516 

Dyersburg  (renn) 

5330 

Toronto 

4250 

I  sismologi,  pur  criticando  le  ipotesi  ammesse  da  Newcomb 
e  Dutton,  eseguono  i  calcoli  secondo  i  cennati  criteri  e  spesso 
han  dedotto  la  velocità  prendendo  la  media  tra  la  massima  e  la 
minima,  senza  indicare  nemmeno  se  tennero  per  base  1'  ora  dei 
primi  tremiti^  quella  della  massima  oppure  quella  della  fine  della 
scossa  sismica.  Pertanto  i  risultati  pubblicati  sono  erronei,  come 
la  velocità  dei  terremoti  è  superiore  a  quelle  ottenute  per  mezzo 
delle  mine  caricate  con  diversi  esplosivi. 

In  conclusione,  emerge  da  quanto  ho  riassunto  e  dall^  ri- 
cerche fatte  da  alcuni  anni  sui  terremoti  in  Italia,  un  fatto  im- 
portante, quello  che  i  terremoti    sono    sempre   sussultori  e  se  si 


—  129  — 

diffondono  come  ondulatori ,  il  fenomeno  non  è  clie  apparente, 
poiché,  a  me  pare  che  puro  l'ondulatorio  non  sia  costituito  che 
da  una  sequela  di  piccoli  movimenti  sussultorii,  precisamente 
come  avviene  in  un  liquido  colpito  da  un  grave  le  cui  molecole 
hanno  movimento  sussultorio,  mentre  le  apparenze  lo  fanno  cre- 
dere ondulatorio.  Cosi,  su  di  una  lamina  coperta  di  sabbia,  per 
una  scossa  o  provocando  vibrazioni,  i  granellini  ballano,  come 
balla  la  sabbia  sullo  spiraglio  della  Solfatara  di  Pozzuoli  per  la 
violenza  del  getto  di  vapori  e  gaz  a  +  173o  C,  appunto  perchè 
il  movimento  è  sussultorio. 

Ho  accennato  all'indicazione  del  momento  della  registra- 
zione ed  in  particolar  modo  ai  primi  tremiti  'preliminari^  perchè 
non  pochi  sismologi  credono  che  in  essi  si  rinvengano  le  onde 
elastiche  longitudinali  dotate  della  maggiore  velocità,  trascu- 
rando le  osservazioni  fatte  dal  prof.  Gr.  Vicentini  nel  1894  a  Siena 
col  suo  delicatissimo  microsismografo  e  dalle  quali  risultava  che 
nei  primi  tremiti  erano  contenute  onde  lente.  Nelle  ricerche  in- 
traprese col  microsismografo  a  Padova  sui  fenomeni  sismici  dal 
febbraio  al  settembre  1896,  il  prof.  Vicentini  osservò  che  nella 
località  sede  di  terremoto,  il  terreno  non  solo  vibra  rapida- 
mente, ma  è  assoggettato  ad  innalzamento  e  ad  abbassamento 
improvviso,  il  che  provoca  contemporaneamente  delle  onde  più 
lente. 

Durante  i  terremoti  Calabro-Siculi  del  1905  e  1908  il  prof. 
G.  Agamennone  fece  delle  osservazioni  che  defini  singolari^  per- 
chè erano  in  opposizione  coli' ipotesi  oggi  prevalente  per  ciò  che  ri- 
guarda il  meccanismo  di  propagazione  delle  onde  sismiche  »;  egli 
constatò  quelle  onde  lente  registrate  nel  1894  dal  prof.  Vicen- 
tini nei  primi  tremiti  e  concluse  come  segue  : 

€  Tutto  ciò  sta  a  mostrarci  quanto  grande  sia  ancora  la 
nostra  ignoranza  per  ciò  che  riguarda  il  meccanismo  di  propaga- 
zione delle  onde  sismiche,  e  quanto  ancora  sia  da  fare  nel  per- 
fezionamento ^). 

Questo  coscienzioso  giudizio  del  prof.  Agamennone ,  al 
quale  mi  associo  completamente,  giustifica  pure  quanto  io  scrissi 
nella  mia:  «  Esposizione  dell'attività  scientifica  e  didattica  *  ^)  q 
prova  come  e  quanto  sia  poco  seria  la  base  di  propalazioni  o 
carte  sismiche  di  alcuni  voluti  superuomini,  in  Italia  specialmente. 
Siamo  scrii  per  carità  di  patria! 

1)  Agamennone,  in  Atti  d.  R.  Accad.  dei  TAncei,  p.  339-395.  Roma  :  1909. 

2)  Tipografia  Maiu'o.  Cava  ^ei  Tirreni,  1909. 


—    130  - 

Offret  fece  delle  ricerche,  durante  il  terremoto  dell'  Anda- 
lusia nel  1884,  su  le  variazioni  rapide  della  velocità,  quando  il 
focolare  è  profondo.  Egli  ammise  che  1'  ipocentro  si  trovasse  a 
18  Km.  di  profondità  ed  ebbe  i  seguenti  risultati: 

Distanza  dall'epicentro  in  chilometri:  Velocità  in  metri  a  secondo. 

75      a     250  500    a      800 

260   »  300  700  »  1000 

300   »   400  800  »  1200 

500  »   1000  1100  »  1700 

1500  2100 

Dalle  ricerche  di  Milne,  Gray  e  Fouquè  risulta  che  la  ve- 
locità delle  vibrazioni  nelle  seguenti  rocce,  in  metri  e  per  se- 
condo, viene  rappresentata  dalle  seguenti  cifre: 

(Fouquè) 
Granito  2450  a  3141 
Arenaria  compatta  2000  a  2526 
Arenaria  poco  comp.  1190 
Marmo  Cambriano  632 
Sabbie  di  Fontainebleau  300 

Le  velocità  dei  terremoti  artificiali  si  calcolano  confrontando 
le  ore  in  cui  sono  state  registrate  in  due  punti  situati  nella  di- 
rezione del  movimento  e  di  cui  si  conosce  la  distanza  loro.  Nel 
terremoto  il  sismologo  cerca  di  determinare  la  profondità  da  cui 
pervenne  (ipocentro);  suolsi  indicare  come  epicentro  la  parte  su- 
perficiale ove  la  scossa  fu  più  sensibile  o  produsse  maggiori  danni. 
Sono  stati  proposti  diversi  metodi  per  determinare  la  profondità, 
cosi  il  Mallet,  il  Seehach,  il  Falb,  Dutton,  Hayden,  ecc.  Ma  i  ri- 
sultati troppo  discordanti  finora  ottenuti,  da  circa  400  metri  a  60 
chilometri,  indicano  che  siamo  ancora  lontani  dal  vero.  In  quanto 
alle  superficie  e  loro  forme  pure  vi  sono  discrepanze:  cosi,  fu  li- 
neare in  California  nel  1872,  circolare  in  Inghilterra  nel  1889, 
ellittica  in  altre  parti. 

Per  curiosità  riproduco  le  profondità  calcolate  dei  seguenti 
terremoti  : 


(Milne-Qray) 

Granito 

3951,88 

Marmo 

3812,50 

Tufo 

•2851,75 

Rocce  argillose 

3482,18 

Scisti  avdesiani 

4512,78 

1872  Germania  centrale 

18  chilometri 

1873  Herzogenrath 

15    • 

1857  Napoletano 

li 

1886  Charleston 

29 

lb84  Andalusia 

18 

1887  Turkestan 

• 

10 

—   131  — 
1894  Locride  6,5  chilometri 

1908  Calabro-Siculo  25 

Nel  Giappone  determinarono  le  superficie  epicentrali  dei  ter- 
remoti del  1889  e  1891,  ed  ottennero  pel  primo  1830  chilometri 
quadrati  e  per  l'altro  11,000.  Ora  i  forti  terremoti  vengono  regi- 
strati negli  osservatorii  sparsi  nelle  cinque  parti  del  geoide,  come 
avvenne  nel  1906  pel  terremoto  di  California,  nel  1905  e  1908 
pei  Calabro-Siculi,  ecc.  Di  modo  che  l'ampiezza  dell'onda  sismica 
dipende  dalla  intensità   della  scossa  iniziale  e  dalla  distanza. 

Sul  meccanismo  della  propagazione  delle  onde  sismiche,  siano 
esse  provenienti  da  profondità,  o  da  distanza,  per  ora  la  scienza 
non  può  dire  l'ultima  parola,  perchè  i  risultati  ottenuti  sono 
poco  attendibili,  specialmente  per  la  fissazione  dell'ora.  Io  sono 
d'opinione  che  si  dovrebbe  tener  conto  dell'ora  indicata  dai  primi 
tremiti.  È  vero  che,  seguendo  questo  metodo,  si  sono  ottenute 
velocità  di  gran  lunga  superiori  a  quelle  che  si  trovano  indicate, 
cioè  più  di  chilometri  1-4  per  secondo,  ma  se  si  tien  conto  delle 
cifre  ottenute  addizionando  la  massima  e  la  minima  e  poi  fa- 
cendo la  media,  mi  sembra  che  il  risultato  non  corrisponda  al 
vero;  del  pari  sono  poco  serie  quelle  cifre,  che  io  direi  di  ma- 
niera, quali  si  sono  ottenute  talvolta  accomodando  l'ora  ed  altre 
volte  le  indicazioni  dei  primi  tremiti,  dei  massimi  delle  ultime 
oscillazioni  o  la  durata  del  terremoto,  come  può  rilevarsi  da  una 
delle  tante  registrazioni  che  si  trovano  in  tutte  le  pubblicazioni 
degli  osservatorii  Geodinamici. 

Tale  fenomeno  che  provoca  vibrazioni,  oscillazioni,  eco.  nel 
geoide,  è  dovuto  sempre  a  causa  meccanica,  quindi  resta  escluso 
nel  modo  più  assoluto  che  possa  essere  provocato  nel  primo 
tempo  da  fenomeni  elettro-magnetici.  Pertanto  è  stato  confermato 
in  modo  apodittico,  che  ad  una  certa  profondità  esiste  un  in- 
volucro omogeneo,  continuo,  elastico,  relativamente  rigido,  capace 
di  trasmettere  da  un  punto  X  a  tutte  le  parti  del  circolo  mas- 
simo le  vibrazioni  dell'urto.  Quest'affermazione  io  feci  nel  1877 
col  seguente  periodo:  «  che  l'involucro  idroplastico  è  omogeneo  in 
tutti  i  punti  del  globo  e  costa  di  roccia  granitica  >,  affermazione 
che  fu  vivamente  contestata  dalla  scuola  tedesca,  ultimo  il  prof. 
A.  Stùbel,  il  quale  asserì  che  non  era  vero  che  le  rocce  cristal- 
line rappresentino  un  involucro  continuo  nella  così  detta  crosta 
o  corazza  planetaria.  Non  parlo  di  altri,  specialmente  degli  in- 
finitissimi presuntuosi  nostri,  i  quali  nella  lusinga  di  poter  giun- 
gere un  giorno  su  qualche  cattedra  delle  nostre  Università,  spesso 


—  132  — 

si  trasformano  in  volgari  douigratori  !  Ma  il  vero,  come  la  luce 
elio  nasco  dallo  più  profondo  ionobre  o  si  diffondo  noll'iinivorso 
con  una  velocità  sbalorditiva,  finisce,  magari  dopo  secoli,  por 
affermarsi,  per  imporsi.  Cosi  le  scoperte  dei  nostri  naturalisti  e 
pensatori  hanno  irradiato  viva  luce  in  tutti  i  tempi  ed  in  tutte 
le  manifestazioni  dello  scibile,  pure  quando  i  loro  corpi  servirono 
per  illuminare  l'oscurantismo  nelle  pubbliche  piazze,  quell'oscu- 
rantismo che  non  è  altro  che  un'abbietta  manifestazione  umana 
poggiata  sulla  superstizione,  sull'ignoranza  e  sulla  intolleranza. 
La  civiltà  di  Roma  in  tutti  i  tempi  è  andata  soggetta  a  stasi 
per  la  intolleranza,  né  oggi  ne  è  immune,  anzi  si  sono  molti- 
plicate le  intolleranze  teocratiche  e  politiche,  non  esclusa  quella 
scientifica,  come  ho  già  scritto  a  pag.  10  nella  e  Esposizione  della 
mia  attività  scientifica  e  didattica  ^)  ». 

Come  io  abbia  intraveduta  la  costituzione  geofisica  del  nostro 
geoide  sono  li  ad  attestarlo  i  miei  precedenti  lavori  ed  in  par- 
ticolar  modo  quelli  su  «  L'unità  delle  energie  cosmiche  »  (1907) 
e  «  Su  la  Genesi  e  fine  del  nostro  Geoide  (1908)  »  nei  quali  rias- 
sumendo i  fatti  induttivi  esposti  in  precedenti  pubblicazioni , 
scrissi:  «  In  conclusione,  il  nostro  geoide,  a  partire  dalla  nebu- 
losa terrestre  che  man  mano  è  venuto  raffreddandosi,  è  giunto 
allo  stato  che  noi  conosciamo,  per  l'azione  combinata  del  vapore 
acqueo  sulla  massa  primigenia,  contenente  il  principio  di  tutti  gli 
elementi  chimici  finora  conosciuti  e  forse  altri  non  ancor  noti 
a  temperatura  e  pressione  elevata  ». 

I  risultati  delle  osservazioni  ed  esperienze  fatte  da  natura- 
listi di  tutte  le  nazioni  civili ,  mi  sembra  che  tutti  concorrano 
a  far  ritenere  verosimile  l'intuizione  di  Cartesio,  Lebnitz,  Kant, 
Laplace  e  Herschel,  i  quali  vedevano  nel  nostro  pianeta  ,  come 
in  ogni  altro  corpo  celeste ,    la  condensazione  di  una   nebulosa. 

II  dottor  Isacco  Roberts  pubblicò  nel  1893  e  1899  una  col- 
lezione di  fotografie  nebulari,  tra  le  quali  si  vedono  vere  nubi 
di  materia  caotica  allo  stato  primordiale,  com'era  il  nostro  globo. 

Le  esperienze  di  Elster  e  Geitel  e  di  Wilson  hanno  mostrato 
che  nell'aria  atmosferica  esistono  degli  ioni  che,  per  la  maggior 
parte,  sono  prodotti  dalle  radiazioni  emesse  dalle  sostanze  ra- 
dioattive (gassose  o  solide)  contenute  nel  suolo  e  che  in  essa  si 
diffondono  o  sono  altrimenti  trasportati. 

Tali  ioni  conferiscono  all'aria  la  conduttività  elettrica,  e  as- 
sumono nei  fenomeni   metereologici  una    importanza   che   ormai 

»)  Cava  dei  Tin-eiii,  1909. 


—  133  — 

è  universalmente  riconosciuta;  essi  infatti  non  solo  agiscono  sulla 
distribuzione  e  sulle  variazioni  del  campo  elettrostatico  terrestre, 
ma  ,  secondo  Schuster ,  pur  su  quelle  del  campo  magnetico  ;  e 
specialmente  influiscono  sulla  formazione  e  sulla  costituzione  delle 
nubi. 

Le  ricerche  del  Prof.  0.  Scarpa  hanno  messo  in  evidenza 
che  «  sono  molto  elevate  le  ionizzazioni  nelle  vicinanze  delle 
sorgenti  termiche,  e  tanto  più  quanto  esse  sono  ricche  di  ema- 
nazioni radioattive  >.  <  Sono  poi  specialmente  considerevoli  le 
ionizzazioni  che  ho  riscontrate  (scrive  il  prof.  Scarpa)  nelle  stufe 
termali;  infatti,  in  quelle  di  Porto  d'Ischia  il  numero  di  ioni  po- 
sitivi è  circa  10  volte  maggiore  di  quello  da  me  trovato  a  Napoli, 
e  circa  16  volte  maggiore  a  Lacco  Ameno,  nell'antica  stufa  di 
Santa  B-estituta  », 

Si  ha  quindi  una  conferma  di  quanto  enunciò  l'Helmotz  in- 
torno alla  elettrizzazione  degli  ioni  o,  secondo  la  denominazione 
proposta  da  Stony,  della  formazione  degli  elettroni,  che  suppose 
siano  una  condizione  locale  specializzata  dell'etere  universale. 

Completa  quanto  ho  riassunto  la  constatata  presenza  del- 
Velio ,  del  radio ,  del  neon ,  del  cripton  e  del  xenon ,  insieme  ad 
altre  sostanze  gassose  provenienti  dalle  regioni  profonde,  fatta 
dai  Curie,  da  Laborde,  da  Strutt  ed  altri,  i  quali  riscontrarono 
il  radio  o  le  emanazioni  del  radio  in  quasi  tutte  le  acque  mine- 
rali, nell'atmosfera,  nell'acqua  del  mare,  nei  minerali  e  nella  su- 
perficie terrestre. 

Quindi  ero  nel  vero  quando,  a  proposito  della  genesi  del 
geoide,  scrissi  che  la  materia  caotica,  contenente  il  principio  di 
tutti  gli  elementi  chimici,  a  contatto  col  vapore  acqueo  dà  luogo 
ad  una  serie  di  fenomeni,  il  cui  risultato  ultimo  era  rappresentato 
da  una  miscela  di  corpi  cristallini  e  di  sostanze  amorfe. 

Questa  miscela,  trovandosi  in  presenza  dell'acqua  nelle  condi- 
zioni più  favorevoli  di  temperatura  e  di  pressione  ,  cominciò  a 
formare  le  prime  specie  mineralogiche  che  ,  alla  loro  volta  ce- 
mentandosi formarono  i  primi  aggregati  di  rocce  cristalline,  quali 
i  graniti,  ecc.  >. 

Rimase  quindi  imprigionata  la  massa  nell'  involucro  primi- 
genio, idroplastico,  continuo,  omogeneo,  costituito  di  rocce  che 
poi  furono  dette  arcaiche  e  che,  come  (dimostrai,  si  rinvengono 
in  tutto  il  mondo  ^) ,  contrariamente  a  quello  che,  per  contestare 

1)  Risposta  ad  alcune  osservazioni  sull'evoluzione  minerale.  Napoli,  1908, 


—  1B4  — 

quanto  ebbi  ad  asserire  nel  1887,  che  la  roccia  «  è  unica  e  gra- 
nitica »,  scrisse  Stiibel,  cioè:  «  Les  roches  cristallines  ne  forment 
pas  la  surface  de  l'ecorce  planétaire,  et  leur  nature  éruptive  re- 
sterà it  à  établir  ». 

Ma  la  massa  caotica  rimasta  imprigionata,  se  non  fosse  ve- 
nuta continuamente  a  contatto  con  altro  vapore  acqueo,  sarebbe 
rimasta  inattiva;  quindi  la  necessità  della  penetrazione  dell'acqua, 
penetrazione  che  avveniva  per  la  permeabilità  dell'involucro,  che 
a  guisa  di  nube  l'avvolgeva,  il  quale,  quando  poi  si  liberò  del- 
l'acqua, divenne  relativamente  rigido,  come  lo  provano  le  rocce 
arcaiche  ;  ed  allora ,  pur  conservando  sempre  la  permeabilità, 
quando  pel  dinamismo  endogeno  si  fendeva  o  rimaneva  forato, 
dava  luogo  nel  primo  tempo  a  eruzioni  di  graniti,  poiché  non 
vi  era  l'intervento  di  sostanze  capaci  di  modificare  il  magma  co- 
stituente l'involucro  idroplastico  ,  e  successivamente  a  rocce  di 
altra  composizione. 

Intanto  questi  fenomeni,  finché  si  limitarono  alla  superficie 
avvenivano  pel  contatto  della  massa  caotica  col  vapore  acqueo, 
ma  dopo  ,  come  ho  detto  ,  se  essa  non  vi  fosse  penetrata  come 
vi  penetra  tutt'ora  direttamente,  la  nebulosa  sarebbe  rimasta  ri- 
vestita di  una  vera  pellicola  ;  ma  cosi  non  fu,  poiché  tutti  gli 
scrittori  di  geologia  o  di  geofisica  assegnano  al  minimo  uno  spes- 
sore all'involucro  di  50  chilometri. 

Per  tranquillare  Tschermak  ^)  che  scrisse  :  <  Se  la  penetra- 
zione é  continua,  dato  che  1'  azione  dell'alta  temperatura  interna 
è  pure  continua,  delle  due  una:  o  le  eruzioni  dovrebbero  essere 
un  processo  continuo,  oppure  un  processo  regolarmente  periodico 
come  nei  geysers.  Invece  le  eruzioni  sono  fenomeno  quanto  mai 
irregolare  si  possa  dare  ».  Io  dissi  che  l'acqua  del  mare  non  solo 
é  indispensabile  pei  fenomeni  vulcanici ,  ma  quella  che  vi  pe- 
netra prende  parte  alla  circolazione  interna  e  poi  quando ,  da 
bacini  sorgentiferi,  da  bocche  crateriche  o  da  fratture,  sgorga  nei 
mari,  dà  origine  alle  correnti  marine  di  acqua  calda  e  fredda  ^), 
perciò  l'enorme  quantità  di  acqua  che  penetra  esce  pure.  In  quanto 
alle  altre  osservazioni  di  Tschermak,  ammessa  come  probabile  la 
costituzione  geofisica  del  nostro  pianeta  come  segue:  l.^»  da  un  in- 
volucro esterno   relativamente   rigido  ;  2.»   da  un  involucro  idro- 


1)  Sitzungsber.  d.  k.  Akad.  d.  Wissenschaften.  Vienna,  1877. 

2)  Circolazione  dell'acqua  e  correnti  marine.  Napoli,  1907. 
L'acqua  nei  fenomeni  vulcanici.  Napoli,    L907. 

Per  una  critica  del  prof.  Sigismondo  GUnther.  Napoli,  1909. 


—  135  — 

plastico;  3.°  da  altro  involucro  costituito  da  un  magma  idi'oter- 
minale  ;  4.»  da  una  gran  massa  gassosa  primordiale  ^);  si  com- 
prende che  la  penetrazione  è  continua  e  che  la  temperatura,  come 
è  noto,  aumenta  gradatamente  a  misura  che  ci  approfondiamo  nel 
geoide,  e  ne  viene  di  conseguenza  che,  quando  l'acqua  giunge  nella 
zona  di  evaporazione,  i  suoi  vapori  tornano  indietro  abbandonando 
ciò  che  trascinava  con  sé  e  ciò  che  teneva  disciolto.  Perciò  le 
eruzioni  non  rappresentano  un  processo  né  continuo  né  periodico, 
come  nei  geysers,  i  quali,  é  bene  notare,  sono  caratteristiche  ma- 
nifestazioni vulcaniche  di  alcune  contrade  del  mondo.  Infine,  in 
un  sol  punto  vado  di  accordo  con  l'illustre  naturalista  di  Vienna, 
cioè  quando  asserisce  che  le  eruzioni  sono  fenomeno  quanto  mai 
irregolare  si  possa  dare;  ed  é  logico,  perché  non  è  facile  e  non 
sempre  capita  all'acqua  del  mare  di  penetrare  per  un  cratere 
od  una  frattura  sottomarina  e  giungere  a  contatto  col  magma 
arroventato. 

Formatosi  l'involucro  di  rocce  arcaiche,  so vr' esso  comincia- 
rono il  lavoro  di  erosione  le  acque  ,  deponendo  di  poi  le  sedi- 
mentazioni che  formarono  successivamente  la  grande  pila  di  strati , 
privi  i  primi  di  reliquie  organiche,  che  comparvero  poi  quando 
la  temperatura  lo  permise.  Sia  i  detriti  delle  rocce  arcaiche  che 
le  precipitazioni  calcaree-magnesiache,  prima  erano  mescolate  con 
l'acqua  e  poi  furono  da  queste  abbandonate,  poiché  le  acque  si 
raccolsero  nelle  depressioni  oceaniche  e  per  l'Italia  nel  Mediter- 
raneo, formando  stratificazioni  sull'involucro  granitico  e  quindi 
emersero. 

Leonardo  da  Vinci  per  dire  che  quei  fondi  marini  furono 
sollevati  all'altezza  dell'Imalaia,  come  tutte  le  catene  di  montagne 
di  rocce  arcaiche  e  sedimentarie,  ricordandosi  di  ciò  che  aveva 
scritto  Ovidio  (Metamorfosi) ,  che  <  ivi  divenisse  terra  ove  era 
mare  e  che  fosse  mare  ov'era  solidissima  terra  >,  si  espresse  come 
segue:  «  ciò  che  era  un  tempo  fondo  di  mare ,  è  divenuto  som- 
mità di  monti  ».  Spetta  poi  il  merito  a  Lazzaro  Moro  di  aver 
dimostrato  che  i  monti  traggono  origine  dalla  forza  espansiva 
dell'interno  del  globo,  e  che  questo  fatto  si  collega  con  quelli 
dei  vulcani  e  dei  terremoti. 

Ed  io  per  rendere  questo  concetto  ,  riferendomi  alla  costi- 
tuzione geologica  d' Italia  ,  scrissi  :  «  allorché  avvennero  i  più 
grandi  sollevamenti,  come  quello  che  formò  la  nostra  penisola, 
vi  furono  grandi  manifestazioni  vulcaniche,  che  si  possono  spie- 

1)  «  L' Unità  delle  energie    cosmiche  »    e  «  su   la  Genesi  e  fine    del  Ge- 
oide >  NapoH,  1907  e  1908. 


—  136  — 

gare  nel  seguente  modo:  <  La  catena  appenninica  ,  esercitando 
un'enorme  pressione  sull'involucro  fondamentale  plastico,  provocò 
una  depressione,  e  questo  ,  promondo  sul  contenuto  gassoso  in- 
terno, produsse  una  violenta  reazione  dinamica:  allora  il  magma 
lavico,  non  potendosi  fare  strada  nella  parte  occupata  dagli  ap- 
pennini,  diede  luogo  a  quella  serie  di  vulcani  che  si  allinea  lungo 
il  littoralo  tiiTeno  alla  baso  della  catena  appenninica  ^\ 

Ora,  mentre  sull"  involucro  idroplastico  si  accumulavano  i  de- 
triti per  formare  la  stratificazione  o  pila  costituita  di  tanti  strati 
quante  sono  le  ere  geologiche  ,  il  cui  spessore  può  giungere  a 
diversi  chilometri,  l'acqua,  che  incessantemente  passava  attra- 
verso r  involucro  primigenio,  reagiva  con  la  massa  caotica,  come 
continua  a  fare  tuttora,  e  ne  aumenta  sempre  lo  spessore,  con- 
servando, logicamente,  le  rocce  la  composizione  primordiale,  cioè 
granitica,  se  non  subi  o  consegue  l'evoluzione  minerale  -).  Quindi 
l'involucro  idroplastico  continua  ad  aumentare  il  suo  spessore 
e  l'aumenterà  finche  vi  penetrerà  l'  ultima  molecola  d'  acqua  e 
reagirà  con  gli  ultimi  ioni  o  elettroni.  Allo  spessore  dell'invo- 
lucro arcaico,  che  alcuni  dicono,  scorza^  buccia  o  corazza,  i  geo- 
logi o  geofisici  assegnano  diversi  chilometri,  per  lo  meno  60  se- 
condo de  Lapparent,  mentre  io  mi  fermai  ad  80  a  partire  dalla 
massima  profondità  riscontrata  negli  oceani. 

Non  so  comprendere  come  i  tettonisti,  che  poggiano  la  loro 
teoria  sulla  stratificazione  e  non  sulla  formazione  primigenia  od 
arcaica,  possano  ammettere  che  gli  strati,  siano  pure  di  diversi 
chilometri,  possano  per  isostasi  giungere,  per  pressione,  perfino 
a  rompere  l'involucro  idroplastico  di  almeno  50  chilometri.  A 
me  pare  che  le  volute  forze  gravimetriche  non  potranno  mai  aver 
ragione  sulla  rigidità,  per  quanto  relativa,  dell'involucro,  il  quale 
non  spezzandosi  in  alcun  modo,  non  dischiuderà  giammai  la  via 
al  magma  confinato  nelle  ime  profondità. 

De  Lapparent  ammette  che  <  la  cause  du  paroxysme  serait 
une  modification  dans  l'architecture  de  l'ecorce,  consecutive  à  un 
plissements,  d'où  résulterait  une  augmentation  de  la  pression 
exercèe  par  l'ecorce  sur  la  lave  et  sin'  les  gaz  tenus  en  dissolution 
et  qui  tendent  à  s'échapper  ». 

Ripeto  ancora  una  volta  che  l'esiguo  strato  sedimentario  è 
ben  poca  cosa  perchè  possa  provocare  una  inflessione  o  depres- 
sione sull'involucro  idroplastico,  per  quanto  lo  dica  pellicola  il  de 

1)  Su  l'allineameuto  dei  vulcani  italiani .  Reggio  Emilia,  1887. 
3)  Risposta. 


—  137  - 

Lapparent.  Ma  io  voglio  pure  ammettere  ohe  la  stratificazione  se- 
dimentaria eserciti  una  pressione,  ma  potrà  essa,  ad  esempio,  essere 
paragonata  a  quella  da  me  citata  cioè  l'Appennino  per  la  geogenesi 
della  nostra  penisola,  che,  come  tutti  sanno,  è  una  specie  di  stri- 
scia, più  o  meno  larga,  che  rappresenta  appunto  rocce  sedimen- 
tarie, che  vennero  depositate  nel  mare  che  occupava  quella  parte 
tra  le  Alpi,  la  Sila  ed  il  massiccio  Calabro-Siculo  ?  A  me  sembra 
di  no,  perchè  le  carte  geologiche  dimostrano  le  vaste  estensioni 
che  occupano  terreni  rappresentanti  le  diverse  ere  geologiche, 
i  quali  terreni  possono  avere  un  minore  o  maggiore  spessore  a 
seconda  dei  trasporti  eolici  o  fluviali  e  la  loro  distribuzione  sulle 
formazioni  su  cui  si  adagiarono;  ma  a  me  sembra  che  nessun 
fatto  possa  dar  ragione  al  fenomeno  isostasico  come  provocatore 
di  abbassamento  del  livello  o  di  rottura  e,  peggio,  sprofondamento 
addirittura  dell'involucro.  E  la  massa  approfondita  dove  andrebbe 
a  raccogliersi  o  deporsi  ? 

Rientriamo,  per  carità,  nella  logica  e  nelle  energie  naturali 
e  tengano  presente  i  tettonici  la  pressione  che  esercita  suU'  in- 
volucro idroplastico  il  vapore  acqueo  sotto  forte  tensione  e  l'istan- 
tanea enorme  massa  di  gas  e  vapori  derivanti  dalla  dissociazione 
o  evaporazione  dell'acqua  e  dei  sali  che  essa  tiene  disciolti,  quando 
s' incontra  col  magma  arroventato.  I  fatti  sono  li  per  provare  che 
quando  l'involucro  non  resiste  alla  pressione  o  si  fende  o  viene 
forato,  e  quando  avviene  la  rottura,  le  formazioni  geologiche  ci 
dicono  che  l' inclinazione  degli  strati  è  verso  la  fessura  ed  è  in 
questa  forma  di  rottura  verticale,  con  o  senza  sollevamento  e  con- 
seguente formazione  dell'anticlinale  che  si  riscontra  la  frattura 
od  il  foro  che  dà  luogo  alla  eruzione.  Quindi  l'azione  dinamica 
viene  dalla  profondità,  da  sotto  e  non  da  sopra. 

Dimostrata  la  impossibilità  che  l'azione  meccanica  degli  strati 
possa  rompere  in  un  punto  qualsiasi  l'involucro,  l'isostasi  di  Dut- 
ton  non  potrà  mai  influire  sul  ristabilimento  dell'equilibrio  del 
nostro  geoide,  poiché  sono  altre  le  cause  che  provocano  fugace- 
mente lo  spostamento  del  polo. 

Lo  Stoppani  chiude  come  segue  il  capitolo  XIII:  «  Se  la 
terra  può  paragonarsi  ad  una  caldaia  a  vapore  ^),  e  i  vulcani  a 
valvola  di  sicurezza,  il  terribile  non  è  nel  rantolo  della  valvola 
dischiusa,  ma  nella  forza  del  vapore  che  agisce  entro  la  caldaia  ». 

Infatti  il  mio  illustre  maestro  che  ammetteva  i  terremoti  tel- 
lurici si  espresse  cosi:  <  io  direi  che  una  rottura  della  crosta  ter- 

1)  Trattato  di  Geologia.  Voi.  Ili,  pag.  458  —  Milano,  1873. 


—  i3tt  — 

restre  produce  il  terremoto,  come  effetto  immediato  e  necessario, 
e  apre  al  tempo  stesso  la  via  agli  interni  vapori;  cioè  produce 
l'eruzione  come  effetto  conseguente  e  accidentale  ».  (voi.  Ili,  p. 
462).  Ammessa  la  costituzione  geofisica  della  Terra,  secondo  il 
mio  intendimento,  la  rottura  avverrà  sempre  dal  basso  e  sarà 
provocata  in  modo  prevalente  dal  vapore  acqueo. — Ora  se  la  geo- 
logia è  una  scienza  di  induzione,  perchè  vogliono  alcuni  trasfor- 
marla in  scienza  di  deduzione  di  idee  preconcette  che  fanno  a 
calci  con  la  logica? 

Per  quanto  i  risultati  sul  meccanismo  di  propagazione  delle 
onde  sismiche  siano  sconfortanti ,  ciò  non  esclude  che  merita 
lode  la  falange  di  diligenti  e  volenterosi  nostri,  che  si  accinsero 
allo  studio  dei  movimenti  sismici. 

Fortunatamente  il  nostro  governo  comprese  in  tempo,  cosa 
che  non  ha  mai  fatto  per  la  vulcanologia,  che  l'Italia  non  po- 
teva rimanere  estranea  al  movimento  scientifico  provocato  nel 
mondo  per  le  ricerche  geofìsiche  che,  come  con  fine  accorgimento 
scrisse  Angelo  Secchi,  dovevano  servire  di  chiave  alla  spiegazione 
della  costituzione  del  nostro  pianeta.  Ora,  se  la  nostra  ignoranza 
per  ciò  che  riguarda  il  meccanismo  di  propagazione  delle  onde 
è  ancora  grande,  pur  tutta  volta  l'attesa  risposta  gli  osservatorii 
sparsi  in  tutta  la  superficie  del  geoide  la  hanno  data,  ed  io  sono 
ben  lieto  di  renderla  di  ragione  pubblica:  Non  passa  giorno  in 
cui,  se  non  in  tutte  le  parti  del  mondo,  in  qualche  contrada  al- 
meno, non  venga  registrato  un  terremoto. 

Questo  fatto  era  nella  mente  di  tutti  gli  scienziati ,  che 
non  sanno  scindere  il  moto  dalla  materia;  e  come  logica  conse- 
guenza, si  conveniva  col  Galilei,  che  innanzi  agli  inquisitori  disse: 
«  e  pur  si  muove!  »  Ed  oggi  abbiamo  la  prova  inconfutabile  del 
diuturno  movimento  sismico,  poiché,  dopo  tanti  anni  di  osserva- 
zioni, sono  riuscito  finalmente  a  provare  che  in  alcuni  anni,  ad 
esempio  nel  1904,  non  è  passato  giorno  in  cui  il  nostro  geoide 
non  sia  stato  in  movimento,  come  dai  seguenti  dati ,  sui  quali, 
suppongo,  debba  essere  eliminato  qualunque  sospetto  di  marea 
termica  attribuita  da  alcuni  al  riscaldamento  dell'emisfero  illu- 
minato dai  raggi  del  sole,  poiché  in  Italia,  dove  raramente  non 
si  vede  il  sole,  nel  1904  furono  registrati  solo  '234  sismi ,  cioè 
122  meno  di  quelli  registrati  nell'Asia  orientale  ,  mentre  se  ne 
sarebbero  dovuto  registrare  di  più. 


—  139  — 


Terremoti  registrati  in  Italia  nei  primi  sei  anni  del  secolo  XX. 

1901     1902     1903     1904     1905     1806 

Gennaio  21  29  22  8  13  22 


Febbraio 

20 

26 

28 

19 

21 

16 

Marzo 

22 

27 

26 

26 

19 

26 

Aprile 

22 

25 

20 

23 

22 

26 

Maggio 

24 

23 

26 

24 

12 

16 

Giugno 

21 

26 

21 

26 

24 

21 

Luglio 

22 

28 

24 

28 

23 

23 

Agosto 

24 

28 

23 

21 

17 

21 

Settembre 

21 

26 

17 

21 

26 

23 

Ottobre 

20 

17 

17 

17 

19 

18 

Novembre 

19 

22 

23 

16 

18 

14 

Dicembre 

20 

24 

23 

16 

21 

16 

Terremoti  distribuiti  per  stagioni: 

1901       1902       1903       1904       1905       1906 

Primavera  SG  ì  78)  71  >  73  ^  63  /       ^  67  > 

Està  67  !  113      7,^55  gg5l39      ^^  J  147  ^^  ^  117  ^^\l 

Autunno  60)  70)  67^  54  )  _        63  i^^  55) 

Inverno  61  (  ^^l  ^  J  145  ^3  ^  130  ^|87  ^  j  118  ^  J  8 

254  300  269  244  236  221 


Falb  enumerò  6500  terremoti,  da  800  anni  avanti  Cristo  fino 
al  1842,  e  li  divise  in  due  serie:  una  anteriore  al  1794,  l'altra 
dopo.  Ciascuna  serie  si  componeva  di  2740  terremoti. 

Nella  prima  si  ha  un  massimo  in  gennaio  ed  un  minimo  in 
agosto;  nella  seconda  due  massimi  quasi  uguali  in  agosto  ed  in 
ottobre,  un  massimo  di  minore  importanza  in  gennaio  ed  un 
minimo  in  giugno.  A  Copiapo  (Chili)  massimi  in  ottobre  e  gen- 
naio e  minimi  in  settembre  e  dicembre.  Mallet,  sopra  120  terre- 
moti dell'emisfero  sud,  trovò  un  massimo  in  novembre,  minimi 
in  marzo  ed  agosto.  Milne  raggruppò  256  terremoti  della  Gran 
Bretagna  ed  ebbe  la  media  mensile  di  21,2  ;  la  media  dei  mesi 
di  marzo  e  di  agosto,  inclusivamente  di  16,1,  quella  di  settembre 
e  febbraio,  26,3.  Infine  Kluge  ottenne,  dopo  pazienti  ricerche,  i 
seguenti  risultati: 

Terremoti  nell'emisfero  Nord: 

862  da  Aprile  a  Settembre; 
948  da  Ottobre  a  Marzo. 


—  140  — 

Terremoti  nell'emisfero  Sud: 

300  da  Aprile  a  Settembre; 
337  da  Ottobre  a  Marzo. 

I]  dottor  A.  Cancani  ^)  studiò  300  periodi  sismici  Italiani 
dal  1316  al  1902,  e  mise  in  evidenza  che  213  si  presentano  con  la 
scossa  principale  all'inizio,  ed  87,  con  una  o  piìi  scosse  princi- 
pali a  periodo  più  o  meno  inoltrato ,  ossia  il  70  per  cento  dei 
periodi  sismici  si  presentano  colla  più  forte  scossa  al  loro  prin- 
cipio. 

Molti  cercarono,  a  misura  che  raccoglievano  i  risultati  delle 
loro  osservazioni,  di  venire  a  conclusioni,  ma  le  mie  osservazioni 
fatte  durante  il  1904,  mentre  provano  che  non  passa  giorno  senza 
che  non  venga  registrato  un  terremoto,  sia  pure  strumentale,  di- 
struggono tutte  le  ipotesi  sulla  influenza  dei  mesi  e  delle  stagioni 
nei  fenomeni  sismici.  Cosi  nell'Asia  orientale  durante  il  1904  si 
registrarono  i  seguenti  terremoti:  gennaio  30  (meno  il  giorno'6); 
febbraio  (meno  il  giorno  15);  marzo  31;  Aprile  (meno  il  16  e  29); 
Maggio  30  (meno  il  giorno  30);  giugno  29  (meno  il  19)  ;  luglio 
30  (meno  il  6)  ;  agosto  28  (meno  2,  6,  13)  ;  settembre  28  (meno 
5,  10,  30);  ottobre  30  (meno  29);  novembre  27  (meno  19,  23,  24); 
dicembre  28  (meno  3,  5,  25). 

In  Italia  vennero  registrati  terremoti  234,  fra  cui  alcuni  nei 
giorni  15  febbraio,  16  e  29  aprile,  30  maggio,  19  giugno,  6  lu- 
glio, 1  e  13  agosto,  10  e  30  settembre,  29  ottobre,  23  e  24  no- 
vembre e  6  dicembre. 

I  giorni  6  gennaio,  5  agosto,  6  settembre,  19  novembre,  e 
26  dicembre,  si  trovano  registrati  nell'America  e  Nord  Europa, 
nel  grande  catalogo  sismico  del  Bureau  Central  di  Strasburg 
(Les  Tremblements  de  Terre  ressentès  pendent  l'année  1904),  come, 
gentilmente  mi  comunicò  il  Direttore  del  R.  Ufficio  Metereolo- 
gico  e  Greodinamico  di  Roma  ^). 

1)  Bollettino  della  Società  Sismologica  Italiana.  Voi.  Vili ,  pag.  17.  Mo- 
dena, 1902. 

2)  Il  Dottore  Agamennone  pubblicò  nella  relazione  sul  terremoto  di  Zante 
del  1893  i  seguenti  dati  statistici: 


Dal     1000 

al     1600  circa 

5 

terremoti 

>       1600 

»      1600      > 

,10 

» 

»       1600 

»      1700      » 

30 

» 

»       1700 

»      1800      » 

40 

» 

—  141  — 

Gli  astronomi  convennero  col  Galilei  ,  ma  più  tardi  i  geo- 
fisici vollero  trovare  la  causa  del  moto  del  mondo  nel  metamor- 
fismo endogenico,  mentre  io  nel  1887,  senza  discutere  dal  punto 
di  vista  astronomico,  fui  più  esplicito  quando  ne  attribuii  la  causa 
all'acqua  del  mare  ed  alla  conseguente  evoluzione  minerale,  come 
scrissi  nella  Gazzetta  Chimica  Italiana  ^),  negli  Atti  della  Società 
dei  Naturalisti  di  Milano  2)  e  come  riassunsi  nella  mia  comuni- 
cazione fatta  al  Congresso  Internazionale  di  Chimica  applicata  ^) 
tenuto  in  Roma  nel  1906,  nella  quale,  ribadendo  il  principio  già 
da  me  enunciato  sull'evoluzione  minerale,  conclusi  come  segue: 
<  Cosi,  mentre  Carlo  e  Giorgio  Darwin  hanno  dimostrato  la  evo- 
luzione nel  mondo  biologico,  io  ho  messo  in  evidenza  che,  mercè 
l'intervento  dell'acqua  del  mare,  le  rocce  eruttive  subiscono  una 
fase  evolutiva,  passando  dal  tipo  acido  al  tipo  basico  ». 

Sono  stato  costretto  ad  accennare  nuovamente  a  questi  fatti, 
perchè  ferve  ancora  la  lotta  sull'ammissione  dell'acqua  del  mare 
nei  fenomeni  vulcanici,  poiché  il  Brun,  come  può  rilevarsi  dai 
suoi  scritti  pubblicati  uqW  Ardi.  d.  Se.  phys.  et  mot.  di  Ginevra 
degli  anni  1906,  1906,  1908  e  febbraio  1909 ,  continua  a  soste- 
nere che  l'acqua  è  un  fattore  inutile;  che  essa  non  occorre  per 
le  esplosioni;  che  è  inutile  nella  cristallizzazione  delle  rocce,  inu- 
tile nella  genesi  generale  dei  fenomeni  eruttivi  e  conclude  che 
la  presenza  dell'acqua  nei  fenomeni  vulcanici  non  ha  alcuna  im- 
portanza, 

A  Gùnther  *)  che  scrisse  che  «  io  faccio  rivivere  la  nota 
teoria  medioevale    dello  Schwamm  del  fungo  e  della    spugna  », 


Dal     1800     »     1825  circa      20    terremoti 

»       1826      »      1863  «      1670 

»       1863     »     1892  »        300 

In  tutto  l'anno  1893  »        900            »          cosi  ripartiti: 

Gennaio     20  Luglio        60 

Febbraio    50  Agosto       60 

Marzo       120  Settembre  60 

Aprile       200  Ottobre       60 

Maggio     100  Novembre  10 

Giugno     100  Dicembre    60 

1)  Sul  graduale  passaggio  dalle  rocce  acide  alle  basiche. 

2)  Sulla  genesi  e  successione  delle  rocce   eruttive. 

3)  La  chimica  nella  genesi  e  successione  delle  rocce    eruttive. 

4)  Abdruck  aus  D.  A.   Petermanns  Geogr.  Mitteilungen    1908,  Heft.  VI. 
N.  261-266. 


—  142  — 

risposi  nel    mio    lavoro  «  Por    una  critica  del    prof.    Sigismondo 
Gnnther  ^). 

Ad  Armand  Gautier  ^),  per  quanto  sia  uno  dei  più  strenui 
sostenitori  della  indispensabilità  dell'acqua  nel  vulcanismo  ,  con 
mio  grande  dispiacere  faccio  rilevare  che  egli  persiste  ,  contro 
la  logica,  e  dopo  la  discussione  avvenuta  tra  noi  al  Congresso 
di  Roma,  ad  escludere  l'intervento  dell'acqua  del  mare,  mentre 
le  sue  ricerche  sulle  fumarole  del  Vesuvio ,  tre  e  diciotto  mesi 
dopo  l'eruzione  del  1906,  nelle  cui  emanazioni  riscontrò  nel  luglio 
1906  il  67,  74  o/o  di  vapore  acqueo,  e  diciotto  mesi  dopo  il  77,  il 
76  o/o,  avrebbero  dovuto  finalmente  convincerlo.  Pure  Fouquè  in 
quell'occasione  riferì  che  nella  massa  gassosa  del  Vesuvio  aveva 
trovato  una  quantità  di  vapore  acqueo  ,  in  volume,  che  oscil- 
lava da  66  a  73  oj^  ^).  In  altre  eruzioni  vesuviane  Deville  riscontrò 
il  999/1000. 

Ricordo  ancoraché  nelle  mie  escursioni  sulle  pendici  del  Ve- 
suvio durante  l'ultima  eruzione,  quando  per  la  mutata  direzione 
del  vento  venivo  investito  dall'  immenso  pino  che  si  rovesciava 
sull'ignivomo  monte  e  si  protendeva  sul  mare  e  sulle  terre  che 
lo  circondano,  tornavo  a  casa  tutto  inzaccherato,  tanta  era  l'acqua 
contenuta  nel  pino.  Pure  Laserre,  che  assistette  all'eruzione  della 
Montagna  Pelée  nella  Martinica  nel  1902,  fu  investito  da  una 
pioggia  di  acqua  calda  che  durò  mezz'ora,  e  chi  avrà  letto  come 
ho  letto  io  ,  quanto  testardamente  asserisce  il  Brun  ,  cioè  che 
l'acqua  è  estranea  ai  fenomeni  vulcanici,  deve  rimanere  convinto 
che  i  folli  non  sono  solo  quelli  che  sono  rinchiusi  nei  manicomi, 
ma  ve  ne  sono  pure  allo  stato  libero  ! 

Ora,  come  vi  sono  ancora  oppositori  all'ammissione  dell'inter- 
vento indispensabile  dell'acqua  del  mare  nei  fenomeni  vulcanici, 
i  quali  però  non  hanno  ancora  enunciato  una  legge  da  sostituirsi 
a  quella  della  permeabilità  dei  corpi  in  genere  e  delle  rocce  in 
ispecie,  e  l' altra  della  gravità,  cosi  io  dico  che  se  essi  pure  si 
fossero  convinti  del  fatto  incontestabile  e  da  tutti  insieme  si  fosse 
lavorato  per  affermare  il  vero  e  non  l'assurdo,  certamente  il  vul- 
canismo non  avrebbe  subito  la  stasi  in  cui  alcuni  erroneamente 
credono  si  trovi,  ma  si  sarebbe  completamente  consolidato  sul 
piedistallo  su  cui  io  lo  misi,  e  mi  lusingo  che  i  miei  contradittori, 


1)  Boll,  della  Società  di  Naturalisti  in  Napoli.  Voi.  XXIII  (Ser.  2."  voi. 
Ili,  1909). 

2)  Aitnales  des  Mines.  Dixieme  serie,  T.  XVI.  p.  213.  Paris,   I90(ì. 

3)  Comptes  rendus.  T.  CXLVIIf,  p.  I70b  et  84.  Paris,  1909. 


—  143  — 

esaminando  meglio  i  fatti  da  me  esposti,    si   convinceranno  che 
sono  puramente  fisici,  quindi  veri. 

Perciò  la  causa  delle  perenni  oscillazioni  del  geoide  dobbiamo 
ravvisarla  nella  penetrazione  dell'acqua  del  mare  o  per  la  per- 
meabilità delle  rocce  o  direttamente  attraverso  le  fratture  abissali 
o  dai  crateri  sottomarini  che  si  formano  in  tutte  le  latitudini, 
longitudini  e  profondità.  Né  valsero  i  tanti  esempi  da  me  portati 
dal  1887  fino  al  1909  nell'ultimo  mio  lavoro:  «  Sul  vulcanismo 
nel  terremoto  del  28  dicembre  1908  >  a  farli  ricredere.  Non  si  è 
tenuto  conto  di  nulla,  nemmeno  di  quello  constatato  da  Fouquè, 
cioè  che  le  sorgenti  che  si  formarono  dopo  l'erazione  delle  San- 
torino  (1866-70)  raggiungevano  la  temperatura  di  45,60''C  e  la 
composizione  delVacqua  rispondeva  a  quella  del  mare.  E  tanto  meno 
dell'asserzione  del  Prof.  Ricco  dopo  le  ricerche  fatte  durante  l'e- 
ruzione sottomarina  di  Pantelleria  nel  1901,  nella  cui  relazione 
si  legge:  fra  il  calore  della  gola  del  cratere  e  delle  masse  laviche 
eruttate  incandescenti  e  la  fredda  massa  deW  acqua  marina  preci- 
pitantesi  nell'aperto  ed  infuocato  cratere. 

Per  me  è  assioma  che  l'acqua  del  mare  penetra  sia  per  la  per- 
meabilità, che  per  la  gravità,  ed  una  volta  penetrata,  continuerà 
la  sua  discesa  nel  geoide  finche  le  condizioni  termiche  glielo  con 
sentiranno,  poiché  quando  giungerà  nella  zona  di  ripulsione,  come 
enunciai  lo  scorso  anno  nel  mio  lavoro  sul  terremoto  calabro-si- 
culo  del  28  dicembre  1908,  abbandonerà  i  sali  che  tiene  disciolti 
e  si  trasformerà  in  vapore,  diffondendosi  tutt'  intorno  se  non  ri- 
tornerà per  la  via  percorsa.  Ora,  sono  quei  residui  salini  ed  i  de- 
positi abissali  trascinati  dal  mare  che,  venendo  a  contatto  col 
magma  arroventato,  ne  modificheranno  gradatamente  la  composi- 
zione, dando  luogo  a  reazioni  chimiche,  in  seguito  alle  quali  le 
rocce  passeranno  dal  tipo  acido  al  tipo  basico,  formando  di  poi  nei 
vulcani  attivi  una  serie  di  rocce  di  composizione  identica  a  quelle 
che  costituiscono  la  cronologia  geologica  dalle  arcaiche  alle  dia- 
basi, ai  basalti.  Dev'  essere  colà  che  deve  avvenire  la  lotta  fra 
la  enorme  tensione  dei  vapori  e  dei  gas  e  le  parti  che  li  circon- 
dano. Infatti  r  istantanea,  l' enorme  emissione  di  vapori  e  gas 
deve  indubbiamente  esercitare  una  grande  pressione  in  tutti  i 
sensi  e  perciò  sul  magma  stesso,  il  che  provoca  la  lenta  o  ra- 
pida reazione ,  ed  il  magma  la  trasmette  alla  massa  sottostante 
e  così  fino  all'immensa  massa  del  contenuto  gassoso  rimasto  an- 
cora intatto  dall'evoluzione  del  nostro  geoide.  Contemporanea- 
mente la  pressione  si  esercita  sui  lati  e  contro  la  parte  sovrin- 
combente  e   provocherà   scuotimenti    sussultorii ,    microsismici    o 


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macrosismici  ,  rompondo  cosi  l'equilibrio  instabile  flol  nostro 
geoide,  che  dal  principio  dell'evoluzione  della  nebulosa  si  agita  e 
si  agiterà  senza  tregua,  iinchè  l'ultima  molecola  d'acqua  non  rea- 
girà con  i  joni,  diversamento  elettrizzati  o  con  gli  elettroni. 

L'involucro  sovraincombente,  relativamente  plastico,  ad  una 
certa  profondità,  e  relativamente  rigido  ed  elastico,  quando  di- 
viene subaereo,  risente  e  trasmette  dalle  impercettibili  vibrazioni 
alle  scosse  più  disastrose,  modilicandosi  l'eflfetto  pei  fatti  prece- 
dentemente riassunti  e  pure  pel  differente  spessore  dello  strato. 

Infatti,  dalle  profondità  dell'oceano  Indiano  all'altezza  del- 
l'Imalaia,  lo  spessore  è  di  circa  19  chilomet»,  ne  qui  ripeto  le 
profondità  del  Pacifico  o  dell'Atlantico  e  le  altezze  delle  catene 
dei  monti  che  li  circondano,  poiché  son  cose  trite.  Se  si  aggiunge 
allo  spessore  delle  formazioni  geologiche  la  conducibilità  dell'urto 
meccanico,  essa  pure  variabilissima  e  discordante,  come  ho  già 
detto,  si  comprendono  le  grandi  discrepanze. 

Fin  qui  ho  ragionato  sul  fatto  delle  reazioni  provocate  dal 
residuo  salino  e  dal  fango  abissale  col  magma  arroventato  ,  ma 
se  avviene  nell'  interno  del  geoide  qualche  cosa  di  analogo  a 
quanto  avvenne  a  Krakatoa  nel  1883  ed  in  tante  altre  parti  del 
mondo  negli  abissi  degli  oceani,  l' incontro  cioè  dell'  acqua  del 
mare  col  magma  arroventato,  devono  verificarsi  gli  stessi  feno- 
meni, vale  a  dire  esplosioni,  dissociazioni ,  emissioni  istantanee 
di  enormi  miscele  di  vapori  e  gas,  come  furono  descritte  da  Ver- 
beek,  da  Fennema  e  da  Hann  nel  1883.  Quella  terribile  esplo- 
sione, come  è  noto,  ebbe  una  ripercussione  sull'aria,  sul  mare  che 
in  poche  ore  percorse  il  circolo  massimo,  e  sul  geoide  stesso  che 
ne  fu  scosso  in  tutte  le  sue  parti,  poiché  il  sismo  venne  regi- 
strato dagli  osservatori!  sparsi  in  tutte  le  superficie,  come  del 
resto  avviene  sempre  che  si  verifichino  forti  scuotimenti,  come  ad 
esempio  1'  8  settembre  1905  e  il  28  dicembre  nello  stretto  di  Mes- 
sina. Arrogi  che  dalle  mie  ricerche  chimiche  risulta  che,  quando 
faccio  reagire  le  sostanze  saline  ottenute  dalla  evaporazione  delle 
acque  del  mare,  e  il  fango  o  i  sedimenti  abissali  con  la  polvere 
delle  rocce  cristalline  (arcaiche)  o  vulcaniche,  dalle  trachiti  alle 
ultime  lave  del  Vesuvio  (1906),  arroventate  alle  più  elevate  tem- 
perature, ottengo  sviluppo  di  anidride  solforosa,  di  acido  clori- 
drico e  vapore  acqueo  nel  primo  tempo,  con  sviluppo  pui'e  di 
idrogeno,  ossigeno,  nitrogeno,  tracce  di  ammoniaca  e  carburi  di 
idrogeno  nel  secondo,  sublimazioni  saline  nel  terzo  tempo  con 
predominio  di  cloruri  e  quello  di  jodio,  di  bromo,  di  selenio,  in 
ispecial  modo,  infine  si  ottengono  le  sublimazioni  saline,  come  si 


—  146  — 

riscontrano  nelle    fumarole    succile  dei   vulcani  in  eruzione  ed  in 
particolare  dei  crateri  avventizi,  che  si  formano  sulle  lave. 

Si ,  soltanto  cosi  possiamo  comprendere  quegli  scroscianti, 
assordanti,  stridenti  boati  e  rumorosi  rombi  udibili  a  migliaia  di 
chilometri  di  distanza.  Si,  si,  è  questo  il  fenomeno  del  vulcani- 
smo, perchè  io  lo  vedo  col  lume  della  ragione  e  della  logica,  come 
molte  volte  ne  ho  inteso  i  palpiti,  i  boati,  e  sono  stato  pure  sbal- 
lottolato  sulle  lave  e  sulle  sabbie,  poiché  sotto  l'azione  delle  forti 
scosse  sussultorie  il  terreno  sabbioso  sembra  come  se  fosse  acqua 
in  ebollizione  e  le  lave  ondeggiano.  Non  si  conoscono  in  fisica 
altre  energie  capaci  di  abbattere  in  pochi  secondi  quanto  capita 
nel  campo  del  disastroso  scuotimento,  come  disgraziatamente  se 
n'  è  avuto  un  doloroso  esempio  il  28  dicembre  1908.  Si,  è  proprio 
l'incontro  dell'acqua  col  magma  arroventato  nell'interno  del  no- 
stro geoide  che  ha  provocato  in  tutti  i  tempi  gli  immani  disastri. 
Infatti  la  natura  che  non  ha  segreti  per  alcuno,  mostra  palesa- 
mente  agli  studiosi  ed  ai  curiosi  come  avviene  una  eruzione, 
poiché  ciò  che  compare  prima  dalle  fratture,  dagli  spiragli,  dalle 
fumarole,  dai  crateri  é  il  vapore  acqueo,  quello  che  si  sviluppa 
dalle  superficie  delle  correnti  laviche  arroventate  è  il  vapore 
acqueo,  anzi  é  sulle  correnti  laviche  che  spesso  si  formano  veri 
crateri,  i  quali  compiono  essi  pure  vere  eruzioni  con  sviluppo  di 
vapore  acqueo. 

Il  prof.  Ricco  ^)  nell'  applicazione  della  termodinamica  alle 
eruzioni  vulcaniche  scrisse  quanto  segue:  «  Partiamo  da  dati  di 
fatto:  prima  di  questo  periodo  eruttivo  (3  agosto  1888,  22  marzo 
1890)  di  Vulcano  (Eolie),  il  fondo  chiuso  del  cratere  era  alto  140 
metri  sul  H vello  del  mare:  ritenendo  l'eruzione  dovuta  all'accesso 
delle  acque  marine  sui  materiali  vulcanici  caldi,  é  naturale  am- 
mettere che  nella  eruzione  venga  sgombrato  tutto  il  canale  o 
camino  vulcanico,  fino  al  livello  del  mare,  ossia  per  un'altezza 
di  140  m.  D'altra  parte,  secondo  le  misure  del  prof.  Consiglio, 
il  fondo  del  cratere  di  Vulcano  in  settembre  1889  ,  prima  del- 
l' esplosione  finale  del  marzo  1890  ,  era  profondo  20  m.  ,  dopo 
quell'ultimo  risveglio,  il  fondo  era  a  150  m.:  dunque  nell'ultima 
eruzione  fu  gettato  in  aria  un  ammasso  di  materiale  vulcanico 
dell'altezza  di  130  m.  Quindi  possiamo  dire  che,  tanto  nella  prima 


1)  Fumo  di  Viilcano  veduto  dall'osservatorio  di  Palermo  durante  l'  eru- 
zione del  1889  ed  applicazione  della  termodinamica  alle  eruzioni  vulcaniche. 
Ann.  d.  Uff.  Cent.  Met.  e  Geod.  Italiano,  pag.  339.  Voi.  XI.  Parte  IH.  1889. 
Roma  1892. 

10 


—  146  — 

come  neiriiltinia  eruzioiicì,  l.i.  lensionu  dui  vaporo  dev'essere  stata 
tale  da  sollevare  il  peso  di  130  a  140  metri  di  materiale  vulca- 
nico; il  peso  specifico  di  questo  è  assai  variabile,  da  circa  3  volte 
quello  dell'acqua,  scendendo  fino  alle  pomici  galleggianti.sull'acqua  ». 
«  Per  stare  al  meuo,  supponiamo,  i  130  o  140  metri  del  detto 
materiale  equivalenti  solo  a  poco  più  di  130  metri  di  acqua,  ossia 
circa  alla  pressione  di  13  atmosfere;  il  vapore  acqueo  avrà  do- 
vuto avere  almeno  la  forza  elastica  di  14  atmosfere  (aggiungendo 
quella  dovuta  all'aria)  per  poter  sollevare  quella  massa  di  rocce 
vulcaniche:  in  altri  termini ,  la  pressione  entro  il  vulcano  sarà 
superiore  a  quella  delle  caldaie  di  acciaio  delle  più  potenti  mac- 
chine a  vapore,  come  quelle  delle  torpediniere,  ove  è  di  12  at- 
mosfere  > 

«  Rimosso  quell'enorme  tappo  di  materiale  vulcanico,  siamo 
nel  caso  dell'efflusso  del  vapore  saturo  dalla  valvola  di  sicurezza 
di  una  caldaia  a  14  atmosfere  nell'  aria  libera  ,  ed  «n  tal  caso 
ecco  quali  risultano  le  condizioni  del  vapore  acqueo   ». 

«  La  temperatura  che  deve  possedere  non  è  nulla  di  straor- 
dinario: 196**,  ben  facile  a  conseguire  nelle  viscere  del  vulcano, 
donde  vengono  lanciati  dei  massi  che,  anche  dopo  essere  giunti 
a  terra,  presentano  temperature   superiori  a  1000°. 

«  Trascurando  la  resistenza  delle  pareti,  che,  per  essere  il  ca- 
nale del  vulcano  relativamente  corto  e  largo,  e  generalmente 
svasato,  non  può  essere  grande,  si  trova  che  uscirà  un  miscuglio 
di  vapore  col  14  "/o  di  acqua  polverizzata,  avente  la  velocità  di 
941  metri  per  secondo,  nel  qual  tempo  ne  usciranno  666  chilo- 
grammi per  ogni  metro  quadrato  della  bocca   >. 

«  Questa  grande  massa  lanciata  con  quella  enorme  velocità 
possiede  una  forza  viva  di  90524  chilogrammetri:  quindi,  prescin- 
dendo dalla  resistenza  dell'  aria  e  dalla  diminuzione  della  gra- 
vità, sarebbe  capace  di  spingersi  all'altezza  di  46262  metri! 

«  La  densità  di  questo  fumo,  essendo  di  non  molto  inferiore 
a  quella  dell'acqua  (0,7j  e  di  molto  superiore  a  quella  dell'aria 
(540),  sarà  capace  di  vincere  la  resistenza  dell'atmosfera  per  una 
grande  altezza  ,  quasi  come  farebbe  un  enorme  getto  d'  acqua, 
animato  di  eguale  velocità. 

«  Per  la  velocità  stessa,  da  prima  solo  la  superficie  esterna 
del  getto  di  vapore  potrà  cedere  alquanto  calore  all'aria  con  cui 
viene  a  contatto,  e  condensarsi,  come  di  fatto  si  osserva;  e  però 
non  ci  allontaneremo  molto  dal  vero  ritenendo  che,  almeno  da 
principio,  l'espansione  del  vapore  si  faccia  senza  perdita  di  ca- 
lore (espansione  adiabatica),  ed  allora  possiamo   calcolare  il  vo- 


—  147  — 

lume  dopo  Tespansione,  che  risulterà  10  Ya  volte  maggiore;  quindi 
i  941  metri  cubi  di  miscuglio  che  escono  al  secondo  divente- 
ranno 9880   ». 

«  Evidentemente  tale  enorme  espansione  contribuirà  pure 
grandemente  ad  aumentare  l'altezza  del  getto,  tanto  più  che, 
espandendosi  verso  l'alto,  troverà  pressione  atmosferica  minore. 

«  Pare  che  dopo  questi  risultati,  anche  facendo  grandissima 
parte  alla  resistenza  dell'  aria,  resti  la  possibilità  al  fumo  della 
eruzione  di  slanciarsi  fino  ad  8  o  10  chilometri  di  altezza  ». 

«  Ma  vi  sono  altri  ragguardevoli  risultati  da  considerare. 
Il  prof.  Consiglio,  dopo  l'eruzione  del  marzo,  trovò  la  bocca  del 
vulcano  (in  fondo  al  cratere)  di  forma  presso  a  poco  circolare, 
col  diametro  di  circa  10  metri,  cioè  coli' area  di  circa  78  metri 
quadrati- 

«  Dunque  il  volume  totale  del  miscuglio  di  vapore  ed  acqua 
della  supposta  eruzione  a  14  atmosfere  fu  di  78  x  941  =  73398 
metri  cubi  al  secondo,  che  colla  dilatazione  adiabatica  a  10  ^/a 
volte  divengono  770700;  il  peso  del  fluido  espulso  in  un  secondo 
sarà  78  x  666  =  51948  chilogrammi  ;  e  per  un  minuto  primo 
3116880  chilogrammi ,  ed  il  volume  4404000  metri  cubi ,  che  , 
espandendosi,  come  si  disse,  diverrà  46338400  metri  cubi  !  Die- 
tro queste  cifre  si  comprende  senz'altro  come  i  vulcani  possano 
coprire  di  nubi  grandi  estensioni  di  cielo  ed  anche  dare  luogo 
a  piogge  torrenziali:  infatti  una  eruzione  continua,  nelle  assunte 
condizioni,  in  20  minuti  darebbe  62338000  chilogrammi  di  mi- 
scuglio, che,  condensandosi  tutto  in  acqua,  darebbe  una  pioggia 
diluviale  capace  di  coprire  più  di  6  chilometri  quadrati  di  un 
centimetro  d'acqua. 

«  Ma  per  conoscere  completamente  la  potenza  delle  eruzioni 
vulcaniche  bisogna  sommare  alla  energia  cinetica  del  vapore  l'e- 
quivalente meccanico  del  calorico  che  contiene:  cioè  il  calorico 
di  riscaldamento  a  196°,  che  è  di  199  calorie;  dunque  insieme 
563  calorie  per  chilogramma  del  miscuglio,  equivalenti  a  239275 
chilogrammetri,  che  cogli  altri  45262  dell'energia  meccanica  for- 
mano 284537  chilogrammetri  per  chilogramma  di  miscuglio,  ossia 
294537  X  666  =  189.500.000  chilogrammetri  al  secondo  per  metro 
quadrato,  e  quindi  189.500.000  x  78  =  14.781.000.000  chilogram- 
metri, per  il  caso  considerato  di  Vulcano,  che  è  uno  dei  più  mo- 
desti in  fatto  di  eruzioni. 

«  E  evidente  che  vi  è  abbastanza  energia  per  produrre  tutti 
i  fenomeni  meccanici,  termici  ed  elettrici  che  si  osservano  nelle 


—  148  — 

eruzioni  vulcaniche  ».  Donde  fanno  provenire  (luoli*  imniouso  vo- 
lume d'acqua  emesso  dall'isola  Vulcano  il  Grautier  ed  i\  Brun? 

Non  comprendo  come  si  possa  ancora  sostenere  che  il  nostro 
geoide  si  raggrinza  pel  raffreddamento,  mentre  l' incessante  la- 
vorio delle  energie  geolìsiclie  che  diuturnamente  si  manifestano 
in  tante  svariate  forme,  avrebbe  dovuto  convincere  i  sostenitori 
di  questo  assurdo  che  quanto  essi  sostengono  è  un  presupposto, 
come  assurdo  è  l'altro  che  il  geoide  sia  rigido  in  tutte  le  sue 
parti. 

La  dimostrazione  del  moto  continuo  del  nostro  geoide  da  me 
fatta,  è  fondata  sul  fatto  inconfutabile  qual'è  quello  che  un  ter- 
remoto è  accompagnato  da  tenui  o  possenti  fenomeni  mecca- 
nici provenienti  dall'interno  del  geoide,  fenomeni  accompagnati 
sempre  da  sviluppo  di  vapori  e  gas  e  spesso  da  vampate  e  infine 
da  eiezioni  del  magma  arroventato.  Ma,  finita  la  causa,  tutto  ritorna 
in  calma  apparente.  Però  questi  fenomeni  sono  stati  sempre 
considerati  come  provocati  dal  vulcanismo,  mai  dal  tettonismo; 
né  del  resto  si  conosce  alcun  fenomeno,  di  quelli  che  si  produ- 
cono durante  eruzioni  submarine  o  subaeree,  provocato  da  spro- 
fondamenti tettonici.  Del  resto  io  nelle  mie  ricerche  mi  son  messo 
sempre  nelle  condizioni  più  naturali  per  spiegare  il  vulcanismo, 
ed  i  risultati  sono  stati  identici  a  quelli  che  presentano  le  eru- 
zioni subaeree  e  submarine. 

Alle  volte  il  dinamismo  endogeno  è  cosi  violento  che  pro- 
voca nell'involucro  esterno,  relativamente  rigido,  delle  fratture, 
e  giustamente  scrisse  lo  Stoppani  che  «  un  vulcano  che  erompe 
è  una  caldaia  a  vapore  che  scoppia  >.  Ma  lo  scoppio  e  le  fratture 
spesso  sono  seguite  da  eruzioni  e  allora  il  pino,  che  è  una  delle 
prime  manifestazioni,  contiene  il  999  per  mille  di  vapore  acqueo, 
quindi  è  questo  l'agente  provocatore  capace  di  agitare,  e  spesso 
in  modo  terribile,  tutta  la  enorme  e  pesante  massa  che,  come  è 
noto,  ha  un  diametro  di  chilometri  12,741,  con  un  circolo  mas- 
simo di  chilometri  40,000  ed  un  peso  specifico  di  4,39  (Carlini). 
Dunque  sono  questi  bruschi  ed  istantanei  movimenti  non  che  le 
eruzioni  che  producono  la  nutazione  dei  poli,  alterando  sensi- 
bilmente le  condizioni  statiche  e  turbandone  l'equilibrio. 

A.  proposito  della  nutazione  dei  poli  e  della  conseguente 
variazione  delle  latitudini  terrestri,  ricordo  di  aver  letto  che  nel 
secolo  XVIII  Eulero  aveva  fatto  qualche  ricerca  per  spiegare  il 
moto  del  polo  di  rotazione  istantanea  della  Terra  e  la  variazione 
delle  latitudini. 


—  149  — 

In  una  delle  conferenze  tenute  nel  1897  in  America,  a  Bo- 
ston ,  G.  H.  Darwin  disse:  e  dobbiamo  ora  definire  V  equatore 
come  un  piano  passante  per  il  centro  della  terra,  normale  al- 
l'asse di  rotazione  e  non  come  un  piano  fisso  rispetto  alla  terra 
fissa.  La  latitudine  di  un  luogo  qualunque  è  l'angolo  tra  l'equa- 
tore e  la  linea  condotta  dal  luogo  d'osservazione  al  centro  della 
terra.  Se  dunque  la  terra  è  animata  da  un  movimento  di  nu- 
tazione, l'asse  di  rotazione  si  sposta  e  le  sue  estremità  descri- 
vono un  piccolo  circolo  ai  punti  che  vengono  chiamati  general- 
mente poli.  L'equatore,  che  rimane  sempre  normale  all'asse  di 
rotazione,  si  sposterà,  naturalmente,  anch'esso  e  perciò  varierà 
la  latitudine  di  un  punto  della  superficie  terrestre.  Per  tutta  la 
durata  della  nutazione,  l'asse  di  rotazione  della  terra  è  sempre 
diretto  al  medesimo  punto  del  cielo,  e  perciò  l'angolo  tra  la  vi- 
suale diretta  al  polo  celeste  e  la  verticale,  o  linea  del  filo  a 
piombo  nel  luogo  d'osservazione,  deve  oscillare  intorno  ad  un 
valore  medio;  il  periodo  dell'oscillazione  è  appunto  quello  della 
nutazione  della  terra.  Questo  movimento  si  chiama  nutazione 
libera^  perchè  è  indipendente  dall'azione  di  forze   esterne  ». 

Gli  astronomi  ed  i  matematici  intrapresero  delle  ricerche  per 
spiegare  il  fenomeno.  In  Italia  l'illustre  professore  Fergola,  de- 
terminata nuovamente  la  latitudine  nel  nostro  osservatorio  nel 
1871,  successivamente  (1873)  scrisse  che  occorrevano  molti  dati, 
fatti  ad  epoche  sufficientemente  lontane  ed  in  siti  opportuna- 
mente scelti. 

Continuarono  intanto  all'estero  le  ricerche:  cosi  Chandler  in 
America,  Kiistner  in  Germania  ed  altri  raccolsero  i  risultati  delle 
osservazioni. 

Nel  1883  all'adunanza  di  Roma  dell'Associazione  Geodetica 
Internazionale  il  prof.  Fergola  pose  la  questione  nei  seguenti 
termini: 

«  Quali  che  siano  i  risultati  di  questi,  essi  avranno  in  ogni 
caso  importanza  per  i  progressi  della  scienza,  sia  che  conducano 
a  concludere,  secondo  l'opinione  del  maggior  numero  degli  scien- 
ziati, che  i  poli  dell'asse  di  rotazione  devono  essere  riguardati 
come  sensibilmente  fissi  alla  superficie  della  Terra,  sia  che  di- 
mostrino taluni  movimenti  debolissimi  di  questi  punti,  già  so- 
spettati da  qualche  astronomo  in  vista  dei  risultati  ottenuti  in 
parecchi  osservatorii,  sui  valori  delle  latitudini  ». 

Accurate  ricerche  convinsero  molti  scienziati  che  avvenivano 
delle  variazioni  di  breve   periodo,  confermate   di    poi   nel    1884, 


—  150  — 

in  seguito  alle  osservazioni  fatte  nel  nostro  Ossei'vatorio  Astro- 
nomico di  Capodimonte. 

Nel  1899  si  trovarono  variazioni  della  latitudine  a  Berlino, 
a  Potsdam,  a  Praga  e  nel  1900  il  prof.  Milne  mise  in  rilievo 
un  fatto  importante  dopo  quattro  anni  di  ricerche  1895-98,  du- 
rante i  quali  il  noto  sismologo  ebbe  a  costatare:  <  una  relazione 
cioè  che  sembrerebbe  esistere  fra  i  cambiamenti  di  latitudine, 
misurati  in  un  certo  periodo  di  anni,  ed  il  numero  dei  grandi 
terremoti  che  si  sono  propagati  ad  intieri  continenti,  od  a  tutta 
la  supei-fìcie  del  globo,  in  quel  medesimo  periodo.  Nel  1902  il 
prof.  Milne,  in  una  conferenza  che  tenne  alla  Società  Geografica 
di  Londra,  espose  i  risultati  contenuti  nel  rapporto  delle  ricerche 
sismologiche  presentato  al  Congresso  dell'Associazione  Britannica 
per  l'avanzamento  delle  scienze,  tenuto  a  Bradford  nel  1900.  Lo 
stesso  prof.  Milne,  sette  anni  prima,  aveva  anche  attirato  l'atten- 
zione dei  sismologi  sulla  coincidenza  fra  il  periodo  di  massimo 
aumento  di  latitudine  osservato  a  Berlino  ed  il  periodo  di  mas- 
simi terremoti  registrati  nel  Giappone. 

Secondo  il  prof.  Milne  la  tabella  seguente  dimostra  che,  quando 
gli  spostamenti  del  polo  sono  stati  relativamente  grandi,  i  ter- 
remoti mondiali  sono  stati  numerosi  e  viceversa. 

Ciò  si  rileva  nei  totali  annuali.  Cosi: 

Nel    1895  9         grandi  terremoti  ed  uno  spostamento  totale  del  polo  di  0,"53 ') 
»     189618  »  »  »     >  »  ,       »        »     »  0,"91 

»     1897  44  o  47»  >»»  »  »»,»  i/'07 

»     1898  bO  >  »»»  »  »»»»  1,"03 

(sec.  Cancan  i)  ^) 

Non  è  da  supporre,  scrisse  il  dottor  Cancani,  che  lo  .sposta- 
mento di  massa  prodotto  in  questi  terremoti,  rappresenti  una 
causa  sufficiente  a  produiTe  il  cambiamento  del  polo,  ma,  come 
ha  messo  in  rilievo  il  prof.  H.  H.  Turner,  sembra  possibile  che 
ambedue  i  fatti  possano  risultare  da  una  causa  comune. 


')  Il  diametro  della  terra  è  circa  di  12,741  chilometri;  la  sua  circonferenza 
di  40,000  chilometri:  e  poiché  essa  comprende  360"  cioè  1,296,000  secondi 
d'arco,  un  secondo  d'arco  risulta  eguale  a  circa  31  metri,  e  quindi  un  decimo 
di  secondo  d'arco,  a  3  metri. 

2)  A.  Canoani.  Sopra  un'ipotetica  relazione  fra  le  variazioni  di  latitudine 
e  la  frequenza  dei  terremoti  mondiali.  Boll.  d.  Soc.  Sismologica  Italiana.  Mo- 
dena, 1902-3.  Voi.  Vili. 


—  161  - 

Fino  a  che  non  saranno  eseguiti  ulteriori  confronti,  è  pre- 
maturo formulare  ipotesi. 

Ecco  intanto  i  risultati  della  media  di  24  terremoti  mon- 
diali ottenuti  dal  Cancani: 


Anni 

Terremoti  mondiali 

Spostamenti 

totali  annuali  del  polo 

1899 

27 

0",  72 

1900 

17 

0",  32 

1901 

22 

0"53 

1902 

29 

0",  97 

il  quale  concluse  come  segue:  «  I  numeri  da  me  qui  sopra  esposti 
non  attenuano  certamente  la  probabilità  di  una  qualche  corre- 
lazione esistente  fra  i  due  ordini  di  fenomeni,  ma  vengono  piut- 
tosto a  corroborarla  ». 

Nel  1892  il  dottor  Edw.  Dutton  enunciò  l'ipotesi  deWisostasi 
nel  senso  che  i  sedimenti  eolici  e  marittimi,  continuati  ininterrot- 
tamente per  secoli,  alterano  sulla  Terra  la  distribuzione  dei  carichi 
e  della  materia. 

I  sedimenti  vanno  al  mare  scaricando  i  continenti  e  cari- 
cando il  fondo  marino.  Secondo  Dutton  questa  rotazione  di  massa 
potrebbe  portare  fino  al  ristabilimento  dell'equilibrio  elastico  ed 
idrostatico. 

L'ipotesi  del  Dutton  non  mi  persuase,  perchè,  come  è  noto, 
i  materiali  scaricati ,  trascinati  o  deposti  nel  mare  si  distribui- 
scono a  secondo  le  profondità,  poiché  le  onde  a  meno  di  10  metri 
di  profondità  li  distribuiscono  a  monte  e  spesso  finiscono  per 
formare  sulle  spiagge  delle  dune  ;  ad  una  profondità  maggiore, 
vengono  trascinati  a  valle  o  nelle  profondità.  Infatti  nel  1907  nel 
mio  lavoro:  «  L'unità  delle  energie  cosmiche  »  scrissi  quanto  segue 
a  pag.  46:  «  Il  vulcanismo,  che  ha  modificato  e  continua  a  mo- 
dificare con  le  sue  eruzioni  la  morfologia  del  geoide,  è  sicura- 
mente il  più  gran  veicolo  che  concorra  a  stabilire  l'equilibrio,  o 
isostasi  di  Dutton  tra  la  parte  emersa  e  quella  interna.  Non  si 
potrebbero  spiegare  altrimenti  le  eruzioni  di  materiali;  che  alle 
volte  raggiungono  quantità  sbalorditive:  cosi  lo  Skaptàr ,  uno 
dei  crateri  dell'Islanda,  nell'eruzione  del  1783  emise  una  quan- 
tità di  lava  calcolata  a  cinquecento  miliardi  di  metri  cubi  (Reclus); 
ed  il  vulcano  Conseguina  dell'America  centrale  eruttò  tanta  cenere, 
da  coprire  una  superficie  di  quattro  milioni  di  chilometri  quadrati, 
e  tanti  materiali  da  raggiungere  la  capacità  di  50  milioni  di  metri 
cubi]  e  il  Tambora,  nell'  Isola  di  Sumatra,  lanciò  nel  181")  le  sue 


—  152  — 

ceneri  sopni  una  superficie  di  terra  e  di  maro  superiore  a  quella 
del  territorio  della  Germania,  ed  eruttò  materiali  per  la  capacità 
di  318  chilometri  cubi:  cosi  ad  ovest  delle  montagne  rocciose,  le 
lave  coprono  un  territorio  più  grande  di  quello  della  Francia  e 
della  Gran  Bretagna  riunite.  Lo  stesso  Skaptàr,  il  29  marzo  1875, 
eruttò  300  milioni  di  metri  cubi  di  pietre  pomici. 

Secondo  alcuni,  le  eruzioni,  diminuendo  il  volume  del  con- 
tenuto dell'interno  del  geoide,  dovrebbero  provocare  la  contra- 
zione del  geoide  stesso.  Ma  ciò  è  erroneo,  perchè  se  le  eruzioni 
esportano  dall'interno  all'esterno  masse  enormi  di  materiali  vul- 
canici, ne  penetra  pure  sotto  forma  di  argille,  che  sono  deposi- 
tate nelle  profondità  degli  oceani  e  son  trascinate  dalle  acque 
del  mare  stesso:  ne  avviene  che  la  massa  interna  ancora  gassosa 
cercherà  di  espandersi  e  gli  effetti  si  risentiranno  alla  superficie 
con  scuotimenti  più  o  meno  intensi,  o  con  eruzioni;  ed  è  appunto 
in  questi  grandi  disquilibri  nella  massa  interna  che  l'acqua  pro- 
cede nella  sua  trionfale  conquista,  aumentando  lo  spessore  interno 
della  massa  idroplastica,  formando  nuovo  magma  e  non  pel  solo 
raffreddamento  >, 

<  Il  vulcanismo  pertanto  non  dev'essere  inteso  come  fattore 
distruttivo,  ma  come  causa  di  ringiovanimento  del  nostro  geoide; 
e  se  cosi  non  fosse,  data  la  diuturna  derùolizione  per  mezzo  degli 
agenti  atmosferici  e  dell'acqua ,  in  particolar  modo ,  all'  andare 
dei  secoli,  la  parte  emersa  sarebbe  destinata  a  raggiungere  per 
degradazione  gli  abissi  del  mare,  e  rimanervi  depositata,  per  for- 
mare nuovi  continenti  ». 

«  Pure,  sulla  formazione  dei  continenti,  voglio  manifestare  il 
mio  pensiero  e  subito  dichiaro  che  sono  contrario  al  concetto 
della  contrazione  del  geoide  ,  oppure  ,  se  una  ve  ne  fu  di  con- 
trazione, dev'essersi  manifestata  nell'atto  che  andava  formandosi 
l'involucro  idroplastico,  ma  non  dopo  che  questo  aveva  raggiunto 
un  certo  spessore  {sia  pure  di  50  chilometri  come  ammeite  de  Lap- 
parent),  poiché  mi  sembra  assurdo  sostenere  che  l'involucro  po- 
tesse contrarsi  dopo  che  aveva  preso  proporzioni  chilometriche  » . 

Secondo  me,  sono  i  bruschi  spostamenti  di  masse  provocati 
dal  vulcanismo  con  le  sue  eruzioni  endogene  ed  esogene  che  pro- 
ducono la  nutazione  dei  poH  ,  poiché  le  lave  alterano  sensibil- 
mente le  condizioni  statiche  del  nostro  globo  e  quindi  ne  tur- 
bano l' equilibrio.  Non  cosi  i  terremoti  i  cui  scuotimenti  sono 
istantanei,  e  sopita  la  causa,  finisce  l'effetto. 

Da  quanto  ho  riassunto  emerge  in  modo  apodittico  quanto 
asserì  l'illustre  prof.  Fergola  nel  1871,  1873,  1883  e  1884,    cioè 


—  153  — 

che  sono  pure  istantanee  le  variazioni  delle  latitudini,  ed  è  lo- 
gico, perchè  se  avviene  lo  spostamento  del  polo,  deve  seguirne 
pure  fugacemente  una  piccola  variazione  nelle  latitudini,  varia- 
zione che  non  è  mai  di  lunga  durata  ed  i  cui  limiti,  secondo  le 
recenti  ricerche  di  geodesia  e  di  astronomia,  sono  compresi  in 
spazii  assolutamente  trascurabili. 

I  lavori  teorici  dei  nostri  illustri  astronomi  e  matematici 
Schiaparelli  ^)  e  Volterra  ^)  confermano  la  mia  ipotesi. 

Dall'insieme  dei  fatti  esposti  si  ha  la  prova  che  l'involucro 
idroplastico  da  me  intraveduto  nel  1887  a  profondità  variabili 
viene  deformato  dal  vulcanismo,  e  da  ciò  i  conseguenti  sposta- 
menti dei  poli  e  delle  variazioni  delle  latitudini.  Quindi  non  è 
risostasi,  ma  il  vulcanismo,  con  la  circolazione  delle  sostanze 
minerali  e  col  concorso  indispensabile  del  mare,  che  compie  l'e- 
voluzione delle  rocce,  modifica  la  morfologia  della  Terra  e  la  tiene 
in  perpetua  agitazione.  Cosi  l'intuizione  di  Humboldt  ha  una 
conferma,  poiché  egli  era  persuaso  che  non  vi  sia  mai  un  istante 
in  cui  la  Terra  non  sia  scossa  o  in  un  punto  o  in  un  altro.  Ora 
se  i  vulcani  rappresentano  la  più  completa  manifestazione  del- 
l'attività della  Terra ,  il  vulcanismo  non  è  invecchiato  e  tanto 
meno  ha  fatto  il  suo  tempo  ;  esso  si  assopirà  il  giorno  in  cui 
non  vi  sarà  una  molecola  d'acqua  che  possa  reagire  con  gli  ioni 
e  gli  elettroni  facienti  parte  della  grande  massa  caotica,  conte- 
nente il  principio  di  tutti  gli  elementi  chimici ,  rimasta  impri- 
gionata nella  Terra. 


Conclusione 

Le  eruzioni  vulcaniche  avvengono  per  l'incontro  dell'acqua 
del  mare  e  di  circolazione  col  magma  arroventato  nell'interno  del 
geoide. 

La  sismologia  non  possiede  ancora  strumenti  perfezionati  e 
capaci  di  registrare  sismogrammi  di  sicura  interpretazione,,  ma 
dai  dati  che  finora  ha  forniti  si  può  ritenere  come  stabilito: 

l.o  Che  il  geoide  è  diuturnamente  scosso; 

2.0  Che  la  scossa,  sempre  sussultoria  all'ipocentro,  sussultoria 
e  ondulatoria  a  distanza,  può  essere  microsismica  e  locale,  ma- 
crosismica e  universale  ; 

1)  De  la  rotation  de  la  Terra  sous  l'iiifluence  des  actions  géologiques. 

2)  Sulla  teoria  delle  vaiiazioni  delle  latitudini  terrestri. 


—  154  — 

3.0  Che  la  scossa  è  stata  più  sensibile  in  una  che  in  altre 
parti  del  geoide  ; 

4.0  Che  ad  una  profondità  variabile  il  geoide  è  costituito 
di  rocce  uniformi  e  continue,  buone  conduttrici  delle  onde  si- 
smiche. 

6.°  Che  la  velocità  di  propagazione  delle  onde  sismiche  è 
molto  variabile:  la  minima  venne  registrata  nel  terremoto  del 
1881  da  Ginevra  ad  Allevard  e  fu  di  300  metri  al  secondo;  in 
quanto  alla  massima  finora  si  è  registrato  fino  a  circa  14  km.  al 
minuto  secondo,  ma ? 

6.°  Che  la  registrazione  del  sismo  nel  primo  tempo  è  dovuta 
a  causa  meccanica; 

7.0  Che  il  mare  non  modifica  la  conducibilità  delle  vibra- 
zioni sismiche,  sia  tra  isole  ed  isole  che  tra  isole  e  continenti. 


La  fascia  vitellogena  nell'oocite  in  crescita 
di  Antedon  rosacea 

Nota  preliminare  riassuntiva 
del     socio     GrIULIO     CoTRONEI 


(Tornata  del  14  luglio  1910) 

Espongo  in  questa  nota  preliminare,  in  attesa  del  lavoro  com- 
pleto ,  i  risultati  delle  mie  ricerche  sull'  oocite  di  Antedon  ro- 
sacea. 

L'oooite  di  Antedon,  già  ai  primi  stadi  della  crescita,  si  pre- 
senta con  caratteri  spiccatamente  basofìli  nella  vescicola  germi- 
nativa, acidofìli  nell'ooplasma.  Indi,  a  poco  a  poco,  nel  nucleo  e 
nel  nucleolo  si  addiviene  ad  un  incessante  processo  di  trasfor- 
mazioni chimiclie,  che  si  palesano  con  una  rarefazione  della  rete 
cromatica  ed  una  parziale  dissoluzione  del  nucleolo,  e  con  un 
conseguente  mutamento,  almeno  parziale,  delle  reazioni  croma- 
tiche. L' acidofilia  manifestantesi  della  vescicola  germinativa  è 
dovuta  a  una  dissociazione  della  cromatina  e  ad  una  parziale 
perdita  di  quelle  sostanze  (fosforate),  che  vi  determinavano  prima 
la  reazione  basofìla. 

Parallelamente  alle  manifestazioni  nucleari  si  nota  nell'ooplas- 
ma una  progressiva  tendenza  alla  basofilia,  per  la  comparsa  di  mi- 
nutissimi granuli  basofìli,  che  si  vanno  fondendo  in  mitocondri. 
Questi  a  loro  volta  si  aggruppano  e  si  fondono  in  quei  corpi 
speciali,  che  negli  oociti  prendono  nome  di  corpi  cromatici. 

Come  fase  ulteriore  di  un  medesimo  processo  formativo,  i  corpi 
cromatici  s'integrano  nella  formazione  di  un  corpo,  che  deno- 
mino fascia  vitellogena,  la  quale  è  perinucleare  in  una  deter- 
minata fase  della  sua  integrazione.  Questa  fascia  è  omologa  alle 
zone  vitellogene  del  van  de  Stricht  e  non  ha  nulla  a  che  vedere 
con  il  tipico  corpuscolo  di  Balbiani. 

La  fascia  vitellogena  conserva  i  caratteri  istochimici  delle  gra- 
nulazioni ,  da  cui  proviene  ;  essa  è  dovuta  ad  un  relativo  eccesso 


—  156   - 

di  quelle  sostanze,  di  cui  sono  formati  i  corpi  cromatici,  tanto 
vero  che  basta  la  crescita  ulteriore  dell'oocite,  vale  a  dire  l'au- 
mento della  massa  ooplasmatica,  perchè  la  sostanza  basofila,  con- 
centratasi in  un  primo  tempo  in  un  corpo  figurato,  torni  a  dif- 
fondersi nell'ooplasma. 

Le  sostanze  che  il  nucleo  e  il  nucleolo  cedono  all'ooplasma 
non  vi  pervengono  come  elementi  figurati  preformati:  si  tratta 
di  sostanze  già  trasformate  nel  nucleo  e  disciolte,  che  si  diffon- 
dono quindi  con  processo  osmotico.  Queste  sostanze,  combinan- 
dosi con  gli  elementi  dell'ooplasma,  precipitano  sotto  forma  di 
granulazioni  basofile,  e  ciò  si  rende  palese  con  il  mutamento  di 
reazione  nell'ooplasma,  che  da  acidofilo  diventa  basofìlo.  Epperò 
le  granulazioni  basofile,  secondo  me,  non  rappresentano  una  sem- 
plice ricostituzione  delle  sostanze  (fosforate)  diffuse  dal  nucleo 
e  dal  nucleolo  e  derivate  dalla  cromatina,  ma  sono  i  prodotti  di 
una  più  complessa  integrazione,  di  cui  fanno  parte  anche  le 
sostanze  autoctonamente  prodottesi  nell'ooplasma  per  la  sua  at- 
tività metabolica. 

In  conformità  dell'osservazione  di  molti  citologi,  posso  io  pure 
attestare  che  i  corpi  basofili  si  producono  all'  inizio  della  crescita 
dell'  uovo  ovarico  e  cominciano  a  rendersi  evidenti ,  non  alla  pe- 
riferia dell'ovocite  (ooplasma),  ma  nella  zona  perinucleare,  e  ag- 
giungo che  la  fascia  vitellogena  di  Antedon  rosacea,  impropria- 
mente chiamata  nucleo  vitellino  dal  De  Gasparis  e  dal  Crety, 
i  soli  che  se  ne  sono  occupati ,  non  è  che  un'  ulteriore  fase  d'in- 
tegrazione del  medesimo  processo  formativo  delle  granulazioni 
cromatiche. 

A  un  certo  punto  la  fascia  tende  ad  allontanarsi  dal  nucleo; 
questo  tempo  corrisponde  all'  inizio  della  sua  disgregazione.  Le 
modalità,  con  cui  la  disgregazione  si  effettua,  sono  molteplici  e 
ripetono  per  lo  più  in  senso  inverso  il  processo  di  formazione 
integrativa.  Col  disgregamento  si  può  spesso  rilevare  un  rimpic- 
ciolimento  della  fascia.  In  questo  stadio,  sparse  per  l'ooplasma, 
si  notano  numerose  granulazioni  basofile,  dissolventisi  gradata- 
mente in  granuli  più  minuti,  che  di  solito  costituiscono  una 
zona  distinta  attorno  al  nucleo. 

Durante  la  fase  di  semplice  disgregamento  le  reazioni  croma- 
tiche non  mutano  :  la  reazione  basofila  ooplasmatica  spicca  an- 
cora nettamente  su  quella  acidofila  del  nucleo.  Questo  fatto  trova 
le  sue  ragioni  nello  stato  delle  granulazioni  cromatiche,  le  quali 
non  si  sono  ancora  differenziate  in  corpi  deutoplasmatici ,  con- 
servano cioè  ancora  la  originaria  natura  mitocondriale. 


—   157  — 

Disgregatasi  completamento  la  fascia  vitoUogena ,  la  massa 
ooplasmatica  muta  reazione  ;  ciò  è  in  rapporto  con  l' inizio  della 
formazione  del  deutoplasma.  Le  sostanze  basofile  saturanti,  per 
cosi  dire,  l'ooplasma,  si  scindono  man  mano  ed  entrano  gradata- 
mente in  combinazione  con  le  altre  sostanze  ooplasmatiche,  con- 
correndo a  formare  le  nuove  sostanze  deutoplasmaticlie. 

In  uno  stadio  inoltrato  della  sua  e>^oluzione  l'ovocite  di  An- 
tedon  rosacea  si  circonda  di  cellule  appiattite ,  a  mo'  di  follicolo; 
esse  però  non  prendono  alcuna  parte  apprezzabile  nelle  manife- 
stazioni di  crescita  dell'uovo  ovari  co. 

La  fascia  vitellogena  è  una  formazione  transitoria  dell'attività 
metabolica  dell'ovocite  ;  essa  segna  semplicemente  uno  stadio  di 
tutto  il  processo  di  crescita  dello  stesso,  di  cui  è  produzione  di- 
retta, generandosi  per  gli  scambi  funzionali  tra  la  vescicola  ger- 
minativa e  l'ovoplasma.  Che  il  materiale  plastico,  per  cosi  dire 
grezzo,  necessario  alla  costruzione  dei  prodotti  ooplasmatici  spe- 
cifici ,  provenga  dal  di  fuori ,  è  tale  fatto,  che  ormai  non  ha  più 
bisogno  di  dimostrazione;  questo  materiale  subisce  una  certa 
serie  di  trasformazioni,  per  cui  non  è  lecito  parlare  più  di  una 
identità  tra  sostanze  cellulari  esogene  e  prodotti  endogeni  finali 
del  metabolismo  cellulare. 

In  quanto  ai  mitocondri  ovocitali,  attenendomi  alle  mie  os- 
servazioni in  Anteclon  rosacea ,  essendo  essi  il  sostrato  primor- 
diale ma  anche  transitorio,  da  cui  si  edifica  la  fascia  vitellogena, 
in  altri  termini  rappresentando  essi  gii  elementi  morfologici  (fi- 
gurati) momentanei  di  una  determinata  fase  di  una  più  complessa 
funzione  cellulare,  anche  il  loro  carattere  deve  essere  di  natura 
provvisoria,  epperò  è  assurdo  riguardarli  come  trasmissori  di 
caratteri  ereditari  da  una  generazione  cellulare  a  un'altra. 

Anche  insostenibile  è  l'omologia  fra  i  diversi  corpi  basofili, 
fra  i  diversi  elementi  mitocondriali  dei  più  svariati  tipi  cellulari, 
perchè,  a  giustificare  una  cosi  intima  omologia,  non  valgono  per 
nulla  la  identità  delle  reazioni  (isto-chimiche)  cromatiche  e  la 
identità  dei  caratteri  morfologici  apparenti.  La  fascia  vitellogena 
e  in  genere  i  corpi  basofili  degli  ovociti  in  fase  di  crescita  ri- 
cordano per  analogie  gli  ergastoplasmi  e  i  mitocondri  delle  cel- 
lule glandulari,  ma  una  sicura  e  completa  omologia  credo  non 
possa  sussistere  nemmeno  tra  i  mitocondri  degli  ovociti  in  crescita 
e  i  mitocondri  di  cellule  glandulari  in  fase  secretrice,  evolvendo 
essi  verso  due  distinti  tipi  morfologici  e  funzionali. 

Napoli,  Istituto  Zoologico  della  R.  Università,  31  giugno  1910. 


Composizione  e  valore  nutritivo  dei  ''  tarsili  „ 

prodotto  della   panificazione   speciale  di   Napoli 

UEL 

socio  Alessandro  Cutolo 


(Tornata  del  4  agosto  1910) 

Nel  corso  di  alcune  ricerche  sul  pane  di  Napoli  ebbi  occa- 
sione di  studiare  un  prodotto  della  panificazione,  molto  diffuso 
in  questa  città  ed  in  parecchie  altre  dell'Italia  meridionale:  i, 
cosi  detti,  taralli. 

Essi  sono  costituiti  da  una  specie  di  piccole  ciambelle  di  gran- 
dezza variabile  di  poco,  secondo  i  posti.  Se  ne  trovano,  ordina- 
riamente, due  tipi  principali:  un  tipo  piccolo,  del  diametro  di 
cm.  -4  a  5,  del  peso  medio  di  gr.  7  a  8,  ed  un  tipo  più  grande, 
del  diametro  di  cm.  7  a  8,  del  peso    medio  di  gr.  10  a  12. 

Hanno  un  aspetto  lucido  e  sono  lisci  al  tatto,  specialmente 
nella  parte  superiore;  hanno  un  colore  che  varia  dal  giallo  do- 
rato al  bruno  caramello;  sono  friabili  con  struttura  porosa. 

Ha  un  certo  interesse  il  metodo  speciale  della  loro  prepara- 
zione; però,  per  quanto  abbia  domandato,  non  m'è  stato  possi- 
bile ottenere  notizie  precise  su  la  quantità  di  acqua,  farina  e 
lievito  adoperata  nella  loro  fabbricazione. 

Come  tante  altre  piccole  industrie  napoletane  anche  questa  è 
disordinata  ed  empirica! 

Ho  accertato,  però,  che  la  pasta  vien  preparata  con  una  mi- 
scela di  farina  del  N.  II  e  del  N.  Ili  ^)  e  con  una  quantità  di 
lievito  ben  fermentato,  inferiore  di  un  quinto  a  la  quantità  che 
si  adopera  per  la  fabbricazione  del  pane  comune. 

Anche  l'acqua  si  aggiunge  in  quantità  scarsa,  perchè,  per  le 
successive  manipolazioni,  è  necessario  che  il  pastone  ottenuto 
sia  duro,  asciutto  come  dicono  in  arte. 

>j  Ceneri  ^  0,32  a  0,48  % 


—  159  — 

La  quantità  di  sale  contenuta  in  essi  è  piccola,  spesso  pic- 
colissima. Ho  potuto  notare  che  quanto  maggiore  è  la  produzione 
del  fabbricante,  tanto  minore  è  la  quantità  di  sale  riscontrata  a 
l'analisi. 

Ottenuto  il  pastone,  questo  viene  lavorato  bene ,  ma  meno 
della  pasta  da  pane;  è  tagliato  a  pezzi  piccoli,  che  sono  arro- 
tolati in  forma  di  bastoncini  ed,  in  fine,  conformati  come  tante 
piccole  ciambelle.  ^) 

Così  preparati,  vengono  disposti,  l'uno  attaccato  a  l'altro, 
su  tavole  di  legno  e  lasciati  asciugare  a  l'aria  aperta,  almeno 
per  un'ora. 

In  generale,  ogni  preparazione  vien  fatta  per  una  quantità 
di  tarulli  che  può  essere  distesa  su  cinque  tavole  e  che  corrisponde 
a  circa  17  Kg.  di  prodotto  finale. 

La  cottura  è  praticata  in  una  maniera  speciale  che,  per 
quanto  mi  risulta,  non  è  applicata  a  nessun  altro  preparato  di 
farina  : 

I  taralli,  già  asciugati,  vengono  gettati,  a  poco  a  poco,  in 
una  pentola  di  acqua  bollente,  collocata  presso  la  bocca  del  forno  ; 
dopo  un  istante,  con  una  pala  bucherellata  sono  tolti  via,  sgoc- 
ciolati ed  introdotti  nel  forno.  Questo  è  riscaldato  come  per  il 
pane,  ma  la  durata  di  cottura  dei  taralli  è  brevissima. 

Tale  sistema  richiede,  naturalmente,  operai  molto  abili,  per- 
chè si  corrono  due  rischi:  veder  spappolare  i  taralli  nell'  acqua 
bollente  o  vederli  bruciare  nel  forno. 

Non  mi  è  stato  possibile  conoscere  il  vero  rendimento  della 
farina  in  taralli;  la  maggior  parte  dei  venditori  mi  ha  dichia- 
rato che  da  100  Kg.  di  farina  si  ottengono  86  Kg.  di  taralli. 
Queste  notizie  di  rendimento  non  corrispondono  mai  a  la  verità 
per  ragioni  bottegaie,  da  le  quali  non  derogano  gì'  interessati , 
neanche  quando  si  ha  cura  di  dichiarare  che  la  domanda  è  fatta 
a  scopo  scientifico,  non  commerciale. 

Però,  se  si  tien  presente  il  contenuto  medio  di  acqua  nelle 
farine  a  13  %  e  quello  dei  taralli  a  8  °/o,  si  può  calcolare  un  ren- 
dimento di  circa  94  Kg.  di  prodotto  per  ogni  quintale  di  farina 
adoperata. 

1)  Non  mi  occupo,  in  questo  lavoro,  dei  taralli  ai  quali  aggiungono  grasso, 
pepe,  zucchero,  ecc.,  che  sono,  del  resto ,  variazioni  del  tipo  da  me  descritto. 


—  ItìO  — 


* 
*  * 


Per  procedere  a  l'analisi  chimica  mi  sono  servito,  in  gene- 
rale, dei  metodi  ordinarii: 

Acqua  :  Fu  determinata  in  10  gr.  di  tarulli,  grossolanamente 
polverati,  mantenendoli,  in  capsula  di  porcellana  piana,  per  circa 
6  ore,  in  stufa  a  secco  a  106«>. 

Idrati  di  carbonio:  Furono  calcolati  per  differenza  da  le  altre 
sostanze  dosate. 

Sostarne  azotate:  Circa  mezzo  grammo  di  taralli,  polverati  e 
secchi,  furono  introdotti  in  un'  allunga  di  vetro  con  10  ce.  di 
acido  solforico  concentrato  e  circa  mezzo  grammo  di  bisolfato 
potassico.  Fu  riscaldato  a  fiamma  diretta,  sino  ad  avere  un  li- 
quido limpido,  quasi  incolore.  Dopo  raffreddamento,  si  aggiunsero 
circa  200  ce.  di  acqua  e  la  soluzione  ottenuta  fu  versata  in  un 
pallone  di  mezzo  litro.  Si  aggiunse  un  eccesso  di  ossido  di  ma- 
gnesio, spappolato  in   poca  acqua,  e  si  procedette  a  la   distilla- 

N 
zione.  L'  ammoniaca  svoltasi  fu  fissata  in  soluzione  —   di    acido 

solforico,  che  fu  titolato  con  potassa,  adoperando  come  indicatore 
l'acido  rosolico.  Da  la  quantità  di  azoto  ottenuto  furono  calcolate 
le  sostanze  azotate  col  coefficiente  6,25. 

Grasso  :  In  un  matraccetto  tarato  da  100  ce.  furono  introdotti 
5  gr.  di  sostanza,  polverata  e  secca,  e  vi  fu  aggiunto  etere  sino 
al  segno,  agitando  spesso,  per  circa  6  ore.  Separati  per  filtrazione 
60  ce.  di  liquido  furono  evaporati  in  un  pesa-filtri.  Il  residuo  fu  pe- 
sato, dopo  disseccamento  di  2  ore  in  stufa  ad  acqua  bollente. 

Cellulosa:  Per  questa  determinazione  furono  adoperati  i 
5  gr.  di  sostanza  già  sgrassati  con  etere.  Introdotti  in  un  ma- 
traccio da  mezzo  litro,  munito  di  apparecchio  a  ricadere,  furono 
lasciati  bollire,  per  circa  un'ora,  in  200  ce.  di  acido  cloridrico  di 
densità  1,026.  Dopo  raffreddamento,  fu  separato  il  residuo  inso- 
lubile, lavato  con  acqua  bollente  e  versato  di  nuovo  nel  ma- 
traccio, facendo  bollire  per  un'ora  con  200  ce.  di  potassa  a  l'I  o/o. 
Il  residuo,  raccolto  su  filtro  tarato,  fu  lavato,  disseccato  a  100° 
e  pesato. 


—  161  — 

Ceneri  :  Furono  determinate  nel  residuo  ottenuto  dal  dosa- 
mento dell'  acqua,  bruciandolo  in  muffola  al  rosso,  ma  avendo 
cura  di  elevare  la  temperatura  a  poco  a  poco. 

Cloruro  di  sodio  :  Fu  determinato  con  un  metodo,  del  quale 
darò  ragione  in  una  mia  prossima  pubblicazione.  In  una  capsula 
di  porcellana  furono  introdotti  10  gr.  di  sostanza  polverata  e 
secca,  aggiungendovi  5  ce.  di  potassa  alcoolica  al  6  7o*  Lia  massa 
fu  disseccata  a  bagno  di  acqua  bollente,  rimuovendola  di  tanto  in 
tanto  con  un  filo  di  platino,  e  poi  calcinata,  al  solito,  in  una  muf- 
fola al  calor  rosso.  Dopo  raffreddamento,  le  ceneri  furono  disciolte 
in  6  ce.  di  acido  nitrico  ed  in  tanta  acqua  da  ottenere  100  co. 
di  soluzione.  Su  di  una  parte  di  questo  liquido  fu  determinato  il 
cloro,  col  metodo  di  Wolliard. 

Acidità:  In  un  palloncino  da  100  ce.  furono  messi  10  gr.  di 
sostanza  polverata  con  circa  80  ce.  di  acqua,  agitando  ripetuta- 
mente per  circa  4  ore.  La  soluzione  fu  portata  al  segno  con  altra 
acqua  e  in  10  ce.  di  essa  fu  determinata  l'acidità,  avvalendosi 
come  indicatore  della  fenolftaleina. 

Sostanze  solubili:  Furono  determinate  evaporando  in  una 
capsula  di  platino,  a  fondo  piano,  molto  larga,  50  ce.  del  liquido 
ottenuto  col  trattamento  precedente.  Il  residuo  fu  pesato,  dopo 
2  ore  di  essiccamento  in  stufa  ad  acqua  bollente. 

I  risultati  medii ,  ottenuti  da  numerose  analisi ,  messi  in  con- 
fronto con  le  analisi  di  due  tipi  di  pane  e  dei  grissini  di  Torino, 
sono  riuniti  nelle  tavole  I  e  II. 


* 
*  * 


Per  completare  le  mie  ricerche  ho  voluto  calcolare  il  valore 
nutritivo  dei  taralli,  servendomi  dei  soliti  coefficienti,  cioè  4,  1 
per  gì'  idrati  di  carbonio,  4,  4  per  le  sostanze  azotate  e  9,  4  per 
il  grasso. 

Ho  determinato  ancora  il  valore  in  danaro  con  la  formola 
di  Kònig,  prendendo  per  base  la  proporzione  5,  3,  1  tra  la  so- 
stanza azotata,  il  grasso  e  gl'idrati  di  carbonio  ed  i  prezzi  medii 
appurati  su  la  piazza. 

I  risultati  di  questi  calcoli,  anche  in  raffronto  con  i  due 
tipi  di  pane  e  con  i  grissini^  sono  riuniti  nella  tavola  III. 

11 


—  irvi 


*  * 


Ho  creduto  utile  pubblicare  le  brevi  notizie  su  questo  ali- 
mento che  tra  noi  è  molto  accreditato  e  che,  consigliato  da  i 
medici,  è  anche  in  uso  nella  dieta  dei  convalescenti,  perchè  ri- 
tenuto di  facile  digestione. 

Io  non  credo  che  la  digeribilità  dei  taralli  sia  tale  da  averne 
consentito  nella  pratica  il  loro  largo  consumo,  perchè  da  qual- 
cuno è  stato  assegnato  a  i  biscotti  un  grado  di  digeribilità  in- 
feriore a  quello  del  pane. 

Però  non  si  può  negare  che  la  struttura  stessa  dei  taralli^ 
lo  stato  di  secchezza  e  la  loro  friabilità  costringano ,  chi  li 
mangia,  ad  una  protratta  masticazione,  provocando,  così,  una  sa- 
livazione abbondante  del  bolo  che  s'ingoia  ed  una  più  conve- 
niente triturazione  dell'alimento,  utile  a  le  successive  trasforma- 
zioni nel  tubo  intestinale. 

Senza  dubbio,  però,  la  larga  fiducia  che  godono  i  taralli  si 
deve  ascrivere  a  le  proprietà  che  presentano  i  biscotti  in  genere. 
La  buona  conservazione,  che  possono  mantenere  a  lungo  per  il 
loro  stato  di  secchezza,  consente  di  consigliare  i  taralli  con  la 
sicurezza  di  offrire  un  alimento  il  quale,  anche  se  preparato  da 
parecchi  giorni,  non  presenta  gl'inconvenienti  del  pane  raffermo. 
Si  aggiunga  ancora  che  i  taralli, corno,  i  grissini,  ed  anche  più 
di  questi,  per  la  buona,  uniforme  e  costante  cottura,  dovuta  a 
la  loro  configurazione  ed  al  sistema  adoperato,  hanno  un  gusto 
decisamente  appetitoso  ^),  mentre  non  caricano  lo  stomaco  per 
il  piccolo  volume,  di  cui  essi  sono  costituiti. 

A  me  sembra,  dunque,  che  bisogna  tener  conto  di  questo 
speciale  prodotto  della  panificazione,  l'uso  del  quale  potrebbe 
essere  esteso,  con  la  sicurezza  di  veder  apprezzato  dovunque, 
anche  dal  punto  di  vista  del  gusto,  un  alimento  di  uso  tutto 
locale. 

Napoli,  Laboratorio  chimico  municipale,  Luglio  1910. 


>)  Generalmente  aggiungono  su  i  taralli  pochi  semi  di  finocchi ,  i  quali 
con  l' aroma  speciale  riescono  utili  come  eccitanti  dello  stomaco,  aiutando 
anche  la  digestione  degli  altri  ulimenti. 


163  — 


I.  —  Composizione  centesimale. 


s3 

< 

Idrati 
i   carbonio 

nX 
OR 

o 

m 

05 
cS 
U 

c3 
r/ì 

N 
N 
05 

a 

o 
o 

'5 
o 
tn 

g 

3 

Acidità 
acido  lattico 

ostanze 
solubili 

'tì 

o 

J^ 

Ti 

88 

o 

o 

a 

m 

Pane   b*  anco 

comune.  .  . 

35,78 

53,51 

8,46 

0,28 

0,77 

1,20 

— 

0,610 

9,06 

Pane   l)ianco 

di   l.a  qual. 

34,05 

56,96 

8,22 

0,09 

0,19 

0,49 

— 

0,583 

10,20 

Grissini  .  .  . 

6,77 

78,27 

13,32 

0,20 

1,44 

_ 

— 

Taralli.  .  .  . 

7,70 

74,08 

15,23 

0,32 

0,73 

1,94 

1,01 

0,747 

16,60 

IL  —  Composizione  in  sostanza  secca. 


Idrati 
di  carbonio 

Sostanza 
azotata  Nx6,25 

o 
e; 

U 

Cellulosa 

Ceneri  grezze 

Cloruro  sodico 

Pane  bianco  comune.     . 

83,28 

13,17 

0,44 

1,20 

1,91 

— 

Pane  bianco  di  1.*  qua- 

lità  

.86,37 

12,47 

0,13 

0,29 

0,74 

— 

Grissini 

83,95 

14,29 

0,21 

— 

1,55 

— 

Taralli.          

80,25 

16,50 

0,35 

0,80 

2,10 

1,10 

164  — 


IJl. 


Valore  nutritivo. 


Pane  bianco  comune  .     . 
Pane  bianco  di   1.*  qualità 

Grissini 

Taralli 


Calorie 
calcolate 


259,24 
270,55 
381,39 
373,74 


966,6 
98l},ii 
1454,7 
151 1,9 


Prezzo 
per  Kg. 


L. 

0 

> 

0 

» 

1 

» 

0 

38 
46 

(X) 
80 


Unità 
nutritive 
per  L.  1,00 

2544 

2185 
1454 
1890 


Di  alcune  fortnazìoni  patologiche  a  tipo  epitelloide 

I. — Il  MoUuseiim  eontagiosum  di  Bateman 

pel  socio  Claudio  G-argano 
(con  la  tav.  Ili) 


(Tornata  del  29  Agosto  1909) 

Parte  I.  —  Generalità 

SINONIMI 

Acne  mollusco  (Chausit)  ;  Acne  molluscoide  (Cail- 
laut);  Acne  tubercolare  o  tubercoloide  (Devergie);  Acne 
varioliforme  (Bazin,  Hardy);  Acrothymium  ( —  — );  Amiloid- 
millium  (AuspiTz);  Borse  ditrittello  [Ordtzheutel  (Ribbentrop)]; 
Comedone  sottocutaneo  (Hanck);  Condiloma  endoci- 
stico  (Zeissl);  Condiloma  end  ofo  Ili  col  are  ( );  Con- 
diloma porcellaneo  (Fritze);  Condiloma  sottocutaneo 
(Hanck);  CoUoidmillium  (Auspitz);  Dischi  di  comedoni  [Come- 
clonenscheiben  (Ribbi&ntrot)]-^  Ecdermoptosis  (Hugier);  Elevazioni 
follicolari  (Rayer);  Epitelioma  contagioso  (Neisser,  Bol- 
linger);  Epitelioma  mollusco  (Virchow,  (jteber)  ;  Erpete 
contagioso  varioliforme  (Foster);  Mollusco  albuminoso 
(Thomson);  Mollusco  ateromatoso  (Jacobovigs);  Mollusco 
contagioso  (Bateman);  Mollusco  porcellaneo  (Hebba,  Ka- 
posi);  Mollusco  semplice  (Kraemer);  Mollusco  verrucoso 
(Kaposi);  Naevus  acrochordon  (Hebra);  Naevus  lipomatoides  (Hebra); 
Parakantlioma  verrucosmn  (Auspitz,  Hebra  H.);  SchmnnwarzeniU.^- 
bra);  Tubercoli  ateromatosi  (Jacobovigs);  Tumori  folli- 
colari (Willts);   Verruca  sebacea  (Hebra). 


12 


166  — 


DESCRIZIONE    STORICA 


Ludwig  ('793)  ci  tramanda  la  descrizione  ^)  di  una  malattia 
cutanea  osservata  da  Tilesius  su  di  un  povero  di  Mùhlbero,  il 
quale  d'altronde  non  ne  risentiva  danno  sul  generale  dell'orga- 
nismo. TiLKSius  (in  Bateman  ('817)]  ha  fatto  ricavare  il  ritratto 
di  questo  miserabile  uomo  in  tre  differenti  posizioni. 

È  la  prima  volta  ^),  che  si  fa  uso  nella  letteratura  medica, 
per  caratterizzare  alcune  speciali  efflorescenze  della  cute,  della 
parola  Molluscum^  per  la  rassomiglianza  che  presentavano  con  le 
prominenze  muciformi,"che  si  sviluppano  sulla  corteccia  dell'acero. 
L'affezione,  occupante  gran  parte  della  superficie  cutanea,  risul- 
tava di  numerose  sporgenze  e  tubercoli  di  varia  grandezza  e  con- 
sistenza, del  colore  della  cute  normale,  indolenti ,  a  decorso  lento, 
e  da  cui  fuoriusciva  una  sostanza  sebacea:  Verum  enim  Rhein- 
hardi  visus  foedum  corpus  tectum  est  verrucis  mollibus  sive  moìlu- 
scis,  et  madidis  sive  myrmeciis  » .  von  Willan  [in  Bateman  ('817j] 
alla  malattia  osservata  da  Tilesius  pose  il  nome  di  Molluscimi  pen- 
diilum. 

Bateman  ('817)  adoperò  la  parola  Mollusco  per  due  forma- 
zioni morbose:  1''  per  i  tumori  cutanei  descritti  da  Tilesius  ed 
indicati  da  von  Willan  come  M.  pendulum\  2»  per  alcune  forma- 
zioni porroidi  che  chiamò  M.  contagiosum.  Egli  infatti  dette  una 
descrizione  piuttosto  esatta  di  una  nuova  malattia  cutanea,  che  per 
alcuni  caratteri  sembrava  somigliante  a  quella  dell'ammalato  stu- 
diato da  Tilesius,  mentre  per  altri  caratteri  si  distingueva  molto 
da  essa. 

L'eruzione  cutanea  risultava  di  numerosi  tubercoli  poco  sen- 
sibili, sviluppantisi  con  lentezza  e  di  dimensioni  variabili  da 
quelle  di  una  vescia  lino  a  quella  di  un  uovo  di  piccione;  spesso 

^)  E  a  notare  che,  sia  per  la  descrizione  clinica,  sia  per  le  tavole,  non  si  può 
supporre  che  si  tratti  di  verruche,  ma  bensì  di  una  nuova  malattia,  non  stu- 
diata fino  ad  allora. 

'^)  Plenck  ('776)  adoperò  anche  lui  prima  di  Ludwig  ('793j  la  parola 
«  Verruca  carnea  seu  moUusca  »,  però  doveva  avere  inteso  di  parlare  delle  co- 
muni verruche  e  non  di  altra  lesione  cutanea,  perchè  avvalora  il  suo  pensiero 
con  le  seguenti  parole:  «  Est  tuherciilum  molle,  sessile,  ciitis  concolor,  vel  ru- 
bens,  saepe  pilosum.  In  naso  et  facie  ut  plurimum  invcnitur.  Videtur  admodum 
magna  ylandula  cutanea  quasi  esse  ».  Nella  6*  Classe  delle  sue  verruche  sono 
però  descritte  delle  formazioni,  che  hanno  delle  rassomiglianze  con  il  Molla- 
scum  contagiosum;  che  se  questo  fosse  da  tutti  ammesso,  Plenck  sarebbe  il 
primo  ad  avere  dato  cenno  di  questa  malattia. 


—  167  — 

«ossili,  altri  globosi  o  appiattiti  ad  altri  infinu  puduncolati  e  con- 
tenenti nel  loro  interno  una  sostanza  ateromatosa.  Tali  tubercoli 
in  apparenza  non  sono  legati  con  nessun  disordine  costituzio- 
nale, non  hanno  alcuna  tendenza  alla  infiammazione  o  alla  ulce- 
razione e  persistono  durante  tutta  la  vita,  senza  avere  un  ter- 
mine naturale.  Spesso  si  trovano  isolati  e  spesso  sono  mischiati 
a  pustole  di  acne  od  a  comedoni;  rappresentano  indubbiamente 
delle  glandolo  sebacee  distese,  riempite  di  un  magma  di  grasso 
e  di  epidermide  liquefatta,  degenerate  ed  incistidate.  La  parete 
di  queste  glandolo  è  talvolta  manifestamente  spessa,  la  loro  a- 
pertura  è  sparita  o  è  visibile  od  anche  abbastanza  larga,  perchè 
vi  possa  passare  uno  stiletto:  sono  dei  tumori  sebacei.  Dopo  che 
si  sono  vuotati  del  loro  contenuto,  o  per  espressione,  o  per  una 
o  più  punzioni,  si  retraggono  ;  possono  essere  distrutti  con  una 
larga  incisione,  o  lasciandoli  suppurare,  e  si  possono  far  anche 
atrofizzare  con  l'estirpazione  del  sacco  che  li  circonda. 

Ed  a  conferma  di  questa  descrizione  riporta  due  storie  cli- 
niche, una  di  una  donna ,  nella  quale ,  è  importante  notare ,  si 
faceva  uscire  dai  tubercoli  più  grossi,  per  pressione,  un  liquido 
lattiginoso  da  una  piccolissima  apertura  somigliante  a  quella  che 
si  sarebbe  potuta  praticare  con  una  puntura  di  ago;  qualche 
volta  i  tubercoli  infiammavano  e  suppuravano  e  potevano  perfino 
portare  l'ingorgo  dei  gangli  cervicali.  Questa  donna  riferiva  di 
avere  allattato  un  bambino  ,  che  presentava  al  viso  un'  ana- 
loga efflorescenza,  e  che  nella  famiglia  di  questo  suo  allievo  vi 
erano  altri  bambini  pure  affetti  da  simili  tumori  cutanei.  L'altro 
caso  era  quello  di  un  bambino  ammalato  anche  di  Porrigo  lar- 
valis,  a  cui  gli  sarebbe  stata  comunicata  l' infezione  dalla  donna 
che  ne  aveva  cura. 

Bateman  ('817j  considera  questa  malattia  infettiva  ed  attri- 
buisce il  contagio  al  liquido  lattiginoso  {tnilky -fluid) ^  che  fuoriesce 
da  questi  tubercoli,  come  pure  crede  che  si  tratti  indubbiamente 
di  glandolo  sebacee  distese  e  riempito  di  magma  di  grasso  e  di 
epidermide  liquefatta,  degenerate  ed  incistidate,  con  parete  ma- 
nifestamente spessa.  L'apertura  delle  glandolo,  che  hanno,  por 
la  loro  alterazione,  dato  origino  ai  tubercoli  suddetti,  quasi  sempre 
sparirebbe  o  è  appena  visibile  o  noi  più  grandi  è  abbastanza 
larga,  perchè  si  possa  passare  uno  stiletto. 

Bateman  trova  più  opportuno  di  chiamare  il  M.  pendiduni  di 
voN  WiLLAN,  Mollusco  uou  coutagioso,  riservando  all'altra 
varietà  il  nome  di  M.  e;  la  differenza  fra  queste  due  malattie 
sarebbe  data  da   due  caratteri  negativi  per  Turni  e  positivi  per 


—  \m  — 

ralirii,  cioè  dall'  assenza  nulla  prima  ^^  dalla  prosoiiza  nulla  su- 
couda  dol  liquido  lattiginoso  e  della  contagiosità.  Però  sia  Ba- 
TEMAN  che  VON  WiLLAN  liauHO  posturiormente  confuse  le  due  affe- 
zioni in  parola  (come  si  rileva  dalle  opere  posteriori);  anzi  par- 
rebbe che  avesse  Bateman  scambiato  il  M.  e.  con  l'Eruzione 
fu|ngoide  di  Bontius  o  col  Piano  fungo i de  di  Alibeht  [in 
Hebra  ('866-72)1. 

AuspiTz  l 'SlSì  credo  che  il  M.  e.  risulti  di  una  degenerazione 
amiloide  delle  glandolo  sebacee.  Cazenave  &  Schedel  ('828),  pur 
confessando  la  loro  imperizia  su  questo  terreno,  ammettono  il 
contagio  della  malattia  in  parola,  colpiti  dal  fatto  di  averla  visto 
sviluppare  sempre  in  persone,  che  avevano  avuto  fra  di  loro  con- 
tatto. 

Allbert  [in  Cazenave  ('850-51),  e  in  Hebra  ('866-72)]  aumen- 
tò la  confusione  che  vi  era  sull'argomento,  descrivendo  alcuni  tu- 
mori mollusciformi  della  faccia  sotto  l'appellative  di  ikf^/com 
fiingoides.  Carswell  [in  Cazenave  ('850-51)  e  in  Neumann  ('874)] 
nota  casi  di  M.  e,  crede  al  contagio  dell'affezione,  ma  dubita 
che  Batkman  ('817)  abbia  spesso  confuso  sotto  questo  nome  pa- 
recchie forme  di  efiSorescenze  cutanee:  riporta  pure  di  avere  os- 
servato ad  Edinburgh,  insieme  a  Thomson,  un  fanciullo  che  pre- 
sentava una  malattia  analoga  a  quella  descritta  da  B.\teman, 
malattia,  che  avrebbe  contratta  dal  fratello,  che  a  sua  volta  ne 
era  stato  contagiato  da  un  giovinetto  compagno  di  scuola.  Que- 
sto infermo  comunicò  il  morbo  alla  madre  e  ad  altre  due  per- 
sone di  famiglia  e  venne  a  morte  senza  che  se  ne  facesse  l'au- 
topsia. 

Rayer  ('835)  sebbene  afferma  di  non  avere  per  nulla  osser- 
vato la  malattia  studiata  da  Bateman  ('817),  pure,  in  una  osser- 
zione  sulle  Elevazioni  follicolari,  ci  descrive  una  forma  mor- 
bosa, che  del  M.  e.  ha  tutti  i  caratteri,  tutta  l'apparenza.  Egli 
parla  di  piccole  sporgenze  sorte  sul  viso  di  un  giovine,  dure,  bian- 
castre, di  due  linee  di  diametro  e  di  una  mezza  linea  di  altezza, 
irregolarmente  circolari,  coniche  ed  appiattite.  In  esse  ad  occhio 
nudo  si  distingueva  verso  il  centro  un  piccolo  punto  nero,  tale 
quale  si  sarebbe  potuto  produrre  con  la  punta  di  un  ago  impre- 
gnato di  inchiostro.  Con  la  compressione  fra  il  pollice  e  l'indice 
si  vedeva  uscire  un  globulo  di  materia  sebacea:  del  resto  erano 
indolenti  e  non  avevano  portato  conseguenze  nel  generale  del- 
l'organismo. Però,  colpito  da  questa  rassomiglianza,  in  una  breve 
nota,  dice  che  forse  Bateman  ('817)  ha  descritto  le  Eleva- 
zioni  follicolari  di  Rayer  col  nome  di  M.  e. 


-   169  — 

Beeend  ('839)  confuse  sotto  il  nome  di  M.  molte  affezioni 
cutanee  del  tutto  disparate.  Biett  [in  Cazknave  ('850-51)]  rife- 
risce di  aver  visto  anche  lui  dei  casi  analoghi  a  quelli  di  Tile- 
siDS,  con  l'avvertenza  che  i  tubercoli  erano  duri,  di  colore  bruno 
fosco,  con  la  sommità  aperta,  e  non  lasciavano  mai  fuoriuscire 
nessuna  sostanza,  e  che  spesso  si  notavano  al  collo  in  giovani 
donne  durante  la  gestazione  ed  il  puerperio. 

Né  gran  luce  in  tanta  incertezza  fu  data  dalla  monografia 
e  dai  disegni  di  Jacobovics  ('840),  giacché  egli,  oltre  le  due 
forme  già  conosciute  di  M.  'pendulimi  e  M.  e,  ne  fece  anche  una 
terza  categoria;  distinse  quindi  le  forme  molluscose:  l.*'  Tuher- 
cula  fungosa,  M.  fungosum,  che  dovrebbe  corrispondere  alla  forma 
di  Ludwig  ('793)  oppure  al  M.  pendulum  di  von  Willan,  Bateman 
('817),  ecc.  2.0  Tuhercula  atheromatosa,  uguali  al  M.  atheromatosum 
s.  contagiosum  di  Bateman,  S.**  Tuhercula  variegata  oppure  tuber- 
cules  higarrés,  noti  sotto  altri  nomi,  come  Millmm,  diverse  Ver- 
ruche, Comedoni,   ecc. 

Hanck  ('840)  studia  sotto  il  nome  di  Condilomi  sottocu- 
tanei una  malattia  simile  al  M.  e,  che  fu  da  altri  considerata 
per  un  sifiloderma,  come  anche  per  sifìlodermi  sono  considerati 
i  Condilomi  porcellaneidi  Fritze;  Turnbull  ('841)  dichiara 
per  M.  una  formazione  probabilmente  cancerosa;  e  Thomson  ('840- 
41)  descrive  casi  di  M.  e.  per  ilf.  albuminosum,  crede  al  contagio 
dell'affezione,  avendola  vista  frequentemente  nelle  persone  della 
medesima  famiglia. 

Henderson  ('841)  non  può  provare  la  contagiosità  del  M  .e. 
essendogli  riusciti  negativi  i  tentativi  di  inoculazione.  Richiama 
l'attenzione  sopra  certi  corpi  caratteristici,  che  s'incontrano  sia 
nelle  papille  di  M.  e,  che  nelle  masse  espulse  per  schiacciamento, 
corpi  che  crede  i  trasportatori  probabili  dell'  infezione  ed  a  cui 
dà  il  nome  di  Corpuscoli  del  Mollusco.  Circa  la  sede  della 
lesione,  opina  sia  riposta  nei  follicoli  piliferi,  avendo  potuto  ri- 
scontrare in  un  tubercolo  un  pelo.  Paterson  ('841)  osserva  anche 
lui  contemporaneamente  ad  Henderson  ('841)  i  Corpuscoli  del 
Mollusco,  che  crede  rappresentino  gli  elementi  del  contagio: 
verificò  pure  il  trasporto  delle  efflorescenze  di  M.  e.  dalla  madre 
al  bambino  poppante. 

Kraemer  &  Simon  [in  Hebra  ('866-72)J  ricordano  il  M.  e.  e  ne 
danno  figure  nel  loro  atlante,  anzi  Kraemer  descrive  anche  un'altra 
forma  come  M.  simplex ,  che  sarebbe  il  medesimo  M.  e.  con  i 
meati  dei  follicoli  chiusi  invece  di  averli  aperti,  Hkbra  ('866-72) 
conserva  la  distinzione  rigorosa  fra  M.  fibrosìim  e  le  altre  qualità 


—    170  — 

di  Mollusco,  sia  nel  testo,  clui  ncU'atlaiitc  delle  malattie  della 
pelle;  stropicciò  sulla  cute  lo  smegma  spremuto  dai  tubercoli  di 
M.  e.  e  lo  innestò  in  essa,  però  senza  successo,  e  di  qui  trae 
argomento  per  credere  più  consentaneo  il  nome  di  M.  sehaceum. 
RiBBENTROP  f'845)  dubita  del  contagio  dell'affezione  in  parola, 
che  descrive  sotto  il  nome  di  Grdtzhmdel  (Borse  di  trittello), 
o  come  Comedonenscheiben  (Dischi  di  comedone);  e  Schedel 
('847)  pur  ammettendo  la  contagiosità  della  malattia,  crede  vi 
sia  ancora  molta  confusione  sull'argomento.  Sono  anche  essi  fau- 
tori del  contagio  del  M.  e.  Cotton  ('848)  e  von  Baerrnsprung 
('848;  '859),  anzi  questo  ultimo  crede  che  il  contenuto  dei  tuber- 
coli di  M.  e.  sia  una  sostanza  dovuta  ad  imbibizione  di  un  li- 
quido ricco  di  albumina.  Hugier  ('850)  invece  ritiene  dubbio  il 
criterio  del  contagio  ed,  avendo  trovato  frequente  l'affezione  in 
parola  nell'apparecchio  genitale  femminile,  la  considera  una  le- 
sione di  degenerazione  secretoria  delle  glandolo  e  trova  oppor- 
tuno di  chiamarla  Ecdermoptosis. 

Cazenavk  ('850-51)  ha  avuto  agio  di  studiare  nelle  sale  dell'o- 
spedale Saint-Luis  in  un  ammalato,  affetto  da  Prurigo  senilis,  una 
quantità  di  piccoli  tumori  indolenti  anche  alla  pressione  e  dis- 
seminati in  gran  numero  sopra  differenti  parti  del  corpo;  il  più 
grande  era  del  volume  di  una  nocella,  gli  altri  erano  grossi  come 
un  pisello  e  sembravano  formati  da  una  sostanza  densa  e  fibrosa. 
La  malattia  aveva  molta  somiglianza  con  il  M.  e.  di  Bateman  ed 
era  a  suo  modo  di  vedere  contagiosa.  Caillault  ('851)  raggruppa 
sotto  la  categoria  di  due  varietà  di  Acne  molto  rare  il  M.  pen- 
dulum  di  voN  Willan  ed  il  M.  e.  di  Bateman,  che  chiama  Acne 
molluscoide.  Racconta  di  aver  avuto  occasione  di  vedere  alla 
Sainte-Marthe,  una  giovinetta  affetta  da  M.  e.  di  Bateman,  che 
dopo  tre  mesi  dalla  sua  entrata  nell'ospedale  aveva  contagiato 
della  medesima  affezione  14  piccoli  ammalati;  di  qui  l'A.  trae 
argomenti  per  sostenere  il  contagio  e  per  credere  che  i  Cor- 
puscoli di  Henderson  ("841)  e  di  Paterson  ('841)  ne  sieno  i 
portatori. 

La  memoria  di  Bazin  ('851)  porta  alla  consegueza  essere  il 
M.  e.  una  lesione  non  contagiosa  in  rapporto  con  l'apparecchio 
pilo-sebaceo,  una  degenerazione  delle  glandolo  sebacee,  e  per  la 
rassomiglianza  con  le  pustole  del  Vainolo,  essere  più  consen- 
taneo il  nome  di  Acne  varioliformis. 

Simon  ('877)  annovera  sotto  il  nome  di  Jf.  e.  })arecchie  forme 
degenerative  delle  glandolo  sebacee  e  dei  loro  canali,  come  Ate- 
romi,  Comedoni,  alcune  forme  di  Verruche  e  Nei  materni, 


-   171  — 

che  furono  studiati  come  Naevus  molluxiformis ^  Verruca  carnea, 
Acrochordon,  Ac7'othymmm,  Naevus  lipomatoides,  ecc.  e  pensa  elio 
i  Corpuscoli  del  Mollusco  provengano  da  trasformazione 
del  protoplasma  cellulare  delle  cellule  epidermiche.  Q-amberini 
f'SSl)  e  Wilson  ('855;  '863)  credono  al  contagio  del  M.  e,  ma 
quest'ultimo  descrisse  come  simplex  una  volta  il  M.  e.  di  Bateman 
ed  una  volta  il  M.pendulum  di  von  Willan.  Rokitansky  ('856)  ha 
stabilito  i  rapporti  istologici  del  M.  simplex,  senza  tener  conto 
nella  sua  esposizione  delle  forme  messe  d'  altra  parte  in  nesso 
con  il  M.  e. 

Forster  ('858)  appoggiandosi  esclusivamente  sui  dati  ana- 
tomici, ed  ignorando  del  tutto  le  circostanze  cliniche,  fornisce 
un'esposizione  istologica  delle  formazioni  molluscose,  il  che  fa- 
vorisce la  distinzione  fra  M.  fibrosum  e  le  altre  affezioni  indi- 
cate come  somiglianti. 

Klebs  ('859),  fautore  delle  Psorospermosi,  considera  i 
Corpuscoli  del  Mollusco  come  parassiti  estranei  all'organi- 
smo umano ,  come  Coccidi.  Virchow  ('865)  distinse  nettamente 
dal  punto  di  vista  anatomico  le  due  affezioni  molluscose,  il  M.  e. 
di  Bateman,  dal  M.  pendulum  di  von  Willan,  chiamando  il 
primo  Fibroma  mollusco  ed  il  secondo  Epitelioma  mol- 
lusco o  Mollusco  epiteliale,  e  ciò  servendosi  solo  del  cri- 
terio morfologico,  dato  che  il  carattere  della  contagiosità  era 
contrastato.  L'alterazione  che  costituisce  il  M.  e.  è  una  altera- 
zione che  si  riferisce  ai  tessuti  epidermici  (epiteliali),  non  avendo 
per  punto  di  partenza  le  glandole  sebacee  o  ceruminose;  piuttosto 
crederebbe  doversi  riporre  la  sede  nei  follicoli  piliferi,  sebbene 
nei  punti  corrispondenti  i  peli  sieno  poco  sviluppati.  Crede  pro- 
babile che  anche  il  reticolo  Malpighiano  della  supei'fìcie  cutanea 
possa  proliferare  allo  stesso  modo,  specialmente  la  parte  interpa- 
pillare.  Ha  visto  una  volta,  come  Hknderson  ('841),  uscire  da  un 
tubercolo  di  Epitelioma  Mollusco  un  pelo.  I  Corpuscoli 
del  Mollusco  provengono  dagli  epiteli  per  sviluppo  endogeno, 
e,  basandosi  sull'aspetto  brillante,  che  prendono,  opina  si  tratti 
di  una  degenerazione  adi])0sa:  la  loro  striatura  è  dovuta  a  coa- 
gulazioni e  si  rende  appariscente  sotto  l'azione  di  acqua  o  di 
acidi.  L'affezione  in  parola  si  deve  considerare  un  Epitelioma 
benigno,  pur  non  escludendosi  la  possibilità  che  sia  malattia 
contagiosa:  ebbe  pure  il  sospetto  che  i  Corpuscoli  del  Mol- 
lusco, detti  anche  altrimenti  Globi  del  Mollusco,  fossero 
parassiti,  ma  poi  si  persuase  essere  gli  ultimi  stadi  di  trasforma- 
zione delle  cellule  epiteliali. 


—  172  — 

Enokl  ('865j  iiiaguosticù  por  M.  e.  una  alTuzioiiu,  che  pro- 
babilmente era  Acne  rosacea,  e  che  era  caratterizzata  da  iper- 
trofia di  glandolo  sebacee  e  da  cisti  delle  stesse,  nella  piegatura 
cutanea  del  naso.  Ebert  ('865)  nel  vedere  tre  ragazzi  presi  da  M. 
e.  dopo  loro  convivenza  con  un  altro,  che  ne  era  affetto,  attinge 
argomento  a  sostenere  il  contagio;  osservò  pure  un  fanciullo  a 
4  anni,  il  cui  viso  era  coperto  da  ben  207  tubercoli  di  M.  e. 
HuTCHiNsoN  ('867)  descrive  un  caso  di  trasmissione  dei  tubercoli 
caratteristici  di  M.  e.  dalla  faccia  di  un  bambino  lattante  al  ca- 
pezzolo della  nutrice;  Rimdfleisch  ('868)  nel  Trattato  di  Anatomia 
patologica  accenna  alla  contagiosità  della  malattia,  laddove  Zeissl 
('869)  ne  dubita;  anzi  quest'ultimo  ripone  la  sede,  del  M.  e.  nelle 
glandolo  sebacee. 

Fox  ('869)  ha  veduto  una  piccola  endemia  familiare  di  M.  e. 
e  dice  che  non  si  può  dubitare  del  contagio. 

BizzozERO  &  Manfredi  ('870;  '871;  '872;  '874)  in  parecchie 
comunicazioni  sono  pervenuti  ai  seguenti  risultati:  trovano  che 
i  Corpuscoli  o  Globi  del  Mollusco  si  sviluppano  nell'interno 
delle  cellule  epiteliali  per  una  trasformazione  di  parte  del  pro- 
toplasma cellulare,  in  conseguenza  della  quale,  mentre  si  va  for- 
mando il  Globo  ,  il  nucleo  vien  spinto  alla  periferia,  ed  il  resto 
del  protoplasma  subisce  la  fisiologica  infiltrazione  cornea.  Questi 
Globi,  arrivati  al  loro  completo  sviluppo  non  contengono  mai 
nucleo  e  rimangono  per  un  certo  tempo  nell'interno  della  cellula 
epiteliale  inclusi  e  non  invaginati.  I  lobuli  del  piccolo  neoplasma 
non  si  sviluppano  nei  follicoli  dei  peli,  né  nelle  glandolo  sebacee, 
ma  invoce  sono  una  particolare  iperplasia  e  degenerazione  del 
tessuto  del  reticolo  Malpighiano  dell'epidermide.  La  malattia  è 
quindi  non  un  disordine  di  secrezione  ,  ma  una  neoformazione 
particolare  di  puro  carattere  epiteliale. 

DoGKWORTH  ('872)  distingue  due  varietà  di  affezioni  mol- 
lusco so,  una  contagiosa  e  l'altra  no,  e  della  prima,  cioè  del 
M.  e,  no  ha  tentato  delle  inoculazioni  sperimentali  ,  però  con 
esito  negativo.  Ferrier  ('872)  nega  le  opinioni  di  Squire  ('872) 
e  di  Hardy  ('863)  sulla  natura  parassitaria  del  M.  e,  giacché 
egli  dice  che  con  l' aumentare  e  diminuire  la  potassa  caustica, 
ha  visto  pure  aumentare  e  diminuire  le  sporule  ed  il  micelio  del 
cosidotto  fungo,  laddove  se  si  fa  procedentemente  agiro  1'  etere, 
queste  sporule  non  appaiono  più;  riporta  pure  due  casi  di  questa 
affeziono.  Eamks  ('872)  afferma  clinicamente  la  contagiosità  por 
aver  potuto  veder  comparire  tale  malattia  cutanea  in  una  fa- 
miglia, nella  quale  solo  il  padre  scampò  al  contagio  insieme  ad 


—  173  — 

una  figliuoletta,  restandone  invece  aifotti  la  madre  e  gli  altri  tre 
figliuoli. 

Retzius  ('870)  crede  che  i  Corpuscoli  di  Henderson  ('841) 
e  di  Patbrson  ('841)  sono  dei  prodotti  del  tutto  estranei  all'or- 
ganismo, sulla  natura  dei  quali  non  può  pronunziarsi,  pur  pro- 
pendendo per  l'idea  che  sieno  spore  di  funghi.  Dopo  di  aver 
strofinato  avanti  al  petto  il  contenuto  di  un  piccolo  tumore  di 
M.  e,  ed  avere  tenuto  coperto  con  un  vetro  di  orologio  il  punto 
della  inoculazione  per  lo  spazio  di  circa  due  mesi  ,  vide,  dopo 
una  incubazione  di  sei  mesi,  svilupparsi  un  piccolo  nodulo,  che 
presentò  tutti  i  caratteri  anatomo-patologici  dell'affezione  ino- 
culata. L'ulteriore  crescenza  del  tumore  fu  estremamente  lenta 
e,  dopo  un  bagno  molto  prolungato,  cadde.  Coltivò  pure  in  ap- 
positi mezzi  di  cultura  il  contenuto  di  M.  e.  senza  risultato  po- 
sitivo. 

BoEOK  ('872;  '875)  osserva  che  nella  sostanza  del  M.  e.  vi 
sono  cellule  epidermiche  e  Corpuscoli  propri.  I  Corpuscoli 
sono  corpi,  sprovvisti  di  nuclei,  trasparenti;  senza  membrana  in- 
volgente distinta,  ed  aventi  un  diametro  longitudinale  lungo 
circa  tre  volte  il  diametro  trasversale.  Ammette  pure  che  le  cel- 
lule epidermiche  si  trasformino  in  tali  Corpuscoli,  i  quali  si 
possono  assomigliare  ai  grani  di  amido  gonfiati;  rappresentereb- 
bero, in  una  parola,  una  formazione  cellulare  endogena  come  negli 
epiteliomi.  La  loro  costituzione  chimica  è  ignota,  non  trovandosi 
simili  elementi  in  altri  tumori.  Certamente  non  sono  corpi  ami- 
Ioidi. 

CocK  [in  Neumann  ('874)]  [e  in  Barduzzi  ('876)]  è  fautore 
del  contagio,  e  Neumann  ('874) ,  pur  avendo  osservato  clinica- 
mente casi  di  trasmissione  di  M.  e,  non  è  stato  fortunato  nei 
tentativi  sperimentali  di  inoculazione  fatti  da  lui  e  dalla  sua 
scuola. 

Rivolta  ('873)  sosteneva  chela  Psorospermosi  cutanea 
non  è  trasmissibile  con  la  materia  dei  noduli  né  a  Galline  né 
ad  altri  animali,  e  che  l' innesto  si  é  avuto  per  il  fatto  delle  Co- 
lombaie infette.  I  Colombi  che  alimentano  i  novelli,  cercando  l'a- 
limento in  un  luogo  infetto,  raccolgono  i  micrococchi  Psorosper- 
mici,  li  versano  con  l'alimento  nel  gozzo  della  tenera  prole  ni- 
diacea ,  nell'  intestino  della  quale  i  micrococchi  si  moltiplicano, 
diventano  presto  formati  tali  e  vengono  emessi  colle  fecce  at- 
torno al  nido  della  Colombaia.  Dagli  Psorospermi  formati  emessi 
colle  fecce,  escono  i  micrococchi  Psorospermici,  che  presto  o  tardi 
passano  sulla  cute  dei  novelli  o  sulle    mucose  dell'  apparato  di- 


—  174  — 

irorGiitu  o  li  infettano.  Bollinger  ('873;  '878)  ha  rinvenuto  in  una 
formazione  patologica  del  Pollo  (Vainolo  dei  volatili-^e/f/V- 
gelpocken),  che  è  analoga  al  M.  e,  la  presenza  di  Gregari  no; 
anzi  spiega  il  M.  e,  come  una  affezione  dovuta  a  Gregari  no 
od  Amebe  permanenti,  il  cui  sviluppo  avverrebbe  per  divi- 
sione e  strozzamento.  Ritiene  1'  A.  che  la  malattia  nei  Polli  si 
presenta  con  caratteri  di  maggiore  contagiosità  e  malignità, 
tanto  da  menare  rapidamente  alla  morte;  consecutivamente  iden- 
tifica lo  Sporozoo  nel  Coccidium  oviforme  del  fegato  del  Coniglio. 
De  Amicis  ('874)  dice  che  sebbene  non  si  debba  prestar  fede  alle 
sporule  di  Hardy  ('863),  ciò  non  ostante  la  malattia  è  da  rite- 
nersi contagiosa  per  il  criterio  clinico  ,  giacché  sfugge  il  modo 
come  si  verifica  il  contagio. 

Taruffi  ('875)  trova  sempre  nei  casi  da  lui  osservati  il  tu- 
more manifestamente  lobato  e  sito  al  di  sotto  del  reticolo  di 
Malpighi.  Le  cellule  epiteliali,  che  lo  costituiscono,  verso  il  centro 
della  neoplasia  si  ingrandiscono,  spingono  il  nucleo  alla  periferia, 
ed  il  protoplasma  subisce  una  degenerazione,  trasformandosi  in 
Corpuscolo  del  Mollusco.  Fa  però  una  confusione  tra  lo 
cellule  del  reticolo  malpighiano  e  le  glandolo  sebacee.  Conchiude 
che  si  tratta  sempre  di  una  metamorfosi  retrograda  delle  cellule 
epiteliali  di  nuova  formazione,  metamorfosi,  che,  riguardo  al  suo 
aspetto,  per  ora,  si  può  chiamare  vitrea. 

FosTKR  ('875),  dopo  lunghi  studi,  non  ha  potuto  stabilire  una 
divisione  anatomo-patologica  esatta  e  semplice  delle  forme  mol- 
luscose;  ne  dà  invece  una  classificazione  lunga  od  artificiale,  nella 
quale  si  comprendono  anche  altre  lesioni. 

LuKOMSKY  ('875),  avendo  avuto  occasione  di  osservare  un 
ammalato  che  presentava  sul  pene  12  a  14  tubercoli  di  M.  e, 
ha  compiuto  su  quest'  affezione  degli  studi  istologici.  L'A.  viene 
ai  medesimi  risultati  di  Bizzozero  &  Manfredi  ('870;  '871;  '872; 
'874),  che  però  non  nomina.  Trova,  cioè,  che  i  Corpuscoli 
del  Mollusco  hanno  origine  dagli  strati  epidermoidali  superfi- 
ciali (strato  granuloso),  giacche  resta  intatto  sia  il  reticolo  di 
Malhighi,  sia  le  glandolo  sebacee.  Queste  cellule  epidermoidali, 
perdendo  successivamente  il  loro  nucleo  e  le  loro  granulazioni, 
prendono  l'aspetto  vetroso  di  Corpuscoli  del  Mollusco.  Non 
sarebbero  quindi  elementi  parassitari,  come  afferma  Retzius  ('870); 
e,  avendo  riscontrato  molti  linfociti,  non  crede  possa  escludersi 
essere  questi  gli  iniziatori  del  processo  della  neoplasia.  I  Cor- 
spucoli    del    Mollusco    potrebbero  quindi  derivare  da  grosse 


—  175  — 

cellule  migranti,  le  quali  partendo  dal  corion  si  infiltrerebbero  fra 
le  cellule  epiteliali. 

Cardarelli  [in  Bauuuzzi  ('876}j  ha  avuto  agio  di  avere  in 
cura  un  bambino  afi'etto  da  M.  sebacenm  alle  natiche,  e  simul- 
taneamente vide  che  anche  la  pei'sona  che  l'aveva  con  sé,  era 
colta  da  una  eruzione  simile  all'avambraccio  destro. 

Barduzzi  ('876)  crede  che  la  quistione  del  contagio  debba 
rimanere  ancora  indecisa,  dipendendo  precisamente  dall'essere 
stato  confuso  il  M.  e.  pel  passato  con  altre  dermatosi  e  dal  non 
potere,  per  la  rarità  della  malattia,  istituire  uno  studio  completo 
intorno  al  caso.  In  tali  condizioni  opina  che  sarebbe  più  oppor- 
tuno, anziché  adoperare  la  denominazione  di  M.  e,  usare  quella 
di  M.  sehaceum.  Hardy  ('863)  ha  sostenuto  la  esistenza  di  fìto-pa- 
rassiti,  come  produttori  di  tale  malattia. 

ViDAL  ('877-78)  ha  tentato  l' inoculazione  sia  della  sostanza 
molle,  che  si  fa  uscire  con  la  pressione  dagli  orifìzi  di  questi  pic- 
coli tumori,  sia  innestandone  sotto  la  pelle  un  frammento  e  ciò 
senza  risultato.  Dubita  del  risultato  positivo  ottenuto  da  Retzius 
('870),  specialmente  per  il  lungo  periodo  di  incubazione,  cioè 
sei  mesi. 

BizzozERO  &  Manfredi  ('877)  ritornando  sull'argomento,  in 
una  comunicazione  definitiva  e  completa,  confermano  i  fatti  pre- 
cedentemente enunciati  i'870;  '871;  '872;  '874;  '875)  e  ne  aggiun- 
gono dei  nuovi.  Osservano  che  il  M.  e.  risulta  costituito  da  conglo- 
merazioni di  fondi  ciechi  o  di  otricoli  o  zaffi  più  o  meno  nume- 
rosi e  fitti,  raggiungenti  una  diversa  profondità  nello  spessore  del 
derma,  in  cui  stanno  impiantati,  comunicanti  alla  superficie  in  una 
cloaca  o  serbatoio,  ora  in  un  condotto  centrale  comune.  Hanno 
l'aspetto  di  una  glandola.  I  nodi  sono  rivestiti  alla  parte  peri- 
ferica della  superficie  esterna,  dalla  cute  affatto  normale,  in 
aspetto,  munita  di  glandole  e  follicoli  piliferi ,  nonché  di  papille 
nelle  regioni,  ove  queste  normalmente  esistono:  lo  strato  epider- 
mico si  continua,  assottigliandosi,  nel  foro  del  piccolo  neoplasma, 
in  modo  che  si  può  dire  che  questo  essenzialmente  modificanciosi 
costituisca  la  neoplasia.  Il  contenuto  degli  otricoli  consta  di  Pia- 
strine cornee  e  di  Globi;  le  Piastrine  dipendono  da  una 
trasformazione  analoga  alla  fisiologica,  delle  cellule  epiteliali  dei 
cul-di-sacco,  i  Globi  da  trasformazione  speciale  delle  cellule.  Que- 
ste due  specie  di  elementi  costituiscono  la  parte  essenziale  del 
liquido  lattiginoso.  I  Glob  i,  por  la  loro  rassomiglianza  con  i  Pso- 
rospermi,  furono  creduti  di  natura  parassitaria  e  quindi  prove- 
nienti dal  di  fuori  dell'organismo. 


-  ila  - 

Tj'obit'zione  cho  nulla  poltij^lia   olio  sta  nella  cavità  dol  M.  e. 
e  nella  poltiglia,  che  se  no  ottiene  per  pressione,  i  Globi  perla 
più  parte  sieno  liberi,  non  ha  valore,  perchè  non  si  può  porre  in 
dubbio  che  i  G  1  obi  nei  primi  stadi  della  loro  vita  sieno  racchiusi 
nelle  cellule  epiteliali,  così  non  resta  che  ammettere,  che  più  tarrli 
ne  escano.   Le  Piastrine    cornee   sarebbero    gli    avanzi   della 
membrana,  conservanti   ancora   porzione  della  infossatura,  in  cui 
il  Globo  si  è  sviluppato.  Non  tutte  hanno  questa  origine.  Infatti 
non  tutte  le  cellule  epiteliali  dello  strato  più  profondo  producoao 
nel  proprio  seno  un  Globo;  molte  di  esse,  massime  quelle  gia- 
centi nelle  pareti  laterali  del  tubolo.  subiscono  la  loro  trasforma- 
zione cornea  fisiologica,  e  vanno,  trasformate  in  lamelle,  a    vuo- 
tarsi, nel  confluente  dei  tuboli,  e  poscia  alla  superfi.cie  della  pelle, 
mescolate  alle  altre  Pi  astre  ed  ai  Globi.  In  questo  loro  decorso 
vengono  incastrate,  schiacciate  contro  i  Globi,  dei  quali  perciò 
mantengono  l'impronta  sotto  forma  di  incavature  più  o  meno  pro- 
fonde e  più  o  meno   numerose.   Concludono:  <  Resta  quindi    di- 
mostrato senz'altro  prender  origine  il  Mollusco  dall'epidermide 
cutanea  e  propriamente  dal  suo  strato  profondo  o   malpighiano; 
e  l'apertura  ed  il  tubo  di  comunicazione  dei  nodi  del  Mollusco 
con  l'esterno  non  essere  preesistenti,  ma  il  risultato  del  processo 
stesso  e  delle  metamorfosi  elementari,  che  caratterizzano  la  genesi, 
lo  sviluppo  ed  il  decorso  della  neoplasia.   Senza  voler  escludere 
la  possibilità  che  questa  si  sviluppi  dai  follicoli  piliferi  e  dai  con- 
dotti delle  glandolo  cutanee,  in  quanto  che  queste  parti  sono  pur 
fornite  di  corpo  mucoso,  pure  una  tale    origine  non  fu    da    noi 
constatata  nella  moltitudine  di  nodi  e  di    noduli    accuratamente 
e  pazientemente  studiati  ».  Circa  il  contagio,  non  si  credono  au- 
torizzati né  a  negarlo,  né  ad  ammetterlo,  aspettando  da  altre  e- 
sperienze  la  dimostrazione  di  ciò. 

KAPOsr  ('877)  nella  sua  memoria  sul  M.  e.  viene  alle  seguenti 
conclusioni:  1"  La  contagiosità  del  cosiddetto  Mollusco  e  ont  a- 
gioso  non  è  stata  dimostrata  finora,  e  secondo  lui  non  esisto  iu 
r^ltà.  Si  dovrebbe  quindi  distruggere  il  nome  di  Mollusco 
contagioso  dalla  terminologia.  2.»  Il  cosi  detto  Mollusco  con- 
tagioso di  Bateman  ed  il  Mollusco  contagioso  degli  aa. 
moderni  (vario liforme)  hanno  anatomicamente  lo  stesso  va- 
lore ed  appartengono  tutti  e  due  alle  glandolo  sebacee,  cioè  a 
diro,  quello  di  Bateman  principalmente  al  corpo  glandolare,  il 
Mollusco  varioliformo  all'inizio,  al  condotto  escretore  co- 
mune della  glandola  sebacea  e  del  follicolo  del  pelo,  e,  ad  un 
grado  i)in   av.in/ato  di   sviluppo,  agli  acini  delle  glandolo  sebacee. 


—  177  — 

3.0  Por  quest'ultimo  motivo  si  debbono  comprendere  queste  due 
varietà  sotto  il  nome  di  Mollusco  sebaceo,  già  adottato  da 
Hebka.  4."  Benché  le  due  specie  sopravvengono  soventi  insieme, 
presentano  pertanto  tali  caratteristiche  da  essere  più  consenta- 
neo di  chiamare  Mollusco  ateromatoso,  il  Mollusco  di 
Bateman,  corrispondente  ai  Tumori  follicolari  a teromatosi 
di  Rayer  ('835),  Cisti  sebacee,  ecc.,  e  Mollusco  verru- 
coso, il  Mollusco    varioliforme    o  verruciforme. 

Barnes  ('878)  e  Mackenzie  ('879)  danno  largo  contributo 
alla  casuistica  della  malattia  ed  al  contagio  della  stessa;  Sangster 
('880)  crede  che  i  Corpuscoli  del  Mollusco  sieno  corpi 
parassitari  estranei  all'  organismo  e  quindi  i  trasportatori  del 
contagio  e  Majocchi  ('880)  è  di  opinione  che  l'etiologia  del  M.  e. 
debba  riporsi  in  un  bacillo,  che  egli  ritiene  di  aver  potuto  met- 
tere in  evidenza  con  speciali  metodi  di  colorazione.  Renaut 
('880  pensa  che  l'Acne  varioliforme  costituisce  una  lesione 
di  evoluzione  delle  glandolo  sebacee,  che  da  principio  moltiplicano 
i  loro  lobuli,  in  virtù  di  una  incitazione  formativa,  la  cui  causa 
immediata  è  ancora  da  ricercare.  Le  cellule  del  corpo .  mucoso 
cosi  prodotte,  che  avrebbero  dovuto  divenire  glandolari,  in  luogo 
di  realizzare  l'evoluzione  grassa  ed  esplicare  la  loro  funzione  nor- 
male, subiscono,  ad  una  ad  una,  la  evoluzione  anormale  particolare 
che  si  avvicina  molto  alla  degenerazione  cornea.  Il  Globo  non 
ha  le  reazioni  esatte  della  sostanza  colloide,  né  le  reazioni  esatte 
del  corno  normale,  ma  per  la  sua  consistenza,  traslucidità ,  per 
il  suo  modo  di  comportarsi  in  presenza  dell'acido  picrico,  ecc.. 
si  avvicina  ben  più  al  tessuto  'corneo  che  a  nessuna  altra  pro- 
duzione. L'A.  dimostra  che  le  cellule  del  M.  e.  rinchiudenti  l'e- 
leidina,  sono  non  quelle  che  subiscono  la  trasformazione  globu- 
losa,  ma  quelle  che  sono  loro  intermediarie,  e  corrispondono  ai 
lati  delle  cellule  epidermiche,  che  separano  tutta  la  glandola  se- 
bacea normale,  ed  occupano  gì'  intervalli  delle  cellule  glandolari. 
Quando  il  tumore  raggiunge  un  grande  volume,  come  quello  di 
una  noce  o  di  un  piccolo  uovo,  l'ombelico  può  dare  fuoriuscita 
ad  un  liquido  sieroso,  acquiforme:  fatto  che  mostra  che  la  fusione 
glandolare  é  divenuta,  da  sebacea,  acquiforme. 

M'  Leod  ('880-8 Ij  ha  studiato  un  infermo  che  presentava  la 
cute  del  dorso  molto  pigmentata  ed  al  collo  ed  alle  spalle  delle 
piccole  elevazioni,  del  volume  da  un  uovo  ad  un  pugno,  lascianti 
profondi  solchi  e  fessure  multiple,  e  fra  questi  grossi  tumori  se 
ne  trovavano  altri  più  piccoli,  che  sembravano  di  origine  glando- 


—  178  - 

laiM.  L'infermo  ora  originario  di  Bun^ala,  a  l'affcìzion*!  dalava  da 
25  anni.  Talo  malattia  l'A.  mette  noi  fjruppo  (\ìì\  MolIìUschi  *). 

Hyde  ('879-80'  ha  i>ur<'  lui  osservato  una  affezione  poco 
conosciuta,  appartoninite  al  gruppo  generico  dei  MolKisclii,  ma 
differente  notevolmente  per  la  sede  anatomica  e  per  i  caratteri 
clinici  dal  M.  e.  di  Batemav,  che,  secondo  l'A.,  è  di  origine  glan- 
dolare. L' infermo  infatti  presentava  una  serie  di  piccole  papule 
disposte  simmetricamente  al  torace  ed  agli  arti  Le  papule  non 
erano  né  ombelicate,  né  peduncolate,  e  non  provocavano  nessun 
disturbo  funzionale,  né  generale;  l'eruzione  persistette  per  tre  anni 
finché  le  papule  andarono  attenuandosi,  lasciando  finalmente  al  loro 
posto  delle  macchie  rossastre. 

Startin  ('879-80)  espone  l'esame  del  contenuto  dei  tumori  di 
M.  e.  e  trova  che  i  Corpuscoli  del  Mollusco  si  trovano  uniti 
a  cellule  epidermiche  chiare  e  moltissimo  rifrangenti.  In  una  se- 
zione verticale  di  uno  dei  tumori,  oltre  le  cose  dette,  rinvenne 
vacuoli  in  talune  cellule,  iperattività  del  tessuto  glandolare  ed 
abortiva  tendenza  alla  ipertrofia  degli  elementi  della  glandola. 
Egli  considera  questi  tumori  glandolari  in  origine,  ma  sviluppati 
da  glandolo  abortive,  piuttosto  che  normali;  essi  furono  sempre 
rinvenuti  ove  abbondano  glandolo  sebacee,  ed  i  Corpuscoli  del 
Mollusco  non  furono  visti  al  di  fuori  del  tumore.  Per  strut- 
tura somigliano  esattamente  alle  glandolo,  eccettuati  i  suddetti 
corpuscoli,  e  possono  scorgersi  tutti  e  tre  gli  strati  dell'epider- 
mide. Crede  che  questi  tumori  si  riscontrano  in  ammalati,  che 
presentano  altri  segni  di  pervertita  nutrizione. 

Taylor  ('880)  pensa  che  bisogna  distinguere  due  qualità  di 
tumori  di  M.  e,  cioè  Cisti  sebacee  e  vero  Mollusco:  l'aper- 
tura centrale  non  è  per  1'  A.  di  grande  valore  per  riconoscere 
l'origine  dei  tumori  da  glandolo,  giacché  ha  visto  tre  o  quattro 
aperture  in  un  sol  tumoretto,  aperture  comunicanti  con  i  vari 
acini.  Le  glandolo  sebacee  sono  originariamente  svolte  nel  reti- 
colo malpighiano  ed  ivi  avvolte,  quindi  non  é  difficile  imma- 
ginare un  simile  processo  occorso  nell'  ultimo  sviluppo,  che  dà 
luogo  alla  formazione  di  questi  tumori. 

Pye  Smith  ('880)  anche  egli  ammette  come  Taylor  ('880) 
le  due  forme  di  M.  e,  giacché  in  massima  ritiene  l'  origine  di 
preesistenti  glandolo  dei  tumoretti  dell'affezione  in  parola.  Thin 
f'880)  pensa  che  i  detti  tumori  fossero  glandolari  in  natura,  ma 
indipendenti  dalle  glandolo,  e  in   seguito  ('881-82)  dice  che  deb- 

1)  Pare  non  si  tratti  certamente  del  M.  e.  di  Bateman. 


I 


—  179  — 

bono  avere  come  punto  di  partenza  il  reticolo  del  condotto  escre- 
tore del  follicolo  pilifero. 

Crocker  ('880-81j  ripone  la  sede  del  M.  e.  nei  follicoli  pi- 
liferi. MoRisoM  A.  &  MoRisoN  B.  G.  ('880-81j,  studiando  la  natura 
e  le  affinità  della  malattia  propendono  per  ammettere  che  l'affe- 
zione   dipenda    da  alterazioni  dell'epitelio  di  rivestimento. 

Rivolta  ('877j,  ristudiando  il  parassita  produttore  del  Vai- 
nolo dei  Polli,  disse  che  era  di  natura  vegetale  ed  apparteneva 
ai  funghi,  denominandolo  epit/wliomyces,e  ne  descriveva  la  struttura 
microscopica  sia  entro,  che  fuori  delle  cellule  epiteliali.  In  queste 
egli  trovava  il  parassita  polimorfo,  generalmente  emanante  dalla 
sua  superficie  esterna  dei  germogli  o  bottoni  più  o  meno  rifran- 
genti la  luce,  e  alterabili  in  parte  sotto  1'  azione  della  potassa. 
Vide  inoltre  che  ponendo  i  Corpuscoli  in  feci  di  piccione,  al- 
lungate con  acqua,  si  aveva  una  cultura  del  parassita ,  il  quale 
da  omogeneo  diveniva  granuloso,  presentava  un  nucleo  e  spesso 
mostrava,  dopo  qualche  tempo,  un'evidente  germogliazione.  Diceva 
inoltre  che  con  l'innesto  difficilmente  si  otteneva  la  propagazione, 
])erò  praticando  frizioni  con  materia  infettiva  sulla  faccia,  alla 
base  del  becco  ed  al  palato,  riusci  a  riprodurre  la  malattia  in 
un  piccione  ed  in  quattro  galline. 

Angelucci  ('880)  sostiene  la  natura  parassitaria  del  M.  e; 
giovandosi  del  violetto  di  metile,  riconobbe  intorno  ai  Grlobi 
del  Mollusco,  nelle  cellule  epiteliali  alterate,  descritte  da  Biz- 
zozERO  &  Manfredi  ('870;  '871;  '872;  '874;  '875;  '877),  delle  masse 
di  piccoli  corpi  resistenti,  rifrangenti  la  luce,  che  hanno  i  caratteri 
dei  micrococchi,  ai  quali  egli  sarebbe  disposto  ad  accordare  una 
azione  genetica  nell'origine  della  malattia.  Essi  non  invadereb- 
bero mai  il  connettivo,  da  cui  sarebbero  sempre  divisi  da  uno 
strato  di  cellule  epiteliali  più  o  meno  alterate.  Il  processo  che 
induce  e  distrugge  una  neo[)lasia  di  M.  e.  ha  tutti  i  caratteri  di 
identicità  con  la  necrosi  progressiva  descritta  da  Koch.  Renaut 
osservò  i  preparati  di  Angeluccì  e  trovò  che  le  granulazioni,  che 
questi  avvicina  a  degli  Sferobatteri,  occupano  il  posto  esatto  delle 
granulazioni  di  eleidina  nei  preparati  suoi. 

DucKWORTH  ('880-81  ritornando  sull'  argomento  riferisce 
quattro  casi  di  M.  e.  verificatisi  in  una  famiglia,  e  conferma  le 
idee  espresse  nella  sua  precedente  memoria  ('872). 

Gkber  ('882)  nega  assolutamente  qualsiasi  partecipazione 
delle  glandole  sebacee,  ammettendo  all'opposto,  come  sede  del- 
l'alterazione, il  reticolo  malpighiano  ,  e  considera  tutta  la  ma- 
lattia come  una  neoformazione  epiteliale. 


—  180  — 

Caspary  ('882)  ha  trovato  cho  lo  strato  granuloso  o  mucoso 
partecipauo  alla  struttura  dei  noduli  di  M.  e,  e  ohe  lo  strato 
granuloso  forma  i  Corpuscoli  del  Mollusco  con  i  suoi  propri 
nuclei. 

Perrongito  ('882),  anche  lui  fautore  delle  G-regarinosi,  spiega 
il  M.  e.  come  malattia  parassitaria,  prodotta  da  Grregarine,  ed  in 
tutto  simile  al  Vainolo  dei  Polli  (Oeflugelpocken). 

CsoKOR  ('883),  avendo  trasportato  il  prodotto  di  noduli  di 
M.  e.  dall'Uomo  sulla  cresta  di  un  Pollo,  ha  prodotto  le  forma- 
zioni speciali  del  medesimo,  ma  dichiara  l'esperimento  non  im- 
mune da  errori.  Infatti,  avendo  ripetuto  l'esperimento  in  presenza 
di  Kaposi,  ed  essendo  questo  fallito,  dice  che  nel  primo  espe- 
rimento ha  dovuto  esservi  un  errore,  forse  il  Pollo  non  sarebbe 
stato  bene  isolato. 

Campana  ('885),  riferendo  all'Accademia  medica  di  Genova 
sul  M.  e,  dice  che  mancano  le  prove  sicure  per  ammettere  la 
contagiosità.  Con  più  precisi  metodi  di  colorazione  è  venuto  alle 
seguenti  conclusioni:  «  Gli  strati  dell'epidermide  che  concorrono 
a  formare  la  neoplasia,  di  aspetto  adenoide,  sono  lo  strato  mu- 
coso e  lo  strato  granuloso.  Lo  strato  granuloso  dà  luogo  ai  Globi 
del  Mollusco  conta  gio so  dai  nuclei  delle  proprie  cellule.  Lo 
strato  mucoso  può  dar  luogo  anche  ai  Globuli  del  Mollusco, 
ma  dopoché  il  proprio  protoplasma  abbia  presentato  elementi  gra- 
nulosi di  eleidina.  La  eleidina,  dopo  formatisi  i  Globi  del  Mol- 
lusco, resta  libera  a  costituire  delle  gocciole  splendenti  raccolte 
negli  spazi  tra  un  Corpuscolo  del  Mollusco  e  l'altro.  Questa 
eleidina  può  dar  luogo  a  delle  sferule  grosse,  ma  scarse,  quanto 
quelle  proprie  del  Mollusco.  I  Globi  del  Mollusco  più  super- 
ficiali hanno  tutti  i  caratteri  morfologici  ed  hanno  la  stessa  elet- 
tività    per    molte  delle  sostanze   coloranti  dello  strato   corneo   ». 

Grììnewald  ('885)  descrive  sotto  il  nome  di  Acne  vario- 
li  forme  universale  una  malattia,  che  non  ha  certo  i  caratteri 
del  M.  e.  di  Bateman. 

Si  sarebbe  trattato  di  un  Uomo  dell'età  di  66  anni,  molto 
anemico,  che  mostrava  una  efflorescenza  cutanea,  coprente  gran 
parte  della  superficie  cutanea.  Risultava  di  bottoni  duri,  di  gran- 
dezza varia,  color  vermiglio  chiaro,  ricoperti  da  una  sottile  crosta; 
alle  volte  vi  era  prurito.  Si  videro  inoltre  su  questi  bottoni  ap- 
parire delle  gocciole  di  sierosità  torbida.  Un  certo  numero  di 
efflorescenze,  in  via  di  regressione,  avevano  consistenza  minore, 
erano  più  pallide,  senza  deposito  crostaceo  all'apice  e  senza  con- 
tenuto sieroso.  Al  tronco  le  efflorescenze  confluivano  in  maniera 


—   181  — 

che  non  rimaneva  pelle  normale;  negli  arti  superiori  i  bottoni 
erano  meno  numerosi,  non  cosi  negli  arti  inferiori  ed  ai  fianchi. 
Debole  albuminuria  e  cilindruria  di  cilindri  j  alini.  L'infermo  soc- 
combette un  anno  dopo  l'inizio  dell'infermità  in  parola  eoa  una 
forma  di  cachessia,  avendo  indarno  sperimentato  preparati  mer- 
curiali ed  arsenicali. 

L'esame  microscopico  delle  nodosità  cutanee  fece  riconoscere 
una  proliferazione  del  corpo  papillare  e  delle  cellule  epidermiche: 
le  areole  erano  riempite  dai  corpi  papillari,  in  alcuni  luoghi  so- 
stituiti da  elementi  di  transizione  in  via  di  trasformazione  epi- 
teliale. Le  parti  site  vicino  ai  follicoli  piliferi  erano  integre,  e 
si  aveva  in  alcuni  punti  una  grande  infiltrazione  di  piccole  cel- 
lule rotonde. 

Majocchi  ('885)  ritiene  che  il  M.  e.  è  una  atipica  neofor- 
mazione epiteliale ,  che  non  ha  sede  nelle  glandole  sebacee,  né 
nei  follicoli  piliferi,  ma  bensi  nell'epidermide,  che  i  Globi  ja- 
lini  molluscosi  non  sono  elementi  estranei  parassitari,  ma  una 
trasformazione  particolare  delle  cellule  epidermiche,  la  quale  si 
ordisce  nel  protoplasma  cellulare ,  mentre  la  membrana  ed  il 
nucleo  non  prendono  parte  alcuna  a  questa  formazione  endogena 
passiva.  L'  A.  con  delicati  metodi  di  indagine  ha  visto  che  la 
trasformazione  j alina  delle  cellule  incomincia  dallo  strato  intra- 
papillare  degli  zaffi  malpighiani.  Le  cellule  poi  si  riproducono 
quasi  sempre  per  cariocinesi:  sono  frequentissime  le  forme  a  go- 
mitolo ed  a  ghirlanda  del  nucleo;  frequenti  ancora  le  figure  a 
piastrina  equatoriale  e  quelle  a  semplice  o  a  doppio  astro;  più 
rare  invece  le  figure  del  doppio  nucleo  a  forma  gomitolare  e 
con  incipiente  scissione  del  corpo  cellulare. 

Allen  ('886)  ammette  il  contagio.  Egli  nel  febbraio  1883 
si  fece  da  Bekley  inoculare  al  braccio  sinistro  in  due  punti  un 
poco  di  sostanza  di  M.  e.  e  della  materia  sebacea,  che  la  pres- 
sione faceva  uscire  dall'orifizio  centrale  di  queste  lesioni.  Il  ma- 
teriale era  fornito  da  una  giovine  di  25  anni,  che  presentava  pa- 
recchi tumoretti  di  tal  natura  al  collo.  L'effetto  della  inocula- 
zione fu  lo  sviluppo  di  una  piccola  papula,  che  ingrandi,  prese 
una  tinta  rosea,  sembrò  volersi  sviluppare  per  qualche  tempo  e 
poi  disparve.  Egli  interpretò  la  cosa  come  una  inoculazione  po- 
sitiva abortiva.  L'A.  nel  1886  notò  in  un  asilo  di  New- York 
una  piccola  epidemia  di  M.  e,  prodotta  da  una  fanciulla,  certa 
PoLLY  H.,  che  era  entrata  nell'istituto  portando  sul  suo  viso  pa- 
recchi di  questi  bottoni,  che  furono  presi  per  verrucche.  Potette 
constatare  in   alcuni   suoi    ammalati    tubercoli  sul    bordo    rosso 

13 


—  182  — 

dolio  labbia,  o  trova  elio  ({uesto  r  mi  aryijinonio  dei  più  toi'ti 
contro  la  teoria  che  vuol  faro  di  (questa  affeziono  una  lesiono 
delle  glandolo  sebacee,  non  potendosi  quindi  pretendere  che  essa 
prenda  sonipro  origine  dai  follicoli  piliferi. 

Campana  ('886j  espone  più  diffusamente  in  una  memoria  i 
concetti  e*  le  osservazioni  sul  M.  «.,  che  era  venuto  comunicando 
('885)  all'Accademia  medica  di  Genova. 

MiTTEND0RF('886)ha  studiato  a  Boston  due  epidemie  di  M.  e. 
Du  Bois  Havenith  ('887)  riferisce  di  un'  inferma  che  presen- 
tava al  capezzolo  della  mammella  un  piccolo  tumore  della  gran- 
dezza di  un  pisello,  evidentemente  M.  e;  ella  era  stata  con- 
tagiata dal  suo  pargolo,  il  quale  aveva  il  viso  coperto  di  simili 
piccoli  tumori.  La  neoplasia  materna,  ulcerandosi,  aveva  generato 
un'ulcera  della  grandezza  di  una  moneta  di  due  lire.  Data  la  topo- 
grafia delle  lesioni  nella  madre  e  nel  figlio,  attinge  argomento 
per  stabilire  la  contagiosità  della  malattia. 

Neisseb  ('888;  '891)  crede  che  il  M.  e.  sia  una  neoforma- 
zione epiteliale  dello  strato  reticolare  di  Malpighi,  nella  quale 
si  riscontrano  masse  cornee  ritenute  ed  intasate  fra  le  cellule  a 
parassiti  o  «  Corpuscoli  del  Mollusco  >  e  dei  corpuscoli 
stessi.  Pensa  che  non  vi  sia  nessuna  analogia  con  una  neofor- 
mazione delle  glandolo  sebacee,  né  dei  follicoli  piliferi,  non  avendo 
potuto  riscontrare  altro  che  cellule  epiteliali  tipiche  e  mai  un 
pelo  nei  numerosi  tagli  seriali.  La  malattia  sarebbe  originata  da 
un  parassita  della  classe  degli  Sporozoi,  della  tribù  dei  Coccidi.  TI 
Corpuscolo  dol  Mollusco  è  una  cellula  epiteliale  cheratiniz- 
zata  nella  sua  totalità,  provvista  di  nucleo,  o  almeno  di  un  resto 
di  nucleo,  e  di  parassiti  o  spore  site  al  posto  del  protoplasma. 
Queste  spore  possono  subire  anche  una  fase  ulteriore  di  sviluppo 
intracellulare,  divenendo  corpicciuoli  piccoli,  chiari,  appuntiti  ai 
due  estremi  e  con  nucleo  ben  manifesto.  Le  spore  parassitarie 
intra-cellulari  sono  corpi  nettamente  delineati,  regolari,  ovali  e 
che  si  trovano  nell'interno  delle  cellule  epiteliali  a  lato  del  nu- 
cleo; al  contrario  le  masse  di  eleidina  e  le  gocciole  cornee  si  os- 
servano negli  strati  superiori.  Quando  il  parassita  del  M.  e.  ha 
sode  nella  massa  granulosa  intercellulare,  la  membrana  è  costi- 
tuita da  protoplasma  condensato  ;  sarebbero,  in  questo  stadio,  i 
Coccidi  dotati  di  movimenti  ameboidi  e  le  spore  alla  loro  volta 
sarebbero  rappresentate  da  granuli  refrangenti,  risultanti  dalla 
condensazione  della  massa  granulosa. 

Haab  ('888),  avendo  inoculato  per  frizione  al  suo  avambraccio 
il  contenuto  di  un  turaoretto  di  M.  e,  vide  comparire  nel  punto 


—  183  — 

di  innesto  la  caratteristica  lesione  dopo  sei  mesu  L'esame  isto- 
logico del  neoplasma  dimostrò  perfettamente  la  medesima  strut- 
tura del  nodulo,  che  era  servito  alla  inoculazione. 

ViDAL  &  Leloir  ('889)  pongono  la  sede  della  lesione  nelle 
glandole  sebacee  e  l'attribuiscono  all'invasione  nella  cellula  glan- 
dolare di  parassiti  (Gregarine\  che  prendono  una  parte  delle 
cellule  del  lobulo,  fin  dalle  regioni  più  profonde.  Potrebbe  aversi 
il  medesimo  processo  anche  per  trasformazione  cornea  atipica 
di  una  parte  delle  cellule  del  lobulo  anzidetto.  Queste  due  alte- 
razioni crescerebbero  parallelamente  nelle  formazioni  dei  punti 
di    aspetto  verrucoso  del  tumore  di  Acne   varioliforme. 

QuiNQUAUD  ('889)  considera  il  M.  e.  come  una  affezione  pa- 
rassitaria dovuta  a  Sporozoi,  che  sarebbero  intovati  nel  centro 
dei  lobuli  glandolari,  sotto  1'  aspetto  di  quelle  formazioni  dette 
«  Corpuscoli  del  Mollusco  »,  corpicciuoli  che  resistono  all'a- 
zione della  potassa  caustica ,  dell'  acido  solforico,  ecc.  e  che  si 
colorano  con  l'eosina,  dopo  trattati  con  soluzione  di  potassa;  hanao 
un  doppio  contorno,  protoplasma  granuloso,  e  nucleo  speciale. 

TòRÒK  &  ToMMASOLi  ('889)  hanno  fatto  numerosi  tentativi 
di  inoculazione  dei  frammenti  di  M.  e.  sia  in  fanciulli,  che  in 
Conigli  ed  in  Polli;  come  anche  hanno  sperato  di  potere  ottenere 
culture  pm"e  di  presunti  parassiti.  I  frammenti  inoculati  hanno 
subito,  come  prima  trasformazione,  la  si)arizione  progressiva  dei 
loro  Corpuscoli.  Gli  aa.  hanno  sottoposto  i  medesimi  frammenti 
di  M.  e.  a  temperature  diverse  ed  a  diversi  reagenti  e  sono  venuti 
nella  persuasione,  che  devono  essere  avvicinati  a  sostanza  colloide 
ed  allontanati  d^i  corpi  viventi,  in  ispecie  dai  Psorospermi  del 
Coniglio,  il  cui  contenuto  è  distrutto  da  questi  agenti,  non  re- 
sistendo che  la  sola  membrana  d'  inviluppo. 

La  circostanza  poi  che  i  parassiti  più  giovani  negli  strati 
più  bassi  sono  granulosi,  mentre  si  presentano  sempre  più  omo- 
genei i  più  vecchi,  è  un  fatto,  che  sta  contro  la  teoria  paras- 
sitaria, imperocché  quest'ultima  ipotesi  domanda  invece  l'opposto, 
domanda  che  i  più  vecchi  individui  sieno  quelli  che  presentino 
una  alterazione,  che  deve  riferirsi  ad  una  per  lo  meno  intenzio- 
nale moltiplicazione. 

Stelwagon  ('889)  ha  potuto  esaminare  parecchi  casi  dì' M.  e, 
specialmente  in  stabilimenti  di  fanciulli,  e  crede  il  morbo  frequente 
anche  nelle  famiglie.  Ne  ha  tentato  l'inoculazione  con  esito  nega- 
tivo. La  malattia  pare  si  sviluppi  ugualmente  sulle  parti  coperte 
e  sulle  parti  esposte,  ed  è  frequente  nei  fanciulli.  Sebbene  ne  abbia 


—  184  - 

osservato  piccole  opidomio  in  fiiiiiiglic  od  in  istituti,  ritiene  che 
il  contagio  sia  estremamente  debole. 

Kaposi  ('889Ì  esaminando  il  M.  e.  schiacciato,  sotto  al  mi- 
croscopio, lo  trova  risultare  di  cellule  epidermiche  apjjiattite,  di 
goccioline  di  grasso,  di  cristalli  di  grasso,  e  di  corpi  grassi  ovali, 
straordinariamente  rilucenti,  i  quali  sembrano  opachi,  hanno  al 
margine  un  nucleo  e  sono  in  parte  liberi,  in  parte  forniti  di  un 
involucro  ed  in  parte  non  ne  hanno  che  una  lacinia,  acquistando 
l'aspetto  di  una  ghianda  nascosta  nel  guscio.  Questi  sono  i  ca- 
ratteristici Corpuscoli  del  Mollusco.  Trova  la  malattia  inte- 
ressantissima nella  sua  forma  clinica,  potendosi  scambiare  con 
un'altra  malattia,  col  Vainolo  dei  Polli  e  crede  difficile  libe- 
rarne l'infermo.  Continua  a  ritenere  sede  della  lesione  le  glan- 
dola sebacee. 

Maurau  '^'889)  ripone  la  sede  del  M.  e.  nei  bottoni  epider- 
mici interpapillari;  ha  osservati  tre  casi  dell'aifezione  in  esame, 
nei  quali  era  evidente  la  contagiosità,  sebbene  i  tentativi  di  ino- 
culazione sieno  riusciti  nega^-ivi,  e  crede  più  opportuno  ritenerla, 
come  un  tempo,  un  Acne. 

HuTCHiNsoN  ('894-95)  riferisce  un  caso  di  M.  e.  osservato 
in  un  Cane  e  nel  padrone;  rileva  come  sia  ancora  poco  studiata 
la  patologia  comparata  e  come  le  ricerche  batteriologiche  isti- 
tuite con  Ballance  sieno  riuscite  negative. 

Darier  ('889  lo'889,  2°;  '889  3"),  visto  che  i  tumoretti  di  M.  e. 
non  contengono  altri  parassiti  e  sono  pertanto  contagiosi  ed  ino- 
culabili,  crede  sieno  necessariamente  dovuti  ad  infezione  di  Spo- 
rozoi.  Non  ha  potuto  mai  osservare,  come  è  riuscito  a  Neisskr 
('888),  elementi  parassitari  negli  spazi  intercellulari.  Il  Corpu- 
scolo del  Mollusco  uon  è  una  degenerazione  delle  cellule  epi- 
teliali, ma  un  parassita  della  classe  degli  Sporozoi,  e  verosimilmente 
dei  Coccidi.  Esso,  arrivato  al  suo  apice  di  sviluppo,  è  formato  da 
una  massa  protoplasmatica,  refrangente,  senza  membrana  invol- 
gente, in  apparenza  unica,  ma  risultante  invece  da  granuli  bril- 
lanti, ammassati  gli  uni  contro  gli   altri. 

In  questo  stadio  il  Corpuscolo  del  Mollusco  presenta 
somiglianze  con  i  Coccidi  del  fegato  del  Coniglio  o  con  quelli 
della  J^sorospermosi  follicolare  vegetante. 

La  natura  chimica  loro  non  è  la  cheratina,  né  la  cellulosa, 
ma  una  sostanza  non  ancora  determinata.  Non  è  riuscito  ad  ot- 
tenere stadi  più  avanzati  di  evoluzione  del  parassita,  quindi  né 
pseudonavicelle,  né  corpuscoli  falciformi.  Questo  Corpuscolo 
può  subire  una  fase  particolare,   forse  degenerativa,    la   trasfor- 


—  185  — 

inazione  cioè  iii  Corpu.scoli  caratteristici  choratoidi,  il  elio 
si  verifica  pure  nel  Coccidio  del  Coniglio.  Le  ricerche  di  Darier 
trovano  in  Malassez  ('889)  uno  strenuo  difensore. 

Kaposi  ('891),  nella  3"'  edizione  del  Trattato  di  Dermatologia, 
crede  che  l'idea  del  contagio  di  queste  verruche,  sostenuta  da 
molti,  è  provocata  e  trattenuta  nello  spirito  degli  aa.  da  ciò,  che 
hanno  visto  tanto  spesso,  cioè  ohe  questi  piccoli  tumori  appariscono 
simultaneamente  in  più  soggetti,  particolarmente,  fanciulli,  che 
avevano  rapporti  frequenti  ed  intimi.  Le  Verruche  del  Mol- 
lusco non  sono  altra  cosa  che  delle  glandole  sebacee  distese, 
riempite  di  un  contenuto  epiteliale,  che  ha  proliferato  ed  ha  su- 
bito una  trasformazione  particolare,  benché  molti  aa.  le  fanno 
derivare  dalla  proliferazione  e  dalla  crescenza,  sotto  forma  lobata, 
di  cellule  interpapillari  del  reticolo.  Al  taglio  mostrano,  come 
tutte  le  glandole  sebacee,  una  membrana  limitante,  che  invia  dei 
setti  nella  cavità  ed  un  contenuto  stratificato;  il  protoplasma  di 
queste  cellule,  subendo,  a  partire  da  vicino  al  nucleo,  una  dege- 
nerazione speciale  jalina,  si  trasforma  in  Corpuscolo  del  Mol- 
lusco. I  Corpuscoli  del  Mollusco  non  rassomigliano  a  Gre- 
garine,  e  si  trovano  in  tutte  le  neoformazioni,  dove  le  cellule 
epiteliali  soggiornano  lungo  tempo,  negli  epiteliomi,  nei  vecchi 
comedoni,  ecc.  Prende  punto  di  partenza  nel  reticolo  del  con- 
dotto escretore  del  follicolo;  e  per  questi  coni  epiteliali  di  nuova 
formazione  il  tubo  glandolare  e  gli  acini  sono  dilatati  in  am- 
polla, e  si  possono  sviluppare  anche  dalla  proliferazione  inter- 
papillare,  con  un  risultato  analogo,  nelle  vicinanze  delle  glandole. 
Non  potendosi  provare  sperimentalmente  la  contagiosità  dei  Cor- 
puscoli del  Mollusco,  dichiara  non  giustificata  la  denomina- 
zione di  M.  e,  che  vorrebbe  sostituito  nel  nome  di  M.verrucosum^ 
dando  ai  primitivi  di  Bateman  quello  di  M.  atheromatosum.  Ri- 
guarda la  striatura  caratteristica  reticolata  dei  Corpuscoli  de 
Mollusco,  in  seguito  all'aggiunta  di  acqua  o  di  acidi,  come  uno 
sfibramento. 

Stanziale  ('890)  non  riscontra  rapporto  fra  le  glandole  se- 
bacee e  la  sede  della  lesione  iniziale  del  M.  e,  infatti  non  sono 
modificate  né  le  cellule  delle  glandole  sebacee ,  né  quelle  delle 
glandole  sudoripare.  La  neoformazione  si  sviluppa  negli  spazi 
interpapillari,  che  si  slargano  in  tutti  i  sensi  ed  il  tumore  pre- 
senta dei  prolungamenti,  che  gli  danno  l'aspetto  lobulato  e  che 
hanno  fatto  credere  alla  sua  origine  glandolare.  L'  epitelio  dei 
follicoli  piliferi  non  partecipa  al  processo  morboso,  mentre  le  cel- 
lule epidermiche  del  reticolo  malpighiano,  proliferando  e  trasfor- 


—  186  — 

mandosi ,  danno  origino  ai  Corpuscoli  dui  Mollusco,  elio 
non  sono  parassiti,  ma  cellule  cornee,  per  le  loro  reazioni  mi- 
cro-chimiche. L' A.  ha  tentato  molte  inoculazioni ,  con  insuc- 
cesso: un  solo  ammalato,  dopo  due  mesi  uscito  dall'ospedale,  vide 
svilupparsi  una  piccola  lesione  cutanea,  che  un  medico  diagno- 
sticò per  M.  e.  Le  culture  di  pezzi,  in  terreni  artificiali,  sono  state 
del  tutto  negative. 

Besnier  &  DoYON  ('891),  nelle  note  al  trattato  di  Derma- 
tologia di  Kaposi,  riferiscono  che  non  si  dovrebbe  la  malattia, 
studiata  da  Bateman,  chiamare  Mollusco,  essendo  un'  affezione 
che  non  merita  a  nessun  titolo  questa  denominazione;  ma  essendo 
un  termine  avente  la  priorità,  è  bene  conservarlo,  per  non  ge- 
nerare confusione.  Credono  che  il  semplice  fatto  che  cicatrizzano 
facilmente,  dopo  la  rimozione,  aggiunto  alla  superficialità  ed  al- 
l'esteriorità delle  perle  del  M.  e,  basta  a  rendere  poco  ammis- 
sibile la  sede  follicolare  della  lesione  e  ad  eliminare  clinicamente 
l'affezione  dagli  Acni.  Trovano  che  gli  esempi  di  trasmissione 
dall'ammalato  all'individuo  sano,  da  Bateman  fino  all'epoca  pre- 
sente, sono  talmente  numerosi,  che  sarebbe  invero  strano  di  ne- 
gare il  contagio  di  tali  piccoli  neoplasmi. 

G-RAHAM  ('892)  prende  occasione  da  una  epidemia  di  M.  e, 
sviluppatasi  in  una  sola  camerata  di  un  orfanotrofio,  per  compiere 
delle  ricerche  istologiche  e  batteriologiche.  Crede  che  la  lesione 
in  parola  si  origini  dallo  strato  mucoso  di  Malpighi:  i  Corpu- 
scoli non  potrebbero  essere  i  produttori  del  contagio,  se  non 
quando  contengano  microorganismi.  Cercò  di  isolare  e  coltivare 
un  micrococco,  probabilmente  il  micrococcus  epidemicus  albus  (de- 
scritto anche  da  Welsch),  che  però  inoculato,  sia  nell'Uomo  che 
nei  Conigli,  ha  dato  risultato  negativo. 

Lewin  [in  Simon  &  Lewin  (—  — )]  trovò,  in  alcuni  prepa- 
rati, che  le  cellule  della  rete  malpighiana  avevano  subito  una 
degenerazione  jalina  e  che  lo  strato  granuloso,  trattato  con  l'a- 
cido acetico  glaciale  e  con  l'acido  solforico,  non  mostrava  la  rea- 
zione della  colestearina. 

Caespar  [in  Simon  &  Lewin  ( )]  crede  che  i  Corpu- 
scoli del  Mollusco  provengano  da  trasformazione  di  tutte  le 
cellule  epiteliali  dell'epidermide.  Liveinq  ('878)  ammette  il  con- 
tagio. Hebert  [in  Simon  &  Lewin  ( )]  ha  avuto  agio  di  os- 
servare un  fanciullo  colpito  da  M.  e,  che  aveva  contratto  la 
malattia  da  un  amico,  che  era  degente  infermo  nella  stanza  vi- 
cina e  col  quale  aveva  spesso  rapporti.  1  copiosi  tumoretti,  che 
il  paziente  aveva  sulle  palpebre,  producevano  una  grande  molestia. 


—  187  — 

Simon  &  Lewin  ( )  hanno  visto  che  i  Corpuscoli  del 

Mollusco  trattati  con  lo  jodo  acquistano  un  colorito  bruno 
e  con  la  potassa  caustica  diventano  pallidi;  essi  non  danno  la 
reazione  caratteristica  della  sostanza  amiloide  (reazione  all'jodo 
ed  acido  solforico:  reazione  al  metilvioletto).  Con  la  pressione 
esercitata  sui  noduli,  i  Corpuscoli  si  possono  staccare  dalle  cel- 
lule epidermiche,  e  si  acquista  la  convinzione  che  il  Corpuscolo 
sta  nell'epidermide,  come  l'uovo  sta  nel  guscio. 

Tutti  i  lobuli  convergono  verso  la  parte  media,  dove  si  trova 
una  cavità  piena  dei  Corpuscoli  del  Mollusco,  la  quale  ca- 
vità sbocca  nell'ombelico  visibile  all'esterno;  i  singoli  lobuli  del 
tumore,  mostrano  cellule  cilindriche  disposte  alla  periferia  in 
forma  raggiata,  le  quali  sono  esattamente  simili  allo  strato  a  pa- 
lizzata della  infima  parte  della  rete;  seguono  poi,  come  nella  rete , 
altri  epiteli  con  protoplasma  alquanto  granuloso.  Negli  strati  che 
seguono  si  vede  il  nucleo  cellulare  respinto  piuttosto  verso  la 
periferia  della  cellula;  una  parte  diventa  molto  lucida.  Più  verso 
il  centro  del  tumore  la  parte  protoplasmatica  molto  lucida  au- 
menta sempre  più  di  volume,  fino  ad  occupare  quasi  tutta  la  cel- 
lula. Neil'  interno  della  cavità  trovansi  allora  molti  Corpuscoli 
di  Mollusco  liberi,  che  presentano  gli  stessi  caratteri  di  quelli 
espulsi  per  compressione.  Sono  riusciti  infruttuosi  i  tentativi  di 
inoculazione,  sia  sull'  orecchio  di  Conigli,  che  nell'  interno  dei 
follicoli.  Non  hanno  potuto  mai  trovare  un  rapporto,  ne  con  le 
glandole  sebacee,  né  con  i  follicoli  piliferi,  né  hanno  visto  mai 
uscire  un  pelo  dalla  verruca,  come  affermarono  Henderson  ('841) 
e  ViBCHOw  ('865),  e  credono  che  la  proliferazione  epiteliale  prenda 
punto  di  partenza  dalla  rete  di  Malpighi,  alla  quale  essa  com- 
pletamente somiglia  anche  nei  suoi  strati  profondi,  e  che  niente 
abbia  a  che  fare  con  le  glandole  sebacee.  Ritengono  che  i  Corpu- 
scoli del  Mollusco  non  possono  confondersi  per  la  loro  mor- 
fologia con  formazioni  analoghe  di  antichi  epiteli  (epiteliomi,  an- 
tichi comedoni,  ecc.).  Israel  ('891)  conferma  l'opinione  di  Virchow 
('865),  non  trattarsi  cioè  di  altro  che  di  una  degenerazione  delle 
cellule  epiteliali. 

Pick  ('892  2°)  inocula,  con  esito  positivo,  mediante  scarifica- 
zione, pezzi  di  M.  e.  in  due  fanciulli  affetti  da  Prurigo.  L'incu- 
bazione è  stata  di  4  mesi  ed  ha  dato  luogo  alle  tipiche  mani- 
festazioni della  malattia  in  esame,  come  è  stato  pure  confermato 
dalle  indagini  istologiche. 

Kaposi  ('892)  ha  osservato  un  Uomo  aftetto  da  Acne  vario- 
liformis  del  cuoio  capelluto  e  della  fronte.  L'A.,  a  proposito  della 


—  188  — 

trasformazione!  dell'  Acne  soboi  io i co  di  Hebiia  in  Lnpiis  crl- 
thematosiis^  osserva  che  la  lesione  follicolare,  che  clinicamente  si 
traduce  come  seborrea,  (nella  quale  l'epidermide  è  in  via  di  de- 
generazione grassa  e  si  sfoglia  in  massa),  può  differentemente  de- 
generare e  provocare  ora  un  processo  clinico  ora  un  altro  ^). 

Payne  ('892)  ha  studiato  una  eruzione  cutanea  localizzata 
agli  avambracci  ed  alle  mani,  risultante  di  papule  sporgenti,  co- 
niche, dure,  con  ipertrofia  dell'epidermide  sottostante,  che  non 
destava  sensazione  subiettiva  di  prurito.  La  malattia  datava  da 
un  anno  e  mezzo  e  l'esame  istologico  fece  vedere  trattarsi,  negli 
strati  profondi  dell'epidermide,  di  un  gran  numero  di  Corpuscoli 
analoghi  a  quelli  del  M.  e.  Dubita  che  sieno  Psorospermi ,  crede 
piuttosto  sieno  cellule  modificate  sotto  1'  influenza  di  parassiti. 
È  una  eruzione  che  non  si  può  riportare  a  nessun  tipo  conosciuto. 

BiTscH  ('892),  non  avendo  avuto  l'opportunità  di  poter  leg- 
gere i  lavori  di  Tòròk  &  Tommasoij  ('889),  è  di  opinione  che 
sia  da  scartarsi  l'origine  glandolare  sebacea  del  M.  e.  Si  avrebbe 
a  che  fare  piuttosto  con  piccoli  tumori  aventi  sede  nell'  epider- 
mide, ed  a  cui  forma  capsula  il  tessuto  connettivo  ispessito.  Non 
tutte  le  cellule  del  reticolo  malpighiano  si  metamorfosano  in 
Corpuscoli  del  Mollusco,  una  parte  subisce  la  cheratinizza- 
zione  normale.  Non  vi  sarebbero  Psorospermi,  come  produttori  di 
questa  malattia,  la  cui  etiologia  resta  del  tutto  sconosciuta. 

Nobel  ('893)  si  inocula  al  braccio  e  con  esito  positivo  pezzi 
di  noduli  di  M.  e.  L'  incubazione  è  stata  di  quattro  settimane, 
ma  le  lesioni  caratteristiche  sono  sopraggiunte  dopo  nove  setti- 
mane. La  tecnica  è  stata  di  inoculare  intraparietalmente  la  ma- 
teria proveniente  da  noduli  di  M.  e.  del  pene,  tolti  previo  ra- 
schiamento degli  strati  superiori  della  cute. 

Kromayer  ('893)  per  vedere  se  le  alterazioni  caratteristiche  del 
M.  e.  sieno  indotte  da  Psorospermi,  ha  fissato  i  pezzi  in  alcool  e  li 
ha  colorati  con  un  processo  da  lui  precedentemente  descritto, 
che  ha  per  iscopo  di  tingere  le  fibre  del  protoplasma.  Il  suo  me- 
todo si  distingue  da  quello  di  "Weig-ert,  sia  per  essere  bisognevole 
di  avere  sezioni  sottilissime  di  ^2  t^-i  sia  P^r  il  lavaggio  ripetuto 
all'anilina-xilolo,  e  servendosi  come  colorazione  di  contrasto  del 
carminio  alluminato.  Lo  sviluppo  dei  Corpuscoli  del  Mol- 
lusco avviene  assolutamente  nel  protoplasma  delle  cellule  dello 
strato  spinoso.  Le  fibre  epiteliali  si  trasformano    a  poco  a  poco 

')  Evidentemente  si  parla  di  una  forimi  clinica  diversa  dall'  Acne  vario- 
liformis  di  Bazin. 


—  189  — 

in  una  massa  granulosa,  che  guadagna  lentamente  in  estensione 
per  finire  di  riempire  tutta  la  cellula  ad  eccezione  della  zona 
marginale,  che  resta  libera  nello  sviluppo.  I  nuclei  aumentano  di 
volume,  non  prendono  il  colore,  ad  eccezione  del  loro  corpuscolo, 
e  finiscono  per  originare,  in  un  col  protoplasma  cellulare,  una 
massa  difforme,  nella  quale  però  si  riesce  ancora  a  riconoscerli: 
per  ulteriori  trasformazioni  si  hanno  i  Corpuscoli  del  Mol- 
lusco. Nega  quindi  che  la  massa  granulosa  che  si  trova  negli 
strati  più  profondi  dell'epidermide  possa  essere  il  principio  della 
formazione  dei  parassiti.  E  di  accordo  con  Benda  ('895)  nel  ritenere 
che  il  Corpuscolo  del  nucleo  sia  conservato  in  gran  parte, 
pur  subendo  certe  modificazioni  ;  il  resto  si  perde  sicuramente 
nel  protoplasma  degenerato.  Le  speciali  alterazioni,  che  sono  giu- 
dicate da  alcuni  come  Sporozoi,  sono  quindi  da  riferirsi  ad  una 
degenerazione  delle  cellule  epiteliali. 

Campana  ('893)  ritorna  sull'argomento  con  una  lunga  discus- 
sione critica  dei  lavori  precedenti  e  con  nuove  osservazioni  sulla 
possibilità  che  il  M.  e.  dipenda  da  Gregarinosi.  Crede  che  il  Cor- 
puscolo del  Mollusco  proviene  da  una  parte,  che  ordinaria- 
mente è  il  protoplasma  e  che  secondo  alcuni  sarebbe  una  dege- 
nerazione, secondo  altri  e  lui  stesso,  un  parassita.  L'A.  dice  che  se 
si  vuol  fare  risaltare  in  una  figura  schematica  tutte  le  particola- 
rità ,  si  trova  sempre:  Dentro,  nel  mezzo,  i  Corpuscoli  del 
M.  e.  molto  avvicinati  fra  di  loro  e  fra  questi  Corpuscoli  qua  e 
là  granuli  disgregati  di  eleidina,  attorno  cellule  epidermiche  prov- 
viste di  appendici  ciliate  con  un  nucleo  molto  grosso.  Oltre  di 
questo  si  «  ha  quasi  un  distacco  fra  tratti  ove  sono  queste  cellule 
con  nucleo  grosso,  cellule  con  granulazioni  grosse  di  eleidina, 
ed  il  tratto  ove  sono  questi  corpicciuoli  evidenti,  definiti,  non 
più  semplici  modificazioni  di  cellule  vicine,  ma  invasione  di  altri 
corpicciuoli  (parassiti)  di  altra  degenerazione  delle  cellule  ».  Qua 
e  là  in  mezzo  a  qudsti  elementi  epidermici  cosi  alterati,  come 
quelli  con  elementi  granulosi,  come  quelli  con  nucleo  ingrossato, 
si  vedono  pochi  accenni  di  cellule  con  corpuscolo  sferoidale,  che 
è  segmentato  in  alcune  ed  ha  uguale  morfologia  del  Corpi  c- 
ciuolo  sferoidale  del  M.  e.  Si  hanno  quindi  tre  fatti  degni  di 
nota:  grossi  nuclei,  grossi  granuli  di  eleidina  vicini  al  nucleo,  e 
questi  Corpuscoli,  i  quali  al  microscopio  hanno  dato  i  risul- 
tati  accennati. 

In  seguito  ai  lavori  di  Kromayeu  ('893),  ha  istituito  osser- 
vazioni su  pezzi  freschi  di  fegato  di  Coniglio,  affetti  da  Gregari- 
nosi  e  su  pezzi  freschi  di  M.  e.  ed  ha  potuto  in  entrambi  i  casi 


-  190  — 

osservare  i  Corpuscoli  gregarinari  evidenti,  alcuni  con  cap- 
sule a  doppio  contorno,  altri  senza,  altri  uniti.  Se  invece  .si 
prende  un  preparato  di  Gregarinosi  indurito,  non  si  vede  altro 
che  la  capsula  e  pochi  granuli  all'interno,  ed  in  qualche  caso  si 
vede  un  semplice  accenno  di  sfericità  di  corpicciuoli  nell'interno, 
si  vede  per  lo  più  una  massa  omogenea  trasparente.  Nel  M.  e. 
fresco  si  vedono  sferule  uguali  con  capsule,  e  le  stesse  sferule  con 
contenuto  a  margherita.  Conchiude  dicendo  che:  «  se  1'  alterazione 
descritta  nel  M.  e.  sia  proprio  una  Gregarinosi,  è  quistione  nella 
quale  io  non  entro  :  io  vengo  a  dire  questo  che  oggi,  nello  stato 
presente  delle  nostre  cognizioni  su  questo  argomento,  non  basta 
fare  una  sezione  microscopica  e  dire:  nella  periferia  vedcf  cellule 
con  tratto  che  pare  un  corpicciuolo  fisaloide,  completo;  perchè 
nell'epidermide  del  Mollusco  contagioso  esistono  tutte  queste  al- 
terazioni alle  quali  abbiamo  accennato,  che  non  hanno  che  fare 
le  une  con  le  altre,  e  che,  se  queste  masse  del  Mollusco  le  os- 
serviamo a  fresco  esse  hanno  gli  stessi  caratteri  delle  masse  di 
Gregarinosi  », 

De  Angelis  Mangano  ('893),  per  vedere  se  il  M.  e.  sia  prodotto 
da  Coccidi  o  pur  no,  ha  fatto  numerosi  preparati  di  questi  tu- 
moretti  e  contemporaneamente,  come  termine  di  paragone,  con  gli 
stessi  identici  metodi,  sezioni  di  fegato  di  Coniglio  affetti  da  Coc- 
cidiosi. Mentre  in  questi  ultimi  gli  riuscì  facile  di  dimostrare  nei 
più  differenti  stadi  di  sviluppo  la  presenza  costante  del  nucleo, 
non  è  riuscito  invece  a  trovarlo  nei  pretesi  Coccidi  del  M.  e.  sia 
allo  stato  adulto,  sia  allo  stato  di  spora.  Avendo  osservato  pre- 
parati di  tumoretti  dell'affezione  in  parola,  eseguiti  da  Ferkoni 
&  Massari  ('893).  è  venuto  nella  convinzione  che.  quelle  forme, 
che  sono  state  descritte  da  Neisser  ('889;  '891),  come  Coccidi  gio- 
vanissimi nucleati,  entrano  nella  categoria  dei  Citoryctes  vacci- 
nae  e  Citoryctes  variolae  di  Guarnieri  ('893),  che  secondo  le  ri- 
cerche di  Ferroni  &  Massari  ('893)  e  di  FoÀ  ('893)  non  debbono 
essere  interpretate  come  microrganismi,  ma  come  espressioni  di 
alterazioni  patologiche  del  tessuto  epiteliale.  Oltre  l'assenza  del 
nucleo,  l'ulteriore  destino  di  quei  corpi  descritti  come  spore,  viene 
a  confermare  che  non  .si  tratta  di  Coccidi.  Ciò  che  Neissek  ('891) 
ritiene  ammassi  di  spore,  egli  crede  sia  l'espressione  della  strut- 
tura alveolare  (reticolare)  del  protoplasma  cellulare.  Pur  contento 
che  Kromayer  ('893)  sia  venuto  per  altra  via  ai  suoi  risultati, 
ossei-vando  i  disegni  annessi  alla  monografia  dello  stesso,  dubita 
che  il  metodo  speciale  di  colorazione  alteri   talmente    le    cellule 


—  191  — 

epiteliali    da  non  poter  ritenere  come  sicure  le  conclusioni,  alle 
quali  egli  è  venuto. 

Jaia  ('893 j  lia  tentato  senza  successo  le  inoculazioni  di  M.  e, 
pur  ritenendo  la  malattia  di  origine  infettiva  parassitaria,  pro- 
babilmente dovuta  a  Psorospermi.  Ha  notato  che  i  tumoretti  si 
atrofizzano  e  guariscono  con  iniezioni  di  poche  gocce  di  solu- 
zione di  sublimato  corrosivo  fatte  alla  base,  il  che  sarebbe  una 
prova  di  più  per  l'appoggio  della  natura  parassitaria  dell'  affe- 
zione. 

MiNGAzziNi  ('894)  in  armonia  con  Bollinger  ('873;  '878i  o 
Pfelffer  ('889;  '891)  trova  che  il  M.  e.  dell'Uomo  ed  il  Vainolo 
dei  Polli  (Oefìiigelpocken)  sono  due  malattie,  che  hanno  un  aspetto 
ed  un  decorso  identico,  il  cui  parassita  non  sarebbe  uno  Spo- 
rozoo ,  ma  bensì  un  fungo.  Lo  sviluppo  è  in  relazione  con  l'e- 
voluzione delle  cellule  epidermoidali,  giovine  nelle  cellule  gio- 
vani, adulto  nelle  avanzate,  maturo  quando  è  sotto  forma  di  ciò 
che  chiamasi  Corpuscolo  del  Mollusco.  Questo  fungo  quando 
è  giovine  può  gemmare  e  queste  gemmule  infettano  l' organismo: 
lo  stadio  invece  corrispondente  al  fungo  maturo  non  può  infet- 
tare l'epitelio,  dovendo  subire  una  fase  di  vita  fuori  l'organismo 
che  lo  ha  prodotto  (Uomo  o  Pollo)  e  questa  fase  di  vita  la  pas- 
serebbe nell'intestino  di  un  insetto  {Blatta^  Blaps,  ecc.),  nelle  cui 
cellule  epiteliali  si  insinua,  sporifica  e  le  spore  portate  nel  ter- 
reno con  gli  sterchi  degli  Insetti,  sono  capaci  di  produrre  la  ma- 
lattia anzidetta  nell'Uomo  e .  nei  Polli.  La  malattia  dell'Uomo  e 
dei  Polli,  sebbene  appartenente  al  medesimo  genere  di  parassiti, 
pure  è  di  specie  differente ,  giacché  il  ciclo  vitale  del  fungo  è 
più  breve  ed  in  più  breve  tempo  arriva  alla  maturazione.  Il  pa- 
rassita nei  Polli  può  mantenersi  vitale  anche  in  acqua  distillata 
bollita  per  più  giorni,  producendo  gemmule  ed  inoculato  ri- 
produce la  malattia.  Infine  l'A.  dice,  che  la  dimostrazione  spe- 
rimentale della  natura  parassitaria  del  M.  e.  nei  Polli  è  stata  di- 
mostrata con  le  seguenti  prove  :  «  1.  Guarigione  del  Mollusco  dopo 
l'allontanamento  dal  luogo  dell'infezione.  2.  Infezione  col  ritorno 
al  luogo  dove  si  era  sviluppato  il  contagio.  3.  Inoculazione  del 
parassita  e  riproduzione  della  malattia  ». 

TouTON  ('892j  ritiene  che  il  M.  e.  sia  malattia  infettiva  pro- 
dotta da  Sporozoi  intracellulari,  che  si  rendono  evidentissimi, 
macerando  i  pezzi  in  soluzioni  di  diverso  titolo  di  cloruro  di 
sodio.  Ha  tentato,  ma  infruttuosamente,  la  cultura  in  vari   mezzi. 

KuzNiTZKY  ('895)  critica  il  lavoro  di  Touton  ('892)  attri- 
buendogli il  torto  di  aver  lavorato  con   materiale  non  suificien- 


—  192  — 

tomonto  skiiilizzato  o  i|uiiitli  non  adatto  a  dare  risultati  positivi. 
L'  A.  essendosi  servito  per  le  sue  ricercho  di  materiale  fissato 
in  alcool  ed  avendo  rivestito  i  pezzi  con  la  celloidina,  ha  ten- 
tato lo  colorazioni  all'ematossilina  ed  al  bleu  di  metilene  policrcj- 
mo  di  Unna.  Non  crede  che  si  possa  parlare  di  Coccidi,  bensì  è  di 
opinione  che  i  Corpuscoli  del  Mollusco  sono  in  rapporto 
genetico    con  le  cellule  normali  dolio  strato  spinoso. 

TouTON  ('895),  ritornando  sull'argomento,  crede  infondata  la 
critica  fatta  da  Kuznitzky  ('895)  alle  sue  ricerche  e  persiste  nel- 
l'opinione, essere  il  M.  e.  generato  da  infezione  di  Sporozoi,  e  dice 
che  i  migliori  terreni  di  cultura  per  i  Protozoi  in  generale,  an- 
ziché essere  l'agar-glicerinato  e  la  gelatina,  sono  la  terra  e  la 
sabbia  umida,  i  liquidi  in  fermentazione  ed  anche  le  culture  di 
certi  batteri. 

Retzius  ('895 j,  in  un  secondo  lavoro,  conferma  i  risultati  ot- 
tenuti nel  1870,  trova  che  il  M.  e.  è  una  malattia  della  pelle  di- 
rettamente contagiosa,  che  merita  il  vecchio  nome  datogli  da 
Bateman  ('817j,  laddove  i  nomi  di  Mollusco  sebaceo,  Epi- 
telioma mollusco,  Acne  varioliforme.  Acne  mollu- 
scoide,  ecc.  sono  dovuti  ad  ipotesi  sbagliate  e  ad  idee  non  giu- 
ste. Egli  potette  ('870)  provare  il  contagio  nella  sua  persona: 
il  periodo  di  incubazione,  per  rendersi  evidente  ad  occhio  nudo, 
dura  dei  mesi,  la  sede  dell'infezione  non  è  come  si  credeva,  le  glau- 
dole  sebacee  o  i  follicoli  piliferi,  bensì  il  reticolo  di  Malpi&hi  della 
pelle  e  la  malattia  non  ha  nulla  a  che  fare  con  la  scrofola.  Gli 
agenti  produttori  sono  specialissimi  Corpuscoli,  i  Corpuscoli 
del  Mollusco,  i  quali  sono  del  tutto  formazioni  indipendenti, 
che  non  hanno  nulla  a  che  fare  con  gli  altri  elementi  della  cute, 
non  essendo  nò  di  origine  epiteliale,  uè  essendo  sorti  endogena- 
mente   nelle    cellule    della    superficie  della  pelle. 

Benda  ('894-95)  dubita  che  vi  possa  essere  relazione  fra  M.c. 
e  Carcinoma,  ma  bensì  vede  una  rassomiglianza  con  il  Vainolo 
dei  Polli  (Oeflugelpocken).  La  proliferazione  epiteliale  osservata  da 
VmcHOw  ('865)  non  sarebbe  che  un  aumento  numerico  delle  cellule, 
dato  dalla  irritazione,  giacché  né  lo  strato  cilindrico  dell'epider- 
mide, né  quello  vicino  mostrano  anomalie.  La  prima  causa  del- 
l'affezione bisogna  ricercarla  in  alcuni  corpiccioli  refrangenti, 
molto  ben  distinti,  che  si  trovano  nell'interno  dei  Corpuscoli 
del  Mollusco,  giacché  il  Corpuscolo  del  Mollusco,  in  una 
fase  anteriore  a  quella,  nella  quale  presentasi  omogeneo,  é  at- 
traversato da  una  serie  di  setti  [fase  di  Spore  di  Neisseii 
f'888;  '891)].  Negli  strati  profondi  dell'epidermide,  vicino  al  3°  o 


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4°  strato  cellulare,  a  partire  dallo  strato  cilindrico,  si  vedono  delle 
formazioni  molto  piccolo  nere  e  refrangenti,  i  Corpicciuoli 
di  TouTON  ('892;  '895).  Questi  al  principio,  molto  numerosi  e 
piccoli,  spingono  il  resto  del  protoplasma  su  di  un  limitato  si- 
stema di  raggi:  cosi  non  è  il  corpo  intero  che  si  dissolve:  resta 
piuttosto  in  mezzo  una  massa  di  protoplasma,  da  cui  si  vedono 
spandere  dei  raggi  sottili  rassomiglianti  a  spore;  il  resto  sparisce 
perchè  i  vaiuoli  aumentano.  I  Corpicciuoli  di  Touton,  non 
essendo  spore,  si  eliminano  alla  superficie,  senza  che  ne  restino 
negli  strati  profondi.  Perfezionando  e  modificando  i  metodi  di  co- 
lorazione, l'A.  è  riuscito  a  vedere  questi  elementi  in  piccolo  e 
grande  numero,  in  divisione,  e  li  ha  visto  prender  parte  alla 
formazione  dei  Corpuscoli  del  Mollusco,  perdendo  prima  i 
loro  contorni,  e  lasciando  poi  apparire  dei  fili  molto  sottili,  che 
entrano  nel  protoplasma.  In  tal  modo  i  Corpuscoli  di  Touton 
presentano  dei  contorni  poco  distinti,  come  Touton  ('892  ;  '895) 
li  ha  descritti.  Questi  Corpicciuoli,  per  qualche  particolarità 
istologica ,  fanno  pensare  al  nucleo  accessorio ,  però  per  altre 
reazioni  microchimiche  non  rispondono  a  questo  ;  come  pure 
sono  più  piccoli  delle  cellule  migratorie ,  né  è  possibile  che 
sieno  nuclei  in  divisione,  perchè  si  vedono  i  frammenti  di  questi 
corpicciuoli  sempre  in  qualche  strato  al  di  là  dello  strato,  dove  que- 
sta divisione  si  fa  ordinariamente.  Potrebbero  per  altre  reazioni 
essere  ritenuti  granuli  dello  strato  granuloso,  perchè  si  vedono 
impiegando  metodi  per  i  quali  non  dovrebbero  rendersi  appa- 
riscenti i  Corpuscoli  di  Touton.  Non  sono  prodotti  colloidi  o 
jalini,  piuttosto  parassiti  e  per  la  loro  forma  ineguale  schizo- 
miceti,  quistione  però  ancora   insolubile. 

Stelwagon  ('894j,  in  una  rivista  generale  sul  M.  e.  di  Bate- 
MAN,  si  dichiara  fautore  del  contagio,  sia  per  esempi  clinici,  sia  per 
inoculazioni  accidentali  e  sperimentali.  La  lunga  durata  del  pe- 
riodo di  incubazione  fa  perdere  le  tracce;  e  la  natura  del  paras- 
sita resta  fin  ora  oscura. 

Clarke  ','895),  in  un  tumoretto  di  M.  e.  estirpato  con  tutte 
le  regole  asettiche,  ha  notato  una  grande  quantità  di  microor- 
ganismi, fra  cui  molti  corpi,  vivacemente  mobili,  di  forma  rotonda 
e  provvisti  di  un  flagello  semplice,  robusto  e  sempre  in  movimento. 
Molti  di  essi  avevano  una  sottile  capsula  esterna  ripiena  di  bat- 
teri, altri  nel  centro  una  zona  di  fluidificazione,  in  cui  si  nota- 
vano numerose  particelle  fortemente  rifrangenti  la  luce  ed  oscil- 
lanti. Sarebbero  forme  di  passaggio  fra  la  forma  or^linaria  e  le 
forme  flagellate.  Ha  fatto  preparati  di  controllo  con  pezzetti  di 


—  194  — 

focato  di  Coiìif^lio  atlVitti  da  Coccid'mm  nm forme  od  ha  visto  che  i 
parassiti  hanno  mollo  zoospore  o  si  scompongono  in  segmenti, 
clie  presentano  alla,  lor  volta  una  scissione  secondaria  falciforme. 
NoBL  ('895'  inocula  con  esito  positivo  allo  due  braccia  di  un  in- 
fermo, mercè  scarificazione  e  strotiuazione,  il  contenuto  di  un 
nodulo  di  M.  e.  dell'  asta  di  un  altro  infermo:  dopo  sette  setti- 
mane si  ebbero  efflorescenze,  che  all'esame  istologico  mostrarono 
le  caratteristiche  note  della  malattia  inoculata.  Barthélemy  f  893), 
data  la  frequenza  dell'affezione  nella  regione  perivulvare  e  pe- 
rianale,  la  crede  da  ascriversi  fra  le  veneree.  Tali  tumoretti  in 
queste  sedi  sono  scambiati  per  semplici  follicoli,  per  vegetazioni 
e  per  papule  sifilitiche. 

HoppE  ('900)  riferisce  di  una  piccola  endemia  di  M.  e.  ve- 
rificatasi in  una  famiglia,  nella  quale  l'infezione  sembra  essere 
partita  dal  nonno.  Ne  fu  contagiata  anche  una  bambina  di  2 
anni  con  predominante  localizzazione  sia  alle  palpebre,  al  volto, 
alle  regioni  temporali  ed  all'omero  sinistro.  L'eczema  concomi- 
tante, che  accompagna  i  noduli  in  parola,  dovette  essere  cagio- 
nato indirettamente  per  la  sensazione  subiettiva  di  prurito,  an- 
ziché per  irritazione  prodotta  da  secreto  dei  noduli. 

Kaposi  ('896)  osserva  un  fanciullo  che  presentava  sulle  guance 
delle  escrescenze  larghe  quanto  una  mano  ed  alte  due  o  tre 
centimetri,  di  colore  bruno  nerastro,  e  sul  cuoio  capelluto  aveva 
masse  simili.  Pensò  ad  Acne  bromico  confluente  e  diffuso.  Sul 
collo  eranvi  noduli  piccoli.  I  noduli  più  piccoli  li  diagnosticò  per 
milli,  i  più  grandi  per  M-  e.  L'esame  microscopico  di  un  taglio 
trasversale  di  uno  di  questi  tumori  ha  fatto  notare  la  struttura  del 
M.  e.  con  i  Corpuscoli  caratteristici.  L'esantema  era  quindi  una 
forma  di  M.  e.  con  seborrea  intensa.  A  questa  forma  propone  il 
nome  di  M.  e.  giganteum. 

L'A.  riferisce  successivamente  alla  Società  Viennese  di  Der- 
matologia un  caso  di  M.  e.  sviluppato  in  modo  acuto  ad  un 
bambino  di  sei  mesi  e  mezzo  ,  malattia  che  a  prima  vista  si 
confondeva  con  Acne  bromico,  e  dice  di  aver  altre  volte 
visto  comparire  in  modo  acuto  tale  affezione  in  infermi  assog- 
gettati a  bagno  continuo,  sotto  forma  di  efflorescenze,  che  del 
M.  e.  avevano  tutta  l'apparenza  e  che  poi,  in  seguito  a  processo 
di  suppurazione,  si  vuotavano  del  contenuto  e  si  esfoliavano. 

DiLiBERTO  ('896)  ha  tentato  sei  volte  l'inoculazione  di  pol- 
tiglia di  noduli  di  M.  e,  ma  non  ha  avuto  esito  positivo,  altro 
che  una  volta  in  un  fanciullo,   nel  c[uale  si  svilupparono  tre  tu- 


—  195   - 

iiiorelti  dulia  malattia  in  parola  all'angolo   interno  dell'occhio,  a 
qualche  cuntimotro  di  distanza  dal  punto  di  inoculazione. 

Ehrmann  ('896i  in  unione  con  Beck,  nel  cui  laboratorio  ha 
eseguite  le  ricerche,  ha  trovato  nei  vacuoli  e  nelle  spore  di 
Neisser  ('888;  '89I)  una  sostanza  che  è  evidentemente  un  prodotto 
di  trasformazione  del  protoplasma  cellulare;  tale  sostanza  si  co- 
lora in  violetto.  Crede  che  il  pigmento  comparisca  e  sparisca  in 
modo  del  tutto  simile  a  quello  che  avviene  nel  Condiloma  largo. 
Barthélemy  ('893),  oltre  che  osservare  frequentemente  noduli  di 
M.  e.  nelle  regioni  genito  -  anali  ,  li  ha  constatato  spesso  anche 
alla  verga,  al  seno,  alle  mani  ed  al  cuoio  capelluto,  dove  sono 
scambiati  per  .papillomi,  però  non  ne  ha  rinvenuto  mai  ai  piedi. 
I  noduli  in  esame  qualche  volta  suppurano  e  formano  vaste 
piaghe. 

Barrat  ('896)  riscontra,  nelle  cellule  epideliali  del  M.  e,  dei 
corpicciuoli  capsulati  omogenei  di  10  a  20  [a.  di  diametro  ,  che 
somigliano  ai  Coccidi  del  Coniglio,  del  Sorcio,  ecc.;  però  con  con- 
torni meno  netti  che  in  questi  animali,  rassomiglianti  piuttosto 
ai  Coccidi  della  malattia  di  Paget;  dal  che  crede  che.  il  M.  e. 
sia  una  Psorospermosi  dovuta  a  forme  giovani  di  parassiti ,  il 
cui  sviluppo  non  si  è  ancora  compiuto. 

Casagrandi  ('896)  studia  i  corpi  che  si  trovano  inclusi  nelle 
cellule  dei  noduli  di  M.  e.  dell'Uomo  e  degli  Uccelli.  Crede  che 
debba  ritenersi  assolutamente  errata  l'opinione  che  ai  Coccidi  ri- 
porta il  significato  dei  corpi  suaccennati;  piuttosto  debbono  ri- 
tenersi come  forme  degenerative.  Per  il  M.  e,  non  si  può  preci- 
sare la  vera  essenza  del  Corpuscolo  di  He>^derson  e  di  Pa- 
TERSON,  giacché  debbono  considerarsi  incerte  le  osservazioni  di 
MiNGAzzmi  ('894),  che  lo  identificò  col  Chitrydiopsis  socius,  pa- 
rassita dell'intestino  della  Blatta.  In  base  alle  sue  ricerche  risulta: 
«  che  le  inclusioni  cellulari  epidermiche  come  quelle,  che  si  trovano 
nei  noduli  di  Mollusco  contagioso,  possono  essere  riprodotte  nei 
Polli  con  la  inoculazione  di  un  essere  vegetale.  Questo  essere  fu 
da  me  (dirò  poi  da  dove  e  come)  isolato  in  un  terreno  culturale 
adatto  allo  sviluppo  dei  fermenti  e  di  qui  inoculato  nelle  creste 
e  nei  barbigli  dei  giovani  Polli,  dando  luogo,  nel  punto  di  ino- 
culazione, a  noduli,  che  se  non  possedevano  macroscopicamente 
le  note  apparenze  dei  noduli  di  Mollusco,  ne  possedevano  poi 
tutta  la  apparenza  microscopica,  come  poterono  constatare  Grassi, 
MiNGAzziNi  e  Sanfelice,  i  quali  gentilmente  mi  favorirono  del 
loro  autorevole  parere.  Quest'essere  l'ho  collocato  fra  i  blastomi- 
ceti,    cioè    in    quel  gruppo  di  vegetali,   sulla  esistenza  dei  quali, 


—    190  — 

come  o^ru])p()  a  se  (proscinrleiulo  dalla  loro  derivazione  filogene- 
tica, nella  qnale  i  Botanici  discutono),  i  Patologi  vanno  met- 
tendosi di  accordo...  ». 

Per  Elschnig  ('897)  il  M.  e.  non  ha  un'azione  specifica,  seb- 
bene solo  irritante  sulla  congiuntjva;  difatti  va  notato  la  molta 
rarità  dell'  affezione  in  parola  di  fronte  alla  grande  frequenza 
delle  forme  gravi  e  durevoli  di  congiuntivite  follicolare  (tracoma). 

Blocq  ('897Ì  si  occupa  della  parte  terapeutica  dell'affezione; 
trova  che  il  migliore  trattamento  è  1'  asportazione  con  il  cuc- 
chiaio tagliente;  si  cauterizza  immediatamente  la  superficie  con 
l'alcool  canforato  e  con  una  soluzione  di  nitrato  di  argento  al 
quindicesimo. 

Per  Zeldovich  ('898)  il  M.  e.  è  una  neoformazione  epite- 
liale avente  per  punto  di  partenza  sia  lo  strato  di  Malpighi,  sia 
le  salandole  sebacee.  I  tentativi  di  cultura  ed  inoculazione  dei 
parassiti  sono  restati  senza  successo  ,  quindi  non  può  dirsi  con 
sicurezza  sotto  quale  stimolo  avvengano  le  modificazioni  delle 
cellule  epiteliali. 

Gaucher  &  Sehgent  ('898)  confermano  le  idee  espresse  da 
Renaut  ('880)  circa  la  natura  e  la  sede  della  malattia.  È  pre- 
feribile adoperare  il  vocabolo  Acne  varioliforme,  che  esprime 
di  più  la  lesione  degenerativa  della  glandola  sebacea  e  non  un 
tumore  parassitario,  essendo,  i  parassiti  descritti,  delle  forme  di 
modificazioni  protoplasmatiche.  Con  ciò  non  si  nega  la  possibità 
di  una  origine  parassitaria  della  lesione. 

CoLcoTT  Fox  ('898)  trova  che  il  M.  e.  nei  Polli  può  essere 
malattia  fatale  e  che  è  sempre  preceduta  da  una  affezione  inde- 
terminata. Anche  le  lesioni  (yaws)  dei  Polli  delle  Indie  sembra 
sieno  da  attribuirsi  in  molti  casi  alla  medesima  causa  produttrice 
il  AL  e. 

Payne  ('898)  rileva  che  la  malattia  in  parola  si  sviluppa  fra 
gli  animali  inferiori,  mentre  non  si  osserva  con  frequenza  nel- 
l'Uomo; salvo  in  alcune  simili  circostanze. 

Shattock  ('898)  ha  studiato  un  tumore  sferico  sorto  sotto 
al  becco  di  un  Passero,  che  all'  esame  istologico  era  un  M.  e. 
Con  le  reazioni  al  Gram,  la  sostanza  prendeva  il  colorito  violetto, 
mostrando  di  non  essere  chimicamente  identica  all'eleidina  dello 
strato  granuloso.  Dopo  un  mese  anche  la  compagna  del  detto 
Passero  mostrò  analoga  lesione.  Dal  che  se  ne  arguisce  che  vi 
fu  contagio.  L'A.  osserva  spesso  l'affezione  nei  Passeri,  nei  Polli, 
Gallinacei  e  Piccioni,  trovando  più  frequenti  le  lesioni  alla  testa. 


-  197  - 

HuTCHiNs-iN  ('898)  ricorda,  un  unico  caso  di  M.  e.  in  un  Cane 
(di mostra t,o  dall'esani»^  microscopico)  e  nel  suo  padrone,  il  quale 
pare  abbia  contratto  la  malattia  dal  primo.  Nota  che  non  si 
trova  menzione  della  patologia  comparata  di  questa  lesione.  Ri- 
guardo alla  natura  dei  Corpi  del  Mollusco,  egli  ha  istituito 
ricerche  insieme  a  Ballance  ,  ma  con  risultato  negativo.  Unna 
[in  AuDiiY  ('899)]  ripone  la  sede  dell'alterazione  nell'  epitelio  di 
rivestimento  della  cute.  Sprecher  ('899)  descrive  un  caso  poco 
comune  di  M.  e.  localizzato  al  piede,  i  cui  noduli  erano  di  gran- 
dezza insolita ,  e  Frick  ('899)  riporta  una  osservazione  di  un 
esantema  in  un  Uomo  di  trentotto  anni,  risultante  di  numerosi 
tumoretti  sboccanti  nel  derma,  senza  connessione  con  1'  epider- 
mide o  con  i  suoi  annessi ,  e  formati  di  cellule  epiteliali  fram- 
miste a  cellule  giganti. 

AuDRY  ('899)  crede  prematuro  di  occuparsi  diffusamente  del 
supposto  parassita  del  M.  e.  prima  di  risolvere  la  morfologia 
della  lesione  che  è  in  causa.  Egli  dice:  «  Noi  non  dobbiamo  sa- 
pere se  vi  sono  dei  parassiti;  noi  dobbiamo  domandarci  se  si  sono 
visti,  se  se  ne  vedono.  Restando  cosi  sul  solo  terreno  dell'istologia, 
si  vede  che  noi  dobbiamo  domandarci:  1°  Come  è  costituito  il 
nodulo  di  Mollusco  '?;  2.°  Quale  è  la  sua  sede  ?;  3.o  E  il  risultato 
di  una  neoplasia  o  di  una  metaplasia  o  di  una  neoplasia  dege- 
nerativa?; 4.0  Lo  studio  morfologico  permette  di  riconoscere  con 
certezza  e  con  probabilità  le  forme  parassitarie  delle  alterazioni 
che  si  possono  constatare  ?  » . 

Messo  cosi  il  quesito,  l'A.  viene  alle  conclusioni  che  il  il/,  e. 
è  una  lesione  dell'epidermide,  dell'epitelio  di  rivestimento,  come 
dicono  i  tedeschi.  L'assenza  dei  rapporti  con  i  peli,  l'impossibi- 
lità di  trovare  una  traccia  qualsiasi  del  processo  sebaceo,  l'aspetto 
del  tessuto  congiuntivo  ambiente,  ecc.,  sono  tanti  argomenti,  che 
si  oppongono  all'adozione  dell'origine  follicolare  o  sebacea;  una 
tale  opinione  non  ha  più  per  essa  altro  che  la  forma  di  invagina- 
zione lobulata,  che  prende  la  lesione,  e  sembra  che  questa  sia  una 
ragione  improntata  ad  una  morfologia  un  poco  troppo  grossolana, 
incapace  a  colpo  sicuro  di  contrabilanciare  1'  esistenza  di  una 
epidermide  completa  e  continua  in  tutta  la  estensione  dei  fondi 
del  nodulo.  2.»  La  lesione  del  M.  e.  è  il  risultato  di  una  neo- 
plasia specifica  propria  di  questa  malattia.  Nessun  fenomeno  isto- 
logico, infatti,  non  sembra  conforme  alla  nozione  di  un  neoplasma, 
di  un  epitelioma  benigno  o  non,  degenerativo  o  non.  Non  vi  è 
nessuna  reazione  periferica;  non  vi  è  nessun  segno  di  prolifera- 
zione anormale;  non  è  un  epitelioma,  non   un  neoplasma.  E  in- 

14 


—  198  — 

Vtìcu  unti  mot  aplasia.  Ciicii  il  coium'IIo  di  (Ic^^tMierasiioiK;,  bisogna 
notare  elio  i  fenomeni  ohe  si  vogliono  dosignan!  cosi  non  sono 
che  raramente  al)bastanza  bene  caratterizzati  dal  punto  di  vista 
istologico.  È  certo  che  i  Corpuscoli  subiscono  una  trasforma- 
zione choratinizzante  ,  ma  questa  evoluzione  è  tardiva  e  secon- 
daria. 3."  E  probabile  che  la  malattia  sia  parassitaria,  essendo 
sicuramente  contagiosa  ed  inoculabile;  ma  bisogna  concludere 
che  «del  parassita  del  M.  e.  noi  non  ne  sappiamo,  noi 
non  ne  sospettiamo  niente  >.  I  tentativi  di  inoculazione  nel 
peritoneo  di  Conigli  e  di  Cavie  sono  restati  senza  risultati,  a- 
vendo  trovato  riassorbito  il  piccolo  neoplasma  nel  punto  dove 
precedentemente  si  era  innestato. 

ScHOTz  ('900)  dalla  localizzazione  frequente  alla  faccia  dei 
noduli  di  M.  e,  e  dalla  grandezza  che  raggiungono  iiuo  ad  una 
nocella,  trae  argomento  per  dire  che  il  modo  di  infezione  di 
questa  malattia  è  sconosciuto. 

Balzkr  ('900)  ha  rinvenuto  alla  pianta  del  piede  di  un  in- 
fermo un  piccolo  corpicciuolo  della  grandezza  di  una  lenticchia, 
che  ingrossava  gradatamente  e  che  con  1'  asportazione  parziale 
guari.  Era  un  M.  e.  Egli  crede  che  la  malattia  abbia  sede  nello 
strato  corneo  e  che  il  tessuto  ammalato  sia  irregolarmente  di- 
viso da  lamine  di  cellule  identiche  alle  cellule  cheratinizzate 
degli  strati  superficiali,  e  presentanti  dei  granuli  di  eleidiua  for- 
temente tinti  in  rosso  dal  picrocarminio.  Le  cellule  poliedriche 
presentano  nel  loro  interno  dei  grossi  granuli  rifrangenti,  di  cui 
i  più  grossi  occupano  tutto  il  corpo  protoplasmatico,  distendendo 
la  cellula  e  ricacciando  alla  periferia  il  nucleo,  che  apparisce  al- 
lora appiattito;  i  granuli  rifrangenti  sono  quelli  del  M.  e.  e  si 
colorano  in  giallo  col  picrocarminio  ed  in  bleu  con  la  tionina 
fenica. 

L'A.  ('900)  ritorna  sull'argomento;  riferis(!e  di  un  infermo 
che  al  bordo  esterno  del  piede  sinistro  (localizzazione  insolita  e 
solitaria)  presentava  un  piccolo  tumore  del  volume  di  una  no- 
cella; che  faceva  sporgenza  alla  faccia  plantare  e  che  fu  costretto 
a  doverlo  togliere  col  bisturi.  L' esame  istologico  gli  confermò 
trattarsi  di  M.  e. 

L'A.  ('901)  dice  poi  di  avere  ottenuto  una  guarigione  completa 
in  un  caso  di  M.  e.  confluente  del  cuoio  capelluto,  facendo  in 
mezzo  agli  elementi  dei  toccamenti  ripetuti  di  tintura  di   jodo. 

Hallopeau  ('901)  dichiara  che  questo  trattamento  gli  ha 
sempre  dato  dei  successi,  a  condizione  di  toglier  da  principio  il 


—  109  — 

coiiÌL!iiutu  (lui  il/,  c.   coli  l'cisprussiouo  e  di  puniioUaru  uou  la  tin- 
tiii-ii  di  jodo  la  cavità  cosi  formata. 

Barthèlkmy  ('901)  stima  clic  1'  efficacia  di  questo  processo 
deve  variare  con  la  sedo  delle  lesioni,  perchè  non  ha  mai  avuto 
buoni  effetti  nei  casi  aventi  sede  alla  faccia  interna  delle  cosce 
o  nelle  pliche  genito-crurali  ;  bisognerà  in  questi  casi  ricorrere 
alla  escissione. 

C.  Fox  ('902)  coglie  l'occasione  di  avere  osservato  uua  donna 
dell'  età  di  62  anni,  che  presentava  al  lato  destro  del  cranio  e 
delle  tempie  dei  tumori  co  afluenti  della  grandezza  di  una  no- 
cella ad  una  noce,  che  all'esame  istologico  furono  ritenuti  per 
M.  e,  per  dire  che  l'affezione  è  frequente  alla  faccia  ed  alle 
gambe, 

Bosc  ('900  ;  "901  ;  '902)  in  una  serie  di  comunicazioni  sul 
Vainolo  dei  Montoni  {clavelée)^  malattia  briocitica  simile  per 
certi  caratteri  al  M.  e.  dell'Uomo  e  degli  Uccelli,  ha  rinvenuto 
degli  elementi  caratteristici,  clie  per  l'evoluzione  loro  sia  nelle 
forme  piccole  che  nelle  più  voluminose  e  per  la  loro  struttura 
si  debbono  ritenere  degli  Sporozoi.  Questi  agenti  virulenti  avreb- 
bero una  riproduzione  schizogonica.  L'A.  non  ha  potuto  mettere  in 
evidenza,  un  processo  sporogonico,  né  un  possibile  ospite  inter- 
medio per  il  contagio. 

Marx  &  Stioker  ('902;  '903)  hanno  trovato  che  il  succo 
dei  tumoretti  di  M.  e.  degli  Uccelli,  triturato  con  acqua  fisiolo- 
gica ed  inoculato,  riproduce  la  malattia  dopo  56  giorni.  Il  li- 
quido è  ugualmente  virulento  passando  attraverso  la  candela  di 
Berkefeld,  invece  è  arrestato  dalla  candela  Chamberland  F:  è 
attivo  fino  a  tre  ore  tenuto  a  60^,  e  fino  ad  un'  ora  a  100°;  le 
squame  rinchiuse  in  una  scatola  di  Petri  son  virulente  fin  dopo 
due  mesi,  laddove  l'emulsione  in  acqua  fenicata  al  2-2  Y2  %  non 
riproduce  più  la  malattia.  Questo  virus  deve  necessariamente  ap- 
partenere alla  categoria  dei  microbi  invisibili,  che  possono  attra- 
versare i  filtri. 

White  &  RoBEY  ('902)  credono  che  il  M.  e.  risulti  di  una  iper- 
plasia  delle  cellule  del  reticolo  di  Malpighi  ,  che  si  spinge  in 
basso  ed  in  fuori;  lo  strato  più  basso  presenta  i  caratteri  delle 
cellule  spinose.  Tutto  il  neoplasma  risulta  di  due  o  tre  lobuli; 
la  etiologia  è  oscura,  essendo  riuscite  negative  le  ricerche  bat- 
teriologiche, 

Hallopeau  &  Rubens-Duval  ('902)  riferiscono  un  caso  di 
M.  e,  la  cui  disposizione  degli  elementi  è  lineare  ed  è  dovuta 
evidentemente  ad  autoinoculazioni,  fatto  dall'unghia,  simili  in  ciò 


—  200 

al  Lichunu  di  Wilson.  E  (|Uosl()  un  iiudvo  ai-^onicnlo  in  favurt; 
della  natura  pai'a.s.sitaria  di  qiiusta  dennalosi.  Il  parassita  deve 
di  necessità  trovarsi  nelle  grandi  cellule,  che  sono  differenti  per 
i  loro  caratteri  da  tutti  gli  elementi  finoi-a  conosciuti. 

]\I[xoAzziNi  ('902)  ha  potuto  constatare  anche  casi  di  M.  e. 
di  Anfibi  {Dmoglos.su.s  jnctus)  nei  dintorni  di  Paterno  in  pro- 
vincia di  Catania.  GÌ'  individui  infetti  presentano  sul  tegumento 
della  loro  faccia  dorsale  dei  noduli  abbastanza  grossi ,  del  dia- 
metro di  circa  cinque  o  sei  millimetri,  sparsi  qua  e  là,  ma  con 
maggiore  frequenza  in  vicinanza  della  bocca  e  dell'  ano  ;  sulla 
faccia  ventrale  l' infezione  sembra  meno  estesa  e  nei  membri  è 
anche  più  rara.  I  noduli  hanno  forma  di  dischi ,  spesso  isolati, 
spesso  confluenti,  e  non  producono  un  apparente  danno  sul  ge- 
nerale dell'organismo,  altro  che  per  impedire,  nelle  forme  gene- 
ralizzate, l'importante  funzione  che  ha  la  pelle  negli  Anfibi.  Isto- 
logicamente i  Corpuscoli  del  Mollusco  negli  Anfibi  sono 
più  grandi  che  nell'Uomo  e  nei  Polli.  La  produzione  noduliforme 
non  ha  infossamenti  nel  centro  e  risulta  di  una  neoformazione 
epiteliale  molto  sviluppata,  contenente  nelle  cellule  o  fra  le  cel- 
lule i  parassiti  del  M.  e. 

Tale  neoformazione  epiteliale  è  sviluppata  secondo  la  su- 
perficie dell'epidermide  e  non  mostra  alcuna  tendenza  ad  appro- 
fondirsi od  invaginarsi  nel  derma  sottostante.  È  questa  una  no- 
tevole differenza  con  tutte  le  altre  forme  di  M.  e.  finora  cono- 
sciute, e  si  può  indicare  come  una  fase  primitiva  di  tale  lesione. 
E  interessante  di  notare  il  fatto,  che  questa  forma  primordiale 
di  Mollusco  s'incontra  appunto  in  una  specie  appartenente  ad 
una  classe  di  Vertebrati  poco  elevata,  quale  è  quella  degli  Anfibi, 
mentre  nelle  specie  appartenenti  a  classi  superiori  ,  come  negli 
Uccelli  e  nei  Mammiferi,  essa  si  presenta  con  i  caratteri  più  com- 
plessi. Porse  ciò  sarà  in  parte  da  attribuirsi  all'  habitat  diverso 
dei  vari  ospitatori,  perchè  gli  uni  vivono  nell'aria  ed  i  corpu- 
scoli maturi  del  Mollusco  verrebbero  facilmente  a  soffrire  il  dis- 
seccamento, se  non  fossero  conservati  in  ambiente  umido,  come 
la  cavità  del  nodulo  del  Mollusco  dei  Mammiferi  e  degli  Uc- 
celli ;  mentre  gli  altri  vivono  prevalentemente  nell'acqua  ;  ma 
anche  ammessa  una  tale  ragione,  non  si  può  escludere  quella 
propria  della  maggiore  semplicità  della  forma  patologica,  dovuta 
alle  differenze  specifiche  del  parassita  e  dell'ospitatore. 

Negli  animali  superiori  il  parassita  ha  forme  giovanili  negli 
strati  profondi,  adulto  negli  strati  superficiali;  e  le  forme  gio- 
vanili differiscono  dalle  adulte,  oltre  che  per  la  posizione  e  gran- 


—  201   — 

dezza  anche  per  il  diverso  modo  di  colorarsi,  essendo  le  giovani 
prevalentemente  cromatofile,  e  le  adulte  colorandosi  con  i  colori 
plasmatici.  È  una  malattia  interessante  dal  punto  di  vista  filo- 
genetico, giacché  negli  Anfibi  «  presenta  una  condizione  primor- 
diale rispetto  a  quella  più  evoluta  che  oftre  nei  Vertebrati  su- 
periori, cioè  negli  Uccelli  e  nei   Mammiferi  ». 

BoRREL  ('903)  crede  il  M.  e.  dell'  Uomo  affezione  molto 
simile  al  Vaiuolo  dei  Polli,  e  ritiene  entrambe  tali  malattie 
da  porsi  nella  categoria  dei  tumori  epitelioidi.  Il  nodulo  di  M. 
e.  dei  Polli,  macroscopicamente  verrucoso,  è  costituito  da  uno 
sviluppo  esagerato  delle  cellule  dell'epitelio  malpighiano,  per  cui 
si  costituisce  un  bottone  epiteliale ,  mammellonato .  invaginato, 
qualche  volta  grosso  come  un  pisello,  poi  prominente  alla  super- 
ficie cutanea  e  con  al  centro  una  depressione  ,  da  dove  si  sfo- 
gliano le  cellule  epiteliali  cheratinizzate.  Le  cellule  incistidate 
furono  ritenute  i  primi  Coccidi  ed  il  punto  di  partenza  di  tutta 
la  quistione  degli  Sporozoi,  secondo  Neisser  ('888;  '891). 

Il  virus,  sebbene  indeterminato,  è  inoculabile  con  esito  po- 
sitivo, anche  dopo  la  filtrazione:  ritiene  per  tal  ragione  l'A.  che 
la  teoria  dei  Coccidi  nei  tumori  epiteliali  ha  avuto  una  voga  con- 
siderevole, perchè  non  si  conoscevano  fino  a  questo  momento 
che  dei  parassiti  intracellulari,  dei  Protozoi,  dei  Coccidi  capaci 
di  far  proliferare  le  cellule  epiteliali.  Dato  che  oltre  i  Coccidi 
anche  funghi,  fermenti,  ecc.  possono  determinare  il  medesimo  ri- 
sultato, crede  più  opportuno  riunire  queste  affezioni  in  un  capi- 
tolo di  tumori  epitelioidi,  i  quali  sarebbero  generati  da  virus  a 
carattere  epiteliale,  virulenti  anche  dopo  di  aver  attraversato 
i  filtri. 

Apolant  ('903j  ha  impiegato  per  il  M.  e.  degli  Uccelli  pa- 
recchi metodi  speciali  di  fissazione  e  di  colorazione,  cosi  la  fis- 
sazione col  liquido  di  Hermann,  seguita  dall'azione  dell'acido  pi- 
rogallico ,  la  colorazione  Pappentheim  -  UnxVA  ,  la  colorazione  allo 
Scharlach  E,,  e  1'  acido  osmico  e  crede  di  aver  potuto  risolvere 
la  natura  microchimica  delle  inclusioni  cellulari  nel  senso  che 
sarebbero  di  due  specie ,  le  une  dovute  alla  degenerazione  del 
nucleo  e  le  altre  a  quella  del  protoplasma:  sul  principio  non  si 
avrebbero  in  queste  inclusioni  sostanze  grasse,  che  più  tardi  in- 
comincerebbero ad   apparire  sotto  l'aspetto  di   fine  gocciole. 

Hertwig  ('904 1  interpetra  le  inclusioni  cellulari  come  ero- 
midi,  cioè  come  diffusione  di  protcidi  nucleari  lungo  i  fili  cro- 
matici del  protoplasma;  si  avrebbe  un  doppio  ordino  di  feno- 
meni, i  nucleari  ed  i  protoplasmatici. 


—  202  — 

JuLii'siìKiiG  ''904;  905)  lia  stritolato  con  della  sabbia  fina 
dei  tumoretti  di  M.  e.  umano  od  lia  allungato  la  poltiglia  con 
del  brodo  ed  ha  filtrato  il  tutto  attraverso  ad  una  candela 
Chamberland.  Non  è  stato  possibile  dal  filtrato  ottenere,  nei  co- 
muni mezzi  di  cultura,  innesti  favorevoli,  e  d'altronde  la  candela 
era  stata  provata  con  microbi  noti  e  non  li  lasciava  passare.  I- 
noculò  al  braccio  suo  e  di  due  colleghi  il  filtrato  e  protesse  il 
punto  di  innesto  con  garza  storile:  dopo  cinquanta  giorni  in  uno 
degli  inoculati  si  manifestarono  sessaìita  tumori  di  Mollusco,  il 
cui  esame  istologico  presentò  i  medesimi  caratteri  della  lesione 
iniziale. 

L'  A.  trae  argomento  per  ritenere  che  anche  1'  agente  del 
M.  e.  dell'Uomo  possa  attraversare  i  filtri,  avendo  in  ciò  un  ca- 
rattere comune  col  M.  e.  degli  Uccelli. 

Rehms  &  Salmon  ('904)  hanno  adoperato  il  radium  come 
metodo  di  cura  degli  epiteliomi.  Il  radium  impiegato  era  conte- 
nuto in  una  scatola  di  ebanite  a  lamelle  di  mica;  la  scatola  con- 
teneva ora  10,  ora  50  milligrammi  di  bromuro  di  radio  puro. 

I  tumori  utilizzati  li  classificano  ])er  ordine  di  gravità  de- 
crescente in:  1.*^  Epitelioma  sviluppato  su  un  punto  di  leucopla- 
sia  sifilitica  del  labbro  di  un  vecchio,  epitelioma  senza  tendenza 
ad  accrescimento  rapido.  2.»  Epitelioma  periato  della  palpebra 
e  della  congiuntiva  in  una  giovine.  3.°  Verruche  senili  e  sebor- 
roiche.  4.0  Corno  della  faccia.  5.°  Papilloma  del  labbro.  6.»  Verru- 
che giovanili.  7.0  Mollusco  contagioso.  E  vengono  alla  conclu- 
sione che  la  sensibilità  massima  si  osserva  sulle  cellule  epiteliali 
giovani,  nei  tumori  maligni  per  es.  L'azione  del  radium  è  meno 
rapida  nei  casi  di  cellule  cornee,  ed  è  meno  facile  ancora  se  si 
tratta  di  Mollusco  grasso,  di  neo  pigmentario,  di  tumori  con- 
genitali. 

BoHREL  ('904)  riferisce  di  trovare  il  il/,  e.  degli  Uccelli  un 
soggetto  particolarmente  favorevole  allo  studio ,  specialmente 
dopo  i  lavori  di  Marx  &  Sticher  ('902;  "903)  e  quello  di  Julius- 
BKRG  ('904).  Ha  potiito  osservare  le  inclusioni  cellulari,  che  furono 
ritenute  da  Neisser  ('888;  '891)  come  Coccidi,  e  la  cui  colorazione 
riesce  meno  agevole  nei  tagli,  anziché  nei  preparati  a  fresco.  Con 
lo  strofinamento  sui  tumori  ha  ottenuto  preparazioni  speciali: 
fissate  col  calore,  sgi-assate  o  colorate  sia  con  la  fuxina  di  Ziehl, 
o  col  metodo  di  colorazione  delle  ciglia,  ha  visto  che  queste  mo- 
strano degli  ammassi  granulosi,  che  si  scompongono  in  una  grande 
quantità  di  elementi  molto  tenui,  micrococcici,  isolati,  in  diplo- 
cocci,  in  catoiU'Uo,   in  sljilìlococci. 


208 


Con  il  metodo  di  Lòffler  si  vede  intorno  a  ciascun  elemento, 
molto  colorito  e  ben  definito,  una  specie  di  inviluppo  mucoso.  Il 
loro  a.spetto  molto  regolare  e  le  dimensioni  molto  uguali  non 
sono  in  favore  di  un  precipitato,  bensì  danno  la  rassomiglianza 
con  elementi  microbici.  L'A.  si  domanda  se  questi  Corpuscoli 
derivano  da  inclusioni  intracellulari  o  esistono  nelle  cellule  epi- 
teliali o  sono  situati  in  altri  punti  a  lato  dell'  inclusione  del  tu- 
more, che  i  tagli  non  mostrano  per  il  diverso  modo  di  colorarsi, 
essendo  le  o-iovani  cellule  prevalentemente  cromatofile,  e  le  adulte 
colorandosi  con  i  colori  plasmatici.  E  una  malattia,  interessante 
dal  punto  di  vista  filogenetico,  giacché  negli  Anfibi  <^  presenta 
condizione  primordiale  rispetto  a  quella  che  offre  nei  Vertebrati 
superiori,  cioè  negli  Uccelli  e  nei  Mammiferi  ». 

Marullo  ('904)  nega  la  origine  glandolare  del  M.  e.  e  trova 
che  la  parte  centrale  del  tumore  è  formata  da  una  massa  epite- 
liale e  le  parti  laterali  dagli  strati  epidermoidali,  che  sono  separati 
dalla  massa  epiteliale  centrale  da  connettivo,  che  si  assottiglia 
sino  a  scomparire,  a  misura  che  si  va  in  alto  verso  l'apice,  dove 
gli  strati  epidermoidali  mancano,  perchè  hanno  subito  uno  spro- 
fondamento verso  la  massa  centrale  epiteliale  con  la  quale  si  con- 
tinuano direttamente.  Cosicché  l'apice  del  tumore  si  presenta  come 
un  cratere  le  cui  pareti  sono  formate  dagli  strati  epidermoidali, 
che  si  sono  piegati  verticalmente  in  basso,  formando  una  cavità 
cilindrica.  La  massa  epiteliale  che  forma  il  nucleo  del  tumore 
ha  origine  direttamente  dagli  strati  epidermoidali  e  più  preci- 
samente dallo  strato  di  Malpighi,  essendo  essa  costituita  da  una 
massa  di  cellule  cilindriche  aggruppate  in  più  noduli  di  diversa 
grandezza,  che  non  sono  altro  che  il  risultato  di  una  prolifera- 
zione, che  ha  il  suo  punto  di  partenza  in  una  o  più  cellule.  La 
forma  a  grappolo  del  tumoretto  è  dovuta  agli  ostacoli  ed  alle 
pressioni,  che  incontrano  le  masse  delle  cellule  epiteliali  nelloro 
13roliferare.  La  cavità  crateriforme  dell'apice  del  tumore  è  riem- 
pita da  cellule  cilindriche  già  in  fase  degenerativa  colloidea,  la 
maggior  parte  delle  quali  presenta  1'  aspetto  splendente  carat- 
teristico dei  Corpuscoli  del  Mollusco. 

Le  Cheratoj alina  manca  nei  noduli,  che  formano  l'apice  del 
tumore,  essendo  questi  costituiti  in  massima  parte  da  corpi  in- 
colori di  aspetto  omogeneo,  opalescenti,  di  forma  ovale  e  rotonda 
(i  caratteristici  Corpuscoli  del  Mollusco),  invece  è  riccamente 
sparsa  nei  noduli  laterali  ed  inferiori  come  granulazioni  gros- 
solane e  fine,  nello  cui  maglie  si  vedono  i  Corpuscoli  del 
Mollusco  in  fase  più  o  meno  avanzata  di  degenerazione  colloide. 


—  204  — 

Verso  la  parete  cellulare  l'A.  osserva  una  sostanza  por  lo  più  in 
forma  di  lamelle,  che  si  adattano  con  la  loro  superficie  convessa 
alla  parete  cellulare  e  guardano  perciò  con  la  loro  superficie  con- 
cava la  parte  centrale  della  cellula.  La  sostanza  cornea,  di  cui 
risultano  queste  lamelle,  la  considera  come  il  prodotto  di  un  pro- 
cesso in  certo  modo  fisiologico,  e  la  si  vede  quasi  sempre  alla 
periferia  delle  cellule,  dove  pare  che  si  inizii  il  processo  di  cor- 
nificazione,  forse  a  causa  delle  pressioni  che  si  esercitano  da  tutti 
i  lati  intorno  alla  cellula  e  che  produce  un  essiccamento  del  tes- 
suto, che  va  dalla  periferia  al  centro  cellulare:  venendo  in  tal 
modo  alla  medesima  conclusione  di  Unna  :  che  una  parte  soltanto 
del  protoplasma  delle  cellule  spinose  si  ispessisce  in  una  massa 
colloidale,  mentre  una  parte  molto  minore  di  essa  rimane  di 
struttura  reticolare  e  vacuolare,  mentre  nel  mantello  esterno  della 
cellula  la  coruificazione  fa  il  suo  corso  normale.  Quando  la  cellula 
è  in  degenerazione  colloidea  pare  una  piccola  sfera,  circondata 
da  un  bordo  libero  con  filamenti  epiteliali  che  le  fanno  corona. 
«  Questa  forma  cellulare  fu  oggetto  di  molte  discussioni  perchè 
fu  da  alcuni  descritta  come  parassita  animale,  mentre  che  non 
rappresenta  altro  che  l'ultimo  stadio  del  processo  coUoideo  che 
ha  invaso   tutta  la  cellula.  » 

MiOHAELis  ('903)  si  è  anche  lui  occupato  della  natura  micro- 
chimica delle  inclusioni  cellulari  e  viene  al  risultato  (servendosi 
della  colorazione  allo  Scharlach  E,,  all'acido  osmico,  della  reazione 
di  mordenzameuto,  della  differenziazione  col  ferrocianuro  di  po- 
tassio, del  metodo  di  G-ram,  ecc..)  che  le  inclusioni  sono  di  na- 
tura mista  albuminoidea  e  grassa.  Nota  che  la  reazione  di  mor- 
denzameuto non  è  mai  data  dai  tessuti  sani,  e  che  la  reazione  del 
grasso   è  data  anche  da  parassiti  autentici,  come  VAdinomices. 

EwiNG  (;'905)  studiando  le  lesioni  epiteliali  prodotte  sulla 
cornea  del  Coniglio  e  del  Sorcio  dall'  innesto  di  virus  vaccinico, 
piuttosto  che  parassiti,  iriterpetra  le  inclusioni  cellulari  come  ero- 
midi,  seguendo  in  ciò  le  idee  espresse  da  R.  Hertwig  ('904).  La 
fissazione  dei  preparati  con  l'alcool  assoluto  e  la  colorazione  cro- 
matinica  alla  Romanowsky  dimostra  la  struttura  reticolata  di  tali 
inclusioni,  che  rispondono  a  tutta  le  reazioni  della  cromatina. 
D'altronde  crede  non  si  possa  essere  autorizzati  ad  escludere  la 
possibilità  di  un  agente  patogeno  qualsiasi,  che  si  trovi  impigliato 
nelle  maglio  di  questo  reticolo  cromidiale. 

Bosc  i'905  1")  trova  che  il  M.  e.  dell'Uomo  presenta  tutti  i 
caratteri  essenziali  dolio  malattie  briociticho:  la  crede  quindi  una 
affezione   virulenta,  contagiosa  ed   iuooulabilo,    ma    localizzata,  ai 


—  206  — 

punto  di  inoculazione  senza  che  lo  stato  generale  ne  risenta;  è 
caratterizzata  da  piccoli  noduli  cutanei  ombelicati  al  centro.  Questi 
noduli  si  originano  nelle  cellule  malpighiane  della  superficie  cu- 
tanea sotto  forma  di  piccoli  ammassi,  che  gemmando  danno  ori- 
gine a  bottoni  epiteliali  secondarli.  Le  cellule,  per  una  trasforma- 
zione colloido-cornea,  aumentano  di  volume  e  subiscono  una  iper- 
trofia chiara  progressiva,  e,  per  questa  metamorfosi  degenerativa, 
si  producono  deformazioni  cellulari  e  tale  una  disorientazione  che 
conduce  alla  genesi  di  sferule  epidermiche.  Tali  lesioni  epiteliali 
sono  identiche  a  quelle  di  ogni  gruppo  briocitico:  sono  costituite 
essenzialmente  da  ipertrofia  chiara  per  aumento  dell']  al oplasma, 
plasmolisi  progressiva,  che  conduce,  per  liquefazione  dell'jalopla- 
sma,  alla  disparizione  progressiva  dello  spongioplasma  e  degene- 
razione cherato-colloide  della  periferia  ed  alla  trasformazione  della 
cellula  in  una  cavità  limitata  da  una  spessa  membrana.  Il  nucleo 
presenta  anche  fenomeni  degenerativi  degni  di  nota. 

Bosc  ('905  2°)  ritiene  che  le  inclusioni  cellulari  del  M.  e. 
sollevano  le  stesse  difficoltà  di  interpretazione  delle  inclusioni  del 
Vainolo,  ed  egli  le  crede  in  rapporto  col  miscuglio  dei  prodotti 
di  degenerazione  e  dei  corpi  parassitari.  Alcuni  di  questi  corpic- 
ciuoli,  per  la  ridazione  e  disparizione  della  massa  residuale  cen- 
trale, per  la  virulenza  delle  cellule  superficiali,  che  li  rinchiudono, 
per  l'assenza  di  forme  intermedie,  debbono  ritenersi  corpi  paras- 
sita.ri,  cioè  come  masse  circondate  di  fine  granulazioni  e  di  cor- 
puscoli quasi  invisibili  intraprotoplasmatici. 

Le  cellule  del  M.  e.  rinchiudono  quindi  inclusioni  di  volume 
variabile,  le  cui  più  piccole  sono  a  pena  visibili,  e  di  cui  le  più 
voluminose  riempiscono  il  protoplasma  cellulare,  e  che  sono  ve- 
rosimilmente di  natura  parassitaria,  e  delle  .formazioni  intranu- 
cleari  che  possono  divenire  intraprotoplasmatiche,  dovute  a  mo- 
dificazioni degenerative  del  plasmosoma  e  difficili  a  differenziare 
dalle  prime. 

Galli-Valerio  ('905),  osservando  a  fresco  dei  noduli  di  M.  e. 
in  una  soluzione  di  NaCl  ,  ha  potuto  constatare  fra  le  cellule 
ovoidi  granulose  in  degenerazione  corpuscolare  un  gran  numero 
di  piccoli  corpicciuoli  rotondi,  di  2.5-3  «i  di  diametro,  a  doppio 
contorno,  con  una  macchia  centrale,  presentanti  dei  leggieri  mo- 
vimenti di  oscillazione  ed  alcuni  germogli  alla  periferia.  L'A. 
per  le  reazioni  microchimiche  li  battezza  come  blastomiceti,  seb- 
bene i  tentativi  di  cultura  e  di  inoculazione  negli  animali  di 
esperimento  sieno  restati  senza  risultato  :  e  pensa  per  analogia 
con  altre  affezioni  della  pelle,  che  questi   corpicciuoli    blastomi- 


—  206  — 

ci-tici  cltìbbuno  ussero  interpretati  come  la  eausa  etiologica  della 
malattia  in  parola. 

LòwENTHAL  ('906)  ha  osservato  Piccioni  dotati  di  immunità 
naturale  ed  altri  che,  dopo  guariti  spontaneamente  della  malat- 
tia, possedevano  una  immunità  molto  forte,  ma  di  breve  durata, 
giacché,  avendo  inoculato  dei  Piccioni  sul  petto  e  poi  escisso 
dopo  un  poco  di  tempo  i  tumori  prodottisi,  e  fatta  la  reinocu- 
lazione sulle  palpebre  ,  osserva  che  V  innesto  è  sempre  positivo 
dopo  uno  spazio  di  tempo  tale  che  i  tumori  del  petto  si  sieno 
completamente  sfogliati.  Il  inrus  resiste  alle  emanazioni  del  ra- 
dium per  cinque  ore  e  mezzo. 

Reischauer  (^'906)  dà  molte  caratteristiche  del  virus  del 
M.  e.  degli  Uccelli  :  questo  virus  resiste  al  calore  umido  cinque 
minuti  a  100°,  al  calore  secco  15  a  30  minuti  ad  SO^',  è  ucciso 
in  cinque  minuti  dalla  potassa  caustica  all'  l^/o,  dall'  acido  ace- 
tico airi^'/o,  dall'acido  fenico  all'l°/o,  dal  sublimato  corrosivo 
airio/oo.  Si  tratterebbe  di  un  virus  resistente  come  le  spore  bat- 
teriche. L'A.  descrive  delle  piccole  forme  Coccidiche  che  attra- 
verserebbero i  filtri,  e  crede  che  le  inclusioni  cellulari  del  M.  e. 
dell'Uomo  diflerirebbero  alquanto  per  la  loro  forma  maggiore  da 
quelle  delle  cellule  vacciniche  e  dovrebbero  piuttosto  essere  in- 
terpetrate  come  semplici  degenerazioni. 

BuENET  ('906)  dice  che  per  poter  dimostrare  1'  origine  bat- 
terica del  M.  e.  degli  Uccelli  bisognerebbe  coltivare  il  virus  sotto 
la  forma  di  micrococci  caratteristici  descritti  da  Borrel  ('904), 
il  che  non  è  stato  possibile  ottenere.  L'A.  arriva  però  all'  idea 
di  trattarsi  di  un  virus  intracellulare  di  natura  batterica,  sia  stu- 
diando la  parte  fisiologica  e  microbiologica  del  virus  ,  sia  stu- 
diando le  iuclusion^cellulari;  crede  che  non  bisogna  contentarsi 
di  sapere  che  un  virus  attraversa  la  candela  Berkefeld.  giacché 
le  candele  Berkkfeld  non  sono  tutte  identiche  e  sono  necessarii 
d'altronde  dei  dati  precisi  sopra  la  natura  della  candela,  sulla  du- 
rata della  filtrazione,  sul  modo  di  sterilizzazione,  sulle  condizioni 
di  temperatura,  e  sulla  lu'esenza  di  un  microbo  testo.  L'esempio  del 
Micromonas  mesnUi  di  Borrel,  le  forme  di  cultura  di  Trypanosoma 
laevisi  (Novy  e  Mao  Nkal),  se  mostrano  che  vi  sono  dei  Protozoi, 
che  filtrano  e  che  sono  anche  più  piccoli  di  numerosi  batteri 
che  attraversano  la  candela  Berkefeld,  d'altra  parte  non  rende 
probabile  l'ipotesi  di  Goccidi  come  produttori  della  malattia  in 
parola  e  fa  jmuI tosto    ritenere   possibile  l'esistenza   di    un   virus 

1  i.ll  t  l'I'ic»)    ;ili;i  j()i;(i    ,|     (|ll('ll()    dolili     ]  X'I'I  |  )li( 'Illili  in  ÌM  . 


—  207  — 

Circa  le  inclusioni  cellulari  così  conchiude  il  suo  lavoro: 
e  Le  forme  che  si  osservano  nell'interno  delle  cellule  ammalate 
si  riportano  a  tre  tipi  :  nucleo,  cromidi  ed  inclusioni  :  i  tre  tipi 
sono  visibili  nelle  cellule  dei  tagli  fissati  al  Flemming  e  colorati 
con  il  rosso  di  Magenta  ed  il  picro-indigo-carminio  :  il  nucleo 
è  più  o  meno  intatto  —  l' inclusione  spessa  ;  —  e  delle  granula- 
zioni cromatiche  estranucleari.  Nelle  cellule  isolate  colorate  al 
GiEMSA  non  si  vede  che  il  nucleo  e  1'  ammasso  delle  granula- 
zioni cromatiche  estranucleari  :  V  inclusione  non  è  visibile  :  nelle 
cellule  isolate  trattate  con  il  processo  di  Lòffler  si  vede  il  nu- 
cleo e  gli  ammassi  di  micrococci ,  non  si  vedono  le  granula- 
zioni cromatiche  estranucleari. 

Tutti  i  processi  permettono  la  colorazione  del  nucleo  ;  il 
GiEMSA  non  colora  le  inclusioni,  ed  i  micrococci  non  si  colorano 
che  con  il  metodo  di  Lòffler.  Se  si  riportano  queste  osservazio- 
ni a  quelle  degli  aa.  che  hanno  studiato  i  fenomeni  citologici 
delle  malattie  eruttive  ed  epiteliali,  uno  si  rende  conto  che  non 
esiste  nessuna  confusione;  ed  è  facile  stabilire  la  corrispondenza 
fra  le  forme  descritte.  Per  il  nucleo  non  vi  è  materia  a  conte- 
stazione. T  corpi  cromatici  extranucleari,  corrispondono  alle  for- 
mazioni intracellulari,  già  segnalate  nel  Vaccino,  nel  Vainolo, 
nel  M.  e,  come  dei  parassiti  (Corpi  del  G-uarnieri),  come  dei 
leucociti  (Metschnikoff,  Salmon).  Borrel  aveva  accettato  prov- 
visoriamente questa  ipotesi.  Ma  non  vi  è  più  dubbio  oggi,  so- 
pratutto dopo  il  lavoro  di  Ewing,  che  questi  corpi  cromatici 
sono  dei  cromidi.  La  loro  natura  parassitaria  non  è  più  ammessa 
per  il  cancro,  allorché  si  accettava  ancora  perii  vaccino.  Borrel 
mostrò  nella  sua  memoria  del  1901  che  i  pretesi  parassiti  di 
Sawtchenko  erano  dovuti  ad  una  evoluzione  speciale  della  sfera 
attrattiva  della  cellula  cancerigna  e  stabiliva  i  rapporti  che  esi- 
stevano fra  l'idiosoma  dello  spermatocito,  i  corpi  vitellini  del- 
l'uovo (nelle  Cavie)  e  l'arcoplasma  della  cellula  cancerigna.  Sono 
le  medesime  granulazioni  cromatiche  che  sono  state  interpretate 
come  cromidi,  nel  cancro,  da  R.  Hertwig;  la  medesima  inter- 
pretazione è  stata  estesa  al  vaccino  da  Ewing.  In  fondo  è  la 
medesima  cosa  che  ha  detto  Borrkl.  Vi  è  più  di  un  avvicina- 
mento fra  i  fenomeni  descritti  da  R.  Hertwig,  noWActinosp/me- 
rimn  eichhornii. 

Nel  cancro,  nel  vaccino,  i  cromidi  sono  le  sole  forme  extra- 
nucleari nettamente  visibili.  Le  inclusioni  massive  sono  proprie 
dell'Epitelioma  contagioso  degli  Uccelli  e  del  Mollusco 
umano.  Come  tali  non  sono  state  viste  nel  Cancro  e  nel  Mol- 


—  208  - 

hisco  Umano.  Non  è  possibile  di  interpetrarli,  che  utilizzaiulo 
una  tecnica  capace  di  dissociare  gli  ammassi  che  restano  com- 
patti sopra  i  tagli  fissati  ed  una  colorazione  più  energica  dei 
coloranti  usuali.  E  ciò  elio  ha  realizzato  Borrel,  facendo  dei 
strofinamenti  ed  usando  il  metodo  di  Lòffler. 

Borrel  ha  segnalato  e  presentato  nei  tagli  di  pustole  vac- 
ciniche intorno  al  nucleo  «  una  sostanza  granulosa  colorata  in 
rosso  pallido  >  (Flemming:  rosso  di  Magenta,  picro-indico-carmitiio), 
che  sarebbe  l'omologo  delle  inclusioni  epiteliomatose.  Le  cellule 
del  vaccino  rinchiudono  queste  tre  forme,  nucleo,  cromidi.  in- 
clusioni parassitarie.  Ma  sopra  preparati  ottenuti  per  strofina- 
mento, trattati  al  metodo  di  Lòffer,  non  si  possono  mettere  in 
evidenza  che  degli  ammassi  di  micrococci  distinti. 

Tutti  i  fatti  si  accordano,  a  condizione  che  si  voglia  distin- 
guere questi  tre  tipi  di  corpi  intracellulari  e  che  non  si  pretenda 
di  ritrovarli  uniformemente,  con  la  stessa  nettezza  ed  il  mede- 
simo sviluppo  in  tutte  le  malattie  eruttive  ed  epiteliali.  L'Epi- 
telioma contagioso  degli  Uccelli  è  fra  queste  affezioni  quella 
nella  quale  si  vedono  più  distintamente  le  tre  forme:  nucleari,  cro- 
midiali  e  parassitarie.  La  natura  batterica  delle  inclusioni  non  è 
àncora  che  una  ipotesi.  Ma  sembra  che  non  vi  sia  il  diritto  di 
non  tenerne  conto  per  delle  nuove  esperienze.  Bisogna  da  una 
parte  cercare  delle  nuove  reazioni  istochimiche  per  definire  la 
natura  delle  inclusioni  ;  d' altra  parte,  tentare  di  coltivare  i  mi- 
crococci. Solo  la  cultura  può  provare  la  verità  di  questa  ipotesi 
si  interessante  per  lo  studio  delle  malattie  a  localizzazione  epi- 
teliale: il  virus  dell'  epitelioma  contagioso  degli  Uccelli  è  un  bat- 
terio filtrante,  che  si  trova  in  ammassi  nelle  cellule  ammalate  >. 

Casagrandi  ('906j  ha  anche  egli  filtrato  alla  candela  Ber- 
KEFELD  la  poltiglia  di  noduli  di  M.c.  ed  ha  cercato  di  osservare 
il  filtrato  a  microscopio  e  di  trattarlo  con  i  vari  metodi  di  co- 
lorazione. Nei  preparati  freschi  ha  notato  delle  masse  granulose 
dotate  di  movimento  oscillatorio  e  che,  colorate,  presentavano  in 
generale  forma  mal  definita  e  qualche  volta  allungata.  Il  metodo 
di  colorazione  di  Giemsa  permette  una  maggiore  differenziazione, 
giacché  i  preparati  così  ottenuti  lasciano  vedere  alcuni  elementi 
tinti  in  rosso  carminio,  che  egli  interpetra  per  forme  parassitarie, 
le  cui  più  giovani  avrebbero  una  struttura  granulosa,  laddove  le 
più  vecchie  nti  presenterebbero  una  reticolare.  Si  avrebbero  pure 

•  •l<3menti  colorati   in  bleu  senza  struttura  determinata,    ed  infine 

•  ■li'Uifiil  i   ai'ci(liMil  ;ili,  l.i   cui   ('(tlor.iziout'   r   N'ariaUilc, 


—  209  — 

Lipschììtz  ('907;  dopo  di  uvav  uscisse  dui  iuiiiorciU  di  Mol- 
lusco contagioso  ed  averli  stemperali  nell'acqua  distillata  o  in 
una  soluzione  fisiologica,  li  ha  fissati,  facendo  agire  sulla  mesco- 
lanza r  alcool  assoluto  o  una  mescolanza  di  alcool  ed  etere.  Ne 
ha  allestito  dei  preparati,  colorandoli  in  diverse  maniere:  questi 
preparati  all'  ultramicroscopio  hanno  fatto  vedere  delle  piccole 
granulazioni.  Esaminando  altri  tessuti  simili  con  il  medesimo 
procedimento,  non  si   osservano    le  surriferite  granulazioni. 

Campana  ('907)  alla  regione  geniena  sinistra  di  un  bambino 
ebbe  a  rinvenire  una  tumefazione  della  estensione  e  forma  di  un 
grosso  chicco  di  fava,  sulla  quale,  premendo,  si  avevano  tutti  i 
segni  di  una  piccola  raccolta  purulenta,  tumefazione  che  era  cir- 
condata da  numerosi  noduli  di  M.  e.  Escissi  i  noduli,  l'A.  incise 
la  tumefazione  in  parola,  dalla  quale  invece  di  pus  venne  fuori 
una  massa  sebacea  ateromatosa. 

La  parete  cistica,  fissata  e  sezionata,  mostrò  la  struttura  del 
M.  e.  nelle  sue  fasi  normali,  dai  primi  fenomeni  endo  cellulari  dello 
epitelio  cutaneo,  alla  esistenza  dei  Corpus  coli  ovoidi  del  Lu- 
KOMSKY  ('875),  senza  differenza  alcuna  di  quel  che  si  vede  in  una 
vegetazione  di  Mollusco  ordinario:  nel  centro  si  aveva  con- 
tenuto completamente  grasso ,  come  in  una  cisti  originatasi  da 
una  glandola  sebacea.  Il  fenomeno  non  poteva  essere  attribuito 
alla  vicinanza  di  una  Cisti  ateromatosa  e  di  un  Moli  usco, 
che  avessero  dato  luogo  ad  una  forma  mista,  poiché  quivi  si  tratta 
di  aver  trovato  la  vegetazione  non  rilevata,  ma  incistidata  nella 
cute:  si  aveva  quindi  a  che  fare  con  una  grossa  massa  di  Mol- 
lusco, nel  cui  centro  si  trovava  la  raccolta  di  grasso  ateromatoso. 

SABE]yjA  ('907j  ha  voluto  ricercare  parallelamente  lo  stato  del 
parassita  del  M.  e.  inoculato  in  piccole  borse  aperte  fra  gli  strati 
connettivi  della  cornea  di  Coniglio  e  quello  di  G-regarine  messe 
in  identiche  condizioni ,  nello  stesso  tessuto  ed  organo  di  altro 
Coniglio,  In  un  Coniglio  nel  quale  si  era  inoculato  fra  gli  strati 
della  cornea  materiale  Gregarinoso  asettico,  innestò  nell'  altro 
occhio  un  pezzetto  di  nodulo  di  M.  e;  essendo  sopravvenuta  che- 
ratite parenchimatosa,  asportò  le  cornee  di  ambo  i  lati  e  le  fissò 
in  alcool.  Il  materiale  restò  in  sito  circa  due  giorni.  La  sezione 
della  cornea  inoculata  con  M.  e.  lascia  vedere  che  i  Corpuscoli 
erano  avvizziti,  meno  evidenti,  e  che  nel  tessuto  corneale  non 
ne  apparivano,  essendovi  solo,  in  mezzo  ad  una  lieve  infiltrazione 
leucocitaria,  qualche  Corpuscolo  come  un  nucleo,  ma  traspa- 
rente :  erano  elementi  isolati,  che  si  vedevano  solo  nella  zona 
periferica  del  trapianto.  Nella  cornea,  invece,    inoculata  con  ma- 


—  '210  — 

tcrialt'  (ìif^;iriiK»su  si  n(»la  il  i-tjniKiltivo  ((iiinMlr  con  i  C'aiiali 
plasnuitici  (lihitiiti  ;ittorno  il  tratto  di  inoculazione  e  dentro  di 
essi  linieociti  ,  clic;  circondano  anche  lo  pareti  della  cavità  ovf^ 
sono  lo  Gregarine.  tutto  anniccliiate  in  un  ])ic(;olo  ])uni<)  ed  un 
po'  vizze  verso  le  pareti  e  poco  colorabili. 

Non  mi  sembra  che  i  risultati  ottenuti  dall' A.  possano  essere 
scevri  di  ciitica,  dato  il  materiale  di  studio  non  molto  opportuno  : 
infatti,  i  noduli  di  M.  e.  furono  tolti  da  un'inferma,  la  cui  dia- 
gnosi delle  affezioni  morbose  era  la  seguente:  »  Proctite  catar- 
rale con  ragadi;  condilomi  acuminati  vulvari  ed  endouretrali ; 
mollusco  contagioso  sugli  organi  genitali  esterni;  panadenopatia ; 
sifìlide  pigmentaria  (^cervicale):  pitiriasis  versicolor.  » 

Skrra  ('907)  ha  esperimentato  su  alcuni  individui  i  filtrati 
di  noduli  di  M.  e.  ottenuti  attraverso  ottime  candele  Bkrkefeld 
TF,  seguendo  la  stessa  tecnica  che  per  il  virus  vaccinico.  La 
inoculazione  riusci  positiva,  avendosi  la  riproduzione  dei  nbduli 
in  2  casi  su  3,  dopo  un  periodo  di  incubazione  che  va  dai  30  ai 
90  giorni  ;  pensa  che  il  virus  del  M.  e.  di  Bateman  sia  filtrabile. 
Esclude  la  natura  Protozoica  di  esso  ;  e,  paragonando  i  risultati 
da  lui  ottenuti  con  la  colorazione  di  Giemsa,  e  da  Burnet  ('906i 
nel  Vainolo  dei  Polli  e  nel  M.  e.  dell'Uomo,  viene  alla  con- 
clusione della  diversa  etiologia  delle  due  affezioni,  che  avrebbero 
una  analogia  più  apparente,  che  reale. 

Discussione  critica  desunta  dalla  Bibliografia. 

Questa  è  la  storia  del  M.  e.  Come  molteplici  sono  stati  i  nomi 
con  i  quali  i  vari  osservatori  hanno  indicato  o  hanno  confuso  l'af- 
fezione in  parola,  cosi  varie  e  disparate  sono  state  le  opinioni 
emesse,  sia  sulla  sede  anatomo-patologica  della  lesione,  sia  sulla 
natura  di  essa,  sia  sul  contagio,  sia  sui  supposti  parassiti. 

Infatti,  pur  non  tenendo  conto  delle  imperfette  descrizioni  di 
Plengk  ('777)  e  di  Ludwig  ('793) ,  uè  dell'incerto  modo  di  dia- 
gnosticare il  M.  e.  ed  il  M.  p.  da  parte  di  Willan  [in  Bateman 
('817)]  e  di  Batkman  ('817),  anche  Rayer  ('835)  pare  abbia  trat- 
tato sotto  il  nome  di  Elevazioni  follicolari  delle  efflorescenze 
che  del  M.  e.  hanno  tutti  i  caratteri.  La  incertezza  sulla  esatta 
diagnosi  continua  oltre  che  per  opera  di  aa.  relativamente  anti- 
chi, come  Berend  ('839),  Hanck  ('840),  Turnbull  ('841),  Engel 
('865  )  ecc.,  anche  per  quella  di  osservatori  recenti,  come  Mac  Leod 
^^^'880-81),  Hydk  ('880),  Gtrunewald  ('885),  ecc.  Il  vedere  propa- 
gare  In    malattia   fra    le    persoiK^    della    medesima    famiglia    [Ba- 


—  211   — 

TEMAN('817);  Pateusun  ('841);  Hutchinson  i'867|;  Fox  ('878);  Eames 
('872),  ecc.],  il  riscontrare  piccole  epidemie  negli  ospedali  [Caii.- 
LAULT  ('851) J,  nei  brefotrofi  [Graham  ('892)],  nei  collegi  [Allen 
('886);  MiTTENDORF  ('886);  Stelwangon  ('889j,  ecc.],  fece  natural- 
mente pensare  alla  sua  natura  infettiva  e  dette  origine  a  tutte 
le  ricerche  atte  ad  individualizzare  gli  agenti  del  contagio. 

D'altra  parte  i  tentativi  di  inoculazione  sperimentale  di  pezzi 
di  M.  e.  o  della  sostanza  ottenuta  dall'espressione  di  esso,  sia 
sull'Uomo,  sia  sugli  animali  di  esperimento,  come  l' orecchio  del 
Coniglio  e  nei  Polli  (Tòrok  &  Tommasoli  ('889)],  nel  peritoneo  di 
Cavie  [AuDRY  ('889)],  ecc.  ebbero  risultati  molto  dubbi  e  nel  mag- 
gior numero  dei  casi  negativi,  fecero  dubitare  del  contagio  [Hkbra 
('845);  RiBBENTROP  ('866-72),  ecc.]  e  divisero  la  schiera  dei  der- 
matologi e  degli  anatomisti  patologi  nei  fautori  del  contagio  e 
nei  contrari  ad  esso. 

L'inoculazione  fatta  con  esito  positivo  da  Retzius  ("870) 
sulla  cute  del  suo  petto,  previa  scarificazione  ed  inoculazione  del 
contenuto  di  un  nodulo  di  M.  e,  se  pareva  argomento  decisivo 
per  i  fautori  del  contagio,  i  quali  finalmente  rinvenivano  la  prova 
sperimentale  dell'avvenuta  trasmissione  della  malattia;  per  il  lungo 
periodo  di  incubazione  (sei  mesi)  e  per  essersi  atrofizzato  e  ca- 
duto il  tumoretto  dopo  un  bagno,  era  argomento  che  poteva  sem- 
brare molto  opportuno  per  quelli  che  non  ammettevano  la  na- 
tura infettiva  della  dermatosi  in  parola. 

Costoro  -infatti,  anche  volendo  diagnosticare  nel  tumoretto  di 
Retzius  un  nodulo  di  M.  e,  per  il  lungo  periodo  di  incubazione 
(che  non  potevano  spiegare)  erano  tentati  a  supporre  essere  av- 
venuta una  pura  coincidenza.  xA.ltri  infine  più  prudenti,  come 
Neumann  ('874),  ecc.,  pur  non  essendo  stati  fortunati  nei  tenta- 
tivi di  inoculazione,  credono  al  contagio,  ritenendo  i  risultati  ne- 
gativi da  attribuirsi  alle  poche  conoscenze,  che  si  hanno  sui  pre- 
sunti agenti  dell'  infezione. 

Le  ricerche  cliniche  sul  contagio,  sebbene  ostacolate  dagli 
studi  microscopici  e  dalla  diversa  interpretazione  dei  reperti,  por- 
tarono alla  conseguenza  oramai  accettata  da  tutti,  anche  dai  più 
refrattari  [come  Gaucher  &  Sergent  ('898)  che,  pur  confermando 
le  idee  espresse  da  Renaut  ('880),  non  negano  la  possibilità  di 
una  origine  parassitaria  della  lesione],  essere  il  M.  e.  una  eifiore- 
scenza  cutanea  di  natura  infettiva. 

Non  cosi  esplicita  è  stata  la  conseguenza  delle  inoculazioni 
sperimentali,  perchè  rare  sono  state  quelle  riuscite,  infatti,  oltre 
di  Retzius  ('870S  sono  stati  fortunati  Allen  ('886),  Haab,  ('888), 


—  212  - 

Stanzialk  ("890),  Ph;k  ("892),  Nohkl  ('893),  Diubert.)  ('896)  e 
qiiulclio  iiltro.  Il  lungo  pt-riuclu  di  inculiaziono  (da  2  a  6  mesi), 
nessun  conforto  di  esame  istologico ,  ad  eccezione  dell'  inocula- 
zione di  Pick  ('892 i,  sono  argomenti  di  estrema  delicatezza;  anzi 
per  l'inoculazione  positiva  di  Stanziale  ('890)  la  cosa  è  anche  più 
dubbia,  essendo  stata  fatta  l;i.  diagnosi  del  nodulo  di  M.  e.  da  un 
altro  osservatore. 

In  questo  stato  di  cose  era  lecito  dover  pensare  die  il  modo 
di  infezione,  che  si  avvera  nelle  persone  della  medesima  famiglia, 
nei  fanciulli  ricoverati  nei  brefotrofi,  non  dovesse  essere  il  trasporto 
mediato  del  presunto  agente  dall'individuo  ammalato  al  sano, 
tanto  più  che  nella  piccola  epidemia  di  M.  e.  avvenuta  nell'asilo 
di  New- York,  in  seguito  all'ammissione  della  Polly  H..  .  [Allen 
('886)],  il  periodo  di  incubazione  fu  di  molto  più  breve. 

Il  parassita  doveva  quindi  trovare  altrove  il  modo  di  au- 
mentare la  virulenza  o  di  compire  più  brevemente  il  suo  ciclo 
vitale;  con  ciò  non  si  doveva  certamente  dubitare,  che  in  casi 
invero  molto  eccezionali  il  parassita  del  M.  e.  non  potesse  in- 
fettare r  Uomo  passando  da  Uomo  ad  Uomo,  sebbene  anche  per 
questi  casi  si  sarebbe  potuto  mettere  innanzi  l'ipotesi,  che  non 
si  fosse  trattato  di  una  inoculazione  di  parassiti ,  ma  bensì  di 
im  semplice  innesto  di  tessuti   patologici. 

Henderson  ('841)  richiamò  l'attenzione  degli  scienziati  sulla 
presenza  di  alcuni  Corpuscoli  caratteristici  che  si  rinvengono 
nelle  papille  di  M.  e.  e  nella  poltiglia  ottenuta  per  espressione, 
corpicciuoli  molto  refrangenti  la  luce,  di  forma  ovoidale,  a  cui 
dà  il  nome  di  Corpuscoli  del  Mollusco  e  che  crede  i  pro- 
babili agenti  e  trasportatori   dell'infezione. 

Il  non  trovare  nessuna  rassomiglianza  fra  questi  elementi  e 
le  cellule  dell'organismo  umano,  fece  naturalmente  sorgere  l'idea 
essere  dei  parassiti,  e  data  la  imperfetta  cognizione  degli  aa. 
dell'epoca  sui  Protozoi,  si  volle  battezzarli  per  Coccidi ,  nulla 
curandosi  gli  aa.  di  non  rinvenire  nessuna  delle  caratteristiche 
vitali  di  essi.  E  ben  a  ragione  Mingazzini  i  '894)  diceva:  «  E  per 
di  più  vi  si  aggiunga  la  ninna  conoscenza  che  spesso  ha,  chi 
cosi  ragiona,  delle  forme  alle  quali  vuole  attribuire  o  negare  la 
ragione  della  malattia.  Si  parla  infatti  con  indifferenza  di  Gre- 
garine,  Coccidi  ed  altri  Sporozoi,  come  se  le  une  o  gli  altri  fos- 
sero la  stessa  cosa  ed  avessero  un  significato  del  tutto  simile, 
e  chi  ha  voluto  più  degli  altri  approfondire  l'argomento,  ha  li- 
mitato le  sue  osservazioni  al  Coccidium  oviforme  del  Coniglio.  E 
ora  la  moda  degli   Sporozoi,  come  otto  o   dieci    anni    fa    eni    la 


-  213  — 

iikkIh  (lei  Plasiuucli;  allora  tutto  uni  Plasmodio,  adesso  lutlo  è 
Sporozoo  ». 

Per  Klkbs  (^'859.)  il  M.  e.  è  quindi  una  Psorospermosi  ;  per 
Rivolta  (873;  "877)  prima  una  malattia  originata  da  un  Fungo 
e  poi  una  Coccidiosi;  per  Bollinger  ('873;  '878j  o  per  Perron- 
ciTo  ('882')  una  Gregarinosi  simile  al  Vainolo  dei  Volatili 
(  Gefliigelpovken  ) ,  avendo  questi  ultimi  due  aa.  osservato  nel 
Vainolo  dei  Polli  Corpuscoli  simili  a  quelli  studiati  da 
Henderson  ('841)  nel  M.  e.  dell'  Uomo  ;  consecutivamente  pen- 
sarono ad  un  Coccidio,  probabilmente  il  Coccidium  oviforme  del 
Coniglio,  ecc.. 

Non  mancarono  però  tentativi  di  voler  fare  ammettere  come 
agenti  patogeni  oltre  dei  Protozoi  anche  dei  microorganismi,  cosi 
Hardy  ì_'863)  pensa  alla  presenza  di  fìto-parassiti,  dichiarati  in- 
sostenibili da  De  Amicis  ('874)  ;  cosi  Angelucci  ('880)  crede  di 
aver  rinvenuto  intorno  ai  Globi  di  M.  e.  con  la  colorazione  al 
metilvioletto  una  serie  di  sferobatteri ,  che  però  E-enaut  ('880) 
dice  sieno  granulazioni  di  eleidina  da  lui  osservate  precedente- 
mente; e  Graham  ('892)  ha  tentato  isolare  e  coltivare  un  micro- 
cocco, probabilmente  il  micrococcus  epidoemicus  albus  (descritto 
anche  da  Welsch),  che  inoculato  nell'Uomo  e  nei  Conigli  ha 
dato  esito  negativo. 

Le  conclusioni  di  Tòròk  &  Toaim asoli  ('889)  sono  contrarie 
alla  teoria  parassitaria,  giacché  essi  dicono  che  i  cosidetti  presunti 
parassiti  dovrebbero  essere  quelli  che  presentassero  una  altera- 
zione riferentesi  ad  una  per  lo  meno  intenzionale  moltiplicazione, 
mentre  si  verifica  l'opposto,  che  gli  individui  più  giovani  si  tro- 
vano siti  negli  strati  più  bassi. 

Gli  aa.  quindi  sono  sempre  ritornati,  dopo  i  fuggevoli  ten- 
tativi di  batteriologia,  a  vagheggiare  l'idea  dei  Protozoi  come 
esseri  produttori  dell'infezione,  ad  eccezione  di  Mingazzini  ('894; 
'902.J,  Casagrandi  ('896;  '906),  Galli- Valerio  ('905),  ecc.  sui  lavori 
dei  quali  è  opportuno  fermarsi  più  a  lungo  in  prosieguo. 

La  grandezza  dei  Corpuscoli  di  Henderson,  la  loro  forma 
ovoidale ,  la  loro  omogeneità  ,  l' assenza  di  un  nucleo  e  di  una 
strattura  protoplasmatica  o  filare  o  reticolare  o  trabecolare,  in- 
generò dei  dubbi  sulla  loro  origine,  ed  anche  per  quelli,  che  vo- 
levano sostenere  essere  dei  Coccidi,  erano  certamente  la  fase 
ultima  di  spore  libere:  si  dovevano  trovare  delle  forme  più  gio- 
vanili nelle  cellule  periferiche  del  piccolo  neoplasma.  Questa  in- 
dagine portò  per  alcuni  alla  conseguenza,  non  essere  i  Corpu- 
scoli   dei    parassiti  ,    sebbene    delle    trasformazioni    speciali    del 

15 


-  214    - 

protopliismii  c(!llul;ir(!  tUAU^  uullulii  upidcniiidic  JSimon  ('877)|.  1 
vari  osservatori,  pur  oredoudo  tutti  al  contagio  od  alla  presenza 
di  presunti  parassiti,  sono  divisi  in  due  schiere;  gli  uni  riten- 
gono i  Corpuscoli  del  Mollusco  essere  produzioni  endogene 
protoplasmatiche,  gli  altri  parassiti  venuti  dal  di  fuori. 

Ora  verremo  esaminando  le  ragioni  addotte  dagli  uni  e  dagli 
altri,  ragioni  ugualmente  attendibili,  talvolta  basate  su  sole  ipo- 
tesi teoretiche  ,  tal  altra  su  fatti  sperimentali  ;  1'  accordo  non  è 
stato  possibile,  sia  per  il  numero  eccessivo  degli  osservatori,  sia 
per  non  conoscere  quasi  nessuno  i  risultati  delle  indagini  degli 
altri  (!). 

Il  lavoro  di  ViiiCHOw  ('865),  se  ha  il  merito  di  aver  fornito 
esattamente  i  caratteri  distintivi  fra  le  due  forme  morbose  di 
M.  e.  di  Bateman  e  di  M.  p.  di  Willan,  non  ha  certo  chiarito 
la  essenza  della  malattia,  perchè  egli  opina  che  i  Corpuscoli  di 
Henderson  provengano  dagli  epiteli  per  sviluppo  endogeno;  sa- 
rebbero una  degenerazione  adiposa  delle  cellule.  Non  volle  però 
porre  la  questione  nei  suoi  veri  termini,  cioè  se  pur  essendo  delle 
degenerazioni  protoplasmatiche,  quali  fossero  le  loro  cause  e  quali 
i  loro  momenti  patogenetici  ;  invece  cerca  di  risolvere  il  quesito 
già  posto  precedentemente  da  Bazin  ('851) ,  se  cioè  la  sede  del 
piccolo  neoplasma  sia  da  riporre  nel  reticolo  malpighiano  ,  nei 
follicoli  piliferi,  o  nelle  glandolo  sebacee  o  coruminoso:  quistione, 
secondo  me,  non  di  prima  necessità,  non  solo  nel  1865,  ma  an- 
che oggi,  essendo  tutto  queste  produzioni  octodermiche  e  quindi 
potendosi  forse  avere  noduli  di  M.  e.  in  tutti  questi  derivati  ecto- 
dermici. 

Credo  dover  porre  la  sedo  della  lesione  noi  follicoli  piliferi, 
non  escludendo  che  anche  il  reticolo  malpighiano  della  super- 
ficie cutanea  possa  proliferare  allo  stosso  modo  :  ed  a  conferma 
del  suo  dire  afferma  di  aver  avuto  agio  di  osservare  nell'ombe- 
lico di  un  nodulo  di  M.  e.  la  fuoriuscita  di  un  pelo.  Ed  anche 
un  pelo  dice  Henderson  ('841)  di  aver  visto  uscire  da  un  altro 
tumoretto  dell'affezione  in  esame  (!). 

Questi  due  peli,  specialmente  quello  osservato  da  Virchow 
('865),  che  è  più  degno  di  fedo  ,  hanno  posto  la  discordia  nel 
campo  dogli  aa.  ed  hanno  impedito  non  poco  il  progresso  della 
vera  essenza  della  malattia ,  sebbene  Allen  ('886)  potette  con- 
statare tubercoli  caratteristici  di  M.  e.  sul  bordo  rosso  delle  lab- 
bra, il  che  sarebbe  un  argomento  dei  più  forti  ,  che  la  lesione 
non  prenda  origine  sempre  dai  follicoli  piliferi. 


--  215  — 

L' inturprot.aTi!  la  sedo  del  M.  e.  in  un  punto  o  l'altro  del- 
l' epidermide ,  il  crederlo  morbo  contagioso  o  neoplastico  ,  ecc. 
portarono  alla  conseguenza  che  il  M.  e.  di  Bateman.  fu  battez- 
zato con  innumerevoli  nomi. 

Fortunatamente  in  tanto  disordine  Bizzozero  &  Manfredi 
('870;  '871;  '872;  '874)  con  indagini  molto  precise  arrivarono 
alla  conclusione,  essere  la  malattia  non  un  disordine  di  secrezione, 
ma  una  neoformazione  particolare,  di  puro  carattere  epiteliale, 
la  cui  sede  è  una  iperplasia  ed  una  degenerazione  delle  cellule 
spinose  del  reticolo  malpighiano  dell'epidermide  e  non  uno  svi- 
luppo delle  cellule  dei  follicoli  dei  peli  o  delle  glandola  sebacee. 

Essi  infatti,  anche  in  un  lavoro  successivo  ('877),  conferma- 
rono i  loro  risultati  precedenti  e  dettero  una  esatta  descrizione 
del  modo  come  si  sviluppa  il  Corpuscolo  del  Mollusco  per 
trasformazione  cornea  di  parte  del  protoplasma  cellulare.  Cor- 
puscolo che  chiamarono  Globo;  mai  però  rinvennero  nei  tu- 
bercoli la  esistenza  di  peli. 

Più  originale  è  certo  l'ipotesi  di  Lukomsky  ('876),  per  il 
quale  i  Globi  deriverebbero  da  proliferazione  di  grosse  cellule 
migranti,  che  partendo  dal  corion  si  infiltrerebbero  fra  le  cellule 
epiteliali,  laddove  per  Boeck  ('872;  '875)  sarebbero  formazioni 
cellulari  endogene  come  negli  epiteliomi.  Stabtin  ('880)  ammette 
l'origine  glandolare  del  piccolo  neoplasma,  oltre  che  per  la  forma 
grossolana  somigliante  ad  una  glandola  acinosa,  anche  per  aver 
potuto  riscontrare  in  alcune  cellule  vacuoli  ed  iperattività  di 
tessuto  secernente  ed  abortiva  tendenza  alla  ipertrofia  degli  ele- 
menti, fatto  che,  se  fosse  da  altri  confermato,  sarebbe  non  privo 
di  importanza;  mentre  che  l'unica  apertura  ombeliciforme  per 
Taylor  ('890)  non  è  un  criterio  sufficiente  per  ammettere  l'ipo- 
tesi glandolare.  Non  deve  sembrar  quindi  strano,  che  Thin  ('882) 
cerchi  di  conciliare  le  diverse  opinioni,  ritenendo  l'origine  glan- 
dolare in  natura,  però  indipendentemente  dalle  glandole. 

L'ipotesi  glandolare  dell'  affezione  conta  parecchi  seguaci 
autorevoli,  come  Kaposi  ('877;  '889;  '891),  come  Eenaut  ('880), 
come  recentemente  Gaucher  &  Sergent  ('898);  anzi  gli  studi  di 
Renaut  ('880)  hanno  sempre  più  complicato  l'argomento,  avendo 
egli  dimostrato  che  i  Corpuscoli  del  Mollusco  hanno  le  rea- 
zioni microchimiche  del  corno  e  che  le  cellule  che  contengono 
l'eleidina  non  subiscono  trasformazioni  globulari. 

Le  innumerevoli  granulazioni  che  si  riscontrano  sotto  il 
campo  microscopico  a  chi  osserva  un  preparato  di  M.  e,  colorato 
con  i  colori  di  ematossilina  o  di  carminio,   molte  delle  quali  per 


-    yl(i  — 

la  loro  foniui  pur  [)ot.rol»b('ro  csstau  dei  parassiti,  l'iirono  lui  tu 
ritenute  produzioni  di  uloidina,  uheraloj alina,  ecc.  Per  tale  ragione 
gli  studi  di  parassitologia  su  questo  argomento  non  potettero  al 
certo  molto  progredu'e;  né  tacile  era  di  poter  trovare  dei  colo- 
ranti elettivi  per  la  cheratojalina  e  non  per  questi  presunti  pa- 
rassiti, ovvero  che  lasciassero  coloriti  i  parassiti,  lasciando  sco- 
lorita del  tutto  la  cheratojalina.  Furono  invero  proposti  non  po(^hi 
metodi  speciali  di  tinzione,  però   nessuno   scevro  di  critica. 

Maiiullo  I '904)  infatti  nello  stesso  tempo  che  nega  l'origine 
glandolare  del  M.  e.  dice  che  la  cheratojalina  manca  nei  noduli 
che  formano  l'apice  del  tumore,  essendo  invece  questi  costituiti 
in  massima  parte  dai  caratteristici  Corpuscoli  del  Mollusco, 
cheratojalina,  che  invece  è  riccamente  sparsa  nei  noduli  laterali 
ed  inferiori. 

A  dir  vero  ben  più  numerosi  sono  i  seguaci  che  ripongono 
la  sede  della  lesione  nelle  cellule  del  reticolo  Malpighiano  e  che 
cercano  di  dimostrare  sperimentalmente  il  loro  asserto;  così,  per 
citare  i  più  importanti,  abbiamo  il  lavori  di  Bizzozero  &  Man- 
fredi ('870;  '871;  '872;  '874;  '877),  abbiamo  la  relazione  di  Cam- 
pana ('885)  all'Accademia  di  E-oma,  Campana  che  è  di  opinione 
essere  lo  strato  mucoso  e  lo  strato  granuloso  quelli  che  concor- 
rono a  formare  la  neoplasia;  il  lavoro  di  Ma.jocchi  ('885),  ecc. 
Kromayer  ('893),  con  perfezionati  metodi  di  tinzione,  ha  potuto 
studiare  anche  le  trasformazioni  nucleari  delle  cellule  dello  strato 
spinoso  durante  la  loro  metamorfosi  in  Corpuscoli  del  Mol- 
lusco; Zeldovich  ('898)  opina  che  la  predetta  neoformazione 
epiteliale  possa  avere  per  punto  di  partenza  sia  lo  strato  di  Mal- 
piGHi,  sia  le  glandole  sebacee,  e  Audry  ('899)  infine  crede  che 
la  lesione  sia  piuttosto  una  metaplasia,  anziché  una  neoplasia,  per 
cui  le  cellule  nuove  formate  subirebbero  una  degenerazione  spe- 
ciale cheratinizzante  e  si  trasformerebbero  in  Corpuscoli  del 
Mollusco. 

L'idea  degli  Sporozoi,  vagheggiata  da  Klebs  ('859;  '868),  da 
Rivolta  ('873;  '877),  da  Bollinger  ('873;  '878),  ecc.  come  pre- 
sunti parassiti  del  M.  e.  ebbe  in  Neisser  ('888;  '891)  uno  strenuo 
difensore.  Questi  descrive  la  biologia  del  Cocoidio  produttore  del- 
l'affezione in  parola:  si  avrebbero  varie  fasi,  di  cui  il  Corpu- 
scolo del  Mollusco  ne  sarebbe  una,  però  non  la  fase  ultima: 
si  avrebbero  forme  di  spore  appuntite  e  manifestamente  nucleate, 
come  anche  forme  di  spore  intracellulari  ben  distinte  dalle  goc- 
ciole di  eleidina  ed  anche  stadii  di  Coccidi  senza  membrana  e 
dotati  di  movimenti  ameboidi.  Si  fa  però  una  confusione  fra  gra- 


—  217  — 

nulazioni  di  eloidiiia,  Corpuscoli  del  Mollusco,  forinu  intra- 
cellulari cromatofile  più  o  meno  definite,  in  modo  che  non  è  facile 
poter  avere  una  idea  chiara  della  vita  di  questo  parassita. 

P.ù  semplice  invece  è  il  modo  di  concezione  di  Quinquaud 
('889),  per  il  quale  gli  Sporozoi  del  M.  e.  non  sarebbero  altro  che 
i  Corpuscoli  di  Hendeeson,  nei  quali  egli  riscontra  un  doppio 
contorno,  un  protoplasma  granuloso  ed  un  nucleo  speciale. 

Entusiasta  delle  Psorospermosi  in  generale,  Darier  ('889  1°; 
'889  2°;  '889  3°)  vede  nel  M.  e.  una  malattia  prodotta  di  Coccidi; 
trova  anzi  grande  rassomiglianza  fra  il  Coccidi o  del  M.  e.  ed  il 
Coccidium  oviforme  del  fegato  del  Coniglio;  il  Corpuscolo  di 
Henderson  sarebbe  una  particolare  forma  degenerativa  di  esso, 
sarebbe  un  Corpuscolo  cheratoide.  L'A.,  sebbene  non  trova 
fasi  più  avanzate  di  sviluppo  del  parassita  (come  pseudo-navi- 
celle e  corpuscoli  falciformi),  pure  riscuote  il  plauso  di  Malassez 
('889). 

Né  al  certo  il  lavoro  di  Barrat  ('896)  o  quello  di  Clarke 
('895)  poteva  ehiarii'e  una  tanto  controversa  quistione.  Clarke 
('895),  suggestionato  dal  fatto  di  dover  rinvenire  tutti  gli  stadi 
della  biologia  di  uno  Sporozoo,  descrive  forme  flagellate  con  zoo- 
spore, che  scindendosi  darebbero  corpuscoli  falciformi. 

Campana  ('893),  in  una  lunga  discussione  critica  sulle  Gre- 
garinosi  del  M.  e,  ritiene  che,  per  poter  osservare  tali  parassiti, 
si  debbono  necessariamente  fare  preparati  freschi  e  non  fissati  ed 
induriti:  infatti,  se  anche  per  la  (Coccidiosi  del  fegato  del  Coni- 
o-lio  non  si  usano  le  medesime  cautele  non  si  riesce  a  vedere  altro 
che  la  capsula  e  pochi  granuli  nell'  interno  ed  in  qualche  caso 
un  semplice  accenno  di  sfericità  'di  corpicciuoli  nell'  interno  o 
una  massa  omogenea  trasparente. 

Sembrerebbe  che  dopo  tante  osservazioni  personali  l'A.  fosse 
convinto  della  Coccidiosi  nel  M.  e;  invece  si  vede  che  il  dubbio 
continua  nel  dermatologo  di  Roma.  Egli  finisce  il  lavoro  suo  con 
le  parole  «  se  1'  alterazione  descritta  nel  M.  e.  sia  proprio  una 
Gregarinosi   è  quistione    nella  quale  io  non  entro:...  ». 

E  che  il  dubbio  doveva  sussistere  era  evidente;  i  lavori  con- 
trari si  moltiplicavano  in  numero  ed  importanza.  Bitsch  ('892), 
infatti  viene  alle  stesse  conclusioni  di  Tòròk  &  Tommasoli  ('889), 
che  non  vi  sarebbero  Psorospermi  come  produttori  del  M.  e,  la 
cui  t'tiologia  resta  del  tutto  sconosciuta;  Kromayer  ('893)  ritiene 
che  le  speciali  alterazioni  giudicate  da  takmi  come  Sporozoi  non 
sono  altro  che  una  particolare  degenerazione  delle  cellule  epi- 
teliali. De  Angelis  Mangano  ('893),  non  avendo  riscontrato  nessuno 


—  218  — 

stadio  tli  .sviluppo  di  (luoslo  presunto  parassita,  è  di  opinione 
che  le  forme  descritte  da  Neisseu  ('888;  '891)  rientrino  nella  ca- 
tegoria dei  CitorycU's  del  Guarniehi,  che  secondo  recenti  ricerche 
non  sono  microorganismi,  ma  espressioni  di  alterazioni  patologiche 
del  tessuto  epiteliale.  Eiirmaxn  ('896)  descrive  nei  vacuoli  e  nelle 
spore  di  Neisser  ('888;  '891)  una  sostanza  che  è  un  prodotto  di 
trasformazione  del  protoplasma  cellulare,  dal  che  trae  naturalmente 
argomento  per  escludere  la  presenza  dei  Coccidi. 

Da  Klebs  ('859;  '868)  quindi  a  Campana  ('893)  riassumendo 
i  risultati  ottenuti  si  vede,  che  molto  non  si  è  progredito  circa 
l'ipotesi  dei  Coccidi  come  agenti  patogenetici  dell'alterazione  che 
va  sotto  il  nome  di  M.  e.  Di  maggiore  importanza  sono  i  lavori 
di  TouTON  ('892;  '895),  che  pure  ritiene  la  malattia  sia  origi- 
nata da  Sporozoi ,  ma  questi  non  sarebbero  i  Corpuscoli  di 
Henderson,  sebbene  dei  speciali  granuli  ovoidali  che  si  trovano 
sia  nelle  cellule  spinose,  sia  negli  spazi  fra  i  Corpuscoli  del 
Mollusco  e  che  con  la  loro  azione  produrrebbero  la  trasfor- 
mazione del  protoplasma  cellulare  in  Corpuscolo  di  Henderson. 
Tali  ricerche,  sebbene  abbiano  avuto  la  critica  di  Kuznfizky  ('895), 
sono  state  sotto  altro  punto  di  vista  confermate  da  Benda  ('895), 
che  invece  di  Protozoi  li  interpreta  come  Schizomiceti.  Benda 
('895),  con  perfezionati  metodi,  ha  potuto  osservare  i  Corpu- 
scoli di  TouTON  in  divisione:  stima  che  se  per  qualche  parti- 
colarità fanno  pensare  al  nucleo  accessorio  ,  per  altre  reazioni 
micro-chimiche  si  distaccano  molto  da  questi  e  sieno  piuttosto 
da  riferirsi  a  parassiti:  la  malattia,  più  che  al  carcinoma,  parrebbe 
simile  al  Vainolo  dei  Polli  {Geflugelpockeii}. 

Risollevata  la  quistione  deTla  somiglianza  del  M.  e.  dell'Uomo 
col  Vainolo  dei  Polli,  necessariamente  dovevano  gli  aa.  ac- 
cingersi a  studiare  un  poco  la  patologia  comparata  con  moderni 
metodi  di  indagine  ,  ed  agguerriti  di  nuovi  risultati  ,  ritornare 
allo  studio  degli  agenti  patogenetici  del  M.  e.  E  questa  era  in- 
fatti l'unica  via  che,  sebbene  seguita  da  pochi,  pur  tuttavia  ha 
portato  a  conclusioni  tali,  che  potranno  forse  chiarire  l'essenza 
della  malattia  in    esame. 

C.  Fox  ('898)  trova  che  il  M.  e.  è  morbo  fatale  nei  Polli, 
e  pare  sia  simile  ad  un'altra  malattia  dei  Polli  delle  Indie  {yaivs)  ^), 
il    che    è    confermato    pure   da   Payne   ('898).    Shattock   ('898) 

1)  Secondo  recenti  ricerche  di  Ashburn  &  Graig  ('907)  la  malattia  ymos 
sarebbe  prodotta  da  un  Tripanosoma,  il  Treponema  pertenuis,  clie  si  differen- 
zierebbe  dal  Treponema  pallidum  della  sifilide  umana ,  per  la  facoltà  di  non 
poter  attaccare  la  .Scimia. 


—  219  — 

ha  osservato  nei  Passeri  delle  lesioni  simili  e  con  un  periodo  di 
incubazione  di  un  mese  ;  ed  Hutchinson  ('898)  ha  studiato  un 
caso  di  trasmissione  di  M.  e.  dal  Cane  all'Uomo.  Entrambi  i  no- 
duli, al  microscopio  hanno  mostrato  la  struttura  tipica  del  M.  e. 

Bosc  ('900;  '901;  '902  ) dà  la  descrizione  della  Clavelée  o  V  a  i  u o  1  o 
del  Montone,  in  cui  riconosce  la  presenza  di  uno  Sporozoo,  del 
quale  non  nota  altro  che  la  fase  di  riproduzione  schizogonica  e 
non  sporogonica  ed  infine  ('905  l*')  trova  che  anche  il  M.  e.  del- 
l'Uomo  ha  tutti  i  caratteri  delle  malattie  briocitiche. 

Questi  aa.  con  le  loro  comunicazioni  non  hanno  che  messa 
su  la  quistione,  di  non  essere  il  M.  e.  malattia  esclusiva  dell'Uomo: 
non  sono  però  entrati,  ad  eccezione  di  Bosc  ('905  l'',"  '905  2°), 
nella  sua  etiologia  e  patogenesi. 

MiNGAzziNi  ('894)  ritiene  il  parassita  del  M.  e.  dell'Uomo  e 
quello  del  Vainolo  dei  Polli  non  uno  Sporozoo,  sì  bene  un 
fungo,  il  cui  sviluppo  è  in  relazione  con  l'evoluzione  delle  cel- 
lule epidermiche.  Il  Corpuscolo  di  Henderson  sarebbe  lo  stadio 
corrispondente  al  fungo  maturo  e  non  potrebbe  infettare  ,  do- 
vendo subire  una  fase  di  vita  fuori  dell'  organismo  che  lo  ha 
prodotto,  il  che  avviene  nell'intestino  dei  Blaps  e  delle  Blatte. 
Egli  infatti  ha  rinvenuto  nelle  cellule  epiteliali  dell'intestino  dei 
Blaps  un  organismo  tondeggiante,  che  per  la  sua  rifrangenza  e 
per  la  sua  struttura  si  mostra  simile  a  quello  del  M.  e,  le  cui 
forme  giovanili  nell'intestino  medio  di  questi  insetti  somigliano 
molto  alle  forme  giovanili  dei  noduli  di  M.  e.  degli  Uccelli.  Questo 
parassita  si  circonda  di  una  cisti  e  sporifica  :  le  spore  sono  a 
doppio  contorno  e  senza  nucleo  e  fra  esse  e  la  parete  delle  cisti 
residua  un  liquido  plasmati  co  di  reliqiiat.  Il  contenuto  delle  sin- 
gole spore  è  verdastro  o  bluastro,  come  quello  del  protoplasma 
della  forma  adulta.  È  riuscito  anche  a  poter  avere  nei  Polli 
delle  inoculazioni  sperimentali  di  queste  spore,  con  la  riprodu- 
zione della  classica  malattia. 

Circa  il  battesimo  di  questo  parassita  ci  dice:  «  fu  scoperto 
da  AiMÉ  ScHNEiDER  ucllo  studiare  lo  sviluppo  dello  Stylorhynchus 
longicollis^  una  Gregarina  vivente  nel  tubo  digestivo  del  Blaps 
e  questo  autore  lo  denominò  dapprima  micrococcus  e  poi  nel  1884 
Cliytridiopsis  socius.  Questo  autore  l'aveva  anche  trovato  nell'in- 
testino della  larva  del  Tenebrio  molitor,  un  coleottero  che  vive 
nella  farina  e  per  il  Blaps  aveva  segnalato  che  esso  si  trova  sol- 
tanto in  quegli  individui  raccolti  nelle  scuderie  ove  vi  sono  dei 
cavalli  e  del  fieno,  non  in  quelli  provenienti  dalle  cantine,  ove 
sono  deposti  soltanto  utensili  di  legno.   Io  stesso  ho   fatto   ana- 


—  220  — 

logo  reperto,  poiché  negli  individui  che  si  trovano  sotto  le  pietre 
in  numero  grandissimo  nei  sotterranei  del  Colosseo,  non  ho  tro- 
vato altro  che  le  fasi  di  sviluppo  dello  Siylorhynchus  e  mai  il 
Chytridiopis  socins,  il  quale  probabilmente  è  un  parassita  che  sì 
trova  nelle  graminacee,  come  lo  dimostra  il  reperto  nel  Tenebria 
molitor ,  che  occasionalmente  passa  negli  insetti  e  quindi  nei 
volatili,  quando  questi  beccaiiu  insieme  al  terreno  umido,  anche 
gli  sterchi  degli  insetti  noi  quali  sono  racchiuse  le  spore  del  Chy- 
tridopsis  socius.  Infine  lo  Schneider,  come  già  il  Rivolta  per 
VepitheJiotnices^  pone  questo  parassita  fra  i  funghi  e  precisamente 
nell'ordine  degli  Oomiceti,  e  nella  famiglia  delle  Chytridinee  ^)  ». 

Le  ricerche  di  Casagrandi  (896)  non  hanno  avuto  continua- 
tori, se  non  in  pochi  accenni  per  parte  di  Galli-Valerio  ('905) 
e  lui  stesso  non  le  ha  proseguito.  Egli  crede  di  aver  potuto 
isolare  e  coltivare  dei  blastomiceti,  che  inoculati  nelle  creste  e 
nei  barbigli  dei  giovani  Polli  abbiano  dato  luogo  ai  caratteristici 
noduli  di  M.  e. 

Max  &  Sticker  ('902;  '903)  hanno  al  certo  indirizzato  gli 
scienziati  su  di  un  campo  poco  esplorato.  Questi  aa.  hanno  po- 
tuto ottenere  inoculazioni  positive  di  M.  e.  dei  Volatili,  dopo  di 
aver  pestato  i  tumoretti  caratteristici  in  un  mortaio  e  dopo  di 
averli  liltrati  attraverso  ad  una  candela  Berkefeld.  Tali  ricerche 
sono  state  confermate  da  Burnet  ('906),  e  da  Juliusberg  ('904; 
'905)  per  il  M.  e.  dell'Uomo. 

Senza  discutere  i  risultati  ottenuti  da  Max  &  Sticker  ('902; 
'903)  e  da  Burnet  ('906)  sulle  inoculazioni  di  virus  di  M.  e.  dei 
Volatili  (malattia  abbastanza  simile  per  i  caratteri  clinici  al  M.  e. 
dell'Uomo),  le  ricerche  di  Juliusberg  ('904;  '905)  non  sono  al 
certo  convincenti. 

Secondo  questo  A.  il  parassita  del  M.  e.  dell'Uomo  dovrebbe 
essere  un  batterio  più  piccolo  di  quello  del  M.  e.  dei  Volatili, 
perchè  attraversa  la  candela  Chamberland,  che  è  di  grana  più 
piccola  della  candela  Berkicpeld.  Le  inoculazioni  di  questo  fil- 
trato avrebbero  avuto  esito  molto  favorevole,  giacché  in  uno  dei 
tre  inoculati,  si  sarebbero  sviluppati  ben  60  tumoretti,  che  per 
i  caratteri  clinici  ed  anatomo-patologici  si  dovevano  diagno- 
sticare per  M.  e.  Juliusberg  ('904;  '905)  è  stato  più  fortunato 
di  tutti  gli  sperimentatori  precedenti  a  lui,  i  quali,  pur  trovan- 
dosi in  condizioni    migliori,    hanno   nei   loro   tentativi    ottenuto 

1)  11  lavoro  di  Mingazzini  ('894)  uoii  regge  ìkI  una  severa  critica,  avendo 
TA.   liivorato  con  materiale  inijuiiiato. 


—  221  — 

esito  cosi  incerto,  da  far  perfino  dubitare  a  molti  del  contagio 
della  malattia  in  parola.  Il  periodo  di  incubazione  nel  .suo  caso 
sarebbe  stato  anche  inferiore  (50  giorni)  alla  media  delle  ino- 
culazioni precedenti. 

Pur  ammesso  che  il  viru^s  possa  filtrare  attraverso  ad  una  can- 
dela Chamberland,  senza  perdere  i  suoi  caratteri  virulenti,  ne 
vengono  due  domande:  Le  lesioni  epiteliali  sono  prodotte  dai 
presunti  parassiti  ,  che  hanno  attraversato  la  candela  o  sono 
prodotte  dalle  loro  tossine  ? 

SiKORSKY  ('903)  ha  ottenuto  per  inoculazione  di  tossina  difte- 
rica sulla  cornea  e  per  inoculazione  di  vaccino  riscaldato  delle 
lesioni  a  tipo  epiteliale,  che  si  estrinsecano  come  noduli  di  M.  e: 
il  che  starebbe  a  dimostrare  che  tali  neoformazioni  epiteliali  sa- 
rebbero prodotte  da  tossine.  D'altro  lato  le  esperienze  di  Max 
&  Sticker  ('902;  '903)  sono  contrarie  a  questa  ipotesi,  giacché 
questi  osservatori  hanno  ottenuto  le  inoculazioni  positive  di  M.  e. 
dei  Volatili,  solo  quando  il  virus  ha  attraversato  la  candela 
Berkefeld  e  non  la  candela  Chamberland,  il  che  vuol  dire 
che  per  aversi  l'inoculazione  positiva  vi  abbisogna  qualche  cosa 
di  materialmente  più  grande  della  semplice  sostanza  chimica  di 
una  tossina. 

Di  grande  importanza  sono  i  risultati  di  Borrel  ('904)  sui 
preparati  ottenuti  per  strofinamento  con  la  colorazione  di  Lòffler 
ed  i  risultati  ottenuti  da  Casagrandi  ('906)  e  Serra  ('907)  con 
la  colorazione  al  Giemsa  del  virus  di  M.  e,  filtrato  attraverso 
alla  candela  Berkefeld,  nonché  i  lavori  assolutamente  nuovi 
di  LiPscHtiTz  ('907)  sulla  osservazione  ultramicroscopica  di  spe- 
ciali granulazioni ,  che  si  hanno  stemperando  nell'acqua  distillata 
o  in  una  soluzione  fisiologica  dei  pezzi  di  noduli  di  M.  e.  di  Ba- 
TEMAN.  Tali  studi,  continuati  su  questo  indirizzo,  potranno  forse 
chiarire  la  natura  intima  di  tale  malattia. 

Lo  studio  delle  inclusioni  cellulari  e  cromidiali,  proseguito 
per  opera  di  Apolant  ('903),  di  Michaklis  ('903),  di  Ewing  ('905), 
di  Bosc  ('905  2°),  e  di  Burnet  ('906)  non  hanno  fin  ora  dato  ri- 
sultati tali  da  stabilire  dei  tipi  sempre  costanti  di  inclusioni  cel- 
lulari protoplasmatiche  e  di  degeneraziòfii  nucleari  degli  elementi 
che  debbono  subire  la  fase  di  Corpuscolazione. 

Riassumendo  tutti  i  risultati  ottenuti  dai  vari  osservatori, 
pare  assodato  che: 

ì.  lì  M.  e.  è  malattia   da   infezione,  • 

TI.  Appartiene  ad  una  medesima  famiglia  di  malattie,  nella 
quale  sono  compresi  puro  il  Vainolo  dei  Polli,  il  M,  e.  degli 
Aniibi,  ecc. 


—  222  — 

III.  La  losiono  piondc  origino  dal  corpo  mucoso  di  Mai.pi- 
tiHi  dell'epidermide,  pur  non  potendosi,  almeno  teoreticamente, 
escludere  che  in  qualche  caso  possa  iniziarsi,  anche  nell'epitelio 
dei  follicoli  piliferi  e  delle  glandolo  sebacee. 

IV.  Il  Corpuscolo  di  Henderson  è  una  trasformazione 
del  citoplasma  delle  cellule  del  corpo  mucoso  di  Malpighi,  an- 
ziché la  fase  ultima  di  spore  di  un  parassita. 

V.  Il  Corpuscolo  di  Henderson  non  è  certamente  l'agente 
del  contagio. 

VI.  La  natura  della  lesione  è  da  riguardarsi  piuttosto  come 
una  metaplasia,  anziché  come  una  neoplasia. 


PARTE  IL   -  Ricerche  personali. 

MICROTECNICA. 

Per  le  mie  ricerche  sulla  struttura  dei  noduli  di  M.  e.  di 
Bateman  mi  son  servito  di  numerosissimi  tumoretti  in  vario  stadio 
di  sviluppo,  prelevati  da  molti  ammalati.  Per  i  preparati  stabili, 
trattandosi  di  pezzi  molto  piccoli,  è  opportuno  procedere  ad  una 
fissazione  immediata.  I  liquidi  fissatori  che  mi  hanno  dato  i  mi- 
gliori risultati  sono  stati  1'  alcool  assoluto,  il  liquido  di  Zenker, 
il  liquido  di  Flemming  (miscela  forte),  il  liquido  di  Hermann,  di 
BouiN,  di  GiLsoN,  ecc.;  per  1'  alcool  assoluto  sono  sufficienti  poche 
ore.  Come  intermediario  ho  adoperato  il  benzolo,  che  per  la  sua 
rapida  evaporazione,  permette  un  più  breve  soggiorno  dei  pezzi 
nella  paraffina,  il  che  è  utilissimo,  trattandosi  di  tessuti  tanto 
delicati.  A  titolo  di  controllo  ho  adoperato  il  rivestimento  con 
la  celloidina  ,  avendo  risultati  ideatici.  Per  la  colorazione  delle 
sezioni  mi  son  servito  di  varie  ematossiline  (Ehrlich,  Delafield)  e 
specialmente  della  ferrica,  secondo  la  formola  di  Heidenhain:  ho 
usato  pure  1'  emallume,  il  paracarminio,  il  carminio  boracico,  il 
picro-carminio ,  la  saffranina  con  il  violetto  acido  o  con  il  verde 
luce  secondo  Benda,  la  triplice  colorazione  di  Flemming;  per  la 
dimostrazione  del  reticofo  proto plasmatico  il  Kerns  chwarz, 
per  le  secrezioni  il  processo  di  van  Gibson  e  tutte  le  colorazioni 
speciali  che  verrò  esponendo  nei  vari  capitoli  del  testo. 

Per  le  osservazioni  ho  adoperato  il  2  mm.  apocr.  ap.  1:40  di 
Zeiss  "ad  immersione  omogenea  con  la  serie  degli  oculari  com- 
pensatori e  la  luce  artificiale^  di  un  forte,  lume  ad  incandescenza 
a  ijas. 


—  223  — 

Aspetto  e  descrizione  dei  noduli. 

La  formazione  patologica  chiamata  M.  e.  di  Bateman  si  pre- 
senta sotto  forma  di  noduli  di  grandezza  variabile  da  una  testa 
di  spillo  ad  un  pisello,  raramente  di  dimensioni  maggiori;  infatti 
ritengo  debbano  interpretarsi  come  del  tutto  eccezionali  i  noduli 
descritti  da  Cazenave  &  Schedel  ('828),  che  raggiungevano  la 
grandezza  di  un  uovo  di  piccione.  Qualche  volta  è  vero,  pos- 
sono arrivare  fino  alla  misura  di  un  cece  o  di  un  pisello,  come 
nei  casi  riferiti  da  Bizzozero  &  Manfredi  ('877).  I  citati  aa.  in 
una  ragazzina  di  due  anni ,  che  portava  vari  nodi  disseminati 
sulla  faccia,  ebbero  occasione  di  vederne  due  grossi  come  un  cece 
sulla  cute  delle  mammelle,  i  quali  vennero  asportati  e  studiati; 
e  in  un'altra  a  12  anni,  oltre  ai  nodi  pure  disseminati  sulla  faccia, 
ebbero  a  riscontrare  un  nodo  grosso  come  un  pisello  un  po'  pe- 
duncolato ed  appiattito,  appena  al  di  sopra  della  piegatura  del 
braccio.  Sono  talvolta  sessili  ed  irregolari,  tal  altra  pedunco- 
lati, arrotonditi,  mezzo  sferici,  lucidi,  a  superfìcie  liscia  traspa- 
rente, di  colore  biancastro,  o  roseo,  o  conservanti  il  più  spesso 
il  colorito  della  cute  normale.  Presentano  un  infossamento  cen- 
trale, un  ombilico  più  appariscente  nei  tumoretti  più  grossi, 
dal  quale ,  in  qualche  caso ,  fuoriesce  una  sostanza  lattiginosa 
[milkif-fiiikl  di  Bateman  ('817)].  Kaposi  ('891)  opina  che  l'infos- 
samento, l'ombilico,  corrisponde  incontestabilmente  all'orifizio  del 
follicolo  pilifero,  il  che  non  è  esatto. 

Il  nodulo  con  la  pressione  esercitata  dalle  unghie  dei  due 
pollici,  sguscia  dalla  sua  loggia,  lasciando  una  piccola  cavità  rossa, 
facilmente  sanguinante,  e  si  mostra  come  un  corpo  ovoide,  di 
aspetto  reniforme,  formato,  ad  un  esame  superficiale,  come  di 
tanti  lobuli,  di  tanti  acini  di  un  grappolo,  il  cui  stelo,  il  cui  apice 
corrisponde  all'ombilico  teste  osservato,  rivestito  da  un  lasco  tes- 
suto connettivo,  nel  quale  decorrono  piccoli  vasellini  sanguigni. 
Schiacciandolo  fra  le  unghie  si  ha  la  sensazione  di  un  crepitio 
sottile,  risolvendosi  il  tutto  in  una  sostanza  risiforme.  Hebra  ('866- 
72)  ritiene  che  i  noduli  di  M.  e.  abbiano  una  somiglianza  sor- 
prendente con  le  verruche,  poiché  il  sebum  in  esse  contenuto,  in- 
durito, scuro-bruno,  apparisce  a  guisa  di  piccole  protuberanze  fi- 
liformi, circondato  da  una  zona  epidermoidale:  si  distinguerebbero 
però  sempre  dalle  verruche  per  la  loro  poco  durezza  e  per  la  cir- 
costanza che  i  tumoretti ,  mediante  una  pressione  laterale,  eva- 
cuerebbero il  loro  contenuto   in  forma  di  masse  ovali,  bianche, 


—  224  - 

•■sposso  viiitiio.se,  caseose,  laidaceo.  Si  possono  manifestare  in  tutti 
i  punti  del  corpo ,  principalmente  alla  faccia ,  al  collo,  alle  pal- 
pebre, ai  genitali  ed  alle  regioni  inguinali  nelle  donne  publiche, 
frequenti  nei  fanciulli,  nelle  scuole,  negli  asili,  nei  quali  molti 
possono  essere  i  contagiati.  Renaut  ('880)  crede  che  risiedereb- 
bero più  facilmente  sopra  i  punti  dove  la  pelle,  munita  di  glan- 
dole  sebacee  è  fine  e  fornita  di  un  tessuto  connettivo  lamelloso 
(palpebre,  fronte,  faccia,  pene).  Si  sviluppano  in  tutte  le  età  in 
una  maniera  molto  lenta,  sono  assolutamente  cronici  ;  per  aversi 
una  grandezza  notevole  di  essi,  abbisognano  molte  settimane  e  mesi 
e  forse  anni.  Zeissl  ('869)  e  Neumann  ('874)  riferiscono  casi  di 
sviluppo  acuto  verificatosi  nel  puerperio. 

I  noduli  in  parola  sono  siti  immediatamente  al  di  sotto  del- 
l'epidermide e  sviluppandosi  non  si  infossano  mai  nella  pro- 
fondità del  derma,  ma  sono  spinti  e  mantenuti  in  fuori,  quasi 
che,  come  ha  anche  notato  Audry  ('889),  i  primi  piani  congiun- 
tivi sottoepiteliali  del  derma  opponessero  loro  una  barriera  insor- 
montabile. Marullo  ('904)  anche  lui  pensa  che  la  classica  forma 
a  grappolo,  la  grandezza  e  l'aspetto  rotondeggiante  di  ciascun 
nodulo  sieno  dovuti  agli  ostacoli  ed  alle  pressioni  che  incontrano 
le  masse  delle  cellule  epiteliali  nel  loro  proliferare  verso  gli  strati 
|)rofondi  e  in  alto  ad  un  punto  degli  strati  epidermoidali.  La  epi- 
dermide normale,  o  leggermente  modificata,  ricopre  il  nodulo  e 
si  assottiglia  verso  lo  sbocco,  l'ombilico,  introflettendosi  legger- 
mente in  esso,  ma  per  breve  tratto;  non  posso  ammettere  che 
questa  si  continui  nell'interno  del  nodulo  per  lungo  tratto,  co- 
stituendo con  la  sua  modificazione  tutta  la  neoplasia. 

I  vari  lobuli  non  sono  di  uguale  grandezza  e  volume,  né 
allo  stesso  stadio  di  sviluppo,  e  nemmeno  si  può  ritenere  che  i 
più  interni  sieno  ad  un  grado  di  evoluzione  più  avanzata  dei  più 
esterni,  giacché  la  trasformazione  delle  cellule  di  questi  zaffi  epi- 
teliali in  Corpuscoli  di  Henderson,  come  si  dirà,  può  essere 
arrestata  o  ritardata  da  vari  fattori.  La  disposizione  dei  lobuli 
nei  tumoretti  giovani  è  identica  a  quella  dei  noduli,  che  hanno 
subito  un  certo  grado  di  sviluppo,  aumentando  in  questi  ultimi 
solo  il  numero  dei  lobuli,  ma  non  difturondo  per  nulla  nella  loro 
essenza. 

Da  Klebis  ('859),  tia  Bollingeh  ('873;  '878),  da  Peuuonuito 
('881),  da  Rivolta  ('877),  da  Mingazzini  (894)  e  da  numerosi  altri 
osservatori  si  è  voluto  paragonare  il  M.  e.  dell'Uomo  al  Vainolo 
dei  Polli  p(!i'  l'iflentità  della  forma  morbosa.  E  por  vero  la  so- 
li ii<jliaiiza  del  .1/.  e.  di  Batkman  «.'oI  V^■lill•)l()  d(^i    Polli  è  irrando. 


—  226  - 

non  s()l(j  per  rjispclio  yerierale  identico,  in;i  bensì  perchè  eiitraiiibc 
le  malattie  si  rassomigliano  nei  più  minuti  particolari.  Nei  Vo- 
latili la  malattia  in  parola  è  ritennta  infettiva  e  contagiosa  e  la 
sindrome  morbosa  è  delineata.  G-li  animali  affetti  hanno  noduli 
alla  testa,  al  collo,  sulla  faccia  interna  delle  ali,  sulla  mucosa 
boccale,  nel  faringe  e  perfino  nella  cavità  nasale.  I  tumoretti,  ro- 
tondeggianti hanno  una  superficie  alquanto  rilevata  su  quella  del 
resto  dell'  epidermide  e  variano  grandemente  nella  dimensione  ; 
spesso  presentano  un  ombilico  proprio  come  il  M.  e.  dell'Uomo, 
e  come  in  questo  se  ne  fa,  con  grande  facili  tà,  la  diagnosi.  Nei 
Batraci  Mingazzini  ('902)  riporta  che  il  M.  e.  non  forma  nel  derma 
una  introflessione  a  modo  di  follicolo  con  apertura  crat eriforme 
e  con  una  cavità  contenente  miriadi  di  tali  corpi  ,  ma  presenta 
una  superficie  pianeggiante  con  piccole  screpolature,  nelle  quali 
possono  soltanto  trovarsi  piccoli  accumuli  di  Corpuscoli,  che 
qualche  volta  sono  limitati  al  centro  ed  appariscono  come  un 
punto  infossato  nel  disco  stesso. 

Sezionando  longitudinalmente  al  suo  maggiore  asse  un  no- 
dulo di  M.  e.  con  un  taglio ,  che  passi  per  l' ombilico,  ed  osser- 
vandone una  sezione  a  piccolo  ingrandimento,  si  vede  grossola- 
namente la  forma  glandolare,  risultante  di  numerosi  lobi,  di  acini, 
i  quali  non  sempre  si  risolvono  in  una  cavità  centrale.  Non  tutti 
i  lobi ,  che  più  propriamente  si  possono  paragonare  a  zaffi  epi- 
teliali, sono  sezionati  lungo  il  loro  maggiore  asse  e  non  sempre 
abutiscono  in  un  estuario,  che  vada  a  por  capo  nella  cavità  cen- 
trale, nell'ombilico. 

Ogni  zaffo  epiteliale  ha  all'esterno  uno  strato  di  cellule  ba- 
samentali  cilindriche,  che  si  può  molto  opportunamente  chiamare 
strato  generatore.  A  questo  strato  seguono  numerose  file  di  cel- 
lule più  0  meno  poliedriche,  nel  cui  protoplasma  si  vanno  evol- 
vendo delle  speciali  produzioni,  i  Corpuscoli  o  Globi  o  Cor- 
puscoli di  Henderson  ('841),  che  nell'ultimo  stadio  della  loro 
esistenza,  liberatisi  delle  cellule,  che  li  hanno  generati,  appari- 
scono come  corpicciuoli  ovoidali,  poco  rifrangenti  la  luce,  opachi, 
che  assumono  indifferentemente  i  colori  basici,  come  i  colori  acidi 
di  anilina.  Questa  è  la  struttura  di  tutti  gli  zaffi,  di  tutti  i  lobi  ; 
sono  appunto  le  cellule  poliedriche  del  corpo  mucoso  quelle  che 
finiscono  per  trasformarsi  in    Corpuscoli   del  M.  e. 


—  220 


Sede  della  lesione. 


Uno  dei  punti  controversi  è  stato  sempre  la  sede  della  le- 
sione, se  cioè  il  nodulo  di  M.  e.  di  Bateman. abbia  la  sua  prima 
origine  nelle  cellule  del  corpo  mucoso  di  Malpighi  o  nelle  glan- 
dolo sebacee  o  sudoripare,  o  nei  follicoli  piliferi.  Per  vero  dire 
sono  pochi  coloro,  che  come  Virchow  ('865)  e  suoi  seguaci,  ri- 
tengono che  il  M.  e  di  Bateman  si  sviluppi  nei  follicoli  piliferi. 
ViRCHOw  ('865)  infatti,  non  convinto  che  la  malattia  abbia  come 
punto  di  partenza  le  glandolo  sebacee  o  cerumiuose,  pensa  invece 
che  si  sviluppi  nei  follicoli  piliferi,  sebbene  in  essi  i  peli  sieno 
poco  sviluppati  :  opina  altresì  che  può  essere  probabile  che  anche 
il  reticolo  malpighiano  della  superficie  stessa,  specialmente  la  sua 
parte  interpapillare  possa  proliferare  nel  medesimo  modo.  Non  so 
davvero  come  Virchow  ('865)  possa  dire  di  notare  nei  noduli  di 
M.  e.  i  peli  poco  sviluppati,  quando  di  essi  non  se  ne  trova  traccia 
(almeno  nel  maggior  numero  de'  casi),  se  non  una  unica  os- 
servazione del  citato  A.,  una  più  antica  ed  abbastanza  ipotetica 
di  Henderson  ('841)  ed  una  ultima  Si  Benda  ('895),  che,  unifor- 
mandosi alle  idee  espresse  da  Virchow  ('865),  vede  nascere  un 
nodulo  di  M.  e.  da  un  infundibulo  pilifero.  Altri,  come  Kaposi 
('891),  cercano  conciliare  l' idea  della  sede  glandolare  con  quella 
del  follicolo  pilifero.  Kaposi  ('891)  pertanto  ci  riferisce  che  le 
cosidette  verruche  del  M.  e.  non  sono  altra  cosa  che  delle  glandolo 
sebacee  distese  e  riempite  di  un  contenuto  epitelioide  ,  che  ha 
proliferato  ed  ha  subito  una  trasformazione  particolare  ,  e  che 
queste  produzioni  mostrano  al  taglio  come  tutte  le  glandolo  se- 
bacee una  struttura  lobata ,  una  membrana  limitante,  che  invia 
dei  setti  nella  cavità  ed  un  contenuto  stratificato.  E  poi  con- 
chiude dicendo  di  essere  d'  opinione  che  la  proliferazione  epite- 
liale, che  porta  la  formazione  del  M.  e,  prende  il  suo  punto  di 
partenza  nel  reticolo  del  condotto  escretore:  per  quei  coni  epi- 
teliali di  nuova  formazione  il  tubo  glandolare  e  gli  acini  sono 
dilatati  in  ampolla  e  si  possono  sviluppare  anche  delle  prolife- 
razioni interpapillari,  con  un  risultato  analogo,  nelle  vicinanze 
delle  glandolo. 

Numerosissimi  sono  gli  osservatori,  che  basandosi  sull'aspetto 
generale  dei  noduli  di  M.  e,  ritengono  che  gli  stessi  non  sieno 
altro  che  la  degenerazione  delle  glandolo  sebacee  dell'epidermide 
normale,  nulla  curandosi  che  negli  elementi  in  parola  non  ab- 
biano riscontrato  la  struttura  di  cellule  glandolari  degenerate;  e 


—  227  — 

ci  possiamo  in  i;il  modo  spiegare;  il  giaii  male  prodotto  d.il  la- 
voro di  Renaut  ('880),  per  i  seguaci  ed  ammiratori  del  grande! 
Maestro.  Renaut  ('880)  descrive  il  M.  e.  come  una  glandola  seba- 
cea trasformata,  circondata  da  una  reto  di  vasi,  riproducenti  il 
tipo  dei  vasi  che  circondano  una  glandola  sebacea  ordinaria,  il 
cui  ombilico  secco  è  riempito  di  corpi  estranei  alla  maniera  dello 
orificio  dei  comedoni.  I  lobuli  in  forma  di  pera  o  lagrime  sono 
raggruppati  per  il  loro  apice  intorno  al  punto  centrale,  che  rap- 
presenta r  ombilico,  e  le  cellule,  che  dovrebbero  subire  l'evolu- 
zione grassa  ,  elaborano  invece  un  Globo  di  corno  imperfetto, 
nel  mentre  che  altre  cellule  si  saldano  a  reticolo  ed  altre  subi- 
scono l'evoluzione  epidermica  regolare,  Gaucher  &  Sergent  ('898) 
confermano  la  descrizione  di  Renaut  ('880)  e  credono  che  la  de- 
nominazione antica  di  Acne  varioliforme  deve  essere  conser- 
vata ,  indicando  i  principali  caratteri  topografici  e  morfologici 
della  malattia. 

È  strano  che  l' ipotesi  glandolare  dei  noduli  di  M.c.  di  Ba- 
TEMAN  abbia  avuto  tanto  favore,  quando  Bizzozero  &  Manfredi 
('877),  nel  loro  pregevolissimo  lavoro,  avevano  dimostrato  che  la 
affezione  prendeva  origine  dall'  epidermide  cutanea  e  propria- 
mente dal  suo  strato  profondo  o  malpighiano  ,  e  che  1'  apertura 
ed  il  tubo  di  comunicazione  dei  nodi  di  M.  e.  con  l'esterno  non 
erano  preesistenti,  ma  il  risultato  del  processo  stesso  e  delle  me- 
tamorfosi elementari,  che  caratterizzavano  la  genesi,  lo  sviluppo 
ed  il  decorso  della  neoplasia.  Ad  essi  è  riuscito,  escidendo  dei 
tratti  di  cute  apparentemente  sana  nelle  vicinanze  e  negli  inter- 
spazi fra  noduli  e  gruppi  di  noduli  confluenti,  di  poter  osservare 
nelle  sezioni  il  primo  esordire,  la  forma  iniziale  del  tumoretto 
in  parola.  «  Si  presenta  come  un  ispessimento  conico,  circoscritto 
dallo  strato  epidermico  o  meglio  come  un  zaffo  epiteliale  analogo 
a  quelli  che  si  osservano  all'estrema  periferia  dei  nodi  ordinari, 
composto  nei  suoi  strati  profondi,  al  pari  dell'  epidermide  circo- 
stante, da  una  serie  regolare  di  elementi  analoghi  a  quelli  del 
corpo  mucoso  normale  ,  ma  negli  strati  successivi ,  da  elementi 
epiteliali  evidentemente  modificantisi  dal  normale  ed  accennanti 
senza  altro  a  quella  metamorfosi  del  protoplasma  ,  progressiva 
dalla  periferia  al  centro  del  cono,  dal  fondo  alla  superficie,  onde 
in  ultimo  originano  i  Corpi  arrotondati  caratteristici  del  Mol- 
lusco, dei  quali  già  alcuni  potevano  osservarsi  nell'interno  e 
verso  la  superficie  dell'incipiente  e  scavantesi  zaffo  od  otricello 
iniziale  », 


—  2'2S  — 

Stanziai. K  t^'890i,  nproiidt'iitlo  lo  stinlicj  del  .1/.  r.  di  Batiìman, 
l'Oli  luiuiorosi  tallii  seriali,  <■.  l'iuscito  anclu;  lui  a  rlimostraro  che 
non  vi  sono  ra.})[)orli  fra  lo  ;j,laiidole  s<',l>acee  o  la  secl(3  delle  le- 
sioni iniziiili  del  Mollusco,  lu  cellule  delle  ^'landole  s(!bacoe  e 
sudoripari;  non  [)roseiitano  alcuna  niodiiìcazione;  le  neoformazioni 
sono  circondate  d'  uno  o  più  strati  di  cellule  cilindriche,  che  si 
continuano  con  gli  strati  profondi  del  corpo  mucoso  di  Malpighi. 
Il  corpo  mucoso  prosenta  degli  infossamenti,  delle  depressioni,  nelle 
(piali  si  sviluppano  i  tumori  del  Mollusco:  le  lesioni  si  svilup- 
pano negli  spazii  interpapillari,  che  si  slargano  in  tutti  i  sensi, 
il  tumore  presenta  dei  prolungamenti,  che  gli  danno  una  strut- 
tura lobulata  ed  hanno  fatto  credere  alla  sua  origine  glandolare. 
Sopra  nessuna  delle  sue  preparazioni  ha  constatato  le  tracce  di 
partecipazione  dell'  epitelio  follicolare  al  proces.so  morbo.so,  mentre 
che  ha  potuto  vedere  la  proliferazione  delle  cellule  epidermiche 
e  la  loro  trasformazione  caratteristica  in  Corpus  coli  del  Mol- 
lusco farsi  nella  profondità  e  partire  direttamente  dal  reticolo 
malpighiano.  Ha  trovato  infine  che  ove  esistono  le  glandole  se- 
bacee non  si  trova  aiìatto  indizio  anche  iniziale  di  tali  neofor- 
mazioni, e  che,  all'opposto,  quando  si  trova  la  neoformazione  non 
si  osservano  né  le  glandole  sebacee,  né  i  follicoli  piliferi.  Taruffi 
('875)  pare  incerto  sulla  sede  dei  noduli  di  M.  e,  giacché  pur  di- 
cendo, che  si  ha  che  fare  con  una  iperplasia  con  successiva  de- 
generazione delle  glandole  medesime,  riscontra  in  altri  esemplari 
una  struttura  diversa  ,  avendo  veduto  che  i  singoli  granuli  di 
Mollusco  erano  formati  da  più  zaffi,  epiteliali,  che  discendevano 
dal  reticolo  malpighiano,  ciascheduno  dei  quali  nel  centro  ed  un 
poco  verso  1'  estremità  subivano  la  degenerazione  suddetta  :  si 
sarebbe  trattato  di  una  metamorfosi  retrograda  di  cellule  epite- 
liali di  nuova  formazione,  metamorfosi  che  per  il  suo  aspetto  si 
può  chiamare  vitrea. 

La  nota  di  Allen  ('886),  di  aver  potuto  togliere  in  un  asilo 
di  New-York  ben  undici  tumoretti  di  M.  e.  sulle  labbra  di  una 
giovinetta  dovrebbe  essere,  secondo  me,  uno  degli  argomenti  più 
forti  contro  la  teoria  che  si  vuol  fare  di  questa  affezione  una 
lesione  delle  glandole  sebacee  o  dei  follicoli  piliferi. 

Solo  Bosc  ('905  1°)  pare  abbia  riportato  i  fenomeni  che  si 
verificano  in  questa  malattia  ad  una  esatta  concezione,  dicendo 
che  il  piccolo  tumore  è  costituito  da  una  proliferazione  pura  di 
cellule  malpighiane,  che  s' ipetrofìzzano,  si  disorientano  e  subi- 
scono una  degenerazione  totale.  Il  detto  A.  non  si  preoccupa  del 
punto  di  pmienza  della  nooformazione    in    parola,    gli    basta    di 


~  229  — 

sapere  che  a  misura  che  si  va  vorbO  il  centro  lo  cellule  aumen- 
tano di  volume,  subiscono  una  ipertrofìa  chiara  progressiva,  di- 
vengono globose  e  colossali,  con  una  parete  spessa  colloido-corhea, 
dei  filamenti  di  passaggio  e  del  protoplasma  periferico,  ed  in 
ragione  della  ipertrofia  chiara  delle  cellule,  della  ineguaglianza 
e  delle  compressioni  che  ne  risultano,  si  producono  delle  defor- 
mazioni cellulari,  delle  imbricazioni  ed  una  disorientazione,  che 
conduce  alla  formazione  di  sferule  epidermiche. 

Anche  la  patologia  comparata  insegna  che  il  tessuto  glan- 
dolare dell'epidermide  è  in  massima  parte  risparmiato  dalla  ma- 
lattia in  parola;  nei  Batraci  Mingazzinj  ('902)  dimostra  sede 
dell'affezione  esclusivamente  l'epidermide,  anzi  essa  non  viene  in 
generale  affetta  in  tutte  le  sue  parti,  poiché  le  glandolo,  che 
ne  sono  una  dipendenza,  non  di  rado  vengono  risparmiate  dal 
parassita  e  si  trovano  normalmente  costituite  al  di  sotto  del  no- 
dulo, ma  in  casi  gravi  anche  diverse  fra  esse  vengono  invase 
dal  parassita  e  sono  ricoperte  dalla  proliferazione  epiteliale,  che 
produce  la  sua  presenza.  Lo  strato  dermico  sottostante,  i  vasi 
sanguigni  ed  i  muscoli  striati,  che  in  talune  regioni  possono  tro- 
varsi molto  vicini  all'epidermide,  si  mostrano  generalmente  dì 
aspetto  normale.  Soltanto  nei  noduli  molto  sviluppati  si  può  os- 
servare una  leggiera  proliferazione  del  connettivo  dermico  inter- 
glandolare,  che  a  forma  di  zaffi,  rialza  l'epidermide  infetta  e  con- 
tribuisce a  fare  aumentare  la  rilevatezza  del  nodulo;  in  gran 
parte  però  anche  nei  noduli  maggiori  il  rilievo  è  prodotto  a 
spese  dello  strato  epidermico,  il  quale  in  seguito  alla  presenza 
del  parassita  si  ipertrofizza,  e  prolifera  notevolmente,  producendo 
l'accumulo  speciale  di  cellule  epiteliali  e  parassiti ,  che  caratte- 
rizzano essenzialmente  il  nodulo. 

Ho  seguito  numerosissimi  tagli  seriali  di  noduli  di  M.  e, 
escissi  con  l'epidermide  circostante,  e  di  pezzi  di  epidermide,  ap- 
parentemente sana,  prelevata  nei  punti  dove  erano  più  confluenti 
i  noduli  in  parola,  per  poter  colpire  il  primo  sviluppo  della  ma- 
lattia e  la  sede  di  essa.  In  questi  tagli  di  cute  normale  vien 
fatto  di  potere  osservare  nel  corpo  mucoso  di  Malpighi  dei  pic- 
coli noduli ,  dei  raggruppamenti  cellulari,  ancora  ricoperti  dagli 
strati  superiori  dell'epidermide,  senza  che  in  questi  ultimi  si  fosse 
riscontrata  alterazione  degna  di  nota.  Gli  elementi  del  corpo 
mucoso  si  mostrano  circondati  da  lasche  fibrille  di  tessuto  con- 
nettivo, che  in  certo  modo  finiscono  per  isolarli  dalle  cellule 
circostanti  sane. 

16 


—  230  — 

Il  nodulo  risulla  di  ulonunili  ncllc!  prime  t'usi  di  Corpii- 
scolaziouo,  di  cellule,  di  cui  le  più  estorue  hanno  l'alone  chiaro 
perinucleare  grande,  molta  cheratoj alina  alla  periferia,  molte  in- 
clusioni protopl asmatiche  e  cromatofìle,  degenerazioni  nucleari 
e  gli  accenni  dell'ammassarsi  della  sostanza  corpuscolare.  Gli 
elementi  più  interni  invece  hanno  già  formata  la  membrana  cel- 
lulare, hanno  spostato  il  nucleo  alla  periferia  della  zona  di  ecto- 
plasma, hanno  maggioro  numero  di  inclusioni  protoplasmatiche 
e  mostrano  più  chiaramente  i  granuli  della  sostanza  corpuscolare 
fondersi  in  masse.  Corpuscoli  di  Henderson  adulti  non  se  ne 
hanno  in  questi  primi  accenni.  Nei  noduli  più  avanzati  nello 
sviluppo  si  hanno  nel  centro  anche  dei  Corpuscoli  già  formati, 
ma  circondati  ancora  dalla  membrana  cellulare  e  da  un  nucleo 
atrofico  con  un  unico  granulo  brillante  cromatofìlo  nel  suo  in- 
terno. L'ombilico  si  originerà  successivamente  per  usura  e  dege- 
nerazione degli  strati  epidermici  normali  superiori  al  nodulo: 
avvenuta  l' usura,  l'epidermide  circostante,  proliferando,  finisce 
per  approfondirsi,  per  breve  tratto,  nella  piccola  apertura,  pro- 
ducendo il  dotto  escretore. 

Nei  noduli  visibili,  escissi  con  l'epidermide  circostante,  riesce 
agevole  vedere  che  tutto  all'intorno  del  nodulo  l'epidermide  non 
subisce  lesioni  degenerative.  Studiando  poi  i  vari  strati  cellulari, 
che  compongono  il  piccolo  neoplasma,  si  ha  la  controprova,  che 
non  è  possibile  trovare  cellule  glandolari  o  cellule  di  follicoli 
piliferi.  Gli  elementi  del  nodulo  di  M.  e.  non  sono  altro  che  gli 
epiteli  del  corpo  mucoso  di  Malpighj,  trasformati,  degenerati  ed 
abnormemente  proliferati  per  opera  del  parassita  produttore  della 
detta  affezione. 

Strato  generatore. 

Lo  strato  generatore  risulta  di  una  sola  fila  di  elementi  cel- 
lulari di  forma  più  o  meno  cilindrica  :  essi  riposano  su  quella 
membranella  anista,  che  circonda  a  modo  di  capsula  ogni  lobulo, 
rafforzata  da  alcuni  fasci  di  fibrille  connettivali,  che  si  tingono 
in  giallo  scuro  nei  preparati  colorati  con  l' ematossilina  ferrica 
secondo  Heidenhain.  Sono  cellule  ricche  di  citoplasma  granu- 
loso a  struttura  finamente  trabecolare,  più  denso  alla  periferia  della 
cellula,  anziché  verso  il  centro  di  essa,  nel  quale  trovasi  sito  un 
grosso  nucleo  vescicolare.  Quando  il  lobulo  ha  assunto  un  certo 
grado  di  sviluppo,  sia  per  la  moltiplicazione  di  queste  cellule,  che 
per  la  degenerazione  di  quelle  degli  strati  seguenti  e  successiva 


^-  231  — 

loro  trasformazione  in  Corpuscoli  di  Henderson  ,  le  cellule 
dello  strato  cilindrico  si  deformano  un  poco,  pur  restando  sempre 
riconoscibili. 

Sono  rare  le  inclusioni  cellulari;  quando  si  rinvengono  sono 
granuli  più  brillanti,  che  nelle  fissazioni  osmiche  si  tingono  molto 
opportunamente  in  nero,  e  che  in  qualche  caso  presentano  anche 
una  elettività  per  i  colori  cromatici.  Attorno  al  nucleo,  nel  maggior 
numero  di  esse,  si  rinviene  un  alone  chiaro  perinucleare  molto 
nettamente  definito.  Che  cosa  esso  rappresenta  ?  Nessuno  fin  ora 
ne  fa  menzione  nelle  cellule  cilindriche,  mentre,  che,  per  la  sua 
relativa  costanza,  credo  non  sia  destituito  di  un  valore  nella 
genesi  dei  Corpuscoli  del  Mollusco.  Sul  principio  ritenevo 
che  fosse  un  alone  chiaro,  che  preludesse  alla  cinesi  di  questi 
elementi  ;  ora  invece  sono  venuto  nella  persuazione  che  questo- 
alone  chiaro  è  il  principio  dei  cambiamenti  citoplasmatici  a  cui 
va  incontro  la  cellula  per  degenerare  in  Corpuscolo  e h era- 
to id  e.  Le  cellule  che  mostrano  questo  alone  sono,  per  me,  le  can- 
didate nella  produzione  del  caratteristico  Globo;  infatti  negli 
strati  seguenti  verso  il  centro  del  lobulo  le  cellule  poliedriche 
0  cosidette  spinose  presentano  sempre  più  accentuata  la  zona 
chiara  perinucleare.  È  vero  altresì  che  Bosc  ('995  1.°)  ha  dovuto 
notare  la  presenza  di  questo  alone  chiaro  perinucleare,  ma  non 
apparisce  se  1'  abbia  riscontrato  nelle  cellule  cilindriche  dello 
strato  basamentale  o  generatore,  ovvero  negli  elementi  degli  strati 
seguenti;  e  però  dice,  che  a  misura  che  si  va  verso  il  centro  le 
cellule  aumentano  di  volume,  subiscono  una  ipertrofia  chiara  pro- 
gressiva, divengono  globose  e  colossali,  con  una  parete  spessa, 
dovuta  alla  trasformazione  colloido-cornea  dei  filamenti  di  pas- 
saggio e  del  protoplasma  periferico.  Ed  in  una  seconda  memoria 
('905  2°),  a  proposito  delle  inclusioni  cellulari,  avverte  che  nelle 
giovani  cellule  in  ipertrofia  semichiara  si  constatano  nel  proto- 
plasma dei  Corpuscoli  molto  rifrangenti,  posti  qualche  volta 
nella  zona  chiara  perinucleare. 

Il  nucleo  vescicolare  è  sito  verso  il  centro  della  cellula,  ha 
una  membrana  nucleare  esile,  che  in  molti  punti  si  confonde 
col  reticolo  cromatico,  che  risulta  di  una  rete  sottilissima  di  fi- 
lamenti cromatici  intrecciantisi  variamente,  nelle  cui  maglie  si 
trovano  sparsi  dei  granuli  cromatici,  e  due  o  tre  nucleoli  ;  ra- 
ramente uno.  I  filamenti  del  reticolo  cromatico  a  forte  ingrandi- 
mento si  mostrano  formati  di  tanti  granuli  cromatici,  moni- 
liformi,  riuniti  da  una  sostanza  acromatica,  o  da  sostanza  che  si 
colora  poco  con  i  colori  cromati  ni  ci;  infatti  apparisce  rosa  nei  pre- 


—  2H2  — 

parati  fissati  noi  liquidi  osmici  o  colorati  con  la  saffVanina.  1  gra- 
nuli cromatici  hanno  le  medesimo  reazioni  microchimiche  dei  fila- 
menti del  reticolo ,  non  cosi  dei  nucleoli,  che  restano  sempre  meno 
intensamente  colorati  dei  granuli  e  del  reticolo.  La  sostanza  cro- 
matica nucleare  risulta  di  un  reticolo  di  iili  sottilissimi  di  linina, 
nelle  cui  maglio  si  trova  depositato  l'enchilema  nucleare. 

Non  ho  riscontrato  in  queste  cellule  mai  la  presenza  di  cen- 
trosomi o  di  centrosfere;  è  vero  che  esistono  nel  citoplasma  punti 
più  brillanti,  che  si  tingono  con  i  colori  che  mettono  in  evidenza 
tali  parti  cellulari,  ma,  sia  per  la  loro  morfologia  non  sempre  de- 
lineata, sia  perchè  sono  più  frequenti  in  quegli  elementi  che  si 
dovranno  trasformare  in  Corpuscoli  cheratoidi,  si  deve  ri- 
tenere sieno  inclusioni  protoplasmatiche  cromatofile,  ne  pare,  dopo 
i  lavori  di  Ewing  ('905),  possono  interpetrarsi  come  parassiti;  in- 
fatti, nei  preparati  fìssati  in  alcool  assoluto  e  colorati  col  pro- 
cesso RoMANowsKY,  appariscono  come  forme  reticolate,  cariche  di 
materia  cromatica,  in  rapporto  manifesto  con  il  nucleo  al  prin- 
cipio della  loro  evoluzione.  Sarebbero  Oro  mi  di  simili  a  quelli 
riscontrati  da  Hertwig  ('904)  nelV AdinospJiaerium  Eichhornii. 

BuRNET  ('906)  trova  che  le  inclusioni  protoplasmatiche  nel  M.  e. 
sono  rappresentate  da  granulazioni  di  diversa  specie,  disseminate, 
ben  distinte,  a  contorni  irregolari,  indefinite;  cosi  MichAelis  ('903) 
le  ritiene  di  natura  albuminoidea  e  grassa,  ed  Apolant  ('903) 
opina  che  al  principio  non  contengano  grasso,  grasso  che  suc- 
successivamente  apparisce  come  piccole  sferule,  la  cui  fusione 
produce  l' inclusione  adulta,  che  sarebbe  un  prodotto  di  degenera- 
zione. Sebbene  non  ne  facciano  speciale  menzione,  sembra  che  le 
inclusioni  cellulari  descritte  da  Borrel  ('904)  e  da  Bosc  ('905  2°) 
si  debbano  riferire  al  citoplasma  delle  cellule  spinose  del  corpo 
mucoso  di  Malpighi,  anziché  alle  celiale  cilindriche  dello  strato 
generatore. 

Questi  elementi  cilindrici  dello  strato  generatore,  per  quanto 
simili  alle  cellule  cilindriche  dello  strato  basamentale  dell'  epi- 
dermide normale,  pure  ne  differiscono  per  molti  caratteri;  non 
può  quindi  ritenersi  assoluta  l'affermazione  di  Benda  ('895),  per  il 
quale  ne  lo  strato  cilindrico,  né  quello  vicino  mostrerebbero  ano- 
malie. Per  il  detto  A.  l'irritazione  produrrebbe  un  certo  aumento, 
ma  la  proliferazione  cellulare  non  sarebbe  sicuramente  d' impor- 
tanza primaria  nello  sviluppo  del  M.  e. 

Poco  studiata  nei  noduli  di  M.  e.  è  stata  la  cinesi;  quasi 
nessun  A.  pare  se  ne  sia  occupato,  infatti  uno  di  quelli  che  più 
degli    altri  ha  approfondito  l'argomento,   Audry  ('899),    si    con- 


—  233  — 

tonta,  a  proposito  dolio  strato  generatore,  di  dire,  che  un  gran 
numero  di  nuclei  si  trovano  a  stadi  vari  di  cariocinesi ,  e  che 
essondo  le  cellule  in  via  di  cariocinesi  sensibilmente  più  numerose, 
che  nella  pelle  sana,  questo  strato  non  potrebbe  esattamente  cre- 
dersi che  rappresentasse  lo  strato  cilindrico  della  epidermide 
normale.  È  vero  altresì  che  prima  di  Audry  ('899)  Majocchi 
('885)  avrebbe  dato  pochi  cenni  al  riguardo:  dice  di  aver  rilevato 
le  diverse  fasi  ascendenti  e  discendenti  della  scissione  indiretta 
nelle  cellule  epiteliali  che  circondano  le  masse  dei  Globi  j  ali  ni. 
Le  cellule  cilindriche  dello  strato  basale  e  talune  delle  serie  su- 
periori a  queste,  presentano  d'ordinario  le  figure  cariocinetiche 
più  o  meno  distinte.  In  quanto  al  numero  delle  cellule  in  cario- 
cinesi, non  si  può  stabilire  sempre  una  norma  costante;  in  qualche 
zaffo  malpighiano  si  osservano  abbastanza  numerose,  in  altri  in- 
vece scarseggiano  :  ha  trovato  frequentissimamente  le  figure  a 
gomitolo  ed  a  ghirlanda  del  nucleo,  frequenti  ancora  le  figure  a 
piastrina  equatoriale  e  quelle  a  semplice  o  a  doppio  astro,  più 
rare  invece  le  figure  del  doppio  nucleo  a  forma  gomitolare  e  con 
incipiente  scissione  del  corpo  cellulare.  Ed  infine  Mingazzini  ('894) 
negli  elementi  cilindrici  dei  noduli  di  Vainolo  dei  Polli,  ri- 
scontra una  maggiore  attività  per  la  frequenza  delle  figure  ca- 
riocinetiche. 

Le  cellule  dello  strato  generatore,  nelle  quali  si  osservano 
figure  mitotiche  ,  non  sono  quegli  elementi  che  presentano  at- 
torno al  nucleo  l'alone  chiaro  definito,  che  io  ritengo  sia  il  primo 
inizio  della  Corpuscolazione. 

Si  nota,  è  vero,  in  queste  cellule  che  si  accingono  alla  ci- 
nesi, una  rarefazione  del  citoplasma  perinucleare,  però  tale  alone 
chiaro  va  insensibilmente  confondendosi  con  il  restante  del  pro- 
toplasma ,  e  contemporaneamente  si  osserva  una  condensazione 
del  reticolo  cromatico  verso  il  centro  del  nucleo,  condensazione 
che  porta  come  conseguenza  che  i  nucleoli  ed  i  granuli  croma- 
tici sparsi  nell'enchilema  nucleare  sono  poco  visibili ,  se  non  si 
ricorre  a  degli  artifici  di  tecnica,  cioè  alla  colorazione  forte  del 
preparato  con  l'ematossilina  ferrica  ed  alla  illuminazione  con  la 
luce  artificiale.  Ohe  cosa  rappresenta  questa  condensazione  della 
cromatina  ?  Non  è  facile  spiegarlo.  È  una  fase  costante  di  tutti 
gli  elementi  che  dovranno  riprodursi;  infatti  anche  in  altri  tes- 
suti patologici  neoplastici  mi  è  stato  dato  di  poter  osservare 
identici  fenomeni  endonucleari. 

Sia  nei  sarcomi  parvicellulari  [Gr argano  ('908)],  che  nei  sar- 
comi a  cellule  polimorfe  [Gargano  ('909)]  ho  notato  quasi  costante 


—  234  — 

alla  prolusu  lo  stadio  di  «  siimpsi  >.  Escludo  elio  ciò  sia  do- 
vuto ad  azione  contrattile  dei  fissativi  e  degli  alcool,  sia  perche 
questa  azione  contrattile  non  si  trova  spiegata  negli  altri  elo- 
menti, sia  anche  perchè  la  membrana  nucleare  non  si  mostra  per 
nulla  raggrinzita. 

Alla  fase  sinaptica  segue  uno  stadio  in  cui  le  maglie  del 
reticolo  cromàtico  si  trovano  novellamente  diradate,  queste  sono 
però  più  spesse  e  più  tozze  dello  stadio  precedente;  la  membrana 
nucleare  si  rende  più  sottile,  perde  i  contatti  che  aveva  prece- 
dentemente col  reticolo  cromatico;  i  nucleoli  non  mandano  nes- 
suna risoluzione  nucleolare.  Tutta  la  cellula  da  cilindrica  assume 
una  forma  più  o  meno  sferica  ,  le  inclusioni  protoplasmatiche 
cromatofìle  ed  i  granuli  di  cheratoj alina  spariscono  probabil- 
mente per  un  processo  di  lisi  ;  nelle  maglie  del  reticolo  croma- 
tico si  avverano  movimenti  che  portano  alla  divisione  ,  al  fra- 
zionamento di  questo  reticolo  nei  cromosomi,  e  contemporanea- 
mente alla  formazione  cromosomica  profasica  avvengono  nei 
nucleoli  speciali  mutazioni,  si  formano  risoluzioni  nucleolari  tal- 
volta complicatissime  ,  a  molte  anse ,  risoluzioni ,  che  in  questo 
periodo  non  si  dissolvono  nell'  enchilema  nucleare.  Tali  risolu- 
zioni si  colorano  intensamente  in  rosso  nei  preparati  fissati  nei 
liquidi  di  Flemming  o  di  Hermann  e  colorati  con  la  saffranina, 
ed  in  nero  in  quelli  colorati  con  1'  ematossilina  ferrica  ;  hanno 
una  spiccata  basofilia  simile  a  quella  dei  cromosomi ,  sebbene 
non  entrino  direttamente  nella  loro  formazione. 

Talvolta  infatti  qualche  nucleolo  non  ha  ancora  dato  riso- 
luzioni nucleolari,  quando  già  il  reticolo  cromatico  si  è  spezzet- 
tato in  cromosomi. 

I  cromosomi  sono  a  forma  di  bastoncelli  e  di  uncini  o  di 
V  e  sono  spesso  inegualmente  lunghi ,  per  il  che  durante  Y  at- 
trazione delle  fibre,  avviene  che  questa  è  spesso  limitata  ad  un 
piccolo  numero  di  essi  o  che  interessa  solo  l' estremità  del  V  od 
un  suo  punto  prossimo  e  quindi  più  un  cromosoma  di  un  altro, 
cosi  come  era  stato  notato  da  Bashford  &  Murray  ('906)  nelle 
mitosi  eterotipiche  del  cancro.  Interessante  sarebbe  stato  poter 
definire  il  numero  dei  cromosomi  profasici ,  date  tutte  le  qui- 
stioni  di  citologia  normale  e  patologica,  che  si  collegano  ad  esso. 
I  cromosomi  invece  sono  talmente  addossati  fra  loro  ,  e  con  le 
anse  di  risoluzione  dei  nucleoli,  che  è  assolutamente  impossibile 
numerarli.  I  rapporti  fra  cromosomi  e  nucleoli  nelle  cellule  ci- 
lindriche dello  strato  generatore  del  M.  o.,  devono  essere  simili 
a  «juanto  io    [Gargano  ('909)]  descrivevo  per  le    cellule  del  tipo 


—  285  — 

indeterminato  dei  .sarcomi,  cioè  che  il  nucleolo  o  i  nucleoli  for- 
nirebbero della  sostanza  ai  cromosomi,  senza  entrare  direttamente 
nella  loro  formazione  ,  per  mezzo  di  una  diffusione  di  sostanza 
cromatica  nell'enchilema  nucleare. 

La  membrana  nucleare  si  disorganizza  anche  essa,  si  disor- 
ganizzano completamente  le  risoluzioni  nucleolari,  ed  i  cromosomi 
restano  liberi  nel  citoplasma  cellulare;  mai  si  riscontrano  figure 
a  gomitolo  unico. 

La  metafase  si  inizia  con  un  ingrandimento  considerevole  della 
cellula  e  col  rendersi  questa  più  sferica  e  più  chiaro  tutto  il  ci- 
toplasma :  non  si  riesce,  nemmeno  con  forti  ingrandimenti,  ad 
osservare  la  struttura  trabecolare.  Si  trovano  cellule  nelle  quali 
si  è  formato  il  fuso  acromatico  con  i  cromosomi  all'equatore,  ma 
non  restano  fìssati  gli  stadi  intermedi,  per  i  quali  la  cellula  deve 
necessariamente  passare  per  giungere  alla  metacinesi.  AH'  estre- 
mità dei  fili  del  fuso  acromatico  non  si  trovano  centrosomi,  non 
si  riesce  a  vedere,  che  dei  punti  più  brillanti,  che  sono  il  risul- 
tato della  confluenza  dei  fili  lininici.  I  cromosomi  si  dispongono 
all'equatore  del  fuso  in  un  modo  abbastanza  ordinato,  ma  sono 
anche  in  questa  fase  talmente  ammassati  da  non  essere  possibile 
di  numerarli,  e  per  questa  ragione  si  deve  supporre,  più  che  os- 
servare ,  lo  stadio  di  scissione  longitudinale  di  essi  :  in  alcune 
cellule  si  deve  ammettere  che  sia  avvenuta  la  scissione  longitu- 
dinale dei  cromosomi ,  solo  per  il  fatto  che  il  numero  è  certa- 
mente maggiore. 

I  cromosomi  figli ,  alla  telofase  ,  arrivati  ai  poli  del  fuso 
acromatico,  dopo  uno  stadio  di  «  tassement  polaire  »,  (nel  quale 
restano  molto  serrati  gli  uni  contro  gli  altri,  tanto  da  non  farne 
distinguere  i  loro  contorni ,  pur  conservando  la  loro  individua- 
lità) tornano  a  distaccarsi  e  si  risolvono  in  un  reticolo,  ossia  ogni 
cromosoma  sembra  risolversi  in  un  reticolo  elementare,  e  che  il 
reticolo  totale  sia  dato  dalla  confluenza  dei  reticoli  elementari 
cromosomici,  senza  che  vi  sia  uno  stadio  di  gomitoli  unici,  iden- 
ticamente come  alla  profase  non  è  possibile  vedere  un  gomitolo 
unico,  che  frammentandosi  desse  origine  ai  cromosomi  profasici. 
Con  la  formazione  del  reticolo  cromosomico  telofasico  si  ha  la 
ricostruzione  del  nucleolo  o  dei  nucleoli,  i  quali  non  nascono 
mai  direttamente  dalla  fusione  dei  cromosomi  :  appariscono  in- 
fatti quando  già  il  reticolo  si  sarà  formato.  Come  nelle  cellule 
indeterminate  dei  sarcomi,  «  *1  nucleolo  o  i  nucleoli  si  formano 
a  spese  non  dei  cromosomi,  ma  di  una  sostanza  cromatofila  che 
si  trova  sparsa  nell'enchilema  dei  due  nuovi  nuclei,  e  che  qualche 


—  236  —  *! 

volta  prendono  dolio  cuniios.sioni  apparenti  con  il  reticolo  cro- 
matico e  con  le  masse  cromatiche  ,  in  modo  che  ad  un  esame 
superficiale  si  potrebbe  ritenore  che  morfologicamente  avessero 
origine  dalla  fusione  di  più  cromosomi  ».  La  formazione  della 
membrana  nucleare,  e  la  scissione  del  citoplasma  ,  costituiscono 
l'anafase  di  questi  elementi. 

Corpo  mucoso. 

Allo  strato  generatore  seguono  nei  lobuli,  negli  zaffi  dei  no- 
duli di  M.  e,  parecchi  strati  cellulari,  che  da  tutti  gli  aa.  sono 
stati  paragonati  al  corpo  mucoso  dell'epidermide  normale,  quindi 
alle  cellule  spinose,  né  questo  convenzionalismo  è  stato  per  nulla 
contradetto  dai  più  recenti  osservatori.  Bizzozero  &  Manfredi 
('877)  notano  nel  M.  e.  che  le  cellule  spinose  hanno  aspetto 
epiteliale,  acquistano  una  forma  irregolarmente  poliedrica,  con- 
servano il  nucleo  verso  il  centro  ed  offrono  il  contorno  spesso 
sotto  forma  di  quella  fina  striatm'a  raggiata,  che  è  propria  delle 
cellule  spinose  o  ciliate  degli  epiteli  pavimentosi  stratificati.  Per 
Majocohi  ('885)  le  cellule  nelle  quali  avviene  la  trasformazione 
jalina  in  Corpuscoli  di  Henderson  sarebbero  quelle  dello  strato 
interpapillare  degli  zafii  malpighiani. 

Kromayer  ('893)  in  un  accurato  disegno  dimostra  i  differenti 
strati  dell'epidermide,  che  compongono  i  lobi  dei  tumoretti  di 
M.  c.\  le  cellule  cilindriche  sono  ammassate  le  une  contro  le  altre 
e  nello  strato  spinoso  si  verificherebbe  la  trasformazione  corpu- 
scolare, però  non  tutti  gli  elementi  si  trasformerebbero  in  Globo 
cheratoide,  ma  ve  ne  sarebbero  alcuni  che  formerebbero  la 
sostanza  intermedia.  Ed  anche  Benda  ('895)  non  riconoscerebbe 
anomalie  nelle  cellule  cilindriche  e  nelle  cellule  spinose  dei  no- 
duli di  M.  e.  Per  Audry  ('899)  questo  strato  conserva  tutti  i  suoi 
caratteri  fondamentali,  essendo  formato  di  cellule  poligonali  riu- 
nite da  filamenti  unitivi  (ponti  di  Schulze),  facilmente  ricono- 
scibili, perchè  messi  in  evidenza  da  tutti  i  reattivi  abituali  (pi- 
crocarminio,  fuxina  acida,  orango  [3,  ecc.),  mentre  molte  cellule 
spinose  sono  del  tutto  normali;  però,  nello  stesso  temilo  che  rico- 
nosce la  somiglianza  perfetta  di  questi  elementi  con  quelli  della 
cute  normale,  in  altro  punto  dice  che  quando  vi  sono  più  file 
cellulari,  queste  cellule  divengono  appiattite  ed  i  filamenti  uni- 
tivi non  si  scorgono  che  difficilme"hte. 

Infine  Bosc  ('905  1")  si  contenta  di  dire  poche  parole  al  ri- 
guardo, riforisc(!  solo  elio  ciascuno  doi  lobuli  è  formato  di  cellule 


—  237  — 

epiteliali,  che  presentano  la  struttura  tipica  delle  cellule  malpi- 
gbiane  di  rivestimento,  e  che  alla  periferia  le  cellule  che  proli- 
ferano formano  dei  bottoni  secondari  e  sono  piccolo  ed  addossate 
le  une  contro  le  altre  a  palizzata.  Evidentemente  per  cellule  a 
palizzata  Bosc  ('905  l*')  intende  parlare  delle  cellule  cilindriche 
dello  strato  generatore. 

Viceversa,  coloro,  che  ritengono  che  il  piccolo  neoplasma  abbia 
come  punto  di  partenza  le  glandolo  sebacee,  vedono  negli  elementi 
in  parola  cellule  gl-andolari  trasformate  e  degenerate,  cosi  Renaut 
('880)  riferisce  che  questi  elementi,  invece  di  subire  l'evoluzione 
grassa,  per  un  processo  degenerativo  elaborano  un  Globo  di 
corno  imperfetto,  tanto  che  negli  intervalli  fra  i  Globi,  alcune 
cellule  si  saldano  a  reticolo  ed  altre  subiscono  l'evoluzione  epi- 
dermica regolare,  infatti,  nel  citoplasma  di  queste  ultime  cellule 
si  troverebbero  disseminate  le  granulazioni  di  eleidina.  Laddove 
per  Campana  ('886)  l'elemento  che  concorre  maggiormente  a  for- 
mare la  estroilessione  o  propagine  epidermica  è  lo  strato  gra- 
nuloso, che  in  quel  tratto  si  presenta  costituito  non  da  una  o 
da  due  serie  di  cellule  granulose,  ma  da  cinque  o  sei  ed  anche 
disposte  in  guisa  da  costituire  un  cono  con  apice  in  basso.  Ed 
anche  Stanziale  ('890)  non  avrebbe  potuto  mai  osservare  la  pre- 
senza di  Corpuscoli  nello  strato  malpighiano,  ciò  che  invece 
avrebbe  chiaramente  rinvenuto  nello  strato  granuloso  di  Ranvier. 

Esaminando  un  poco  tali  elementi,  quelli  cioè  che  seguono 
i  cilindrici  dello  strato  generatore,  si  vede  che  non  corrispondono 
perfettamente  alle  cellule  spinose  dello  strato  mucoso  di  Mal- 
piGHi  dell'epidermide  normale  ed  alla  descrizione  sintetica  che 
ne  dà  E-anvier  ('879  1°).  Per  Ranvier  infatti  le  cellule  del  corpo 
mucoso  di  Malpighi  dell'epidermide  normale,  formate  da  masse 
di  protoplasma  munite  di  nuclei,  non  sarebbero  assolutamente 
individualizzate,  ma  fornite  di  filamenti  protoplasmatici.  Ciascuno 
di  questi  filamenti  non  risulta  dalla  unione  di  due  filamenti  posti 
r  uno  accosto  all'altro,  né  si  ha  traccia  di  una  saldatura,  come  ha 
detto  Bizzozero,  né  di  una  iuxtaposizione,  come  ha  preteso  Lott  ; 
per  tale  ragione  queste  cellule  non  sono  completamente  separate, 
sono  confuse,  ma  non  saldate  dai  loro  filamenti  di  unione,  riu- 
scendo impossibile  di  determinarne  i  limiti  con  l' impregnazione 
di  argento,  o  di  isolarle  con  la  dissociazione. 

Pur  volendo  ammettere  che  questo  strato  sia  completamente 
identico  a  quello  delle  cellule  spinose  del  corpo  mucoso  di  Mal- 
piGHi,  si  deve  riconoscerne  delle  differenze:  é  costituito  infatti 
da  due  tipi  speciali  di  cellule,  cellule  che  dovranno  produrre   i 


—  238  ~ 

Corpuscoli  dol  Mollusco,  e  cellule  che  dovranno  assolvere 
una  certa  evoluzione  e  poi  degenerare,  nel  loro  consecutivo  svi- 
luppo, principalmente  per  la  compressione  esercitata  su  di  esse 
dai  Corpuscoli  di  Henderson.  Non  sarebbe  infatti  spiegabile 
come  delle  cellule  del  corpo  mucoso  o  anche  dello  strato  gra- 
nuloso (!),  restassero  indenni  dal  processo  di  Corpuscolazione, 
proprio  nel  centro  degli  zaffi,  là  dove  appunto  questo  processo 
si  trova  nella  sua  maggiore  rigogliosità.  Che  sieno  i  Corpuscoli 
di  Henderson  la  fase  di  spore  libere  di  un  Protozoo,  che  sieno 
invece  la  degenerazione  del  citoplasma  cellulare,  che  sieno  le 
spore  di  un  fungo,  come  afferma  Mingazzini  ('894;  '902),  nessuno 
potrà  non  ammettere  che  la  malattia  sia  infettiva.  E  dato  che 
la  maggior  parte  degli  aa.  ritiene  che  l'infezione  avviene  proprio 
nelle  cellule  del  corpo  mucoso,  non  sarebbe  spiegabile  che  delle 
cellule,  che  si  trovano  in  un  ambiente  cosi  propizio  a  potersi  in- 
fettare e  subire  la  trasformazione  in  Globo  cheratoide,  assol- 
vessero invece  la  loro  fisiologica  trasformazione,  degenerando, 
prima  in  cellule  granulose  e  poi  in  cellule  cornee,  che  sarebbero 
alla  lor  volta  eliminate  in  una  con  i  Griobi  ed  i  detritus  cellulari 
dal  cratere  od  ombilico  del  piccolo  neoplasma.  0  si  conviene  con 
me  che  i  processi  di  Corpuscolazione  abbiano  il  loro  inizio 
nelle  cellule  cilindriche  dello  strato  generatore  ed  in  queste  solo, 
e  che  queste  soltanto  sieno  capaci  di  poter  subire  l' influenza 
dei  parassiti  o  delle  loro  tossine,  dando  corso  alla  trasformazione 
speciale  in  Globo,  e  che  quando  la  cellula  cilindrica  non  si  è 
infettata,  potrà  invece  assolvere  una  metamorfosi,  direi  quasi, 
fisiologica,  restando  refrattaria  a  subire  l'influenza  nocivi  della 
degenerazione  corpuscolare.  Ovvero  si  deve  ammettere  l'ipotesi 
di  ViRCHOw  ('865),  meglio  chiarita  da  Lukomsky  ('876),  che  questi 
Corpuscoli,  pur  non  essendo  corpi  parassitari,  provengano  dalla 
trasformazione  del  citoplasma  di  grossi  elementi  mobili  e  che 
quindi  tutte  le  cellule  del  corpo  mucoso  assolverebbero  la  loro 
fisiologica  trasformazione  in  elementi  granulosi  e  cornei. 

Le  cellule,  nel  cui  protoplasma  si  dovranno  produrre  quelle 
tali  formazioni  note  col  nome  di  Corpuscoli  cheratoidi,  sono 
elementi  rotondeggianti,  sul  principio  senza  parete,  ma  che  poi 
consecutivamente,  per  l'ispessimento  citoplasmatico  nella  parte 
periferica  della  cellula,  vanno  assumendo  un  aspetto  molto  deli- 
neato sugli  elementi  vicini.  Il  loro  protoplasma  di  struttura  filare 
è  raddensato  alla  periferia  della  cellula  e  contrasta  con  la  zona 
chiara  citoplasmatica  perinucleare,  alla  {|ual<^  io  annetto  molta 
importanza  nella  gonesi  dei    Corpuscoli.    Anche    Audry   ('899) 


-  239  — 

nello  cellule  più  profonde  del  corpo  mucoso  avrebbe  notato  dila- 
tazione dello  spazio  chiaro  perinucleare  di  Ranvier,  pur  ritenendo 
la  cosa  destituita  di  valore,  essendo  un  fatto  costante  in  altre 
lesioni  dell'epidermide  ;  sarebbe  secondo  l'A.  tanto  più  pronun- 
ziato, per  quanto  le  cellule  spinose  sarebbero  più  superficiali,  per 
il  che  pensa  che  tale  zona  chiara  non  abbia  rapporto  con  la  for- 
mazione vesci  Golosa  degli  elementi,  che  subiscono  la  Cor  pus  co- 
lazione. 

Nel  mezzo  della  cellula  è  sito  un  grosso  nucleo  vescicolare 
che  differisce  da  quello  delle  cellule  cilindriche  dello  strato  ge- 
neratore per  un  ammassamento  della  sostanza  cromatica  in  un 
ristretto  numero  di  punti  del  reticolo  cromatico  e  per  il  fatto 
che  spesso  si  vede  partire  dai  nucleoli  qualche  risoluzione,  che 
dà  al  nucleolo  stesso  l'aspetto  stellare. 

Nel  citoplasma  periferico  di  queste  cellule,  che  potremmo  chia- 
mare ectoplasma,  si  notano  quattro  specie  di  inclusioni  o  granu- 
lazioni, di  elei  dina  o  cheratoj  alina,  le  inclusioni  cromatofìle,  le 
inclusioni  cromatiche  dipendenti  dalla  degenerazione  dei  nuclei 
ed  i  depositi  di  quella  singolare  sostanza,  dalla  cui  condensa- 
zione si  formeranno  i  Corpuscoli  di  Hendeeson. 

Le  cellule  invece,  che  assolveranno  la  loro  normale  evoluzione 
hanno  forma  poliedrica,  sono  senza  parete,  con  citoplasma  a 
struttura  trabecolare,  molto  ricco  di  granulazioni  di  eleidina,  e 
relativamente  meno  fornite  di  inclusioni  cromatofile.  Non  son 
riuscito  mai  a  mettere  in  evidenza  i  filamenti  protoplasmatici, 
che  dovrebbero  unire  questi  elementi,  i  cosi  detti  ponti  di  ScHULze 
0  porocanali  di  ScnrÒN.  Hanno  un  grosso  nucleo  vescicolare  sito 
nel  centro  della  cellula,  nucleo  ricco  di  sostanza  cromatica,  sparso 
in  reticolo  sottile  di  maglie  che  si  intrecciano  variamente,  e  for- 
nito di  due  o  tre  nucleoli  e  di  parecchi  granuli  cromatici,  che 
reagiscono  verso  i  colori  della  cromatina  come  le  maglie  del  re- 
ticolo stesso;  attorno  al  nucleo  non  si  riscontra  mai  in  queste 
cellule  l'alone  chiaro.  L'ectoplasma  di  esse  è  identico  per  mor- 
fologia e  per  reazioni  microchimiche  all'endoplasma. 

Il  fatto,  che  non  tutte  le  cellule  del  corpo  mucoso  nel  M.  e. 
dieno  indifferentemente  origine  al  Grlobo  cheratoide,  fu  og- 
getto di  studio,  nei  loro  accurati  lavori,  per  parte  di  Bizzozkro 
&  Manfredi  ed  anche  di  Mingazzine  ('894).  Bizzozero  &  Man- 
fredi ('877)  notarono  che  non  tutte  le  cellule  epiteliali  dello 
strato  più  profondo  producono  nel  proprio  seno  un  Globo;  molte 
di  esse,  massime  quelle  giacenti  sullo  pareti  laterali  del  tubolo, 
subiscono  la  loro  trasformazione  cornea  fisiologica,  e   vanno,  tra- 


—  240  — 

sformato  in  lanioUo,  a  vuotarsi  nel  confluouto  dei  tubuli  o  poscia 
alla  superficie  della  pelle,  mescolate  ad  altre  piastre  ed  ai  Glob  i. 
In  questo  loro  decorso  esse  vengono  incastrate,  schiacciate  contro 
i  Globi,  dei  quali  perciò  mantengono  l'impronta  sotto  forma 
di  incavature  più  o  meno  profonde,  più  o  mono  numerose.  A.ncho 
MiNQAzziNi  ('894)  trovò,  negli  Uccelli ,  che  non  tutte  le  cellule 
del  nodulo  sono  uniformemente  colpite  dal  parassita,  e  che  è 
rarissimo  di  poterne  trovare  taluna  esente  ;  nei  noduli  di  M.  e. 
dell'Uomo  invece  non  tutto  le  cellule  sono  colpite  dal  processo. 
E  nei  Batraci  ('902)  gli  fu  agevole  vedere  che  non  tutte  le  cel- 
lule della  neoformazione  epiteliale  venivano  invase  dai  parassiti, 
anzi  molte  fra  esse  ne  erano  prive,  tuttavia  si  mostravano  al- 
terate in  parte  nella  forma,  in  parte  nella  costituzione.  Nei  no- 
duli molto  sviluppati  l'A.  descrive,  che  lo  strato  delle  cellule  ci- 
lindriche viene  modificato,  nel  senso  che  i  loro  nuclei  non  hanno 
più  la  regolare  disposizione  a  palizzata,  come  nell'  epitelio  nor- 
male, col  loro  maggiore  diametro  in  direzione  perpendicolare  alla 
superficie  dell'epidermide,  ma  invece  lo  presentano  parallelo  ed 
obliquo  a  questo  e  sono  qua  e  colà  più  numerose,  mentre  altrove 
sono  assai  più  rade,  che  nell'  epitelio  normale.  Soltanto  gli  ele- 
menti entro  i  quali  un  parassita  si  sviluppa  vengono  ben  presto 
a  morire,  degenerando  con  grandissima  rapidità  il  loro  protopla- 
sma ed  il  nucleo:  tutti  gli  altri  rimangono  in  vita,  benché  sieno 
compressi  e  deformati  parzialmente,  sia  dagli  elementi  vicini,  sia 
dai  parassiti. 

In  questi  elementi  poliedrici  non  ho  osservato  mai  mitosi,  ed 
in  ciò  mi  uniformo  all'opinione  espressa  da  Benda  ('897);  si  ve- 
dono altresì  delle  figure  di  movimento  del  nucleo  ed  anche  qualche 
volta  di  scissione  dello  stesso,  ma  sono  movimenti  che  non  por- 
tano mai  alla  riproduzione  cellulare,  essendo  fasi  che  stanno  in 
rapporto  con  la  speciale  degenerazione  di  queste  cellule  e  con 
la  loro  trasformazione  in  Corpuscolo  cheratoide.  Laddove 
AuDRY  ('899),  pur  notando  mitosi  nel  corpo  mucoso  sopra  un  pic- 
colo numero  di  pezzi,  crede,  sia  certo  che  si  possano  riscon- 
trare negli  elementi  in  parola  ;  però,  per  la  loro  rarità  trae  ar- 
gomento potente  contro  l'assimilazione  del  M.  e.  ad  un  epitelioma. 

Gorpuscolazione. 

Le  alterazioni  e  le  lesioni  delle  cellule  del  corpo  mucoso  di 
Mali'ighi  durante  il  processo  di  Corpuscol  azione  sono  molto 
eoniplesse  e  non  è  facile  poterle  studiare    nel  loro  insieme  ,   es- 


—  241    - 

sendo  state  al  riguardo  numerosissime  e  disparate  lo  opinioni 
emesse  dai  vari  osservatori.  Esse  infatti  riguardano  principal- 
mente la  formazione  di  una  membrana  cellulare  ,  le  anomalie 
nucleari,  le  genesi  dei  granuli  e  gocciole  di  una  sostanza  inter- 
pretata per  eleidina  o  cheratoj alina,  le  inclusioni  protoplasma- 
tiche,  le  inclusioni  cromatofile  provenienti  dalla  degenerazione 
della  sostanza  cromatica  dei  nuclei,  e  riguardano  infine  quella 
speciale  e  singolare  sostanza,  dalla  cui  condensazione  si  originano 
i  Corpuscoli  di  Henderson.  Tutto  ciò  stando  puramente  allo 
studio  morfologico  di  queste  cellule,  senza  entrare  per  ora  nella 
interpretazione  se  questi  Corpuscoli  sieno  l'esponente  della  de- 
generazione del  citoplasma  cellulare ,  ovvero  se  debbano  invece 
riguardarsi  come  la  fase  ultima  o  anche  degenerativa  di  un  pa- 
rassita qualsiasi  produttore    della  malattia  in  parola. 


Primo  inizio  della  Corpuscolazione.  Migrazione  del  nucleo. 

Si  è  detto  che  il  primo  inizio  della  Corpuscolazione  si 
avvera  nelle  cellule  cilindriche  dello  strato  generatore  ,  con  la 
presenza  e  formazione  di  un  alone  chiaro  perinucleare;  si  è  detto 
pure  come  non  tutte  le  cellule  di  questo  strato  presentino  tale 
zona  chiara  citoplasmatica,  e  che  anzi  questi  ultimi  elementi,  in 
apparenza  normali  e  somiglianti  molto  alle  cellule  basamentali 
dello  strato  mucoso  di  Malpighi  dell'  epidermide  normale ,  sono 
quelli  che  subiscono  una  evoluzione  ordinaria,  ovvero  che  si  ri- 
producono per  mitosi,  mitosi  che  danno  come  risultato  elementi 
che  pure  potranno  andare  soggetti  alla  particolare  degenerazione 
cheratoide  del  loro  citoplasma  ,  sono  cellule  che  potranno  pro- 
durre un  Corpuscolo  di  Henderson.  Per  l'attiva  moltiplicazione 
cariocinetica  le  cellule  vengono  spinte  più  all'interno  degli  zaffi, 
compresse  variamente,  e  da  cilindriche  assumono  una  forma  più 
o  meno  poliedrica,  irregolarmente  poliedrica.  L'alone  chiaro  pe- 
rinucleare si  ingrandisce,  l'ectoplasma  si  raddensa  alla  periferia 
della  cellula  ed  il  nucleo  subisce  delle  speciali  modificazioni  nella 
disposizione  della  cromatina.  Un  punto  molto  delicato  a  notarsi 
ed  importante  si  è  il  passaggio  del  nucleo  dal  citoplasma  chiaro 
o  endoplasma  nell'ectoplasma  della  cellula  (Figg.  1  e  2);  questa 
migrazione  avviene  prima  che  nell'endoplasma  incominci  ad  ap- 
parire quella  speciale  sostanza,  che  formerà  il  Globo  chera- 
toide. n  nucleo  non  è  quindi  spinto,  come  erroneamente  si 
crede,  alla    periferia    della    cellula    dal    crescere    del    Globo,  il 


-    2-12   - 

(]Uiil(.(  (riiltrondn.  come  si  vedrà,  non  iiiiscc  comò  un  unico  ispos- 
simeuto  citoplasmatico. 

Per  tutti  gli  aa.  è  invoce  il  Corpuscolo  di  Rende asoN  quello 
che  col  suo  sviluppo  spinge  passivamente  il  nucleo  alla  periferia 
contro  la  membrana  :  infatti,  per  Bizzozkho  &  Manfredi  ('877) 
colla  formazione  del  Globo,  il  nucleo  viene  rigettato  verso  la  peri- 
feria e  schiacciato  fra  il  Globo  e  la  membranella  cornea  che 
si  sarà  formata  tutto  intorno  alla  cellula.  Renaut  ('880)  pure 
vede  che  nel  protoplasma  delle  cellule  spinose  si  sviluppano  dei 
corpi  traslucidi,  che  si  colorano  in  rosso  col  picrocarminato  di 
ammoniaca  e  che  restano  scolorati  dall'azione  dell'acido  osmico 
e  osserva  che  col  crescere  del  Globo  il  nucleo  cellulare  è  ri- 
cacciato alla  periferia  della  cellula.  Nel  medesimo  ordine  di  idee 
è  Campana  ('886)^,  egli  nota  che  il  nucleo  di  queste  cellule  au- 
menta di  volume,  si  rende  molto  trasparente  ,  assume  precisa- 
mente la  forma  trasparente  del  Corpuscolo  di  Henderson  e  si 
presenta  in  tutto  o  in  parte  circondato  da  frammenti  di  cellule 
con  eleidina:  il  protoplasma  quindi  ,  secondo  1'  A.,  non  concor- 
rerebbe alla  formazione  dei  Globi.  E  consecutivamente  ('893) 
dice  che  per  l'abbondanza  riscontrata  dell'eleidina,  ebbe  un  mo- 
mento il  dubbio  se  realmente  il  Corpuscolo  del  M.  e.  potesse 
uscire  dal  protoplasma  degli  elementi  epiteliali  o  dal  nucleo;  ma 
poi,  per  ulteriori  osservazioni,  viene  nella  persuasione  che  questo 
elemento  si  origina  da  una  parte  che  è  ordinariamente  il  pro- 
toplasma, e  che  secondo  alcuni  sarebbe  una  degenerazione  ,  se- 
condo altri  e  l'A.  un  parassita. 

Marullo  ('904)  poi,  nel  mentre  descrive  nel  protoplasma  delle 
cellule  spinose  delle  speciali  degenerazioni,  che  portano  alla  for- 
mazione di  una  parete  cellulare,  dice  che  verso  la  parete  stessa 
si  va  depositando  una  sostanza  per  lo  più  in  forma  di  lamelle, 
che  si  adattano  con  la  loro  superfìcie  convessa  alla  detta  pa- 
rete e  con  la  superficie  concava  alla  parte  centrale  della  cel- 
lula. Queste  lamelle  hanno  un  aspetto  corneo  splendente  e  sono 
il  prodotto  del  processo  di  cornifìcazione ,  che  dipende  dalla 
facoltà  che  hanno  le  cellule  malpighiane  di  produrre  sostanza 
cornea  in  un  periodo  finale  della  loro  vita  anche  lontano  dalla 
loro  sede  naturale.  Questa  sostanza  cornea  si  nota  sempre  alla 
periferia  della  cellula  dove  pare  che  si  principia  sempre  il  pro- 
cesso di  cornifìcazione,  forse  a  causa  delle  pressioni,  che  si  eser- 
citano da  tutti  i  lati  intorno  alla  cellula,  e  che  produce  un  es- 
siccamento del  tessuto,  clie  va  dalla  periferia  al  centro  cellulare. 
Come  si  dirà  anche  in  seguito,   non  credo  che  si  possa  mettere 


—  '243  - 

por  nulla  avanti  il  rliibbio  espresso  da  Cami'AiVA  f'8d3j,  che  il 
Corpuscolo  di  Henderson  possa  eventualmente  provenire  dal 
nucleo,  anziché  dal  protoplasma  cellulare,  né  ammettere  l'ipotesi 
di  Marullo  ('904),  che  il  Corpuscolo  invece  provenga  dalla 
condensazione  degli  strati  esterni  delle  cellule  del  reticolo  mal- 
pigliiano. 

Formazione  della  membrana  cellulare. 

Con  la  migrazione  del  nucleo  nell'ectoplasma  delle  cellule  del 
corpo  mucoso  di  Malpighi,  incominciano  ad  apparire  in  questi 
elementi  delle  granulazioni,  delle  gocciole  di  una  sostanza,  che, 
per  le  varie  colorazioni  microchimiche,  deve  essere  interpretata 
come  cheratoj alina,  come  eleidina  di  Ranvier  ('879  2°).  Questa 
sostanza  si  tinge  intensamente  in  bleu  con  l'emallume,  in  rosso 
col  picrocarminio,  e  mostra  la  medesima  elettività,  per  i  colori, 
come  lo  strato  corneo  dell'epidermide  normale.  Le  gocciole  di 
cheratoj  alina  si  portano  verso  la  periferia  della  cellula,  si  depo- 
sitano, si  fondono  .  si  condensano  in  una  membrana  spessa  che 
circonda  od  individualizza,  dalle  vicine,  la  cellula  ,  nella  quale 
si  assolverà  la  degenerazione  corpuscolare. 

La  formazione  di  una  membrana  circondante  la  cellula  é 
preceduta  da  un  cambiamento  di  forma  dell'elemento,  che  da  po- 
liedrico diviene  più  o  meno  globoso  (Figg.  1  e  2).  Tutti  gli  aa., 
che  si  sono  occupati  dell'  intima  struttura  di  questa  malattia,  sono 
di  accordo  nel  riconoscere  all'esterno  della  cellula,  in  fase  di 
Cor p uscolazione,  la  presenza  di  una  membrana  cornea,  nes- 
suno però  ci  dice  come  questa  si  formi  e  per  opera  di  quale 
sostanza.  Audry  ('899)  infatti  descrive  come  il  mantello  della 
cellula  si  individualizza  sempre  più,  si  separa  da  quello  delle 
cellule  vicine  con  le  quali  non  ha  più  altri  rapporti  che  quelli 
di  stretti  contatti:  si  differenzia  quindi  dal  contenuto  protopla- 
smatico,  che  finisce  per  essere  chiuso  come  in  un  sacco,  tanto 
che  in  qualche  taglio  si  vede  il  Corpuscolo  vuotato  del  suo 
contenuto  e  ridotto  al  guscio,  al  mantello.  Anche  Bosc  ('905  1°) 
trova  che  la  parete  spessa  è  dovuta  alla  trasformazione  colloide - 
cornea  dei  filamenti  di  passaggio  e  del  protoplasma  periferico; 
laddove  gli  aa.  antichi,  come  Bizzozero  &  Manfredi  ('877)  e 
Kaposi  ('891),  poco  entravano  nella  genesi  della  membrana  in 
parola.  Bizzozero  &  Manfredi  ('877)  dicono  che  le  cellule  spi- 
nose, che  debbono  subire  il  processo  di  Corpuscol  azion'e, 
acquistano  alla  parte  esterna  del  corpo  cellulare  un  rivestimento, 


—  244  — 

una  inemhraiiulla  cornea,  manifostantesi,  in  seziono  ottica,  come 
una  linea  a  doppio  contorno.  Per  Kaposi  ('891),  invece,  la  zona 
cellulare  più  esterna  e  rinchiudente  nel  suo  interno  il  nucleo  della 
cellula  è  ugualmcaite  choratinizzata,  come  la  degenerazione  par- 
ticolare protoplasmatica,  che  porta  alla  formazione  del  Globo. 
Io  ho  potuto  seguire  le  varie  fasi  di  formazione  del  man- 
tello, della  membrana  cellulare,  ed  ho  notato  come  essa  provenga 
in  massima  parte  dalla  condensazione  e  fusione  delle  gocciole  di 
eh eratoj alina,  che  normalmente  avrebbe  tendenza  ad  elaborare 
la  cellula  in  parola  Questa  membrana  è  rafforzata  dall'ispessi- 
mento dello  strato  esterno  del  protoplasma  cellulare. 

Anomalie  nucleari. 

Numerose  sono  le  anomalie  che  subisce  il  nucleo  delle  cellule 
del  Corpo  mucoso  durante  la  fase  di  Corpuscolazione,  ano- 
malie spesso  non  notate,  o  altresì  credute  come  parassiti.  Si  presta 
per  lo  studio  di  esse  opportunamente  la  colorazione  di  Giemsa 
ed  in  generale  le  colorazioni  con  i  colori  di  anilina  con  o  senza 
mordenzamento  ed  anche  benissimo  la  semplice  colorazione  con 
l'ematossilina  ferrica  secondo  Heidenhain. 

Keomayer  ('893)  ebbe  agio  di  poter  vedere  che  i  nuclei  delle 
cellule  spinose  aumentano  di  volume,  non  prendono  più  i  colori 
cromatici,  ad  eccezione  del  loro  corpuscolo,  ma  che  grazie  alla 
colorazione  di  Wfigert  si  riesce  sempre  a  poterli  distinguere;  la 
cromatina  sicuramente  si  diffonderebbe  nel  citoplasma  degenerato. 
Nel  Vainolo  dei  Polli  Mingazzini  ('894)  avrebbe  trovato  che 
il  nucleo  della  cellula,  spinto  dalla  maggiore  evoluzione  del  pa- 
rassita, sempre  più  perifericamente,  incomincerebbe  a  degenerare. 
La  cromatina  si  dissolve  nel  carioplasma,  il  reticolo  si  perde, 
i  punti  nodali  di  cromatina  divengono  veri  globuli  di  forma  ir- 
regolare ed  in  totalità  prende  l'aspetto  di  un  nucleo  in  degene- 
razione: e  in  uno  stadio  ulteriore  il  nucleo  è  totalmente  deo-e- 
nerato,  deformato  affatto  e  ridotto  ad  un  corpo  più  o  meno  se- 
milunare, più  o  meno  frangiato,  nel  quale  non  si  può  riconoscere 
un  contenuto  di  sostanza  cromatica  e  di  carioplasma,  e  che  pre- 
sentasi intensamente  colorato  per  i  resti  di  cromatina  degenerata 
sciolti  in  esso.  Laddove  per  Audry  ('899)  le  anomalie  nucleari 
consisterebbero  in  una  condensazione  della  cromatina  in  due  o 
tre  punti  rotondi,  di  volume  ineguale,  fortemente  tinti  in  una 
maniera  omogenea  e  che  sono  paragonabili  a  dei  nucleoli  volu- 
minosi. Ma  nello  stesso  tempo  che  l'A.  discute  le   varie   ipotesi 


—  245  — 

emosso  da  Macallum  ('892),  Benda  ('897),  Neisseh  ('894),  non  sa 
risolvore  la  quistionn  so  quoste  formazioni  rispondono  ad  una 
condonsazione  intrauucleare  di  cromatina  pseudo  od  ortonucleare, 
tale  quale  ha  segnalato  all'interno  del  nucleo,  o  se  si  tratta  di 
un  frammento  della  sostanza  singolare  che  si  troverà  sparpagliata 
nella  massa  protoplasmatica.  E  nelle  successive  fasi  dice  che  il 
nucleo  non  è  molto  modificato,  si  schiarisce  e  non  contiene  più 
che  una  sola  macchia  cromatofila  nucleoliforme.  Ed  anche  Bosc 
('905  1°)  osserva  il  nucleo  ipertrofizzarsi,  vacuolarsi,  e  presentare 
una  dissoluzione  della  cromatina  con  disparizione  progressiva 
della  sua  membrana. 

Come  opportunamente  ha  notato  Auury  ('899),  è  quasi  co- 
stante a  notarsi  nel  nucleo  la  presenza  di  corpicciuoli  cromatici, 
che  per  la  loro  morfologia  potessero  essere  interpretati  come 
nuclei  accessori  (Fig.  4  e  5)  :  in  essi  non  si  distingue,  anche  ri- 
correndo a  forti  ingrandimenti  ed  alla  illuminazione  artificiale  , 
una  struttura  fondamentale.  Sono  blocchi  di  cromatina  o  di  so- 
stanza, che  reagisce  come  la  cromatina ,  di  forma  sferica  ,  dai 
quali  si  vedono  partire  tanti  raggi,  che  spesso  raggiungono  la 
membrana  nucleare  e  si  confondono  con  essa. 

Non  è  assolutamente  chiara  la  genesi  di  questi  corpicciuoli, 
se  cioè  provengano  dai  nuclei  o  dalla  condensazione  del  reticolo 
cromatico  o  dalla  fusione  dei  nuclei  con  la  sostanza  cromatica 
del  reticolo  stesso  ;  infatti,  i  nucleoli  nelle  cellule  spinose,  che 
subiscono  il  processo  di  Corp u  scola z  ione,  reagiscono  meno 
bene  del  reticolo  cromatico  con  i  colori  della  cromatina,  si  tin- 
gono paUidamente  in  rosa  con  la  saffranina,  ma  è  vero  pure  che 
questi  nucleoli,  durante  il  processo  diCorpuscolazione,  man- 
dano delle  risoluzioni  nucleolari  di  varia  forma,  ad  anse,  a  vo- 
lute, spesso  frastagliatissime,  e,  nell'inizio,  queste  risoluzioni  po- 
trebbero benissimo  confondersi  con  quei  blocchi  cromatici  sferici, 
tanto  più,  che  le  risoluzioni  nucleolari,  a  differenza  dei  nuclei, 
presentano  quasi  la  medesima  basofilia  del  reticolo  cromatico. 
Molti  di  questi  nucleoli,  nelle  successive  fasi,  per  un  processo  di 
lisi  finiscono  per  riassorbirsi  nell'enchilema  nucleolare.  Io  ho  la 
persuasione,  che  i  nucleoli  non  entrano  direttamente  nella  for- 
mazione di  questi  corpicciuoli  cromatici,  forse  potrebbero  indi- 
rettamente fornire  loro  della  sostanza  :  certo  si  è  che  si  dissol- 
vono, quando  ancora  questi  corpicciuoli  sono  nel  maggiore  loro 
sviluppo.  I  fenomeni  nucleolari ,  nei  nuclei,  durante  la  C  o  r  p  u  - 
scolazione,  sono  identici  a  quelli  dei  nucleoli  delle  cellule  ci- 
lindriche   durante  le  fasi  mitotiche.  Viceversa  si  vede,  che  man 

17 


—  246  — 

mano  che  diiUu  primo  iilc  collulaii  si  procedo  verso  il  centro  del 
lobulo,  negli  elementi,  che  si  trasformeranno  in  Corpuscoli  di 
Hknderson,  il  reticolo  cromatico  si  rende  più  rado  :  i  rami  del 
reticolo  stesso  si  ispessiscono  ,  si  raddensano  nei  punti  di  con- 
tatto e  finiscono  per  individualizzare,  uno,  due  o  tre  (raremento 
un  numero  maggiore)  di  questi  corpicciuoli  cromatofili.  Di  estremo 
interesso  sarebbe  l'assodare  la  genesi  delle  loro  ramificazioni  stel- 
lari, se  cioè  queste  sieno  primarie  o  secondarie  alla  formazione 
dei  corpuscoli  in  parola.  Sono  esse  il  residuo  del  reticolo  cro- 
matico o  sono  risoluzioni  dei  coi'picciuoli  cromatici?  Per  la  forma 
talvolta  regolare  di  esse,  sembra  sieno  piuttosto  da  riguardarsi 
come  risoluzioni  dei  corpuscoli  anzidetti  :  sono  rami  cromatici 
sottili  e  rettilinei,  che,  partendo  come  raggi  del  corpicciuolo,  si 
dirigono  verso  la  periferia  del  nucleo ,  e  raggiungono  molto 
spesso  la  membrana  nucleolare,  anzi  là  dove  si  fondono  con  la 
detta  membrana,  si  possono  notare  dei  punti  nodali,  degli  ispes- 
simenti cromatici.  Quando  i  corpicciuoli  sono  due  o  più,  possono 
restare  isolati  in  guisa  che  le  risoluzioni  loro  non  si  toccano 
vicendevolmente,  altre  volte  mandano  dei  raggi  dall'  uno  all'al- 
tro, formando  delle  bizzarre  e  singolari  figuro  nucleolari. 

In  questo  stadio  il  reticolo  acromatico  non  è  più  visibile, 
l'enchilema  nucleolare  si  rende  trasparentissimo  e  si  vedono  sparsi 
solo  pochi  granuli  cromatofili,  che  sono  gli  ultimi  reliquati  della 
dissoluzione  dei  nucleoli.  Quale  sarà  il  destino  di  questi  corpic- 
ciuoli ?  Essi,  per  un  lento  processo  di  riassorbimento,  perdono 
prima  le  risoluzioni,  i  raggi,  nello  stesso  tempo  che  si  rendono 
più  piccoli  e  meno  tingibili  con  i  colori  della  cromatina,  perdono 
la  loro  spiccata  basofilia  ;  e  quando  il  nucleo  ha  quasi  raggiunto 
nella  sua  migrazione  la  membrana  cellulare  cheratinizzata  (e 
quando  il  Corpuscolo  di  Henderson  si  sarà  andato  evolvendo), 
allora  apparirà  come  un  corpo  vescicolare  appiattito,  fornito  di 
una  sottilissima  membrana  e  di  un  unico  corpicciuolo  piccolis- 
simo, puntiforme,  centrale,  cromatico.  In  una  fase  precedente  si 
trovano,  è  vero,  alla  periferia  della  membrana  nucleolare,  delle 
gocciole  di  sostanza,  che  reagisce  come  sostanza  cromatofila,  e 
questa  credo  provenga  dalla  dissoluzione  della  cromatina  e  dal 
suo  depositarsi  nel  citoplasma  residuo  perinucleolare.  Queste  goc- 
ciole, con  opportuni  e  delicati  metodi  di  tinzione,  si  riesce  sempre 
a  metterle  in  evidenza  ed  a  distinguerle  dallo  inclusioni  proto- 
plasmatiche  ,  dai  granuli  di  eleidina  o  cheratoj alina  e  dalla  so- 
stanza corpuscolare. 


—  '247  — 

Il  nucleo  però  in  altri  casi  'molto  rari)  può  porfino  subire 
uu  processo  di  scissione  (Fig.  6),  le  cui  fasi  non  sono  molto  stu- 
diabili: i  due  nuclei  che  nascono  da  questa  scissione  (probabil- 
mente diretta) ,  rimangono  attaccati  1'  uno  all'  altro  ,  ed  in  cia- 
scuno di  essi  si  avverano  i  medesimi  fenomeni  degenerativi  testé 
studiati.  E  finalmente  in  altri  casi ,  di  estrema  rarità,  il  nucleo 
perde  la  membrana,  ed  il  oorpicciuolo  cromatico  di  forma  stellare 
con  le  caratteristiche  risoluzioni,  resta  libero  nella  cellula  in  via 
di  Cor  puscolaz  ione.  Macallum  ('892j,  che  pure  ha  osservato 
questi  corpicciuoli  cromatici ,  pensa  che  provengano  da  migra- 
zione di  sostanza  cromatica  dal  nucleo  nel  protoplasma  e  sareb- 
bero quindi  da  considerarsi  come  plasmosomi.  Anche  Benda  ('895) 
vede  neir  interno  della  capsula,  che  circonda  il  Corpuscolo  del 
Mollusco,  un  corpicciuolo  refrangente,  che  crede  provenga  da 
migrazione  del  nucleo;  e  in  seguito  confonde  queste  formazioni 
con  i  Corpuscoli  di  Touton"  ('892),  che  secondo  lui,  per  qualche 
particolarità  ,  farebbero  pensare  al  nucleo  accessorio  ,  sebbene 
non  rispondano  ai  metodi  di  colorazione  e  di  indurimento  di 
questi.  Io  ritengo  che  i  corpi  osservati  da  Macallum  ('892)  e 
Bknda  ('895)  non  sieno  altro  che  i  corpuscoli  cromatici  stellari 
testé  descritti,  o,  seguendo  in  parte  le  idee  di  Kuznitzky  ('895  1*>), 
che  sieno  dati  dalla  condensazione  di  sostanza  cromatofìla  dif- 
fusa dal  nucleo. 

Eleidina  e  cheratojalina. 

L' eleidina  e  la  cheratojalina  sono  la  medesima  cosa?  G-li 
aa.  che  si  sono  occupati  dello  studio  di  questa  aifezione  pato- 
logica ne  parlano  indifferentemente  ,  spesso  confondendo  1'  una 
sostanza  con  1'  altra,  né  i  trattati  di  tecnica  istologica  sono  più 
chiari  al  riguardo  con  l' indicare  delle  reazioni  microchimiche 
speciali. 

Ranvieb  ('879  2°)  nella  cute  normale  osserva  che  le  cellule 
dello  strato  granuloso  contengono  una  sostanza  ,  che  si  colora 
fortemente  in  rosso  col  carminio  e  che  ha  chiamato  col  nome  di 
eleidina;  si  trova  come  gocce.  Lo  strato  lucido  nelle  preparazioni 
della  pelle  dell'  Uomo,  ottenute  con  l' indurimento  in  alcool,  è  da 
principio  colorato  in  giallo  quasi  uniforme ,  ma  ben  presto  il 
reattivo  colorante,  continuando  la  sua  azione,  si  vede  che  produce 
in  vicinanza  dello  strato  granuloso  ed  alla  superficie  del  taglio 
(la  superiore  o  l' inferiore),  delle  gocce,  che  si  colorano  in  rosso 
come  quelle  che  sono  nelle  cellule  dello  strato  granuloso.  Queste 


—  248  — 

gocoe  sono  libero;  il  loro  nuinni-o  e  V  iiiltinsil.à  diilla  loro  col<ìr;i- 
zioiio  soiubrano  accresoorsi,  allorché,  per  rendere  la  preparazione 
persistente,  si  sostituisce  alla  soluzione  di  picrocarminato  di  am- 
moniaca della  glicerina  addizionata  ad  una  piccola  quantità  di 
questa  materia  colorante.  La  sostanza,  che  si  spande  così  alla 
superficie  dello  strato  lucido,  è  evidentemente  liquida  ;  essa  ha  la 
rifransenza  e  sembra  avere  la  consistenza  di  un  olio  essenziale- 
L'  A.  non  vuol  proprio  dire  che  l'eloidina  sia  un  olio  essenziale; 
la  composizione  chimica  di  questa  sostanza  è  ancora  sconosciuta, 
e  le  ricerche  istochimiche  che  ha  fatto  su  questo  soggetto  sono 
ancora  poco  numerose  per  farsi  una  opinione  al  riguardo. 

Per  dimostrare  la  sostanza  jalina  si  adotta  specialmente  il 
metodo  di  van  Gibson,  che  le  dà  un  colorito  rosso  splendente; 
ma  la  sostanza  jalina  pare  si  confonda  con  la  sostanza  colloide, 
che  a  sua  volta  con  la  colorazione  di  van  Gibson  ,  secondo  al- 
cuni, si  colorerebbe  anche  in  rosso  giallo,  spesso  in  rosso  splen- 
dente, in  modo  che  nei  tagli  la  sostanza  colloide  risalterebbe 
assai  chiaramente  sulle  rimanenti  parti  del  tessuto.  La  reazione 
cromatica  ,  secondo  altri,  non  basterebbe  per  distinguere  la  so- 
stanza colloide  dalla  jalina,  poiché  l'una  e  l'altra  si  colorano  ugual- 
mente in  rosso  splendente. 

Nel  M.  e.  di  Bateman  le  cellule  racchiudenti  1'  eleidina,  se- 
condo Ranvier  [in  Renaut  ('880)],  non  sono  quelle  che  subiscono 
la  trasformazione  globulosa,  ma  bensi  quelle  intermedie ,  e  che 
corrispondono  come  sede  agli  elementi  che  occupano  gli  inter- 
valli fra  le  cellule  glandolare  Renaut  ('880)  negli  intervalli  fra 
i  Globi  rinviene  alcune  cellule  che  si  saldano  a  reticolo  ed  altre 
che  subiscono  l'evoluzione  epidermica  regolare,  e  nel  protoplasma 
di  queste  ultime  trova  disseminate  le  granulazioni  dì  eleidina. 
Campana  ('885)  osserva  che  l'eleidina  ,  dopo  formatisi  i  Globi 
del  Mollusco,  resta  libera  a  costituire  gocciole  splendenti,  rac- 
colte negli  spazi  tra  un  Corpuscolo  del  Mollusco  ed  un 
altro;  questa  eleidina  potrebbe  dar  luogo  a  delle  sferule  grosse, 
ma  scarse,  quanto  quelle  proprie  del  Mollusco,  né  queste  sfe- 
rule potrebbero  tanto  facilmente  distinguersi  dai  Glo  bi  caratte- 
ristici, avendo  questi  ultimi  tutti  i  caratteri  morfologici  e  le  me- 
desime elettività  per  molte  delle  sostanze  coloranti  dello  strato 
corneo.  E  il  detto  A.  in  un  lavoro  successivo  ('886)  avverte  che 
i  granuli  di  eleidina  riunendosi  formano  sfere  variamente  volu- 
minose,  che  si  tingono  col  violetto  di  genziana  o  col  picrocar- 
minio ,  mentre  non  si  colorano  i  Corpuscoli  di  Henderson; 
questi   ultimi  quando  si  trovano   liberi,  verso  il  centro    del  neo- 


—  249  - 

plasm;!,  si  potrebbero  confondere  con  lo  sfere  di  eleidina,  ma  la 
reazione  col  picrocarminio,  negativa  per  essi  e  positiva  per  le 
sferule  di  eleidina,  li  farebbe  distinguere. 

Infine  ('893)  pare  modifichi  parecchio  il  suo  modo  di  vedere, 
dicendo  che  nel  M.  e.  l'eleidina  cresce  fortemente,  che  i  granuli 
di  eleidina  non  si  mantengono  uniformi  e  piccoli  come  si  tro- 
vano nello  stato  normale  :  essi  sono  cosi  grossi  da  superare  la 
grandezza  dello  stesso  nucleo  e  se  ne  vedrebbero  nelle  cellule  e 
fuori  delle  stesse;  sarebbe  quindi  difficile  dire  se  uno  di  questi 
corpicciuoli  rappresenti  l'inizio  dell'alterazione  del  M.  e,  ovvero 
sia  eleidina  nella  sua  fase  di  evoluzione. 

Gaucher  &  Sergent  ('898),  seguendo  le  idee  espresse  dal 
loro  maestro  Renaut  ('880)  ritornano  sull'argomento  e  ci  dicono 
che  negli  strati  seguenti  quello  delle  cellule  cilindriche  si  riscon- 
trano elementi,  che  tendono  alla  forma  più  o  meno  globulare,  di 
cui  un  certo  numero  si  modificano  profondamente  in  seguito  a 
sviluppo  e  deposito  di  grosse  granulazioni  j  aline,  colorate  in  rosa- 
arancio  dal  picrocarminio  e  distribuite  più  o  meno  irregolarmente 
intorno  al  nucleo.  Queste  granulazioni  aumentano  di  volume,  si 
fondono  fra  di  loro  ed  arrivano  a  costituire  un  blocco  volumi- 
noso, che  riempisce  quasi  interamente  la  cellula  trasformata  al- 
lora in  un  Globo  arrotondito,  nel  mentre  che  il  nucleo  è  spinto 
alla  periferia  della  cellula.  Audry  ('899)  anche  lui  si  domanda  se 
l'eleidina  e  la  cheratoj alina  sieno  la  medesima  cosa;  egli  non  ha 
potuto  riconoscere  delle  differenze  e  la  trova  sotto  forma  di  goc- 
ciole molto  fini  nelle  cellule  del  corpo  mucoso  e  più  grandi  negli 
elementi  dello  strato  granuloso  dei  noduli  di  M.  e.  Marullo  ('904), 
per  studiare  la  presenza  della  cheratoj  alina,  si  è  servito  della  co- 
lorazione con  l'ematossilina  Delafield  e  della  scolorazione  con 
l'acido  acetico:  la  sola  cheratoj  alina  resisterebbe  all'  azione  del- 
l'acido acetico  e  resterebbe  colorata  in  nero  bluastro,  e  facendo 
ai  tagli  cosi  trattati  seguire  una  nuova  colorazione  con  ematos- 
silina  Delafield  e  con  eosina,  avrebbe  ottenuto  colorati  i  nuclei 
in  violetto  ,  il  protoplasma  in  rosa  e  la  cheratoj  alina  in  nero 
bluastro.  Ha  osservato  che  è  sparsa  sotto  forma  di  granulazioni 
grossolane,  che  sono  disposte  a  rete,  in  mezzo  alle  quali  si  ve- 
dono i  Corpuscoli  cheratoidi;  a  forte  ingrandimento  si  ap- 
palesa la  cheratoj  alina,  anche  sotto  forma  di  piccoli  granuli  o 
punti  sparsi  qua  e  là  nel  protoplasma  cellulare.  Ed  in  seguito 
ci  dice  che  la  mancanza  della  cheratoj  alina  in  alcuni  noduli  co- 
stituiti interamente  da  cellule,  che  hanno  subito  la  degenerazione 
colloidea,  deve  essere  spiegata  col  fatto  che  questi  noduli  sieno 


—  250  — 

l'espressione  del  più  aulico  processo  paU^logico,    del  (piale  i  i"ap- 
presentanti  sono  i  Corpuscoli  del  M.  e. 

Evidentemente  per  Marullo  ('904)  eleidina  e  cheratojalina 
debbono  essere  la  medesima  cosa,  sebbene  nel  suo  pregevole  la- 
voro di  eleidina  non  se  ne  faccia  menzione  ;  egli  infatti  si  era 
proposto,  volendo  studiare  nel  M.  e.  la  evoluzione  fisiologica  delle 
cellule  malpighiane ,  di  rivolgere  la  sua  attenzione  alla  ricerca 
della  cheratojalina,  nello  stesso  modo  come  per  studiare  la  evo- 
luzione patologica  dei  detti  elementi  ha  rivolto  la  sua  attenzione 
alla  sostanza  colloide.  Invece  non  è  chiara  l' interpretazione  che 
dà  Campana  ('885;  '886;  '893)  al  raggrupparsi  delle  gocciole  di 
eleidina,  che  formerebbero  sfere  simili  ai  Corpuscoli  di  Hks- 
DERSON  e  solo  in  parte  riconoscibili  dagli  stessi  per  alcune  spe- 
ciali colorazioni  microchimiche. 

Tenendo  appunto  presente  che  le  cellule  del  piccolo  neo- 
plasma non  muoiono,  appena  si  inizia  in  esse  il  processo  di  Cor  - 
puscolazioue,  ma  bensì  continuano  a  dare,  sino  alla  formazione 
del  Corpuscolo  di  Hei^debson,  segni  evidenti  della  loro  vita- 
lità, ci  riuscirà  agevole  studiare  le  varie  formazioni,  che  si  vanno 
evolvendo  nel  loro  protoplasma.  Io  ritengo  con  Audry  ('899)  che 
1'  eleidina  e  la  cherotojalina  sieno  la  medesima  cosa ,  e  sieno 
espressione  di  quel  processo  fisiologico,  che  si  avvera  nelle  cellule 
epidermiche,  cosi  chiaramente  descritto  da  Ranvièr  ('879  1°)  ;  le 
gocciole  o  granulazioni  di  eleidina  non  si  trovano  sparse  unifor- 
memente nelle  cellule  del  corpo  mucoso,  per  la  sola  ragione  che 
queste  cellule  non  daranno  luogo,  con  la  loro  successiva  evolu- 
zione, alle  cellule  dello  strato  lucido,  come  nell'epidermide  nor- 
male, né  sono  per  i  loro  caratteri  morfologici  del  tutto  identiche 
alle  cellule  spinose  del  corpo  mucoso  di  Malpighi.  Negli  elementi 
invece,  nei  quali  non  si  ha  la  trasformazione  cheratoide  ,  negli 
elementi  che  non  produrranno  il  Corpuscolo  di  Henderson, 
la  cheratojalina  o  1'  eleidina  si  trova  distribuita  in  granuli  fini 
in  tutto  il  citoplasma  cellulare,  come  piccole  granulazioni,  come 
gocciolette,  che  si  tingono  in  rosso  arancio  nei  preparati  colorati 
col  picrocarminio  ,  e  si  colorano  anche  benissimo  in  bleu  scuro 
con  l'emallume  e  con  l'ematossilina  acida  di  Ehrlich,  con  o  senza 
colorazione  di  contrasto.  Con  l'ematossilina  ferrica  di  Heidenhain 
queste  granulazioni  di  eleidina  si  colorano  poco  :  non  è  che  restino 
assolutamente  scolorate,  ma  al  certo  non  sono  messe  bene  in 
evidenza;  viceversa,  questo  colorante  rende  degli  utilissimi  servigi 
per  tingere  elettivamente  le  inclusioni  protoplasmatiche  e  le  de- 
generazioni nucleari  cromatiche,  ed  anche  per  studiare  la  forma- 


—  251   — 

ziono  speciale  della  sostanza  corpuscolare.  In  tali  elementi  quin  li, 
che  non  sono  l'espressione  di  un  processo  patologico,  la  normale 
formazione  dei  granuli  di  cheratoj alina  può  subire  delle  deviazioni 
per  il  fatto  della  compressione  esercitata  su  di  esse  dalle  cellule 
limitrofe,  che  sono  in  fase  di  Corp us co  lazi  o  ne  ;  i  granuli,  le 
gocciolette  di  eleidina  si  fondono  ,  danno  luogo  a  gocciole  più 
grandi,  che  migrano  alla  periferia  dell'  elemento,  e  consecutiva- 
mente fuoriescono  dallo  stesso  per  raccogliersi  all'  intorno  della 
membrana,  che  "circonda  le  cellule  in  fase  avanzata  di  Corpu- 
sc  olazione. 

La  cheratoj  alina  invece  nelle  cellule,  che  generano  il  Globo 
cheratoide  ,  si  comporta  diversamente  :  in  un  primo  periodo  le 
granulazioni  si  trovano  raccolte  nella  zona  citoplasmatica  esterna 
cellulare  (Figg.  1  e  2),  ancor  prima  che  si  formi  la  membrana 
che  circonda  1'  elemento  in  parola,  laddove  nella  zona  perinucleare 
chiara  non  si  riesce,  anche  con  delicati  metodi  di  tinzione,  a  met- 
tere in  evidenza  granuli  di  tale  sostanza.  Le  granulazioni  di  che- 
ratoj alina  non  sono  fine  ed  omogenee  in  tal  caso  :  alcune  sono 
grandi,  altre  a  gocciole,  altre  sottili,  altre  sferiche,  altre  di  forma 
indeterminata,  migrano  alla  periferia  della  cellula,  si  distribuiscono 
all'  intorno  in  modo  uniforme  ,  a  rosario  ,  e  siccome  si  colorano 
pure  intensamente  con  la  fuxina  fenica,  con  il  bleu  di  metilene, 
con  il  violetto  di  genziana,  e  siccome  resistono  anche  al  Gram, 
queste  granulazioni  (le  più  piccole)  furono  interpetrate  da  An- 
GELUCCi  ('880)  e  da  altri  come  cocchi. 

Come  ho  accennato  nella  Discussione  critica  desunta 
dalla  Bibliografia,  e  come  più  opportunamente  tratterò  in 
prosieguo  in  un  capitolo  speciale,  non  è  facile  poter  dire  se  al- 
cuni determinati  corpicciuoli,  che  si  rinvengono  intorno  a  questi 
elementi  in  fase  di  Co  rpus  colazio  ne  ,  debbano  essere  inter- 
petrati  come  microparassiti  ovvero  non  sieno  altro  che  granuli  di 
eleidina  nel  primo  inizio  della  loro  formazione.  Infatti,  i  colori 
consigliati  per  tingere  i  batteri  in  genere,  mettono  anche  in  evi- 
denza la  cheratoj  alina,  ed  i  vari  aa.  hanno  sempre  vagheggiata 
la  speranza  di  scoprire  1'  agente  del  contagio  ,  partendo  dalla 
concezione  che  il  M.  e.  di  Bateman,  per  i  caratteri  clinici,  deve 
al  certo  essere  considerato  malattia  da  infezione. 

Eliminatasi  una  porzione  della  cheratoj  alina,  la  cellula,  come 
si  è  detto,  si  va  rivestendo  di  una  membrana  creatasi  in  parte  a 
spese  dei  derivati  dell'  ectoplasma  cellulare  ed  in  parte  rafforzata 
dalla  cheratojalina  depositatasi  alla  periferia  dell'elemento.  Con 
la  formazione  della   membrana    cellulare   e   con    lo   sviluppo  del 


—  252  — 

Globo,  quello  pooho  <rraiiuliizioni  ondocoliulari  -li  clioiatojalina, 
degenerano  e  si  riuniscono  agli  ultimi  stadi  di  trasformazione 
delle  inclusioni  cromatiche  o  cromatofìle ,  costiUiendo  quel  pro- 
toplasma di  reliquat  ,  che  si  trova,  quando,  con  la  rottura  della 
membrana  della  cellula,  vien  messo  in  libertà  il  Corpuscolo 
di  Henderson. 

Inclusioni  protoplasmatiche. 

Lo  studio  dello  inclusioni  protoplasmatiche  in  genere,  ed  in 
ispecie  nel  M.  e.  di  Bateman,  è  acquisizione  tutta  moderna,,  do- 
vuta ai  più  delicati  metodi  di  tecnica  microchimica  od  ai  miglio- 
rati mezzi  ottici.  Ho  ripetuto  le  esperienze  di  Michaelis  ('903)  e 
di  BuRNET  ('906)  della  doppia  reazione,  ottenuta  con  le  fissazioni 
con  la  formalina.  I  citati  aa.  infatti  raccomandano  la  reazione 
del  grasso  e  la  reazione  di  mordenzamento  :  con  la  prima  le  in- 
clusioni sarebbero  colorate  in  rosso  dallo  Scharlach  R.  ed  in  nero 
dall'  acido  osmico  ;  con  la  seconda  reazione  i  tagli  sarebbero  trat- 
tati col  bicromato  di  potassio,  con  1'  acetato  di  rame  e  con  l'e- 
matossilina;  successivamente  si  avrebbe  la  diiferenziazione  ,  fa- 
cendo agire  il  ferrocianuro  di  K  addizionato  al  carbonato  di 
litiua. 

Michaelis  ('903)  conclude  sui  fondamenti  microchimici  pre- 
cedentemente enunciati,  che  le  inclusioni  sieno  di  natura  mista, 
grassa  ed  albuminoidea;  avverte  però  che  trattati  i  pezzi  per  24 
ore  con  l'  alcool  non  danno  più  la  reazione  del  grasso  ,  come 
pure,  nei  tagli  a  paraffina,  non  si  avrebbe  la  reazione  di  mor- 
denzamento. j 

Ho  adoperato  anche  la  modificazione  della  colorazione  Pap-    I 
penhkim-Unna  al  verde  di  metile-pironina,  consigliata  da  Apolant    I 
('903).  la  colorazione  con  il  rosso  di  Magenta  ed  il  picro-indico- 
carminio,  consigliata  da  Burnet  ('906),  la  colorazione  di  Giemsa. 
Però  i  migliori  risultati  per   lo  studio    di  queste  inclusioni  cro- 
matofile e  protoplasmatiche,  mi  è  stato  dato  dalla  colora;^ione  di 
Giemsa  e  da  quella  con  1'  ematossilina  ferrica,  che  ha  il  vantag- 
gio ,  secondo  me,  di  non  colorare  intensamente  o  di  lasciare  anche 
scolorata  la  cheratoj alina,  mentre  tutte  le  altre  colorazioni,  come 
l'emallume  ed  cosina,  il  paracarminio ,  la   saffranina ,  ed  anche 
quelle  colorazioni,  testé  enunciate,  assieme  allo  inclusioni,  colo- 
rano pure  le  gocciole  ed  i  granuli  di  cheratoj  alina.  Per  i  preparati 
per  frottis  ho  usato  il    processo  indicato   da  Borrrl  ('903)  e  da 
BujiNET  ('906),  cioè  la  colorazione  con   il  bhui  di  Lokkler. 


—  253  — 

Tali  inclusioni,  come  opportunamente  scriveva  Mixgazzlni 
('894),  di  forma  svariata,  sono  ora  notate  da  molti  aa.  sia  in  ele- 
menti patologici,  sia  in  elementi  normali,  e  specialmente  in  cel- 
lule a  funzione  glandolare  allo  stato  perfettamente  fisiologico,  e 
quando  non  vi  è  il  preconcetto  dell'  esistenza  di  un  organismo 
parassitario,  vengono  notate  semplicemente  per  descrivere  le  varie 
maniere  di  comportarsi  di  un  elemento  funzionante. 

Benda  ('895),  usando  il  trattamento  dell'acido  nitrico  ed  una 
modificazione  del  suo  metodo  all'  ematossilina  ed  all'  ossido  di 
ferro,  e  sopratutto  una  modificazione  del  metodo  di  Gram,  dice 
di  poter  mettere  in  evidenza  dei  Cor  picciuoli  simili  ai  Cor- 
puscoli di  TouTON  ('892).  Questi  sono  in  piccolo  ed  in  grande 
numero,  qualche  volta  si  ha  l'impressione  che  si  dividano  o  che 
delle  piccole  particelle  sieno  disciolte.  Questi  Corpuscoli  per- 
dono i  loro  contorni  e  passano  nella  formazione  del  Corpuscolo 
del  Mollusco;  tali  formazioni  non  si  osservano,  servendosi  del 
§uo  metodo  di  colorazione,  ma  si  possono  ben  vedere,  impiegando 
altri  metodi,  che  non  fanno  comparire  i  Corp u scoli  di  Touton 
('892),  in  modo  che  si  dovrebbe  essere  più  inclinati  a  credere  che 
sieno  granuli  dello  strato  granuloso  o  parassiti. 

BoRREL  ('904)  neir  Epitelioma  contagioso  degli  Uc- 
celli, allo  stato  fresco  ha  potuto  studiare  dei  Corpi  re  fran- 
genti, isolati  nella  cellula  e  di  struttura  granulosa,  di  dimen- 
sioni e  forma  variabili,  rotondi,  ovalari,  mammellonati;  sopra  i 
tagli ,  malgrado  i  metodi  di  colorazione  vari ,  è  impossibile  di 
farsi  una  opinione  della  vera  natura  di  questi  elementi.  Bosc 
('905  2*^),  nelle  giovani  cellule  in  ipertrofia  semichiara  constata 
nel  protoplasma  dei  Corpuscoli  molto  refrangenti,  qualche  volta 
posti  nella  zona  chiara  perinucleare,  ma  in  generale  disseminati 
nel  protoplasma  e  qualche  volta  molto  allontanati  dal  nucleo; 
questi  Corpuscoli  possono  essere  talmente  piccoli,  che  non  sono 
percepibili  altro  che  con  i  più  forti  ingrandimenti ,  misurando 
un  diametro  di  ^/2  \t^  e  fino  a  4-5  {jl.  Sono  rotondi ,  ovalari ,  a 
diplococco,  molto  refrangenti  e  con  il  loro  centro  molto  lumi- 
noso; sono  colorati  in  rosso  dalla  saflfranina  o  dal  rosso  di  Ma- 
genta, in  rosso  brillante  dal  Mann,  in  nero  dall'ematossilina  fer- 
rica, prendono  1' cosina  e  la  fuxina  acida.  Mentre  che  i  Corpu- 
scoli quasi  invisibili  sono  situati  nelle  parti  del  protoplasma  le 
più  lontane  da  un  nucleo  a  membrana  intatta  ed  a  livello  del 
quale  non  si  notano  espulsioni  nucleolari,  nei  nuclei  invece  più 
alterati  si  possono  trovare  dei  Corpi  iper  cromati  ci,  suscet- 
tibili di  passare  nel  protoplasma,  corpi  che  sono   più  irregolari, 


^ 


/^    ■^■•■^ 


—  254  — 
elio  si  docoluraiio  più  lacilinonto  flui  Corpuscoli   intrapro- 
toplasmatici  e  elio  bisogna  forse  ammettere  sieno  Corpi  pa- 
rassitari   i  n  t  r  a  n  n  e  1  e  a  r  i . 

Le  inclusioni  parassitarie  che  si  riscontrano  nelle  cellule  del 
reticolo  di  Malpiqhi  ,  che  assolveranno  la  fase  di  Globi,  sono 
l)rineipalmente  cromatofile  ed  in  alcuni  casi  si  abbruniscono  for- 
temente sotto  l'azione  dell'acido  osmico,  né  per  questo  speciale 
modo  di  comportarsi  rispetto  all'acido  osmico  si  è  autorizzati  a 
ritenerle  di  natura  grassa.  Credo  che  provengano  in  massima 
parte  per  eliminazione  di  sostanza  cromatica  del  nucleo,  quando 
questo  migra  verso  la  periferia  cellulare,  nel  momento  in  cui  la 
maggior  parte  della  cromatina  si  condensa  in  due  o  tre  blocchi, 
dai  quali,  come  si  è  detto,  si  irradiano  dei  raggi  a  modo  di  stella. 
La  loro  forma  è  spesso  indeterminata  (Fig.  3),  a  blocchi,  a  goc- 
ciole, tal  altra  invece  è  a  granuli  anche  piccolissimi,  e  di  qui  la 
grave  difficoltà  di  interpretarli:  quando  infatti  si  colorano  i  pre- 
parati con  il  metodo  di  Gram,  o  con  la  fuxina  fenica,  o  col  bleu 
di  LòFFLER,  spesso  si  è  tentati  a  voler  riconoscere  nelle  forme 
granulari  dei  cocchi,  dei  batteri,  dei  piccoli  Protozoi.  Sono  i  più 
grandi,  fra  essi,  i  cosidetti  Corpuscoli  di  Touton  ('892,),  anche 
descritti  da  Benda  ('895)?  È  probabile.  Gli  aa.  infatti  nel  pro- 
cedere a  tali  caratteristiche  colorazioni  partono  sempre  dal  pre- 
supposto essere  il  M.  e.  una  malattia  infettiva,  e  per  tal  ragione 
doversi  assolutamente  identificare  i  presunti  agenti  del  contagio. 
Né  le  ricerche  recenti  con  i  preparati  per  frottis ,  eseguite  da 
BoRREL  ('904)  e  da  Bdrnet  ('906)  mi  sembrano  molto  convin- 
centi 1).  Ho  anche  io  eseguiti    numerosi    preparati  per  frottis,  li 


1)  Durante  la  stampa  del  presente  lavoro  sono  apparse  due  note  di  Borrkl 
('909;  '910).  Nella  prima  ('909)  l'A.  ci  dice  che  l'ultramicroscopio,  applicato 
alle  culture  pure  della  peiipneumouia,  non  ne  aveva  meglio  definito  il  mi- 
crobo, in  modo  che  si  deve  ritenere  un  istrumento,  che  per  ora  non  può  dare 
grandi  risultati  ai  batteriologisti.  Invece,  col  metodo  di  mordenzamento,  col 
tannato  ferroso  e  fuxina  ferrica,  pare  possano  aversi  i  più  grandi  servigi  nello 
studio  dei  virus  ancora  sconosciuti.  Questo  metodo  può  essere  applicato  non 
solamente  a  delle  culture,  ma  anche  a  dei  prodotti  patologici  :  nel  M.  e.  di 
Bateman  e  neirEj)itelioma  contagioso  degli  Uccelli  si  vedono  degli 
clementi  micrococcici,  in  numero  immenso  nelle  cellule,  e  queste  granulazioni 
molto  regolari ,  asolate  ,  a  diplococchi,  a  catene,  sono  verosimilmente  il  mi- 
crobo. Uguali  risultati  avrebbe  ottenuto  con  i  filtrati,  clavellosi.  Eitiene  quindi 
che  il  passaggio  di  un  microbo  attraverso  un  filtro  non  implica  per  forza  la 
nozione  di  un  microbo  invisibile,  giaccijè  la  sopracolorazione  con  il  luorden- 


—  255  — 

ho  colorati  con  la  sopracolorazione  col  bloii  di  Lòffleu,  ed  ho 
notato  su  per  giù  le  medesime  cose  che  si  vedono  tingendo  se- 
zioni sottili  con  l'ematossilina  ferrica,  con  la  differenza  che  con 
l'ematossilina  ferrica  si  hanno  maggiori  finezze  di  dettagli. 

Lipschììtz  ('907)  ha  stemperato  dei  noduli  di  M.  e.  in  acqua 
distillata  o  in  soluzione  fisiologica  ed  ha  fissato  il  tutto  con  alcool 
assoluto  o  con  la  mescolanza  di  alcool  ed  etere.  Allestendo  dei 
preparati,  questi,  all'ultramicroscopio,  avrebbero  mostrato  la  pre- 
senza di  granulazioni,  che  non  si  ritrovano  in  altre  lesioni.  Io 
preparati  coll'ultramicroscopio  non  ne  ho  fatti,  né  ne  ho  osservati, 
non  posso  quindi  dire  se  le  forme  granulari,  studiate  da  Lipschììtz 
('907),  sieno  davvero  tali  per  la  loro  morfologia  e  per  il  loro  com- 
portamento, da  far  pensare  a  microbi  ultramicroscopici;  ho  però 
la  convinzione  che  i  granuli  descritti  da  Borrel('904)  e  daBuRNET 
('906)  nei  preparati  per  frottis^  colorati  col  bleu  di  Lòffleu,  non 
sieno  gli  agenti  specifici  del  contagio,  ma  semplici  granulazioni 
protoplasmatiche.  Credo  quindi  che  lo  studio  delle  inclusioni  ci- 
toplasmatiche non  possa  per  ora  progredire  gran  fatto,  fino  a 
che  la  tecnica  citologica  non  ci  avrà  fornito  delle  reazioni  spe- 
ciali per  mettere  sicuramente  in  evidenza  i  diversi  punti  del  pro- 
toplasma e  le  degenerazioni  di  esso. 

zamento  è  un  metodo  molto  potente,  che  renderà  ancora  dei  grandi  servigi 
nello  studio  dei  microbi  invisibili. 

Nella  seconda  nota  ('910)  ci  i-iferisce  di  aver  avuto  agio  di  studiare  nella 
specie  canina  un  tipo  di  tumore  canceroso,  cbe  si  sviluppa  spontaneamente 
nella  Cagna  a  livello  della  vagina,  e  che  sarebbe  trasmesso  col  coito  al  ma- 
schio; tale  lesione  è  probabile  che  nel  maggior  numero  dei  casi  sia  data  come 
un  innesto  cellulare  di  un  tumore  preesistente.  Nelle  cellule  specifiche  del 
tumore,  sia  nei  tagli,  che  nei  preparati  per  frottis,  con  i  coloranti  ed  i  fissa- 
tivi ordinari,  non  si  nota  nulla  di  speciale;  ma  se  si  sopracolora  un  preparato 
per  frottis,  fatto  con  cellule  messe  in  sospensione  nell'acqua  fisiologica  e  cen- 
trifugate, si  osservano  in  esse  una  quantità  di  Corpuscoli  micrococcici, 
a  diplococci,  in  ammassi  e  qualche  volta  allungati  e  biforcati.  Sopra  i  tagli 
il  metodo  di  sopracolorazione  con  impregnazione  all'argento  permette  di  ve- 
dere a  lato  del  nucleo  una  figura  cromidiale,  contenente  dei  granuli  neri  in 
gran  numero,  che  evidentemente  sarebbero  i  medesimi  Corpuscoli.  Anche 
in  caso  di  sarcoma  del  seno,  in  una  donna,  con  l'impregnazione  all'argento, 
i  tagli  mostrerebbero,  nelle  cellule  ,  a  lato  del  nucleo ,  un  corpo  cromidiale 
identico  alle  granulazioni   nere. 


—  266  — 

Specificità  dei  Corpuscoli  di  Henderson. 

Qualunque  sia  l'interpretazione  data  dai  vari  osservate )i'i  ai 
Corpuscoli  Henderson,  certo  si  è  che  l'accordo  è  unanime  noi 
riconoscere,  in  queste  formazioni  patologiche,  qualche  cosa  di 
nuovo  o  di  non  comune.  Sono  infatti  i  Corpuscoli  di  Hen- 
derson patognomonici  del  M.  e.  di  Bateman  ?  ovvero  possono 
trovarsi  anche  in  altre  lesioni  patologiche  ?  La  maggior  parte 
degli  aa.  vorrebbe  riconoscere  questi  elementi  solo  in  due  mo- 
dalità patologiche,  nel  M.  e.  dell'Uomo  e  nel  Vainolo  dei  Polli: 
altri  invece  con  indagini  accurate  sono  venuti  alla  conseguenza, 
potersi  avere,  almeno  accidentalmente,  in  altre  malattie. 

Per  Boeck  ('875)  la  specificità  è  indiscussa,  dice  che  non  si  ri- 
scontrano elementi  identici  in  altri  tumori.  Simon  &  Lewin  ( —  — ) 
riferiscono  che  non  hanno  incontrato  i  Corpuscoli  cheratoidi 
altro  che  nel  M.  e,  e  citando  la  opinione  di  Kaposi  ('891Ì,  che 
l'avrebbe  trovato  negli  epiteliomi,  negli  antichi  comedoni,  ecc., 
pensano  che  esistono  differenze  con  gli  antichi  epiteli,  che  si 
trovano  in  questi  ultimi.  Laddove  Renaut  ('880)  osserva  che  certi 
Globi  epidermici  degli  epiteliomi  lobulati  si  comportano  anche 
molto  spesso  nella  stessa  maniera  di  quelli  dell'Acne  variol i- 
forme:  ma  essi  ne  differiscono  sempre  in  ciò  che  sono  formati 
di  più  cellule  e  non  di  una  sola.  Audry  ('889)  nelle  proliferazioni 
epiteliali  di  tutt' altra  natura,  purché  di  origine  ectodermica,  ha 
riscontrato  corpi  o  figure  paragonabili  ai  Corpuscoli  del  M.  e, 
ma  non  identiche.  Io  [Gargano  ('909)]  in  alcuni  esemplari  di  sar- 
comi ulcerati  delle  fosse  nasali  a  cellule  polimorfe,  ho  descritto 
la  presenza  di  corpicciuoli,  che  per  la  morfologia  e  per  le  ca- 
ratteristiche reazioni  microchimiche,  avessero  potuto  essere  ri- 
tenuti identici  o  analoghi  ai  Corpuscoli  di  Hendersom.  Questi 
Corpuscoli  non  sono  altro  che  una  speciale  trasformazione 
del  citoplasma  di  alcune  cellule  sarcoraatose  di  forma  epitelioide; 
infatti  è  agevole  potere,  nei  vari  preparati,  studiare  le  diverse 
trasformazioni  a  cui  va  incontro  la  cellula  nell' originare  il  Cor- 
puscolo cheratoide,  che  deve  essere  interpetrato  come  una 
degenerazione  cellulare. 

Sebbene  quindi  il  Corpuscolo  cheratoide  possa  rinve- 
nirsi in  altre  lesioni  della  pelle,  od  anche  eccezionalmente  in 
tumori  a  tipo  connettivale  [Gargano  ('909)],  ciò  non  ostante  bi- 
sogna convenire  con  Audry  ('899),  che  per  l'insieme  della  lesione 
*:■  per  il   modo  come  sono  accumulati   i  Corpuscoli,    la  lesione 


I 


—  257  — 

del  M.  e.  è  roalnionto  una  lesione  .specifica.  Como  si  è  detto  si 
attribuiva,  che  tale  malattia  potesse  contagiare  solo  l'Uomo  ed 
i  Polli,  aversi  cioè  solamente  M.  e.  di  Bà.tp:mam  e  Vainolo  dei 
Polli  {Gffiiigelpocken).  Osservazioni  recenti  hanno  messo  in  luce 
che  anche  altri  animali  possono  andare  soggetti  a  tale  modalità 
patologica:  Fox  ('898)  infatti  rinvenne  lesioni  analoghe  a  quelle 
dei  Polli  in  un'altra  malattia  dei  Polli  delle  Indie  (Yaws),  Shat- 
TOCK  ('898)  nei  Passeri,  Hutchinson  ('898)  nei  Cani  e  trasmissibile 
all'Uomo,  e  Mingazzini   ('902)   nei    Batraci   {Discoglossus  pidus). 

Genesi  dei  Corpusooli. 

Circa  la  genesi  della  sostanza  corpuscolare  e  dei  Corpu- 
scoli di  Hendebson  tutti  gli  aa.  sono  abbastanza  di  accordo 
neir  ammettere  il  formarsi  degli  stessi  per  opera  di  granulazioni 
che  sorgono  nel  citoplasma  delle  cellule  poliedriche  del  corpo 
mucoso  o  dello  strato  granuloso  (?) ,  granulazioni  che  confluiscono 
in  un  unico  corpicciuolo  ovoidale.  Pochi  invece  sono  quelli  che 
hanno  tentato  di  voler  approfondire  il  processo  di  Corpus  co- 
lazione, notando  i  rapporti  che  possa  avere  questa  sostanza 
singolare,  probabilmente  cheratoide,  con  le  altre  parti  cellulari. 
Per  BizzozERO  &  Manfuedi  ('877)  l'inizio  del  Globo  è  dato  da 
un  accumulo  di  granuli  più  scuri  e  grossi  di  quelli  del  protopla- 
sma della  cellula  epitelica,  con  contorni  ben  limitati:  questi  am- 
massi vanno  fondendosi  in  un  materiale  omogeneo  splendente, 
in  un  Globo  a  contorni  spiccati,  a  costituzione  omogenea. 

Rknaut  ('880)  vede  che  nel  protoplasma  delle  cellule  spinose 
si  sviluppano  dei  Globi  traslucidi,  che  si  colorano  in  rosso  col 
picrocarminato  di  ammoniaca,  e  che  restano  scolorati  dall'azione 
dell'  acido  osmico  ;  col  loro  sviluppo  ulteriore  prendono  le  prin- 
cipali reazioni  istologiche  del  corno  giovine,  ma  non  tutte,  trat- 
tandosi di  una  evoluzione  cornea,  che  si  opera  in  realtà  in  modo 
anormale.  E  il  concetto  del  Maestro  lo  chiariscono  meglio  gli 
scolari  Gaucher  &  Sergent  ('898),  i  quali  nella  zona  media  dei 
cui  di  sacco  glandolari  notano  uno  strato  importante  di  cellule 
preludere  alla  trasformazione  cornea  completa  :  alcuni  elementi 
sono  già  più  avanzati  nella  loro  evoluzione  e  quasi  totalmente 
trasformati  in  Globi  cornei,  colorati  in  giallo,  mentre  che  nello 
strato  superiore  tutte  le  cellule  hanno  subito  la  trasformazione 
globulosa  completa  e  costituiscono  dei  piccoli  Corpuscoli  in 
forma  di  bolle,  che  si  colorano  in  giallo  con  1'  acido  picrico,  che 
non  hanno  una  struttura  perfettamente  omogenea  o  che  presen- 


—  268  - 

tano  (atti!  lo  reazioni  della  sostanza  cornea.  Per  Tòuok  &  Tom- 
MAsoM  ('889),  mentre  lo  strato  esterno  delle  cellule  passa  rapida- 
mente in  cornificazione  ,  noli'  interno  si  vanno  formando  granu- 
lazioni, di  natura  colloidea,  che  fondendosi  danno  origine  ai  ca- 
ratteristici Corpuscoli  di  Henderson. 

Stanziale  ('890),  nel  suo  accurato  lavoro,  ritiene  che  i  Cor- 
puscoli in  parola  siono  il  prodotto  di  una  cheratinizzazione  delle 
cellule  del  corpo  mucoso  di  Malpighi  e  più  specialmente  dello 
strato  granuloso  :  risulterebbero  di  sostanza  cornea,  perchè  rea- 
giscono ugualmente  verso  i  colori,  di  quello  che  non  reagisca  lo 
strato  granuloso  e  corneo  della  cute  sovrastante.  Egli  infatti  os- 
serva, che  laddove  nella  neoplasia  non  ancora  vedousi  i  Corpu- 
scoli di  Henderson  (stadio  di  inizio),  essa  resta  colorata  ugual- 
mente come  il  corpo  mucoso  di  Malpighi,  mentre  lo  strato  corneo 
dell'  epidermide  sovrastante  resta  colorato  intensamente  in  rosso; 
invece,  quando  nella  neoplasia  cominciano  a  mostrarsi  i  C  or pu- 
scoli  caratteristici,  questi  si  vedono  colorati  ugualmente  in  rosso 
con  una  intensità  diversa,  rispetto  al  grado  di  colorazione  dello 
strato  corneo,  a  seconda  della  diversità  del  loro  sviluppo  ,  rag- 
giungendosi il  massimo  d'intensità  e  di  colorazione  nei  C  or  p  u- 
scoli  adulti. 

Ad  AuDRY  ('899)  gli  vien  fatto  di  studiare  nel  protoplasma 
delle  cellule  spinose  del  corpo  mucoso  di  Malpighi  la  formazione 
di  una  sostanza  granulosa,  che  si  dispone  in  blocchi  irregolari, 
che  si  tingono  in  giallo  col  picrocarminio  ,  con  1'  orango  P  ,  in 
violetto  rosa  col  bleu  di  Sahli  ,  col  bleu  policromo  :  dalla  con- 
fluenza di  essi  si  individualizza  il  Corpuscolo  del  M.  e.  che  per 
i  caratteri  suoi  deve  essere  considerato  come  corno,  sebbene  non 
si  posseggano  dei  reattivi  perfettamente  sicuri  e  precisi  per  la 
determinazione  di  ciò  che  è  completamente  cheratinizzato.  Min- 
GAzzrai  ('902)  nel  Discoglossiis  pictus,  raschiando  la  superficie  dei 
detti  noduli,  vede  le  cellule  epidermiche  normali  ed  alterate  e 
molti  Globuli  alquanto  rifrangenti,  caratteristici  di  questa  forma 
di  M.  e,  un  poco  irregolari  e  variabili  di  dimensioni,  molto  più 
grossi  in  generale  di  quelli  della  stessa  malattia  degli  Uccelli  e 
dei  Mammiferi. 

BoRREL  ('903)  si  contenta  di  dire  poche  parole  al  riguardo, 
cioè  che  le  cellule  spinose  si  individualizzano,  si  circondano  di  una 
membrana  spessa  e  si  trasformano  in  blocchi  cheratinizzati,  che 
si  sfogliano.  Bosc  ('905  1°)  infine  pensa  che  le  lesioni  delle  cellule 
durante  la  Corpuscolazione  sieno  costituite  da  una  ipertrofia 
chiara  per  aumento  doli' jaloplasma  ,  poi  da  una  plasmolisi  prò- 


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gressiva,  che  conduce,  per  liquefazione  dell' jaloplasma,  alla  dispa- 
rizione progressiva  dello  spongioplasma  e  degenerazione  clierato- 
colloidea  della  periferia,  alla  trasformazione  della  cellula  in  una 
cavità  limitata  da  una  membrana. 

La  sostanza  corpuscolare  nasce  indipendente  dal  nucleo  delle 
cellule  del  corpo  mucoso  o  dalle  sue  alterazioni  ;  quando  infatti 
già  il  nucleo  è  migrato  verso  la  periferia  della  cellula  e  questa 
si  sarà  circondata  di  una  membrana  clieratoide,  nel  citoplasma  si 
notano  alcuni  granuli  diffusi  e  non  sempre  bene  appariscenti. 
Questo  primo  stadio  della  formazione  dei  Corpuscoli  chera- 
toidi  (Figg.  1,  2,  4  e  6)  è  uno  dei  più  delicati  a  studiarsi,  per  il 
fatto  che  i  granuli  anzidetti  si  tingono  molto  spesso  e  si  confon- 
dono con  le  inclusioni  cromatofile  e  con  i  granuli  di  clieratoj  alina, 
che  dovranno  rinforzare  la  membrana  cellulare.  Talvolta  sono 
meglio  delimitabili,  giacché,  in  una  massa  finamente  granulosa,  si 
vedono  come  tanti  granuli  più  brillanti,  che  assumono  su  per  giù 
la  medesima  elettiva  colorazione  delle  cellule  cornee  dell'  epider- 
mide normale  (quando  il  nodulo  è  stato  escisso  con  tutto  il  tes- 
suto sano  circumambiente)  ;  questi  granuli,  questi  punti  più  densi 
di  citoplasma  confluiscono,  dando  origine  a  delle  masse  plasmo- 
diali,  più  dense,  molto  facilmente  riconoscibili. 

MiNGAzziNi  ('892)  ha  visto  e  disegnato  qualche  cosa  di  ana- 
logo, pur  interpretando  queste  masse  come  funghi.  Certo  si  è  che 
le  masse  cheratoidi  nel  loro  secondo  stadio  di  sviluppo  sono  ab- 
bastanza bene  colorabili,  e  spiccano  sul  restante  del  protoplasma; 
i  preparati  colorati,  sia  con  il  liquido  di  Giemsa,  od  anche  sem- 
plicemente con  la  doppia  colorazione  al  bleu  di  metilene  ed  cosina, 
lasciano  vedere  la  sostanza  corpuscolare  tinta  in  rosso  lilla,  lad- 
dove il  restante  del  citoplasma  si  colora  in  rosa  pallido.  E  con 
questa  colorazione  riesce  facile  distinguere  le  masse  corpuscolari 
dai  granuli  cromatofili,  che  restano  tinti  in  bleu  intenso:  V  unico 
inconveniente  è  di  non  potere  con  questa  medesima  doppia  co- 
lorazione distinguere  anche  opportunamente  i  granuli  di  chera- 
toj alina,  che  si  vedono  apparire  in  bleu  chiaro. 

La  colorazione  all'  ematossilina  ferrica  di  Heidenhain  è  pure 
molto  opportuna  per  apprezzare  le  differenze  di  tinta  fra  le 
suaccennate  sostanze  del  citoplasma  :  essa  non  mette  in  evidenza 
la  cheratojalina  e  colora  in  nero  giallo  le  masse  corpuscolari, 
quando  invece  resta  colorata  con  tinta  più  pallida  la  rimanente 
sostanza  citoplasmatica  ,  e  laddove  le  inclusioni  cromatofile  si 
tingono  come  i  nuclei  in  nero  col  detto  reattivo. 


-   2<Ì0  — 

Col  crescuri!  di  qucsiu  nui.s.se  ,  (liininuiscc  il  cilophisiim  in- 
terposto, ud  esse  divengono  sempre  più  omogenee  e  meno  gra- 
nulose. Un  fatto  poco  spiegabile  è  il  vedere  dei  setti,  delle  git- 
tate, che  qualclio  volta  dalla  membrana  cellulare  vanno  fino  nello 
interno  di  esse  (Figg.  8  e  U)  ed  anche  di-Ile  gittate,  che  partendo 
dalla  membrana  nucleare  si  dirigono  alla  sostanza  corpuscolare. 
Solo  Benda  ('895)  nel  suo  lavoro  accenna,  che  in  una  fase  pre- 
cedente alla  formazione  dei  Corpuscoli  omogenei,  si  trova 
uno  stadio,  nel  quale  questi  sono  attraversati  da  una  serie  di  setti, 
stadio  riconosciuto  da  Nkisseh  ('888;  '891)  come  quello  di  Spore 
del  suo  presunto  parassita.  Riassorbendosi,  secondo  Bknda,  questi 
setti  cellulari,  si  avrebbe  la  massa  omogenea  dei  Corpuscoli. 
Che  cosa  infatti  rappresentano  questi  setti,  queste  gittate  di  so- 
stanza, che  presenta  uguale  spiccata  basofilia  ed  acidofilia  ? 
Non  è  chiaro.  Quello  che  noto  si  è  che  di  questi  setti  non  si  ha 
traccia  nei  primi  stadi  di  Corpuscolazione,  come  anche  non 
se  ne  trova  traccia  negli  stadi  ulteriori  di  sviluppo  del  Corpu- 
scolo cheratoide. 

Ridottosi  il  nucleo  ad  un  semplice  rivestimento  cromatico 
con  un  punto  brillante  nel  suo  interno  e  resosi  atrofico  contro 
la  membrana  cellulare,  eliminatasi  tutta  la  cheratoj alina  ,  resta 
nell'interno  della  cellula  il  Corpuscolo  cheratoide  di  forma 
caratteristica  ov  alare,  a  struttura  omogenea,  con  un  poco  di  pro- 
toplasma di  reliquat,  che  in  alcuni  punti  lo  circonda. 

La  rottura  della  membrana  cellulare  in  un  punto  di  minore 
resistenza,  mette  in  libertà  il  Grlobo,  che  si  incammina  in  unione 
al  detritus  cellulare  e  al  residuo  delle  cellule  degenerate,  (che 
non  hanno  subito  la  fase  di  Corpuscolazione),  verso  il  cra- 
tere, l'ombilico  del  piccolo  neoplasma.  Giacché  queste  cellule  sul 
principio  assolvono  una  certa  fase  quasi  di  normale  evoluzione, 
ma  poi  restano  compresse  fortemente  dagli  elementi,  nei  quali 
si  sviluppa  il  Corpuscolo  di  Henderson,  e  allora  degenerano, 
e  si  eliminano  in  un  con  i  Globi  come  lamelle,  prendono  in- 
fatti quasi  l'impronta  della  cellula  che  le  ha  compresse. 

BizzozERO  &  Manì^kedi  ('877),  contro  l'opinione  di  Virchow 
('865),  che  riteneva  i  Globi  liberi  o  solo  in  parte  innicchiati 
nelle  cellule  cornee,  avevano  potuto  dimostrare,  che  questi  sono 
veramente  nell'interno  delle  cellule  epiteliali,  che  in  seguito  sono 
circondati  tutti  all'intorno  da  una  membrana  cornea  e  che  più 
tardi  poi  ne  escono  ,  ciò  che  ha  probabilmente  luogo  per  una 
parziale  atrofia  con  conseguente  rottura  della  membrana  cornea. 


—  2Gi   — 

L;i  roLtiH-a  della  membrana  coUularc,  per  mettere  in  libertà 
il  Corpuscolo  cheratoide  non  è  cosi  facile  a  spiegare,  se  si 
ammetta  che  la  lesione  sia  dovuta  a  degenerazione  del  citoplasma 
delle  cellule  del  corpo  mucoso  di  Malpighi  ;  gli  aa.  invece  che 
ritengono  il  Corpuscolo  di  Henderson  sia  la  fase  di  spora  o 
anche  degenerativa  di  un  parassita ,  più  agevolmente  possono 
chiarire  la  cosa,  per  analogia  con  la  vita  di  altri  esseri,  che  hanno 
la  facoltà  di  sporificare.  Mingazzini  ('894)  infatti  nel  Vainolo 
dei  Polli  nota  che  quando  l'involucro  della  cellula  primitiva 
e  con  esso  quel  po'  di  residuo  di  protoplasma  e  di  nucleo  ven- 
gono a  distruggersi,  allora  il  Corpuscolo  (che  per  l'A.  è  un 
parassita),  rimasto  libero,  ridotto  ad  un  ammasso  tondeggiante 
di  protoplasma  jalino,  cade  nella  cavità  centrale  della  papula  e 
diventa  un  Corpuscolo  caratteristico  di  M.  e. 

In  alcuni  casi,  invero  eccezionali  (Fig.  7),  un  gruppo  di  cel- 
lule vicine  del  corpo  mucoso,  in  fase  piuttosto  avanzata  di  Cor- 
puscolazione,  per  un  processo  sconosciuto  e  non  mai  notato 
fin  ora,  possono  subire  una  regressione  ,  direi  quasi  fisiologica. 
Si  ha  in  tal  modo  la  produzione  di  speciali  riunioni  cellulari, 
molto  simili  per  morfologia  alle  perle  epiteliali  dei  comuni  epi- 
teliomi. 

Ricerche  batteriologiche. 

Il  Globo  adulto  rappresenta  qualche  cosa  che  non  ha  più 
ragione  di  stare  nel  piccolo  neoplasma,  ma  che  deve  essere  eli- 
minato :  il  che  non  sempre  avviene  in  tutti  i  tempi ,  potendo 
spesso  l'ombilico  rimanere  non  pervio  per  l'attiva  proliferazione 
degli  strati  epidermici  normali  circostanti.  Sia  quindi  che  si  sup- 
ponga il  Corpuscolo  cheratoide  come  fase  ultima  di  un  pa- 
rassita (che  si  è  andato  svolgendo  nelle  cellule  del  corpo  mu- 
coso di  Mai,pighi),  sia  che  si  ammetta  essere  l'ultimo  stadio  de- 
generativo delle  cellule  in  parola,  il  suo  destino  è  quello  di  dover 
migrare  dal  neoplasma  che  l'ha  generato.  Questo  concetto,  che 
si  è  sempre  imposto  alla  mente  di  tutti  gli  osservatori,  ha  fatto 
si,  che  si  sia  sempre  voluto  nei  Corpuscoli  di  Henderson  ri- 
conoscere i  parassiti  del  M.  e.  di  Bateman,  paragonandoli  a  Coc- 
cidi,  a  Funghi  (blastomiceti ,  ifomiceti,  ecc.) ,  a  Gregarine,  ecc., 
poco  preoccupandosi  se  le  reazioni  microchimiche  fossero  tali  da 
potere  riscontrare  in  essi  del  citoplasma  vivo  e  vitale.  Le  rea- 
zioni cromatiche  e  chimiche  tenderebbero  invece  ad  escludere 
la  possibilità  di  vita  e  farebbero   ammettere  essere  delle  produ- 

18  ■ 


—  '262  — 

zioni  di  una  sostanza  cornea  o  almeno  die  ha  molte  delle  i-ea- 
zioui  del  corno.  Sono  omogenei,  hanno  lucentezza  adiposa,  non 
danno  la  reazione  della  sostanza  amiloide,  sono  colorati  in  verde 
dall'acido  nitrico,  in  bruno  (hiUa  tinture  di  jodo,  laddove,  s(;- 
condo  LuKOMSKY  ('875),  l'acido  cloridrico,  l'acido  solforico,  il  cai-- 
minio  non  li  modificherebbero. 

La  conferma  che  sono  elementi  morti  si  ha  dallo  ricerche 
di  TòRÒK  &  ToMMASOLi  ('889),  che  avendo  trattati  frammenti  di 
M.  e.  con  agenti  chimici  diversi  (acido  acetico,  acido  formico, 
ossalico,  solforico,  cloridrico,  nitrico  concentrato,  lisciva  di  po- 
tassa) non  avrebbero  riscontrato  nei  Corpuscoli  modificazioni. 
I  Corpuscoli  di  Henderson  resistono  sempre  a  questi  agenti, 
ciò  che  li  avvicinerebbe  a  sostanza  colloide  e  li  allontanerebbe 
dai  corpi  viventi  e  specialmente  dai  Psorospermi,  giacché  alcuni 
Coccidi,  come  quelli  del  fegato  del  Coniglio,  posti  nelle  mede- 
sime condizioni  restano  distrutti,  ad  eccezione  della  sola  mem- 
brana di  inviluppo.  E  Piffard  ('891)  avrebbe  osservato  che  nel- 
l'ultimo stadio  di  sviluppo  il  Corpuscolo  del  Mollusco  lascia 
passare  la  luce  polarizzata,  il  che  non  si  verifica  col  protoplasma 
delle  cellule  viventi. 

E  esatta  l'obiezione  di  Campana  ('893),  non  potersi  da  una 
sezione  microscopica  giudicare  se  si  tratta  di  una  fase  o  di  un'altra 
di  sviluppo  di  M.  e.  e  questo  esser  possibile  a  farsi  solo  quando 
ciascun  osservatore  ha  tenuto  diversi  metodi  di  ricerca,  quello 
dell'eleidina,  quello  sullo  stato  del  nucleo,  e  sulla  alterazione  che 
costituisce  il  Corpi  cciuo lo  del  M.  e,  sia  si  denomini  come  Gre- 
garinosi,  sia  che  si  designi  come  degenerazione.  Non  posso  però 
seguire  il  detto  A.  quando  afferma  che  è  difficile  fare  l'osserva-  , 
zione  con  il  preparato  indurito,  avendo,  su  prodotto  gregari noso 
del  Coniglio,  avuto  agio  di  vedere,  dopo  l'indurimento,  solo  la 
capsula  e  pochi  granuli  nell'interno  ed  in  qualche  caso  un  sem- 
plice accenno  a  sfericità  di  Corpicciuoli  nell'  interno  e  per  lo  più 
una  massa  omogenea  trasparente.  Ho  anche  io  eseguito  preparati 
di  Gregarine  e  Coccidi  autentici,  fissandoli  e  colorandoli,  ed  ho 
ottenuto  forme  perfettamente  definibili,  con  nucleo  ben  colorato 
e  con  delicate  particolarità  strutturali  citoplasmatiche,  da  non 
far  per  nulla  desiderare  di  dover  per  forza  ricorrere  alla  osser- 
vazione a  fresco  del  materiale.  Come  anche,  allestendo  vari  pre- 
parati a  fresco  di  M.  e.  di  Bateman,  non  ho  riscontrato  nulla  di 
nuovo,  non  ho  potuto  mai  scorgere  sferule  con  contenuto  a  mar- 
gherita, né  la  presenza  nelle  sferule  di  corpicciuoli  uguali  od 
irregolari,  a  ra(^no  che  non  si  debbano  interpetrarci   per    sferuh' 


—  265  — 

0  per  forme  a  margherita  quei  Cor23Usooli  di  M.  e.  in  una  de- 
terminata fase  del  loro  sviluppo,  nella  quale  lasciano  apparire 
dei  punti  di  maggiore  raddensamento  della  sostanza  corpuscolare. 

Per  vero,  tutta  una  serie  di  lavori  recenti,  indirizzati  su  di 
una  nuova  via,  sembra  voler  dare  risultati  insperati  ;  molti  aa. 
infatti  hanno  tentato  di  iiltrare  la  poltiglia  dei  noduli  di  M..  e. 
dell'Uomo  e  del  Vainolo  dei  Polli  a  traverso  le  candele  Cham- 
BERLAND  o  Berkefeld,  ed  il  filtrato  l'avrebbero  inoculato  con 
esito  positivo:  ed  in  una  seconda  serie  di  ricerche  avrebbero  os- 
servato preparati  allestiti  con  tale  filtrato,  colorandoli  sia  col 
metodo  di  mordenzamento,  che  con  la  sopracolorazione  al  bleu 
di  LòFFLER.  JuLiusBERG  ('904;  '905)  avrebbe  inoculato  con  esito 
favorevole  il  M.  e.  dell'Uomo  al  braccio  suo  e  di  due  suoi  col- 
leghi, filtrando  i  noduli  dell'affezione  attraverso  la  candela  Cham- 
BERLAND.  Marx  &  Sticker  ('902;  '903)  avrebbero  avuto,  anche  essi, 
innesto  positivo  col  Vaiuolo  dei  Polli,  filtrando  i  noduli  at- 
traverso la  candela  Berkefeld,  laddove  con  la  candela  Cham- 
BERLAND  F.  il  viTus  Sarebbe  stato  arrestato.  Infine  Serra  ('907) 
avrebbe  potuto  inoculare  ed  ottenere  la  riproduzione  della  ma- 
lattia nell'Uomo  col  virus  di  M.  e.  umano,  filtrato  attraverso 
candele  Berkefeld  W. 

Le  esperienze  di  Marx  &  Sticker  ('902;  "903),  se  fossero  da 
altri  seguite,  sarebbero  al  certo  le  più  convincenti,  giacché  as- 
soderebbero questo  dato  di  fatto,  che  l'agente  produttore  della 
malattia  è  di  dimensioni  tali  che  non  passa  attraverso  la  candela 
Chamberland,  ma  bensì  attraverso  la  Berkefeld,  che  ha  una 
grana  più  grossa  della  Chamberland. 

Io  non  ho  potuto  avere  che  pochi  esemplari  già  fissati  di  M.  e. 
dei  Volatili,  non  ho  quindi  potuto  ripetere  le  esperienze  di 
Marx  k  Sticker  ('902;  '903Ì,  che  desidererei  vedere  assodate,  giac- 
ché, contro  l'opinione  di  Serra  ('907),  noto  nelle  due  malattie  in 
esame  qualche  cosa  di  molto  simile,  e  non  ritengo  che  le  due 
affezioni  abbiano  diversa  etiologia  e  solo  una  apparente  analogia. 
Al  contrario  ho  ripetuto  le  esperienze,  sia  di  Juliusberg  ('904; 
'905),  che  di  Serra  ('907),  con  le  candele  Chamberland  di  varia 
numerazione  e  con  le  candele  Berkefeld:  col  filtrato  non  ho  avuto 
mai  inoculazioni  positive,  come  anche  mi  sono  riuscite  negative 
le  inoculazioni  di  pezzi  di  M.  e.  di  Bateman  o  di  materiale  mol- 
luscoso.  Ritengo  per  questa  ragione  che  non  possa  essere  tanto 
facile  l'inoculazione,  come  descrivono  i  citati  aa.  Juliusberg('904; 
'905)  e  Serra  ('907).  Al  contagio  naturale,  che  è  cosi  frequente 


—  264  — 

e  facile,  dovouo   contribuirò  altri    fattori,  elio  ci  sfuggono  nel  In 
stato  attuale  della  scienza. 

Ho  poi,  con  i  filtrati  (attenuti  .sia  con  candele  Chamberland 
che  Berkefeld,  fatti  vari  preparati,  usando  il  metodo  della  ><>- 
pracolorazione  al  bleu  di  Lòffler,  ed  ho  notato,  anche  io,  delle 
forme  granulari,  che  non  posso  (come  ho  detto  precedentemento) 
dichiarare  formo  micrococciche  parassitarie  caratteristiche  di  quost;i 
malattia,  perchè  prelevando  dei  pezzetti  di  cute  normale  sia  dii 
soggetti  affetti  di  M.  e.  di  Bateman,  sia  da  altri  individui  in- 
denni, e  sottoponendo  questi  pezzetti  alle  medesime  manipola- 
zioni, ho  ottenuto  risultati  analoghi.  Probabilmente  le  forme  os- 
servate da  BoRREL  ('904)  e  da  Burnet  ('906)  non  sono  che  granuli 
cromatici   protoplasmatici ,    che  si  tingono    intensamente   con   il 

bleu    di    LOFFLER. 

Le  culture  artificiali  nei  vari  mezzi  consigliati  per  l'esame 
dei  batteri  e  dei  Protozoi  sono  riuscite  negative  o  non  convin- 
centi, essendo  facilissimo  di  aversi  l'inquinazione  per  opera  dei 
comuni  batteri,  se  non  si  ricorre  alla  previa  cauterizzazione  col 
fuoco  della  superficie  esterna  del  nodulo  ed  al  prelevamento  suc- 
cessivo del  materiale  con  ago  di  platino. 

Conclusioni. 

n  M.  e.  di  Bateman  è  una  malattia  infettiva,  che  si  pre- 
senta sotto  forma  di  piccoli  noduli  epidermici ,  diffusi  più  di 
frequenti  alla  faccia  ed  ai  genitali ,  a  consistenza  duro-elastica, 
ombelicati  al  centro,  ricoperti  all'esterno  dall'epidermide  normale, 
che  si  rende  trasparente  su  di  essi  e  che  si  approfonda  per  breve 
tratto  nell'ombilico,  nel  cratere  del  piccolo  neoplasma.  I  noduli 
sono  circondati  da  lasco  tessuto  connettivo  fibrillare  e  risultano 
di  numerosi  lobuli  ,  di  acini,  di  un  grappolo,  il  cui  stelo  corri- 
sponde all'ombilico  anzidetto.  Sebbene  grossolanamente  abbiano 
l'aspetto  di  una  glandola  acinosa,  pure  in  realtà  l'affezione  non 
ha  sede  glandolare,  sia  perchè  gli  elementi  costituenti  non  hanno 
nessuno  degli  attributi  delle  cellule  secernenti  ,  sia  perchè  nei 
tagli  seriali  di  cute,  nelle  prossimità  dei  noduli  di  M.  e,  si  riesce 
talvolta  a  colpire  il  primo  inizio  di  tali  tumoretti,  che  eviden- 
temente nascono  dalle  cellule  del  corpo  mucoso  di  Malpighi  del- 
l'epidermide normale,  ed  anzi  si  vede  una  particolarità  di  grande 
rilievo,  che  i  noduli  in  tale  stadio  di  sviluppo  sono  sforniti  dA 
dotto  escretore ,  dell'  ombilico  e  della  cavità  centrale  o  crateri- 
forme.  L'apertura  con  l'esterno  si  forma  secondariamente,  quando 


—  265  ^ 

il  tumore,  per  l'aumento  considerevole  elei  suoi  lobuli,  finisce  per 
usurare  gli  strati  epidermoidali  superiori;  in  secondo  tempo  l'e- 
pidermide circostante,  proliferando,  finisce  per  approfondirsi  in 
questa  piccola  apertura. 

Ogni  lobulo ,  ogni  zaffo  si  compone  di  uno  strato  esterno 
di  cellule  cilindriche  più  o  meno  a  palizzata^  che  ricordano 
assai  bene  le  cellule  basamentali  dell'  epidermide  normale.  In 
questi  elementi  si  riscontrano  frequentissimamente  figure  mito- 
tiche,  come  esponente  della  grande  attività  neoformativa  di  essi. 
Ho  potuto  notare  che  alcuni  presentano  attorno  al  nucleo  un 
alone  chiaro,  una  zona  chiara  perinucleare,  che  suppongo  sia  il 
primo  inizio  della  Corpusco  laz  ione;  questa  zona  chiara  peri- 
nucleare  è  molto  definita  e  non  può  confondersi  con  la  rarefazione 
e  rischiaramento  del  citoplasma  perinucleare,  che  si  verifica  al- 
tresì all'inizio  della  cinesi.  La  mitosi  nelle  cellule  dello  strato 
basamentale  è  etero tipica  per  molti  caratteri. 

La  eleidina  o  eh eratoj  alina  (che  ritengo  sieno  la  medesima 
cosa)  si  trova  in  queste  cellule  sparsa  come  fine  gocciole,  come 
granulazioni  diffuse  in  tutto  il  citoplasma  ,  in  unione  a  poche 
inclusioni  protoplasmatiche. 

La  Corpuscolazione,  iniziatasi  nelle  cellule  cilindriche 
dello  strato  generatore,  prosegue  negli  elementi  degli  strati  se- 
guenti, che  sono  stati  paragonati  alle  cellule  spinose  dello  strato 
mucoso  di  Malpighi,  sebbene  ne  differiscano  molto,  sia  per  l'as- 
senza delle  spine  o  porocanali,  sia  per  altri  caratteri  morfologici. 

Le  cellule  del  corpo  mucoso  sono  di  due  tipi,  elementi  che 
provengono  da  trasformazione  delle  cellule  dello  strato  genera- 
tore, (nelle  quali  si  riscontrava  l'alone  chiaro  perinucleare)  e  che 
finiscono  per  trasformarsi  in  Grlobo  cheratoide,  e  cellule  che 
invece  subiscono  una  certa  evoluzione  fisiologica  e  che  poi  de- 
generano per  compressione  esercitata  su  di  esse  dai  Globi,  e 
che  in  un  con  i  Globi  finiscono  per  essere  eliminate  sotto  forma 
di  lamelle.  Sia  nelle  cellule  che  si  trasformano  in  Corpuscoli 
di  Hemderson,  sia  nelle  cellule  che  si  trasformano  in  lamelle  cornee, 
non  è  possibile  rinvenire  mai  figure  mitotiche. 

La  Corpuscolazione  si  appalesa  con  la  migrazione  del 
nucleo  verso  la  periferia  del  protoplasma,  nel  mentre  che  in  tale 
zona  si  vanno  raccogliendo  le  gocciole  ed  i  granuli  di  cherato- 
j alina,  che,  fondendosi,  originano  una  solida  membrana  cellulare, 
la  quale  individualieza  dalle  vicine  la  cellula,  che  dovrà  produrre  il 
Corpuscolo  di  Henderson.  Non  tutta  la  cheratoj alina  si  tra- 
sforma in  membrana  cellulare,  una  piccola  porzione  residuale  fi- 


—  266  — 

niscc,  astsiomo  ad  altri  derivati  cellulari,  per  costituire  (^uel  prò 
toplasma  di  reliquat,  che  è  eliminato,  quando,  con  la  rottura  della 
membrana,  vien  posto  in  libertà  il  Globo  clieratoide. 

Durante*  la  migrazione  del  nucleo,  avvengono  in  questo  delle 
caratteristiche  disposizioni  della  sostanza  cromatica,  che  si  riu- 
nisce in  due  o  tre  Corpuscoli  sferoidali  cromatici,  dai  quali 
partono  delle  risoluzioni  stellari,  a  raggio,  nel  mentre  che  i  nu- 
cleoli mandano  ,  anche  essi,  delle  risoluzioni  e  poi  degenerano 
nell'enchilema  nucleare.  Una  parte  della  cromatina  si  elimina  dal 
nucleo  e  costituisce  delle  inclusioni  cromatofile  del  protoplasma, 
che  non  sempre  si  possono  distinguere  dalle  inclusioni  cromato- 
file proprie  del  citoplasma;  ma  sia  le  une  che  le  altre  finiscono 
per  degenerare  negli  ultimi  stadi  di  sviluppo  del  Corpuscolo 
di  Henderson,  infatti  allora  il  nucleo  è  ridotto  alla  semplice  mem- 
brana nucleare  atrofica  e  ad  unico  punto  cromatico  brillante  nel 
suo  interno.  Non  raramente  la  membrana  nucleare  degenera  e 
quei  Corpuscoli  cromatici  stellari  restano  liberi  nel  protoplasma 
cellulare;  in  casi  rari  riesce  anche  a  potersi  vedere  che  il  nucleo 
negli  elementi  in  Corpus-co  lazi  o ne,  per  un  processo  di  scis- 
sione diretta,  si  scinde  in  due  nuclei:  non  è  facile  però  seguire 
il  destino  di  questi  nuclei  di  nuova  formazione. 

Le  granulazioni  e  gocciole  di  cheratoj alina  con  i  comuni 
coloranti  si  mettono  bene  in  evidenza;  serve  ottimamente  il  pi- 
crocarminio  di  Eanvier.  Le  granulazioni  anzidette,  che  si  for- 
mano negli  elementi  in  fase  di  Corpuscolazione,  vanno  a 
costituire,  in  massima  parte,  la  membrana  cellulare;  quelle  invece 
che  si  vanno  producendo  negli  elementi,  che  subiscono  una  certa 
evoluzione  fisiologica,  man  mano  che  dagli  strati  più  esterni  si 
procede  verso  i  più  interni,  si  vanno  eliminando  dalla  cellula  e 
raccogliendo  sotto  le  forme  più  bizzarre  attorno  alla  membrana 
cellulare  delle  cellule,  che  ospitano  e  generano  il  Corpuscolo 
di  Henderson.  e  siccome  queste  granulazioni  si  tingono  oppor- 
tunamente con  molti,  so  non  con  tutti  i  coloranti  ,  sono  state 
variamente  interpretate  per  Batteri,  per  Cocchi,  per  Protozoi,  ecc. 
Con  ciò  non  si  può  escludere  che  forse  fra  queste  granulazioni 
non  vi  sieno  realmente  gli  agenti  produttori  del  contagio,  ma 
la  microtecnica  è  tale,  che  non  si  possono  opportunamente  met- 
tere in  rilievo  tali  forme,  indicandone  delle   reazioni    specifiche. 

Le  inclusioni  protoplasmatiche,  che  si  trovano  nelle  cellule 
in  fase  di  trasformazione  globulare,  sono  moko  interessanti,  es- 
sendo perfino  alcune  fra  esse  ritenute  come  ammassi  di  micro- 
organismi granulai-i,  ostnnuamonte  piccoli,  che  potrebbero  attra- 


—  2fi7  — 

versare  lo  candele  Chambeiila.nd  e  Berkeh^eld,  od  essere  osservabili 
airiiltramicroscopio ,  o  essere  messe  in  evidenza  col  processo  di 
mordenzamento  o  con  la  sopracolorazione  con  il  bleu  di  Lofb^leb. 
Alcune  di  esse  nascono  da  lisi  della  cromatina  nucleare  e  dal 
suo  successivo  raddensamento  nel  citoplasma,  altre  sarebbero  di 
natura  cromidiale,  altre  infine  protoplasmatiche,  forse  di  natura 
grassa,  avendo  molte  delle  reazioni  del  grasso.  Tali  inclusioni, 
con  l'ematossilina  ferrica  di  Heidenhain,  riesce  facile  metterle  in 
evidenza  e  distinguerle  dalle  granulazioni  di  cheratoj  alina  ,  elio 
restano  quasi  scolorate. 

Con  la  migrazione  del  nucleo  verso  la  periferia  cellulare, 
con  le  anomalie  nucleari  notate,  con  la  formazione  della  mem- 
brana cellulare,  con  lo  sviluppo  delle  varie  specie  di  inclusioni 
protoplasmatiche,  procede  parallelo  l'evolversi  nel  citoplasma  di 
una  sostanza  singolare,  la  sostanza  corpuscolare,  prima 
come  granuli  distinti ,  che  man  mano  si  fondono  in  masse  più 
spesse,  fino  ad  originare  il  Globo  cheratoide,  amorfo,  senza 
struttura  nel  suo  ultimo  stadio  di  sviluppo. 

Col  crescere  questa  sostanza  e  col  differenziarsi  in  G 1  o  b  o, 
le  inclusioni  cellulari  vanno  degenerando  ed  in  unione  con  i  gra- 
nuli residuali  di  cheratoj  alina,  costituiscono  il  protoplasma  di 
reliquat.  Vi  è  uno  stadio  nello  sviluppo  dei  Globi,  nel  quale 
si  vedono  dei  setti,  che,  partendo  dalla  periferia  della  cellula, 
vanno  fino  nell'interno  della  sostanza  corpuscolare:  è  que- 
sto lo  stadio  interpetrato  da  alcuni  come  di  parassita   a  spore. 

La  membrana  cellulare  si  rompe  in  un  punto  ed  il  Cor- 
puscolo di  Henderson  resta  libero  nel  cratere  del  piccolo  neo- 
plasma, assieme  ai  residui  della  membrana  cellulare  ,  al  proto- 
plasma di  reliquat^  e  alle  lamelle  cornee  originate  dalla  trasfor- 
mazione delle  cellule,  che   non  subiscono  la  Corpuscolazione. 

I  tentativi  di  innesto  mi  sono  riusciti  negativi,  sia  col  pro- 
dótto molluscoso,  sia  con  filtrati  di  noduli  di  M.  e.  ottenuti  at- 
traverso le  candele  Chamberland  e  Berkefeld.  Le  culture  artifi- 
ciali, su  vari  medi  di  prodotti  muUuscosi,  prelevati  con  rigorosi 
metodi  di  tecnica  batteriologica  ,  non  hanno  dato  sviluppo  di 
germi. 

II  Corpuscolo  di  Henderson,  sebbene  può  trovarsi  even- 
tualmente in  altre  modalità  patologiche,  si  deve  ritenere  speci- 
fico del  M.  e.  di  Bateman,  per  il  suo  speciale  modo  di  evoluzione 
e  di  raggruppamento. 

Dalla  vStazioue  Zoologica  di  Napoli,  agosto  1909. 


—  26S  - 

LAVORI  CITATI  »). 

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hi  teinture  d'jode:  ibid.   Tome  12  [Séance  7  Mars]. 

1)  I  lavori  preceduti  da  uu  '=  non   sono   stati  da  me  riscontrati    diretta- 
mente. 


—  269  - 

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—  287  — 

SPIEGAZIONE  DELLE  FIGURE. 
(Tav.  III). 

Tutte  le  figure  si  riteriscouo  alle  cellule  del  corpo  inucoso  nelle  varie 
fasi  di  Corp u scolazione.  Sono  state  disegnate  all'altezza  del  tavolino  del 
microscopio,  con  la  camera  lucida  di  Abbe-Apàty  di  Koristka,  usando  come 
mezzi  ottici  l'obiettivo  2  mm.  apocr.  ap.  1,40  Zeiss  e  1'  oculare  compensatore 
8,  ed  il  condensatore  apocromatico  nd  immersione  Bkck. 

Figg.  1  e  2. —  Inizio  della  Corpuscolaz  ion  e.  Vari  stadi  di  migrazione  del 
nucleo  verso  la  periferia  della  cellula.  Granulazioni  e  gocciole  di 
cheratojaliua,  che  originano  la  membrana  corpuscolare  e  che  si  rac- 
colgono intorno  alla  stessa.  Prima  formazione  dei  Corpuscoli  di 
Hendkrson.  Alcool  assoluto    EmaUume  ed  eosina. 

Fig.  3.  —  Inclusioni  protoplasmaticlie  e  cromatofile.  Anomalie  nucleari.  Molti 
nuclei  si  trovano  nelle  sezioni  precedenti  e  successive.  Liquido  di 
Flemming.  Ematossilina  ferrica  di  Heidenhain. 

Figg.  -4  e  5. —  Anomalie  nucleari.  Corpuscoli  cromatici  stellari  eudonucleari. 
Corpusòoli  cromatici  stellari  liberi.  Ammassamento  della  sostanza 
corpuscolare.  La  cheratojalina  non  è  visibile.  Liquido  di  Hermann. 
Ematossilina  ferrica  di  Heidenhain. 

Fig.  G.  —  Nucleo  in  scissione  in  cellula  in  fase  di  Corpuscolaz  i  o  ne.  Li- 
quido di  Hermann.  Ematossilina  ferrica  di  Heidenhain. 

Fig.  7.  Formazione  di  perle  epiteliali,  come  negli  epiteliomi.  Liquido  diHKRMANN. 
Ematossilina  ferrica  di  Heidenhain. 

Figg.  8  e  9.  —  Ulteriore  sviluppo  dei  Corpuscoli  di  Henderson.  Setti  che 
dalla  parete  cellulare  si  dirigono  nella  massa  corpuscolare.  Alcool 
assoluto.  Liquido  di  Giemsa. 


INDICE 


Parte  I.  Generalità  .... 

Sinonimi    ..... 

Descrizione  storica 

Discussione  critica  desunta  dalla  hihliogi 
Parte  li.  Eicerche  personali    . 

Microtecnica      .... 

Aspetto  e  descrizione  dei  noduli 

Sede  della  lesione 

Strato  generatore 

Corpo  mucoso    .... 

Corpuscolazione. 

Primo  inizio  della  corpuscolazione.  Migra 

Formazione  della  membrana  cellulare 

Anomalie  nucleari 

Eleidina  e  cheratojalina    . 

Inclusioni  protoplasmatiche 

Specificità  dei  corpuscoli  di  Henderson 

Genesi  dei  corpuscoli 

Ricerche  batteriologiche    . 
Conclusioni        ..... 
Lavori  citati     ..... 
Spiegazione  delle  figure    . 


•atìa 


zione 


del 


nucleo 


pag.  165 

»  ivi 

»  1G6 

»  210 

»  222 

»  .    ivi 

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Osservazioni  su  Aphrophora  spuniRrm  L. 

del    socio    U.    PlERANTONI 


(Tornata  del  12  mag-gio  1910) 

I  piccoli  grumi  di  spuma  che  si  rinvengono  frequentemente 
in  primavera  ed  in  estate  su  alcune  piante  erbacee,  richiamarono 
l'attenzione  degli  osservatori  fin  da  tempo  antichissimo.  Secondo 
il  Gruner  pare  che  Isidoro  sia  stato  il  primo  ad  occuparsene  nel 
sesto  secolo  dopo  Cristo.  Scrissero  in  seguito  sull'argomento  I'Al- 
DROVANDi  (1618),  il  MouFFET  (1634)  ed  altri,  dando  al  fatto  inter- 
pretazioni più  o  meno  fantastiche,  ma  solo  alla  fine  del  XVII 
secolo  il  Blankaart  (1688)  pervenne  ad  una  spiegazione  conforme 
al  vero,  attribuendo  la  produzione  della  spuma  ad  un  insetto  che 
se  ne  circonda,  V Apliropìiora  spumaria  allo  stato  di  ninfa.  Ciò 
fu  poi  confermato  dal  PouPART  (1705),  dal  Ray  (1710),  dal  Frisch 
(1720),  e  dal  De  Geer  (1773).  Anche  in  tempi  più  recenti  osser- 
vazioni in  proposito  sono  dovute  a  Morse  (1900),  Gruner,  (1901) 
Porta  (1901),  Girault  (1904)  e  Guilbeau  (1908),  che  hanno  ora- 
mai accertati  molti  punti  dell'interessante  fenomeno;  ma  vertono 
ancora  dubbii,  che  meritano  di  essere  chiariti. 

E  stato  infatti  anche  assai  recentemente  discusso  da  qual 
parte  del  corpo  fuoriesca  il  liquido  a  spese  del  quale  si  produce 
la  spuma.  Malgrado  le  contrarie  opinioni  di  Porta  (1901)  e  Ber- 
LESE  (1907),  dopo  le  esaurienti  esperienze  di  Gruner  e  di  Guil- 
beau, (e  per  quanto  io  stesso  ho  potuto  osservare  sulla  glandola 
intestinale,  non  ancora  descritta,  che  genera  il  secreto  spumoso) 
a  me  non  pare  più  discutibile  che  detto  liquido  venga  fuori  at- 
traverso l'apertura  anale;  e  ciò  è  d'accordo  anche  colla  interpre- 
tazione delle  speciali  e  caratteristiche  glandole  ipodermiche,  di- 
sposte nella  regione  pleurale  dei  segmenti  7^  ed  8°  dell'addome 
descritte  dal  Batelli  nel  1891,  alle  quali  Berlese  attribuisce  la 
secrezione  del  liquido,  ma  che  io  ritengo  invece,  conformemente  a 
quanto  afferma  il  Guilbeau,  che  abbiano  l'ufficio  di  fornire  una 


—  t290  — 

sostanza  inucilagginosa,  che  si  aggiunge  al  liquido  suddetto  per 
renderlo  viscoso  e  ({uindi  atto  a  trattenere  le  bolle  d'aria. 

Le  mie  ricerche  personali  sull'argomeato  tendono  a  chiarire 
principalmente  due  punti  non  ancora  abbastanza  studiati  del  fn- 
uoineno  e  cioè:  1»  se  alla  tbrniazione  della  spuma  concorra  o  non 
l'aria  emessa  per  la  respirazione;  2°  in  che  maniera  venga  pro- 
dotto il  liquido,  che  si  fa  strada  attraverso  l'apertura  anale  per 
contribuire  a  produrre  la  massa  spumosa. 

Per  risolvere  il  primo  quesito  mi  sono  servito  della  osserva- 
zione diretta  e  della  liprova  sperimentahi.  A  tale  scopo  ho  usato 
il  microscopio  binoculare  dello  Zbiss,  mettendolo  a  tuoco  verso  l'ad- 
dome di  una  larva  di  Aphrophora  isolata  dalla  spuma  e  bene  asciu- 
gata (con  carta  ì)ibula)  dal  licpiido  emesso  in  precedenza,  e  fatta 
attaccare  ad  un  nuovo  ramo  di  una  pianta. 

La  fuoriuscita  del  liquido  dall'apertura  anale  incomincia  pochi 
secondi  dopo  che  l'animale  ha  infìsso  la  proboscide  nei  tessuti  della 
pianta.  Durante  questi  primi  momenti  esso  distende  e  ritrae  rit- 
micamente l'addome,  sì  che  il  liquido,  quando  fuoriesce,  risale, 
raccogliendosi  alla  base  di  questo  e  verso  il  terzo  paio  di  zampe; 
credo  che  il  movimento  suddetto  ser\a  ad  attivare  la  secrezione 
interna,  comprimendo  la  glandola  intestinale  (che  descriverò  in 
seguito;  che  genera  il  liquido;  i  movimenti  nel  terzo  paio  di  zampe 
lungo  l'addome  servono,  come  bene  osserva  il  (Iuilbeau,  a  mi- 
schiare il  secreto  delle  glandolo  di  Batklli  col  liquido  anale  a 
fine  di  renderlo  vischioso.  Quando  si  è  raccolta  una  certa  quan- 
tità di  liquido  incomincia  la  formazione  delle  bolle,  le  quali  ven- 
gono prodotte  dalla  estremità  dell'addome,  che  si  distende  per 
raggiungere  la  superfìcie  del  liquido,  dal  quale  escono  fuori  diva- 
ricandosi i  due  processi  tergi  tali  del  9"  segmento,  che  chiudono 
la  camera  terminale  dell'addome,  al  margine  posteriore  della 
quale  trovasi  l'apertura  anale.  L'addome  si  contrae  ritmicamente 
nel  liquido  ed  i  due  processi  richiudendosi  immediatamente  la- 
sciano subito  scappare  una  bolla  d'aria,  che  si  ferma  nel  liquido; 
l'operazione  si  ripete  con  successive  ritrazioni  e  distensioni  del- 
l'addome ora  verso  destra  ed  ora  verso  sinistra,  in  modo  che  per 
le  numerose  immissioni  di  bolle  nella  sostanza  viscosa  questa  va 
diventando  sempre  piìi  spumosa. 

Tale  modo  di  formarsi  della  spuma  è  stato  studiato  da  vari 
autori,  ma  non  è  completo  l'accordo  in  proposito.  Per  dire  solo 
dei  più  recenti,  noterò  che  Gruner  nel  suo  studio  sull'argomento 
ammette  che  il  gas  delle  bolle  possa  venir  fuori  dalle  stigme  poste 
nella  tasca   posta    all'estremo  addominale,  mentre  Gujlbeau  so- 


—  291  — 

stiene  che,  per  mezzo  delle  a})pen(lici  cod ali  limitanti  la  camera 
o  tasca  terminale  dell'addome,  l'animale  introduce  nel  liquido  par- 
ticelle di  aria  che  prende  dall'  ambiente.  Per  risolvere  in    modo 
definitivo  tale  questione  sono  ricorso   ad  una   esperienza  fondata 
sulla  sensibilità  della  soluzione  di  idrato  di  bario  per   l'accerta- 
mento della  presenza  di  anidride   carbonica  nei  gas:  allo   scopo 
di  riconoscerne    la    presenza  nel    gas  delle    bolle    della  spuma  e 
dimostrare  quindi  la  provenienza  delle  bolle  d'aria  dalle  trachee. 
A  tale  scopo  mi  son  servito  di  un  tubo  di  vetro  di  notevole 
capacità  chiuso  in  basso,  nel  lume  del  quale  avevo  adattato  uno 
stantuffo  di  gomma  forato  nel  centro,  portante  in  alto  un  tubo 
di  vetro  a  cui  era  adattato   un  tubicino  di  gomma,  provvisto  al- 
l'estremo di  un  beccuccio  di  vetro.  Estratto  lo  stantuffo  dal  tubo, 
riempivo  questo  di  spuma  (che  trovai  specialmente  in  grande  ab- 
bondanza su  ogni  sorta  di  piante  nel  bosco  craterico  di  Astroni, 
dove  VAphrovliora,  come  in  tutta  la  regione  tlegrea,  è  comune), 
rimettevo  lo  stantuffo  nel  tubo  e  lo  facevo  scendere  fino  a  toccare 
il  livello  superiore  della  spuma;  immerso  poi  il  beccuccio  di  vetro 
in  acqua  di  barite  diluita,  premevo  lo  stantuffo  nel  tubo,  in  modo 
da  comprimere  la  spuma  per  mettere  in  libertà  il  gas  delle  bolle. 
Per  tal  modo  il  gas  che  gorgogliava  nell'acqua  di  barite  era    m 
massima  parte  costituito  da  quello  delle  bolle  della  spuma.  L'e- 
sperienza terminava  quando  lo  stantuffo  era  giunto  a  due  centi- 
metri dal  fondo  del  tubo,  ove  si  rinveniva,  invece  della  spuma,  un 
poco  di  liquido  trasparente,  mentre  l'acqua  di  barite  aveva  subito 
r  intorbidamento  caratteristico,  dovuto  alla  formazione  del  carbo- 
nato di  bario,  dimostrante  la  presenza  dell'anidride  carbonica  nel 
oas  gorgogbatovi.  L'esperienza  di  riprova,  che  compivo  facendo 
scendere  lo  stantuffo  nel  tubo  vuoto  (m  modo  che   gorgogliasse 
nella  soluzione  di  idrato  di  bario  semplice  aria  atmosferica)  non 
determinava  alcun  sensibile  intorbidamento. 

Ma  pur  prescindendo  da  questa  esperienza,  è  per  sé  stesso 
ovvio  che  le  ritmiche  contrazioni  dell'addome  e  le  distensioni  per 
spingere  l'estremo  di  (^sso  fuori  della  massa  del  liquido  debbano 
avere  lo  scopo  di  primdere  aria  dall'ambiente  per  la  respirazione, 
dato  che  le  stigme  son  poste  verso  l'estremo  addominale  ed  in 
prossimità  della  camera  terminale  (se  non  proprio  dentro  questa, 
come  vuole  il  Gliuneii).  È  poi  chiaro  che  alla  contrazione  dell'ad- 
dome, che  precede  immediatamente  l'uscita  di  ogni  nuova  bolla 
d'aria  dall'addome,  corrisponda  la  espirazione,  e  quindi  la  fuoriu- 
scita dalle  stigme  di  aria  ricca  di  CO2,  che  sotto  forma  di  bollicine 
restando  impigliata  nel  li(juido  lo  rende  spumoso. 


—  292  - 

Il  secondo  quesito  propostomi  era  quello  di  determinare  in 
qual  modo  venga  prodotto  questo  abbondante  liquido,  che  fuo- 
riesce dall'ano  e  che  è  la  parte  essenziale  della  massa  spumosa. 
Nulla  è  stato  osservato  in  proposito  dai  precedenti  ricercatori, 
salvo  le  accennate  ricerche  sulle  glandole  ipodermiche  del  Ba- 
TELLi ,  le  quali ,  come  è  detto  innanzi ,  hanno  importanza  nella 
produzione  della  spuma  solo  in  quanto  rendono  il  liquido  vi- 
schioso. Per  risolvere  il  quesito  era  necessario  uno  studio  accu- 
rato dell'  intestino  di  AphropJiora  allo  stato  larvale  ed  allo  stato 
adulto,  a  fine  di  vedere  se  ed  a  quale  parte  dell'intestino  possa 
attribuirsi  la  secrezione  del  liquido.  Lo  studio  dell'intestino  della 
ninfa  mi  è  stato  di  molto  facilitato  dal  recente  lavoro  del  Gadd 
sulla  struttura  del  tubo  digerente  della  larva  di  Aphrophora  spu- 
marla L.  Questo  autore  '  trova  (ed  io  ho  potuto  pienamente  con- 
fermarlo) oltre  ai  vasi  malpighiani  in  numero  di  due  paia,  due 
appendici  cieche,  di  cui  1'  una  sbocca  nella  porzione  anteriore 
dello  stomaco,  l'altra  nella  posteriore;  il  Gadd  dà  alla  prima  di 
queste  appendici  il  significato  di  organo  escretore  ed  all'  altra 
il  valore  di  glandola. 

Di  queste  appendici,  quella  che  a  dire  del  Gadd  sbocca  nella 
parte  anteriore  dello  stomaco,  ha  maggiore  importanza  e  costi- 
tuisce un  organo  vistoso. 

La  complicata  architettura  del  tubo  digerente  di  questi  ani- 
mali, che  trova  riscontro  solo  in  quella  dei  Còccidi  (studiata  dal 
Berlese),  rende  assai  difficile  di  poter  stabilire  se  quest'  appen- 
dice debba  considerarsi  veramente  come  anteriore  (giusta  la  qua- 
lifica del  Gadd),  dato  che  essa  contrae  rapporti  con  l'intestino 
proprio  del  punto  ove  questo  raccoglie  lo  sbocco  dei  malpighiani, 
al  limite  cioè  fra  l'intestino  medio  e  l'intestino   posteriore. 

Il  processo  cieco  in  parola  si  compone  di  due  parti,  1'  una 
(prossimale)  in  diretta  comunicazione  col  lume  intestinale,  fatta 
di  cellule  di  media  grandezza,  trasparenti,  le  quali  a  misura  che 
si  approssimano  all'estremità  cieca  (distale)  si  vanno  trasformando 
per  divenire  assai  piìi  grosse,  e  cariche  di  concrezioni,  costi- 
tuendo un  vistoso  organo  opaco  di  forma  allungata  (la  parte 
distale)  di  color  giallastro,  composto  nella  sezione  trasversa  da 
cinque  o  sei  cellule  che  limitano  un  angusto  lume.  Io  stimo  che 
il  liquido  a  spese  del  quale  si  forma  la  spuma  si  produca  proprio 
in  questo  organo.  E  lo  arguisco  oltre  che  per  la  sua  posizione  e 
pel  suo  sbocco  in  prossimità  dell'  inizio  dell'  intestino  posteriore, 
anche  per  il  fatto  che  esso  ha  tutto  l'aspetto  di  un  organo  glan- 
dolare, di  cui  la  parte  distale  costituirebbe  la  porzione   secernente 


—  293  — 

e  la  prossimale  il  condotto  secretore,  che  sbocca  appunto  all'  inizio 
dell'intestino  posteriore.  E  la  supposizione  è  confortata  anche 
dall'uso  dei  liquidi  coloranti;  tali  ad  esempio  il  mucicarminio, 
che  lascia  incolori  quasi  tutti  gli  organi  addominali,  mentre  co- 
lora in  modo  particolarmente  intenso  quest'appendice  intestinale 
e  specialmente  la  porzione  prossimale,  priva  di  concrezioni.  Una 
colorazione  molto  intensa  di  questo  organo  si  ottiene  del  resto 
anche  con  altri  coloranti  plasmatici.  La  presenza  delle  concre- 
zioni si  spiega  ammettendo  che  l'organo  abbia  funzione  di  or- 
gano escretore. 

Negli  adulti  di  Aphrophora  l'appendice  in  parola  esiste  tut- 
tora, ma  diviene  assai  meno  allungata  e  più  tozza;  la  sua  parte 
prossimale  trovasi  assai  ridotta ,  e  molto  aumentati  i  corpuscoli 
concrezionali,  ciò  che  fa  supporre  che  detta  appendice  persi- 
stendo nell'adulto  conservi  la  sua  funzione  di  organo  escretore, 
pur  perdendo  la  proprietà  di  secernere  il  liquido  della  spuma. 
E  noto  infatti  che  nell'adulto  non  ha  luogo  tale  secrezione,  che 
è  caratteristica  dell'animale  nello  stadio  ninfale  della  sua  me- 
tamorfosi. 

E  intanto  opportuno  di  notare  qui,  che  la  parte  distale  di 
quest'appendice  è  proprio  quella  che  venne  dal  Porta  descritta 
come  organo  omologo  al  corpo  ovale  di  Dactylopius ;  essa  appare 
nei  tagli  sagittali  come  un  vistoso  organo  centrale,  ma  (come  ebbi 
occasione  di  notare  anche  in  un  mio  recente  studio  ^)  nulla  ha 
di  comune  con  quelle  formazioni  dei  còccidi,  essendo,  come  si 
è  visto,  parte  dell'intestino,  mentre  il  corpo  ovale,  come  gli  altri 
organi  a  blastomiceti  dei  còccidi,  non  ha  rapporti  morfologici 
di  continuità  con  nessuno  degli  organi  circostanti.  Quanto  alla 
forma  e  alla  struttura  poi  si  è  visto,  che  trattasi  di  un  organo 
molto  allungato,  la  cui  costituzione  istologica  nulla  ha  di  comune 
con  quegli  organi,  che  sono  ripieni  di  microrganismi  e  rivestiti 
da  minuscole  cellule  epiteliali  appiattite  e  ricchi  di  ramificazioni 
tracheali. 

In  Aphropìtora  invece  gli  organi  omologhi  del  corpo  ovale 
di  Dactylopius  sono  le  masse  collocate  ai  lati  della  cavità  addo- 
minale da  me  già  descritte  in  altro  lavoro  ^),  le  quali  si  trovano 
costantemente  tanto  negli  individui  allo  stato  larvale  che  negli 
adulti  e  tanto  nei  maschi  che  nelle  femmine,  e  che  da  Guilbeau 


^)  PiERANTONi  U.,  Ulteriori   osservazioni    sulla  simbiosi   ereditaria   degli 
Omotteri:  Zool.  Ang.  36  Bd.  pag.   108. 
2)  Lav.  cit.  pag.  108. 

20 


—  294  - 

vengono  erroneamente  interpretate  come  organi  sessuali  acces- 
sorii,  in  base  a  connessioni  (in  realtà  inesistenti)  col  sistema  ri- 
produttore. 

Napoli,  Aprile  1910.  —  Istituto  Zoologico  della  R.  Università. 


OPERE  CITATE 

1€18.  At.drovandi,  N.,  De  Aniraalibus  insectis.  Bononiae. 

1658.  MouFFET,  T.,   The  treater  of  Insects.  London. 

1688.  Blankaart,  S.,  Scbouburg  der  Rupsen,  Wormen,  Maden  en  vliegende 

Dierkens.  Amsterdam. 
1705.  PouPAKT,  M.,  Des  écumes  printannières.  Histoire  de  lAcadémie  royale 

des  Sciences,  p.  124. 
1710.  Ray,  J..  Historia  Insectorum:  opus  posthumum.  Jussu  Regiae  So- 

cietatis  londinensis  editum.  Lendini. 
1720.  Frisch,  J.  h.,  Beschreibung  von   allerlei    lusecten  in  Teutschland. 

Berolini. 
1773.  De  Geer,  C,  L' Histoire  des  Insectes.  Stockholm. 
1891.  BATELLr,  A.,  Di  una  particolarità  neW  ìnte^nmento  delV Aphrophor a 

spumaria.  Monit.  Zoo!.  Ital.  voi.  2  p.  30. 

1900.  Porta,  A.,  Ricerche  suU'  Apliroiìhora  spumaria.  Rend.   Ist.  Lomb. 

(2)  voi.  33,  p.  920. 

1901.  — La  secrezione  della  spuma  wqW Aphrophora.  Mont.  Zoo).  Ita),  voi. 

12  p.  57. 

1900.  Gruner,  M.,  Beitrage  zar  Frage  des  Aftersecretes   der   Schaumei- 

cade.  Zool.  Anz.  23  Bd.  pag.  431. 

1901.  —  Biologische  Untersuchungen  an  Schaumcilvaden.  Berlin. 

1902.  Gadd,  G,  G.,  Ueber  den  Bau  des  Darmcanals  bei  deu  Larven  von 

Aphrophora  spumaria  L.  Trav.  Soc.  Imp.  Naturai.  St.  Peterburg. 
32  Bd.  p.  84. 
1904.  Giradlt,  a.  A,,  Miscellaneous  Notes  on  Aphrophora  parallela  Rat, 
Canad.  Entomol.  Toronto  voi.  :^G  pag.  44. 

1908.  GiRAULT,  B.  H.,  The  origin  and   formation  of  the  froth  in    spittle- 

insects.  Amer.  Natur,  voi.  42  pag.  783. 

1909.  Berlese,  a.,  Gli  Insetti.  Milano,  p.  539-540. 

1910.  PiERANTONi,  U.,  Ulteriori  osservazioni  sulla  simbiosi  ereditaria  degli 

Omotteri.  Zool.  Anz.  36  Bd.  p.  108. 


Analisi  chimica  e  batteriologica  dell'  acqua  di  Assano 


DBI 


D."  A.  CuTOLo  ed  E.  Calendoli 


(Tornata  del  10  novembre  1910) 

Nella  contrada  Riardo  ,  comune  di  Rocchetta  e  Croce ,  in 
provincia  di  Caserta,  in  una  proprietà  dei  signori  Enrico  e  Gio- 
vanni Santagata,  si  rinviene  1'  acqua  che  forma  1'  oggetto  delle 
nostre  ricerche. 

La  sorgente  trovasi  nel  mezzo  di  una  pianura  abbastanza 
estesa,  circondata  da  colline.  Essa  è  in  prossimità  del  rivo  Assano, 
che  in  questo  tratto  scorre  su  terreno  tutto  piano  di  natura  ar- 
gillosa, il  quale  in  una  zona,  nettamente  delineata  da  la  vegeta- 
zione spontanea  meno  rigogliosa,  contiene,  a  pochissima  profon- 
dità, una  vena  di  acqua  minerale  carbonica  fresca,  che  qua  e  là 
viene  naturalmente  alla  luce. 

L'aria  è  saluberrima  ed  in  vicinanza  della  sorgente  non  vi 
sono  abitazioni  né  si  notano  possibili  cause  d'  inquinamento. 

L'  acqua,  pullulando  dal  terreno  ,  si  raccoglie  in  una  vasca 
in  muratura,  a  pareti  impermeabili  e  completamente  chiusa,  e, 
mediante  un  tubo  metallico,  viene  erogata  a  l'esterno  a  getto 
continuo. 

Caratteri  fisici  ed  organolettici. 

L'acqua  è  fredda,  limpida,  incolore  ed  inodore;  appena  rac- 
colta lascia  svolgere  una  notevole  quantità  di  bollicine  gassose, 
che  aumentano  sensibilmente  con  l'agitazione,  in  modo  da  pro- 
vocare l'effervescenza  del  liquido. 

Abbandonata  in  recipienti  mal  chiusi,  non  lascia  che,  dopo 
qualche  tempo,  un  lieve  deposito  polveroso,  il  quale  si  forma,  di 
preferenza,  sullo  pareti  e  sul  fondo  di  essi. 


—  29fi  — 

Il  sapore  dell'acqua  è  piacevole,  fresco,  acidulo  e  frizzante. 

La  carta  azzurra  di  tornasole  ,  immersa  in  essa ,  si  arrossa 
leggermente,  ma  ripiglia  il  suo  colore  quando  è  asciugata.  La 
carta  rossa,  invece,  si  colora  in  azzurro  e  così  resta  anche  dopo 
il  prosciugamento. 

La  tem-peratura  dell'  acqua  fa  determinata  immergendo  in  un 
recipiente,  sottostante  al  getto  di  erogazione,  un  termometro  di- 
viso ad  1/10  e  notando  l'indicazione,  quando  restava  costante  per 
qualche  tempo. 

Il  peso  specifico  fu  determinato  riempendo  a  la  sorgente,  fino 
al  tratto,  due  recipienti  di  260  ce.  di  peso  noto  e  chiusi  rapida- 
mente con  un  buon  tappo  di  gomma,  che  veniva  fermato  con  un 
filo  di  ferro.  In  laboratorio  veniva  eseguita  la  nuova  pesata. 


Analisi  chimica. 

L'  acqua  fu  raccolta  da  noi  stessi  in  damigiane  ed  in  bottiglie 
a  tappo  smerigliato  che,  già  lavati  in  laboratorio  con  acidi  ed 
acqua  distillata ,  furono  risciacquate  ripetutamente  con  l' acqua 
della  sorgente.  In  recipienti  adatti,  con  l'aggiunta  dei  reattivi 
speciali,  furono  raccolti  i  campioni  per  la  determinazione  dell'ani- 
dride carbonica. 

Analisi  qualitativa. 

Con  i  reattivi  ordinarli  fu  riconosciuta  nell'acqua  la  presenza 
dell'  acido  carbonico  libero  e  combinato^  della  calce,  magnesia,  po- 
tassa, soda,  allumina  e  del  ferro,  dei  solfati,  dei  cloniri,  della  silice. 

U  acqua  precipita  abbondantemente  con  l' idrato  di  calce; 
l'esistenza  dei  carbonati  alcalini  è  dimostrata  evidentemente  dal 
fatto  che,  concentrando  fortemente  l'acqua  e  filtrando,  il  liquido 
filtrato  non  conteneva  più  calce  in  soluzione  ed  invece  con  la 
aggiunta  di  cloruro  di  calcio  dava  luogo  ad  un  precipitato  so- 
lubile negli  acidi  con  effervescenza. 

La  presenza  di  piccolissime  quantità  di  acido  fosforico  e  di 
addo  borico  fu  rivelata  nel  residuo  della  concentrazione  di  10 
litri  di  acqua;  il  primo  con  la  reazione  del  molibdato  ammonico, 
il  secondo  mediante  la  carta  di  curcuma. 

Il  litio  fu  ricercato  e  trovato  con  l'esame  spettroscopico, 
eseguito  nella  soluzione  cloridrica,  del  residuo  di  50  litri  di  acqua 
dopo  opportuna  separazione  dei  metalli  alcalino-teiTOsi. 


—  297  — 

Credemmo  necessario  di  esaminare  le  potabilità  dell'acqua,  dal 
punto  di  vista  chimico,  a  mezzo  dei  saggi  che,  di  solito,  sono  a- 
doperati  per  ricercare  e  valutare  quelle  sostanze  che  sono  rite- 
nute l'indice  dell'inquinamento. 

La  ricerca  dei  nitriti,  che  dette  risultato  negativo,  fu  fatta 
con  la  nota  reazione  di  Griess,  cioè  con  acido  solfoanilico  e  solfato 
di  a-naftil amina.  Fu  anche  ricercata  l'ammoniaca,  con  esito  negativo, 
a  mezzo  del  reattivo  di  Nessler.  Furono  rinvenute  tracce  di  ni- 
trati con  acido  solforico  e  solfato  di  difenilamina. 

Le  sostanze  organiche  furono  determinate  col  metodo  di 
Kubel  e  Tieman  in  100  ce.  di  acqua,  facendola  bollire  col  per- 
manganato potassico,  dopo  averla  acidulata  con  acido  solforico.  Il 
permanganato  potassico  consumato  veniva  calcolato  con  una  so- 
luzione titolata  di  acido  ossalico. 

Analisi  quantitativa. 

Residuo  fisso:  Per  ogni  determinazione  furono  evaporati, 
in  una  capsula  di  platino,  a  bagno  d'  acqua  bollente,  260  ce. 
d'acqua,  regolando  lo  scaldamento  in  modo  da  non  avere  spruzzi, 
con  le  relative  perdite,  per  lo  sviluppo  dell'  anidride  carbonica 
sciolta.  Il  residuo  fu  seccato  prima  a  100°,  fino  a  peso  costante  e 
poi ,  ugualmente,  a  180°. 

Per  trasformare  in  solfati  le  basi,  in  esso  contenute,  vi  fu 
aggiunta  una  piccola  quantità  di  acqua,  per  spappolarlo,  ed,  a 
poco  a  poco,  tanto  acido  cloridrico  da  decomporre  completamente 
i  carbonati.  Indi,  scaldando  gradatamente,  fu  aggiunto  un  lieve 
eccesso  di  acido  solforico  e  si  portò  a  secco.  Il  nuovo  residuo 
ottenuto  fu  scaldato  al  rosso  debole,  in  presenza  di  carbonato 
ammonico  e  tale  trattamento  fu  ripetuto  sino  ad  ottenere  un  peso 
costante. 

Anidride  carbonica  totale  :  Nel  luogo  stesso  della  raccolta,  in 
mezzo  litro  d'acqua  furono  versati  10  ce.  di]  soluzione  [concen- 
trata di  cloruro  di  calcio  ammoniacale.  La  miscela  venne  fatta 
in  un  pallone  di  dimensioni  tali  da  poter  esser  riempito  completa- 
mente, che  fu  chiuso  con  un  buon  tappo  di  gomma.  Dopo  24  ore 
fu  scaldato  a  bagno  d'acqua  bollente  ed  il  precipitato,  formatosi, 
di  carbonato  di  calcio  fu  raccolto  rapidamente  su  di  un  filtro  e 
lavato  con  acqua  bollita.  Le  porzioni  attaccate  a  le  pareti  del 
pallone  furono  sciolte  in  acido  cloridrico  diluito,  riprecipitate  con 
carbonato  sodico  e  raccolte  sul  medesimo  filtro.  Tutto  il  precipi- 


tato,  lavato  perfettamente,  fu  introdotto  nell'apparecchio  di 
Classen  e  fu  decomposto  con  acido  cloridrico.  L'anidride  carbo- 
nica, messa  cosi  in  libertà,  fu  fissata  nella  calce  sodata. 

Anidride  carbonica  combinata:  Fu  determinata  direttamente 
col  metodo  seguente:  In  250  ce.  di  acqua  fu  aggiunto  un  eccesso 

N  . 

di  soluzione  di  acido  cloridrico  r-  ,  fu  riscaldato  sino  a  l'ebolli- 
zione ed  indi  fu   determinato  1'  eccesso  di  acido    con    una  solu- 

N 
zione    —    di  ammoniaca,  avvalendosi  come   indicatore    dell'  ali- 
zarina. 

Anidride  carbonica  semi-combinata:  Questo  valore  fu  deter- 
minato col  calcolo  delle  due  precedenti  determinazioni. 

Anidride  solforica  :  Fu  dosata  a  lo  stato  di  solfato  di  bario 
con  le  solite  regole,  precipitandolo  con  cloruro  di  bario  da  una 
quantità  nota  di  acqua,  fortemente  concentrata. 

Silice:  Questa  determinazione  fu  fatta  nella  porzione  di  acqua 
destinata  al  dosamento  degli  alcali;  evaporando,  cioè,  completa- 
mente a  secco  a  bagno  di  acqua  bollente,  in  capsula  di  platino 
un  litro  di  acqua,  acidulata  con  acido  cloridrico.  Il  residuo,  dopo 
raffreddamento,  venne  ripreso  con  acido  cloridrico  diluito,  evapo- 
rato di  nuovo  fino  ad  ospi-llere  le  ultime  tracce  di  acido,  indi 
ripreso  con  acqua  bollente  e  filtrato,  ripetendo  varie  volte  questo 
trattamento.  La  silice  venne,  in  fine,  raccolta  sul  filtro,  seccata, 
calcinata  fortemente  e  pesata. 

Cloro:  Fu  dosato  in  mezzo  litro  di  acqua,  concentrata  a 
piccolo  volume  col  metodo  di  Volliard,  in  liquido  acidulato  con 

.      .    N      .      . 
acido  nitrico,  adoperando  soluzioni   --  di  nitrato  di  argento  e  di 

tiocianato  ammonico  e  come  indicatore  l'allume  ferrico. 

Ferro  ed  allumina  :  Si  parti  da  500  ce.  di  acqua,  da  la  quale 
fu  separata  la  silice  col  metodo  già  descritto.  Il  liquido  ottenuto 
fu  trattato  con  cloruro  ammonico  ed  ammoniaca,  scaldando  lie- 
vemente per  qualche  tempo.  Il  precipitato  fu  raccolto,  lavato, 
calcinato  e  pesato. 


—  299  - 
Calce  :  Il  liquido  proveniente  dal  trattamento  procedente, 
mescolato  a  le  acque  di  lavaggio,  reso  nettamente  alcalino  con 
ammoniaca,  fu  precipitato  con  ossalato  ammonico  in  leggiero  oc- 
cesso.  Dopo  un  riposo  di  circa  12  ore  fu  separato,  con  decanta- 
zione, il  liquido  limpido  dal  preoipitato.  Questo  fu  sciolto  in  poco 
acido  cloridrico  diluito  e  riprecipitato  di  nuovo  con  ammoniaca 
e  con  ossalato  ammonico,  seguendo  le  solite  norme.  L' ossalato  di 
calcio,  formatosi,  fu  raccolto  sul  filtro,  attraverso  il  quale  era 
passato  il  liquido  alcalino  precedente,  lavato,  seccato,  calcinato  e 
pesato  a  lo  stato  di  CaO. 

Magnesia:  I  liquidi  e  le  acque  di  lavaggio,  provenienti  dal 
dosamento  della  calce,  furono  evaporati  a  secco  in  una  capsula 
di  platino,  prima  a  bagno  di  acqua  bollente  e  poi  a  fiamma  di- 
retta, gradatamente,  per  scacciare  i  sali  ammoniacali.  Il  residuo 
fu  sciolto  in  acido  diluito  e,  dopo  essersi  assicurati  che  tale  so- 
luzione non  conteneva  più  calce,  fu  precipitata  la  magnesia  con 
ammoniaca  e  fosfato  ammonico-magnesiaco,  fu  raccolto  sul  filtro, 
lavato  con  acqua  ammoniacale,  seccato,  calcinato  prima  modera- 
tamente e  poi  fortemente  in  presenza  di  qualche  goccia  di  acido 
nitrico  e  pesato  a  lo  stato  di  pirofosfato  di  magnesio. 

Potassa  e  soda:  Furono  determinate  nel  litro  di  acqua,  dal 
quale  si  era  separata  la  silice,  col  metodo  che  segue:  Vi  fu  versato 
un  lieve  eccesso  di  soluzione  di  cloruro  di  bario  a  lo  scopo  di 
precipitarne  i  solfati  che  furono  separati  per  filtrazione.  H  hquido 
fu  svaporato  a  secco  in  capsula  di  platino;  il  residuo,  ripreso  con 
acqua,  fu  fatto  bollire  con  latte  di  calce  purissimo  in  leggiero 
eccesso;  filtrato,  lavata  perfettamente  la  parte  insolubile,  nel  h- 
quido  precipitato  il  bario  ed  il  calcio  con  carbonato  ed  ossalato 
ammonico,  filtrato  di  nuovo,  svaporato  il  liquido  a  secco,  calcinato 
leggermente  il  residuo  per  scacciare  i  sali  ammoniacali  e  sul  re- 
siduo ripetuto  il  trattamento  con  calce  fino  a  purificare  comple- 
tamente i  cloruri  alcalini,  che  furono  leggermente  calcinati  e 
pesati.  Indi  furono  sciolti  in  acqua  e  nella  soluzione  fu  dosato  il 
potassio  a  lo  stato  di  cloroplatinato  col  metodo  solito,  cioè  con 
cloruro  platinico  nella  soluzione  alcoolico-eterea. 

A  mezzo  del  calcolo  si  dedussero  le  quantità  rispettive  di  ossido 
di  potassio  e  di  sodio. 

I  risultati  analitici  ottenuti  sono    raccolti  nelle   tavole   che 

seguono. 


300 


Esame  batteriologico. 

I  campioni  furono  prelevati  dal  ^etto  di  erogazione  colle  pi- 
pette del  Tursini,  che  furono  mantenute  in  ghiaccio  fino  all'ar- 
rivo nel  Laboratorio,  ove  si  procedette  immediatamente  allo  alle- 
stimento delle  scatole  di  Petri,  sia  con  agar  che  con  gelatina,  uti- 
lizzando tre  dei  campioni  prelevati  ed  innestando  nelle  varie  sca- 
tole per  ciascun  campione  V-jì  ed  7io  di  e.  e.  dell'acqua.  Le  sca- 
tole furono  mantenute,  quelle  in  gelatina  alla  temperatura  di 
20-22°  C,  e  quelle  in  agar,  parte  alla  temperatura  di  20-22"  C, 
parte  a  quella  di  37°  0.  Per  tutte,  stante  lo  scarso  numero  di 
colonie  sviluppatesi,  fu  possibile  una  osservazione  protratta  per 
16  giorni,  allorquando  si  procedette  alla  loro  numerazione  defi- 
nitiva. 

La  media  complessiva  delle  colonie  sviluppatesi  per  1  e.  e. 
dell'acqua  risultò  di  5  in  agar  e  di  11,  delle  quali  3  fluidificanti, 
in  gelatina. 

Esse  appartenevano  a  sole  4  specie  batteriche  banali^  che 
facilmente  si  riscontrano  nelle  migliori  acque  potabili.  E  pre- 
cisamente erano  rappresentate  da  un  micrococco  non  fluidificante 
a  colonie  giallognole]  da  un  bacillo  immobile  vociassimo  fiuidificante 
a  colonie  biancastre]  dal  bacillo  liquefaciente^  e  da  un  bacillo  fila- 
mentoso fiuidificante,  formante  colonie  gialle. 

GIUDIZIO 

Per  i  risultati  analitici  ottenuti  e  per  la  sua  costi- 
tuzione ,  r  acqua  di  Assano  giudicasi  una  ottima  acqua 
acidula ,  alcalina ,  carbonato-calcica ,  batteriologicamente  pura. 


301 


Tavola  I. 


Quantità  media  delle  sostarne  che  si  trovano  sciolte 
in  1  litro   di  acqua. 

Residuo  fisso  a  lOOo  C •     .     .  ^r.  1.576 

»  »      »    180o    »       »  1.556 

^         in  solfati •     .     .  »  2.042 

Anidride  carbonica  totale  [CO-i) »  1.790 

»  »  combinata »  0.588 

»  »  liberp    e  semicombinata     ...  »  1.202 

solforica  (SO^) ^  0.005 

Cloro  [CI) ^  0.018 

Ossido  di  Calcio  iCaO) »  0.593 

»  »   Magnesio  {MqO) »  0.051 

»  Potassio  (K2O) »  0.042 

.   Sodio  (Na^O) »  0.085 

»  »   Litio  (LhO) tracce 

Silice  (Si02^ ^  0.090 

Acido  fosforico,  allumina  e  ferro     ....  »  0.078 

Acido  borico  e  nitrico tracce 

Sostanze  organiche  corrispondenti  od  ossigeno 

consumato »  0.00016 

Tavola  II. 


Sostarne  disciolte  in  1  litro  di  acquo. 
(Temperatura  dell'acqua  ^  14°,  5  —  peso  specifico  -=  1.0023Ì 


Anidride  carbonica  libera  (CO2)  .     - 

Cloruro  di  Potassio  {KCl)  .     .     .     ' 

Solfato   di  Potassio  (K^SOa)    ... 

Bicarbonato  di  Potassio  {KHCO0)    . 

»    Sodio  (NaCOs)     .     . 

»  Calcio  (Ca(HC0s}2)  . 

y  ^  Magnesio  (MgiHCOz)^) 

Litio 

SiHce  {SiO-i) 

Acido  fosforico,  allumina  e  ferro    . 
Acido  borico  e  nitrico 


orr. 


0.614  1) 

0.038 

0.011 

0.027 

0.230 

1.715 

0.186 

tracce 

0.090 

0.078 

tracce 


1)  =cc.  310  a  760  mm. 


—  302 


Tavola  III. 


Cosiiluzione  probabile  del  residuo  a  18(P  di  1  litro  di  acqua. 


Cloruro  di  potassio  (KCl) 

gr. 

0.038 

Solfato  di  potassio  {K2SO4) 

0.011 

Carbonato  di    potassio   (KìCOn)  .... 

0.018 

»           »  sodio  {NaiCOz) 

0.145 

>            >   calcio  (CaCOs) 

1.059 

»            >  magnesio  (MgCOs)      .     .     . 

0.107 

Silice  {Si()2) 

0.090 

Acido  fosforico,  allumina  e  ferro    .     . 

0.078 

Residuo  a  180»  dosato  direttamente 


Totale  gr.  1.546 
.     .       >    1.566 


Differenza  gr.  0.010 


Tavola  IV. 

Calcolo  del  residuo  trasformato  in  solfati. 

Solfato  di  potassio  {K^SO^) gr.  0.077 

»  sodio  (NaiSOi) »  0.194 

.   calcio  {CaSOi) •  »  1.440 

»          »   magnesio  {MgSO\\ >  0.154 

Sesquiossido  di  ferro  ed  allumina (2^6203,^4^203)  »  0.078 

Silice  {Si  O2) »  0.090 

Totale  gr.  2.033 
Residuo  in  solfati  ottenuto  direttamente.     .       >    2,042 

Ditferenza  »    0.009 


SUL  CORPO  OVALE  DEL  DAGTYLOPIUS 

del    socio    U.    PlERANTONI 


(Tornata  del  10  novembre  1910) 

Ebbi  occasione  di  occuparmi  di  questo  argomento  in  due 
precedenti  lavori  ^),  e  di  dare  particolari  notizie  sulla  natura, 
origine  e  sviluppo  del  corpo  ovale,  dimostrando  come  esso  sia 
un  organo  nel  quale  si  raccolgono  microrganismi  che  vengono 
poi  ceduti  alle  uova  nel  loro  sviluppo,  mediante  la  penetrazione 
attraverso  le  cellule  nutrici  ed  il  cordone  nutritivo,  mentre  per 
uno  speciale  comportamento  di  particolari  cellule  embrionali  si 
determina  la  formazione  dell'organo  del  nuovo  individuo,  nel  quale 
per  eredità  si  perpetuano  i  microrganismi  simbiotici.  Le  mie  os- 
servazioni riguardavano  specialmente  le  femmine,  le  quali  per 
essere  assai  frequenti  forniscono  un  più  ricco  materiale  che  non 
i  maschi,  i  quali  in  questi  come  in  altri  còccidi  sono  alquanto 
rari.  Per  questi  ultimi,  fondandomi  sulle  incomplete  e  scarse 
osservazioni  che  ero  riuscito  a  compiere  sovra  poche  larve,  ero 
stato  indotto  a  concludere  che  nel  maschio  adulto  mancasse  il 
corpo  ovale,  e  conseguentemente  alle  ipotesi,  o  che  tale  assenza 
potesse  attribuirsi  alla  mancata  penetrazione  dei  microrganismi 
nell'  uovo  (il  che  avrebbe  potuto  avere  un'importanza  non  tra- 
scurabile nella  investigazione  del  problema  della  determinazione 
dei  sessi),  ovvero  che  potesse  attribuirsi  ad  una  successiva  ridu- 
zione del  corpo  ovale  embrionale,  durante  la  metamorfosi  che 
nel  maschio  è  alquanto  più  complessa  che  nella  femmina. 

In  questi  ultimi  tempi  ho  rinvenuto  alcune  larve  maschili 
assai  più  giovani  e  sono  perciò  in  grado  di  completare  le  mie 
osservazioni  precedenti. 

1)  PlERANTONI,  U.,  Origine  e  struttura  del  corpo  ovale  del  Dactylopius  citri 
e  del  corpo  verde  àoiVAphis  brassicae:  Boll.  Soc.  Natur.  Napoli  voi.  24,  1910 
pag.  1. 

—  Ulteriori  osservazioni  sulla  simbiosi  ereditaria  degli  Omotteri:  Zool* 
Anz.  36  Bd.  1910  pag.  101. 


-   804   - 

Nelle  lurvL!  miisuliili,  sebbene  di  grandezza,  al(|uanto  minore 
che  nelle  femminili,  ho  potuto  constatare  la  presenza  del  corpo 
ovale  (presenza  che  del  resto  fu  segnalata  anche  dal  Beelese  ^) 
nel  suo  studi»  sulle  cocciniglie  degli  agrumi),  ed  ho  ancora  co- 
statato che  con  l'accrescersi  di  esse  questo  organo  subisce  una 
notevole,  graduale  riduzione  in  grandezza.  Questo  fatto  confer- 
mando in  parte  la  mia  precedente  osservazione,  esclude  comple- 
tamente l'ipotesi  della  mancata  penetrazione  dei  microrganismi 
nelle  uova  maschili. 

Una  graduale  riduzione  del  corpo  ovale,  del  resto,  trova  una 
completa  spiegazione  nella  maniera  di  vita  dei  Dactylopius  maschi, 
giusta  la  interpretazione  che  io  ho  dato  al  fenomeno  della  sim- 
biosi fra  insetto  e  blastomiceti  fin  dalle  prime  ricerche  in  propo- 
sito, quella  cioè  che  detta  simbiosi  serva  alla  scomposizione  dello 
zucchero  che  viene  succhiato  in  abbondanza  dalle  piante  per  la 
speciale  maniera  di  nutrirsi  di  questi  animali.  E  noto  che  mentre 
lo  femmine  vivono  durante  l'intero  loro  periodo  vitale  con  la 
proboscide  infìtta  nei  tessuti  della  pianta,  i  maschi,  invece,  quando 
divengono  adulti,  mettono  le  ali  e  si  allontanano  dalle  piante  per 
volare  e  compiere  la  loro  fun/.ione  sessuale,  fermandosi  solo  di 
tanto  in  tanto  per  attingere  nutrimento:  conseguentemente  viene 
così  di  molto  ridotta  la  quantità  di  sostanza  zuccherina  che  in- 
geriscono e  quindi  ne  risulta  una  minore  importanza  funzionale 
dell'organo.  Ed  il  maggiore  sviluppo  del  corpo  ovale  nelle  femmine 
è  evidentemente  in  rapporto  con  la  maggiore  intensità  funzionale 
degli  organi  sessuali  femminili,  poiché  le  femmine  non  solo  pro- 
ducono un  gran  numero  di  grosse  uova,  ma  assicurano  anche  per 
eredità  la  simbiosi  nelle  generazioni  future. 

Riepilogando,  le  mie  osservazioni  sul  corpo  ovale  del  Dacty- 
lopitis  dimostrano  che  per  la  produzione  di  tale  organo  le  uova 
e  le  larve  maschili  non  si  comportano  diversamente  dalle  fem- 
minili, ma  mentre  nel  corso  dello  sviluppo  in  queste  si  nota  uno 
sviluppo  sempre  maggiore  dell'organo  stesso,  nei  maschi,  in  rap-  ' 
porto  con  la  sua  minore  funzionalità,  esso  va  subendo  una  no- 
tevole, graduale  riduzione  verso  la  forma  di  immagine. 

Napoli,  Ottobre  1910,  Istituto  Zoologico  della  R.  Università. 


1)  Berlbse  a.,  Le  cocciniglie  italiane  viventi  sugli  agrumi:  parte  1.»,  I 
Dactylopius:  Riv.  Patol.  Veget.  Anno  2.  u.  1-8. 


Trapianti  di  tumori  epiteliali  umani  nel  Sorcio 

(Miis  MusGiiliis) 
e  loro  trasformazione  in  sarcomi 

Nota  preventiva 
del    socio    Claudio   Gargano 


(Tornata  del  10  Novembre  1910) 

In  questo  ultimo  decennio  vi  è  un  grande  numero  di  lavori, 
che  prendono  in  esame  i  tumori  degli  animali  domestici  e  spe- 
cialmente alcune  affezioni  patologiche  dei  Sorci  e  dei  Ratti,  che 
hanno  tutti  i  caratteri  di  neoplasmi   a   tipo    epiteliale.    Nascono 
spontaneamente  nei  Ratti  bianchi  e  nei  Sorci  bianchi,  che  vivono 
in  libertà  o  che  sono  allevati  nei  laboratori;  la  malattia  ha  tutti 
i  caratteri  di  morbo  da  infezione,  giacché,  se,  in  un  allevamento 
di  Sorci  indenni,  se  ne  introduce    uno  portatore   di  questi  neo- 
plasmi ,  ben  tosto  gli   altri  ne    sono  contagiati.  Anche  facili    ne 
sono  i 'trapianti  da  Sorcio  a  Sorcio  e  da  Ratto    a  Ratto,  non  è 
però  altrettanto  agevole  innestare  un  tumore  di  un  Sorcio  al  Ratto 
e  viceversa,  avendosi  spesso  l'attenuazione  della  malattia  e  l'estin- 
zione di  essa  attraverso  un  numero  relativamente  piccolo  di  pas- 
saggi. La  razza,  alla  quale  appartiene  un  Sorcio,  ha   non  poca 
importanza  nella  possibilità  di  trasmissione,  tanto  che  il  tumore 
di  un  Sorcio   di  una   determinata   razza   non    sarebbe   un   buon 
tumore  capostipite  per  una  serie  di  innesti  in  un  Sorcio  di  un'altra 

razza.  .        . 

Alcuni  aa.  vorrebbero  spiegare  la  differenza  nella  ricettività 
ai  trapianti  dei  tumori  anzidetti  col  fattore  allevamento  (in  quanto 
riguarda  genere  di  nutrizione  e  di  vita),  e  con  l'eredità,  in  modo 
che  se  bisogna  ammettere  che  i  coefacienti  ereditari  che  deter- 
minano l'attecchimento  di  un  innesto  canceroso,  sono  i  medesimi 
di  quelli,  che  determinano  lo  sviluppo  di  un  tumore  spontaneo, 


—  BOfi   — 

no  segue  che  la  conoscenza  della  linea,  alla  quale  appartiene  un 
indivitluo  ha  una  grande  importanza;  infatti,  una  discendenza  di 
due  parenti  cancerosi  di  linee  povero  avrebbe  molto  meno  pro- 
babilità di  presentare  dei  tumori,  di  una  discendenza  proveniente 
da  due  parenti  refrattari,  ma  di  linea  ricca. 

Sembrò  pertanto  che  questi  tumori  cancerosi  spontanei  del 
Sorcio,  per  molti  attributi  morfologici  dei  loro  elementi ,  non 
avessero  potuto  essere  ritenuti  identici  od  analoghi  al  carcinoma 
umano:  il  loro  facile  modo  di  diffusione,  la  mancanza  quasi  co- 
stante di  metastasi,  la  loro  regressione  spontanea  in  alcuni  casi, 
l'immunizzazione  conferita  agli  animali,  in  rapporto  alla  malattia 
anzidetta,  erano  tutti  caratteri  che  allontanavano  il  carcinoma 
spontaneo  dei  Sorci  e  dei  Ratti  dal  cancro  umano.  D'  altronde 
da  vari  osservatori  furono  fatti  alcuni  tentativi  di  trapianti  di 
tumori  umani  epiteliali  e  connettivali  agli  animali  domestici,  ed 
i  risultati  dimostrarono  la  possibilità  dell'  innesto  :  contempora- 
neamente la  casuistica  clinica  si  arricchì  di  nuovi  fatti ,  che  a 
prima  vista  non  erano  di  facile  spiegazione,  essendo  contrari 
allo  scolastico  modo  di  classificazione  dei  neoplasmi:  così  Sghla- 
GENHAUFEB  descrisso  un  tumore  della  mammella,  nel  quale  gli 
elementi  carcinomatosi  erano  frammisti  a  grosse  cellule  giganti 
proprie  del  sarcoma;  così  Schmorl  fece  notare  il  caso  di  un  car- 
cinoma tiroideo  umano,  recidivato  come  tumore  misto  (carcinoma- 
sarcoma),  con  metastasi  multiple  a  puro  carattere  sarcomatoso, 
così  ScHONE,  Wells,  Forster,  Kummer,  Kochef,  Kaufmann,  Sal- 
TYKOW,  ecc.,  accennano  anche  essi  a  tumori  misti.  In  alcuni  di 
questi  reperti  si  potette  dimostrare,  che  la  degenerazione  sarco- 
matosa  abbia  seguito  lo  sviluppo  del  carcinoma,  in  altri  si  ebbe 
netta  demarcazione  fra  il  carcinoma  ed  il  sarcoma,  in  altri  mancò 
questa  demarcazione;  mai  però  l'evolversi  del  sarcoma  precedette 
il  carcinoma. 

Autorevoli  aa.  come  Ehrlich,  Apolant,  Haaland,  Lewin,  ecc. 
di  recenti  assodarono  sperimentalmente  la  trasformazione  sarco- 
matosa  del  carcinoma  spontaneo  dei  Sorci  bianchi  e  dei  Ratti: 
ottenuta  la  metamorfosi  sarcomatosa  del  neoplasma,  si  sarebbe 
in  qualche  caso  avuto,  dopo  parecchi  altri  passaggi,  di  nuovo  la 
forma  carcinomatosa  primitiva. 

I  tumori  misti  dei  Sorci  (carcinoma-sarcoma),  se  vengono 
sottoposti  per  la  durata  di  circa  un'ora  alla  temperatura  di +40°, 
avviene  questo  di  speciale,  che  l'elemento  carcinoma  si  rende 
inattivo:  inoculando  tali  neoplasmi  riscaldati  ad  altri  Sorci  si  ha 
costantemente  lo  sviluppo  del  sarcoma  puro. 


—  307  — 

L'infiltrazione  e  la  successiva  trasformazione  sarcomatosa  di 
un  carcinoma  è  un  fatto  incomprensibile,  date  le  idee  dominanti 
in  anatomia  patologica,  né  certamente  la  ipotesi  emessa  da  Loeb 
per  spiegare  questo  fenomeno  è  molto  persuasiva.  Per  Loeb  in- 
fatti l'agente  infettivo  (giacché  i  tumori  sono  per  lui  di  origine 
infettiva  parassitaria),  proliferando  nel  tessuto  glandolare,  dà  ori- 
gine al  carcinoma,  mentre  che  quando  assolve  il  suo  ciclo  vitale 
nello  stroma  connettivale,  finisce  per  produrre  la  trasformazione 
sarcomatosa  del  carcinoma  spontaneo  dei  Sorci. 

Ho  proceduto  anche  io  a  trapianti  di  tumori  epiteliali  umani, 
e  cioè  di  un  epitelioma  del  labbro  inferiore,  di  un  adeno-carci- 
noma  della  mammella,  di  un  carcinoma  parvicellulare  recidivato 
sul  moncone  di  amputazione  del  collo  dell'  utero  in  seguito  a 
carcinoma  iniziale  delio  stesso,  e  di  un  cancro  a  corazza  del  seno. 
Come  animali  di  esperimento  mi  son  servito  dei  comuni  Sorci  o 
Topolini  di  casa  {Mus  musculus,  Mus  islandicus,  Mas  dotnesticus), 
e  gli  innesti  li  ho  praticato  nel  parenchima  mammario,  nella  cute 
del  dorso  e  nel  peritoneo.  In  una  seconda  serie  di  ricerche  ho 
inoculato  nei  medesimi  organi  i  filtrati  degli  anzidetti  tumori  ca- 
postipiti   (filtrati   attraverso    a    candele    Chamberland    di    varia 

grana). 

Il  tempo  medio  per  ottenersi  nel  Sorcio  l'attecchimento  del 
neoplasma  umano  è  di  venti  a  trenta  giorni:  lo  sviluppo  del  tu- 
more è  facile,  sebbene  in  molti  casi  l'innesto  sia  riuscito  negativo 
ed  in  altri  si  sia  avuto  la  morte  dell'animale,  non  per  l'infezione 
od  intossicamento  neoplastico,  ma  più  di  tutto  per  il  piccolo 
traumatismo  dell'operazione  subita.  D'altronde  i  Sorci  domestici 
sono  pochissimo  resistenti,  in  prigionia  muoiono  con  facilità,  e 
mal  si  adattano  alla  vita  in  gabbia. 

Dalle  esperienze  fin  ora  eseguite  risulta  evidente  che  i  filtrati 
di  tumori  epiteliali  umani  nel  Sorcio  non  danno  mai  origine  a 
produzioni  neoplastiche:  in  qualche  caso  solo  si  hanno  piccoli 
noduli  granulomatosi,  i  cui  elementi  non  ricordano  per  nulla  le 
cellule  neoplastiche;  questi  granulomi  inoculati,  con  la  medesima 
tecnica,  danno  sempre  esito  negativo. 
'm  Invece  i  brandelli  degli  anzidetti  tumori,  inoculati  nel  Sor- 

*  ciò,  sviluppano  delle  forme,  che  nella  glandola  mammaria  assu- 
mono il  tipo  di  adeno-carcinoma,  nella  cute  quello  di  epitelioma 
malpighiano,  nel  peritoneo  l'aspetto  di  carcinoma  parvicellulare. 
Questi  noduli,  trapiantati  successivamente,  al  secondo  o  terzo 
passaggio  non  tardano  ad  infiltrarsi  di  elementi  sarcomatosi  (eie- 


—  308  — 

menti  endoteliali  in  alcuni  casi),  avendosi  in  seguito  il  sarcoma 
puro  parvicellulare.  Mai  ho  ottenuto  il  ripristino  della  primitiva 
forma  epiteliale;  anzi  molto  spesso  Iio  notato,  che  il  sarcoma 
puro  prodottosi,  può,  in  un  determinato  momento,  non  dare  at- 
tecchimento di  tumori  in  altri  Sorci. 

Allo  stato  attuale  delle  nostre  cognizioni  non  è  facile  spie- 
garci perchè  un  medesimo  tumore  epiteliale  umano,  trasportato 
nella  mammella,  nella  cute  e  nel  peritoneo,  riproduca  tre  tumori 
epiteliali,  è  vero^  ma  molto  diversi  morfologicamente,  come  pure 
non  è  facile  comprendere  quali  debbano  essere  i  fattori,  che  de- 
terminano la  trasformazione  sarcomatosa  degli  elementi  epiteliali, 
e  perchè  questa  avvenga  in  generale  prima  nel  peritoneo,  anziché 
nel  tessuto  mammario  o  nella  cute. 

Più  convincente  fra  tutte  resta  l'ipotesi  di  Letulle  per  il 
quale  si  dovrebbe  riconoscere  nella  struttura  del  tessuto  con- 
nettivo la  ragione  prima  della  trasformazione  carcinomatosa  di 
un  adenoma:  *  l'effraction  de  l'assise  connective,  les  prolifera- 
tions  épithéliales  désordonnés  et  l'envahissement  du  tessu  conjon- 
ctivo-vasculaire  par  ces  colonies  épithéliales...  »  produrrebbe  il 
rapido  sviluppo  della  cellula  epiteliale  e  la  sua  trasformazione  in 
elemento  embrionario.  Ogni  lesione,  capace  di  distruggere  con  un 
processo  anatomo-patologico  qualsiasi  lo  stroma  connettivale , 
favorisce  quindi  la  metamorfosi  carcinomatosa.  Forse  anche  la 
degenerazione  sarcomatosa,  con  questo  medesimo  meccanismo,  si 
potrebbe  spiegare. 

Dalla  Stazione  Zoologica  di  Napoli.  Ottobre  1910. 


su  LA  INVENZIONE  DEL  TECTONISMO 


i^iOTTA. 


del  socio  Leonardo  Ricciardi 


(Torli  ata  del  4  Agosto  1910) 

Dal  1887  in  poi,  da  quando  io  con  orgoglio  di  italiano  enun- 
ciai il  principio  dell'evoluzione  minerale,  chi  mi  ha  chiamato  uomo 
dalla  fuìitasia  vivace^  chi  i^a^'^^*,  chi  filosofo^  e  chi  poeta  ! 

Allora  si  discuteva  animatamente  sul!'  evoluzione  biologica 
del  Darwin;  ma  io  che  seguivo  il  dibattito,  non  comprendevo 
perchè  il  mezzo  in  cui  piante  ed  animali  vivono,  dovesse  rima- 
nere estraneo.  Se  tutto  si  evolve,  se  i  miei  antenati  della  scuola 
di  Elèa  per  la  bocca  di  Parmenide  affermarono  che  <  nulla  si 
crea  e  nulla  si  distrugge  »,  anch'  io  volli  accingermi  a  studiare, 
seguendo  un  metodo  induttivo,  dal  punto  di  vista  chimico  le 
rocce  di  tutte  le  epoche  geologiche,  e  cominciai  dalle  arcaiche  fino 
ai  tempi  nostri,  ed  affidai  tutto  il  mio  pensiero  a  due  lavori:  «  Sul 
graduale  passaggio  dalle  rocce  acide  alle  basiche  »,  pubblicato 
nella  Gazzetta  Chimica  Italiana,  e  «  Sulle  rocce  eruttive  subaquee 
e  subaeree  e  loro  classificazione  in  due  periodi  »,  pubblicato  negli 
Atti  della  Società  di  Scienze  Naturali  di  Milano. 

Lo  scorso  anno,  quando  fu  inaugurato  a  Parigi  il  monumento 
a  Lamarck,  il  fondatore  della  dottrina  dell'evoluzione  i),  usci  con- 
temporaneamente in  Italia,  sul  Bollettino  del  Regio  Comitato 
Geologico  d'  Italia,  anno  1909,  3«  Trimestre,  n."  3,  pag.  378,  la 
seouente  recensione  d'un  mio  lavoro: 

1)  Augusto  Comte  non  vide  l'evoluzione  nel  mondo  biologico  e  inorga- 
nico, l'ammise  invece  nel  mondo  storico,  nella  «  physique  sociale  »  che  tentò 
fondare.  Intanto,  mentre  il  Comte  additava  F  unità  del  metodo  sperimentale, 
cadde  in  un  grave  errore  di  falsa  interpretazione,  ([uando  sostenne  che  la  legge 
unitaria  del  mondo  era  introvabile  induttivamente.  Io  giunsi  ad  enunciare 
l'evoluzione  minerale  ed  a  stabilire  la  costituzione  geofisica  delia  litosfera 
seguendo  un  metodo  assolutamente  induttivo. 

21 


—  310  — 

Ricciardi  L.  Ixisposta  ad  ali-ime  osservazioni  sull'ovoluzione 
miiKM-alo,  })ul)l)li('ata  lU'l  Hi»ll.  drlhi  Società  di  Naturalisti  iu  Na- 
poli. Anno  XXII,  11)08. 

«  E  un  lavoro  d'indole  jìoloiuica,  noi  qual*'  l'antoro,  rispon- 
dendo al  Galdieri,  cita  località  di  tutto  il  mondo,  e  necessaria- 
mente anche  italiane,  nello  ([uali  atHorano  rocco  eruttive  di  tutte 
lo  epoche,  e  fra  ([ueste  stabilisce  confronti  per  provare  f^iusta  la 
sua  fcoria  su  ì'evolìieiono  minerale.  Allo  stesso  fiiK^  prcvscMita  debile 
tabelle,  nelle  (juali  «'-  riportata  la  quantità  di  sìlice  riiivcniuta.  nelle 
rocce  subaquee  e  subaerce  disila  terra  ». 

«  Stabilito  che  la  roccia  fondamentale  o  l'involucro  idropla- 
stico non  è  che  il  granito,  egli  dimostra  che  le  prime  eruzioni 
non  potevano  ess(U"e  che  di  graniti,  poiché  non  vi  era  l'intervento 
"di  sostanze  capaci  di  niodificare  il  magma;  n)a  (piando  queste  vi 
presero  pai'te,  ne  modilicarono  il  magma  e  ciuinili  le  rocce  ei"ul- 
tate  presero  aliri  nomi,  essendo  diiferente  la  loro  composizione 
chimica  e  mineralogica  ». 

Sono  sodisfatto  di  vedere  che  altri  riconosce  in  me  l'autore 
della  teoria  sull'evoluzione  minerale. 

Ora,  questa  mia  posizione  privilegiata  avrebbe  dovuto  con- 
sigliare al  Prof.  Vincenzo  Gauthier  mio  contradittore  a  esser 
più  cauto  nello  sue  pocJie  osservazioni  al  mio  lavoro  su  le  rela- 
zioni delle  Ideali  Accademie  delle  Scienze  di  Napoli  e  dei  Lincei 
di  Roma,  sui  terremoti  del  1783  e  1908. 

Veramente  avrei  potuto  non  rispondere,  come  ho  fatto  altre 
volte  ;  ma  mi  sembrava  scortesia.  Rispondo  tanto  più  volentieri 
perchè  al  mio  ingegno  egli  ha  riconosciuto  un  filetto  di  poesia, 
cosa  questa  che  io,  conoscendo  la  benevolenza  sua  verso  di  me, 
ho  preso  nel  senso  buono. 

Por  comodità  di  lutti  riproduco  il  periodo  incriminato  e  ciò 
che  si  legge  nella  relazione  del  prof.  Sarconi  scritta  per  incarico 
della  Reale  Accademica  delle  Scienze  di  Napoli. 

Dichiaro  intanto  qui  solennemente  che  per  me  la  polemica 
è  chiusa. 

Si  asserisce  dal  mio  contradittore  che  io,  in  argomenti  seri 
e  che  danno  da  pensare  ,  so  mescolare  anche  la  poesia  in  ele- 
gante prosa,  come  si  rileva  dal  brano  seguente  : 

«  Riassumendo,  nel  1783,  dopo  il  tremuoto  del  5-6  febbraio 
ve  ne  fu  un  secondo  il  giorno  7  ed  un  terzo  il  28  marzo.  L(i 
scosse  furono  sussultorie,  sempre  precedute  da  rombi,  più  o  meno 
assordanti,  in  alcune  contrade;  durante  il  terremoto,  il  suolo  on- 
deggiava a  sussulti,  lanciando  a •  considerevole    distanza   colline 


—  311  — 

o  caseggiati,  sposso  lo  sabbio,  poi  c(5utimii  su.ssulli,  si  miiovovano 
in  modo  da  sembrare  un  liquido  bollente,  si  sfasciavano  monti, 
s})anvano  fiumi,  si  formavano  laghi  ,  mentre  spaventevoli  deto- 
nazioni si  udivano  sotterra  ». 

Michele  Sarconi ,  segretario  della  Reale  Accademia  delle 
Scienze  di  Napoli,  nella  sua  «  Istoria  de'  fenomeni  del  tremuoto 
avvenuto  nelle  Calabrie  e  nel  Valdomone  nell'anno  1783  ^),  rac- 
colse quanto  segue  : 

A  pag.  5  :  «  San  Lucido.  Or  quivi  il  tutto  è  in  gravissimo 
rovescio.  11  monte  detto  S.  Giovanni  è  in  molto  parti  sgretola- 
to: il  lago  dello  stesso  nome  perdette  talmente  l'antica  sua  pro- 
fondità ,  che  oggi  è  divenuto  trattabile  in  modo  che  non  v'  ha 
altra  traccia  di  esso,  che  fango  e  laguna;  e  nell'antico  suo  letto 
sorgere  si  vide  ed  estollersi  una  confusa  molo  di  terra  conca- 
cea,  di  terra  atra  ,  e  di  arena  mobilissima  ,  e  fertile.  E  in  quel 
luogo,  che  più  guarda  V ovest,  e  che  giace  tra'l  fiume  di  S.  Gio- 
varmi, e  '1  Cacaciccri,  è  sorto  un  lago,  che  sparge  parte  dell'acqua 
emersa  nel  sottoposto  fiume  ». 

«  Tra  V Acqua  bianca  e  '1  superiore  maggior  ramo  delVacqua 
di  pesce  è  nato  un  laghetto  ;  e  lunghesso  il  fiume  Torìndo  tutto 
quello  spazio,  eh'  è  contermine  al  fiume  Leone,  si  è  riempito  di 
piccoli  stagni,  e  di  frequenti  lagune. 

A  pag.  7  :  «  Lo  scomponimento ,  avvenuto  nelle  montagne, 
nelle  sottoposte  pianure,  ne'  valloni  intermedj,  e  ne'  larghi  tor- 
renti ,  è  cosa  insigne  ;  e  la  perdita  de'  terreni  utili  non  solo  è 
immensa,  ma  altresì  irreparabile.  Tutto  è  rivolto.  Gli  alberi  si  os- 
servano ove  schiantati ,  ove  a  metà  rovesciati ,  ove  sepolti  sotto 
l'orrida  e  densa  mole  di  una  creta  fluente  e  inondante  a  foggia 
di  lava.  Le  barbe  delle  piante  minori  emergono  appena  o  dalla 
sommità  delle  zolle,  o  dalla  superficie  dello  stagno  ;  e  per  con- 
trario le  cime  sono  fitte,  e  rovesciate  nel  fondo.  Il  corso  dei 
torrenti  o  si  è  affa.tto  perduto  ,  o  si  è  quasi  interrotto  ,  o  si  è 
cangiato.  Tutto  è  sparso  di  enormi  voragini  ;  e  ciò  che  fa  orrore, 
si  è  che  un  considerabile  numero  di  case  rurali  ora  non  rappre- 
senta che  una  congerie  di  rimasugli  di  fabbriche  o  rovinevoli,  o 
sconquassate  ». 

A  pag.  98  <  (Terranova.  Castello)  vedesi  poi  che  delle  parti 
squarciate  quella  che  è  la  più  orientale  appare  come  spinta  ed 
incurvata  verso  l'est  ». 

1)  Napoli,  i784. 


-  312  — 

e  E  por  coiitrai'io,  (|iiollo  elio  o  più  sottontrionale,  pende  verso 
il  sud  :  o  Iunf;i  dall'  apparire  compressa  nel  terreno  ,  ne  semina 
anzi  così  divolta  od  elevata  da  iiìia  foi'za  esphisiva,  e  sotterranea. 
che  molte  porjiioni  delle  fondamenta  del  muro  sono  allo  scopoi'- 
to,  e  veggonsi,  spinte  fuori  della  intorna  cavità  del  suolo  ,  ove 
giacquero  prima  '•. 

A  pag.    50  :   *  Il   fiume   come    dicemmo ,    disparve  ;  e  per  tre 

giorni  successivi  le  sue  acque  non  si  videro  » comparve 

fuori  della  voragine  recentemente  nata  ». 

A  pag.  59  .  «  Il  guasto  delle  terre  non  si  ridusse  alle  sole 
accennate  squarciature.  Vi  furono  alcune  colline,  e  alcuni  poderi, 
in  cui  il  rivolgimento  fu  enorme  a  segno  ,  che  gli  alberi  e  i  vi- 
gneti ne  rimasero  schiantati ,  il  suolo  cangiato  di  posizione ,  e  le 
hiade  seminative ,  confuse  e  involte  tra  le  masse  dirute  e  dt^va- 
state  ». 

A  pag.  49  :  «  Or  quivi  nel  dì  7  di  febbraio  nel  momento 
stesso,  in  cui  cadde  Soriano.,  reponte,  per  cosi  dire,  s'intenerì 
tutto  il  materiale  dogli  oliveti^  della  conca,  e  de'  monti  terminali; 
e,  come  pasta  liquida  e  molle ,  rendutosi  fluente  e  scorrevole. 
cadde  in  tale  universale  rivolgimento.,  che  in  pochi  minuti  secondi 
il  tutto  fu  rimosso,  e  schiantato  dall'  antica  sede  ,  e  tutti  quei 
fondi  perdettero  interamente  1'  antica  consistenza  ». 

«  Si  squarciò  il  terreno  delV  oliveto  di  Fra  Ramondo  :  nah- 
hissò  il  piano  inclinato  ;  e  rimasero  sepolti  noli'  aporta  voragine 
gli  alberi  sovrapposti  ». 

«  Si  aprì  il  piano  dell' oliveto  del  Covalo.,  e  le  parti  lacerate 
ruinarono  nella  stessa  sottoposta  aperta  voragine  ». 

«  Si  lacerò  tidta  la  faccia  dé'monti  terminali.,  e  le  masse,  che 
ne  furono  schiantate,  oppressero  tutto  ciò,  che  dianzi  covria  la 
superficie  dei  terroni  intermedj  ,  fino  -all'  argine  del  giardino  in- 
feriore ». 

«  Tutto  il  volume  della  conca,  inclusivi  gli  ahituri  campestri., 
e  giardini,  il  tratto  della  strada  pubblica,  e  il  fiume  Caridi ,  cad- 
dero in  una  universale  rii^(dì(zione  ;  e  quindi  sparve  in  un  girar 
di  ciglio  il  fiume  ,  si  aprirono  ampie  voi-agini  ,  ove  prima  o  si 
estendea  la  strada,  o  si  vedean  giardini,  e  abbondantemente  emer- 
sero de'  varj  e  cospicui  gorghi  di  acqua  ». 

«  L'  unione  di  tanti  sovvertimenti  ridusse  al  semplice  niente 
la  figura  della  conca-,  e  di  quanto  in  essa  dianzi  si  conteuea ,  e 
ne  cangiò  affatto  1'  aspetto  ». 

A  ])ag.  47  :  «  Tutta  la  superficie  di  questo  monte  di  Lache, 
su  cui  vi  ha  la  sti-ada,  olio  mona  a  Jerocarne,  è  vagamente  sparsa 


—  318  — 

di  olivi,  dì  cadayni,  di  quercie,  e  di  viti.  Quivi  si  aprirono  orri- 
bili fenditure;  ma  di  queste  ora  non  ne  appariscono  nella  som- 
mità e  nel  dorso  del  monte,  che  lo  sole  fugaci  tracce:  e  pure 
esse  erano  sommamente  enormi,  e  pericolose  tra  per  la  loro 
ampiezza,  ed  estensione,  e  per  la  loro  profondità.  Molti  fuggen- 
do, v'incontrarono  dannoso  inciampo;  e  tra  coloro,  ai  quali  toccò 
(li  ritrarne  detrimento  ,  si  fu  il  P.  Maestro  Agazio  ,  Priore  del 
Carmine  di  lerocarne.  Questi  era  per  istrada  allorché  fu  sorpreso 
dal  tremuoto  :  la  terra  in  modo  spaventevole  vacillava,  e  parea  in- 
certa, e  ondeggiante  come  nave,  a  cui  dal  tempestoso  mare  ogni 
quiete  si  toglie.  Repente  tutto  il  suolo  di  parte  in  parte  si  aprì  in 
fenditure,  le  quali  con  rapidissima  alterna  repulsione,  e  congiun- 
zione dello  stesso  suolo  produceansi,  e  si  emendavano,  come  laccio, 
che  con  rapido  moto  si  apra,  e  si  annodi  ». 

Il  Padre  Agazio:  «  fuggendo  rimase  con  uno  dei  piedi  in- 
carcerato in  una  fenditura  che  si  aprì  sotto  i  suoi  passi,  e  che  quasi 
nel  punto  stesso,  che  egli  v'immerse  il  piede  fino  alla  sommità 
del  malleolo,  tosto  si  chiuse.  La  tetra  e  orrenda  scena,  che  gli 
si  apriva  intorno,  lo  stridore,  compagno  di  tanti  violenti  squarci, 
e  la  dolorosa  sua  situazione  l'oppressero;  ma  quando  per  tutto 
si  credea  già  perduto,  in  men  che  non  balena,  si  apri  sotto  le 
continue  scosse  del  tremoto  il  terreno,  e  sciolto,  per  così  dire,  il 

teso  laccio,  egli  ne  ritrasse  libero  il  piede  » 

«  Fummo  assicurati  di  tutto  ciò   che  abbiamo  narrato,  dallo 

stesso  P.  Maestro  Agazio ». 

A  pag.  46:  Nel  1659  si  esperimento  il  tremoto  di  sbalzo.  Nella 
ruina  del  Monistero  un  Frate  Domenicano  fu  spinto  di  lancio  con 
tidto^  il  letto,  ove  giacca  dormendo,  nel  seno  dell'accennato  fiume 
Vesco,  e  ne  usci  salvo  ». 

A  pag.  101  :  «  Sarà  ben  maraviglioso  ad  udirsi  ciò  che  ci 
apprestiamo  a  narrare;  e  se  noi  stessi  non  l'avessimo  con  inne- 
gabile testimonianze,  e  con  replicati  esempi  verificato,  appena 
avremmo  ardimento  di  crederlo,  non  di  scriverlo  ». 

«  I  fenomeni,  prodotti  dal  formidabile  tremoto  di  sbalzo,  furono 
tanto  più  orribili,  e  sorprendenti ,  quanto  è  fuori  di  contesa,  che 
i  suoi  eifetti  non  si  ridussero  a  schiantare  soltanto  i  casamenti, 
e  slanciarli  di  là  della  loro  sede,  o  semplici,  o  uniti  a  poca  por- 

1  ... 

zione  del  pavimento,  e  del  suolo  sopra  cui  essi  giacevano  ;  ma 
s'  inoltrarono  anche  a  produrre  tale  profonda  e  insigne  revolu- 
zione  nelle  parti  più  intime  dai  terreni,  coi^enenti  gli  edifici,  che 
questi,  a  massi  grandiosi  e  dì  smisurata  mole,  furono  svelti  e 
schiantati,  e  con  potentessima  vibrazione  espulsi  dal    loro  cavo, 


—  314  — 

e  spinti  a  gnimlu  distanza  u  cdu  tutto  il  loro  ccjnLtìuuto,  o  con 
parto  di  ciò  elio  vi  stava  soprapposto  ». 

«  Di  fatto  tra  tanti  fonomoni  ,  elio  potrebbero  rammentarsi 
per  lU'uova  di  ciò  die  asserito  abbiamo,  basterà  il  riferirne  un 
solo  ». 

«  Noi  pendio  della  strada  posta  tra  lo  duo  porte  (Terranova), 
che  accennammo  nel  n"  429,  esisteva  una  casa,  la  quale  giacca 
lontano  dal  sottoposto  fiume  Soli  quasi  300  passi;  e  che  in  ossa 
vi  ora  una  stanza  ben  grande,  destinata  all'uso  di  pubblica  osteria. 
Quivi  in  quei  momenti  infelici,  nei  quali  avvenne  il  tremoto,  si 
trovavano  l'oste,  chiamato  Giovanni  Aquilino.,  la  sua  moglie  Fran- 
cesca Marafiori^  una  piccola  nipote  di  costei,  e  quattro  altre  per- 
sone. In  fondo  della  stanza  stava  un  letto:  e  appiè  del  letto  un 
braciere;  e  ne  occupavano  il  manco  lato,  e  il  destro  varie  sedie, 
alcune  tavole,  e  altri  arredi,  propri  di  un  soggiorno  dei  viandanti. 

«  L'oste  giacea  sul  letto,  prò  fondamento  immerso  tra'  vapori 
del  cibo,  e  del  vino.  L'ostessa  ora  in  oziosa  attitudine  di  rim- 
petto  alla  porta,  seduta  accanto  al  braciere,  e  coi  piedi  assicu- 
rati sul  legno,  che  serviva  a  quello  di  base;  e  sostenea  colla  si- 
nistra la  picciola  nepote,  che  le  scherzava  dappresso.  I  quattro 
avventori  dell'osteria  stavano  in  un  angolo  del  manco  lato  della 
stanza  giuocando  alle  carte  ». 

«  Repente  l'intero  edificio,  e  con  esso  tutta  la  brigata  cangiò 
sito  ;  poiché  in  un  girar  di  ciglio  nell'interno,  e  nelle  più  cupe 
parti  di  tutto  quel  terreno,  sopra  cui  poggiava  il  casamento  del- 
l'osteria, si  concepi  tanta,  e  cosi  rivoltosa  commozione,  che  scuo- 
tendosi dai  cardini  suoi,  e  staccandosi  dai  mutui  legami  flolle 
circondanti  terre,  fu  tratto  fuori  delle  sue  sedi  con  eguagli/ima,  e 
con  empito  tale,  che  ne  sballò  di  lancio  fino  agli  arti  del  sottopo- 
sto lontano  Soli,  traendo  sul  suo  dosso  l'intero  edificio,  Voste,  V ostessa 
la  picciola  nipote,  e  gli  ospiti  malarrivati;  e  lasciò  noli'  abbando- 
nato sito  una  voragine  ampia,  e  mostruosa  ». 

«  Appena  che  questo  stupendo  ammasso  di  terreno,  di  fabbrica 
di  uomini,  e  di  arredi  giunse,  e  piombò  sulle  sponde  del  Soli, 
s'infransero  gli  strati  del  suolo;  e  quindi  tutto  il  soprapposto  edi- 
ficio si  disciolse,  riducendosi  in  una  confusa  e  precipitosa  congerie 
di  torraloto,  di  sassi,  e  di  suolp  sparso  e  rivolto ». 

A  pag.  103:  «  Giunti  a  Terranova  non  fu  l'ultima  delle  no- 
stre cure  di  chiedere  conto  di  questa  avventura.  Quivi  trovammo 
che  vari  in  vario  modo  ne  faceano  il  racconto  ;  quindi  stimammo 
sano  consiglio  il  parlare  coll'oste  e  con  l'ostessa.  Costoro  or  fanno 
soggiorno  a  Scrofonio,  villaggio    che  sta  in  distanza  di  due  mi- 


I 


—  315  — 

glia  e  più  di  Terranova.  Erano  con  noi  il  Parroco,  ecc.  L'oste  è 
un  uomo  di  matura  età  :  l'ostessa  è  donna  di  età  non  fresca,  di 
una  maschia  fattura,  e  piena  di  accorgimento  e  vivacità;  mala 
natura  nel  formarla  la  neglesse  tanto,  ohe,  forse  per  farne  la  ri- 
parazione, la  rispettò  nei  suoi  furori  ». 

«  Dalle  risposte  che  costoro  dettero  alle  nostre  interrogazioni, 
rilevammo  ciò  che  dei  loro  casi  abbiamo  narrato:  il  che  per  altro 
trovammo  uniforme  alla  testimonianza  dei  più  giudiziosi  relatori  >. 

«  Per  riguardo  poi  al  fenomeno  della  sbalzo^  e  delle  cose  get- 
tate di  lancio  da  uno  in  altro  luogo,  egli  è  un  affare  cosi  comune, 
e  con  tanti  esempi  verificato,  che  per  esitarsene,  converrebbe  ne- 
gar fede  ai  fatti  più  autentici,  e  alle  osservazioni  più  semplici, 
che  possono  farsi  non  già  dal  solo  filosofo,  ma  da  chiunque  abbia 
occhi  per  vedere  (o  per  leggere  raccomando  ai  miei  denigratori)  l'im- 
mensa copia  dei  materiali  caduti,  e  sbalzati  dalle  sedi  più  alte 
nelle  parti  più  lontane,  e  nelle  più  prossime  o  al  Soll^  o  al  Marra  > . 

A  Rovelletta  nei  suoi  dintorni  si  lacerò  in  molte  parti  la  terra 
e  ne  sgorgò  fuori  a  pieni  rivoli  un'acqua  lotolenta  (pag.  311). 

Da  una  lettera  del  Padre  Rosini  si  rileva  che:  «  altra  fen- 
ditura si  fece  mezzo  miglio  lontana  dal  mare,  e  propriamente  sopra 
la  Rovelletta  in  un  piano  inclinato^  da  dove  scaturì  quantità 
d'acqua,  che  arrivò  fino  al  casino  della  medesima,  in  dove  sog- 
giornava Monsignore  di  Squillace^  che  nel  punto  stesso  mandò  a 
vedere  da  dove  usciva  ;  ed  intimorito  dall'  acqua  che  scorreva  a 
fiume^  se  ne  fuggi  in  una  pagliara  situata  distante  in  un  rialto  ». 

Riproduco  la  seguente  lettera  di  Gioacchino  Pittare  di  Borgia 
Medico-Fisico,  diretta  alla  Reale  Accademia  delle  Scienze  di  Napoli. 

«  Il  tremoto  accaduto  a  28  di  marzo,  distrusse  molti  Paesi, 
fra' quali  Borgia.,  Maida  ,  Cortale,  Girifalco,  S.  Floro.  Il  Paese 
suddetto  (Borgia)  era  situato  lungi  dal  Mar  Jonio  4  miglia  circa 
su  d'  un  monte  mediocremente  alto  ,  il  di  cui  suolo  ,  parte  era 
d'arena,  e  varj  strati  di  pietra,  e  parte  di  creta  ;  era  perciò  di- 
viso da  una  valle  ,  che  avea  il  suo  cammino  per  mezzogiorno; 
quella  porzione  più  alta  ,  che  riguardava  1'  occidente  ,  il  di  cui 
strato  era  arenoso,  si  mosse  in  maniera,  che  se  ne  scese  in  detta 
valle,  in  modo  che  i  Padroni  non  distinguevano  bene  il  sito  delle 
rispettive  case;  quella  porzione,  che  riguardava  lo  scirocco,  ed  il 
di  cui  suolo  era  cretoso  ,  è  stata  più  resistente  alla  scossa  ,  di 
maniera  che  restarono  inalzati  varj  pezzi  d'edificj,  che  indicano 
a'  posteri  esservi  stato  quivi  un  tempo  paese  ». 

«  Era  il  distrutto  paese  circonvallato  dalla  parte  d'  oriente 
da  due  gran  valli  ,  una  chiamata   Prestio  ,  e  V  altra    gran  valle 


—  310  — 

ìSpilniga  ,  i  di  cui  orli  ,su|n'ii()ri  iìIìukj  di  tiara  pietra,  elio  alla 
scossa  de' 28  si  .stritolarono  in  inaiiiL'ra ,  portandosi  seco  varie; 
caso  ch'orano  .situato  nell'orlo,  olio  riguardava  lo  scirocco;  l'orhj 
opposto,  eh'  avca  secondo  lo  divor.so  situazioni  varj  nomi,  corno 
Manditrauo,  ecc.  òi  sjno.iiaroìio,  coprendo  quuìitilù  di  querce^  olivi 
ed  altri  alberi  >. 

—  Li  fenomeni  accaduti  nell'adiacenze  del  suddetto  distrutto 
Paese  sono  li  seguenti  — . 

«  Pria  d'ogni  altro  bisogna  notare,  che  doj/o  il  tremolo  imme- 
diatamente si  è  vedida  ìielV  aria^  non  molto  lontana  dalla  superji- 
cie ,  una  nuvola  oscura  ,  e  densa  ,  come  se  bruciassero  all'  intorno 
grandi  foreste-,  durò  questa  qualche  tempo.  In  secondo  luogo  bi- 
sogna notare,  che  la  mina  del  (remoto  de  f^8  pur  eh.'' abbia  comin- 
ciata da  ponente  a  levante^  Jion  già  da  libeccio  a  mezzogiorno, 
come  l'antecedenti.  V accensione  par  che  siasi  latta  sopra  le  mon- 
tagne di  Girifalco ,  e  propriamente  al  Monte  Covelìo,  alla  di  cui 
falda  v'è  una  fontana,  che  essendosi  analizzata  l'acqua,  ha  dato 
molta  quantità  di  ferro  ;  1'  ocra,  o  sia  terra  marziale,  è  notabi- 
lissima all'  intorno,  e  non  molto  lontano  da  detta  acqua  minerale 
vi  è  una  miniera  di  terra  lega  ". 

<t  Le  fenditure  intorno  al  distrutto  paese  sono  innumerabili: 
fra  tante  merita  particolare  attenzione  quella  accaduta  nella  di- 
fesa, e  i)ropriamente  nel  luogo  detto  il  Pantano  di  Tremola, 
Feudo  della  Mensa  Vescovile  di  Squillace.  È  questa  una  gran 
pianura  senza  rupi  all'  intorno,  confinante  al  fiume  Corace,  lon- 
tana dal  mare  \\n  miglio  circa  ,  e  dal  Paese  distrutto  miglia  4. 
Detta  fenditura  è  opposta  al  mare  :  ha  di  lunghezza  passi  100 
circa,  e  di  larghezza  tre  piedi  ,  dove  più,  dove  meno  ,  da  dove 
usci  gran  quantità  d'  acqua  » . 

«  Nella  stessa  linea  200  passi  circa  lontano  da  detta  fenditura 
nel  territorio  chiamato  S.  Maria  di  Calandra  s'  osserva  un  cor- 
done d'  arena  ,  che  ognuno  ,  da  ovunque  lo  guarda ,  se  non  la 
tocca,  la  crede  cenere;  ha  detto  cordone  passi  20  di  lunghezza, 
non  essendosi  potuto  misurare  1'  altezza  ,  avendola  prima  d'  es- 
sere osservata  li  coloni  arata ,  e  di-spersa  ;  credendosela  terra 
fertile  vi  piantarono  granone.  Ho  usata  particolar  attenzione  in 
esaminare  alcuni  Foresi  o  siano  Campagnuoli ,  che  nell'atto  del 
tremuoto  dormivano  nel  suddetto,  e  m'assicurano,  che  spaven- 
tati al  far  del  giorno  s'  accostavano  a  questa  da  loro  creduta 
cenere,  da  dove  usciva  un  gorgone  d'  acqua  .  che  metteva  capo 
ad  un  vallone  vicino,  chiamato  cafone  di  S.  Maria.  Sgorgava  det- 
t'  acqua  non  continuata,  ma  interrotta  ed  avendola  gustata,  era 


—  317  — 

amara,  e  salsa,  che  loro  medesimi  so.speUarono  venire  dal  mare, 
con  dire  ,  vedete  ,  che  siccome  si  muove  il  mare  esce  1'  acqua. 
Sgorgò  questa  per  tutta  la  notte  de'  28 ,  e  per  il  di  vegnente, 
diminuendosi  in  ragione  diretta  del  tempo,  e  poi  esiccossi  senza 
vestigio  di  fenditura,  lasciando  detto  cordone  d'  arena,  che  gu- 
standola ha  dello  stittico  ,  ed  alla  semplice  veduta  s'  osservano 
delle  laminette  marziali  ». 

«  Merita  anche  attenzione  il  fenomeno  accaduto  in  un  terreno, 
coverto  di  diversi  alberi,  chiamato  Sciahò^  situato  nella  quasi  di- 
rezione delle  fenditure  descritte  due  miglia  circa  distante  dal 
mare,  ed  altrettanto  dal  Paese  distrutto  ;  era  questo  un  piano 
inclinato  per  tramontana,  e  dalla  forza  della  scossa  ,  usci  dalle 
viscere  della  terra  lo  strato  argilloso  per  lo  spazio  di  tre  moggi 
inclinando  il  suddetto  terreno  dalla  parte  opposta  ,  e  serrando 
il  cammino  ad  una  fiumara  ,  che  fu  costretta  farsi  il  suo  letto 
più  di  5  passi  lungi  da  dove  prima  l'avea;  questo  fenomeno  non 
si  suole  esattamente  descrivere  ;  si  capisce  allora  quando  si  ve- 
de ;  quel  che  vi  assicuro  di  certo  ,  si  è  ,  che  lo  strato  argilloso 
non  era  cosi  vicino  alla  superficie  ,  in  dove  non  vi  era  ombra, 
o  vestigio  di  creta,  nemmeno  all'  intorno,  tanto  più  che  la  fac- 
cia della  fenditura  ha  più  di  15  piedi  di  altezza,  e  creta  non 
se  ne  vede  ». 

Si  raccapriccia  di  meraviglia  chiunque  osserva  il  timpone  di 
S.  Giuseppe.  E  questo  un  rialto  arenoso  situato  nella  stessa  di- 
rezione delle  fenditure  descritte  cento  passi  lontano  dal  paese 
distrutto;  s'osservano  nel  medesimo  luogo  fenditure,  il  di  cui  cam- 
mino, ed  ordine  è  così  irregolare,  che  non  cosi  facilmente  si  può 
descrivere  :  il  fatto  si  è,  che  la  massima  esplosione  ha  dovuto  es- 
sere in  tal  luogo  ». 

«  Non  picciolo  spettacolo  arreca  a  chiunque  osserva  il  Lago 
cagionato  dal  tremoto  de^  28  nella  valle  nomata  8.  Pietro.  E  questa 
una  gran  valle,  che  ha  il  cammino  per  oriente,  nel  di  cui  centro 
scorreva  un  ben  grande  rivolo  d'acqua,  che  veniva  formato  dal- 
l'unione di  più  fontane;  e  dalla  ruina  dei  due  lati  si  serrò  la  suddetta 
valle,  ingojandosi  quantità  notabile  d'olive,  gelsi,  vigneti,  ed  altri 
alberi,  e  per  lo  spazio  di  giorni  15  l'acqua  non  ha  avuto  cam- 
mino, motivo  per  cui  si  formò  il  lago  suddetto,  che  ha  più  di 
cento  passi  di  lunghezza  e  60  di  larghezza  » 

«  S'aggiungono  però  in  accorcio,  gli  altri  fenomeni  osservati 
nella  Roccella^  e  furono  nella  coltura  di  rirapetto  al  casino,  in 
dove  la  terra  quasi  tutta  s^apri,  e  vi  sgorgò  quantità  d'acqua,  e 
vi  rimase  dell'arena  di  color  ceruleo  ». 


—  318  — 

«  Nel  terreno  dello  il  Principe  u.^c)  il  mare  del  suo  letto^  ed 
allagò  più  di   '20  lonwlale  di  grano  ». 

A  p;i^'.  313:  t  In  PeH<07i/*  (Catanzaro)  vi  è  fama  eliij  Dall'alto 
(Iella  scossa  del  di  *2S  di  JNlarzo  si  osservassero  fiamme,  e  fuochi 
volanti  ». 

A  pag.  l(i  :  <i  ni'l  Pizzo  fu  d;i  noi  ])it  Va  }t rima  volta  sentito 
quel  terribile  Roinho,  di  cui  tanto  ne  avean  in  altii  iiio^^lii  ;i  noi 
detto.  Non  possiamo  negare  che  rimanemmo  [)iù  che  abbastanza 
attoniti,  e  percossi  fla  tale  spaventevole  nuneio  di  vicino  tremoto  >. 

A  pag.  21  :  ><  udissi  oscuro  rombo per  quattro  volte,  ri- 
tornò il  rombo  e  col  rombo  il  tremoto  ». 

A  pag.  25:  «  a  Briatico  che  fu  ridotto  in  un  orrendo  sfa- 
sciume non  meno  dai  primi  tremoti,  che  dagli  urti  formidabili 
dei  secondi. 

A  pag.  36:  «  Tosto  udimmo  da  un  rombo  minaccevole  an- 
nunziare il  tremoto.  Sul  suolo  le  zolle,  e   le  pietre  si  commossero: 

le  cime  e  i  rami  degli  alberi  si  confusero  ondeggiando A  noi 

parve,  guardando  la  terra,  di  provare  quello  sti.\sso  scomponimento 
d'occhio,  che  si  prova  allorché  si  passa  un  fiume  ». 

<  Questa  scossa  fu  delle  più  attive  ». 

A  pag.  115:  «  orrende  furono  le  rivoluzioni  avvenute  nei 
terreni,  e  negli  alberi;  ed  enorme  fu  la  copia  di  creta,  che  ap- 
parve ove  dianzi  non  se  n'era  orma  alcumi  veduta  ». 

«  Si  udì  un  grave  muggito  sotterraneo;  ma  al  rombo  non 
succedette  tremoto  ». 

Nella  relazione  del  Sarconi  si  legge  spesso:  <i  sonoro  rim- 
bombo »,  <  terribile  rombo  »,  <  precedeva  il  terremoto  uno  spa- 
ventevole rombo  »,  «  rombo  spaventevole  e  sonoro  »,  «  con  profondo 
rombo  »,  *  repente  scoppiò  un  rombo  clamoroso  i-,  <  rombo  or- 
ribile ». 

A  pag.   135:  «  A  Oppido molte  altre  parti  di  fabbriche  o 

ruinarono  su  i  sottoposti  edifici,  o  furono  di  lancio  sbalzate  nei 
casamenti  contigui ». 

A  pag.  147:  «  il  secondo  fenomeno  si  riducea  a  una  innega- 
bile eruzione  di  materiale  uscito  fuori  dalle  viscere  di  quel  ter- 
reno    «  il  terzo  fenomeno  era  l'evidente  sbalzo  ecc.  ». 

A  pag.  72:  «  Nicotera in  questi  ferri torj  si  produssero  molte 

fenditure.  Fu  fama  che  da  alcune  di  quelle  aperture  fosse  sgor- 
gata a  ribocco  un'acqua  calida..   nel  di   5  Febbraio  ». 

A  pag.  202:  «  Una  fanciulla  si  ricoverò  in  su  una  collina  di 
creta,  che  in  attimo  formossi  nell'orribile  rivolgimento...  ». 


—  319  — 

A  pag.  219:  «  Seiuinaf'a...  ne  qui  finiscono  le  strane  avven- 
ture di  questo  fatale  rivolgimento.  Nella  contrada  deìV  Aunuìi- 
ziata  la  natura  sì  proso  diletto  di  olfrire  una  scena  opposta  (una 
possessione  rimase  di  sbalzo  gettata,  per  la  distanza  di  6  in  700 
passi  su  di  un  altro  terreno,  che  giaceva  al  di  là  della  vallo,  ove 
or  veggonsi  le  viti,  le  fabbriche,  e  gli  alberi,  giacenti  e  tratti  di 
lancio  fuori  della  propria  sede)  a  quella,  che  spiegò  nei  piani  in- 
clinati: se  ivi  converti  in  valle  un  luogo  inchinante  al  montuoso, 
nella  contrada  AqW Annunziata  ebbe  il  capriccio  di  elevare  un  monte 
ove  iwima  si  profondava  una  valle  ». 

Il  Lyell  ^)  riferisce,  sulla  scorta  del  Dolomieu:  «  Il  suolo  del 
paese  (Calabria  1783)  si  sollevava  sovente  come  le  onde  di  un 
mare  agitato,  ciò  che  produoeva  un  malessere  analogo  al  mal  di 
mare.  Degli  alberi,  sostenuti  dai  tronchi  loro,  s'inclinavano  fino 
al  suolo,  che  toccavano  con  le  cime  ». 

Nelle  poche  osservazioni  ecc.,  del  mio  contradittoro  che  sembra 
non  conosca  tutta  la  mia  produzione  scientifica,  si  legge  :  «  Il 
terremoto  del  1905,  che  ebbe  la  maggiore  intensità  sulla  linea  di 
frattura,  che  parte  dal  golfo  di  S.  Eufemia  e  va  nel  golfo  di 
Squillace,  por  il  socio  Ricciardi  fu  dovuto  ad  eruzione  sottoma- 
rina, che  avvenne  contemporaneamente  nel  Tirreno  e  nel  Ionio  ». 

Io  rispondo  col  dire  che  non  ho  mai  accolto  completamente 
i  risultati  delle  ricerche  di  Suess,  anzi  ho  escluso  il  concetto  dello 
sprofondamento  e  dell'assestamento,  poiché  nelle  Calabrie  e  nella 
Sicilia  non  v'è  niente  da  sprofondare  o  da  rassettare.  Perchè  non 
rimanesse  poi  traccia  nella  scienza  della  invenzione  della  nuova 
scienza,  il  «  tectonismo  »,  tutte  le  volte  che  le  nostre  belle  quanto 
disgraziate  contrade  sono  state  tormentate  dal  vulcanismo,  ho  espo- 
sto tutto  ciò  che  scaturisce  da  un  mio  profondo  convincimento  e  da 
osservazioni  che  rimontano  al  1887  ^),  oltre  quelle  ininterrottamente 
fatte  durante  i  tre  anni  che  passai  a  Reggio  Calabria,  dove,  o 
come  componente  il  Consiglio  Sanitario  Provinciale,  o  come  ispet- 
tore antifiUosserico,  ebbi  agio  di  visitare  spessissimo  lo  Calabrie. 
Ora  siccome  il  Suess  esclude  1'  azione  da  sotto  in  sopra,  ciò  che 
si  verifica  sempre  nei  tei  remoti  Calabro-Siculi,  cosi  accennerò  ad 
alcuni  fatti  in  base  ai  quali  io  mi  convinsi  che  nel  1905  lungo 
la  frattura  che  parte  dal  golfo  di  S.  Eufemia  e  si  prolunga  nel 
golfo  di  Squillace,  si  dovettero  ripetere  gli  stessi  fenomeni  del  1783. 


1)  Principes  de  geologie,  tome  3,  pag.  1326. 

2)  Ricciardi.  SuW allineamento  dei  vulcani  Italiani  —  Reggio  Emilia,  1887. 


—  320  — 

Il  .siyiiur  Gas|i;iri,  sindaco  di  Zuiiyii,  cosi  descrisse  il  feiio- 
iiieno  del  1905:  <  11  movimento  del  suolo  fu  terribile;  si  sviluppò 
con  un  crescendo  s(.ìmj)re  j)iù  intenso  e  cessò  coìi  un  urto  sus- 
snliorio  formi d(( bile ^  come  un  treno,  che,  spinto  a  tutta  velocità, 
debba  istantaneamente  fermarsi.  Un  rombo  sotterraneo,  che  si 
facea  ognora  più  forte  colla  violenza  del  terremoto  ,  cessò  con 
esso.  Ma  una  luce  rosea,  che  da  parecchi ,  me  compreso ,  fu  os- 
servata sull'orizzonte,  verso  occidente,  durò,  diminuendo  sempre 
di  intensità,  per  più  di  un  minuto,  dopo  che  era  cessato  lo  scuo- 
timento », 

«  Io  intesi  cosi  il  terremoto  :  dormo  sul  lato  destro  e  im- 
provvisamente mi  accorsi  d'  essere  lanciato  in  alto  e  ricaddi  su- 
pino   » 

«  La  rovina  dei  fabbricati  fu  immediata,  la  qual  cosa  dimo- 
stra come  fu  violento  il  terremoto.  Qui  fu  disastrosissimo » 

«  in  collina,  si  osserva  una  lunga  spaccatura  della  larghezza  di 
circa  20  centimetri  ». 

«  Nella  notte  che  seguì  quella  del  terremoto  si  udirono  an- 
cora parecchi  boati  ed  a  molti  di  questi  succedettero  delle  scosse 
ora  sussultorie,  ora  ondulatorie.  Tanto  il  primo  terremoto  ,  che 
i  successivi  ebbero  sempre  la  direzione  Nord-Sud  ».  (Vedete: 
«  Ricciardi.  Su  rallineamento  dei  Vulcani  Italiani,  1887  »). 

Il  Direttore  dell'Osservatorio  Meteorologico  di  Pizzo,  sig.  Giu- 
seppe Marcello,  riferi  che  «  la  disastrosa  scossa  del  giorno  8  set- 
tembre, a  detta  di  un  pescatore  da  lui  interrogato,  fu  preceduta 
dalla  apparizione  di  una  luce  elettrica  lungo  la  pendice  tirrenica 
di  Monteleoìie,  alla  cui  scomparsa  ebbe  principio  la  scossa^  la  quale 
durò  dai  20  ai  25  secondi.  I  pescatori,  ritti  sulla  spiaggia,  a  quel 
moto  di  va  e  vieni  della  terra,  si  tenevano  fra  di  loro,  per  non 
cadere.  E,  cessata  la  scossa,  furono  atterriti  da  un  altro  feno- 
meno :  le  acque  del  mare ,  che  prima  era  calmissimo^  si  addentra- 
rono sulla  spiaggia  di  Bovina,  per  una  lunghezza  di  trenta  e  più 
metri,  spingendo  fin  là  una  barca  pescareccia  tirata  a  secco  a  po- 
chi passi  dal  lido,  q_uindi  le  onde  si  ritrassero  ». 

<i  Alcuni  boari  degni  di  [(de  affermarono  di  essere  rimasti  sbi- 
gottiti dalla  vista  di  tin  lampo  enormemente  lungo  ed  abbaccinante, 
che  fu  tosto  seguito  dal  rombo  sotterraneo  ....  ». 

«  Pizzo  10  settembre  1905.  «  Strani  fenomeni  accompagnano 
il  terremoto.  A  Tiriolo  è  caduta  una  pioggia  di  cenere.  Inoltre  il 
terremoto  fu  preceduto  da  fenomeni  elettrici  luminosi  e  da  un  mo- 
mentaneo addentramento  del  mare  nella  costa  per  circa  5  metri.  Presso 


—  321  — 

la  marina  di  Maida  si  disseccarono  le  fonti  e  si  sollevarono  le 
acque  del  fiume  Angitola  » . 

Altro  che  i  fileiii  d'acqua  ed  il  rcmimolUmenfo  delle  argille; 
quei  fenomeni  derivano  esclusivamente  dal  vulcanismo  e  non 
da  alcuna  altra  causa. 

Il  Prof.  Luigi  Palazzo  ,  Direttore  dell'  Osservatorio  Meteo- 
rologico e  Geodinamico  di  Roma  ,  disse  :  «  che  il  maremoto  del 
1905  fu  un  fenomeno  concomitante  col  terremoto  e  venne  registrato 
dai  mareografi  di  Napoli,  della  Sardegna^  di  CivitaveccJiia,  ecc. 

Nel  1905  il  cavo  telegrafico  che  congiunge  Milazzo  con  l'isola 
di  Lipari  venne  spezzato ». 

Riporto  ancora  i  seguenti  fatti  :  «  Un  im))iegato  postale,  che 
nella  notte  del  disastro  faceva  servizio  suU'  ufficio  ambulante 
della  ferrovia  da  Napoli  a  Reggio,  cosi  raccontò  come  fu  inteso 
il  terremoto  sulla  strada  ferrata  : 

«  Poco  prima  delle  tre  di  notte  eravamo  fermi  alla  stazione 
di  Paola  :  il  capo-treno  aveva  dato  da  poco  il  segnale  della  par- 
tenza, quando  la  vettura,  su  cui  io  mi  trovavo,  ebbe  un  improv- 
viso movimento  oscillante,  da  destra  a  sinistra ,  come  se  stesse 
per  rovesciarsi.  Poi,  spinta  da  una  forza  formidabile,  si  sollevò  sul 
hìnurio  e  ricadde  sulle  f^otaie  con  un  terribile  frastuono  ». 

«  A  Martirano  (Nicastro)  scossa  di  X  grado  ....  »  ^  la  mon- 
tagna si  squarciò  in  più  "punti  e  ne  scaturirono  dei  getti  di  acqua 
bollente.  JJ  impressione  prodotta  dal  terremoto  su  quelli  che  erano 
a  Martirano  fu  quella  di  una  pioggia  di  pietre  accompagnata  da 
un  terribile  uragano,  che  squassasse  dalle  fondamenta  le  case  ». 

Nel  1783  a  Borgia  il  28  marzo  il  rombo  riempiva  tutta  la 
popolazione  della  Calabria  ultra,  e  gli  stessi  bruti,  di  avvilimento 
e  di  orrore ^. 

«  A  Girifalco  e  Borgia  la  potentissima  ignota  forza  dilatò 
il  tremendo  suo  furore ». 

«  Al  timpone  San  Giuseppe  alla  direzione  delle  stesse  fen- 
diture ,  a  circa  50  metri  dal  paese  distrutto,  si  ammette  sia  av- 
venido  colà  la  massima  esplosione  ....  ». 

Nel  1905  a  Girifalco  si  osservarono  fenomeni  luminosi  ed 
elettrici;  le  acque  delle  sorgenti  del  paese  si  intorbidarono.  Un 
contadino  riferì  che  pochi  secondi  prima  della  scossa  gli  cadde  so- 
pra una  mano  ima  goccia  d^  acqua  bollente,  la  quale  vi  produsse 
una  forte  ustione  :  awlie  il  direttore  dell'  Ospedale ,  che  lo  ha  cu- 
rato, non  seppe  spiegarsi  la  causa  di  quelV  ustione. 

A  Maida  ,  scossa  di  IX  grado  ;  a  San  Floro  la  scossa  rag- 
giunse il  grado  IX  •  a  Borgia  il  IX  grado  ;  a  Cortale    la  scossa 


—  322  — 

(li  Vili  ^rado  fu  preceduta  dalV  apparizione  di  meteore  luminose 
e  (lupo  la  nu'dcsima  si  osservarono  delle  aperture  mi  terreno^  drilli 
scosceuditnoiti  e  degli  sguryìii  d'acqua^  dove  prima  uou  craiivi  sorgive. 

In  cnnclusiouc,  io  non  tolgo  una  virgola  da  (juaato  scrissi 
a  j)ag.  114:  ecc.  nel  mio  lavoro  :  «  Il  vulcanismo  noi  terremoto 
calabro-siculo  del  28  dicembro  1908  >  e  nell'  altra  mia  pubbli- 
cazione :  «  Su  le  relazioni  ecc.  sui  terremoti  calabro-siculi  del 
1783  e  1908  a  proposito  del  terremoto  del  1906  ". 

Ora  viene  pure  a  me  il  desiderio  di  rivolgoi'o  una  interroga- 
zione: Che  cosa  hanno  fatto  o  scritto,  più  di  quello  che  non  ho 
fatto  io,  tutte  le  Reali  e  Ministeriali  commissioni  che  dal  1783 
in  poi  hanno  invaso  lo  Calabrie  e  la  Sicilia  ?  Ai  componenti  delle 
suddetto  commissioni  furono  concessi  onori  e  lauti  compensi;  a  me 
invece,  che  dal  1879  in  qua  ho  affrontato  disagi  e  spese  non  lievi 
por  tenore  alto  il  prestigio  delle  discipline  geologiche  e  vulcano- 
logiche in  Italia,  non  sono  mancati  attacchi  violenti,  ecc. 

Continuando  nello  sue  jìoche  osservazioni  il  mio  contradittore 
aggiunge  che  «  il  dicco  basaltico  di  Palmi  certamente  non  è  stato 
visto  dal  socio  Ricciardi,  perchè  avrebbe  constatato  trattarsi  di 
ojiealce,  ed  in  ogni  caso  a  Palmi  vi  è  terreno  eocenico  ». 

Nel  Bollettino  del  R.»  Comitato  Geologico  d'Italia,  Anno  1885 
p.  <)1  e  337,  e  1890  p.  150  sono  riportati  i  lavori  doU'ing.  (■or- 
teso,  il  quale  asserisco  che:  «  il  basalto  di  Palmi  somiglia  alle 
rocco  antiche  di  Lipari  ».  «  Il  dicco  di  Malopasso  potrebbe  essere 
anche  di  trapp  (o  di  basalto)  terziario  e  collegarsi  alle  rocce  ana- 
loghe dell'isola  di  Lipari  ». 

Nel  1900  il  prof.  Giovanni  Ui  Stefano,  dell'Università  di  Pa- 
lermo, confermò  la  presenza  delle  rocce  basaltiche  presso  Palmi. 
Ora,  se  anche  il  prof.  Ricco  ^)  accolse  e  pubblicò  la  scoperta  del- 
l'ing.  Cortese  e  la  riconferma  del  prof.  G.  Di  Stefano,  non  si  com- 
prende perchè  il  mio  contradittore  si  rivolga  a  me  e  non  ad  altri: 
che  se -invece  di  accettare  le  osservazioni  di  stimati  geologi,  (juali 
sono  il  Cortese  ed  il  prof.  Di  Stefano,  un  naturalista  dovesse  re- 
carsi in  tutte  le  località  per  la  constatazione  di  rito,  non  avrebbe 
che  a  trascinare  la  sua  esistenza  in  una  constatazione  perenne  e 
monotona  e  non  molto  vantaggiosa  per  la  scienza  stessa.  (Nel 
Museo  geologico  del  R.  Comitato  Geologico  d' Italia  si  possono 
vedere  i  campioni  del  basalto  di  Palmi). 


')  Relazione  sismologica  sul  terremoto  del  Uì  novembre  1894  —  Annali 
del  R.  Ufficio  Centrale  Meteorologico  e  Geodinamico  Italiano.  Roma  190V, 
pag.  257-258. 


—  22  H  — 

È  stata  mia  costante  consuetudine  eli  rispettare  ciò  che  hanno 
osservato  o  fatto  altri  scienziati  ;  e  se  t[ualche  volta  non  ho  con- 
diviso le  loro  opinioni,  ho  esposto  le  mie  vedute  con  linguaggio 
così  rispettoso,  che  nessuno  fin'oggi  me  ne  ha  mosso  rimprovero. 

Mi  piace  di  riportare  un  fatto  a  riprova  del  mio  sentimento 
di  doveroso  riguardo  verso  i  colleghi.  Studiavo  da  chimico  le  rocce 
dei  vulcani  attivi  ed  estinti  d'Italia,  e  mi  rivolsi  all'amico  e  col- 
lega prof.  G.  von  Ixath,  per  avere  alcuni  campioni  di  rocce  della 
Toscana  e  dei  Colli  Euganei  da  lui  analizzati. 

La  roccia  di  Monte  Amiata  conteneva  in  complesso  alcali 
7,10  "/u.  Io  ripetetti  l'analisi  e,  ottenuta  la  quantità  di  ossido  di 
potassio  e  di  sodio,  col  calcolo  li  riportai  al  7,10,  quindi  mandai 
i  risultati  al  von  Rath  e  gli  chiesi  il  permesso  di  pubblicare 
l'analisi  cosi  modificata.  Egli  accondiscese,  ed  io  potetti  pubbli- 
care i  risultati. 

Il  mio  contradittore  viene  finalmente  alla  conclusione  e  dice 
che:    «  non  risulta  che  i  due  tremuoti  della  Calabria,  del  1783  e 

1908,  sieno  stati  causati  da  eruzioni  di  vulcani  sottomarini,  che 
anzi  i  fatti  da  lui  riportati,  non  fanno  che  aumentare  la  confu- 
sione, che  esiste  ancora  intorno  ai  terremoti,  dovuti  a  tettonismo 
<ìd  a  vulcanismo  ». 

Nella  mia  modesta  relazione  sull'immane  disastro,  pubblicata 
nel  voi.  XXIIl,  pag.  119,  degli  Atti  della  nostra   Società,  anno 

1909,  riassunsi  cosi  i  fenomeni  : 

«  Sbuffi  di  gas  e  sollevamento  di  masse  d'acqua,  mescolate 
a  sostanze  gassose  nello  stretto  di  Messina,  qualche  giorno  prima 
dell'orrenda  notte  ;  la  luce  abbagliante  che  si  vide  da  Patti,  Ri- 
posto, Messina,  Reggio  Calabria,  ecc.,  i  rombi  assordanti  che  pre- 
cedevano le  scosse,  oppure  si  sentivano  senza  che  si  avvertissero 
terremoti  ;  alle  5^  ,  20'"  ,  nell'ora  fatale ,  le  scosse  precedute  da 
boati,  avvertite  dai  piroscafi  che  passavano  in  quell'  ora  nello 
stretto  e  dalle  imbarcazioni  che  si  trovavano  nei  porti  di  Messina 
e  Reggio;  il  maremoto;  l'acqua  calda  lanciata  sulla  spiaggia  di 
Pellaro  (qualche  superstite  trascinato  a  mare  trovava  l'acqua  più 
calda  quando  il  movimento  delle  acque  lo  portava  in  fondo)  ;  l'acqua 
calda,  che  investi  i  soldati  d'artiglieria  tra  lo  macerie  del  quar- 
tiere San  Salvatore  nella  cittadella  di  Messina,  di  Reggio  e  din- 
torni ;  l'acqua  del  mare  dopò  le  ore  otto,  nel  porto  di  Messina, 
ancora  tiepida;  la  trave  di  fuoco^  ossia  una  striscia  di  luce  repen- 
tina apparsa  nel  cielo  al  momento  dello  strepitoso  rombo  avvertito 
nel  mare  alle  5''  ,  20™  del  28  dicembre;  le  bruciacchiature  osser- 


—  324  — 

vaie  nei  cavi  telegrafici  e  telefonici  dello  stretto  di    Messina;  la 
moria  dei  pesci  gettati  sulle  spiagge  calabro-sicule  ». 

A  questi  fatti  riassunti  bisogna  aggiungere  i  seguenti  favo- 
ritimi dal  liberale  Ministro  dulie  Poste  e  dei  Telegrati,  l'Onorevole 
Augusto  Ciuflelli,  che  riguardano  però  soltanto  il  terremoto  del 
28  dicembre  1908,  e  siccome  per  noi  vulcanologi,  tanto  se  li  os- 
serviamo direttamente,  quanto  se  ci  vengono  riferiti  da  ufficiali 
dell'esercito  e  dell'armata,  oppure  da  noti  gentiluomini,  essi  hanno 
lo  stesso  valore,  prestandovi  fede  e  servendocene  come  di  docu- 
mento, così  riproduco  quanto  gl'iug.  Brunelli  e  Jona  riferirono 
dopo  la  rimessa  dei  cavi  nello  stretto  di  Messina.  Ecco  le  osser- 
vazioni fatte:  «  Su  uno  dei  cavi  si  scorse  una  schiacciatura  ».  «  Su 
di  un  altro  cavo  si  trovarono  molti  fili  di  ferro  dell'armatura  esterna 
rotti,  in  3  giunture  distanti  circa  tOOO  metri  l'una  dall'altra,  con 
l'armatura  scomposta  come  se  il  cavo  fosse  stato  stirato  e  scliiac- 
cìuto  ;  in  altro  punto  la  fasciatura  appariva  bruciata  e  più  oltre  si 
rinvenne  il  cavo  interamente  rotto,  con  l'armatura  in  buono  stato, 
ma  come  se  fosse  stata  strappata  dal  terremoto  ». 

Siccome  di  questo  fenomeno,  che  per  noi  vulcanologi  ha  una 
innegabile  importanza,  il  mio  contradittore  non  fa  cenno  alcuno. 
Ilo  voluto  consultare  molti  lavori  di  idraulica  per  vedere  se  era 
un  fatto  comune,  o  tale  che  si  potesse  spiegare  coi  filetti  o  filoni 
di  acqua,  o  soltanto  col  rammollimento  o  stemperamento  delle  marne 
o  depositi  sottomarini  ;  ma  niente  ho  trovato. 

Mi  devo  ora  difendere  dall'  accusa  che  mi  si  è  mossa  di 
avere  cioè  io  con  i  fatti  da  me  esposti  o  riportati,  aumentata 
la  confusione,  che  esiste  ancora  intorno  ai  terremoti,  domili  a  tet- 
ionismo  od  a  vulcanismo 

E  inutile  eh'  io  spenda  qui  molte  parole  per  dire  che  per 
me  in  tutti  i  tempi  il  vulcanismo  è  stato  la  causa  ed  il  sismismo 
l'eifetto,  poiché  di  terremoti  non  ne  ammetto  altri.  Io  sono  stato 
sempre  uno  dei  più  tenaci  demolitori  d*^!!'  ipotesi  o  invenzione 
tectonica,  a  proposito  della  quale  occorre  notare  che  gli  stessi 
scienziati  che  l'immaginarono,  ammettono  che  circa  quarant'anni 
or  sono  la  nuova  scienza  uscì  come  Minerva  bella  e  confezionata 
dalla  mente  di  chi  non  sapeva  a  (piale  causa  attribuire  alcuni 
terremoti.  Quindi  fu  e  rimane  un'  atfermazione  la  mia ,  e  passo 
a  dimostrarla,  adducendo  fatti  e  osservazioni  personali. 

Dopo  una  lunga  e  paziente  preparazione,  e  ancora  sotto  l'im- 
})ressione  dell'imponente  eruzione  vesuviana  del  1872,  le  cui  fasi 
seguii  col  mio  maestro  Luigi  Palmieri;  dopo  le  ricerche  di  chimica 
vulcanologica  su  tutte  le  rocce  cristalline  e  sedimentarie  italiane; 


—  326  — 

dopo  la  descrizione  dell'  eriizioiio  dell'  Etna  del  1883,  pubblicata 
negli  Atti  dell'Accademia  G-ioeiiia  di  Catania ,  mi  occupai  del- 
l'allineamento dei  vulcani  italiani  nel  1887,  sul  quale  lavoro  mi 
piace  riferire  il  giudizio  della  Commissione  giudicatrice  del  con- 
corso bandito  nel  1902  al  posto  di  direttore  dell'  Osservatorio 
Vesuviano  :  «  il  prof.  Ricciardi  ha  pubblicato  anche  dei  lavori 
siili'  allineamento  dei  vulcani  italiani  ,  nei  quali  studi,  dopo  di 
aver  riassunto  le  memorie  pubblicate  da  altri  in  proposito,  giunge 
a  conclusioni  proprie,  le  quali  presentano  un  certo  interesse  scien- 
tifico, in  quanto  si  riferiscono  al  collegamento  tra  fenomeni  sis- 
mici e  vulcanici  di  varie  regioni  d'Italia  ». 

Alcune  fratture  da  me  intravedute  allora,  come  :  Pantelle- 
ria, Amiata,  Colli  Euganei,  Ustica-Eolie-Calabria,  Capo  Passero 
Val  di  Noto,  Etna,  Stromboli,  Vulture,  ecc.,  e  che  mi  procura- 
rono la  diagnosticazione  di  fantasia  vivace,  oggi  fanno  parte  del 
patrimonio  scientifico,  e  pure  Hobbs  mi  ha  fatto  l'onore  di  com- 
prenderle nel  reticolato  in  cui  ha  chiuso  l'Italia  nella  sua:  «  The 
Geotectonic  and  Geodynamic  Aspects  of  Calabria  and  Northeas- 
tern  Sicily  »  senza  citare  il  mio  lavoro.  Nel  cennato  mio  lavoro 
s' incontrano  fratture  trasversali  e  perpendicolari  ai  meridiani, 
neir  Italia  Centrale  (Amiata)  e  nelle  Calabrie.  Siccome  non  ac- 
colsi r  ipotesi  del  prof.  Suess ,  dello  sprofondamento,  a  propo- 
sito del  gruppo  delle  isole  Eolie  mi  espressi  cosi:  «  Possiamo  am- 
mettere che  il  gruppo  delle  Eolie  siasi  formato  sopra  fratture 
secondarie  della  grande  fenditura  Capo  Passero-Vulture,  oppure 
sopra  fratture  determinatesi  quando  si  verificò  il  distacco  della 
Sicilia  dal  continente  >. 

Da  ciò  emerge  che  io  sono  alle  prese  coi  te.ctonisti  dal  1887, 

Infatti  ,  il  Suess  ^)  aveva  accolto  fino  ad  un  certo  punto 
l'ipotesi  di  Dana  e  di  Heim,  e  dopo  la  sua  visita  nelle  Calabrie 
(1871)  .  intravide  in  quelle  contrade  i  caratteri  tectonici  formu- 
lati dal  Dana  in  America. 

Nel  1887  avvenne  un  terremoto  nella  Liguria.  Il  prof.  Issel 
die  studiò  i  disastrosi  effetti  in  quelle  contrade,  trovò  che  l'asse 
della  scossa  stava  a  grande  profondità  sotto  il  mare,  e  che  la 
causa  doveva  cercarsi  nei  processi  tectonici  ,  vai  quanto  dire  : 
«  nei  movimenti  lenti  di  quella  parte  della  crosta,  e  nelle  ten- 
sioni, lacerazioni  e  rotture  che  ne  risulterebbero  ». 

Condivisi  l'opinione  dei  professori  Taramelli  e  Mercalli,  che 
quel  terremoto  fosse  dovuto  a  causa  vulcanica. 

1)  Ueber  den  Bau  der  Italienischen  Halbinsel.  Wien.  1872. 

22 


—  326  — 

Negli  Annali  dell'  Ufficio  Cent.  Met.  e  Good.  Italiano,  Roma 
1892,  a  pag.  223  v'è  la  relazione  sul  terremoto  veronese  del  7  giu- 
gno 1891,  ed  a  pag.  274  si  legge  : 

«  Nemmeno  possiamo  il  terremoto  veronese  ascrivere  alla  classe 
dei  terremoti  vulcanici^  giacche  l'attività  vulcanica  nella  regione 
che  fu  desolata  il  7  giugno,  manifestatasi,  come  abitiamo  visto, 
con  eruzioni  di  basalti,  è  cessata  da  molto  tempo;  è  quindi  im- 
possibile il  rilegare  detto  scuotimento  ad  un  risveglio  del  vul- 
canismo, e  nemmeno  poi  connetterlo  con  1'  aumento  di  attività 
tlel  Vesuvio,  quantunque  verificatasi  quasi  contemporaneamente  » . 

«  Non  ci  resta  adunque  che  ricercare  nella  tectonica  delle  for- 
mazioni la  vera  causa  del  parossismo  veronese,  per  escludere  le 
vedute  del  Vogler,  divise  dal  Miller  e  dal  Giimbel,  che  vogliono 
il  terremoto  prodotto  da  grandiosi  scoscendimenti  sotterranei,  ed 
ascrivere  detto  terremoto  a  quelli  chiamati  dall'  Hornes  tedonici 
e  da  me  (baratta)  terremoti  di  assettamento  ».  Il  Prof.  G.  Mercalli 
per  risolvere  la  quistione  li  chiamò  intervulcanici. 

Dì  modo  che  i  terremoti  di  assettamento  furono  scoperti  in 
Italia  nel  1891  nel  territorio  veronese.  Intanto,  dagli  accurati 
studi  di  E.  Nicolis  e  G.  B.  Negri  sulla  giacitura  e  natura  petro- 
grafica  dei  basalti  veronesi,  si  apprende  quali  furono  gli  espan- 
dimenti vulcanici  di  quella  regione,  e  quali  le  località  tormentate 
dalle  eruzioni.  Restano  come  manifestazione  dell'attività  endogena 
nel  veronese  alcune  sorgenti  di  acque  minerali,  tra  le  quali  quella 
di  Domejera,  che  giunge  a  42o,6. 

Prima  di  dire  sui  fenomeni  che  accompagnarono  il  terremoto 
del  7  giugno  1891,  devo  aggiungere  che  VHornes  disse  tectonici 
quei  terremoti  di  cui   non  sapeva  trovare  la  causa  e  la  provenienza. 

Ora,  il  terremoto  del  7  giugno  fu  sussultorio  ed  a  varie  ri- 
prese ;  a  Stienta  (Rovigo)  la  scossa  fu  accompagnata  da  un  lampo; 
pure  a  Monza  fu  osservato  un  lampo  a  del  sereno  \  a  Massa  su- 
periore il  lampo  segui  la  scossa  ed  a  Badia  Polesine  precedette 
un  rombo. 

Il  Baratta  relatore  del  terremoto  veronese  a  pag.  229  scrisse: 
«  Tettonica.  Il  sollevamento  della  grande  pila  di  strati  ebbe  il  suo 
massimo  sviluppo  dopo  la  sedimentazione  delle  più  recenti  assise 
del  sistema  nummolitico,  che  ora  formano  la  scarpa  ai  contraffor- 
ti  arsero  pure  in  questo  tempo  i  vulcani  in  gran  parte  sotto- 
marini che,  specialmente  nella  porzione  orientale,  lasciarono  traccia 
con  i  loro  prodotti  ». 

Secondo  Nicolis,  nel  Veronese  le  formazioni  che  ora  sono  poste 
allo  scoperto,  appartengono    alla   famiglia   dei    basalti;    però  gli 


—  327    - 

espaiK limoliti  plutonici,  che  si  estesero  sulla  momuntaiiea  super- 
ficie o  su  quella  porzione  di  letto  marino  ora  compresa  nel  ter- 
ritorio, non  diedero  tutti  il  basalto  colonnare  ;  vi  troviamo  cu- 
muli di  lave  eruttate  nel  loro  più  grande  stato  di  divisione,  e 
sono  le  ceneri  vulcaniche  ora  rossastre,  ora  gialle,  ora  verdi  ;  i 
fanghi  vulcanici  si  presentano  verdastri  o  giallognoli.  Vi  hanno 
pure  scorie,  peperini  e  tufi  basaltici  con  fauna  fossile  marina  ». 

Precedette  il  terremoto  del  7  giugno,  proprio  il  giorno  6,  il 
seguente  fenomeno  osservato  dai  cittadini  di  Salò,  che  cioè  nel 
lago  di  Garda  le  acque  si  innalzavano  ed  abbassavano,  un  vero 
lagomoto,  senza  che  la  quiete  fosse  visibilmente  turbata  da  cause 
esteriori. 

Pertanto  durante  la  scossa  del  7  le  acque  rimasero  tranquille, 
in  modo  che  i  pescatori  che  si  trovavano  in  lago,  non  si  accor- 
sero di  nulla.  Pure  le  acque  del  lago  di  Como  rimasero    calme. 

A  pag.  274  il  relatore  espone  come  debba  intendersi  un  ter- 
remoto tedonico  o  di  assettamento  ed  a  grandi  caratteri  leggesi: 
«  Le  vibrazioni  della  frattura  di  Tregnago  in  Val  d'IUasi  furono 
la  causa  del  terremoto  del  7  giugno  1891,  appunto  perchè  il  ria- 
prirsi di  una  frattura  Qjer  opera  di  quelle  stesse  for^e  che  V  hanno 
prodotta,  o  per  un  ulteriore  assetto  degli  strati  che  cercano  le  loro 
ragioni  di  equilibrio)  che  ha  le  sue  labbra  suggellate,  deve  neces- 
sariamente produrre  uno  schianto  più  o  meno  violento,  vale  a 
dire  un  terremoto  ». 

«  Di  ciò  abbiamo  anche  parecchie  riconferme  nel  fatto: 
a)  che  il  movimento  sismico  non  si  irraggiò  da  un  centro 
unico  paragonabile  ad  un  focolare  di  mina,  ma  bensì  si  manifestò 
con  quasi  la  medesima  intensità  nei  vari  punti  situati  su  una  linea 
assai  lunga  ed  ahhastama  ristretta,  costituevdo  la  frattura,  ciò  che 
il  Serpieri  ha   chiamato  un  radiale', 

li)  che  nella  zona  di  frattura  fu  assai  sensibile  la  forma 
sussultoria,  cui  tennero  dietro  tremiti  ondulatori  prodotti  dal  ri- 
torno delle  labbra  della  frattura  che  cercavano  di  rimettersi  in 
equilibrio  ». 

Qui  occorre  dire  che  Suess  i)  non  ammette  una  forza  eleva- 
toria  e  quindi  dei  movimenti  dal  basso  in  alto  della  crosta  terrestre, 
salvo  quelli  che  possono  prodursi  in  modo  indiretto  e  subordinato 
nella  formazione  delle  pieghe.  Per  lui  gli  sprofondamenti  di  grandi 
porzioni  della  crosta  terrestre  sono  gli  elementi  essenziali  del  rilievo 
della  superfìcie  terrestre  ». 

1)  Das  Antlitz  der  Erde,  1,  pag.  778. 


-  328  — 

L'illustro  geologo  viennese  ebbe  un  solo  torto,  quello  di  non 
(lire  (love  le  rocco  approfondate  andassero  a  finire. 

Intanto  l'autore  della  relazione  del  terremoto  veronese  venne 
a  queste  conclusioni  (p.  30(3):  <  11  grande  terremoto  veronese  del 
7  giugno  1891,  (''  un  terremoto  essenzialmente  tectonico  o  di  (fs- 
srtl ((inculo^  (pianili uque  nella  regione  scossa  più  gagliardamente  si 
rinvengono  gidcimenti  di  rocce  vulcanirJie:  esso  è  dovuto  ad  uno 
speciale  centro  sismico  (per  l'A.  l'Italia  ha  un  terreno  molto  l'er- 
tile per  la  coltivazione  del  sismismo)  e  quindi  è  da  ritenersi  in- 
dipendente dalla  eruzione  vesuviana  cominciata  quasi  contempo- 
raneamente ». 

Continua  il  relatore:  «  la  zona  di  massima  intensità  si  estese 
lungo  la  frattura  di  Tregnago  in  valle  d'Illasi:  ivi  la  scossa  ebbe 
forvia  eminente  lì  lente  siissidtoria,  durò  da  10  a  12  secondi  e  fu 
accompagnata  da  rombo^  da  fenomeni  fisiologici,  elettrici^  idroter- 
mali ». 

Non  riporto  le  altre  considerazioni,  poiché  quelle  riportate 
pei  vulcanologi  non  estemporanei  sono  più  che  sufficienti  per  com- 
prendere che  il  terremoto  veronese  del  7  giugno  1891  fu  pro- 
vocato dal  vulcanismo. 

A  proposito  della  polemica  coi  tectonisti,  riporto  dai  miei 
appunti  : 

e  Scrivo  sotto  1'  im]3ressione  di  una  delle  più  grandi  emo- 
zioni che  possa  provare  un  naturalista.  Le  rocce  rigettate  da  Vul- 
cano (isole  Eolie)  durante  l'eruzione  1888-1890  confermarono  n(d 
modo  più  assoluto  l'evoluzione  minerale;  ecco  la  quantità  di  si- 
lice riscontrata  nelle  rocce  favoritemi  dall'amico  e  collega  caris- 
simo, prof.  Giuseppe  Mercalli  : 


Tradì  ite  antica 

77,55  di 

SiO^o/o 

Lava  del  1771 

76,64 

» 

Lava  di  Monte  Lentia 

70,38 

> 

Lava  del  1888 

69,62 

» 

» 

63,27 

ì 

» 

58,05 

> 

Lava  Punta  Tjurcia 

53,04 

t 

Vulcanollo 

51,04 

ì 

Vulcanello 

50,00 

» 

«  La  trachite  antica  contiene  una  (.piantità  di  silice  identica 
a  quella  trovata  nelle  rocce  arcaiche  su  cui  poggia    V  isola   Vul- 


—   329  — 

cano,  ma  la  quantità  di  silicu  riscontrata  uullu  loccu  eruttato  suc- 
ctìssivamento  prova  in  modo  inconfutabile  l'evoluzione  minerale 
da  me  intraveduta  e  provata.  Qualcuno  già  parla  di  mia  teoria 
o  legge:  ciò  mi  compensa  ad  usura  dei  dolori  sofferti  per  la  man- 
cata pubblicazione  dei  miei  lavori  negli  Atti  della  R.  Accademia 
di  Bologna  nel  1887.  Se  fosse  stata  fregiata  la  mia  teoria  da  un 
casato  straniero,  come  è  avvenuto  pel  tectoiiismOj  tutti  i  geologi  e 
fisici  terrestri  l'avrebbero  accolta  e  diffusa  in  Italia;  invece  io  sol 
perchè  italiano  sono  dai  superuomini  deriso.  Terrà  il  giorno  in 
cui  potrò  occuparmi  degli  strafalcioni  clie  stampano.  Quante  noie 
e  molestie  capitano  a  chi  si  avvia  alla  celebrità.  Pazienza  *.  Ancora 
trovo  nei  miei  appunti:  «  Fouquè  ha  pubblicato:  t  Les  tremble- 
ments  de  terre  »  Paris  1889.  Questo  benemerito  della  vulcanolo- 
gia accoglie  l'ipotesi  tectonica;  ciò  mi  produce  immenso  dolore, 
della  stessa  intensità  dell'altro  provato  nel  1883,  quando, il  La- 
saulx  disse  che  il  terremoto  di  Casamicciola  di  quell'anno  ed  il 
precedente  del  1881  si  dovevano  attribuire  a  crollamento  e  non  a 
causa  vulcanica,  mentre  tutti  i  fenomeni  furono  assolutamente 
vulcanici  ». 

*  * 

Fouqué  ^)  venne  alla  seguente  conclusione:  «^  que  les  trem- 
blements  de  terre  considérés  en  eux-mémes,  indépendamment  des 
éruptions  volcaniques  qui  les  accompagnent  quelquofois  ,  ne 
produisent  aucun  dérangement  uotable  dans  les  assises  du  sol 
accessibles  à  nos  investigations.  Rien  n' indique  qu'ils  amèuent 
souterrainement  une  dislocation  quelconque  ou  qu'ils  s'associent 
nécessairement  à  des  délivellations,  des  plissements  des  couches 
ou  des  éboulements  >. 

E  sempre  frugando  tra  le  mie  annotazioni  : 
«  Molti  scienziati,  ed  in  tutti  i  tempi,  si  sono  occupati  del 
terremoto.  Neumann,  Pfaff  ed  altri  geologi,  sismologi  e  studiosi 
di  fisica  terrestre,  hanno  consacrato  interi  capitoli  al  terremoto; 
ma  il  fenomeno  è  rimasto  come  un  problema  senza  soluzione.  Io 
sono  profondamente  convinto  che  il  terremoto  propriamente  detto 
non  è  la  causa,  ma  1'  effetto  del  vulcanismo;  e  siccome  il  feno- 
meno vulcanico  viene  provocato  dall'  incontro  dell'  acqua  del 
mare  e  di  circolazione  col  magma  arrovventato,  cosi  se  ciò  non 

1)  Op.  e.  p.  151. 


—  330  — 

accade,  non  vi  sarà  terremoto,  quindi  una  è  la  causa  e  d(!l  pari 
uno  l'efifetto. 

Fouqué  scrisse  ^)  :  «  Se  quelque  jour,  un  volcan  nouveau  se 
niontre  daiis  une  région  oìi  jusqu'alors  on  n'a  observé  aucune 
manifestation  i^ruptive,  il  est  probable  que  le  développement  des 
phénomènes  volcaniques  normaux  aura  pour  prelude  de  violents 
trombi enients  de  terre;  mais,  depuis  le  commencement  de  la  pè- 
riode  historique,  rien  de  pareil  n'a  été  constate  ». 

«  La  Sicilia  e  la  Calabria  saranno  sempre  tormentate  fino 
a  quando  un  cratere  non  entri  nel  periodo  storico  nello  stretto  >  — 
cosi  io  scrissi  nel  1890. 

Inoltre  <«  Nel  giorno  24  giugno  1891  ^)  dopo  un  terremoto 
sensibile  ed  una  violenta  esplosione,  lo  Stromboli  entrò  in  eru- 
zione. 

I  miei  carissimi  amici  professori  Annibale  Ricco  e  Giuseppe 
Mercalli  ebbero  le  squisita  cortesia  di  mandarmi  un  campione  della 
lava,  e  fattane  l'analisi,  ebbi  i  seguenti  risultati: 


Si02 

50,00 

Ph^O^ 

0,71 

APO» 

13,99 

Fe'^O^ 

6,18 

FeO 

9,10 

MnO 

0,42 

CaO 

10,81 

MgO 

4,06 

K^O 

3,02 

Na^O 

2,87 

i\  fuoco  0,24  (ce 

100,36 

<  Pure  lo  Stromboli  ha  subito  la  evoluzione  minerale  nelle 
sue  rocce,  poiché  mentre  le  rocce  arcaiche  su  cui  poggia,  comuni 
ai  Peloritani,  allo  Stretto  e  ad  Aspromonte,  contengono  circa  il 
76  per  o/o  di  SiO^,  la  lava  di  Stromboli  di  questa  eruzione  ne 
contiene  il  60  ^/o.  Questa   quantità    di   silice  è  identica  a  quella 


')  Op.  e.  pag.  137. 

2)  A.  Ricco  e  G.  Mercalli.  Sopra  il  periodo  eruttivo  dello  Stromboli  del 
24  giugno  1891.  Annali  dell' Uff.  Cen.  Meteor.  e  Geod.  Italiano,  Voi.  XI,  pag. 
189 -Roma,  1892. 


-  331  — 

riscontrata  nelle  lavo  dei  vulcani  e  delle  isole  vulcaniclic  del  Me- 
diterraneo, come  Isola  Giulia  o  Ferdinandea,  Pantelleria,  Capo 
Passero,  Etna,  Vulcano,  Vesuvio,  Santorino  ecc.,  e,  senza  timore 
di  essere  smentito,  posso  asserire,  di  tutti  i  vulcani  del  globo. 

«  Nello  stesso  volume  degli  annali  dell'  Uff.  Cen.  Met.  ecc.  a 
pag.  309,  il  Sig.  Sebastiano  Consiglio  Ponte,  pubblica  un  impor- 
tante lavoro  sull'eruzione  dell'  isola  Vulcano  1888-90,  come  appen- 
dice alla  relazione  della  Commissione  governativa.  Sono  assai 
dolente  che  egli  non  tenne  presente  il  mio  lavoro  sull'eruzione 
dell'  Etna  del  Marzo  1883,  e  gli  sarebbe  stato  facile,  perchè  pub- 
blicato negli  Atti  dell'Accademia  Gioenia  di  Catania  :  in  esso 
avrebbe  potuto  prendere  visione  di  quanto  io  scrissi  sulla  genesi 
delle  bombe  vulcaniche  e  delle  lave  ». 

«  Avvenne  il  10  agosto  1893  un  terremoto  lungo  la  frattura 
(da  me  intraveduta  nel  1887)  Capo  Passero  —  Etna — Stromboli — 
Vulture  —  Gargano,  e  la  scossa  fu  fortissima  :  <  ruinosa  a  Mitti- 
nata  ». 

Da  private  notizie  mi  risultava  che  il  terremoto  era  stato 
sussultorio  e  in  qualche  punto  di  sbalzo  (verticale),  e  che  era  stato 
preceduto  da  rombo  e  da  maremoto.  Mi  scrissero  pure  che  il  Se- 
maforo era  stato  addirittura  lanciato  in  aria  e  che  alcune  parti 
del  fabbricato  furono  trovate  8  metri  lontane  (Monte  Saraceno)  ; 
anche  un  santo  molto  pesante  venne  sbalzato  a  diversi  metri  dal 
piedistallo. 

Si  vide  da  persone  degne  di  fede  uscire  dal  terreno  nei  pressi 
di  Monte  Saraceno  o  dintorni  abbaglianti  vampate.  Parecchi  mi 
scrissero  che  i  rombi  provenivano  da  mare.  Questo  fatto  conferma 
le  osservazioni  del  prof.  TchihatchofiP  ^)  che,  avendo  rinvenuto  lungo 
il  littorale  adriatico  pezzi  di  rocce  sienitiche  e  basaltiche,  scrisse: 
<  Quivi  esisteva  probabilmente  un  vulcano  il  cui  punto  di  eru- 
zione si  trovava  nel  fondo  di  mare  che  si  estende  tra  il  littorale 
e  la  piccola  Isola  di  Tremiti,  esclusivamente  formata  di  calcare 
a  nummuliti  e  dove  non  si  scorge  alcuna  traccia  vulcanica  >. 
L'A.  soggiunge  che  quel  centro  eruttivo  deve  avere  avuto  parte 
nella  grande  catastrofe  che  ha  separato  il  Gargano  dall'Appen- 
nino e  dalle  Tremiti  ». 

Io  pure  nel  1889  ^)  esaminando  le  sabbie  che  si  raccolgono 
sulla  spiaggia  di  Rodi,  trovai  frammenti  di  roccia  vulcanica. 

1)  Coup  d'oeil  sur  la  constitution  Gèol.  des  prov.  Mèridionales.  Berlin  1842, 
pag.  45-50. 

2)  Sulle  sabbie  delle  coste  Adriatiche:  Atti  della  Soc.  Italiana  di  Scienze 
Nat.  Voi.  XXXni,  p.  41.  Milano  1889. 


—  332  — 

TI  dottore  A.  Tclliiii  'j  riferì  che  uel  lb90  un  osservatore  del- 
l'ullicio  geologico  riscoprì  ralliorameuto  nei  dintorni  del  Lago  di 
Lesina,-  e  raccolse  alcuni  campioni  della  roccia  della  Punta  Pietre 
Nere.  (Vedi  pure  il  lavoro  di  Grroller  von  Mildense  sul  gruppo  di  Pe- 
lagosa  ^). 

Scrissi  nel  Settembre  del  1893  "*):  «  che  dal  centro  vulcanico 
sottomarino  africano  che  giunge  nell'altro,  pure  s(jtt omarino,  tra 
il  Gargano  e  le  Lsole  di  Tremiti  si  allineano  i  vulcanici  estinti  di 
Capo  Passero,  Val  di  Noto  e  Vulture,  nonché  gli  attivi,  Etna  e 
Stromboli  ». 

Il  prof.  Griulio  Grablovitz,  direttore  del  R.  Osservatorio  Geo- 
dinamico di  Casamicciola,  fu  incaricato  dal  Ministero  di  Agricol- 
tura, di  recarsi  sul  Gargano  per  studiare  quel  .periodo  sismico;  e 
in  una  nota  pubblicata  negli  Annali  dell'Off,  di  Mot.  e  Geod.  Voi. 
XV,  Parte  1,  1893  pag.  25,  espi-esso  la  conferma,  in  quanto  ai 
fenomeni,  di  quanto  io  avevo  pubblicato  un  anno  prima,  perchè 
quel  volume  fu  pubblicato  uel  1894.  Il  Grablovitz  scrisse  che  di 
vulcanicità  locale  non  aveva  trovato  alcun  indizio;  e  siccome  egli 
])ure  ammise  col  Lasaulx  che  i  terremoti  di  Casamicciola  del  1881 
e  1883  erano  dovuti  a  crollamenti,  cosi  concluse  che  il  terremoto 
Garganico  del  10  agosto  era  da  considerarsi  di  assettamento  o 
tedonico^  e  si  propose  questo  quesito:  «  Quale  dei  terreni  di  quella 
plaga  accenna  con  maggiore  probabilità  ad  essere  la  sede  d'  uno 
scuotimento  capace  a  produrre  gli  effetti  dinamici  accennati  ?  » 

Dopo  molte  esclusioni  asserì  che  a  suo  avviso  la  causa  degli 
scuotimenti  era  da  ricercarsi  precipuamente  nel  calcare  ippui'itico 
sotto  il  manto  alluvionale.  Ai  piedi  del  Monte  Saraceno  esso  è 
molto  lesionato  e  scompaginato,  specialmente  in  prossimità  del 
mare. 

A  pag.  48  continua  l'A.  :  «  Credo  di  poter  concludere  col 
dire  che  generalmente  nei  terremoti  di  assettamento  v'è  una  plaga 
molto  circoscritta,  in  cui  il  moto  è  esclusivamente  vibratorio  ». 

Nello  stesso  volume  a  pag.  311   con  la  data  Roma,  gennaio 
1894,  finisce  un  lavoro  del  Baratta,  che  ha  per   titolo  «  Intorno 
ai  fenomeni  sismici   avvenuti  nella  penisola  garganica  durante  il^ 
1893  j>.  L'A.  conferma  tutte  le  osservazioni  pubblicate  dal  Gra- 

1)  Bollettino  del   R.    Coni.   Geolog.   cV  Italia.  Roma   181)0  p.  458;   Roma 
1893,  pag.  131. 

2)  Topographisch-geol.  Skizze  der  liiselgruppe  Pelagosa,  1885,  p.  152. 

3)  Ricciardi.  La  recente  eruzione  dello  Stromboli  in  relazione  alla  frattura 
Capo  Pastìero-Vulture-Reggio  Calabria,  1893. 


—  333  — 

biovitz  e  precedentemente  da  me,  ma  si  scaglia  contro  chi  ha 
potuto  pensare  che  quel  terremoto  potesse  attribuirsi  a  causa  vul- 
canica. 

A  pag.  306  egli  scrive:  «  l'azione  vulcanica  ha  duncpie  ter- 
minato di  manifestare  la  sua  attività  nella  penisola  garganica  in 
tempi  remotissimi ». 

Il  relatore  si  associa  al  prof.  A.  Isscl  nell'ammettere  hii  pure 
pel  Gargano  il  fenomeno  di  assettamento  o  tectonico,  che  l' Issel 
ammise  nel  1887  pel  terremoto  in  Liguria. 

A  pag.  309  si  legge:  ^  i  terremoti  di  Monte  Saraceno  pre- 
sentarono due  serie  di  fenomeni  assai  interessanti  per  il  sismologo  : 
la  grande  violenza  dell'urto  entro  una  zona  ristrettissima^  i  frequenti 
rombi 

A  pag.  308:  «  quindi  mi  pare  di  non  andare  troppo  nel  campo 
dell'astrazione  se  io  propongo  di  ritenere  che  il  centro  da  cui 
partì  l'itnjìulso  sia  a  7nare,  in  prossimità  della  costa  e  nel  punto 
di  intersezione  delle  due  faglie  summenzionate,  chg  hanno  funzio- 
nato da  assi  sismici  ». 

«  La  scossa  è  stata  anzitutto  in  principio  sussidtoria. 

A  pag.  307  :  «  L'  impulso  deve  essere  stato  quivi  quasi  ver- 
ticale   ». 

<  U infiltrazione  marina  a  qualunque  altro  fenomeno  dipendente 
dall'azione  dell'acqua^  le  credo  cause  affatto  inadeguate  a  spiegare 
la  violenza  delVurto  del  10  agosto^  la  multiplicità^  Vintensdà  e  la 
lunga  durata  del  periodo  sismico. 

«  Non  rimane  perciò  che  rientrare  in  altro  genere  di  consi- 
derazione, nell'esame,  cioè,  di  una  ipotesi  di  ordine  tectonico  ». 

A  pag.  291:  «  dal  1»  luglio  al  10  agosto  i  rombi  provenivaìio 
da  mare,  e  più  propriamente  da  Monte  Saraceno  e  da  Monte  Elee...  ». 

A  pag.  290  :  «  secondo  il  signor  Antonio  Virgilio,  il  piroscafo 
della  Navigazione  Generale  Italiana  che  va  da  Manfredonia  a  Vie- 
ste, e  passa  alla  distanza  di  circa  tre  chilometri  dalla  costa,  sui 
primi  giorni  di  luglio  ebbe  a  sentire  parecchie  scosse  x. 

A  pag.  288,  riporta  il  Baratta:  «  il  signor  R.  Mazanotti  e 
parecchi  altri  mi  raccontarono  che  durante  il  periodo  sismico  al- 
cuni marinai,  transitanti  nei  pressi  di  Monte  Saraceno  e  della  ma- 
rina di  Mattinata  di  notte  tempo,  e  più  propriamente  rimpetto 
alla  valle  del  Carbonara,  videro  uscire  dalla  terra  delle  vampe 
assai  risplendenti  >. 

A  pag.  289:  «  mentre  il  mare  era  tranquillissimo,  non  agitato 
nemmeno  dalla  consueta  brezza,  si  videro  alla  distanza  di  circa 


—  334  — 

200  metri  dalla  costa  fra  Manfredonia  e  Monte  Elee,  per  una  su- 
perficie di  una  quarantina  di  metri  quadrati,  le  onde  incresparsi 
in  modo  da  simulare  il  fenomeno  della  ebollizione:  ciò  durò  per 
qualche  ora,  e  quindi  si  ripetè  por  tre  o  quattro  volte  a  poca 
distanza  dal  primo  posto:  dopo  di  ciò  si  ebbe  una  delle  scosse 
più  risentito  ». 

Poiché  risultava  che  il  terremoto  proveniva  da  una  eruzione 
sottomarina  che  investì  il  Gargano  dal  lato  di  Monto  Saraceno, 
come  io  lo  avevo  descritto,  non  raccolsi  le  insolenze  e  tanto  meno 
risposi,  perchè  pei  vulcanologi  la  vittoria  era  troppo  evidente,  e 
perciò  lasciai  correre. 

* 
*  * 

Ecco  altre  notizie  che  tolgo  dai  miei  appunti  : 

«  Nel  1893  vi  fu  il  terremoto  di  Zante,  pravocato  da  causa 
vulcanica,  ma  definito  come  tectonico  >. 

<  Segui  nel  1894  quello  delle  Calabrie,  descritto  pure  come 
tectonico,  ecc. 

€  Nel  Compendio  di  Geologia  del  prof.  Issel,  pubblicato  nel  1896 
a  proposito  dell'ipotesi  tectonica  a  pag.  302  si  legge  quanto  se- 
gue: «  Ipotesi  tectonica che  non  ha  alcun  rapporto  manifesto 

cogli  spiragli  vulcanici  e  coi  loro  parossisimi.  Qui  interviene  una 
ipotesi  di  Dana,  accettata  fino  ad  un  certo  segno  da  Suess  e  da 
altri  scienziati,  la  quale  sembra  adeguata  a  rendere  conto  del  fe- 
nomeno >. 

«  In  gran  parte  della  superficie  terrestre  le  masse  rocciose  si 
mostrano  piegate  e  contorte  nei  modi  più  svariati,  in  virtù  delle 
pressioni  laterali,  dalle  quali  ripetono  la  propria  origine  quasi  tutti 
i  rilievi  montuosi.  Orbene,  se,  come  s'inferisce  dalle  oscillazioni 
lente  del  suolo,  siffatte  pressioni  si  esercitano  ancora,  è  chiaro 
che  quando  le  masse  rocciose  raggiungono  il  limite  estremo  della 
loro  flessibilità,  debbono  spezzarsi  con  violenza  formandosi  cosi 
estese  fratture,  e  quindi  causa  precipua  la  gravità,  anche  rigetti. 
Sia  dalle  fratture,  sia  dagli  spostamenti  bruschi  debbono  conse- 
guire scuotimenti,  che  furono  detti  terremoti  tectonici  ». 

Nel  Trattato  di  Geologia  del  prof.  G,  Parone,  pubblicato  nel 
1903,  a  pag.  292,  si  legge:  «  A  Suess  devesi  il  concetto  che  i  ter- 
remoti, i  quali  scuotono  cosi  frequentemente  la  Calabria  o  la  Sicilia 
settentrionale  a  Nord  dell'Etna,  siano  tectonici  e  corrispondano 
ad  una  zona  di  corrugamento  e  di  fratture,  disposta  ad  arco  da 


—  335  — 

Cosenza  a  Palermo  e  ijeriferica  al  bacino  di  sprofondamento  del  Tir- 
reno Meridionale ». 

L'ing.  Cortese  accettò  l'ipotesi  del  prof.  Suess,  e  Mercalli  ri- 
solse la  questione  chiamandoli  terremoti  intervulcanici. 

Il  dottore  Oddone  ^)  ha  scritto  lo  scorso  anno  che  :  «  di  tanto 
in  tanto  per  le  gravimetriche  che  hanno  ragione  della  rigidità, 
la  crosta  si  spezza,  ed  è  cosi  che  si  producono  i  terremoti  tecto- 
nici  ». 

Mi  pare  che  tutti  gli  autori  del  tedonismo  siano  concordi  nel 
definire  il  fenomeno  della,  nuova  scienza;  e  perchè  non  si  metta  in 
dubbio  una  tale  affermazione,  riproduco  quanto  scrisse  uno  dei 
più  autorevoli  tettonisti  che  si  conosca,  nel  1906,  il  Conte  de  Mon- 
tessus  de  Ballore  ^): 

€  Dans  l'espace  de  25  à  30  années  seulement  s'est  crée,  pour 
ainsi  dire  presque  de  toutes  pièces,  une  science  nouvelle  et  au- 
tonome, celle  des  tremblements  de  terre,  en  un  mot  la  sóismologie, 
qui  n'etait  guère  jusqu'à  Mallet,  vers  le  milieu  du  XIX™^  siècle, 
qu'une  collection  confuse  de  «  faits  divers  >,  qu'on  supposait  en 
relation  avec  les  phénomènes  météorologiques  et  cosmiques  les 
plus  disparates  ». 

Continua  l'A.  :  «  Les  théories  passent,  le  observations  restent  ; 
tei  est  le  secret  du  succès  d'une  evolution  qui  a  rapidement  suffi 
a  faire  passer  la  Séismologie  au  rang  des  plus  importantes  bran- 
ches  du  savoir  liumain,  gràce  à  ses  appareils  speciaux  et  à  ses 
observatoires  propres 

Come  risulta  dalle  parole  su  riportate,  v'  ha  chi  segue  scuole 
ed  accoglie  incondizionatamente  i  dettami  della  nuova  scienza, 
o  della  sismologia,  che  pretende  di  spiegare  col  tettonismo  le  fre- 
quenti convulsioni  telluriche,  che  funestano  le  più  belle  contrade 
della  nostra  penisola.  Io  però,  per  parte  mia,  ho  attribuito  ii  fe- 
nomeno in  più  d'uno  dei  miei  lavori  al  vulcanismo,  e  non  recedo 
dalla  mia  opinione,  che  è  frutto  di  ricerche  serie  e  coscienziose. 
Onde  mi  sorprende  non  poco  che  il  prof.  Vincenzo  Gauthier,  nelle 
sue  poche  osservazioni^  lavoro  pubblicato  nel  presente  volume,  mi  ac- 
cusi di  aver  aumentato  la  confusione  che  esiste  ancora  intorno  ai 
terremoti,  dovuti  a  tettonismo  od  a  vulcanismo.  S'egli  avesse  se- 
guito l'evoluzione  del  mio  pensiero  attraverso  i  miei  scritti,  si 
sarebbe   facilmente    avveduto    che    altri   e  non  io  meritava   tale 

')  Boll.  d.  Soc.  Sismologica  Italiana  n.  9-10,  Modena  190!»,  p.  507. 
2)  Gerlauds  Beitrage  zur  Geophysik,  Bd.  Vili,  1907. 


-  336  — 

accusa,  che  cado  por  su  stessa  vinta  v  debellata  dalla  precisionn 
e  dal  ri<^oi'e  delle  mie  affermazioni,  intoso  a  riportare  o^ni  feno- 
meno sismico  alla  causa  del  vulcanismo  (v.  il  mio  lavoro  :  Il  vul- 
vanismo  nel  terremoto  del  28  die.  1908,  pag.  111). 

Nel  corso  di  questa  mia  esposiziono  siili'  invenzione  del  id- 
tonismo  mi  sono  scagionato  dello  diverso  accuso  che  mi  si  sono 
voluto  rivolgere,  e  por  conto  mio  mantengo  formo  (piello  che  ho 
dotto  in  principio,  che  cioè  nell'interesse  della  scienza  e  por  ri- 
guardo a  me  stesso  non  intondo  più  continuare  sul  medesimo  ar- 
gomento. 


Azinne  deiranidpide  itaconica  soppa  i  p-amiiìjdofenoli 

Contrihuto  allo  studio  sulla  Tautomeria 
della    socia    Jone    Foà*) 


(Tornata  del   4   agosto    1910) 

Lo  studio  intorno  all'azione  degli  acidi  bibasici  sulle  ammo- 
niache composte  e  in  particolare  su  ammidi  e  ammidofenoli,  che 
il  Prof.  Piutti  iniziò^)  prendendo  occasione  da  una  controversia 
fra  W.  H.  Pike  ^)  e  M.  Grimaux  ^j,  venne  poi  ripreso  con  buoni 

*)  La  presente  Nota  doveva  essere  pubblicata  da  molto  tempo,  ma  per 
rag-ioni  indipendenti  dalla  mia  volontà  la  pubblicazione  ne  fu  rimandata  fino 
ad  oggi. 

Ora  però,  in  seguito  alla  pubblicazione  fatta  ultimamente  dal  Prof.  Piutti 
nella  Gazzetta  Chimica  Italiana  (anno  1910,  Parte  I,  fase.  V,  pagg.  488-5G3) 
e  negli  Atti  della  E.  Accad.  d.  Se.  Fis.  e  Mat.  di  Napoli,  1910,  dal  titolo 
«  Azione  di  acidi  dicarbonici  non  saturi  sui  p-amminofenoli  »,  in  cui  il  mio 
lavoro  apparisce  confuso  e  direi  quasi  assorbito  dagli  altri  eseguiti  invece  dopo 
del  mio.  nel  quale  richiamavo  l'attenzione  sopra  composti  isomeri  fin  allora  o 
non  trovati  o  trascurati,  credo  bene  di  pubblicare  integralmente  la  Nota,  già 
da  me  completata  fin  dall'Ottobre  1899  e  presentata  allora  come  tesi  di  Laurea. 

Tanto  più  son  costretta  a  ciò,  perché,  sebbene  nella  parte  generale  in  un 
punto  si  accenni  fugacemente  che  lo  studio  sull'azione  dell'anidride  itaconica 
in  tra  i  primi  ad  essere  fatto  e  precisamente  da  me  e  completato  in  seguito 
dal  Dott.  Rossi,  e  in  altro  punto  si  rilevi  che  il  Dott.  Rossi  fece  reagire  le 
sostanze  in  soluzione,  ed  ebbe  rispettivamente  una  3=i  ammide  acida  diffe- 
rente dalle  due  ottenute  da  me  per  fusione,  nella  parte  sperimentale  della 
pubblicazione  sopra  citata  il  mio  lavoro  appare  come  fatto  in  collaborazione 
col  Dott.  Luciano  Rossi,  il  quale  invece  si  occupò  di  questo  tema  diversi  anni 

dopo  di  me. 

1)  Piutti.  —  «  Harnstoff"  u.  ThioharnstoflPderivate  der  Phtalsàure  ».  Ann. 

d.  Ohem.  214,  17. 

2j  Ber.  d.  deutsch.    chem.  Ges.  VI,  1104. 
3)  Bull.  Soc.  Chim.  XXV,  24. 


—  338  — 

risultati  ')  allo  scopo  di  j)r(!pai'are  sostanze  antipiretiche.  Conti- 
nuando il  Pro!'.  Piutti  in  tale  indirizzo,  ini  incaricò  di  studiare 
l'azione  tlell'aiiidride  itaconica  su  p-animidofenolo  ed  eteri  cor- 
rispondenti. Questa  ricerca,  la  <|uaìe  si  riattacca  all'altra  già  da  me 
istituita  intorno  all'azione  della  stessa  anidride  sull'ammoniaca  2), 
viene  a  mostrare  che  le  anidridi  degli  acidi  bibasici  non  saturi 
reagiscono  sui  p-ammidofonoli  analogamente  a  quelle  degli  acidi 
bibasici  saturi. 

Di  più,  nell'andamento  del  lavoro  ho  ottenuto  sostanze  che 
sembrano  avere  un  interesse  per  la  Chimica  teoretica,  in  quanto 
si  coordinano  con  la  teoria  della  tautomeria  nei  composti  dal  Car- 
bonio. I  risultati  avuti  e  le  deduzioni  che  ho  creduto  di  poterne 
trarre  formano  oggetto  della  presente  relazione. 

Facendo  reagire  volta  a  volta  p  -  ammidofenolo,  p  -  anisidina 
(p- ammidofenmetolo)  e  p-fenetidina  (p-ammidofenetolo)  con  ani- 
dride itaconica  in  quantità  equimolecolari,  riscaldando  a  tompe- 

^)  Piutti.  —  «  Azione  di  anidridi  ed  acidi  bibasici  sopra  p-ammidotenol 
ed  eteri  corrispondenti  ».  Rendi(!.  della  E..  Accad.  d.  Scienze  fis.  e  matem.  di 
Napoli,  voi.  32,  pag.  89  (1893). 

»  «  Azione  dell'acido  succinico  sopra   il    p-ammidoteuolo    ed    i 

suoi  eteri  ».  Gazz.  Chim.  It.  XXV,  li,  509. 
Castellankta.  —  «  Azione  degli  acidi  ossalico  e  malonico  sopra  il  p-am- 
midofenolo  ed  i  suoi  eteri  ».  Gazz.  chim.  It.  XXV,  II,  527. 

»  «  Azione  dell'  anidride  ftalica   sopra  il  p-ammidofenolo 

ed  eteri  corrispondenti  ».  Or  osi,  agosto  1893. 
PiDTTi  e  Piccoli.  —  Intorno  all'azione  dell'etere  ossalico  sui  p-ammidofe- 
noli  ».  Rend.  d.  11.  Accad.  d.  Scienze  fis.  e  mat.  in  Napoli  »  37,  25  (1898). 
Vedi,  inoltre,  su  tale  argomento: 

Piutti.  —  «  Sull'aciido  ftalamidobenzoico  »  Gazz.  Chim.  It.  XIII,  329. 
»  «  Derivati    succinici  della    dit'enilammina  ».  Gazz.    Chim.    Ital. 

XIV,  467. 
»  «  Sull'acido  ftalilaspartico  »  Gazz.  Chim.  It.  XVI,  200. 

>  «  Azione  dell'anidride  ftalicn  sulle  ammine  secondarie  ».  Gazz. 

Chim.  It.  Xm,  542. 
»  «  Ricerche  sull'acido  ftalilaspartico».  Gazz.  Chim.  It.  XVI,    1. 

»  «  Fumaridi  e   succinidi   di    alcune    monoammiiie    secondarie  ». 

Gazz.  Chim.  It.  XVI,  153. 
»  «  Azione  dell'anidride  ftalica  sopra  amidi  e  amidofenoli  ».  (Tazz. 

Chim.  It.  XVI,  251. 
PeUìLIZZaei.  —  «  Derivati  ammidobenzoici  dell'acido  succinico  etc.  ».  Gazz. 
Chim.  It.  XIV.  478. 
»  «  Fenilidrazina  e  composti    amidati  ».    Gazz     Chim.    lial. 

XVI,  200. 
2)  FoÀ  J.  —  «  Azione  dell'ammoniaca  sull'anidride  itaconica  ».  Rendic.  R. 
Accad.  Se.  Fis.  e  Matem.  di  Napoli,  Aprile  1903. 


—  339  — 

rature  convenienti,  superiori  in  ogni  caso  ai  100°,  ottenni  insieme 
o-li  acidi  itaconammici,  le  diammidi  {itaconidi)  e  le  immidi  corri- 
spondenti. 

Dall'esame  dei  prodotti  della  reazione  a  diverse  temperature 
risulta  che  il  primo  a  formarsi  è  l'acido,  o  per  dir  meglio  l'am- 
mide  acida  sostituita,  per  addizione  di  una  molecola  di  anidride 
con  una  molecola  di  ammidofenolo  : 

CHa=C.CO  NH2        CH2  =  a  CONHC6H4OR 

1  >0+C6H4/  =  1 

CH2-C0^  OR  CH2.  COOH 

Da  questo  primo  prodotto  si  forma  da  una  parte,  per  eli- 
minazione di  acqua,  V  immide  sostituita  : 

CH2=:C.  CO  . 

I  )N.C6H4.  OR 

CH2  -  C-CO.NH.CeHé  OR  CH2-CO  "^ 

CH2.  COOH      =  /  ovvero  -f  H2O  i), 

\        CH2-=C  —  C  =  N.  C6H4  OR 

I  ^0 

CHa-CO/^ 


dall'altra,  per  addizione  di  una  seconda  molecola  di  ammidofe- 
nolo e  successiva  eliminazione  di  acqua,  una  diammide  sostituita. 
Le  diammidi  che  si  ottengono  in  questa  reazione  mostrano  verso 
l'idrato  potassico  un  comportamento  analogo  a  quei  derivati  cui 
il  prof.  Piutti  dava  prima  il  nome  di  azoftaleine  ^)  poi  quello  di 
fialidi  ^)\  e  cioè  resistono  all'azione  della  soluzione  di  KOH  con- 
centratissima e  calda,  mentre  le  diammidi  normali  si  decompon- 
gono anche  con  potassa  diluita.  Questo  comportamento  caratteri- 
stico indica  che  ci  troviamo  in  presenza  di  composti  asimmetrici, 
analogamente  a  quanto  dimostrava  il  prof.  Piutti  in  altre  occa- 
sioni ■*).  La  reazione  segue  in  questo  modo  :  da  prima  si  forma 
un  sale 

*)  V.  in  seguito    fpag.   349)  la  discussione,  quale  di  queste  due  possibili 
strutture  dell'immide  si  debba  ritenere  più  probabile. 

2)  Sull'acido  ftalamidobenzoico  etc.  Gazz.  Chim.  It.  XIII,  348. 
»)  Gazz.  Cbim.  it.  XVI,  9. 
4)  »  XIII,  561. 


—  340  — 

CH2=-0-CONH.C«H4.C)R  /NH-,   CH,:C-CO  NH.C„H40H 

(JII2  COUii  "    '   ^Oli  CH2-COOIl.NH2.C,ill4.0U 

(l;i  mi  si  ('liiniii;i  una  UK.lcfola  di  ac(iua  fra  ridroi^i'uo  tipico  del- 
rammidofenolii,  l'id !■()<;•«' ik»  (IflTarido  »*  r()ssiu;('ii()  d(d  carijonil*^  clu; 
i)orta  il  resto  ammidico: 

NH.C6H4OR 

CH2=C-C    0       NII.O4H4OR      CH2=C.  C     (^  .^HaO 

,,     „=  NH.CGH4OH 

CH.-COOII.HNH.C0H4OR         / 

CHo-CO  — 0 

Questi  derivati  potrebbero  dunque  chiamarsi,  per  analogia, 
«  tli-p-aramidofenolitacoiiidi  ^  considerandoli  come  derivanti  da 
una  ipotetica  itaconide 

CH2=C-CH, 

I  /O 

CH2— 00*^ 

analoga  alla  furaaride.  alla  succinide,  all'aspartide. 

Le  immidi  sostituite  dell'acido  itaconico,  come  già  si  era  os- 
servato per  altre  immidi  i),  riscaldate  con  soluzione  di  KOH  o  di 
NaOH,  si  sciolgono,  dando  una  magnifica  colorazione  rosso-vio- 
letta, che  scompare  in  eccesso  di  alcali''^);  la  soluzione  limpida 
alcalina,  saturata  con  acido  cloridrico  concentrato,  dà  luogo  a  un 
precipitato  fioccoso  giallo  di  acido  itaconammico  sostituito  (acido 
p-ossi,  p-raetossi,  p-etossifenilitaconammico). 

A  proposito  di  questi  acidi  debbo  notare  il  seguente   fatto. 

Poiché  nel  corso  del  lavoro  sceglievo,  per  la  saponificazione 
con  potassa,  le  porzioni  di  inimidi  meno  pure,  mi  accadeva  ta- 
lora di  osservare  che,  neutralizzando  con  HCl  la  soluzione  del 
sale  alcalino,  formatosi  secondo  l'equazione: 

1)  PiUTTi.    -  «  Sopra  retilfumarimmide  ».  Gaxz.  Cliim.  It.  XVIII,    tHS. 
Giustiniani.  -  «  Azione  tiel  (•al..te  sui  malati  acidi  di  metilammina  e  ben- 

zilaramina  ».  Gazz.  Cium.  It.  XXII,  171   e  172. 

2)  Ritornerò  in  seguito  (v.  p.  MS)  sulla  interpretazione  di  questo  feno- 
meno. 


-  341  —  /:>'    '^'  ^^i:< 


% 


CiiHsOaNR+KOH^CioHoO-iNR.  COOK, 

\>' 
si  precipitavano  due  sostanze,  Tuna  gialla  e  l'altra  bianca,-'/,.   -*-' 

E  poiché  la  separazione  non  era  simultanea,  operando  "Ì3« 
una  certa  cautela  riuscii  a  precipitarle  e  raccoglierle  separatamente, 
cosi  da  poterle  entrambe  caratterizzare.  Le  due  sostarne  fondevano 
a  differenti  temperature. 

Ricristallizzai  dall'acqua  bollente  la  sostanza  bianca,  ottenen- 
dola in  tal  modo  cristallina,  di  bell'aspetto.  E  poiché  la  gialla  era 
amorfa,  la  feci  bollire  con  acqua  come  avevo  fatto  dell'altra,  per 
averla  pure  cristallizzata  ;  ma  con  sorpresa  vidi  chela  soluzione, 
raffreddandosi,  lasciava  depositare  una  sostanza  bianca,  identica 
alla  prima. 

Non  era  possibile  di  certo  che  la  colorazione  gialla  precedente 
fosse  impartita  alla  sostanza  da  materie  inquinanti,  le  quali  rima- 
nessero in  soluzione  durante  la  purificazione  dall'  acqua,  perché 
la  soluzione  acquosa  era  limpida  e  incolore;  cosicché  supposi  da 
prima  che  la  sostanza  gialla  amorfa  assumesse  acqua  di  cristal- 
lizzazione, divenendo  bianca.  Ma  dovetti  escludere  anche  questa 
ipotesi,  dopo  che  mi  fui  assicurata  che  né  l'una  né  l'alLra  sostanza 
conteneva  acqua.  Inoltre,  la  sostanza  gialla,  per  l'azione  prolun- 
gata della  luce  solare  diffusa  e  per  riposo  in  seno  alle  acque  madri, 
si  trasformava  nella  bianca. 

Bisognava  dunque  pensare  che  si  trattasse  di  modificazioni 
isomere.  E  le  analisi  confermarono  tale  mia  ipotesi,  mostrando  che 
mi  trovavo  in  presenza  di  sostanze  di  uguale  composizione  cen- 
tesimale, le  quali  per  di  più.  presentano  entrambe  funzione  acida, 
poiché  entrambe  si  sciolgono  in  soluzione  di  carbonato  sodico. 

Ora,  di  quale  specie  di  isomeria  si  tratta  ? 

Considerando  la  formula  spaziale  dell'acido  itaconico,  si  ca- 
pisce che  né  in  esso  né  nei  suoi  derivati  può  esistere  isomeria 
geometrica  (stereoisomeria). 

E  nemmeno  può  credersi  che  nella  ebollizione  con  acqua  il 
nucleo  itaconico  si  sia  potuto  trasformare  nel  nucleo  isomerico 
citraconico,  perché,  oltre  che  non  si  è  mai  osservata  la  possibi- 
lità di  tali  trasformazioni  per  mezzo  di  solventi  neutri  ^),  vi  è  il 
fatto  che  i  derivati  di  quest'ultimo  acido,  studiati  da  altri  in  que- 
sto Laboratorio,  sono  completamente  diversi. 

1)  Cfr.  Fittig ,  Ber.  d.  deutsch.  chem.    Ges.  26,  43  e  2082  ;  27,  2680  ;  29, 
1842;  Ann.  d.  (^hem.  304,  117;    305,  1. 

23 


—  342  — 

Invece,  era  bene  aumiissibilu  l'ipotesi  di  isomeria  di  struttu- 
ra. E  io  credo  di  poter  pensare  con  ogni  probabilità  a  un  caso 
di  desmotropia  ^),  potendosi  a  ciascun  paio  di  acidi  attribuire  le 
due  formolo  : 


*)  Le  espressioni  «  tautomeria  »  (Laar,  Ber.  d.  deutsch.  chem.  Grs.  18,648; 
19,730)  e  «  desmotropia  »  (Jacobson,  Ber.  d.  deutsch.  chem.  Ges.  '20.1732)  che 
Hautzsch  e  Hermann)  Ber.  d.  deut.  chem.  Ges.  20,2801)  propongono  di  ri.ser- 
vare  per  quei  casi  speciali  di  sostanze  che  talora  mostrano  di  avere  una  co- 
stituzione e  talora  sembrano  averne  un'altra,  come  pure  quella  di  «  merotropia  » 
(Michael ,  Journ.  f.  prakt.  Chem.  46.208),  che  in  realtà  differisce  ben  poco 
d.ille  precedenti,  non  sono  invero  le  più  adatte  per  indicare  l'isomeria  di  <'ui 
si  tratta  orn,  perchè  con  loro  va  unita  l'idea  che  in  eguali  condizioni  possa 
esistei-e  solo  una  forma.  Anche  il  nome  «  pseudomoria  »  che  Laar  (loc.  cit,) 
forma  dalla  parola  «  pseudoforma  »  introdotta  da.  v.  Baeyer  (Ber.  d.  deutsch. 
chem.  Ges.  17,2189)  presenta  certe  difficoltà,  che  il  Claisen  (Ann.  d.  Chem. 
291,46)  vorrebbe  evitare  aggiung-Milo,  per  dilferenziai-e  i  casi,  gli  aggettivi  di 
«assoluta  »  e  «  relativa  ».  Ciò  si  comprenderà  meglio  con  un  esempio.  Si  ab- 
biano due  Isomeri,  D  e  D',  di  cui  D  fonde  a  90°,  D'  a  HO».  Allora,  nell'inter- 
vallo  tra  90"  e  llOo,  D  è  labile,  D'  è  stabile  (  pseudomeria  assoluta)-,  sotto  i 
90"  i  due  isomeri^  possono  esistere  entrambi  {pseudomeria  relativa).  Sopra  i 
110"  poi  né  l'una  né  l'altra  forma  é  stabile,  ma  il  loro  insieme  costituisce 
una  mescolanza  in  equilibrio  chimico;  in  questo  punto  ha  effetto  la  «  tauto- 
meria »  (o  «  allelotropia  »). 

W.  Wisliceuus  crede  che  sarebbe  preferibile  non  introdurre  alcuna  nuova 
nomenclatura  per  casi  analoghi  al  presente  ,  giacché,  dice,  si  tratta  sempli- 
cemente di  isomeria  di  struttura,  lo  mi  permetto  di  osservare  per  altro  che 
questa  forma  di  isomeria  presenta  modalità,  che  la  differenziano  sensibilmente 
dalla  i.someria  comune.  Infatti,  mentre  fra  i  comuni  isomeri  può  non  esservi 
alcuna  relazione,  qui  vi  ha  un  rapporto  strettissimo,  quale  è  quello  della  pos- 
sibile trasformazione  reciproca. 

Frattanto,  io  mi  atterrò  alla  nomenclatura  nettamente  designata  dal  Knorr 
(Ann.  d.  Chem.  303,133  nota) ,  cioè  per  «  Desmotropia  »  intenderò  quei  casi 
di  isomeria  di  struttura  in  cui,  come  nel  pre.sente,  per  la  mobilità  di  un  atomo 
di  idrogeno  e  contemporanea  oscillazione  di  un  doppio  legame  ,  possono  gli 
isomeri  facilmente  trasformarsi  a  vicenda  l'uno  nell'  altro.  La  parola  «  Tau- 
tomeria »  riserverò  per  i  casi  in  cui  la  desmotropia  è  possibile  teoricamente 
(etere  acetacetico;  vedi  in  seguito  pag.  348),  ma  non  é  stata  ancora  realizzata. 
Nei  casi  in  cui  esistono  di  fatto  la  desmotropia  e  la  tautomeria,  questa  pren- 
derà il  nome  di   «  Allelotro])ia  ». 


—  343  — 

I  li 

OH.,=C-COOH  CHo^C.  COOH 

CH2-CO.NH.C6H4OR  CH2-C  (0H)==N.C«H40K 

aldoforma  M  •  forma  enolica  ^') 

Rappresentando  queste  due  possibili  strutture  in  altro  modo, 
mettendo  in  evidenza  l'azoto, 

I  n 

NH  .  ,    .  N 

/^'■^\  1^     V     II 

j^q'1,   J        C0-CH2.C=CH2    ;     ^q/1       '      C(OH).CH2.C=CH2 

COOH  COOH 

appare  una   certa   analogia   con    le    note  forme  tautomere  isati- 
niche 

I  n 


/NH  /-,  /N 

C  (OH) 


CO 


co 


1)  Preferisco  tale  espressione  adottata  da  W.  Wislicenus  ,  la  quale  è  di 
certo  più  propria  che  non  quella  di  «  chetoforma  »  prima  usata  Per  brevità, 
nel  corso  del  presente  lavoro,  indicherò  con  «  a  »  la  torma  enolica,  con  «  ^  » 
l'aldotbrma,  seguendo  la  nomenclatura  del  Beilstein  (Handbuch  d.  org.  Chem. 
3. a  ed.  II  voi.  pag.  16-iO). 

2)  Anche,  in  questi  acidi,  resta  insoluta  la  questione,  quale  dei  due  car- 
bossili rimanga  inalterato,  potendosi  dare  i  due  casi: 

I  II 

CH,  ^  C  -  COOH  CHo  =  C  -  CO.  NH.  C«  H^.  OE. 

I  I 

CH,  -  CO.  NH.  C«  H,  OR  CH.,  -  COOH 


—  344  - 

percli»^  in  entrambi   i  casi  si   tiovano  i   irruppi 

—  NK  -  N 

I  II 

C=0  C— OH 

I  I 

uniti  al  nucleo  benzolico  per  la  valenza  libera  dell"  azoto.  Ma 
l'analogia  è  più  apparente  che  reale,  giacché  in  questo  caso  non 
si  può  parlare  di  forme  lattimiche  e  lattamiche,  dove  non  ci  si  può 
riferire  a  forme  primitive  di  acidi  benzolici  o-aramidosostituiti: 
infatti,  se  negli  acidi  itaconammici  cerchiamo  di  introdurre  una 
molecola  di  acqua,  la  catena  laterale  si  stacca  dal  nucleo  aro- 
matico azotato.  È  ben  vero  per  altro  che  in  entrambi  i  casi  nelle 
forme  II  si  trova  comune  un  gruppo  cromoforo  >C=r:N — ,  co- 
sicché a  priori  si  potrol^be  dire  che  alla  sostanza  colorata  in  giallo 
appartenga  la  forma  II. 

Nel  presente  caso  si  può  parlare  ragionevolmente  di  forma 
chetonica  (aldoforma),  e  di  forma  enolica  ,  giacché  nell'  una  si 
può  riscontrare  il  gruppo  >C=^0,  nell'altra  il  gruppo  ==:C  -OH. 

E  invero,  della  presenza  di  questi  gruppi  mi  sono  assicurata 
mediante  la  reazione  ,  sicura  in  questi  casi,  del  cloruro  ferrico. 
Si  sa  che,  trattandosi  di  forme  desmotrope,  dalla  forma  ossidrilata 
si  ottiene  con  cloruro  ferrico  una  bella  colorazione  rossa,  che  non 
si  verifica  con  la  forma  aldolica.  Con  questo  mezzo  poterono  ca- 
ratterizzare W.  Wislicenus  i  suoi  eteri  formilfenilacetici  ^),  Clai- 
sen  i  p-trichetoni  e  l'etere  mesitilossidossalico  ^),  Guthzeit  l'etere 
diossipiridindicarbonico  ^).  Cosi,  il  tribenzoilmetano  descritto  da 
Baeyer  '^)  e  da  Perkin  ^)  non  dà  colorazione  col  cloruro  ferrico, 
e  questa  proprietà,  con  altre,  denota  la  modificazione  ^  (neutra), 
mentre  1'  isomero  ottenuto  da  Claisen  dà  la  reazione  colorata, 
indicando  una  costituzione  a,  confermata  da  ulteriori  osserva- 
zioni. Dei  due  acetildibenzoilmetani,  trovati  il  primo  da  G.  Fi- 
scher e  Bulow  ^)  e  il  secondo  —  isomero  desmotropico  —  da  Clai- 
sen^), quello  acido  dà  la  reazione  rossa,  che  manca  con  quello 
neutro. 

1)  Ann.  d.  Chem.  291,147;  Ber.  d.  deutscli.  chem.  Ges.  20,2933:  28,7G7. 

2)  Ann.  d.  Chem.  277,184;  291,25. 

3)  Ber.  d.  deutsch.  Chem.  Ges.  26,2795;  Ann.  d.  Chem.  285,35. 

4)  Ber.  d.  deutsch.  Chem.  Ges.  16,2135. 
^)  Jouru.  Chem.  .Soc.  47,253. 

6)  Ber.  d.  deutsch.  Chem.  Ges.  19,2133. 

7)  Ann.  d.  Chem.  277,64. 


—  346  — 

Tale  colorazioue  è  dovuta  alla  formazione  di  composti  fer- 
rici, che  in  certi  casi  si  son  potuti  anche  isolare  ^).  E  dalla  teo- 
ria come  dall'  esperienza  si  desume,  che  il  sale  colorato  debba 
esser  dovuto  alla  forma  enolica  -),  dal  quale  fatto,  notevolissimo, 
insieme  con  altri,  si  è  portati  a  supporre  con  tutta  probabilità 
l'esistenza  di  un  gruppo  cromoforo  — 0— Fe<  ^). 

Nel  caso    degli  acidi  itaconammici    la    reazione    col  cloruro 
ferrico  è  venuta  a  confermare  l'ipotesi  ch'io  derivavo  dalla  pre- 
senza di  un  gruppo  cromoforo  azotato  (vedi  pag.   343)  :  intatti, 
sciolti    in  alcool  due   saggi  delle   due  modificazioni    e    aggiunta 
a  ciascuno   una  goccia  di  soluzione  di  cloruro  ferrico,  ebbi  con 
la    forma   gialla    un   liquido,    che    andava   tosto  assumendo   una 
bella  intensa  colorazione  rosso  sangue,  mentre  con  la  forma  bianca 
il  liquido  prese  la  tinta  giallo-chiara    del  cloruro  ferrico,  e  solo 
dopo  8-10  giorni  cominciò    a  colorarsi  in  rosso,  per  la  trasposi- 
zione molecolare,  che  nella  soluzione  alcoolica  doveva  di  necessità 
avvenire.    11  liquido    rosso    precipitava    per  aggiunta   di  acetato 
sodico.  Per  aggiunta  di  acqua  la  sostanza  rossa  si  attaccava  alle 
pareti  del  tubo  da  saggio  sotto  forma  di  piccole  croste  simili  a 
quelle  notate  da  W.  Wislicenus  *). 

Oltre  a  questa  reazione,  noi  dobbiamo  tentarne  altre  in  cui 
si  abbiano  prodotti  analizzabili  e  definibili  sicuramente.  Tale  è 
la  reazione  col  carbanile  o  isocianato  di  fenile  CeHs — N=CO, 
che,  come  trovò  il  Goldschmidt  ^^),  è  un  reagente  sicuro,  perché, 
a  differenza  della  idrossilammina  e  della  fenilidrazina  ,  si  com- 
bina solo  con  le  forme  ossidrilate  secondo  la  espressione  : 

Xa  =  C  —  0  —  H 

CO=N— CeHs 


1)  Per  es.  Claisen  (Ann.  d.  Chem.  291,128)  potè  isolare  e  analizzare  il 
sale  ferrico  dell'etere  a-mesitilossidossalico. 

2)  La  reazione  violetta  tenolica  sembra  dovuta  al  tatto  che  vicino  ai  sali 
rossi,  neutri,  altri  se  ne  formino,  acidi,  con  intensa  colorazione  turchina. 

3)  Un  fenomeno  sintomatico  si  verifica  nei  sali  ordinari  ferrici,  giacche 
le  loro  soluzioni  son  colorate  in  giallo  fiao  al  bruno  se  l'acido  è  forte,  se  è 
forte  cioè  la  dissociazione  elettrolitica;  mentre  se  l'acido  è  debole  (per  es.  nel- 
l'acetato ferrico)— se  cioè  la  dissociazione  è  debole  e  quindi  il  Ferro  è  in  gran 
parte  unito  all'ossigeno  —  le  soluzioni  sono  colorate  in  rosso  sangue. 

4)  Ann.  d.  Chem.  291. 

5)  Ber.  d.  deutsch.  chem.  Ges,  23.357. 


—  346  — 

Nel   caso  presenUt  la  reazione  dovrà  avvenire    nel   senso    e- 
spresso  dalla  stigiiontu  equazione  : 

N.  CflH4.  OR 

II 
CeHo.  N-^CO+H.OC 

CH2 

CH2=C— COOH 

C6H5.NH.  CO.  C=N-C6H40R 

Il  I 

=  0  CH2 

CHa^C— COOH 

acido  carbanilido-p-R-ossifenilitaconammico. 

Oltreché  a  questi  mezzi  chimici,  possiamo  anche  ricorrere 
a  mezzi  fisici,  tanto  più  sicuri  ed  efficaci  in  quanto  che  con  essi 
non  si  debbono  alterare  le  proprietà  dei  corpi  da  studiare  e  si 
allontana  quindi  il  pericolo  —  sempre  possibile  nelle  reazioni  chi- 
miche —  di  trasposizioni  difficilmente  controllabili.  Voglio  parlare 
della  determinazione  della  refrazione  molecolare  ^)  e  della  rota- 
zione magnetica  ^),  dei  cui  valori  i  più  bassi  indicano  le  aldoforme, 
i  più  alti  le  enolforine. 

Nel  tentare  la  cristallizzazione  dei  miei  a-acidi,  osservai  che 
con  l'alcool  a  90°  caldo  si  ottiene,  dopo  raffreddamento,  una  mesco- 
lanza in  parti  uguali  (almeno  apparentemente)  di  a-  e  di  ^-forma. 
Ciò  si  accorda  con  le  osservazioni  fatte  dal  AVislicenus  per  i 
suoi  eteri  formilfenilacetici.  Ed  è  anche  regolare,  perché,  come  è 
noto,  l'alcool  è  tra  i  solventi  uno  di  quelli  forniti  in  maggior 
grado  di  «  potere  dissodante  »  e  la  dissociazione  elettrolitica  ha 
un'azione  importantissima  per  la  chetizzazione  (aldolizzazione) 
delle  enolforme  ^). 

In  ogni  modo,  è  mio  desiderio  di  istituire  ricerche  sistema- 
tiche intorno  al  comportamento  di  questi  acidi  itaconammici 
verso  i  diversi  solventi  e  verso  le  diverse  temperatui-e ,  poiché 
si  è  constatato  che  dalla  temperatura  e  dalla  natura  dei  solventi 
dipende  la  stabilità  dell'una  o  dell'altra  forma. 

1)  Vedi  Bnihl,  «  Studien  iiber  Tautomerie  »  Jourii.  f.  prakt.  Chem.  50,11!». 

2)  V.  Perkin,  Journ.  of.  the  chem.  Soc.  61,800. 

3)  Cfr.  Knorr.  Ann.  d.  Chem.    306,342. 


-   347  — 

Fin  d'ora,  del  resto,  credo  si  possa  ritenere  eh-,  dei  due  a- 
e  §-acido,  quello  a  è  stabile  a  più  basso  temperature,  il  [5  si  forma 
a  temperature  più  elevate. 

Ciò  si  desume  dal  modo  con  cui  si  sono  ottenuti  l'uno  e 
l'altro:  l'a-acido  infatti  si  forma  saponifi<;ando  la  immide  mediante 
un  leggiero  riscaldamento  con  KOH,  il  p-acido  invece  è  quello 
die  sf  trova  preformato  tra  i  prodotti  della  reazione,  compiutasi 
a  temperature  relativamente  elevate. 

E  lo  conferma  il  fatto  su  notato  (v.  pag.  341)  della  trasfor- 
mazione a — >P  durante  l'ebollizione  in   acqua. 

A  queste  come  ad  altre  ricerche  tuttavia  ho  dovuto  disgra- 
ziatamente rinunciare  per  ora,  per  difetto  di  materiale,  cagionato 
dalla   difacoltà  che   presenta    l'isolamento    delle   sostanze   sopra 
descritte   e  anche   dal   meschino    rendimento   che  si    ottiene    da 
prodotti   di  costo   assai  elevato    e    di   faticosa    preparazione.   Mi 
riprometto  di  continuare  in  seguito  tale  studio,  che  formerà  og- 
getto di  un  ulteriore  lavoro,  perché   mi  sembra  che   la   isomeria 
di    struttura   riscontrata  in   questi    acidi   itaoonammici,    non    sia 
priva  di  importanza,  specie  nel  momento  attuale,  in  cui  fervono 
le  discussioni  sulla  interpretazione  del  fenomeno  della  tautomeria. 
Sostanze  che  presentino  le  stesse  differenze  sono  state  stu- 
diate finora  da  Claisen,   da    W.  Wislicenus ,   da   Guthzeit  i),    da 
Knorr  2),  da  R.  Schiff;  e  con  queste,  gli  isomeri  trovati    da   me 
verrebbero  a  mostrare  la  poca  verisimiglianza  della  teoria  di  Laar 
sul  fenomeno  della  tautomeria.  È  noto  che  Laar  spiega  la  tau- 
tomeria ammettendo  la  labilità  di  un  atomo  di  idrogeno  secondo 
lo  schema,  ad  es.  per  l'etere  acetacetico,  che  si  può  considerare 
come  il  prototipo  delle  sostanze  tautomere 

HsC  C  CH     CO2C2H5 
Ò         A 

cosicché  ora  la  sostanza  dovrebbe  comportarsi  secondo  la  strut- 
tura 

H3C.CO.  CH2COOC2H5 

1)  V.  i  lavori  di  questi  autori  citati  sopra.  I  quali  hanno  avuto  una  conferma 
dalla  grande  autorità  di  Johannes  Wislicenus  (Ann.  d.  Chem.  308,219 -Set- 

embre  1899).  onoia^ 

2j  Di   Knorr   v.  i  magistrali    lavori    in   Ann.  d.  Chem.    293,70  ;    303,134; 

306,333;  Ber.  d.  deutsch.  chem.  Ges    30,2387,  etc. 


—  348  — 

ed  ora  secondo  l'altra 

H3C.  C(OH)-=CH.  COOC2H5 

Secondo  un'altra  teoria  più  recente  ^),  le  sostanze  che  pre- 
sentano il  fonomeno  della  tautomoria,  nel  senso  speciale  ricordato 
più  so})ra,  non  sarebbero  che  mescolanze  di  due  corpi  isomeri,  i 
quali  abbiano  la  pos.sibibtà  di  trasformarsi  l'uno  nell'altro  (come 
sarebbero  gli  eteri  formilfenilacetici  di  Wislicenus  e  i  miei  acidi 
itaconammici)  e  che  si  trovino  in  equilibrio  chimico.  Tali  miscele 
Ludwig  Knorr  chiama  allelotrope  dalle  radici  di  àXXi^^Xwv  e  di 
xpeTCd)  -). 

Parlando  intorno  a  queste  teorie,  il  van 't  Hoif  ■^)  con  l'abi- 
tuale sua  acutezza  osserva  che  esse  non  sono  poi  in  opposizione 
fra  loro,  perchè  si  può  considerare  la  prima  come  la  teoria  mec- 
canica molecolare  del  fatto  osservato  e  formulato  nella  seconda. 

La  quale  ultima,  oltre  che  dai  lavori  su  citati,  e  da  un  cu- 
rioso studio  di  Ktister  %  viene  pure  ad  esser  confermata  da  un 
recente  studio  di  R.  Sc;hiff  •^).  Facendo  reagire  benzilaniliua  su 
etere  acetacetico,  questi  ottenne  due  corpi 

H3C.  CO.  (  H.  COOC2H5  H3C.  COH  :  C.  COOC2H5 

C6H5.  OH.  NHC0H5  ^  CeH5.  CH.  NHC^Hs 

P-  di  f.  78«  p.  di  f.  103° 

dalla  costituzione  dei  quali  bisogna  dedurre  che  l'etere  acetacetico 
sia  davvero  una  miscela  di  due  isomeri  ^). 

>)  F.  Traube,  Ber.  d.  deutsch.  Chem.  Ges    29,1715. 

2)  Ann.  d.  Chem.  306, 1336. 

■5)  «  Die  Chemische  Statik  »  pag.  119. 

-*)  Zeitschr.  f.  ijhysik.  Chem.  18,161. 

5)  Ber.  d.  deutsch.  CJiem.  Ges.  31,603. 

")  Tale  importantissima  scoperta  viene  pure,  secondo  me,  a  confermare 
indirettamente  la  sicurezza  della  reazione  su  descritta  del  cloruro  ferrico.  In- 
fatti l'etere  acetacetico  dà  la  reazione  rossa  con  cloruro  ferrico,  e  questo  tatto 
aveva  provocato  discussioni  ed  ipotesi.  Ma  la  cosa  si  spiega  con  tutta  facilità 
quando  si  consideri  l'etere  acetacetico  come  una  miscela  allelotropa.  E  ana- 
loga riflessione  si  può  fare,  secondo  me,  per  l'etere  succinilsuccinico.  Questa 
sostanza  dà  col  cloruro  ferrico  una  colorazione  rossa,  che  scompare  quando  si 
riscaldi  per  1-2  ore  a  b.  m.:  per  altro  col  raffreddamento  esso  torna  a  ricom- 
parire. Ciò  si  spiega  pensando  alla  esistenza,  anche  per  l'etere  succinilsucci- 
nico,  di  una  miscela  allelotropa  in  cui  l'a-etere  sia  stabile  solo  a  temp.  ordi- 
naria; e  il  solo  P-etere  persista  nel  riscaldamento  a  100°. 


—  349  — 

Nello  studio  di  confronto  fra  i  prodotti  che  si  ottengono  fa- 
cendo reagire  i  p-ammidofenoli  sopra  lo  anidridi  degli  acidi  citra- 
conico  e  itaconico,  un  altro  fenomeno  attirò  la  mia  attenzione:  e 
cioè  la  colorazione  giallo-canario  più  o  meno  vivace  presentata  da 
tutte  le  imraidi  ^).  Tale  colorazione  mi  fa  supporre  che  anche  in 
esse,  come  negli  a- acidi  itaconammici,  debba  esistere  un  gruppo 
cromoforo  >C  =  N — ,  possibile  infatti  quando  a  tali  immidi,  invece 
della  formola  simmetrica 

.CO 

R<         )N  — R' 

si  voglia  assegnare  la  formola  asimmetrica 

C  -=N— R 
R  ^0 

E  tale  struttura  si  accorderebbe  perfettamente  con  quella 
sopra  dimostrata  delle  itaconidi  e  degli  a-acidi.  Anzi,  con  questo 
mezzo  si  spiega  benissimo  come,  per  introduzione  di  una  mole- 
cola d'acqua,  l'acido  che  si  forma  assuma  tosto  la  struttura  eno- 
lica,  che  poi,  per  l'azione  del  calore,  può  trasformarsi  nella  al- 
dolica  : 

0  =N— R'  C  =N— R' 

R(        >0<-4H  ^n(    '^OH  ^R/^^™^' 

^^  I  COOH  ^COOH 

•<■ UJl 

Una  reazione  caratteristica,  che  costituiva  per  me  l'  indice 
della  purezza  dei  ^- acidi  è  la  seguente:  con  soluzione  di  Na  OH 
(non  di  Na^COg)  o  di  KOH  gli  a-acidi  si  scioglievano  con  la  vi- 
vace colora/ione  rosso-violetta  accennata  più  sopra  (v.  pag.  340); 
i  P  -  acidi  invece,  quando  erano  perfettamente  puri  —  in  generale 
bastava  a  purificarli  un  paio  di  cristallizzazioni  dall'acqua  bol- 
lente —  non  si  coloravano  punto.  Le  soluzioni  limpide  per  altro 
erano  in  tutti  i  casi   incolore.  Ciò  mi  permette  di  stabilire  che, 

ij  Dall'acido  mesaconico  si  ottiene,  come  era  ovvio  pensare,  la  stessa  im- 
inide  che  dal  citraconieo.  E  mediaute  il  riscaldamento  con  cai'bone  animale, 
io  ho  potuto  trasformare  l'immide  p-etossit'enilitaconica  (f.  9'J<'-ltX)°)  nella  cor- 
rispondente citraconica  (f.   107-108°),  che  presenta  caratteri  chimici  diifereuti. 


—  350  - 

contrariamente  a  quanto  credevasi  finora,  non  alle  immidi  di  per 
sé  e  come  tali  è  dovuta  la  colorazione  violetta  osservata  nella 
saponificazione,  bensì  all'a -acido  nel  momento  in  cui  si  forma. 
Sulla  natura  intima  di  questa  colorazione,  così  netta  od  evidente, 
non  posso  ancora  formulare  alcuna  ipotesi:  f|ualuiique  idea  si  espo- 
nesse in  proposito  sarebbe  per  ora,  mi  sumbra,  azzardata  e  pre- 
matura. Spero  di  poterlo  fare  in  seguito,  di  proposito,  fondandomi 
soprattutto  su  dati  sperimentali. 


1 


—  361 


PARTE  SPERIMENTALK 


1.  —  Azione  dell'Anidride  itaconica  sulla  p-fenetidina. 

Pesate  le  due  sostanze  in  rapporto  equimolecolare.  p.  1,  12 
di  anidride  CH2  =  C— CO. 

I        )o 

CH2.CO/ 

NH2  (1) 
e  p.  1,  o7  di  p-fenetidina  CtjHi'  ,     procedetti  alla  fu- 

-  OC2H5  ^4) 
sioiie  in  palloncino,  a  bagno  di   acido   solforico;  nel    bagno  era 
pure  immerso  il  bulbo  di  un  termometro. 

La  reazione  avveniva  nel  modo  seguente: 

a  450-6O0  la  mescolanza,  di  aspetto  pastoso  e  di  color 
bruno  cupo,  si  rapprendeva  in  una  massa  bruno-chiarissima,  per- 
sistente fino  agli  80°  ; 

a  SO**  cominciava  la  fusione,  che  andava  mano  mano  au- 
mentando d' intensità  fino  a  125°  ; 

y  130°  cominciava  lo  sviluppo  gassoso;  le  pareti  fredde 
del  palloncino  si  coprivano  di  gocciole  acquose,  che  alla  carta 
reattiva  mostravano  reazione  acida 

Si  mantenne  la  temperatura  a  130o-136°  sino  a  fusione  tran- 
quilla. 

Un  saggio  del  prodotto  raccolto  a  TO^'-TS^»  si  scioglieva  com- 
pletamente in  soluzione  di  idrato  potassico,  a  freddo.  A  quella 
temperatura  dunque,  cioè  nel  primo  periodo  della  reazione,  si  era 
ottenuto  esclusivamente  un  acido,  probabilmente  l'acido  p-e- 
tossifenilitaconammico. 

Un  altro  saggio,  raccolto  a  130°,  trattato  con  idrato  potas- 
sico si  scioglieva  in  i)arte  a  freddo  (acido):  il  liquido  decantato 
infatti  si  decomponeva  con  acido  cloridrico,  dando  luogo  alla 
formazione  di  un  precipitato  bianco.  Di  quanto  era  rimasto  in- 
dietro nel  trattamento  con  potassa,  una  parte  si  scioglieva  a 
caldo  nello  stesso  reattivo  (immide),  mentre  una  buona  porzione 
rimaneva  indisciolta,  anche  riscaldando  fortemente  con  potassa 
al  50  "/o  (itaconide). 


—  362  — 

DlAMMIDE 

Cr,H402(NH.C6H4.0C2Hr,)2 

Il  prodotto  finale  della  reazione,  che  si  presentava  come  una 
massa  resinosa,  si  sciolse  in  poco  alcool  bollente;  per  raffredda- 
mento si  separò  tosto  una  sostanza  grigia,  lucente,  che  raccolta 
alla  pompa  e  cristallizzata  un  paio  di  volte  dall'alcool,  fondeva 
a  1780-1740.  Questa  sostanza  insolubile  in  acqua,  in  etere,  in  clo- 
roformio, in  benzolo,  poco  solubile  in  alcool  e  in  acido  acetico 
freddi,  molto  più  all'ebollizione,  inattaccabile  dagli  alcali  anche 
concentrati  e  bollenti,  si  presenta  in  graziose  lami  nette,  che  si 
uniscono  a  formare  scaglie  sottili,  splendenti,  madreperlacee. 

All'analisi  diede  i  seguenti  risultati  : 

1.  — gr.  0,2361  di  sostanza  fornirono  gr.  0,5898  di  CO2  e 
gr.  0,1426  di  H2O; 

IT.  —  In  una  determinazione  di  azoto  eseguita  col  metodo 
di  Kjeldahl  su  gr.  0,  1952  di  sostanza,  si  ebbe  : 

N 
H2  SO4-S-  adoperato cm'  15,00 

N 
Iposolfito  sodico  ^-^  corrispondente cm^  30,00 

»  >        occorso  per  saturare  il 

J  messo  in  libertà cm'  15,20 

H2SO4  ,^  saturato  dall' NH3 cm^  14,80 

14 

corrispondenti  a  mg.  14,8  di  azoto; 

ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  C)2iH24N204 
C         68,12  68,47 

H  6,71  6,52 

N  7,47  7,60 

Considerando  duiu|ue  i  risultati  delle  analisi  e  vedendo  il 
suo  comportamento  verso  la  potassa  (cfr.  pagg.  339-340),  si  può 
ritenere  che  la  sostanza  ora  descritta  sia  d  i-p-ammid  ofene  to- 
litaconide  La  costituzione  di  composto  non  saturo  viene  con- 
fermata da  un 


—  353  — 

Bromoclerivato.  —  Sciogliendo  la  sostanza  fusibile  a  173o-174« 
in  acido  acetico  glaciale  freddo  e  aggiungendo  bromo  a  goccia 
a  goccia,  dojio  riposo  di  ventiquattro  ore  in  essiccatore  sulla  calce, 
ottenni  una  bella  sostanza  in  fiocchi  bianchi  con  splendore  se- 
riceo, che  venne  ricristallizzata  aggiungendo  alla  soluzione  ace- 
tica bollente  acqua  bollente  siuo  ad  incipiente  intorbidamento. 
Il  prodotto,  asseccato  nel  vuoto  sulla  calce,  venne  analizzato 
col  metodo  Piria-Schiff  per  la  determinazione  del  bromo.  L'analisi 
diede  i  seguenti  risultati  : 

gr.  0,1223  di  sostanza  fornirono  gr.  0,0861  di  AgBr,  ossia 
in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  C2iH24N204Br2 

Br  29,92  30,30 

Immide 

C5H4O2:  N.  C6H4OC2H5 

Le  acque  madri  da  cui  fu  separata  la  suddescritta  di-p-am- 
midofenetolitaconide,  dopo  un  breve  riposo  lasciarono  depositare 
una  massa  giallo -verdastra  che  raccolta  alla  pompa  mostrava  di 
essere  costituita  da  diverse  sostanze.  La  feci  bollire  a  ricadere 
con  etere,  il  quale  ne  sciolse  una  porzione,  colorandosi  in  giallo 
vivo,  e  lasciò  indietro  una  massa  grigiastra. 

La  soluzione  eterea,  eliminata  per  distillazione  la  maggior 
parte  del  solvente,  lasciò  depositare  una  sostanza  gialla,  che  pu- 
rificata con  molta  pena  dall'alcool  fondeva  a  99*^-100*'. 

Questa  sostanza  è  solubile  in  etere  e  in  alcool,  insolubile  in 
acqua.  La  colorazione  gialla  che  la  distingue  permane  anche  dopo 
una  prolungata  ebollizione  (in  soluzione  alcoolica)  in  presenza  di 
carbone  animale  puro  e  di  fresco  calcinato.  A  questo  proposito 
vedi  le  osservazioni  a  pag.  349. 

La  costituzione  di  questa  sostanza  è  di  una  p-ammid  ofene- 
tolitaconimmide.  Quanto  alla  sua  costituzione,  vedi  a  pag.  349. 

All'analisi  diede  i  seguenti  risultati: 
L  —  gr.  0,2407  di  sostanza  fornirono  gr.  0,5953  di  CO2  e  gr. 
0,1279  di  HoO; 

II.  —  gr.  0,2097,  analizzati  col  metodo  di  Kjeldahl,  fornirono 

N 
tanta  ammoniaca  da  saturare  cm^  13,6  di  H2SO4  -r  ,  corrispon- 
denti a  mgr.  13,6  di  azoto. 


I 

Il 

iir 

e 

()7,82 

— 

— 

H 

5,90 

— 

— 

N 

— 

6,48 

6,4B 

—  364  — 

in.    -  ^r.  0,1927  l'ornii-imo   tanta,   ammoniaca  ria   saliirare  cm-' 

,--      N  . 

12,4  (li  lij8U4  j-,  ,  cumspoiidenli  a  ini^r.   12,4  di  azoto. 

Ossia  in  100  parti: 

calcolato  per  C13H13NO3 

67,53 
6,62 
6,06 

Bromoderivato.  -  Preparai  e  purificai  questo  derivato  con 
gli  stessi  metodi  seguiti  nel  preparare  la  di-br-diammide.  L' a- 
spetto  è  pure  molto  simile.  Non  fonde,  ma  imbrunisce  se  si  ri- 
scalda. Alla  luce  è  abbastanza  stabile. 

All'analisi  diede  il  seguente  risultato: 
gr.  0,1187  di  sostanza  fornirono  gr.  0,1086  di  AgBr, 

ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  CisHisNOsBro 

Br  40,67  40,92 

Acidi 
C13H15NO4  J 

La  immide  p-etossifenilitaconica,  riscaldata  debolmente  con 
soluzione  di  idrato  potassico  o  di  idrato  sodico,  si  scioglie  co- 
lorandosi in  rosso-violetto;  la  colorazione  scompare  quando  la 
soluzione  è  completa. 

A  questa  soluzione  aggiungendo  acido  cloridrico  concentrato 
sino  a  reazione  acida,  si  forma  un  precipitato  fioccoso  giallo  che, 
raccolto,  si  scioglie  in  soluzione  anche  diluita  di  carbonato  so- 
dico, mostrando  cesi  il  comportamento  di  un  acido. 

Evidentemente,  con  la  potassa  si  era  saponificata  l' immide 
e  formato  il  sale  alcalino  solubile  dell'acido,  che  poi  precipitava 
quando  veniva  liberato  dall'acido  cloridrico. 

Questo  acido  giallo  è  insolubile  in  acqua  e  in  alcool  freddi, 
solubile  in  alcool  bollente,  solubilissimo  in  acido  acetico,  dalle 
cui  soluzioni  si  può  riottenere  solo  evaporando  a  secco.  E  inso- 
lubile, pure  a  caldo,  in  etere,  benzolo,  cloroformio,  ligroina,  etere 
di  petrolio.  Riesce  dunque  di   una   estrema  difficoltà  il  purificarlo  #! 


-    355  — 

dopo  la  precipitazione  od  è  meglio  cercare  di  ottenerlo  già  puro. 
Ciò  mi  riusciva  bene  operando  nel  modo  seguente:  le  soluzioni 
colorate  in  bruno  di  sale  alcalino  (ottenute  saponificando  con 
potassa  caustica  porzioni  non  pure  di  immide)  neutralizzandosi 
con  acido  cloridrico  si  riscaldavano  fortemente;  se  si  addizionava 
l'acido  a  goccia  a  goccia  e  si  lasciava  disperdere  il  calore  svi- 
luppatosi nella  neutralizzazione,  quando  la  reazione  era  ancora 
debolmente  alcalina,  si  separava  una  resina  bruna,  che  poteva 
venire  eliminata  per  filtrazione-,  il  liquido  allora,  acidificato  fran- 
camente con  acido  cloridrico,  lasciava  depositare  la  sostanza  gialla 
relativamente  pura.  Ripetendo  l'operazione  due-tre  volte,  si  ot- 
teneva l'acido  fusibile  a  148o-149«. 

Bollito  con  acqua,  si  trasforma  (vedi  parte  teorica  pagg.  340- 
348)  in  un  acido  bianco,  cristallino,  pochissimo  solubile  in  etere 
caldo,  solubile  in  acqua  bollente  da  cui  cristallizza  bene,  solubi- 
lissimo in  alcool  e  in  acido  acetico,  fusibile  a  1340-135°. 

Come  ho  già  detto  nella  parte  teoretica  di  questa  relazione, 
chiamerò  il  primo,  giallo,    «  a-acido  »,  il    secondo,  bianco,   «  p- 

acido  ». 

In  ciò  che  segue  riferisco  i  risultati  analitici  dati  dai  due 
acidi  e  dai  corrispondenti  sali  di  argento. 

lo)  a -Acido 

CH2  =  C  — COOH 

CH2C(0H)  =  N.C6H4OC2H5 

I.  -  gr.  0,2354  di  sostanza  fornirono  gr-  0,5386  di  CO2  e  gr. 
0,1190  di  H2O; 

II,  _  gY.   0,2103  di  sostanza,  analizzati  col  metodo  di  Kjeldahl, 

N 
fornirono  tanta  ammoniaca  da  saturare  cm^  12,4  di  H2SO4  TJ.^^^^' 

rispondenti  a  mgr.  12,4  di  azoto: 
ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  C13H15NO4 

C  62.36  62,65 

H  5,62  6,02 

N  5,91  5,62 


—  366  — 

Det  e  riu  i  11  aziono  acid  i  luet  rica. — gr.  0/204:9  di  sostanza 
richiesero  ])er  la  saturazione,  stM-V(!ndo  come  indicatore  la  fenol- 
ftaleina, cm3  8,0  di  NaOH  ^  =  gr.  0,0032. 

ossia  in   100  parti: 

trovato  calcolato  per  Ci3Hir)N04 

15,01  16,06 

Sale  di  argento.  —  Alla  soluzione  del  sale  alcalino  aggiun- 
gendo nitrato  di  argento,  eblji  un  precipitato  di  sale  di  argento 
bianco,  difficilmente  alterabile,  che  raccolsi  ed  asseccai  nel  vuoto. 
In  esso  poi  determinai  la  proporzione  dell'argento,  calcinando  in 
crogiuolo  tarato. 

gr.  0,1313  di  sale  di  argento  fornirono  gr.  0,0402  di  argento 
metallico: 

ossia  in  100  parti: 


Ag  30,69  30,33 


2o) 


rovato 

calcolato  ^ 

30,69 

* 

*  « 

P- 

Acido 

CH2  = 

C- 

COOH 

CHa- 

-CO- 

-NH-( 

3GH4OC2H5 

1.  —  gr.  0,2185  di  sostanza  fornirono  gr.  0,5016  di  CO2  e  gr. 
0,1160  di  HoO; 

IL  —  gr.  0,1948,  analizzati  col  metodo  di  Kjeldahl,  fornirono 

N 
tanta  ammoniaca  da  saturare  cm^  10,7  di  H2SO4  ya  '    t'oi"i'i'^P<>ii- 


1 


denti 

a  mgr 

.  10,7  di 
ossia 

azoto: 
in   100 

parti: 

t 

rovato 

calcolato 

per  C13H1 

5NO4 

C 

62,60 

62,66 

H 

5,90 

6,02 

N 

5,49 

6,62 

T» 


—  367 


Determinazione  acidimetrica.— f^r.  0,3451  di  sostanza 

N 
10 


^     .  N 

richiesero  per  la  saturazione  cm'^  13,7  di  NaOH  77.  =  gì'-  0,0648  di 


NaOH: 

ossia  per  100  parti: 

trovato  calcolato  per  C13H15NO4 

16,87  16,06 

Sale  di  Argento.  — Venne  ottenuto  e  analizzato  come  il 
sale  di  argento  dell'a-acido. 

Calcinando  in  crogiuolo  tarato,  da  gr.  0,1132  di  sale  ebbi 
gr.  0,0342  di  Ag: 

ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  Ci3Hi4N04Ag 

30,21  30,33 

* 

*  * 

Distillando  quasi  tutto  l'alcool  delle  acque  madri  da  cui 
avevo  separato  la  seconda  porzione  di  prodotto,  ottenni  una 
massa  grigio-giallastra,  un  saggio  della  quale,  trattato  con  so- 
luzione di  carbonato  sodico,  si  scioglieva  parzialmente:  infatti 
il  liquido  filtrato,  per  aggiunta  di  acido  cloridrico  lasciava  se- 
parare una  sostanza  bianca,  fusibile  a  1340-135*^,  identica  al  p- 
acido  sopradescritto,  il  quale  dunque  si  trova  già  formato  tra  i 
prodotti  della  reazione. 

Il  resto  della  massa  grigio-giallastra ,  riscaldato  con  so- 
luzione di  idrato  sodico,  si  sciolse  completamente,  non  senza 
produrre  il  fenomeno  della  colorazione  rossa  già  sopra  descritta; 
la  soluzione  saturata  con  acido  cloridrico  lasciava  separare,  l'uiia 
dopo  l'altra,  le  due  modificazioni,  gialla  e  bianca,  dell'acido. 

II,  —  Azione  dell'anidride  itaconica  sulla  p-anisidina. 

Le  due  sostanze,  solide  entrambe,  prese  in  rapporto  equi- 
molecolare  (p.  1.  12  di  anidride  e  p.  1,  23  di  p-anisidina  C6H4 
(NH2)  OCH3),  si  fusero  a  bagnò  di  acido  solforico,  conservando 
la  disposizione  descritta  per  la  reazione  con  p-fenetidina. 

La  reazione  avveniva  nel  modo  seguente: 
a  74°  la  mescolanza  prendeva  a  rammollirsi  ; 

24 


—  358  — 

a  86<'-87<'  cominciava  lo  sviluppo  gassoso  accompagnato, 
anche  qui,  dal  depositarsi  sulle  pareti  del  palloncino  di  gocciole 
acquose  a  reazione  acida; 

a  130°  la  fusione  era  completa,  tranquilla; 

a  153^  riprendeva  un  debole  sviluppo  gassoso  che 

a  200°  cessava  completamente. 
Poiché  l'andamento  delle   susseguenti    operazioni  è  analogo 
a  quello  descritto  per  la  reazione  con  fenetidina,  cosi  non  farò 
che  descrivere  le  sostanze  ottenute  con  i  loro  derivati  e  riferire 
i  risultati  analitici. 

DlAMMIDE 

C5H4O2  (NH.C6H40CH3)2 

Si  presenta  in  scaglie  madreperlacee,  appena  leggermente 
brune,  fusibili  a  165o-156o.  Per  i  caratteri  chimici  e  di  solubilità 
è  simile  al  composto  corrispondente  ottenuto  dalla  fenetidina. 

All'analisi  diede  i  seguenti  risultati  : 

I.  —  gr.  0,2144  di  sostanza  fornirono  gr.  0,5263  di  CO2  e  gr. 
0,1102  di  H2O; 

II.  —  gr.  0,1888  fornirono  una  quantità  di  ammoniaca  tale  da 

N 
essere  saturata  da  cm^  16,5  di  H2SO4  .-^  •  corrispondenti  a  mgr. 

15,5  di  azoto, 

ossia  per  100  parti: 

calcolato  per  C19H20N2O4 
67,05 

5,88 
8,23 

Bromoderivato.  —  Bei  fiocchi  lanosi  bianchi  lucenti,  che 
riscaldati  non  fondono  ma  si  anneriscono. 

Una  determinazione  di  bromo  ,  eseguita  col  metodo  Piria- 
SchifiP,  diede  il  seguente  risultato: 

gr.  0,1672  di  sostanza  fornirono  gr.  0,1171  di  AgBr, 

ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  Ci9H2oN204Br2 

Br  31,66  32,00 


trovato 

c 

66,82 

H 

5,72 

N 

8,26 

—  359 


*  * 


Immide 

C5H4O2:  N.  C6H4OCH3 

L'aspetto  come  le  proprietà  di  questa  immide  non  differi- 
scono sensibilmente  da  quelle  del  composto  corrispondente  otte- 
nuto dalla  fenetidina. 

Il  suo  punto  di  fusione    è  a  101°-102o. 
All'analisi  diede  i  seguenti  risultati: 
I.  —  gr.  0,2341  di  sostanza  fornirono  gr.  0,5654  di  CO2  e  gr. 
0,1190  di  H2O; 

IL  —  gr.  0,1942  fornirono  tanta  ammoniaca  da  saturare  cm'^ 

N 
11,7  di  H2SO4  j-7 ,  corrispondenti  a  mgr.   11,7  di  azoto; 

ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  C12H11NO3 

C  65,87  66,35 

H  5,64  5,07 

N  6,04  6,45 

Bromoderivato.  —  gr.  0,1224  di  sostanza  fornirono  gr.  0,1233 
di  AgBr; 

« 

ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  Ci2HiiN03Br2 

Br  42,86  42,44 

*  * 
a-  Acido. 

CH2  =  C  — COOH 

I 

CH2— C  (OH)  =  N.  C6H4OCH3 

Fonde  a  1440-145°. 


—  360  — 

I.  —  yr.  0,2257  di  .sostiinzii  Ibrnirono  gr.  0,5041  di  CO2  e  gì. 
0,1046  di  H2O; 

II.  —  gr.  0,1950  di  sostanza  fornirono  ammoniaca  cosi  da  sa- 

N 
turare  cnr'  10,9  di  H2SO4  r^,  corrispondenti  a  mgr.  10,9  di  azoto; 

ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  C12H13NO4 

61,27 
5,53 
5,95 


c 

60,89 

H 

5,15 

N 

5,60 

Determinazione  acidimetrica.  —  gr.  0,2324   di  sostanza  ricliie- 
N 
10 


sero  cm3  9,6  di  NaOH  77,  =gr.  0,0384  di  NaOH 


ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  C12H13NO4 

NaOH  16,52  17,02 

Sale  di  argento.  —  gr.  0,1122    di  sale  diedero    gr.  0,0358  di 
argento  metallico, 

ossia  per  100  parti: 


Ag 


P- acido. 

OH,  =  C— COOH 

CH2— CO.NH.C6H4OCH3 

Fonde  a  1350-136°. 
I.-gr.  0,2391  di  sostanza  fornirono  gr.  0,5346  di  CO2  e  gr.0,1123 
di  H2O; 


trovato 

calcolato  per  C]2Hi2N04Ag 

31,90 

31,57 

* 
»  * 

—  361  — 

II.  —  o-r.  0,2128  fornirono    tanta    ammoniaca  da  saturare  cm''^ 

N 
12, J  5  di  H2SO4  r-,  ,  corrispondenti  a  mgr.  12,15  di  azoto; 

ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato   per  C12H13NO4 

C  60,97  61,27 

H  5,22  5,53 

N  5,72  5,95 


Determinazione  acidimeirica.  —  gr.  0,2575  di  sostanza  richie- 
N 
10 


sero  cm3  10,9  di  NaOH  ^  ^  gr.  0,0436  di  NaOH; 


ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato  per  C12H13NO4 

16,95  17,02 

Sale  di  argento.  —  gr.  0,1669  di  questo  sale  fornirono  per 
calcinazione  gr.  0,0443  di  argento   metallico; 

ossia  per  100  parti: 

trovato  oalcolato  per  Ci2Hi2N04Ag 

31,41  31,57 

III.  —Azione  dell'anidride  itaconica  sul  p-ammidofenolo. 

Prima  di  compiere  la  reazione,  procedetti  alla  purifica- 
zione del  p-ammidofenolo.  Sciolsi  perciò  in  acido  cloridrico 
il  prodotto  del  commercio,  fortemente  colorato  in  bruno,  per 
formare  il  corrispondente  cloridrato  solubile  e  trattai  la  soluzione 
cloridrica  con  ammoniaca.  Quando  ebbi  quasi  neutralizzato,  si 
depositò  una  resina  bruna  che  separai  filtrando  alla  pompa.  Al- 
calinizzando poi  con  altra  ammoniaca  acquosa ,  ebbi  la  base 
libera,  che  sollecitamente  raccolsi,  lavai  con  acqua  per  asportarne 
il  cloniro  ammonico  formatosi,  e  asciugai  alla  pompa.  Ripetendo 
2-3  volte  queste  successive  operazioni,  ottenni  p-ammidofenolo 
appena  debolmente  colorato  in  bruno. 


—  362 


.1: 


Le  duo  sostanze),  proso  in  rapporto  cquimolocolaro,  fp.  1,  12 
di  anidrido  itaconica  e  p.  1,  09  di  p-ammidofonolo  (C(iH4  (NHo)  OH), 
si  scaldarono  a  fiamma  diretta,  agitando  sempre,  sino  a  fusione 
tranquilla. 

Sciolto  il  prodotto  delia  reazione  in  pochissimo  alcool  bol- 
lente, col  raffreddamento  ottenni  una  massa  cristallina  giallastra, 
che  asciugai  rapidamente  comprimendo  fra  carta,  poiché  alla  luce 
facilmente  imbruniva.  Essa  si  scioglieva  completamente  in  alcool, 
etere,  mescolanza  di  alcool  e  cloroformio,  parzialmente  in  ben- 
zolo e  in  cloroformio. 

Scaldai  a  ricadere  con  benzolo  e  il  liquido  giallo-bruno,  se- 
parato per  decantazione,  lasciò  deporre  una  sostanza  bruna,  che 
potei  purificar  bene  aggiungendo  alla  sua  soluzione  alcoolica  calda 
tant'acqua  bollente  fino  a  che  non  cominciò  a  intorbidarsi:  per 
raffreddamento,  cristallizzò  una  sostanza  in  pagliette  splendenti 
giallo-brunastre,  che  fondevano  a  104o-105<'. 

Il  residuo  ottenuto  nel  trattamento  della  massa  con  benzolo 
si  sciolse  in  pochissimo  alcool  bollente,  da  cui  si  separò  per  raf- 
freddamento una  sostanza  in  belle  laminucce  brano-chiare,  che 
fondevano  a  1320-133°. 

Dalle  acque  madri  ottenni,  solo  evaporando  a  secco,  una 
massa  resinosa  da  cui,  per  trattamento  ripetuto  e  prolungato 
con  carbonato  sodico  e  successiva  decomposizione  con  acido  clo- 
ridrico, ebbi  una  piccolissima  quantità  di  sostanza  bruno-chiara, 
cristallina,  fondente  a  97°-98o,  che  per  analogia  di  comportamento 
si  presume  essere  un  acido  p-ossifenilitaconammico. 

Per  le  piccole — e  minima  per  quest'ultima  sostanza — quantità 
di  prodotti  di  cui  disponevo,  potei  analizzare  soltanto  le  due 
prime  sostanze,  senza  farne  alcun  derivato. 

Immide 

C5H4O2  =  N  —  C6H4OH 

Sostanza  fusibile  a  104o-105o.  Si  saponifica  con  gli  alcali 
caustici  dando  una  intensissima  colorazione  violetta.  Sarebbe 
dunque  p-ossifenilitaconimmide,  come  lo  dimostrano  i  risul- 
tati dell'analisi  ; 


—  363  — 

r. —  gr.  0,2132  di  sostanza  fornirono  gr.  0,5071  di   CO2  o  gr. 

0,0899  di  H2O; 

II.  —  gr.  0,189-1  di  sostanza  fornirono  una  quantità  di  ammo- 

N 
niaca  tale  da  saturare  cm'^  9,2  di  H2SO4  r^  ,    corrispondenti    a 


mgr.  9,2  di  azoto: 

ossia  in  100  parti: 

trovato 

calcolato  per  C11H9NO3 

C                    64,86 

65,02 

H                     4,21 

4,43 

N                     6,61 

6,89 

DlAMMIDE 
C5H4O2  (NH.C6H40H)2 

Sostanza  fusibile  a  1320-133°. 

È   inattaccabile    dalla   soluzione   concentrata   e   bollente    di 

idrato   potassico,  presenta   cioè  il  comportamento    di    una   di-p- 

ammidofenolitaconide. 

All'analisi  diede  i  seguenti  risultati: 

I.  —  gr.  0,2148  di  sostanza  fornirono  gr.  0,5134  di  CO2  e  gr. 

0,1007  di  H2O; 

II  —  gr.  0,1793  di  sostanza  fornirono  una  quantità  di  ammo- 

N 
niaca  tale  da  saturare  cm^  15,6  di  H2SO4  r-.  ,    corrispondenti    a 

14: 

mgr.   15,6  di  azoto; 

ossia  in  100  parti: 

trovato  calcolato   per  C17H1GN2O4 

C  65,17  65,38 

H  5,21  ^  5,12 

N  8,97  8,70 

A.CID1 


CiiHiiNO 


Dalla    immide    p-ossifenilitaconica,  per   saponificazione    con 
idrato  potassico  e  successiva  decomposizione  con  acido  cloridrico, 


—  364   — 

«(bbi  un  acido  giallctto,  fbnclenli'  a  .llH"-119o;  ma  anche  su  (|uest(), 
corno  su  quello  fondente  a  97"-y8",  non  potei  per  la  scarsità  del 
prodotto  eseguire  alcuna  analisi. 

Tuttavia,  dalla  reazione  colorata  con  cloruro  ferrico  (vedi 
parto  teoretica,  pag.  344)  e  per  analogia  con  le  sostanze  avute 
nello  reazioni  con  p-fenetidina  e  p-anisidina,  credo  possa  l'itenersi 
che  il  primo  descritto  sia  il  p-,  il  secondo  sia  l'a-acido  p-os- 
sifenili  taconammico.  Si  riscontra  dunque  una  perfetta  ana- 
logia di  comportamento  fra  il  p-amm  id  of  en  o  lo  ed  i  suoi 
eteri  verso  l'anidride  itaconica. 

Eseguito  nell'  Istituto   di  Chimici   Farmaceutioa    della    R.  Università  di 
Napoli-Ottobre  189!). 


PROCESSI  VERBALI  DELLE  TORNATE 


Tornata  del  6  febbraio  1910 

Presidente  :  Monticelli  Fr.  Sav.  —  Segretario  :  Milone   U. 

Socii  presenti:  Milone  U..  Gauthier  V.,  Monticelli  Fr.  Sav..  Police  G., 
Geremicca  M.,  Aguilar  E.,  De  Rosa  F.,  Pierantoni  U..  Ricciardi  L.,  Si- 
niscalchi A.  M..  Quintieri  L.,  Cutolo  C.,  Trani  E. 

La  seduta  è  aperta  alle  ore  12.30. 

Il  Segretario  presenta  i  giornali  pervenuti  in  cambio  ed  i  libri  in 
dono. 

Il  socio  Pierantoni  U.  legge  il  suo  lavoro  dal  titolo  :  Origine  e  strut- 
tura del  corpo  ovale  del  Dactilopius  citri  e  del  corpo  verde  dalVApRis  bras- 
siCAE  (Il  nota  sulla  simbiosi  ereditaria),  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel 
Bollettino. 

Il  socio  Police  G.  legge  il  suo  lavoro  dal  titolo:  Di  due  casi  di  nior- 
sicatttra  di  Vipera,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel   Bollettino. 

Il  Presidente  comunica  la  deliberazione  del  Consiglio  Direttivo  ,  in 
base  alla  quale  tutti  i  socii  indistintamente  hanno  dritto  di  fare  inserire 
nei  processi  verbali  le  comunicazioni  fatte  nelle  sedute,  purché  esse  non 
eccedano  le  due  pagine  di  stampa  e  ne  potranno  avere  7o  estratti  gratis 
senza  copertina  a  stampa. 

La  seduta  è  tolta  alle  ore  15.30. 


Tornata  del  17  aprile   1910 

Presidente  :  Monticelli  Fr.  Sav.  —  Segretario  :  Milone  U. 

Socii  presenti:  Cutolo  A.,  Piccoli  R.,  Piccoli  Foà  I. ,  Ricciardi  L., 
Milone  D.,  Geremicca  M.,  De  Rosa  F.,  Gauthier  V.,  Pierantoni  U.,  Mon- 
ticelli Fr.  Sav.,   Cavara  F.,  Trinchieri  G.,  Cutino  L.,  AguilarE.,  Cutolo  C. 

La  seduta  si  apre  alle  ore  15.30. 

Il  Segretario  presenta  i  nuovi  cambi  ed  i  libri  pervenuti  in  dono; 
legge  inoltre  il  verbale  della  tornata  precedente,  che  viene   approvato. 

25 


—  366  — 

Il  socio  Triuchieri  G.  legge  il  .suo  lavoio:  Infonio  mi  min  Lahonllic- 
niacca  nuova  per  Vltnlia,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel   Bollettino. 

Il  socio  Ricciardi  legge  il  «uo  lavoro:  Su  i  terremoti.  Calabro  -  .siculi 
del  1783  e  del  1908.,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  sul  Bollettino. 

Il  socio  Gauthier  V.  fa  alcune  osservazioni  sul  lavoro  del  Ricciardi 
e  si  riserba  di  presentarle  in  iscritto  in  una  prossima  tornata. 

Il  socio  Gauthier  V.  legge  il  suo  lavoro  sn  L'Idrografia  dell'Agro  7V- 
lesino,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Cutolo  A.  conferma  alcuni  dati  analitici  citati  dal  socio  (-rau- 
thier  V.,  che  se  ne  compiace. 

fja  seduta  è  tolta  alle  ore  17. 


Tornata  del  12  maggio  1910 

Presidente  :  Monticelli  Fr.  Sav.  —  Segretario   Milone  U. 

Socii  presenti:  Siniscalchi  A.  M.,  Guadagno  M.,  Triuchieri.  G..  Pie- 
rantoni  U.,  Aguilar  E.,  Monticelli  Fr.  Sav.,  Gauthier  V.,  Milone  U..  Cu- 
tolo E.  De  Rosa  Fr.,  Gargano  C,  Police  G. 

La  seduta  è  aperta  alle  ore  21  e  30. 

Il  Segretario  presenta  i  nuovi  cambi  ed  i  libri  pervenuti  in  dono  ; 
legge  inoltre  il  verbale  precedente,  che  viene  approvato. 

Legge  poi  la  Relazione  su  l'andamento  scientifico  ed  amministrativo 
della  Società  durante  l'anno  1909. 

Il  Presidente  comunica  che  il  22  corrente  si  farà  le  commemorazione 
del  socio  Salvatore  Lo  Bianco,  e  riferisce  ampiamente  sul  progetto  per 
le  feste  centenarie  di  Filippo  Cavolini. 

Il  socio  Pierantoni  U.  legge  il  suo  lavoro  dal  titolo:  Osservazioìii  .sn 
V Aplirophora  spumaria,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Aguilar  comunica:  Sul  modo  d^  inserirsi  delle  fibre  della  zo- 
nula  di  Zinn  su  la  capsula  anteriore  del  cristallitio  nell'occhio  umano,  e 
ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

In  ultimo  il  Presidente  Monticelli  fa  una  comunicazione  verbale  sul 
ciclo  biologico  dei  cestodi  degli  uccelli  acquatici.,  ed  un'altra  su  i  Nemer- 
tini  d'acqua  dolce  in  Italia. 

La  seduta  è  tolta  alle  ore  23. 

Monticelli  Fr.  Sav.  —  Sul  ciclo  biologico  dei  (  'est odi  degli  uccelli  ar- 
quatici. 

Il  modo  come  si  svolge  il  ciclo  biologico  dei  Cestodi  ospiti  degli  uccelli 
acquatici,  le  cui  larve  si  trovano  nei  pesci  dei  quali  essi  fanno  lor  cibo, 
è  un  fatto  che  ha  sempre  stimolata  la  mia  curiosità. 


—  367  — 

Una  osservazione  casuale  sulla  voi'acità  con  la  quale  alcuni  Carassìus 
(aiirafHs),àì  una  piccola  fontana  dell'Istituto  zoologico,  agguantavano  dei 
pezzi  staccati  dalla  catena  di  un  Cestode  caduti  nell'acqua  ,  che  un  co- 
lombo di  un  vicino  colombaio,  poggiatosi  sulla  sponda  di  detta  vasca,  aveva 
espulsi,  mi  hanno  suggerita,  per  analogia,  una  plausibile  ipotesi  sul  come 
possa  svolgersi  il  ciclo  dei  cestodi  che  vivono  negli  uccelli  acquatici,, 
le  cui  larve  si  rinvengono  nei  pesci  marini  dei  quali  essi  si  nutrono. 

Difatti,  considerando  che  questi  pesci  quando  vengono  alla  superfìcie 
sono  beccati  dagli  uccelli  che  si  slanciano  neir  acqua  per  predarli,  e  che 
questi  uccelli,  per  ghermire  la  preda,  in  frotta  affiorano  la  superficie  del- 
l'acqua e  vi  si  appoggiano,  il  pensiero  corre  ad  ammettere  che,  in  queste 
frequenti  incursioni  sull'acqua  di  detti  uccelli,  alcimi  pezzi  di  catena  dei 
Cestodi  che  ospitano  con  proglottidi  mature,  eventualmente  espulsi  dall'ano 
degli  uccelli,  cadano  nell'acqua  nelle  plaghe  dove  appunto  brulicano  quei 
pesci ,  la  cui  presenza  attira  gli  uccelli  che  ne  fanno  loro  preda.  E,  te- 
nuto conto  della  voracità  dei  pesci  in  genere,  che,  come  è  noto,  sono  anche 
coprofagi  (osservazione  che  può  farsi  facilmente  negli  acquarli),  abboc- 
cando essi  i  cordoni  escrementizi!  dei  loro  congeneri,  per  analogia  di  quanto 
innanzi  ho  riferito  di  avere  osservato  nei  Carassìus^  si  può  facilmente  de- 
durre che  i  pezzi  di  catena  con  proglottidi  mature  espulsi  dagli  uccelli  e 
caduti  nell'acqua  possano  essere  agguantati  da  quei  pesci  che.  per  esser 
preda  degli  uccelli  acquatici,  si  trovano  nelle  plaghe  da  questi  frequen- 
tate. Nel  tubo  digerente  di  tali  pesci  si  sviluppano  le  larve,  che,  libere 
nell'intestino  (p,  e  larve  di  Tetrabotridi  osservate  nei  Clupeidi),  od  in- 
capsulate negli  organi,  passano  con  gii  ospitatori  nell'apparecchio  dige- 
rente degli  uccelli  (che  li  mangiano),  dove  assolvono  la  loro  forma  adulta. 

Monticelli  Fr.  Sav.  —  Su  i  Nemertini  (V acqua  dolce  hi  Italia. 

Nella  mia  nota  preliminare  riassuntiva  sul  Prostoma  sehethis^  nuovo 
Nemertino  delle  acque  del  Sebeto  (Rend.  Ac.  Se  Napoli,  1910,  Fas.  1.), 
fondandomi  sulle  indicazioni  desunte  dal  Biirger  (Nemertini,  Tierreich, 
1904j.  nello  scrivere  che  a  mia  conoscenza  non  erano  noti  Nemertini 
d'acqua  dolce  in  Italia,  mi  è  sfuggita  una  nota  del  Dr.  A.  Garbini  (Z.Anz. 
19U6,  19.  Bd.  pag.  125),  nella  quale  questi  ricorda  di  aver  fatta  menzione, 
nelle  sue  ricerche  sulla  liranofauna  del  lago  di  Garda,  del  ritrovamento  da 
lui  fatto  di  Nemertini,  che  sarebbero  rappresentati  in  quelle  acque  dal  Tc/ra- 
stemma  lacustre  Du  Pless.  (Prostoma  lacustre).  Questa  forma  a  suo  «  av- 
viso sarebbe  il  Tefrastemma  ohscurnm  Ose.  Schm  del  mare  del  Nord 
adattatosi  alle  acque  a  salsedine  minore  del   Golfo    di    Finlandia    e    più 


-   8fi8 

tarili  alle  acque  dolci  dei  lagiii  europei  ».  Ma  questa  conclusione  a  me 
pare  tropptj  teoretica  e  corriva,  non  confortata  da  alcun  dato  di  fatto  ;  che 
anzi,  i  fatti  appunto  non  autorizzano  a  dedurla,  tenute  presenti  le  due 
specie  di  Nemertini  in  questione.  Perchè,  se  il  Uè  Guerne  (C.  R.  Soc.  Biol, 
Paris,  1892),  riferendo  alcune  osservazioni  del  Kennel ,  tenuto  conto  del 
fatto  dell'adattamento  del  Prostotwi.  (Tetrastemma)  obscunim  a  sopportare 
la  massima  riduzione  di  salsedine  delle  acque  del  Golfo  di  Finlandia, 
esprime  1'  opinione  che  sia  legittimo  dedurre  da  ciò  che,  se  non  il  Pro- 
stonia  ohsGtirmn,  almeno  una  o  piìi  forme  a  questo  vicine  si  sieno  poco  a 
poco  definitivamente  adattate  all'acqua  dolce  diftbndendovisi  col  tempo, 
assai  ne  corre  ad  ammettere  che  proprio  il  Prostoma  lacustre  (che  non- 
sarebbe  poi  una  delle  forme  più  vicine  al  P.  ohsciirum\  come  è  d'  avviso 
il  Garbini,  rappreoenti  il  prodotto  dell'adattamento  del  P.  ohscurmn  alle 
acque  dolci  d'Europa.  In  questa  sua  nota  il  Garbini  si  occupa  di  confu- 
tare l' ipotesi,  emessa  dal  Du  Plessis,  sulla  maniera  d'  importazione  dei 
Nemertini  nelle  acque  dolci  (Z.  Anz.  18,  Bd.  1895,  pag.  495),  asserendo 
che  l'origine  dei  Nemertini  nel  lago  di  Garda  è  dovuta,  più  che  alla  mi- 
grazione attiva  lungo  1'  emissario,  al  trasporto  passivo  per  mezzo  degli 
Uccelli  migratori  delle  regioni  nordiche  (che  avrebbero  conseguentemente 
importato  questa  specie  attuale,  derivata  dal  P.  obscuram  dei  mari  del 
Nord). 


RELAZIONE 

su  l'andamento  scientifico  h;i)  amministrativo  dku.x  società  di  naturalisti 

DURANTE    l'anno    1909 


Signori , 

Chiusi  la  mia  relazione  dell'anno  scorso,  affermando  che  questa  nostra 
Società  di  Naturalisti  potrà  avere  delle  alternative  di  vita  più  o  meno 
prospera,  ma  non  morrà  mai.  perchè  è  scaldata  dall'amore  di  voi  tutti. 
Ed  è  cosi  !  Ma  vi  ha  di  più  !  Essa,  che  ha  già  celebrata  da  varii  anni 
le  sue  nozze  di  argento,  essa  che  è  gloria  ed  opera  nostra,  perchè  noi  la 
fondammo,  è  ancor  giovane,  perchè  trent'anni  di  vita,  se  per  noi  sono  una 
amara  constatazione,  che  ci  riempie  l'animo  di  tristezza,  per  una  società 
scientifica,  che  noi  vagheggiamo  di  trairc  al   jiiù  piesto  dalla  condizione 


I 


—  360  — 
di  istituto  privato  a  quella,  non  certo  più  gloriosa  ma  indubbiamente,  pn'i 
durevole,  di  ente  morale,  non  p'iio  che  poca  cosa.  Questo  desiderio  è  iiei- 
l'animo  di  tutti  i  socii,  perchè,  orgogliosi  come  noi  siamo  dell'opera  no- 
stra, il  dimane  incerto  ci  tiene  perplessi  al  pensiero  che  questa  cosa  bella, 
come  le  cose  mortali,  passi  e  non  duri.  Ma,  oltre  di  questo  umano  e  però 
spiegabile  desiderio  di  chi  vuol  vedere  assicurato  l'avvenire  della  sua 
ci'eatura,  un  altro  sentimento  più  alto,  più  nobile,  che  non  poche  volte,  in 
pubblico  ed  in  privato,  è  stato  proclamato  con  legittima  soddisfazione  dai 
soci  De  Rosa,  Geremicca,  Monticelli.  Savastano,  e  dai  nostri  socii  scomparsi 
Giuseppe  Jatta  e  Pasquale  Franco,  il  sentimento  della  libertà  vera  e  reale 
ci  affratella,  simpaticamente,  mentre  ci  distingue  dalle  vecchie  accademie. 
È  un  organismo  che  vive  e  palpita  secondo  il  momento  storico  sociale; 
esso  si  evolve,  è  un  organismo  moderno. 

Tutto  ciò  ha  contribuito  grandemente,  se  non  è  stata  l'attrattiva  mag- 
giore, a  raccogliere  nel  suo  seno  i  numerosi  soci  che  questo  sodalizio  ha 
avuto  nei  suoi  trent'anni  di  vita,  ad  indurre  i  numerosi  sodalizii  scientifici 
italiani  e  stranieri  ad  accettare  o  domandare  il  cambio  col  nostro  Bol- 
lettino, a  donare  libri  e  giornali,  in  tale  copia  che  la  nostra  sede,  questa 
dove  siamo  raccolti,  che  è  pure  la  nostra  Biblioteca,  non  è  più  capace  di 
contenerli. 

Di  ciò  siamo  tutti  preoccupatissimi  e  specie  il  Consiglio  Direttivo  di 
cui  ho  avuto  l'onore  di  far  parte  finora,  perchè,  oltre  a  non  avere  una 
sala  decorosa  e  comoda  per  le  adunanze,  renae  difficile,  per  non  dire  im- 
possibile, l'uso  della  nostra  cospicua  biblioteca,  che  contiene  pure  libri 
rari,  e  che  è  il  nostro  patrimonio  più  caro,  perchè  è,  insieme  ai  volumi 
del  Bollettino  sociale,  la  parte  tangibile  della  nostra  Società:  il  nostro 
tesoro. 

Ed  il  Consiglio  Direttivo,  per  opera  del  suo  Presidente  e  nostro  ca- 
rissimo amico,  professor  Monticelli,  da  due  anni  nulla  ha  trascurato  per 
cercare  di  dai  e  a  questo  sodalizio  una  sede  bella,  comoda  e  duratura,  pen- 
sando che  le  cose  belle,  per  essere  meglio  apprezzate,  hanno  pur  troppo 
bisogno,  come  il  bel  quadro,  di  una  bella  cornice  che  lo  circondi.  Ogni  più 
tenace  opera  nostra  ha  trovato  ostacoli  nell'impossibilità  di  avere  locali 
adatti  e  con  spesa  lieve,  da  non  aggravare  il  nostro  modesto  bilancio. 

Ma,  se  nulla  è  stato  possibile  di  ottenere  fuori  di  questo  edifizio, 
forse  grazie  all'opera  affettuosa  e  premurosa  del  Presidente,  non  sarà  dif- 
ficile di  allogarci  meglio  ciuì,  per  poter  andare  avanti  per  un  altro  paio 
di  anni,  fino  a  quando  cioè,  per  effetto  dei  nuovi  e  grandiosi  locali  che  gli 
istituti  universitari  del  Palazzo  del  Salvatore  annetteranno,  non  sarà  pos- 
sibile realizzare  un  desiderio  del    professor   Monticelli,  di  ospitare,    cioè, 


—  370  — 

nell'Istituto  Z(j()logic'o  la  Società  di  Naturalisti,  la  quale  non  potrebbe 
così  trovare  sede  più  tlecorusa  e  più  comoda  per  i  soci,  che  allora  po- 
tranno davvero  usufruire  della  Biblioteca. 

Ma  queato  fraterno  e  cordiale  accoglimento  che  il  professor  Monticelli 
farà  alla  Società,  se  per  lui  è  un  atto  nobile  e  spontaneo,  per  l' Univer- 
sità è  un  dovere,  perchè  questo  sodalizio,  mentre  non  l'ebbe  fra  i  Boci,  fu 
da  Salvatore  Trinchese,  —  il  quale  si  credeva  socio  perchè  di  esso  si  inte- 
ressava con  amore,  —  rettore  e  professore,  sempre  incoraggiato  e  sorretto 
in  maniera  energica  e  seria,  fino  al  punto  che  volle  darci  un  locale  gra- 
tuito e  molto  spazioso  nell'abolito  ed  oi-a  distrutto  Monastero  della  Sa- 
pienza, dove  noi  fummo  per  molti  anni  e  donde  uscimmo  per  forza  di 
eventi,  ma  con  l' impegno  che  1'  Università  ci  avrebbe  riaccolti  dopo  la 
sistemazione  dei  suoi  locali  vecchi  e  nuovi,  in  un  posto  dei  quali  sarebbe 
stato  sempi-e  facile  dar  ricetto  a  questa  Società,  secondo  pensava  il  Trin- 
chese. 

Ed  ora  consentitemi  di  parlarvi  del  lavoro  scientifico  della  nostra 
Società  durante  il  passato  anno. 

Nel  decorso  anno  si  sono  tenute  otto  sedute,  di  cui  due  anche  a  scopo 
amministrativo,  cioè  sei  dall'aprile  ad  agosto  e  due  alla  fine  dell'anno. 

Ricordo  ai  soci  che  la  Società,  avendo  ceduto  il  salone  e  questa  sala 
per  il  Comitato  in  soccorso  dei  feriti  del  terremoto  del  1908,  solo  alla 
fine  di  marzo  potette  riavere  liberi  i  locali.  Ciò  spiega  come  la  prima  se- 
duta sia  stata  tenuta  il  4  aprile. 

Il  concorso  dei  soci  non  fu  molto  cospicuo.  La  frequenza  di  essi  ebbe 
un  massimo  di  13  ed  un  minimo  di  9.  I  lavori  letti  furono  dieci,  di  cui 
2  di  Botanica,  1  di  Chimica,  2  di  Geologia,  3  di  Patologia  e  2  di  Zoo- 
logia. I  lavori  letti  furono  i  seguenti  : 

Ricciardi  —  Per  una  critica  del  prof.  Sigismondo  Gunther.  Nota. 
»         —  11  vulcanismo  nel  terremoto  calabro-siculo  del  28  dicembre 
1908.  Nota. 

PiBRANTONi  —  Sopra  alcune  Euplotidae  del  mare  di  Napoli. 

De  Rosa  —  Note  Orticole. 

Gargano —  l."  Molluscum  contagiosum  di  Batemann.  2."  La  Cinesi  nei 
sarcomi  a  cellule  polimorfe.  3.°  Su  la  presenza  di  corpuscoli  cheratoidi  nei 
sarcomi  ulcerati. 

PiERANTONi — Su  T  Origine  dei  corpi  grassi  à' Iceria  piirchasi  e  su  la 
simbiosi  ereditaria. 

Furono  anche  lette  due  lelazioni,  una  del  socio  Frullano  Cavara  e  l'altra  X 
dal  socio  Fr.  Sav.  Monticelli,  la  prima:  Sul  giardino  itlpino  di  Monfevergine; 
la  seconda  Su  la  cerimonia  inaugurale  della  statua  di  Lamarck  a   Parigi. 


—  371  — 

Il  Bollettino  del  l'.IO'J  è  di  circa  220  pilline,  con  9  ligure  tipI  testo. 
2  tabelle  numeriche  e  3  tavole  litografate. 

In  quanto  ai  soci,  ve  ne  furono  tre  nuovi,  uno  dimesso  ed  1  morto. 
La  Società  il  14  luglio  1909  perdette  il  noto  carissimo  socio  professor 
Vitt.  Raffaele  Matteucci,  Direttore  dell'  Osservatorio  Vesuviano.  Mando 
alla  memoria  del  nostro  socio,  cosi  immaturamente  scomparso,  un  mesto 
saluto  e  mi  auguro  che  prima  che  si  compia  l'anno  dalla  morte  si  faccia 
di  lui  in  questa  sede  una  degna  commemorazione. 

La  Biblioteca  si  è  arricchita  di  nuovi  cambi  e  di  parecchi  libri  ri- 
cevuti in  dono ,  di  cui  l'elenco  è  pubblicato  in  fine  dal  volume  del  Bol- 
lettino. 

Fra  le  deliberazioni  importanti  prese  dalla  Società  su  proposta  del 
Consiglio  Direttivo,  bisogna  ricordare: 

1."  L'invito  fatto  al  professore  Francesco  Sanfelice  per  tenere  in  Na- 
poli, nella  nostra  sede,  una  conferenza,  su  gli  studi  sul  cancro,  confe- 
renza che  fu  promessa  dal  Sanfelice,  ma  per  ragioni  indipendenti  dalla 
sua  volontà  ed  anche  di  opportunità  non  fu  più  tenuta.  Ma  il-  Sanfelice 
ha  promesso  che  dopo  gli  esperimenti  su  l' uomo,  allorché  riprenderà  a 
fare  le  conferenze,  la  prima  sarà  fatta  in  questa  Società. 

2."  Si  è  elevata  a  tre  fogli  di  stampa  il  di-itto  di  pubblicazione  per 
ogni  socio,  computando  nei  tre  fogli  anche  le  tavole  che  vengono  attri- 
buite in  valore. 

3.°  Si  è  elevato  il  quantitativo  degli  estratti,  che  dà  la  Società,  a  75 
con  copertina  a  stampa. 

Questi  due  ultimi  provvedimenti  sono  vantaggiosissimi.,  il  primo  perchè 
incoraggia  i  socii  a  pubblicare  nel  nostro  Bollettino,  il  secondo  perchè  sem- 
plifica i  rapporti  fra  Società,  autori  e  tipografia,  e,  se  apparentemente  il 
provvedimento  è  un  aggravio  pel  bilancio,  sia  pur  lieve,  nel  fatto  non  Io 
è  ed  agevola  la  nostra  contabilità  sociale.  Infine,  la  deliberazione  con  la 
quale  si  consente  a  qualsiasi  socio,  anche  l'aderente,  di  fare  comunicazione 
verbale  nelle  tornate  col  dritto  a  vederne  pubblicato  il  sunto  nel  Bollet- 
tino, purché  non  ecceda  le  2  pagine,  è  tale  una  liberalità  e  di  tale  van- 
taggio pratico  che  non  occorre  che  io  mi  indugi  a  dimostrarlo. 

Dirò  solo  che,  grazie  a  questa  deliberazione,  è  aperta  la  via  ad  un 
giovane  studente,  il  quale  voglia  veder  pubblicata  una  sua  prima  ricerca 
scientifica.  Anche  delle  comunicazioni  verbali  si  danno  75  esfratti .,  ma 
senza  copertina  a  stampa. 

Una  sola  escursione  si  fece.  Fu  fatta  a  Montevei-gine  in  occasione 
dell'  inaugurazione  del  giardino  alpino  Tenorea,  fondato  dal  socio  prof.  Ca- 
vara.  La  Società  non  sol"   fu  rappresentata  da  numerosi  socii,  ma  lo  fu 


—  372  — 

iitficialiiiente  dal  Presidente,  che    per   deliberato    del    (\m.si^di(>   Direttive 
iuaugiirù  ima  lapide  a  ricordo  della    festa. 

Anche  in  quest'anno  non  mancò  qualche  nobile  iniziativa.  E  difatti, 
per  iniziativa  e  volere  del  Presidente,  la  Società  si  è  fatta  promotrice 
delle  feste  centenarie  a  Filippo  Cavolini,  illustre  scienziato  napoletano, 
professore  del  nostro  Ateneo,  ed  autore  di  importantissime  opere,  che  in 
questa  occasione  saranno  ristampate  a  cura  del    Comitato   organizzatore. 

Queste  feste,  mentre  onorano  uno  scienziato  napoletano,  provano  come 
ho  detto  cominciando,  gli  scopi  scientifici  e  sociali  altissimi,  che  questo 
sodalizio  non  perde  mai  di  vista. 

Ugo  MiLONE 


Tornata  del  22  maggio  1910 

Commemorazione  uel  socio  iSalvatore  Lo  Bianco 

Prenidente:  Monticelli  Fr.  Sav.  — Segretario  Milone  U. 

La  seduta  è  aperta  alle  ore  15  e  30. 

Il  socio  Milone  legge  una  lettera  del  segretario  Fr.  De  Rosa,  il  quale 
si  scusa  di  non  potere  intervenire,  perchè  infermo. 

Il  Presidente,  nel  far  voti  per  la  pronta  guarigione  del  segretario, 
invita  il  socio  Milone  U.  a  farne  le  veci. 

II  Segretario  legge  le  lettere  ed  i  telegrammi  per\'enuti,  fra  i  (jufdi 
quelli  del  Ministro  di  Agricoltura  :  S.  E.  Ranieri ,  del  prof.  Alessandro 
Pasquale  e  del  Dottor  Vincenzo  Cuomo,  del  Bibliotecario  capo  dell'  Uni- 
versitaria: Prof.  A.  Miola,  del  Prof.  Victor  Bauer,  di  G.  Norti.  del  Prin- 
cipe d'Abro. 

Il  Comm.  L.  Correrà  interviene  come  rappresentante  il  Municijjio  di 
Napoli. 

Il  Dottor  Rinaldo  Dohrn  interviene  quale  Direttore  della  Stazione 
Zoologica  e  come  rappi-esentante  del  Senatore  professor  Todai-o, 

n  Preside  della  Facoltà  di  Scienze  Naturali,  Professor  Chistoni ,  si 
scusa  di  non  poter  intervenire,  perchè  obbligato  a  recarsi  sull'Osservatorio 
Vesuviano. 

Quindi  il  presidente  dice: 

<  La  Società  dei  Naturalisti  in  Napoli,  compresa  dal  lutto  per  l' improv- 
visa immatura  scomparsa  di  Salvatore  Lo  Bianco,  che  ebbe  fra  i  suoi  più 
antichi  soci,  ha  creduto  doveroso  farsi  promotrice  di  questa  pubblica  com- 
memorazione, alla  quale  conferiscono  la  desiderata  solennità  il  largo  in- 
tervento vostro  e  le  numerose  adesioni  ». 

«  A  nome  della  Società  ringrazio  tutti  coloro  che.  accettando  il  nostro 
invito,  hanno  con  noi  voluto  rendere  questo  tributo  di  memore  ricordan/.a 


373  — 

a  Salvatore  Ln  Bianco,  rapito  alla  scienza,  mentre  più  fecondo  spendeva 
l'opera  sua  pel  progresso  della  biologia  marina  ». 

Dopo  di  che,  dà  la  parola  al  professor  Federico  Raffaelo,  il  quale  fa 
la  commemorazione  del  socio  Salvatore  Lo  Bianco.  (E  inserita  integralmente 
a  pp.  99-112). 

La  seduta  è  tolta  alle  ore  1B.45. 


Tornata  del  9  giugno  1910 

Presidente:  Fr.  Sav.  Moììticelli  —  Segretario:  Fr.  de  Rcsa 

Socii  presenti:  Piccoli -Foà  J.,  Piccoli  R.,  Milone  U.,  Pierantoni  U., 
Gauthier  V.,  Galdieri  A.,  Capobianco  Fr.,  Cutolo  A.,  Cutolo  E..  Police  G.. 
Siniscalchi  A.  M.,  CaroH  E.,  Monticelli  F.  S.,  de  Rosa  Fr. 

La  seduta  si  apre  alle  ore  21.30. 

Il  Presidente  si  congratula  col  socio  de  Rosa  della  sua  presenza. 

Il  socio  de  Rosa  segretario  ringrazia  il  Presidente  per  le  sue  parole 
cortesi  e  dice  come  la  sua  assenza  è  stata  dovuta  ad  infermità,  e  prende 
pure  occasione  per  ringraziare  tutti  gli  amici  soci,  che  hanno  preso  conto 
di  lui. 

Il  Segretario  presenta  le  pubblicazioni  pervenute  in  dono  ed  i  nuovi 
cambi,  quindi  prega  il  Presidente  di  dispensarlo  dalla  lettura  del  lavoro 
del  socio  Ricciardi  assente,  per  difetto  di  voce. 

Il  socio  Pierantoni  per  invito  del  Presidente  legge  il  lavoro  del  socio 
Ricciardi,  dal  titolo  :  Il  sismismo.  il  vulcanismo  e  la  costituzione  gcofèsica 
del  geoide. 

Il  socio  Gauthier  chiede  se  tutti  i  lavori  che  si  presentano  alla  So- 
cietà e  dei  quali  si  chiede  la  pubblicazione  debbano  essere  inseriti  nel  Bol- 
lettino. 

Il  Presidente  dice  che,  per  l'art.  33  del  Regolamento,  ogni  socio  ha 
diritto  di  avere  pubblicato  il  lavoro,  ma  nel  caso  di  osservazioni,  queste 
debbono  essere  messe  nell'ordine  del  giorno  di  un'altra  tornata  e  la  di- 
scussione deve  essere  inserita  nel  Bollettino  in  seguito  al  lavoro. 

I  socii  Gauthier,  Cutolo  A.,  Galdieri,  de  Rosa,  Cutolo  E.,  Pierantoni, 
Police  e  Capobianco  fanno  osservazioni  in  vario  senso,  dopo  di  che  si 
concorda  il  seguente  ordine  del  giorno  :  L'assemblea,  udita  la  discussione 
di  massima,  sorca  a  proposito  del  lavoro  del  socio  Ricciardi ,  dal  titolo: 
Il  sismismo^  il  vulcanismo  e  la  costituzione  geofisica  del  geoide^  invita  il 
consiglio  direttivo  a  studiare  un  mezzo,  atto  a  garantire  che  nel  Bollet- 
tino sieno  inseriti  solo  quei  lavori  che  saranno  ritenuti  degni  di  stampa 
dietro  votazione  dell'assemblea. 

Quest'ordine  del  giorno  che  porta  le  firme  dei  socii  Galdieri,  Gauthier, 
Police,  de  Rosa,  Pierantoni.  Caroli,  messo  ai  voti,  è  approvato  all'una- 
nimità meno  uno,  avendo  il  socio  Cutnlo  A.  dichiarato  di  astenersi  senza 
entrare  in  merito. 


-  374  — 

Il  socio  Uauthier,  pei-  un  senso  di  «lelicat,ozza,  esprime  il  desiderio  di 
rimandare  la  lettura  del  suo  lavoro:  Poche  osservazioni  al  lavoro  del 
prof.  L.  Ricciardi:  su  le  relazioni  delle  RR.  Accademie  delle  Scienze  di 
Napoli  e  dei  Lincei  di  Roma  s„  i  terremoti  Calabro-Siculi  del  178S  e 
1908. 

E  ammesso  all' unanimità  socio  ordinario  residente  il  Dr.  Paolo  della 
Valle. 

Il  Presidente  dice  che  il  Consi^dio  direttivo  sulla  proposta  dei  socio 
Untolo  A.  ha  stabilito  che  abbia  luogo  una  escursione  a  Telese  il  gi(jrno 
2(i  corrente. 

Il  Socio  Siniscalchi  lamenta  che  la  nostra  Società  non  è  stata  tenuta 
presente  nell'assegnazione  degli  attestati  di  benemerenza  in  occasione  del 
terremoto  calabro-siculo. 

I  socii  Pierantoni,  Cutolo  A.  e  de  Rosa  fanno  osservazioni  in  vario 
senso,  e  si  delibera  di  mandare  una  dignitosa  protesta  in  occasione  del- 
l'invio delle  lettere  di  ringraziamento. 

La  seduta  è  tolta  alle  ore  11.15. 


Tornata  del  29  Giugno  1910 

Presidente:  Fr.  Sav.  Monticelli  —  Segretario:  Fh.  uè  Rosa 

Socii  presenti:  Gabella  A.,  Milone  U.,  Gauthier  V.,  Gufino  L.,  Guadagno 
M..  Cutolo  A..  Monticelli  F.  S.,  de  Rosa  Fr. 

La  seduta  è  aperta  alle  ore  16. 

Il  Segretario  legge  il  processo  verbale  della  seduta  precedente,  che  non 
può  essere  approvato  per  mancanza  di  numero  legale.  Presenta  quindi  le 
pubblicazioni  venute  in  dono. 

Il  socio  Gauthier  legge  il  suo  lavoro,  rimandato  dalla  seduta  prece- 
dente, e  ne  chiede  la  pubblicazione. 

Il  Segretario  riferisce  sulla  escursione  fatta  il  giorno  26  a  Telese  e 
dà  un  cenno  della  regione  visitata,  in  ordine  specialmente  alla  ricchezza 
di  acque  minerali,  e  parla  dei  progressi  fatti  in  ordine  alla  utilizzazione 
di  quella  naturale  risorsa.  Mette  quindi  in  rilievo  la  cortese  ospitalità  del 
Gav.  Minieri,  proprietario  dello  stabilimento. 

Il  Presidente  ricorda  che  fu  diretto  al  Cav.  Minieri  un  telegramma 
di  ringraziamento,  e  propone  che  l'assemblea  esprima  in  forma  più  solenne 
i  suoi   ringraziamenti. 

L'assemblea  approva. 

Il  Presidente  propone  pure  un  voto  di  ringraziamento  al  socio  Gauthier. 
anima  e  guida  della  escursione.  L'assemblea  approva. 

Il  socio  Gauthier  ringrazia. 

Il  Presidente  comunica  che  il  Gonsiglio  direttivo,  in  ordine  all'art.  33. 
in  seguito  alla  deliberazione  votata  nella  seduta  precedente,  nella  sua  tor- 
nata <lel  24  giugno,  propone  che  alla  dizione  attuale  di  quell'articolo  sia 


-     375  — 

aggiunto:  «  Dopo  tale  discussione,  a  richiesta  di  un  socio,  l'assemblea  può 
votare  sulla  pubblicazione  del  lavoro  nel  Bollettino  ». 

Il  socio  Cutolo  A.  propone  di  rimandare  la  proposta  ad  altra  tornata, 
mettendola  all'ordine  del  giorno.  E  approvato. 

La  seduta  è  tolta  alle  ore  17.20. 


Tornata  del  14  luglio  1910 

Presidente:  Fk.  Sav.  Monticelli  —  Sef/retario:    Fh.  de  Rosa 

Socii  presenti:  Siniscalchi  A.  M.,  Cutolo  A.,  Pierantoni,  de  Franciscis 
F.,  Cavara  F.,  Ricciardi  L.,  Cutolo  C,  Gargano  C. 

La  seduta  è  aperta  ad  ore  21.45. 

Il  Segretario  legge  i  verbali  delle  due  tornate,  9  e  29  giugno.  E  ap- 
provato il  primo,  e  1'  altro  è  rimandato  per    mancanza  di  numero  legale. 

Il  Segretario  presenta  le  pubblicazioni  pervenute  in  dono  ed  i  nuovi 
cambi. 

Il  Presidente  legge  il  lavoro  del  socio  Cotronei  assente,  dal  titolo:  La 
fascia  vitellina  ndl'Oocite  in  crescita  d'Antedon  rosacea  (nota  preliminare) 
e  ne  chiede  la  pubblicazione. 

11  Presidente  chiede  ai  socii  se  qualcuno  fosse  stato  incaricato  dal  socio 
Kemot  assente  di  leggere  il  suo  lavoro:  Solubilità  del  cloruro  di  piombo 
nelle  soluzioni  acquose  di  alcool  etilico  e  mannite.  Nessuno  prende  la  parola. 

Il  socio  Cutolo  A.  fa  una  comunicazione  verbale:  Una  nuova  sofistica- 
zione àelVolio  di  olivo. 

Il  Presidente  fa  una  comunicazione  verbale  sulla  visita  della  Xilocopa 
violacea  ai  fiori  della  Tpomea.  Dice  come  ebbe  occasione  di  iniziare  tali 
osservazioni  durante  la  state  a  Casamicciola  e  si  propone  di  presentare  in 
proposito  altre  osservazioni. 

Il  socio  Cavara  aggiunge  poche  considerazioni. 

Il  socio  de  Franciscis  riferisce  intorno  ad  una  sua  proposta,  perchè  la 
Società  faccia  voto  ai  poteri  dello  Stato,  onde  rivolga  la  sua  attenzione 
a  detinire  quale  sia  la  portata  e  la  funzione  dell'insegnamento  scientifico 
nelle  Scuole  Normali  in  rapporto  alle  finalità  che  se  ne  vogliono  ripro- 
mettere. 

Cutolo  A.  propone  che  tale  argomento  sia  deferito  allo  studio  del  Con- 
siglio direttivo.  De  Franciscis  presenta  invece  il  seguente  ordine  del  giorno, 
che  è  approvato: 

«  La  Società  di  Naturalisti  in  Napoli,  ritenendo  che  la  lotta  all'analfa- 
betismo ed  all'ignoranza  —  oggi  energicamente  intensificata  con  i  proposti 
provvedimenti  legislativi  di  natura  economica  ed  amministrativa — debba 
trovare  la  propria  prevalente  estrinsecazione  didattica,  oltreché  nell'inse- 
gnamento della  lingua  e  del  calcolo,  anche  nella  maggiore  possibile  uti- 
lizzazione del  metodo  sperimentale  e  delle  sue  conquiste,  confida  che  ven- 


—  37C.  — 

t^anii  ini|iartitt'  più  .sicuni  iioniio,  onde  l'insogiKuuento  (ilfiiinMifcare  sia,  '// 
fittlo.  integrato  con  una  reale  ed  adeguata  esplicazione  di  lezioni  di  cose 
e  iìi  foiomciti^  nel  duplice  fine  di  provvedere  allo  svolgimento  della  niente 
ed  alla  tbrmazione  del  carattere  dei  piccoli  allievi  e  di  iniziarli  all'  ap- 
prendimento delle  conoscenze  scientifiche  più  elementari  e  di  maggiore 
interesse  individuale  e  sociale  ». 

«  La  Società  medesima,  considerando  poi  che  le  pure  disposizioni  rego- 
lamentari devono  necessariamente  infrangersi  di  fronte  alla  preparazione 
non  consentanea  dei  maestri;  e  tenendo  presenti  le  attuali  condizioni  di 
angustia,  di  svolgimento  e  di  mezzi,  in  cui  versa  1'  insegnamento  scien- 
tifico nelle  scuole  destinate  alla  formazione  di  essi — tutto  l'insegnamento 
scientifico  vi  è  considerato  come  una  sola  materia!  —  ;  fa  voti  che,  nella 
progettata  imminente  riforma  della  scuola  normale  ,  i  Poteri  dello  Stato 
vogliano  rivolgere  tutta  la  loro  attenzione  a  definire  .quale  vi  debba  essere 
la  portata  e  la  funzione  dell'insegnamento  scientifico,  in  rapporto  alle  fi- 
nalità che  se  ne  vogliano  ripromettere  ». 

La  seduta  è  tolta  alle  ore  23.15. 


Tornata  del  4  agosto  1910 

Presidente  :  Fr.  Sav.  Monticelli  —  Se(/relario:  Fu.  de  Rosa 

La  seduta  è  aperta  alle  ore  21.20. 

Il  Segretario  legge  i  verbali  delle  tornate  29  giugno  e  14  luglio,  che 
sono  approvati. 

Il  Presidente  commemora  il  socio  Antonio  Gabella  rapito  improvvisa- 
mente all'effetto  della  sua  famiglia  e  dei  numerosi  amici  in  ancor  giovane 
età,  enumerandone  le  benemerenze  verso  la  Società  della  quale  fu  Presi- 
dente, e  rilevandone  il  valore  di  studioso  ed  il  carattere  dell'  uomo  buono 
e  dell'amico.  Accenna  ai  funerali  e  ricorda  che  il  Segretario  non  mancò 
di  dare  l'estremo  saluto  al  compianto  amico,  e  che  furono  dirette  parole 
di  condoglianza  alla  famiglia. 

Il  Segretario  presenta  a  nome  del  socio  Ricciardi  il  lavoro:  Su  la 
invenzione  del  tectonismo. 

Si  apre  una  discussione  alquanto  vivace  su  questo  lavoro,  ed  il  Pre- 
sidente si  riserva  di  pregare  il  socio  Ricciardi  di  volervi  apportare  qualche 
modifica. 

Il  Segretario  dice  come  il  socio  Keniot  assente  neppure  questa  volta 
ha  fatto  sapere  qualcosa  a  proposito  del  suo  lavoro,  annunziato  di  nuovo 
dall'ordine  del  giorno,  e  chiede  all'assemblea  se  crede  che  detto  lavoro 
debba  ulteriormente  esser  rimesso  all'ordine  del  giorno. 

Si  delibera,  salvo  ulteriori  condizioni,  di  non  riportarlo  nell'ordine  del 
giorno. 

La  socia  Signora  Piccoli  Foà  i-ipreseuta  il  suo  lavoro  già  presentato 
qualche  anno  fa  ed  accettato  per  la  pubblicazione  e  da  lei  ritirato  spon- 


—  377  — 

taneamente,  dal  titolo  :  Azione  delV anidride  ilaconica  .sopra  i  p-animido- 
t'enoli  (Contributo  allo  .studio  .sulla  Tautomeria). 

Il  socio  Olitolo  legge  un  suo  lavoro  :  Sulla  compoaizione  e  valore  uu- 
tritivo  dei  taralli ,  prodotto  della  panipcazione  speciale  di  Napoli ,  e  ne 
chiede  la  pubblicazione. 

Il  socio  de  Rosa  fa  una  comunicazione  «  Su  di  alcuni  casi  di  fascia- 
zione nell'Ophiopogon  Jahuran,  Hort.  »  e  si  riserba  di  tornare  sull'argo- 
mento. 

Il  socio  de  Rosa  riferisce  inoltre  intorno  ad  uno  studio  iniziato  dal 
Dr.  Marzio  Cozzolino  su  i  cosi  detti  peli  di  seta,  speciale  prodotto  della 
nostra  provincia  e  specialmente  dei  Comuni  di  Precida  e  Torre  del  Greco, 
e  che  si  adoperano  in  vario  modo  come  porta-amo  per  la  pesca,  netta- 
pettini,  tessuti  da  sedili  di  sedie,  etc.  Ricorda  particolari  sulla  industria. 

Il  Segretario  annunzia  una  lettera  del  socio  Forte  in  ordine  alle  even- 
tuali modifiche  dell'art.  33  del  Regolamento;  ma  l'assemblea,  sulla  proposta 
del  socio  Cutolo  A.,  delibera  di  rimandare  la  trattazione  ad  una  seduta 
dell'anno  venturo. 

La  seduta  è  tolta  alle  ore  *23.15. 


Tornata  del  10  novembre  1910 

Presidente:    Fr.  Sav.  Monticelli  —  Segretario:  Fr.  de  Rosa 

Sono  presenti  i  soci:  Pierautoni  U.,  Cavara  Fr.,  Cutolo  A.,  Siniscalchi 
A.  M.,  DeUa  Valle  P.,  Gargano  C,  Monticelli  F.  S.,  de  Rosa  Fr. 

La  seduta  è  aperta  alle  21.15. 

Il  Segretario  legge  il  verbale  della  tornata  precedente  e  se  ne  rimanda 
l'approvazione  per  mancanza  di  numero  legale;  quindi  presenta  le  pubbli- 
cazioni pervenute  in  dono. 

Il  socio  Cutolo  A.  legge  il  suo  lavoro  fatto  in  collaborazione  col  Dr. 
Enrico  Calendoli:  Analisi  chimica  e  batteriologica  delV  acqua  di  Assano 
(Caserta),  e  ne  chiede  la  pubblicazione. 

Il  socio  della  Valle  P.  legge  il  suo  lavoro:  Variabilità  numerica  e  con- 
tinuità genetica  dei  cromosomi.  Ne  chiede  la  pubblicazione,  riserbandosi 
di  consegnare  in  altra  tornata  il  manoscritto. 

Prendono  la  parola  i  socii  Monticelli,  Cavara  e  Pierantoni,  che  si  as- 
sociano alle  conclusioni  del  Dr.  della  Valle. 

Il  socio  Pierantoni  fa  una  comunicazione  verbale  su  di  alcune  sue  os- 
servazioni sulla  simbiosi  ereditaria  e  sui  corpi  ovali. 

Il  socio  Gargano  fa  una  comunicazione  verbale  sui  trapianti  dei  tumori 
maligni.,  esponendo  le  sue  ricerche  sui  sorci. 

Il  socio  de  Rosa  fa  una  comunicazione  verbale:  .su  di  una  deforma- 
zione frequente  nei  frutti  del  pomodoro  della  razza  locale  «prugna  »,  do- 
vuta a  costrizione  esercitata  dalla  corolla,  che  invece  di  cadere  dopo  l'an- 
t,esi  fiorale  accompagna  per  un  tratto  più  o  meno  lungo  l'ovario  nel  suo  svi- 


—  378  — 

luppu,  e  si  riserva  di  presentarne  gli  esemplari  ed  i  disegni  per  chiederne 
a  suo  tempo  la  pubblicazione. 

Il  socio  Monticelli  fa  una  Cdmunicazione  verbale .  sul  preteso  sniridin 
in  uno  scorpione  africano  [Bulhus  //nìiH/ncsfrixftis .  Koch)  e  no  espone  il 
meccanismo  e  le  condizioni. 

Il  socio  Cavara  fa  una  fonumicazione  veri)ale:  .siilld  doppia  freccia  ve- 
nuta fuori  su  di  un  Abit'S  nel  R.  Orto  hotaniro.  Rileva  come  non  sia  fre- 
quente il  caso  che  nello  stesso  anno  le  conifere  dieno  di  queste  doppie 
vegetazioni  ed  espone  la  spiegazione  che  egli  dà  al  fatto  in  relazione  al- 
l'andamento dell'annata. 

Il  Presidente  riferisce  in  ordine  ai  locali  della  sede  sociale,  e  ricorda 
come  il  magnifico  Rettore  abbia  messo  a  disposizione  della  Società,  benché 
in  via  transitoria,  alcuni  locali  universitari  per  deposito  di  mobili,  suppel- 
lettili ed  eventualmente  di  libri. 

Il  Presidente  dichiara  chiusa  la  i-icezione  di  lavori  per  il  Bollettino  di 
quésto  anno,  giusta  la  comunicazione  fatta  ai  socii,  ed  annunzia  che  all'e- 
dizione del  Bollettino  sarà  portata  qualche  innovazione:  cosi  esso  consterà 
di  tre  parti,  una  contenente  i  lavori  originali,  una  le  comunicazioni  verbali 
e  l'altra  il  resoconto  delle  tornate  ,  1'  elenco,  dei  soci  e  tutto  ciò  che  ri- 
guarda andamento  morale  e  materiale  della  Società. 

La  seduta  è  tolta  ad  ore  23.20. 


Assemblea  generale  e  Tornata  del  30  decembre  1910 

Presidente:  Fb.  Sav.  Monticelli  —  Segretario:  Fr.  de  Rosa 

Sono  presenti  i  soci:  (Japoljianco  F.,  Della  Valle  P.,  Bruno  A.,  Grande 
L.,  Rippa  G.,  Gargano  C,  Milone  U.,  Guadagni  M.,  Pierantoni  U.,  Gauthier 
V.,  Siniscalchi  A.  M.,  Nicolosi  G.,  Monticelli  F.  S.,  de  Rosa  Fr.,  Gere- 
micca  M. 

La  toi'nata  è  aperta  alle  ore  15.B0. 

Il  Segretario  legge  i  verbali  delle  tornate  del  4  agosto  e  10  novem- 
bre, che  sono  approvati. 

Il  Presidente  espone  la  pratiche  fatte  in  ordine  allo  affitto  del  locale 
per  la  sede  sociale  ed  annunzia  come  anche  quest'  anno  la  Società  avrà 
sede  negli  stessi  locali  che  occupa. 

Il  Presidente  ricorda  come  si  sono  svolte  le  feste  pel  1°  centenario 
della  morte  di  Filippo  Cavolini,  e  dice  come  la  medaglia  commemorativa 
coniata  dalla  Ditta  Stefano  Johnson  di  Milano  è  tale  da  poter  servire 
anche  come  distintivo  sociale,  e  dà  al  riguardo  altri  particolari. 

Il  socio  Geremicca  elogia  l'opera  del  socio  Pierantoni,  prestata  in  oc- 
casione di  quelle  feste,  in  ordine  specialmente  alla  pubblicazione  del  vo- 
lume delle  opere  di  Filippo  Cavolini. 

Il  socio  Milone  si  associa. 


—  379  — 

Il  Presidente  interpetra  i  sentimenti  dell'Assemblea  e  ringrazia  il 
socio  Pierantoni. 

Il  socio  Pierantoni  ringrazia  a  sua  volta  e  ricorda  l'aiuto  valevole  e 
zelante  avuto  dal  socio  della  Valle  P. 

Il  Presidente  aggiunge  parole  di  ringraziamento  anche  al  Dr.  della  Valle. 

Sono  ammessi  a  socio  ordinario  residente  la  Sig.na  Dr.  Isabella  Iroso, 
e  a  socii  ordinari  non  residenti  i  signori  Dr.  Antonio  Gargiulo  ed  Alfredo 
Misuri. 

Il  socio  Pierantoni  fa  la  seguente  comunicazione  verbale: 

Pierantoni  U.  —  SuìVErmdfroditìsmo  larrale  d' Icerya  purchasi. 

Ijicerya  purchasi.  dannosissima  cocciniglia  degli  agrumi,  che  da  circa 
un  decennio  ha  invaso  molti  agrumeti  dell'Italia  meridionale,  è  fra  le  coc- 
ciniglie di  cui  il  maschio  è  assai  raro  ,  tanto  che  fino  allo  scorso  anno 
non  era  stato  trovato  in  Italia. 

Occupandomi  dello  studio  della  biologia  di  questo  insetto,  specialmente 
in  rapporto  agli  organi  della  riproduzione,  ho  rinvenuto  vai-ii  esemplari  di 
larve  maschili  (come  ho  potuto  accertare  coi  tagli,  poiché  pei  caratteri 
esteriori  le  larve  differiscono  pochissimo  nei  due  sessi).  Per  tal  modo  ho 
constatato  la  esistenza  degli  organi  simbiotici  nelle  larve  maschili,  con- 
cludendo che  tali  organi  sono  presenti  in  ambedue  i  sessi  in  questa  specie  i). 

Ma  un  fatto  più  importante  fu  il  rinvenimento  di  larve,  che  posseggono 
ad  un  tempo  organi  sessuali  maschili  e  fennninili.  dando  esempio  di  un 
vero  ermafroditismo. 

Queste  larve  nelle  fattezze  esteriori  non  sono  differenti  dalle  altre.  Nel 
loro  interno  si  rinvengono  due  testicoli  della  forma  tipica  concamerata 
dei  coccidi;  questi  organi  però  in  alcuni  punti  della  loro  porzione  corti- 
cale producono  ad  un  tempo  spermatogonie  verso  l'interno,  nelle  conca- 
merazioni,  e  verso  l'esterno  vanno  producendo  un  gran  numero  di  oogonie, 
le  quali  si  evolvono  entro  tubi  ovarici  tipici,  provvisti  di  tutti  gli  elementi 
del  tubo  ovarico  monospermo  (oocite ,  cellule  nutrici,  cellule  follicolari) 
costituendo  cosi  dei  veri  organi  ermafroditici. 

Allo  stato  delle  mie  ricerche  non  potrei  dire  con  certezza  se  queste 
forme  larvali  ermafrodite  corrispondano  ad  una  fase  costante  dello  svi- 
luppo dei  sessi,  ovvero  rappresentino  una  condizione  anormale.  E  certo 
però  che  mi  fu  dato  di  osservare  larve  assai  giovani  completamente  ma- 
schili e  larve  alquanto  sviluppate  (di  due  mm.  e  i/o)  che  presentavano  la 
parte  femminile  dell'organo  ermafroditico  in  istato  di  evidente  regressione, 

1)  Cfr.  a  tal  proposito:  Pierantoni  U.— Ulteriori  osservazioni  sulla  simbiosi 
ereditaria  degli  Omotteri,  in:  Zool.  Anz.  3G  Bd.  pag.  97. 


-  380  — 
In  ogni  modo  il  i'atfco  è  interessante,  dato  che  gli  insetti,  oltre  i  noti 
casi  di  ginandroniorrismo  (che  non  è  noto  se  oltre,  che  nei  caratteri  ses- 
suali secondarli,  si  manifesti  anche  negli  organi  essenziali  della  genera- 
zione) ed  oltre  il  caso  del  dittero  tennitotìio  studiato  dal  Wasraann  (Ter- 
mi/osce7ìia),  non  diedero  fino  ad  ora  esempii  di  ermafroditismo. 

8i  procede  quindi  alla  votazione  per  l'elezione  del  Presidente,  e  di  due 
consiglieri. 

Risultano  eletti  : 

Fridiano  Cavara  —  Presidente 
Alessandro  Cutolo  )  ^      .  ,.     • 
Della  Valle    Paolo  ^  ^''^^^^^^^ 

Si  procede  pure  alla  elezione  di  due  revisori  di  conti  per  l'anno  1910 
e  risultano  eletti  :  Vincenzo  Gauthier  e  Giovanni  Rippa. 
La  seduta  è  tolta  alle  ore  17.15. 


CONSIGLIO  DIRETTIVO 


PKH    i/aNNO     1911 


Cavara  Fridiano 
Geremicca  Michele 
De  Rosa  Francesco 
Pierantoni  Umberto 
Quintieri  Luigi 
Cutolo  Alessandro 
Della  Valle  Paolo 


Presidente 
Vice-Presidente 
Segretario 

Consiglieri 


I 


26 


ELElSrOO     IDEI     SOOII 

{ò'I  dicembre  1910) 


ROCII    ORDINARI]    RESIDENTI 

I .  Amato  Carlo.  —  Vìa   Tribnnali,  n.  389. 

'2.  Anile  Antouiuo.  —  Istituto  Anatomico  a  S.  Patrizia. 

'■}.  Balsamo  Francesco.  —  Via  Foria,  210. 

4.  Bassani  Francesco.  —  Istituto  di  Geologia  della  R.    Università. 

5.  Bruno  Alessandro.  —  Via   Bari,  30. 

t).  Capobianco  Francesco.  —  Via  Sapienza,  n.  18. 

7.  Cavara  Fridiano.  —  R.  Orto  ed  Istituto  Botanico. 

8.  Cerniti  Attilio.  —  Sfazione  Zoologica. 

9.  Cotronei  Giulio.  —  Istituto  Zoologico  della  R.    Università  di  Siena. 

10.  Gufino  Luigi.  —  Impagliafìascki   a   Porta  S.   Gennaro,  n.  13. 

1 1 .  Cutolo  Alessandro.  —  Via  Roma,  n.  404. 

12.  Cutolo  Enrico.  —  Via  Roma,  n.  404. 

Va.  De  Biasio  Abele.  —  Vico  Rosariello  a  Piazza  Cavour,  n.  i2. 

14.  D'  Evant  Teodoro.  —  Piazza  dei.  Martiri,  n.  30. 

15.  Della  Valle  Antonio. —  Via  Salvator  Rosa,  n.  259. 

16.  Della  Valle  Paolo.  —  Via  Salvator  Rosa,  n.  259. 

17.  De  Lorenzo  Giuseppe. — Istituto  di  Geografia  Fisica  della  R.  Università. 

18.  De  Rosa  Francesco.  —  Via  S.  Lucia,  n.  64. 

19.  Di  Paola  Gioacchino.  —  Vico  2°  Foglie  a  S.  Chiara,  n.  12. 

20.  Forte  Oreste.  —  Via  Monteolivelo,  n.  37. 

21.  Galdieri  Agostino.  —  Istituto  di  Geologia  della  R.    Università. 

22.  Gargano  Claudio.  —  Via  S.  Lucia,  n.  64. 

23.  Gauthier  Vincenzo.  —  Via  Sapienza,  n.  29. 

24.  Gei-emicca  Michele.  —  Largo  Avellino,  n.  15. 

25.  Giangrieco  Angelo.  —  R.  Scuola   Veterinaria. 

26.  Guadagno  Michele  —  Vico  S.  Domenico  Soriano,  37. 

27.  Jatta  Mauro.  —  Piazza   Vitt.  Emanuele,  n.  12,  Roma. 

28.  Kernot  Giuseppe.  —  Istituto  Chimieo  della  R.   Università. 

29.  Leuzzi  Francesco.  —  Via  Mergellina,  n.  174. 

30.  Massa  Francesco.  —  Via  Fuori   Portamedina,  n.  20. 

31.  Milone  Ugo.  —  Via  Pontenuovo,  n.  21. 

32.  Monticelli  Francesco  Saverio. —  Via    Ponte  di  Cliiaia.  n.  27. 


—  384  - 

33.  Morgera  Arturo.  —  Vico  Neve  a  Ghiaia,  u.  HI. 

34.  Pierantoni  Umberto.  — Galleria    Umberto  /,  w.   27. 

35.  Polire  Gesualdo.  —  Istituto  Zoologico  della  R.   Università. 

36.  Quintieri  Luigi.  —  Piazza   VII  Settembre,  n.  1. 

37.  Ricciardi  Leonardo.  —  Via  Guglielmo  Sant'elice.,  n.  24. 

38.  Rippa  Giovanni.  —  R.  Orto  ed  h'tituto  Botanico. 

39.  Romano  Pasquale.  —  Via  Porta  Medina,  n.  44. 

40.  Scacchi  Eugenio.  —  I.stittito  di  Mineralogia  della  R.   Universi  ti). 
4L  Schettino  Mario. — Via  Roma,  n.  820. 

42.  Siniscalchi  Alfonso.  —  Via  Salvator  Rosa,  n.  330. 

43.  Trani  Emilio.  —  Via  Campanile  ai  Miracoli,  n.  47. 

44.  Viglmo  Teresio.  —  Piazza  Dante,  n.  41. 


385  — 


60CII    OEDINARI     NON    RESIDENTI 

1.  Aguilar  Eugenio.  —   Vico  Neve  a  Materdei.  n.  27. 

2.  Arena  Mario.  —  Yia  Roma,  129. 

3.  Anneuaute  Euclide.  —  R.  Liceo-,  Melfi. 

4.  Caroli  Ernesto. — Istituto  Zoologico  della  R.   Universi  là, 

5.  D'Adamo  Antonio.  —  Rampe  Annunziala,  n.  22, 

6.  Di  Gaetano  Mariano.  —  Istituto   Tecnico.,  Girgenti. 

7.  Foà  Jone.  —  Via  Avvocata  a  Piazza  Dante,  n.  19. 

8.  Jatta  Antonio.  —  Ruvo  di  Puglia. 

y.  Marcello  Leopoldo,  —  Piazza  Cavour. 

W.  Marcucci  Ermete.  —  Pico  (prov.  di  Caserta). 

11.  Patroni  Carlo.  —  R.  Istituto  Tecnico,  Arezzo. 

12.  Piccoli  Raffaele.  —  Via  Avvocata  a  Piazza  Dante,  n.  li). 
lo.  Praus  Carlo. —  Vicoletto  S.  Meandro,  5. 

14.  Raffaele  Federico. —  R.    Università,  Palermo. 

lo.  Rossi  Ferdinando.  —  R.  Scuola  Sup.  di  Agricoltura  ,   Portici. 

16.  Terracciano  Achille.  —  R.  Orto  Botanico,  Sassari. 

17.  Vanni  Giuseppe. —  Via  Sette  Sale,  n.  88,  Roma. 

18.  Vigorita  Domenico.  —  Potenza. 

19.  Villani  Armando.  —  R.  Liceo,  Campobasso. 


SOCII    ADERENTI 

1.  Cutolo  Costantino. —  Via  S.  Brigida,  n.  Hi). 

2.  De  Franciscis  Ferdinando.  —  Corso    Vittorio  Emanuele,  626. 

3.  Filiasi  Emmanuele.  —  Riviera  di  Chiaia,  n.  270. 

4.  Filiasi  Giuseppe.  — •  Riviera  di  Chiaia,  n.  270. 

5.  Grande  Loreto  —  R.  Orto  ed  Istituto  Botanico. 
t).  Melpignani  Jjuigi.  —  Ostuni. 

7.  Morese  Giuseppe.  —  Piazza  Municipio  48. 

8.  Nicolosi  Roncati  Francesco.  —  R.  Orto  ed  Istituto  Botanico. 


Elenco  delle  pubblicazioni  pervenute  in  cambio 


31  dicembre  1910) 


EUROPA 


Italia 


Acireale 


Aosta 
Bologna 
Brescia 
Cagliari 

Catania 
Firenze 


Genova 


Lodi 
Lucca 


-  Accademia  di   Scienze,    Lettere  ed  Arti    dei  Zelanti 

e  P-  P.  dello  studio  [Atti  e  BeitJÌiconti). 
Accademia  dafnica  di  Scienze.  Lettere  ed  Arti  (Aiti 

e  Rendiconti). 
■  Societé  de  la  Flore  Valdotaine  i  Bollettino). 
-R.  Accademia  delle  Scienze  dell'Istituto  (Bendiconti). 

-  Commentari  dell'  Ateneo. 

Bollettino    della    Società  tra  i  cultori    delle  Scienze 

mediche  e  naturali. 
R.  Accademia  Gioenia  (Bollettino  e  Memorie). 
Archivio  per  l'Antropologia  e  1'  Etnologia. 
Società  botanica  italiana  (Bollettino). 
Nuovo  Giornale  botanico  italiano. 
Bollettino  bibliografico  della  botanica  italiana. 
Monitore  zoologico  italiano. 
«  Redia  »  Giornale  di  Entomologia. 
R.  Società  toscana  di  Orticoltura  (Bollettino). 
R.  Accademia  dei  Georgotìli  (Atti). 
Società  entomologica  italiana  {Bollettino). 
R.  Accademia  medica  (Bollettino  e  Memorie). 
Museo  civico  di  Storia  Naturale  (Annali). 
Musei  di  Zoologia  ed  Anatomia    comparata  della  R. 

Università  (Bollettino). 
Società   ligustica    di  Scienze   naturali   e   geografiche 

(Atti). 
Rivista  ligure  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti. 
R.  Stazione  sperimentale  del  caseificio  (Annuario). 
R.  Accademia  lucchese  (Atti), 


¥ 


Milano 
Napoli 


Padova 


Palermo 


Pavia 
Perugia 

Pisa 

Portici 

Roma 


Rovereto 

Sassari 
Scafati 
Siena 


—  388  — 

—  Società  Italiana  di  Srieuze  naturali  e.  Museo  civico  di 

Storia  naturale  (Atti). 

—  R.   Accademia   delle  ScieJize    tisiche    e    matematiche 

{Memorie,  Rendiconli  ed  Annuario). 
Accademia  Fontani ana  {Alii). 
Annuario    del    Museo  Zoologico    della  K.  Università 

di  Napoli. 
Orto  Botanico  della  R.   Università,  l  Bolletlino).. 
Gr  Incural)ili. 

Zoologischen  Station  zu  Neapel  [Milllicili(iiycii). 
Annali  di  nevrologia. 
Rivista  agrariii. 
Società  africana   d' Italia.  {Bollettino j. 

—  Accademia  scientilica  veneto-ti^entiuo-isti-iana  (  .1//m. 
R.  Stazione  bacologica  (Annuario}. 

La  Nuova  Notarisia. 
11  Raccoglitore. 

—  Il  Naturalista  siciliano. 

Giornale  del  Collegio  degli  Ingegneri  agronomi. 
R.  Istituto  botanico.—  Contribuzioni  alla  Biologia  ve- 
getale. 
R.  Orto  Botanico  e  Giardino  coloniale  {Bollettino). 

—  Istituto  botanico  dell'  Università  di  Pavia  (Atti). 

—  Annali  della  Facoltà  di  medicina    e  Memorie   della 

Accademia  medico-chirurgica. 

—  Società  toscana  di  scienze  naturali  {Memorie  e  Pro- 

cessi verbali). 

—  R.  Scuola  superiore  di  Agricoltura  {Annuario  e  Bol- 

lettino). 
Laboratorio  di  Zoologia  Generale  ed  Agraria  {Annali). 

—  R.  Accademia  dei  Lincei  {Bendiconti). 

R.  Accademia  medica  {Bollettino  ed  Atti). 

R.  Comitato  geologico  italiano  (Bollettino). 

Ministero  di  Agricoltura  (Annali). 

Laboratorio  di  Anatomia  normale  della  R.  Università 

(Bicerche). 
Accademia  pontitìcia  dei  Nuovi  Lincei  (Atti). 
Società  zoologica  italiana  { Bollettino  ì. 
Società  italiana  per  il  progresso  delle  scienze  iAtti). 
R.  Stazione  chimico-agraria  sperimentale  (Annali^. 
Società  per  gli  studi  della  malaria  (Atti). 

—  Accademia  degli  Agiati  (Atti). 

—  Museo  civico  (Pubblicazioni). 

—  Studi  sassaresi. 

—  Bollettino  tecnico  della  coltivazione  dei   tabacchi. 

—  Rivista  italiana  di  Scienze  naturali. 


Torino 


Udine 

Venezia 

Verona 


—  389  — 

R.  Accademia  deJle  Scienze  {Af/i). 

Club  alpino  italiano  (Rìv'isla  e  Bollettino). 

Musei  di  Zoologia  e  di  Anatomia  comparata  ilella  \{. 

Università  {Bollel/ino). 
«  Biologica  ».  Rivista  di  Scritti  di  Biologia. 
«  Mondo  Sotterraneo  ».  Rivista  di  Speleologia. 
L' Ateneo  veneto. 
Madonna  Verona. 
Accademia  d'  Agricoltura  ,  Scienze  ,  Lettere  ,  Arti  e 

Commercio  [Atti  e  Memorie). 


Spagna 

Barcelona  -  Institució  catalana  d'Historia  naturai   i  Batllrfi). 

Cartuja  —  Boletin  Mensual  de  la  Estación  Sismologica  de  Car- 

tuja. 
Madrid  —  Sociedad  espanola  de  Historia  naturai  {Anakò-  y  Bo- 

letin). 
Zarag'Oza  —  Sociedad  aragonesa  de  Ciencias  naturales  (  Boletin). 

Anales  de  la  Facultad  de  Ciencias. 


Portogallo 


Coimbra 
Lisbona 


-Aunaes  scientilicos  da  A.^ademia  Polytecnica  do  Porto. 
-  Broteria — Revista  de  Sciencias  naturaes  do  Collegio 

de  S.  Fiel. 
Bulletin    de  la  Société   Portugaise    de   Sciences  Na- 

turelles. 


Francia 


Bordeaux  —  Société  d'Océanographie  du  Golfe  de  Clascogne.  [Rup- 

ports). 
Cherbourg'  —  Société  nationale  des  Sciences  naturelies    et   mathé- 

matiques  (Mémoives). 
LangreS  —  Société    de  Sciences    Naturelies    de  la  Haute   Marne 

[Bulletin). 
Levallois-Perret — Association  des  Naturalistes.  (  Hnllefin). 

—  Société  des  Sciences  et  Réunion  biologique  de  Nancy 

(Bulletin  des  séances). 
Nancy  Bibliographie  anatomique. 

Nantes  Société  des  Sciences  naturelies  de  l'ouest  de  la  France 

(Bulletin). 


—  SW) 


Paris 


.rounifil  <U'  rAiiiitoiiiie  et  «le  la  IMiysiolotric  do  riiniiiine 

et   (leH  aiiiiuaux. 
Soriété  zoologif[iie  tle  France  (  Bnlh'lni   et  Mrmnirr.s-). 
Miiséum  d'Histoire  iiaturelle  i  Bulle/ in). 
La  feuille  des  jeunes  Naturalistes. 


Bruxelles 
Louvain 


Belgio 

8ociété  royale  malacoio<^ique  de  Belgique   (Aiuiides). 
La  Cellule. 


Berlin 
Bonn 

Leipzig 

Giessen 
Giistrow 


Germania 

Bericht  i\ber  die  Verlagsthàtigkeit. 

Naturae  novitates. 

Botanische  Verein  der  provinz  Biande) )urg;  (Verhavil- 

lungen). 
Naturhistorisohen  Veveines  dei-  Preussischen   Rhein- 

lande  und  Westfalens  (Verhandlungen). 
NiedeiTheinischen    Gesellschaft   filr    Natur-und  Heil- 

kunde  iSìtznngsherich  te  ]. 
Zoologischer  Anzeiger. 
Matematische  und  naturwisseuschaftliche  berichte  aus 

Ungarn. 
Oberhessischen  Gesellschaft  filr  Natur-und  Heilkund 

(Bericht). 
Verein  der  Freunde  der  Natui'geschichte  in  Mecklen- 

burg  (Archiv). 


Chur 

Lugano 
Zurich 


Svìzzera 

Naturfoschenden  Gesellschaft  Granbiinden's  [JaJnrs- 

l/ericht). 
Società  Ticinese  di  Scienze  Naturali  (Bollettino]. 
Soeietas  entomologica. 

Austria 


Wien 
Prag 


K.  K.  Naturhistorischeu  Hof-Museums  i  Annnlrn). 

Zoolog.  botan.  Gesellschaft  l  Verhaitdhingen}. 

Cesila  akademie  cisare  Frantiska  Josefa  prò'  vedy 
slovenost.  a  unieni  {Pnl)f>lic(i ninni). 

Casopis  Ceské  Spoiecnosti  Pvntomologické  {Ada  So- 
ci ci  ali  s   Kitl(nii()ht(ii<-ac    liolicmido). 


Budapest 
Briìnn 


—  391  — 

A(|itila  —  Magyjir  Oniithologiai   Kozpoiit  Folyciirata. 
Societé  Royale  Hongi'oise  des  8cieuce.s  Naturelles. 
Naturtbschenden  VereinesJ.  (  Vcrhandlunycri). 


Inghilterra 

Cambridge  — Philosophical  Society  i  Proceedin(/s  nnd  Trannactions). 

London  —  Eoyal  Society  (Prnveedinf/s  ,  Reports  of  the  sleejnng 

sickHCs-fi  coììimis.sioH.  and  Obituari/  noti  cefi}. 
Plymouth  —  Marine  l)iological  Association  of  the  United  Kingdoin. 

{Joxnuit). 


Svezia 

Upsala  —  Creological    Institution    of  the    University    of  Upsala 

(Bulletin). 
Stockholm  —  K.    Vet.    Akadems-Bibliothek    (Arkiv    for    Botanik- 

Arkiv  il  ir  Zoologi). 


Norvegia 


Tromsoe 


—  Tromsoe  Museum 


Finlandia 

Helsingfors  —  Societas  prò  fauna  et  tlora  fennica  (Ada  et   Mrddi, 

landen). 


Kiew 

Moscou 

Tittis 


Russia 

■  Société  des  Naturalistes  [Ménioires). 
Société  imperiale  des  Naturalistes  {Bulletiii) 
Giardino  botanico  (Lavori). 


Olanda 

Amsterdam         —  Academie  Royale  (Memoires). 


\  o  ^< 

LIBRARY 


» 


^^^ 


'ytAs 


'^. 


v: 


3y2  - 


Tokyo 


ASIA 
Giappone 

—  Aunotationes  zoolugiciie  japonenses. 


Cairo 


AFRICA 

Egitto 

Société    entomologique    d'  Egypte    [Bulleliu    et   Mé- 
ìiioircs). 


Colonia  del  Capo 

Capetown  —  South  Alricaii  Museuin  ( Auitaisj. 

AMERICHE 
Brasile 

Rio  de  Janeiro —  Arcbivos  do  Museu  Nacioual. 


Lima 


Perù 


Boletin  de  la  Societad  geogi'afica. 


Uraguay 

Montevideo  —  Museo   nacioual    (Auales  y  Coiiuiuiciuioiics  :    Scrción 

his(órico-/ìlosófìca}. 


Paraguay 


Asuncion  —  Revista    de    Agi-onoiuia    y    de    Cieucias    aplicadas. 


—  393  — 
Repubblica  Argentina 

Buenos  Ayres  Museo  nivcional  i  AiKi/i's  y  ('<n)ìiitiictiriinii:s\. 

Chili 

Santiago  —  Società  flcientifiqup  dn  (Jliilì  i AvU's). 

Colombia 

Bogotà  —  El  Agricultor.  —  Organo  de  la  Sociedad  de  los  Agri- 

cultores  oolombianos 

San  Salvador 
San  Salvador      —  Anales  del  Museo  Nacional. 


Messico 

Messico  —  Sociedad  cientifica  «  Antonio  Alzate  »  { Memori as  y 

Bevisf.a). 
Institùto  geologico  (Bolefin.    Parergoìirs). 

Stati  Uniti 

Berkeley  —University  of  California  iPubUrafions,   Bnlìeiìn). 

Boston  —  Society  of  Naturai  history  iProcfcdii/f/.s-]. 

Brooklyn  —  Gold  spring  harbor  Monographs. 

Chapell  Hill        ^  Elisha  Mitchell  scientific  Society  ijonrnal). 
Chicago  —  Acadeniy  of  Sciences  iBnlletìn  and  Avnnal  reporf). 

Field    Musemn    of   Naturai   History   {Deparfìnml  of 
Botami). 
Madison  (TT7,sroj/.9/w)—Academy  of  Sciences.  Arts  and  Lettres   {Tran- 
sactions). 

Wisconsin  geological  and  naturai  History  Survey  (BmZ- 

letm). 
Missoula  (Movlmxi^  —  Bulletin  of  the  University  of  Montana  {Biological 

Series). 
New  York  —  Botanical  garden  (Bulletin). 

Philadelphia       —  Academy  of  Naturai  Sciences  {Proce.eàings). 
Saint-Louis         —Academy  of  Science  (Transactions). 

Missouri  l)otanical  garden  {Anrmal  reporf). 
Springfield  {Masmehmsets,  —  Mnsenm  ni  naturai  history. 
Tufts    College  {Massarlms.se.lii)  —  Studies. 


-  394  — 

Washington  [Juited   Stntes  (-fonlo^ical   Survey  \  A  inni  ai  report). 

U.  S.  Depui-tiuPiit  of  A^riculture.  —  Division  of  Or- 
nithology  ;iiiil  .Alauiiiialogy  [Bnllrihi  Norfh  Amt- 
lican   Fax  Udì. 

Smitlisoniaii   Institiition  {Auiixal  rcpor/ì. 

U.  S.  National  Museuni  {  Bai  Irli  n). 

U.  S.  Deparhnent  of  af^riciilture  i.Jcarhook). 

U.  S.  Department  of  agriculture.  —  Bureau  of  ani- 
mal  industry  (Annual  reports). 

Carnegie  Institutinn  of  Washington  —  ('B/7//;rrt/;o«) 


Halifax 


Canada 

Nova  Sfotiaii  Jnstitute  of  science. 


OCEANIA 
Nuova  Zelanda 


Wellington 


(4eological   Survrtv.   /  ì'iiliììculìons). 


PUBBLICAZIONI  PERVENUTE  IN  DONO 

(in  dicembre  1910) 


A.TKLLO  G.  e  Cacace  e.  —  Ueber    die  Ausscheidung  der  Galleusauren  im 
Harn  gesunder  und  Kranker  Menschen  und  im  Harn 
unserer  Haustiere.   1  op.  8.°,  pag.   IH.  Wien.     1901. 
(Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 
Ai.BKRTOTTi  G.     —  Note  riguardanti  i  bambini  oftalmici  nell'  Asilo  infan- 
tile di  Modena  nell'anno  1887.  1  op.  8.°.  pag.  16.  Mo- 
dena, 1898.  (Dono  idem). 
Breve  relazione  riguardante    dieci  simpatectomie   cer- 
vicali eseguite  sopra  ammalati    aifetti    da  glaucoma. 
1  op.  8.°,  pag.  24,  ili.  Pavia  1900.  (Dono  idem). 
—  Considerazioni  intorno  a  Benvenuto   ed  alla   sua   opera 
oftalmojatrica.  op.    8.».   pag.   22.   Pavia  1898.   (Dono 
idem). 
Au.EuKKTTi  M.     —Sul    fenomeno   Edison,    op.   8°.  pag.    17.  Pisa,    1902. 

(Dono  idenij. 
AiA'iNo  P.  —  Su  di  un   caso  di    ferita  penetrante    nel  torace.    Que- 

stioni medico  -  legali,  op.  8.°,  pag.    3.  Aversa,   1898. 
(Dono  idem). 
Amodko  F.  —I  trattati  delle  sezioni  coniche,  da  Apollonio  a  Simson. 

1  op.  8.°,  pag.  51.  Napoli  1906.  (Dono  idem). 
_XJno  sguardo  allo  sviluppo    delle    scienze    matematiche 
nell'evo  antico.  1  fase.,  pag.  9.  Napoli,   1906.  (Dono 
ideuij. 
—  Appunti  e  risposte.  Lettera  aperta  ad  vm  geometra  ita- 
liano. 1.  fase,  pag.  10,  Napoli,   1902.    (Dono  idem). 
AsHi.F.Y  H.   E.     -  The  Colloid  matter  of  Clay  and  its  measuremeut.  1  op. 
8.°,  pag.  65.  Washington,  1909.  (Dono  dell'U.  S.  Geo- 
logical  Surveyì. 
^,i.,.j  _  Del  III  Congresso   Nazionale  delle  Scuole  Industriali, 

Artistiche    industriali,    Commerciali    e  Professionali 
femminili.   12-19  Settemln-e  1909.  1  voi.  8.«,  pag.  151. 


—  396  - 

Intra,  1910.  ^Doiio  della  Hivista  ■'  La  Scuola  Indu- 
striale •>  |. 

Bakumn  M.  e  l'vKi.ATi  L.  —  Studio  SUI  prodotti  di  disidratazione  dell' a- 
citlo  i'enilortunitrocinnjimico  e  dei  prodotti  che  accom- 
pagnano quest'acido  nella  sintesi  del  Perkin.  1  op.  8.", 
pag.  18.  Napoli,  1906.  (Dono  del  prof.  F.  S.  Mon- 
ticelli). 

Bassani   V.  —  Sui  fossili  e  sull'età  del  deposito  di  Castro  dei  Volsci 

in  provincia  di  Roma  (Miocene  superiore).  1  op.  8.". 
pag.  10  e  1  tav.  Roma,  1910.    (Dono  dell'autore). 

Bki  KKH  (i  I''.  — Relations  between  locai  magnetic  disturbances  aud  the 
genesis  of  petroleum.  1.  op.  8".  pag.  24.  Washington, 

1909.  (Dono  dell'U.  S.  Geological  Survejj. 
Iìksana   e.            — 'IVent'anni    di  attività  della  R.  Stazione   Sperimentale 

di  Caseiticio  di  Lodi.  (1880-1909).  1  voi.  8.»,  pag.  95. 
Lodi,   1909.  (Dono  dell'autore). 
Bksant  a.  —  La  vita   spirituale  per   1'  uomo    del  tmondo.   1  op.  8.", 

pag.  14.  Genova,    1907.    (Dono  del  Signor  Riccardo 
Nevaj. 
»  — Problemi    di    sociologia.  1  op.  8.»,    pag.   3L    Genova, 

1910.  (Dono  idem). 

»  —  La  legge  di  popolazioiie  e  la  Teosofia.   1   op.  8.°,  pag. 

7.  Genova,   1891.   (Dono  idem). 
BiNvoHi  11.  —  Sull'azione  protettiva  del  peritoneo  nelle  infezioni  d'o- 

rigine intestinale.  1  op.  8.°,  pag.  11.  Palermo,    1899. 
(Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 
»  —  La    teoria   di   Flugge    e    le   sue    applicazioni    alla    chi- 

rurgia. 1  op.  8.°,  pag.  20.  Palermo,  1900.  (Dono  idem), 
e  ZoccHEDDU  E.  —  Rendiconto    clinico    del    biennio    1895-189G. 
1  op.  8.",  pag.  13G.  Cagliari,   1897.  (Dono  idem). 
Biondi   ]).  —  Quadriennio   chirurgico  a  Cagliari.   1  voi.  8.",  pag.  321 

ili.  Cagliari,  1896.  (Dono  idem), 
»  — Contributo  clinico  sperimentale  alia  chirurgia  del  pan- 

creas. 1  op.  8.°,  pag.  30  con  1  tav.  Bologna.  189(). 
(Dono  idem). 
»  —  Giustificano  i  risultati  le  operazioni    intracraniche    sul 

trigemino  ?  1  op.  8.",  pag.  32.  Cagliari-Sassari.  1898. 
(Dono  idem). 
Br.ANOHARi»  U.       — A  propos  de  l'éléphantiasis  du.scrotum.  1  op.  80,  pag. 

598-608  ili.  Paris,   1901.   (Dono  idem). 
Bonghi  M.  — Stato  delle  industrie  elettriche    nelle  Provincie    Meri- 

dionali. 1.  op.  8  °,  pag.  19.  Milano,  1906.  (Dono  idem). 
BoNOMi  A.  —  Del  canto  dei  Rampichini   (Certhia  familiari^  L.  e  C. 

hrachyàactijla  Br. ).  1  op.  8.",  pag.  3.  Siena.  1910. 
(Dono  dell'autore). 


-   397  — 

Borghi  E.  —  Sulla  fotografia  del  fonilo  dell'occhio.  1  op.  8.°,  pag.  5, 

1  tav.  Modena,  1898.  (Dono  del  prof.  F.  S.  Monti- 
celli). 

—  Bref  och  Skrifvelser  af  och  till  Cari    von  Linné  med 

understod  af  Svenska  Staten  utgifna  of  Upsala  Uni- 
versitet.  Del  III.  1  voi.  8.°,  pag.  342.  Stockholm, 
1909.  (Dono  dell'Università  di  Upsalaj. 

—  Bref  och  Skrifvelser  of  och  till  Cari  von    Linné.    Del 

IV.  1  voi.  8.«,  pag.  365.  Stockhokn,  1910.  (Dono  idem). 

BiiooKs  A.  H.  —  Minerai  Resources  af  Alaska.  Report  on  progress  of 
investigations  in  1908.  1  voi.  8.°,  pag.  418.  Wa- 
shington, 1909.  (Dono  deirU.  S.  Geologica!  Survey). 

(jALAN'DPìiK'rTo  S.  —  Tentativi  di  cura  della  scrofola  colle  iniezioni  di  sangue 
malarico.  1  op.  8.°,  pag.  3.  Catania.  (Dono  del  prof. 
F.  S.  Monticelli). 

Calkixs  F.  C.  —  a  Geologica}  Reconnaissance  in  Northern  Idaho  and 
Northwestern  Montana.  1  voi.  8.°,  pag.  112.  Wa- 
shington, 1909.  (Dono  dell'U.  S.  Geological  Survey), 

Capriati  V.  —  Influenza  della  elettricità  sullo  sviluppo  degli  organismi 

animali.  1  op.  8.°,  pag.  7.  Napoli,  1900.  (Dono  del 
prof.  F.  S.  Monticelli). 

Caruso  F.  —  Die  neusten  Ergebnisse    des  conservativen    Kuiserch- 

nittes  mit  Uterusnaht.  1  op,  8.",  pag.  59.  Leipzig, 
1888.  (Dono  idem). 

Casazza  G.  —  Critica  della  teoria  sulla  trasformazione  del  calore  in 

lavoro.  1  op.  8.°,  pag.  15.  Milano,  1902.  (Dono  idem). 

Chambfirltk  R.  T.  —  Notes  on  explosive  mine  Gases  and  Dusts.  1  op.  8.°, 
pag.  65.  Washington,  1909.  (Dono  dell.U.  S.  Geolo- 
gical Survey). 

CnmoNK  V.  —  Sulla  Ferratina.  1  op.  8.",  pag.  14.  Milano,  1899.  fDono 

del  prof.  F.  S.  Monticelli). 

(Jlarkr  W.  F.  — The  data  of  Geochemistry.  1  voi.  8.°,  pag.  716.  Wa- 
shington, 1908.  (Dono  dell'U.  S.  Geological  Survey). 

CoBKLLi  R.  —  Appendice  agli  Imenotteri  del  Trentino.  1  op.  8.°,  pag. 

54.  Rovereto,  1910.  (Dono  del  Museo  Civico  di  Ro- 
vereto). 
»  —  Appendice  alle  Cicadine  del  Trentino.  1  op.  8.°,  pag. 

19.  Rovereto,  1909.  (Dono  idem). 

CoijjKR  A.  J.  —  The  Arkansas  Goal  Field.  1  voi.  8.»,  pag.  158.  Wa- 
shington,   1907.  fDono  dell'U.  S.  Geological  Survey). 

—  Comitato  Italiano  per  le  Onoranze  ad  Antonio  Dohm, 

Solenne  Commemorazione  nell'Aula  Magna  della  Regi  a 
Università  di  Napoli.  5  Dicembre  1909.  Discorso 
letto  dal  prof.  F.  S.  Monticelli.  1  fase.  pag.  32.  Na- 
poli. (Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 


—  398  — 


CONDRA    (t.     K.  — 

CORIO    F.  

Costa  T.  — 

Costa  0.  G.  — 

CoUTIIHAT    L.  — 

C0ZZ0I,IN0    V.  — 


CUTOLII    A. 


Darton  N.  H. 


De  Rosa  G.         — 


DlAMARK    V. 


Geology  und  Water  Resources  of  a  portion  of  the 
Missouri  River  Valley  in  North-Eastern  Nebraska. 
1  op.  8.»,  pag.  59.  Waskington,  1908.  (Dono  dell'U. 
S.  Geological   Survey). 

Contribuzione  allo  studio  delle  proprietà  ottic-o-nristal- 
lografiche  di  alcuni  sali  isomorfi  di  potassio,  l  op. 
8.",  pag.  73-117.  Modena,  1898.  (Dono  del  prof.  F. 
S.  Monticelli). 

Sulla  solubilità  del  bicloruro  di  piombo  nell'  acqua.  1 
op.  8.",  pag.  8.  Napoli,  1904.  (Dono  idem). 

Note  relative  alla  miniera  di  asfalto  di  Roccasecca  ed 
agli  usi  cui  può  utilmente  impiegarsi.  1  op.  gr.,  pag. 
9.  Napoli,  1865.  (Dono  idem). 

Per  la  lingua  internazionale.  1  op.  8.°,  pag.  80,  Cou- 
lommiers,  1900.  (Dono  dell'autore). 

Sulla  necessità  assoluta  del  reperto  necroscopico  delle 
cavità  auriculari,  nasali  primarie  e  secondarie  nei  re- 
perti endocranici  con  essudati  acuti  e  cronici.  1  op. 
8,°,  pag,  12,  Milano,  1906.  (Dono  del  prof.  F.  S. 
Monticelli). 

Azione  del  freddo  sui  vini.  1  op.  8.°,  pag.  11.  Napoli, 
1910,  (Dono  dell'autore). 

Una  formula  pev  risolvere  la  crisi  vinicola.  I  op.  8.°. 
pag.  9.  Napoli.   1909.  (Dono  idem). 

■  Structural  materials  in  parts  of  Oregon  and  Washing- 
ton. 1  op.  8.0,  pag.  33.  Washington,  1909.  (Dono  del- 
l'IT. S.  Geological  Survey). 

La  pneumonite  da  aspirazione    nei    Comuni  Vesuviani 
in  seguito  all'  eruzione    vulcanica.  1  op.  8.°.  pag.  8. 
Milano,   1906.  (Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 
Ueber  entozoische  tuberkulose  Neubildungen.  1  op.  8.°. 

pag.  459-465.  Jena,  1897,  (Dono  idem). 
Discorso   letto  dal  Dottor   Emilio  De  Ferrari  il  dì  II 
Maggio  MCMX  nella  ricorrenza  del  XIII  anniversario 
delle  Feste  Centenarie  per  Antonio  Rosmini.  1  foglio 
pag.  4.  Rovereto.  (Dono  dell'Accademia  degli  Agiati 
di  Rovereto. 
Données  graphiques  et  illustrées  sur  la  Republique  Ar- 
gentine.   1909.   1  op.  8.°,   pag.  8,  ili.   Buenos   Aires, 
1909.  (Dono  della  Sociedad  Rural  Argentina). 
Elenco  dei  donatori  e  dei  doni  fatti  al  Museo    Civico 
di  Rovereto  dal  l"  gennaio  al  31   dicembre  1909.  1 
fase,  pag.  G.  (Estratto  dal  giornale  «  Messaggero  > 
di  Rovereto.  1910).  (Dono  del  Museo). 


—  399  — 

Fasano   a.  —Il  JodalbHcido  nella  odierna  terapia,  l  op.  8.°,  pag.  27. 

Napoli,  1900.  (Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 
Fkukhici  N.  —  Sifilide  terziaria.  Gomma  siiilitica  nel  cellulare  perior- 

bitale.   1  op.  8.«,  pag.  8.  Milano,  1896.  (Dono  idem), 

Contributo  allo  studio  della  Calcolosi  renale.  1  op.  8  », 

pag.  9.  Milano,  1904.  (Dono  idem). 
_  Sulla    cataratta    congenita.  1  op.   8.°,  pag.  6.  Milano, 

1895.  (Dono  idem). 

^^  Contributo  allo  studio  delle  localizzazioni  della  malaria 

1  op.  8.°,  pag.  12.  Milano,   1895.  (Dono  idem). 

y^  _  Importanza  della  traumatologia ,  rapporti  di    essa  con 

r  anatomia  e  con  le  altre   branchie    della  scienza.  1 
op.  8.0,  pag.  20.  Sassari,   1904.  (Dono  idem). 
_  Pio-pielonefrite  destra  da  calcolo  operata  di  nefrotomia. 
1  op.  8.0,  pag.  42.  Napoli,  1897.  (Dono  idem). 

>,  _  Un'  operazione  di  plastica.  1  op.  8,«,    pag.  5.  Milano, 

1896.  (Dono  idem). 

»  —  Studio  sul  rene  mobile.  1  op.  8.»,  pag.  57.  Napoli,  1897. 

(Dono  idem). 
>^  _  Contributo  allo  studio  dei  rapporti  fra  gravidanza,  puer- 

perio e  tubercolosi.  1  op.  8.°,   pag.  7.  Milano,  1900. 
,^  —Resezione  intestinale  per  ernia    gangrenata.    Enteror- 

rafia  circolare.  Guarigione    1.  op.  8°,    pag.  10.  Na- 
poli, 1898.  (Dono  idem). 

Fernalu  R  H.  —  Incidental  Probleras  in  Gas-producer  tests.  1  op.  8.°, 
pag.  29.  Washington,  1909.  (Dono  delFU.  S.  Geologi- 
cai  Survey). 

Fleig  G.  —  Traitement  de  l'Hypertrophie  prostatique  par  les  rayons 

X.  1  op.  8.°,  pag.  12.  Paris,    1907.    (Dono  del  prof. 
F.  S.  Monticelli). 

Galdieri  a.  —  Le  terrazze  orografiche  dell'Alto  Picentino  a  Nord-Est 
di  Salerno.  1  op.  8.",  pag.  116  con  iU.  Roma,  1910. 
(Dono  dell'autore). 

Galli  Valewo  B.  —  Le  neoformazioni  nodulari  nell'organismo  dell'  uomo 
e  degli  animali  domestici  e  la  loro  diagnosi  differen- 
zi Jile  nelle  necroscopie.  1  voi.  8.«,  pag.     162.  Roma, 

1897.  fDono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 

Gannett  S.  S.  and  Baldwin  D.  H.  —  Results  of  Spirit  Leveling  in  West 
Virginia  1896  to  1908  inclusive.  1  op.  8.»,  pag.  81. 
Washington,  1909.  (Dono  dell'U.S.  Geological  Survey). 

Gargano  C.         —  La    cinesi    nei  sarcomi  a  cellule    polimorfe.    1  op.  8.«, 
pag.  121-137    con  1  tav.  Napoli,    1910.    (Dono  del- 
l'autore). 
»  Sulla  presenza  di  corpuscoli  cheratoidi  nei  sarcomi  ul- 

cerati. 1  op.  8.»,  pag.  138-146.  Napoli,  1910.  (Dono 
idem). 


—  400  — 


(tiRTY  fi.    fi         —The   Pruina   oC  tlio,  Caiioy   Shale   of  Oklahoma     1.   voi. 

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Milano,  1908.  (Dono  idem). 
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renze,  1910.   (Dono  idem). 
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celli). 


Hayes  C.  W 


Hn.HKR    V 


HUMPHRKY    R. 


Jauerskiold  L.  a. 


—  401  — 

Krii.sk  W.  nnd  Pasquale  A.  -  Untersuchuagen  iiber  Dj'senterie  und  Le- 
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ticelli). 

La.his  31.  —  A  rovarvilàg  befolyasa  a  termeszetre.  1  op,  8  ",  pag.  15. 

1888-89.  (Dono  idem). 

Lauko  V.  —  Per  una  divisione  di  cattedre.  1  op.  8.°,  pag.   23.  Na- 

poli, 19U4.  (Dono  idem). 

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Valley,  Neu  Mexico.  1  voi.  8.°,  pag.  141.  Washington, 
1909.  (Dono  idem). 

LiNTON  E.  —  Notes  on  parasites  of  Bermuda  Fislies.  1  op.  8.",  pag. 

85-126    con  XV  tav.  Washington,   1907.  (Dono  del- 
l'autore). 

M.uiiNi  I>.  — Sull'uso  del   reticolo    di  diffrazione   nello   studio  dello 

spettro  ultravioletto.  1  op.  8.°,   pag.  305-311.  Roma, 
1902.  (Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 

Magnanini  G.  e  Malagnini  G.  —  Sopra  la  conducibilità  termica  dei  vapori 
rossi.   1  op.  8.",  pag.  5.  Palermo.   1898.  (Dono  idem). 

Malato  ('ai.vinh  V.  E.  —  Sul  potere  attenuante  e  microbicida  delle  mu- 
cose. 1  op.  8.°,  pag,  30.  Torino,  1898.  (Dono   idem). 

Martokelli  G.  —  Nota  sopra  un  esemplare  di  Fringillide  colto  nel  Tren- 
tino. 1  op.  8.°,  pag.  17.  Rovereto,  1910.  (Dono  del 
Museo  Civico  di  Rovereto). 

Matteucci  R.  V.  —  Sur  la  production  simultanee  de  deux  sels  azotés  dans 
le  cratère  du  Vesuve.  1  fase.,  pag.  3.  Paris,  1900. 
(Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 

Mazzottu  D  —  Sui  sistemi  nodali  delle  onde  elettriche  ottenute  col 
metodo  di  Lecher.  1  op.  8.°,  pag.  9.  Venezia,  1894. 
(Dono  idem). 
—  Medicai  Notes  and  Queries.  Voi.  IL  n.  1;  January, 
1906.  1  fase.  8.0,  pag.  28.  Lanchaster.  (Dono  dell'E- 
ditore W.  Cattell). 

Meeker  R.  L  and  Giles  J.  M.  —  Surface  Water  supply  of  Lower  Western 
Mississippi  Ri  ver  Drauiage  1906.  1  op.  8  ",  pag.  79. 
Washington.  1907.  (Dono  dell'IT.  S.  Geological  Survey). 

Miele  S.  —  Problema    sul  segmento    circolare.   1   op.  8.°,   pag.  24. 

Firenze,  190U.  (Dono  del  prof.  F    S.  Monticelli). 

MoEFiT  F.  H.  and  Maddren  A.  G.  —  Minerai  Resources  of  the  Kotsina- 
Chitina  Region ,  Alaska.  1  voi,  7.",  pag.  103.  Wa- 
shington, 1909.  (Done  dell'IT.  S.  Geological  Survey). 

Monticelli  F.  S.  —  Adelotacta  Zoologica.  1  op.  8.",  pag.  441-462  con  2 
tav.    Liepzig,   1896.    (Dono  dell'autore). 


—   102  — 

MoRiSANi  D.  — Gli  orizzooti  dellii  modtinia  chiriii-gi:i.  1  op  S.",  paj^. 
25.   Na[)oli,   l'JOò.   (Dono  del    prof.   F.  S.  Monticelli; 

NACciAKONh';  11.  —  Poche  parole  sulla  cosi  detta  fel)bre  napoletana  e  la 
febbre  tifoidea  o  meglio  sulla  febbre  infettiva  atipica. 
1  op.  8.«,  pag.  579-588.  Napoli,   1888.  (Dono  idem). 

Nkweli,  F.   1 1 .  Report  of  progress  of  Stream  Measurements  for  the  Ca- 

lendar  Year  1902.  1  voi.  8.°,  pag.  200.  Washington, 
1903.  (Dono  dell'U.  S.  Geologica!  Survey). 

Oglialoro  a.  —  Poche  notizie  sulle  sabbie  emesse  dal  Vesuvio.  1  oj)." 
8.»,  pag.  2  Napoli,  1906.  (Dono  del  prof.  F.  S.  Mon- 
ticelli). 

Olsonn  P.  —  Om  myrornas  lif.  1  op.  8.",  pag.  0.  Ostersund,  1887. 

(Dono  idemj. 
»  —  Fòrteckning  òfver  Ostersunds  hogre    AUmaona  Laro- 

verks  Mynt-Och  Medaljsamling;  111.  Medeltidsmynt 
IV.  Moderna  Mynt.  Asièn,  Afrika,  Amerika,  Austra- 
lien.  2  fase.  pagg.  31  e  19.  Ostersund,  1886  e  1889. 
(Dono  idem). 
—  Papers  on  the  Conservations  of  Minerai  Resources.  1. 
voi.  8.°,  pag.  214.  Washington,  1909.  (Dono  dell'U. 
S.  Geogical  Survej'). 

Paravicini  G.  —  Nota  sifilografica.  1  op.  8.°,  pag.  14  con  2  tav.  Mi- 
lano, 1902.  (X>ono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 

Pasquale  A.         —  Vergleichende  Untersuchuugen  iiber  Streptokokkeu.  1 
op.  8.",  pag.  433-498.  (Dono  idem). 
»  —  Sul  tifo  a  Massaua.  Studio  clinico  ed  osservazinni  bat- 

teriologiche. 1  op.  8.0,  pag    69.  Roma,  1891.   (Dono 
idem). 
»  —  Nota    preventiva    sulle    febbri    di  Massaua.  1  op.  8.°, 

pag.  44.  Roma,  1889.  (Dono  idem). 
»  -  Studio  etiologico  e  clinico   delle    malatlie   febbrili   più 

comuni   a  Massaua.  1  fase,    pag.    64.  Roma,  1891. 
(Dono  idem). 
»  —  Ricerche  batteriologiche  sul  Colera  a  Massaua  e  Con- 

siderazioni igieniche,    l  op.  8.°,  pag.  27.  Roma,  1891. 
(Dono  idem). 
»  —  L'epidemia  d'influenza  nel  2.*  Dipartimento  Marittimo. 

1  op.  8.",  pag.  40.  Roma,   1890.  (Dono  idem). 

Peknick  B.  —  Sulla  peritonite    sperimentale.  1  op.  8.".  pag.  11.  Na- 

poli, 1887.  (Dono  idem). 

PiKKANTONi  U       —  Su  alcuni    Eiipln/.idac    del  Golfo  di  Napoli.   1  op.  8.°, 
con  1  tav.  pag.  53-64.  Na])oli,  1909.  (Dono  dell'autore). 
y>  — L'origine  di  alcuni   organi  cV  Iceyra  purchasi  e  la  sim- 

biosi   ereditaria   (Nota   preliminare).   1   op.    8°,    pag. 
147-150.  Napoli,  1910.  (Dono  idem). 


—  403  — 

PjKKANTONi   [T.      —  Origini  e  struttura  del  corpo  ovale  del  Daclylopius  citri. 
e  del  corpo  verde  àeW Aphis  braanicae.  II  Nota  pre- 
liminare sulla  simbiosi   ereditaria.  1  op.  8.°,  pag.  4. 
Napoli,   1910.  (Dono  dell'autore;. 
»  —  Sulla  utilizzazione  dei  ragni  quali    predatori    d' insetti 

nocivi  in  agricoltura.  1  op.  8.",  gr.,   pag.  7.  Napoli, 
1909.  (Dono  idemj. 

PiTzoRN  P  A.  —  Un  caso  di  avvelenamento  per  funghi.  1  op.  8.",  pag. 
3.  Milano,   1892.  (Dono  del  prof.  P.  S.  Monticelli). 

PiTzoBNo  M.        — -Osservazioni  sul  peso  del  cuore  e  sulle  dimensioni  degli 
orifizii  cardiaci.  1  op.  8.°,  pag.  4.  Milano,   1894,  (Dono 
idem). 
»  —  Sulle  fi-atture  delia  base  del  cranio.  1  op.  8.",  pag.  GG. 

Sassari,  1894.  (Dono  idem). 

PiuTTT  A.  —  Derivati    maleinici   e  fumarici   di   P.  Amminofenoli:   1 

op.  S.o,  pag.  635-G41.  Roma,   1908.  (Dono  idem). 

PizzoRXd  M.  —  Un  muscolo  soprannumerario  dell'  avambraccio.  (Fles- 
sore proprio  dell'anulare)  1  op,  8.°,  pag.  4.  Milano, 
1892.  (Dono  idem), 

PoYARKOFF  E.  —  Orgauc  sensoriel  nouveau  et  histologie  des  muscles  de 
la  larve  de  Tetrarhynchus  papillifer  n.  sp.  1  op.  8,°, 
pag,  30,  ili.  Bordeaux,  1909.  (Dono  della  Soc.  d'O- 
céanographie  du  Golfe  de  Gascogne). 

Prindi.k  L.  M.  —  The  Fortymile  Quadrangle  Yukon-Tanana  Region,  A- 
laska.  1  op.  8.°,  pag.  52.  Washington,  19U9.  (Dono 
dell'I).  S.  Geological  Survey). 

QuADii   I).  — Sulla  presenza  del  veleno   tetanico    nel  sangue.  1  op. 

8.°,    pag.    IG.  Napoli,    1894.    (Dono  del    prof.  F.  S. 
Monticelli). 
—  Ragguagli  dei  Lavori  Accademici  della  Società  Reale 
Borbonica   per   1'  anno  1826.  1  fase.    pag.    41  e  per 
l'anno   1827.  Napoli,  1827  e  1828.  (Dono  idem). 

Randall  D.  T.  and  Weeks  H.  W.  —  The  Smokeless  combustion  of  Goal 
in  boiler  Plants.  1  voi.  8.°,  pag.  188.  Washington, 
1909.  (Dono  dell'U.  S.  Geological  Survey). 

Ransomk  F.  L.  and  Calkins  F.  C.  —  The  Geology  aud  ore  deposits  of  the 
Coeur  d' Alene  District ,  Idaho.  1  voi.  fol.  ili.  pag. 
203.  Washington,   1908.  (Dono  idem). 

Ray  W.  V.  and  Krkisinger  H.  — •  Comparative  tests  of  Run-of-Mine  and 
briquetted  coal  on  the  Torpedo  Boat  Bidle.  1  op.  8.*>, 
pag.  49.  Washington,  1909.  (Dono  idem). 

Rkuitffat  O.  —  I  solfo-alluminati  di  calcio  e  la  decomposizione  delle 
costruzioni  marittime  eseguite  in  cemento  Portland. 
1  op.  8.°,  pag.  3.  Palermo,  1901.  (Dono  del  prof.  F. 
S.  Mouticellij. 


404  — 

—  Relazione  della  Commissione   Reale  incaricata  di  desi- 

gnare le  zone  più  adatte  per  la  ricostriizioue  degli 
abitati  colpiti  dal  terremoto  del  28  dicembre  1908  o 
da  altri  precedenti.  1  voi.  8.°.  gr.,  pag.  167,  con  15 
tav.  e  4  fig.  Roma,  1909.  (Dono  della  R.  Accademia 
dei  [jincei  ). 

—  Report  of  the  Muscum  of  Natiu'al  History  Springfield. 

1  op.  S.".  pag.  i>.  Springtield,  1908-1909.  fDono  della 

Direzione  ilei  Museo). 
Rho    K.  —  Sguardo  generale  sulla  patologia  di  Massaua  e  studio 

sulle  malattie  febbrili  che  vi  predominano,  1  op.  8.°, 

pag.  65.  Roma,    1894.  (Dono  del  prof.  F.  S.  Monti- 
celli). 
»  —  Contribuzione  allo   studio  delle    piressie  più  comuni  a 

Massaua.  1  op.  8.",  pag.  54.  (Roma,  1886.  Dono  idem). 
>  — ■  Ematuria  ed  altre    emorragie    senza    apparenti    lesioni 

organiche.    1  op.  8.»,   pag.    21.    Roma,    1893.   (Dono 

idem). 
»  —  L'ittiolo  nella  cura  di  alcuni    morbi  oculari  e  special- 

mente   della    blefarite    cigliare.    1  op.    8.°,  pag.    10. 

Roma,  1894.  (Dono  idem). 
Rifili!  T.  —  L'  immunità    nei  suoi    rapporti    con  la  funzione    della 

milza.  1   op.  8.",  pag.  31.  Napoli,  1893.  (Dono  idem). 
RojAS  AoosTA  N.  —  Historia  Naturai  de  Corrientes.  1  op.  8.°,  pag.  68.  Cor- 

rientes,   1904.  (Dono  idem). 
RoNCAi.T  D.  B.    — Contributo  allo  studio  dell'infezione  tetanica  sperimen- 
tale negli  animali.  1  op.  8.°,  pag.  26.  Napoli,   1893. 

(Dono  idem). 
Sacoani  F.  —  La  Tavola  Universale    delle  frazioni  prime.   1  op.  8.°, 

pag.  7.  Reggio  Emilia,  1899.  (Dono  idem). 
»  —  Allo  Spallanzani.  La  teoria  universale  dei  numeri  primi 

e   delle    frazioni    prime.   1  op.    8.",    pag.    38.    Reggio 

Emilia,   1899.  (Dono  idem). 
»  —  Allo  Spallanzani.  La  Tavola  dei  numeri  primi  da  1   a 

10000.     1  op.    8.0,    pag.   10.  Reggio    Emilia,    1899. 

(Dono  idem). 
Salmon  D.  e.     — Tubercolosis  of  the  Food-producing  Animai s.  1  op.  8.°, 

pag.  96  con  tav.  Washington,  1906.  (Dono  dell'U.  S. 

Department  of  Agriculture). 
»  —  The  Tuberculin  test  for  tubercolosis  1  op.  8.°,  pag.  581- 

592.  Washington,  1901.  (Dono  idem). 
ScANDAUATo  R.    —  La  medicina  e  chirurgia  veterinaria  nel  campo  scien- 

tifico-professionale.   1   op.  8.°,  pag.  35.  Girgenti.  1902. 

(Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 
Scarpa  0,  —  Contributo  alla  teoria  delle  soluzioni.  1  op.  8.»,  pag.  362-369. 

Roma,  1908.  (Dono  Fr.  Sav.  Monticelli). 


405 

Scarpa  O.  —  Sulla  sintesi  dell'anidride  nitrosa  col  metodo  di  Heli)ig. 

1  op.  8.0,  pag.  4,  1907.  (Dono  del  prof.  F.  S.   Mon- 
ticelli). 
»  _  La  legge  di  Beer  è  valida  per  le  soluzioni  colloidali  ? 

1  op    8.0,  pag.   299-306.  Roma,   190(5.    (Dono  idemj. 
SoHLUNDT  H.  and  Moore  B.  R.  —  Radioactivity  of  the  Thermal  Water  of 
Yellewstone  National  Park.   1   op.  8.«,  pag.  35.  Wa- 
shington, 1909.  (Dono  dell'U.  S.  Geological  Survey). 
ScuwEiNiTz  E.  A.  --  The  Serum  treatment  of  Swine  piagne    and  hog  Cho- 
lera.  1  op.    8.°,  pag.    18.   Washington,  1839.    (Dono 
dell'U.  S.  Department  of  Agriculture), 
Skmmola  e.  —  Di  talune  variazioni  di  temperatura  delle  foglie  di  edera 

esposte  alle  radiazioni  solari  dirette.   1  op.  8.",  pag. 
8.  Napoli,  1909.  (Dono  dell'autore). 
^—  Le  curve  iso-anomale  della  gravità  terrestre  e  le  aree 
sismiche.  1  op.  8.«,  pag.  5.  Napoli,  1909.  (Dono  idem). 
goj^<^   p  —  Osservazioni  cliniche  con  relative  considerazioni.  1  op. 

8.".    pag.  20.  Firenze,   1888.    (Dono  del  prof.  F.  S. 
Monticelli). 
»  _  Sul  Cholera  in  Cairo  d'Egitto  nell'anno  1888.  1  op.  8.°, 

pag.  23.  Pisa,  1884.  (Dono  idem). 
»  --  Del  clima  e  delle  malattie  di  Singapore.  1  op.  8.°,  pag. 

16.  Firenze,  1886.  (Dono  idem). 
Spinkli.i  P.  G.    —  L'intervento  vaginale  nella  gravidanza  tubarla  dei  primi 
mesi.  1  op.  8.0,  pag.  22.  Napoli,   1908.  (Dono  idem). 
Stablkr  II.  and  Pratt  G.  H.  —  The  purification  of  some  Testile  and  other 
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(Dono  dell'U.  S.  Geological  Survey). 
Stkong  R.  M.     —  Commercial  Deductions  from  comparisons  of  Gasoline 
and  alcohol    test  on   internal-combustion    engines.   1 
op.  8.°,  pag.  38.  Washington,   1909.  (Dono  idemJ. 
SuLZER  M.  —  Uber  Wanderniere  und  deren   behandlung   durch  Ne- 

phrorraphie.  1  op.  8  «,  pag.  96.  Leipzig,  1890.  (Dono 
del  prof.  F.  S.  Monticelli). 
Tarulij  G.  —  Sull'applicazione  dell'elettrolisi  dei  sali  di   rame  nell'a- 

nalisi quantitativa  degli  zuccheri.  1  op.  8.°,  pag.  10. 
Palermo,  1896.  (Dono  idem), 
e  Mameli  Cubeddu  E.  —Ricerche  sul  potere  riduttore  di  alcuni 
zuccheri  con  il  processo  elettrolitico.  1  op.  8  ",  pag 
8.  Palermo,  1896.  (Dono  idem). 
Terracciano  N.  —  La  Flora  dei  Campi  Plegrei.  1  voi  8.",  pag.  336.  Na- 
poli, 1910.  (Dono  del  prof.  F.  De  Rosa). 
TRiNcmERi  G.      — Intorno  ad  una  Laboulbeniacea  nuova  per  l'Italia  (Tre- 
nomyces  hisfophtorus  Chatt.  et  Pie).  1  op.  8.»,  pag.  7. 
Napoli,  1910.  (Dono  dell'autore). 


—  406  — 

—  Tuberc*(»lo.si  (Ijr)  ed  i  mezzi  per  combatterla.  1    op.  16.", 

pag.  UH.  Milano,  1005  (Dono  del  |.rf)f.  F.  S.  Mon- 
ticelli). 

\ai,i,i    K.  —  Della  tarsalgia  studiata  scientificamente.  1  op.  8.",  paj^. 

32.  Torino,  1873.  (Dono  idem). 

Fan  Misk  e.  li.  and  LKrni  C.  K. — Pre-bambrian  Geology  of  North  A- 
merica.  1  voi.  8.",  pag  939.  Washinhton,  1909.  (Dono 
deirU.  S.  Geologica!   Surveyj. 

Vanni  G  —  Epimo  atomizzato  di  Lord  Kelwin.    1  op.  8.»,  pag.  11. 

Roma,  1904.  (Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli;. 

Vktkke  V.  —  Sull'impiego   del  tetracloruro  di  carbonio  nella  ricerca 

delle  materie  coloranti  proibite  dalla  legge  sanitaria 
nelle  paste  alimentari.  1  op.  8.°,  pag.  13.  Napoli, 
1907.  (Dono  idem). 

—  Viaggio  di  esplorazione  nei  Monti  del  Kai-akoram.  Con- 

ferenza letta  da  S.  A.  R.  il  Principe  Luigi  Amedeo 
(li  Savoia,  Duca  degli  Abruzzi  in  Torino  il  16  feb- 
braio 1910.  1  op.  8.°,  pag.  46  ili.  e  carte.  Torino, 
1910.  (Dono  del  Club  Alpino  Italiano). 

Viola  C.  -  La,  supposta  vita  dei  cristalli.  1  op.  8.*>,  pag.  20.  Roma, 

1902.   (Dono  del  prof.  F.  S.  Monticelli). 

Wahrhkit  —  Nota  sulla  Flora  dei  dintorni  di  Napoli,  1  op.  8.°.  pag. 

2.  Napoli,  1897.  (Dono  idem). 

Whitk  D  —  The  Effect  of  Oxygen  in  Coal.  1  op.  8.°,  pag   74.  Wa- 

shington, 1909.  (Dono  dell'U.  S.  Geoiogical  Survey). 

Wrihht  C.  L  —  Briquetting  tests  at  the  United  States  Fuel  -  testing 
Plant  Nonfolk,  Virginia,  1907-8.  1  voi.  8",  pag.  41. 
Washington,  1909.  (Dono  idem). 


I IV  1^  I  O  K^ 


PiERANTONi  U.  —  Origine  e  strvittura  del  corpo  ovale  del  Dacfplo- 
jùnscitriedél  corpo  verde  delV  AjìÌììs  brassicae.  il  nota, 
preliminare  sulla  simbiosi  ereditaria.         ....    pa^j.        1 
PoLiCE  G.  —  Di  due  casi  di  morsicatura  dì  vipera.  Nota  ...»         5 
Gauthier  V.  —  L' idrografia  dell'agro  teleslno.  Nota  .         .         .         .       »         9 
Trinchieri  G.  —  Intorno  a  una  Laboulbeniacea  nuova  per  l'Italia  (Tre- 

HODììjces  histnphturns  Chatton  et  Picard).  Nota  .         .         .       »       18 
Ricciardi  L.  —  Su  Je  Relazioni  delle  Reali  Accademie  di  Sienze  di 
Napoli  e  dei  Lincei  di  Roma  sui  terremoti  calabro-siculi 

del  1783  e  1908 ^      2?, 

Armenante  e.  —  Contributo  allo  studio  dei  Mallofagi.  Osservazioni 

sul  Menopon  pallidum  (con  la  tav.  I.)        .         .         .         .       »       76 

Aguilar  e.  —  Sul  modo  d'inserirsi  delle  fibre  della  Zonula  di  Zinn 
sulla  capsula  anteriore  del  cristallino  nell'occhio  umano. 
Nota  preliminare  ("con  la  tav.  II)  .     .         .         .         .         .       »       96 

Raffaele  F.  —  Salvatore  Lo  Bianco    Commemorazione     .         .         .        »       99 
Gauthier  V.  —  Poche  osservazioni  al  lavoro  del  prof.    L.   Ricciardi 
«  Su  le  Relazioni  delle  Reali  Accademie  delle  Scienze  di 
Napoli  e  dei  Lincei  di  Roma  sui  terremoti  calabro-siculi 

del  1783  e  1908.  » »     113 

Cdtolo  a.  —  Una  nuova  sofisticazione  dell'olio  di  ulive.    Nota        .       »     117 
Ricciardi  L.  —  Il  sismismo,  il  vulcanismo  e  la  costituzione  geofi.sica 

del  geoide    ...........     121 

Cotronei  G.  —  La  fascia  vitellogena  nell'oocite  in    crescita   di   An- 

tedon  rosacea.  Nota  preliminare  riassuntiva       .         .         .       »     155 
CuTOLO  A.  —  Composizione   e    valore    nutritivo   dei    «  taralli  »,  pro- 
dotto della  panificazione  speciale  di  Napoli      ...»     158 
Gargano  C.  —  Di  alcune  formazioni  patologiche  a  tipo   epitelioide. 

I.  Il  MoUuscum  contagiosum  di  Bateman  (con  la  tav.  Ili)       »     165 
PiERANTONi  U.  —  Osservazioni  su  Aphrophora  spumaria  L.         .         .       »     289 
CuTOLo  A.  e  Calendoli  E.  —  Analisi   chimica   e    batteriologica   del- 
l'acqua di  Assano         .........     295 

PiERANTONi  U.  —  Sul  corpo  ovale  del   Dacti/lopiìis.  Nota     ...»     .303 
Gargano  C.  —  Trapianti  di  tumori  epiteliali  umani  nel  sorcio  (Mus 
Musculus)  e  loro  trasformazione  in    sarcomi.    Nota    pre- 
ventiva.                  ......     305 

RiccuRDi  L.  —  Su  la  invenzione  del  Tectonismo         ....       »     309 
PiccoLi-FoÀ  J.  —  Azione  dell'anidride  itaconica  sopra  i  p-ammido-fe- 

noli.  Contributo  allo  studio  sulla  Tautomeria  ...»     337 


—  408  — 


l'ROrK.sSI    VKRHAM    UKLLE    TOKNATK .  ..... 

Monticelli  Fr.  ÌSav.  —  Sul  ciclo  biologico  dei   cestodi    degli    iiccell 
acquatiti       ......... 

—  —  —  Su  i   Neincrtiiii  d'ac^jua  dolce  in  Itiilia. 

l'iERANTONi  U.  —  Sull'ennalroditismo  larvale  dUcerya  purclirtsi. 
Consiglio  direttivo  per  l'anno  191 1  . 
Elenco  dei  socii      . 
Elenco  dei  canihi     ....... 

Elenco  delle  pubblicazioni  j^ervcnule  rn  dono 


/<«//.  ;>iif) 


:W6 
1^67 
I37D 
^81 
383 
387 
3^5 


Gli  Autori  assumoiio  f  intera  respoosaliililà  dei  loro  scritti. 


Bdl.Soc.NatJapoli.VdXXIV  191C 
Rg. 


Atìonucq  E,  ed  taenanle 


it  Tacclimanii  e  Ferrari 


boli.  d.  Soc.  di   X(d.   ili   Xapoll   A?nio  XXIV.   Jf)l'l 


■     Tav.  IL 


Fot.   E.  Aguilar 


Diam.   101.,. 


Aguilar  E.  —  Sul  modo  </'  inserirsi  delie  fibre  della  Zonula  di  Zinn  sulla  capsula  anteriore 
del  cristallino  ne  II'  occhio  umano. 


/lo//,,/..Se>/:r/(Xaf.  fh  ,V/7/w//  IhUW MO 


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C.Ctargario  ad  nat.del 


lit  Tacchifiai'dieFsrrari-ftvia 


ONORANZE  E  FESTEGGIAMENTI 

NEL  l."  CENTENARIO  DALLA  MORTE  DI 

FILIPPO   CAVOLINI 


PROMOSSE 


SOTTO  L'ALTO  PATRONATO  DI  S,  M.  VITTORIO  EMANUELE  IH  RE  D' ITALIA 

DALLA 

(12-13  SETTEMBRE  1910) 


SUPPLEMENTO 

AI- 

BOiiLETTlNO   DELIiR   SOCIETÀ   DI   KflTURflLISTl 

in    KTapoli 
Anno   XXIV  -Voi.   XXIV 


NAPOLI 

R.  Stabilimento  Tipografico  Francesco  Giannini  &  Figli 

Cisterna  dell'  Olio 
1911 


La  Società  di  Naturalisti  in  Napoli ,  ispirata  dal- 
l'alto  ideale  di  serbar  viva  la  memoria  degli  antichi 
nostri  maggiori  nelle  discipline  naturali,  monito  e  sprone 
a  giovanile  entusiasmo  pel  progresso  di  queste  da  noi, 
ricorrendo  nel  1910  il  primo  Centenerario  dalla  morte 
di  Filippo  Cavolini,  non  volle  lasciar  passare  in  silenzio 
una  data  memorabile  per  la  storia  della  Scienza  alla 
quale  questo  insigne  napoletano  appartiene  per  magi- 
strali lavori  di  Zoologia  e  di  Botanica,  che  destarono 
l'ammirazione  dei  dotti  d' ogni  parte  del  mondo. 

Su  proposta  del  Consiglio  direttivo,  da  più  anni  ma- 
turata, prese  perciò  1'  iniziativa,  accolta  con  unanime 
voto  di  tutti  i  Socii,  di  ricordare  degnamente  1'  illustre 
scienziato  napoletano,  che  fu  professore  nella  patria  Uni- 
versità. 

L' iniziativa  della  Società  raccolse  il  plauso  delle 
Autorità  cittadine  e  di  quanti  hanno  a  cuore  1'  antica 
tradizione  scientifica  del  napoletano. 


S.  M.  il  Re  lia  voluto  testimoniare  il  suo  Sovrano 
interessamento  alle  onoranze  a  questo  illustre  italiano, 
concedendo  l'augusto  Suo  alto  patronato.  Ed  il  Sindaco 
di  Napoli  ed  il  Magnifico  Rettore  dell'  Università  assun- 
sero con  simpatica  premura  la  presidenza  della  solenne 
commemorazione  di  questo  grande  napoletano. 

Costituitosi  allo  scopo  nel  seno  della  Società  di  Na- 
turalisti un  comitato  ordinatore  per  organizzare  le  ono- 
ranze e  festeggiamenti,  suo  primo  pensiero  fu,  per  ren- 
dere la  manifestazione  cittadina  più  degna  e  solenne, 
d' invitare  quanti  con  l' autorità  del  grado  e  del  nome 
potevano  contribuirvi,  a  far  parte  di  un  comitato  d'onore; 
al  quale  tutti,  quanti  furono  invitati,  solleciti  aderirono, 
testimonianza  della  importanza  die  il  paese  dav^a  alle 
onoranze  centenarie  di  questo  napoletano  che,  per  l'opera 
sua  ha  illustrata  la  patria  italiana. 

Il  Comitato  ordinatore  divisò  non  potersi  meglio 
onorare  la  memoria  di  Filippo  Cavolini  se  non  ristam- 


paiido  le  sue  classic-lic  opere  ed  apponendo  una  lapide 
sulla  villa,  a  Posillipo,  dove  visse  il  Cavolini  (oggi  Villa 
de  Mellis),  che  fu  il  suo  laboratorio  di  biologia  marina; 
mentre  indiceva  una  solenne  pubblica  commemorazione 
nell'Aula  Magna  della  Università,  sotto  gli  auspici i  del 
Rettore  Magnifico,  che  a  questa  cerimonia  invitava  le 
Università  consorelle  d'  Italia  e  dell'  estero,  le  Acca- 
demie e  Società  italiane  e  straniere,  gli  istituti  ed  i 
cultori  di  biologia,  che  d'ogni  parte  risposero  con  una- 
nime simpatia,  attestazione  di  stima  ed  ammirazione  per 
l'opera  di  Filippo  Cavolini. 

Le  adesioni  numerose  di  sodalizii  italiani  e  stra- 
nieri resero  maggiormente  solenne  la  manifestazione 
mondiale  di  omaggio  allo  scienziato  italiano,  onore  del 
nostro  paese,  che  si  svolse  nella  cerimonia  commemo- 
rativa alla  presenza  delle  autorità  cittadine  e  dei  de- 
legati esteri  e  nazionali. 


I 


Alla  ristampa  delle  opere  contribuirono  generosi 
oblatori,  che  secondarono  l' iniziativa  della  Società  di 
Naturalisti,  sottoscrivendo  per  la  pubblicazione  del  ma- 
gnifico volume  in  quarto  grande,  ricco  eli  numerose  ta- 
vole, che  raccoglie  le  memorie  di  Zoologia  e  Botanica 
del  Cavolini. 

L'opera  disinteressata,  omaggio  di  artista,  dello  scul- 
tore Comm.  Mossuti,  tramanda  ora  ai  posteri  il  nome 
dell'  illustre  nostro  concittadino  sulla  casa,  che  fu  sede 
dei  magistrali  suoi  studi. 


Comitato  d'  Onore 


Comitato    Ordinatore 


Com  itato  d'Onore 


Presideuti   onorarti 


IL  SINDACO  DI  NAPOLI 

M. se  Ferdinando  Del   Carretto 
Senatore  del  Regno 


IL  RETTORE  DELLA  R.  UNIVERSITÀ 

Prof.  Pasquale  Del  Pezzo 
Duca  di  Gaianiello 


Componenti 


S.  E.  IL  MINISTRO  DELLA  PUBBL.  ISTR. 
Oli.  Prof.  Luigi  Credaro 


S.  E.  IL  MINISTRO  DELL'AGRICOLTURA 

Ou.  Dott.  Giovanni  Ranieri 


Il  Prefetto  di  Napoli,  Marchese  Francesco  De  Seta,  Senatore  del  Regno. 
11  Presidente  del  Consiglio  Provinciale,  on.  Prof.  Comiu.  Francesco  Girardi, 

Vice  Presidente  della  Camera  dei  Deputati. 
11  Presidente  della  Deputazione  Provinciale,  Corani.  Paolino  Angrisani. 
11  Presidente    della   Reale    Accademia   delle  Scienze ,    Prof.  Cav.    Francesco 

Bassani. 
II  Presidente  del  R.  Istituto  d'Incoraggiamento.  Comm.  Nicola  Miraglia. 
Il  Direttore  della  R.  Scuola  Superiore  di  Agricoltura  in  Portici,  Prof.  Coram. 

Orazio  Comes. 
11  Direttore    della    R.    Scuola    Superiore    di  Medicina-Veterinaria   di  Napoli, 

Prof.  Comm.  Salvatore  Baldassarre. 
11  Preside  della  Facoltà  di  Scienze  Naturali,  Prof  Ciro  Chistoni. 
L'Assessore  del  Comune  di  Napoli  per  la  Pubblica  Istruzione,    Prof.  Comm. 

Luigi  Correrà. 
il  Presidente  dell'Unioue  Zoologica  Italiana,  Prof.  Comm.  Lorenzo  Camerano, 

Senatore  del  Regno. 


—   io- 
li  Presidente  della  Società  Botanica  Italiana,  Prof.  (Jav.  Pasc^ualk  Baci'arini. 
Il  Presidente  dell'Accndemia  i^)ntaniana,   Prof.  Comm.  Fkdkrico  Pkrsico. 
Il  Presidente  della    Società  di  Naturalisti  in  Nai)o!i,    Prof.    Fr.  Sav.    Monti- 
celli. 
11  Presidente  dell'Associazione  dei  Naturalisti  e  Medici,  Prof.  (Jav.  Domenico 

MoRISANI. 

Il  Direttore  dell'Istituto  di  Anatomia  Coin])arata  della  R.  Università  di  Na- 
poli, Prof.  Cav.  Antonio  Della  Valle. 

11  Direttore  dell'Istituto  Botanico  e  R.  Orto  Botanico  della  R.  Università  di 
Napoli,  Prof.  Fridiano  Cavara. 

Il  Direttore  dell'Istituto  d'Istologia  e  Fisiologia  Generale  della  R.  Università 
di  Napoli,  Prof.  Comm.  Giovanni  Paladino,  Senatore  del  Regno. 

11  Direttore  dell'Istituto  di  Geologia  della  R.  Università  di  Napoli,  Prof.  Cav. 
Francesco  Bassani. 

Il  Direttore  dell'  Istituto  Zoologico  della  R.  Università  di  Napoli,  Prof.  Fr. 
Sav.  Monticelli. 

Il  Direttore  della  Stazione  Zoologica  di  Napoli,  Prof.  Dott.  Rinaxdo    Dohrn. 

Il  Vice-Direttore  della  Stazione  Zoologica  di  Napoli,  Prof.  Paolo  Mayek. 

Il  Presidente  del  Comizio  Agrario  di  Napoli,  Prof.    Francesco  De  Rosa. 

Il  Direttore  del  Museo  Nazionale,  Prof.  Comm.  Vittorio  Spinazzola. 

11  Presidente  della  Società  di  Storia  Patria  di  Napoli,  Prof.  Comm.  Giuseppe 
De  Blasiis. 

11  Presidente  della  Società  Africana  d'Italia,  on.  Prof.  Errico  De  Marinis. 

Il  Presidente  della  Camera  di  Commercio  ed  Arti  di  Napoli ,  Comm.  Luigi 
Petriocione. 

11  Presidente  del  Circolo  Filologico,  ou.  Prof.  Comm.  Alberto  Maruhieri. 

Prof.  Comm.  Nicola  Tbrracciano,  già  Direttore  del  Giardino  Inglese  del  Parco 
Reale  di  Caserta. 

On.  Conte  Girolamo  Giusso,  Presidente  Onorai'io  dell'Associazione  per  gii  in- 
teressi agrari  del  Mezzogiorno. 

Barone  Vincenzo  De  Mellis,  rappresentante  della  famiglia  di  Filippo  Cavolini. 


Presidenti  effettivi 

Pluf.  Fr.  Saverio  Monticelli  Prof.  Fridiano  Cavara 

Vice  Presidenti 

Prof.   Michele  Geremicoa  Prof.  Francesco  De  Kosa 

Segretari 

Prof.   Ugo  Milone  Prof.   Umberto  Pikrantoni 

Tesoriere 

Dott.  Oav.  Enrico  Cutolo 


Com  itato    Ord  inatore 


Presidente 

Prof.  Fr.  Sav.  Monticelli 
Presidente  della  Società  di  Naturalisti 

Vice  Presidenti 

Prof.  Fkidiano  Cavara  Prof.  Michele  Gkremicca 

Seg:retaril 

Prof.  Umberto  Piera ntoni  Prof.  Ugo  Milone 

Vice  iSegretarii 

Dott.  Eugenio  AouiLAR-Dott.  Alessandro  Bruno- Dott.  Ernesto  Caroli— 
Prof.  Attilio  Cerruti  -  Luigi  Gufino  —  Dott.  Francesco  ^icolosi  — 
Prof.  Gesualdo  Police. 

Tesoriere 

Dott.  Cav.  Enrico  Cutolo 

Componenti 

Prof.  Antonino  An ile— Prof.  Francesco  Balsamo  —  Prof.  Francesco  Capo- 
bianco— Prof.  Abele  de  BLASio-Prof.  Aurelio  de  GASPARis-Dott.  Paolo 
Della  Valle  -  Prof.  Francesco  de  Rosa  -  Prof.  Gioacchino  di  Paola  — 
Prof.  Oreste  Forte  —  Dott.  Claudio  Gargano— Cav.  Carlo  Praus— Dott. 
Cav.  Luigi  Quintieri  -  Prof.  Comiu.  Leonardo  Ricciardi  -  Prof  Luigi 
Savastano  —  Prof.  Alfonso  Siniscalchi -Sig.  Emilio  TRANi-Barone  Raf- 
faele Valiante. 


SOLENNE  IIOMMEMORAZIONE 


DI 


FILIPPO  CAVOLINI 

NELL'AULA  MAGNA  DELLA  R.  UNIVERSITÀ 


Xas    ^^l;^^!^^»!^!?^    lOlO 


g^g^g^ìMSg^g^S^g^P^^^'*''^* 


La  soleiinu  cerimonia  commemorativa  di  Filippo  Cavolini 
ebbe  luogo  neir»  Aula  Magna  »  della  R.  Università  riccamente 
addobbata  con  piante.  Sono  presenti  il  corpo  accademico,  le  au- 
torità cittadine,  i  rappresentanti  del  Ministro  della  Pubblica  Istru- 
zione e  di  quello  di  Agricoltura,  Industria  e  Commercio,  i  dele- 
gati delle  Università  e  dei  corpi  scientifici  esteri  e  nazionali,  i 
rappresentanti  della  Famiglia  Cavolini,  e  moltissimi  invitati,  si- 
gnore e  signori.  A  tutti  gli  intervenuti  venne  offerto  un  opuscolo 
contenente  la  vita  di  Filippo  Cavolini  con  numerose  illustrazioni 
rappresentanti  la  villa  di  Posillipo  e  diversi  facsimili  di  docu- 
menti e  di  manoscritti  inediti. 


Apre  la  seduta  il  Rettore  Magnifico:  Duca  di  Caianiello, 
col  seguente  discorso: 

«  Quest'antica  gloriosa  studiorum  mater  Neapolis  è  ricono- 
scente all'  omaggio  clie  oggi  da  ogni  parte  si  rende  a  Filippo 
Cavolini  nel  primo  centenario   dalla  sua  morte. 

«  Ringrazio  S.  E.  il  ministro  della  I.  P.  che  si  associa  alla 
odierna  solenne  commemorazione  e  voi  tutti  qui  intervenuti  e 
tutte  le  Università  e  sodalizii  italiani  e  stranieri ,  che  nei  loro 
rappresentanti  e  con  le  loro  adesioni  alla  nostra  festa  di  fami- 
glia, hanno  voluto  affermare  la  solidarietà  della  scienza  nell'o- 
norare  l'illustre  nostro  concittadino  che  è  vanto  di  questo  patrio 
Ateneo.  E  porto  il  mio  saluto  a  voi,  zoologi  d'Italia  qui  radunati 
pel    vostro   convegno,   che  con  cortese  deferente   pensiero  avete 


-  l(i  — 

voluto  tenero  in  Napoli  nijll'oceasione  di  queste  foste  ccmtcnarie, 
rievocando  il  ricordo  di  nostra  antica  «i^loria,  auspicio  di  lavoro 
fecondo,  di  risultati  efficaci  pel  progresso  delia  scienza  del  nostro 
paese  ». 

Prendo  poi  la  parola  l'assessore  delegato  coram.  Rodino,  il 
quale,  in  nome  del  sindaco  e  della  città,  si  unisce  alle  onoranze 
all'illustre  figlio  di  Napoli  che  nel  decimottavo  secolo  seppe  tener 
alto  il  nome  della  nostra  scienza.  Rivolge  infine  un  saluto  be- 
neaugurante  ai  componenti  l'ottavo  Congresso  zoologico  italiano. 


/^=^^^ 


DISCORSO 

DEL 

Senatore  Prof.  G.  PALADINO 

Rappresentante  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Napoli 


Signori , 

Lontano  da  Napoli  il  Presidente  della  nostra  Reale  Accademia 
delle  Scienze,  il  chiarissimo  Prof.  Bassani,  ho  ricevuto  io  il  gra- 
dito incarico  di  portare  oggi  la  parola  riverente  ed  esultante 
dell'  illustre  sodalizio  alla  festa  commemorativa  di  uno  dei  sommi 
tra  i  passati  suoi  socii. 

Il  ricordo  degli  uomini  sapienti,  la  commemorazione  degli 
nomini  eccelsi  in  qualunque  ramo  delle  attività  umane  è  omaggio 
doveroso  per  parte  di  gente  cosciente  e  civile.  Si  dimostra  d'altra 
parte  con  fatti  il  valore  della  sentenza  che  la  storia  è  la  maestra 
della  vita  o  meglio  la  guida  come  diceva  il  Manzoni. 

La  vita  degli  uomini  sapienti  e  novatori  o  la  storia  docu- 
mentata delle  scoperte,  delle  invenzioni,  delle  idee  sublimi  e  rin- 
novatrici  è  gran  parte  dello  svolgersi  generale  dello  spirito  umano, 
e  quindi  in  altri  termini  ben  può  dirsi,  che  la  storia  universale 
in  massima  sia  una  serie  di  biografie  degli  uomini  preclari  o 
degli    Eroi  dell'umanità  come  li  chiamò  il  Carlyle. 

Filippo  Cavolini,  o  Signori,  è  appunto  uno  di  tali  Eroi,  uno 
di  quegli  scienziati  che  insieme  ai  politici  scrissero,  colla  loro  vita 
esemplare  a  Napoli  nella  fine  del  secolo  antipassato,  quella  pagina 
che  ben  fu  detta  di  pura  gloria  italica  nella  storia    del  mondo. 

Il  Cavolini,  nato  nel  1766,  fu  da  morte  rapito  a  soli  54 
anni,  cioè  nel  marzo  del  1810.  Ebbe  ingegno  privilegiato,  ingegno 
potente  e  fattivo.  In  ossequio  al  volere  del  padre  studiò  Giuris- 
prudenza ,  ma  per  intima  passione  fu  attratto  alla  studio  della 
Storia   Naturale   e  propriamente  delle   Scienze    biologiche,    duci 


—  20  — 

Cotugno  o  Domenico  Cirillo.  Complossa  fu  perciò  la  sua  attività. 
Scrisse  un'opera  legale  molto  apprezzata  ai  suoi  tempi  e  non  di- 
menticata dal  titolo:  Progymnasma  in  veterum.  juris  consultonim 
phUosophia ,  Napoli  1799,  ma  la  maggiore,  la  cospicua  sua  atti- 
vità la  spiegò  nello  studio,  nell'esplorazione  di  quel  Thesaiirum 
profundis  terrae  viscerihus  absconditum  densisque  tenebris  involiitiun, 
come  era  allora  indicato  il  nostro  golfo  colla  splendida  sua  fauna 
e  l'interessante  flora. 

Benché  egli  dicesse  «  di  non  professare  Storia  naturale,  e  non 
pretendere  in  questa  di  divenire  solenne  maestro  »,  pure  si  segnalò 
siffattamente  dal  bel  principio,  esegui  indagini  con  tanta  profondi- 
tà, con  tale  sagacia  di  osservazioni,  accuratezza  di  esperimenti,  e 
con  tante  e  sì  luminose  scoperte,  che  il  Bonnet,  una  delle  mag- 
giori autorità  scientifiche  del  tempo,  potè  dire:  che  il  Cavolini 
era  il  Colombo  di  lutto  il  mondo  dei  polipi  marini,  ed  il  Fon- 
tana, altra  autorità  scientifica,  ebbe  a  dichiararlo  un  vero  e  felice 
interprete  della  Natura. 

La  nostra  Accademia  delle  Scienze,  come  fu  riorganizzata 
e  dotata  nel  1808  sotto  Giuseppe  Bonaparte,  l'ebbe  per  socio 
ordinario  residente,  sebbene  per  poco  tempo,  essendo  morto  come 
si  è  detto  nel  marzo  del  1810.  Che  vuoto  avesse  lasciato  tra  i 
contemporanei  e  tra  i  posteri  si  rileva  dal  fatto  che  l'Accademia 
delle  Scienze  in  toto  e  qualche  socio  in  particolare  non  desistet- 
tero dal  proposito  di  pubblicare  e  il  molto  che  aveva  lasciato 
inedito  il  Cavolini  e  ristampare  alcune  delle  memorie  originali 
pubblicate  in  Patria  e  fuori.  Grli  è  cosi  che  nel  1°  volume  degli 
Atti  della  nostra  Accademia  pubblicatosi  soltanto  nel  1819,  cioè 
dopo  9  anni  dalla  morte  del  commemorato,  fa  compreso  il  1» 
frammento  inedito  sotto  il  titolo  di  Appendice  sulla  generazione 
dei  pesci  cartilaginosi.  Dopo  molti  anni  e  propriamente  nel  1845 
l'Accademia  ritornò  ad  occuparsi  della  stampa  dei  lavori  del  Ca- 
volini ed  incaricò  due  suoi  socii,  tra  cui  l'esimio  Delle  Cliiaje, 
coli'  intento  di  far  scegliere  i  migliori  tra  i  manoscritti,  di  com- 
pierli ove  ve  ne  fosse  stato  bisogno  e  pubblicarli.  Quali  difficoltà 
avesse  incontrata  nella  sua  opera  una  tale  commissione  non  sap- 
piamo, poiché  della  sua  opera  nulla  venne  a  luce.  Però  il  Ca- 
volini non  fu  dimenticato,  ed  infatti  nel  volume  del  Rendiconto 
della  nostra  Accademia  uscito  nel  1849  fu  stampato  il  lavoro: 
Sulla  fruttificazione  del  Carrubo  (Ceratonia  siliqua  di  Linneo)  e 
più  tardi,  cioè  nel  1853,  il  Delle  Chiaje,  vincendo  tutti  gli  ostacoli, 
pubblicò  un  volume  in  4*^  con  tavole  e  con  bella  dedica  all'  in- 


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signe  Alessandro  Humbold  ammiratore  del  nostro  Paese  ed  esti- 
matore dei  nostri  uomini  di  valore. 

Ma  non  solo  in  Zoologia  produsse  esuberantemente  il  Ca- 
volini.  Egli  scrisse  pui-e  in  Geologia  e  fu  un  vero  astro  luminoso 
in  Botanica  come  ebbe  a  denominarlo  il  compianto  nostro  Col- 
lega Delpino  nell'occasione  d'illustrare  i  lavori  botanici  di  Do- 
menico Cirillo.  Ed  invero  il  Cavolini  ebbe  il  raro  merito  di  non 
arrestarsi  alla  sterile  cognizione  tecnica  zoologica  e  botanica,  ma 
seppe  a  tempo  addentrarsi  nell'  interpetrazione  dei  fatti,  riportare 
questi  a  generali  principi!,  a  concrete  dottrine;  non  omise  di  ser- 
virsi di  quel  portentoso  mezzo  di  analisi  che  è  il  Microscopio; 
fu  insomma  un  anticipato  Biologo  nel  vero  senso  della  parola, 
onde  il  nome  di  lui  sarà  onorato  fino  a  quando  si  terranno  m 
pregio  la  scoperta  del  vero,  l'aumento  delle  cognizioni  positive, 
il  genuino  amore  per  la  cultura  e  l'onore  del  proprio  Paese. 

Il  Cavolini  ebbe  attestati  di  stima  in  Patria  e  fuori.  Fu  isti- 
tuita con  decreto  del  20  settembre  1808  nella  nostra  Università 
un'apposita  cattedra  per  lui  dal  titolo  :  Sulle  teorie  generali  della 
Storia  Naturale  con  dimostrazioni.  Oltre  di  essere  nominato  socio 
ordinario  residente  della  nostra  Accademia  delle  Scienze  e  del- 
l'Accademia Pontaniana,  fu  socio  corrispondente  dell'Accademia 
di  Torino  e  di  quella  dei  Georgofìli  di  Firenze.  Fu  inoltre  cor- 
rispondente di  diverse  accademie  estere  fra  le  quali  della  Società 
Linneana  di  Londra. 

Qui  va  pure  ricordato  che  parecchi  suoi  lavori  furono  ori- 
ginalmente tradotti  e  pubblicati  in  tedesco  nel  1790  e  nel  1792 
da  persone  note  nella  cultura  speciale. 

Fra  le  difficoltà  in  cui  si  svolse  il  lavoro  del  nostro  festeg- 
gi ato  non  bisogna  dimenticare  lo  stato  deplorevole  nel  quale  si 
trovavano  le  Biblioteche,  onde  spesso  non  si  era  in  grado  di  co- 
noscere lo  stato  delle  cognizioni  e  quindi  la  letteratura  riguar- 
dante i  diversi  argomenti. 

Divise  il  Cavolini  collo  Spallanzani  il  gran  merito  di  essere 
stati  i  precursori  neU' istituire  i  laboratori!  scientifici,  l'uno  a  Po- 
sillipo  e  r  altro  a  Portovenere  presso  la  Spezia ,  per  lo  studio 
degli  animali  e  delle  piante  marine,  seguiti  oggigiorno  dalle  Sta- 
zioni zoologiche,  fra  le  quali  la  nostra  grandiosa  nella  Villa  na- 
zionale, restata  sempre  il  primo  e  maggiore  Istituto  scientifico 
internazionale  del  genere. 

Bene  a  proposito  viene  oggi  la  commemorazione  di  un  tan- 
t'uomo,  e  vanno  lodati  e  ringraziati  i  benemeriti  promotori  della 


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tosta  di  oggi  o  degli  altri  pi-opositi  commemorativi;  iii;i  iioii  hasta, 
o  Signori,che  il  Cavoliai  sia  ricordato.  Fa  d'uopo  che  la  sua  me- 
moria resti  ??ionito  perenno  per  le  presenti  e  le  future  generazioni, 
affine  d'imitarlo  e  contribuire  così  efficacemente,  ora  e  sempre,  al 
progresso  delle  scienze  ed  all'accrescimento  della  gloria,  e  d<'i  pii-- 
stigio  della  Nazione. 


DISCORSO 


DEL 

Prof.   STEFAN  VON  APATHY 

della  Università  di  Kolozwar  (Ungheria) 
Happreseiitante  i  delegati  esteri 


Magnifico  Rettore^  Illustri  Presidenti^  Signore  e  Signori! 

Fra  tutt'  i  rappresentanti  stranieri  di  Accademie,  Università  e 
altri  Istituti  scientifici,  adunati  qui  per  rendere  omaggio  alla  me- 
moria di  Filippo  Cavolini,  sono  forse  io  legato  all'Italia,  e  spe- 
cialmente a  Napoli,  con  i  più  numerosi  legami  di  lavoro  scientifico 
compiuto  sotto  il  cielo  italiano. 

Questa  circostanza  mi  dà,  credo,  il  diritto  di  parlare  in  nome 
di  tutti  i  rappresentanti  stranieri.  Gli  Italiani  moderni,  benché  la 
loro  divisa  sembri  essere  e  potrebbe  essere  con  ragione  :  «  1'  Italia 
non  fu,  l'Italia  sarà  !  »,  fanno  bene  di  non  mostrarsi  ingrati  verso 
la  memoria  degli  uomini  grandi  del  loro  glorioso  passato.  Mi- 
gliaia di  forestieri  vengono  in  Italia  ogni  anno  per  ammirare  le 
opere  d'arte  del  rinascimento.  Non  tutti  sanno  —  e  nemmeno  tutto 
il  mondo  scientifico  se  ne  rende  sempre  conto  —  che  la  scienza 
italiana  di  oggi  sia  basata  sopra  tradizioni  equivalenti  a  quelle 
dell'arte  italiana.  Gli  ultimi  anni  ci  hanno  rammentati  Galileo 
Galilei,  Aldrovandi  ed  altre  illustrazioni  della  scienza  italiana. 
Adesso  commemoriamo  Filippo  Cavolini,  l' iniziatore  dei  nostri 
lavori  intorno  alla  conoscenza  della  Fauna  e  della  Flora  dell'in- 
cantevole Golfo  di  Napoli.  L'opera  cominciata  da  lui  fu  conti- 
nuata soltanto  un  secolo  dopo,  colla  fondazione  della  Stazione 
Zoologica  di  Napoli.  E  noi  che  godiamo  dell'ammirevole  organiz- 
zazione della  Stazione  Zoologica,  •  noi  dobbiamo  pensare  con  una 
certa  commozione  alla  vecchia  villa  a  Posillipo,  dov'egli  comin- 
ciò la  conquista  biologica  del  mare.  I  biologi  compiono  un  alto 
dovere  celebrando  oggi  il  centenario  della  sua  morte,  e  noi  stra- 


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niori  ci  associamo  con  vivo  sentimento  di  fratellanza  ai  collochi 
italiani  nell'espressione  di  gratitudine  per  l'opera  compiuta  dal 
Cavolini,  la  gratitudine  dulia  posterità  essendo  la  sola  ricompensa 
ambita  da  ogni  vero  scienziato  quale  fu  il  Cavolini.  Gloria  dun- 
que alla  memoria  di  Cavolini  e  all'  Italia  ! 


,^^S^ 


DISCORSO 


DEL 


Senatore  Prof.  LORENZO  CAMERANO 

Presidente  della  Unione  Zoologica  Italiana 


Signore^  Signori^ 

L'  Unione  Zoologica  Italiana  accolse  con  entusiasmo  la  pro- 
posta di  tenere  1'  ottavo  convegno  nazionale  a  Napoli,  in  occa- 
sione delle  onoranze  a  Filippo  Cavolini.  In  tutti  i  soci  erano  vivi 
i  ricordi  del  convegno  di  Napoli  del  1901,  i  ricordi  della  bellezza 
del  cielo  e  della  natura,  i  ricordi  della  schietta,  cordiale,  signo- 
rile accoglienza  ricevuta,  i  ricordi  delle  glorie  passate  di  cui  è 
ricca  la  Città  e  della  sua  rigogliosa  vita  scientifica  presente. 

Né  meno  vivo  era  in  tutti  noi  il  desiderio  di  prendere  parte 
alle  onoranze  a  Filippo  Cavolini,  che  nella  seconda  metà  del  1700 
seppe  tenere  cosi  alto  il  nome  della  scienza  italiana. 

Nel  1901  l'Unione  Zoologica  Italiana  era  appena  uscita  dalle 
inevitabili  difficoltà  del  suo  costituirsi  :  oggi  ritorna  fra  voi  dopo 
un  decennio  di  vita  e  di  lavoro  lieta  se  riconoscerete  che  ha  de- 
gnamente corrisposto  agli  auspici,  che  per  essa  trassero  allora  con 
parola  cosi  cortese  il  prof.  Finto,  Rettore  magnifico  e  il  senatore 
Paladino,  Presidente  del  (  'omitato  locale. 

Non  vi  parlerò  minutamente  dell'opera  compiuta  dall'Unione 
Zoologica  Italiana,  nel  suo  decennio  di  vita.  Essa  cercò  di  giu- 
stificare la  sua  ragione  di  essere  creando  intorno  a  sé  un  fecondo 
movimento  di  idee,  e  nessuno  dei  problemi  più  importanti,  che 
riguardano  lo  studio  dei  viventi  animali  ,  venne  trascurato  nei 
suoi  convegni  annuali. 

Ricorderò  che,  nell'  ultimo  convegno  a  Bormio  ,  1'  Unione 
Zoologica  iniziò  l'organizzazione  dello  studio,  con  intendimenti 
scientifici  moderni ,  della  fauna  alpina ,  che  è  tanta  parte  della 
fauna  nostra.  È  un  lavoro  di  lunga  lena  e  di  grande  importanza 


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cho  r  Unione  Zoologica  Italiana  spera  di  condurre  a  termine  in 
modo  soddisfacente ,  affinchè  l' Italia  venga  a  trovarsi ,  anche  a 
questo  riguardo,  al  livello  delle  nazioni  che  la  circondano. 

Ma  l'Unione  nostra  ben  sa  che  nel  campo  della  ricerca  scien- 
tifica ,  come  in  qualunque  altro  nel  quale  si  esercita  1'  attività 
umana,  «  sostare  è  regredire  »,  ed  oggi  essa  viene  dinanzi  a  voi 
colla  proposta  del  suo  benemerito  segretario,  il  prof,  Fr.  Sav.  Mon- 
ticelli, di  organizzare  Io  studio  della  fauna  littorale ,  cosi  ricca 
e  cosi  interessante  nel  lungo  svolgersi  delle  coste  italiane. 

L'  Unione  Zoologica  Italiana,  nel  suo  decennio  di  vita,  non 
restrinse  l'opera  sua  alla  ricerca  puramente  scientifica;  ma  si  oc- 
cupò anche  di  una  questione  che  interessa  il  decoro  nazionale, 
l'ammissione,  voglio  dire,  della  lingua  italiana  fra  le  lingue  uf- 
ficiali dei  Congressi  zoologici  internazionali.  Coli'  opera  tenace 
ed  energica  dei  vari  colleghi  che  si  succedettero  alla  presidenza,  e 
con  quella  efficacissima  del  suo  segretario  il  prof.  Fr.  Sav.  Mon- 
ticelli, riusci  nell'  intento. 

Ma  anche  in  questa  via  molto  rimane  da  fare,  e  l'occasione 
odierna  delle  onoranze,  che  vengono  rese  ad  una  delle  migliori 
glorie  italiane  nel  campo  delle  scienze  biologiche,  si  presenta  op- 
portuna a  cho  io  vi  esponga  alcune  nuove  proposte. 


L' Italia  si  appresta  a  celebrare  nell'anno  venturo  il  cinquan- 
tesimo anniversario  del  suo  risorgimento  a  nazione. 

In  questo  primo  cinquantennio  di  vita  nazionale  un  lungo 
cammino  si  è  percorso  ,  molte  difficoltà  sono  state  vinte  ;  al  ri- 
sorgimento politico  segui  il  risorgimento  finanziario  ed  industriale 
e  noi  possiamo  guardare  l'avvenire  con  piena  fiducia  nelle  nostre 
forze. 

Una  cosa  tuttavia  di  valore  grandissimo  manca  ancora;  manca 
una  forte  ed  equilibrata  coscienza  italiana  che  ci  faccia  valutare 
in  giusta  misura  l'opera  nostra,  senza  aspettare  il  giudizio  degli 
stranieri;  manca  un  forte  ed  equilibrato  sentimento  di  italianità, 
dico,  che  ci  sproni  a  pensare  un  po'  di  più  colla  nostra  testa  e 
che  dia  la  fiducia  in  noi  stessi. 

E  necessario  in  una  parola  che  gli  Italiani  imparino  a  co- 
noscere il  loro  paese  e  sé  stessi  non  solo  nei  difetti ,  ma  anche 
nelle  buone  qualità. 

Paese  meraviglioso,  questa  nostra  Italia!  Non  è  possibile  muo- 
vervi passo  senza  incontrarsi  in  un  luogo  o  in  un  nome  che  non 


^ 


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richiami  alla  monte  qualche  bellezza  naturale,  o  splendore  d'arto, 
qualche  fatto  glorioso,  o  di  nobile  iniziativa,  qualche  esempio  di 
forte  operosità  o  di  abnegazione,  o  che  non  ricordi  qualcuno  dei 
momenti  più  salienti  della  evoluzione  del  pensiero  umano  nelle 
arti,  o  nelle  scienze. 

Orbene,  è  d'  uopo  confessare,  per  quanto  la  cosa  possa  riu- 
scirci dolorosa,  che  gli  italiani  non  conoscono,  come  dovrebbero, 
la  patria  loro.  Qualche  cosa  oggi  si  incomincia  a  tentare  per  far 
conoscere  fra  noi  le  bellezze  naturali  d'  Italia  ,  e  si  incomincia 
a  ricercare  e  a  studiare  con  amore  anche  i  più  modesti  artefici 
del  suo  patrimonio  artistico:  ma  molto  più  si  dovrebbe  fare.  Poco 

0  nulla  all'incontro  si  è  fatto,  e  si  fa,  per  far  conoscere  la  serie 
numerosissima  di  coloro  che  in  mille  guise  contribuirono  al  pro- 
gresso della  scienza  nostra. 

A  che  giova,  si  vien  dicendo  da  taluno,  rivolgere  la  mente 
al  passato  delle  scienze:  la  loro  storia  ci  appare  oramai  come  una 
lunga  serie  di  edifici  sfasciati,  caduti,  come  un  cumolo  di  rovine. 

A  costoro  risponderò  colle  parole  di  Quintino  Sella: 

«  Nei  tempi  odierni  tutto  cammina  rapidamente,  e  rapidis- 
«  simamente  progrediscono  e  si  trasformano  le  scienze  naturali, 
«  sicché  la  vecchiaia  dei  naturalisti  è  spesso  amareggiata  dallo 
«  spettacolo  della  caduta  delle  teoriche  sulle  quali  fondarono  i 
«  loro  lavori. 

«  Ma  non  minore  deve  perciò  essere  la  gratitudine  dei  suc- 

1  cessori  verso  chi  li  precedette  in  questa  scabrosa  lotta  contro 
«  l'ignoto,  e  ciò  non  solo  per  il  principio  evangelico  di  fare  agli 
«  altri,  ciò  che  aspettiamo  per  noi;  ma  anche  perchè  chi  giunge 
«  a  piantare  la  bandiera  sullo  spalto,  deve  molto,  se  non  tutto, 
«  a  chi  cadde  prima  di  arrivarvi  ». 

Le  parole  di  Quintino  Sella  non  hanno  bisogno  di  lungo 
commento. 

Le  ricerche  storiche  nel  campo  delle  scienze  ci  pongono  in 
contatto  intellettuale  con  coloro  che  ci  precedettero:  «  La  verità  » 
dirò  a  voi  ancora  col  Leibniz,  «  è  più  diffusa  di  quanto  si  pensi; 
«  ma  spessissimo  è  ascosa,  sepolta,  affievolita,  mutilata  e  corrotta 
i  con  aggiunte;  col  rilevare  le  tracce  di  verità  presso  gli  antichi 
«  ed  i  predecessori  si  trarrà  il  diamante  dal  sasso,  la  luce  dalle 
<  tenebre  e  si  riuscirà  a  fondare  una  filosofia  perenne  >. 


Tutte  le  scienze  crebbero  per  l'opera  paziente,  tenace ,    ora 
brillante,  ora,  molto  spesso,  modesta  ed  oscura  di  molti  lavora- 


k 


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tori;  tutte  le  scienze  ebbero  le  loro  vittime  che  devono  essere 
sacre  alla  nostra  riconoscenza;  ma  di  tutto  le  scienze,  quella  che 
tratta  delia  conoscenza  dei  viventi  dovette  percorrere  la  via  più 
difficile  e  dolorosa,  nella  quale  spesso  risuonarono  lugubramente  i 
lamenti  dei  torturati,  una  via  che  appare  di  tratto  in  tratto  con- 
sparsa di  sangue  ed  illuminata  dalla  sinistra  luce  dei  roghi. 

In  Italia,  forse  più  che  altrove,  la  teocrazia  collegata  col  feu- 
dalesimo e  coll'impero,  mosse  guerra  accanita,  implacabile  allo 
sviluppo  della  scienza  dei  viventi,  ora  con  arti  finissime,  ora  con 
mezzi  brutali.  Essa  costrinse  spesso  i  ricercatori  a  nascondere 
l'opera  loro  la  quale,  tuttavia,  sebbene  non  apparentemente  divul- 
gata ,  contribuì  potentemente  a  mantenere  vivo  il  fuoco  sacro 
della  ricerca  della  verità  e  alla  emancipazione  dell'umano  pen- 
siero. 

Il  ricercare  ed  il  far  conoscere  tutto  ciò  che  coloro  che  ci 
precedettero  operarono  in  condizioni  così  difficili  e  pericolose, 
con  tanti  sacrifizi,  e  con  tanta  abnegazione,  il  rivendicare  ad 
essi  la  priorità  di  molti  concetti  scientifici  e  la  scoperta  di 
molti  fatti  è  opera,  non  solamente  doverosa  per  noi ,  ma  alta- 
mente patriottica;  è  opera  che  deve  darci  la  conoscenza  chiara 
del  genio  italico;  è  opera  che  deve  spronarci,  ora  che  siamo  in 
possesso  della  più  santa  di  tutte  le  libertà,  la  libertà  del  pen- 
siero, a  dare  tutte  le  nostre  forze  alla  conquista  del  sapere. 

L' Inghilterra,  la  Francia,  la  Germania  già  da  tempo  hanno 
ben  compreso  la  grande  forza  morale  che  scaturisce  dalla  cono- 
scenza diffusa  delle  glorie  passate  delle  loro  genti  in  tutti  i 
campi  della  attività  umana,  e  con  gran  cura  hanno  studiato  i 
loro  archivi  per  mettere  in  buona  luce  i  loro  lavoratori. 

L'Italia  ciò  non  ha  fatto  fino  ad  ora  che  in  misura  troppo 
esigua  ed  incompleta.  Quel  poco  tuttavia  che  è  stato  fatto,  come 
ha  detto  recentemente  al  Senato  Luigi  Luzzatti,  ha  messo  in 
luce  <  gloriose  manifestazioni  del  genio  italico  nel  passato  che 
«  sono  anche  augurio  per  l'avvenire  ». 


Per  restringermi  ora  al  campo  nostro,  propongo  che  l'Unione 
Zoologica  Italiana  studi  l'organizzazione  di  una  serie  di  ricerche 
accurate  e  minute  nelle  biblioteche  e  negli  archivi  pubblici  e 
presso  i  privati  intorno  ai  documenti  che  riguardano  la  vita  e 
l'opera  di  tutti  i  zoologi  italiani  in  modo  che  ne  esca  uno  stu- 
dio completo  tanto   delle    figure    di    cui  più  rifulse   la   luce   nei 


tempi  passati,  quanto  della  serie  dei  ricercatori  modesti,  spesso 
ingiustamente  dimenticati,  ma  non  meno  benemeriti  del  progresso 
della  scienza. 

Si  potrà  cosi  scrivere  la  storia  della  Zoologia  in  Italia  e 
far  cessare  lo  spettacolo  per  noi  umiliante,  di  dover  ricorrere, 
anche  per  i  più  semplici  dati  biografici,  ad  opere  compilate  da 
stranieri,  nelle  quali  le  notizie  che  riguardano  i  nostri  zoologi 
sono  spesso  monche,  inesatte,  ed  anche  talvolta,  è  d'uopo  dirlo, 
non  imparziali. 

L'Unione  Zoologica  italiana  dovrebbe  inoltre  curare,  per 
quanto  è  possibile,  che  i  documenti  che  si  riferiscono  ai  zoologi 
passati,  manoscritti,  lettere,  sunti  delle  lezioni  ecc.,  ora  posseduti 
da  privati,  e  perciò  di  stadio  sempre  difficile,  talvolta  impossibile, 
vengano  raccolti  nelle  biblioteche,  o  negli  archivi  pubblici,  o  nei 
Musei  zoologici  per  renderli  accessibili  agli  studiosi  e  per  sal- 
varli da  eventuale  disperdimento  o  distruzione. 

È  questa  un'  opera  lunga  e  paziente  che  V  Unione  nostra 
dovrebbe  compiere  in  ogni  luogo  d'Italia,  poiché  in  ogni  luogo 
si  ebbero  nei  passati  secoli  studiosi  delle  cose  naturali. 

Io  ho  ferma  speranza  che  dall'odierno  convegno  della  Unione 
Zoologica  Italiana  partirà  un  impulso  efficace  alla  esecuzione 
dell'opera  che  vi  ho   proposto. 

Io  prego  tutti  voi  di  concedere  a  questa  opera  patriottica 
e  doverosa  la  più  ampia  cooperazione. 


Signori , 

Si  dice,  voi  ben  lo  sapete,  che  la  scienza  è  universale,  che 
essa  ha  in  mira  l'umanità  intiera,  che  non  conosce  diversità  di 
popoli,  di  razze,  di  nazionalità.  1  suoi  cultori  sono  una  famiglia 
sola;  tutti  lavorano  a  raggiungere  un  comune  altissimo  fine.  Poco 
importa  che  un  passo  fatto  fare  alla  scienza,  che  la  scoperta  di 
una  legge,  di  un  fenomeno,  sia  compiuta  da  un  ricercatore  ap- 
partenente ad  una  nazione  piuttosto  che  ad  un'altra. 

Tutto  ciò  sta  bene.  Ma.  o  Signori,  il  sentimento  della  patria 
non  si  cancella,  esso  vibra  pur  sempre  nel  nostro  cuore,  ed  an- 
che nel  lavoro  comune  con  tutti  i  popoli  inciviliti  per  il  progresso 
della  scienza,  il  pensiero  della  gloria  maggiore  della  patiia  deve 
essere  presente  alla  mente  nostra. 

Il  sentimento  della  gloria  della  patria  noi  dobbiamo  con  tutti 
i  mezzi  tener  desto  e  coltivare  nei  giovani,  che  saranno!  lavo- 


—  34  - 

latori  del  domani,  nei  giovani  ai  quali  i  sacrifizii  t;  la  virtù  di'i 
padri  hanno  aperto  tutte  le  vie  delle  attività  sociali  e  hanno  con- 
cesso libero  e  pieno  svolgimento  delle  loro  energie. 

A  questo  nobilissimo  fino  mirano  lo  odierno  onoranze  a  F  i- 
lippo  Cavolini,  uno  dei  grandi  l)iologi  italiani  ;  a  raggiung(U'(3 
lo  stesso  intento  è  indirizzata  la  proposta,  che  ho  avuto  l'onore 
di  fare,  di  preparare  i  materiali  per  una  storia  completa  dei  ri- 
cercatori italiani  di  tutti  i  tempi  noi  campo  dogli  studi  intorno 
ai  viventi  animali. 

Da  essa  verrà  la  prova  luminosa  che  anche  nei  periodi  più 
tristi  della  nostra  storia,  quando  più  feroci  e  spietati  erano  i  vin- 
coli nei  quali  l'oscurantismo  teneva  .str(;tto  il  pensiero  umano, 
quando  la  patria  nostra  era  dagli  stranieri  in  mille  guise  conculcata, 
quando  era  derisa  come  terra  dei  morti,  il  genio  italico  non  ri- 
stette mai,  ed  anche  nel  campo  nostro,  non  solo  mandò  di  tratto 
in  tratto  lampi  di  luce  vivissima;  ma  con  lavoro  paziente,  tenace, 
continuo  contribuì  in  misura  gì  andò  all'innalzamento  del  moderno 
edificio  scientifico. 


DISIÌORSO  COMMEMORATIVO 

DI 

FILIPPO    CAVOLINI 

DEL 

Prof.   FR.   SAV.   MONTICELLI 

Presidente  del  Comitato 


* 


Magnifico  Rettore^  Efjregi  colleghi,  Signore,  Signori, 

Se  il  tempo  trascorso  permette  imparzialità  di  giudizio,  co- 
sichè  uomini  e  cose,  ad  un  secolo  di  distanza,  possono  guardarsi 
con  serenità  di  mente,  non  è  pertanto  men  vero,  che  le  condi- 
zioni di  mentalità,  di  coltura  e  d'ambiente  del  presente  ,  frutto 
d'evoluzione  del  pensiero  e  di  progresso  di  tempo,  dei  quali  non 
è  sempre  facile  spogliarsi,  rendono  il  giudizio  sull'  opera  di  un 
uomo  assai  difficile.  Che,  per  metterla  nel  suo  giusto  valore,  in 
rapporto  all'epoca  nella  quale  si  svolse  e  per  quanto  da  essa  ne 
derivò  vantaggio  al  progredire  del  sapere,  occorre  trasportarsi, 
nell'esame  dell'  opera,  immedesimandovisi  appieno  per  bene  in- 
tenderla, nell'ambiente  e  contigenze  del  tempo  in  cui  si  svolse 
per  condizioni  di  cultura  e  mezzi  di  ricerca. 

E  sono  appunto  l'odierno  progresso  conseguito  dalla  scienza 
e  la  perfezione  ed  incremento  nei  mezzi  d' indagine  facilitanti 
la  ricerca,  che,  per  quanto  si  faccia,  suggestionando  nel  giudizio, 
rendono  più  d'ogni  altro  difficile  la  esatta  valutazione  dell'opera 
scientifica  di  un  uomo,  vissuto  ora  è  più  di  un  secolo;  quando 
non  si  consideri  obbiettivamente  il  rapporto  tra  l'opera  sua,  la 
coltura  del  momento,  i  mezzi  di  cui  disponeva  e  l'influenza  avuta 
nel  progresso  della  scienza,  rivelando  dei  fatti,  che,  passati  inosser- 
vati per  le  conoscenze  di  allora,  hanno  poi  assunto  grande  im- 
portanza scientifica,  od  altri  che  forse  non  meglio,  in  progrediti 
tempi,  da  altri  furono  illustrati. 

Se,  difatti,  si  considera  l'opera  di  Filippo  Cavolini  in  base 
alle  grandi  conoscenze  oggi  acquisite  sulla  vita  e  l'architettura 
delle  piante  e  degli  animali  e  sulla  loro  biologia,  alla  facilità  di 
procurarsi  materiale  di  ricerca,  ai  laboratori  largamente  forniti 
di  mezzi  di  studii  e  d' indagine  d'  ogni  sorta,  alle  stazioni  bio- 
logiche e  zoologiche  che  rendono  agevole  in  ogni  modo  il 
compito  degli  studiosi,  essa  apparirà  quantità  trascurabile  che  si 


—  38  — 

p(.!iclo  nul  tempo;  un  ricordo  storico  cvanoscoiito  nulla  dinienti- 
canza  di  posteri  che  vanno  ignorandola  col  tempo. 

Ma  l'opera  di  Filippo  Cavolini,  obbiettivamente  considerata, 
in  sé  e  per  quanto  è  stata  causa  di  progresso  per  i  tempi  in 
cui  visse,  per  i  mezzi  di  cui  disponeva,  appare  davvei'O  meravi- 
gliosa per  acume  d'osservazione,  non  superata,  e  por  indirizzo  di 
ricerca  e  di  sperimentare  precorritrice  di  tianpi  moderni. 

Dovere  di  posterità  riconoscente,  carità  di  patria  e  dignità 
di  quest'antica  scuola  napoletana,  nella  quale  è  nobile  tradi- 
zione lo  studio  delle  disciplino  naturali,  reclamavano  fosse  tolto 
da  ingiusto  oblio  1'  opera  di  Filippo  Cavolini,  napoletano,  onore 
della  scienza  italiana;  e  che  la  patria  non  immemore,  non  ingrata 
ricordasse  l'opera  sua  consacrandone  in  marmo  la  memoria. 

La  Società  di  Naturalisti  in  Napoli  ha  voluto  rivendicare  questa 
gloria  cittadina;  ed  auspice  1'  Università  ed  il  Comune,  si  è  fatta 
promotrice  di  queste  solenni  onoranze;  alle  quali  si  è  degnato  con- 
cedere il  suo  alto  patronato  S.  M.  il  Re,  che  simboleggia  oggi 
la  patria  unità  onorante  i  suoi  figli  illustri  di  ogni  regione,  che, 
nella  patria  divisa,  nell'arte  e  nel  sapere,  unificarono  il  pensiero 
italiano. 

E  la  memoria  di  Filippo  Cavolini  non  si  poteva  meglio  ono- 
rare che  ripubblicando  le  sue  classiche  ricerche  di  zoologia  e  bo- 
tanica che  lo  rivelarono  ai  contemporanei  biologo  insigne;  e  rie- 
vocando r  opera  sua  in  questa  odierna  solenne  commemorazione 
nel  primo  centenario  dalla  sua  morte,  alla  quale  si  sono  simpati- 
camente associate  le  università  consorelle  italiane  e  d'ogni  parte 
del  mondo,  le  accademie  nazionali  e  straniere,  le  società  scienti- 
fiche d'  Italia  e  dell'estero. 


Filippo  Cavolini  nacque  in  Napoli  nell' 8  Aprile  1756  da 
Nicola,  avvocato,  e  da  Angela  Auriemma  della  vicina  poetica  Sor- 
rento. Fin  da  giovanetto  fu  avviato  allo  studio  delle  lettere  e 
delle  scienze.  In  queste  ebbe  a  maestro  per  la  fisica  Gfiovanni 
Torre  e  Giuseppe  Vairo  ,  per  1'  anatomia  Domenico  Cotugno  ed 
Amantea,  perla  botanica  Domenico  Cirillo:  studiò  disegno  e  fu 
cultore  di  musica.  Mentre  per  accontentar  suo  padre  si  avviò  al- 
l' esercizio  della  avvocatura  seguendo  la  scuola  di  Diritto ,  nel 
quale  giovanissimo  si  addottorò,  particolarmente  si  interessava 
agli  studi  di  botanica  ed  entomologia  frequentando  le  lezioni  di 
Domenico  Cirillo  che  gli  fu  particolarmente  largo   di  ammaestra- 


1 


I 


—  se- 
menti,   accogliendolo   in  quella  casa  ospitale  nella  quale,  attorno 
a  Cirillo,  conveniva  quanto  Napoli    raccoglieva  allora  di    uomini 
noti  per  dottrina  e  sapere.  E  pel  suo  grande  e  sventurato  mae- 
stro, egli  serbò  sempre  venerazione  ed  affetto. 

Mortogli  il  padre,  Cavolini,  che  seguiva  l'esercizio  dell'av- 
vocatura non  per  propria  inclinazione,  pure  interessandosi  agli 
studii  giuridici  di  che  fa  fede  la  sua  opera  Progymnasma  in 
vetere  jureconsultornm  philosophia,  pubblicata  in  Napoli  nel  1778, 
abbandonò  pandette  e  codici  e  si  consacrò  ai  suoi  studii  predi- 
letti di  zoologia  e  botanica.  Ma  già  egli,  pur  esercitando  la  sua 
professione  di  avvocato,  aveva  pubblicato,  nello  stesso  anno  1778, 
uno  studio  sul  Pulce  acquaiuolo  e  più  tardi  una  indagine  sulla 
generazione  dei  funghi;  argomento  sul  quale  ritornò  poi  ancora 
rettificando,  con  l'esperienza  dal  tempo  acquisita,  inesattezze  in- 
corse in  questo  lavoro  giovanile. 

Quattro  anni  dopo,  nel  1782,  quando  aveva  appena  26  anni, 
dette  alle  stampe  la  «  Memoria  per  servire  alla  storia  del  fico  e  del 
caprifico  »  che  lo  rivelò  osservatore  profondo,  attirando  su  di  lui 
r  attenzione  degli  scienziati  del  tempo. 

Libero  della  sua  vocazione,  Filippo  Cavolini,  ritiratosi  nella  sua 
villa  di  Posillipo,  in  riva  al  mare,  volse  il  suo  studio  agli  animali 
marini,  al  quale  fu  incitato  dalle  amare  parole  di  rimprovero  che 
Pietro  Simone  Pallas,nel  suo  libro  sugli  Zoofiti,  lanciava  agli  italiani 
abitatori  delle  coste  del  nostro  mare,  cosi  ricco  di  animali  marini, 
di  trascurarne  lo  studio.  Ed  egli  volle  provare  non  con  vane  pa- 
role di  proteste,  sdegnando  l'ingiusta  accusa,  che  gli  studii  di 
Saverio  Macri  e  le  classiche  ricerche  di  Giuseppe  Poli  sui  Mol- 
luschi ,  da  sé  stesse  smentivano,  come  qui,  a  NapoU,  vi  fosse 
chi  tali  studii  seguiva  ;  e  seppe  dimostrare  in  essi  tale  perizia, 
e  raccoglieva  fecondia  di  risultati  da  riscuotere  l'  ammirazione  dei 
contemporanei  conquistando  fama  imperitura.  Lo  stesso  Pallas 
faceva  onorevole  ammenda  di  sua  avventata  accusa,  lodando  l'o- 
pera del  Cavolini  del  quale  sollecitò  la  scientifica  intesa. 

Con  l'aiuto  di  alcuni  marinai  di  Posillipo,  coi  quali  era  en- 
trato in  dimestichezza,  non  risparmiando  spese  e  fatica,  egli  an- 
dava investigando  la  costa  di  Posillipo,  accuratamente  visitando 
oo-ni  grotta,  ogni  antro,  gli  scogli,  le  secche,  che  vi  s'incontrano; 
raccogliendo  egli  stesso  il  materiale  per  i  suoi  studii,  sopra  luogo 
osservando  ed  attentamente  scrutando  la  biologia  degli  animali 
e  delle  piante  che  gli  capitavano  all'osservazione,  dei  quali    so- 


—  40  - 
guiva  per  lungo  tempo  le  viceiid.ì  per  rendersi  esatto  conto  d(ù 
rapporti  loro  con  rambientu. 

Chi  oggi  comodamente  seduto  ad  una  tavola  di  studio  della 
Staziono  Zoologica  di  Napoli,  modello  di  un  Istituto  scienti- 
fico del  genere,  trova  pronti  gli  animali  di  cui  ha  bisogno  per 
le  sue  ricerche,  con  tutte  le  notizie  biologiche  che  possono  in- 
teressarlo, avendo  a  sua  disposizione  ogni  mezzo  d'indagine  dei 
più  perfezionati,  od  a  portata  di  mano  una  ricchissima  biblioteca, 
consideri  l'opera  di  quest'  uomo  che,  più  d'  un  secolo  fa,  fhi  solo, 
in  una  modesta  barchetta  con  ingegnosi  e  semplici  mezzi  di  pe^ica 
da  lui  stesso  ideati,  andava  scrutanrlo  il  mare,  cercando  da  sé 
stesso  il  materiale  per  le  sue  ricerche  e  raccogliendo  le  osservazioni 
biologiche  occorrenti  per  gli  studi  che  su  piante  ed  animali  andava 
compiendo;  i  cui  risultati  restano  ancora  immutati  e  furono  Lniida 
sicura  e  preziosa  a  studii  posteriori!  E  quest'uomo  seppe  anche 
ideare  un  laboratorio  per  le  sue  ricerche,  che  istituì  nella  sua 
casa  di  Posillipo;  dove,  raccolta  dovizia  di  libri,  radunato  un  ricco 
museo  di  produzioni  marine,  istallò  la  sede  dei  suoi  studii  ed 
esperimenti,  sui  viventi  del  mare. 

Cosi  sul  finire  del  1700  qui,  da  noi,  nella  casa  di  Filippo 
Cavolini,  sul  mare  di  Posillipo,  si  embrionava,  rispetto  ai  tempi, 
come  in  quella  di  Lazzaro  Spallanzani  dall'altro  capo  del  Tirreno 
il  concetto,  l'idea  precorritrice  di  un  laboratorio  di  biologia  ma- 
rina, del  quale  doveva  più  tardi,  nel  progresso  degli  studi,  allac- 
ciarsi il  bisogno  alla  mente  di  illuminato  studioso,  incarnandosi 
in  tempi  più  maturi  nella  Stazione  Zoologica  che  A.  Dohrn,  col 
favore  del  Comune,  ha  saputo  quarant'  anni  or  sono  far  soro-ere 
in  Napoli  :  centro  internazionale  di  ricerche  sulla  vita  del  mare. 

I  risultamenti  dei  suoi  studi  sui  polipi  marini  egli  consacrò 
in  una  classica  memoria  pubblicata  nel  1787;  e  molte  altre  pre- 
ziose osservazioni  egli  aveva  raccolte  sull'argomento  e  su  molti 
altri  animali  marini  che,  rimaste  inedite,  furono  poi  pubblicate 
lunghi  anni  dopo  la  sua  morte.  Ciò  ha  portato  che  di  molte  sco- 
perte sue  fosse  sconosciuta  l' antica  priorità ,  che  va  loro  ri- 
vendicata. 

A  questi  studi  seguirono  quelli  sulla  generazione  dei  pesci 
e  dei  granchi,  ricchi  d'interessanti  fatti  non  prima  sospettati  e 
che  destarono  il  più  vivo  interesse  nei  dotti.  Ed  è  a  proposito 
di  questi  studi,  che  Lazzaro  Spallanzani  gli  scriveva  :  «  senza  punto 
farle  la  corte    io  lo  dirò   che  i  di  lei   ritrovamenti  fanno   onor 


—  41  — 

crrande  e  al  suo  nome  e  all'Italia:  olla  batto  maestrevolmente  la 
strada  dei  Redi,  dei  Malpighi  e  dei  Vallisneri  v.  Nò  queste  in- 
dagini egli  trascurò  di  proseguire,  di  che  fanno  fede  le  postume 
memorie  desunte  dai  suoi  manoscritti  lasciati  alla  sua  morte. 

E  dalla  zoologia  passando  alla  botanica,  detto  alle  stampe  nel 
1792  uno  studio  sulla  zoostera  oceanica  :  e  nello  stesso  anno  fece 
noti  i  risultati  delle  sue  ricerche  sul  Pliucagrostis :  memorie,  frutto 
di  pili  anni  di  costanti  e  pertinaci  indagini,  che  lo  rivelarono 
specialista  di  gran  valore  nello  studio  della  flora  marina.  Col  1796 
si  arresta  la  manifestazione  pubblica  della  attività  scientifica  di 
Filippo  Cavolini  con  una  memoria  sul  Citino  ipocistide,  che  fu, 
poi,  ristampata  con  aggiunte,  tolte  dai  manoscritti  da  lui  lasciati, 
insieme  ad  altre  osservazioni  botaniche  in  questi  contenute,  ri- 
maste inedite  alla  sua  morte. 

Ma  non  il  suo  lavorare  cessò  :  lo  provauo  i  numerosi  ma- 
noscritti da  lui  lasciati,  di  cui  ancora  una  residua  parte  è  giunta 
fino  a  noi;  ed  è  oggi  qui  esposta,  per  cortesia  della  signorina  Aima 
De  Mellis,  nipote  del  Cavolini,  che  ne  ha  concesso  l'esame.  Innanzi 
a  questi  manoscritti,  jDer  quanto  frammentari,  si  resta  ammirati  dalla 
paziente  accuratezza  delle  osservazioni  in  essi  contenute,  dalla 
costante  attività  di  lavoro  che  essi  rivelano,  dalla  quantità  e  va- 
rietà di  osservazioni  che  egli  aveva  fatte  sugli  animali  marini  che 
ritraeva  in  modo  meraviglioso  dal  vero,  come  mostrano  i  suoi  di- 
segni originali  tracciati  con  precisione  di  acuto  osservatore  non 
disgiunta  da  fine  gusto  d'arte  nella  maestria  del  tocco. 

Le  ragioni  dell'  ulteriore  silenzio  del  nostro  Cavolini  vanno 
in  parte  ricercate  nelle  vicende  politiche  che  agitarono  il  regno 
di  Napoli  sul  finir  del  secolo  XVIII  ed  all'  inizio  del  XIX,  alle 
quali  pertanto  egli  rimase  estraneo  ,  ma  che  molto  influirono 
sull'animo  suo  per  contingenze  diverse.  Per  naturale  mitezza, 
che  gli  fece  rifiutare  onorifico  posto  nella  Repubblica  partenopea, 
egli  si  chiuse  nella  pace  della  sua  villa  assorto  nelle  sue  ricerche. 

Ma  nel  1806  questa  casa,  nella  quale  gli  si  era  svelato  il 
mistero  della  vita  del  mare,  fu  invasa  dalle  soldatesche  francesi. 
Manomessi  i  suoi  libri,  le  sue  raccolte,  e  danneggiato  nel  patri- 
monio, colto  da  scoramento  si  ridusse  nella  sua  casa  di  Napoli  in- 
terrompendo i  suoi  studi. 

A  questi  fu  richiamato  dalla  promessa  di  ottenere  linalmente 
sgombera  la  casa  di    Posillipo  ,  dalla  nomina  a  socio  dell'  Acca- 


—  42  — 

(icmiu  delle  Scienze,  costituitasi  allora  in  Napoli,  o  da  quella  di 
professore  in  (jue.sta  Università  per  una  spezialo  cattedra  «  Sullo 
teorie  «generali  della  Storia  Naturalo  dimostrata  con  le  osserva- 
zioni »,  creata  per  lui,  nel  1808,  in  riconoscimento  dei  suoi  meriti. 
Cattedra  che ,  con  quella  di  minoralogia  ,  1'  altra  di  botanica  e 
quella  di  zoologia  da  poco  istituita,  prima  in  Italia  ,  nel  1806, 
dovevano  rappresentare  la  consacrazione  ufficiale  del  movimento 
di  coltura  nelle  scienze  naturali,  che  rigoglioso  allora  fiorivano 
nel  regno   di  Napoli. 

Ma  Cavolini  poco  potè  godere  la  cattedra  che  il  suo  merito 
gli  aveva  guadagnata.  Riavutosi  appena  dalle  amarezzo  passato, 
che  ne  avevano  fiaccata  la  fibra,  ripigliò  il  gusto  per  le  sue  pe- 
regrinazioni marittime,  per  le  sue  indagini  biologiche;  delle  quali 
purtroppo  doveva  rimaner  vittima.  Nel  1810,  mentre  egli  un  giorno, 
come  soleva,  andava  nella  barchetta  coi  suoi  fidi  marinai  scru- 
tando le  grotte,  costeggiando  la  riva  tra  Posillipo  e  Nisida,  un 
doganiere,  dalla  costa,  chiese  imperiosamente  di  essere  accolto  nella 
navicella,  ed  essendosi  i  marinai  a  ciò  rifiutati  accennando  di 
pigliare  il  largo,  il  soldato,  saltando  nella  barca,  la  foco  capovol- 
gere. I  marinai  solleciti  salvarono  entrambi  ;  ma  Cav(jlini,  per 
lo  spavento',  fu  colto  prima  da  grave  malore  e  poi,  dopo  pochi 
giorni,  per  tifoide,  mori  il  13  Marzo  1810  in  Napoli,  lontano  dalla 
sua  prediletta  villa  di  Posillipo,  sede  dei  suoi  studii,  purtroppo 
non  ancora  a  lui  restituita! 

Cosi  finiva  miseramente  appena  a  54  anni,  ancora  nel  pieno 
promettere  della  sua  attività  ,  Filippo  Cavolini ,  vittima  del  suo 
amore  per  i  proprii  studii,  martire,  potremmo  dire  con  odierna 
eufemica  frase,  della  scienza  !  lasciando,  nel  rimpianto  per  la  sua 
immatura  scomparsa,  il  vivo  desiderio  che  l'assidua  opera  sua  per 
anni  durata,  a  tutti  nota  nella  massa  degli  scritti  da  lui  lasciati  non 
andasse  per  sempre  perduta!  E  sollecita  fu  l'Accademia  delle 
Scienze  a  deliberare  la  pubblicazione  dogli  studii  lasciati  inediti 
dal  Cavolini  ,  nominando  una  apposita  Commissione  per  farne  la 
cernita;  mentre  a  Teodoro  Monticelli,  Segretario  perpetuo  dell'Ac- 
cademia, si  dava  incarico  di  tesser  l'elogio  di  Cavolini.  Questo 
fu  presto  pubblicato  sulla  scorta  dei  documenti  originali  e  della 
corrispondenza  del  Cavolini:  e  por  esso  1'  opera  scientifica  del 
Cavolini  fu  messa,  in  rapporto  ai  tempi,  in  piena  luco. 

Io  non  starò  a  rivangare  il  destino  che  pesò  su  questi  pre- 
ziosi manoscritti  rimasti,  malgrado  il  voto  dell'Accademia,  per 
lungo  tempo  inediti;   né  seguirò   il   Dello  Cliiaie  nella  storia   che, 


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delle  vicende  della  pubblicazione  di  questi  manoscritti,  iutesse  nella 
prefazione  al  Volume,  nel  quale,  a  sue  spese  e  cura,  li  raccolse  sotto 
il  titolo  di  Memorie  postume  di  Filippo  Cavolini,  edito  nel  1853. 

Nel  ristampare  ora  le  opere  del  nostro  Cavolini  era  molto  de 
sidorato  un  riesame  dei  suoi  manoscritti  avuti  fra  mano  dal  Delle 
Ghiaie:  ma  le  ricerche  fatte,  per  lungo  tempo  infruttuose,  parvero 
aver  assodato  che  di  essi  più  non  rimanesse  traccia;  quando  per  un 
caso  fortuito,  si  venne  a  sapere  della  esistenza  di  manoscritti  cavoli- 
niani.  Ma,  se  troppo  tardi  per  valersene  per  la  ristampa  delle  opere, 
già  molto  innanzi,  sempre  in  tempo,  dopo  che  viuta  una  certa 
riluttanza  in  chi  li  possedeva,  ne  fu  permesso  lo  studio,  per 
averne  buona  conoscenza,  e  per  convincersi  che  un  paziente  ed 
illuminato  esame  di  essi  potrà  ancora  rivelare  importanti  dati 
inediti  sulla  grande  attività  e  perizia  scientifica  del  nostro  Ca- 
volini. 

Si  deve  certo  far  plauso  al  devoto  omaggio  reso  alla  memo- 
ria di  Filippo  Cavolini,  da  Stefano  Delle  Chiaie,  che,  pubblicando 
le  ricerche  inedite  di  lui,  ha  reso  noti  nuovi  tesori  d'osservazioni, 
di  studi,  ed  esperimenti  del  nostro  Cavolini,  che  ci  permettono 
oggi  di  rivendicare  al  suo  nome  molta  parte  di  posteriori  scoverte 
anatomiche  o  biologiche  d'alto  valore.  Ma  si  deve  pur  riconosere 
imparzialmente  che,  talvolta,  il  Dello  Chiaie  ha  ecceduto  per  zelo 
nel  render  pubbliche  delle  osservazioni  assai  frammentarie  ed  in- 
complete e  degli  studii  che,  evidentemente,  Cavolini  non  aveva  in 
animo  di  dare  alle  stampe  nello  stato  in  cui  li  ha  lasciati  ;  ed 
in  ciò  può  forse,  sotto  un  certo  punto  di  vista,  avergli  anche 
nociuto.  Né  il  Delle  Chiaie  è  stato  sempre  fedele  trascrittore  nel 
senso  e  nella  lettera  degli  autografi  cavoliniani  ;  né  sempre  si  è 
dispogliato,  nel  curarne  l'edizione,  della  sua  personale  competenza 
nella  comunanza  di  studii  con  quelli  di  (tavolini,  facendo  astra- 
zione dalla  propria  mentalità  e  personalità  scientifica. 


Tracciata  la  vita  di  Filippo  Cavolini  e  ricordate  le  vicende 
dei  manoscritti  da  lui  lasciati,  esaminiamo  ora,  per  quanto  som- 
mariamente riassumendola,  l'opera  sua  nei  risultati  che  olfre  in 
sé  stessa  rispetto  ai  tempi,  ed  alle  ricerche  posteriori.  Per  como- 
dità ed  ordine  di  esposizione  distinguerò  l'opera  sua  botanica  da 
quella  zoologica,  disaminandole  successivamente  e  partitamenie 
per  metter  meglio  in  evidenza  il  merito  che  al  nostro  Cavolini 
per  ciascuna  delle  parti  di  essa,  gli  deve  riconoscere  la  posterità 


-  44  - 

«Ifgli  studiosi  ^).  Comincurò  dallo  ricerche  zoologiche  con  le  quali 
si  apre  la  serio  di  suoi  magistrali  studii:  dirò  poi  di  quelle  bo- 
taniche. 

Le  opere  di  Zoologia  di  Filippo  f'avolini,  sia  pubblicate  iu 
vita  che  dopo  la  sua  morte,  possono,  per  rispetto  agli  argomenti 
in  esse  trattati,  ripartirsi  in  diversi  gruppi. 

Al  primo  appartiene  la  memoria  sul  Pulce  acquaiolo  con 
la  quale  Ca velini  si  affaccia  nell'agone  delle  discipline  zoologiche. 
In  esso  è  notevole  la  parte  che  dimostra  con  la  critica  delle  te- 
stimonianze degli  antichi  autori  che  le  piogge  di  sangue  da 
questi  riferite,  non  dovevano  essere  altra  cosa  che  l'effetto  di  un 
grande  sviluppo  di  queste  pulci  acquaiole  (Dafnie)  nelle  pozzan- 
ghere formatesi  dopo  gli  acquazzoni. 

Nel  secondo  gruppo  vanno  in  uno  riunite  tutte  le  ricerche 
di  Cavolini  sui  Polipi  marini,  consacrate  in  sei  memorie  accompa- 
gnate da  numerose  tavole;  tre  delle  quali  postume.  Il  merito 
principale  che  da  questi  studi  torna  al  nostro  Cavolini  è  quello 
di  aver  pel  primo  studiata,  con  osservazioni  e  con  lo  esperimento, 
quello  che  ora  diremmo  la  biologia  degli  Idroidi  marini  rive- 
lando con  incomparabile  esattezza,  frutto  d'indagine  pazientissima, 
non  superata  finora,  le  condizioni  di  esistenza  e  le  diverse  manife- 
stazioni di  questi  esseri  cosi  poco  noti  allora,  riconosoendo  la 
loro  identità  di  struttura  con  l'Idra  d'acqua  dolce,  non  ostante 
l'esistenza  di  parti  scheletriche  nei  poHpi  marini,  che  ne  rendono 
tanto  varia  e  differente  l'architettura,  delle  quali  determinò  le 
relazioni  con  le  parti  viventi.  E  Cavolini  precorrendo  d' un 
secolo  i  tempi,  istituì  pel  primo  quelle  esperienze  su  questi  polipi 
marini  diventate  oggi  classico  soggetto  di  indagini  sperimentali; 
determinando  con  ammirabile  precisione  la  correlazione  negativa 
fra  lo  sviluppo  di  alcuni  polipi  e  l' intensità  della  illuminazione 
degli  scogli  dove  essi  vivono,  e  dimostrando  col  suo  sperimen- 
tare iìn  d'allora  l'esistenza  di  una  polarità  assile,  e  la  possibilità 
di  inveitire  la  natura  delle  estremità  nei  polipi  marini  del  gruppo 
delle  Serto  la  rie,  secondo  le  condizioni  in  cui  queste  sono  man- 
tenute. Studii  sulla  polarità  che  oggidì  tanto  interessano  gli  zoo- 
logi per  speciali  indagini  sperimentali,  alle  quali  quelle  di  Ca- 
volini   nulla    hanno    da  invidiare.   In  queste    ricerche    su    i  po- 


^)  Nella  disamina  critica  delle  opere  di  Cavolini  sono  stato  efficacemente 
coadiuvato  dal  Dr.  Paolo  Della  Valle  per  la  parte  Zoologica  e  dal  collega 
Prof.  F.  Cavara  per  rpiella  Botanica. 


—  45  — 

lipi  marini  la  descrizione  ed  illiistraziouo  delle  singole  formo 
da  lui  studiate  è  fatta  in  modo  così  preciso  che,  con  l'aiuto  delle 
figure,  con  la  sua  grande  maestria  d'artista  da  lui  stesso  dise- 
gnate dal  vero  e  dal  vivo,  sono  con  certezza  subito  riconoscibili 
anche  oggi  fra  le  specie  del  golfo  di  Napoli.  Queste  memorie  su 
i  Polipi  marini  contengono  pure,  come  note  e  frammenti  staccati, 
numerose  osservazioni  su  altri  animali  invertebrati  marini,  fra  le 
quali  ricorderò  quelle  sulla  biologia  ed  anatomia  di  alcuni  mol- 
luschi Eolididei  e  principalmente  quelle  sulle  Spugne,  per  l'affer- 
mata animalità  di  questi  esseri  allora  messa  in  dubbio,  e  dopo  di 
lui  ancora  discussa.  Va  anche  ricordato  che  a  Cavolini  spetta  di 
aver  per  primo  chiaramente  descritte  e  disegnate  le  larve  delle 
Ascidie  composte,  che  però  non  riconobbe  come  tali.  E  mentre 
si  disputava  di  generazione  spontanea,  Cavolini,  sperimentando 
con  infusioni  fatte  bollire  e  non  bollite,  dimostrava  che  gl'infusorii 
marini,  dei  quali  rivelava  l'esistenza,  non  si  formano  spontanea- 
mente. A  questo  gruppo  di  lavori  devono  collegarsi  le  osserva- 
zioni sparse  come  note  in  altri  studii  del  Cavolini,  sulla  anato- 
mia e  biologia  della  Seppia  della  quale  riconosce  e  descrive  le 
spermatofore,  ed  illustra  anche  stadii  di  sviluppo  che  sono  forse  le 
prime  figure  che  si  conoscano  di  embrioni  di  Cefalopodi. 

Edoardo  Van  Beneden  descriveva  nel  1876  alcuni  parassiti 
dei  Cefalopodi  da  lui  chiamati  Diciemidi.  Forme  che  hanno  dato 
luogo  a  molti  studi  e  furono  ragione  di  discussioni  sul  valore  si- 
stematico che  il  loro  autore  volle  riconoscere  in  questi  esseri  di 
animali  intermedii  fra  i  protozoi  ed  i  metazoi;  i  cosi  detti  meso- 
zoi.  Or  bene  maraviglierà  non  poco  il  sapere  che  Cavolini  aveva 
già  pel  primo,  in  modo  non  dubbio,  trovati  e  riconosciuti  un  se- 
colo prima  questi  esseri  microscopici  nella  seppia;  cui  certo,  per 
le  conoscenze  d'allora,  non  potè  dare  il  valore  loro  attribuito  più 
tardi  dal  Van  Beneden. 

A  questa  serie  di  lavori,  che  abbraccia  gì'  invertebrati  ma- 
rini, si  collegano  puro  gli  studii  sull'  anatomia  e  la  generazione 
dei  granchi,  dove  sono  interessanti  notizie  biologiche,  special- 
mente suir  accoppiamento ,  sul  genere  di  alimentazione  e  su 
quei  curiosi  loro  parassiti  (Rizocefali  ed  Entonischi) ,  che  do- 
vevano poi  molti  anni  dopo  esser  fonte  di  interessanti  ricerche 
del  Delage  e  del  Giard,  la  scoperta  dei  quali  spetta  al  Cavolini, 
che  ne  disegnò  perfino  le  larve.  Ed  a  questo  gruppo  si  collegano 
ancora  le  frammentarie  osservazioni  e  studii  che  si  contengono 
nella  postuma  memoria  su  varii  e  diversi  animali  marini  per 
molti   dei  quali  gli  spetta  priorità  ;  che  certo    dovrà  fargli  rico- 


—  46  - 

noscoro  chi  dai  suoi  manoscritti  o  dallo  hoUissiiiK^  figure  saprà 
iiiottero  in  valore  lo  suo  diuioiiticato  od  ignorato  osservazioni. 

Un  altro  importantissimo  gruppo  di  lavori  del  nostro  Ca- 
volini  è  quello  nel  quale  tratta  principalmente  della  genera- 
zione del  pesci  in  due  memorie  pubblicato  in  vita,  che  si  rifori- 
scono  ai  pesci  (Teleostei),  ed  una  postuma  sulla  anatomia  ed  em- 
briologia dei  selacei,  nella  quale  indaga  pure  lo  sviluppo  della 
Lucertola  e  del  Rospo  e  si  contengono  ancora  osservazioni  sulla 
Lampreda  {Pdromyzoìì)  del  più  grande  interesse.  È  merito  di 
Ca velini  d'  avere  per  primo  accuratamente  studiato  il  sistema 
circolatorio  dei  pesci  marini,  e  specialmente  il  sistema  genera- 
tore; di  aver  determinato  con  esattezza,  non  superata  da  ulteriori 
indagini  il  periodo  di  maturità  sessuale  di  molte  specie  :  di  aver 
con  certezza  provata  e  dimostrata  la  fecondazione  esterna  nei 
pesci  ovipari  ;  di  aver  fatta  nota  la  gestazione  esterna  nei  pesci 
del  genere  Synynuthìis  per  opera  del  maschio,  dando  nello  figure 
degli  stadii  embrionali  di  questi  pesci  le  primo  immagini  concrete 
della  embriologia  dei  pesci;  e  di  avere  anche  messa  la  questione 
della  esistenza  di  pesci  ermafroditi.  Nello  studio  del  sistema  cir- 
colatorio e  respiratorio  dei  pesci  Cavolini  per  primo  rileva  la 
non  continuità  fra  le  arterie  e  le  vene  branchiali,  l'esistenza  delle 
pseudobranchie  opercolari  e  l'adesione  della  parte  ventrale  della 
plica  opercolare  nei  pesci  del  genere  Syngnatlms.  E  poiché  a  Ca- 
volini spetta  di  aver  descritto  il  nucleo  negli  oociti  dei  pesci, 
a  lui  dunque  dovrebbe  riconoscersi  il  merito  di  aver  scoperto  il 
nucleo  delle  cellule,  che  si  rivendica  così  ad  un  italiano. 

Cavolini  per  il  primo  riconosce  e  descrive  la  placentazione 
vitellina  nella  Torpedine;  e  spetta  pm^e  a  lui  di  aver  rivelata  la 
natura  olfattiva  dell'orifizio  che  Linneo  aveva  descritto  per  fì- 
stola polmonare  nella  Lampreda,  aiformando,  fatto  nuovo  ed 
unico  nei  vertebrati,  l'esistenza  di  una  narice  impari.  E  della 
Lampreda  riconosce  e  descrive  pure,  pel  primo,  la  differente 
struttura  dello  apparecchio  di  sostegno  branchiale  da  quella  degli 
altri  pesci.  Nella  memoria  postuma  è  dal  Cavolini  illustrato  il 
sistema  circolatorio  della  Lucertola  e  del  Rospo  adulto  ricono- 
scendo la  relazione  fra  la  circolazione  polmonare  e  quella  cu- 
tanea. E  per  dimostrare  come  sia  possibile  la  vita  acquatica  dei 
Rospi  nei  primi  tempi  della  loro  esistenza,  egli  studia  l'anato- 
mia del  girino  di  Rospo  e  con  particolare  cura  disamina  il  si- 
stema circolatorio:  e  descrive  con  esattezza,  molto  maggiore  di 
quanto  ha  di  poi  fatto,  il  fondatore  della  embriologia,  Von  Baer, 
nella  rana,  e  molti  anni  prima  di  quc^sti,  la  seconda  metamorfosi 


—  47  — 

(lol  rospo  por  ciò  che  riguarda  la  comparsa  degli  arti,  la  scom- 
parsa dello  spiracolo,  la  riduzione  delle  branchie.  Prima  delle  pre- 
cise osservazioni  del  Cavolini  non  vi  erano  sull'argomento  che 
quelle  incomplete  e  deficienti  nello  Swammerdam,  e  dopo  di  lui 
si  devono  aspettar  molti  anni  e  giungere  agli  autori  dell'ultimo 
ventennio  dello  scorso  secolo  per  veder  completate ,  mercè  i 
uuovi  mezzi  d'indagine,  e  di  ricerca,  gli  studii  di  Cavolini.  Delle 
Ijucortole  egli  dà  in  questa  sua  memoria  postuma  anche  delle 
figure  di  alcuni  stadii  di  sviluppo,  che,  evidentemente,  sono  i  primi 
■  ben  riconosciuti  da  un  zoologo,  e  studia  anche  la  relazione  esi- 
stente fra  la  circolazione  vitellina  e  quella  epatica  negli  ultimi 
stadii  di  sviluppo.  Dei  selacei  descrive  e  figura  lo  sviluppo  esterno 
degli  embrioni  di  Torpedine  che  sono  anch'esse,  in  ordine  crono- 
logico le  prime  figure  disegnate.  A  Cavolini  si  deve  inoltre  la 
prima  descrizione  e  figura  della  placentazione  vitellina  dei  Mustehis 
della  quale  determina  il  destino  definitivo.  Perchè  se  il  lavoro  del 
Miiller  sui  selacei,  come  quello  di  Von  Baer  sulla  rana,  sono  an- 
teriori, per  data  di  pubblicazione,  rispetto  alle  memorie  postume 
di  Cavolini,  certo  i  loro  studi  ed  osservazioni  sono  di  molto  po- 
steriori all'epoca  nella  quale  il  Cavolini  faceva  queste  sue  inte- 
ressanti ricerche  consacrate  nei  manoscritti,  trovati  alla  sua  morte 
nel  1810. 

Se  l'opera  botanica  di  Filippo  Cavolini  non  è  larga,  rispetto 
a  quella  zoologica  come  produzione  scientifica,  essa  è  geniale  e 
novatrice  ,  e  rispecchia  il  risveglio,  come  la  reazione  contro  l'in- 
vadente indirizzo  linneano  che  nella  descrizione  di  forme,o  meglio 
di  specie,  trovava  la  sua  massima  esplicazione. 

Il  Cavolini  non  seppe  adagiarsi  sulla  facile  via,  spianata  ai 
cultori  delle  scienze  naturali,  dal  grande  svedese  col  suo  metodo 
sessuale,  che  ebbe  si  grande  fortuna,  per  darsi  alla  illustrazione 
di  questa  o  quella  flora;  ma  portato  dalla  sua  spiccata  tendenza 
alla  osservazione  dei  fatti  naturali,  e  sopratutto  dei  processi  bio- 
logici, amò  di  indagare  con  grande  perseveranza  questi,  in  al- 
cune piante  ,  piuttosto  che  estendere  le  sue  ricerche  a  numero 
grande  di  forme. 

Il  nome  di  Cavolini  è  particolarmente  legato  a  due  soggetti 
di  indagine  che  lo  hanno  reso  notissimo  agli  studiosi  di  bota- 
nica, cioè,  agli  amori  del  fico,  come  fu  detta  la  caprificazione, 
ed  a  quelli  delle  piante  marine;  questi  e  quelli  assorbirono  il  suo 
spirito  fine  di  osservazione  per  più  anni,  permettendogli  di  con- 
[     sacrare  in  memorie,  che  restano  classiche,  il  frutto  delle  diligenti 


—  ès- 
sile indagini,  o  di  prenderò  posto  eminente  fru  i  cultori  di   bio- 
logia vegetale. 

La  vaga  induzione  degli  antichi  che  nella  fecondazione  e  ma- 
turazione dei  frutti  del  fico  inttìrvciigano,  quali  pronubi,  dei  mo- 
scherini  le  cui  uova  vengono  deposte  nei  fiori  del  fico  selvatico  o 
profico,  d'onde  la  pratica  di  sospendere  questo  ai  rami  del  fico 
domestico,  analogamente  come  si  praticava  con  la  palma  da  Dat- 
tero, parimenti  riferitoci  da  Teofrasto,  trova  nelle  accurate  os- 
servazioni di  Filippo  Cavolini  la  piìi  brillante  conferma  e  una 
ingegnosa  spiegazione.  L'argomento  era  seducente  per  un  abile 
osservatore  quale  egli  era,  sebbene  irto  di  incognite  che  dopo 
di  lui,  e  tuttodì,  lasciano  adito  alla  meditazion»^.  Egli  portò,  in- 
tanto, la  più  viva  luce  sulla  organizzazione  del  fico  e  del  capri- 
fico, sulla  varia  distribuzione  dei  sessi  negli  organi  fiorali  del- 
l'uno e  dell'altro  cosi  da  rendere  più  che  plausibile,  logico,  che 
soltanto  mercè  l' intervento  dei  pronubi  il  polline  dei  fiori  del 
profico  potesse  fecondare  gli  ovuli  del  fico  nel  quale  difettano 
o  restano  sterili  i  fiori  maschili.  Spetta  al  Cavolini  il  merito  di 
avere  assodato  il  processo  essenziale  della  caprificazione ,  sia  in 
base  a  fatti  di  osservazione,  come  ad  esperimenti  di  varia  natura 
abilmente  condotti.  L'argomento  è  stato  ed  è  dei  più  controversi, 
onde  il  Cavolini  trovossi  a  competere  con  gli  antichi  e  con  i  mo- 
derni, che  rispondevano  ai  nomi  di  Teofrasto,  di  Linneo,  di  Tourne- 
fort  di  Pontedera.  La  sua  teorica  fu  in  parte  accettata,  in  parte  con- 
tradetta da  valorosi  che  gli  succedettero  quali  un  Gallesio,  un  Ga- 
sparrini;  ma  quest'ultimo,  che  con  tanta  autorità,  in  due  elaborate 
memorie  trattò  la  stessa  materia,  riconosce  il  gran  merito  del  Ca- 
volini che  egli  chiama  sapientissimo  osservatore ,  e  sottilissimo 
ricercatore  di  cose  naturali. 

E  che  tale  egli  fosse,  invero,  lo  dimostrano  appieno  i  suoi 
studi  sulle  piante  marine,  alla  conoscenza  delle  quali  dedicò  anni 
molti  della  sua  vita.  Questi  studi,  che  lo  rendono  uno  specialista 
della  fiora  marina,  riguardano  parecchie  monocotiledoni  libera- 
mente crescenti  o  tra  gli  scogli  o  nel  basso  fondo  delle  limpide 
acque  del  nostro  golfo,  e  più  particolarmente  alcune  Najadacee. 
Ben  due  elaborate  memorie  ,  corredate  di  nitide  tavole  di  sua 
mano  disegnate  egli  dedica  a  queste  piante,  l'una  su  due  specie 
di  Phiicagrostis,  l'altra  sulla  Zostera  oceanica  su  cui  il  Decandolle, 
più  tardi,  in  omaggio  alle  belle  ricerche  di  Cavolini,  fondava  il 
genere  Cmilinia,  mentre  il  Kcinig  riferendola  invece  al  genere  Po- 
sifìovìa.  ne  dedicava  pavimenti   a   lui   l;i   specie  (P.   Coiilhi i  Kòn.). 


-  49  — 

Il  genere  Phucagrostis,  creato  dal  Cavolini  per  piante  nelle 
quali  egli  ravvisava  alcune  descritte  da  Teofrasto  e  mai  più  da 
altri  identificate,  venne  rimesso  in  onore  dal  Parlatore  dopo  che 
da  altri  fitografi  era  stato  considerato  sinonimo  di   Zostera. 

Lo  studio  che  il  Cavolini  fa  di  queste  piante  è  dei  più  ac- 
curati e  minuziosi.  La  sua  non  è  l'arida  descrizione  a  base  di 
caratteri  organografici  che  permettono  di  classificarle,  ma  è  una 
diligente  indagine  biologica,  seguita  con  pazienza  su  esemplari 
con  difficoltà  pescati  dal  fondo  delle  acque,  e  sorpresi,  in  varii 
tempi,  ne"  loro  processi  fecondativi,  dei  quali  è  data  la  più  par- 
ticolareggiata descrizione,  li  Cavolini  ha  messo  in  luce  per  primo 
la  dioicità  della  Phucagrostix  major  e  ne  ha  seguito  la  feconda- 
zione e  ht   maturazione  de'  frutti. 

Più  laboriose  e  più  lunghe  ancora  sono  state  le  sue  belle 
ricerche  sulla  Zostera  o  Caulinia  oceanica^  proseguite  per  più  anni 
al  fine  di  sorprendere  le  nozze  di  questa  interessante  Najadacea, 
il  che  gli  permise  di  darne  una  monografìa  che  si  può  dire  un 
modello  del  genere.  Michele  Tenore  nella  sua  classica  Flora  Na- 
politana ,  la  chiama  «la  più  accurata  illustrazione  dell'insigne 
naturalista  napolitano  che  ci  onoriamo  di  averlo  avuto  concit- 
tadino » .  Tale  elogio  consacra  i  pregi  di  questo  lavoro  che  basta 
da  solo  a  fare  annoverare  il  nostro  Cavolini  fra  i  botanici  il- 
lustri. 

Un'altra  preziosa  monografia,  sarebbe  certamente  uscita  dalla 
sua  penna,  se  le  tristi  vicende  non  l'avessero  impedito,  intorno  al 
Cythius  hypocistis,  la  singolare  pianta  parassita  delle  radici  dei 
Cisti  :  di  queste  ricerche  resta  soltanto  una  splendida  tavola 
con  la  descrizione  latina  e  la  spiegazione  delle  figure,  dalla  quale 
ben  si  rileva  come  egli  si  fosse  reso  conto  esatto  dei  processi 
anatomo-fisiologici  determinanti  la  simbiosi  del  Citino   col  Cisto. 

Tra  le  opere  minori  del  Cavolini  vanno  ricordate  la  nota 
giovanile  sulla  generazione  dei  Funghi  in  cui  sono  esposte  idee  non 
conformi  sulla  costituzione  di  queste  piante,  che  egli  stesso  più 
lardi  modificò  in  base  a  più  maturo  studio,  ed  i  suoi  saggi  mi- 
croscopici sul  polline  di  varie  piante  nostrali,  i  quali,  dati  i  mezzi 
ottici  di  osservazione  di  quel  tempo,  segnano  sempre  un  progresso 
per  la  conoscenza  dell'organo  maschile  e  per  il  comportamento 
e  la  destinazione    della    materia  fecondante. 

Le  opere  botaniche  del  Cavolini  rivelano  in  lui  uno  spirito 
moderno,  avido  di  penetrare  nei  processi  della  vita,  di  indagarne 
i  meccanismi,  i  congegni  fisiologici,  non  pago  della  pura  osserva- 
zione delle  forme,  ma  desioso  di  scoprirne  le  funzioni  e  le  leggi. 

i 


—  50  — 

Non  ricorderò  qui  aUnini  .scritti  rli  Cavolini  di  Geologia  e 
Paleontologia  di  scarso  interesse,  ai  ([iiali  lo  stesso  aut(jre  non 
ne  attribuiva,  cosi  da  non  averne  voluta  la  pubblicazione  durante 
la  vita  e  facenti  parte  in  genere  di  quei  manoscritti  non  destinati 
alla  pubblicazione. 

Questa  che  ho  esaminata  è  l'opera  biologica  di  Filippo  Ca- 
volini, nella  quale  certo,  per  equanimità  di  giudizio,  non  possono, 
accanto  ai  meriti  grandi,  messi  in  luce,  non  riconoscersi  mende 
e  manchevolezze  di  che  nessuna  opera  umana  può  esser  del  tutto 
esente  al  giudizio  dei  posteri.  Ma  bisogna  tener  conto  nel  va- 
lutare l'opera  di  Cavolini  di  molti  coefficienti  di  tempo,  di  cul- 
tura, di  mezzi  di  indagine,  di  sussidio  bibliografico,  e  ricordarsi 
ancora  come  non  sempre,  né  tutto  quanto  nelle  postume  si  con- 
tiene era  dal  Cavolini  destinato  alla  stampa;  che  fu  eseguita  con 
criterio  e  mente  diversa  dall'  Autore  e  senza  la  sua  revisione. 

Assai  facile  è  oggi  la  dotta  critica  in  proposito  ad  inesatto 
riferimento  e  ad  intcrpetrazioni  ed  apprezzamenti  anatomici  di 
viventi  in  base  alle  conoscenze  accumulate  per  oltre  un  secolo  d'in- 
dagini e  he  sono  ora  abito  mentale  da  noi  acquisito;  per 
quanto  difficile  era  allora  l'orientarsi  nella  massa  di  organismi 
che  si  andavano  studiando  rivelandosi  per  la  prima  volta,  nell'ar- 
chitettura e  biologia,  alla  indagine  scientifica! 

Filippo  Cavolini  fu  uno  di  quegli  ingegni  versatili  e  mul- 
tiformi meridionali ,  che  vissero  nel  periodo  di  larga  coltura 
intellettuale  che  fioriva  nel  regno  di  Napoli  sul  finire  del  decimot- 
tavo  ed  al  principio  del  secolo  decimonono  per  opera  di  uomini 
illustri  per  ingegno  e  conoscenze  in  ogni  ramo  di  sapere,  che  tor- 
narono ad  onore  del  nostro  paese  e  furono  l'affermazione  di  una 
rigogliosa  coltura  italica  irraggiante  per  tutta  la  penisola  civiltà 
di  sapere:  uomini  che,  idealizzando  una  rivoluzione,  intesero  nella 
libertà  del  pensiero  la  libertà  civile  e  da  eroi  la  difesero  ,  con 
martirio  di  vite  illustri. 

E  più  specialmente  Cavolini  appartiene  a  quella  schiera  di  na- 
turalisti che,  con  Domenico  Cirillo,  Saverio  Macrì,  Giuseppe  Saverio 
l*oli,  Petagna,  Cotugno  ed  altri  loro  contemporanei,  rilevando 
la  tradizione  dello  Imperato  e  del  Colonna  avevano  iniziato  un 
largo  movimento  di  studio  delle  discipline  naturali,  favoriti  dagli 
ordinamenti  rinnovati  dei  nostri  studi  e  dalle  buone  volontà  di  go- 
verni per  la  istituzione  di  Biblioteche  ,  di  Musei  e  di  giardini 
botanici.  Scolaro  di  Domenico  Cirillo,  vissuto  in  un  ambiente  di 


—  51   - 

tendenze  alle  scienze  naturali,  si  spiega  il  fascino  esercitato  su 
di  lui  da  questi  studii  specialmente  per  opera  del  suo  maestro  che 
ne  era  entusiasta  cultore ,  e  come  egli  avesse  lasciato  il  giure  per 
la  indagine  scientifica,  pur  avendo  quello  coltivato  con  conoscenza 
di  causa  dando  alle  stampe  opera  onorevolmente  ricordata. 

Caratteristica  mente  italiana,  egli  affermò  nei  suoi  studi  il 
metodo  della  serena,  obbiettiva,  non  speculativa  osservazione  dei 
fatti,  e  lo  sperimentare  fuori  d'  ogni  preoccupazione  di  pensiero, 
per  assurgere  dai  fatti  alla  interpretazione  di  essi.  Si  che  ben  di 
lui  poteva  lo  Spallanzani  dh-e  che  le  orme  seguisse  dei  Redi  e 
Vallisneri.  Osservatore  calmo,  paziente,  accurato,  le  sue  indagini 
egli  ripeteva  con  tenace  costanza,  per  rendersi  esatta  ragione  dei 
fatti  constatati.  Sperimentatore  semplice  ,  senza  preconcetto  di 
problemi  da  risolvere,  questi  faceva  derivare  dal  suo  esperimento. 

E,  certo,  alla  sua  maniera,  tranquilla,  serena,  obbiettiva  di  in- 
dagine di  studio,  solo  intesa  alla  ricerca  dei  fatti  e  di  loro  spiega- 
zione, molto  potrebbero  invidiare  moderni  metodi  affrettati  di 
indagare,  e  di  sperimentare  finalistico,  dal  concludere  corrivo. 

Filippo  Cavolini  fu  un  biologo  nel  vero  e  moderno  senso 
della  parola  cosi  nella  ricerca  come  nello  sperimentare  e  1'  opera 
sua  segna  un  indirizzo  nella  indagine  dei  viventi  che  si  è  poi 
affermato,  non  diverso  di  quanto  Cavolini,  dati  i  tempi,  seguiva 
e  praticava.  L'  esame  delle  sue  opere  lo  dimostra  appieno  e  prova 
ancora  come  egli,  un  secolo  fa,  sperimentasse  nella  medesima  di- 
rettiva ai  nostri  giorni  seguita,  precorrendo  i  tempi.  Ed  egli 
ben  chiaro  ebbe  il  concetto  della  necessità,  per  intendere  le  forme 
di  più  complicata  struttura  e  dell'uomo  stesso,  dello  studio  delle 
forme  semplici:  «  è  canone  scientifico,  egli  scriveva,  il  cominciar 
dal  semplice  per  giungere  al  composto.  Se  la  fisiologia  si  fosse 
cominciata  a  studiare  da  questi  animali  semplici  (i  polipi),  forse, 
non  si  sarebbero  incontrati  tanti  scogli  quanti  ne  hanno  arrestati 
i  progressi  » .  E  con  ciò  traccia  un  indirizzo  che  il  successivo  svol- 
gersi della  biologia  ha  consacrato! 

Questo  modesto  napoletano  che  la  sua  vita  dedicò  ai  suoi 
studii  prediletti,  che  ,  precorrendola  nel  tempo  ,  impersona  una 
scuola  oggi  in  onore;  che  un  secolo  fa  con  la  sua  opera  ma- 
gistrale rivelava  la  vita  e  l' architettura  degli  animali  e  delle 
piante  nei  loro  rapporti  reciproci  e  con  1'  ambiente,  come  ai  no- 
stri tempi,  per  serenità  di  ricercatore,  sagacia  di  osservazione  ed 
accuratezza  paziente  di  indagine  non  si  potrebbe  far  di  più  e  meglio; 
quest'uomo  al  quale  i  dotti  del  tempo,  del  civile  consorzio  d'ogni 


r)2  — 

p;iit,tj,LestiiiiuniiUouu  aiiiuiiiazioneprotouciii  ustiiiui  sincera  per  lo  sue 
originali  ricerche,  e  la  tanta  mosse  di  preziosi  studii  pur  sorpren- 
dente attività  d'  indagine  da  lui  raccolta  ;  quest'  uomo  al  quale  con 
])atrio  orgoglio  dobbiamo  rivendicare  1'  onore  di  scoperte  scienti- 
ticlie  prima  da  lui  rivelate,  ben  meritava  di  esser  degnamente  ram- 
mentato, con  le  odierne  onoranze  centenarie,  ai  suoi  concittadini. 
Perchè  questi,  non  dimentichi  di  nostra  antica  coltura,  si  ricordino 
che  in  tempi  men  felici  per  le  italiche  sorti  ,  ma  più  fortunali 
che  altrove  per  civiltà  di  sapere  in  questa  nostra  terra ,  Filippo 
Cavolini,  onorando  la  patria,  affermava,  nella  scienza,  il  nome  di 
Italia. 


Dopo  il  discorso  commein orati vo  la  presidenza  della  Società 
(li  Naturalisti  oiFri  al  Sindaco,  al  Rettore,  ai  rappresentanti  e 
delegati  esteri  ed  alle  autorità  intervenute,  la  medaglia  coninie- 
niorativn.  fatta  coniare  dalla  Società  per  l'occasione. 


Finita  la  cerimonia,  il  Rettore  Magnifico  Duca  di  Caj anello 
ricevette  gl'intervenuti  (delegati,  rappresentanti  ed  invitati)  nelle 
Sale  del  Rettorato  e  del  Consiglio  Accademico  ed  offri  loro  un 
rinfresco. 


I 


^^.^=^^^9 


Alla  sera,  i  delegati  e  rappresentanti  italiani  ed  esteri  e  gli 
invitati  alle  feste  cavoliniane,  nonché  i  partecipanti  al  Congresso 
zoologico  si  riunirono  numerosi  con  le  rispettive  signore  nella 
Galleria  Vittoria,  per  un  ricevimento  ufficiale  offerto  in  loro  onore 
e  delle  autorità  cittadine  dalla  Società  di  Naturalisti  in  Napoli. 


I 


Rappresentanze  ed   Adesioni 


» 


America 

University  of  Chicago. 

Leeland  Stanford  Junior  University. 

University  of  Toronto,  Biological  Department. 

University  of  Stanford. 

State  University  of  JoM'a. 

University  of  North  Dakota. 

Harvard  University  of  Cambridge. 

Jolm  Hopkins  University  of  Baltimore. 

Australia 

University  of  Melbourne. 

Austria 

K.  K.  Universi tat  Wien. 

Zoologisches  Institut  K.  Universitilt  Wien. 

K.  K.  Zoologisches  Institut  Universitat  Krakau. 

Nat.ui'wissenschaftliche  Verein  fiir  Steiermark  in    Graz. 

K.  K.  Universitat  Graz. 

K.  Universitat  Czernowitz. 


IUniversité  de  Bruxelles. 
Université  Catholique  de  Louvain. 
f 


Belgio 


Danimarca 
nlversità  di  Copenaghen. 

Francia 


Museum  d'Histoire  Naturelle  de  Paris. 

Societé  Zoologique  de  France,  Paris. 

Laboratoire  de  Zoologie  de  1'  Université  de  Lyon. 


—  5tì  — 

Prof.  E.  Perrier  an  nom  des   natnialistes  fran<?aises  présetits  au   flongfrès  de 

Graz. 
Station   Biologiijue   de    Roscoft'.  Les  naturallstes  présents  à  la  Station:   l'rol'. 

Délage,  Directeur  de  la  Station 
Laboratoire  d'Ichthyologie  et  d'Erjietologie  du  Miisemn  d'Histoire  Natuielle. 
Station  Zuologiqiie  de  Wiinereii.v. 
Institut  de  Botanique  de  l'Université  de  Montpellier. 

Germania 

K.  Universitiit  Berlin. 

K.  Universitiit  Strassburg. 

Prof.  .T.  W.  Spengel  tìiessen. 

Friedrichs  Universitiit  Halle -Witt«ìmberg. 

Zoologiscbe  Garten  Berlin. 

K.  Preussische  Akademie  der  Wisscns'baften  in  Berlin. 

K.  Univer.sitiit    Jena. 

K.  Universitiit  Breslau. 

K.  Universitiit  Greifswald. 

Zoologisches  In.stitut  der  K.  Universitiit  Breslau. 

Zoologisches  Institut  der  Universitiit  Bonn. 

K.  Universitiit  von  Kiel. 

K.  Universitiit  von  Freiburg  i.  B. 

Philosophische  Facultiit  d.  Universitiit  Freiburg  i.  B. 

Naturhistorische  Gesellschaft  Nurnberg. 

Bayerische  Botanische  Gesellscliaft,  Munchen. 

Senkeiibergiscbe  Naturforscheude  Gesellscbaft,  Frankfurt  a.  M 

Prof.  Reinke,  Kiel. 


University  of  Calcutta. 


India 


Inghilterra 


Linnean  Society  of  London. 

University  of  Edimbourgli. 

University  of  Aberdeen. 

Magdalen  College  of  Oxford. 

University  of  Liverpool. 

Victoria  University  of  Manchester. 

University  of  Glasgow. 

University  College  of  South  Wales  and  Monmouthshire,  Cardiff. 

Italia 

S.  E.  Giovanni  Credaro,  Ministro  della  Pubblica  Istruzione. 
S.  E.  Giovanni  Ranieri.  Ministro  di  Agricoltura,  Industria  e  Commercio. 
S.  E.  Alessandro   (Tuarracino,   Sottosegretario   di  Stato  per  la  Grazia  e  Giu- 
stizia. 


—  57  — 

Comm.  Alfonso  Fusco,  Deputato  al  Parlamento. 

Istituto  Botanico  della  R.  Università  di  Roma. 

R.  Stazione  di  Piscicoltura  in  Roma. 

R.  Accademia  Lucchese  di  Scienze,  Lettero  ed  .\i-ti. 

R.  Accademia  dei  Lincei,  Roma. 

Stazione  Zoologica  di  Napoli. 

.Museo  Civico  di  Stoi'ia  Naturale  in  Trieste. 

Società  Adriatica  di  Scienze  Naturali  in  Trieste. 

Società  Italiana  per  il  progresso  delle  Scienze. 

Università  di  Camerino. 

R.  Accademia  dei  Fisiocritici  di  Siena. 

Ateneo  di  Brescia. 

R.  Università  di  Cagliari. 

Corda  Frates,  Consolato  di  Napoli. 

Società   Botanica   Italiana. 

R.  Università  di  Parma. 

Tniversità  degli  Stadi  di  Perugia. 

Istituto  Botanico  della  R.*  Università  di  Siena. 

Società  Toscana  di  Scienze  Naturali  in  Pisa. 

Gabinetto  di  Anatomia  comparata  della  R.    Università  di  Bologna. 

Prof.  Francesco  d'Ovidio,  Senatore  del    Regno. 

Prof.  Paul  Mayer,  Stazione  Zoologica.  Napoli. 

Istituto  di  Anatomia  e  Fisiologia  comparate  della  R.  Università  di  ('atauia. 

R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino. 

Istituto  Zoologico  della  R.  Università  di  Bologna. 

Istituto  di  Geologia  della  R.  Università  di  Napoli. 

Istituto  Botanico  della  R    Università  di  Padova. 

R.  Scuola  Superiore  di  Agricoltura  in  Portici. 

Gabinetto  di  Zootecnia  e  d'Igiene  della  R.  Scuola  Veterinaria  di  Torino. 

R.  Università  di  Roma. 

R.  Università  di  Messina. 

Accademia  di  Verona. 

R.  Università  di  Palermo. 

Istituto  di  Zoologia  ed  Anatomia    comperate  della  R.  Università  di  Sassari. 

R.  L^niversità  di  Pisa. 

Istituto   Zoologico    della    R.    Università    di  Pavia. 

R.  Università  di   Padova. 

R.  Accademia  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti  degli  Zelanti  di  Acireale. 

R.  Università  di  Torino.. 

R.  Università  di  Modena. 

R.  Università  di  Sassari. 

Monaco  (Principato) 

Musée  Océanographique  de  Monaco. 

Norvegia 

Università  di  (Cristiania 


-  58  - 

Olanda 

Università  di  Amsterdam. 

Accademia  reale  delle  Scienzo  di  Amsterdam. 

Università  di  Groninp^a. 

Università  di  Leida. 

Portogallo 

Academia  Polytechnica  do  Porto. 

Russia 

Università  di  Mosca. 
Università  di  Helsingfors. 

Spagna 

Museo  de  Historia  Naturai  de  Madrid. 

Socìedad  EspaAola  de  Ciencias  Natnrales. 

Universidad  de  Oviedo. 

Estacion  de  Biologia  Mai-ina  de  Saiitander. 

Universidad  Central  «  Espafia  ». 

Universidad  de  Valladolid. 

Universidad  de  Barcelona. 

Svezia 

Università  di  Lnnd. 

Svizzera 

Universitat  von  Bern. 

Laboratoire  de  Zoologie  de  1'  Université  de  Genève. 

Université  de  Genève. 

Musée  d'Histoire  Naturelle  de  Genève. 

Universitat  von  Basel. 

Botanische  Garten  und  Museum  von  Ziirich. 

Ungheria 

Università  di  Budapest. 
Università  di  Kolozwar. 
Istituto  Zoologico  dell'Università  di  Kolozwar. 


INAUGURAZIONE  DELLA  LAPIDE 


FILIPPO  CAVOLINI 

A    POSILLIPO 


13  Setteixatore  1011 


Il  giorno  13  settembre  alle  14  gli  invitati  e  rappresentanti 
alle  feste  Cavoliniane  prendono  imbarco  nel  porto  di  Napoli  sul 


Fot.    U.    PlERAXTOXI 


Angolo  d<'lla  Casa  di  Cavolini  a  Posillipo  (ora  Villa  De  Mellis)  con  la  lapide  inaugurata 

il  13  Settembre  1910 


—  62  — 

piroscafo  «  Capri  >  (lolla  Sociolà  eli  navigazione  (l<'l  (ùdlu.  I)ii- 
rauto  la  breve  traversata  il  [)ii-o.scat"o  vioiio  scortalo  dai  va,[)oretti 
della  Stazione  Zoologica  recanti  a  bordo  la  direzione  vaì  il  per- 
sonale  scientifico  dell'Istituto, 

Giunti  presso  il  capo  di  Posillipo,  a  pochi  metri  dalla  villa 
de  Mellis,  a  mezzo  di  lance  rimorchiate  dalla  barca  a  vapore  della 
Stazione  Zoologica,  si  effettua  lo  sbarco  degli  invitati  sulla  ban- 
china che  fronteggia  il  piazzale  della  villa  de  Mellis,  che  fu  del 
Cavolini,  sulla  cui  facciata  trovasi  la  lapide  coverta  da  un  drappo 
bianco. 

E  presente  il  rappresentante  del  Sindaco,  Assessore  comm. 
Correrà  giunto  per  via  di  terra.  Il  piazzale  e  le  ville  circostanti 
sono  riccamente  addobbate  con  bandiere  e  festoni  di  fiori. 

Raccoltisi  gli  invitati  ai  piedi  della  facciata  ove  è  stata  appo- 
sta la  lapide,  opera  dello  scultore  prof.  comm.  E.  Mossuti,  prende 


>u: 


riLIPPO   CAVOLI ^ 


Ì 


J^'ot.  Tullio  Bozza 

la  parola  il  Prof.  Monticelli,  presidente  del  Comitato  per  le  ono- 
ranze e  della  Società  di  Naturalisti  e  pronunzia  il  seguente  discorso: 

€  Sul  tramonto  di  una  giornata  di  autunno  del  1824  Alessan- 
dro Humboldt,  passeggiando  lungo  la  Riviera  del  Chiatamone  con 
Stefano  Delle  Chiaie,  celebrava  il  cielo  meraviglioso  e  la  fertile 
terra  nostra;  ed  ammirato  innanzi  al  nostro  mare  evocava  il  fe- 
condo brulicare  in  esso  di  viventi,  invidiabile  inesausta  fonte  d'in- 


—  63  — 

dagine  per  il  naturalista.  Ed  al  giovine  Delle  Ghiaie,  incitandolo 
a  continuare  negli  studii  di  Zoologia  marina  che  onoratamente 
seguiva  sotto  la  guida  di  Giuseppe  Saverio  Poli,  indicava  nel 
lontano  Posillipo,  nascosta  nel  verde  della  collina  lambita  dal 
mare,  quasi  faro  luminoso,  la  casa  dove  Filippo  Cavolini,  inda- 
gando i  viventi  del  mare,  orma  si  grande  aveva  impressa  nello 
studio  della   biologia  marina. 

;<  Su  questa  casa  oggi,  ad  un  centennio  dalla  morte  di  Filippo 
Cavolini,  auspice  il  Comune  e  l'Università,  la  Società  di  Natura- 
listi in  Napoli,  fedele  custode  di  giovanile  entusiasmo  per  la  col- 
tura scientifica  del  nostro  paese  e  vindice  di  suo  glorioso  passato 
di  sapere,  ha  voluto  che  una  lapide  ricordasse  ai  posteri  come  in 
essa  Filippo  Cavolini  onorava  la  patria  difendendone  con  magi- 
strali opere  il  nome  ed  il  decoro  che  affermò  fuori  i  confini  d'Italia. 
Perchè  si  sappia  che,  qui  in  Napoli,  sul  finh"e  del  18»  secolo,  un 
napoletano  modesto,  quanto  valoroso,  in  questa  casa,  pel  museo 
che  yi  aveva  creato,  por  libri  che  vi  aveva  raccolti,  fattone  la- 
boratorio dei  suoi  studi,  incarnò,  come  i  tempi  lo  consentivano, 
il  concetto  di  un  Lahoratorio  di  biologia  marina. 

«.  A  voi  signor  Sindaco,  che  nel  vostro  alto  ufficio,  impersonate 
per  volere  di  popolo  questa  nostra  nobilissima  città,  in  nome  della 
Società  di  Naturalisti  che  ho  l'onore  di  rappresentare,  io  consegno 
questo  marmo  consacrato  alla  memoria  di  un  illustre  figlio  di 
questa  terra  feconda  d'arte  e  di  scienza,  perchè  nel  conforto  di 
un  glorioso  passato  sia  monito  a  conservarne  viva  la  tradizione 
nell'avvenire. 

Appena  il  prof.  Monticelli  ha  terminato  il  suo  discorso  i  vigili 
municipali  strappano  il  velario,  mentre  suona  il  concerto   civico. 

La  lapide  in  marmo  con  bassorilievi  porta  la  seguente  iscri- 
zione: 

IN    QUKSTA    CASA    CHE    FU    SUA 

FILIPPO    CAVOLINI 

NAPOLETANO 

NOBILMENTE    ONORAVA    LA    PATRIA 

ILLUSTHANDO    CON    MAGISTRALI    RICERCHE    LA    FAUNA.    E    LA    FLORA 

DEL    GOLFO    DI    NAPOLI 

NEL    PRIMO    CENTENARIO    DALLA    SUA    MORTE 

LA    SOCIETÀ    DI    NATURALISTI    DI    NAPOLI 

IL    COMUNE    E    l'  UNIVICRSITÀ 

13    SETTEMBRE    1010 


—  64  — 

U  rapi)r('.son1anti'  doIlM  (Jiltà  di  Napelli  pn.l'.  rcniim.  Correrà 
cosi  risponde  : 

«  La  città  di  Napoli,  cìw.  ho  l'oucre  di  rappresentare,  riceve 
in  consegna  la  lapide,  che  la  vostra  Società  di  Naturalisti,  auspice 
il  Comune  e  l'Università,  decretò  al  nostro  grande  concittadino, 
continuatore  della  nobile  tradizione  scientifica  della  nostra  pa- 
tria, non  mai  interrotta,  da  Ferrante  Imparato  e  Fabio  Colonna, 
a  Domenico  (  'irillo,  Saverio  Macrì,  Giuseppe  Poli,  Petagna,  Co- 
tugno,  Delle  Ghiaie  ed  altri  moltissimi. 

<  Qui,  innanzi  a  questa  lunga  distesa  di  azzurro,  il  nostro  bel 
mare,  qui,  dove  pare  che  aliti  tuttora  un  soffio  della  vita  an- 
tica, e  dove  sou  tanti  ruderi  classici,  dei  quali  ben  possiamo  dire: 

Sepolcri  maestusi 
Fin  le  vostre  rovine 
Sono  apoteosi. 

-  Questa  pietra,  sulle  pareti  di  questa  casa,  dalla  quale,  quasi 
faro  luminoso,  Filippo  Cavolini  svelava  ai  dotti  italiani  e  stra- 
nieri i  segreti  della  natura,  sia  monito  perenne  ai  posteri  e  ri- 
cordi ai  Napoletani  il  nome  venerato,  di  questo  illustre  figliuolo 
della  bella  Partenope,  per  opera  del  quale  ad  uno  straniero,  che 
ci  accusava  d'  ignavia  potemmo  rispondere  : 

eravaiii  gi-andi 

E  là  non  eran  nati. 


Da  ultimo  il  Cav.  Eugenio  de  Mellis,  in  rappresentanza  della 
famiglia  Cavolini,  pronunziò  le  seguenti  parole  : 

Permettete  a  me,  umile  pronipote  di  Filippo  Cavolini,  che 
in  nome  mio  e  degli  altri  congiunti  esprima  con  breve  e  mo- 
desta parola  il  sentimento  di  profonda  gratitudine  verso  tutti 
coloro  che  vollero  onorarne  la  memoria  in  questo  primo  cente- 
nario dalla  sua  morte. 

E  innanzi  tutti  alla  Maestà  del  Ke,  che  con  sovrana  degna- 
zione si  compiacque  di  accettare  l'alto  patronato  di  questa  festa 
della  scienza;  al  Municipio  e  alla  Università  di  Napoli,  sotto  i 
cui  auspici  si  svolse;  agli  altri  sodalizi  italiani  e  stranieri,  e  agli 
scienziati    tutti,    che   vi    lianno   partecipato;    nonché   allo    eietto 


—  65  — 

pubblico  intervenuto,  clie  vi   lia  recato  la  spontanea  e  calda  ade- 
sione di  cosi  numeroso  concorso. 

Ma  più  specialmente  vogliamo  manifestare  la  gratitudine 
nostra  alla  fiorente  Società  di  Naturalisti  di  Napoli,  che  fu  la 
prima  iniziatrice  di  questo  movimento  ;  la  vivida  scintilla ,  che 
accese  una  fiamma  di  entusiasmo  patriottico  e  scientifico  con 
la  rievocazione  di  una  gloria  genuina  della  nostra  Napoli. 

E  poiché  questa  illustrazione  viene  indirettamente  a  proiet- 
tare un  raggio  luminoso  anche  sulla  fortunata  famiglia  in  cui 
l'eminente  uomo  sorti  i  natali,  è  giustificata  nei  discendenti  la 
commozione  della  gioia,  doveroso  il  sentimento  della  riconoscenza 
verso  gli  autori  dell'odierno  faustissimo  avvenimento. 

Come  proprietari  poi  di  questa  villa,  che  da  lui  ereditammo 
c'incombe  più  specialmente  l'obbligo  (che  solviamo)  di  porgere 
le  più  vive  azioni  di  grazie  ai  solerti  componenti  il  Comitato 
Ordinatore,  che  tra  le  altre  onoranze  indisse  pure  l'apposizione 
di  un  ricordo  marmoreo  su  queste  mura,  il  quale  in  elettissima 
forma  letteraria  ed  artistica  tramandasse  ai  posteri  la  notizia 
che  qui  Filippo  Cavolini  pose  la  sede  dei  suoi  studi;  che  questo 
fu  il  mare  che  gli  rivelò  i  segreti  della  sua  fauna  e  della  sua 
flora;  e  quando  la  perseverante  sagacia  delle  sue  indagini  non 
arrivava  a  vincere  la  tenacia  del  mistero,  era  da  questa  plaga 
di  cielo,  da  questo  incanto  di  panorama  che  egli  attingeva  le 
sue  ispirazioni  a  divinare  le  leggi  fisiologiche,  che  poi  i  pro- 
gressi ulteriori  della  scienza  dovevano  confermare  e  proclamare. 

E  medesimamente  questa  lapide  ci  ammonisce  che  qui  sorse 
per  opera  sua  personale  quell'embrione  di  laboratorio  per  la  in- 
vestigazione biologica  del  nostro  golfo,  che  a  distanza  di  un 
secolo  precorse  l'attuale  rigoglioso  istituto  da  altri  fondato  coi 
larghi  sussidi  odierni,  come  con  scultorio  rilievo  ebbe  a  ricordare 
ieri  il  chiarissimo  oratore  che  chiuse  splendidamente  la  solenne 
commemorazione  della  vita  e  delle  opere  dei   Cavolini. 

Ed  ecco,  o  Signori,  il  marmo  stesso  ce  lo  addita,  ecco  l'Ar- 
cetri  del  nostro  Galilei,  dove  accorato  per  le  amarezze  sofferte 
si  ritirò,  senza  mai  abbandonare  i  suoi  studi  prediletti;  ecco  il 
lido  donde  partiva  coi  suoi  fidi  marinai  per  le  consuete  escur- 
sioni scientifiche  lungo  la  costiera;  ecco  le  acque  nelle  quali  ebbe 
malauguratamente  a  precipitare,  capovolta  la  barca  per  una  ar- 
rischiata prepotenza  soldatesca,  causa  determinante  il  fiero  morbo 
che  in  pochi  giorni  lo  condusse  alla  tomba. 

Or  questa  pietra  che  tante  cose  ci  narra  nella  magistrale 
Loncisione  di   una    epigrafe,   noi   con   animo   riconoscente   accet- 


^<:^^n^° 


—  66  — 

ti.inio  ili  j)i\'.xio.so  cle}j(jsi((j  e  piombi liaiiKj  di  custodiihi  con  culto 
it'ligioso  in  momoria  non  meno  del  nostro  glorioso  anionato,  che 
in  memoria  vostra,  o  Signori  benemeriti  della  Scienza  e  del 
paesi';  e  facciamo  voti  che  la  nobile  e  suggestiva  scritta  accenda 
gli  animi  e  gli  ingegni  di  altri  napoletani  a  seguire  le  orme  del 
prerlaro  concittadino  per  mantenere  vive  le  nostre  tradizioni  in 
ogni  ramo  dello  scibile  e  segnatamente  in  quello  delle  naturali 
discipline. 


Terminata  la  cerimonia  per  cortese  invito  della  famiglia  de 
Mellis  i  partecipanti  alla  cerimonia  accedono  alla  Villa,  od  ivi, 
sulla  splendida  terrazza  prospiciente  sul  mare  di  fronte  al  Ve- 
suvio venne  offerto  un  rinfresco. 


(ili  invitati  ritornarono  a  Napoli  sul  medesimo  piroscafo  «  Ca- 
pri j>,  dopo  aver  fatto  un  breve  giro  nel  golfo,  allo  ore   18. 


La  sera  di  Mercoledì  alle  ore  22  il  Municipio  offri  nel  gran 
salone  municipale  alla  Galleria  Principe  di  Napoli  un  grande  ri- 
cevimento in  onore  dei  delegati  ed  intervenuti  alle  feste  Cavo- 
liniane  e  dei  socii  dell'  Unione  Zoologica  Italiana  convenuti  in 
Napoli  per  il  IX  Convegno  Zoologico  Nazionale. 


-^^ 


Telegrammi  e  Lettere 


Telegrammi 


Prof.  Monticelli. 

In  nome  Ministro  Istruzione  assente  e  mio  associomi  giuste  onoranze  a 
Filippo  Cavolini. 

Teso    (Roma) 

Prof.  Monticelli, 

Spiacemi  che  impegni  già  in  precedenza  presi  non  mi  consentano  come 
avrei  vivamente  desiderato  assistere  solenne  commemorazione  insigne  natu- 
ralista Filippo  Cavolini  che  professore  in  cotesto  Ateneo  e  con  sue  ricerche 
originali  lasciò  orme  indelebili  nella  botanica  e  nella  zoologia.  Piacemi  co- 
gliere occasione  per  esprimerle  egregio  Presidente  sensi  mia  particolare  stima. 

Ministro  Agricoltui'a,  Ranieri  l'Roma) 

Rettore, 

Tornato  oggi  a  Roma  trovo  in  ritardo  suo  cortese  invito  per  assistere  alla 
Commemorazione  solenne  Filippo  Cavolini  e  mi  rammarico  che  doveri  mia 
attuale  carica  mi  abbiano  tenuto  lontano  dalla  festa  intellettuale  in  onore  il- 
lustre scienziato  che  onorò  l'insegnamento  universitario  ed  il  nome  di  Napoli 
nostra. 

G  u  a  r  r  a  e  i  n  o    (Roma) 

Rettore, 

Zur  Gedachtnisfeier  flir  Filippo  Cavolini  sendet  den  Ausdruck  ihrer 
lebhaften  Anteilnahme  die  Universitat  Berlin. 

R.  U  u  i  V  e  r  s  i  t  à , 

Festis  in  memoriam  Philippi  Cavolini  sacratis  Senatus  reg.  scient.  Uni- 
versitatis  Huugaricae  Budapestinensis  in  animo  adest  et  cum  summa  revereatia 
vobis  salutem  dicit. 

Julius    De   Saghi.  —  Rector  (Budapest) 


-  7-2  -- 


R.^k  tor. 


Ali  der  Feier  des  grossen  Gelelirteii  Filippo  Cavoliiii  dessen  Andenken  in 
der  gesaniniten  Kultiirwelt  tbrtlebf.  iiimnit  innigsteii  Ariteli  die  Franz  .Tosephs 
Universitat  in  fizernowil-/    Hnkowina. 

I  )r.   I\  Il  r  I    A  d  I  e  id  /, .  —  Rekt^r  (O.ernowitz) 

Società    di    K  a  t  u  r  ;i  1  i  s  t  i , 

Beste  GlUckwiinsche  zur  Jahrhundertfeier  Filippo  Cavoliiii  sendet  die  Uni- 
versitat Graz. 

K  r  a  1 1  e  r.  —  Kektor  (  (xraz) 

R.  Università, 

Universitati  Neapolìtanae  gloriosae  memoriam  celebranti  Philippi  Cavolini 
viri  praeclarissimi  naturaiii  animalium  et  piantarli m  penitus  perscnitantis  gra- 
tiilationes  sinceras  mittit 

Università^    Finlandia  e    (Helsingfors) 

R  e  e  t  e  u  r , 

À  Toccasion  des  fétes  da  .Tubile  de  ('avolini  ce  grand  biologiste  de  son 
temps  rUniversité  de  Christiania  envoie  ses  liommages  les  plus  cordiaux. 

Broegger.  —  Rectenr  (Kristianiaj 

Il  e  e  t  e  u  r  , 

Faculté  physico-mathématique  de  l'Université  de  Moscou  presente  à  l'oc- 
casion  de  la  séance  soleiinelle  ses  sentinients  de  profonde  admiration  poiir 
l'oevre  gcientifique  de  l'inoubliable  bctaniste  et  zoologiste    Filippo    ('avolini. 

Le    Doyen  :   An d re ef  (Mosconi 

Rektor , 

Filr  die  freundliclie  Einladung  bestens  dankend  llbersende  ich  im  Nameu 
unserer  Universitat  unsere  herzlichsten  (rlitckwUnsche  zn  dem  .Tubelfeste. 

Thiele.  —  Rektor  (Strassburg) 

Società    Naturalisti, 

Istituto  Zoologico  della  Università  di  Cracovia  si  riuni.sce  con  mondo 
scientifico  italiano  per  onorare  la  memoria  dell"  illustre  naturalista  Filippo  Ca- 
volini. 

Prol'.  Sit'dlecki    d^racoviai 


—  7H 


Rettore. 


Quest  i  K.  Afcademia  dei  [jiiicei  prende  viva  parte  alle  onor.mze  che  da 
codesto  insigue  Ateneo  per  iniziativa  della  Società  di  Naturalisti  in  Napoli  veii- 
<>ono  tributate  alla  memoria  del  benemerito  naturalista  Filippo  (Javoliul  oc- 
correndo ora  nn  secolo  dalla  sua    morte. 

P  r  e  .s  i  d  e  11 1  e  ,   Pietro  R  1  a  s  e  r  n  a  (Roma  ) 

S  o  e  i  e  t  à  Naturalisti. 

Accademia  Senese  Fisiocritici  aderisce  onoranze  Filippo  Cavolini,  delegandn 
lappresentarla  Professore  Diaraare. 

B  a  r  d  u  z  z  i.  -  P  r  e  s  i  d  e  n  t  e  (Siena) 

Società  di  Naturalisti, 

Ali  der  Gredenkfeier  tur  Filippo  tavolini  nimmt  in  ehrender  Erinneruna,- 
gern  Anteil  die  Konìgliche  Preussiclie  Akademie  der  Wissenschaften. 

Deyer  (Berlin) 

Prof.    Monticelli, 

Plaudendo  onoranze  illustre  Havolini  Società  Adriatica  Scienze  Natui'ali 
prega  vossignoria  gentilmente  rappresentarla. 

Marchesetti,  Valle  (Trieste) 

Prof.  Monticelli, 

Società  Italiana  Progresso  Scienze  plaudendo  nobile  iniziativa  Società 
Naturalisti  Napoletani  si  associa  onoranze  centenarie  Filippo  (tavolini  insigne 
biologo  onorato  patria  con  magistrali  lavori. 

C  i  a  m  i  e  i  a  n  (Bologn a) 

Prof.  Rioja. 

Lieve  representacion  Museo  y  Sociedad  Commemoracion  Cavolini. 

B  o  1  i  V  a  r  (Santander) 

Prof.  Monticelli , 

Suis  de  coeur  avec  vous  daiis  liommages  rendus  au  très  illustre  naturaliste 
napolitain  Filippo    Cavolini. 

P r  o  f .  G  u  i  a  r  t  (Lvonì 


74  — 

S  o  r  i  e  1.  à    di     Nat  ii  r  a  1  i  s  t  i  , 

Irli  molline  wai-men  Anteil  an  der  Feier  l'Ur  Filippo  tavolini. 

Grobben   (Wien) 
Società    di    Naturalisti, 

Herzliche  Glilckwiinsclie  zur  Cavolini  Feier. 

S  p  e  n  g  e  1    (Giessen) 


,^^5^ 


Lettere 


Sknaat  der  IJnivk«sitkit 
TAN  Amsterdam 


Amsterdam,  24  Aug.   1910 
Mr.  le  Recteur, 

Nous  estimons  hautement  les   travaux   biologiques   de  ce   savant  et 

constatons  à  grand  regret  l' impossibilité  de  faire  reprèsenter  noti-e  Université 
à  l'occasion  des  tetes  en  son  lionneui'. 

V .  S  t  r  a  u  b 
Moiisieur  le  Rectenr  de  l'Uuiversité 
de  Naples 


KONINKI.TKR    AKADEMIF. 
VAN 

Wetenschappkn 

TE 

Amsterdam 


Amsterdam,  lo  16   Aoùt  1910 

l'Académie  tient  à  vous  esprimer  qu'elle  s'associe  de  tout  coeur  à  ce 

suprème  hommage.  rendu  à  un  savant,  qui  appartient  à  l' immortalité  et  qui 
resterà  une  des  gloires  de  la  Science  et  de  l'Italie. 

Le  Secrétaire  General 
J.  D.  V  au    il  e  r  W  a  a  1  s 
À  M.  M. 
Fr.  Sav.   Monticelli  et 
Fridiano  ('avara 

')  Le  lettere  suuo  lipoititte  per  ordiue  .ilfabetico  delle  ciltà  doude  proveugono. 


rNlVKKSITAI)    l)K     HAIirKI.ilNA 


R;ircflona.  2H  de   Agosto   191U 
Sr.    Rector. 

Ciimplo   con    In  grata  misióii  de  manit'estaile  en  nonibie  del  Claustro 

y  i'iì  el  mio  propio  .  (\w'  està  l'niversidiid  se  adhiere  al  homeiiaje  de  admi- 
racion  que  su  herniaua.  hi  de  Napnles.  tributa  à  uno  de  sus  mas  esclarecidos 
hijos. 

Dios  guarde  à  V.  S.  muchos  anos. 

El  Rector 

.r  11  a  (|  Il  i  11     B  o  n  e  t 

Kector  de  la   b'niversidad 
de  Nàpoles 


University  Haij, 
(  'ambridgk. 


Septembei-  5  1910 

Presjdeut  Lowell  oi' Harvard  University  regrets  exceedlingly  that  he  shall 
he  unable  to  be  present  at  the  cevimonies  attending  the  commemoration  of  the 
one  hundredth  anniversary  of  the  death  of  the  distinguished  biologist  Filippo 
Cavolini  whose  brilliant  work  ni  the  fìeld  of  zoology  and  botany  has  proved 
aii   inspiration  to  generations  of  scientists  in  the   Cnited  States. 

To  the  Hector  of  the  University 
of  Naples 


Garmisch,  2  September  1910. 

An  personlicher  Teiluahme  bin  ich  leider  verhindert  und  muss  deshalb 
bitten  mir  zu  gestatten  meine  lebhafte  Sympathie  fiir  diese  Feier  und  meine 
warmste  Verehrung  fiir  den  bedeutenden  Forscher,  dem  die  Festlichkeiten 
gelten,  hiermit  schriftlich  zum  Ausdrucke  zn  bringen. 

In  ausgezeichneter  Hochachtung  der  Director  des  zoologischeii  iind  ver- 
gleichend-anatomischen  Instituts  und  Museums  der  Kg),  preussischen  Uni- 
versitat  Bonn. 


L  11  d  w  i  g 


An.  d.  Rector  Universitut 
Nenpel 


77  — 


Vjlle  de  Genève 

MUSEE 

d'Histoire  Naturelle 


Genève,  le  26  Aout  1910 

Monsieur  le   Prof.  Fr.  Sav.  Monticelli  à    Naples. 

Malheureuseuieut,  des  circttnstaiices  indépendantes  de  ma  volouté  m'im- 

pècheut  de  in'  absonter  de  Genève  pendant  le  mois  de  Septeniber.  Je  le  legrette 
d'autant  plus  que  j'aurais  été  fort  heureux  de  pouvoir  m'associer  aux  nom- 
breux  naturalistes  qui  viendront  rendre  hommage  à  la  mémoire  de  l' illustre 
8avant  pour  le  quel  j'ai  toujours  eu  une  profonde  admiration 


Université  de  Genève 
Laboratoire  de  Zoologie 


Genève,  le  8  Septemhre  19iU 
Monsieur  et  eniinent  Collègue. 

11  ne  me  sera  malheureusement  pas  passible  d'assister  à  la  célébration  du 
1"  Centenaire  de  la  mort  de  votre  illustre  compatriote  Filippo  Cavolini  pour 
laquelle  vous  avez  bien  volu  m'  addresser  une  invitation.  Mes  regrets  sont 
d'autant  plus  vifs  que  je  nourris  une  grande  admiration  pour  les  travaux  et 
pour  le  caractère  de  ce  zoologiste  précui-seur  de  uotre  science  moderne. 

Je  vous  felicite  de  commemorer  sa  mémoire  et  Je  m'associe  de  tout  coeur 
aux  éloges  qui  lui  seront  adressés. 


E  m  i  1  e    J  u  n  g 


À  Monsieur  le  Prof.  Dr.  Monticelli 

Naples 

Univek8itat  Jena 


Jena,  deii  6  September  1910 

Wir  seuden  unsere  herzlichsten  Gliickwunsche  zu  der  Feier,  und  nehmen 
Teli  an  der  Verehrung,  die  dem  Namen  des  grossen  Toten  dargebracht  wird. 

Prorector  und  Senat  der  Universitat  Jena 
Dr.  (ì.  G  oet/. 
Pro  ree  tur 
Au  die  Società  di  Naturalisti 
in  Napoli 


7fi 


SkNA^I     DKI;     I»IVK>    I    NIVKKSIIKIl 
TK     I.KIDKX 


llliistrissiiiiu  Signor   IJeUore. 


Leiden,  (]en  2:5  Akk.sIo   litio 


i^  Senato  dell'  Uiiivursità  di  Leiden  ha  l'unore  di  cunuuiicarle  che  non 

è  possibile  di  trovare  in  questo  momento  un  rappresentante  alla  cornmemo- 
razione  solenne  dell"  insigne  scienziato  Cavolini,  i  cui  magistrali  lavori  sono 
«■onosciuti  ed  onorati  anche  da  noi.  Con  dolore  alloccasioue  di  questa  con- 
giuntura noiosa,  con  sincere  congratulazioni  e  grazie  del  suo  cortesissirao 
invito. 


in  nome  del  Senato 
l'.  J.  Bluk 


All'Illustrissimo  Sig.    Rettore  della 
R.   Università  di  Napoli 


UmvKRsrrK  ('atholkìlik 

DK    LtiUVAlN 


Louvain,  le  22  Aoiìt  l!»iO 

Le  Eecteur  prie  iVlonsieur  le  Becteur  d'agréer  l'assurance  de  la  part  qu'  au 
noni  de  l'Alma  Mater  de  Louvain,  il  prendra  de  loin  a  vos  fétes.  Avec  vous, 
nos  professeurs  de  zoologie  et  de  botanique  acclament  le  célèbre  savant  dont 
le  noni  est  grave  en  lettres  d'or  dans  l'historie  de  la  Science. 

Mr.  le  Recteur  de  l'Université 
de  Naples 


R.  IsxrruTo  ku  Orto  Eotanico 
Padova 


Selva  di  Volpago  (Trevisoì  12  Agosto  1910 

Dolente  che  speciali  impedimenti  mi  tolgono  il  piacere  e  l'onore  di  inter- 
venire alle  Onoranze  che  saranno  prossimamente  tributate  in  Napoli  ai  due 
insigni  naturalisti  Cavolini  e  Tenore,  vi  aderisco  nondimeno  con  caldo  senti- 
mento di  omaggio  e  gratitudine,  ben  consai)evole  di  quanto  deve  la  scienza 
a  cotesti  due  precursoii  vissuti  in  tempi  ed  ambienti  nei  quali  le  ricerche 
erano  ben  altrimenti   difficili  e  scarse  che  non  sia  oggidì.  Sia    dunque  gloria 


—  79 


ed  onore  all'illustre  notomista   e  biologo  Cavoliui  ed  airoperosissinio   fonda- 
tore ed  esecutore  della  Flora  napoletana,  Michele  Tenore  ! 


i\  A.  Sacca  rd  o 


lUnio  Sig. 
l'roi'.  F.  Sav.  Monticelli 


MUSEUM 

d'Hjskurk  Naturkllk 
Direction 


Paris,  le  15  Septembre  1910 


Le  Directeur  du  Museum  National  franvais  d'  Histoire  Naturelle  à 
MiM.  Monticelli  et  Fridiano  Cavava,  Presidents  du  Comité  des  fètes  du  ler 
Centenaire  de  la  mort  de  Filippo  Cavolini. 

Messieurs, 

Les  Naturalistes  francais  presenta  au  Cougrès  de  Graz,  m'ont  chargé  de 
vous  faire  connaìtre  qu'ils  s'associent  de  tout  coeur  aux  Fètes  commemora- 
ti ves  que  vous  avez  organisées  en  l'honneur  de  Filippo  Cavolini. 

Ils  saisissent  catte  occasiou  pour  esprimer  tous  leurs  voeux  à  la  Societé 
des  Naturalistes  de  Naples  et  à  1'  Université  de  Naples. 

Le  Président  de  la  Délégatiuu  francaise  au  Congrès  de  Graz  membre  de 

rinstitut  de  France. 

E  d  in  o  n  d     P  e  r  i-  i  e  r 


Museum 

u'HisToiRE  Naturelle 

Direction 


Paris,  15  September  l'JlO 


Le  Directeur  du  Museum  National  francais  d'  Histoire  Naturelle  à  M.M. 
Monticelli  et  Fridiano  Cavara,  Presideuts  du  Comité  des  Fètes  du  I.er  Cen- 
tenaire de  la  mort  de  Filippo  Cavolini. 

Messieurs, 

Le  Museum  National  franyais  d'Histoire  Naturelle  vous  remercie  de  1"  in- 
vitation  que  vous  avez  bien  voulu  lui  adresser. 

Il  s'associe  tout  entier  aux  Fètes  qui  seront  célébrées  en  coiniuemoratiou 
du  premier  centenaire  de  la  mort  de  Filippo  Cavolini  et  adresse  touts  ses, 
voeux  à  la  Société  des  Naturalistes  et  à  1'  Université  de  Naples. 

Le  Directeur  du  Museum  National  francais  d'Histoire  Naturelle,  membre 

de  r  Institut  de  France 

E  d  m  o  n  d    P  f  r  r  i  f  v 


—  80 

K.    r.MVKHSlTA    III     l'iSA 


Pisa,   Ifi  Agosto  19 10 

III. Ilio  Si};.    Rettore  delhi 

lì.    Università  di   Napoli. 

LTiiiversilvii  di  Pisa,  nelle  cui  Scuole  delle  d<jttrinf  naturali  è  ben  cono- 
sciuto e  venerato  il  nome  di  Filippo  Cavolini,  si  a.ssocia  col  sentimento  del 
dovere  e  col  consenso  di  chi  vuol  .sempre  glorifica  ro  la  scienza,  alla  Comme- 
morazione che  si  farà  il  12  .settembre  in  cotesto  Ateneo  dell'insigne  natu- 
ralista. 

Noi  abbiamo  e  con.serviamo  con  molta  cura  nella  nostra  Biblioteca  alcuni 
scritti  e  memorie,  che  assicurano  al  Cavolini  nome  e  fama  fra  i  dotti  del 
18."  secolo,  ed  il  sottoscritto,  cultore  della  Scienza  del  diritto,  ricorda  con 
piacere  che  il  Cavolini  scrisse  ancora  intorno  alla  filosofia  degli  antichi  giu- 
reconsulti, e  ne  ebbe  nuovo  titolo  di  benemerenza  scientifica. 

11  Kettore 
i'\    B  u  o  n  a  m  i  e  i 


UnIVERSITK    UE     P.\RIS 

Station  Biologiqlie 
oe  roscokk 

(Fimstkrk) 
Laboratoir  L.acaze  -  Duthiers 


Le,  7.  IX.  ]i:>lU 


Ms.  et  très  honoré  Collègue. 


.Te  vous  serais  très  reconnaissant  de  vouloir  bien  ètre  auprès  de  la  Societé 
dcs  Naturalistes  de  Naples,  i'  intei'prète  de  mes  regrets  et  de  ma  profonde 
admiratiou   pour  le  grand  Naturaliste  doiit  s'honore  la.  Science  italienne. 

Un  certa  in  nombre  de  biologistes  pi-esents  à  la  Station  en  ce  moment  'j 
ont  tenu  à  honneur  de  signor  avec  raoi  catte  lettre,  pour  esprimer  la  com- 
munion  de  leur  sentiments  avec  ceux  des  Naturalistes  presents  à  la  Ceré- 
monie. 


')  Les  naturalistfs  préseuts  à  la  Station:  Prof.  Délage.  Uiiecteur  di;  la  Station;  0.  Dubofscq. 
Professeur  de  Zoologie  k  riTniversit<''  de  Montpellier;  C.  Schlegel,  .Utaché  au  Service  scienti- 
fique  dos  Pf'clies  maritimes  et  M.me  Schlegel  ;  Or.  Picqué,  Professeur  agregi-  au  Val  de  Grace; 
A.  Delornie,  Répéiileur  au  Collège  Chaptal ,  Or.  .1.  S.  .\le.xandrowicz;  L.  Frcdericq,  professeur 
de  physiologie  k  T  Uuiversité  de  Liège;  L.  Fredericq;  H.  Fredericq;  Henri  Fredericq  ;  Fritz  Levy; 
M.  Wietzykowski;  M.  Thieren.  M.  De  Holmberg ;  Dr.  Erhard:  Dr.  R.  D.  Beauchannl*:  Dr.  Fred, 
Vl.s;  R.  Gourvitoh;  L.  .\lliaud;  M.  Boppe;  Jacques  Boureatli. 


—  81   — 

Veuillez  agrer,  Monsieui-  et  très  honoré  Oollègae,  l'assurance  de  ma  très 
haute  consideration. 

J.   D  é  1  a  g  e 

Mr.  le  Prof.  Fr.  Sav.  Monticelli. 


MusKO  DI  Storia  Naturale 
IN  Trieste 


Trieste,  addi  10  Settembre  1910 

Ringraziando  vivamente  per  il  gentile  invito  alla  solenne  Commemora- 
zione dell'illustre  Scienziato,  gloria  dell'insigne  Ateneo  Napoletano  e  d'Italia 
tutta,  che  stampò  orme  si  luminose  nel  campo  della  zoologia  e  della  botanica, 
deploro  che  la  grande  lontananza  m'impedisce  d'intervenirvi  personalmente  e 
portarvi  il  doveroso  tributo  di  ammirazione  e  riconoscenza  di  queste  estreme 
spiagge  dell'Adria  e  dei  suoi  Istituti  Scientifici. 

D  r .    M  a  1'  I"  li  e  s  e  1 1  i 

Jll.mo  Signor  Rettore 

della  R.  Università 

di  Napoli 


Station  Zoologique 
DE  Wimkreu.x-Pas  de  Calais 


Mon  oher  Collèsrue  et  ami. 


Wimerenx.  B  Septembve  1910 


Je  viens  vous  éxprimer  à  nouveau,  apiès  l'avoir  fait  dejà  à  Graz  mon 
sincère  i-egret  de  ne  pouvoir  assister  atix  fétes  en  l'honneur  de  Cavolini. 

C  est  toujours  un  plaisir  pour  moi  d'aller  en  Italie  et  en  particuliei'  à 
Naples.  L'occasion  actuelle  m'aurait  séduit  d'autant  plus  que  le  souvenir  de 
Cavolini  est  vivant  a  la  Station  Zoologique  de  Wimereux,  Giard  ajant  eu  à 
maintes  l'eprises  dans  ses  travaux  sur  les  Bopyriens,  l'occasion  de  rappeler  les 
decouvertes  de  ce  vieux  maitre. 

Je  vous  adresse  donc  à  distance,  l'expression  de  la  part  que  je  prends  à 
l'hommage  qui  va  lui  ètre  renda  et  y  joins  pour  vous  personellement  celle 
de  mes  sentiments  aftectueux  et  biens  devoués. 

M .    (  ;  a  u  11  e  r  y 
Mr.  le  Prof.  F.  Sav.  Monticelli 
Museo  Civico 


^es 


Elenco  dei  Sottoscrittori 

pcf  le  onuiauze 


S.   M.   il  Re   d'Italia     . 

Municipio  di  Napoli 

Società  di  Naturalisti  in  Napoli 

Ministero  della  Pubblica   Istruzione 

Provincia    di  Napoli 

R.    Istituto  d'Incoraggiamento. 

R.  Accademia  delle  Scienze  fisiche,  matematiche 
e  naturali    ...... 

Camera  di  Commercio  ed  Arti  di  Napoli . 

Prof.  Francesco  Saverio  Monticelli ,  Presidente 
della  Società  di  Naturalisti 

Prof.   B."^    Francesco    de  Rosa,    Segretario  della 

Società  di  Naturalisti      .... 

Cav.   D.''   Luigi  Quintieri  .  .  .  . 


Lire      500.00 

>^     2500,00 

800,00 

500.00 

»       500M0 

»       300,00 

200M 
200  M 

»       200.00 

100,00 
»       200.00 


-2.S- 


APPENDICE 


CENNI   BIOGRAFICI 


FILIPPO    CAVOLI  NI 

nel  primo  centenario  dalla  morte 
A  CURA  DEL  GOMITATO  PER  LE  ONORANZE  E  FESTEGGIAMENTI 


(Distribuito  nei  giorno  della  seduta  commemoratira,  il  12  settembre 


N  Napoli,  l'otto  aprile  1756,  nacque  Filippo  Ca- 
voLiNi,  nella  casa  sita  alla  Porta  piccola  della, 
Pietatella,  da  Nicola,  avvocato,  e  da  Angela  Au- 
liemma,  e  gli  furono  imposti  i  nomi  di  Giovan 
Filippo.  Vincenzo,  Francesco,  Gennaro,  Gae- 
tano 1). 

Fin  dalla  tenera  età,  fu  avviato  allo  studio 
delle  lettere  e  delle  scienze,  ed  ebbe  a  maestri, 
per  le  lettere  greche  e  latine,  Giacomo  Masto- 
relli  e  Gennaro  Vico;  Giovanni  Torre  e  Giuseppe  Vairo  gì' insegnarono 
la  fisica:  Giuseppe  Marzuchio  le  matematiche,  Domenico  Cirillo  la  bota- 
nica. 

Studiò  l'anatomia  con  Domenico  Cotugno,  ed  ebbe  a  maestro  nel 
giure  Giuseppe  Cirillo,  in  quell'epoca  professore  nel  nostro  Ateneo. 

A  compimento  di  questi  studii,  imparò  anche  la  musica,  la  ginnastica 
ed  il  disegno.  Il  giovane  Cavolini  attendeva  agli  studii  con  tale  ardore, 
da  non  concedersi  quegli  svaghi,  che  son  proprii  dell'adolescenza.  Ed  a 
ciò  gli  valse  l'esempio  dei  genitori,  e  dei  maestri,  della  cui  compagnia 
sommamente  si  dilettava    Dal  Torre,  illustre  fisico,  imparò  il  metodo  della 


1)  Parrocchia  di  S.  Maria  della   Eotonda. 

Attesto  io  qui  sottoscritto  Rettore  Curato  che  avendo  riscontrato  il  libro 
XIV  dei  Battezzati  alla  pagina  25,  appendice,  ho  letto  quanto  segue: 

L'anno  del  Signore  1756  nel  giorno  8  aprile  il  Reverendo  Don  Cesare 
Caldiero  canonico,  con  licenza  e  presenza  di  me  qual  Rettore  Curato  ha  bat- 
tezzato Giov.  Filippo  Vincenzo  Francesco  Gennaro  Gaetano  Caulino,  figlio  di 
D.  Nicola  e  D.  Angela  Auriemma  coniugi,  abitante  alla  porta  piccola  della 
Pietatella,  casa  del  Monte  della  Monica.  Mammana  Felicia  Mosca,  nato  ai 
cinque  detto  di  sopra,  battezzato  in  casa  con  licenza  di  Monsignor  Vicario 
Generale  di  Napoli. 


-  ■  IJO  — 

ricerca,  ^iovando.si  aiiclie,  degli  istrumenti,  dei  quali  (|uesti  era  fornito. 
E  mentre,  [ler  accontentare  il  suo  genitore,  si  avviava  all'esercizio  del- 
l'avvocatura, studiando  il  diritto  sotto  la  guida  di  Giuseppe  Cirillo,  non 
trascurava  di  seguire  le  lezioni  di  botanica  di  Domenico  Cirillo.  E  traeva 
grande  profitto  dagli   aimiiaestramenti.   dei  (juali  questi,  tra   le  pareti  do- 


Fot.   U.    PlERANTONI 

Casa  di  Cavolini  a  Posillipo  (ora  Villa  De  Mellis)  vista  dal  mare 


mestiche,  gli  era  largo,  in  quella  casa  ospitale,  in  via  Poitienuovo,  nella 
quale  convenivano  quanti  erano  in  Napoli,  noti  per  dottrina. 

E  sotto  la  guida  di  lui  intraprese  non  poche  ricerche  di  botanica  ed 
entomologia  II  Cavolini  serbò  sempre  un  grande  affetto  verso  il  suo 
sommo  e  sventurato  maestro,  conservando  tra  le  sue  carte ,  quali  sacre 
reliquie,  alcune  schede  botaniche,  accompagnate  da  tavole  all'acquerello, 
di  mirabile  esecuzione.  Queste  schede  oggi  trovansi  tra  i  manoscritti  ca- 
voliniani,  presso  i  signori  De  Mellis,   eredi  e  discendenti  del   Cavolini. 

Frutto  di  questi  studii  fu  una  memoria  sulla  caprificazioue ,  da  lui 
pubblicata  nel  1782,  all'età  di  ventisei  anni,  nella  quale  investiga  la  na- 
tura del  fico,  le  diverse  sue  specie,  i  fiori  femmine,  maschi  ed  ermafroditi: 
e  la  produzione  .  ed  il  sesso  dei  fiori  del  profico.  I  dotti  accolsero  con 
plauso  unanime  le  i-icerche  del  Cavolini  e  gli  illustri  Filippo  Fontana 
ed  Attilio  Zuccagni  gli  richiesero,  con  lettere,  i  fiori  e  gli  insetti  del 
profico,  per  farli  riprodurre  in  (^era  nel  museo  fiorentino  di  storia  na- 
turale, ad  uso  degli  studiosi. 


—  91  — 

Mortogli  il  padre,  il  Cavolini,  che  come  si  è  detto,  erasi  dato  all'eser- 
cizio dell'avvocatura  nou  per  propria  inclinazione,  ma  per  le  premure 
dei  genitori,  abbandonati  Digesti  e  Decretali,  si  consacrò,  a  tutt' uomo, 
ai  suoi  studii  prediletti.  E  ritiratosi  a  Posilipo,  in  una  villa  prossima  al 
lido,  oggi  Villa  De  Mellis,  che,  fra  gli  altri  beni,  aveva  ereditata  ,  for- 
nitala di  libri  e  di  strumenti  atti  allo  studio  delle  scienze  naturali,  die 
opera  ad  investigare  gli  animali  e  le  piante  marine.  E  così',  a  Napoli, 
sul  cadere  del  Settecento,  per  opera  di  un  napoletano,  sorgeva  un  em- 
brione di   laboratorio    per   la   investigazione    biologica    del   nostro    golfo, 


'  •.J.U.C   :J::.^-~^<^    f'-^^   '^^,^.''•,^,■^^n?^<».^Ta.^M'^^<t<l^»^^fc«.K.'■:■u.    •  .;•.,■   ...^  .'nr**^^  &  Jv^^*- 

Fo^   U.    PlEBANTONl 

Fac-simile  di  un  foglio  di  appunti  di  F.  Cavolini 

come,  dall'altro  capo  del  Terreno,  ne  sorgeva  un  altro,  a  Porto  Venere, 
per  opera  di  Lazzaro  Spallanzani.  Con  l'aiuto  dei  marinar,  con  i  quali 
era  entrato  in  dimestichezza,  e  che,  attoniti,  pendevano  dal  suo  labbro, 
non  risparmiando  spesa  e  fatica,  giorno  e  notte  andava  investigando  le 
profondità  del  mare,  le  grotte,  gli  scogli,  le  isole  ed  il  lido  del  nostro 
golfo.  Di  siffatte  indagini  vennero  fuori  molte  e  nuove  osservazioni,  in- 
torno agli  zooliti,  corredate  da  tavole  disegnate  da  lui,  che  rivelano  un 
gusto  di  arte   non    comune. 

Nel  1785,  con  tre  dissertazioni,  non  solo  aggiunse  nuove  specie  alla 
serie  dei  polipi  marini,   ma  dottamente  ne  espose  la  struttura. 

E,  nelle  sue  dotte  ricerche,  niente  omise  che  valesse  ad  illustrare  la 
st(u-ia  di  <iuesto  gruppo   di  zoofiti  :  come  lo  stabilire  dove  essi    vivano  e 


—  92  — 

quale  sin  la  loro  diiiK.ra  preferita,  cioè  le  grotte  aperte  al  lato  meridio- 
nale e  chiuse  ad  oriente.  Su  quali  corpi  preferiscono  istallarsi,  se  cioè 
su'  corpi  inauiinati,  o  su  quelli  animati,  e  ciò  fece  con  tanta  esattezza 
e  precisione,  da  rendere  facile,  a  quanti  fanno  ricerche  nel  nostro  golfo, 
il  riconoscere  siffatto  genere  di  zoofiti,  ed  avere  così  la  riprova  di  quanto 
il  Cavolim  axeva  aflermato. 


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/•'o^    U.   PlERANTONl 

Fac-simile  del  mamiscritto  di  una  memoria  di  F.  Cavolini 

Non  è  dunque  a  maravigliarsi  se  il  Guelin  annovera  il  Cavolini  tra  i 
più  chiari  scrittori  della  storia  dei  zoofiti,  e,  ripetute  volte,  lo  cita  nelle 
sue  opere.  E  grandi  lodi  ebbe  puranche  da  Giuseppe  Olivi  e  Lazzaro 
Spallanzani,  come  prova  la  corrispondenza  tra  essi  interceduta. 

E  lo  stesso  Pietro  Simone  Pallas,  che  in  un  suo  libro  su'  zoofiti  ac- 
cusava gl'Italiani,  abitatori  di  coste  così  ricche  di  animali,  di  trascurarne 
lo  studio,  dovè  nmtare  il  suo  giudizio  dopo  gli  studii  del  Oavouni  del 
quale  sollecitò  la  corrispondenza. 


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—  94  - 

Incoraggiato  «lai  plauso  dei  dotti,  uell'anno  1788,  il  Cavomni  diede 
in  luce  lo  scritto,  dal  titolo:  «  Menmrhi  .sulla  genera.ìione  dei  pesci  e  dei 
f/idìirìn  ».  per  la  quale  notomizzò  numerosi  pesci,  fece  ripetute  osser- 
vazioni microscopiche,  ritrueiidone.  con  somma  diligenza.  le  varie  parti, 
in  ottimi  disegni.  E  continuando  sempre,  con  pari  alacrità,  le  sue  dotte 
ricerche,  nell'anno  1792  pubblicò  una  memoria,  in  latino,  frutto  di  ben 
quattro  anni  di  studio,  con  la  quale  rivendicò  i  fiori  ed  i  frutti  della 
zostera,  che  il  Turnefort.  seguendo  Teofrasto,  aveva  negato. 

Con  siffatte  opere,  non  grandi  di  mole,  ma  dense  di  grandi  novità 
scientifiche,  la  fama  del  Cavolini  crebbe  talmente,  che,  quanti  erano  in 
Europa,  insigni  cultori  di  scienze  naturali,  entrarono  con  lui  in  rapporti 
epistolari,  e  non  pochi  tra  essi,  venendo  a  Napoli,  si  recavano  a  visitar!»». 
Lo  Zimmermann  tradusse  in  tedesco  il  suo  libro  sulla  generazione  dei 
pesci  e  dei  granchi;  l'Abildgard  diede  il  suo  nome  ad  una  conchiglia,  da  lui 
illustrata,  che  chiamò  Caolinia  natans.  E  le  accademie,  Linneana  di  Londra, 
quella  delle  scienze  di  Torino  e  di  Mantova,  la  fiorentina  dei  Georgiotìli 
lo  ascrissero  tra  i  loro  socii  e  numerosi  botanici;  imposero  il  nome  del 
(Javolini  a  varie  piante. 

Questa  fu  l'opera  dei  Cavolini,  alla  quale  attese,  senza  raiuto  de" 
colleghi  0  di  discepoli,  e  senza  concorso  di  danaro  pubblico  o  privato, 
ma  da  solo,  e  con  le  proprie   risorse. 

Menava  vita  modesta  e  frugale,  dedito  soltanto  ai  suoi  studii,  die 
erano  il  suo  unico  e  sommo  diletto.  E  non  ricordava  la  sua  qualità  di 
giurista,  se  non  quando  doveva  prestare  la  sua  opera,  gratuita,  per  il 
povero,  per  l'orfano,  per  la   vedova. 

Fu  di  somma  modestia,  godendo  della  sua  fama,  che  lo  rese  celebre, 
forse,  più  tra  gli  .stranieri,  che  tra  i  suoi  stessi  concittadini,  nell'interno 
del  suo  animo.  Non  chiese  né  sollecitò  officii  ed  onori,  e  rifiutò  quello, 
offertogli  nel  governo,  nell'anno  1799.  da  Vincenzo  de  Filippis,  ministro 
dell'interno  della  Repubblica  pai'tenopea.  E  menò  vita  solitaria,  beandosi 
soltanto  dei  suoi  studii,  fino  all'anno  1805.  nel  quale  gl'incoi'se  una  grave 
sventura. 

La  sua  casa,  nella  quale  gli  erano  svelati  i  segreti  della  natura,  ed 
in  cui  aveva  raccolta  una  suppellettile  preziosa  di  libri,  d'istrumenti,  di 
pesci,  d'insetti,  fu  occupata  dalle  soldatesche  ed  egli  ne  pianse  in  cuor 
suo.  Le  vicende  politiche  gli  avevano  assottigliato  il  patrimonio,  ed  allora 
uno  scoramento  lo  colse.  Istituitasi,  in  quell'epoca,  la  R.  Accademia  delle 
scienze,  ne  fu  nominato  socio  ed  egli  accettò,  ed  un  decreto  di  Gioac- 
chino Napoleone  del  1808,  lo  nominava  professore  nella  nostra  R.  Uni- 
versità, alla  cattedra  speciale.,  creata  per  lui:  Delle  teorie  generali  della 
Storia  Naturale  dimostrata  con  le  osservazioni  i). 


1)  Decreto  20  novembre  1808,  n.  206. 

Giuseppe  Napoleone,   ecc. 

Art.   1.  Fra  le  cattedre  di  prima  classe  della  nostra  Univeri^ità  degli  studii 


—  95  — 

Ma  ben  poco  tempo  potè  tenere  l'ufficio  affidatogli,  perchè  le  amarezze 
passate,  fortemente  ne  avevano  danneggiata  la  salute.  L'avvicinarsi  della 
primavera  gli  aveva  fatto  rinascere  il  gusto  delle  sue  peregrinazioni  ma- 
littime.  e  fatta  approntare,  un  giorno,  come  soleva  fare,  una  barchetta, 
con  i  suoi  lìdi  marinai  si  accingeva  ad  andare  scrutando  le  grotte,  che 
trovansi  tra  Posilipo  e  Nisida,  quando,  ad  un  tratto,  un  soldato,  armato, 
con  fare  imperioso,  chiese  di  essere  accolto  nella  navicella ,  e  di  essere 
condotto  alla  casa  di  Cavolini  occupata  dai  suoi  commilitoni.  I  marinai 
si  rifiutano  ed  accennano  a  pigliare  il  largo,  ma  il  soldato,  di  botto,  si 
gitta  nella  imbarcazione,  facendola  capovolgere.  Solleciti  i  marinai  salvano 
il  soldato  ed  il  Cavolini,  che  è  condotto  a  Napoli,  nella  sua  casa  in  Via 
S.  Giovanni  in  Porta,  e  per  lo  schianto,  ebbe  a  sentirsi  male  e,  dopo  pochi 
giorni,  colpito  da  febbre  tifoide,  nel  15  marzo  1810  moriva.  Il  suo  corpo 
fu  sepolto  neUa  Chiesa  di  S. 
Michele  a  Piazza  Dante  i). 

Di  Filippo  Cavolini  non  ab- 
itiamo ritratti,  tranne  quello, 
a  dir  di  Delle  Ghiaie^),  nella 
vignetta  che  riproduciamo, 
che  rappresenta  la  veduta 
meridionale  della  Gaiola ,  a 
Posillipo.  Sotto  la  grotta,  se- 
micoverta vede  si  Cavolini. 
dentro  una  barchetta  .  ]n"ov- 
veduto  di  ombrello,  nell'atto 
di    dirigere    dei    marinai   che  Fot.  v.  Pierantoxi 

raccolgono  animali  marini.  ,,  j  .  a       i    ^  n    /■  ,-,1    „  d^oìh;.,, 

°  Veduta  ineiidioualc  della  (xaiola  a  Posulipd 

Delle  Chiaie    dice    pure    che 

rappresenta   Cavolini  accanto   ad    un   spaccamonte  la   figura    che   .si  vede 


ve  ne  sarà  dal  prossimo  novembre  in  poi  una  delle  teorie  generali  della  Storia 
naturale  dimostrata  con  le  osservazioni. 

Art.  2.  E  nominato  professore  della  medesima  il  -Sig.  Filippo  Cavolini 
il  quale  dovrà  trasmettere  al  Museo  di  Storia  Naturale  con  la  conveniente 
descrizione  gli  oggetti  raccolti,  analizzati  e  dimostrati... 

1)  Matrice  parrocchiale  Chiesa  di  S.  Giovanni  in  Porta  Napoli. 
Certifico  che  dal  libro  dei  defunti  di  questo  archivio  parrocchiale  risulta 

quanto  appresso: 

A  di  15  mai'zo  1810  D.  Giovanni  Filippo  Cavolini,  figlio  del  quondam 
avvocato  D.  Nicola  e  D.  Angela  Auriemma  di  anni  51  circa,  celibe,  munito 
con  tutti  i  Santi  Sacramenti  è  passato  in  miglior  vita  ed  il  suo  cadavere  è 
stato  sepolto  nella  Congrega  Jei  Sacerdoti  di  S.  Michele  a  Porta  Spirito 
Santo. 

2)  Stefano  Delle  Chiaie  nel  1853  (Benevento  tipografia  delle  Streghe)  pub- 
blicava le  Memorie  pnatunie  sceverale  dalle  autografe  di  Filippo  Carolini. 


Molla   vi^nettìi    iiiizialf   di   micsti)  s<TÌtt.().    ficnviitn    (hi    iiiui   incnioria   (.IÌCa- 

VOMNI. 


Fnl.    V .    PirHANTOXI 

Vignetta  trovata  fra  i  man  ose  ri  Iti  di  Cavolini 


Fu  piccolo  di  statara,  di  bello  aspetto,  di  facile  parola,  di  modi  sem- 
plici, iu  giiisa  che  si  doveva  divinare  in  lui.  ])iù  che  riconoscere,  a  prima 
vista,  l'uomo  di  valore. 


c<^§?^>o 


ELENCO  GENERALE 


IJKLLK    OPKHK 


DI    FILIPPO    CAVOLIN  I 


If.iflessioni  sulla  memoria  del  Sig.  Abate  Eaimondo  Maria  de  Tekmeyee  sopra 
il  Pulce  acquaiolo,  nelle  quali  si  espone  la  meravigliosa  fabbrica  ed  eco- 
nomia di  questo  animaletto. 

Riflessioni  sulla  generazione  dei  Funghi. 

Memoria  per  servire  alla  Storia  compiuta  del  Fico  e  della  Proficazione  (con  1  tav.). 

Tavole  sulla  proficazione  (tav.  I-IV). 

Memorie  per  servire  alla  Storie  dei  Polipi  marini  (con  12  tavole): 

Memoria  Prima  —  Sulla  Gorgonia,  Corallo,  Madrepora  e  Millepora  —  Ri- 
flessioni sopra  i  Polipi  descritti. 
Memoria  Seconda  —  Nuove  ricerche  sulla  G-orgonia  e  sulla  Madrepora  e 

conferma  delle  ricerche  precedenti. 
Memoria  Terza  —  Sulla  Sertolara  e  Tubolara. 
Memoria  Quarta  ed  ultima  —  Su  le  Pennatole,  gli  Alcioni,  le  Spugne. 

Ulteriori  osservazioni  sulle  Sertolare  (con  1  tavola). 

Memoria  sulla  generazione  dei  Pesci  e  dei  Granchi  (con  3  tavole  l. 
Parte  Prima  —  Lia  generazione  dei  Pesci  Spinosi. 
Parte  Seconda  —  La  generazione  dei  Granchi. 

Appendice  sulla  generazione  dei  Pesci  Spinosi. 

Appendice  sulla  generazione  dei  Pesci  cartiliginosi,  ossiano  Amfibii  respiranti 
per  mezzo  delle  branchie  al  modo  dei  Pesci  Spinosi    (con    3  tavole): 
Zosterae  Oceanicae  L'mnei  ANOHSIS  (con  1  tavola). 
Phucagrostidwn  Theophra^ti  ANeHSIS  (con  2  tavole). 

Nota  sul  Citino  Ipocistide  (con  1  tavola). 

Discorso  sulla  Fisiologia  dei  Piantanimali. 

Saggi  microscopici  sul  Polline  di  varie  piante  nostrali  e  descrizioue  del  con- 
volvolo marittimo  d'Imperato. 

Animali  molluschi  indigeni  o  esotici  del  cratere  napolitano  scoperti  ed  illu- 
strati (con  5  tavole). 

Note  miscellanee. 

Sulla  Fruttificazione  del  Carrubo. 

Appenninorum  montium  Carapaniam  ambientium  physica  disquisitio  (con  3 
tavole). 

Saggio  di  Storia  Naturale  dell'estremo  ramo  degli  Appennini  che  termina  di- 
rimpetto all'Isola  di  Capri  (con  1  tavola). 

Progymnasma  in  veterum  Jureconsultorum  Philosophia. 


INDICE -SOMMARIO  RIASSUNTIVO 


DELLE    PUBBLICAZIONI 


DI  FILIPPO  CAVOLINI 

premesso  alla  ristampa  delle  Opere  edita  dalla 

{Sooiotà.    di    ISta.tvir-a.listi 

1910 


ZOOLOGIA 

l.e  opere  di  Zoologia  posswuo  ripartirsi  nel  cinque  s^ruppi  ses^uenti: 

1.  Sopra  il  pulce  acquaiolo  (1778;. 

Sopra  il  pulce  acquaiuolo 

Anatomia  e  biologia  di  due  specie  di  cladoceri  e  discussione  della 
possilDile  importanza  di  una  di  esse  per  la  spiegazione  delle  piogge  di 
sangue  riferite  dagli  antichi 


2.  Su  i  polipi  marini  [dove  sono  pure  note  intercalate  ri- 
guardanti i  protozoi,  le  spugne  ed  altri  invertebrati  marini]  1785. 

Memorie  per  servire  alla  storia  de'  Polipi  marini 

I.  Sulla  (.Torgonia,  Corallo.   Madrepora,  e  Millepora. 

II.  iNuove  ricerche  sulla  Gorgonia,  e  sulla  Madi-epora:  e  conferma  delle 

ricerche  precedenti. 
IH.  Sulla  Sertolara  e  Tubolara. 
IV.   Su  le  Pennatole.  gli  Alcionj,  le  Spugne. 
\.     Discorso  sulla  Fisiologia  de'  Piantanimali. 
VI.    Ulteriori  osservaziojii  sulle  Sertolare. 

Descrizione  particolareggiata  delle  località  in  (-ui  si  trovano  .  delle 
condizioni  naturali  di  esistenza  e  della  tecnica  più  opportuna  per  l'osser- 
vazione sul  vivo  degli  organismi  studiati, 


—  102  — 

Esame  accurato  delh;  diverse  manifestazioni  vitali,  specialmente  per 
ciò  che  riguarda  motilità,  modo  di  alimentazione,  formazione  ed  emissione 
delle  uova  e  caratteri  di  queste,  rapporti  esistenti  fra  lo  scheletro  e  le 
parti  molli  nei  singoli  animali  e  struttura  intima  di  quello  in  confronto 
con  altre  produzioni  organiche  analoghe. 

Osservazioni  ed  esperienze  intorno  alla  capacità  di  rigenerazione  dopo 
lesioni  naturali  od  artiiicialmente  prodotte  in  animali  mantenuti  nelle  con- 
dizioni naturali  di  vita;  dimostrazione  di  intensa  rigenerazione,  della  pos- 
sibilità di  innesto  fra  rami  dello  stesso  organismo,  della  esistenza  di  una 
polarità  assile  e  della  non  esistenza  di  predeterminazione  polare. 

Descrizione  minuta  dei  caratteri  esterni  di  molte  specie  di  Idroidi 
ed  altri  organismi  più  o  meno  affini  viventi  nel  Golfo  di  Napoli  con  som- 
marli; riferimenti  alle  notizie  datene  precedentemente  specialmente  da  Im- 
perato, Donati,  Pallas,  Ellis,  Linneo. 

Paragone  tra  l'organizzazione  degli  Idroidi  marini  e  quella  dell'Hydra 
studiata  dal  Trkmbley.  Note  caratteristiche  e  differenziali  di  ciascun  gruppo 
di  animali  esaminati  e  caratteri  comuni  della  loro  organizzazione  generale. 

Excui'sus  sull'importanza  dei  resti  organici  per  la  formazione  delle 
rocce  calcaree,  sulla  enorme  distruzione  di  uova  capitate  in  siti  illuminati 
come  causa  dell'esistenza  di  Sertolare  solo  nelle  caverne  ombrose,  su  di 
alcuni  infusorii  marini  e  sulla  esclusiva  formazione  di  questi  da  organismi 
preesistenti,  provata  con  la  sterilità  di  infusioni  bollite,  su  due  specie  di 
Aeolididei,  su  di  alcune  alghe  marine  e  sulla  propagazione  dei  funghi 
per  spore. 


B.  Sulla  generazione  dei  pesci  [in  queste  memorie  si  tro- 
vano pure  osservazioni  su  altri  verterbrati  (Lampreda ,  Rospo, 
Lucertola)]  1787. 

Memoria  sulla  generazione  dei  pesci  e  dei  granchi 

Parte  prima.  —  La  generazione  dei  pesci  spinosi. 
Appendice.  —  Sulla  generazione  dei  pesci  spinosi. 

Descrizione  anatomica  minuta  di  alcuni  teleostei ,  specialmente  ri- 
spetto al  sistema  circolatorio,  digerente  e  riproduttore  maschile  e  fem- 
minile di  parecchie  specie.  Varie  notizie  biologiche  relative,  specialmente 
sui  periodi  di  maturità  sessuale. 

Osservazioni  sulla  gestazione  esterna  dei  Sj/nf/uafha.s  e  sugli  embrioni 
di  queste  e  di  altre  specie  di  Teleostei,  notandone  le  somiglianze  con  lo 
sviluppo  degli  Anfibii  studiati  da  Spallanzani  e  le  differenze  con  quello 
degli  Amnioti, 

Osservazioni  e  considerazioni  varie  per  escludere  per  i  pesci  ovipari 
una  fecondazione  interna  e  per  ammetterne  invece  una  esterna. 


-  103  — 

Dimostrazione  anatomica  dell'ermafi-oditismo  di  due  Teleostei  ed  eli- 
minazione di  altri  pretesi  casi  simili  metliante  la  diretta  osservazione 
Considerazioni  gf^nerali  sulla  riproduzione. 

Appendice  sulla  generazione  dei  pesci  cartilaginosi 

(Postuma) 

Discussione  della  posizione  sistematica  dei  Sciaci. 

Descrizione  accurata  del  sistema  circolatorio  nel  Rospo  adulto  e  nel 
Girino,  speciahnente  in  rapporto  al  sistema  circolatorio,  e  dei  fenomeni 
della  metamorfosi. 

Descrizione  anatomica,  specialmente  del  sistema  circolatorio  ,  della 
Lacerfa,  Trìton,  Sajllium  e  Petromyzon^  per  il  quale  viene  confermata 
l'osservazione  precedentemeute  pubblicata  deUa  natura  olfatti\'a  della  na- 
rice impari  (creduta  fistola  polmonare  da  Linneo)  e  notata  la  differenza 
dell'apparato  branchiale  fra  esso  e  gli   altri  pesci. 

Descrizione  degli  organi  riproduttori  nella  Lacerta  e  di  alcuni  punti 
dello  sviluppo,  specialmente  per  ciò  che  riguarda  la  circolazione  vitellma 
ed  i  rapporti  di  questa  col  fegato. 

Appunti  anatomici  specialmente  sul  sistema  riproduttore  di  un  ofidio 
e  di  alcuni  pesci  con  descrizione  di  alcuni  stadii  di  sviluppo  di  Torpedo. 
Osservazioni  sul  riassorbimento  del  sacco  vitelUno  e  su  di  alcuni  crostacei 
parassiti  dei  gelaci  e  specialmente  in  Squatina  e  Mustelus  ,  con  descri- 
zione dei  rapporti  e  del  destino  della  placenta  vitellina   di   quest'ultimo. 


4.  Sulla  generazione  dei  granchi  [contiene  anclio  osserva- 
zioni su  i  Molluschi  cefalopodi]  1787. 

Memoria  sulla  generazione  dei  pesci  e  dei  granchi 

Parte  seconda.  —  La  generazione  dei  granchi. 

Biologia  di  varie  specie  di  crostacei.  Descrizione  anatomica  del  loro 
sistema  circolatorio,  respiratorio,  nervoso,  degli  organi  di  senso  e  dell'ap- 
parato digerente.  Esame  accurato  degli  organi  riproduttori,  femminili  e 
maschili,  dei  caratteri  delle  uova,  di  alcuni  stadii  di  sviluppo  di  queste. 
Osservazioni  sull'accoppiamento,  sulla  muta  di  questi  animali  e  sul  genere 
di  nutrimento  loro  e  di  altre  specie  marine. 

Osservazione  e  descrizione  dei  fenomeni  di  parassitismo  da  parte  di 
Rizocefali  ed  Isopodi  parassiti,  con  descrizione  delle  larve  che  ne  derivano. 

Osservazioni  sulla  biologia  e  l'anatomia  della  Seppia,  ed  anche  dei 
Meaozoi  suoi  parassiti. 


-  104  — 

Osserv^tzione  delle  larvo  di  accidie  composte,  interpretate  pero  .nolto 
diversameute. 


5.  Opere  liammeiitarie. 
Animali  molluschi  indigeni  o  esotici  del  cratere  napolitano 

Uonsideruzioiii  generali  sull'aiiatoniia  e  la  HsioJugia  degli  invertebrati 
e  note  miscellanee  varie  su  di  un  gran  numero  di  questi,  appartenenti  ai 
più  diversi  tipi  (Celenterati,  Echinodermi,  Vermi ,  Molluschi  .  Tunicati , 
con  speciale  riguardo  alla  biologia  ed  all'anatomia  delle  singole  forme 

Numerosissime  osservazioni  interessanti,  ma  frammentarie,  da  consi- 
derare come  appunti  staccati. 

Più  estese  le  osservazioni  sull'anatomia  e  lo  sviluppo  della  Seppia 
CUI  aveva  già  accennato  nella  Memoria  sulla  generazione  dei  pesci  e  dei 
granchi. 


■J  '- 


BOTANICA 

l,e  opere  botaniche  possono  ripartirsi  nei  tre  g:rnppl  seRruentlt 

1."  Sulla    Froticazione. 

Del  Fico  e  della  Proficazione 

La  memoria  è  divisa  iu  40  capitoli  dedicati  allo  studio  organografico 
del  fico  ed  a  quella  pratica  in  uso  fin  presso  gli  antichi  che  è  la  capri- 
ficazione.  Intorno  alla  natura  morfologica  del  tico,  sconosciuta  fino  al  se- 
colo XV.  rileva  il  Cavolini  trattarsi  di  uno  speciale  ricettacolo  nella  su- 
perficie interna  del  quale  stanno  impiantati  i  fiorellini.  Tanto  nel  fico  do- 
mestico che  nel  selvaggio  (profico,  caprifico)  si  ha  una  duplice  produzione 
di  ricettacoli,  gli  uni  sul  ramo  antico,  gii  altri  sul  nuovo.  Nei  soli  primi 
fichi  del  profico  hannosi  fiori  maschili  e  femminili .  mentre  nei  secondi 
fichi  di  tal  pianta  (madri  del  profico),  come  in  entrambi  i  ricettacoli  del 
fico  domestico  si  hanno  soli  fiori  femminili.  Per  questi  caratteri  il  Cavo- 
uni  ritiene  doversi  ascrivere  il  fico  alle  Polygamia-Dioecia  considerando 
androgini,  ossia  ermafroditi,  i  ricettacoli  primi  del  profico. 

Data  la  natura  ricettacolare  del  fico,  la  maturazione  di  esso  può  es- 
sere promossa  da  condizioni  varie  talché  la  fecondazione  non  sia  di  as- 
soluta necessità.  Ma  si  è  visto  in  antico  che  certe  varietà  di  fico  dome- 
stico perfezionavano  il  loro  frutto  solo  quando  si  trovavano  nella  vicinanza 
del  profico  :  da  questa  osservazione  ebbe  origine  la  pratica  della  profi- 
cazione che  il  Cavolini  discute  ampiamente  dal  lato  storico  e  teorico.  Gli 
agenti  naturali  della  raprificazione  sono  dei  moscherini  che  compiono  l'uf- 
ficio di  trasportare  il  polline  o  polvere  fecondante  dai  profichi  o  primi 
fiori  del  profico,  alle  madri  di  questo  u  ai  fiori  del  tico,  mentre  vanno  a 
deporre  le  loro  uova  nei  fiorellini  femminili. 

Al  Cavolini  parvero  due  le  specie  di  tali  moscherini,  e  cioè  Vlchimimon 
Psenes  di  color  nero  [aten  e  più  frequente,  e  l'I.  Ficaritis  di  color  rosso 
(rnfus).  Di  entrambi  dà  la  descrizione  latiiui.  e  descrive  minutamente  la 
«  maniera  bizzarra  »  con  cai  questi  animaletti  rendono  all'  uomo  un  sì 
gran  servigio.  Pvagiona  a  lungo  sui  loro  costumi,  compie  esperimenti  per 


—   106  — 

deteriuiiiiii'e  coiiu'  .si  iiutroiu»  o  .si  moltiplicano.  Os.scrva  la  tliacliiusione 
delle  loro  uova  e  le  metamorfosi  nei  ricettacoli  del  proKco,  e  discute  la 
mancata  di.schiu.sione  nei  fiori  del  fico,  che  io  porta  a  considei-azioni  sui 
piocos.si  iermontativi  indotti  dalla  d(qiosizione  delle  uova  nei  ti(jri  iem- 
ininili,  d'ondo  la  lallazione  di  (jue.sti  e  la  successiva  maturazione  dei  frutti, 
che  nella  comune  pratica  viene  pur  agevolata  con  la  puntura  e  l'unzione, 
con  olio,  dei   ricettacoli. 

A  spiegare  poi  come  alcune  varietà  di  fico  periezionino  i  loin  iVutti 
senza  bisogno  della  caprilicazione,  il  Cavolini  fa  intervenire  il  concorso 
di  speciali  cause  intrinseche  ed  estrinseche  clie  riduce  a  tre  principali: 
la  diversa  tessitura  delle  varietà,  il  sito  ove  crescono  e  la  natura  del 
terreno. 

Esposta  la  pratica  ed  i  fenomeni  della  proficazione,  l'autore  tratta  di 
altri  animali  che  o  danneggiano  il  moscherino  o  si  allevano  ancor  nel  fico 
o  sono,  comunque,  nocivi  alle  piante  di  fico.  Seguono  poi  alcune  conside- 
razioni sulla  produzione  di  ricettacoli  tanto  nel  profico  che  nel  fico,  la 
quale  ordinariamente  è  duplice,  ma  può  ridursi  talora  ad  una  volta  sola. 

Chiude  la  memoria  il  Prospecfus  Caprificationis  nel  quale  sono  bi'e- 
vemente  riassunti  i  fatti  osservati  e  le  deduzioni  da  essi  tratte.  Accom- 
pagna la  memoria  una  bella  tavola  ove  sono  disegnati  rami  di  profico  e 
di  fico,  i  fiori  maschili  e  femminili,  e  i  moscherini  colle  loro  metamorfosi. 
Sull'argomento  vi  sono  anche  quattro  tavole  postume. 


2."  Sulle  piante  marino. 
a)  Phncagrostis . 
h)  Zostera. 
e)  Sul  Citino  ipocistide. 

Phucagrostidum  Theophrasti  'Ave-rjaig  (1792) 

In  questa  memoria  il  Cavolini  studia  la  fioritura  di  due  piante  ma- 
rine che  distingue  coi  nomi  di  Phncagrostis  maggiore  e  minore  su  cui 
qualche  cenno  diede  Tkofrasto  mentre  solo  della  seconda  fu  conosciuta 
fra  i  suoi  contemporanei  dal  Rey,  che  la  chiamò  Zostera  marina.  Quanto 
alla  maggiore  egli  dice  trattarsi  di  specie  dioica;  ne  descrive  il  fiore  ma- 
schile, il  femminile  e  ne  indaga  la  fecondazione,  descrive  il  seme  e  studia 
il  processo  della  germinazione,  concludendo  col  classificare  la  pianta  nella 
Dioecia   Tetrandria  col  nome  di  Phuragrostis  major  Theophrasti. 

Quanto  alla  fucagrostide  minore  nota  le  inesattezze  delle  descrizioni 
del  Rky  e  del  Moering  che  la  chiamò  Ruppia.  Descrive  poi  gli  organi 
sessuali  da  cui  riconosce  trattarsi  di  specie  ginandra;  indaga  il  modo  di 
fecondazione.  Descrive  il  seme,  in  cui  trova  due  cotiledoni ,  ed  il  modo 
come  (juesto  si  sviluppa  e  germoglia.    Fa  indi  delle   considerazioni    sulla 


—  107  — 

fecondazione  nelle  piante  ac(iuatiche  sommerse  ed  emerse,  riportando  sue 
osservazioni  su  vai-ie  specie  di  Fotaiuogcton  del  Sebeto  e  delle  paludi  di 
Napoli,  sulla  ZanichdUa  pahistris,  la  Callitnche  verna,  il  Ccratophijllnm, 
il  Myriopìn/lhon  vcìiinllatum,  la  Ghara  vulgaris  e  la  Lemna  (jibba,  descri- 
vendone gli  organi  sessuali  e  la  fecondazione  che  solo  per  alcune  avviene 
fuori  dell'acqua. 

Zosterae  oceanicae  Linnei   Avoyiaig  (1792j 

In  questo  lavoro  l'A.  tratta  della  fioritura,  fruttiticazione,  germina- 
zione e  sviluppo  della  Zostera,  pianta  già  conosciuta  dai  Greci  e  menzio- 
nata da  Teofeasto,  ma  di  cui  i  iiori  non  erano  conosciuti,  fino  ai  nostri 
tempi  dai  botanici,  mentre  se  ne  conosceva  il  frutto.  Dopo  aver  riportato 
e  discusso  un  passo  di  Teofeasto,  ed  aver  accennato  alle  scarse  cono- 
scenze che  si  avevano  di  questa  pianta  per  opera  di  alcuni  botanici  e 
specialmente  del  Vallisnieei,  che  ne  descrisse  il  frutto,  riferisce  la  posi- 
zione sistematica  della  specie  alla  classe  Ginandria  ordine  Poliandria  se- 
condo Linneo,  ed  all'ordine  delle  Aroidee,  secondo  A.  L.  De  Jxjssied. 

I  lavori  dell'HEDWiG  sui  muschi,  e  sulla  fecondazione  delle  piante  m 
generale  fecero  nascere  nell'animo  del  Cavolini  il  desiderio  di  conoscere 
alcunché  della  riproduzione  delle  piante  acquatiche  sommerse:  e  quindi 
intese  a  fare  le  sue  osservazioni  sulla  Zostera,  pianta  fanerogama  marina 
assai  abbondante  nel  nostro  golfo.  Avendone  raccolto  nell'ottobre  del  1787 
esemplari  in  fiore,  ne  fece  oggetto  di  continuati  studii  dal  1787  al  1791. 
Descrive  pertanto,  nel  suo  lavoro,  ampiamente  la  Zostera  marina  od  ocea- 
nica, ne  osserva  i  fiori,  e  nota  la  particolare  forma  filamentosa  del  polline. 

Studia  la  struttura  e  lo  sviluppo  della  pianta  tutta,  dei  fiori  ,  del 
frutto,  dei  semi,  fa  esperienze  sulla  loro  germinazione,  per  seminagione 
artificiale,  e  quindi  dà  una  descrizione  botanica  delle  specie  facendo  se- 
guire alcune  osservazioni  sulla  fioritura  della  pianta.  In  ultimo  tratta  della 
fecondazione  della  specie  nella  quale  l'aura  seminale  dallo  stimma  feconda 
il  germe.  Chiude  il  lavoro  con  la  spiegazione  della  tavola. 

Nota  sul  Citino  ipocistide  ^1806) 

Con  questa  nota  viene  illustrata  la  descrizione  botanica  e  la  tavola 
del  Citino  ipocistide,  pubblicata  tra  le  opere  postume  del  Cavolini.  Il  Ci- 
tino ipocistide  che  vive  parassita  sulle  radici  dei  Cistus  salviaefoUus  è 
una  pianticella  non  infrequente  nelle  nostre  regioni  meridionali  in  luoghi 
pochi  discosti  dal  mare.  Dopo  un  accenno  alla  descrizione  della  specie 
lasciataci  dal  Fasano  (1788),  si  ricorda  che  il  Cavolini  ne  fece  oggetto  dei 
suoi  studi,  dei  quali,  per  disgraziate  circostanze,  non  rimangono  che  la 
descrizione  botanica  ed  una  tavola  illustrativa  di  mano  del  Cavolini  me- 
desimo. Si  descrivono  quindi  i  caratteri  della  pianta,  il  modo  come  ger^ 
mogliando  il  seme,  si  unisce  coi  tessuti  della  radice  del  GiMus,  l'epoca 
delta   fioritui-a  e  fruttificazione.  L'A.  discorre   del  succo    gommo-resinoso 


—    108  — 

del  Citino  ,  adtipeiato  per  la  coiiteziuue  della  teriacH  .  ed  osserva  die  i 
contadini  mangiano  i  giovani  germogli  della  pianta  .  a  soiniglian/a  dei 
caroiotì.  Dai  caratteri  fiorali  della  specie  l'A.  la  riferisce  alla  classe  Mo- 
noecia  ordine  Ginandria,  e  non  come  Linnko  aveva  fatto,  alle  Ginandi-ia 
dodecandria,  pel  fatto  che  sulla  stessa  pianta  vi  sono  liori  staminiferi  e 
pistilliferi.  Segue  la  descrizione  botanica  della  specie  preceduta  da  min 
bi-eve  nota  etimologica  del  nome  generico  e  specifico,  e  seguita  dalla  spie- 
gazione della  tavola. 


H."  Sulla  i^cnerazione  dei  Funghi. 
Saggi  micro.scopici  sul  pollino. 
Sulla  t'ruttificazioue  dol  Carrubo, 


Sulla  generazione  de'  funghi    1778» 

Dopo  aver  riassunto  le  conoscenze  del  tempo  sulla  propagazione  di 
questi  infimi  vegetali,  cerca  di  provare  che  i  funghi  nascono  per  fer- 
mentazione nei  vegetali  disfatti  a  guisa  delle  galle  sul  ramo  per  lo  squarcio 
prodotto  dal  cinipe.  A  tale  scopo  studia  la  struttura  del  fungo  trovando 
che  gli  agarici  formati  per  contiguità  delle  serie  di  parti  solide  o  glo- 
betti  i  quali  sono  gli  stessi  che  riempiono  gli  spazi  tra  vasi  e  fibre  nelle 
piante. 

Tali  sue  vedute  però  vennero  in  seguito  totalmente  modificate  (v. 
memoria  sui  polipi  marini). 

Saggi  microscopici  sul  polline  di  varie  piante  nostrali  etc 

i  Posi  urna  ì 

Questo  lavoro  è  diviso  iu  due  paragrafi:  uel  primo  l'A  descrive  gli 
organi  fiorali,  specialmente  stilo  e  stimma,  ed  il  polline  di  varie  piante, 
in  particolare  del  Convolvultis  Soldanella  (di  cui  nota  la  viviparità)  C.  al- 
theoides,  G.  seplum,  C.  Imperati.,  discorrendo  pure  delle  modificazioni  che 
subisce  il  polline  in  contatto  dei  liquidi  e  della  sua  funzione  fisiologica.  Nel 
secondo    paragrafo  dà  la  descrizione  del  Convolvolo  marittimo  d'Imperato. 

Comincia  col  descrivere  il  C  Soldanella,  trovato  nel  1785  al  lido 
dei  Bagnoli,  ne  osserva  lo  stimma  e  vi  riconosce  la  esistenza  di  papille 
atte  a  trattenere  il  polline,  descrive  la  struttura  vescicolare  e  la  forma 
dei  granelli  pollinici  e  riconosce  che  nei  casi  osservati .  non  il  granello 
di  polline,  ma  solo  il  suo  contenuto,  il  quale  è  mescolato  ali"  umore  vi- 
scoso dello  stimma,  passa  nell'ovario  a  fecondare  gli  ovuli.  Discorrendo 
della  fecondazione  ammette  1'  analogia   tra  i  grani  di    polline  e  le  vesci- 


—   109  — 

rhettp  seminali  defili  animali,  tra  Ip.  antere  ed  i  teisticoli.  Ammette,  rome 
fattore  necessario  per  la  fecondazione  dell'ovulo  la  unione  del  onntenuto 
liquido  dei  gfranuli  di  polline,  col  liquido  vischioso  dello  stimma.  Nelle 
piante  osservate  i  granelli  di  polline,  goniìandosi,  scoppiavano  in  presenza 
dell'acqua  producendosi  la  fuoriuscita  del  liquido  interno.  In  un  caso  pare 
abbia  osservato,  senza  riconoscere  il  valore,  la  formazione  di  uno  o  più 
tubi  pollinici  (polline  dei  Convolvolo  delle  siepi).  Ha  studiato  pure  il  pol- 
line della  ('appans  spinosa,  echinato  come  nelle  malve,  del  Rosolaccio, 
di  cui  analizza  anche  il  peduncolo  fiorale  pel  decorso  dei  fasci  vascolari, 
delle  Orohioiclie.  dello  Spartlum  jimceuni .  del  Sonchus  oleraceus ,  di  cui 
esamina  la  struttura  dello  stilo  e  dello  .stimma  riconoscendo  essere  im- 
possibile il  passaggio  del  polline  nello  stilo  per  la  differenza  delle  dimen- 
sioni dei  gl'anelli  pollinici  e  degli  elementi  conduttori  dello  stilo  e  dello 
stigma. 

La  seconda  parte  del  lavoro  comprende  la  descrizione  particolareg- 
giata dei  caratteri  specifici  del  Convolvolo  d' Imperato,  l'epoca  della  fio- 
ritura, il  modo  di  propagarsi  per  organi  sotterranei,  terminando  colla  de- 
scrizione del  fiore  e  delle  sue  parti. 

Sulla  fruttificazione  del  Carrubo 

iPostunid) 

In  questa  nota  l'A.  discorre  della  posizione  sistematica  della  Cera- 
fonia  Siliqua  collocata  dal  Linneo  nella  classe  Polygamia,  ordine  Dioecia, 
ed  osserva  che  avendo  studiato  i  caratteri  sopra  specie  spontanee,  proprie 
del  nostro  Appennino  non  vi  riconobbe  i  caratteri  assegnati  alla  specie 
dal  Linneo.  Spiega  il  fatto,  notando  che  Linneo  ne  aveva  studiato  i  ca- 
ratteri   sopra  individui  coltivati,   e  non  già  spontanei. 

Ed  inoltre  poco  poteva  il  Linneo  desumere  dagli  autori  antichi,  i 
quali  non  avevano  ben  conosciuto  il  carrubo  o  male  ne  avevano  raffigu- 
rati i  caratteri  specifici. 

Parlando  della  ubicazione  del  carrubo,  che  sul  nostro  Appennino  ver- 
deggia da  Castellammare  ad  Amalfi,  accenna  alla  struttura  geologica  ed 
alla  climatologia  della  regione. 

Descrive  quindi  la  fioritura  del  carrubo  che  si  verifica  in  settembre 
e  dà  i  caratteri  specifici  secondo  il  sistema  linneano,  del  fiore  maschile 
e  dell'ermafrodito.  Nota  la  deiscenza  longitudinale  delle  antere;  questo  ar- 
gomento, dice,  meriterebbe  ulteriori  indagini  dal  filosofi  botanici.  Pai'la 
della  forma  del  polline  e  nota  nel  fiore  di  un  sesso,  l'abbozzo  dell'altro 
sesso,  come  si  osserva  in  piante  simili  a  fiori  diclini;  la  indagine  però 
della  cagione  fisica  della  distribuzione  dei  sessi  sulle  piante  non  potrebbe 
condurre  che  ad  affermazioni  vaghe  od  ipotetiche. 

Volendo  poi  indagare  come  avvenga  la  impollinazione  nel  carrubo, 
del  quale,  per  lungo  tratto .  non  si  trovano  che  individui  femmine  (di- 
struggendosi per  io  più  i   maschi  dai  contadini,  od  innestandovi  su   fem- 


-  no  — 

mine,  perchè  li  ritengono  selvaggi  ed  inetti)  non  sembrò  all'iiutore  potere 
essere  il  vento  il  veicolo  del  polline,  data  la  scarsezza  di  questo  ed  il 
lungo  tratto  che  avrebbe  dovuto  percon-ere,  ostacolato  ancora  dal  fogliame 
dell'albero  sul  (juale  avrebbe  dovuto  cadere. 

E  però  ben  osservando  si  avvide  che  sciami  di  moscherini ,  tra  i 
quali  riconobbe  diverse  specie  d'insetti,  correvano  sopra  i  carrubi  fem- 
mine; non  potette  per  altro  osservare  se  questi  moscherini  avessero  vi- 
sitati prima  i  liori  maschili  per  inqHilliiiarsi,  ovvero  corressero  sulla  ])iaiita 
femmina  a  solo  scopo  di  difendersi  dai  raggi  del  sole.  Crede  l'A.  che 
questi  moscherini  riceventlo  il  polline  sparso  nell'atmosfera  dalle  piante 
maschili,  lo  trasportassero  poi  sulle  piante  femmine.  La  pratica  usata  dai 
contadini  di  innestare  cioè  su  carrubi  maschi  ì  rami  di  piante  femmine, 
pur  lasciando  intatto  il  ramo  principale  del  soggetto,  spiega  come  possa 
avvenire  facilmente  la  impollinazione,  sul  quale  argomento  l'A.  si  riserba 
di  fare  ulteriori  studi  su  piante  vegetanti  nella  sua  villa  ai  Camaldoli  e 
constatare  i  rapporti  tra  l'uno  e  l'altro  individuo  della  specie.  Corregge, 
in  ultimo,  l'opinione  di  Giov.  Banino  il  quale  asseriva  che  il  carrubo  nato 
da  seme  non  giunge  al  terzo  anno  senza  perire.  Ad  Amalfi  infatti ,  se- 
condo l'A.  tra  le  spazzature  abbondano  i  semi  del  carrubo,  i  cui  frutti 
si  mangiano  dalla  povera  gente,  e  questi  semi  subito  germogliano,  certo 
per  le  favorevoli  condizioni  di  clima.  Accenna  inline  alla  struttura  del 
seme  del  carrubo  ed  alla  forma  e  posizione  dell'  embrione  ,  notando  una 
differenza  tra  i  semi  provenienti  da  carrubi  della  costiera  e  quelli  di  altre 
regioni. 


BOLLETTINO 


DELLA 


ÌTA  DI  NATURALIST 


iiv  :x:A.i*orvi 


VOLUME  XXIV  (SERIE   II,  VOL.   IV) 

1910 


G  o  n.    3    t  a -^  o  1  e 


(Pubblicato  il  30  ma.i^gi.)  1911) 


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NAPOLI 

K.   STABILfMRNTO    TIPOGRAFICO    FRANCESCO   GIANNINI  \   Flftl.l 
S>trada  Cisterna  dell'Olio 


I]VI3I0e: 


1 

5 
'.» 

is 


PiEBANTONi  U.  —  Origine  e  struttura  del  corpo  ovale  àe\  Dacti/lo- 
jiius  citri  e  del  corpo  verde  doli'  Aphis  brassicae.  il  u<jta 
preliminare  sulla  simbiosi  ereditaria.        ....    pag. 

PoucE  6.  —  Di  due  casi  di  morsicatura  di  vipera.  Nota  . 

Gauthier  V.  —  L' idrografia  dell'agro  telesino.  Nota  ....       * 

Trinohieri  G.  —  Intorno  a  una  Laboulben iacea  nuova  per  l'Italia  (7';t- 

noniyces  histophtorm  Chatton  et  Picard).  Nota  '.         .         .       - 

Ricciardi  L.  —  Su  le  Relazioni  delle  Reali  Accademie  di  Sienze  di 
Napoli  e  dei  Lincei  di  Roma  sui  terremoti  calabro-siculi 
del  17813  e  1908 »       2o 

Armenante  e.  —  Contributo  allo  studio  dei  Mallofagi.  Osservazi<Mii 

sul  Menopon  pallidnm  (con  la  tav.  I.)        .         .         .         .       »       Tu 

Agdilar  e.  —  Sul  modo  d'inserirsi  delle  fibre  della  Zonula  di  Zi  un 
sulla  capsula  anteriore  del  cristallino  nell'uccbio  umano. 
Nota  preliminare  (con  la  -tav.  II) 9(j 

Raffaele  F.  —  Salvatore  Lo  Bianco.  Commemorazione     .         .         .       >       9'.J 
Gauthier  V.  —  Poche  osservazioni  al  lavoro  del  prof.   L.   Ricciardi 
«  Su  le  Relazioni  delle  Reali  Accademie  delle  Scienze  di 
Napoli  e  dei  Lincei  di  Roma  sui  terremoti  calabro-siculi 

del  1783  e  1908.  »       . »     li:} 

Cdtolo  a.  —  Una  nuova  sofisticazione  dell'olio  di  ulive.   Nota        .       »     117 
Ricciardi  L.  —  Il  sismismo,  il  vulcanismo  e  la  costituzione  geofisica 

del  geoide »     121 

CoTRONKi  G.  —  La  fascia  vitellogena  nell'oocite  in    crescita   di   .1/;- 

tedon  rosacea.  Nota  preliminare  riassuntiva       .         .         .       >-     155 

('UTOLO  A.  —  Composizione   e    valore   nutritivo   dei    «  taralli  »,  pro- 
dotto della  panificazione  speciale  di  Napoli      ...»     158 
Gargano  C.  —  Di  alcune  formazioni  patologiche  a  tipo   epitelioide. 

I.  Il  Molhiscìiììt  contagioswn  di  Bateman  (con  la  tav.  Ili)       »     1G5 
FiERANTONi  U.  —  Osservazioni  su  Apkrophora  spmnaria  L.         .         .       »     289 
(Mutolo  A.  e  Calendoli  E.  —  Analisi   chimica   e    batteriologica   del- 
l'acqua di  Assauo .         .       »     295 

PiER.ANTONi  U.  —  Sul  corpo  ovale  del   Dadi/lopins.  Nota     ...»     :}0:5 
Garuano  C.  —  Trapianti  di  tumori  epiteliali  umani  nel  sorcio  {Afus 
jinsculus)  e  loro  trasformazione  in    sarcomi.    Nota    pre- 
ventiva.        ...........     305 

Riccardi  L.  —  Su  la  invenzione  del  Tectonismo        .        .         .         .       »     309 

PiccoLi-FoÀ  J.  —  Azione  dell'anidride  itaconica  sopra  i  p-ammido-fe- 

noli.  Contributo  allo  studio  sulla  Tautomeria  ...»     337 

Processi  verbali  delle  tornate »    3(55 

MoNTicELU  Fr.  Sav.  —  Sul  ciclo  biologico  dei   cestodi   degli   uccelli 

acquatici       ...........     3(i(i 

—  —  —  Su  i  Nemertini  d'acqua  dolce  in  Italia.         .       »     3G7 

Pikrantoni  U.  —  Sull'ermafroditismo  larvale  àUcerya  purclmsi.        .       »     379 

Consiglio  direttivo  per  l'anno  1911 »     381 

Elenco  dei  socii »     383 

Elenco  dei  cambi     ..........>•     387 

Elenco  delle  pubblicazioni  pervenute  in  dono         .         .         .         .       »     395 


Gli  Autori  assumono  l' intera  respousaiiillta  dei  loro  scritti. 


ESTRATTO  DAL  REGOLAMENTO  lll'LLA  SOCIETÀ 

{approvato  nella  tornata  del  14  agosto  1898) 


IV.  Del  Bollettino. 

Art.  31.  La  Società,  pubblica  un  Bollettino  contenente  i^'/'O- 
cessi  verbali  delle  assemblee  e  delle  tornate  e  lavori  o-riginali  dei 
soli  soci  ordinarii. 

Art.  32.  I  processi  verbali  delle  tornate  ordinarie  debbono 
contenere  : 

a)  r  elenco  dei  socii  presenti  ; 

b)  V  enumerazione  dei  lavori  originali  letti ,  con  1'  indica- 
zione se  vengono  o  no  pubblicati  nel  Bollettino  ; 

C)  una  breve  notizia  delle  comunicazioni  verbali  ; 

d)  V  indicazione  delle  letture  e  delle  conferenze  fatte  nella 
tornata  ; 

e)  e  i  nomi  dei  socii  ammessi,  e  quelle  deliberazioni  che  si 
crederà  opportuno  pubblicare. 

Art.  33.  I  lavori  da  pubblicarsi  nel  Bollettino  dovi-anno  esser 
letti  nelle  tornate.  Sui  lavori  letti  potrà  esser  fatta  discussione. 
Quindi  i  lavori  restano  sette  giorni  in  Segreteria  a  disposizione 
di  quei  soci  ,  che  volessero  ponderatamente  esaminarli.  Trascorsi 
i  sette  giorni,  se  non  è  pervenuta  alla  Segreteria  nessuna  osser- 
vazione da  parte  di  alcun  socio,  il  lavoro  è  passato  alla  stampa. 
Essendovi  discussione,  questa  verrà  fatta  nella  prossima  tornata, 
informandone  1'  autore,  perchè  possa  intervenirvi  :  la  discussione 
sarà  pubblicata  nel  Bollettino,  in  seguito  al  lavoro,  tenendosene 
pure  conto  nel  processo  verbale. 

Art.  34.  I  lavori  già  pubblicati  non  possono  essere  stampati 
nel  Bollettino. 

Art.  35.  Il  socio ,  che  non  è  in  regola  con  la  cassa  sociale, 
non  può  pubblicare  nel  Bollettino. 

Art.  36.  I  soci  ammessi  a  far  parte  della  Società  da  meno 
di  un  anno  non  hanno  dritto  a  pubblicare  nel  Bollettino,  se  non 
pagano  anticipatamente  1'  annata  intera. 

Art.  37.  Nel  caso  di  lavori  fatti  in  collaborazione  da  più  soci, 
questi  debbono  essere  tutti  in  regola  con  la  cassa,  perchè  il  la- 
voro possa  essere  pubblicato. 

Art.  38.  I  lavori  debbono  versare  sopra  argomenti  di  scienze 
naturali  e  loro  applicazioni. 

Art.  39.  Il'' Consiglio  direttivo  cura  la  pubblicazione  del  Bol- 
lettino. 

Art.  40.  Il  numero  dei  fascicoli  del  Bollettino  sarà  determi- 
nato anno"  per  anno  dal  Consiglio  direttivo. 

Art.  41.  Grli  autori  avranno  gratuitamente  gli  estratti  dei 
loro  lavori.  Il  numero  di  questi  sarà  ogni  anno  determinato  dal 
Consiglio  direttivo. 

Art.  42.  Gli  autori  potranno  avere  un  numero  maggiore  di 
estratti  a  proprie  spese. 


Art.  43.  Le  tavole  e  le  figure  nel  testo  saranuo  fatte  a  cuiii 
(Iella  Società,  e  gli  autori  pagheranno,  per  ciascuna  tavola  o  fi- 
"•ui-a,  un  contributo,  che  sarà  caso  por  caso  stabilito  dal  Consi- 
glio direttivo,  tenendo  conto  dell'  importo  delle  tavole  e  delle 
condizioni  del  bilancio.  Gli  autori,  pertanto,  saranno  obbligati  a 
depositare  una  somma  ,  che  sarà  anche  volta  per  volta  stabilita 
dal  Consiglio,  prima  di  dare  alla  slampa  il  lavoro.  Essi  potrannc» 
indicare  il  litografo  dal  quale  intendono  siano  eseguite  le  tavole 
salvo  il  consenso  del  Consiglio  direttivo. 

Art.  44.  La  Società  può  limitare  i  fogli  di  stampa,  cui  gli 
•  autori  hanno  diritto,  in  ciascun  anno  sociale,  su  proposta  del  Con- 
siglio direttivo  in  un'Assemblea  generale;  tuttavia  nel  caso  che 
sia  presentato  un  lavoro,  che  per  la  sua  mole  importi  una  spesa 
considerevole,  il  Consiglio  direttivo  può  invitare  la  Società,  anche 
in  una  tornata  ordinaria,  a  deliberare  sopra  la  opportunità  di 
stamparlo. 

Art.  45.  Per  quei  lavori,  che  importino  una  spesa  tipografica 
straordinaria,  gli  autori ,  dietro  proposta  del  Consiglio  direttivo, 
approvata  dall'Assemblea  in  una  tornata  ordinaria,  potranno  es- 
sere obbligati  a  concorrere  alla  spesa. 


Per  quanto  concerne  la  'parte  scienti-fica  ed  amministrativa  dirigersi  al 

SEGRETARIO  .DELLA  SOCIETÀ 

Dr.  Francesco  de  Rosa,  presso  la  sede  della  Società  : 

Via  S.  Sebastiano,  48  d. 


Sono  vivamente  pregati  i  sodi  m-dinarii  non  residenti  di  spedire 
la  loro  contribuzione  annuale  al  sodo  cassiere  Sig.  EMILIO  TE  ANI 
Istituto  Zoologico  della  B.  Università^  Napoli. 


Gli   autori    assumono   la   piena  responsabilità  dei 
loro  scritti. 


Per  questo  anno  la  Società  dà  agli  Autori  75  copie  di  estratti 
con  copertina  stampata  secondo  apposito  modello. 

Per  dò  die  riguarda  la  vendita  del  Bollettino  rivolgersi  alla 
Via  S.  Anna  dei  Lombardi.  N.  53  —Napoli 


Prezzo  del  presente  volume  L.  20,00. 


ONORANZE  E  FESTEGGIAMENTI 

NEL  1.»  CENTENARIO   DAtJ.A  MORTR  Df 

FILIPPO   CAVOLINI 


SOTTO  L'ALTO  PATRONATO  DI  S.  M,  VITTORIO  EMANUELE  III  RE  D' ITALIA 

DALLA 

(12-13  SETTEMBRE  1910J 
SUPPLEMENTO 


AI. 


BOliLETTlKO   DELLA   SOCIETÀ   DI   HflTUHflIilSTr>,\ 
.  \p^/  ^ 

in    KTapoli  \^p^  , 


Anno  XXIV  -Voi.   XXIV 


NAPOLI 

R.  Stabilimento  Tipohrafico  Francesco  (Giannini  &  Pkìm 

Cisterna  dt'll'  Olio 

1911 


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